la figlia del Re

di Clitemnestra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Lady Liliana guardò fuori dalla finestra : il roseto che il marito le aveva regalato per il suo compleanno stava appassendo. La donna sospirò, le rose ingiallite le mettevano tristezza. Una mano le si posò sulla spalla facendola rabbrividire. Si voltò, il viso del marito era a poca distanza dal suo. Trasalì per quella apparizione, tuttavia quelle labbra sorridenti la tranquillizzarono.                                                                           
  –Buongiorno.- la salutò schioccandole un bacio sul naso.                                             
Lilian sorrise, sentì le sue mani accarezzarle i fianchi delicatamente.                                  
–Smettila.- borbottò dandogli un buffetto sulla guancia.                                                  
Il marito fece una smorfia offesa, poi un ghigno gli illuminò il volto.                                                    
 Con le braccia le circondò la vita e prese a baciarla con voracità mentre la moglie scoppiava in gridolini di protesta e lo ricopriva di pugnetti leggeri.                                     
–Ti amo .- le sussurrò in un orecchio.                                                                            
La donna lo guardò , delicatamente gli prese il volto tra le mani e lo baciò sulle labbra.                                                                                                                    
–Anche io ti amo stupidone.- mormorò lei, lasciando che  il marito le accarezzasse le guance.                                     Sentirono bussare alla porta poi una voce infantile mormorare –Penso che stanno dormendo.-                            
 I due coniugi si guardarono, sorridendo, poi il marito premendosi un dito sulle labbra si avvicinò alla porta.                                         
 La porta della stanza si aprì e i visi paffuti dei loro bambini fecero capolino nella camera                                              –Madre dove…- chiese il maschio interrompendosi all’improvvisa apparizione del padre da dietro alla porta.                                                                                                         
   I due sobbalzarono, la minore corse ad abbracciare la madre spaventata.                             
  –Tranquilla- mormorò la donna dandole pacche sulla schiena, mentre nascondeva un sorrisetto divertito.                                                                                                                         
Il maggiore invece stava ritto sulla soglia con l’aria spavalda tipica degli otto anni.          
–Sapevo dov’eravate Padre.- disse con aria risoluta il bambino.                                       
 L’uomo rise  dandogli  un buffetto sulla spalla del piccolo –Certamente Robert!-    
 Robert divenne rosso per l’imbarazzo poi corse anche lui a nascondersi tra le gonne della madre per evitare che gli occhi del padre lo vedessero.                                                       
Un corno da guerra suonò. L’uomo rizzò il capo e gli occhi spaventati s’incrociarono con quelli della moglie.                                                                                                                 
   –Chester ma cosa…-  domandò la donna.                                                                          
  Il marito le fece cenno di tacere poi il corno risuonò nuovamente.                                             
–Lilian prendi i bambini e vai a nasconderti.- le ordinò.                                                       
La donna annuì poi prese entrambi i figli per le mani e uscì dalla stanza.                  
Sulla sogli si voltò a guardare il marito –E’ Riccardo non è vero?- chiese spaventata                 
Chester annuì poi abbassando gli occhi mormorò –Sapevamo che doveva succedere Lilian, sapevamo che quel bastardo usurpatore sarebbe venuto.- strinse i pugni fino a sbiancarsi le nocche –L’importante è salvare Eleonor e Robert.-                                                 
La donna annuì poi oltrepassò la soglia nascondendo le lacrime che le bagnavano le guance.                    
Dopo che la moglie se ne fu andata, trascinando i figli spaventati, Chester scagliò il pugno sul legno del letto producendo un  tonfo sordo.                                                   
-Maledetto!- urlò , la certezza della perdita contro Riccardo lo uccideva.                         
  Pensò ai suoi figli: Robert di otto anni e a Eleonor di cinque erano la sua vita.                   
Se Riccardo avesse vinto, sapeva che li avrebbe uccisi o rinchiusi ne suo castello.    
Immaginò Eleonor vestita da sgualdrina, alla mercé di nobili e rabbrividì.   
  Senza esitare prese la spada e si diresse verso la porta uscendo.
Riccardo cavalcava il suo cavallo sicuro verso il castello del conte di Glouster.           
  Il conte era uno dei pochi bastardi che ancora non si erano piegati al suo volere credendo ancora in un possibile ritorno di Enrico il Giovane, suo fratello.             
  Sorrise, nessuno sapeva che il suo “fratellone” era morto già da tempo ormai. Giunsero al castello, il conte lo stava aspettando sulla soglia del portone.                     
–Mio Principe.- lo salutò enfatizzando l’ultima parola.                                                     
Riccardo fece una smorfia –Re, mio caro conte.- riprese fiato, ignorando lo sguardo torvo di Lord Chester –Sono venuto qui per chiedervi di giurarmi fedeltà-                                  
Il conte socchiuse gli occhi –Mai- sussurrò.                                                                                      
–Allora in questo caso.- mormorò il Re sfoderando la spada –Sarete costretto a battervi.-                                           Lord Chester annuì e aspettando che Riccardo scendesse da cavallo sfoderò a sua volta la spada.                                                                                                                            
 I due iniziarono a duellare, il Re menava fendenti a destra e a sinistra mentre il conte si limitava solo a difendere.                                                                                                                      
Poi Riccardo colpì al polso Chester e la spada del conte volò lontano.
Il nobile alzò le mani in segno di resa e il Re ghignò soddisfatto.                                                        
  Chester s’inginocchiò abbassando la testa e Riccardo si preparò a menare il fendente decisivo quando una bambina urlò.                                                                               
  Riccardo volse lo sguardo e si accorse che una fanciulla era apparsa sulla soglia. E che veniva verso di lui tenendo una mano tesa , gli occhi le brillavano di coraggio          
 –Vi prego.- mormorò .                                                                                                                          
 –Come vi chiamate bambina?- le chiese con dolcezza.                                                                
 Il conte si voltò e vedendo la figlia fece una smorfia
  –Eleonor.- rispose l’ingenua.                                          
Il re ghignò –Un bel nome.- poi avvicinandosi continuò –Che dite Eleonor di venire nel mio castello.-                          
 -Ti prego.- sussurrò Chester.                                                                                                                
 Riccardo lo fulminò con lo sguardo e avvicinò la lama al collo ma la bambina lo fermò –Accetto-
 Il Re sorrise poi tese la mano e la fanciulla la prese.                                          
L’uomo la fece montare sul cavallo poi salendo a sua volta salutò il conte –Arrivederci Lord Chester, spero che vostra figlia si dimostri molto più servizievole di quanto lo siete stato voi!-                                                                       
Quando il Re si fu allontanato, Chester  lanciò un urlo disperato e iniziò a rincorrere il cavallo reale ma inciampò e si ritrovò nel fango mentre le lacrime gli inumidivano le guance.
Quando ritornò al castello  Lilian lo aspettava sulla soglia.                                                
 Appena giunse sporco di fango la moglie non proferì parola.                                      
  –L’ ha presa lui.- mormorò.        
 La donna lo guardò sbalordita coprendosi la bocca con una mano, le immagini della sua bambina le si affollarono  nella mente.            
Le gambe non la ressero più e cadde
Non visto dai genitori Robert si era nascosto dietro una tenda da quando la madre si era distratta ed Eleonor era sgusciata via non vista da nessuno.                            
Tuttavia, vedendo lo stato in cui Lady Lilian si era ridotta seppe con certezza di odiare quella creatura.
 
NOTA DELL’AUTRICE
Salve a tutti i lettori della mia ff. Innanzitutto volevo chiarire che questa è una ff di pura invenzione e gli eventi narrati sono solo il frutto di una folle.Comunque per chiarire ogni dubbio bisogna sapere che prima di Re Riccardo al trono d’Inghilterra vi era Enrico il Giovane, morto (anche se teorie affermano che fu Riccardo ad ucciderlo) quindi molti nobili erano restii a giurare fedeltà al nuovo re. Spero vi piaccia, aspetto le vostre recensioni (So che fa schifo tanto) giuggiola5
                                                                                                                                
                                        
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 Gli alberi sfilavano intorno a loro come danzatrici in un ballo sfrenato. I due, un maschio e una femmina, correvano, distanti pochi passi, sfiorandosi ogni tanto le dita. In lontananza sentivano il Capitano delle Guardie impartire ordini e imprecare. La ragazza disse –Wilfred ti prego, fermiamoci.- poi riprendendo fiato aggiunse –Sono stanca.-. Il ragazzo scosse la testa -No – sussurrò, tuttavia era chiaramente visibile che anche lui sentiva la stanchezza scivolargli addosso –Dobbiamo continuare!- esclamò risoluto. La ragazza lo guardò stupita, tuttavia non si fermò I passi dei soldati si fecero più vicini, i due si guardarono spaventati. –Corri!.- urlò Wilfred. Ma le gambe le cedettero e cadde per terra, le lacrime iniziarono a rigargli le guance -Non ce la faccio.- mormorò con un filo di voce. Il ragazzo la guardò spaventato poi accucciandosi vicino alla compagna, lasciò che questa gli posasse un braccio intorno al collo per poi prenderla tra le braccia. Riprese a correre facendo attenzione a non inciampare. Un sibilo fendette l’aria e Wilfred lanciò un urlo di dolore. Cadde, la ragazza rotolò sull’erba ma quest’ultima strisciando si avvicinò al compagno. Era steso, a pancia in giù, dalla schiena inarcata usciva un freccia dal piumaggio nero. Wilfred emise un lamento soffocato, le mani andarono dietro la schiena e grugnendo si strappò l’arma. La ragazza si alzò in ginocchio ed esaminò la ferita: era profonda, forse più di un pollice, poteva distinguere i vari strati di pelle lacerati; premette sulla carne tentando di fermare il fiotto di sangue. -Smettila.- mormorò Wilfred –Non serve a niente, vattene-. -Ma Wilfred…-. -No, non è me che vogliono.- l’interruppe –Vogliono te… non lasciare che Giovanni ti prenda …Ti prego….-. -No, io … non posso lasciarti qui da solo… ti uccideranno.- mormorò lei ricacciando indietro le lacrime. -Io sono spacciato comunque…- mormorò lui con dolcezza prendendo la mano tra le sue –Ma se tu scappi…- boccheggiò –Non sarò morto invano.-. La compagna annuì, poi lasciando che le lacrime uscissero –Wilfred perché lo hai fatto?.-. Il ragazzo la guardò poi poco dopo rispose –Perché ti amo.-. Reclinò la testa da un lato sorridendo, gli occhi castani divennero vitrei e le sue mani fredde. -Oh Wilfred, Wilfred.- mormorò lei prendendogli la testa ricciuta tra le mani –Oh Wilfred, amore mio, ti amo anche io.- gli accarezzò una guancia continuando –Perché stupido non me lo hai detto prima…- le lacrime bagnarono il volto senza vita. I passi dei soldati si fecero più vicini e lei spaventata si alzò schioccando un bacio sulla punta delle dita –Addio amore mio.- Poi riprese a correre, noncurante del dolore alle gambe. Il sole era ormai tramontato una seconda volta e la foresta di Sherwood, dove era diretta, si stava facendo sempre più vicina. Rallentò il passo e iniziò a camminare, era il secondo giorno che vedeva tramontare da quando era in viaggio Da quando Wilfred era morto. Ricacciò indietro le lacrime e si sedette. Non avvertiva alcun dolore alle gambe come se quei mille spilli che le trafiggevano fossero spariti. Sbadigliò, sembrava un’eternità da quando aveva dormito l’ultima volta. Si accucciò sull’erba e sognò. Si trovava nella sua stanza del Palazzo reale di Londra. La schiena le doleva tanto da non farla addormentare. Si rigirava nel letto,, facendo attenzione a non coricarsi sul dorso. Sentì bussare . Mormorò –Avanti.- Wilfred lo stalliere le comparve sulla soglia della stanza –Mia Signora…- -Wilfred.- disse tirandosi su, appoggiandosi sui gomiti –Che pretesto avete di chiamarmi nel cuore della notte?-. Il ragazzo la guardò intimorito –Mia Signora, non vorrei allarmarvi ma…- si iniziò a torcere le mani –Vostro zio, ha ordinato il vostro omicidio.-. La ragazza lo guardò, l’espressione indecisa tra il riso e la sorpresa, poi con tono distaccato mormorò –Sospettavo che quel bastardo mi volesse fuori!- si passò una mano sul collo –Voi da chi lo avete saputo?-. -Mia Signora, dei soldati che mi avevano affidato i loro cavalli, discorrevano sull’argomento.- mormorò il ragazzo. La ragazza annuì, passandosi una mano tra i capelli –Dovrò partire…- -Al più presto…- le consigliò il ragazzo. -Ovviamente Wilfred, partirò stanotte, non posso rischiare di ritrovami in un lago di sangue.- inorridì al pensiero –Andrò a Sherwood, da quei banditi che si dichiarano nemici dell’Usurpatore Giovanni.- sorrise –Vai a sellarmi un cavallo.- Il ragazzo annuì poi avvicinandosi mormorò –Mia Signora verrò con voi!.- Lei lo guardò , gli occhi neri lo scrutarono silenziosi –Io non…-. -Mia Signora fatemi venire con voi, sarebbe un onore per me accompagnarmi nel vostro viaggio!.- -E sia mio stalliere , mio amico.- disse enfatizzando l’ultima parola. Wilfred sorrise poi con un inchinò si congedò – Mia Signora, vi aspetto tra un’ora nelle stalle.- La ragazza annuì poi rimanendo sola scese dal letto. Si sfilò la camicia da notte, rimanendo completamente nuda. Si avvicinò allo specchio, l’addome piatto e i seni piccoli la facevano assomigliare più a un ragazzetto che a una donna matura. Un’idea le balenò in testa, prese le forbici dalla toletta e si tagliò la treccia che le scendeva per la schiena L’arnese emise un leggero scricchiolio come un lamento mentre la treccia mozzata cadeva sul pavimento. Si osservò soddisfatta, sembrava un uomo, molto effeminato come Gerard il maggiordomo ma nessuno avrebbe mai pensato che fosse una donna . Prese dalla cesta i vestiti da caccia che suo padre le aveva lasciato e l’indossò, poi prendendo un po’ di genere dal caminetto si dipinse un lieve velo di barba . Passata l’ora andò nelle stalle dove Wilfred l’aspettava tenendo per le briglie due cavalli. Quando la vide arrivare conciata in quel modo lanciò un fischio di ammirazione -Mia signora quasi non vi avevo riconosciuta.- La donna sorrise poi qualcuno alle sue spalle urlò –Ladri! Ladri nelle stalle!- . Si voltò : un ragazzetto li indicava urlando. -Presto mia signora…- disse il ragazzo indicando i cavalli . La ragazza scosse la testa –Ci vorrà troppo!- esclamò. Sentirono i passi affrettati dei soldati farsi più vicini, Wilfred lasciò andare gli animali e i due iniziarono a correre. Dopo che si erano allontanati dal castello, inoltrandosi nel bosco, decine di soldati si riversarono sul ponte levatoio. I due iniziarono a correre, a correre….. Si svegliò di soprassalto. Si accarezzò la fronte madida di sudore rabbrividendo. Guardò il cielo, la luna rischiarava con la sua pallida luce fioca, e le stelle come se si beffassero dei viandanti si nascondevano dietro la fitta coltre di nubi. Si alzò, la schiena iniziò a farle male, tuttavia riprese a camminare per svegliare i muscoli indolenziti. Giovanni strinse al petto la treccia, l’odore della donna a cui era appartenuta gli riempì le narici. L’ accarezzò, sentendole la morbidezza, la rigirò tra le mani con delicatezza come se fosse uno scrigno pieno di monete preziose. L’aveva trovata la Tata mentre questa chiamava disperatamente la donna a cui era appartenuta. Le dita si posarono sulla fine dell’intrecciatura, dove un paio di forbici l’aveva tranciata senza pietà. La donna a cui era appartenuta era scappata insieme a quel stalliere…quello curioso che non si faceva mai i fatti suoi…quello come si chiamava? Ah si, Wilfred. Quel bastardo e la donna erano scappati per chissà dove. Un araldo gli venne ad annunciare la visita del Capitano delle Guardie. Gli occhi del Principe brillarono di curiosità e picchiettando le mani sul bracciolo del trono ordino che il visitatore entrasse. Poco dopo un uomo corpulento dalla barbetta insipida gli apparve davanti, gli occhi acquosi che lo guardavano con solenne timore mentre le mani pelose si torcevano. -Allora?- chiese trepidante Giovanni –La donna ?-. Il capitano sussultò –Mio signore la donna è scomparsa…- mormorò con una nota di rammarico nella voce –Ma Sire le nostre frecce hanno raggiunto il suo compare quel Wilfred, lo stalliere.- Il Principe lo guardò, un lampo di collera passò per i suoi occhi azzurri. Alzandosi dallo scranno si avvicinò al capitano brandendo il coltello da caccia che teneva sempre appeso alla cintura. -Mi state dicendo che quella donna è viva?! Che tutto quello che ho il corpo di un misero stalliere?!.-. L’uomo guardò il reggente spaventato –Si Sire ma…- -Basta con le scuse!- urlò Giovanni puntando il coltello alla gola dell’uomo –Hai tradito la mia fiducia Goffrey, sappilo, e io non intendo permettere che accada di nuovo!-. Descrivendo un arco sul collo del capitano aprì una ferita da cui il sangue iniziò a zampillare furiosamente. L’uomo tentò di tapparsi la ferita con le mani, ma ormai era inutile, cadde in ginocchio, un fiotto di sangue gli uscì dalle labbro, crollando sul pavimento, morì Giovanni lo guardò con disprezzo poi pulendo il coltello sul mantello dello sventurato mormorò –E per te, stupida ragazzina, aggiungi questa morte sulla tua miserabile coscienza !-

