Hai Valutato Tutte Le Possibilità? di tixit (/viewuser.php?uid=707972)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Devo Chiederti Una Cosa ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Non E' Niente Di Particolare ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Non E' Detto Che Ti Piaccia ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Non E' Mai La Conclusione Giusta ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Non E' Mai Senza Conseguenze ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Non E' Mai Per Un Solo Motivo ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Non E' Mai Per Sviare L'Attenzione ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII - Non E' Mai Per Non Dire Una Bugia ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII - Non E' Perché Te Lo Devo ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX - Non E' Per Una Domanda A Cui Non Ho Risposto ***
Capitolo 11: *** Capitolo X - Non E' Per Tirare Un Pugno ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI - Non E' Perché Tu Non Mi Vedi ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII . Non E' Perché Non Sono Io ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII - Non E' Perché Il tempo Non Si Ferma Mai ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV - Anche se è No, Io, Comunque, Ci Sono ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV- Dove Oscar Capisce Perché Certe Domande Non Si Fanno ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI - A Volte E' Questione Di Dimensioni ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII - A Volte Devi Lasciar Andare ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII - I Migliori Piani degli Uomini e dei Topi ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX - Si desidera ciò che si vede ***
Capitolo 21: *** Epilogo - Chiedere di Spiegare Certe Cose è un Insulto ***
Capitolo 1 *** Prologo - Devo Chiederti Una Cosa ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film... e qualunque altra cosa.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: questo è il prologo.
Note2: c'è stata una revisione, che è consistita nell'aggiungere la colonna sonora (pop, tutta pop!).
Hai Valutato Tutte Le Possibilità?
Prologo
Devo chiederti una cosa
Mama, take this badge off of me
I can't use it anymore.
It's gettin' dark, too dark for me to see
I feel like I'm knockin' on heaven's door.
Knock, knock, knockin' on heaven's door
Mama put my guns in the ground
I can't shoot them anymore
That cold black cloud is comin' down
Feels like I'm knockin' on heaven's door
Knock-knock-knockin' on heaven's door
Bob Dylan (knocking on heaves door)
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Because when the sun shines, we'll shine together
Told you I'll be here forever
Said I'll always be your friend
Took an oath, I'ma stick it out to the end
Now that it's raining more than ever
Know that we'll still have each other
You can stand under my umbrella
You can stand under my umbrella
Priestley/ Rihanna... (Umbrella)
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Oscar, bagnata fino al midollo, coi capelli biondi, incollati al viso, entrò nella stanza di André senza bussare.
“Devo parlarti!”
Lui era seduto alla sua scrivania e stava leggendo alla luce della lampada; si voltò lentamente, “Cosa ci fai qui?”
“Devo chiederti una cosa.”
“Me la devi chiedere qui?”, posò il libro e corrugò la fronte, "proprio qui?"
Lei prese una sedia e si sedette, con le gambe divaricate come un uomo, le mani poggiate sul bordo, tutta protesa verso di lui, proprio come faceva da bambina quando voleva coinvolgerlo in qualche marachella: “E’ importante.”
“Importante..." André scosse la testa, "... importante... pensavo che tu dovessi prendere una decisione, stasera, una decisione davvero importante, quella sì...” la osservò con attenzione, “l’hai già presa?”
“No, ancora no”, scosse la testa come se lui stesse parlando di un dettaglio irrilevante, “ti volevo chiedere una cosa, prima. Di fare una cosa, se vuoi...”
Lui la interruppe brusco “Oscar questa è la tua casa” il tono si fece paziente, infinitamente paziente, “la casa di tuo padre, per essere precisi. Io lo so. Tu lo sai? Sai che è casa sua?”
Lei annuì, stupita.
“Ma questa è la mia stanza. Alla fine di una giornata di lavoro,“ la guardò negli occhi mentre sottolineava questa parola, “un lavoro che mi piace molto,“ abbassò il tono, che, nel silenzio della stanza, con solo il ticchettio della pioggia sui vetri, sembrò quasi dolce “moltissimo, credimi," le sorrise, "io vengo qui, per stare da solo, in un posto in cui nessuno entra senza bussare, lo capisci questo?”
Lei arrossì “Ascoltami! André, ascoltami solo per un attimo e capirai... “
Era impaziente.
Travolgente, testarda, incosciente e ovviamente impaziente.
André sospirò.
“Ti ascolto, ma non qui”. Si alzò e si diresse verso la porta.
La ragazza si alzò dalla sedia e si sedette sul letto di André, allungando le gambe.
“Qui va benissimo.”
Lo guardò con aria di sfida.
Lui scosse la testa “Qui non va bene per niente,” aprì la porta, “io vado in cucina e preparo una tisana.”
Uscì senza voltarsi.
“Ne hai bisogno.” |
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Capitolo 2 *** Capitolo I - Non E' Niente Di Particolare ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: Spero tanto che la storia non risulti involontarimente umoristica... anche se io mi sto divertitendo molto a scriverla.
Attenzione! Non è propriamente erotica, ma qualcosa di vagamente erotico c’è (non credo da bollino rosso), non è propriamente umoristica, ma qualcosa di allegro c’è.
E’ una storia come piaceva a me.
Hai Valutato Tutte Le Possibilità?
Capitolo I
Non è niente di particolare
Come entrò in cucina, dubbiosa, lui le lanciò un telo per asciugarsi “Siediti vicino al fuoco, e asciugati i capelli. E lascia la porta aperta. Grazie.”
“Qui possiamo parlare, finalmente? qui va bene? qui ti senti a tuo agio?” chiese ironica, sedendosi su un vecchio sgabello di legno, vicino all’enorme camino della cucina.
Cominciò ad asciugarsi i capelli senza avvicinarsi troppo alle fiamme, una cosa che aveva fatto mille volte, in quella cucina, dopo essere uscita a camminare nella pioggia, a volte proprio con André.
Quante volte erano stati lì, tutti e due appollaiati ognuno sul suo sgabello, ma vicini, facendo finta di essere mortificati, mentre la Nonna li rimproverava per qualche cosa?
Perché c’era sempre qualche cosa per cui rimproverarla. Scosse il capo amaramente.
Sempre.
“O dovevo bussare, André? Anche a questa porta?”, ma da quando, si chiese, c’era bisogno di tanta formalità tra loro due? Che lei addirittura bussasse prima entrare nella sua stanza?
C’era stato un tempo in cui facevano il bagno nel mare insieme, nudi, in Normandia, senza nessun imbarazzo... e adesso doveva addirittura bussare perché lui voleva dei momenti tutti per sé... nella sua Camera Inviolata, nemmeno lui fosse Raperonzolo o la Principessa sul Pisello.
“Imparare a bussare non è mai una cattiva idea,” la guardò severamente negli occhi “e non buttare via il proprio tempo sarebbe una idea anche migliore.”
“Non sto buttando via proprio niente!”.
Distolse lo sguardo, infastidita: non era venuta per quello, non lo aveva cercato per sentirsi dire quello che doveva fare pure da lui.
Perfino da lui.
“Oscar, ascolta, tuo padre ti ha fatto una proposta, una che finalmente darebbe un senso a questa tua vita,” scosse la testa, “o che lo toglierebbe. Io proprio non lo so.”
“Se non lo sai, di cosa ti impicci, allora? Hai parlato con mio padre?” lo guardò gelida, improvvisamente cattiva, “il Generale ha dato qualche ordine particolare al suo Servetto?”
“Sarò sincero,“ rispose tranquillamente André, facendo finta di non aver colto la cattiveria di lei, chiaramente voluta, “questo Servetto non vuole avere niente a che fare con questa decisione...” la guardò con affetto, “è una cosa tutta tua.”
Oscar sbuffò.
“Ma hai solo stanotte...” riprese, “ora, se fosse successo a me, se fossi io davanti ad una scelta...a qualcosa di importante... io starei in camera mia a valutare le possibilità che ho, e tutte le conseguenze che mi si presentano... ma io sono io. Tu invece, cosa diavolo stai facendo?”
Le versò la tisana in una tazza, la versò anche a sé e si sedette all’enorme tavolo di quercia della cucina.
“Il Generale mi ha chiesto di entrare nelle Guardie Reali,“ Oscar si interruppe per sorseggiare la tisana, “E’ ancora troppo calda”, sorrise e poggiò la tazza in terra accanto a sé, “è un grande onore e una tradizione di famiglia,” riprese, quieta, ”a cui il Generale tiene moltissimo, e per cui, piccolo particolare, mi pagherebbero. Non che il denaro mi serva davvero.
Lo sai."
Sospirò.
"La Delfina ha la mia età," riprese, "e pensano che potrebbe essere una buona idea, da molti punti di vista... meno uomini ci sono che le girano intorno, in questo particolare periodo, meglio è.
Sarebbe un bene per lei, sarebbe un bene per il Delfino, anche se pare non se ne renda conto," sorrise divertita.
"Sarebbe un bene per mio padre, per la sua carriera." si osservò le mani, assorta, "ci sarebbe un senso di continuità e a nessuno verrebbe in mente di sostituirlo nei suoi vari incarichi, per favorire una nuova famiglia, una con una linea di discendenza più... solida..." scosse la testa, "sarebbe un bene per mia madre, che non se la cava molto bene con gli intrighi di Corte, anche se..." sorrise perplessa "... io in questo non saprei come aiutarla,"
André sorrise divertito, ma non disse nulla.
"Sarebbe un bene anche per le mie sorelle: avrebbero un fratello a Corte.
Migliori matrimoni per quelle non sposate.
Migliori favori per i mariti di quelle sposate." scosse le spalle "Favori per tutti. Per cose utili ed inutili".
"In più," riprese dopo un attimo di silenzio, sorridendo amaramente, "potrebbero essere accompagnate da una persona di famiglia, che non... " arrossì, "potrebbero andare in tutti quei posti in cui non dovrebbero andare senza scorta. Ma questi non sarebbero fatti tuoi, per cui dimenticatelo."
Chiuse gli occhi
"Tutti soddisfatti, quindi.”
“E tu?“ la interruppe, “Tu cosa hai deciso?”
“La Delfina ha 15 anni, ed è sposata da due.” Lei lo guardò negli occhi, con aria di sfida, allungando le gambe davanti al fuoco. Si tolse il suo vecchio panciotto di panno verde e appoggiò la schiena contro il camino, incrociando le braccia dietro la testa. La camicia bianca, ancora bagnata, le era praticamente incollata al corpo, un corpo indubbiamente di una ragazza di quindici anni.
Ragazza.
Femminile singolare.
Quasi donna.
“La Delfina ha la mia età” sussurrò, senza distogliere i suoi occhi da quelli di lui.
Lui si strinse nelle spalle “Ha la tua età e ha i suoi problemi con il suo matrimonio. Non la invidierei troppo al posto tuo...”
"Nessuno pensa che fosse troppo giovane, per la sua prima notte di nozze," inarcò la schiena, senza distogliere lo sguardo da quello di lui. Stasera non aveva il busto fasciato, quella camicia non lasciava dubbi. "Tu pensi che lo fosse?" sussurrò, "... troppo giovane, intendo?"
André si strinse nelle spalle "Non la conosco, come faccio a dirlo?"
Oscar arrossì, indispettita, ma continuò a guardarlo, mentre si slacciava, lentamente, il primo bottone della camicia “Fa caldo qui," sorrise "piuttosto caldo... Non è una età insolita, la sua, per una sposa... tutti si aspettano che il Delfino compia il suo dovere con lei... che la deflori...”
“Sarà contenta, povera ragazza, che tutti parlino della sua deflorazione... perfino i Servetti nelle cucine...“ la stava visibilmente prendendo in giro.
Oscar arrossì furiosa, “André, noi ci conosciamo da quando eravamo bambini...” si alzò di scatto dallo sgabello e cominciò a passeggiare per la stanza, “forse non ho la giusta pazienza... forse sbaglio qualcosa... io non lo so. Io proprio non lo so, credimi!" Sbuffò.
"Forse non te lo so far capire... quello che voglio... Ma non c’è un’altra persona a cui lo potrei chiedere, non c’è." si passò una mano tra i capelli ancora umidi, "Se ci fosse... potrei anche non chiedertelo, anche se, onestamente, io lo chiederei, ne sono sicura, per prima cosa a te. Ma è del tutto inutile stare qui a farsi domande... a.. inalellare ipotesi inutili: semplicemente... un’altra persona a cui chiederlo non c’è!"
Scosse la testa esasperata, "Guarda, io... io non capisco, sul serio, dico... non è niente di particolare quello che ti chiedo, lo fanno anche gli animali... che sarà mai? Proprio niente di particolare, non vedo dove sia il problema, per te... Maledizione!”
Si fermò e lo guardò imbarazzata: “Vorrei che tanto che tu lo capissi, quello che ti sto chiedendo, accidenti a te! Senza nessun bisogno di dirlo...”
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Capitolo 3 *** Capitolo II - Non E' Detto Che Ti Piaccia ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: Mi spiace deludere chi si aspettava una storia erotica... non lo è.
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Capitolo II
Non è detto che ti piaccia
“Ma guarda che io capisco, capisco benissimo, credimi.
E, senza nessun bisogno di chiederlo, ti dico che la risposta è no.” La voce di André era paziente come sempre, forse un po’ stanca, ”e ora, prima che si raffreddi troppo, bevi la tua tisana, così stai serena e te ne torni in camera tua a pensare alle cose serie.”
Lei lo guardò sorpresa. Non se l’aspettava proprio questa risposta, “André noi abbiamo fatto tante cose insieme,” insistette cautamente, “quasi tutto, da che io mi ricordi, e ne abbiamo imparate molte insieme.”
Stava cercando di pesare con molta cura le parole per portarlo dalla sua parte, perché vedesse tutta la faccenda come la vedeva lei, in modo semplice e molto pratico.
Una cosa innocente, tutta tra loro due – io copro te e tu copri me - come sempre.
Insieme.
Non era la prima marachella che avevano combinato di nascosto, le pareva, perché mai adesso doveva fare tanto il prezioso? In fondo... ma cosa gli aveva chiesto mai?
“Lo so che abbiamo fatto tante cose insieme,“ le spiegò lui con pazienza,”Ma questa no. Non la facciamo.“
Raccolse la tazza di lei da terra e la poggiò sul tavolo.
Le fece cenno di sedersi.
”Questa cosa non possiamo impararla insieme, e non dovresti perdere tempo a pensarci, la notte sembra lunga, ma è breve, molto breve... domani mattina arriverà prima che te l’aspetti e non sarai pronta!”
“Ma non dobbiamo metterci tutta la notte...” rispose, pratica, Oscar, alzando gli occhi al cielo, “possiamo anche essere molto rapidi! Basta solo che ti sbrighi.”
Ad André andò di traverso la tisana.
“Oscar,” puntualizzò tra i colpi di tosse, “per piacere,” la guardò storto, “non è una gara! Accidenti! Ma cosa avresti intenzione di fare? Di portarti appresso uno dei nuovi cronometri di Harrison? Vuoi battere un record di velocità!“
Scosse la testa divertito “Guarda che non funziona così!”
"E tu che ne sai?" ribatté Oscar piccata.
André non le rispose.
“Tu... Tu lo hai già fatto!” esclamò lei con la stessa aria trionfante, con cui mentre giocavano a carte, gli avrebbe detto che aveva capito che aveva una mano di fiori.
E così questa... esperienza... Oscar scosse la testa, sorseggiando di nuovo la tisana, lui l‘aveva già fatta per i fatti suoi, guarda guarda... sicuramente in qualche bordello di Parigi, pensò con pratico buonsenso: prima o poi, andavano tutti lì, a farlo senza amore e senza amicizia, tra sconosciuti, e lo trovavano pure normale.
E adesso aveva il coraggio di fare la predica a lei, quando quello che non era più... quando quello che lo aveva fatto, tra i due... scosse la testa incredula.
Poi fece una smorfia di disgusto "E' amaro... questo intruglio, intendo..." e spinse la tazza verso di lui.
Certo, un po’ le spiaceva che lui non avesse aspettato.
André scosse la testa e si alzò “Certo che sei proprio insistente! Si, l’ho fatto, va bene, e allora?" Prese da uno stipo un barattolo di di miele e glielo porse.
"Che importanza ha quello che faccio io? Proprio stasera, poi?” si capiva che era esasperato,”Ma cosa credi? Che questa notte si allungherà per te? Per darti tutto il tempo che ti ci vuole per capire cosa vuoi? La notte è uguale per tutti! La notte se ne frega dei nobili!”
“Ma io vorrei solo capire...”
“Ma capire cosa?” André era visibilmente spazientito, “Non mi pareva proprio, prima, che tu volessi capire qualcosa.
Perché a me, poco fa, mentre mettevi su il tuo spettacolino di camicia bagnata e chiacchiere disinibite sulle deflorazioni altrui, come se stessimo parlando di che tipo di avena dare ai cavalli quest’anno, mi pareva che mi stessi chiedendo ben altro che capire!”
“Guarda che io, di quello che ho detto, non mi vergogno affatto!” lo guardò seria.
Era seria.
“Oscar,“ André cercò a fatica la pazienza dentro di sé, “io non so come fartelo capire! Non ti sto giudicando. Non ti sto affatto dicendo che ti dovresti vergognare se... ci hai pensato.
E' una cosa naturale, e va bene, va benissimo così.
Man... non è la cosa in sé, sono le conseguenze.
Hai mai valutato tutte le possibilità? Valutato davvero, intendo, senza agire d’impulso? Come fai di solito?”
Lei tacque, testarda come sempre.
Lui sorseggiò la tisana “La prima cosa che potrebbe capitare, la prima cosa storta, ma veramente storta, tienilo a mente, è che non ti piaccia affatto.”
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Capitolo 4 *** Capitolo III - Non E' Mai La Conclusione Giusta ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: capitolo così così. Per il prossimo vedrò di fare meglio.... L'ho un po' rimaneeggiato perché non mi piaceva tanto.
Hai valutato tutte le possibilità?
Capitolo III
Non è mai la conclusione giusta
Oscar smise di armeggiare con il barattolo del miele e lo guardò interrogativa - i poeti inglesi scrivevano bellissimi poemi pastorali alle ninfe chiedendo che venissero con loro e diventassero le loro amanti su letti di rose, Ronsard parlava del rimpianto, una volta giunti alla vecchiaia, per la rosa non colta, i preti tuonavano contro la lussuria, a Corte la DuBarry intrigava impunemente solo perché era l’amante del Re, i bordelli erano pieni - e questo lui lo sapeva meglio di lei, pensò malignamente – tutti partecipavano vigorosamente a questa gioiosa festa pagana, tutti... e lui... lui...
Chiuse gli occhi.
André avrebbe dovuto vivere in un circolo di filosofi stoici. Lo guardò esasperata. Alla ricerca dell'atarassia, ce lo vedeva proprio bene...
Eppure, a lui, Marlowe, una volta, piaceva parecchio; lo leggeva in continuazione per i fatti suoi, se lo ricordava perfettamente.
Come live with me - Vieni a vivere con me.
Questo in fondo, a voler ben vedere, lui già lo faceva.
And be my love - e sii il mio amore.
Ma lei non gli stava chiedendo quello. Anzi... quello non glielo avrebbe mai chiesto, per carità! Roba da... da... scosse la testa disgustata. Sapeva chequello, comunque, lui non glielo poteva dare.
E quello, per quanto la riguardava, non lo avrebbe mai e poi mai chiesto a nessuno.
E poi, sorrise dentro di sé, il Pastore, con Amore, intendeva solo dire Amante, voleva solo infiorare un po' la sua proposta, mettere sul piatto un po' di illusione - lo si capiva molto bene dal seguito della poesia. E André quella poesia la conosceva bene.
And we will all the pleasure prove - E proveremo tutti i piaceri...
Ma lei non stava nemmeno chiedendo questo, non doveva diventare il suo schiavo e farlo con lei per i boschi e le valli a ogni suo schiocchiar di dita... tenuto al guinzaglio, come un cagnolino da compagnia.
Non gli avrebbe mai chiesto questo, non sarebbe stato giusto per niente, usare così una persona, legarla così, costringerla a essere quello che non... lo avrebbe dovuto sapere...che proprio lei... mai!
Sbatté frustrata il barattolo sul tavolo.
A lui, mai!
Ma in fondo, che gli aveva chiesto di così tremendo, accidenti a lui!
Se fosse dipeso da André, il Pastore avrebbe detto alla Ninfa: vieni con me, sii la mia amante, proveremo tutti i piaceri che le valli, i boschi e le colline ci possono dare, però guarda, ti avviso prima, tu non venirti a lamentare dopo: potrebbe pure essere che non ti piaccia per niente. Anzi, sai che c'è? stiamo sul sicuro e non ne facciamo nulla!
Un poeta! Arricciò il naso, indispettita.
Non se ne era mai accorta, ma lei viveva con l'ultimo dei poeti elisabettiani... poeta e stoico.
... e quel maledetto barattolo non si apriva.
“Perché mai non dovrebbe piacere proprio a me?” chiese piccata, spingendo il miele verso André, “lo apri, per piacere?”
“Ascolta,” riprese André visibilmente imbarazzato, ”non è proprio a te... quello che chiedi non è una cosa che di solito si fa con un uno due tre pronti... via!” la guardò scuotendo la testa.
“Di solito, o, almeno... la... la prima volta, dovrebbe essere con qualcuno che ti piace sul serio," la guardò severamente, molto severamente, "non con il primo che passa!"
"E... prima... ci dovrebbero essere sfioramenti casuali con questa persona, che però lasciano un segno, ti ritrovi a pensare a quel gesto, a chiederti se è stato casuale o voluto... e se quello stesso gesto ricapita e capisci che è stato voluto, da uno sguardo, dal soffermarsi di suoi occhi nei tuoi, è come una carezza nascosta... lo capisci questo?" la guardò neglio occhi, con infinita gentilezza. "Puoi ballare con cento ragazze ad una festa di paese, con ognuna metti le mani negli stessi posti, spalle, fianchi... E ognuna farà lo stesso con te... alla fine... è un ballo, tutti che si muovono insieme facendoesattamente le stesse cose.
Puoi cambiare la ragazza, ma il ballo è sempre quello, non cambia.
Ma, la verità è che, tra tutte quelle cento, tutte uguali, solo di una sarai consapevole... di ogni volta che la sfiori...”
