Soldato Blu

di SabrinaSala
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fragile ***
Capitolo 2: *** Fuoco di copertura ***
Capitolo 3: *** Scomparso ***
Capitolo 4: *** Gioco sporco ***
Capitolo 5: *** Ricatto ***
Capitolo 6: *** Addio André? ***
Capitolo 7: *** Distanze ***
Capitolo 8: *** Fantasmi ***
Capitolo 9: *** Turbamenti ***
Capitolo 10: *** La sfida ***
Capitolo 11: *** Diluvio ***
Capitolo 12: *** Brividi ***
Capitolo 13: *** Sguardi ***
Capitolo 14: *** Memorie ***
Capitolo 15: *** Fine e Inizio ***



Capitolo 1
*** Fragile ***


Image and video hosting by TinyPic Capitolo 1 – Fragile
 
Il proiettile lacerò l’aria. Poi la carne.
Sorpreso, André si portò una mano al petto. La giubba blu intrisa di sangue.
-Oscar… - mormorò in un soffio. E in quel nome c’era tutto. Dolore, sgomento, paura… Paura di perderla. Adesso. Di perdere lei, la sua vita… Dopo averla finalmente trovata - Oscar… - ripeté.
Barcollando, si accasciò tra le braccia di Alain, fermo alle sue spalle, pronto a sorreggerlo, mentre l’ultimo raggio di sole scivolava dietro al ponte di pietra, sulla Senna placida e rossastra e la canna del fucile da cui era partito il colpo che lo aveva centrato in pieno petto.  
-Comandante!- la voce allarmata di  Alain penetrò la nebbia che tentava di avvolgere la sua mente.
Oscar si volse. Pallido spettro del comandante che era.  Impietrita, dopo lo sparo, da un pensiero che non aveva voluto credere vero.  
Si precipitò sui due uomini. Le  mani tremanti che non osavano nemmeno sfiorare il petto del soldato ferito, quasi temendo, con quel contatto, di dover ammettere una situazione inaccettabile.
-André- gridò  – André!-
L’uomo la fissò, interrogativo, le labbra semi dischiuse… Non riusciva parlare, a dare voce ai pensieri che gli sfilavano chiari nella mente confusa mentre guardava quella splendida donna in uniforme blu piegata su di lui “Perché sei così agitata, Oscar?” pensò  trattenendo il fiato. “Di cosa hai paura?“ strinse il pugno sul petto, avvertendo chiaramente la consistenza umida del sangue. Sorrise “Io non ti lascio, Oscar…”  Perse i sensi...
-Comandante…- ripeté Alain.
Oscar serrò le labbra portando la mano all’elsa della spada, come appoggiandovisi,  prima di alzarsi e rivolgersi agli uomini rimasti immobili al riparo del ponte.
-A cavallo! – ordinò. – Raggiungiamo le barricate! - Poi si rivolse ad Alain, con uno sguardo che non ammetteva repliche. – Lo porterai con te e ti assicurerai che non gli succeda niente! Noi ti faremo da scudo. Io in testa. –
L’uomo annuì senza fiatare.
Il manipolo di soldati, schierato a cavallo in una formazione perfetta, si lanciò al galoppo attraversando Parigi,  diretto alle barricate dei ribelli. Oscar guidava il drappello. Lo sguardo acceso, la voce vibrante ad incitare gli uomini, il braccio teso ad impugnare la spada, implacabile trascinatrice decisa a non lasciare nulla di intentato pur di salvare André. Incurante del pericolo e della pioggia di fuoco che circondava lei e i suoi uomini impegnati senza replicare in una corsa contro il tempo.
Riconoscendo Oscar al comando dei Soldati della Guardia, Bernard Chatelet si fece subito avanti rassicurando i cittadini, provati dall’ennesima giornata di scontri.  
-Serve un medico! –urlò compresa la gravità della situazione. –Serve un medico subito! –
Nessuno si mosse. Per un tempo che sembrò non finire mai. E non c’era tempo da perdere.
La tensione si impadronì di Oscar, mentre i suoi occhi percorrevano feroci le barricate  in attesa che qualcuno si facesse avanti e Caesar scalpitava sotto di lei avvertendo la sua ansia.  Non si faceva illusioni, Oscar. Timore e diffidenza erano i sentimenti più diffusi. Nonostante questo, la rabbia cominciava a montare. Libertà, uguaglianza, fraternità… Tante belle parole…  Solo tante belle parole?
-Io sono un medico! – disse un uomo emergendo infine  alle spalle di Bernard.
-Anche io, sono un medico… - gli fece eco un’altra voce poco lontano.
Oscar avvertì le lacrime pungerle gli occhi, ma non era il momento di piangere. Smontò da cavallo e invitò Alain a fare lo stesso, facendo scivolare il corpo inerme di André sulla barella improvvisata che i compagni di Bernard avevano provveduto ad avvicinare.
-Portatelo qui… - indicò l’uomo che si era fatto avanti per primo.
André emise un gemito. Oscar si lasciò cadere al suo fianco…
 
 
Seduta sulle scale antistanti la chiesa, Oscar stringeva tra le mani un libretto liso e sporco di sangue.  La testa abbandonata in avanti. Gli occhi stanchi rivolti al selciato e alle ombre che si aggiravano tra i piccoli sassi irregolari. Era sfinita…
La notte ormai inoltrata aveva calato sul suo cuore una rabbia profonda e una consapevolezza: era fragile. Vulnerabile. Aveva costretto i suoi uomini a correre un rischio insensato solo per salvare André. Li aveva esposti a un pericolo mortale, a una corsa contro il tempo e il fischiare delle pallottole e lo aveva fatto per un motivo personale.  E l’unica cosa a cui aveva pensato, per tutto il tempo di quella corsa folle,  era  salvare André…  solo salvare André. Dov’era finito l’algido comandante della Guardia? Scosse debolmente le spalle, incurvate sotto il peso della stanchezza e della consapevolezza.  Non era più in grado di ragionare lucidamente.
Chiuse gli occhi stanchi e fece un respiro profondo. Aveva provato paura! Per la prima volta. Una paura sorda e paralizzante. Paura di perdere André e di morire per questo. L’adrenalina che l’aveva guidata nella gestione dell’emergenza si era esaurita e sgradevoli brividi di freddo le percorrevano, ora,  il corpo esausto. Le immagini di quella sera continuavano a riproporsi nella sua mente stanca senza darle tregua e, ogni volta, un senso di nausea le stringeva lo stomaco. Non andava bene. Non poteva permettersi quella debolezza… Non se voleva rimanere al comando dei quegli uomini che credevano ciecamente in lei, nel oro comandante… Forse, avrebbe dovuto dimettersi!
-Comandante -
Alain.
Oscar sollevò lo sguardo sul soldato che l’aveva raggiunta e spezzato il filo di quei pensieri.
L’uomo incrociò i suoi occhi stanchi. Erano esausti. Lo erano tutti e due e come loro gli altri soldati della guardia e i rivoltosi che avevano assediato la città. Ma non era il momento di cedere, quello.
-Bernard Chatelet ha chiesto che vi uniate all’incontro… - disse.
Oscar emise un sospiro. Era consapevole del momento cruciale che stavano vivendo, ma era stanca… troppo stanca per trascorrere anche solo un minuto con Bernard e i suoi compagni impegnati nel discutere gli avvenimenti della giornata e i piani per il giorno dopo. E per la seconda volta in poche ore, la sua scelta fu guidata dall’egoismo.
-Vai tu, Alain. – disse. - Io non me la sento… -
Alain infilò le mani in tasca, accennando un sorriso. Masticò lo stecchino che teneva in bocca sospingendolo poi con la lingua sull’angolo destro delle labbra.
-E’ il diario di André, quello che tenete tra le mani? –
Oscar lo fissò in silenzio, aggrottando appena la fronte.
-E’ stato fortunato, il nostro André… - continuò il soldato accentuando il proprio sorriso.
Oscar strinse quel libretto malconcio.
-Non sapevo nemmeno che tenesse un diario… - mormorò soffermandosi con lo sguardo sulla costa consumata
Alain sollevò le spalle.
-Non sapevate molte cose, comandante… - ironizzò. Poi si avvicinò ad Oscar.
Affiancandola, si tolse la giubba ruvida e lisa e la posò sulle spalle di lei.
-Sembra stia per mettersi a piovere, comandante. Meglio non prendere freddo. Domani ci aspetta una lunga giornata… -  
Con calma, ridiscese i gradini incamminandosi verso l’edificio che ospitava Bernard.
-Alain… - mormorò Oscar con un filo di voce.
L’uomo si fermò, senza voltarsi.
-Vado alla riunione, comandante. Sarò i vostri occhi e le vostre orecchie, stasera. Riposatevi e state vicino al nostro André, ne ha bisogno… Ma domattina, ricordatevi di scendere in campo con i vostri uomini. – si allontanò.
Oscar lo seguì con lo sguardo, fino a quando la sua figura non venne inghiottita dalla notte e dai vicoli ciechi di Parigi. Scorse il soldato che Alain aveva messo di guardia in un angolo della piccola piazza, perché vegliasse su di lei. Accennò un sorriso amaro, un riflesso di gratitudine. Cominciava a capire perché quel rude soldato, sfrontato e un po’ arrogante,  fosse il migliore amico di André. Si alzò, assicurando il libretto nella tasca interna della propria giacca, all’altezza del cuore. Proprio come aveva fatto André. Un gesto che gli aveva salvato la vita…

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Capitolo 2
*** Fuoco di copertura ***


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Capitolo 2 - FUOCO DI COPERTURA

 
Alain annullò in una falcata la breve rampa di scale che conduceva alla piccola stanza al piano superiore, gettando appena un'occhiata ai mucchi di garze e stoffe intrise di sangue sparse sul pavimento dell’ingresso, trasformato in quei giorni in una sala operatoria d’urgenza.
Arrivato alla soglia, placò il proprio ardore e, quasi imbarazzato, sospinse lo sguardo all’interno, nel timore di violare un’intimità faticosamente raggiunta. Ma i suoi occhi si riempirono di una serenità che non si aspettava di trovare ed esitò, immobile sulla porta, deciso a non spezzare quel delicato equilibrio.
Nella luce bianca del mattino, il comandante sembrava emanare un bagliore dorato. La sedia accanto al letto, la divisa ancora indosso e le braccia conserte sotto le guance, piegata e addormentata sul letto occupato da André. Il soldato, il petto nudo stretto da un’ingombrante fasciatura, sembrava riposare finalmente tranquillo.
Alain aggrottò la fronte e strinse gli occhi stanchi, affaticati dalle ore di veglia passate tra una riunione e i picchetti di guardia. Le sue labbra assunsero una piega amara al pensiero di quanto sarebbe potuto succedere solo qualche ora prima… se quel libricino, che gli aveva sempre strappato un sorriso, non fosse stato là, al proprio posto, sul cuore. Il diario… Chissà dov’era, adesso, quel diario. Certo, lo aveva il comandante. Chissà se lo avrebbe letto o, più semplicemente, tenendo fede al proprio spirito, lo avrebbe riconsegnato inviolato nelle mani del proprietario…
Finalmente, le sue labbra si distesero nel consueto sorriso quasi beffardo:  certo che erano una stana coppia, quei due. Sogghignò.
Come avvertendo il peso di quello sguardo, Oscar si svegliò. Sollevandosi lentamente sui gomiti, emerse dal torpore che l’aveva finalmente abbattuta… Poi tornò con lo sguardo sul letto, alle mani strette alle lenzuola di stoffa grezza, quasi vi fosse aggrappata con forza, al fazzoletto che teneva in pugno… Si rabbuiò, ma il respiro regolare di André, così vicino, la rilassò, come fosse la medicina più efficace. Solo allora, con espressione interrogativa fece scivolare lo sguardo attraverso la stanza, fino alla porta, cogliendo la massiccia figura che si stagliava sulla soglia. Alain…
-Comandante – salutò la sagoma in blu – Vi stavo cercando… - mormorò incerto.
Allo sguardo interrogativo di Oscar, Alain si decise a parlare.
-Non mi illudo che vogliate seguirmi ma… questa mattina i vostri uomini si uniranno ai cittadini in rivolta, diretti alla Bastiglia. -  disse.
Lo sguardo di Oscar, ormai completamente sveglia, pretendeva una spiegazione.
-Ieri sera, Bernard ha espresso l’intenzione del popolo di assediare il simbolo del regime. – iniziò,  mantenendo un tono di voce calmo e basso per non disturbare il riposo di André. –Nemmeno le proteste di Robespierre sono valse a fargli cambiare idea… - riprese. Poi lanciò uno sguardo alla finestra alle spalle di Oscar e accennandovi col capo continuò. – Li sentite? Uomini, donne, soldati… Chiunque abbia un’arma, una qualsiasi, sta marciando verso la Bastiglia… -  si fermò, prima di concludere con un’alzata di spalle - Il popolo si messo in moto. E i vostri soldati con esso, come avevate deciso…  Mi sembrava giusto avvisarvi, ecco. Solo questo. –
Oscar si alzò, provocando il rumoroso spostamento della sedia.
Parigi si era svegliata sul piede di guerra.  Aggrottò la fronte… Le sembrava tutto così lontano.
-Alain, io… - mormorò senza finire la frase.
Aggrappandosi inaspettatamente alla sua manica, la mano di André le aveva provocato un sussulto. Si volse, incrociando lo sguardo assonnato dell’uomo e una morsa di gioia mista a dolore le strinse lo stomaco. Gli si inginocchiò accanto, cercando il proprio riflesso nell’occhio ancora annebbiato di André. Finalmente! Finalmente si era svegliato… Dal loro arrivo alle barricate, il giorno prima, non aveva più ripreso i sensi e non si parlavano da allora… Aveva tante cose da dirgli!
-Oscar… - mormorò l’uomo con una smorfia di dolore -Cosa aspetti, Oscar? –
Sussultò. Cosa stava dicendo? Cosa le stava chiedendo? Possibile che avesse sentito tutto?
-I tuoi uomini  hanno bisogno di una guida, Oscar… Il popolo ha bisogno di una guida. – le sfiorò le guance accese e calde con il dorso di una mano, soffermandosi poi dietro all’orecchio, tra i capelli soffici.
-Noi avremo tutto il tempo, dopo… - emise in un soffio.
-André… -  sospirò lei con la morte nel cuore.
Il sorriso caldo di André le scivolò nell’anima sconvolta dagli ultimi avvenimenti.
Avvertì l’adrenalina prendere nuovamente il sopravvento impossessarsi del suo corpo stanco.
Annuì in silenzio.  Poi, rivolse uno sguardo cupo ad Alain, ancora fermo sulla soglia ad aspettare.
Avanzando verso la porta, sentì la propria mano scivolare via dalla presa sicura e calda di André. Si affiancò al soldato in attesa.
-Raggiungo i miei uomini, Alain. – disse risoluta e sulle labbra dell’uomo si allargò un sorriso mentre lo sguardo vagava pieno di gratitudine dall’uno all’altro.
-Sono pronto, comandante! – asserì sull’attenti.
 Oscar lo afferrò per un braccio bloccandolo sulla porta – Tu non ti muovi di qui, Alain! – ordinò con  voce roca e profonda,  lo sguardo pronto a smorzare ogni tentativo di protesta.
Il soldato represse un sussulto. Serrò le labbra e scattò nuovamente sull’attenti.
-Il vostro cavallo è sellato giù in strada! – disse, mentre Oscar lasciava la stanza chiedendosi da dove derivasse quella sua sicurezza.  Era stato certo fin dall’inizio che avrebbe accettato? La conosceva così bene? O conosceva bene André…
Con un pizzico di rammarico, ma grato per la decisione del suo comandante, Alain abbandonò lo stipite della porta e si avvicinò al letto in fondo alla stanza. Non aveva ancora fatto in tempo a sedersi, accorgendosi della presenza della propria giubba appoggiata allo schienale della sedia, che André lo fissò negli occhi.
-Devi farmi un favore, Alain… -
L’uomo allungò le gambe e si portò le braccia dietro la nuca, stirandosi e approfittando di quel momento di quiete.
-Non puoi chiedermi di contravvenire agli ordini, amico. – sorrise socchiudendo gli occhi, certo che la replica che non si sarebbe fatta attendere.
- Vai con lei… -  
Lo aveva detto.
Alain riportò lo sguardo sull’amico ferito. Aveva un’aria pallida e sofferente che il sorriso gentile cercava di dissimulare. La fasciatura, prima completamente bianca, stava iniziando ad assumere lentamente un color cremisi all’altezza del cuore.
-Proteggila per me –  
Nonostante l’evidente sforzo, il pensiero di André era uno soltanto. Oscar… Alain serrò le labbra.
 – Non perderla mai di vista! Proteggila per me, Alain… Proteggi  la mia Oscar. –
Fermo nella propria supplica, André si era sollevato sui gomiti e aveva afferrato il braccio del commilitone. L’unico al quale avrebbe affidato la sua Oscar.
Con lo stesso rispetto dimostrato per il comandante, Alain scattò sugli attenti.
-Voi due… - ridacchiò poi, passandosi una mano tra i capelli – mi farete passare un mare di guai… - disse afferrando la giubba  dallo schienale e gettandosela su una spalla si avviò alla porta.
Senza voltarsi, si appoggiò con la mano libera allo stipite e sorrise ancora mentre una lacrima gli pungeva l’occhio destro. Emise un sospiro. Stupido André! Cosa gli combinava…
-Tu non muoverti di qui e non fare scherzi o la tua donna mi ucciderà! – disse prima di affrontare le scale in volata dove incrociò lo sguardo di Rosalie, salita a controllare le condizioni di André.
Afferrandola per i fianchi, la sollevò a mezz’aria, senza il minimo sforzo, e le fece fare una giravolta,  le tolse il fiato.
-Rosalie! – sorrise – Prenditi cura del nostro André, mi raccomando! Io raggiungo il comandante! -
Era euforico e un attimo dopo indossava la giubba blu e si precipitava in strada, correndo lungo i vicoli restii ad accettare la luce dell’alba, ancora immersi nel buio di quel 14 luglio 1789…
 
***
 
I primi, freddi raggi dell’alba si irradiavano su una città in rivolta, riflettendosi sulle pozzanghere lasciate da una pioggia incessante che aveva mondato vicoli e piazze fino a tarda notte.  Raggiunti gli insorti, Oscar si destreggiò tra le assi e le macerie che formavano le prime barricate. Ogni cosa ritenuta utile era stata prelevata dalle case e accatastata a guisa di barriere che, ci si illudeva, avrebbero protetto i cittadini inesperti e furiosi. La voce del popolo si levava già alta a riempire un’aria satura di fumo e di polvere da sparo. Tenendosi al riparo dal fuoco dei cecchini, raggiunse Bernard mentre la consapevolezza di qualcosa che non andava prendeva sempre più piede dentro di lei. Qualcosa stonava, nelle immagini che la circondavano e nei rumori che la assordavano. I cannoni! Pensò.
-Perché non sparano i nostri cannoni! – domandò a bruciapelo.
Bernard, fucile alla mano, scosse la testa rassegnato.
-Il popolo non sanno usarli… Non è abituato a tutto questo! – urlò per farsi sentire.
Senza rispondere, Oscar si precipitò in prima linea, raggiungendo i propri uomini.
-Soldati della Guardia! – li richiamò, riempiendo con la sua sola presenza il loro animo quasi piegato –Avanti! Cosa aspettate! Facciamo sentire anche i nostri cannoni! Fuoco alle polveri! – ordinò estraendo la spada e incitando la folla.
Come accesi da un fuoco inarrestabile e improvviso, i soldati della Guardia sembrarono riprendere vita e risposero con i fatti al loro comandante.
-Fuoco!- urlò Oscar e una salva si abbatté sulla parte alta della fortezza.
 
***
 
Alain aveva raggiunto la Bastiglia. Polvere e grida gli confondevano i sensi... Dov’era Oscar, dov’era il comandante? In quella spasmodica ricerca, avanzata tra le barricate e i corpi dei feriti. Dov’era Oscar?
La vide. Biondo bersaglio sulla linea di fuoco.
Con un moto di stizza si rivolse ai soldati che lo circondavano, felici di vederlo.
-Cosa fate qui imbambolati! – urlò afferrandone uno per il bavero e strappandogli il fucile. - Fuoco di copertura per il comandante! – ordinò - Copertura per il comandante! – ripeté indirizzando i propri colpi verso le feritoie che si aprivano sulla facciata della torre e attraversando la piazza, proteso verso di lei.
Oscar aveva il fiato corto. Il petto sollevato ritmicamente da un’eccitazione profonda. Inspirò a pieni polmoni l’aria satura di polvere da sparo. Socchiuse gli occhi. Il sole si era alzato sulla città portandosi via anche il minimo ricordo di quella notte di pioggia… sorrise. Il battito d’ali di una colomba la distolse… Avvertiva una calma irreale, una serenità mai conosciuta prima mista ad un’eccitazione appagante.  Sentiva ogni fibra del proprio corpo viva e vibrante sul campo di battaglia.
 
***
 
-Comandante Girodel! – il cavaliere frenò la propria corsa a pochi passi dall’ufficiale - Dalle barricate arrivano notizie di un soldato della Guardia  ferito gravemente.-
Girodel sussultò, trattenendo a stento il cavallo pronto ad impennarsi.
-Sapete il suo nome, Gerard?- domandò dissimulando a malapena il proprio interesse.
L’uomo scosse la testa, scrollando le spalle.
-Impossibile avere notizie certe, comandante… E’ pericoloso laggiù, anche per i nostri corrieri… -
Girodel fremette e passò in rassegna l’intero reggimento a presidio di uno dei luoghi sensibili con una rapida occhiata. Inspirò profondamente.
- Prendete due uomini e venite con me, Gerard… Ma prima passate il comando all’ufficiale in seconda – ordinò con la pacatezza che lo caratterizzava.
Al ritorno di Gerard, Victor Clement de Girodel afferrò con forza le redini del proprio cavallo spronandolo alla corsa.
“Oscar” pensò “ voi giudichereste la mia decisione deprecabile. Indegna di un comandante delle Guardie Reali. Imprudente… Ma non mi importa, Oscar. Come potrei rimanere impassibile e sereno sapendovi in pericolo?”  

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Capitolo 3
*** Scomparso ***


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Capitolo 3 – Scomparso
 
Il cecchino si ritirò nell’ombra, maledicendo la grande sagoma blu rea di avergli coperto la visuale.
Mirate al comandante” era l’ordine. Ma un micidiale quanto inatteso fuoco di copertura aveva reso impossibile prendere la mira. E adesso,  quel soldato.
Non restava che attendere un momento migliore…
Sul campo, ignara del pericolo che aveva corso, Oscar trafisse Alain con lo sguardo, riversandogli addosso tutta la rabbia di cui era capace.  
- Ti avevo detto di restare con lui, Alain!– gli urlò afferrandolo per un braccio e la sua voce vibrò nell’aria, forte  e tesa come il colpo di un cannone.
Il soldato sostenne quello sguardo adirato senza scomporsi.
- Ho l’ordine di riportarvi a casa, comandante! – replicò secco, continuando a fissarla. Poi, liberandosi delicatamente della sua stretta, aggiunse  – E lo farò,  credeteci, dovessi legarvi al mio cavallo!-
Oscar ammutolì. Nello sguardo e nella determinazione di Alain, aveva colto lo spirito di André… Razionalmente, quella mattina, aveva soppesato, capito e condiviso  le parole del proprio uomo. Emotivamente, lo sprone a separarsi da lui per unirsi agli insorti,  l’aveva disorientata.  E adesso…  
Non ebbe il tempo di terminare quel pensiero.
Un sibilo e si trovò accovacciata a terra, protetta dal corpo massiccio del soldato.
Il cecchino aveva atteso paziente e non si era lasciato sorprendere.
“Mirate al comandante”. Questi erano gli ordini.
Stretta nella morsa di quell’uniforme blu, Oscar respirava appena e per un attimo nei suoi occhi scorsero scene già viste, mentre le braccia incrociate sul petto avvertivano la presenza concreta del libretto che portava ancora sul cuore.
Lentamente, Alain sciolse l’abbraccio nel quale l’aveva racchiusa, intenzionato a non allontanarsi comunque da lei, facendole scudo e proteggendone la ritirata con il proprio corpo se necessario.
- Alain! – lo chiamò. Poi sollevò lo sguardo e colse quello irriverente di lui.
Salvi. Tutti e due.
La tensione si sciolse mentre una nuova consapevolezza cominciava a scorrerle nelle vene. Infiammandola.
- E’ tutto a posto, comandante… Mi hanno preso solo di striscio – sorrideva intanto il soldato, un misto di polvere e sudore,  dissimulando una smorfia di dolore e armeggiando  stizzito con la stoffa lacera di una  manica. – Un graffio, niente di più… -  bofonchiò rallegrandosi del pericolo scampato  e la fortuna di essersi accorto, da un riflesso, dell’uomo appostato sulla torre, pronto a sparare.
- Avanti, Alain! – esplose lei, alzandosi -  Togliamoci da qui… Siamo troppo in vista!- esortò arretrando cautamente di qualche passo.
Serrando i ranghi, Oscar decise che era giunto il momento di fare sul serio. Il momento di  una strategia più concreta. André l’aveva spinta alla guida del plotone perché quegli uomini facessero la differenza e così sarebbe stato…
Fiera come una leonessa, si scostò da Alain e rivolta ai soldati ordinò una nuova salva di colpi. Era decisa a far cadere la Bastiglia, decisa a non deludere le aspettative dei propri uomini e di uno in particolare… Il suo André, al quale avrebbe raccontato tutto, di quella giornata, senza omettere nemmeno un dettaglio, perché non si sentisse estromesso. Una zavorra al seguito del proprio comandante…
Inneggiando alla vittoria, popolo e  soldati si unirono in un tutt’uno contro il simbolo arcaico e desueto del regime, pronti a dare la vita per un’ideale che ancora non sapevano si sarebbe chiamato Rivoluzione
Mantenendo fede al proprio proposito, Alain non lasciò mai il fianco del proprio  comandante.
Un’ora più tardi, la Bastiglia era presa…
 
***
 
Oscar si aggirava stanca, il viso coperto di polvere,  tra le macerie e i brandelli di quella giornata infinita.
Il governatore della Bastiglia, Launey, aveva dichiarato la resa incondizionata, permettendo agli insorti di penetrare  e conquistare la fortezza. Le Guardie Svizzere assegnate alla  struttura, senza più una guida e un ordine di servizio, si erano invece opposte  strenuamente a quel fiume in piena,  sparando sulla folla impazzita, infervorata da quella vittoria insperata. Fu allora, che Oscar si era trovata di fronte a quello che non avrebbe mai dimenticato… una ferocia inaudita. Le guarnigioni, stremate e soprese da quel lungo assedio, sterminate dal popolo invasato… Le teste dei soldati spiccate dai corpi esanimi, montate e portate in trionfo per le strade di Parigi su alte picche insanguinate…
Immagini deprecabili che non avrebbe descritto ad André quella sera. Un dettaglio, questo sì, che gli avrebbe risparmiato.
Accanto al comandante, camminava Alain. La testa bassa, quasi ciondoloni, e i due cavalli tenuti per le redini che gli trottavano al fianco. Il suo e quello bianco di Oscar.
Ufficiale e soldato, storditi da immagini e suoni, saturi di un’aria irrespirabile che avevano respirato per ore, camminavano affiancati, senza differenza di rango o di ceto sociale.
Alla concitazione di quelle ore era seguita una calma irreale, un silenzio carico di significato. Strade, piazze e vicoli disseminati di coccarde rosse e blu, simbolo di Parigi e di una rivolta, una rivoluzione, che era solo agli inizi… Nessuno dei due lo sapeva con certezza, forse lo sospettava. Entrambi, anelavano solo ad un angolo di pace e l’abbraccio di uno sguardo gentile.
Dietro di loro, un serpente blu di soldati malconci ma vivi, che si addossavano l’un l’altro in cerca di appoggio, lamentandosi, chiacchierando o ridendo sguaiatamente per stemperare una giornata di tensioni come non ne avevano mai vissute prima.
- Hai disobbedito ai miei ordini, Alain – mormorò Oscar, senza rivolgergli lo sguardo. La voce profonda  resa ancora più bassa dallo sforzo di urlare a squarciagola per ore.
Sulla faccia di Alain si aprì un sorriso sornione, mentre socchiudeva gli occhi al sole del tramonto e infilava tra le labbra il solito bastoncino di legno preso chissà  dove, in una qualche tasca interna.
- Con tutto il rispetto, comandante… - sogghignò  – E’ André a portare i pantaloni. –
Punta sul vivo, Oscar rallentò il passo, quasi fermandosi.  Poi, le sue labbra condivisero il sorriso del soldato. Non gli avrebbe dato soddisfazione. Non questa volta…
Sapeva dove colpire, Alain… ma questa volta sarebbe rimasto deluso.
Serafica, non rispose, riprendendo ad affiancare quel soldato tutto sporco di terra, sudore e polvere.
Alain le lanciò un’occhiata maliziosa e divertita, sorpreso dal suo silenzio e cogliendo il sorriso che le tirava le labbra, comprese che aveva vinto lei.  Ancora una  volta.
Esausta ma serena, Oscar si preparava ad incontrare  André…  E avrebbero parlato, finalmente, avvolti dalla carezza dei reciproci sguardi.
All’altezza della casa che li avrebbe  ospitati,  Alain fermò i cavalli e portando due dita alla fronte  si congedò con un sorriso sulle labbra riarse dalla sete e dal fumo .
- Salutatemi André, comandante… - mormorò.
Al suo sguardo interrogativo, l’uomo sollevò un sopracciglio, quasi sorpreso da quella reazione, domandandosi se Oscar fosse realmente una donna…  
- Io mi fermo qui…  - spiegò. - Avrete molte cose di cui parlare, voi due. – terminò girando sui tacchi e dando una pacca ciascuno ai cavalli che lo avrebbero seguito fino alle mangiatoie improvvisate.
Oscar emise un sospiro. Poi abbandonò la figura polverosa e sgualcita di Alain per volgere lo sguardo alla breve rampa di scale che la divideva da André.
 