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2 Will Scarlett tese la corda mirando a un bersaglio immaginario. Scoccò la freccia, che cadde miseramente a pochi passi di distanza dall’arciere. -Ah Will! Tiri ancora come una femminuccia!- mormorò una voce alle sue spalle. Il ragazzo si voltò, Little John era appoggiato al tronco di un albero, scuotendo il testone, sorrideva tenendo la faretra per il laccio. L’arciere lo guardò con aria di sfida, poi appoggiandosi all’arco mormorò –Ehi Little John perché non tirate voi?.- con un sorriso malizioso –Almeno mi fate vedere come tira un vero arciere?-. L’omone sorrise poi prendendo l’arco che il ragazzo gli tendeva mormorando –Va bene, piccolo, ora lasciami passare.- Will si scansò facendo un buffo inchino –Prego, mio signore.-. John incoccò una freccia poi mirando al tronco di un albero, scoccò il dardo che si conficcò precisamente nel mezzo della pianta. Il ragazzo batté le mani mormorando –Complimenti, fate la barba a Robin Hood!.- nella voce una leggera nota d’ironia. L’omone sorrise poi sventolando l’arco come se fosse una bandierina disse –Io sono il migliore arciere di tutta l’Inghilterra.- poi appesantendo la voce continuò –Altro che quell’insulsa bambolina di Robin.- scoppiando a ridere. La sua risata cavernosa riempì la foresta; Will gli lanciò un’occhiataccia poi gli diede un pugno su un braccio. Little John lo guardò pensieroso, si grattò la barba nera, poi gli lanciò uno schiaffetto sulla guancia del ragazzo. Will lo guardò in tralice poi tenendosi la guancia arrosata sibilò tra i denti –Questa me la paghi!.- L’omone alzò le spalle sussurrando con aria bonaria –Quante cose che non sai piccolo.-. Un lamento si alzò dal fondo della foresta. I due compari si guardarono sbalorditi. Un altro gemito si levò. -Chi…- domandò Will, ma la mano alzata di John lo zittì. Un piagnucolio seguito da un flebile grido si protrasse per lungo tempo. Little John s’iniziò a camminare ,brandendo l’arco teso verso il vuoto a mo’ di arma contro lo sconosciuto. L’omone continuò ad avanzare, poi con voce roca urlò –Fatti avanti, sconosciuto.- Una figura apparve, da dietro un albero, tenendo le mani alzate, il cappuccio calato sul volo gli celava il viso. Con la punta dell’arco, John gli scostò il copricapo, rivelando un volto femminile segnato da sporcizia e da uno lungo viaggio. L’omone indietreggiò sbalordito. La donna lo guardò supplichevole, le labbra screpolate bisbigliarono qualcosa, tese le braccia verso John . Poi le gambe le cedettero e si accasciò, le braccia si afflosciarono lungo i fianchi, la sconosciuta reclinò il capo da un lato, lasciando che un rivolo di saliva che le scorreva lungo il mento cadesse disperdendosi tra l’erba. Will si avvicinò al compare per osservare anche lui la donna. Arrivato alle spalle del compagno, si premette una mano sulle labbra sorpreso. Nel frattempo la donna era completamente stesa sull’erba esausta. John si volò verso l’amico proponendo–Dobbiamo portarla all’accampamento.-. L’altro annuì continuando a guardare la straniera. L’omone sospirò poi, chinandosi, la prese in braccio. La sconosciuta si risvegliò e spalancando gli occhi lo guardò spaventata. Fece per urlare ma John la fissò tentando di sorridere , ma che su quella faccia barbuta apparivano come un ghigno di un leone pronto ad attaccare. La donna emise un grido strozzato ma svenne nuovamente, la testa le si adagiò sul braccio dell’omone, le braccia posate sull’addome, le gambe sporgevano da quel cerchio costituito dagli arti. John la osservò con dolcezza come un padre che osserva il proprio figlio. La voce di Will lo riscosse dai suoi pensieri –Little John ti vuoi dare una mossa?!- L’omone sollevò lo sguardo, il compagno si era già allontanato ed ora lo fissava irritato. John annuì poi s’incamminò, cullando la sconosciuta come se fosse una bambina, iniziando a canticchiare una canzoncina che aveva sentito molte volte cantata dalle balie per far addormentare i bambini. …………………………………………………………………………………………........................................................................................... Robin accarezzò il legno dell’arco con dolcezza come se stesse toccando la pelle di una donna. Marian. Quel nome gli rimbombò nella mente. Il volto sorridente di una donna si affacciò nei ricordi; gli occhi verdi ridenti, la bocca rossa dischiusa in un sorriso, la pelle bianca segnata dalla fatica di lavorare nei campi per sostituire i braccianti che il padre non poteva permettersi…. Scosse la testa , doveva dimenticarla, doveva dimenticare quel nome, quegli occhi… Quella donna non poteva essere sua, quella donna era promessa di un altro, ha quel Guy di Gisburne, il cugino dello Sceriffo di Nottigham. Non aveva paura di quell’uomo, aveva paura di Marian, la donna che gli aveva rubato il cuore e che con le sue parole più taglienti di una lama di un coltello lo aveva fatto sanguinare. Ancora la vedeva mentre scuoteva i riccioli ramati e lo guardava con quegli occhi ridotti a due fessure. -Robin io non ti amo!- aveva sussurrato sprezzante. Lui l’aveva osservata, nella mente le peggio parole che conosceva si affollarono aprì la bocca per dirne qualcuna, invece mormorò –Perché? .-. La donna lo aveva guardato sorpresa poi volgendo lo sguardo oltre la spalla dell’uomo rispose –Lo sai, io sono promessa sposa a Guy poi…- prese a torcersi le mani, poi gli occhi si posarono su Robin e continuò –Odio quello che fai!-. L’aveva guardata indietreggiando urlando –Quello che faccio, lo faccio per Nottigham, lo faccio per combattere le ingiustizie io….- -E lo pretendi di fare rubando?... Bel modo di ristabilire l’ordine, Robin…- replicò lei fissandolo con gli ironici occhi verdi L’uomo l’aveva fissata, sbalordito poi prendendole un braccio mormorò –Sarai infelice…- La donna si era liberata dalla morsa della sua mano –Lasciami stare, Robin.-. mormorò. Lui le si avvicinò le prese il viso delicato tra le mani poi premette con forza le labbra sulle sue. Lei lo aveva respinto guardandolo incollerita –Fuori dalla mia casa!.-. urlò lady Marian indicando rabbiosa la porta. Robin si voltò dandole le spalle ed uscì, sulla soglia si girò a guardarla. Lei era sempre in piedi sul salone, le mani incrociate dietro la schiena, le labbra serrate e gli occhi brillanti di rabbia. L’uomo l’aveva osservata e si era rivoltato uscendo da quella casa…. -Robin!.- la voce di Will Scarlett lo richiamò alla realtà. L’uomo si voltò verso di la voce, il ragazzo correva verso di lui agitando le braccia, dietro di lui con passo più cauto camminava Little John, che portava tra le braccia della legna. I due si avvicinarono e pian piano Robin capiva che quello che l’omone portava in braccio non era legna ma una figura raggomitolata. -Robin abbiamo trovato …- iniziò a spiegare Will tenendosi una mano sul petto –Abbiamo trovato questa sconosciuta nella foresta.- L’uomo osservò il ragazzo sbalordito poi posò lo sguardo su John che si limitò ad annuire. Robin si alzò in punta di piedi per osservare meglio la donna e notò una cicatrice che le correva lungo lo zigomo destro. -Portatela all’accampamento, da Djaq.- ordinò. I due annuirono poi s’incamminarono verso il campo dei fuorilegge di Sherwood. Giunsero alle capanne con più ritardo del solito a causa del passo che Little John manteneva per non svegliare la donna. L’accampamento era costituita da dodici capanne , disposte a U, due sulla base e cinque di fila per formare i bracci. Tutte si affacciavano su un enorme spazio ricoperto d’erba. Al centro del campo c’era un braciere e nonostante il pomeriggio afoso i tizzoni ardevano e una ragazzina sui tredici anni badava la fuoco, pungolando le braci con un bastone. Will salutò un uomo di vedetta, che non sembrò interessato a ciò che Little John portava in braccio. Arrivarono davanti alla capanna di Djaq e il ragazzo scosse debolmente le tende per far segno della loro presenza. La donna s’affacciò, i capelli crespi neri simili a lana le ricadevano sulla fronte, gli occhi arrosati indugiarono su Will e John per brillare alla vista della sconosciuta. -Altro lavoro!-. esclamò con una punta d’ironia nella voce. John annuì e Djaq sospirando lo fece entrare. L’omone si dovette inchinare per entrare . La donna fece stendere la sconosciuta su una brandina poi congedò l’uomo. John fissò a guardare la giovane con dolcezza, poi uscì stiracchiandosi le braccia indolenzite. Rimasta sola Djaq guardò la straniera, dormiva, la pelle appariva cerea sotto la luce delle candele, le labbra serrate screpolate, gli occhi sbarrati ,una cicatrice le correva sullo zigomo destro. La rigirò su un fianco e le strappò la camicia e rimase sbalordita. La schiena bianca era segnata da cicatrici di lunghezza diversa, alcune più recenti di altre, pareva un giardino ricoperto di crisantemi. Passò un dito su segno e la sconosciuta sobbalzò. La straniera si svegliò e Djaq l’osservò impietrita nascondendo il dito. La sconosciuta si voltò e guardò supplichevole la donna –Vi prego- mormorò –Non ditelo a nessuno…- Djaq annuì posandosi una mano sul cuore poi chiese –Come vi chiamate?-. La ragazza la scrutò, indugiando sulla sua pelle nera poi rispose –Till.-

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Il capitolo è molto forte,contente scene di violenza, pertanto si sconsiglia a un pubblico facilmente emozionabile Capitolo3 Guy di Gisburne osservò rapito il mantello di sua Maestà il Principe Giovanni. L’uomo lo portava con disinvoltura, adagiato sulle spalle, lasciando che lo stemma della casata reale risplendesse sotto la luce del tramonto. L’uomo era rimasto a fissare il manto con gli occhi spalancati per scorgere ogni minimo dettaglio. Una gomitata sullo stomaco datagli dallo Sceriffo lo fece tornare alla realtà. S’inchinò al Re tentando di focalizzare la sua attenzione sul sovrano. Il monarca gli tese la mano, Guy premette le labbra sulle dita inanellate, provando una sensazione di ribrezzo al contatto con il metallo freddo. Giovanni lo guardava sorridendo, gli occhi color del mare brillavano d’ironia. Guy fece un sorrisetto per nascondere l’imbarazzo. -Alzatevi Guy di Gisburne.- ordinò il sovrano. L’uomo fece quanto ordinato, tenendo lo sguardo abbassato per non incontrare quello di Giovanni. -Come mai qui Vostra Maestà?- domandò lo Sceriffo. Il sovrano distorse la bocca in una smorfia –Non credevo che la mia visita non fosse gradita.-. -No ,Sire mi avete frainteso…- tentò di scusarsi l’uomo –Domandavo come mai non mi avete avvertito, avrei potuto rendervi il mio castello più accogliente… -. Giovanni sorrise divertito, posando una mano sulla spalla dello Sceriffo –Allora, mio caro amico, ero venuto a festeggiare con voi la mia investitura di reggente, dato che il mio povero fratello è stato rapito…- mormorò l’ultima frase con una punta di malignità nella voce. Lo Sceriffo annuì poi dopo aver rivolto un sorriso al sovrano urlò –Guy ordina a i nostri servi di preparare una stanza per il nostro amato re!- Guy l’osservò stupito. Lo sceriffo notando che il cugino ancora non si era mosso, mormorò minaccioso –Devo ripeterlo di nuovo.- posando un mano sul manico del coltello. Guy rabbrividì, lo sguardo cadde sulla mano guantata, sentendo nuovamente il dolore del coltello che gli tagliava il mignolo, rivide il moncherino cadere sul pavimento, udì la risata beffarda dello Sceriffo. Annuì poi corse a eseguire gli ordini dello sceriffo. Rimasto solo con lo Sceriffo propose –Sua Maestà gradirebbe di salire nelle mie stanze per discutere in privato?.- Il sovrano annuì poi entrambi gli uomini entrarono dentro il palazzo. Salirono una rampa di scale poi giunsero davanti ad un porta. Lo Sceriffo si sfilò una chiave dalla cintura e aprì la porta e i due entrarono. Dopo che essersi messo seduto sul letto il Re mormorò –C’è un altro motivo per cui sono venuto qui, mio buono amico.- -Dite pure – Giovanni s’iniziò a torcere le mani –Bè come voi sapete mio fratello aveva una figlia….- s’interruppe . Una bambina era apparsa davanti ai due, tra le braccia teneva un cesto con delle provviste. La creaturina si avvicinò allo Sceriffo –Mio signore, la mamma vi manda questo.- mormorò porgendogli la cesta. L’uomo fece un cenno infastidito con la mano, poi sollevando l’indice della mano destra con fare iracondo urlò –Stupida, non vedi che sto parlando con Sua Maestà!-. La bambina indietreggiò spaventata ma lo sceriffo la prese per i capelli, facendole cadere di mano il cesto. La piccola prese a dimenarsi e a urlare, alzando i pugni al cielo. L’uomo, impassibile, la trascinò fuori dalla stanza, dandole un calcio per allontanarla. Il sovrano la guardò, provando un misto di piacere nel vedere quella creatura ridotta in quello stato. -Scusate Sire.- esclamò lo sceriffo abbassando gli occhi. -Oh non vi scusate, mio caro Sceriffo di Nottigham.- rispose il Re, passandosi una mano sulla fronte.- Comunque stavo dicendo che come ben sapete mio fratello aveva una figlia, una bambina viziata secondo il mio parere ,ma per il padre quell’insulsa creaturina era tutto…Comunque quando lui è partito ha lasciato a me la custodia di sua figlia e io ho fatto tutto il possibile per non farle mancare la presenza di un padre… ma quella cosina ingrata è scappata…-riprese fiato –I miei uomini l’hanno cercata ma invano, pare essere svanita nel nulla, tuttavia ho avuto il dubbio che la mia nipotina si fosse unita a qualche banda che in questo periodo popola la foresta di Sherwood…- Lo Sceriffo lo guardò sbalordito –Pensate forse che vostra nipote si possa essere unita alla banda di Robin hood?- -Esattamente, mio caro amico.- esclamò il sovrano battendosi una mano sulla coscia -Perciò mi sono recato qui, per prestarvi il mio ausilio per sconfiggere questi fuorilegge- Lo sceriffo annuì poi un’idea gli balenò nella mente –Sire perché non dite che la vostra adorata nipote è morta, insomma che ha avuto un incidente mentre si recava a Nottigham…- sorrise vedendo gli occhi del sovrano che lo fissavano attenti –Così non potrà rivelare, ovunque ella si trovi, chi è veramente altrimenti la crederanno un’impostora…- -Ma il corpo, il popolo vorrà vedere il suo corpo!- esclamò Giovanni. -Trovate una prostituta che le assomigli e…- si passò due dita sul collo. Il sovrano batté le mani contento –Ben detto amico mio, il vostro ingegno è rimasto sempre quello di un tempo…- L’uomo sorrise poi sentì un’ondata di desiderio pervadergli le membra Lo sceriffo si avvicinò al Re –Mio Signore, potreste farmi il piacere di deliziarmi come un tempo.- mormorò. Gli alzò il mento, accarezzandogli la barba, poi lo baciò. Le due lingue s’intrecciarono, danzando in un ballo sfrenato. Giovanni portò le mani sull’ orecchie dello Sceriffo accarezzandogli la testa calva, mentre l’altro affondava le unghie nella massa di riccioli scuri. Qualcuno bussò alla porta, poi la voce nasale di Guy mormorò –Mio Signore, le vostre stanze sono pronte.- I due si staccarono a malincuore e il sovrano si alzò poi si diresse verso la porta per bloccarsi all’improvviso. Si volò verso lo sceriffo e tendendogli la mano mormorò –Ti amo-. L’uomo annuì poi prendendo la mano tra le sue e accarezzandola rispose –Anche io ti amo.- Il sovrano emise un gridolino di piacere poi uscì dalla stanza. Lo sceriffo, dopo che il sovrano se ne fu andato, si sedette sul letto. La trapunta emanava il suo odore, e sentirlo gli provocava ancora più desiderio. Si slacciò l’armatura poi chiamò un servo. Un ometto calvo sulla cinquantina apparve poco dopo. -Vai al bordello di Lady Mavis e portami la più giovane puttana che riesci a trovare.- ordinò Il servo annuì poi tendendo una mano mormorò con la sua voce gracchiante simile al gracidio di una rana –Mio signore i soldi per pagare Lady Mavis.- Lo sceriffo sospirò poi si sganciò dalla cintura un sacchetto di monete e lo diede all’ometto. Quello fece un rapido inchino poi sparì . Dopo una mezz’oretta, durante la quella lo Sceriffo si era svestito e aveva indossato una camicia da notte, tornò, accompagnato da una ragazzina sui dodici anni, dalla pelle olivastra e dagli occhi a mandorla. Il servitore si congedò con un inchino lasciando i due da soli. Lo sceriffo la osservò, indossava una tunica bianca, stretta in vita da un cordone. Afferrò la scollatura e strappò lasciando la creatura completamente nuda. La poverina arrossì poi con le mani tentò di coprirsi i piccoli seni. Lo sceriffo la schiaffeggiò e quella cadde a terra, poi tirandosi su la camicia fino alla vita si stese su di lei. La sentiva gemere, sussultare e piangere e ne provava piacere. Emise un verso gutturale poi nascose il viso tra i suoi seni respirandone l’odore ancora da bambina. Una mano le sfiorò il pube ,ancora non del tutto peloso, facendola singhiozzare. L’uomo ritirò la mano, le prese i polsi e li sbatté per terra, iniziandole a baciare il collo. La ragazzina svenne. Lui si sputò su una mano poi l’iniziò a penetrare con forza. Quando ebbe finito si alzò e diede un calcio alla poverina che si svegliò sussultando. -Vai!.- le ordinò facendo un cenno con la mano. La ragazzina annuì poi prendendo ciò che rimaneva della sua veste, corse fuori dalla porta iniziando a singhiozzare. ……………………………………………………………………………………….................................................. Guy non riusciva a dormire. Al piano superiore nelle stanze di suo cugino lo Sceriffo di Nottigham provenivano strani rumori, poi il suo stomaco non la smetteva di borbottare. Si accarezzò le nocche della mano pensieroso, cercando d’immaginare cosa avessero detto i due uomini da quando lo avevano mandato via. Sentì dei passi sul corridoio. Si alzò dal letto, maledicendosi per non riuscire a dormire. Prese una torcia e si avvicinò alla porta posando la mano sulla maniglia. Contò fino a dieci poi l’abbassò. Il corridoio era buio, Guy portò la torcia davanti a sé come un’arma. Una figura si stava avvicinando a lui. L’uomo tese le orecchie e potè sentire un pianto soffocato. Tese la torcia verso dove proveniva il rumore. Man mano che la figura si avvicinava, grazie al chiarore del fuoco, l’uomo distinse un visetto paffuto, due occhi grandi e un nasino dritto. Guy rabbrividì, la creaturina non doveva avere più di dodici anni. La ragazzina singhiozza, coprendosi il corpicino esile con una ciò che rimaneva di una veste, mentre con una mano si asciugava le lacrime che le rigavano le guance. L’uomo le si avvicinò e quando la ragazzina lo scorse, indietreggiò spaventata, lasciando cadere il panno con cui si ricopriva rimanendo nuda. La creatura alzò le mani, inginocchiandosi –Pietà mio Signore.- urlò, mentre il corpo veniva scosso dai singhiozzi –Non fatemi del male!-. Guy la guardò meravigliato poi le mise due dita sotto il mento e le fece alzare il viso, notò che la ragazzina aveva fatto una smorfia di paura nell’osservare il suo volto coperto di cicatrici. -Io non voglio farvi del male …- mormorò lui con dolcezza. La ragazzina lo guardò, sulle labbra l’accenno di un sorriso meravigliato, si alzò e s’inchinò. Nel piegarsi Guy osservò i seni e avvertì un profondo desiderio di toccarli. Da quando Marian aveva accettato di sposarlo (per amore o per paura, non lo riusciva a capire) si era prefissato l’obbiettivo di non giacere con altre donne fino al matrimonio per mantenere il suo animo puro, ma ora al cospetto di quella giovane sentiva il bisogno di stringere quei seni tra le mani, penetrarla, averla per sé. Fraintendendo i suoi tormenti la ragazzina gli prese delicatamente una mano e la portò al seno. Un formicolio gli avvolse le dita, strinse il seno con forza, era piccolo e sodo. La ragazzina buttò la testa all’indietro emettendo un verso gutturale. Lui prese a pizzicarle un capezzolo con forza. Lei prese a sfilargli la camicia quando lui la interruppe stringendole i polsi –Non, non qui!- Poi strattonandola la portò in camera sua, La buttò sul letto a baldacchino, poi si sfilò la camicia e i pantaloni. Le iniziò a baciare il collo, mentre quella prese a gemere per il falso piacere. Lui la penetrò e i gemiti si trasformarono in lamenti e versi gutturali. ………………………………………………………………………………………….................................................. Djaq scrutò il cielo. Si vedevano poche stelle, tuttavia la luna brillava con la sua luce superba, La donna sospirò, grattandosi la testa ricciuta erano passati due giorni e Till non dava cenno di svegliarsi. Mugugnava, qualche volta apriva le labbra ma i suoi occhi rimanevano sbarrati Nella mente la schiena della donna continuava a perseguitarla. Chi mai poteva ridurre una creatura in quel modo? S’immaginò la frusta che sibilava alta nel cielo poi feriva la schiena della poverina. Rabbrividì. A Gerusalemme le era capitato, durante un’esecuzione in piazza, di vedere una sventurata fustigata perché aveva tradito il marito con lo scudiero. Ricordava il suo volto : una maschera, gli occhi gonfi le sporgevano dalle orbite, i capelli neri le s’incollavano sulla fronte madida di sudore, le labbra serrate . Poi quando la frusta aveva aperto la prima ferita, la donna aveva preso ad urlare, un urlo lungo intenso, durato per tutto il supplizio. Quell’urlo che le si ripresentava durante la notte, svegliandola. Scosse la testa ricciuta alzandosi. Si voltò, lanciando uno sguardo alla luna poi ritornò nella propria tenda