Lei arrossì e abbassò lo sguardo, perplessa. Quella che André stava descrivendo non sembrava per niente una scena vissuta in un bordello.
Il ragazzo si alzò e guardò fuori dalla finestra, pensoso,“C'è l'incertezza, e poi ci sono i baci, gli incontri furtivi, pensare tutto al giorno a come ricaverai lo spazio di quei pochi minuti di intimità solo per voi due. E poi ci sono limiti che superate man mano, qualcosa di audace, qualche no, qualche passo indietro e qualche sì... prima di farlo sul serio lo avrai fatto almeno cento volte nella tua testa. E quando alla fine succede è solo... come l’ultima nota di una canzone. E’ la conclusione giusta.”
“Lo stai facendo con qualcuna? Regolarmente intendo?” chiese diretta. Non aveva proprio pensato al fatto che, forse, stava invadendo il territorio di un’altra. Di una a cui, a quanto pare, non si poteva dire "no, questo no".
Le venne da sorridere.
La sua ultima nota... l'Ultima Nota di André... vomitevole!
Se era così, però, forse, sarebbe stato più corretto ritirarsi in buon ordine... anche se, a voler ben vedere, in un certo senso, pensò, improvvisamente irritata, era l’altra che aveva cominciato.
A invadere un territorio... un territorio così piccolo, poi. Non era stata leale.
“No, in questo momento non c’è proprio nessuna.” rispose André seccamente, ”e grazie,“ soggiunse sarcastico, “per tutto questo gradito interesse per i fatti miei... e sottolineo miei.”
Lo sguardo che le lanciò avrebbe dovuto incenerirla, ma Oscar si strinse nelle spalle. Aveva solo fatto una domanda...
“Ma quello che sbaglia sono io, mi è chiaro! Sono io lo scemo che ti do pure retta su queste cretinate, e cerco di..." sbattè il barattolo sul tavolo, amareggiato.
Oscar trattenne il fiato, mortificata.
Rimasero tutti e due in silenzio per alcuni minuti.
“Quello che voglio dire" riprese André, cercando disperatamente di essere vagamente gentile "è che, senza tutto quello che avrebbe dovuto esserciprima, e che, in questo momento, non c’è... che non c'è stato,“ ribadì André ”una volta finito, e tirate le dovute somme, non è per niente detto che ti piaccia."
Lei non disse nulla.
"E io non voglio che tu mi chieda questo, maledizione! Tu... ma non lo capisci? Quello che mi stai chiedendo è di giocare il ruolo del bastardo, che questa cosa, te l'ha fatta allegramente buttare via... che se l'è presa sapendo molto bene che tu, tutte le conseguenze, non le avevi nemmeno prese in considerazione.
Tu credi che non ti importi, lo pensi adesso..." Oscar scosse la testa scettica. "Ma un giorno ti importerà." La voce di lui s'era fatta dura, "ti importerà da morire." Per un attimo Oscar pensò che André avrebbe tirato il barattolo contro il muro. "E comunque," riprese a voce bassa, "se non importa a te, importa a me, e, se permetti, questo, per me, è sufficiente per dire no."
Il viso di Oscar era in fiamme, ma non lo guardava
"Tu, invece," continuò André sospirando, "tu irrompi in camera mia, ti siedi sul mio letto, inarchi la schiena come un gatto che vuol essere accarezzato, fai le fusa...e, con la stessa aria con cui mi chiederesti di provare una spada nuova, per vedere se ti piace come è bilanciata, mi chiedi di farlo.
Là per là.
Tanto per vedere cosa, per caso, ti saresti persa." era divertito, "E mi chiedi di farlo pure in fretta, di sbrigarmi... veloce! Non ci vorremmo mica mettere tutta la notte?” la rifece il verso, gentilmente, perché si sentisse a suo agio.
A Oscar venne da ridere, ma si trattenne.
“Tieni il tuo miele,” le sorrise, allungandole il barattolo.
Lei, con aria riflessiva, lo annusò, non era completamente convinta, “A Corte... molte donne...” ribatté pensosa, “molte donne," sottolineò, "hanno molti amanti, anche di una sola notte. Anche sconosciuti.”
"Forse, " insistette cauta, "non a tutti importa... che ci sia..." cercò le parole più adatte, per non offenderlo, avrebbe detto 'illusione', come prima cosa, ma poi c'era l'Ultima Nota di cui tener conto, la stronza, e lui ci aveva tenuto, era chiaro. Le doleva il cuore ammetterlo, ma andava rispettata. Almeno... rispettata finché la rispettava lui, "che ci sia... una dimensione...sentimentale... forse non siamo tutti, proprio tutti uguali... l'hai valutata questa possibilità?"
Lo guardò con aria di sfida – e ora, sembrava dire, come la mettiamo? |
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Capitolo 5 *** Capitolo IV - Non E' Mai Senza Conseguenze ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film ... questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: André parla decisamente un po’ troppo, ma, siccome di solito nell'anime è silenzioso, diciamo che aveva un po’ da recuperare... qui ha 16 anni ed è un po' troppo maturo per la sua età (ha ragione Lucy71). Però parliamo di un'epoca dove la vita media era più corta della nostra e si diventava adulti prima (mettiamoci una pezza, insomma, sulla credibilità).
Mi sarebbe piaciuto ambientarlo ad un'altra età, ma non avrebbe avuto molto senso per il tipo di discorsi e conclusioni che avevo in mente, e forse mi sarebbe servito un André più vecchio, ma potevo giocare solo su un anno... è un po' forzata. Magari poteva essere un AU?
Punti sicuramente deboli, miei, che vedo io (e pamina e serelalla confermeranno, immagino, leggendo le review): descrizione di ambienti - non è il mio forte, tanto che avolte ne farei volentieri a meno... - linguaggio inadeguato all'epoca.
Il clima è un po’ meno divertente. Non è detto che necessariamente piaccia, ma... la storia è questa.
Avevo scritto: "Non so se anche questo capitolo finirà per essere rimaneggiato"... beh, è stato rimaneggiato.
Ma allora aspetta a pubblicare!
Eh ma quando lo pubblico mi pare di non poterlo toccare più e di non riuscire a modificarlo!
C’è un po’ sospeso una domanda non fatta su quanto Oscar è sicura o meno della propria identità sessuale, ma non lo sapevo scrivere bene...
Ringraziamenti: è stato davvero bello ricevere tutte queste review! Vi ringrazio tutte e cercherò di rispondere a tutte pian pianino. Mi piacerebbe se mi diceste cosa non vi piace - non voglio fare betaggi, è troppo complicato, ma le critiche le accetto molto volentieri!
Hai valutato tutte le possibilità?
Capitolo IV
Non E' Mai Senza Conseguenze
“Magari hanno una esperienza che tu non hai?” le rispose seccamente. "Che dici? Sai com'è..." continuò sarcastico, "tanto per fare una ipotesi."
“Si, hai ragione, credo sia proprio, come dici tu," annuì lei, tutta seria, tentando di non ridere, "penso che ce l’abbiano, una esperienza...loro" evitò di guardarlo mentre sottolineava l'ultima parola quasi innocentemente.
Molto quasi, ma non abbastanza.
André alzò gli occhi al cielo, esasperato, non gli era sfuggita la portata di quel quasi, e, si capiva, quel quasi non gli piaceva proprio per niente. “L'esperienza, se non lo sai, è la somma dei nostri errori madornali, e non coincide per forza con la saggezza."
“E’ una possibilità, caro il mio André La Rochefoucauld," insistette Oscar, con aria pratica, la stessa con cui stava osservando il contenuto del barattolo, "ma non è la sola. Visto che le vuoi esaminare tutte, non soffermiamoci troppo sul mio possibile pentimento futuro. E ti risparmio anche di illustrarmi la possibilità mistica, quella in cui, inorridita dal mio peccato, mi rinchiudo in convento, possibilmente a Malta.”
“No, non è la sola possibilità,” concordò lui, sempre più sarcastico “ce ne è anche un’altra, pure molto più interessante: che non ti piaccia proprio per niente, ma non subito dopo, e nemmeno tra qualche tempo, quando vorresti non averlo fatto... è possibile che non ti piaccia affatto proprio mentre lo stai facendo.”
Lei scosse la testa incredula.
“A Corte c'è di tutto.
A Corte puoi trovare gente che compra qualunque cosa.
A Corte puoi trovare gente che vende o scambia qualunque cosa.
Non userei la Corte come esempio di ciò che è... usuale." Distolse lo sguardo da quello di lei, cercando di ritrovare, dentro di sé, almeno la parvenza della ragionevolezza. "Le persone di cui mi parli, quelle che si prendono perché in quel momento si piacciono, e poi si lasciano perché non si piacciono più, senza che ci siano mai conseguenze particolari, non le trovi solo a Corte, comunque.
Di certo, queste persone, usano della loro libertà e non delle altrui convenzioni, e sono meno ipocrite di chi predica una serie di regole molto severe, non sempre alla portata di tutti, minacciando i trasgressori con l’Inferno, o con l’ostracismo dalla loro società,“ scosse la testa visibilmente amareggiato, "permettendo poi, magari, senza batter ciglio, cose molto più cattive."
“Non giudico male un libertino, la vita alla fine è una sola,” riprese, “e un romanzo licenzioso mi diverte, e capisco che il divertissement sia qualcosa che aiuta a vivere e pure a pensare, perché no? Ma io sto parlando di persone che hanno avuto una esistenza variegata, spesso complicata, e che, adesso, hanno delle cose da dire.
Le persone a Corte, che mi porti come esempio tu, invece, loro, molto semplicemente, si annoiano e riempiono il tempo con qualcosa che, alla fine, è alla portata di tutti, qualcosa per cui non serve intelligenza o studio, o arte, o dura fatica, qualcosa di talmente semplice che, proprio come dicevi tu, lo fanno anche gli animali...”
“Ascolta...”
“Non mi interrompere, ti prego. Non sto svilendo questa cosa, credimi. E non ti sto giudicando, né ti voglio attribuire a forza una superficialità che non hai. Insomma, " scosse le spalle, "tu non mi scandalizzi proprio per niente, ma io non lo faccio, io non lo voglio fare solo perché esistono persone per cui farlo non ha nessuna conseguenza, facendo finta che per me sia la stessa cosa, se permetti. Loro sono loro e tu sei tu ed è quello a cui stasera dovresti pensare, a come... avere anche tu una esistenza variegata al punto giusto, libera magari da... "si interruppe brusco," non sta a me dirti certe cose, ma ci sono ben altre cose a cui dovresti pensare, stasera, non a queste stupidaggini.”
Lei continuava a fissare pensosa il contenuto del barattolo. Poi, a voce bassa, disse: "Mi fa piacere che mi concedi così graziosamente che io sono io, ma magari... non so... mi potresti anche concedere che le mie, di esigenze, proprio perché mie, non prese a prestito da un altro, ma tutte mie, potrebbero non coincidere in modo esatto con le tue..." sospirò un pochino rattristata, "io non sono come te, lo sai?"
“Oscar,“ la sua voce era così gentile, quasi tenera, “queste esigenze... per trarne piacere, intendo... devono necessariamente presupporre una certa... confidenza con il loro corpo... per soddisfarlo, intendo, non necessariamente per massimizzare il piacere, ma per trarne un minimo quanto meno. Parliamo di una confidenza che, secondo me, tu non hai. Sbaglio?”
Oscar arrossì, ma non rispose.
“Quel... come lo hai chiamato? percorso sentimentale che adesso ti fa tanto sorridere, perché t'ho vista sai? sorridere, incredula, mentre cercavi le parole" lei sbuffò irritata. "Lo so che mi vuoi far capire che questo aspetto sentimentale non lo senti tuo, e va bene, adesso è così, in questa circostanza è così, ma ha comunque il suo peso.” Riprese André pazientemente, “Quello che tu mi stai chiedendo di fare, puoi spogliarlo dell’amore, se vuoi, della passione, che ha una sua forza, dell’attrazione, perfino di quello che ti farebbe dire che quella cosa la vuoi fare con quella persona lì, o non con un'altra, va bene, Oscar, fallo, ma resta la gradualità.”
Prese la tazza di lei è la toccò: oramai era fredda, si alzò e la riportò vicino al fuoco. Si inginocchiò vicino alla fiamma, e, senza guardare la ragazza, fissando il fuoco, proseguì ”esplorare il corpo uno dell’altra, darsi il giusto tempo... dovrebbe preparare il tuo corpo a trovare l’esperienza piacevole per quanto possibile. Non sto parlando solo di un preparazione mentale, che ha il suo peso, perché sentirsi desiderati ci rende più... forti... dentro, sto parlando del tuo corpo, carne e sangue, di come reagisce... con altra carne, perché la prima volta, per una ragazza, di solito, così piacevole non è.”
Oscar arrossì imbarazzata. “Non c’è il tempo per quella gradualità,” rispose, a bassa voce. “lo sappiamo tutti e due, c'è solo stasera... e poi non la voglio nemmeno, non mi interessa!
Cosa dovrei fare? Passare un mese, tutte le sere, a scorrere un... un elenco di cose da fare e da non fare, dalle nove di sera alle dieci, come fosse un impegno di studio, una lista di esercizi in ordine crescente... i verbi latini, prima declinazione, rosa rosae rosae... lo trovo innaturale.
Io te lo sto chiedendo qui ed ora, una cosa che si fa, che viene come viene, e poi si archivia.
Una cosa di cui non parlare mai più dopo, se preferisci, se ti turba così tanto... ”
André trattenne a fatica una risata.
“Ma tu lo hai già fatto,” sottolineò lei con aria pratica, “non è come se fosse la prima volta per te, sai come va fatto, sai cosa aspettarti, e non c'è una persona che avrebbe da ridire perché sei suo... che problema c'è, per te? E io... sono disponibile a farlo, te l'ho fatto capire, mi pare... magari non tanto bene, d'accordo, mi manca la pratica, ma ci ho onestamente provato.
Io lo desidero...” la voce di Oscar si fece molto dolce, quasi suadente, “non conta proprio nulla questo?”
André tacque per un minuto buono, poi si alzò e torno a sedersi accanto a lei “Oscar, so che per te questa sera è difficile, sto cercando di essere molto paziente con te, ma non è facile per me, credimi."
"Non è una cosa che dipende da quanto sei determinata," proseguì pesando con cura le parole, "dipende anche da quanta confidenza hai con il tuo corpo... tu ti comprimi il seno con le fasce, ti vesti da uomo da quando sei nata, ma non esattamente per tua scelta”
“Questo non c’entra niente con quello che ti ho chiesto.” lo interruppe lei indignata, “resta fuori dalla mia vita, André, perché, ricordatelo, ci sono dei limiti a quello che puoi o non puoi dire. Restane fuori.”
André si rilassò contro lo schienale della sedia, “non chiedo altro.” Sorrise bonario. “Posso restarne fuori? La finiamo con questi discorsi assurdi?”
“Ascolta “ replicò lei, “tu stai cercando di portando il discorso su argomenti che non c’entrano, sperando che io reagisca male e me ne torni nella mia camera, arrabbiata con te, avendo posato il discorso. Ma non funziona così!” scosse la testa, amareggiata.
”Non vuoi proprio capire...”
“André, se non lo vuoi fare con me perché io...” si morse quasi a sangue le labbra, avrebbe voluto dire non sono come la tua Ultima Nota, e a te piace farlo con lei e con quelle come lei, ma non con... una persona come me, ma non voleva tirarla in ballo, proprio lei.
“Oscar, parliamoci chiaro,” cercò di essere pacato “la tua testolina o quando pensa non pensa affatto, o, quando pensa, pensa più di una cosa contemporaneamente,”
Le sorrise.
“E’ una cosa che ha il suo fascino... ci sono persone a cui tu puoi chiedere il colore del cielo e quelle dicono che è blu, per abitudine, anche se alle loro spalle c’è un tramonto meraviglioso. Per loro il cielo è sempre e solo blu, il sole è giallo e il prato è verde,“ sospirò, ”e ci sono persone come te, che anche in un mezzogiorno d’agosto sanno che il cielo può essere anche nero come la notte, o bianco, come quando sta per nevicare...”
Lei arrossì imbarazzata.
“Acoltami, Oscar, è legittimo quindi che io mi chieda, se ci sono altre domande dietro la tua richiesta, magari sbaglio, ma è legittimo che io me lo chieda. Domande che non fai a me, ma a cui pretendi che sia io a darti una risposta.”
Lei scosse il capo, negando frettolosamente.
“Io a volte mi chiedo quanto tu e il tuo corpo siate... in amicizia... se sai, anche un po’ vagamente cosa ti piace, come ti piace... se ti piacerebbe davvero, al dunque, essere toccata da un ragazzo... e, sopratutto, non è un piccolo particolare, toccata da me."
"Toccata proprio da me," precisò, "intimamente, intendo..." lei distolse gli occhi, "e sono due domande legittima, la seconda, se permetti, lo è per me, la prima lo è verso qualunque ragazza inesperta, e che ti piaccia o non ti piaccia, verso di te, lo è anche un pochino di più. Legittima, intendo.”
La sfiorò per la prima volta, in modo che alzasse il mento e lo guardasse negli occhi, brevemente, giusto il necessario – sguardo blu, incerto, immerso dentro uno sguardo verde di sfida.
"Se tu aspettassi di innamorarti, o, anche, solo di provare una forte attrazione per qualcuno, allora sarebbe molto più semplice, molto più naturale. Per tutte e due le persone coinvolte, ma così...
Sapresti dire a quel ragazzo, che non legge nella tua mente, ricordatelo, e che magari non ha una sufficiente esperienza per capirlo da solo in modo inequivocabile, gli sapresti dire 'fermati, questo non mi piace', o 'continua questo mi piace, mi piace moltissimo'. Lo capisci questo? Se parlassimo di una gara a cavallo, di un duello con la spada, o, semplicemente, di darmi ordini” sorrise, ”io sono certo che sarebbe molto facile per te essere chiara, prima con te stessa e poi con me, ma in questo caso...”
Lei distolse lo sguardo a disagio.
“Se proseguiamo su questa strada, vuoi sapere come può finire? Come la cosa va storta, ma veramente storta in questo scenario possibile tra tanti? Va storta con te in lacrime che fissi il soffitto a disagio, perché quello che io ti faccio, a te, non piace per niente, o ti fa molto male più di quello che serve, e non me lo sai nemmeno dire! O te ne vergogni.
Questo mentre io, tra le tue gambe, te lo dico crudamente perché ti entri in testa una volta per tutte, cerco di darti piacere nei modi che so. E non ci riesco.
Perché questa storia che un uomo vale l'altro, mi spiace, per le prime volte, almeno, non vale.
Perché potrei non essere io quello giusto, per te.
Mi vuoi chiedere proprio questo? Di farti davvero questo? Proprio a te?”
Lei lo guardò senza fiato, sentendosi morire.
“O peggio ancora, nemmeno me ne accorgo, perché se a te non piace, a me, magari, non dico che io troverei la situazione entusiasmante, ma a me potrebbe tranquillamente piacere lo stesso.
Potrei essere pienamente soddisfatto, mentre lo faccio, come un qualunque animale sano, che monta una femmina, fregandosene, e poi torna a farsi i fatti suoi. Appunto... lo hai detto tu... lo fanno anche gli animali...”
“E, vogliamo essere ancora più schietti? finisce che dopo, magari, e neanche tanto magari, ti poni delle domande su di te, che non ha nessun senso porsi perché la sola cosa sbagliata in tutta la faccenda, è solo questa tua richiesta surreale.”
Oscar scosse la testa senza guardarlo.
“E io non credo,” riprese amaro,”non credo proprio che la sera dopo potremmo stare qui, tranquillamente seduti, a giocare a carte, o a suonare il clavicembalo, o a parlare di un libro, con la stessa tranquilla... fiducia? E’ una parola troppo grossa per te? Preferisci serenità? Noiosa consuetudine? chiamala come ti pare, ridici pure sopra, sviliscila, e poi, mi raccomando, salutala, perché, dopo una cosa del genere, sarà sparita...” |
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Capitolo 6 *** Capitolo V - Non E' Mai Per Un Solo Motivo ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film ... questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: In che direzione deve andare lo so – magari non è quello che ci si aspettva, m tant’è, è il bello delle fanfiction
Non sono tanto sicura di come ho pensato il susseguirsi dei capitoli. Questo è un po’ troppo intimista per i miei gusti – mi piacciono altri generi, ma tant’è...
Ringraziamenti: grazie di cuore a tutte per l’apprezzamento!
Hai valutato tutte le possibilità?
Capitolo V
Non E' Mai Per Un Solo Motivo
Sfiorò con le dita la superficie del miele, così dorato, così profumato, e cautamente se lo portò alle labbra.
Sorrise – miele d’acacia. Lo sospettava. Così buono che le riscaldava il cuore.
Mentre si leccava le dita, golosa, di colpo pensò che la odiava, odiava l’Ultima Nota di André, la odiava sul serio, quella scriteriata. Quanto la odiava!
Se lui non l’avesse incontrata, se non avesse avuto... quello che aveva avuto, qualunque cosa fosse stata o aveva avuto l’illusione che fosse, lui sarebbe stato esattamente come lei.
Un sedicenne pasticcione, più vecchio di lei, ma neanche poi di tanto, che sa di non sapere proprio niente del mondo.
Curioso, desideroso, pieno di slanci, sarebbe stato come un gatto delle sere d’estate, che miagola nei cespugli, malato d’amore e di giovinezza, felice di prenderla subito, visto che lei, una quindicenne pasticciona, gli si offriva, senza porsi troppe domande sul futuro e cosa sarebbe stato.
Beh, riflettè, succhiandosi pensosa il dito appicicaticcio, le domande lui se le sarebbe poste, se doveva essere onesta: era sempre stato un soppesatore di eventi, attento a smontare silenziosamente la realtà come se fosse un modellino imperfetto cercando poi rimontarla in modo diverso, sempre a chiedersi come e perché funzionasse in quel modo.
Sorrise tra sé.