***
 
- Alain! –
 Il richiamo di Oscar lacerò l’aria come un proiettile
Allarmato da quel ruggito, il soldato raggiunse la stanza al primo piano, polverizzando i gradini in un paio di falcate. Si arrestò sulla soglia, senza fiato e il cuore in gola. Lo sguardo che passava da Oscar, immobile al centro della camera,  al letto. Vuoto.
Il letto era vuoto.
Dov’era André?
Come una furia, Oscar lo raggiunse e afferrandolo per il bavero gli urlò in faccia tutto il disprezzo che i suoi occhi gli avevano già rivolto.
- Ti avevo detto di stare con lui! – ringhiò – Di non lasciarlo solo! – lo affrontò,  esile figura bionda contro uno statuario soldato dai capelli neri.
- Oscar… Comandante… io…-  balbettò lui. La costernazione  era palese. Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse successo e soprattutto non capiva cosa fosse successo. Perché André non era  in quella stanza?
Erano soli. Lui e il comandante Oscar…  Nessuno a cui chiedere e l’angoscia che dilaniava il cuore di entrambi. Possibile fosse…?
Oscar allentò la presa e inaspettatamente appoggiò la fronte sul petto largo e profondo dell’uomo.  Piegata dallo sfinimento.
-Trovalo, Alain… - mormorò in un soffio. – Trovalo e riportalo da me… - Gli occhi sbarrati,  le spalle che si alzavano al ritmo scandito dal respiro corto.
Quelle parole penetrarono la mente di Alain come la lama sottile di una spada.  Al tempo stesso, riuscirono ad infondergli coraggio, perché lei non aveva perso la speranza…
Lentamente,  sollevò una mano a stringere quella sottile e gelida di Oscar, ancora aggrappata allo sparato della  sua giubba. La strinse piano, racchiudendola completamente nella sua, tanto più grande e scura. 
Inspirò a fondo poi lasciando la mano, afferrò Oscar per le spalle, costringendola a guardarlo negli occhi. Era tanto pallida…
- C’è sicuramente una spiegazione, comandante… -  affermò.
La donna annuì, sollevando lentamente le spalle e staccandosi da lui. Non c’era imbarazzo nei suoi occhi, nessun tipo di imbarazzo per la debolezza mostrata così palesemente di fronte  a quell’uomo, quel soldato, quel sottoposto…
Alain ne fu grato.
Per un attimo, aumentò l’intensità di quella stretta, poi la precedette in strada e con un fischio richiamò i soldati rimasti di picchetto alle barricate e alle case occupate.
Oscar emerse dal portone subito dopo. Ancora più pallida, il fazzoletto  stretto in pugno, le braccia abbandonate lungo i fianchi snelli. Nobile figura bionda fasciata da un’uniforme che adesso sentiva troppo stretta. Avanzò tra le barricate, i cumuli di materiale accatastato, i capannelli di gente ferma a discutere gli ultimi avvenimenti o a presidiare edifici e  i feriti in attesa di essere soccorsi. Nonostante la speranza di ritrovare André, nonostante Alain, si sentiva vuota e sola… Per un attimo, si chiese perché fosse sopravvissuta ai tumulti di quella giornata…
- Madamigella Oscar! – la voce di Rosalie le ferì le orecchie. Era troppo stanca anche per rispondere alle sue care domande. Vide Alain accorgersi di lei e raggiungerla. Forse aveva notizie…
- Madamigella Oscar! – ripeté Rosalie richiamando la sua attenzione e correndole incontro.
La ragazza si fermò ad un passo dal comandante, resistendo all’impulso di abbracciarla. Troppo provata, pensò. Ma non riuscì a trattenere le lacrime.  
- Siete sana e salva, madamigella Oscar! – cinguettò con la voce rotta dall’emozione. Le mani intrecciate sul petto. – Sana e salva! –  ripeté, scivolando in ginocchio di fronte a lei e afferrandole una mano  la  strinse accoratamente.
Oscar le rivolse un sorriso tirato, carezzando con la mano libera la testa bionda. Come sempre imbarazzata da quelle manifestazioni di affetto decisamente troppo plateali.  Ma aveva solo un pensiero, ora,  solo una domanda da fare. E forse lei sapeva.
- Ho un messaggio per voi, madamigella Oscar… - esordì la ragazza sollevando i grandi occhi chiari sul volto della donna,  come leggendole nel pensiero.
E  a quelle parole Oscar avvertì una fitta al cuore. La speranza riaccendersi. Il terrore paralizzarla.
Alain,  in silenzio, fermo al suo fianco…

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Capitolo 4
*** Gioco sporco ***


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Capitolo 4 – GIOCO SPORCO
 
L’ampia vetrata del salone rifletté il corpo seminudo di un uomo. Un giovane uomo dalle spalle larghe, i fianchi sottili e lunghi capelli castani sciolti sulla schiena perfetta.
Prima di rivestirsi, Victor Clement de Girodel si soffermò sulla propria figura… Un sorriso quasi sarcastico si delineò su quelle  labbra troppo spesso serrate in una piega amara. Aveva un’ottima posizione, sociale e militare, un corpo e un volto decisamente gradevoli, due occhi intensi che avevano strappato più di un sospiro, modi gentili e galanti... Bello, giovane e aristocratico. Eppure, niente di tutto questo era servito.
Socchiuse le palpebre, irritato da se stesso e dai propri insulsi pensieri. Afferrando, con il braccio sinistro, il pesante tendaggio a lato della finestra, guardò quel  riflesso con disprezzo. Possibile che l’aitante Comandante delle Guardie Reali, incaricato dei compiti più delicati, dalla difesa dei Reali al presidio degli obiettivi più sensibili di una Parigi in subbuglio, fosse più interessato alle strategie sentimentali che a quelle militari? Quando aveva deciso che una donna fosse più importante del proprio orgoglio, della propria carriera?
Una donna… rifletté. No! Quella donna
Il suo pensiero corse inevitabilmente al quel primo duello… La prima volta che i loro sguardi si erano incrociati esattamente come le loro spade. Era bella, Oscar… Lo era sempre stata. Accaldata, in quella assolata giornata primaverile, e luminosa Oscar, tanto da abbacinare…
Senza distogliere lo sguardo dal cortile, che si apriva a ventaglio  sotto la finestra  riversandosi poi  a guisa di un imbuto in un viale alberato fino al cancello,  afferrò la camicia dallo schienale di una poltrona e la indossò senza troppi riguardi. Una fitta alla spalla destra gli strappò una smorfia di dolore ma due colpi secchi alla porta lo distrassero, annunciando l’arrivo  di Alphonse.
-Avanti. – invitò senza voltarsi.
Un uomo anziano, alto e segaligno ma dallo sguardo gentile, quasi paterno, si profilò sulla soglia.
-Il dottore ha finito con le medicazioni… - lo avvisò – E’ pronto a controllare la vostra spalla, signor Conte –
-La mia spalla non ha motivo di essere controllata – replicò Victor. Non era certo la spalla a creargli problemi…
Con un sospiro impercettibile, abbandonò la mesta figura riflessa nel vetro,  voltandosi verso la porta e il proprio valletto.
-Se posso permettermi, signore… sembrate stanco. – commentò questi,  con quel velo di preoccupazione nello sguardo che Victor conosceva bene.
-E’ stata una giornata faticosa… - minimizzò rassicurandolo. Omettendo tutti i dettagli di una decisione che gli sarebbe forse costata i gradi.
-La situazione a Parigi sta precipitando, non è vero, signore? – Alphonse sapeva di potersi permettere quella conversazione.  Argomento delicato, soprattutto per le voci che giravano in città e cominciavano a serpeggiare anche tra la servitù delle famiglie più altolocate. Victor era come un figlio per lui e, soprattutto, il giovane conte lo aveva sempre trattato come un padre.
Victor gli rivolse, infatti, un sorriso affettuoso.
-Proprio così.- annuì, mentre negli occhi si riversavano le crude immagini di poche ore prima. - Gerard sta bene? -, domandò a bruciapelo.
-Sì, signor Conte. Ha riportato solo  qualche ferita superficiale. Niente di preoccupante, ha detto il dottore. Si sta rivestendo. –
-Prepara una stanza per lui qui a Palazzo, per favore. Non è il caso che si rimetta a cavallo stasera. –
Alphonse annuì e congedandosi lasciò la stanza.
Una volta solo, Victor tornò a fissare  il cortile deserto oltre la vetrata e quella piacente figura maschile dallo sguardo spento.  Si comportava come un ragazzino! Uno sciocco ragazzino innamorato.
Aveva giocato. E aveva perso.
Cosa si aspettava ancora? Una seconda possibilità, forse? E perché avrebbe dovuto dargliela, adesso. Proprio adesso..?
Gli strali rossi del tramonto gli ricordarono la loro ultima conversazione privata. Era stata secca e perentoria. Come sempre. Come se quelle parole non fossero indirizzate ad un innamorato respinto ma ad un plotone di uomini in parata. Femmina crudele come nemmeno sapeva di essere…
Si versò da bere, mentre un sorriso sarcastico gli piegava le labbra e lo sguardo scivolava ancora verso la vetrata e la sera che stava allungando le proprie fameliche ombre sul cortile… La ricca casacca azzurra, abbandonata sulla poltrona accanto alla finestra sembrava l’involucro vuoto di un uomo… spada e fusciacca scivolate a terra. Serrò le labbra. Avrebbe rinunciato a tutto per lei…
Rise tra sé, poi spinse lo sguardo oltre la porta del salone, in alto, verso il piano superiore.
Lasciò la stanza e prese le scale che conducevano alle camere da letto.
-Comandante. – salutò Gerard, scorgendolo dall’interno di una stanza.
Victor gli rispose con un rapido cenno del capo, continuando a percorrere il corridoio fino in fondo. Poi si fermò. All’altezza dell’ultima camera dell’ala destra.
Inspirò a fondo. Bevve un sorso del vino, rosso e corposo, dal bicchiere che teneva ancora in mano,  avvertendo subito un fiotto di sangue caldo scorrere ardente nelle vene.
Spalancò la porta.
Lo vide.
André Grandier riposava sereno sul grande letto morbido, tra spumeggianti lenzuola di seta. Il petto nudo, attraversato da garze pulite e sterili, si offriva agli occhi del padrone di casa come un regalo. Esposto a qualunque offesa…
André Grandier… Il garzone di Palazzo Jarjayes… Lo stalliere… il domestico di casa… il servo… l’attendente di Oscar. Sempre al suo fianco, in ogni occasione. A casa Jarjayes così come a Versailles.
Victor, il petto gonfio di rabbia a stento repressa, appoggiò un gomito allo stipite, il dorso della mano a sfiorare  la fronte accaldata.
Lo aveva capito subito. Impossibile non accorgersene. Ma aveva sperato che la differenza di rango, la buona creanza, le regole dettate dall’etichetta  le avrebbero impedito di compiere quel passo. Sciocco! Si disse. Niente avrebbe potuto fermare Oscar, testarda e orgogliosa…  Eppoi, aveva contato sulla  sua cecità. Non  quella di André, che aveva perso un occhio,  ma in quella di lei che sembrava travolgere tutto e tutti senza accorgersi mai di niente. Perché se solo se ne fosse accorta… si fosse accorta dei propri sentimenti… Allora sì,  l’avrebbe persa per sempre… E alla fine, forse,  così era stato.
Varcò la soglia, avvertendo una singolare sensazione di timore.
Che stupidaggine! Perché mai avrebbe dovuto temere di entrare in quella stanza?
Raggiunse il letto e si fermò di nuovo.
Immobile, quasi trattenendo il respiro, osservò con attenzione i lineamenti dell’uomo che temeva si fosse definitivamente insinuato nel cuore di Oscar… Un misto di disprezzo e rispetto si dipanò sul suo volto teso.
Un altro sorso, poi si lasciò cadere sulla sedia accanto al letto. Abbandonò la testa all’indietro, poggiando la nuca allo schienale di legno dorato e sospirò fissando  il soffitto, le braccia abbandonate lungo i fianchi della poltrona, il bicchiere di vino, ormai vuoto, che quasi toccava terra.
-André Grandier… - mormorò reprimendo a stento una risatina, e la sua mente ripercorse le ore concitate di quella mattina. La corsa verso le barricate, il rischio concreto di essere aggrediti dalle guardie cittadine, scoprire che Oscar si era diretta alla Bastiglia, schierata dalla parte del popolo…  Poi, l’impossibilità di raggiungere la fortezza… Le uniformi troppo riconoscibili, e l’assalto della massa, il ferimento di Gerard e il dolore lacerante alla spalla mentre lo issava sul proprio cavallo, salvandolo da un sicuro linciaggio. Irraggiungibile Oscar… sorrise amaramente… come sempre.
Eppoi André!
La decisione di prelevarlo, portandolo  via, lontano…  in un luogo sicuro e più salubre, perché la ferita non suppurasse, tra le proteste del soldato ferito e l’aiuto di Rosalie…
Era stata Rosalie, riconoscendolo, a permettergli di fermarsi tra le barricate, riprendere fiato e scoprire le condizioni di André. E sempre lei lo aveva rassicurato,  comunicandogli che Alain era al fianco di Oscar…  
Alain… un rozzo soldato della Guardia  dai modi spicci. Un irritante sorriso sarcastico e un’arroganza che non aveva pari. Nonostante questo,  si era subito fidato di lui. Forse per quella luce particolare negli occhi colta in ogni sguardo rivolto al comandante…
-Oscar… - aveva protestato André, semi incosciente, pallido come uno straccio, la macchia di sangue vermiglio che si allargava sul petto ad ogni respiro. – Avvisate Oscar, vi prego… -
Oscar… sempre e solo Oscar…
Victor poggiò i gomiti sulle ginocchia e intrecciò le mani sotto al mento. Era tornato a fissare il profilo di quel servo… di quel soldato figlio del popolo… dell’uomo di Oscar.
Automaticamente, gettò uno sguardo alla finestra che si apriva sullo stesso cortile visibile dal salone, domandandosi se il  messaggio era stato riportato. In quel caso, non avrebbe tardato. Ne era certo. Era solo questione di tempo… E allora, forse, l’avrebbe convinta…
 
***
 
Alphonse si affacciò alla soglia della camera in fondo al corridoio e indugiò per un istante con lo sguardo sulla curva delle spalle del giovane conte, piegato dal peso indecifrabile di un qualche  tormento.
-Ci sono visite, signore… - lo richiamò con un filo di voce, per non disturbare l’uomo addormentato sul letto.  
Victor si volse di scatto, alzandosi dalla sedia  e superando il domestico ancora fermo sulla porta.
-E’ qui?!? –
L’uomo non capì se si trattasse di una domanda o di un’affermazione. Forse di una speranza?
Ma non fece in tempo ad aggiungere altro,  perché in poche falcate Victor si trovava già dalla parte opposta del corridoio, pronto a scendere le scale, eccitato come un ragazzino, il sangue che scorreva veloce nelle vene, risvegliandolo dal piacevole torpore che il vino gli aveva regalato. Un sorriso a increspargli scioccamente le labbra.
I suoi occhi blu trafissero spietatamente l’ombra che divorava l’ingresso di casa, scandagliando ogni angolo del vestibolo.
-Nel salone. – suggerì Alphonse, immaginando le sue tacite domande e Victor volò giù dalle scale senza pensarci due volte. Ma una volta di fronte alla grande porta di legno che lo separava da quella stanza, si fermò cercando di riprendere fiato. Di calmare il ritmo del proprio cuore. Di rallentare il pulsare delle tempie dolenti. Rinunciò. Inutile tentare di ricomporsi. La sua naturale e proverbiale “etichetta” si era persa così come si era perso lui.
- Madamigella Oscar! – esordì spalancando la porta. Poi si paralizzò.
- Victor Clement de Girodel… - mormorò l’ uomo appoggiato alla mensola del camino, un sorriso sarcastico sulle belle labbra sottili. -Una bella casa.. Non c’è che dire…-  si complimentò  guardandosi  intorno.
Gli occhi castani, rapaci, sembravano sezionare ogni cosa, a fondo,  ogni oggetto così come la figura del padrone di casa.
- Louis Antoine de Saint-Just! – ribatté lui sostenendo quello sguardo agghiacciante e inquisitore
Saint Just rise. E rise di gusto.
-Vi domandate perché sono qui? Ve lo leggo negli occhi… - disse tornando a fissarlo - Voglio quello che volete voi… - asserì lentamente, scandendo ogni parola.
Victor sussultò.
-Esatto! – riprese l’altro, accentuando il proprio cinico sorriso – Oscar… - concluse.
Mistificando l’angoscia che gli attanagliava il petto, il giovane conte accennò lui stesso una risata forzata.
– Siete un folle! Esattamente come vi descrivono. – lo canzonò, consapevole dei rischi che stava correndo – Non sapete nemmeno di cosa state parlando… -
Saint –Just incrociò le braccia sul petto, appoggiando la schiena al camino.
-Io so tutto di voi. – mormorò con voce roca a profonda -  Di ognuno di voi.  – e dopo un breve silenzio, continuò: - Consegnatemi il suo uomo. –
Victor sbarrò gli occhi, abbassando il capo quel tanto che bastava affinché Saint-Just non se accorgesse.
-Il suo uomo? – domandò fingendo una qualche sorpresa.
-André Grandier. So che è qui… non tentate di negarlo. – e detto questo accennò col capo alla vetrata e al cortile interno del palazzo. Due sagome scure emersero dall’ombra.
“Spie!” Pensò Victor. Inutile mentire. Abbassò le palpebre, per un attimo, il tempo di ritrovare se stesso poi sollevò nuovamente lo sguardo ad intercettare quello freddo e tagliente di Saint-Just
-Perché vi interessa? –  la sua voce era quasi “incolore”, adesso
-Oscar è una pedina troppo importante… - sorrise l’altro -  Non posso permettermi di perderla. –
Girodel non riusciva a capire.
Accorgendosi di quell’ espressione interrogativa, Saint-Just aggiunse: -André è il suo burattinaio occulto e io ho bisogno di lui. –
Lo disse con naturalezza, come se la cosa fosse talmente ovvia da non dover essere spiegata.
Victor provò un senso di nausea e disgusto. Ridacchiò appena.
-E’ tipico di voi, Saint ­-Just… questo gioco sporco. – osservò.
-Consegnatemelo, Girodel e me ne andrò da casa vostra. –
Victor lo fissò negli occhi con una tranquillità di cui solo lui era capace.
-Perché dovrei farlo? –
L’altro sorrise, poi lo avviluppò nel suono della propria voce, profonda e sensuale, degna del demonio.
-Vi libereste di due problemi in un colpo solo, Victor… Di me e di lui… -
 
***
 
-Oscar!-
Un piede nella staffa, pronta a montare il sella, Oscar si volse al richiamo di Bernard appena rientrato con parte degli insorti.
-Vorrei ringraziarti per oggi, Oscar e chiederti a nome di tutti noi di continuare a sostenerci nella  battaglia. Ci saranno molte novità… molti cambiamenti… già a partire da questa sera… – l’aspetto trasandato, gli abiti sporchi  e la polvere non riuscivano a mitigare l’eccitazione che gli accendeva lo sguardo.
Rosalie, l’unica oltre ad Alain a conoscere i pensieri e le intenzioni di Oscar, prese il marito sottobraccio come  pregandolo di  non trattenerla oltre.
Oscar accennò un sorriso.
-Puoi contare sul mio aiuto, Bernard, e su quello dei miei uomini. – lo rassicurò - Al mio ritorno,  approfondiremo il discorso. – aveva parlato lentamente, con la fermezza che la caratterizzava, dissimulando abilmente il fremito del proprio cuore. Si compiacque per questo.
Si issò a cavallo, nuovamente splendida. Il sole alle spalle le conferiva un aspetto angelico dovuto all’aura dorata che sembrava irradiare dai suoi lunghi capelli biondi.  Non era più la Oscar dimessa di qualche attimo prima, il cuore dilaniato dal tormento.
 Era decisa ad andarsi a riprendere André. Ora sapeva dove cercarlo.  E la certezza di rivederlo presto l’aveva ammantata di una nuova serenità.
Ignaro di quanto era accaduto, Bernard lesse in quella determinazione un’ulteriore vittoria per la causa.
-Ti aspettiamo, Oscar François… - mormorò, evidentemente commosso.
Oscar alzò una mano in segno di commiato. Poi, cercò lo sguardo fermo e complice di Alain. Un cenno e l’uomo la seguì oltre il limite di quella piccola area protetta.
Inoltrandosi nei vicoli e nei sobborghi di Parigi, entrambi erano consapevoli dei rischi che avrebbero corso attraversando la città la sera di quel 14 luglio 1789… 

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Capitolo 5
*** Ricatto ***


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Capitolo 5 – Ricatto
 
 
-Madamigella Oscar! –
Alphonse si spostò dalla porta, quel tanto che bastava per far entrare la donna e il suo accompagnatore, un soldato in uniforme blu che non conosceva, ma che come lei sembrava aver attraversato l’Inferno.
Oscar accennò un sorriso stanco ma dolce, poi accorgendosi della stoffa bianca, intrisa di sangue, che il domestico stringeva in mano, si accigliò, preoccupata.
-Lui dov’è? – domandò avanzando di un passo nel vestibolo e guardandosi attorno.
Ad un cenno di Alphonse, Oscar si diresse alla grande porta di legno intarsiato che custodiva il salone principale di quel piano a guisa di uno scrigno.
-André!- esclamò spalancandola. Poi, non vedendo nessuno, si fermò.  Lo sguardo indagatore, quasi assetato, alla ricerca della figura cara. Alle sue spalle,  Alain. Ormai, presenza costante.
-Non è più qui… -
Un sussulto. Ed Oscar identificò subito la voce che aveva parlato e il punto dal quale proveniva: la poltrona rivolta al cortile.
-Girodel! – esclamò, cogliendo il riflesso del giovane ufficiale nella vetrata semi nascosta dal tendaggio purpureo.
“Non è più qui”?
Dov’era André? Era stato forse trasferito a palazzo Jarjayes? Qual era il senso di quelle parole…
-Spiegatevi! – intimò con la veemenza che Victor conosceva bene.
L’uomo gettò la testa indietro, appoggiandosi allo schienale imbottito e socchiudendo le palpebre. Un flebile sospiro scivolò tra le labbra dischiuse, mentre istintivamente premette una mano sul fianco sinistro.
-E’ stato prelevato… - rispose con un certo distacco  - …da Saint-Just! – concluse rimanendo in attesa.
Lo stridere della lama contro il fodero, coincise con il rumore del suo cuore in frantumi.
Si trattava dunque di una conferma?
Poi, qualcosa fece desistere Oscar dallo sguainare la spada. La grande mano di Alain, si era posata su quella delicata del comandante.
-Aspettate! Lasciatelo parlare. –  
Gli occhi scuri di Alain erano fermi. Ardenti calamite capaci di ipnotizzare lo sguardo adirato di Oscar.
Lei serrò le labbra, severa, e la sua mano allentò la presa sull’elsa. La lama scivolò nella guaina.
-Alzatevi, Girodel! – intimò
Victor sorrise.
-Non vorrei contrariarvi, Comandante, ma questa volta non potrò obbedire ai vostri ordini… -
Furiosa, Oscar oltrepassò la poltrona parandosi davanti all’uomo che le aveva strappato André ma non fu lei ad affrontarlo, bensì Alain che con una falcata aveva sopravanzato il proprio comandante e sollevato Girodel dalla seduta che lo nascondeva proteggendolo.  
Victor alzò lo sguardo su di lui. Fissandolo negli occhi scuri. Poi, si rivolse a lei.
Pallida. Pallida e bellissima, Oscar… con i capelli scarmigliati, il volto ricoperto di polvere dove tracce di sudore avevano scavato il loro letto profondo, un segno che dalla fronte scendeva fino a seguire la linea perfetta del mento insinuandosi giù per il collo.  La divisa sgualcita.
-Madamigella Oscar…  - mormorò in un misto di sofferenza e contemplazione.
Perché hai voluto testardamente rinunciare a tutto, Oscar? la accusò tacitamente.
Solo in quel momento, attraverso la camicia leggera,  lei si accorse del  bendaggio che gli avvolgeva il ventre,  tamponando una ferita ancora aperta.
Seguendo il suo sguardo, Victor trasse giovamento dalla preoccupazione che vi lesse.
Alain lo lasciò andare, arretrando di un passo.
Qualcosa di poco chiaro era successo in quella casa e Oscar pretendeva una spiegazione.
-Cosa vi è successo, Girodel… avanti, parlate! –
Ancora un ordine, sorrise il giovane conte.
Scivolando nuovamente nell’accogliente abbraccio della poltrona, raccontò brevemente quanto era successo. L’arrivo inatteso di Saint-Just, le sue pretese e il breve duello che era seguito al  rifiuto di consegnare André. Il forte dolore al braccio destro, colpito nei tumulti di Parigi,  gli aveva impedito di opporsi degnamente ai suoi attacchi e difendersi dai fendenti del suo coltello…
-Ho fatto il possibile, Comandante Oscar – sorrise mestamente Victor, disprezzandosi per la propria incapacità –Non avevo uomini, tranne il vecchio Alphonse e Gerard, ferito,  al piano di sopra… - esitò un momento, poi la guardò dritto negli occhi sperando capisse che non aveva voluto coinvolgerli. - Quell’uomo è un folle, ma non farà del male al vostro soldato, madamigella… Non fino a quando lo riterrà una pedina necessaria ai suoi scopi… - terminò in un sospiro. Come sfinito da quel racconto.
Improvvisamente, il suono di un vetro in frantumi fece sussultare tutti.
Un sasso, avvolto in un pezzo di carta, rotolò sul pavimento fermandosi accanto ad un piede della poltrona occupata da Victor.
Un messaggio.
Oscar l’afferrò leggendo avidamente le poche parole tracciate sul foglio, mentre Alain cercava con lo sguardo la figura che, introducendosi nel giardino, li aveva sorpresi. Scomparsa.
-Luogo e ora di un appuntamento… - osservò Oscar corrugando la fronte. – E’ lui… E’ Saint-Just. – cercò lo sguardo del soldato della guardia.
L’appuntamento era fissato per l’indomani mattina all’alba.
Le labbra di Girodel si piegarono in un sorriso sprezzante.
-Quell’uomo  prende tutte le precauzioni…  - mormorò – Avrebbe potuto risparmiarsi questa sceneggiata e lasciarmi un messaggio per voi… Temeva forse che non ve lo avrei riportato? – terminò fissandola ancora negli occhi e avvertendo il malcelato sussulto di Oscar.
Avvertì un fastidioso senso di nausea. Si disprezzò…  In cosa si era trasformato?
Si afferrò ai braccioli della poltrona. Cercando in quel contatto qualcosa di reale, concreto. Qualcosa che lo riportasse con i piedi per terra.
-Fermatevi qui, stanotte, comandante Oscar… - propose. –Riposate qualche ora. Poi vi accompagnerò al vostro appuntamento. – sospirò.
-Girodel… - protestò lei con uno sguardo eloquente. Dove pensava di andare con una ferita ancora fresca?
L’uomo le afferrò un polso, una stretta decisa ma leggera al tempo stesso.
-Victor... chiamatemi Victor, per una volta, madamigella. –
Oscar non rispose, soffermandosi sui bei lineamenti di quel volto trasfigurato dalla mortificazione, riconoscendo se stessa in quello sguardo tormentato. Era stata così cieca ed egoista…
-Comandante… - la voce di Alain sembrò l’ancora alla quale aggrapparsi – Non vale la pena tornare in città, adesso. Non cambierebbe niente. Correremmo solo il rischio  di farci sparare.  Riposiamoci… E domattina andremo a riprenderci André! –
Oscar osservò qualche istante di silenzio. Le labbra serrate in una piega severa. Gli occhi adombrati dai pensieri. Per quanto quella decisione le dilaniasse l’anima, Alain aveva ragione.
Annuì. Non se la sentiva di parlare ma un attimo dopo si rivolse al proprio ospite.
-Fatevi medicare, Girodel e indicatemi una stanza dove possa riposare… -
Victor emise un sospiro che non sfuggì ad Alain, stanco e desideroso di mettere la parola fine a quella lunga giornata ma consapevole che niente sarebbe finito…
 
 
***
 
Seduta sul bordo del letto, le braccia appoggiate alle ginocchia, Oscar gettò un’occhiata alla casacca polverosa adagiata sulla sedia accanto alla porta. Sembrava riposare. Almeno lei…
Girò tra le mani il diario di André che aveva portato sul cuore e non aveva avuto il coraggio di leggere. In fondo, perché leggere qualcosa che André avrebbe potuto raccontarle di persona? Fece scivolare le dita sulla copertina ruvida e sporca, macchiata di sangue. Il suo sangue… Il sangue di André. Un colpo di tosse le squassò il petto. Chiuse gli occhi respirando a fondo... Il desiderio di riposare era stata solo una scusa per rimanere sola.  Davvero pensavano che avrebbe dormito? L’idea di André nelle mani di Saint-Just avrebbe tolto il sonno a chiunque… Non riusciva a capire…
Usare André per arrivare a lei…
Perché? A cosa poteva servirgli? Il cerchio alla testa si era fatto fastidioso… Si alzò, portandosi di fronte alla finestra. Serrò le mani dietro la schiena, in una posa che le era tanto naturale dal venirle spontanea anche in quel momento.
Quante cose erano cambiate in soli due giorni… Era veramente André ad essere sparito nel nulla o era piuttosto il Comandante Oscar se ne era andato con lui? Qualunque fosse la verità, era necessario ritrovare quel minimo di razionalità che le avrebbe permesso di riportare a casa André…
Acuì lo sguardo, serrando la mascella. Cosa avrebbe fatto suo padre, il Generale, al suo posto?
Un colpo secco alla porta interruppe il filo dei suoi pensieri.
-Avanti. – esortò.
Girodel, si presentò sulla soglia.
-Vi disturbo, madamigella Oscar?-
-Affatto. – rispose lei senza voltarsi.
-Volevo porvi ancora le mie scuse per quanto è successo. Non avrei mai immaginato… -
-Non dovete scusarvi,  Girodel… Ho apprezzato le vostre intenzioni. Quello che sta succedendo, non è colpa vostra. – lo rassicurò con tono perentorio -  Non vi serbo rancore, se è questo che vi preoccupa. –
Nel suo atteggiamento, Victor riconobbe la donna di sempre e gliene fu grato, anche se non era quella l’intimità che aveva sperato di instaurare nel presentarsi alla sua porta.
-A dire il vero…  Mi preoccupa anche la vostra intenzione di presentarvi all’appuntamento di domani, comandante. –
Un silenzio profondo avvolse la stanza, permettendo a Girodel di ammirare la snella figura di Oscar, le spalle dritte,  le ciocche bionde rincorrersi lungo la schiena, fino alla vita, i pantaloni fasciare le sue gambe perfette… Quanto aveva desiderato vederla in quella casa…   Poi, Oscar si decise a parlare e lui sussultò al suono profondo di quella voce,  sensuale anche nell’impartire gli ordini.
-Io mi presenterò a quell’appuntamento e non ammetto discussioni in merito. – disse.
-Capisco… - mormorò lui, chinando il capo, con un sorriso di mesta accettazione, pronto a lasciare la stanza.
-Lo farei anche per voi… - continuò Oscar senza voltarsi.
Girodel raddrizzò le spalle, come se quelle parole gli avessero infuso nuova linfa vitale. Il sorriso di un attimo prima divenuto da mesto a compiaciuto.
-Vi ringrazio, madamigella Oscar… - mormorò trattenendosi per un attimo sulla soglia di quella stanza. Ma quel sorriso era destinato a morire subito dopo.
-Come per ciascuno dei miei uomini… Victor. – concluse lei, secca. Comprendeva i suoi sentimenti, ma non poteva illuderlo né ricambiarlo. Così come non voleva creare ulteriori situazioni di pericolo per André.
Appoggiato allo stipite della porta, Girodel faticava a respirare. Chinò leggermente la testa, socchiudendo gli occhi.
-Capisco… - si limitò a ripetere –Ci vediamo tra qualche ora, Comandante… -
Lasciò la stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Nel corridoio, prima di scendere le scale, rivolse ancora un’occhiata a quella porta chiusa. Crudele… Crudele come sempre… sorrise tra sé. Poi, spense le candele che illuminavano quel tratto  e si allontanò da solo, divorato dall’ombra.  
 