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4 Till sollevò le palpebre. La luce del sole le ferì gli occhi, si portò una mano sulla fronte per schermarsi. Si alzò, una fitta alla schiena la fece ricadere sul letto. -Quanta fretta!.-. mormorò una voce accanto a lei. Si girò, una donna le sorrideva scuotendo la testa. -Tenete, bevete.- continuò, tendendole una borraccia. La donna si tirò su lentamente, notando che la saracena era seduta sul letto vicino a lei. Till la prese riconoscente, accorgendosi solo allora della sete che aveva. Se la porto alle labbra sorridendo. Quando ebbe finito chiese – Per quanto tempo…- deglutì -Per quanto tempo ho dormito?- Djaq si grattò il mento –Due giorni.-. La donna la guardò sorpresa, asciugandosi la bocca con il dorso della mano –Due giorni..- bofonchiò tra se stessa. Bevve un altro sorso dalla borraccia poi chiese–Quei due uomini, che mi hanno soccorso…- Djaq rise –Will e Little John? Tranquilla stanno bene, erano solo un po’ preoccupati... come tutti del resto.-. Till annuì poi osservò curiosa la donna sorridendo –Cos’è che vi preme dirmi?- . Djaq rabbrividì, guardò spaventata la ragazza chiedendosi sbalordita come quella sconosciuta spuntata dal nulla sapesse leggerle la mente; a Gerusalemme c’era una donna capace di farlo utilizzando amuleti e parole in aramaico, tuttavia scartò subito l’ipotesi che quella straniera potesse essere una di quelle streghe. -Vedo come brillano di curiosità i vostri occhi quando mi guardate. Dite pure, senza timore.- Djag la guardò poi prese a giocherellare con il bordo delle lenzuola mormorò –La vostra schiena…- La donna la guardò sconcertata poi si tastò accorgendosi di non aver più la camicia. -Dove sono i miei vestiti?- urlò allontanando le dita dalla schiena. Djaq si alzò dirigendosi dall’altro lato della capanna. Si accucciò, prendendo qualcosa poi ritornò verso il letto dove Till la osservava infuriata. Ritornò poi posò un pacchetto coperto di stoffa sul letto. Fece per andarsene quando si fermò voltandosi –Ancora non mi avete detto perché la vostra schiena è ridotta in quel modo- mormorò indicando la donna. Till la guardò, lanciandole un’occhiata furente poi sventolando la mano davanti a sé e socchiudendo gli occhi mormorò –Incidenti, solo incidenti- l’altra mano accarezzò la cicatrice sullo zigomo. Djaq annuì poco convinta poi uscendo emise un verso spazientito. Till osservò la schiena della saracena scomparire dietro alle tende. Si assicurò che nessuno la spiasse dalla piccola apertura che Djaq aveva lasciato nell’uscire poi si prese il volto tra le mani. Le lacrime scesero prima che potesse impedirgli di farlo. La cicatrice iniziò a pruderle, se l’accarezzò dolcemente. Le lenzuola le caddero di dosso rivelando i seni. Se li prese tra le mani, stringendoli forte, i capezzoli si inturgidirono al suo tocco. Forse era grazie a quelli che era ancora viva pensò sorridendo. Prese l’involucro che Djaq l’aveva posato sul letto e lo srotolò. Una camicia arrotolata le cadde sul grembo e quello che inizialmente aveva scambiato per banale pezzo di ricopertura si rivelò essere una gonna di lana grigia. Si alzò, il dolore le strappò un gridolino. S’infilò la camicia sistemandosela sulle spalle. Si sfilò i pantaloni, si accarezzò i fianchi sporgenti poi indossò la gonna. Si passò una mano tra i capelli corti, sistemandosi. In quel momento sentì il bisogno di uno specchio. Si voltò, frugando con lo sguardo negli angoli della casa ma non lo trovò Sospirò sconfitta, poi scostando la tenda uscì. La luce del sole alto nel cielo la colpì in pieno viso. Abbassò gli occhi, le figure le apparivano sfocate. Sbattè le palpebre, pian piano tutto tornò normale. Si trovava in un accampamento, davanti a lei una bambina l’osservava rapita, premendosi una mano sulla bocca. Non poco lontano un uomo le si avvicinava. Era più alto degli uomini normali, le manone incrociate sul petto, accarezzavano una lunga barba nera, gli occhi neri e lucenti simili alla corazza di un coleottero la scrutavano orgogliosi. Till ebbe l’impressione di averlo già visto, alzò la mano e la sventolò timidamente. Il gigante la raggiunse. -Come state?- le domandò, appoggiandole una manona sul braccio. La ragazza sorrise –Bene, grazie.- -Oh Will sarà contento quando saprà che vi siete svegliata!- Poi, mise le mani a coppa intorno alla bocca chiamando il ragazzo. Poco dopo da una capanna, un ragazzino sbucò fuori. Con una mano si teneva i capelli rossi per evitare che gli andassero sugli occhi, mentre con l’altra gesticolava farneticamente. Lanciò un’ occhiata verso l’omone poi emettendo un gridolino esasperato fece per ritornare nella tenda quando la voce potente di Little John lo fermò –Razza di stupido! La ragazza si è svegliata!- Will si voltò subito, guardando Till, si portò una mano alla bocca per nascondere l’espressione sorpresa e a grandi falcate li raggiunse. -S…salve …- balbettò lasciando cadere i riccioli cremisi sulla fronte. -Salve- rispose la ragazza sorridendo. -St…state bene?.-. domandò scrutandole la cicatrice. Till si passò una mano sulla guancia, il sorriso si trasformò in una smorfia infastidita, rispondendo secca –Si!-. Will rivolse uno sguardo a Little John, il quale si limitò a scrollare le spalle sorridendo. -Come vi chiamate ?- chiese l’omone per rompere la tensione. -Till…- poi guardando nel vuoto aggiunse –Till Wilfreddaughter.- Will fischiò –Bel nome!- commentò sarcastico. -Mia madre non ha avuto tempo di darmene uno più lungo .- disse accigliata –Poi non mi sembra che Will sia tanto diverso da Till!- John scoppiò a ridere, tenendosi l’addome con una mano –Piccoli, siete ancora piccoli!- mormorò per poi riscoppiare a ridere. Will gli lanciò un’occhiataccia, dandogli una gomitata sullo stomaco. L’omone emise un verso gutturale, poi asciugandosi gli occhi mormorò –Ne avete di tempo per crescere!-. poi fece l’occhiolino a Will continuando a ridere. Il ragazzo lo guardò scandalizzato poi notando l’espressione divertita di Till, scoppiò a ridere a sua volta. ………………………………………………………………………………………….................................. Robin osservò Djaq. La donna era appena entrata nella tenda. Come sempre aveva gli occhi arrosati e i capelli neri le ricadevano sulla fronte madida di sudore. -Robin la straniera si è svegliata.- mormorò la donna incrociando le mani dietro la schiena. L’uomo la guardò meravigliato –Bene.- poi aggiunse –Come si chiama?- -Till, o almeno così mi ha detto.-. -Tu pensi che potrebbe aver cambiato nome?-. Djaq annuì -Perché?-. le chiese l’uomo passandosi una mano tra i capelli pensieroso. -Sicuramente era in fuga da qualcuno, le circostanze in cui è stata trovata lo fanno pensare e poi …- la donna si fermò di colpo. -E poi?- la incalzò Robin. Djaq lo guardò –Ho promesso che non avrei detto niente a nessuno!- -Me ne devi parlare, Djaq, potrebbe essere importante per la sicurezza del campo! – esclamò l’uomo avvicinandosi. La donna abbassò lo sguardo poi mormorò –Quando è venuta qui, trasportata da Little John, per vedere se avesse qualche ferita le ho aperto la camicia e…- si portò una mano davanti agli occhi –Oh Robin quella povera creatura, le pene dell’ Inferno ha dovuto subire… La sua schiena, non c’era un lembo di pelle non segnato da una cicatrice ed alcune erano anche ferite fresche… Quella che ha sulla guancia è solo un accenno di quello che è il suo corpo!- Robin la osservò inorridito –Chi mai… chi mai potrebbe fare una cosa del genere?- La donna scosse la testa –Non lo so, le ho chiesto ma ha liquidato la cosa dicendomi che erano solo banali incidenti.- poi storcendo la bocca –Come se le frustate fossero banali incidenti!- L’uomo annuì passandosi una mano tra i capelli - Non la possiamo costringere a dirci ciò che non vuole!- -Già.- Djaq schioccò la lingua -Ho bisogno di parlarle…- sentenziò Robin, grattandosi la testa pensieroso –Forse ne capirò qualcosa…- La saracena lo guardò spaventata –Oh, per carità! Non accennare a questa conversazione!- si portò le mani al petto –Quella creatura mi ha fatto promettere che non avrei proferito parola con nessuno della sua schiena! Se venisse a sapere che ve ne ho parlato, non mi guarderà più come mi guardava quando glielo promisi! Vi prego, o il mio cuore ne risentirebbe!- L’uomo la guardò esterrefatto –Ma Djaq cerca di comprendere le mie esigenze. Per la nostra sicurezza e per la sicurezza del campo devo sapere! Non posso accogliere chiunque si presenti barcollante e sanguinante al confine di Sherwood! Quella ragazza potrebbe anche essere una spia mandata dallo Sceriffo! La posta in gioco è molto alta !- La donna abbassò lo sguardo –Ma Robin, non puoi mandarla via…. Se le accadesse qualcosa io…- si guardò le mani iniziando a tremare. L’uomo la circondò con le braccia dolcemente, dandole leggere pacche sulla schiena come se consolasse un bambina –Non le capiterà nulla di male, te lo prometto.- mormorò. Djaq inspirò il suo odore poi domandò incredula –Vuol dire che rimarrà qui a Sherwood?- Sentì il cuore di Robin sobbalzare –Non lo so … io… - la sua voce era incerta –Io le devo parlare.- mormorò acquisendo quella sicurezza che lo aveva reso famoso. La saracena si staccò dall’ uomo, lo guardò : due ombra violacee segnavano gli occhi solitamente allegri ora erano persi nel vuoto insicuri. In quel momento, un lieve movimento delle tende richiamò l’attenzione di Robin. -Avanti.- ordinò . Una donna entrò. Non doveva avere più di vent’anni, i capelli neri le ricadevano sulle spalle, divisi sulla fronte, gli occhi color del cielo in primavera osservavano i due con curiosità. Djaq osservò la nuova arrivata, mormorando –Io vado.- Sfiorò la spalla di Robin in segno di saluto poi chinando il capo verso la donna si congedò. La donna si avvicinò all’uomo che le domandò –Che ci fai qui?- Lei gli accarezzò una guancia chiedendo apprensiva –Hai avuto altri incubi?-. L’uomo scosse la testa, prendendole delicatamente la mano –No Love sta tranquilla- le sorrise –Da quando mi hai dato quegli impacchi dormo come un bambino.- La saracena ritirò la mano poi lo fissò freddamente –Sono contenta!- si voltò e gli diede le spalle Robin la guardò sorpreso –Love?...- la chiamò –Che ti succede?- La donna scosse la testa –E’ inutile, tanto non capiresti.-. -Aiutami a capire allora!- sbottò l’uomo allargando le braccia. La saracena scosse la testa poi prendendosi il volto tra le mani mormorò –Perché l’ami, Robin, se lei ti ha rifiutato?- si voltò, gli occhi le erano diventati lucidi, le mani si grattavano freneticamente la testa. L’uomo indietreggiò spaventato –Io…- -Vedi non lo sai neanche tu.- si avvicinò, i loro nasi si sfiorarono –Potresti avere chiunque, ma vuoi lei!- gli sfilò la cintura - Potresti avere ogni donna ai tuoi piedi, e invece vuoi quella che ti ha rifiutato! –gli prese il volto tra le mani –Potresti avere me !- premette le labbra sulle sue. Sentì le mani di Robin stringerle i seni, poi le sue mani si allontanarono, la respinsero violentemente. Lo guardò stupita, le lacrime le bagnarono le guance. -Mi dispiace.- sussurrò l’uomo avvicinandole una mano. Love si scansò – Di che ti dispiace? Di non amarmi, Robin?- sorrise sprezzante –Se ti dispiacesse per davvero, non mi avresti rifiutato!- Si voltò e se andò, asciugandosi gli occhi con le mani. Robin osservò la schiena della donna sparire dietro le tende, poi si portò le mani tra i capelli. Si sedette sul pavimento. Nella mente il volto che aveva tentato di sopprimere riapparve più nitido di prima, poi la voce di Love rimbombò –Perché l’ami , Robin se lei ti ha rifiutato?.- Il mondo prese a vorticare intorno a lui, tentò di aggrapparsi a qualcosa, ma le mani abbracciarono il vuoto. Le braccia si afflosciarono lungo al corpo, reclinò la testa da un lato, gli occhi si fecero lucidi. -Stupido!