Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

di tixit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Devo Chiederti Una Cosa ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Non E' Niente Di Particolare ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Non E' Detto Che Ti Piaccia ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Non E' Mai La Conclusione Giusta ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Non E' Mai Senza Conseguenze ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Non E' Mai Per Un Solo Motivo ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Non E' Mai Per Sviare L'Attenzione ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII - Non E' Mai Per Non Dire Una Bugia ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII - Non E' Perché Te Lo Devo ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX - Non E' Per Una Domanda A Cui Non Ho Risposto ***
Capitolo 11: *** Capitolo X - Non E' Per Tirare Un Pugno ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI - Non E' Perché Tu Non Mi Vedi ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII . Non E' Perché Non Sono Io ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII - Non E' Perché Il tempo Non Si Ferma Mai ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV - Anche se è No, Io, Comunque, Ci Sono ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV- Dove Oscar Capisce Perché Certe Domande Non Si Fanno ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI - A Volte E' Questione Di Dimensioni ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII - A Volte Devi Lasciar Andare ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII - I Migliori Piani degli Uomini e dei Topi ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX - Si desidera ciò che si vede ***
Capitolo 21: *** Epilogo - Chiedere di Spiegare Certe Cose è un Insulto ***



Capitolo 1
*** Prologo - Devo Chiederti Una Cosa ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film... e qualunque altra cosa.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: questo è il prologo.

Note2: c'è stata una revisione, che è consistita nell'aggiungere la colonna sonora (pop, tutta pop!).

 

Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

 

Prologo
Devo chiederti una cosa

Mama, take this badge off of me 
I can't use it anymore. 
It's gettin' dark, too dark for me to see 
I feel like I'm knockin' on heaven's door. 

Knock, knock, knockin' on heaven's door 


Mama put my guns in the ground 
I can't shoot them anymore 
That cold black cloud is comin' down 
Feels like I'm knockin' on heaven's door 


Knock-knock-knockin' on heaven's door 
Bob Dylan (knocking on heaves door)

 

Because when the sun shines, we'll shine together
Told you I'll be here forever
Said I'll always be your friend
Took an oath, I'ma stick it out to the end

 

Now that it's raining more than ever
Know that we'll still have each other
You can stand under my umbrella
You can stand under my umbrella

Priestley/ Rihanna... (Umbrella)

 

 

 

 

 

 

 

Oscar, bagnata fino al midollo, coi capelli biondi, incollati al viso, entrò nella stanza di André senza bussare.

“Devo parlarti!”


Lui era seduto alla sua scrivania e stava leggendo alla luce della lampada; si voltò lentamente, “Cosa ci fai qui?”

“Devo chiederti una cosa.”

“Me la devi chiedere qui?”, posò il libro e corrugò la fronte, "proprio qui?"

Lei prese una sedia e si sedette, con le gambe divaricate come un uomo, le mani poggiate sul bordo, tutta protesa verso di lui, proprio come faceva da bambina quando voleva coinvolgerlo in qualche marachella: “E’ importante.”

“Importante..." André scosse la testa, "... importante... pensavo che tu dovessi prendere una decisione, stasera, una decisione davvero importante, quella sì...” la osservò con attenzione, “l’hai già presa?”

“No, ancora no”, scosse la testa come se lui stesse parlando di un dettaglio irrilevante, “ti volevo chiedere una cosa, prima. Di fare una cosa, se vuoi...”

Lui la interruppe brusco “Oscar questa è la tua casa” il tono si fece paziente, infinitamente paziente, “la casa di tuo padre, per essere precisi. Io lo so. Tu lo sai? Sai che è casa sua?”

Lei annuì, stupita.

“Ma questa è la mia stanza. Alla fine di una giornata di lavoro,“ la guardò negli occhi mentre sottolineava questa parola, “un lavoro che mi piace molto,“ abbassò il tono, che, nel silenzio della stanza, con solo il ticchettio della pioggia sui vetri, sembrò quasi dolce “moltissimo, credimi," le sorrise, "io vengo qui, per stare da solo, in un posto in cui nessuno entra senza bussare, lo capisci questo?”

Lei arrossì “Ascoltami! André, ascoltami solo per un attimo e capirai... “
Era impaziente.
Travolgente, testarda, incosciente e ovviamente impaziente.

André sospirò.

“Ti ascolto, ma non qui”. Si alzò e si diresse verso la porta.

La ragazza si alzò dalla sedia e si sedette sul letto di André, allungando le gambe.
“Qui va benissimo.”
Lo guardò con aria di sfida.

Lui scosse la testa “Qui non va bene per niente,” aprì la porta, “io vado in cucina e preparo una tisana.”

Uscì senza voltarsi.

“Ne hai bisogno.”

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Capitolo 2
*** Capitolo I - Non E' Niente Di Particolare ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: Spero tanto che la storia non risulti involontarimente umoristica... anche se io mi sto divertitendo molto a scriverla.
Attenzione! Non è propriamente erotica, ma qualcosa di vagamente erotico c’è (non credo da bollino rosso), non è propriamente umoristica, ma qualcosa di allegro c’è.
E’ una storia come piaceva a me.

 

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Capitolo I
Non è niente di particolare

 

Come entrò in cucina, dubbiosa, lui le lanciò un telo per asciugarsi “Siediti vicino al fuoco, e asciugati i capelli. E lascia la porta aperta. Grazie.”

“Qui possiamo parlare, finalmente? qui va bene? qui ti senti a tuo agio?” chiese ironica, sedendosi su un vecchio sgabello di legno, vicino all’enorme camino della cucina.
Cominciò ad asciugarsi i capelli senza avvicinarsi troppo alle fiamme, una cosa che aveva fatto mille volte, in quella cucina, dopo essere uscita a camminare nella pioggia, a volte proprio con André.
Quante volte erano stati lì, tutti e due appollaiati ognuno sul suo sgabello, ma vicini, facendo finta di essere mortificati, mentre la Nonna li rimproverava per qualche cosa?

Perché c’era sempre qualche cosa per cui rimproverarla. Scosse il capo amaramente.
Sempre.

“O dovevo bussare, André? Anche a questa porta?”, ma da quando, si chiese, c’era bisogno di tanta formalità tra loro due? Che lei addirittura bussasse prima entrare nella sua stanza?

C’era stato un tempo in cui facevano il bagno nel mare insieme, nudi, in Normandia, senza nessun imbarazzo... e adesso doveva addirittura bussare perché lui voleva dei momenti tutti per sé... nella sua Camera Inviolata, nemmeno lui fosse Raperonzolo o la Principessa sul Pisello.

 “Imparare a bussare non è mai una cattiva idea,” la guardò severamente negli occhi “e non buttare via il proprio tempo sarebbe una idea anche migliore.”

“Non sto buttando via proprio niente!”.
Distolse lo sguardo, infastidita: non era venuta per quello, non lo aveva cercato per sentirsi dire quello che doveva fare pure da lui.
Perfino da lui.

“Oscar, ascolta, tuo padre ti ha fatto una proposta, una che finalmente darebbe un senso a questa tua vita,” scosse la testa, “o che lo toglierebbe. Io proprio non lo so.”

“Se non lo sai, di cosa ti impicci, allora? Hai parlato con mio padre?” lo guardò gelida, improvvisamente cattiva, “il Generale ha dato qualche ordine particolare al suo Servetto?”

“Sarò sincero,“ rispose tranquillamente André, facendo finta di non aver colto la cattiveria di lei, chiaramente voluta, “questo Servetto non vuole avere niente a che fare con questa decisione...” la guardò con affetto, “è una cosa tutta tua.”

Oscar sbuffò.

“Ma hai solo stanotte...” riprese, “ora, se fosse successo a me, se fossi io davanti ad una scelta...a qualcosa di importante... io starei in camera mia a valutare le possibilità che ho, e tutte le conseguenze che mi si presentano...  ma io sono io. Tu invece, cosa diavolo stai facendo?”

Le versò la tisana in una tazza, la versò anche a sé e si sedette all’enorme tavolo di quercia della cucina.

“Il Generale mi ha chiesto di entrare nelle Guardie Reali,“ Oscar si interruppe per sorseggiare la tisana, “E’ ancora troppo calda”, sorrise e poggiò la tazza in terra accanto a sé, “è un grande onore e una tradizione di famiglia,” riprese, quieta, ”a cui il Generale tiene moltissimo, e per cui, piccolo particolare, mi pagherebbero. Non che il denaro mi serva davvero.
Lo sai."

Sospirò.

"La Delfina ha la mia età," riprese, "e pensano che potrebbe essere una buona idea, da molti punti di vista... meno uomini ci sono che le girano intorno, in questo particolare periodo, meglio è.
Sarebbe un bene per lei, sarebbe un bene per il Delfino, anche se pare non se ne renda conto," sorrise divertita.
"Sarebbe un bene per mio padre, per la sua carriera." si osservò le mani, assorta, "ci sarebbe un senso di continuità e a nessuno verrebbe in mente di sostituirlo nei suoi vari incarichi, per favorire una nuova famiglia, una con una linea di discendenza più... solida..." scosse la testa, "sarebbe un bene per mia madre, che non se la cava molto bene con gli intrighi di Corte, anche se..." sorrise perplessa "... io in questo non saprei come aiutarla," 

André sorrise divertito, ma non disse nulla. 

"Sarebbe un bene anche per le mie sorelle: avrebbero un fratello a Corte.
Migliori matrimoni per quelle non sposate.
Migliori favori per i mariti di quelle sposate." scosse le spalle "Favori per tutti. Per cose utili ed inutili". 

"In più," riprese dopo un attimo di silenzio, sorridendo amaramente, "potrebbero essere accompagnate da una persona di famiglia, che non... " arrossì, "potrebbero andare in tutti quei posti in cui non dovrebbero andare senza scorta. Ma questi non sarebbero fatti tuoi, per cui dimenticatelo." 

Chiuse gli occhi

"Tutti soddisfatti, quindi.”

“E tu?“ la interruppe, “Tu cosa hai deciso?”

“La Delfina ha 15 anni, ed è sposata da due.” Lei lo guardò negli occhi, con aria di sfida, allungando le gambe davanti al fuoco. Si tolse il suo vecchio panciotto di panno verde e appoggiò la schiena contro il camino, incrociando le braccia dietro la testa. La camicia bianca, ancora bagnata, le era praticamente incollata al corpo, un corpo indubbiamente di una ragazza di quindici anni.

Ragazza.

Femminile singolare.

Quasi donna.

 

“La Delfina ha la mia età” sussurrò, senza distogliere i suoi occhi da quelli di lui.

Lui si strinse nelle spalle “Ha la tua età e ha i suoi problemi con il suo matrimonio. Non la invidierei troppo al posto tuo...”

"Nessuno pensa che fosse troppo giovane, per la sua prima notte di nozze," inarcò la schiena, senza distogliere lo sguardo da quello di lui. Stasera non aveva il busto fasciato, quella camicia non lasciava dubbi. "Tu pensi che lo fosse?" sussurrò, "... troppo giovane, intendo?"

André si strinse nelle spalle "Non la conosco, come faccio a dirlo?"

Oscar arrossì, indispettita, ma continuò a guardarlo, mentre si slacciava, lentamente, il primo bottone della camicia “Fa caldo qui," sorrise "piuttosto caldo... Non è una età insolita, la sua, per una sposa... tutti si aspettano che il Delfino compia il suo dovere con lei... che la deflori...”

“Sarà contenta, povera ragazza, che tutti parlino della sua deflorazione... perfino i Servetti nelle cucine...“ la stava visibilmente prendendo in giro.

Oscar arrossì furiosa, “André, noi ci conosciamo da quando eravamo bambini...” si alzò di scatto dallo sgabello e cominciò a passeggiare per la stanza, “forse non ho la giusta pazienza... forse sbaglio qualcosa... io non lo so. Io proprio non lo so, credimi!" Sbuffò.

"Forse non te lo so far capire... quello che voglio... Ma non c’è un’altra persona a cui lo potrei chiedere, non c’è." si passò una mano tra i capelli ancora umidi, "Se ci fosse... potrei anche non chiedertelo, anche se, onestamente, io lo chiederei, ne sono sicura, per prima cosa a te.
Ma è del tutto inutile stare qui a farsi domande... a.. inalellare ipotesi inutili: semplicemente... un’altra persona a cui chiederlo non c’è!"


Scosse la testa esasperata, "Guarda, io... io non capisco, sul serio, dico... non è niente di particolare quello che ti chiedo, lo fanno anche gli animali... che sarà mai? Proprio niente di particolare, non vedo dove sia il problema, per te... Maledizione!”

Si fermò e lo guardò imbarazzata: “Vorrei che tanto che tu lo capissi, quello che ti sto chiedendo, accidenti a te! Senza nessun bisogno di dirlo...”

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Capitolo 3
*** Capitolo II - Non E' Detto Che Ti Piaccia ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: Mi spiace deludere chi si aspettava una storia erotica... non lo è.

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Capitolo II
Non è detto che ti piaccia

 

 

“Ma guarda che io capisco, capisco benissimo, credimi.
E, senza nessun bisogno di chiederlo, ti dico che la risposta è no.” La voce di André era paziente come sempre, forse un po’ stanca, ”e ora, prima che si raffreddi troppo, bevi la tua tisana, così stai serena e te ne torni in camera tua a pensare alle cose serie.”

Lei lo guardò sorpresa. Non se l’aspettava proprio questa risposta, “André noi abbiamo fatto tante cose insieme,” insistette cautamente, “quasi tutto, da che io mi ricordi, e ne abbiamo imparate molte insieme.”
Stava cercando di pesare con molta cura le parole per portarlo dalla sua parte, perché vedesse tutta la faccenda come la vedeva lei, in modo semplice e molto pratico.
Una cosa innocente, tutta tra loro due – io copro te e tu copri me - come sempre. 
Insieme.

Non era la prima marachella che avevano combinato di nascosto, le pareva, perché mai adesso doveva fare tanto il prezioso? In fondo... ma cosa gli aveva chiesto mai?

“Lo so che abbiamo fatto tante cose insieme,“ le spiegò lui con pazienza,”Ma questa no. Non la facciamo.“

Raccolse la tazza di lei da terra e la poggiò sul tavolo.

Le fece cenno di sedersi.

”Questa cosa non possiamo impararla insieme, e non dovresti perdere tempo a pensarci, la notte sembra lunga, ma è breve, molto breve... domani mattina arriverà prima che te l’aspetti e non sarai pronta!”

“Ma non dobbiamo metterci tutta la notte...” rispose, pratica, Oscar, alzando gli occhi al cielo, “possiamo anche essere molto rapidi! Basta solo che ti sbrighi.”

Ad André andò di traverso la tisana.
“Oscar,” puntualizzò tra i colpi di tosse, “per piacere,” la guardò storto, “non è una gara! Accidenti! Ma cosa avresti intenzione di fare? Di portarti appresso uno dei nuovi cronometri di Harrison? Vuoi battere un record di velocità!“
Scosse la testa divertito “Guarda che non funziona così!”

"E tu che ne sai?" ribatté Oscar piccata.

André non le rispose.

“Tu... Tu lo hai già fatto!” esclamò lei con la stessa aria trionfante, con cui mentre giocavano a carte, gli avrebbe detto che aveva capito che aveva una mano di fiori.

E così questa... esperienza... Oscar scosse la testa, sorseggiando di nuovo la tisana, lui l‘aveva già fatta per i fatti suoi, guarda guarda... sicuramente in qualche bordello di Parigi, pensò con pratico buonsenso: prima o poi, andavano tutti lì, a farlo senza amore e senza amicizia, tra sconosciuti, e lo trovavano pure normale.
E adesso aveva il coraggio di fare la predica a lei, quando quello che non era più... quando quello che lo aveva fatto, tra i due... scosse la testa incredula. 

Poi fece una smorfia di disgusto "E' amaro... questo intruglio, intendo..." e spinse la tazza verso di lui.

Certo, un po’ le spiaceva che lui non avesse aspettato.

André scosse la testa e si alzò “Certo che sei proprio insistente! Si, l’ho fatto, va bene, e allora?" Prese da uno stipo un barattolo di di miele e glielo porse.
"Che importanza ha quello che faccio io? Proprio stasera, poi?” si capiva che era esasperato,”Ma cosa credi? Che questa notte si allungherà per te? Per darti tutto il tempo che ti ci vuole per capire cosa vuoi? La notte è uguale per tutti! La notte se ne frega dei nobili!”

“Ma io vorrei solo capire...”

“Ma capire cosa?” André era visibilmente spazientito, “Non mi pareva proprio, prima, che tu volessi capire qualcosa.
Perché a me, poco fa, mentre mettevi su il tuo spettacolino di camicia bagnata e chiacchiere disinibite sulle deflorazioni altrui, come se stessimo parlando di che tipo di avena dare ai cavalli quest’anno, mi pareva che mi stessi chiedendo ben altro che capire!”

“Guarda che io, di quello che ho detto, non mi vergogno affatto!” lo guardò seria.
Era seria.

“Oscar,“ André cercò a fatica la pazienza dentro di sé, “io non so come fartelo capire! Non ti sto giudicando. Non ti sto affatto dicendo che ti dovresti vergognare se... ci hai pensato.
E' una cosa naturale, e va bene, va benissimo così.
Man... non è la cosa in sé, sono le conseguenze.

Hai mai valutato tutte le possibilità? Valutato davvero, intendo, senza agire d’impulso? Come fai di solito?”

Lei tacque, testarda come sempre.

Lui sorseggiò la tisana “La prima cosa che potrebbe capitare, la prima cosa storta, ma veramente storta, tienilo a mente, è che non ti piaccia affatto.”

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Capitolo 4
*** Capitolo III - Non E' Mai La Conclusione Giusta ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: capitolo così così. Per il prossimo vedrò di fare meglio.... L'ho un po' rimaneeggiato perché non mi piaceva tanto.

Hai valutato tutte le possibilità?

 

Capitolo III
Non è mai la conclusione giusta

 

Oscar smise di armeggiare con il barattolo del miele e lo guardò interrogativa - i poeti inglesi scrivevano bellissimi poemi pastorali alle ninfe chiedendo che venissero con loro e diventassero le loro amanti su letti di rose, Ronsard parlava del rimpianto, una volta giunti alla vecchiaia, per la rosa non colta, i preti tuonavano contro la lussuria, a Corte la DuBarry intrigava impunemente solo perché era l’amante del Re, i bordelli erano pieni - e questo lui lo sapeva meglio di lei, pensò malignamente – tutti partecipavano vigorosamente a questa gioiosa festa pagana, tutti... e lui... lui...

Chiuse gli occhi.

André avrebbe dovuto vivere in un circolo di filosofi stoici. Lo guardò esasperata. Alla ricerca dell'atarassia, ce lo vedeva proprio bene...

Eppure, a lui, Marlowe, una volta, piaceva parecchio; lo leggeva in continuazione per i fatti suoi, se lo ricordava perfettamente.

Come live with me - Vieni a vivere con me.
Questo in fondo, a voler ben vedere, lui già lo faceva.


And be my love - e sii il mio amore. 
Ma lei non gli stava chiedendo quello. Anzi... quello non glielo avrebbe mai chiesto, per carità! Roba da... da... scosse la testa disgustata. Sapeva chequello, comunque, lui non glielo poteva dare.
E quello, per quanto la riguardava, non lo avrebbe mai e poi mai chiesto a nessuno. 

E poi, sorrise dentro di sé, il Pastore, con Amore, intendeva solo dire Amante, voleva solo infiorare un po' la sua proposta, mettere sul piatto un po' di illusione - lo si capiva molto bene dal seguito della poesia. E André quella poesia la conosceva bene.


And we will all the pleasure prove - E proveremo tutti i piaceri...
Ma lei non stava nemmeno chiedendo questo, non doveva diventare il suo schiavo e farlo con lei per i boschi e le valli a ogni suo schiocchiar di dita... tenuto al guinzaglio, come un cagnolino da compagnia.
Non gli avrebbe mai chiesto questo, non sarebbe stato giusto per niente, usare così una persona, legarla così, costringerla a essere quello che non... lo avrebbe dovuto sapere...che proprio lei... mai!

Sbatté frustrata il barattolo sul tavolo.

A lui, mai!

Ma in fondo, che gli aveva chiesto di così tremendo, accidenti a lui!

 

Se fosse dipeso da André, il Pastore avrebbe detto alla Ninfa: vieni con me, sii la mia amante, proveremo tutti i piaceri che le valli, i boschi e le colline ci possono dare, però guarda, ti avviso prima, tu non venirti a lamentare dopo: potrebbe pure essere che non ti piaccia per niente. Anzi, sai che c'è? stiamo sul sicuro e non ne facciamo nulla!

Un poeta! Arricciò il naso, indispettita.
Non se ne era mai accorta, ma lei viveva con l'ultimo dei poeti elisabettiani... poeta e stoico.

 

... e quel maledetto barattolo non si apriva.

“Perché mai non dovrebbe piacere proprio a me?” chiese piccata, spingendo il miele verso André, “lo apri, per piacere?”

 

 

“Ascolta,” riprese André visibilmente imbarazzato, ”non è proprio a te... quello che chiedi non è una cosa che di solito si fa con un uno due tre pronti... via!” la guardò scuotendo la testa.

“Di solito, o, almeno... la... la prima volta, dovrebbe essere con qualcuno che ti piace sul serio," la guardò severamente, molto severamente, "non con il primo che passa!"

"E... prima... ci dovrebbero essere sfioramenti casuali con questa persona, che però lasciano un segno, ti ritrovi a pensare a quel gesto, a chiederti se è stato casuale o voluto... e se quello stesso gesto ricapita e capisci che è stato voluto, da uno sguardo, dal soffermarsi di suoi occhi nei tuoi, è come una carezza nascosta... lo capisci questo?" la guardò neglio occhi, con infinita gentilezza. "Puoi ballare con cento ragazze ad una festa di paese, con ognuna metti le mani negli stessi posti, spalle, fianchi... E ognuna farà lo stesso con te... alla fine... è un ballo, tutti che si muovono insieme facendoesattamente le stesse cose.
Puoi cambiare la ragazza, ma il ballo è sempre quello, non cambia.
Ma, la verità è che, tra tutte quelle cento, tutte uguali, solo di una sarai consapevole... di ogni volta che la sfiori...”

Lei arrossì e abbassò lo sguardo, perplessa. Quella che André stava descrivendo non sembrava per niente una scena vissuta in un bordello.

Il ragazzo si alzò e guardò fuori dalla finestra, pensoso,“C'è l'incertezza, e poi ci sono i baci, gli incontri furtivi, pensare tutto al giorno a come ricaverai lo spazio di quei pochi minuti di intimità solo per voi due. E poi ci sono limiti che superate man mano, qualcosa di audace, qualche no, qualche passo indietro e qualche sì... prima di farlo sul serio lo avrai fatto almeno cento volte nella tua testa. E quando alla fine succede è solo... come l’ultima nota di una canzone. E’ la conclusione giusta.”

“Lo stai facendo con qualcuna? Regolarmente intendo?” chiese diretta. Non aveva proprio pensato al fatto che, forse, stava invadendo il territorio di un’altra. Di una a cui, a quanto pare, non si poteva dire "no, questo no".
Le venne da sorridere.

La sua ultima nota... l'Ultima Nota di André... vomitevole!

Se era così, però, forse, sarebbe stato più corretto ritirarsi in buon ordine... anche se, a voler ben vedere, in un certo senso, pensò, improvvisamente irritata, era l’altra che aveva cominciato. 
A invadere un territorio... un territorio così piccolo, poi. Non era stata leale.

 

“No, in questo momento non c’è proprio nessuna.” rispose André seccamente, ”e grazie,“ soggiunse sarcastico, “per tutto questo gradito interesse per i fatti miei... e sottolineo miei.

Lo sguardo che le lanciò avrebbe dovuto incenerirla, ma Oscar si strinse nelle spalle. Aveva solo fatto una domanda...

“Ma quello che sbaglia sono io, mi è chiaro! Sono io lo scemo che ti do pure retta su queste cretinate, e cerco di..." sbattè il barattolo sul tavolo, amareggiato.

Oscar trattenne il fiato, mortificata.

Rimasero tutti e due in silenzio per alcuni minuti.

“Quello che voglio dire" riprese André, cercando disperatamente di essere vagamente gentile "è che, senza tutto quello che avrebbe dovuto esserciprima, e che, in questo momento, non c’è... che non c'è stato,“ ribadì André  ”una volta finito, e tirate le dovute somme, non è per niente detto che ti piaccia."

Lei non disse nulla.

"E io non voglio che tu mi chieda questo, maledizione! Tu... ma non lo capisci? Quello che mi stai chiedendo è di giocare il ruolo del bastardo, che questa cosa, te l'ha fatta allegramente buttare via... che se l'è presa sapendo molto bene che tu, tutte le conseguenze, non le avevi nemmeno prese in considerazione.
Tu credi che non ti importi, lo pensi adesso..." Oscar scosse la testa scettica. "Ma un giorno ti importerà." La voce di lui s'era fatta dura, "ti importerà da morire." Per un attimo Oscar pensò che André avrebbe tirato il barattolo contro il muro. "E comunque," riprese a voce bassa, "se non importa a te, importa a me, e, se permetti, questo, per me, è sufficiente per dire no."

Il viso di Oscar era in fiamme, ma non lo guardava

"Tu, invece," continuò André sospirando, "tu irrompi in camera mia, ti siedi sul mio letto, inarchi la schiena come un gatto che vuol essere accarezzato, fai le fusa...e, con la stessa aria con cui mi chiederesti di provare una spada nuova, per vedere se ti piace come è bilanciata, mi chiedi di farlo.
Là per là.
Tanto per vedere cosa, per caso, ti saresti persa." era divertito, "E mi chiedi di farlo pure in fretta, di sbrigarmi... veloce! Non ci vorremmo mica mettere tutta la notte?” la rifece il verso, gentilmente, perché si sentisse a suo agio.

A Oscar venne da ridere, ma si trattenne.

“Tieni il tuo miele,” le sorrise, allungandole il barattolo.

Lei, con aria riflessiva, lo annusò, non era completamente convinta, “A Corte... molte donne...” ribatté pensosa, “molte donne," sottolineò, "hanno molti amanti, anche di una sola notte. Anche sconosciuti.”

"Forse, " insistette cauta, "non a tutti importa... che ci sia..." cercò le parole più adatte, per non offenderlo, avrebbe detto 'illusione', come prima cosa, ma poi c'era l'Ultima Nota di cui tener conto, la stronza, e lui ci aveva tenuto, era chiaro. Le doleva il cuore ammetterlo, ma andava rispettata. Almeno... rispettata finché la rispettava lui, "che ci sia... una dimensione...sentimentale... forse non siamo tutti, proprio tutti uguali... l'hai valutata questa possibilità?"

Lo guardò con aria di sfida – e ora, sembrava dire, come la mettiamo?

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Capitolo 5
*** Capitolo IV - Non E' Mai Senza Conseguenze ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film ... questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: André parla decisamente un po’ troppo, ma, siccome di solito nell'anime è silenzioso, diciamo che aveva un po’ da recuperare... qui ha 16 anni ed è un po' troppo maturo per la sua età (ha ragione Lucy71). Però parliamo di un'epoca dove la vita media era più corta della nostra e si diventava adulti prima (mettiamoci una pezza, insomma, sulla credibilità).
Mi sarebbe piaciuto ambientarlo ad un'altra età, ma non avrebbe avuto molto senso per il tipo di discorsi e conclusioni che avevo in mente, e forse mi sarebbe servito un André più vecchio, ma potevo giocare solo su un anno... è un po' forzata. Magari poteva essere un AU? 
Punti sicuramente deboli, miei, che vedo io (e pamina e serelalla confermeranno, immagino, leggendo le review): descrizione di ambienti - non è il mio forte, tanto che avolte ne farei volentieri a meno... - linguaggio inadeguato all'epoca. 

Il clima è un po’ meno divertente. Non è detto che necessariamente piaccia, ma... la storia è questa.


Avevo scritto: "Non so se anche questo capitolo finirà per essere rimaneggiato"... beh, è stato rimaneggiato.
Ma allora aspetta a pubblicare!
Eh ma quando lo pubblico mi pare di non poterlo toccare più e di non riuscire a modificarlo!

 
C’è un po’ sospeso una domanda non fatta  su quanto Oscar è sicura o meno della propria identità sessuale, ma non lo sapevo scrivere bene...

Ringraziamenti: è stato davvero bello ricevere tutte queste review! Vi ringrazio tutte e cercherò di rispondere a tutte pian pianino. Mi piacerebbe se mi diceste cosa non vi piace - non voglio fare betaggi, è troppo complicato, ma le critiche le accetto molto volentieri!

 

Hai valutato tutte le possibilità?

Capitolo IV
Non E' Mai Senza Conseguenze

“Magari hanno una esperienza che tu non hai?” le rispose seccamente. "Che dici? Sai com'è..." continuò sarcastico, "tanto per fare una ipotesi."

“Si, hai ragione, credo sia proprio, come dici tu," annuì lei, tutta seria, tentando di non ridere, "penso che ce l’abbiano, una esperienza...loro" evitò di guardarlo mentre sottolineava l'ultima parola quasi innocentemente.
Molto quasi, ma non abbastanza.

André alzò gli occhi al cielo, esasperato, non gli era sfuggita la portata di quel quasi, e, si capiva, quel quasi non gli piaceva proprio per niente. “L'esperienza, se non lo sai, è la somma dei nostri errori madornali, e non coincide per forza con la saggezza."

“E’ una possibilità, caro il mio André La Rochefoucauld," insistette Oscar, con aria pratica, la stessa con cui stava osservando il contenuto del barattolo, "ma non è la sola. Visto che le vuoi esaminare tutte, non soffermiamoci troppo sul mio possibile pentimento futuro. E ti risparmio anche di illustrarmi la possibilità mistica, quella in cui, inorridita dal mio peccato, mi rinchiudo in convento, possibilmente a Malta.” 

“No, non è la sola possibilità,” concordò lui, sempre più sarcastico “ce ne è anche un’altra, pure molto più interessante: che non ti piaccia proprio per niente, ma non subito dopo, e nemmeno tra qualche tempo, quando vorresti non averlo fatto... è possibile che non ti piaccia affatto proprio mentre lo stai facendo.”

Lei scosse la testa incredula.

“A Corte c'è di tutto.
A Corte puoi trovare gente che compra qualunque cosa.
A Corte puoi trovare gente che vende o scambia qualunque cosa.

Non userei la Corte come esempio di ciò che è... usuale." Distolse lo sguardo da quello di lei, cercando di ritrovare, dentro di sé, almeno la parvenza della ragionevolezza. "Le persone di cui mi parli, quelle che si prendono perché in quel momento si piacciono, e poi si lasciano perché non si piacciono più, senza che ci siano mai conseguenze particolari, non le trovi solo a Corte, comunque.
Di certo, queste persone, usano della loro libertà e non delle altrui convenzioni, e sono meno ipocrite di chi predica una serie di regole molto severe, non sempre alla portata di tutti, minacciando i trasgressori con l’Inferno, o con l’ostracismo dalla loro società,“ scosse la testa visibilmente amareggiato, "permettendo poi, magari, senza batter ciglio, cose molto più cattive."

“Non giudico male un libertino, la vita alla fine è una sola,” riprese, “e un romanzo licenzioso mi diverte, e capisco che il divertissement sia qualcosa che aiuta a vivere e pure a pensare, perché no? Ma io sto parlando di persone che hanno avuto una esistenza variegata, spesso complicata, e che, adesso, hanno delle cose da dire.
Le persone a Corte, che mi porti come esempio tu, invece, loro, molto semplicemente, si annoiano e riempiono il tempo con qualcosa che, alla fine, è alla portata di tutti, qualcosa per cui non serve intelligenza o studio, o arte, o dura fatica, qualcosa di talmente semplice che, proprio come dicevi tu, lo fanno anche gli animali...”

“Ascolta...”

“Non mi interrompere, ti prego. Non sto svilendo questa cosa, credimi. E non ti sto giudicando, né ti voglio attribuire a forza una superficialità che non hai. Insomma, " scosse le spalle, "tu non mi scandalizzi proprio per niente, ma io non lo faccio, io non lo voglio fare solo perché esistono persone per cui farlo non ha nessuna conseguenza, facendo finta che per me sia la stessa cosa, se permetti. Loro sono loro e tu sei tu ed è quello a cui stasera dovresti pensare, a come... avere anche tu una esistenza variegata al punto giusto, libera magari da... "si interruppe brusco," non sta a me dirti certe cose, ma ci sono ben altre cose a cui dovresti pensare, stasera, non a queste stupidaggini.”

Lei continuava a fissare pensosa il contenuto del barattolo. Poi, a voce bassa, disse: "Mi fa piacere che mi concedi così graziosamente che io sono io, ma magari... non so... mi potresti anche concedere che le mie, di esigenze, proprio perché mie, non prese a prestito da un altro, ma tutte mie, potrebbero non coincidere in modo esatto con le tue..." sospirò un pochino rattristata, "io non sono come te, lo sai?"

“Oscar,“ la sua voce era così gentile, quasi tenera, “queste esigenze... per trarne piacere, intendo... devono necessariamente presupporre una certa... confidenza con il loro corpo... per soddisfarlo, intendo, non necessariamente per massimizzare il piacere, ma per trarne un minimo quanto meno. Parliamo di una confidenza che, secondo me, tu non hai. Sbaglio?”

Oscar arrossì, ma non rispose.

“Quel... come lo hai chiamato?  percorso sentimentale che adesso ti fa tanto sorridere, perché t'ho vista sai? sorridere, incredula, mentre cercavi le parole" lei sbuffò irritata. "Lo so che mi vuoi far capire che questo aspetto sentimentale non lo senti tuo, e va bene, adesso è così, in questa circostanza è così, ma ha comunque il suo peso.” Riprese André pazientemente, “Quello che tu mi stai chiedendo di fare, puoi spogliarlo dell’amore, se vuoi, della passione, che ha una sua forza, dell’attrazione, perfino di quello che ti farebbe dire che quella cosa la vuoi fare con quella persona lì, o non con un'altra, va bene, Oscar, fallo, ma resta la gradualità.”

Prese la tazza di lei è la toccò: oramai era fredda, si alzò e la riportò vicino al fuoco. Si inginocchiò vicino alla fiamma, e, senza guardare la ragazza, fissando il fuoco, proseguì ”esplorare il corpo uno dell’altra, darsi il giusto tempo... dovrebbe preparare il tuo corpo a trovare l’esperienza piacevole per quanto possibile. Non sto parlando solo di un preparazione mentale, che ha il suo peso, perché sentirsi desiderati ci rende più... forti... dentro, sto parlando del tuo corpo, carne e sangue, di come reagisce... con altra carne, perché la prima volta, per una ragazza, di solito, così piacevole non è.”

Oscar arrossì imbarazzata. “Non c’è il tempo per quella gradualità,” rispose, a bassa voce. “lo sappiamo tutti e due, c'è solo stasera... e poi non la voglio nemmeno, non mi interessa!
Cosa dovrei fare? Passare un mese, tutte le sere, a scorrere un... un elenco di cose da fare e da non fare, dalle nove di sera alle dieci, come fosse un impegno di studio, una lista di esercizi in ordine crescente... i verbi latini, prima declinazione, rosa rosae rosae... lo trovo innaturale. 
Io te lo sto chiedendo qui ed ora, una cosa che si fa, che viene come viene, e poi si archivia.
Una cosa di cui non parlare mai più dopo, se preferisci, se ti turba così tanto... ”

André trattenne a fatica una risata.

“Ma tu lo hai già fatto,” sottolineò lei con aria pratica, “non è come se fosse la prima volta per te, sai come va fatto, sai cosa aspettarti, e non c'è una persona che avrebbe da ridire perché sei suo... che problema c'è, per te? E io... sono disponibile a farlo, te l'ho fatto capire, mi pare... magari non tanto bene, d'accordo, mi manca la pratica, ma ci ho onestamente provato.
Io lo desidero...” la voce di Oscar si fece molto dolce, quasi suadente,  “non conta proprio nulla questo?”

André tacque per un minuto buono, poi si alzò e torno a sedersi accanto a lei “Oscar, so che per te questa sera è difficile, sto cercando di essere molto paziente con te, ma non è facile per me, credimi."
"Non è una cosa che dipende da quanto sei determinata," proseguì pesando con cura le parole, "dipende anche da quanta confidenza hai con il tuo corpo... tu ti comprimi il seno con le fasce, ti vesti da uomo da quando sei nata, ma non esattamente per tua scelta”

“Questo non c’entra niente con quello che ti ho chiesto.” lo interruppe lei indignata, “resta fuori dalla mia vita, André, perché, ricordatelo, ci sono dei limiti a quello che puoi o non puoi dire. Restane fuori.”

André si rilassò contro lo schienale della sedia, “non chiedo altro.” Sorrise bonario. “Posso restarne fuori? La finiamo con questi discorsi assurdi?”

“Ascolta “ replicò lei, “tu stai cercando di portando il discorso su argomenti che non c’entrano, sperando che io reagisca male e me ne torni nella mia camera, arrabbiata con te, avendo posato il discorso. Ma non funziona così!” scosse la testa, amareggiata.

”Non vuoi proprio capire...”

“André, se non lo vuoi fare con me perché io...” si morse quasi a sangue le labbra, avrebbe voluto dire non sono come la tua Ultima Nota, e a te piace farlo con lei e con quelle come lei, ma non con... una persona come me, ma non voleva tirarla in ballo, proprio lei.

“Oscar, parliamoci chiaro,” cercò di essere pacato “la tua testolina o quando pensa non pensa affatto, o, quando pensa, pensa più di una cosa contemporaneamente,”

Le sorrise.

“E’ una cosa che ha il suo fascino... ci sono persone a cui tu puoi chiedere il colore del cielo e quelle dicono che è blu, per abitudine, anche se alle loro spalle c’è un tramonto meraviglioso. Per loro il cielo è sempre e solo blu, il sole è giallo e il prato è verde,“ sospirò, ”e ci sono persone come te, che anche in un mezzogiorno d’agosto sanno che il cielo può essere anche nero come la notte, o bianco, come quando sta per nevicare...”

Lei arrossì imbarazzata.

“Acoltami, Oscar, è legittimo quindi che io mi chieda, se ci sono altre domande dietro la tua richiesta, magari sbaglio, ma è legittimo che io me lo chieda. Domande che non fai a me, ma a cui pretendi che sia io a darti una risposta.”

Lei scosse il capo, negando frettolosamente.

“Io a volte mi chiedo quanto tu e il tuo corpo siate... in amicizia... se sai, anche un po’ vagamente cosa ti piace, come ti piace... se ti piacerebbe davvero, al dunque, essere toccata da un ragazzo... e, sopratutto, non è un piccolo particolare, toccata da me."
"Toccata proprio da me," precisò, "intimamente, intendo..." lei distolse gli occhi, "e sono due domande legittima, la seconda, se permetti, lo è per me, la prima lo è verso qualunque ragazza inesperta, e che ti piaccia o non ti piaccia, verso di te, lo è anche un pochino di più. Legittima, intendo.”

La sfiorò per la prima volta, in modo che alzasse il mento e lo guardasse negli occhi, brevemente, giusto il necessario – sguardo blu, incerto, immerso dentro uno sguardo verde di sfida.

"Se tu aspettassi di innamorarti, o, anche, solo di provare una forte attrazione per qualcuno, allora sarebbe molto più semplice, molto più naturale. Per tutte e due le persone coinvolte, ma così...
Sapresti dire a quel ragazzo, che non legge nella tua mente, ricordatelo, e che magari non ha una sufficiente esperienza per capirlo da solo in modo inequivocabile, gli sapresti dire 'fermati, questo non mi piace', o 'continua questo mi piace, mi piace moltissimo'. Lo capisci questo? Se parlassimo di una gara a cavallo, di un duello con la spada, o, semplicemente, di darmi ordini” sorrise, ”io sono certo che sarebbe molto facile per te essere chiara, prima con te stessa e poi con me, ma in questo caso...”

Lei distolse lo sguardo a disagio.

 

“Se proseguiamo su questa strada, vuoi sapere come può finire? Come la cosa va storta, ma veramente storta in questo scenario possibile tra tanti? Va storta con te in lacrime che fissi il soffitto a disagio, perché quello che io ti faccio, a te, non piace per niente, o ti fa molto male più di quello che serve, e non me lo sai nemmeno dire! O te ne vergogni.
Questo mentre io, tra le tue gambe, te lo dico crudamente perché ti entri in testa una volta per tutte, cerco di darti piacere nei modi che so. E non ci riesco.
Perché questa storia che un uomo vale l'altro, mi spiace, per le prime volte, almeno, non vale.
Perché potrei non essere io quello giusto, per te.
Mi vuoi chiedere proprio questo? Di farti davvero questo? Proprio a te?”

Lei lo guardò senza fiato, sentendosi morire.

“O peggio ancora, nemmeno me ne accorgo, perché se a te non piace, a me, magari, non dico che io troverei la situazione entusiasmante, ma a me potrebbe tranquillamente piacere lo stesso.
Potrei essere pienamente soddisfatto, mentre lo faccio, come un qualunque animale sano, che monta una femmina, fregandosene, e poi torna a farsi i fatti suoi. Appunto... lo hai detto tu... lo fanno anche gli animali...”

 “E, vogliamo essere ancora più schietti? finisce che dopo, magari, e neanche tanto magari, ti poni delle domande su di te, che non ha nessun senso porsi perché la sola cosa sbagliata in tutta la faccenda, è solo questa tua richiesta surreale.”

Oscar scosse la testa senza guardarlo.

“E io non credo,” riprese amaro,”non credo proprio che la sera dopo potremmo stare qui, tranquillamente seduti, a giocare a carte, o a suonare il clavicembalo, o a parlare di un libro, con la stessa tranquilla... fiducia? E’ una parola troppo grossa per te? Preferisci serenità? Noiosa consuetudine?  chiamala come ti pare, ridici pure sopra, sviliscila, e poi, mi raccomando, salutala, perché, dopo una cosa del genere, sarà sparita...”

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Capitolo 6
*** Capitolo V - Non E' Mai Per Un Solo Motivo ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film ... questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note:  In che direzione deve andare lo so – magari non è quello che ci si aspettva, m tant’è, è il bello delle fanfiction
Non sono tanto sicura di come ho pensato il susseguirsi dei capitoli. Questo è un po’ troppo intimista per i miei gusti – mi piacciono altri generi, ma tant’è...

Ringraziamenti: grazie di cuore a tutte per l’apprezzamento!

 

Hai valutato tutte le possibilità?

Capitolo V
Non E' Mai Per Un Solo Motivo

 

Sfiorò con le dita la superficie del miele, così dorato, così profumato, e cautamente se lo portò alle labbra.
Sorrise – miele d’acacia. Lo sospettava. Così buono che le riscaldava il cuore.

Mentre si leccava le dita, golosa, di colpo pensò che la odiava, odiava l’Ultima Nota di André, la odiava sul serio, quella scriteriata. Quanto la odiava!

Se lui non l’avesse incontrata, se non avesse avuto... quello che aveva avuto, qualunque cosa fosse stata o aveva avuto l’illusione che fosse, lui sarebbe stato esattamente come lei.
Un sedicenne pasticcione, più vecchio di lei, ma neanche poi di tanto, che sa di non sapere proprio niente del mondo.
Curioso, desideroso, pieno di slanci, sarebbe stato come un gatto delle sere d’estate, che miagola nei cespugli, malato d’amore e di giovinezza, felice di prenderla subito, visto che lei, una quindicenne pasticciona, gli si offriva, senza porsi troppe domande sul futuro e cosa sarebbe stato.

