Dove cadono i fulmini

di Lady_Wolf_91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***



Capitolo 1
*** I ***


I
 


“Ti ho organizzato un appuntamento.”
È iniziato tutto con quella frase.
E pensare che all’inizio nemmeno volevo andarci a quell’incontro.
E lo so, tutti abbiamo un’amica che prima o poi si metterà in testa l’idea di farci conoscere qualcuno degli amici del suo fidanzato.
Qualcuno che ha passato il suo test da amica e che quindi può appiopparti tranquillamente.
Così ti organizza l’uscita a cui tu non puoi rifiutarti di andare perché ‘Non è che ti ci devi sposare, uscite insieme e se son rose fioriranno e se non lo sono marciranno’ dire semplicemente: no, non voglio uscirci non vi farà evitare quell’appuntamento, credetemi.
Però in fondo cosa c’è di male, no?
Voglio dire, la vostra amica, la vostra miglior amica vi conosce giusto? Insomma, chi può conoscervi meglio della persona a cui confidate tutto di voi? E logica vuole che se questa persona vi conosce così bene dovrà capirne un po’ anche dei vostri gusti no?
Ecco perché al tempo pensai che non sarebbe poi potuta andare tanto male.
Non potevo sbagliarmi di più.
Definire quell’appuntamento catastrofico sarebbe stato un complimento; era stato un disastro su tutta la linea a partire dall’inizio: Jensen, questo il nome dell’amico di Matt, il fidanzato di Aria –la mia amica organizzatrice di incontri clandestini volti a far accasarmi- era in netto ritardo.
Qualche minuto andava bene, mezz’ora si poteva ancora capire.
Ma un ritardo di due ore era inaccettabile.
Insomma, io ero lì, nel mio bel vestitino blu a pois, mi ero fatta la ceretta e voi donne sapete il dolore che questo comporta e in più, avevo rinunciato ad una maratona di sex and the city.
E lui cosa faceva? Due ore di ritardo senza nemmeno avvisare.
E non è che avesse fatto chi sa cosa per scusarsi davvero poi quando era arrivato –due ore dopo voglio ricordarlo- aveva semplicemente sorriso passandosi distrattamente una mano tra i capelli biondi, senza nemmeno presentarsi.
Oh ma tranquillo eh, tanto questo non è mica un appuntamento per farci conoscere.
E dopo due ore a gelarci i deretani su una squallida panchina, eravamo riusciti ad entrare in un dannato bar prendendo dei dannati cocktail ‘Amy analcolico per te, lo sai che non reggi l’alcool’ ad ascoltare Jensen e Matt parlare e parlare e parlare del dannato football.
Ma cosa c’è tanto da parlarne? C’è una palla e degli uomini la inseguono, o quello era il calcio? Vabbè insomma lo facevamo anche noi da bambini, correre dietro una palla fino a quando questa non scompariva in misteriosi buchi, quindi non vedo proprio cosa ci sia di entusiasmante da stare lì a parlarne per ore.
Ore.
Ad un appuntamento in cui il signorino si era già presentato in ritardo.
Era davvero irritante e lui non era nemmeno questo granché.
Ok no, voglio essere onesta: era innegabilmente bello, sembrava che madre natura si fosse concentrata in tutto e per tutto mentre lo componeva: dai capelli biondi perfettamente tirati indietro, passando per quegli occhi così verdi da ricordare un intero bosco, continuando per quelle labbra sottili e perfette e mi fermo qui, perché i suoi vestiti non mi permettevano un analisi più accurata, ma non avevo il minimo dubbio che fosse perfetto anche sotto quegli abiti.
Insomma, era tanto bello quanto irritante e maleducato.
Chiariamoci: non è che mi aspettassi una dichiarazione d’amore o chi sa cosa ma andiamo, poteva almeno salutarmi, dire qualcosa come ‘ehi ciao sono Jensen è un piacere conoscerti’ insomma qualcosa del genere non avrebbe fatto tanto schifo.
Era alle basi dell’educazione di ogni persona.
Invece lui a stento mi aveva guardato, aveva afferrato la sua dannata birra –e avevo maledetto Aria per tutta la sera per quel dannato cocktail analcolico- e aveva parlato con Matt.
Mentre io lanciavo alla mia amica segnali di fumo che volevano dire qualcosa del tipo: ‘Non mi organizzerai mai più un appuntamento, anzi la prossima volta che uscirò con qualcuno tu te ne starai ad una distanza minima di cento metri.’
Come diavolo aveva potuto sbagliarsi così tanto?
Oh ma quello non era nulla rispetto a quello che la fine della serata ci aveva regalato.
Saremo dovuti tornare a casa, la squallida serata era finalmente finita quindi arrivederci e a mai più, grazie.
E ovviamente quel dannato Jensen doveva scegliere quel momento per rivolgermi la parola.
“Beh Amelia è stato un piacere.”
Forse c’era qualcosa di poco analcolico nel mio cocktail o semplicemente avevo tenuto la bocca chiusa per troppo tempo, fatto sta che non mi trattenni:
“E cosa sarebbe stato un piacere sentiamo? Aspettarti per due ore fuori a fissare il nulla? O forse vuoi dire che è stato un piacere passare l’intera serata in silenzio perché tu dovevi sbraitare del tuo stupido football? E per la cronaca il mio nome è Amy, non Amelia, idiota.”
E mi voltai, perché il mio era un discorso breve ma perfetto, non avevo altro da aggiungere, ma evidentemente quell’essere voleva scatenare la mia ira omicida.
“Oh, scusa principessina se ho ferito i tuoi sentimenti, magari quando esci dal tuo mondo di nuvolette rosa capirai che nella vita vera bisogna saper dare la giusta importanza alle cose.”
Ma chi diavolo era quel tipo? Voleva un pugno in faccia? Perché avevo già dato un pugno in faccia prima e non vedevo l’ora di spaccargli il naso.
“Direi che la principessina sei tu dato che abbiamo dovuto aspettare te per due ore.”
“Magari ho avuto degli imprevisti.”
“Magari potevi chiamare prima.”
“Magari il telefono non prendeva e sai cosa? Non devo giustificarmi con una ragazzina.”
“Ragazzina? Ma ti sei guardato allo specchio? Sembri un nano da giardino imbruttito, Dio non so nemmeno perché continuo a parlare con te.”
“Sono contento di non aver avuto modo di conoscerti, visto che sei solo una petulante ragazzina.”
Avuto modo? Era stato lui ad ignorarmi quindi.
“Sei così arrogante io… ti odio!”
E sì, le ragazze per bene non dovrebbero dire cose di questo tipo, di perfetti sconosciuti poi, ma davvero quel tipo aveva tirato fuori odio da ogni dove.
“Oh anche io. A mai più, Amanda.”
Si voltò salendo sulla sua dannata moto nera, sgommando via ad una velocità che doveva essere considerata illegale.
E porca miseria era così difficile ricordarsi che mi chiamavo Amy?! Amy come la dannata sailor Mercury, davvero non aveva mai visto quel dannato cartone??
Insomma, da quell’appuntamento non avevo ricavato nulla, tranne un principio di mal di testa, una fame che mi avrebbe fatto svaligiare il mio povero e innocente frigo e l’assoluta convinzione che non avrei mai e dico mai più voluto rivedere quel pallone gonfiato di Jensen.








SognoSondesto
E' solo un sognooo è solo un incubooo
e invece NO, sono davvero tornata con una nuova storia.
Dunque, faccio la persona seria, piacere sono LadyWolf e la sezione romantica non è la mia solitamente ma questa storia non poteva certo essere messa nelle sovrannaturali e *qualcuno le tappi la bocca*
Ok, dunque la storia è bella che finita, e sono sedici bellissimi(?) capitoli che pubblicherò (impegni permettendo) una volta a settimana.
Questa storia in realtà nasce da una OS pubblicata un po' di tempo fa sul mio profilo ma se siete curiosi NON andate a cercarla perchè vi spolierereste l'intera storia.
Su questo discorso della OS ci torneremo alla fine della storia che avrà una sua conclusione, diciamo che la OS è tipo un tot anni(mesi, giorni,secondi, minuti) dopo la fine di questa storia eeee credo di avervi detto tutto.
Un grandissimo grazie alla mia Mamy che se l'è sciroppata in prima visione e ci si sente alla prossima.
wof
 

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Capitolo 2
*** II ***


II


 
 
 
Se è per questo non avrei nemmeno mai più voluto parlarne ma era evidente che Aria non era della mia stessa idea visto che il giorno dopo decise di iniziare quell’assurda discussione.
“Però non è andata così male dai.”
“No, infatti non è andata male, è stato un disastro.”
C’era anche lei no? O aveva assistito ad una serata differente?
“Dico solo che è carino.”
“Non lo metto in dubbio, voglio dire: sembrava un modello appena uscito da una di quelle riviste patinate persino con quella stupida canotta nera e quell’orrenda camicia azzurra quindi: sì, è bello, ma la bellezza non è tutto.”
Non che uno bello mi facesse schifo, ma era troppo chiedere qualcuno di bello ma con almeno qualcosa all’interno? E non uno sbruffone montato come quell’idiota?
Aria si passò una mano tra i capelli neri fissando il soffitto: “Dico solo che per questa volta potresti farti bastare la bellezza, non lo devi mica sposare.”
E in un attimo la piena consapevolezza di quello che la mia amica stava cercando di dirmi mi colpì come un secchio d’acqua gelata.
“Mi stai suggerendo una botta e via?”
“Amy, dico solo che del sano sesso non ti farebbe male sei così tesa da quando tu e Jhon avete rotto.”
Beh io e Jhon avevamo rotto da un anno e per avevamo intendo dire che lui aveva rotto con me senza nemmeno lo straccio di un motivo, ma non era come se non fossi uscita con qualcuno dopo Jhon, insomma c’era stato qualcuno, ecco forse erano due o uno ma, adesso uno non può nemmeno vivere l’essere mollata, nel modo che più crede?
“Non farò sesso con lui. Né ora né mai, né se fosse l’ultimo uomo sulla faccia della terra, chiaro? E ora smettila di parlare e va a fare il tuo dannato lavoro che questi cupcake non si cuociono da soli.”
Io e quell’essere insieme?
Ma dico, si era bevuta il cervello? Nemmeno tra un milione di anni, no grazie ma no.
E sì, li avevo anche io gli occhi era sicuramente un bel ragazzo ma non è che fossi davvero così disperata.
E poi per me quell’argomento si era già chiuso la sera prima.
E andava bene così e in fatti non ci pensai per le due settimane successive. […]
 
Poi la mia macchina decise di andare in panne.
Dovevo consegnare la mia bellissima torta ad una famiglia che festeggiava la laurea del loro unico figlio. Solitamente per queste cose avrei portato con me Aria, io avrei guidato e lei avrebbe tenuto la sacra reliquia fino a destinazione.
Ma Aria aveva un suo lavoro e quello alla mia pasticceria era solo un suo modo di aiutarmi e quando era impegnata dovevo fare a meno di lei.
Così, quel mattino, mi ritrovai sulla mia piccola auto gialla concentrata a fissare i segnali e ad evitare che anche il minimo spostamento d’aria colpisse la preziosa scatola comodamente adagiata –e circondata nemmeno fosse un bimbo che dorme nel lettone- sul sedile posteriore e andava tutto bene.
Qualcuno mi aveva suonato per la mia lenta andatura ma insomma, niente di insopportabile.
Ero quasi arrivata a metà strada, iniziavo a immaginarmi i sorrisi orgogliosi dei miei clienti mentre scoperchiavano la torta e sentivo lo scroscio di applausi che ne sarebbe seguito.
E forse gli applausi erano un po’ troppo rumorosi o i sorrisi troppo smaglianti, fatto sta che mi accorsi troppo tardi che qualcosa non andava: la mia povera carretta iniziò ad emettere tutta una serie di borbottii strani mentre con una lucidità che non credevo mi appartenesse la conducevo fuori dalla carreggiata dove, dopo altri borbottii si fermò del tutto con un lungo sbuffo.
Solo allora buttai la testa sul volante colpendo anche il clacson –e mi sarebbe ovviamente uscito un livido- era tutto andato in fumo, nella migliore delle ipotesi sarei arrivata in ritardo e la mia reputazione ancora in erba sarebbe andata a farsi benedire per sempre.
Stavo pensando a possibili lavori alternativi –come addestrare una scimmia nell’arte del borseggia mento- quando udii qualcuno dal lato del finestrino dire qualcosa che suonava più o meno così:
“Signora tutto a posto?”
Sbuffai, perché davvero signora? Scusa è, ma signora ci sarà tua madre…però ok in fondo nessuno lo ha obbligato a venire a vedere se stavi morendo no? Quindi ok Amy, sorridi e fa la brava.
E cercando di fare un sorriso che non assomigliasse ad un ghigno, mi girai lentamente: “Sì, non capisco cosa le sia pre-”
E quando i miei occhi incrociarono quelli dello sconosciuto mi sembrava nuovamente di aver fatto una doccia fredda.
“TU”
“TU”
Ovviamente anche lui era sorpreso e ovviamente tra tutte le persone che passavano quello che doveva fermarsi era occhi verdi Jensen.
E, ovviamente, il fato non era un mio grande fan.
“Ma certo, naturalmente sei tu!”
Jensen alzò un sopracciglio e in effetti avevo sputato quel ‘sei tu’ come se fosse sua la colpa di tutto quello. D’accordo, covavo ancora del risentimento ok?
“Credo che dovresti scendere.”
Scusami? Dov’era finito il lei?
“Credo che dovresti farti gli affari tuoi.”
Jensen sbuffò appoggiandosi alla macchina “Se confidi in un miracolo divino credo che perderai solo tempo.”
“E cosa sei tu per dirlo una specie di sensitivo di macchine?”
“No, ma la tua ‘macchina’ se così vuoi chiamarla, inizia a fare fumo, credo sia proprio andata, posso chiamare un mio amico meccanico così verrà a prenderla.”
Certo, come se lui fosse una persona gentile.
“Bene.”
Gli voltai le spalle tirando fuori il cellulare, non potevo rimanere lì a emanare odio per quell’uomo, dovevo cercare di consegnare la maledetta torta quindi, avrei chiamato un taxi.
Il piano era perfetto, tranne che per un particolare: il cellulare era scarico.
Sì insomma come se il fatto che avessi appena rischiato la vita e incontrato l’uomo che più odiassi al mondo non fosse sufficiente, no, dovevo anche avere il telefono scarico.
Aria avrebbe scosso la testa e ripetuto che ero un’idiota: ‘E’ davvero così difficile mettere a caricare il cellulare prima che vai a dormire?’ scusa tanto Aria se a volte semplicemente me ne dimenticavo.
E insomma avevo un problema.
Valutai attentamente le mie uniche due ipotesi: rinunciare a consegnare la torta, il che avrebbe portato una pessima, pessima reputazione, o cercare di fare la strada che mi rimaneva a piedi o magari elemosinando un passaggio nella speranza di non trovare un pazzo serial killer.
Così mi incitai mentalmente e recuperai lo scatolo con la sacra reliquia sotto lo sguardo di Jensen.
“Ha detto che sarà qui tra un’ora al massimo e…cosa diavolo hai in quella scatola: una bomba?”
“Haha, sei proprio un uomo di spirito, rimarrei qui a ridere ore e ore con te ma ho da fare quindi, ciao, grazie, addio.”
“Te ne vai e lasci la tua macchina qui?”
“Dubito che in queste condizioni qualcuno decida di rubarla e io devo consegnare questa torta o avrò perso una sacco di soldi e potenziali clienti quindi, di nuovo: ciao, grazie e addio.”
“Dove devi arrivare?”
“Cosa sei una specie di poliziotto in borghese?”
Lui sbuffò passandosi una mano dietro al collo “Se vuoi posso darti un passaggio.”
Lo fissai per un paio di minuti, un passaggio era davvero fantastico, insomma avrei accettato il passaggio di un potenziale serial-killer potevo accettare anche il suo no?
“Senti Amelia ho le migliore intenzioni davvero.”
Ma quindi c’è l’aveva per vizio?
“E’ così difficile capire il mio nome?”
Mi guardò con uno sguardo interrogativo e sbuffai e per poco, davvero per poco non lasciai cadere la torta a terra.
“Senti, non puoi seppellire l’ascia di guerra? In fondo ne ricavi solo qualcosa di buono: ti accompagno a consegnare la torta e ti porto dal mio amico meccanico e poi potrai ritornare a inventare riti voodoo sulla mia bambolina.”
“Io non passo la mia vita a elaborare mille modi per ucciderti.”
“Sì, certo allora, lo vuoi il passaggio?”
Ispirai profondamente e annuii, consegnare la torta era più importante di tutto il resto.
“Bene, dov’è la tua auto.”
Jensen sorrise e se non ci fosse stata quella sera sempre lì presente in qualche parte del mio cervello, avrei pensato che quel sorriso fosse una delle sette meraviglie del mondo.
Ma quella sera c’era e quel sorriso non prometteva nulla di buono.
Di fatti, si spostò rivelando il suo mezzo di trasporto: la moto che aveva usato anche quel giorno, sì, la moto su cui era andato via ad una velocità da far impressione a Flash in persona insomma.
Impallidii visibilmente “Oh, io non salgo su quella.”
“Non dirmi che hai paura di una moto”
Di una moto no, di salire su una moto con te, con le mani impegnate a reggere la torta sì, quello mi fa paura grazie.
“N-no è che.”
Mi porse un casco continuando a sorridere “Prometto di andare piano.”
“Per piano intendi?”
“Quando piano vuoi che vada?”
“Quanto piano riesci ad andare?”
Sbuffò facendomi poi un gesto per farmi salire sull’affare infernale.
Pregai intensamente il protettore delle ragazze sfortunate e chiusi gli occhi, riaprendoli solo quando finalmente eravamo arrivati e devo ammetterlo: era davvero andato piano.
Avevo tardato di tre minuti il che non era male anche perché tutti rimasero entusiasti della torta.
Quando diversi minuti dopo uscii dal locale –e avevo dovuto lottare per spiegare loro che non potevo rimanere e finire di festeggiare con loro- ritrovai, con enorme stupore Jensen.
Lo fissai con uno sguardo interrogativo a cui lui rispose con un’alzata di spalle “Ti avevo detto che ti avrei accompagnato anche dal mio amico, no?”
Certo, peccato che fossi convinta che se ne sarebbe dimenticato.
Non mi doveva mica qualcosa no?
E inoltre ero stata abbastanza stronza.
Salii nuovamente sulla moto, questa volta meno spaventata e mi aggrappai a lui fino ad arrivare all’officina. […]
 
“Penso sia arrivato il momento di rottamarla”
Fissai con sgomento Ben –l’amico meccanico- mentre lui parlava con Jensen, perché ovviamente io ero una donna e quindi era inutile parlare con me di macchine, meglio farlo con qualcuno che non centrava nulla con quella situazione sì, certo.
E l’idiota annuì, come se fosse ovvio che bisognava uccidere la mia bambina.
“Non ho nessuna intenzioni di ucciderla!”
Ben mi fissò come se fossi appena arrivata mentre Jensen si avvicinò cercando di farmi ragionare: “Ha un sacco di anni, è vecchia, cammina a malapena e ti ci vorranno soldi e tempo per ripararla e comunque non sarà una buona macchina, fai prima a comprartene una nuova: non ne vale la pena.”
“Tu rottameresti tua nonna e ne compreresti una nuova?”
Lui alzò un sopracciglio “Questa macchina non è tua nonna, a meno che tu non sia un trasformers, lo sei? Perché spiegherebbe alcune cose.”
Ignorai la battuta e mi avvicinai al mio dolce e incompreso maggiolino “Senti, non mi aspetto che tu capisca ma a questa macchina sono legati così tanti ricordi io non, non posso.” Mi voltai sicura verso Ben puntandogli un dito contro “Se tu non sei capace di aggiustarla andrò da qualcun altro.”
Puntò nell’orgoglio lui si rianimò strappandomi le chiavi dalle mani “Certo che sono in grado, dammi una settimana massimo due e tornerà come…beh tornerà esattamente come la vecchia carretta che era prima.”
“Ottimo.”
Potevo essere fiera di me, avevo consegnato la torta e avevo vinto quella piccola battaglia.
Ancora una volta mi stupii quando con un naturalissimo sorriso Jensen mi porse il casco per riaccompagnarmi al negozio.
E ok, era un’idiota, arrogante, pieno di se ma, una ragazza poteva davvero apprezzare tutte quelle attenzioni.
Arrivati a destinazione grugnii qualcosa che doveva assomigliare ad un grazie e lui se ne andò.
E non ci pensai per il resto della giornata
.








