The hardest of hearts -

di __lovatosheart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due. ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci. ***
Capitolo 12: *** Capitolo undici. ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodici. ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici. ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordici. ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindici. ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedici. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***



Capitolo 1
*** - Prologo ***


..si.
Ho una long in corso, e ne sto iniziando un'altra.
Volete sapre una cosa divertente? Ne ho in mente un'altra ancora, che però è solo all'inizio.
Ho così tante idee e cose da scrivere e così poco tempo per farlo, sigh.
Anyway, senza perdere il filo del discorso (?), questa ff è una AU, Lauren è una bad girl e Camila una nerd.
So che è un classico clichè questo, ma cercherò di rendere questa storia il più originale possibile.
Ho molte idee in mente e spero davvero che vi piaccia!
Ora vi lascio alla lettura, vi dirò altre cose sotto, (come se qualcuno leggesse sul serio questi scleri inutili ahha) (se lo fate tanti cuori per voi ♥♥♥), ultima cosa: il titolo della ff e l'idea stessa, sono tratti da una delle mie canzoni preferite, "The hardest of hearts", di Florence and the machine!

Vi consiglio di sentirla, è meravigliosa, la trovate qui: 
http://www.youtube.com/watch?v=HkzORb7JolI


Camila entrò in classe, si diresse al suo banco, quello in prima fila, e iniziò a cacciare i libri della lezione di storia, quella della prima ora.

Aveva appena finito di sistemare ogni cosa sul banco in modo ordinato quando qualcuno, passando, pensò di essere divertente buttando giù i suoi libri.

Camila si girò, pronta a dirne quattro a chi le aveva gettato i libri a terra, ma le parole si persero a mezz'aria quando vide chi lo aveva fatto.

Una ragazza, che era certa di non aver mai visto prima, con lunghi capelli castani lasciati liberi, mossi, una giacca nera di pelle, dei pantaloni attillati e degli stivaletti, anch'essi neri.

Se non fosse stato per il fastidio che le aveva dato quel gesto, Camila avrebbe notato la bellezza inusuale di quella ragazza.

Solitamente era una persona sempre ben disposta verso gli altri, pronta a rivolgere un sorriso e a stringere amicizia, il problema che non faceva mai ridare l'equazione erano 'gli altri'.

Camila non era esattamente la ragazza popolare che si vede nei telefilm, la capo cheerleader o quella che tutti amano o, per essere più realisti, quelle che, chi odia, non lo da a vedere.
In realtà, a volte pensava di essere un'alieno.

Aveva lunghi capelli neri, occhi castani scuri grandi ed espressivi e un fisico snello, un'altezza nella media media e qualche problema di equilibrio, ma qualche caduta a parte, non l sembrava di essere così 'anormale'.

Le ragazze intorno a lei mettevano al primo posto tra le loro priorità la popolarità, il numero giornaliero di ragazzi che provavano a uscire con loro o il vestito più attilato da scegliere per andare a scuola.

Ma lei era diversa.
Si era sempre sentita così, e le altre persone non avevano fatto nulla per farla sentire diversamente.


Camila amava leggere.

Amava passare del tempo con un buon libro in mano, nella bibioteca della scuola o nella poltrona del salotto della sua casa.

Amava la musica: sapeva suonare il piano da quando aveva sette anni, e ogni tanto sedersi e suonare qualche nota la faceva sentire bene.

Camila si sentiva più a suo agio nella solitudine e nel silenzio che in una stanza piena di gente.

"L'alunna migliore della classe." "La migliore del corso di scrittura creativa." erano tutti modi in cui i professori la chiamavano, ma per il resto del mondo era semplicemente "Camila Cabello, la secchiona." o "la sfigata".

Era molto orgogliosa, e la maggior parte del tempo cercava di dimostrarsi superiore, di non dar retta e di ignorare i commenti che riceveva ogni giorno o gli insulti che trovava scritti sul banco , ma la verità era che di notte, prima di addormentarsi, sperava, segretamente, che il giorno dopo si sarebbe svegliata e avrebbe trovato qualcuno con cui condividere le sue passioni, i suoi sentimenti, senza essere giudicata.

Sognava la comprensione, l'amicizia e l'amore che non aveva mai trovato, se non in personaggi di fantasia e in note musicali.

La verità era che ad essere soli non ci si abitua mai.

Impari a soppottarlo, ma non diventa mai un'abitudine.

Era impossibile contare tutte le volte in cui si era chiusa in bagno a piangere, o quelle in cui si ritrovata raggomitolata su sè stessa, a stringersi, come se fosse sul punto di cadere in mille pezzi.

Ad ogni insulto, ad ogni provocazione, si diceva che era momentaneo, che il destino le stava lasciando il meglio per ultimo e che doveva solo resistere.

Teneva duro, ma non sapeva per quanto altro tempo ci sarebbe riuscita.

Quindi, quando si voltò e vide quella ragazza, non fu semplicemente per uno stupido scherzo che le gridò dietro un "EHY, TU!", ma perchè era al limite.

E l'atteggiamento strafottente di quella ragazza misteriosa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

La ragazza si girò, un ghigno beffardo sulla bocca e le sopracciglia inarcate in atteggiamento di sfida. Si guardò intorno, come ad attirare l'attenzione dei compagni, per poi chiederle, con tono di beffa "Dici a me?".

Questo fece perdere definitivamente le staffe a Camila, che si alzò e percorse a grandi falcate il tratto di aula che la divideva dall'altra, per poi puntarle il dito contro e dirle: "Ovvio che dico a te. Chi diamine ti credi di essere?"

Da quella vicinanza, Camila si accorse di quanto l'altra ragazza fosse più alta di lei, ma cercò di sembrare arrabbiata e decisa.

Quest'ultima, dopo averla guardata per qualche secondo, scoppiò a ridere, seguita subito a ruota da tutti gli altri ragazzi presenti in aula.

Camila, sempre più infastidita da quell'atteggiamento, le gridò contro un "Si può sapere qual è il tuo problema?!" proprio nell'istante in cui il professore faceva il suo ingresso in aula.
Vedendo la ragazza gridare contro l'altra, il dito ancora puntato in modo minaccioso, il professore intuì le cose nel modo sbagliato.

"Cabello!"

Camila si voltò di scatto, sentendosi chiamare, e quando si accorse della presenza del professore si sentì ghiacciare.

Non aveva mai preso una nota o una punizione, era sempre stata l'alunna modello e mai un professore aveva avuto il bisogno di richiamarla.

La ragazza più alta, approfittando del momento di stupore della più bassa, disse subito: "Professore! Stavo andando a sedermi al mio banco quando questa.. - si fermò, facendo una faccia schifata- ..ragazza ha iniziato a gridarmi contro! E' pazza!"

Il resto della classe rise, scambiandosi sguardi complici, e facendo aumentare sempre di più il desiderio di Camila di sprofondare, o magari di tirare un pugno a quella ragazza.

Sentendosi chiamata in causa, subito si scosse dallo stato di sorpresa e iniziò a difendersi.

"Professore, non può crederle! Ha buttato già i miei libri e.."

"BASTA COSI'!" Esclamò il professore, non disposto ad ascoltare quelle lamentele di prima mattina.

"Cabello, visto che è la prima volta che trasgredisci le regole, te la caverai con una punizione che non verrà segnata sulla sua condotta."

La più alta iniziò a ridere, divertita, ma quel sorriso svanì immediatamente quando il professore continuò: "Non la dia vinta così in fretta, signorina..." la guardò con aria interrogativa, e quando quella borbottò un "Jauregui" controvoglia, riprese- "..Jauregui, farà compagnia a Camila in punizione, magari imparerete a risolvere i vostri.. problemi. E lei, -indicò la ragazza più alta - farebbe meglio a rispettare le regole d'ora in poi, in questa scuola chi trasgredisce viene punito."

Concluse così il discorso, mettendo a tacere le proteste delle due e dichiarando iniziata la lezione.

Ognuno tornò al proprio posto, la maggior parte ancora ridendo, e Camila, prima di andarsi a sedere al suo banco si passò una mano tra i capelli, tirandoli dietro la spalla, accertandosi che finissero proprio in faccia alla ragazza.

Prima di cominciare a spiegare, il professore fece l'appello, e presentò a tutti la nuova arrivata: Lauren Jauregui, nonostante non ci fosse davvero bisogno di presentazioni; non dopo la discussione con Camila.

Com'è che aveva detto di chiamarsi?

Oh, si. 

Jauregui, hai appena guadagnato il primo posto nella mia lista nera.




Questo era solo il prologo, per questo motivo è corto.
Appena ricevo qualche recensione pubblico il primo capitolo, fatemi sapere se vi piace! c:
Al prossimo capitolo, un bacio a tutti!

- Laura.

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Capitolo 2
*** Capitolo uno. ***


Eccomi qua, come promesso, con il primo capitolo!
Grazie mille per le recensioni che avete lasciato, vi adoro ♥
Come sempre, le note le trovate sotto! Buona lettura c:



Capitolo uno:

 
There is love in your body but you can't hold it in
It pours from your eyes and spills from your skin


 
Camila uscì dall'ultima lezione sbuffando, pensando già a cosa l'aspettava.

Pensò di avvisare la madre, dicendole che aveva un progetto o qualcosa del genere, ma poi si rese conto che non importava. Sua madre lavorava fino a tardi, e suo padre, sempre per lavoro, era a casa un mese si e cinque no.  

Non si sarebbe accorto nessuno del suo rientro posticipato.

Così attese che tutti gli studenti si riversassero nei corridori, resistendo all'impulso di gridare contro ogni persona che si comportava da idiota starmazzando verso l'uscita, e, quando l'edificio si fece sempre più vuoto, iniziò ad andare verso l'aula 401.

Probabilmente era una delle pochissime aule che non aveva mai visto, e nemmeno ci teneva a farlo, ma non aveva scelta.

Avrebbe sopportato quelle due ore e poi sarebbe tornata a casa, avrebbe suonato un pò e finito quel libro che aveva in sospeso e si sarebbe scordata di quella ragazza.
Almeno fino alla prossima lezione di storia.

Percorse i corridori chiedendosi per quale motivo qualcuno dovesse trasferirsi a semestre inoltrato, un mese prima delle vacanze di natale, ma si convinse che non era importante.
Meno aveva a che fare con quella Jauregui, meglio sarebbe stato.

Arrivò davanti l'aula, guardò il numero scritto in nero sopra il vetro e sospirò, per poi prendere un grande respiro e farsi coraggio.

Bussò, con due colpi non troppo decisi, e quando sentì il professore invitarla ad entrare aprì la porta, timidamente.

Come aveva immaginato, la ragazza non era ancora arrivata.

Lo salutò con un 'salve' sussurrato, prima di andarsi a sedere al banco che occupava in ogni aula: quello in prima fila, davanti alla cattedra.

Aprì lo zaino e prese dei libri, decisa a portarsi avanti con i compiti della settimana e a sfruttare quelle ore.

Aveva appena iniziato a risolvere un'equazione irrazionale quando la porta si aprì e lei entrò, senza degnare nè di un saluto nè di uno sguardo i presenti.

Il professore la guardò, colpito da quella mancanza di rispetto, per poi schiarirsi la gola con un colpo di tosse.

Camila alzò lo sguardo dal foglio, guardando prima il professore e poi girandosi verso l'altra, che si era sistemata infondo all'aula.

"Ehm-ehm."

Questa volta la mora alzò lo sguardo, sempre con lo stesso ghigno beffardo, inarcando le sopracciglia, come chiedendo il motivo di quel richiamo.

Camila vide il volto del professore diventare paonazzo, e dovette trattenersi dal ridere apertamente, anzi, sogghignare, in vista di ciò che aspettava la ragazza.

Il professore di storia, Mr. Craft, era noto nella scuola per la sua severità, e sicuro non l'avrebbe fatta passare liscia all'altra.

"Signorina Jauregui, non so come funzionino le cose da dove l'hanno cacciat-ehm, da dove si è trasferita, ma qui si porta rispetto al corpo docenti."

La ragazza interpellata lo guardò come se parlasse arabo, alzò le spalle e abbassò lo sguardo sulle sue unghie, in completa indifferenza.
Il volto del professore si fece livido.

"JAUREGUI!"

Camila, nonostante quell'urlo non fosse rivolto a lei, sobbalzò leggermente. Odiava sentire le persone urlare, e una piccola, minuscola parte di lei provò quasi compassione per quella ragazza.

Quasi.

La mora alzò lo sguardo, guardandolo questa volta con aria scocciata.

"Si, ci sento bene. Cosa vuole?"

Ecco, adesso anche quel briciolo di compassione era sparito.

"Non parli con me in questo modo! UN MESE DI PUNIZIONE! E adesso venga a sedersi qua davanti."

Probabilmente aveva capito che non era il caso di andare oltre, perchè si alzò, scalciando la sedia in modo brusco e facendo rumore, cosa che fece stringere gli occhi del professore fino a farli diventare quasi due fessure, e poi andando a sedersi al banco che le era stato indicato.

A fianco a quello di Camila.

Strinse i pugni, cercando di ignorare il fastidio che anche solo la sua presenza le causava.

Non sapeva davvero spiegarsi da dove venisse tutta quella rabbia, non era da lei, ma non riusciva a sopportarla.

E la conosceva solo da qualche ora.

Ad un certo punto l'altra iniziò a far scoppiare una gomma da masticare, ripetutamente, finchè il professore le ordinò di gettarla.

Poi, dopo nemmeno qualche minuto di 'pace', iniziò a tamburellare le dita sul banco.

Camila capì che lo faceva apposta, cercando di farla esplodere, così strinse più forte i pugni, ormai certa di essersi procurata qualche ferita sul palmo delle mani, concentrandosi sulla matematica.

Alzò lo sguardo verso l'orologio: un'altra mezz'ora e sarebbe stata libera.

Stava già per cantar vittoria, quando la ragazza iniziò a battere lo stivale contro la sua sedia, e quel punto agì d'istinto, senza pensarci due volte.

Si voltò di scatto, per poi urlare un "ADESSO BASTA!" che rimbombò per tutto l'edificio.

Quando si accorse di ciò che aveva fatto si diede da sola dell'idiota, e non fu troppo sopresa quando il professore allungò la sua punizione di un mese.

Idiota, idiota, idiota. 

Hai lasciato che ti incastrasse.

Finalmente l'ora e mezza terminò, e il professore si avviò velocemente verso l'uscita, probabilmente desideroso di allontanarsi il più velocemente possibile da quelle ragazze.

Camila seguì il suo esempio e mise in fretta i libri dentro la borsa, prese il cappotto in mano e fece per dirigersi verso la porta, nervosa, per qualche ragione che non comprendeva, all'idea di restare sola con l'altra.

Stava già sospirando di sollievo, finalmente libera da quella tortura, quando l'altra ragazza le si parò davanti, bloccandole l'accesso alla porta.

Camila si fermò, chiuse gli occhi, e respirò profondamente, ricordandosi quali erano i suoi principi morali e facendo appello a tutte le sue forze per non prendere a schiaffi l'altra.

La più alta la guardò incuriosita, chiedendosi cosa le prendesse, per poi chiederle, con un tono irisorio: "Ma che diamine fai? Dio, hanno ragione a dire che sei strana.", per poi ridere.

La mora non ce la fece più, mandò all'aria i suoi buoni propositi e iniziò a parlare all'altra, con voce ferma, che voleva essere minacciosa, puntadole il dito contro.

"Tu! Non osare dirmi che sono io quella strana. Arrivi qui, credendoti chissà chi, e mi fai finire in punizione con te! E io non sono mai. stata. in. punizione." Scandiva ogni parola colpendo col il dito il petto dell'altra, che la guardava, senza togliersi il ghigno dalla faccia.

"E SI PUO' SAPERE PERCHE' RIDI?!" Sbottò la minore, infastidita, al limite della sopportazione.

Poi scosse la testa, si allontanò, si sistemò i capelli e disse, più a sè stessa che all'altra, "No, nonono. E' inutile." poi alzò lo sguardo e, fissandola dritto negli occhi, continuò: "Adesso, potresti, di grazia, farmi uscire?" Cercando di dirlo con il tono più pacato possibile.

La più alta incrociò le braccia al petto e si appoggiò con la schiena contro lo stipite della porta, divertita, per poi chiederle: "Davvero vuoi già andartene? Non ti piacerebbe restare un pò qui? Possiamo divertirci, sai." - concluse, con un sorriso che non prometteva nulla di buono, e un tono di malizia nella voce che fece venire i brividi all'altra.

Che diamine voleva dire?

Camila cercò di sembrare più sicura di quanto fosse in realtà - "Non resterei da sola con te neanche se fossi l'ultima persona dello stato, NO, neanche se fossi l'ultima persona di questo pianeta!" Affermò, sperando che l'altra non avesse notato come il tono della sua voce si era alzato di qualche ottava alla fine della frase, tradendo la sua facciata sicura.

Ma, ovviamente, l'altra lo aveva notato. Infatti, si staccò dalla porta, avvicinandosi all'altra che, di riflesso, fece un passo indietro, intimorita.

"Ehy, hai paura? - chiese la più altra, questa volta un sorriso meno accennato. - Da quanto tempo non ti diverti un pò, eh?"

L'altra sentì il cuore martellarle in gola. Aveva toccato un punto molto, molto, dolente.

Ingoiò a vuoto, sentendosi la gola completamente secca, per poi rispondere: "No-non sono affari tuoi, e in ogni caso, sarebbe più divertente un'altra ora di punizione che stare con te."
"Ne sei sicura?" Chiese l'altra, avvicinandosi ancora di più.

"Ovvio." rispose prontamente l'altra, cercando di adocchiare la distanza tra la sua posizione e la porta, iniziando già a pensare al modo migliore per uscire, liberandosi dell'altra.

"Forse così ti ricrederai." Affermò la più alta, per poi fare l'ultima cosa che Camila si sarebbe mai aspettata.

Si stava avvicinando, e, nonostante non avesse pratica in queste cose, la più bassa capì subito le sue intenzioni.

Voleva baciarla.
Approfittò del momento in cui l'altra chiuse gli occhi per spostarla di lato, colpendo il braccio che tentò di fermarla, e correndo verso l'uscita.

Mentre attraversava a grandi falcate il lungo corridoio, potè giurare di aver sentito la risata dell'altra echeggiare nelle mura.

Quando riuscì a raggiungere la porta e uscire nell'aria aperta, si chiese se non fosse per caso finita in uno squallido film horror. 

Si avviò velocemente verso casa, cercando di rimandare i pensieri su ciò che era appena successo per dopo, per quando sarebbe stata nella solitudine e nel silenzio della sua stanza.

Aveva bisogno di riflettere bene su tutto quello che era accaduto, anche se sapeva che sarebbe stato impossibile cercare di dare un senso.

E, mentre camminava a passo svelto, con la brutta sensazione di essere seguita addosso, controllando spesso dietro le sue spalle e trovando ogni volta la strada deserta, un solo pensierò le attraversava la mente.


Lauren voleva baciarmi.




Ri- ciao a tutti!
Amatemi, ho postato due capitoli uno dopo l'altro v.v
Okay, bando alle ciance (?) fatemi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo, love y'all!

-Laura.

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Capitolo 3
*** Capitolo due. ***


Ciao a tutti!
Eccomi, finalmente, con il secondo capitolo!
Prima di tutto, vorrei ringraziare tutte le meraviliose 7 persone che hanno recensito lo scorso!
(chiedo scusa perchè non ancora riesco a rispondere a tutti, scusate! Lo farò appena ho tempo cc)
E niente, vi lascio alla lettura e as always mi ritrovate (poveri voi) nelle note sotto c:


Capitolo due:


 
 
Tenderest touch leaves the darkest of marks

 
Camila continuava a girarsi e rigirarsi nel letto, incapace di mettere a tacere le voci nella sua testa, e di fermare le immagini di quel pomeriggio dal comparire nella sua mente ogni volta che chiudeva gli occhi, come se fossero nascoste dietro le sue palpebre.

Che cosa voleva significare il comportamento di Lauren?

Più cercava di trovare una connessione logica tra gli ultimi avvenimenti, più le sembrava di star tralasciando qualcosa di fondamentale per trovare una spiegazione.

Ma, onestamente, quale motivo potrebbe spingere una persona a provare a baciare qualcuno appena conosciuto?

Camila si disse che, probabilmente, era semplicemente stato uno scherzo di cattivo gusto, ma questo non la faceva stare più tranquilla.

Perchè, se così fosse stato, non lo aveva trovato affatto divertente.

Non aveva ancora ricevuto il suo primo bacio, e se fosse successo in quel modo, e con quella persona, non se lo sarebbe mai perdonato.

Quando la luce del mattino iniziò ad accarezzarle il volto, attraverso le fessure della serranda, Camila si svegliò di soprassalto, mettendosi subito seduta sul letto.

Sudava freddo, e il suo cuore martellava nel petto come se lei avesse appena fatto una lunga corsa.

 Aveva sognato Lauren.

Non sapeva spiegarselo, ma qualcosa in quel sogno l'aveva terrorizzata.

Forse era stata la sensazione che aveva avuto quando aveva visto l'altra avvicinarsi, forse il suo ghigno che non prometteva nulla di buono, o forse i suoi occhi, magnetici, che sembravano nascondere qualcosa di grave quanto importante.

Controllò l'orario, voltandosi verso la radio-sveglia sul suo comodino: le sei e trentacinque minuti.

Era troppo presto per iniziare a prepararsi, così si allungò nuovamente sul letto, riflettendo.

Decise che la cosa migliore sarebbe stata mantenere il più possibile la distanza dall'altra, e cercare di ignorarla durante le ore che erano costrette a passare insieme.

Era l'unico modo per uscire indenne, fisicamente e psicologicamente, dal mese di punizione che la aspettava.

-
Quando uscì di casa, nel freddo di un martedì mattina di metà novembre, Camila si strinse di più nel suo cappotto, per poi prendere dalla tasca il suo mp3 e mettersi le cuffiette nelle orecchie.

Ed ecco qui, tutti i problemi, i pensieri, i dubbi, ogni cosa spariva.

C'era solo la sua musica.

Prese l'autobus cercando di ignorare, come al solito, le urla dei suoi coetanei più vivaci, o come li avrebbe definiti lei 'idioti', che di prima mattina si divertivano a dare fastidio a tutti i passeggeri, gridando parolacce o bestemmie e ridendo ad alta voce.

Una volta arrivata a scuola entrò subito, nonostante mancasse ancora del tempo prima che la campanella suonasse, dirigendosi verso l'aula di matematica avanzata e prendendo dallo zaino il libro per ripassare la lezione.

Non voleva ammetterlo a sè stessa, ma una parte di lei era sollevata. Dubitava che una persona come quella Jauregui potesse frequentare il corso avanzato di matematica, anche perchè il giorno prima il professore si era lasciato fuggire il fatto che era stata cacciata dalla precedente scuola.

Era così tranquilla e certa di non dover vedere l'altra, almeno in quell'ora, che non si accorse della presenza di qualcun'altro nella stanza finché qualcuno non diede una spinta al libro che stava leggendo.

"Non di nuovo" pensò lei, girandosi a guardare chi le aveva fatto quello scherzo, per poi gelarsi.

Perchè dietro di lei, con lo stesso ghigno in faccia e lo stesso atteggiamento strafottente, c'era Lauren.

Sentì il cuore iniziare a battere più forte e iniziò a sudare freddo, la stessa sensazione di paura che aveva provato nel sogno che le attanagliava lo stomaco in una morsa ferrea.

L'altra probabilmente si accorse del cambiamento nell'atteggiamento dell'altra, perchè le disse: "Capisco che provi una certa attrazione verso di me, ma non c'è bisogno di essere così agitati!" per poi ridere, evidentemente divertita da un umorismo che Camila non riusciva a cogliere.

La minore sembrò risvegliarsi dallo stato di catalessi in cui era caduta, perchè si alzò a sua volta e le risposte, cercando di rendere il suo tono il più duro possibile: "Attratta da te? Ma neanche nei peggiori dei miei incubi."

"Scommetto che sono anche in quelli, non è vero?"

Lauren aveva sempre la risposta pronta, e questa cosa faceva innervosire ancora di più Camila, che odiava non avere l'ultima parola su qualcosa.

Quella domanda, però, la fece restare per qualche secondo in silenzio, incapace di trovare le parole per risponderle a tono.

"N-no, ma come ti viene in mente?" chiese in fine, suonando però patetica anche a sè stessa.

"E poi, che diamine ci fai qui? Questa è la classe di matematica avanzata." Disse, mettendo molta enfasi nelle ultime due parole, come se stesse parlando con qualcuno di un'altra nazionalità che, per questo, non era in grado di comprendere la sua lingua.

La più alta la guardo con uno sguardo di sfida, divertita, per poi replicare: "Bene, cambi argomento. - rise - E so benissimo che classe sia questa, grazie comunque."

Camila la guardò e le chiese: "Se lo sai, perchè sei ancora qui?"

L'altra sbuffò, annoiata e infastidita. "Forse perchè nel mio orario ho matematica avanzata alla prima ora del martedì?" Chiese poi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, per continuare - "Non sei il centro dell'universo, Cabello, pensavi sul serio che fossi venuta qui per te?" Poi si voltò e si sedette al suo posto, senza prestarle più attenzione.

Non sapeva bene il perchè, ma quell'ultima frase colpì Camila forte tanto quanto una coltellata. 

"Pensavi che fossi venuta qui per te?"

Mentre tornava a sedersi al suo posto, con la campanella che, finalmente, suonava, Camila si diede dell'idiota, perchè sarebbe dovuta essere solo sollevata dal fatto che l'altra non l'aveva 'seguita' o cose del genere.

Ma in realtà, sentirsi dire quelle parole le aveva fatto più male di tutti gli insulti e le prese in giro che aveva ricevuto nell'arco della sua vita.

Perchè le era sembrato così strano che qualcuno si interessasse a lei, e ovviamente si era dimostrato falso.

Chi voleva prendere in giro?

Era invisibile, la 'secchiona', la 'sfigata'. 

Non poteva pretendere che qualcuno la notasse o, ancora di più, che si interessasse a lei.

-

La giornata passò in modo relativamente tranquillo.

Lauren fu spedita in presidenza dopo nemmeno venti minuti dall'inizio della lezione di matematica avanzata perchè aveva cercato di dare fuoco ai capelli della ragazza seduta al banco davanti il suo, per poi giustificarsi con un "Era uno scherzo!".

Dopo quell'incidente, Camila non l'aveva più vista.

Non era certa se fosse perchè non avevano altri corsi in comune o semplicemente perchè era stata trattenuta a lungo dal preside, ma ciò non le importava davvero.

Nonostante restava sempre concentrata alle spiegazioni, una parte del suo cervello, di chissà quale grandezza e importanza, continuava a calcolare le ore che mancavano all'inizio della punizione con Lauren, come un macabro conto alla rovescia.

E, come ogni volta che bisogna fare qualcosa senza il minimo desiderio di farla, il tempo sembrava divertirsi a scorrere più velocemente del solito, e, prima che potesse preparasi psicologicamente ad affrontare un'ora e mezza in compagnia di quella strana ragazza, si ritrovò di fronte alla porta dell'aula 401, con la mano alzata davanti alla porta, senza trovare il coraggio di bussare.

Poi però pensò che, probabilmente, se fosse rimasta così ancora a lungo avrebbe rischiato di incontrare l'altra fuori dall'aula, e quindi da sola, e, rabbrividendo a quel pensiero, bussò e fece il suo ingresso.

Dopo aver salutato il professore, si diresse verso il banco in prima fila, si sedette e tirò fuori i libri, cercando poi di essere positiva.

Sarebbe uscita subito dall'aula, evitando così di rimanere da sola con l'altra.

Era la cosa migliore da fare.

Continuava a ripeterselo, ma non era certa di crederci davvero.

Perchè in quelle ore, nella sua mente si era fatta sempre più spazio una domanda: Perchè aveva provato a baciarla?

Nonostante cercasse di sopprimere quella morbosa curiosità, quei dubbi continuavano a ripetersi nel retro della sua mente, come un eco di cattivo gusto.

In quel momento, la porta si aprì, ed entrò la ragazza.

Camila la guardò, alzando lo sguardo più velocemente di quanto avrebbe voluto e dovuto fare, chiedendosi se un mese di punizione non fosse già abbastanza per l'altra.

Evidentemente si, perchè, sedendosi al banco dietro quello di Camila, mormorò un "Buongiorno.".

Il professore sembrò troppo stanco per arrabbiarsi per il tono con cui era stato salutato, infatti decise di ignorare, abbassando lo sguardo su un giornale che portava il titolo: "Storia: ieri, oggi, e domani.".

Camila sentì il suo cuore iniziare a battere più velocemente, sentendo la presenza dell'altra dietro di lei.

Se possibile, era anche peggio che averla al suo fianco.

Non riusciva nemmeno a capire se la sensazione di essere osservata fosse semplicemente una sua impressione o se l'altra la stesse davvero fissando.

Trenta minuti dopo, la ragazza si era rassegnata al fatto che, probabilmente, era solamente il suo subconscio, nonostante una vocina nella sua testa continuava a ripeterle che "quel tentativo di baciarti però non era opera del tuo subconscio."

Proprio in quel momento, da dietro di lei arrivò un pezzo di carta ripiegato, con i bordi storti, come se fosse stato tenuto troppo tempo in mano, nell'indecisione del mittente riguardo il mandarla o meno.

Restò un attimo ferma, sorpresa.

Si sarebbe aspettata di tutto da quella ragazza, ma di sicuro non un gesto pacato come lanciarle un bigliettino.

Nonostante sapesse che la cosa migliore da fare sarebbe stata ignorarlo, dopo aver lanciato un veloce sguardo al professore seduto davanti a lei, profondamente immerso nella sua lettura, lo aprì.

Cercò di farlo nel modo più lento possibile, senza mostrare l'ansia e la curiosità che la divoravano dall'interno, e , soprattutto, senza far notare all'altra che le sue mani tremavano leggermente, mentre lo apriva.

Perchè, adesso ne era certa, quegli occhi profondi e misteriosi erano puntati dritti su di lei, attenti ad ogni sua mossa.

Riusciva a sentirlo.

Le passò per la mente il fatto che quella era la prima volta che vedeva la scrittura dell'altra.

Poteva essere una cosa stupida, ma per Camila la scrittura di qualcuno diceva molto su una persona. Ordinata, disordinata, troppo grande, troppo piccola, allineata verso il centro, con i bordi del testo troppo distanti dal limite del foglio o, al contrario, schiacciati contro quest'ultimo.

Cercando di mascherare l'attenzione che stava prestando a quelle poche lettere, e memorizzando al tempo stesso le caratteristiche della scrittura dell'altra (piccola, con lettere ravvicinate e leggermente inclinate verso destra), richiuse in un pugno il foglietto e lo mise nel suo astuccio.

"L'offerta è sempre valida, quando decidi di dare una svolta alla tua vita."

Qualcosa, in quella frase, fece rabbrividire la minore,  che, istintivamente, si strinse le braccia al petto, incrociandole, cercando di contenersi.

Cercando di non permettere a sè stessa di farsi sopraffare dalle sue emozioni e dalle sue paure lì. 

'Non davanti a lei." pensò.

Per il rimanente dell'ora e mezza che dovevano scontare, Camila cercò di concentrarsi su altro. 

Ma i problemi di matematica o i paragrafi di filosofia non riuscivano a impegnarle la mente abbastanza da distarla dalla sensazione allo stomaco che le faceva venire voglia di vomitare.

Non voleva ammetterlo, ma quella ragazza la terrorizzava.

Qualcosa, in lei, sembrava urlare 'pericolo, non avvicinarsi'.

Ma, il problema peggiore, era che Camila, da tutto questo, non riusciva ad evitare di esserne affascinata.

Riusciva a percepire che quella ragazza si portava dentro qualcosa di troppo grande per lei, di oscuro e di difficile, e che per questo lo proiettava nel suo comportamento scorretto e irrispettoso verso gli altri.

La prima volta che si era ritrovata a seguire questo filo logico nei suoi pensieri era rimasta stupita da sè stessa, ma poi aveva capito.

Aveva compreso perchè con così tanta facilità era riuscita a inquadrare quella ragazza, lei che non riusciva mai a farlo con le persone che la circondavano.

Perchè sapeva che l'altra aveva intrapreso la via opposta alla sua, aveva fatto l'altra scelta al bivio in cui entrambe si erano imbattute nel percorso della loro vita.

Quello che ci viene posto davanti quando dobbiamo superare una situazione di dolore, un dolore troppo grande e forte per noi, qualcosa che ci sovrasta, come una montagna troppo alta per essere scalata e troppo larga per essere raggirata.

Camila aveva trovato la sua salvezza nel mondo dei libri, in quello della musica, e conviveva con la solitudine giorno dopo giorno, cercando di non impazzire.

Lauren, invece, aveva intrapreso un altro tipo di salvezza.

Il tipo di salvezza che, in realtà, è solo apparente.

Apparente, perchè ti libera del dolore solo per qualche secondo, ma poi torna a farsi sentire, più grande e forte di prima. E da lì, diventa un circolo vizioso, senza mai fine. Provi dolore, cerchi di mandarlo via nell'unico modo che pensi di avere, ti illudi di star meglio, finalmente, ma lui torna.Torna sempre. Ogni volta peggiore della precedente.

Lauren trovava la sua salvezza nel far star male altre persone, una sorta di 'vendetta' personale.

Se lei doveva soffrire in quel modo, chi dava il diritto al resto del mondo di essere felici?

Chi aveva deciso tutto questo?

Era strano, perchè per Camila quella ragazza era al tempo stesso un grande mistero e un libro aperto.

Un grande mistero, perchè non poteva che chiedersi cosa facesse soffrire così tanto quella ragazza, cosa l'avesse spinta a diventare così, cosa le era successo.

Un libro aperto, invece, perchè riusciva a capirla. Vedeva in lei il riflesso della sua versione opposta, un'altra Camila appartenente ad un universo parallelo, con difetti e pregi contrari.

 Così, quando il professore annunciò il termine della punizione, e si diresse di gran fretta verso l'uscita, Camila sentì il proprio respiro farsi più corto e frequente e il cuore battere sempre più forte, martellando contro la cassa toracica, come in un disperato tentativo di fuga.

Mise velocemente i suo libri nello zaino e si alzò, ma capì che era troppo tardi.

Lauren era stata più veloce. Infatti, era già in piedi, davanti a lei, il solito ghigno sul volto e un'aria di vittoria dipinto su quel'ultimo.

Probabilmente si rese conto, a quel punto, dello stato di ansia e timore in cui si trovava l'altra, perchè disse: "Ehy, calma, non voglio farti nulla di male."

La minore, però, non sembro essere convinta di questo quando rispose, il tono di voce leggermente più basso del solito.

"Allora non ti dispiacerà lasciarmi passare."

Così iniziò ad avviarsi verso l'uscita, dando una spallata all'altra nel momento in cui le passava vicino.

Pensava di esserci riuscita, ma sentì l'altra tirarla per un braccio, facendola voltare.

La prima cosa che pensò Camila fu che erano vicine. Troppo vicine.

Entrambe staccarono immediatamente le mani, come se quel contatto le avesse bruciate.

"Senti, io non so cosa vuoi da me e perchè ti comporti così, ma devi smetterla." -iniziò Camila, cercando di suonare il più decisa possibile.
L'altra, in risposta, rise.

"Oh, davvero? E perchè, se non lo faccio cosa mi farai?" - iniziò, con un tono che fece venire a Camila una gran voglia di prenderla a schiaffi. - "Tremo di paura."

"DEVI SMETTERLA!" Urlò allora Camila, e, prima che potesse controllarlo, lacrime di nervoso le osfuscarono la vista, riemendole gli occhi.

Ma, a quel punto, non le importava.

"NON MI IMPORTA COSA TI SIA POTUTO SUCCEDERE E PERCHE' TI COMPORTI COSI', MA NON PUOI FARLO. NON HAI-NON HAI NESSUN DIRITTO! NESSUNO!" 

Camila non era solita perdere il controllo di sè in quel modo, ma era davvero troppo.

Non poteva più sopportarlo.

Non poteva più sopportare la situazione in cui era bloccata, la solitudine a cui era costretta ogni giorno, il dolore che tutto quello le provocava e, soprattutto, quella ragazza.

Con quali pretese entrava in quel modo nella sua vita cercando di stravolgerla?

Non poteva.

Non poteva, e Camila in quel momento si detestava, perchè avrebbe dovuto fare qualcosa per impedirlo, e invece aveva fallito, di nuovo.

Si portò una mano sul volto, cercando di spazzare via le lacrime che le rigavano copiosamente il volto.

La maggiore, questa volta, rimase immobile, senza sapere cosa dire o cosa fare.

Non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere da quella ragazza.

Ma, la cosa che davvero la fece sentire confusa, fu ciò che la visione della ragazza in quello stato le provocò dentro.

Sentì qualcosa che si era abituata a non sentire per molto, troppo, tempo.

Erano sensi di colpa, quelli?

All'improvviso, la realtà le piombò addosso, con un peso troppo grande per essere sopportato.

Non poteva farcela. Non poteva.

Così, superò la ragazza che era ancora in piedi di fronte a lei, e corse via.

Corse più veloce che poteva, lungo il corridoio, giù per le scale e fuori dall'edificio.

Lungo la strada, mentre un gelido vento le sferzava il volto, mozzandole il respiro.

Corse finchè non si ritrovò davanti all'edificio in rovina che chiamava 'casa'.

Entrò e si diresse il più silenziosamente possibile nella sua camera, cercando di non far svegliare il padre che, come spesso accadeva, era sul divano, probabilmente cercando di smaltire l'ultima, ennesima, sbornia.

Una volta entrata nella stanza, le gambe cedettero per via della lunga corsa, e lei si ritrovò accasciata su sè stessa sul freddo pavimento.

Rimase lì, cercando di riprender fiato, mentre ogni cosa, ogni persona e ogni situazione che l'aveva mai fatta soffrire si ripresentava con intensità maggiore, ancora e ancora, senza mai smettere.

Ad un certo punto si ritrovò costretta a soffocare le sue urla contro un cuscino, per evitare che la persona presente sotto il suo stesso tetto si svegliasse.

Alla fine si addormentò, stremata fisicamente e psicologicamente.

L'ultima immagine che le fece compagnia ancora una volta, prima che il sonno la catturasse, fu quella di Camila.

Camila che le urlava contro e che scoppiava a piangere.

L'ultima visione che aveva avuto prima di correre via, lasciandola sola.

-
"Karla? Sei a casa?"

La voce della madre fece sussultare Camila, che era sdraiata sul letto da ore, ormai.

Si alzò velocemente, si specchiò e portò le dita agli occhi, che erano gonfi e rossi per il troppo pianto.

"Si, tutto bene. Vado a farmi una doccia."

Annunciò, evitando di far notare, come sempre, alla madre quanto odiasse essere chiamata con il suo secondo nome e chiudendosi velocemente in bagno, per evitare che l'altra notasse che, in realtà, nulla andava bene.

Aprì l'acqua, si levò i vestiti e, rabbrividendo per il freddo, entrò sotto il getto caldo dell'acqua, trovando immediatamente sollievo.

Lasciò che il confortante torpore le annebbiasse la mente, impedendole di pensare.

Si chiese se, quell'acqua, fosse in grado di lavare via anche il suo dolore e i suoi dubbi, insieme alle tracce che le lacrime avevano lasciato sul suo volto.

Si chiese inoltre se, quell'acqua, potesse togliere la sensazione che aveva provato fin da quando la sua mano si era scontrata con quella di Lauren, causando in lei una reazione strana e inaspettata.

Era stato un leggero contatto, nulla di così sconvolgente, ma sembrava aver lasciato un segno indelebile sulla sua pelle.

E, di questo era sicura, anche nell'altra era successo qualcosa di simile. Lo aveva capito dal modo in cui entrambe, simultaneamente, avevano tolto di scatto le mani, allontanandosi.

Chiuse gli occhi, e, inevitabilmente, le scene che qualche ora prima aveva vissuto si srotolarono davanti ai suoi occhi, come pellicole di un film.

Un film che, Camila, non aveva alcuna intenzione di vedere.

Si odiava per essere scoppiata a piangere davanti a lei, per non essere stata capace di trattenersi e di non crollare lì.

Non avrebbe dovuto farlo. 

In quel modo si era solamente mostrata debole all'altra, cosa di cui davvero non aveva bisogno.

Sbuffò, maledicendo sè stessa, quella dannata ragazza e l'intera situazione, per poi uscire dalla doccia.

Una volta asciugata e vestita si guardò davanti allo specchio, osservandosi.

Il rossore non era del tutto sparito dal suo volto, ma poteva essere facilmente giustificato dalla temperatura troppo alta della doccia.

Il suo sguardo passò in rassegna il riflesso davanti a sè, e, quando passò per le labbra, un pensiero, inavvertitamente, comparve nella mente della ragazza.

Pensò a quanto Lauren fosse stata vicina, l'altro giorno, a baciarla. Immaginò cosa avrebbe provato, messa da parte la rabbia e la paura, immaginò come sarebbe stato il contatto, se avrebbe trovato quelle labbra morbide, a contrasto con il suo carattere così duro, o se avessero avuto un particolare sapore.

'Diamine' borbottò, prima di raccogliere da terra i vestiti sporchi, gettarli nel cesto delle cose da lavare, e uscire dal bagno.

Non avrebbe dovuto pensare quelle cose, per nessuna ragione al mondo.

E 'nessuna ragione al mondo' comprendeva anche il fatto che il soggetto di quei pensieri fosse dannatamente bello.


Ri-salve a tutti, people.
In questo capitolo iniziamo a vedere un pò la situazione in cui vive Lauren, in seguito verrà approfondita meglio, ovviamente!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, se vi va lasciatemi una recensione con i vostri pareri!
Grazie a tutti per leggere questa storia e usare un pò del vostro tempo per recensirla qui o per scrivermi su facebook o su twitter, non avete idea di quanto mi rendiate felice!
Un bacio a tutti, Laura.

(Vi lascio qualche link dove potete trovarmi se avete voglia di parlare con qualcuno, o di fangirlizzare per le Camren o per qualsiasi cosa vogliate, sono sempre disponidibile! c:
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Capitolo 4
*** Capitolo tre. ***


Capitolo quattro:


There is love in your body but you can't get it out


Erano passati cinque giorni.

Cinque giorni, in cui Camila non aveva avuto pace.

Lauren non si era presentata a scuola da quel martedì, e lei non sapeva più cosa pensare.

Quando si svegliò, quel lunedì mattina, non fu sorpresa di sentire sentimenti contrastanti lottare dentro di lei. 

C'era una sorta di ansia mista ad agitazione, curiosità e quella che sembrava essere, nonostante non volesse ammetterlo, speranza, di vedere Lauren a scuola. 

Si era ripetuta centinaia di volte che quell'impazienza nel voler rivedere quella ragazza nasceva semplicemente dal bisogno di ricominciare a detestarla senza dover chiedersi cosa fosse successo e, sopratutto, perchè era stata assente da scuola tutti quei giorni.

Quei giorni Camila era stata più irascibile e facilmente irritabile del solito, sembrava che ogni persone e ogni cosa fosse stata creata con il solo ed unico scopo di darle fastidio e innervosirla.

Il resto della scuola sembrava non notare nulla di strano, come se Lauren Jauregui non fosse mai esistita, triste frutto dell'immaginazione di Camila.

E, tutto questo, le faceva venire voglia di gridare a tutti loro quanto fossero inutili e superficiali, ciechi e sordi perchè non riuscivano a vedere che mancava qualcosa, qualcuno,  nè a dare una spiegazione a Camila.

La ragazza si rendeva conto che quel atteggiamento probabilmente era esagerato, a chi non capita di ammalarsi e fare dei giorni di assenza?

Ma non poteva essere così facile, quando riguardava lei nulla lo era, mai.

Non poteva essere una semplice coincidenza che si fosse ammalata proprio dopo quello che era successo, si rifiutava di crederlo, nonostante quelle domande prive di risposta stessero cominciando a farla impazzire.

Perchè non tornava a scuola?

Era stata lei a scoppiare a piangere, non sarebbe forse dovuto essere il contrario?

Che motivi aveva per restare a casa?

E, la peggiore di tutte, quella che la tormentava ogni notte in spaventosi incubi e ogni giorno in preoccupati pensieri: e se le fosse accaduto qualcosa di grave?

Uscendo di casa, quel lunedì mattina, si ritrovò a pensare che era passata esattamente una settimana da quando aveva incontrato Lauren per la prima volta.

Una settimana soltanto, eppure erano già successe così tante cose.

Non poteva sapere che, quello, era solamente l'inizio.

Come non poteva immaginare che, entrando nell'aula di storia per la prima ora di lezione, avrebbe visto proprio lei già dentro.

Era vero, si era distratta a causa dei troppi pensieri e delle troppe preoccupazioni che le affollavano la mente e, per questo, era arrivata in ritardo, ma la vista di Lauren non avrebbe dovuto farle quell'effetto.

Per un attimo, ma solo per un attimo, ebbe l'istinto di correrle incontro, abbracciarla e chiederle cosa diamine fosse successo, assicurandosi che stesse bene e che non le fosse accaduto nulla di grave.

Ma poi questo istinto su sopraffatto dal ricordo del loro ultimo in contro.

Le immagini di Lauren che correva via, lasciandola da sola in lacrime, tornò a farsi presente, accompagnata da rabbia e tristezza, confusione e amarezza.

Il suo sguardo incrociò quello di Lauren, e, in quel momento, l'intero mondo intorno a loro sembrò annullarsi.

Vista e udito sembravano essersi afflievoliti, diventati sfocati e inutili.

Perchè era come se ci fossero solo loro due, nel loro mondo personale.

Camila sentì il suo cuore battere più velocemente, e fu costretta a distogliere lo sguardo per prima. Non riusciva a sopportarlo.

C'era qualcosa, negli occhi dell'altra, di pronfondamente diverso dall'ultima volta che li aveva visti.

Sembrava come se, dietro quella maschera da dura, e dietro il verde nelle sue iridi, qualcosa si fosse rotto, irreparabilmente.

L'impulso di abbracciarla comparve di nuovo, ma era inutile. La campanella suonò, annunciando l'inizio delle lezioni, e mandando in frantumo anche il più improbabile dei pensieri e delle intenzioni di Camila.

L'ora passò tranquilla e questo, stranamente, non fece che far preoccupare ancora di più la minore. Perchè, nonostante conoscesse quella ragazza da poco tempo, di una cosa ormai era sicura, ovvero che se Lauren Jauregui era in aula, la lezione sicuro non sarebbe proseguita in modo normale.

Quindi, qualcosa, decisamente non andava.

E Camila, ormai, si era anche arresa a provare di capire il perchè di quella necessità che provava, del bisogno di scoprire cosa fosse accaduto in quei giorni a quella ragazza, cosa le fosse accaduto nella vita, e di cercare di aiutarla.

Di prendere un pò dell'oscurità che sembrava portarsi dentro e alleviare il peso che sembrava dover sopportare da una vita.

Finalmente, la lezione terminò. Questa volta, la prima ad uscire dalla stanza, prima ancora del professore, fu Lauren.

Camila prese alla rinfusa i libri sistemandoli alla meglio nella borsa, uscì dall'aula e corse verso l'altra, decisa a parlarle.

"Lauren!"

La sua voce si perse nel rumore che gli studenti che uscivano dalle classi per dirigersi alla prossima lezione facevano, e la maggiore non la sentì.

Aumentò il passo, e riprovò di nuovo, a voce più alta, ma anche questo tentativo fu inutile.

"Lauren!" Fece infine, dopo averla raggiunta, la voce ridotta quasi ad un sussurro a causa della breve ma intensa corsa che aveva appena fatto, mettendole una mano sulla spalla.

Finalmente, la mora si girò, sopresa di ritrovarsi davanti proprio lei.

Ma solo un per un attimo il suo volto ritrasse la sua sorpresa, perchè un secondo dopo aveva già ricomposto la sua maschera, impentetrabile ed indecifrabile.

Quell'espressione, così vuota, dura e forzata, fece venire i brividi a Camila.

Una ragazza di quell'età non avrebbe dovuto avere quell'espressione.

L'espressione di chi ha conosciuto così tanto dolore da aver imparato, e accettato, l'unico modo per non soffrire più: non lasciare che niente e nessuno entri dento, che veda oltre la superficie, oltre la maschera che aveva creato.

La minore prese quindi un respiro, prima di rispondere al "Che c'è?" alquanto infastidito che le era stato rivolto dall'altra.

"co-come mai non sei venuta?" Chiese infine, sentendosi improvvisamente molto piccola e inutile rispetto all'altra. Non si conoscevano nemmeno, perchè le stava chiedendo informazioni personali? Certo, l'altra l'aveva provata a baciare dopo averla appena conosciuta, ma quella era un'altra storia. Lei era Camila, che si faceva domande e problemi su ogni cosa.

"Perchè dovrebbe interessarti?" Chiese l'altra, sempre più confusa. Che voleva quella ragazza? Perchè le interessava sapere cosa fosse successo?

Si portò instantaneamente la mano sul fianco destro, che potesse sapere..? No. Non poteva sapere nulla, nessuno avrebbe mai capito o sospettato. Nessuno.

Camila, dal suo canto, si era sentita colpire da quella domanda come da una pugnalata.

Perchè aveva ragione, per quale motivo doveva interessarle?

'Perchè voglio salvarti.' Pensò, ma non poteva dirlo, quello.

"Perchè sei mancata per molti giorni e.. mi stavo preoccupando che ti fosse successo qualcosa."

Disse invece, inchiodando lo sguardo in quello dell'altra, decisa a non crollare, a non scappare, a non mollare. Voleva delle spiegazioni, o almeno voleva essere trattata bene, e questa volta non avrebbe accettato alternative.

