Hello, I love you, won't you tell me your name? di Chipped Cup (/viewuser.php?uid=279748)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I will always find you ***
Capitolo 2: *** Where are you, Jones? ***
Capitolo 3: *** Everything has changed ***
Capitolo 4: *** Strangers in the night ***
Capitolo 5: *** Silent insecurities ***
Capitolo 6: *** Operation Grimm ***
Capitolo 7: *** She's not your happy ending ***
Capitolo 8: *** London serenade ***
Capitolo 9: *** The power of love ***
Capitolo 10: *** I told you to be patient ***
Capitolo 11: *** Love that refuses to give up on us ***
Capitolo 12: *** Yo ho ho, and a bottle of rum! ***
Capitolo 13: *** Truth will out ***
Capitolo 14: *** Serendipity ***
Capitolo 15: *** Come back to me (Part1) ***
Capitolo 16: *** Come back to me (Part2) ***
Capitolo 17: *** In the wolf's lair ***
Capitolo 18: *** This is the end ***
Capitolo 19: *** Survive ***
Capitolo 20: *** Seven days ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** I will always find you ***
1. I will always find you
Nella mia vita ho avuto paura di perdere una persona cara così tante volte da perderne il conto. Ricordo il terrore provato vedendo Henry cadere a terra dopo aver mangiato la torta di mele di Regina. Il panico di vedere mia madre morire, uccisa dalla sua matrigna, e non poter far niente per evitarlo. In entrambi i casi ho cercato di non perdere la speranza: Henry poteva essere salvato, mia madre poteva non essere morta davvero. Ma questa volta è diverso, questa volta sto perdendo Killian Jones. Lo sto perdendo per sempre.
La tensione che si respirava nella cripta di Regina cominciava a stancarmi. Henry continuava a ripetere di voler unirsi a noi mentre Regina non smetteva di alzare la voce per dirgli che piuttosto lo avrebbe legato o rinchiuso nella tomba di suo padre; mio padre cercava di calmare la mamma, che sembrava sull'orlo di una crisi di nervi; Robin e Killian continuavano a ripassare il piano, tanto che davvero ne avevo la nausea, e Belle non faceva altro che scuotere la testa.
« Dovete far provare me, mi ascolterà vi dico! » Tornava a dire Belle, se non andavo errata quella doveva essere la sesta volta che lo ripeteva.
« E' finito il tempo delle parole, dolcezza » ribatté Killian tranquillo, girandosi nuovamente a guardarla « è tempo di passare all'azione. »
« Non funzionerà mai, è troppo forte per noi. Ci distruggerà senza che ce ne potremmo rendere conto. » Mia madre scoppiò in lacrime sotto gli occhi di tutti noi. Erano giorni che non la riconoscevo, da quando Gold era tornato al potere aveva perso anche l'ultimo briciolo di speranza rimasto in lei. Tutto ciò mi sconfortava, ma cercavo di non farlo vedere. Io e Regina eravamo le più forti, psicologicamente parlando, nessuna delle due poteva permettersi di crollare, sarebbe stato distruttivo per l'intera squadra.
« Smettila di piagnucolare, per la miseria! » Sbottò, ad un tratto, Regina, facendoci sobbalzare. « Io ed Emma riusciremo a togliergli ogni potere, fosse l'ultima cosa che facciamo quel verme lascerà questa città e smetterà di cercare il suo lieto fine distruggendo i nostri! »
Avevamo trovato l'incantesimo che faceva al caso nostro circa due giorni prima. Il piano, all'apparenza, risultava piuttosto semplice: Belle avrebbe fatto credere a Gold di voler abbandonare la città, intimandolo di fare lo stesso; lui sicuramente non ci avrebbe pensato due volte a raggiungerla sul confine e lì saremmo entrati in scena noi; Killian, Robin e mio padre avevano il compito di distrarlo, senza farsi ammazzare preferibilmente, mentre a me e Regina spettava il compito di lanciare l'incantesimo che gli avrebbe tolto ogni potere: la nostra magia doveva essere abbastanza forte da spingere l'uomo oltre il confine della città; questo, una volta fuori, avrebbe perso i suoi poteri, che sarebbero stati risucchiati poi dall'incantesimo. Regina li avrebbe imbottigliati in una fiala e li avrebbe tenuti al sicuro, nella sua cripta o in qualche altro nascondiglio. In quel modo eravamo sicuri che, anche se avesse trovato il modo di rientrare a Storybrooke, una volta varcato il confine, Gold non avrebbe più avuto un briciolo di magia.
« Se non dovessero farcela? Se l'incantesimo non dovesse funzionare? » Chiese allora mia madre. Questa domanda mi fece provare un brivido, mentre continuavo a ripetermi che tutto sarebbe andato per il meglio, che fra qualche ora sarebbe tutto finito.
« In quel caso ricorreremo al piano b. » Mi girai verso Killian guardandolo interrogativa. Il piano b? Sarebbe? « Lo pugnalerò dritto al cuore. » Belle trattenne il fiato ed io mi alzai di scatto, sconcertata.
« Qui nessuno pugnalerà nessuno, ci siamo capiti? Non guarderò una persona a me cara diventare il nuovo Signore Oscuro senza muovere un muscolo. Manderò ko chiunque voglia provarci con uno schiocco di dita, mi sono spiegata? » Mi guardarono tutti senza proferire parola, consapevoli del fatto che non mi sarei fatta nessuno scrupolo nel mettere fuori gioco uno dei miei amici, se questo significava tenerlo al sicuro. « Ho bisogno di un po' d'aria, fra un'ora mettiamo in atto il piano. » Affermai dopo averli scrutati dal primo all'ultimo.
Mi allontanai alla svelta prima che qualcuno potesse fermarmi, avevo bisogno di stare da sola, di concentrarmi, di ripetermi che sarebbe andato tutto bene. Arrivai fino al molo senza rendermene conto, guardai il mare e immaginai come sarebbe stata la mia vita se Henry non fosse mai venuto a cercarmi. Avrei continuato a fare il mio stupido lavoro, sola e senza nessuno da cui tornare a casa. Niente magia, niente streghe, niente draghi, niente favole, niente lieto fine. E Storybrooke non se la sarebbe passata meglio: senza il mio arrivo il tempo sarebbe rimasto fermo, i suoi abitanti avrebbero ripetuto le loro azioni quotidiane per un tempo infinito. D'altro canto saremmo stati tutti al sicuro, in quel momento. Al contrario, ora stavamo andando incontro a morte certa. Gold ci avrebbe scoperto, si sarebbe infuriato per l'inganno subito e avrebbe fatto piazza pulita. Quello era il mio timore più grande.
Speravo soltanto che nessuno restasse ferito, non me lo sarei mai perdonato.
Chiusi gli occhi e presi grandi respiri profondi. Il mio cuore continuò a martellare, sembrava non voler rallentare il suo battito.
Una mano mi prese per il fianco destro, un uncino mi sfiorò l'altro e l'inconfondibile tocco delicato di Killian mi riportò alla realtà. Poggiò dolcemente le labbra sul mio collo e vi lasciò un piccolo bacio.
« Andrà tutto bene, Swan. »
Mi girai e lo guardai negli occhi profondi e blu, come l'acqua del mare che tanto amava, per qualche secondo. Alla fine lo avvicinai a me, afferrandogli la giacca di pelle, e lo baciai con foga, consapevole che quella poteva essere l'ultima volta che ne avevo l'occasione
« Ti amo, Killian. » Gli sussurrai a fior di labbra, senza riuscire a trattenere una lacrima. Lui prontamente me l'asciugò, sembrò cogliere la mia angoscia, capire cosa mi stava passando per la mente, percepire le mie paure.
« Sai che credo in te, Emma. Se c'è qualcuno in grado di sconfiggere il coccodrillo quella sei tu. E non dimenticare che Regina eseguirà l'incantesimo con te, siete imbattibili voi due quando lavorate insieme. » Mi sorrise e non potei non farlo anch'io. Colsi la preoccupazione nei suoi occhi, sarebbe stato un pazzo se non avesse avuto neanche un briciolo di timore, ma sapevo che era fermamente convinto di quello che diceva.
Continuai ad avere molti dubbi sulla riuscita del piano, ma d'altra parte non avevamo alternative. Era la nostra sola ed unica possibilità.
Osservavamo Belle aspettare Gold. Cominciavo ad avere un'orribile sensazione, ma cercai di non farci caso e soprattutto di non farlo percepire agli altri.
« Tra poco sarà tutto finito. » Sussurrò Regina, alla mia destra, forse parlando con se stessa.
« Cosa ti fa essere così sicura? » Le chiesi, non riuscendo a trattenermi, con un sospiro.
« Il fatto che gli eroi vincono sempre. » Mi rispose prontamente lei, voltandosi verso di me e mostrandomi un sorriso ironico come il fatto che, fra tutti, fosse stata lei ad affermare una cosa del genere.
« Eccolo! »
Guardai Belle con il fiato sospeso. Gold sembrò disperato, significava che si era bevuto tutta la storia raccontata dalla ragazza. Un punto a nostro favore, l'elemento sorpresa sarebbe stato dalla nostra parte.
Eravamo troppo lontani e non riuscivamo a sentire cosa si stavano dicendo, Belle fece un passo indietro, verso il confine. Gold le prese la mano, parlava, lei scuoteva la testa.
Mi girai verso Regina. « Ora? »
« Ora. »
Cominciammo ad effettuare l'incantesimo, da quanto avevamo letto ci volevano non meno di cinque minuti prima che esso potesse essere scagliato. La nostra magia creò una piccola palla di luce bianca, il suo volume aumentava ogni secondo che passava.
Nel frattempo Gold aveva afferrato Belle, probabilmente con l'intenzione di portarla via da lì.
« Andate, forza! » Esclamai rivolta ai ragazzi, non potevamo in alcun modo permetterci che l'uomo si allontanasse troppo dal confine.
Loro non se lo fecero ripetere due volte e corsero subito verso i due.
« Lasciatela stare, coccodrillo! » Urlò Killian, mentre li raggiungeva insieme a mio padre e Robin.
Gold si voltò sorpreso di sentire la sua voce, ma li guardò ugualmente in modo beffardo.
« Ma bene, chi abbiamo qui?! » Domandò retoricamente, fin troppo divertito per i miei gusti.
Controllai quella sfera di luce creata da me e Regina, sperando fosse già a buon punto, ma quella era ancora molto piccola: se l'avessimo lanciata in quel momento, probabilmente a Gold sarebbe rimasto solamente un piccolo graffietto.
« Un finto principe, » continuò a dire la bestia, scrutando mio padre per leggerlo nel profondo. Strinsi i denti, mossa da un piccolo sentimento di rabbia « un ladro » Robin lo guardò con aria di sfida, pronto a tutto « e, naturalmente, un pirata. Ebbene, dov'è la vostra fidanzata, capitano? Devo immaginare che non sia qui nei paraggi, a tenere sotto controllo che nessuno sfregi il bel visino del suo fidanzato?» L'uomo scoppiò a ridere e il viso di Killian s'indurì.
Stava pensando a quanto sarebbe stato facile colpirlo al cuore col suo stesso pugnale. Sarebbe diventato il nuovo Signore Oscuro ma non gli importava, era certo che non sarebbe diventato un mostro come lui, non con me al suo fianco. In effetti sarebbe stato tutto molto più semplice e molto più sbrigativo, ma non avrei mai lasciato che si prendesse quel fardello, né lui né nessun altro.
« Lasciate fuori Emma, lei non c'entra. E' una questione fra noi due, risolviamola una volta per tutte. » Killian si avvicinò lentamente all'Oscuro, Robin e mio padre si guardarono senza capire le sue intenzioni.
« E' questo il fatto, Hook. La questione per quanto mi riguarda si è risolta nel momento in cui ho tagliato la vostra lurida mano. »
« Me ne basta una soltanto per mettervi a tacere per sempre. »
« No, non basta, e questo lo sapete benissimo. »
Bastò un rapido movimento del polso, e Killian si ritrovò in ginocchio, dolorante mentre il suo urlo squarciava il silenzio e mi risuonava nelle orecchie. Un altro movimento e mio padre e Robin si ritrovarono bloccati nello stesso istante in cui avevano provato a correre in aiuto del pirata.
Dovevo fare qualcosa, non potevo lasciarlo morire. Feci per muovermi, ma Regina fu più rapida e mi trattenne per un braccio.
« No, sai che non puoi. Avevamo già messo in conto tutto questo. Devi restare calma. » Sgranai gli occhi mentre cercai di divincolarmi, ma la sua presa era più forte « Non manca molto. Solamente due, tre minuti, e poi ti giuro che quel bastardo la pagherà. » La presa di Regina si fece più delicata ed anche il suo viso sembrò rivolgermi un'espressione meno dura. Anche lei stava rischiando molto, solo che non poteva capire cosa si provava a vedere l'uomo che si amava soffrire così tanto: Gold non se la sarebbe mai presa in quel modo con Robin Hood perché sostanzialmente egli non gli aveva mai fatto nessun torto, era questa la consapevolezza che rendeva Regina un po' più tranquilla.
Chiusi gli occhi e concentrai tutte le mie energie nell'incantesimo, speravo di velocizzare il processo, in quel modo.
Sentivo Belle gridare qualcosa, probabilmente aveva convinto la bestia a fermarsi, perché Killian si zittì di colpo. Gli rivolsi una rapida occhiata e lo vidi piegato in avanti, mentre cercava di riprendere fiato.
« E' tutto qui, quello che sapete fare, quindi? » Killian continuava a stuzzicarlo a parole, regalandoci secondi necessari per completare l'incantesimo, come avevamo concordato. « Basta una parola della piccola Belle per fermare il Signore Oscuro? »
« Killian, ti prego... » A fermarlo, quella volta, fu proprio Belle, che era sempre stata contraria al piano. Riteneva di potersela cavare da sola, sperando di tenere al sicuro noi e l'uomo che, in qualche modo, continuava ad amare.
« Siete un codardo, coccodrillo. La magia non vi rende più forte, soprattutto quando non si fa altro che nascondervisi dietro. Non avete neanche il coraggio di essere un uomo migliore per la donna che amate, neanche quando essa vi guarda negli occhi per implorarvi. » Sapevamo tutti che lo aveva appena colpito in pieno. Lo sguardo di Gold si irrigidì, tante volte avevo visto l'oscurità nei suoi occhi scuri, ma mai ne avevo avuto così timore.
« La magia non mi rende un codardo. » Sentenziò a denti stretti, un altro movimento del polso e Killian tornò a lottare contro una sofferenza interiore che sembrava bruciargli l'anima. « Cominciate a dire le vostre ultime preghiere, Jones, ho intenzione di chiudere questa faccenda una volta per tutte. »
Un altro impercettibile movimento e Killian si ritrovò a terra, le mani alle tempie. Il dolore nasceva da lì e si espandeva per tutto il corpo, Dio solo sapeva che razza di orribile maleficio stava mettendo in atto Gold.
« Un minuto. » Sussurrò Regina, capendo le mie intenzioni. Non avevamo un minuto, dovevamo agire subito o me lo avrebbe ucciso sotto gli occhi.
E poi successe una cosa che nessuno di noi aveva tenuto in conto.
« Nonno, non farlo! »
Mio figlio correva veloce e andò a mettersi davanti a Killian, come per proteggerlo.
« Henry no! » Quella volta, a gridare, fummo io e Regina, reagendo istintivamente e spuntando entrambe fuori dal nostro nascondiglio, le mani ancora rivolte verso il basso con l'incantesimo ancora in corso.
Mi pentii subito di averlo fatto e senza dubbio Regina era del mio stesso avviso.
Gold ci guardò sorridendo trionfante, un attimo dopo aver cancellato lo stupore per l'arrivo di Henry. No, decisamente nessuno dei presenti si sarebbe aspettato di vederlo lì, soprattutto quando mia madre non doveva fare altro che tenerlo sotto controllo e impedirgli di raggiungerci. Non volevo metterlo in pericolo, almeno lui doveva rimanere al sicuro. Ma ormai il danno era fatto.
« Oh, eccole. Finalmente. Mi chiedevo quando vi foste decise a venire fuori, credevate davvero che non riuscissi a percepire la vostra magia? »
« E' finita, Gold » io e Regina ci muovemmo all'unisono a passo deciso, ma molto lentamente. Mio padre e Robin, ormai liberi dall'incantesimo dell'uomo, si affrettarono verso Killian e lo aiutarono a tenersi in piedi, reggendolo per le spalle, ma esso si divincolò subito, non accettava il minimo aiuto, del resto aveva l'animo di un pirata.
« Hai perso. » Affermai, stranamente sicura di me, improvvisamente convinta di quel piano. Forse perché la parte più difficile era ormai passata, nessuno avrebbe potuto più ferire gli uomini ormai, non con me e Regina pronte ad agire. Non dovevamo fare altro che colpirlo con l'incantesimo, la sfera di luce magica sembrava essere delle giuste dimensione da riuscire a farlo uscire dal confine e abbastanza potente da poter risucchiare i suoi poteri, che non erano pochi.
« Voi dite? » Ci squadrammo da cima a fondo, ci studiammo attentamente e riconobbi subito il tono di sfida che aveva messo su. Aveva in mente qualcosa, dovevo stare attenta. « Ditemi, come reagirà la salvatrice, quando le avrò portato via il suo lieto fine? »
Spalancai la bocca, spiazzata. Erano quelle le sue intenzioni? Aveva trovato un modo per sentirsi vincitore anche nella sconfitta. Non appena i suoi occhi si posarono su Henry mi irrigidii. Ero terrorizzata, non gli avrei permesso di portare via mio figlio.
Lo vidi alzare lentamente una mano e mi girai verso Regina, anche lei spaventata « Ora! » gridammo all'unisono mentre ci piazzavamo davanti a Henry e lanciavamo il nostro incantesimo verso l'uomo. Nello stesso e identico momento, lui lanciò il suo. Verso Killian.
Una nuvola viola cominciò a circondare l'uomo che amavo, mi girai a guardarlo, lo chiamai per nome e lui chiamò il mio. I suoi occhi erano sbigottiti e timorosi come i miei.
Dovetti distogliere lo sguardo quando sentii i poteri di Gold venire risucchiati; un attimo dopo erano imprigionati dentro una bottiglietta, l'uomo era stato scaraventato verso il confine e Belle non ci aveva pensato due volte ed era corsa da lui.
Mi voltai verso Killian giusto in tempo per vedere un'ultima volta il suo viso, quasi sollevato per via della riuscita del piano. Poi la nuvola viola lo avvolse completamente e, quando si fu dissolta, mi accorsi che Hook era sparito.
« Killian! »
Gridai. Gridai con tutto il fiato che avevo in corpo. Mi accasciai a terra tremante. Non poteva essere vero, non poteva essere scomparso così, sotto i miei occhi. Non avevo fatto niente per evitarlo.
I miei occhi vagavano da destra a sinistra e viceversa, cominciai a guardarmi intorno, speranzosa di vederlo spuntare fuori.
Non accadde, dovevo aspettarmelo.
« Emma... » la voce di mia madre e la sua mano calda sulla spalla mi riscossero, ci aveva raggiunti anche lei. La mia espressione s'indurì e mi alzai di colpo, spaventandola, forse.
« GOLD! » Urlai rabbiosa, voltandomi e dirigendomi a gran passi verso di lui.
« Emma, fermati! » Mio padre mi afferrò e cercai di divincolarmi, ma lui mi strinse più forte.
« Lasciami, non voglio fargli niente. Solo sapere cos'ha fatto a Killian. » Più mi muovevo più mio padre mi tirava via, deciso a non farmi commettere delle sciocchezze.
« Non te lo dirà mai, lo sai. Adesso calmati. Lo troveremo, Emma, te lo prometto. » Mi fece girare verso di lui e mi abbracciò come non faceva da tanto tempo. Mi abbandonai ad un pianto liberatorio, bagnandogli l'intera spalla sinistra su cui mi ero poggiata.
« Come fai a sapere che non gli sia successo niente di orribile? E se fosse... »
« Sta bene. Deve star bene. » Continuavo a dimenticare dello strano rapporto che avessero Killian e mio padre. Non si erano piaciuti all'inizio, continuavano a stuzzicarsi a vicenda, ma alla fine si volevano bene, si potevano definire come due amici.
Smisi di piangere e sciolsi l'abbraccio. Mi asciugai le lacrime, lo sguardo basso. Solo in quel momento mi accorsi di un debole luccichio, lì, proprio dove Killian era sparito un attimo prima.
Mi fiondai a controllare cosa fosse e mi ritrovai con il suo anello tra le mani. Doveva avermelo lasciato per permettermi di ritrovarlo. Si fidava di me, sapeva che non mi sarei mai data pace finché non lo avessi rivisto.
Strinsi forte quel piccolo oggetto, mi aggrappai ad esso, la mia unica speranza.
« Io ti troverò, Killian Jones. »
Note dell'autrice: Beh, innanzitutto salve ^^ Ci tengo a dire che sono un po' molto arruginita, è da tantissimo tempo che non scrivo, anzi ringrazio OUAT per avermi ridato l'ispirazione che mi mancava da un po'. E' la prima volta che scrivo di questi personaggi, spero di non andare troppo OOC (in caso fatemelo notare, vi prego ç_ç). Il titolo è ispirato a una canzone dei Doors che adoro e che ci azzecca in pieno con la trama, capirete meglio più avanti (spoiler? mh) Altra cosa, non so dove mi porterà questa storia, nel senso che mentre ne scrivevo un'altra totalmente diversa (dove ho praticamente tutte le idee ben definite) ho trovato un post su tumblr che mi ha fatto venire quest'idea un po' assurda, che andrà a svilupparsi meglio dal secondo/terzo capitolo. Non volevo postarla subito, perché ho in mente solamente la trama generale, ma è da sabato che ho il capitolo pronto ed ogni volta che prendo il pc me lo ritrovo a supplicarmi di postarlo (che storia triste :o) Ultima cosa e poi smetto di rompere: questa storia si discosta completamente dal finale della quarta stagione, anche perché sto cercando di evitare qualsiasi tipo di spoiler a riguardo :')
Spero di avervi incuriosito almeno un po', sarei felicissima di ricevere le vostre recensioni, soprattutto per capire se questa è un'idea che può piacere o meno, anche se avete delle critiche da fare, io sono a vostra disposizione e non mi offendo :)
Ringrazio chiunque abbia letto il primo capitolo, vi abbraccio tutti ♥
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Capitolo 2 *** Where are you, Jones? ***
2. Where are you, Jones?
Fu la settimana più
lunga della mia vita.
Non avere la minima
notizia su Killian, non sapere se stesse bene, se fosse ferito, se
fosse stato mandato in qualche mondo magico mi rendeva nervosa e
irrequieta. Era proprio il fatto del non sapere che mi faceva stare
tanto male. Avevo bisogno di sentire la sua voce, anche solo per
qualche secondo. Volevo che mi rassicurasse, che mi dicesse che presto
l'avrei trovato e saremmo stati di nuovo insieme.
Invece le ricerche non
stavano portando da nessuna parte.
La prima cosa che
avevo fatto, dopo aver trovato l'anello, era stata catapultarmi in
fretta e furia nel negozio di Gold, consapevole della grande scorta di
pozioni dell'uomo. Avevo versato sull'anello un po' di pozione di
localizzazione e avevo aspettato qualche secondo che facesse effetto.
Inutilmente. L'oggetto non mostrava neanche il minimo accenno di uno
scintillio.
Sprecai altre tre
boccette, in preda al panico totale, prima che Regina mi raggiungesse e
mi sgridasse senza farsi troppi problemi.
« Non
è a Storybrooke, Swan » mi aveva detto in tono
brusco, alla fine « in qualche modo lo troveremo, ma tu devi
mantenere i nervi saldi. »
Ma non poteva
comprendermi fino in fondo. Ci provava, e io di certo non gliene facevo
una colpa, ma non poteva neanche solo immaginare cosa mi passasse per
la testa durante quelle giornate.
« Hai
trovato niente, mamma? » Henry mi ridestò da quei
pensieri, facendomi alzare la testa dall'ennesimo libro che consultavo,
senza sapere bene cosa stessi cercando. Sospirai, mentre lo chiudevo
con delusione.
« No
ragazzino, nessun progresso. » Affermai poggiando i gomiti
sul tavolo e la fronte sui pugni chiusi.
Ero esausta. Non
dormivo per più di due ore da giorni, ma non potevo
permettermi di rilassarmi tanto per nessun motivo al mondo.
Henry si sedette al
mio fianco e mi guardò silenziosamente. Mi strinse forte la
mano sinistra e io ricambiai la sua stretta, girandomi a guardarlo e
mostrandogli un debole sorriso.
« So che sei
preoccupata, ma vedrai che... »
«
Starà bene, sì, lo so. » Lo interruppi,
ripetendo meccanicamente le due piccole parole che sentivo da giorni
senza sosta. « Ormai sembra che me lo ripetiate tutti al solo
scopo di farmi contenta. » Commentai poco dopo, visibilmente
scocciata.
« Io non lo
dicevo solo per farti contenta » ribatté Henry
« ci credo davvero. »
« Lo so
» ripetei sospirando, cercando di essere meno dura, almeno
con lui. « E' solo che, da quel che vedo, vi preoccupate
tutti quanti per me, quando io sono qui, al sicuro sana e salva. Invece
Killian è lì fuori, chissà dove. Mi
state aiutando nelle ricerche senza fermarvi un attimo, e ve ne sono
grata, davvero, ma lo fate tutti per me, nessuno lo fa per lui. Mi sto
rendendo conto che a nessuno importa qualcosa di Killian. »
Buttai fuori il pensiero che mi attanagliava da giorni, quello che
più mi infastidiva tra tutti. Eravamo tutti indaffarati in
questa storia, ognuno indagava su un fronte diverso, ma l'unica che ci
tenesse davvero a trovarlo ero io. Forse anche mio padre era
dispiaciuto della sua scomparsa, ma al resto non avrebbe fatto
né caldo né freddo, se lui non fosse stato
così importante per me.
« Ehi!
» Esclamò Henry, quasi offeso. « A me
importa di lui. »
Mi girai a guardarlo
sorpresa, non sapendo bene che cosa dire. Non me lo aspettavo, non lo
avrei neanche mai immaginato. Henry si dava, sì, un bel da
fare, molti dei libri della biblioteca li aveva consultati lui, ma
avevo sempre pensato lo facesse per aiutare me. Non avevo mai parlato
con mio figlio di Killian, non gli avevo mai chiesto cosa pensasse di
lui. Forse perché una parte di me temeva la sua risposta.
Ripensai a come Henry
avesse fermato Gold, pochi giorni prima, impedendogli di uccidere il
pirata. Ero stata troppo impegnata a pensare a quanto fosse stato
imprudente, e ad avercela con mia madre per non aver saputo
controllarlo meglio, per rendermi conto che gli aveva salvato la vita
sotto i miei occhi.
« Non credo
di averti ringraziato per aver impedito che lo uccidesse. »
Mormorai, guardandolo fiera. Lui mise su un timido sorriso e scosse la
testa.
« Non ho
fatto niente, ho solo agito d'istinto. »
« Non hai
esitato un solo istante » continuai « ti sei
comportato da vero eroe. » “Quello che non sono
stata io” pensai, pur essendo orgogliosa di mio figlio.
« Beh, non
potevo lasciarlo lì e restarmene a guardare in silenzio. E
poi ero certo che il nonno non mi avrebbe mai fatto del male.
»
Restarmene
a guardare in silenzio.
Quelle parole, dette
senza un briciolo di cattiveria, mi colpirono allo stomaco come se si
trattasse di un pugno. Non erano riferite neanche lontanamente a me, ma
non riuscivo a non sentirmi ugualmente colpevole. Dovevo essere io a
correre in soccorso di Killian, magari le cose sarebbero andate
diversamente. O magari sarebbero andate in peggio, visto che Gold non
sarebbe stato sconfitto. Ma ero comunque rimasta lì, a
guardarlo soffrire e probabilmente non me lo sarei mai perdonato.
« Ti sei
affezionato a lui? » Domandai poi, di punto in bianco. Il
ragazzo si dimostrò sorpreso quanto me da quello che avevo
appena chiesto.
« Ma certo
» rispose come se si trattasse di una cosa più che
ovvia « Killian è forte, insomma... è
Capitan Uncino. » Sorrisi divertita da quella affermazione,
spesso dimenticavo che l'uomo facesse parte del mondo delle favole che
avevo letto io stessa quando ero bambina. Anzi, spesso dimenticavo che
io stessa facevo parte di quelle favole.
Cinsi le spalle di
Henry, avvicinandolo a me, per poi stringerlo forte. Improvvisamente,
cominciai a sentirmi meglio, quel ragazzino era veramente capace di
infondermi una sicurezza che mi sorprendevo io stessa di avere.
Ad interromperci fu la
suoneria del mio cellulare. Sciolsi subito l'abbraccio e mi sbrigai a
prenderlo, speranzosa di ascoltare qualche novità sulle
ricerche. Lessi il nome di mio padre e risposi all'istante.
« Pronto?
»
« Emma, mi
scoccia disturbati, ma hanno appena chiamato alla centrale:
c'è un problema da Granny's e dovresti recarti
lì. Ci andrei io stesso stesso, ma tua madre mi ha lasciato
Neal, quindi... »
« Va bene,
va bene, tranquillo. Vado subito. »
Riagganciai la
chiamata e mi alzai in piedi. Mi stiracchiai appena, ero seduta su
quella sedia da ore e non avevo concluso niente lo stesso. Feci una
smorfia e indossai la mia giacca di pelle rossa, tirandovi poi fuori i
capelli. Mi avrebbe fatto bene distogliere la mente per qualche minuto,
anche se dubitavo che si trattasse di una vera emergenza, probabilmente
sarebbe stato solamente una perdita di tempo.
« Ci vediamo
dopo, ragazzino. » Lo salutai, baciandolo sulla testa, prima
di uscire dalla biblioteca.
La situazione da
Granny's, come avevo immaginato, non sembrava fuori controllo, almeno
dall'esterno. Maledissi mio padre per avermi mandato lì
inutilmente, prima di decidermi ad entrare.
Subito, degli
schiamazzi giunsero alle mie orecchie. La vecchia gridava, inveendo
contro il ragazzo che, barcollando, si allontanava da Ruby: Will
Scarlett.
« Cosa
succede qui? » Domandai di rimando, posando le mani sui
fianchi e lanciando una rapida occhiata a tutti e tre.
« Ma
guardate gente, è arrivata la salvatrice! »
Esclamò allora Will, alzando le braccia verso l'alto, in un
gesto di esultanza. « Mi sbatterà di nuovo dentro,
sceriffo? O chiamerà il suo fidanzatino per farmi pestare?
Ah no, non può chiamarlo, perché PUFF! E' sparito
nel nulla. »
Serrai i pugni,
strinsi i denti e ridussi gli occhi a due fessure. Del fante di cuori
sarebbe rimasto solamente un mucchietto di cenere, se il mio sguardo
avesse potuto colpirlo in pieno. Dovetti fare appello a tutta la mia
forza per non mettergli le mani addosso. Mi sembrava quasi di sentire
Killian: “Resisti all'oscurità, Swan”.
« Sono
stanca di vederti alzare il gomito, e creare problemi, ogni volta che
ti si spezza il cuore, Scarlett. » Affermai dura, mettendogli
subito un paio di manette, ignorando l'occhiata stupita e sconvolta che
mi rivolgeva. « Intanto ti fai una bella dormitina dietro le
sbarre, poi deciderò quando farti uscire. Ti stava dando
fastidio? » Feci poi, voltandomi di colpo vero Ruby, che
già scuoteva la testa.
« Mia nipote
sa difendersi da sola, sceriffo. Il ladruncolo stava infastidendo la
sirenetta, lei lo ha spintonato via ed è caduto. Ha anche
cercato di aiutarlo, ma la poveretta è stata ripagata con un
pugno sul naso. » S'intromise Granny, guardando torva Will.
« E' stato
un incidente, nonna! » Esclamò allora Ruby,
spazientita. « Non darle retta, Emma. Continuava a
sbracciarsi e l'ha colpita per sbaglio. » Cercava di
spiegare. Ma, in realtà, avevo smesso di seguire
già dalla parola “sirenetta”.
« Sirenetta?
» Ripetei « Ariel? E' tornata Ariel? »
Una volta avuta
l'assoluta certezza che Killian si trovasse fuori Storybrooke, ci
serviva un modo per poterlo cercare tra i vari mondi magici e le uniche
creature che potevano affrontare viaggi del genere in poco tempo erano
proprio le sirene. Per questo avevo chiesto aiuto ad Ariel, che aveva
accettato subito, determinata a dare una mano. Non avevo notizie dalla
ragazza da quando era partita, ma per fortuna sembrava essere appena
tornata.
« Oh,
sì! Anzi, ti cercava! » Esclamò allora
Ruby, ricordandosi di colpo « E' in cucina. »
Ordinai loro di stare
attente a Will e corsi subito in cucina: vi trovai Ariel, intenta a
mettersi del ghiaccio sulla botta ricevuta.
« Emma!
» Mi salutò sorpresa, vedendomi arrivare.
« Ariel,
ciao » l'abbracciai, un po' allibita dalla piega che aveva
preso quella giornata « ti fa male? »
«
No, davvero, non è niente. » Sorrise, per poi
guardarmi seria e, quasi, dispiaciuta. « Emma, non porto
buone notizie. Non c'è traccia di Hook in nessun regno.
»
*****
Stringevo
forte il cuscino e continuavo a rigirarmi sul letto scomodo di quella
cabina. Non avevo neanche fatto finire di parlare Ariel, che ero corsa
via, scappata sulla Jolly Roger. Avevo preso l'abitudine di rifugiarmi
su quella nave, ormai, ogni volta che volevo starmene da sola. E quello
era uno di quei momenti. Pensavo a Killian, che lì ci aveva
passato una vita intera, circondato dalla sua ciurma, ma ugualmente
solo. Così come io ero sola, senza di lui. Mi sentivo vuota
ed ora mi era stata strappata via anche l'ultima speranza di rivederlo.
Soffocai un
singhiozzo, non volevo piangere, avevo già pianto
abbastanza.
« Eccoti,
finalmente. » Scattai a sedere spaventata, nell'udire la voce
di mio padre. Non l'avevo sentito arrivare nonostante il silenzio che
regnava su quella nave, troppo presa dai miei pensieri.
« Cosa...
che ci fai qui? »
« Cercavo
te, mi pare ovvio. » Rispose, sedendosi al mio fianco e
guardandomi con occhi preoccupati, malgrado cercasse in tutti i modi di
apparire tranquillo e rilassato.
«
Sì ma... come hai fatto a trovarmi?! » Domandai
ancora, senza riuscire a capacitarmi del fatto che mi avesse raggiunta
lì.
« Sono tuo
padre, ti conosco ormai. » Lo guardai male ed alzai un
sopracciglio, cosa che fece sospirare l'uomo. « Okay, va
bene. Ti ho vista tre sere fa, mentre uscivi di casa di soppiatto,
così ti ho seguita e ho visto che entravi qui dentro.
»
« Capisco.
» Mormorai solamente, abbassando la testa e rigirandomi
l'anello di Killian fra le mani.