Note zuccherate
E rieccomi ^^
in realtà dovevo pubblicare domani MA domani sarà una giornata infernale per me e siccome ho già i capitoli pronti preferisco anticipare piuttosto che posticipare *sì, ho ancora il trauma da Esperimento 125*
Dunque, eccovi il secondo capitolo e che dire, stanno arrivando i capitoli che ho adorato scrivere XD povera Amy, mi odierà lo so XD
Dai che Jensen in questo capitolo si è comportato bene, ammettetelo v.v
Grazie mille a chi ha messo la storia in una qualsiasi delle categorie di efp e a chi trova il tempo per recensirla e anche a chi semplicemente la legge.
Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate sono qui e giuro che a dispetto del mio nome non mordo XD
E un grazie particolare alla mia Mamy bellissima *manda tantissimi cuoricini* a RosaRosa che ha deciso di seguire anche questa storia *le si scioglie il cuoricino* e a Shane_lilith_riddle, adoro già la tua curiosità e ben venuta nel branco(?)
Bon, mi eclisso, baciotti luposi a tutti e al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 3
*** III ***


 
III

 
 
In realtà non ci pensai fino al giorno dopo quando Aria era piombata in casa per fare colazione.
E -dopo un lungo autoconvincimento- mi decisi a parlare:
“Senti ma, non è che per caso tu hai il numero di Jensen?”
Aria con fare teatrale spalancò gli occhi rimanendo bloccata con la tazza a fiori rosa a mezz’aria e davvero, non c’era bisogno di tutta quella scena.
“Quale Jensen?”
“Davvero? Quanti Jensen conosci?”
Alzò le spalle riprendendo a mangiare il suo cornetto “Mh solo uno ma, ricordavo che tu lo odiassi e che non volessi mai più pararle di lui.”
“Sì è così.”
E le raccontai di quello che era successo il giorno prima e, naturalmente, c’erano stati dei ‘Perché diavolo non me l’hai detto prima?’ e ‘Te lo dico sempre di caricare quel maledetto cellulare’ e ancora ‘E se avessi incontrato un pazzo serial killer?’
Alla fine della storia però tirò fuori una strana espressione che mi fece rabbrividire, conoscevo la mia amica e quello non prometteva nulla di buono.
“Così, tu e Jensen eh?”
“Io e Jensen niente, è stato carino e gentile ma questo non cambia proprio nulla.”
“Certo: nulla. E dimmi, volevi il suo numero così da poterlo insultare telefonicamente?”
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, come diavolo mi era saltato in mente di chiedere il numero proprio a lei?
“No, volevo solo ringraziarlo e magari offrirgli una birra: tutto qui.”
“Mh mh certo, sicura di volergli offrire solo una birra?”
“Aria!”
“Ok ok dammi il telefono”
Sbuffai ancora tamburellando le dita sul tavolo mentre lei salvava il numero nella mia rubrica, cercando di ricordarmi quando quella mi era sembrata una buona idea.
“Fatto, chiamalo.”
“Non lo chiamo con te qui e poi non lo chiamerò gli manderò un messaggio.”
Lei fece una smorfia arricciando le labbra e stringendo gli occhi “Non è una buona idea, Matt dice che Jensen ha tipo un’avversione assoluta verso tutto ciò che è tecnologico, diciamo che se gli mandi un messaggio è capace di pensare che il suo telefono stia per esplodere e decida di buttarlo in un fiume, fidati di me: chiamalo.”
Dovetti trattenermi dal ridere perché davvero, l’idea di quell’uomo grande e grosso spaventato da un piccolo cellulare era davvero esilarante “D’accordo ma non farmi ridere!”
Le presi il telefono dalle mani mentre lei iniziava a ridere.
“Aria? Ma non l’hai più salvato?”
“Certo che sì.”
“No, non c’è.”
Lei si sporse guardando lo schermo e scosse la testa “Oh, ma non è nella J.”
“Si chiama Jensen, se non l’hai messo nella J dove diavolo l’hai messo?”
Fece scorrere il dito sullo schermo e me lo ripassò, dovetti guardare più volte il display per concederle poi un’occhiata scettica “Quel manzo dagli occhi verdi, davvero?”
“Sì e non osare cambiarlo.”
Scossi la testa esasperata e feci partire la chiamata e, cos’era quell’improvviso senso d’ansia? Forza Amy, smettila.
“Pronto?”
E, o Dio, davvero madre natura era stata un mostro di proporzioni epiche perché gli aveva dato quel corpo, quegli occhi e quella dannata voce che per telefono era davvero insostenibile.
Così profonda e roca che, ok basta Amy.
Mi accorsi di essere rimasta in silenzio solo al secondo pronto e allo sventolamento di mani di Aria.
“Ehm, sì, sono Amy.”
“Amy?”
Alzai gli occhi al cielo “Amanda, Amelia, mi hai chiamato con tutti i nomi con la A ma sì, il mio nome è Amy.”
Aria alzò le mani al cielo disperata e io mi voltai e, cos’era quella? Una risata?
“Oh sì, Amy.”
E perché doveva dire il mio nome in quel modo?
“Io ehm, ecco ti ho chiamato per ehm ringraziarti per sai? Ieri no, e ecco, pensavo che potrei offrirti una birra per ehm, per ringraziarti se vuoi.”
Qualcuno mi fermi, qualcuno interrompa questa conversazione e lanci il mio telefono nello spazio.
“Sì, perché no.”
Accidenti, non ero preparata ad un sì.
“Oh, ok ehm, stasera? Al bar Blues?”
“Sì, possiamo fare alle nove?”
“Certo.”
“Bene, a stasera…Amy.”
 
“Tesoro, io non vorrei dirtelo ma hai la faccia più rossa di un pomodoro esposto alla luce diretta del sole.”
Lanciai ad Aria la prima cosa che mi capitò sotto mano –e per sua fortuna fu un pacchetto di fazzoletti- e sbuffai.
Una birra per ringraziarlo. Solo questo, niente di più.
 
 
È da premettere che erano circa sei mesi che non toccavo una birra.
Questo perché Aria mi costringeva a ordinare solo cocktail analcolici perché –secondo lei- dopo la fine della storia con Jhon avevo un tantino esagerato e raccogliermi da un marciapiede mentre ero convinta di intrattenere una brillante discussione con il presidente degli Stati Uniti non era il massimo delle sue aspirazioni.
Non che pensassi avesse ragione, insomma sì, mi facevo una birra di tanto in tanto e allora?
Ma, decisi di darle retta, punto primo perché non ero un’alcolizzata e non avevo nessun problema a non bere più birra e punto secondo: Aria diventava una vera rompipalle quando voleva.
E quindi si può dire che in quel momento fossi astemia.
E quindi, si può dire che parte di quello che successe quella sera fu colpa di Aria.
 
Arrivai in discreto anticipo, insomma un normalissimo anticipo dovuto al fatto che il bar fosse poco distante da casa mia.
 Era solo una birra di ringraziamento, non era come se dovessi fare colpo su qualcuno, quindi rimanere ore e ore a fissare l’armadio era decisamente inappropriato. Ecco perché dopo essermi ripetuta questa frase un paio di volte mi ero decisa a infilare dei jeans scuri, una canotta bianca con sopra una maglia a righe e delle comode ballerine.
Jensen arrivò relativamente presto, solo quattro minuti di ritardo il che, considerata la prima sera erano un vero record.
E odiavo ammetterlo ma era il tipo d’uomo che sarebbe stato bene anche con un sacco di patate addosso, ovviamente quella sera non aveva un sacco di patate, ma una camicia azzurra dei jeans dannatamente perfetti e delle scarpe blu.
Una birra di ringraziamento. Solo questo.
Ci salutammo in maniera leggermente impacciata e ci accomodammo al bancone mentre un’evidente versione modificata di Remedy risuonava nell’aria.
“Cosa vi porto ragazzi?”
La barista –una ragazza con un trucco eccessivo e dei capelli rosso fuoco- ci fissava beh, più che altro fissava Jensen come un gatto fisserebbe una scatoletta di tonno.
“Una birra e un cocktail analcolico, grazie.”
La ragazza annuì pronta a servirci mentre Jensen mi fissava sempre più perplesso “Cosa?”
“Quanti anni hai, dodici?”
“Eh?”
“E’ l’unica spiegazione che posso trovare al fatto che vuoi uno di quei stupidi cosi colorati.”
“I drink analcolici sono molto buoni e il loro aspetto colorato li rende simpatici.”
“Certo.”
“E poi magari non mi piace la birra.”
“E allora perché hai proposto una birra?”
“Perché, ah sai cosa? Ehi scusa, puoi portarci due birre invece del cocktail? Grazie. Contento?”
Lui alzò le spalle con espressione soddisfatta.
In fondo era solo una birra.
Nessuno era mai morto per una birra? Che male poteva farmi?










Angolo della tipa che "Scrive"
E nonostante tutto sono ancora qui a rompervi le balls con questa storia ^^
Pubblico ancora una volta di domenica perchè ho iniziato un nuovo lavoro e come se non bastasse domani sarà un'altra giornata d'inferno e, niente, eccolo qui.
E mh volevo dirvi altro ma non mi ricordo >_> il periodo è di cacca eeeee niente, grazie a tutti voi e grazie a chi usa il suo tempo per recensire e niente *si dilegua*

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Capitolo 4
*** IV ***


IV

 
 
Devo dire che la me del mattino seguente era in totale disaccordo con la me della sera prima.
Era evidente che chi sa per quale magia le birre erano diventate più di una e la prova evidente era che mi ritrovavo nel mio letto con una terribile emicrania e il vuoto totale su quello che era successo la sera prima.
Fissai il bicchiere d’acqua poggiato sulla scrivania e disgustata la mandai giù, facendomi forza mi alzai raggiungendo la cucina dove Aria stava rumorosamente sfogliando una rivista e mi passai una mano sul volto: “Che ore sono?”
“Le undici principessa.”
“Le undici?”
“Già, succede di essere un tantino disorientati quando si passa la notte a fare baldoria.”
“Non ho passato la notte a fare baldoria e, puoi abbassare la voce? Dio, mi sento la testa scoppiare.”
“Qualcuno ha alzato il gomito.”
“E’ stata colpa di Jensen ok? Io volevo solo un dannato drink analcolico e lui ha insistito per la birra.”
“Quindi, vuoi incolpare l’uomo che invece dovresti ringraziare per la tua condizione pietosa?”
“Ringraziare?”
“Sì, perché il tuo odiato Jensen ti ha raccolto come un gattino e riaccompagnata a casa aspettando che io tornassi prima di andarsene. È davvero un angelo.”
“Aria, sei fidanzata.”
“Fidanzata, ma non cieca e comunque ho solo ammesso l’evidenza.”
“Sì, certo, o mio Dio, non riuscirò mai a fare i cupcake che dovevo.”
“Prendi un’aspirina e bevi tanta acqua e io ti darò una mano.”
“Ok, ti adoro lo sai? Ma prima di morire qui sul pavimento della cucina vado a fare una doccia.”
Prima che potessi uscire dalla stanza però il cellulare iniziò a vibrare furiosamente, segno di una chiamata in corso.
“Lascialo squillare, non voglio parlare con nessuno.”
Lo sguardo di Aria si illuminò e, se avessi avuto i riflessi più pronti quello sarebbe stato il momento di allontanare il telefono dal suo campo visivo.
“Io penso proprio che dovresti.”
“No invece e Aria? Che fai! Posa quel telefono, non provare a-”
“Pronto? Oh Jensen ciao! Chi? Amy? Sì è proprio qui davanti a me te la passo subito.”
La fulminai con lo sguardo prendendo il telefono e deglutendo:
“Pronto?”
“Ehi”
E immagino che quell’ehi non avrebbe dovuto farmi quell’effetto.
“Come ti senti?”
Come se un camion mi fosse passato sopra divertendosi poi ad andare avanti e indietro.
“Uhm, bene insomma un po’ di mal di testa.”
“Sì, penso sia il minimo”
“Ho bevuto così tanto?”
“In realtà no, dopo la prima birra eri già mezza andata.”
E ovviamente lui non aveva mica pensato di fermarmi no?
“Sì, era da un po’ che non bevevo. Senti grazie per, sai, per avermi accompagnata.”
“Non potevo mica lasciarti col tuo amico Rob”
Chi diavolo era Rob? Meglio non indagare Amy, meglio non indagare.
“Già, beh allora ciao?”
“Sì, ciao, stammi bene.”
Quando riattaccai Aria mi guardò con l’espressione di un cane bastonato “Cosa?”
“Sei un’idiota.”
“Io non sono…o mio Dio…Aria?”
“Mh?”
“Inizio a ricordare qualcosa di ieri sera.”
“Oh è tipo come nei film quando la protagonista fissa il vuoto intensamente e in sottofondo parte una triste canzone mentre le scene della sua notte di passione vengono sbandierate a tutti gli spettatori?”
“Io non ho avuto una notte di passione. Comunque sì, qualcosa del genere.”
“E?”
“Abbiamo bevuto la prima birra e sai? Era imbarazzante perché non è che ci conoscessimo poi chi sa quanto e non so mai come iniziare una conversazione e così bevevo sorso dopo sorso e la birra finiva e più finiva più io parlavo, credo di avergli raccontato di Jhon e… o Dio.”
 
Jensen mi fissava con gli occhi sorridenti mentre io esponevo la mia ennesima tesi.
“Insomma, voi uomini dovete capire che solo perché avete una lingua non significa che la possiate usare per ogni cosa. Voglio dire ci sono quelli che sono davvero bravi e dovrebbero usarla tipo: per sempre per qualsiasi cosa.
Ma gli altri, cioè non è che ti posso dire smettila è disgustoso perché voi uomini siete così orgogliosi vi prende il piccio e addio sesso. Ma Dio vi ha creato con un affare in mezzo alle gambe per un motivo no?”
La gente intorno a me iniziava a fissarmi mentre lui continuava tranquillamente a bere “Aria pensa che non faccio sesso da troppo tempo, ma voglio dire sei mesi non sono molto tempo no? È che io non ci riesco, non riesco ad andare a letto con una persona se non la conosco. Anche perché il sesso può essere disastroso con chi ti conosce figuriamoci con chi non ti conosce no?
Prendi te per esempio, sembri il classico Dio del sesso ma non mi conosci, non conosci le mie esigenze magari tutte ti dicono che sei bravissimo a fare una cosa e a me fa schifo, capisci?”
Cielo, davvero gli avevo parlato di quello?
“Penso che tu sia davvero bravo a fare sesso. E penso che ora vomiterò sì.”
Mi portai le mani al volto mentre Aria mi fissava in attesa “Credo di aver sparlato a proposito del sesso.”
“Beh, poco male no?”
“Credo di, di ” “Tutta questa frenesia di trovare il punto G, voglio dire cerca prima di trovare il punto della mia vagina e poi magari ti preoccupi del resto no?” “Del mio punto G e di Jhon e o Dio, sai cosa? Partirò, emigrerò dall’altra parte del mondo così non lo guarderò mai più in faccia.”
Lei si tratteneva dal ridere coprendosi le labbra con le mani “Poteva andarti peggio, potevi decidere di fargli vedere dove fosse…non gli hai fatto vedere dove fosse, vero?”
“No! Insomma, non lo so credo che sia solo la punta dell’iceberg, potrei avergli detto un sacco di altre cose imbarazzanti, non potrò mai più guardarlo in faccia. Mai più.”
“Questo mi ricorda qualcosa.”
“A me sai cosa ricorda? Che devo sempre essere coerente con me stessa, l’avevo detto che non dovevo incontrarlo più, lo faccio per colpa tua e guarda che succede? Ma questa volta davvero non lo rivedrò mai più. Mai.”
 