Le venne in mente di una volta – avevano viaggiato per tre giorni, dormendo nei boschi – quella sera stavano cuocendo allo spiedo della selvaggina, il fuoco che crepitava, l'odore della carne che arrostiva, avvolta nelle erbe, lei, appoggiata al tronco ruvido che sistemava il contenuto della sua bisaccia - si era tolta gli stivali - lui che raccontava una storia spaventosa e il guardiacaccia di suo padre, che li accompagnava, che rideva... Sembrava ieri.
Si ricordava che a un certo punto aveva detto che André faceva troppo lo spettatore, nella vita; erano ragazzini, allora, ed era sempre lei quella che lo voleva trascinare in mezzo ai guai - lui era la voce del buonsenso.
Il guardacaccia aveva riso e poi le aveva chiesto se sapesse come si distingue un buon cacciatore da uno cattivo.
Un buon cacciatore, le aveva detto sorridendo, non va a caccia.
Un buon cacciarore aspetta la preda.
Beh, fino ad ora, lei, che la preda se la andava ostinatamente a cercare di prendere, non si era rivelata una buona cacciatrice.
Ma senza l’illusione dell’Ultima Nota, André, di sicuro avrebbe obiettato qualcosa, perché per lui c'era sempre qualcosa da obiettare, sempre, ma, in fondo, non più di tanto.
E sarebbe stato rassicurante per tutti e due scoprire questa cosa assieme. Sarebbe stato naturale.
A modo suo delicato, di sicuro fatto non tanto bene, d'accordo.
Magari più irruento del necessario.
Ma non era importante; quando era piccola, mentre stavano imparando a come cadere durante una lotta, facendosi meno male possibile, s’era ritrovata, alla fine, piena di lividi blu, viola, ciclamino - che male nel letto trovare la posizione giusta - che viravano da un colore all’altro a seconda del giorno in cui se li era fatti,
E non ne aveva certo fatto un dramma.
Invece adesso lui era un... incrocio tra un filosofo stoico ed un libertino non licenzioso... tuffò il pollice nel miele e si succhiò il dito, come quando era bambina, solo che adesso era grande e nessuno l’avrebbe rimproverata, nessuno l’avrebbe frustata.
Lei, l’Ultima Nota, talmente innominabile da non avercelo nemmeno un nome tutto suo, di sicuro se l’era portato in giro per pagliai, facendo la preziosa, massacrandolo di no e di sì e poi di nuovo di no, se lo poteva benissimo immaginare... cosa le aveva detto, prima?
Lo avrai fatto cento volte nella tua testa, prima di farlo veramente...
Gliela aveva fatta sospirare, quindi.
Si leccò le dita cercando il conforto della dolcezza.
E poi, di sicuro, s’era messa a piangere, dopo averlo fatto, magari neanche per la prima volta, figuriamoci, perché le femmine fanno così, chiedendogli tutta timida che cosa avrebbe mai pensato, ora, André di lei.
Una cacciatrice naturale, molto più brava di lei.
Così brava a cacciare da sembrare lei la preda.
E lui, di sicuro, giù a rassicurarla, a miagolarle che era bellissima, che era lei la rosa dischiusa al primo mattino nel suo abito di porpora, che era l’unica donna onesta sulla terra, l’unica di cui lui era sicuro, e a farne un dramma del dono che le aveva fatto, e a coccolarla nel calore dell’amore, tutto premure e tenerezza e rassicurazioni sul loro futuro, e giù con promesse e giuramenti... e magari pure citandole Marlowe, Donne, o Ronsard – ce lo vedeva proprio a dirle cueillez, cueillez veutre jeunesse, cogliete la vostra giovinezza... mica “no, questo noi non lo faremo insieme! Giammai!”. Catone il Censore!
E lei, l’Ultima Nota, probabilmente neanche sapeva chi fosse la Cassandra della poesia...
Tutti poeti che avevano scoperto insieme.
Disgustoso.
O, tipico di André, si sarebbe messo a parlarle della libertà e di come fosse giusto per quei due fornicare allegramente, liberi da convenzioni, che la Chiesa se ne facesse una ragione – lo sapeva che di nascosto leggeva Rousseau!
Però non proprio liberi... liberi nell’Amore.
Vomitevole. Vomitevoli tutti e due.
Rattristata, riimmerse le dita nel barattolo.
“Sai André” sospirò, “tu hai ragione. A Corte molte persone comprano qualsiasi cosa, anche quelle che non sarebbero loro diritto possedere.
E a Corte molte persone vendono e scambiano qualsiasi cosa, anche quelle che non gli appartengono.”
“Io non ti ho chiesto di vendermi l’anima, lo sai, questo vero? Di sentirti responsabile per me. E davo per scontato che quello che ti chiedevo sarebbe iniziato e finito questa notte. Da non tornarci più sopra.”
Non c’erano lacrime nel pacchetto, avrebbe voluto dirgli, non c’erano lacci attaccati e richieste di rassicurazioni, e promesse, e dimmi che sono bella, e assolvimi dal mio peccato e dimmi che non è solo desiderio, fammelo credere, e trovami un senso ed un posto ma non avrebbe capito un bel niente, lui, che pensava di sapere tutto.
“Io ti ho chiesto solo di poterlo fare a casa mia, dove sono cresciuta,“ dove mi sento protetta e dove voglio restare avrebbe voluto dirgli, e da dove allo stesso tempo me ne voglio andare, ma non avrebbe capito, “e non magari in un posto che non ho scelto io. Preferibilmente su un letto, ma non necessariamente,” aggiunse con leggerezza. Mi basta solo un posto scelto da me.
Tornò a leccarsi le dita pensosa.
“Preferibilmente con qualcuno a cui magari non saprei dire tutto quello che va detto, forse.
Ma con cui so, che se dovessi arrivare a dire che vorrei si fermasse”
e so che mi faresti un po' male, ma potrebbe farmi male in altri modi
"per un momento solo, o perché non voglio più, o che vorrei, semplicemente, che non facesse qualcosa, mi starebbe ad ascoltare e ad un certo punto, non dico subito, ma ad un certo punto farebbe ciò che è giusto.”
perché con me quella persona è sempre stata leale, e lo so molto bene che è il suo lavoro, che mio padre lo paga ogni settimana, e che quella lealtà è tutta pagata puntualmente il giusto, ma una parte di quella... noiosissima consuetudine... non è esattamente del tipo che si può vendere, o comprare, o scambiare.
Si, non c’è un solo motivo, hai ragione, sai, pensò. Tu rifletti più di me, di solito.
Una parte di me lo vuole fare gioiosamente, una parte è arrabbiata, orribilmente arrabbiata, e tra tutti questi pezzetti di me sparsi per questa cucina, che tu in parte vedi e soppesi e scarti perché non rientrano nella tua idea di perfetto, c’è pure questa piccola parte di me, quella che adesso si rimpinza di miele e non ha argomenti per battere i tuoi, che, semplicemente, non vuole che la prima volta le capiti perché è solo una merce che la sua famiglia può vendere o scambiare, se le va, se conviene, se porta denaro o favori o prestigio, se si può mettere su un piatto insieme ad altra merce, per aumentare il peso della bilancia in un disegno più grande, se rispetta una tradizione a cui si tiene, o se si rivela come una scommessa persa per il ruolo per cui l’hanno cresciuta - se non le verrà così bene - o se, semplicemente, decideranno che conviene meglio in un altro posto e con un altro vestito, come una bambola, dovesse anche far benissimo quello che sa di saper fare.
O se ad un certo punto punterà troppo i piedi in una direzione che non piacerà, la rimetteranno al suo posto così, come si fa con un animale difficile da addomesticare, per cui serve un morso un po’ più duro e un padrone che sappia usare la frusta. O una frusta un po' diversa.
Non voglio che capiti con qualcuno che questa cosa la può comprare perché si annoia, o perché conviene, perché ne ricava denaro, o l'inconsueto, per tutta la vita o per una sera, che la può scambiare, da sedurre o da forzare, per dimostrare cosa sono o cosa non sono, cosa posso o non posso fare, per divertimento o disprezzo o invidia, o per rimettermi al mio posto, o per vantarsene con gli amici, mettendomi etichette che non mi appartengono, come su un barattolo di marmellata. O solo perché lo può fare.
Tutto senza cattiveria si intende, senza conseguenze. Senza chiedere mai.
Se dovesse capitare non voglio sentirmi umiliata, o indifesa, o piccola.
Voglio sapere che l’ho già fatto, senza chiedere niente in cambio, senza che nessuno pretendesse qualcosa in cambio, o mi volesse in un modo che non sono.
E vorrei che chiunque venisse dopo non avesse niente di mio da portarmi via, che io non abbia già regalato a chi volevo io, quando volevo io.
Ma io questo discorso non te lo posso fare perché non lo capiresti.
Tu questo scambio equo con me non lo vuoi.
Pure tu mi vuoi attaccare una etichetta che dice a tutti quella che non sono.
Perché questa Ultima Nota ti ha dovuto per forza insegnare che si deve fare solo con Amore, una cosa che io proprio non ti ho chiesto.
Mi costringi a chiedere e a chiedere, come la cacciatrice che non sono, non per farmi male, ma, tu dici, per il mio bene.
Per non vedermi pentita, per non farmelo buttare via, per non farmelo rimpiangere, per non farmi scoprire di non saperlo godere, per non farmi una idea sbagliata.
E di sicuro non hai finito con l’elenco.
“Per esser uno che monterebbe una femmina come un animale, te ne fai di scrupoli, eh!” scherzò con tanta leggerezza.
Lui la stava guardando affascinato, perso in qualche pensiero tutto suo.
Lei scosse le spalle – tipico, nemmeno la stava ascoltando... accidenti a quella grandissima stronza, che adesso chissà dov’era e con chi, a miagolare ad un altro le stesse cose, quello di sicuro, persa in un’altra illusione. A chiamarlo Amore, quando è solo un bruciore tra le gambe.
Lui si alzò, andò ad un cassetto e poi le porse ridendo un cucchiaio “Per piacere, Oscar...”
Lei alzò gli occhi al cielo esasperata.
André si sedette davanti a lei, “Posso chiederti una cosa?”
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Capitolo 7 *** Capitolo VI - Non E' Mai Per Sviare L'Attenzione ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: E adesso ci toccano un paio di capitoli, fatti di sbirciatine nei pensieri e nei ricordi di André...
Hai Valutato Tutte Le Possibilità?
Capitolo VI
Non E' Mai Per Sviare L'Attenzione
“... ridici pure sopra, sviliscila, e poi, mi raccomando, salutala, perché, dopo una cosa del genere, sarà sparita...”
Dopo averle detto quello che pensava si appoggiò alla dispensa dell’enorme cucina, amareggiato, le braccia incrociate sul petto.
Non è che non capisse che quella per lei era una sera complicata, dove c’era una decisione da prendere, che, comunque la rigiravi, per lei non sarebbe mai stata quella perfetta, ma, in fondo, a questo mondo, chi era veramente libero? Nessuno godeva del lusso dell’assoluta libertà, nemmeno quella bellissima Delfina che prima lei aveva menzionato con invidia: Maria Antonietta aveva dovuto lasciare casa sua e adattarsi a una Corte straniera e a un marito visto solo in un ritratto, sicuramente somigliante quanto il complimento di un Cortigiano.
La libertà, gli sembrava, era un fatto prettamente interiore, fatto di idee e pensieri, e lo infastidiva questa ricerca di surrogati dell’autentica libertà: gli pareva fossero i paraocchi che si mettono ai cavalli, per non fargli vedere altro che quello che hanno davanti al naso, in modo che non si spaventino e procedano dritti per la loro strada.
Cosa lei avrebbe scelto, nel concreto, alla fine non contava più di tanto, piuttosto, quello che era importante, era come ci sarebbe arrivata a quella decisione, con che spirito e con che sguardo sul suo futuro.
Le sue idee su una notte di va a sapere cosa erano solo una distrazione senza senso.
Sapeva bene che, come tutti i rampolli aristocratici, Oscar non poteva leggere di tutto; Charles de Saint Maure, una generazione prima, aveva fatto stampare ben 64 volumi di classici epurati da ogni passaggio scabroso, ad usum Delphini, e chissà cosa avevano insegnato mai all'attuale Delfino, il puledro recalcitrante della Corte, che non aveva idea di come fare l'amore a sua moglie e metterla incinta... i futuri signori del mondo, del mondo sapevano assai poco.
Inesperta come era, chissà in che modo simbolico si immaginava la faccenda.
Ma lei questo non lo capiva. Non capiva quello che lui le stava dicendo.
Non lo ascoltava.
Probabilmente neanche lo stimava, altrimenti, nel momento in cui lui le aveva chiesto di bussare alla sua porta, avrebbe capito la sua posizione, l’avrebbe rispettata e si sarebbe fermata lì.
Aveva ragione Pascal: la ragione dell’infelicità degli uomini sta nella loro incapacità di stare tranquilli in camera loro. E questa donnina in particolare, sembrava particolarmente ostinata sia nel tenersi bene alla larga dalla sua di stanza (precipitandosi invece in quelle altrui, con la testa piena di iniziative a dir poco discutibili), sia nel non stare per niente tranquilla.
Gli venne da sorridere, ma si trattenne: gli spiaceva vederla così rattristata, aggrappata alla dolcezza di quel barattolo di miele, come quando era bambina. Veniva voglia di legarle i capelli, versarle del latte e portarla a dormire, tenendola abbracciata senza dire niente.
Solo che stasera, gli veniva da ridere solo al pensiero, portarla in braccio in un letto non era proprio il caso.
Ma era per il suo bene, possibile che non lo sapesse accettare? Eppure aveva accettato ben di peggio...
La osservò, avrebbe voluto farle sentire tutta la sua disapprovazione, ma lei era completamente persa nei suoi pensieri, sicuramente su un mondo non sufficientemente giusto per i suoi gusti.
Continuava a venirgli da sorridere, lei e la sua golosità... un giorno, tra molto tempo, molto molto tempo, quando questo pensiero folle le sarebbe passato, ma passato sul serio, e avrebbero potuto ridere insieme di questa strana serata senza farla sentire mortificata, glielo avrebbe dovuto proprio dire. Che la prossima volta che le fosse venuto in mente di sedurre un uomo, non era necessario che ricorresse alla scusa abusata del troppo caldo nella stanza, e nemmeno ad allusioni più o meno velate... le sarebbe bastato mettersi lì, con un barattolo di miele, e fare quello che le veniva naturale, senza pensarci troppo.
Sospirò divertito, ad un certo punto le avrebbe dovuto per forza chiedere di usare un cucchiaio.
Gli tornò, di colpo, in mente la Normandia, e loro sulla spiaggia che giocavano tra le onde la mattina presto. Neanche tanto tempo prima, eppure per lui una vita fa: ne erano successe di cose da allora e ora, rispetto a quel giorno si sentiva molto più vecchio e un pochettino più saggio.
In casa erano arrivati degli ospiti del Generale, gente della Corte, persone noiosissime, che parlavano dei loro ricordi degli anni passati insieme nell’esercito in anni lontani, una cosa che al Generale piaceva, ma che, al contempo, lo metteva di pessimo umore: il suo ultimo figlio non sarebbe mai stato ammesso nella Regia Scuola Militare, fondata proprio dal re Luigi XV e non avrebbe mai goduto di quell’esperienza di cameratismo, fatta di sveglie la mattina presto, docce gelate e cibo raffermo.
E’ vero che quella era una scuola militare nata per gli allievi nobili meno abbienti, per la piccola nobiltà di campagna, ed è vero che per i rampolli ricchi di quella stessa aristocrazia non era necessario passare per una serie di esami per ottenere un qualunque incarico... Parigi in un fermento di idee sembrava il regno degli uni, Versailles, in un fermento di intrighi, quello degli altri, e il generale si ostinava, non a torto, a ritenere ancora l’aristocratica Versailles il centro del mondo, e non certo la Parigi stracciona... ma la cosa lo metteva sempre e comunque di pessimo umore.
E quando il generale era di pessimo umore era meglio stargli alla larga.
Loro due erano sgusciati via presto, prima che gli altri si svegliassero, per andare a fare il bagno, prima che poi iniziasse davvero la loro giornata, fatta di studio, scherma e equitazione.
Nelle bisacce qualcosa di freddo e unto da mangiare e qualcosa da leggere, nelle borracce acqua a volontà, il mondo era loro.
Il mare era calmo e come al solito si erano sdraiati al sole per asciugarsi, lui si era in parte rivestito, appoggiato alla giacca se ne stava al sole a torso nudo.
Lei pure.
Se ne stava lì, accanto a lui, a leggere, con i pantaloni di panno a mezza gamba e nient’altro, apparentemente ignara del fatto che loro stavano crescendo. Che lei, soprattutto, stava crescendo.
Ricordava bene anche i loro libri: per lui un libro di storia, per lei delle poesia in inglese – l’inglese, se fosse andata all’Accademia, lo avrebbe potuto studiare solo se avesse fatto il marinaio, e lei era orgogliosa di averlo potuto studiare comunque, a casa sua.
Ripensandoci ora, quella poesia gli sembrava curiosamente adatta alla loro situazione di stasera: una poesia di Donne, che elencava una serie di compiti impossibili.
Go and catch a falling star, vai ad afferrare una stella cadente... la radice di mandragola, il canto delle sirene... se André avesse potuto incontrare oggi il poeta di un secolo prima gli avrebbe suggerito un altro compito impossibile da mettere nell’elenco: fai ragionare una tua piccola amica.
Poi non si ricordava bene cosa fosse successo esattamente, non la stava ascoltando e lei s’era irritata – voleva qualcosa e lui doveva spostarsi o aiutarla, o forse semplicemente allungare un braccio e passarle del formaggio, non ne aveva idea, niente di poetico di sicuro... alla fine se l’era trovata allungata sopra di lui, con il braccio proteso verso la sua bisaccia, la pelle leggermente ambrata, inelegante per gli standard dell’epoca, sporca di sale e granelli di sabbia, un livido azzurrino su una spalla, un sorriso divertito negli occhi blu... innegabilmente femminile.
Non stava solo crescendo, era decisamente già abbastanza cresciuta.
Si era dovuto rituffare in mare. Allora, aveva pensato che aveva fatto bene, per non metterla in imbarazzo – il suo... interesse era parecchio evidente.
Vedendola con gli occhi di oggi aveva fatto bene per non essere messo in imbarazzo lui – non osava immaginare la serie di domande tecniche sul perché e sul per come di quel particolare fenomeno biologico, che lei avrebbe potuto sciorinargli, innocentemente disinibita come stasera, nemmeno stessero parlando del fenomeno delle maree. Era solo un ragazzino e lei l’avrebbe traumatizzato a vita.
Dal mare l’aveva osservata, immersa nel suo libro, appoggiata a pancia in giù, sul cumulo dei suoi vestiti; sembrava la versione marinaresca e magrolina del quadro della Morphise. Quello che aveva visto una sera a Versailles, l’originale o forse una copia, non lo avrebbe mai saputo, con i suoi amici.
Loro erano i servitori di giovani rampolli aristocratici più o meno della stessa età: mentre i loro piccoli padroni erano prigionieri di una cerimonia nei saloni, loro erano liberi di vagare con gli altri servetti, più liberi di un nobile di campagna in visita a Corte che aspettava di essere ricevuto, e più curiosi.
Ogni stanza a Versailles ad un certo punto va pulita o riscaldata, e ogni persona in una stanza va servita o deve ricevere un messaggio: era naturale girare per i corridoi della servitù e sbucare nei salottini inutilizzati per osservare gli affreschi, o i quadri, sapendo che nessuno si sarebbe stupito per la loro presenza, invisibili come tutti i servitori.
Era stato così che quella sera avevano trovato La Morphise, la petite-maitresse bambina del re, o meglio, il suo quadro, in una stanza buia che sembrava abbandonata.
Il ritratto mostrava una ragazzina bionda, coi capelli raccolti, dall’aria seria, che non guardava chi la stava guardando. Completamente nuda in una pozza di luce, a pancia in giù su un divano, le gambe divaricate, in una posa o molto rilassata, da ragazzina che sta ascoltando tutta intenta qualcosa, o incredibilmente lasciva – una posizione che, dopo, in un’altra vita, gli era capitato di provare, arrossì al ricordo, sulle balle di fieno, alla luce della luna, trovandola parecchio... interessante - tutto, come sempre, sorrise ripensandoci ora, dipende dall’occhio di chi guarda.
Ricordava le battute di loro ragazzi: ah se almeno il pittore le avesse detto di spostare il braccio... ah se avesse spostato il divano, non dico di tanto! Ma no! bastava che la facesse voltare un pochino più di schiena!
Una anziana signora, aveva riso nel buio di quella stanza che credevano vuota – s’erano spaventati, pensavano già alle frustate e a che scuse inventare.
Ma lei, la Dama in Grigio, era solo divertita dalle loro fanfaronate di ragazzini che si sentono uomini.
Aveva chiesto i loro nomi, sorpresa che avessero colto cosa intendesse quando aveva annunciato che se ne stava accanto al fuoco, al buio, dipanando e filando. Li aveva chiamati, scherzosa, i Cadetti della Pleiade, ed era stata felice di ricordare per loro altri anni, quando era più giovane e bella, piena di ammiratori.
La banda di ragazzetti, ammirati oramai da tutte le cose che aveva visto e non più dalla sua bellezza, avevano ascoltato interessati, la storia della ragazzina: a 13 anni un pittore le aveva fatto un ritratto in una posa simile e il ritratto fu mostrato al re. Al re questo era bastato per farsela portare ed assaggiare, l’aveva presa in braccio, come la bambina che era, e, con una carezza, s’era accertato della sua verginità – a quella frase, si ricordava ancora lo sguardo incredulo di Jaquot, si... una carezza! come no?, aveva mormorato sarcastico, e lo sguardo sferzante della Dama in Grigio, che riteneva che la politesse fosse sempre da tenere in gran conto.
Quella verginità fu subito mercanteggiata con la famiglia della ragazzina, e, una volta pagato il pattuito, La Morphise fu sistemata nel Parco dei Cervi, come altre come lei, lavata, rivestita e profumata, pronta per dare al Re quello che altri si erano scambiati come se fosse un loro diritto.
A 14 quasi moriva per un aborto spontaneo.