Beh, riflettè, succhiandosi pensosa il dito appicicaticcio, le domande lui se le sarebbe poste, se doveva essere onesta: era sempre stato un soppesatore di eventi, attento a smontare silenziosamente la realtà come se fosse un modellino imperfetto cercando poi rimontarla in modo diverso, sempre a chiedersi come e perché funzionasse in quel modo.

Sorrise tra sé.

Le venne in mente di una volta – avevano viaggiato per tre giorni, dormendo nei boschi – quella sera stavano cuocendo allo spiedo della selvaggina, il fuoco che crepitava, l'odore della carne che arrostiva, avvolta nelle erbe, lei, appoggiata al tronco ruvido che sistemava il contenuto della sua bisaccia - si era tolta gli stivali - lui che raccontava una storia spaventosa e il guardiacaccia di suo padre, che li accompagnava, che rideva... Sembrava ieri.
Si ricordava che a un certo punto aveva detto che André faceva troppo lo spettatore, nella vita; erano ragazzini, allora, ed era sempre lei quella che lo voleva trascinare in mezzo ai guai - lui era la voce del buonsenso.

Il guardacaccia aveva riso e poi le aveva chiesto se sapesse come si distingue un buon cacciatore da uno cattivo.
Un buon cacciatore, le aveva detto sorridendo, non va a caccia.
Un buon cacciarore aspetta la preda.



Beh, fino ad ora, lei, che la preda se la andava ostinatamente a cercare di prendere, non si era rivelata una buona cacciatrice.


Ma senza l’illusione dell’Ultima Nota, André, di sicuro avrebbe obiettato qualcosa, perché per lui c'era sempre qualcosa da obiettare, sempre, ma, in fondo, non più di tanto.

E sarebbe stato rassicurante per tutti e due scoprire questa cosa assieme. Sarebbe stato naturale.
A modo suo delicato, di sicuro fatto non tanto bene, d'accordo.

Magari più irruento del necessario.

Ma non era importante; quando era piccola, mentre stavano imparando a come cadere durante una lotta, facendosi meno male possibile, s’era ritrovata, alla fine, piena di lividi blu, viola, ciclamino - che male nel letto trovare la posizione giusta - che viravano da un colore all’altro a seconda del giorno in cui se li era fatti,
E non ne aveva certo fatto un dramma.


Invece adesso lui era un... incrocio tra un filosofo stoico ed un libertino non licenzioso... tuffò il pollice nel miele e si succhiò il dito, come quando era bambina, solo che adesso era grande e nessuno l’avrebbe rimproverata, nessuno l’avrebbe frustata.

Lei, l’Ultima Nota, talmente innominabile da non avercelo nemmeno un nome tutto suo, di sicuro se l’era portato in giro per pagliai, facendo la preziosa, massacrandolo di no e di sì e poi di nuovo di no, se lo poteva benissimo immaginare... cosa le aveva detto, prima?

Lo avrai fatto cento volte nella tua testa, prima di farlo veramente...  

Gliela aveva fatta sospirare, quindi.

Si leccò le dita cercando il conforto della dolcezza.

E poi, di sicuro, s’era messa a piangere, dopo averlo fatto, magari neanche per la prima volta, figuriamoci,  perché le femmine fanno così, chiedendogli tutta timida che cosa avrebbe mai pensato, ora, André di lei.

Una cacciatrice naturale, molto più brava di lei.
Così brava a cacciare da sembrare lei la preda.

E lui, di sicuro, giù a rassicurarla, a miagolarle che era bellissima, che era lei la rosa dischiusa al primo mattino nel suo abito di porpora, che era l’unica donna onesta sulla terra, l’unica di cui lui era sicuro, e a farne un dramma del dono che le aveva fatto, e a coccolarla nel calore dell’amore, tutto premure e tenerezza e rassicurazioni sul loro futuro, e giù con promesse e giuramenti... e magari pure citandole Marlowe, Donne, o Ronsard – ce lo vedeva proprio a dirle cueillez, cueillez veutre jeunesse, cogliete la vostra giovinezza... mica “no, questo noi non lo faremo insieme! Giammai!”. Catone il Censore!
E lei, l’Ultima Nota, probabilmente neanche sapeva chi fosse la Cassandra della poesia...


Tutti poeti che avevano scoperto insieme.

Disgustoso.


O, tipico di André, si sarebbe messo a parlarle della libertà e di come fosse giusto per quei due fornicare allegramente, liberi da convenzioni, che la Chiesa se ne facesse una ragione – lo sapeva che di nascosto leggeva Rousseau!
Però non proprio liberi... liberi nell’Amore.

Vomitevole. Vomitevoli tutti e due.

 

Rattristata, riimmerse le dita nel barattolo.

“Sai André” sospirò, “tu hai ragione. A Corte molte persone comprano qualsiasi cosa, anche quelle che non sarebbero loro diritto possedere.  
E a Corte molte persone vendono e scambiano qualsiasi cosa, anche quelle che non gli appartengono.”

“Io non ti ho chiesto di vendermi l’anima, lo sai, questo vero? Di sentirti responsabile per me. E davo per scontato che quello che ti chiedevo sarebbe iniziato e finito questa notte. Da non tornarci più sopra.”

Non c’erano lacrime nel pacchetto, avrebbe voluto dirgli, non c’erano lacci attaccati e richieste di rassicurazioni, e promesse, e dimmi che sono bella, e assolvimi dal mio peccato e dimmi che non è solo desiderio, fammelo credere, e trovami un senso ed un posto ma non avrebbe capito un bel niente, lui, che pensava di sapere tutto.

“Io ti ho chiesto solo di poterlo fare a casa mia, dove sono cresciuta,“ dove mi sento protetta e dove voglio restare avrebbe voluto dirgli, e da dove allo stesso tempo me ne voglio andare, ma non avrebbe capito, “e non magari in un posto che non ho scelto io. Preferibilmente su un letto, ma non necessariamente,” aggiunse con leggerezza. Mi basta solo un posto scelto da me.

Tornò a leccarsi le dita pensosa.

“Preferibilmente con qualcuno a cui magari non saprei dire tutto quello che va detto, forse.
Ma con cui so, che se dovessi arrivare a dire che vorrei si fermasse”

e so che mi faresti un po' male, ma potrebbe farmi male in altri modi

"per un momento solo, o perché non voglio più, o che vorrei, semplicemente, che non facesse qualcosa, mi starebbe ad ascoltare e ad un certo punto, non dico subito, ma ad un certo punto farebbe ciò che è giusto.”

perché con me quella persona è sempre stata leale, e lo so molto bene che è il suo lavoro, che mio padre lo paga ogni settimana, e che quella lealtà è tutta pagata puntualmente il giusto, ma una parte di quella... noiosissima consuetudine... non è esattamente del tipo che si può vendere, o comprare, o scambiare.

 

Si, non c’è un solo motivo, hai ragione, sai, pensò. Tu rifletti più di me, di solito.
 

Una parte di me lo vuole fare gioiosamente, una parte è arrabbiata, orribilmente arrabbiata, e tra tutti questi pezzetti di me sparsi per questa cucina, che tu in parte vedi e soppesi e scarti perché non rientrano nella tua idea di perfetto, c’è pure questa piccola parte di me, quella che adesso si rimpinza di miele e non ha argomenti per battere i tuoi, che, semplicemente, non  vuole che la prima volta le capiti perché è solo una merce che la sua famiglia può vendere o scambiare, se le va, se conviene, se porta denaro o favori o prestigio, se si può mettere su un piatto insieme ad altra merce, per aumentare il peso della bilancia in un disegno più grande, se rispetta una tradizione a cui si tiene, o se si rivela come una scommessa persa per il ruolo per cui l’hanno cresciuta - se non le verrà così bene - o se, semplicemente, decideranno che conviene meglio in un altro posto e con un altro vestito, come una bambola, dovesse anche far benissimo quello che sa di saper fare.
O se ad un certo punto punterà troppo i piedi in una direzione che non piacerà, la rimetteranno al suo posto così, come si fa con un animale difficile da addomesticare, per cui serve un morso un po’ più duro e un padrone che sappia usare la frusta. O una frusta un po' diversa.

Non voglio che capiti con qualcuno che questa cosa la può comprare perché si annoia, o perché conviene, perché ne ricava denaro, o l'inconsueto, per tutta la vita o per una sera, che la può scambiare, da sedurre o da forzare, per dimostrare cosa sono o cosa non sono, cosa posso o non posso fare, per divertimento o disprezzo o invidia, o per rimettermi al mio posto, o per vantarsene con gli amici, mettendomi etichette che non mi appartengono, come su un barattolo di marmellata. O solo perché lo può fare.
Tutto senza cattiveria si intende, senza conseguenze. Senza chiedere mai.

Se dovesse capitare non voglio sentirmi umiliata, o indifesa, o piccola.
Voglio sapere che l’ho già fatto, senza chiedere niente in cambio, senza che nessuno pretendesse qualcosa in cambio, o mi volesse in un modo che non sono.
E vorrei che chiunque venisse dopo non avesse niente di mio da portarmi via, che io non abbia già regalato a chi volevo io, quando volevo io.

Ma io questo discorso non te lo posso fare perché non lo capiresti.

Tu questo scambio equo con me non lo vuoi.
Pure tu mi vuoi attaccare una etichetta che dice a tutti quella che non sono.
Perché questa Ultima Nota ti ha dovuto per forza insegnare che si deve fare solo con Amore, una cosa che io proprio non ti ho chiesto.

Mi costringi a chiedere e a chiedere, come la cacciatrice che non sono, non per farmi male, ma, tu dici, per il mio bene.
Per non vedermi pentita, per non farmelo buttare via, per non farmelo rimpiangere, per non farmi scoprire di non saperlo godere, per non farmi una idea sbagliata.
E di sicuro non hai finito con l’elenco.

“Per esser uno che monterebbe una femmina come un animale, te ne fai di scrupoli, eh!” scherzò con tanta leggerezza.

Lui la stava guardando affascinato, perso in qualche pensiero tutto suo.

Lei scosse le spalle – tipico, nemmeno la stava ascoltando... accidenti a quella grandissima stronza, che adesso chissà dov’era e con chi, a miagolare ad un altro le stesse cose, quello di sicuro, persa in un’altra illusione. A chiamarlo Amore, quando è solo un bruciore tra le gambe.

 

Lui si alzò, andò ad un cassetto e poi le porse ridendo un cucchiaio “Per piacere, Oscar...”

Lei alzò gli occhi al cielo esasperata.

 

André si sedette davanti a lei, “Posso chiederti una cosa?”

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Capitolo 7
*** Capitolo VI - Non E' Mai Per Sviare L'Attenzione ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: E adesso ci toccano un paio di capitoli, fatti di sbirciatine nei pensieri e nei ricordi di André...

Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

 

Capitolo VI
Non E' Mai Per Sviare L'Attenzione

 

“... ridici pure sopra, sviliscila, e poi, mi raccomando, salutala, perché, dopo una cosa del genere, sarà sparita...”

Dopo averle detto quello che pensava si appoggiò alla dispensa dell’enorme cucina, amareggiato, le braccia incrociate sul petto.
Non è che non capisse che quella per lei era una sera complicata, dove c’era una decisione da prendere, che, comunque la rigiravi, per lei non sarebbe mai stata quella perfetta, ma, in fondo, a questo mondo, chi era veramente libero? Nessuno godeva del lusso dell’assoluta libertà, nemmeno quella bellissima Delfina che prima lei aveva menzionato con invidia: Maria Antonietta aveva dovuto lasciare casa sua e adattarsi a una Corte straniera e a un marito visto solo in un ritratto, sicuramente somigliante quanto il complimento di un Cortigiano.

La libertà, gli sembrava, era un fatto prettamente interiore, fatto di idee e pensieri, e lo infastidiva questa ricerca di surrogati dell’autentica libertà: gli pareva fossero i paraocchi che si mettono ai cavalli, per non fargli vedere altro che quello che hanno davanti al naso, in modo che non si spaventino e procedano dritti per la loro strada.
Cosa lei avrebbe scelto, nel concreto, alla fine non contava più di tanto, piuttosto, quello che era importante, era come ci sarebbe arrivata a quella decisione, con che spirito e con che sguardo sul suo futuro.
Le sue idee su una notte di va a sapere cosa erano solo una distrazione senza senso.
 

Sapeva bene che, come tutti i rampolli aristocratici, Oscar non poteva leggere di tutto; Charles de Saint Maure, una generazione prima, aveva fatto stampare ben 64 volumi di classici epurati da ogni passaggio scabroso, ad usum Delphini, e chissà cosa avevano insegnato mai all'attuale Delfino, il puledro recalcitrante della Corte, che non aveva idea di come fare l'amore a sua moglie e metterla incinta... i futuri signori del mondo, del mondo sapevano assai poco.

Inesperta come era, chissà in che modo simbolico si immaginava la faccenda.
 

Ma lei questo non lo capiva. Non capiva quello che lui le stava dicendo.

Non lo ascoltava.


Probabilmente neanche lo stimava, altrimenti, nel momento in cui lui le aveva chiesto di bussare alla sua porta, avrebbe capito la sua posizione, l’avrebbe rispettata e si sarebbe fermata lì.

Aveva ragione Pascal: la ragione dell’infelicità degli uomini sta nella loro incapacità di stare tranquilli in camera loro. E questa donnina in particolare, sembrava particolarmente ostinata sia nel tenersi bene alla larga dalla sua di stanza (precipitandosi invece in quelle altrui, con la testa piena di iniziative a dir poco discutibili), sia nel non stare per niente tranquilla.

Gli venne da sorridere, ma si trattenne: gli spiaceva vederla così rattristata, aggrappata alla dolcezza di quel barattolo di miele, come quando era bambina. Veniva voglia di legarle i capelli, versarle del latte e portarla a dormire, tenendola abbracciata senza dire niente.
Solo che stasera, gli veniva da ridere solo al pensiero, portarla in braccio in un letto non era proprio il caso.

 
Ma era per il suo bene, possibile che non lo sapesse accettare? Eppure aveva accettato ben di peggio...

La osservò, avrebbe voluto farle sentire tutta la sua disapprovazione, ma lei era completamente persa nei suoi pensieri, sicuramente su un mondo non sufficientemente giusto per i suoi gusti.

Continuava a venirgli da sorridere, lei e la sua golosità... un giorno, tra molto tempo, molto molto tempo, quando questo pensiero folle le sarebbe passato, ma passato sul serio, e avrebbero potuto ridere insieme di questa strana serata senza farla sentire mortificata, glielo avrebbe dovuto proprio dire. Che la prossima volta che le fosse venuto in mente di sedurre un uomo, non era necessario che ricorresse alla scusa abusata del troppo caldo nella stanza, e nemmeno ad allusioni più o meno velate... le sarebbe bastato mettersi lì, con un barattolo di miele, e fare quello che le veniva naturale, senza pensarci troppo.
Sospirò divertito, ad un certo punto le avrebbe dovuto per forza chiedere di usare un cucchiaio.

 

Gli tornò, di colpo, in mente la Normandia, e loro sulla spiaggia che giocavano tra le onde la mattina presto. Neanche tanto tempo prima, eppure per lui una vita fa: ne erano successe di cose da allora e ora, rispetto a quel giorno si sentiva molto più vecchio e un pochettino più saggio.

In casa erano arrivati degli ospiti del Generale, gente della Corte, persone noiosissime, che parlavano dei loro ricordi degli anni passati insieme nell’esercito in anni lontani, una cosa che al Generale piaceva, ma che, al contempo, lo metteva di pessimo umore: il suo ultimo figlio non sarebbe mai stato ammesso nella Regia Scuola Militare, fondata proprio dal re Luigi XV e non avrebbe mai goduto di quell’esperienza di cameratismo, fatta di sveglie la mattina presto, docce gelate e cibo raffermo.

E’ vero che quella era una scuola militare nata per gli allievi nobili meno abbienti, per la piccola nobiltà di campagna, ed è vero che per i rampolli ricchi di quella stessa aristocrazia non era necessario passare per una serie di esami per ottenere un qualunque incarico... Parigi in un fermento di idee sembrava il regno degli uni, Versailles, in un fermento di intrighi, quello degli altri, e il generale si ostinava, non a torto, a ritenere ancora l’aristocratica Versailles il centro del mondo, e non certo la Parigi stracciona... ma la cosa lo metteva sempre e comunque di pessimo umore.

E quando il generale era di pessimo umore era meglio stargli alla larga.

Loro due erano sgusciati via presto, prima che gli altri si svegliassero, per andare a fare il bagno, prima che poi iniziasse davvero la loro giornata, fatta di studio, scherma e equitazione.
Nelle bisacce qualcosa di freddo e unto da mangiare e qualcosa da leggere, nelle borracce acqua a volontà, il mondo era loro.

Il mare era calmo e come al solito si erano sdraiati al sole per asciugarsi, lui si era in parte rivestito, appoggiato alla giacca se ne stava al sole a torso nudo.
Lei pure.
Se ne stava lì, accanto a lui, a leggere, con i pantaloni di panno a mezza gamba e nient’altro, apparentemente ignara del fatto che loro stavano crescendo. Che lei, soprattutto, stava crescendo.

Ricordava bene anche i loro libri: per lui un libro di storia, per lei delle poesia in inglese – l’inglese, se fosse andata all’Accademia, lo avrebbe potuto studiare solo se avesse fatto il marinaio, e lei era orgogliosa di averlo potuto studiare comunque, a casa sua.

Ripensandoci ora, quella poesia gli sembrava curiosamente adatta alla loro situazione di stasera: una poesia di Donne, che elencava una serie di compiti impossibili.
Go and catch a falling star, vai ad afferrare una stella cadente... la radice di mandragola, il canto delle sirene... se André avesse potuto incontrare oggi il poeta di un secolo prima gli avrebbe suggerito un altro compito impossibile da mettere nell’elenco: fai ragionare una tua piccola amica.

Poi non si ricordava bene cosa fosse successo esattamente, non la stava ascoltando e lei s’era irritata – voleva qualcosa e lui doveva spostarsi o aiutarla, o forse semplicemente allungare un braccio e passarle del formaggio, non ne aveva idea, niente di poetico di sicuro... alla fine se l’era trovata allungata sopra di lui, con il braccio proteso verso la sua bisaccia, la pelle leggermente ambrata, inelegante per gli standard dell’epoca, sporca di sale e granelli di sabbia, un livido azzurrino su una spalla, un sorriso divertito negli occhi blu... innegabilmente femminile.

Non stava solo crescendo, era decisamente già abbastanza cresciuta.

Si era dovuto rituffare in mare. Allora, aveva pensato che aveva fatto bene, per non metterla in imbarazzo – il suo... interesse era parecchio evidente.
Vedendola con gli occhi di oggi aveva fatto bene per non essere messo in imbarazzo lui – non osava immaginare la serie di domande tecniche sul perché e sul per come di quel particolare fenomeno biologico, che lei avrebbe potuto sciorinargli, innocentemente disinibita come stasera, nemmeno stessero parlando del fenomeno delle maree. Era solo un ragazzino e lei l’avrebbe traumatizzato a vita.

Dal mare l’aveva osservata, immersa nel suo libro, appoggiata a pancia in giù, sul cumulo dei suoi vestiti; sembrava la versione marinaresca e magrolina del quadro della Morphise. Quello che aveva visto una sera a Versailles, l’originale o forse una copia, non lo avrebbe mai saputo, con i suoi amici.

Loro erano i servitori di giovani rampolli aristocratici più o meno della stessa età: mentre i loro piccoli padroni erano prigionieri di una cerimonia nei saloni, loro erano liberi di vagare con gli altri servetti, più liberi di un nobile di campagna in visita a Corte che aspettava di essere ricevuto, e più curiosi.

Ogni stanza a Versailles ad un certo punto va pulita o riscaldata, e ogni persona in una stanza va servita o deve ricevere un messaggio: era naturale girare per i corridoi della servitù e sbucare nei salottini inutilizzati per osservare gli affreschi, o i quadri, sapendo che nessuno si sarebbe stupito per la loro presenza, invisibili come tutti i servitori.
Era stato così che quella sera avevano trovato La Morphise, la petite-maitresse bambina del re, o meglio, il suo quadro, in una stanza buia che sembrava abbandonata.
Il ritratto mostrava una ragazzina bionda, coi capelli raccolti, dall’aria seria, che non guardava chi la stava guardando. Completamente nuda in una pozza di luce, a pancia in giù su un divano, le gambe divaricate, in una posa o molto rilassata, da ragazzina che sta ascoltando tutta intenta qualcosa, o incredibilmente lasciva – una posizione che, dopo, in un’altra vita, gli era capitato di provare, arrossì al ricordo, sulle balle di fieno, alla luce della luna, trovandola parecchio... interessante -  tutto, come sempre, sorrise ripensandoci ora, dipende dall’occhio di chi guarda. 


Ricordava le battute di loro ragazzi: ah se almeno il pittore le avesse detto di spostare il braccio... ah se avesse spostato il divano, non dico di tanto! Ma no! bastava che la facesse voltare un pochino più di schiena!

Una anziana signora, aveva riso nel buio di quella stanza che credevano vuota – s’erano spaventati, pensavano già alle frustate e a che scuse inventare. 
Ma lei, la Dama in Grigio, era solo divertita dalle loro fanfaronate di ragazzini che si sentono uomini.
Aveva chiesto i loro nomi, sorpresa che avessero colto cosa intendesse quando aveva annunciato che se ne stava accanto al fuoco, al buio, dipanando e filando. Li aveva chiamati, scherzosa, i Cadetti della Pleiade, ed era stata felice di 
ricordare per loro altri anni, quando era più giovane e bella, piena di ammiratori.

La banda di ragazzetti, ammirati oramai da tutte le cose che aveva visto e non più dalla sua bellezza, avevano ascoltato interessati, la storia della ragazzina: a 13 anni un pittore le aveva fatto un ritratto in una posa simile e il ritratto fu mostrato al re. Al re questo era bastato per farsela portare ed assaggiare, l’aveva presa in braccio, come la bambina che era, e, con una carezza, s’era accertato della sua verginità – a quella frase, si ricordava ancora lo sguardo incredulo di Jaquot, si... una carezza! come no?, aveva mormorato sarcastico, e lo sguardo sferzante della Dama in Grigio, che riteneva che la politesse fosse sempre da tenere in gran conto.
Quella verginità fu subito mercanteggiata con la famiglia della ragazzina, e, una volta pagato il pattuito, La Morphise fu sistemata nel Parco dei Cervi, come altre come lei, lavata, rivestita e profumata, pronta per dare al Re quello che altri si erano scambiati come se fosse un loro diritto.
A 14 quasi moriva per un aborto spontaneo.

 

Mentre guardava Oscar tranquilla sulla sabbia, in quella stessa posa, come un mozzo di una qualche nave magica di pirati, s’era chiesto che sarebbe successo se qualcuno fosse passato per la spiaggia e l’avesse vista così... cosa avrebbero visto? La ragazzina senza malizia, da osservare a distanza, o sarebbero stati attratti dalla posa apparentemente lasciva? Cosa avrebbero pensato? Cosa le avrebbero detto? Come lui ed i suoi amici davanti al quadro, qualcuno ridendo le avrebbe chiesto di spostare quel braccio per poter vedere meglio... cosa le sarebbe successo?
A cena gli ospiti più giovani non si erano mescolati con il tavolo dei bambini, dove era stata fatta sedere Oscar, con la sua quinta sorella, per antica consuetudine - il Generale detestava il chiacchiericcio inutile dei ragazzini, a cena con ospiti, e ancor di più detestava il loro silenzio impacciato, per cui aveva imposto fin dall'inizio la regola che tutti i suoi figli non sposati sedessero al tavolo dei bambini, tollerando al suo tavolo le altre, solo per rispetto verso i loro mariti - ma se ora fossero passati per la spiaggia e l'avessero vista lì, che avrebbero fatto? Si sarebbe fermati accanto a lei con la scusa di leggere i suoi versi, l'avrebbero accarezzata come il re aveva fatto con La Morphise per soddisfare una curiosità?

Certo la Morphise era solo una straccioncella, figlia di gente che a stento sopravviveva - i suoi erano stati sicuramente felici di vendere la figlia addirittura al Re, tanto a qualcuno l'avrebbero comunque venduta, e per molto meno - ma per tutti, tranne che per il Re, c'è sempre qualcuno più in alto di loro, per cui sono loro gli straccioni - e nessuno si accontenta mai di ciò che ha.

A sera, da soli, senza entrare nei dettagli, aveva accennato alla Nonna che forse qualcuno avrebbe dovuto spiegare a Oscar che non era più una bambina e che non era nemmeno un maschio.

Il giorno dopo, per la prima volta, apparvero le fasce per il seno.

 

E lui questo non se l’era mai perdonato.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII - Non E' Mai Per Non Dire Una Bugia ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note / Disclaimer: Danielle, la quinta sorella, non è mia! E' ispirata alla Danielle di Spirito Inquieto - Cara Sorella... di Ninfea Blu.
Non la vedremo molto, ma siccome mi era davvero piaciuta, mi faceva piacere che passasse in visita qui da me...
Naturalmente prima ho chiesto il permesso alla sua mamma!

Note: Pensavo che sarebbe stato l’ultimo capitolo nei ricordi di André, ma ce ne saranno ancora due (questo l'ho smezzato perché era davvero troppo lungo!)... questo momento è venuto più lungo di quello che mi aspettavo -  e c'erano altre cose che avrei voluto raccontare, ma poi... André penserebbe fino al mattino e invece, già sappiamo che ha una domanda da porre ad Oscar.

Dopo, il tono dovrebbe ritornare un po’ meno da taglio delle vene - anche se me questi capitoli moviola sono piaciuti (altrimenti non li scrivevo). E magari con qualcosina di arancione.

Per un po' però vorrei tornare sulle favole... per cui credo che mi fermerò un pochino (ma la termino, promesso!) 

 

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Capitolo VII
Non E' Mai Per Non Dire Una Bugia

 

 

Avrebbe tanto voluto illudersi, all’epoca, che non era stata colpa sua, che fosse stato solo un caso, una coincidenza di quelle inspiegabili... e poi, in fondo, il suo era stato solo un commento fatto a fin di bene – ah le famose buone intenzioni... che lastricano la strada che porta all’inferno – e si era espresso su  qualcosa di veramente ovvio.
Ovvio per lui, quanto meno.

Ma la casa dei Jarjayes – le case, si corresse divertito, nei suoi stessi pensieri - non erano esattamente come le altre, per quel che ne sapeva.
Per quel che ne sapeva allora, rifletté, corrugando la fronte. Adesso non ne era più così sicuro.

Quando era arrivato lì, s’era stupito del fatto che nessuno, in quella casa, si accorgesse che quel bambino era una bambina. Ma proprio nessuno! Parlavano tutti di Oscar al maschile.
Certo, anche lui, all’inizio, non lo aveva capito proprio per niente che era una femmina, e, a dirla tutta, pure dopo, per troppo tempo, lui non l’aveva vista per niente per quello che era... vedeva soprattutto una sgradevole bambina pestifera e molto riservata. Una spina in un fianco.

Ancora lo era – sorrise tra sé, scuotendo la testa, osservandola tutta rattristata, immersa nei suoi pensieri, da sola a quell’enorme tavolo della cucina.
Pestifera... era pestifera, ovvio... non certo una spina in un fianco. Beh... a volte... magari... Gli venne da ridere, ma si trattenne, immergendo lo sguardo nella sua tazza - non poteva, non poteva ridere, non con lei così seria, non sarebbe stato giusto. Non avrebbe capito, avrebbe pensato che ridesse di lei, di quello che in lei c'era di ingenuo e di quello che, lo capiva, c'era di disperato. No, quella sera non poteva non essere serio. Con lei.

Allora, da bambini, lui non la vedeva, non vedeva...  quel cucchiaino di miele, quel minuscolo cucchiaino di miele – sottolineò tra sé, severo verso di lei, quella sera così particolare, anche nei suoi stessi pensieri - che teneva accuratamente sotto chiave.

Ma che fosse una femmina, lui, ad un certo punto se ne era accorto! Anche senza vedere il miele, ma solo tutte quelle spine.
Possibile, s’era chiesto, che perfino chi le faceva il bagno? Chi da piccola la aveva aiutata a spogliarsi e a vestirsi?
Non era mai stata particolarmente pudica.

Una Casa di Sciocchi, aveva pensato.

Solo con il tempo, solo ascoltando i discorsi del precettore di allora, aveva intuito quello che poi, crescendo, gli era stato più chiaro – e poi chiarissimo in quei giorni mortificanti in Normandia - quella era la Casa dell’Inganno.

 

Un uomo può decidere di molte cose.

Il Re di moltissime, ma lui non è solo un uomo, viene subito dopo Dio ed il suo potere gli deriva da lì, com’era la formula? ... Per Diritto Divino... Nella sua enorme Casa, di milioni di abitanti, quell’uomo decideva di moltissime cose.
E se voleva fare qualcosa che andava contro le sue stesse leggi, aveva sempre la scappatoia delle lettres de cachet – rabbrividì, ricordando le discussioni tra lui, Jacquot e Michelon, davanti alla Dama In Grigio e a quello che lei gli aveva fatto notare, che le famigerate lettres si potevano comprare.

Un Cardinale, decide anche lui di moltissime cose, nella sua Casa, teoricamente a Roma, in realtà sparsa per tutta la regione.

Un Nobile ha meno potere di un Re, ma nella sua Casa, fatta di terre e di servi, e di nobili sotto di lui, e di incarichi ricevuti dal Re per i suoi meriti, o pagati, ma per lo più donati come favori, in cambio di altri favori, decide lui.

Un Borghese ha una Casa più piccola, ma decide anche lui, come vuole. Se è un finanziere decide parecchio, i soldi muovono molte cose – ha una Casa dai confini sfumati, potrebbe decidere più di un nobile, in certi casi, ma solo su alcune cose.
Sopra di lui ci sono almeno un Nobile ed un Vescovo, che lo considerano parte della loro Casa, anche se mai come ospite gradito, e che vorrebbero il suo denaro, chiedendolo cortesemente, in cambio di quasi niente.

Un Contadino decide molte meno cose, sufficienti a volte per renderlo felice - a volte no, sopra di lui ci sono almeno un paio di Nobili, un Vescovo ed un Abate, e pure, se capita, un Borghese, che lo considerano parte della loro Casa, solo per prendersi qualche cosa senza chiedere - ma in Casa sua, fatta di un terreno e di una fattoria, decide come gli pare.

Perfino uno straccione in una stamberga di Parigi, nella sua stamberga, decide come gli pare.

Ogni uomo, nel suo ambito, anche minuscolo, decide.

 

Ma decidere non basta.

 

Perfino il Re, con il suo diritto Divino, aveva bisogno della polizia, dell’esercito, dei suoi gabellieri, e dei suoi carcerieri: per quanto divino fosse il suo diritto e divine le sue decisioni, non scendevano gli Angeli dal Cielo a dargli una mano a raccogliere le tasse.

Il Generale aveva deciso che lui aveva un figlio maschio.
Quindi, come conseguenza logica, aveva deciso cosa suo figlio avrebbe studiato, dove, con chi.
Aveva anche deciso che vestiti avrebbe indossato, se sarebbe stato frustato e da chi, e cosa avrebbe mangiato.
Era suo diritto.


Ma il Generale andava alla Guerra dei Sette Anni, andava a Corte, andava in Provenza, seguiva i suoi vari incarichi: il Generale non stava sempre in casa Jarjayes, non si occupava personalmente dell’educazione di suo figlio.
Dell’educazione di nessuno dei suoi figli, siamo giusti: tutte a parte Danielle, la quinta, erano state spedite in convento  a studiare – studiare... come no? rifletté amaro tra sé - e tornavano a casa per le vacanze di Pasqua e Natale, con le loro uniformi sobrie, desiderose di nastri e vestiti colorati, ignoranti quasi come quando se ne erano partite, e incerte su come comportarsi con degli adulti, relegate nel tavolo dei bambini. Eterne bambine che non avrebbero mai scelto niente di più complicato del colore di un vestito. O di un amante nobile, un giorno, del tipo che non dispieacesse al marito.

Nelle case dei Nobili era così, lo aveva scoperto crescendo.

Il Generale quindi, decideva nella sua Casa, come il Re, il Cardinale, il Borghese e il Contadino; ma le decisioni del Generale, come quelle del Re, per funzionare, avevano bisogno di polizia, di gabellieri, di carcerieri... di complici in definitiva.

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII - Non E' Perché Te Lo Devo ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note / Disclaimer: Danielle, la quinta sorella, non è mia! E' ispirata alla Danielle di Spirito Inquieto - Cara Sorella... di Ninfea Blu.
Non la vedremo molto, ma siccome mi era piaciuta, mi faceva piacere che passasse in visita qui da me...
Naturalmente prima ho chiesto il permesso alla sua mamma!

Note 2: originariamente il capitolo 7 e l'8 stavano insieme, ma saltava fuori un capitolo un po' troppo lungo, così alla fine l'ho tagliato a metà e ho fatto un po' di caos, ma mi sembrano più leggibili i capitoli non troppo lunghi.
Immagino che qualcuno abbia letto la versione orginale - e qualcuno abbia saltato il 7 e sia direttamente atterrato qui  - fa nulla, nel 7 di carino, c'è solo... un cucchiaino di miele

 

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Capitolo VIII
Non è perché te lo devo

Il Generale aveva bisogno di complici.

 

Si ricordava di quando, da piccolo, prima di Oscar, uno dei suoi fratelli più grandi ne aveva combinata una grossa – suo padre che lo inseguiva minacciandolo con la frusta, suo fratello era entrato in casa di corsa e si era piazzato dietro le gonne della loro madre.


Mamma.

Mammina.

Ti prego...
 

Non sapeva cosa lei avesse detto – era troppo piccolo per capire – sapeva solo che gli animi si erano stemperati e, in mezzo ai brontolii, suo fratello era stato punito. Ma non picchiato.

Anche lui una volta era stato frustato, non si ricordava proprio perché, però si ricordava che alla sera, mentre se ne stava rannicchiato in lacrime in un angolo, l’aveva vista arrivare con una fetta di mela essiccata, un cucchiaino di miele, e tante parole gentili. Lo aveva preso in braccio, lo aveva accarezzato con le sue mani ruvide da contadina con troppo lavoro e troppi figli, e lo aveva consolato.
Non l'avrebbe mai dimenticata.

 

Ma in Casa Jarjayes, una Casa che, ad un certo punto, era stata giudicata troppo piena di gonne per ospitarne ancora una, dove erano mai queste Gonne dal Potere Magico? Qualcuno le aveva mai viste?

Da quando lui la conosceva, non c’era nessun adulto che facesse le ragioni di Oscar, al posto di Oscar, che desse una voce a quello che da bambina lei, magari, pensava, ma non sapeva dire. O che nemmeno arrivava a pensare perché era, appunto, una bambina.
Non c'era nessun adulto da cui Oscar corresse istintivamente a chiedere aiuto, per evitare una punizione fisica troppo severa, per un livido - e se ne faceva tanti - o il taglio dello spadino durante un allenamento, una caduta da cavallo, una supposta ingiustizia... la gelosia verso Danielle... ma no, non c'era nessuno che lei cercasse o pensasse di poter cercare. Nessun ti prego.
Oscar era un composto piccolo gentiluomo che teneva tutto per sé.

Dove era l’Adulto Gentile di Casa Jarjayes? Quello che stemperava una decisione troppo dura, che portava la ragione dove c’era l’impulso, il buon senso al posto della follia? Quella, che, semplicemente, consolava?
L'Adulto che capiva quando c'era qualcosa che non andava con Oscar, e che se la andava a cercare, dovunque mai si fosse rintanata, scontrosa come un gatto selvatico, per farla parlare.
Dove diavolo era questo Adulto?

Il Generale aveva almeno una complice, che, forse, nemmeno si rendeva conto di esserlo.

 

Il Generale aveva altre cinque piccole complici. Quattro, escludendo Danielle che aveva anche lei una sua vita più particolare, il penultimo errore, diventato poi l’ultimo.
La Sorella Amatissima.

Ma non bastavano. Non sarebbero bastate per una cosa così complicata.

 

Tutti in quella Casa erano complici del Generale. Tutti.

Nella Casa dell'Inganno, tutti mentivano e tutti era complici nella bugia.

Lo erano ogni volta che si rivolgevano ad Oscar parlando al maschile, ogni volta che, persino tra di loro, si chiedevano se era rientrato,  se era malato o se era guarito.

Tutti, più realisti del re; non contenti che una bambina adottasse i vestiti e i modi di un bambino (e in questo, in fondo, non c’era niente di male, anzi...), non volevano nemmeno riconoscerle quel suo essere femmina a modo suo. Femmina magari un po’ speciale, femmina intelligente, femmina curiosa, femmina dai gusti mascolini... ma comunque una femmina. Una che ha diritto a sentirsi per lo meno chiedere a che ora è rientrata, e se si sente guarita.

Alcuni lo facevano sentendosi a disagio, consci che quell’inganno alla fine non era una di quelle bugie che ogni tanto si dicono a fin di bene, o per cavarsi da un impiccio: era una cattiveria bella e buona. Con una bambina poi! Un folletto impertinente dagli occhi blu, alto, a quel tempo, uno sputo.

Altri lo facevano perché erano gli ordini e gli ordini vanno ubbiditi senza farsi troppe domande.

Altri, pochi ma sufficienti, ci sguazzavano. Non avendo una Casa tutto loro su cui decidere, gli piaceva avere qualcuno su cui comandare, da poter cercare di spezzare. Non capendo nemmeno che cosa avrebbe davvero voluto il Generale e cosa assolutamente no.

Pochissimi facevano secondo coscienza.

Il Generale non era un uomo cattivo, nemmeno un intrigante, era semplicemente un uomo molto pratico - forse anche limitato - abituato alla guerra e a fare quello che serve per vincere le battaglie, anche il lavoro sporco.
Di quella battaglia era convinto, nessuno gli faceva mai notare nulla, e lui, oltre ai suoi complici, proprio come il Re, aveva le sue spie, che lo informavano del buon andamento delle sue decisioni, o di un problema che si era presentato e che avrebbe richiesto la sua attenzione.
Si occupava coscenzioso della sua battaglia.

 

E lui, André Grandier, pure lui era stato una sua spia.

 

 

Oh, non volontariamente, quello mai, ma era stato come un... cercò dentro di sé l’esempio più volgare che gli potesse venire in mente... lui era stato come un cane bastardello e molto scemo messo accanto ad una cagnolina di razza. Un cane da pagliaio.
Aveva giocato con lei, le aveva fatto la guardia, avevano litigato, a volte c'era scappato qualche morso - niente di che - avevano gareggiato insieme, durante l’addestramento di lei...ma, standole sempre così vicino, lui era stato anche il metro di quanto era cresciuta; come un cane fiuta la femmina e sente che sta per andare in calore, così lui, da cane scemo quale era, come l'aveva fiutata, aveva avvisato di corsa, tutto contento, che la cagnolina stava crescendo, che a qualcuno poteva interessare per l’accoppiamento, che bisognava passare ad altre fasi del suo addestramento.
Non era stato tanto diverso da chi aveva fatto dipingere il quadro della Morphise e lo aveva portato al Re - gli aveva solo segnalato una puledrina nuova pronta per essere montata.
E tanto peggio per la Morphise, se non se l'era fatto piacere.

Tutto per non essersi fatto i fatti suoi, per avere pensato di sapere cosa era meglio per lei.

In fondo, cosa c’era mai di male in un ragazzina che amava stare al sole mezza nuda?
E poi capitava solo quando erano da soli... solo loro due. In una spiaggia deserta al mattino presto. Non è che girasse nuda per il salone, a cena, in mezzo agli ospiti.
 
Era un problema perché a lui aveva fatto un certo effetto? E allora era un problema suo, non della ragazzina.

E’ che all'epoca era scemo, solo un ragazzino scemo e inesperto...gli era già successo, in fondo... era l’età, cosa diavolo gliene era importato proprio quella volta, sulla spiaggia?
E... dopo quella volta lì, gli era successo di nuovo, non con lei, per fortuna non con lei, di provare un interesse con altre ragazze, senza preavviso. Il suo corpo che ragionava per i fatti suoi, e loro ignare... era un cosa naturale, dell’età... ma non aveva richiesto a gran voce che le coprissero con un velo o le chiudessero in convento perché lui, un ragazzino scemo, si era ritrovato... interessato... senza averlo pianificato.
Né si era preoccupato che quelle ragazzine potessero interessare ad altri, che altri le accarezzassero.
Su una spiaggia, su un fienile, dietro ad uno scoglio o al buio di una stalla... prima o poi a tutte loro sarebbe capitato, capita a tutte, prima o poi, ma, per quello che lo riguardava, erano tutti fatti loro. Non suoi.

Oscar copiava sempre i suoi gesti, il modo di allacciare la giacca, il modo di sedersi... sarebbe bastato che lui cominciasse a mettersi la camicia dopo il bagno e lei si sarebbe adeguata, come sempre. A un certo punto avrebbe capito, come era naturale.
Probabilmente ci avrebbe anche riso sopra e l’avrebbe preso in giro. O l’avrebba presa in giro lui - non era poi così donna.

André sorseggiò la sua tisana, amareggiato: dopo erano passati alcuni mesi di disagio per lei, per lui, tra di loro, ancora se li ricordava.

 

Poi, una sera, a Palazzo Jarjayes, aveva cercato di ripagare il suo debito.

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Capitolo 10
*** Capitolo IX - Non E' Per Una Domanda A Cui Non Ho Risposto ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: e così, con questo capitolo, si chiude la sbirciatina nei pensieri di André. Speriamo che a furia di pensare non gli sia venuto un gran mal di testa.
Volevo chiudere in fretta questa lunga parentesi di viaggio nel tempo tra le pare del giovanotto.
Per una settimana non penso aggiornerò più.
Buon divertimento (io, di sicuro, mi sono divertita).

Note2: Rifatta, dopo averne parlato con Lucy (che ringrazio moltissimo, anche se ha dato del porcellino ad André... giustamente) - spero che alcune cose siano più chiare e pure più carine :)
E grazie anche a pamina.

Non se c'è qualcosa di particolare da dire prima di un capitolo - André qui è una specie di talentuoso poliedrico ragazzotto, ma, all'epoca sua, non c'era la televisione e la gente o dormiva, o lavorava o si esercitava con qualche cosa... e poi suonava alle feste in cascina, mica alla Scala ;P (più roba da complesso del Primo Maggio - che in genere si esibisce sotto il sole di pomeriggio - con la chitarra acustica scordata, calante - che la gente che balla a torso nudo neanche la sente).
Altro però non sa fare - non è che nel prossimo capitolo si mette a dipingere, per dire, o a ricamare a punto croce...

C'è altro?
Vabbè, è un capitolo di una fanfic... divertitetivi :)

 

 

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Capitolo IX
Non è per una domanda a cui non ho risposto

 

Poi, una sera, senza averlo pianificato, aveva cercato di ripagare, in qualche modo...

 

 

Non avrebbe mai saputo dire perché accadde quella sera e non quella dopo. O magari perché non la sera prima.
O quella prima ancora.
O il mese prima, che forse sarebbe stato ancora meglio.

Fu quella sera e basta.

 

André, lasciò coi pensieri quella cucina troppo affollata, e tornò, come uno spettatore imparziale, a quella sera.

 

Era sgusciato in camera di Oscar, passando per il corridoio di servizio.
All'inizio voleva solo parlarle, magari non raccontarle proprio tutto tutto - c'erano dettagli che erano solo suoi - ma almeno parlare.
Gli era mancata - allora non lo sapeva, pensò l'André che stava nella cucina: l'altro André, quello ragazzino, era un po' scemo e non si capiva bene da solo, o non lo ammetteva, ma lui, quello più grande, adesso, lui lo sapeva con certezza: la peste gli era mancata.