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Capitolo 5
*** V ***


 
V
 


Non è che non lo rividi più.
Insomma, era capitato che andassi in officina a vedere come se la passava il mio maggiolino e che lui, per puro caso, fosse lì a parlare con Ben.
E –per la cronaca- quando capitava mi inventavo qualsiasi scusa per fuggire più velocemente che potevo.
Aveva anche provato a chiamarmi e io avevo –in modo molto maturo a detta di Aria- ignorato la chiamata.
La verità era che ero troppo imbarazzata, insomma la sua prima impressione non era stata buona e andava bene perché era una cosa ricambiata, ma adesso probabilmente credeva fossi una stupida ragazzina ubriacona che sparlava a sproposito.
Non che mi importasse quello che lui pensasse di me, solo che, non lo so ero semplicemente imbarazzata fino al midollo ok?
Ed evitarlo mi sembrava la scelta più intelligente da fare.
Quindi, quando -circa due settimane dopo- Aria mi aveva dato appuntamento al bar Blues non c’era nemmeno una minima parte di me che pensasse a Jensen.
Solo che, per un qualche motivo non ben specificato lei mi aveva dato buca e io mi ritrovavo a rigirare del ghiaccio in un bicchiere vuoto mentre una strana malinconia si impossessava di me.
“Sei ritornata ai drink analcolici?”
Quella doveva essere una congiura.
E quell’uomo doveva smetterla di essere sempre più bello e perché si era fatto crescere la barba? Non faceva scoppiare abbastanza ormoni senza?
“Direi che io e l’alcool non andiamo molto d’accordo.”
“Già, l’ho notato, posso sedermi o ti scoppierà improvvisamente qualcosa nel forno e dovrai scappare a casa?”
Oh, quindi, non è che le mie scuse fossero poi così efficaci, ben ti sta Amy.
“Certo. Voglio dire sì che puoi sederti.”
Lui si passò velocemente la lingua sulle labbra tornando poi a sorseggiare la birra “C’è un motivo particolare per cui mi stai evitando?”
Non poteva evitare di essere così diretto?
“Io non ti sto…ok, è solo che insomma credo di averti dato materiale a sufficienza per ridere di me per i secoli a venire.”
“Pensi che abbia riso di te?”
Mi osservai intorno e mi avvicinai un po’ di più a lui “Ti ho parlato del mio punto G, di quanto il mio ex fosse impedito a letto e del fatto che ero nascosta nell’armadio mentre mia cugina perdeva la verginità quindi sì, credo tu abbia riso di me.”
“Beh è stato divertente, lo ammetto, sei molto divertente quando ti rilassi un po’.”
Immagino che rilassi sia sinonimo comune di ubriachi.
“Già, un vero spasso.”
“Ma non c’era bisogno di evitarmi, avremo semplicemente ignorato le tue confessioni.”
“Sì, come se farlo mi avrebbe fatto vergognare meno…cos’altro ho fatto?”
“Mmh, hai parlato per una buon ora con Robb…il palo della luce all’entrata e non chiedermi perché sostenessi che si chiamasse Robb.
Hai quasi vomitato in mezzo alla strada e mi hai dato un pugno quando ti ho preso il cellulare per chiamare la tua amica.”
O Dio, se mi aveva preso il telefono…perché diavolo non avevo cambiato quel maledetto nome?
“H-hai chiamato Aria.”
“Già.”
E se l’aveva chiamata andando sulle ultime chiamate “Hai letto il tuo nome…vero?”
“Già.”
“Aria? Ciao sono Jensen, senti sono qui con Amy che è, beh ecco un tantino brilla, la porterei a casa ma non so dove abita se potessi darmi l’indirizzo…oh, sì? Fantastico ok, ce la porto subito, grazie. Ok piccola torniamo a casa.”
“Nno gnon voglio. Volio rimanere qui e fare la pipì, tanta tanta pipì, tu non vuoi?”
Jensen mi prese in braccio appoggiandomi in una macchina che non conoscevo.
“Cerca solo di non vomitarmi in auto ok?”
E chiusi gli occhi, quando li riaprii lui mi teneva stretta a se per impedirmi di cadere mentre con una mano cercava qualcosa nella mia borsa e io, strusciavo il mio dannato naso sul suo collo e Dio, aveva un profumo meraviglioso.
“Dove diavolo hai le chiavi?”
“mmh sciotto tapppeto.”
“Sotto il tappeto? Davvero? Credo tu sia l’unica persona al mondo che mette ancora le chiavi sotto al tappeto.”
E prima che potessimo entrare stavo già vomitando anche l’anima.
E grazie tante non avevo proprio bisogno di ricordare quello, non in quel momento.
“Sono una persona orribile.”
“Nah, sei solo una che non regge bene l’alcool.”
“Beh se ti può consolare non toccherò più nemmeno una birra.”
“Quindi, non ricordi nulla di quella sera?”
Feci una smorfia mangiucchiando un paio di noccioline “Non molto fortunatamente, penso che l’imbarazzo mi avrebbe ucciso.”
“Non è successo nulla di catastrofico.”
“Sei stato carino, insomma ad accompagnarmi e ad aspettare Aria.”
“Non potevo certo lasciarti a te stessa in quelle condizioni.”
“Sì, beh grazie.”
Ed era piacevole, eravamo due ragazzi in un bar che ridacchiavano di fronte ad una ciotola di noccioline parlando di cose più o meno futili. E non so in quale momento preciso della serata bere un sorso di birra mi era sembrato una buona idea.
Chi diavolo si ubriaca con solo un sorso di birra?
Beh visto l’evidente mal di testa che sentivo io, io ero una persona che si ubriacava con un sorso di birra, anche se probabilmente era stato più di un solo sorso.
Quando mi svegliai la stanza era in leggera penombra ma c’era qualcosa che non andava.
Tanto per cominciare io non avevo un mobiletto al lato del letto, di certo il mio armadio non era di quei strani toni dell’arancione e le mie coperte non erano grigie.
Così, quando riuscii a spalancare bene gli occhi avevo già realizzato che quella non era la mia stanza e di conseguenza non era la mia casa.
Restai per un paio di minuti a fissare il vuoto davanti a me e poi mi voltai lentamente e sì: quello a fianco a me era proprio Jensen.
Da un lato ero sollevata perché davvero, risvegliarsi nel letto di un completo estraneo sarebbe stato decisamente peggio ma, allo stesso tempo, ero preoccupata visto l’ennesimo vuoto su come fossero andate le cose.
Alzai leggermente le coperte pregando in tutte le lingue che conoscevo di essere ancora vestita.
I pantaloni c’erano e anche il maglioncino era a posto.
Direi che quello era positivo, no?
Mi voltai ancora per concedere un’altra occhiata a Jensen che dormiva placidamente con un braccio nascosto sotto il cuscino e quella sembrava proprio una maglia. Quindi eravamo entrambi vestiti.
Mi alzai lentamente combattendo contro le vertigini, scostai di poco il lenzuolo e mi trascinai fuori dalla stanza, notai la mia borsa buttata in un angolo e ci frugai dentro per prendere il cellulare –miracolosamente carico- e continuai a camminare raggiungendo miracolosamente la cucina.
Su uno dei fornelli faceva bella mostra di se una piccola caffettiera di un verde sgargiante, rimasi a fissarla indecisa per qualche minuto e poi accesi il fuoco.
Scostai una delle sedie marroni e mi accomodai mentre facevo partire la chiamate per Aria, intanto lasciai scorrere lo sguardo per la cucina fissando il piccolo microonde bianco e osservando con attenzione le foto e le calamite attaccate sul frigo. Ovviamente lei non rispose perché se era vero che io avevo costantemente il telefono scarico era anche vero che lei si ostinava a tenerlo impostato sul silenzioso rispondendo una volta su mille.
“Ti sei già appropriata della casa?”
Quasi sobbalzai e fissai Jensen in piedi sulla porta che si strusciava una mano sull’occhio fissando la caffettiera che aveva preso a borbottare.
“L’ho vista lì e…”
“Guarda che scherzavo.”
Sembrava così dannatamente tranquillo come se fosse normale svegliarsi con un estraneo nel letto. Magari lui era quel tipo di persona, forse era per questo che non batteva ciglio.
“A quanto pare l’ho rifatto vero? Intendo lasciarmi andare con l’alcool.”
Lui mi porse un bicchiere di carta con il caffè bollente dentro e ingoiò il suo “Diciamo che a quanto pare ti basta meno di una birra per perdere il controllo.”
“Perché tu sembri…” un dannato Dio greco anche in questo momento “…meno…provato?”
Alzò le spalle gettando via il bicchiere e afferrando un pacco di biscotti “Si vede che reggo meglio di te.”
Ok, era arrivato il momento della verità “Noi, ecco, noi abbiamo…non è che per caso noi abbiamo sai…no?”
Mi fissò confuso per un po’, poi sembrò realizzare cosa volessi dire e scoppiò a ridere e ciao ciao autostima.
“No, non potrei mai.”
Ehi senti coso, vabbè che sembri un essere mitologico ma non c’è bisogno di usare questa sufficienza.
“Voglio dire, eri davvero tanto tanto persa.”
Oh, sì così andava meglio.
“E quindi”
“Mi dispiace, rimarrei qui a spiegarti cos’è successo ma devo scappare sono già in ritardo per il mio turno e il capo mi ucciderà, tu fa come se fossi a casa tua ma poi chiudimi la porta e portati le chiavi, ok?”
Lo fissai mentre lui cercava di ricomporsi i capelli “Mi stai lasciando le chiavi di casa tua?”
“Sempre meglio di lasciarle sotto al tappeto come fai tu no? Devo davvero scappare ci sentiamo e cerca di non disturbare Jean il tuo discorso di ieri non gli è molto piaciuto.”
Lo seguii in corridoio guardandolo infilarsi una giacca di pelle nera “Esci davvero così? E chi diavolo è Jean?”
“Farò una doccia a lavoro e, Jean è il mio gatto.”
Detto questo sparì oltre la porta lasciandomi lì a osservare con preoccupazione ogni piccolo antro in cui il felino potesse nascondersi per tentare un agguato e sì, avevo il terrore dei gatti.
Prima che potessi farmi prendere dal panico il mio telefono iniziò a squillare e –dopo aver controllato se ci fosse la presenza di felini nel corridoio- lo raggiunsi in cucina rispondendo alla mia amica.
“Ma che diavolo di persona orribile sei?! Mi lasci in quel dannato bar da sola e non mi chiami nemmeno per sapere se sono viva o se sono stata rapita da dei killer travestiti da mucca.”
“Amy? Sei scema? Mi hai mandato un messaggio dicendo che eri con Jens e di non preoccuparmi.”
Jens? Come se io gli avessi trovato un soprannome, no sicuramente non ero stata io a mandare quel messaggio, o quanto meno non dovevo essere nel pieno delle mie capacità intellettive.
Gesù Amy, non dirmi che hai bevuto di nuovo?”
“No, ecco forse un pochino, non molto ecco.”
Abbastanza da essere a casa di Jensen senza saperne il motivo ma questi sono dettagli.
“Sì, certo quindi mi hai chiamato per? Esattamente dove sei? Perché io sono al negozio ed è ancora tutto chiuso.”
“Ehm, ecco io sono a casa di Jensen.”
Per alcuni minuti ci fu un silenzio irreale.
“Finalmente hai deciso di darmi retta allora!”
“Non è come pensi, devo essermi addormentata ma non è successo nulla.”
“Oh e sei a casa sua perché?”
“Questo ancora non lo so, ma lo scoprirò, in ogni caso aspettami lì chiudo e arrivo.”
“Chiudi?”
“Jensen è andato a lavoro e mi ha lasciato le chiavi.”
“Mh mh.”
“Aria! Sento il tuo cervello ronzare da qui, non è nulla non significa nulla.”
Attraversai in fretta il corridoio –sempre preoccupata per un eventuale attacco felino- recuperai la giacca e mi chiusi la porta alle spalle, nello stesso momento una signora anziana con dei capelli bianchi raccolti in una treccia usciva da casa sua, fissandomi con aria maliziosa.
La salutai con un cenno della mano improvvisamente imbarazzata per ciò che quella scena poteva far intendere continuando a tenere il telefono tra l’orecchio e la spalla, la signora ricambiò il saluto lanciandomi un ultimo sorriso mentre entravo nell’ascensore.
“Certo Amy, perché di questi tempi è perfettamente normale lasciare le proprie chiavi a chi che sia.”
“Io le lascio sotto lo zerbino.”
“E questo è il motivo per cui tu morirai sgozzata da qualche ladro. Ma le persone normali non fanno queste cose.”
“Sì, sì va bene io sono, ehm a piedi in effetti non potresti venirmi a prendere?”
“Sei proprio un’amica opportunista, dammi l’indirizzo e sono da te.”
Passai il tempo in attesa a cercare di ricordare cosa diavolo fosse successo: era abbastanza ovvio che mi fossi –nuovamente- ubriacata, ma da quello a dormire a casa di Jensen doveva essere successo qualcosa, no?
Ci eravamo incontrati al bar, avevamo parlato, chiaramente avevamo bevuto e poi…nulla, vuoto totale.
Perché diavolo bere mi faceva quell’effetto? Tutta colpa di Aria e la sua ostinata convinzione di farmi diventare astemia, una ragazza che non era nemmeno in grado di assaggiare qualcosa di alcolico senza prendere a vaneggiare e a dormire nei letti di sconosciuti, ecco cos’aveva ottenuto.
La diretta interessata dei miei pensieri arrivò e la fulminai con lo sguardo.
“Cosa?”
“Niente, ti odio.”
“Oh grazie, allora mentre torniamo al negozio, parliamo di Jensen?”
“Senti, non ricordo nulla di quello che è successo ma appena lo scoprirò te lo dirò, contenta? Ora, possiamo andare al negozio e non parlare più di Jensen, per favore?”
“Oh, sai questo cosa mi ricorda?”
“Va al diavolo!”
 
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Salve Wolfini, come va?
Spero la storia vi piaccia e stismo entrando nel mmm diciamo nel vivo della storia ecco XD in ogni caso, ringrazio Rosa rosa, Supernova e Shane lilith riddle, le persone che leggono silenziosamente e quelle che mi lasciano una scia del loro passaggio inserendo la storia in una delle categorie di efp.
E niente, qui LadyWolf infreddolita passa e chiude
alla prossima ;)

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Capitolo 6
*** VI ***


VI
 



E devo dire che davvero non toccammo l’argomento –non c’era molto da toccare dato che non ricordavo nulla- e tra un ordine e un altro si era fatta sera.
Avevo appena chiuso il negozio parlando di quanto fosse stata strana la nostra ultima richiesta con Aria “Io capisco che è un addio al nubilato ma, un pene formato da cupcake? Davvero?”
Mi sarei aspettata qualche battutina ma lei rimase in silenzio mentre io sentivo una risata quella risata che mi costrinse a voltarmi velocemente e davvero, perché quando c’era lui in un modo o nell’altro si finiva a parlare di quello?
“Jensen?”
Era appoggiato alla sua moto con il casco tra le mani e un sorriso sul volto. Cosa diavolo ci faceva lì?
“Sai? Sono tornato a casa e sono stato una buona ora a cercare le chiavi prima di ricordarmi che le avevo date a te.”
Merda le chiavi.
“Oh sì, giusto.”
Iniziai a frugare nella borsa e dove diavolo erano? Insomma erano lì fino a qualche secondo fa e oh, eccole.
Tirai fuori l’orrendo portachiavi a forma di tartaruga sventolandogliele davanti agli occhi come a dire –ecco visto? Non ho perso le tue chiavi, non mi ero dimenticata di te, già- il suo sorriso si allargò e le prese sfiorando casualmente le mie dita “Pensavo, sai sei stata la mia protettrice delle chiavi, dovrei ringraziarti potrei offrirti”
E non lo lasciai finire, perché ok che a volte ero testarda ma imparavo anche io le mie lezioni “Direi di no, insomma capisco che tu ti diverta a vedermi perdere il controllo e improvvisare discorsi filosofici con lampioni o gatti ma la cosa non mi rende totalmente a mio agio, considerando che non ricordo praticamente nulla. E magari in quei momenti tu sei uno stronzo e io non me lo ricordo. Non sto dicendo che sei uno stronzo perché sei stato molto gentile in entrambi i casi ma davvero, direi che c’è un limite a tutto e che noi due e l’alcool non andiamo d’accordo.”
Amy
Aria quasi sospirò il mio nome in un misto di ansia e rassegnazione e la fissai come a chiederle cosa volesse e prima che altre parole uscissero fuori dalla mia bocca Jensen continuò.
“Un caffè, pensavo di offrirti un caffè. O per caso ti ubriachi anche con un quello?”
E in verità non volevo accettare, la scusa ufficiale era che mi dispiaceva lasciare la mia povera amica tutta sola, quella ufficiosa è che ero sicura di fare altre figuracce e no, grazie quel tipo aveva materiale a sufficienza per ridere di me per anni interi.
Ma ovviamente la mia amica non era della stessa opinione e dopo un per niente velato ‘Certo va pure’ che nella sua lingua significava ‘non provare a rifiutare o ti uccido in modo doloroso e atroce’ mi ritrovai per l’ennesima volta sulla moto di Jensen, diretti verso un piccolo caffè poco distante.
La cameriera si presentò a noi con un sorriso smagliante e gli occhi –ovviamente- puntati su Jensen e ‘ehi ciao? Ci sono anche io sai?’
“Un espresso e?”
Entrambi mi fissarono mentre io ero passata dal fissare la cameriera a cercare di leggere il menu storcendo le labbra pensierosa “Un caffè alla nocciola.”
La ragazza scrisse gli ordini pronta ad andarsene “No no, aspetta facciamo alla fragola, no sai cosa? Si può avere al cioccolato bianco senza panna? No, no un caffè lungo sì, andrà più che bene. Anzi no, nocciola e basta, sì nocciola.”
Lei si allontanò perplessa mentre Jensen sorrideva e cosa? Una persona non poteva cambiare idea su come volesse il caffè?
“Mi piacciono i caffè particolari.”
“Sì, ho notato.”
Quando i due caffè arrivarono eravamo ancora in silenzio probabilmente incerti su cosa dire, io ero dannatamente curiosa ma lo ammetto: mi vergognavo un po’ a chiederglielo ma lui sembrò quasi leggermi nel pensiero.
“Non vuoi saperlo?”
“Cosa?”
“Quello che è successo ieri, pensavo fossi curiosa.”
Mescolai con cura la panna al caffè alla nocciola cercando di mostrarmi indifferente “Curiosa? Ma no, voglio dire curiosa è una parola grossa, diciamo che mi fa piacere venire a conoscenza degli eventi come mi farebbe piacere sapere il tempo di domani.”
Mi guardò per qualche secondo e alla fine spuntò quel meraviglioso sorriso, insomma non meraviglioso un sorriso ecco sì.
“Stai morendo di curiosità vero?”
E mi lasciai andare anche io ad una leggera risata mentre assaggiavo quello che doveva essere il caffè alla nocciola più buono di sempre “Mi hai scoperta!”
Si portò la tazza alle labbra bevendone un piccolo sorso e tornò a fissarmi. Nessuno gli aveva insegnato che non era educazione fissare le persone così?
“Abbiamo bevuto, devo dire che questa volta abbiamo esagerato un po’ entrambi e, non ricordo bene quando ma a un certo punto ti eri convinta che io abitassi in una scatola di cartone sotto un ponte e io ho provato a convincerti del contrario ma hai iniziato a urlare che non dovevo vergognarmi della mia situazione e che tu avevi un divano libero. E così portarti a vedere che avevo davvero una casa mi è sembrata l’unica soluzione possibile.”
Oh cielo, potevo quasi immaginarmi quella scenata.
“E una volta salita sopra hai iniziato un’accesa conversazione con Jean.”
Spalancai gli occhi perché no, quello non era proprio possibile “Aspetta, il tuo gatto? Cioè mi sono avvicinata al tuo gatto?”
“Sì, avvicinata, l’hai offeso perché usava le zampe per pulirsi e a un certo punto hai iniziato a scuoterlo perché era troppo morbido per essere un gatto e sì.”
“Io ho il terrore dei gatti. Quando ero piccola il gatto di mia nonna mentre era tranquillo se la prese con il mio braccio, potevo quasi vederci attraverso.”
“Si? Non sembrava, anche se credo che adesso sarà Jean ad avere il terrore di te, immagino che ne parlerà con tutti i suoi amici per avvertirli della pazza scuotitrice di gatti.”
“Dovrò iniziare a girare con lo spray al peperoncino.”
Soffocò l’ennesima risata nel caffè e continuò.
“Poi continuavi a dire di volermi far vedere la tua fantastica capriola ma prima di farlo ti sei addormentata sul letto. Io ho pensato di farti dormire un po’ e poi riportarti a casa ma a quanto pare sono crollato anche io. E questo è più o meno quello che è successo.”
Più o meno? Quindi c’era dell’altro? No, meglio non indagare.
“Bene, sai cosa? Dimentichiamoci di ieri sera. Oggi abbiamo un incontro sobrio e voglio dire, tu conosci cose di me che non dovresti conoscere e-”
“A sì?”
Lo fissai per un lungo istante, ovvero fino a che lui non capì scoppiando a ridere “Sì, forse hai ragione”
“Appunto, mentre io non so molto di te.”
“Ok: chiedi?”
Puoi toglierti la maglietta e improvvisare una lap dance qui?
No, su Amy concentrati.
“Che lavoro fai?”
Ok, questa era meglio anche se non era il massimo.
Lui, stupendomi, rise ed era evidente che ormai mi avesse classificato sotto il nome pagliaccio.
“Scusa è che…”
Spalancai gli occhi colpita da un’improvvisa illuminazione:
“No, non me lo dire, te l’ho già chiesto?”
“Sì, ieri.”
Oh ieri, quando ero così ubriaca da intrattenere una conversazione con un gatto. “Ho detto qualcosa di stupido: vero?”
“Hai proposto dei lavori.”
“Lasciami indovinare, ho detto che probabilmente facevi il modello?”
E questa non era difficile perché era la prima cosa a cui avevo pensato.
“Già.”
Brevi sprazzi di conversazione iniziavano a farsi strada nella mia testa tristemente sobria e io impallidii.
“…ti ho dato dell’accompagnatore per signore sole?”
“Oh, sì questo è stato divertente, hai chiamato anche la mia vicina, la signora Bets sostenendo che in uno dei nostri incontri lei si fosse innamorata di me.”
Ed ecco spiegato perché quella signora mi sorrideva quella mattina.
Mi coprii il volto con le mani sbuffando sonoramente.
“Attore porno?”
“Questa era la tua tesi più valida, sostenevi di avermi visto in qualche filmino.”
E ad un tratto le tende del locale non erano la cosa più rossa la dentro.
Oddio io non li guardo nemmeno quei film, voglio dire non è che li guardo tanto da riconoscere gli attori, e insomma quello che intendo è che ecco… e quindi che lavoro fai?”
Prese un ultimo sorso di caffè formando poi una strana e adorabile smorfia con le labbra.
“Vigile del fuoco.”
Risi, non l’avevo previsto, non è bello ridere quando qualcuno ti dice il proprio lavoro “Sei serio?”
“Lo hai detto anche ieri, hai detto: è impossibile che uno come te sia un vigile del fuoco, anche se credo che la divisa ti starebbe da Dio. E poi hai cercato di convincermi a indossare la divisa e a inscenare un incendio entrando da una porta pieno di polvere.”
Conclusione: ero un’idiota e non avrei mai più toccato niente che contenesse alcool.
“Scusa io, sono davvero fuori quando alzo il gomito.”
“No, è stato divertente.”
“Quindi, vigile del fuoco eh? Un bel lavoro, immagino che la tua famiglia sarà preoccupata da morire per te.”
O la tua ragazza.
“Probabilmente ma io non ho una famiglia.”
Lo fissai incerta sul pronunciare il mio secondo sei serio, sforzandomi di ricordare se mi avesse già detto quella cosa.
Aria di certo non me l’aveva raccontato.
“Che vuoi dire?”
“Non so che fine abbiano fatto i miei genitori, ho praticamente vissuto in un orfanotrofio fino a che non ho avuto l’età giusta per andarmene e mi sono trasferito qui, immagino sia per questo se non capivo il tuo riferimento alla nonna.”
Oh.
“Oh, mi dispiace.”
“No, non farlo è stato più divertente raccontartelo quando eri ubriaca.”
Ecco, l’aveva fatto.
“Perché cos’ho detto?”
“Che sono stato fortunato, mi sono risparmiato anni di regali sbagliati, feste obbligate e cene con gente che mi sta sul cazzo.”
“Mi dispiace Jens.”
Lui sorrise inclinando leggermente la testa e qualcosa da qualche parte dentro di me mi diceva di abbracciarlo cercando di togliere un po’ di dolore da quegli occhi verdi.
“Ti prego, non compiangermi, odio quando lo fanno. Piuttosto, Jens?”
Merda l’avevo detto ad alta voce?
“Volevo dire Jensen.”
“No, Jens mi piace. Quindi tu hai una pasticceria.”
Non era una domanda perché ovviamente l’aveva visto ma era un modo per cambiare argomento. “Sì, voglio dire sono ancora agli inizi ma spero vada bene.”
“La tua famiglia?”
“Uhm, mio padre è in Asia con la sua seconda moglie mentre mia madre sta viaggiando per il mondo, l’ultima cartolina me l’ha mandata dalla Svezia.”
“Non hai sorelle o fratelli?”
“Una sorella che è in viaggio di nozze.”
Continuammo a parlare del più e del meno ancora un po’, a un certo punto della conversazione gli raccontai che se avevo aperto la pasticceria era merito di Aria e lui aveva detto che non amava particolarmente i dolci io allora dissi che era solo perché non aveva ancora assaggiato i miei e lui promise che lo avrebbe fatto.
E continuammo a parlare e ridere ancora per molto e devo ammetterlo: la risata di Jensen era quasi più bella di tutto il resto.
Alla fine senza accorgercene si era fatto tardi ed entrambi avevamo degli impegni da rispettare, così uscimmo fuori dal bar terribilmente impacciati sul modo di salutarci.
Fu lui a spezzare quella strana tensione: “Allora, ci vediamo.”
Il mio cervello iniziò a suggerirmi cose intelligenti da dire “S-sì immagino di sì.” Peccato che a quanto sembrava il mio cervello e la mia bocca non fossero direttamente collegati.