In un’altra stanza, un altro soldato non riusciva a prendere sonno.
Steso supino su quel grande letto morbido, le braccia piegate dietro la nuca e gli occhi rivolti al baldacchino, Alain era turbato.
Turbato dagli ultimi avvenimenti, dalla nuova fragilità del proprio comandante, dalla necessità di mantenere la parola data all’amico e commilitone. Turbato dai pensieri sul destino di André e su quanto sarebbe successo la mattina seguente. Turbato da Oscar… dalla resistenza dimostrata da quell’incredibile donna. La sua forza lo sorprendeva, ma temeva il momento in cui sarebbe crollata…  Cosa sarebbe successo, allora?
Infine, e questo gli strappò un sorriso,  turbato da una camera da letto come non ne aveva mai viste e nella quale non si sentiva assolutamente a proprio agio… Si levò in piedi, avvicinandosi alla finestra. Spalancò i vetri uscendo sul  terrazzo che si allungava per l’intero piano e, appoggiandosi alla balaustra, inspirò l’aria frizzante di quella sera di luglio, allontanando odori e sapori di quella terribile giornata.
Un leggero bagliore alla sua sinistra gli disse che Oscar era ancora sveglia. Con la coda dell’occhio colse la sua figura spostarsi dalla finestra. Si addossò alla parete. Sfilò da una tasca l’ennesimo stecchino e lentamente se lo portò alle labbra. Chiuse gli occhi.
“Certo che mi hai messo proprio in un bel guaio…” mormorò tra sé,  rivolgendosi mentalmente ad André.
Tuonava.
All’orizzonte si addensavano nuvole scure cariche di pioggia. Una pioggia che avrebbe mondato le strade e l’aria di Parigi. Cancellando la polvere e quell’odore acre che penetrava i polmoni…
 
***
 
Il mantello freddo di un’alba scura avvolgeva il piccolo manipolo di uomini che cautamente attraversava Parigi diretto a Pont Neuf.
Nonostante le proteste, Oscar guidava il gruppo, seguita da Alain e Victor Clement de Girodel. Gerard, era in coda.  
Il ponte era ormai visibile e la compagnia rallentò la marcia tentando di nascondersi anche alle ultime  guardie di picchetto.
-Dovreste tornare al vostro reggimento. – osservò Oscar, evidentemente rivolta al comandante delle Guardie Reali che aveva insistito per accompagnarla.
-I vostri uomini capiranno, quando conosceranno il motivo della mia assenza. – rispose lui serafico.
Alain non trattenne una breve risata sommessa.
-Non sono certo i soldati, il problema. – disse
Victor gli lanciò un’occhiata severa.
-Chiunque conosca madamigella Oscar sarebbe disposto a tutto per lei. Soldati così come ufficiali.- ribatté
Tenendo lo sguardo fisso sulle spalle di Oscar che lo precedeva, Alain accentuò il proprio sorriso.
-Non contate troppo sul mio spirito di sacrificio, signor Conte… Potrei deludervi. – sogghignò.
Ma Victor non sembrò apprezzare i suoi tentativi di stemperare un’atmosfera piuttosto carica di tensione. E nemmeno credere alle sue parole.
-Non dire sciocchezze, Alain! Daresti la tua stessa vita per Oscar… esattamente come farei io. – la voce del conte, pacata e ferma, colpì dritto al bersaglio. Ma Alain non ebbe il tempo di ribattere perché con un gesto della mano,  Oscar fermò la compagnia a poca distanza dal ponte.
-Siamo arrivati. Da questo momento procederò da sola. – smontò di sella, lasciando le redini ad Alain e scambiò con lui uno sguardo d’intesa.
-Fate attenzione, comandante…  Non esponetevi a rischi inutili. –
Oscar annuì, accennando un sorriso mentre con una mano carezzava il muso umido e caldo di Caesar e gli occhi si perdevano sui muscoli di quell’animale possente tornando con la mente ad André.
-Non preoccuparti, non è mia intenzione farmi uccidere… Non ancora. Eppoi, ci penserai tu a proteggermi, André… - sussultò, accorgendosi di quello che aveva detto.
Guardò Alain.
-Sì, ci penserò io a proteggervi, comandante. – rispose questi, senza farle pesare quel lapsus involontario.
Oscar annuì nuovamente e si avviò a piedi verso il punto d’incontro. Non aveva dormito. Un errore?
Arrivò per prima, o almeno così credette perché sotto la volta del ponte non trovò nessuno ad attenderla. Addossandosi al muro freddo e irregolare, al riparo dalle sentinelle e da sguardi indiscreti,  gettò un’occhiata alle acque della Senna. Scure e minacciose come il cielo che riflettevano.
-Avevo ragione! Siete venuta, comandante Oscar… - la voce suadente di Saint Just le lambì le orecchie, fin troppo vicina. Si volse trovandoselo di fronte.
Avvolto in un mantello che ne celava le mani e la pericolosità, l’uomo appariva in forma smagliante. Lui stesso se ne compiacque, valutando la differenza.
-Lasciatevi dire che avete un aspetto terribile… - rise – Ma vi perdono, dal momento che siete l’eroe del 14 luglio… - mormorò soppesando parole e reazioni.
Oscar rimase impassibile e lui continuò.
-Ora dovrete fare un’altra cosa per me… -
Lei sorrise sprezzante.
-Non mi risulta di essere mai stata al vostro servizio, Saint-Just. – ribatté con una punta di ironica aggressività.
-Non ufficialmente. – ammise il rivoluzionario – ma mi siete stata molto utile.
-Venite al dunque… Perché sono qui?- Oscar era impaziente.
Saint Just accentuò il proprio sorriso beffardo.
-Perché ho il vostro uomo… Madamigella Oscar. –
Lei non rispose, imperscrutabile.
-Non posso corrompervi… - continuò allora lui, soffermandosi un momento su queste parole – ma posso ricattarvi. – concluse per poi riprendere:
-Tra qualche ora, La Fayette verrà acclamato a gran voce dai cittadini Comandante della Guardia Nazionale… Così verranno chiamate le milizie borghesi nate in occasione degli scontri. E io non voglio che questo accada. – si fermò fissando Oscar negli occhi. – Voi dovrete risolvere il problema per me. –
Lei sussultò… voleva liberarsi di La Fayette? Era questo che voleva?
Saint Just lesse il suo disappunto e sorrise.
-Bernard e Robespierre si fidano di voi. A maggior ragione dopo la vittoria di ieri. Nei miei confronti, invece, cominciano ad essere diffidenti… Le nostre idee, in merito a questa rivoluzione, stanno prendendo strade diverse… e io non posso espormi. Il mio compito non è ancora finito… -
Oscar serrò le labbra, domandandosi a cosa facesse riferimento.
-Voi potete avvicinarvi a loro e a La Fayette senza destare sospetti. Anzi, saranno felici di avervi al loro fianco in un momento tanto esaltante. –
Ora Saint-Just le dava le spalle. Oscar avrebbe potuto estrarre la spada, o la pistola, e colpirlo a morte. Niente di più semplice. Ma così facendo non avrebbe saputo nulla di André.
-Lo farete,  Oscar? –


 
 
 

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Capitolo 6
*** Addio André? ***


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Capitolo 6 – Addio André? 
 
-Lo farete, Oscar?- Saint-Just ripeté la domanda per lui  retorica.
Oscar ne soppesò la figura con disprezzo, certa del sorriso che gli piegava le labbra. Un ghigno sadico e perverso.
-Datemi una prova che André sia sano e salvo e io vi darò la mia risposta. – disse lentamente,  senza distogliere lo sguardo da quelle spalle, facile eppure intoccabile bersaglio.
-Tenete molto a quell’uomo… -  Saint-Just volse il capo quel tanto che bastava a lanciarle un’occhiata.  
-Non più di quanto tenga al resto dei miei soldati. – mentì lei, avvertendo una stretta al cuore, in un ultimo tentativo di confondere quel diavolo dall’aspetto di un angelo suadente.
L’uomo sottolineò il proprio scetticismo accentuando la piega di quel suo odioso, quanto sensuale, sorriso.
Un tuono sancì quelle parole. Una punizione?
Oscar portò istintivamente una mano al petto e avvertì la sagoma rassicurante di quel libricino logoro ma tanto caro, assicurata ancora un volta sul cuore.
-Non vi sentite bene, madamigella Oscar? -
-Vi prego di rivolgervi a me chiamandomi Comandante – lo invitò con freddezza - e non fingete di curarvi della mia salute,  Saint-Just –
Lui rise. - La vostra salute mi è cara, invece… almeno fino a quando non prenderete una decisione.-
Si fronteggiavano, adesso. Gli occhi di lei in quelli sfuggenti e intriganti di lui.
-Vi ho dettato le mie condizioni, Saint-Just. Lasciate che veda il mio uomo e non mi tirerò indietro… -
Il rivoluzionario trattenne un moto di eccitazione. Quella donna lo esaltava…
- E sia. Fatevi trovare qui, tra un’ora esatta, e definiremo i nostri accordi. –  senza aggiungere altro, scivolò via leggero e misterioso così come era venuto.
Rimasta sola, Oscar si addossò alla parete umida del ponte. Piegò la testa all’indietro, fino a toccare i mattoni freddi e irregolari e tornò a respirare. Lentamente, si lasciò scivolare lungo il muro fino a toccare terra. Le braccia alle ginocchia, la fronte su di esse. Il mormorio costante della Senna l’avvolgeva completamente, cullando dolcemente i suoi cupi pensieri.
Un attimo… solo un attimo… supplicò
E dopo quell’attimo, improvvisamente si sollevò, girò sui tacchi e raggiunse gli uomini fermi ad attenderla.
 
***
 
Alain giocava con un sassolino dalla forma irregolare. Seduto, quasi accucciato, in quell’anfratto umido, tentava di tenere la mente occupata con quel trastullo infantile. Non voleva pensare. Non doveva pensare…
Sopra di lui, un cielo plumbeo e pesante si sarebbe presto rovesciato su Parigi.
In un altro punto strategico, Victor de Girodel attendeva impassibile lo scorrere del tempo. Addossato al muro, le braccia conserte e gli occhi socchiusi, sembrava riposare, lambito dal fastidioso dolore di una ferita non ancora completamente rimarginata. Lo sguardo puntato in realtà nella direzione in cui sapeva esserci Oscar. A pochi passi da lui, Gerard.
Sottile e pungente, la pioggia fin lì solo promessa, iniziò a cadere. Prima una danza leggera… poi un fragoroso rovescio.
Oscar, per la seconda volta al riparo sotto la volta di Pont Neuf,  intenta ad osservare la punta dei propri stivali, sollevò lo sguardo al passaggio di una carrozza.
Falso allarme, pensò.
Poi, un vicolo deserto e ancora immerso nell’ombra ne proiettò improvvisamente un’altra, più piccola e discreta, che si avvicinò al ponte fermandosi  sotto di esso.
Dalla parte opposta, si materializzò Saint Just.
-Non vi siete mossa da qui, comandante? – domandò con una punta di malcelato sarcasmo, girando attorno alla donna come uno squalo intorno alla preda.
Oscar lo seguì con lo sguardo, immobile e impassibile come sempre.
-Come ho trascorso il mio tempo non credo sia affar vostro… Sbaglio? –
Quell’uomo la irritava. E non solo perché teneva in ostaggio André. I suoi modi subdoli, il suo manipolare chicchessia per uno scopo ritenuto superiore, la infastidivano e la indignavano. Sebbene fosse inequivocabilmente nelle sue mani, non riusciva a trattenersi dal ribattere alle sue sarcastiche e inutili parole. Non poteva fare a meno di domandarsi cosa quel giovane scellerato potesse offrire alla Francia e cosa la Francia si era impegnata ad offrire  lui. ..
Ad un gesto dell’uomo, il cocchiere bussò due volte sul tetto della piccola carrozza e la porta si aprì.
Oscar trattenne il fiato e per l’ennesima volta, l’uniforme che indossava le parve stretta, soffocante.
Mentre avvertiva ogni muscolo tendersi fino allo spasmo, pregò di non cedere. Non ancora.
Uno dopo l’altro, due uomini mascherati lasciarono l’angusto abitacolo privo di finestre, evidentemente blindato e lei valutò positivamente la cosa. Chiunque fosse rimasto in quella carrozza sarebbe dovuto scendere, per farsi vedere.
-Avanti! – invitò Saint-Just, nutrendosi della tensione crescente del biondo comandante e lunghe gambe tornite emersero dall’ombra. Poi le mani, grandi e forti,  strette insieme  da una  corda spessa. E quando il profilo di due spalle larghe e possenti si delineò, stagliandosi nel vano della porta, Oscar non ebbe alcun dubbio. André!
La divisa blu indosso, André si presentò agli occhi increduli e sgranati di una Oscar senza fiato di fronte a quell’uomo evidentemente sofferente ma vivo. Vivo nell’ondeggiare dei suoi capelli scuri, nel verde brillante del suo sguardo, nel cercarla tra la pioggia…
-Oscar… - mormorò lui in un sospiro. E tanto bastò per riaccendere quel cuore spento.
Oscar dissimulò un sussulto e represse il desiderio di corrergli incontro, abbracciarlo, toccarlo,  riempirsi del suo odore, del suo profumo. Perché il mondo non poteva sparire, lasciandoli soli? Cosa pretendeva ancora da loro che non avevano più nulla da dare se non un reciproco affetto ancora tutto da scoprire?
-Ho fatto la mia parte, comandante. – le ricordò Saint-Just, con un mezzo sorriso  – Adesso tocca a voi. – si fermò, come pensieroso. – O volete passarlo in rassegna… - concluse quasi divertito, l’immancabile aria di sfida sul volto giovane e affilato.
Oscar decise di ignorarlo e approfittando di quell’invito inatteso,  mosse un passo avanti, poi un altro e un altro ancora… fino a raggiungere André. Fermandosi di fronte a lui, ne sostenne lo sguardo, interrogativo, preoccupato ma fermo.
Frastornata dal battere impazzito del proprio cuore, si avvide del tremore che le colpiva  la mano, tesa a sfiorare la giubba lacerata dal proiettile che, per primo, aveva tentato di portarle via l’uomo che aveva appena scoperto di avere...
Serrò le labbra, passando allora le dita sottili nell’intreccio di corde che gli fermavano i polsi all’altezza del bacino. Il contatto con la pelle di lui, volutamente cercato, le trasmise un brivido che le attraversò la schiena. Faticò a reggersi in piedi, esausta, mentre lo sguardo di André la teneva stretta, salda,  abbracciandola con tutto l’amore di cui era capace. Schiuse le labbra per parlare…
-Le corde sono troppo strette? – domandò improvvisamente Saint-Just, portandosi sulla stessa linea di Oscar.
Lei si irrigidì,  ritirò la mano e Alain maledisse quel momento e quell’uomo scaltro…
Abbassando la baionetta, prese fiato e puntò di nuovo.  
-Aspetto la vostra decisione, comandante Oscar. – insistette il rivoluzionario, richiamandola al “dovere”, mentre i suoi uomini strattonavano André, facendolo arretrare di qualche passo in direzione della carrozza.
Non ancora! Gridò il cuore di Oscar. Non ancora! Non portatemelo via ancora…  e quel grido attraversò il suo sguardo fino a raggiungere quello incredulo di André, immobile,  intento a porsi una serie di domande che non avevano ancora trovato risposta… Cosa stava succedendo? Perché si trovava ostaggio di Saint-Just e perché lo avevano condotto al cospetto di Oscar… di quella Oscar pallida e tanto stanca…
Come stai Oscar? Non hai dormito stanotte? Avrebbe voluto chiederle con una carezza. Invece non capiva…
Non riusciva a capire… e non solo per effetto del laudano*, somministratogli per alleviare il dolore e permettergli di essere lì, in quel momento.
- Una vita per un'altra vita… Mi sembra uno scambio equo, comandante. – sibilò Saint-Just, in attesa.
André fu percorso da un fremito. La sua pupilla si contrasse. Una vita per un’altra vita…
-Oscar!- esclamò opponendo inaspettatamente resistenza. –Di cosa sta parlando, Oscar! –
Poi comprese… Si paralizzò.
-Sono diventato il tuo punto debole, è così, Oscar? – urlò. - E’ così? Dimmelo Oscar! – il suo accorato appello, la sua ricerca di risposte,  dilaniarono il cuore di Oscar.
Sono solo un peso per te, Oscar? E’ questo che sono? Non posso… Non posso accettarlo!
La sua presa di coscienza, la sua resistenza cambiarono improvvisamente gli equilibri di quel gioco cinico e perverso.
Con uno strattone, sorprese i suoi aguzzini e liberandosi di loro si protese in avanti, cercando Oscar.
Alle spalle di lei, Saint Just ordinava ai suoi di riprendere il controllo della situazione, mentre Girodel, Gerard e Alain lasciavano i propri nascondigli per proteggere i due soldati.
Oscar colse l’attimo e sguainata la spada fronteggiò il traditore con la voglia di trafiggerlo. Era alla sua mercé, ora, sorpreso dalla piega che avevano preso gli eventi. Doveva e poteva approfittarne!
Un colpo secco e l’esclamazione soffocata  di André la distrassero, invece, portandola a voltarsi in tempo per vedere il calcio di una baionetta colpirlo alla testa.  
André barcollò, stordito. Inciampando finì sulle ginocchia, il fiato corto, un rantolo doloroso emesso a denti stretti, ostacolato nei movimenti dalle mani ancora legate…
Alain atterrò con un pugno l’uomo che lo aveva colpito e gli si portò accanto aiutandolo a rialzarsi.
Oscar, perso di vista Saint-Just, evitò la lama affilata e impietosa del suo coltello solo grazie al provvidenziale intervento di Girodel, che si frappose tra loro.
Evitando agilmente Victor, l’uomo si allontanò dalla mischia per poi soffermarsi sulla paratia del ponte ad  osservare irritato il tumulto che si era generato subito sotto di lui. Serrò la mascella. Furente. Poi svanì in una nuvola d’acqua.
Senza allontanarsi troppo, Oscar lo cercò invano, spalleggiata da Victor, mentre Gerard aiutava Alain a fronteggiare gli uomini di Saint-Just tornati alla carica prima di dileguarsi, seguendo l’esempio del capo…
-Fermati André! –
Seppur attenuato dalla pioggia insistente, il grido allarmato di Alain arrivò ad Oscar  riportandola sulla riva del fiume.
-Oscar… Oscar… - accecato dall’acqua, stordito dal colpo alla nuca, André faticava a mantenersi in piedi, scivolando ripetutamente sull’acciottolato bagnato, incerto sulla direzione da prendere.  
-Oscar… - ripeté.
Poi un’ultima sbandata e l’acqua gelida della Senna…
-André, nooo! – esplose Oscar, mentre con il terrore negli occhi superava Alain in una corsa frenetica verso la sponda del fiume.
Alain l’afferrò per la vita. Prontamente. Trattenendola sull’argine. Impedendole di buttarsi nella Senna. Lottando contro la sua rabbia, il suo dolore.
Girodel, paralizzato, guardava le acque turbolente e scure lambire il corpo inerme di André. Fu la voce di Alain, che impartiva ordini a Gerard incitandolo a montare a cavallo e a seguire il corso del fiume, a scuoterlo e spingerlo a tuffarsi.
-Lasciami Alain, lasciami! – Oscar tentava ancora di divincolarsi, invano. Sferrava pugni, colpendo ripetutamente il petto profondo dell’uomo,  urlando tutta la propria disperazione. Fino a quando una tosse impietosa le squassò il petto. Percuotendola con forza. Una serie di colpi ininterrotti che le tolsero il fiato, annichilendola.
Alain l’abbracciò forte, ancora più forte,  stringendola con entrambe le braccia, piegandosi su di lei come a proteggerla,  anche dalla pioggia che scendeva incessante, confondendo le proprie lacrime con quelle di lei.
Sciolse l’abbraccio.
Non c’era più bisogno di stringerla… di trattenerla.
Oscar aveva perso i sensi.

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Capitolo 7
*** Distanze ***


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Capitolo 7 – Distanze
 
 

Oscar sollevò le palpebre, faticando a mettere a fuoco. La bocca impastata, la testa pesante.
E in un attimo, svegliandosi, la realtà la travolse impietosa, facendola precipitare nuovamente nell’incubo.
Un insopportabile senso di nausea le attanagliò lo stomaco fino alla gola, costringendola a rimanere immobile, nel letto. Stesa supina, volse la testa, appoggiando la guancia al cuscino. Gli occhi sgranati.
Un attimo dopo, ardenti lacrime salate le scivolarono tra le labbra serrate.
-Vi siete svegliata, finalmente. –
La voce calda di Alain le scivolò addosso come una carezza.
Ai primi accenni di risveglio, l’uomo che aveva passato anche quella notte al suo capezzale,  aveva preferito allontanarsi, portandosi di fronte alla finestra.
Albeggiava.
-Alain… - mormorò Oscar - Dimmi Alain… quanto tempo… -
-Tre giorni, comandante. – rispose lui massaggiandosi gli occhi.  
Tre giorni di delirio e febbre alta, caratterizzati da colpi di tosse che non lasciavano presagire niente di buono.
Seguì un breve silenzio, riempito solo dai loro respiri.
-Dove siamo? – domandò lei, non riconoscendo la stanza che la ospitava.
Alain fissò un punto imprecisato fuori dalla finestra.
-A casa di  Rosalie e Bernard Chatelet… Sono stati loro ad accogliervi. Hanno insistito perché vi portassi qui… - rispose.
-La Fayette… -
La Fayette! Sorrise Alain. La Fayette…
-E’ diventato comandante della Guardia Nazionale. – disse -  Non ci sono stati problemi, mi hanno detto –
Il silenzio che seguì fu più lungo e penoso del precedente.
-E André… - domandò lei, finalmente, con un filo di voce. - L’avete trovato… André? – chiuse gli occhi, stringendoli forte. Morendo nell’attimo stesso in cui ebbe pronunciato quelle parole.
Alain annuì, inspirando profondamente e cacciandosi le mani in tasca. Poi sorrise,  ingoiando  indietro il groppo che gli serrava la gola.
-Ci sono ottime notizie, comandante …  - mormorò voltandosi verso di lei.  - André è vivo. – asserì guardando la sua sagoma ancora stesa nel letto, immobile.
Oscar avvertì una dolorosa fitta alla testa poi al cuore. Sgranò gli occhi, incapace di voltarsi. Sprofondata nel materasso morbido, il cuore che era tornato a battere, tanto forte da farle male.
Alain continuò.
-Quel conte, Girodel… è stato lui a trovarlo. Non si è dato pace fino a quando non è riuscito a scoprire cosa fosse successo. Sta bene, comandante… sta bene. – mormorò, quasi liberandosi di un peso. Gli occhi finalmente umidi di sollievo. Oscar e André, sospirò. Entrambi salvi…
Oscar si sollevò finalmente sui gomiti sostenendo il suo sguardo.  Poi, come colta da un pensiero improvviso,  scostò le lenzuola nel tentativo di rimettersi in piedi. Un senso di vertigine la immobilizzò e Alain fu svelto a sorreggerla.
Impedendole di cadere ma anche di muoversi, l’uomo arrossì violentemente, al cospetto di quel corpo di donna nascosto ai suoi occhi dalla sola camicia da notte, le spalle che si intravvedevano dallo scollo semi aperto della tunica.
Distolse lo sguardo, imbarazzato, ricordando le veementi proteste di Rosalie alla sua ostinazione a vegliare Oscar giorno e notte. Solo adesso quelle parole assumevano un senso… Cercando di mantenere le distanze, allentò la presa sulle spalle di lei, ancora ferma a testa china, quasi appoggiata al suo petto.
-Portami da lui! – ordinò Oscar inaspettatamente. 
Alain emise un fischio leggero e si concesse un sorriso. Ecco il momento che temeva e aspettava.
-Non adesso, comandante… Non adesso. – rispose, pronto a subirne le conseguenze. -  Il dottore ha detto che dovete stare tranquilla e riposare. –
Sussultò.
Oscar aveva sollevato improvvisamente la testa piantandogli in faccia due occhi blu, duri come diamanti.  
-Un paio di giorni ancora… - balbettò lui quasi, trattando la resa di entrambi -  Non uno di più… non uno di meno. Poi sarò io stesso, a costo di caricarvi in spalla, a portarvi da lui. – promise.
Inaspettatamente, Oscar non oppose resistenza, convinta dalla fermezza di quegli occhi nocciola. Quasi fosse una bambina, si lasciò rimettere a letto.
-Sta bene, Alain? Mi assicuri che sta bene? – domandò mentre tornava sotto le coperte.
Alain annuì dolcemente e lei, ancora provata,  si lasciò accarezzare dal suo sguardo protettivo. Gli credette domandandosi al contempo quando avesse iniziato a fidarsi tanto di quell’uomo dai modi bruschi ma sinceri.
 
***
 
In piedi al centro della stanza, Oscar era impegnata nella cerimonia della  vestizione. Indossando l’uniforme che la cura di Rosalie aveva riportato all’antico splendore,  allacciava metodicamente i bottoni dorati, uno dopo l’altro, lentamente, meticolosamente. Quasi si preparasse ad una parata ufficiale.
Sistemata la giubba, assicurò la spada al fianco e infilò i guanti bianchi, lo sguardo perso nella contemplazione del nulla.
-Siete pronta, comandante?-
All’ingresso di Alain, Oscar si volse, eretta e fiera come non appariva da giorni.
Non fu necessario parlare. Alain raccolse la risposta di quegli occhi splendidi.
-Perfetta! – esclamò, rispondendo quasi d’istinto ad una tacita domanda.
Oscar si concesse un accenno di sorriso.
-Andiamo, Alain. –  lo esortò, fingendosi seccata.
Era trascorsa quasi una settimana dai concitanti momenti di Pont Neuf. E gli ultimi giorni erano sembrati interminabili. Ogni pensiero, ogni azione, ogni respiro la riportava ad André… Bernard fremeva per riavere Oscar al proprio fianco, alla guida dei bravi soldati della Guardia ancora impegnati ad appoggiare le azioni del popolo in rivolta, ma capiva… E con Rosalie aveva offerto ospitalità al comandante e all’inseparabile Alain.
Con le solite precauzioni, lasciare Parigi non era stato un problema, così come seguire le precise indicazioni di Girodel tornato finalmente al comando della Guardia Reale. Girodel…
Oscar si adombrò, cullata dall’incedere di Caesar. Non lo aveva più visto, dal giorno del ricatto. Non ancora… Ma avrebbe voluto. Gli era grata… Grata per essersi tuffato, per aver fatto di tutto pur di salvare la vita di André, per averlo cercato nonostante non fosse stato in grado di strapparlo alle acque torbide della Senna. Per non essersi arreso…
-Dovremmo esserci – comunicò Alain, interrompendo il filo dei suoi pensieri.
Oscar gli rivolse un’occhiata. Era stanco. Si vedeva. Gli avvenimenti degli ultimi giorni lo avevano decisamente provato, nonostante lui sostenesse il contrario.  
Poi volse lo sguardo all’orizzonte, seguendo la linea immaginaria tracciata dal  braccio di Alain che indicava una costruzione immersa nel verde poco più avanti del punto dove si erano fermati. Un edificio piccolo ma grazioso, nel suo contesto campagnolo, eppure sfarzoso a sufficienza per rappresentare lo stato sociale dei proprietari.
Oscar rallentò, fermandosi davanti al cancello aperto. Avvertendo l’emozione irromperle nei polsi e tempestarle le tempie.
Intuendo il tumulto che le si agitava dentro, Alain attese pazientemente al suo fianco che decidesse di procedere.
-Andiamo. – mormorò lei ad un certo punto, le labbra secche e un fastidioso e improvviso calore  che si irradiava sulle guance accese.
Il fiato entrava e usciva a fatica. La testa le girava, annebbiandole lo sguardo.  Cosa si sarebbero detti? Quale sarebbe stata la prima reazione?
Con un colpo leggero al fianco, e incitò Caesar a rimettersi in marcia.
 