L'aveva trovata inginocchiata davanti al caminetto di marmo, che fissava le fiamme, scontrosa, le sopracciglia aggrottate e, gli era venuta una gran rabbia fredda nel notarlo, stanca, terribilmente stanca.
E triste, terribilmente triste.

“Non hai cenato.” Il vassoio era intatto. Lei aveva scosso la testa, ma non aveva aggiunto nessuna spiegazione. 

Era più o meno da quel giorno in Normandia, che la vedeva spesso così, a volte addirittura avvilita, come se si vergognasse di qualche cosa che aveva fatto e che tutti sapevano.

Era da quel giorno che lui si sentiva in imbarazzo con lei - brutta cosa aver fatto un errore, eh! - e, quando la sua compagnia non era necessaria, la evitava.

Si trovava con Jaquot e Michelon e passavano a trovare la Dama In Grigio, sempre pronta ad avvilupparli nell'intreccio dei suoi ricordi, o a farli discutere tra loro, intervenendo con le sue idee, come fossero in una bottega di caffè - Le Café de la Pleiade come diceva Michelot, tirandosi su gli occhiali con l'indice e ingozzandosi di dolci, con Jaquot che, a volte, lo prendeva in giro. 

Oppure si infilavano in qualche osteria di poco costo - una bettola pulciosa, pensò divertito -  per le loro prime uscite da veri uomini, dove, sicuro, l'oste li imbrogliava spacciandogli qualche mistura di avanzi per vino appena discreto. E loro, i cuccioli scemi, che pure erano abituati a ben altre cantine, nemmeno se ne accorgevano, affascinati come erano dalla convivialità rumorosa, di cui, finalmente adulti, erano parte.
Adulti secondo loro, non certo secondo l'oste. 

O se ne andava alle feste di paese - senza Jaquot, per carità, che non era figlio di contadini e di certi divertimenti di campagna non capiva proprio niente.
Aveva cominciato in Normandia, riscoprendo le bourrée: per lui, ad un certo punto, erano diventate solo pezzi delle Suites Inglesi, da studiare con Oscar, al clavicembalo, complicate, ma una volta lì s'era ricordato dell'odore delle frittelle e delle mele, del sidro, delle feste per qualche Santo, vendemmia o raccolto, quando ballava con sua madre e le sue amiche, in un ondeggiare di gonne tutte più alte di lui, i suoi fratelli che gli sgusciavano intorno, sicuramente facendo qualche danno e rimpinzandolo di mandorle caramellate.

All'inizio andava lì con il suo violino, per suonare insieme agli altri - aveva fatto un po' di fatica a cambiare il genere, ma un violino in più fa sempre comodo, molto più che un ballerino - gli piaceva quando c'erano i marinai inglesi, o i contrabbandieri che portavano lana e prendevano vino: parlavano un inglese che c'entrava proprio poco con quello delle poesie di Marlowe, quelle che all'inizio piacevano solo a Oscar. Venivano dalle Scilly, dalla Cornovaglia, a volte dall'Irlanda - va a sapere. E volevano le loro canzoni, che a lui piaceva suonare da quando aveva scoperto il reel.

All'inizio suonava e basta - c'era voluta un'infinità di tempo e qualche bicchiere di sidro perché trovasse il coraggio di invitare una ragazza a ballare in cerchio. Che fesso!


Oppure, semplicemente, leggeva in camera sua.

 

"Ti senti bene?" le aveva chiesto, preoccupato.

Lei aveva annuito, senza guardarlo.

"Vuoi andare a dormire? Sembri molto stanca..."

Aveva annuito di nuovo.

Allora si era allontanato, sospirando; non era il momento giusto, magari domani, "Ti lascio sola?" le aveva chiesto titubante, sulla porta.

"Per piacere" una vocina così sottile.

"Io, da sola... " aveva continuato a fatica la peste, poi aveva alzato lo sguardo, occhi blu, seri seri, dentro occhi verdi "non mandarmi Margot." 

Aveva capito da solo cosa le serviva. Non poteva che essere d'accordo.

“Dai, vieni qui, facciamola finita!” l'aveva fatta alzare brusco, quasi sgarbato, afferrandola per un braccio e allontanandola dalla luce.
Lei lo aveva guardato sorpresa - due occhi enormi, che lo scrutavano, così diffidenti, nella penombra - ma lo aveva lasciato fare.

 

Lui le aveva slacciato la giacca da casa, lunga fino alle ginocchia, prima con gesti bruschi – irritato con se stesso, con il Generale, con la Nonna, con Margot-Pur-Beurre, con tutti gli abitanti di quella casa, tranne uno – poi, vedendola sobbalzare, incerta, forse un po' spaventata, si era fermato.
Le aveva sistemato le ciocche bionde dietro le orecchie scoprendole il viso e l'aveva guardata interrogativo, senza dire nulla. Aspettando.
Lei a un certo punto aveva annuito.
Così lui aveva finito di slacciarle i bottoni, cercando di essere delicato, inginocchiandosi davanti a lei.

Dopo la giacca, fu la volta del panciotto.

Come il panciotto scivolò a terra, Oscar gli scoccò l’ombra di un sorriso. Ma non disse nulla.

Delicatamente, aveva cominciato a slacciarle la camicia, ma al terzo bottone lei lo fermò, arrossendo, la sue mani su quelle di lui.

“Preferisci fare da sola?”

Lei annuì, si voltò, e, dandogli le spalle, fini da sola, un bottone alla volta, in una eternità. Sfilò una manica, poi l’altra, un po’ timida.

La sentì sospirare e poi si voltò, “Srotolami!” con la stessa aria impertinente di quando giocavano a nascondino con altri ragazzini e si mettevano d’accordo tra di loro per tentare un tana-libera-tutti.

Sollevò le braccia e lui, tolti alcuni spilli (spilli?!? Cosa ci facevano?!?)  la fece girare su se stessa, come un pacchetto pazzo, una trottola bionda, ridendo, tutti e due divertiti. Di nuovo complici.
Arrivati all’ultimo lembo lei si fermò incerta, le mani incrociate sul petto, stringendo quell'ultimo pezzettino di stoffa, indecisa, si capiva, tra un pudore che non le era ancora familiare e la voglia di tornare a sentirsi libera; lui l’afferrò e la fece voltare su se stessa, mezzo giro - non voleva metterla in imbarazzo, non era lì per quello, non era lì per prenderle qualcosa, “Dai, non ti guardo” la prese in giro, “e poi so benissimo come sei fatta: non c’è molto da vedere”. La sentì ridere, rilassata. Si appoggiò contro di lui e poi, sobbalzando, si ritrasse: “Ahi!”

La attirò vero il fuoco e le esaminò la schiena; scosse la testa disgustato: chiunque le mettesse quelle fasce era solo un criminale. Le fasce di per sé non gli sembravano una grande idea, magari si sbagliava eh! ma quel lavoro... era un lavoro fatto con tanta cattiveria, apposta per far male.

“Vado a prenderti qualcosa per quella schiena,” le disse asciutto, "torno subito".

Quando rientrò nella stanza, carico di boccettine, pezze e acqua calda, il balsamo in quella casa non mancava mai; la trovò sul letto a pancia in giù sulla sua camicia, tranquilla, abbracciata al cuscino. Una bambina.
Le legò i capelli, una treccia veloce – lei glielo lasciò fare, silenziosa, senza protestare - e poi cominciò a disinfettarle la schiena oramai libera – non poteva andare avanti così, lei faceva una vita molto attiva, non era adatta a questo.. questo... scempio... “chi te le mette?”

“Margot” la sentì mormorare nel cuscino.

Margot... ma certo, la bella Margot, Margot burrosa e appetitosa come una torta alle mele della Normandia, la bella Margot-Pur-Beurre, dalla pelle di latte, che detestava stare rintanata qui, con una ragazzina che studiava tutto il giorno e servitori bacucchi, e precettori incartapecoriti, invece di stare a Versailles a fare la decima sottocameriera impersonale o le settima sottoresponsabile dei tacchi delle scarpe o sa il Cielo che altro facesse a Versailles, a seguito della Contessa Jarjayes... con tutto un manipolo di servitori giovani e belli, vestiti con livree colorate che giravano per il palazzo pronti a farle la Corte, a dirle quanto era bella, a rubarle un bacio...

Non che non la capisse: con Oscar e la sua vita spartana, Margot, quasi donna, non c’entrava proprio niente. Quelle due non avrebbero mai legato, era chiaro, nessuna delle due aveva qualcosa da offrire che potesse interessare all'altra, inutile pensare che sarebbe sbocciato magicamente dell’affetto, ma questo... questo non giustificava... questo era davvero troppo.

Da tempo si era messo ad osservare le persone di quella Casa in funzione del loro rapporto con Oscar.
Non perché quella peste fosse il centro del mondo - ci mancava solo quello - ma perché era facile da ferire: Oscar non si metteva a piangere, non correva a lamentarsi da nessuno, Oscar incassava senza far trasparire mai se il colpo era andato a segno o meno.
Tanto era brava ad attaccare, tanto, a volte, era carente nella difesa: certe volte era come una paperetta senza grasso sulle piume. Da certe pioggerelle su cui un altro avrebbe non dico riso, ma almeno sospirato rassegnato, uno dei tanti dolori del mondo – la vita non mica facile per nessuno, che si credeva mai, lei? -  la ragazzina usciva fradicia.
Apparentemente gelida, una umiliazione la consumava peggio di un fuoco.

Proprio per quel motivo con lei era facile essere cattivi e farla franca - e così quella peste era la cartina di tornasole del vero carattere degli abitanti della Casa, perché sembrava non rompersi mai.

Sbagliavano eh!

Non solo umanamente, ma anche perché dentro, a lui era molto chiaro, nella peste, c’era una vena di spietatezza da Vecchio Testamento, spietata per prima verso se stessa, molto spietata, e poi con gli altri - occhio per occhio, dente per dente – prima o poi, se le riusciva, pagava sempre i suoi debiti.

 

“Quando te le toglie, Margot, non ti mette nulla?” chiese cercando di usare un tono molto gentile.
“No...”
“Ma te le toglie ogni sera? Vero?“ insistette.
“No, non tutte le sere..." mormorò lei.
"Ma tu chiamala e faglielo fare!" - era proprio dure essere gentile, a volte, anche se lei non c'entrava niente.

"Io preferirei spogliarmi da sola... come prima" mormorò, "ma... io, da sola...” la frase morì soffocata nel cuscino, ma non era difficile capire come era finita. Dura dire "non ci riesco" eh?

“Ma accidenti Oscar!” sbottò esasperato, “Questo non va assolutamente bene! non è un gara di... di resistenza! Bastava che chiedessi! Dovevi solo chiedere... saresti solo dovuta venire... o piuttosto, andare da... “ tacque imbarazzato, eh si, andare da chi? Di chi si fidava davvero la peste?

Lei non disse nulla. Mortificata.

Le spennellò con tanta cura tutte le escoriazioni – quelle erano di Margot, ma non erano solo di Margot, pure lui aveva fatto la sua parte - e pure i lividi - quelli erano tutti suoi - sentendosi morire.
Strizzata in quell’armatura era troppo lenta e goffa.
Si sentiva arrabbiato. 
Era arrabbiato. 
 

“Sai... sono contenta che stasera... che sei tornato” sospirò la ragazzina, “con il balsamo, intendo!” chiarì in tono scortese.

André le accarezzò piano i capelli - avrebbe voluto dirle che gli dispiaceva essersene stato per i fatti suoi in questi mesi, che, onestamente, gli piaceva molto quel tempo per sé, ma che gli era mancato non raccontarle dove era stato o cosa aveva fatto, dopo, condividerlo con lei, che una sera gli sarebbe piaciuto portarla con sé a una festa di paese, perché si sarebbe divertita, e poi era un suo pezzo di vita prima di lei e glielo voleva far vedere,  che gli bruciava da morire per essere stato scemo, che scappare non serve proprio a niente, l’aveva imparato, che è una cosa che con gli amici non si fa, e che poteva chiedergli di ripagare quel debito quando voleva, fissasse lei il prezzo.
Ma non glielo disse perché tanto la peste avrebbe fatto finta di non capirlo.

"Il ritorno è sempre la parte più gradevole di un viaggio" scherzò senza scherzare, “Voltati! Così finiamo.”

Lei scosse la testa, decisa.

Avrebbe potuto rovesciarla, quella schiena non gli era piaciuta per niente, chissà il resto, ma capì che per lei quello era proprio un no.

“Va bene, ti lascio qui un po’ di cose, ma, se ti serve qualcosa, qualunque cosa, fammi un piacere, non fare la scema e chiama la Nonna” le disse volutamente asciutto.”Per un po’ non devi assolutamente mettere questa roba: dobbiamo andare alla scuola di scherma per allenarci... perderesti solo tempo, conciata così, con quella roba ridicola...”

La salutò, con il vassoio della cena in bilico su una mano; sulla porta la sentì sussurrare una frase, una domanda, ma, imbarazzato, fece rumore con il vassoio della cena facendo finta di non aver sentito.

 

Scendendo le scale pensò alle sue possibilità... avrebbe potuto arrabbiarsi con Margot, gli sarebbe anche venuto molto naturale, ma lei si sarebbe stretta nelle spalle e avrebbe detto che quelli erano gli ordini e che sapeva ben lei come si faceva il suo mestiere. Arrabbiarsi e recriminare non serviva.
E lui sarebbe apparso troppo interessato e quindi poco credibile, se non addirittura morboso: la biancheria del figlio del Generale non erano esattamente fatti suoi.
Farle notare che sbagliava nemmeno: quello che aveva fatto lo aveva fatto per dispetto, magari pure convinta che quella ragazzina troppo orgogliosa e dalla lingua troppo lunga, al piano di sopra, se lo meritasse.
Un modo per farle abbassare la cresta e farla diventare... cosa? una ragazzina da convento? Storse il naso - impossibile.
Quanto al buon cuore... come no? crediamoci! Se non s'era fermata da sola, non si sarebbe fermata di certo per lui.
Anzi... sarebbe stato come metterle in mano un'arma, dicendole che era perfetta per cacciare quel tipo di preda. Per carità.

Dirlo alla Nonna sarebbe stato giusto, ma era troppo buona e non l’avrebbero ascoltata – sarebbero sembrate le solite esagerazioni di una chioccia.

Così scherzò con Margot-Pur-Beurre, la corteggiò, quella sera, e le raccontò che la piccola Oscar con quelle fasce era davvero troppo goffa, troppo lenta... non imparava bene e rischiava di farsi pure male! e per nascondere cosa, poi? Non era certo una burrosa delizia come la bella Margot... e poi, che cosa ridicola... d'ora in poi avrebbe dovuto avere una balia che la vestisse e la svestisse tutte le sere?

Gli pesò, gli pesò da morire - per natura era leale - ma, decise, la lealtà va conservata per chi se la merita.

Non seppe per che via il messaggio arrivò al Generale, ma arrivò – era certo che sarebbe arrivato: primo perché quella era la Casa dell’Inganno, e, come il messaggio del cagnolino scemo era arrivato la prima volta, sarebbe arrivato anche la seconda.
E poi perché al Generale interessava risolvere un problema, non crearne uno nuovo - la cagnolina doveva essere messa nelle condizioni di essere addestrata al meglio, non mortificata per il gusto della mortificazione. Di certo non andava danneggiata.

Non sarà stato un mostro di sensibilità, ma il Generale era giusto con i suoi uomini.

E la peste che abitava a casa sua era un suo uomo.

 

Le fasce rimasero per gli ospiti e le uscite ufficiali.

 

André si riscosse dai suoi ricordi e osservò questa Oscar, la versione attuale di quella ragazzina, avvilita anche lei; quella domanda a cui non aveva risposto, quella che gli aveva fatto allora, senza avere il coraggio di guardarlo e senza quello di ripeterla, gli era rimasta qui.
Ma allora era troppo giovane, non avrebbe mai potuto dirle quello che allora gli sarebbe venuto naturale dire: sarebbe stata la risposta onesta di un ragazzino – un po’ troppo onesta.
Non molto elegante.


E non da poeta elisabettiano.

Decisamente.

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Capitolo 11
*** Capitolo X - Non E' Per Tirare Un Pugno ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

 

Note: siamo allo psicodramma! 

E' chiaro che uno scrive quello che gli piace e capisco che non è detto che quello che piace a me, piaccia anche a chi legge.
Nel caso mi spiace se la storia non è come uno se la aspettava - ma ce ne saranno altre, prima o o poi no?
La scriverei comunque in un certo modo indipendentemente da questo... è nata così.
Oscar qui parla poco, André, in tutta questa storia parla sempre tanto, forse troppo - l'OOC regna sovrano! 

Non so quanti di questi discorsi siano già stati fatti tra questi due in altre fic, ma l'anime ha 30 anni e presumo di sì, ma tant'è...  :PPPPP

C'è altro? Non direi... divertitetivi :)

 

Capitolo X
Non è per tirare un pugno

 

“Posso farti una domanda?”

Lei lo guardò spaesata, ancora perplessa per quel cucchiaio che le aveva ficcato in mano, ridendo, mentre a lei sembrava che il mondo le fosse appena crollato addosso – ma dove stava lui? Sul serio stava in quella cucina insieme a lei? Non aveva sentito lo schianto? “Certo,” rispose incerta. Lui proprio non la vedeva. Erano cresciuti insieme, e lui non la vedeva.

André le si sedette accanto e le sorrise “Io non ti ascolto, mi è chiaro...”

Lei sgranò gli occhi, stupita.

“E forse è anche per quello che tu non ascolti me... tu sei concentrata su una cosa, che per te è importante, ma per me no, e io su un’altra,” la guardò negli occhi con serenità, “e forse sbaglio io, che do per scontate tante cose e penso di sapere cosa è meglio per te.”

Lei annuì, seria “Tu pensi di poter decidere per me, meglio di me.”

Lui sospirò “Non proprio, credimi, ci sono state altre volte in cui sono stato così presuntuoso, ma io oggi, non posso e, soprattutto, non voglio essere quello che decide per te. C'è già la fila per quel posto...”

Poi riprese, sempre con molta tranquillità “prima ti vorrei dire un paio di cose che per me sono scontate, ma forse per te no. La prima è che, oltre a non scandalizzarmi, non trovo ridicolo che tu mi abbia chiesto di fare questa cosa insieme, lo trovo molto coraggioso. Quando vogliamo una cosa che non possiamo ottenere da soli, qualunque cosa sia, dobbiamo per forza chiedere a qualcuno di aiutarci a prenderla, o per noi, o insieme a noi, e questo è un po’ come arrendersi senza condizioni, consegnare un’arma a qualcuno e dargli la libertà di farci molto male.”

Lei arrossì e distolse lo sguardo.

“Oscar, questa resa costa orgoglio, richiede un pizzico di incoscienza, una certa dose di fiducia nella persona a cui lo si chiede, parecchia fiducia, e, in definitiva coraggio.“ scosse la testa, “In particolare, dove c’entrano cose molto... personali, su cui non abbiamo nessun controllo e nemmeno nessun merito, cose che magari sono complicate... di coraggio ce ne vuole. Specialmente se non ci sono indizi sulla riposta. O se ce ne sono abbastanza da far capire che non sarà quella che si desidera." Guardò altrove, "Io, per esempio,“ scosse la testa rattristato “sono molto meno impulsivo di te, preferisco pensare prima e parecchio. E' la mia natura. Se avessi dovuto chiedere una cosa così, d’impulso, non mi sarebbe stato facile. Avrei fatto solo un gran pasticcio.”

Lei scosse la testa, incredula, ma senza guardarlo.

“L’altra cosa che vorrei ti fosse chiara è che la tua richiesta mi mette in imbarazzo, per vari motivi, lo avrai capito,” la guardò mentre lei sorrideva tra sé, più tranquilla “non ero preparato, ma non pensare che, oltre che imbarazzato, io non mi sia sentito anche lusingato. Un giorno, quando e se sarò vecchio, e sarò davanti al camino, anche se non credo proprio che starò dipanando e filando...”

Lei sorrise, timida “come dice Ronsard?”

“Come dice Ronsard” annuì, “mi ricorderò che una sera la piccola Oscar mi ha trovato bello – non c’erano molti tra cui potesse scegliere, questo cercherò di dimenticarlo e di dimenticarmi che me l’ha fatto notare lei stessa,” lei rise piano, “ma, tutto sommato, mi ha trovato passabilmente bello per lei”

“Però la ragazza di Ronsard gli disse di no” mormorò Oscar.

“E forse se ne pentì, non lo sappiamo, o forse no.
Di certo il ricordo le avrà scaldato il cuore, più di quel camino. E questo scalderà anche il mio, credimi, e, aggiungo, lo scalderebbe ad ogni ragazzo - c'è qualcosa di prezioso nella resa e molti possono passare una vita intera senza ricevere mai questo regalo. Per cui questo lo ricorderò sempre: te, su quello sgabello di quando eri un po' più piccola, che facevi la donna vissuta che non sei - ci vuole coraggio, l'ho capito, a mettere sul piatto, oltre quello che si è, quello si è disposti ad essere... e non eri affatto ridicola - in un certo senso l'ho apprezzato più di..."
scosse la test, rattristato "Per me era scontato tutto questo, ma ho pensato che forse te lo saresti chiesto, e che era giusto dirtelo, sinceramente." Le sorrise, "Ma Oscar, io non desidero essere bello, preferirei essere giusto, leale, corretto, e perché no? Anche umano. Questo lo capisci?” il tono di voce sempre così calmo, “e vorrei anche essere, non dico rispettato, ma quanto meno visibile. Tu sei partita con questa cosa in testa e in questa cosa ci vuoi infilare a forza me, ma solo come una specie di “attrezzo”, purtroppo necessario. Sono il coltello per tagliare il pane, il cucchiaio per girare la minestra nel paiolo, una di queste padelle di rame lucido per fare le frittate, qualcosa che serve, ma che non conta davvero, perché quello che conta per te è il pane, e la minestra e, soprattutto, è la frittata...”

Lei scosse la testa, non era così, non era così proprio per niente:“Come fai a dire, che non ti rispetto, André? Siamo cresciuti insieme, lo sai...”

“E cosa vuol dire, per te, che siamo cresciuti insieme? ... non scambiare la confidenza con il rispetto: se mi rispettassi, come persona, mi avresti ascoltato, invece, siccome siamo solo cresciuti insieme, hai trovato giusto chiedere senza valutare le possibili conseguenze, e ascoltare solo la parte di risposte che ti conveniva....”

Lei sbuffò irritata. Lo aveva ascoltato, eccome!

“Fammi finire, per piacere, io non ti sto parlando dei motivi per fare o per non fare questa cosa, ti sto parlando della scelta che devi fare stasera: stasera non conta che cosa deciderai per il futuro, va bene tutto, e in un certo senso va male tutto, credimi; ma quello che conta, secondo me, è che direzione vuoi dare alla tua vita dentro di te, alle tue relazioni quanto meno nella tua testa. Io non ti voglio influenzare, ma vorrei che tu pensassi a questo e non a una... scopata inaugurale!”

Lei sobbalzò. Lui sospirò irritato.

“Ma sembra che per te sia questa la cosa fondamentale, una cosa che per me, invece, non ha nessuna importanza” riprese.

“Se tu non l’avessi già fatto” lo interruppe lei, pratica “sarebbe stato lo stesso? Questa sera, intendo? Mi avresti detto le stesse cose?”

“Non lo so,” era terribilmente serio “forse ti avrei detto le stesse cose, è quello che spero, o forse no...”

“Vedi? C’è un pizzico di ipocrisia...”

“Nel qual caso sono contento che mi sia già successo” soggiunse quietamente.”Ascolta, tu te ne stai lì avvilita e arrabbiata con il mondo in generale e con me in particolare, e io me ne sto qui irritato con te perché butti via il tuo tempo” si alzò, dalla sedia e si appoggiò al tavolo, “così voglio fare un patto con te: ti spiego una cosa che non hai valutato, che è mia e che mi da fastidio, anche se non credo capirai davvero, va bene così, poi ti chiedo tre minuti del tuo tempo per un esperimento, solo tre minuti, per farti capire perché no, perché non va bene questa cosa. Non tra di noi. E penso che dopo sarai d’accordo con me. Dopodiché parliamo, quanto vuoi, va bene? Vediamo le varie possibilità, senza cattiveria, perché questa è una cosa a cui tu tieni. Prometto che domani ce ne dimenticheremo, tutti e due, che sarò sincero...e  ti chiedo che tu lo sia con me. Non ti giudicherò, puoi dire quello che vuoi, ma non raccontarmi balle, per piacere. In cambio tu ascolterai me, non su questa faccenda, ma su quella che preoccupa me. Dovrai solo sentire due cose che ho da dire e promettermi, non di fare quello che vorrei io, quello non te lo chiedo, ma solo di pensarci sopra”.

“E dopo?” chiese lei timidamente.

“Dopo cosa?”

“Dopo aver visto tutte le possibilità?”

“Se vuoi mi rifai la domanda, ma non credo che la rifarai”

“Vuoi cercare di convincermi... ma anche io potrei convincere te, però”

“Forse.”

 Lei sorrise tra sé – lui era troppo razionale per capirla, non l’avrebbe mai convinta con tutte le sue ragioni così tradizionali e lei non lo avrebbe mai convinto proprio perché non era una cosa razionale, ma una specie di gomitolo annodato, avviluppato dentro di lei, che nemmeno lei sapeva srotolare, ma... perché no? Aveva qualcosa di meglio da fare, quella sera?

“Va bene” disse sospirando. Poi chiuse il barattolo del miele e lo allontanò da sé.

André annuì, poi, sempre appoggiato al tavolo, le chiese: “Mi dici perché non mi hai chiesto di farlo nel bosco?”

Oscar lo guardò sinceramente sgomenta: “Non so se l’hai notato,“  disse con calma, sporgendosi verso di lui, i palmi della mani bene aperti sulla superficie del tavolo, “ma fuori piove... fa proprio freddo fuori, un freddo cane sai? capisco che l’idea di commettere un  peccato capitale si sposi bene con fulmini e tuoni, i due disgraziati fornicatori che cedettero alla lussuria, soprattutto lei, che non pensava mai a nulla se non alle cretinate, morti sul colpo, colpiti da un fulmine... tra lo scandalo e tutto il resto, il curato che avrebbe argomenti per le sue prediche per almeno un mese... ma io ne farei a meno.”

Lui rise. Lei sospirò rumorosamente.

“Non rido di te, però non ci hai pensato solo stasera, è qualche giorno che ci stai pensando...”

Oscar lo guarda sorpresa. Era stata davvero così trasparente?

“Ci giravi intorno. Allora è legittimo chiederti perché non me lo hai chiesto prima, quando è capitato che stessimo da soli nel bosco, per esempio? Per quanto io apprezzi il fattore simbolico di farlo proprio questa sera, se era solo una curiosità, un momento valeva l’altro. No?”

Lei arrossì, “La fai tanto lunga con la bellezza della prima volta... vuoi dire che la prima volta perfetta per me, secondo te, sarebbe là fuori all’aperto, nel fango, e nell’erba, al freddo, con l’acqua che mi ruscella addosso e magari con un lombrico che mi striscia tra i capelli...” arricciò il naso.

“Beh, ti posso assicurare, che, se avessimo deciso, per qualche follia, di farlo nel bosco, avrei cercato di fare il massimo che posso per trovare il posto più comodo per te, e per farti scordare tutti i lombrichi, il fango, il freddo, l’erba che punge, la durezza della terra... e qualunque altra cosa ti avesse turbato...”

Lei arrossì, e lui concluse per lei “peccato quindi purtroppo che oggi piova... Il bosco, è un posto lontano da tutti, da orecchie e occhi indiscreti, nessuno sentirebbe sospiri, gemiti o tutto quello che ti verrà da dire, o chiedere in quel momento, magari sei una che urla, non lo sappiamo in questo momento,” la prese in giro bonario, per stemperare l’atmosfera, ”nessun essere umano avrebbe catturato un respiro affrettato... mio o tuo...”

Lei arrossì a disagio.

“Il bosco non avrebbe conservato nessuna traccia del nostro passaggio, niente lenzuola stropicciate... come un incantesimo di una favola, nessuno potrebbe dire cosa esattamente è successo, non ti sarebbe piaciuto? Avremmo pure potuto perderci nel bosco, così in futuro non sapresti nemmeno ritrovare il posto esatto, hai detto che dopo te lo vuoi dimenticare... non potresti passarci davanti tutti i giorni, e nemmeno capitarci per caso, probabilmente nemmeno ritrovarlo... non ti sarebbe piaciuta l’idea?”

“Non ti facevo così bucolico... è vero che qualche tempo fa ti piacevano tanto i poemi pastorali, ma non credevo...” sorrise incerta, un po’ imbarazzata, cercando di scherzare “E’ una questione di posto? E’ solo una questione di posto?”

“Non lo so, dimmelo tu...”

“Un posto vale l’altro...” era visibilmente imbarazzata.

“Davvero? Allora diciamo che hai scartato la magia del bosco per via dei lombrichi... Proviamo a pensare a un altro posto allora... alle scuderie; siamo lì tutti i giorni, bene o male, strigliamo i cavalli, diamo una pulita ai box, tu porti una mela al tuo cavallo, scherziamo, chiacchieriamo... nessuno fa mai caso a noi due nelle scuderie... è un posto intimo, al coperto, senza tutti quei lombrichi... avremmo potuto farlo tra la paglia conservata nel sottotetto” la stava guardando serio negli occhi, e lei lo ascoltava affascinata, “è morbida, è pulita, ha un ottimo odore... e poi da lì si vede il cielo, o le stelle... dipende dall’ora.”
Lei distolse lo sguardo.


“O, se le stelle non ti piacciono,” aggiunse André in tono brusco, “se c’è troppa... come hai detto? Se è... troppo sentimentale, se vuoi solo sbrigarti, lo potevamo fare in piedi contro il box della giumenta bianca – non si spaventa mai per i rumori improvvisi - ti assicuro che lì tanti ospiti di tuo padre si sono sbrigati con alcune che lavoravano qui e hanno pure lasciato una mancia alla ragazza, da quanto erano contenti...”

Lei scosse la testa, spaventata.

“Quindi perché le scuderie no? Magari scegliamo una posizione in cui devi spogliarti il minimo possibile, non vedrei niente del tuo corpo oltre quanto strettamente necessario, nessuna carezza, una cosa veloce proprio come gli animali, tanto non ti interessa che ti piaccia in modo particolare, giusto? Non sai nemmeno cosa preferiresti, ti interessa solo farlo, toglierti il pensiero...”

Lei guardò in terra, imbarazzata.

“L’odore del letame? I cavalli che si innervosiscono? E’ questo il motivo per cui la scuderia non va bene?”

“André, ti prego...”

“Lo ha iniziato tu il discorso, mi pare... e hai accettato il patto, hai cambiato idea?”

Lei scosse la testa, amareggiata.

“Così resta questa casa, lo devi fare per forza in questa casa, perché solo qui tu ti senti protetta?”

Lei annuì in fretta.

“Tu ti senti protetta in questa casa? Un luogo talmente felice che il massimo del divertimento e sgusciarne fuori la mattina presto per andare altrove prima che inizi la giornata ufficiale...“ sorrise amareggiato “tu non vedi l’ora di farlo proprio qui? In questa casa?” allargò le braccia.

Oscar stava in silenzio ora, immobile.

“Potevamo usare la tua camera... è isolata, ha porte che si possono chiudere a chiave... e c’è un letto molto bello, grande, morbido, pieno di cuscini...... tappeti sul pavimento... sarebbe il posto perfetto, per una prima volta, in tutta calma... anche per farlo un paio di volte, non credi? E’ un posto che conosci molto bene, lo conosco molto bene anche io, è molto intimo. Potevi chiamarmi lì...” Lei arrossì e cominciò a tormentarsi le mani.
“E poi... tracce  di sangue sulle lenzuola nel letto di una ragazza possono voler dire tutto e niente. Chi ti rifà il letto si potrebbe porre delle domande, ma in fondo... cosa potrebbe andare a raccontare al Generale?
Niente di concreto.”

“André, ti prego, ho capito dove vuoi andare a parare, ma non è per quello che ero venuta lì, non era per quello” non osava guardarlo.

“Non raccontarmi balle, Oscar. Puoi dirmi che non era solo per quello e ci crederei, ma c’era anche quello, e lo sai”

Lei scosse la testa, ma non lo guardava.

“Invece sei venuta nella mia camera...che non è particolarmente isolata,  lì tracce di sangue sulle mie lenzuola possono solo voler dire una cosa sola. Sarebbe inequivocabile. E le chiacchiere, in questa casa, in cui tu ti senti così protetta, e in cui nessuno si fa i fatti propri, salirebbero dalla cantina alla soffitta in una mare di supposizioni su qualcuno di cui non si deve dire che è femmina, ma di cui si può sussurrare che non è più vergine, e tutti saprebbero in che giorno l’ha fatto, dove e con chi.

Stendiamo un velo pietoso sul ruolo che pensavi di assegnare a me, surreale, un attrezzo da... da... non oso nemmeno pensare al male cane che ti avrebbe fatto, ma tanto non eri lì per la gradualità. E non so nemmeno pensare cosa mai ti aspettassi da me, perché quello che mi stai assegnando, come ruolo... lasciamo stare... in fondo sono un servetto” non aveva la voce rabbiosa, solo triste, ma lei si sentì comunque morire

 “André, per piacere... non dire altro...”
 

“Tu sai molto bene che glielo direbbero, che lo saprebbe e tu staresti lì ad aspettare cosa deciderà di fare perché questa è una cosa a cui lui può rispondere solo in due modi. Il primo è che se lo deve far piacere come tu ti sei fatta piacere tante altre cose, accettarla facendo finta di niente, anche se gli brucia. In fondo ti ha chiesto una cosa che non avrebbe mai chiesto ad un figlio maschio, e non mi riferisco a cosa è successo prima, mi riferisco alla tua vita tra 10 anni o forse più. Alla famiglia che non avrai.

Tu, con le tue cose segrete, che non dici a nessuno, finalmente gli regali qualcosa che gli brucerebbe, eccome se gli brucerebbe. Ce l’avrebbe tatuata nel cuore questa cosa, perché, a dispetto di tutte le sue follie apparentemente moderne, è un uomo molto convenzionale, e oltre che alla tradizione, crede all’inferno e alla dannazione eterna, e perché a modo suo, il Generale, quel pazzo testardo, in un certo senso, ti vuole pure bene.

Quindi o se lo tiene dentro, pensandoci sempre senza parlarne mai e hai saldato un pezzettino di un debito, che te lo riconosco, tu hai.

O ti deve chiedere spiegazioni. E quello che cerchi? che ti affronti, che ti dica qualcosa, che ti chieda cosa hai fatto, disgraziata? Che ti minacci?”

André tornò a sedersi accanto a lei e le prese una mano, con infinita delicatezza. “E cosa gli diresti? Padre, guardatemi, sono come mi avete fatta Voi, un uomo in tutto e per tutto, mi chiamo come un uomo, mi vesto come un uomo, parlo come un uomo, faccio un lavoro da uomo, mi batto da uomo, in futuro, invecchiando, sarò sola come un uomo, ma per adesso non ci penso e scopo come un uomo. E proprio come un uomo non ci do molto peso: una sveltina con il povero André, il Servetto, che non conta nulla, e con cui è solo uno sfogo fisico, che conta meno che nulla. Ma l’avete scelto Voi, avrete messo in conto che lo avrei usato anche per quello, no? ”

Gi spaccava il cuore vedere che s’era messa a piangere, una sola lacrima, una di troppo per una piccoletta che non piange mai “E poi che farai, berrai come un uomo, andrai a rissare in qualche bettola come un uomo? Prendendo solo il peggio di quello che c’è sul piatto di essere un uomo?”

“Non è per questo!”

“Non ho detto che è solo per questo, lo so che pensi a un mare di cose, tu, o che non pensi affatto!” le prese il viso tra le mani e le asciugò delicatamente la lacrima con un dito. “Non venirmi a dire che dentro non c’è neanche tutta questa rabbia, inutile, ti stavo guardando prima sai, mentre pensavi tra te e te le tue ragioni tutte tue...”

Un’altra lacrima. Asciugò anche quella. Due di troppo.

Lei mise le sue mani, così piccole, sulle sue, affranta “Non c’è solo questo... mi vuoi sincera? Allora si, è vero, c’è anche questo, sono arrabbiata, arrabbiata a morte, e da tanto tempo, ma non c’è solo questo. ”

“Lo so. So anche che sono sufficientemente bello, anche perché sono ideale da sbattere in faccia a tuo padre. Ma va bene.
Ti voglio solo dire che se vuoi tirare un cazzotto a qualcuno, e credimi, lo capirei, se vuoi tirare un cazzotto a qualcuno, fallo, se vuoi dire qualcosa, dilla, ti prego, dilla, sono con te, ma nella maniera giusta, trova un modo che non sia distruttivo per te, di questo te ne prego, e non farlo così, con questa perdita di tempo, per te così simbolica, ma anche rabbiosa, e vendicativa. E disperata, lo vedo.
E, soprattutto... stupida.”

“Soprattutto, ti prego, visto che parli di rispetto, visto che tiri in ballo che siamo cresciuti insieme, non usare me” la guardò negli occhi “non me lo merito, e questo non so se lo riesci a capire... E il motivo per cui ti giudico forse male, e me ne dispiace tanto di farlo, e so che non te ne importerà, non è, come l’hai chiamato? il "peccato di lussuria", di quello me ne frego, ma è che non hai pensato in tutto questo a una cosa semplice, un piccolo dettaglio, quello stesso dettaglio che io... io, invece, da gran cretino, ho messo sul piatto per te, per prima cosa: se a me questo piacerebbe. Se questo ruolo da padella, o cucchiaio senza nessun valore, con tutte le sue conseguenze, a me piacerebbe davvero.”

"Tu lo vuoi fare da uomo.. stronza come un uomo"

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Capitolo 12
*** Capitolo XI - Non E' Perché Tu Non Mi Vedi ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: è finalmente... la cucina!

E poi un po' di sano monologo interiore, sufficientemente disperato e delirante, come solo una adolescente può monologare e di cui si sentiva la mancanza.

Oscar, che come sempre, la fa più tragica di quello che è. Ma almeno, la prossima volta, ci pensa un po' di più a quello che le viene in mente di chiedere...

Faccio notare che lei, finalmente, sta ascoltando, ma, come sempre, non ascolta sempre tutto molto bene - avrà i suoi pensieri per la testa.

Un'ultima cosa: ho controllato solo dopo quando sono stati inventati i cerini, per scrupolo, e ... non ci siamo... i cerini non c'erano, c'erano bastoncini di zolfo e c'erano le prime misture di fosforo su bastoncino di zolfo - roba, che, da quel che ho letto, era pericolosa e poteva fare scoppi incalcolati... accetto suggerimenti per una modifica!
La candela no: per quanto lei speri di... concludere... ha capito che ha messo in moto un po' di meccanismi che non aveva valutato.

Note2: cerco di riscriverlo... mi è chiaro, dal commento di Ninfea che alcune cose funzionano male e non sono chiare... e ha ragione. Se qualcuno ti fa delle domande per cui serve una risposta lunga vuol dire che non l'hai scritto proprio :) Vedo di risistemarlo - resterà "strambo" con la descrizione della cucina in mezzo ai discorsi di André e ai pensieri di Oscar... resterà Ventosa la Dispettosa, sul cerino... hmmm... ora vediamo. L'idea era di quella fiammella che muore da se o che può fare un gran caos, a su cui la ragazza non sa esercitare un controllo - Oscar qui è tratti incline al tragico, scusate ma la storia mi è venuta così ;P
Se ci sono domande... non esitate (tanto so chi sono le lettrici di questa storia), così vedo come modificare,. o se proprio non so che fare piazzo una nota ;PPPPPPPPPP


Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

Capitolo XI
Non è perché tu non mi vedi

 

Il palazzo dei Jarjayes era stato costruito su se stesso.
Le pietre spostate e dislocate dal capriccio di ogni suo proprietario, desideroso di imprimere la propria impronta alla propria casa, oltre che alle persone che lo abitavano, lo avevano composto e ricomposto ad ogni generazione, come un rompicapo mai perfettamente risolto.
Apparentemente lineare, visto dall’esterno, era in realtà, al suo interno, un insieme di vari stili, uno incrostato sull’altro, piano per piano e stanza per stanza, e di corridoi labirintici, e di scale e di nicchie – la gioia per dei bambini.

Oscar se lo ricordava bene: ci aveva giocato, per quelle scale, a nascondino con André e Danielle, mentre fuori pioveva, sperando di non essere trovata.
Sperando di trovarli, ma non trovarli complici contro di lei.
Sperando di essere trovata, ma non catturata - la corsa frenetica per le scale, lo schiaffo della mano sulla pietra, per la tana, contro lo stipite della cucina.

Guardò André che la guardava. 

Hai trovato quel pezzettino, quello di cui mi vergogno, forse il solo di cui mi vergogno davvero, quello che tenevo nascosto dietro la schiena e non ti volevo far vedere.

La cucina, in particolare, era un tuffo nel XV secolo: una enorme cripta in pietra bianca, con i soffitti ad arco, tempio della gola, come altare l’enorme camino, nel cui centro troneggiava il girarrosto, in cui si sarebbe potuto cuocere perfino un cervo. E in effetti a volte era capitato.

Grasso sulla leccarda, pane con le erbe da intingere di nascosto.

Non sei arrabbiato. Tu non sei arrabbiato. Eppure, per come la vedi tu, ho sputato sulla nostra amicizia, un parola che mi vergogno pure a pronunciare quando siamo soli tra di noi,  come se “cresciuti insieme” volesse solo dire che stavamo qui a rimpinzarci di lamponi ai lati opposti del tavolo, per un caso, lo stesso giorno e la stessa ora, e niente di più.


Accanto al camino, ben dodici forni per cuocere il pane, ognuno con il suo sportellino di ghisa nero, che ogni volta facevano venire in mente ad Oscar la storia di Hansel e Grethel, riscritta in una versione in cui le streghe erano dodici come i mesi dell’anno, ognuna padrona della sua porticina.
Con André e con Danielle, insieme, avevano inventato anche i nomi di tutte le streghe: Ventosa la Dispettosa, che spegneva gli stoppini, per esempio. A Danielle faceva paura.

Accendere il fuoco era una operazione divertente - erano in piedi così presto. Al Generale piaceva che la casa, almeno per loro, avesse i ritmi di un collegio militare: sveglia alle 6.00, lavarsi per bene con l'acqua gelata - il Generale credeva all'igiene -  tre volte alla settimana la Messa - il Generale credeva all'inferno - la colazione frugale sul tavolo accanto al camino - il Generale credeva alla sobrietà.

Danielle, quando c'era, arrivava con calma - quelle regole non erano per lei - un fagotto imperioso di scialli e nastrini, venuta solo per tenere compagnia. 

Il fuoco e la luce la loro prima incombenza.

L'acciarino per la scintilla, la scintilla sullo stoppino tuffato nell'olio in cima al bastoncino, lo stoppino sul legno o sugli stoppini delle lampade - serve luce in cucina.

Ventosa a volte soffiava sulla scintilla; spegneva lo stoppino, tra le dita ancora intirizzite.

Dispettosa. 

Come tutte le streghe.

Ma a Danielle non faceva paura la noia del gesto: temeva la fiamma.
Soffia per spegnere, diceva, e soffia sul fuoco per creare un incendo. Dispettosa e pericolosa. Come tutte le streghe.
A quel punto lei la prendeva sempre in giro.

André no, lui sorrideva un sorriso da gatto paziente e le allontanava cerimonioso la fiamma dalle mani. 