 
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Angolo della fretta frettissima maledetta fretta.
Che fretta c'eraaa maledetta primaveraaa, no ok, anche oggi sono di frettissima >_> vi ringrazio sempre come al solito, voi che leggete, seguite, preferite e Rosarosa e Supernova che adoro lo sapete.
Scappo sperando che il capitolo vi sia piaciuto, la situazione tra i due scemotti qui sopra inizia a sbloccarsi MA...beh vedrete ^^


 

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Capitolo 7
*** VII ***


VII


 
 
Non è che poi ci rivedemmo davvero e questo probabilmente fu per quella sorta di regola non scritta secondo cui se non vuoi vedere qualcuno quello spunterà come un odioso fungo, al contrario invece si volatilizzerà quasi come se non fosse mai esistito.
Andai anche a ritirare un pezzo per il mio maggiolino ma anche in officina non c’era nessuna traccia di Jensen.
E non riuscivo a capire bene questo non incontrarci come mi facesse sentire.
Avevo anche pensato di mandargli un messaggio, qualcosa di buffo o una battuta irriverente, peccato che fossi una frana in queste cose e così avevo catalogato l’idea come stupida e ci avevo rinunciato.
E quindi non ci vedemmo.
Non fino a quel venerdì.
Aria –anche se sarebbe meglio dire Matt- organizzava una grigliata nel suo giardino e ovviamente lei mi aveva invitata, più che un invito un giorno aveva buttato lì un: ‘Venerdì Matt organizza una grigliata. Immagino ci sarà anche lui’
E non c’era davvero bisogno di chiedere chi lui fosse, perché anche se non ne avevamo parlato in quei giorni lei era la mia miglior amica e sapeva che c’era qualcosa sotto.
Io avevo cercato di fare l’indifferente sostenendo di non sapere se avessi il venerdì libero anche perché, insomma, magari erano davvero state le congiunzioni astrali a non farci incontrare in quel periodo ma non è che lui avesse fatto chi sa cosa per favorire un incontro. E sì, non l’avevo fatto nemmeno io ma tutti sanno che il primo passo spetta all’uomo.
La verità era che non vedevo l’ora che quel venerdì arrivasse e non era certo per gustare la carne grigliata di Matt.
E quando quel venerdì arrivò –troppo presto perché fossi pronta e troppo tardi perché qualcuna delle mie unghie si fosse salvata- rimasi a fissare l’armadio come non mi capitava da tanto.
Non è che fosse importante quello che avrei indossato, non era come se ci fosse qualcuno che mi interessasse a quella grigliata ma, era forse sbagliato che una ragazza volesse semplicemente risultare carina? Magari più del solito? Così, senza nessun motivo particolare? Alla fine ci pensò Aria con un rassicurante ‘Sento i tuoi criceti scavare nella scatola cranica alla ricerca di risposte’ a salvarmi da quella situazione di stallo scegliendo per me un vestitino viola che non ricordavo di avere. Raccolsi i capelli in una morbida treccia laterale e sistemai i cupcake in un trasportino.
Arrivammo in anticipo perché Aria aveva questa malsana fissazione per le decorazioni e perché credeva che per nessuna ragione al mondo Matt sarebbe riuscito a sistemare il giardino in modo quanto meno vivibile.
Dopo quelle che sembrarono ore di preparazione iniziarono ad arrivare i primi sorridenti ospiti, cercai di camminare sulla retta via e sorseggiavo allegramente il mio bicchiere d’acqua tenendomi a debita distanza dagli alcolici.
E poi arrivò.
Ci fu un piccolo momento in cui il mio cuore fece questa specie di capriola e lo odiai profondamente anche perché subito dopo ci fu quello, o meglio, quella:
Una ragazza minuta dalla lunga chioma bionda e gli occhi verdi fasciata in un aderentissimo tubino rosso e delle altissime scarpe nere –e davvero, chi diavolo si vestirebbe così per una grigliata?- se ne stava attaccata al braccio destro di Jensen, che indossava un immancabile camicia questa volta a quadri rossa e, quel tipo doveva avere una qualche ossessione segreta per le camicie.
In ogni caso quello era il motivo per cui non si era fatto sentire in tutto quel tempo e ringraziai la mia buona stella per non avergli mandato messaggi imbarazzanti.
La mia nuova politica era ignorare entrambi e magari fingere che non esistessero.
Per questo motivo mi ero seduta vicino ad un vecchio zio di Matt che continuava a scambiarmi per la sua povera moglie defunta e sfruttavo ogni occasione per scappare in cucina con la patetica scusa di aiutare Aria.
“Mi dispiace Amy, Matt non mi aveva detto nulla.”
Continuavo a mescolare quella che doveva essere una mousse di lamponi “Ma no, che dici? Dispiacerti di cosa poi? Su, portiamo questa roba in tavola.”
E quindi avevo passato l’intera sera ad ignorarlo, ad ignorare il suo sguardo e la sua intera presenza ma lo vedevo, vedevo che a volte mi guardava nascosto dal suo bicchiere pieno di birra e, davvero, cosa voleva? Perché non poteva semplicemente fissare la sua dannata donna?
La serata si concluse con i miei cupcake, tutti li gustavano estasiati, tutti tranne una persona, tranne lui ovviamente e decisi di non analizzare il perché quello mi facesse sentire così male, ingoia il boccone amaro e andai avanti, in fondo tra noi due non c’era niente. […]
 
 
Per quanto mi riguardava il capitolo Jensen era definitivamente archiviato. E qualsiasi cosa dicesse Aria non era vera, non l’avevo affatto presa male.
Insomma a me di Jensen nemmeno importava no?
“E quindi la mia scorta di gelato l’ha finita il malefico folletto del freezer?”
Fissai la mia amica con sguardo truce sbuffando sonoramente “Sai, credo sia ora per te di andare ufficialmente ad abitare da Matt.”
“E’ divertente, perché io invece penso sia ora per te di ammettere davvero le cose come stanno.”
Accarezzai l’ipotesi di ribattere fino allo stremo ma poi abbassai la testa sconfitta: mai toccare le cose di Aria e il gelato era tra queste.
“Vado a ricomprartelo.”
“Saggia decisione, e non pensare di tornare senza il mio gusto preferito: li rivoglio tutti.”
Quella ragazza aveva dei seri problemi.
In ogni caso lei era il motivo per cui mi trovavo al Mall alle dieci di sera e, non è che a quell’ora ti aspetti di trovare qualcuno così ero scesa con una semplice tuta grigia.
Ero ferma al reparto frigo da un po’ e cercavo di ricordarmi tutti i  –ventiquattro- maledetti gusti che dovevo prendere quando una mano spuntata da chi sa dove si intrufolò nello spazio tra me e il frigo agguantando l’ultima confezione al cioccolato bianco e no, Aria mi avrebbe ucciso e avrebbe venduto la mia pelle ai tessitori di pelle per quello e non potevo proprio permetterlo.
Per quel motivo –per salvare la pellaccia- con uno scatto bloccai il polso dello sconosciuto girandomi lentamente per mettere in chiaro le cose “Mi scusi, l’ho visto prima io e-”
Le parole mi morirono in gola a causa di quei dannati occhi verdi che mi facevano sempre quell’effetto.
Ci fissammo a lungo, fino a quando lui indurì lo sguardo. Come se fosse lui quello ‘offeso’ “Se rimani imbambolata a fissare il vuoto perdi la priorità sul gelato.”
“Io non ero imbambolata, stavo riflettendo, so che è un concetto sconosciuto per una testa vuota come la tua ma alle persone intelligenti succede di riflettere.”
“Beh, allora non sei tanto intelligente visto tutto il tempo che ci hai messo.”
“Sei tu che sei arrivato all’improvviso, avresti dovuto avvertire!”
Ma era questo quello che faceva no? Arrivava nella vita delle persone, vi si intrufolava come un dannato lombrico per poi strisciare via pronto a colpire la prossima mela.
Ed eccola lì la mela del giorno, capelli castani portati a caschetto e occhi incredibilmente grandi e santo cielo era passato quanto? Meno di una settimana e già aveva una nuova conquista? Ammirevole davvero, ma questi non erano affari miei giusto?
La ragazza, che lo aveva appena chiamato Jay, si era avvicinata con un carello mezzo pieno “Se non sbaglio è finito anche lo zucchero vero?”
E quindi, siccome quelle come me adorano trarre le loro conclusioni da sole io trassi le mie: quella doveva essere la sua fidanzata, insomma quella principale, quella con cui faceva la spesa ecco, mentre la ragazza della grigliata doveva essere la fidanzata occasionale, quella da esporre alla fiera.
La ragazza in questione mi fissò, anzi mi squadrò, guardò prima lui e poi me e infine sorrise “Oh ciao, e tu sei?”
E cos’era quel tono? E quel sorrisino? Mi spiace ma non attaccava con me… o forse sì visto il modo stizzito in cui risposi:
“Amanda!”
Stupida, stupida e infantile Amy, ecco cosa sei.
Voltai loro le spalle spingendo il mio carrello più lontano possibile da loro, e mi ritrovai nella corsia dedicata agli animali.
Jensen sbucò dal nulla e si avvicinò scrutando con cura le confezioni di cibo per gatti mentre io squadravo con odio un collare pieno di brillantini.
“Non sapevo avessi animali.”
Io non sapevo avessi una tresca con due ragazze quindi, e perché diavolo voleva fare conversazione?
“Solo perché ho perso il controllo un paio di volte non vuol dire che tu sappia tutto di me.”
“Ok, non c’è bisogno di essere acide.”
Acide? Io acida?
“Sai cosa? L’avevo capito dal primo giorno che eri una persona orribile e non è che vado in giro a dire alla gente che la odio e tu me lo hai proprio tirato fuori. Ma poi ho dovuto rivalutarti ed è stato un errore perché alla fine ti sei mostrato per quello che sei davvero.”
“Ma di cosa stai-”
“No non ci provare, lo so cosa mi dirai, che è capitato o che magari loro sono d’accordo, cos’è stavi costruendo un harem e ti mancava una rossa?”
“Amy, credo tu abbia frainteso.”
“Certo che ho frainteso. È questo il problema, io fraintendo sempre tutto.”
Gli strappai la busta di cibo per gatti che aveva appena preso –l’ultima di quel tipo- e riafferrai il mio carrello.
“Così siamo pari, addio Jensen.”
Pagai in fretta e, letteralmente fuggii a casa.
Aria iniziò a rovistare nelle buste mentre io stringevo ancora tra le braccia la busta di croccantini.
Questa volta avevo davvero chiuso, non che avessimo mai iniziato qualcosa ma questa volta ci avrei davvero messo una pietra sopra.
“Amy? Dov’è il mio gelato a cioccolato bianco? E perché diavolo hai comprato una busta di mangiare per gatti?”


 
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Angolino angoletto
Rieccomi qua ^^
allora, ditemi un po', anche voi siete come Amy? avete tratto le sue stesse conclusioni?
io non vi dico nulla v.v tranne che spesso nelle mie storie niente è come sembra :P
Bon, anche oggi fuggo non prima di avervi ringraziato siete un ammore davvero *^*
grazie a chi commenta a chi segue aggiunge ecc e a chi legge fate di una lupetta una lupetta felice *^*

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Capitolo 8
*** VIII ***


VIII

 
 