Lauren rimase, per un secondo, senza fiato.

"Mi stavo preoccupando."

Qualcosa, dentro di lei, si spezzò. 

Da quanto qualcuno non si preoccupava per lei? Probabilmente da quando aveva iniziato a non avere più bisogno di qualcuno che le desse del cibo e che la tenesse in braccio, o che le cambiasse i pannolini.

Nessuno aveva mai dimostrato interesse ad andare oltre le mura che si era costrutita intorno, e lei non lo avrebbe lasciato fare.

Perchè avrebbe dovuto?

Fidarsi di qualcuno porta dolore. E lei non poteva più sopportarlo. Non poteva provarlo.

Per questo rispose allo sguardo attento dell'altra con uno ostile e altezzoso, per poi dirle: "Beh, preoccupati di farti gli affari tuoi la prossima volta."

Questa volta fu Camila a rimanere senza parole, ma per la rabbia.

Come poteva risponderle in quel modo?

La maggiore si stava voltando per riprendere a camminare ed arrivare alla prossima lezione, ma Camila non avrebbe lasciato che si allontanasse, non questa volta.

Così si sporse in avanti e la afferrò per il braccio destro, facendola girare, ma quando vide la faccia dell'altra si pentì subito di quel gesto impulsivo, e ritrasse così velocemente la mano.

Perchè sul volto di Lauren era dipinta un'espressione di chiaro dolore.

La maggiore, infatti, sentendosi tirata indietro dall'altra, aveva provato una fitta di dolore sul fianco. Strinse i denti e fece finta di nulla, mentre dentro di lei ogni cosa urlava.

Ma era troppo tardi, perchè quello sguardo non era passato inosservato a Camila, che infatti le chiese subito: "Scusami! Che hai fatto lì? E' per quello che sei stata assente?"

E non era da lei fare tante domande ad una semi-sconosciuta, ma non poteva farne a meno. Era una questione di vita o di morte ormai, aveva bisogno di sapere cosa le era successo.

Ma tutto questo non fece che irritare ancora di più la maggiore.

"Ma la smetti? Non ho voglia di dirti nulla, smettila di fare finta che ti importi seriamente qualcosa."

E con questa frase le voltò le spalle, questa volta definitivamente, e, dimenticandosi della lezione a cui si stava dirigendo prima di essere interrotta, uscì in cortile a si accese una sigaretta, lasciando che i suoi pensieri diventassero confusi, grigi e inafferabbili come il fumo che usciva dalla sua bocca, perdendosi in spirali nella gelida aria di quella mattinata.

-
'Cosa ho detto di male?'

'Sono stata troppo inpertinente?'

'Mi odia? No, non è una domanda questa. Lei mi odia.'


Questi pensieri vorticavano nella mente di Camila, che non riusciva a concentrarsi sulla lezione di biologia. Come poteva farlo?

Lauren l'aveva lasciata un'altra volta, sola, andandosene via il più velocemente possibile.

E lei era rimasta lì, sentendosi improvvisamente molto inutile.

Voleva solo aiutarla.

Voleva capire cosa nascondeva, ma non sapeva come farlo.

Cosa avrebbe potuto fare per rompere il ghiaccio che aveva congelato il cuore di quella ragazza? Per buttare giù le mura, enormi, che si era costruita attorno?

O forse l'unico modo per entrare era lasciare che le spine che circondavano l'altra ferissero anche lei?

Il peggio era che Camila sapeva, dentro di sè, che avrebbe lasciato che accadasse.

Non le sarebbe importato se, tentando di salvare l'altra, sarebbe rimasta ferita.

Almeno avrebbe sentito qualcosa, che poi fosse stato dolore era solo un dettaglio.

Qualsiasi cosa era meglio del nulla con cui conviveva ogni giorno.

"Lights will guide you home, and ignite your bones. And I will try, to fix you."

Scrisse con scrittura elegante, leggermente obliqua, quelle parole nell'angolo sinistro, in alto, del suo quaderno di matematica. 

Erano di una delle sue canzoni preferite, e le era venuta in mente in quel momento.

Non sapeva bene il motivo, ma avrebbe provato ad aiutarla, salvarla da qualsiasi cosa la tormentasse in quel modo.

Sentiva, dentro di lei, il bisogno di farlo. Di cercare, di andarci dentro, di annegarci, se necessario, di perdersi nell'oscurità che sembrava riempirla, ma qualcosa avrebbe fatto.

Perchè in quei giorni in cui l'assenza di Lauren si era fatta pesare più di quando avrebbe mai immaginato, qualcosa dentro di lei era cambiato.

Tutta la rabbia, il fastidio che le aveva provocato in passato, si era mutato in dubbi, in desiderio e volontà di scoprire cosa c'era dietro, di capire, di vedere.

Di aiutare, cambiare, di portare un pò di luce dove c'era solo buio.

Quando aveva realizzato ciò che stava avvenendo nella sua mente, quando aveva deciso che avrebbe fatto qualcosa per aiutare l'altra, era rimasta stupita.

Si era seduta in camera sua, fissando la parete bianca, troppo bianca, di fronte a lei, senza sapere bene cosa fare.

Come si aiuta qualcuno che non vuole essere aiutato?

Non aveva mai fatto cose del genere, non aveva mai avuto grandi rapporti con altre persone in generale, figurarsi poi essere così vicini da potersi aiutare.

Era rimasta seduta, nel più totale silenzio, per ore. 

Incapace di muoversi, di pensare.

C'era voluto del tempo, ma alla fine lo aveva accettato. 

Quella ragazza era entrata nella sua vita, volente o nolente, e, in un modo o nell'altro, era sul punto di stravolgerla.

Aveva deciso che ciò che poteva fare era tentare di stravolgere le cose in modo positivo, di migliorare.

Si era chiesta se quella non fosse la svolta che aspettava da sempre, se non fosse arrivato anche il suo momento.

E per scoprirlo c'era solo un modo, cercare in ogni modo possibile di sbloccare l'altra, di conoscerla.

Il suono della campanella echeggiò tra i corridori e nelle aule, mettendo fine alla spiegazione  del professore, a cui non aveva affatto prestato attenzione, e riscuotendo Camila dai suoi pensieri, in cui si era persa.

Si alzò velocemente e ringraziò dentro di lei che ci fosse la pausa pranzo, poi si diresse fuori, nel corridoio, attraversando a spinte il mare di persone che la circondava, cercando di avanzare in quella calca il più velocemente possibile.

Entrò in mesa semplicemente per confermare le sue ipotesi: Lauren non era lì.

Voltò la schiena ai tavoli già gremiti di persone che mangiavano e uscì, dirigendosi questa volta verso l'unico posto in cui sperava di trovare l'altra: nel cortile, nell'angolo più remoto e poco frequentato.

Anche questa volta scoprì di avere ragione, infatti uscendo dalla porta principale vide subito, in lontananza, la ragazza, appoggiata contro il tronco di un albero, con una sigaretta tra le labbra.

Camminò verso di lei, ma questa sembrò non accorgersi della sua presenza, o forse, semplicemente, stava solo fingendo di non averla notata.

Una volta raggiunta si fermò, a qualche metro di distanza, indecisa su cosa fare o cosa dire.

Restò lì, immobile, ad osservarla.

Gli unici suoni che facevano loro compagnia erano il respiro lievemente accelerato di Camila e i sospiri con cui Lauren gettava fuori il fumo, lasciando che si disperdesse nell'atmosfera, riempendo l'aria intorno a loro.

La minore si prese quel tempo per osservare l'altra.

Senza prese in giro o frasi arrabbiate di mezzo, si rese conto di quanto fosse bella.

Lunghi capelli castani le incorniciavano il viso, ricandendo mossi lungo le spalle coperte da una giacca nera. Il suo volto era chiaro, omogeneo, perfetto.

I suoi occhi erano di un colore indefinito. Forse erano come il cielo, le nuvole, le stelle e il mare insieme, un prato verde e il colore di una roccia, ghiaccio e acqua, aria e tempesta.

Erano gli occhi più belli che avesse mai visto.

Le sue labbra erano serrate, senza nemmeno la più piccola ombra di un sorriso, ma erano ugualmente belle. Le guance erano tinte leggermente di rosso, per via del freddo.

Infine, portava dei leggins neri, aderentissimi, che mettevano in risalto il suo fisico, e degli stivali, anch'essi neri.

La sua bellezza lasciava senza fiato, Camila sarebbe potuta restare lì, immobile, a fissarla -osservarla- per ore, senza mai stancarsi.

Ma non poteva, perchè il tempo che aveva a disposizione era poco e sapeva che non sarebbe stato facile riuscire a far parlare l'altra, anche solo un pò.

Così prese un respiro e disse "Ehy.", avvicinandosi leggermente all'altra.

Questa si voltò ad osservarla per qualche secondo, poi voltò nuovamente lo sguardo verso il cielo nuvoloso, senza prestarle davvero attenzione.

Fece un altro tiro dalla sigaretta, Camila pensò a cosa dire, cercando di non farsi scoraggiare.

"Mi dispiace per prima." 

Biascicò poi, sperando bastasse, ma sentendo dento di sè che non sarebbe affatto bastato.

Infatti l'altra si voltò, questa volta con uno sguardo diverso.

"E' per questo che sei qui? Per metterti la coscienza a posto? -iniziò, furiosa. - Bene, eccoti accontenta. Ti sei scusata, adesso puoi anche andartene." Conluse poi, facendo un altro tiro.

Camila si avvicinò ancora di più, rispondendole subito, con un tono di voce più alto, punta nell'orgoglio.

"Ma che diamine dici? Non sono qui per questo, cazzo. Possibile che non lo capisci?"

Qualcosa nel suo tono fece voltare nuovamente la maggiore, incuriosita. 

La guardò dritto negli occhi, chiedendosi dove sarebbe andata a parare. "Cosa non capisco? Iluminami." Disse poi.

L'altra non perse tempo nel risponderle. 

"Non capisci che qualcuno vuole aiutarti, che qualcuno si interessa davvero a te, non capisci o non vuoi capirlo!" La sua voce diventava sempre più vicina ad un urlo, ma non poteva più controllarsi. Doveva fare qualcosa. 

Dentro di se pregava che questo avrebbe funzionato, almeno un pò.

Lauren si animò all'improvviso, scostandosi dalla corteccia dell'albero e avvicinandosi di un passo all'altra, lo sguardo che si infiammava di rabbia.

"Mi hai preso per la tua causa personale? Non ho bisogno del tuo aiuto, NON HO BISOGNO DI NESSUNO!"

Eccolo di nuovo, quella sensazione che l'aveva costretta a fuggire l'altra volta. L'istinto di correre via di nuovo si fece presente, ma Camila fu più rapida.

"No, questa volta non ti lascerò correre via."

"Ah si? E cosa farai per impedirlo?" Chiese, strafottente.

"Questo." Affermò la minore, e, prendendo un pò di coraggio, annullò la distanza tra loro definitivamente, e circondò con le sue esili braccia il corpo gelido dell'altra, immobile come una statua, paralizzata dalla sopresa.

Si sarebbe aspettata tutto, ma non quello.

Camila la stava abbracciando.

Aveva sepolto il volto nell'incavo della sua spalla e la stringeva forte, trasmettendogli calore.

Il primo impulso di Lauren fu quello di allontanarla immediatamente, ma la morsa in cui era stretta non glielo permetteva.

Sentì il forte bisogno di piangere, ma Lauren Jauregui non piangeva, non più. Aveva smesso di farlo molto tempo prima.

Rimasero così, le due.

Abbracciate, nel cortile deserto.

Ed erano fuoco e ghiaccio, calore e gelo, luce e tenebra, sole e luna insieme, due opposti che lottavano l'uno contro l'altro in un'eterna battaglia, uniti.

Perchè forse era così, forse per sopravvivere avevano bisogno di quella lotta continua, di quell'opposizione, di dolore e di sollievo, di morte e di vita.

Forse per vivere dovevano farlo insieme, cercando nell'altra parti di loro stesse che avevano dimenticato, o che non avevano mai conosciuto.

Forse potevano farcela.

Forse, pensò Camila, sta funzionando, forse qualcosa sta davvero per cambiare.

Forse, pensò Lauren, è sincera. Forse questo abbraccio è vero, forse non vuole farmi del male.

Forse, quel gesto era l'inizio di qualcosa.


O forse era solamente l'inizio della fine.




Beene, ciao a tutti!
Chiedo scusa per il ritardo, ma tra la scuola e il fatto che mi sono ammalata non avevo mai tempo cc
Spero vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate!
Grazie a tutti per le recensioni (a cui devo ancora rispondere, ma le ho lette tutte!) non sapete quanto mi faccia piacere leggerle, mi migliorate la giornata con quello che scrivete, grazie grazie grazie.
Un bacio a tutti, Laura. 

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro. ***


Bene, ciao a tutti!
Finalmente sono riuscita a postare il capitolo, yayy c:
Questa volta devo chiedervi un favore, dopo che lo avete letto fate attenzione alle note finali, devo spiegare una cosa che troverete nel capitolo! 
Ora, senza parole inutili, vi lascio alla storia, mi trovate alle note sotto! (Suona molto come minaccia questa cosa, ops.)
It gets stuck in your head, won't come out of your mouth

"L’incubo non è nella morte, ma nel morire cui ci condannano."


Annegava.

Ne era certa.

L'acqua era ovunque, intorno a lei, dentro. 

Le sue braccia e le sue gambe si muovevano in modo convulso, ma non riusciva ad averne pieno dominio e a farle muovere secondo i comandi del suo cervello.

'Devo tornare a galla.', pensava, ma non sapeva come.

Sentiva il suo cuore battere sempre più piano, il cervello spegnersi, lentamente, secondo dopo secondo.

I suoi arti smisero di muoversi, e lei rimase lì. Immobile, sospesa sott'acqua.

Stava morendo, riusciva a sentirlo, e non poteva farci nulla.

Fu un secondo, e il silenzio tombale, surreale, presente sott'acqua fu scosso da un milione di voci, urla. Le conosceva tutte, quelle voci.

E, se un momento prima lottava per tornare in superficie e respirare, sopravvivere, adesso desiderava solo di morire, velocemente, per non sentire più.

Delle mani, gelide, la afferravano ovunque, la tiravano, sempre più giù, finchè non ci fu solo oscurità.

Lauren si svegliò, sudata e ansimante, nella sua camera, priva di acqua, voci, o mani.

Era stato solo un sogno.

No, un incubo, ma non era reale.

Tirò un sospiro di sollievo, poi si portò una mano al fianco, perchè sospirare troppo forte le causava ancora fitte di dolore, anche a distanza di giorni.

Insieme al dolore comparve rabbia, causata dal sentimento di impotenza a cui era costretta a convivere. Perchè non poteva farci nulla.

Non poteva farci nulla se suo padre era ubriaco fradicio un giorno si e l'altro pure, se sfogava la sua rabbia per essere diventato solamente un fallito nella vita con violenza, non poteva farci nulla se, quella violenza, aveva deciso di usarla su di lei.

Poteva solo stringere i denti e sopportate, cercare di cavarsela con meno danni possibili, e fingere.

Fingere sempre, ovunque, e con chiunque.

No, non con un sorriso. A quel livello non si sarebbe abbassata.

Perchè fingere felicità? Non l'avrebbe portata a nulla.

Ne aveva abbastanza, lei.

Aveva abbastanza di quella vita, di suo padre, della scuola, di ogni cosa.

Il suicidio era stata un'opzione presa in considerazione molte, troppe, volte.

Ma non avrebbe mai, mai, lasciato che quel essere che doveva considerare come padre, almeno sotto il punto di vista biologico, vincesse.

Non gli avrebbe dato quella soddisfazione.

Era lo stesso motivo per cui Lauren non piangeva, perchè non poteva lasciarlo vincere.

Guardò fuori dalla finestra: era buio, segno che era ancora notte.

Ma lei non aveva sonno, non dopo aver fatto quell'incubo.

Si alzò dal letto, aprì l'armadio e prese la prima maglietta che le capitò sotto mano, poi, illuminandosi con il cellulare, uscì dalla stanza, facendo attenzione a misurare ogni passo, attenta a non fare alcun rumore.

Riuscì ad entrare in bagno e a chiudere la porta dietro di lei nel più totale silenzio, poi si pose davanti allo specchio, o quello che rimaneva di esso, ispezionando con attenzione la sua figura.

Il volto era arrossato, i capelli arruffati e gli occhi spalancati. Il labbro inferiore sanguinava leggermente, ma quella non era una novità, era solita trovarsi graffi sulle labbra poichè aveva il brutto vizio di morderle quando era nervosa o spaventata, cosa che evidentemente era successa mentre dormiva.

Si tolse i vestiti di dosso, rimanendo in intimo, senza staccare lo sguardo dalla superficie riflettente.

Posò una mano, lentamente e delicatamente, sul segno scuro che marchiava la sua pelle lattea, segnato all'interno da un taglio netto, rosso, sul suo fianco, poco sotto le costole.
Poi arrivarono. Insieme, con l'intensità di mille.

"UN ERRORE. QUESTO SEI."

Il rumore di porcellana infranta in mille pezzi riempiva l'intero, quallido, appartamento, mentre l'ergumeno tirava con una mano piatti contro un muro, nell'altra teneva ancora una bottiglia di birra, vuota.

Lauren cercava di ripararsi al meglio, schivava i piatti e cercava di evitare che la furia di quel uomo, di suo padre, facesse danni irreparabili.

"DOVE PENSI DI ANDARE?!"

Altre urla.

Lauren non provò nemmeno a scappare, sapeva che sarebbe stato inutile. Non aveva nessun luogo in cui fuggire e nessuno a proteggerla.


Obbligò sè stessa a fermarsi lì. Riaprì gli occhi, che aveva involontariamente chiuso, e cercò di riportare il respiro a velocità normale.

Non poteva, non doveva, ricordare oltre. Sarebbe stato come ricevere ogni cosa ancora e ancora, sempre più forte.

Sapeva che era denunciabile, ciò che il padre le aveva fatto e le faceva tutt'ora.

Sapeva che la morte di sua madre non era stato un 'casuale errore', una coincidenza. 

Sapeva che quel coltello lo aveva in mano una persona precisa, e sapeva che era la stessa con cui era costretta a convivere.

Ma non aveva alcun potere, non era nemmeno maggiorenne.

Poteva solo sopportare e aspettare il giorno in cui avrebbe potuto lasciare quella casa una volta per tutte, senza mai voltarsi indietro, sperando di arrivarci il più indenne possibile.

Si rivestì con la maglietta che aveva preso, dopo essersi lavata, togliendosi di dosso il sudore, e si mise sulla porta del bagno, immobile, in silenzio.

Il russare forte e continuo proveniente dalla sala le fece tirare un sospiro di sollievo, così tornò in camera sua.

Restò sul suo letto, sdraiata a pancia in sù, fissando il soffitto bianco, come se quello potesse dare le risposte alle domande che la tormentavano.

Quando il primo pensiero che la sua mente produsse fu Camila, le venne quasi un colpo.

Provare a baciarla era stato troppo, decisamente, e quello era stata colpa sua.

Era stata impulsiva, aveva agito senza pensare davvero, aveva visto quella ragazza così vicina, con una bellezza unica nel suo genere, così particolare, che la guardava in quell'atteggiamento di sfida, e non aveva potuto trattenersi, nonostante avrebbe dovuto.

Poi era successa quella cosa, nell'aula della punizione, poco prima che fuggisse via. Camila era scoppiata a piangere davanti a lei, e qualcosa dentro la maggiore si era mosso, qualcosa era cambiato.

Ma era stato improvviso, non aspettato nè voluto, e l'aveva spaventata.

Aveva messo ogni cosa in dubbio, di nuovo, e lei non era pronta. Era corsa via, lasciandosi alle spalle quella ragazza, diversa da qualsiasi persona avesse mai incontrato prima, cercando di scappare da ciò che, in realtà, era dentro di lei.

Qualcosa da cui correre non bastava per allontanarsi; qualcosa da cui non poteva fuggire in alcun modo.

Poi, l'aveva abbracciata. Così, dal nulla.

E Lauren era rimasta come bloccata in quell'istante da allora, come se nonostante potesse pensare ad altro qualcosa nella sua mente continuava a riportarla lì, nel cortile vuoto della scuola, tra le braccia di quella ragazza.

Quella ragazza, che Lauren davvero non riusciva a capire.

Con tutto quello che era successo tra loro, quello che le aveva fatto passare, in quei pochi giorni, non capiva per quale motivo non aveva rinunciato, ma anzi, si era decisa a non arrendersi finchè non avrebbe capito qualcosa.

L'aveva abbracciata.

Probabilmente non riceveva un abbraccio da quando sua madre era morta, e suo padre decisamente non era quel tipo di persona.

Le azioni, lui, le usava per altri scopi.

Quel contatto così spontaneo, improvviso, fuori programma, aveva sconvolto ogni cosa dentro di lei.

Il modo in cui le braccia di Camila l'avevano circondata, all'inizio un pò goffe, incerte, poi sempre più sicure, stringendola forte.

O forse era stato il modo in cui aveva poggiato il volto sulla sua spalla, incastrandosi in modo perfetto.

Come se quegli spigoli fossero stati creati per scontrarsi tra di loro, per farsi del male e guarirsi in seguito, per coesistere insieme.

Quando si erano staccate, imbarazzate da quella situazione, nessuna aveva detto nulla.

Erano rimaste lì, in silenzio, ognuna cercando di guardare qualsiasi cosa che non fosse l'altra, finchè il suono della campanella, che segnalava la fine della pausa pranzo, non le aveva sorprese, costringendola rientrare dentro.

Camminarono lungo il cortile deserto l'una affianco all'altra, nè vicine, nè troppo lontane, entrarono nell'ingresso e voltarono nel corridoio che portava alla maggior parte delle aule.

Poi Camila aveva detto "Devo andare sopra, letteratura inglese.." e Lauren aveva annuito, per poi separarsi, l'una diretta nella direzione opposta nell'altra.

Si erano lasciate così, senza parole, senza alcun gesto o alcuna frase che potesse far intendere che qualcosa era cambiato dopo quell'abbraccio, nulla in assoluto.

Quando si erano incontrate, qualche ora dopo, in punizione, quello strano silenzio era continuato.

Lauren aveva anche evitato di fare qualcosa per attirare l'attenzione dell'altra o per stuzzicarla, tanto era immersa nei suoi pensieri.

Era come se quell'abbraccio l'avesse svegliata, avesse riportato in vita il suo corpo, risvegliando con un calore che non riceveva da troppo tempo dopo un lungo periodo di gelo.
Non capiva bene come fosse possibile, ma quella ragazza sembrava essere diversa.

E lei lo sapeva, lo sapeva, che non doveva fidarsi. Che doveva restare sola, perchè era l'unico modo per non aggiungere altre sofferenze, per non complicarsi ulteriormente la vita. Lo sapeva.

Ma allora perchè quella dimostrazione di affetto le aveva fatto tremare anche l'anima?

-
Nello stesso momento, Camila era sveglia, nella sua stanza.

La luce dalla lampada sul suo comodino illuminava la notte, nella sua camera, e lei era seduta di fronte alla sua scrivania. Un foglio bianco con righe blu davanti agli occhi, una penna in mano, e tanti, decisamente troppi, pensieri in testa.

Stava scrivendo. Scriveva qualsiasi cosa le passasse sulla testa, senza seguire un ordine preciso.

Lo faceva ogni volta che i pensieri diventavano troppi, ogni volta che sentiva il bisogno di buttarne qualcuno fuori. Non aveva nessuno con cui parlarne, ma non era un problema. Un pezzo di carta diventava il suo migliore amico, sempre pronta ad ascoltarla. E la penna era la sua voce e la sua anima, era il nero dell'inchiostro sul bianco del foglio, i suoi sentimenti e i suoi pensieri messi a nudo, esposti, davanti ai suoi occhi.

"Lauren", diceva una scritta sul margine sinistro del foglio.

Grandi scarabocchi neri riempivano il foglio, accompagnati però anche da disegnini fatti velocemente, tra il breve tempo che impiegava la ragazza a districarsi tra un pensiero e un altro.

Cuori, stelline, e un disegno molto approssimativo di due persone abbracciate.

Non era difficile capire cosa stesse tormentando tanto Camila.

Continuava a chiedersi se non fosse stato "Troppo", come scrisse velocemente, sottolineandolo più volte, nel mezzo del foglio.

Da quella parola fece partire delle frecce, seguendo il corso dei suo pensieri.

Troppo "Presto", troppo "Vicina", troppo "stretta", troppo "affettuoso", scriveva, calcando ogni parola, come per aggiungere una sorta di rimprovero ulteriore a sè stessa.

Poi si alzò, prese il foglio e lo accartocciò senza alcuna cura, prima di buttarlo alla rinfusa in uno dei cassetti.

Si gettò sul letto, passandosi una mano sul volto.

Erano le tre di notte.

Avrebbe dovuto dormire, invece di stare sveglia a rimuginare, cosa che non avrebbe portato assolutamente a nulla.

Aprì il letto e ci si infilò dentro, poi si allungò e spense la luce, e fu immediatamente circondata dal buio.

Prima di chiudere gli occhi e lasciare, finalmente, riposare il suo corpo e la sua mente, pregò solo che sarebbe andato tutto bene.

-

Lauren camminava tra i corridori, con il suo solito passo sicuro e deciso. 

Si era ripromessa che tutto ciò che era successo non avrebbe dovuto in alcun modo alterare ciò che si era sempre impostata, il modo in cui aveva deciso di vivere, di affrontare ogni situazione.

Nulla e nessuno doveva e poteva cambiare ciò, non poteva permetterlo.

Nemmeno se il 'pericolo' era costituito da una ragazza, Camila, che sembrava aver preso come causa personale quella di 'aiutare' Lauren.

Che poi, questo la faceva innervosire. Cos'era, un cucciolo abbandonato per strada? Non aveva bisogno di nessuna eroina pronta a salvarla, non aveva bisogno di nessuno.

Aveva imparato a sue spese che prima impari a cavartela da solo, nella vita, meglio è.

Entrò in classe e si sedette al suo solito posto, nonostante il professore avesse già iniziato la lezione. Quando quest'ultimo glielo fece notare, lei rispose a malo modo, e fu spedita dalla preside.

"Meglio così - pensò - tanto non avevo voglia di seguire la spiegazione di quell'idiota."

Poi, invece di dirigersi in presidenza, come le era stato detto, uscì nel cortile, tirando fuori dalla tasca una sigaretta.

Il resto della mattinata passò relativamente tranquilla, ricevette qualche altro richiamo dai professori, ma non le importava.

Ciò che, invece, era stato nella sua mente per tutte quel tempo, era solo una cosa: i novanta minuti da dover passare con Camila.

Non che li temesse, lei non aveva paura di nulla e nessuno, ma lo avrebbe volentieri evitato, il solo pensiero di ritrovarsi faccia a faccia con l'altra le provocava un grande senso di fastidio.

Stava per avviarsi in classe, in ritardo, come sempre, quando il telefono che teneva in tasca vibrò.

Si chiese chi diamine potesse essere, lei non riceveva mai messaggi.

Così, vinta dalla curiosità, lo prese ed iniziò a leggere. Era da un numero sconosciuto:

(14:05)
"Il professore non sta bene e la punizione di oggi non si può fare, verrà aggiunta alla fine del mese. -Camila."

Se non fosse stato per la sopresa, Lauren sarebbe stata felice, la sua preghiera era stata ascoltata! Ma c'era un questione più importante da risolvere: come faceva quella ragazza ad avere il suo numero?

Superato il primo momento di sorpresa, rispose.

Lauren (14:09):
"Come diamine hai avuto il mio numero?"

Camila (14:10):
"Che gentilezza, ti stavo solo dando un'informazione."

Lauren (14:13):
"Scusami tanto, se voglio accertarmi di non avere a che fare con una stalker."

Camila (14:16):
"In ogni caso, adesso lo sai. A domani."

Lauren si chiese se non avesse esagerato dandole quella risposta, ma poi decise che non doveva importarle, spense il telefono e uscì dall'edificio scolastico, ormai deserto.

L'aria gelida di fine settembre pungeva il viso e smorzava il fiato, da quando faceva così freddo in autunno?

Mentre camminava, il suo respiro formava nuvolette di condensazione, e lei le osservava, mentre si chiedeva se fosse il caso di tornare a casa così presto.

Tornare a casa voleva dire affrontare l'orco, come preferiva chiamarlo lei, ed era qualcosa che preferiva di gran lunga evitare.

Inizò a camminare nella direzione opposta rispetto quella che portava a casa, e quando trovò un parchetto poco utilizzato, distrutto dal tempo e dalla scarsa manutenzione, scavalcò con un salto il cancello chiuso, che non era troppo alto, e si sedette su una delle due altalene.

Quella cigolò quando la ragazza iniziò a muoversi, avanti e indietro, senza però staccare i piedi da terra, e il rumore sembrò echeggiare nel nulla che la circondava.

Alla maggior parte delle persone un luogo del genere avrebbe fatto inquietudine specialmente con quel tempo, ma Lauren lo trovava, al contrario, affascinante.

Quel senso di desolazione, abbandono, così familiare, la faceva sentire al sicuro, come se fosse a casa.

Nessuno poteva aggredirla o giudicarla, lì, nessuno poteva toccarla, sconvolgerla, lasciarla.

Nè quel verme di suo padre, nè quella strana ragazza, nè qualsiasi altra persona.

Questo filo di pensieri le fece tornare in mente che, alla fine, si era scordata di chiedere a Camila come avesse ottenuto il suo numero, visto che lei non glielo aveva certamente dato.

Così prese il telefono in mano e scrisse:

Lauren (15:08):
"Alla fine però non mi hai detto mica come hai avuto il mio numero.. Potrei prendere sul serio la faccenda dello stalking, sai?"

La risposta arrivò prima di quanto pensasse, infatti fu costretta a riprendere il cellulare che aveva appena poggiato a terra quando questo inizio a vibrare.

Camila (15:09):
"Si dà il caso che il registro scolastico che registra tutti gli studenti contenga, tra le varie informazioni, il numero di cellulare. Essendo, a parere dei professori, l'alunna migliore dei corsi del mio anno, non è stato difficile convincerli a farmi dare un'occhiata ai registri per 'motivi scolastici'."

A quel punto, Lauren dovette trattenersi dal ridere. Quella ragazza si dimostrava sempre più strana ogni minuto che passava, ma almeno la divertiva.

Immaginò di sentire quelle parole direttamente da lei, con tono di superiorità, come la volta in cui aveva insinuato che una come Lauren non poteva certamente essere in grado di frequentare i corsi avanzati di matematica.

La facilità con cui riusciva a immaginarsela, con un sopracciglio alzato e le labbra sporte leggermente in avanti, la spaventò leggermente, ma fu solo un secondo.

Poi prese il telefono in mano, e rispose:

Lauren (15:12):
"Ti prego, dimmi che non sei seria. Se lo sei, sappi che mi hai appena fatto ridere."

Si pentì dell'ultima frase subito dopo aver premuto il tasto 'invio', ma ormai non poteva fare nulla per evitare che fosse ricevuto dall'altra. Sbuffò, poi appoggiò i gomiti sulle ginocchia e prese la testa tra le mani.

Che diamine le prendeva? 

Doveva rimanere fredda, impassibile, sconosciuta agli occhi dell'altra. Non poteva permettere a sè stessa di affezionarsi, non poteva.

Ma perchè, nonostante continuasse a ripeterlo, qualcosa dentro di lei non smetteva di incitarla a fare il contrario?

Non riusciva a spiegarselo, allo stesso modo in cui non riusciva a spiegarsi cosa, di quella ragazza, fosse capace di sconvolgerla così tanto.

In quel momento, il telefono vibrò, di nuovo.

Camila (15:14):
"Contenta di averti divertito, allora. :) "

Lauren si chiese, leggendo quel messaggio, se quella faccina messa alla fine fosse veramente un segno della felicità dell'altra, o se, al contrario, indicasse tristezza.
In realtà, non conosceva affatto l'altra.

Sapeva solo che era una sorta di Albert Einstein femminile, che non era esattamente la più popolare della scuola e che, per qualche ragione, sembrava essersi interessata a lei.
Poi, fece qualcosa che segnò una svolta.

Prese il telefono e aprì la rubrica, scorrendola finchè non trovò il numero che era stato appena memorizzato.

'Chiama', cliccò, con le dita che tremavano impercettibilmente, mentre si portava il telefono all'orecchio.

"Pronto?" Rispose con tono sorpreso una voce leggermente roca, probabilmente perchè non era stata usata per qualche ora.

"Ciao." Rispose Lauren, ritrovandosi, senza nemmeno rendersene conto, a sorridere.

Il solo suono di quella voce, o forse il fatto che la risposta era arrivata dopo un sono squillo, le provocava un calore che non aveva mai sentito dentro di lei.

"Ehm.. Come va?"  Chiese allora Camila, che in realtà non era davvero sicura di come dovessero funzionare quel genere di cose.

Non aveva mai avuto un'amica da chiamare il pomeriggio, e, in realtà, non sapeva nemmeno se 'amica' era il termine giusto con cui chiamare Lauren.

"Oh, ehm, bene-bene, penso."

Quella domanda l'aveva colta di sorpresa, soprattutto perchè nessuno si preoccupava per lei abbastanza da chiederle come stesse. E, in realtà, non era nemmeno sicura di quale fosse la risposta adatta. 

"Pensi?" Chiese Camila, che aveva intuito dal tono di voce dell'altra, incerto, che nemmeno lei era sicura di quella risposta.

Lauren strinse il labbro inferiore tra i denti, prima di cercare di prendere un grande respiro. Improvvisamente, le sembrava come se un gigantesco macigno fosse sul punto di schiacciarla completamente, annullandola. 

Camila sentì attraverso il telefono il respiro dell'altra diventare più pesante e sporadico, e questo la fece preoccupare.

"Ehy, che succede? Stai bene?" Non ci fu nessuna risposta.

"Lauren?!" Esclamò questa volta, il tono di voce più alto di almeno un'ottava.

La maggiore, avvertendo la preoccupazione dell'altra, portò la mano che non reggeva il telefono al petto, cercando di regolarizzare il suo respiro. 'Non qui',continuava a ripetersi. 'Non ora.'

"Tu-tutto bene. S-scusami, non dovevo chiamarti, io.." Dovette interrompersi, perchè non riusciva a completare la frase.

Le ginocchia cedettero sotto il suo peso, e lei cadde a terra.

Camila sentì tutto e, istintivamente, si alzò di scattò dalla sedia, chiedendo all'altra cose stesse succedendo.

Lauren cercò di ricomporsi, ma rinunciò a sedersi, le girava la testa e, improvvisamente, aveva iniziato a tremare.

Si girò su un fianco, distesa, e portò le ginocchia al petto, accovacciata, cercando di respirare.

Quando trovò la forza necessaria per farlo, rispose all'altra.

"Non-non penso di sentirmi bene." Biascicò, mentre la vista diventava appannata e i suoni si facevano sempre più lontani, confusi, indecifrabili.

Per questo, Camila dovette ripetere più volte la domanda "Dove sei?!" prima che l'altra sentisse e decifrasse quei suoni, e ancora di più affinché riuscisse a rispondere "Al parco, vicino-vicino alla scuola."

Poi il braccio che reggeva il telefono crollò, a peso morto, sul freddo suolo, tutto si fece nero dentro la vista di Lauren e un solo suono, un urlo agghiacciante, riempì la sua testa, prima che svenisse. 

"SCAPPA! LAUREN, CORRI VIA."


-


La prima cosa che riuscì a realizzare fu che era stesa su qualcosa di morbido e profumato.

La seconda, quando riuscì ad aprire gli occhi, fu che evidentemente fuori era buio, visto che l'unica luce che illuminava qualsiasi posto fosse quello in cui era finita proveniva da una lampadina posta proprio sopra la sua testa.

'Beh, sicuramente questo non è il paradiso -pensò - e se lo è, bella merda.'

La terza cosa che realizzò, quando provò ad alzarsi, fu che qualcuno le stava tenendo la mano.

No, Camila, le stava tenendo la mano.

Il brusco movimento che seguì questa scoperta fece svegliare di soprassalto l'altra, che, vedendola sveglia, senza segni di qualche strana complicazione, tirò un sospiro di sollievo.

"Devi riposarti - disse - tranquilla."

'Tranquilla un cazzo' pensò Lauren, ma per qualche motivo non riuscì a dirlo. 

La minore la spinse, con delicatezza, a stendersi nuovamente sul letto, e lei non riuscì a  contrastare quel movimento.

"Penso che tu abbia avuto un attacco di panico prima, o qualcosa di simile, anche se quando sono arrivata eri svenuta." Fece Camila, rispondendo ad una domanda che aveva letto negli occhi dell'altra.

"Spero non ti dispiaccia che ti ho portato qui -continuò - ma non ho la minima idea di dove si trovi la tua casa.." Si giustificò, scrollando le spalle.

'Meglio così', pensò tra sè Lauren, senza osare immaginare cosa sarebbe potuto accadere se Camila l'avesse portata a casa, dall'orco.

Camila stava per dire qualcosa, ma in quel momento la porta della sua camera si aprì, rivelando una donna, che Lauren immaginò fosse la madre dell'altra, di circa mezza età, dai
capelli castani e la pelle dello stesso colore di quella di Camila.

"Ciao cara -iniziò la donna, sorridendole in modo apprensivo. Quello che, probabilmente, dovrebbero avere tutte le madri. - Camila mi ha raccontato ciò che è successo, per fortuna sapeva dove trovarti! Non ti preoccupare, potrò spiegare io ai tuoi genitori il motivo di questo ritardo, l'importante adesso è che tu stia bene."

Lauren cercò di dire qualcosa, ignorando la fitta di dolore che aveva provato sentendo le parole 'i tuoi genitori', al plurale, ma la donna la interruppe prima che potesse anche solo provare ad aprire bocca.

"Adesso è meglio che ti riposi, non ti sforzare! Hai avuto una brutta esperienza questo pomeriggio, meno ti sforzi più facile sarà  riprendersi." Così, dopo aver detto questo e aver salutato le due, lasciò la stanza, chiudendo dietro di lei la porta.

Camila le sorrise, leggermente imbarazzata. "Beh, si, lei è mia madre." Spiegò, nonostante fosse ovvio.

Nella stanza calò il silenzio, ma nessuna delle due sentiva pressione o imbarazzo, non c'era bisogno di parole.

Lauren si chiedeva come sarebbe riuscita a tornare a casa, e , soprattutto, cosa l'avrebbe aspettata una volta lì, perchè era certa che suo padre non aveva gradito quel ritardo, come era sicura che non avrebbe nemmeno ascoltato le sue spiegazioni.

Camila, dal suo canto, riusciva solo a pensare a quanto il contatto con la mano dell'altra fosse tranquillizzante, quanto sembrasse giusto. 

"Mi sono spaventata molto, prima." Disse poi, ad un certo punto, senza staccare lo sguardo dalla sua mano che stringeva ancora quella dell'altra, nonostante sentisse quello dell'altra puntato su di lei.

Poi alzò lo sguardo, guardandola dritto negli occhi, accennando un timido sorriso.

Si ritrovò a pensare a quanto fosse diverso l'aspetto dell'altra in quel momento. Era come se tutte le mura che si era costruita attorno, tutte le maschere che indossava ogni giorno, fossero crollate. Era stesa sul letto, indifesa, e senza il suo atteggiamento solito il suo volto aveva un espressione nuova, diversa, che Camila doveva ancora imparare a conoscere.

"E' tardi, penso che sia il caso che tu dorma qui, almeno questa notte. Se ti sentirai meglio, domani potremo andare a scuola insieme." Concluse la minore dopo aver dato un'occhiata all'orologio appeso al muro. Poi si alzò dalla sedia e con, riluttanza, mollò la presa dalla mano dell'altra. Lauren sentì immediatamente la mancanza di quel contatto caldo e rassicurante.

Poi Camila si avvicinò all'altra e, vincendo l'imbarazzo, lasciò un leggerissimo bacio sulla guancia dell'altra. Nonostante la delicatezza di quel gesto, per entrambe quel contatto sembrò infuocato, e lasciò su ognuna un marchio, come un segno di una scottatura.

La bruna si avviò verso la porta, fece un cenno di saluto con la mano all'altra e spense la luce, prima di uscire. Avrebbe dormito in salotto, questa notte.

Lauren rimase così sola, al buio, e per qualche secondo temette che la sensazione che l'aveva colpita in quel modo quel pomeriggio potesse tornare, ma poi le tornò in mente ciò che Camila le aveva detto poco prima di uscire.

"Se avrai bisogno, stanotte, non esitare a chiamarmi. Cercherò comunque di venire a controllare che vada tutto bene, in ogni caso. Buonanotte."

E si addormentò così, con il cuore pieno di sentimenti contrastanti e la mente piena di una sola cosa: Camila.





Okay, eccomi qui con le note finali!
Ciò a cui ho accennato prima è questo, nella prima parte del capitolo Lauren sogna di annegare, e c'è un motivo!
Infatti, nel significato dei sogni, sognare di morire significa cose precise, vi riporto una spiegazione trovata su internet: "Colei che sogna si vede morta in sogno. Si tratta di una crescita personale che giunge a termine. Colei che sogna vivrà grande trasformazioni e lascierà il passato dietro di lei. I cambiamenti riguardano il suo modo di essere e di vivere. In genere si tratta di una trasformazione positiva. Le energie del passato sono da lasciare dietro di sé, è tempo di rinnovarsi interiormente."
Inoltre, sognare di annegare, in particolare, significa: "perdita di controllo sulla propria realtà: non si riesce a restare ” a galla”, non si emerge nel modo desiderato; l’annegare, si configura allora come una resa inconscia, che lascia campo libero alle forze esterne. Annegare nei sogni può essere un atto di resa che esprime in modo doloroso ed angosciante l’incapacità di confrontarsi con un grande disagio ad al cui potere si soccombe. In parole povere l’individuo si arrende e subisce la situazione difficile, così come da sognatore subisce l’invasione dell’acqua nei polmoni, affogando."

Spero di non avervi annoiato, ma il significato di questo tipo di sogni si lega particolarmente bene alla storia e alla situazione di Lauren, e mi sembrava carino aggiungere questa 'spiegazione'!
Detto ciò, spero vi sia piaciuto il capitolo, se vi va lasciatemi una recensione facendomi sapere il vostro parere c:
Cercherò di aggiornare il prima possibile, scuola permettendo, un bacio a tutti!
Love y'all, Laura.

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque. ***


Capitolo cinque:
 
Sticks to your tongue and shows on your face

I primi raggi di sole di quella mattinata svegliarono Lauren. Quando aprì gli occhi si ritrovò confusa, dove si trovava? Poi, osservando le pareti rosa di quella stanza, tutto le tornò in mente, ogni ricordo del giorno precedente.

Il parco, la telefonata, il modo in cui si era sentita male e il momento in cui si era risvegliata sempre lì, quel quel letto, le parole di Camila, il calore della sua mano e quello del leggero bacio che le aveva lasciato sulla guancia.

Istintivamente, si portò la mano proprio lì, nel punto che era stato baciato dall'altra, e immediatamente brividi attraversarono il suo corpo. Non aveva mai provato nulla di simile.

Era come se, quel delicato contatto, avesse lasciato un segno indelebile, mille volte più forte di tutti i segni che, invece, le procurava l'orco.

Era qualcosa di speciale, ma allo stesso tempo spaventoso.

Spaventoso, perchè la costringeva ad ammettere che con quella ragazza si era creato una sorta di, per quanto contorto, rapporto.

Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dalla porta che si aprì proprio in quel momento, facendo entrare una Camila sorridente e allo stesso tempo intimidita, come temendo di dare fastidio.

"Buongiorno", le disse con un filo di voce, poggiando poi il vassoio che teneva in mano sulla sedia vicino al letto di Lauren, la stessa su cui era stata seduta il pomeriggio e gran parte della serata precedenti.

Non fu sorpresa di non ricevere risposta dalla maggiore, così continuò direttamente chiedendole un meno timoroso: "Come stai?".

Questa volta, Lauren fece incrociare il suo sguardo, più verde e intenso del solito, con quello di Camila, che sussultò lievemente.

"Bene.. Beh, meglio.. Ehm, grazie."

'Idiota', si disse mentalmente dopo aver pronunciato balbettando quelle parole. Dannazione, non era difficile, doveva semplicemente rispondere e ringraziare per l'ospitalità e l'aiuto.

Ma no, era Lauren Jauregui, ' l'errore', 'il disastro', non poteva di certo farne una giusta.

Camila sorrise, trovando il modo incerto con cui l'altra aveva risposto adorabile, aggettivo che non aveva mai avuto occasione di usare per descrivere l'altra.

Poi, entrambe si ricordarono che proprio dopo quella domanda, il giorno precedente, mentre parlavano al telefono, Lauren si era sentita male. Camila si morse la lingua per non chiedere subito qualche spiegazione, per non sommergere l'altra con le domande che, in realtà, le frullavano in testa da ore e ore.

Lauren, invece, si sentì ancora più in imbarazzo, debole e esposta, ma fu grata del silenzio dell'altra.

Prese un respiro e fece mente locale, organizzando ciò che voleva dire prima di aprire bocca, per evitare altri errori.

"Scusa per ieri..  -iniziò - non potevo immaginarlo e non avrei pensato che ti saresti presa il disturbo di venire, figurarsi di portarmi a casa tua.." 

Camila, sentendo quelle parole, fece un passo avanti, senza nemmeno rendersene conto, interrompendo l'altra: 

"Nono, che dici?! Di certo non potevo lasciarti lì, dios, immagina cosa sarebbe potuto accadere se non mi avessi chiamato!"

Ciò che disse l'altra fece rallegrare un pò Lauren, che sentì accendersi nuovamente dentro di lei quel calore che aveva provato la sera precedente, ma una cosa in particolare l'aveva colpita.

"Dios?" Chiese, sogghignando.

L'altra la guardo, confusa, e sbatté gli occhi un pò di volte, cosa che Lauren trovò adorabile, nonostante non volesse ammetterlo.

"Ehm, si, cosa c'è di strano?" Chiese poi, domandandosi intanto se l'altra non avesse effettivamente riportato qualche danno celebrale.

"Parli spagnolo?" Chiese l'altra, curiosa, mentre i suoi occhi si accendevano di una luce che Camila non era sicura di essere in grado d'interpretare.

"Si.. Sono nata a Cuba, e quando avevo sei anni ci siamo trasferiti qui. Mio padre è messicano, quindi sono per metà messicana e per metà cubana, lo spagnolo è la mia lingua madre." Spiegò, per poi abbassare la testa, imbarazzata da quell'improvviso scambio d'informazioni.

"Mmm, español. Muy caliente!" Disse, con una perfetta pronuncia spagnola, sventolandosi con una mano il volto, come se sentisse caldo, guardando l'altra dritta negli occhi con lo sguardo più intenso che avesse mai usato. Le guance di Camila si tinsero immediatamente di un rosso intenso, e riconobbe subito la luce che aveva visto negli occhi dell'altra: malizia.

Non seppe se essere sollevata o meno del fatto che l'altra fosse sempre la solita Lauren, ma di una cosa era certa: finchè non era debole o in situazioni di pericolo, avrebbe sopportato qualsiasi provocazione, pur di vederla sana e salva.

"Bene, parli spagnolo anche tu..  - Iniziò poi, cercando di superare l'imbarazzo del momento. - Quante altre cose di te mi stai tenendo nascoste?"

Ovviamente, Camila non si riferiva solo allo spagnolo, e l'altra lo aveva capito benissimo. Ma, per sfortuna, (o fortuna, a seconda dei punti di vista), Lauren non ebbe modo di rispondere a quella domanda, perchè in quel momento la madre di Camila le chiamò dall'altra stanza, avvisandole che erano in ritardo.

"Ops." Fu tutto ciò che disse Camila, poi invitò Lauren a mangiare ciò che c'era nel vassoio e le disse che poteva cambiarsi nel bagno degli ospiti, le spiegò dove si trovava e fece per uscire dalla stanza.

"Okay, grazie.. No, aspetta!" Esclamò poi, mentre si alzava dal letto.

"Che c'è?" Chiese allora la minore, voltandosi, una mano sulla porta che aveva appena aperto.

"Non ho vestiti con cui cambiarmi, forse sarebbe il caso di saltare scuola e.."

"Ah, pensavo fosse ovvio! - la interruppe lei. - Puoi indossare i miei vestiti, voglio dire, penso portiamo la stessa taglia, a occhio e croce, no? Li trovi nel bagno, li avevo preparati già. - sorrise, ma quando vide l'espressione dell'altra si affrettò a continuare. - E NON fare quella faccia, Jauregui!"

"Ahi, ahi, ahi, mi chiami per cognome.." Fece invece l'altra, usando nuovamente un tono seduttore, guardandola dritta negli occhi con un'intensità tale da costringere l'altra a distogliere lo sguardo.

Decise di far finta di nulla, le sorrise un ultima volta, e, timidamente, uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro le sue spalle.

Lauren rimase qualche secondo immobile, e poco si ritrovò a sorridere, un pò per l'assurdità della situazione, un pò perchè quella casa era così accogliente, così calda e confortante che avrebbe voluto rimanere lì più a lungo.

Quella era casa, non la topaia in cui era costretta a vivere. Casa è il posto in cui le ferite te le curano, non quello in cui le procurarono. E' il posto in cui ci si sente al sicuro, non quello in cui si vive nel costante e assiduo terrore.

'Casa' era Camila, la stretta rassicurante della mano sulla sua, il sorriso timido che appariva sul suo volto e il modo in cui si prendeva cura di lei. 

 Con questi pensieri in mente, iniziò a mangiare cioè che le era stato portato, sbocconcellando una brioche e sorseggiando un thè caldo.