« Ariel mi
ha detto di non essere riuscita a trovarlo. »
Mi limitai ad annuire
con il capo, uno dei motivi per cui ero scappata a bordo della Jolly
Roger era proprio il non dover affrontare quell'argomento.
« Mi
dispiace. »Affermò.
Mossi appena la testa,
ancora una volta silenziosa.
« Ovviamente
sai che significa questo, vero? » Alzai la testa di scatto e
lo guardai dura.
« Non
è morto, papà. Solo perché Ariel non
ha trovato nessuna notizia su di lui, in nessun mondo magico, non
significa che è- »
« Non
intendevo assolutamente dire questo! » Esclamò
lui, fermandomi. Lo guardai comunque torva.
« E allora
cosa? Cosa intendevi? »
« Che si
trova in questo mondo, solo fuori Storybrooke. »
Lo guardai
attentamente per qualche secondo. Il ragionamento quadrava, non capivo
come avevo fatto a non arrivarci prima. Mi ero lasciata vincere dallo
sconforto e non avevo neanche preso in considerazione quell'opzione.
Magari era più vicino di quanto pensassi, o forse no.
Conoscendolo, Gold mi avrebbe reso le cose più difficili che
mai.
« Bene,
abbiamo solamente cinque continenti da perlustrare e una vita sola.
» Mormorai con una smorfia. « Senza dimenticarci
dei due poli. » Aggiunsi poi, cercando di togliermi dalla
mente l'immagine di Killian sperduto tra i ghiacci.
« Andiamo,
Emma, almeno sappiamo che è in questo mondo. Troveremo un
incantesimo che- »
« Un
incantesimo? Davvero? Perché, cosa credi che abbia cercato
questa settimana in biblioteca? » Scattai in piedi e
cominciai a camminare per la cabina, sotto al suo sguardo. «
Ho consultato centinaia di libri, non c'è niente. Niente di
niente. So come creare una città dal nulla, ma non so come
trovare il mio uomo. » Diedi un calcio al muro, arrabbiata
con me stessa.
« Emma...
» Lo ignorai, non sarebbe riuscito a calmarmi.
« Pensi che
sia semplice? Pensa a Gold, ha passato tutta una vita a cercare suo
figlio, e lui è sempre stato l'uomo più potente
di tutti i tempi. Non può essere questione solo di un
incantesimo. Altrimenti non avrebbe trovato Neal così tardi.
»
Mi zittii ed incrociai
le braccia al petto, pensierosa. Continuavo a camminare avanti e
indietro, quando ad un tratto mi voltai. Guardai mio padre sgranando
gli occhi, lui fece altrettanto, non capendo.
« Cosa?
» Domandò spazientito.
« Neal.
» Risposi a mezza voce, aprendomi in un sorriso speranzoso.
« Gold ha scoperto che Neal si trovava a New York grazie a
una sottospecie di mappamondo magico. Voleva usarlo anche per trovare
Henry quando era stato portato a Neverland. E' stato sotto il nostro
naso per tutto questo tempo. » Spiegai tutto d'un fiato
« Forza, non possiamo perdere altro tempo! »
Raggiungemmo il
negozio di Gold in una manciata di minuti. Notai subito il globo
magico, posizionato su uno scaffale in bella vista. Lo presi con mani
tremanti e lo posizionai sul bancone. Lo guardai per qualche secondo,
terrorizzata. Quella era davvero la nostra ultima
possibilità, e non ero neanche sicura che potesse funzionare.
« Credo che
funzioni solo con i legami di sangue. » Affermai a un tratto,
scoraggiata. Mi morsi un labbro, avevamo la soluzione a portata di mano
e probabilmente non potevamo fare niente per usarla.
« Il vero
amore è un legame tanto forte come quello di sangue. Credo
possa funzionare lo stesso. » Disse mio padre sicuro,
osservandomi e aspettando che mi decidessi a pungermi il dito.
« Il... vero
amore? » Lo guardai. Killian Jones era il mio vero amore? Me
lo ero chiesta davvero tantissime volte, ora potevo trovare risposta
anche a quella domanda.
Respirai
profondamente, chiudendo gli occhi. Quando li riaprii mi punsi l'indice
sinistro decisa, e lasciai scivolare la goccia di sangue sul globo di
cristallo. Mi concentrai su Killian, mentre il sangue si radunava e
andava a mostrare un'isoletta lontana da Storybrooke, lontana
dall'America.
« Londra.
Killian si trova a Londra. » Esclamai sconvolta, ma felice.
« Non posso aspettare un minuto di più, parto
all'istante. »
✈
L'anello brillava tra
le mie mani, tanto che dovevo stare bene attenta a non mostrarlo alla
gente che mi circondava. Avevo preso il primo volo per Londra e non
avevo lasciato che nessuno mi accompagnasse. Era una cosa che dovevo
fare da sola, così come aveva fatto in precedenza Killian,
trovandomi a New York per poi riportarmi a casa.
Ogni passo mi faceva
sentire più vicina a lui, finalmente lo stavo raggiungendo e
presto saremmo stati insieme.
L'anello mi
portò in una stradina di campagna, dove spiccava una casetta
circondata da un giardino ben curato. Il cancello era aperto,
così lo aprii seppur con titubanza e seguii la stradina
fatta di mattoncini grigi che portavano fino ad una veranda costruita
in legno.
Non smisi un attimo di
fissare quella porta, nervosa. Alla fine mi decisi e bussai due volte e
un attimo dopo mi trovai davanti una ragazza dai lunghi capelli rossi e
dagli occhi da cerbiatto che mi scrutavano incerti.
« Desidera?
» Mi domandò, guardandomi con fare curioso.
« Oh...
io... » mugugnai delusa: ero davvero convinta di trovare
Killian, lì dentro. « Mi dispiace, devo aver
sbagliato casa. » Feci imbarazzata, girando i tacchi e
allontanandomi velocemente.
Richiusi il cancello
alle mie spalle e cominciai ad andarmene. Guardai l'anello, che adesso
tenevo sul pollice destro, visto che le altre dita erano troppo piccole
per indossarlo. Mi aveva portato lì, quindi Killian non
doveva essere troppo lontano, ero sulla strada giusta, non dovevo
perdere la speranza.
« Ci vediamo
domani, Hook. »
« A domani,
e grazie ancora del passaggio. »
Mi bloccai nell'udire
quelle voci, soprattutto l'ultima che avrei riconosciuto fra altre
mille. Mi girai in tempo per vedere una macchina nera mettere in moto e
andare via, e poi eccolo lì: Killian Jones, capitan Hook.
I suoi occhi blu si
posarono su di me nello stesso istante in cui gridai il suo nome.
« Killian!
»
Sorrisi entusiasta,
finalmente l'avevo trovato, non potevo credere ai miei occhi. Gli corsi
incontro, buttandogli le braccia al collo. Mi era mancato abbracciarlo,
chiudere gli occhi e perdermi nel suo profumo.
Ma
c'era comunque qualcosa che non andava in quella situazione, come un
orribile presentimento.
Note dell'autrice: Eccomi di nuovo qui ^^ avrei
voluto postare prima, ma i professori devono sempre ricordarci che non
siamo degni di avere una vita all'infuori della scuola :')
Ma torniamo alla storia! Sono sincera, il capitolo non mi fa impazzire
eccessivamente. A dirla tutta volevo finirlo con Ariel che diceva di non aver
trovato nulla che riconducesse a Killian, ma poi sarebbe stato
cortissimo, e quiiindi eccoci a Londra :D
Sono piuttosto eccitata perché questo segna l'inizio della
storia vera e propria, dal prossimo capitolo comincerete ad avere le
idee più chiare :)
Per ora è tutto, rigrazio tutti quelli che hanno recensito e
aggiunto la storia tra le preferite/seguite. Non immaginavo foste
così in tanti, davvero. Grazie di cuore, spero di non avervi
deluso in alcun modo. Un bacio a tutti ♥
|
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Capitolo 3 *** Everything has changed ***
3.
Everything has changed
La mano sinistra gli stringeva
le spalle,
la destra si
perdeva nei suoi capelli scuri, gli occhi chiusi, esausti, il viso
rilassato. Non potevo davvero credere di essere riuscita a scovarlo.
Ad essere sinceri, dopo aver pensato al globo magico, si era rivelato
tutto piuttosto semplice: l'anello, e la pozione di Gold, mi avevano
condotto da lui, e adesso potevo nuovamente stringerlo a me.
Eppure c'era qualcosa che non mi quadrava. Non lo
riconoscevo, lo sentivo diverso, cambiato. Una settimana passata
lontano dalla persona che si amava non poteva modificare alcun tipo
di sentimento, quello mi sembrava abbastanza ovvio e scontato.
E allora perché non ricambiava quell'abbraccio?
Se ne stava lì, inerme, come spiazzato.
Ci stava lo stupore, potevo capirlo, ma il Killian che
conoscevo non avrebbe perso tempo e mi avrebbe catturata tra le sue
braccia, mi avrebbe preso il viso fra le mani e avrebbe gustato il
sapore delle mie labbra.
Girò appena la testa verso di me, lanciandomi
un'occhiata.
« Ci conosciamo? »
Due parole. Due semplicissime parole, che mi fecero
crollare il mondo addosso nel giro di un secondo.
Aprii gli occhi, spaesata, e mi staccai leggermente.
« Killian... stai scherzando, vero? Sono io... »
Lo osservai attentamente: gli occhi smarriti, la fronte
aggrottata, la bocca semi aperta non davano l'impressione di uno che
stesse scherzando. Si portò lentamente una mano fra i
capelli,
grattandosi appena il capo. Mi squadrava dalla testa ai piedi,
sembrava cercasse di non tralasciare nessun dettaglio. I suoi occhi
cielo si immersero nei miei, verdi smeraldo. Si incontrarono di
nuovo, a distanza di sette giorni. Sembrava si vedessero per la prima
volta. Avvertii una scossa, lui non fece una piega.
« Io... mi dispiace, credo di non ricordarmi di te.
»
Il mio cuore perse un battito. No, non potevo credere a
quello che ascoltavo. Neanche Gold era tanto crudele. O forse
sì?
Forse era anche capace di peggio? Dovevo aspettarmelo, dovevo
conoscerlo.
« Killian, sono Emma. » Affermai speranzosa,
accarezzandogli la guancia con le dita. Un gesto che non dovevo fare.
Lo sentii irrigidirsi, alzò un sopracciglio e con la mano mi
prese
il polso, allontanandolo dal suo viso. Prese un respiro profondo e mi
guardò serio.
« Senti, non so come tu faccia a conoscermi- » Con
un
gesto deciso, alzai velocemente la mano destra, più o meno
alla
stessa altezza della sua bocca, per zittirlo. Me l'avvicinai poi alla
tempia, massaggiandomela lentamente e socchiudendo appena gli occhi.
Come facevo a conoscerlo, mi chiedeva. Non credevo di avere le forze
per affrontare quel discorso, però dovevo comunque provarci.
Riaprii gli occhi e ritrovai il suo sguardo fisso su di
me. Ebbi l'impulso di baciarlo, subito, senza troppi giri di parole.
I miei occhi si posarono sulle sue labbra, ma sapevo che dovevo
trattenermi. Se il bacio non avesse funzionato, sarebbe stato peggio.
Ricordavo come avevo reagito io, quando mi aveva baciata dopo essersi
presentato alla mia porta, a New York, per la prima volta. Lo avevo
preso per un maniaco, lui mi avrebbe preso per una schizzata. Scossi
la testa per abbandonare quel pensiero.
« Ascolta, so che adesso non riesci a ricordare, ma
devi fidarti di me, o almeno provarci. » Non disse niente, mi
lasciava parlare e basta. Non era un cattivo segno, pensai, almeno mi
stava dando una possibilità quando avrebbe potuto
allontanarmi
facilmente. « Noi ci conosciamo da tempo, ne abbiamo passate
veramente tante insieme. » Alzò un sopracciglio,
cominciava a
fidarsi meno e questo fece scattare una sorta di allarme nella mia
testa che mi mandò in panico. « Per quanto ti
risulta impossibile
da credere, tu non sei di queste parti. »
« Ma davvero? » Commentò ironico,
mostrandomi un
sorriso sghembo. Stavo sbagliando tutto, ma l'ansia non mi permetteva
di ragionare come avrei voluto.
« Non ti ricordi chi sei... » cercai di continuare,
capendo, ancora una volta troppo tardi, che non avevo usato le parole
migliori che potessi trovare.
« Io lo so chi sono! » Esclamò allora
lui,
visibilmente irritato. Stava cominciando a stufarsi di me, ebbi il
sospetto che stesse pensando di portarmi in ospedale per farmi
controllare. Dio, ero negata per quelle cose. Ero brava a trovare le
persone, il mio talento iniziava e finiva lì, convincerle di
essere
in realtà qualcun altro non rientrava nelle mie
capacità.
Probabilmente non rientrava nelle capacità di nessuno.
Eppure
Killian ce l'aveva fatta, era riuscito a mettermi nella testa
abbastanza dubbi da farmi prendere la pozione della memoria. Avrei
tanto voluto essere come lui, avere la sua testardaggine. Mi avrebbe
sicuramente aiutata a mantenere il sangue freddo in quella
situazione.
« Tu sei Killian Jones- » provai, prima di essere
interrotta.
« Sul serio? Credevo di essere Sherlock Holmes! »
Ora
faceva il sarcastico, davvero divertente Jones.
« Ho passato l'ultima settimana a cercarti senza sosta.
Sei molto più di questo, guardati dentro. Tu sei Hook, ti
chiamano
tutti così per via dell- » uncino, avrei voluto
dire, peccato che
le parole mi morirono in gola non appena gli ebbi scoperto il braccio
sinistro.
« Moncone, già. » Completò
lui la frase per me,
guardandomi preoccupato. Ero rimasta come pietrificata, mentre
continuavo a darmi della stupida. Cosa mi aspettavo? Di vederlo
andare in giro per Londra, tutto tranquillo, con un uncino affilato
al posto della mano? Gold aveva pensato a tutto, probabilmente avrei
dovuto aspettarmi anche dell'altro. « Mi chiamano tutti in
quel modo
dal college, divertente no? » Aggiunse poco dopo, facendomi
tornare
in me. College,
con quanti
altri ricordi falsi avrei avuto a che fare? Ero terrorizzata, le
gambe cominciarono a tremare. Non smettevo di fissarlo, ma nel
mentre indietreggiavo, decisa ad allontanarmi il più
possibile da
lui, almeno per il resto di quella giornata.
Distolsi finalmente lo sguardo e mi girai, dandogli le
spalle. Non dissi niente, la mia mente era troppo impegnata a
disperarsi e pensare ad un altro piano per riportarlo da me.
L'obiettivo non era più quello di riportarlo a
Storybrooke, a casa, ma quello di fargli ricordare di me. Mi domandai
se fossi in grado di trovare una soluzione e una vocina nella mia
testa cominciava a darmi della povera illusa.
La vista mi si annebbiò per qualche istante. Portai la
mano destra sugli occhi, me li strofinai appena e li riaprii.
Sembravo stare meglio.
Barcollai e mi aggrappai al cancello a pochi passi da
me. Non riuscivo a reggermi in piedi, all'improvviso le mie gambe non
si dimostravano più in grado di sopportare il peso del corpo.
« Emma? »
Killian mi chiamò e mi girai all'istante. Aveva una
mano tesa verso di me e un'espressione sinceramente preoccupata. Si
mosse per raggiungermi, deciso ad aiutarmi e sorrisi istintivamente,
prima di crollare a terra, vinta dalla stanchezza e dallo stress.
*Killian
Pov*
« Emma! »
La chiamai ancora una volta, urlando, mentre scattai di
corsa verso di lei, vedendola mentre le forze la abbandonavano. Mi
chinai verso di lei, scostandole qualche ciocca di capelli che le era
andata sul volto e la girai mettendola a pancia sopra. Mi sedei sulle
ginocchia mentre la prendevo tra le mie braccia, inerme.
« Ehi, ehi Emma! Emma! »
La scuotevo con insistenza ma non si decideva a
riprendersi, ad aprire gli occhi e a guardarmi ancora una volta con
quelle iridi verdi che celavano sofferenza.
« Maledizione! »
Solamente io potevo ritrovarmi in una situazione del
genere. Andiamo, quante persone potevano affermare di essere usciti
di casa, un giorno, per recarsi al lavoro e di ritrovare, al ritorno,
una sconosciuta che ribatteva di saperne più di loro, che
per di più
perdeva i sensi, lasciandoli di conseguenza nel panico più
totale?
“Ad occhio e croce” pensai “direi
nessuno. Congratulazioni,
Killian, vinci il premio per l'uomo più fortunato
dell'anno”.
Non sapevo chi fosse, né come facesse a conoscermi,
benché meno come mi avesse trovato. Ma era successo e dovevo
ammettere di essere piuttosto curioso dal conoscerne di più.
La presi in braccio, il che non risultò molto semplice
per via della mia unica mano, e mi tirai su lentamente: non l'avrei
comunque mai lasciata lì a terra, senza prestarle il minimo
soccorso, sarebbe stato da barbari.
Con la spalla destra aprii il cancello, chiudendolo
subito dopo con la medesima gamba. Arrivato davanti la porta di casa
mi resi conto dell'impossibilità di recuperare le chiavi
dalla tasca
interna della mia giacca, così, stando attento a non lasciar
cadere
la ragazza, stringendola di più a me, con il gomito suonai
il
campanello.
« Killian! Cos'è successo?! » Mi
domandò la rossa
che comparve da dietro la porta, osservando me e la ragazza che avevo
in braccio, sbigottita.
« Mi è svenuta davanti, dovevo soccorrerla.
» Risposi
con semplicità, dando per scontato l'ovvietà
della cosa.
Mi diressi velocemente al piano di sopra, stando bene
attento a dove mettevo i piedi e a salire le scale lentamente,
così
da non rischiare di spaccare l'osso del collo a me e alla bionda. Nel
mentre, l'altra ragazza mi seguiva come fosse la mia ombra, ponendo
domande a cui io, però, non rispondevo, nel vano tentativo
di
capirci qualcosa.
Raggiunsi la camera degli ospiti -ora sì che quella
camera si dimostrava avere una qualche utilità- che si
trovava
proprio accanto alla mia, vi entrai e adagiai la ragazza sul letto.
« Fai piano, Hook. Attento alla testa. » Mi sentivo
rimproverare, mentre la rossa corse ad aiutarmi come meglio poteva.
« Rose, calmati, faresti agitare perfino un morto!
»
Ribattei io, guardandola spazientito. Lei sbuffò,
allontanandomi
visibilmente irritata, prima di cominciare a tastare il corpo
della sconosciuta.
« Non sembra aver riportato traumi o fratture, hai
detto che non ha battuto la testa, vero? »
« In realtà non l'ho detto, comunque no, non l'ha
fatto. » Affermai, poggiandomi alla parete, portando il peso del corpo
sulla
spalla, incrociando le braccia al petto e osservando la scena: ormai
non mi restava da fare più niente.
« Beh, si sveglierà presto. Probabilmente ha perso
i
sensi per via dello stress. A proposito, si era presentata qui poco
fa, sembrava abbastanza agitata. La conosci? » Feci spallucce
e
scossi la testa, omettendo il fatto che lei si ostinava ad affermare
il contrario. Rose sorrise appena « Devo andare a prepararmi,
stai
tu qui con lei? » Annuii e la osservai uscire dalla stanza.
Mi guardai intorno, non entravo quasi mai in quella
stanza, spesso dimenticavo quante cianfrusaglie tenevo lì
dentro.
Puntai la scrivania e mi diressi verso di essa, prendendo la sedia
che le stava accanto. La portai affianco al letto e mi ci sedei a
cavalcioni, incrociando le braccia allo schienale e poggiando il
mento su di esse.
Osservavo quella strana ragazza in silenzio,
domandandomi da dove spuntasse fuori. Non l'avevo mai vista in giro
e, seppur Londra fosse una città enorme, ero certo che non
fosse
quello il motivo per cui il suo volto non mi risultava familiare. Era
americana, ne ero certo, il suo accento non mi lasciava il minimo
dubbio.
Aveva dei lineamenti delicati, i capelli biondissimi e
gli occhi grandi e color dello smeraldo. Gambe lunghe, di certo non
messe in risalto dai jeans che indossava, infilati dentro degli
stivali marroni. Stivali che in quel momento teneva sulla mia
trapunta a quadri blu, cosa che mi fece fare una smorfia, ma cercai
di non pensarci visto che non era stata lei a programmare
ciò.
Era senz'altro una bella ragazza, l'avevo pensato fin da
subito. Prima di trovarla abbastanza irritante per i suoi modi.
Continuava a dire di conoscermi da tempo, ma ero certo che non fosse
così. Continuavo a sforzarmi di ricordare, ma il suo viso
non mi
diceva nulla. Sapeva il mio nome, ma quello non voleva dire niente.
E mi era anche saltata addosso! Non avevo fatto in tempo
a girarmi verso di lei che mi aveva circondato con le sue braccia.
E lì c'era stata quella scossa. Come un brivido, come
un segnale mandato dal mio corpo per farmi capire che un pizzico di
verità nelle sue parole c'era.
Era per quello che cercavo di notare un qualche
dettaglio che riportasse a galla un qualsiasi ricordo di lei, ma non
ci riuscivo, era come se qualcosa me lo impedisse.
« Killian, vado a lavoro. Ci vediamo più tardi?
»
Alzai la testa, una volta finito di pensare a quelle stupidaggini e
mi girai verso Rose.
« Ma certo, tesoro, vedrò di farti trovare una
bella
cenetta per quando tornerai. » Mi sorrise, si
avvicinò e mi lasciò
un bacio sulla fronte prima di uscire in fretta e furia dalla stanza.
Ascoltai i suoi passi che scendevano le scale di corsa,
la porta che si apriva e si chiudeva subito dopo, il motore della sua
auto che veniva messa in moto. E poi silenzio.
Tornai a concentrarmi sulla ragazza. Sembrava così
indifesa, in quel momento dov'era priva di sensi. Eppure avevo
riconosciuto una certa luce negli occhi, la luce di una vera
guerriera.
Chinai leggermente il capo e sospirai. Il mio sguardo
cadde su un distintivo che teneva attaccato alla cintura dei
pantaloni, non lo avevo notato prima. Mi sporsi appena per osservarlo
meglio, più da vicino. “Sceriffo”,
questo c'era scritto.
Un'informazione in più che cominciava a farmi capire
qualcosa.
Non feci in tempo ad allontanarmi che un tremito scosse
il suo corpo.
« Mh... » mugugnò, catturando appena la
mia
attenzione. « Killian » chiamò il mio
nome.
« Emma » pronunciai, allora, il suo, con una
spontaneità che mi disarmò: solamente chiamarla
per nome, in quel
momento, mi era suonata come la cosa più naturale che
potessi fare
nella mia vita.
*Emma Pov*
Sentivo
come un martello colpirmi senza sosta sulla testa, il corpo
incredibilmente pesante. “Questa è la punizione
per aver passato
le ultime notti insonni” mi rimproverai, portando una mano
sui miei
occhi chiusi, provavo fatica solo ad aprirli. « Emma »
Mi irrigidii ed
aprii lentamente gli occhi. La figura sfocata di Killian Jones mi
osservava preoccupata, seduta a cavalcioni su una sedia accanto al
mio letto. Amavo il suono della sua voce che chiamava il mio nome,
sembrava essere fatto apposta per essere detto da lui soltanto.
Piano, piano
cominciai a metterlo a fuoco, e con lui anche il resto della stanza
dove mi trovavo. Non ero a casa mia, il letto dove ero sdraiata non
era il mio, così come l'intera camera. Cominciai a ricordare
di
quello che era successo nelle ultime ore: il globo magico, il
viaggio, Londra, l'incontro con Killian.
Rumpelstiltskin gli
aveva cancellato non solo il ricordo di me, ma quello di Storybrooke,
dei suoi abitanti e, peggio, della sua vita da pirata, Neverland,
Milah, forse persino di suo fratello Liam. Lo guardai con una
smorfia, dispiaciuta, confusa e, soprattutto, imbarazzata per le cose
che gli avevo detto prima. Avevo agito nel modo sbagliato, non dovevo
mettergli subito in testa l'idea di vivere una vita che non gli
apparteneva, sarebbe stato meglio raggirarlo, come prima cosa. Mi
domandai cosa pensasse di me, mentre mi guardava senza proferire
parola. Sicuramente non dovevo avere tutte le rotelle apposto,
secondo il suo parere. Me lo meritavo, alla fine. Io stessa prendevo
tutti per pazzi durante il mio primo periodo a Storybrooke.
« Sei svenuta,
proprio qui fuori, così ti ho portato dentro. »
Interruppe il
silenzio che si era creato, abbozzando un mezzo sorriso. Neanche lui
sapeva come comportarsi con me, glielo si leggeva perfettamente in
faccia.
« Ehm, grazie.
»
Affermai incerta, mettendomi a sedere in una posizione decisamente
più comoda per parlare. Abbassai lo sguardo, puntandolo
verso le mie
mani giunte, cominciando a torturare il labbro inferiore. Forse era
meglio che dicessi qualcosa, tanto per fargli capire che non ero
completamente pazza. « Scusami per prima,
per aver detto
quelle cose. Non dormo da giorni, sai. La stanchezza mi ha giocato un
brutto tiro. » Alzai lo sguardo per un secondo, incurvai
appena gli
angoli delle labbra verso di lui e tornai a studiarmi le mani.
Killian non distolse
neanche per momento lo sguardo da me, e questo mi faceva sentire
piccola come una formica. Non sapevo che idea si stesse facendo, ero
certa che si stesse interrogando su come agire: far finta che non
fosse successo niente o affrontare l'argomento.
« Eri impegnata in
un caso importante? »
Evidentemente aveva
optato per la prima opzione. Lo guardai, comunque, interdetta, non
capendo bene a cosa si riferisse.
« Scusami?
» Feci,
sperando potesse spiegarsi meglio.
« Hai detto che non
chiudi occhio da giorni, e sei uno sceriffo... avevi un'indagine
importante fra le mani? »
« Come sai che sono
uno sceriffo? »
« Dal distintivo,
ovviamente. » Rispose prontamente, indicandolo con l'indice
destro e
con un cenno del capo. Guardai istintivamente la mia cintura e lo
trovai lì: me ne ero completamente dimenticata.
« Ah, giusto.
»
Commentai a mezza voce, senza smettere di osservare un certo
luccichio nel distintivo. « Comunque sì, in un
certo senso. »
Dissi incerta, mi sembrava ancora una situazione surreale quella che
stavo vivendo.
Tornai a guardarlo,
aprii la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non mi
uscì
niente. Rimasi quindi a fissarlo, solo questo. Si grattò per
qualche
attimo la testa, non sapendo neanche lui in che modo cominciare un
qualche discorso.
« Io... ti preparo
un caffè, vuoi? O preferisci un té? Un latte
caldo? Una tisana? »
Cominciò a chiedere a raffica, alzandosi di scatto.
« Oh, no, grazie.
Non voglio niente, non disturbarti. » Affermai tranquilla,
scuotendo
anche la testa per fargli capire che non ne avevo bisogno.
« Andiamo, hai
bisogno di prendere qualcosa, ti aiuterà a recuperare le
energie.
Cosa preferisci, quindi? »
Mi sorrise sincero.
Non lo aveva ancora fatto da quando l'avevo rivisto. Sentii qualcosa
nello stomaco, come un fuoco che, improvvisamente, si era acceso
senza il mio consenso. “Mi è mancato il tuo
sorriso, Killian”.
« Beh... prenderei
volentieri una cioccolata calda, ma, davvero, non devi disturbarti
tanto, io mi sento già meglio. »
« Una cioccolata?
»
Si accigliò. Era una richiesta tanto strana, la mia? Mi
rabbuiai
nuovamente, ora arrivava a guardarmi in modo strano solo se al
caffè
preferivo della cioccolata. « Va bene, scendo a preparartela
subito.
» Così dicendo uscì dalla stanza, senza
neanche darmi il tempo di
ringraziarlo.
Mi
guardai intorno, spaesata. La stanza non era molto grande, ma era
disordinata quasi quanto la mia. La scrivania di legno era sepolta da
una montagna di fogli, per la maggior parte strappati o
accartocciati. Ai piedi del letto, a una piazza e mezza, c'era un
tappeto dello stesso colore della coperta su cui ero seduta: blu. Sul
comodino alla mia destra vi erano poggiati tre libri, li presi
subito, senza esitare, curiosa: “Il cacciatore di
teste” di
Nesbø,
“Il codice Da Vinci” di Brown e, quello che mi fece
sorridere più
di tutti, “Il corsaro nero” di Salgari. Immaginai
Killian leggere
anche solo uno di quei libri e, no, proprio non ce lo vedevo. Li
rimisi al loro posto, cercando di nascondere una smorfia. L'armadio,
anch'esso in legno, era semi aperto, mi alzai per dargli un'occhiata
e rimasi delusa vedendo che fosse quasi completamente vuoto. Trovai
solamente tre felpe, due paia di jeans, una camicia bianca e quattro
t-shirt. Tutto completamente diverso dall'abbigliamento che indossava
solitamente il Killian che conoscevo.
Presi un respiro profondo e mi guardai intorno un'altra volta. Notai
addirittura una chitarra, anche se dubitavo la suonasse ancora.
Ancora? Mi stavo bevendo il cervello, per caso? Non l'aveva mai
suonata prima, qualsiasi ricordo avesse di quell'oggetto era
completamente falso!
Non
riuscivo a restarmene lì dentro, da sola, ad osservare la
finta vita
dell'uomo che amavo, così uscii dalla camera, decisa a
raggiungerlo
in cucina. Pessima idea, anche quella, visto che i mobili che trovai
lungo il tragitto erano pieni di foto: una lo ritraeva da bambino, vestito da
marinaretto, una canna da pesca in mano e un sorriso orgoglioso
mentre mostrava un pesce; un Killian adolescente, con lo zaino in
spalla e una mano fra i capelli; e poi eccolo, decisamente
più
adulto, mentre abbracciava una ragazza. La guardai meglio: capelli
rossi, occhi color nocciola, qualche lentiggine, le gote leggermente
arrossate. Era la stessa tipa che mi aveva aperto la porta per la
prima volta. Spalancai gli occhi sbigottita, non ero pronta a una
notizia del genere. Non poteva essere fidanzato, Gold non poteva
farmi una cosa del genere o lo avrei ucciso io stessa con le mie
mani.
Indietreggiai
appena e scossi la testa, non dovevo trarre delle conclusioni prima
del tempo, probabilmente si sarebbero rivelate poi sbagliate.
Afferrai la ringhiera alla mia sinistra e scesi le scale. Le pareti
bianche erano piene di quadri di vario genere.
Arrivai
in cucina e vi trovai Killian, con una tazza fumante in mano che mi
guardava sorpreso.
«
Emma, stavo salendo a portarti la cioccolata. »
Feci
spallucce. « Mi ero stancata di stare a letto. »
Dissi
semplicemente. Si trovava dietro un bancone da cucina, così
lo
raggiunsi, sedendomi su uno dei quattro sgabelli posizionati davanti
ad esso.
Presi
la tazza con raffigurata la bandiera inglese tra le mani e osservai
il contenuto, delusa. Niente panna, niente cannella. Incredibile come
una semplice cioccolata calda potesse cambiarmi così tanto
l'umore.
O forse era quello che c'era dietro quella cioccolata.
«
Qualcosa non va? » Mi domandò, scrutandomi dritto
negli occhi,
cercando di decifrare la mia faccia.
«
No, niente. Di solito la prendo con della panna e una spruzzata di
cannella, ma non fa niente. Di certo tu non potevi saperlo. »
Commentai cercando di risultare normale e di non far notare la mia
amarezza.
Soffiai
appena sulla cioccolata fumante e ne presi un sorso, mentre lui si
preparava un caffè.
«
Killian » lo chiamai, attirando la sua attenzione. Lo vidi
mentre
girava appena, appena la testa nella mia direzione, guardandomi con
la coda dell'occhio « Posso farti una domanda? »
«
Non me l'hai appena fatta? » Fece lui,
sarcasticamente. «
Dimmi. »
«
Posso chiederti chi era la ragazza che c'era prima in casa? »
Domandai incerta, preferendo non guardarlo.
«
Chi, Rose? » Chiese di rimando, rendendosi poi conto che di
certo
non potevo rispondere a quella domanda « Roseline Smith,
anche se
tutti noi la chiamiamo semplicemente Rose, ti ha dato una controllata
veloce, prima, dopo che sei svenuta, per assicurarsi che stessi bene.
E' un medico, sai. O meglio, un medico legale... autopsie e cose del
genere. » Mi spiegò, mettendo il caffè
sul fuoco e girandosi a
guardarmi, la mano poggiata sul bancone alle sue spalle. «
Stiamo
insieme da una vita. »
Il
mondo mi crollò nuovamente addosso per la seconda volta in
quella
giornata.
Non
potevo credere a quello che avevo sentito.
Non
solo Gold lo aveva spedito dall'altra parte del mondo, non solo gli
aveva cancellato la memoria, non solo gli aveva riempito la testa di
ricordi falsi, gli aveva trovato anche una finta ragazza. Realizzai
che l'uomo doveva aver pensato ad ogni dettaglio già da
molto tempo,
intenzionato com'era a vendicarsi di Killian. A vendicarsi di me.
Ma
c'era dell'altro.
«
Ci sposiamo fra un mese. »
Riuscivo
quasi a sentire la risata isterica del coccodrillo, nonostante si
trovasse oltreoceano.
Note
dell'autrice: buonanotte
buonasera lettori :) Spero di non essermi fatta odiare troppo, adesso
che la trama generale è stata finalmente spiegata, anche se la maggior parte di voi ci aveva visto giusto già da un po' di tempo. Ci
troviamo con
un Killian leggermente diverso
da
quello a cui siamo abituati (ci ho pensato su, e ho deciso di non
andare troppo OOC, niente situazione alla Belle/Lacey, per capirci,
anche se l'idea mi ha stuzzicato e non poco xD), senza memoria e
promesso sposo (sono stata un po' stronzetta, me ne rendo conto). Non
ho molti altri appunti da fare, solo vi avverto che in settimana
avrò
molto da studiare, quindi non so se riuscirò a
scrivere/postare il
quarto capitolo, anche se farò di tutto per riuscirci, al
massimo ci
'vediamo' fra due settimane ;) Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto, grazie mille per le recensioni, siete troppo buone :D
Ah,
e buon (?) finale di stagione, preparate i fazzoletti che credo ce ne
sarà molto bisogno ç_ç
Un
bacio a tutti :*
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
(© elyxyz)
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Capitolo 4 *** Strangers in the night ***
4.
Strangers in the night
« Voi vi...
sposate » ripetei lentamente, neanche mi aspettassi di essere
corretta, potevo benissimo vederla, nella mia mente, una scena del
tipo: “Sposarci? Cosa? No, tesoro, sei matta? Hai capito
male!”
Illusa.
Stupida. Idiota.
O forse
cercavo solamente di memorizzare quelle parole nel mio cervello.