Il giorno dopo me ne stavo nel mio fortino –il laboratorio al negozio- a mescolare lentamente l’impasto di una torta al cioccolato, quel giorno Aria non doveva lavorare e così era lì per darmi una mano. Ovviamente quella di aiutarmi era solo una scusa e io sapevo che lei era lì per sapere.
“Si può sapere cos’è successo a quel supermercato?”
Mi morsi un labbro aggiungendo altro cacao all’impasto.
“Nulla.”
“Oh, quindi il nulla ti ha impedito di comprarmi il gelato?”
Alzai un sopracciglio fissandola esasperata “Te l’ho comprato il gelato.”
“Tranne uno.”
“Ah, sei impossibile!”
“E hai comprato quella stupida busta di mangiare per gatti, cos’è credi che presto il negozio fallirà e non avrai abbastanza soldi per comprarti da mangiare? Mi rifiuto di credere che tu abbia pensato di prendere un gatto: tu hai il terrore dei gatti.”
Alzai gli occhi al cielo perché davvero Aria a volte diventava così irritante che mi faceva venire voglia di urlare: “Non voglio prendere un gatto o mangiare cibo per gatti solo, senti è capitato ok? Ho provato a restituirlo ma non lo accettano.”
“Sai cosa potresti farne?”
“No.”
“Non ho detto nulla.”
“Stai per nominare quel mostro dagli occhi verdi lo so, lo sento.”
Ci salvò il campanello che indicava l’arrivo di un nuovo cliente, mi pulii le mani sistemandomi poi il grembiule e uscii fuori con un sorriso smagliante “Buongiorno in cosa posso esservi-”
Tutto l’entusiasmo mi morì in gola perché quella doveva proprio essere la mia settimana sfortunata: Jensen e la mela/ragazza del supermercato erano nel mio regno.
Cosa diavolo volevano?
Lei fissò le vetrine mezze piene e mi rivolse un ampio sorriso “Sembra il paradiso.”
E ok, il mio per nulla giustificato odio verso la sconosciuta si calmò un po’.
Mi ricordai che dopotutto quelli erano clienti e a proposito, dove diavolo era finita quella volta gabbana della mia amica?
“Posso aiutarvi?”
La ragazza si avvicinò al bancone seguita da Jensen che subito vi poggiò un braccio sopra e, certo il mio bancone serve proprio per questo sai.
“Devo farti una richiesta folle Amanda.”
Che diavolo di memoria aveva quella tipa per ricordarsi il mio finto nome? Fissai per un attimo Jensen che non diceva nulla ma continuava a sorridere “Io, uhm che richiesta?”
“Ho bisogno dei tuoi cupcake, tanti tantissimi cupcake.”
Oh, un ordine fantastico.
“Certo quantifica tantissimi?”
“Un centinaio, forse di più.”
Recuperai l’agenda e iniziai a segnare le cose principali “Ok, è una festa?”
Deglutii improvvisamente a secco di saliva, magari era il loro anniversario o qualcosa del genere.
“E’ il compleanno della mia compagna e voglio farle una sorpresa.”
Ecco appunto…no, un attimo cos’aveva appena detto? Guardai di nuovo Jensen che davvero, non faceva nulla per nascondere quel dannato sorriso.
“Ehm, scusa?”
“Ellen, la mia compagna, ha assaggiato i tuoi cupcake ad una grigliata a cui io non sono riuscita a venire perché avevo dei, sai, piccoli problemi di digestione, in ogni caso non faceva altro che dire quanto fossero buoni e sublimi e fantastici e alla fine sono riuscita a corrompere Jay e farmi portare qui.”
“Quindi la tua compagna è”
Era la tipa bionda?
“Senti, non è che per caso sei una di quelli che sai, non darebbe nemmeno un bicchiere d’acqua a ‘quelli come noi’”
“Cosa? No certo che no, io solo credevo che” che voi e Jensen stesse insieme ed ho appena realizzato di aver fatto un enorme figura di niente, tanto per cambiare. “E’ davvero fantastico quindi, per quando ti servirebbero questi cupcake?”
Lei mi fissò ancora, probabilmente per appurarsi che fossi sincera e poi tornò a sorridermi “Ecco che scatta la richiesta assurda: una settimana.”
Una settimana? Una settimana? Ma se ci mettevo una settimana solo per procurarmi tutti gli ingredienti perfetti. Una settimana era una richiesta assurda e avrei dovuto lavorare giorno e notte e una settimana era “Perfetto, una settimana va benissimo.”
“Grazie Amanda, sono sicura che Ellen impazzirà per questa sorpresa.”
“Amy.”
“Mh?”
“Io ehm, sono Amy.”
“Ma al supermercato hai detto-”
“Oh lei ha questa cosa che ama scherzare sul suo nome, a volte dice anche di chiamarsi Amelia, dovresti vederla.”
Fulminai Jensen con lo sguardo: non poteva continuare con il suo silenzio stampa?
“Ognuno si diverte come vuole no? Comunque io sono Kate è un piacere Amy.”
Mi porse la mano con un luminoso sorriso stampato sul volto, ah se avesse saputo che fino ad un attimo prima la odiavo probabilmente non mi avrebbe sorriso così.
Forse interpretò il mio silenzio come dubbio su quell’incarico perché si affrettò ad aggiungere:
“La festa è venerdì sera e lo so che avrei dovuto organizzarmi per tempo ma il fatto è che tu sei stata davvero una rivelazione, e Ellen ti adora, potrei quasi essere gelosa se non sapessi che ti adora attraverso i tuoi dolci e io non ti avevo programmato quindi ti prego dimmi che non hai cambiato idea e che abbiamo un accordo?”
Mi sentii improvvisamente arrossire, insomma a qualcuno piacevano così tanto i miei dolci che mi sembrava assurdo “Ma certo, per venerdì avrai i tuoi cupcake, scrivimi qui se ci sono allergie e intolleranze, i gusti preferiti e se vuoi una forma particolare.”
Le porsi la mia agenda dove, con un’elegantissima calligrafia, Kate iniziò ad appuntare tutto il mio sguardo cadde su Jensen che continuava ad evitarmi seguendo l’elegante scrittura della sua amica.
Sentivo il mio stomaco ribollire e le guance arrossarsi per il nervoso, sbuffai seccamente quando iniziai a sentire uno strano ronzio, seguii quel rumore con lo sguardo fino ad incontrare Aria nascosta dietro ad uno scaffale che mi faceva strani segnali di fumo. Stavo per mandarla a quel paese –telepaticamente parlando- quando capii che stava cercando di mimarmi un gatto e compresi quello che volesse.
E no.
Non esisteva che avrei fatto una cosa del genere. Non dopo quella scenata vergognosa.
E andiamo, lui era stato –per l’ennesima volta- gentile, aveva portato la sua amica a farmi il suo mega ordine nonostante tutto, insomma avrebbe potuto dirle che i miei dolci erano orribili o che fossi un mostro invece non le aveva detto nulla e mi aveva procurato una nuova cliente. E io ero un’idiota e lui non avrebbe mai accettato.
Così, quando Kate finì la sua accurata lista la salutai premurandomi di rassicurarla ancora una volta che per venerdì sarebbe stato tutto pronto e poi salutai entrambi con un molto professionale “Arrivederci.”
Lei mi rivolse un altro sorriso attirandomi a se per un abbraccio stritolatore mentre lui si limitò ad un cenno del capo e davvero, qualsiasi cosa stesse ribollendo nel mio stomaco sembrava essere arrivato al punto di non ritorno, probabilmente per questo mentre lui era già con un piede fuori dalla porta io feci un passo avanti:
“Jens?”
Si voltò appena con un sopracciglio alzato mentre fuori Kate aveva iniziato a parlare a telefono.
“Ecco io, volevo, insomma…ok: scusa. Non so che mi è preso e ho sicuramente esagerato e in ogni caso non erano affari miei e quindi…mi dispiace ecco.”
La sua espressione rimase impassibile e una vocina dentro di me iniziò a urlare qualcosa come ‘prendilo a sberle’.
“Ok”
D’accordo, avevo fatto la pazza isterica, probabilmente non voleva avere più nulla a che fare con me e non potevo certo biasimarlo ma, spinta da non so cosa, ci provai comunque pensando che ormai non avevo più nulla da perdere o forse semplicemente desiderando prolungare quello che probabilmente sarebbe stato il nostro ultimo incontro più che potevo.
“Io ho, quella busta di crocchette e, ovviamente a me non serve e se vuoi, cioè se ti serve posso portartela uno di questi giorni o puoi venire o…”
E stavo arrossendo fino alla punta dei capelli, oh sì, potevo sentirlo e mi stavo impappinando e mi stavo odiando perché nonostante tutto fino a quel momento mi ero sempre sentita a mio agio con lui e adesso invece mi sembrava di essere ritornata indietro nel tempo quando parlare con qualcuno mi sembrava un difficilissimo sport olimpico.
“Credevo che io fossi una persona orribile.”
Alzai gli occhi al cielo perché, grazie tante ma avevo già afferrato il concetto.
“Una di quelle persone che fanno cose orribili quindi non capisco, perché vorresti rivedermi?”
Non riuscivo a decifrare la sua espressione così, sempre perché io ero il tipo di persona che amava dare per scontato alcune cose, ipotizzai che volesse solo prendermi in giro e iniziai a sbottare:
“Senti, io non voglio affatto rivederti, non mi interessa proprio anzi: rivederti è l’ultimo dei miei pensieri. Credevo solo che il tuo stupido assassino peloso volesse le sue stupide crocchette che a me non servono ma non importa, sicuramente ci saranno milioni di colonie feline che gradiranno il mio aiuto.”
“Se prima non scapperanno terrorizzati per la paura di essere tormentati per qualcosa che non hanno fatto.”
“Sei un’idiota.”
“Sì, beh buona fortuna con le tue colonie e ciao.”
Oltrepassò la porta e andava bene così.
Davvero, era chiaro come il sole che io e Jensen non fossimo fatti per stare insieme o per diventare amici e sul serio, andava bene.
E andava bene anche se Aria mi stava fissando con lo sguardo truce. E forse non andava davvero bene perché prima che lei potesse iniziare con le sue ramanzine mandai al diavolo tutto e uscii in strada.
Kate –sia benedetta- stava ancora parlando al telefono e lui l’aspettava seduto sulla moto fissandosi le mani.
Così riuscii ad avvicinarmi senza che quegli occhi verdi potessero immobilizzarsi.
“Ok. Non mi interessa di quella stupida sacca di crocchette o del fatto che probabilmente mi consideri un’idiota.”
Mi fissò con un’espressione incuriosita e schiuse le labbra per dire qualcosa ma non lo lasciai iniziare.
“Ed è stupido perché la verità era che ero arrabbiata con te perché non ti sei fatto sentire ed è assurdo perché a stento ci conosciamo, conosciamo davvero intendo e però ecco a me piace uscire con te. Voglio dire, le parti in cui mi ubriaco e perdo il lume della ragione le lascerei da parte ma per il resto: mi piace passare del tempo con te e se, se potessimo mettere una pietra sopra a tutto quello successo fino ad ora e magari provare a ricominciare da capo sarebbe, insomma, potremo provarci. Voglio dire, uscire come normali persone e vedere come va. A me piacerebbe e quindi: vuoi uscire con me domani sera?”
Mi fissò con quei dannati occhi verdi per poi leccarsi le labbra continuando a rimanere dannatamente serio e io volevo solo volatilizzarmi o diventare parte integrante del marciapiede.
“No.”
E ok, era prevedibile ma porca miseria se faceva male.
Prima che potessi girarmi per tornare dentro lui scosse la testa spalancando gli occhi come se avesse appena realizzato quello che aveva detto.
“Non no a te, no a domani.”
Ora però ero io quella confusa quindi inclinai la testa come uno di quei cani che cercano di capire perché diavolo il proprio padrone continua ad emettere stupidi versetti striduli-
“Domani ho il turno quindi non posso. Possiamo fare domenica?”
Quindi…stava dicendo sì? Voleva uscire con me?
“Domenica…sì oh no, io non ci sono.”
E maledissi mia sorella, perché diavolo doveva tornare domenica.
Jensen mi fissò pensieroso avvicinandosi di qualche passo e passandosi la mano sulle labbra “Ok, settimana prossima?”
Stavo per dirgli di sì. Maledizione avrei spostato qualsiasi stupido impegno ma “Non posso, insomma accettare quest’ordine non è stata una mossa intelligente, dovrò lavorare tutti i giorni per rimanere nei tempi…”
“Mmh, allora: venerdì?”
“Oh venerdì è perfetto! Aspetta, venerdì è il compleanno della tua amica.”
Lui iniziò a sorridere e mi ritrovai a pensare che quel sorriso non prometteva niente di buono “Sì, infatti.”
“Allora, cosa? Hai un gemello nascosto da qualche parte che manderai al posto tuo o?”
“O: puoi venire con me.”
“Cosa?”
“Alla festa, vieni con me.”
“Non penso dovrei, insomma, non le conosco nemmeno e magari non vogliono che-”
Si avvicinò accarezzandomi con lo sguardo e ok, lo ammetto: rabbrividii e di certo non per il freddo.
“Vieni con me.”
Ed era una pessima idea. Me ne sarei pentita, da qualche parte lì in quel miscuglio di ormoni in subbuglio sapevo che sarebbe stato un disastro.
“Va bene.”
E sì, era chiaro come il sole che me ne sarei pentita.


 
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  Ciao Lupetti ^^
Rieccomi qui è stato divertentissimo leggere i vostri commenti allo scorso capitolo e dunque ecco svelato il mistero:
La ragazza della grigliata (Ellen) e quella del supermercato (Kate) stanno insieme v__v
ebbene sì, più avanti ci saranno degli approfondimenti su tutto questo, inizio col dirvi che Ellen è come una sorella per il nostro Jens.
Forse forse siamo riusciti ad organizzare un appuntamento normale ma attenzione perchè le feste non sono mai calme v,v
eeee niente ^^ come sempre fatemi sapere cosa ne pensate anche se sono una lupetta nel corazon non mordo lo giuro.
UN grazie di cuore a Shane_lilith_riddle, Ely gryffiindor, la mia adorata Rosa rosa, e la fantastica SuperNova e tutti quelli che hanno messo la storia nelle seguite o nelle preferite, grazie e ci risentiamo settimana prossima ^_^
<3

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Capitolo 9
*** IX ***


IX


 
 
“Sarà un disastro.”
“Santo cielo Amy! Se lo dici di nuovo ti do un pugno.”
“Non capisco perché ti agiti così tanto: è solo una festa.”
Fissai con puro astio Aria e mia sorella sedute comodamente sul mio letto.
Quelli erano stati giorni frenetici, giorni di corse all’impasto perfetto e alla crema più soffice, giorni di pura ansia alla ricerca della giusta scatola e dei pirottini adatti, insomma, giorni in cui non mi ero fermata un secondo e senza Aria sicuramente non sarei sopravvissuta, senza contare che mia sorella era tornata dal suo viaggio di nozze ed era stata catapultata nel meraviglioso mondo isterico di Amy: era stata velocemente aggiornata sugli ultimi avvenimenti, aveva preteso di vedere una foto di Jens –che con mio grande stupore Aria aveva tirato fuori dal cellulare- e aveva approvato.
Non so bene cosa, ma vedendolo aveva semplicemente detto:
“Non osare fartelo scappare.”
Sghignazzando come un’adolescente di fronte alla sua prima foto di un uomo nudo.
Ovviamente loro non capivano la gravità della situazione, in realtà probabilmente non c’era nessuna grande gravità ma le probabilità che quell’appuntamento si rivelasse disastroso erano altissime.
I giorni precedenti a quel venerdì erano stati troppo impegnati perché potessi pensarci ma ora, ora che quel venerdì era arrivato mi sentivo improvvisamente come se dovessi vomitare da un momento all'altro.
E quindi me ne stavo con le braccia incrociate e i capelli avvolti in un asciugamano a passare il mio odio dalle due comare al mio armadio e per la seconda volta da quando conoscevo quell’uomo ero incerta su cosa mettermi. Alla fine scelsi un vestitino bianco con delle stampe floreali nere sotto un mormorio di:
“Tesoro, ma così non riusciranno a capire dove inizi tu e dove finisce il vestito?”
“Non è il vestito più orrendo che hai ma…”
Le ignorai passando ad asciugare i capelli che mi ricaddero morbidamente sulle spalle. Dovetti combattere con le unghie e con i denti contro quelle due arpie per impedirle di avvicinarsi ai miei trucchi e alla mia faccia. Mi avrebbero conciato peggio di un clown ne ero sicura, io invece volevo un trucco semplice, essenziale: due linee scure di eyleiner sugli occhi e un velo di rossetto color fragola ed ero pronta.
E dopo varie lamentele si arresero lasciandomi fare.
Prima di uscire le fissai con sguardo minaccioso:
“Non organizzate complotti contro di me, non toccate le mie cose e non vi affacciate quando lui arriva chiaro?”
Annuirono entrambe per niente convinte quando un suono di clacson mi fece schizzare il cuore via, lontano dal mio corpo.
Recuperai un po’ di controllo e uscii fuori e Dio qualcuno doveva davvero dirgli di smetterla di essere così dannatamente frustrante.
Per quella sera –e quindi la mia ipotesi che il suo armadio contenesse solo quelle andò in fumo- aveva abbandonato le sue amate camice a quadri in favore di una maglia a maniche lunghe blu. Ed era mai possibile che ogni cosa gli stesse così maledettamente bene?
Nemmeno il tempo di dirgli ciao che le due comare erano già fuori dalla porta emettendo dei rumorosi fischi:
“Vedi di riportarcela intera!”
“E non troppo tardi!”
Le fissai come se il mio sguardo potesse incenerirle e poi mi chiusi in auto evitando di guardare Jens negli occhi.
“Ti prego metti in moto e non ridere.”
Lui fece come detto trattenendo a stento un sorriso.
I primi minuti in auto furono silenziosi perché, cosa diavolo dovevo dirgli? Così avevo preso a giocare con la radio cercando una stazione che trasmettesse almeno qualcosa di passabile mentre Jensen continuava a guardare la strada.
“Le tue amiche sono…”
Oh non sono miei amiche, non lo saranno mai più dopo questa sera.
“Beh, Aria è sai, particolare e poi l’altra era mia sorella.”
“Uh, è tornata?”
“Sì.” Purtroppo.
“Non dovresti essere nervosa: è solo una festa.”
Tu non dovresti essere così empatico, dannazione una persona non può essere nervosa in pace?
“Non lo sono.”
Mi lanciò una breve occhiata rimettendo gli occhi sulla strada e, senza che potessi prepararmi, lasciò scivolare la mano sulla mia stringendo appena facendomi arrossire e –scioccamente- tranquillizzare come una stupida ragazzina in preda agli ormoni.
Così, quando arrivammo nel luogo della festa, che altro non era se non la casa di Ellen, ero decisamente più calma, nemmeno il tempo di aprire la portiera e mettere piede fuori dalla macchina che una nuvola azzurra mi era corsa in contro avvolgendomi le lunghe braccia pallide al collo:
“Sono stupendi! Semplicemente stupendi, sono tutti impazziti quando li hanno visti e lei li amerà!”
Il –fin troppo- dolce profumo di Kate mi invase le narici mentre cercavo goffamente di ricambiare il suo abbraccio.
Quella ragazza era fin troppo espansiva, insomma mi aveva già abbracciato a sufficienza quando era venuta a prendere i cupcake –che potevo tranquillamente portare io ma lei aveva continuato a dire che preferiva prenderli di persona- e mancavano un paio di abbracci e avremo raggiunto il numero di dolci che mi aveva chiesto di realizzare e davvero, erano troppi abbracci.
Quando riuscii a staccarmi mi portai una ciocca di capelli mordendomi il labbro “Lo spero!”
Lei fissò Jensen e, credo che il termine giusto sia: squittì.
“Oh Jay! Lei mi piace davvero tanto e sono sicura piacerà anche ad Ellen, finalmente, non ne potevo più di quelle oche spelacchiate che ti ostinavi a portare a casa.”
Dovevo essermi sbagliata, quella non era la festa di Ellen ma la fiera del facciamo arrossire Amy.
Lui, ovviamente non aveva replicato limitandosi al suo solito maledetto sorriso, non che lei gli avesse dato modo di fare altro dato che mi aveva stretto le guance in un gesto affettuoso ed era tornata dentro.
Rimanemmo in silenzio accanto all’auto e alla fine cercai di trovare qualcosa da dire: “E così: Jay eh?”
“Kate era semplicemente troppo pigra per imparare il mio nome, così i primi tempi che si vedeva con Ellen mi chiama Jay e alla fine è rimasto così. A quanto pare le piace.”
Jensen aprì appena la porta rossa per poi avvicinarsi al mio volto sfiorandomi appena l’orecchio con le labbra “Comunque, a me piace di più Jens.”
E quindi era ufficiale, quella era la serata del facciamo arrossire Amy.
Tra l’altro e non so bene perché, avevo questa sorta di paura nel conoscere Ellen, continuavo ad immaginarla mentre assaggiava i miei cupcake e diceva che erano orrendi e che dovevo andarmene subito da casa sua. Insomma, mi intimoriva e ancora non ne capivo il motivo.
Jens passò la serata tra un chiacchiera e l’altra, ogni volta che sembravamo trovare un po’ di tempo per stare da soli spuntava qualche vecchio amico pronto a trascinarlo in un’altra fantastica conversazione.
Ammetto però che non mi stavo annoiando, la festa era davvero carina, con buona musica e una più che sufficiente scelta per chi come me decideva di stare lontana dall’alcool.
Così, tra una tartina e un “Oh ma tu sei Berta?” “No, mi stai confondendo con qualcun’altra.”
Pacche sulle spalle e sbavamenti inconsci arrivò il momento fatidico: Kate portò Ellen vicino ad un tavolo che fino a quel momento era stato nascosto da un telo bianco e le posò un leggero bacio sulle labbra prima di svelare finalmente la sorpresa.
Kate non aveva scelto niente di troppo complicato, su ogni cupcake doveva esserci una lettera in pasta di zucchero impreziosita da alcune perline e doveva formare quella che era una delle frasi più significative del loro rapporto, mentre gli altri cupcake facevano da sfondo come piccole nuvolette rosa a forma di cuore. Semplice, ma di grande effetto. E a quanto pareva Ellen sembrava apprezzare dato che si era portata le mani alle labbra mentre i suoi occhi esprimevano pura gioia.
Si dissero qualcosa che non riuscii a sentire e poi Kate mi indicò e vidi lo sguardo di Ellen cambiare leggermente e odiai il fatto che in quel momento Jensen non fosse con me, mi sentivo un’estranea sotto quegli occhi così intensi e sì, mi sentivo come se mi stesse giudicando e no, continuavo a non capirne il motivo.
Alla fine della festa, gli invitati iniziarono ad andarsene e quindi il momento che tanto temevo si stava avvicinando.
Infatti, dopo pochi minuti Jensen riemerse da qualsiasi buco nero l’avesse inghiottito, pronto a salutare le sue amiche. Salutare Kate non fu un problema, voglio dire ormai mi aveva abbracciato così tante volte che non mi intimoriva più.
Il problema, se così si può definire era Ellen.
Forse Jensen le aveva raccontato della mia stupida scenata, forse mi considerava una psicopatica, forse credeva fossi da rinchiudere in una cella e buttare via la chiave, sta di fatto che in quegli occhi verdi continuavo a leggere una specie di ostilità non tanto velata.
Continuavo a ripetermi che era solo impressione ma fu proprio lei a smentirmi.
“Spero che i cupcake ti siano piaciuti.”
“Oh sì, erano semplicemente divini, i più buoni che io abbia mai mangiato.”
“Bene.”
Non era male no? Una persona che ti odia avrebbe cercato di sminuirti. Kate le prese la mano poggiandone un’altra sulla mia spalla “Te l’avevo detto che li avrebbe adorati.”
A quel punto Jensen fece una breve risata e guardò Ellen “Beh noi andiamo, bella serata davvero.”
E stavo per girarmi e fuggire da quella casa prima che scoppiasse una bomba ma Ellen ci fermò “Di già? Io e Kate pensavamo di andare in un locale, perché non vi unite a noi?”
Locale? Quindi alcool? Quindi ennesima possibilità di fare figuracce questa volta sotto gli occhi di questa benedetta donna che sembra odiarmi?
“Io…”
“Amy deve tornare a casa.”
Lei mi fissò con un sopracciglio inarcato e l’aria divertita “Quanti anni hai?”
E più che una domanda suonava come un’accusa e non so perché mi ammutolii. Chiariamoci, in un’altra situazione le avrei risposto a tono ma quella donna continuava a farmi provare uno strano senso di agitazione e soggezione così semplicemente abbassai la testa.
“Ellen smettila.”
A quelle parole di Jensen avevo visto la mano di Kate avere una specie di spasmo e chiudersi con più forza su quella di Ellen, come a volerla trattenere e non so perché mi ritrovai mentalmente a ringraziarla.
“Smettere di fare cosa? Credevo solo che uscissi con donne, non con ragazzine che hanno la balia a casa.”
E quindi avevo ragione. Quella amava i miei cupcake quasi quanto odiava me.
“Non ho nessuna balia.”
“Oh allora forse domani devi andare a scuola? Hai fatto tutti i compiti?”
“Ellen.”
“Ellen, tesoro che ne dici se andiamo solo io e te mh? Così ti do il mio regalo.”
Nuovamente mi ritrovai a ringraziare Kate.
C’era qualcosa nel tono di Ellen e nelle occhiate che le lanciava Jensen che mi ricordava i litigi dei miei genitori, quando ero ancora troppo piccola per capire come andava il mondo.
“Sì, certo andiamo.”
Così –finalmente- uscimmo da quella casa.
Salimmo in macchina in silenzio, lui leggermente teso e io che mi torturavo i capelli. Alla fine feci la domanda che mi ronzava in testa perché dovevo capire:
“Ellen è per caso segretamente innamorata di te?”
Jens sbandò e io ringraziai le sue capacità di guida che lo fecero riprendere subito il controllo dell’auto.
“Cosa? No! Ellen ha una compagna, credevo ci fossimo chiariti su questo punto.”
“Sì, sì certo. È che…mi odia.”
“Lei non ti odia.”
“Sembra…gelosa, non che ci sia qualcosa di cui essere gelosi, voglio dire: tra me e te non, cioè sai? No, quindi non è che debba però ecco, lo sembra.”
Lui sospirò senza staccare gli occhi dalla strada “Non è questo è che. Io non ho una famiglia, lo sai no? Beh quando ho incontrato Ellen ero, ecco venivamo entrambi da una situazione particolare e siamo subito diventati spiriti affini, lei mi ha portato a casa come un gatto abbandonato e i suoi genitori mi hanno trattato come un figlio. E’ stata la sorella e a volte anche la madre che non ho mai avuto. E ha questo assurdo senso di protezione verso di me che la spinge ad odiare tutte quelle che mi si avvicinano. Credo non voglia che io soffra o qualcosa del genere.”
Cercai di immaginarmelo: un Jensen più piccolo, solo e probabilmente con problemi di fiducia e relazione, come un piccolo gattino abbandonato che soffia a chiunque gli si avvicini. E poi immaginai Ellen come l’unica persona che continua ad avvicinarsi nonostante lui continui a soffiare, perché in fondo sa che quello è solo un modo per difendersi, perché ha paura.
E non potei che provare ammirazione per una persona che si faceva carico di un essere indifeso, portandolo a casa e trattandolo come la cosa più preziosa che avesse, potevo capirla, perché nonostante Jens fosse un uomo grande e grosso, si intuiva, da come ne parlava, che in passato avesse sofferto ed era giusto che lei si preoccupasse per lui.
Presa dai miei ragionamenti non mi accorsi che eravamo arrivati e che Jens mi fissava con un sopracciglio alzato.
“Di solito, è a questo punto che scappano.”
Davvero? Davvero qualcuno aveva lasciato Jens per questo? Insomma, Ellen faceva davvero paura ma…
“Anche dopo che gli raccontavi il motivo?”
“Non l’ho mai raccontato prima.”
E ciao cuore, è stato bello averti per un po’.
“Perché?”
Ed era un perché non l’hai detto a loro e non un perché lo stai dicendo a me.
“Beh, loro la incontravano, lei faceva una scenata simile a quella che ha fatto a te e, ecco scappavano. Tu, non sembravi voler scappare.”
Sorrisi perché davvero Jens era tutto da scoprire “Non ho nessuna intenzione di scappare.”
“Bene.”
“Bene.”
E potrei giurare di aver visto l’ombra di quelle comare spiarci dalla finestra ma ero troppo concentrata a infilare le dita tra i capelli di Jens e a ricambiare il suo bacio per farci attenzione.
 