- esclamò una voce. Alzò il capo, e gli occhi neri incrociarono quelli verdi di lady Marian. La donna era davanti a lui, i capelli ramati le sventolavano intorno, le dita sottili intrecciate dietro la schiena. -Stupido!- esclamò. L’uomo la guardò stupito, sbattendo le palpebre non riusciva a credere che lei fosse davanti a lui -Marian- mormorò La donna annuì –Che fai li seduto?!- disse indicandolo. L’uomo si alzò, spolverandosi i calzoni con le mani dalla polvere. -Oh così va meglio!- sentenziò Marian buttando indietro la testa e scoppiando a ridere. A Robin piaceva quando la sua risata. Gli ricordava quel giorno, quando erano andati al lago e lui era scivolato nell’acqua ghiacciata e lei non la smetteva di ridere. Rideva buttando indietro i riccioli ramati, rideva mentre gli occhi le brillavano, rideva nonostante lui stesse gelando. Quel giorno Robin si era innamorato di lady Marian. La figura davanti a lui mutò, si abbassò di qualche centimetro, i capelli si scurirono fino a diventare neri come le ali di un corvo, le labbra smisero di sorridere e si strinsero in una smorfia. La donna ritornò a guardarlo: gli occhi azzurri lo trafissero –Perché non mi ami?!- urlò, allungò le mani per prenderlo ma lui sgusciò via, saltellando. -Coraggio, arciere, fatti prendere da me- continuò quella canzonandolo –Perché non vieni da me e ti fai dare un bacino?- urlava scoprendo due zanne al posto dei canini -Il grande Robin hood che scappa di fronte a un bacino! Pu-ah !- e scoppiava a ridere mostrando la fila di denti acuminati. Ad un certo punto l’essere lanciò un urlo agghiacciante simile al rumore di vetri infranti. La creatura produsse uno scoppio, scomparendo. Robin si passò una mano davanti agli occhi, ma l’essere era sparito. Lanciò un gridolino di soddisfazione poi si risedette per terra incrociando le gambe. Una risata proveniente dall’esterno gli fece rizzare il capo. Sorrise poi tra sé e sé mormorò –Little John- Si alzò, prese l’arco e la faretra, le armi che lo identificavano come capo degli uomini di Sherwood e uscì. Fuori, vicino al fuoco tre figure in piedi discorrevano fra di loro. L’uomo si avvicinò distinguendo l’imponente figura di John, quella mingherlina dalle spalle curve di Will e un’altra che non riuscì a identificare. L’omone si teneva l’addome con una mano, mentre con quella libera si asciugava le lacrime, il ragazzo invece era inchinato e si teneva i riccioli rossi con una mano per evitare che questi gli andassero sugli occhi, l’altra invece era perfettamente dritta, schiena perpendicolare al suolo e le mani incrociate sulla pancia. La postura era troppo perfetta, sembrava impostata ,pensò Robin avvicinandosi, non conosceva nessuno a Sherwood che avesse un portamento del genere, sembrava quasi….reale. Quando John lo vide lanciò un fischio d’ammirazione e Will si rialzò subito, lasciando andare i capelli e sul volto lentigginoso si formò un’espressione seria mentre la sconosciuta si drizzava la schiena ( per quanto fosse possibile). -Robin- mormorò l’omone dandogli una pacca sulla spalla. L’uomo rispose con un cenno del capo –Little John, Will.- li salutò –Volevo discorrere con la nuova venuta!- -Eccomi!- esclamò la donna che precedentemente aveva riso con i due compari. -Ah- mormorò meravigliato Robin –Non sapevo di trovarvi già qui!- -Be dove altro potrei essere…- commentò sarcastica. -Effettivamente- s’intromise Will ricevendo una gomitata da John. Hood sorrise – Avete ragione! Ma vi prego seguitemi nella mia tenda!- La donna annuì poi scambiando un cenno di saluto ai due compari si diresse verso la tenda dell’uomo seguita da Robin. -Come vi chiamate?- le domandò parandosi davanti a lei, dopo che ebbe chiuso la tenda . La donna trasalì , stringendo i pugni poi in un sussurro appena percettibile disse –Till.-. -E basta?.- Robin la guardò curioso. - Wilfreddaughter.- ammise con sforzo, emettendo poi un verso gutturale. -Ah- mormorò l’uomo accarezzandosi le nocche –E da dove venite Till Wilfreddaughter, se è possibile saperlo?.- La donna gli lanciò un’ occhiata sprezzante poi volgendo lo sguardo rispose –Londra.- -Londra!- esclamò l’uomo inarcando un sopracciglio –E come mai una donna, farebbe tana strada per arrivare qui a Sherwood?- Till lo guardò ironica –E come mai un ricco nobile, improvvisamente diventa uno dei banditi più ricercai di tutta l’Inghilterra?-. Robin la guardò sorpreso e lei continuò–Oh Robin Hood, non c’è uomo, donna o bambino in tutta l’Inghilterra che non conosca il vostro nome, chiunque, in questa terra, vi ammira, vi loda…- -E mi vuole morto…- sorrise beffardo l’uomo. Till lo guardò sorridendo –Già anche quello, ma, oh Robin Hood, la vostra sfortuna è che vi trovate solo Nottigham mentre tutta l’Inghilterra vorrebbe il vostro ausilio- riprese fiato –Ed è per questo che sono qui, per avere il vostro aiuto e la vostra protezione…- s’inchinò, abbassando la testa e tendendogli le braccia in segno di rispetto. L’uomo rise, buttando all’indietro la testa –Sapete farci con le parole, Till.- poi tornando improvvisamente serio continuò –Ma ancora non avete risposto alla mia domanda, perché mai siete qui?- La donna fece una smorfia poi alzandosi mormorò –Mio padre era il vecchio stalliere del principe Giovanni, ma un giorno si ammalò e lo buttarono fuori. La mia famiglia era disperata, con cinque figli al seguito e le tasse da pagare… vendemmo la casa finendo in strada… ah, quella vita era dura… mio padre già ammalato finì i suoi giorni in un angolo preso a calci dai ragazzini, mia madre ci aveva già abbandonati da quando mio padre era stato licenziato e i miei fratelli uno dopo l’altro perirono di fame e di freddo, di quella famiglia devastata rimanemmo io e mio fratello.- si asciugò una lacrima che le correva lungo la guancia –Io e mio fratello, soli e abbandonati, iniziammo a rubare, giusto qualche piccolo furtarello… finché un giorno mio fratello venne da me dicendomi che l’indomani avremmo fatto il colpo più grosso della nostra vita, un colpo che pochi si potevano permettere di raccontare una volta compiuto : rubare al castello del Principe Giovanni…. Il suo piano funzionò ma poi una serva ci scoprì e andò a chiamare le guardie…. Ci arrestarono, ma riuscimmo a fuggire…le guardie ci inseguivano, noi correvamo, ma loro ci stavano alle calcagna io…- ansimò –io caddi e mio fratello mi prese in braccio, poi…- si portò una mano sulla bocca –Una freccia lo raggiunse sulla schiena e lui ed io rotolammo per terra, lui si estrasse la freccia dalla schiena… c’era sangue, tanto sangue, la sua camicia era imbrattata di sangue… lui mi urla di correre e io lo faccio…lo lascio lì da solo, morente, alla mercè dei soldati, lo lascio da solo, dopo che lui si era preso cura di me, io…- le lacrime presero e rigarle le guance –io ho avuto paura…- Robin le si avvicinò, circondandola con le braccia come se stesse consolando una bambina a cui hanno roto un giocattolo –Su, su,- mormorò dandole una pacche affettuose sulla schiena. La donna alzò gli occhi pieni di lacrime riconoscente. L’uomo le sorrise, le scostò una ciocca di capelli dal viso poi con mormorò – Sei sotto la mia protezione Till Wilfreddaughter, nessuno potrà più nuocerti!- La sentì annuire, le accarezzò i capelli, sentendone il profumo di gelso. Rabbrividì, sentendo il suo cuore battere più forte a quel contatto. Si staccò da lei, guardandola con ammirazione. Till non sembrava turbata, aveva smesso di piangere ed ora lo guardava con dolcezza come se fosse un bambino. -Bene…- balbettò Robin tentando di sfuggire a quegli occhi grigi –Bene… mi dispiace per tuo fratello…io…condoglianze… veramente….comunque.. dato che non ci sono capanne disponibili starai con Djaq….io spero che non ti dispiaccia?- La donna scosse la testa. -Bene.- esclamò contento Robin - ora vai, ti aspettano molte cose da imparare su Sherwood!.- continuò sorridendo. Till sfoderò un sorrisetto malizioso poi sparì, inghiottita dalle tende. L’uomo osservò la piccola apertura causata dall’uscita della donna, poi si sedette per terra. L’odore del gelso lo travolse nuovamente. Abbassò la testa, sconsolato. Non capiva il perché di quella strana sensazione. Forse si era innamorato… No, impossibile, lui amava soltanto Lady Marian, e basta. Annuì soddisfatto di quel pensiero alzandosi. Iniziò a giocherellare con la cinghia della faretra. Ma se no l’amo perché il suo odore mi ha così stravolto? Si domando. -Basta Robin, tu pensi troppo!- esclamò una vocina nella sua testa –Hai solo sentito il suo profumo e ti piace! Ruba un albero di gelso, benedetto uomo, e annusatelo quanto te ne pare! Così la dimenticherai!- “Già” pensò l’uomo poi uscì. Si guardò intorno, il capo iniziava brulicare di gente. Si stiracchiò poi s’incamminò verso la foresta per sgranchirsi le gambe. ………………………………………………………………………………………....................................................... Lo sceriffo salì le scale di fretta. Giunto al pianerottolo ansimava. Aprì una porta, contando fino a dieci. L’odore del marcio e del sudiciume lo travolse. Si portò una mano sul naso per non odorare. Tossì disgustato. -Madre- chiamò. Un volto emerse dalla sporcizia. La pelle grinzosa semitrasparente, lasciava intravedere le vene azzurro, i capelli argentei le scendevano sulle spalle, gli occhi grigio-azzurri scrutarono il figlio con disprezzo. -Sei venuto.- gracidò. L’uomo si avvicinò, la donna si scansò emettendo un lamento. -Non ti avvicinare sporco bastardo!- urlò la vecchia, sventolando una mano sul capo come per volere lanciare un incantesimo –Non mi toccare, verme!- -Madre…- mormorò lo Sceriffo avvicinandosi ancora di più. -Non osare chiamarmi madre… io non sono tua madre! Tu sei frutto di una barberia!.- urlò portandosi le mani tra i capelli spaventata –Quell’uomo mi ha spinta contro la parete e…- ululò di terrore. -e sono nato io.- finì lo sceriffo facendo una smorfia inchinandosi. La vecchia annuì –Oh caro vieni qui, fatti consolare dalla tua mammina…- mormorò accarezzandogli una guancia –Oh, assomigli tutto a tuo padre, anche se devo dire che gli occhi sono di tuo nonno.- sorrise mostrando i denti gialli. -Si madre…- mormorò l’uomo sorridendole –ho i vostri occhi!- -Oh sciocchezze – mormorò la donna sventolando una mano –hai gli occhi di tuo nonno, te lo dico io che l’ho conosciuto… grand’uomo tuo nonno, quando ero piccola mi portava a cavallo, appoggiata sul suo grembo… ah che dolcezza…- Gli occhi si persero nel vuoto, fece una smorfia poi schiaffeggiò il figlio –Porco, che ci fai qui! Ti avevo urlato di starmi lontano! Perché vuoi far impazzire una povera vecchia!- scoppiò a piangere – Stammi lontano e corri da tuo padre…- -Madre mio padre è morto, un anno fa.- sibilò lo sceriffo. La donna smise di piangere, guardandolo stupefatta poi sfregandosi le mani mormorò –Sono contenta, almeno patisce le pene dell’inferno!- ululò soddisfatta. L’uomo la guardò poi dandole uno schiaffo ,come aveva fatto lei prima , ringhiò –State zitta, per il Cielo, tacete.- La vecchia si premette un dito sulle labbra, spaventata, ma facendo segno di aver capito. Lo sceriffo sorrise poi si alzò –Brava, state iniziando a capire!-. La donna annuì poi si portò le mani sulla testa esclamando –Vi prego non fatemi del male!- L’uomo per risposta le rifilò un calcio su una costola, la donna emise un grido strozzato. Il figlio le sputò addosso poi si voltò. Mentre usciva la voce gracidante di sua madre mormorò –Sei uguale a tuo padre!- poi alzando gli occhi soddisfatta ululò contenta –Mio caro Enrico siamo pari!- poi scoppiò a ridere guardando la porta appena chiusa dal figlio. ………………………………………………………………………………………….................................. Nota dell’Autrice Mi scuso per il ritardo ma in questi giorni sono stata molto impegnata con la scuola quindi… Spero che il capitolo sia piaciuto e sia valso le attese. Aspetto le vostre recensioni. Baci a tutti i lettori