Mi trovavo
in una specie di shock emotivo, ne stavano succedendo tante, troppe,
di cose, tutte insieme e temevo di esplodere da un momento all'altro.
Letteralmente esplodere, non solo metaforicamente.
Una batosta
così grande l'avevo avuta solo una volta accettato il fatto
di
essere la Salvatrice. Ma non era la stessa cosa. In quel caso,
pensavo di non essere la persona giusta per una missione del genere,
avevo soltanto paura di deludere le aspettative delle persone che mi
circondavano e risultare inutile nella ricerca del loro lieto fine.
Ma non era niente a che vedere con quello che provavo in quel
momento.
Ci ero già
passata con Neal, in effetti, quando mi aveva confessato di stare per
sposare Tamara. Con l'unica differenza che lì si trattava
della
realtà. Sì, lei lo ingannava, ma i sentimenti di
lui erano veri. E
poi, per quanto mi sentissi estremamente legata ancora all'uomo, la
nostra storia era finita da un pezzo.
La
situazione di Killian era diversa.
Lui mi era
stato strappato via così, all'improvviso, senza una
spiegazione, per
una semplice ripicca. Gli era stata riempita la testa di menzogne,
gli erano stati portati via i ricordi di un'intera vita, e gli erano
stati sostituiti con altri, falsi.
Non potevo
permetterlo, lui non meritava neanche la metà di quello che
gli era
capitato.
« Sì, fra
un mese » ripeté lui, senza accorgersi della mia
occhiata smarrita
e del mio tono di voce devastato « Rose ultimamente
è parecchio
nervosa per via dei preparativi » diceva mentre si versava il
caffè
in una tazza color blu cobalto « Se dovesse sembrarti
scorbutica,
beh, sappi che non è sempre così. »
Scherzò tranquillo,
rivolgendomi un sorriso, prima di avvicinare le sue labbra alla tazza
che teneva in mano.
Gli sorrisi
di rimando, incurvando appena le labbra per un secondo e
rivolgendogli un cenno con il capo.
Inspirai
profondamente e volsi lo sguardo da un'altra parte. Il grande
orologio da parete indicava le 17:09, si stava facendo tardi e non
sapevo neanche dove potermi fermare per la notte visto che non avevo
messo in conto di restare troppo a lungo a Londra, troppo ottimista
del fatto che non ci sarebbero state complicazioni nel riportare
Killian a Storybrooke.
Il cellulare
cominciò a squillare e lo tirai velocemente fuori dalla
tasca dei
jeans. Era mia madre, probabilmente preoccupata di non avere ancora
mie notizie dato che non avevo chiamato nessuno neanche una volta
scesa dall'aereo.
Sfiorai
appena il tasto rosso che chiudeva la chiamata e riposi l'oggetto al
suo posto. Lanciai una rapida occhiata a Killian, dopodiché
tornai a
bere la mia cioccolata calda, quel poco che ne era rimasta. Dovevo
alzarmi e andarmene, dovevo stare lontana da quella casa almeno per
un paio d'ore, il tempo necessario per permettermi di ragionare sugli
ultimi avvenimenti e di trovare una soluzione.
Il telefono
squillò nuovamente: era Regina. Rifiutai ancora la
chiamata,
questa volta più scocciata. Già li vedevo, tutti
riuniti nel loft a
chiedersi il perché di quel mio comportamento. Sentivo quasi
Regina
darmi della stupida bambina.
« Sembra proprio che qualcuno abbia bisogno di te.
» Commentò il
ragazzo che aveva cominciato ad osservarmi circospetto.
« Oh, non
puoi neanche immaginare quanto. » Commentai fra me,
riferendomi
velatamente a lui. Per fortuna non colse affatto quella mia
allusione.
« Emma »
mi chiamò. Mi girai e lo guardai per qualche istante,
aspettando che
parlasse. Ma se ne stava zitto, forse alla ricerca delle giuste
parole da utilizzare.
« Killian.
» Pronunciai il suo nome con tono di sfida, esortandolo a
sputare
fuori tutto quello che gli passava per la testa. Dovevo sapere cosa
pensasse di me. Dovevo sapere se mi credesse pazza o che altro.
« Come fai
a conoscermi? »
Sgranai gli
occhi ed aprii leggermente la bocca, ma nessun suono uscì da
essa.
Ero alla disperata ricerca di parole, quelle più giuste ed
adatte,
ma la verità era che non ce ne erano, non esistevano. La
verità era
che non potevo ricominciare a raccontargli la storia di una cittadina
chiamata Storybrooke, dove i suoi abitanti altri non erano che i
personaggi delle fiabe più famose. Non potevo. A mente
più lucida
me ne rendevo conto benissimo, dovevo prima guadagnare la sua fiducia
e, in quel momento, non mi sentivo in grado di farlo.
In silenzio,
posai la tazza della cioccolata sul bancone da cucina. Tirai indietro
lo sgabello sul quale ero seduta e mi alzai di scatto. Forse anche
troppo velocemente, tanto che barcollai appena e mi girò la
testa
per un attimo.
Mi ressi
alla parete bianca al mio fianco, accarezzandone la superficie e
chiusi gli occhi per riprendermi.
« Stai di
nuovo male?! » Fece lui avvicinandosi di corsa verso di me,
posando
la mano sulla mia spalla destra. Un brivido percorse la mia schiena a
quel contatto, sbarrai gli occhi, pur tenendo lo sguardo basso e
cercai di respirare normalmente. « Forse è meglio
se ti porto da un
medico per farti visitare, Rose torna per cena, ma non credo comunque
che possa farlo lei. »
Mi scansai e
scossi la testa. Non stavo male fisicamente, nessun dottore poteva
guarirmi, mi avrebbero solamente visitata e mi avrebbero detto che
non avevo niente che non andava. Nessuno avrebbe potuto vedere
l'immenso spacco che avevo sul cuore. Lo avevo sentito spezzarsi
quando Killian non mi aveva riconosciuta e la ferita non faceva altro
che aumentare ogni volta che sentivo nominare la sua fantomatica
ragazza. Rose, Rose, Rose. Avevo già la nausea del suo nome.
« Sto bene,
non è nulla » cercai di dire, allontanandomi
appena e puntando la
porta: non vedevo l'ora di uscire da lì.
« Non stai
bene per niente, almeno vai a stenderti per qualche minuto nella
camera degli ospiti, e poi, magari, possiamo parlare di quello che
è
successo prima. » Mi aveva afferrata per il braccio e mi
aveva
costretto a voltarmi, ma io cercavo in tutti i modi di non incrociare
il suo sguardo o sarebbe stato impossibile andarmene.
« No »
ribattei con un tono decisamente più forte « Vado
in albergo, ho
prenotato una camera prima di venire qui. Ma ci rivedremo. E ti
spiegherò ogni cosa, te lo prometto. » Dissi tutto
velocemente,
senza mai riprendere fiato, mi divincolai dalla sua presa e scappai
via. Sì, beh, scappare era proprio la parola più
adatta per
descrivere quello che stavo facendo.
Mi
rimproveravo soprattutto per avergli mentito, io che davo tanto peso
alle bugie, che dicevo di non tollerarle. Non sapevo quante altre ne
avrei dette, ma sapevo che una volta tornato da me avrebbe capito.
Il cellulare
ricominciò a suonare, ancora una volta lo presi esasperata:
era
nuovamente mia madre. Rifiutai ancora una volta la chiamata e
impostai la modalità “silenzioso”,
così da non essere più
disturbata. Il fatto era che non volevo parlare con nessuno, non mi
sentivo pronta ad ammettere ad alta voce quello che Gold aveva fatto
e decisamente non impazzivo all'idea di sentire gli altri, dall'altro
capo del telefono, con le loro stupide rassicurazioni e discorsi
sulla speranza.
Speranza, in
quel momento non ne vedevo la minima traccia, forse troppo
scoraggiata dall'accaduto. Sentivo anche un immenso bisogno di
piangere, ma cercavo di trattenermi, anche per non essere guardata
con pena dalla gente che mi passava accanto.
Li vedevo,
tutti loro, e li studiavo. Ragazzine che parlottavano ridacchiando
tra di loro, coprendosi la bocca con le mani, come a voler proteggere
chissà quale segreto dalle occhiate dei passanti. Ragazzi
che le
osservavano, tenendosi a debita distanza da loro, lo skateboard sotto
le braccia, il sorriso sornione e furbo. Un bambino, seduto sulle
spalle del padre che lo reggeva forte tenendolo per le gambe, rideva
entusiasta sentendosi un gigante, talvolta gridando parole di gioia,
che non comprendevo, verso la madre che avanzava a passo lento dietro
di loro, guardandoli però con un sorriso intenerito, come si
guarda
lo spettacolo più bello del mondo. Una signora anziana
rimproverava
quello che aveva l'aria di essere suo marito, mormorava qualcosa sui
cinquant'anni di matrimonio passati insieme, lui che si grattava la
testa, dove l'unico colore che risaltava era il bianco, e le
sussurrava di non aver mai smesso di amarla per tutto quel tempo.
Crollai a
sedere sulla prima panchina che mi capitò a tiro, poggiai i
gomiti
sulle ginocchia e mi presi la testa fra le mani, sporgendomi in
avanti. Tutte quelle immagini mi avevano fatto provare del dolore
atroce, erano tutte pugnalate inferte al cuore senza un minimo di
pietà, a continuare di quel passo ne sarebbero rimaste solo
qualche
briciola.
Alzai la
testa e mi rilassai, poi, contro lo schienale della panchina. Guardai
il cielo grigio sopra di me e mi sembrò la fotografia
più triste di
quella giornata. Risi sarcasticamente a quel pensiero: con tutto
quello che era successo e che mi stava succedendo, andavo a leggere
la tristezza in un normalissimo cielo grigio. Tornai seria,
dicendomi che probabilmente stavo solamente riflettendo i miei
sentimenti in quel fenomeno atmosferico.
Sospirai.
Cominciai a sentire freddo e mi strinsi meglio nelle spalle. Forse
quel misero giubbotto di pelle non era l'ideale per il clima
perennemente invernale di Londra. Speravo solo di non doverci fare
l'abitudine.
La gamba
destra continuava a vibrare senza sosta, per via del cellulare che
tenevo nella medesima tasca. Non avevano mai smesso di cercarmi,
sembravano non volermi lasciare in pace.
Lo presi:
quella volta era Regina. Risposi, non potendo ignorarli ancora a
lungo.
« Regina. »
Affermai in tono di saluto, anche se la mia voce faceva trasparire
perfettamente il mio stato d'animo.
« Swan, che
diavolo succede?! Cerchiamo di rintracciarti da ore. Perché
non hai
risposto alle chiamate? Hai trovato il pirata? Sta bene? Non potevate
aspettare a recuperare il tempo perso? Potevi almeno mandare un
messaggio, Cristo! Eravamo preoccupati! »
La donna
parlava a raffica, non si fermava neanche per riprendere fiato. E
urlava, tanto che dovetti più volte allontanare il telefono
dall'orecchio o mi avrebbe resa sorda nel giro di pochi minuti. Mi
massaggiai la tempia sinistra, chiudendo per un secondo gli occhi,
mentre i rimproveri di Regina Mills non accennavano a voler
terminare.
Certo, mi
dispiaceva averli fatti preoccupare, ma dovevano capire che non ero
dell'umore adatto per parlare con qualcuno, chiunque fosse stato.
« Regina...
» cercai, invano di fermarla, volevo dirle tutto,
dell'incantesimo,
del mio fallimento, del mio sentirmi spaesata. Avrebbe senz'altro
capito e, sicuramente, avrebbe perdonato ogni mia chiamata rifiutata.
« No, Swan,
non ho ancora finito! » Continuò la donna, con
tono fermo e deciso.
Lo stesso tono con cui si rimprovera un bambino, ed io non ero di
certo una bambina. « Sono stata tutto il giorno nel loft con
i tuoi
genitori, esclusivamente per Henry, e mi sono dovuta sorbire ogni
più
piccola preoccupazione di tua madre, che faceva poi stare in ansia
tutti noi. Spero che tu abbia una buona scusa. Una scusa migliore del
classico “sono stata in pena per lui, mi era mancato
troppo”. »
« Non sa
chi sono. »
Silenzio.
Regina non parlava e stessa cosa facevo io. Non c'era altro da dire,
tutto si riassumeva alla perfezione con quelle poche parole: non si
ricordava di me, non sapeva chi ero.
« Non
capisco se non ti spieghi meglio, Emma. Di che stai parlando?
»
Ancora
silenzio. Non riuscivo a spiegarmi meglio, non riuscivo a raccontarle
nel dettaglio di quello che stava succedendo. Volevo farlo, ma mi
stava risultando difficile. E mi sentivo stupida, mentre guardavo un
punto indefinito davanti a me, mordendomi il labbro inferiore.
« Swan! »
Mi riscossi, inspirai profondamente e cercai la forza di ammettere
una volta per tutte che fosse tutto vero: che sì, Killian
Jones non
si ricordava più di me, grazie a Gold che gli aveva
costruito una
nuova vita.
« Hook non
si ricorda più di me, Regina » dissi, reprimendo a
stento un
singhiozzo « Gold non solo lo ha spedito fin
quaggiù, ma gli ha
anche lanciato un maleficio. Non sa di essere il personaggio di una
favola, non sa niente della sua vita da pirata, non sa di
Storybrooke, non sa di noi. »
« Oh,
Emma... »
« Aspetta,
fammi parlare che già mi risulta complicato » la
bloccai, se avesse
cominciato a dispiacersi per me non sarei riuscita a continuare
« Ha
usato il tuo stesso incantesimo, gli ha creato una nuova vita, gli ha
messo in testa nuovi ricordi. Regina... Regina devi spezzare
quest'incantesimo, ti prego. » Qualche lacrima mi
scappò dal
controllo, mentre la supplicavo, anche se facevo di tutto per
mantenere la voce il più ferma possibile.
« Emma non
posso farlo, non è così semplice. »
Annuii tra me, consapevole che
lei non poteva vedermi. « Posso preparare una pozione della
memoria,
però. Con Belle ha funzionato. »
Finalmente
tornai a sorridere, sincera. Mi ero subito buttata giù e non
avevo
ragionato per bene, come al solito. Mi chiesi come avevo fatto a non
pensare prima a quella soluzione, dovevo smetterla di pensare sempre
al peggio e cominciare a considerare ogni possibilità.
Certo, dopo
gli ultimi tiri mancini di Gold, non era neanche detto che la pozione
avrebbe risolto ogni cosa. Mi rabbuiai ancora.
« Regina,
se non dovesse funzionare? »
« Vorrà
dire che ci inventeremo qualcos'altro, Swan. Ogni incantesimo ha la
sua scappatoia, dovresti averlo imparato. »
« Hai
ragione. » Dissi solamente. Dovevo smetterla di avere tutti
quei
dubbi, dovevo pensare positivo e, soprattutto, dovevo crederci
davvero. Sarebbe stato tutto più semplice, o almeno
così diceva mia
madre. Restava il fatto che la sua “speranza” non
mi aveva
aiutato poi molto, negli ultimi tempi.
«
Funzionerà Emma. Devi solo aspettare che trovi tutti gli
ingredienti, la prepari e te la porti. Smettila di farti troppi
problemi, abbiamo affrontato di peggio. Far tornare la memoria ad un
pirata sarà una barzelletta al confronto. »
« Ho paura,
Regina. Ho paura di perderlo. »
« Non lo
perderai, te lo prometto. » Sentii la voce della donna
addolcirsi. «
Siamo noi stessi gli artifici del nostro lieto fine, ricordi?
»
Sorrisi ancora una volta. « Non perdere la speranza, sta
vicina a
Hook e il resto verrà da sé. »
«
Grazie
Regina, davvero. E mi
dispiace di avervi fatto preoccupare tanto. »
« Non devi neanche dirlo Swan, avevi bisogno di stare da sola
con i
tuoi pensieri. » Sapevo che avrebbe capito. « Mi
chiedo solo come
abbia fatto Gold. »
« Beh, lo sai di chi parliamo. Trova sempre un modo per
arrivare al
suo scopo. »
Parlai con Regina per vari minuti. Non di Hook, era chiaro ad
entrambe che mi serviva un attimo di distrazione, così mi
parlava di
Henry, di quello che era successo a Storybrooke nelle ultime ore: mio
padre aveva portato Will da Granny's e lui si era scusato
pubblicamente con la donna, con Ruby e con Ariel per il comportamento
che aveva avuto; Robin e Roland si erano trasferiti ufficialmente a
casa di Regina e, inoltre, Zelena cominciava a mostrarsi dispiaciuta
(anche se sia io che Regina eravamo convinte fosse solo una messa in
scena ideata per potersene andare in giro liberamente).
Mi fece bene parlare di altro, distrarmi completamente, ma poi giunse
il momento di tornare alla realtà.
Chiusi la chiamata, riposi il cellulare in tasca e cominciai a
sentirmi nuovamente vuota. Mi trovavo in una città che non
conoscevo, piena di gente che non conoscevo. Non sapevo neanche dove
andare, il sole stava calando e io cominciavo ad avere fame.
Mi avvicinai ad un signore che sembrava avere la sola intenzione di
gustarsi in pace il tramonto e gli domandai se conoscesse un posto
tranquillo dove mettere qualcosa sotto i denti. Mi consigliò
il
“Moon on the hill” e cercò di spiegarmi
la strada il più
dettagliatamente possibile.
Per fortuna fu piuttosto semplice trovare il locale e, una volta
entrata, ordinai subito un hot dog e degli anelli di cipolla con una
birra, prima di andare a sedermi al tavolo più nascosto che
ero
riuscita a scovare.
Finalmente un po' di pace, potevo starmene per conto mio, gustarmi la
mia cena e pensare a quale scusa rifilare a Killian, così da
non
farmi prendere per una...
« Stalker. Sei una stalker, ammettilo. »
Alzai la testa spaventata, non riuscendo a nascondere un piccolo
sobbalzo. Killian mi guardava con una smorfia divertita, in mano una
bottiglia di birra, addosso una tshirt verde (e la cosa mi fece
immensamente uno strano effetto) e dei jeans.
« Killian » esclamai sorpresa di ritrovarlo
lì. Dovevo avere
un'espressione ebete dipinta sul volto, perché lui trattenne
a
stendo una risata « Cosa diavolo ci fai qui?! »
« Buffo che tu me lo chieda » cominciò a
dire, mentre tirava
indietro una sedia sotto il mio sguardo, ancora stupito, e prendeva
posto esattamente di fronte a me « stavo per farti la stessa
domanda. Anzi, credo di avere più diritto io nel chiederti
come tu
sia finita qui, con tutti i locali che ci sono a Londra. Mi stai
pedinando? » Il suo volto era rilassato e la sua espressione
divertita, questo allentò la tensione.
« Certo che no! » Feci scandalizzata.
Portò la bottiglia di birra alle labbra e ne bevve un sorso,
senza
distogliere lo sguardo dal mio, studiandomi, forse, cercando di
capire di più su di me, soltanto lanciandomi un'occhiata.
Cercai con
ogni modo di non guardarlo, nonostante sentissi i suoi profondi occhi
azzurri puntati su di me che mi entravano dentro, in qualche modo, e
questo mi fece arrossare le guance. O forse era dovuto al forte
riscaldamento che c'era nel locale.
Concentrai la mia attenzione su un anello di cipolla che spezzai a
metà, per poi portarmene un pezzo in bocca. Quando rialzai
lo
sguardo lui non aveva cambiato espressione, era sempre lì
con quel
suo ghigno, ad osservarmi.
« Cosa?! » Domandai allora, spazientita.
« Mi dici chi sei, adesso? » Chiese lui, serio ma
comunque
rilassato. Non c'era durezza nella sua voce, era il tono di un
ragazzo che voleva semplicemente capirci di più.
« Emma Swan. » Risposi in un mormorio, cercando di
sviare la
domanda. Cominciai a dare un morso all'hot dog, nella vana speranza
di fargli capire che non mi andava molto di parlare.
In realtà ero agitata, mi sentivo molto una ragazzina che
andava in
panico per il primo appuntamento col suo ragazzo. Peccato che quello
non era affatto un appuntamento e non sapevo neanche se potevo ancora
considerare Killian come mio ragazzo. Quella situazione mi
confondeva, e i suoi occhi fissi su di me non mi aiutavano.
Mi resi conto che non baciavo le sue labbra da una settimana. Per
giorni mi ero chiesta se mai l'avrei rifatto di nuovo e, adesso che
ce l'avevo lì davanti, ancora non avevo trovato risposta.
Gli lanciavo occhiate rapide di tanto in tanto, per verificare se
aveva, in qualche modo, cambiato obiettivo e si fosse girato a
guardare da un'altra parte, ma ogni volta che alzavo la testa lui era
nella stessa posizione in cui l'avevo lasciato. Se ne stava in
silenzio e non faceva altro se non scrutarmi e sorridere tra
sé,
bevendo ogni tanto un sorso della sua birra. Mi snervava, forse
voleva solo tastare la mia pazienza, inconsapevole di quanta poca ne
avessi.
Ingoiai il quarto morso del panino e mangiai subito un altro anello
di cipolla, mantenendo gli occhi fissi sul tavolo rosso e bianco.
« Dovresti riprendere fiato tra un boccone e l'altro.
» Osservò
lui, rompendo quel silenzio che regnava da qualche minuto. Alzai la
faccia e lo fulminai con lo sguardo, stanca.
« Cosa vuoi realmente, Killian? » Gli domandai non
potendo più
sopportare un altro secondo di quella strampalata situazione, dove
entrambi cercavamo di girare intorno a come mi ero comportata non
appena l'avevo visto.
« Voglio sapere chi sei. » Rispose senza nascondere
un certo tono
autoritario, cercando invano di intimidirmi.
« Te l'ho già detto. »
Riabbassai nuovamente la testa e tornai a concentrarmi sul piatto
pieno di cibo che avevo di fronte. Feci per prendere un altro anello
di cipolla, ma lui fu più rapido e mi bloccò,
affermandomi il
polso. Trattenni il fiato a quel gesto e restai a guardare per
qualche secondo la sua mano ferma. Quando mi decisi ad alzare gli
occhi, notai che stava facendo lo stesso, ma subito dopo le sue iridi
blu tornarono ad immergersi nelle mie.
« Chi sei, Emma Swan? Da dove vieni? »
Il suo sguardo mi penetrava e mi risultava difficile continuare ad
evitarlo ancora a lungo, così cercai di non pensare al mio
polso
stretto tra la sua mano e tentai di rispondere.
« Il mio nome è Emma Swan, come hai già
intuito sono uno sceriffo
e vengo da Storybrooke. » Dissi, facendogli capire che avevo
deciso
di collaborare, svuotando finalmente il sacco, ma comunque decisa a
non rivelargli ogni cosa, almeno per ora.
« Storybrooke? » Fece lui confuso, facendomi
annuire appena con il
capo.
« Sì, è una piccola cittadine nel Maine
dove non succede mai
niente di eclatante » informazione più che falsa
« Dubito che tu
ne abbia mai sentito parlare. »
« No, infatti » sentenziò « E
so anche cosa ci fai qui. » Mi si
mozzò il fiato e mi si gelò il sangue nell'udire
quelle parole. Che
avesse scoperto che ero lì per riportarlo a casa? In qualche
modo
aveva intuito cosa eravamo? Aveva indagato e aveva trovato tracce di
un passato sconosciuto? « Ti ha fatta venire il mio capo,
vero? »
Aggrottai la fronte, non capendo.
« Come? »
« Il mio capo, Montgomery. » Piegai appena il capo,
in
un'espressione interrogativa. « Sono un detective di Scotland
Yard,
credevo lo sapessi. »
« Tu sei cosa?! » Ero più che
sconcertata, la trovavo una cosa
impossibile. Avevo ormai perso il conto di quante notizie bombe mi
ero ritrovata a sentire nel corso di una singola giornata.
« Un detective, e ho un caso importante fra le mani a cui non
riusciamo, io e la mia squadra, a venire a capo. Montgomery
starà
via per qualche settimana, ma prima di partire mi aveva assicurato
che avrebbe contattato la giusta persona per trovare quei criminali.
» Mi spiegò, osservandomi questa volta con aria di
sfida. Provai a
comprenderlo, immaginando che fosse un po' un'umiliazione, per lui,
ritrovarsi ad essere aiutato da un'altra persona per un caso che non
riusciva a risolvere da solo.
« Ho uno spiccato talento per trovare le persone. »
Dissi piano,
quasi lo sussurrai. Nella mia testa pensavo a tutt'altro, pensavo al
vecchio Killian, al pirata che agiva d'istinto e che pur volendo fare
la cosa giusta, la maggior parte delle volte si ritrovava a
commettere degli errori. « Non ti ricordi proprio di me,
vero? »
Mormorai in seguito, a denti stretti. Aggrottò appena la
fronte e
poi scosse la testa.
« No, mi dispiace. Puoi dirmi dove mi hai conosciuto?
» Era la
prima volta che la metteva come una richiesta educata e capii che era
il momento di tirare fuori la balla più grande che potessi
trovare,
seppur a malincuore.
« Noi... » cominciai a dire, lasciando il discorso
a metà. Noi
cosa? Noi stavamo insieme? Ci amavamo? No, non potevo fargli questo.
Lo avrebbe confuso ancora di più. Decisi di optare per una
strada
più semplice, una strada che non gli avrebbe permesso di
pormi
domande scomode. « Noi ci siamo diplomati insieme. So che
sono
passati davvero tanti anni, ma credevo ti ricordassi ancora di una
vecchia amica. »
Rimase colpito da quella rivelazione e lo osservai mentre si sforzava
in tutti i modi di ricordarsi di me, di una ragazzina dai capelli
biondi e dagli occhi verdi, ma sapevo che non avrebbe trovato nessun
ricordo.
« Mi sembra di ricordare un ballo »
mugugnò, pensieroso « avevi i
capelli raccolti ed eri vestita di rosso. » Spalancai la
bocca,
ascoltandolo. Sapevo che fosse esclusivamente opera di Gold, che gli
aveva ficcato in testa delle immagini di un lui adolescente, che
ballava insieme a una ragazza bionda, mai più vista
né sentita.
« Sì, esatto. Il ballo di fine anno. »
Mi ritrovai a dire,
stupendomi di me stessa.
« Beh, non te la prendere con me! Siamo entrambi cresciuti e
cambiati. Non avrei mai potuto riconoscerti. »
« Ma io ti ho riconosciuto. » Scherzai facendolo
scoppiare a
ridere, cosa che mi riempì il cuore di gioia.
« Sì, l'hai fatto. » Disse, sorridendo
appena. « Ricordo di
essere uscito con il minimo dei voti. Non mi piaceva studiare a quel
tempo, odiavo la scuola per via di tutti quei bulletti che non
facevano altro che prendermi in giro dopo l'incidente. »
Alzò la
mano con il moncone, con una smorfia rassegnata.
« Prendevano in giro anche me » affermai
« troppo difficile
accettare una ragazza che era stata adottata più e
più volte. » Mi
guardò sinceramente dispiaciuto.
« Mi dispiace, non lo sapevo. »
« Lo so. » Mormorai cupa, ma poi mi aprii in un
sorriso, non volevo
passare il resto della serata a deprimermi. Finii la mia birra e ne
ordinai altre due, una per me e una per Killian. Lui prese subito la
sua e ne bevve un gran sorso. Lo osservai per tutto il tempo.
« Non
dovresti essere a casa dalla tua fidanzata? Si starà
chiedendo che
fine tu abbia fatto. »
« In effetti avevamo in programma di cenare insieme, ma
dovrà
trattenersi a lavoro ancora per qualche ora e credo che poi se ne
andrà dritta a casa a riposare. » Lo guardai
pensierosa per un
attimo.
« Voi.. voi non vivete insieme? » Domandai,
convinta del contrario.
« Oh, no. Mi aveva detto di trasferirmi da lei, in
città, ma a me
piace starmene tranquillo, non credo di voler abbandonare casa mia.
»
« E dopo il matrimonio cosa farete, vivrete in case separate?
»
Chiesi sarcasticamente, ricevendo una fitta al cuore non appena
pronunciai la parola 'matrimonio'.
« Per il matrimonio cercherò di convincerla a
venire da me. Sa che
non sono molto amante della città e della confusione.
» Annuii
leggermente, disegnando cerchi invisibili sul tavolo con l'indice
destro. « Tu sei sposata, o fidanzata, Emma? » Mi
domandò ad un
tratto. Ci pensai su.
« E' complicato. » Risposi, alzando le spalle.
“Non immagini
quanto”.
Chiacchierai con Killian per un'ora, forse per due, principalmente a
parlare fu lui e io mi limitavo ad ascoltare, curiosa di conoscere il
più possibile di quella sua nuova vita.
« Si è fatto tardi! » Esclamò
ad un tratto e io non potei non
girarmi verso il grande orologio rotondo appeso alla parete.
« Sarà
meglio tornare a casa. Tu... ti accompagno in hotel? » Scossi
piano
la testa.
« No, tranquillo. Aspetterò un taxi. »
Risposi, trafficando con il
cellulare che avevo tirato fuori in precedenza, per dare la buona
notte ad Henry.
« Sei sicura di avere un posto dove passare la notte, vero?
Guarda
che non ho nessun problema ad ospitarti, c'è la camera degli
ospiti
che è sempre vuota... non è un disturbo.
»
« No, no. Tranquillo, davvero non preoccuparti. Ho prenotato
una
camera, te l'ho detto. » Dissi, alzando la testa per un
secondo,
incurvando le labbra in un timido sorriso fatto esclusivamente per
rassicurarlo.
Non fece obiezioni e prima di uscire dal locale pagò anche
per me,
non dopo un lungo battibecco dove cercavo di impormi a pagare almeno
la mia parte.
Mi ritrovai nuovamente sola e mi resi conto una volta per tutte di
non sapere dove andare. Chiesi al ragazzo dietro al bancone quale
fosse il Bed&Breakfast più vicino, ringraziandolo
dopo che mi
ebbe anche chiamato un taxi. Raggiunsi il posto ma uscii subito dopo:
tutte le camere erano occupate. Il taxista conosceva un altro posto,
così mi ci portò, ma neanche lì ebbi
successo. Entrai ed uscii in
altri due Bed&Breakfast, prima di focalizzare nella mente
quello
che mi era successo quando prima volevo lasciare Storybrooke e
quando, poi, volevo abbandonare la ricerca di Lily. Che c'entrasse il
destino, anche in quel caso?
Rientrai sconsolata dentro al taxi e gli diedi indicazioni per la
casa di Killian. Non mi sentivo tranquilla lì dentro, non mi
sentivo
a casa, ma se non volevo passare la notte sotto un ponte ero
costretta ad accettare il suo invito.
Pagai la corsa al taxista, aprii il cancello perennemente aperto e
suonai al campanello, notando poi come tutte le luci fossero spente,
sintomo che con ogni probabilità l'uomo era già a
letto. Mi aprì
poco dopo, il petto scoperto mi fece tornare la voglia di
abbandonarmi alla passione e di baciarlo con foga, ma distolsi lo
sguardo e mi soffermai alla sua espressione stupita.
« Emma! » Esclamò.
« Killian. » Feci io. « La camera degli
ospiti è ancora
disponibile? »
Mi sorrise appena, facendosi quindi da parte per lasciarmi entrare in
casa.
Note dell'autrice:
Ed eccomi qui, buon salve a tutti lettori :)
Ammettetelo, dopo aver visto il finale di stagione cominciate ad
odiare il mio un po' meno :P DarkSwan, aah, ormai era nell'aria da un
po' ma non oso comunque immaginare cosa
ci aspetta! Devo anche ammettere di esser stata in qualche modo
ispirata da questo finale, vedrò come far evolvere le cose,
non
temete ;) (o forse sì?)
Questo capitolo è piuttosto tranquillo, vediamo lo stato
d'animo
disturbato di Emma e veniamo a conoscenza di qualche piccola
informazione in più di questo nuovo Killian. Inoltre,
c'è già il
prospetto di risolvere questa situazione con l'aiuto di Regina.
E poi sta per cominciare non solo una collaborazione lavorativa tra
i due, ma anche una convivenza e credo che ne vedremo delle belle! :D
Mi dispiace siano passati tanti giorni dall'altro capitolo, ma la
scuola ormai ha la priorità e mancando meno di trenta giorni
agli
esami non ho molto tempo per scrivere ç__ç ma per
farmi perdonare
vi ho regalato queste sette pagine di word piene piene (non so se sia
un bel regalo, in genere io preferisco capitoli lunghi, non so voi
LOL)
Per ora è tutto, ringrazio tutte le persone che recensiscono
e che
continuano ad aggiungere la storia alle seguite/preferite/ricordate,
non sapete quanto mi rendete felice :) Per chi volesse, vi lascio il link del mio nuovo contatto twitter: http://twitter.com/ehisuperpippo
Un bacio, a presto ♥
|
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Capitolo 5 *** Silent insecurities ***
5.
Silent insecurities
*Killian
Pov*
Steso
a pancia in sopra sul mio letto, le mani dietro la
testa, guardavo il soffitto in silenzio, nella vana speranza di
prendere sonno.
In realtà l'impresa si rivelava più che
impossibile,
tutto colpa della mia mente che vagava senza freno, riuscivo quasi a
captare le rotelle dentro al mio cervello che non smettevano di
correre veloci, impedendomi, quindi, di rilassarmi.
Non riuscivo a smettere di chiedermi se
avessi fatto la
cosa giusta nell'ospitare, senza farmi troppi problemi, in un primo
momento, una ragazza di cui non sapevo, oggettivamente, nulla. Mi era
sembrata la cosa giusta da fare, considerando che, come avevo intuito
già più volte, quella non aveva un posto dove
andare e passare la
notte. Di certo non potevo permettere che una ragazza si ritrovasse a
dormire in qualche angolo della strada, magari su una panchina, come
una qualsiasi senzatetto.
Mi era sembrata una cosa naturale, una buona azione, non
c'era niente di male nell'aiutare il prossimo, no?
E allora perché non riuscivo a smettere di pensare che,
nella stanza accanto alla mia, c'era una sconosciuta che dormiva
beata sul mio letto?
C'era una sola parete a dividerci, un muro sottile che
lasciava ascoltare qualunque respiro provenisse dall'altra parte, se
ci si concentrava bene.
Mi alzai e cominciai a girare nervoso per la camera.
Tutta quella situazione mi rendeva irrequieto e non perché
temessi
che quella ragazza fosse nient'altro che una pazza, magari anche
ladra. O meglio, per un momento mi ero domandato se ci fosse qualcosa
sotto, mi era sembrato tutto fin troppo assurdo, ma poi avevo
accantonato quell'idea dalla mente: sicuramente Emma Swan aveva
tenuto molte informazioni per sé, ma ero abbastanza convinto
che non
lo avesse fatto per scopi tutt'altro che buoni.
La realtà era che sentivo come la necessità di
tenerla
vicina. Non riuscivo a spiegarmi né come e né,
soprattutto, perché,
ma dal momento in cui i miei occhi si erano specchiati nei suoi, mi
ero sentito in qualche modo legato a quella misteriosa ragazza.
Avevo passato l'intera giornata a farmi domande sul suo
conto, agitandomi, talvolta, quando nessun ricordo veniva a galla.