 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
 
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


 

Salve a tutti e rieccomi qui dopo una bella scorpacciata di cibo giapponese torno carica e vi pubblico il capitolo di svolta di questa storia v_v
Da qui in poi le cose procederanno in modo differente e avrete modo di vederlo ^^
io sono curiosa di sapere cosa ne pensate del capitolo, delle due adorabili comare, di Ellen e ovviamente del primo bacio Jemy(?)
Come sempre, un grazie immenso a Rosa rosa, Shane Lilith riddle, SuperNova e Loveinfinte e grazie anche a voi che seguite e leggete *^*
a Sabato prossimo :*

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Capitolo 10
*** X ***


X


 
 
Un mese dopo le cose con Jens procedevano bene. Le cose con Ellen un po’ meno, infatti non perdeva occasione per chiamarlo durante le nostre uscite e farlo correre da lei: una volta la lavatrice era scoppiata e il suo idraulico era in ferie, un’altra era sicura le fossero entrati i ladri in casa, poi aveva perso le chiavi dell’auto e la volta dopo ancora il suo criceto aveva avuto un infarto e voleva che fosse Jens a seppellirlo.
E quelle poche volte che ci eravamo viste non smetteva di lanciarmi occhiate minacciose e affilate frecciatine.
Frecciatine e occhiate che avevo deciso che non avrei raccolto, volevo infatti farle capire con le buone che non ero lì per ferire Jens ma per stare con lui e che ci sarei stata fino a che entrambi l’avremo voluto.
Lui teneva a lei, quindi non le avrei dato altre ragioni per odiarmi e avrei aspettato capisse che le mie intenzioni erano serie.
O almeno, questo era quello che pensavo fino a quel giorno.
Era un giovedì ed ero al laboratorio a impastare una torta con noci pecan e cioccolato, la torta preferita di Aria che sarebbe ad ore ritornata dal convegno di lavoro a cui era stata obbligata a partecipare.
Era stata una mattinata tranquilla, pochi clienti e nessuna chiamata. Con Jens non mi sentivo dalla sera prima ma non era una novità, aveva avuto il turno di notte e di solito quando succedeva il giorno dopo impiegava ore per svegliarsi davvero e riuscire a far funzionare il cellulare.
Mancava qualche ora alle undici quando il telefono prese a vibrare furiosamente, mi asciugai le mani sul grembiule e risposi ad Aria.
“Ehi!”
“Ehi un corno, perché non me l’hai detto? Sarei subito venuta da te lo sai.”
“Aria calmati, dirti cosa?”
“Come sarebbe a dire cosa?! Che Jens è in ospedale, me l’ha dovuto dire Matt.”
Per un attimo mi sembrò che il mondo si fosse fermato, le lancette dell’orologio a forma di cupcake non si muovevano più, il timer del forno aveva smesso di ticchettare e Aria era diventata solo un ronzio di sottofondo.
La gola si era chiusa e nonostante volessi dire qualcosa nessun suono riusciva a fuoriuscire dalle mie labbra improvvisamente troppo secche.
Quando riuscii a riprendermi –minuti che sembrarono ore- interruppi lo sproloquio di Aria e mi feci dire il nome dell’ospedale senza darle spiegazioni.
Inutile dire che chiusi il negozio e mi precipitai lì.
Non ero stata in ospedale molte volte e quel posto era più bianco di quanto mi ricordassi e continuava a darmi uno strano senso d’ansia e angoscia nonostante il candore dovesse infondere calma.
Trovai un’infermiera intenta ad appuntare qualcosa su di una cartellina e mi feci dire dove fosse la stanza di Jens.
Secondo piano, terza porta.
Ed era davvero lì, non che pensassi che l’infermiera si divertisse a prendermi in giro, ma continuavo a pensare che dovesse esserci stato una qualche specie di errore, insomma mi avrebbe chiamato, no?
E invece era lì, steso in quel letto stupidamente bianco e appoggiato con la schiena ad un cuscino, il braccio destro ingessato e qualche medicazione sul viso.
Nella stanza non c’era nessuno e se avessi avuto la mente più lucida avrei ringraziato il buon fato, ma in quel momento avevo la mente in panne ed ero entrata come una furia, gli occhi leggermente lucidi e il cuore che batteva all’impazzata.
“TU! Stupido idiota che non sei altro!”
Jens strabuzzò gli occhi incassando la testa nelle spalle “Amy”
“Amy niente! Quindi cosa? Se fossi morto non avrei nemmeno dovuto saperlo?!”
Si passò la mano buona sul viso trattenendo una smorfia di dolore “Non è successo nulla, cose di questo tipo capitano una volta al mese, sono i rischi del mestiere no?”
Gli poggiai una mano sulla spalla fissandolo negli occhi verdi che in quel momento sembravano terribilmente stanchi “Magari volevo saperlo ok?”
“Mi dispiace, ma davvero non è successo nulla.”
“E’ successo ieri sera?”
“Mh, una fuga di gas, una delle signore era rimasta intrappolata sotto un tavolo, sono tornato indietro per riprenderla e…beh poi c’è il buio, i fiori li manda lei.”
Sorrise e io strinsi un po’ di più quella maglietta bianca “Non farlo, non sorridere, poteva, poteva non andare così bene quindi non sorridere ti prego.”
“Amy…mi dispiace, avevo chiesto ad Ellen di chiamarti, dovevo immaginare che non l’avrebbe fatto.”
Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Quello e il fatto che la diretta interessata fosse appena arrivata con la sua dannatissima espressione da superiore.
“Oh, sei arrivata.”
Mi alzai dando le spalle a Jens e fissandola dritto negli occhi “Sì, non grazie a te a quanto pare. Senti, io lo capisco ok? Tu vuoi bene a Jens ma sai cosa? Anche io tengo a lui, molto e non ho nessuna intenzione di andarmene perché tu ti ostini a farmi degli stupidi dispetti, puoi continuare a prendermi in giro o a guardarmi male quanto vuoi, ma se mi nascondi di nuovo una cosa del genere conoscerai un lato di me che poche persone conoscono è chiaro?”
“Io…”
“Come ti saresti sentita se ti avessero tenuto nascosto che Kate aveva avuto un incidente?”
Finalmente abbassò lo sguardo senza dire nulla.
“Io non me ne vado. Jens dovrà prendermi a calci per farmene andare e non sono nemmeno sicura che basti quello. Quindi, ti prego Ellen, puoi evitare di metterti in mezzo?”
Lei deglutì a vuoto e poi annuì “Mi dispiace, sono stata una stronza, forse posso darti un’occasione. Ma se lo fai soffrire, anche tu conoscerai un lato di me che conoscono poche persone.”
Diede un’ultima occhiata a Jens e uscì dalla stanza richiudendo la porta.
Lasciai andare il respiro che avevo trattenuto fino a quel momento e mi lasciai cadere sulla sedia nera accanto al letto, Jens mi guardava con la testa leggermente inclinata e uno stupido sorriso sul volto “Cosa?”
“E così: tieni a me eh?”
Non riuscii a trattenermi e sbuffai una risata “Sei un’idiota, e io ti odio.”
“Sì, anche io.”
“Ti hanno già detto quando ti dimetteranno?”
“Vogliono tenermi qui un paio di giorni sai, si sono affezionati a me ormai.”
“Vieni davvero qui una volta al mese?”
“Sì, è il minimo, gli incidenti capitano piuttosto spesso visto il lavoro che faccio.”
“Dovrò abituarmi all’idea di venire in ospedale più spesso allora.”
E lui sorrise e in quel momento decisi che volevo vedere quel sorriso per il resto della mia vita.
 



 
"A Pasqua siamo tutti più buoni(?) a chiunque lasci un parere sarà regalata una scorta inifnita di uova di ciccolato"





 

Angolo autrice
Salve pulcini(?) si avvicina pasqua *fissa le uova tremare sugli scaffali*
Dunque olggi vado di frettissima *che novità -.-* questo capitolo (insieme al prossimo) è uno dei più corti della storia ma servono per ciò che deve accadere e sì, ci saranno dei piccoli e grandi salti temporali e sto ponderando se pubblixare la os a parte o aggiungerla come un doppio epilogo ç__ç non lo so.
Vabbe grazie di cuore a tutti voi tutti tutti tutti e baciotti speciali alle mie adorae che recensiscono v__v sìsì ve li meritate tutti tutti
A sabato prossimo
<3

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Capitolo 11
*** XI ***


XI
 




Erano passati diversi mesi da quel giorno e io e Jens stavamo ufficialmente insieme e le cose con Ellen –anche grazie a Kate- si erano calmate, insomma non sembrava più volessimo ucciderci a vicenda ecco.
Le cose tra me e Jens andavano bene, non che fossero sempre rose e fiori eh, io e lui avevamo caratteri diametralmente opposti che ci spingevano ad avvicinarci e allontanarci continuamente, eravamo come due calamite i cui poli a volte si invertivano facendoci perdere la bussola.
Capitavano giorni in cui litigavamo per tutto: non mi aveva risposto per tutto il giorno, avevo dimenticato di dare da mangiare al suo gatto, aveva lasciato bruciare un’intera teglia di biscotti e insomma, cose così, sicuramente stupide e che ormai facevano parte della nostra quotidianità. Dopo quelle ‘litigate’ ci tenevamo il broncio a vicenda per alcuni minuti, nel peggiore dei casi ore e poi crollavamo entrambi, non che ci scusassimo o altro, semplicemente uno dei due iniziava a ronzare intorno all’altro senza perdere occasione per sfiorarlo in modo del tutto casuale e poi improvvisamente iniziava ad abbracciarlo senza lasciarlo più andare fino a che l’altro non cedeva e facevamo pace.
Jens diceva che questa stupida e zuccherosa abitudine era tutta colpa mia, e cercava di essere serio mentre lo diceva ma, il fatto è che spesso lo diceva mentre era intento ad abbracciarmi il che smorzava un po’ il suo intento e il suo tono serio.
E stavamo bene, nonostante quello che all’inizio pensavo, io e Jens sembravamo fatti per stare insieme, tra noi non era stata attrazione fisica, e non era solo amore, era un vero e proprio senso di appartenenza reciproca e sensazione di casa.
Casa, ecco cos’era lui per me, potevo anche aver avuto una pessima giornata, clienti altezzosi, dolci sbagliati o semplici giornate no, non appena lo vedevo, non appena sentivo avvolgermi dalle sue braccia mi sentivo a casa, ed era una sensazione così intensa e profonda che avrei voluto non finisse mai.

 







Angolo uovo di pasqua.
Ma auguriii *^*
Ieri per tutta una serie di problemi non sono riuscita a pubblicare ma ne sono quasi felice così oggi posso farvi i miei auguri ^^
Parlando del capitolo, allora questo è quello che mi convince un po' meno dell'intera storia, diciamo che è un capitolo di passaggio decisamente troppo corto(infatti sto ponderando di postarvi anche l'altro capitolo a breve, magari domani come piccolo regalo pasquoso che dite?) e poi, mmm non so, avevo pensato di toglierlo ma allo stesso tempo racconta in modo introspettivo quello che è il loro rapporto e come si sta evolvendo, passo necessario siccome dal prossimo capitolo ci sarà un nuovo salto avanti ed entreremo nell altra parte della storia che fino ad ora si è strutturata sul primo appuntamento e su quelli seguenti, voluti o casuali, e ok, non so se sto dicendo cose sensae é___è ho mangiato davvero TROPPO cioccolato.
Come sempre vi ringrazio tutti i nuovi arrivati i veterani(?) e chiunque abbia voglia e tempo di lasciarmi un commento, di leggere la storia e di inserirla in una categoria di efp *la me salta felice*
Baciotti cioccolatosi a tutti AH! se a qualcuno interessa questo è il mio gruppo su fb, in teoria dovrebbero esserci spoiler foto e parlate varie sulle storie, in pratica l'ho un po' abbandonato é_é ma nei miei buoni propositi(?) c'è tornare a scrivere e tornare ad occuparmi di ciò che mi piace. incrociate le zampotte e BOn ho parlato troppo vero? scusate ^^"
https://www.facebook.com/groups/326620830833595/

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Capitolo 12
*** XII ***


XII



 
 
Tra alti e bassi, giorni no e giorni felici erano passati due anni e io e Jens stavamo ancora insieme.
Era più di una settimana però che lui era strano, sfuggente e come in preda ad un continuo attacco di panico e io iniziavo a preoccuparmi.
E quello era il motivo per cui continuavo a fare avanti e indietro nella cucina di mia sorella mentre lei se ne stava seduta a tenersi l’enorme pancione tra le mani e a fissarmi sconvolta “Se continui così mi nascerà prematuro” Aria stava preparando una cioccolata calda e dei salatini ricoperti di formaggio per mia sorella –sì, la gravidanza le portava strane voglie- “Non capisci: Jens è un libro aperto per me chiaro? E adesso è come se…e se volesse lasciarmi?”
Aria alzò gli occhi al cielo borbottando di quanto fossi melodrammatica “Tesoro, sono sicura che non vuole lasciarti.”
“E come fai a dirlo eh?”
“Ragiona: lui è amico di Matt no? Se volesse lasciarti ne avrebbe parlato con lui no? E Matt l’avrebbe detto a Aria che l’avrebbe detto a te.”
Aria annuì perfettamente d’accordo mentre versava la cioccolata in eleganti tazze di porcellana “E se invece non ha detto niente a Matt perché sapeva che l’avrebbe detto ad Aria e che lei l’avrebbe detto a me?”
Entrambe mi fissarono alzando un sopracciglio con espressione scocciata “Amy, Jens è un uomo.”
“Davvero? Perché in tutto questo tempo non me ne ero accorta.”
“Quello che Aria vuole dire è che Jens è un uomo e gli uomini non fanno ragionamenti così contorti.”
“E se…”
Aria sbuffò prendendo per sbaglio un salatino di mia sorella al posto dei biscotti e inzuppandolo nella cioccolata “Stasera appena lo vedi gli dici che dovete parlare e glielo chiedi. È una settimana che ti sento angosciarti per questa cosa, ora basta tergiversare!”
 