Oscar se lo chiese, se Ventosa l’avrebbe aiutata a spegnere quello stoppino prima che diventasse un incendio, che avrebbe bruciato tutta la loro noiosa consuetudine fino a non lasciare niente di niente, solo un altro po’ di altra rabbia da mettere nel mucchio, rabbia per tutto quello che non aveva pensato, e rancore e disagio e il ricordo di quello che era stato e non sarebbe più stato.

Lui glielo aveva detto, ma lei non aveva capito.
Pensava che tutto si potesse prendere, senza pagare un prezzo. Presuntuosa.


Ventosa, spegnimi questo stoppino, anche solo per farmi un dispetto.

“Te lo avevo detto che se ci fosse stato un altro a cui chiedere, forse non te lo avrei chiesto” tentò di spiegare.

“Lo so.”

No, non lo sai. Non lo sai perché io non penso come te, perché io non ho pensato affatto, non ho pensato a  te che avresti smontato le mie ragioni e m’avresti pesata, vedendo quanto valgo davvero, e cioè molto poco.

“Ma te l’ho detto, che se pure ci fosse stato un altro, avrei comunque chiesto a te”.

E non è solo per sbatterlo in faccia a qualcuno, ma perché le ragioni sono tante, tante quanti questi pezzettini di me, ma la costante di ogni frammento è che, per ogni cazzata che faccio, e per ogni cosa bella, non vorrei un complice diverso da te.

Nella cucina c’era anche l’acqua corrente, piccolo miracolo di ingegneria, capriccio di un fratello scapolo dell’ultimo Jarjayes, che non amava le fontane, ma prendere un bagno caldo e bere un bicchiere d’acqua fresca ogni volta che lo desiderava.

“Tu credi che la passeresti liscia?” le chiese André, corrugando la fronte, ”solo perché sei il solo figlio maschio che ha? Ti vuole bene e molto...”

Oscar scrollò le spalle. 
Tutti quelli che dicono di voler bene vogliono qualcosa che pagano solo con questa moneta: raccontare di volerti bene.

Raccontare.

Appunto.
 

Pure io però ho pensato che, siccome ero tua amica, ti potevo chiedere quello che volevo senza riconoscerti niente.
Solo perché io, quella che contava davvero tra noi due, ti facevo l'onore di esserti amica.
E' questo una amica?


Ventosa, fa’ la dispettosa, spegnimi quello stoppino.

“Ti vuole bene a modo suo, nel modo in cui è capace – non puoi chiedere a nessuno di darti più di quello che ha, lo sai, vero? Anche se quello che ha ti pare poco - ma prima di te c’è la sua Casata e le sue idee sull’Onore, la Tradizione, lo Stato ed il Re. Se tu infrangi le regole, se sputi su queste cose, lui, per amore di tutte queste cose, e pure per amore verso di te, non esiterebbe ad infrangere te. Non pensare di passarla liscia, solo perché gli servi.”

E sia! Paghiamo questo prezzo, scopriamo le carte, vediamo con che mazzo stiamo giocando, nella mia famiglia, una partita che non finisce mai e che io non posso vincere.

I rubinetti di rame, a froma di drago,  si affacciavano con le loro fauci semi-aperte su tre lavelli enormi di marmo rosso, lo stesso di certe chiese. Marmo Venezia.

 “E non credere che si fermerebbe alle frustate, a cui oramai sei abituata... sei minorenne per la legge, non sei donna per lui e non ti metterà mai in un convento a cantare in un coro e ascoltare Messe, per punizione. Troppo lusso. Ma ti potrebbe rinchiudere in posti ben peggiori, inadatti ad un uomo, figuriamoci ad una ragazzina.

I figli disobbedienti dei nobili si chiudono nei manicomi, lo sai? E tu non saresti la sua figlia svergognata, ma solo il figlio che sfida la sua autorità. O credi poterlo obbligare a vedere esattamente quello che vedi tu?”

Non me ne importa. E la mia rabbia allora? E io?

Incassato nel muro c’era anche un saliscendi portavivande.
Da piccola una volta ci si stava quasi ammazzando – André aveva bloccato la corda, fermandola appena in tempo, tutte le mani spellate, le macchie di sangue sul marmo - piccole per altro, non esageriamo. 

Vorrei fosse facile chiederti scusa, come quel pomeriggio.
Ho pensato che concederti di farlo con me, per te sarebbe stato il massimo. Non ho pensato, presuntuosa, che tu potessi essere abituato a qualcosa di meglio.

Ventosa, spegnimi questo stoppino. 

 “E tu mi stai chiedendo di collaborare allegramente ad una cosa così, come se non me ne importasse niente, e hai pure il coraggio di chiedermi se per caso il motivo per cui non ti dico sì e te lo lascio fare, è che l’ho già fatto... ma tu ti ascolti quando mi parli?”

Mi dispiace di avertelo chiesto anche per quel motivo. Mi dispiace. Mi spiace di averti sbattuto in faccia quello che scherzando ti dico ogni giorno: che sei un servo e che mio padre ti paga per essermi amico. Come se tutto quello che offri lo si potesse comprare. Tutto pagato, senza neanche un debito. Tutto dovuto, ci fosse anche un debito potrei non pagare e non importerebbe a nessuno.

“Ma tu pensi di valere meno di una curiosità per una scopata?”

“Io questo, non lo avevo pensato...” sbattè gli occhi cercando di metterlo a fuoco. 

A un certo punto ti arrabbierai, lo so, non resterai così calmo in eterno, e non resterà più niente.

Ventosa, per piacere, spegnimi questo stoppino
Io non lo so fare.

Alle pareti erano appesi i paioli di rame, lucidati ogni volta, dopo l’uso, in file ordinate, dal più piccolo al più grande.

“E tu pensi che per una curiosità su una cosa che non ho fatto, non ci penserei due volte ad essere ingiusto con te? Che giusto o ingiusto, per me, dipendano solo da quanto sono curioso? Ma come mi vedi?”

Lei chiuse gli occhi, stanca.

“E hai pensato alla mia vita? Te lo chiedo solo per curiosità, non sono arrabbiato,” il tono era così calmo, quasi divertito.

“Cosa sarebbe cambiato per te?” 
Il giorno dopo lo avresti dimenticato. Io ho pensato solo questo, che non ti avrei chiesto niente di più e che tu non ci avresti più pensato. Mai più. Nemmeno un pensiero distratto.
Come se tu fossi solo un animale un po’ scemo, da soddisfare con una mela.

Ventosa, spegnimi questo stoppino.

André scosse la testa “Io lavoro per tuo padre, non ho detto che non mi piaccia ogni cosa che fa, ma so di avere un debito con lui: mi ha accolto in casa sua, mi ha dato un lavoro che a me è piaciuto moltissimo, mi ha sempre pagato molto più del giusto, mi ha concesso una istruzione, che, ti farà ridere, ma per me non ha prezzo.
Non mi illudo che sia stato tutto per bontà di cuore, ma so che non era tutto dovuto, so che differenza c’è tra il tipo di vita che stavo facendo prima – e guarda che non rinnego niente e non mi vergogno di niente, so da dove vengo, chi sono stato e chi sono, mi piacciono le mie origini, ma so che ho un debito.
Ti sei chiesta se mi mettese a disagio fottergli la figlia, proprio all’uomo con cui ho un debito? E non per un Grande Amore, che è una cosa che ti fa ridere, lo so, perché nella tua testa è una cosa che non esiste, una roba da romanzo per una delle tue sorelle... ma solo per fatterglielo sbattere in faccia proprio questa sera? Credi che la lealtà non abbia nessun valore per me, solo perché sono un servo?”

Il pavimento era a scacchiera, in pietre bianche e nere, lisce per il gran camminare di generazioni di cuochi e di sguattere in quella cucina. E bambini e bambine in cerca di dolci e calore.

Lei scosse la testa. Si vergognava da morire. 
Erano cresciuti insieme e, per come la vedeva lui, lei non gli riconosceva nemmeno la lealtà. Aveva sputato su ogni volta che le aveva teso la mano. Aveva sputato su ogni volta che se l’era venuta a cercare, gatto selvatico senza padrone con le unghie estratte pronte a colpire.


“E hai pensato che io sarei rimasto comunque qui, dopo averlo fatto per fargli un dispetto stupido, come un cavallo scemo che dopo un giorno nemmeno si ricorda di cosa ha combinato? Che avrei mangiato il suo pane e il suo sale, bevuto il suo vino, cavalcato il suo cavallo, in pace con me stesso, ipocrita fino al midollo. E’ questo che vedi quando mi vedi?”

“Non lo avevo pensato. Te lo giuro.” 
Erano cresciuti insieme e, per come la vedeva lui, lei non gli riconosceva nemmeno l‘orgoglio della sincerità.

 

“Dopo aver capito cosa avevamo fatto io avrei dovuto andarmene. Poco male, il mondo è grande. Ma non mi parlare del fatto che siamo cresciuti insieme come di una cosa importante, se poi di questa consuetudine non esiti a liberartene, un bagaglio in eccesso, solo per il gusto di fare un dispetto”

“Non lo avevo pensato. Non ho valutato... credimi” 
Erano cresciuti insieme e, per come la vedeva lui, lei non gli riconosceva nemmeno il piacere della sua compagnia. Non aveva pensato che poi lui, orgoglioso, se ne sarebbe andato, più leale verso il Generale che verso di lei.

Ventosa, non fare la dispettosa, spegnimi questo stoppino. Qualcosina lasciamela, per piacere: non ne ho così tante a cui tengo davvero.

 

“Lo so!” non era arrabbiato, “e non ce l’ho con te. Ti dico un’ultima cosa... Io di frustate al posto tuo ne ho prese davvero poche, per causa tua invece davvero tante, tuo padre lo adora il suo frustino, e non mi sono pesate. Mai.
Ma la cosa che ho sempre apprezzato di te è che tu ogni volta eri sempre chiara, ti erano sempre chiare le conseguenze, per me e per te, e sei sempre stata trasparente sulle tue pazzie.
Stavolta no, non lo fai apposta, il guaio è quello, tu parli di rispetto, ma non ne concedi, tu stai pensando a questa cosa solo nel modo in cui riguarda te. Solo te.”

Si sentì morire. Aveva fatto un disastro, con una semplice richiesta.
Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia.
Non era giusto però. Accidenti! Lui voleva appiccicare troppe cose  a quella richiesta, cose che lei nemmeno aveva notato ci fossero!

“Oscar, ascoltami, non sono arrabbiato. Non sono arrabbiato con te... Non è successo niente di terribile.
Non ce l’ho con te, te l’ho detto, mi hai chiesto una cosa carina e non si cancella... tutto... solo per una sciocchezza, per un po' di imbarazzo, cosa credi? Non essere tragica... Ti sto solo chiedendo di guardare questa cosa con me, anche dal mio punto di vista. Di non tagliarmi fuori.” Le sorrise, gentile. Come sempre.

Ventosa, ti rigrazio, di aver spento quello stoppino. Che non mi hai regalato un incendio.

Da adesso la loro conversazione non poteva che essere in discesa. Non ci poteva essere niente peggio di quello che aveva appena scampato: dopo averla pesata avrebbe potuto comunicarle il suo peso esatto - meno di una piuma. Oppure soppesare tutto e decidere che, in fondo, non c'era proprio niente di autentico valore in tutta quella cucina.

Gli sorrise, dubbiosa “Va bene. Non ti taglio fuori. Ma non dare per scontato che io veda sempre le cose come le vedi tu. Io non sono te.”

André annuì.

“Cosa era l’esperimento che volevi fare?" chiese Oscar, cercando di cambiare argomento, "quello dei tre minuti?”

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Capitolo 13
*** Capitolo XII . Non E' Perché Non Sono Io ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: le note vere sono alla fine del capitolo. Questa è una scena classica, immagino, del fandom e del filone.
Non è la versione definitiva – ma va? - solo che sto riscrivendo il capitolo XI e mi sono un po’ impicciata. 
E’ un capitolo che spero piaccia a Lucy. Di più non si poteva.

 

 


Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

Capitolo XII
Non E' Perché Non Sono Io

 

André la guardò con attenzione “Lo vuoi davvero?” le chiese brusco. Si si alzò dal tavolo e si avvicinò alla finestra, quella vicino alla porta per uscire in giardino.
Guardava fuori, assorto, ma cosa osservasse era impossibile da capire: a Oscar, dal tavolo, sembrava che fuori fosse troppo buio per distinguere alcunché, ma non ci avrebbe giurato - faceva troppa fatica a mettere a fuoco. Probabilmente non guardava niente, decise, stava solo pensando - pensava sempre, lui. Troppo.
Sbuffò amareggiata, a volte pensava per tutti e due.

La pioggia, nera, cattiva, batteva senza tregua sui vetri una canzone che non conosceva.
Che paragone che non le si addiceva, rifletté, una canzone... proprio per lei...
Nemmeno se ne era accorta fino ad allora di tutto quel rumore – il cuore, forse, le aveva battuto un po' più forte.
Impossibile, si disse, nessun cuore batte così. Non con questo tumulto.
Non reggerebbe.  

Oscar abbassò lo sguardo, sotto quello di lui, incerta – glielo aveva proposto lui, no?
O forse pensava che la sera si dovesse chiudere qui, con questa sbirciatina che aveva dato a se stessa, riflessa nello specchio - sperò tanto imperfetto - delle sue parole, smontata in tutte le cose che di sé non sapeva, ma che lui, di sicuro, vedeva. Tanti pezzettini, nessuno davvero lusinghiero.
E lui li vedeva. Li vedeva tutti i giorni.
Non si era mai vergognata così tanto.  

Forse doveva solo ringraziare dello scampato incendio della rabbia di lui, così rara.
In fondo lui era ancora lì, in quell’enorme cucina, e non c’era un obbligo, l’aveva capito; se si fosse spostato dalla finestra, se le fosse passato accanto per poi imboccare la porta, salutandola o non salutandola, con il sorriso da gatto che di solito era per Danielle, con il sorriso rassicurante destinato a lei insieme a quello irritato, o, peggio, senza nemmeno guardarla, come non si guarda il passato che ci si getta dietro le spalle, lei cosa avrebbe mai potuto fare? Fermarlo? E come? Dicendo cosa?
Placcandolo su quel pavimento come a una partita di choule?

Oscar sospirò e si strinse nelle spalle. Si fissò pensosa le mani, poggiate sul tavolo e restò in silenzio. Stavolta non avrebbe chiesto. Non si sarebbe andata a prendere proprio un bel nulla nulla. Non avrebbe cercato come la cacciatrice che in fondo non era - troppe volte glielo avevano fatto notare, rumorosa nel bosco, il passo così disattento alle foglie e alle radici, troppo rivelatrice in scrocchi e tramestii, non tanto brava a cogliere gli indizi della preda.
Stavolta avrebbe solo seguito il vento.

Tutto questo chiedere faceva troppo male... e non solo a lei.
Forse.

Cercò lui con lo sguardo e s'accorse che adesso stava appoggiato alla finestra con le spalle - lo diceva, lei, che fuori non c'era niente da guardare! - la stava osservando. Non uno sguardo amico, piuttosto era un po' assorto.
Come se volesse catalogare tutte le schegge di Oscar, pensò lei tra sé e sé, quasi divertita, per cercarne una in particolare, una che forse gli era sfuggita.
Sperò non fosse così, un poco di pietà non la meritava anche lei, in fondo, a questo punto?

Poi lo sentì sospirare “... e così, alla fine, finisce che ti faccio proprio quella domanda che non ti volevo fare...”

“Quale domanda?” chiese la ragazza, incerta.

“Niente” scosse la testa, poi le si avvicinò, “niente.”

“Va bene, proviamo una cosa, molto semplice,” riprese serio, “mi devi promettere che mi dirai di fermarmi come non ti piacerà, o ti darà fastidio o, molto semplicemente non ti sentirai a tuo agio. Mi chiedi di fermarmi e io mi fermo, lo capisci questo?”

Lei annuì e gli sorrise divertita. Che problema c’era? Erano sempre già stati complici in tante cose.

La fece alzare e spostò la sedia vicino al camino, in piena luce. Lei si sedette, incuriosita.

Lui prese una candela dal cassetto e la infilò in una delle tante bugie di peltro della cucina – in una cucina la luce serve tutta e dalla cucina parte la luce per tutta la casa: c’era un esercito di bugie, pronte ad invadere il palazzo.
Tagliò con il coltello fino allo stoppino, alla maniera dei contadini: lo facevano spesso per contare il tempo tra di loro, quando mercanteggiavano ancora cinque minuti prima da andare a dormire, mentre vincevano e perdevano regni immaginari a Faraone.  Lei non si stupì.

“Non sto scherzando Oscar, è una questione di fiducia e per me è importante: quando non ti senti a tuo agio, non voglio scoprirlo da solo, me lo devi dire tu, semplicemente. E se vuoi che continui a fare qualcosa che ti piace me lo devi chiedere. Se c’è qualcosa che ti piace, me lo devi dire. Tutto qua, è una cosa semplice, fammi capire, ti è chiaro? Fammi capire e assicurati che io capisca...”

“E io?” chiese stupita.

“Tu, Oscar, tu puoi fare quello che vuoi.” la guardò assorto “Tutto quello che vuoi.”

Oscar osservò perplessa la luce fioca della candela, non capendo bene cosa lui volesse.

André, lentamente, le scostò i capelli dalla fronte, molto delicatamente le portò le ciocche dietro le orecchie, scoprendole il viso, senza fretta.

Gli occhi di lei sembrarono farsi così grandi. Pieni di stupore.

Le prese il viso tra le mani, a coppa e lo sollevò, osservandola assorto, delicatamente coi pollici le accarezzò il mento e le sfiorò le labbra, dolcemente, attraversandole, quasi un gesto casuale.

La vide arrossire alla luce delle fiamme del camino.

“Quando faccio qualcosa che non ti piace, “ sussurrò, “tu dimmelo. Trova tu il modo... liberamente, non ti giudico”

 

Percorse con la punta delle dita gli zigomi delicati, la curva del naso, di nuovo, distrattamente, come se fosse solo un caso, la sua bocca.

Lei chiuse gli occhi, incerta.

“...e anche quando faccio qualcosa che ti piace...”

Con le nocche le sfiorò la mandibola, il mento, risalì dietro le orecchie, senza fretta, come se avesse avuto tutto il tempo del mondo.

La sentì trattenere il fiato.

Con la punta delle dita girovagò per la sua gola, le accarezzò il punto deve passava la jugulare, sentendo lo scorrere veloce.

La osservò tremare, ma non dirgli nulla.

Scosse la testa, rattristato.

Delicatamente con due dita della mano destra scivolò lungo la sua clavicola, dalla gola vero le spalle, le sfiorò il collo, i pollici di nuovo sulle sue labbra. Sembravano non volerle abbandonare mai disegnandole e ridisegnandole senza fretta.

Lei aprì gli occhi incerta, come se volesse dirgli qualcosa, ma poi li abbassò trattenendo il fiato.

Lui smise accarezzarle il volto e passò ai capelli.

La senti respirare di nuovo, tranquilla, lo guardò da sotto in sù, come se stesse per fargli una domanda, ma poi abbassò lo sguardo.

Lui sorrise, un sorriso un po’ triste.

Poi piano ridiscese dalle spalle, fino al primo bottone della camicia, quello che un’infinità di tempo prima aveva slacciato lei, da sola.
Delicatamente le accarezzò la pelle con le nocche. 

La vide stringere il bordo della sedia con le mani “Oscar... va tutto bene?” glielo disse molto dolcemente, ma lei non rispose.

Piano, lentamente arrivò al secondo bottone.

“Questo è il punto interrogativo, credo... e qui, come immagino, ci fermiamo...”

Come lo slacciò la senti sobbalzare e ritrarsi, appiattita contro lo schienale della sedia.

André sospirò e si allontanò da lei.

Quando la ventata di aria gelida arrivò fino a lei, Oscar riaprì gli occhi. La candela sul tavolo si era spenta, i suoi tre minuti non era passati, ma la candela era spenta.
Lui era accanto accanto alla finestra, aperta, che guardava la pioggia, o il buio o chissà che altro diavolo stava guardando, incurante di quella ventata gelida che invadeva la stanza e della pioggia che batteva su di lui e sul pavimento.

Passò un’eternità a guardarlo e a non guardarlo, chiedendosi cosa stesse pensando, ripensando dentro di sé ai discorsi delle sue sorelle, solo qualche giorno prima, tra Juliette e Danielle... cosa aveva sbagliato?

“Non ti ho detto che non mi piaceva...” mormorò alla fine.

“Ah no?”

“Non l’ho detto” ribadì testarda.

“Non mi interessa cosa mi hai detto, Oscar.”

“Ma io...”

“Oscar, io non ti ho chiesto di sopportare di essere toccata, o di lasciarmi fare tutto quello che mi pare, e nemmeno di godertelo dentro di te, ti ho chiesto di guidarmi, di farmelo capire... di condividere... non è facile, è tutta una questione di fiducia, lo so...”

“André...”

“E ti ho detto che potevi fare tutto quello volevi, con le tue mani, con le tue labbra... potevi fermarmi o guidarmi dove volevi. Potevi anche toccarmi, o baciarmi, non avrei giudicato, te l’ho detto, ma non c’era nulla che ti interessasse sfiorare, di me.”

“Non ero pronta, riproviamo.”

André sospirò, chiuse la finestra e la guardò, “Ti ho detto che l’avremmo fatto una volta sola, Oscar, eri d’accordo. Non sei pronta, tutto qua. Al di là di tutte le motivazioni che hai , non hai, che sai o non sai di avere, in fondo non sono davvero fatti miei, non sei pronta per farlo, non stasera, almeno. Non è una prova di resistenza, è solo... condivisione, e... confidenza. Confidenza con il proprio  corpo e con il mio. E al momento, è chiaro, non c’è. Ci sono tutti i no e niente di più...”

“Riproviamo, stavolta starò ferma!”

“Ma non mi interessa che tu stia ferma, lo vuoi capire?”

“Non ti ho detto di no.”

“Ascolta, per farlo facendoti il minor male possibile, devo toccarti, lo capisci? Deve piacerti essere toccata da me, in un certo modo, e anche io, per funzionare... Oscar insomma, non si può, così non si può” non era esasperato, solo, le parve, rattristato.

“Ma, se decidessimo insieme per un sì, insieme, non io senza di te, insieme, non potresti farlo e basta?”

La guardò senza fiato “Ma tu ti senti quando parli?!”

Lei arrossì, spostò la sedia, sentendosi umiliata, e la rimise fuori dal cerchio della luce. Senza far rumore.

“Ascoltami Oscar, non è un esame che uno fallisce o supera, non c'è un voto attaccato, o un giudizio... non importa a nessuno, credimi. Ti dirò di più: non ha nulla a che vedere con te...Semplicemente non sono io... la persona per questa cosa, con te, non sono io. Non ora, almeno. Non qui.”

Per l’ennesima volta, raccolse la tisana di lei, ormai gelida, e la rimise accanto al fuoco. Senza guardarla.

 


Note finali: il capitolo si può migliorare, possiamo descrivere la finestra, per esempio, la luce del camino sul viso di lei, ma la storia non è finita – poteva anche finire qui, ma... non finisce qui.

Spero che nel racconto si capisca un pochino una cosetta – lo metterò nei capitoli futuri, ma in questo non volevo guardare nei pensieri di André. Sono certa che in una almeno delle cinque review (scommettiamo?) ci sarebbe potuta essere questa obiezione: quello che André chiede ad Oscar non serviva per Oscar, era già abbastanza mogia di suo...
Infatti non serve ad Oscar.
Per quanto noi non possiamo sapere cosa diavolo stesse pensando André, c’era una cosa che credo si capisca avrebbe voluto sapere... se tra tutti i pezzettini di Oscar sparsi per la cucina, ognuno con la sua motivazione, ce ne era uno che...

 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII - Non E' Perché Il tempo Non Si Ferma Mai ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: Anzitutto grazie delle review fino ad oggi! Ho delle review bellissime da leggere... caspita!
Capitolo lunghissimo, che però non intendo tagliare in due, di un malinconico mini-dramma adolescenziale con tumultuosi pensieri interiori, come si addice ad una storia un po’ così, del tipo: ”tu non capisci l’universo femminile, la mia spiccata sensibilità si contrappone al tuo gretto materialismo maschilista”. Ma anche no.
A me non dispiace anche se è un pochino troppo intenso - rientreremo nei ranghi!

Non c'è un linguaggio adeguato, me ne spiace.
Ho messo una citazione pop a destra, perché mi piaceva e mi sembrava una cosa carina. Perché no?
Non è quello che penso io, ma un po' come si sente la fanciulla, che giustamente o ingiustamente, si sente un po' come se fosse stata fregata - per il resto non c'entra molto, a parte la camicia bianca e l'idea di un tempo finirà.
La canzone è Quello che non ho, del 1981, di De André, di un album nato senza titolo, rifatta dai Liftiba, che inizia proprio con rumore di spari e grida di caccia (Gallura - caccia al cinghiale) e che è una specie di blues, molto lento per i gusti del 2015.
Ci sono un po' di pippe...
C’è pure un cervo, il guardiacaccia (che avevamo già incontrato, come dispensatore di pillole di saggezza popolare), Danielle (poteva forse mancare?) che spara, ma non a Fersen (per ora, diamole tempo), quella stronza dell’Ultima Nota, Jaquot (già incontrato per altro, che si faceva le... davanti al quadro della Morphise, bello spettacolo!), Pierre che si capisce che è un brutto anatraccolo, di quelli che a scuola prendono tutti in giro e poi un giorno si presenta con la balestra e una lista da spuntare, e una lince rossa, che passava per caso e ha dato una zampata: l’AU regna sovrano (ma nell'anime li vediamo solo sdraiati nel prato che parlano di spade... e non è possibile! Avranno anche fatto altro! Visto altra gente!). E pure l’OOC temo – ma è adolescente!
André finalmente tace.

Come spesso capita in una conversazione reale, non è che sempre questi due si capiscono - è così. Non chiedete.

A me piace la mia roba, ovviamente, ma... senza esagerare!
E’ una fanfic :) sono consapevole dei limiti: non pretendiamo troppo! So che non è molto simpatica questa Oscar... ma vabbè, facciamocela piacere: è una ragazzina, e pure lui... si atteggia un po’ troppo. Tra tutti e due... vent’anni per trovarsi... eccheccavoli!

Come al solito: chi legge (si, voi 5!) si diverta! Grazie per la compagnia.

Se ci sono domande, rispondo volentieri. Questo però non lo riscrivo, perché è troppo lungo (seee, le ultime parole famose!).

 

 

 


 

Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

Capitolo XIII
Non E' Perché Il Tempo Non Si Ferma Mai

 

quello che non ho sei tu dalla mia parte
quello che non ho è di fregarti a carte
De André

Oscar se ne stava raggomitolata al buio sulla sedia, le mani poggiate sul tavolo, il mento sulle mani. In silenzio.

Non aveva parlato da quando lui aveva smesso, non lo aveva guardato, non lo aveva cercato.
 

La finestra non era chiusa bene – André non era stato accurato, pensò stanca, eppure era stato più che accurato con lei, aveva preso la mira e le aveva sparato, facendo un centro dopo l’altro.
Sia lui che Danielle, se lo ricordava bene, avevano una mira micidiale, fin da ragazzini – solo per avvicinarsi ai loro risultati aveva dovuto lavorare tanto, lei. E anche con tutto quel lavoro, si avvicinava solamente ai risultati di quei due, li sfiorava, ma non li eguagliava.

 

Due assassini naturali. Arricciò il naso. Buoni eh! Più buoni di lei, molto più buoni, ma certe volte... le sembrava che i buoni adorassero i pasticcioni perché così avevano dei bersagli viventi su cui mirare e fare fuoco, senza sentirsi in colpa. Per il loro bene.

 

 

Si ricordò di una mattina presto in un bosco, per la caccia al cervo con gli amici di suo padre; per non dover nascondere lo sbadiglio, li aveva lasciati ai soliti discorsi, fatti dei soliti pensieri: la favorita del Re, i favori del Re assegnati a certuni e non a cert'altri solo per gli intrighi della favorita del Re e gli escrementi del cervo.
Argomenti tutti di profondo interesse, specialmente l’ultimo.
Essere invitati ad una caccia, per quegli uomini, era come essere invitati al ballo per Cenerentola: c’era sempre uno scopo sociale, tutto un rituale da seguire nei dettagli, che mostrava chiaramente chi si era, come si era stati educati, che posto si occupava nella società, con lo scopo di cercare di scalare di un gradino e ottenere un premio.
Cenerentola, con la sua carrozza fatta da una zucca - Madame de Noailles se ne sarebbe accorta subito, non si sarebbe fatta ingannare da un incantesimo - ne aveva ottenuto uno bello grosso, per esempio, anche se in una favola. Mettendo sul piatto qualcosa d'altro oltre a quello che sapeva fare sul serio - grattar polvere dai camini.
E pure la Pompadour, si diceva, borghese come Cenerentola, aveva conosciuto il Re e osato ottenere il suo premio, anch’esso bello grosso, da condividere con la sua famiglia di banchieri, girando con un calessino nel bosco sui sentieri per cui il Re tornava dalla caccia, tutta vestita di azzurro o di rosa.

 

Mai sottovalutare le opportunità sociali di un’attività che richiede un branco di uomini, un branco di cervi e un branco di cani.


Ma per lei, l’unico modo di andare a caccia e farsela piacere, era non andare affatto.

 

L’avrebbero fatto alla maniera antica, coi cani - sempre meglio di una battuta, che era un vero carnaio.
Il cervo, in questo caso, correva fino a farsi quasi scoppiare il cuore, inseguito dalla muta e dai cavalieri.
Poi si fermava e combatteva coi cani – corna, zoccoli, collo possente, a un uomo poteva fare molto male. Si fermava sempre. Cercava di salvarsi, in qualche modo, ma, contro una muta di cani, di solito, perdeva il cervo.

Poi lo sparo, l’apertura della carcassa, la carne per i cani.

Danielle invece preferiva la posta e si era eclissata con André, che non avrebbe potuto cacciare – una volta c’era la pena di morte – ma in quanto pezzo vivente della collezione di armi di famiglia, le dava una mano.


Lei aveva girovagato senza meta godendosi la tela del ragno con la rugiada, l’odore umido del terriccio - i lombrichi c'erano sul serio, hai voglia lui a dire di no... -, il passo morbido, il tronco abbattuto su cui camminare in equilibrio - un verminaio - , la solitudine. Ufficialmente era in cerca – trovare era tutta un’altra faccenda.

In tutta sincerità, non è che ci tenesse tanto a cercare escrementi nell'erba di un esemplare che non fosse già in fuga. O impronte di zoccoli, tutte distanti uguali o foglie cadute dall'altezza giusta delle corna, mica era Zadig.  

Invece se lo era trovato a pochi passi nella radura, da sola, senza averlo per niente cercato. Aveva preso la mira, ma poi aveva pensato che era bello, così bello e vivo, così vivo. E lei non aveva poi tutta quella fame.
E non gliene importava poi tanto di una pacca sulla spalla, di sentirsi dire “bravo” dal Generale, per aver guardato in un mirino e accarezzato un grilletto, una cosa che può fare chiunque, qualcuno meglio degli altri, d’accordo, ma alla fine chiunque. Beh chiunque purché aristocratico. Un contadino, fino a pochi anni prima, l'avrebbero impiccato.
 

Lo aveva guardato e le era sembrato che l’animale la guardasse.
Le sarebbe piaciuto tendere la mano, ma sapeva che non sarebbe servito: per addomesticare un animale ci vuole tanto tempo, lei lo sapeva bene per via della lince rossa.
E andava bene così, uno di quei momenti perfetti, coi raggi di luce tutti al loro posto, il freddo, il silenzio che non è silenzio, perché se nel bosco c’è silenzio allora c’è qualcosa che non va.


Solo dopo aveva visto quei due in agguato, vicino a una siepe. Solo dopo.
Non seppe mai chi dei due, molto probabilmente Danielle, che all’epoca ci teneva ancora a compiacere il Generale, impegnandosi a sfoggiare proprio quelle doti che lui apprezzava nelle persone. Lei pestò in fretta il ramo ma non rovinò abbastanza il tiro.

 

 

Solo il guardiacaccia aveva capito – anche lui cacciava per mangiare e per tenere il branco sotto controllo. Non per sport.
Anche se, va detto, tutti i cervi di una battuta sarebbero stati mangiati. Tutti.
Mangioni!


Erano andati insieme a cercare la preda, lasciando quei due sotto un albero, facendo con calma – come lui le diceva sempre: se aspetti un quarto d’ora trovi un animale morto, se t’affretti un animale ferito a cui sparare un secondo colpo, perché t’affretti?
Quando lo avevano trovato gli aveva accarezzato il muso, aspettando. Era davvero meno crudele sparargli di nuovo? Ma se di ogni gioco che piace tutti non fanno che chiedere ancora cinque minuti, solo un minuto ti prego, ancora un attimo... non avrebbe mai tolto al cervo il suo ultimo minuto.

 

Quella sera, mentre scherzavano sulle sue inabilità di cacciatrice rumorosa, li aveva lasciati dire. La carne non l’aveva mangiata. Oh le piaceva, era una sana carnivora, ma... non avrebbe mangiato quel cervo.
Aveva riaccompagnato il guardiacaccia a casa sua e avevano diviso il formaggio ed il sidro di mele. Lui coi suoi gatti, lei con la lince rossa che le faceva gli agguati - aveva ancora il segno di un graffio sul polso.
La rimproverava sempre per averla voluta addomesticare - non aveva voluto, era capitato e non era domestica, andava e veniva come voleva dalla legnaia del guardiacaccia, la seguiva al passo, silenziosa ed elegante, rinchiusa solo nei giorni di caccia per paura degli ospiti che non sapevano che non era da toccare - e lei lo guardava obliqua chiedendo, innocente, quanti topi in una capanna per giustificare tutti quei gatti.
Lui le aveva detto, sputando per terra la presa di tabacco, che pure loro, in fondo, erano solo animali: a volte capita di stringere la mano alla bestia e vedere che non c’è poi tanta differenza.

Ma loro non l'avevano mai stretta questa mano? No, aveva bofonchiato il guardiacaccia, masticando tabacco, loro sono buoni. Non c'entrano con le bestie.

 

Beh lei quella sera era stata la bestia.

Il cervo.

 

Aveva corso e corso tra campi sterminati di parole cortesi, che le mostravano, per il suo bene, tutte le cose sbagliate che faceva, o pensava, e quando pensava che le ostilità fossero finite, di essere approdata in un posto tranquillo, era arrivato il colpo finale, preparato con cura, era chiaro: glielo aveva proposto all’inizio, non era stata una richiesta spontanea. La sua reazione, come quella del cervo, che, sempre, puntualmente, si ferma, reagisce come può e perde rovinosamente, forse, pure prevedibile.
O forse no.

Ma nemmeno la sua richiesta di quella sera, in fondo, era stata totalmente spontanea.

Non era arrabbiata. Solo... faceva un po’ male.

 
Si alzò ed andò a chiudere la finestra - sbatacchiava per la pioggia scrosciante ed il vento.

 

Ventosa s’era presa la sua vendetta, alla fine.

 

Passò accanto lui, senza sfiorarlo, senza guardarlo. Lui cercò di prenderle un polso, ma lei allontanò il braccio, prima di essere toccata, non brusca, quasi elegante. Gli girò poi intorno per riprendere il panciotto, come un gatto che non sfiora e non si fa sfiorare.
Di nuovo al suo posto, nel buio, si rivestì con calma. Faceva freddo lontano dal camino.

 

 

 

“Mi spiace” mormorò André.

 

“Non credo,” rispose quieta, “non lo avresti mai fatto altrimenti.”

 

“Oscar” cercò di prenderla in giro, ma lei non lo guardò.

Le si avvicinò per accarezzarle i capelli, ma lei si scostò, con un movimento fluido.

 

Lo evitò varie volte. Lui che cercava un contatto e lei che scivolava via.

Alla fine lui la strinse contro la parete, senza toccarla, ma lei sgusciò sotto il suo braccio, flessuosa e tornò a sedersi al tavolo.

Il mento poggiato sulle mani.

 

Quando le fu accanto di nuovo, “Questo era un no,” aveva mormorato senza guardarlo. “Questo era uno stammi lontano. Questo è uno stammi lontano. Non sono arrabbiata, ma per dieci minuti, per piacere, stammi lontano. Siediti lì,” accennò col mento ad una sedia vicino al camino”, se vuoi, quello è il massimo a cui ti puoi avvicinare a me. Perché questo è un no per me. Sei così esperto di si e di no, sono sicura che ne riconosci subito uno quando lo vedi... lasciami stare per dieci minuti. Ti prego.”

 

 

Un giorno avrebbe scoperto chi era l'Ultima Nota e le avrebbe fatto un bel discorsetto. Se non avesse mai.. non avrebbe avuto confronti da fare, perché alla fine il nocciolo era pure lì, che lui stava pensando a come lo aveva fatto con quella scema, quanto ci aveva pensato lui, quanto lei, e compagnia bella, e adesso farlo con lei era solo la brutta copia di una bella poesia.


Ma non credo proprio, pensò divertita, che lui l’abbia piazzata su una sedia, in piena luce, femmina per la prima volta, dicendole e adesso fammi vedere quanto lo vuoi. Dimostramelo. E in tre minuti.
L’avrebbe di sicuro mandato a quel paese... altro che starsene lì cercando di capire come superare quell’esame a trabocchetto, alla luce dei racconti delle sue sorelle.

 

S'era fissato che lei dovesse per forza essere un dolce di panna montata, ben preparato, ben presentato, già pronto nel suo piattino con la sua bella forchettina accanto, pronto per essere mangiato, zuccherato al punto giusto, desideroso di essere divorato, abituato ad essere desiderato, a sentirsi dolce, e a concedersi, e non invece, una semplice manciata di lamponi da andare a prendersi facendosi qualche graffio con le spine.

 

 

Lei non era pronta, le era chiaro.
 

Ma non credo proprio che mentre lo facevano tra la paglia, o dovunque lo abbiano fatto, lui le abbia chiesto di dimostrargli fiducia, di condividere, o che tutte le loro carezze siano venute sempre così bene.

Come se non avessi mai condiviso niente con te...

 

Tu pensi più di me... molto di più, pensò tra sé, lo sapevi come sarebbe finita. Io sono quella che fa le cose d’impulso e poi ingoia l’orgoglio e fa le sue scuse sincere. Tu sei quello che pensa sempre prima e non si deve scusare mai. Sei più buono di me, quello sì. Ma non sempre.

 

Allora, io non te la rifaccio quella domanda, tu non lo sai, quel che importa è che lo so io. E non perché mi hai convinto, ma perché proprio non vuoi. Non ti posso obbligare. Non voglio obbligare nessuno, meno di tutti te. Se uno si da così tanta pena per chiudere accuratamente una porta, direi che ha tutto il diritto di tenerla chiusa e che nessuno si ostini a bussare.

Mi auguro solo che quando succederà a te di fare un enorme pasticcio, e prima o poi ti succederà, con chiunque sarà, non ti capiti di dover rimpiangere un impacciato forse si, come questo, invece di un no inequivocabile...

 

“Ascolta,“ riprese quieta, “ti ricordi quando eravamo andati dal maestro di spada? Ci allenavamo con lui e poi tra di noi?”

 

André scosse la testa – erano in continuazione in posti del genere.

 

“Un bel po’ di tempo fa... C’era Pierre, devo dirti il titolo intero? il suo... uomo, è Jaques... tu lo chiamo Jaquot, mi pare, un tuo amico... Pierre era, ed è, cicciottello, non tanto sveglio, ti ricordi?”

 

André sorrise.

 

“Lui non era molto bravo, non riusciva proprio ad imparare, una frana e il maestro ti chiese di provare con lui. Io ero accoccolata in un angolo, sui talloni, un po’ annoiata. Vi osservavo... eri paziente, eri tranquillo, eri molto, rilassato. Hai scherzato tutto il tempo con lui.

Lui, Pierre, non mi pareva così a suo agio, sapeva di non essere un granché, gli dispiaceva pure, si vedeva lontano un miglio, ma, non gliene hai fatto una colpa, mi pare. Scherzavi e intanto gli facevi vedere cosa volevi, con pazienza. Pierre era una autentica frana.

Non gli hai fatto pesare che sarebbe molto più divertente allenarsi con me, e lo sappiamo bene tutti e due che è così, perché in certe cose io sono davvero molto brava. In altre, lo abbiamo appena appurato, proprio no...

Non potevi essere così leale verso di me come lo sei stato con quel ragazzino?

 

Se un ragazzino che non ha mai preso in mano una spada si presenta da qualcuno e chiede di provare... nessuno pretende che vada in una sala di allenamento con uno spadaccino, non dico esperto, perché non penso proprio che tu sia un maestro spadaccino senza pari, sei solo uno spadaccino che ne sa un pochino più di uno che non ne sa proprio nulla, ma con uno più bravo e che si slanci in un duello.

Sarebbe come se gli mettessero in mano la spada e gli dicessero di mostragli quanta confidenza ha con la sua spada, quanto è reattivo, se capisce cosa sta facendo l'altro, cosa si aspettano da lui. Quale gesto dovrebbe corrispondere ad ogni gesto dell'altro.
Poi a sorpresa lo disarmassero e mentre quel ragazzino imbranato se ne sta lì, umiliato, gli dicessero che non è pronto, che non sa duellare, che è meglio se posa il pensiero...” Oscar fece una risatina divertita

 

“Non sarebbe leale,“ riprese, tranquilla, “se il ragazzino è venuto fin lì, se ha chiesto, se ha dovuto chiedere, è proprio perché non lo sa fare.

Forse il ragazzino è stato un po' presuntuoso, pensando che le sue idee fossero uno specchio esatto della realtà... non ha capito molto di come era o non era la cosa, veramente, ma va bene, è giusto farglielo notare, è una esperienza anche quella.

Se il ragazzino non è uno stupido, gli brucerà, ma se la farà passare: l'esperienza è il frutto dei nostri errori, lo hai detto tu, e ha un prezzo. Non impari mai niente se non paghi il suo prezzo. Per cui non è una tragedia un po’ di orgoglio ingoiato.

 

Però tu, dopo avermi fatto pesare che avevo rinunciato a tutta la magia di farlo nel bosco, dove saresti stato così meraviglioso come nemmeno in una favola, per via della mia rabbia, che c’è, eccome se c’è, ma non c’è solo quello, però a te sembrava una cosa orribile che ci fosse, mi hai piazzato lì su quella sedia, in tutta quella luce, con una spada che, tu lo sapevi, io no, ma tu, tu lo sapevi molto bene, che io non sapevo, non so usare.

E mi stai confrontando, anche se non me lo dirai mai, con qualcosa che non sono io, con una esperienza che hai fatto tu, ma io no.

 

Non lo so se volevi rendermi ridicola e farmi ritirare in buon ordine con la tua tisana nella mia stanzetta, così umiliata da non osare rifiatare, pensando che solo poco fa ero lì a slacciarmi un bottone davanti a te, facendo quella che sapeva quello che faceva... come una stupidina, o se ci hai provato sul serio sperando che ti sorprendessi... che fossi.. diversa da quella che sono.”

 

Lei tacque pensosa, “non lo so e non lo voglio sapere”

 

La odiava, odiava L'Ultima Nota.

 

Non lo voglio sapere se ti dispiaceva che non fossi come qualcun’altra. Non poteva nominarla.

 

Non lo voglio sapere se speravi che fossi qualcun'altra.

 

“Mi hai disarmato, hai visto un mio punto debole, l'hai sfruttato,  hai scoperto che non so contrattaccare, va bene, e allora? Insegnamelo tu, no?