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5 Till ingoiò la zuppa. Un conato di vomito la costrinse a schiacciarsi una mano sulla bocca. Sputò la brodaglia facendo una smorfia di disgusto. Appoggiò per terra la scodella e si pulì la bocca con la manica della camicia. Will la osservò divertito –Fa schifo non è vero?- domandò indicando la ciotola. La ragazza annuì poi mormorò –Ma come fate a mangiare una cosa del genere?.- si alzò di scatto. -Francamente non ne ho la più pallida idea.- le rispose appoggiando la scodella per terra e alzandosi a sua volta –ma quando si ha fame si mangerebbe qualunque cosa- indicò un bambino seduto a pochi distanza da loro. Indossava abiti troppo grandi che sarebbero potuti apparteneread un alto, i capelli neri e untuosi troppo lunghi gli ricadevano sulle spalle, in mezzo agli occhietti neri spuntava un naso aquilino, dalle labbra un rivolo di saliva scendeva lungo il mento, le mani giallastre tenevano un pezzo di pane nero raffermo. Il bambino contemplò estasiato il cibo, come se osservasse una santa, poi se lo ficcò in bocca. Till l’osservò disgustata. -Oh non fate quella faccia.- mormorò Will dandole una pacca sulla schiena –Forse voi non avete mai conosciuto la fame, come l’ha conosciuta quel bambino.-. -Oh si.- mormorò la donna stringendo i pugni –Solo che non avevo quell’aspetto!- Will la squadrò –Avete ragione… eravate molto peggio!- la punzecchiò sorridendo malignamente. Till gli diede una gomitata sulle costole –Ah allora, non oso immaginare come eravate voi!- rispose sfoderando lo stesso sorriso maligno. Will serrò le labbra stringendo i pugni –State zitta.- sibilò a denti stretti. La donna lo guardò sbalordita poi mormorò –Voi eravate orribile per questo che non ne volete parlare!- lo punzecchiò. -Vi prego state zitta!- la implorò. -Deve essere così, altrimenti avreste reagito diversamente…- continuò Till implacabile –Un essere orribile, costretto a cibarsi delle peggiori schifezze che l’Inghilterra possa offrire…- -Vi ho detto di stare zitta!- urlò Will estraendo il coltello dalla cintura. Si avventò su di lei, stringendo l’arma, la buttò per terra. Till sbatté la schiena contro l’erba, emettendo un flebile lamento. -Ti prego…- mormorò debolmente . L’uomo le si avvicinò, tenendo il coltello alzato, negli occhi lampi di follia si alternavano a bagliori di cattiveria. Abbassò il coltello, Till rotolò via sfuggendo all’arma. -Will ti prego torna in te!- esclamò mentre tentava di rialzarsi. L’uomo le rivolse uno sguardo folle seguito da un ghigno poi avvicinandosi la raggiunse -Io non volevo, vi giuro non volevo offendervi!- ululò lei portandosi le mani al petto –Ti prego!- lo implorò. Con la coda dell’occhio, la donna scorse intorno a lei un certo movimento poi udì una voce cavernosa parlare –Will metti giù quel coltello.- il tono era pacato. Sentì il coltello cadere accanto a lei poi la voce lamentosa di Will mormorò –Mi dispiace John io…- Si tirò su, appoggiandosi sui gomiti. Vide il corpo dell’uomo afflosciarsi a terra. Si alzò con fatica, avvertendo dolore alla schiena , e si avvicinò. Gli accarezzò una spalla accorgendosi che tremava. Lui le sfiorò le dita poi sussurrò –Perdonami.- Till lo guardò dolcemente poi gli accarezzò la testa –Oh Will, certo che ti perdono… E’ tutta colpa mia, non dovevo provocarvi- L’uomo scosse la testa –No… sono io…io sono un mostro!-urlò alzandosi di scatto. I capelli rossi gli scendevano sulla fronte madida di sudore, gli occhi arrosati brillavano di follia, il petto si alzava e si abbassava affannosamente, le mani erano strette a pugno talmente forte da sbiancarsi le nocche. -Ti prego, state lontana da me – mormorò poi le diede le spalle e iniziò a correre verso la foresta. Till rivolse uno sguardo interrogativo a John, il quale le rispose fissandola torvo. Intorno a loro la gente di Sherwood diventata disinteressata si allontanò ritornando a svolgere le proprie mansioni. Rimase solo il bambino che seduto sul suo albero caduto finiva di mangiare la zuppa noncurante di ciò che era successo. ……………………………………………………………………………………………. Will correva, indeciso dove andare. Gli alberi intorno a lui, pian piano che sfilavano, assumevano un aspetto sinistro e inquisitorio. Will correva per scappare da tutti, da tutto…e da quella donna. Quella Till, spuntata dal nulla che con quell’aria da bambina innocente , era arrivata sconvolgendo quel fragile equilibrio che era la sua vita. Rallentò, le gambe iniziarono a fargli male. Si sedette per terra, tenendosi il viso tra le mani; lacrime infantili iniziarono a bagnargli le guance ancora imberbi. In quel momento avvertì una fitta al fianco. Si sollevò la camicia sopra lo stomaco, i segni bianchi di una bruciatura sul fianco destro risplenderono sotto la luce del sole. Se la sfiorò con due dita, risentendo il ferro bollente toccargli la pelle, lo sfrigolio della carne e l’odore della pelle bruciata. Rabbrividì, trattenendo a stento un conato di vomito. -Figlio del diavolo!- urlò una voce –Brutto figlio del diavolo!- Quelle parole, quando era piccolo erano sempre seguite dal dolore e dal castigo. Veniva punito non solo per le sue azioni, ma per il fatto stesso di esistere. Sbarrò gli occhi spaventato, strinse i bordi del mantello. Rivide la donna che veniva verso di lui, agitando il pugno in aria minacciosa, mostrando i suoi denti neri. -Essere immondo!- lo chiamò –Figlio del diavolo!- L’uomo si coprì la testa con le mani –Ti prego Jillian, non farmi del male – mormorò. La donna gli si avvicinò, i suoi vestiti erano impregnati di puzzo di uomini. -Che ho fatto per meritarti ? – domandò. Gli lanciò un pugno sulla tempia. Una miriade di puntini rossi si pararono davanti agli occhi di Will. -Ti prego…- sussurrò –Basta Jillian, ti prego…- -Di cosa mi preghi, piccolo diavolo, di essere nato?- lo prese per il colletto della camicia iniziandolo a scuotere violentemente –Ah se è per questo, è inutile implorare. E’ colpa di tua madre sai, se mi sei piombato tra capo e collo… - lo lasciò andare –Oh, ma certamene è colpa di tua padre!- esclamò schioccando spezzante la lingua -Quello straniero dell’est, con quell’aria da sognatore… solo un’illusa come tua madre poteva cascarci … e quando si ritrovò incinta di te, beh cosa fece… diventò monaca...- scoppiò a ridere poi tornando improvvisamente seria sbraitò –E chi si doveva prendere cura di te, del pupetto d’oro? Io, la sorella della suora, ovviamente, logico!- si batté una mano sulla testa . Alzò nuovamente il braccio poi lo calò con maggiore forza ma prima che lo schiaffo sfiorasse la guancia di Will, l’uomo spalancò gli occhi. Era solo. Sospirò di sollievo, passandosi una mano sulla fronte madida di sudore. Si abbassò la camicia sorridendo, la bruciatura smise di fargli male. Si alzò felice, spazzolandosi i pantaloni dalla terra. Sentì un rumore alle spalle, uno scricchiolio di rami, ma non si curò. Prese a fischiettare un motivetto imparato da bambino, quando scappava da Jillian per poi ritornarci dopo giorni. ………………………………………………………………………………………… Till abbassò gli occhi. Little John le si avvicinò, ne avvertiva il respiro affannoso e l’odore dell’erba bagnata. -Dovresti seguirlo…- mormorò l’omone. Il suo alito puzzava di carne cruda. La donna annuì poi alzando lo sguardo scrutò il volto di John, mormorò –Cosa dovrei dirgli?- -Dovresti domandargli scusa.- disse l’uomo fissandola torvo . -Ma se mi ha aggredito lui!- sbottò la donna indicando il coltello che giaceva abbandonato tra l’erba . -Will ha patito tanto nella sua vita…- mormorò John scuotendole una spalla –E poi lo hai provocato tu!- -Lasciami!- esclamò indietreggiando poi guardando l’espressione severa dell’uomo disse –Ho capito ora vado!-. poi si voltò e iniziò a correre verso la direzione in cui era sparito Will Il volto di John si aprì in un largo sorriso poi alzando le braccia mormorò esasperato –Ah questi giovani!.-. poi abbassando le braccia scoppiò a ridere. ………………………………………………………………………………………… Till continuò a correre finché non scorse una testa ricciuta in mezzo al verde della foresta. Si nascose dietro un albero. Il cuore prese a batterle forte come se volesse uscirle dal petto. Prese ad ansimare, rivoli di sudore iniziarono a scenderle lungo la schiena. Sentì Will mugugnare qualcosa e si porse per vederlo meglio. L’uomo giaceva rannicchiato in mezzo alla radura, i pugni stretti appoggiati sul grembo, la camicia arrotolata lasciava scoperti i fianchi ossuti. Emise un’esclamazione di stupore poi indietreggiando. Calpestò un rametto e produsse uno scricchiolio. Si fermò di colpo, spaventata. Si passò una mano sulla fronte, iniziando a sudare copiosamente. “Calmati” si disse tentando di controllare il respiro “Anche se ti avesse sentito…” Ma l’espressione feroce di Will che brandiva il coltello pronto ad ucciderla l’assalì facendola rabbrividire. Sentì un fischiettio provenire dalla radura dove si trovava l’uomo. I muscoli le si rilassarono e riprese a respirare normalmente. Uscì dal nascondiglio, avvicinandosi.. Will si era alzato, le dava le spalle, le mani strette a pugno dondolavano lungo i fianchi, ed intonava un motivetto. Si fermò a metà di una nota .-Vi ho sentita.- disse voltandosi. -Ma come diavolo hai fatto?- mormorò Till portandosi una mano alla bocca meravigliata –Sono stata abbastanza silenziosa!- L’uomo scosse la testa divertito –Non vi sapete proprio muovere nella foresta...Fate più rumore di un cinghiale!- La donna lo guardò offesa posando le mani sui fianchi –Oh così, io sarei un cinghiale!- -Ho detto che sembrate…- tentò di scusarsi lui. Ma la donna s’inchinò a terra –Bravo complimenti, ci sapete fare con le donne!- gli tirò un pugno di terra. -No- gemette Will parandosi il volto con una mano –Vi prego non dite queste cose!- -Dovevate pensarci prima, brutto insolente!- esclamò Till divertita prendendo un’altra manciata di terra –Ora pagherete per la vostra linguaccia!- . -Oh no, vi prego, abbiate pietà, Lady Till!- mormorò l’uomo inginocchiandosi tentando di trattenere a stento un sorriso –Vi prego! – -Troppo tardi!- disse la donna scagliandosi in pieno viso la zolla di terra . Will si alzò di scatto, pulendosi il volto dal terriccio –Ora ti prendo, brutta birbante!- urlò prendendola per i fianchi fingendosi incollerito. Till si divincolò –Ti prego, lasciami stare…- lo supplicò, il volto distorto in una smorfia di paura –Ti prego….-. L’uomo la lasciò, guardandola stupito, lei si accasciò al suolo, gli occhi sbarrati e gli angoli della bocca rivolti verso il basso. -Grazie- mormorò portandosi le mani al petto. Will si inginocchiò davanti a lei, i loro nasi si sfiorarono. -Perché ?- le domandò scostandole una ciocca di capelli dal viso –Perché fate cosi?- Till scosse la testa, torcendosi freneticamente le dita . -Till io… volevo rivelarvi una cosa… una cosa che ho mai rivelato soltanto a pochi- mormorò l’uomo stringendo i pugni e guardando da un’altra parte –Mia madre era una novizia… una notte mio padre bussò alla porta del suo convento e lei se ne innamorò… passarono una notte insieme poi lui se ne andò.. pochi mesi dopo scoprì di essere incinta di me…nascose la gravidanza alle altre novizie poi mi quando nacqui mi affidò alle cure di sua sorella e lei si fece monaca…- riprese fiato chiudendo gli occhi –Da quando sono stato affidato mi ha avuto con sé, non fece altro che picchiarmi ed insultarmi e io provavo a scappare ma in uno modo o in un altro tornavo sempre…poi tre anni fa la sua casa prese fuoco … e io scappai e mi ritrovai qui a Sherwood…- La donna lo guardò, gli occhi pieni di lacrime –Oh Will, mi dispiace tanto…- mormorò accarezzandogli i riccioli cremisi. -Penso che perdere mia zia sia stata la cosa migliore che mi sia capitata in tutta la mia vita…- sussurrò tornandola a guardare –Incontrare John poi…- sorrise. -Will io… ti ringrazio per la fiducia ma…ci sono cose che io non posso rivelare…- disse la donna –Non posso…- mormorò a bassa voce. Il sorriso sul volto dell’uomo lasciando posto a un’espressione sconcertata –Come volete voi- sussurrò alzandosi poi le tese la mano. Till l’afferrò poi si alzò anche lei. -Oh per favore Will.- disse sorridendo –Evitate di darmi del voi…mi fa sentire a disagio.- L’uomo assunse un’espressione imbarazzata, si colorò di un rosso intenso da far invidia a suoi capelli –Oh mi… mi dispiace- balbettò –Pensavo…io pensavo che ti faceva piacere…- Till scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca –Oh… grazie..- mormorò divertita quando ebbe finito di ridere. Will annuì poi tenendola per mano disse con fare autoritario -Ritorniamo al campo!- poi aggiunse a bassa voce –Prima che tu scoppi dal ridere!- La donna fece un cenno con la testa trattenendo a stento un sorriso, lasciò la mano dell’uomo mormorando –Non voglio che pensino male…- poi s’incamminò lasciandosi dietro l’uomo che la guardava sconcertato. “Ah queste donne…non le capirò mai” pensò poi si mise a correre per raggiungere Till. …………………………………………………………………………………………………. Le donne sfilavano davanti al Principe Giovanni che le guardava con volto impassibile, incrociando le braccia sul petto e scuoteva la testa ogni tanto. -No, non vanno bene – urlò l’uomo indicando l’ultima donna che si era presentata, la quale spaventata era scivolata via per non essere presa di mira dalla furia del reggente –Avevo chiesto esplicitamente donne dal portamento reale! Quelle che mi avete presentato sembrano tutte sgualdrine da quattro soldi! Sono molto adirato con voi caro Sceriffo!- continuò Giovanni Lo sceriffo scosse la testa sconsolato –Maestà vedrete che la troveremo, basta solo cercare negli angoletti più bui di Nottigham e vedrete che troveremo quello che cercate!- -Ma perché avete bisogno di una donna con queste caratteristiche?- mormorò Guy sfilandosi un guanto –Se volete una puttana, la trovate ovunque…- -Oh mio caro sir Guy, ma io non voglio una puttana qualunque!- urlò il reggente alzandosi dal trono su cui era seduto –Io voglio una donna che finga di essere la figlia di mio fratello talmente bene che neppure Riccardo la riconoscerebbe…- -Mi dispiace Maestà io…non avevo capito il vostro piano…- mormorò Guy abbassando il capo. -Per la tua stupidità Guy non esiste un confine- intervenne sprezzante lo sceriffo. -Avete ragione cugino…- mormorò l’uomo imbarazzato. -Ora vai…- ordinò Giovanni –Vai non abbiamo bisogno dei vostri servigi ora!-. Guy fece un rapido inchino poi senza mai dare le spalle al reggente sparì dietro la pesante porta di legno. -Vostro cugino, mio caro Sceriffo, in stupidità non ha rivali!- esclamò il Principe divertito. -Avete ragione ma d’altronde bisogna capirlo… questo giovane, ancora attaccato alla gonna della madre… oh questi uomini che non si slattano mai !- concluse esasperato lo sceriffo. -Oh invece le nostri madri, non vedevano l’ora di buttarci fuori a calci! – disse sorridendo il reggente. -Già…- mormorò malinconico quell’altro. Il Principe si avvicinò al compare e gli posò le labbra sulle sue, fu un bacio rapido. -Che bello avervi come amico!- esclamò il reggente, accarezzando la mano dello sceriffo. -Bellissimo!- mormorò l’altro a denti stretti. ……………………………………………………………………………………………….. Guy passeggiava per le strade coperte di sudiciume di Nottigham. Intorno a lui, uomini, donne e bambini coperti di stracci si ammucchiavano agli angoli delle vie. La puzza era tremenda tanto da costringere l’uomo a tapparsi il naso con un guanto Un bambino completamente nudo gli si avvicinò tenendo le mani a coppa –Signore mi da un penny?- domandò con la sua voce lamentosa. Guy gli rifilò un calcio, la creaturina scoppiò a piangere ma si allontanò dall’uomo. Quest’ultimo grugnì soddisfatto. Scorse una donna , con un dito si torceva un capello biondo, mentre con la mano libera teneva stratte un borsetta. “Ha un aria regale!” pensò contento. Subito alzò una mano per attirare la sua attenzione riuscendosi. La donna gli avvicinò mormorando –Cosa volete sir?- -Il Principe Giovanni ha bisogno di voi!- esclamò. Gli occhi della donna brillarono –Oh, l’accontenterò subito!- poi agguantò la mano di Guy dicendo –Ho paura di perdermi sir!- I due s’incamminarono verso il castello. ………………………………………………………………………………………………….. Lo sceriffo di Nottigham e il Principe Giovanni udirono bussare. Il reggente mormorò scocciato –Avanti!- Sir Guy si precipitò nella stanza. -Sua Maestà ho trovato la donna che cercavate!- urlò esibendo come un trofeo la donna che aveva con sé. -Beh vi devo fare i miei complimenti!- mormorò ammirato lo sceriffo poi rivolgendosi alla donna –Su mia cara, avvicinatevi non abbiate paura.- La giovane arrossì poi si staccò da sir Guy. -Come vi chiamate?- le domandò lo sceriffo. -Johanna, mio signore… sono orfana mio signori.- -Perfetto – mormorò il reggente sorridendo. Poi l’uomo estrasse un coltello dalla cintura, disegnò un arco sul collo della donna, la quale stramazzò al suolo senza emettere suoni. -Salve mia cara nipote…- mormorò Giovanni ridendo –Vi trovo bene!- ………………………………………………………………………………………………