Durante il tragitto a piedi dal pub a casa, non avevo fatto altro che
pensare alle sue parole: diceva di essere una vecchia amica, dei
tempi della scuola, eppure mi sembrava di non aver mai avuto una Emma
Swan nella mia vita. Piccoli flash di momenti passati in compagnia di
una ragazzina bionda. Questo era tutto quello che avevo e non ero
neanche sicuro che quella ragazzina fosse la donna che mi ero trovato
davanti così all'improvviso.
Non potevo fare altro che fidarmi.
Questa era un'altra cosa buffa.
Io, che nella mia vita avevo deciso di porre la mia
fiducia in pochissime persone, quali erano la mia Rose
e la squadra di Scotland Yard che mi affiancava nelle indagini ormai
da cinque anni, sceglievo di fidarmi di una sconosciuta, e questo
perché sentivo che
potevo farlo, c'era come qualcosa di invisibile che mi assicurava che
non mi avrebbe deluso.
Semplici sensazioni che semplicemente non riuscivo a
spiegarmi.
Me ne stavo davanti la finestra, perso nei miei
pensieri, braccia incrociate al petto scoperto, lo sguardo rivolto al
cielo, alla luna, alle stelle. Ce ne erano sempre state due
più
luminose, le più alte a destra, una risaltava più
dell'altra. Mi
incantavo sempre ad osservarle, neanche fossi un bambino privo di
qualsiasi tipo di preoccupazione.
Fui riscosso da quei pensieri dai fari di una macchina
che si avvicinava lentamente, facendosi strada nel buio, e andava a
fermarsi proprio davanti al cancello di casa mia.
Pochissimi istanti dopo, ecco vibrare il mio cellulare,
facendo risuonare il suono nel silenzio della notte, entrando in
contatto con la fredda e dura superficie del legno del comodino su
cui era poggiato.
Sorrisi di rimando, capendo subito cosa stesse
succedendo. Con una smorfia divertita dipinta sul volto, presi il
telefono e osservai l'ultimo messaggio ricevuto, per niente sorpreso
dal nome che lessi.
Rose: Sei
sveglio?
Veloce, digitai la risposta.
Dipende da chi mi cerca...
Premetti invio e sorrisi soddisfatto, tornando alla
finestra giusto il tempo di vederla scendere dalla sua auto e
avanzare con passo fiero e sicuro di sé.
Scesi al piano di sotto, aprii la porta e me la ritrovai
tra le braccia.
« Giornata pesante » annunciò in un
sussurro, dopo
avermi lasciato un bacio fugace sulle labbra « Mi dispiace di
non
essere venuta a cena. »
Per tutta risposta le presi il viso tra le mani e la
baciai con passione, accarezzandole poi i capelli rossi, raccolti in
un fermaglio che aveva comprato ad un mercatino dell'usato solo una
settimana prima. Chiusi la porta con un calcio leggero e,
velocemente, la sollevai tra le braccia, facendole scappare un
risolino, deciso a portarla in camera da letto.
*Emma Pov*
Mi girai sul fianco destro, disturbata
dalla flebile
luce che arrivava dalla finestra. Lenta, mi passai una mano sugli
occhi, consapevole del fatto che, una volta sveglia, avrei dovuto
cominciare a fare veramente i conti con la nuova vita di Killian
Jones.
Aprii piano gli occhi, prima il sinistro e,
successivamente, il destro, strizzandoli subito dopo, infastidita
dalla luce. Continuai a strofinarli con una mano fino a quando non mi
fui completamente abituata ai pochi raggi del sole che entravano in
quella stanza così disordinata.
Mi rizzai a sedere, mantenendo con una mano la coperta
calda contro il mio petto, infreddolita. Avevo dormito mezza nuda,
praticamente: avevo lasciato addosso solamente una maglietta bianca
che mi aveva prestato Killian, che era all'incirca il doppio di me e
mi copriva metà coscia. Dovevo assolutamente comprare dei
vestiti o
avrei passato le giornate al Londra con gli stessi indumenti con i
quali ero arrivata e, francamente, non era un'idea che mi allettava
tanto. Speravo solamente che Regina non ci impiegasse troppo nel
trovare tutti gli ingredienti e preparare una pozione della memoria,
mi aveva assicurato che aveva bisogno solamente di qualche giorno e
non potevo fare altro che affidarmi alle sue parole.
Mi grattai appena la testa con la mano
sinistra,
pensierosa, mentre la destra era beatamente poggiata sul materasso
morbido. Non riuscivo a sentire il minimo suono, il silenzio regnava
in quella casa. Mi voltai verso la finestra e notai come il sole non
fosse ancora alto. Presi la sveglia poggiata sul comodino affianco al
letto: segnava le sei meno un quarto.
Sbuffai, non avevo sonno, sicuramente non sarei riuscita
ad addormentarmi e, come se non bastasse, era prestissimo, Killian
probabilmente si trovava ancora nel mondo dei sogni e io mi
ritrovavo, quindi, sola in una casa sconosciuta.
Decisi di avere decisamente bisogno di un bel bagno
caldo. Avevo notato la piccola vasca solo la sera prima e, sul
momento, mi sembrava la cosa migliore che potessi fare per ingannare
l'attesa, per rilassarmi e per distendere i nervi.
Mi alzai dal letto sicuramente più motivata ed uscii
dalla camera, chiudendo la porta alle mie spalle. Meccanicamente
girai lo sguardo in direzione di quella che era la stanza di Killian:
anche lì la porta era chiusa, cercai quindi di fare meno
rumore
possibile, camminando in punta di piedi.
Mi chiusi in bagno, girando poi la chiave che trovai già
infilata nella serratura della porta. Aprii l'acqua calda, sorridendo
tra me come una bambina non appena vi ci gettai dentro del
bagnoschiuma. Mi immersi, quindi, nella vasca, decisa a non pensare
più a niente almeno per quei pochi minuti.
Non sapevo come sarebbe stato, affrontare Killian quella
mattina, cercare di ripartire da zero, fingere interesse per un caso
che non avremmo mai risolto davvero dato che saremmo tornati presto a
Storybrooke.
Poi c'era quella ragazza, quella Rose, non avevo la più
pallida idea di come mi sarei dovuta comportare con lei, non sapevo
cosa pensare. Alla fine non mi aveva fatto nessun torto. Alla fine
era lei quella usata come marionetta da Gold. Lei era vittima quanto
me e Killian di quell'assurda situazione.
Improvvisamente, mi ritrovai a pensare che non avevo
fatto altro che mostrarmi debole e non solo nelle ultime ore. Lo ero
stata fin da quando Killian era scomparso sotto i miei occhi, colpito
dall'incantesimo. Non avevo fatto altro che chiudermi in me stessa,
piangere non appena mi trovavo da sola, farmi trovare con gli occhi
arrossati da chiunque venisse a cercarmi e prendermela con i miei
cari ogni volta che facevamo un buco nell'acqua. E Killian ancora non
aveva conosciuto la donna forte e sicura di sé che lo aveva
fatto
innamorare, non potevo permettere che pensasse di aver a che fare con
una debole. “Da oggi si cambia musica, Emma” mi
dissi.
Poggiai la testa contro la superficie bianca della
vasca, le braccia distese su di essa. Chiusi gli occhi e per un
attimo mi sentii a casa. Forse dovevo permettere ad Henry di
accompagnarmi, almeno non mi sarei trovata da sola. O ancora meglio,
potevo far venire mio padre con me, avrebbe saputo come aiutarmi e
infondermi sicurezza.
Riaprii gli occhi nel momento in cui la maniglia si
abbassò, sobbalzai e cercai di coprirmi con la schiuma come
meglio
potevo, dimenticando come una sciocca che avevo chiuso la porta a
chiave.
« Esco subito, Killian! » Gli urlai mortificata,
non
credevo che si sarebbe svegliato tanto presto. Ecco, era solo il
primo giorno di 'convivenza' e già gli rovinato la routine
che si
era creato, andavo davvero alla grande.
« Tranquilla, fai con comodo. » Mi rispose lui,
restando dall'altra parte.
Restai in silenzio ed ascoltai i suoi passi mentre si
allontanava, ero certa che fosse sceso al piano di sotto,
probabilmente intento a preparare la colazione.
Mi sciacquai velocemente, il senso di pace ormai si era
interrotto ed ero stata riportata inevitabilmente alla
realtà, una
realtà che continuava a non piacermi per niente.
Uscii dalla vasca e mi guardai intorno spaesata,
rendendomi conto subito di aver dimenticato i miei vestiti in camera,
abbandonati su una sedia. Mi morsi un labbro maledicendo la mia
sbadataggine, presi un asciugamano e me lo legai intorno al corpo,
aprii la porta e, stando attenta a non scivolare, mi diressi verso la
stanza degli ospiti. Una volta lì, mi ritrovai a guardare
ovunque e
in ogni angolo, ma dei miei vestiti non vi era traccia.
« Hook. » Mormorai tra me, sicuramente c'era lui
dietro a tutto quello, dei vestiti non se ne andavano a passeggio...
non in un mondo privo di magia almeno! « Killian! »
Cominciai a
chiamarlo, mentre scendevo le scale di corsa, reggendomi con la mano
destra alla ringhiera di legno per non rischiare di fare un bel
ruzzolone, con i piedi ancora leggermente bagnati.
Non feci in tempo a girare l'angolo, decisa a
raggiungere l'uomo in cucina, che me lo ritrovai addosso. Come se non
bastasse, per lo scontro scivolai e mi preparai mentalmente a
ritrovarmi con il sedere per terra. Cosa che non successe, grazie ai
riflessi pronti di Killian, che mi afferrò al volo per i
fianchi e
mi tenne stretta a sé. Istintivamente, posai le mani sulle
spalle
muscolose di lui, accorgendomi poi che neanche si era rivestito,
indossava ancora i pantaloni del pigiama che gli avevo visto la sera
prima, se ne restava ancora con il petto scoperto, nonostante la
temperatura a Londra non fosse delle più alte. Alzai lo
sguardo e
trovai il suo a pochi centimetri dal mio, avevamo la stessa
espressione stupita. Aprii la bocca per dire qualcosa, per formulare
una qualsiasi frase, anche un semplice “grazie”
andava bene, ma
le parole mi morivano in gola.
« Ho portato la colazion- » nessuno dei due aveva
sentito la porta spalancarsi, benché meno ci eravamo accorti
dell'arrivo di Rose, che adesso ci osservava spiazzata, con occhi e
bocca spalancati per lo stupore. « Che diavolo sta succedendo
qui?!
»
Io e Killian ci lasciammo andare entrambi nello stesso
istante. Volsi lo sguardo da un'altra parte, imbarazzata. Mi ressi
subito l'asciugamano con la mano destra, ricordandomi solo in quel
momento di essere mezza nuda.
« Non è per niente come sembra Rose »
cominciò a
dire Killian, muovendo qualche passo verso di lei.
« Perché, a te come sembra, Killian? »
Lo rimbeccò
lei, con tono di sfida. Lui sbuffò spazientito, mentre la
rossa
aveva posato i suoi occhi, ridotti a due fessure, su di me.
Spaesata, mi girai a guardare Killian.
« Io... ehm, non trovavo le mie cose, quindi... insomma
mi servono dei vestiti! » Esclamai, possibile che non ci era
arrivato già da prima?
« Oh sì, direi che sia il caso. »
Commentò Rose
esasperata, continuando a guardarmi torva.
Killian parve riscosso, sentendo le mie parole e
concentrò l'attenzione su di me.
« Oh, ho visto che avevi lasciato i vestiti in camera,
credevo fossero sporchi » mormorò grattandosi il
capo « in camera
c'è un cassetto con delle cose di Rose, sono sicuro che a
lei non
darà fastidio. » Mi girai a guardarla e non parve
molto entusiasta
dell'idea, ma comunque non disse niente.
Presi quell'informazione come un invito a lasciare la
stanza e, senza farmelo ripetere una seconda volta, corsi al piano di
sopra, mentre i due cominciavano a litigare. Sentivo Rose chiedere
delle informazioni su di me e Killian cercare di rassicurarla sul
fatto che non sarei rimasta in quella casa per molto tempo.
“Questo
è poco ma sicuro” pensai, mentre mi chiudevo
dentro la stanza
dell'uomo, poggiando la schiena contro la porta. Le urla arrivavano
ovattate, fino a quando i toni di voce non si abbassarono e non potei
sentire più quello che si stavano dicendo.
Chiusi gli occhi e sospirai, scossi poi la testa e
cominciai ad aprire ogni cassetto che trovai davanti a me, alla
ricerca di vestiti che potessi indossare. Finalmente trovai quello
che cercavo: tirai fuori un paio di jeans scuri e un maglioncino nero
con il girocollo e li indossai velocemente. Tornai nella camera degli
ospiti e indossai i miei stivali, ancora ai piedi di un letto pulito
e ordinato. Aggrottai la fronte, osservandolo. Killian doveva aver
messo in ordine la stanza mentre io ero nella vasca.
Arricciai il naso ed indossai gli stivali, poi ritornai
al piano di sotto, in cucina, dove trovai Killian e Rose intenti a
fare colazione.
« Eccola qui! » Esclamò l'uomo
rivolgendomi un
sorriso. “Eccola” pensai, stava a significare che
non avevano mai
smesso di parlare di me. Restai ancora un po' sulla porta, scrutando
con la coda dell'occhio Rose, decidendomi se dovevo scusarmi o meno.
Ma scusarmi per cosa poi? Non avevo fatto nulla di male. «
Direi che
sia meglio cominciare dalle presentazioni: Rose, lei è Emma
ed Emma,
lei è Rose. » La ragazza si alzò dalla
sedia e mi venne incontro,
porgendomi la mano. La guardai per un secondo prima di decidermi a
stringerla.
« Scusa se sono stata scortese prima »
cominciò a
dire lei, spiazzandomi leggermente « Killian ieri sera non mi
aveva
detto di averti offerto un posto dove dormire. »
« Già, ero concentrato su altro »
commentò lui,
lanciandole uno sguardo languido. Il mio respirò si
fermò, ma
cercai di non darlo a vedere.
« Ero uscita presto questa mattina per prendere la
colazione... ti ho lasciato la mia parte, mangerò andando a
lavoro.
» Continuò quella, senza tener conto delle
battutine dell'altro,
rivolgendomi anche un sorriso. Non capivo se la sua era solo una
parte per non sfigurare davanti a Killian, o se davvero era
dispiaciuta per come aveva reagito poco prima. Cercai anche di usare
il mio famoso superpotere, ma la ragazza appariva più che
sincera,
con quei suoi occhi dolci e quel suo sorriso timido.
« Ehm, grazie. » Affermai debolmente, mentre
entrambi,
io e Killian, la osservavamo raccogliere la sua borsa e il suo
cappotto, pronta ad uscire. Si girò nuovamente verso di me e
mi
osservò in modo cortese.
« Starò a lavoro per qualche ora, poi, se ti va,
posso
accompagnarti a comprare qualche vestito. Killian mi ha detto che sei
arrivata a Londra sprovvista di qualunque cosa. »
Annuii silenziosa prima che me ne potessi
rendere conto.
La ragazza dai capelli rossi uscì dalla casa e io cominciai
a
chiedermi cosa mi fosse passato per la mente, accettando il suo
invito.
*****
Aiutai
Killian a riordinare la cucina e, insieme,
preparammo anche il pranzo. Gli inglesi, imparai per mia sfortuna,
non erano soliti mangiare molto durante quel pasto, quindi ci
limitammo a fare dei semplici sandwich, mentre io già
pregustavo la
cena che mi aspettava quella sera: Killian mi aveva promesso di
portarmi a mangiare il miglior Fish&Chips di tutta Londra. Beh,
portare me e Rose, a dirla tutta, e quella parte del piano non mi
allettava particolarmente, a voler essere sinceri.
Tra l'altro non potevo fare a meno di pensare che di lì
a poco mi sarei dovuta incontrare con lei per far spese, anche se per
il momento ero riuscita a rimandare quell'uscita, visto che la donna
ci aveva avvertito che a lavoro ci avrebbe messo più del
previsto.
Così eravamo usciti io e Killian e già avevo
comprato
un paio di magliette.
« Due paia di pantaloni e poi basta, okay? Tanto fra
qualche giorno, massimo una settimana, me ne sarò tornata a
casa. »
Dissi convinta, uscendo dall'ennesimo negozio. Odiavo far compere,
cosa molto insolita per una ragazza, la noia provata mentre indossavo
degli indumenti davanti ad uno specchio batteva di gran lunga la
piacevole compagnia di Killian.
« Qualche giorno? Sei davvero un'ottimista. »
Commentò
lui mentre camminavamo tra i negozi, le mani nelle tasche dei
pantaloni, lo sguardo dritto davanti a sé.
« Come? » Domandai senza capire a cosa si riferisse.
« Il caso, non è così semplice. Io ci
lavoro da
settimane e non ho raccolto il minimo indizio. Non credere di partire
così velocemente, abbiamo molta strada da fare prima.
»
« Ah già, il caso. » Mormorai tra me,
abbassando
appena lo sguardo. « A proposito, non mi hai ancora accennato
niente
al riguardo. »
« Preferisco non parlarne adesso, non si è mai
troppo
prudenti per queste cose. Domani scoprirai ogni dettaglio. »
« Domani? »
« Sì, da domani vieni a lavoro con me. Ti troverai
bene con la squadra, vedrai. » Affermò, girandosi
finalmente a
guardarmi e rivolgendomi un sorriso, che ricambiai.
« Perfetto. » Commentai, non mi dispiaceva staccare
la
spina per un po' da perfide streghe, terribili maghi e quant'altro.
Ora mi appariva tutto come un gioco da ragazzi. « Mi dispiace
di
averti messo nei guai con Rose, stamani. » Mi ritrovai a dire
di
punto in bianco.
« Non è colpa tua. Rose... beh lei... lei crede
che
possa tirarmi indietro da un momento all'altro. Entrare in casa e
trovarmi con un'altra donna l'ha un po'... terrorizzata, ecco. Ma le
ho spiegato la situazione, non devi preoccuparti, davvero. »
« Non si fida di te? » Mi pentii subito di aver
fatto
quella domanda, infondo non era affar mio. O meglio lo era, perlomeno
in teoria.
« Non è questo, ha soltanto paura di perdermi.
Come io
ho paura di perdere lei. E' normale in un rapporto. Tu non hai paura
di perdere il ragazzo della “situazione
complicata”? » Mi
domandò divertito, guardandomi con un ghigno.
« Sì, ho paura » affermai «
ma... » smisi di
camminare e restai immobile, un attimo dopo anche lui si girava,
curioso, senza distogliere i suoi occhi dai miei. « Forse
l'ho già
perso. » Affermai in un sussurro, un sussurro che voleva dire
molto,
forse anche troppo.
Voleva dire che avevo un'immensa paura di perderlo, che
fingere di essere una semplice sconosciuta mi mandava il morale a
terra. Voleva dire che vederlo sorridere mentre parlava di un'altra
donna mi faceva sentire spezzata in due, come se mi stessero privando
di una parte del mio corpo. Voleva dire che ero spaventata
perché mi
sembrava sempre più lontano, nonostante si trovasse ad un
passo da
me.
« Non puoi esserne così sicura. E' stato lui a
dirti
che è finita? » Mi chiese serio.
« No, ma... »
« Nessun ma. Bisogna lottare per raggiungere ciò
che
si vuole, per prendersi il proprio lieto fine. »
Lieto fine, quelle parole dette da lui mi fecero
sorridere.
“Sono io il tuo lieto fine,
Killian Jones, sei stato
tu stesso a dirmelo.”
Annuii, ma non potei aggiungere altro visto che la
figura di Rose si faceva largo tra la gente che passeggiava
tranquilla, decisa a raggiungerci.
Lasciai che i due si baciassero, volgendo lo sguardo da
un'altra parte, fingendo attenzione per la merce esposta nella
vetrina del negozio di fronte a me. Negozio dal quale uscii una
decina di minuti dopo, con un paio di buste in mano, sicura del fatto
che per un po' avrei fatto decisamente a meno dello shopping.
« Se questo è tutto, Emma, dovrei chiederti un
favore.
Fra un'ora ho la prova dell'abito e le mie damigelle mi hanno dato
buca » Killian nel frattempo si era allontanato per
rispondere al
telefono, cosa che mi fece venire in mente che non avevo ancora
sentito Henry, quel giorno, e che dovevo chiamarlo al più
presto.
Nel frattempo ascoltavo Rose, non capendo dove volesse andare a
parare. « Ti andrebbe di accompagnarmi e, magari, di
consigliarmi?
»
« Cosa?! » Proprio non riuscii a trattenermi, ma mi
sembrava una cosa da pazzi. Io, Emma Swan, mi sarei dovuta sorbire le
varie prove d'abito della futura moglie di Killian Jones, l'uomo che
amavo. Era decisamente troppo, ma, nonostante ciò, decisi
che era
meglio accettare, tenere il gioco per quei pochi giorni rimasti,
fingermi felice per la coppietta di sposini per una settimana al
massimo, poi sarebbe arrivata Regina, avrei fatto bere la pozione a
Killian e, tutti e tre, avremmo preso il primo volo disponibile.
«
Volevo dire, certo... ne sarei felice. »
« Mi dispiace interrompervi, signore » Killian
riapparve alle nostre spalle all'improvviso, con espressione dura e
preoccupata « temo che dobbiate rimandare, c'è
stata un'emergenza,
meglio sbrigarsi. Ah, Emma... pronta per l'Operazione Grimm? »
« La cosa? » Domandai spiazzata, come primo giorno
effettivo a Londra stavano accadendo decisamente troppe cose, avevo
la sensazione di poter scoppiare da un momento all'altro.
« E' il nome in codice del nostro caso, Operazione
Grimm. Allora, sei pronta? »
Note dell'autrice: eeehi
salve! Come potete vedere sono ancora viva *cori angelici*, mi scuso
per il tremendo ritardo, davvero mi dispiace tantissimo. Avevo
cominciato a scrivere il capitolo... beh, settimane fa, ormai, mi ero
fermata solamente alla seconda pagina e poi non ho potuto
più
continuare causa scuola D: settimana scorsa non ho praticamente mai
preso il pc per quanto dovevo studiare, dico solo questo! ^^'' La
buona notizia è che la scuola è finita e che ho
approfittato del
weekend per terminare il capitolo, la brutta, terribile, anzi orrida
notizia è che settimana prossima cominciano gli esami *zan
zan
zaaan* (voglio morire çwç) quindi non ho la
più pallida idea di
quando posterò il prossimo. Spero di avere un po' di tempo
per
scrivere, almeno la sera cercherò di buttare giù
qualche riga, non
vi abbandono, non temete ^^
Questo capitolo all'inizio volevo incentrarlo su Rose,
poi ho cambiato idea. Volevo che le due si conoscessero meglio
andando a fare spese, ma ho cambiato idea. Volevo fare subito la
prova dell'abito ma, indovinate, ho cambiato idea. Nah, ho immaginato
all'ultimo momento una scena migliore, vedrete più avanti.
Nel prossimo capitolo si parlerà dell'Operazione Grimm
(credo di aver superato me stessa con le idee che mi sono venute in
mente per questo caso, anni di polizieschi saranno pur serviti a
qualcosa).
Ma adesso vi lascio o le note diventeranno più lunghe
del capitolo ò.ò
Vi ringrazio veramente di cuore per le recensioni, siete
fantastiche e, inoltre, mi offrite anche degli ottimi spunti ;)
Alla prossima, vi abbraccio tutte ♥
Campagna
di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo
tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque
voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove
meglio crede)
(©
elyxyz)
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Capitolo 6 *** Operation Grimm ***
6.
Operation Grimm
Nell'auto
regnava il silenzio nonostante fossimo in viaggio da non meno di
quindici minuti. Rose guidava tranquilla, mantenendo il contatto
visivo con la strada trafficata davanti a sé. Killian sedeva
alla
sua sinistra, mentre io me ne stavo rintanata sui sedili posteriori,
guardando fuori dal finestrino e giocherellando con il vecchio anello
di Killian, che non toglievo mai dal pollice. Era quantomeno buffo il
tempo lì, sembrava quasi dovesse piovere da un momento
all'altro,
eppure non avevo visto neanche una misera goccia d'acqua, per il
momento.
« E'
sempre così qui » cominciò a dire
Killian leggendomi nella mente,
portai nuovamente lo sguardo davanti a me e non potei non notare che
mi stesse osservando dallo specchietto retrovisore interno, quasi
divertito « ti ci abituerai. »
«
Spero proprio di no » commentai di rimando, senza
nascondergli un
piccolo sorriso. I suoi occhi si staccarono dai miei, così
tornai
anche io a concentrarmi sulla strada.
«
Gira a destra, Rose... al prossimo incrocio. » Killian
allungò la
mano destra, l'indice ad indicare meglio la strada. L'avevo visto
gesticolare così tante volte da aver perso il conto, ero
contenta
che quella cosa non fosse cambiata, mi faceva sentire più
vicina a
lui, mi ricordava che il Killian che conoscevo ed avevo imparato ad
amare era sempre lì e stava a me, soltanto a me, farlo
tornare in
sé.
« Ma
da quella parte c'è la boscaglia! » Aveva
esclamato allora lei,
accigliata, ma comunque svoltando subito a destra, seguendo le sue
istruzioni.
«
Killian, vuoi spiegarci adesso? » Presi in mano la
situazione,
portandomi in avanti e appoggiando la mano sul suo sedile. Non ci
aveva detto ancora niente, se non che c'era stata un'emergenza e che
riguardava il famoso caso di cui conoscevo solamente il nome:
Operazione Grimm. E io che volevo prendermi una vacanza dalla magia,
fantastico scherzo del destino.
«
Hanno trovato il corpo di una donna, non so altro. Scoprirò
i
dettagli insieme a voi. » Mi rispose, grattandosi appena il
capo,
pensieroso.
«
Un'altra donna?! » Rose si voltò di scatto verso
Killian,
allarmata, dimenticando probabilmente di essere alla guida, tanto che
fu costretta a frenare di colpo per non rischiare di prendere un
pedone. Fui scaraventata in avanti, ma per fortuna riuscii a reggermi
ad entrambi i sedili, mantenendo una presa salda.
«
Stai attenta! » Esclamai stizzita, con il cuore a mille. Mi
girai a
guardare se il ragazzo che aveva quasi messo sotto stesse bene. Lo
vidi gesticolare velocemente, probabilmente imprecando, per poi
allontanarsi dalla vettura. Fulminai la donna al volante con lo
sguardo, soprattutto vedendo come questa mi stesse ignorando.
« E'
la terza in un mese » commentò, rimettendo in moto
l'auto e
concentrandosi nuovamente sulla strada « tutte trovate tra i
boschi... e non avete neanche un indizio! Di questo passo tutte le
donne di Londra saranno uccise nel giro di un anno, due al massimo.
»
« Non
essere così esagerata. » La rimproverò
Killian, che fino a quel
momento era rimasto impassibile. Si vedeva come la sua mente fosse
totalmente da un'altra parte, questo significava che forse stavo
sottovalutando quel caso, anche se continuavo a preferirlo a un piano
pazzo per sconfiggere un Peter Pan o una Zelena.
Nel
frattempo cercavo di raccogliere il maggior numero di informazioni
possibili. L'indagine andava avanti da un mese e l'assassino, o gli
assassini, colpiva esclusivamente il genere femminile, almeno per il
momento. Non sapevo perché avessero dato proprio il nome
Grimm, a
quell'operazione, continuavo a domandarmelo, ma non riuscivo neanche
a immaginare una risposta.
« C'è
qualcosa che accomuna le ragazze? » Domandai, anche
abbastanza
curiosa dato che era la prima volta che mi cimentavo in un caso del
genere, ma questo era meglio che Killian non venisse mai a saperlo.
« No,
almeno le prime due ragazze non avevano nessuna caratteristica in
comune, senza contare che erano due perfette sconosciute. Anche le
cause della morte erano diverse. Potevano benissimo trattarsi di due
omicidi che non avevano niente a che fare tra di loro, se non fosse
stato per due piccoli dettagli lasciati dagli assassini. »
Killian
spiegava con voce ferma, mentre indicava a Rose la strada da seguire
con piccoli cenni della mano. “Degli assassini”...
più di un
uomo da cercare, altra informazione da tenere a mente. «
Accosta
qui, riesco a vedere le altre volanti. » Disse a un tratto e
quella
non se lo fece ripetere.
« Due
piccoli dettagli? » Domandai nel frattempo io, mentre tutti e
tre
aprivamo la portiera, quasi all'unisono, e scendevamo dalla macchina.
« Quali dettagli? » Rincarai, affrettando il passo
in modo da
trovarmi al fianco di Killian.
Non
rispose subito, quindi mi voltai a guardarlo e quello che vidi quasi
mi spaventò. Aveva un'espressione così scura in
volto, quasi
crudele, come gliela avevo vista addosso raramente. La ricollegai
subito alla volta in cui aveva quasi ucciso Gold, colpendolo con la
punta avvelenata del suo uncino. Era chiaro che stesse pensando agli
assassini, non doveva essere facile per lui vedere la terza donna ad
essere uccisa in un mese e non avere nulla tra le mani da collegare a
chi le aveva fatto del male. Non doveva essere facile per nessuno.
«
Devi essere preparata a quello che stai per vedere »
mormorò ad un
tratto, rivolgendomi una rapida occhiata, quasi ignorando la mia
domanda « non hanno alcuna pietà. »
I suoi
occhi erano vuoti, avevano perso la luce che gli avevo visto quella
stessa mattina. Deglutii, prima di abbassare la testa per controllare
dove stessi mettendo i piedi, al contrario di lui che avanzava con
passo sicuro.
«
La prima ragazza, Kathleen
Stevens,
è stata trovata vicino ad un ruscello, trentaquattro giorni
fa »
cominciò ad illustrarmi, mentre un gruppetto di persone,
poco più
lontano da noi, si girava a guardarci, probabilmente in attesa che li
raggiungessimo. « Non pensavamo si trattasse di omicidio: le
ferite
riportate, che l'avevano poi portata alla morte, non potevano essere
attribuite a nessun essere umano. Nessun segno di colluttazione,
nessun segno di arma da fuoco, nessun taglio. »
« E
allora com'è morta? » Chiesi, decisamente
più coinvolta, non
riuscendo a capire dove volesse andare a parare.
«
Sbranata da un animale. Un lupo, probabilmente. »
A
parlare non fu Killian, ma un ragazzo magrolino sui vent'anni, le
lentiggini sparse per le guance e i capelli marroni arruffati, che ci
era venuto incontro quasi di soppiatto e che, con ogni
probabilità,
aveva ascoltato la nostra conversazione, o almeno la parte finale.
«
Jack! » Lo salutò Killian, alzando velocemente la
mano. « Lei è
Emma, viene dal Maine appositamente per darci una mano »
disse
quest'ultima frase senza nascondere una smorfia, cosa che mi fece
stringere le labbra e arricciare il naso. Si voltò, poi,
verso di me
« Emma, lui è Jack, il più giovane
della squadra ma anche il più
promettente e, detto fra noi, il più fidato. » Mi
presentò il
ragazzo, rivolgendogli poi un occhiolino complice, come avrebbe fatto
un padre con un figlio.
«
Piacere! » Esclamai, una volta che gli ebbi stretto la mano.
I miei
occhi andavano veloci dall'uno all'altro, attendendo spiegazioni.
«
Allora, se è stata sbranata da un animale selvaggio, cosa ha
a che
fare con noi e cosa la ricollega con gli altri casi? »
« Per
rispondere alla domanda dobbiamo fare un salto temporale di due
settimane esatte » cominciò Killian, la mano
portata in alto a
mimare un due con l'indice e il dito medio, mentre Rose ci passava
davanti in silenzio, diretta verso il corpo: come medico legale era
ovvio che avesse fretta di vederlo. « La seconda ragazza,
Sylvia
Barnes, è stata trovata anch'essa in mezzo al bosco, alle
radici di
un melo » sgranai gli occhi e lo guardai sorpresa,
cominciando a
capire « riesci a immaginare la causa della sua morte?
»
« No,
non è vero... non può essere! » Riuscii
solo a dire, scuotendo il
capo senza tregua.
«
Avvelenata, sì » mi confermò lui,
sospirando « la mano era tesa
in direzione di una mela che si trovava a terra poco più
distante
dal corpo, ed era stata addentata. Analizzandola abbiamo riscontrato
del cianuro. »
«
Biancaneve. » Mormorò Jack, senza che nessuno
glielo avesse
effettivamente chiesto.
Le
gambe cominciarono a tremarmi e probabilmente ero diventata pallida.
Non potei evitarlo, non potevo evitare di pensare a mia madre.
Mi
resi conto solo in quel momento a quanto le fiabe avessero assunto,
per me, tutto un altro significato.
« E
per quanto riguarda la prima ragazza, allora? » Cercai di
distogliere l'attenzione dei due sul mio aspetto preoccupato e
allarmato e, probabilmente, ci riuscii senza troppi problemi.
Killian
guardò Jack, come ad aspettare che rispondesse alla mia
domanda,
ricordandomi un maestro col suo allievo modello.
«
Affianco al corpo della ragazza fu trovata una mantellina rossa, in
un primo momento non ci avevamo dato molta importanza, ma il
riferimento alla famosa fiaba dei fratelli Grimm ci parve piuttosto
ovvio, una volta avuti i risultati della mela avvelenata. »
«
Cappuccetto Rosso » “Ruby” pensai,
sentendo una potente morsa
allo stomaco.
Avanzammo
cautamente in direzione di una vecchia casetta, all'apparenza
abbandonata. Cercavamo di non inquinare la scena del crimine e di non
lasciare tracce che ci avrebbero solamente confuso.
«
Come sapete che ci troviamo davanti a più di un assassino?
»
Domandai, fermandomi di colpo proprio davanti la casa, fingendo
normalità. La realtà era un'altra: avevo paura di
quello a cui
stavamo andando incontro, non volevo assolutamente ricollegare quella
ragazza a qualcuno di mia conoscenza.
«
Sulla seconda scena del crimine abbiamo trovato impronte di due paia
di scarpe differenti » rispose prontamente Killian
« Ovviamente
abbiamo analizzate anche quelle, e siamo anche riusciti a risalire ai
proprietari. » Alzai un sopracciglio, decisamente stupita.
«
Dicevi di non avere niente da ricondurre ai colpevoli! »
« I
proprietari sono morti da tre e cinque anni. » Fece lui,
visibilmente infastidito.
Proprio
in quel momento, dalla casetta uscirono due ragazzi e una ragazza:
lei alta e slanciata, carnagione scura, due occhi neri come il
carbone e un'espressione un po', forse, altezzosa; gli altri due,
completamente identici, due gemelli, se non fosse stato per la stazza
fisica, capelli neri, viso tondo, naso all'insù, uno
più robusto
dell'altro, entrambi avevano un aspetto giocoso.