Potevi prenderle tu le mie mani, sai? E potevamo riprovare... quasi niente viene bene al primo colpo. Ma credo che tu volessi solo dimostrarmi che non sei tu e che non sono io, e che, anche se fosse, non è il momento giusto e nemmeno il posto giusto...”

 

“Oscar, mi dipiace tanto,”

 

“Balle André. Balle. Se ti dispiacesse sul serio avresti fatto in un altro modo. Non è per cattiveria, a modo tuo pensi che sia la cosa giusta. Ma non importa,” lo interruppe, sempre quieta “Tu hai ragione nel farmi notare che potrebbe finire in un certo modo, ed è vero, io ho pensato solo a quello che interessava a me. A te non ho pensato. Hai fatto bene a sottolinearlo, e probabilmente, per funzionare bene sarebbe meglio se ci fossero certi ingredienti, che non ci sono, lo posso capire. Però Pierre lo sapeva, in quella sala d’allenamento, che non stava facendo le cose così bene come le avresti fatte con me, ma tu non lo hai preteso, mi pare. Ti sei adattato. E guarda che stava pensando solo a sé, in quel momento, di cosa pensavi tu non gliene importava proprio nulla... che poi è quello che facciamo un po’ tutti mi sa tanto...”

 

 

Lui annuì, incerto.

 

“Solo, ti chiedo, visto che con me hai fatto un patto, vorrei che facessimo quello che avevi proposto: vediamo insieme se non c’era un’altra possibilità, oltre a quella in cui non piace a me e oltre a quella in cui non piace a te... Questo me lo devi... che sarebbe successo, nella  tua castrofica testa, nel caso in cui...”

 

Sai pensò, ma non glielo disse, dopo stasera, qualunque cosa io decida, io dovrò crescere un po’, e, comunque, non saremo più così alla pari come fino a stasera. Non sarò più la tua peste, la tua ragazza a cui puoi intrecciare i capelli quando è avvilita, o portare a vedere un partita di choule, sgusciando su un carro, o a bere birra in riva al mare, o a ingozzarci di frittelle ad una festa, tre dita di fango sui nostri stivali.
Io vorrei restassimo per sempre amici e “questo” forse tra amici non si fa. Ma, anche se un giorno mi dovessi mai innamorare, non sarebbe... la somma di tutto questo.
Avrei voluto, oltre a tutte le altre cose che ho pensato e  che mi ha sbattuto in faccia, anche io come il cervo, che il tempo si fermasse e non lasciare questa parte della mia vita, volevo i miei ultimi cinque minuti, un minuto, ancora un attimo per piacere...

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV - Anche se è No, Io, Comunque, Ci Sono ***


Disclaimer: non è a scopo di lucro.

Note: le citazioni pop sono due canzoni di Nathalie Merchant: Ebenezer Bleeezer, e Griselda che fanno parte di Nursery Rhymes of Innocence And Experience (l'unica raccolta di questa signora, che io conosca).
Le canzoni sono tutte filastrocche e poesie di bambini / per bambini che ad un americano magari dicono qualcosa, a me proprio no.
Sul tubo si trova qualcosa, altrimenti, per Ebenezer: http://www.nataliemerchant.com/l/leave-your-sleep/bleezers-ice-cream.
per Griselda: http://www.nataliemerchant.com/l/leave-your-sleep/griselda.
Da lì, se uno vuole, se le ascolta tutte.
Comunque, la prima è di un certo Prelutsky ed è solo un elenco di gusti improbabili di gelato e la seconda... questa è dura, io non sono riuscita a trovare niente su Griselda (se sapete... fatemi sapere) ma la canzone parla di una bambina golosa, che non si accontenta di quattro pasti al giorno e scivola in cucina per spizzicare in continuazione.


Come al solito buon divertimento!

Note 2: non so se le mie 5 lettrici leggeranno la nota perché hanno già letto e commentato (il capitolo è stato già mangiato, per quello che vedo io), ma giustamente, mi ponevo la domanda: la stessa domanda fatta in epoca diversa ai uno dei "ragazzi" di Oscar (André, Alain, Girodel e Fersen - Rosalie non la conto, ma se volete... perché no? Bertrand, invece, non mi pare fosse mai stato interessato alla biondina), che risposta avrebbe avuto? Non così verbosa ovviamente.

Dato che alga mi ha parlato dei round robin, vorreste giocare a scrivere una possibile risposta? Non è un vero round robin, ma penso che con i rr il problema sia la trama...
Nessuna di noi racconta mai la stessa storia...

Fatemi sapere!

 


Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

Capitolo XIV
Anche se è No, Io, Comunque, Ci Sono

I am Ebenezer Bleezer, 
I run BLEEZER’S ICE-CREAM STORE, 
there are flavors in my freezer 
you have never seen before, 
twenty-eight divine creations 
too delicious to resist, 
why not do yourself a favor, 
try the flavors on my list:


COCOA MOCHA MACARONI 
TAPIOCA SMOKED BOLONEY 
CHECKERBERRY CHEDDAR CHEW

Ebenezer Bleezer (Nathalie Merchant)

Griselda is greedy, I'm sorry to say. 
She isn't contented with four meals a day, 
Like breakfast and dinner and supper and tea 
Griselda is greedy as greedy can be.

She snoops about the larder 
For sundry small supplies, 
She breaks the little crusty bits 
Off rims of apple pies, 
She pokes the roast-potato-dish 
When Sunday dinner's done, 
And if there are two left in it 
Griselda snitches one; 
Cold chicken and cold cauliflower 
She pulls in little chunks— 
And when Cook calls: 
"What are you doing there?" 
Griselda bunks.

Griselda(Nathalie Merchant)

 



André, imbarazzato, l’avrebbe voluta guardare negli occhi, ma lei, ancora raggomitolata nel buio, sembrava essere scivolata in un altrove dove lui non sapeva come andarsela a cercare.

Se non altro gli aveva parlato. Parole durette - aveva ragione, eh. Ma gli aveva parlato.

Farsi sfiorare... no, quella era tutta un’altra storia... ma c’era tempo.

“Allora?” le chiese incoraggiante.

Quel pomeriggio il Generale l’aveva convocata, pesante come al solito. Ricordava lo schiaffo, lei, la sua peste, era caduta per lo scalone – era già successo altre volte, anzi, lui aveva pure pensato che anche quella volta, quei due, si sarebbero rinchiusi nello studio, per il solito finale senza lacrime à-la-Jarjayes.
Se avesse dovuto contare le volte in cui era stato frustato lui, in famiglia, dove i suoi ritenevano uno schiaffo una specie di valore, e le avesse sommate a quelle di tutti i suoi fratelli, per poi fare la media di un mese, come in un problema di quando era bambino, non sarebbe arrivato al numero medio di frustate di Casa Jarjayes – lo aveva scoperto anche lui  sulla sua pelle e non in senso metaforico.
Il Generale, evidentemente, dava molto valore alla punizione, più di quanto gliene desse suo padre.

Del resto un aristocratico vale di più di un contadino, è cosa nota - probabilmente ci voleva un maggior valore anche nelle piccole cose.

Ma il Generale, quel pomeriggio, era stato magnanimo con la peste – le aveva solo mostrato per benino cosa era un uomo. Un uomo con del potere.

“Ti ho fatto una domanda...” rispose Oscar incerta, “aspettavo la risposta”.

Per essere un Generale, il padre di Oscar, per André, a volte era un enigma: un buon capo, per quel poco che sapeva lui, un buon capo in una fattoria, a pascolare capre, o in una banda di ragazzini che giocano a choule o a shinty nel fango di un paese, fa alcune cose, molte in certi casi, poche in altri, ma una cosa di certo che un buon capo non fa è chiedere ad uno dei suoi di fare qualcosa che è al limite delle sue possibilità. A seguire, nella lista delle cose da non fare, c’è umiliare qualcuno dei suoi uomini o permettere che qualcuno lo faccia al posto suo o davanti ai suoi occhi.

Nell’esercito, quello dei nobili, rifletté André, evidentemente, le regole di un buon capo erano diverse.
Probabilmente, pensò, perché da una squadra di choule, uno se ne può sempre andare quando vuole e nessuno lo può fermare.

“Non parlo con qualcuno che non posso guardare negli occhi” le rispose brusco.

La madre di Oscar, come al solito, non si era vista in Casa Jarjayes; almeno quella sera avrebbe potuto esserci, pensò André irritato, cosa mai stava facendo a Versailles che non potesse essere interrotto per una dannatissima sera?
Avrebbe dovuto cenare con lei, raccontarle con garbo i pettegolezzi di Corte, o le ultime novità della moda, cercare un contatto in mezzo alla leggerezza delle chiacchiere, facendo finta che la sua peste fosse come una delle altre appena uscita dal convento, ragazzine spaesate e un po’ sciocchine... almeno per farle vedere cosa poteva essere una donna.
Perché anche una donna ha un potere.

“Devi vedere la reazione?”

“Anche...”

Danielle le aveva mandato un bigliettino – si erano visti, loro due, ma lei non avrebbe mai cenato con Oscar, quella sera, non per farle vedere cosa è una ragazza – Danielle in lacrime non era un bello spettacolo.

“Manipolare? Vedere se il colpo è andato a segno?” lo accusò lei con una vocina quieta.

“Pesare le parole? Non urtare una sensibilità senza volere?”

Le tese la mano sul tavolo, il palmo aperto, e aspettò pazientemente, come tante altre volte l’aveva aspettata.

Lui c’era quella sera.
A farle vedere cosa può essere un servo, pensò con sarcasmo. O un quasi amico.

Avrebbe dovuto chiudersi a chiave nella sua stanzetta prima che tutto iniziasse, rifletté amareggiato, cosa avrebbe potuto fare la sua peste, a quel punto? Abbattere la porta soffiando come il Lupo Cattivo?

Nella storia di stasera avevano giocato a turno quel ruolo da predatore – lei con un certo impaccio, il Lupo di Cappuccetto Rosso che aveva chiesto cortesemente alla sua vittima di lasciarsi divorare. O, stando alle sue pretese, di aiutarla – addirittura! - a farsi divorare, spiegandole per benino come fare visto che il lupo non era un lupo abbastanza pratico.

Lui aveva fatto il lupo, che difendeva il territorio dei suoi no, con una dose maggiore di cattiveria, lo ammise a malincuore: non era colpa di Oscar, se aveva dei pensieri della sua epoca, della sua classe sociale e della sua famiglia, e non era colpa di Oscar se stava cercando vie di fuga - molto stupide - ad un paio di  domande, che avevano solo due risposte. Si o No.

E, già che c’era, anche lui le aveva chiesto qualcosa quella sera, s’era unito anche lui alla Festa delle Richieste a Oscar.
Forse la sua domanda, una sola, era stata posta male, ma alla fine la domanda era sua ed era quella. Punto.
Non aveva desiderato formulargliene un’altra, simile, ma più gentile, intessuta di tenerezza e dell’arte del convincimento, la versione per un bambino sospettoso, che va convinto a tutti i costi a bere una medicina particolarmente amara. Per carità!
E nemmeno gliene aveva voluta fare una tutta annidata in quella zona d’ombra tra il fratello e l’amico un po’ più grande. Beh... fratello... gli venne da sorridere... fratello no.

E la sua risposta, una risposta spontanea, l’aveva avuta.  Pace.
Cose che capitano.
Cose che in fondo non cambiano nulla.
 

Avrebbe potuto chiudere la porta, far finta di non capire la sua domanda e andarsene, ma era una cosa che aveva già fatto e poi gli era spiaciuto.

Lui quella sera c’era. Disposto a seguirla per tutte quelle cretinate assurde che stava pensando, se questo era quello che lei pensava le servisse.
E basta.

“Basta cattiverie” mormorò lei, rispostando la sedia nella luce, i capelli biondi scarmigliati – li teneva più corti dei suoi, le arrivavano appena alle spalle. L’idea era di accentuare quello che di mascolino c’era in lei, o piuttosto di indefinito, in transizione verso la sua forma definitiva.
Lui si sentì stringere il cuore, l’aveva vista sconvolta quando aveva cercato di spiegarle le sue ragioni per il no.
Le chiese scusa e lei lo guardò sorpresa – non se l’aspettava.
Le spiegò quanto gli dispiaceva per averla ferita, perché era chiaro che lei c’era rimasta male, lui aveva solo cercato di spiegarle la sua posizione, senza rabbia, ma evidentemente non gli era venuto così bene...

Lei annuì, “La terza ipotesi?” chiese.

“Che te ne importa? E’ una ipotesi che io nemmeno prenderei in considerazione, fossi in te.”

“Perché? E’ solo in via ipotetica...” accidenti se era ostinata.

“Perché è disastrosa e lo dovresti sapere da sola, se fossi un pochino più sveglia. Senza chiederlo a me.”

“Che succede, secondo te, se mi dovesse piacere? Se ti dovesse piacere?” gli toccò il braccio e lo guardò seria, “è solo una ipotesi, una considerazione da fare solo in via del tutto ipotetica. Non è una richiesta, André. Non ti sto facendo richieste. Mai più.”

“Se ti dovesse piacere  - ma non credo, come potrebbe, Oscar? – quello che potrebbe succedere, dopo, dipenderebbe da come ti piace... come una mela o come dei lamponi?”

“Cioè?”

“Beh, una mela... la mangi e te ne basta solo una. Se capita di mangiarne due te ne ricordi, ma nessuno si fa una scorpacciata di mele di solito – una basta, una gradevole esperienza, buonissime le mele, ma... una alla volta, per carità. Il giorno in cui succede qualcosa per cui di mele ne mangi otto te lo ricordi: che cosa strana... quel pomeriggio ho mangiato otto mele, sai? Lo racconti pure in giro, se ti capita... diventa la Sera delle Otto Mele.”

Oscar sorrise divertita.

“I lamponi,“ riprese André scherzoso, “non sono necessariamente il cibo che preferiremmo, potendo scegliere – l’ultimo pasto dei un condannato, un pranzo per un ospite di riguardo, un naufrago su un‘ isola deserta... chiedi a tutti e tre e ognuno avrebbe la sua fantasia di cibo, da una torta alla crema chantilly, un pollo avvolto nel lardo e nel prosciutto crudo, del formaggio stagionato con del miele selvatico, non necessariamente la stessa per tutti... ma potendo scegliere il loro piatto preferito, non direbbero i lamponi.”

Lei arrossì imbarazzata e lui la guardò incuriosito, “Preferisci una torta tu, vero?” chiese lei inquisitoria.

“Non ha importanza cosa preferirei io, credimi. Chiedilo alla tua Delfina... cosa vorrebbe per un suo pranzo speciale... non credo direbbe dei lamponi.”

“I lamponi per te sono una porcheria, che non desidera nessuno, quindi?”

André la osservò perplesso, ma perché mai si stava offendendo per il suo parere sui frutti del bosco?

“Non penso che i lamponi siano la prima scelta di nessuno... come cibo ideale, intendo...”

“Addirittura!”

“Ma no Oscar, dai! Dei lamponi...”

“Meglio una torta con la crema chantilly eh! Tutta carica di zucchero! Tutta burrosa e dolce in modo stomachevole eh! Una enorme torta alla panna!”

“Ma cosa hai?”

“Niente niente, pensavo... al primo desiderio di un naufrago su un’isola deserta – io chiederei una nave che mi porti via di lì, non certo dello zucchero. E ringrazierei se su quello straccio di isola ci fosse anche solo una singola pianta con dei lamponi, tutti per me!”

André si mise a ridere, divertito, “I lamponi,” cerco di spiegare pacifico, prima di essere coinvolto in quella assurda guerra dei frutti del bosco, ”come certi altri tipi di frutta, è un cibo su cui non hai controllo, Oscar, tutto qua: nessuno che vede una ciotola di lamponi lì a sua disposizione, si accontenta di un lampone solo. Nessuno.
Se giri per il bosco e trovi una pianta carica di lamponi non ti accontenti di un paio di lamponi, là per là, ma spogli tutta la pianta, felice e soddisfatto. Affondi le mani, ti graffi e non ti importa, li prendi, ti godi il profumo, ti piace saggiarne la consistenza vellutata con le dita, con la lingua, godi del loro sapore...”

Oscar arrossì terribilmente imbarazzata sotto lo sguardo perplesso di André.

“Difficilmente aspetti di portarli fino in cucina... te li godi dove li hai trovati. E se in cucina c’è una ciotola di lamponi, lo sai, è già successo tante volte, proprio a questo tavolo, i lamponi, tu ed io, un libro da leggere a turno, i lamponi vengono divorati tutti, indipendentemente da quanti ce ne erano, se giusto qualcuno sul fondo, o la ciotola colma.
E dopo non ti si fissa nella memoria. Non stai a rimuginare su quanti lamponi hai mangiato proprio quella sera...”

“Una esperienza non particolarmente gradevole?” chiese sospettosa Oscar.

“Una esperienza che non ha niente di strano: è normale, normalissimo, che con i lamponi vada così, non li controlli e lo sai. Anche le ciliegie, sai cosa dice il detto popolare no? Una ciliegia tira l’altra... non lo si dice di una mela... una mela al giorno sembra pure troppa grazia, devi quasi spingere una persona a mangiare addirittura una mela al giorno, per motivi di salute – fa bene, mangiati la mela... non è come mangiati gli spinaci, ma... nessuno perde il controllo con le mele...”

Lei rise divertita.

“... ma ciliegie, fragole, un po’ tutti i frutti di bosco, ma i lamponi, in particolare, almeno per me è così... è normale esagerare. Non trovi i lamponi ad ogni passo, non sono molto disponibili, se li trovi, lì, tutti per te, non ti conviene perder tempo a pensare che magari potresti tornare il giorno dopo... non lo racconti in giro che nel bosco hai rovato dei lamponi maturi, perché altri se li prendano, ma per carità! I tuoi lamponi!
Per cui quando li hai a disposizione esageri. E nessuno conta mai quanti lamponi esattamente si è preso, quante volte... e nessuno va in giro a raccontare quanti lamponi ha divorato una certa sera. Nessuno.”

“Lo stesso si potrebbe dire dell’uva immagino...” replicò maliziosa Oscar.

“L’uva?” André era perplesso “ma si... in effetti... volendo ... anche l’uva è difficile da tenere sotto controllo...”

 Oscar aveva le lacrime e gli occhi e faceva fatica a trattenere una risata “André,” disse con voce strangolata, “io certe volte ti adoro!”

André la guardò perplesso, cosa aveva adesso la peste?

“Non puoi capire, è solo un pensiero mio... una cosa a cui pensavo prima... non te lo so spiegare” scosse la testa ridendo, “non te lo voglio proprio spiegare... non sarebbe possibile, ma guarda, non so bene cosa succederà in futuro, ma sono sicura che ... quando vorrò sentirmi riconciliata con la vita, penserò a te ed al tuo discorso sui lamponi e su quanto sono irresistibili...”

Si sporse verso di lui e lo baciò delicatamente su una guancia.

Lui alzò le spalle, qualunque cosa fosse quella che l’aveva divertita così tanto, per lui andava bene.

“E quindi André?”

“E quindi Oscar, in via del tutto ipotetica, che succede se per te non è come una mela?”

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Capitolo 16
*** Capitolo XV- Dove Oscar Capisce Perché Certe Domande Non Si Fanno ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film... e qualunque altra cosa.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: nel prossimo capitolo André le racconta una storia di paese.
Non manca molto alla fine. Scusate il ritardo e... buon divertimento!

 

 

Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

 

Capitolo XV
Dove Oscar capisce perché certe domande non si fanno

cercherai mi hanno sempre detto cercherai
e troverò ora che ti accarezzo troverò
ma quanta fantasia ci vuole per sentirsi in due
quando ognuno è da sempre nella sua solitudine
e regala il suo corpo 
ma non sa cosa chiedere

America - Gianna Nannini

Vedi cara è difficile spiegare

è difficile capire se non hai capito già.

Tu sei molto anche non sei abbastanza

e non vedi la distanza

che è fra i miei pensieri e i tuoi.

Tu sei tutto ma quel tutto è ancora poco

tu sei paga del tuo gioco

ed hai già quello che vuoi.

Io cerco ancora e così non spaventarti

quando senti allontanarmi

fugge il sogno io resto qua.

Vedi Cara - Guccini

   

Cosa succede se non è come una mela?

Lei arrossì imbarazzata; era questo, dunque, che lo preoccupava, nello scenario meno preoccupante!

Relativamente meno preoccupante perché quello che vedeva lei delusa, in lacrime  - ma quando mai? - e lui che si sentiva responsabile per lei - quello di sicuro - non era così preoccupante, decise tra sé, pratica: sarebbe sopravvissuta a qualcosa tra loro due che non veniva tanto bene… a un livido, a qualche lacrima… la sua era una lunga storia di sbucciature ed era ancora lì; sarebbe sopravvissuta benissimo, figuriamoci…


Non era tanto sicura sull’altro scenario, quello si spaventoso come un romanzo gotico, tipo quello di Walpole, che le ricordava la storia di sua madre, solo che Ippolita, incapace di avere figli maschi, alla fine s’era chiusa in convento, mentre sua madre a Versailles… anche se probabilmente la Contessa viveva a Corte come in un convento.

Spese per i vestiti a parte, s’intende.


Uno scenario che vedeva lui sparire per chissà dove – il mondo è grande, aveva detto… addirittura “il mondo”, il solito esagerato, uno che avrebbe attraversato il mare e cambiato paese solo per averla presa quando era lei che si offriva?  

Tutto per rispetto verso il Generale.

Rispetto… arricciò il naso, nemmeno il Generale fosse stato il padre di André, una figura mitica del mondo prima di lei, e non solo, semplicemente, il proprietario di questa Casa e di tutto quello che c’era dentro, inclusa, incidentalmente, lei.
E, a quanto pare, pure lui.

Uno scenario che vedeva lei, sbuffò spazientita, che alla fine dell'ultima riga del libro, restava lì, da sola, a rimirare i cocci di tutta la loro vita, titolo dell’ultimo capitolo: “Dove Oscar fa la domanda che non deve assolutamente fare ed André, incautamente, dice sì”.
Altro che lo schianto del Castello di Otranto, almeno lì il finale era gradevole, sentimentale – assurdamente sentimentale – ma gradevole.

Solo per questa possibilità, il discorso era diventato, per lei, puramente ipotetico.

 

Quindi, decise, osservandolo mentre aspettava la sua risposta – tranquillo, lui, magari già pensando al mare ed ai gabbiani – decise che lo preoccupava essere inseguito da lei, ragazzina golosa, disposta a sgattaiolare da lui per un cucchiaino di miele lì, una fettina di mela là, una manciatella di lamponi, un angolino di biscotto, tre cucchiaini di torta alla crema – stomachevole - dicendo sempre è l’ultima, ultimissima volta, lo giuro, non te lo chiedo mai più, questa è l’ultima sul serio, vedrai che non lo faccio ancora.
E invece no, un classico: da ragazzina golosa a donna golosa e lui da ragazzo a uomo. Mai libero, incatenato all’eterna schiavitù dei suoi capricci e del suo amore per i lamponi.

 

No, no, decise, questa cosa andava chiarita e subito.

 

“Io non lo farei mai, mai,” disse con voce ferma, “di costringerti o solo di chiederti una cosa che non vuoi sul serio.” Arrossì, “Lo so che io ti ho chiesto di… che ho chiesto. E c’erano motivi… sbagliati… hai ragione,” lo guardò cercando nei suoi occhi un po’ di comprensione, “ma non c’erano solo quelli, c’erano… altre cose,” scosse la testa, “cose mie, forse simboliche, non capiresti e non sono fatti tuoi” André sorrise divertito scuotendo la testa, “ma non c’erano stringhe attaccate, non c’erano obblighi per te. Nessun obbligo. Mai.” si guardò le mani sconsolata, “io non ti vorrei mai e poi mai vedere in obbligo con me. Costretto ad essere qualcosa che non vuoi, so quello che t’avevo chiesto, sbagliando,” cercò di nuovo i suoi occhi, “non capendo che per te non era così semplice, ma, in tutta onestà io volevo fosse chiaro che ti stavo chiedendo una cosa e nulla più oltre quella…” arrossì, certo che lei non era proprio lui, pensò indispettita, a lei i discorsi non venivano mai così… articolati come a lui, che sapeva sempre cosa doveva dire.

O taceva.

O la sommergeva di considerazioni, lenta marea di inarrestabile buonsenso.


E poi, per scrupolo - già che ci siamo chiariamo un po’ tutto – aggiunse: “Anche il fatto che tu lavori per il Generale, lo so che ti complica le cose, con me… che la lealtà non va a me, mai tutta a me, per forza di cose, e nemmeno l’obbedienza, e quella forse, anzi di sicuro, nemmeno la vorrei. Ma io non voglio, non so se lo capisci, io non voglio che tu lavori per me… anche se renderebbe più semplice ogni cosa…”

 

Lui le spostò una ciocca dietro le orecchie con molta delicatezza “Lo so, Oscar, lo so, questo lo avevo capito, non ti preoccupare…”

Lei sospirò.
 

“Ma, te lo ripeto che succede, nel caso?”

“Non te lo avrei mai chiesto dopo la prima volta, mai... avrei cercato di non metterti assolutamente in imbarazzo!”

“Ah si?”

“Sul serio, non ti avrei obbligato!”

“Ah si? e da quando?“ la prese in giro, accarezzandole una guancia con le nocche.

 

“Non lo so… da ora?” scherzò.

 

“Se qui in cucina tutte le sere ci fosse una ciotola di lamponi, che sai che ti piacciono, disponibili per te, solo per te, mai li vorresti assaggiare? Mai? Ci sono giorni che sono molto duri da portare fino in fondo sai? E uno può cercare una compensazione… anche se è la cosa sbagliata.”

 

“Sarei sobria” mormorò lei vergognandosi. Voleva la verità? Beh quella era, se quella era la strada di tutta una ridda di sé e di ma con cui non aveva confidenza, la destinazione era quella, inutile fare finta, inventarsi quella che non era: lei era una che in un pasticcio ci si ficcava sempre a testa bassa.

 

“Ah si?”

 

“Busserei,“ arrossì violentemente, senza il coraggio di continuare a guardarlo, “Ti assicuro che busserei. E non nella casa del Generale. Mai, nella Casa del Generale. Mai e poi mai! Mai, mai, mai.”

 

“Capisco, busseresti,“ le sorrise divertito, “una cosa saggia e anche molto educata… ma, poniamo il caso, in via del tutto ipotetica, sei d’accordo? se piacessero anche a me, questi… lamponi, io cosa dovrei fare? essere sobrio? aspettarti? O… potrei… bussare anche io?”

 

Lei lo guardò sorpresa “Non lo so, non ci ho mai pensato…” scosse le spalle, era una idea incredibile. Gentile lui a metterla sul piatto per compensare, lo capiva, tutto il suo imbarazzo, ma sarebbe stata una cosa così strana… lui che lo chiedeva proprio a lei, che non era nemmeno una vera ragazza… non come Danielle, di certo, di certo non come sua madre...mah!
“Non lo so, non vorrei essere scortese, diciamo che, in linea di massima, se fosse una cosa alla pari, allora sì, perché non lo dovresti chiedere? Per quello che mi riguarda puoi…  bussare.”

André trattenne una risata, poi le sorrise affettuosamente “…e io ti ringrazio per la cortesia… Certo che le quattro Messe settimanali di tuo padre, che crede all’Inferno in Cielo e sulla Terra, su di te sembrano essere passate come un fiume su una roccia…” scosse la testa divertito e poi riprese, giocherellando con i suoi capelli, “quando sarò un anziano signore, se mai lo sarò, ricorderò anche questa tra le cose quasi carine che mi disse una sera la piccola Oscar François de Jarjayes, all’epoca in cui era proprio la piccola Oscar…”

Lei annuì sconsolata – la classica frase in cui lui era soddisfatto e insoddisfatto di lei, di come era, con una sua visione di come avrebbe dovuto essere e che però non era, ma lei non ci poteva proprio fare niente. Lei non era acqua che la versi in un vaso e prende quella forma senza sforzo, e poi la travasi in un bicchiere e cambia ancora. Lei era sasso, che rimbalza sull’acqua, ma poi inevitabilmente affonda, prigioniero della sua forma e del suo peso.

 

“Però Oscar, scusa se te lo chiedo, abbiamo studiato quasi tutto insieme, ma questo mi pare che a me lo spiegò il guardiacaccia, a suo tempo, a te non lo so…” sorrise, gentile ed imperturbabile come sempre, “tutto questo bussare, secondo te… non ha nessuna conseguenza? Non ti chiedo uno sforzo di immaginazione su qualcosa di complicato, introspettivo, diciamo, che, lo capisco, adesso non è alla tua portata” Oscar lo guardò sospettosa, sentendosi relegata nel suo classico ruolo di animaletto insensibile, la sola, tra loro tre, che, come diceva il guardiacaccia, stringeva la mano alla bestia e non vedeva la differenza – mentre quelli buoni, quelli buoni, sospirò, loro sì...

“Ma," riprese André, con tono leggero, "andiamo sul pratico, tutto questo bussare… in via del tutto ipotetica, è chiaro, ma… bussando…  e ribussando… qualche porta si aprirà ogni tanto, immagino, prima o poi…”

Lei arrossì, sentendosi morire.

“E… beh Oscar, te l’hanno spiegato vero, come nascono i bambini?”

Lei chinò lo sguardo sbuffando.

“E, prima che mi rispondi, te la chiedo io una cosa, posso raccontarti una storia? Una storia di paese, che narra una storia vecchia, vecchissima, e che ogni tanto si ripete, non dovrebbe, ma succede, e che io vorrei che non si ripetesse mai con te? Mai. Come dici tu: mai, mai, mai… posso?”

 

Oscar si sentì a disagio, ma, rassegnata, annuì. Quando questa notte sarebbe finita, decise, prima di fare una domanda personale a qualcuno, ci avrebbe pensato le classiche sette volte sette.

 

E non avrebbe chiesto.

Mai, mai, mai.


Note 2: Ho aggiunto le citazioni pop, dopo averci pensato un pochino... volevo divertirmi, senza essere supponente.
Una è America di Gianna Nannini, che un po' c'entra con i cavoli a merenda, un po' è indirettamente la soluzione a cui André indirizzerebbe Oscar per tutti i suoi problemi (la solita raffinata, America è una specie di inno al sesso fai-da-te), un po' è che Oscarina qui è molto rock: può essere che la ragazza stia chiedendo una grandissima stupidaggine - poco ma sicuro - ma può essere pure che stia dicendo che le cose, per lei, adesso in questo preciso momento, per come è stata la sua storia fino a quel giorno, stanno in un certo modo, inutile razionalizzare o ricamarci sopra, per lei una scelta diversa, o prima o dopo, non ci sta, il punto d'arrivo, gira e rigira, per lei è quello.
A parte ciò, la canzone è stata scelta anche perché non è che "farlo con qualcuno" vuol dire essere effettivamente in due, e Oscar non pensa proprio che questa cosa la farebbero davvero in due - insomma, come al solito non capisce un cavolo. Ma se capisse non sarebbe lei. Non  a 15 anni.

L'altra è vecchia come il cucco di un autore di cui credo di conoscerne al massimo 3;
Vedi Cara di Guccini, canzone supponentissima di qualcuno che non si accontenta e che vorrebbe altro, ma se lei non lo capisce, non glielo puoi spiegare, nemmeno con tutta la pazienza di questo mondo.

Poi, vabbè, è una fanfic, eh!

 

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVI - A Volte E' Questione Di Dimensioni ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film... e qualunque altra cosa.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: capitolo alla Beautiful, polpettone da paura, con storie horror che stillano saggezza popolare.
Lo volevo smezzare: la prima metà avrebbe dovuto essere “parole di lui” + “parole di lei” + “pensieri di lei”, perché in questa storia Oscarina verbalizza molto poco cosa la angoscia e quindi appare anche un po’ scema nel confronto a due, se non addirittura (io temevo) antipatica.
Nella vita c’è chi pensa e c’è chi parla e anche chi non fa nessuna delle due cose sopracitate.

E i pensieri di lui? Ha avuto 3 o 4 capitoli solo di pensieri e ricordi suoi, coi suoi amici, con la Dama in Grigio... non si può lamentare e dei suoi pensieri se ne è avuto abbastanza. Avrà altro.

Perché non è stato smezzato? poi troppi capitoli! E l’argomento è uno, gira e rigira.

Come sempre: buon divertimento! Dopo questo di cose horror basta!

Da qui in giù è spoiler
Per il resto, a compensazione del silenzio che lo ha afflitto per 38 puntate, qui non si fa scrupolo di spiegare ad Oscar le cose che gli girano per la testa ed essendo una persona molto onesta, che non imbroglia quasi mai, dice quello che pensa e pensa quello che dice... lei coglie e non coglie il non detto – è figlia delle sue esperienze, pure lei, e loro due, certe cose dell’infanzia, non le hanno vissute allo stesso modo e si sente.
Che ci vogliamo fare?  Io scrivo fanfic, non risolvo problemi.

La seconda parte doveva essere la narrazione horror e granguignolesca.
Giuro che ho fatto i compiti, ho letto di metodi anticoncezionali, sterco di coccodrillo, fettine di limone, spugne imbevute di aceto, in Thérèse philosophe lo "scommettitore" è un grande fautore dell’interruptus, ma con finale masturbatorio (devo mettere il bollino rosso per la nota?) – non si capisce Thérèse a che stazione del percorso venga nel caso lasciata -  Casanova usava profilattici in lino, ma era roba “osé” e solo con le prostitute, le contadine allattavano...
E ho letto dei metodi abortivi,  soluzione più gettonata, pure di erbe rubate da giardini pubblici e  non più coltivate, di piombo che scurisce le gengive, metodi meccanici, e dello stiletto ritrovati nelle pelvi di scheletri di epoca gallo romana. Farò una nota? No, troppo sbattimento. E poi l’ho fatta qui: basta e avanza.

Ci sono dettagli? No. Usate la fantasia. André non c’era e non può riferire, chi c’era non parla; erano in tre e qualcosa è andato storto, come a volte capita. Chiamate Montalbano e chiedete a lui di indagare. 



 

 

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Capitolo XVI
A volte è questione di dimensioni

Mai quest'onda mai mi affonderà,
gli squali non mi avranno mai.
Mai quest'onda mai mi affonderà …
Sha la la la la Sha la la la la la,
un'altra volta un'altra onda.
Sha la la la la Sha la la la la la,
quanto resisterai?
Er Piotta (La Grande Onda)

 

E come ogni volta ad aspettare e fare mille file

Con il tuo numero in mano e su di te un primo piano

Come un bel film che purtroppo non guarderà nessuno.

Io non lo so chi sono e mi spaventa scoprirlo,

Guardo il mio volto allo specchio ma non saprei disegnarlo

Come ti parlo, parlo da sempre della mia stessa vita,

Non posso rifarlo e raccontarlo è una gran fatica.

Vorrei che fosse oggi, in un attimo già domani

Per reiniziare, per stravolgere tutti i miei piani,

Perché sarà migliore e io sarò migliore

Come un bel film che lascia tutti senza parole.
Tiziano Ferro (La Fine)

 

 André si inginocchiò davanti al camino, senza guardarla. Le fiamme erano basse, ma disegnavano comunque il suo profilo, riducendolo all’essenziale.
Oscar pensò distrattamente che lui era bello, davvero bello, nel modo degli animali sani, nel modo della lince rossa, quando se ne stava invisibile sul ramo, ogni muscolo funzionale alla sua vita predatoria, non come una statua. Lui era movimento.
Anche nella quiete.


E poi pensò che era buono, assurdamente buono, e che adesso non la stava guardando in faccia, non era lì a toccarla, perché lui la sfiorava sempre, come lei con la lince o il guardiacaccia coi suoi gatti: punta delle dita, palmo, nocche, ogni gesto un intero discorso diverso -  quella era la cosa che le sarebbe mancata di più, dopo. Ci aveva pensato tanto... scosse la testa.
Quella e non saper fare le fusa come la lince, per fargli capire che apprezzava, un brontolio sordo per la carezza brusca del no assolutamente no, il ron ron quieto per la carezza della sera – la giornata è finita, dormi bene, sogni d’oro, domani sono ancora qui, domani sei ancora qui.
Le persone parlano sempre tanto, ne dicono di cose... ma quello che non mente mai è il corpo.
Quando uno ti attacca capisci dove dagli occhi, dallo sbilanciarsi prima che scatti la molla dei muscoli. Una cosa da animali.
E sulle cose semplici, da animale, adesso, a lei non la batteva nessuno.

Sulle complicate aveva parecchio da lavorarci, lo sapeva.


Se lui non la toccava, allora, quella storia, scosse la testa indispettita, non era una di quelle che le sarebbero piaciute e non tanto per il contenuto morale, di sicuro un racconto dell’orrore come tutte le favole per i bambini – non lo fare! non andare nel bosco! non parlare con il lupo! non disobbedire a tuo padre!

Piuttosto perché, per una volta, lui non era per niente a suo agio nel suo ruolo di censore; si vedeva chiaramente dalla schiena contratta.

“Parliamo di una ragazza, questa volta, non di una ragazzina, e, in un certo senso, nemmeno di una donna, anche se... anche se... per certi versi, era già donna. Ma diciamo una ragazza, parliamo di quello che conta, di come ragionava.”

“Una bella ragazza?”

Andiamo un po’ al sodo, Grandier, ti interessava sul serio come ragionava? Ci dovevi risolvere un problema di geometria con quella?

“Eh si... una gran bella ragazza...”

“Ah.”

Cominciamo bene...

“Una allegra farfallina, tutta contenta della sua bellezza.”

Una di quelle che si fanno annusare, che dicono avvicinati perché mi puoi avere, ma poi, come una gatta d’estate, se ne passeggiano a coda dritta sul cornicione – non avvicinarti, non mi puoi avere - coi gatti maschi giù, nei cespugli, a miagolare insoddisfatti. Hai miagolato Grandier? Hai dovuto chiedere e chiedere? Lo sai allora che sapore ha una porta sbattuta in faccia?

“Una ragazza che sapeva molto bene di esserlo - scosse la testa amareggiato. Non come...” lo senti sospirare, “Una ragazza e basta. Questa ragazza una sera conosce un ragazzo.”

“Come?”

Questo lo vorrei proprio sapere... a quanto pare in questa casa, dove tutti mi osservano, uccellini che rifischiano fatti non loro al loro padrone, ne succedono di cose che io non vedo...dove è capitato? Al pozzo come Giacobbe? Hai incontrato Rachele e sei diventato lo schiavo di suo padre? E’ per quello che non ti puoi accontentare di Lia?
Perché non me ne sono accorta? Cosa stavo facendo? Se fosse successo a me, tu l’avresti subito saputo, lo so, me l’avresti letto in faccia.

“E’ importante?”

“Non lo so, dimmelo tu!”

Sì, Grandier, sentiamo un po’...

“E allora non è importante.”

E allora lo è stato e, giustamente, è tutto tuo e te lo tieni per te. Come farei pure io, del resto.

“Dammi una indicazione generale, non sono brava con il pensiero astratto,”  replicò lei asciutta. “è tutta la sera che me lo stai sbattendo in faccia.”

Non so se te ne sei accorto, Grandier, ma è tutta la sera che ti pulisci gli stivali sul mio orgoglio, con la scusa che mi vuoi molto bene, e io te lo lascio fare. Perché, incidentalmente, pure io a te ci tengo, anche se, forse, questo lo dici tu che sei buono, un po’ da stronza e un po’ da uomo. E un po’ da una troppo piccola.
Adesso un pochino mi sarei stufata.

“Diciamo che una sera si scelgono come complici e vanno insieme ad una festa...”

Oscar trattenne il fiato.

Non l’hai incontrata, ce l’hai portata... la conoscevi già quindi.

“Ma che ti importa? Diciamo che esiste un momento in cui si vedono davvero per la prima volta come un ragazzo ed una ragazza, il prima, cosa vedevano, non conta, quello che conta capita da un certo momento in poi. Cosa importa il prima? Ma dico...”

Oscar annuì guardando le sue spalle preoccupata “Vai avanti, che succede alla festa?”

Non l’hai portata a giocare a shinty e a bere birra, come un caro amico. Non l’hai solo guardata ballare con gli altri, immagino. Hai miagolato.

“Nulla”

“Bella storia. Densa di dettagli interessanti.”

Nulla? Ma per piacere... hai portato pure me a più di una festa e l’ho visto cosa succede nel buio, dove tutto si può dimenticare. L’hai reclamata come cosa tua? Un paio di birre per farti coraggio e poi? Un bacio appoggiati ad un albero? Quanto le stavi vicino? Le hai spostato di fretta i capelli per lasciarle un segno sul collo che dicesse a tutti che era cosa tua, o sei stato delicato?
Ma questa bellissima ragazza, caro il mio Grandier, non aveva padri o fratelli che tu rispettassi a tal punto da non potertela baciare senza poi sentirti in dovere di andartene in giro per sette anni, sette mesi, sette settimane e sette giorni, come nella migliore delle favole? A lei non hai chiesto tutti i suoi motivi? Per soppesarli e vedere se andavano sufficientemente bene per te? Non le hai chiesto di superare tre prove o risolvere tre indovinelli... no è?

“Non ti interessano i dettagli, quelli sono fatti di quel ragazzo, Oscar, se vuoi un giorno vai e glieli chiedi, ma resta da vedere prima a che titolo ritieni di poterglieli chiedere...” la voce era severa

“Va avanti.”

Hai ragione, te lo riconosco, a che titolo? Hai un vero talento per chiudere a chiave una porta.

“Quello che interessa te è che quei due bussavano alla stessa porta, pensando sempre che sarebbe stata l’ultima, ma poi diventava la penultima e poi la terzultima...”

“Era i suoi lamponi?”

 Non era quella che avresti scelto, se ci avessi pensato? Hai contato i baci e hai rimescolato i numeri e te li sei dimenticati per evitare l’invidia?

“No, lui non lo capiva, era tutto molto interessante, ma era... una mela. Una bellissima mela...”

Lo dici adesso che te ne vergogni? Che provi imbarazzo quando ci ripensi? O non ha mai contato?

“ E per lei?”

“Beh lei... sperimentava, una creatura piena di vita...”

Oscar strinse i pugni, sperimentava... come no? Si dice così adesso? A Corte li condanni se si lasciano e si riprendono senza conseguenze, perché sanno fare solo cose da animali, incapaci di fare di meglio... La farfallina invece sperimenta... Allegramente promiscua! Una che di sicuro non aveva bisogno che la incoraggiassero ad usare le mani, o le labbra...  o cheavesse bisogno di tempo capire se una cosa le piaceva e come accidenti mostrarlo... Per un attimo pensò di staccare un mestolo da uno dei ganci e colpirlo, per pareggiare quei quasi tre minuti su quella sedia in cui era stata il suo esperimento pedante, fatto solo per dimostrarle quello che non era.
Ma si sentiva troppo avvilita. Continuava  a fare un conto su quante creature piene di vita le era parso di incrociare, lei che non stava mai attenta a certi dettagli, e c’era un viso che continuava a venirle in mente.

“Sperimentava qua e là?”

Non può essere, lei non può essere. E’ arrabbiata quanto me, ma no, con lui sì, ah beh con lui sì, sarebbe perfetto, ma non... sperimenterebbe in giro. Non può, lei. Per lei sarebbe un disastro...

“Sperimentava. Punto. Non sei qui per giudicare una ragazza.”

Lei non la giudicherei mai, che ti credi tu? Se fosse lei... ma come potrei mettermi a giudicare? A giudicare cosa, che c’è solo una vita? E la sua io la so bene, come lei sa la mia. Lei, se è arrivata prima, può prendere tutto quello che le pare... è corretto così. Chi arriva prima prende.
Solo che avreste dovuto... se fosse lei... prima avreste dovuto, uno dei due almeno... era la prima cosa da dire. La sola.