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6 Robin si svegliò di soprassalto. Il sudore freddo gli scendeva lungo la schiena. Si prese la testa tra le mani scuotendo la chioma corvina. Voleva cancellare quell’immagine dalla testa… l’immagine di Marian stesa sul pavimento, il viso bianco illuminato dal pallore spettrale della morte, la testa reclinata verso destra, le dita incrociate sull’addome, mentre un rivolo di sangue le colava sul mento dalle labbra purpuree. Iniziò ad ansimare, al solo ricordo di quel sogno. Buttò indietro il capo, gemendo. Si schiacciò due dita sulle labbra per non vomitare. Forse stava male, forse doveva farsi visitare da Djaq. Sorrise pensando alla saracena e come si erano incontrati. “L’aveva incontrata per caso mentre bazzicava per Gerusalemme. Lei correva da una parte all’altra portando con sé sempre una borsa per le medicine. Si erano incrociati, di norma una saracena cedeva il passo a un Cavaliere Templare, chinando il capo e mormorando e scusandosi di aver incrociato con un uomo del genere, ma Djaq troppo presa dai suoi impegni lo aveva superato, travolgendolo. Entrambi erano barcollati, Robin aveva imprecato a bassa voce mentre la donna lo aveva fissato incredula, sbattendo le ciglia come se si fosse appena svegliata. -Oh, guarda dove vai, stupida!- aveva ringhiato lui toccando l’elsa della spada che sbucava dal fodero –Sai che una come te deve sempre cedere il passo a un cavaliere?- Quella lo aveva guardato, poggiandosi le mani sui fianchi e scuotendo la testa ricciuta –Su non lamentatevi come un bambino o come un cane che dopo aver ricevuto dieci bastonate torna dal padrone guaendo più forte di prima!- aveva esclamato fissandolo con aria ironica poi ritornando seria aveva continuato –Inoltre mio prode cavaliere, perdonate la mia fretta, ma stavo correndo all’ospedale come volontaria per aiutare i feriti e assistere i moribondi, quindi fatemi andare….- Robin aveva sbuffato poi con un dito nascosto dall’armatura le aveva indicato l’ospedale mormorando a denti stretti –Spero che quello che dici sia vero altrimenti…- si era passato un dito sul collo, rovesciando gli occhi all’indietro imitando l’espressione di un condannato a morte. La saracena lo aveva guardato sprezzante poi alzando gli occhi la cielo aveva detto –Oh spero di vedere voi con quella faccia, ma per davvero senza imitare nessuno…- poi se ne era andata correndo. L’aveva incontrata qualche tempo dopo, mentre lei assisteva i feriti nell’accampamento. Lui era steso su una branda, madido di sudore, accanto a lui un compagno che già puzzava di putrefazione. Era stato colpito ad una gamba, il sangue cremisi fuoriusciva copioso dal taglio. Le volontarie correvano da una parte all’altra, non curandosi di lui, accorrendo solo dove vi erano morti. Lui non stava per morire ma il dolore alla gamba e l’indifferenza delle donne gli davano sui nervi. Voleva urlare, farsi sentire da quel donnone del capo reparto e dirle che anche lui c’era e che aveva bisogno d’aiuto. Aveva preso a torcersi le mani infastidito, digrignando i denti infuriato, chiuse gli occhi per sfuggire a quella visione di morte. -Dovete smetterla di fare quel lavoro, altrimenti rovinerete la vostra dentatura!- aveva mormorato una voce. Aveva aperto gli occhi sbalordito, la figura di una donna si stagliava davanti a lui. Aveva i capelli neri e ricciuti incollati sulla fronte , gli occhi gonfi e arrossati, in una mano stringeva un ago mentre l’altra reggeva un gomitolo di filo. Aveva qualcosa di familiare -Come?- aveva domandato Robin stupito. -Avete sentito bene, vi ho detto di smetterla di digrignare i denti!- sbuffò quella scostandosi una ciocca di capelli col dorso della mano –Oppure vi hanno ferito pure le orecchie?- L’uomo la guardò infastidito, poi s’indico la gamba coperta di sangue –Ecco, quella è la mia ferita!- mormorò con una punta d’orgoglio. La donna aveva distorto le labbra in una smorfia poi s’inchinò a esaminare la ferita. Aveva mugugnato scostando i lembi di pelle sanguinanti –Bel lavoro!- mormorò ironica –Aspettatemi, vado a prendere l’acqua. Era sparita per poi tornare qualche minuto dopo con una bacinella. Si era inchinata, aveva pulito la ferita e l’aveva ricucita. Durante quest’ultima operazione Robin si era ficcato un dito in bocca per non urlare di dolore. La donna si era alzata poi dopo averlo esaminato era scoppiata a ridere. L’uomo l’aveva guardata con aria interrogativa mentre quella ripresosi aveva spiegato –Bhe cavaliere…ora avete le prove che io sono una volontaria..- Lui l’aveva fissata sbalordito, riconoscendo in lei la saracena che aveva incrociato, quella che non gli aveva ceduto il passo! Aveva abbozzato un sorriso per nascondere l’imbarazzo –Oh si, ora ho la certezza!- aveva detto distogliendo lo sguardo. -Io non mento mai!- aveva continuato quella sorridendo -Comunque mi chiamo Djaq!- si presentò tendendogli la mano bagnata. -Robin…Robin di Locsey!- aveva esclamato lui orgoglioso stringendole la mano. -Bene cavaliere, ora vi devo salutare…- aveva mormorato lei voltandosi –Spero che Allah non ci faccia incontrare nuovamente qui, in questo posto di dolore e di morte…- -Lo spero anche io.- aveva detto l’uomo deglutendo –lo spero…- La donna se ne era andata scomparendo tra le altre donne….” Qualcuno mosse lievemente le tende per segnalare la propria presenza. Robin mugugnò infastidito, poi tirandosi su a sedere gracchiò a denti stretti –Avanti!- Il faccione barboso di Little John fece capolino nella capanna. Gli occhietti neri scrutarono Robin, indugiando sulla brandina su cui l’uomo era seduto -Oh mi dispiace, io-io non volevo svegliarti…- mormorò dispiaciuto l’omone. -Tranquillo John ero già sveglio!- tentò di rassicurarlo con un sorriso il compagno. -Hai avuto un incubo, non è vero?- domandò preoccupato John indicando gli occhi arrosati di Robin. -Ho dimenticato di prendere gli impacchi di Love…- ammise l’uomo passandosi una mano tra i capelli. L’omone entrò definitivamente scuotendo la testa –Cosa erano questa volta? Incubi delle crociate? Morti? Incendi?...- -Marian.- sussurrò stringendo i pugni –Lei era…era morta- prese fiato e confessò -Io non riesco a dimenticarla, John, non ci riesco, non dopo quello che mi ha detto, lei non può…non può sposare Guy!- le lacrime gli bagnarono le guance –Non dopo tutto quello che ho passato per tornare da lei…- Le parole gli uscirono dalle labbra libere, senza più vincoli o restrizioni, quelle parole che tanto aveva cercato di celare nella parte più profonda di sé, venivano a galla come i fiori in uno stagno. -Oh Rob…- mormorò l’omone avvicinandosi all’amico –Oh Robin.- lo strinse forte a sé. -Lei non può farlo!- urlò l’uomo conficcando le unghie nella spalla di Little John- Lei è solo mia…io non voglio che si sposi!- il corpo fu scosso da un singhiozzo. -Robin devi dirglielo! Non puoi continuare così.. non puoi scappare da lei…- -Ma come faccio John?! Vado davanti a lei, dopo che mi ha rifiutato e confessato di non amarmi! La rapisco?! La minaccio di morte?!- -Per prima cosa, non sai se dicesse la verità, fidati amico, io le conosco le donne, tu l’hai lasciata per parecchi anni, l’hai abbandonata, delusa, offesa, derisa, umiliata e lei ti ha ripagato con la stessa moneta… perché le donne sono vendicative Robin!- sorrise sentendo l’amico che si calmava –Seconda può darsi che adesso prova una certa attrazione per un famoso fuorilegge che abita a Sherwood per rubare ai ricchi e bla bla bla qualcosa del genere.- Robin scoppiò a ridere poi staccandosi dal compagno mormorò –Voglio proprio conoscerlo questo bastardo!- mostrò un pugno minaccioso –Appena lo acciuffo lo riempio di calci e pugni!- -Oh è proprio difficile prenderlo, almeno così dicono- poi mormorò con una voce stridula tentando di imitare quella di una donna –Perché è agile, furbo e veloce…ed è il più bello di tutti!- Robin sorrise –Bene se questa è la mia ammiratrice penso proprio che smetterò di fare questo lavoro!- John rise –Anche io se fossi in te!- I due scoppiarono a ridere poi quando iniziarono ad ansimare Robin domandò tenendosi la pancia che gli doleva –Ti ricordi come ci siamo conosciuti?- -E chi se lo dimentica! Il giorno in cui ho conosciuto il grande Robin di Locsey, il più grande rompipalle della storia!- -E tu invece sei l’uomo più puzzolente che io abbia conosciuto!- -Ma anche il più grosso! E perché il giorno della nostra prima imboscata?- -Tu che urlavi come un ossesso per spaventare lo Sceriffo e Guy.- -Beh io almeno non ho conficcato la freccia su un sacco di farina mentre invece doveva colpire lo sceriffo!- -Già…- ammise Robin imbarazzato –Però alla fine è andato tutto bene… si insomma abbiamo guadagnato due sacchi di farina…- -Uno dei quali era bucato… Da quel giorno tutto è cambiato… si sono iniziati ad unire Will, Edgard e gli altri e quel duo si è trasformato in una squadra…- mormorò nostalgico l’omone. -Hai l’aria malinconica Johnny, non vorrai dire che preferiresti tornare ad essere solo due…- -Con te che buchi i sacchi di farina? No di certo!- -Per quanto me la farai pesare questa storia?- sbuffò Robin. -Per l’eternità!- ammise John scoccandogli un occhiata divertita. -Allora sono disperato! – mormorò l’uomo sconsolato. John rise nuovamente poi tornando serio disse –Però Robin io ti devo ringraziare…- -Per cosa?- domandò l’arciere stupito. -Prima di te ero solo uno sbandato, un poveraccio, , un pessimo padre e marito che girava a zonzo per le foreste per scappare dalla propria vita… no lasciami finire… lo ammetto, non ero neanche un uomo, ero l’ombra di me stesso…ma grazie a te…grazie per a quella volta che ti ho visto… Robin la mia vita è ritornata ad essere piena di luce.. è vero ,mia moglie e i ragazzi vivono a Nottigham, ma è per il loro bene… ed ora i miei figli sono fieri di dire che io sono il loro “padre”- si asciugò una lacrima con il dorso della mano –Tutto grazie a te!- -Oh John… ma io non ho fatto niente, la luce della tua vita era dentro di te.. serviva solo un pretesto ed io eccomi qua! Il più bel pretesto che ci sia!- esclamò l’uomo con una punta d’ironia nella voce. -Però rimango sulla mia idea iniziale, sei un grandissimo rompipalle! – esclamò John dandogli uno spintone che lo fece quasi cadere dalla branda. -Si, però sono uno dei più belli rompipalle di tutto il mondo!- mormorò Robin soddisfatto - Ammettilo John!- -Mai.- urlò quell’altro mentre si dirigeva verso l’uscita –Ora usciamo, che qua dentro c’è puzza!- -Oh tranquillo, quello sarai te!- mormorò Robin, aspettandosi di vedere John ritornare verso di lui fingendosi minaccioso. Invece l’omone si limitò ad abbozzare un sorriso e a mormorare –Può darsi, può darsi!- Poi uscì lasciando l’arciere da solo. Robin si alzò, strappandosi la coperta di dosso. Si tastò il corpo e fu felice nel constatare che indossava ancora i vestiti normali con i quali la sera precedente era crollato dal sonno. Guardò l’arco che giaceva abbondonato in un angolo della stanza. Tuttavia optò per prendere due coltelli, aveva sempre timore che un manipolo di soldati avesse scovato il loro accampamento. “Meglio non farsi trovare impreparati” si disse mentre infilava le due armi nella cintura. Poi uscì, la luce accecante lo colpì in pieno viso. Si portò una mano sulla fronte per schermarsi dal sole. Davanti a lui i suoi compagni si erano già seduti e facevano colazione allegramente. Scorse Love seduta tra due uomini che non riconobbe. Erano diventati così numerosi che non si ricordava neanche più i loro nomi. Lo sguardo vagò un po’ per l’accampamento finché non vide Till. Era seduta in disparte, appoggiata al tronco di un albero. Giocherellava con il polsino della camicia, la ciotola della colazione appoggiata vicino a lei. Le si avvicinò, dimenticandosi di prendere da mangiare. -Posso?- chiese indicando il posto vicino a lei. La donna trasalì voltandosi, quando lo riconobbe si tranquillizzò –Si certo, fai pure.- mormorò scostandosi un po’. Robin annuì notando la mano destra della donna che si allontanava dalla manica sinistra, ipotizzò che forse doveva portare un pugnale. Si sedette, solo allora si accorse si non aver preso la colazione. Sentì lo stomaco brontolare, si guardò intorno imbarazzato cercando qualcuno che a cui chiedere il cibo ma non trovò nessuno, era troppo lontano, non gli rimase altro che tenersi lo stomaco con una mano tentando di soffocare quei rumori. Nel frattempo Till aveva ripreso a giocherellare con il polsino, come se non avesse sentito nulla. Ne risentì nuovamente il profumo. Rabbrividì provando il desiderio di appoggiare la testa sul suo grembo. Scosse la testa, non doveva pensarci. -Che vi succede?- la sua voce rauca lo distrasse dai suoi pensieri. -Come scusa?- chiese lui impacciato, guardandola. -Domandavo cosa vi succede dato che, da quando siete seduto qui, non fate altro che agitarvi… è successo qualcosa di male?....- -No…no – mormorò lui arrossendo lievemente –Solo che ho dimenticato di prendere la colazione ed ho una fame nera!- ammise lasciando che lo stomaco brontolasse liberamente. Till lo guardò poi scoppiò a ridere. Quando smise prese la sua ciotola e gliela porse –Tenete la mia, tanto non ho fame!- L’uomo annuì riconoscente poi iniziò a mangiare. La minestra gli scendeva lungo gli angoli della bocca, e masticava a bocca aperta. Till l’osservava arricciando il naso e quando lui le rivolse un cenno, lei abbassò lo sguardo tornando a guardare il polsino. Una figura si diresse verso di loro e pian piano che si avvicinava Robin potè distinguere il volto corrugato di Will. -Oh Will, quale buon vento di porta qui?!- domandò l’uomo finendo di inghiottire l’ultimo boccone. Gli occhi attenti del compare sfiorarono appena Till poi si posarono su Robin -E’ in arrivo un carro, con direzione Nottigham!- esclamò -Orbene, notizie relative al carico?- chiese l’arciere sfregandosi le mani -Religiosi, Robin.- rispose l’altro. -Till, tu partecipi?- domandò l’arciere voltandosi verso la donna. Till scosse la testa –Preferisco aspettare.- -Come vuoi.- mormorò Robin alzandosi poi rivolgendosi a Will ordinò –Tu raccogli un manipolo di uomini, mi raccomando non dire che sono religiosi… sai come sono alcuni- Will annuì poi si voltò seguito da Robin. …………………………………………………………………………………………… La quiete della foresta di Sherwood venne turbata dall’arrivo di un carro, che cigolava ogni qualvolta che calpestava le foglie cadute o i rami secchi. Il mezzo, trainato a fatica da due muli, ai quali le cinghie avevano raschiato mezza pelle lasciando intravedere la carne sanguinante. A guida del carro, un frate stempiato dalla faccia paonazza, che ogni tanto faceva scoccare la frusta vicino alle orecchie delle povere bestie per spaventarle e per incitarle ad andare più veloce, ma quelle imputavano gli zoccoli ragliando. Allora il sacerdote dava una pacca sul sedere a uno dei due muli iniziando a cantare una canzonaccia, e quelli rassicurati da quel gesto riprendevano la camminata smettendo di ragliare. Seduta accanto al frate, indifferente alla sofferenza delle bestie, una monaca reggeva una fiasca di vino. La donna dimostrava di avere non meno di quarant’anni, era bella ma di una bellezza sbiadita col tempo, sciupata dalle sofferenze che la vita le aveva imposto. Aveva un velo sulla che scendeva sulle spalle, scostato dal volto. Una ciocca di capelli cremisi le spuntava dalla benda di lino, con cui era fasciata la fronte; il viso era circondato da una fascia a pieghe che giungeva fino al soggolò, nascondendo l'apertura del saio nero. - Smettete, per amor del cielo!- esclamò la suora spazientita, rivolgendo lo sguardo al frate –Smettete con queste vostre insulse parole! Frate! Disonorate l’abito che indossate!- Il monaco, che si era fermato a metà del ritornello la guardò divertito –Suvvia sorella, non vi arrabbiate così! – La donna si limitò ad alzare lo sguardo al cielo digrignando i denti per evitare che un imprecazione le sfuggisse dalle labbra. Il frate alzò le spalle, poi come se il rimprovero della suora non avesse alcun effetto, riprese a cantare. -Alt!- urlò una voce. Uno sconosciuto era spuntato dalla boscaglia, il cappuccio gli celava il volto, con una mano stringeva un arco mentre con l’altra teneva una freccia. -State transitando nella foresta di Sherwood!- continuò lo straniero. Il frate alzò le mani –Noi …noi non abbiamo niente….- balbettò intimorito fissando la punta acuminata della freccia –Giuro…noi…- -Oh frate, ma voi trasportate certamente qualcosa!- mormorò un’altra voce, un ‘altro sconosciuto comparve, era più alto e robusto del precedente –Altrimenti come mai, un frate e una monaca girerebbero per la foresta…- -Suvvia amici, non importunante due persone di chiesa come i nostri ospiti!- disse ironico qualcuno dall’alto. Il frate alzò gli occhi, un uomo senza cappuccio si dondolava su un ramo –Sono certamente sicuro che hanno un motivo per bazzicare per la foresta…-continuò quello poi fece un agile balzo e atterrò a terra con delicatezza. Il monaco deglutì –Io…io vi conosco…voi siete Robin Hood!- urlò divenendo bianco, la suora accanto a lui invece si limitò a stringersi il saio. -Oh mille grazie per avermi riconosciuto!- disse beffardo Robin, facendo un buffo inchino –Ora però ditemi i vostri nomi, voglio sempre sapere chi sono le persone che derubo!- -Io…io sono Fra’…Fra’ Tuck …- farfugliò il frate –e…e questa…questa è Madre Cecile del… del….- -Non importa!- lo interruppe il fuorilegge –Ora fate la cortesia di scendere dal carro e di proseguire a piedi…- Il monaco divenne rosso di rabbia, alzò minaccioso il pugno e urlò –Giammai, questo carro contiene il vino più dolce d’Inghilterra, pensate che io ve lo ceda così senza chiedere nulla in cambio? Oh, che illuso!- Scesa da carro, tirandosi su le maniche del saio , si avvicinò a Robin e tentò di colpirlo col pugno, ma l’arciere fu più veloce e riuscì a scansarsi ridendo. Il frate perse l’equilibrio e cadde a terra, nel fango. Il fuorilegge scoppiò a ridere imitato dai compagni. Il monaco si alzò, pulendosi il viso dal fango –Maledetto!- ringhiò tra i denti tentando nuovamente di colpirlo. Ma l’arciere si scansò e il monaco si trovò ad afferrare il vuoto. -Basta!- urlò la monaca, scendendo anche lei dal carro, poi rivolgendosi a Robin mormorò –Prendete pure il carro, razza di predoni, ma ricordatevi- alzò il dito indice verso il cielo –Egli vede tutto…- -Vede anche cosa ci facciamo…- la interruppe Will, mentre lasciava ricadere il cappuccio sulle spalle -Vede che quel che rubiamo non finisce nelle nostre tasche!- Quando lo vide la monaca sbiancò di colpo, serrò le labbra e lo guardò spaventata. -Sa anche a chi lo diamo…- continuò Will avvicinandosi –Sa perché rubiamo a voi, sanguisughe della società… voi ci chiamate fuorilegge, ma noi salvaguardiamo la legge, la Sua legge!- La monaca si portò una mano davanti alla bocca, “non può essere, non può essere lui” pensò… eppure doveva avere sui vent’anni, le spalle ricurve, i riccioli rossi che gli ricadevano sulla fronte nascondendogli gli occhi. Istintivamente si accarezzò la ciocca di capelli che le spuntava dalla benda… facendo i conti anche lui doveva avere sui vent’anni… -Buon Dio!- esclamò –Non può essere!- Fra’ Tuck le rifilò un occhiata in tralice, mentre Will l’osservò senza capire -Tu non puoi essere lui!- continuò puntando l’indice verso Will –Lui è morto!- -Di cosa state parlando, Madre?- domandò Robin guardando la donna e il compagno. La monaca scoppiò a ridere, il volto deformato da un ghigno di pazzia –Lui è morto…mio Dio quanto sono sciocca!- -Di cosa state parlando?- urlò Will spazientito mentre alzava il pugno – Ditelo oppure giuro che…- -Di mio figlio- mormorò la donna riacquistando la lucidità. L’uomo la guardò stupefatto abbassando il pugno. La donna si tolse il velo e si strappò la benda che le fasciava la fronte, i riccioli cremisi le scesero lungo le spalle, ricadendo sulle scapole, segno che la donna si era sottratta al taglio imposto dalle regole del convento. -Mi dispiace tanto…- mormorò accasciandosi al suolo, tendendo le mani verso l’uomo –Mi dispiace William, mi dispiace tanto…- scoppiò a piangere. -Tu sei mia madre?- Quella annuì coprendosi il volto con le mani. -Tu sei la donna che mi ha abbandonato? Quella stronza che mi ha lasciato con una pazza che non faceva altro che torturami? – urlò l’uomo avvicinandosi minaccioso. -Will..- tentò di calmarlo Robin La madre annuì –Will io…pensavo fosse la soluzione migliore per te… come avresti potuto vivere con me… con una suora!- L’uomo si accasciò a terra, davanti alla donna –E allora perché avete preso i voti?- La monaca emise singhiozzo poi sussurrò –Quando avevo dieci anni mio padre mi portò in convento e non venne più a riprendermi… il convento era l’unica vita che conoscevo… quando arrivò tuo padre e mi diede un assaggio di ciò che c’era fuori io decisi di fuggire con lui…ma lui se ne era già andato… poi arrivasti tu , la cosa più bella che io abbia mai avuto… ma mi costrinsero a darti via… io non volevo farlo ma loro mi hanno costretto … le mie consorelle dissero che i avrebbero ucciso…- singhiozzò. Il figlio la strinse forte a sé, respirandone l’odore –Sono qui, va tutto bene …madre…- Mormorò l’ultima parola con affetto, con desiderio, quante volte aveva sognato di pronunciarla ed ora sua madre era lì con lui. La strinse più forte che potè timoroso che potesse scappare. Fra’ Tuck tese la mano a Robin mormorando –Bene…Robin Hood, io vorrei unirmi alla vostra banda se si può!- L’arciere gli rivolse un sorriso abbracciandolo –Più siamo e meglio sarà!- -E meglio serviremo il Signore …- lo corresse il frate sorridendo. -Già…-