Mentre guardava Oscar tranquilla sulla sabbia, in quella stessa posa, come un mozzo di una qualche nave magica di pirati, s’era chiesto che sarebbe successo se qualcuno fosse passato per la spiaggia e l’avesse vista così... cosa avrebbero visto? La ragazzina senza malizia, da osservare a distanza, o sarebbero stati attratti dalla posa apparentemente lasciva? Cosa avrebbero pensato? Cosa le avrebbero detto? Come lui ed i suoi amici davanti al quadro, qualcuno ridendo le avrebbe chiesto di spostare quel braccio per poter vedere meglio... cosa le sarebbe successo?
A cena gli ospiti più giovani non si erano mescolati con il tavolo dei bambini, dove era stata fatta sedere Oscar, con la sua quinta sorella, per antica consuetudine - il Generale detestava il chiacchiericcio inutile dei ragazzini, a cena con ospiti, e ancor di più detestava il loro silenzio impacciato, per cui aveva imposto fin dall'inizio la regola che tutti i suoi figli non sposati sedessero al tavolo dei bambini, tollerando al suo tavolo le altre, solo per rispetto verso i loro mariti - ma se ora fossero passati per la spiaggia e l'avessero vista lì, che avrebbero fatto? Si sarebbe fermati accanto a lei con la scusa di leggere i suoi versi, l'avrebbero accarezzata come il re aveva fatto con La Morphise per soddisfare una curiosità?
Certo la Morphise era solo una straccioncella, figlia di gente che a stento sopravviveva - i suoi erano stati sicuramente felici di vendere la figlia addirittura al Re, tanto a qualcuno l'avrebbero comunque venduta, e per molto meno - ma per tutti, tranne che per il Re, c'è sempre qualcuno più in alto di loro, per cui sono loro gli straccioni - e nessuno si accontenta mai di ciò che ha.
A sera, da soli, senza entrare nei dettagli, aveva accennato alla Nonna che forse qualcuno avrebbe dovuto spiegare a Oscar che non era più una bambina e che non era nemmeno un maschio.
Il giorno dopo, per la prima volta, apparvero le fasce per il seno.
E lui questo non se l’era mai perdonato. |
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Capitolo 8 *** Capitolo VII - Non E' Mai Per Non Dire Una Bugia ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note / Disclaimer: Danielle, la quinta sorella, non è mia! E' ispirata alla Danielle di Spirito Inquieto - Cara Sorella... di Ninfea Blu.
Non la vedremo molto, ma siccome mi era davvero piaciuta, mi faceva piacere che passasse in visita qui da me...
Naturalmente prima ho chiesto il permesso alla sua mamma!
Note: Pensavo che sarebbe stato l’ultimo capitolo nei ricordi di André, ma ce ne saranno ancora due (questo l'ho smezzato perché era davvero troppo lungo!)... questo momento è venuto più lungo di quello che mi aspettavo - e c'erano altre cose che avrei voluto raccontare, ma poi... André penserebbe fino al mattino e invece, già sappiamo che ha una domanda da porre ad Oscar.
Dopo, il tono dovrebbe ritornare un po’ meno da taglio delle vene - anche se me questi capitoli moviola sono piaciuti (altrimenti non li scrivevo). E magari con qualcosina di arancione.
Per un po' però vorrei tornare sulle favole... per cui credo che mi fermerò un pochino (ma la termino, promesso!)
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Capitolo VII
Non E' Mai Per Non Dire Una Bugia
Avrebbe tanto voluto illudersi, all’epoca, che non era stata colpa sua, che fosse stato solo un caso, una coincidenza di quelle inspiegabili... e poi, in fondo, il suo era stato solo un commento fatto a fin di bene – ah le famose buone intenzioni... che lastricano la strada che porta all’inferno – e si era espresso su qualcosa di veramente ovvio.
Ovvio per lui, quanto meno.
Ma la casa dei Jarjayes – le case, si corresse divertito, nei suoi stessi pensieri - non erano esattamente come le altre, per quel che ne sapeva.
Per quel che ne sapeva allora, rifletté, corrugando la fronte. Adesso non ne era più così sicuro.
Quando era arrivato lì, s’era stupito del fatto che nessuno, in quella casa, si accorgesse che quel bambino era una bambina. Ma proprio nessuno! Parlavano tutti di Oscar al maschile.
Certo, anche lui, all’inizio, non lo aveva capito proprio per niente che era una femmina, e, a dirla tutta, pure dopo, per troppo tempo, lui non l’aveva vista per niente per quello che era... vedeva soprattutto una sgradevole bambina pestifera e molto riservata. Una spina in un fianco.
Ancora lo era – sorrise tra sé, scuotendo la testa, osservandola tutta rattristata, immersa nei suoi pensieri, da sola a quell’enorme tavolo della cucina.
Pestifera... era pestifera, ovvio... non certo una spina in un fianco. Beh... a volte... magari... Gli venne da ridere, ma si trattenne, immergendo lo sguardo nella sua tazza - non poteva, non poteva ridere, non con lei così seria, non sarebbe stato giusto. Non avrebbe capito, avrebbe pensato che ridesse di lei, di quello che in lei c'era di ingenuo e di quello che, lo capiva, c'era di disperato. No, quella sera non poteva non essere serio. Con lei.
Allora, da bambini, lui non la vedeva, non vedeva... quel cucchiaino di miele, quel minuscolo cucchiaino di miele – sottolineò tra sé, severo verso di lei, quella sera così particolare, anche nei suoi stessi pensieri - che teneva accuratamente sotto chiave.
Ma che fosse una femmina, lui, ad un certo punto se ne era accorto! Anche senza vedere il miele, ma solo tutte quelle spine.
Possibile, s’era chiesto, che perfino chi le faceva il bagno? Chi da piccola la aveva aiutata a spogliarsi e a vestirsi? Non era mai stata particolarmente pudica.
Una Casa di Sciocchi, aveva pensato.
Solo con il tempo, solo ascoltando i discorsi del precettore di allora, aveva intuito quello che poi, crescendo, gli era stato più chiaro – e poi chiarissimo in quei giorni mortificanti in Normandia - quella era la Casa dell’Inganno.
Un uomo può decidere di molte cose.
Il Re di moltissime, ma lui non è solo un uomo, viene subito dopo Dio ed il suo potere gli deriva da lì, com’era la formula? ... Per Diritto Divino... Nella sua enorme Casa, di milioni di abitanti, quell’uomo decideva di moltissime cose.
E se voleva fare qualcosa che andava contro le sue stesse leggi, aveva sempre la scappatoia delle lettres de cachet – rabbrividì, ricordando le discussioni tra lui, Jacquot e Michelon, davanti alla Dama In Grigio e a quello che lei gli aveva fatto notare, che le famigerate lettres si potevano comprare.
Un Cardinale, decide anche lui di moltissime cose, nella sua Casa, teoricamente a Roma, in realtà sparsa per tutta la regione.
Un Nobile ha meno potere di un Re, ma nella sua Casa, fatta di terre e di servi, e di nobili sotto di lui, e di incarichi ricevuti dal Re per i suoi meriti, o pagati, ma per lo più donati come favori, in cambio di altri favori, decide lui.
Un Borghese ha una Casa più piccola, ma decide anche lui, come vuole. Se è un finanziere decide parecchio, i soldi muovono molte cose – ha una Casa dai confini sfumati, potrebbe decidere più di un nobile, in certi casi, ma solo su alcune cose.
Sopra di lui ci sono almeno un Nobile ed un Vescovo, che lo considerano parte della loro Casa, anche se mai come ospite gradito, e che vorrebbero il suo denaro, chiedendolo cortesemente, in cambio di quasi niente.
Un Contadino decide molte meno cose, sufficienti a volte per renderlo felice - a volte no, sopra di lui ci sono almeno un paio di Nobili, un Vescovo ed un Abate, e pure, se capita, un Borghese, che lo considerano parte della loro Casa, solo per prendersi qualche cosa senza chiedere - ma in Casa sua, fatta di un terreno e di una fattoria, decide come gli pare.
Perfino uno straccione in una stamberga di Parigi, nella sua stamberga, decide come gli pare.
Ogni uomo, nel suo ambito, anche minuscolo, decide.
Ma decidere non basta.
Perfino il Re, con il suo diritto Divino, aveva bisogno della polizia, dell’esercito, dei suoi gabellieri, e dei suoi carcerieri: per quanto divino fosse il suo diritto e divine le sue decisioni, non scendevano gli Angeli dal Cielo a dargli una mano a raccogliere le tasse.
Il Generale aveva deciso che lui aveva un figlio maschio.
Quindi, come conseguenza logica, aveva deciso cosa suo figlio avrebbe studiato, dove, con chi.
Aveva anche deciso che vestiti avrebbe indossato, se sarebbe stato frustato e da chi, e cosa avrebbe mangiato.
Era suo diritto.
Ma il Generale andava alla Guerra dei Sette Anni, andava a Corte, andava in Provenza, seguiva i suoi vari incarichi: il Generale non stava sempre in casa Jarjayes, non si occupava personalmente dell’educazione di suo figlio.
Dell’educazione di nessuno dei suoi figli, siamo giusti: tutte a parte Danielle, la quinta, erano state spedite in convento a studiare – studiare... come no? rifletté amaro tra sé - e tornavano a casa per le vacanze di Pasqua e Natale, con le loro uniformi sobrie, desiderose di nastri e vestiti colorati, ignoranti quasi come quando se ne erano partite, e incerte su come comportarsi con degli adulti, relegate nel tavolo dei bambini. Eterne bambine che non avrebbero mai scelto niente di più complicato del colore di un vestito. O di un amante nobile, un giorno, del tipo che non dispieacesse al marito.
Nelle case dei Nobili era così, lo aveva scoperto crescendo.
Il Generale quindi, decideva nella sua Casa, come il Re, il Cardinale, il Borghese e il Contadino; ma le decisioni del Generale, come quelle del Re, per funzionare, avevano bisogno di polizia, di gabellieri, di carcerieri... di complici in definitiva. |
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Capitolo 9 *** Capitolo VIII - Non E' Perché Te Lo Devo ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note / Disclaimer: Danielle, la quinta sorella, non è mia! E' ispirata alla Danielle di Spirito Inquieto - Cara Sorella... di Ninfea Blu.
Non la vedremo molto, ma siccome mi era piaciuta, mi faceva piacere che passasse in visita qui da me...
Naturalmente prima ho chiesto il permesso alla sua mamma!
Note 2: originariamente il capitolo 7 e l'8 stavano insieme, ma saltava fuori un capitolo un po' troppo lungo, così alla fine l'ho tagliato a metà e ho fatto un po' di caos, ma mi sembrano più leggibili i capitoli non troppo lunghi.
Immagino che qualcuno abbia letto la versione orginale - e qualcuno abbia saltato il 7 e sia direttamente atterrato qui - fa nulla, nel 7 di carino, c'è solo... un cucchiaino di miele
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Capitolo VIII
Non è perché te lo devo
Il Generale aveva bisogno di complici.
Si ricordava di quando, da piccolo, prima di Oscar, uno dei suoi fratelli più grandi ne aveva combinata una grossa – suo padre che lo inseguiva minacciandolo con la frusta, suo fratello era entrato in casa di corsa e si era piazzato dietro le gonne della loro madre.
Mamma.
Mammina.
Ti prego...
Non sapeva cosa lei avesse detto – era troppo piccolo per capire – sapeva solo che gli animi si erano stemperati e, in mezzo ai brontolii, suo fratello era stato punito. Ma non picchiato.
Anche lui una volta era stato frustato, non si ricordava proprio perché, però si ricordava che alla sera, mentre se ne stava rannicchiato in lacrime in un angolo, l’aveva vista arrivare con una fetta di mela essiccata, un cucchiaino di miele, e tante parole gentili. Lo aveva preso in braccio, lo aveva accarezzato con le sue mani ruvide da contadina con troppo lavoro e troppi figli, e lo aveva consolato.
Non l'avrebbe mai dimenticata.
Ma in Casa Jarjayes, una Casa che, ad un certo punto, era stata giudicata troppo piena di gonne per ospitarne ancora una, dove erano mai queste Gonne dal Potere Magico? Qualcuno le aveva mai viste?
Da quando lui la conosceva, non c’era nessun adulto che facesse le ragioni di Oscar, al posto di Oscar, che desse una voce a quello che da bambina lei, magari, pensava, ma non sapeva dire. O che nemmeno arrivava a pensare perché era, appunto, una bambina.
Non c'era nessun adulto da cui Oscar corresse istintivamente a chiedere aiuto, per evitare una punizione fisica troppo severa, per un livido - e se ne faceva tanti - o il taglio dello spadino durante un allenamento, una caduta da cavallo, una supposta ingiustizia... la gelosia verso Danielle... ma no, non c'era nessuno che lei cercasse o pensasse di poter cercare. Nessun ti prego.
Oscar era un composto piccolo gentiluomo che teneva tutto per sé.
Dove era l’Adulto Gentile di Casa Jarjayes? Quello che stemperava una decisione troppo dura, che portava la ragione dove c’era l’impulso, il buon senso al posto della follia? Quella, che, semplicemente, consolava?
L'Adulto che capiva quando c'era qualcosa che non andava con Oscar, e che se la andava a cercare, dovunque mai si fosse rintanata, scontrosa come un gatto selvatico, per farla parlare.
Dove diavolo era questo Adulto?
Il Generale aveva almeno una complice, che, forse, nemmeno si rendeva conto di esserlo.
Il Generale aveva altre cinque piccole complici. Quattro, escludendo Danielle che aveva anche lei una sua vita più particolare, il penultimo errore, diventato poi l’ultimo.
La Sorella Amatissima.
Ma non bastavano. Non sarebbero bastate per una cosa così complicata.
Tutti in quella Casa erano complici del Generale. Tutti.
Nella Casa dell'Inganno, tutti mentivano e tutti era complici nella bugia.
Lo erano ogni volta che si rivolgevano ad Oscar parlando al maschile, ogni volta che, persino tra di loro, si chiedevano se era rientrato, se era malato o se era guarito.
Tutti, più realisti del re; non contenti che una bambina adottasse i vestiti e i modi di un bambino (e in questo, in fondo, non c’era niente di male, anzi...), non volevano nemmeno riconoscerle quel suo essere femmina a modo suo. Femmina magari un po’ speciale, femmina intelligente, femmina curiosa, femmina dai gusti mascolini... ma comunque una femmina. Una che ha diritto a sentirsi per lo meno chiedere a che ora è rientrata, e se si sente guarita.
Alcuni lo facevano sentendosi a disagio, consci che quell’inganno alla fine non era una di quelle bugie che ogni tanto si dicono a fin di bene, o per cavarsi da un impiccio: era una cattiveria bella e buona. Con una bambina poi! Un folletto impertinente dagli occhi blu, alto, a quel tempo, uno sputo.
Altri lo facevano perché erano gli ordini e gli ordini vanno ubbiditi senza farsi troppe domande.
Altri, pochi ma sufficienti, ci sguazzavano. Non avendo una Casa tutto loro su cui decidere, gli piaceva avere qualcuno su cui comandare, da poter cercare di spezzare. Non capendo nemmeno che cosa avrebbe davvero voluto il Generale e cosa assolutamente no.
Pochissimi facevano secondo coscienza.
Il Generale non era un uomo cattivo, nemmeno un intrigante, era semplicemente un uomo molto pratico - forse anche limitato - abituato alla guerra e a fare quello che serve per vincere le battaglie, anche il lavoro sporco.
Di quella battaglia era convinto, nessuno gli faceva mai notare nulla, e lui, oltre ai suoi complici, proprio come il Re, aveva le sue spie, che lo informavano del buon andamento delle sue decisioni, o di un problema che si era presentato e che avrebbe richiesto la sua attenzione.
Si occupava coscenzioso della sua battaglia.
E lui, André Grandier, pure lui era stato una sua spia.
Oh, non volontariamente, quello mai, ma era stato come un... cercò dentro di sé l’esempio più volgare che gli potesse venire in mente... lui era stato come un cane bastardello e molto scemo messo accanto ad una cagnolina di razza. Un cane da pagliaio.
Aveva giocato con lei, le aveva fatto la guardia, avevano litigato, a volte c'era scappato qualche morso - niente di che - avevano gareggiato insieme, durante l’addestramento di lei...ma, standole sempre così vicino, lui era stato anche il metro di quanto era cresciuta; come un cane fiuta la femmina e sente che sta per andare in calore, così lui, da cane scemo quale era, come l'aveva fiutata, aveva avvisato di corsa, tutto contento, che la cagnolina stava crescendo, che a qualcuno poteva interessare per l’accoppiamento, che bisognava passare ad altre fasi del suo addestramento.
Non era stato tanto diverso da chi aveva fatto dipingere il quadro della Morphise e lo aveva portato al Re - gli aveva solo segnalato una puledrina nuova pronta per essere montata.
E tanto peggio per la Morphise, se non se l'era fatto piacere.
Tutto per non essersi fatto i fatti suoi, per avere pensato di sapere cosa era meglio per lei.
In fondo, cosa c’era mai di male in un ragazzina che amava stare al sole mezza nuda?
E poi capitava solo quando erano da soli... solo loro due. In una spiaggia deserta al mattino presto. Non è che girasse nuda per il salone, a cena, in mezzo agli ospiti.
Era un problema perché a lui aveva fatto un certo effetto? E allora era un problema suo, non della ragazzina.
E’ che all'epoca era scemo, solo un ragazzino scemo e inesperto...gli era già successo, in fondo... era l’età, cosa diavolo gliene era importato proprio quella volta, sulla spiaggia?
E... dopo quella volta lì, gli era successo di nuovo, non con lei, per fortuna non con lei, di provare un interesse con altre ragazze, senza preavviso. Il suo corpo che ragionava per i fatti suoi, e loro ignare... era un cosa naturale, dell’età... ma non aveva richiesto a gran voce che le coprissero con un velo o le chiudessero in convento perché lui, un ragazzino scemo, si era ritrovato... interessato... senza averlo pianificato.
Né si era preoccupato che quelle ragazzine potessero interessare ad altri, che altri le accarezzassero.
Su una spiaggia, su un fienile, dietro ad uno scoglio o al buio di una stalla... prima o poi a tutte loro sarebbe capitato, capita a tutte, prima o poi, ma, per quello che lo riguardava, erano tutti fatti loro. Non suoi.
Oscar copiava sempre i suoi gesti, il modo di allacciare la giacca, il modo di sedersi... sarebbe bastato che lui cominciasse a mettersi la camicia dopo il bagno e lei si sarebbe adeguata, come sempre. A un certo punto avrebbe capito, come era naturale.
Probabilmente ci avrebbe anche riso sopra e l’avrebbe preso in giro. O l’avrebba presa in giro lui - non era poi così donna.
André sorseggiò la sua tisana, amareggiato: dopo erano passati alcuni mesi di disagio per lei, per lui, tra di loro, ancora se li ricordava.
Poi, una sera, a Palazzo Jarjayes, aveva cercato di ripagare il suo debito.
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Capitolo 10 *** Capitolo IX - Non E' Per Una Domanda A Cui Non Ho Risposto ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: e così, con questo capitolo, si chiude la sbirciatina nei pensieri di André. Speriamo che a furia di pensare non gli sia venuto un gran mal di testa.
Volevo chiudere in fretta questa lunga parentesi di viaggio nel tempo tra le pare del giovanotto.
Per una settimana non penso aggiornerò più.
Buon divertimento (io, di sicuro, mi sono divertita).
Note2: Rifatta, dopo averne parlato con Lucy (che ringrazio moltissimo, anche se ha dato del porcellino ad André... giustamente) - spero che alcune cose siano più chiare e pure più carine :)
E grazie anche a pamina.
Non se c'è qualcosa di particolare da dire prima di un capitolo - André qui è una specie di talentuoso poliedrico ragazzotto, ma, all'epoca sua, non c'era la televisione e la gente o dormiva, o lavorava o si esercitava con qualche cosa... e poi suonava alle feste in cascina, mica alla Scala ;P (più roba da complesso del Primo Maggio - che in genere si esibisce sotto il sole di pomeriggio - con la chitarra acustica scordata, calante - che la gente che balla a torso nudo neanche la sente). Altro però non sa fare - non è che nel prossimo capitolo si mette a dipingere, per dire, o a ricamare a punto croce...
C'è altro?
Vabbè, è un capitolo di una fanfic... divertitetivi :)
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Capitolo IX
Non è per una domanda a cui non ho risposto
Poi, una sera, senza averlo pianificato, aveva cercato di ripagare, in qualche modo...
Non avrebbe mai saputo dire perché accadde quella sera e non quella dopo. O magari perché non la sera prima.
O quella prima ancora.
O il mese prima, che forse sarebbe stato ancora meglio.
Fu quella sera e basta.
André, lasciò coi pensieri quella cucina troppo affollata, e tornò, come uno spettatore imparziale, a quella sera.
Era sgusciato in camera di Oscar, passando per il corridoio di servizio.
All'inizio voleva solo parlarle, magari non raccontarle proprio tutto tutto - c'erano dettagli che erano solo suoi - ma almeno parlare.
Gli era mancata - allora non lo sapeva, pensò l'André che stava nella cucina: l'altro André, quello ragazzino, era un po' scemo e non si capiva bene da solo, o non lo ammetteva, ma lui, quello più grande, adesso, lui lo sapeva con certezza: la peste gli era mancata.
L'aveva trovata inginocchiata davanti al caminetto di marmo, che fissava le fiamme, scontrosa, le sopracciglia aggrottate e, gli era venuta una gran rabbia fredda nel notarlo, stanca, terribilmente stanca.
E triste, terribilmente triste.
“Non hai cenato.” Il vassoio era intatto. Lei aveva scosso la testa, ma non aveva aggiunto nessuna spiegazione.
Era più o meno da quel giorno in Normandia, che la vedeva spesso così, a volte addirittura avvilita, come se si vergognasse di qualche cosa che aveva fatto e che tutti sapevano.
Era da quel giorno che lui si sentiva in imbarazzo con lei - brutta cosa aver fatto un errore, eh! - e, quando la sua compagnia non era necessaria, la evitava.
Si trovava con Jaquot e Michelon e passavano a trovare la Dama In Grigio, sempre pronta ad avvilupparli nell'intreccio dei suoi ricordi, o a farli discutere tra loro, intervenendo con le sue idee, come fossero in una bottega di caffè - Le Café de la Pleiade come diceva Michelot, tirandosi su gli occhiali con l'indice e ingozzandosi di dolci, con Jaquot che, a volte, lo prendeva in giro.