“Comunque non è rilevante, quello che conta è che il ragazzo ad un certo punto la vede come una cosa possibile. Non una cosa impossibile, ma una possibile, chiede, forse potrebbe, ma poi... una sera a lui succede qualcosa... capisce una cosa... una cosa che non gli piace per niente, ma, certe volte le cose stanno come stanno ed è inutile combatterle e girarci troppo intorno. La storia tra  i due si chiude e restano... amici.”

“Una cosa possibile?” se almeno lo stesse guardando in faccia. “Ma non erano già...? La facevano alla pari quando volevano, era già possibile, mi pare. Anzi: se era già successo, era una cosa certa.”  

Ma cosa vorresti tu, Grandier, dalla vita? E cosa altro diavolo hai visto una sera? Che sera? Ma non stai mai tranquillo, tu?

“Non importa. Lascia perdere. Non capiresti. Non ora, sei troppo piccola. O troppo diversa da me, non lo so”

Piccola, me ne sono accorta stasera, io non credevo, sai? Mi vedevo già grande, e forte, battuta su tante cose, sconfitta in modo rovinoso, ma almeno su una, una sola, invincibile.
Diversa lo avresti dovuto sapere da te. Non è da ieri che mi conosci.

“Ma cosa c’è da capire?” chiese esasperata.

“Non sto parlando di una scopata, accidenti quella c’era ed andava davvero alla grande, credimi.
Sto parlando di amore, di progetti, soprattutto di quelli, sto parlando di un amore possibile. Un amore possibile, Oscar. Non le cretinate sulla luna e le stelle, una cosa concreta, fatta di progetti concreti. Alla pari.”

Allora non è lei, Ventosa ti ringrazio!
Non c’è spazio per i progetti personali in questa casa, io ci ho messo un po’ a capirlo... se tu, caro il mio Grandier, sei uno da progetti, un costruttore, lei per te sarebbe stata impossibile. Meglio così. Ve l’avrei perdonato, questo di sicuro, anzi te lo giuro che... ma ci avrei messo proprio tanto.

 “Un amore possibile, fatto di calli sulle mani, problemi da risolvere e tante cose noiose, una cosa talmente semplice, ma che per te è familiare come la vita sulla luna... lascia perdere per piacere... lascia perdere...”

Una cosa che non esiste. A me, per lo meno, non risulta affatto che una cosa così esista. Dove sarebbe mai?

E infatti io, una cosa impossibile, non te l’ho chiesta. Io non metto stringhe, te l’ho detto all’inizio, non faccio trappole, non scambio una cosa con un’altra.
Non tengo una lince chiusa in una legnaia, io, se non quando è strettamente necessario e solo per il suo bene. E me ne dispiace, sapessi quanto me ne dispiace... anche se è la prima cosa che cerco con lo sguardo ogni volta che vado nel bosco, anche se mi si spaccherebbe il cuore a non sentire il suo passo  - leggero eh! quasi non si nota - che mi segue nell’ombra.

”Quello che conta è che lei ad un certo punto vuole un uomo particolare, uno che non la vorrebbe, uno che pensava che lei non fosse abbastanza, non alla sua altezza da un punto di vista sociale. Gioca le sue carte come può, non ne ha molte da giocare, quindi gioca quella che conosce meglio.”

Lei rilassò le mani – non si era accorta di avere avuto i pugni chiusi per tutto il tempo. Va bene, ora inizia il racconto dell’orrore, sto zitta e ti ascolto. Direi che te lo devo.

“Perché vuole un uomo particolare? Perché non le basta il ragazzo? O è lui che non vuole più?” chiese inquisitiva, quasi antipatica.

“Lui non vorrebbe più, ma lei c’era prima, se avesse chiesto... c’era prima. Anche se non era stato il primo, non puoi prendere e poi lasciare così, come se nulla fosse. Ma per lei era un’altra questione.”

“Quale?”

“Questione di dimensioni.”Disse ridendo.

Oscar lo guardò allibita, spalancando gli occhi.

“Diciamo che alla fine lei non avrebbe avuto avventure, oro, sapienza... niente cose da favola. Il suo regno, andando al sodo, sarebbe stato in ogni caso una cucina, su cui comandare, girarci a piedi nudi, se voleva – meglio di no, non è prudente – soffiarci il naso a dei bambini, passarci la sera col suo uomo. Annoiarsi anche un po’, certe sere. E anche darsi un bel po’ da fare. Perché in una cucina, credimi, da fare ce n’è parecchio...”

“E quanto mai la voleva grande questa cucina?”

“Non grande come questa,” ribadì caustico, “ma più grande di quella che poteva offrirle il ragazzo.”

“Bella pretesa...”

“La guardi nel modo sbagliato...” scosse la testa amareggiato, ”era una ragazza, Oscar, non una principessa di una favola, ma una che lavava i piatti in un acquaio, immersa fino ai gomiti nell’acqua che scotta, con le mani che sarebbero diventate ruvide nel tempo, con una madre da aiutare, con un paio di fratelli attaccati alla gonna, una con poche scelte e poche possibilità, una che nella vita non avrebbe avuto nemmeno un centesimo delle cose materiali che puoi avere tu. Una che non sapeva né cosa fosse la cioccolata, né chi diavolo fosse Ronsard, per inciso... nemmeno lo avrebbe apprezzato, pure se era una con una stagione brevissima per la spensieratezza. E che la spensieratezza la coglieva. Era solo una ragazza.”

“E al ragazzo andava bene?”

André sospirò e si voltò a guardarla negli occhi “Il ragazzo, in un certo senso, era molto sollevato, che lei non lo volesse,” scosse la testa, “e, in un certo senso no. Perché era un ragazzo. Un ragazzo pure lui, Oscar. Non un uomo fatto. Solo un ragazzino. E le cose, potendo sceglierle, a quel ragazzo, piacevano possibili.”

Lei distolse lo sguardo, perplessa, “Che carta si è giocata?”

“Seduzione e un figlio. Di solito sono argomenti risolutivi, che escludono i forse.”

Oscar scosse la testa disgustata, “l’ha sposata quindi?”

“No, una donna che si concede senza vincoli non è di nessuno, e quindi, per molti, è come fosse di tutti.”

Lei arrossì, mordendosi le labbra “Anche secondo te?” chiese incerta.

“No, secondo me no, non si fanno figli come se fossimo alberi, un po’ di polline che se ne va in giro portato dal vento e nessuno sa che succederà. Tutti e due stanno lì e sanno bene cosa stanno facendo. Insieme. C’è sempre una responsabilità. Ed è insieme pure quella.”

“A quel ragazzo cosa importava?”

“Quel ragazzo si era resto conto che era stato molto fortunato perché non era stato particolarmente attento in quel suo... bussare. Un gran cretino. Un imbranato. Ed un grandissimo irresponsabile.
E ad un certo punto un ragazzo deve smettere di essere un ragazzo e diventare un uomo.”

“E quindi?”

“E quindi le disse che l’avrebbe aiutata col bambino, se il padre...”

“E quindi?” lo guardò irritata.

“Non era quello che voleva... te l’ho detto, voleva una cucina più grande.”

“Come finisce questa storia?”

“In dettaglio non lo so: doveva parlare con quello che la cucina più grande ce l’aveva, avevano appuntamento nella stalla del padre di lei, lui le aveva proposto una soluzione. Una soluzione possibile.” Tornò a non guardarla, attizzando il fuoco stizzito, ”So solo che la mattina dopo la trovarono in un lago di sangue, sola in quella stalla. Era molto chiaro che tipo di soluzione avevano cercato quei due, o forse tre, c’è sempre qualche donna che da una mano in questi casi, pensando di far bene – quando stavo nella capanna con Zietta la cosa che la gente cercava più spesso erano decotti abortivi, ma alcuni preferiscono metodi... meccanici. Solo una piccola percentuale va storta, per inciso, se vuoi una risposta onesta ad una obiezione che prima o poi mi farai. Perché me la farai, immagino. Tu sei tutta una obiezione.”

Oscar si passò una mano sul viso, contenta per una volta che lui non la stesse guardando.

 

“Sai,” riprese lui amaro, ”la cosa più triste, oltre allo spreco di una vita, è che ci furono chiacchiere, la gente non si fa mai i fatti suoi, da cui lui uscì indenne... ognuno di noi è un animale nel suo serraglio, non va bene cercare di sgattaiolare in quello di un altro – non si fa una cosa come cercarsi una cucina più grande, e nemmeno costringere un’altra in una cucina più piccola – credo che il motivo per tutto quell’odio sia stato quello alla  fine, aver osato pensare ad un’altra cucina... la beffa fu che non fu sepolta in terra consacrata, oh lo so che per te non conta, l’ho capito, non ci credi e non ti importa, ma non per tutti è così, ad alcuni importa e anche tanto... c’è un editto contro i suicidi, non so se lo sai, Stato e Chiesa uniti nella condanna... lei fu considerata tale – se l’era cercata -  e sepolta come un cane, sotto un albero.”

Si alzò e andò all’acquaio a lavarsi le mani, senza guardarla.

“La ragazza era una contadina, la sua famiglia pure, ed era parte di un feudo, in un certo senso. Il padrone del feudo avrebbe potuto... imporre... come puoi dire se uno ha desiderato morire, solo perché è morto in modo innaturale... che pensieri ha avuto in coscienza? fare un gesto, parlare, usare il buonsenso o il potere... ci son tanti modi... ma il padrone del feudo non era interessato. E anche questo è triste: quella famiglia, con il suo lavoro, contribuiva al benessere del padrone. Sia pure in piccola parte. Il padrone non paga tasse perché si suppone che amministri lui il benessere del suo feudo, dovrebbe pagarle per poi farsele ridare per spenderle per il benessere della sua proprietà? Assurdo non ti pare? Ma il padrone preferisce servire un altro padrone, cerca gloria di non so che tipo, piuttosto che accontentarsi di amministrare ciò che è suo, amministrare chi dipende da ciò che gli da ricchezza. Distribuire una pallida approssimazione della giustizia. Lavoro questo, che, per inciso, sarebbe, storicamente, un lavoro da donna.”

La guardò di sottecchi.

Lei lo osservò sorpresa.

“Ma anche la padrona, invece di amministrare il suo, preferisce servire un’altra padrona, come un valletto inutile. Avevano abdicato il loro potere, cedendolo nelle mani del “fermier general”, un contadino ripulito, che non sposerebbe mai una contadina, uno che amministra come gli pare e riferisce quando gli chiedono... Erano diventati servi che non comandano su nulla, se non quello su cose molto... piccole.” Si asciugò le mani, sempre senza guardarla, “ e spesso anche molto cattive.”

“Non c’era un figlio a cui chiedere?” chiese lei arrabbiata, “solo quei due c’erano?”

André sospirò, poi si voltò e le si avvicinò, le sfiorò gentilmente il braccio con le nocche, la guardò attentamente negli occhi, con tanta tenerezza... “Oscar,” le disse dolcemente, ”mi spiace dirtelo, ma tu in questa casa, tu, ora, oggi, sia chiaro che io ti parlo di oggi, domani cosa succede non lo so, tra qualche anno non lo so, forse, ripeto forse, potresti, ma ora, tu non conti proprio nulla, e nessuno... nessuno di quelli che ti vogliono bene ti chiederebbe niente, o ti coinvolgerebbe in niente, per poi godersi il solito spettacolo in prima fila, quello in cui ti si spiega per benino quale è il tuo posto. Come stamattina.”

Oscar abbassò lo sguardo avvilita.

“Tornando alle cose serie,” riprese André, bruscamente, ”io non voglio alzarmi una mattina per sellare un cavallo e trovare te in quello stesso modo. Mi puoi chiedere molte cose e ti accontenterei, ma questa non me la puoi chiedere.
Perché il problema con te è che se c’è una cretinata media da fare allora tu mi coinvolgi, mi coinvolgi sempre, anche se a me non interessa affatto e ne farei volentieri a meno. Ma quando il guaio è davvero grosso, quando l’aiuto ti serve davvero, allora tu chiudi porte e finestre. Tu non chiedi, credi che sia dipendere, o ricattare, imporre o non so che altro pensi in quella tua testolina che ti ritrovi, senza un Dio e senza compassione... tu quella famosa cosa “alla pari” a quel punto la getti via, e risolvi tutto da sola. E di come risolvi tu, io non mi fido affatto.”

 

 

Nota finale: ringrazio tanto chi ha commentato finora e ha avuto pazienza di seguire i vari capitoli, di questa storia un po’ stramba, che va un po’ per un strada tutta sua. E soprattutto questo che è molto lungo.
La scelta delle canzoni mi faceva sorridere. Una che ritiene che alla fine gli squali non l’avranno mai ed uno che vorrebbe essere una versione migliore di se stesso.


Se avete domande rispondo, ma mi pare abbastanza chiaro cosa pensa il Grandier a vari livelli, sulle storie d’amore possibili, su quelle impossibili, sulle ragazzine troppo piccole che non capiscono, sul ruolo che secondo lui lei dovrebbe giocare (e non giocherà), sul patto per cui è corretto non pagare tasse.
E si, lei fa una domanda che potrebbe suonare "cosa pensi di me?", ma lui non capisce cosa chiede lei (la domanda è veramente scema) e risponde ad un'altra Le dirà qualcos’altro nel prossimo capitolo.
Dovrebbe anche essere chiaro che anche se lei chiede una stupidaggine, non ritiene che ci siano altre cose che si possano onestamente chiedere. Fa la domanda sbagliata. E lui, si avrebbe potuto accontentarla “parzialmente”, ma è un Rigido, sotto sotto.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVII - A Volte Devi Lasciar Andare ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film... e qualunque altra cosa.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: sempre più triste. Quasi melodrammatico, anzi... grand guignol dove si macellano solo metaforici cuori... Scusate, ma questa storia è nata così.
Se ci sono domande non esitate – immagino revisionerò, ho fatto un po’ in fretta…
Non so se dire “divertitevi” alle solite 5, ma… divertivi! Non è così triste che fa piangere eh! Non esageriamo.


Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

 

Capitolo XVII 
A volte devi lasciar andare

Mi sento solo in mezzo alla gente
osservo tutto ma non tocco niente
mi sento strano e poco importante
quasi fossi trasparente e poi

resto fermo e non muovo niente
la sabbia scende molto lentamente
l'acqua è chiara e si vede il fondo
limpido finalmente

Ma no, non voglio essere solo,
non voglio essere solo,
non voglio essere solo mai.

Finardi (Le ragazze di Osaka)

Quello che sei per me
è inutile spiegarlo con parole
con le note proverò
cercando nuovi accordi e nuove scale

Dal silenzio delle cose non dette
al silenzio delle cose taciute
alle promesse regalate telepaticamente
risa mute
scegli il momento per non parlare
risparmia il fiato e lasciati capire
so che ti vorrei sapere
di più di quanto non so
che mi sapresti parlare
se solo se, solo se 
che mi sapresti ascoltare
se solo se...

99 Posse (Quello che…)

 

 

“Non deciderei mai così di una vita,” mormorò rattristata, gli occhi blu che cercavano quelli verdi di lui, lei seduta sulla sua solita sedia, lui, in piedi, davanti a lei in quella stanza sempre più buia.
“Mi conosci così poco?” Sussurrò, “non potrei. Di quello che faccio io, se posso, sono responsabile io.” Chiuse gli occhi, stanca, terribilmente stanca. “Non giudico le fabbricanti di angeli, ma io... proprio io… che decido di un'altra vita... non capisci? Non lo avrei mai fatto… di nascosto, poi! Quello mai.” Scosse la testa.

Si alzò incerta – aveva bisogno di bere qualcosa, di bagnarsi il viso.

André le accarezzò piano l’omero con le nocche delle dita, senza guardarla “Stasera tu scegli, vero?”

Lei annuì – non avrebbe mai voluto parlare di questo con lui, con nessuno forse, ma non con lui, le faceva troppo male.

“Una tua possibilità è fare il soldato tutta la vita, i soldati fanno questo, lo sai vero?” le sussurrò André paziente, continuando ad accarezzarla piano, “Se serve, un soldato decide di un’altra vita. Non è una cosa brutta, non è solo questo, c’è altro e forse è anche il modo più onesto, lo sai, vero? è facile esser buoni, se non ci si sporca mai le mani, ma… se scegli di fare il soldato, lo devi mettere in conto, che c’è almeno un caso in cui ti prenderesti una vita.”

Lei arrossì. Sfiorò il braccio di lui e lui la lasciò passare, appoggiarsi a sua volta all’acquaio e lavarsi il viso, silenziosa.

“Tutte le ore a prendere la mira e sparare – sei diventata molto brava, lo so – ma non sarà sempre ad un bersaglio. O a un animale. E come cacciatrice fai veramente schifo, lo sai vero?”

“Non è la stessa cosa. Ci sarebbe un motivo, nel caso, qualcosa in cui credo.” Sussurrò, indignata, appoggiandosi al muro, rabbrividendo per la sensazione della pietra gelida sulla schiena.

“No, un soldato, un ufficiale soprattutto, non ci deve mettere mai un motivo personale in quello che fa, deve seguire delle regole, senza rabbia, e deve onorare un giuramento, altrimenti è un assassino” adesso le stava di fronte, “o un traditore,“ la guardò interrogativo allungando le dita fino a sfiorarle la spalla,  “senza rabbia… io non so…” ma si interruppe, come se avesse detto qualcosa che non gli spettava.

Lei annuì piano rabbrividendo per il contrasto della pietra, col calore che sembravano emanare dalle mani di lui.

“Quella non era la sola possibilità, “ André ebbe un sorriso stanco, “non saresti la prima che ha un bambino di nascosto, ma sarebbe una cosa più grande di te, adesso. Lo capisci questo vero? Adesso saresti solo una ragazzina spaventata, dovresti spiegare a tuo padre perché devi sparire per un anno, non sapresti dove andare, cosa fare dopo, e altri prenderebbero tutte le decisioni per te.”

Lei corrugò la fronte, cercando di mettere a fuoco il sorriso di lui. Erano tutti e due fuori dal cerchio di luce del camino, e la notte era arrivata. Erano solo le loro voci, adesso, e il loro calore, come tante altre volte da bambini.

“La storia di Mosè è molto bella, sai?” delicatamente giocherellò con i suoi riccioli, lei chiuse gli occhi ”addormentare un bambino in un cesto e vederlo sparire lungo un fiume, per vederlo diventare un principe e poi vederlo tornare, come se in mezzo non fosse successo nulla…  ma non funziona così sai? Se lasci andare, lasci andare.”

Oscar chinò piano la testa verso la sua mano. Lui delicatamente risalì con le dita lungo il collo della ragazzina con gli occhi chiusi.

“Potrebbe essere un figlio molto amato di una coppia che ha aspettato tanto – non lo reclamerai, non potresti entrare in quella casa nemmeno in punta di piedi,” con le punta delle dita le sfiorò la guancia, “o potrebbe essere solo una paio di braccia in più in una casa di contadini, non le più amate, né le più coccolate…” con dolcezza le portò la solita ciocca ribelle dietro le orecchie ”prega di non vedere come si può ridurre un uomo, o una donna, se pensa di essere l’ultimo e non contare per nessuno – e tu non ci potresti fare niente, a che titolo, poi? potresti solo stare a guardare.“ Con le mani le circondò a coppa il viso accarezzandole  la guancia con il pollice “Vorresti passeggiare per le vie di Parigi e guardare le orfanelle con le loro mantelline o gli orfanelli che cantano in un coro, e chiederti quale di loro è o potrebbe essere, cercare un colore di capelli o un colore di occhi, un sorriso, una espressione che d’improvviso ti ricordi te o me? Vuoi davvero tenere in un cassetto una mezza medaglia come lo scontrino di un banco dei pegni per un tesoro che non potrai mai ritirare? Mai.”

Oscar coprì con la sua mano quella di André, incerta, accarezzandola piano. Era lei che aveva chiesto, lui la porta l’aveva chiusa così accuratamente, ma lei avevo chiesto di vedere comunque le sue carte.

“O diventare la patronessa di un orfanatrofio? curarne trenta, essere lì tutti i giorni, solo per poterne curare solo uno? Che ti farà un inchino impacciato senza sapere mai cosa dirti?  A disagio perché sei troppo bella, o troppo elegante, o solo troppo diversa… è questo che vuoi?”

“Ho cinque sorelle André,” lo guardò disperata, “chiederei aiuto a loro…”

 

“Te lo darebbero?”

 

“Io voglio sperare di sì”

 

“Te lo potrebbero dare? Perché sai… pure loro… non decidono un granché, temo…” scosse la testa amareggiato.

 

“Potrebbero” replicò lei decisa, “non crescerebbe… altrove, se mai, se…”.

 

“E mi taglieresti fuori? Perché anche in questo caso, mi stai chiedendo di stare sullo sfondo e accettare le tue decisioni, ammesso che siano le tue, senza poter scegliere nulla, lo sai questo, vero? Che può anche essere giusto” soggiunse amaro, “in fondo stiamo parlando solo di una serie di gradevolissime scopate, giusto? Perché questo è quello che mi hai chiesto, vero? Una scopata questa notte, che ti sei immaginata addirittura epica, ed un’ipoteca su un’intera stagione di lamponi.”

 

“André…” sospirò la ragazzina, contro la sua mano.

 

Lui continuò ad accarezzarle il viso “Lascia perdere, Oscar, lasciamo perdere… non capiresti. Diciamo solo che ho anche io i miei principi, cosa credi? Ci sono cose che non farei mai.

Non potrei mai passare accanto ad un figlio mio e pensare che me ne sono sbarazzato come di un carico inutile, dovesse anche andare a stare molto meglio.”

 

Oscar lo guardò addolorata, e lui proseguì “… e, se devo essere onesto, uno come me, un contadino, ed un servo, il suo focolare, fosse anche senza una donna, solo con… beh, uno come me lo mette su un po’ più in là, sai?” le sorrise divertito e un po’ imbarazzato, “non sono perfetto, sai? Ho anche io le mie paure…” ma lei continuava a fissarlo disperata.

 

“C’è anche un’altra possibilità più canonica” si staccò da lei bruscamente e torno ad avvicinarsi al camino,  mentre lei lo guardava allibita, “potresti sposarti, dopo, e una volta sposata, potresti avere tutti gli amanti che vuoi.”

 

Riattizzò il fuoco con gesti bruschi.  Oscar si strinse le braccia al petto, le mani, strette sulle sue stesse braccia, sentendo improvvisamente un gran freddo.


“Per voi nobili il matrimonio è come un mercato di cavalli, anche la tua Delfina, che sembravi invidiare tanto, alla fine è qui solo per una cosa, per essere montata, una bella puledrina di un'altra scuderia, acquistata a caro prezzo, un pezzetto di un patto più ampio, di un contratto più serio, di cui lei è solo un tassello. Però lei è comunque un tassello, è la puledrina da far montare dall'unico cavallo che abbiamo qui a disposizione. Forse non tanto sveglio come cavallo, ma non abbiamo di meglio.

Se non va in calore non vale la spesa.

Se non si fa montare, non vale la spesa.

Se non diventa gravida non vale la spesa.

Anzi, se non diventa gravida, non vale proprio niente, e la puoi restituire e far finta che non sia successo nulla.

Se non fa un bel puledrino non vale la spesa. Purtroppo a questo punto non la puoi più restituire. Non vorrei essere lei.
Ma tu ce l'hai in casa come è una donna che non è valsa la spesa. Lo sai.”

André sospirò e si appoggiò con le mani al bordo di pietra del camino, dandole le spalle, ombra buia stagliata contro il fuoco,  “E in questo vostro mercato di animali, dove ognuno compra e offre quello che diavolo vuole, ci sono caratteristiche del cavallo che si danno per scontate, e quello che un nobile vuole, a parte rari casi, è un cavallo mai montato.

Il puledro può fare quello che vuole, la puledra no.”

 

Stette in silenzio per quasi un minuto, poi riprese, con voce roca “Ascolta, se tu… se fosse una cosa che mi avessi chiesto in un altro momento, un altro tempo… tra, non lo so, tra anni, se poi tu... se volessi... altro... a nessuno importerebbe veramente, ti prenderebbe un uomo che forse capirebbe che a quindici anni, o da ragazzi, si fanno tante cretinate, ma adesso, alla tua età, ti darebbero solo ad un ragazzino, cresciuto come te, con tutte le idee che hai tu sull'onore e su cosa gli spetta di diritto per la famiglia in cui è nato, per il ruolo che è suo dalla nascita, uno che pensa, che sa, che sa, perché è così, non illudiamoci, le cose stanno così… sa di essere sopra tutti gli altri, te inclusa. Credi che capirebbe questa tua pazzia?

O ti darebbero a un uomo a cui interessa proprio solo quello: che la puledra non sia stata mai montata.”

 

Le si riavvicinò brusco, facendola sobbalzare “Me l'hai chiesto tu, quando ti sei seduta vicino al camino, con quella camicia incollata al tuo profilo… la Delfina è troppo giovane per essere montata?” la guardò in faccia “Può fare figli? sanguina ogni mese?” era volutamente volgare, "allora no, non è troppo giovane, per il suo ruolo non è troppo giovane.”

 

Lei lo guardò negli occhi, incerta “E io, invece… per te… sì?"

 

André annuì, poi, come ipnotizzato, tornò ad accarezzarle i capelli “Tu sai cosa mi stai chiedendo? Ci arrivi a vedere le conseguenze? Mi stai chiedendo di preoccuparmi di cosa tuo marito ti farebbe… lo stai chiedendo a me… proprio a me…” lei arrossì a disagio, “se fosse solo un ragazzo dovrei fare in modo che lo facciano continuamente bere il giorno delle tue nozze, perché non si accorga di cosa abbiamo combinato come due incoscienti? Devo organizzare la tua prima notte di nozze perché sia con uno completamente ubriaco? Una bestia… Mi stai chiedendo di farti questo? Pensaci bene Oscar, te ne prego…”

 

Lei si morse le labbra e abbassò lo sguardo.

“E comunque,“ riprese il giovane con voce roca “saresti una sposa fedele? Tutto questo disastro, solo per coprire la voglia di una notte? O scapperesti a… bussare stando bene attenta che ogni volta non si sappia, non ci si accorga… Non credi che lo saprebbe, che te la farebbe pagare, trattandoti come una…” distolse lo sguardo, imbarazzato, “E, dopo che ti sei fatta fottere ben bene da lui, verresti felice… felice?… a farti fottere anche da me?”

Tacque, continuando a sfiorarle la tempia con la punta delle dita, “Dopo un po’ cosa resterebbe di un caro folletto?”

Lei gli mise la mani sul petto, sentendo sotto i palmi la stoffa di fustagno, così familiare, e senza guardarlo mormorò “Vedi sempre la cosa peggiore, sempre… sempre… sempre…”

“No, Oscar, vedo le cose come stanno, c’è anche un’altra possibilità, sai?“

“Basta, ti prego… basta!”

“No, tu hai voluto vedere questa… serie di opzioni e tu ascolti fino in fondo.  Tu non hai sette vite come i gatti, e se insisti a non pensare, finirai per non averne nessuna!” le strinse la spalla facendole  male, ”sai che un anno fa, grosso modo, forse due, ero con Danielle? L’ho accompagnata ad un ballo, da Mirepoix, una complicata quadriglia piena di sultane e cineserie, pensata per i membri giovani della Corte. Ero lì come servitore sia chiaro, e l’ho riaccompagnata a casa…”

“E allora?”

“Allora lei doveva tornare presto, per cui abbiamo incrociato il marito della bella Stainville, che intanto ballava tutta soddisfatta, sai che ha un amante, vero?”

“Tutte le donne a Corte hanno un amante.” Lo guardò con aria di sfida – era vero, a nessuno importava niente della fedeltà, a nessuno.

“Si, ma la Stainville non si è scelta come amante un nobile. Se avesse avuto come amante un nobile, come quando era l’amante di Lauzun, non le sarebbe successo proprio niente… ma lei ha scelto Clairval, un attore de la Comédie Italienne, il figlio di un giardiniere… il figlio del giardiniere di un marchese “ sbuffò sarcastico, “un signor nessuno, non il figlio di un finanziere, con cui un nobile ad un certo punto deve per forza venire a patti,  nobiltà e denaro non viaggiano sempre in coppia, non di questi tempi, o di un borghese che magari può comprarsi un castello da un nobile, o una patente di piccola nobiltà, per ripulirsi e sperare che, se non lui, almeno i suoi figli non siano guardati dall’alto in basso, ma il figlio di un giardiniere, Oscar!”

Lei scosse le spalle, infastidita “e allora? La Stainville avrà dei bellissimi fiori…”

André le rispose amareggiato “Un figlio di giardiniere se la gioca con il nipote di una governante, tanto per esser chiari, Oscar, e non parlarmi dei fiori. Il risultato è che Stainville si è procurato una lettere de cachet, sai cosa una lettre de cachet, vero?”

Oscar annuì spaventata.

“Una lettere de cachet dovrebbe essere un mezzo che ha il Re e solo il Re per violare la legge degli uomini in nome di un bene superiore dello Stato, o per riparare ad un torto tecnico, ma, di fatto, il Re firma lettere de cachet in bianco, che vengono distribuite da Choiseul, basta pagare…” era arrabbiatissimo, Oscar se ne accorse. André stava ripensando ai discorsi tra lui, Michelon e Jacquot davanti alla Dama in Grigio sulle lettere de cachet, alla rabbia che faceva a tutti a tre, anche a Michelon il più realista tra loro. “Basta pagare, o conoscere la persona giusta e puoi spedire un uomo o una donna dove ti pare, senza processo e senza ragione. Sottrarli alla giustizia, se serve, se non vuoi che siano processati e condannati come meriterebbero in modo oggettivo, perché li consideri al di sopra della legge degli uomini comuni, o se preferisci, per punirli secondo un tuo capriccio, per avere infranto una regola non scritta.” Riprese fiato “Stainville non ha nemmeno dovuto pagare, sai? Choiseul è suo fratello… La Stainville è stata spedita a Nancy in un convento e la gente ha continuato a ballare, un aneddoto divertente da raccontare alla prossima cena. La padrona di casa si è solo lamentata per la quadriglia, perché adesso le coppie sarebbero state da rifare. Nessuno ha alzato un dito, né la sua famiglia, né i suoi parenti, né i suoi cosiddetti amici cortigiani… nemmeno il Re, che in fondo… è sua la firma in calce alla lettera sai? Non è mica quella del marito! eppure non è questo che è giustizia, non è per questo che si tollera che esistano le lettres de cachet. A Clairval, tanto per la cronaca, non è successo nulla. Non succederà nulla.
Tua sorella ha pianto disperata per tutto il rientro in carrozza…”

Oscar sobbalzò sorpresa, “perché?”

“Non per la Stainville, ma per… per se stessa, per la rabbia, per tante cose…” la guardò incerto “anche per te…”

Oscar distolse lo sguardo, “Ti prego…”

“Ascolta Oscar”, le risfiorò piano il volto, “non volevo arrivare a questi discorsi, mi sento a disagio, non so se lo capisci…“,  la guardò interrogativo, ma lei abbassò lo sguardo rattristata, “oltre a tutto questo disastro c’è un’altra cosa che dovresti  capire, non so se capirai… se capirai fino in fondo… ognuno sa che c’è qualcosa che considera veramente giusto per sé, il finale corretto, ma questo finale… Oscar certe storie… non si scrivono da soli, e uno deve accettare che il finale, se non lo scrivi da solo, può essere un po’ diverso da come l’avresti voluto” delicatamente le baciò una tempia,  come quando lei era bambina, “solo che ci vuole tempo per… accettarlo. Non ne sono orgoglioso, sai? Che non mi sia facile… Non è facile… non è facile lasciar andare via il finale perfetto, lo sai? Senza neanche pensare di avere qualcosa in cambio… ma è così che si fa, non c’è altro modo…”

Lei lo guardò perplessa.

Lui scosse la testa rattristato, poi la prese delicatamente per un braccio, “voglio farti vedere una cosa,” le disse in tono paziente, “la cosa che mi piace di più in questa cucina, quella che vorrei nella mia di cucina… il mio finale perfetto,  ma che mi serve… serve un po’ di tempo… per lasciarlo andare via…”

Dolcemente la sospinse verso lo stipite della porta d’ingresso della cucina.

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Capitolo 19
*** Capitolo XVIII - I Migliori Piani degli Uomini e dei Topi ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: Danielle da NinfeaBlu, Joséphine e il Duca da Pamina71, l’amore per il gossip di Nonnina da Amantea, il vestito di Oscar a 10 anni da un quadro che rappresenta un figlio illegittimo di Caterina II (saluti indiretti a queenjane)
Chi vuole, copincolla il link sul browser

 http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Bobrinsky_(variation).jpg.

E’ lungo, e ho spostato a dopo i discorsi: siccome questo è un capitolo di Oscar, parlano poco, lei pensa tanto (le farà male la testa, poverina) un po’ si intendono, un po’ no, lei quel che pensa lo tiene tutto per sé, come quasi sempre, capisce più di quel crede, ma meno di quello che le serve, se ci sono domande chiedete.

Lo avrei tagliato a metà, ma non c’era un punto in cui avesse senso interrompere. Ho tolto delle cose e le ho rimesse pensandoci e ripensandoci, poi, vabbé, è una fanfic, non esageriamo!

Quindi è un po’ lungo, fate con calma e divertitevi!

Ché siamo agli sgoccioli (oltre questo, ancora un capitolo ed un epilogo).


Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

 

Capitolo XVIII
I migliori piani degli uomini e dei topi

ed io che sto provando le cose che provavo ieri

non ho capito ancora

se è gelosia o se sono prigioniero

di questo cielo nero e di un ricordo che fa male

e se continuo a bere i miei liquori inquinati

è vero che quei giorni non li ho dimenticati

Ivan Graziani (Agnese)

Ah, ragazza, tu sei bella
ogni giorno di più
non farti prender dalla sonnolenza
C’interessa o no, questa conferenza
che tanto il tempo passa
anche sotto ai sofà

Paolo Conte (Fuga all’inglese)

 

 

Pensò per un momento che volesse portarla fuori da lì, a farla inghiottire dal buio delle scale, liberandosi di lei, definitivamente. Se lo sarebbe meritato?

André, invece, la guidò, senza fretta, fino alla porticina della  dispensa grande, quella di cui solo Nonnina e la cuoca avevano la chiave.
Le strinse piano il gomito per farla fermare – la stessa delicatezza che aveva con Alexander, pensò irritata  - a due palmi dello stipite, poi sempre tenendola per il gomito, con l’altro braccio sfiorò il legno, circondandola.
Il bagliore del fuoco arrivava fin lì, come un’onda nervosa, svelando e velando i dettagli ma lei sapeva benissimo cosa loro due stavano guardando: una serie di tacche che, secondo Nonnina, rovinavano il legno scuro dello stipite.

“Le Tacche della Discordia.” Sussurrò Oscar.

Lui rise, appoggiando il palmo della mano sul legno  - aveva delle belle mani, notò lei distrattamente, dita lunghe e delicate.

Sorrise.

Lentamente la ragazza scese ad accoccolarsi sui talloni,  fino a trovare la prima tacca – sapeva benissimo dov’era.
Ricordava il giorno in cui lui l’aveva incisa - era un po’ che lui era arrivato da loro, avevano già litigato almeno un paio di volte, lei aveva eretto il suo muro del silenzio, dopo, spesso come quello di un castello medievale, ma a lui sembrava non dare alcun fastidio.
Era già venuto a cercarsela almeno una volta in uno dei suoi posti segreti, imperturbabile davanti alle sue risposte sgarbate – che sciocca, che imperdonabile sciocca spinosa - avevano anche già dormito insieme almeno un paio di volte, lei appoggiata all’incavo della sua spalla, il braccio di lui che, nel sonno, senza volere, la circondava possessivo, come se lei fosse stata cosa sua, e non il contrario, semmai – la prima volta, non c’era abituata, s’era sentita timida e scontrosa - strano poi trovarlo normale quell’incastro, anche il riuscire a dirgli così mi dai fastidio, petulante per altro, e sentirlo ridere e spostarsi o sentirsi allontanare da lui con gesti decisi – fa caldo - e sapere che nessuno si sarebbe offeso.

Poi, crescendo, le cose erano cambiate, ma, in fondo, la confidenza, era rimasta.

Sentì la mano di lui accarezzarle piano i capelli e di nuovo sorrise.

Eppure la prima sera, la prima volta insieme nel letto a dormire - e l’aveva chiesto lei, tutta un’idea sua, se lo ricordava bene, per via del temporale - era stato difficile, non le era riuscito per un bel po’ di prender sonno, attenta al respiro regolare di lui – così tranquillo - su cui lei, bambina ostinata, non voleva assolutamente regolare il suo, cercava di respirare ad un altro ritmo, recalcitrante, annusava, riconoscendolo come altro, l’odore del suo sapone sulla pelle, minacciata da tutta quella sua quieta estraneità che non voleva saperne di starsene fuori dai piedi.

Alla mattina di una notte tranquilla, lui le aveva detto vieni, voglio vedere quanto sei alta.
Non ce li hai gli occhi? Non mi vedi?
Fin troppo, credimi, fin troppo, sei sempre tra i piedi.

Erano scesi in cucina, lui l’aveva trascinata verso la porticina della dispensa – non era stato poi troppo garbato - aveva segnato l’altezza con il coltellino, proprio lì sul legno, attento a misurare – stai dritta, no, non così la testa, ma sta un po’ ferma, ecco! - Nonnina si era tanto arrabbiata - per una volta non era stata colpa sua aveva pensato lei con sollievo e subito dopo s’era vergognata: era suo, André l’avevano preso per lei, come si permetteva Nonnina?

Che insopportabile peste pronta a marcare il suo territorio, pensò in prospettiva.
 

Piano sfiorò la mano di lui che la sfiorava, sperando che stesse ricordando insieme a lei e che ricordasse tutto, non solo la bambina petulante e le urla di Nonnina.

Quante storie erano nate per un graffio su  legno vecchio come il cucco! Un graffio su legno che ad un certo punto sarebbe stato suo.

Era un uso da contadini, aveva detto sdegnata Nonnina, e questa era una casa di nobili, e lui aveva detto calmo che lui quello era, un figlio di contadini, lo sapevano tutti.

Era vero per altro. Che lo era e che si sapeva.

Lei lo sapeva, per lo meno, non era un segreto - André aveva gli occhi verdi, i capelli neri, era figlio di contadini, sapeva i nomi delle costellazioni, era quasi sempre gentile (più con sua sorella, però, che con lei, anzi più con Joséphine, poi Danielle e poi lei, a cui stava stretto questo ruolo di terza classificata). Una cosa tra tante.
Una di quelle, come il colore degli occhi, che erano prendere così e basta, bella a suo modo, se il modo ti piaceva, ma che tanto, se il modo non ti fosse piaciuto, non si poteva cambiare – non valeva la pena di spendere tempo a pensarci.

Per un attimo tornò nel presente, alla Stainville disperata, che lui le aveva sbattuto in faccia in mezzo a così tanto non detto che era impossibile capire; era stata sposata a quindici anni ad uno di quaranta, poi si era innamorata di Lauzun, fidanzato ad una di dodici – lui aveva puntato i piedi per rimandare il matrimonio il più possibile, glielo aveva raccontato Danielle, topolino biondo di Versailles con occhi e orecchie dappertutto, scandalizzata. Un soldato che batte i piedi come una bambina!

“Io c’ero,” disse Oscar, rompendo il silenzio, timida. “Io ero presente al matrimonio di Lauzun, a l’Hotel de Luxembourg – la sposa era la nipote del Maresciallo.” Che stupida, non avrebbe mai capito come era arrivata a Lauzun da quella tacca.

Lui affondò la mano nei suoi capelli. Quasi possessivo, le pareva.
 

Nozze fastose, si ricordò Oscar, dove pure i nobili come i Jarjayes, blu, ma non così blu, erano stati invitati: nobili di nascita, ma, soprattutto, soldati, in un’epoca in cui tra nobiltà e mestiere delle armi si stava creando una cesura.
Lei aveva poco più di 10 anni all’epoca, un vestito verde che riluceva senza esagerare, ricami argentati sui bordi, semplici, una linea ondulata e le stelle stilizzate, che si alternavano ai bottoni d’argento, le maniche, enormi, rivoltate, lo spadino al fianco.  Niente parrucchino – il Generale era contrario a quest’uso per i bambini che dovevano condurre una vita attiva, lo tollerava a malapena per sé. E per fortuna, pensò divertita.
Quella volta lui non c’era.
Ma era già tanto se c’erano loro.

Lentamente si alzò in piedi, sfiorandolo, mentre lui smetteva di accarezzarla.

“Eri vestita di verde,” mormorò divertito, “molto infastidita da tutti quei pizzi sulle maniche e al collo.”

“Quella camicia,“  brontolò esasperata. Impercettibilmente si spostò all’indietro verso di lui.

C’era Danielle, a quel giro un pochino più bassa di lei, vestita da bambina, con i capelli acconciati bassi,  bionda come lei, con un corpetto da allacciare davanti (che cosa strana), ornato da una fila di fiocchetti azzurri, come la Pompadour in un vecchio quadro di Boucher, solo che la Marchesa li portava rosa.
Il resto del vestito no, per fortuna, era molto più sobrio – la Contessa non avrebbe permesso, ma pure lei Danielle, non aveva chiesto, non le importava di un vestito sfarzoso, la sola cosa a cui teneva erano i suoi fiocchetti, li aveva voluti apposta, come quelli di tanto tempo prima, quelli che portava quella dama scandalosa, quella che tutti a Corte adoravano odiare - era l’eroina di sua sorella, se lo ricordava bene.

“Ti ricordi tutti quei nastri di Danielle? Sul corpetto?”

Sentì la mano di lui poggiarsi sulla sua spalla e accarezzarla piano, immerso nei ricordi come lei, sperò tanto.

“Ricordo il disappunto di tuo padre: non ha mai accettato la Pompadour a Versaillles, eppure era lì come semplice amante del Re.
Aveva tutto il denaro dei Pâris alle spalle, la protezione di Tournehem, che era un uomo onesto, un brevetto di nobiltà dono del Re... ed era anche una donna molto capace. E, soprattutto, devota al Re. Ma non era nata nobile.”

Oscar annuì – da piccola sapeva della questione ben più di quanto le sarebbe interessato sapere.

C’era anche Joséphine, con un vestito a fiori, autenticamente elegante, che le trattava da bambine - fosse poi stata così più vecchia di loro! – non si ricordava se già sapeva di essere stata fidanzata con il Duca, o se il Generale non glielo aveva ancora fatto sapere.

“Ti ricordi come era bella Joséphine?”

“E’ molto bella anche adesso.” Le rispose severo, la mano che smetteva di sfiorarla, ferma sulla spalla, appena contratta.

“Non viene più qui molto spesso, ultimamente.”

“Vai tu da lei e chiedile.”

“Cosa?”

“Tu chiedi…” rispose André asciutto, “se ha qualcosa di dire, te la dirà. Potrebbe interessarti.”


Lauzun, lo sposo, un bel ragazzo, aveva diciassette anni, Amélie de Boufflers, la sposa, ne aveva quattordici – Joséphine era incantata dalla bellezza di lei, dalla sua dolcezza e dalla sua timidezza, la sposina perfetta, immaginandosi già in quel ruolo di timida innamorata, nel giorno in cui sarebbe stata lei al centro della festa, con il Generale orgoglioso, le dame tutte intorno a lei a dirle come era fortunata e quanto era bella.
Danielle era stata scettica, invece, è spaventata la Boufflers, si ricordava di averle sentito dire. Non durerà. Per lui l’onore sta nel numero di femmine che riesce a radere al suolo, non in cose da soldato. La lascerà, annoiato, in qualche castello in campagna con qualche bambino.
Danielle stava troppo coi grandi.