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7 Lo Sceriffo squadrò la monaca davanti a sé. Non portava il velo e i capelli rossi le ricadevano sulla schiena. -Avanti, sorella, parlate…- mormorò l’uomo infastidito. -Oh Sceriffo..- la donna emise un singhiozzo –Oh Sceriffo, io ed un frate, stavamo…stavamo attraversando la foresta di Nottigham quando….degli uomini ci hanno aggredito…. Ci hanno derubato del vino che portavamo sul nostro carro…sa il vino che serviamo a messa…ma non sembravano soddisfatti… mi guardavano con certi occhiacci che ahimè parevano il diavolo in persona…uno si è avventato su di me seguito dai compagni come lupi famelici su un agnello indifeso, m’hanno strappato il velo, vedete…- s’indico la chioma fulva –Io piangevo, sceriffo, solo Dio sa quanto piangevo e quanto imploravo…ma il Signore è buono e nella sua infinita bontà mi ha donato quel frate…un frate grande e grosso, con due guance rubiconde che parevano due mele….li ha presi a pugni uno per uno…aveva una forza che pareva quella di Sansone…. Ma uno di quegli uomini, che a mio parere sembrava il capo, con la forza di Satana è riuscito a fermarlo…io Mylord tenevo gli occhi sbarrati non sono riuscita a capire cosa succedeva ma…quando ho sentito il grembo libero, senza le mani di quei bruti sono corsa via….- scoppiò a piangere L’uomo le posò una mano sulla spalla, mormorando- Suvvia, sorella, non piangete, vi rassicuro prenderò quei fuorilegge… e troverò il vostro frate….- le rivolse un sorriso forzato. La donna annuì asciugandosi le lacrime con il dorso della mano –Grazie…grazie Sceriffo…- sussurrò rassicurata. -Ora vi prego seguite Marshall, egli vi indicherà dove si trova un convento di monache per sistemarvi.- mormorò indicando la guardia che aveva accompagnato la monaca nella sala quando l’aveva trovata stremata e piangente davanti al portone del castello. La suora annuì poi disse –Che Dio sia con voi Sceriffo di Nottigham- All’uomo parve di sentire una nota di sarcasmo della voce della religiosa tuttavia, per non mettere in imbarazzo la donna mormorò –Grazie sorella, sono sicuro che Iddio sia dalla parte della legge e della giustizia.- La donna annuì inchinandosi, poi uscì , accanto a lei la guardia che le lanciava occhiate maliziose ai seni prosperosi nascosti dal saio che balzavano ad ogni suo passo. Rimasto solo lo sceriffo di Nottigham, si sfiorò un orecchio pensieroso. La monaca gli aveva raccontato di essere stata aggredita, tuttavia, l’esperienza gli aveva insegnato che a seguito di una violenza una donna dove essere sporca di sangue. E sul saio nero non c’era traccia di sangue cremisi. S’insospettì, forse quella donna aveva mentito? Quella monaca era in combutta con la banda di Robin Hood? Oppure non era nemmeno una monaca, ma una prostituta assoldata per il ruolo della suora aggredita? Scosse la testa, non poteva mettere in dubbio le parole di una religiosa, a meno che non trovasse il modo di smascherarla… Doveva pensarci su, avrebbe potuto chiedere a Guy di indagare….ma no quell’uomo aveva il cervello di una gallina non poteva chiedergli di fare una cosa del genere e poi a quell’ora sicuramente stava bazzicando per le vie di Nottigham in cerca di una puttana da scopare o di un bambino da prendere a calci. Ne doveva parlare col Principe Giovanni, sicuramente il reggente la pensava come lui. Ma in quel momento l’uomo stava pregando per l’anima di sua “nipote” e sicuramente non voleva essere disturbato. Era strano quell’uomo, prima ammazzava una donna per l’ascesa per il potere poi pregava per la sua anima. Alzò le spalle, lui i re non li avrebbe mai capiti…. ………………………………………………………………………………………… Madre Cecile sorrise quando la guardia la lasciò al convento delle monache. Quell’uomo le dava un cattivo presentimento e più volte lo aveva visto guardarle il seno. Fu accolta dalla suora guardiana, che appena la vide le squadrò i capelli rossi che le si riversavano sulla schiena. Scoppiò a piangere e quella addolcita dalle sue lacrime la fece entrare e la condusse nella camera dove dormivano i pellegrini. Nel frattempo Madre Cecile si asciugò le lacrime, nascondendo a stento un sorriso. Era stata brava, aveva mentito allo sceriffo di Nottingham senza destare sospetti. Pensò a cosa le avrebbe detto Fra’ Tuck, se l’avesse vista; sicuramente l’ avrebbe applaudita, fischiando oppure cantando qualche canzonaccia su donne, amori e qualcosa di molto sconveniente. Tuttavia era scontenta del fatto che il frate fosse rimasto…sarebbe voluta rimanere lei! Avrebbe voluto passare più tempo con Will, farsi raccontare la sua vita, sentire ancora la sua voce, lei, che in vita sua, di quel figliolo aveva solo sentito il vagito da neonato. Abbassò la testa sconsolata, era sicura che sebbene l’uomo l’avesse abbracciata, le avesse sussurrato all’orecchio la parola madre, non sarebbe mai riuscito a perdonarla. Conosceva il carattere iracondo di sua sorella, sapeva che quando si arrabbiava, gli occhi le diventavano furiosi e nelle pupille nere parevano comparire fiamme guizzanti, sapeva anche che quando s’infuriava, al contrario di lei che teneva sempre un carattere mite, urlava e alzava i pugni, e distorceva il muso porcino tanto da assomigliare a un cinghiale inferocito. Si nascose il volto tra le mani, non osava neppure immaginare, quello che Will aveva patito. Ma per fortuna quel diavolo di sorella che si era ritrovata era morta in un incendio, che le sue consorelle non avevano avuto il buon senso di raccontarglielo, anzi lo aveva saputo proprio dal figlio mentre le accennava solo la fine della sua convivenza con la zia. La suora guardiana tornò accompagnata dalla badessa. Madre Cecile s’inchinò, baciandole il saio nero -Oh Madre Reverendissima.- mormorò . La badessa le rispose con un cenno infastidito della mano poi aspettando che la donna si fosse alzato mormorò –Chi siete?- la sua voce pareva un gracidio di rane. La donna chinò il capo –Mi dispiace Madre aver interrotto i vostri affari… ma ahimè lo Sceriffo mi ha consigliato di venire qui…- Sentendo pronunciare il nome dell’uomo, la monaca sbiancò, mosse le labbra per dire qualcosa, sbatté le palpebre più volte, si voltò verso la consorella, le due si guardarono incredule poi ritornò a guardare la donna. -Che volete?- domandò quasi spaventata. -Oh Madre io non intendevo… io volevo solo chiedere il permesso di ritirarmi qui da voi, monache, aspettando che le mie sorelle siano informate della mia condizione e si decidano a venirmi a prendere….- -Quale condizione?- mormorò la badessa squadrandole un ricciole posato sulla fronte – Quali consorelle? Certamente una monaca non si degnerebbe di girare così senza velo?!- -Madre, lasciatemi spiegare…- mormorò lei facendo finta di ricominciare a piangere –Stavo attraversando la foresta di Sherwood, in compagnia di un frate…quando degli uomini ci hanno aggredito…lui è stato catturato, mentre io sono riuscita a scappare…- una lacrima di finta paura le scese lungo la guancia –Ho perso il velo…mentre uno degli uomini mi ha aggredito…- La badessa rimase impassibile e quando la donna finì il racconto fece una smorfia di disgusto –Mia cara, provvederemo subito…- mormorò poi fece cenno alla suora guardiana che si allontanò. -Innanzitutto non mi avete ancora detto chi siete?- sbottò la badessa quando la sorella se ne fu andata. Madre Cecile socchiuse gli occhi poi sospirando disse –Madre Cecile, badessa del convento di Londra.- La monaca la guardò sbigottita poi s’inchinò mormorando –Oh, mi dispiace…io non vi avevo riconosciuto…. Voi siete…Oh cielo io non pensavo…- -Su avanti, sorella, non vi preoccupate- disse l’altra abbozzando un sorriso per tranquillizzarla –Può capitare di non riconoscere una badessa..- -Si- bofonchiò l’altra. La suora guardiana ritornò, tra le mani stringeva una benda bianca, un velo nero e un paio di forbici. -Permette?- domandò la badessa indicando l’arnese che la consorella reggeva per i manici nel timore di ferirsi. Madre Cecile annuì sbuffando, sollevandosi una ciocca dagli occhi –Fate pure…- La monaca annuì poi dopo che ebbe fatto inchinare l’ospite le tranciò un ricciolo. Madre Cecile rabbrividì quando le forbici le tagliarono i capelli tuttavia strinse i denti e congiunse la mani in preghiera. Quando l’abatessa ebbe finito, le fasciò la testa con la benda poi le mise il velo nero. L’altra si alzo tentando di nascondere la smorfia di disgusto che aveva fatto mentre la monaca le aveva tagliata i riccioli. -Grazie…- bofonchiò. La donna annuì poi sussurrò qualcosa alla suora guardiana, la quale dopo aver fatto cenno di aver capito prese per un braccio l’ospite, strattonandola. -Oh eh.. Suor Mary! Che si fa così?- la rimproverò la madre badessa –Sii più cortese…- La suora guardiana abbassò gli occhi dispiaciuta poi bofonchiò –Perdonatemi…- -Sie-siete perdonata… Suor Mary…- poi si lasciò prendere il braccio nuovamente. La monaca le rivolse un sorriso poi le fece cenno di seguirla. Le due sparirono dalla porta della stanza. La badessa , rimasta sola, lanciò uno sguardo alla chioma rossa sul pavimento e una smorfia di ribrezzo le sfiorò delle labbra. Istintivamente si accarezzò il velo nero. Il contatto con la stoffa le diede una sensazione di sicurezza. Sorrise, s’incrociò le mani sul petto mormorando una preghiera per quel frate prigioniero di quei mostri di Satana. Quando ebbe finito si inchinò. Con la punta delle dita sfiorò i riccioli recisi di Madre Cecile, provando invidia. Allontanò la mano impaurita, si alzò velocemente. Uscì lasciando un’ultima occhiata ai capelli che giacevano sul pavimento simili a mille papaveri in un campo d’estate. ………………………………………………………………………………………………….. Will guardò l’arco reggeva in mano. Mille domanda gli si affollavano nella testa eppure quando ci aveva parlato non ne era riuscito a dirne neanche una. Era stato tutto il tempo seduto ad ascoltare il suono della sua voce e a odorare il suo profumo. Sua madre… Quella donna che per anni aveva cercato nei volti delle donne che incontrava…quella donna che tante volte aveva sognato lo venisse a prendere…quella donna che era comparsa accompagnata da quel buffo fraticello di campagna. Eppure nonostante l’avesse rivista, toccata non riusciva ancora a togliersi l’immagine torregiante di sua zia che brandiva il tizzone ardente schiacciandolo col piede che urlava –Brutto Figlio del diavolo, neppure tua madre ti ha voluto…ti ha abbandonato…- poi con gli occhi spiritati lo colpiva sulla schiena, sui fianchi e lui sentiva la pelle bruciare… Sua madre aveva detto c’era sempre stata con lui…allora dov’era quando quella pazza lo torturava, oppure dov’era quando le sue urla squarciavano il cielo, quando anche il Signore pareva avergli voltato le spalle, quando aveva paura….. Lei non c’era…lei era in convento a fare la monachella casta, nonostante avesse partorito un figlio con uno sconosciuto. Qualcuno mosse lievemente la tende poi la testa di Till fece capolino nella tenda. -Oh Cielo che puzza!- bofonchiò portandosi una mano sul naso. Will abbozzò un sorriso poi mormorò –Cosa vuoi?- Till entrò dicendo –Volevo vedere come stavi…- L’uomo storse le labbra in una smorfia voltando la testa per evitare che la donna scorgesse gli occhi lucidi. Till gli si avvicinò, gli accarezzò le mani. -Come era il rapporto con tua madre?- le domandò tornando a guardarla. Till fece una risatina nervosa –Mia madre ci ha abbandonati quando mio padre è stato abbandonato…- -Mi dispiace io non lo sapevo.- -Non importa Will, ora è felice, ha un nuovo marito, un commerciante, e un figlio…vivono in una bella casa, ha tutto ciò che ha sempre voluto..- mormorò la donna impassibile –In fondo è meglio così…mia madre non era avvezza al vivere in strada…- L’uomo le accarezzò una guancia –Mia madre era una monaca…- ammise triste. Till lo guardò sbalordita, portandosi una mano alla bocca . -Era la badessa in viaggio con Fra’ Tuck…non so se lo hai visto- non aspettò la risposta –Lei mi ha detto che mi vuole bene….- abbassò gli occhi. - E tu Will gli e ne vuoi?- L’uomo alzò lo sguardo sbalordito poi scuotendo la testa aggiunse –Io…penso di volerle bene…però non riesco a perdonarla…- Till annuì guardò l’arco con ammirazione lanciando un fischio. -Vi piace?- domandò Will alzando l’oggetto. -Oh si…- -Lo volete provare?- Till avvampò torcendosi le mani –Ma io.. non so usare un arco….- -Nessun problema, ve lo insegno?…Quando venni qua sapevo solo tirare sassi alle anitre…- le sorrise Will tentando di rassicurarla. -Si!- esclamò la donna battendo le mani per la contentezza. -Andiamo a tirare allora!- disse l’uomo tenendo l’arco con una mano e afferrando la faretra piena di freccia con l’altra. La donna annuì poi uscì seguita da Will che si limitava a sorridere scuotendo la testa, contento. …………………………………………………………………………………………… Robin uscì dalla tenda, dopo aver riposato. Sentì il calore del sole toccargli la pelle, e gli steli d’erba solleticargli il cuoio sottile degli stivali. Sorrise. Una sottile brezza gli sfiorò i capelli, provocandogli un brivido di piacere. Chiuse gli occhi assaporando l’odore della foresta. In lontananza udì il cinguettio degli uccelli. Aprì gli occhi. Vide Till uscire da una tenda seguita da Will. Rideva, tenendo i pugni chiusi davanti al petto mentre l’uomo le sorrideva cingendole i fianchi con le mani. Sembravano una coppia di innamorati. Strinse i pugni fino a sbiancarsi le nocche. Sentì l’impulso di correre verso di loro, chiamarli per nome, distrarli, fare qualunque cosa per far smettere di ridere Will. Sentì il sapore della bile attraversargli la gola. Sputò disgustato. Chiuse gli occhi, tentando di tranquillizzarsi. Ma l’odore dell’erba si confuse col profumo di Till e il cinguettio degli uccelli gli parve la risata di Will. Scosse la testa, cercando di dimenticare quella scena. Aprì gli occhi. La coppia pareva sparita, come se fosse solo frutto della sua immaginazione. Sorrise rassicurato. Fece per rientrare nella tenda quando il vocione di John lo fermò. Si voltò e vide l’omone che veniva verso di lui alzando i pugni per richiamare la sua attenzione. -Little John…-mormorò schermandosi gli occhi dal sole. -Robin…- ansimò quello quando fu vicino –Li hai visti quei due?- chiese sorridendo indicando il punto in cui poco prima Will e Till ridevano. -No John non li ho visto!- urlò irritato –Ora lasciami andare!- entrò nella capanna, muovendo violentemente la tenda. L’omone lo guardò sconcertato poi scrollò le spalle. Forse l’amico aveva fatto solo un brutto sogno e ne era irritato. Prese a fischiettare poi si allontanò, tenendosi le mani nelle tasche. ……………………………………………………………………………………….. Till incoccò una freccia. Will la guardava ridacchiando. La donna scoccò la freccia. Il dardo emise un sibilo poi si conficcò nel tronco di un albero. L’uomo batté le mani lanciando un fischio di ammirazione –Complimenti…non avevo mai visto un arciere così bravo al secondo!- Till rise –Sicuramente è meglio del primo- mormorò indicando la prima freccia conficcata a pochi piedi di distanza da Will. L’uomo sorrise –Per fortuna che non mi ha beccato1- mormorò passandosi una mano sulla fronte –Sei la prima principiante che tenta di uccidermi!- -E chi te lo dice non volevo farlo apposta!- mormorò Till sorridendo maliziosa. Will la guardò storto, poi si mise davanti a lei aprendo le braccia. -Avanti, tenta di evitarmi!- La donna lo guardò indecisa se ridere o arrabbiarsi, alla fine esclamò –Stai scherzando spero?- domandò un lampo di paura le attraversò lo sguardo. -No sono serio, Till! Fai conto che un tuo nemico ha catturato un tuo compagno e lo usa come scudo? Tu che fai, ti arrendi? No!- Till scosse la testa esasperata poi prese una freccia dalla faretra e la incoccò e la fece scoccare. Il dardo sfiorò l’orecchio di Will e si conficcò nel terreno. -Complimenti!- esclamò l’uomo –Mettici un poco più …- s’interruppe di colpo vedendo che Till aveva preso un’altra freccia e si preparava ad incoccarla. -No Till, aspetta io non sono pronto!- urlò Will portandosi le mani incrociate al petto. Ma la donna aveva già scagliato la freccia. L’uomo si buttò a terra sbarrando gli occhi. Sentì il sibilo del dardo fermarsi di colpo. Aprì gli occhi, a pochi passi da lui un cervo ero steso a terra. L’animale agonizzante alzava a scatti la testa, una freccia era conficcata nell’addome. Till si avvicinò alla preda. Si inchinò, estrasse la freccia. Il cervo le rivolse uno sguardo riconoscente. La donna prese il coltello dalla cintura. Accarezzò il manto dell’animale, avvicinò l’arma al collo poi con la punta del collo disegnò un arco sulla gola del cervo. Il sangue le schizzò sulla camicia. Will la guardò stupefatto. Till si alzò poi indicando la carcassa mormorò –La prendi tu nevvero?- -Oh si certo!- esclamò. La donna annuì poi s’incamminò. Will la guardò sorridendo, poi si alzò. Prese l’animale e se lo caricò tra le spalle, iniziando a correre per raggiungere la donna. …………………………………………………………………………………………. Djaq immerse le mani nel catino. Sentì l’acqua fredda toccargli la pelle, facendole venire i brividi. Con la coda dell’occhio vide qualcuno accanto a lei. Il catino si rovesciò all’improvviso come se qualcuno lo avesse spinto. Alzò gli occhi esasperata. Un frate era accanto a lei, aveva una mano dove poco prima c’era il catino, negli occhi brillava una luce carica di odio. -Perché?- domandò la donna. -Sporca saracena!- esclamò il frase disgustato –E’ inutile che ti lavi, non riuscirai mai a pulire lo zozzo della vostra anima!- Djaq lo guardò stupita –Che intendete dire?…io...io non comprendo….- -Lo sapete benissimo! Tu e quelli della vostra razza avete infettato il mondo…- -Ma voi siete pazzo!- -Pazzo, dite? Umh… io dico devoto…- alzò i pugni minaccioso. La donna si coprì la testa con le mani poi urlò. Sentì il pugno del frate colpirla sotto il mento. Un altro pugno allo stomaco le fece mancare il fiato. Cascò a terra ansimando. L’uomo prese a colpirla a calci. Era diventato difficile anche respirare. I calcioni del frate le aveva rotto le costole. Sentì il piede del religioso schiacciarle lo sterno poi tutto divenne nero. ……………………………………………………………………………………………………….. John sentì un urlo squarciare la quiete della foresta. Rizzò il capo cercando di capire da dove provenisse il grido. Sentì un vocione urlare qualcosa seguito da uno rumore come un corpo che si accasciava a terra. Iniziò a camminare velocemente, passò tra due file di tende poi si fermò. Una donna era accucciata a terra, le mani si coprivano la testa ricciuta. Si contorceva per il dolore, la bocca semiaperta in un grido silenzioso. Sopra il suo petto, il piede di un frate, stretto nel sandalo. L’uomo rideva, premendo con forza il piede come a volerle schiacciare lo sterno. John fissò la donna inorridito poi spostò lo sguardo verso il religioso. Con rabbia lo colpì allo sterno facendolo barcollare all’indietro. Poi si avvicinò alla donna e con delicatezza le accarezzò una guancia, una lacrima gli scivolò su un dito. Con due dita le alzò il mento e sussultò. La donna era Djaq. Teneva gli occhi chiusi , da una ferita alla tempia, il sangue scendeva copioso scorrendo sulla palpebra chiuse. La prese per le braccia e la coricò su una spalla. Si voltò, il frate lo squadrava con disprezzo. -Miscredente!- urlò sputando per terra –Vergogna per l’umanità!- John lo fissò sbalordito poi alzando lo sguardo si diresse verso la tenda di Djaq mentre il frate sputava per terra, centrandogli il cuoio degli stivali. ……………………………………………………………………………………… Nota dell’autrice Salve eccomi qui con il capitolo 7, mi scuso per il ritardo ma quest’anno ho gli esami e pare che le prof godano nel vederci soffrire per i troppi compiti…. Allora cosa ne pensate?