Oppure si infilavano in qualche osteria di poco costo - una bettola pulciosa, pensò divertito - per le loro prime uscite da veri uomini, dove, sicuro, l'oste li imbrogliava spacciandogli qualche mistura di avanzi per vino appena discreto. E loro, i cuccioli scemi, che pure erano abituati a ben altre cantine, nemmeno se ne accorgevano, affascinati come erano dalla convivialità rumorosa, di cui, finalmente adulti, erano parte.
Adulti secondo loro, non certo secondo l'oste.
O se ne andava alle feste di paese - senza Jaquot, per carità, che non era figlio di contadini e di certi divertimenti di campagna non capiva proprio niente.
Aveva cominciato in Normandia, riscoprendo le bourrée: per lui, ad un certo punto, erano diventate solo pezzi delle Suites Inglesi, da studiare con Oscar, al clavicembalo, complicate, ma una volta lì s'era ricordato dell'odore delle frittelle e delle mele, del sidro, delle feste per qualche Santo, vendemmia o raccolto, quando ballava con sua madre e le sue amiche, in un ondeggiare di gonne tutte più alte di lui, i suoi fratelli che gli sgusciavano intorno, sicuramente facendo qualche danno e rimpinzandolo di mandorle caramellate.
All'inizio andava lì con il suo violino, per suonare insieme agli altri - aveva fatto un po' di fatica a cambiare il genere, ma un violino in più fa sempre comodo, molto più che un ballerino - gli piaceva quando c'erano i marinai inglesi, o i contrabbandieri che portavano lana e prendevano vino: parlavano un inglese che c'entrava proprio poco con quello delle poesie di Marlowe, quelle che all'inizio piacevano solo a Oscar. Venivano dalle Scilly, dalla Cornovaglia, a volte dall'Irlanda - va a sapere. E volevano le loro canzoni, che a lui piaceva suonare da quando aveva scoperto il reel.
All'inizio suonava e basta - c'era voluta un'infinità di tempo e qualche bicchiere di sidro perché trovasse il coraggio di invitare una ragazza a ballare in cerchio. Che fesso!
Oppure, semplicemente, leggeva in camera sua.
"Ti senti bene?" le aveva chiesto, preoccupato.
Lei aveva annuito, senza guardarlo.
"Vuoi andare a dormire? Sembri molto stanca..."
Aveva annuito di nuovo.
Allora si era allontanato, sospirando; non era il momento giusto, magari domani, "Ti lascio sola?" le aveva chiesto titubante, sulla porta.
"Per piacere" una vocina così sottile.
"Io, da sola... " aveva continuato a fatica la peste, poi aveva alzato lo sguardo, occhi blu, seri seri, dentro occhi verdi "non mandarmi Margot."
Aveva capito da solo cosa le serviva. Non poteva che essere d'accordo.
“Dai, vieni qui, facciamola finita!” l'aveva fatta alzare brusco, quasi sgarbato, afferrandola per un braccio e allontanandola dalla luce.
Lei lo aveva guardato sorpresa - due occhi enormi, che lo scrutavano, così diffidenti, nella penombra - ma lo aveva lasciato fare.
Lui le aveva slacciato la giacca da casa, lunga fino alle ginocchia, prima con gesti bruschi – irritato con se stesso, con il Generale, con la Nonna, con Margot-Pur-Beurre, con tutti gli abitanti di quella casa, tranne uno – poi, vedendola sobbalzare, incerta, forse un po' spaventata, si era fermato.
Le aveva sistemato le ciocche bionde dietro le orecchie scoprendole il viso e l'aveva guardata interrogativo, senza dire nulla. Aspettando.
Lei a un certo punto aveva annuito.
Così lui aveva finito di slacciarle i bottoni, cercando di essere delicato, inginocchiandosi davanti a lei.
Dopo la giacca, fu la volta del panciotto.
Come il panciotto scivolò a terra, Oscar gli scoccò l’ombra di un sorriso. Ma non disse nulla.
Delicatamente, aveva cominciato a slacciarle la camicia, ma al terzo bottone lei lo fermò, arrossendo, la sue mani su quelle di lui.
“Preferisci fare da sola?”
Lei annuì, si voltò, e, dandogli le spalle, fini da sola, un bottone alla volta, in una eternità. Sfilò una manica, poi l’altra, un po’ timida.
La sentì sospirare e poi si voltò, “Srotolami!” con la stessa aria impertinente di quando giocavano a nascondino con altri ragazzini e si mettevano d’accordo tra di loro per tentare un tana-libera-tutti.
Sollevò le braccia e lui, tolti alcuni spilli (spilli?!? Cosa ci facevano?!?) la fece girare su se stessa, come un pacchetto pazzo, una trottola bionda, ridendo, tutti e due divertiti. Di nuovo complici.
Arrivati all’ultimo lembo lei si fermò incerta, le mani incrociate sul petto, stringendo quell'ultimo pezzettino di stoffa, indecisa, si capiva, tra un pudore che non le era ancora familiare e la voglia di tornare a sentirsi libera; lui l’afferrò e la fece voltare su se stessa, mezzo giro - non voleva metterla in imbarazzo, non era lì per quello, non era lì per prenderle qualcosa, “Dai, non ti guardo” la prese in giro, “e poi so benissimo come sei fatta: non c’è molto da vedere”. La sentì ridere, rilassata. Si appoggiò contro di lui e poi, sobbalzando, si ritrasse: “Ahi!”
La attirò vero il fuoco e le esaminò la schiena; scosse la testa disgustato: chiunque le mettesse quelle fasce era solo un criminale. Le fasce di per sé non gli sembravano una grande idea, magari si sbagliava eh! ma quel lavoro... era un lavoro fatto con tanta cattiveria, apposta per far male.
“Vado a prenderti qualcosa per quella schiena,” le disse asciutto, "torno subito".
Quando rientrò nella stanza, carico di boccettine, pezze e acqua calda, il balsamo in quella casa non mancava mai; la trovò sul letto a pancia in giù sulla sua camicia, tranquilla, abbracciata al cuscino. Una bambina.
Le legò i capelli, una treccia veloce – lei glielo lasciò fare, silenziosa, senza protestare - e poi cominciò a disinfettarle la schiena oramai libera – non poteva andare avanti così, lei faceva una vita molto attiva, non era adatta a questo.. questo... scempio... “chi te le mette?”
“Margot” la sentì mormorare nel cuscino.
Margot... ma certo, la bella Margot, Margot burrosa e appetitosa come una torta alle mele della Normandia, la bella Margot-Pur-Beurre, dalla pelle di latte, che detestava stare rintanata qui, con una ragazzina che studiava tutto il giorno e servitori bacucchi, e precettori incartapecoriti, invece di stare a Versailles a fare la decima sottocameriera impersonale o le settima sottoresponsabile dei tacchi delle scarpe o sa il Cielo che altro facesse a Versailles, a seguito della Contessa Jarjayes... con tutto un manipolo di servitori giovani e belli, vestiti con livree colorate che giravano per il palazzo pronti a farle la Corte, a dirle quanto era bella, a rubarle un bacio...
Non che non la capisse: con Oscar e la sua vita spartana, Margot, quasi donna, non c’entrava proprio niente. Quelle due non avrebbero mai legato, era chiaro, nessuna delle due aveva qualcosa da offrire che potesse interessare all'altra, inutile pensare che sarebbe sbocciato magicamente dell’affetto, ma questo... questo non giustificava... questo era davvero troppo.
Da tempo si era messo ad osservare le persone di quella Casa in funzione del loro rapporto con Oscar.
Non perché quella peste fosse il centro del mondo - ci mancava solo quello - ma perché era facile da ferire: Oscar non si metteva a piangere, non correva a lamentarsi da nessuno, Oscar incassava senza far trasparire mai se il colpo era andato a segno o meno.
Tanto era brava ad attaccare, tanto, a volte, era carente nella difesa: certe volte era come una paperetta senza grasso sulle piume. Da certe pioggerelle su cui un altro avrebbe non dico riso, ma almeno sospirato rassegnato, uno dei tanti dolori del mondo – la vita non mica facile per nessuno, che si credeva mai, lei? - la ragazzina usciva fradicia.
Apparentemente gelida, una umiliazione la consumava peggio di un fuoco.
Proprio per quel motivo con lei era facile essere cattivi e farla franca - e così quella peste era la cartina di tornasole del vero carattere degli abitanti della Casa, perché sembrava non rompersi mai.
Sbagliavano eh!
Non solo umanamente, ma anche perché dentro, a lui era molto chiaro, nella peste, c’era una vena di spietatezza da Vecchio Testamento, spietata per prima verso se stessa, molto spietata, e poi con gli altri - occhio per occhio, dente per dente – prima o poi, se le riusciva, pagava sempre i suoi debiti.
“Quando te le toglie, Margot, non ti mette nulla?” chiese cercando di usare un tono molto gentile.
“No...”
“Ma te le toglie ogni sera? Vero?“ insistette.
“No, non tutte le sere..." mormorò lei.
"Ma tu chiamala e faglielo fare!" - era proprio dure essere gentile, a volte, anche se lei non c'entrava niente.
"Io preferirei spogliarmi da sola... come prima" mormorò, "ma... io, da sola...” la frase morì soffocata nel cuscino, ma non era difficile capire come era finita. Dura dire "non ci riesco" eh?
“Ma accidenti Oscar!” sbottò esasperato, “Questo non va assolutamente bene! non è un gara di... di resistenza! Bastava che chiedessi! Dovevi solo chiedere... saresti solo dovuta venire... o piuttosto, andare da... “ tacque imbarazzato, eh si, andare da chi? Di chi si fidava davvero la peste?
Lei non disse nulla. Mortificata.
Le spennellò con tanta cura tutte le escoriazioni – quelle erano di Margot, ma non erano solo di Margot, pure lui aveva fatto la sua parte - e pure i lividi - quelli erano tutti suoi - sentendosi morire.
Strizzata in quell’armatura era troppo lenta e goffa.
Si sentiva arrabbiato.
Era arrabbiato.
“Sai... sono contenta che stasera... che sei tornato” sospirò la ragazzina, “con il balsamo, intendo!” chiarì in tono scortese.
André le accarezzò piano i capelli - avrebbe voluto dirle che gli dispiaceva essersene stato per i fatti suoi in questi mesi, che, onestamente, gli piaceva molto quel tempo per sé, ma che gli era mancato non raccontarle dove era stato o cosa aveva fatto, dopo, condividerlo con lei, che una sera gli sarebbe piaciuto portarla con sé a una festa di paese, perché si sarebbe divertita, e poi era un suo pezzo di vita prima di lei e glielo voleva far vedere, che gli bruciava da morire per essere stato scemo, che scappare non serve proprio a niente, l’aveva imparato, che è una cosa che con gli amici non si fa, e che poteva chiedergli di ripagare quel debito quando voleva, fissasse lei il prezzo.
Ma non glielo disse perché tanto la peste avrebbe fatto finta di non capirlo.
"Il ritorno è sempre la parte più gradevole di un viaggio" scherzò senza scherzare, “Voltati! Così finiamo.”
Lei scosse la testa, decisa.
Avrebbe potuto rovesciarla, quella schiena non gli era piaciuta per niente, chissà il resto, ma capì che per lei quello era proprio un no.
“Va bene, ti lascio qui un po’ di cose, ma, se ti serve qualcosa, qualunque cosa, fammi un piacere, non fare la scema e chiama la Nonna” le disse volutamente asciutto.”Per un po’ non devi assolutamente mettere questa roba: dobbiamo andare alla scuola di scherma per allenarci... perderesti solo tempo, conciata così, con quella roba ridicola...”
La salutò, con il vassoio della cena in bilico su una mano; sulla porta la sentì sussurrare una frase, una domanda, ma, imbarazzato, fece rumore con il vassoio della cena facendo finta di non aver sentito.
Scendendo le scale pensò alle sue possibilità... avrebbe potuto arrabbiarsi con Margot, gli sarebbe anche venuto molto naturale, ma lei si sarebbe stretta nelle spalle e avrebbe detto che quelli erano gli ordini e che sapeva ben lei come si faceva il suo mestiere. Arrabbiarsi e recriminare non serviva.
E lui sarebbe apparso troppo interessato e quindi poco credibile, se non addirittura morboso: la biancheria del figlio del Generale non erano esattamente fatti suoi.
Farle notare che sbagliava nemmeno: quello che aveva fatto lo aveva fatto per dispetto, magari pure convinta che quella ragazzina troppo orgogliosa e dalla lingua troppo lunga, al piano di sopra, se lo meritasse.
Un modo per farle abbassare la cresta e farla diventare... cosa? una ragazzina da convento? Storse il naso - impossibile.
Quanto al buon cuore... come no? crediamoci! Se non s'era fermata da sola, non si sarebbe fermata di certo per lui.
Anzi... sarebbe stato come metterle in mano un'arma, dicendole che era perfetta per cacciare quel tipo di preda. Per carità.
Dirlo alla Nonna sarebbe stato giusto, ma era troppo buona e non l’avrebbero ascoltata – sarebbero sembrate le solite esagerazioni di una chioccia.
Così scherzò con Margot-Pur-Beurre, la corteggiò, quella sera, e le raccontò che la piccola Oscar con quelle fasce era davvero troppo goffa, troppo lenta... non imparava bene e rischiava di farsi pure male! e per nascondere cosa, poi? Non era certo una burrosa delizia come la bella Margot... e poi, che cosa ridicola... d'ora in poi avrebbe dovuto avere una balia che la vestisse e la svestisse tutte le sere?
Gli pesò, gli pesò da morire - per natura era leale - ma, decise, la lealtà va conservata per chi se la merita.
Non seppe per che via il messaggio arrivò al Generale, ma arrivò – era certo che sarebbe arrivato: primo perché quella era la Casa dell’Inganno, e, come il messaggio del cagnolino scemo era arrivato la prima volta, sarebbe arrivato anche la seconda.
E poi perché al Generale interessava risolvere un problema, non crearne uno nuovo - la cagnolina doveva essere messa nelle condizioni di essere addestrata al meglio, non mortificata per il gusto della mortificazione. Di certo non andava danneggiata.
Non sarà stato un mostro di sensibilità, ma il Generale era giusto con i suoi uomini.
E la peste che abitava a casa sua era un suo uomo.
Le fasce rimasero per gli ospiti e le uscite ufficiali.
André si riscosse dai suoi ricordi e osservò questa Oscar, la versione attuale di quella ragazzina, avvilita anche lei; quella domanda a cui non aveva risposto, quella che gli aveva fatto allora, senza avere il coraggio di guardarlo e senza quello di ripeterla, gli era rimasta qui.
Ma allora era troppo giovane, non avrebbe mai potuto dirle quello che allora gli sarebbe venuto naturale dire: sarebbe stata la risposta onesta di un ragazzino – un po’ troppo onesta.
Non molto elegante.
E non da poeta elisabettiano.
Decisamente.
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Capitolo 11 *** Capitolo X - Non E' Per Tirare Un Pugno ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: siamo allo psicodramma!
E' chiaro che uno scrive quello che gli piace e capisco che non è detto che quello che piace a me, piaccia anche a chi legge. Nel caso mi spiace se la storia non è come uno se la aspettava - ma ce ne saranno altre, prima o o poi no?
La scriverei comunque in un certo modo indipendentemente da questo... è nata così.
Oscar qui parla poco, André, in tutta questa storia parla sempre tanto, forse troppo - l'OOC regna sovrano!
Non so quanti di questi discorsi siano già stati fatti tra questi due in altre fic, ma l'anime ha 30 anni e presumo di sì, ma tant'è... :PPPPP
C'è altro? Non direi... divertitetivi :)
Capitolo X
Non è per tirare un pugno
“Posso farti una domanda?”
Lei lo guardò spaesata, ancora perplessa per quel cucchiaio che le aveva ficcato in mano, ridendo, mentre a lei sembrava che il mondo le fosse appena crollato addosso – ma dove stava lui? Sul serio stava in quella cucina insieme a lei? Non aveva sentito lo schianto? “Certo,” rispose incerta. Lui proprio non la vedeva. Erano cresciuti insieme, e lui non la vedeva.
André le si sedette accanto e le sorrise “Io non ti ascolto, mi è chiaro...”
Lei sgranò gli occhi, stupita.
“E forse è anche per quello che tu non ascolti me... tu sei concentrata su una cosa, che per te è importante, ma per me no, e io su un’altra,” la guardò negli occhi con serenità, “e forse sbaglio io, che do per scontate tante cose e penso di sapere cosa è meglio per te.”
Lei annuì, seria “Tu pensi di poter decidere per me, meglio di me.”
Lui sospirò “Non proprio, credimi, ci sono state altre volte in cui sono stato così presuntuoso, ma io oggi, non posso e, soprattutto, non voglio essere quello che decide per te. C'è già la fila per quel posto...”
Poi riprese, sempre con molta tranquillità “prima ti vorrei dire un paio di cose che per me sono scontate, ma forse per te no. La prima è che, oltre a non scandalizzarmi, non trovo ridicolo che tu mi abbia chiesto di fare questa cosa insieme, lo trovo molto coraggioso. Quando vogliamo una cosa che non possiamo ottenere da soli, qualunque cosa sia, dobbiamo per forza chiedere a qualcuno di aiutarci a prenderla, o per noi, o insieme a noi, e questo è un po’ come arrendersi senza condizioni, consegnare un’arma a qualcuno e dargli la libertà di farci molto male.”
Lei arrossì e distolse lo sguardo.
“Oscar, questa resa costa orgoglio, richiede un pizzico di incoscienza, una certa dose di fiducia nella persona a cui lo si chiede, parecchia fiducia, e, in definitiva coraggio.“ scosse la testa, “In particolare, dove c’entrano cose molto... personali, su cui non abbiamo nessun controllo e nemmeno nessun merito, cose che magari sono complicate... di coraggio ce ne vuole. Specialmente se non ci sono indizi sulla riposta. O se ce ne sono abbastanza da far capire che non sarà quella che si desidera."
Guardò altrove, "Io, per esempio,“ scosse la testa rattristato “sono molto meno impulsivo di te, preferisco pensare prima e parecchio. E' la mia natura. Se avessi dovuto chiedere una cosa così, d’impulso, non mi sarebbe stato facile. Avrei fatto solo un gran pasticcio.”
Lei scosse la testa, incredula, ma senza guardarlo.
“L’altra cosa che vorrei ti fosse chiara è che la tua richiesta mi mette in imbarazzo, per vari motivi, lo avrai capito,” la guardò mentre lei sorrideva tra sé, più tranquilla “non ero preparato, ma non pensare che, oltre che imbarazzato, io non mi sia sentito anche lusingato. Un giorno, quando e se sarò vecchio, e sarò davanti al camino, anche se non credo proprio che starò dipanando e filando...”
Lei sorrise, timida “come dice Ronsard?”
“Come dice Ronsard” annuì, “mi ricorderò che una sera la piccola Oscar mi ha trovato bello – non c’erano molti tra cui potesse scegliere, questo cercherò di dimenticarlo e di dimenticarmi che me l’ha fatto notare lei stessa,” lei rise piano, “ma, tutto sommato, mi ha trovato passabilmente bello per lei”
“Però la ragazza di Ronsard gli disse di no” mormorò Oscar.
“E forse se ne pentì, non lo sappiamo, o forse no. Di certo il ricordo le avrà scaldato il cuore, più di quel camino. E questo scalderà anche il mio, credimi, e, aggiungo, lo scalderebbe ad ogni ragazzo - c'è qualcosa di prezioso nella resa e molti possono passare una vita intera senza ricevere mai questo regalo. Per cui questo lo ricorderò sempre: te, su quello sgabello di quando eri un po' più piccola, che facevi la donna vissuta che non sei - ci vuole coraggio, l'ho capito, a mettere sul piatto, oltre quello che si è, quello si è disposti ad essere... e non eri affatto ridicola - in un certo senso l'ho apprezzato più di..."
scosse la test, rattristato "Per me era scontato tutto questo, ma ho pensato che forse te lo saresti chiesto, e che era giusto dirtelo, sinceramente."
Le sorrise, "Ma Oscar, io non desidero essere bello, preferirei essere giusto, leale, corretto, e perché no? Anche umano. Questo lo capisci?” il tono di voce sempre così calmo, “e vorrei anche essere, non dico rispettato, ma quanto meno visibile. Tu sei partita con questa cosa in testa e in questa cosa ci vuoi infilare a forza me, ma solo come una specie di “attrezzo”, purtroppo necessario. Sono il coltello per tagliare il pane, il cucchiaio per girare la minestra nel paiolo, una di queste padelle di rame lucido per fare le frittate, qualcosa che serve, ma che non conta davvero, perché quello che conta per te è il pane, e la minestra e, soprattutto, è la frittata...”
Lei scosse la testa, non era così, non era così proprio per niente:“Come fai a dire, che non ti rispetto, André? Siamo cresciuti insieme, lo sai...”
“E cosa vuol dire, per te, che siamo cresciuti insieme? ... non scambiare la confidenza con il rispetto: se mi rispettassi, come persona, mi avresti ascoltato, invece, siccome siamo solo cresciuti insieme, hai trovato giusto chiedere senza valutare le possibili conseguenze, e ascoltare solo la parte di risposte che ti conveniva....”
Lei sbuffò irritata. Lo aveva ascoltato, eccome!
“Fammi finire, per piacere, io non ti sto parlando dei motivi per fare o per non fare questa cosa, ti sto parlando della scelta che devi fare stasera: stasera non conta che cosa deciderai per il futuro, va bene tutto, e in un certo senso va male tutto, credimi; ma quello che conta, secondo me, è che direzione vuoi dare alla tua vita dentro di te, alle tue relazioni quanto meno nella tua testa. Io non ti voglio influenzare, ma vorrei che tu pensassi a questo e non a una... scopata inaugurale!”
Lei sobbalzò. Lui sospirò irritato.
“Ma sembra che per te sia questa la cosa fondamentale, una cosa che per me, invece, non ha nessuna importanza” riprese.
“Se tu non l’avessi già fatto” lo interruppe lei, pratica “sarebbe stato lo stesso? Questa sera, intendo? Mi avresti detto le stesse cose?”