«
Signor Jones! » Fece la ragazza, quasi sorpresa di vederci
« Ci
domandavamo che fine avesse fatto! »
«
Perdonami Phoebe, ci trovavamo fuori zona. » Si
giustificò lui. Gli
occhi della ragazza andarono poi a posarsi su di me, ebbi quasi
l'impressione di essere scrutata nel profondo. Ricambiai lo sguardo
duro che mi rivolgeva, volevo farle capire che non mi lasciavo
intimidire così facilmente. « Ah, lei è
Emma, lavorerà con noi.
Emma, loro sono Phoebe, Thomas e Henry. »
«
Henry?! » Feci stranita, non riuscendo a trattenermi
« Hai lo
stesso nome di mio figl... ehm... » mi fermai di colpo,
rendendomi
conto che Killian ancora non sapeva dell'esistenza di Henry.
« Oh,
hai un figlio Swan? » Mi domandò, infatti, subito,
visibilmente
stupito.
«
Sì, bene, di questo ce ne rallegriamo tutti, ma ora direi di
concentrarci tutti
sul caso.
» Disse Phoebe, posando le braccia sui fianchi, osservandoci
con un
sopracciglio alzato. Sembrava nata per prendere il comando, tanto che
ebbi l'impressione che aspirasse al posto di Killian, magari pensava
anche che, con lei al comando, gli assassini sarebbero stati dietro
le sbarre già da un bel pezzo. Quando ebbe la nostra
attenzione,
riprese il discorso « La ragazza si chiama Sasha Evans,
abbiamo
trovato i documenti nella sua borsa. A trovarla è stata
quell'uomo
laggiù: Tyler Watkins,
è un cacciatore e la casa è sua.
» Ci girammo tutti in direzione dell'uomo che, ancora scosso,
parlava con un agente che scriveva velocemente su un taccuino.
«
Rose è dentro » continuò la ragazza,
parlando direttamente a
Killian « non è un bello spettacolo. »
Dicendo
questo si fece da parte, lasciandoci passare, ormai non potevo
più
rimandare quel momento.
Entrai
nella casa un po' titubante. L'interno era decisamente piccolo, tre
stanze la componevano: la cucina, con tanto di poltrona per momenti
di riposo, era la camera principale, per il resto riuscivo a vedere
solamente altre due porte (una per il bagno e una per la camera, mi
dissi a mente).
Ma in
quel momento la composizione delle stanze era l'ultimo dei miei
problemi.
La
prima cosa che riuscii a pensare, una volta varcata la porta, era:
sangue. Molto sangue, decisamente troppo sangue. Sangue sul
pavimento, sangue sulle pareti. La ragazza stessa ricoperta di
sangue.
«
Ha
il viso completamente sfregiato » commentò
Killian, abbassandosi
sulle ginocchia ed esaminandola da vicino, indice sulle labbra e
pollice sul mento. Sembrava sapesse cosa faceva. Io invece me ne
restavo in disparte, metabolizzando la scena in silenzio.
«
L'omicidio si è svolto tra le 14:00 e le 16:00 di questo
pomeriggio
» sentenziò Rose dopo una lunga osservazione,
fredda e impassibile,
come se quello che era successo non la riguardasse e, infondo, era
così. Eppure io non potevo che chiedermi cosa stessi facendo
quattro
ore prima. Forse avevo appena finito di pranzare, forse cercavo una
scusa per evitare di uscire con Rose. La cosa mi diede il
voltastomaco: io mi disperavo per una stupidaggine, mentre una
ragazza veniva brutalmente uccisa. « La causa del decesso mi
sembra
piuttosto ovvia, ma, come al solito, ti saprò dire i
dettagli dopo
l'autopsia » continuò a dire, prese la sua borsa
fino a posare la
tracolla sulla spalla destra. Killian annuì distrattamente
con il
capo e l'altra uscì fuori, non avendo più niente
da fare lì
dentro.
Non
riuscivo a distogliere gli occhi da quella poveretta: indossava una
maglietta celeste che ora era imbrattata di rosso e strappata, si
notavano perfettamente i tagli profondi che aveva sul petto. Anche le
gambe erano fradice di sangue e, dettaglio che notai per ultimo, non
indossava una scarpa.
«
Ashley » pensai, a voce alta, riferendomi alla ragazza che
avevo
conosciuto e aiutato durante i miei primi giorni a Storybrooke.
«
Come? » Killian mi aveva sentito, ma continuava a fissare
comunque
la ragazza, assorto, anche lui, in chissà quale pensiero.
«
Niente. »
«
Hai
paura dei cadaveri, Swan? » Domandò ad un tratto,
girandosi
finalmente verso di me, forse neanche si era accorto del fatto che me
ne fossi rimasta lontana per tutto quel tempo « non mordono
mica,
sai? » Continuò a stuzzicarmi e lo fulminai con lo
sguardo, ma la
cosa lo fece ridacchiare ancora di più. Si fermò
poi di colpo,
ricordando improvvisamente dove si trovava, cosa stava facendo e cosa
fosse successo.
Mossi
un passo per raggiungerlo, ma mi bloccai subito dopo, calpestando
qualcosa. Il rumore fece voltare di scatto l'altro, occhi spalancati,
bocca aperta come se avesse trattenuto un grido all'ultimo secondo.
«
Swan! Diamine, guarda dove metti i piedi! » Si
alzò all'istante e
mi raggiunse, più preoccupato per quello che c'era sotto il
mio
stivale.
«
Dimmi che non ho fatto quello che penso... » mormorai,
alzando gli
occhi al cielo, o meglio al soffitto, non volevo guardare il disastro
che potevo aver combinato.
Killian
tirò fuori un paio di guanti dalla sua giacca, ne
indossò uno e
diede l'altro a me. Alzai lentamente il piede destro, lasciandolo
raccogliere dei pezzi di vetro.
«
Non
doveva essere un frammento molto grande, impossibile che solo questo
l'abbia ridotta così. » Si morse il labbro e si
voltò. Anche io
cominciai a guardare in giro, stando ben attenta stavolta a non
combinare disastri più grandi. Notai qualcosa luccicare
sotto il
tavolo, così mi precipitai subito a vedere. Ciò
che vidi mi lasciò
stupefatta: sembrava a tutti gli effetti il tacco di una scarpa, solo
che era di vetro, decisamente appuntito e sporco di sangue su gran
parte della punta.
«
Hook... » lo chiamai piano, seduta in ginocchio, la mano
leggermente
tremante. Con ogni probabilità avevo trovato l'arma del
delitto.
«
Ho
trovato dei resti di quella che sembra una scarpa. Indovina? Una
scarpa di vetro! Ma nessuno di questi pezzi sembra in grado di fare
così tanto male » pensava a voce alta e non mi
dava ascolto. Lo
osservai con la coda dell'occhio e vidi che era alle prese con una
bustina trasparente, dove cercava di metterci dentro i pezzi di vetro
raccolti.
«
Hook! » Lo chiamai ancora, questa volta autoritaria, tanto
che
rimase per qualche secondo interdetto.
«
Cosa c'è? »
Prima
di rispondere alzai la mano che reggeva il vetro insanguinato, in
modo che potesse vederlo bene.
«
Credo di aver trovato l'arma del delitto. »
*****
Ce ne
tornammo tutti a Scotland Yard, per me era la prima volta in quel
posto tanto famoso, ma non potevo neanche dirmi emozionata, dato che
le immagini di quella ragazza morta non si decidevano ad uscire dalla
mia testa.
Killian
si allontanò giusto il tempo di portare quello che rimaneva
della
scarpetta di vetro in laboratorio, speravamo tutti che potesse
contenere le impronte digitali degli assassini, ma allo stesso tempo
non ci contavamo molto. I due si erano dimostrati fin da subito molto
esperti e non inclini ad alcun errore, scoprire qualcosa sul loro
conto era un'impresa non da poco.
Rimasi
sola insieme alla squadra. Jack, molto gentilmente, mi chiese se
volessi un caffè, annuii, quindi, prima di ringraziarlo.
Anche il
ragazzo, che rimaneva l'unico con cui avevo scambiato qualche
battuta, si allontanò. Mi girai verso gli altri tre che
confabulavano tra loro. Con le mani nelle tasche posteriori dei jeans
mi avvicinai a loro, cercando di aggiungermi nel loro discorso,
sempre sperando si trattasse di lavoro.
Phoebe
si zittì e mi guardò con sufficienza, non era
difficile da capire
che non le fossi simpatica, cosa più che ricambiata almeno
per il
momento, non riuscivo solamente a capire perché.
«
Avevo capito che fossi una professionista » fece lei,
incrociando le
braccia al petto, con un sopracciglio alzato.
« A
cosa ti riferisci? » Domandai tranquilla, riducendo gli occhi
a due
fessure.
« Sei
andata in panico non appena hai visto il corpo della ragazza.
»
« Non
sono andata in panico, per prima cosa, e poi, se anche fosse? Qual
è
il tuo problema? »
« Se
fossi stata una professionista non ti avrebbe dato fastidio la vista
di un cadavere. Per me sei solo una novellina, non capisco
perché il
capo ti abbia fatto venire fin qui. »
Non
aveva tutti i torti, sul fatto che non fossi un'esperta, ma non
potevo comunque dargliela vinta così facilmente.
« Ma
finiscila! Non è la prima volta che vedo un cadavere
» vero « non
sono andata in panico per via del corpo della ragazza » vero
anche
questo, stavo andando bene « solo che non ero preparata ad un
omicidio del genere, pensavo fosse più semplice e pensavo
che aveste
almeno una traccia da seguire. E' la prima volta che mi capita un
caso così » vero a metà.
A
quella parve non bastare e cercò di tornare all'attacco.
«
Nessuno di noi si è trovato ad affrontare un caso del genere
prima,
è la prima volta per tutti. »
«
Ognuno reagisce in modo diverso, sai? Non siamo tutti uguali.
»
«
Grazie al cielo. »
Pronta
a ribattere aprii la bocca, senza emettere alcun suono, dal momento
che avvertii una mano sulla mia spalla destra. Avvertii il calore del
corpo di Killian, quasi al contatto con la mia schiena e interpretai
la sua presa come un invito a lasciarla perdere, che Phoebe era
così,
dubitava di tutto e di tutti e non avrebbe cambiato idea
così
facilmente. Girai la testa quanto bastava per vedere l'espressione di
rimprovero che aveva messo su.
« Che
succede qui? » Domandò e li osservò
tutti e tre uno ad uno.
« Ci
chiedevamo » a queste parole sia Henry che
Thomas la
guardarono smarriti, ma lei sembrò non farci caso
« se una persona
davvero qualificata per questo lavoro possa arrivare a sentirsi male
per la semplice vista di un cadavere » Alzai gli occhi al
cielo e
sospirai, stanca. Sperai che almeno Killian non si facesse
influenzare dal suo discorso.
«
Credo tu stia esagerando, Phoebe » disse invece e la cosa mi
fece
incurvare le labbra verso l'altro « credo sia una persona
abbastanza
qualificata da trovare, dopo un sopraluogo di neanche dieci minuti,
l'arma del delitto. Voi quattro avete avuto perlomeno venti minuti di
tempo per esaminare ogni angolo della casa del cacciatore, eppure vi
siete presentati da noi a mani vuote. »
La
mora lo guardò torva ma restò in silenzio,
visibilmente sconfitta.
Esultai tra me, non avevo di certo bisogno di qualcuno che prendesse
le mie parti, me la sarei cavata benissimo anche da sola, ma mi fece
comunque piacere sentire che Killian avesse deciso di fidarsi di me.
Jack
si unì nuovamente al, silenzioso, gruppo, due bicchieri di
caffè
tra le mani. Ne diede uno a me, per poi portare il suo alle labbra.
Killian si diresse verso una stanzetta chiusa, si girò e mi
fece
cenno con la testa di raggiungerlo.
« Non
ci sarà sempre Killian Jones a difenderti »
affermò Phoebe mentre
le passavo accanto, abbastanza forte affinché anche l'uomo
la
sentisse. Mi girai, questa volta ero io a guardarla con sufficienza.
« Non
ho bisogno di essere difesa, ti stavo azzerando da sola »
commentai
appena, raggiunsi poi Killian, notando come stesse sghignazzando
sotto i baffi. Quello aprì la porta grigia, probabilmente di
metallo, lasciandomi passare cortesemente, per poi richiuderla alle
sue spalle.
Mi
trovai dentro quello che doveva essere il suo ufficio, dove le cose
che spiccavano maggiormente erano una disordinata scrivania, anche
quella era di metallo, piena di fogli e scartoffie varie, e una
lavagna grande tutta una parete, piena di post-it e fotografie
scattate sulle varie scene del crimine.
« Non
fare caso a Phoebe, lei è... è fatta
così. Imparerai a conoscerla
e ad andare oltre. Magari vi vorrete anche bene, un giorno »
provò
a dire Killian mentre si dirigeva verso la scrivania e buttava via le
cartacce, nella speranza che bastasse per fare un po' di ordine.
Scrollai
le spalle e finii di bere quello che rimaneva del caffè,
prima di
buttare il bicchiere di carta nel cestino.
Non mi
importava conoscere Phoebe, non volevo imparare ad andare oltre il
suo carattere, non volevo imparare a volerle bene. Volevo solamente
tornarmene a Storybrooke, ora che finalmente cominciavo a definirla
“casa”, volevo distendermi sul mio letto, girarmi e
trovare
Killian al mio fianco, baciarlo con foga, come se tutto il resto
intorno a noi non esistesse o come se il tempo si fermasse.
Ecco,
volevo anche fermare il tempo.
Volevo
che lui mi stringesse tra le sue braccia forti, volevo cominciare a
spogliarlo e poi fermarmi subito dopo, interrotta dalla voce di mio
padre che captava qualcosa, da quella di Henry che inveiva contro i
videogame al piano di sotto o dal pianto del piccolo Neal che aveva
fame.
Volevo
tornare alla normalità, alla quotidianità.
Non
avrei mai perdonato Gold per quello che mi aveva tolto, mai.
Incrociai
le braccia sotto il seno e scacciai via quei pensieri malinconici
dalla mente, non era assolutamente il luogo adatto per perdersi in
certe cose.
Mi
misi davanti la grande lavagna e cominciai a studiare le foto, una
per una. La ragazza sbranata dal lupo era uno spettacolo che portava
alla nausea, la carne era stata fatta a brandelli, il viso era quasi
irriconoscibile. Mi domandai allora cosa spingesse una persona a
trasformarsi in un tale mostro, cosa innescasse il meccanismo di
distruzione dell'animo umano, ma forse una risposta non c'era, non ci
sarebbe mai stata.
Forse
era così e basta, ci trovavano davanti dei pazzi.
La
seconda ragazza continuava a mettermi i brividi per quanto mi
ricordasse mia madre. Aveva capelli corvini come la notte, la pelle
bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue. Mi dissi che
nessun'altra poteva impersonare Biancaneve, tolta quella ragazza.
Sotto la foto, con una grafia disordinata e frettolosa, che riconobbi
come quella di Killian, lessi il suo nome, affiancato da quello di
mia madre: Snow White. Snow White. Snow White. Non facevo altro che
ripetermelo.
Allungai
la mano sinistra e la posai sulla foto, ripercorsi delicatamente il
profilo della ragazza e mi fermai sul suo viso. Sembravo una pazza,
forse lo ero, ma non mi importava.
Killian,
in silenzio, mi si posizionò affianco e attaccò
la foto di Sasha
Evans, riportandone il nome e quello di Cinderella.
«
Scommetto che hai capito, adesso. Perché l'abbiamo chiamata
Operazione Grimm, intendo » disse, tanto per interrompere il
silenzio che si era creato da qualche minuto.
Annuii
solamente, sì avevo capito. Quei delitti riportavano alle
favole,
riportavano proprio ai due fratelli e ai loro racconti.
«
Sono degli psicopatici » commentai, non avevo altro da dire.
Non
c'era altro da dire.
«
Prendiamo qualcosa da mangiare e torniamo a casa. Non so tu, ma io
sono esausto! »
Lo
guardai mentre mi sorrideva comprensivo, cercai di ricambiare e
questo lo tranquillizzò. Si stiracchiò appena,
raccolse la sua
giacca, spense la luce e fece per uscire. Si fermò
però, poco prima
di chiudere la porta, come colto da un'illuminazione, tornò
indietro
e ricomparve poco dopo con dei fascicoli.
«
Sai, ripensavo alle tue parole » mi disse poi, una volta
tornati in
quella che lui chiamava casa, dove posai sul tavolo della cucina una
busta da asporto contenente due hamburger e una porzione doppia di
patatine « in effetti c'è una cosa che accomunava
quelle ragazze. »
Aspettai
che proseguisse, invano. Lo seguii in salotto e lo vidi mentre si
accomodava sul divano, posava i fascicoli su un piccolo tavolino
posizionato proprio davanti a lui, si portava in avanti a cominciava
a sfogliarli attentamente.
«
Cos'avevano in comune? » Chiesi, restandomene sulla porta.
« Ne
era stata denunciata la scomparsa una settimana, o due settimane,
prima della loro morte. »
Quell'informazione
in più mi raggelò il sangue e me lo
riscaldò allo stesso tempo.
Sfogliando quei fascicoli potevamo capire chi sarebbe stata la
prossima vittima, potevamo evitare che venisse uccisa.
Tornai
in cucina, presi due piatti e ci poggiai sopra i panini e le
patatine. Poggiai tutto sul tavolinetto davanti il divano, cercando
di non sporcare di olio per fritti quei fogli tanto importanti.
Killian
mi guardò accigliato, come se non si aspettasse che lo
raggiungessi
decisa ad aiutarlo. Gli mostrai un sorriso rincuorante, non mi sarei
allontanata da quella stanza fino a quando non avremmo trovato
qualcosa.
Mi sedei a gambe incrociate sul pavimento, o meglio su un tappeto
posizionato proprio ai piedi del divano, avevo le ginocchia dell'uomo
a qualche centimetro dalla faccia e questo mi fece sentire quasi
bene, come non mi ci sentivo da un po' di tempo.
Presi
un fascicolo e lo poggiai sulle gambe. Sfogliavo, leggevo nomi,
osservavo i volti delle persone scomparse e nel mentre mangiavo
quella misera cena che aveva già cominciato a raffreddarsi.
« Non
era quello che ti avevo promesso, mi dispiace » se ne
uscì a un
tratto Killian, facendomi uscire uno strano suono dalla gola, di
disapprovazione.
« Ma
va, per così poco! Prima il dovere e poi il piacere, ci
andremo
un'altra volta. »
«
Puoi contarci » alzai la testa e gli sorrisi, lui faceva
altrettanto. Non sorrideva solo con la bocca, ma anche con gli occhi,
con qualsiasi muscolo della faccia.
Non
avvertii più lo scorrere del tempo per un minuto buono.
Passai
due ore e quaranta minuti su quei fogli. L'euforia del momento stava
lasciando il posto lentamente alla stanchezza e alla consapevolezza
che forse non sarebbe uscito fuori proprio un bel niente.
« Non
è stato semplice » disse a un tratto Killian,
distogliendomi almeno
per un po' da quella ricerca che si rivelava sempre più un
buco
nell'acqua « dire alla famiglia Stevens che la loro figlia
non era
morta accidentalmente. C'era già stato il funerale, il suo
corpo era
stato sepolto ed io, un perfetto sconosciuto che probabilmente
odieranno per tutta la vita, mi sono presentato alla loro porta ad
informarli della notizia. Si erano già messi l'anima in
pace, glielo
si leggeva negli occhi, ma quando hanno saputo che c'era qualcuno
dietro la sua morte... poi ho aggiunto che avremmo riesumato il
corpo, per una seconda autopsia. Suo padre si è messo a
piangere,
sua madre mi accusava di essere un incompetente, e forse lo sono.
»
Ascoltavo
in silenzio, respirando piano. Si stava confidando con me, non mi
conosceva neanche da 48 ore e si confidava con me. La cosa mi faceva
piacere e mi spaventava al tempo stesso.
« Non
sei un incompetente » affermai seria.
«
Vorrei che avessi ragione. »
«
Smettila, non devi neanche pensarlo. »
Mi sorrise, un sorriso vuoto, finto, messo a mo' di protezione. Voleva
far cadere l'argomento e così glielo lasciai fare.
«
Com'è che sei diventata sceriffo della tua città?
» Mi domandò ad
un tratto, non capivo se stesse cercando di cambiare argomento o se
fosse davvero interessato.
« Non
è stata una mia scelta in effetti » cominciai a
rispondere,
tornando a guardare i fogli che avevo davanti « mi ci sono
ritrovata
dentro dopo che il mio... amico Graham è... beh, morto.
»
Era da
tanto che non pensavo a Graham, mi sentii improvvisamente in colpa
per questo. Non lo avevo dimenticato, questo no, non l'avrei mai
fatto, avevo solamente avuto la testa da un'altra parte.
« Mi
dispiace » affermò l'altro, sincero.
Con un
movimento delle spalle lasciai cadere anche quell'argomento, e tornai
a guardare il foglio che avevo davanti.
La
ragazza ritratta nella foto mi sembrava di averla già vista.
Inclinai appena il capo, aggrottai la fronte. Non mi veniva in mente
dove potessi averla incontrata. Lessi poi il nome: Caroline Evans.
Evans... Evans... ma certo!
Mi
rizzai a sedere meglio, presi il foglio e lo portai in alto, ad
altezza della faccia per leggere meglio ed essere sicura di non
sbagliare. Tra le informazioni veniva riportato il nome di Sasha, sua
sorella. La scomparsa era stata denunciata solo due giorni prima:
avevamo tutto il tempo per trovarla!
«
Killian! » Esclamai alzandomi di colpo e sedendomi di botto
sul
divano, al suo fianco, in ginocchio. Gli misi il foglio davanti gli
occhi, lui lo guardò in principio un po' spaesato, poi
cominciò a
capire, spalancò la bocca e mi guardò senza
nascondere lo stupore.
« Bel
colpo, Swan! » Disse solamente, lanciandomi uno sguardo
d'intesa.
Osservai
meglio il foglio e cercai di capire se avevo preso la pista giusta,
se quella ragazza potesse aver a che fare col mondo delle fiabe.
Cercavo un dettaglio e lo trovai subito: i suoi capelli, biondi come
l'oro e come quelli della sorella, certo, solo più lunghi,
incredibilmente lunghi, nella foto sembravano coprirle l'intera
schiena.
Guardai
Killian, capì al volo.
«
Rapunzel. »
Note
dell'autrice: Beh? Scommetto che non ve l'aspettavate che
aggiornassi
così presto! In effetti non me l'aspettavo neanche io, il
che è
tutto dire... il fatto è che il capitolo si è
praticamente scritto
da solo, non mi è mai capitato di scrivere un capitolo
completo in
tre giorni (o per meglio dire notti), era già a buon punto
venerdì,
poi ieri sera a mezzanotte mi è presa l'ansia per troppe
cose e mi
sono messa a scrivere, perché scrivere mi calma, poi sapevo
che
stasera non ci sarei stata e ho deciso di finirlo.
Mi piace com'è venuto, strano ma vero, in più
è uno dei primi che ho
pensato mentre cominciavo a scrivere la storia. Spero piaccia anche a
voi questa (stramba) idea! L'intero capitolo gira intorno al caso,
spero non vi dispiaccia ma è stato necessario. Comunque, ho
cercato
di inserire il maggior numero di momenti Captain Swan possibili,
personalmente amo la loro scena finale ;D
Nel
prossimo ci sarà un dialogo molto profondo, non dico altro,
e una
bella scena vista dagli occhi di Killian... vi piacerà,
credo.
Credo
di aver detto tutto, come al solito non so quando posterò,
gli esami
si avvicinano davvero questa volta, ma vedrò comunque di
scrivere.
Fatemi sapere quello che pensate, questa volta sono davvero moooolto
curiosa di sentirvi, voglio i vostri pareri sull'operazione Grimm :)
Ah! Tutte le fiabe citate nel capitolo appartengono ai
due fratelli, ci
tenevo a chiarirlo.. vediamo se vi avvicinate nell'indovinare quale
altre fiabe verranno trattate (o magari si fermerà tutto con
Rapunzel, chi può saperlo)
|
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Capitolo 7 *** She's not your happy ending ***
7.
She's not your happy ending
Day
5
Era tutta una
questione di giorni.
Tre giorni erano
passati da quando avevamo ritrovato il corpo senza vita di Sasha
Evans. Nessun vero passo in avanti era stato fatto.
Tre sere da quando
avevo presupposto che sua sorella sarebbe stata la prossima vittima.
Tutti si erano dimostrati d'accordo con me. Phoebe aveva,
sì, storto
il naso all'inizio, ma poi si era arresa all'evidenza.
Cinque giorni
trascorsi da quando ero scesa da un aereo, convinta del fatto che
l'avrei ripreso la sera stessa, e avevo cominciato a muovere i primi
passi in quella città a me sconosciuta.
Venticinque giorni
al matrimonio di Killian. Quello era il conto che portavo con
più
peso sul cuore. Sapevo che l'unica che potesse riportare la
situazione alla normalità era Regina, mi fidavo di lei ed
ero
abbastanza tranquilla, ma non potevo che sentirmi inutile. Il senso
di impotenza mi logorava, avevo le mani legate, non potevo fare
niente se non stare vicino a Killian e sperare di far scattare in lui
qualcosa, qualunque cosa. Il che non era facile, dato che Rose gli
stava sempre intorno come un cane fa col suo padrone. E io non potevo
fare altro che restare a guardare, come quando rimanevo in disparte
quando lei si presentava all'improvviso sulla porta di casa con il
pranzo, come quando io mi allontanavo con la scusa di fare una
telefonata che durava più del previsto, solamente per stare
lontano
da quella scenetta. Mi era stato affidato il ruolo di osservatrice, e
questo mi stava stretto.
Era tutta una
questione di giorni, numeri e cifre. Nient'altro.
Passavo il mio tempo
a casa di Killian o nel suo ufficio a Scotland Yard, ormai quella era
diventata la mia quotidianità. Inaspettatamente, quel caso
mi aveva
presa totalmente ed ora quasi speravo di poterlo risolvere prima di
tornare a casa.
Casa.
Ogni tanto guardavo
Killian di sottecchi, mi chiedevo se lui si sentisse davvero
a casa, lì a Londra, con quella nuova vita, o se magari
provasse una
sorta di vuoto incolmabile nel cuore, la sensazione che gli mancasse
qualcosa.
Non che questo
avrebbe facilitato le cose, ma forse mi avrebbe aiutata a sentirmi
meglio.
Strizzai gli occhi e
poggiai la schiena alla poltrona, stendendo le gambe in avanti ed
allontanandomi dallo schermo del computer che osservavo da diverse
ore. Da quattro, per la precisione, come potei appurare alzando lo
sguardo verso l'orologio digitale appeso al muro.
Avevo esaminato ogni
singolo filmato, fotogramma per fotogramma, delle varie telecamere di
sicurezza di tutte le zone dove era stata vista la ragazza prima di
scomparire, ma quelle ricerche si stavano rivelando un ennesimo buco
nell'acqua: le immagini ritraevano Caroline Evans in piccoli attimi
di normalità, come poteva essere il fermarsi davanti la
vetrina di
una libreria o il passeggiare in compagnia di qualche amica. Degli
aggressori non vi era nessuna traccia.
« Maledizione! »
Esclamai tra me, visibilmente scocciata. Mi passai una mano sugli
occhi, massaggiandomeli appena, cercando la forza di osservare gli
ultimi due filmati.
Portai la sedia con
le rotelle in avanti e mi misi seduta comoda e composta mentre
azionavo “play” e tornavo ad osservare lo schermo
del pc. Dopo
due, o forse tre minuti, ne ero già stanca, portai la
schiena in
avanti, poggiai i gomiti sul tavolo e misi la testa tra le mani,
sconsolata.
Proprio in quel
momento la porta si aprì leggermente e la testa di Killian
Jones ne
fece capolino qualche istante dopo.
« Ancora quei
filmati? » Domandò mentre lo guardavo da sopra lo
schermo, forse
era stupito, forse non lo era per niente, non sapevo dirlo con
certezza, la mia mente era presa da altri pensieri, e dalla
stanchezza.
Arricciai il naso
prima di abbassare la testa giusto il tempo di bloccare le immagini,
prendendo il mouse tra la mano destra e mettendo in pausa.
« Non c'è niente
qui sopra. Caroline appare sempre tranquilla e non compare nessuno,
nessuno, di sospetto. Neanche per un microsecondo!
» Sbuffai
senza preoccuparmi di rispondere alla sua domanda, mi poggiai
nuovamente allo schienale, posando poi le braccia sui braccioli.
Osservavo un punto indefinito del pavimento, una delle mattonelle
bianche sembrava essere scheggiata e al momento mi sembrava una cosa
molto interessante.
Sentivo il suo
sguardo fisso su di me, ero quasi certa che si stesse chiedendo come
mai mi sentissi sconfitta, dopo soli tre giorni di indagini. Non
poteva di certo capire che quel caso doveva essere per me un modo per
pensare il meno possibile alla situazione che gli, ci, girava attorno
e non riuscire neanche in quello non mi aiutava di certo a farmi
alzare il morale.
« Te l'avevo detto,
Swan » affermò, tutt'altro che divertito, mentre
si decideva ad
entrare nell'ufficio. Alzai finalmente la testa e tornai a guardarlo.
La camicia blu gli metteva in risalto gli occhi, preoccupati quanto i
miei.
« I risultati
dell'autopsia? » Gli domandai ricordando all'improvviso dove
fosse
stato nelle ultime ore, ovvero insieme a Rose.
« Non ci dicono
niente di nuovo, come immaginavamo » fece lui, posando il
rapporto
sulla scrivania « andiamo a casa, dai, riprenderemo domani.»
Scossi la testa «
No, mi mancano gli ultimi due filmati » mi imposi io,
tornando a
riposizionarmi davanti allo schermo. Poggiò la mano sulla
scrivania
e si sporse verso di me.
« Avanti Swan, sei
stanca adesso. Non vedresti i fratelli Grimm neanche se spuntassero
fuori a cavalcioni di un unicorno! » Mi stuzzicò
guadagnandosi
un'occhiataccia.
« Davvero
divertente. »
« Emma » ci
guardammo negli occhi, i nostri visi erano molto vicini, me ne resi
conto solamente allora « stavo scherzando. »
« Lo so » sospirai
« è solo che... non riesco a fare a meno di
pensare a Sasha... »
« Cenerentola? »
« Sasha »
ribattei, in quei giorni nessuno le aveva mai chiamate usando il loro
vero nome, e la cosa continuava ad urtarmi immensamente « ho
negli
occhi il suo corpo torturato, la pozza di sangue... Continuo a
ripetermi che dobbiamo darci una mossa se vogliamo evitare che capiti
la stessa cosa a sua sorella. »
« Non faccio che
ripetermi la stessa cosa, Emma, puoi credermi. Ma so anche
riconoscere i miei limiti, per esempio so per certo che se rimanessi
più di cinque ore davanti a questa vecchia scatola
» indicò con un
cenno del capo il computer « i miei occhi chiederebbero
pietà, e un
po' di riposo » mi sorrise e feci altrettanto, con una
smorfia delle
labbra. « Non hai fame? Oggi siamo soli, Rose non
può raggiungerci,
per cui ci tocca preparare la cena e più tempo perdiamo,
più tempo
dovremmo aspettare per riempirci lo stomaco! »
Neanche a dirlo,
morivo di fame. Per questo mi arresi, mormorando un « e va
bene »
che gli fece mettere su un'aria vittoriosa che mi spinse a tirargli
un pugno sul braccio.
« Ehi! » Esclamò
lui, cercando in tutti i modi di rimanere serio, mentre io, invece,
ridacchiavo sotto i baffi.
Mi sembrò quasi di
essere a Storybrooke, mi sembrò che il sortilegio di Gold
non fosse
stato mai lanciato, mi sembrò che non fosse passato un
singolo
giorno da quando lo avevo baciato per l'ultima volta. Erano
già
capitati, in quei giorni, dei momenti del genere, questo
perché
Killian aveva davvero scelto di fidarsi di me, aveva scelto di
credere nella storia tirata sù su due piedi da me. Mi aveva
accolta
in casa sua, cercava spesso di farmi sentire a mio agio. Si fidava di
me, lo percepivo, e magari cominciava a volermi anche bene,
cominciava ad affezionarsi.
“Torna coi
piedi per terra, Emma” disse
la vocina nella mia testa che in tutti i modi cercava di non farmi
sognare troppo e di riportarmi alla realtà.
Scossi la testa per
far uscire quei pensieri e mi alzai in piedi, presi il mio giubbotto
di pelle rosso, indossai il cappellino grigio e mi avviai con l'uomo
verso casa sua.
Killian non guidava,
non poteva per via del moncone, Rose a quanto pare non poteva
passarci a prendere ed io sentivo la mancanza del mio caro, vecchio e
buon maggiolino giallo.
L'aria di Londra era
fredda, come al solito, così mi strinsi nelle spalle e
nascosi la
bocca dietro al colletto. L'altro, dal canto suo, sembrava non farci
caso, quasi fosse davvero abituato a quelle temperature.
« Hai freddo? » Mi
chiese, lanciandomi un'occhiata prima di girarsi a guardarmi.
« Devo ancora
abituarmi al clima » risposi, con le mani nelle tasche e lo
sguardo
puntato sulla strada « ma fidati se ti dico che sono stata
peggio »
affermai sicura, pensando a quando ero rimasta intrappolata nel
ghiaccio insieme ad Elsa. Mai come quella volta avevo pensato che
fosse arrivata la mia fine, poi mi sono ritrovata tra le braccia
calde di Killian e piano, piano avevo cominciato a sentirmi meglio.
« Non te
l'aspettavi che fosse così difficile il caso, vero?
» Domandò ad
un tratto lui, facendomi alzare le spalle.
« No, in effetti.
Pensavo che dopo tutto quello che ho affrontato negli ultimi anni,
risolvere un caso di omicidio sarebbe stato facile »
commentai
pensando ad alta voce, rendendomi conto dopo di quello che aveva
detto. Mi guadagnai, infatti, un'occhiata stupita e diffidente.
« Ma davvero, Swan?
E che cosa avrà mai affrontato una giovane sceriffo di una
piccola
cittadina?! » Mi canzonò.
« Non puoi neanche
immaginare » risposi semplicemente, facendomi improvvisamente
piccola e sperando che quel discorso cadesse presto.
« Del tipo? » Fece
lui, senza nascondere il tono curioso della sua voce.
Del tipo da riuscire
a spezzare un sortilegio lanciato dalla Regina Cattiva di Biancaneve,
che poi è la madre adottiva di mio figlio Henry o magari di
trovare
un modo per sconfiggere la madre della regina, Cora, e di tenere
lontano due misteriosi stranieri giunti in città con
l'intento di
scoprirne di più sulla magia. Del tipo di affrontare un
viaggio
incredibile e di arrivare sull'Isola Che Non C'E', o quello di
risolvere un secondo sortilegio lanciato dalla Strega Perfida
dell'Ovest. Del tipo di affrontare un viaggio nel tempo, o quello di
tornare e affrontare un mostro di neve. O del tipo di tenere a bada
le Regine dell'Oscurità e di fare i conti con il mio lato
“oscuro”.