***
 
Oltrepassato il cancello, un valletto in livrea azzurra corse loro incontro e afferrando per le  redini il cavallo di Oscar lanciò uno sguardo a quell’ufficiale biondo e bellissimo.
Evidentemente donna, in evidenti abiti maschili.
-Oscar François de Jarjayes – si presentò lei, usando il proprio nome per intero, il nome che aveva deciso di rinnegare, e vergognandosene subito dopo aver compreso di averlo fatto perché fosse un lasciapassare.
L’uomo sembrò riconoscere il casato di appartenenza di Oscar e guidò gli ospiti fino alla breve scalinata che si apriva davanti alla casa.
Fece loro segno di attenderlo, scivolò rapido all’interno, poi ne emerse una manciata di minuti più tardi.
Un tempo che a  Oscar parve una lenta e lunga agonia.
-Vi prego, accomodatevi… - li invitò un domestico apparso sulla soglia. –Madame Boullet vi attende nel solottino principale. –
Oscar precedette Alain. Varcò la soglia con passo meno fermo di quanto avrebbe voluto e attraversò il piccolo corridoio impreziosito di arazzi e ritratti di famiglia.
-Prego… - aprendo una porta scura, il maggiordomo li introdusse in un salottino tanto più simile ad una bomboniera che ad una stanza da ricevimento. La presenza di una piccola donna di mezza età e dall’aria gentile, intenta a finire un lavoro di ricamo, comodamente seduta sul divanetto di fronte alla porta, non diede agli ospiti il tempo di guardarsi  attorno.
Con un cenno elegante della piccola mano bianca, la donna  li invitò a raggiungerla. Poi soppesò la stravagante figura di Oscar, percorrendone ogni tratto e dettaglio,  e un piccolo cruccio le attraversò la fronte.
-Siete una donna. – disse. – Una bellissima donna. – osservò. –Mi avevano annunciato la visita di un… - si interruppe, socchiudendo i piccoli occhi scuri, come colta da un’idea improvvisa. -Ah! Siete voi… la donna comandante! – sorrise illuminandosi.
-Il mio Serge mi ha tanto parlato di voi! – cinguettò portando le mani congiunte alle labbra e facendo ondeggiare i deliziosi ciuffetti grigi che le incorniciavano la fronte, sfuggendo alla candida cuffietta inamidata.
Si alzò.
-Avanzate, vi prego… Non rimanete sulla porta, voi e il vostro soldato. – rise elegantemente. – I soldati blu sono sempre i benvenuti in questa casa… -
Oscar avvertì la tensione allentarsi un poco, distratta da quella buffa signora, mentre Alain si concesse un mezzo sorriso stanco.
-Siamo qui in visita ufficiale, madame… - esordì il comandante, mentendo e sapendo di mentire.
La donna le lanciò un’occhiata interrogativa e lei continuò.
-Sappiamo che avete accolto un… soldato blu – disse, rubandole l’espressione di poco prima – Ferito, nei giorni scorsi. Vorremmo vederlo. – terminò con tono pacato.
La donna fece spallucce.
-Certo! Certo che è qui… Dove altro dovrebbe essere? – ridacchiò, quasi divertita, valutando l’assurdità di quelle affermazioni. -Venite, vi porto da lui…- invitò precedendoli fuori dal salottino e facendo un cenno al domestico perché facesse strada  accompagnandoli al piano superiore.
Salendo le scale, le gonne fruscianti sui gradini, si voltò rivolgendosi agli ospiti che la seguivano.
-Devo pregarvi, però,  di non trattenervi troppo… Non vorrei che si stancasse, sapete. –
Senza attendere una risposta, proseguì lungo il corridoio, fermandosi davanti ad una porta socchiusa.
-Entrate…- invitò notando l’esitazione di Oscar.
Imbarazzata, Oscar sopravanzò tutti, portandosi sulla soglia.
Esitò ancora. Solo un momento. Non avrebbe sopportato un’altra stanza vuota…
Poi la mano guantata sospinse l’anta scura che si aprì verso l’interno  e quando nella penombra  vide il letto intatto, annaspò,  reprimendo un sussulto, ma  cogliendo subito dopo,   con gratitudine crescente, la figura seduta nell’ombra, sprofondata nella grande poltrona rivolta alla finestra.
-André… - mormorò in un soffio, avvertendo le lacrime pungerle gli occhi.
Non più padrona delle proprie gambe, fece un passo avanti, poi un altro…
Sulla soglia, Alain fermò con un cenno della mano la piccola donna e la sua protesta.
Un passo dopo l’altro, lentamente ma inesorabilmente, lasciandosi abbracciare dalla stessa dolce penombra che avvolgeva André, Oscar si portò alla sua altezza, lasciandosi poi scivolare su un ginocchio davanti a lui. La testa china, le spalle appesantite dalla stanchezza che si scioglieva in sollievo, le mani a cercare quelle grandi dell’uomo, abbandonate in grembo. Maledicendo la sciocca e vanesia decisione di indossare i guanti. Detestabile barriera.
-André… - ripeté, incapace di articolare un discorso, un pensiero, una frase o anche semplicemente un saluto.
Ti ho trovato, André… ti ho trovato finalmente. Avrebbe voluto dire. Ma dalle labbra secche e stanche non uscivano parole mentre si serravano impietose, percorse da tremiti leggeri. Dolorosi spasmi che seguivano quelli che le stringevano la gola.
Una mano si staccò dalle sue e le pose una carezza sul capo ancora chino. Quel  tocco leggero e al tempo stesso deciso la calmò.
Lentamente, quasi timorosa ma desiderosa di un contatto che sapeva più intimo di qualunque parola, alzò lo sguardo sul volto dell’uomo il cui profumo riconosceva e la inebriava. Avvertiva il proprio corpo protendersi verso di lui, ogni fibra anelare un contatto più stretto, più forte… Detestò i guanti, l’uniforme, la distanza…
Finalmente trovò il suo sguardo. Ma per la prima volta,  non se stessa, in esso…
Sussultò. Gli occhi sbarrati.
L’uomo che le stava di fronte la guardava con una dolcezza infinita nella quale si stemperava un interrogativo che le parve agghiacciante.
-Serge! – disse la donna rimasta sulla soglia, approfittando dello smarrimento di Alain. -Il comandante Oscar è venuta a sincerarsi delle tue condizioni.
L’uomo passò con lo sguardo da madame Boullet alla giovane donna bionda che gli stava ancora inginocchiata di fronte.
-Oscar? – mormorò fissandola ancora negli occhi.  Due splendidi occhi blu che si erano improvvisamente adombrati. Due occhi blu che gli penetrarono l’anima, strappandogli inspiegabilmente una smorfia di dolore.
Non sapeva che pronunciando quel nome aveva appena affondato il cuore di una donna.
Lei si sollevò, senza distogliere lo sguardo,   e l’attimo di silenzio che seguì le sembrò il più lungo che avesse mai vissuto. Quella figura, quella voce, quelle mani dal tocco gentile… Possibile…?
-Purtroppo, mio figlio Serge ha perduto la memoria, in seguito alla ferita riportata negli scontri di Parigi. – sorrise tristemente la donna ancora ferma sulla soglia, torcendosi le mani piccole e bianche. -  Il dottore dice che potrebbe essere uno stato temporaneo, ma non ci ha dato certezze in merito… Ha detto solo di avere pazienza, molta pazienza… - le sue parole colpirono Oscar come una salva di proiettili.
Serge…  pensò, avvertendo un moto di ribellione aggredirle le labbra.
Lo represse, facendo appello alle proprie certezze.
-Comandante Oscar… -  la voce di Alain la strappò all’angoscia, venendole ancora un volta in soccorso.  
-Comandante Oscar… - mormorò anche  l’uomo indicato come Serge, alzandosi e portando una mano al petto, all’altezza della ferita che stava finalmente rimarginandosi. Così vicino che Oscar poteva avvertirne il calore.
Vacillò di fronte a quella figura, al candore di una camicia che doveva essere tanto morbida al tatto, al desiderio di scostare dal volto ancora un po’ pallido le ciocche scure dei suoi capelli.  
Serge… André… Madame Boullet…
Si chiese come avrebbe potuto sopportare anche questo…
-Mi avete chiamato André. – continuò lui, la fronte corrugata, come incuriosito e sorpreso da quel dettaglio. Uno dei tanti tasselli che sfuggivano alla sua memoria?
Oscar non rispose. Non subito. La situazione era surreale. Fece appello a tutta la propria forza e razionalità.
Le parole di quell’uomo la ferivano. Il suo tono caldo ma distaccato. La sua cortese formalità…  Alla disperata ricerca di un appiglio, volse attorno lo sguardo. Falena impazzita. Ed eccolo, eccolo lo spiraglio di luce che si offrì ai suoi occhi…
Un giovane uomo dai tratti decisi la fissava intensamente fin  da quando era entrata.
Appeso alla parete  che ancora non aveva notato, un quadro di notevoli dimensioni ritraeva un  uomo  dagli occhi verdi, le ciocche scure ad incorniciargli il viso spigoloso, spalle larghe  e l’uniforme blu indosso.
Un dettaglio la colpì più di tutti gli altri…  più dell’evidente seppur generica somiglianza con il suo André… L’ uniforme da ufficiale…

 
 

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Capitolo 8
*** Fantasmi ***


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Capitolo 8 – Fantasmi
 
“Mi avete chiamato André!”
La domanda implicita in quella semplice osservazione era ancora nell’aria.
Oscar riportò d’un tratto lo sguardo in quello verde dell’uomo che le stava di fronte, abbandonando il ritratto appeso alla grande parete alle sue spalle.
 Inspirò profondamente.
‒ Mi avete scambiato per qualcun altro? – aggiunse lui con  un debole sorriso.
‒ No. ‒ asserì senza un minimo di esitazione  ‒ So perfettamente chi siete. –
L’uomo accennò una risata sommessa e Oscar ammirò una nuova luce brillare in quello sguardo spento.
‒ Ne sono contento!  ‒ dichiarò fissandola  ‒ Perché sembra che io non ricordi niente… Men che meno  chi sono. Quindi non posso cha ammirare la vostra fermezza. – esitò, serrando per un attimo le labbra  – Ma parlatemi di voi… madamigella Oscar. ‒ riprese. ‒ Siete una donna. Una bellissima donna… Eppure, indossate un’uniforme. La mia stessa uniforme, da quello che mi è stato detto… ‒
Oscar sussultò. Lo sguardo di quell’uomo la percorreva dalla testa ai piedi, carezzandola, scivolandole addosso indagatore, affascinato, incuriosito.
‒ E’ una lunga storia, monsieur Boullet… ‒ mormorò sostenendo il suo sguardo, nonostante il desiderio di sparire avvertito subito dopo aver pronunciato quel nome. Così come era svanito il suo riflesso negli occhi dell’uomo che amava.
‒ Ho tutto il tempo… ‒ rispose lui allargando le braccia e il sorriso che gli piegava le labbra.
Oscar socchiuse le palpebre,  avvertendo ancora quella fastidiosa debolezza alle gambe…
‒ Comandante… ‒  la richiamò Alain, dalla soglia alle sue spalle.
‒ Hai ragione. Togliamo il disturbo, Alain. – rispose lei senza voltarsi.
Alain sussultò. Non riusciva a comprendere.
‒ Abbiamo abusato del tempo e della salute dei nostri ospiti, per oggi. ‒ continuò lei, imperterrita. Rientrata appieno nel ruolo che quell’uniforme la chiamava a vestire.
‒ Già ve ne andate? –
Oscar sollevò nuovamente lo sguardo sull’uomo che aveva parlato, sorpreso egli stesso della veemenza con la quale la domanda gli era sfuggita, spontanea e accorata dalle labbra.
Abbozzò un sorriso, dissimulando  il fremito di gioia che le aveva attraversato il petto.
‒ Tornerò presto, se lo volete. – propose accennando un inchino. La voce pacata e roca che la caratterizzava.
I suoi capelli rimandavano un riverbero dorato, accarezzati dalla luce tenue del tramonto che stava allungandosi roseo sull’orizzonte, oltre il vetro della finestra che li inquadrava.
L’uomo le prese una mano, sfiorandola con delicatezza. Poi aumentò leggermente la stretta.
‒ Ve ne prego… ‒  mormorò fissandola ancora negli occhi.
Sorridendo dolcemente del velo di rossore che aveva imporporato le guance di quel bel comandante biondo, abbandonò la presa. Poi, di fronte all’espressione severa di Oscar, il suo sguardo si adombrò
‒ Se vi ho offesa in qualche modo, perdonatemi… ‒ tentò di rimediare, crucciato, inconsapevole e innocente carnefice.
Oscar scosse leggermente il capo.
‒ Tornerò domani. – promise.
Galvanizzata dall’espressine di sollievo che gli aveva attraversato lo sguardo,  superò un attonito Alain e un’emozionata Madame Boullet ancora fermi sulla soglia, e lasciò la stanza senza voltarsi.
Non avrebbe potuto… Non sarebbe riuscita ad andarsene, altrimenti.
‒ Madame Boullet vi ringrazio… Come avete sentito, tornerò domani per una nuova visita. – si accomiatò con un cenno del capo e richiamando al proprio fianco Alain con uno sguardo, prese le scale seguita dal maggiordomo.
Ogni gradino era una dolorosa fitta al cuore.
Ogni rumore proveniente dal piano superiore, un irresistibile richiamo a salire.
‒ Parlatemi di Serge Boullet. – domandò inaspettatamente al domestico, una volta raggiunto l’androne.
– Del vero, Serge Boullet. – precisò senza voltarsi a guardare l’uomo fermo alle loro spalle.
Il domestico sussultò, raddrizzando una schiena già perfettamente dritta. Ergendosi in tutta la propria figura, come se i due ospiti potessero vederlo.
Oscar gli rivolse allora un’occhiata. Non doveva mentire. Non era necessario.  
Lui comprese.
‒ Monsieur Serge è rimasto vittima delle prime sommosse. ‒ confessò ‒ Travolto dalla folla sulla quale non avrebbe mai sparato un colpo. – disse con voce soffocata dall’emozione. ‒ Madame è morta quel giorno, con lui… ‒ aggiunse.
Oscar e Alain si voltarono a guardarlo.
Lo sguardo fermo di lei faceva da contraltare a quello esterrefatto del soldato.
‒ Allora… ‒
Oscar bloccò con un cenno della mano l’intervento di Alain.
‒ Apparteneva ai Soldati della Guardia? – domandò  riferendosi chiaramente all’uniforme blu rappresentata nel quadro.
‒ Sì… Era un ufficiale. Orgoglioso del proprio plotone. Molti dei suoi uomini hanno perso la vita nel tentativo di salvarlo. Lo rispettavano. E gli volevano bene…  ‒ un lungo e penoso sospiro sottolineò quelle parole. ‒ Vi conosceva, Comandante Oscar… ‒ continuò ‒ Conosceva la vostra fama e ne parlava spesso. Era affascinato da voi… -
Oscar soppesò con lo sguardo la figura di quell’uomo che lasciava trasparire  una profonda tristezza. Un uomo che probabilmente era stato per quel ragazzo come e forse più di un padre.
Ma tutta la sua attenzione era rivolta, ora,  ad un’altra domanda e soprattutto alla sua risposta.
‒ E l’uomo al piano di sopra? – lo invitò a raccontare.
Il vecchio maggiordomo chinò leggermente il capo, come sopraffatto da un peso troppo grande.
‒ Gli  uomini di Madame lo hanno  ripescato nella Senna, qualche giorno fa. ‒ spiegò ‒  Lo avete visto anche voi… Avete notato la  somiglianza con monsieur Serge. – rispose, facendo riferimento alla lunga occhiata che Oscar aveva rivolto al ritratto.  
‒ Gli occhi verdi, i capelli scuri, alto e robusto come lui… e l’uniforme blu. Poco importa che sia quella di un soldato semplice… ‒ strinse i pugni coperti dai guanti bianchi.  ‒ Questo è stato sufficiente a Madame per illudersi di aver ritrovato Serge... ‒ l’uomo sollevò uno sguardo fiero sul volto severo di Oscar. ‒ Ha perso il senno, Comandante? Non mi è dato saperlo. Ma da quel momento è come fosse rinata.  Si è aggrappata a quell’uomo come alla propria vita… Nessuno di noi ha avuto il coraggio di contraddirla. ‒ si fermò, come a riprendere fiato e il controllo delle proprie emozioni.
Subito dopo, lo sguardo di Oscar lo indusse a continuare.
‒ Per lui, per la sua sicurezza e tranquillità, abbiamo abbandonato la dimora cittadina  e ci siamo ritirati nella villa di campagna. Sapevamo che qualcuno sarebbe venuto a cercarlo, prima o poi…  Un uomo, un alto ufficiale, è venuto a conoscenza del suo ritrovamento poco prima che lasciassimo Parigi ed è stato rassicurato in merito alle sue condizioni di salute. -
Girodel, pensò Oscar.
‒ L’amnesia ha solo facilitato questo scambio di persona. ‒ continuò il maggiordomo, mentre  Alain serrava la mascella, pronto a ribattere a quella lunga serie di assurdità.
Oscar se ne accorse, cogliendo il suo fremito con la coda dell’occhio ed evitò l’esplosione della sua ira sfiorando con la sua una mano del soldato.
‒ Madamigella Oscar… ‒ riprese l’uomo in tono accorato  ‒ siamo preoccupati per la salute di Madame. Vi prego di non procurarle altro dolore. E’ una donna anziana e ha già sofferto la perdita prematura del marito, prima di perdere il figlio… Aiutatela ad emergere lentamente da questo dolore. ‒ supplicò. ‒ Confido nel vostro buon cuore. ‒
Oscar serrò le labbra, aggrottando la fronte e aumentando la pressione sulla mano di Alain.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dall’uomo che le stava di fronte. Un uomo che sembrava aver dimenticato l’etichetta in favore di una più complice familiarità e riconobbe nei suoi occhi un sentimento puro e ardente.
‒ Immagino che il mio uomo sia in cura al medico di famiglia. – domandò sforzandosi di mantenere il proprio contegno militare.
Lui annuì e ne fu sollevata.
Da una prima analisi sommaria, la famiglia Boullet doveva appartenere alla ricca borghesia parigina e questo garantiva ad André un rifugio tranquillo e cure mediche appropriate. In quel particolare frangente, non avrebbe potuto chiedere di meglio, per lui.
La pressione della mano di Alain, sotto la sua, si allentò. Anche lui  aveva compreso. Gliene fu grata. Non avrebbe avuto la forza di sostenere  il suo serrato interrogatorio.
‒ Tornerò domani… - ribadì rivolta al domestico. ‒ E il giorno dopo… e tutti i giorni a seguire. ‒
Terminò uscendo dalla casa e fermandosi in cortile.
‒ Non lo portate via con voi, Comandante? ‒ domandò il maggiordomo  illuminandosi in viso, mentre dava ordine agli stallieri di recuperare i cavalli.
‒ No. Non migliorerebbe la sua situazione se lo portassi con noi. Preferisco saperlo qui, al sicuro. Per adesso.  ‒
Poi si accomiatò con un cenno della mano e una raccomandazione mentre montava elegantemente a cavallo  ‒ Abbiate cura di lui fino al mio ritorno. ‒
Alain seguì il suo esempio, affiancandola, scuro in volto. Lanciò un’occhiata in direzione della stanza occupata da André e sorrise stancamente, rassegnandosi a non vedere la fine di quella storia assurda.
‒ Andiamo! – lo richiamò Oscar con tono affettato e mentre si allontanavano da Villa Boullet, incontrarono  una piccola carrozza carica di bagagli entrare e fermarsi nel cortile.
Rallentando le proprie cavalcature per facilitare le operazioni del cocchiere, colsero la deliziosa figura di una ragazza bruna scendere dalla  carrozza.
Per un attimo, i suoi grandi occhi nocciola si incrociarono con quelli blu di Oscar sostenendone fieramente il peso.
Colpita da tanta fermezza, Oscar volse altrove lo sguardo…

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Capitolo 9
*** Turbamenti ***


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Capitolo 9 – Turbamenti
 
 
Oscar si rilassò sulla comoda poltroncina sistemata in fondo alla stanza. I gomiti appoggiati ai braccioli, le gambe distese, la testa appena reclinata all’indietro fino a sfiorare  il morbido schienale imbottito. Le palpebre abbassate sugli occhi stanchi.
Aveva smesso l’uniforme blu, ora diligentemente appoggiata sul letto.
Ispirò profondamente, godendosi quel momento di quiete. Troppe emozioni, troppi gli avvenimenti di quegli ultimi giorni. Avvertì su di sé tutta la spossatezza accumulata poi, improvvisamente, le braccia di André stringerla come non avevano mai fatto prima. Avvertì il calore, l’ardore dei suoi baci. Sul collo, sulle spalle, sul seno… e una stretta allo stomaco nel rivivere dietro le palpebre chiuse, le emozioni di quella notte…  Una notte che sembrava tanto lontana.
Si sollevò, piegandosi in avanti e passando le mani sulla fronte e tra i capelli. Restò così, nella penombra della stanza. Il volto tra le mani. Gli occhi sgranati. André le mancava. Le mancava terribilmente. Come se con lui avesse perso il respiro. L’aria indispensabile per sopravvivere.
Ma quando era successo? Quando era avvenuto quel cambiamento dentro di lei? André le era stato accanto per anni e lei non aveva mai provato nulla di simile…
Si domandò se era questo… se era questa oppressione che lui aveva provato in tutto quel tempo… Per tutto il tempo in cui l’aveva amata senza essere ricambiato, desiderato, cercato…
Quei pensieri la infastidivano. Si alzò di scatto, rigida. E portandosi di fronte alla finestra gettò uno sguardo all’esterno senza tuttavia vedere niente di quel che lo stipite di legno scuro incorniciava come fosse un quadro.
Alain, silenziosamente appoggiato allo specchio della porta, piegò le labbra in un sorriso appena accennato emettendo poi un sibilo leggero. Com’era cambiato il suo comandante in quei pochi giorni.
Le mani in tasca, attese ancora un momento prima di entrare in quella stanza. Non aveva mai gradito il ruolo di  terzo incomodo e tra quelle mura, la presenza del suo amico André era palpabile, concreta come il mobilio che la riempiva. Decise di lasciarle ancora qualche momento di intimità con il suo uomo. Girodel, al piano di sotto, poteva aspettare…
 
***
 
Victor avanzò di un passo, perfetto nell’ uniforme di Comandante delle Guardie Reali. Non fosse stato per il pallore del volto tirato, la sua figura sarebbe sembrata smagliante. Bello ed elegante come sempre.
-Madamigella Oscar… - mormorò trovandosi finalmente al suo cospetto.
Oscar aveva raggiunto Bernard e Rosalie nel salottino principale della casa. Semplice, con indosso la camicia bianca e un pantalone verde, appariva meno austera e imponente del solito. Solo lo sguardo aveva mantenuto la durezza di sempre, appena velato da un’ombra scura.
Come Bernard, si era accomodata in poltrona e attendeva che Girodel parlasse.
-Madamigella -, ripeté lui quasi assaporando dolorosamente quella parola – Sono stato messo al corrente delle reali condizioni di André Grandier. Mi spiace non avervi saputo preparare all’incontro, ignorando io stesso, fino all’ultimo, la verità sulla sua amnesia. –
Oscar annuì, addolcendo leggermente lo sguardo come a comunicare a Girodel che non lo riteneva responsabile dell’accaduto.
Rincuorato, il conte continuò:
-Vi porto notizie della vostra famiglia. – si raddrizzò stringendo il cappello piumato che teneva sotto al braccio sinistro, come se il solo parlare dei “de Jarjayes” lo richiamasse all’ordine.
Alain, con il gomito appoggiato al caminetto, sollevò un sopracciglio, divertito,  accorgendosi di quell’impercettibile ma comunque evidente cambiamento e ne sorrise masticando l’estremità dello stecchino che teneva tra le labbra piegate in un sorrisetto ironico.
-Le tensioni di Parigi stanno allargandosi alle campagne, messe in ginocchio dai gravi problemi di questi ultimi tempi. Il malumore sta dilagando e molti nobili stanno scegliendo di allontanarsi, preferendo i più tranquilli territori del nord. La regina stessa ha invocato cautela… - esitò scorgendo l’ombra negli occhi di Oscar farsi più profonda nel sentir nominare i reali. –La vostra famiglia è pronta a lasciare palazzo Jarjayes. Tutti, tranne il Generale vostro padre. –
Oscar fu percorsa da un fremito. Si alzò dalla poltrona e volse le spalle a Girodel perché non scorgesse l’emozione attraversarle lo sguardo. Dopo qualche istante di silenzio, parlò.
-Vi prego di far sapere a mio padre che sto bene, Victor… -
Girodel sussultò. Oscar aveva pronunciato il suo nome! E lo aveva fatto con una naturalezza e una dolcezza tali da illuderlo che finalmente le distanze tra loro fossero state cancellate per sempre.
Ad Alain, osservatore privilegiato, non sfuggì la sua emozione mentre, indossato il cappello, e battuti i tacchi il conte si  preparava ad uscire. Il leggero tremore alle mani e la voce meno ferma del solito furono indicatori reali di quel che provava.
-Sarà fatto, madamigella. –  mormorò, prima di lasciare la casa,  innamorandosi perdutamente, e ancora una volta, di quella donna speciale.
 