Non mangiava così bene da tanto, troppo, tempo, soprattutto perchè nessuno si preoccupava di cucinare per lei da quando sua madre era morta.

Non appena terminata la colazione, si alzò dal letto, uscendo dalla camera. Era diretta verso il bagno, per potersi cambiare e preparare, ma fu bloccata da qualcosa, anzi, qualcuno.
Per l'esattezza, da una bambina dai lunghi capelli corvini e dagli occhi scuri che le sorrideva, intimidita, un piccolo clone di Camila.

Senza bisognò di presentazioni capì che si trattava della sua sorellina, nonostante non ne avesse mai proferito parola al riguardo.

Lauren, non sapendo bene cosa fare in quella situazione, si abbassò sulel ginocchia, fino ad essere alla stessa altezza dell'altra. "Uhm.. ciao! - Fece, cercando di suonare il più simpatica possibile, sentendosi subito dopo un'idiota, per poi continuare. - Come ti chiami?"

La bambina spalancò i suoi occhi, inclinò la testa da un lato, come per giudicare se  Lauren fosse abbastanza affidabile da poterle dire il nome. "Sofia." Disse infine, ritenendo evidentemente positiva la sua analisi, regalando così all'altra un sorriso.

"Che bel nome! Io sono Lauren" Disse poi, allungando una mano alla bambina, che la prese e la scosse forte, senza smettere di sorriderle.

"Sei un'amica di Mila?" Le chiese poi, curiosa.

"Oh, ehm. Si, si, sono un'amica di Camila." Disse infine, sentendosi un pò in colpa a mentirle. Non poteva definirsi propriamente 'amica' di sua sorella.

"Sofia, è stato un piacere conoscerti, però devo andare a cambiarmi se non voglio arrivare tardi a scuola!" Disse, usando una voce più alta del solito. L'altra annuì in risposta e la salutò con la mano dopo averle dato un forte abbraccio che fece tremare il cuore della ragazza.

Non poteva sapere che, nel frattempo, Camila, tornata per richiamare la sorella e portarla a fare colazione, aveva assistito a tutta la scena. E aveva amato ogni singolo secondo di quella Lauren dolce e sorridente.

'Dios - pensò - è meravigliosa quando sorride. No, lo è sempre, ma quel sorriso la fa brillare.' Non perse nemmeno tempo a darsi dell'idiota per aver pensato quelle cose dell'altra, si limitò semplicemente a seguire con lo sguardo ogni movimento di Lauren, finchè questa non scomparve  nel bagno; poi prese la sorellina per mano e la condusse in cucina.

Lauren si guardò allo specchio, mentre sollevava la maglietta per cambiarsi, e cercò di non focalizzare la sua attenzione sul livido violaceo in via di guarigione sul fianco destro, evitando tutti i ricordi che ne sarebbero scaturiti.

'Non ci pensare - si disse - Sei al sicuro e non può raggiungerti, non ora.'

'Non ora', perchè non appena avrebbe messo piede dentro casa sapeva già cosa aspettarsi.

Una volta pronta, uscì dal bagno, forse un pò troppo velocemente. Il riflesso nello specchio l'aveva spaventata, aveva visto una versione di sè stessa dimenticata da tempo, e questo le aveva fatto tremare le ginocchia. Che le stava succedendo?

Nel corridoio di quella casa si sentì spaesata, ma poi, seguendo il suono delle voci e delle risate che echeggiavano tra le pareti, riuscì a raggiungere la cucina.

La madre di Camila era seduta a capotavola, teneva le gambe incrociate e in mano aveva una tazza da cui beveva, come Lauren ipotizzò per via dell'odore che pervadeva la stanza, caffè. Affiancò a lei c'era la piccola Sofia, intenta a pucciare dei biscotti nel latte, facendolo il più delle volte strabordare fuori dalla tazza, ridendo. Infine, alla sinistra della piccola, c'era Camila, che girava con un cucchiaino un thè che, probabilmente, si era già raffreddato. "Eccoti!" Esclamò quando Lauren fece il suo arrivo restando, però, sullo stipite della porta. Il sorriso di Camila fece sciogliere qualcosa dentro Lauren, e questo non fece altro che alimentare la paura che aveva provato poco prima.

Era come se il calore che aveva provato stando dentro quella casa, sotto le cure di Camila e della sua famiglia, si fosse trasformato improvvisamente in fuoco ardente, che pian piano bruciava ogni cosa al suo interno.

E non era affatto piacevole.

"Cara, come stai? Spero ti sia piaciuta la colazione, adesso se Mila ha finito potete andare insieme a scuola! Oh, e se mi potessi dare il numero di casa o di uno dei tuoi posso chiamarli e dire loro perchè non sei tornata a casa ieri." La donna disse tutto d'un fiato, sorridendo a Lauren, che dal suo canto dovette trattenersi per non scoppiare a ridere. Aveva un modo di parlare che le ricordava Camila quando si agitava, senza prender fiato.

"Mamma, lasciala respirare." Le disse la figlia, ridendo, e contagiando anche la sorella.

Lauren ringraziò per l'ospitalità e salutò con un bacio sulla guancia Sofia, dopo averle promesso con il mignolo che sarebbe tornata a salutarla. Infine, non senza riluttanza, aveva dato alla donna il numero di suo padre.

"Mia sorella ti adora." Disse Camila, mentre si incamminavano insieme verso la fermata dell'autobus.

"Sembra proprio di si, Mila." Rispose la maggiore, mettendo fin troppa enfasi nell'ultima parola.

Camila storse il naso, per poi rimanere in silenzio. Per qualche minuto l'unico rumore ad accompagnarle fu quello dei loro passi. La minore si stinse ancora di più nel suo cappotto grigio, senza essere capace di capire se il freddo fosse dovuto più alla condizione meteorologica o da lei, Lauren, e il loro strano modo di comportarsi.

"Ieri, quando ti sei sentita male, è stato dopo che ti chiedessi come stavi. - Iniziò Camila, una volta raggiunta la fermata, rompendo il precario equilibrio che si era creato tra i loro spazi e i loro silenzi. - Mi chiedevo, c'è un motivo? Cosa succede? "

Lauren rimase qualche secondo immobile, respirando lentamente. Che diamine voleva quella ragazza? Sentì la rabbia montare nuovamente dentro di lei, mentre si girava di scatto per fronteggiare l'altra, che, leggermente intimorita, si ritrasse di un passo.

"Cos'è, un interrogatorio? Dio mio, non ancora lo capisci?! - Scosse la testa, come a dire che era qualcosa di così ovvio. - Più stai lontana da me, meglio è."

Quelle parole colpirono Camila con la forza di uno schiaffo, lasciandola confusa e, allo stesso tempo, arrabbiata. Perchè si comportava così?

"No, non capisco. Non capisco perchè cambi in questo modo, perchè sei arrabbiata con il mondo intero e tratti tutti come se ti avessero fatto un grandissimo torto. Voglio capirlo, e aiutarti, ma non posso se non me lo lasci fare!" La sua voce cresceva via via di volume, a pari passo con la sua rabbia e la sua frustazione.

"E ALLORA SMETTILA! SMETTILA DI PROVARCI." Le urlò in risposta la maggiore, con gli occhi lucidi e le guance rosse.

"Smettila di provarci, smettila di trattarmi così, come se ti importasse, smettila, smettila, smettila e basta."

Il tono di Lauren, adesso ridotto quasi ad un sussurro, spaventò molto più delle urla Camila. Era disperato, stanco, esausto. Era la voce di qualcuno che ha perso ogni speranza.

"Lauren, io non voglio farti male. - Iniziò Camila, dopo almeno un minuto di silenzio. - Non voglio ferirti nè mentirti. -Si avvicinò di qualche passo, lentamente, senza sciogliere il contatto visivo che si era creato tra le due.
 
"Voglio aiutarti a fermare qualunque sia la causa di tutto ciò, voglio farti vedere che, tolta la rabbia, c'è un intero mondo, molto migliore di ciò che pensi. La vita è ingiusta, e a volte fa schifo, e non c'è nessun dubbio su questo. Ma posso aiutarti, o almeno provare, a farti vedere la luce che, se cerchi bene, trovi anche nel buio."

Portò una mano sulla guancia dell'altra, con la massima delicatezza di cui era capace.

"Non avere paura." Le sussurrò quando l'altra tremò leggermente sotto il suo contatto. Lauren abbassò lo sguardo, sconfitta. 

Sconfitta, perchè era troppo stanca per ribattere, per lottare. Era esausta, distrutta, a pezzi.

E non aveva più la forza di andare contro il mondo intero. Non ce la faceva più, e quella ragazzina le chiedeva soltanto di lasciarsi aiutare, e la sua mano sulla sua guancia era così morbida, e il suo sorriso così vero, e lei era così bella. 

"Andrà tutto bene - ricominciò Camila, e il volto dell'altra si sollevò. - Possiamo farcela insieme, contro qualsiasi cosa sia quella da cui stai scappando." 

Lauren, all'improvviso, contrasse i muscoli, si allontanò dall'altra, facendola quasi cadere.

"No." Sussurrò. "No, nonono, NO!" Inizò a correre, il più veloce possibile, senza sapere nemmeno dove andare. Correva e basta, come aveva già fatto in passato, perchè non voleva, non poteva, affrontare i mostri del presente.

Ma questa volta Camila non rimase ferma a piangere, iniziò a correre a sua volta dietro l'altra. Non era immobile, non era debole, era forte abbastanza per risollevare entrambe dal buio in cui erano finite.

"Ferma! Lauren!" Urlò più volte, invano. Sapeva che l'altra non si sarebbe fermata.

Dopo quelli che per entrambe parvero secoli, Lauren svoltò a destra, poi a sinistra, e di nuovo a destra, finchè non si trovarono in un vicolo cieco. 

'Grazie a Dio', pensò Camila. 

Lauren si appoggiò con una mano al muro per riprendere fiato, mentre si osservava attentamente intorno, in cerca di una via di fuga.

"Non- Non puoi scapp-scappare La-Lauren." Disse Camila, mentre riprendeva fiato per via della lunga corsa.

Passarono lunghi minuti in questo modo, riprendendo fiato e guardandosi, ognuna concentrata sui propri pensieri, sulle prossime azioni e parole.

'Devo farla andare via', pensava una; 'Questa volta è quella buona', l'altra.

"Ci voleva un vicolo cieco per farti fermare?" Chiese Camila, avvicinandosi lentamente.

L'altra, con un ghigno in volto, alzò gli occhi al cielo, prima di risponderle con uno scocciato "A quanto pare."

"Hai una gemella per caso?" Fece la minore, con un sorriso sul volto così falso che non raggiunse gli occhi. "Perchè quella che era a casa mia qualche minuto fa era una persona completamente opposta." Continuò poi, alzando le braccia e poi abbassandole di nuovo lungo i fianchi, come ad arrendersi di fronte a quella situazione impossibile.

Lauren scoppiò a ridere, facendo venire a Camila una grande voglia di piangere, o di urlarle contro. "Pensavi davvero che sarebbe bastato ospitarmi a casa tua per cambiare le cose?
- Fece poi, avvicinandosi a sua volta all'altra. - Pensavi davvero che la grande, cattiva, Lauren sarebbe diventata improvvisamente buona e docile? - Altre risate. - Oh, beh, sorpresa!" Esclamò infine, con un ghigno sul volto.

"Perchè non vuoi essere aiutata?" Chiese Camila, ignorando le ultime frasi dell'altra e stringendo i pugni così forte da ferirsi con le unghi il palmo della mano.

"Non ho bisogno del tuo aiuto, non ho bisogno di nessuno! Cazzo, è difficile da capire?" Rispose la maggiore, alzando il tono di voce. Che diamine voleva da lei quella ragazza?

"No, Lauren, sei tu che non capisci! Fare la stronza e prendertela con il mondo non ti salverà da niente e nessuno, rimarrai sola per tutta la vita e non riuscirai a concludere niente!"

Il secondo dopo aver pronunciato quelle parole, Camila si sentì un verme. Non avrebbe dovuto nè voluto dire quelle cose. L'altra era rimasta colpita quanto lei, perchè fece qualche passo indietro, la bocca leggermente spalancata per la sorpresa, o forse per buttare fuori i fantasmi delle parole che aveva già pensato di dire in risposta, ma che non avrebbe mai pronunciato.

Perchè quelle parole l'avevano ferita come un proiettile spedito dritto contro il suo cuore, erano le stesse parole che erano rimaste depositate in un angolo remoto della sua mente, ignorate appositamente per non sentirle, per non capirle, per non cambiare.

Si voltò e, senza capire davvero cosa stesse facendo, arrivò fino al muro che impediva il proseguire della strada. Le gambe le cedettero, scivolò lungo la fredda parete e, sentendosi troppo vulnerabile in quel punto, strisciò fino all'angolo, per poi raggomitolarsi su sè stessa, le gambe strette contro il petto e la testa sepolta tra le mani.

Era tornato tutto, di nuovo. Il respiro diventava sempre più smorzato e non era capace di trovare aria. Le sembrava di annegare, come nel sogno.

"LAUREN!" Strillò Camila, iniziando a correre per raggiungere l'altra che distava qualche decina di metri da lei. "LAUREN?!" Continuava a urlare, sperando con ogni fibra del suo essere che l'altra stesse bene.

Una volta raggiunta si abbassò per essere alla sua stessa altezza, ma l'altra non si muoveva di un solo millimetro. Tremava vistosamente e Camila riusciva a sentire il suo respiro sempre più affannoso, ma nonostante continuasse a chiamarla l'altra non mutava la sua posizione.

Non sapeva cosa fare, ed era cosciente del fatto che non poteva aspettare ancora più tempo, o sarebbe stato troppo tardi.

Mise le mani sopra quelle di Lauren, che erano intrecciate sopra il resto della sua testa, e, delicatamente, iniziò a fare forza affinchè si spostassero. Riuscì ad abbassarle, ma l'altra continuava a non sollevare il volto.

"Lauren" Disse ancora, con un tono più basso. "Lauren, guardami. Va tutto bene, alzati."

Nessuna risposta, nessun movimento.

Mise le mani sui due lati del volto dell'altra ed esercitò una lieve pressione per sollevarla, finchè non ritrovò davanti ai propri gli occhi chiusi dell'altra.

"Aprì gli occhi." Sussurrò, ma l'altra non lo fece, continuava a tremare e respirare pesantemente.

Decise che, a quel punto, l'unica cosa che poteva tentare di fare era parlarle e cercare di rimediare a ciò che aveva detto poco prima.

"Lauren, non penso davvero quelle cose. Mi dispiace, io-io voglio solo aiutarti, e tu non me lo lasci fare. Non resterai sola, non lo sei nemmeno ora. Ci sono io, ci sono e voglio aiutarti. Possiamo lottare insieme, non devi affrontare tutto da sola. Possiamo sconfiggere ogni cosa insieme." Mentre parlava, la sua voce si ruppe in alcuni momenti, mentre lacrime salate scivolavano silenziose lungo le sue guance. "Ti prego, guardami. Va tutto bene."

Camila si avvicinò al volto dell'altra e depositò sulle sue palpebre chiuse un leggero bacio, prima su quella sinistra, poi su quella destra. Poi strinse l'altra in un abbraccio, desiderando con tutta sè stessa di imprimere nell'altra un pò di speranza e di forza.

"Andrà tutto bene." Ripeté ancora, rivolgendosi anche a sè stessa, oltre che all'altra.

Passarono alcuni minuti, finalmente Camila sentì il corpo dell'altra cessare di tremare e il suo respiro farsi via via più regolare. Sciolse l'abbraccio, lentamente, e si ritrovò a fronteggiare il volto dell'altra che, questa volta, la guardava dritto negli occhi.

"Promettilo." Disse, con un tono serio e deciso.

"Cosa?" Chiese l'altra, leggermente spaesata.

"Promettimi che non mi stai mentendo."

Disse infine, la voce che tremava leggermente, rischiando di far crollare la sua maschera.

"Te lo prometto. Non ti sto mentendo e non lo farò."

Lauren annuì, poi si alzò, allungò una mano all'altra per aiutarla a fare lo stesso e disse: "Beh, hai idea di dove ci troviamo?"

-
Ritrovare la strada giusta non fu affatto facile, ma per fortuna Camila vide passare lungo la strada che stavano percorrendo da ormai mezz'ora lo stesso autobus che passava in un posto che conosceva. Salirono sul mezzo, che era deserto, fatta eccezione per qualche signora anziana che si dirigeva al mercato per fare compere.

Si sedettero l'una affianco all'altra sugli ultimi posti dell'autobus, senza proferire parola. Dopo essersi scambiate quella promessa nessuna delle due aveva avuto il coraggio, e neanche la voglia, di rompere il silenzio che si era formato.

Dopo almeno cinque minuti che erano in viaggio, Camila si voltò verso l'altra e le chiese, col tono più discreto di cui era capace: "Prima, cosa è successo? E' stato come ieri quando parlavamo al telefono.. Voglio dire, ti era già capitato di avere attacchi di panico?"

Lauren si voltò a guardarla, gli occhi - grigi, questa volta. - spalancati per la sorpresa.

"Io-io non ho attacchi di panico. Non penso almeno." Fece, abbassando la testa, trovando improvvisamente molto più interessante da osservare il pavimento sporco del mezzo.

"Beh, non so come altro descrivere quello che ti è successo e.. Scusami. Davvero non avrei dovuto dirti quelle cose."

"Già." Annuì la maggiore, senza sollevare il volto.

Passarono altri minuti di silenzio, poi Lauren chiese all'altra: "E' la prima volta che salti scuola?"

La mora rimase sorpresa dalla domanda, ma poi rispose timidamente di si.

"Ci avrei scommesso -rise- beh, se non pensi sia troppo trasgressivo per te, potrei mostrarti dove vado io quando la salto."

"Detto così sembra come se sia qualcosa che fai spesso."

"Esattamente."



-


Una volta scese dal mezzo, Camila seguì Lauren lungo una strada che non conosceva, giù lungo dei ripidi gradini e poi a destra, fino a trovarsi davanti ad una vecchia casa in rovina.
"Allora? - Fece la maggiore, voltandosi verso di lei. - Che aspetti? Entriamo!"

Camila la guardò come se fosse uscita di testa, e forse lo era davvero.

"Ma sei impazzita? E' in rovina, potrebbe crollare da un momento all'altro, magari è di proprietà privata e potrebbero arrestarci per infrazione, senza contare che non hai nemmeno le chiavi e - "Ehi, calmati. - la interruppe l'altra, avvicinandosi e mettendo le mani sulle sue spalle. - Ci sono stata centinaia di volte e non è mai crollata, nè mi hanno arrestata."

Poi, voltandosi e avvicinandosi al cancello chiuso da un lucchetto, esibendo il migliore dei suoi ghigni, lo scavalcò con un salto, atterrando dall'altro lato.

"Nessun problema delle chiavi, è facile!"

Dopo lunghi minuti serviti per convincere l'altra a seguirla, e aiutarla a scavalcare il cancello, si ritrovarono entrambe nell'erba alta, incurata, e in poco tempo raggiunsero la porta della dimora.

Un tempo doveva essere stata molto bella, pensò Camila, osservando la vernice scrostata sulle pareti esterne e i resti di quello che doveva essere un portico. Si chiedeva cosa fosse accaduto lì per rovinarla in quel modo.

Lauren fece strada, aprendo con facilità la porta d'ingresso, che ruotando sui cardini produsse un inquietante cigolio, ed entrando all'interno.

"Benvenuta!" Disse poi con enfasi, spalancando le braccia, sorridendo all'altra.

Camila, dal suo canto, si sentiva a disagio, sapeva che non doveva essere in quel posto in quel momento. Allo stesso tempo, però, qualcosa di forte e caldo iniziò a montarle dentro alla base dello stomaco, le scorreva nelle vene, era adrenalina pura.

Lauren, al contrario, si muoveva come se quel posto fosse casa sua. Si sedette sulla sedia a dondolo, rovinata anch'essa, come ogni cosa in quella casa, e rimase lì, guardando l'altra.

La minore si sedette sul divano dalla pelle logorata in più punti, nel posto più vicino alla sedia.

"Quindi, -iniziò- e qui che vieni quando salti scuola?"

"Esattamente." Rispose l'altra, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

"Come mai?" Chiese la minore, che continuava a non capire perchè proprio quel posto.

"Perchè è silenzioso, è in rovina. E' qualcosa che nessuno vuole o capisce." - Fece, guardandosi attorno. - "E' come me." Sussurrò infine, rivolta a sè stessa.

L'altra, però, sentì anche quella frase, e le fece venire i brividi. Si chiese cosa ci fosse in quel momento dentro i pensieri dell'altra, e si trovò a desiderare con tutta sè stessa di conoscerli.

Pensò di ribattere che non era così, che lei la voleva, che voleva conoscerla, capirla, voleva averla al suo fianco e sentire il calore della sua pelle contro la propria, il suo cuore battere contro il proprio.

"E poi è il posto perfetto per pensare. O per dimenticare." Continuò l'altra, che era rimasta focalizzata su quella domanda, interrogando sè stessa sui motivi per cui trovasse posti abbandonati o in rovina così affascinanti.

"Dimenticare cosa?" Chiese l'altra, sporgendosi un pò di più puntando i gomiti sulle ginocchia.

"Il mondo." Questa volta, non ci fu bisogno di altre domande o spiegazioni, perchè Camila sapeva benissimo a cosa si riferiva l'altra.

La capiva perfettamente, senza il bisogno di conoscere tutti i suoi pensieri. La capiva perchè anche lei era in una ricerca costante di modi per dimenticare ogni cosa, per isolarsi dal mondo, per dimenticare l'esistenza di un passato, di un futuro e di un presente diverso dal luogo in cui si trovava.

Nel suo caso, il rifugio, il modo per scappare erano i libri e la musica, per Lauren erano posti abbandonati e non apprezzati da nessuno.

Ma, nonostante le differenze, erano entrambe alla ricerca della stessa cosa, senza esserne davvero a conoscenza.

Ciò che cercavano era qualcuno di simile, qualcuno a cui importasse, qualcuno reale, sincero. Qualcuno che non volesse far loro del male.

Non potevano ancora sapere che ciò che cercavano si stava realizzando sotto i loro occhi, che stava nascendo dallo scontro di quelle vite, quegli universi opposti, così differenti ma, allo stesso tempo, così simili.

-





Bene, eccomi qui!
Spero di non essere troppo in ritardo, ma purtroppo con la scuola non riesco ad aggiornare più di una volta a settimana!
In questo capitolo vediamo una Lauren che tenta di lottare contro l'aiuto di Camila, ma che sta iniziando a cedere.
Riuscirà Camila ad aiutarla, ad entrare nella sua vita?
Lauren riuscirà cadere le mura che si è costruita intorno?
Dal prossimo in poi ci saranno dei cambiamenti parecchio importanti, e niente, alla prossima!
Grazie a tutti per le recensioni, vi adoro, mi fate sempre sorridere e vi abbraccio tutti *abbraccia il computer*
Okay, la smetto di dire cavolate e niente, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, un scrittrice felice scrive più velocemente (?)
E nada, un bacio a tutti, al prossimo!
- Laura ♥


 

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Capitolo 7
*** Capitolo sei. ***


[La parte conpresa tra gli asterischi (*) è un flashback c: ]

Capitolo sei:

"Ma il sole amava così tanto la luna che moriva ogni notte per lasciarla vivere."
That the sweetest of words have the bitterest taste

"Ho chiamato il padre di Lauren, oggi." Aveva esordito così sua madre durante il pranzo, davanti ad un fumante piatto di pasta al sugo.

Camila aveva alzato lo sguardo verso l'altra, ponendole con gli occhi una muta richiesta di ulteriori spiegazioni.

"E', uhm, particolare- continuò la madre, mentre con una forchetta iniziava ad arrotolare dei fili di spaghetti. - Sembrava arrabbiato.. Ho cercato di spiegargli la situazione, ma onestamente non penso mi abbia davvero ascoltato."

Camila sollevò allora lo sguardo dal suo piatto, puntandolo in quello dell'altra.

Quelle parole le aveva fatto comprendere ciò che era successo poco prima quella mattina, e all'improvviso alla base del suo stomaco si depositò una sensazione di ansia, pari al forte desiderio di sapere come stesse Lauren in quel momento.

*
Erano sdraiate sul vecchio e logoro pavimento della casa, la testa rivolta verso l'alto, osservando il cielo attraverso il vuoto che il soffitto aveva, chissà quando, lasciato. Un aereo, seguito dalla sua scia bianca, comparve nella loro visuale.

"Ci pensi mai? - Iniziò Lauren, interrompendo quel silenzio quasi surreale che le aveva accompagnate fino a quel momento. - Ci pensi mai ad andare via?"

"In che senso?" Chiese in risposta la minore, voltandosi verso l'altra che, però, non distolse gli occhi dalla volta celeste sopra di loro.

"Pensi mai a lasciare questo posto? Ad andare via, lontano, e non voltarti più indietro? Abbandonare ogni cosa e ogni persona?"

Seguì quelle parole un silenzio carico di pensieri, pensieri che sembravano volteggiare intorno alla testa di Camila, sfuggendo alla sua cattura. La ragazza, infatti, si sentiva come se le mancasse un dei pezzi più importanti per completare la complessa trama del puzzle che rappresentava Lauren.

Come se, quelle domande, non facessero altro che amplificare il volume della voce nella sua testa che continuava a chiedersi da chi o da cosa volesse scappare Lauren.
"Penso di si. - fece poi- ma andare via e dirigersi dove? Per fare cosa?"

Con quelle domande retoriche Camila aveva, involontariamente,  messo in luce alcuni dei pensieri che, spesso, occupavano la sua mente. Aveva, infatti, una triste concezione di sè stessa. Si sentiva, la maggior parte del tempo, inutile e invisibile, uno spreco di aria, spazio e tempo.

"Ovunque, per fare qualsiasi cosa. Se non hai nessuno a bloccarti, nessuna costrizione o regola, che problema c'è? Solo quello della scelta, forse."

Camila si ritrovò quasi incantata dalla luce che, con quelle parole, si era accesa negli occhi dell'altra. Se non avesse avuto la certezza del contrario, la minore si sarebbe chiesta se l'altra non avesse una gemella identica, solo per aspetto, con la quasi si era scambiata.

"E'-è affascinante come idea, ma non penso faccia per me. Non saprei da dove iniziare, come continuare, no sarei capace di capire cosa è giusto e cosa no e-e direi e farei solo cose sbagliate, ne sono certa."

Quelle parole le aveva dette con il tono di chi, ciò che dice, lo ha quasi imparato a memoria, come una mera cantilena, quasi un'auto-imposizione.

E, in realtà, era proprio così. Camila aveva pensato così tante volte a sè stessa con una totale assenza di fiducia e autostima da convincersi che quella fosse l'unica realtà possibile.

"Non dovresti essere così dura con te stessa - Commentò Lauren. - Non ti conosco davvero, ma non puoi essere così male quanto dici e pensi."

La minore rise, con una risata che, però, era priva di una qualsiasi forma di entusiasmo. "Oh si, fidati."

Lauren scosse la testa, poi si mise a sedere, sospirando.

"Ma forse hai ragione tu. Forse è più intelligente essere realisti e ammettere che, probabilmente, ciò che ci riserva il futuro è di rimanere bloccate qua per il resto delle nostre vite."

E, con questa affermazione, la luce che fino a quel momento aveva animato gli occhi della maggiore fu inghiottita dal buio più totale.

Quella casa, adesso, pareva ai suoi occhi nulla più che una rappresentazione, quasi una presa in giro, del vuoto che sentiva al suo interno. Del nulla, del senso di abbandono che l'avevano sempre, o quasi, accompagnata.

"Devo andare." Disse poi, con voce rassegnata.

"Dove?" Chiese l'altra alzandosi dietro la maggiore e seguendola fuori dall'abitazione in rovina.

"A casa." Rispose Lauren, con un tono che esternava tutto l'odio e il disgusto che provava per quel posto.

"I tuoi non si arrabbieranno se torni a quest'ora? Voglio dire, dovremmo essere a scuola.."

"NO!" Rispose l'altra, girandosi di scatto per fronteggiare Camila. "No che non si arrabbieranno, come se potesse fregargliene qualcosa."

Queste affermazioni lasciarono basita la minore, che si obbligò a combattere quelle stupide e inutili lacrime che premevano contro i suoi occhi per essere liberate. 

Era più forte di lei, quando qualcuno le urlava contro non riusciva a rimanere indifferente.

"Mi-mi dispiace." Disse poi, con un filo di voce, guardando cauta l'altra che si era fermata, proprio davanti al cancelletto.

"Già, anche a me."

Continuò poi, prima di scavalcare con un balzo il cancello in ferro battuto e intraprendere senza nemmeno voltarsi indietro il suo cammino.

Camila sembrò riscuotersi dalla paralisi in cui era caduta, corse quindi dietro l'altra chiamando a gran voce il suo nome.

"Lauren! Aspetta, non conosci nemmeno la strada.."

La maggiore non commentò questa affermazione, ma rallentò abbastanza il passo affinchè l'altra la raggiungesse, finchè non furono di nuovo fianco a fianco.

Qualche passante le guardò in modo strano, chiedendosi che diamine ci facessero due ragazzine in giro a quell'ora, ma poi tornavano a focalizzarsi sui loro problemi, dimenticando ben presto ciò che avevano visto.

"Io devo girare qui per tornare a casa, quindi penso dovrei proseguire da sola." Disse Lauren, interrompendo il silenzio che le aveva accompagnate tutto quel tempo.

"Beh, si.. se-se vuoi posso accompagnarti! Potrei spiegare tutto ai tuoi e-"

"NO! No. Assolutamente no. -Disse velocemente l'altra, spaventando la minore, che si ritrasse involontariamente di un passo. - Non se ne parla. Ciao, Camila, ringrazia tua madre per l'ospitalità."

Detto questo, si voltò e continuò il suo cammino da sola, sentendo già l'ansia crescere dentro di se.

Non aveva affatto voglia di rivedere suo padre, temeva ciò che sarebbe potuto succedere. 

Camila, dal suo canto, si girò e, senza che riuscisse a impedirlo, le lacrime che aveva trattenuto per tutto quel tempo iniziarono a scorrere silenziose lungo le sua guance.

'Volevo solo aiutarti." Sussurrò, poi si passo una mano sugli occhi, cercando di asciugare le lacrime, e proseguì verso casa. Il tempo di trovare la fermata giusta, aspettare l'autobus, prenderlo, fare il tragitto fino alla destinazione che era esattamente l'orario in cui sarebbe tornata da scuola.

'Perfetto, - pensò.- almeno non dovrò inventarmi qualcosa per giustificare la mia assenza da scuola.'

*


"Camila.. - La voce di sua madre la distolse da quei pensieri, riportandola al presente. - Devo dirti una cosa."

Il tono e le parole che pronunciò fecero aumentare l'ansia che già aveva dentro, ma annuì, in attesa.

Sua madre si prese tutto il tempo di inghiottire un altro boccone di pasta, pulirsi la bocca con il fazzoletto e prendere un bicchiere d'acqua. Poi, mandò Sofia nell'altra stanza,
chiedendole di farle vedere cosa aveva fatto quel giorno a scuola e di portargli i quaderni, per girarsi infine verso Camila.

"'Mi niña.. La mamma di Lauren è morta. Da quanto ho capito, è stato molti anni fa, anche se ovviamente non ho chiesto come per non essere indiscreta."

Il mondo intero sembro crollare addosso alle gracili spalle di Camila.

Sua madre era morta.

Adesso si spiegava tutto.

Il modo in cui l'altra aveva reagito quando le aveva proposto di accompagnarla, la faccia che aveva fatto quando aveva detto 'i tuoi', al plurale. Dios.

"Mi dispiace, se lo avessi saputo non le avrei detto quelle cose stamattina. Povera ragazza. Ne sapevi qualcosa, Mila?"

"N-no. Non ne sapevo nulla." 

Sua madre la guardò con uno sguardo triste, poi l'abbracciò.

"Sono fiera di te." Le disse.

"Per cosa?" Chiese la mora, che si sentiva inutile e stupida. Voleva aiutare l'altra, ma non sapeva niente, assolutamente niente, della sua vita.

"Per come si sei presa cura di quella ragazza, sei stata davvero bravissima. Sono contenta che ti sei fatta un'amica come lei, sembra averne passate tante ma non vedo nulla di cattivo in lei."

Camila strinse più forte la madre, chiedendosi come dovesse sentirsi Lauren a non poterlo più fare. Desiderò con tutta sè stessa di poter abbracciare anche l'altra, di trasmetterle un pò di calore, di farle sentire che le importava davvero di lei.

Si chiese come se la stesse  passando in quel momento, ma non poteva nemmeno immaginarlo. E forse, era meglio così.

-
Lauren sedeva nella cucina, la schiena contro un mobile, tenendosi stretto intorno al braccio un asciugamano ormai intriso del colore e dell'odore del sangue, che iniziava a provarle nausea.

Aveva perso troppo sangue, e si sentiva debole. 

Tene va le testa verso l'alto, gli occhi chiusi, e pregava solamente che fosse finita. Il ronzio della televisione proveniente dall'altra stanza la rassicurava, significava che qualcosa stava intrattenendo l'orco abbastanza da non farlo tornare lì da lei.

Era andata malissimo, come si aspettava.

Non aveva nemmeno avuto il tempo di bussare alla porta, lui l'aveva già vista dalla finestra. Le aveva fatto trovare la porta di casa accostata, e quando era entrata se lo era trovata lì davanti, una bottiglia di alcolico in mano e un sorriso sinistro che gli sgualciva il volto, rendendolo terrificante.

"Sei tornata." Aveva detto, con una voce così calma da farla rabbrividire fin dentro le ossa.

E poi era iniziato.


Le urla, gli insulti. Ogni cosa.

E quella parole, se possibile, la ferivano ancora di più del vetro che si conficcava dentro la sua pelle, del sangue che sgorgava libero creando una pozza per terra.

Sarebbe dovuta andare al pronto soccorso per farsi mettere dei punti, ma non ce l'avrebbe mai portata. Avrebbero capito tutto, e lui sarebbe stato, molto probabilmente, buttato in prigione.

Ma no, non sarebbe successo. Quella non era una favola, dove il bene vince sul male e l'orco cattivo viene punito, no. Quella era la vita reale, e nessun principe azzuro nè nessuna fata sarebbe arrivata per aiutarla, per salvarla.

Doveva respirare, ignorare il tanfo del sangue e pensare ad altro, o avrebbe vomitato.

Sotto le palpebre chiuse arrivò, come una visione, il volto di Camila. Camila che le sorrideva, Camila che si prendeva cura di lei, che le prendeva la mano e la scaldava con la propria. Le sue parole rassicuranti e le sue promesse.

'Andrà tutto bene.' e 'Non sei sola.', 'Possiamo farcela insieme' e 'non avere paura.'

E lei lo voleva, voleva davvero essere forte e lasciarsi aiutare, abbandonarsi all'altra, alle sue parole confortevole e al tocco delicato delle sue dita. Ma non sapeva come farlo.

Era sola, ferita, e non c'era nessuno lì con lei.

Era vero, Camila si era offerta di accompagnarla, ma probabilmente sarebbe rimasta ferita anche lei. E non avrebbe mai, mai potuto permettere che ciò accadesse.

-

Si risvegliò lì, la mattina dopo. Il russare dell'orco riempiva il vuoto della casa, facendole tirare un sosipro di sollievo. 

Sollevò con cautela quella benda improvvisata dal braccio, e dovette trattenersi per non vomitare quando vide la ferita.

Si era rimarginata, ma era piena di pus, poichè non era stata trattata bene. Una grande, bitorzoluta, cicatrice sul suo braccio, come un lungo verme rosso addormentatosi lì, per caso.
Si alzò, e non fu sorpresa quando dovette reggersi contro il mobile per non cadere a terra di nuovo. La testa le girava così tanto da non riuscire a distinguere ciò che la circondava.

Fece un profondo respiro e, a tentoni, trovò la dispensa. Prese una scatola di biscotti e, nonostante fossero ormai stantii, ne prese qualcuno, iniziando lentamente a mangiarli.

Non si sentiva affatto bene, ma aveva bisogno di uscire da quella casa e di recarsi a scuola. Non poteva cambiare le cose, ma poteva fingere che andasse tutto bene.

Dopo aver mandato giù biscotti a sufficienza per sentirti non bene, ma quantomeno forte abbastanza da camminare, attraversò lentamente la casa immersa nel buio dirigendosi verso la sua camera. Passò in bagno e, con molta cautela, si lavò e si cambiò.

Prese ciò che le serviva per andare a scuola e nell'ingresso la borsa, proprio dove era stata scaraventata dall'orco il giorno precedente.

Uscì di casa, e il freddo di quella mattina la colpì in pieno viso. Si strinse più forte nei suoi vestiti.

Controllò dentro la borsa e vide il suo telefono lampeggiare, aveva ricevuto otto messaggi.

(13:56) Camila:
"Lauren, spero vada tutto bene. Fammi sapere."

(14:45), Camila:
"Okay, mi sto preoccupando."

(15:20), Camila:
"Lauren?!"

(16:03), Camila:
"Capisco se non mi sopporti, ma almeno dimmi che va tutto bene. Solo questo."

Gli altri erano tutti simili ai primi, e mentre li scorreva Lauren sentiva dentro di lei emozioni contrastanti.

Quella ragazza si era davvero preoccupata, infondo non aveva motivi per fingerlo.

Le rispose con un "Va tutto bene, scusa il ritardo.", poi mise il cellulare in tasca.

Si sedette sul bordo della strada, perchè aveva ancora un'ora prima di iniziare ad avviarsi per scuola.

Chiuse gli occhi e lasciò che la tranquillità di quel posto, unita alla sensazione che la preoccupazione di Camila le aveva lasciato, la cullasse, trasportandola in un mondo tutto suo, privo dell'orco e di qualsiasi cosa le avesse mai fatto.

-

"Lauren!"

La voce di Camila, colma di sollievo e sorpresa al tempo stesso, echeggiò nell'aria gelida di quella mattina, ma si perse nel brusio che le voci di centinaia di studenti provocavano.
La minore corse verso l'altra, con l'intenzione di abbracciarla, ma una volta arrivata davanti a lei si fermò, restando immobile ad osservarla.

"Sei arrivata.", disse dopo.

Dei brividi attraversarono il suo corpo, brividi di terrore. Perchè ciò che vedeva negli occhi dell'altra era la più totale oscurità. 

La maggiore si porto, involontariamente, la mano al braccio ferito, poi si schiarì la voce e rispose con un "Si, perchè dovrebbe essere una sorpresa?"

Ma, nonostante l'intenzione, non riusciva nemmeno ad avere il suo solito tono arrogante.

"Co-come va?" Le chiese Camila, ma in quel momento la campanella segnalò l'inizio delle lezioni, e l'altra non si presa briga di risponderle.

"Ciao", disse infatti, iniziando già a dirigersi verso la lezione di inglese; "Ci vediamo dopo!" rispose l'altra, con un accenno di speranza nella voce.

La prima parte della giornata scolastica passò in modo tranquillo, e prima che una delle due potesse davvero pensare a come affrontare l'altra quando l'avrebbe rivista arrivò l'ora di pranzo.

Lauren, come al solito, entrò velocemente in mensa e prese una mela e un panino, poi uscì nel cortile per consumare da sola il pranzo accompagnandolo con la solita sigaretta.

Non seppe dirsi se più stupita o più sollevata, quando vide Camila uscire nel cortile e raggiungerla, ma questa volta non ci diede importanza.

"Che freddo, come fai a stare qui fuori?" Le chiese la minore una volta raggiunta, sedendosi sul muretto che recintava il giardino.

Lauren fece un tiro dalla sigaretta, prima di voltarsi e risponderle con una semplice alzata di spalle.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, Lauren continuava a fumare e Camila dondolava le gambe, guardandosi attorno e stringendosi più forte nei suoi vestiti, senza sapere bene cosa dire.

"A cosa pensi?" Chiese la minore, interrompendo nuovamente la strana atmosfera che sembrava aleggiare intorno a loro.

Lauren aveva gli occhi chiusi, e sentendo quella domanda non si mosse di un millimetro.

"Troppe cose." Fu la sua enigmatica risposta.

"Se ti va puoi parlarne." Cercò di spronarla Camila, agitando nervosamente le mani una contro l'altra.
"So che posso. - iniziò Lauren. - Ma non cambierebbe nulla, sai?"

"Perchè dici così?" Camila si voltò a guardarla, e per una frazione di secondo riuscì solo a pensare a quanto fosse bella. Anche se stava fumando, cosa che lei non sopportava, anche se si rifiutava di darle spiegazioni. Era bellissima.

"Perchè certe cose non possono essere cambiate'"

-

Lauren, camminando verso l'uscita, cercando di distaccarsi dalla massa di studenti che si accalcavano verso la porta come se non avessero mai visto la luce del sole, si chiese se non fosse stupido.

Se non fosse un errore fermarsi al lato dell'edificio ad aspettare Camila.

Ma ormai era troppo tardi, si era fermata e l'altra era uscita. Vedendola, aveva sorriso, sorpresa e lusingata.

"Mi hai aspettato.", aveva detto.

Poi avevano iniziato a camminare, insieme, senza scambiarsi altre parole.

"Menomale che il professore non c'è e possiamo evitare la punizione.. però sai, tuo padre sa comunque che devi tornare allo stesso orario, giusto? Magari, se vuoi, puoi venire a casa mia."

Camila disse quelle parole guardandosi le mani e dondolando sui piedi, insicura e timorosa di ricevere l'ennesimo rifiuto.

Lauren notò che, invece di riferirsi ai'suoi genitori', aveva detto 'tuo padre', ma poi cacciò questo pensiero dalla mente e annuì.

Camminarono insieme fino a casa di Camila, e una volta entrare la minore le disse di sistemarsi come se fosse a casa sua.

"Sei sola?" chiese Lauren mentre poggiava la borsa nella stanza dell'altra, guardandosi attorno e sentendosi improvvisamente molto più tranquilla, come non era da ore.

"Oh, si. Mia mamma lavora fino a sera e Sofi resta dalla nonna, poi quando mia madre esce la passa a prendere e vengono qui."

Lauren annuì, restando in piedi, goffa nei suoi stessi piedi, senza sapere davvero cosa fare e come comportarsi.

E proprio quando iniziava a chiedersi se non fosse stato un errore quello di accettare l'invito, l'altra la invitò a sedersi sul letto vicino a lei.

"Sono felice che sei venuta, sai? - iniziò Camila. - Sono sempre sola qui, è bello avere compagnia."

"Non farci l'abitudine." Ghignò l'altra.

Lauren si guardava intorno, osservando meglio la camera della minore, in cui era già stata. Le pareti erano rosa, la testata del letto viola e le coperte bianche, coperte da peluche e cuscini; c'erano una libreria e delle mensole riempite di libri, una scrivania color mogano con un computer sopra, una grande finestra a lato e degli armadi per i vestiti.

Era molto carina, ma Lauren doveva ancora abituarsi a quel 'lato' di Camila. L'aveva conosciuta a scuola, come la più intelligente e brava della classe, probabilmente dell'intero corso, e vedere quella camera così da ragazza, rosa e viola, rifletteva un lato che non ancora conosceva davvero dell'altra.

Camila, dal suo canto, si sentiva quasi in imbarazzo, mentre vedeva l'altra studiare interessata la sua stanza.

Si sdraiò sul letto, di traverso, in modo da non dare fastidio all'altra, e portò le mani dietro la testa, chiudendo gli occhi.

Lauren si voltò, sentendola muoversi, e rimase senza fiato a quella visione.

Era così bella da toglierle il respiro.

I lunghi capelli castani scuri le ricadevano senza ordine sulle spalle, gli occhi chiusi, l'espressione rilassata, le labbra chiuse che accennavano un sorriso e il suo bellissimo fisico, quasi nascosto dalla grande felpa che indossava.

Lauren non aveva mai nemmeno preso in considerazione l'idea di essere attratta da qualcuno, nè di provare per una persona qualcosa di forte, quindi quando sentì una sconosciuta sensazione nello stomaco non seppe riconoscerla.

Sapeva solo che voleva stare vicino a quella ragazza, sia in senso fisico che in senso concettuale.

Voleva conoscerla, voleva che continuasse a fare di tutto per oltrepassare quelle mura che si era costruita intorno, per distruggerle, buttarle giù, e forse, ma solo forse, voleva anche lasciarglielo fare.

Voleva sentire ancora il calore della sua pelle contro la propria, voleva ancora essere circondata dalle sue braccia, essere confortata dalle sue parole, dal suo sincero sorriso.
Era entrata nella sua vita in modo così improvviso e inaspettato, come quando durante una forte pioggia appare il sole, illuminando e riscaldando ogni cosa.

E lei iniziava ad avvertire i raggi di quel sole, del suo sole, scaldare pezzo dopo pezzo il suo cuore.

Camila, sentendo addosso lo sguardo dell'altra, aprì senza farsi notare l'occhio destro, e la vide. La stava osservando, gli occhi di un verde intenso, la bocca leggermente dischiusa.

Era meravigliosa.

Quando notò di essere stata vista, si morse il labbro inferiore con i denti, abbassò lo sguardo e si schiarì la voce, in imbarazzo.

Camila, accorgendosene, le suggerì di mettersi comoda anche lei.

Lauren obbedì, sdraiandosi al suo fianco, gli occhi rivolti al soffitto, mentre quelli dell'altra erano puntati su di lei.

"Vuoi sapere una cosa?- Le chiese all'improvviso, voltandosi completamente per stare sdraiata su un fianco. L'altra si voltò, solo per un secondo, chiedendole con gli occhi di
proseguire. - Mi hai sempre ricordato un vampiro. Cioè, nel senso buono!"

Lauren la guardò accigliata, chiedendosi come potesse aver pensato una cosa del genere.

"Un vampiro?"

"Si, un vampiro! Perchè sei molto pallida, sei bellissima, come le leggende su di loro hanno sempre raccontato, hai degli occhi particolari che cambiano colore e-e sei molto diversa dagli altri. In un senso buono, ovviamente. -l'altra rise, nonostante continuasse a non capire davvero il nesso. - Un pò come la neve. Voglio dire, magari è stupido, ma ho sempre associato i vampiri alla neve. Bianca, fredda, silenziosa."

"silenziosa?" Chiese l'altra.

"Si, silenziosa. E anche tu sei così! La neve è silenziosa quando cade, te ne accorgi solo guardando fuori, ma non fa rumore.  E poi la neve è qualcosa di speciale, a volte è fastidiosa, bagna tutto, è fredda, e rende il suolo fangoso. Blocca le strade, crea incidenti e problemi vari. Ma se guardi con attenzione, se superi quei problemi di superficie, se vai oltre l'apparenza, noti che è magica. "

"E'-è molto carino tutto questo, ma non capisco cosa centri con me."

"Perchè sei così anche tu, secondo me." Concluse Camila, sorridendole.

Lauren scosse la testa, ma aveva apprezzato ciò che l'altra le aveva detto. Nessuno le aveva mai parlato, nè l'aveva mai descritta, in quel modo. Nessuno.

Pensò che poco prima, nella sua mente, aveva paragonato l'altra al sole, mentre adesso questa le aveva confessato di associarla alla neve.

Sole e neve.

Caldo e freddo.

Luce e buio.

Bianco e nero.

Il sole scioglie la neve, perchè insieme non possono esistere. Si annullano a vicenda, come il sole e la luna.

Pensò che fosse ironica come cosa, ma decise di tenerla per sè.

E mentre si voltava verso la minore, sorridendole, e lasciando che questa lo facesse in ricambio, mentre permetteva a sè stessa di lasciarsi andare, di togliere, almeno per qualche secondo, quella maschera; mentre si perdeva negli occhi scuri dell'altra, così opposti ai suoi, si disse che non importava.

Se era davvero così, erano così opposte da annullarsi, ne sarebbe comunque valsa la pena.
--



Okay, eccomi qui!
Mi scuso per il ritardo, ma spero vi piaccia.
Questo capitolo è uno dei miei preferiti, mi è piaciuto molto scriverlo, non so perchè ahahah
Perdonatemi per la parte di Lauren, ho cercato di renderla il meno 'dolorosa' possibile.
E nada, lasciatemi qualche recensione if you want, al prossimo capitolo!
Love y'all, Laura c:


 

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Capitolo 8
*** Capitolo sette. ***


Capitolo sette:

 
Parlavano poco, ma trascorrevano il tempo insieme, ognuno concentrato sulla propria voragine, con l'altro che lo teneva stretto e in salvo, senza bisogno di tante parole.
- Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi.

 
Darling heart, I loved you from the start

I giorni successivi erano trascorsi con la tranquillità che c'è quando, giorno dopo giorno, si acquista una nuova, per quanto inaspettata, quotidianità.

Ogni mattina Lauren si svegliava, sempre più presto, per paura di svegliare a sua volta l'orco, e usciva di casa cercando di non essere tanto ansiosa quanto in realtà era ogni volta che doveva vedere Camila.

Ogni giorno si incontravano davanti alla stessa fermata dell'auto, e da lì proseguivano insieme fino a scuola. Non si erano davvero messe d'accordo, o almeno non ad alta voce. Semplicemente, era successo.

Ma se qualcuno avesse chiesto ad una delle due quando, come o perchè, non avrebbero saputo cosa rispondere.

Mentre camminava, Lauren cercava di controllarsi e di rallentare il passo che, involontariamente, aumentava.

Non voleva arrivare in anticipo, mostrando così quanto, in realtà, fosse sollevata di vedere l'altra.

Perchè era così.

Vederla le provocava un senso di sollievo che esprimeva con un sospiro, mai un sorriso. Sorridere era ancora qualcosa di troppo lontano, estraneo per lei.