Quando tornai a casa quella sera lui non era ancora rincasato –sì, ci eravamo trasferiti nel mio appartamento appena Aria si era decisa ad andare da Matt e sì, il gatto di Jens era compreso nel pacchetto ma più che altro io e lui ci ignoravamo quindi andava bene- così mi feci una lunga doccia riflettendo su quella settimana, ero sicura che prima del cambio repentino di Jens non fosse successo niente di strano o negativo, e allora cosa? Poteva davvero aver cambiato idea così improvvisamente su di noi? Cosa diavolo gli stava succedendo?
Continuavo ad arrovellarmi su una giustificazione possibile quando Jens tornò a casa buttandosi sul divano senza nemmeno guardarmi. Erano due giorni che non ci vedevamo perché aveva il doppio turno a lavoro ed era rimasto in caserma.
Mi avvicinai a lui lentamente appoggiandomi sul bracciolo e accarezzandogli i capelli “Ehi”
Lui voltò appena il volto fissandomi con gli occhi verdi pieni di stanchezza “Ehi, non rimanevi da tua sorella?”
“No, l’ho fatto ieri, tutto bene a lavoro?”
“Sì, il solito.”
Continuava ad evitare di fissarmi rispondendomi con un tono stranamente freddo e alla fine sbottai “Ok senti: dillo e facciamola finita.”
Lui si alzò lentamente fissandomi confuso “Dirti cosa?”
“Oh andiamo Jensen, ti conosco so che devi dirmi qualcosa quindi dimmela e basta!”
Incrociò le braccia al petto e sospirò profondamente e in quel momento ero sicura volesse lasciarmi, insomma Aria e mia sorella potevano dire quello che volevano ma lui stava per lasciarmi lo sapevo.
“Amy, so che potrebbe sembrare prematuro, io, io nemmeno ci tengo a queste cose ma, due settimane fa te ne ho parlato ricordi? C’è stato quell’incendio in centro e quel ragazzo ha perso la donna che amava e noi non potevamo nemmeno dirgli nulla perché non era un familiare e, voglio dire ci avevo già pensato ma mi dicevo che era un’idea stupida che era presto e forse non siamo pronti per questo. Però sai? Viviamo comunque insieme e ci amiamo voglio dire…ti amo e se credessi a quella cosa delle anime gemelle giurerei che tu sei la mia e so che voglio passare il resto della mia vita con te e Dio non lo sto dicendo nel modo giusto vero? È che volevo altro tempo per pensare a come fare ma tu, tu capisci sempre tutto e non ho aspettato perché non ne sono sicuro ok? Ho aspettato perché volevo farlo bene e ah fanculo, sposiamoci.”
Ero rimasta ad ascoltare le parole di Jens mentre lo vedevo agitarsi e fissare il pavimento indeciso su come muovere le mani, il mio cuore batteva e si era fermato un paio di volte confuso e stranito “TU sei un grandissimo idiota!”
Indietreggiò appena mentre io gli colpivo il braccio “Tutto questo tempo e, oh mio Dio ho pensato volessi lasciarmi e sono stata malissimo e Dio quanto ti odio!”
Deglutì un paio di volte mentre i miei colpi si calmavano “Sarebbe un sì?”
“E’ assolutamente un sì!”
 
E ovviamente Aria era impazzita, e mia sorella era impazzita ed erano entrambe avvolte da questo misto di incredulità e felicità.
Forse qualcuno avrebbe potuto dire che era troppo presto ma in realtà a me sembrava semplicemente perfetto.
Chiariamoci però, io non ero mai stata una di quelle bambine che sognava il matrimonio disegnandosi l’abito bianco, io ero più quella che si rotolava nel fango insieme ai suoi amici e che catturava lucertole e ragni, non avevo mai pensato al matrimonio, non avevo mai associato nessuna delle mie relazioni col matrimonio ma con Jens sembrava essere un passo naturale, come se fosse ovvio che ci saremo sposati e quindi non importava il tempo era semplicemente giusto.
L’unica cosa che mi preoccupava era proprio l’abito.
Diciamo che non solo non mi ci vedevo ma non riuscivo nemmeno a pensare che avrei mai trovato qualcosa.
Ovviamente Aria si era proposta –e per proposto intendo dire che non mi aveva nemmeno lasciato scelta- di portarmi in giro per negozi e cercare insieme l’abito perfetto, in condizioni normali sarebbe venuta anche mia sorella, soprattutto dopo il suo: ‘E io che temevo nessuno avrebbe voluto sposarti’ ma era al sesto mese di gravidanza, il bambino aveva fatto i capricci e doveva riposare per non compromettere la gravidanza.
E così mi trovavo in un bar del centro a girare e rigirare il mio the alla menta mentre Aria stilava caratteristiche su caratteristiche su un piccolo tovagliolo, caratteristiche che secondo lei ci avrebbero aiutato a trovare l’abito.
“Avete già pensato ad una data?”
“Pensavamo a dopo che sarà nata Lisa.”
“Mhmh un anno dopo, due forse tre? Quattro sarebbe perfetto così potrebbe portarvi le fedi.”
Finii il the e lanciai un’occhiata agli appunti scarabocchiati sul fazzoletto “In realtà pensavamo ad uno due mesi massimo.”
“Aspetta, cosa? Siete impazziti, è uno scherzo forse?! Due mesi? Due mesi?! Tesoro io in due mesi non affido nemmeno un bambino e tu vuoi organizzare un matrimonio!”
“Non hai appena paragonato il tuo lavoro al matrimonio vero? E comunque io e Jens vogliamo qualcosa di semplice niente di esagerato o spocchioso.”
“Bene! Perfetto allora potrebbe e dico forse, bastare un anno.”
“Aria, non voglio sposarmi tra un anno e due mesi saranno più che sufficienti, un matrimonio tranquillo con poche persone e solo l’essenziale.”
“Ma”
“Quando sarai tu a sposarti organizzeremo un matrimonio fantastico, a me basta poco davvero.”
Lei sembrò pensarci su sbuffando infine il suo disappunto e scuotendo la testa “Suppongo sia inutile insistere, ma voglio comunque occuparmi dell’organizzazione, rimarrò sul semplice lo prometto!”
“D’accordo, mi affido completamente a te.”
“Mio Dio, stai davvero per sposarti.”
“Tu pensi che stiamo correndo troppo?”
Mi prese la mani sorridendomi dolcemente “Io penso che quello che avete tu e Jens sia qualcosa di raro e straordinario e quando una persona trova un amore così non dovrebbe lasciarselo scappare, soprattutto visto quello che succede ultimamente nel mondo, quindi no non penso che voi stiate correndo, tu ne sei sicura?”
“Non sono mai stata così sicura in vita mia.”
“E allora fanculo tutto, vi sposerete, ti sposerai prima di me: chi l’avrebbe detto?”
“Io di sicuro no.”
“Va bene, bando alle ciance: alza il culo, l’operazione vestito bianco ha inizio.”
 
E non so se era una cosa normale -insomma non è che mi sposassi tutti i giorni- ma girammo praticamente tutti i negozi del mondo, misurato milioni di vestiti e non avevamo ancora uno straccio di acquisto, in ogni vestito Aria trovava un difetto mentre io mi limitavo a rifiutare categoricamente quei vestiti troppo pomposi o brillantati e a fare mezzi sorrisi stentati a quelli che trovavo passabili. Il fatto era che la mia era una carnagione bianca e bianco su bianco era qualcosa di inguardabile quindi, anche il più bel vestito che avevo misurato non mi convinceva.
Ci eravamo quasi arrese per riprovare il giorno dopo quando, sapete come succede? Percorri la stessa strada tutti i giorni e pensi di conoscerne ogni centimetro e poi un giorno, ecco che spunta qualcosa di completamente inaspettato che ti fa bloccare e  chiederti come avessi fatto a non accorgertene prima.
Quello era il nostro caso, perché proprio sulla strada di casa notammo un piccolo e invitante atelier. Aria voleva ignorarlo ‘Se i grandi negozi non avevano niente figuriamoci questo puntino nel nulla.
Ma io mi sentivo quasi attirata verso quel posto e quindi decisi che un’occhiata non poteva certo farci male.
E fu amore a prima vista.
Insomma già il negozietto era delizioso con una tenera vecchina tutta capelli grigi e spilli che ci sorrideva accogliendoci nel suo luogo sacro con una tazza di the fumante, ci fece accomodare su delle poltrone color avorio e mi squadrò per alcuni minuti, poi annuì soddisfatta e sparì dietro ad una tenda.
“Credo sia pazza.”
“Aria smettila, è stata molto carina.”
“Aveva il the caldo pronto come se aspettasse qualcuno, chi è che ha il the caldo? E se fosse una di quelle vecchie megere?”
“Ma la pianti? Rilassati sarà andata a prendere i vestiti.”
“E se invece è andata a prendere corde e coltelli?”
La ignorai perché l’anziana signora era tornata ma non aveva vestiti con se, o meglio ne aveva solo uno. Mi tese la mano conducendomi poi in quello che doveva essere il camerino e richiuse la tenda sorridendomi bonariamente, fissai il vestito mentre sentivo la gola seccarsi e una strana stranissima sensazione prendere piede dentro di me, alla fine scossi la testa e mi decisi ad indossarlo.
Quando uscii fuori la signora aveva aggiunto dei biscotti al the e sia lei che Aria si bloccarono fissandomi come incantate e io mi guardai allo specchio e mi sentii stupida perché stavo per commuovermi per un abito.
Ed era ciò che volevo: semplice ma pieno di vita, aveva un corpetto senza spalline decorato con delle piccole roselline in pizzo mentre la gonna cadeva liscia con una piccola onda che le dava un movimento armonioso ed era avorio e non di un pallido bianco.
Era semplicemente perfetto, quel posto era stato come un segno del destino e quell’abito era definitivamente il mio.
 
Dopo l’abito tutto aveva preso una piega frenetica ogni giorno passava troppo velocemente e così senza nemmeno accorgercene era nata Lisa con i suoi capelli neri, gli occhi grigi e le sue piccole mani bavose che ci salutava con i suoi adorabili borbottii.
E tra una cosa e l’altra era anche arrivato il fatidico giorno: il giorno del matrimonio.
Ed era normale essere nervosi no? Voglio dire non ci si sposa tutti i giorni, un minimo di preoccupazione è più che giustificabile no?
Senza contare che la sera prima Aria aveva deciso che per l’addio al nubilato dovevo fare parecchie cose stupide – tra cui bere tequila versata su uomini mezzi nudi- e quindi mi ero risvegliata con un allucinante mal di testa e un biglietto della mia amica che mi informava che quello era il gran giorno –come se avessi davvero potuto dimenticarlo- e che lei era andata ad assicurarsi che tutto fosse pronto.
Così sola e abbandonata decisi che una doccia poteva essere la soluzione a parte dei problemi e di fatti mi rilassò notevolmente.
Appena uscita mi accolse il campanello che iniziò a trillare come un matto, convinta fosse Aria mi coprii con un asciugamano ed andai ad aprire.
“Che ci fai tu qui?”
“Mi mancavi.”
“Jens, è tradizione che l’uomo non veda la futura moglie il giorno delle nozze.”
Lui fece per entrare ma io chiusi un po’ di più la porta
“La tradizione dice che non bisogna vederla con indosso l’abito e tu non mi sembri vestita anzi…”
“Sei un’idiota, ti odio.”
“Oh sì anche io, ti odio così tanto che sto per sposarti.”
“Sei ancora in tempo sai?”
Alla fine era entrato e aveva iniziato a sfiorarmi i capelli bagnati “Sì eh? Andrò a noleggiare un cavallo bianco e scapperò appena metti piede in chiesa.”
“Osa farlo e ti troverò ovunque tu vada per ucciderti nel modo più atroce possibile.”
“Siamo già alle minacce eh?”
“Sì, direi di sì.”
Iniziò a baciarmi il collo schiacciandomi contro la parete “Jens”
“Dovremo concederci un ultima volta da celibi sai?”
“Abbiamo già avuto la nostra ultima volta e ci stiamo per sposare non per sigillarci con delle cinture di castità”
“Sì, ma dicono che il matrimonio consumi la passione e io già non ricordo com’è, è tutto così sfocato credo di aver bisogno di un ripasso!”
“Sei un’idiota.”
E me lo tirai contro fino ad arrivare al letto, in fondo era il nostro matrimonio, gli altri avrebbero aspettato.

 
 






Angolo Pasquettoso
Ciao ovetti! Come vi avevo detto ieri vi pubblico anche il dodicesimo capitolo, quello di prima era davvero troppo troppo corto per i miei gusti. v_v
come vi avevo già accenato in 1uesto capitolo si ha un salto avanti considerevole, e andrà così fino alla fine della storia(a breve, sì sta per finire ç___ç)  nel prossimo capitolo arriverà un personaggino fondamentale ma non vi dico se sarà positivo o negativo v__v eeeee niente, vi lascio alla vostra pasquetta.
Grazie come sempre alla mia mamy Supernova, RosaRosa, Shane_lilith_riddle,loveinfinite, e la nuova arrivata Rose6 Grazie a tutte per le vostre recensioni.
vi mando baciotti e altre uove cioccolatose che non sono mai abbastanza!
<3

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Capitolo 13
*** XIII ***


XIII



 
 
E andava tutto bene ma questo non voleva certo dire che fosse sempre tutto rosa e fiori.
Anche noi avevamo i nostri giorni no e anche noi litigavamo come ogni coppia.
Una delle litigate più grandi, insomma la litigata con la L maiuscola avvenne circa due anni dopo il nostro matrimonio: era iniziato come un giorno qualunque e, voglio dire, non è che le persone si risvegliano programmando una litigata, avevamo fatto colazione come ogni giorno e come ogni giorno lui mi aveva baciata prima di andare a lavoro.
Quanto a me, quello era il mio giorno libero, mia sorella era ripartita già da un mese ormai e così avrei passato il mio tempo a casa di Aria. Quindi mi vestii preparai un vassoio di cupcake e andai da lei, senza minimamente pensare che tutto quello potesse cambiarmi in qualche modo la vita.
 
 
 
“Aria?”
“Sono in salotto: vieni”
Lasciai la borsa e il vassoio in cucina “Ho fatto dei cupcake alla banana per provare a- e quello cos’è?”
Lei si voltò continuando a fare uno strano balletto improvvisando una canzoncina mentre, in braccio se ne stava un piccolo paffuto bimbo che continuava a piangere senza sosta. “La gente normale li chiama bambini, sai? Sono come noi adulti ma molto piccoli.”
“Stupida, so cos’è un bambino. Ma perché tu hai un bambino? Credevo che cercassi famiglie per i bambini non che te li portassi a casa, o mio Dio è tuo? L’hai nascosto per tutto questo tempo vero?”
Lei alzò gli occhi al cielo sbuffando rumorosamente “Senti, ti prego aiutami: prendilo, io devo cambiarmi: sono piena di vomito.”
E così dicendo mi mollò il bambino che tutto rosso in viso continuava a piangere “Aria? Io non so che fare, riprendilo ti prego.”
“Ma no, stai andando benissimo! Lui è Tommy e gli piace quando la gente canta quindi: forza Ariel canta!”
Fu il mio turno di sbuffare mentre Aria spariva dietro una porta, mi misi a cantare una vecchia canzoncina che mi cantava sempre mia madre e dopo poche parole, incredibilmente, il bimbo smise di piangere per guardarmi con i suoi grandi occhi verdi e lentamente si addormentò.
Quando Aria tornò qualche minuto dopo –con una nuova maglietta e i capelli legati- mi trovò seduta sulla poltrona intenta a fissare quel piccolo bimbo che dormiva come un angioletto tra le mie braccia:
“O mio Dio.”
Fissai Aria perplessa “Cosa?”
“E’…mio Dio”
Roteai gli occhi attenta a non fare movimenti bruschi per non svegliare il piccolo “Vuoi farti suora per caso?”
“No è che, è che: saresti perfetta!”
Fissò prima me e poi Tommy sorridendo soddisfatta.
“Oh no, no no io non credo proprio.”
“Ma guardalo! Praticamente ti ama!”
“Aria, spero tu stia scherzando, è un bambino non puoi farmelo adottare perché in braccio a me si è addormentato.”
“Sì, lo so non sono così stupida, però sai potresti fare una cosa, una cosa che aiuterebbe davvero tanto la tua miglior amica del cuore.”
Sbuffai ancora, quando faceva così era insopportabile “Cosa?”
“Potresti tenerlo come una specie di mamma provvisoria in attesa della vera mamma ecco.”
“Non esistono centri appositi per questo?”
“Sì ma, senti la sua situazione è complicata ok? Finirà in orfanotrofio se non gli trovo una sistemazione e, il padre era uno spacciatore e la madre ha pensato bene di lasciarlo in un cassonetto come un dannato rifiuto e, un bimbo come lui la trova subito una casa e pensavamo di esserci già riusciti ma la coppia che avevamo scelto si è rivelata con più scheletri nell’armadio di quanti volessero mostrarne e quindi dobbiamo fare delle indagini e nel frattempo dovrebbe stare all’orfanotrofio ma lui è così piccolo e ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino perché deve prendere alcune medicine e, davvero Amy ti chiedo solo una settimana.”
“Ma come farò con il lavoro?”
“Ti aiuterò io: promesso e davvero farò l’impossibile per trovare la famiglia perfetta per Tommy.”
“Una settimana?”
“Massimo due sì.”
Fissai il bambino, così piccolo e già ne aveva passate così tante, lui sembrò quasi percepire il mio sguardo e aprì leggermente la manina aggrappandosi poi ad una ciocca dei miei capelli “Jens mi ucciderà.”



 
 
Ogni giorno nel mondo un'autrice pubblica una storia aspettando con trepidazione pareri e consigli.
Non restare indifferente, lascia anche tu una recensione.
Farai felice milioni di persone(?).

 


Angolo timidezza(?)
Oggi sono particolarmente imbarazzata, cioè ogni volta che pubblico qualcosa non mi aspetto mai nulla e poi trovo gente meravigliosa come voi e io un po' mi commuovo sì T^T quindi sarò ripetitiva ma lasciate che vi dica un grosso GRAZIE a tutti voi.
E niente, vorrei dire che ieri ero super impegnata ma in realtà ho passato la giornata ad essere convinta che fosse venerdì .-.
sono stupida lo so.
Ecco il personaggio che tanto aspettavate(?) Tommy, è un bambino sì v,v a chi mi ha seguito in passato il suo nome potrebbe essere familiare e in effetti uno dei protagonisti di 125 si chiama proprio Tommy e ho deciso di lasciare lo stesso nome in una sorta di omaggio XD Sono stupida lo so parte II.
Sono alla ricerca di prestavolti per Ellen Kate Aria e Julia é_é è una dura ricerca perchè ho un immagine precisa di loro in testa e trovare qualcuno di esistente che ci avvicini sembra essere difficile XD in ogni caso posterò le foto sul gruppo e se vorrete le mostrerò anche a voi oppure no, in effetti non ricordo se vi ho detto "chi sono" i miei Jens e Amy ma non so, magari preferite non saperlo e rimanere con le idee che vi siete fatti di loro ^^
E niente, ciarlo come al solito inutilmente -.-
Baciotti a tutti
alla prossima!