***
 
 Accompagnata da Alain, divenuto ormai la sua ombra, Oscar incontrò lo sguardo di Madame Boullet nel salotto al piano terra.
-Comandante Oscar!- fu la gioiosa accoglienza riservatale da Madame, affascinata come il figlio da quella figura di donna eccentrica.
-Sono tornata a far visita al vostro Serge. – confermò lei con uno sguardo dolce negli occhi dal taglio severo. –Spero stia meglio, quest’oggi, e di potermi intrattenere più a lungo con lui. – sorrise.
La donna lasciò il divanetto damascato sul quale era seduta e si avvicinò a Oscar prendendole mani.
-Vi sono grata per il vostro interesse! – la guardò con occhi sinceramente riconoscenti.
Oscar avvertì un fastidioso senso di imbarazzo e desiderò liberare le proprie mani da quelle piccole e paffute della donna.
-Raccontategli di Parigi. Tenetelo informato sulla situazione dei tumulti e i pettegolezzi di corte, se potete. –continuò lei speranzosa – E con il vostro aiuto, vedrete che recupererà presto la memoria.-
Oscar sussultò vedendo così candidamente scoperte le proprie intenzioni.
-Lo farete, comandante Oscar?-
Si liberò delicatamente della stretta di madame Boullet.
-Farò del mio meglio. – promise con la compassione nel cuore.
Alain, alle sue spalle, emise un flebile sospiro mentre dei passi leggeri sulla soglia del salottino indussero i due militari a voltarsi e madame Boullet a socchiudere gli occhi in un’espressione di sollievo.
-Eloise!- esclamò accogliendo con un sorriso radioso la ragazza bruna ferma sulla porta. –Entrate e lasciate che vi presenti ai miei ospiti. – continuò con un cenno della mano.
Oscar e André riconobbero in Eloise la giovane donna incrociata il giorno prima in cortile.
Era graziosa. L’incarnato candido messo in risalto da lunghi capelli scuri raccolti sul capo e due grandi occhi nocciola. Il suo sguardo, fermo e deciso, era lo stesso che aveva indotto Oscar a volgersi altrove.
Alain, dal canto suo,  ne ammirò la figura snella ed elegante, da perfetta padrona di casa, che un abito verde scuro esaltava nonostante la sua estrema semplicità. Ma fu colpito dal pallore di quel volto dall’indiscussa avvenenza e si chiese, sinceramente, chi fosse. Temendo, tuttavia, la risposta.
Non appena Eloise fu al suo fianco, madame Boullet si strinse al  braccio della nuova arrivata  e lei ricambiò il suo sguardo con un sorriso affettuoso.
-Comandante Oscar, Eloise de Martin… Fidanzata di Serge.-
Quelle parole furono come una doccia fredda. Ad Oscar mancò il respiro mentre Alain spalancò la bocca in un’espressione sorpresa, quasi terrorizzata, vagando con lo sguardo dal proprio comandante alla fanciulla dagli occhi scuri.
Senza distogliere lo sguardo da Oscar, Eloise accennò un sorriso di circostanza chinando leggermente il capo.
-Ho finalmente il piacere di conoscere la mia rivale – disse provocandole un nuovo sussulto. Sussulto che riuscì a stento a controllare.
Eloise accentuò il sorriso e socchiuse gli occhi nocciola.
-Serge non faceva che parlarmi di voi. – si fermò. Poi proseguì – Era affascinato da voi. – concluse mentre il sorriso le svaniva dalle labbra.
Oscar evitò di schiarirsi la voce per non dare a vedere il proprio imbarazzo.
-Una donna al comando di una guarnigione non è cosa di tutti i giorni. – si schermì, scrutando l’espressione severa di Eloise.
Madame Boullet si strinse maggiormente al suo braccio.
-Accompagnate il comandante dal nostro Serge, mia cara. – suggerì.
Accontentando Madame, Eloise precedette i due militari invitandoli a seguirla con un cenno della mano.
E mentre salivano le scale, osservando la figura che le dava le spalle, si domandò quanto sapesse realmente e a quale gioco stesse giocando.
Un colpo leggero alla porta della stanza in fondo al corridoio e la voce di André riempì il silenzio della casa, scaldando il cuore di Oscar.
Eloise pregò gli ospiti di attendere e li precedette nella camera in penombra, fermandosi accanto alla  poltrona dove sedeva l’uomo che tutti chiamavano Serge. Oscar notò la mano della donna sfiorare i capelli scuri di André e mormorare qualcosa al suo orecchio.
Alain, al suo fianco, ne scrutò la reazione. Ma lei sembrò rimanere impassibile. Solo le labbra serrate tradirono l’emozione che le aveva dilaniato il petto.
-Comandante Oscar. – chiamò improvvisamente Eloise e lei avanzò nella stanza. Lo sguardo di André, tiratosi in piedi,  sembrò accendersi.
-Comandante! – l’accolse con un sorriso spontaneo ed eccitato.
Era trascorso solo un giorno da quando lo aveva lasciato, ma l’uomo che aveva davanti era decisamente rilassato e di buon umore.  Merito di Eloise? Si domandò piccata. Eppure, lo sguardo di André si era acceso nel vedere lei, mentre l’ingresso della fidanzata non aveva riscosso altrettanta emozione, si raccontò.
-Vorrei restare sola con monsieur Serge, se non vi spiace. – domandò Oscar rivolgendo uno sguardo alla bella Eloise che congiungendo le mani in grembo accolse la muta richiesta di Serge e raggiunse l’uomo rimasto sulla soglia.
-Vi prego solo di non affaticarlo troppo, comandante… - raccomandò uscendo.
Oscar annuì e lanciando un’occhiata ad Alain, lo pregò tacitamente di lasciarli soli.
Alain accennò un sorriso e il saluto militare.
-Comandante Oscar – esordì Serge non appena la porta venne chiusa – Vi aspettavo. – le fece cenno di accomodarsi sulla poltrona che aveva occupato fino al momento del suo arrivo.
Oscar accettò l’invito, sperando così di sentirsi meno vulnerabile di fronte a quell’uomo dal fascino innegabile. L’uomo che l’aveva amata e che lei, forse troppo tardi, aveva scoperto di ricambiare. Attraverso la stoffa leggera della camicia aperta sul petto, si intravvedeva il bendaggio che ancora tamponava una ferita troppo fresca per essere completamente guarita. Oscar strinse le dita attorno al bracciolo, ricordando con terrore il rischio che aveva corso. Il rischio di perderlo… Poi sorrise amaramente. Non l’aveva perso comunque? E non era quello un modo altrettanto terribile di perdere una persona cara?
-Qualcosa vi preoccupa?- domandò inaspettatamente il suo ospite adombrandosi. Oscar gli rivolse un sorriso appena accennato.
-No. Non vi preoccupate. Avete altro a cui pensare. – mormorò.
L’uomo si appoggiò a una delle colonne del letto. Le braccia conserte sul petto profondo e virile.
-A dire il vero, non ho poi molto a cui pensare… - sorrise. –Non ricordo nulla e vivo di quello che mi viene raccontato ogni giorno. – affondò lo sguardo in quello di lei.
-Ho scoperto di avere una fidanzata… Eloise. – continuò. – Una donna bellissima. Ma non ricordo niente di lei… e di noi. – volse lo sguardo in fondo alla stanza. – Questo le fa male, ne sono certo. E anche se non voglio ferirla, non posso provare nulla per lei… ora.- riportò lo sguardo in quello fermo di Oscar.
Sorrise.
-Ma non voglio annoiarvi con i miei problemi… Parlatemi di voi! –
Ripetendo la stessa domanda del giorno prima, la guardò fissamente negli occhi blu avvertendo una scossa, una fitta alla testa. Decise di ignorarla e continuò:
-Da quando ve ne siete andata, ieri sera, non ho fatto altro che pensare a voi… - si bloccò improvvisamente di fronte all’espressione sorpresa di lei.
-Non fraintendete – si affrettò a rimediare. – La vostra visita mi ha colpito così come la vostra persona. Non ho memoria, ma non mi sembra sia cosa comune che una donna vesta da uomo e sia al comando di una guarnigione. Potrei sbagliare... – sorrise con quelle sue labbra perfette.
Oscar si sentì affossare da quel sorriso così come dalle parole che l’uomo aveva pronunciato.
A tratti, l’André che conosceva sembrava riemergere, riaffiorare… Altre volte, veniva completamente soppiantato da quel giovane uomo spontaneo e quasi spavaldo che la disorientava.
-Sono riuscito a irritarvi ancora… - constatò lui, avvedendosi della sua espressione. –Posso offrirvi qualcosa da bere,  per farmi perdonare?
Meccanicamente, Oscar gli domandò un bicchiere di vino. Involontariamente, spontaneamente. E quando si ritrovò con il calice tra le mani e quell’uomo in piedi  di fronte a lei a condividere un momento di quiete, avvertì una stretta allo stomaco.
Serge la osservò sorseggiare il vino dall’acceso color rubino.
-Siete una donna straordinaria… - mormorò con naturale trasporto e ammirazione.
Poi una seconda fitta alla tempia lo costrinse ad appoggiarsi al letto.
-Perdonatemi… - si scusò – Un leggero malore. Forse il vino… - sorrise imbarazzato sotto lo sguardo preoccupato di lei che si era sporta, allarmata, e gli sfiorava un braccio.
Oscar tremò a quel contatto e lui se ne accorse.
-Non è nulla, Oscar… - mormorò dissimulando il malessere con un sorriso teso e  procurandole in quel modo, con quel nome pronunciato con tanta naturalezza, una seconda stretta allo stomaco.
Quando la situazione si stabilizzò, Oscar decise di andarsene. Non si sentiva in grado di resistere oltre senza scoprirsi e senza gridare in faccia a quell’uomo la sua vera identità. Senza scuoterlo chiedendo ragione di quell’amore che aveva detto di provare per lei e che sembrava svanito, inghiottito da un’amnesia che l’aveva cancellata forse per sempre.
Con la promessa di tornare, stordita da quella ridda di emozioni,  lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle e concedendosi un momento, addossata a quella stessa porta, prima di allontanarsi e percorrere con il solito incedere deciso il corridoio fino alle scale.
Dall’ombra del vestibolo di ingresso, un attimo prima che raggiungesse la porta, emerse Eloise.
-Comandante Oscar… - la richiamò. –O preferite madamigella Oscar… - le chiese.
Oscar si volse, trovando e sostenendo quel suo sguardo deciso, anche se avrebbe voluto trovarsi altrove.
-Oscar andrà benissimo. – rispose.
Sorvolando sulla risposta, la ragazza le rivolse una nuova domanda:
-Parlatemi di voi e di Serge. –
Oscar fu percorsa da un fremito che le irrigidì i muscoli già tesi.
Possibile che non se ne sia accorta? Si domandò. Possibile creda veramente sia Serge?
-Non sono una sciocca, madamigella Oscar… Né cieca. – rispose  lei alla sua tacita domanda – Ma per Madame Boullet, l’uomo che si trova al piano di sopra è Serge e come tale è il mio fidanzato. – continuò.
Oscar rimase in silenzio. Era in grado di gestire situazioni difficili e rischiose, affrontare e comandare un plotone di uomini rozzi e violenti, prendere decisioni con il coraggio che pochi altri potevano vantare e adesso?
Adesso si trovava in difficoltà.
Spiazzata dagli occhi di una donna. Dal dolore di una madre. Incapace di reagire e combattere una guerra tutta al femminile.
Aveva avuto la conferma che quello scambio di persona non aveva tratto in inganno la bella Eloise… E come avrebbe potuto? Ma non riusciva a decifrare l’atteggiamento e le emozioni di quella donna bruna.
-Io e lui siamo stati molto vicini, un tempo. – rispose senza volersi sbilanciare.
Eloise si avvicinò alle scale e sollevando leggermente le gonne prima di affrontare i gradini, le rivolse un’ultima occhiata:
-Immagino, quindi, che vorrete solo il suo bene… - concluse congedandola.

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Capitolo 10
*** La sfida ***


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Capitolo 10 – La sfida
 
 
 
Oscar sistemò con un gesto brusco il colletto della camicia.
Alle sue spalle, nella stessa stanza al primo piano messa a disposizione da Rosalie,  il dottore richiuse la valigetta scura. Un suono metallico che precedette di qualche istante la risposta che la donna aspettava.
-Certo! Le emicrania possono essere significative. Possono essere indice dei  ricordi che tentano di riaffiorare. Ogni stimolo che riceve, ogni forte emozione,  induce una fitta dolorosa alla testa. – la voce calda e rassicurante del medico strappò ad Oscar un sospiro.
Gli voltava le spalle. Rivolta allo specchio nel quale poteva vederlo riflesso.
L’uomo si schiarì la voce con un paio di colpi di tosse, portandosi una mano chiusa alle labbra.
-Ma non posso dirvi né quando né se recupererà la memoria. in parte o per intero. – concluse rispondendo alla domanda implicita nel discorso.
Oscar abbassò lo sguardo a sfiorare la copertina del diario che aveva riposto sul tavolino sotto lo specchio, vicino ad un grande vaso di fiori colmo di rose bianche. Il diario che aveva salvato la vita ad André e che lei non aveva avuto ancora il coraggio di leggere.
-Mi consigliate di indurlo a ricordare, quindi? – domandò sollevando repentinamente lo sguardo verso lo specchio e quindi cogliendo l’immagine dell’uomo che ancora sostava nella stanza.
Il medico ne soppesò la figura snella ed elegante.
-Vi consiglio innanzitutto di seguire la cura che vi ho prescritto, madamigella Oscar… - mormorò preoccupato. – In merito alla vostra domanda -, riprese – Senza arrecargli un ulteriore trauma, ma sì. Vi consiglio di indurlo a ricordare pian piano. –
Il prolungato silenzio di lei, lo indusse a guadagnare la soglia. Con un cenno del capo alla figura incorniciata nello specchio, lasciò la stanza per raggiungere la padrona di casa in attesa di un dettagliato rapporto sulle condizioni di Oscar.
Una volta sola, Oscar affondò nella  poltrona nella parte opposta della camera. Stendendo le lunghe gambe stanche e afferrandosi ai braccioli. La testa rovesciata all’indietro, contro lo schienale. I profondi occhi blu, chiusi. Sembrava riposare.
In realtà, la sua testa era un turbine di pensieri.
Dal fondo del corridoio, le arrivava la voce di Rosalie e il pacato parlottare del medico. Bernard dormiva. Le continue riunioni notturne, l’impegno con Robespierre e La Fayette lo tenevano occupato e consumavano pian piano le sue energie. 
Dalla finestra, la luce accesa di quel pomeriggio di sole le scivolò addosso come una gradevole carezza. André… pensò e improvvisamente si levò in piedi richiamando Alain, in attesa al piano di sotto.
Lanciò un’occhiata all’uniforme appoggiata sul letto. Esitò. Poi, decise per la prima volta di non indossarla.
 
***
 
Eloise de Martin si strinse al braccio forte di Serge guidandolo alla riscoperta dei giardini di casa Boullet. Il suono ritmico dei loro passi sul selciato le solleticava le orecchie riportandola a giorni e momenti non così lontani e mai dimenticati. Quanto tempo era passato? Meno di un mese… si disse.
Meno di un mese dalla sciagurata notizia che aveva colpito la famiglia Boullet e la sua vita. Compromettendo irrimediabilmente il suo futuro di giovane promessa sposa. Era così bello, Serge, così allegro ed entusiasta della vita…
L’uomo al suo fianco avvertì la stretta farsi più serrata e posò una mano su quelle di lei.
-Qualcosa vi preoccupa? – domandò con la sua voce gradevole e profonda.
Eloise sollevò lo sguardo su quel viso solo vagamente familiare e sorrise mentre l’ombra che era scesa sul suo sguardo rimaneva ancorata nei suoi occhi scuri.
-Stavo solo pensando che sono molto contenta vi stiate riprendendo così in fretta. – mentì dissimulando i propri più tristi pensieri.
La pressione di quella grande mano sulle sue più piccole e bianche aumentò, così come il sorriso caldo di quello sconosciuto.
Eloise sentì una fitta al cuore. Perché non poteva dimenticare? Perché non illudersi come Madame? Perché non perdersi nella dolcezza di quello sguardo…Non giocare fino in fondo il ruolo della fidanzata e chiedere a quell’uomo alto, affascinante e di una bellezza  indiscutibile di consolarla, abbandonandosi  tra le sue forti braccia?
La comparsa nel cortile di due cavalieri distolse lo sguardo dell’uomo che agitando il braccio libero salutò i nuovi arrivati.
-Comandante Oscar! – esclamò riconoscendo la donna sul cavallo bianco.
Oscar e Alain si fermarono a pochi passi da loro e Serge allungò la mano afferrando le redini di Caesar.
A quel gesto, una strana espressione si dipinse sul suo volto. Un’espressione sorpresa dettata dall’inaspettata familiarità di quel gesto istintivo. Ma l’immagine di Oscar in abiti civili lo rapì al punto da distoglierlo da quello strano pensiero.
La forte luce di quello splendido pomeriggio, scivolandole sulle spalle, ne metteva in risalto la figura perfetta che, finalmente libera dalla costrizione della divisa, appariva in tutto il proprio splendore. Le spalle larghe e diritte, i fianchi snelli, il bavero della camicia bianca che le sfiorava il collo sottile  lasciato maliziosamente esposto.
Oscar salutò entrambi con un cenno del capo, sorpresa di trovarli in giardino ma distogliendo istintivamente lo sguardo dall’uomo che la rimirava fissamente, quasi imbarazzandola, e per un attimo si pentì di non indossare l’uniforme.
La voce di Alain la riscosse, portandola a corrugare immediatamente la fronte. Cosa si stava inventando?
Piegato in avanti fino ad appoggiarsi alla sella, lo sguardo acuto, intento a valutare positivamente i progressi dell’amico, sorrise:
-Vi trovo in ottima forma! – esplose, volgendo lo sguardo alla ragazza che stava al suo fianco, domandandosi quanto di quella “rinascita” fosse da imputare alla morettina dallo sguardo di fuoco.
Poi sollevò un sopracciglio, come colto da un’idea improvvisa.
-Immagino  vi farebbe bene un po’ di esercizio fisico… Magari con la spada! – azzardò sollevando un braccio e iniziando  una rotazione per poi fermarsi a metà. –Vi sfiderei volentieri. Ma come vedete, non sono al massimo splendore. –
Bugiardo! Pensò Oscar squadrando l’uomo che l’aveva affiancata fino a quella mattina in trincea, correndo da un compagno all’altro con l’ordine di continuare a proteggere i cittadini dalle possibili e improvvise aggressioni dei soldati parigini. Era in forma! Eccome se era in forma.
Ma l’idea portò Serge ad allargare il sorriso che la loro apparizione gli aveva stampato sulle labbra.
-Potrebbe sostituirvi il vostro comandate… Se le aggrada! – propose entusiasta.
Eloise tentò di replicare ma la risata di Alain, saltato improvvisamente a terra, la distolse, piccandola.
-Suvvia, mademoiselle! Un po’ di moto non potrà fargli che bene.- poi afferrò le redini di Caesar, strappandole dalle mani di Serge, e proseguì lanciando un’occhiata eloquente alla donna immobile sulla sella.
-Avanti, comandante. Un po’ di spirito di squadra… - la incitò.
Oscar chinò per un attimo il capo e il suo soldato sapeva bene che stava semplicemente tentando di contenere la rabbia. Poi lo risollevò ridendo, contagiata dall’ottimismo di Alain. Incoraggiata dallo sguardo speranzoso di Serge… Stimolata dal sole che le pizzicava piacevolmente la pelle trapassando la camicia leggera.
-Perché no! – acconsentì smontando.  
Serge, intanto, aveva già richiamato un valletto chiedendogli una spada.
Alain gli lanciò un’occhiata divertita.
E bravo Serge! Ridacchiò. Fosse stato un po’ più sveglio anche il nostro André, non ci troveremmo a questo punto…
-Se succede qualcosa a Serge – lo investì Eloise con uno sguardo fiammeggiante – Vi riterrò personalmente responsabile e chiederò la vostra fucilazione! – minacciò guardandolo dritto negli occhi.
Alain la pregò di scostarsi dal piazzale dove i due “ufficiali” si sarebbero sfidati e scortandola ai margini dello spiazzo, le ricordò lapidario:
-Sapete bene che quell’uomo non vi appartiene. –
Eloise ammutolì, sgranando su di lui due occhi scuri carichi di rabbia e profonda tristezza.
-E voi? Cosa mi dite di voi… - ribatté infine, sibillina.
Alain si addossò al tronco di un albero. Le braccia incrociate sul petto e lo stecchino tra le labbra piegate in un mezzo sorriso. Gli occhi socchiusi rivolti al centro dello spiazzo.
-Io mi limiterò a gustarmi lo spettacolo. Sono ottimi spadaccini, sapete?- mormorò lasciando cadere volontariamente  il discorso.
 
***
 
Aveva fatto in modo di allontanarsi dal piazzale… Affondando e ritraendosi… Conducendo il gioco tra l’ombra degli alberi secolari del parco… Uscendo così dalla visuale di chiunque fosse fermo ai margini dello spiazzo a guardare.
Ora, Serge si sentiva libero di godere dello spettacolo che aveva di fronte. Una bellissima donna bionda, affannata e immobile. In attesa. Solo il ritmico sollevarsi del petto a rompere la perfetta stabilità delle cose. Accaldata, scarmigliata, la camicia bianca in disordine e quello scollo un po’ scomposto che lasciava intravvedere più di quel che avrebbe dovuto. A poco più di due passi da lei, anche lui fermo e impegnato a riprendere fiato, per un attimo provò il desiderio di cancellare anche quella esigua distanza.
-Non sarete già stanco!- lo sfidò lei con la sua voce roca e sensuale, allungando la spada fino a sfiorare con la punta della lama gelata il suo collo sudato. Felice come la ragazzina che si era lasciata alle spalle. 
Lui sorrise. La gola spaccata dal respiro affannoso. E si lanciò nuovamente all’attacco di quel seducente bersaglio biondo.
Uno scarto improvviso e il piede inciampò in una zolla erbosa. Maledisse il difetto alla vista che ogni tanto gli rendeva difficile restare in equilibrio. Poi gioì.
Gioì di quell’incidente inatteso che lo portò addosso a lei, intrappolata tra il suo corpo muscoloso e il tronco ruvido di un albero.
La distanza era stata annullata e in quel pomeriggio di fine luglio, un incredulo ed estasiato Serge Boulet si ritrovò a respirare il profumo della pelle del biondo comandante dei soldati della Guardia come fosse la cosa più naturale del mondo.
Il calore che emanava dallo scollo della sua camicia era inebriante. I volti vicini, i respiri intrecciati che scivolano gli uni dentro quelli dell’altro e gli sguardi allacciati. Le labbra dischiuse di Oscar erano un invito irresistibile. Lo sguardo ammaliato di Serge, una promessa.
Sollevandosi quel tanto che bastava affinché potesse respirare, Serge restò addossato a lei, esigente. Un braccio appoggiato all’albero, fino al gomito e l’altro abbandonato lungo il fianco a trattenere la spada la cui punta era conficcata nel terreno erboso.
Possibile, si domandò, provare una tale attrazione per quella donna? Anelare il suo profumo, il suo respiro, i suoi occhi blu?
Accorgersi del desiderio di lei, che la portava a stringere impercettibilmente le palpebre, gli strappò un sorriso di orgoglio soddisfatto… Avvertire il battito accelerato del suo cuore, il respiro corto far affiorare ritmicamente la curva appena accennata del suo seno candido celato ai suoi occhi dalla stoffa di quella camicia… Si umettò le labbra.
Eloise… pensò e si sentì colpevole.
Oscar, paralizzata tra l’albero e quel corpo maschio e vibrante, un corpo che aveva conosciuto una volta e una volta soltanto ma che non aveva dimenticato, impresso com’era nella memoria, negli occhi, in ogni terminazione nervosa delle sue mani e nei suoi sensi tutti, provò l’irresistibile tentazione di toccarlo.
Esitante, allungò le dita fino a sfiorargli il petto che la camicia lasciava generosamente scoperto. E quel contatto la scaldò.
-André…- emise in un soffio impercettibile, senza mai distogliere lo sguardo da quello intenso e febbricitante di lui nel quale da un momento, se ne era accorta,  era calata un’ombra che non aveva saputo decifrare. Quante volte, pensò, ci siamo sfidati a duello… Quante volte siamo stati così vicini. Possibile che io non abbia mai colto la tua sofferenza? La tua esigenza? 
Improvvisamente, l’uomo le affondò una mano tra i capelli morbidi e setosi, trovando la sua nuca e aggrappandosi  ad essa. Poi scivolò con il viso nell’incavo del suo collo caldo e pulsante.
Oscar avvertì un tuffo al cuore. E solo allora si accorse che Serge stava lentamente ma inevitabilmente scivolando a terra, in ginocchio davanti a lei. La mano destra, ora libera dalla spada, stretta all’altezza degli occhi.
-La testa! – biascicò l’uomo. – La mia testa! – ripeté in un lamento struggente che cancellò in un istante tutte le emozioni che li avevano coinvolti.
Oscar si inginocchio a sua volta cercando di sorreggerlo. Poi decise di aiutarlo a stendersi e si sedette al suo fianco. La schiena nuovamente addossata al tronco dell’albero, le ginocchia piegate e le braccia abbandonate sull’erba, cercando di fermare il battito tumultuoso del proprio cuore.
Tornato a respirare regolarmente, Serge ancora supino, volse la testa e lo sguardo alla donna che gli sedeva accanto.
-Perdonatemi, Oscar… - mormorò con un sorriso dolce e imbarazzato. –Non devo aver fatto una buona figura ai vostri occhi. – continuò, omettendo di specificare cosa intendesse e per quale dei momenti appena vissuti chiedesse venia.
Oscar volse altrove lo sguardo.
-Forse abbiamo esagerato. – rispose rimanendo anche lei sul vago. –Meglio tornare alla villa. Ci staranno cercando. – si sollevò spolverando i pantaloni sporchi di erba e foglie. Trattenendo il tremore che le percorreva braccia e gambe. Ricordando con un moto di fastidio e di rabbia le tante occasioni che li avevano visti, come in quel momento, nascosti agli occhi del mondo, complici e sereni. Chiedendosi quando quella serenità avesse abbandonato il cuore e gli occhi del suo amico di sempre.
Ancora a terra, lui le afferrò una mano, trattenendola.
-Promettete che tornerete a trovarmi. – disse.
Più tardi, cavalcando furiosamente verso Parigi, ricordandosi di quello sguardo, Oscar si domandò cosa l’avesse trattenuta, a quel punto, dal gettarsi tra le sue braccia e baciarlo…
 

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Capitolo 11
*** Diluvio ***


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Capitolo 11 – Diluvio
 
Eloise indugiò con lo sguardo sul volto dell’uomo sdraiato sul letto. Bellissimo. Finalmente addormentato. Esitò, poi gli sfiorò la fronte con il dorso della mano.
Un tocco leggero, attenta a non svegliarlo.
Era fresca. La febbre si era finalmente abbassata.
Con dita tremanti scostò le ciocche di capelli scuri che gli coprivano parte il viso.
Si alzò e allontanandosi dal letto, raggiunse la grande finestra che dava sul balcone e si aggrappò alla tenda raccolta sul lato sinistro del telaio. Strinse con forza le dita sul tessuto prezioso, portando l’altra mano alle labbra. Voltandosi, lanciò un’ultima occhiata al proprio fidanzato, scivolando sulla sagoma perfetta che seriche lenzuola chiare non riuscivano a celare completamente ai suoi occhi.
Tornò con lo sguardo alla vetrata e aprì le imposte con entrambe le mani, uscendo finalmente all’aria della sera. Un’aria calda, come caldo era stato tutto il pomeriggio.
Fissò lo sguardo lontano, oltre il cortile di casa Boullet, oltre la strada e la campagna circostante, fino a lambire l’ipotetico profilo della città. Parigi!
Appoggiandosi alla balaustra, sollevò il capo, chiudendo gli occhi stanchi e inspirò profondamente,  poi  si si volse ancora indugiando sull’interno della stanza.
Quell’uomo avrebbe riacquistato la memoria, prima  o poi. E a quel punto?
Tornò a fissare l’orizzonte.
A quel punto, niente avrebbe potuto impedire il suo ritorno a casa De Martin. Nulla l’avrebbe più tenuta lontana dal proprio destino, risparmiandole di  assoggettarsi al volere della famiglia.
Quella donna! pensò.
Era consapevole di quanto fosse fortunata, quella donna? Crescere come un uomo, comportarsi e soprattutto decidere come tale. Amare e ritrovare l’uomo che amava… Ma se davvero lo amava, come il suo istinto le aveva detto fin dal primo momento, perché non riprenderselo? Perché accettare quella situazione assurda? Addirittura lasciarlo alle cure di un’altra?
Stupida donna! sbottò tacitamente.
“Sapete bene che quell’uomo non vi appartiene” . La voce irritante di quel soldato le risuonò improvvisamente nelle orecchie. Dissimulò il moto di stizza con un mezzo sorriso sarcastico. Davvero? Pensò. E a chi apparteneva, allora? Forse a lei?
No! Se non se lo fosse meritato… E questo doveva ancora dimostrarlo!
Il lamento indistinto che giunse dalla stanza interruppe i suoi pensieri. Sollevando le gonne si precipitò all’interno, lasciando le finestre aperte su quella serata particolarmente afosa.
Avvicinandosi al letto, afferrò le parole che sfuggivano confuse dalle labbra dell’uomo.
-Oscar…- mormorava stringendo le lenzuola. –Oscar… -
Eloise serrò le labbra. Gli sfiorò la fronte con la mano e questa volta avvertì un leggero calore.
Quella febbre! Quella febbre improvvisa aveva un’unica spiegazione: lo sforzo eccessivo del pomeriggio! Perché ostinarsi a duellare in cortile?
Dannata donna! sibilò tra sé.
Presa la pezzuola di stoffa dal catino sistemato accanto al letto, la immerse nell’acqua fredda e deterse delicatamente prima la fronte poi il collo dell’uomo. 
Un brivido impercettibile lo riscosse e un lieve sorriso gli aleggiò sulle labbra.
Risoluta, la giovane donna raggiunse lo scrittoio e intingendo la punta della penna nell’inchiostro,  tracciò veloce qualche riga ordinata su un foglio immacolato.
 
***
 
Alain affrontò le scale un gradino alla volta. Così come gli aveva imposto la padrona di casa.
La mattinata trascorsa con i compagni, a pattugliare le strade di Parigi, al seguito di Bernard lo aveva stancato. Il malumore che aleggiava nell’aria e che ogni tanto esplodeva in una qualche contestazione o nel chiaro dissenso con le decisioni prese dalla monarchia cominciavano ad annoiarlo. Così come quel sottile equilibrio che tutte le fazioni in gioco tentavano di mantenere, consapevoli, tuttavia, che il tappo era stato tolto! Perché non riconoscerlo, allora?
Temendo di non ottenere il risultato voluto, il comandante Oscar aveva deciso di tacere a Bernard i propositi terroristici di Saint Just, leader amato dal popolo che si faceva incantare e infiammare dai suoi comizi. Aveva preferito pianificare con i propri uomini un piano di ronda e picchetto in grado forse di garantire l’incolumità dei personaggi di spicco del fronte rivoluzionario e la notifica quasi immediata sulle mosse di quel cane sciolto.  
Raggiunto il piano, Alain si lasciò andare contro la parete esterna della camera di Oscar, incrociò le braccia sul petto e fece roteare lo stecchino tra le labbra prima di sollecitarla ad uscire.
-I cavalli sono pronti, comandante. – l’avvisò. Gli occhi socchiusi a cogliere gli arabeschi misteriosi della carta da parati sulla parete di fronte.
Il silenzio che ricevette in risposta, lo portò a staccare le spalle dal muro e da affacciarsi sulla soglia.
Sprofondata nell’ormai abituale poltrona, Oscar sembrava dormire. La testa reclinata all’indietro, una mano stretta ad un bracciolo e l’altra abbandonata lungo il fianco, quasi a toccare terra. La stessa mano stringeva un foglio di carta.
-Comandante… -
Oscar aprì gli occhi ma non si mosse.
-Non oggi, Alain… - disse. – Riporta pure indietro i cavalli.- concluse.
-Ma… - la replica di Alain fu bloccata sul nascere da un gesto secco di lei.
-Non protestare. –
Raddrizzandosi in tutta la propria imponente figura, Alain inspirò fragorosamente e batté i tacchi sciorinando un sorriso sprezzante e un ironico saluto militare. Voltandosi con un grugnito di disapprovazione, scese con passo pesante le scale senza nascondere la rabbia che aveva in corpo.
 