Come quando impari ad andare in bicicletta con le due ruote in più di ausilio. 'Sei grande - ti dicono- adesso devi imparare ad andare senza rotelle!"

Tu ti fidi, lo fai e rimani deluso quando cadi. C'è chi si rialza, ma c'è chi non lo fa,  e in seguito a quel 'trauma' non ci riprova nemmeno, troppo spaventato di ricadere di nuovo e farsi ancora più male.

Lauren sapeva di essere perfettamente in grado di sorridere, come ogni persona, ma ricordava fin troppo bene come era stato devastante il momento in cui, il sorriso che aveva sempre avuto, era sparito, lasciando il posto a null'altro che dolore, accompagnato a sua volta dal nulla più totale.

Camila si chiedeva sempre, dal suo canto, quando sarebbe arrivato il giorno in cui l'altra avrebbe curvato nuovamente le labbra verso l'alto, illuminando il volto con un sorriso.
Sorriso che, ne era certa, si sarebbe rivelato il più bello che avesse mai visto.

E, dentro di sè, sognava segretamente che il motivo di quel sorriso sarebbe stata lei.

Lauren arrivò, come aveva temuto, per prima, così mandò al diavolo il timore di sembrare qualcuna a cui importa molto qualcosa e si sedette sul marciapiede, poggiando la borsa ai suoi piedi.

Abbassò la testa, guardandosi le scarpe, mentre muoveva ritmicamente i piedi, e con questo movimento i suoi lunghi capelli le ricaddero davanti, oscurandole la visuale.

Cercava di concentrarsi sul tamburellare dei suoi piedi, perchè c'era troppo silenzio. Il silenzio le faceva paura. Perchè, quando non c'era alcun suono, i pensieri nella sua mente si facevano spaventosamente forti.

Per questo, quando arrivò l'altra, la maggiore non se ne accorse nemmeno, tanto era concentrata, persa in quel ritmo astratto.

Camila non si curò di rendere nota la sua presenza, approfittò infatti della distrazione dell'altra per osservarla.

'Quanto è bella. -pensava.

Ma quando i suoi pensieri variarono in improbabili fantasie in cui affondava la mano tra i capelli dell'altra, scoprendoli morbidi proprio come le sembravano in quel momento, decise che ne aveva abbastanza.

"Lauren." Disse, senza usare un tono troppo acuto per evitare di spaventarla.

Nonostante il tentativo, l'altra sobbalzò ugualmente.

"Oh, ehm, alla buon'ora." Rispose, alzandosi, senza degnare l'altra di alcuna forma di saluto.

La minore ignorò il comportamento dell'altra, così come evitò di farle notare che, in realtà, non era affatto in ritardo.

Il silenzio fece compagnia al loro tragitto, interrotto solo, sporadicamente, dal rumore delle macchine che passavano a gran velocità al loro fianco.

Una volta arrivate davanti al grande edificio color mattone, si scambiarono uno sguardo silenzioso che, in realtà, nascondeva milioni di domande, milioni di parole, di richieste e urla.

'Perchè neanche oggi hai detto qualcosa? Perchè io non ho detto qualcosa?', si chiedeva una.

'Forse dovrei salutarla? Forse dovrei scusarmi per prima. No, ma che si fotta ogni cosa.', l'altra.

Quest'ultima, presa da un improvviso attacco d'ira, iniziò ad accelerare il passo, superando in fretta l'altra. Camila, che non aveva nemmeno avuto il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, si ritrovò ancora una volta da sola. 

Senza un motivo, senza una spiegazione, senza un 'mi è piaciuto venire con te' o 'buona scuola'.


-


Lauren era stata appena mandata fuori dalla classe di chimica, perchè aveva tentato di metter fuoco alle sopracciglia della sua compagna di esperimenti con l'accendino.

Entrò nel bagno delle ragazze, trovandolo piacevolmente vuoto, e si sedette sul davanzale della finestra, cacciò dalla tasca una sigaretta e iniziò a fumarla.

'Almeno non mi ha sequestrato l'accendino.', pensò.

In quel momento entrò nella stanza una ragazzina che, a giudicare dall'altezza e dal modo spaesato in cui si guardava intorno, doveva essere del primo anno.

Quando questa si accorse della presenza dell'altra cercò, inutilmente, di mostrarsi indifferente, ma era tradita dal fatto che continuava a voltarsi nervosamente a guardare la sigaretta che teneva la maggiore tra le dita.

"Cos'hai da guardare? - Iniziò Lauren, con tono tutt'altro che amichevole. - Se ne vuoi un pò basta dirlo." Continuò poi, trattenendosi dal ridere per l'espressione terrorizzata che aveva assunto l'altra.

"N-no, i-io.. - Iniziò l'altra, interrotta però dalle risate dell'altra.

"Ma balbetti sempre o hai solo paura?"

La maggiore scese con un balzo dal davanzale dove era seduta, si tolse la sigaretta dalla bocca e la gettò a terra, spegendola poi con la suola delle scarpe. La ragazzina, spaventata, si ritrasse di qualche passo.

Lauren prese dal pacchetto un'altra sigaretta e la accese, poi la porse all'altra e, con un tono che non ammetteva repliche, le disse "Fai un tiro."

Quella si ritirò velocemente, scuotendo la testa come a dire 'no', finchè non si ritrovo con le spalle al muro. Era in trappola, e Lauren, il suo aggressore, ghignò divertita.
"Non è difficile. Insprira e butta fuori."

La ragazzina iniziò a piangere, supplicandola con dei "Ti prego, no."

Quando Lauren le avvicinò la sigaretta alla bocca, la minore riuscì a sfuggirle correndole accanto, superandola e allontanandosi il più velocemente possibile da quello che, in pochi minuti, era diventato un inferno.

--

"TU!" La voce di un ragazzo dell'ultimo anno echeggiò nel cortile gremito di gente nell'intervallo.

Lauren era nel suo solito angolo consumando la quinta sigaretta di quella che era, senza dubbio, una pessima giornata. Camila era ancora in classe, trattenuta dalla spiegazione di latino che non accennava a smettere, nonostante la campanella fosse suonata da almeno cinque minuti.

Guardava nervosamente l'orologio appeso alla parete. L'intervallo era uno dei pochi momenti della giornata che poteva passare con Lauren, e, per pura casualità, coincidevano con i suoi momenti preferiti.

"SO COSA HAI FATTO A MIA SORELLA."

Lauren, sentendo delle urla al di sopra del solito brusio degli studenti, si voltò verso il punto dai cui provenivano. Vide un ragazzo molto più alto di lei, dalle spalle robuste e l'aria minacciosa, che camminava a gran velocità verso di lei, puntandole contro un dito.

Gli altri studenti iniziarono a voltarsi, incuriositi da quella scena come spettatori di un film.

"SEI PAZZA?! COSTRINGERE UNA QUINDICENNE A FUMARE?"

A Lauren sembrava solo che quel ragazzo stesse tentando di far capire al resto della scuola la situazione, mettendoli dalla sua parte, e quel comportamento non fece altro che infastidirla ulteriormente.

Camila, uscendo finalmente dalla sua classe, sentì provenire dal cortile delle urla, e si chiese cosa stesse succedendo.

"Cos'è, adesso hai paura?" La beffeggiava il ragazzo, voltandosi verso la folla, rivolgendosi probabilmente più a loro che alla ragazza di fronte a lui.

Lauren, in risposta, scoppiò a ridere, mettendo così a tacere tutti i presenti.

"Paura? -Iniziò, tra le risate. - E di chi? Di te?" Gli altri studenti si guardarono, chi chiedendosi chi fosse quella ragazza e chi chiedendosi se avesse idea di chi si stava mettendo contro.

Il ragazzo, Eric Mcdow, era il capitano della squadra di Rugby della scuola, uno dei ragazzi più popolari e temuti della scuola. Estremamente stupido, ma i muscoli e il carattere aggressivo che aveva bastavano a mettere a tacere ogni critica.

"Ringrazia che sei una ragazza o ti avrei già colpito." 

Lauren fece qualche passo in avanti, fino ad arrivare a meno di un metro di distanza dall'altro.

"Ah si? Dimostramelo. O forse è solo paura?" Commentò poi, dandogli una spinta.

Questa sembrò essere la goccia che fece traboccare il vaso, infatti Eric, diventato rosso in volto dalla rabbia, le tirò in risposta una spinta più forte di quella che aveva ricevuto.

Qualche ragazza tra la folla gettò un urlo, qualcuno invece iniziò a fare dei cori da stadio, incitando entrambi a colpire più forte. Altri, più maturi, si chiedevano se non fosse il caso di avvertire un insegnante e mettere fine a quello scontro, ma poi, per timore di una qualche vendetta da parte del ragazzo, lasciavano perdere l'idea.

In quel momento, Camila entrò nel cortile e vide davanti a sè una folla di studenti radunati a cerchio, ma non era quello che le interessava. L'unica cosa che i suoi occhi cercavano tra tutte quelle persone era Lauren. Dov'era andata a finire?


Lauren, in risposta alla spinta che aveva appena ricevuto, ghignò. 'Se solo sapessero quante cose peggiori sono abituata a subire', pensò.

Quando il ragazzo iniziò a colpirla, intervallando colpi con insulti, lei rispose. Schivava senza problemi i pugni che le venivano tirati contro e ne dava altrettanti.


Camila sgomitava tra la folla, cercando di farsi spazio tra quei corpi ammassati. Voleva raggiungere l'angolo in cui Lauren era solita passare l'intervallo, perchè era certa  che l'avrebbe trovata lì. E, mentre attorno si alzano cori come 'Botte, botte, botte!', sentiva dentro di lei crescere un forte senso di ansia, nonostante non sapesse spiegarsi il motivo.

Sapeva solo che aveva bisogno di trovare Lauren e assicurarsi che stesse bene, poi sarebbe stata tranquilla.


Lauren iniziava ad avvertire stanchezza fisica, mentre l'ergumeno che continuava ad attaccarla sembrava non avvertirne affatto. Sotto la maglietta spiccavano i suoi muscoli allenati, che iniziavano a spaventare la ragazza, nonostante non lo avrebbe mai ammesso.

Si tirò indietro di qualche passo, ansimando.

"Cos'è, ti dai già per vinta?" La canzonò Erick, accompagnato dalle risate del corpo studentesco.

"Mai." Sussurò tra i denti Lauren, guardandolo con occhi pieni di odio e disgusto. Disgusto, perchè quello non era altro che l'ennesimo uomo capace di picchiare una donna. 

Dopo aver preso un respiro, approfittando della distrazione dell'altro, intento a vantarsi con i suoi amici, scattò in una veloce corsa e si gettò con tutto il suo peso contro l'altro.


Camila riuscì, finalmente, a superare le schiene che coprivano la visuale dalla sua destinazione; ma quando riuscì ad arrivare in prima fila desiderò non averlo mai fatto.

C'era Lauren a terra, la schiena contro il freddo suolo, e sopra di lei un ergumeno che continuava a cercare di corpirla. La ragazza si scostava e tirava calci con le lunghe gambe, ma l'altro era troppo pesante per la sua gracile corporazione e non c'era modo di liberarsi da quella presa.

"LAUREN!"

La voce di Camila, intrisa di panico, riecheggiò nell'aria gelata che circondava quel triste spettacolo.

Lauren, sentendo quella voce, si girò, dimenticandosi di ciò che stava accadendo.

E fu in quel momento che l'altro riuscì a corpirla. 

E mentre la sua guancia diventava sempre più rossa e il suo labbro inferiore iniziava a sanguinare, Camila corse nel centro del cerchio che si era andato a formare.

"LEVATI DI DOSSO! LASCIALA STARE!" Urlava contro il ragazzo, che dal suo canto rideva, soddisfatto della piega che la situazione stava prendendo.

Camila si gettò sopra il ragazzo, iniziando a prendere a pugni la sua schiena. Ma non era abbastanza forte, e quei pugni non infastidivano neanche l'ergumeno.

Questo, infatti, rise di gusto. Poi, probabilmente stufo di quella situazione, si alzò dall'altra, senza nemmeno degnare di uno sguardo Camila, e si diresse verso il gruppo di amici che applaudiva per lui.

"Lauren." Sussurò Camila, mentre alcune lacrime cadevano dai suoi occhi sul volto dell'altra. La aiutò ad alzarsi e, mentre cercava di portarla via da quel luogo, uno dei compagni di squadra di Eric decise che ciò che era successo non era ancora abbastanza.

"Guardate un pò! - Iniziò, indicandole. - La secchiona e la psicopatica. Che coppia!"

Dagli studenti giunsero fischi e risate, Camila cercò di ignorarli e di concentrarsi solo sul portare Lauren al sicuro.

Una volta entrate nell'edificio, l'intervallo era finito. 

"Mio dio Lauren, che ti ha fatto quel tipo? Cazzo, è un idiota. Ma lo sospenderanno, oh si, non se la passerà liscia dopo questo è--"

"Colpa mia."  Biascicò Lauren, mentre il labbro si gonfiava a vista d'occhio.

"Cosa?" Le chiese Camila, mentre la guidava lungo un corridoio che conduceva ad un'ala in disuso dell'edificio.

Non le importava che stesse per perdere la lezione di biologia, aveva qualcosa più importante da fare.

La guidò, senza mai mollare la presa sul suo fianco, per paura che potesse sentirsi male, fino ad una stanza che, anni prima, era usata come infermieria.

Lauren non fece notare all'altra che era perfettamente in grado di camminare da sola per il semplice fatto che il braccio di Camila intorno a lei la faceva sentire al sicuro. La faceva sentire protetta e amata.

"Ecco, siediti qui." Disse la minore mentre, insieme, entravano nell'ex-infiermieria.

I vetri delle finestre erano sporchi, e nella stanza non entrava molta luce poichè le serrande erano abbassate fino a metà. Per terra c'era sporcizia e gli armadietti che un tempo contenevano medicinali erano pieni di pacchetti vuoti di medicine e libretti delle istruzioni.

Il lettino sul quale Lauren si sedette era parzialmente intatto, se non si contavano i punti in cui il tessuto era stato lacerato, attraverso i quali si vedeva la stoffa bianca all'interno dell'oggetto.

Camila prese la sua borsa e cercò all'interno la scatola per le emergenze, e una volta trovata la mise sul lettino, al fianco di Lauren. Quest'ultima si girò a guardarla con sguardo interrogativo, chiedendole "Ma tu hai un kit da pronto soccorso nello zaino?!"

Camila scrollò le spalle e si giustificò dicendo "E' utile, ed è una cosa che ho imparato a fare in un corso per emergenze. Dava crediti."  Motivò poi sotto lo sguardo confuso dell'altra.

Poi, dopo aver messo dell'acqua ossigenata su un pezzo di ovatta, si avvicinò al volto dell'altra e le sussurrò, guardandola negli occhi, "Questo brucerà un pò."

Lauren non si mosse di un millimetro mentre l'altra passava delicatamente l'ovatta sulla ferita dell'altra.

"Ecco fatto." Disse poi, una volta concluso il lavoro.

"Grazie." Sussurrò la maggiore, abbassando gli occhi, dopo qualche secondo di silenzio. Si sentiva improvvisamente in imbarazzo per ciò che era successo
.
"Di nulla. -Fece Camila, sporgendosi poi per lasciare un breve e allo stesso tempo veloce bacio sulla guancia dell'altra.

Questa rimase qualche secondo ferma, sopresa da quel gesto, ma prima che potesse dire o fare qualcosa per dissimulare le sensazioni che quel bacio le aveva provocato, Camila continuò. -"Adesso.. ti va di raccontarmi cosa è successo?"

Si sedette accanto a lei, poi tirò le gambe su e le incrociò, voltandosi in modo da fronteggiare l'altra.

Lauren prese un respiro, chiuse gli occhi, e quando lì riaprì, trovandosi davanti quelli caldi e sinceri di Camila, seppe che non doveva temere, che avrebbe potuto raccontarle ogni cosa. E non si riferiva solo all'episodio di quella mattina, ma a qualcosa di molto più grande e importante.

Iniziò a raccontarle ciò che era successo, e nel frattempo Camila non interrompeva mai il contatto dei loro sguardi. Nei momenti del racconto che più la facevano rabbrividire al solo pensiero, come quelli riguardanti la rissa, le prese involontariamente la mano.

"Ti prego, ti prego non farlo più-non, non farti coinvolgere in risse e" Camila non riusciva a formulare una frase completa, e Lauren se ne accorse. Avrebbe voluto abbracciarla, magari tranquilllizzarla, ma non sapeva come farlo senza sentirsi a disagio.

Forse non sarebbe stato così strano come pensava, bastava buttarsi, no? Circondare il corpo dell'altra con le braccia e poi attirarla verso di lei, stringerla. Magari accarezzarle la schiena con una mano e poggiare la testa sulla sua spalla.

Ma ormai era troppo tardi, Camila si stava alzando dal lettino e l'opportunità di abbracciarla era svanita.

"Beh, ormai è troppo tardi per entrambe per tornare in classe, quindi dobbiamo rimanere qui per il resto dell'ora." Fece Camila, iniziando a girare in tondo per la stanza.

"Camila, mi metti ansia così." Commentò Lauren, mettendo i piedi sopra il lettino e sdraiandosi.

Camila si fermò per qualche secondo, poi si voltò repentinamente verso l'altra e le chiese, mettendosi un mano sui gomiti.

"Posso chiederti una cosa, Lauren?"

L'enfasi che mise nel pronunciare il suo nome fece voltare la maggiore, chiedendosi cosa volesse significare. Era forse arrabbiata?

"Perchè ti comporti così? A volte sembra quasi che ce l'hai fatta, che ce l'ho fatta, che hai messo da parte questi comportamenti e questi modi di fare e poi-poi fai queste cose! Cos'è, hai paura che qualcuno possa iniziare a vederti per come realmente sei?" - Iniziò, gesticolando con le mani e toccandosi i capelli ripetutamente. Per quanto avesse tutte le buone intenzioni, la sua pazienza non era illimitata, e, soprattutto, aveva bisogno di capire, di sapere. Di motivare con una spiegazione logica quella serie di comportamenti sconnessi l'uno con l'altro, di trovar un legame tra loro. 

Di trovare la riposta a quel enorme 'Perchè?' che continuava a ripetersi nella sua mente da quando aveva conosciuto l'altra.

Lauren si alzò di scatto dal lettino su cui era sdraiata, sollevandosi in piedi con un balzo e coprendo con passi veloci la distanza che le separava, fino a trovarsi a qualche centimetro di distanza dall'altra.

Camila, vista la furia con cui l'altra si era mossa, ebbe per un secondo paura che volesse colpirla.

L'altra sollevò una mano, come indecisa su cosa fare, e se la portò tra i capelli, alzando gli occhi al cielo e sbuffando.

"Dio mio, perchè non lo capisci?!" Chiese, più rivolta a sè stessa che all'altra.

"Capisci cosa? Cosa, Lauren, dillo." Rispose la minore, alzando sempre più il tono.

"CHE LO STO FACENDO PER TE, CAZZO." Sbottò l'altra, alzando le mani al cielo e scuotendo la testa, coprendo a grandi falcate la superficie della stanza.

"Per me? Che significa?" La incalzava l'altra, che si sentiva finalmente così vicina a capire cosa nascondeva la ragazza che da un mese a quella parte occupava gran parte dei suoi pensieri da non riuscire a reprimere il suo bisogno di capire, di sapere.

"Non lo hai ancora capito? Sono un disastro, Camila. Sono un treno che esce fuori dai binari e investe chiunque sia attorno, chiunque abbia provato ad aspettarmi e a viaggiare con me. Sono un vulcano che passa da spento ad attivo in un secondo, e nessuno può fuggire all'esplosione. Sono il mare che passa da calmo a burrascoso in un istante, e nemmeno la migliore nuotatrice può evitare di affogare. E non voglio che tu affoghi, non voglio incenerirti, non voglio colpirti."  Lauren la guardava dritto negli occhi, e l'altra notò che il suo sguardo era diverso. 

Come se il velo nero che aveva sempre coperto quei meravigliosi occhi fosse caduto giù, ridotto a brandelli di stoffa inutilizzabile. Adesso erano più verdi, brillanti, la minore riusciva quasi a vedere la fiamma calda che li animava.

"Non voglio farti nulla di tutto questo perchè non te lo meriti, e sarei una persona peggiore di quanto già non sia se fossi così egoista da farti correre questo rischio solo per stare meglio. Solo per averti vicina."

Una pausa carica di pensieri seguì quelle frasi, mentre l'aria nella stanza si faceva sempre più pesante, piena di adrenalina, di battiti accelerati.

Lauren si ritrovò distrattamente a pensare che, se qualcuno avesse acceso una fiamma in questa stanza, probabilmente sarebbe esploso l'intero edificio, tanto era piena di tensione.

"Capisci? Non posso." Concluse poi, abbassando lo sguardo e tornando nuovamente a sedersi sul lettino.

Camila restò immobile qualche secondo, lasciando alla sua mente tutto il tempo per metabolizzare quelle informazioni, per capirle e renderle proprie.

Poi, semplicemente, seguì l'altra, e si sedette al suo fianco. Prese un respiro e, nel modo più delicato possibile, portò le dita al volto dell'altra, accarezzandole la guancia, per poi farla voltare. 

Faccia a faccia, occhi negli occhi, verde e marrone, caldo e fuoco. Più si avvicinavano, più si scoprivano, giorno dopo giorno, più il loro mondi opposti entravano in collisione, e a volte, come in quel momento, gli effetti erano inaspettati e destabilizzanti.

"Pensi sul serio quelle cose di te?" Disse la minore dopo del tempo, tempo durante il quale non avevano mai interrotto il contatto visivo.

"Non le penso, le so. - Rispose velocemente l'altra. - E non provare a dirmi che non è così, non puoi saperlo."

"Non dirò nulla di tutto questo allora, okay? - Iniziò Camila, poggiando una mano su quella dell'altra e guardandola dritto negli occhi. - Non mi importa di cosa pensi, ti ringrazio per la considerazione che hai di me e il rispetto, ma non è 'ferirmi' il problema."

Lauren pendeva dalle sue labbra, chiedendosi dove volesse arrivare l'altra.

"Non mi importa affatto, perchè è la mia vita e sono libera di scegliere. E magari sbaglio, magari starò male, ma l'avrò scelto io. E scelgo di prendere comunque questo treno e di accompagnarti in questo viaggio, scelgo di arrampicarmi su questo vulcano e vedere cosa c'è dentro, scelgo di nuotare comunque contro corrente e di portare in salvo anche te in riva. Non mi importa Lauren, non mi importa un fico secco se starò male. Te l'ho già detto, e te lo ripeto, io sono qui e da qui non vado via. E per 'qui', intendo al tuo fianco. Chiaro?"

Lauren, per una volta, rimase senza parola. Lei, che aveva sempre la risposta pronta.

 Lei, che non era più in grado di sorridere, che aveva dimenticato come abbracciare qualcuno, come amare.

Camila la guardò e si stupì del suo silenzio. Non stava ribattendo, non le stava dando contro, ma neanche le stava dando ragione. 

Era lì, semplicemente. Ed era abbastanza, perchè erano vicine, le gambe che quasi si toccavano. Nella stanza nient'altro che i battiti dei loro cuori e i loro respiri.

Era abbastanza.

---





Okay, eccomi qui, dopo una pausa fin troppo lunga, con un nuovo capitolo!
Avrei potuto postarlo prima, ma mancavano le ultime frasi per concluderlo e tra un'interrogazione e l'altra non sono proprio riuscita a farlo.
Mi scuso tantissimo, grazie per la pazienza che avete!
Detto questo, durante le vacanze penso di poter aggiornare di più nonostante l'assurda mole di compiti che ci hanno dato cc

Cosa ne pensate di questo capitolo?
Lauren torna ad essere come all'inizio della storia, ma qualcosa sembra sbloccarla. Sarà la volta buona? 

Visto che penso sia l'ultimo capitolo prima di natale (che è tra tre giorni. E devo comprare ancora  tutti i regali. ODDIO.)
Buon natale a tutti, divertitevi e state con le persone a cui tenete, spero di tornare il prima possibile.
Love y'all,
merry christmas

- Laura

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Capitolo 9
*** Capitolo otto. ***


Capitolo otto:

 
But you'll never know what a fool I've been

 
L'aria di novembre, carica d'umidità, triste presagio di pioggie in arrivo, rimpiazzò  velocemente quella di settembre, ultima traccia dell'estate e del calore che c'era stato.

Gli studenti salivano sugli autobus, camminavano stringendosi nei cappotti, stringendo gli occhi nella nebbia che spesso riempiva il paesaggio, mentre tornavano a casa.

Ma non tutti avevano quella fortuna.

Lauren e Camila infatti, in quel momento, osservavano il paesaggio tenebroso di quel giovedì pomeriggio dalla finestra dell'aula 104. 

Il loro professore di storia sfogliava pigramente un libro riguardante la rivoluzione francese, chiedendosi di tanto in tanto se non fosse stato meglio anticipare la fine di quella punizione e tornarsene a casa un'ora e mezzo prima, invece di 'vigilare' quei ragazzi.

Infatti, le due non erano più sole. A far loro compagnia c'erano altri individui, che a volte spaventavano la minore. 

C'era Scott, un ragazzo del secondo anno beccato a fumare nel bagno della scuola, Emily, che aveva ferito una ragazza durante la pausa pranzo per una litigata su un ragazzo, e infine loro due.

In realtà, ci sarebbe dovuto essere anche Eric, il ragazzo del quinto che aveva picchiato Lauren, ma grazie ai suoi meriti nello sport era stato esentato da quella punizione. Certo, anche la ragazza ci aveva messo del suo, ma in ogni caso, Camila non avrebbe mai perdonato quell'idiota.

La mora si girò a guardare la ragazza che era seduta nel banco di fianco al suo. Giocherellava con un pezzo di carta, passandoselo da una mano all'altra, stropicciandolo. I lunghi capelli, mossi, le ricadevano sul volto, nascondendone una parte. Gli occhi, in quel momento di un verde acceso, puntati verso il basso, le sopracciglia scure arcate.

Camila si morse il labbro, osservando la bellezza fuori dal comune dell'altra. Non esisteva nessuna come lei, ne era certa. 

Dopo l'episodio della rissa, tra loro non era cambiato molto. Passavano insieme del tempo, ma non c'era mai nulla che andasse più in là del 'ciao' che si scambiavano timidamente quando si incontravano la mattina e quando si separavano per tornare a casa da scuola.

E per Camila era così difficile. 

Si era ritrovata più volte, troppe, davanti ai libri pensando al modo in cui gli occhi di Lauren avevano brillato in un particolare momento della giornata, o a come sarebbe stato bello poterla stringere tra le sue braccia, proteggerla dal mondo. Fantasticava, si perdeva nella bellezza dell'altra, e quando tornava alla realtà sentiva dentro di sè un vuoto così grande da farle venire voglia di piangere.

Certe notti, si ritrovava sveglia, gli occhi aperti e puntati sul soffitto, a girarsi e rigirarsi, con domande in testa che sembravano crescere di intensità e voluma al passare del tempo.

Perchè non andavano mai oltre?

Certo, riconosceva che era un comportamento puramente egoistico, che non poteva pretendere nulla da quella ragazza. Che erano amiche, ed era già molto, ma allo stesso tempo non era capce di mettere da parte quello che provava.

E provava trepida ansia, inquietitudine, eccitazione, era impaziente e inarrestabile.

Voleva tutto, tutto e ora.

Voleva stringere l'altra nelle sue braccia ed essere stretta, voleva essere il motivo del suo sorriso e della sua felicità, voleva poterle sussurrare quanto teneva a lei, e come avrebbe cercato di ritagliare, in quello spaventoso mondo, uno spazio solo per l'oro.

E non ci sarebbero stati problemi, non ci sarebbero stati misteriosi attacchi di panico, misteriosi comportamenti, risse, litigate. Non ci sarebbero stati 'se', 'ma' o 'forse'.

L'avrebbe baciata, ogni giorno, riscoprendo ogni volta le labbra dell'altra come se fosse sempre la prima. 

Non avrebbe dato nulla per scontato.

E si perdeva in quelle fantasie, le desiderava così tanto da diventare quasi arrabbiata.

Me 'avrebbe', 'sarebbe', sono verbi al congiuntivo. E, come si impara a scuola, il congiuntivo è il tempo dell'incertezza.

--

Anche Lauren era piena di pensieri per la testa, quel pomeriggio.

Continuava a rigirarsi tra le mani quel pezzo di carta, a piegarlo, girarlo, tirarlo.

Quante volte può qualcosa essere distrutto prima di spezzarsi?, si chiedeva.

Pensava a quell'orco di suo padre, che la notte prima era rientrato urlando in casa, reggendosi a malapena in piedi.

Ripercorreva quei momenti pieni di terrore, il cuore che batteva velocissimo nel petto, il respiro mozzato.

Si era nascosta.

Sotto al letto, cercando di confondersi con il buio.

Cercando di respirare il più silenziosamente possibile, pensanso 'ti prego ti prego ti prego, non stanotte', intimando al proprio cuore di non battere così forte, o li avrebbe scoperti.

Ma, forse per l'acol, forse perchè era stata davvero silenziosa, non l'aveva trovata.

Con un grugnito era uscito dalla stanza, diretto alla sua postazione preferita: il divano.

Probabilmente si era già scordato cosa aveva cercato, chi.

Ma Lauren era rimasta comunque nascosta sotto quel letto tutta la notte, in uno scomodo dormiveglia.

E adesso, mentre torturava quel pezzo di carta, si chiedeva cosa avesse fatto di male. La schiena le procurava ancora dolore, per via dell'assurda posizione in cui era stata costretta per ore e ore.

Il foglio si spezzo, di netto, in due.

Battè le palpebre, rimase ferma per qualche secondo.

Beh, lo aveva sempre saputo. Prima o poi le cose ti spezzano.

--

Camila si chiese quali nuvole stessero oscurando quel cielo verde speranza negli occhi dell'altra.

E voleva alzarsi, passarle un braccio intorno al corpo, stringerla e chiederle cosa ci fosse che non andava.

Aiutarla, farla sorridere, abbracciarla forte.

Ma non poteva, così si limito a guardarla.

La guardava, l'osservava, la studiava, poi sospirava.

Dopo qualche minuto, finalmente, Lauren sentì il peso di uno sguardo addosso, così si girò.

Si trovò lo sguardo dell'altra puntato nel suo, un sorriso timido a poca distanza.

Camila la vide contorcere il volto in una buffa espressione, come se il suo corpo, come reazione naturale, avesse voluto sorridere ma qualcosa, nella sua mente, lo aveva impedito.

Così, si limito ad osservarla.

'Che c'è?' le chiese dopo un pò, quando quel gioco di sguardi era diventato troppo pesante.

"Nulla.. a cosa pensi?" Fece lei, raddrizzando la schiena e aggiustandosi in modo da essere rivolta verso di lei.

"Non si risponde a una domanda con una domanda..  -fece notare. - Ma nulla di importante."

'Se ti rende triste è certamente importante', avrebbe voluto rispondere la minore, ma non lo fece.

Annuì, e il silenzio calò tra loro.

Il silenzio.

Quello c'era sempre.

E non era un silenzio imbarazzante, non avevano bisogno di cercare argomenti per salvare la situazione, no.

Era un silenzio speciale. Pieno di aspettative, di attese, di dubbi, di 'e se?' e di 'però poi', pieno di desideri e di paure.

Era carico di tutte le opportunità che Camila non riusciva mai a cogliere, di quelle che Lauren nemmeno riusciva a vedere.

Ed era così, semplicemente. Restavano in quell'equilibrio instabile, tenendosi salde l'una all'altra con un rapporto farto di soli sguardi.

Restavano ferme sulla cima di quella montagna in procinto di crollare senza nemmeno sfiorarsi.

E sapevano, dentro di loro, che non sarebbe potuto continuare per sempre, ma allo stesso tempo preferivano far finta che non fosse così.

Metter da parte quei pensieri, chiuderli in un cassetto, sperando che avrebbe dato loro altro tempo.

Ma si sa, ogni cosa ha una fine.

Il problema, era che non sempre una fine indica un nuovo inizio.

A volte è solo la fine, brutta e senza 'vissero per sempre felici e contenti'.

--

Mancava poco più di mezz'ora prima della fine della punizione, e fuori il cielo si abbatteva sulla terra, sembrando intenzionato a distruggerla.

La pioggia battente rigava le finestre, produceva un insistente ticchettio sul soffitto, scandiva il ritmo del cambiamento.

Camila amava la pioggia.

Non sapeva davvero spiegarsi perchè, ma la calmava.

Osservarla, anche solo sentirla, la faceva sentire instantaneamente meglio.


Per qualche secondo poteva concentrarsi su un ritmo che non era quello del suo cuore, su un rumore che non era quello dei suoi pensieri, poteva seguire con lo sguardo le goccie che rigavano la finestra al suo fianco.

Si riconrrevano, come se avessero vita. E immaginava di essere una di quelle goccie, libera di spostarsi, scivolare, di intrecciare il suo percorso con quello di un'altra e di correre, correre e basta.

Senza pensieri.

Lauren la osservava, adesso.

Per lei la pioggia non era nulla più che un fenomeno atmosferico, nulla più che il fastidio di ritrovarsi i calzini bagnati nelle scarpe, sentendosi inumiditi fin dentro le ossa.

Nulla più che i capelli che si increspavano con l'umidità.

Ma vedere Camila, osservarla mentre fissava fuori dalla finestra, era tutt'altra cosa.

Uscirono, finalmente, dall'aula, e con uno sguardo si chiesero se una delle due avesse un ombrello.

"Penso di avere un ombrello nella borsa.", disse Camila.

Uscirono fuori, stringendosi sotto la stoffa che le riparava dall'acqua.

Camila sentiva brividi incessanti percorre il suo corpo, partendo dal punto del braccio che era a stretto contatto con quello di Lauren.

Ringraziò la pioggia, sorridendo come un bambino la mattina di natale.

Lauren, dal suo canto, continuava a studiarla.

Per la prima volta si accorse che era veramente, veramente, bella.

Non che non lo avesse notato prima, ma era diverso.

Era come se, nel tempo buio di quella mattina, qualcosa in quel viso si fosse illuminato.

Era il sole nel bel mezzo della tempesta.

Era così bella che le faceva venire voglia di piangere e ridere allo stesso tempo, di abbracciarla e di passare il resto della sua vita a guardarla.

Le faceva venire voglia di raccontarle ogni cosa, di aprirsi, di non nascondere più nulla, di ascoltarla, di starle vicino.

Ed erano emozioni così forti, e non le aveva mai provate, e adesso era lì, tutto in una volta.

Ma quella era luce, era calda e vera, e non aveva paura.

Era di fronte a un raggio di sole, e non aveva paura.

-
Camila giocava con la pioggia, usciva fuori dalla protezione dell'ombrello, la testa reclinata all'indietro, allungando la lingua, cercando di prendere quelle goccie che cadevano dal cielo.

Chissà se non cadevano direttamente dalle stelle.

Girava, le braccia aperte, rideva.

Era felice, e Lauren era felice di guardarla.

Erano begnate e infreddolite, ma lo erano insieme.

Poi, all'improvviso, qualcosa accade.


Forse era la pioggia, forse era che Camila era così bella e Lauren si sentiva così bene, ma la minore si voltò e vide l'altra sorridere.

Sorrideva.

Ed era come assistere all'esplosione di migliaia di bellissimi soli.

Camia bloccò la sua strana danza e rimases immobile per qualche secondo, quasi non credendo ai suoi occhi.

Poi si avvicinò alla maggiore, senza interrompere quel contatto visivo.

"Stai sorridendo." Disse, la voce colma di sorpresa e felicità e qualcos'altro che non aveva mai provato e che non riusciva a identificare. Ma non importava.

Non importava, perchè Lauren stava sorridendo e dio, se era bella.

"STAI SORRIDENDO!" Gridò dopo, saltellando, e tuffandosi, letteralmente, sull'altra, abbracciandola.

Lauren scoppiò a ridere, e diventò in pochi secondi ubriaca di quel gesto.

Sorridere.

Sorridere sorridere sorridere.

Era così bello, così facile.

Si sentiva così leggera ed era certa che se avesse provato a saltare si sarebbe ritrovata a mezz'aria, a volare.

"SI!" Rispose Lauren, ridendo, e ricambiando l'abbraccio.

Restarono così, salde l'una all'altra, ridendo e saltellando, ed erano così felici.

"Sei bellissima." Disse dopo la minore, sciogliendo l'abbraccio quel tanto che bastava per guardarla dritto negli occhi.

"Tu lo sei." Rispose l'altra, mentre il suo sguardo si alternava ad quegli occhi scuri a quelle labbra così vicine, così belle..

SPLASH!

Una macchina passò proprio in quel momento troppo vicino al marciapiede, bagnandole completamente.

Quello strano incantesimo che era calato su di loro sembrò sciogliersi, spezzato all'improvviso.

Si staccarono, adesso imbarazzate, le guance tinte di rosso.

"Cavolo! Ci ha bagnate tutte.. -fece Camila. - Vieni, andiamo a casa mia, non puoi tornare a casa così."

Lauren pensò a suo padre, pensò che si sarebbe arrabbiato, pensò che l'avrebbe scontata cara.

Ma poi vide la ragazza di fronte a lei, bagnata come un pulcino, con un sorriso sincero.

E seppe che non aveva scelta, che non l'aveva avuta dall'inizio.

"Vieni." Disse Camila, e, raccogliendo un pò di coraggio, la prese per mano.


Con uno sguardo le chiese silenziosamente se andasse bene, e l'altra guardò le loro mani intrecciate.

Lauren non piangeva.

Lauren non piangeva mai.

Ma in quel momento gli occhi le diventarono lucidi, solo per un secondo.

Annuì, e iniziò a camminare insieme a l'altra.

Legate da quell'innocente contatto, da quella silenziosa promessa, dal 'sono qui per te' e dal 'adesso ti vedo'.

E chiunque, guardandole, avrebbe capito.

Si completavano, ed era così evidente.

--



Bene, eccomi qui!
E' corto, cortissimo, lo so, perdonatemi.
Ma era un puto fondamentale della storia e non volevo 'inquinarlo' con altri argomenti.
Lauren sorride, torna a sorridere e indovinate grazie a chi? eheheh.
E si tengono per mano.
E sarà pazza, ma riesco a immaginare così bene la scena nella mia mente che mi si scioglie il cuore.

Detto questo, buon ultimo dell'anno!
Stasera divertitevi, mangiate, ballate, bevete (ma non guidate) e speriamo tutti in un 2014 pieno di momenti Camren.
Vi voglio bene, ogni singolo di voi che sta leggendo questo, che mi segue, che recensisce, o anche solo che legge in silenzio la storia.
Se Lauren e Camila prendono 'vita' in queste righe, è anche grazie a voi.
Una scrittrice, per quanto io sia lontana anni luce da definirmi con quella parola, non è nulla senza qualcuno che legge una storia.
Quindi grazie, avete reso il mio 2013 migliore con ogni complimento che avete lasciato a questa storia.
Un bacio enorme, Laura ♥

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Capitolo 10
*** Capitolo nove. ***


Ebbene si, sono ancora viva.
La storia non è interrotta, continua, solamente la sottoscritta ha avuto una serie di sfortunati eventi (se avete mai letto i libri/visto il film di questa saga sappiate che avete il mio amore) che l'hanno costretta a ritardare in questo modo.
Spero ci sia ancora qualcuno disposto a leggere questa storia.
Per il resto, mi trovate nelle note sotto. Buona lettura!




Capitolo nove:
 Darling heart, I loved you from the start
Una volta entrate in casa Cabello, le ragazze rimasero qualche secondo ferme all'ingresso dell'abitazione. 

Avevano entrambe lasciato la presa sulla mano dell'altra nel momento in cui Camila aveva iniziato a frugare nella borsa, alla ricerca delle chiavi di casa.

Lauren era stata attraversata da un brivido, mentre lasciava che il braccio ricadesse lungo il suo fianco.  La mano di Camila era così calda, così sicura, e si era sentita protetta da qualsiasi problema, da qualsiasi gesto.

E adesso, mentre osservava l'altra inserire la chiave dentro la serratura della porta, dopo aver trafficato con il mazzo per capire quale fosse quella giusta, sentì nella sua mente farsi rapidamente strada ogni preoccupazione che, con la mano di Camila stretta nella sua, era precedentemente sparita.

Cosa le avrebbe fatto suo padre una volta tornata a casa piu tardi del solito? Era forse meglio provare a chiamarlo e giustificarsi con un progetto scolastico? E se quello si fosse messo a urlare, facendole così perdere ogni speranza di restare nelle simpatie di Camila?

Entrando, Lauren si era ritrovata colpita da un profumo che, dalla sua prima e unica ulteriore visita nella casa, non ricordava.

Le faceva pensare alla vaniglia, all'odore della sabbia e a quello della cannella, tutto insieme.

Per qualche momento, le due si guardarono intorno, indecise su cosa fare e come comportarsi.

Guardavano ovunque, tranne che nella direzione nell'altra, nonostante entrambe sentissero l'aria intorno a loro farsi sempre più pesante, come a pressarle per un gesto, per una parola.

"Beh, fai come se fossi a casa tua." 

Iniziò la minore, sorridendo timidamente, e iniziando a togliersi la giacca, facendo segno all'altra di fare lo stesso.

"Grazie." Rispose la mora, imitando i gesti di Camila e seguendola verso quella che ricordava essere la sua camera.

Entrando si sentì più tranquilla, come se tutte le paranoie e l'imbarazzo di qualche minuto prima fossero stati lasciati fuori da quella porta.

Il colore rassicurante delle mura, il semplice arredamento, la libreria colma di libri e la scrivania disordinata emanavano familiarità, e questo la faceva sentire meglio.
La faceva sentire come se fosse davvero parte della vita dell'altra.

Ed era tutto nuovo per lei. 

Andare a casa di qualcuno, abbracciarlo, passare del tempo insieme, sentirsi sicuri, protetti, dentro la loro stanza. 

Era qualcosa di assurdo quanto piacevole.

La minore, intanto, aveva preso dei vestiti dall'armadio di fronte alla scrivania, e adesso porgeva alcuni di questi all'altra.

"Io posso cambiarmi qui, il bagno ricordi dov'è, giusto?" Domandò, sorridendole.

Lauren annuì in risposta, per poi voltarsi e dirigersi velocemente verso il bagno.

Non era in grado di spiegarsi il perchè, ma il solo fatto che l'altra avesse accennato al cambiarsi aveva fatto sì che la sua faccia diventasse rossa. 

Forse era stato il pensiero dell'altra che si svestiva, scoprendo, strato dopo strato, la sua pelle bianca, il suo fisico asciutto e proporzionato, le sue forme, sempre nascoste da maglioni e felpe.

"Si." Fece la maggiore, prima di voltarsi e uscire dalla stanza.

Arrivata in bagno, vide nel suo riflesso guance rosse e occhi leggermente spalancati.

Si sentiva accaldata, quasi imbarazzata e impaziente.

Guardandosi allo specchio, mentre si spogliava dei vestiti bagnati e freddi, Lauren si impose di dirigere i suoi pensieri da un'altra parte.

E forse avrebbe dovuto chiedersi perchè pensieri del genere su una ragazza che conosceva da così poco avessero provocato simili reazioni da parte del suo corpo, ma preferì non farlo.

Forse avrebbe dovuto chiedersi anche cosa ci fosse dietro a tutto quello che era accaduto qualche momento prima.

Il suo sorriso, la reazione dell'altra, "Sei bellissima", l'abbraccio, "anche tu".

Ma non voleva, e per questo non lo fece.

Finì di vestirsi e uscì dal bagno, lasciandovi all'interno domande irrisolte e dei 'forse' accantonati.

Bussò prima di entrare, e lo fece solo quando sentì una risposta affermativa dall'altra parte.

Trovò l'altra seduta sul letto, a gambe incrociate, in una tuta lilla.

In quel modo, poteva quasi essere confusa con le pareti della stanza, e questo fece sorridere la maggiore.

Camila se ne accorse, e le chiese il motivo con uno sguardo.

"Sai che vestita così potrebbero confonderti con le pareti, vero?" Commentò, avvicinandosi poi alla minore, non sicura su come comportarsi.

L'altra rise udendo quella risposta, indicandole poi con un cenno di sedersi al suo fianco.

"Sai, forse dovresti avvisare tuo padre che resti qui, così non si preoccupa." Affermò, mentre Lauren si sedeva.

Quest'ultima cambiò improvvisamente espressione.

Il suo sguardo rilassato divenne agitato e preoccupato, il sorriso lasciò il posto alla sua solita espressione, dura e impassibile; e se non avesse assistito con i suoi occhi, Camila avrebbe giurato che Lauren aveva, di nascosto, indossato una maschera.

La sua maschera di ghiaccio, fredda come il grigio dei suoi occhi, nei giorni nuvolosi.

Fredda come l'aveva trovata giorni prima, stesa, priva di coscienza, in un parco abbandonato.

Fredda come la sua mano quando, nemmeno un'ora prima, aveva trovato il coraggio di stingerla.

Il cuore della minore iniziò a battere più velocemente, mentre nella sua testa iniziavano ad apparire dubbi e preoccupazioni. Cosa aveva detto di sbagliato?

"Non penso possa preoccuparsi più di tanto, -fece Lauren, dopo un pò, cercando di rendere il suo tono meno duro possibile. - in ogni caso, forse hai ragione. Vado a chiarmarlo."

Detto questo, la mora si alzò, prese dalla giacca il telefono e uscì dalla camera, componendo già il numero.

Camila rimase così sola tra quelle quattro mura, leggermente stordita dal cambiamento che aveva subito nel giro di qualche secondo.

Non si sarebbe mai abituata agli sbalzi d'umore dell'altra, ne era certa.

E, allo stesso modo, era certa del fatto che non era normale sentire una fitta al cuore ogni volta che accadeva; che non era normale ritrovarsi gli occhi lucidi, col terrore di aver detto o fatto la cosa sbagliata.

Che non era normale, e forse nemmeno giusto.

Ma non era in grado di evitarlo, e forse nemmeno voleva farlo.

Nel frattempo, Lauren agitava le dita della mano destra compulsivamente, il telefono stretto in una morsa ferrea.

Perfino il segnale acustico del telefono, mentre attendeva una risposta alla chiamata, sembrava emanare ansia e angoscia.

Iniziò a camminare avanti e indietro per il piccolo corridoio, incapace di contenere le sue preoccupazioni.

Quando, dopo aver contato almeno diciassette squilli, sentì dei suoni provenenti dall'altra parte della cornetta, trattenne il fiato, fermandosi.

"Pr-pronto?"

Disse una voce sbiascicata che conosceva fin troppo bene.


Prese un respiro, affrettandosi a rispondere, consapevole dell'inesistente pazienza del padre. 

"Sono Lauren. Devo fare un progetto scolastico e rimarrò a scuola più a lungo del previsto. E' un problema?"

Frasi concise, dirette e brevi, questo era il modo migliore per comunicare con l'orco. L'unico modo per farsi capire, evitando che l'altro si spazientisse e iniziasse a urlare, infuriandosi.

Nella pausa che seguì la sua affermazione, interrotta sporadicamente dal respiro dell'uomo, la ragazza cercava di calmarsi, sperando con tutte le sue forze che forse una giornata buona, che l'orco non fosse così tanto ubriaco da arrabbiarsi, ma abbastanza da conderle quel permesso.

"E dopo torni a casa. Subito."

Affermò l'altro dopo, con un tono che non prometteva nulla di buono.

"Subito, appena il progetto sarà terminato." Rispose prontamente la figlia.

"Se proprio devi." Fu in grado di mormorare l'altro, prima di chiudere la chiamata.

Nonostante i modi rudi e privi di una qualsiasi forma di affetto paterno, Lauren sorrise, mentre si voltava per tornare in camera. 

"Non ci sono problemi, ha detto che posso restare, e ti ringrazia per l'ospitalità." Fece la maggiore entrando, cercando di sorridere, nonostante l'ansia di qualche momento prima fosse ancora presente.

Camila, infatti, era diventata più brava a capire cosa provava l'altra, e non si lasciò ingannare da un falso sorriso. Decise comunque di non andare oltre, per evitare di rovinare quel momento.

"Menomale." Disse infatti, sorridendo a sua volta.

La mora si sedette vicino a lei, sentendosi improvvisamente a disagio. 

Rimasero così per qualche minuto, in silenzio, ognuna concentrata sulla propria voragine. Su quei problemi che sembravano talmente grandi da scavar un burrone; se non fossero state attente, ci sarebbero cadute dentro.

Lo sguardo di Lauren si concentrò improvvisamente su una chitarra, riposta in un angolo, che non aveva mai notato fino a quel momento.

Avrebbe voluto chiedere all'altra se fosse in grado di suonarla, magari di farle sentire qualcosa, ma non ci rusciva. 

Era come se le parole rimanessero incastrate da qualche parte tra il cervello e la gola. Il cuore iniziò a battere più forte, e sentiva il palmo delle mani umido e sudato, così come la fronte.

Uno strano senso di dejavù le attorcigliò lo stomaco, facendole venire la nausea. Che le prendeva?

Camila si accorse che l'aria intorno a loro stava diventando tesa e pesante, un clima decisamente inadatto ad un pomeriggio spensierato tra amiche.

Notò che lo sguardo dell'altra era fisso in una direzione, e, seguendola, vide la sua vecchia chitarra.

Si alzò dal letto e la prese, sorridendo all'altra.

"Ti piacciono le chitarre?" Le chiese, tornando a sedersi al suo fianco.

"No. Voglio dire, non lo so. Penso di si, ma non la so suonare." Spiegò, balbettando, ancora non sicura di cosa le stesse succedendo.

"Ehi, respira!" Le disse l'altra, ridendo, trovando adorabile l'attegiamento quasi timido dell'altra.