“Non lo so,” era terribilmente serio “forse ti avrei detto le stesse cose, è quello che spero, o forse no...”
“Vedi? C’è un pizzico di ipocrisia...”
“Nel qual caso sono contento che mi sia già successo” soggiunse quietamente.”Ascolta, tu te ne stai lì avvilita e arrabbiata con il mondo in generale e con me in particolare, e io me ne sto qui irritato con te perché butti via il tuo tempo” si alzò, dalla sedia e si appoggiò al tavolo, “così voglio fare un patto con te: ti spiego una cosa che non hai valutato, che è mia e che mi da fastidio, anche se non credo capirai davvero, va bene così, poi ti chiedo tre minuti del tuo tempo per un esperimento, solo tre minuti, per farti capire perché no, perché non va bene questa cosa. Non tra di noi. E penso che dopo sarai d’accordo con me. Dopodiché parliamo, quanto vuoi, va bene? Vediamo le varie possibilità, senza cattiveria, perché questa è una cosa a cui tu tieni. Prometto che domani ce ne dimenticheremo, tutti e due, che sarò sincero...e ti chiedo che tu lo sia con me. Non ti giudicherò, puoi dire quello che vuoi, ma non raccontarmi balle, per piacere. In cambio tu ascolterai me, non su questa faccenda, ma su quella che preoccupa me. Dovrai solo sentire due cose che ho da dire e promettermi, non di fare quello che vorrei io, quello non te lo chiedo, ma solo di pensarci sopra”.
“E dopo?” chiese lei timidamente.
“Dopo cosa?”
“Dopo aver visto tutte le possibilità?”
“Se vuoi mi rifai la domanda, ma non credo che la rifarai”
“Vuoi cercare di convincermi... ma anche io potrei convincere te, però”
“Forse.”
Lei sorrise tra sé – lui era troppo razionale per capirla, non l’avrebbe mai convinta con tutte le sue ragioni così tradizionali e lei non lo avrebbe mai convinto proprio perché non era una cosa razionale, ma una specie di gomitolo annodato, avviluppato dentro di lei, che nemmeno lei sapeva srotolare, ma... perché no? Aveva qualcosa di meglio da fare, quella sera?
“Va bene” disse sospirando. Poi chiuse il barattolo del miele e lo allontanò da sé.
André annuì, poi, sempre appoggiato al tavolo, le chiese: “Mi dici perché non mi hai chiesto di farlo nel bosco?”
Oscar lo guardò sinceramente sgomenta: “Non so se l’hai notato,“ disse con calma, sporgendosi verso di lui, i palmi della mani bene aperti sulla superficie del tavolo, “ma fuori piove... fa proprio freddo fuori, un freddo cane sai? capisco che l’idea di commettere un peccato capitale si sposi bene con fulmini e tuoni, i due disgraziati fornicatori che cedettero alla lussuria, soprattutto lei, che non pensava mai a nulla se non alle cretinate, morti sul colpo, colpiti da un fulmine... tra lo scandalo e tutto il resto, il curato che avrebbe argomenti per le sue prediche per almeno un mese... ma io ne farei a meno.”
Lui rise. Lei sospirò rumorosamente.
“Non rido di te, però non ci hai pensato solo stasera, è qualche giorno che ci stai pensando...”
Oscar lo guarda sorpresa. Era stata davvero così trasparente?
“Ci giravi intorno. Allora è legittimo chiederti perché non me lo hai chiesto prima, quando è capitato che stessimo da soli nel bosco, per esempio? Per quanto io apprezzi il fattore simbolico di farlo proprio questa sera, se era solo una curiosità, un momento valeva l’altro. No?”
Lei arrossì, “La fai tanto lunga con la bellezza della prima volta... vuoi dire che la prima volta perfetta per me, secondo te, sarebbe là fuori all’aperto, nel fango, e nell’erba, al freddo, con l’acqua che mi ruscella addosso e magari con un lombrico che mi striscia tra i capelli...” arricciò il naso.
“Beh, ti posso assicurare, che, se avessimo deciso, per qualche follia, di farlo nel bosco, avrei cercato di fare il massimo che posso per trovare il posto più comodo per te, e per farti scordare tutti i lombrichi, il fango, il freddo, l’erba che punge, la durezza della terra... e qualunque altra cosa ti avesse turbato...”
Lei arrossì, e lui concluse per lei “peccato quindi purtroppo che oggi piova... Il bosco, è un posto lontano da tutti, da orecchie e occhi indiscreti, nessuno sentirebbe sospiri, gemiti o tutto quello che ti verrà da dire, o chiedere in quel momento, magari sei una che urla, non lo sappiamo in questo momento,” la prese in giro bonario, per stemperare l’atmosfera, ”nessun essere umano avrebbe catturato un respiro affrettato... mio o tuo...”
Lei arrossì a disagio.
“Il bosco non avrebbe conservato nessuna traccia del nostro passaggio, niente lenzuola stropicciate... come un incantesimo di una favola, nessuno potrebbe dire cosa esattamente è successo, non ti sarebbe piaciuto? Avremmo pure potuto perderci nel bosco, così in futuro non sapresti nemmeno ritrovare il posto esatto, hai detto che dopo te lo vuoi dimenticare... non potresti passarci davanti tutti i giorni, e nemmeno capitarci per caso, probabilmente nemmeno ritrovarlo... non ti sarebbe piaciuta l’idea?”
“Non ti facevo così bucolico... è vero che qualche tempo fa ti piacevano tanto i poemi pastorali, ma non credevo...” sorrise incerta, un po’ imbarazzata, cercando di scherzare “E’ una questione di posto? E’ solo una questione di posto?”
“Non lo so, dimmelo tu...”
“Un posto vale l’altro...” era visibilmente imbarazzata.
“Davvero? Allora diciamo che hai scartato la magia del bosco per via dei lombrichi... Proviamo a pensare a un altro posto allora... alle scuderie; siamo lì tutti i giorni, bene o male, strigliamo i cavalli, diamo una pulita ai box, tu porti una mela al tuo cavallo, scherziamo, chiacchieriamo... nessuno fa mai caso a noi due nelle scuderie... è un posto intimo, al coperto, senza tutti quei lombrichi... avremmo potuto farlo tra la paglia conservata nel sottotetto” la stava guardando serio negli occhi, e lei lo ascoltava affascinata, “è morbida, è pulita, ha un ottimo odore... e poi da lì si vede il cielo, o le stelle... dipende dall’ora.”
Lei distolse lo sguardo.
“O, se le stelle non ti piacciono,” aggiunse André in tono brusco, “se c’è troppa... come hai detto? Se è... troppo sentimentale, se vuoi solo sbrigarti, lo potevamo fare in piedi contro il box della giumenta bianca – non si spaventa mai per i rumori improvvisi - ti assicuro che lì tanti ospiti di tuo padre si sono sbrigati con alcune che lavoravano qui e hanno pure lasciato una mancia alla ragazza, da quanto erano contenti...”
Lei scosse la testa, spaventata.
“Quindi perché le scuderie no? Magari scegliamo una posizione in cui devi spogliarti il minimo possibile, non vedrei niente del tuo corpo oltre quanto strettamente necessario, nessuna carezza, una cosa veloce proprio come gli animali, tanto non ti interessa che ti piaccia in modo particolare, giusto? Non sai nemmeno cosa preferiresti, ti interessa solo farlo, toglierti il pensiero...”
Lei guardò in terra, imbarazzata.
“L’odore del letame? I cavalli che si innervosiscono? E’ questo il motivo per cui la scuderia non va bene?”
“André, ti prego...”
“Lo ha iniziato tu il discorso, mi pare... e hai accettato il patto, hai cambiato idea?”
Lei scosse la testa, amareggiata.
“Così resta questa casa, lo devi fare per forza in questa casa, perché solo qui tu ti senti protetta?”
Lei annuì in fretta.
“Tu ti senti protetta in questa casa? Un luogo talmente felice che il massimo del divertimento e sgusciarne fuori la mattina presto per andare altrove prima che inizi la giornata ufficiale...“ sorrise amareggiato “tu non vedi l’ora di farlo proprio qui? In questa casa?” allargò le braccia.
Oscar stava in silenzio ora, immobile.
“Potevamo usare la tua camera... è isolata, ha porte che si possono chiudere a chiave... e c’è un letto molto bello, grande, morbido, pieno di cuscini...... tappeti sul pavimento... sarebbe il posto perfetto, per una prima volta, in tutta calma... anche per farlo un paio di volte, non credi? E’ un posto che conosci molto bene, lo conosco molto bene anche io, è molto intimo. Potevi chiamarmi lì...” Lei arrossì e cominciò a tormentarsi le mani.
“E poi... tracce di sangue sulle lenzuola nel letto di una ragazza possono voler dire tutto e niente. Chi ti rifà il letto si potrebbe porre delle domande, ma in fondo... cosa potrebbe andare a raccontare al Generale?
Niente di concreto.”
“André, ti prego, ho capito dove vuoi andare a parare, ma non è per quello che ero venuta lì, non era per quello” non osava guardarlo.
“Non raccontarmi balle, Oscar. Puoi dirmi che non era solo per quello e ci crederei, ma c’era anche quello, e lo sai”
Lei scosse la testa, ma non lo guardava.
“Invece sei venuta nella mia camera...che non è particolarmente isolata, lì tracce di sangue sulle mie lenzuola possono solo voler dire una cosa sola. Sarebbe inequivocabile. E le chiacchiere, in questa casa, in cui tu ti senti così protetta, e in cui nessuno si fa i fatti propri, salirebbero dalla cantina alla soffitta in una mare di supposizioni su qualcuno di cui non si deve dire che è femmina, ma di cui si può sussurrare che non è più vergine, e tutti saprebbero in che giorno l’ha fatto, dove e con chi.
Stendiamo un velo pietoso sul ruolo che pensavi di assegnare a me, surreale, un attrezzo da... da... non oso nemmeno pensare al male cane che ti avrebbe fatto, ma tanto non eri lì per la gradualità. E non so nemmeno pensare cosa mai ti aspettassi da me, perché quello che mi stai assegnando, come ruolo... lasciamo stare... in fondo sono un servetto” non aveva la voce rabbiosa, solo triste, ma lei si sentì comunque morire
“André, per piacere... non dire altro...”
“Tu sai molto bene che glielo direbbero, che lo saprebbe e tu staresti lì ad aspettare cosa deciderà di fare perché questa è una cosa a cui lui può rispondere solo in due modi. Il primo è che se lo deve far piacere come tu ti sei fatta piacere tante altre cose, accettarla facendo finta di niente, anche se gli brucia. In fondo ti ha chiesto una cosa che non avrebbe mai chiesto ad un figlio maschio, e non mi riferisco a cosa è successo prima, mi riferisco alla tua vita tra 10 anni o forse più. Alla famiglia che non avrai.
Tu, con le tue cose segrete, che non dici a nessuno, finalmente gli regali qualcosa che gli brucerebbe, eccome se gli brucerebbe. Ce l’avrebbe tatuata nel cuore questa cosa, perché, a dispetto di tutte le sue follie apparentemente moderne, è un uomo molto convenzionale, e oltre che alla tradizione, crede all’inferno e alla dannazione eterna, e perché a modo suo, il Generale, quel pazzo testardo, in un certo senso, ti vuole pure bene.
Quindi o se lo tiene dentro, pensandoci sempre senza parlarne mai e hai saldato un pezzettino di un debito, che te lo riconosco, tu hai.
O ti deve chiedere spiegazioni. E quello che cerchi? che ti affronti, che ti dica qualcosa, che ti chieda cosa hai fatto, disgraziata? Che ti minacci?”
André tornò a sedersi accanto a lei e le prese una mano, con infinita delicatezza. “E cosa gli diresti? Padre, guardatemi, sono come mi avete fatta Voi, un uomo in tutto e per tutto, mi chiamo come un uomo, mi vesto come un uomo, parlo come un uomo, faccio un lavoro da uomo, mi batto da uomo, in futuro, invecchiando, sarò sola come un uomo, ma per adesso non ci penso e scopo come un uomo. E proprio come un uomo non ci do molto peso: una sveltina con il povero André, il Servetto, che non conta nulla, e con cui è solo uno sfogo fisico, che conta meno che nulla. Ma l’avete scelto Voi, avrete messo in conto che lo avrei usato anche per quello, no? ”
Gi spaccava il cuore vedere che s’era messa a piangere, una sola lacrima, una di troppo per una piccoletta che non piange mai “E poi che farai, berrai come un uomo, andrai a rissare in qualche bettola come un uomo? Prendendo solo il peggio di quello che c’è sul piatto di essere un uomo?”
“Non è per questo!”
“Non ho detto che è solo per questo, lo so che pensi a un mare di cose, tu, o che non pensi affatto!” le prese il viso tra le mani e le asciugò delicatamente la lacrima con un dito. “Non venirmi a dire che dentro non c’è neanche tutta questa rabbia, inutile, ti stavo guardando prima sai, mentre pensavi tra te e te le tue ragioni tutte tue...”
Un’altra lacrima. Asciugò anche quella. Due di troppo.
Lei mise le sue mani, così piccole, sulle sue, affranta “Non c’è solo questo... mi vuoi sincera? Allora si, è vero, c’è anche questo, sono arrabbiata, arrabbiata a morte, e da tanto tempo, ma non c’è solo questo. ”
“Lo so. So anche che sono sufficientemente bello, anche perché sono ideale da sbattere in faccia a tuo padre. Ma va bene. Ti voglio solo dire che se vuoi tirare un cazzotto a qualcuno, e credimi, lo capirei, se vuoi tirare un cazzotto a qualcuno, fallo, se vuoi dire qualcosa, dilla, ti prego, dilla, sono con te, ma nella maniera giusta, trova un modo che non sia distruttivo per te, di questo te ne prego, e non farlo così, con questa perdita di tempo, per te così simbolica, ma anche rabbiosa, e vendicativa. E disperata, lo vedo. E, soprattutto... stupida.”
“Soprattutto, ti prego, visto che parli di rispetto, visto che tiri in ballo che siamo cresciuti insieme, non usare me” la guardò negli occhi “non me lo merito, e questo non so se lo riesci a capire... E il motivo per cui ti giudico forse male, e me ne dispiace tanto di farlo, e so che non te ne importerà, non è, come l’hai chiamato? il "peccato di lussuria", di quello me ne frego, ma è che non hai pensato in tutto questo a una cosa semplice, un piccolo dettaglio, quello stesso dettaglio che io... io, invece, da gran cretino, ho messo sul piatto per te, per prima cosa: se a me questo piacerebbe. Se questo ruolo da padella, o cucchiaio senza nessun valore, con tutte le sue conseguenze, a me piacerebbe davvero.”
"Tu lo vuoi fare da uomo.. stronza come un uomo" |
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Capitolo 12 *** Capitolo XI - Non E' Perché Tu Non Mi Vedi ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: è finalmente... la cucina!
E poi un po' di sano monologo interiore, sufficientemente disperato e delirante, come solo una adolescente può monologare e di cui si sentiva la mancanza.
Oscar, che come sempre, la fa più tragica di quello che è. Ma almeno, la prossima volta, ci pensa un po' di più a quello che le viene in mente di chiedere...
Faccio notare che lei, finalmente, sta ascoltando, ma, come sempre, non ascolta sempre tutto molto bene - avrà i suoi pensieri per la testa.
Un'ultima cosa: ho controllato solo dopo quando sono stati inventati i cerini, per scrupolo, e ... non ci siamo... i cerini non c'erano, c'erano bastoncini di zolfo e c'erano le prime misture di fosforo su bastoncino di zolfo - roba, che, da quel che ho letto, era pericolosa e poteva fare scoppi incalcolati... accetto suggerimenti per una modifica!
La candela no: per quanto lei speri di... concludere... ha capito che ha messo in moto un po' di meccanismi che non aveva valutato.
Note2: cerco di riscriverlo... mi è chiaro, dal commento di Ninfea che alcune cose funzionano male e non sono chiare... e ha ragione. Se qualcuno ti fa delle domande per cui serve una risposta lunga vuol dire che non l'hai scritto proprio :) Vedo di risistemarlo - resterà "strambo" con la descrizione della cucina in mezzo ai discorsi di André e ai pensieri di Oscar... resterà Ventosa la Dispettosa, sul cerino... hmmm... ora vediamo. L'idea era di quella fiammella che muore da se o che può fare un gran caos, a su cui la ragazza non sa esercitare un controllo - Oscar qui è tratti incline al tragico, scusate ma la storia mi è venuta così ;P
Se ci sono domande... non esitate (tanto so chi sono le lettrici di questa storia), così vedo come modificare,. o se proprio non so che fare piazzo una nota ;PPPPPPPPPP
Hai Valutato Tutte Le Possibilità?
Capitolo XI
Non è perché tu non mi vedi
Il palazzo dei Jarjayes era stato costruito su se stesso.
Le pietre spostate e dislocate dal capriccio di ogni suo proprietario, desideroso di imprimere la propria impronta alla propria casa, oltre che alle persone che lo abitavano, lo avevano composto e ricomposto ad ogni generazione, come un rompicapo mai perfettamente risolto.
Apparentemente lineare, visto dall’esterno, era in realtà, al suo interno, un insieme di vari stili, uno incrostato sull’altro, piano per piano e stanza per stanza, e di corridoi labirintici, e di scale e di nicchie – la gioia per dei bambini.
Oscar se lo ricordava bene: ci aveva giocato, per quelle scale, a nascondino con André e Danielle, mentre fuori pioveva, sperando di non essere trovata.
Sperando di trovarli, ma non trovarli complici contro di lei.
Sperando di essere trovata, ma non catturata - la corsa frenetica per le scale, lo schiaffo della mano sulla pietra, per la tana, contro lo stipite della cucina.
Guardò André che la guardava.
Hai trovato quel pezzettino, quello di cui mi vergogno, forse il solo di cui mi vergogno davvero, quello che tenevo nascosto dietro la schiena e non ti volevo far vedere.
La cucina, in particolare, era un tuffo nel XV secolo: una enorme cripta in pietra bianca, con i soffitti ad arco, tempio della gola, come altare l’enorme camino, nel cui centro troneggiava il girarrosto, in cui si sarebbe potuto cuocere perfino un cervo. E in effetti a volte era capitato.
Grasso sulla leccarda, pane con le erbe da intingere di nascosto.
Non sei arrabbiato. Tu non sei arrabbiato. Eppure, per come la vedi tu, ho sputato sulla nostra amicizia, un parola che mi vergogno pure a pronunciare quando siamo soli tra di noi, come se “cresciuti insieme” volesse solo dire che stavamo qui a rimpinzarci di lamponi ai lati opposti del tavolo, per un caso, lo stesso giorno e la stessa ora, e niente di più.
Accanto al camino, ben dodici forni per cuocere il pane, ognuno con il suo sportellino di ghisa nero, che ogni volta facevano venire in mente ad Oscar la storia di Hansel e Grethel, riscritta in una versione in cui le streghe erano dodici come i mesi dell’anno, ognuna padrona della sua porticina.
Con André e con Danielle, insieme, avevano inventato anche i nomi di tutte le streghe: Ventosa la Dispettosa, che spegneva gli stoppini, per esempio. A Danielle faceva paura.
Accendere il fuoco era una operazione divertente - erano in piedi così presto. Al Generale piaceva che la casa, almeno per loro, avesse i ritmi di un collegio militare: sveglia alle 6.00, lavarsi per bene con l'acqua gelata - il Generale credeva all'igiene - tre volte alla settimana la Messa - il Generale credeva all'inferno - la colazione frugale sul tavolo accanto al camino - il Generale credeva alla sobrietà.
Danielle, quando c'era, arrivava con calma - quelle regole non erano per lei - un fagotto imperioso di scialli e nastrini, venuta solo per tenere compagnia.
Il fuoco e la luce la loro prima incombenza.
L'acciarino per la scintilla, la scintilla sullo stoppino tuffato nell'olio in cima al bastoncino, lo stoppino sul legno o sugli stoppini delle lampade - serve luce in cucina.
Ventosa a volte soffiava sulla scintilla; spegneva lo stoppino, tra le dita ancora intirizzite.
Dispettosa.
Come tutte le streghe.
Ma a Danielle non faceva paura la noia del gesto: temeva la fiamma.
Soffia per spegnere, diceva, e soffia sul fuoco per creare un incendo. Dispettosa e pericolosa. Come tutte le streghe.
A quel punto lei la prendeva sempre in giro.
André no, lui sorrideva un sorriso da gatto paziente e le allontanava cerimonioso la fiamma dalle mani.
Oscar se lo chiese, se Ventosa l’avrebbe aiutata a spegnere quello stoppino prima che diventasse un incendio, che avrebbe bruciato tutta la loro noiosa consuetudine fino a non lasciare niente di niente, solo un altro po’ di altra rabbia da mettere nel mucchio, rabbia per tutto quello che non aveva pensato, e rancore e disagio e il ricordo di quello che era stato e non sarebbe più stato.
Lui glielo aveva detto, ma lei non aveva capito.
Pensava che tutto si potesse prendere, senza pagare un prezzo. Presuntuosa.
Ventosa, spegnimi questo stoppino, anche solo per farmi un dispetto.
“Te lo avevo detto che se ci fosse stato un altro a cui chiedere, forse non te lo avrei chiesto” tentò di spiegare.
“Lo so.”
No, non lo sai. Non lo sai perché io non penso come te, perché io non ho pensato affatto, non ho pensato a te che avresti smontato le mie ragioni e m’avresti pesata, vedendo quanto valgo davvero, e cioè molto poco.
“Ma te l’ho detto, che se pure ci fosse stato un altro, avrei comunque chiesto a te”.
E non è solo per sbatterlo in faccia a qualcuno, ma perché le ragioni sono tante, tante quanti questi pezzettini di me, ma la costante di ogni frammento è che, per ogni cazzata che faccio, e per ogni cosa bella, non vorrei un complice diverso da te.
Nella cucina c’era anche l’acqua corrente, piccolo miracolo di ingegneria, capriccio di un fratello scapolo dell’ultimo Jarjayes, che non amava le fontane, ma prendere un bagno caldo e bere un bicchiere d’acqua fresca ogni volta che lo desiderava.
“Tu credi che la passeresti liscia?” le chiese André, corrugando la fronte, ”solo perché sei il solo figlio maschio che ha? Ti vuole bene e molto...”