***
 
Pioveva a dirotto.
Seduto  in poltrona di fronte alla finestra del salottino al piano terra, Serge guardava l’acqua scendere copiosa e aggressiva spazzare il cortile e i giardini di casa Boullet.
L’ora di cena era appena passata e dopo qualche minuto trascorso in compagnia, madame Boullet si era ritirata portandosi in camera il ricamo che stava finendo.
Lui ed Eloise erano rimasti soli.
-Oggi non è venuto… - mormorò lui, lo sguardo a cogliere le sagome indistinte offuscate dall’acqua.  
Le dita di Eloise, ferma in piedi dietro di lui,  gli sfiorarono una guancia. Un gesto che lo fece quasi sussultare.
Pregò che la donna non se ne fosse accorta.
-Di chi stai parlando? – domandò lei, fingendo di non conoscere la risposta.
-Oscar, il soldato blu… Oggi non è passata a trovarci. –  Serge continuò a fissare un punto indefinito oltre la vetrata della stanza. Pentendosi di aver parlato, e forse ferito, quella ragazza bruna tanto amorevole e paziente. Ma come poteva negare, almeno a se stesso, di non provare nulla per quegli occhi bruni e di desiderare invece due occhi blu che lo facevano fremere al solo pensiero di incontrarli?
Improvvisamente, quasi a chiedere perdono,  sfiorò una delle mani che lei ora teneva appoggiate  sulle sue spalle e lei sussultò impercettibilmente a quel contatto. A quella carezza ferma ma al contempo gentile.
-Non è necessario che venga tutti i giorni. – mormorò con tono soave. -  Avrà altro da fare… il tuo soldato blu. – concluse premendo leggermente le mani sul petto di lui, decidendo di godere per un istante del calore che quella grande mano, ancora appoggiata sulla sua, le trasmetteva.
L’uomo represse un sospiro deluso e non rispose, non avvedendosi di quegli occhi blu che, nel buio, cercavano disperatamente il suo sguardo.
 
***
 
-Oscar! Comandante Oscar! – la voce di Alain sovrastò lo scrociare dell’acqua scuotendola come avrebbe fatto un tuono improvviso da quello strano senso di torpore.
Si volse. E guardando attraverso la pioggia,  nella direzione da cui proveniva il rumore di zoccoli al galoppo,  lo vide.
Strappandosi il mantello con un gesto secco,  il soldato della Guardia la superò lasciando che il drappo le cadesse sulle spalle inzuppate, poi tirò le redini perché il cavallo si fermasse e impennandosi tornasse sui propri passi.
Smontato di sella, Alain trattenne le briglie con una mano mentre con l’altra sistemò il mantello attorno alla fragile figura di quella donna incosciente.
Oscar, i capelli appiccicati sul viso, fradici, gli rivolse un’occhiata sgomenta.
Alain l’afferrò con rabbia, sollevandola di peso e caricandola sulla groppa di Caesar fermo accanto al cancello dei Boullet in attesa.
-Siete in grado di cavalcare?- le domandò con un ruggito.
Al cenno affermativo di lei, montò in sella e afferrando rabbiosamente Caesar per le redini ripercorse al galoppo la strada verso Parigi.
 
***
 
Avvolta in una coperta calda e asciutta, Oscar occupava la solita poltrona in fondo alla stanza. L’allegro crepitio delle fiamme ravvivava l’ambiente e le sue guance pallide, proiettando ombre irriverenti sulla parete alle sue spalle.
Aveva smesso di piovere.
Oscar, stremata dal lungo attacco di tosse che le aveva squassato dolorosamente il petto, se ne stava quasi raggomitolata in quella coperta morbida come stretta nell’abbraccio che avrebbe voluto ricevere. Tra le mani, stringeva una bottiglia di vino rosso e tra le ciglia, quelle che, a prima vista, sembravano lacrime.Dormiva.
Alain se ne accertò poi, sfilandole la bottiglia di mano, si accorse di un dettaglio che non aveva visto prima. Stretto tra le braccia, appoggiato sul cuore, Oscar teneva il diario di André.
Sussultò.
Imponendosi di non svegliarla, si impadronì di quel libretto consunto. La guardò. Fragile e sola. Pallido riflesso del comandante che conosceva.
Serrò la mascella e accennando un saluto che lei non avrebbe mai potuto vedere, si allontanò lasciando quella stanza e quello che racchiudeva.
 
***
 
La disperazione di Oscar era tangibile e incontenibile. Rosalie arretrò sulla soglia lasciando passare Alain, richiamato al piano di sopra dalla confusione che era seguita al risveglio del comandante.  Certa che la figura imponente del soldato l’avrebbe calmata, la donna si ritirò di buon grado in attesa del marito impegnato nella solita riunione notturna.  Ma quando Oscar si trovò davanti l’espressione beffarda del soldato della Guardia, la disperazione si trasformò rapidamente in rabbia.
-Dov’è! – lo aggredì con lo sguardo, mentre ancora rovistava tra le pieghe della coperta scivolata ai suoi piedi.
Il fuoco del camino si era quasi spento e la luce soffusa delle poche fiamme rimaste non erano sufficienti a rischiarare l’ambiente.
-E’ tornato al suo legittimo proprietario. – affermò lui confermando i sospetti di Oscar su una sua presunta responsabilità. 
Lei si immobilizzò. Soppesò la figura mai così severa di Alain e le sue parole. Le aveva strappato il diario, l'unica cosa che la legava ancora ad André, e l'aveva portato lontano? Lo aveva portato a casa Boullet? Perché, si domandò, perché le aveva fatto una cosa del genere. Come si era permesso!
-Non so nemmeno cosa c'è scritto... - decretò, incredula, tra i denti. 
Poi, attraversò la stanza come una furia e si preparò a colpire.
Lo schiaffo raggiunse Alain in pieno volto. Lui non reagì.
Massaggiandosi la mascella, prima sorrise, poi rise di gusto. Amaramente.
-Quando volete, siete proprio una donna! – affermò sarcastico.
Oscar sembrò voler sferrare un secondo colpo, ma lui la prevenne afferrandole il polso.
-Sono stanco di farvi da zerbino! – disse sostenendone lo sguardo e morendo subito dopo aver pronunciato quelle parole.
Parole che sortirono l’effetto desiderato.
Una scossa.
Forse più appropriate di qualunque altra frase di circostanza o di connivenza.
La resistenza di Oscar si attenuò e Alain lasciò libero il suo polso.
Il braccio di lei torno a stendersi lungo il fianco. A capo chino, gli occhi sgranati puntati al  pavimento della stanza, mormorò:
-Perdonami Alain… -
Senza parlare, l’uomo l’afferrò trascinandosela addosso. Circondandole le spalle con un braccio.  Stringendosela al petto. Domandandosi se il comandante avrebbe prestato attenzione al  battito accelerato del suo cuore.
-André è vivo, comandante… - mormorò appoggiando le labbra ai suoi capelli dorati. – Capisco come vi sentite… Ma credete davvero che dimenticherebbe l’amore che ha provato per voi per una vita intera? – continuò con uno sforzo,  sollevando il capo da quello di lei, allontanandosi dal suo profumo inebriante.
-Dimostrategli che non ha solo perso del gran tempo… - concluse.
Ma non appena avvertì i primi singhiozzi scuoterle lievemente le spalle, intensificò quell’abbraccio che doveva essere cameratesco e continuò, fissando un punto imprecisato sulla parete di fronte:
-Sfogatevi, comandante… Sfogatevi liberamente – si fermò, ma solo per abbassare lo sguardo su quella donna fragile e piegare le labbra in un sorriso dolce e consolatore che lei non avrebbe mai visto perché ancora sprofondata nel suo petto largo e accogliente.
Allora, la mano che l’avvolgeva in quell’abbraccio fraterno risalì fino a sfiorarle il capo e cominciò a carezzarle i capelli. Lentamente. Come una nenia silenziosa.
-Adesso, forse, capirete meglio quello  che ha passato il nostro povero André. – proseguì, trovando un appiglio nel nome dell’amico. – Sfogatevi mio comandante… - ripeté – Ma dopo, andate a riprendervi il vostro uomo. –
Fatelo! Pensò. E fatelo in fretta.
Chiuse gli occhi, appoggiando nuovamente le labbra alla testa di lei.
-Grazie Alain… - mormorò Oscar dal profondo di quella stretta. – Sei un vero amico. -  concluse.
Alain piegò nuovamente le labbra in un sorriso, e ridendo tra sé, maledisse  per una volta la propria innata lealtà…

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Capitolo 12
*** Brividi ***


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Capitolo 12 - Brividi
 
 
 
La pioggia che aveva mondato Parigi per due lunghi giorni si era lentamente asciugata in un sole pieno e brillante. Il cielo, di un azzurro profondo e luminoso, sovrastava una città pronta a svegliarsi.
Impegnata con Bernard e alle prese con la complicata situazione dei propri uomini, accolti in blocco nella Guardia Nazionale guidata da La Fayette, Oscar si era presa quella che Alain aveva definito “ una pausa di riflessione”.
Al suo fianco, l’uomo percorreva a cavallo il breve tratto di strada che ancora li separava da casa Chatelet, gli occhi socchiusi alla luce del mattino a cogliere ogni sfumatura del proprio comandante. Era bella, Oscar, lo era sempre stata. Forte e fragile, sorrise, Alain.  Averla avuta sotto agli occhi fino a quel momento e non averla mai guardata, accontentandosi del riflesso impresso nello sguardo di André. Ora che quel riflesso era scomparso, Oscar si era finalmente mostrata ai suoi occhi nocciola per quello che era, per la straordinaria e più cocciuta creatura che mai avesse incontrato. La rabbia era scivolata via, spazzata dalla pioggia, lasciando al suo posto una rinnovata complicità.
Fischiò, attirando involontariamente l’attenzione del comandante.
Cancellando i propri pensieri e turbamenti con una risata, Alain si portò una mano dietro la nuca e la superò raggiungendo per primo le stalle improvvisate, nei pressi di quella che stava diventandogli ormai familiare come la propria casa.
Rosalie li accolse sulla soglia.
-Madamigella Oscar! –,  richiamò – C’è una visita per voi. –
Oscar represse un lieve sussulto ma ad Alain non sfuggì l’esitazione del suo passo. Certo di aver colto il suo pensiero.
Introdotti nel salotto al piano terra, riconobbero uno dei valletti di casa Boullet.
Delusione mista a sollievo passò rapace sui loro volti.
L’uomo, ignaro del turbamento che aveva procurato, riportò l’invito di Monsieur Boullet e terminò l’ambasciata chiedendo informazioni sulla salute della donna.
-Vi prego di volermi comunicare la vostra risposta, Madamigella. Monsieur Boullet mi ha chiesto espressamente di attendere la vostra conferma. –
Conferma? Alain sollevò un sopracciglio, passando con lo sguardo dal valletto a Oscar.
-Ditegli che accetto volentieri e che ho apprezzato molto il suo interessamento. –  rispose lei con voce ferma mentre con lo sguardo abbassato sui guanti che stava elegantemente sfilandosi sembrava intenta a non lasciarsi sfuggire nemmeno una cucitura. In realtà era  impegnata a nascondere il rossore che sentiva aggredirle le guance.
Inchinandosi, l’uomo prese commiato pronto a lasciare Parigi, seguito fin sulla porta  dallo sguardo attento di Alain e dalla padrona di casa.
Una volta soli, il soldato, comodamente appoggiato alla mensola del camino come suo solito nonostante i rimbrotti di Rosalie, sfilò da una tasca l’ennesimo stecchino e lo introdusse tra le labbra dischiuse.  
-Certo che si è abituato in fretta a fare il signore, il nostro soldatino! – ridacchiò  in tono beffardo. – Non sarà facile fargli perdere questi brutti vizi! -  
Oscar si costrinse a non guardarlo negli occhi. Sapeva che la stava mettendo alla prova e decise di ignorarlo.
-Rosalie -, pregò invece rivolgendosi alla signora Chatelet - Vorrei fare un bagno, se non ti dispiace. – espresse slacciando il colletto della giubba impolverata e avvertendo il sapore di terra tra le labbra sottili.
Rosalie si accese di un sorriso malizioso, iniziando una spola dalla cucina alla sala da bagno, mentre Alain, represso un sussulto,  girò sui tacchi, annunciando che si sarebbe occupato dei cavalli.
-Non attardarti, Alain… - lo apostrofò Oscar, ignara di averlo messo lei stessa alla prova . - L’invito a cena di questa sera comprende anche te. –
Alain volse appena la testa fino a scorgerla con la coda dell’occhio. Le labbra piegate nel solito sorrisetto sarcastico.
-Pensate di avere bisogno di me, stasera,  comandante?- domandò con un pizzico di malizia.
Oscar non rispose subito, fissando quella figura imponente. Quelle spalle larghe e forti tra le quali aveva trovato un fraterno conforto.
-Sì. – ammise.
Alain accentuò il sorriso, spinto da qualcosa che gli partiva dal centro dello stomaco. Affondò le mani in tasca e si portò baldanzosamente sulla porta.
-Come se fossi già qui! – affermò.
 Indurla ad ammettere di avere bisogno di lui era stato sciocco, ma le sue parole lo avevano riempito di orgoglio.
Stupido! Stupido testone! Si disse appena uscito dal campo visivo di Oscar e incrociando Rosalie, con il suo carico di sali da bagno, profumi e asciugamani, le rubò una pezzuola rispondendo con un cenno della mano alle sue veementi proteste.
 
***
 
Nell’intimità della stanza da bagno, sprofondata in una vasca d’acqua calda, Oscar teneva gli occhi chiusi. Le braccia sollevate all’altezza delle spalle e appoggiate sul bordo tiepido. Avviluppata dalla volute di vapore che scaldavano la pelle esposta all’aria.
I pensieri continuavano a condurla là dove si era fermato anche il suo cuore. Casa Boullet.
L’invito di Serge era tanto inatteso quanto gradito. Che avesse letto il diario? Che fosse emerso qualcosa da quelle pagine capace di scuotere la sua coscienza?
Un brivido improvviso le percorse le spalle e istintivamente si eclissò nell’acqua ancora tiepida. Riemerse, passandosi le mani sul viso e sugli occhi che erano stati così gonfi. Si poteva piangere tanto?
Per un attimo avvampò al pensiero di quanto dovesse essere apparsa fragile agli occhi di Alain. Ma l’imbarazzo passò in fretta perché quell’uomo era riuscito là dove tanti avevano fallito. Si era avvicinato al suo cuore stanco e malato e lo aveva curato.
Il rude Alain, ridacchiò ricordando il loro primo incontro… Quando si era trasformato nel migliore amico che un uomo potesse desiderare? Quante cose non sapeva su Alain… Quante non ne sapeva ancora su André, nonostante il tempo trascorso insieme…
Si levò in piedi, emergendo dall’acqua come una dea. Avvertendo un piacevole fremito nell’ esporsi all’aria fresca della stanza e le gocce d’acqua rincorrersi su quella pelle nuovamente levigata e pulita.
Pensò istintivamente ad Eloise, sempre così perfetta… Che Serge avesse… No!
Afferrò gli asciugamani che Rosalie aveva appoggiato sulla toletta accanto alla vasca e si avvide delle iniziali ricamate negli angoli. Aggrottò la fronte.
Rosalie, Eloise… Due perfette padrone di casa. Due donne pienamente consapevoli della propria femminilità. E lei? Era mai stata consapevole del suo essere donna, lei? Domanda sciocca!
Per un attimo di sentì inadeguata.  Poi, dalle volute di vapore, emerse finalmente la sua coscienza che dal centro dello stomaco si riversò in gola in un’emozione che parve strangolarla.
Lei era Oscar. Nient’altro che Oscar…
  
***
 
Rosalie depose delicatamente la giacca blu sullo schienale della poltrona. Sfiorò con le dita i ricami dorati, i bottoni e i fregi arabescati che ne caratterizzavano il davanti. Poi le mostrine e le medaglie.
Sospirò. Ma non aveva rimpianti. Solo gratitudine nei confronti di quella donna straordinaria. Aprire a lei e a quello strampalato di Alain la propria casa non era stato  che un modesto “risarcimento” per tutto quello che Oscar aveva fatto in passato. Sperò sinceramente che quella donna tornasse a sorridere. E questo sarebbe stato possibile solo se André fosse tornato al suo fianco.
Lanciò un’occhiata dalla finestra. La piccola carrozza scura che Alain aveva procurato chissà dove e chissà come, insistendo per mettersi a cassetta stretto nell’immancabile uniforme blu,  aveva inghiottito Oscar e tutte le sue aspettative.
Sospirò nuovamente… Se solo avesse indossato l’abito che aveva scelto per lei…
 
***
 
Il leggero ondeggiare della carrozza cullava la ridda di pensieri che le affollavano la mente, rimettendoli ordinatamente al loro posto.  Ma quando la vettura si fermò, Oscar non poté trattenere un sussulto. Erano già arrivati? Si sporse dal finestrino, riconoscendo il tratto di strada che aveva percorso tante volte, negli ultimi giorni. Casa Boullet era in vista, ma non ancora abbastanza vicina. Perché si erano fermati?
Nemmeno il tempo di richiamare Alain, seduto in cassetta, che lo vide  aprire lo sportello della piccola carrozza e occuparne l’abitacolo.
Immobile di fronte a lei,  leggermente piegato in avanti, Alain la fissava in silenzio.
-Solo un momento comandante. - rispose alle sue tacite domande,  continuando a fissarla. Poi aggrottò la fronte e un attimo dopo dilatò lo sguardo come colto da un’idea improvvisa.
-Aspettate! – disse. E sollevate  entrambe le mani,  le portò all’altezza della sua scollatura.
Oscar si ritrasse istintivamente, addossandosi allo schienale del sedile,  ma in quello spazio angusto, la sua ritrosia non poté nulla contro la decisione dell’uomo.
Le dita afferrarono, allargandoli, i laccetti che stringevano i lembi dello scollo. Con gesti sapienti, cercarono e si fecero strada tra la stoffa in eccesso, sfiorandole accidentalmente il seno. Un lavoro capace e paziente  modificò l’apertura facendo affiorare la pelle bianca di lei.
Oscar raddrizzò le spalle, attraversata da un brivido.
-Ecco, così va decisamente meglio – mormorò lui, la voce roca,  rimasto con le mani a mezz’aria e  un sorriso che stentava ad imprimersi sulle labbra.
Rapido come era entrato, Alain sgattaiolò fuori dall’abitacolo prima che lei potesse reagire e fermandosi nel quadro della porta, sciorinò il saluto militare. – Con tutto il rispetto, comandante. Ma siamo qui con una missione precisa. – affermò chiudendo lo sportello.
E accidenti a voi, con quella camicia stretta al collo non ci saremmo mai riusciti!
Scherzare. Dissimulare il turbamento con il sarcasmo e le solite battute sagaci. Tutt’altro che facile. Dopo aver giocato con quella scollatura e aver lanciato uno sguardo impertinente al risultato ottenuto.
Tornato in cassetta, inspirò profondamente e, cercando di controllarsi,  lanciò i cavalli al galoppo.
 
***
 
 -Mademoselle Oscar François de Jarjayes e Monsieur Alain de Soissons!-
Alain sollevò un sopracciglio, superando con una falcata il valletto che li aveva annunciati e seguendo il comandante all’interno del salottino.
Al loro ingresso, Serge si alzò dalla poltrona stagliandosi, in tutta la propria altezza, contro la vetrata che dava sul cortile, tra Madame ed Eloise ferme al suo fianco. L’ampia camicia bianca, incrociata morbidamente sul petto ampio e robusto.
-Oscar! – la accolse avvicinandosi alla donna apparsa sulla soglia, fasciata in aderenti pantaloni verdi e carezzata da una fluttuante camicia dalla scollatura generosa.
Non c’era delusione nel suo sguardo, constatò Oscar in dubbio fino all’ultimo sull’abito da indossare, ma una decisa ammirazione.  E avvertì un brivido quando colse proprio quello  sguardo  scendere e indugiare subito sotto al mento, scivolare lungo il suo collo e insinuarsi compiaciuto nell’apertura dello scollo.
La piega leggera che increspò un angolo delle sue labbra, le disse che la mossa di Alain era stata apprezzata.
Alle sue spalle, il soldato dissimulò una risatina tra due colpetti di tosse, distraendola e distogliendo la sua attenzione dal  rapido movimento di Serge che le prese elegantemente una mano sfiorandone il dorso con un bacio. Il fremito di lei a quel contatto si trasmise alle labbra di lui.
-Ho dovuto mandarvi a chiamare… - la rimproverò l’uomo con voce ferma, sollevando su Oscar uno sguardo magnetico.
Lei avvertì l’implicita richiesta di una spiegazione in quella frase apparentemente “scherzosa”. Scambiò un’occhiata con Eloise, ancora ferma dove Serge l’aveva lasciata.
Era bellissima, esaltata dall’abito verde che ne metteva in luce le forme armoniose. I capelli scuri, liberi da ogni costrizione, le incorniciavano il viso, scivolando lungo la linea del collo giù fino alla vita.
Riportando lo sguardo in quello di Serge, fermo di fronte a lei, in attesa di quella risposta chinò leggermente il capo.
-La delicata situazione di Parigi mi ha trattenuta in città. – si scusò.
Eloise mosse impercettibilmente le labbra, serrandole. Colpita dalle parole della donna. Sarebbe stato facile imputarle la colpa di quella forzata lontananza. E invece…
Madame Boullet colse l’occasione per chiedere aggiornamenti sulla situazione cittadina, sorprendendosi di quanto Oscar e Alain le riportarono.
-Molte famiglie nobili stanno lasciando la città, Madame… - rimarcò Eloise. –Preferendo raggiungere i possedimenti a nord. – continuò. – Non è così, comandante? – si rivolse direttamente ad Oscar argomentando il discorso che si era protratto fino al termine della cena.
Oscar annuì.
-Il timore diffuso di piccole ribellioni e ritorsioni, nei confronti delle famiglie più abbienti, sta portando nobili e aristocratici ad allontanarsi. –
Rabbuiato da quei discorsi che poteva capire solo a metà, Serge invitò tutti a trasferirsi di nuovo nel salottino, liberando la sala da pranzo.
Facendo strada vi entrò per primo e dirigendosi alla finestra aprì  le ante che davano sul cortile.
L’aria fresca della sera lambì la pelle accaldata di Oscar, ferma a qualche passo da lui ad osservarne la figura slanciata. Le dava le spalle, le braccia aperte a trattenere le ante spalancate. Inspirava l’aria a pieni polmoni.
Poi l’uomo si volse.
-Vorrei parlare con voi, Oscar. – disse fissandola negli occhi. E rivolgendo uno sguardo all’uomo che sempre l’accompagnava continuò. –Con permesso, Alain. –
Il soldato sostenne il suo sguardo fermo, avvertendo un brivido corrergli lungo la schiena. Lo stesso brivido che lo aveva percorso qualche sera prima quando, piombato fradicio in casa Boullet, aveva preteso di parlare direttamente con lui pregandolo di accettare il diario che gli aveva portato e di leggerlo attentamente. Annuì, stranamente imbarazzato dal riguardo che  aveva mostrato nei suoi confronti.
Con un cenno ad Eloise, Serge si accomiatò anche dalla fidanzata e sospinse  Oscar in cortile guidandola con una mano appoggiata  sulla schiena all’altezza della vita.
 
***
 
Pur senza allontanarsi troppo, per godere del bagliore proveniente dalla casa, i giardini offrivano un fresco e piacevole rifugio. E per la seconda volta, un delizioso riparo dagli sguardi indiscreti…
Oscar avvertiva la presenza di Serge alle proprie spalle, qualche passo più indietro. Il suono del suo incedere ritmico sul selciato era inconfondibile. In silenzio, aspettava che l’uomo parlasse, cercando di tenere la mente sgombra dai pensieri. Troppi potevano essere gli argomenti che avrebbe voluto trattare dopo aver letto il diario al quale non aveva ancora fatto riferimento.
-Quando ho visto la carrozza… - iniziò lui con tranquillità. – Mi sono chiesto chi ne sarebbe sceso -
Oscar si arrestò e si volse e i passi di lui si fermarono con lei, così come il rumore di quei sassolini smossi sotto la suola delle scarpe.
-L’ufficiale… o la demoiselle. – sorrise lui guardandola fisso negli occhi.
Oscar sollevò un sopracciglio:
-E chi avete visto? – domandò la donna, carezzando l’aria della sera con li timbro affascinante della sua voce roca.
Gli occhi di Serge brillarono.
-Oscar. – rispose, accentuando il sorriso e sostenendo il suo sguardo – Semplicemente, Oscar… - concluse.
Oscar raddrizzò le spalle, cercando di scrollarsi di dosso un  vago senso di imbarazzo. La stava corteggiando? Non era mai stata corteggiata.  Così come non aveva mai affrontato certi discorsi con André.
Arrossì involontariamente. Quella notte, la loro unica notte, era impressa a fuoco nella sua memoria. Ne custodiva i ricordi gelosamente, avvertendoli prepotentemente riaffiorare sulla pelle al solo pensiero. Desiderando un riscontro, un ulteriore prova di tutte le sensazioni che l’avevano travolta e che André le aveva fatto inaspettatamente provare. Gliel’avrebbe chiesta, quella prova, se non fosse scomparso, quel quattordici luglio. Non a parole, forse, ma gliel’avrebbe chiesta… e invece. Oltre a quello non avevano avuto modo di condividere altro. Non ne avevano avuto il tempo. Neppure i pensieri, le sensazioni, i sentimenti che quella notte erano esplosi.
“Il corteggiamento è come una partita a carte” le aveva detto Alain. “Ti guardi negli occhi, giochi un po’ con l’adulazione, menti spudoratamente, ti sbilanci e poi ti ritrai. Fino a scoprire completamente le tue carte”
Stupido Alain!  Pensò e piegò istintivamente le labbra in un sorriso sarcastico, socchiudendo gli occhi e non accorgendosi così di apparire dannatamente e inconsapevolmente irresistibile.
Si volse, riprendendo a camminare, e dietro di lei sentì i passi di Serge seguirla con un’urgenza che prima non c’era.
-Ho letto il diario che mi avete mandato… - le disse.
Lei dilatò lo sguardo, senza fermarsi e scivolando tra i tronchi sottili degli alberi che costeggiavano il vialetto. Non voleva voltarsi, non ancora, temendo le proprie emozioni. Preferiva attendere il resto di quella confessione. Temeva quel momento. E al tempo stesso lo aspettava con ansia crescente.
Arrivata a casa Boullet, quella sera,  le era apparso chiaro come Serge fosse ancora presente, ma aveva colto nell’uomo una diversa tensione. Una tensione che adesso, forse, avrebbe trovato una spiegazione.
-Conoscete l’uomo che lo ha scritto? – domandò Serge inaspettatamente.
Oscar annuì.
–Deve aver sofferto molto. – affermò lui, ferendola.
Oscar non aveva idea di cosa fosse scritto in quel diario come non aveva idea che André ne tenesse uno. Forse più di uno…
-Per amore. Intendo. – continuò lui. –Sapete che parla spesso di una donna?-
Oscar sussultò, rallentando il passo ma non accennando a fermarsi.
-L’argomento principale dei suoi scritti. – riprese Serge, imperterrito. –Ha taciuto il suo nome. Forse per non comprometterla. Ma quella donna doveva essere speciale. -
-Non ne avevo idea. – rispose lei con un filo di voce, interrompendo quella sequela di battute dolorose.
-Mi sarebbe piaciuto conoscerla. – la trafisse l’ultima.
Oscar avvertì i passi di Serge fermarsi e, arrestandosi a sua volta, si volse. La fissava.
-Credo che un po’ vi somigli. – sostenne lui – Algida e bellissima, così appare agli occhi del mondo, eppure pronta ad accendersi di passione. – continuò. Ma prima di procedere lasciò che il silenzio ammantasse quelle parole dei più diversi significati.
Al corrugarsi della fronte di lei, Serge specificò:
-Non fraintendete… Lui la descrive come una leonessa fiera e capricciosa. Una forza della natura dolcissima, che si svela, giorno dopo giorno, al suo sguardo assetato. La luce del mattino e l’ultima stella che illumina la notte. -
Oscar avvampò, catturata dallo sguardo magnetico di lui. Si volse e riprese a camminare, furiosa e tremante. Consapevole che André non avrebbe potuto scrivere quelle parole dopo la loro notte insieme, a riprova del sentimento che nutriva per lei da sempre. La vista le si offuscò.
-Fermatevi, Oscar! – la richiamò  Serge afferrandole un braccio e costringendola a voltarsi di nuovo.
-Io e voi dobbiamo parlare… - disse spingendola con forza contro il tronco dell’albero più vicino.
Oscar dilatò lo sguardo, rivivendo la medesima scena di qualche giorno prima. Allora, involontaria conseguenza di un duello. Ora, dettata dalla consapevolezza e dalla decisione di un uomo carico di tensione. Ora come allora, il cuore sembrava volerle uscire dal petto, mentre i respiri scivolavano gli uni dentro quelli dell’altro. Ancora.
Trattenendola per un braccio, Serge sollevò la mano libera e prima con il dorso poi, man mano che scendeva, con il pollice, le sfiorò le gote, il mento,  il collo… seguendo il gesto delicato e voluttuoso con lo sguardo torbido di desiderio che quella donna gli evocava. Un desiderio trattenuto…
Il pollice si soffermò sull’incavo alla base del collo, sulle clavicole, sfiorando le stoffa leggera della camicia. Candida barriera che lo separava dalla pelle altrettanto candida ma calda di lei.  I volti tanto vicini da sfiorarsi in una danza di sguardi.
Oscar fu colta da un fremito.
-Avete freddo? Tremate… - mormorò lui sulle sue labbra. Lo sguardo sceso rapidamente là dove avrebbe potuto cogliere quello che un brivido di freddo avrebbe messo implacabilmente in evidenza.
Il leggero inarcarsi delle sue sopracciglia e la piega accentuata delle labbra, le dissero che inequivocabilmente che quel che temeva si era avverato.
Poi avvertì le sue labbra sfiorare inaspettatamente l’orecchio destro e lo sentì inspirare il profumo dei suoi capelli.
-Vedete? – le mormorò con il volto affondato tra quelle chiome bionde, provocando una serie di piccole vibrazioni sulla pelle vicino all’orecchio. –E’ di questo che dobbiamo parlare… - terminò scostandosi un poco da lei. Sforzandosi di non cedere al nuovo attacco di emicrania.
Dopo un attimo di silenzio, che concesse ad Oscar il tempo di riprendersi, Serge continuò:
-Non è corretto. Tutto questo non è giusto… per Eloise. – e mentre pronunciava il nome della fidanzata rimaneva incatenato agli occhi chiari di lei. – Come posso non sentire nulla per la mia fidanzata e fremere di desiderio al solo pensare a voi? – le sfiorò i capelli in una carezza – Ai vostri capelli, ai vostri occhi, al vostro respiro… - si distaccò completamente da Oscar lasciandola libera di sollevare la schiena dal tronco ruvido dell’albero, ma senza mai smettere di fissarla negli occhi, ora che una piega amara gli serrava le labbra.
Bellissimo e infelice, pensò Oscar racchiudendolo nel proprio sguardo. Possibile che fosse il suo destino? Il loro destino?
-Se c’è stato qualcosa tra noi… se siamo stati amanti, è il momento di dirmelo. – pregò lui ferendo con quelle parole il silenzio della notte scivolata improvvisamente tra le pieghe della sera.
Oscar impallidì.
Amanti? Amanti ai danni di Eloise? Era questo che pensava? Era di questo che si era convinto?
-Non posso credere di essere stato tanto ignobile da tradire la mia fidanzata… - mormorò in un lamento.
 -Ma devo credere ai vostri occhi, Oscar e a questo reciproco trasporto. –
L’ombra della notte avviluppava Oscar, trattenendola nel proprio abbraccio, e impedendo all’uomo di scorgere il fremito leggero delle sue labbra.
-Non sono uno stolto, Oscar! Non siete qui per un favore a un ufficiale caduto in disgrazia… né a un amico.  – continuò Serge impietoso. – Non è con quegli occhi che si guarda un amico… - decretò afferrandola per le braccia.
Istintivamente, Oscar volse il capo e lo sguardo per cercare conforto lontano da lui, ma la le sue mani le presero il volto costringendola a guardarlo:
-Oscar! Voi sapete di me più di quanto volete dirmi. – affermò. – Ma adesso, io vi prego di non tacermi nulla. –
 