Nessuna di quelle persone, che lei sapesse, si amava più – avrebbe dovuto chiedere a Danielle per i dettagli, ma ne era sicura.

Nessuna di quelle persone, che aveva battuto i piedi e pianto e quei due così belli, che avevano pure fatto un giuramento in pompa magna davanti a tutti, mica una frase in privato buttata lì e mai finita, loro no, davanti a vecchi e bambini che non capivano, se l’erano detto, con la Stainville che li guardava e a cui non importava più. Nessuna di quelle persone si amava più. Nessuna.

Le venne un brivido e lui la strinse piano. Gliene fu grata.

La Stainville dopo Lauzun era stata anche l’amante di suo cognato – lei non avrebbe dovuto saperlo, non le interessava, ma Danielle glielo aveva raccontato, proprio in quella cucina, rattristata.
Suo cognato… quello, a quanto pare, che aveva procurato la lettre de cachet al fratello senza batter ciglio. Nemmeno Choiseul amava la Stainville, di tutto quell’amore di poco tempo prima, non ne era rimasto nemmeno quanto bastava per farlo restare neutrale in quella faccenda di lettere.

La Stainville s’era fatta radere al suolo, come una città vinta dopo un assedio. O forse due assedi e qualche battaglia persa.

Un ciocco di legno scoppiettò nel camino, sorprendendoli, lui sobbalzò e lei si appoggiò, più comoda, contro di lui, cercandone il calore.

Chissà se a Clairval era davvero importato quando l’avevano portata via, o se c’era stato un sospiro di sollievo per essersi liberato da una donna a cui non poteva dire mai di no, una che lo comandava alla fine, e che lui non poteva comandare, una ostinata e perdente.

André l’abbracciò piano, la mano poggiata sul suo fianco. Lei gli accarezzò le dita, distratta.

E Danielle? Danielle in lacrime in una carrozza, che non le aveva detto proprio niente – poi il pettegolezzo era filtrato ovunque, arrivando perfino a lei, ma André e Danielle, che erano lì, che avevano visto tutto, che avrebbero potuto tenere banco lì in cucina, con Nonnina, a cui le storie degli altri piacevano, non lo avrebbe ammesso mai, ma le piacevano, eccome se le  piacevano – e nemmeno nel salottino della Contessa... in tutto quel tempo quei due non ne avevano parlato.

Con lei. Non ne avevano parlato con lei.

Ma tra di loro... ah tra di loro... quella era tutta un’altra faccenda.

Sua sorella. Tra un po’ pure lei... non ci voleva pensare!

Scosse le spalle irritate, lui incerto aumentò la stretta, per tenerla ferma, la mano che le accarezzava distratta il fianco.

Per lei era stato strano con le sorelle: tutte sparivano in convento, per riapparire alle feste comandate, sempre più dritte con la schiena, gesti sempre più eleganti al tavolo dei bambini, poi tornavano, sembrava definitivamente, ma era tutta una finta, lì per loro non c’era nulla di definitivo.
Timide, riservate, un po’ sciocche, forse, non capivano quando lei parlava di Esopo, confondevano i nomi greci e latini degli Dei – come era mai possibile – l’elenco dei sette re di Roma, estraneo come l’elenco degli ultimi sette re di Francia – eppure sapevano il nome di almeno sette sarte e di sette tipi di ricamo... non era questione di memoria.
La facevano sempre sentire come un numero primo, che non si può dividere con nessuno se non con se stessa, per fortuna che c’era l’Abbé, che non le faceva sconti, ma almeno la vedeva – che strano poi con André, dopo, scoprire che potevano leggere lo stesso libro, ma non cogliere le stesse cose.
A quanto pareva lui l’aveva moltiplicata.

Scosse la testa.

Piano gli accarezzò il braccio, fino all’omero, per ringraziarlo di qualunque cosa fosse quella che aveva fatto per lei. Divertita lo sentì rabbrividire sotto le sue dita e la stoffa – leggera- della camicia; con curiosità ripeté lo stesso gesto, più piano, concentrandosi sulle reazioni di lui – André non mente mai, pensò, e nemmeno la sua pelle.
André non scappare, ti prego.

Le sue sorelle si fidanzavano – grande annuncio, grande festa, buoni dolci -  tanto parlare di denaro, comprate e vendute un tanto a libbra, lo capiva bene ora, allora le sembrava normale, come scrivere con la destra o scambiarsi doni a Natale, è così che si fa, loro perfino eccitate all’idea - mentre lei non capiva se era più un complimento andare via di casa con una grossa dote o con una un po’ più piccolina – suo padre sarebbe stato più contento, lo sapevano tutte, la Contessa con Danielle a Versailles era una emorragia costante di denaro, vivere a Versailles rintanati come topolini, con quell’odore poi – che schifo pensò arricciando il naso - costava assai caro, le doti lo stesso, somme enormi che dovevano accompagnare la ragazza, per far capire al mondo in cui si sarebbe mossa, che lei valeva.
Somme che potevano rovinare una casa – perfino la legge cercava di mettere un tetto a questo scambio di doni nuziali.
Case che, se non avevano maschi da sposare con ragazze con dote, per pareggiare i conti, alla lunga rischiavano la rovina.
Case che dovevano compensare con cariche e favori da cui rigrattar via piano piano il denaro fluito via, mantenendo la faccia.
 
Il Generale, generoso a modo suo con le figlie – questo glielo doveva - non ne aveva rinchiusa neanche una in convento. E avrebbe potuto.  Nessuno si sarebbe scandalizzato, con tutte quelle femmine da piazzare, nessuna che avesse avuto la decenza di morire bambina, nessuna che avesse sentito una vocazione... Ma le Jarjayes erano tutte molto belle – valeva la pena sposarle, la bellezza una specie di detrazione da scontare sulla dote, fortuna che nessuna di loro aveva preso il vaiolo di piccola.

C’era più dignità se la dote era da pagare tutta in una volta o in più rate? o il vero complimento era sapere quanto avrebbero potuto spendere, in autonomia, dalla merciaia, scritto lì sul contratto, nero su bianco - o la cifra tutta per loro per quando - e se - fossero rimaste vedove? Addirittura cosa la famiglia avrebbe ereditato, in un caso, forse Orthense, va a sapere, se la sorella fosse morta. Il Generale di sicuro avrebbe saputo dire, le aveva piazzate tutte secondo i suoi gusti.

Un gioco dalle regole complicate, da cui era proprio difficile per lei capire se Orthénse valeva più di Joséphine – lei a Joséphine, coi suoi vestiti a fiorellini e i modi un po’ da mammina, ci teneva molto di più che ad altre, per esempio, quello era facile da definire, ma a guardare un matrimonio non capiva chi  era più amata.

E poi da chi era più amata?

Dal Generale, che tramite il loro notaio tirava su col prezzo gira e rigira, o pagava senza batter ciglio, sondava opinioni – tutti matrimoni pianificati per anni, non sullo spunto del momento. Le amava il Generale quando stabiliva il prezzo che era disposto a pagare?
O le amava la famiglia che le voleva e incassava il denaro e la sposa – l’uomo a volte, ma, il più delle volte, lo sposo, anche lui, veniva solo avvisato a cose ormai stabilite. Qualcuno aveva battuto i piedi e pregato di non avere una di loro, no padre, non quella, non proprio quella? Non lo avrebbe mai saputo, pensò irritata.

Sentì che André l’attirava impercettibilmente contro di sé e lo lasciò fare, tranquilla.


Tutta teoria, in ogni caso, per lei, perché lei da tutto questo era fuori. Un pour parler e nulla più. Lei non si sarebbe sposata mai, nessuno l’avrebbe pesata e avrebbe detto il suo prezzo.


Loro invece, le altre, il loro prezzo lo sapevano, e credevano di sapere il loro valore, ne parlavano tutte eccitate durante il fidanzamento, contando i giorni alla tavola dei bambini, dove non sarebbero più tornate - e lei se l’era chiesto, se l’era proprio chiesto, se tutto il suo Virgilio valeva davvero qualcosa, all’atto pratico, o se non sarebbe stato molto più pratico conoscere il nome dei ricami e il proprio valore a libbra. Che diavolo di libbra poi? Avrebbe dovuto chiedere a Shylock, che di certo lo sapeva. Uno che aveva reclamato una libbra di carne che gli spettava - lo sapeva bene chi aveva fatto il patto - e s’erano sdegnati tutti. Che ipocriti. E poi la famiglia s’era mercanteggiata tutte le libbre di Joséphine e quella… pure soddisfatta!

Sospirò e guardò lui che accarezzava le tacche. Le accarezzava... addirittura? Se lo ricordava anche lui il giorno della prima tacca?

Con dolcezza ricoprì con la mano il braccio che la cingeva – com’era successo che adesso erano abbracciati? - senza fretta, scivolando fino al polso.

Nessuno aveva voluto vedere la storia dell’altezza delle sue sorelle incisa per sempre nella cucina.

Lei era stata la prima.

Era così importante sapere che in quel dato giorno – André aveva inciso la data, numeri romani, come sul frontone di una chiesa - lei era stata solo alta fin lì?

Lui aveva detto, si certo, stupito, è importante, non te lo vuoi ricordare? così lei aveva misurato l’altezza di lui – allora voglio seguire anche la tua, lui s’era stretto nelle spalle, come vuoi – poi lui le aveva raccontato come erano quelle dei suoi fratelli, dell’orgoglio di sua madre nel vederli crescere alti e forti, del gesto bonario di suo padre, quando li misurava, serio, e poi la mano passata nei capelli – quanto l’aveva infastidita pensare che era stato tutto un caso, un evento un pochino diverso, un inverno meno freddo, una decisione diversa di lui, e tutto questo non ci sarebbe stato. Le sue tacche in un’altra cucina. Nessuna tacca per lei sullo stipite – Nonnina forse più soddisfatta, va bene, ma lei? - s’era così spaventata – no il Caso non lo poteva accettare. Lui non aveva capito, cosa c’è, che ti succede, che ti è preso ora, dai vieni qui, sta’ tranquilla.

Rabbrividì.  Lui l’attirò un po’ di più tra le braccia per tranquillizzarla. Da bambina l’aveva abbracciata stretta, preoccupato. Irritata gli si incollò tra le braccia.

Una bambina spaventata dal Caso.

Più in là c’erano pure le tacche di Danielle. Le accarezzò, delicata e stupita di esserlo.
Aveva voluto lei, Oscar, incidere l’altezza di sua sorella, come un rito, compreso i capelli da scompigliare, con André che rideva e sua sorella vezzosa, come sempre, che faceva la difficile, che andava convinta a questo strano gioco, ma in realtà, lo sapeva lei, sua sorella friggeva, avrebbe vibrato come una prosaica frittella nell’olio, lei che si credeva una ariosa pasta sfoglia, così di moda adesso... avrebbe saltellato sulla punta dei piedi, se non fosse stata così femminile e così infiocchettata, per l’eccitazione di avere anche lei le sue tacche, il suo monumento personale alla sua irripetibile infanzia.

“Ti ricordi quel giorno, vero? La prima volta?”

Lei annuì appoggiandosi completamente a lui, la schiena contro il suo torace, cercando il calore e l’odore.

“Ad un certo punto t’eri spaventata per qualcosa, per cosa? Non lo hai mai voluto dire…”

“Non mi ricordo,” rispose imbarazzata.

“Questa, per me, è la cosa più bella di questa cucina.”

“Dei graffi sul legno,” rispose acida, “complimenti... belli davvero! Proprio la cosa più bella...”

“Puoi dirlo forte!” rispose affondando la risata nei suoi capelli.

“T’accontenti di poco.”

“No, chiedo molto, invece, anzi troppo,” lei rabbrividì piano, lui aveva la voce così amara “Devo lasciar andare questa cosa, devo lasciarla andare...” Mormorò. La strinse delicato – c’era ancora spazio tra di loro? E come era possibile? - “Mi spiace che non vedi quanto sono belle.”

Lo so che sono belle, sciocco che non sei altro, glielo avrebbe tanto voluto dire, sono bellissime, ma non le riusciva.

“Nient’altro? Nient’altro che devi lasciare andare?” che voce spinosa e cattiva che le era uscita – si vergognò da morire.

“Le tacche future” sussurrò quasi impercettibile, ma il silenzio era tanto, troppo perché lei non sentisse.
Era chiaro che non stava parlando a lei, però un pochino si, un pochino il discorso era anche per lei, altrimenti, pensò pratica, sarebbe stato zitto.
“Non avrò tacche mie, temo, e nemmeno un’altra cucina, e anche questo... ma è così, ad un certo punto lo sai, capisci come stanno le cose, un pochino fa male, ma lo devi accettare. Non parliamone più. Forse un giorno, tu...” non concluse la frase, si limitò a stringerla affettuoso. “Mi ci vuole solo un pochino di tempo...” si schiarì la gola, “comunque era solo questa era la cosa che ti volevo far vedere.”

“Resta qui un attimo, ancora. Ti prego. Le voglio guardare ancora un po’.”

Lui annuì senza lasciarla andare.

Lei appoggiò la testa nell'incavo della spalla di lui, pensosa, la conosceva a memoria, come la sua stanza al buio, e avrebbe dovuto perdere l’abitudine. Strofinò la fronte contro il collo di lui, incerta.
Piano gli accarezzò il braccio che la stringeva, come con la lince, per non farla scappare -  a ogni loro nuovo primo incontro la trovava tesa, inaddomesticata, ma pronta a lasciarsi fare, a rinnovare il patto - piano con la punta delle dita, seguendo il bagliore irregolare della fiamma, la punta delle dita fino a sfiorare l’ombra sulla sua camicia e poi a tornare indietro, senza fretta.
Cercò di regolare il suo respiro su quello di lui – sorrise scoprendolo più affrettato del suo. André che non mente mai... e nemmeno il respiro.

“Ti ricordi quando giocavamo a rincorrerci, c’era una filastrocca...”

Lo sentì annuire tra i suoi capelli.

“La fine... quattro, cinque, sei, sette... tutti i mostri fatti a fette!” si volto piano, era una cosa assurda da dire, gli prese le mani e se le portò dietro la schiena, “Presa!” sussurrò, confidando nel fatto che da bambini non le avrebbe mai permesso di sgusciare via, imbrogliando. Sperava tanto che si ricordasse come era, e che l’afferrasse, come era suo diritto.

Sentì che lui le baciava i capelli, incerto. Oscar sollevò il viso, le labbra di lui si ritrovarono sulla fronte di lei – una sorpresa per lui, per lei no, ci aveva sperato, di sorprenderlo, come in un duello con la spada. Il bacio scivolò piano fino alla sua tempia.

Le mani sulle spalle, lei contro il muro, la mano di lei sul cuore di lui, lo stupore del battito così affrettato.

Guarda di prego, guarda quanto sono cresciuta rispetto all’ultima tacca, a quella di sei mesi fa, guardami, te ne prego.

 

Le nocche di lui incerte che la sfioravano e risfioravano, dalla gola all’omero.

Lei che gli prendeva la mano e se la portava alla guancia, lui che la guardava interrogativo.

 

Ventosa ti prego... fai quello che sai che è giusto.

 

Lei che si slacciava i bottoni del panciotto, rapida, con una mano sola, l’altra su quella di lui che le accarezzava piano il viso, il suo sguardo immerso in quello di lui.

 

Ti prego guarda solo i miei occhi, non guardare altro, non pensare, guarda solo nei mei occhi, non pensare, non pensare...

 

Il panciotto slacciato, lei di colpo incerta non sul cosa, ma sul come.

La sorpresa della mani di lui sulle sue spalle  - la sua fronte contro la sua, impossibile vedere i suoi occhi.
L’aveva aiutata, non ci sarebbe riuscita da sola, lui così incerto, come la lince pronta a scattare via.  

Il panciotto in terra. Ma cosa importava?

Sentì le labbra di lui che le sfioravano la guancia, timidamente.

Non pensare, ti prego. 

Slacciò i primi due bottoni della camicia, spaventata – era forse solo più vecchia di un’ora, rispetto a quando era sobbalzata sotto le sue dita, non poteva pretendere… tutto questo giro per tornare ad un punto in cui erano già passati, ma stavolta, forse…

Non pensare, ti prego. 

Lo sentì irrigidirsi. Come la lince, indeciso tra andare e restare.

Con le dita, piano, lei gli sfiorò la nuca, timida anche lei.

Resta qui, va tutto bene, resta qui, è tutto a posto, sul serio. 

 

 “No, ti prego, no. Non possiamo...”

“Non mi importa, non lo capisci che non mi importa?” sussurrò.

La stava lasciando, lo baciò sul collo. Ti prego.

“Ti prego, io non posso...”

 

Gli afferrò i lembi della camicia, disperata. Le mani strette a pugno.


Come da bambina quando aveva pensato a tutta la catena di eventi casuali che aveva portato André lì in quella casa. Eventi che avrebbero potuto non essere.
Quel racconto, quella favola sull’Ultima Nota, sul non andare nel bosco di sera, attenta a cosa desideri, può esserci un prezzo che non hai valutato, c’era un’altra favola dietro, su cui lui aveva sorvolato, minimizzando.
La favola in cui lui era andato ad un pozzo come Giacobbe e magari non aveva incontrato Rachele, aveva incontrato Lia, Rachele quel giorno chissà dove stava, chissà cosa stava facendo la stupidina e per fortuna che non era Rachele, ma solo Lia, solo Lia... e lui aveva pensato che poteva essere una cosa possibile... non gli era bastato il pagliaio, forse pure la stalla del Generale – sperò tanto di no, nella stalla dove sellavano i loro cavalli no, lì no, per piacere, quello era il suo territorio, piuttosto nel salottino della Contessa che non usava nessuno, ma nella stalla no, te ne prego.

Lo colpì coi pugni, disperata, mentre lui la lasciava fare.

Quello sciocco troppo buono non s’era accontentato, a un certo aveva pure dovuto pensare a un focolare, alle sue tacche, tutte sue, nella cucina troppo piccola. Solo un caso che lei non avesse voluto. Solo un caso che non avessero fatto un pasticcio quei due.

Sentì che le prendeva i polsi e cercava di tenerla ferma “non voglio farti male, ti prego, calmati”

Si divincolò decisa, inarcando la schiena, rabbiosa.

Per un matrimonio, lei lo sapeva, la prima cosa era il consenso di lei - quello del padre era solo per una questione di soldi, notaio, stabilire il tanto alla libbra, forse per lei non contava, non ne aveva idea, le avrebbero regalato galline e conigli? Lui avrebbe mercanteggiato con il padre di lei, pretendendo anche un’oca e quattro pulcini? O non l’avrebbe pesata?

Non l’avrebbe pesata. Se lo conosceva, lui non l’avrebbe pesata per niente.

Sentì che cercava di bloccarla contro il muro “ti prego, fermati, va tutto bene, ti prego, sta tranquilla”

La seconda cosa era la consumazione - ah beh quei due ci avevano già pensato ampiamente, le era chiaro.

Chiuse gli occhi, arrendendosi. Si sentì abbracciare come quando era bambina, come quella prima volta, quella stessa paura. Come una bambina. Non come una donna.

La terza cosa era una chiesa - per il diritto canonico bastava che lei avesse compiuto 12 anni. S’era anche ampiamente capito che l’Ultima Nota era stata più grande di lui. In tutti i sensi. Tranne che in uno, sì lui diceva che non conosceva la cioccolata e Ronsard, va bene, perdoniamole tutto, ma in un senso lei, l’Ultima Nota, che non sarebbe mai stata pesata – onore che nemmeno a una regina  - era stata proprio piccola. E pure meschina.

Sentì che le veniva da piangere.


La chiesa lì c’era. Bastava guardarsi un po’ intorno, di chiese ce n’erano quante ne volevi.

Tre cose. E quei due stomachevoli incoscienti ne avevano smarcate due su tre, alle sue spalle, senza che lei nemmeno se ne fosse accorta. Due su tre.

Sentì che l’accarezzava, che le sussurrava quelle cretinate che lui le diceva da bambina, che lei diceva alla lince, sperò solo che non le chiedesse che ti prende, non lo avrebbe sopportato.

La strinse a sé “Scusami, ti prego, scusami. Mi dispiace, Oscar, mi dispiace tanto… non dovevo… non dovevo…”

Lei poggiò la guancia contro il suo petto, vergognandosi.

Mentre lei si lasciava consumare dalla rabbia per il Generale, mentre pensava a quanto lo odiava per non averle mai chiesto, per non aver chiesto mai il suo di consenso per quella cosa, visto che altro non ci sarebbe stato di quelle tre che spettavano alle altre, perfino all’Ultima Nota – e per fortuna, pensò vagamente, per fortuna - ma almeno il consenso, ma non ora, non alla fine, quando tanto era già stato fatto, la partita quasi tutta giocata, ma ogni anno, il consenso da rinnovare, non sottinteso, ma ufficiale, come quelle tacche…
Mentre lei sperava solo di pareggiare in minima parte il suo conto – quanto tempo prima, quanto tempo, possibile solo ore? E adesso? Adesso? – mentre lei bruciava il suo tempo dando tante cose per scontate, quei due, vomitevoli, intanto, facevano altro.

Facevano progetti.

Loro.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo XIX - Si desidera ciò che si vede ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film... e qualunque altra cosa.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: manca solo l'epilogo. La storia un poco mi mancherà e pure le ragazze che l'hanno letta... chi ha domande, critiche, cose da dire... ora o mai più ;O

 

Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

 

Capitolo XIX
Si desidera ciò che si vede

Ci volle del tempo perché si calmasse e lui glielo lasciò tutto. La guancia di lei posata sul petto di lui, tremante in un misto di rabbia e vergogna, le mani incrociate sul petto a mettere una distanza, che oramai non serviva a nulla.

Non era la prima volta che non andava come avrebbe voluto, pensò la ragazzina, magari non sarebbe stata l’ultima, inutile sprecarci lacrime, s’era capito. Dammi solo un minuto. Per piacere. Devo solo accettare che tu fai progetti mentre io proprio non posso.

“Va meglio?” era gentile la sua voce, realizzò imbarazzata.

Oscar si strofinò il viso con la manica della camicia e annuì – quando arrivano le parole gentili allora hai perso, ma perso di brutto, è stata una sconfitta così rovinosa che non solo non ti puniscono, ma ti lasciano salvare la faccia, e, se non puoi salvare nemmeno quella, allora sono tutti gentili.

“Accidenti a te, Oscar François de Jarjayes… accidenti a te.” le disse piano lui, sfiorandole lo zigomo con la punta delle dita e guardandola intento.

Le raccolse il panciotto da terra, arrossendo, inutile mucchietto verde di stoffa e di orgoglio preso a ceffoni – era giusto che André arrossisse, fin lì c’erano arrivati insieme, un accordo imperfetto, d’accordo, ma pur sempre un accordo. Ricordò con un brivido il calore delle sue mani sulle spalle, i gesti incerti di chi si è quasi convinto. Quanto le aveva bruciato la pelle quel suo quasi.

La prese in braccio e lei lo lasciò fare, gentile anche lei - glielo doveva, anche lui in un certo senso aveva perso, il respiro affrettato, il fremito a fior della pelle sotto le sue dita, il corpo non mente, racconta  - un gesto di quelli che in un romanzo di Danielle voleva dire una cosa – sua sorella avrebbe sospirato sognante, prima o poi le sarebbe successo, ma con chi ancora non sapeva, di certo uno alto e bello come un damerino ed anche un poco sciocco, ma a lei non importava – una cosa che non l’avrebbe mai riguardata.

Stesso gesto, con uno alto poco più di lei, e bello, ma come un animale sano, e sciocco… beh questo non lo sapeva, per certi versi forse, anzi parecchio, per altri troppo saggio e troppo cupo.
Il luogo era diverso – colpa delle cucina? In una torre, o sull’acciottolato di una strada di Parigi sarebbe venuto meglio? - il messaggio era un altro, più del tipo mi spiace, non volevo, rimettiamo ogni cosa al suo posto, non litighiamo, scusami, mi manchi. Quest’ultima cosa forse no – era presto – ma sarebbe successo anche questo.

La portò fino al tavolo, e ce la fece sedere, cercandole gli occhi con gli occhi. Facile ora cercarla, quando lei non offriva più niente! Ma quando aveva detto no aveva anche smesso di guardarla.

“Accidenti a te, André Grandier. Accidenti a te!” Ribatté sconsolata.

“Eh si, accidenti anche a me… hai ragione…” sospirò lui, rattristato “soprattutto accidenti a me…”

La aiutò a rivestirsi – era la seconda volta quella sera, che riallacciava il panciotto, merce che nessuno voleva; alla fine il giro era stato completo e la conclusione la stessa, stavolta il no era stato di lui – unica differenza.

Non da poco per altro.

Anche perché – le era chiaro – non lo aveva fatto per ripicca verso quella ragazzina spaventata che non gli aveva saputo dire cosa voleva e cosa non voleva, sobbalzando sotto le sue mani.

Gli mise la mano sul braccio, “Tu vuoi una cosa da contadino.” lo accusò, senza livore. Era così, alla fine, non giriamoci in torno, il punto era quello. Non solo quello, va bene, ma anche quello.
Capelli neri, occhi verdi, figlio di contadini, tutte belle cose, a modo loro, se il modo ti piaceva e, se il modo non ti piaceva, non ci potevi fare niente.

“Io sono un contadino.”

“Forse. Non sono così sicura.” Lo guardò corrugando la fronte. Tanti anni insieme a fare le stesse cose, il violino, il clavicembalo - quello non gli piaceva, lo sapeva, l’aveva capito, s’era adattato, il violino invece sì, lo faceva impazzire – il latino… non potevano non avere lasciato una traccia.
Lo riconosceva anche lui sentendosi in debito con il Generale più di quanto si sentisse in amicizia con lei.
Però poi lui che suonava alle feste di paese un repertorio di un altro paese – meglio di lei - giocava alla choule con quei suoi amici piccoli contrabbandieri, e ancora ricordava quella famiglia, quella casa, quel modo di vivere, nemmeno fosse stato quello il sale della terra. E quella sua illusione immutabile in cose che non finiscono mai, ma per piacere!

“Allora diciamo che adesso, ora, io vorrei una cosa da contadino. E’ vero.” Ammise lui con aria seria.

“Io non sono così. Non sono te.”

“Lo so, hai ragione, ho sbagliato… dovevo saperlo, io stesso te l’avevo spiegato… tu vuoi una cosa da aristocratico.” Capelli biondi, occhi blu, figlia di nobili, una storia già scritta con regole ferree, tutte belle cose, a modo loro, se il modo ti piaceva, e, se il modo non ti piaceva, non ci potevi fare niente.

“Forse. Non sono così sicura nemmeno di questo.” Isolata in quella casa di bugiardi non era cresciuta come le sue sorelle, nemmeno come suo padre. E lo sapeva.

“Allora diciamo che adesso, ora, domani non lo so e non lo sai, tu vuoi qualcosa da… Versailles. E’ così?”

Lei non rispose, poi senza guardarlo “C’è anche un’altra possibilità, sai? Se ci tieni così tanto… se è una cosa che vuoi, al punto che senza ci staresti male…”

“Non c’è, Oscar.” tagliò corto André, irritato.

“Lamponi e… tacche sul legno… stanno bene tutte e due in una cucina… non a tutti interessano le dimensioni…”

La interruppe brusco “A parte che non lo desideri affatto, sei stata chiara nella tua richiesta, questa non è una favola, Oscar. Nelle favole le principesse non sono mai minorenni, non so se ti sei mai accorta. E tutti i tizi, e gli animali che incontra in un bosco, si scopre alla fine, sono tutti principi di sangue reale.”

“Fa finta per un attimo che sia una favola.” Lo guardò dura – in una favola le cose viaggiano a mazzi di tre, tre desideri, tre compiti impossibili, tre no, due già li aveva avuti, al terzo era pronta, non poteva farle più male di così.

“Non ci penso nemmeno” André sospirò irritato “e non dovresti nemmeno tu, un po’ di rispetto, per piacere! Se per te sono solo gesti e parole senza significato ma che fanno un bell'effetto, va bene, non giudico, lo rispetto il tuo punto di vista. Ma non è il mio.
Non è il mio e pure io il mio di punto di vista, lo vorrei vedere rispettato. Davvero non ti riesce?”

“Se il contadino lo vuole,” mormorò incerta, “la principessa potrebbe...”

“Non per una scopata.” André allargò le spalle.

“Il consenso principesco ci potrebbe essere. Sulla consumazione già lo sai...” Si strinse nelle spalle, fingendo molto male una indifferenza che non c’era.

“Il consenso a cosa Oscar? A cosa consente, esattamente, questa tua principessa, spiegamelo un po’… In questo magico mondo in cui si lascia alle principesse la possibilità di contrattare lamponi insieme a un contadino… Un mondo di fantasia così interessante… a cosa acconsente la tua ingenua principessa? A una fuga? A fare la sposa bambina che è cresciuta per fare tutt’altro e che non sa nulla di come gestire una cucina assai piccola? Una che appartiene ad un altro mondo e che si sentirebbe sminuita fuori dal suo?” era stato molto duro, quasi cattivo e lei sobbalzò. “A farsi riportare a casa dopo qualche giorno, recalcitrante, ma neanche poi tanto, sotto sotto sollevata che la favola sia finita?”

Lei spalancò gli occhi inorridita.

“Questa tua principessa non pulisce mai i suoi stivali, perché di solito lo fa il contadino. E, se sono una principessa ed un contadino, la cosa sta benissimo così: uno dei due è lì apposta per pulire stivali, l'hanno chiamato per quello.
Se tu li vuoi mescolare, questi due, ficcarli a forza in qualcosa di diverso dai soliti ruoli... devi tenere conto di tutto. 
Il contadino in questione, scusami tanto, non è poi così perfetto, ha i suoi egoismi, e ha pure le sue fantasie... sarebbe bello se non ne avesse, se fosse diverso, ma non lo è, è come è. Adesso, oggi, ora è fatto così.
E, forse, si chiede se questa principessa sarebbe davvero disposta, un giorno, a pulire lei, qualche volta, gli stivali di lui senza farne un dramma. Sembra una domanda un po’ sciocca, lo so, ma, credimi, se tu capissi la natura di quello di cui parli, per un contadino, per due che qualcosa la vogliono fare assieme, sapresti che in una cosa del genere non c’entrano solo i... lamponi, certi desideri, anche certe esigenze, ma c'è qualcosa fare assieme, alla pari, e che la domanda così sciocca non è. Non puoi ridurre questa cosa di consenso, consumazione ed eventuale contratto solo ad un permesso ufficiale per una scopata senza pensieri. Se permetti.”

Lei non disse niente. Abbassò lo sguardo umiliata.

André si passò una mano nei capelli e poi riprese, cercando di ritrovare la calma “O forse quel contadino non vuole trasformare una manciata di lamponi, che vanno benissimo così come sono, in un vasetto di marmellata solo per tenerselo chiuso al buio in una dispensa, tutto per sé.”

Lei scosse la testa.

Lui la guardò esasperato “Credimi, piccola, se credi di essere lì sola, esclusa da una bellissima festa in cui tutti possono fare quello che vogliono con chi vogliono, quando vogliono e nel modo che vogliono, con amore, senza amore, con delle conseguenze, senza conseguenza, ognuno come gli pare... credimi, è una idea tutta tua, ma solo una idea... non sei da sola. Per lo più la gente prende quello che arriva. Quello che può.”

Lei arrossì.

“Tu pensi alle cose sbagliate,” riprese lui irritato, cominciando a camminare avanti ed indietro, concitato, dinanzi a lei “sei come un animaletto attaccato ad un carro che strattona tutto il tempo, sprecando un mare di energia…  Ma tu credi che chi ti comanda, chi ti tira per la sua strada, lo faccia da sempre e lo farà per sempre? Non pensi mai che ad un certo punto, per forza di cose, l’equilibrio si sposta?”

Lei restò in silenzio. Non lo guardava.

“Io non ci voglio mettere il naso nelle tue scelte, sono tue, e tue le conseguenze e non sarebbe giusto. Ma accidenti!” esplose ”Fai in modo di spostarlo a tuo vantaggio questo equilibrio, non stasera, stasera non c’è proprio niente che tu possa fare, ma almeno cerca di spostarlo prima che sia tardi! Dimostra qualcosa, nella strada che vuoi, scegli la cosa che senti più tua, ma dimostra che hai tutto il diritto, ad un certo punto, di modificare il percorso, per quello che è possibile. Senza strattonare. Perché quella decisione, qualunque essa sia, non importa per fare o non fare cosa, lascia perdere stasera, dimenticatela stasera, i desideri di stasera non sono sciocchi, te l’ho detto… io non la voglio sminuire questa tua cosa, credimi, non è la mia, ma va bene, tu sei tu” si fermò e la guardò negli occhi, “e non c’è vergogna… i tuoi desideri un valore ce l’hanno, ma… lasciali stare… ne desidererai di cose credimi! Di ogni tipo! E quando capita, io vorrei tanto che fosse chiaro a chiunque ti guarda, che una correzione di rotta non la sta facendo una ragazzina che si può far tacere prendendola impunemente a schiaffoni, ma una donna.”

Lei sobbalzò.

“Si una donna,” riprese lui convinto, sottolineando l’ultima parola, ”pensi che sia una brutta cosa? Una donna, una persona, se ti disturba tanto la paroladonna, una persona con cui si deve contrattare. Una a cui si deve rispetto. Una a cui si dà rispetto anzitutto perché glielo si deve, a prescindere, e poi perché se l’è guadagnato. Non una merce che suo padre può scambiare concordando sul prezzo. Non una pedina da piazzare.”

Lei strinse i pugni, ma non lo guardò.

“Non la ragazza di un ragazzo che, adesso, magari, perché anche lui, in fondo, è solo un ragazzo, non sa niente e ragiona da ragazzo!” il tono di André si era fatto dolce, “cerca di perdonare anche questo, se puoi,” delicatamente le sollevò il mento con la punta delle dita, costringendola a guardarlo, “perdonagli che non la vede nel suo finale imperfetto, quello che prevede una donna tutta sua, nella sua cucina, alla pari con lui e non per solo una notte. E tacche da incidere insieme. Non è la ragazza il problema, è il ragazzo. Quello che, non so se lo riesci a capire,” soggiunse irritato, smettendo di toccarla “non so se lo puoi capire fino in fondo, ma quello che è un finale che, per lui, non ci sarà. Perché non vuole più, l'ha capito, soltanto una cosa possibile, ne vuole una vera...  o va bene anche niente.”

Lei arrossì.

“E scoparsi André Grandier non è un modo per dimostrare che sei una donna assennata, questo ti deve essere chiaro: oggi, ora, questa è la scelta più stupida che tu possa fare. E io alle scelte stupide non collaboro. Io non posso.”

“I momenti, certi momenti, passano André…” rispose Oscar esitante.

“E lasciali passare!”

Lei sobbalzò di nuovo, come se avesse ricevuto uno schiaffo.

“I momenti sono fatti per passare, che ti credi? Ci vuoi restare aggrappata? Se poi ci sono cose… cose… vere, quelle non scappano mica da un giorno all’altro. Se una cosa è quella giusta il momento ritorna e se non ritorna si crea.”

“Cose vere?” chiese esitante.

“Oscar... Spiegare certe cose è un insulto!” le rispose esasperato, “Un insulto per chi deve spiegare e un insulto per quello a cui si spiega. Almeno questo... ti prego.”

Lei abbassò di nuovo lo sguardo.

“Datti tempo, Oscar. Cresci un pochino. E, per piacere, non diventare una a cui certe cose si devono sempre spiegare, sennò non le vede. O no le vuole vedere.
Non le cose degli altri, quelle uno può anche non saperle, non è tenuto, ma almeno le tue, Oscar, le tue… Per piacere.”

Stettero un po’ in silenzio, ascoltando il rumore del fuoco e quello della pioggia.

 

Poi lui si frugò in tasca, e tirò fuori una catenina. Lei la riconobbe, la conosceva molto bene: da ragazzini lui la metteva al collo prima di andare a dormire, lo aveva notato fin da quando era arrivato in quella casa - sempre strano lui, si tolgono queste cose da dosso, di solito, di notte, ma lui no, faceva le cose a modo suo.

Delicatamente sfilò due ciondoli e li mise sul palmo della mano, facendoglieli vedere.

Lei li sfiorò incuriosita.

Lui prese tra le dita il primo, una Madonna e le sorrise “Questo è d’oro e vale di più dal punto di vista economico, ma questo fatto per te non farebbe differenza, ne hai di più belli e di maggior valore” la guardò serio, “non lo tengo per me per questo motivo, ci tenevo a spiegartelo, non mi importerebbe, è solo che è un simbolo religioso” lei annuì, ”e per te non ha nessun significato. Mentre per me…”

“Mi spiace…” mormorò imbarazzata.

“E perché mai?” rispose André stupito.

“Mi spiace per le quattro Messe a settimana che mi sono passate sopra come l’acqua su un sasso.”

“Erano altre le cose che avrebbero dovuto farlo, ma pazienza.” Scosse le spalle.

“L’altro è un albero,” spiegò paziente, “E’ stato un regalo di mio padre a mia madre, per un anniversario, per ricordare i bellissimi figli che gli aveva dato, la casa che avevano costruito assieme.” Scosse la testa rattristato “Non è rimasto nulla, solo io, me non sminuisce quello che c’e stato tra loro. Lui non sapeva che era un simbolo di qualcosa d’altro, non aveva studiato, per lui era una cosa da contadino, radici, foglie e frutti, vita, insomma… non cose da poco, però. Io so che è un simbolo religioso anche questo, l’Albero della Vita, il tronco è in tre parti, quella centrale è l’Equilibrio, è come vorrei vivere io, potendo. Ma questo è stato il significato mio, che gli ho dato io, il tuo non lo so.” Sorrise.

“C’è una scritta…”

“Si… bussate e vi sarà aperto” lui la guardò malizioso e anche a lei venne da ridere, ripensando a tutte le cose che alla fine si erano detti quella sera.

Rimise l’altro ciondolo e la catena in tasca. “Dammi il laccio della lince.”

“Quale laccio?” Finse di non capire.

“Lo porti intorno al polso, sotto la manica, così pensi che non si veda, su non perdiamo tempo” lo vide sogghignare divertito – la prendeva in giro.

Lentamente sollevò la manica e svolse piano un laccio di cuoio: con quello aveva fatto una trappola – per gioco, solo per gioco – con quello aveva preso la lince cucciola, le aveva fatto male e non avrebbe voluto, dopo.
Impulsiva e testarda, che non pensava mai…

Lui fece dei nodi con gesti precisi, il ciondolo bloccato, le ridiede tutto, con un sorriso.

“Me lo vuoi mettere al collo?” scherzò la ragazzina bionda, imbarazzata, senza prenderlo in mano.

“No, io non ti metto al collo proprio niente, se vuoi te lo metti tu, o lo lasci in un cassetto. O te lo tieni al polso, o lo metti in tasca. Quello che desideri.” Le mise il laccio in mano, e gliela chiuse dentro la sua.

“André se vuoi…” disse pensosa, “se vuoi, il ciondolo… lo dividiamo a metà, così non lo perdi del tutto. So che ci tieni.”

Lui rise "Non è una ipoteca... è un regalo. Non devi tornare a riportarmelo dopo chissà quali avventure, sai?"

Lei arrossì, cupa.

Lui le disse che non le dava un ciondolo per poterla ritrovare tra tante, che credeva? L'avrebbe riconosciuta.
E, soprattutto, che non era un’ipoteca. Se spezzi una cosa a metà vuol dire che vuoi rinsaldarla un giorno, che ti aspetti qualcosa, un'ipoteca su un futuro ipotetico. Ma il suo era solo un regalo.

Lei tenne il pugno stretto, senza muoversi “Io me ne sarei voluta andare, sai?” disse alla fine.”Domani, intendo, qualunque decisione avessi preso.”  

Lui la guardò stupito e mormorò “Questo non lo avevo valutato…”

Lei fece un abbozzo di sorriso, “Io pensavo che, in ogni caso, domattina, me ne sarei andata da questa casa in cui mi sono sentita protetta,“ lo sottolineò, con la voce e con gli occhi, non voleva che lui pensasse che era una mocciosa ingrata, “per non metterci più piede.”

Non era la pietra a proteggermi, erano i ricordi.

Eri tu, pensò, ma non glielo disse.

Lui le sorrise divertito: “Avevi pensato un bel finale, vedo… seduzione in cui non si sa bene chi seduce chi, niente tracce da coprire, tracce ovunque, piuttosto, e porta sbattuta platealmente… tutti i lacci recisi in un colpo solo.”

Si sentì stupida “Mi dispiace, dico sul serio. Non era solo quello, un po' all'inizio, anche quello. Ma prima... prima no.” mormorò con aria decisa.

“Figurati,“ si strinse nelle spalle, ma gli occhi di lui ridevano, “una giornata interessante, nient’altro? Nient’altro che dovrei sapere, intendo? Sparavi anche al cremello? O quello te lo tenevi?”

“César me lo sarei tenuto.”

“Brava!” approvò deciso.

“Piantala!”

“Ma no, brava, César non ti ha fatto niente, avresti fatto bene a non sparargli… piuttosto, io mi chiedo, c’è qualcosa che mi dovresti dire e che io non so?”

Sguardo perplesso.

“Beh nella tua fantasia mi stavi lasciando in un bel guaio… di solito non sei così, hai qualche conto da pareggiare anche con me?”

Lei arrossì e non disse nulla.

“Dai Oscar, domani ci dimentichiamo tutto, tu questa cosa da tuo padre l’hai imparata bene, lo so: non lasci un compagno sul campo. Puoi mettere nei guai Danielle, puoi mettere nei guai me, ma poi non ci molli.” Sorrise, “Come generatrice di guai sei ingestibile, come presenza dopo, a guaio fatto, se il guaio è grosso, sei perfettamente inutile, ma sconvolta dal rimorso, una garanzia… In ogni caso non scappi e resti lì ad affrontare.”

Lei divenne scarlatta.

“E quindi ora io mi chiedo che cosa ti ho fatto per essere lasciato in mezzo a questo disastro. Stai per caso pianificando di odiarmi per qualche motivo?”

Lei scosse la testa, c’era una cosa ma non gliela poteva dire, anche perché lo aveva capito, le cose non stavano come lei aveva pensato, non l’aveva tradita. Ma si vergognava un po’ troppo di avere origliato, su quel cornicione e di non averglielo chiesto, dopo. Quello non glielo avrebbe detto, proprio mai.

“Va bene," tagliò corto lui, "me lo dirai quando ne avrai voglia. Non ho in programma di andarmene a breve. E, se me ne vado, ti lascerei detto dove trovarmi, nel caso. Su questo ci puoi contare.”

Lei sorrise, e mise il ciondolo in tasca, sollevata.

Poi ripensandoci, tornò a guardarlo da sotto in su “Tu lo sai vero? Io non ho un cuore di donna...”

Lui sorrise divertito “L’ho notato…”

“Sii serio André, ti prego… Tu sei consapevole vero? Che come io uscirò di qui ci saranno altre cose, altri posti, situazioni… altre… persone?”

“Te lo auguro…”

“Io cambierò, cambierà tutto!”

“Molto, ma non tutto, non essere tragica.” Disse pacato.

“Quelle tacche, André,” lo guardò negli occhi, con dolcezza, “si desiderano le cose che si vedono, sai? Io non le desidero affatto. Non quanto te... E’… troppo…”

“Certo. E va benissimo così."

"Vedrai altre persone. Vedrò altre persone..."