"Tu la sai suonare?" Fu in grado di chiedere Lauren, forzando un sorriso.

La minore capiva perfettamente che era finto quanto una banconota da tre dollari, quel sorriso, ma lo attribuiva alla chiamata che aveva avuto col padre.

"Si." Rispose l'altra, sorridendo senza nemmeno accorgersene.

Lauren lo notò, e si concentrò sul quel sorriso, cercando di respirare in modo normale.

"Che c'è?" Le chiese Camila, quando notò lo sguardo dell'altra fisso sulle sua labbra.

"Mi piace il tuo sorriso." Disse quella, semplicemente.

Quelle parole, uscendo dalla sua bocca, le lasciarono sulle labbra una strana sensazione. Sembrano rimanere sospese dentro la stanza, a mezz'aria.

Come se fosse troppo difficile comprenderle davvero, lasciarle entrare nella propria mente e depositarle in cima ad un mucchio di ricordi.

Camila sorrise, senza capire davvero, lusingata e, allo stesso tempo, emozionata.

"Oh, ehm, grazie. Anche a me piace il tuo sorriso."

"Davvero?" Chiese la maggiore, sinceramente stupita. 

"Si. Mi piace il modo in cui.. ti cambia." Spiegò con un'alzata di spalle la mora.

"In che senso mi cambia?" Chiese Lauren, alzando un sopracciglio.

"Nel senso che ti rende un'altra persona. Ti rende ancora più bella, luminosa, speciale." Le parole continuavano a uscire, senza alcun filtro, senza disagio, vergogna, paura.

"Pensi sul serio che io possa essere descritta con anche una di quelle parole?" Una risata spenta seguì quella domanda, come se sapesse che non poteva essere così.

"Certo, e anche tu dovresti descriverti così."

Lauren non diede peso a quelle parole, impegnata ad accorgersi di altro. Qualsiasi cosa le avesse preso prima, adesso non c'era più. Nessun peso soffocante a toglierle il respiro, niente mani tremanti o sudori freddo, nulla di tutto ciò.

Si era lasciata condurre dalla voce di Camila e dalle sue parole, concentrandosi su nient'altro che profondi occhi marroni e un grande, bellissimo sorriso.

"Tornando sull'argomento chitarra.. vuoi che ti insegni qualche accordo?" Fece la minore, decidendo che quel discorso era andato avanti per troppo, e che non sarebbe stata una buona idea continuarlo.

"Fammi sentire qualcosa tu!" Propose l'altra, incuriosita.

"Oh, uhm, va bene."  

Camila non suonava mai per qualcun altro, lo faceva sempre e solo per sè stessa. La faceva stare bene, la trasportava in un altra dimensione. Per questo, sentendo la proposta dell'altra, si sentì imbarazzata.

Poi il coraggio, e l'abitudine, ebbero la meglio, e si ritrovò a suonare la prima canzone che le era venuta in mente.

Quella che le sue dita eseguivano senza che ci fosse nemmeno bisogno di comandarle, le parole impresse così tanto dentro di lei da uscire come se non fossero state scritte, e cantate, da qualcun altro.
"When you try your best, but you don't succeed
When you get what you want, but not what you need.."


 
Iniziò, mantendo lo sguardo fisso sulle sue dita, nonostante non ne avesse bisogno.
"Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you"

 
Ogni parola che cantava aveva un preciso significato, per lei, e per la ragazza che le era seduta affianco.

Quest'ultima la guardava, la bocca leggermente aperta, allo stesso tempo sorpresa e colpita.

La voce dell'altra era meravigliosa, il modo in cui interpretava quella canzone le faceva venire voglia di piangere. Era così bella, ma bella davvero, da lasciarla senza fiato.

I capelli neri le ricadevano davanti al volto, e se avesse avuto un pizzico in più di coraggio, Lauren glieli avrebbe spostati, per poterla osservare meglio.
"But if you never try you'll never know
Just what you're worth"
Dicendo queste parole, Camila sollevò, per la prima volta, lo sguardo, incatenandolo a quello dell'altra.

Continuò la canzone senza mai interrompere il contatto visivo; ogni paura o insicurezza annullata dal potere che aveva la musica su di lei.

"And I will try.. to fix you."
Concluse così la canzone, senza però cambiare la sua posizione.

Rimase lì, guardando l'altra negli occhi, sul volto un'espressione indecifrabile.

Le ultime parole intonate da Camila echeggiarono tra le mura della stanza, riempendo il silenzio che le aveva seguite.

"Wow." Fu tutto ciò che riuscì a dire la maggiore, dopo qualche minuto.

"Wow?" Chiese l'altra, ridendo, e distogliendo lo sguardo.

"Sei.. bravissima." Disse, semplicemente, incapace di trovare gli aggettivi adatti a descrivere ciò a cui aveva appena assistito.

"Non esagerare, è pieno di persone molto più brave a suonare, a cantare, a.."

"Non dirlo nemmeno! - l'interruppe Lauren, facendo nuovamente voltare l'altra, che si era alzata per posare la chitarra. - Non ho mai, mai sentito qualcuno cantare in questo modo." 

"Allora non hai mai sentito qualcuno canta-"

"No, ascolta. Sarò sincera, nella mia vita non c'è mai stato spazio per la musica, ma sono in grado di capire quando chi ascolto ha qualcosa di diverso. E tu lo hai. Dio, come fai a fare quelle-quelle cose con la voce? Se vendessi dischi, potrebbe essere la volta buona che inizio ad ascoltare musica."

Spiegò la maggiore, in un solo fiato, rendendosi conto solo in seguito di ciò che aveva detto.

L'altra, sorpresa dalla sincerità di Lauren, rimase qualche secondo ferma, prima di rispondere.

"Io.. non so come ringraziarti. Di solito non canto mai per qualcuno, lo faccio per me, e nessuno mi aveva detto queste cose." Rispose Camila, sorridendo, leggermente imbarazzata da complimenti che non era abituata a ricevere.

"Dovrebbero. E tu dovresti far sentire a tutti come canti.. Potresti farne una fortuna, lo sai vero?" Aggiunse, ridendo.

"Che intendi?" Chiese l'altra, sorridendo a sua volta.

"Sai, vendendo album e tutte queste cose qui." Spiegò Lauren, guardandola come se le avesse appena chiesto qualcosa di ovvio.
"Oh, si, certo. Mi ci vedo già, tra qualche anno, ad aprire concerti con milioni di fans che urlano il mio nome e cantano con me. Ovviamente!" Fece Camila, ironica, ridendo alle sue stesse parole.

"Ma io ero seria!" Protestò Lauren, frustata dal fatto che l'altra sembrava non essere in grado di capire quanto fosse talentuosa.

"Ma no!" Esclamò Camila, continuando a ridere.

Dopo diversi minuti, e parecchie risate, Camila si ricordò di una cosa detta in precedenza da Lauren, e le chiese:

"Tornando un attimo seria.. Dicevi davvero prima, quando hai detto che non ti interessa la musica?"

L'altra rimase sorpresa dal fatto che ci avesse fatto così tanto caso da ricordarsene, ma fraintese il modo in cui le era stata posta la domanda. E, in qualche secondo, le mura che parevano essere crollate si innalzarono nuovamente.

"Cos'è, pensi sia strano? Sai, non tutti hanno una vita così bella e felice da poter passare il tempo a suonare, leggere, o perdersi tra arcobaleni e problemi d'amore. C'è chi non è così fortunato."

Rispose in fatti, gli occhi improvvisamente oscurati e il tono di voce così serio da spaventare Camila.
"Ma io non intendevo- cosa hai capito?" Si affrettò a domandare la minore, confusa da quel repentino cambiamento nell'altra.

"Ho capito perfettamente. Con permesso, è meglio che vada a casa." Sentenziò la mora alzandosi e iniziando a raccogliere lo zaino da terra.

"No Lauren, aspetta!" Fece Camila, alzandosi a sua volta, e fermando l'altra afferrandola per il braccio.

"Non mi toccare!" Esclamò Lauren, togliendosi di dosso la presa dell'altra con un balzo indietro.

"Scusami, però non andare via, per favore." Rispose l'altra, lasciando cadere il braccio lungo il fianco.

La maggiore non rispose, si limitò a guardare l'altra per qualche secondo ancora, prima di afferrare anche la giacca ed uscire dalla stanza.

Dopo qualche momento, la minore sentì la porta di casa chiudersi, e il silenzio che la circondò sembrò soffocarla.

Crollò a terra, affianco alla chitarra, mentre lacrime calde iniziavano a rigarle le guance. Cinse le ginocchia con le braccia, seppellendo lì il volto.



Era corsa via, di nuovo.

Aveva reagito d'impulso, come un animale ferito che aggredisce la prima e sola persona che tenta di aiutarlo.

Aveva parlato senza pensare, lasciando che la rabbia e il dolore che aveva dentro da anni facessero tutto al posto suo, come faceva sempre.

E quando aveva visto lo sguardo ferito dell'altra, quando si era resa conto di ciò che stava facendo, non aveva avuto il coraggio necessario per chiedere scusa.

Perchè avrebbe dovuto motivare il suo comportamento, avrebbe dovuto spiegare e raccontare ogni cosa, e non era in grado.

Non era forte abbastanza, non lo era mai stata, ed era semplicemente fuggita.

Lasciandosi alle spalle l'unica cosa per cui valeva la pena lottare, l'unica persona in grado di farla sorridere.

L'unica persona in grado di farla sentire ancora viva.

Aumentò il passo, mentre l'aria gelida le sferzava il viso, chiedendosi se fosse più fredda del ghiaccio che portava dentro.




Eccomi qui, di nuovo.
So che non è nulla di che questo capitolo, ma serviva sia a mandare un pò avanti la storia, sia a me per riprenderla ahha
So che la mia assenza è imperdonabile, ma ho avuto diversi problemi di salute e ci ho messo davvero tanto a riprendermi, quindi tra il dover recuperare a scuola ecc ho trovato pochissimo tempo per scrivere! Cercherò di essere più presente e puntuale, ma non posso promettervi niente con sicurezza prima delle vacanze di pasqua cc
Se avete colto il leggero riferimento al fatto che stasera le ragazze fanno l'ultima data del Neon lights tour con Demi (e che sono così fiera di loro che potrei piangere), vi huggo virtualmente (?)
Spero ci sia ancora qualcuno interessato alla storia! A presto, love y'all, Laura ♥

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Capitolo 11
*** Capitolo dieci. ***


Capitolo dieci:
 
But you'll never know what a fool I've been
 

La ragazza diede un ultimo sguardo al suo riflesso, osservando con attenzione il modo in cui i capelli le ricadevano sulle spalle, proseguendo su, sopra il maglione rosa chiaro, verso le labbra serrate, quasi a formare una linea. Il naso leggermente rosso per via del freddo e del raffreddore, gli zigomi appena pronunciati e gli occhi, contornati da vistose occhiaie.

Negli ultimi due giorni aveva dormito pochissimo, e gli effetti iniziavano ad essere evidenti.

Uscì dal bagno, dirigendosi verso la cucina, seguendo l'odore di caffè che si stava rapidamente spargendo per tutta casa.

"Buongiorno Mija" la accolse la madre, lasciando una tazza di latte e cereali sul mobile della cucina per abbracciare la figlia maggiore.

Questa ricambio l'abbraccio, per poi dirigersi, sbadigliando, al suo posto, accanto a Sofi.

Sinu era di buon umore, come tutte le mattine d'altronde, ma quel giorno c'era qualcosa di diverso.

Il suo sorriso sembrava essere più grande, gli occhi più luminosi, mentre porgeva la colazione alla figlia e si sedeva accanto a lei, fischiettando.

Camila iniziò a sorseggiare il suo thè e, quando fu abbastanza sveglia da tenere entrambi gli occhi aperti, chiese alla madre per quale motivo fosse così felice.

La madre prese un altro sorso di caffè, posò la tazza sul tavolo e guardò le figlie, sorridendo, prima di rispondere.

"Ieri ho ricevuto una chiamata da papà."  Iniziò, senza smettere di sorridere.

"Torna a casa?" Chiese Sofi, improvvisamente sveglia, quasi saltando sulla sedia.

"Si."

"SIIII!" Urlò la minore, iniziando ad elencare con entusiasmo tutte le cose che avrebbero potuto fare una volta riuniti.

"E' fantatico. " Commentò Camila, felice di aver ricevuto una buona notizia. "Quando torna?"

"Dovrebbe arrivare qui giusto per metà dicembre, prima della chiusura delle scuole. Tra poco più di una settimane." Le informò Sinu, senza smettere di sorridere.

Quella lontananza era dura per tutti, ma sapevano che era necessaria.

Camila guardò il calendario appeso vicino al frigorifero, e quando si rese conto di quanto tempo fosse già passato, le venne un groppo alla gola.

Era il 4 dicembre.

Il tempo era passato così velocemente, dall'inizio scolastico, che lei nemmeno se n'era accorta.

Inevitabilmente, la sua mente tornò al giorno in cui aveva incontrato Lauren, quasi quello fosse il riferimento con cui stabilire il passare del tempo, dei giorni e delle settimane.

Aveva incontrato Lauren a fine settembre, quando l'anno scolastico era avviato, ciò significava che la conosceva da poco più di un mese.

Era un tempo brevissimo, ma erano successe così tante cose tra di loro che i secondi, i minuti e le ore avevano perso la loro importanza.

Perchè c'era differenza tra un'ora passata con qualcuno, e un'ora passata  con quella ragazza.

Perchè in un'ora, con Lauren, sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa.

Era imprevedibile ed impulsiva, e per questo motivo Camila era arrabbiata.

In realtà, non era davvero rabbia quella che provava.

Era delusione, tristezza e, soprattutto, stanchezza.

Era stanca di dover sempre rimediare, nonostante non fosse stata lei a far danni.

Era stanza di dover correre dietro all'altra, quasi quella le stesse facendo un favore prestandole attenzione.

Era stanca, e questa volta non sarebbe stata lei a fare il primo passo.

Quando si era rialzata, quel venerdì pomeriggio, aveva preso una decisione.


Avrebbe aspettato.

Un messaggio, una chiamata, una visita, un semplice 'scusa' e, magari, anche una spiegazione.

Una vocina, nella sua testa, continuava a chiedere 'E se non facesse nulla di tutto ciò?'

La risposta non era in grado di darla, non ancora.

Nonostante sapesse che la cosa migliore sarebbe stata ignorarla a sua volta, se così fosse successo, dentro di lei sapeva che non sarebbe stata in grado.

Che, alla fine, avrebbe comunque lottato per avere indietro il poco che avevano conquistato. 

Ma una guerra non si può combattere da soli, e questo Camila lo sapeva.



Era lunedì, e l'altra non si era ancora fatta sentire.

La minore continuava a ripetersi che forse Lauren voleva scusarsi e rimediare a ciò che era successo di persona, non tramite un telefono, e si attaccava a questa speranza come se fosse la cosa più preziosa che avesse mai posseduto.

Sapendo di dover andare a scuola, e quindi di dover incontrare Lauren, la ragazza aveva impiegato molto più del necessario per prepararsi.

Si era presa del tempo per scegliere i vestiti, curando che fossero tutti coordinati tra loro; aveva provato a legare i capelli in una treccia, decidendo solo dopo svariati tentativi di lasciarli sciolti.

Quando, finalmente, uscì di casa, prese un'autobus diverso dal solito, evitando così di andare alla fermata dove, ormai da tempo, lei e Lauren si incontravano quotidianamente.

Non che non volesse vederla, al contrario, aveva paura di non trovarla lì. Perchè sapeva che, se fosse successo, non avrebbe fatto altro che distruggerla ulteriormente.

Entrò nell'edificio scolastico con lo sguardo basso, dirigendosi nell'aula di storia con una fastidiosa sensazione allo stomaco.

Era come il giorno in cui aveva incontrato Lauren. Un lunedì freddo e nuvoloso, durante la lezione di storia.

In qualche minuto era cambiato tutto, e non c'era stato modo di tornare indietro.

Era troppo tardi per scordarsi di quegli occhi verdi e dell'effetto che le faceva perdersi in essi, di un sorriso più unico che raro che, quando veniva mostrato, sembrava un sole splendente dopo la più cupa delle tempeste.

Troppo tardi per dimenticare quei pochi abbracci, quegli avvenimenti.


Troppo tardi per tornare indietro, ma non per andare avanti.

Potevano prendersi per mano e guardare insieme verso il futuro, potevano rimediare al passato, cancellarlo e sostituirlo con un presente pieno di felicità.

E Camila non riusciva a darsi pace da due giorni non semplicemente per ciò che era successo, non per il fatto che l'altra fosse scappata nuovamente senza apparente motivo.

Non riusciva a smettere di torturarsi con domande che erano state troppo spesso messe da parte, ed erano diventate più numerose e più potenti.

Perchè si lasciava coinvolgere così tanto dall'altra?

Certo, amicizia, voglia di aiutare il prossimo, ma era normale starci così tanto male?

Perchè le faceva provare emozioni che mai aveva provato prima?

Scosse la testa, decidendo ancora una volta di ignorare i suoi stessi pensieri, decisa a concentrarsi sulle cose reali, concrete.

Per quello amava la matematica, la fisica.

Perchè, nel breve tempo di un problema o un esercizio, poteva immergerti in un mondo ordinato, preciso, dove ogni cosa è al suo posto.

E non c'erano complicazioni, non c'erano imprevisti, perchè la matematica è regolare, non lascia nulla a caso.

Due più due fa quattro sempre e comunque, perchè i numeri non cambiano, non ti voltano le spalle, non corrono via lasciandoti sola.

Camila si ritrovò a chiedersi se, se lei e Lauren fossero state numeri, la loro sarebbe stata una somma negativa, o se avrebbero formato un numero positivo.

Accennò un sorriso, ridendo del modo in cui i pensieri l'avessero portata a pensare certe cose.

'Forse sto davvero perdendo la testa.',  pensò.

Pian piano iniziarono ad entrare gli studenti, ma Camila continuò a tenere lo sguardo fisso sul libro di storia, cercando di concentrarsi sulla rivoluzione francese e di ignorare il fatto che Lauren sarebbe potuta entrare da un momento all'altro.

Sbam!

Qualcuno, passando, aveva fatto cadere il suo libro.

Si voltò, con una strana sensazione di deja vù addosso, e vide Lauren camminare verso il banco dell'ultima fila.
Non poteva crederci.

Era forse il suo modo di attirare l'attenzione, quello?

La maggior parte dei ragazzi guardava le due, in attesa di una reazione eclatante su cui poter dopo parlare al resto degli studenti che non aveva potuto assistere, memori

probabilmente di ciò che era successo poco più di un mese prima.

Ma Camila, questa volta più lucida e meno impulsiva, decise che non era il caso di dare agli altri quella soddisfazione.

Così, con tutta la calma che era capace di dimostrare, si girò nuovamente e riprese a leggere.

Gli altri si girarono, delusi dalla mancanza di azioni, proprio mentre il professore faceva il suo ingresso nell'aula.

Il resto dell'ora passò in modo tranquillo, mentre Camila lottava contro la tentazione di voltarsi e vedere come aveva reagito l'altra alla sua mancanza di attenzione.

Lauren, dal suo canto, si limitava a fissare la bruna, non decisa su come comportarsi.

Quando la lezione terminò, Camila uscì dalla classe mantenendo l'atteggiamento e ignorando quindi l'altra.

Lauren recuperò la borsa e i libri e uscì dall'aula, affrettando il passo.

Non voleva parlarle, o meglio, non voleva essere la prima a farlo, nonostante si sentisse in colpa per ciò che era successo.

Così passò affianco a Camila, superandola solo dopo averle dato una spallata, accertandosi in questo modo di essere notata.

Camila rimase stupita dal gesto, che diamine aveva intenzione di ottenere così?

Continuò la sua strada verso la lezione di letteratura chiedendosi se l'altra volesse solo darle fastidio, o se fosse stato un semplice modo per attirare la sua attenzione.

-

L'ultima campanella della giornata risuonò tra i corridoi dell'edificio, e gli studenti si accalcarono verso l'uscita come se fossero rimasti in apnea per ore, desiderosi dell'aria.

Camila uscì dalla classe a passo lento, sapendo cosa la attendeva.

Un'ora e mezza di punizione in compagnia di Lauren, che, dal suo canto, aveva deciso di non presentarsi nemmeno a pranzo.

Arrivata nell'aula, vide che la maggiore era già arrivata, ma occupava, questa volta, il posto che Camila aveva sempre avuto.

Decisa ad ignorare ogni provocazione, occupò il posto vicino, quello che era sempre spettato a Lauren.

Dopo almeno dieci minuti, in cui Camila aveva iniziato a svolgere esercizi di fisica, l'altra decise che era arrivato il momento di agire.

"Ehi." scrisse su un foglio che, dopo aver dato un'occhiata al professore davanti a lei, profondamente immerso nella lettura di un libro, lanciò sul quaderno aperto della minore.

Quest'ultima si girò, irritata, mascherando il leggero sollievo che provava nel vedere che, infondo, anche Lauren sentiva il bisogno di parlare, essere vicine.

Aprì il foglietto, ma subito dopo lo strinse nella mano, deformandolo, per poi lasciarlo cadere dietro le sue spalle.

Lauren le lanciò uno sguardo di sfida, il sopracciglio inarcato, nonostante si fosse aspettata una mossa simile.

Sapeva che, prima o poi, l'altra si sarebbe stufata, così come trovava comprensibile la sua rabbia.

Ma, incapace di esprimere i suoi rimorsi, iniziò a formare palline di carta strappandola da un quaderno, lanciandole poi contro Camila.

La minore non voleva dare al professore l'opportunità di posticipare la fine di quella punizione, soprattutto perchè ormai era quasi giunta al termine.

Così, dopo aver contato la quindicesima pallina di carta che le volava contro, si voltò, con tutta la calma del mondo.

Prese a sua volta un foglietto di carta e vi scrisse sopra 'Potresti smetterla? Grazie, starei cercando di studiare.' per poi lanciarlo a sua volta all'altra.

Prevedendo le mosse e i pensieri dell'altra, e guardandola sorridere, scrisse velocemente 'E no, non significa che sto al tuo gioco.' su un altro foglio.

La maggiore rise, sorpresa dalla velocita con cui Camila avesse intuito i suoi pensieri.

Si accorse che era la prima volta che sorrideva in due giorni, ovvero da quando aveva visto per l'ultima volta l'altra.

Abbassò lo sguardo, incapace di formulare anche solo un pensiero che descrivesse davvero come si sentiva in quel momento.

Perchè in realtà non lo sapeva nemmeno lei.

Non sapeva cosa le stava succedendo, e più ci pensava, più tornavano alla mente momenti passati con Camila, emozioni che non aveva mai provato prima.

Lauren non aveva mai avuto una 'cotta' per qualcuno, nè qualcuno si era mai interessato a lei in quel modo.

Non ne aveva mai avuto l'occasione, non aveva mai pensato che fosse qualcosa di indispensabile.

Era sempre andata avanti vivendo giorno per giorno, superando le difficoltà che le si presentavano e cercando di sopravvivere al meglio.

Con un padre alcolizzato e una vita così complicata, come avrebbe mai potuto pensare a cose del genere?

E adesso si ritrovava spaventata, disorientata, da quelle strane sensazioni.

Non aveva idea di cosa significassero o di come dovesse comportarsi, non sapeva se fosse giusto o sbagliato, non sapeva se le avrebbero portato qualcosa di buono, finalmente, o se l'avrebbero fatta soffrire ulteriormente.

Aveva chiuso il suo cuore molto tempo prima; non capiva, però, che la vita le aveva posto davanti qualcuno in grado di aprirlo.

Qualcuno in grado di lottare per e con lei, qualcuno pronto a dare tutto solo per vederla sorridere, qualcuno che trovava la felicità tra le sue braccia, quando l'abbracciava.
Se solo fosse stata in grado di capire tutto ciò.

Lauren sentì il cuore iniziare a battere forte dentro di lei, e, temendo di sentirsi male un'altra volta, prese un respiro profondo, cercando di calmarsi.

Dopo circa cinque minuti, notò che l'altra non l'aveva più degnata nemmeno di uno sguardo, concentrata sui suoi libri.

Offesa da quella mancanza di attenzione, ma conscia allo stesso tempo di avere le sue colpe, iniziò a colpire ripetutamente una gamba del banco dell'altra con la punta del suo stivale nero.

Camila si girò quasi immediatamente, infastidita dal movimento del banco, riservandole il peggiore sguardo che era capace di avere.

Quando vide che Lauren non accennava a smetterla ma, al contrario, sembrava trovare divertimento nell'infastidirla, scrisse velocemente qualcosa su un pezzo di carta, lanciandolo poi contro la maggiore.

"Non so cosa tu abbia intenzione di ottenere in questo modo, ma non sto apprezzando questo tuffo nel passato."

Lauren ci mise qualche secondo a capire l'insinuazione dell'altra.

Si riferiva, infatti, al fatto che quella giornata era spaventosamente simile a quella che avevano vissuto il giorno in cui si erano incontrate per la prima volta.

"Che ne sai che non sia un modo per festeggiare il nostro primo mese di conoscenza?"

Camila sbuffò leggendo il biglietto di risposta che le era arrivato, spazientita e sempre più confusa. Decise di tagliarla corta e andare dritta al punto della questione, stanca di quella situazione.

"Hai intenzione di continuare a far finta che non sia successo nulla? Dillo e basta, così me ne farò una ragione. Ma non ti aspettare che le cose tornino come prima."

Lauren lesse il biglietto una volta, poi un'altra ancora, e ancora.

Sapeva che l'altra aveva ragione, sapeva di star sbagliando, sapeva che la cosa giusta da fare era semplicemente chiedere scusa.

Sarebbe stato così facile: spiegarle tutto e chiederle un'altra opportunità, nonostante non se la meritasse affatto.

"Cazzo." Borbottò Lauren, alzandosi da dove era seduta e uscendo dalla classe senza chiedere il permesso al professore.

Camila, prevedendo la rabbia di quest'ultimo, si alzò a sua volta.

"Cabello?" Chiamò il professore, confuso, non capendo cosa stesse succedendo. 

"Professore, mi scusi, Lauren non si sente bene, penso sia andata in bagno, posso andare a controllare come sta?"

"Oh beh, avrebbe dovuto chiedere comunque, o almeno informarmi, ma si, certo, vai a controllare." Disse il professore, sistemandosi gli occhiali, e toccandosi la barba sotto il labbro ripetutamente mentre parlava.

"Grazie." Sussurrò Camila prima di catapultarsi fuori dalla porta, temendo cosa avrebbe potuto fare l'altra.

Percorse velocemente il corridoio, convinta che l'altra si fosse diretta fuori dall'edificio, ma una volta arrivata lì vide che il cortile era deserto, così silenzioso da mettere paura.

Tornò dentro, preoccupata, decisa a dire al professore che non aveva idea di dove fosse finita l'altra, temendo il peggio.

Ma, proprio quando la sua mano stava per sfiorare la maniglia della porta, sentì dei passi dietro di sè, seguiti da una voce che conosceva bene.

"Guardati un pò - iniziò Lauren, appoggiandosi al muro. - Nonostante la tua delusione, nonostante la tua rabbia e nonostante le tue parole, alla fine sei sempre qui. Alla fine arrivi sempre, preoccupata che io possa fare qualcosa di estremo."

Camila rimase immobile, davanti alla porta, la mano ancora sollevata a qualche centimetro dalla maniglia.

"Vai avanti, dai. - continuò Lauren. - Vai, entra pure, e dimentica tutto, dimentica me. Non è come se fossi la prima a farlo, dopotutto."

Camila fece un sospiro, sapendo cosa avrebbe significato voltarsi e tornare a parlare con quella difficile ragazza; ma infondo la decisione era stata già presa tanto, tanto prima.

La minore si voltò e iniziò a camminare in direzione dell'altra, ma invece di fermarsi, proseguì, diretta verso il bagno delle ragazze che si trovava proprio dietro di loro.

Lauren la seguì, curiosa, chiedendosi se l'altra fosse sul punto di arrabbiarsi ulteriormente.

"Guardati un pò, -iniziò Camila, ripetendo le parole usate qualche minuto prima dall'altra. - sempre con quell'aria da eterna cattiva, sempre con quella maschera impassibile, sempre a cercare di tenere gli altri fuori, lontani. Come se l'intero mondo ti avesse fatto soffrire, come se la tua sola missione fosse quella di rendere agli altri ciò che è stato fatto a te."

Lauren iniziò a sentirsi a disagio, di fronte a quelle parole così dure che altro non erano, infondo, che la verità.

"Ma non è così, non è così! Non siamo tutti cattivi, qui fuori, lo sai? Se solo dessi una possibilità, se solo mi dessi una possibilità, te ne accorgeresti. Se solo abbassassi un pò la guardia, se mi lasciassi avvicinare senza spingermi via ogni volta, sarebbe così facile."

Esclamò Camila, passandosi una mano tra i capelli, alzando la voce.

L'altra, colpita dal discorso della minore, prese parola, infastidita.

"Così facile? Ah, bella questa, -  ghignò, tutt'altro che divertita. - tu non hai idea, non  hai la più pallida idea di come sia la mia vita, ma ti assicuro che non è facile, e-" 

"La vita di nessuno è facile!" Esclamò Camila, interrompendola.

"Tu non capisci." Esclamò a sua volta Lauren, avvicinandosi inavvertitamente all'altra.

"Non capisco? Cosa non capisco, che vuoi solo ferire gli altri per sentirti meno sola? Per vendicarti? Capisco, oh si se capisc-"
 
Non terminò la frase, perchè Lauren, presa dalla frustrazione e da uno scatto d'ira, la spinse.

Camila, colta di sorpresa con quel gesto, cadde all'indietro, sbattendo contro il muro dietro di lei.

"Ma che diamine-" Borbottò, sconvolta, mentre si portava una mano alla testa, nel punto dove aveva colpito il muro.

"Io- mi dispiace, mi dispiace." Sussurrò Lauren, a sua volta senza parole per il gesto che aveva appena compiuto.

Camila capì le sue intenzioni, capì che era sul punto di correre via un'altra volta, ma fu più veloce.

"No-non andare via." Sussurrò, cercando di mettersi in piedi.

"Ti prego, non scappare di nuovo." Ripeté nuovamente, con un filo di voce, allungando una mano verso l'altra.

Lauren si ritrovò così combattuta, ancora scossa da ciò che era successo, da ciò che aveva fatto.

"Ti prego, non andare via." Biascicò Camila mentre, senza poter evitarlo, si avvicinava all'altra, circondando il suo freddo corpo con le sue braccia, incastrando il volto nell'incavo del colpo.

Lauren si ritrovò così a stringere il piccolo busto, scosso da singhiozzi, della minore.

Proprio quei singhiozzi, quel movimento agitato, sembrò riportarla in sè.

"Camila." Sussurrò, stringendo ancora più forte la ragazza.

"Mi dispiace, mi dispiace così tanto, mi dispiace- Iniziò, la voce rotta.

Lauren non piangeva.

Non piangeva, non più.

Cos'erano quelle gocce che le offuscavano la vista? Cos'erano, quelle che le rigavano le guance?


Quando la minore si accorse che l'altra aveva iniziato a respirare in modo irregolare, alzò lo sguardo, e quello che vide le spezzò il cuore.

Lauren stava piangendo.

Così sciolse un pò la presa sull'altra, alzando il volto, e portandolo così allo stesso livello di quello della maggiore.

Mise le mani sulle guance dell'altra, delicatamente, accarezzandola con la punta delle dita, come si maneggia un oggetto delicato.

Come se fosse sul punto di rompersi in milioni di pezzi.

I loro occhi si incatenarono, in un momento così strano da sembrare infinito.

Camila annullò ulteriormente la distanza tra i loro volti, poggiando la sua fronte su quella dell'altra.

Chiuse gli occhi, sussurrando "Non andare via."

Lauren sentì il respiro dell'altra sulle sue labbra, e questo la fece piangere ancora di più.

Perchè quella vicinanza le creava brividi ovunque e la faceva sentire, allo stesso tempo, protetta, al sicuro.

Era come essere in punta di piedi su un sottilissimo filo, sul punto di cadere.

Ma non era la paura che aveva provato in passato, no, tutt'altro.

Era pura emozione, era voglia di conoscere, di scoprire, voglia di stringersi forte fino a diventare un'unica cosa.

Lauren aveva paura, si, ma non era sola.

"No." Rispose, con voce tremante, ma con un sorriso bagnato di lacrime. "No, questa volta no." 





Okkay, eccomi qui, di nuovo.
Scusate per il ritardo, di nuovo, ma spero che il contenuto del capitolo basti a farmi perdonare.
La fine dell'altro è stata pessima, ma questo capitolo è uno dei miei preferiti.
finalmente, finalmente, un punto di svolta.
E si, so che era perfetto metterci un bacio lì, ma non era ancora il momento (nonostante probabilmente io stessa desideri questo bacio più di Lauren e Camila, dettagli)
E nulla, spero vi sia piaciuto, come al solito qualsiasi commento/critica/idk è più che accetto, se vi va di parlare o fangirlare su quanto siano perfette Lauren, Camila, o il resto delle fifth harmony potete trovarmi su twitter (@__lovatosheart) o su facebook (Laura J. Salvemini).
Spero abbiate mangiato tutti tanto durante queste feste, un bacio, al prossimo capitolo.
Love y'all ♥

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Capitolo 12
*** Capitolo undici. ***


Okay, sono in un ritardo imperdonabile, quindi evito di sprecare ulteriore tempo e se volete sotto ci sono le mie solite inutili note, buona lettura!

Capitolo undici:



"No, questa volta no." Sussurrò Lauren, stringendosi all'altra come se fosse un salvagente in un mare in tempesta.

Come se la conoscesse da una vita, e non da qualche mese.

E quello che era successo non contava più, non importava, mentre si stringevano forte, l'una all'altra, cercando un riparo in un mondo troppo grande e crudele per loro.
Stringendosi come se non avessero altro.

Restarono così per diversi minuti, ma non se ne accorsero nemmeno, tanto erano perse nel caldo abbraccio dell'altra.

Lauren respirava il profumo di Camila e si sentiva felice, felice come non era da anni, nonostasse stesse piangendo.

Camila sentiva le lacrime dell'altra bagnarle il volto, ma vedeva il suo sorriso, e questo bastava a renderla tranquilla. Bastava a ripagarla per tutto ciò che era successo tra di loro.

Si sentì un rumore di passi provenienti dal corridoio, poi qualche tocco alla porta, seguiti dalla voce del loro professore di storia.

"Ehm, ragazze, tutto bene? Jauregui, ti senti male?"

Le ragazze si allontanarono, senza però mollare la presa l'una sull'altra, incapaci di lasciarsi andare.

"Ehm, si, cioè, Lauren ha rimesso e le sto dando una-una mano, se non è un problema rimarremmo fuori un altro pò..-

"Okay, fate pure, e quando la signorina Jauregui si sente meglio andate a casa senza tornare in classe." Disse il professore, avviandosi in classe, non interessato a vedere una ragazzina vomitare.

"Grazie." Rispose Camila, voltandosi verso la ragazza stretta tra le sue braccia.

Lauren aveva gli occhi arrossati e le guance bagnate di lacrime, i capelli leggermente scompigliati, ma Camila non l'aveva mai vista più bella che in quel momento.

Il suo cuore iniziò a battere più velocemente, mentre vedeva l'altra sorridere, il volto a qualche centimetro di distanza dal suo.

Sorrise a sua volta, stringendola poi in un altro abbraccio.

"Sono contenta che tu sia rimasta." Disse, il mento sulla spalla della maggiore.

Questa la strinse a sua volta, incapace di restarle lontana.

"Sono contenta anche io di averlo fatto. -iniziò, lasciando la presa e guardandola dritta negli occhi. - E mi dispiace. Mi dispiace per averti spinta, mi dispiace per essere corsa via l'altro giorno e tutte le altre volte in cui è successo. Mi dispiace, mi dispiace così tant-"

Prima che potesse finire, Camila le mise un dito sulle labbra, facendola così tacere.

"Tranquilla.. adesso, ti va di spiegarmi cosa è successo? Cosa ti-ti fa così male?" Chiese la minore, abbassando lo sguardo, temendo che si fosse spinta troppo in là.
Lauren si prese qualche secondo per rispondere.

"Come fai a dire che qualcosa mi 'fa male'? Voglio dire, non penso di averti mai accennato a.. qualsiasi cosa, ecco." Fece la maggiore, sorpresa.

Prima di rispondere, Camila sciolse, con riluttanza, l'abbraccio, sedendosi per terra, con le gambe incrociate.

Riprese a parlare solo una volta che l'altra ebbe imitato le sue mosse, sedendosi proprio accanto a lei.

"Semplicemente, ho passato con te abbastanza tempo da capire che qualcosa- qualcosa non va, ecco. -iniziò, pesando le parole, cercando di non dire nulla di sbagliato. - E vederti scappare via tutte queste volte.. beh, ho cercato di dare una spiegazione a quelle 'fughe'."

"Che spiegazione?" Chiese Lauren, sinceramente incuriosita.

"Penso che il tuo 'scappare' non significhi altro che incapacità di affrontare emozioni o situazioni particolari.. non perchè tu non sia abbastanza forte, ma perchè forse-forse è troppo. Troppo da sopportare."

Spiegò Camila, guardandosi le mani, timorosa nell'esporre i suoi pensieri così apertamente.

Seguì un momento di silenzio, occupato solo dai loro respiri e dal cuore di Lauren che batteva sempre più forte, come se sapesse a cosa stavano andando in contro le due con quella conversazione.

"Se non vuoi parlarne lo capisco.." IIniziò la minore, alzando lo sguardo verso l'altra, che la interruppe velocemente.

"Non è questo. - iniziò, il tono più duro rispetto a quello usato prima. - E' che non ne vedo il senso. Voglio dire, posso raccontarmi di quanto la mia vita faccia schifo e sia ingiusta, ma cosa cambierebbe? Assolutamente nulla. Tempo e fiato sprecati."

Sentenziò, cercando di controllare il tono della voce per evitare che mostrasse la sua fragilità. Perchè mentre parlava, mentre affermava di non voler parlarne, sapeva dentro di sè che non era così.

Desiderava parlarne, raccontare a qualcuno gli episodi che la tormentavano da anni, liberarsi delle voci e delle grida che avevano sempre fatto da colonna sonora alle sue azioni.

Camila sembrò intuirlo, in qualche modo, perchè dopo averla scrutata per qualche secondo disse: "Forse hai ragione, ma provare non costa nulla. E se non fa del bene, non farà nemmeno del male."

Questo sembrò sbloccare Lauren, che si prese del tempo per organizzare le idee e trovare un modo per iniziare quel racconto nascosto, per descrivere quelle immagini confuse.

Trovò che l'inizio migliore, il punto effettivo della sua storia personale in cui tutto era iniziato a precipitare vorticosamente verso il fondo non potesse essere altro che la morte di sua madre.

Certo, era stata causata dalla dipendenza del padre verso l'alcol, provocata a sua volta da difficoltà economiche, ma Lauren non si era mai accorta di tutto ciò.
La sua ingenuità e innocenza infantile l'avevano 'protetta' da tutto questo, almeno prima di quell' incidente fatale.

Prima che potesse pensarci davvero, le parole uscirono da sole, spinte probabilmente dal desiderio di raccontare che, negli anni, era sempre stato represso dalla stessa Lauren.

Raccontò della madre, dei suoi occhi dolci e del suo profumo, e di come la polizia avesse ritenuto un 'incidente' la sua morte; dei modi violenti del padre e di quando per la prima volta era stata picchiata da lui.

Raccontò di come aveva imparato a cavarsela, di come era stata cacciata da più scuole per i suoi comportamenti aggressivi e per la sua pessima condotta; ma si soffermò anche su quanto quei presidi e quei professori non avessero mai cercato di capire perchè una ragazza dovesse comportarsi in quel modo.

Raccontò di come il resto della famiglia avesse voltato le spalle al padre, spaventati dalla sua violenza, e di conseguenza anche a lei.

Camila venne a conoscenza così di quanto aveva sopportato quella ragazza così dura all'esterno, dando in questo modo un senso a tutti quei comportamenti.

E ascoltandola, vedendo il dolore nei suoi occhi mentre parlava, non riusciva a non sentirsi impotente, avvilita di fronte a tutta quella crudeltà e quell'ingiustizia.

Quando Lauren finì il racconto, si ritrovò sorpresa quanto l'altra.

Mai era stata capace di parlare così con qualcuno, mai aveva fatto parola di ciò che subiva quotidianamente con un adulto o con un compagno di scuola, con un familiare o con un'autorità.

Sussultò quando l'altra, con fare incerto, sfiorò il suo fianco ferito con il dorso della mano, facendo attenzione a non provocarle dolore.

Camila la guardò, negli occhi una muta domanda, come a chiederle se potesse continuare o meno. Lauren annuì quasi involontariamente, incapace in ogni caso di ritrarsi a quel tocco gentile.

La minore sollevò con cautela la maglietta, scoprendo così un livido violaceo che si espandeva su tutto il fianco dell'altra. Si ritrovò a trattenere il fiato di fronte a quella vista così triste da farle venir voglia di piangere ancora.

"Lauren" Sussurrò, incapace di dire altro.

La maggiore guardò a sua volta la lesione che riportava, non sapendo cosa dire.

"Non può continuare così." Affermò infine Camila, scuotendo la testa, la voce colma di una rabbia che l'altra non aveva mai sentito.
"Non può." Disse ancora, abbassando la maglia dell'altra e tornando a guardarla.

"Pensi forse che qualcosa possa fermarlo?" Chiese retoricamente l'altra, un triste sorriso sul volto.

"Si. Non so ancora cosa e come, ma non può andare avanti così!" Camila si alzò in piedi, incapace di accettare quella situazione.

"Se fosse così facile sarebbero già cambiate le cose, non pensi?" Disse la maggiore, alzandosi a sua volta.

"Lo so. Lo so, dannazione, lo so" Rispose Camila, percorrendo a grandi passi tutta la superficie del bagno, per poi fermarsi.

"Ti prometto che finirà Lauren. Che troveremo il modo e che lo sbatteranno in prigione per tutto ciò che ha fatto a te e tua madre, e che ti troveremo una casa, e che non sarai più sola e che-" 

"Non devi promettere nulla Camila"

"Ma voglio." Rispose prontamente l'altra, non disposta a sentire obiezioni da parte della maggiore.

-


"Mila!" Strillò la bambina, saltellando eccitata intorno alla sorella maggiore mentre, insieme alla madre, aspettavano in aeroporto l'arrivo del padre.

Finalmente, era arrivato il tanto atteso giorno del suo ritorno a casa in occasione delle vacanze di natale.

Erano entusiaste del suo ritorno, che era il motivo per cui il natale rappresentava la loro festività preferita.

Sinuhe osservava i sorrisi delle figlie e non poteva fare a men di imitarle.

Si soffermava ad ammirare la luce negli occhi della maggiore, luce che sembrava essere sparita da un pò. Sapeva che Camila era una ragazza riservata e tendente a rifugiarsi in un mondo tutto suo, ma non poteva comunque fare a meno di preoccuparsi.

In ogni caso, mentre veniva annunciato l'arrivo dell'aereo che attendevano, tutte le preoccupazioni e i problemi sembrarono diventare troppo distanti per poterle sfiorare.

Ciò che importava in quel momento era lo sguardo pieno d'amore del marito verso la moglie dopo mesi di lontananza, la forte stretta con cui circondava le figlie; come se non dovesse mai lasciarle andare.

Nonostante passare del tempo con Lauren e cercare di aiutarla era sempre stata una cosa volontaria, da parte di Camila, per quanto non esattamente facile, la ragazza sentiva il bisogno di staccare un pò.

Di allontanarsi per qualche secondo, anche solo mentalmente, dai problemi a cui non sembrava mai trovare una soluzione.

A volte aveva l'impressione di essere sempre di corsa, ostacolata da impedimenti di ogni genere,costretta a rimanere costantemente all'erta.

Per questo si stava godendo a pieno quel pomeriggio,senza perdere di vista i sorrisi della sua famiglia e respirando a pieni polmoni quell'aria natalizia colma d'amore.

Aveva anche pensato di lasciare il cellulare a casa, per avere ancora di più l'impressione di prendersi una pausa, ma poco prima di dirigersi verso l'aeroporto aveva afferrato il suo smartphone per una sola ragione: Lauren.

Aveva il costante terrore che sarebbe potuto accadere qualcosa di brutto all'altra in qualsiasi momento, e temeva di non riuscire ad aiutarla quando ce ne fosse stato bisogno.

-
Lauren osservava come il vento faceva muovere le fronde degli alberi, mentre dondolava lentamente su un'altalena. Ad ogni oscillazione, il vecchio gioco per bambini emetteva un sinistro scricchiolio, indice della mancata manutenzione. 

Non tornava in quel parco da quando si era sentita male, ma quel pomeriggio aveva sentito il bisogno di distrarsi un pò, certa che restare bloccata tra le quattro mura della sua camera l'avrebbe fatta impazzire.

Aveva posato il suo cellulare a terra, ripetendosi fino alla nausea che non mandare un messaggio a Camila fosse la cosa giusta da fare.
Sapeva che sarebbe stata con il padre, e non aveva intenzione di rovinarle anche quel pomeriggio.

Ormai spendevano la maggior parte del loro tempo insieme. Molto spesso, si ritrovavano a restare entrambe in silenzio, anche per un intero pomeriggio. 
E non era un silenzio imbarazzante, al contrario.

Nonostante non avessero più parlato della sua situazione, Lauren non poteva evitare di notare quanto l'altra sembrasse quasi ossessionata dall'idea di doverla proteggere, e a volte si chiedeva se non fosse eccessiva la sua preoccupazione.

Apprezzava, ovviamente, ciò che l'altra aveva fatto e continuava a fare per lei, ma non voleva dipendere da qualcuno.


Prese un respiro, chiudendo gli occhi, come aveva imparato da Camila.

"Quando tutto diventa.. troppo, prendi un respiro profondo. Guardarmi e respira con me, avanti."

Le aveva detto una volta, dopo essersi accorta che l'altra si era persa tra preoccupazioni e problemi.

"Da cosa lo hai capito?" Le aveva chiesto dopo la maggiore, e l'altra aveva spiegato che lo capiva dagli occhi.

"E' come se qualcosa si annebbiasse - aveva descritto,- è molto come il mare in tempesta."
Quella frase le aveva dato molto a cui pensare. Le aveva sorriso, sul momento, ma poi, nel silenzio della sua stanza, aveva continuato a pensarci.

"Come un mare in tempesta."

Aveva pensato ad un episodio successo molti anni prima, durante la sua infanzia, che, fino a quel momento, non pensava di ricordare.

Doveva avere forse cinque anni, ma era sicura che fosse estate. I suoi genitori l'avevano portata al mare: ricordava le delicate mani della madre che le ungeva il corpo di crema, e ricordava i castelli di sabbia costruiti con il padre sulla riva.

Fu strano, per Lauren, ricordare un periodo della sua vita in cui il padre era stato sobrio, sorridente e pacato.

Ricordava vagamente che il cielo si stava riempendo di nuvole, ma lei aveva insistito per fare un ultimo bagno prima di andare a casa.

Nonostante la madre la intimasse ad uscire, lei, come ogni bambina avrebbe fatto, non le aveva dato ascolto.

In un istante, aveva iniziato a piovere.

Sembrava come se il cielo fosse stato lacerato, tanto erano forti i tuoni; il mare era adesso increspato da onde alte e violente, e Lauren fece appena in tempo a uscire dall'acqua, terrorizzata da quel repentino cambiamento.

"Come il mare in tempesta."

Dopo una lunga notte insonne, persa nei suoi ricordi, era giunta alla conclusione che Camila non avrebbe potuto trovare descrizione migliore.

Perchè quando il passato e il presente sembravano confondersi, rendendola prigioniera della sua stessa mente, era esattamente come ritrovarsi nel bel mezzo di un mare in tempesta.

E mentre i ricordi la colpivano con la stessa intensità delle onde e dei tuoni di quel giorno al mare, Camila le aveva offerto un salvagente, un modo per sopravvivere a quel naufragio.

E nelle ultime settimane, Lauren si sentiva come se stesse notando per la prima volta quell'aiuto; e nonostante la vita offuscata dalla pioggia, stesse cercando di afferrare quel salvagente.

La sua situazione non era cambiata.

Suo padre non era cambiato.

E mentre osservava il livido diventare sempre meno evidente sul suo fianco, non poteva fare a meno di chiedersi se e quando sarebbe stato sostituito.

C'erano giorni in cui tutto le sembrava più facile.

Giorni in cui il sorriso di Camila si rifletteva sul suo volto, mentre passavano del tempo in camera sua ascoltando musica o guardando serie tv.

Dopo quella volta, nessuna delle due aveva accennato a riprendere l'argomento, ma ignorare la questione non impediva la sua inevitabile esistenza.

Ed era come se ovunque andassero, fossero seguite da un'ombra nera, come un fantasma, macabro ricordo che tutto ciò che stavano mettendo da parte era ancora lì, in agguato, nascosto solo momentaneamente.

C'erano giorni, però, in cui per Lauren era impossibile evitare quell'oscurità, giorni in cui anche solo respirare diventava faticoso e inutile, giorni in cui ogni cosa sembrava perdere senso.

Camila aveva imparato a riconoscere quelle giornate, ma capire come comportarsi era sempre un grande enigma.

Adesso che era a conoscenza del passato dell'altra, non poteva che condividere la sua rabbia. Sarebbe stato stupido dire che quell'amarezza e quel distacco che provava Lauren verso tutti gli altri non fossero comprensibili. Perchè Camila sapeva che non c'era nulla da dire, nessun modo per poter giustificare o rendere meno dolorosa una perdita del genere, un dolore tanto grande durato così a lungo.