Oscar scrollò le spalle.
Tutti quelli che dicono di voler bene vogliono qualcosa che pagano solo con questa moneta: raccontare di volerti bene.
Raccontare.
Appunto.
Pure io però ho pensato che, siccome ero tua amica, ti potevo chiedere quello che volevo senza riconoscerti niente.
Solo perché io, quella che contava davvero tra noi due, ti facevo l'onore di esserti amica.
E' questo una amica?
Ventosa, fa’ la dispettosa, spegnimi quello stoppino.
“Ti vuole bene a modo suo, nel modo in cui è capace – non puoi chiedere a nessuno di darti più di quello che ha, lo sai, vero? Anche se quello che ha ti pare poco - ma prima di te c’è la sua Casata e le sue idee sull’Onore, la Tradizione, lo Stato ed il Re. Se tu infrangi le regole, se sputi su queste cose, lui, per amore di tutte queste cose, e pure per amore verso di te, non esiterebbe ad infrangere te. Non pensare di passarla liscia, solo perché gli servi.”
E sia! Paghiamo questo prezzo, scopriamo le carte, vediamo con che mazzo stiamo giocando, nella mia famiglia, una partita che non finisce mai e che io non posso vincere.
I rubinetti di rame, a froma di drago, si affacciavano con le loro fauci semi-aperte su tre lavelli enormi di marmo rosso, lo stesso di certe chiese. Marmo Venezia.
“E non credere che si fermerebbe alle frustate, a cui oramai sei abituata... sei minorenne per la legge, non sei donna per lui e non ti metterà mai in un convento a cantare in un coro e ascoltare Messe, per punizione. Troppo lusso. Ma ti potrebbe rinchiudere in posti ben peggiori, inadatti ad un uomo, figuriamoci ad una ragazzina.
I figli disobbedienti dei nobili si chiudono nei manicomi, lo sai? E tu non saresti la sua figlia svergognata, ma solo il figlio che sfida la sua autorità. O credi poterlo obbligare a vedere esattamente quello che vedi tu?”
Non me ne importa. E la mia rabbia allora? E io?
Incassato nel muro c’era anche un saliscendi portavivande.
Da piccola una volta ci si stava quasi ammazzando – André aveva bloccato la corda, fermandola appena in tempo, tutte le mani spellate, le macchie di sangue sul marmo - piccole per altro, non esageriamo.
Vorrei fosse facile chiederti scusa, come quel pomeriggio.
Ho pensato che concederti di farlo con me, per te sarebbe stato il massimo. Non ho pensato, presuntuosa, che tu potessi essere abituato a qualcosa di meglio.
Ventosa, spegnimi questo stoppino.
“E tu mi stai chiedendo di collaborare allegramente ad una cosa così, come se non me ne importasse niente, e hai pure il coraggio di chiedermi se per caso il motivo per cui non ti dico sì e te lo lascio fare, è che l’ho già fatto... ma tu ti ascolti quando mi parli?”
Mi dispiace di avertelo chiesto anche per quel motivo. Mi dispiace. Mi spiace di averti sbattuto in faccia quello che scherzando ti dico ogni giorno: che sei un servo e che mio padre ti paga per essermi amico. Come se tutto quello che offri lo si potesse comprare. Tutto pagato, senza neanche un debito. Tutto dovuto, ci fosse anche un debito potrei non pagare e non importerebbe a nessuno.
“Ma tu pensi di valere meno di una curiosità per una scopata?”
“Io questo, non lo avevo pensato...” sbattè gli occhi cercando di metterlo a fuoco.
A un certo punto ti arrabbierai, lo so, non resterai così calmo in eterno, e non resterà più niente.
Ventosa, per piacere, spegnimi questo stoppino.
Io non lo so fare.
Alle pareti erano appesi i paioli di rame, lucidati ogni volta, dopo l’uso, in file ordinate, dal più piccolo al più grande.
“E tu pensi che per una curiosità su una cosa che non ho fatto, non ci penserei due volte ad essere ingiusto con te? Che giusto o ingiusto, per me, dipendano solo da quanto sono curioso? Ma come mi vedi?”
Lei chiuse gli occhi, stanca.
“E hai pensato alla mia vita? Te lo chiedo solo per curiosità, non sono arrabbiato,” il tono era così calmo, quasi divertito.
“Cosa sarebbe cambiato per te?”
Il giorno dopo lo avresti dimenticato. Io ho pensato solo questo, che non ti avrei chiesto niente di più e che tu non ci avresti più pensato. Mai più. Nemmeno un pensiero distratto.
Come se tu fossi solo un animale un po’ scemo, da soddisfare con una mela.
Ventosa, spegnimi questo stoppino.
André scosse la testa “Io lavoro per tuo padre, non ho detto che non mi piaccia ogni cosa che fa, ma so di avere un debito con lui: mi ha accolto in casa sua, mi ha dato un lavoro che a me è piaciuto moltissimo, mi ha sempre pagato molto più del giusto, mi ha concesso una istruzione, che, ti farà ridere, ma per me non ha prezzo.
Non mi illudo che sia stato tutto per bontà di cuore, ma so che non era tutto dovuto, so che differenza c’è tra il tipo di vita che stavo facendo prima – e guarda che non rinnego niente e non mi vergogno di niente, so da dove vengo, chi sono stato e chi sono, mi piacciono le mie origini, ma so che ho un debito.
Ti sei chiesta se mi mettese a disagio fottergli la figlia, proprio all’uomo con cui ho un debito? E non per un Grande Amore, che è una cosa che ti fa ridere, lo so, perché nella tua testa è una cosa che non esiste, una roba da romanzo per una delle tue sorelle... ma solo per fatterglielo sbattere in faccia proprio questa sera? Credi che la lealtà non abbia nessun valore per me, solo perché sono un servo?”
Il pavimento era a scacchiera, in pietre bianche e nere, lisce per il gran camminare di generazioni di cuochi e di sguattere in quella cucina. E bambini e bambine in cerca di dolci e calore.
Lei scosse la testa. Si vergognava da morire.
Erano cresciuti insieme e, per come la vedeva lui, lei non gli riconosceva nemmeno la lealtà. Aveva sputato su ogni volta che le aveva teso la mano. Aveva sputato su ogni volta che se l’era venuta a cercare, gatto selvatico senza padrone con le unghie estratte pronte a colpire.
“E hai pensato che io sarei rimasto comunque qui, dopo averlo fatto per fargli un dispetto stupido, come un cavallo scemo che dopo un giorno nemmeno si ricorda di cosa ha combinato? Che avrei mangiato il suo pane e il suo sale, bevuto il suo vino, cavalcato il suo cavallo, in pace con me stesso, ipocrita fino al midollo. E’ questo che vedi quando mi vedi?”
“Non lo avevo pensato. Te lo giuro.”
Erano cresciuti insieme e, per come la vedeva lui, lei non gli riconosceva nemmeno l‘orgoglio della sincerità.
“Dopo aver capito cosa avevamo fatto io avrei dovuto andarmene. Poco male, il mondo è grande. Ma non mi parlare del fatto che siamo cresciuti insieme come di una cosa importante, se poi di questa consuetudine non esiti a liberartene, un bagaglio in eccesso, solo per il gusto di fare un dispetto”
“Non lo avevo pensato. Non ho valutato... credimi”
Erano cresciuti insieme e, per come la vedeva lui, lei non gli riconosceva nemmeno il piacere della sua compagnia. Non aveva pensato che poi lui, orgoglioso, se ne sarebbe andato, più leale verso il Generale che verso di lei.
Ventosa, non fare la dispettosa, spegnimi questo stoppino. Qualcosina lasciamela, per piacere: non ne ho così tante a cui tengo davvero.
“Lo so!” non era arrabbiato, “e non ce l’ho con te. Ti dico un’ultima cosa... Io di frustate al posto tuo ne ho prese davvero poche, per causa tua invece davvero tante, tuo padre lo adora il suo frustino, e non mi sono pesate. Mai.
Ma la cosa che ho sempre apprezzato di te è che tu ogni volta eri sempre chiara, ti erano sempre chiare le conseguenze, per me e per te, e sei sempre stata trasparente sulle tue pazzie.
Stavolta no, non lo fai apposta, il guaio è quello, tu parli di rispetto, ma non ne concedi, tu stai pensando a questa cosa solo nel modo in cui riguarda te. Solo te.”
Si sentì morire. Aveva fatto un disastro, con una semplice richiesta.
Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia.
Non era giusto però. Accidenti! Lui voleva appiccicare troppe cose a quella richiesta, cose che lei nemmeno aveva notato ci fossero!
“Oscar, ascoltami, non sono arrabbiato. Non sono arrabbiato con te... Non è successo niente di terribile.
Non ce l’ho con te, te l’ho detto, mi hai chiesto una cosa carina e non si cancella... tutto... solo per una sciocchezza, per un po' di imbarazzo, cosa credi? Non essere tragica... Ti sto solo chiedendo di guardare questa cosa con me, anche dal mio punto di vista. Di non tagliarmi fuori.” Le sorrise, gentile. Come sempre.
Ventosa, ti rigrazio, di aver spento quello stoppino. Che non mi hai regalato un incendio.
Da adesso la loro conversazione non poteva che essere in discesa. Non ci poteva essere niente peggio di quello che aveva appena scampato: dopo averla pesata avrebbe potuto comunicarle il suo peso esatto - meno di una piuma. Oppure soppesare tutto e decidere che, in fondo, non c'era proprio niente di autentico valore in tutta quella cucina.
Gli sorrise, dubbiosa “Va bene. Non ti taglio fuori. Ma non dare per scontato che io veda sempre le cose come le vedi tu. Io non sono te.”
André annuì.
“Cosa era l’esperimento che volevi fare?" chiese Oscar, cercando di cambiare argomento, "quello dei tre minuti?”
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Capitolo 13 *** Capitolo XII . Non E' Perché Non Sono Io ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: le note vere sono alla fine del capitolo. Questa è una scena classica, immagino, del fandom e del filone.
Non è la versione definitiva – ma va? - solo che sto riscrivendo il capitolo XI e mi sono un po’ impicciata.
E’ un capitolo che spero piaccia a Lucy. Di più non si poteva.
Hai Valutato Tutte Le Possibilità?
Capitolo XII
Non E' Perché Non Sono Io
André la guardò con attenzione “Lo vuoi davvero?” le chiese brusco. Si si alzò dal tavolo e si avvicinò alla finestra, quella vicino alla porta per uscire in giardino.
Guardava fuori, assorto, ma cosa osservasse era impossibile da capire: a Oscar, dal tavolo, sembrava che fuori fosse troppo buio per distinguere alcunché, ma non ci avrebbe giurato - faceva troppa fatica a mettere a fuoco. Probabilmente non guardava niente, decise, stava solo pensando - pensava sempre, lui. Troppo. Sbuffò amareggiata, a volte pensava per tutti e due.
La pioggia, nera, cattiva, batteva senza tregua sui vetri una canzone che non conosceva. Che paragone che non le si addiceva, rifletté, una canzone... proprio per lei... Nemmeno se ne era accorta fino ad allora di tutto quel rumore – il cuore, forse, le aveva battuto un po' più forte. Impossibile, si disse, nessun cuore batte così. Non con questo tumulto. Non reggerebbe.
Oscar abbassò lo sguardo, sotto quello di lui, incerta – glielo aveva proposto lui, no?
O forse pensava che la sera si dovesse chiudere qui, con questa sbirciatina che aveva dato a se stessa, riflessa nello specchio - sperò tanto imperfetto - delle sue parole, smontata in tutte le cose che di sé non sapeva, ma che lui, di sicuro, vedeva. Tanti pezzettini, nessuno davvero lusinghiero.
E lui li vedeva. Li vedeva tutti i giorni. Non si era mai vergognata così tanto.
Forse doveva solo ringraziare dello scampato incendio della rabbia di lui, così rara.
In fondo lui era ancora lì, in quell’enorme cucina, e non c’era un obbligo, l’aveva capito; se si fosse spostato dalla finestra, se le fosse passato accanto per poi imboccare la porta, salutandola o non salutandola, con il sorriso da gatto che di solito era per Danielle, con il sorriso rassicurante destinato a lei insieme a quello irritato, o, peggio, senza nemmeno guardarla, come non si guarda il passato che ci si getta dietro le spalle, lei cosa avrebbe mai potuto fare? Fermarlo? E come? Dicendo cosa?
Placcandolo su quel pavimento come a una partita di choule?
Oscar sospirò e si strinse nelle spalle. Si fissò pensosa le mani, poggiate sul tavolo e restò in silenzio. Stavolta non avrebbe chiesto. Non si sarebbe andata a prendere proprio un bel nulla nulla. Non avrebbe cercato come la cacciatrice che in fondo non era - troppe volte glielo avevano fatto notare, rumorosa nel bosco, il passo così disattento alle foglie e alle radici, troppo rivelatrice in scrocchi e tramestii, non tanto brava a cogliere gli indizi della preda. Stavolta avrebbe solo seguito il vento.
Tutto questo chiedere faceva troppo male... e non solo a lei. Forse.
Cercò lui con lo sguardo e s'accorse che adesso stava appoggiato alla finestra con le spalle - lo diceva, lei, che fuori non c'era niente da guardare! - la stava osservando. Non uno sguardo amico, piuttosto era un po' assorto. Come se volesse catalogare tutte le schegge di Oscar, pensò lei tra sé e sé, quasi divertita, per cercarne una in particolare, una che forse gli era sfuggita. Sperò non fosse così, un poco di pietà non la meritava anche lei, in fondo, a questo punto?
Poi lo sentì sospirare “... e così, alla fine, finisce che ti faccio proprio quella domanda che non ti volevo fare...”
“Quale domanda?” chiese la ragazza, incerta.
“Niente” scosse la testa, poi le si avvicinò, “niente.”
“Va bene, proviamo una cosa, molto semplice,” riprese serio, “mi devi promettere che mi dirai di fermarmi come non ti piacerà, o ti darà fastidio o, molto semplicemente non ti sentirai a tuo agio. Mi chiedi di fermarmi e io mi fermo, lo capisci questo?”
Lei annuì e gli sorrise divertita. Che problema c’era? Erano sempre già stati complici in tante cose.
La fece alzare e spostò la sedia vicino al camino, in piena luce. Lei si sedette, incuriosita.
Lui prese una candela dal cassetto e la infilò in una delle tante bugie di peltro della cucina – in una cucina la luce serve tutta e dalla cucina parte la luce per tutta la casa: c’era un esercito di bugie, pronte ad invadere il palazzo.
Tagliò con il coltello fino allo stoppino, alla maniera dei contadini: lo facevano spesso per contare il tempo tra di loro, quando mercanteggiavano ancora cinque minuti prima da andare a dormire, mentre vincevano e perdevano regni immaginari a Faraone. Lei non si stupì.
“Non sto scherzando Oscar, è una questione di fiducia e per me è importante: quando non ti senti a tuo agio, non voglio scoprirlo da solo, me lo devi dire tu, semplicemente. E se vuoi che continui a fare qualcosa che ti piace me lo devi chiedere. Se c’è qualcosa che ti piace, me lo devi dire. Tutto qua, è una cosa semplice, fammi capire, ti è chiaro? Fammi capire e assicurati che io capisca...”
“E io?” chiese stupita.
“Tu, Oscar, tu puoi fare quello che vuoi.” la guardò assorto “Tutto quello che vuoi.”
Oscar osservò perplessa la luce fioca della candela, non capendo bene cosa lui volesse.
André, lentamente, le scostò i capelli dalla fronte, molto delicatamente le portò le ciocche dietro le orecchie, scoprendole il viso, senza fretta.
Gli occhi di lei sembrarono farsi così grandi. Pieni di stupore.
Le prese il viso tra le mani, a coppa e lo sollevò, osservandola assorto, delicatamente coi pollici le accarezzò il mento e le sfiorò le labbra, dolcemente, attraversandole, quasi un gesto casuale.
La vide arrossire alla luce delle fiamme del camino.
“Quando faccio qualcosa che non ti piace, “ sussurrò, “tu dimmelo. Trova tu il modo... liberamente, non ti giudico”
Percorse con la punta delle dita gli zigomi delicati, la curva del naso, di nuovo, distrattamente, come se fosse solo un caso, la sua bocca.
Lei chiuse gli occhi, incerta.
“...e anche quando faccio qualcosa che ti piace...”
Con le nocche le sfiorò la mandibola, il mento, risalì dietro le orecchie, senza fretta, come se avesse avuto tutto il tempo del mondo.
La sentì trattenere il fiato.
Con la punta delle dita girovagò per la sua gola, le accarezzò il punto deve passava la jugulare, sentendo lo scorrere veloce.
La osservò tremare, ma non dirgli nulla.
Scosse la testa, rattristato.
Delicatamente con due dita della mano destra scivolò lungo la sua clavicola, dalla gola vero le spalle, le sfiorò il collo, i pollici di nuovo sulle sue labbra. Sembravano non volerle abbandonare mai disegnandole e ridisegnandole senza fretta.
Lei aprì gli occhi incerta, come se volesse dirgli qualcosa, ma poi li abbassò trattenendo il fiato.
Lui smise accarezzarle il volto e passò ai capelli.
La senti respirare di nuovo, tranquilla, lo guardò da sotto in sù, come se stesse per fargli una domanda, ma poi abbassò lo sguardo.
Lui sorrise, un sorriso un po’ triste.
Poi piano ridiscese dalle spalle, fino al primo bottone della camicia, quello che un’infinità di tempo prima aveva slacciato lei, da sola.
Delicatamente le accarezzò la pelle con le nocche.
La vide stringere il bordo della sedia con le mani “Oscar... va tutto bene?” glielo disse molto dolcemente, ma lei non rispose.
Piano, lentamente arrivò al secondo bottone.
“Questo è il punto interrogativo, credo... e qui, come immagino, ci fermiamo...”
Come lo slacciò la senti sobbalzare e ritrarsi, appiattita contro lo schienale della sedia.
André sospirò e si allontanò da lei.
Quando la ventata di aria gelida arrivò fino a lei, Oscar riaprì gli occhi. La candela sul tavolo si era spenta, i suoi tre minuti non era passati, ma la candela era spenta.
Lui era accanto accanto alla finestra, aperta, che guardava la pioggia, o il buio o chissà che altro diavolo stava guardando, incurante di quella ventata gelida che invadeva la stanza e della pioggia che batteva su di lui e sul pavimento.
Passò un’eternità a guardarlo e a non guardarlo, chiedendosi cosa stesse pensando, ripensando dentro di sé ai discorsi delle sue sorelle, solo qualche giorno prima, tra Juliette e Danielle... cosa aveva sbagliato?
“Non ti ho detto che non mi piaceva...” mormorò alla fine.
“Ah no?”
“Non l’ho detto” ribadì testarda.
“Non mi interessa cosa mi hai detto, Oscar.”
“Ma io...”
“Oscar, io non ti ho chiesto di sopportare di essere toccata, o di lasciarmi fare tutto quello che mi pare, e nemmeno di godertelo dentro di te, ti ho chiesto di guidarmi, di farmelo capire... di condividere... non è facile, è tutta una questione di fiducia, lo so...”
“André...”
“E ti ho detto che potevi fare tutto quello volevi, con le tue mani, con le tue labbra... potevi fermarmi o guidarmi dove volevi. Potevi anche toccarmi, o baciarmi, non avrei giudicato, te l’ho detto, ma non c’era nulla che ti interessasse sfiorare, di me.”
“Non ero pronta, riproviamo.”
André sospirò, chiuse la finestra e la guardò, “Ti ho detto che l’avremmo fatto una volta sola, Oscar, eri d’accordo. Non sei pronta, tutto qua. Al di là di tutte le motivazioni che hai , non hai, che sai o non sai di avere, in fondo non sono davvero fatti miei, non sei pronta per farlo, non stasera, almeno. Non è una prova di resistenza, è solo... condivisione, e... confidenza. Confidenza con il proprio corpo e con il mio. E al momento, è chiaro, non c’è. Ci sono tutti i no e niente di più...”
“Riproviamo, stavolta starò ferma!”
“Ma non mi interessa che tu stia ferma, lo vuoi capire?”
“Non ti ho detto di no.”
“Ascolta, per farlo facendoti il minor male possibile, devo toccarti, lo capisci? Deve piacerti essere toccata da me, in un certo modo, e anche io, per funzionare... Oscar insomma, non si può, così non si può” non era esasperato, solo, le parve, rattristato.
“Ma, se decidessimo insieme per un sì, insieme, non io senza di te, insieme, non potresti farlo e basta?”
La guardò senza fiato “Ma tu ti senti quando parli?!”
Lei arrossì, spostò la sedia, sentendosi umiliata, e la rimise fuori dal cerchio della luce. Senza far rumore.
“Ascoltami Oscar, non è un esame che uno fallisce o supera, non c'è un voto attaccato, o un giudizio... non importa a nessuno, credimi. Ti dirò di più: non ha nulla a che vedere con te...Semplicemente non sono io... la persona per questa cosa, con te, non sono io. Non ora, almeno. Non qui.”
Per l’ennesima volta, raccolse la tisana di lei, ormai gelida, e la rimise accanto al fuoco. Senza guardarla.
Note finali: il capitolo si può migliorare, possiamo descrivere la finestra, per esempio, la luce del camino sul viso di lei, ma la storia non è finita – poteva anche finire qui, ma... non finisce qui.
Spero che nel racconto si capisca un pochino una cosetta – lo metterò nei capitoli futuri, ma in questo non volevo guardare nei pensieri di André. Sono certa che in una almeno delle cinque review (scommettiamo?) ci sarebbe potuta essere questa obiezione: quello che André chiede ad Oscar non serviva per Oscar, era già abbastanza mogia di suo...
Infatti non serve ad Oscar.
Per quanto noi non possiamo sapere cosa diavolo stesse pensando André, c’era una cosa che credo si capisca avrebbe voluto sapere... se tra tutti i pezzettini di Oscar sparsi per la cucina, ognuno con la sua motivazione, ce ne era uno che...
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Capitolo 14 *** Capitolo XIII - Non E' Perché Il tempo Non Si Ferma Mai ***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note: Anzitutto grazie delle review fino ad oggi! Ho delle review bellissime da leggere... caspita!