Quanto avrei voluto
rispondergli in quel modo, rivelargli tutto, cercare di convincerlo
del fatto che fosse tutto vero, ma non potevo farlo. Non potevo e non
ne avevo la forza, forse. Non avevo la forza di vederlo mentre mi
prendeva per pazza, come avevo fatto io con Henry, o con Graham, o
con lo stesso Hook.
« Niente degno di
rilevanza, adesso che ci penso bene. »
Lasciai cadere il
discorso e lui non indagò oltre, capendo al volo che non
avevo
voglia di parlare del mio lavoro. Seguì qualche irritante
istante di
silenzio, dove gli unici suoni che ne facevano da padrone erano i
nostri passi sul marciapiede e le auto che sfrecciavano sulla strada
alla nostra destra.
Non sapevo mai che
discorso cominciare con lui, era una cosa più forte di me.
Non ero
molto entusiasta di sapere i vari aspetti fasulli della sua vita,
non impazzivo per niente all'idea di sapere proprio tutte le cose con
cui Gold gli aveva riempito la testa, mi limitavo a sapere lo stretto
necessario, per me era più che sufficiente.
Però sapevo che, in
qualche modo, dovevo provarci, dovevo farlo avvicinare a me nel minor
tempo possibile o sarei impazzita nel giro di poco.
« Come... sì,
insomma, com'è successo? » Indicai con il dito il
suo braccio
sinistro, quello che dovrebbe aver avuto un uncino al posto della
mano.
Davvero non avevo
saputo trovare una domanda migliore? Cominciai a maledirmi per quanto
fossi stata indelicata e sperai che non se la prendesse troppo. Lui
invece appariva tranquillo, visibilmente sorpreso dalla domanda a
bruciapelo, ma tranquillo.
« Oh... mi sembrava
strano che tu non me lo avessi ancora chiesto. Di solito è
la prima
domanda che mi fanno, sai? »
« Mi dispiace, non
volevo essere... »
« Ehi no, non
importa! Sono abituato a questa domanda » mi
tranquillizzò subito
con un sorriso « se mi trovassi dall'altra parte anche io
sarei
curioso! »
« Io non sono
curiosa! » Mi affrettai subito a dire.
« Emma, non
importa, davvero! » Rise, facendomi tranquillizzare
« Comunque è
successo in un incidente d'auto. »
Storsi il naso.
« Un incidente
d'auto? Come? »
« Beh » cominciò
a dire, ma si bloccò poco dopo. Si grattò la
testa, prima di
rintanare la mano nella tasca della giacca « sinceramente non
ricordo i particolari. »
« A volte succede,
per lo shock sai... » cercai di dire io, per toglierlo
dall'imbarazzo.
« Sì, deve essere
così. » Mormorò.
Io sapevo la verità,
o almeno con quell'affermazione mi si era messa una certa pulce
nell'orecchio. Lo avevo già visto nel primo sortilegio, gli
abitanti
di Storybrooke conducevano le loro vite senza interrogarsi troppo su
futili questioni che per loro erano nella norma, come il fatto di
conoscersi tutti da una vita senza però ricordare nessun
primo
incontro, o come quello di vedere Regina nel ruolo di sindaco senza
però chiedersi nemmeno una volta chi fosse stato il suo
predecessore.
Per Killian era la
stessa cosa. Aveva perso la mano prima dell'incantesimo, per questo
poteva ricordare solamente di avere un moncone da quando ne aveva
memoria.
Pensai di poter
usare la cosa a mio vantaggio, potevo mettergli nella testa
abbastanza dubbi sul fatto che non fosse normale non ricordare
determinate cose, ma non sapevo se quello fosse il momento adatto.
Magari era ancora
presto, ci voleva più tempo: doveva riporre in me la
più totale
fiduciosa.
Ma i miei pensieri
furono interrotti all'improvviso da Killian, che aveva altre domande
da chiedermi, a quanto pareva.
« Allora... »
cominciò a dire « non mi hai ancora detto una cosa
sul ragazzo
della “situazione complicata”. »
« Smettila di
chiamarlo cosi » risi io, per nascondere l'imbarazzo di
quella
domanda.
« Non posso
chiamarlo diversamente, non mi hai detto neanche il nome! »
« Non è importante
per te saperlo! »
« Va bene. Ma la
mia domanda era un'altra. Lui è il padre di tuo figlio?
»
Sbiancai. Non aveva
mai fatto domande su Henry, neanche una, da quando aveva scoperto
della sua esistenza. Mi domandai da quanto tempo volesse chiedermelo,
prima di scuotere velocemente la testa.
« No! Cosa? No, no.
Perché questa domanda? » Ero agitata. Mi agitava
parlare con lui
della mia situazione sentimentale per ovvi motivi, parlare anche di
Henry, del quale lui aveva anche cominciato ad affezionarsi, mi
mandava nel panico totale.
« Te l'ha mai detto
nessuno che sei uno spasso quando ti agiti? »
« Ah, ah, ah.
Davvero molto diverte, Jones. » Affermai guardandolo male per
qualche istante « Comunque no, il padre di Henry è
morto non molto
tempo fa. Ma noi due non stavamo più insieme già
da molti anni. »
« Ah... io non
immaginavo... davvero, mi dispiace. »
« Non fa niente,
non potevi saperlo. » Mormorai.
« Perché non mi
hai detto di avere un figlio? » Lo guardai silenziosa per
qualche
istante, anche questa era una domanda che mi aspettavo.
« Non lo so, non
c'è stata occasione, penso. »
« Devo ammettere
che mi hai colto alla sprovvista, Swan. Davvero non me lo immaginavo!
Quanti anni ha? »
« Tredici. »
« T-tredici?! »
Questa volta quello
a sbiancare fu lui, stava facendo ogni calcolo possibile, ne ero
certa, era quello che facevano tutti quelli che venivano a sapere che
avevo un figlio grande rispetto alla mia giovane età.
Annuii divertita,
perché la sua faccia era memorabile e decisi di cambiare
argomento,
di prendermi una piccola soddisfazione almeno per quella sera.
« Come vi siete
conosciuti tu e Rose? »
« Al college, non
te lo avevo già detto? »
« Sì, dico il
vostro primo incontro, lo ricordi? »
« Certo! » Affermò
prontamente « Eravamo in... cioè, io ero...
»
Aspettavo che
concludesse di parlare, mentre avanzavo con passo tranquillo e testa
alta. Nuvoloni neri si radunavano sul cielo di Londra, tanto che ebbi
l'impressione che potesse piovere da un momento all'altro, ragion per
cui era meglio sbrigarsi, anche se ormai mancava poco per arrivare.
Nonostante ciò, mi
fermai non sentendo più il passo di Killian e il fatto che
non
parlasse non faceva che accrescere la mia preoccupazione.
Lo trovai a pochi
metri da me, l'espressione quasi spaesata e gli occhi bassi.
« Che c'è? »
Chiesi subito, raggiungendolo
« Non mi ricordo »
affermò « non ricordo quasi niente a dire il vero,
ho solo dei
vaghi flash di noi due insieme e... stai ridendo? »
Neanche mi ero
accorta del sorrisetto che mi si era dipinto in volto, ma cercai di
cancellarlo subito, mortificata.
« Scusa... non
ridevo di te. Ma è una cosa normale, no? Voi uomini
dimenticate
sempre tutto, dall'anniversario a cose più o meno stupide.
E' nella
vostra natura. » Lo stuzzicai facendo spallucce e trovando
l'ennesima, sciocca, spiegazione alle sue domande. No, non era ancora
pronto per conoscere la verità, decisamente no.
Anche lui la prese
sul ridere, prima di rimettersi in cammino.
Era una bella
sensazione, quella, mi sentivo inspiegabilmente più leggere
e,
soprattutto, non facevo altro che ripetermi a quanto sarebbe stato
bello se Rose fosse stata presente, sicuramente la sua reazione
sarebbe stata epica. Magari si sarebbe arrabbiata, o irritata, e
avrebbe cercato di non darlo a vedere.
Scossi ancora una
volta la testa, cercando di tornare in me. Non andavano bene quei
pensieri. Quella ragazza mi trattava come una sua vecchia amica, non
mi aveva fatto niente. In un certo senso. La accostavo molto a
Kathryn Nolan, vittima inconsapevole di amare l'uomo sbagliato.
« Killian, posso
farti una domanda un po' personale? » Gli domandai una volta
tornati
a casa, mentre mi toglievo il cappello dalla testa e cercavo di
riordinare i capelli spettinati.
« Sentiamo » mi
invitò lui tranquillo, togliendosi la giacca e osservandomi
curioso.
« Pensi che lei sia
il tuo lieto fine? »
In qualche modo
cadde il gelo in quella casa. Io, terrorizzata all'idea di sapere la
risposta e lui, completamente sconvolto dalla domanda inaspettata.
« Mi stai chiedendo
se la amo?! » Mi domandò stranito, occhi negli
occhi.
« No, ti sto
chiedendo se la consideri come il tuo lieto fine. »
« Beh... io... »
era visibilmente spaesato, la cosa mi rincuorò appena
« non è la
stessa cosa?! »
Scossi piano la
testa e mormorai un « no, affatto. »
« Io... io credo di
sì. »
« Credi? Non ne sei
certo? »
« Io la amo Emma,
se è questo che vuoi sapere. »
*Killian
Pov*
Dopo averle
risposto, interruppi il contatto visivo che si era venuto a creare e
mi diressi in cucina, con l'intenzione di preparare la cena.
« Non è quello che
ti ho chiesto » le sentii mormorare a bassa voce, non sapevo
se
stesse parlando con me o se, piuttosto, parlasse con se stessa. Non le
risposi, non c'era niente da rispondere, infondo. O forse non avevo
la più pallida idea di cosa rispondere. Quella domanda mi
aveva
spiazzato e non poco, era inutile negarlo, almeno a me stesso.
Il mio lieto fine...
non mi ero mai interrogato su quale potesse essere il mio lieto fine.
Rose? Era lei?
Probabilmente sì.
Insomma, era la donna che amavo e che mi accingevo a sposare,
nonché a trascorrere il resto della mia vita con lei. Questo
bastava
a considerarla tale? Ma sì, certo. E allora
perché ero andato in
panico, appena sentita la domanda? E perché la risposta
affermativa non
convinceva neanche me?
Mi dissi che fosse
esclusivamente per il fatto che non mi ero mai posto una simile
domanda, nient'altro.
« Ti do una mano. »
Emma mi raggiunse e cominciò a tirare fuori svariate pentole
e
padelle, senza realmente sapere cosa preparare.
Sorrisi tra me a
quella visione, ebbi l'impressione che fosse abbastanza imbranata ai
fornelli, eppure aveva un figlio, in tredici anni con lui
avrà pur
dovuto cucinare qualcosa, no?
« D'accordo Swan.
Puoi cominciare tagliando le patate, mentre io pulisco il merluzzo
»
acconsentii mentre le passavo tutto l'occorrente, non badando ai suoi
occhi verdi e interrogativi.
« Fish and Chips?
Davvero? »
« Te l'avevo
promesso, no? »
Entrambi ci mettemmo
a lavoro, schiena contro schiena. Nonostante mi ritrovassi con una
sola mano, riuscivo a destreggiarmi egregiamente ai fornelli.
« Non proprio » mi
canzonò lei, nel frattempo che il rumore del coltello che
colpiva la
superficie di legno riempiva la stanza « mi avevi promesso
che lo
avrei mangiato nel miglior locale di Londra. »
« Io cucino meglio
» affermai voltandomi a guardarla con un sorriso sghembo.
« Non ne dubito »
disse lei, rispondendo con un sorrisetto ironico e alzando gli occhi al
cielo.
Poco dopo arrivò il
momento di friggere il tutto, già pregustavo quell'ottimo
piatto
quando mi avvicinai ad Emma.
Poggiai il moncone,
senza neanche rendermene conto, al fianco di lei e, con la
naturalezza più estrema, sfiorai col petto la sua schiena,
allungando quindi la mano per prendere le patatine che aveva finito
di tagliare e riposto in una ciotolina.
Rimasi con la mano
sulla ceramica, non riuscendo a respirare bene per qualche secondo,
quando Emma girò appena il capo verso sinistra, verso il mio
volto.
L'avevo percepita mentre sussultava non appena entrata in contatto
col mio corpo, ma non ci avevo fatto molto caso.
Ora invece osservavo
le sue labbra dall'aspetto morbido, sentivo il suo respiro sulla mia
bocca e per un istante, solo per un istante, mi dissi che in quel
fatto non ci fosse niente di sbagliato, ebbi la sensazione che il mio
posto fosse quello.
Fu quando misi in
moto il cervello che capii di stare letteralmente impazzendo, dando
tutta la colpa alla stanchezza.
La cena si svolte
nel silenzio totale, riuscivo a leggere un sottile imbarazzo da parte
sua, ma forse stavo fraintendendo. Mi aiutò a lavare i
piatti e a
mettere in ordine, poi si allontanò in camera sua, dicendo
che fosse
meglio sentire Henry per assicurarsi che stesse bene, e non la vidi
più uscirne fuori.
***
Il mattino seguente
Rose si era presentata a casa, avevamo trascorso il tempo insieme
fino all'ora di pranzo, dove aveva “rapito” Emma,
per farsi
accompagnare alla prova dell'abito che aveva dovuto rimandare,
precedentemente, di qualche giorno.
Dopo un paio d'ore
passate a lavorare sul caso con la squadra al completo, decisi che
fosse meglio raggiungerle e andare a controllare che tutto procedesse
bene. Sapevo che mi sarei sorbito una sfuriata di Rose sul fatto che
“porta male vedere l'abito della sposa”, ma sapevo
anche che
l'avrei convinta che fossero solamente stupidaggini.
Restai comunque più
di qualche minuto fuori dal negozio, ad osservare la vetrina.
Qualcosa mi diceva di aspettare che le due finissero, un'altra mi
diceva di entrare, come attirato da una calamita. Eppure non ero
curioso di vedere l'abito né altro, non sapevo neanche chi
avesse
dato l'ordine ai miei piedi di muoversi e alla mia mano di aprire la
porta, facendo risuonare il tintinnio del campanello appeso su di
essa.
« Ehm, cercavo la
signorina Smith » mi ritrovai a dire ad una ragazza che mi
indicò
con un cenno di entrare nella stanza a destra.
Non feci in tempo a
raggiungerla che mi bloccai all'istante, fulminato da ciò
che vidi:
la gonna ampia le ricadeva perfetta lungo le gambe fino al pavimento,
lasciando un po' di coda dietro di sé, le spalle erano
scoperte, il
corpetto ricamato e dalla forma a cuore, anche le maniche lunghe
erano ricamate e lasciavano intravedere la pelle bianca della
ragazza.
La ciliegina sulla
torta erano i capelli biondi e lunghi che le ricadevano sul petto,
tanto da conferire ad Emma l'aspetto di una vera principessa, una dea
antica o una creatura di estrema bellezza.
“Un attimo...
Emma?!”
Sì, c'era proprio
Emma davanti a me, che mi guardava sbigottita e sconcertata,
stringendosi nelle spalle, come se si vergognasse, neanche fosse
stata nuda o altro.
« Che diavolo ci
fai qui?! » Sbottò, e tanti cari saluti alla
principessa che avevo
visto un attimo prima.
« E tu che diavolo
stai facendo? »
« Io... Rose è
dovuta andare via, dovevano ancora sistemarle l'abito così,
dato che
abbiamo più o meno la stessa corporatura e statura, ha avuto
la brillante
idea di lasciarmi qui a indossarlo e a lasciarlo sistemare
per
lei! »
Parlava tutta
agitata, lasciando capire quanto la cosa le desse fastidio. Si
reggeva la gonna, nonostante non ci fosse alcun bisogno visto che
né
doveva camminare, né avrebbe avuto particolari problemi nel
farlo, a
parer mio. Ogni tanto si alzava il corpetto, quasi a temere che
questo potesse cadere da un momento all'altro.
Si diresse verso lo
specchio, per ammirare, almeno, l'opera finita. Si guardava,
mugugnava suoni e affermazioni incomprensibili, si girava da un lato,
si osservava il seno, si girava dall'altro lato, storceva il naso,
tornava a mettersi dritta e chinava appena il capo, prima a sinistra
e poi a destra.
« Secondo me sei
bellissima » mi scappò.
“Accidenti!”
Ma che diavolo mi
prendeva?! Non avevo detto niente di male, alla fine, mi ero limitato
ad esprimere solamente la mia opinione. Le sue guance si colorarono
rosso, ma finsi di non farci caso.
« Non è proprio il
mio genere » affermò lei a un tratto «
ma a Rose piace molto,
perciò credo che sarà meglio che lei non sappia
che hai visto il
suo abito da sposa con un mese di anticipo. »
A lei non piaceva,
Rose lo amava.
Erano estremamente
diverse anche in quello, non feci a meno di constatare.
Il telefono le
squillò poco dopo che si fu cambiata, indossando i suoi
jeans, i
suoi stivali e un maglione che le avevo visto comprare qualche giorno
prima. Decisamente quella era la Emma che stavo imparando a
conoscere.
Vidi le sue mani
tremare mentre reggeva il cellulare e leggeva il nome che compariva
sul display, ma alla fine si fece forza e rispose.
« Regina! »
Note
dell'autrice: oddio
vi prego,
non linciatemi! Eh sì, sono ancora viva e, anzi, mi scuso
per il
tremendo ritardo... insomma... l'ultima volta che ho scritto e
aggiornato questa storia era.... beh, tipo un mese fa D: ma gli esami
mi hanno preso tutto il tempo e una volta finiti mi sono ritrovata
indietrissimo con serie tv e, non lo nego, fanfiction, quindi
è
anche colpa vostra se ci ho messo tanto :') no dai scherzo, non
voglio far ricadere la colpa su nessuno XD Per farmi perdonare ho
inserito il maggior numero di momenti Captain Swan che la mia mente
potesse partorire, spero sia stato un bel regalo.
Quiiindi,
vediamo il nostro Killian preso un po' di più da Emma, ma
è ancora
presto per cantare vittoria, non per spezzarvi il cuore, ma quella che
abbiamo letto in questo capitolo potrebbe
limitarsi ad essere normale
attrazione fisica ;) Ma del resto, la loro storia non è
forse
cominciata in questo modo?! E Regina? Che vorrà?! La pozione
è
pronta, o sono subentrati nuovi ostacoli? Lo scoprirete nel prossimo
capitolo, e giuro di non farvi aspettare un altro mese xD
Ah,
come avete potuto notare ho inserito una specie di
“contagiorni”
a inizio capitolo, lo metterò di tanto in tanto, giusto per
farvi venire ansia xD
Per
adesso è tutto, grazie a tutte le persone che leggono questa
storia
e che spendono anche qualche minuto del loro tempo a recensire, mi
riempite il cuore di gioia (senza contare che mi offrite degli spunti
pazzeschi... volevo far succedere una determinata cosa, ma ho letto
un commento e questo mi ha fatto completamente stravolgere la mia
idea! #boom)
Un
abbraccio a tutte ♥
-
Sà (la vostra Chipped Cup)
|
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Capitolo 8 *** London serenade ***
8.
London serenade
Uscii
di fretta dal negozio, nella mano destra il mio cellulare che tenevo
appiccicato al medesimo orecchio, cercando di ascoltare Regina. Cosa
all'apparenza semplice, se non si contava il fatto che, un secondo
dopo averle risposto, una signora sulla cinquantina era entrata
seguita da una scorta di familiari e amiche, dando ordini sparsi alle
commesse su come aiutare sua figlia, una giovanotta mingherlina che
non faceva altro che mangiucchiarsi le unghie, prossima alle nozze.
Non avrei mai pensato che una persona sola potesse fare tanto
baccano, mi ripetevo questo mentre mi affrettavo ad andarmene da
lì
dentro e cercavo di decifrare le parole di Regina.
“Swan...
non... pozione... diavolo!”
Erano
le uniche cose che ero riuscita a captare da quella conversazione.
Non lasciavano presagire niente di buono. Cominciavo a farci
l'abitudine, in effetti, a quella che era diventata la mia odissea
personale: ogni qualvolta che avevo la soluzione a portata di mano
subentrava qualcosa, o qualcuno, che me la spazzava via, come se
fosse vittima di una raffica di vento.
E
il vento mi colpì non solo metaforicamente, dato che non
appena ebbi
messo piede fuori dal negozio di abiti da sposa mi sentii congelare.
Abbassai il capo e mi lanciai un'occhiata veloce addosso, rendendomi
quindi conto che, per la fretta, avevo dimenticato la mia giacca
dentro. Rimasi per un attimo incerta, il tempo di rendermi conto che
il freddo non era attualmente il mio problema più grande. E
poi non
sarei tornata lì dentro per niente al mondo, non con quella
donna
che, riuscivo a scorgerne l'ombra, ancora si agitava, sbracciandosi
all'impazzata.
«
Emma? Emma rispondimi! Swan, cosa diamine stai combinando?! »
La
voce di Regina risuonò potente, dritta nel mio orecchio,
tanto che
dovetti allontanare il cellulare di qualche centimetro per non
rischiare di diventare sorda, ci mancava solo quella in effetti.
«
Regina eccomi, smettila di urlare, sono qui! » Tentai di
dire,
mentre poggiavo la mano sinistra sul gomito destro e cercavo di
stringermi in qualche modo, per non congelarmi.
«
Che diavolo era quel baccano? L'ultima volta che ho sentito una cosa
simile interrompevo una rivolta popolare guidata da sostenitori di
tua madre » affermò la donna con voce contrariata,
probabilmente
intenta a ripensare a quell'episodio.
«
Niente del genere, ero in un negozio e una signora è entrata
e...
non importa. Allora, cos'è successo? Lasciami indovinare:
problemi
con la pozione. Ci vorranno ancora un paio di giorni, vero? Ti prego,
dimmi almeno che si tratta di una questione risolvibile in settimana,
la situazione qui è sempre più... complicata
» la preoccupazione
parlava per me, non riuscivo quasi a controllarmi e Regina,
dall'altro capo del telefono, trovava difficile prendere parola, non
che non ci provasse.
«
Swan! » Sentii la voce di Killian e mi voltai di scatto. Era
appena
uscito anche lui dal negozio, agitava nella mano la mia giacca di
pelle rossa, con espressione di rimprovero. « Ma che hai nel
cervello?! Siamo in pieno inverno, vuoi congelare per caso?!
» Alzai
la mano sinistra e gli feci segno di tranquillizzarsi e, soprattutto,
di stare zitto, facendogli intendere con lo sguardo l'importanza che
aveva, almeno per me, quella chiamata.
«
E' Hook? » Mi domandò improvvisamente Regina, a
quanto pareva aveva
sentito la sua voce.
«
Sì. Regina dimmi, ti prego. Quanto ci vorrà?
»
«
Non devi più preoccuparti, Swan. La pozione è
pronta, fra più o
meno ventiquattro ore sarà nelle tue mani. »
Rimasi
completamente spiazzata, immobile, muta. Non riuscivo a spiccicare
parola, le sentivo salire e fermarsi in gola, così come non
riuscivo
a muovere un solo muscolo, per quanta era l'emozione.
Improvvisamente
sentii anche meno freddo, ma quella sensazione non aveva niente a che
fare con la notizia che avevo appena ricevuto. Killian, infatti, si
era portato alle mie spalle, cercando di coprirle al meglio
poggiandovi la mia giacca sopra, trovando qualche difficoltà
nel
farlo con una mano sola. Con il suo caro e vecchio uncino, mi dissi,
probabilmente si sarebbe trovato più facilitato.
Rimasi
a guardarlo per quattro, cinque, dieci secondi buoni, con la bocca
spalancata e gli occhi sgranati, ma non per il gesto, no, in quel
momento mi sembrava tutto così familiare da non dovermi
più
meravigliare né imbarazzare per via di qualche parola detta
o
qualche gesto fatto che potevano benissimo essere malintesi. No, mi
sembrava già di avere quella pozione tra le mani. O, ancora
meglio,
mi sembrava già di avergliela fatta bere.
Sorrisi
di getto. In una giornata, al massimo, si sarebbe risolto tutto:
Killian avrebbe riacquistato la memoria, Rose sarebbe sparita dalla
nostra vita, quella breve avventura a Londra sarebbe stata solamente
un ricordo.
«
Che c'è? » Mi chiese ingenuamente lui, guardandomi
incuriosito,
facendomi tornare in me « buone notizie? » Scossi
appena la testa.
«
Ottime, direi. »
«
Mi pagherete una cura per il diabete, prima o poi. Rimpiango il mio
sortilegio in momenti come questo » ascoltai le parole di
disappunto
di Regina e risi di getto, potevo benissimo immaginare la sua smorfia
disgustata.
Mi
sentivo come libera da un peso, il macigno che sentivo sullo stomaco
da settimane, ovvero da quando Killian era scomparso
sotto i
miei occhi, si era magicamente, e finalmente aggiungerei, dissolto
nel nulla.
«
Pensa a Robin » la presi in giro e si ammutolì
all'istante. Tornai
poi seria « Regina, davvero, non so come ringraziarti.
»
«
Non ce n'è bisogno, Swan, mi basta che torniate a
Storybrooke quanto
prima, così che tua madre mi lasci in pace per un po'
» sorrisi
nuovamente pensando che non doveva essere così facile, per
lei,
essere buona, non dopo aver passato gran parte della sua vita
nell'oscurità.
«
Arrivi domani? » Le domandai, non stando più nella
pelle.
«
Sì, in mattinata. O al massimo per l'ora di pranzo
» Annuii, pur
sapendo che non poteva vedermi, prima di salutarla e chiudere la
chiamata.
Regina
Mills dava il giusto peso alle parole, sapevo che potevo contare su
di lei, non mi avrebbe delusa, non come avevo fatto io quando avevo
riportato Marian, o meglio Zelena, nella vita di Robin.
Mi
ritrovai a pensare al viaggio nel tempo che avevamo affrontato io e
Killian, forse quella era stata la nostra disavventura più
grande.
Mi ricordavo ancora perfettamente la sensazione di incertezza che mi
aveva accompagnata per tutto il tempo, avevo dei dubbi sul fatto che
si sarebbe conclusa per il meglio, ma lui era lì con me e
solo
quello mi donava un'immensa fiducia. Portavo ogni attimo di quella
avventura nel cuore, perché grazie ad essa avevo deciso di
lasciarmi
andare e di far cadere ogni difesa protettiva che avevo innalzato
negli anni, con lui. Ero sicura che fosse la decisione giusta e che
non mi avrebbe mai ferita.
«
Era una tua amica? » Mi domandò Killian, mentre
tornavamo in
ufficio.
«
Sì, una mia amica » mi resi conto che era strano
anche solo
pensarla una cosa del genere: Regina aveva, addirittura, tentato di
avvelenarmi con una mela e di mettermi fuori dai giochi in ogni modo,
e neanche io ci ero andata molto leggera con lei, anzi. Alla fine era
divertente pensare a come eravamo qualche anno prima, un paio di volte
ci avevamo anche
riso sopra. Decisi che non c'era alcun bisogno di scendere tanto nei
dettagli, con Killian, non che mi aspettassi avesse creduto alla
storia della torta di mele che avrebbe dovuto procurarmi un sonno
eterno.
«
Allora? Che grandi novità ti ha riferito la tua amica?
»
Guardai
Killian con la coda dell'occhio, mentre entrambi ci toglievamo la
giacca e la posavamo sull'attaccapanni affianco alla porta
dell'ufficio dell'uomo.
Non
appena arrivati vi avevamo trovato la squadra al completo. Killian
odiava che vi entrassero quando lui non era presente, per questo
aveva urlato prima contro Jack e poi contro Phoebe, che si era messa
in mezzo per difendere il ragazzino e assumendosi poi ogni
responsabilità. Si giustificò dicendo di aver
pensato a una pista e
aveva bisogno di tutte le scartoffie per confermarla, ma all'altro
non importava alcuna spiegazione.
Rimasi
in silenzio per tutto il tempo, ad osservarlo, non ero abituata a
vederlo perdere le staffe in quel modo. Lo accostai facilmente alla
figura di un pirata, anche se forse era la mia mente che mi
condizionava e vedeva similitudini ovunque. In qualche modo mi
incoraggiava a sperare, a notare tracce del vecchio Killian Jones
nell'uomo che avevo davanti. Anche se, effettivamente, per quello non
mi serviva alcuna buona notizia: sapevo che l'uomo che amavo era
lì,
da qualche parte, in attesa di essere tirato fuori.
«
Probabilmente domani verrà a trovarmi » risposi
alla sua domanda,
non appena mi fui sistemata i capelli, all'apparenza più
crespi del
solito, forse per via di tutta quell'umidità.
«
Oh! » Esclamò, forse deluso. Capii, infatti, dal
suo sguardo che si
aspettava qualcosa di più, ma di certo non potevo dirgli
tutta la
verità e preferivo evitare altre bugie.
«
Sai... io e Regina, la mia amica, quando ci siamo conosciute... beh,
dire che ci odiavamo è un eufemismo! » Risi
appena, le immagini di
un ramo di un albero che cadeva a terra mi riempirono la mente,
seguite poi da quelle di una donna che cercava di allontanarmi da
Henry con ogni mezzo a sua disposizione. « E' la madre
adottiva di
Henry » aggiunsi, sedendomi davanti la scrivania di Killian,
proprio
di fronte a lui, gomiti sul tavolo. Mi lanciò un'occhiata
accigliata, si vedeva che non se l'aspettava minimamente.
«
Henry? Tuo figlio Henry? » Domandò, anche se
conosceva già la
risposta. Annuii e incurvai appena gli angoli della bocca.
«
Ero una ragazzina quando ho scoperto di essere incinta, ci sarai
arrivato anche tu, e non mi trovavo di certo nel momento migliore
della mia vita. In più ero sola, suo padre mi aveva
lasciata, la
decisione di darlo in adozione mi sembrava la più giusta
» gli
raccontai. Avevo abbassato lo sguardo e mi ero messa a giocherellare
con il suo anello, facendomelo passare da una mano all'altra o
rigirandomelo tra le dita.
«
Ma poi l'hai ritrovato, a quanto ho capito. L'hai cercato a lungo?
»
«
No, affatto. In realtà è stato lui a trovare me
» tornai ad alzare
lo sguardo e lo vidi sempre più confuso. « La sera
del mio
ventottesimo compleanno si è presentato fuori dalla mia
porta, nel
mio appartamento a Boston. Avevo appena espresso il desiderio di non
dover più rimanere sola il giorno del mio compleanno. Ed
è arrivato
lui » sorrisi spontaneamente raccontando quell'episodio,
stessa cosa
fece lui, in modo sincero.
Mi
mancava da morire la complicità che avevamo, raccontargli
cose sulla
mia vita mi aiutava a sentirlo più vicino, anche se sentivo
di
essermi già avvicinata parecchio a lui in quell'unica
settimana.
Avevo deciso di raccontargli quel fatto per fargli capire che mi
fidavo di lui e che, speravo, lui potesse fidarsi ciecamente di me,
prima o poi.
Sapevo
di dovermi limitare a pochi piccoli dettagli, non potevo andare a
scavare più a fondo. Non volevo nascondere solo di essere la
salvatrice, volevo tener ben nascosto anche il mio passato. Era la
seconda volta nella mia vita che mi capitava di essere terrorizzata
all'idea che qualcuno potesse scoprire che ero finita in prigione per
undici mesi. Solo pochi anni prima vi vergognavo di farlo sapere a
Henry, ora stavo riconoscendo la stessa sensazione.
«
Beh, deve essere un ragazzino molto sveglio »
commentò Killian,
notando il mio sguardo perso tra i ricordi. La sua voce mi fece
tornare in me e gli rivolsi un'occhiata « e non goffo quanto
sua
madre! » Esclamò divertito, per alleggerire la
tensione.
«
Io non sono goffa! » Ribattei, fulminandolo con gli occhi,
pur non
riuscendo a non sorridere.
«
Oh no, Swan. Proprio per nulla » replicò l'altro,
tirando indietro
la mano proprio mentre io mi ero mossa per colpirgliela.
All'improvviso
la porta della stanza si aprì di corsa, facendo entrare uno
dei due
gemelli.
«
Allora, Thomas, le carte del caso di Cenerentola vi sono tornate
utili? » Gli domandò subito Killian, tornando
immediatamente serio
e guardandolo in modo autoritario. Osservai i suoi occhi
attentamente, non mi bastò molto per capire che aspettava
brutte
notizie, un po' per non dover ammettere che a lui fosse sfuggito
qualcosa, un po' per ribattere che avessero solo perso tempo.
«
In effetti sì » il vecchio pirata
sbarrò gli occhi, stessa cosa
feci io, voltandomi di scatto verso il ragazzo, tenendo la mano
sinistra ferma sullo schienale della sedia sulla quale ero seduta
«
Phoebe aveva avuto un'intuizione riguardo il modo in cui era
posizionata la vittima, per questo ci servivano delle foto... credeva
che gli assassini vi avessero lasciato un messaggio, non so... Ha
letto che è una cosa comune per i serial killer, sapete..
»
«
Thomas arriva al punto, per favore » lo interruppe Killian,
fremeva
e potevo capirlo benissimo, entrambi volevamo sapere cosa avessero
scoperto i ragazzi « che indizi, o messaggi, son saltati
fuori da
quelle foto? »
«
Beh... da quelle foto non è spuntato fuori niente.
»
«
Cosa?! » Io e Killian parlammo nello stesso momento.
« E allora che
altro c'è? Cosa avete trovato? » Domandai,
cercando di essere
calma, anche se io stessa mi stavo spazientendo appena.
«Tyler
Watkins
» fece lui, quasi con ovvietà.
Inarcai le sopracciglia e aspettai che proseguisse, cosa che, invece,
non avvenne.
«
Chi? » Chiesi ancora, non capendo dove stesse andando a
parare.
«
Il cacciatore? » Domandò Killian alle mie spalle,
stupito quanto
me.
«
Esatto. »
Il
mio sguardo andava da Thomas a Killian. Il primo aveva un'espressione
decisamente più tranquilla rispetto a quando era entrato
nell'ufficio, evidentemente perché sapeva di star portando
una
notizia importante. L'altro era inquieto, si era portato la mano
sulla bocca e sembrava concentrato, la mascella serrata. Nonostante
ciò, non riuscivo a capire a chi si riferissero.
«
Scusate, ma chi è Tyler Watsing? » Chiesi
nuovamente, sperando di
ricevere una spiegazione, questa volta.
«
Watkins » mi corresse Killian, il suo sguardo ancora perso
nel vuoto
come se con la mente stesse ripercorrendo il giorno del ritrovamento
della ragazza « il cacciatore, l'uomo che ha trovato il corpo
»
alzò i suoi occhi nei miei e capii finalmente di chi
parlassero. «
Ebbene, Thomas? Cos'hai scoperto su di lui? »
«
Non molto » affermò quasi sconfitto «
qualcosa nel suo resoconto
non ci tornava, così abbiamo indagato sul suo conto ed
è spuntato
fuori che non esiste nessun Tyler
Watkins. O meglio, ce ne sono due: uno ha sei anni compiuti a maggio,
l'altro ne ha una sessantina e vive nel Galles. So che è
poco, ma è-»
«
Sospetto, sì. Abbastanza da farci cominciare a sospettare di
lui,
senza trarre conclusioni affrettate, però. Per quanto ne
sappiamo,
potrebbe aver mentito sulla sua identità per svariati
motivi, non
cantiamo vittoria tanto presto » disse Killian cercando di
farci
rimanere coi piede per terra.