"Te lo auguro, te l'ho detto, e ti aggiungo che non è mai bello fare scelte quando non si può davvero scegliere. Va meglio, detto così? Sei più tranquilla?”

Ma lui, lui capisce quello che lei sta dicendo? “André, io…”

“Non hai ancora visto niente Oscar, niente! Pure io che ti credi? Non ho visto nulla...” lui le sfiorò le guancia con le labbra, “Non puoi semplicemente accettare un regalo Oscar? Prenditelo e fanne buon uso…”

Mentre usciva dalla cucina, lei mormorò sperando non sentisse “Non te ne pentirai?”

Lui si voltò sulla soglia e le sorrise divertito “E certo, che me ne pentirò, Oscar! Che ti credi? Me ne pentirò proprio… e anche molto. Non credo lo rifarei in questo modo, un'altra volta. Ma questa, adesso... è giusto vada così.”

 


Più tardi, quella notte, prima di andare a letto, dopo aver tanto pensato al suo futuro, lei passò per la sua stanza.


Accarezzò piano la porta di lui, con la punta delle dita, scivolò lungo il battente di legno semplice e scuro, silenziosa, sperando che lui non sentisse, che non sapesse quanto si sentisse persa, lasciando andare tante, troppe cose. Sperò che non le aprisse, eppure... eppure...
Poggiò la guancia sul legno,  con la sensazione che c’era una cosa che lei avrebbe potuto dire quella sera e che allora sarebbe stata tutta un’altra storia, c’era una cosa, c’era sicuramente una cosa, ma lei quella cosa non la sapeva.
Desiderava solo non dimenticare.
 

Prese dalla tasca il ciondolo di lui e lo mise al collo – non c’erano stringhe attaccate l’aveva detto tante volte quella volta quella sera, detto e ripetuto, così orgogliosa dell'autosufficienza: non c’erano lacci, nella sua richiesta, e lui, che ironia, forse, forse nemmeno lui se ne era accorto, ma alla fine, André, gliene aveva offerto uno.

 

 

 


Nota finale Più o meno, chi ha seguito sapeva come sarebbe finita - più o meno, ci poteva essere molta più cattiveria, ma perché? manca l'epilogo dove Oscar dice le sue decisioni... farà dei progetti pure lei? Rimanderà di primavera in primavera fino a far passare tutto il tempo? Cosa vuole prendere e cosa lasciare?

Oscar è stupida? No, non capisce alcune cose perché non le ha mai viste possibili, e non dice ogni cosa che pensa, non c'è abituata - lei alla fine quasi sempre obbedisce. Non conosce il futuro.

André è intelligente? No, se sappiamo come andrà a finire è uno scemo, però avrà pure diritto a dettare, per una volta, le sue condizioni? Lui vuole una cosa con una sua dignità, non è mica un cane a cui getti un crocchino mentre lo leghi al guinzaglio per lasciarlo tranquillo... Il resto della sua vita sarà al suo servizio in cambio di niente, mi pare... Non conosce il futuro.

C'è un ciondolo anche da Giovanna (queenjane)! Chi ci tiene a quanto pare le da qualcosa perché non si dimentichi. Una da l'infinito, un altro un simbolo aperto - decida lei cosa ci vuol vedere, del resto anche per l'altro, è Oscar che alla fine interpreta come le pare.

Il laccio dovevo metterlo prima, lo so, ci ho pensato tanto, ma non sapevo cosa altro fargli usare... in cucina non c'era nulla per lei e André non usa una fionda, purtroppo, altrimenti era perfetta... la lince va bene - è tutta sua, ma non la possiede, è libera, non sta chiusa nella legnaia, però non se ne va - dovrei aggiungerlo in un capitolo prima, ora vediamo!

Il cremello è di Pamina. Il mitico cremello.

Danielle è di NinfeaBlu (spirito inquieto), ormai è entrata nella storia in pianta stabile e ha raccontato tante di quelle storie deficienti ad Oscar, che oramai pure lei sa cosa vuol dire, nella storia giusta, quando uno ti porta in braccio per un tratto - magari in una torre viene meglio, per una strada di Parigi non si sa - se ne ricorderà quando sarà il momento? Si scorderà del ciondolo? O forse ha ragione lei e non poi così un gran bene che lei conosca tutta quest'altra gente... nella cucina in fondo stava bene, bastava lui le desse un poco retta.

La bionda elenca due delle cose che sono state spiegate ampiamente nel capitolo prima: non serve qui spiegare a cosa allude... si ferma a due su tre pure lei, ma è chiaro dove va a parare (almeno spero) - peccato non capisca di cosa stia parlando... vede tre gesti, che conducono ad un matrimonio, non quello che c'è dietro (non sono i gesti, e non è una cerimonia che fanno una coppia).

André forse è stato scemo forse no, lui non lo sa, al momento, cosa sarà, dopo. Col senno di poi son bravi tutti.
Però lui vuole cose che non può avere se non le vuole davvero anche quell'altra - se una cosa non è tua, non è per te, che la vuoi a fare? Tanto per poter dire che te la sei presa? 

Ad un'altra età sicuramente la cosa andava in un altro modo.

Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, è una bella frase, sta in un Vangelo che dovrebbe essere il più vicino ad una cosa vecchia come un albero della Cabala di cui so proprio poco. Chi bussa, in quella storia è un amico ad un altro amico, a mezzanotte, per chiedere del pane (dormire no, eh? e ripassare il giorno dopo) il secondo, brontolando, più per l'insistenza che per altro, apre la porta chiusa e sente il primo che diavolo vuole... 
Il bussare, ovviamente, ai due fa ridere per ovvie ragioni "spirituali", però questa volta, questo André vorrebbe che lei sapesse di poter chiedere una mano, non solo quando lo vuol mettere in un guaio... se lei capisca è tutta un'altra storia.

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Capitolo 21
*** Epilogo - Chiedere di Spiegare Certe Cose è un Insulto ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film... e qualunque altra cosa.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

 

Epilogo
Chiedere di spiegare certe cose è un insulto

Oscar scese in cucina la mattina molto presto – la luce era ancora rosata - convinta che l’avrebbe trovato lì, ad aspettarla.
L’unico ad essere davvero interessato alla sua vita.

Quella era una sciocchezza, decise, scuotendo la testa, c’era almeno un’altra persona interessata, una che la sera prima non s’era fatta viva – solo un biglietto incomprensibile - e che, a quanto pare, piangeva di rabbia per le ragazze in generale e per un paio in particolare.

Diciamo che lui era l’unico, in fondo, il cui parere le interessasse veramente?

Scosse la testa, di nuovo - ci teneva molto ad essere onesta - non era corretto dire l’unico e nemmeno generoso - stasera l’avrebbe cercata, quella sciocca, per farsi spiegare bene a cosa stava pensando – lui, però, era quello il cui giudizio, quando c’era, faceva più male. Danielle era più accomodante.

Lui era quello che comunque c’era. Sempre.

Si irrigidì prima di varcare la soglia della cucina – per un attimo ebbe paura di essersi sbagliata, di trovare il fuoco spento ed il tavolo vuoto.

Non si era sbagliata – sorrise tra sé - André era seduto al tavolo della cucina, con i suoi capelli neri, lunghi oltre le spalle, ed il suo solito fiocco azzurro. Una certezza.
Stava leggendo – un libro di poesie, registrò divertita, era parecchio che non gli capitava… per quanto ne sapeva lei, ad un certo punto lui aveva smesso con Marlowe ed era tornato a leggere solo libri di storia. Socchiuse gli occhi.
André sollevò lo sguardo e la squadrò imperturbabile.  Oscar sapeva che non le avrebbe chiesto proprio niente – da oggi la comunicazione cambiava. Si chiese quanto e sperò poco.  

In ogni caso, cercò di rassicurare se stessa, chiedete e vi sarà dato.

“Cosa leggi?” I primi passi per un po’ spettano a me, pensò.

“Nulla di che, mi era venuta in mente una cosa e l’ho cercata nella biblioteca di tuo padre.”

Lei registrò sollevata che non era passato al Voi, almeno quello… dare del Voi a qualcuno con cui lui aveva fatto il bagno nudo da bambino, in Normandia, o con cui aveva dormito insieme, nello stesso letto, nelle notti di temporale, non aveva nessun senso. Aveva tanto sperato che se ne sarebbe reso conto, ci sarebbe mancato solo che cominciasse a chiamarla Monsieur, mentendole due volte.

“Ha un nome questo nulla?” chiese cortese.

“Raleigh” André si strinse nelle spalle e lei trattenne un sorriso complice, gli sembrava come quando giocavano a carte contro Danielle – quell’imbrogliona - e le giocate filavano così ben incastrate, da uno all’altra, senza bisogno di dire proprio niente “André, questa è l’ultima volta che ne parliamo, ma ieri sera ad un certo punto io pensavo a Marlowe… il Pastore e la Ninfa…”  so che te lo posso dire, perché anche se ne sono uscita con qualche livido, tu, per questa cosa, m’hai solo messo il cartiglio da impulsiva – potevi mettermene altri. Non me lo sarei meritata, ma potevi.


André sorrise divertito, senza guardarla “Lusingato … potrebbe anche funzionare: in quella poesia il Pastore è tutto preso a convincere la Ninfa e della Ninfa dice poco, non sappiamo se è bionda o bruna, e nemmeno se è uomo o donna…”

Il pastore pensava molto a chiedere ciò che voleva e poco a chi lo stava chiedendo, tradusse lei, dentro si sé.

Oscar sogghignò “Era una Ninfa difficile da convincere, non c’era tempo per le lusinghe... e così… Raleigh?… La Risposta della Ninfa al Pastore?”

“Già” André si strinse nelle spalle. Senza guardarla.

Oscar distolse lo sguardo – conosceva molto bene quella poesia – “Una Ninfa sensata… anche se… un po' troppo vecchia, sai? Per quella Ninfa polverosa sembra che il mondo sia un luogo essenzialmente ostile, da lei è sempre inverno, e il Natale non arriva mai… quanti anni ha mai, a proposito?”

“L’hai letta bene quella poesia?”

Lei arrossì, l’aveva letta lei stessa ad André, su una spiaggia, una delle loro tante volte insieme, il sole ancora basso, le goccioline di acqua gelida sulle braccia, la pelle scura di lui stretta contro quella appena dorata di lei a spegnerne i brividi;  lei, pur apprezzandone l’arguzia, aveva trovato la Ninfa un po’ cattiva con tutto quel suo saccente buonsenso… il Pastore, con le sue proposte e le sue rose, era stato liquidato senza troppi complimenti.
Era stato André a farle notare, lì, sulla sabbia, mentre tagliava equamente  il formaggio per loro due, che a lei sfuggiva una cosa, che la Ninfa non stava dicendo no al Pastore, diceva no alle circostanze, no perché l’attimo non è infinito, no perché succederà altro domani, no perché non sarebbe saggio. Ma non diceva mai no al Pastore. Mai.

But could youth last and love still breed,
Had joys no date nor age no need,
Then these delights my mind might move
To live with thee and be thy love.

Forse la Ninfa avrebbe detto di sì anche a qualcosa di più di quello che il pastore aveva effettivamente chiesto, decise Oscar, forse… se solo l’incoscienza della giovinezza fosse stata eterna.

A quello che aveva chiesto il Pastore, comunque, alla versione senza fronzoli s’intende, senza tutte quelle cose eterne che non esistevano, la sua Ninfa della Cucina avrebbe detto sì, ne era quasi certa, anche perché - questo lo aveva capito, ci aveva messo tutta la notte, ma alla fine le era stato chiaro - quel suo illustrarle tutte le possibilità non era stata una cosa nata quella sera solo per lei.

André era come Danielle, quei due cacciavano un cervo facendo la posta, ben vigili, in un punto su cui avevano ragionato sopra… quei due non incontravano un cervo “per caso” in una radura; e così lui non era stato preso alla sprovvista da quell’idea di loro due insieme, lui  aveva già percorso quel labirinto catastrofico saggiando ogni strada che gli veniva in mente e alla fine aveva chiuso la porta per tutti e due.
Oscar si augurò che mentre la chiudeva ci fosse stata almeno una punta di dispiacere.

Lei, ieri sera, ad un certo punto era stata desiderata – non sapeva se André se ne era reso conto appieno, se gli era dispiaciuto, ma il suo corpo non mentiva, il suo respiro nemmeno: lui le aveva fatto le fusa, a modo suo, come la sua lince quando lei la accarezzava per il verso giusto.
E almeno un’altra sera, quindi, con lei chissà dove, ma certo non lì a sciorinare la sua mercanzia – non lo aveva mai fatto prima - era successo che lei, proprio lei, era stata desiderata. Desiderata a tal punto da spingerlo a vedere, per conto suo, se c’era un modo per questa cosa tra di loro che non le facesse male, e lui non lo aveva trovato.

Ma non ci voleva pensare. Non adesso.

Sperò solo che ci fossero abbastanza poesie in tutto il loro passato, per aiutarla a parlare con lui fino a che non avessero trovato una confidenza nuova. Una che si adattasse bene al mondo in cui la stavano sparando senza troppi riguardi.

Poi si accostò al tavolo e poggiò le mani bene aperte sulla superficie – veniamo alle cose serie, ma grazie, comunque, pensò. Grazie per avermi aspettato armato solo di una poesia.

“Ho alcune cose da dirti… anzitutto che io da qui, prima, pensavo di andarmene.” Lo guardò, ma lui sembrava imperturbabile, interessato, ma imperturbabile. ”Sono stanca di stare in questa casa dove io sono la proprietà numero sette del Generale, e tu la numero otto, ognuno di noi con il suo bel cartiglio che dice cosa siamo, come andiamo correttamente conservati, e a cosa potremmo servire.
Ma solo un ragazzino scappa di casa, ed io non sono più una ragazzina, sono quella che sa molto bene cosa si deve aspettare da chi vive qui… niente di insopportabile in fondo, qualche urlo, qualche strillo, un paio di minacce ogni tanto…” Fece un gesto noncurante con la mano, ”Schiaffi no, basta, quelli non li accetto più.”

Sospirò.

“Per cui resto qui, forse non proprio nella stanza di quando ero bambina, questo lo vedrò nel tempo, io ancora non lo so, ma l’idea è che non scappo. Che sia chiaro a tutti. Io resto perché io sono l’Erede, cioè quella che un giorno si prende tutto quello che è suo di diritto. Qualunque cosa sarà quella che riterrà sua.”

André allargò le braccia in segno di resa, con angoli della bocca che trattenevano a fatica una risata.
Oscar non si offese, ma sorrise.

“Detto questo veniamo alle cose pratiche: a me serve un attendente.” Lo osservò, ma lui continuava ad essere impossibile da leggere, così quieto davanti a lei.

“Mi è molto chiaro che a te fare il soldato non interessa per niente: non ti prenderesti una vita per un motivo che non è tuo e preferiresti essere uno che risolve problemi pratici per gli altri. Uno che spacca il capello in quattro, insomma, cercando di rimontare la realtà in un modo un po’ più di suo gusto.”

Lui abbassò lo sguardo, ma sorrideva divertito.

“Un mestiere da donna, lo hai detto ieri sera, ti ho ascoltato, sai? Che ti credi? Ma io non sono così, io adesso non sono così. Io non sarei giusta. Soprattutto non sarei equilibrata e nemmeno compassionevole.” Sfiorò piano la giacca nel punto in cui, sotto i vari strati di stoffa, a diretto contatto con la sua pelle, c’era il ciondolo di André, una delle poche cose veramente sue, del misterioso mondo prima di lei. “Mi serve tempo, André,” mormorò piano, ma capì che lui l’aveva sentita, e, soprattutto, che l’aveva capita.

Lo guardò timida “So anche che Versailles non ti piace, ma, in ogni caso, se tu lo vuoi, per quanto possibile, quello che farò io, adesso, lo vorrei fare insieme. Come sempre. Io ci terrei molto, ma con regole precise. Ci ho pensato molto ieri sera… e ho capito che non mi piacciono le situazioni pasticciate.”

Lui le fece cenno di proseguire.

“Puoi essere quello che vuoi, questo lo devi decidere tu… puoi essere il mio servitore, pagato da mio padre, come sei stato fino a ieri, e seguirmi ovunque. Non un soldato, risponderesti solo al Generale… e obbediresti solo a lui. Non avresti obblighi, orari e nemmeno uniformi… sembrerebbe come se oggi fosse ieri… ”  Raddrizzò le spalle, stringendo i pugni “Oppure, se vuoi essere il mio attendente, sarai un soldato di truppa. Non sono tutti nobili nella Guardia, non so se lo sai… il corpo che custodisce le vie di accesso di Versailles non lo è. Avrai una paga tua che non ti verso io e nemmeno il Generale. Per avere un attendente io dovrò versare una parte della mia paga alla Guardia Reale. Alla Guardia Reale, non a te, questo ti deve essere chiaro: io pago la Guardia per un servizio, non pago te, è la Guardia Reale che ti paga, invece.”

Lo guardò seria in viso e lui fece cenno di aver capito.

“Un attendente fa quelle cose necessarie per il mio lavoro che io non ho tempo di fare – occuparsi delle armi, montare una tenda, se mai servirà, salvare la sua pelle e aiutarmi a salvare la mia, in quest’ordine, ce ne fosse necessità. Non credo che fare la Guardia Reale a Versailles sarà così pericoloso, ma l’idea di base è quella:  un attendente è la persona di cui mi fido, metto ufficialmente un pezzo della mia vita nelle sue mani.“ lo guardò, ma vide solo un vago sorriso negli occhi di André.

“Anche io servirò qualcuno, alla fin fine; “ riprese Oscar, “e farò cose che quella persona giudicherà secondarie per il suo lavoro. Non mi peserà e sarò leale.
Le cose non necessarie, però, questo deve essere chiaro, non sono fatti dell’attendente – questa persona, chiunque sia, non deve pulirmi gli stivali, quello lo faccio da me. E César… è compito suo occuparsene nella stalla della Guardia. Ma solo lì.”

Vide le labbra di André incurvarsi, involontariamente, in un sorriso. I tuoi non li pulisco, sappilo, pensò lei irritata, accontentati che ognuno di noi faccia il suo.

“Hai due settimane per pensarci su e poi mi farai sapere. E’ solo una proposta, decidi tu, puoi anche dire di no, non è un problema: stai ipotecando un periodo della tua vita, questo mi è molto chiaro, non potresti disfarlo da un giorno all’altro. Tre anni è il  minimo, che io sappia. Hai due settimane per soppesare da te i dettagli, in questo sei molto più bravo di me. Non discuterò mai la tua scelta, hai la mia parola.
Uno dei vantaggi è che avresti del denaro in più…”

Bloccò con un gesto della mano André che stava per protestare “Sono sicura che il Generale ti paga, per lo meno, il giusto. Secondo il suo punto di vista, è chiaro.
Tutti qui intorno accumulano favori e vorrebbero anche cariche incompatibili tra di loro, non so se hai notato… Se veramente facessero ogni cosa che chiedono di fare non gli basterebbe una vita. Sai che esiste anche un responsabile per la caccia con il falcone? E il Re non l’ha mai praticata… non vedo perché proprio tu, Grandier, dovresti rifiutarti di barcamenarti tra più cose… ammesso che a qualcuno interessi sapere davvero…” si interruppe imbarazzata, si sarebbe offeso perché pensava, in tutta sincerità che a nessuno importasse molto di cosa faceva tutto il giorno André Grandier, oltre a lei e al Generale, si intende? Scosse le spalle – le cose stavano così, inutile girarci intorno  “In ogni caso,” riprese “se decidi per l’attendente, qui, in questa casa, continueresti ad essere pagato dal Generale.  Qui però. Qui.”

Lo guardò, contenta di avere finalmente catturato la sua attenzione “Qui, quando tu sei in questa casa, nel tempo in cui non fai l’attendente, tu smetti di occuparti di me e fai quello che hai concordato con il Generale e che non mi riguarda.
Qui non sono io che ti pago, in ogni caso io non sono quella persona, e quindi non voglio che mi porti nessun vassoio, con bottiglie di vino, con tazze di cioccolata, o biscotti o bricchi di latte o caffè… con quello che ti pare… il mio attendente, a casa del Generale, queste cose non le fa ed il servitore del Generale, a casa del Generale, non serve me. E’ ben piena questa casa, mi pare, di gente che va su e giù per la scale… tu stattene un po’ tranquillo!

Se vuoi portare vassoi al Generale, preparargli tisane, rimboccargli la copertina e raccontargli una favola della buona notte, fai pure… se vuoi strigliare il suo cavallo, se te lo chiede… fai! E’ il tuo lavoro. Sono le vostre cose tra voi due, sapete voi cosa vi siete detti, io non c’entro e non mi interessa. Se domani te ne vai a lavorare per un altro, quello che farai o non farai per lui non riguarda me. Ti è chiaro?  Se un giorno lavorerai per un altro, noi ci si vede per bere qualcosa insieme quando non hai nulla da fare.”

Lui la guardò divertito, ma lei era seria. Io non lo so questa storia come finisce, giuro che non lo so, ma l’ho capito che non puoi essere amica di qualcuno, amica davvero, pensò Oscar, e poi dare per scontato che quel qualcuno ti pulisca gli stivali e ti dica sempre sì. Né lo puoi obbligare a mettersi nei guai nel nome della vostra amicizia, quando improvvisamente ti serve che faccia l’amico e poi, subito dopo, chiedergli di fare il servo. Non funziona così.

“Io non ti pago, tu non rispondi a me, quindi se serve, nel giusto posto, nelle giuste circostanze, tu mi puoi dire dei no, tanto so che, quando vuoi, ti riesce benissimo.“

André scrollò le spalle, irritato.

Oscar si vergognò un po’ di quella frecciatina su suoi no, ma in fondo… le cose stavano così, e il no di quella notte le era bruciato dentro, ed era giusto che lui lo sapesse. Anche se lei quella cosa non gliela avrebbe chiesta mai più. Mai, mai, mai, e poi mai. Se una seconda volta era scritta nel destino, che chiedesse lui.

“Sono curiosa di vedere come te la caveresti con tutta la tua lealtà, se avessi più di una persona, o più di un’idea, a cui render conto e un po’ di regole nuove… “ lo prese in giro, “Non so proprio come te la sbroglieresti… sarebbe di sicuro interessante.”

Lui scosse la testa divertito. Ma lei pensò ti sto legando con lacci nuovi, se tu me lo lasci fare. Puoi scegliere quello che ti pare, ma in ogni caso, ora, cambia il modo, cambia l’intenzione.

“Un’ultima cosa: puoi venire in camera mia quando vuoi,“ riprese cortese, “a me fa piacere” sottolineò perché a lui fosse chiaro, per lei non ce ne era nemmeno bisogno di dirlo, se fosse dipeso da lei potevano pure tornare a dormire insieme nelle notti di temporale come quando erano bambini – le avrebbe fatto solo piacere, a parte l’estate, l’estate faceva troppo caldo per un André ad ingombrarle il letto - ma non era giusto dare troppe cose per scontate “Mi piace moltissimo la nostra noiosa consuetudine, sono cresciuta accanto a te e insieme a te…” sorrise, sperando che questo rispondesse alla domanda cattiva di solo alcune ore prima, quando lui le aveva chiesto cosa significasse per lei essere cresciuti insieme, “ma prima devi bussare.”

André alzò un sopracciglio, interrogativo.

“I servitori di questa casa non bussano davvero,“ lei gli spiegò paziente, era proprio uno sciocco certe volte, o forse, decise divertita, voleva solo sentirglielo dire, sentirlo da lei, quello che a lei sembrava ovvio, ma che lui non avrebbe potuto chiedere, soprattutto non da oggi ”sono invisibili, entrano, fanno ciò che devono, e poi scompaiono e nessuno li nota. Tu invece,  guarda un po’… tu sei ingombrante, sai? E’ difficile far finta che non ci sia… E quindi tu nella mia stanza ci entri solo dopo aver bussato. Non credo terrò mai quella porta chiusa, ma ci tengo - ci tengo molto - che tu, per me, sia uno di quelli che bussano prima di entrare.” Fissò la punta dei suoi stivali, arrossendo, “E ci tengo moltissimo che sia chiaro per tutti.”

Non è una dichiarazione di guerra al mondo, André, è solo che le cose stanno così ed è inutile girarci intorno. Non puoi essere amica di qualcuno solo nei confini di una cucina.

Lui sorrise scuotendo la testa.

“E lo stesso vale per me.”

“Nonnina?” chiese ironico André.

“Nonnina…” sbuffò Oscar arricciando il naso, ”Nonnina se ne farà una ragione. Le piace tiranneggiare te e proteggere me, ma le cose tra te e me non le decide lei. Mi spiace, ma è così.”

Sospirò improvvisamente rilassata – aveva detto le cose più difficili, non bene come le avrebbe dette lui, che avrebbe di sicuro argomentato per ore, come se stesse parlando con un bambino scemo di cinque anni, ma lui cinque anni non li aveva già da un po’ e di sicuro aveva colto l’essenziale. Se poi qualcosa le era sfuggito… c’era tempo. Di sicuro ci sarebbero stati tanti pasticci e tante cretinate da sistemare, inutile sprecarci il pensiero adesso.

Non glielo disse, le sembrava scontato, ma avrebbe voluto: noi siamo amici, sai? Tu sei quello che mi aiuta a rimettermi in piedi quando gli altri, tutti gli altri, nemmeno se ne sono accorti che sono finita a terra e che ho paura di non farcela a rialzarmi più.
E sei pure quello che a terra ogni tanto mi ci butta.
Arrossì. Una caduta rovinosa pensò imbarazzata, contenta di colpo che lui non potesse leggerle nel pensiero.

“Ho finito… oggi devo fare una cosa e vorrei farla da sola, se non ti spiace.”

“Non c’è nient’altro?” chiese cortese il ragazzo, “nient’altro che mi vorresti dire?”

“Una cosa sola… l’ultima… Io non conosco nessuno che abbia vissuto la propria vita in modo che fosse interamente delineata dai suoi desideri. Come hai detto tu, perché tu lo hai detto” lo guardò negli occhi severa e lo vide arrossire sorpreso, “ognuno prende quel che può.”

Lui scosse la testa, ma Oscar non gli lasciò il tempo di replicare: ”Tu lo dicevi per consolarmi, ma pensaci bene… quando ho addomesticato la lince l’ho fatto d’impulso perché per me era la cosa giusta. Non ho pensato molto a tutte le possibili conseguenze, ho affrontato la storia della lince una cosa alla volta e non me ne sono mai pentita; penso che le decisioni impulsive, per me, siano sempre quelle più giuste, quelle vere… ma io sono io… come hai detto tu se il finale di una storia non lo scrivi da solo… cioè  se non puoi, o se, molto più semplicemente, non vuoi scriverlo da solo” – strinse le labbra trattenendo un sorriso – “devi accettare che non venga esattamente come lo avresti voluto tu.”

Lui annuì e lei distolse lo sguardo.

Uscì di casa senza voltarsi indietro.


Al bivio per Versailles lo vide che l’aspettava, come d’accordo, ed educatamente lo chiamò.
Era alto, un pochino più di lei e di André. Era anche un pochino più grande di loro, lo sapeva. Un figlio cadetto dei Girodelle.
Bello con quei lunghi capelli scuri ricoperti dalla cipria secondo la moda; non portava nemmeno lui il parrucchino – sua sorella, una volta, le aveva detto scherzando che Victor Clément de Girodelle corteggiava sobrietà ed originalità come una vergine indecisa, spinto in realtà dalla coscienza di avere dei capelli molto più belli di quelli che chiunque altro si sarebbe potuto pagare, un pavone.

Il viso era di una simmetria perfetta e aveva quegli occhi di ghiaccio che, se ne ricordava, piacevano tanto a Danielle.

Era molto elegante: come sempre, dallo jabot alla punta degli stivali non c’era una piega fuori posto. La giacca era blu scuro  con dei richiami bianchi – color panna avrebbe detto Danielle, precisetta in queste cose – la camicia era bianca immacolata, il panciotto in seta damascata dello stesso colore dei ricami sulla giacca – scelta sicuramente non casuale – con i ricami color avorio. I bottoni erano dei dorset in stoffa, dei cerchietti di metallo ricoperti di ricami complicati; le ragazze li facevano in casa, anche lei, certe sere con Danielle, si era adattata a darle una mano, con sua sorella che non criticava mai (però poi le diceva che i suoi li avrebbero usati per le camicie del Generale… sulle camicie di Oscar, Oscar lo sapeva bene, venivano cuciti solo quelli perfetti di Danielle). I calzoni erano avorio e le calze bianche, mentre le giarrettiere, come la giacca, erano blu scuro.

Tutto molto sobrio, specialmente quei bottoni, in un certo senso talmente sobrio da sembrare favolosamente originale.

Un pavone decise arricciando il naso, un pavone che avrebbe avuto l’approvazione di sua sorella, ma sempre un pavone.
 

Lo aveva visto a Versailles diverse volte, sempre immerso in un silenzio estraneo al disagio. Era anche stato ospite di suo padre – e mai relegato al tavolo dei bambini.  Un pavone che piaceva al Generale – l’insulto peggiore.

“Mi spiace, “spiegò con calma, “io non vado a fare duelli a Corte come un cane ammaestrato.”

“Rinunciate quindi, Mademoiselle?”

“No.”

“Capisco. Avete valutato tutto immagino?” le chiese cortese il giovane, e lei annuì perplessa, sperando che il quel tutto non ci fosse qualcosa che Girodelle sottintendeva, che André avrebbe notato subito e che lei avrebbe capito solo dopo aver fatto una sciocchezza.

Poi gli aveva chiesto se prima poteva darle il tempo di fare una cosa, ci teneva… si rese conto di sembrare ridicola ai suoi occhi, con quel rovo in mano, le radici avvolte nella juta con tanta cura dal giardiniere del palazzo. Se ne accorse dal suo sguardo e dal fatto che la chiamava Mademoiselle.
L’unico.
L’unico o forse il primo di una lunga serie nel fantastico mondo nuovo che ci sarebbe stato dopo le Guardie.

Lei era stata Monsieur per tutti fino ad ora, tranne che per André, per cui era solo Oscar, e per sua sorella, per cui era tante cose, alcune non molto lusinghiere.


Gli aveva detto che poteva accompagnarla se non si fidava e lui l’aveva guardata divertito, per poi accettare con estrema cortesia.

Non era stato difficile trovare il posto alla fine – le indicazioni del giardiniere erano state chiare.

Girodelle la osservò scavare in modo imperfetto una buca e scosse la testa.

“Permettete?”

Lei lo guardò stupita… e gli lasciò maligna il posto; era curiosa di vedere come avrebbe ridotto i suoi vestiti immacolati facendo del giardinaggio, quel pavone imbelle.

Lei lo osservò, accoccolato sui calcagni, che scavava con perizia con gli attrezzi che le aveva dato il giardiniere, non una zolla di terra sui suoi calzoni. Interrò la radice con pochi gesti.
“Sono le famose rose dei Jarjayes? Quelle con il calice allungato?”

Oscar annuì perplessa. Aveva chiesto al giardiniere le rose più belle, e lui si era slanciato in un panegirico su incroci ed innesti.

“Mia madre le apprezza molto. Lei coltiva più che altro le varietà antiche, quelle con il fiore semplice, e anche alcune varietà inglesi…” Girodelle sorrise divertito dinanzi allo sguardo perplesso della ragazzina – Mademoiselle, gli era chiaro, non sapeva molto di giardinaggio – ma non disse nulla.
Poi osservò la dimensione del cumulo di terra, l’erba fresca e improvvisamente capì.  

Si scusò, voleva restare da sola alcuni minuti? Lei annuì.

Lo vide eclissarsi, portando con sé i cavalli.

Oscar si accoccolò sui talloni accanto al tumulo. Ti ho pensato tutta la sera, sai? L’Ultima Nota di André… la sua Lia… sospirò. Si chiese, per l’ennesima volta, perché André non l'avesse condivisa con lei questa cosa. Il giorno in cui lei si fosse innamorata, lui l'avrebbe saputo, come era naturale che fosse. Si chiese solo se sarebbe stata più della somma di tutte le cose tra loro due e ne dubitò.

Ti ho quasi odiata. Anche senza il quasi – sorrise – il quasi ce l’hai perché non eri la sua Rachele, la ragazza della Bibbia per cui Giacobbe era stato disposto ad aspettare sette anni e poi ancora sette... eri solo Lia.
Ti rispetto solo per lui, sappilo, perché per qualche strana ragione quello sciocco non è arrabbiato con te, perché gli dispiace che per te sia finita così… troppo presto. Io ti avrei solo dimenticata, trovandoti meschina.

Si ravviò i capelli biondi con un gesto di stizza.

Avevi avuto qualcosa che nemmeno una Regina e non l’hai saputa apprezzare. Un ragazzo che non era interessato a quello che non eri – una ragazza, ti ha definita… io ti avrei definita ben altro! – un ragazzo che voleva delle tacche… senza niente in cambio. Che sciocca e che grandissimo sciocco.
Guarda che sarebbe stato molto meglio della cioccolata, credimi…  

Però una cosa te la devo: se tu non ci fossi stata, se non ci fosse stato del… sentimento… tra voi due, La ragazza, involontariamente, arricciò il naso, forse ieri sera sarebbe finita in un altro modo. Forse lui sarebbe stato come me, impaziente di vedere come era questa faccenda, di dirmi addio in un modo nuovo, forse io ora adesso non sarei qui, non avrei un progetto mio, un po’ vago, ma tutto mio. O forse stasera, o magari domani, o tra una settimana, avrei trovato questa casa vuota, vuota di lui, e nemmeno avrei capito perché.

Sperò anche, vagamente, di riuscire a trovare un modo per tornare a quella stessa sera, ma in un’altra epoca, forse in un altro modo, ma con la stessa domanda, alla fine. Per quanti giri il suo cuore avrebbe fatto, lei lo sapeva, nel suo finale perfetto c’era sempre un grandissimo sciocco con gli occhi verdi. Non importa in che ruolo.

M’ha lasciato andare, quando parlava di bambini parlava di Mosè, ma in fondo parlava anche di me: lasciata andare per un fiume per diventare altro, senza la speranza che ad un certo punto tutto ritorni come era.
Che grandissimo sciocco.

Una piccolissima parte della ragazzina sperò anche di tornare allo stesso punto, ma che fosse cambiato lui, o una parte dei suoi desideri. Soprattutto con qualcosa da offrire anche lei.

Sperò solo che nel cuore grande di quel grandissimo sciocco ci sarebbe stato sempre un pezzettino tutto per lei. Anche quando quella meschina fosse stata lei.

Quello che assolutamente non capì – ma solo perché non la reputava una cosa possibile  – fu che quella notte un ragazzo non solo era stato mosso dal desiderio e dall’amicizia ma anche da quella cosa a cui lei si ostinava a non credere.

 “Scusate,” disse raggiungendo Girodelle, che se ne stava pigramente appoggiato ad un tronco, “ho saputo solo ieri sera e non sapevo se avrei avuto un’occasione… dopo…”

“E’ una tomba in terra non consacrata” disse Girodelle, senza farle domande, “Rosse o bianche?”

Oscar annuì “Il decreto del 1670.” Lo osservò di sottecchi per vedere se era scandalizzato, ma il giovane sembrava imperturbabile. “Rosa”, aggiunse, le bianche, pensò, non se le meritava affatto! le rosse sono per la passione e non si meritava nemmeno quello, per carità, non ne aveva avuta abbastanza in vita, di passione quella là? Pure di quella che non era destinata a lei? Pensò irritata.

 “Il corpo trascinato a faccia in giù per le strade, il corpo gettato nei rifiuti,” Oscar sobbalzò alle parole di Girodelle, questo André non glielo aveva raccontato! aveva visto tutto questo scempio fatto all’Ultima Nota? e lo aveva immaginato fatto a lei? Il Generale, lo sapeva, credeva all’inferno e alle leggi del Re, non avrebbe mosso un dito per lei, soprattutto per lei, se si fosse cacciata in qualcosa che infrangeva quelle leggi. E André avrebbe dovuto stare a guardare. Sentì un brivido di disgusto percorrerla.

 “… il corpo che non può essere sepolto in terra consacrata… il decreto per la maledizione dei suicidi chiede questo…“ continuò imperscrutabile Girodelle “ma se l’anima se ne è andata e quello è solo il vecchio involucro che deperirà, polvere alla polvere, la punizione – atroce - è più per chi resta, mi pare. E’ devastante per i cari. Conoscevate quella persona?”

“Era cara ad una persona che mi è cara.” Lui non chiese altro.

“Le persone care alle persone care meritano gentilezza, anche se, personalmente, potrebbe sembrare che non  la meritino affatto.” Commentò asciutto, senza, era chiaro, aspettarsi una risposta.

Oscar lo guardò “Non era giusto. Non era… inequivocabile. Non posso oppormi ad una decisione, non spetta a me, esiste un solo Conte Jarjayes e quello non sono io… si è Conti uno alla volta,  lo sapete anche Voi… a volte i servitori, per comodità, dicono Contino, Marchesino, ma sono tutti… cartigli di un erbario. C’è solo un Conte, un solo Marchese alla volta… ” si chiese se avrebbe capito quello che lei non stava dicendo perché non si poteva dire.

Girodelle sorrise asciutto “Nessuno può condannarVi se desiderate interrare delle rose per qualcuno che forse meritava altro, forse un po’ di gentilezza. E a cui, da quel che capisco, ritenete di dover essere grata per qualcosa.” Oscar arrossì, ma non disse nulle, “Ottima scelta, per altro, chi ama le rose riconoscerà da che giardino vengono. E lo racconterà, di sicuro, a chi non le avrebbe riconosciute. E’ un buon modo per dire qualcosa senza scatenare discussioni inutili.”  Le porse una piantina con le radici “Io aggiungerei questa, è un biancospino, simbolo di morte, fioriscono in epoche leggermente diverse e ricorderanno, nel tempo, a chi passa, che lì sotto c’è qualcuno.”

Fu lui ad interrare la pianta per lei - sapeva che lei non era pratica, le risparmiò perfino il gesto di offrirsi di farlo e non pretese che si umiliasse a chiedere una mano.
Gentile.

“Il duello… volete farlo qui, allora?” chiese cortesemente il giovane.

Oscar lo guardò stupita, “No, per carità, non dove c’è già quella tomba, se per caso… non sarebbe giusto per chi viene qui…  farebbe troppo male…”

Girodelle l’afferrò per il braccio per farla voltare verso di lui, lei scattò all’indietro, ma lui la lasciò andare solo quando lei lo guardò negli occhi, “Jarjayes, non so cosa abbiate in mente Voi, ma questo per me è un duello al primo sangue.”

Oscar arrossì: adesso capiva tutta quella ricercata immacolatezza dei vestiti di quel pavone… Girodelle, così, non avrebbe mai potuto celare una ferita. Girodelle stava mostrando che lui non barava, senza bisogno di dirlo.

“L’ho detto nella giusta sede, l’ho detto anche a… a una persona che mi è cara, e lo ripeto anche a Voi, per me non è all’ultimo sangue” riprese Girodelle, serio. “Voi, sentiteVi libero di fare come volete” concluse con un gesto noncurante.

Oscar lo interruppe irritata “Chi è questa persona, con cui avete discusso di noi?”.
Lo vide irrigidirsi e tradusse che non erano cose che la riguardavano; semplicemente da qualche parte, forse a Versailles, c’era un uomo, o una donna, che avrebbe aspettato con ansia.
Vergognandosi un po’ pensò a sua sorella – forse l’avrebbe dovuta avvisare di cosa aveva in mente. O parlarne con lei. O dirlo ad André questa mattina. A dispetto di tutte le sue buone intenzioni, li aveva tagliati fuori come al solito.

“Perché?”

“Non gioco con la vita di una persona solo per una carica, la vita è una cosa molto seria. I duelli sono una cosa molto seria.”

“SpiegateVi meglio!”

“Chiedere di spiegare certe cose è un insulto“ disse Girodelle quieto, e lei si sentì avvampare – le stesse parole di André.
“Ma Voi… mi hanno raccontato che avete avuto una vita molto… particolare…” il giovane tornò cortese e leggero, come sempre, “Non necessariamente condividiamo le stesse idee… Diciamo che i duelli si fanno per difendere l’onore o la giustizia, per dimostrare qualcosa di personale, non perché si ha ragione – si può anche avere torto - ma perché si è stati toccati nel vivo.
Lo si fa con un rituale, da rispettare, che dovrebbe simulare raccoglimento, segretezza e soprattutto qualcosa fatto a caldo. Non può esserci un duello perché a due persone viene ordinato di disputarsi qualcosa che forse desiderano, di fronte a gente annoiata che si gode lo spettacolo. Non è un duello, non so se lo capite.”

Lei lo guardò sorpresa.

“E’ un insulto quello di cui stiamo parlando. Il bello è che è un insulto inconsapevole: non se rende conto chi lo ha proposto e non se ne rende conto la gente che starà a guardare, insultata anch’essa, ma non lo sa.” Scosse la testa amareggiato. “A parte qualcuna.”

“Un duello è un modo come un altro.”

“Questo non è un duello, Jarjayes, io non sono venuto a cercarVi per provocarVi a sfidarmi, e Voi… cosa sapete di me? Con cosa mi potreste provocare? Io mi sento provocato solo da chi ritengo mio pari, non dal primo che passa… ”

Oscar sobbalzò e Girodelle arrossì imbarazzato – non intendeva offenderla, ma forse lo aveva fatto. Si scusò.

“L’incarico che ci stiamo disputando richiede,” riprese Girodelle, parlando con tono paziente, “a mio parere, più di una buona spada. Io ho già servito, per poco forse, ma l’ho fatto, e forse qualcosa, in merito ad obbedienza, lavoro di squadra e comando, l’ho dimostrata. Voi no. Per me, Voi, Jarjayes, non avete dimostrato nulla.
Scegliere tra noi due è dipeso da quanto erano disposti a spendere le nostre famiglie per un brevetto militare, dal peso delle vecchie amicizie di famiglia, e, a quanto pare, dipenderà da uno spettacolo da circo… un buon capo di un gruppo di spadaccini non è necessariamente il migliore spadaccino, ed io non mi ritengo solo una spada.” Socchiuse gli occhi, ma nulla trapelava dal suo visto. “Ma forse” riprese con tono leggero “a nessuno interessa davvero selezionare un buon capo. A forza di badare alla forma, qualcosa si è perso nella sostanza…”


“In ogni caso questi sono gli ordini…” concluse asciutto Girodelle “anche io ho i miei sogni, che credete, Jarjayes? Ma non ce l’ho assolutamente con Voi. Per cui, per me, questa cosa imposta è al primo sangue. Voi, però, fate pure come credete. Per me siete libero.”

Si tolse la giacca blu con un gesto elegante e la poggiò noncurante su un ramo basso di un albero lì vicino.

Lei non lo guardò in volto – non aveva pensato a lui come ad una persona per tutto questo tempo, solo ad un cortigiano elegante che conosceva sua sorella. Uno che avrebbe battuto.

“Primo sangue anche per me, solo che…“ fece un gesto di scusa verso il suo abbigliamento: il panciotto era verde scuro, i pantaloni marroni…

“So che siete una persona d’onore.” la tranquillizzò il giovane.

Lei annuì.

Girodelle la guardò interrogativo, “Cominciamo?”


Note finali: volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto, lasciato un commento, seguito, ricordato e preferito.
Questa storia un po’ stramba si chiude qui. Spero tanto vi sia piaciuta.

Le rose di Oscar a me sembrano delle tea che però non erano le rose “in voga” nel Settecento.

C'è una one shot pronta - e uno di voi lo sa!

Per chi commenterà: perché secondo voi Danielle non ha cenato con Oscar quella sera? Perché non le ha dato nessun consiglio?

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