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


 
Il carro nero sfilava lento per le vie di Nottingham.
Il legno d’ebano era decorato con il simbolo dei leoni rampanti dei Plantageneti mentre il carico era stato ricoperto da un velo di tessuto pregiato.
Il carrettiere era un uomo rude, dai folti baffi ma dai pochi capelli; i cavalli era pezzati, due splendidi animali, le cui briglie era borchiata d’oro.
Dietro il carro veniva il Principe Giovanni, vestito dal lungo mantello di ermellino e dalla corona, troppo grande per la sua testa, gli ondeggiava sul capo.
Lo Sceriffo e Guy lo affiancavano. Tutti e due indossavano la casacca nera degli alti ufficiali con ricamato i due cervi dello stemma di Nottingham.
Dietro di loro, li seguiva una folla di cortigiani, tutti stretti nei loro mantelli neri.
Il popolo di Nottingham osservava il corteo con un misto di preoccupazione e stupore.
Poche volte, infatti, un corpo di una persona importante veniva seppellito a Nottingham.
Quando il carro giunse davanti alla chiesa di St. Mary, il corteo si fermò.
Giovanni scese da cavallo, seguito da Guy e lo Sceriffo.
Il Principe si parò davanti al carro aprì le braccia in un gesto plateale –Popolo di Nottingham! Siamo qui oggi per celebrare l’addio alla figlia di Riccardo – la voce amplificata dal finto dolore, risuonava squillante –Uccisa da terribili banditi che dominano la Foresta di Sherwood!- Giovanni accarezzò il velo nero –Perciò io ti giuro, cara bambina, che non avrò pace finchè i tuoi brutali assassini non saranno squartati e tu sarai vendicata!-
La promessa del Principe risuonò cupa e orribile agli occhi della popolazione, che accalcata davanti alla chiesa, osservava con occhi attoniti il corto.
Tuttavia dalla moltitudine una donna si buttò a terra, le braccia protese in avanti, e urlò –Possa la tua anima riposare in pace, piccola mia, tutto il popolo di Nottingham ti vendicherà! –
Si levò un grido di approvazioni,alcuni  battevano le mani altri alzavano i cappelli.
Giovanni sorrise e lanciò un ‘occhiata allo Scheriffo, che annuì soddisfatto .
Nessuno però si accorse dello sconosciuto che s’insinuava furtivamente nella chiesa e nessuno notò come le sue labbra si aprissero in una maledizione.
 
___
 
Djaq sentiva i polmoni in fiamme. Li sentiva ardere di dolore.
Provò ad aprire gli occhi ma la luce del sole le ferì lo sguardo e la costrinse a richiuderli.
Fece per parlare ma dalle labbra tumefatte uscì solo un rantolo cupo.
Sentiva il suo corpo dolorante, come se mille aghi le stessero perforando la pelle.
-Djaq!- la voce di Till irruppe come un barlume di speranza –Djaq sei sveglia?-
Till non tradiva la sua preoccupazione e quella domanda, la cui risposta era evidente, ne era la prova.
Djaq fece un cenno con la testa e avvertì la donna rilassarsi.
-Vuoi dell’acqua?- domandò la donna e Djaq fece nuovamente un segno con la testa che Till interpretò come un sì.
Subito prese una scodella e la riempì con l’acqua di un otre.
Poi la porse alla saracena e gliela versò sulle labbra.
Djaq mugugnò di piacere e Till sorrise.
Quando la saracena finì l’acqua la donna appoggiò la ciotola per terra e cambiò le fasciature.
Djaq riuscì ad aprire gli occhi e  la osservò.
La donna era molto precisa e non le fece male.
Le sue mani si muovevano sinuosamente con le bende giallastre, e le dita delicate non sfioravano la carne livida.
Dalla sue labbra,inoltre, si alzava una canzoncina dolce.
Parlava di una donna che si trovava da sola ma che alla fine trovava l’amore.
Quando ebbe finito si lasciò cadere sul bordo della branda, prendendosi il volto tra le mani.
In quel momento la saracena si accorse quanto Till fosse stanca.
I capelli le ricadevano sulla fronte simili a fili di paglia ,gli occhi era gonfi e cerchiati di nero e la pelle era cerea.
Doveva aver passato notti insonni per ridursi in quello stato.
Con uno sforzo le riuscì a sfiorare una mano, ma a Till bastò.
Alzò gli occhi e le lacrime le argentarono la pelle.
-Pensavo di perderti- disse.
La sua confessione era così affettuosa e apprensiva che per la prima volta Djaq fu toccata dalle parole della donna.
Di colpo non vide più Till come la povera piccola sconosciuta raccolta nel bosco ma una compagna.
-Erano due giorni che non ti muovevi- continuò Till –Ho avuto paura ch il frate ti avesse picchiato a morte!-
Djaq scosse la tesa.
-Ci vuole ben altro per farla fuori!- la voce di Robin spezzò il momento di dolcezza nella stanza.
Till lo guardò in tralice ma l’uomo parve non notarla.
Si avvicinò alla saracena e chiese–Come sta?-
-Si è svegliata da poco- rispose Till –non riesce a parlare ancora!-
Robin annuì.
-Il frate?- la domanda di Till non lo colse di sorpresa .
Prevedeva che la donna avrebbe posto quel quesito.
-Non posso punirlo.- ammise Robin –E’ un religioso!-
-Maledetta sia la tonaca che indossa!- esclamò la donna e la sua reazione stupì Robin.
Tuttavia non potè che acconsentire –Lo so, Till!-
Poi lanciò un bacio a Djaq che rispose con un verso di gratitudine e uscì dalla stanza.
 
___
 
Robin uscì dalla tenda, sentendosi improvvisamente stanco.
Il sole ,quel giorno, era debole e a stento riusciva a far capolino tra le fitte coltri di nubi.
Voleva prendere qualche medicina che lo aiutasse a rinsavirsi ma non osava chiedere qualcosa a Djaq in quelle condizioni.
Percorse il campo a grandi falcate e raggiunse la sua tenda.
Quando entrò vi trovò stranamente Little John, Will e Love. Tutti e tre tenevano le braccia conserte davanti all’addome e sui loro volti un’espressione indecifrabile,
-Cosa è successo?- chiese Robin allarmato.
Little John iniziò –Sappiamo che questa mattina sei uscito …-
-E sei andato a St.Mary!- lo interruppe Will, ricevendo dall’omone un occhiata in tralice.
-Si- ammise Robin.
Mentire era inutile.
-Ma è pericolo!- esclamò Love, protraendo le braccia verso di lui –Se ti avessero preso … -
-Ma non l’hanno fatto.- replicò Robin freddo
-Ma potevano farlo- continuò John –E sicuramente ti avrebbero ucciso!-
-Sono cinque anni che vivo a Sherwood, e in tutto questo tempo non mi hanno mai preso!- ribatté  Robin con una punta di orgoglio.
Ma Love gli rivolse uno sguardo colmo di preoccupazione e affetto che lo costrinse a mormorare –Starò più attento-
Will e Little John si scambiarono un’ occhiata di sollievo.
Poi l’omone disse –Ora parliamo di cose importanti!-
-Perché io non lo sono?- chiese Robin leggermente offeso.
-No, sei solo una bambolina a cui piace usare l’arco!-
Robin scoppiò a ridere, seguito dai compagni.
Quando ebbero finito Little John riprese la parole –Dicevo, parliamo di cose importanti : il frate.-
Improvvisamente il sorriso sulle labbra di Robin scemò, rimpiazzato da un’espressione cupa –Non lo so.-
-Bisogna punirlo – affermò Will – A picchiato a sangue uno dei capisaldi della nostra comunità e non può uscire indenne.-
-Will, la questione è più delicata. Se fosse un semplice abitante non esiterei a camminare sui tizzoni ardenti, ma Fra’ Tuck e un religioso! Non posso punirlo senza avere conseguenze.-
-Ma quando ha accettato di unirsi agli uomini di Sherwood, ha accettato di essere trattato come tutti!- continuò Will indignato.
-Lo sappiamo, ragazzo- disse Little John scompigliandogli i capelli rossi –Ma un frate non sarà mai come tutti. Indossa una tonaca e questo fa di lui un privilegiato.-
-Ma questa è un ingiustizia! – ribatté Will disperato.
-Il mondo è pieno di ingiustizie- mormorò Love
–Per questo esistono quelli come noi!- disse Robin accarezzando l’arco poi continuò –Lo costringeremo a chiedere perdono a Djaq. Se non lo farà ,sarà mandato via! Questa è la mia decisione.-
Gli altri annuirono, poi scivolarono fuori dalla tenda lasciando solo Robin.
L’uomo gettò  a terra l’arco.
Sentiva la mancanza di Djaq.
Avrebbe dato qualunque cosa per sentirla parlare, ridere o borbottare.
Si era svegliata, ma non era fuori pericolo.
La paura di perderla s’impossessò di lui.
Prese a gemere, scosso dai singhiozzi.
Mormorò il suo nome e le chiese di rimanere.
Ma rispondeva solo il silenzio.
Pianse.
Improvvisamente le tende della capanna tremolarono.
Le guardò e chiese speranzoso –Djaq?-
Ma la donna che entrò non era Djaq.
Till si avvicinò a lui.
Era bella, la pelle pallida e delicata appariva lucente alla luce delle candele e i capelli biondi le ricadevano sulla fronte simili a dei fili d’oro.
-Sono Till- disse.
Robin annuì e la donna sorrise.
-Volevo vedere come stavi-
L’uomo strinse le spalle.
-Bene -Till era imbarazzata, fece per andarsene ma Robin la fermò
-Resta con me – la voce rotta dal pianto.
E Till non potè rinunciare.
Lo accarezzò.
Gli sfiorò la testa, le guance, il collo.
E lui rispose toccandogli la nuca spingendo le  labbra sulle sue.
Fu un attimo.
Le loro labbra s’incontrano all’improvviso.
Ma Till si allontanò, disgustata.
-Come hai potuto?- la sua accusa vibrò nell’aria, ma colpì Robin come uno schiaffo.
-Ti prego, Till, perdonami!- urlò l’uomo
Ma la donna scosse la testa e prima che Robin potesse dire altre parole uscì dalla tenda.
 
___
 
La figura scivolava lenta nella foresta.
Nonostante fosse notte aveva timore che qualcuno potesse scoprirla.
Raggiunse una radura.
Lo Sceriffo c’era già.
Sorrideva, tenendo alzata la spada .
-Sei arrivata, finalmente- la sua voce era impaziente –Che notizie porti?-
-Il frate ha picchiato la donna saracena- disse la figura.
Lo Sceriffo fece un gesto con la mano, come se scacciasse una mosca molesta –Non mi interra. Qualcos’altro?-
-Nulla- mormorò l’altro.
Gli occhi dell’uomo si fecero minacciosi –Non mentirmi!- urlò poi avvicinò la spada in direzione della figura –Altrimenti … -
La figura squittì poi aggiunse –Robin sa che la principessa è stata uccisa da voi-
-Bene!- l’uomo annuì –Ora puoi andare, troietta.-
La figura scivolò via, ma poté notare il sorriso che si disegnava sul volto dell’uomo.
Il sorriso di un demonio.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


La bambina piangeva.
La sentiva gemere, stretta tra lui e il collo del cavallo.
Non osava abbassare lo sguardo.
Le lacrime della creatura lo avrebbero spinto a girare il cavallo, e a tornare indietro da Lord Chester.
Ma sarebbe sembrato un segno di codardia.
No.
No.
No.
Lui era un re; e un re non era un codardo.
Ma i singhiozzi della bambina lo penetravano.
Ogni sua lacrima che cadeva sulla casacca rossa sembrava urlare un lamento.
Udiva il lamento di Eleonora di Aquitania , il pianto della regina sua madre alla notizia della morte del figlio primogenito.
Il suo preferito.
Lo aveva sempre adorato fin da quando erano bambino.
Enrico il Giovane.
Enrico che non riusciva neanche a capire chi erano i buoni e chi cattivi.
Enrico che non aveva esitato a calunniare i loro stesso padre perché plagiato.
Non era mai stato pronto per il potere.
I suoi occhi acquosi guardavano con timore il trono del re, loro padre.
Sarebbe stato un cattivo re.
Per questo lo aveva ucciso.
Rivedeva quegli occhi acquosi spegnersi e la bocca esalare il suo ultimo sospiro.
Le sue mani sporche di sangue.
Fratricida  
No!
Hai ucciso tuo fratello
No!
Si lo hai fatto, Riccardo, l’hai ammazzato
Smettila!
L’hai sgozzato come un maiale
Non è vero!
Hai ucciso il sangue di tua madre
Dovevo farlo!
Per colmare la tua sete di potere
Per il bene dell’Inghilterra!
-Per il bene dell’Inghilterra –disse a bassa voce, per convincersi
La bambina smise di gemere
-L’ho fatto per il bene dell’Inghilterra – ripeté il re
-Cosa?- la voce incuriosita della creatura lo distrasse.
Abbasso lo sguardo.
Gli occhi scintillanti delle lacrime appena versate o scrutavano attentamente.
-Ho fatto una cosa terribile- ammise i re
-Che cosa?-
-Non posso dirtelo-
La bambina lo guardò infastidita
-Che cosa?-
-Non posso!- urlò il re
-Ma io lo voglio sapere!- insistette la creatura.
Lo schiaffo fu troppo forte.
La bambina fu scaraventata giù da cavallo.
Rotolò sulla terra dura, ululando di dolore.
Quando si fermò riprese a piangere e le lacrime si mescolarono al sangue.
Riccardo scese velocemente da cavallo.
Si avvicinò alla bambina preoccupato.
L’hai ammazzata!
No!
Assassino!
A quel punto la vide.
La creatura si muoveva ancora.
Tirò un sospiro di sollievo.
Ma un lungo taglio le squarciava la guancia destra.

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