Diverse volte si era ritrovata a tirare pugni muro o a gettare oggetti per la stanza, incapace di sopportare quella sensazione di impotenza.

Diverse volte aveva tentato di sfogarsi con la musica, come era sempre stata abituata a fare, ma non ce la faceva.

Per qualche motivo, le sue mani sembravano non voler collaborare, come scollegate dal suo cervello, immobili contro i tasti bianchi e neri del pianoforte.

In quei giorni, Camila si limitava a stare accanto alla maggiore, senza dire nulla che non fosse necessario, senza commentare le sue azioni, per quanto eccessive o inopportune potessero essere.

Circa una settimana dopo la loro conversazione, Lauren aveva rischiato di essere sospesa per aver saltato tutte le lezioni restando in bagno a fumare. Non era passata inosservata, finchè qualcuno non era andato a chiamare il professore più vicino.

In qualche modo, era riuscita a ottenere solo una nota disciplinare e una ramanzina da parte del direttore.

Camila, una volta venuta a conoscenza del fatto, avrebbe voluto dire all'altra che quella roba le faceva male, che poteva sfogarsi in modi meno dannosi per i suoi polmoni, e che ne avrebbero potuto parlare insieme; ma sapeva che non doveva farlo.

Sapeva, o almeno sentiva, che era meglio rimanere in silenzio, e così fece per tutto il percorso di ritorno da scuola.

Il giorno dopo, fu come se nulla fosse successo, come se Camila e il corpo docenti si fossero solo sognati quell'avvenimento.

Lauren stessa si comportava come se nemmeno ricordasse le sue azioni, e Camila, nonostante volesse chiedere e cercare di capire, mise a freno la curiosità ed evitò domande, temendo che potessero guastare nuovamente l'umore dell'altra.


-


Tornata a casa, la famiglia Cabello ebbe una grande cena, una sorta di cenone di natale anticipato, per festeggiare il ritorno di Alejandro.

Una volta finito di mangiare, si spostarono in salotto; come ogni volta che tornava da una lunga assenza, il padre aveva portato alle figlie qualche regalo dai posti che, per lavoro, aveva visitato.

Sofi scartò eccitata la sua nuova barbie, saltando addosso al padre per abbracciarlo e ringraziarlo, correndo poi ad aggiungerla alla sua collezione.

Poi fu il momento di Camila, che prese tra le mani il pacco quadrato mentre Alejandro la osservava, un sorriso sul volto, mentre sperava che il regalo fosse apprezzato.

"Sono cassette di quelle vecchio stampo, sai, in macchina abbiamo ancora il riproduttore e so quanto ti piace suonare.. pensavo che potevi registrare qualcosa su
entrambe, così una la potrò portare con me nei viaggi per ascoltarle e l'altra potrai tenerla tu."


Camila continuava a rigirarsi tra le mani le casette, osservandole con uno sguardo di gioia e sorpresa.

"E' un'idea bellissima. Grazie." Disse, abbracciando forte il padre, ancora senza parole dalla sorpresa.

"Sono contento che ti piaccia." Rispose lui, sinceramente felice di vedere quel sorriso sul volto della figlia.

In ogni caso, in quelle ore trascorse nuovamente con la sua famiglia, Alejandro non aveva fatto a meno di notare come a volte lo sguardo di Camila si perdesse nel vuoto, o come aggrottasse la fronte, come scossa da preoccupazioni. Si disse che probabilmente era solo un effetto della sua assenza, che era solo una sua impressione, nonostante fosse difficile riuscire a non preoccuparsi.


-


"Mio padre mi ha fatto un regalo bellissimo, non vedo l'ora di mostratelo domani. Buonanotte! <3 " - Camila, 22:34

Lauren lesse il messaggio e, inconsapevolmente, sorrise.

Sorrise, perchè un messaggio di poco più di un rigo bastava a renderla parte di qualcosa, bastava ad affermare la loro amicizia, bastava a farla sentire importante per qualcuno.

Perchè Camila aveva deciso di condividere qualcosa che l'aveva resa felice con lei, e ciò bastava a far sorridere Lauren dopo una giornata di solitudine.

"Non vedo l'ora di vederlo, buonanotte anche a te." Scrisse, e prima di mandare il messaggio si fermò a lungo, indecisa se fosse la cosa più giusta da scrivere.

Premette 'invia' e chiuse il telefono, lanciandolo poi malamente sullo zaino di scuola lasciato per terra in un angolo della camera.

Chiuse gli occhi e cercò di non lasciarsi prendere dall'ansia, come accadeva troppo spesso la notte.

Fece un respiro profondo e spense la luce, evitando di pensare al fatto che mancava pochissimo alle vacanze di natale e che non aveva idea di come passarle indenne,
e, soprattutto, come passarle senza poter vedere Camila tutti i giorni.






Bene, so di essere davvero imperdonabile, e so anche che in questo capitolo non avviene nulla di particolarmente importante o significativo, ma serve per tutto ciò che deve succedere.
So che ogni volta che ho detto avrei aggiornato prima non l'ho mai fatto, quindi questa volta evito di dirlo, ma posso dirvi che ho un blocchetto dove scrivo quando vado al mare o anche solo durante la giornata se ho tempo, e ultimamente ho scritto molto lì (praticamente più di meta di questo capitolo) e in questo modo accellero un pò i tempi perchè posso continuare il capitolo anche senza dovermi mettere davanti al computer.. 
Quindi, ricapitolando, spero che vorrete restare in mia compagnia ancora per un pò, anche se faccio ritardi assurdi.
Volevo ringraziare tutte quelle ragazze che mi hanno contattata in privato (sia con messaggi qui su efp, sia su twitter) per chiedermi se avessi intenzione di continuare o meno la storia, o per farmi dei complimenti, perchè davvero, non avete idea di quanto significhi per me.
Siete gentilissime e ogni volta che leggo ciò che mi scrivete mi emoziono, grazie grazie grazie.
Un bacione a tutte, spero di poter postare presto, Laura ♥

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Capitolo 13
*** Capitolo dodici. ***


Capitolo dodici:


"Camila, io.." La minore le mise un dito sulla bocca, intimandola a non parlare.

Sapeva già cosa le avrebbe detto, perchè era ciò che pensava anche lei.

Le accarezzò la guancia, guardandola dritto negli occhi, e scostandole una ciocca di capelli scuri dal volto.

Fu un secondo, e la distanza tra i loro volti fu annullata.

Le mani della maggiore iniziarono a vagare sul corpo dell'altra, perdendo la timidezza iniziale, finchè..



Camila si svegliò di soprassalto, sudata, con il respiro affaticato come se avesse appena corso per centinaia di chilometri.

Era un sogno.

Aveva sognato di baciare Lauren, ma era stato solo un sogno.

Decise di alzarsi e andare in bagno, sentendo il bisogno di fare qualsiasi cosa per evitare di dover pensare a quanto aveva appena sognato.

Le immagini, le sensazioni che aveva provato, continuavano a riprodursi nella sua testa, mentre si sciacquava il volto con acqua gelida.

Sentiva come un macigno sullo stomaco, un senso di colpa così grande da darle la nausea, e non era in grado di capire per quale motivo si sentisse così.

"Camila!" 

La ragazza lanciò un grido per la paura, girandosi con una mano sul petto, sul volto l'espressione di chi aveva appena visto un fantasma.

"Non volevo spaventarti, avevo sentito dei passi e sono venuto a controllare." Spiegò il padre, mettendole una mano sulla spalla. "Tutto bene? Sei pallidissima." Commentò poi.

"Si, mi hai solo spaventato a morte. Non volevo svegliarti." Rispose la ragazza, cercando di far tornare il suo respiro normale.

"Non riesci a dormire? Posso prepararti una camomilla se vuoi." Si offrì lui,  vedendo quanto la figlia fosse agitata.

"No, dovevo solo andare in bagno.. Adesso è meglio che torni a dormire, buonanotte papà."

Concluse, alzandosi in punta di piedi per lasciare un bacio sulla sua guancia.

"Va bene, buonanotte Mila." Rispose Alejandro, nonostante fosse incerto e non convinto dalla spiegazione dell'altra.

-

"Tutto bene? Sembri strana." Disse Lauren alla minore mentre camminavano insieme verso scuola.

"Si, tutto bene. Perchè non dovrebbe andare bene? Tutto bene." Rispose lei, agitandosi ancora di più, e facendo si che l'altra si insospettisse ulteriormente.

Da quando si erano incontrate, quella mattina, Camila si era comportata in modo insolito. Sembrava agitata, come se qualcosa la tormentasse, continuava a guardare ovunque, mentre parlava, tranne che verso l'altra. 

In ogni caso, Lauren decise di non indagare ulteriormente, rimandando le domande alla pausa pranzo, se il comportamento dell'altra non fosse nel frattempo tornato normale.

Arrivate a scuola, avevano la prima lezione in comune, come ogni lunedì.

Dall'ultimo banco, Lauren notava come Camila continuasse a scarabocchiare sui suoi appunti, solitamente sempre ordinati e precisi, adesso pieni di disegnini e segni di cancellatura.

"Per questo motivo, possiamo dire che l'impresa di Napoleone fallì con la sconfitta di.. Signorina Cabello, dove fu sconfitto Napoleone?"

Il professore si era accorto che una delle studenti più dotate del suo corso era completamente distratta, infatti quando Camila sentì quelle parole sollevò la testa dal banco con uno scatto, ritrovandosi intimorita da tutti gli occhi della classe puntati su di lei.

"Io, ehm, la sconfitta-uhm, non-non ho capito" Borbottò la ragazza, adesso agitata.

"Cabello, mi aspetto che i miei alunni stiano attenti durante le lezioni, non si faccia trovare nuovamente distratta o potrei prendere dei provvedimenti." Sentenziò il professore prima di voltarsi e continuare a spiegare come se non si fosse mai interrotto.

Camila annuì, gli occhi bassi, mentre continuava a sentire gli sguardi degli altri addosso, come tanti piccoli aghi che la perforavano ripetutamente.

Lauren aveva guardato esterrefatta la scena, sempre più confusa e preoccupata per l'amica.

Non era da lei comportarsi in quel modo, e neanche rifiutarsi anche di spiegare cosa c'era che non andava.

Lauren continuò a porsi domande per il resto della lezione, decidendo che all'ora di pranzo avrebbe preteso delle spiegazioni.

-

La campanella suonò, segnando la fine del primo periodo e l'inizio della pausa pranzo. Lauren uscì dall'aula di letteratura inglese a passo veloce, sospirando di sollievo, impaziente di capire cosa fosse successo all'altra.

Attraversò a grandi passi il corridoio, senza preoccuparsi di dare qualche spintone a chi le si poneva davanti.

"Finalmente.", pensò, una volta arrivata davanti all'ingresso della mensa.

Si mise in fila per prendere da mangiare e notò subito Camila a distanza di qualche persona davanti a lei.

"Camila!" Fece, superando le persone che le dividevano, incurante delle parolacce che le rivolsero, posando una mano sulla spalla dell'altra.

Questa sussultò appena, come se quel contatto l'avesse bruciata. Lauren si limitò a guardarla in modo interrogativo, prima di lasciar cadere sul fianco la mano che aveva posato sulla spalla dell'altra.

Camila ringraziò mentalmente chiunque avesse finito a prendere da mangiare e,  seguendo la fila, iniziò a mettere il cibo sul suo vassoio, scegliendo tra le varie opzioni.
Lauren faceva lo stesso al suo fianco, senza smettere di lanciare occhiate alla minore. 

Quando finalmente raggiunsero un tavolo all'angolo della mensa, Camila iniziò a mangiare così velocemente da finire in pochi minuti l'insalata che aveva nel piatto.

"Tutto bene?" Chiese Lauren, mentre con la forchetta spostava un pomodorino da un lato all'altro del piatto, evitando di guardare l'altra negli occhi.

"Certo." Rispose l'altra, ma il suo tono di voce tradì il tentativo di mostrare indifferenza.

"Sei un pò.. strana, oggi." Sentenziò la mora, per poi continuare, alzando lo sguardo verso l'altra. -"Comunque, com'è andata con tuo padre? Cosa mi dovevi far vedere?"

Camila rimase sorpresa dal modo in cui l'altra sembrasse essere veramente preoccupata per lei, tanto da farle diverse domande. Certo, ormai si conoscevano da un pò e avevano passato tempo a sufficienza da potersi ritenere amiche, ma la minore non era abituata a vedere tanto interesse nei suoi confronti da parte della maggiore.
Il suo cuore iniziò a battere più velocemente mentre pensava queste cose, così si ricompose, pulendosi la bocca con il tovagliolo e prendendosi un momento prima di rispondere.

"Oh, si. Si, è andata bene. Guarda." Rispose poi, prendendo lo zaino e iniziando a frugarci dentro, alla ricerca del regalo ricevuto la sera prima. Tirò fuori la scatolina rossa contente una parte dono, aprendola per mostrarlo all'altra.

"Wow." Sussurrò Lauren, prendendo tra le mani la scatola che le porgeva l'altra per osservare da più vicino il contenuto. "Che musica contiene?" Chiese poi, poggiando la cassetta sul tavolo tra di loro.

"Non contiene nulla, è questo il bello. Ne ha prese due, vuote, e ha detto che posso registrarci qualsiasi cosa, purchè sia suonata o cantata da me. Una la terrà lui, per poterla portare ovunque andrà per lavoro, e l'altra è mia, quindi posso farci ciò che voglio." Rispose Camila, prendendo il regalo e mettendolo di nuovo nello zaino, al sicuro, attenta a non perdere o rovinare ciò che aveva appena ricevuto.

"E' una bellissima idea." Osservò Lauren, voltando nuovamente la sua attenzione sul piatto davanti a lei, infilzando un pomodorino e portandolo alla bocca.

"Già." Fece Camila, sorridendo, per poi continuare a mangiare.

Tra loro tornò nuovamente il silenzio, ma non era come le altre volte. Questo silenzio spaventava Lauren, abituata a sentire l'altra parlare durante la pausa pranzo di ciò che aveva fatto nelle ore di lezione o di ciò che avrebbe fatto quel giorno. 

Quel silenzio non faceva altro che aumentare la sua sensazione di ansia, non capiva cosa avesse comportato quel cambiamento e, allo stesso tempo, aveva paura di scoprirlo.

Si ritrovò solo a sperare che non fosse uno stato permanente, ma semplicemente una giornata negativa.

Dopo tutto, lei ne aveva fin troppe, e Camila non aveva mai detto nulla al riguardo. Non l'aveva mai fatta sentire in colpa o fatto domande per i suoi  comportamenti nelle giornate peggiori, e sapeva che adesso era il suo turno di ricambiare questo favore.

Così, inizio a parlare solo quando la pausa pranzo volse il termine, schiarendosi la gola prima di parlare per richiamare l'attenzione dell'altra, impegnata a torturarsi le mani, come se fosse agitata per qualcosa.

"Oggi andiamo a casa tua o..?" Lasciò la domanda in sospeso, aspettando che l'altra rispondesse.

Camila non alzò lo sguardo, mantenendolo fisso sulle sue mani, mentre rispondeva "No. Con mio padre a casa penso sia meglio rimandare a domani, abbiamo diverso tempo da recuperare con lui ed è tradizione passare questo periodo tutti insieme in famiglia. Mia madre esce anche prima dal lavoro per poter passare il pomeriggio con noi."

"Oh." - Rispose Lauren, un groppo in gola sentendo le parole dell'altra. - "Certo, certo. Scusami, avrei dovuto immaginarlo." 

Camila sentì immediatamente i sensi di colpa soffocarla, udendo il tono di voce dell'altra. Che diavolo stava facendo? Voleva perdere tutto ciò che aveva faticosamente conquistato con l'altra? 

"Tranquilla." Rispose solo, mentre gli occhi iniziavano a bruciare. "Io vado, devo ripassare per un compito quindi è meglio che vada prima. Ci vediamo dopo." Mentì, prima di alzarsi e camminare il più velocemente possibile lontano da lì.

Entrò nel bagno e si chiuse dentro il primo che trovò libero, mentre calde lacrime le bagnavano le guance. Che diamine le stava succedendo?

Le sfuggì un singhiozzo quando si accorse che tutto ciò che voleva, in quel momento, era la compagnia di Lauren. Sentiva il bisogno fisico di essere stretta dall'altra, circondata dalle sue braccia, come era successo qualche settimana prima in quel stesso luogo.

Si era comportata da idiota e non sapeva nemmeno il motivo.


Sentì il suono della campanella segnalare l'inizio delle lezioni, il brusio degli studenti che tornavano alle rispettive classi, le grida, le risate, il suono di centinaia di piedi che calpestavano il suolo nello stesso momento.

Pensò che, per una volta, poteva anche saltare una lezione. Non era in condizioni di sentire spiegazioni, e sicuramente non voleva essere richiamata un'altra volta.

Dopo un pò, quando le lezioni avevano evidentemente ripreso il loro regolare corso, sentì solo il suo respiro e il battito del suo cuore a farle compagnia.

Si chiese perchè si trovava lì, chiusa in un bagno, a saltare una lezione per la prima volta nella sua vita.

Non riusciva a capire, non riusciva a spiegare il suo stesso comportamento e questo la spaventava a morte.

Per stare bene aveva sempre avuto il bisogno di avere tutto sotto controllo, e adesso non riusciva a controllare nemmeno sè stessa.

Era spaventata, e non sapeva cosa fare per cambiare quella situazione.

Decise di sfruttare al meglio il tempo che si era ritagliata rubandolo ad una lezione di chimica, così tirò fuori dallo zaino un quaderno.

Lo sfogliò fino a trovare una pagina vuota, poi prese una penna ed iniziò a scrivere in modo disordinato, cercando di buttare fuori tutto ciò che aveva dentro.

'Quando è iniziato tutto questo?' si chiese, e scrisse sul foglio, nell'angolo in alto a sinistra, 'sogno'.

Poi collegò quella parola con un'altra: 'Lauren.'

Prese un respiro profondo, prima di scrivere una terza parola collegata con delle frecce alle due precedenti.

'Bacio.'

Continuò a scrivere parole all'apparenza disconnesse tra loro, ma in realtà collegate da forti e, almeno per lei, evidenti significati.

Sapeva che non era il sogno il problema di fondo, nonostante fosse ciò che aveva scatenato tutto. Una sorta di 'goccia che fa traboccare il vaso'.

Ciò che davvero l'aveva fatta impazzire in quel modo era che, nonostante fosse solo in un sogno, le era piaciuto.

Le era piaciuta la sensazione delle labbra dell'altra sulle sue, e si era ritrovata a pensarci da sveglia, mentre camminavano insieme verso scuola e mentre parlavano in
mensa, si era ritrovata a chiedersi se anche nella realtà avrebbe provato le stesse cose.

Si era ricordata di come, il primo giorno che l'aveva conosciuta, aveva respinto i suoi tentativi di baciarla.

Non avrebbe mai immaginato che, a distanza di così poco tempo, si sarebbe ritrovata a saltare lezioni per pensare a questo.

Per chiedersi se non fosse solo qualcosa di passeggero, per chiedersi come si sarebbe dovuta comportare da quel momento in poi.

Mentre si passava una mano sul volto, asciugando le traccie salate che le lacrime avevano lasciato,le sfuggì dalla bocca una sorta di risata involontaria.

Rise perchè, in tutto ciò, aveva tralasciato, quasi dandola per scontata, una delle cose più importanti che quel sogno e tutto ciò che provava avevano comportato.

Camila rise perchè si accorse solo in quel momento che probabilmente avrebbe dovuto farsi domande su come potesse una ragazza piacerle in quel modo.

Ma, in quel momento, sapeva solo che non le importava. Se nel futuro avesse scoperto di essere attratta dalle ragazze invece che dai ragazzi, se ne sarebbe fatta una ragione, probabilmente avrebbe anche trovato un motivo per spiegare quanto si sentisse diversa da tutte le ragazze della scuola; ma ora, in quel bagno, era certa di una sola cosa.

Provava qualcosa per Lauren.

E, in un certo senso, fu quasi liberatorio capire questo; perchè così si spiegava il modo in cui si preoccupava per l'altra, si spiegavano tutte le volte in cui avrebbe voluto solo abbracciarla forte per non lasciarla mai andare.

Vide dall'orologio sul suo polso che mancavano dieci minuti alla fine dell'ora e all'inizio della successiva, così si mise davanti allo specchio, osservandosi.

Si passò una mano tra i capelli per sistemarli, e notò con sollievo che il rossore sul volto era ormai quasi impercettibile.

Aspettò ancora qualche minuto, poi, proprio mentre la campanella iniziava a suonare, uscì, mischiandosi con il resto degli studenti che uscivano dalle aule per dirigersi verso la lezione successiva.


-


"Non vorrei essere ripetitiva ma.. tutto bene?" Chiese Lauren, abbassando lo sguardo.

Camminavano insieme da ormai cinque minuti, passati in silenzio, e quando si erano incontrate fuori scuola si erano salutate in silenzio.

"Si, si, scusa per prima, sono solo stanca. Stanotte ho dormito male e con il ritorno di mio padre dovrò stare un pò di più a casa.. " Spiegò Camila, evitando anche lei lo sguardo dell'altra.

"Va bene." Rispose la maggiore, nonostante fosse ancora turbata dal comportamento che aveva avuto Camila.

Continuarono a camminare fianco a fianco, in silenzio, finchè non giunsero alla traversa che portava verso casa di Camila.

Si fermarono entrambe, finchè Lauren non spezzò quel pesante silenzio.

"Beh, io vado. Ci vediamo domani." Per un secondo valutò l'idea di avvicinarsi e abbracciarla, ma poi si girò e continuò a camminare.

Camila rimase qualche secondo ferma, osservando l'altra andare via, mentre pensava a quanto volesse correre da lei e dirle tutto, spiegarle cosa provava e capire se anche per lei era lo stesso o meno.

Costrinse sè stessa a voltarsi e dirigersi verso casa, ignorando tutti quei pensieri.

"Mila!" L'accolse Sofi alla porta, abbracciandola, per poi tornare a vedere la tv.

Passò in camera per posare lo zaino ed entrò in cucina, salutò entrambi i genitori con un abbraccio e si sedette a tavola.

"Allora, com'è andata la scuola oggi?" Le chiese il padre, sorridente.

Camila si sforzò di mostrare il sorriso più convincente di cui disponeva, e rispose "Bene, non avevo compiti o interrogazioni quindi è stata una giornata piuttosto tranquilla, ormai le vacanze sono vicine quindi anche i professori sono meno esigenti."

I suoi genitori iniziarono così a parlare dei programmi che avevano per le imminenti vacanze di natale, sorridendo e ridendo. Erano così felici di essere di nuovo insieme che a Camila sembrava quasi di poter respirare l'amore e la felicità nell'aria.

Quando fu pronto, si sedettero tutti attorno al tavolo, mentre Alejandro raccontava ciò che aveva fatto nel tempo in cui era stato lontano da casa, i posti più belli che aveva visto e il cibo più strano che aveva mangiato.

Era una sorta di tradizione, quella di raccontare queste cose e discuterne insieme, ridendo e stupendosi delle caratteristiche di quei paesi così lontani.

" Mija, - iniziò ad un certo punto la madre, rivolgendosi a Camila, dopo che il marito ebbe terminato il suo racconto. - come mai non c'è Lauren oggi? Pensavo l'avessi portata per farle conoscere tuo padre."

La ragazza rischiò di strozzarsi con l'acqua che stava bevendo, colta di sorpresa nel sentir pronunciare quel nome. Quando si fu ricomposta, cercò di sembrare il più tranquilla possibile.

"Oh, pensavo volessimo stare insieme. Nel senso, visto che è tornato papà, non volevo rovinare le nostre occasioni di famiglia." Disse, continuando poi a mangiare il suo piatto di pasta.

"Da quanto mi ha detto la mamma, sei molto legata con questa ragazza, mi avrebbe fatto solo piacere conoscerla! Magari puoi invitarla a pranzo domani?" Chiese il padre, senza smettere di sorridere.

Ogni volta che tornava, cercava di sapere di più sulla vita delle figlie, su ciò che facevano e su come passavano le giornate. 

Gli era sempre dispiaciuto che la figlia maggiore non fosse mai riuscita ad avere grandi amicizie, e vederla passare tutto quel tempo sola a casa lo aveva sempre fatto preoccupare; per questo quando aveva saputo di questa sua nuova amicizia si era sentito, più che felice, sollevato.

"Oh, si, domani le chiederò." Rispose Camila, tagliando corto e chiudendo così la conversazione.

Alejandro fece finta di nulla, ma notò che la figlia aveva quasi fretta di chiudere quel discorso. Pensò alla notte precedente, al modo in cui gli era sembrata agitata e spaventata, e decise che le avrebbe parlato in privato.

Nonostante la distanza, o forse proprio per questo, Camila e il padre avevano sempre avuto un grande rapporto. Soprattutto perchè, non vedendosi sempre, era più facile raccontarsi cose un pò più personali rispetto a ciò che la ragazza diceva alla madre.

L'occasione per parlare con la figlia si presentò quello stesso pomeriggio, quando Sinuhe uscì per fare la spesa portando con lei Sofi.

"Posso entrare?" Chiese l'uomo bussando alla porta già aperta della stanza di Camila.

"Certo." Rispose questa, lasciando la chitarra che stava strimpellando e posandola a terra.

"Scusami se ti ho interrotto." - iniziò, indicando lo strumento, per poi continuare. -"Camila va.. va tutto bene?" 

La ragazza rimase ferma qualche secondo, osservando il padre sorpresa e allo stesso tempo intimorita da quella domanda.
Il cuore iniziò a battere più velocemente nel suo petto, che avesse capito?

No, non era possibile.

'Solo perchè hai capito di provare qualcosa per una tua amica non significa che adesso lo sappiano automaticamente tutti.', pensò.

"Si, certo, tutto bene, perchè?" Rispose, forse con un pò troppa enfasi.

"Lo sai, non voglio essere indiscreto o interessarmi di cose che non mi riguardano, ma mi preoccupo per te e vorrei solo vederti felice, o quanto meno serena." - Iniziò, mettendo una mano sulla spalla della figlia. - "E da quando sono arrivato mi sembri in un perenne stato di ansia e agitazione, e non penso che tutto questo abbia qualcosa a che fare con la scuola, o sbaglio?"

"No.. " Affermò Camila, puntando lo sguardo sul pavimento sotto i suoi piedi.

"Non vorrei correre a giudizi affrettati, ma questi 'sintomi', chiamiamoli così, non mi sono nuovi." Continuò Alejandro, sorridendo mentre pronunciava le ultime parole.

"Che intendi dire?" Chiese la ragazza, alzando per la prima volta lo sguardo verso il padre.

"C'è qualcuno che mi devi far conoscere, Mila? Magari qualcuno per cui provi qualcosa?" Chiese allora il padre, facendo poi il solletico alla figlia. 

Per questo avevano sempre avuto un buon rapporto, perchè Alejandro era capace di smorzare l'atmosfera ed evitare che le loro discussioni fossero eccessivamente pesanti.

"E se anche fosse?"- Pronunciò Camila mentre riprendeva fiato dalle risate. "Se qualcuno mi piacesse davvero, non dovrebbe farmi sentire, non so, felice?" 

"Non sempre è così facile, Mija." - Sospirò l'uomo, circondando col braccio le spalle ossute della ragazza. "Spesso l'amore è ciò che ci fa soffrire di più; ma è anche vero che dalle grandi sofferenze possono nascere le più grandi storie, e viceversa."

"Questa era bella, da quale libro di filosofia l'hai presa?" Domandò la ragazza ridendo e appoggiando la testa sulla spalla del padre. "Comunque, - riprese poi- penso che non sempre ne valga la pena. Non sempre c'è la storia alla Romeo e Giulietta, a volte fa male anche se dietro non c'è niente." Concluse con un sospiro, mentre nella sua testa prendeva forma l'immagine di Lauren che correva via, Lauren che scopriva quei sentimenti, o qualsiasi cosa essi fossero, e la riteneva una specie di pazza.

"Se ti fa star male davvero, però, qualcosa dietro ci deve essere." Rispose il padre, deciso a mantenere la sua opinione. 


"E se fosse sbagliato?" Chiese allora Camila, prendendo coraggio e pronunciando la domanda che le frullava per la testa da ore, tormentandola al punto da farle venire la nausea.

"Se è di sentimenti che stiamo parlando, non possono essere sbagliati. Possono essere sbagliati il momento, il modo, ma non i sentimenti, non quello che si prova per qualcuno. Di qualsiasi circostanza si tratti, va bene?" Chiese Alejandro, guardando la figlia dritto negli occhi.

In quel momento, Camila si sentì attraversare da brividi.

Lo sapeva.

E se non lo sapeva con certezza, quanto meno aveva ipotizzato quella possibilità, e questo era abbastanza per rendere ciò che provava ancora più reale; era abbastanza per spaventarla.


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Ciao a tutti!
*si applaude da sola* sono riuscita a non postare con una pausa di otto mesi, yee!
Okay, so che qualcuno magari mi odia per l'inizio, e so che molti aspettano solo un bacio, ma vorrei che la storia seguisse per quanto possibile la realtà, e nella realtà le relazioni, quantomeno quelle serie, non si costruiscono in due secondi, ecco.
Finalmente, Camila inizia a capire che prova qualcosa per Lauren, che forse, ma forse proprio, non è da 'amiche' provare ciò che prova.
Ho inserito la figura di Alejandro perchè l'ho trovata un'idea carina, e perchè dopo aver descritto una Camila solitaria e rintanata nel suo mondo non poteva non esserci almeno una figura di riferimento. Sono curiosa di sapere se quest'idea vi è piaciuta o meno!
Volevo approfittarne per dirvi che il 20 luglio io sarò al Giffoni film festival, in provincia di Salerno, per vedere Lea Michele. Ciò significa che, se qualcuno di voi sarà lì e ha voglia di incontrarmi durante la giornata per parlare/abbracciari/sclerare sulle camren o boh, potete scrivermi e dirmelo, non ho nessun problema a lasciarvi qualche contatto personale per poterci mettere d'accordo!
So, penso di aver detto tutto, sperando di poter postare senza pause troppo lunghe, al prossimo capitolo!
Un bacione ♥

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Capitolo 14
*** Capitolo tredici. ***


Vi devo delle spiegazioni, dopo quest'enorme assenza, ma ho come l'impressione che sia meglio lasciarvi prima al capitolo.
Trovate alla fine le note, come al solito.

capitolo tredici:

Le onde del mare si infrangevano bruscamente contro la banchina, quasi volessero prenderla con prepotenza e cancellare la sua estinza.

La ragazza osservava questo fenomeno ripetersi ancora e ancora, trovandosi a desidera che quelle stesse onde potessero cancellare ogni problema.

Sospirò, poi diede uno sguardo all'orario sul display del telefono, sperando di poter rimanere più a lungo in quel posto apparente invariato dal tempo.

Erano le sette e mezza, e doveva avviarsi a scuola se non voleva arrivare in ritardo.
Fino a qualche mese prima, sarebbe rimasta lì, ignorando completamente l'obbligo morale e legale di dover ricevedere un'istruzione.

Non che il cambiamento fosse dovuto al suo grande desiderio di studiare o avere otto in condotta, ma adesso, a differenza di prima, aveva qualcosa da perdere.

O, per meglio dire, qualcuno.

Percorse lentamente la via di ritorno verso la macchina, lasciando che i suoi piedi scalzi affondassero nella sabbia e godendosi la sensazione di libertà che quel luogo era sempre in grado di darle.

Una volta allontanatasi dalla spiaggia, lasciò la macchina del padre sotto casa, facendo poi attenzione a posizionare le chiavi lì dove le aveva trovate.

Probabilmente l'orco nemmeno si sarebbe accorto del cambiamento, ma era sempre meglio non rischiare.

Per un momento pensò di fermarsi e aspettare Camila al solito punto, ma poi ricordò il modo in cui l'aveva praticamente evitata nei giorni precedenti, e un'improvvisa rabbia si scatenò al suo interno.

'Da quando lascio che gli altri mi deludano? Da quando mi importa così tanto di qualcuno?' Si chiese, camminando velocemente verso l'edificio scolastico.

Ciò che la faceva arrabbiare di più, in realtà, non era il comportamento dell'altra, quanto il modo in cui questo la condizionava.

E anche adesso, mentre entrava nel corridoio e si dirigeva verso l'aula della prima lezione, gettando con forza lo zaino a terra, parte della sua mente desiderava solo uscire e aspettare Camila, parlarle e cercare di capire cosa fosse successo.

'Diamine, -pensò poi- sono messa anche peggio di quanto credessi.'

-

Il cuore di Camila fece un leggero tuffo quando, arrivando nel solito punto d'incontro, non vide nessuno.

Aspettò qualche minuto, nonostante sapesse che Lauren non era mai in ritardo e che, se lo era, non significava niente di buono.

Decise infine di incamminarsi verso la scuola, sperando di vederla fuori o nei corridori prima che iniziassero le lezioni.

Sfortunatamente, non riuscì a trovare traccia dell'altra, e fu costretta ad entrare nel laboratorio di chimica piena di ansia. 

'Cabello, da quando salta lezioni e fa ritardo? Non è da lei questo comportamento.' La riprese il professore mentre si posizionava al suo solito posto, sentendo su di lei gli occhi di tutta la classe.

'Mi scusi.' Disse solo, abbassando gli occhi, mentre sentiva le guance diventarle rosse di imbarazzo.

La lezione le sembrò interminabile, e nonostante i buoni propositi iniziali, non riuscì a sentire più di mezza parola di ciò che spiegò il professore, troppo occupata a chiedersi che fine avesse fatto l'altra.

Quando arrivò la pausa pranzo, uscì di corsa dall'aula, scansando senza troppi complimenti tutti gli studenti che le bloccavano la strada. 

Nemmeno notava gli insulti e le lamentele che le lanciavano dietro, perchè il cuore le batteva così forte per la corsa e per la preoccupazione che sentiva il suo battito nelle orecchie.

Raggiunse la sala pranzo ansimando, e vide subito Lauren.
Si sedette di fronte a lei con le mani che quasi tremavano, e si maledisse da sola per essere così agitata. 

'Ehi', disse solamente, sperando di avere una voce calma e disinvolta.

'Ehi.' Replicò l'altra, degnandola appena di uno sguardo, tornando poi a concentrarsi sul panino che aveva di fronte.

'Stamattina non ti ho visto..' le fece osservare Camila, sperando così di iniziare un discorso.

Quando non arrivò risposta, riprese ancora una volta parola, l'ansia che cresceva sempre più dentro di lei. 'Hai intenzione di dirmi il perchè o no?'

'Non lo so, tu hai intenzione di spiegarmi per quale motivo mi stai ignorando?' Le rispose seccata la più alta, alzando finalmente lo sguardo verso di lei.

Camila fu sorpresa e al tempo stesso spaventata da quella domanda, e ancor di più dal modo in cui le era stata posta.

'Non-non ti stavo ignorando.' Si affrettò a dire, sempre più agitata.

'Ah no? Beh, a me è sembrato così, e vorrei capire cosa è successo.' Replicò Lauren, accorgendosi solo dopo di quanto quelle parole le fossero uscite dure e aspre.

Forse stava esagerando, ma era il suo modo di porsi, quello.

Camila sembrò accorgersi della durezza dell'altra, un lampo di tristezza negli occhi.
Sperava che la maschera di ghiaccio di Lauren si fosse spezzata tempo prima,  ma evidentemente non era così.

Stava per rispondere con una scusa, quando notò una cosa. 'E' sabbia quella che hai nei capelli?' Chiese poi senza nemmeno riflettere, cogliendo di sorpresa la mora.

'Stai seriamente evitando il discorso in questo modo?' Sbuffò,volgendo gli occhi al cielo. 'Si, comunque, è sabbia.'

'Non sto evitando il discorso, solo che mi sembra un pò strano trovarsi sabbia nei capelli di prima mattina.' Constatò l'altra, abbassando lo sguardo.

'Sono stata in spiaggia.' Disse semplicemente Lauren, ignorando poi lo stupore negli occhi dell'altra.

'In spiaggia? Quando? E come ci sei arrivata?' Iniziò così a tempestarla di domande, improvvisamente piena di vita.

Nonostante fosse arrabbiata con lei, Lauren dovette reprimere a forza un sorriso di fronte alla tenera meraviglia dell'altra.

'Con la macchina, stamattina presto.' Rispose con una scrollata di spalle, come se fosse la cosa più naturale e ovvia del mondo.

'Sai guidare?' Le chiese infatti la mora, sempre più stupita.

'Si.'

Prima che Camila potesse chiederle altro- ad esempio il motivo per cui non l'aveva mai vista guidare- la campanella corse in aiuto della maggiore.

'Lauren! Aspetta.' Le disse la più bassa mentre l'altra iniziava già ad alzarsi. 'Ti andrebbe di venire a pranzo da me oggi?'

'Se non sono di disturbo..' Fece Lauren, lasciando così intendere a Camila che il suo comportamento degli ultimi giorni l'aveva infastidita. In realtà, l'aveva ferita e basta, ma era troppo orgogliosa per ammetterlo.

Camila lo prese per un si, sapendo di non poter pretendere troppo, e aggiunse: 'Perfetto, così potrai spiegarmi quando hai imparato a guidare.'

Lauren volse gli occhi al cielo, fingendo fastidio, ma dentro di se era più tranquilla di quanto non fosse stata quella mattina quando era arrivata a scuola.

-

Percorsero il tragitto verso casa di Camila senza scambiarsi troppe parole, ognuna troppo persa nella sua personale battaglia.

Lauren non era sicura di voler passare l'intero pomeriggio con l'altra in quel modo, ma al tempo stesso si sentiva incapace di perdonarla senza sapere cosa fosse successo. Era stato qualcosa che aveva detto? Non poteva evitare di pensare che l'altra non volesse farla vedere dal padre, forse per vergogna, e questo la faceva arrabbiare.

Perchè sapeva di non essere esattamente una ragazza modello, ma non si era mai comportata male con la madre della mora, perchè avrebbe dovuto farlo adesso?

Camila, dal suo canto, si chiedeva come avrebbe fatto a nascondere tutto ciò che provava verso l'altra, adesso che ne era pienamente consapevole. Le sembrava impossibile, perchè ogni volta che i loro sguardi si incrociavano sentiva il cuore battere più velocemente; quando le loro mani si sfioravano, per sbaglio o meno, sentiva quasi una scossa elettrica partire dalle dita e irradiarsi per tutto il corpo.

Non aveva mai provato nulla di simile, e questo la spaventava e intrigava allo stesso tempo.

Nel frattempo, erano arrivate davanti casa.

'Camila!' Un uomo, sulla quarantina, aprì la porta di casa, abbracciando poi la ragazza. Lauren notò che aveva lo stesso colore di capelli della figlia. 'E tu devi essere Lauren.' La salutò poi, con un sorriso cordiale.

Lauren ricambiò cercando di apparire il più amichevole possibile.

Entrarono nell'abitazione e sistemarono le borse e le giacche nella camera di Camila. Entrando in cucina, Lauren sentì una stretta allo stomaco: l'amore e la felicità di quella famiglia poteva essere respirata nell'aria.

Aveva accettato anni prima che una famiglia amorevole e unita sarebbe sempre stata nient'altro che un sogno, ma non poteva fare a meno di provare invidia.  Ciò che Camila aveva era qualcosa che lei non avrebbe mai avuto, incomprabile e invalutabile.

'Lauren, siediti vicino a me.' Le disse la mora, distogliendola da quei pensieri inutili e cupi.

Una volta che tutti si furono seduti, regnò il silenzio, rotto solo dal rumore delle forchette contro i piatti pieni di pasta. 

'Com'è andata oggi scuola, ragazze?' Chiese Alejandro, continuando solo dopo che le due ebbero risposto, non senza un leggero imbarazzo, in modo positivo. 'Quali corsi frequentate insieme?' 

'Matematica avanzata e storia.' Rispose prontamente Camila, sperando che il padre non continuasse così per tutta la durata del pranzo.

'Se posso chiederlo, come mai siete diventate amiche solo quest'anno?' Chiese ancora, ignorando volutamente l'occhiataccia che gli rivolse la figlia.

"No che non puoi chiederlo", aveva infatti pensato la mora.

'Mi sono trasferita quest'anno, per-per motivi di famiglia.' Cercò di rispondere Lauren, sperando che l'uomo non insistesse sull'argomento.

Questo le sorrise, tornando - finalmente, pensò Camila. -a concentrarsi sul piatto che aveva di fronte.

Il resto del pasto proseguì tranquillamente, affrontando, con il sollievo delle due ragazze, argomenti che non riguardavano l'ospite.

'Scusa per mio padre, a volte può essere.. invadente.' Fece Camila, mentre guidava l'altra in camera sua.

'Tranquilla, non importa.' La rassicurò, sorridendo.

'Sai, oggi non ho proprio voglia di studiare.' Esordì poi la più bassa, stupendo l'altra.

'Dici sul serio?' Le chiese questa infatti, divertita.

'Si! Fuori c'è il sole e fa caldo, non ha senso rimanere chiuse qui dentro.' E poi, - pensò. - chiuse qui dentro potrei dire o fare cose compromettenti.

'Quindi usciamo?' Chiese Lauren, piacevolmente sorpresa dal nuovo atteggiamento dell'amica.

Salutarono i genitori e lasciarono lì le borse, per non doversi trascinare dietro quel peso in giro.

'Dove andiamo?' Chiese Lauren, le mani nelle tasche della felpa, mentre camminava accanto all'altra.

'E' una sorpresa.' Rispose quella, con un sorriso timido sul volto.

Lauren fu colpita da quella risposta, ma decise di non dire nulla.

C'era qualcosa di diverso nell'altra, e non riusciva a capire se fosse positivo o meno. 

Era diversa nel modo in cui le parlava, nel modo in cui la guardava, ma non si trovava cambiata.
Non negli ultimi due giorni, almeno.

'Siamo arrivate.' Disse poi Camila, voltandosi verso l'altra con un'espressione piena di aspettativa.

Lauren guardò oltre il volto della mora, e si ritrovò piuttosto confusa.

'E' un..' Iniziò, guardando poi l'altra, in attesa di una spiegazione.

In risposta, Camila rise, prendendole poi la mano e accellerando il passo, guidando l'altra dietro di se.

'Ma dove siamo?' Provò nuovamente a chiedere la più alta, ridendo quando Camila si rifiutò di risponderle.

Erano entrare nell'edificio dalle pareti bianche e dalle aiuole curate, e Lauren si ritrovò in quello che sembrava essere un teatro.

'Che ci facciamo qui?' 

Ma, ancora una volta, Camila non rispose, continuando a camminare.

Attraversarono un botteghino di biglietti vuoto e poi un corridoio lungo e stretto,  e passarono davanti ad un enorme sala con un grande palco, finchè non entrarono in un'altra stanza.

Al centro c'era un grande pianoforte a coda, delle sedie e diversi strumenti disseminati per la stanza.
Camila si sedette su una delle sedie, e aspettò che Lauren facesse lo stesso, poi -finalmente- si voltò verso l'altra.

'Siamo in uno dei posti che più amo, -iniziò, guardandosi intorno. - e se non fosse per la mancanza di un letto e di una cucina, probabilmente vivrei qui.'

Sorrise, mentre decine di ricordi le affolavano la mente. 

'E' qui che studio pianoforte e chitarra da quando ho sei anni, - iniziò a spiegare, come se si fosse accorta solo adesso dello sguardo confuso di Lauren.-  e probabilmente ti sembrerà stupido, ma ho vissuto così tante cose qui dentro.. Lo sai, non sono esattamente la migliore nel fare amicizie, nè tantomeno popolare, e l'unica amica che ho sempre, sempre avuto è stata la musica.

Quando ero triste, allegra, o semplicemente quando ne avevo bisogno venivo qui e suonavo il pianoforte o la chitarra, cantavo e.. tutto si faceva più semplice. Non importava cosa fosse successo, c'era una soluzione per tutto, dovevo solo decifrarla in un pentagramma.'

Lauren osservò la stanza in cui si trovava, gli scaffali colmi di libri e fogli, i poster appesi alle pareti e gli spartiti poggiati sulla superifcie del pianoforte.

'Probabilmente ti sarai anche chiesta perchè siamo qui, ma sentivo di doverti qualcosa. Tu ti sei aperta, mi hai raccontato tutte quelle cose, e pensavo che fosse giusto mostrarti qualcosa di me. Quindi, eccoci qui.' 

Lauren si ritrovò senza fiato per qualche secondo, incapace di esprimere a parole quanto l'altra l'avesse sorpresa.
L'aveva portata lì, in quel luogo speciale, per renderla parte di un importante aspetto della sua vita.

Era come se le avessero appena fatto un magnifico regalo in un giorno qualunque.

'Camila.. non so cosa dire. E' stato un bellissimo pensiero.' Sussurò poi, evitando il suo sguardo per paura che vi leggesse dentro la felicità che quel gesto le aveva donato.

Camila provò l'impellente desiderio di avvicinarsi e annullare la distanza che le separava, e dovette costringersi a distogliere lo sguardo dalle labbra dell'altra.

'Vieni, ti mostro un'altra cosa.' Disse poi, alzandosi, ma fu bloccata da Lauren, che la prese per il polso.

'No, aspetta, io voglio sentirti cantare.' Disse questa, guardandola negli occhi.

'Che cosa?' Domandò Camila, sorpresa.

Non era andata lì per cantare, non davanti a Lauren; sapeva che, se avesse cantato, ogni emozione le si sarebbe letta in faccia.

'Dai, ti prego! Non puoi portarmi qui e parlarmi di quanto sia importante per te la musica e poi non farmi sentire niente.' Mise il broncio la mora, decisa a convincere l'altra.

Dopo diverse suppliche, Camila si sedette al pianoforte, cercando di calmare la crescente agitazione che provava.

Prima che potesse pensare a quale canzone fare, le sue mani si mossero sui tasti, leggere e precise.
La melodia che riempì la stanza avvolse le ragazze, facendole sentire come se fossero all'interno di una bolla, lontane dal resto del mondo. 

"Underneath the echoes, buried in the shadows, there you were.."

La voce di Camila era limpida e dolce, e provocò milioni di brividi nella ragazza al suo fianco.

Lauren non conosceva quella canzone, ma sentendo le parole capì che Camila gliela stava dedicando.

"You must know I'll be here waiting, hoping praying that, this light will guide you home.."

Lauren non si accorse nemmeno di essersi avvicinata al pianoforte fino a quando non vi si appoggiò con le mani, come se avesse bisogno di un sostegno.

Si sorprese, quando sentì il suo cuore battere veloce come se avesse appena corso una maratona.

Camila lasciò che tutti i suoi sentimenti nascosti, tutte le parole non dette e i sogni non raccontati fluissero nei versi che cantava e nei tasti che premeva.

Quella dolce canzone sembrava raccontare di loro due, dei loro problemi e del loro passato, della volontà di Camila di aiutarla e di proteggerla.

"When you're feeling lost I'll leave my love, hidden in the sun for when the darkness comes."

Lauren sentì un colpo dritto al petto, come se fosse stata colpita con forza.

Che Camila volesse..?

No, era assurdo solo da pensare.

Prima di tutto, Camila era una ragazza.
Secondo, nessuna persona sana di mente avrebbe potuto provare qualcosa per lei.

Eppure, mentre pensieri confusi le annebbiavano la mente, Camila alzò lo sguardo, incrociandolo con il suo, e Lauren si sentì improvvisamente instabile sulle sue stesse gambe.

Quando la canzone finì, fu come risvegliarsi dopo un lungo, inverosimile sogno.

Nell'aria intorno a loro sembrava aleggiare ancora l'ultima nota suonata da Camila, come se si rifiutasse di svanire nel nulla.

La mora si alzò dal pianoforte, sentendosi imbarazzata, come se fosse nuda di fronte ad una platea colma di persone.

'Sai, se non dici nulla potrei iniziare a pensare di aver fatto schifo.' Disse infine, rompendo il silenzio che si era formato.

'No, tutt'altro.' Fu ciò che invece disse Lauren, spiazzando l'altra, che non si era aspettata una risposta tanto seria. 'Eri perfetta.' Continuò poi, caricando l'aggettivo con un tono pieno di ammirazione.

'Grazie.' Sussurrò Camila, come se la voce le fosse venuta meno.

'E la canzone, e le parole che aveva..  - indugiò un secondo, prima di trovate il coraggio necessario per continuare. - non era una scelta casuale, vero?'

Camila si sentì come se qualcuno avesse rubato il suo diario segreto e lo stesse leggendo davanti all'intera città.

'No.' Rispose infine, abbassando lo sguardo.

'Voglio che tu sappia che non sono una donzella che ha bisogno di essere salvata dal principe azzurro, - iniziò, addolcendo poi il tono della sua voce quando si accorse di essere stata troppo dura. - ma apprezzo tutto ciò che hai fatto e fai per me.'

Finì, regalandole un timido sorriso.

Camila non riuscì a trattenersi più a lungo, e la abbracciò. No, non fu semplicemente questo, si era letteralmente tuffata tra le braccia dell'altra, cogliendola impreparata.

'Non provarci nemmeno ad allontanarti.' L'ammonì, sussurando le parole dritte nell'orecchio dell'altra, causandole decine di brividi.

Non che ne avessi l'intezione, pensò Lauren, ma decise di tenerlo per sè. 

Dopo essersi allontanate, entrambe rosse in faccia, Camila proseguì facendo vedere a Lauren la sala davanti la quale erano passate in precedenza.
Passarono il pomeriggio lì, poi, una volta essersi accorte che fuori era diventato buio, uscirono e tornarono a casa di Camila per prendere la borsa di Lauren.

Mentre Camila era in cucina a raccontare alla madre dove erano state, Alejandro si accorse della presenza di Lauren, e dopo essersi assicurato che non ci fosse la figlia nelle vicinanze, si fermò a parlarle.