«
C'è dell'altro, signor Jones. »
«
Ovvero? »
«
La stampa è qui fuori, ancora... »
Killian
alzò gli occhi al cielo e si alzò quasi
immediatamente, sospirando
tra sé. Scattai in piedi anche io, decisa a seguirlo. Da
qualche
giorno, gruppi di giornalisti andavano e venivano, alla ricerca di
notizie, passi avanti nell'indagine, possibili sospetti, una pista
nuova da seguire. Nessuno di noi aveva mai rilasciato
interviste,
lo stesso Killian ce lo aveva espressamente vietato affermando che
sarebbe stato peggio l'impatto col pubblico.
«
E va bene, rilascerò una breve dichiarazione così
da toglierceli di
torno almeno per qualche giorno » affermò, anche
se un po'
spazientito, avviandosi verso l'uscita con me e Thomas subito dietro
« la faccenda del cacciatore non deve uscire da qui dentro,
è
chiaro? » Ci domandò ed entrambi annuimmo
« Perfetto. Swan, tu
rimani qui, se non ti dispiace » disse infine, proprio
davanti la
porta, girandosi velocemente verso di me. Non mi diede neanche il
tempo di rispondergli, ribattendo a modo o acconsentendo, che era
già
uscito.
Guardai
scocciata la porta che si chiudeva alle sue spalle, prima di
dirigermi con l'altro verso la macchinetta del caffè, dove
Phoebe,
Henry e Jack stavano discutendo tranquilli. Scelsi il tasto della
cioccolata calda, poi mi voltai verso gli altri tre.
«
Killian ci raccomanda di non divulgare le informazioni riguardanti
Watkins » li informai. I ragazzi annuirono, Phoebe, invece,
arricciò
il naso senza, però, dire nulla. Cosa che mi fece piacere,
non mi
andava di discutere, neanche lei poteva rovinare quella giornata.
«
Non ti ha fatto stare con lui mentre parlava con la stampa, eh?
» Mi
domandò ad un tratto, prima di portarsi il bicchiere di
plastica con
il caffè alle labbra « non vuole ammettere che il
capo ha dovuto
chiamare qualcuno da fuori per aiutarci con il caso. Può
risolverlo
da solo, riconoscendo anche il nostro merito. Perché noi
siamo
la sua squadra, sai, noi quattro. Neanche ti voleva qui e non credo
che digerirà la tua presenza tanto presto.
»
«
Phoebe » cominciai a dire, cercando di rimanere calma.
Respiri
profondi. Inspira, espira. « Una volta per tutte, qual
è il tuo
problema? Cosa ti ho fatto di tanto grave?! »
«
Con te? Dovrei essere frustrata per via della tua presenza quando ci
sono due psicopatici a piede libero che potrebbero star uccidendo
un'altra ragazza proprio in questo momento? Il mondo non gira tutto
intorno a te, Emma Swan, probabilmente non te ne rendi conto, troppo
impegnata a sbattere le ciglia in faccia a Killian e a fargli gli
occhi dolci ogni volta che ne hai l'occasione. »
Mi
feci subito seria, guardandola torva, non riuscivo a credere che
stesse davvero dicendo una cosa del genere, a me per giunta! Io che
mi facevo in quattro in quel caso, nonostante non fossero miei
problemi, nonostante presto me ne sarei tornata a Storybrooke con
Killian, lasciandoli lì a cavarsela da soli. Mi addormentavo
addirittura con vari fascicoli tra le mani, dato che ci lavoravo
sopra fino a tarda notte! Ma forse... forse c'era dell'altro. Forse
mi dava fastidio che avesse capito tutto. Sapeva che ero innamorata
di Killian, non poteva conoscere tutta la storia ma era arrivata alla
cosa più importante.
«
Killian è una persona orgogliosa »
continuò « non accetterà mai
l'idea di un estraneo giunto dall'altra parte del mondo
esclusivamente per aiutarlo, come se noi non bastassimo. Faresti
meglio a prendere il primo aereo, o il primo traghetto, quello che ti
pare, e tornartene a casa! »
«
Oh, ci tornerò presto a casa, stanne certa! » Mi
lasciai sfuggire,
socchiudendo appena gli occhi « e non puoi sapere di certo
com'è
fatto Killian Jones, non lo conosci, non sai cosa pensa o cosa non
pensa! » La mora scoppiò a ridere.
«
Lo conosco da anni! Credi che questo non basti? Siamo la sua
famiglia, noi e Rose. »
«
Sì, certo » sbuffai.
Presi
la mia cioccolata e mi diressi verso l'ufficio di Killian,
più che
decisa a trovare un modo per rintracciare il cacciatore, in quel
compito non avevo decisamente rivali.
***
La
radiosveglia suonò come di consueto. Sentii un brivido
percorrermi
l'intera schiena, perciò portai la mano sinistra alle mie
spalle,
cominciando a tastare il nulla. Con gli occhi ancora ben serrati
mugugnai qualcosa di incomprensibile anche a me stessa, mentre mi
rendevo conto di essere completamente scoperta, ancora.
Cercai
di aprire gli occhi, piano. Prima il sinistro e a seguire il destro,
ma li strizzai subito e mi ci volle, come al solito, un po' di tempo
prima di mettere a fuoco qualcosa. Subito notai i numeri rossi
segnati sulla sveglia: 11:15, avevo seriamente dormito per tutto quel
tempo senza che nessuno venisse a svegliarmi? Beh, pareva proprio di
sì.
Mi
misi a sedere, portando i piedi giù dal letto. Le coperte
erano
quasi completamente sul pavimento, dovevo cominciare a darmi una
regolata o sarei diventata peggio di Anna, nel dormire, per quanto mi
avesse raccontato Elsa. Mi strofinai una mano sulle palpebre e
afferrai il foglio con su riportata la dichiarazione del cacciatore,
caduto anch'esso per terra durante la notte. Non riuscivo a
capacitarmi di come mi ero fatta sfuggire una cosa del genere, forse
era dovuto al fatto che la situazione con Killian occupava il 99%
della mia mente.
Killian,
memoria, pozione, Regina! Quel giorno sarebbe finalmente venuta
Regina con la sua pozione, non mi sarei più dovuta
preoccupare di
niente.
Sorrisi
raggiante a quel pensiero, mentre la radiosveglia alla mia destra,
che ancora non avevo spento, cominciò a mandare
“Running On
Sunshine”, una delle mie canzoni preferite. Mi sporsi verso
il
comodino per aumentare il volume della musica, prima di alzarmi dal
letto, decisamente più allegra di quanto non lo fossi mai
stata lì
a Londra. Cominciai a muovermi per la stanza, per rimettere in ordine
e per trovare qualcosa di pulito da mettermi, mentre la musica mi
contagiava, facendomi muovere seguendone il ritmo, prima la testa e poi
tutto il corpo,
accennando qualche parola del testo.
Era
da tanto che non ballavo. Solo l'idea che stavo davvero ballando mi
suonava talmente ridicola, e sicuramente così sarei
risultata se
qualcuno mi avesse vista, là a muovermi seguendo il tempo,
dentro
una stanza più che al limite del disordine, con indosso un
orribile
pigiama a quadri rosa, che mi aveva gentilmente prestato
Rose giorni prima.
«
Emma...?! »
La
voce di Killian mi immobilizzò sul posto. Mi aveva colta in
flagrante, non avevo neanche il coraggio di voltarmi. Cosa che
dovetti fare, seppur a malincuore. Lo guardai imbarazzata ed osservai
il suo volto più che stupito che mi scrutava.
Scoppiò poi in una
grassa risata, non riuscendo più a trattenersi.
«
Scusami, ma dovresti vedere la tua faccia »
affermò, continuando a
ridere, poggiato con il braccio alla parete. Lo guardai male e feci
di tutto per non scoppiare anche io, non volevo dargli soddisfazione.
«
Smettila » lo sgridai, incrociando le braccia sotto il seno,
concentrandomi tanto per non lasciar scappare neanche un piccolo
sorriso.
«
Va bene, va bene » esclamò lui, rizzandosi su con
la schiena « non
mi aspettavo che fossi una gran ballerina, Swan. Potresti avere un
futuro! »
«
Davvero divertente, Jones! » Feci, scuotendo la testa
« Volevi
qualcosa? »
«
Ah sì, giusto! Dovresti scendere di sotto... prima cambiati
però,
io ti aspetto giù » detto questo, mi rivolse un
occhiolino -sì,
proprio un occhiolino, non stavo impazzendo- e mi lasciò da
sola.
Guardai
per qualche secondo la porta, come aspettando di vederlo ritornare da
un momento
all'altro con qualche spiegazione in più. Cosa che non
avvenne, così
mi decisi ad afferrare un paio di pantaloni neri e una camicetta
azzurrina, e ad indossarli.
Scesi
le scale senza nessuna fretta, speravo solo non fossero arrivate
brutte notizie, non quel giorno, quel giorno doveva essere perfetto.
Non vedevo l'ora di far bere la pozione a Killian, anche se solo
allora mi domandai come avrei fatto a fargliela bere. Lui mi aveva
messo nella testa abbastanza dubbi da indurmi a berla, a New York, ma
io? Io non ero riuscita a farlo, troppo preoccupata a pensare a come
potesse reagire. No, gliela avrei fatta bere a tradimento, anche se
un po' mi dispiaceva. Forse era meglio parlarne prima con Regina, mi
dissi, poteva darmi un consiglio. Tra l'altro non doveva volerci
ancora molto, mi aveva detto che sarebbe arrivata in mattinata,
speravo davvero non ci mettesse troppo.
«
Mamma! »
Sgranai
gli occhi e spalancai la bocca. Mi voltai di scatto e mi ritrovai
Henry davanti, mentre si alzava dal divano sul quale si era
accomodato in salotto, per corrermi incontro.
«
Henry! Ma che...?! » Le parole mi morirono in gola quando il
ragazzino mi abbracciò. Ricambiai la stretta forte, ad occhi
chiusi,
gli misi la mano destra fra i capelli e glieli scompigliai un po',
prima
di riaprire gli occhi « Che ci fai qui?! Regina! »
Esclamai di
colpo, mentre vedevo la mora venire verso di noi, non l'avevo vista
poco prima! Mi staccai da Henry e la guardai incerta per qualche
secondo.
«
Non ci provare Swan, niente abbracci » affermò
subito, alzando la
mano destra, come a volermi fermare in qualche modo. La mia mente,
invece, era presa dalla sua mano sinistra, stretta intorno a una
borsetta nera di piccole dimensioni; sorrisi tra me immaginando
quello che potesse contenere.
«
Non vi aspettavo così presto, anzi, non ti aspettavo
» mi corressi tornando a guardare mio figlio, con il sorriso
sulle
labbra. Mi era mancato, lui più degli altri, non lo vedevo
soltanto
da una settimana e già mi sembrava impossibile vivere senza
quel
ragazzino che mi aveva sconvolto, sconvolto davvero, la vita. Come
avevo fatto dieci anni senza di lui?
«
Siamo partiti presto, qualcuno qui non stava più nella pelle
» mi
informò Regina, accennando con il capo a Henry. Il
ragazzino, che
ormai quasi era più grande di me, subito scattò a
stringermi di
nuovo, lo avvolsi con un braccio intorno alle spalle e lo strinsi a
me.
Guardai
istintivamente Killian, sorridendo ancora per la sorpresa. Lo vidi
mentre se ne restava in disparte, ma ci osservava probabilmente
intenerito. Ci guardammo negli occhi per degli istanti interminabili,
incurvò le labbra verso l'alto e mi lanciò un
cenno con il capo.
Inspiegabilmente,
sentii già di essere tornata a casa.
«
Avete già fatto conoscenza? » Domandai, tornando
in me, prima di
guardarli tutti e tre.
«
Sì, Killian ci ha detto che state lavorando tantissimo su un
caso
molto importante » mi fece sapere Henry. Riuscii quasi a
vedere la
luce di una lampadina che si accendeva sopra la mia testa!
«
Killian! » Lo chiamai « Sapevi che Henry
è un esperto di fiabe?!
Potreste parlarne mentre io e Regina prepariamo qualcosa di caldo
»
così dicendo portai il ragazzino dall'uomo in salotto,
lanciai
quindi un'occhiata a Regina e la guidai verso la cucina.
«
Come te la stai cavando? » Mi domandò la donna,
mentre entrava
nella stanza e si guardava intorno. Sembrava la stesse ispezionando
tutta solo con lo sguardo.
«
Potrebbe andare meglio » sospirai io « prima gli
faccio bere quella
pozione, prima mi sentirò meglio! »
La
vidi trafficare con la borsetta, ovviamente sapevo cosa stesse
cercando. I miei occhi si illuminarono non appena la vidi: rinchiuso
in quella boccetta di vetro, il liquido azzurrino splendeva sotto i
miei occhi. Regina me la porse e io l'afferrai subito, anche se
incerta.
«
Come faccio a fargliela bere, Regina? » Le domandai
retoricamente,
cercando di non farmi prendere dallo sconforto.
«
Come sarebbe a dire? »
«
Avrei voluto raccontargli la verità, prima di fargliela
bere. Da
quando sono arrivata non faccio che inventare storie. Mi sembra di
imbrogliarlo. »
«
Emma... una volta che avrà bevuto quella pozione si
ricorderà
tutto, non ce l'avrà con te per avergli mentito, lo sai. Lo
conosci
molto meglio di me. »
Mi
sentivo ugualmente in colpa, ma rimaneva l'unico modo per fargliela
bere. Impressionante come le cosa non andassero mai come mi
aspettavo, potevano costruirci sopra una storia basata sulle mie
disavventure.
Preparai
velocemente una cioccolata calda per Henry, la versai in una tazza e
vi misi sopra della panna; afferrai nuovamente la boccetta con la
pozione, la studiai per un po', presi un respiro profondo e la versai
in una tazzina.
Nel
giro di un minuto sarebbe tutto finito, non mi sembrava vero.
Tornai
in salotto, seguita da Regina, la tazza fumante per Henry nella mano
destra, quella per Killian nella sinistra. Li trovai entrambi assorti
in una conversazione su Rapunzel, non mi sarei aspettata di vedere
l'uomo tanto partecipe.
«
Vi disturbo? » Ridacchiai, porgendo la cioccolata al ragazzo
«
Killian, Regina ci ha portato una bevanda tipica di Storybrooke
»
Henry quasi soffocò nella sua cioccolata, per trattenersi
dal
ridere, guadagnandosi un'occhiataccia da me e dalla sua madre
adottiva « vedrai che ti piacerà e sono sicura che
ti sentirai
meglio, una volta bevuta. »
Con
mano tremante gli passai la tazzina. Lui la scrutò per un
po', forse
il colorito non lo convinceva, lo vedevo mentre si chiedeva la
quantità di coloranti che conteneva quella assurda bevanda.
Ne sentì
anche l'odore e la cosa mi scocciò. Era più
snervante quell'attesa
formata da pochi minuti, rispetto ai giorni interi passati aspettando
notizie.
Finalmente
posò le labbra sulla tazzina e cominciò a berne
il contenuto, fino
all'ultima goccia.
Espirai
profondamente, improvvisamente più leggera. Sorrisi subito,
guardai
prima Henry che strizzò un occhio in mia direzione, e poi
Regina,
sorridente anche lei.
Era
fatta, era finita.
Quell'incubo
ormai si era dissolto nel nulla, potevamo finalmente andare avanti e
dimenticare tutto.
«
Killian... » lo chiamai a mezza voce, una volta che
finì di bere.
Aveva
gli occhi puntati sulla tazzina, non riuscivo a decifrare la sua
espressione. Poi parlò.
«
Aveva uno strano sapore » mi irrigidii « mi sembra
di aver sentito
delle mele, c'erano vero? Non ne vado molto pazzo, sarà per
questo
che... » parlava, parlava, parlava. Neanche lo ascoltavo
più.
Incurvai
velocemente le labbra, simulai un sorriso ed annuii appena,
chissà
per quale motivo poi.
Non
proferii parola, girai i tacchi e mi avviai verso la cucina. Passai
davanti Regina, esitò voltandosi dalla mia parte, ma anche
lei
rimase in silenzio, scoraggiata.
Mi
chiusi la porta alle spalle e rimasi ferma. Cosa non aveva
funzionato? Cosa era andato storto, quella volta? Perché
Gold aveva
maturato tutto quell'odio nei miei confronti? Cosa ci stava
guadagnando lui da quella storia?
Osservai
la boccetta, immobile su uno dei banconi di quella cucina.
«
Aaaah! » Urlai, afferrandola con rabbia e lanciandola verso
la
parete opposta con tutta la forza che avevo in corpo.
La
vidi andare a sbattere sul muro, infrangersi in tanti piccoli pezzi.
Allora scoppiai in un pianto disperato e sordo. Mi lasciai scivolare
a terra, la schiena poggiata al bancone. Strinsi le ginocchia tra le
braccia e vi poggiai sopra la testa.
Piansi,
piansi tutte le lacrime che avevo in corpo e che avevo trattenuto per
giorni, sconfitta.
Nella
mia testa piombò l'immagine di Gold. Rideva, rideva come un
pazzo,
vittorioso e compiaciuto della mia impotenza in tutta quella storia.
Note
dell'autrice: salve a tutti (vipregononuccidetemi)! Prima di
tutto
mi scuso subito per l'immenso ritardo! Non è stato molto
semplice
scrivere questo capitolo, anzi, senza contare che il risultato finale
neanche mi soddisfa, ma vabbè.
In
più ci ho messo più del previsto visto che la
Comic Con (Jennifer
che cerca di parlare irlandese non me la leverò mai dalla
testa) mi
ha ispirato a tal punto da spingermi a concentrarmi sulla OneShot che
poi ho pubblicato qualche settimana fa, se vi va di leggerla :'D
(pubblicità occulta), quindi ho cominciato a scrivere questo
molto
più tardi di quanto avrei sperato!
So
che state venendo a cercarmi con le torce e i forconi per via del
pezzo finale, ma vi prego di rimandare la mia uccisione (vi pregherei
anche di cancellarla dalla vostra mente, a dire la verità!!)
perché
ho tante di quelle scene in mente... eheheheh... mi perdonerete di
certo! (prima o poi!)
Spero
di non metterci troppo con il prossimo capitolo, cosa che non credo
visto che sono riuscita a mettermi finalmente in pari con Grey's
Anatomy (dalla
5 alla 11 in poco più di un mese, non so se mi spiego :'))
Mi
auguro che il capitolo vi sia piaciuto, vi ringrazio tutte come
sempre per le bellissime parole che mi lasciate scritte, leggere le
vostre recensioni è la parte in cui mi diverto di
più xD fatemi
sapere cosa pensate di questo e... okay basta, mi sto dilungando
troppo!
Un
bacio a tutte :)
Sà
PS.
Le avete viste le foto/video dal set?! Il quasi bacio?! Killian con
il pugnale?! Oddio, non sto più nella pelle!
|
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Capitolo 9 *** The power of love ***
9. The power of love
Le lacrime non accennavano a volersi
arrestare.
Scorrevano veloci lungo le mie guance, seguendo sempre il solito
percorso, ed andavano ad infrangersi dritte sulle mie gambe. Una
manciata di minuti ancora in quelle condizioni e mi sarei ritrovata
con i pantaloni zuppi di pianto. Ma cosa poteva importarmi, alla
fine?! Di certo quello era l'ultimo dei miei problemi. Anzi, non era
neanche degno di essere considerato un problema, quando tutte le
speranze che avevo riposto in quella dannatissima pozione si erano
infrante e ora giacevano sul pavimento piastrellato, insieme a vari
pezzi di vetro, più o meno grandi.
Il tempo si era fermato di colpo. Tutto si muoveva a
rallentatore, in quella piccola e fredda cucina, la mia testa andava
a rallentatore. Potevano essere passate ore intere; gli altri
potevano anche aver deciso di lasciarmi sfogare in santa pace in
quella stanzetta, oppure potevano non essersi accorti di niente.
Difficile, visto il casino che avevo appena fatto tra grida e una
boccetta lanciata contro la parete opposta. La verità era
che li
avevo sentiti, tutti e tre, non appena il vetro aveva colpito con
forza il muro, erano scattati in piedi con l'intenzione di
raggiungermi.
Avevo distinto i loro passi, non era buffo? Nonostante i
miei singhiozzi e il suono assordante del mio respiro affannato e dei
miei lamenti, che cercavo comunque di contenere, ero riuscita a
distinguere quello che avveniva nella stanza oltre il corridoio.
I tacchi alti di Regina erano la prima cosa che avevo
sentito, così come erano la prima cosa che saltava
all'attenzione di
qualsiasi orecchio presente nell'arco di una trentina di metri. Si
muovevano senza troppa fretta, ma comunque agitati, lo percepivo.
Probabilmente, fosse dipeso da lei, mi avrebbe lasciata sola per un
po' di tempo, mi avrebbe concesso istanti preziosi per farmi calmare.
Immaginavo che, invece, si volesse affrettare per arrivare prima di
quelli che avevo imparato a considerare come i miei uomini e
che,
adesso, erano semplicemente mio figlio e, beh... Killian Jones.
Henry poggiò pesantemente la tazza di cioccolato sul
tavolino posto davanti al divanetto sul quale si era appollaiato dopo
che io stessa gli avevo chiesto di restare con Killian, così
che io
e Regina potessimo parlare. I passi leggeri emessi da un ragazzino
appena tredicenne mi giunsero all'orecchio, veloci e ansiosi. Odiavo
farlo preoccupare: ero sua madre, quello era un compito che spettava
a me, soltanto a me!
Killian, invece, era quello che si era alzato di scatto
non appena sentita la mia voce. Forse per istinto, forse per
preoccupazione, i suoi passi pesanti erano quelli su cui mi
concentravo meglio, in attesa. Speravo quasi si precipitasse da me
mostrandosi in colpa, speravo che la sua fosse solo una messa in
scena. Mi era saltato per la mente, per una frazione di secondo, che
poteva essersi ricordato tutto e
poteva solamente essersi messo a prendermi in giro, ma poi avevo
visto i suoi occhi: nessun riflesso, nessuna nuova luce, nessuna
sfumatura che potesse farmi stare tranquilla.
E quest'ultimo fu proprio il primo a raggiungermi, forse
perché il destino aveva deciso di prendersi gioco di me o
forse
perché era stato realmente più veloce degli altri
due.
La porta si spalancò di botto, andando quasi a sbattere
contro il muro. Nonostante il rumore assordante e lo stupore non
mossi un muscolo, non alzai la testa, non mi girai a guardare. Non ne
avevo le forze, o magari non volevo farmi vedere così. O
più
semplicemente tutte e due le opzioni.
« Swan! » Lo sentii esclamare preoccupato mentre, o
almeno ebbi quell'impressione, cominciava a guardarsi intorno, per
capire cosa aveva scatenato tutto il trambusto che avevo combinato,
pur rimanendo in piedi sulla porta, insieme agli altri due che lo
avevano raggiunto all'incirca un secondo dopo.
« Mamma! » La voce di Henry mi arrivò
quasi come un
sussurro, sentii una specie di pugno nello stomaco nell'udire la sua
voce allarmata. Ero certa che Regina aveva preventivamente poggiato
le sue mani sulle spalle del ragazzino, un po' per farlo stare
tranquillo, un po' per non farlo correre da me.
Sentivo gli occhi ansiosi di Killian e quelli di Henry
puntati su di me, così come percepivo quelli sconsolati
dell'ex
regina cattiva della Foresta Incantata.
« Ma che diamine...? » Cominciò a dire
l'uomo dagli
occhi blu profondi, mosse un passo verso di me, ma l'altra donna lo
fermò, anche se non fisicamente.
« Okay, non c'è niente da vedere, lasciateci da
sole »
si impose con autorità, seppur rivolgendo uno sguardo
intenerito
verso il ragazzino, sicura che avrebbe capito.
I due, tuttavia, in un primo momento rimasero fermi
nella loro postazione, guardando prima lei e poi me e viceversa. Alla
fine, scoraggiati di non poter effettivamente fare nulla, se ne
tornarono entrambi in salotto. Regina chiuse la porta subito,
concedendomi quel tanto di privacy che mi era rimasta.
Si avvicinò a me abbastanza cautamente, un po' incerta.
Non sapendo bene cosa fare, o dire, si limitò a sedersi al
mio
fianco, anche lei con la schiena poggiata al bancone, braccia a
circondare le ginocchia.
Se ne restava in silenzio, decisa a darmi tutto il tempo
di cui avessi bisogno, o magari sapeva che le sue parole mi sarebbero
parse ovattate, sovrastate dai miei singhiozzi che erano tornati a
farsi sentire non appena gli altri due avevano lasciato la stanza.
« Perché? » Le parole mi uscirono di
bocca in un
sussurro, io stessa avrei faticato a capirle. Alzai la testa segnata
dalle lacrime, la poggiai sulla superficie del bancone e rivolsi gli
occhi arrossati verso un punto fisso del soffitto.
« Come? » Domandò l'altra, girandosi
istintivamente
verso di me, non appena ebbe sentito il flebile mormorio uscito dalla
mia bocca.
« Perché? » Ripetei «
Perché non ha funzionato?!
Cos'è successo? Qual è la scusa, questa volta?!
» Sbottai
improvvisamente, scattando in piedi e guardandola dall'alto verso il
basso, arrabbiata. Ero arrabbiata con lei? No, sapevo che non aveva
nessuna colpa e che anche lei era rimasta stupita quanto me. Forse.
Pensandoci non sembrava molto sconvolta, semmai dispiaciuta. Ma non
me ne facevo proprio nulla del suo dispiacere, avevo bisogno di
risposte in quel momento, nient'altro.
Diedi una manata sul frigorifero, la cosa più vicina a
me. Ritirai subito la mano e guardai il palmo, dolorante.
« Swan! » Regina scattò subito, si
avvicinò a me e
fece per prendermi la mano, ma la scansai immediatamente.
Non potevo fare altro che pensare a tutta quella rabbia
che stavo provando e che aveva preso il posto prima dello stupore e
poi della delusione. Mi focalizzai sulla mia oscurità. Mi
balzò per
la mente come Gold potesse aver programmato tutta quella storia solo
per farmi cadere vittima di essa, peccato che lui non avrebbe goduto
del minimo beneficio, privato com'era dei suoi poteri e ormai lontano
da Storybrooke.
« Allora » cominciai, cercando di mantenermi su un
tono di voce abbastanza basso « cosa non ha funzionato?
»
Domandai, guardando finalmente Regina che sospirò tra
sé. Non mi
ero calmata, lo sapevamo entrambe, solo che non potevo più
aspettare, dovevo avere delle risposte e, a giudicare
dall'espressione della donna, lei era l'unica in grado di darmele,
l'unica a sapere nel dettaglio cos'era accaduto.
« Dopo che mi hai chiamato per spiegarmi la situazione, mi
sono subito messa a fare delle ricerche. Ho scoperto delle cose
interessanti, probabilmente avrei dovuto dirti tutto subito, ma non
l'ho
fatto solamente per non farti prendere dal panico inutilmente, Emma,
davvero »
la ascoltavo attentamente con le braccia incrociate, le mie iridi
verdi puntate nelle sue; inclinai appena il capo e la studiai. No,
non mi stava mentendo, non ne avrebbe avuto alcun motivo pensandoci.
Annuii appena e la incitai a continuare. « Ho pensato subito
che i
due sortilegi fossero diversi: in questo caso, Gold ha dovuto
alterare le memorie di persone normali, persone che non provengono
dal nostro mondo, situazione che non si era venuta a creare durante
il mio sortilegio per capirci. »
Non riuscivo a comprendere dove volesse andare a parare,
o forse ero io a non volerlo vedere, poteva essere qualsiasi opzione.
Certo, una volta trovato Killian, solo una settimana prima, ero
subito arrivata alla conclusione che fosse stato vittima dello stesso
sortilegio che aveva colpito Storybrooke e, magari, la mia mente mi
diceva questo perché già una volta mi ero
ritrovata a far tornare
la memoria a tutti, in qualche modo quel pensiero mi dava quel
briciolo di forza di cui avevo bisogno. Ma dovevo ammettere che
Regina, con il suo ragionamento, non aveva tutti i torti, avrei
potuto arrivarci benissimo da sola se non fossi stata tanto cieca.
Solo che non continuavo a capire come quelle
informazioni fossero legate alla nostra situazione e alla non
riuscita della pozione della memoria.
« Quindi? » le chiesi subito « Cosa
c'entra tutto
questo con la pozione? »
« C'entra eccome » esclamò «
secondo le mie
ricerche, è possibile ricorrere a tre incantesimi diversi
per creare
una vita fasulla ad una persona. Il primo, quello che mi ha fatto
lanciare Gold più di 28 anni fa, è il
più semplice da spezzare se
si ricorre alla magia. E' quello che ho fatto anche con te, ti ho
creato dei nuovi ricordi, una nuova vita per ricominciare, ed
è
bastata una semplicissima pozione a farti ricordare chi eri davvero.
Il secondo, invece, si può spezzare esclusivamente con il
bacio del
Vero Amore. E il terzo... beh... il terzo non si può
spezzare in
alcun modo, neanche con la magia oscura – non che pensassi di
utilizzarla – . » Mi sentii subito mancare il
fiato, Regina si
rese conto del mio sguardo sperduto e si affrettò a
continuare « ma
il terzo non è il nostro caso, puoi stare tranquilla!
»
« Come fai ad esserne sicura? Conosci Gold, non si
sarebbe fatto nessuno scrupolo per distruggere Killian! »
« Non se significava sacrificare il suo Vero Amore
»
la fissai silenziosa, la bocca ancora semi aperta, pronta a
ribattere, cosa che non feci, per lasciarla finire « per
lanciare
questo sortilegio, spedendo così Hook qui a Londra, in un
posto
senza magia, e modificando non solo i suoi ricordi, ma anche quelli
di gente comune, pretendendo che tutto questo non possa essere
spezzato, Gold avrebbe dovuto uccidere Belle. Questo era il suo
prezzo. »
Tornai a respirare per qualche istante, lasciandomi
cadere su uno sgabello a pochi passi da me. Il coccodrillo era una
persona spregevole, quello era certo, ma amava Belle e non le avrebbe
mai fatto del male.
Ero rincuorata dal fatto che il sortilegio poteva essere
spezzato, certo, ma non potevo saltare dalla gioia comunque. Il bacio
del Vero Amore, quella era l'unica soluzione. Il nostro era Vero
Amore, ora lo sapevo, ma lo era a Storybrooke. Lì a Londra
ero
solamente una vecchia amica di cui neanche ricordava l'esistenza, che
adesso lo aiutava a risolvere un caso.
Era un sorriso amaro quello che rivolsi a Regina, basato
sulla consapevolezza che probabilmente non sarei mai riuscita
nell'impresa, quella volta.
« Gold ha utilizzato un incantesimo che non può
essere
spezzato » mormorai, abbassando immediatamente lo sguardo.
« Cosa?! Swan, ma mi ascolti quando parlo? No,
decisamente no a quanto pare! Per farlo avrebbe dovuto uccidere Belle
» aveva cominciato a parlare molto lentamente e a scandire
bene ogni
singola parola, come se non potessi capire quello che stava dicendo e
la cosa mi fece storcere il naso « tra l'altro l'abbiamo
vista anche
con i nostri occhi, viva e vegeta. Davvero non capisco come puoi dire
una cosa del genere. »
« Io non capisco? Tu non capisci! » Sbottai
nuovamente, alzando di scatto il capo e tornando a fissarla
duramente, cosa che la fece ammutolire. « Lui è
fidanzato adesso,
te l'ho detto. Non mi ama, non è neanche lontanamente
innamorato di
me, il suo cuore è già occupato. Non gli importa
più niente di me
» tirai fuori così tutti i pensieri e le paure che
mi avevano
attanagliato per giorni interi, solo che non erano più
esclusivamente delle mie idee, erano la realtà, ormai.
La donna scosse la testa: non era d'accordo con me, non
era di certo una novità, ma quella volta avevo ragione io,
del resto
ero stata io a passare tanto tempo insieme a quell'uomo, sapevo di
cosa parlavo.
« Non gli importa più niente di te? Ma lo vedi
come ti
guarda? Era davvero preoccupato di vederti in quello stato, Swan;
quando ti abbiamo sentita urlare è scattato subito.
Perché dovrebbe
preoccuparsi per te se davvero non conti più niente per lui?
»
Non sapevo come prendere quelle parole. Un pizzico di
verità sicuramente c'era, non mi avrebbe mai permesso di
vivere
nella sua stessa casa se così non fosse stato. Forse una
parte di
lui continuava ad essere legata a me, nonostante tutto.
Con la mente tornai ai miei primi giorni a Storybrooke.
Mi ero subito sentita estremamente legata ad una persona: Mary
Margaret. Entrambe ci siamo fidate l'una dell'altra fin dal primo
istante e quando poi si è rivelata essere mia madre mi
è sembrato
tutto più chiaro.
Magari a Killian era successa la stessa cosa, ma avevo
ugualmente paura. Ci eravamo molto avvicinati negli ultimi giorni,
non potevo rischiare di buttare via tutti quei progressi. Da
sconosciuti ad amici, avevo cercato in tutti i modi di avvicinarlo a
me, di fargli capire, sentire, che poteva fidarsi, che non lo avrei
deluso, un bacio avrebbe rovinato tutto, avrebbe rialzato il muro
protettivo intorno a lui.
Sì, dovevo solamente aspettare. Ancora un po' di tempo
e saremmo stati abbastanza intimi, saremmo tornati ad essere noi e un
bacio sarebbe venuto da solo.
Oppure i giorni sarebbero trascorsi velocemente, Killian
sarebbe stato più indaffarato del solito per stare dietro a
Rose e
ai preparativi del matrimonio (anche se, da quanto avevo capito, era
già quasi tutto pronto), avrebbe passato sempre meno tempo
con me,
il nostro rapporto sarebbe rimasto in stallo e prima che potessi
rendermene conto, si sarebbe ritrovato con l'anello al dito.
« Hai ragione tu, non posso tirarmi indietro proprio
adesso. Non posso rimandare ancora per molto, devo sperare nel bacio
del Vero Amore, è l'unica soluzione. »
Speranza, già. Come se bastasse davvero così poco
per
far andare le cose nel verso giusto. E dove mi aveva portato, tra
l'altro, la speranza? Non molto lontano a quanto pare, avevo
solamente sofferto il doppio. Ero sempre stata scettica in quei
giorni e non appena avevo accennato anche solo di credere che tutto
sarebbe andato per il meglio, ecco l'ennesima batosta.
Pensai improvvisamente alle parole di mia madre:
“Credere anche solamente nella possibilità di un
lieto fine è un
mezzo molto potente”. Decisi che almeno dovevo provarci, e
riuscirci. Dovevo riuscire a credere, lo dovevo a lei, lo dovevo a
Killian e, soprattutto, lo dovevo a me stessa.
Sorrisi appena alla donna, mi alzai dallo sgabello sul
quale mi ero seduta poco prima e mi avviai, seguita a ruota da
Regina, verso il salotto, dove trovai i miei uomini.