 

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Capitolo 13
*** Sguardi ***


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Capitolo 13 – Sguardi
 
-Il tuo nome è André Grandier. Soldato della Guardia in forza alla mia brigata. E sei il mio uomo. –
La voce vibrante di Oscar saturò l’aria tra i loro respiri. Il suo sguardo, fermo, non lasciava adito a dubbi in merito alle parole appena pronunciate.
Serge alleviò la stretta alle braccia di lei senza tuttavia lasciarla andare.
Immobile, il mento leggermente alzato e proteso come in un’affermazione di se stessa e del proprio orgoglio, Oscar sembrava una statua estremamente sicura di sé. In realtà, tremava… Tremavano le sue labbra sottili, il suo cuore, le sue gambe.
Istintivamente, Serge la soffocò in un abbraccio ardente e liberatorio. Un braccio attorno alle spalle, una mano a stringere la nuca all’altezza del collo, come ad accoglierla completamente.
-André – mormorò lei in un soffio.
Lui la strinse ancora più forte.
-Ripetilo! Ripetilo ancora… - mugolò inspirando profondamente il profumo di quella donna capace di fargli perdere la testa. -Voglio crederti.  Voglio crederti Oscar… Ne ho bisogno. Altrimenti non potrei spiegarmi  tutto questo! – L’emozione spezzava la voce di quell’uomo alto e forte, mentre i loro corpi aderivano perfettamente come due parti dello stesso insieme.
Poi si staccò suo malgrado. Sciogliendo Oscar da quell’abbraccio assoluto.  Cogliendo la quasi impercettibile reticenza di lei a lasciarlo andare. Riportò lo sguardo nei suoi occhi lucidi. Aggrottò la fronte.
-Voglio crederti, Oscar… Ma ho bisogno di sapere… -
Lei annuì.
Rivelargli il suo nome… confessargli il loro passato… non era stato sufficiente a riportare a galla la sua coscienza sopita. Ne era consapevole. Un primo passo, forse, ma non la soluzione.
In poche parole gli raccontò gli ultimi avvenimenti e i motivi che avevano spinto Madame a sostituirlo alla figura del figlio prematuramente scomparso. 
-Quindi Eloise… -
Oscar scosse leggermente il capo, senza aggiungere  altro e André rispettò il suo silenzio.
-Ho ascoltato le tue parole, Oscar… - mormorò infine, con la fronte aggrottata. – Ma non è cambiato nulla. Non ricordo nulla. Questo lo sai. –
Oscar sostenne il suo sguardo. Parole, pensò, sono soltanto parole adesso per te.
-Quel diario… - domandò inaspettatamente André.
Lei annuì ancora. Non sapendo cos’altro aggiungere.
Lui strinse gli occhi, tra il sorpreso e l’interrogativo. Quelle pagine sofferte parlavano di un amore profondo e non corrisposto. Mentre lei lo aveva definito il “suo uomo”. Cosa gli nascondeva, ancora?
Ma non dovette chiedere spiegazioni, perché leggendo le domande sospese nel suo sguardo, Oscar rispose:
-Ci ho messo molto tempo a capire quanto fossi importante per me. Gli ultimi avvenimenti, non ti hanno lasciato il tempo di scrivere… forse… - ammise – ma sono stata tua, André. Una notte, una notte soltanto. Ma sono tua… -
Sussultò.
La mano di André l’aveva afferrata dietro la nuca e avvicinata pericolosamente al volto.
Le loro labbra si sfiorarono, in quello che sarebbe potuto essere un bacio, se solo avessero voluto,  portandola a socchiudere gli occhi sotto la spinta irrefrenabile di una stretta allo stomaco.
-Oscar! – mormorò lui con voce roca – Non mi devi nessuna spiegazione, Oscar… non adesso, almeno! – la guardò negli occhi trafitti dalle lacrime . -Vorrei amarti… amarti come meriti. Come l’uomo di quel diario ama la sua capricciosa musa. Come io devo averti amata… -  
Il sentimento che li univa era dirompente. Nonostante l’amnesia, nonostante una coscienza perduta forse per sempre.
André inspirò profondamente, cercando di trattenere la propria urgenza e il battito impazzito del cuore.
-Cosa succede, adesso, Oscar? – domandò mettendo il proprio presente e futuro nelle mani di quell’irresistibile ufficiale biondo.
Il suo passato era già stato suo, evidentemente.
 
***

Eloise sostava sulla soglia della veranda. Gli occhi persi nel buio oltre il cortile.
Alain si alzò dalla poltrona che aveva occupato e si portò al suo fianco. La mani affondate nelle tasche.
-Un discorso lungo… - commentò.
Eloise volse lo sguardo nocciola a trafiggerlo, poi si addolcì. Era stanca.
-Parlatemi di lei. – domandò inaspettatamente.
Alain sgranò gli occhi, poi se ne uscì in una risata, gettando indietro la testa.
Eloise lo squadrò, forse per la prima volta. Alto, moro, di bell’aspetto. Rude ma innegabilmente affascinante.
-Voi l’amate. - affermò.
Alain si zittì repentinamente e riportò lo sguardo in quello di quell’ impertinente inquisitrice.
-Madamigella Oscar è il mio comandante e la donna del mio migliore amico. – si schemì.
Lei lo trafisse con l’ennesima occhiata intensa.
-Non mi avete risposto… -
La sagoma di Oscar, emergendo dall’ombra, pose fine a quella surreale conversazione. Dietro di lei, Serge.
Eloise e Alain rimasero colpiti dai loro sguardi e dalle ombre che li attraversavano.
-Si è fatto tardi, Alain… E’ ora di andare. – disse Oscar fermandosi sulla soglia.
Il fremito che percorse Serge non passò inosservato.
Eloise sollevò il mento, serrando le labbra, prima di invitarla con un gesto ad entrare perché uscissero dalla porta principale.
Oscar chinò leggermente il capo in un cenno di ringraziamento e precedendo tutti attraversò il salottino per trovarsi nell’ingresso e poi di nuovo nel cortile. Alain la seguì a breve distanza, considerando quel tour della casa una sciocca perdita di tempo, ma rispettando quella che, evidentemente, era l’etichetta. Qualcosa tra Oscar e Serge era cambiato. Ne era certo. E quando i due si salutarono, prima che Oscar svanisse inghiottita dall’abitacolo della piccola carrozza, ne ebbe la conferma. Nella delicatezza di lui, nell’offrirle la mano come appoggio, era svanita l’incosciente intraprendenza di Serge. E prima di salire in cassetta, lanciò uno sguardo alla bruna Eloise, ferma dalle spalle dell’uomo, chiedendosi se avesse capito di aver perso Serge per la seconda volta…
 
***
 
Il profumo di Oscar era ancora lì. Intatto. Come se l’avesse ancora tra le braccia. Ad ogni movimento, si sprigionava dal tessuto della sua camicia. Fermo davanti alla finestra, una mano stretta alla tenda scura e l’altra intenta a trattenere il diario nel quale aveva cercato disperatamente risposte.
Socchiuse le palpebre e si concesse un sorriso cinico. Sofferenza! Era solo sofferenza quella che sentiva. Quella che gli arrivava dalle pagine di quel libretto e quella che provava adesso. No! Non era solo sofferenza.... Ma una forte attrazione che gli torceva impietosa le viscere.
Possibile un tale trasporto? Sollevò la mano che stringeva il diario e gli gettò un’occhiata. Evidentemente sì! Provò una forte invidia per l’uomo che lo aveva scritto.  André Grandier… l’uomo di Oscar. Oscar François de Jarjayes. Un’ombra scura gli attraversò lo sguardo. La differenza di classe, forse, il temperamento e l’educazione di lei. Questo aveva loro impedito di amarsi?
Il lieve tocco di nocche sulla porta chiusa lo distrasse da quei pensieri.
-Avanti. – mormorò voltandosi.
Eloise apparve sulla soglia. Entrando, si trascinò dietro un fruscio di gonne che infranse il silenzio.
-Non dormite ancora, Serge? - esordì.
-Nemmeno voi. – rispose lui soppesandone la figura snella e piacente. Poi schiuse di nuovo le labbra per parlare ma lei lo precedette.
-Quella donna vi ha raccontato la sua versione, non è così?-
Lui annuì.
-E voi credete a lei più che a me. – continuò Eloise avvicinandosi. –Somigliate a Serge più di quanto credete… - mormorò con la voce leggermente incrinata dall’emozione. Poi gli sfiorò le labbra con un dito.
-Non dite nulla, vi prego… - lo guardò. –Concedetemi ancora qualche giorno. Poi io stessa vi aiuterò a riprendervi la vostra vita. –
 
***
 
Alain recuperò il bicchiere vuoto di Oscar. Poi la bottiglia sul bancone.
Le lanciò un’occhiata. Poi distolse lo sguardo, benedicendo l’intuizione che lo aveva indotto a farle indossare la propria giubba. La pelle candida di lei avrebbe attirato uomini come mosche.
Attorno a loro, gli avventori di quella bettola sembravano invece non prestare troppa attenzione a quel biondo damerino dall’aria stravolta. Ma era forse la presenza di quel gigante bruno a intimorirli e a consigliar loro di girare a largo.
Oscar se ne stava arrampicata su quello sgabello come un elfo sul tronco di un albero. Mai creatura sarebbe stata più fuori luogo in quel posto. Pensava Alain seduto al suo fianco.
Si alzò.
-E’ ora di andare, comandante… - la esortò.
Lei sorrise. Evidentemente un po’ alticcia.
Quando l’adagiò sul sedile della carrozza, sfiorandole la fronte per scostare una ciocca ribelle, domandò:
-Non potevate portarvelo a casa, stasera?
Oscar gli aveva raccontato tutto. Come un fiume in piena. Non le aveva mai sentito pronunciare tante parole una dietro l’altra. Era euforica, carica, eppure terribilmente tesa.
Stringendosi nella giacca blu del soldato e sollevando su di lui gli occhi azzurri, dall’angolo del sedile dove si era rintanata, accentuò il sorriso malinconico  che ora le giocava sulle labbra.
-Noi non abbiamo una casa… - mormorò.

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Capitolo 14
*** Memorie ***


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Capitolo 14 – Memorie
 
 
Oscar cavalcava affianco alla carrozza. Lo sguardo rivolto all’orizzonte incandescente.  Il profilo perfetto. Fiero. Risoluto. La richiesta di Eloise era sopraggiunta inaspettata.  Così come la partenza della famiglia Boullet per Amiens.
Dietro di lei, un altro soldato blu, Alain. L’uomo che l’aveva sostenuta in quelle ultime settimane e che era diventato una presenza indispensabile. L’uomo che le gettava, ora, occhiate furtive. L’uomo che aveva rischiato di avvicinarsi troppo al fuoco e di bruciarsi per questo.   
Nell’abitacolo, Eloise sedeva accanto a Serge. Di fronte a loro Madame e l’onnipresente maggiordomo di famiglia. In cassetta, due valletti e Jean, il giovane inserviente al seguito di Eloise. Il resto della servitù aveva preceduto la padrona, partendo con due giorni di anticipo.
Dall’ombra della propria posizione, Eloise osservò il profilo di Oscar incorniciato nello specchio della piccola finestra. Severa, come sempre l’aveva vista, e diritta come un fuso in sella a quel cavallo bianco. Biondo cavaliere in grado di affascinare, senza alcuna distinzione, uomini e donne. Non si  era mai sorpresa dell’ammirazione che  il suo Serge aveva mostrato di nutrire per lei. Originale e bellissima. Moderna amazzone.
Il suo Serge…  l’uomo che l’aveva accettata per quella che era. Che l’aveva apprezzata per quel carattere fiero e indipendente. Che le aveva promesso una vita d’amore e rispetto. Che le era stato strappato inaspettatamente e  troppo presto…
Serge, mormorò quasi impercettibilmente eppure lui la sentì e le sfiorò una mano, rasserenandola.
Non si volse, Eloise. Non era necessario. Sapeva dove avrebbe trovato lo sguardo del suo silenzioso compagno di viaggio. Sorrise e abbassò le ciglia sugli occhi scuri.
André esercitò una leggera pressione su quella mano candida. Avrebbe voluto fare di più. Ma il suo cuore e il suo sguardo erano ineluttabilmente per Oscar. Per quel soldato biondo che cavalcava, splendido, godendo e riflettendo la luce del tramonto, scortando la piccola carrozza e i suoi occupanti verso le terre a nord di Parigi.
 
***
 
-Ci fermeremo qui, stanotte –
Oscar smontò di sella, passandosi una mano sui pantaloni blu, come spolverandoli.
La giornata era stata calda e un po’ afosa. La strada, spesso in semplice terra battuta, aveva subito il passaggio di carrozza e cavalli sollevandosi in nugoli di polvere.
L’arrivo a Beauvais, come tappa del viaggio, l’aveva quasi sollevata.
Lanciando uno sguardo agli occupanti della carrozza, scambiò due parole con Alain e prese congedo. Quando tornò, il suo passo era più rilassato.
-Alain, ci aspettano alla locanda. – disse rivolta al soldato. – Occupati della carrozza e dei cavalli. Ho già allertato lo stalliere… - lo pregò con uno sguardo.
 
***
 
Abituata a comandare, Oscar aveva richiesto per il suo piccolo drappello un tavolo riservato, leggermente discosto dagli altri avventori. Non aveva piacere che degli estranei si avvedessero delle due signore che formavano quell’esigua compagnia. Evidentemente benestanti. Prede troppo facili.
E la cena era trascorsa tranquilla. Nonostante la tensione che correva sugli sguardi di alcuni dei commensali. Eloise non aveva distolto gli occhi da lei, così come André, e lei stessa, non aveva potuto fare a meno di saziarsi divorando la figura dell’uomo che le sedeva di fronte con indosso la familiare uniforme blu della sua brigata, accuratamente rimessa a nuovo dalle amorevoli mani di Madame. Era bello, André, era tanto bello. Con quel cipiglio che ne aggrottava la fronte e lo sguardo intenso. Le ciocche scure che giocavano con le linee perfette del suo volto, insinuandosi tra il collo e il colletto della divisa.
E quando Alain si alzò rumorosamente da tavola, vanificando i suoi sforzi con una risata, Oscar gli lanciò un’occhiata feroce, ma lui non se ne curò.
Non poteva curarsene. Non se voleva preservare la propria salute mentale. L’unica soluzione era recuperare André.
Si avvicinò al commilitone e con aria da cospiratore lo invitò a finire la serata in una taverna adocchiata lì vicino, lasciando le donne ai loro discorsi.
André accettò, divertito, e le sue labbra si schiusero in un sorriso degno di un ragazzino. Congedandosi dalle signore, seguì Alain fino alla soglia.
 
***
 
Madame Boullet aveva preso sonno. Subito. Il viaggio l’aveva spossata. Si era addormentata serena, stringendo la mano di Eloise che l’aveva accompagnata in camera.
Spegnendo con un soffio leggero le candele, la giovane donna scivolò fuori dalla stanza per un’ultima boccata d’aria prima di ritirarsi e nel corridoio il suo sguardo incrociò quello di Oscar.
Il comandante indugiò con la mano sulla maniglia della porta, voltandosi al fruscio delle gonne.
Si irrigidì. L’imbarazzo tra loro era tangibile, concreto.
Eloise fece il primo passo, percorrendo il lungo corridoio tappezzato di verde sul lato del qualesi aprivano tutte le stanze. Oscar aveva scelto per sé la prima salendo dalle scale. Una precauzione, pensò Eloise con una punta di ammirazione. Usciva mai dal ruolo del soldato perfetto? Si domandò.
Raggiungendola e fermandosi a pochi passi da lei, la squadrò per un istante in silenzio.
-Grazie per aver accettato, Oscar… - disse infine guardandola negli occhi.
La donna fece un breve cenno col capo.
-Non avrei potuto fare altrimenti. – rispose.
Eloise piegò le labbra in sorriso teso.
-Una volta arrivati ad Amiens -, proseguì - comunicherò a Madame l’intenzione mia e di Serge di rompere il fidanzamento. Si dispiacerà, ma capirà, vedrete. Subito dopo, Serge manifesterà l’urgenza di tornare a Parigi. Voi sarete liberi. E anche io. – concluse senza che Oscar le avesse chiesto niente.
A quelle parole, Oscar inspirò profondamente, serrando le labbra. Rompere il fidanzamento? Tornare a Parigi? Dominò il battito del cuore e acuì lo sguardo come a voler indagare la mente di Eloise. E capire, finalmente, i suoi pensieri. Ma dovette ammettere, con disappunto, quanto una donna fosse difficile da interpretare, da prevedere. Eloise gliene aveva dato prova più di una volta.  E ora sosteneva  il suo sguardo senza lasciar trasparire un’emozione. Poteva fidarsi di lei? Si era mai fidata di una donna? Era possibile fidarsi di una donna? Il pensiero corse dolorosamente alla Regina. Con un battito di ciglia, sviò i propri pensieri da lei e dalla vita passata a corte. Dal momento in cui lei stessa avrebbe tradito la propria regina pur di avere per sé il conte di Fersen….  Ma non era il momento di ricordare, quello. Riportò l’attenzione sul volto gradevole di Eloise.
-André si fida di voi. – affermò e le labbra di lei accennarono un sorriso.
-Io e voi non siamo poi così diverse… - commentò la giovane donna bruna in tono pacato, e intuendo con un certo rammarico che quella conversazione non sarebbe andata oltre, prese commiato voltandole le spalle e dirigendosi verso la propria camera.
 
 
***
 
 
-Sei un caso perso, amico! – replicò il bel soldato blu dallo sguardo nocciola all’ennesimo lamento di André. –Nonostante tutto, non sei cambiato di una virgola! – ridacchiò svuotando il bicchiere.
L’uomo al suo fianco, le braccia appoggiate al bancone di quella bettola maleodorante, e la testa ciondoloni, gli lanciò un’occhiata, senza sollevarsi.
-Sei ubriaco, Alain? – domandò con un guizzo di lucidità. Versandosi nuovamente da bere.
-Io ubriaco? Affatto, amico mio! – rise.
Se fossi ubriaco, non penserei a lei, mormorò fra sé, se fossi ubriaco, davvero ubriaco, sarei da lei… pensò vergognandosi di quegli stessi pensieri.
-Ho la soluzione!- disse poi, sottolineando vigorosamente quelle parole con un cenno del  capo – Adesso… io e te ci troviamo compagnia! – gli allacciò il collo con un braccio, guardandosi attorno alla ricerca di qualche procace cameriera.
André si liberò istintivamente.
-Smettila! Lo sai che non sono il tipo Alain! –  si ribellò, ammutolendo subito dopo, gli occhi sbarrati.
Cosa aveva detto? Un’affermazione decisa. Una frase familiare così come quel momento… Un brivido gli corse lungo la schiena.
Alain lo squadrò speranzoso, improvvisamente lucido. Ma lo sguardo dell’uomo, tornato inevitabilmente opaco, gli disse che quell’attimo di luce si era già spento.
Comprendendo e condividendo il motivo della sua delusione, André si voltò verso il bancone della mescita e strinse il bicchiere con entrambe le mani. Amareggiato.
Alain gli cinse ancora le spalle larghe con un braccio. Intensificò la stretta, strappandogli una smorfia, e sollevando il bicchiere con la  mano libera, improvvisò un brindisi consolatorio.
-Animo, ragazzo! Un giorno o l’altro ti ricorderai di me! – lo schernì chinando leggermente il capo e abbassando le ciglia sugli occhi scuri e febbricitanti.
Ancora uno sforzo, amico mio… ancora uno sforzo ed io sarò salvato! Pensò ridendo tra sé.
-Parla con lei. – mormorò inaspettatamente.
E inaspettatamente André si sollevò, più malfermo sulle gambe dello sgabello che lo aveva ospitato.
Inspirando profondamente, tanto profondamente da gonfiare il petto, l’uomo annuì convinto.
-Vado! – affermò dirigendosi alla porta.
Alain lo fermò afferrandolo per un braccio e costringendolo a voltarsi.
-Ma cosa fai?! Non adesso… Non così! – si allarmò.
André si liberò con uno strattone.
-Non vuoi che le parli? – domandò lanciandogli un’occhiata eloquente.
Alain lasciò istintivamente la presa.
Colpito e affondato! Pensò.
Allargò le braccia, in segno di resa.
-E’ la tua donna, amico! – piegò le labbra nel solito, sarcastico sorriso. Gli occhi socchiusi. –Vai! – lo esortò accondiscendente, l’espressione di chi non avrebbe mai fatto quella mossa azzardata.
Ma quando André, più deciso che mai, ebbe lasciato la taverna, lanciò delle monete sul bancone e lo seguì fuori, tentando di riacciuffarlo. Il passo altalenante di André gli rese difficile l’impresa.
Raggiunta la locanda, spalancata la porta e colto André con un piede sul primo gradino, la mano appoggiata alla balaustra, pronto ad affrontare il proprio seducente demone, si fermò. Costringendosi a desistere.
Perché intromettersi? André avrebbe fatto irruzione nella camera del comandante… e allora? In fondo, avevano condiviso molto più di una sbornia, loro due…
 
***
 
Deciso a prendersi ciò che sapeva suo, André si fermò solo quando raggiunse la porta della prima stanza, sulla destra, in cima alle scale. Oltre quella porta, sapeva esserci Oscar. Il suo profumo, i suoi capelli biondi, il suo corpo sinuoso pronto a rispondere alle sue provocazioni.
-Oscar… - chiamò sulla soglia. Appoggiato allo stipite. Cercando di fermare il mondo che si muoveva attorno a lui.
E quando la porta si aprì, schiudendosi appena, fu lo sguardo di lei, sempre così severo, ad agganciarlo. Áncora blu alla quale rimanere aggrappato.
La rapì con lo sguardo, facendola immediatamente sua. Cogliendone i contorni nella luce tremula delle candele. Maledetta cecità, si disse, facendo uno sforzo per mettere a fuoco, sorvolando sulla quantità di vino bevuto. Indossava ancora l’uniforme, Oscar. Anche se slacciata sul petto. Irresistibile.
-Ho bisogno di te, Oscar… - esitò – Io ho bisogno di te. – mugolò.
Senza una parola, Oscar allargò lo spiraglio della porta e André scivolò all’interno, chiudendosi il battente alle spalle.
Lei lo guardava in silenzio.
Perché non parlava? Perché non si avvicinava? Lo fece lui. Per entrambi. Afferrandole una mano e portandosela al petto e contemporaneamente avanzando e costringendola ad arretrare fino a quando le spalle di lei non si fermarono contro la parete della piccola stanza. Mettendola ancora una volta in trappola. Perché quella donna, lo sentiva, pur desiderandolo continuava a sfuggirgli.
-Senti il mio cuore come batte, Oscar? – domandò guardandola negli occhi. – Ho bisogno di te… - ripeté insinuando la mano libera tra il collo della giubba e la base della nuca.  E con un secco movimento del polso la trascinò a sé, allontanandola dal muro. Tenendosela vicino. Guadandola con desiderio crescente.
-Ho bisogno di te… -
La sua voce roca riempiva la stanza. Le orecchie. Oscar schiuse le labbra emettendo un flebile respiro. Quella voce carica d’urgenza faceva vibrare ogni fibra del suo essere donna. Avrebbe voluto averlo. Di nuovo. Subito. Placare l’esigenza che le prendeva lo stomaco, che le indeboliva le gambe. Senza più limitarsi a vivere di un ricordo. E desiderò lasciarsi andare. Lasciare che quel soldato facesse di lei quel che voleva…
Sostenne il suo sguardo famelico e voglioso. Lo sguardo in un uomo… Non quello del suo uomo.
Lui lo capì. Glielo lesse negli occhi che quello che avrebbe avuto non sarebbe stato amore. Così come quello che avrebbe dato. E questo lo ferì.
Arretrò. Lasciandola andare tanto improvvisamente come l’aveva afferrata. Sbilanciandola quasi.
Portandosi al centro della stanza, le voltò le spalle, piegandosi leggermente in avanti.
-Perché non posso averti, Oscar? Perché! – si lamentò stringendo la testa tra le mani. -E’ una maledizione! Questa amnesia! Quest’uomo… André! E’ una maledizione! Questo diario è una maledizione! – urlò estraendolo dalla tasca interna della giacca e scaraventandolo a terra -Ti desidero tanto ardentemente da non poterti neppure sfiorare. – rise voltando solo la testa a guardarla. Poi  si gettò sul letto, supino. Affondò  la testa nel cuscino, avvertendo il sollievo di quella morbidezza. Si portò le mani alla fronte, poi scese sugli occhi stanchi. Rise e pianse.
-Perdonami, Oscar… - mormorò tra le lacrime. – Perdonami.
Si addormentò. Sfatto, la giubba sbottonata, i capelli arruffati…
Cercando di non fare rumore, Oscar trascinò la sedia dal tavolo accanto al letto. Accanto a quell’uomo. Girandola in modo che potesse appoggiare le braccia sullo schienale,  si sedette.
Trascorse la notte così, guardandolo. Vegliandolo. Amandolo. Morendo ogni istante un po’ di più…
 
***
 
Alain si lasciò cadere di spalle lungo il pannello di legno.
Toccata terra, chinò il capo, passando una mano tra i capelli, partendo dalla fronte, facendola poi scivolare sul collo, ed emise un sospiro leggero ma carico di tensione repressa. Poi gettò la testa indietro, trovando ancora il pannello della porta e rise forte dentro di sé.
Nessun rumore… Da quella stanza non proveniva più nessun rumore.
Allarmato per le intenzioni di André, di quell’André, combattuto tra il salire e tornare alla taverna per il bicchiere della staffa, aveva poi fatto i gradini a due a due e si era fermato ad ascoltare, imbarazzato fino alla punta dei capelli, ma pronto ad intervenire in caso di bisogno. Ma non era stato necessario.
Con un guizzo, si sollevò da terra e masticando il solito stecchino, la giaccia trattenuta su una spalla, si diresse finalmente alla propria stanza.
Ne hai di strada da fare, amico mio… pensò con un sorriso che voleva nascondere tutta la sua sciocca amarezza.
Per quella notte ne aveva avuto abbastanza. Basta bagordi. Basta donne.
 
***
 
Luci e ombre si alternarono sul suo volto, costringendolo a svegliarsi.
-Oscar! –  gridò André in un gemito soffocato, sollevandosi improvvisamente sui gomiti, nell’accorgersi della figura di lei che gli dava le spalle. Ferma davanti alla piccola finestra.
Cosa ci faceva nella stanza di Oscar?
-Se la nonna mi trova qui… - mormorò fermandosi subito dopo.
Oscar si voltò di scatto, sgranando gli occhi blu su di lui che era ammutolito e la guardava sconvolto.
-La nonna… - ripeté – chi è… la nonna? – domandò guardandola fissamente, mentre quella strana sensazione svaniva lasciandolo come un involucro vuoto.  
Colta da un’emozione profonda, Oscar faticò a rispondere. Frammenti di memoria… ecco cosa stava succedendo. Frammenti di memoria stavano finalmente facendosi strada nella sua mente!
Si avvicinò al letto e con labbra aride e tremanti gli raccontò della nonna.
André ascoltò tutto, aggrottando la fronte. Segno questo che non ricordava. Ma quel piccolo viaggio nella memoria segnò il passo, per Oscar, di tutta la mattina e del resto di quella giornata.
 