'Sai, non volevo dirlo a pranzo per non mettere in imbarazzo mia figlia -esordì, cogliendo di sorpresa Lauren. -ma sono contento che abbia trovato un'amica, e mi fa ancora più piacere che quell'amica sia tu.'

La ragazza sentì una fitta al cuore, la stessa che aveva provato qualche ora prima di fronte a quel quadretto familiare; ma sorrise e rassicurò l'uomo.

'Si fidi quando le dico che sono io ad essere felice per aver trovato Camila.'

Sentì la sua stessa voce pronunciare quelle parole come se non le appartenesse; aveva parlato senza pensare. 

Si disse che era certamente un errore, che si stava legando troppo e che niente di buono sarebbe potuto scaturire da tutto ciò; ma non le importava.

Perchè Camila, tornata per salutarla, le stava sorridendo; e quel sorriso era una silenziosa promessa; la solida base sulla quale aveva deciso di ricostruire, pezzo dopo pezzo, la vita che fino a quel momento le era parsa inutile.

Era il caldo fuoco che scioglieva le pareti di ghiaccio con cui si era circondata, e valeva la pena correre il rischio di bruciarsi.








Bene.
Ce l'ho fatta!
Vi avevo promesso il capitolo prima di natale e ve lo lascio qui la vigilia, un pò come babbo natale.
Che dire, spero che vi piaccia questo 'regalo'. 
So che sono imperdonabile, ma ho passato mesi piuttosto difficili per motivi personali.
Questo capitolo lo leggete dopo che è stato modificato qualcosa come venti volte; perchè per mesi l'ho scritto e cancellato di continuo. Si può dire che ho avuto una sorta di 'blocco dello scrittore', anche se ovviamente non posso essere definita tale, perchè ogni cosa che scrivevo finiva per farmi così tanto schifo che ho smesso.
Per fortuna (o dovrei dire sfortuna) pare che stia passando, e nonostante non sia ancora del tutto sicura di questo capitolo la storia va continuata.
Spero vivamente di postare presto, ma non vi assicuro niente per evitare di deludervi ancora una volta.
Mando un grandissimo abbraccio a tutti voi che continuate a leggere questa storia, non potete immaginare quanto mi renda felice ogni singola recensione, ogni messaggio su twitter o su facebook. So che vi ringrazio ogni volta, ma un semplice 'grazie' non è mai abbastanza.
Evitando di tediarvi ulteriormente, se avete letto fin qui, auguro a tutti voi un buon natale e un buon capodanno. love y'all, 
Laura ♥

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordici. ***


CAPITOLO QUATTORDICI:


"Non mi hai ancora detto come e quando hai imparato a guidare." Esordì Camila un venerdì sera, sdraiata con Lauren sul suo divano. 

Avevano preso l'abitudine di passere insieme tutti i venerdì pomeriggio, e spesso Lauren rimaneva a dormire da Camila.

Quando succedeva, la minore doveva sempre contenersi e controllarsi, tenendo a freno tutti i sentimenti che la vicinanza prolungata dell'altra le provocava.

"Non è una bella storia, fidati." Rispose Lauren, distogliendo lo sguardo dal film che stavano guardando.

"Dai, sono curiosa!"

Dopo diverse suppliche e occhi dolci, Lauren si lasciò convincere dall'altra, raccontandole di malavoglia di come aveva ricattato un ragazzo dell'ultimo anno per farsi
insegnare a guidare.

"Certo, mi è costato l'espulsione, ma ne è valsa la pena. Saper guidare, a volte, si dimostra piuttosto utile." Osservò Lauren, omettendo il fatto che aveva tanto insistito per imparare a guidare perché pensava di poter scappare. Era ancora in grado di sognare e immaginarsi lontana, al sicuro. 

"Ma legalmente non potresti, non hai la licenza!" Disse Camila, stupita da ciò che la ragazza le aveva appena raccontato.

"Ti ho detto di essere in grado di guidare, non di essere autorizzata a farlo."
Camila la osservò scuotendo la testa, chiedendosi quante altre cose doveva ancora scoprire di Lauren.

"Ti avevo detto che non era un granché come storia." Si giustificò la mora, spostando nuovamente l'attenzione verso il televisore.

Camila, invece, approfittò del momento di distrazione dell'altra per osservarla.

Si perse nell'incavo del suo collo, nelle labbra carnose e negli occhi dal colore indefinito; percorse con lo sguardo i capelli, leggermente mossi, e provò il forte desiderio di infilarvi le dita..

Camila strinse le mani in grembo, cercando di riscuotersi da quelle inutili fantasie.

Più volte, in quelle settimane, si era ritrovata sul punto di rivelare i suoi sentimenti all'altra.

'Forse è ciò che prova anche lei, ma ha troppa paura di dirlo', diceva una voce nella sua testa, colma di speranza.

'È impossibile, con tutti i problemi che ha tu sei solo l'ultimo dei suoi pensieri." Ribatteva una seconda voce, quella delle sue paure e delle sue insicurezze.
'Potresti aiutarla.'
'Ma sei una ragazza.'


Quella battaglia sembrava non avere fine, e Camila si chiedeva se sarebbe stata costretta a fingere per sempre.

C'erano momenti in cui cercava di convincersi che l'amicizia dell'altra le bastava, che in un abbraccio o in un sorriso trovava tutto ciò di cui aveva bisogno e che non avrebbe potuto chiedere nulla di più.

Poi però vedeva Lauren, si perdeva nei suoi occhi azzurri (o verdi, o forse grigi) e ogni ragione sembrava perdere importanza.

Qualsiasi dubbio impallidiva davanti alla bellezza dell'altra, e lasciava Camila sicura di una sola cosa: i sentimenti che provava per Lauren erano reali e inevitabili. 

Così si era ritrovata bloccata in una sorta di limbo, nel suo anti-inferno personale.

"Vado a cambiarmi." annunciò Lauren alla fine del film, alzandosi e dirigendosi verso il bagno.

Camila la seguì con lo sguardo finché non si chiuse la porta alle sue spalle.

Sbuffò, coprendosi il volto con un cuscino.

'Perché doveva essere tutto così complicato?' 

-

Camila fu svegliata da un improvviso grido che lacerò il silenzio della notte.

Si mise immediatamente a sedere, voltandosi poi verso la fonte di quel suono da far venire i brividi. 

"Lauren!" Esclamò, alzandosi e correndo al letto dell'altra, mettendole le mani sulle spalle.

"Lasciami!" Gridò ancora questa, cercando di allontanare le mani dell'altra. "Lasciami." supplicò ancora, e Camila si accorse che aveva le guance rigate di lacrime.

"Lauren, sono io, sono Camila." Tentò, mascherando l'agitazione che provava con un tono calmo e rassicurante. "Va tutto bene, calmati."

La mora scattò a sedere, sudata e ansimante.

Se non fosse stato per la situazione in cui si trovava, probabilmente Camila l'avrebbe trovata incredibilmente attraente.

'Stavi sognando.' Disse ancora Camila, cercando di rassicurare l'altra.

'Scusa.' Sussurrò questa, continuando a guardarsi attorno come sesi aspettasse di vedere un fantasma da un momento all'altro.

'Vuoi parlarne?' Chiese Camila, sedendosi vicino all'altra, che però si spostò.

'No.' Rispose solo, schivando il suo sguardo.

Che stava succedendo?

'Vado un attimo in bagno, torno subito.' Disse poi la maggiore, uscendo di fretta dalla stanza.

Una volta entrata in bagno si guardò allo specchio, s
ciacquandosi la faccia con acqua fresca. Aveva i capelli disordinati e sul volto un'espressione sconvolta.

Aveva sognato uno dei suoi ricordi peggiori, quello che l'accompagnava da anni e anni: la notte in cui era morta sua madre.

Prese un respiro profondo, appogiandosi con le mani sul lavello, come a trarne sostegno. 

Non se la sentiva proprio di affrontare l'argomento con Camila.

Tornò in camera sentendo su di lei il peso dello sguardo preoccupato dell'altra.

'Non farci caso, era solo un incubo.' Disse, evitando accuratamente i suoi occhi.

Camila decise di non essere insistente, per paura di dar fastidio all'altra. 

'Riesci a dormire?' Chiese dopo un pò, sdraiata su un fianco, mentre osservava la figura dell'altra di fronte a lei.

'Non proprio.' Rispose Lauren, voltandosi a sua volta verso la minore.

'Neanche io..' 

'Mi dispiace averti svegliato.' Sussurrò, sentendosi in colpa.

'Non importa.' tanto sei quasi sempre nei miei pensieri, quando mi sveglio. aggiunse mentalmente.

Il silenziò sembro avvolgerle definitivamente, ma i loro sguardi rimasero intrecciati finchè Lauren, leggermente arrossita, non distolse lo sguardo.

Si voltò dall'altro lato, chiedendosi perchè quello scambio di sguardi le era sembrato tanto diverso, così intimo da farla sentire in imbarazzo.

Decise di non pensarci, e chiuse gli occhi, sperando di poter fare qualche altra ora di sonno.


-

Camila si svegliò, stiracchiandosi sul letto come un felino, e notò subito le lenzuola vuote nel letto vicino al suo.

Si alzò e andò in cucina, dove trovò solo sua madre. 

'Alla buon'ora!' Le disse questa, indicando l'orologio appeso alla parete: erano le dieci.

'Dov'è Lauren?' Chiese subito la figlia, non avendola trovata con lei al suo risveglio.

'E' uscita un'ora fa, ha detto che aveva un impegno e non poteva rimanere.' Rispose la donna, alzandosi poi per prepare la colazione a sua figlia.


'Oh, okay.' Rispose Camila, sedendosi intorno al tavolo, cercando di non prendersela perchè l'altra era andata via senza nemmeno salutarla.

-

'Ehi, dove sei? Pensavo potessi rimanere di più, stamattina.' 
16:27.


'Patetica', si disse Camila, mentre inviava il messaggio a Lauren, dopo aver passato l'intera giornata a pensare a lei, chiedendosi dove potesse essere e con chi. 

Aveva anche cercato di distrarsi, ma si era rivelato inutile: ogni canzone che aveva suonato o cantato sembrava essere diretta a Lauren, ogni film e ogni libro le raccontava di storie d'amore e di emozioni che lei riusciva a vedere solo in quel paio di occhi dal colore indescrivibile-

Alla fine si era decisa a chiederle qualcosa, dopo tutto era comunque un comportamento da amica, no?

'Non se suoni come una fidanzata gelosa', pensò nuovamente.

Dopo qualche minuto sentì il suo telefono vibrare, e lo raccolse da terra con più fretta del normale.

'Sono al parco.'
Lauren, 16:34.


Camila rimase immobile qualche secondo, indecisa sul da fare: doveva forse interpretarlo come un invito a raggiungerla?

Prima che potesse davvero pensarci, si ritrovò fuori dalla porta, i piedi che la conducevano quasi involontariamente verso l'oggetto dei suoi pensieri.

Entrò nel parco e la vide subito, seduta su una delle due altalene; si dondolava piano avanti e indietro, gli occhi puntati sulle scarpe senza guardarle davvero. Camila si era ritrovata più volte a desiderare di poter leggere i pensieri dell'altra, per poterla davvero capire.

'Che ci fai qui?' Le chiese, sedendosi vicino a lei nell'altalena decisamente troppo bassa per la sua altezza.

La mora sussultò, non essendosi ancora accorta della sua presenza. 

'Nulla.'

'Stamattina pensavo di trovarti a casa..'
Iniziò, temendo di suonare delusa e curiosa come in realtà era. 'Non mi avevi detto che saresti uscita così presto.'

'Non pensavo fosse importante.' Fu tutto ciò che disse Lauren, scalciando senza forza un sasso.

'Eri a casa mia, potevi almeno salutarmi.' continuò la minore, incapace di contenersi. 

'Sei arrabbiata?' le chiese allora l'altra, voltandosi finalmente a guardarla.

'No.' Rispose quella prontamente, sentendosi all'improvviso imbarazzata.

'In ogni caso, non avresti motivo per esserlo.' Continuò la maggiore, alzando un sopracciglio.

Qualcosa dentro Camila scattò, come una molla, e lei si ritrovò a parlare prima che potesse realmente decidere di farlo.

'Non vuoi almeno dirmi dove sei stata?' Chiese allora, sorprendendosi nel sentire la sua stessa voce così tagliente. 

'Non sono tenuta a farlo.' Iniziò Lauren, usando a sua volta un tono più duro. 'E comunque non capisco perché ti importi così tanto.'

'Forse perché sei andata via senza dirmi nulla, e non è stato molto carino da parte tua.' Temendo di scatenare nell'altra una reazione brusca, addolcì il tono della sua voce, prima di continuare. 'Potresti almeno dirmi perché sei andata via così presto.'

Lauren sembrò pensarci su, prima di rispondere.


'Ero con una vecchia conoscenza.' Disse solo, come se volesse nasconderle i dettagli.

'Oh.', fu tutto ciò che disse Camila. Dentro la sua testa, centinai di domande: con chi si era vista Lauren?

Le aveva detto di non aver mai avuto dei veri e propri amici, le aveva forse mentito?

Si sentì improvvisamente molto stupida, e le venne voglia di piangere. 

'Soddisfatta adesso?' Le chiese allora la maggiore, non senza un tono di derisione nella voce.

Camila la guardò, e Lauren si accorse subito di aver commesso un errore.
Ma, prima che potesse cercare di rimediare, quella iniziò a parlare, la voce meno sicura di quanto lo era stata fino a quel momento. 

'Non c'é bisogno che tu ti comporti così.. così male con me!' Esordì, lasciando trasparire tutta la delusione che provava in quel momento. 
'Pensavo che avessimo superato questi problemi, ma evidentemente mi ero solo illusa.'

'Ma che stai dicendo?' Le chiese la maggiore, ma neanche questa frase uscì fuori come l'aveva pensata, rovinando ulteriormente la situazione.

'Sto dicendo, -iniziò l'altra, nello sguardo una traccia di rabbia, oltre che di tristezza.- che non so più cosa pensare, di te. Mi dici di non aver mai avuto amici, e poi te ne vai senza dire nulla per incontrare qualcun altro. Cosa dovrei pensare?'

Si rendeva conto di star esagerando, e di star facendo una vera e propria scenata di gelosia, ma non riusciva a fermarsi.

Le parole fuggivano dalle sue labbra come se il filtro tra il cervello e la bocca si fosse improvvisamente guastato.

'Che forse non sono affari tuoi?' Rispose allora Lauren, alzandosi in piedi e alzando il volume della voce. 'Perché ti importa così tanto?' Chiese ancora, sempre più confusa dal comportamento dell'altra. 

'Possibile che non l'hai ancora capito?' Domandò Camila, alzandosi a sua volta e fronteggiando l'altra. 

Il cuore iniziò a battere ancora più velocemente, quando si ritrovarono a poca distanza l'una dall'altra.

'Che cosa dovrei capire?' Chiese con tono stanco e confuso Lauren, allargando le braccia.

Camila prese un respiro, come per prepararsi ad una lunga apnea.

Ci era arrivata, al fatidico punto di non ritorno, e una volta passato, non ci sarebbero più state possibilità di tornare indietro.

Ma forse non le importava più, o forse le labbra dell'altra erano troppo vicine alle sue per poter pensare lucidamente. 

I suoi occhi la scrutavano attentamente, in cerca di risposte, e Camila avrebbe potuto giurare che riuscissero a leggerla dentro, voltando senza fatica le pagine della sua anima. 

'Che non sei mia amica.'

Prima che il dolore potesse riempire del tutto gli occhi dell'altra, si affrettò a continuare.

'Perché quando ti sono vicina mi sento come se il centro di gravità terrestre cambiasse, spingendomi verso di te. Quando mi sfiori mi vengono i brividi. 
Pensavo di volerti aiutare perché immaginavo ci fosse altro dietro la maschera di ghiaccio che indossavi, ma poi tutte quelle mura che ci dividevano sono crollate, e mi sono ritrovata immersa in qualcosa di molto più grande di ciò che pensavo.' 


Si interruppe qualche secondo, ma Lauren non si mosse nemmeno, attendendo che continuasse.

'Mi sono ritrovata a pensare costantemente a te, a preoccuparmi che tu stessi bene e che non ti succedesse niente di brutto. Mi trattavi male, scappavi e mi evitavi e io non potevo far altro che correrti dietro, aumentare il passo finché non ti raggiungevo. 
E poi mi sedevo vicino a te, ignoravo le tue proteste e iniziavo a mettere insieme i cocci in cui sembravi essere rotta; e non m'importava se fossero taglienti, ero consapevole del rischio che correvo.

E mi sono tagliata, più volte di quanto credessi possibile, ma non mi è mai importato troppo. '



'Poi ho iniziato a sognarti, e mi sono domandata per la prima volta se fosse normale. Ho iniziato a sentire il bisogno di starti vicina il più possibile, e non era più un atto di generosità. Desideravo starti vicina perché quando lo facevo mi sentivo, inspiegabilmente, bene. Ci siamo conosciute meglio, pian piano, ed ero sempre più felice. Bastava che mi sorridessi per illuminarmi la giornata.'

Sorrise senza nemmeno accorgersene, troppo immersa nei suoi ricordi.

'E me ne sarei dovuta accorgere, davvero. Avrei dovuto capirlo, e solo ora mi chiedo come abbia fatto ad essere così stupida. Ma poi l'ho capito, e quando l'ho fatto, la verità mi ha colpito come uno schiaffo. E allora ho cercato di fare un passo indietro, spaventata, ma ormai era troppo tardi.'

Lauren sembrò sul punto di dire qualcosa, ma Camila non glielo permise.

Usando anche l'ultima briciola di coraggio che aveva in corpo, annullò la distanza che le separava, sfiorando le labbra dell'altra con le sue.

Milioni di brividi percorsero entrambe, mentre Camila affondava le lunghe dita da pianista nei capelli di Lauren, attirandola con gentilezza più vicino a lei.

Lauren rimase immobile per qualche secondo, troppo sorpresa per capire davvero cosa stesse succedendo, ma poi qualcosa sembrò svegliarsi, dentro di lei, e si ritrovò a circondare con le braccia il corpo esile dell'altra. 

Rimasero così, strette l'una all'altra, i corpi più vicini di quanto non lo fossero mai stati, ma allo stesso tempo non ancora abbastanza da soddisfare i loro desideri.

Quando Camila si allontanò, allentando la presa e facendo un passo indietro, aveva il respiro corto come se avesse appena corso.
Lauren la osservava con uno sguardo difficile da decifrare, le pupille dilatate e i capelli leggermente disordinati.

Avrebbe voluto dire svariate cose, e ancora di più sentiva il desiderio di avvicinare l'altra e porre nuovamente a contatto le loro labbra, ma ciò che riuscì a dire era decisamente la cosa sbagliata.

'Ma-ma sei una ragazza.' Aveva sussurrato, più rivolta a sé stessa che all'altra.

Camila si sentì come se le fossero passati sopra con un camion.

'Si, e anche io ero sconvolta all'inizio, ma-' Iniziò, timorosa che l'altra potesse ritenerla in qualche modo sbagliata.

'Ma io non-non ho mai pensato e.. non so se posso farlo-non sono la persona giusta per' Le frasi si accavallavano l'una su l'altra, cercando di rincorrere i pensieri che si affollavano nella sua mente.

'È normale essere spaventati.'Le disse allora Camila, avvicinandosi di un passo. 'Ma posso aiutarti.'

Lauren fece un passo indietro, ma se ne pentì subito vedendo la tristezza sul volto dell'altra. 

'Era un rischio che ero disposta a correre.' Iniziò questa, abbassando lo sguardo e allontanandosi a sua volta.
'Mi dispiace.' 

Lauren la fermò per un polso, impedendole di allontanarsi ancora di più. 'No, aspetta. Non intendevo questo.'

'E cosa allora?' Le chiese, cercando di ignorare la morsa allo stomaco che le rendeva quasi impossibile respirare. 

Una parte di Lauren desiderò baciarla, ma il timore e la confusione del momento ebbero la meglio; così la prese per mano, usando tutto il coraggio di cui disponeva per guardarla dritto negli occhi. 

E per Camila fu abbastanza.

-
Camminavano fianco a fianco, senza guardarsi, le mani intrecciate l'una nell'altra. 

Non si erano dette più molto, dopo essere uscite dal parco, giusto qualcosa su dove andare e cosa fare. 

'Andiamo in spiaggia?' Le aveva chiesto allora Camila, ricordando la loro conversazione di qualche giorno prima. 

Lauren aveva accettato, a patto che ci arrivassero però con i mezzi pubblici, e non con la macchina del padre. 

Dopo venti minuti di viaggio, tra camminata e tratto in autobus, arrivarono a destinazione.

Durante il tragitto si erano limitate a rimanere con le mani intrecciate, Lauren che a volte giocava con le dita dell'altra, girandole tra le proprie e lasciandovi lievi carezze.

Di tanto in tanto si erano ritrovate a guardarsi e sorridersi, non senza un po' di imbarazzo, mentre il desiderio di baciarsi ancora ardeva forte in entrambe.

'Adoro il mare.' Le aveva detto dopo un po' Lauren, allontanando per la prima volta lo sguardo dalla mora e puntandolo sull'enorme massa d'acqua che aveva di fronte.

Fu Camila, ancora una volta, a spezzare il ghiaccio e baciarla, mettendo una mano sulla guancia dell'altra e avvicinandosi lentamente, come se volesse dare a Lauren la
possibilità di allontanarsi.

Ma Lauren non aveva alcuna intenzione di farlo, e ricambiò il bacio dell'altra trasformandolo da delicato e dolce in appasionato e desideroso.

'Wow.' Fu tutto ciò che disse Camila quando, in cerca di ossigeno, si allontanò dalla mora.

Lauren rise, ma l'altra notò benissimo il rossore sulle sue guance.

'E'.. strano.' Commentò dopo un pò Camila, sdraiata sulla sabbia con le mani dietro la testa. 'In senso buono, ma strano.' Aggiunse poi, voltandosi ad osservare l'altra, sdraiata al suo fianco.

Aveva il volto alzato verso il cielo, e Camila non era in grado di capire se fosse l'arcata azzurra sopra di loro a riflettersi nei suoi occhi, o se fosse il contrario. In ogni caso, la loro bellezza era equa.

'In che senso?' Le chiese questa, voltandosi a sua volta a guardarla e causandole così un colpo al cuore. Si doveva decisamente abituare.

'Sarà che abbiamo passato così tanto tempo tra problemi e fraintendimenti che tutta questa pace non sembra normale.' Riflettè la minore, aggiungendo poi con un sorriso:

'Ma ovviamente è un'anormalità più che gradita.'

'Sai, sarebbe stato tutto più facile se mi avessi lasciato baciarti mesi fa, quando ci siamo conosiute.'
Disse Lauren, ricordando all'improvviso quel dettaglio.

'Me ne ero dimenticata!' Esordì Camila, ricordando quel giorno come se fosse accaduto anni prima, e non solo qualche mese fa. 'Ecco, adesso te lo posso chiedere. Mi spieghi cosa diamine ti passava per la testa quel giorno?' Le chiese poi, incapace di frenare la sua curiosità.

'Non era un gran bel giorno, questo me lo ricordo bene.' Iniziò, con un tono di voce più serio di quello che si era aspettata l'altra. 'E se da un lato mi innervosivi, con quell'aria da 'so tutto io', dall'altro ho pensato che fossi bella, così ho deciso di darti fastidio e allo stesso tempo approfittarne un pò.' Concluse, indugiando nel pronunciare
la parola 'bella', come se non fosse del tutto sicura di poterla pronunciare ad alta voce.

Camila rimase un pò interdetta, ma poi si disse che era pur sempre Lauren la ragazza con cui stava parlando. 

'Questo decisamente non me lo aspettavo. -iniziò, aprendosi poi in un sorriso. - ma penso che lo prenderò come un complimento.'

Rimasero in spiaggia ancora del tempo, ognuna concentrata sui propri interrogativi, senza trovare però il coraggio di porli ad alta voce.

'Quindi adesso stiamo insieme?'

'Davvero mi piacciono le ragazze?'

'E se glielo chiedessi?'


Quando il cielo iniziò ad imbrunire, decisero di avviarsi verso casa. Presero l'autobus e percorsero a piedi il tratto fino a casa di Camila.

'Devi farti tutta quella strada da sola adesso?' Le chiese quando, ferme davanti al vialetto di casa sua, si erano ritrovate in un silenzio imbarazzato.

'Si, ma non è un problema.' La rassicurò Lauren, evitando il suo sguardo.

'Okay, allora.. ci sentiamo dopo, se vuoi.' Disse, maledicendosi per essere così impacciata ed insicura. 

'Mandami un messaggio quando arrivi.', avrebbe potuto dirle, evitando così di rimanere tutta la serata vicino al telefono in attesa di un messaggio che, probabilmente, non sarebbe arrivato.

L'altra annuì, e sembrò sul punto di voltarsi e andare via, ma poi si fermò, come ricordandosi in quel momento che mancava ancora qualcosa.

Camila decise di metter fine a quel momento pieno di imbarazzo, e annullò in un secondo la distanza tra loro.

Le cinse la vita con le braccia, mentre le dava un bacio più passionale dei precedenti. Lauren sembrò gradire la cosa, ricambiando il bacio con ancora più foga.

Rimasero così, aggrappate l'una all'altra, incapaci di lasciarsi andare se non per mancanza di ossigeno.

Quando si allontanarono, Lauren la tenne strette in un abbraccio, guardandola come a volerle dire 'non lasciarmi'.

Camila capì la sua richiesta silenziosa, e lasciò un altro, veloce bacio sulle labbra dell'altra.

'Ci vediamo domani.' Le disse, questa volta senza nemmeno una traccia di insicurezza nella voce. 'E vedi di scrivermi ogni tanto, o potrei pensare che non mi pensi mai!' Scherzò, per poi stringere in un abbraccio l'altra.
 
'Buonanotte.' Le sussurrò all'orecchio, e non vide il modo in cui il volto di Lauren si aprì in un sorriso, mentre il suono di quella voce leggermente roca le provocava centinaia di brividi.

E quel 'ci vediamo domani', in qualche modo, le era sembrata la più bella delle promesse.

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Buon anno a tutti!
Ebbene si, sono riuscita a pubblicare due capitoli di due storie nella stessa settimana, un applauso a me! 
Non so se riuscirò a tenere questo ritmo ogni settimana, soprattuto le prime di gennaio, ma almeno una storia la aggiornerò ogni settimana.
Ne ho anche un'altra di cui sono pronti i primi quattro capitoli, ma non sono sicura se pubblicarla o meno..  ma questo non c'entra nulla adesso ahahah
Finalmente, finalmente si sono baciate! 
In realtà sarebbe dovuto succedere nel quindicesimo capitolo, ma ho deciso di anticipare di poco la cosa.
Spero che la scena abbia soddisfato le vostre aspettative, e spero che commentiate in tanti per sapere cosa ne pensate.. 
Vi mando un bacio, a presto ♥
Laura.
 

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Capitolo 16
*** Capitolo quindici. ***


Capitolo quindici:

Lauren si svegliò con una strana sensazione addosso, un po' come quando, da piccola, ti addormenti in una stanza e ti risvegli in un'altra senza sapere come ci sei arrivata. 

Dovette aprire e chiudere gli occhi più volte, abituandosi alla forte luce che entrava dalle serrande non del tutto chiuse, prima di uscire completamente dallo stato di confusione e intorpidimento che si ha appena svegli. 

Dopo qualche secondo, i ricordi del giorno precedente la investirono con l'intensità di una tempesta estiva, veloce e straordinariamente potente.
 
Ripensò a ciò che la mora le aveva detto; a quel primo, timido bacio e a quelli meno delicati che erano seguiti.
Sentì improvvisamente caldo, e si alzò dal letto, levandosi di dosso i pesanti piumoni. 

Prese il telefono e vide con sollievo che non vi erano messaggi non letti: aveva temuto che Camila potesse diventare appiccicosa e pretendente, come fin troppe persone sono quando si inizia una relazione. 

Il solo pensare quella parola, unendo così lei e Camila in un vincolo di pluralità, le diede i brividi.
Era vero.
Non se l'era sognato, stava succedendo davvero.

Camila le aveva rivelato di provare qualcosa di più forte che semplice amicizia per lei, l'aveva scelta, con il suo passato e con i suoi difetti. 

Lauren non si era mai sentita pronta per una relazione, non ci aveva mai nemmeno pensato davvero.

Si era sempre detta che non aveva modo né voglia di immischiarsi in quelle stupide vicende da film smielato, che aveva già abbastanza problemi per conto suo senza doverne  aggiungere altri.

Si chiese se non fosse perchè, semplicemente, non aveva ancora incontrato la fatidica 'persona giusta'.
Non aveva ancora incontrato Camila, per intenderci. 

Ma era davvero la cosa giusta da fare?

Sapeva di essere una sorta di treno in corsa su binari corrosi e rovinati dal tempo, sul punto di deragliare, e non c'era modo per cui ciò potesse essere positivo per Camila.

Le avrebbe fatto del male, o forse l'altra si sarebbe semplicemente stancata di lei. 

E poi, che senso aveva 'stare insieme' se entrambe sapevano che, ad un certo punto, sarebbe inevitabilmente finita?

Decine e decine di interrogativi vorticavano nella sua mente, finché non decise di farsi una doccia fredda per calmarsi un po'.
Il getto d'acqua riuscì a liberarle, almeno momentaneamente, la testa, facendola sentire meno ansiosa e negativa. 

Mentre si asciugava i capelli con un asciugamano, pensò che forse erano altre le domande che si doveva porre. 

Possibile che non si fosse mai accorta di essere attratta dalle ragazze? 
Aveva baciato diversi ragazzi prima, e per nessuno di loro aveva mai provato qualcosa, ma lo aveva attribuito al semplice fatto che ci era stata per ottenere qualcosa, mai per sentimenti o semplice voglia. 

Quando Camila l'aveva baciata, invece, era stato l'esatto contrario.

Si era sentita come mai prima d'ora, come se ogni parte del suo corpo stesse, lentamente, prendendo fuoco, a partire dalle sue labbra. 

Ma non era doloroso, tutt'altro: continuava a ripensare al modo in cui l'aveva stretta a sé e a quello con cui l'aveva salutata, dandole la buonanotte migliore che avesse mai ricevuto. 

Fece colazione prendendo qualche cereale direttamente dalla scatola, poi tornò in camera sua e si mise davanti ad una vecchia tela abbandonata settimane prima. 

Era ancora vuota, se non per qualche traccia di matita; una preparazione per un disegno mai realizzato.

Frugò nel cassetto vicino al letto finché non ne cacciò un vecchio set di tempere, poi prese dalla scrivania il suo pennello preferito.
Rimase ore a disegnare, ma le parvero solo una manciata di minuti; come sempre, quando dipingeva, il tempo sembrava perdere importanza.

Era l'unica forma di espressione e sfogo che si era sempre concessa, fin da quando era piccola.

Aveva ereditato da sua madre la passione per l'arte, e continuare a praticarla le sembrava un modo per tenere con sé un pezzo indelebile della donna. Nessuno le avrebbe mai portato via ciò che l'arte era capace di darle, questa era una delle poche certezze che Lauren aveva sempre avuto.

Si allontanò dalla tela, osservando così ciò che aveva dipinto: il tessuto color panna era adesso percorso da linee precise e da altre più sfumate che si intrecciavano tra loro, formando l'immagine di due mani che si stringevano. Sembrava che una stesse mantenendo l'altra, come a reggerla per salvare la persona a cui apparteneva dalla voragine sottostante.

Lauren aveva sempre avuto una passione per lo studio delle mani, ma solitamente disegnava mani che si cercavano, in un disperato tentativo di stringersi. Vicine, ma mai abbastanza.

Osservando il disegno, pensò al modo in cui Camila le teneva la mano, e trovò subito un'incredibile somiglianza.

Mise il pennello e le tempere nel cassetto, poi nascose la tela nella fessura tra l'armadio e la parete, per evitare che il padre la vedesse. 

La sua camera, d'altronde, era piena di tele e fogli nascosti; quei disegni rivelavano troppo di lei, e non avrebbe mai lasciato che il padre vedesse qualcosa di tanto importante e rivelatore.


Prese il telefono e mandò un messaggio a Camila chiedendole cosa volesse fare quel giorno, poi si sdraiò sul letto, sollevando le braccia dietro la testa.

Nel farlo, notò una grande cicatrice sul braccio destro, e rabbrividì al pensiero di come se lo era procurato.
Con terrore, pensò a cosa avrebbe potuto dire suo padre se avesse scoperto che usciva con una ragazza.

Poi si accorse che, in realtà, nemmeno lei era molto sicura su cosa pensare di quella situazione.

Aveva sempre saputo di essere diversa, ma mai lo aveva attribuito a quel motivo.
Una morsa le strinse lo stomaco, mentre i ricordi del giorno prima tornavano a farle compagnia.

Era come essere nel bel mezzo di un tiro alla fune, per ogni passo fatto in una direzione, ne seguiva immediatamente un'altro in quella opposta. 

E Lauren non sapeva ancora quale delle due 'squadre' tifare.

Era forse meglio andare sul sicuro e allontanare Camila definitivamente, o rischiare e continuare quel nuovo rapporto? 

Prima che potesse darsi una risposta, le arrivò la notifica di un nuovo messaggio: Camila le aveva risposto.

'Ti aspetto alle 3 davanti alla fermata dove ci incontriamo la mattina, se hai problemi chiamami.'

Sbuffò, rimettendo il telefono sul comodino, sapendo che, alla fine, sarebbe comunque andata ad incontrare l'altra. 
Anche se era spaventata, anzi, terrorizzata al pensiero di ciò che le aspettava. 

Il futuro, per lei, era sempre stato un grande buco nero, un enorme burrone che, più passava il tempo, più sembrava avvicinarsi. 
E adesso, dopo tutti gli eventi di quei mesi, le sembrava di aver iniziato a correre sempre più velocemente verso quella triste meta.

Uscì dalla stanza e, dopo essersi accertata di essere sola in casa, entrò in cucina. Si preparo un panino e pranzò così, sola, in compagnia dei suoi pensieri e delle sue preoccupazioni.

Accese la vecchia tv che c'era in salotto, e dopo diversi tentativi riuscì a farla funzionare.

Non vide davvero il programma che andava in onda, ovvero uno piuttosto scadente di cucina, ma almeno faceva qualcosa.

Il tempo sembrava essersi improvvisamente congelato, le lancette dell'orologio che scandivano i secondi lente e pesanti.

Lauren non sapeva dire se fosse più ansiosa o contenta di star per vedere quella che ora -pensò con un brivido - era la sua ragazza. 
Alle due e venti uscì di casa, sentendosi quasi soffocata da quelle pareti bianche. 

Aveva bisogno di un po' d'aria fresca - si disse- e aveva preferito uscire con un largo anticipo.

Quindici minuti prima dell'ora stabilita, Lauren era seduta sulla panchina della fermata, i gomiti poggiati sulle ginocchia, intenta ad osservare, senza interesse, le sue scarpe.

'Ehi.'

Nemmeno si accorse dell'altra, finché questa non le si parò davanti, un sorriso timido sul volto e gli occhi pieni di luce. 

'Ehi.' Rispose, mentre Camila le si sedeva accanto.

'Da quanto sei qui?' Le chiese la minore, avendo notato la puntualità dell'altra.

'Oh, meno di cinque minuti.' Mentì Lauren, alzando le spalle.

Non voleva certo dare l'impressione di essere agitata per quell'appuntamento.

'Che vogliamo fare oggi?' Chiese Camila, dondolando le gambe avanti e indietro, evidentemente di buon umore.

'Non lo so.' Rispose Lauren, evitando il suo sguardo. Iniziava a sentirsi oppressa, come se ci fosse un pesante macigno sul suo petto, e questo la spaventava.

L'ultima volta che era successo aveva avuto un attacco di panico, e non poteva permettersi di crollare proprio lì.
Non davanti a Camila, non di nuovo.

La mora fece finta di non essersi accorta del velo di tristezza che copriva gli occhi dell'altra, e le disse che aveva in mente qualcosa.
Iniziarono a camminare, ma Lauren sembrava quasi voler mantenere le distanze.

Camila riempiva il vuoto dei suoi silenzi con racconti su ciò che aveva fatto quella mattina -entrando nei dettagli su un libro di cui l'altra non aveva mai sentito parlare- mentre si dirigevano verso la destinazione misteriosa.

Dopo aver camminato per almeno un quarto d'ora, Lauren capì dove stavano andando.
Non pensava che Camila potesse ricordarsi ancora di quel posto.

Prima che potesse dire qualcosa, svoltarono a destra, e si ritrovarono davanti al posto che Lauren aveva immaginato.
La casa abbandonata dove l'aveva portata lei stessa tempo prima, quando avevano saltato insieme scuola.

'Perché siamo qui?' Le chiese subito, forse con troppa veemenza.

'Pensavo che potesse farti piacere.. -Iniziò l'altra, la delusione forte nella sua voce. - e poi non avevo in mente altri posti. La prossima volta puoi scegliere tu se-'

'Non ho detto che non va bene.' La interruppe Lauren, per poi superarla e scavalcare il cancello con un unico, fluido movimento.

Camila la seguì, ma nel farlo un piede le rimase incastrato nella parte superiore dell'inferriata e lei rotolò a terra.

'Sarai anche un genio, ma penso che lo sport non sia il tuo forte.' Rise Lauren, offrendole poi una mano per aiutarla a rialzarsi.

'Tu dici?' Chiese ironicamente la più bassa, seguendola poi all'interno della casa.

Era esattamente come l'ultima volta in cui c'erano state, ma questa volta dalle crepe delle pareti non entrava la luce del sole; il cielo era grigio, coperto da uno spesso strato di nuvole.

Osservando le mura rovinare dal tempo, Camila pensò ad una frase che aveva sempre amato: 'C'è una crepa, c'è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce.' 

In qualche modo, quella frase le ricordava la ragazza che adesso la stava osservando, seduta su una poltrona rossa impolverata. 

'A cosa pensi?' Le chiede questa, notando che l'altra era distratta, persa nei suoi pensieri.

'Mi è venuta in mente una canzone con una frase che adoro..' Iniziò, citandole poi la frase.

Lauren sembrò non apprezzarla, e si voltò a guardare il cielo.

Camila si sedette sul tappeto dall'aria piuttosto antica e osservò lo sguardo dell'altra, perdendosi in quei lineamenti eterei.

'Adoro il cielo quando è così, coperto di nuvole.' Disse Lauren dopo qualche momento, abbassando lo sguardo e cogliendo di sorpresa l'altra che la stava osservando.

'Io preferisco il cielo sereno, ma devo ammettere che quello nuvoloso ha il suo fascino.' Disse Camila mentre distoglieva lo sguardo dalla mora, imbarazzata.

Quest'ultima sbuffò, un ghigno sul volto che fece venire i brividi a Camila.

'Ho detto qualcosa di sbagliato, forse?' Chiese allora, una nota di timore nella voce.

'No, ma non posso fare a meno di pensare a quanto certe persone vogliano sempre avere tutto nel modo perfetto, si illudono di vedere qualcosa di bello anche nelle cose in cui, evidentemente, non c'è bellezza.'
Disse, lasciando uscire tutti i pensieri che la tormentavano da un po'.

'A cosa ti riferisci?' Chiese Camila, confusa.

'La crepa da cui entra la luce, il 'fascino' del cielo, cerchi di vedere del positivo in ogni fottuta cosa!' Continuò, mentre una voce collocata in una piccola, remota parte del suo cervello le diceva di smetterla, stava esagerando.

'È forse un problema?' Chiede allora Camila, alzandosi da terra per non sentirsi del tutto vulnerabile di fronte a quegli occhi penetranti adesso scuri, grigi come le nuvole che le sovrastavano. 

'Si, perché non c'è bellezza in tutto, in alcune persone non c'è niente di positivo, e non puoi farci nulla!' 

Lauren si accorse di aver detto troppo solo dopo, e abbassò lo sguardo, sperando che l'altra non fosse in grado di leggere tra le righe ciò che in realtà pensava.

'Persone?' - Chiese invece l'altra, che aveva capito subito. - 'Lauren, stai parlando di te?'

L'altra non rispose, non sapendo cosa dire; improvvisamente tutte le preoccupazioni e le paure che avevano sede nella sua mente sembrarono stupide, troppo infondate per essere dette ad alta voce.

'Io non cerco il 'positivo' in te, cazzo, perchè devi sempre pensare male?' Chiese, più arrabbiata di quanto l'altra avesse creduto.  'Se voglio stare con te è perchè, in qualche modo, mi rendi felice. Non sei il mio esperimento sociale Lauren, non mi fai pena, non voglio cambiarti. Sto con te perchè ho visto il tuo peggio ed il tuo meglio e, guarda un pò, ho deciso di restare lo stesso.' Concluse, per poi scuotere la testa e guardarsi intorno.

Quando la guardò di nuovo, i suoi occhi erano lucidi. 'Cosa devo fare ancora per dimostrarti come stanno le cose? - Chiese allora, alzando le mani. - Non posso correrti dietro per sempre, se tu non hai intenzione di camminare con me.'

'Non è cosi.' Sussurrò Lauren, rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse stata dura con l'altra. 

'E allora smettila di preoccuparti, io voglio essere una certezza per te, non l'ennesimo punto di domanda.' Affermò Camila, avvicinandosi poi all'altra. 

Questa, incapace di trovare le parole adatte da dire, le si avvicinò a sua volta, per poi circondarla con le braccia e posare, delicatamente, le labbra sulle sue.

La più bassa le affondò le dita nei capelli, attirandola più vicina a sè, bisognosa di sentire la presenza dell'altra. 

Lauren non fu da meno, e ricambiò l'altra con altrettanta passione. 

Si separarono solo quando sentirono dei tuoni distruggere il silenzio che c'era intorno al loro, rumori che sembrarono scoppiare la bolla in cui si erano ritrovate, separate dal resto del mondo.

'Dovrei prenderlo come un si?' Chiese allora Camila, guardandola con un sorriso, divertita dall'incapacità dell'altra di dire ad alta voce certe cose.

'Ma smettila!' Rise in risposta Lauren, avvicinandosi e baciandola ancora una volta. 

'Davvero però, - iniziò Camila dopo essersi allontanata, di malavoglia, dalle labbra dell'altra. - mi prometti che non penserai più a questo genere di cose?' Le chiese poi, alzando il mignolo della mano destra e guardandola con uno sguardo serio.

Lauren sorrise, poi annuì e strinse il mignolo dell'altra con il proprio. 'Promesso.' Sussurrò, ricambiando lo sguardo dell'altra, per una volta, senza remore.

Camila ricambiò il sorriso, poi strinse l'altra in un forte abbraccio. Accarezzava la sua schiena con una mano, mentre respirava l'odore di Lauren - come di fiori, vaniglia e zucchero insieme. - a pieni polmoni, per poterlo ricordare anche quando era sola. 

La stringeva a sè pensando che non l'avrebbe mai voluta lasciare andare, notando il modo in cui i loro corpi sembrassero incastrarsi perfettamente l'uno con l'altra, riempendo a vicenda le loro parti mancanti.

Lauren lasciava che la stretta dell'altra riempisse il vuoto che sentiva dentro, che curasse le cicatrici che portava sul corpo e sul cuore, segni di guerra che si trascinava dietro, e le rendesse meno visibili, incapaci di causarle ancora dolore.

Sentiva il cuore della più bassa battere forte contro il suo, e sapeva che, in qualche modo, era la cosa giusta.

Che il sorriso dell'altra, i suoi occhi luminosi e la sua forte stretta erano ciò di cui aveva bisogno, ciò che aveva che aveva cercato senza saperlo.

Camila era il colore che sembrava mancare nei suoi disegni, l'incognita che rendeva l'equazione impossibile, e adesso, strette come se potessero fondersi in un'unica persona, si sentiva completa.

E non importava il resto, il mondo sarebbe anche potuto collassare contro il sole in quel preciso istante, non se ne sarebbe nemmeno accorta: morire tra le braccia di Camila sarebbe stato il migliore dei finali. 


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Okay, ciao a tutti!
So che sono un pò in ritardo, ma non troppo dai!
E' corto come capitolo e abbastanza di passaggio, ma mi serviva per mettere in chiaro certi aspetti del carattere di Lauren, e spero che li abbiate notati!
La sua fragilità è sempre più evidente, così come è evidente quanto lei e Camila siano incondizionalmente intrecciate l'una all'altra, quanto abbiano bisogno di stare insieme per essere davvero complete e felici.
Ma ovviamente per una persona con un passato come quello di Lauren non è così facile ritrovarsi in questo genere di situazione, e visto che io cerco di rappresentare le cose nel modo più verosimile possibilie, non posso fare a meno di inserire queste difficoltà e questi dubbi che penso siano piuttosto umani e normali in queste situazioni.
Detto questo, aspetto i vostri commenti, sperando che vi sia piaciuto nonostante la sua piccola dimensione!
Un bacione a tutti ♥
Laura.

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Capitolo 17
*** Capitolo sedici. ***



Capitolo 16:
Darling heart, I loved you from the start


Era passata più di una settimana da quando lei e Lauren si erano baciate per la prima volta, eppure Camila continuava a provare le famose 'farfalle nello stomaco' ogni volta che il suo subconscio riproponeva alla sua mente le immagini di quel fatidico pomeriggio.

Avevano trascorso, forse per la prima volta da quando si conoscevano, una settimana tranquilla e piena di momenti felici.

A scuola dovevano mantanere le distanze, perchè Camila sapeva che Lauren non era pronta ad esporsi in quel modo, ma non le pesava molto. 

Potevano baciarsi e tenersi per mano mentre passeggiavano insieme verso scuola, approfittando delle strade deserte che attraversavano alle sette di mattina; potevano farlo quando decidevano di andare in spiaggia e quando, mentre pioveva, si rifugiavano nella casa abbandonata che era diventata teatro delle loro vicende.

Lauren, dopo l'ultima discussione che avevano avuto, era visibilmente più tranquilla, e Camila non sarebbe potuta essere più felice e sollevata per questo.

Per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, si sentiva felice.
No, 'felice' non era la parola adatta per descrivere come sei sentiva, non era abbastanza.

Camila si sentiva completa, come se avesse finalmente trovato il suo posto nel mondo, che aveva scoperto essere vicino a Lauren.

Adesso capiva cosa intendevano dire gli scrittori quando scrivevano di 'farfalle nello stomaco' e di 'ginocchia che tremavano', ma pensava che non fossero abbastanza per spiegare ciò che provava quando era con Lauren.

Il suo cuore sembrava deciso a marcare la sua presenza con battiti veloci e forti, il respiro si faceva corto e ogni fibra del suo corpo sembrava essere tesa, come se la semplice vicinanza di Lauren scatenasse una sorta di inevitabile attrazione che percepiva nella sua stessa pelle.

Suo padre, che sarebbe ripartito a giorni, le aveva chiesto cosa fosse successo, notando il sorriso che la figlia aveva la maggior parte del tempo da qualche giorno.

'Nulla.' Aveva risposto Camila scrollando le spalle, ma sapeva che il padre non le avrebbe creduto così facilmente.

In ogni caso, non si sentiva pronta a parlare dei suoi del rapporto che aveva con Lauren, nonostante sapesse che non l'avrebbero mai giudicata male. Erano molto aperti e più volte li aveva sentiti difendere i diritti degli omosessuali quando in televisione passavano notizie al riguardo; semplicemente voleva aspettare ancora un pò.

Quel giorno si era svegliata di buon umore, nonostante dovesse fare un compito di trigonometria particolarmente difficile; sia lei che Lauren frequentavano il corso di matematica avanzata, per cui l'avrebbe vista anche prima della pausa pranzo.

La salutò con un leggero bacio sulle labbra, quando la vide alla fermata, sapendo che l'altra preferiva non esporsi troppo quando erano vicino ad una strada principale.

Dopo aver svoltato a destra in una via molto meno popolata, Camila vide i muscoli dell'altra rilassarsi, così la prese per mano.

Lauren le sorrise, poi le chiese se aveva studiato per il test di matematica.
'Certo, è particolarmente difficile quell'argomento.. tu no?' Le chiese, pensando poi a come non avesse mai fatto caso all'andamento scolastico dell'altra.

Insomma, sapeva che era stata esplusa più volte e che per lei le ore di punizioni erano quasi una routine giornaliera, ma non si era mai chiesta come facesse a frequentare classi avanzate o a prendere buoni voti. 

'No, non mi andava ieri.' Rispose con una scrollata di spalle, osservando poi divertita l'espressione sul volto dell'altra.

'Come fai ad essere così tranquilla?' Le chiese allora la minore, sinceramente stupita.

'Ci sono cose molto più spaventose che un brutto voto a scuola.' Fece Lauren, mollando poi la presa sulla mano dell'altra.
 
A volte, semplicemente, aveva bisogno di spazio.

Perdeva il controllo molto facilmente, e aveva imparato a bloccarsi prima che tutto diventasse troppo.

Camila capiva che l'altra stava cercando di contenersi e di non parlarle in modo brusco, ma non poteva evitare di rimanerci male. 
Vedere Lauren chiudersi a riccio e isolarsi dietro mura di sofferenza la faceva sentire impotente e inutile, ed erano sensazioni che odiava provare.

'Hai ragione.' Rispose solo, guardando dalla parte opposta della strada per non far vedere all'altra gli occhi lucidi.

Arrivarono a scuola senza scambiarsi più altre parole, ognuna persa nei propri pensieri e timori, troppo insicure per affrontare direttamente l'altra ma incapaci di lasciar stare quanto era appena accaduto.

Una volta entrate in classe Camila augurò all'altra un 'buona fortuna', a cui quella rispose con un occhiolino. 