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Capitolo 14
*** XIV ***


 
XIV



 
 
Dovrei prima parlarne con Jensen. È un bambino non un cane e può anche essere solo per un giorno ma dovrei comunque parlarne con lui perché siamo sposati e parlare di queste cose dovrebbe essere qualcosa che le persone sposate fanno.
E continuavo a ripetermelo come un automa mentre nella realtà ero rientrata a casa con Tommy senza minimamente toccare il telefono nemmeno per controllare se c’erano chiamate perse.
E non è che poi arrivata a casa non ne avessi avuto il tempo, avrei potuto prendere il cellulare e chiamare Jens in qualsiasi momento, avrei anche potuto mandargli un messaggio visto che in quegli anni lo avevo aiutato a familiarizzare col telefono –forse un po’ troppo visto che non ci si staccava quasi mai nemmeno quand’era alla guida- ma niente, il mio intero essere si era categoricamente rifiutata di usare quel maledetto apparecchio elettronico.
Il punto era che io e lui non ne avevamo mai parlato, voglio dire: l’argomento figli non era mai stato toccato per cui non avevo la minima idea di come potesse reagire.
E sì, Aria aveva detto solo un paio di settimane eppure io continuavo a sentire questo nodo allo stomaco che proprio non voleva andare via.
 
Quando Jens tornò, verso sera, Tommy era nel pieno di una crisi di pianto.
“Perché sento un bambino piangere dal pianerottolo?”
E quando entrò nel salotto e mi trovò intenta a cantare una ninna nanna alzò entrambe le sopracciglia fissandomi confuso “A quanto pare dovrei chiedere perché c’è un bambino nel nostro salotto.”
Senza sapere perché –e forse era la vergogna e la frustrazione per non riuscire a calmare il bimbo- arrossii sbuffando aria dal naso “Posso spiegare.”
“Sì, è proprio quello che spero.”
Lui si appoggiò alla porta incrociando le braccia al petto mentre io continuavo ad agitarmi con Tommy tra le braccia “Aria gli sta trovando una famiglia affidataria e mi ha chiesto, ecco solo per un paio di giorni, insomma di aiutarla.”
Jens inclinò la testa mentre le sue sopracciglia si corrucciavano sempre di più “Quindi, immagino verrà a prenderlo tra poco?”
“Ecco, insomma, una settimana.”
“Una cosa?”
“Massimo due, Jens è una situazione complicata devi capire che-”
“Oh ma io capisco, capisco che Aria non riesce a trattare questo bambino come gli altri e che tu ti sei fatta coinvolgere in qualcosa più grande di te e che non hai nemmeno chiesto la mia opinione.”
Alzai gli occhi al cielo e davvero era stato buono fino a quel momento, perché doveva piangere proprio ora e rendere tutto più difficile?
“Hai ragione, avrei dovuto chiamarti ma non l’ho adottato, sarà per un paio di settimane.”
“Sapete che state parlando di un bambino, vero? Avete pensato a come si sentirà lui ad essere sballottato da un posto all’altro?”
Si allontanò raggiungendo la stanza e io lo seguii “Jens mi dispiace, davvero non ho pensato, se tu potessi ascoltare tutta la storia e, che stai facendo?”
Mentre parlavo lui si era tolto la maglia mettendosene una pulita e aveva indossato la giacca “Esco.”
“Jens.”
“Amy, non voglio litigare con te, ma non, non siamo pronti per questo.”
“Non lo stiamo adottando.”
“Come se non sapessi come andrà a finire.”
“No non lo sai infatti e non lo so nemmeno io ok? Possiamo parlarne?”
“Non mi sembra tu ne abbia parlato con me quando potevi, facciamo così, fammici pensare…no! Ed è la mia risposta definitiva.”
Continuai a seguirlo mentre raggiungeva la porta d’entrata mentre sentivo le gambe tremarmi leggermente e la voce incrinarsi “Non stai davvero andando via.”
“Ho bisogno di una boccata d’aria, trova una soluzione ok?”
E uscì dalla porta chiamando l’ascensore aggiungendo poi, senza nemmeno voltarsi “E dagli da mangiare prima che perda tutta la sua voce.”
E in pochi minuti mi ritrovai da sola con la voglia di piangere.
Ma Tommy continuava a urlare, quindi tornai dentro, ricacciai indietro le lacrime e gli preparai del latte, dopo un po’ si addormentò placidamente con ancora la bottiglia tra le piccole manine.
Sospirai stanca e con cura lo adagia sul letto circondandolo con dei cuscini e ok, avevo sbagliato, non era certo una cosa da poter essere portato in casa senza nessuna conseguenza e sì, non ne avevamo mai parlato e probabilmente non eravamo ancora pronti per quello ma, insomma, non gli avevo chiesto nulla, solo di ascoltare la storia e di ‘sopportare’ la sua presenza per un paio di settimane, c’era davvero bisogno di avere una reazione così esagerata?
Forse c’era qualcos’altro ma in quel momento non potevo fare a meno di pensare di aver sposato un completo idiota.
Rimuginando e sbuffando mi addormentai risvegliandomi alle sei del mattino seguente, stranamente Tommy dormiva ancora mentre di Jens non c’era nessuna traccia, presi il telefono mandando un messaggio a Matt chiedendogli se fosse con lui e provai a chiamare Aria.
“Se non fossi la persona più importante che ho verrei la e ti ucciderei per avermi chiamato a quest’ora.”
E non volevo piangere, perché davvero non volevo fare la parte della bambina ma non potei impedire ad un gigantesco blocco di otturarmi la gola “…Aria…”
Sentii un fruscio dall’altro capo del telefono segno che si era alzata dal letto “Tesoro, che succede?”
“Matt è lì con te?”
“Sì, sta dormendo come un ghiro, Amy, non farmi preoccupare: che succede?”
“Jens è, lui è andato via.”
Potei quasi immaginarmela mentre inclinava la testa cercando di capire le mie parole “Andato via? Che vuol dire che è andato via?”
“Lui ha detto che usciva e non è ancora tornato e abbiamo litigato e Aria…ho fatto un casino.”
“Sì è arrabbiato per Tommy?”
“Sì.”
“Gesù Amy, mi dispiace, dammi il tempo di vestirmi e vengo a riprenderlo ok? Credevo si sarebbe arrabbiato ma non così tanto”
“Nemmeno io” fissai il piccolo fare alcuni movimenti nel sonno e gli carezzai la testa, era assurdo da dire ma dal primo momento in cui l’avevo preso in braccio avevo sentito qualcosa, come una scossa sottopelle che percorreva il mio corpo arrivando dritta al cuore e ne avevo visti di bambini, e la figlia di Julia –mia sorella- era adorabile e l’avevo adorata fin dal primo momento ma quello, quello era qualcosa di strano e inspiegabile che non mi era mai successo prima. “Non voglio che tu venga a prenderlo.” La verità era che era passato a stento un giorno ma l’idea di doverlo dare via mi provocava un’ansia assurda.
“Intendi adesso o anche in futuro?”
“Intendo…non lo so ok? Dovrei parlarne con Jens ma lui non c’è ed è stato chiaro e…Dio Aria, è una follia vero?”
“Forse, o forse era destino?”
“Bel destino.”
“Ascolta, cerca di calmarti ok? Magari Jens era arrabbiato anche per altri motivi, magari il suo è stato uno sfogo, appena torna cerchi di parlarci ancora ok?”
“Sempre se tornerà.”
“Certo che tornerà, non ti lascerebbe mai così.”
“Ok, ti faccio sapere.”
“Ti voglio bene.”
“Anche io.”










Angolo tenero(?)
E dunque eccoci qui, vi annuncio miei cari che questo è in teoria il penutilmo capitolo (in teoria perchè in pratica c'è sempre quella famosa os che per me chiude il cerchio a tutto e di cui vi parlerò nel prossimo capitolo.
E' stato un lungo(?) viaggio ragazzi miei(?) ma come tutto anche questa storia ha avuto un inizio e ha una fine.
E niente, ci tenevo che questo capitolo finisse così, con questa chiacchierata tra le due donne che adoro, spero che il rapporto tra Aria e Amy sia rimasto evidente perchè sì, questa è una storia d'amore, ma per me l'amicizia rimane fondamentale e Aria per me è l'amica che tutti vorremmo avere e spero di aver fatto capire l'affetto che lega le due.
Nel prossimo capitolo avremo la chiusura di tutto, Tommy, Jens Amy, tutti i nostri personaggi (più o meno) avranno un loro punto e ah nel prossimo capitolo scoprirete anche perchè questa storia si chiama Dove cadono i fulmini ^^
E niente, (quante e ho detto??) pubblico oggi che è mercoledì perchè oggi è una giornataccia perchè avevo bisogno di entrare qua dentro e niente, un grazie a tutti voi che mi seguite, non sapete davvero quanto conti per me avervi!
<3

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Capitolo 15
*** XV ***


XV


 
 
Io e Tommy avevamo passato l’intera mattinata insieme ed era davvero un bambino fantastico e tranquillo: si addormentava in braccio o rimaneva a fissarmi mentre facevo qualcosa comodamente steso sul letto stendendo poi le braccia verso di me quando avevo finito. Era come se quello non fosse solo il secondo giorno che passavamo insieme ma come se ci conoscessimo da una vita: io capivo i suoi gesti e lui si adattava a ciò che dovevo fare.
Tra una cosa e l’altra continuavo a chiamare Jens che, ovviamente, non mi rispondeva. Mi ero quasi rassegnata quando, verso le due, sentii la porta aprirsi, Tommy dormiva tra le mie braccia e io rimasi seduta sulla poltrona fissando Jens evitarmi per tutto il tempo. Solo dopo diversi minuti iniziai a parlare “Puzzi di alcol.”
“Tu puzzi di bambino, oh ma guarda è perché c’è ancora un bambino.”
“Sei un’idiota.”
“E tu sei una bambina, una bambina che crede di potersi prendere cura di un bambino, non senti come suona assurda questa frase?”
Cercai di rimanere calma moderando anche il tono di voce per non svegliare Tommy “Si dia il caso che questa bambina ha badato a lui per due giorni completamente da sola, occupandosi della casa e cucinando anche dei cupcake per la signora al piano di sopra sempre da sola visto che il marito della bambina ha deciso di fare l’idiota.”
Lui mi fissò senza addolcire lo sguardo “Credevo ne avessimo parlato.”
“Credevo decidessimo insieme e non che tu fossi uno di quei mariti che credono di comandare su tutto. E sì, lo so di averlo portato qui senza dirti niente e ti ho già chiesto scusa per quello.”
“Non possiamo tenerlo.”
“Perché no?”
“Perché si?”
Ci fissammo ancora rimanendo perfettamente in silenzio fino a quando Tommy non scoppiò a piangere.
“Ecco perché”
Lo fissai allibita mentre iniziavo a cullare il piccolo “Perché piange? Che sorpresa Jens: i bambini piangono e chi sa perché lui piange solo quando ci sei tu, sa che lo odi.”
“Oh andiamo! Non lo odio mica, non lo conosco nemmeno.”
“Certo perché te ne sei andato, hai preferito passare la notte in un qualche bar in compagnia di chi sa chi piuttosto che rimanere con me e cercare di capire tu, sei un’idiota.”
E le lacrime che avevo trattenuto fino a quel momento decisero di uscire fuori aggiungendosi a quelle di Tommy, piangemmo entrambi per alcuni minuti, fino a che Jens, roteando gli occhi, si avvicinò a me, prendendo con dolcezza Tommy tra le braccia e cullandolo dolcemente fino a che non si calmò.
Tirai su col naso fissando la scena “Sei bravo con i bambini.”
Non era una domanda era più un costatare qualcosa che, chi sa perché, non sapevo ma in fondo non si dice forse che non si conosce mai davvero qualcuno?
“Sono bravo con i bambini.”
Cercai di asciugarmi gli occhi con la manica della maglia sedendomi a debita distanza da lui ma sempre sul letto “Perché?”
“All’orfanotrofio c’è sempre qualcuno di più piccolo di te di cui prenderti cura.”
Ecco una cosa di cui Jens non parlava mai: il suo periodo all’orfanotrofio, una volta ci avevo provato a chiedergli qualcosa ma lui aveva cambiato così rapidamente discorso da farmi capire che non era aria.
“Certo.”
Lui sospirò fissando Tommy ciucciarsi il pollice “Cos’è che dovrei capire?”
“Niente.”
“Amy…e per la cronaca, non ho affatto passato la notte in un bar ma davanti la porta di casa: ero troppo ubriaco.”
“Sei un’idiota.”
“Sì lo sono”
E per la prima volta dopo quello che mi sembravano secoli ci concedemmo una piccola risata liberatoria. “Me lo dici cosa dovrei capire?”
Iniziai ad attorcigliarmi i capelli nervosamente, il punto era che non sapevo nemmeno io come spiegarglielo “Quando ci siamo conosciuti ho detto di odiarti.”
“Oh sì, lo ricordo.”
“Credevo tu fossi un’idiota arrogante e antipatico però, ecco nonostante questo appena ti ho visto ho sentito questa specie di brivido come, come una scossa e continuavo a sentirla ogni volta che ti vedevo e ogni volta era sempre più forte, come se l’universo volesse dirmi: ehi! Svegliati, lui è tutto ciò che desideri, che aspetti? E, lo so che è assurdo e stupido e prematuro e…solo che ogni volta che guardo lui io, io sento lo stesso brivido, la stessa scossa e, io non posso obbligarti e non posso adottarlo da sola e insomma Aria gli troverebbe una famiglia fantastica però se ci penso io, mi si blocca il respiro e non riesco più a pensare.”
Jens passò un dito sulla piccola fronte di Tommy che emise qualche gorgheggio “Te ne sei proprio innamorata eh?”
“E’ stupido?”
“No, non lo è…Ellen e Kate impazziranno di felicità.”
Spalancai gli occhi “Vuoi dire che…”
“Voglio dire che, ti amo e tu mi ami e non trovo motivi sufficienti per non adottarlo.”
Mi morsi il labbro e alla fine gli buttai le braccia al collo attenta comunque a Tommy “Frena l’entusiasmo, dovremo comunque passare il controllo degli assistenti sociali, non penso affideranno il caso ad Aria visto che è tua amica quindi non c’è niente di sicuro.”
“Lo so, ma ci proveremo.”
“Insieme sì.”
“Insieme.”
 
 
 
 
Gli assistenti sociali ci concessero un mese di prova, mese in cui Tommy aveva pensato bene di beccarsi la febbre anche a causa delle sue difese immunitarie basse, ma nonostante questo io e Jens eravamo riusciti a destreggiarci bene, lui aveva chiesto al suo capo di cambiare i turni mentre io riuscivo a gestire il negozio anche da casa e quando proprio non potevo c’erano Aria, Kate ed Ellen che facevano a gara per occuparsi del piccolo adorabile mostriciattolo –come lo chiamava Kate prima di riempirlo di baci- e, una volta finito il mese avevamo ottenuto l’affidamento e ci sentivamo completi e soddisfatti. La nostra non era una vita perfetta ma in fondo la perfezione è sopravvalutata, no? Però era sicuramente una vita fantastica e piena d’amore.
 
Il tempo non concede tregue e passa sempre inesorabile, arrivò così il diciotto gennaio ovvero il primo compleanno di Tommy, compleanno che decidemmo di festeggiare in una casa –di proprietà di Ellen- in riva al mare e fu lì, in quel giorno, dopo che tutti i nostri amici erano andati via, che Jens mi prese per mano mentre cercavo di sistemare parte del disordine, facendomi sedere sul vecchio dondolo che stava fuori al piccolo portico, mentre sul mare iniziavano a raggrupparsi enormi nuvoloni e in lontananza si sentivano i rombi dei tuoni, segno evidente che presto si sarebbe scatenato un bel temporale.
“Quando un fulmine colpisce la sabbia crea qualcosa di unico, raro e fragile chiamato folgorite.”
Lo fissai mentre lui continuava a guardare l’orizzonte di fronte a se e dopo qualche minuto continuò “Sai cosa siamo io e te? Fulmine e sabbia, facciamo tanto casino da soli, siamo anche fastidiosi a volte, ma insieme, insieme creiamo qualcosa di fenomenale e se fossi un fulmine cadrei mille volte su di te rimanendo incantato dalla fantastica folgorite che abbiamo creato.”
“Folgorite eh? Da dove viene quest’idea?”
“Ti amo, credo che impazzirei senza di te e Tommy e tutto quello che abbiamo creato.”
Fulmine e sabbia, a pensarci era vero, Jens era entrato nella mia vita come un fulmine a ciel sereno, e da un incontro disastroso come il nostro non mi sarei mai aspettata niente di buono, e in fondo, se un fulmine cade sulla sabbia non ci si aspetta che crei qualcosa di meraviglioso no? E invece, non succede sempre, ma a volte si crea qualcosa che è pura poesia, folgorite, ecco cos’eravamo io e Jens, e in quel momento, su quel dondolo in riva al mare, ero sicura che niente ci avrebbe mai diviso, avevo l’assoluta certezza che io e Jens saremo stati insieme per sempre.
Per sempre.
 
 
 


Angolo dei fazzoletti.
E niente...siamo giunti alla fine... quando ho scritto questa storia alla fine ho pianto tutto le mie lacrime e badate bene che non lo dico tanto per dire, non mi succede con tutte le storie, di questa però sapevo il tanto temuto 'vero' finale e finire, arrivare a quel punto è stato estremamente doloroso e a distanza di tempo rileggerlo e rifarlo fa male allo stesso modo, non so se arriverà il giorno in cui leggerò questa storia senza piangere forse sì, ma non è quello il giorno ecco.
Parliamo un attimo della OS, ho preferito riproporla separata da questa storia per darvi una scelta: potete decidere che Dove cadono i fulmini finisca qui, con questo finale sereno, aperto ad una vita di possibilità.
oppure potete leggere la OS che per quanto mi riguarda chiude il cerchio di questa storia, per me Dove cadono i fulmini si conclude con quella OS.
Ma appunto vi lascio la scelta perchè poi potreste odiarmi XD no, perchè preferisco fare così, sappiate solo che il genere della OS è drammatico. Detto questo io vi lascio il link, a voi la scelta http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3099346&i=1
E infine GRAZIE, grazie a chi c'è sempre, a chi si è perso per la strada e a chi ritornerà, a chi si è messo in pari in un paio di giorni mandandomi adorabili messaggi su Wathz che mi riempiono il cuore di gioia, grazie a chi ha letto questa storia due volte, grazie a chi non l'ha fatto e a chi lo farà, a chi ha lasciato un segno su efp e nel mio cuore di piccola scrittrice pazza(?) e niente, grazie a tutti voi è stato breve ma con voi è stato un bellissimo viaggio, Amy, Jens Tommy, Aria, Julia, Kate ed Ellen vi salutano e vi mandano tanti bacini!
<3
LadyWolf

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