Capitolo lunghissimo, che però non intendo tagliare in due, di un malinconico mini-dramma adolescenziale con tumultuosi pensieri interiori, come si addice ad una storia un po’ così, del tipo: ”tu non capisci l’universo femminile, la mia spiccata sensibilità si contrappone al tuo gretto materialismo maschilista”. Ma anche no. A me non dispiace anche se è un pochino troppo intenso - rientreremo nei ranghi!
Non c'è un linguaggio adeguato, me ne spiace.
Ho messo una citazione pop a destra, perché mi piaceva e mi sembrava una cosa carina. Perché no?
Non è quello che penso io, ma un po' come si sente la fanciulla, che giustamente o ingiustamente, si sente un po' come se fosse stata fregata - per il resto non c'entra molto, a parte la camicia bianca e l'idea di un tempo finirà. La canzone è Quello che non ho, del 1981, di De André, di un album nato senza titolo, rifatta dai Liftiba, che inizia proprio con rumore di spari e grida di caccia (Gallura - caccia al cinghiale) e che è una specie di blues, molto lento per i gusti del 2015. Ci sono un po' di pippe... C’è pure un cervo, il guardiacaccia (che avevamo già incontrato, come dispensatore di pillole di saggezza popolare), Danielle (poteva forse mancare?) che spara, ma non a Fersen (per ora, diamole tempo), quella stronza dell’Ultima Nota, Jaquot (già incontrato per altro, che si faceva le... davanti al quadro della Morphise, bello spettacolo!), Pierre che si capisce che è un brutto anatraccolo, di quelli che a scuola prendono tutti in giro e poi un giorno si presenta con la balestra e una lista da spuntare, e una lince rossa, che passava per caso e ha dato una zampata: l’AU regna sovrano (ma nell'anime li vediamo solo sdraiati nel prato che parlano di spade... e non è possibile! Avranno anche fatto altro! Visto altra gente!). E pure l’OOC temo – ma è adolescente!
André finalmente tace.
Come spesso capita in una conversazione reale, non è che sempre questi due si capiscono - è così. Non chiedete.
A me piace la mia roba, ovviamente, ma... senza esagerare!
E’ una fanfic :) sono consapevole dei limiti: non pretendiamo troppo! So che non è molto simpatica questa Oscar... ma vabbè, facciamocela piacere: è una ragazzina, e pure lui... si atteggia un po’ troppo. Tra tutti e due... vent’anni per trovarsi... eccheccavoli!
Come al solito: chi legge (si, voi 5!) si diverta! Grazie per la compagnia.
Se ci sono domande, rispondo volentieri. Questo però non lo riscrivo, perché è troppo lungo (seee, le ultime parole famose!).
Hai Valutato Tutte Le Possibilità?
Capitolo XIII
Non E' Perché Il Tempo Non Si Ferma Mai
quello che non ho sei tu dalla mia parte
quello che non ho è di fregarti a carte
De André
Oscar se ne stava raggomitolata al buio sulla sedia, le mani poggiate sul tavolo, il mento sulle mani. In silenzio.
Non aveva parlato da quando lui aveva smesso, non lo aveva guardato, non lo aveva cercato.
La finestra non era chiusa bene – André non era stato accurato, pensò stanca, eppure era stato più che accurato con lei, aveva preso la mira e le aveva sparato, facendo un centro dopo l’altro.
Sia lui che Danielle, se lo ricordava bene, avevano una mira micidiale, fin da ragazzini – solo per avvicinarsi ai loro risultati aveva dovuto lavorare tanto, lei. E anche con tutto quel lavoro, si avvicinava solamente ai risultati di quei due, li sfiorava, ma non li eguagliava.
Due assassini naturali. Arricciò il naso. Buoni eh! Più buoni di lei, molto più buoni, ma certe volte... le sembrava che i buoni adorassero i pasticcioni perché così avevano dei bersagli viventi su cui mirare e fare fuoco, senza sentirsi in colpa. Per il loro bene.
Si ricordò di una mattina presto in un bosco, per la caccia al cervo con gli amici di suo padre; per non dover nascondere lo sbadiglio, li aveva lasciati ai soliti discorsi, fatti dei soliti pensieri: la favorita del Re, i favori del Re assegnati a certuni e non a cert'altri solo per gli intrighi della favorita del Re e gli escrementi del cervo. Argomenti tutti di profondo interesse, specialmente l’ultimo.
Essere invitati ad una caccia, per quegli uomini, era come essere invitati al ballo per Cenerentola: c’era sempre uno scopo sociale, tutto un rituale da seguire nei dettagli, che mostrava chiaramente chi si era, come si era stati educati, che posto si occupava nella società, con lo scopo di cercare di scalare di un gradino e ottenere un premio.
Cenerentola, con la sua carrozza fatta da una zucca - Madame de Noailles se ne sarebbe accorta subito, non si sarebbe fatta ingannare da un incantesimo - ne aveva ottenuto uno bello grosso, per esempio, anche se in una favola. Mettendo sul piatto qualcosa d'altro oltre a quello che sapeva fare sul serio - grattar polvere dai camini.
E pure la Pompadour, si diceva, borghese come Cenerentola, aveva conosciuto il Re e osato ottenere il suo premio, anch’esso bello grosso, da condividere con la sua famiglia di banchieri, girando con un calessino nel bosco sui sentieri per cui il Re tornava dalla caccia, tutta vestita di azzurro o di rosa.
Mai sottovalutare le opportunità sociali di un’attività che richiede un branco di uomini, un branco di cervi e un branco di cani.
Ma per lei, l’unico modo di andare a caccia e farsela piacere, era non andare affatto.
L’avrebbero fatto alla maniera antica, coi cani - sempre meglio di una battuta, che era un vero carnaio.
Il cervo, in questo caso, correva fino a farsi quasi scoppiare il cuore, inseguito dalla muta e dai cavalieri.
Poi si fermava e combatteva coi cani – corna, zoccoli, collo possente, a un uomo poteva fare molto male. Si fermava sempre. Cercava di salvarsi, in qualche modo, ma, contro una muta di cani, di solito, perdeva il cervo.
Poi lo sparo, l’apertura della carcassa, la carne per i cani.
Danielle invece preferiva la posta e si era eclissata con André, che non avrebbe potuto cacciare – una volta c’era la pena di morte – ma in quanto pezzo vivente della collezione di armi di famiglia, le dava una mano.
Lei aveva girovagato senza meta godendosi la tela del ragno con la rugiada, l’odore umido del terriccio - i lombrichi c'erano sul serio, hai voglia lui a dire di no... -, il passo morbido, il tronco abbattuto su cui camminare in equilibrio - un verminaio - , la solitudine. Ufficialmente era in cerca – trovare era tutta un’altra faccenda.
In tutta sincerità, non è che ci tenesse tanto a cercare escrementi nell'erba di un esemplare che non fosse già in fuga. O impronte di zoccoli, tutte distanti uguali o foglie cadute dall'altezza giusta delle corna, mica era Zadig.
Invece se lo era trovato a pochi passi nella radura, da sola, senza averlo per niente cercato. Aveva preso la mira, ma poi aveva pensato che era bello, così bello e vivo, così vivo. E lei non aveva poi tutta quella fame.
E non gliene importava poi tanto di una pacca sulla spalla, di sentirsi dire “bravo” dal Generale, per aver guardato in un mirino e accarezzato un grilletto, una cosa che può fare chiunque, qualcuno meglio degli altri, d’accordo, ma alla fine chiunque. Beh chiunque purché aristocratico. Un contadino, fino a pochi anni prima, l'avrebbero impiccato.
Lo aveva guardato e le era sembrato che l’animale la guardasse.
Le sarebbe piaciuto tendere la mano, ma sapeva che non sarebbe servito: per addomesticare un animale ci vuole tanto tempo, lei lo sapeva bene per via della lince rossa.
E andava bene così, uno di quei momenti perfetti, coi raggi di luce tutti al loro posto, il freddo, il silenzio che non è silenzio, perché se nel bosco c’è silenzio allora c’è qualcosa che non va.
Solo dopo aveva visto quei due in agguato, vicino a una siepe. Solo dopo.
Non seppe mai chi dei due, molto probabilmente Danielle, che all’epoca ci teneva ancora a compiacere il Generale, impegnandosi a sfoggiare proprio quelle doti che lui apprezzava nelle persone. Lei pestò in fretta il ramo ma non rovinò abbastanza il tiro.
Solo il guardiacaccia aveva capito – anche lui cacciava per mangiare e per tenere il branco sotto controllo. Non per sport.
Anche se, va detto, tutti i cervi di una battuta sarebbero stati mangiati. Tutti. Mangioni!
Erano andati insieme a cercare la preda, lasciando quei due sotto un albero, facendo con calma – come lui le diceva sempre: se aspetti un quarto d’ora trovi un animale morto, se t’affretti un animale ferito a cui sparare un secondo colpo, perché t’affretti?
Quando lo avevano trovato gli aveva accarezzato il muso, aspettando. Era davvero meno crudele sparargli di nuovo? Ma se di ogni gioco che piace tutti non fanno che chiedere ancora cinque minuti, solo un minuto ti prego, ancora un attimo... non avrebbe mai tolto al cervo il suo ultimo minuto.
Quella sera, mentre scherzavano sulle sue inabilità di cacciatrice rumorosa, li aveva lasciati dire. La carne non l’aveva mangiata. Oh le piaceva, era una sana carnivora, ma... non avrebbe mangiato quel cervo.
Aveva riaccompagnato il guardiacaccia a casa sua e avevano diviso il formaggio ed il sidro di mele. Lui coi suoi gatti, lei con la lince rossa che le faceva gli agguati - aveva ancora il segno di un graffio sul polso. La rimproverava sempre per averla voluta addomesticare - non aveva voluto, era capitato e non era domestica, andava e veniva come voleva dalla legnaia del guardiacaccia, la seguiva al passo, silenziosa ed elegante, rinchiusa solo nei giorni di caccia per paura degli ospiti che non sapevano che non era da toccare - e lei lo guardava obliqua chiedendo, innocente, quanti topi in una capanna per giustificare tutti quei gatti.
Lui le aveva detto, sputando per terra la presa di tabacco, che pure loro, in fondo, erano solo animali: a volte capita di stringere la mano alla bestia e vedere che non c’è poi tanta differenza.
Ma loro non l'avevano mai stretta questa mano? No, aveva bofonchiato il guardiacaccia, masticando tabacco, loro sono buoni. Non c'entrano con le bestie.
Beh lei quella sera era stata la bestia.
Il cervo.
Aveva corso e corso tra campi sterminati di parole cortesi, che le mostravano, per il suo bene, tutte le cose sbagliate che faceva, o pensava, e quando pensava che le ostilità fossero finite, di essere approdata in un posto tranquillo, era arrivato il colpo finale, preparato con cura, era chiaro: glielo aveva proposto all’inizio, non era stata una richiesta spontanea. La sua reazione, come quella del cervo, che, sempre, puntualmente, si ferma, reagisce come può e perde rovinosamente, forse, pure prevedibile.
O forse no.
Ma nemmeno la sua richiesta di quella sera, in fondo, era stata totalmente spontanea.
Non era arrabbiata. Solo... faceva un po’ male.
Si alzò ed andò a chiudere la finestra - sbatacchiava per la pioggia scrosciante ed il vento.
Ventosa s’era presa la sua vendetta, alla fine.
Passò accanto lui, senza sfiorarlo, senza guardarlo. Lui cercò di prenderle un polso, ma lei allontanò il braccio, prima di essere toccata, non brusca, quasi elegante. Gli girò poi intorno per riprendere il panciotto, come un gatto che non sfiora e non si fa sfiorare.
Di nuovo al suo posto, nel buio, si rivestì con calma. Faceva freddo lontano dal camino.
“Mi spiace” mormorò André.
“Non credo,” rispose quieta, “non lo avresti mai fatto altrimenti.”
“Oscar” cercò di prenderla in giro, ma lei non lo guardò.
Le si avvicinò per accarezzarle i capelli, ma lei si scostò, con un movimento fluido.
Lo evitò varie volte. Lui che cercava un contatto e lei che scivolava via.
Alla fine lui la strinse contro la parete, senza toccarla, ma lei sgusciò sotto il suo braccio, flessuosa e tornò a sedersi al tavolo.
Il mento poggiato sulle mani.
Quando le fu accanto di nuovo, “Questo era un no,” aveva mormorato senza guardarlo. “Questo era uno stammi lontano. Questo è uno stammi lontano. Non sono arrabbiata, ma per dieci minuti, per piacere, stammi lontano. Siediti lì,” accennò col mento ad una sedia vicino al camino”, se vuoi, quello è il massimo a cui ti puoi avvicinare a me. Perché questo è un no per me. Sei così esperto di si e di no, sono sicura che ne riconosci subito uno quando lo vedi... lasciami stare per dieci minuti. Ti prego.”
Un giorno avrebbe scoperto chi era l'Ultima Nota e le avrebbe fatto un bel discorsetto. Se non avesse mai.. non avrebbe avuto confronti da fare, perché alla fine il nocciolo era pure lì, che lui stava pensando a come lo aveva fatto con quella scema, quanto ci aveva pensato lui, quanto lei, e compagnia bella, e adesso farlo con lei era solo la brutta copia di una bella poesia.
Ma non credo proprio, pensò divertita, che lui l’abbia piazzata su una sedia, in piena luce, femmina per la prima volta, dicendole e adesso fammi vedere quanto lo vuoi. Dimostramelo. E in tre minuti.
L’avrebbe di sicuro mandato a quel paese... altro che starsene lì cercando di capire come superare quell’esame a trabocchetto, alla luce dei racconti delle sue sorelle.
S'era fissato che lei dovesse per forza essere un dolce di panna montata, ben preparato, ben presentato, già pronto nel suo piattino con la sua bella forchettina accanto, pronto per essere mangiato, zuccherato al punto giusto, desideroso di essere divorato, abituato ad essere desiderato, a sentirsi dolce, e a concedersi, e non invece, una semplice manciata di lamponi da andare a prendersi facendosi qualche graffio con le spine.
Lei non era pronta, le era chiaro.
Ma non credo proprio che mentre lo facevano tra la paglia, o dovunque lo abbiano fatto, lui le abbia chiesto di dimostrargli fiducia, di condividere, o che tutte le loro carezze siano venute sempre così bene.
Come se non avessi mai condiviso niente con te...
Tu pensi più di me... molto di più, pensò tra sé, lo sapevi come sarebbe finita. Io sono quella che fa le cose d’impulso e poi ingoia l’orgoglio e fa le sue scuse sincere. Tu sei quello che pensa sempre prima e non si deve scusare mai. Sei più buono di me, quello sì. Ma non sempre.
Allora, io non te la rifaccio quella domanda, tu non lo sai, quel che importa è che lo so io. E non perché mi hai convinto, ma perché proprio non vuoi. Non ti posso obbligare. Non voglio obbligare nessuno, meno di tutti te. Se uno si da così tanta pena per chiudere accuratamente una porta, direi che ha tutto il diritto di tenerla chiusa e che nessuno si ostini a bussare.
Mi auguro solo che quando succederà a te di fare un enorme pasticcio, e prima o poi ti succederà, con chiunque sarà, non ti capiti di dover rimpiangere un impacciato forse si, come questo, invece di un no inequivocabile...
“Ascolta,“ riprese quieta, “ti ricordi quando eravamo andati dal maestro di spada? Ci allenavamo con lui e poi tra di noi?”
André scosse la testa – erano in continuazione in posti del genere.
“Un bel po’ di tempo fa... C’era Pierre, devo dirti il titolo intero? il suo... uomo, è Jaques... tu lo chiamo Jaquot, mi pare, un tuo amico... Pierre era, ed è, cicciottello, non tanto sveglio, ti ricordi?”
André sorrise.
“Lui non era molto bravo, non riusciva proprio ad imparare, una frana e il maestro ti chiese di provare con lui. Io ero accoccolata in un angolo, sui talloni, un po’ annoiata. Vi osservavo... eri paziente, eri tranquillo, eri molto, rilassato. Hai scherzato tutto il tempo con lui.
Lui, Pierre, non mi pareva così a suo agio, sapeva di non essere un granché, gli dispiaceva pure, si vedeva lontano un miglio, ma, non gliene hai fatto una colpa, mi pare. Scherzavi e intanto gli facevi vedere cosa volevi, con pazienza. Pierre era una autentica frana.
Non gli hai fatto pesare che sarebbe molto più divertente allenarsi con me, e lo sappiamo bene tutti e due che è così, perché in certe cose io sono davvero molto brava. In altre, lo abbiamo appena appurato, proprio no...
Non potevi essere così leale verso di me come lo sei stato con quel ragazzino?
Se un ragazzino che non ha mai preso in mano una spada si presenta da qualcuno e chiede di provare... nessuno pretende che vada in una sala di allenamento con uno spadaccino, non dico esperto, perché non penso proprio che tu sia un maestro spadaccino senza pari, sei solo uno spadaccino che ne sa un pochino più di uno che non ne sa proprio nulla, ma con uno più bravo e che si slanci in un duello.
Sarebbe come se gli mettessero in mano la spada e gli dicessero di mostragli quanta confidenza ha con la sua spada, quanto è reattivo, se capisce cosa sta facendo l'altro, cosa si aspettano da lui. Quale gesto dovrebbe corrispondere ad ogni gesto dell'altro.
Poi a sorpresa lo disarmassero e mentre quel ragazzino imbranato se ne sta lì, umiliato, gli dicessero che non è pronto, che non sa duellare, che è meglio se posa il pensiero...” Oscar fece una risatina divertita
“Non sarebbe leale,“ riprese, tranquilla, “se il ragazzino è venuto fin lì, se ha chiesto, se ha dovuto chiedere, è proprio perché non lo sa fare.
Forse il ragazzino è stato un po' presuntuoso, pensando che le sue idee fossero uno specchio esatto della realtà... non ha capito molto di come era o non era la cosa, veramente, ma va bene, è giusto farglielo notare, è una esperienza anche quella.
Se il ragazzino non è uno stupido, gli brucerà, ma se la farà passare: l'esperienza è il frutto dei nostri errori, lo hai detto tu, e ha un prezzo. Non impari mai niente se non paghi il suo prezzo. Per cui non è una tragedia un po’ di orgoglio ingoiato.
Però tu, dopo avermi fatto pesare che avevo rinunciato a tutta la magia di farlo nel bosco, dove saresti stato così meraviglioso come nemmeno in una favola, per via della mia rabbia, che c’è, eccome se c’è, ma non c’è solo quello, però a te sembrava una cosa orribile che ci fosse, mi hai piazzato lì su quella sedia, in tutta quella luce, con una spada che, tu lo sapevi, io no, ma tu, tu lo sapevi molto bene, che io non sapevo, non so usare.
E mi stai confrontando, anche se non me lo dirai mai, con qualcosa che non sono io, con una esperienza che hai fatto tu, ma io no.
Non lo so se volevi rendermi ridicola e farmi ritirare in buon ordine con la tua tisana nella mia stanzetta, così umiliata da non osare rifiatare, pensando che solo poco fa ero lì a slacciarmi un bottone davanti a te, facendo quella che sapeva quello che faceva... come una stupidina, o se ci hai provato sul serio sperando che ti sorprendessi... che fossi.. diversa da quella che sono.”
Lei tacque pensosa, “non lo so e non lo voglio sapere”
La odiava, odiava L'Ultima Nota.
Non lo voglio sapere se ti dispiaceva che non fossi come qualcun’altra. Non poteva nominarla.
Non lo voglio sapere se speravi che fossi qualcun'altra.
“Mi hai disarmato, hai visto un mio punto debole, l'hai sfruttato, hai scoperto che non so contrattaccare, va bene, e allora? Insegnamelo tu, no?
Potevi prenderle tu le mie mani, sai? E potevamo riprovare... quasi niente viene bene al primo colpo. Ma credo che tu volessi solo dimostrarmi che non sei tu e che non sono io, e che, anche se fosse, non è il momento giusto e nemmeno il posto giusto...”
“Oscar, mi dipiace tanto,”
“Balle André. Balle. Se ti dispiacesse sul serio avresti fatto in un altro modo. Non è per cattiveria, a modo tuo pensi che sia la cosa giusta. Ma non importa,” lo interruppe, sempre quieta “Tu hai ragione nel farmi notare che potrebbe finire in un certo modo, ed è vero, io ho pensato solo a quello che interessava a me. A te non ho pensato. Hai fatto bene a sottolinearlo, e probabilmente, per funzionare bene sarebbe meglio se ci fossero certi ingredienti, che non ci sono, lo posso capire. Però Pierre lo sapeva, in quella sala d’allenamento, che non stava facendo le cose così bene come le avresti fatte con me, ma tu non lo hai preteso, mi pare. Ti sei adattato. E guarda che stava pensando solo a sé, in quel momento, di cosa pensavi tu non gliene importava proprio nulla... che poi è quello che facciamo un po’ tutti mi sa tanto...”
Lui annuì, incerto.
“Solo, ti chiedo, visto che con me hai fatto un patto, vorrei che facessimo quello che avevi proposto: vediamo insieme se non c’era un’altra possibilità, oltre a quella in cui non piace a me e oltre a quella in cui non piace a te... Questo me lo devi... che sarebbe successo, nella tua castrofica testa, nel caso in cui...”
Sai pensò, ma non glielo disse, dopo stasera, qualunque cosa io decida, io dovrò crescere un po’, e, comunque, non saremo più così alla pari come fino a stasera. Non sarò più la tua peste, la tua ragazza a cui puoi intrecciare i capelli quando è avvilita, o portare a vedere un partita di choule, sgusciando su un carro, o a bere birra in riva al mare, o a ingozzarci di frittelle ad una festa, tre dita di fango sui nostri stivali.
Io vorrei restassimo per sempre amici e “questo” forse tra amici non si fa. Ma, anche se un giorno mi dovessi mai innamorare, non sarebbe... la somma di tutto questo.
Avrei voluto, oltre a tutte le altre cose che ho pensato e che mi ha sbattuto in faccia, anche io come il cervo, che il tempo si fermasse e non lasciare questa parte della mia vita, volevo i miei ultimi cinque minuti, un minuto, ancora un attimo per piacere...
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