'Non ne avrò bisogno.', fece lei infatti, sedendosi al suo solito posto in fondo all'aula.

Il professore entrò nella stanza e iniziò a distribuire i fogli mentre Camila picchiettava la penna sul banco, ansiosa.

Lauren osservava i comportamenti dell'altra con disprezzo, e cercava di ripetersi che doveva controllarsi,  che non poteva finire un'altra volta in punizione e, soprattutto, che non poteva ferire di nuovo Camila.

Si concentrò sul compito che aveva davanti, e dopo mezz'ora aveva già finito. 

Diede un'ultima occhiata ai calcoli che ricoprivano il suo foglio, poi si alzò e, sotto gli occhi scettici del resto della classe, consegnò il compito sulla cattedra. 


'Posso uscire?' Chiese, nella voce un tono di superiorità che fece voltare Camila, intenta a svolgere un'espressione complicata. 

'Signorina Jauregui, ha già finito? Manca ancora un'ora e mezza..' Provò il professore, notando poi con sorpresa che il compito non era bianco, come si era aspettato vedendo la ragazza alzarsi.


'Si. Posso uscire?' Chiese ancora, incrociando le braccia davanti al petto e alzando un sopracciglio, come a sfidarlo.

Il professore diede un'occhiata al compito della ragazza, e vide subito che i procedimenti erano tutti corretti, scritti in modo preciso e incolonnati ordinatamente. Com'era possibile che quella ragazza fosse riuscita a completare in modo corretto e in trenta minuti un compito che doveva essere svolto in due ore? 

'Vada pure, ma alla fine delle due ore torni in classe, le devo parlare.' 

Lauren alzò gli occhi al cielo, poi, sotto gli occhi stupiti di tutti gli altri studenti, uscì dall'aula.

Si diresse a passo svelto verso il cortile, poi si appoggiò al muretto che lo circondava e iniziò a fumare una sigaretta; si ritrovò a pensare al modo in cui l'aveva guardata il professore, come se si aspettasse un atteggiamento più stupido da una come lei.

Sbuffò, mentre lasciava cadere della cenere a terra dal mozzicone fumante.

Erano tutti bravi a giudicarla, basandosi sul modo in cui appariva e sul modo in cui si comportava.

Abbassò lo sguardo verso i suoi stivali neri dalle suole consumate, i jeans con dei tagli sulle ginocchia e la maglia a maniche corte con su la stampa di qualche band. Probabilmente la giacca di pelle che aveva sopra contribuiva a farla apparire in un certo modo - osservò.

Gettò la sigaretta a terra, con disprezzo, prima ancora che fosse del tutto finita; nemmeno quello riusciva a calmarla.

Iniziò a sentirsi sempre più agitata, e si accorse dopo poco che le sue mani tremavano.
Allarmata, iniziò a respirare più profondamente, pensando di stare per sentirsi male.

Il cuore le batteva all'impazzata e sentiva un forte dolore al petto, ma prima che potesse alzarsi e chiamare qualcuno si ritrovò sdraiata, il volto premuto contro la fredda superficie di pietra.



La prima cosa di cui si accorse, quando aprì gli occhi, fu che era in una stanza luminosa e molto - troppo - calda.

Era sdraiata su un lettino, e appena se ne rese conto balzò in piedi, spaventata all'idea di poter essere finita in ospedale.
La testa, in risposta, le girò bruscamente, costringendola ad aggrapparsi alla prima cosa solida che si era trovata davanti.

'Lauren!' Esclamò subito una voce familiare, colma di preoccupazione. 'Mi hai fatto spaventare.' Concluse Camila, avvicinandosi all'altra per abbracciarla.

Lauren, in risposta, si scansò, infastidita da quell'agitazione e ancora sconvolta e confusa per quanto era appena successo.

'Dove sono?' Chiese subito, guardandosi intorno con aria spaventata. 

'Sei svenuta Lauren, l'infermiera ha detto che dovresti riposarti ancora un po'..' Iniziò a spiegare Camila, osservandola con i suoi grandi occhi che riflettevano perfettamente ogni stato d'animo.

' Infermiera? Come sono arrivata qui?' Chiese ancora Lauren, senza dar segni di aver capito - o almeno ascoltato - ciò che le aveva appena detto Camila.

'Ti hanno visto svenire fuori, nel cortile, e ti hanno portato dentro in infermeria.. ho chiesto se era il caso di portarti in ospedale, ma hanno detto che non c'era nulla di cui preoccuparsi..' Spiegó, rinunciando a far ragionare l'altra e accontentando le sue richieste.

Lauren tirò un sospiro di sollievo capendo che era ancora a scuola: non osava immaginare cosa sarebbe potuto accadere se l'avessero portata in ospedale. 'Ci mancava solo che ti ascoltassero.' Commentò infatti, raccogliendo poi da terra quello che aveva riconosciuto essere il suo zaino.

'Ehi, dove vai?' Le chiese allora Camila, mettendole una mano sulla spalla per bloccarle l'uscita.

'Non ho bisogno di stare qui.' Rispose semplicemente Lauren, scrollandosi di dosso la mano dell'altra.

Prima che potesse uscire, però, fu bloccata dall'arrivo dell'infermiera.
 
'Signorina Jauregui, dove crede di andare?' Le domandò infatti questa, guardandola da sopra gli occhiali, spessi e quadrati, che erano appoggiati sul suo naso in un modo che, se fosse stata in un'altra situazione, Lauren avrebbe trovato piuttosto divertente.

'Ci si mette anche lei, adesso.' Borbottò Lauren alzando gli occhi al cielo, per poi accontentare la donna e sedersi sulla sedia che era posizionata davanti ad una scrivania.

'Camila, grazie per aver aspettato qui con Jauregui, ma penso che adesso possa aspettarla fuori. Devo parlare con lei e preferirei farlo in privato.' Fece questa, sorridendo poi alla minore.

Camila annuì, leggermente imbarazzata, per poi uscire chiudendosi la porta alle spalle.

'Sto bene. Posso andare adesso?' Chiese allora Lauren, guardando con aria di sfida la donna.

Questa capì subito le intenzioni dell'altra, e le rispose con un tono altrettanto intimidatorio. 'Non così in fretta. Prima di tutto, cosa ci facevi lì fuori?' Le domandò, prendendo poi un blocco ed iniziando a prendere appunti.

'Nessuno mi aveva avvisato di un interrogatorio, la prossima volta mi vedrò di procurarmi un avvocato.' Scherzò Lauren, un ghigno sul volto mentre incrociava le braccia al petto.

'Prima risponde, prima potrà andare, devo compilare questo modulo.' Disse semplicemente l'infermiera, senza alzare lo sguardo dal foglio che aveva davanti.

'Stavo fumando. - Disse allora quella, pronunciando la seconda parola lentamente e con sicurezza, come se volesse provocare l'altra. - Sono uscita prima perché ho finito un compito in classe, avevo il permesso del professore.'

'Cos'è successo prima che perdesse i sensi?'
Domandò quella senza alzare lo sguardo dal foglio, decisa a non assecondare la ragazza.

'Fumando? - Chiese retoricamente la ragazza, un tono di presa in giro chiaro nella sua voce. -  Se proprio devo rispondere alle sue domande almeno mi ascolti!' Esclamò con un tono falsamente offeso, allargando le braccia in modo teatrale.

'Quali sintomi ha sentito?' Continuò la donna, indifferente alle provocazioni della minore.

'Nulla di strano.' Fece Lauren, agitandosi sulla sedia, leggermente a disagio, ma comunque decisa a non collaborare con l'altra.

'Non mentire.' - Rispose questa, degnandola finalmente di uno sguardo. -  'Dimmi cos'hai avuto, io ti dirò cosa è meglio fare per evitare un'altro episodio e tu te ne andrai, non è questo che vuoi?' Domandò, e Lauren sorrise, soddisfatta, vedendo che la pazienza dell'altra iniziava a cedere.

A questo punto - pensò - poteva anche assecondarla.

'Mi tremavano le mani, poi il cuore ha preso a battermi forte e non riuscivo più a respirare, neanche il tempo di alzarmi che bum! - esclamò, alzando la voce e allargando le braccia, godendosi poi la faccia sorpresa dell'altra. - blackout totale.' 

'È la prima volta che ti capita?' Chiese ancora la donna, mentre prendeva appunti sul suo blocco.

'Non esattamente.' Rispose Lauren, chiedendosi subito dopo perché era stata onesta.

La donna osservò con interesse gli appunti che aveva preso, poi intrecciò le dita davanti a se e alzò lo sguardo verso la mora.

'Forse lo avrai già capito da sola, ma penso che tu soffra di attacchi di panico, Lauren.' Iniziò, studiando con attenzione la reazione sul volto dell'altra.

Lauren si era accorta del suo sguardo indagatorio, e per questo cercò di mostrarsi più sicura e indifferente possibile di fronte a quella notizia.

'Hai già fatto qualche visita per questo problema?' Chiese la donna, non riuscendo a decifrare il silenzio della minore.

'No, era stato un unico episodio e non gli avevo dato grande rilievo.' Ammise Lauren, dicendo qualcosa di vero nonostante l'aria infastidita e annoiata che cercava di avere.

'È meglio che tu ne parli con i tuoi genitori - Fece, strappando poi una parte del foglio su cui aveva scritto. - Tieni, puoi dare questo foglio su cui ho già scritto tutto.'

Lauren annuì, prendendo il foglio e alzandosi dalla sedia, impaziente di uscire. 'Adesso posso andare?'

Appena la donna annuì, arresasi di fronte alla sua testardaggine, Lauren si avviò verso la porta, dove poi si fermò, voltandosi.

'Un'ultima cosa, posso andare a casa, visto che sono stata male?' Chiese, congratulandosi con sè stessa per aver avuto quell'idea.

'Si, penso che non sia alcun problema, lo spiegherò io ai professori facendo un -'

Prima che potesse sentire la fine della frase, Lauren aveva già chiuso la porta alle sue spalle.

Uscì così velocemente che non si accorse della ragazza ferma sul ciglio della porta, uno sguardo preoccupato sul volto mentre l'aspettava.

Lauren le andò a sbattere contro, facendo così cadere i libri che l'altra teneva in mano.

'Diamine.' Borbottò tra sè, mentre guardava con disprezzo i ragazzi che si erano messi a ridere di fronte a quella scena.
Camila raccolse velocemente i libri, poi seguì la mora, che aveva già iniziato a camminare per il corridoio a passo spedito senza nemmeno aspettarla.

'Lauren!' La chiamò infatti, prendendola poi per un gomito nel tentativo di farla rallentare.

'Sto andando a casa, ho il permesso.' Disse solo, senza nemmeno guardarla ma rallentando il passo.

'E ci vai a piedi? - Chiese stupita Camila, ancora preoccupata per la salute dell'altra. - Posso chiamare mia madre e farti dare un passaggio, non puoi andare da sola dopo che-'

'Non sto male Camila, posso benissimo camminare.' La interruppe bruscamente: non sopportava che le persone si preoccupassero in quel modo per lei.

'Ma-'

'Ti mando un messaggio quando arrivo a casa per farti sapere che sono ancora viva, va bene?' Fece Lauren, voltandosi finalmente verso l'altra e posando una mano sulla sua spalla.

'Non volevo essere così dura, ma non sopporto quando le persone pensano che io sia debole o cose del genere.. Sto bene, davvero, e se vuoi più tardi ti spiegherò cosa è successo.' Concluse per poi sorridere, stringendo affettuosamente il braccio dell'altra.

Questa non seppe più resistere all'impulso che provava da quando aveva visto Lauren stesa sul lettino, e ,con uno slancio che fece quasi perdere l'equilibrio alla maggiore, l'abbraccio, stringendola forte in una stretta bisognosa quanto desiderata.

'Grazie.' Sussurrò semplicemente Lauren, sapendo che l'altra avrebbe capito.

-

Dopo aver camminato per quella che le era sembrata un'eternità, forse perchè non era più abituata a tornare a farsi tutta la strada senza la compagnia di Camila, arrivò a casa.

Aprì la porta con il cuore che batteva a mille, spaventata all'idea di poter trovare il padre ancora dentro. Cosa avrebbe potuto dire per cercare di spiegare la sua presenza senza scatentare la sua ira?

Fece un passo dentro l'abitazione trattenendo il respiro, come se così potesse rendersi invisibile ad occhi altrui.

Dopo qualche istante di assoluto silenzio, sospirò con sollievo, rincuorata dal fatto che non c'era nessun altro lì dentro.

Posò lo zaino in camera sua ed entrò in cucina per farsi un panino, ricordandosi in quel momento che non aveva mangiato durante la pausa pranzo e scoprendosi piuttosto affamata.

Durante tutta la camminata, non aveva poututo fare a meno di pensare a ciò che le aveva detto l'infermiera, così alzò dalla sedia e si diresse nel piccolo studio ormai inutilizzato, accese il computer e tolse con una mano lo strato di polvere che si era accumulata sopra la tastiera.

Non usava mai quel computer perchè era vecchio, e il suo forte ronzio avrebbe sicuramente infastidito il padre, cosa che preferiva di gran lunga evitare.

Dopo circa dieci minuti, riuscì ad aprire una pagina del motore di ricerca, dove scrisse le tre parole che l'avevano perseguitata per le precedenti due ore: 'attacchi di panico'.

Cliccò sul primo risultato datole da google, e lesse rapidamente i sintomi che caratterizzavano quella patologia.

'tremori, sensazioni di soffocamento, respiro corto e tachicardia': erano tutti i sintomi che aveva provato in entrambe le volte in cui era svenuta- notò con disappunto.

Chiuse subito la pagina, spense il computer e colpì la scrivania con un pugno, frustata e arrabbiata. Non aveva già abbastanza problemi?

Nel farlo, fece crollare una pila di CD che non aveva notato, sistemati proprio dietro lo schermo del computer.

Li raccolse e li rimise in ordine, notando poi un disco che le era piuttosto familiare: un vecchio album degli Oasis, il gruppo preferito di sua madre.

All'improvviso, tutta la rabbia che era avvampata dentro di lei a causa dell'episodio di quella mattina svanì, cancellata da un'ondata di ricordi talmente forte da farle quasi perdere l'equilibrio.

Ricordò che, quando era piccola, sua madre le faceva sentire quelle vecchie canzoni, cantava insieme a loro mentre sistemava la casa e a volte la invitava a ballare insieme a lei nel mezzo della cucina, saltando e muovendosi a ritmo della musica.

C'era una canzone, in particolare, che aveva sentito così tante volte cantata dalla madre da averla imparata a memoria, e ripensandoci si accorse di quanto il testo, adesso, prendesse tutto un altro significato.

' 'cause after all, you're my wonderwall.'

Canticchiò quelle parole senza nemmeno rendersene conto, trovandosi poi a stringere con forza tra le mani il CD, come se fosse più di un semplice insieme di plastica e metallo.

E forse lo era; forse il legame emotivo che aveva bastava a renderlo speciale, misera ancora di ricordi e affetti venuti a mancare.

La ragazza chiuse gli occhi, gustandosi quei pochi istanti colmati dalle immagini di sua madre che cantava e ballava insieme a lei e lasciando che le scaldassero il cuore.

Poi, con un sospiro, si costrinse a  rimettere il CD lì dove lo aveva trovato, tornando, controvoglia, nel tempo presente.

Uscì dalla piccola stanza dopo essersi assicurata di non aver lasciato nessun segno evidente della sua presenza, poi recuperò il telefono dalla tasca del suo zaino, ricordandosi solo in quel momento di aver promesso a Camila un messaggio.

Non fu affatto sorpresa di trovare tre messaggi non letti da parte della ragazza, visto che erano passate più di due ore da quando aveva lasciato la scuola.

'Dove sei?'
- 11:07 , Camila.

'Dovresti già essere arrivata a casa, a quest'ora, perchè non mi rispondi?'
- 11:54, Camila.

'Lauren, sto iniziando a preoccuparmi. Se continui a non dare segni di vita potrei anche dover chiamare qualcuno.'
- 12:29, Camila.


Spaventata dalla pseudo-minaccia della sua ragazza, si affrettò a rispondere, dandosi della stupida per non essersene ricordata prima.

'Scusami, mi ero scordata di mandare il messaggio. Sono ancora viva, tranquilla.'
- 12:48, Lauren.


Gettò il telefono sul letto, entrando nella sua camera, pensando ancora a ciò che aveva imparato quel giorno: soffriva di attacchi di panico, e senza le adeguate cure, almeno secondo Google, gli episodi sarebbero continuati ad avvenire.

Maledì suo padre, sè stessa, e ancora una volta l'orco, perchè una sola non bastava: era colpa sua se non poteva nemmeno pensare a chiedere di prenotare una visita o di comprare dei farmarci, probabilmente era colpa sua anche il fatto che soffrisse di attacchi di panico.

D'altronde, sempre secondo internet, potevano verificarsi in seguito a traumi subiti durante l'infanzia, e lei sicuramente ne aveva subiti alcuni piuttosto drastici.

'Strano che non mi sia venuto niente di simile prima.' - pensò sarcasticamente tra sè e sè.

Fu distratta dal ronzio familiare del suo telefono, e si stupì di quanto rispondesse velocemente Camila.

'Mi hai promesso una spiegazione oggi pomeriggio, non dimenticartelo.'
- 13:02, Camila.


Leggendo il messaggio, la mora non potè fare a meno di sorridere, notando il lieve tono minaccioso che Camila aveva cercato di conferire alle sue parole.

Aveva appena risposto, ed era sul punto di prendere una vecchia tela incompleta per disegnare un pò, quando un inaspettato rumore la fece sobbalzare.

Con un movimento rapido e silenzioso si gettò sotto la sua scrivania, accovacciandosi e cercando di nascondersi nel miglior modo possibile.

Trattenne il respiro, mentre dei passi lenti e pesanti si trascivano attraverso il corridoio, segno che suo padre era già piuttosto brillo.

Era già sul punto di cantar vittoria, quando osservò, con orrore, il suo telefono illuminarsi e produrre il suo classico ronzio, rompendo il silenzio che riempiva l'abitazione.

Lauren sentì il suo cuore battere sempre più forte, mentre il padre entrava nella sua stanza, biascicando quelli che sembravano essere insulti.

L'uomo prese il piccolo oggetto e,dopo averlo osservato per qualche minuto con sguardo confuso, lo scaraventò dall'altra parte della stanza, sotto il volto esterefatto e spaventato della figlia.

Quest'ultima smise di respirare, cercando di rendersi invisibile, e chiuse gli occhi, decisa a non voler vedere ciò che stava per accadere.

Ma il rumore che seguì non fu quello che si aspettava, e quando aprì gli occhi si ritrovò davanti una scena raccapricciante: suo padre aveva appena vomitato, chiaro segno di aver, come al suo solito, esagerato con l'alcol.

Dopo qualche minuto, e diverse imprecazioni, l'uomo uscì dalla stanza, maledicendo il suo stesso fegato e borbottando qualcosa riguardo la rumorosità dei telefoni.

Lauren rimase qualche istante ferma, ancora nascosta sotto la sua scrivania, cercando di regolarizzare il battito impazzito del suo cuore.

'Poi mi chiedo anche perchè mi vengono attacchi di panico.' Pensò tra sè e sè, alzandosi e raccogliendo il telefono dall'altra parte della stanza, scoprendo con disappunto lo schermo irrimediabilmente distrutto.

-

Camila passò il restante tempo della giornata scolastica cercando di concentrarsi sulla matematica, sulla storia americana o sulla rana che stavano sezionando a biologia, ma con scarsi risultati.

Continuava a pensare al volto pallido di Lauren, alla sua espressione spaventata quando si era svegliata e al modo in cui l'aveva abbracciata prima di andarsene; voleva solo incontrarla, assicurarsi che stesse effettivamente bene e sapere cosa era successo.

Ricordava perfettamente la prima volta che aveva visto Lauren debole e indifesa, quella tremenda chiamata e la successiva corsa verso il parco erano perfettamente incise nella sua memoria, così come quando si era sentita male di fronte a lei; il cuore che sembrava tremarle al solo pensiero.

E non le importava se Lauren non tollerava vedere la preoccupazione negli occhi degli altri, Camila non aveva mai tenuto così tanto a qualcuno da sentire sempre un peso sul petto, come a ricordarle che l'organo che pompava il sangue nelle sue vene non era più indipendente e responsabile solo per sè stesso: batteva anche per qualcos'altro, per qualcun'altro.

Perchè, anche se all'inizio non ne era stata del tutto consapevole, aveva scelto di prendere parte del dolore di Lauren e di condividerlo con lei, nel disperato tentativo di renderlo meno gravoso.

E adesso, mentre la professoressa spiegava in che modo le rane potessero riprodursi, lei contava i minuti che la separavano dal vedere la maggiore.

Le aveva chiesto in un messaggio dove volesse vederla, ma non aveva ricevuto risposta.

Controllò, senza farsi notare, lo schermo del suo telefono, rimanendo delusa alla vista del display vuoto, privo di almeno un messaggio da parte dell'altra.

Quando la campanella segnò la fine della lezione, Camila si diresse, quasi correndo, verso l'uscita, camminando poi con passo spedito verso casa.

Aveva chiamato Lauren almeno una decina di volte, senza mai ottenere risposta; così aveva deciso di andare a casa e aspettare che l'altra desse qualche segno di vita.

Stava sparecchiando la tavola, quando sentì il campanello di casa suonare.

Si chiese se non fosse sua madre di ritorno dal lavoro, anche se di solito non arrivava così presto.

Quando aprì la porta, si trovò davanti l'ultima persona che si era aspettata di vedere, ma, allo stesso tempo, quella che più desiderava trovare.

'Lauren!' - Esclamò sorpresa, aprendo di più la porta per lasciar passare l'altra. - 'Mi stavo preoccupando, perchè non rispondi a-' Stava chiedendo, ma si fermò alla vista dell'espressione dell'altra.

Non sapeva dire esattamente cosa ci fosse di diverso nell'altra, ma si vedeva chiaramente la paura nei suoi occhi, adesso dello stesso colore del cielo sopra di loro.

'Che è successo?' Le chiese infatti, chiudendo la porta e mettendo una mano sopra la spalla dell'altra, maledicendosi poi per aver usato un tono che avrebbe certamente infastidito la maggiore.

Lauren, in risposta, cacciò dalla tasca il suo telefono, posandolo poi nella mano dell'altra; pensava che, in certi casi, le azioni erano molto più efficaci di semplici parole.

Camila stava per domandarle qualcosa, evidentemente confusa, ma poi vide lo schermo distrutto del telefono, e le parole le morirono in gola.

'Mio padre.' Borbottò Lauren abbassando lo sguardo, evidentemente a disagio nel parlare di quanto era appena successo.

'Perchè?' Chiese solo Camila, guardando il volto e il corpo della sua ragazza in cerca di segni di violenza, temendo che l'uomo non se la fosse presa soltanto con il telefono.

'Non mi ha fatto nulla' - Iniziò la ragazza, notando l'apprensione dell'altra. -'Perchè non mi ha visto.' Finì poi, lo sguardo fisso sulle sue scarpe e le mani serrate a pugni, le braccia rigide lungo i fianchi.

Camila le mise una mano sulla schiena, guidandola dentro la sala e poi sul divano, dove si sistemò portando le gambe di lato per potersi mettere il più vicino possibile all'altra.

Mentre Lauren iniziava a raccontare, la voce tremante nonostante i suoi tentativi di farla sembrare decisa e sicura, la minore prese tra le mani quella chiusa a pugno dell'altra, aprendogliela lentamente e lasciandovi lievi carezze con la punta delle dita.

Sotto il suo tocco leggero, vide l'altra rilassarsi un po' alla volta, e per un momento paragonò quella visione a delle mura in crollo, come se, finalmente, stesse riuscendo ad abbattere le barriere che circondavano la mora.

Lauren, dal suo canto, sentiva la sua voce pronunciare quelle parole e spiegare gli eventi di quella mattina e di quel pomeriggio come se non le appartenesse, come se fosse un'altra a raccontare. Era troppo distratta dalle dita di Camila che giocavano con le sue, accarezzandole con calma e meticolosa attenzione, come se stesse maneggiando qualcosa di fragile.

E per una volta, non le dispiacque essere tratta in quel modo, non dopo essersi dovuta nascondere dal suo stesso padre.

Perchè era vero, Lauren era forte ed era sempre stata capace di cavarsela da sola, senza l'aiuto di nessuno; ma diamante e graffite sono composte dagli stessi atomi, e ci vuole poco, un semplice gioco del destino, per mutare l'elemento indistruttibile in uno debole e dalla forza effimera.


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Okay, ciao a tutti!
Sto postando piuttosto tardi ma è l'unico momento libero che ho trovato oggi, e ci tenevo a postare perchè ho il capitolo finito da giorni!
Per favore, ditemi che non sono l'unica a cui è mancata la sassy!Lauren *occhi da cucciolo* ahah
Chiedo scusa per aver fatto riferimento alla chimica nell'ultima frase, blame it on lo scientifico (?) ahhaha
Piccolo ps prima di salutarvi e concludere queste note - visto che probabilmente non le legge nessuno - ho cambiato nome su twitter, adesso sono *rullo di tamburi*:
@camrenshug !
Si, lo so, sono molto originale e, soprattutto, non si capisce affatto che queste due siano la mia ossessione, good job Laura!
ps2 (perchè uno solo non bastava): si, mi sono ricordata dopo tipo otto secoli che una volta scrivevo una frase della canzone da cui ho preso il titolo della ff ha inizio capitolo, viva la memoria.

Dette queste inutili cose, fatemi sapere che ne pensate del capitolo, al prossimo!
Love y'all ♥

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


CAPITOLO 17:


Lauren finì di raccontare quanto era successo con lo sguardo bassso, sentendosi quasi a disagio nell'essere così tanto onesta con qualcuno: non era abituata ad aprirsi completamente con altri riguardo quanto succedeva dentro le mura di casa.

Camila la ascoltava, guardandola con i suoi grandi occhi marroni pieni di attenzione, ma senza lo sguardo di compassione che Lauren detestava.
Le dimostrava il suo interessamento senza bisogno di farla sentire una vittima, giocando con le sue dita come se fosse un gesto involontario e necessario, alla pari del respirare e del battere del cuore.

"Giuro che non ti manderò mai più un messaggio." Disse Camila quando Lauren rimase in silenzio dopo aver finito il suo racconto.

Quell'affermazione fece sorridere la maggiore, che adesso osservava le sue dita intrecciate a quelle dell'altra studiando il modo in cui sembravano incastrarsi alla perfezione, riempendo i rispettivi spazi mancanti.

Camila mise un ditto sotto il mento dell'altra, constringendola così a sollevare il volto e a far incontrare i loro sguardi; il verde si perse nel marrone, confondendosi in un dipinto di sentimenti confusi e potenti, nuovi e inaspettati.

E sarebbe stato impossibile capire chi delle due si fosse spinta per prima verso l'altra, mentre le loro labbra si incontravano ancora una volta, mosse da un bisogno che non erano capaci di nascondere, nè tantomeno volevano farlo.

Camila schiuse le labbra senza remore quando sentì la lingua dell'altra premere contro di esse, chiedendo, e quasi pretendendo, il permesso di entrare; affondò le dita tra i capelli dell'altra e si ritrovò poco dopo schiacciata dal suo peso contro il divano.

Mossa da un'irrefrenabile passione, dopo qualche minuto Lauren lasciò le labbra della mora per attaccare il suo collo, lasciando segni più o meno evidenti che non facevano altro che alimentare il fuoco che le bruciava dentro; le mani che vagavano senza paura, ma al tempo stesso senza violenza, l'esile corpo dell'altra, cercando di conoscerlo e memorizzarlo.

Camila stringeva il corpo di Lauren sul proprio come se la vicinanza non fosse mai abbastanza, rovesciando la testa all'indietro per lasciarle ancora più spazio d'azione.

La maggiore si ritrovò ad osservare il modo in cui Camila si agitava sotto i suoi baci e le sue mani, sentendo il battito del suo cuore contro il proprio e compiacendosi del fatto che era lei la causa di quelle reazioni.

Incapace di trattenersi, tornò a volgere la propria attenzione sulle labbra dell'altra, impossessandosene come se fossero sue di dirittto e mordendo il labbro inferiore, causando così un gemito dell'altra. "Lauren." Sussurò infatti questa, inarcando la schiena verso l'alto e chiudendo gli occhi, le dita perse nei capelli della maggiore.

Lauren, sentendo un'improvviso calore accendersi nel suo basso ventre, era sul punto di sperimentare nuovi modi per generare reazioni del genere nell'altra, quando un rumore la distrasse, facendole sobalzare entrambe.

Camila riconobbe il rumore di chiavi che ruotavano all'interno della serratura, così spinse Lauren lontano da sè cercando poi di sistermare i vestiti stropicciati e di regolarizzare il suo respiro affannato. 

Lauren si stava passando una mano tra i capelli, quando Sinuhe fece il suo ingresso nell'abitazione mano nella mano con Sofi.
"Mamma!" - Esclamò Camila, la voce più alta del normale di almeno un'ottava. - "C'è Lauren." Finì poi facendo un cenno verso l'altra, che dal suo canto cercava di mantenere la più indifferente delle espressioni. 

"Lo vedo - Osservò la donna, divertita. - E' un piacere vederti, Lauren." Aggiunse poi con un sorriso indecifrabile, allontanadosi in cucina per posare sul tavolo lo zaino di Sofi e una busta della spesa.

La bambina corse verso le due ragazze, salutando con un abbraccio Lauren per poi fermarsi ad osservare con uno sguardo confuso la sorella.

"Mila, ma sei caduta?" Le chiese subito dopo, la testa reclinata di lato mentre studiava la maggiore.

"No, perchè?" Chiese quella, ancora troppo scossa dal rischio che aveva appena corso per capire a cosa si stesse riferendo la piccola.

"Hai dei lividi sul collo." Spiegò Sophie, indicando i segni rossi che macchiavano la pelle lattea di Camila.

"Oh, no, tranquilla! - Iniziò, portando i capelli di lato per coprire i segni incriminanti. - Prima stavamo giocando con i trucchi e Lauren mi ha tirato addosso qualche ombretto." Finì, cercando di sorridere e nascondere la paura di essere scoperta.

Lauren, nel frattempo, cercava di trattenersi dal ridere, divertita dalla scusa che aveva trovato Camila.

"Ma con me non vuoi mai giocare con i trucchi.. - Fece la bambina, portando le braccia al petto e ostentando uno sguardo offeso. - E poi non siete troppo grandi per giocare?"

"Sono cose da grandi Sofi." Si giustificò Camila sotto lo sguardo truce della sorella, che in seguito a questa risposta uscì dalla stanza sbattendo con forza i piedi a terra. "Dici sempre così!"

Camila invitò Lauren a seguirla nella sua stanza con un cenno della mano, sollevata di aver superato anche la curiosità di Sofi.

"Ce la siamo cavata per un soffio." Osservò Lauren con una risata dopo che l'altra ebbe chiuso la porta, un ghigno divertito sul volto.

Le situazioni di pericolo e l'adrenalina che generavano erano per lei fonte di immenso divertimento, mettersi nei guai e agire in modo spericolato erano sempre state occasioni per svagarsi dai problemi più seri che la aspettavano a casa. 

"Lo dici come se fosse divertente - osservò infatti Camila sedendosi vicino a lei sul letto con le gambe incrociate. - Non oso immaginare l'imbarazzo se mia madre fosse entrata qualche secondo prima.." Fece poi con un'espressione disgustata sul volto, inorridita da quella fantasia.

"Dai, è stato divertente! - Esclamò invece la maggiore dando una leggere spinta alla spalla dell'altra, per poi continuare con un tono di voce più basso e un sopracciglio inarcato: - E' il brivido del segreto, no?"

Camila abbassò subito lo sguardo perchè la malizia negli occhi dell'altra le avevano fatto perdere qualche battito, e non poteva lasciare che l'attrazione fisica avesse nuovamente la meglio su di lei.

Non finchè sua madre e sua sorella minore erano a distanza di qualche metro, per intenderci.

"E poi non mi sembrava che ti stesse dispiacendo tanto quello che stavamo facendo prima di essere interrotte." Aggiunse Lauren riempendo il silenzio dell'altra, avvicinandosi e posando una mano sul ginocchio della mora.

Camila si ritrasse subito, quel semplice contatto le aveva provocato una scarica di brividi per tutto il corpo.

"Lauren, c'è mia madre di là..- Iniziò Camila, mentre l'altra si avvicinava ancora di più a lei, bloccandola contro la testata del letto. - E mia sorella potrebbe entrare da un momento all'altro.. " Provò di nuovo, ma Lauren sembrava non sentirla nemmeno, mentre si chinava a depositare una lenta scia di baci sul suo collo.

Ogni bacio provocava centinaia di brividi che sembravano irradiarsi in ogni cellula del suo essere fino a riversarsi con potenza nel suo basso ventre, facendola sentire completamente inerme sotto il potere che l'altra aveva su di lei.

"Lauren.." Provò un'altra volta, ma quando quello che voleva essere un'ammonimento uscì dalle sue labbra sottoforma di gemito decise che doveva  fare qualcosa prima che la situazione diventasse insalvabile.

"Okay, perchè non usciamo a farci un giro?" Domandò Camila dopo aver sviato Lauren ed essersi alzata sul letto, una mano tra i capelli mentre cercava di ricomporsi e di assumere un aspetto più credibile.

"Cos'è, non ti stavi divertendo poco fa?" Chiese allora Lauren mordendosi il labbro inferiore, fingendo innocenza e ingenuità smascherate subito dal sopracciglio inarcato che si prendeva gioco della minore.

"No, cioè si, ma-" Provò Camila mentre le guance si tingevano di rosso, imbarazzata da quella insinuazione.

"E allora qual è il problema? - Continuò invece Lauren, evidentemente divertita dalla situazione. - Non ti piaceva?" Chiese ancora, mantenedo il tono falsamente ingenuo.

"Okay Lauren, ho capito che non la smetti finchè non rispondo. - Fece allora Camila con uno sbuffo, alzando poi gli occhi al cielo e riprendendo a parlare con un tono di voce più basso del solito. - "Certo che mi piaceva, non hai nemmeno idea di quanto mi stesse piacendo e so benissimo che volevi solo che io lo ammettessi, quindi adesso possiamo evitare di saltarci addosso a vicenda rischiando di essere scoperte e trovare qualcos'altro da fare?" Chiese, stupendo sè stessa per la sincerità con cui aveva parlato.

"Oh, okay." Rispose semplicemente Lauren, ridendo e alzandosi dal letto per raggiungere l'altra. "Però questo posso ancora farlo, giusto?" Chiese con uno sguardo di sfida misto a dolcezza e desiderio, e prima di aspettare una risposta dall'altra portò una mano dietro il suo collo e l'attirò a sè in un bacio tutt'altro che leggero.

Camila non si lamentò, portando le mani dietro la schiena dell'altra per attirarla ancora più vicino, incapace di frenare l'attrazione e il bisogno che facevano guerra con la sua ragione.

Quando si separarono, entrambe bisognose di ossigeno, rimasero a guardarsi negli occhi per qualche secondo, come se non fossero capaci di fare altrimenti.

'Sei così bella.' Pensava Camila, percorrendo e memorizzando con gli occhi ogni centimetro di quella pelle diafana, delle labbra carnose e arrossate dai morsi che vi aveva lasciato poco fa e da ogni piccolo dettaglio che sperava essere capace di non dimenticare mai.

Lauren dal suo canto sentiva il battito impazzito del suo cuore e osservava con piacere il respiro affannato della ragazza di fronte a lei, accarezzandole il volto con la mano e stupendosi di come entrambe reagissero l'una all'altra, della forza di ciò che sembrava legarle ogni giorno sempre di più, incapaci di fermarla anche se avessero voluto.

E per una volta non ne fu spaventata, perchè sapeva che Camila provava le sue stesse cose, e non sarebbe stata sola a combattere quella piacevole guerra.

-

"Lauren, non resti per cena?" Chiese
Sinuhe, occupata tra fornelli e verdure, vedendo la ragazza avviarsi verso la porta.

"Mi aspettano già a casa, ma grazie comunque dell'invito, sarà per un'altra volta." Rispose Lauren con un sorriso cordiale, voltandosi poi per salutare Camila con un rapido e il più possibile amichevole abbraccio.

La mora chiuse la porta e fece per andare in camera sua, al sicuro da sguardi indiscreti, quando la madre la chiamò dalla cucina.

"Mila, puoi venire un secondo?" Fece questa infatti, sporgendosi oltre la porta per assicurarsi che la figlia non fosse già sparita tra le mura della sua camera.

Camila si immobilizzò sul posto, come se si fosse ghiacciato tutto il sangue che scorreva nelle sue vene; temeva che la madre qualche ora prima avesse visto più di quanto avevano creduto e sperato lei e Lauren.

"Vieni, aiutami a cucinare che io sono in ritardo, puoi affettare questi pomodori?" Le chiese poi, indicando con un cenno la verdura sul lavello, e facendo tirare un sospiro di sollievo alla figlia.

La ragazza occupò tutti i silenzi con racconti più o meno interessanti di quanto succedeva a scuola o semplicemente parlando del libro che stava leggendo al momento per paura che la madre potesse dire qualcosa di sconveniente e finire in argomento 'Lauren'.

"Okay Mija, da qui posso continuare da sola." Disse
Sinuhe, osservando poi con curiosità e divertimento il modo in cui la figlia filò via dalla cucina, così velocemente da sembrare che stesse correndo.

La mora chiuse dietro di sè la porta della sua camera per poi appogiarcisi sopra con la schiena, pensando che mantenere il segreto non era tanto piacevole quando era da sola a farlo.

-

Lauren uscì da casa di Camila stringendosi più forte nella giacca di pelle che aveva addosso, nonostante fosse inverno era piuttosto freddo per gli standard della Florida.

Nel farlo si accorse che riusciva ancora a sentire, su di sè, l'incondondibile profumo di Camila. Sorrise, cercando invano di descrivere quell'odore: un misto di vaniglia e zucchero, dolce ma non al punto da essere nauseante.

Ripensando ai momenti che avevano reso interessante quel pomeriggio, prese il telefono dalla tasca e si accorse di avere un messaggio non letto.
Si chiese chi potesse essere, visto che era stata con Camila tutto il pomeriggio, ma poi vide il nome di 'Vivian' sullo schermo e immaginò subito cosa avrebbe trovato scritto in quel messaggio.

"Stanotte parto e non penso di tornare prima di qualche mese, se vuoi mi trovi al casello autostradale fino alle nove." 
- 19:49, Vivian.


Vide l'orario e rimpianse di aver declinato l'invito della madre di Camila: se avesse letto prima quel messaggio ne avrebbe approfittato per mangiare qualcosa.

Si diresse a passo svelto verso casa, sperando che il padre fosse svenuto nel suo stesso vomito, timorosa di ritrovarsi davanti una scena simile a quella che aveva vissuto quella mattina.

Notò con piacere che la macchina era parcheggiata nel vialetto, così entrò nel modo più silenzioso possibile in casa raccogliendo le chiavi da sotto lo zerbino. 

L'inconfondibile russare di suo padre che dormiva sul divano, la maglia ancora sporca di vomito e una bottiglia d'alcolici in una mano, le diede il benvenuto. 

Prese le chiavi della macchina dal mobile dell'ingresso e uscì dall'abitazione tanto silenziosamente quanto vi era entrata, ringraziando mentalmente il karma per quell'insolita fortuna.

"Sto arrivando."
- 20:29, Lauren.


Ci mise meno di una decina di minuti per raggiungere il punto d'incontro, e una volta arrivata riconobbe subito i capelli rossi fuoco della ragazza.

"Sei venuta alla fine, pensavo non mi rispondessi più." Esordì questa, soffiando una nuvola di fumo dalle labbra e staccandosi dalla macchina a cui era appoggiata per salutare con una pacca sul braccio Lauren.

"Non avevo il telefono a portata di mano, e tu non sei esattamente il meglio in quanto a preavvisi Vì." Rispose la mora, avvicinandosi all'altra e prendendo una sigaretta dal suo pacchetto.

"Che mi racconti?" Chiese la rossa mentre accendeva con il suo accendino la sigaretta stretta tra le labbra di Lauren.

"Solita vita, solita merda." Esordì questa, tenendo per sè il fatto che Camila era l'unica piacevole eccezione a quella regola. "Tu piuttosto, che ci facevi ancora qui?" Chiese poi, cercando di spostare il discorso da sè.

"Rick doveva fare una trattativa qui, ma penso sia andata parecchio male e quindi dobbiamo andare via prima del previsto." Spiegò con un alzata di spalle guardando poi verso l'altro lato della strada, dove un giovane ragazzo dai capelli neri e la pelle scura parlava in modo concitato al telefono, gesticolando e camminando continuamente avanti e indietro.

"Capisco." Rispose Lauren, chiedendosi se l'altra si reputasse davvero così male da accettare un amore del genere, da accettare di essere in costante fuga e di vivere nel pericolo. Lei stessa si riconosceva in alcuni tratti dell'altra, nel folle amore per l'avventura e il rischio, nel modo di affrontare la vita e sopravvivere al meglio, ma all'improvviso si sentiva diversa.

Non era più come qualche anno prima, quando incontrare Vivian era stato come osservare il suo riflesso allo specchio; adesso c'era qualcosa che le separava, un muro invalicabile che sembrava distanziarle, e finalmente aveva capito di cosa si trattava.

Camila l'aveva cambiata. 

Probabilmente in meglio, ma era impossibile non notare il cambiamento che quella ragazza aveva portato sul suo carattere. 

Le aveva dato l'unica cosa in grado di modificarla e di penetrare gli strati di ghiaccio con cui si era circondata: la speranza.

Ed era quello che mancava a Vivian, la prospettiva di un futuro migliore e la forza di credere che ci sia un piano più grande, che non sia troppo tardi.

"Che è successo?" Chiese Vivian, che aveva spostato già da qualche minuto lo sguardo su Lauren e che adesso la stava guardando con più attenzione, come a volerla studiare.

"Che intendi?" Chiese la mora in ritorno, confusa.

"Sei.. strana. E diversa, rispetto all'ultima volta che ti ho visto." Notò la rossa, buttando a terra la sigaretta consumata e calpestandola con la suola della scarpa per spegnerla.

"Non so di cosa stai parlando." Rispose Lauren con una scrollata di spalle, cercando di ostentare indifferenza.

"Non sono così stupida, Lauren." Rispose la ragazza incrociando le braccia davanti al petto, la sua caratteristica aria di sfida negli occhi.

"Mai detto questo, Vivian." Rispose Lauren con lo stesso tono, decisa a non lasciarla vincere all'altra.

"Ti stai vedendo con qualcuno, non è vero?" Chiese ancora la ragazza dopo qualche minuto di silenzio, guardandola dritta negli occhi con un sopracciglio inarcato.

"Vì devi esserti presa qualcosa di pesante questa volta, di che diamine stai parlando?" Fece Lauren sulla difensiva, sospirando poi una nuvoletta di fumo dalle labbra e guardandola con un sopracciglio inarcato.

"Fa come ti pare Lo, ma io non ti credo." - Iniziò, per poi proseguire quando si accorse che l'altra non era intenzionata a rispondere. - "Lo so che te la sai cavare da sola, ma fammi dire solo una cosa: è una brutta bestia, l'amore." Disse, volgendo poi lo sguardo verso il ragazzo che parlava ancora al telefono, evidentemente arrabbiato.

Lauren continuò a pensare a quelle parole anche dopo aver salutato l'amica ed essere tornata a casa, stesa nel letto a guardare il soffitto dopo essere sgattaiolata in camera sua nel più silenzioso dei modi.

La casa era immersa nel più profondo dei silenzi, rotto solo dal respiro pesante del padre e dal rumore della ragazza che continuava a rigirarsi tra le coperte, incapace di trovare pace.

Con un sospiro allungò la mano verso il comodino e prese il telefono, agendo più per istinto che per propria volontà.

"Non so bene per quale motivo ti stia scrivendo a quest'ora di notte, ma non riesco a dormire e non ho molta scelta nella rubrica, senza contare che molto probabilmente starai già dormendo. Quindi non farci caso, quando troverai questi messaggi domani mattina."
- 01:17, Lauren.


"Che in realtà sarebbe questa mattina, visto che è l'una passata."
- 01:18, Lauren. 


La ragazza si girò ancora una volta tra le coperte, chiudendo gli occhi e cercando di rilassarsi abbastanza da poter dormire, quando un ronzio la fece sussultare: non si aspettava una risposta a quei messaggi.

"Dovrei forse sentirmi onorata ad essere la prescelta per questi messaggi notturni? ;)"
- Camila, 01:23


La mora sorrise di fronte all'ironia dell'altra, e non fece in tempo a pensare una risposta prima di sentire un'altro ronzio e di vedere lo schermo del suo telefono illuminarsi un'altra volta.

"E comunque, per quale motivo sei ancora sveglia all'una di notte?" 
-Camila, 01:23. 


Questa volta pensò subito la risposta e digitò velocemente il messaggio, curiosa di scoprire cosa ci faceva l'altra sveglia a quell'ora.

"Potrei farti la stessa domanda, lo sai vero?" 
- Lauren, 01:24.

"Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda, Lauren."
- Camila, 01:25.


Lauren digitò la risposta mentre un grande sorriso increspava il suo volto, stupendosi subito dopo dell'effetto che l'altra era capace di farle anche attraverso dei semplici messaggi. Ripensò alle parole di Vivian, e si chiese se la ragazza non avesse effettivamente ragione.

"Come preferisci, comunque non riesco a dormire. Qual è la tua giustificazione invece?"
- Lauren, 01:27.

"Stessa cosa. Ti va di dirmi quali pensieri ti tengono ancora sveglia?"
-Camila, 01:28.


Si fermò a pensare, rileggendo quelle parole e chiedendosi se dovesse essere onesta o meno. Si disse poi che ormai il danno era fatto, ed era stata proprio lei a iniziare quella conversazione, quindi tanto valeva concluderla.

"Niente di importante... Invece penso di sapere cosa ci fai tu ancora sveglia."
- Lauren, 01:31.


Lauren sorrise, mentre ricordi vividi di quel pomeriggio le facevano sembrare improvvisamente troppo pesanti le coperte che la avvolgevano.

"Ah si? E sarebbe?"
- Camila, 01:32.

"Stai pensando a quello che è successo oggi pomeriggio, eh? ;)"
- Lauren, 01:32


Premette il tasto di invio con più fretta del necessariom, sollevando poi le coperte che la coprivano per raffreddare un po' la situazione che sembrava farsi più calda di minuto in minuto.

"Ti piacerebbe, cara. Ma il fatto che hai introdotto tu l'argomento potrebbe farmi sospettare che non sia io quella che ci sta pensando.. ;)"
- Camila, 01:34.


Lauren si prese qualche momento prima di rispondere, ammettendo a sè stessa che il pensiero di quanto era successo solo qualche ora prima era ancora piuttosto vivido nella sua mente.

"Chi può dirlo.. In ogni caso, non mi sembrava che ti stesse dispiacendo troppo oggi pomeriggio." 
- Lauren, 01:37


Lauren sentì una scossa di brividi percorrere il suo corpo al solo pensiero delle reazioni che era stata capace di provocare nell'altra, del suo respiro affannoso e del modo in cui si era inarcata sotto di lei, come a chiederle ancora di più.

Non era mai stata così tanto vicina a qualcuno non solo emotivamente ma anche fisicamente, e nonostante avesse baciato ragazzi in precedenza, non aveva mai provato nulla del genere.

Il solo vedere l'altra così tanto in balia del suo controllo l'aveva fatta sentire potente e allo stesso tempo vulnerabile, tradita da quanto quella situazione l'avesse resa bisognosa di  altro.

"Mai detto questo.. ;)"
- Camila, 01:38


Quel messaggio fu la classica goccia che fa traboccare il vaso, e Lauren sentì un improvviso calore accentrarsi nel suo basso ventre. Prese un profondo respiro, cercando di calmarsi e di non pensare a cosa sarebbe potuto accadere se la madre di Camila non le avesse interrotte quel pomeriggio.

E soprattutto, cercava di non pensare alla domanda che si era insinuata nei suoi pensieri da quando aveva lasciato la casa dell'altra: sarebbe stata pronta per continuare?

 Non aveva mai davvero valutato con importanza il rapporto fisico, ma allo stesso tempo sapeva che con Camila non sarebbe mai potuto essere semplice piacere.

Decise di rimandare quei pensieri ad un'orario più consono, digitando una veloce risposta e posando poi il telefono sul comodino, decisa a non toccarlo più e ad addormentarsi una volta per tutte.

"Buono a sapersi, allora.. Adesso direi che è il caso di andare a dormire, grazie per la compagnia."
- Lauren, 01:41


Nonostante il suo buono proposito, Lauren si ritrovò a voltarsi e prendere subito il telefono quando sentì il familiare ronzio interrompere il silenzio della notte.

"Buonanotte, Lauren <3"
- Camila, 01:42


Rimase a leggere quelle parole per qualche secondo in più del necessario, per poi voltarsi e chiudere finalmente gli occhi mentre un piccolo sorriso le ornava il volto stanco.



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Ebbene si, dopo la pasqua ho deciso di resuscitare anche io.
So che lo faccio sempre, ma vi prego di scusarmi per il ritardo (sempre se esiste ancora qualcuno che segue questa FF), ma purtroppo la scuola mi impegna tantissimo e tengo troppo a questa storia per accontentarmi di scriverla in fretta, per questo preferisco prendermi del tempo in più per renderla al meglio possibile.
Questo capitolo è leggermente più lungo del solito, quindi spero di essermi fatta un minimo perdonare per la lunga attesa.
Grazie per seguirmi sempre, al prossimo capitolo (sperando di riuscire a postarlo il prima possibile.)
- Laura.


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