***
 
Alain aveva confidato ad Oscar la frase sfuggita alle labbra di André la sera prima e Oscar aveva confidato ad Alain il ricordo affiorato improvvisamente quella mattina.
Oscar era visibilmente eccitata. Le guance bianche ravvivate da un insolito rosa acceso. Alain l’accarezzò con uno sguardo affettuoso e un sorriso sincero.
-Abbiate ancora un po’ di pazienza, comandante… - la esortò e lei, guidando Caesar in un giro su se stesso, rispose al suo sorriso tornando a guidare la piccola comitiva in viaggio verso Amiens, assicurandosi di tenersi sempre nello specchio del finestrino perché André potesse vederla.
Ma quando, verso il tramonto, un fruscio sospetto attrasse la sua attenzione, costringendola a ricacciare in fondo al cuore la sciocca ragazzina innamorata che era, maledisse la propria avventatezza. Padrona delle proprie facoltà, non avrebbe imboccato quel sentiero tra i boschi quando il sole già stava per arroventare l’orizzonte.
-Alain… - chiamò. – C’è qualcosa che non mi piace… -
Alain volse attorno un’occhiata. Notando il leggero movimento di alcuni cespugli. Il rumore provocato dalle ruote della carrozza confondeva le tracce che si perdevano nell’aria.
-Tra un paio di svolte, saremo in vista di Montdidier… - tentò di rassicurarla.
Lei annuì, seria.
-Guardiamoci le spalle e procediamo. – lo congedò con un’occhiata d’intesa, sfiorando con le dita  la spada che portava al fianco e guardando al ponte che si stendeva sul piccolo fiume che fiancheggiava la loro marcia, troppo lontano e al contempo troppo vicino a loro.
Ma nonostante le precauzioni, dal sottobosco un urlo improvviso frenò i cavalli, sorpresi, e da entrambi i lati del sentiero, emerse una manciata di uomini dal viso coperto, intenzionati a rapinare la carrozza e tutti i suoi occupanti, incuranti dei due soldati che aprivano il cammino.
-Questa è una donna! Avevi ragione! – urlò uno dei banditi rivolto a quello che doveva essere il capo e afferrando le briglie di Caesar pronto ad impennarsi.
Oscar aveva già estratto la spada e gridava ordini ad Alain perché restasse a ridosso della carrozza proteggendo i civili, quando un seconda orda di uomini li raggiunse al galoppo.
Ma questa volta, si trattava di soldati!
La cavalcata di quel drappello si placò solo quando le spade di chi apriva la corsa si levarono sugli assalitori mentre le baionette prendevano posizione.
-Oscar! – gridò una voce emergendo dal gruppo e lei si volse riconoscendo l’uomo che aveva parlato.
Il Generale Jarjayes piombò sull’uomo paralizzato al fianco della donna, la spada levata a fendere l’aria, pronto a colpire.
Fu allora che un'altra voce vibrò forte nel bosco.
-Oscaaaar! –
Mentre i soldati mettevano in fuga gli assalitori, tutti gli sguardi si rivolsero ad André, precipitatosi fuori dalla carrozza, inutilmente trattenuto da Alain smontato rapidamente da cavallo, il braccio teso, pallido, lo sguardo allucinato.
-Oscar… - mormorò in un soffio, stremato. – Oscar… - ripeté ansando e rilassandosi poi tra le braccia di Alain che ancora lo tratteneva. Lo sguardo che scivolava dall’uno all’altro ufficiale. Le labbra secche. Una risata che premeva alla gola. Gorgogliante. Sfibrato, improvvisamente si abbandonò.
 
 
Avviso ai lettori: GRAZIE a chi mi ha seguita fin qui. A chi mi ha spinto a scrivere questa storia, a chi ha recensito e a chi è stato lettore silente. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo di "SOLDATO BLU"... e questa cosa un po' mi emoziona! Leggendo, avrete sicuramente capito quanto io ami i personaggi e la storia così come è stata presentata nell'anime e spero che parte delle mie "sensazioni" sia giunta fino a voi, tramite la scrittura e/o tramite i miei disegni.
Cosa farò poi? Beh, cominciamo a leggere l'ultimo capitolo... poi vedremo. Sicuramente, vi inviterò a seguire l'inizio di un paio di soggetti ORIGINALI (anche solo l'inizio, deciderete poi, solo se vi piaceranno, se seguirli o meno...)! Ma non anticipiamo i tempi. Per ora, GRAZIE ANCORA! 

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Capitolo 15
*** Fine e Inizio ***


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Capitolo 15 – Fine e Inizio
 
-André! – la voce di Oscar vibrò nell’aria, secca come un colpo di pistola.
-Oscar… - rispose lui, appoggiandosi al granitico Alain - Perché gridi, Oscar? Va tutto bene… va tutto bene – rise, facendo leva sulle braccia dell’amico per rimettersi in piedi.
E al suono della sua risata, Caesar si impennò. Come spinto dalla stessa emozione che dallo stomaco saliva ed esplodeva nel petto della sua bionda amazzone.
André… mormorò allora lei a fior di labbra prima di impartire ordini con voce appena tremante.
-Alain -, disse come ipnotizzata – aiutalo a salire in carrozza e allontaniamoci da qui! Raggiungiamo Mondidier, subito! – esortò, scambiando un’occhiata d’intesa con il Generale ancora fermo al suo fianco.  
 
***
 
Il breve tragitto, che separava i viaggiatori da Montdidier, apparve loro infinitamente lungo.
Oscar guidava il drappello. Il cuore che le batteva forte e un senso di spossatezza che le rendeva difficile proseguire contrapposto all’urgenza di raggiungere un posto sicuro per fermarsi, parlarsi. Ritrovarsi…
Al suo fianco, il Generale, i cui uomini chiudevano la carovana. Alain fiancheggiava invece la carrozza, lo sguardo fisso sul suo occupante più giovane, un sorriso sulle labbra e l’immancabile stecchino tra i denti. Ogni tanto, il bel soldato dai capelli corvini socchiudeva gli occhi, emettendo un sospiro silenzioso ma al tempo stesso profondo.
Nell’abitacolo, André se ne stava con la testa appoggiata al sedile, il volto tirato di chi vive una grande emozione. Di fronte a lui, Eloise.
André schiuse le labbra per parlare, ma lei sollevò appena la mano sinistra, fermandolo con un cenno.
-Va tutto bene, André… - mormorò usando  le sue stesse parole, chiamandolo per la prima volta con il suo nome e cercando di non farsi sentire, contando sull’agitazione di Madame Boullet che, come la servitù, appariva scossa e ansiosa di raggiungere le strade più battute del paese.
 
***
 
-Ho capito. – annuì il Generale, dando le spalle ad Oscar. Gli occhi rivolti agli strali viola del tramonto di quell’estate “bollente” che si allungavano all’orizzonte, oltre il vetro della finestra che guardava ad oriente.  Le mani strette in una morsa alla base della schiena perfettamente eretta.
Quell’immagine, tanto familiare quanto temibile, le strappò per la prima volta un sorriso, anche se appena accennato, portandola a domandarsi quand’era che una figlia smettesse di sentirsi tale al cospetto del genitore…
Nonostante la carriera, nonostante l’età adulta e le divergenze di opinioni, Oscar si era sempre sentita figlia, o figlio, in compagnia del generale… Così adesso. In quella locanda. Nella stanza che lui si era fatto assegnare e dove l’aveva pregata di raggiungerlo. C’era qualcosa di diverso, però, nell’espressione di suo padre. Un velo di tristezza e di preoccupazione.  E lei sapeva bene di essere la causa di almeno una parte di quella preoccupazione.
Si erano raccontati gli ultimi avvenimenti, pacatamente. Come due commilitoni assegnati a due compiti diversi.  Eppure, Oscar continuava a sentirsi una bambina al suo cospetto. Al cospetto di quei profondi occhi blu. Determinati quanto i suoi…
Un destino beffardo li aveva fatti incontrare nel momento e nel luogo più impensabili.  Lo stesso destino beffardo aveva fatto in modo che ancora una volta il Generale fosse l’artefice della sua vita. Del suo ennesimo cambiamento di rotta. Alla sua apparizione, infatti, e all’errata interpretazione di quella spada levata, atta questa volta a difenderla, era da imputare il nuovo trauma di André. Un trauma in grado di far scattare qualcosa nella sua testa confusa.
-Partirò stasera stessa, Oscar. – riprese l’uomo inaspettatamente, spezzando con la sua bella voce austera il filo di qualunque pensiero.
Allargando con la mano sinistra  la giacca all’altezza del cuore e affondando l’altra nella tasca interna, senza voltarsi, trovò quello che stava cercando.
Lei fissò quelle spalle larghe e i lievi movimenti che le scuotevano appena.
Il Generale estrasse una lettera sigillata. La sua mano, ora sollevata nello specchio della finestra, la esponeva allo sguardo interrogativo della figlia.
-Non ti ho mandata a chiamare per raccontarti del mio ultimo incarico… Ne, tantomeno, per dirti quanto sia stato sorpreso di incontrarti in quel bosco, mentre tornavo a Parigi, Oscar. – affermò, voltandosi e guardandola fissamente negli occhi. Quasi inchiodandola alla porta che chiudeva la stanza e i loro discorsi.
Le porse la lettera e con un cenno della mano la invitò a prenderla.
-Sapevo che ti avrei rivista, un giorno. – continuò – L’ho portata con me, aspettando quel momento. –
Oscar sfilò la busta dalla mano del padre, continuando a non capire.
-Ho ricevuto la lettera che hai lasciato sulla tua scrivania, in caserma* e questa è la mia risposta. –
Oscar sussultò, ricordando le parole tracciate su quel foglio. Impallidì. Fece scivolare lo sguardo sulla busta, poi lo riportò in quello del Generale i cui occhi avevano perso la durezza di un tempo.
-Ho riflettuto sulle tue parole… - affermò lui piegando leggermente un angolo delle labbra in un sorriso indecifrabile. –E l’unico modo che ho per liberare André… - esitò  - … è rendere libera te, Oscar. –
Oscar trasalì. Le gambe quasi le cedettero e con mani tremanti aprì la busta per leggerne il contenuto.
“Trasmetto a mia figlia Oscar François de Jarjayes ogni potere decisionale e di firma in merito alla propria persona.” La lettera conteneva poi altre istruzioni  che riguardavano il patrimonio di famiglia, firme e sigilli, compreso quello reale.
Oscar sollevò lo sguardo sul Generale che, forse per la prima volta da quando, ancora bambina,  le aveva regalato la prima spada, sorrideva contemplando la gioia mista allo stupore che trasfiguravano il bel volto della figlia.
-Sei libera, Oscar. Libera di vivere la tua vita. – mormorò accennando il saluto militare. E detto questo, si avviò alla porta superandola senza attendere una risposta.
-Aspettate… - lo pregò lei senza voltarsi. Chiudendo gli occhi per trattenere le lacrime e l’emozione che la soffocava.
Entrambi, in quel momento, inspirarono profondamente. Godendo della reciproca presenza, senza guardarsi.
-Grazie. – mormorò Oscar -  Vi ringrazio padre. – concluse con lo stesso tono austero del genitore.  
L’uomo fece un cenno col capo, come se Oscar potesse vederlo.
-Fammi avere vostre notizie, Oscar. – la pregò. Dunque, lasciò la stanza. 
Lo attendeva un lungo viaggio verso Parigi e il delicato compito di scortare l’ennesima famiglia nobile in fuga verso i porti di Calais o Le Havre.
 
***
 
-Oscar… -  
André penetrò con lo sguardo la stanza del comandante, fermandosi sulla soglia.
Un movimento leggero, proveniente dall’angolo della parete dirimpetto alla porta, un delicato fruscio,  gli rivelò la presenza della donna.
Immersa nell’ombra, trincerata nel silenzio, Oscar occupava una sedia di legno chiaro, scrostata là dove un tempo doveva essere stata dipinta di un particolare tono dorato. Una camicia bianca indosso, pantaloni scuri a fasciarle le gambe snelle. Sullo schienale, come una corazza pronta a proteggerla, la giubba militare.  Severo “soldato blu” che vegliava sulla sua incolumità.
Dal proprio punto di osservazione, Oscar catturò con lo sguardo la figura alta e maschia che copriva lo specchio della porta. La luce delle bugie, nel corridoio alle spalle dell’uomo, giocava di trasparenze con la stoffa leggera della sua camicia ampia, dalla scollatura generosa, mettendo in evidenza le forme delle braccia e del torace perfetto. I fianchi snelli, le spalle larghe e tornite. Quell’uomo era suo.
Ma quando gli sguardi finalmente si incrociarono, tra i due prevalse ancora il silenzio. Il momento tanto atteso era arrivato. Un momento anelato. Necessario come l’aria che respiravano. Eppure temuto…
Lentamente, Oscar si sollevò dalla sedia per poi fermarsi e rimanere immobile.
Fu lui a cancellare con un due lunghe e decise falcate la distanza che ancora li separava. Teneva in mano qualcosa. Un libretto liso e consunto. Qualcosa che Oscar riconobbe come il suo  diario.
Fermandosi di fronte a lei, illuminato dal chiarore azzurrognolo che si irradiava dalla finestra alla sua sinistra, ultimo retaggio di quella sera d’agosto che scivolava suadente tra i vicoli di Montdidier, André le porse il libretto, senza una parola, guardandola fissamente in quegli occhi blu che la penombra rendeva quasi neri.
-Vai all’ultima pagina, Oscar… - la esortò cogliendo la sua esitazione, sfiorando con le dita quelle più esili e bianche di lei.
Scivolando con lo sguardo sulle pagine del diario, Oscar trovò l’ultima annotazione. Un’aggiunta al pensiero inquietante che aveva ammantato l’alba del  dodici luglio…
Dopo aver espresso il timore per gli avvenimenti incombenti, André aveva aggiunto poche parole. A matita. Evidentemente a posteriori.
“12 luglio 1789. La fine e l’inizio. Je t’aime, Oscar**
Una piccola matita dallo stelo blu scivolò allora tra le pagine aperte.
-Ho trovato solo questa… - mormorò una voce profonda e carezzevole.
Oscar sollevò lo sguardo. E la vide.
Vide la propria figura riflessa nello sguardo di André, finalmente.  In quell’unico occhio. Unica luce che le poteva ancora offrire. E lei si ritrovò improvvisamente a casa. 
Istintivamente si gettò tra le sue braccia, stringendolo a sé. Sorrise, la fronte appoggiata al suo petto, respirandone il profumo di sapone, l’odore maschio della sua pelle delicatamente abbronzata, il sapore. Quasi annidata nella sua figura.
Poi si sollevò, sciogliendo quell’abbraccio istintivo.
-André io… -  mormorò decisa a raccontarsi, ma senza tuttavia sapere da dove ricominciare. Decisa a parlargli della lettera del generale, a chiedergli degli altri membri della compagnia, a condividere i suoi ricordi…
Lo sguardo di lui la racchiuse completamente, avvolgente, carezzevole e bramoso.
-Basta Oscar…  – mormorò con voce roca attirandola nuovamente a sé. –Basta… -
Imprigionandole il viso tra le mani si riversò con impazienza sulla sua bocca dischiusa, pronta a riceverlo.
Un bacio intenso e bruscamente dolce nella sua urgenza. Le mani a stringerle il viso, poi la testa, le spalle. Giù fino alla vita e poi nuovamente a sfiorarle le scapole, a ritroso fino ad immergersi di nuovo nei suoi capelli biondi.
Si staccò, togliendole per la seconda volta il respiro. Fermo davanti a lei. Serio come non lo aveva mai visto, eppure rassicurante. Una mano dietro la nuca, quasi a trattenerla, l’altra  che scivolava lungo la  guancia, fino a seguire con l’indice la linea delicata del collo, poi il profilo della scollatura, che si allargava arrendevole sotto la spinta decisa delle sue dita,  indugiando là dove una cucitura serrava impertinente i due lambi di stoffa impedendogli di andare oltre, di osare oltre. Lo sguardo fisso negli occhi di lei, come a chiederle il permesso di proseguire quel gioco di avanscoperta e una spalla dalla pelle morbida che emergeva dalla stoffa candida.
Rapita, Oscar rispose con un cenno lieve del capo e le labbra di lui si piegarono in un sorriso dolce e malizioso allo stesso tempo.
Avvicinandosi ancora, le si fece addosso,  costringendola ad uscire allo scoperto. Lontana da quell’angolo. Lontana dall’ombra. Le catturò nuovamente il volto tra le mani, poi scese lungo le spalle, le sfiorò le braccia. Infine le serrò i polsi in una morsa tenera e decisa, trattenendoli dietro la schiena con entrambe le mani, così da circondarla completamente con le proprie braccia. Prigioniera alla sua mercé. Allora avanzò, inducendola a indietreggiare e passo dopo passo, lentamente ma inevitabilmente, iniziò una danza che la sospinse verso  il letto.
Con un guizzo,  la sollevò da terra e poggiando un ginocchio su quel materasso incredibilmente morbido la adagiò dolcemente là dove l’avrebbe raggiunta. Non prima, però, di rialzarsi e dedicare un momento ad ammirare  quel corpo di donna ancora vestito eppure terribilmente seducente.
Si liberò della camicia, passando la testa nella scollatura e attardandosi un attimo con le braccia imprigionate nella stoffa, all’altezza del petto, prendendosi così la prima soddisfazione di quella sera, cogliendo la propria immagine riflessa negli occhi ipnotizzati di Oscar. Una Oscar ora più consapevole di quanto stesse accadendo e del desiderio che le divorava anima e corpo. Adesso che erano complici. Complici negli sguardi e nelle pulsazioni che li avevano tormentati per giorni. Decisi a ritrovarsi, assaporarsi…
E André fu un tenero amante e un feroce conquistatore, dettando il ritmo di un’agonia dolcissima e struggente. E per la seconda volta, la fece sua. Con una voluttà che li avvolse e li condusse in una danza ritmica e sensuale. Una danza di sospiri e promesse. Di baci caldi e teneri, duri e appassionati. Di mani che si intrecciavano, cercandosi… trovandosi… scoprendosi.  E Oscar fu sua. Ancora e ancora. Arrendevole e intrigante. Lasciandosi amare. Pretendendo di amare. Le mani affondate nei suoi capelli scuri,  umidi di sudore, eppoi sulla schiena a seguire il guizzo di quei muscoli sodi. Morendo sulle sue labbra esigenti. Rinascendo ad ogni suo movimento ricercato e perfetto. Fu allora che lo graffiò. Inavvertitamente. E la smorfia leggera di André la fermò. Ma lui l’ammantò  con uno sguardo malizioso e un sorriso ancora foriero di mille promesse e piaceri… E fu di nuovo la fine e poi ancora l’inizio…
 
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***
 
Un alito di vento alleviò piacevolmente la calura estiva, scivolando tra i muri e i vicoli del paese al seguito del chiarore azzurrognolo che preannunciava l’avvento di quella sera. 
Alain gettò istintivamente un’occhiata a quella finestra. L’unica che non avrebbe dovuto guardare.  Pentendosi subito dopo. Distogliere lo sguardo, infatti, non era stato sufficiente a cancellare dai suoi occhi l’immagine di André stretto al suo comandante.
Ficcò le mani in tasca,  chiedendosi quando fosse diventato così sciocco e puritano. Cosa poteva mai esserci in un abbraccio da imbarazzarlo a tal punto? Si passò una mano sulla nuca, ridacchiando tra sé e prevedendo, tra i due amanti, scintille, e affossando il leggero senso di malessere che gli attanagliava lo stomaco.
Missione compiuta! si disse. Da oggi, basta essere l’ombra del comandante! Ogni cosa tornerà al suo posto. Ottima fine, ottimo inizio!
Percorse un breve tratto di strada, tra ciottoli sconnessi, allontanandosi dalla  locanda ma  senza perderla di vista. Trovò un muretto di pietra e muschio e vi si sedette a cavalcioni. Poi estrasse dalla tasca interna della giacca l’armonica acquistata quella stessa sera e socchiudendo gli occhi intonò una vecchia canzone.
-Siete una continua sorpresa! – lo interruppe una voce ben nota.
Voltandosi alla propria sinistra, Alain spianò gli occhi scuri sulla figura che aveva parlato.
-Mademoiselle! – salutò mettendo a fuoco  l’immagine di Eloise. –Voi non siete da meno, a quanto pare! – commentò, cogliendo  il riferimento di lei alla musica e rimarcando, di conseguenza, il fatto che si trovasse in giro da sola dopo l’ora di cena. 
-Non ho bisogno della balia. – ribatté ironicamente la ragazza sollevando il mento.
Alain sorrise, poi rise di gusto.
-Ne sono convinto! –  affermò. Ma quando si accorse dello sguardo di Eloise rivolto alla locanda, ammutolì di colpo fissandola serio.
La ragazza si appoggiò di spalle al muretto.
-Non commiseratemi. – lo rimproverò. – Non ce n’è affatto bisogno. – disse. - Non mi sono mai illusa di rimpiazzare Serge con il vostro André. Se è questo che pensate. Mi bastava allontanarmi da Parigi. –
Alain inarcò un sopracciglio.
-Cosa avete intenzione di fare? – domandò.
Lei esitò. Poi, guardandolo negli occhi, decise che non aveva niente da perdere. E questo perché nessuno  avrebbe potuto fermarla, ormai.
-Raggiungeremo Amiens, come previsto. Ho già parlato con André. Restituirò la libertà a Serge. Rassicurerò Madame sul mio futuro. Poi me ne andrò a Calais e da lì mi imbarcherò per l’Inghilterra. – rispose scandendo bene ogni passaggio. Gli occhi sempre puntati in quelli di Alain.
Si volse.
-Non tornerò a casa. Non potrei accettare le imposizioni della mia famiglia che troverebbe sicuramente un sostituto brillante al fu Serge… - mormorò. –Non sono più una ragazzina. Sono stata fidanzata. Dovrei accettare chiunque si dovesse degnare di chiedere la mia mano. – scosse la testa impercettibilmente, facendo scivolare una ciocca di capelli castani sulla guancia. Poi rise. Rise amaramente e Alain non poté che notare quanto quella giovane donna amareggiata somigliasse ad Oscar.
-Siete un tipo straordinario… Lasciatevelo dire! – ammise spontaneamente.
Gli occhi di lei lo trafissero.
-E voi? – domandò. – L’avete persa! – disse con sguardo impudente,  accennando col capo alla locanda.
Alain ispirò profondamente. Quella ragazza sapeva essere fastidiosa e impertinente.
-Dovreste smetterla con queste sciocchezze… - mormorò. – Non ho perso nessuno. –
-Dimostratemelo! – sogghignò lei guardandolo ancora negli occhi.
Alain ammutolì, irrigidendo la mascella. Impertinente e provocatoria! Ringhiò il suo stomaco.
Saltò giù dal muretto, fronteggiandola e mentre lei, sussultando, arretrava di un passo, forse chiedendosi se non avesse esagerato, quell’immensa figura d’uomo le passò una mano dietro la schiena.  Afferrandola per la vita e trascinandosela addosso, Alain la baciò duramente.
-Contenta?- mormorò sulle sue labbra, staccandosi da lei  e facendole riprendere fiato.
Un sonoro ceffone gli fece volgere il capo.
Furente, Eloise si passò il dorso di una mano sulle labbra violate e sollevando le gonne si diresse altera verso la locanda senza mai voltarsi.
Alain si massaggiò la guancia.
“Mi dovete una faccia nuova, comandante…” mormorò tra sé. E tornando cavalcioni sul muretto, riprese a suonare quella vecchia canzone.
 
 
 
 
Amiens – fine agosto 1789. Epilogo
 
La luce piena di quella mattina si rincorreva in barbagli dorati sul pavimento della terrazza aperta sul giardino di villa Boullet.
André socchiuse l’occhio stanco cercando di proteggerlo dal sole troppo forte.
-Ne sei proprio sicuro, Alain? – tentò ancora  una volta, rivolto all’amico che gli sedeva accanto, attorno ad un piccolo tavolo imbandito per la colazione.
Per tutta risposta, l’uomo abbassò il capo sul petto e ridacchiando spostò lo stecchino da un angolo all’altro delle labbra. Poi si piegò  in avanti e sollevando un braccio, diede un paio di pacche sulle spalle dell’ex-commilitone.
-E’ tempo di ritirarmi, amico. – mormorò –Io mi dimetto! Il comandante non ha più bisogno di me, non ti pare? –
André ne soppesò la figura massiccia, tornata ad indossare la vecchia uniforme blu dopo quei giorni di libertà e riposo che si erano concessi. La tenuta della famiglia Boullet, era infatti divenuta per tutti loro un  nuovo, momentaneo rifugio, amorevolmente accuditi da Madam, ancora restia a separarsi dal suo Serge.
Lasciandosi andare contro lo schienale della sedia, André riportò lo sguardo sul giardino sottostante la breve gradinata della terrazza. Così facendo, Oscar ed Eloise, impegnate in un acceso  scambio di opinioni, tornarono nel suo campo visivo.
-Non cambierai idea, vero? – domandò qualche momento più tardi, tornando sull’ argomento che gli stava particolarmente a cuore.  L’imminente partenza di Alain gli causava una profonda tristezza.
Alain non rispose subito, ma seguì il suo sguardo trovando Oscar. Abbassò gli occhi scuri, distogliendo la mente da quella pericolosa figura bionda. Lasciando che fosse solo lo sguardo di André a carezzarla.  
-Il ruolo del terzo incomodo non fa per me – rise amaramente, augurandosi che l’amico non riuscisse a leggere quanta verità ci fosse in quelle parole.
Ma l’ uomo, perso nella contemplazione, non parve accorgersi di nulla.
-Torneremo a Parigi anche noi… - mormorò infatti distratto. – Non prima, però, di aver pensato alla salute di Oscar… -
Alain avvertì una stretta al cuore al pensiero della violenta tosse che aveva rischiato più volte di spezzare il suo fragile comandante.
-Una vita più regolare e tranquilla non potrà farle che bene. – commentò.
André annuì, poi si sporse leggermente in avanti come a voler osservare meglio la figura mora di Eloise.
-Anche Eloise dovrebbe fermarsi… - osservò con una punta di amarezza nella voce.
Non provava astio né rancore per quella ragazza che aveva mantenuto la parola sciogliendo, agli occhi di Madame, il fidanzamento con Serge. Solo una sorta di affetto. E l’idea che si stesse preparando a partire da sola, affrontando il viaggio per Calais lo impensieriva un po’. Pensiero condiviso anche da Oscar.  E probabilmente, era di questo che due donne argomentavano. Testarde entrambe.
-Con quel carattere? – sbottò istintivamente Alain, giocando  ancora con lo stecchino che teneva tra le labbra, lo sguardo fisso al giardino.
André gli rivolse un’occhiata sorniona. Ma non disse nulla, sorridendo tra sé.  Assaporando attraverso la camicia la carezza del sole e il piacere di quella giornata che avrebbero trascorso ancora tutti insieme prima dell’inevitabile fine che avrebbe portato per tutti un nuovo e imponderabile inizio…

                                                                                                                                                                                                               

 
 
 
 
Un paio di note:
*Riferimento alla lettera che appare nella mia FF “UNA DONNA”
**Autocitazione! Perdonatemi, è stato più forte di me… Riferimento “non casuale” al titolo della mia FF “JE T’AIME, OSCAR!”
 
 
DUE PAROLE…
Qui si chiude questo mio “SOLDATO BLU”. Spero vivamente vi abbia tenuto compagnia, così come ha fatto con me durante la sua stesura.
C’è una certa emozione, quando si giunge alla fine di un’avventura. Un sottile piacere misto ad un pizzico di prematura nostalgia. Nostalgia per il percorso fatto e per gli amici che ci hanno accompagnato. Ecco come mi sento adesso... NOSTALGICA! Un pezzo del mio cuore resterà per sempre legato a questo racconto, storia che non avrei mai immaginato di scrivere e per la quale devo invece ringraziare chi, con esortazioni e commenti, mi ha spinta a farlo… Il mio amore sconfinato per LADY OSCAR non pensavo mi avrebbe mai permesso di modificare anche solo una virgola di una storia (nella sua versione ANIME) che trovo già perfetta così, nel pieno della sua tragicità. Da oggi, invece, sorriderò un po’ di più, pensando a questi 15 capitoli "extra" omaggio all’anime stesso! Ringrazio Serge (dolce e sfortunato), Eloise (forte e sfrontata) e Alain (non credo di dover aggiungere nulla di più di quanto ho già espresso lungo il corso di questa storia…). Ringrazio Oscar e André (imprigionati in questa sorta di “gioco delle parti” che hanno permesso alla nostra eroina “algida e capricciosa, leonessa forte e fragile” di sperimentare anche solo per poco quella zona d’ombra nella quale André ha vissuto per anni) e soprattutto… ringrazio il DIARIO!
 
Un RINGRAZIAMENTO ENORME va poi tutti voi che mi avete seguita, sopportata e recensita. A chi ha avuto la pazienza di aspettare una mia risposta, a chi si è FIDATO ciecamente di me! 
 
DOMANDE, RICHIESTE e NUOVE ISPIRAZIONI sono le BENVENUTE!
 
Intanto, nella speranza di leggervi presto e di trovarmi ancora in vostra compagnia, vi ricordo il primo appuntamento con un nuovo progetto… anzi due! Da quando? Ma già da questo fine settimana, ehehehe!
E per ingolosirvi o semplicemente “indirizzarvi”, ecco due righe di presentazione generale relative ai due soggetti originali ai quali ho già accennato:

-MISERERE. Basso Medioevo. Sacro Romano Impero. Città di Rosemburg.  Pedine inconsapevoli di un gioco iniziato quando ancora erano in tenera età, Johannes e Justus, destinati rispettivamente all’Arma e al Clero, si trovano loro malgrado coinvolti in un ordito di peccati e di colpe… Non sarà sufficiente lo stretto legame con il Vescovo-Conte della città a salvare le loro anime.
 
-IMMORTALITY. Patto di sangue. Nord America. L’inquieta diciannovenne Rose si chiede perché mettere in discussione tutto. Una vita perfetta, un fidanzato perfetto, un futuro perfetto. Ma quel patto di sangue, sancito più di duecento anni prima,  sembra soffocarla mentre due caldi occhi nocciola potrebbero indicarle l’unica via d’uscita, l’unica deviazione da un percorso già scritto per lei…

Adesso vi saluto, senza rubarvi altro tempo prezioso, curiosa di scoprire chi ritroverò alla prossima avventura! 
A presto, Sabrina 

 

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