Entrambi si voltarono di scatto verso di me, non appena li ebbi
raggiunti.
« Henry! Non hai bevuto la tua cioccolata, oramai si
sarà ghiacciata! » Esclamai fingendo interesse per
una questione
così futile. Il mio unico intento era quello di apparire
naturale e
lasciare alle spalle di tutti quello che era accaduto solo poco
prima.
« Emma » mi chiamò Killian, cauto, come
se stesse
decidendo quali parole fosse meglio usare « tutto bene?
» Optò,
dunque, per la domanda più facile e sicura.
« Sì, certo » affermai, alzando gli
angoli della
bocca in un sorriso. Certo, sarei stata molto più
convincente senza
gli occhi rossi e il volto segnato dal pianto, ma cercai di non farci
caso.
« Emma ha avuto un piccolo calo di nervi » Regina
venne in mio soccorso, guadagnandosi un'occhiata accigliata da parte
mia e da quella di Henry. Killian, invece, sembrò convinto
da quella
informazione e mi guardò apprensivo.
« Forse ti stai chiudendo troppo sul caso, ti
addormenti addirittura sulle cartelle! » Mi
rimproverò lui. Mi
trattenni con ogni mezzo di rispondergli a modo, il mio problema di
certo non era dovuto a quella stupida operazione. Mi limitai,
però,
a scrollare le spalle, infilando le mani nelle tasche posteriori dei
pantaloni. « Beh, se non ci sono particolari problemi
allora... mi
dispiace lasciarti, voglio dire.. lasciarvi!, ma avevo promesso a
Rose che avrei passato la giornata con lei e che l'avrei accompagnata
a sistemare le ultime cose per il matrimonio – sapete, mi
sposo fra
meno di un mese, ventitré giorni – e poi saremmo
andati a cena... »
« Oh, va bene Killian. Non è di certo un problema!
»
affermai, abbassando appena il capo per nascondere un'espressione di
disappunto,
cominciavo a non tollerare più neanche il nome di quella
ragazza «
io sto bene, si è trattato di una sciocchezza. E poi non mi
lasci
mica da sola, non importa » aggiunsi in seguito, questa volta
guardandolo negli occhi. Lui mi accennò un sorriso.
« Okay. E' stato un piacere conoscervi! Tienila
d'occhio da parte mia » disse poi, avvicinandosi a Henry con
fare
complice « non farla avvicinare a niente che si tratti di
lavoro! »
Il ragazzino rispose con qualcosa che somigliava a un “puoi
contarci”, non gli prestai molta attenzione, troppo impegnata
a
scuotere il capo per quella scena.
Osservai Killian che prendeva la sua giacca prima di
fermarsi qualche secondo sulla porta, girarsi verso di noi,
rivolgermi un sorriso appena mortificato ed uscire.
Espirai lentamente, quando mi voltai Regina già mi
rivolgeva uno sguardo che voleva solo dire “te l'avevo
detto”.
« E lui non tiene a te, ma per favore »
commentò a
bassa voce, come se parlasse fra sé e sé.
« Vi preparo la cena »
affermai ad un tratto,
alzandomi dal divano dove ero seduta con Henry e Regina da qualche
ora.
Avevamo perso la cognizione del tempo, specialmente
grazie a Henry che aveva intenzione di raccontarmi per filo e per
segno tutto quello che era successo a Storybrooke durante la mia
assenza. Era impressionante come in una cittadina così
piccola
potessero accadere così tante cose in così poco
tempo! Certo, il
fatto che i suoi abitanti erano personaggi delle fiabe e che la magia
regnasse sovrana in quel piccolo angolo del Maine aiutavano, e
parecchio anche, a far sì che nella cara e vecchia
Storybrooke non
ci si annoiasse mai.
I due mi guardarono stupiti per una manciata di secondi,
si lanciarono poi un'occhiata veloce, prima di tornare con il loro
sguardo su me.
« Che c'è? » domandai allora, non
riuscendo a
decifrare le loro facce.
« Una settimana lontana da casa ti è servita per
imparare a cucinare? » Chiese subito Regina, per tutta
risposta, con
ironia.
Si mise in testa di voler cucinare a tutti i costi le
sue famose lasagne – la sua cucina, diceva, era
più sicura della
mia – e a niente erano servite le mie proteste e i tentativi
fatti
per dissuaderla. Sbuffai quando entrò in cucina e
cominciò a tirare
fuori pentole varie e tutto il necessario per la ricetta; cercai
anche di proporle il mio aiuto, ma rifiutò decisa. Mi
sentivo un po'
offesa, non ero di certo una maga dei fornelli, ma non avevo mai
avvelenato e/o ucciso nessuno.
Capii che non c'era molto che potessi fare, così mi
sedei su uno sgabello, misi i gomiti sul bancone e guardai Henry che
prendeva posto al mio fianco. Gli rivolsi un piccolo sorriso, prima
di tornare con lo sguardo a un punto indefinito della stanza,
pensierosa.
Avrei baciato Killian quella stessa sera, parlando con
gli altri due avevamo concluso che quella fosse la decisione
migliore. Prima lo avrei baciato, prima avrei spezzato l'incantesimo,
prima si sarebbe ricordato di me. Poi, avremmo potuto decidere
insieme il
da farsi: partire
subito e tornare a casa, oppure rimanere e dare una mano con il caso,
una volta osservate le reazioni di Rose, Phoebe e il resto della
squadra, visto che nessuno di noi era certo di come avrebbero reagito
a fine incantesimo.
Certo, c'era un'incognita più grande che occupava i
miei pensieri, ovvero se il bacio avrebbe funzionato o meno. Non
avrei sopportato l'ennesimo tentativo fallito, così come non
avrei
sopportato decisamente un rifiuto da parte sua.
« Sei preoccupata, vero? » Mi domandò, a
un tratto,
Henry, facendomi tornare alla realtà. Voltai la testa verso
la sua
direzione e lo osservai dritto negli occhi. Non c'era motivo di
mentirgli, non c'era proprio alcun motivo di far finta che non ci
fosse niente, neanche mi avrebbe creduto, probabilmente.
« Sì, ragazzino, ho paura che il bacio non risolva
nulla. »
« Ma il vostro è Vero Amore, il nonno ci ha detto
di
come hai rintracciato Killian sul mappamondo magico. Il Vero Amore
vince sempre » parlò lui tranquillo, come se fosse
la cosa più
ovvia di questo mondo, prima di tornare ad osservare la sua madre
adottiva, che nel frattempo ci ascoltava in silenzio.
« Temo che sia più complicato di così,
Henry »
commentai, toccandomi istintivamente l'anello di Killian fermo al mio
pollice.
« Non credo. Forse sei tu a renderlo più
complicato. »
Restai a guardarlo per un po', lui non ci fece troppo
caso o perlomeno non volle darlo a vedere. In effetti le sue parole
avevano senso, del resto Henry aveva dimostrato di saperne
più di
tutti noi messi insieme su come andavano certe cose, come quando
aveva talmente insistito affinché mia madre leggesse a mio
padre, in
coma, la loro storia. Ma d'altronde lui era il nuovo autore, anche se
mi sembrava assurdo anche solo il pensiero, doveva per forza saperne
più di noi.
Ero io a impedire a Killian di riacquistare la memoria,
io e le mie paure. Non dovevo permettere che prendessero il
sopravvento, Henry aveva ragione.
Il mio bacio con Killian a New York non aveva
funzionato, quello era il mio pensiero fisso. Ma, ragionandoci, era
andata in quel modo perché lui non aveva perso un solo
secondo e
subito mi era saltato addosso. Non sapevo neanche il suo nome, per me
era solo uno sconosciuto, un folle, e l'odore di rum che emanava non
aiutava di certo a farmi avere una buona impressione di lui.
Così com'era successo ai miei genitori, nella Foresta
Incantata. Se il primo bacio non aveva funzionato Biancaneva e non le
aveva fatto tornare la
memoria, il principe non si era perso d'animo e aveva tentato il
tutto e per tutto, dimostrandole di avere un animo nobile,
dimostrandole che poteva fidarsi di lui, dimostrandole di amarla con
tutto il suo cuore.
Io e Killian non eravamo più due sconosciuti. Mi ero
aperta con lui, in qualche modo, e lui lo aveva fatto con me. Mi
aveva accolta in casa sua e, se anche la mia presenza a Scotland Yard
ancora faticava a digerirla, sentivo che aveva cominciato a fidarsi
di me, si preoccupava per me, forse davvero aveva ricominciato a
tenerci, forse il nostro legame si stava ricreando inconsapevolmente.
La cena passò tranquilla, quelle lasagne mi sembrarono
la cosa più buona che avessi mai mangiato. Forse
perché stavo per
togliermi finalmente un peso dal cuore.
Osservavo Henry mentre indossava il suo
giubbotto,
seguito a ruota da Regina.
« Sai, Swan, al contrario di te, le persone prenotano
una stanza ad un Bed&Breakfast prima di
mettersi in
viaggio » affermò la mora, mentre portava i suoi
capelli fuori
dalla giacca.
Mi ero presa la libertà di chieder loro se se la
sentissero davvero di andare via, quando potevano rimanere da me e
Killian. Il problema su dove farli dormire, in caso, si era posto
subito dopo aver formulato la domanda, visto che le camere in quella
casa erano solamente due ed entrambe occupate. Per fortuna Regina mi
aveva tranquillizzato sul fatto di aver prenotato una camera proprio
il giorno prima, e, tra l'altro, il Bed&Breakfast distava meno
di 600 metri, quindi eravamo vicini, in caso ci fosse stato bisogno.
« Copriti, Henry » dissi, aprendo la porta
« le
temperature scendono a picco a quest'ora » risi, poi, vedendo
la
smorfia dipinta sul suo volto, mentre mi ricordava che non era
più
un bambino.
Già, cresceva in fretta, senza neanche darmi il tempo
di rendermene conto. Molte volte rimpiangevo di non averlo tenuto con
me, poi mi rendevo conto che tredici anni prima non ero assolutamente
in grado di crescere un figlio e che quella era stata la decisione
migliore, nonché la più dura, per garantirgli una
vita migliore.
Rimasi con la mano sinistra sulla porta, mentre i due si
voltarono a guardarmi, prima di allontanarsi.
« Allora... dacci subito notizie, non farci aspettare
fino a domani. E vedi di non tirarti indietro all'ultimo momento!
»
Si raccomandò Regina e, quella volta, toccò a me
mostrare una
smorfia contrariata. Infondo non ero una ragazzina, non c'era bisogno
di fare tante storie.
Diedi un bacio a Henry sulla fronte e li salutai non
appena concordato a che ora vederci l'indomani. Richiusi la porta
solo quando li vidi abbastanza lontani da distinguere appena le loro
sagome e me ne tornai in salotto. Controllai l'orologio che segnava
pochi minuti alla mezzanotte. Killian sarebbe tornato a momenti, o
almeno speravo che sarebbe tornato, visto che c'era anche l'opzione
che potesse fermarsi da Rose, quella notte.
No, no, no, non dovevo mettermi a pensare cose del
genere. Anzi, non dovevo pensare e basta!
Andai, quindi, a prendere il portatile, che poggiai
sulle gambe incrociate una volta seduta sul divano. Se dovevo
aspettare Killian per chissà quanto altro tempo ancora,
tanto valeva
rendermi utile e dedicarmi all'indagine ancora in corso!
Avevo ancora due filmati su Caroline Evans da
controllare, entrambi da più o meno cinquanta minuti, avrei
fatto
meglio a cominciare subito.
Il primo si dimostrò fin da subito un buco nell'acqua
come tutti gli altri che avevo controllato. Mandai più volte
indietro i momenti in cui appariva la nostra fantomatica Raperonzolo,
ma non servì comunque a granché.
Il secondo, e ultimo, finalmente, filmato procedeva
lento e con una calma disarmante. Ritraeva sulla sinistra un bar, un
uomo leggeva un quotidiano mentre quattro signori anziani giocavano a
carte seduti ai tavoli fuori dal locale; mentre sulla sinistra vi
erano delle auto parcheggiate affianco al marciapiede, un suv nero in
bella vista che copriva la figura di un'altra.
Le cose si fecero estremamente più interessanti circa
venti minuti dopo, con la comparsa di una Caroline Evans più
che
tranquilla, i lunghissimi capelli biondi raccolti in una coda alta che
le cadevano sulla schiena. Sentii, proprio in quel momento, il rumore
di una
macchina che si fermava a pochi metri da casa, per questo fermai il
filmato e restai in ascolto.
Voci soffuse, tutto quello che riuscii a sentire, ma
riconobbi immediatamente quella di Killian, intento probabilmente a
salutare Rose, e a darle la buonanotte, prima di rientrare.
Scossi appena il capo quando sentii il motore rimettersi
in moto e procedere in retromarcia, guardai quindi verso la porta e
aspettai di veder comparire l'uomo, cosa che accadde poco dopo.
« Swan! » Esclamò, vedendomi illuminata
solamente
dalla luce dello schermo del computer, dato che avevo spento tutte le
luci « Sei ancora sveglia?! Tuo figlio e la tua amica?
»
« Sono andati via più di un'ora fa »
risposi con
semplicità.
Mi sentii mancare il fiato, il cuore cominciò a
martellarmi dentro al petto. Ora che lo avevo lì davanti
capii la
raccomandazione di Regina sul non tirarmi indietro all'ultimo
secondo, ma davvero non riuscivo a muovere un solo muscolo, ero
paralizzata.
Per fortuna ci pensò lui, a muoversi, e si
avvicinò a
me, portandosi dietro il divano per vedere cosa stessi guardando.
Automaticamente, io stessa tornai ad osservare lo schermo.
« Ti avevo detto di staccare la spina, almeno per oggi!
» Mi rimproverò.
« Lo so, ma rimane solo questo filmato e poi li
avrò
esaminati tutti » affermai, premendo 'play'.
« E hai scoperto qualcosa fino ad ora? »
« Assolutamente no » risposi scoraggiata.
Osservai annoiata le immagini che scorrevano, Caroline
stava quasi per svoltare a destra, uscendo così dalla nostra
visuale, quando accadde qualcosa. L'uomo che, fino a poco prima, era
rimasto a leggere un giornale per tutto quel tempo, si alzò,
lasciando il quotidiano sul tavolino. Si avvicinò al suv
tirando
fuori un mazzo di chiavi, lo sguardo fisso sulla ragazza che ormai
scompariva dietro un edificio. L'uomo salì in macchina e,
parve,
seguirla, percorrendo la sua stessa strada.
Rimasi a bocca spalancata e mandai indietro il filmato.
Killian osservava tutto dall'alto, a braccia incrociate.
Vedemmo ancora l'uomo alzarsi e allontanarsi dal
tavolino, mi sembrava di averlo già visto da qualche parte.
Fermai
ancora e ingrandii l'immagine: quello che vidi mi lasciò
sconcertata.
« Oh mio Dio, Killian! E' il cacciatore! »
Tyler
Watkins era fermo a osservare la signorina Evans proprio davanti a
noi. Non era una prova che lo incastrava del tutto, ma era una
coincidenza da non tralasciare.
«
E' il cacciatore » ripeté Killian alle mie spalle,
abbassandosi con
la schiena per vederlo meglio, stupito tanto quanto me « e
quella è
la sua auto... la targa, la targa è leggibile! »
Lo stupore si era
trasformato in entusiasmo, si rizzò in piedi e mi
guardò con un
sorriso a trentadue denti.
«
Abbiamo una targa! » Esclamai io, voltandomi a guardarlo
« Abbiamo
una targa! » Ripetei di nuovo, scattando in piedi come una
bambina
che aveva appena vinto il peluche più grande esposto sulla
bancarella.
Avevamo
fatto un salto avanti enorme, se il cacciatore era davvero coinvolto
in tutta quella storia, avevamo tutti i motivi per festeggiare e per
farci trascinare dall'entusiasmo.
Il
salotto si riempì alla svelta di esclamazioni e di
esultanze, le parole si
perdevano, sovrastate da altre. Entrambi cominciammo a non capirci
più niente e ad osservarci a malapena, illuminati dal misero
schermo
del portatile.
All'improvviso,
mi slanciai inaspettatamente in avanti e gli presi il volto tra le
mani. Accarezzai la barba rada, che non mi aveva mai dato veramente
troppo fastidio, coi polpastrelli. Mi specchiai velocemente nei suoi
occhi, come non facevo da troppo tempo.
Fu
allora che mi decisi.
Posai
le mie labbra sulle sue, con foga. Erano calde, e morbide, proprio
come le ricordavo. Le avevo bramate per giorni, avendole davanti
costantemente, consapevole che non avrei potuto assaporarle ancora
per un po'.
E
ora eccomi lì, spiazzata da me stessa, mentre portavo la
mano destra
dietro la sua nuca.
Qualche breve istante di incertezza e poi, Killian
Jones, ricambiò il bacio.
Note dell'autrice: Buonasera,
buonanotte, buon tutto! ^^ Sono in anticipo, avete notato? Eh? Eh?
EH?! No vabbè scusate, tutte queste nuove foto dal set mi
fanno
sclerare e non poco! Captain Swan a cavallo, il bacio, la rosa...
Dio, datemi la S5 adesso e nessuno si farà MALE.
Tornando a noi, ecco
il nuovo capitolo! Ho scritto praticamente metà capitolo con
la voce e le canzoni di Christina Perri in sottofondo e WOW, le parole
in pratica uscivano da sole! O.O Anyway mi sono resa conto mentre
scrivevo (e
rileggendolo, soprattutto) che non è molto ricco di
dialoghi, spero
non lo troviate troppo... pesante? No oddio, spero di no, è
l'ultima
cosa che volevo! Qui emergono soprattutto i pensieri, i timori, le
speranze, i ricordi, le sensazioni di Emma: ho trovato giusto
dedicarle un capitolo intero dopo la non riuscita shock della
pozione. A questo proposito, spero che la spiegazione non sia... boh,
stupida, banalotta o altro ahaha a me personalmente piace immaginare
questi tre diversi tipi di sortilegio, dal meno al più
estremo. E adesso... IL BACIO?! OMG!
Concludo che sta
venendo fuori un papiro, da qui le cose cominciano a farsi
più
interessanti (eheheh). Grazie mille a tutte le persone che leggono
questa storia, un grazie speciale a chi si ferma a perdere minuti
preziosi per recensirla in modo da farmi scappare un sorriso
(più di
uno) rileggendo le vostre splendide parole e opinioni :)
Vi abbraccio tutti :*
Sà
ps. aaah, sono giorni che non
leggo fanfiction per finire il capitolo in tempo, posso tornare a
immegermi nelle vostre storie *-* X'D (#perdonateildisagio)
|
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Capitolo 10 *** I told you to be patient ***
10.
I told you to be patient
Mi era mancato, Killian mi era mancato da
matti. Tutta
quell'attesa mi parve, improvvisamente, stupida, inutile.
Le sue labbra avevano il potere di farmi sentire a casa,
sempre, in qualsiasi momento e con qualsiasi stato d'animo. Mi
bastava anche solo sfiorarle, farmi cullare dal suo respiro, sentirlo
sulle mie labbra, per farmi avere l'impressione di aver trovato il
mio posto nel mondo.
Mi ritrovai a portare una mano sulla sua spalla e una
dietro al suo collo; lui, al contrario, non mi abbracciava
minimamente, ma non me ne preoccupai, non mi sembrava decisamente il
momento per preoccuparmi di una cosa del genere, la mia mente era
presa da altro.
Schiusi le labbra decisa ad approfondire quel bacio, gli
occhi erano serrati così da poter godere appieno di tutte
quelle
sensazioni ed emozioni ritrovate.
Solo in quel momento, riuscii a sentire la mano di
Killian sfiorarmi il fianco sinistro, fino a posarsi su di esso con
un po' troppa foga, o perlomeno così mi parve.
Nel giro di pochi microsecondi mi ritrovai a guardarlo
negli occhi, a qualche centimetro di troppo di distanza. Era stato
lui ad allontanarmi, seppur con delicatezza e senza il minimo accenno
di forza, e ora mi scrutava con stupore.
« Emma... io.. » sussurrò, ma lo
interruppi subito.
« Killian » cominciai a dire, in un mormorio
sommesso,
non riuscendo a trattenere un sorriso. Ero decisa a chiedergli scusa
per averci messo tanto, così come volevo spiegargli nel
minimo
dettaglio cosa aveva architettato Gold quella volta. Ma prima di
tutto, dovevo dirgli quanto mi era mancato.
« Emma no, io non... » sembrava quasi che non
sapesse
cosa dire. Si allontanò appena, indietreggiando di qualche
passo e
passandosi la mano in volto, nervoso « Io non posso, diamine!
»
Aggrottai la fronte, rimanendo a guardarlo silenziosa.
Cosa stava dicendo? Non poteva cosa? Non riuscivo a capire. Forse era
solo confuso, il nuovo incantesimo era più potente rispetto
a quello
che Regina aveva lanciato su di me, poteva anche volerci qualche
minuto prima che rimettesse insieme tutti i pezzi delle ultime
settimane.
Se ne andava in giro per la stanza con fare colpevole,
testa bassa, occhi puntati sul pavimento, mano sul volto. Sembrava
continuasse a rimproverarsi, chissà per quale assurdo
motivo. Di
certo non era colpa sua se ci trovavamo in quella situazione, la
colpa era solamente di Gold.
« Rose... » riuscii a sentire solo quel nome e
già
era tanto, visto che l'aveva sussurrato in un tono di voce veramente
molto basso e incomprensibile.
Improvvisamente mi fu chiaro il motivo di quel
turbamento. Si sentiva in colpa per essere stato con lei, anche e
soprattutto fisicamente, ma io di certo non ero arrabbiata con lui,
come poteva sapere quel che stava realmente facendo?!
« Killian » lo chiamai, si era fermato davanti la
piccola libreria in legno che si trovava dall'altra parte della
stanza, ma ancora non riusciva a guardarmi « ehi »
mormorai appena
con fare dolce, così da fargli capire che per me non era
cambiato
niente, mentre mi avvicinavo a lui, con l'intenzione di stringerlo
nuovamente a me.
Fu allora che alzò lo sguardo e mi fece, quasi,
pietrificare. Mi si mozzò il fiato mentre ci osservavamo. Lo
guardavo attentamente, guardavo i suoi occhi... quegli occhi... Se
l'incantesimo si era spezzato, perché nei suoi occhi non
c'era la
minima traccia di amore nei miei confronti?
Sorrisi amaramente quando mi fu tutto più chiaro.
Il bacio non aveva funzionato.
Non era innamorato di me.
Nella sua testa c'era solo Rose, l'affetto, se davvero
lo provava, nei miei confronti non era abbastanza forte.
« Mi dispiace » dissi, cercando con ogni mezzo di
apparire sincera, quando la verità era tutt'altro. La
verità era
che non mi dispiaceva per niente di averlo baciato, anche se
significava momenti imbarazzanti da lì in avanti e forse
più
freddezza da parte dell'uomo, io non mi pentivo. Mi era mancato, le
sue labbra non si posavano sulle mie da troppo tempo, tanto che prima
o poi sarei impazzita probabilmente.
Killian non disse niente, mi guardò solamente.
Interpretai il suo mutismo come una richiesta silenziosa di essere
lasciato da solo, così girai i tacchi e, forse
più velocemente di
quanto avrei fatto di solito, me ne tornai in camera.
*Killian
Pov*
I miei occhi rimasero puntati sulla figura
di Emma: la
osservai scusarsi – un “mi dispiace” meno
convincente non
poteva sicuramente tirarlo fuori, o forse ero io che mi ritrovavo a
interpretare i suoi comportamenti senza accorgermene e a prenderci in
pieno ogni volta –, girarsi di scatto e allontanarsi di corsa
dal
salotto.
Cosa diavolo le era preso?
Cosa diavolo mi era
preso?!
Pochi istanti di euforia erano bastati a farmi perdere
completamente la lucidità, erano bastati a farmi
dimenticare chi
ero. Perché sicuramente di quello si trattava. Ci eravamo
lasciati
prendere entrambi dall'euforia e dalla gioia di aver fatto finalmente
un passo avanti nell'indagine e nessuno dei due aveva pensato alle
conseguenze.
Sempre se le conseguenze ci sarebbero state.
Forse non era neanche il caso di farlo sapere a Rose,
anzi, non era assolutamente il caso di farglielo sapere, visto che
quel bacio non aveva significato niente per nessuno dei due.
Forse.
Probabile.
Sicuramente per me era così, se continuavo a pensarci
era solo perché mi aveva spiazzato, non c'erano altre
spiegazioni.
Mi accorsi solo in quel momento di star camminando
nervosamente per la stanza. Mi stavo agitando per nulla, di questo ne
ero certo.
Diedi un'occhiata verso il divano: il portatile era
ancora lì, acceso, con lo screen saver azionato. Mi ci sedei
affianco, lo misi sulle ginocchia – era rovente – e
lo spensi,
prima di poggiarlo nuovamente dove lo avevo trovato.
Mi ritrovai così completamente al buio e mi ci volle un
minuto buono per abituarmici. Non avevo voglia di andarmene a letto,
per prima cosa non avevo per niente sonno e poi ero consapevole del
fatto che non avrei dormito ugualmente.
Non riuscivo a far uscire Emma dalla mia testa, era come
se quel bacio avesse risvegliato qualcosa nel profondo, come una
piccola miccia. Anzi no, la sensazione che avevo addosso, che sentivo
dentro di me, era quella di una piccola miccia che aveva provato ad
accendersi, ma che non era stata potente fino a quel punto.
Evidentemente stavo impazzendo!
Passai inconsapevolmente l'indice e il medio sulle
labbra. Ne sfiorai piano ogni angolo, ne accarezzai il contorno
mentre potevo ancora sentire il tocco morbido e delicato, ma allo
stesso tempo famelico, di quelle della bionda che si stava insinuando
nella mia vita senza neanche chiedermi se fossi d'accordo. Il suo
sapore era ancora lì, non riusciva ad abbandonarmi, o forse
ero io
che non riuscivo a lasciarlo andare.
« Maledetta Emma Swan! » Esclamai a mezza voce
quando
mi resi conto di quello che stavo facendo.
Cosa mi aveva fatto?
Mi ero sentito in qualche modo attratto da lei dal primo
istante in cui l'avevo guardata negli occhi. Mi ero sentito legato a
quella donna non appena le sue braccia mi ebbero stretto a lei. Da
subito ero rimasto incuriosito dalla sua persona, perché
qualcosa
era scattato nella mia testa e mi aveva avvertito del fatto che le
nostre vite erano destinate a incrociarsi e che si sarebbero
incontrate comunque, in qualche modo.
Scossi la testa e sbuffai. Stavo dando troppa importanza
a quel bacio, decisamente. Certo, da una parte era normale che mi
sentissi in colpa nei confronti di Rose, sarebbe andata su tutte le
furie se mai lo avesse scoperto. Anche se se la sarebbe presa
principalmente con Emma, visto che era stata lei a saltarmi addosso.
Ma io avevo ricambiato quel maledettissimo bacio, dannazione!
“Datti una regolata,
Jones. Ti stai facendo più
film mentali tu di un'adolescente!”
Fu con quel pensiero che mi alzai dal divano, diretto in
bagno. Era notte fonda, di certo non il momento migliore per farsi un
bagno, ma avevo bisogno di sciacquarmi via di dosso tutti quei
pensieri. Subito aprii l'acqua calda e ci volle davvero poco
affinché
il calore riempisse la stanza. Veloce, mi tolsi di dosso quei vestiti
che ormai portavo da mezza giornata ed entrai in vasca.
L'acqua calda sembrò davvero riuscire a spazzare via
ogni problema e la cosa mi fece sospirare, lieto e decisamente
più
tranquillo. Avevo avuto davvero un'ottima idea, senza contare che il
silenzio, quasi surreale, che regnava in casa, contribuiva a farmi
rilassare. La mia mente, ora, era concentrata su un'unica cosa:
l'Operazione Grimm. Sicuramente la scoperta della targa e del suv
avrebbe risollevato il morale della squadra, ero anche certo che Jack
non ci avrebbe messo molto per rintracciare l'auto e il suo
proprietario. Certo, c'era un'alta possibilità che
risultasse
rubata, quei due criminali si stavano dimostrando veramente furbi e
l'idea che si fossero lasciati sfuggire così bellamente un
indizio
tanto importante non mi sembrava vero, ma non era il momento di
pensare al peggio. Morale alto, Jones.
Mi lasciai scivolare man mano lungo la vasca così da
poter appoggiare per bene la testa sul bordo, le braccia distese su
di esso. Chiusi appena gli occhi per qualche istante. Inspirai.
Espirai. Inspirai. Espirai. Inspirai. Lucenti ciocche bionde
comparvero lì dove pochi istanti prima vedevo solamente
buio. Due
piccole pietre di smeraldo puro sembravano scrutarmi silenziose.
Labbra morbide si distesero in un sorriso, ebbi quasi la voglia di
tornare ad assaggiarle, come se una volta non mi fosse bastato.
Sbarrai improvvisamente gli occhi e scattai a sedere, un
po' d'acqua uscì violentemente dalla vasca fino a cadere sul
pavimento ma non vi prestai attenzione. Dovevo darci un taglio, era
stato un bel bacio, inaspettato forse e molto, ma la dovevo piantare
di pensare ad Emma in quel modo.
Quell'attrazione che provavamo entrambi doveva sparire.
La porta del bagno improvvisamente si spalancò e senza
che me ne rendessi conto mi ritrovai la giovane Swan davanti. Cercai
di coprirmi come meglio potevo, neanche avevo messo il bagnoschiuma
nell'acqua, la schiuma avrebbe contribuito a darmi una mano, che
diamine!
« Oh mio Dio! » La bionda reagì quasi in
preda al
panico, in un primo momento sbiancò totalmente, subito dopo
le sue
guance si furono dipinte di rosso, gli occhi sgranati e la bocca
spalancata.
Senza pensarci troppo, si voltò all'istante e
uscì dal
bagno, chiudendosi la porta alle spalle ma restando comunque
lì
ferma.
« Swan, cazzo! » Esclamai io, ancora stupefatto,
uscendo dalla vasca e afferrando un asciugamano al volo,
così da
potermelo legare alla vita.
« Mi dispiace! » Gridò lei da dietro la
porta,
apparentemente mortificata.
« Cosa diamine pensavi di fare?! » Domandai, una
volta
aperto la porta e trovandomi la sua schiena davanti. Solo allora si
girò.
« Beh io... non riuscivo a dormire, volevo solamente
sciacquarmi la faccia. Tu, piuttosto, non avevi proprio nient'altro
da fare? »
« Stavo solamente facendo un bagno! »
« A quest'ora? Sono quasi le tre del mattino! » La
situazione si stava capovolgendo senza una ragione. Era lei in torto
marcio. Lei era entrata all'improvviso nel bagno mentre io ero nella
vasca. Lei doveva verificare prima se dentro ci fosse qualcuno. Lei
era l'ospite. Lei mi aveva baciato.
« Credo di essere libero di fare quello che voglio
all'orario che voglio, a casa mia »
affermai, alzando
lievemente le sopracciglia. Lei mi fulminò con lo sguardo e
alzò,
poi, gli occhi al cielo.
« Magari la prossima volta, prima di ospitare qualcuno
a casa tua dovresti avvertirlo riguardo le tue
assurde e
strambe manie, così che nessun altro possa disturbare il
tuo...
bagno notturno » dicendo questo, ancora una volta, mi diede
le
spalle e si allontanò a passo fiero, in perfetto contrasto
con
l'imbarazzo che era emerso nella sua voce e nei suoi comportamenti
fino a quell'istante.
Quel fatto mi colpì e il suo andamento sicuro fu una
delle cause che mi tenne sveglio per tutta la notte.
***
Quella mattina la sveglia era suonata
presto, come di
consueto. Ci avevo messo più tempo del solito per
abbandonare il mio
letto, vestirmi e cercare di cominciare al meglio la giornata. Non
avevo chiuso occhio, non avevo avuto un attimo di tregua, ma un nuovo
giorno aveva inizio, un giorno che preannunciava importanti svolte,
quindi dovevo riuscire a tenere il morale alto.
« Per poco non bruciavi tutte le uova. Guarda qua! »
Rose, seduta accanto a me, mi ridestò. Si era
presentata a casa pochi minuti prima, ovviamente sapevo che lo
avrebbe fatto, me lo aveva detto solamente la sera prima, solo che
non avevo avuto modo di ripensarci e mi era completamente sfuggito di
mente. Per questo, da quando ero andato ad aprirle con espressione
sorpresa, aveva messo su un broncio alquanto offeso.
« Mi ero allontanato per farti entrare in casa, e poi
il sapore è buono, sono semplicemente un po' annerite ai
lati »
ribattei io, dando un'occhiata veloce alle uova che aveva nel piatto,
prima di bere una grande sorsata di caffè dalla mia tazza
blu.
« Non ci provare, quando sono entrata in cucina i
fornelli erano spenti. Sembra che tu fossi sovrappensiero, e non
sarebbe stata l'unica volta questa mattina! Ti parlo e non mi
ascolti, hai la testa da un'altra parte » mi fece notare,
come se io
non me ne rendessi conto, schioccando la lingua. Sospirai
profondamente.
« Ma no, è solo che non ho dormito bene
» alzai la
testa e le sorrisi come meglio potevo, per rassicurarla.
Sembrò
berla e non pose altre domande.
« Phoebe deve venire a provare il vestito da damigella,
può tornare a casa prima, oggi, vero? »
« Non credo, mi serve tutta la squadra concentrata sul
caso, oggi. »
La rossa storse la bocca.
« Sono settimane che lavorate a quel caso e non avete
mosso nessun passo in avanti, cosa ti cambia non avere Phoebe a
disposizione per una volta? »
Avevo sentito che le donne diventavano più isteriche
man mano che si avvicinava la data del matrimonio, ma non ci avevo
dato molto peso. Povero stolto! Ero pronto a ribattere, ma i passi
veloci di Emma che scendevano le scale mi distrassero. Soprattutto la
voce della bionda che mi raggiunse dal corridoio.
« Killian » gridò, ancora per le scale,
diretta in
cucina « volevo chiederti scusa per stanot... » si
bloccò una
volta arrivata, trovandosi Rose davanti: evidentemente non l'aveva
sentita arrivare « ... oh, buongiorno. Buongiorno Rose.
»
La mia fidanzata sembrò osservarla, un po' in trance, e
studiarla per bene, prima di salutarla a sua volta e partire con un
interrogatorio.
« Buongiorno a te, Emma. Cos'è successo stanotte?
Sono
proprio curiosa! » Cercò di smascherare il tutto
con un sorriso
smagliante, che forse doveva rassicurare la Swan, ma dubitavo che
facesse il minimo effetto, visto che quella sbiancò ancora
una
volta.
« Niente, tesoro » mi sbrigai ad intervenire, prima
che la situazione degenerasse « quando sono tornato a casa ho
trovato il computer acceso e abbandonato sul divano chissà
da quanto
tempo. Credo di essermela presa un po' troppo, a proposito »
aggiunsi, questa volta guardando serio Emma « mi dispiace, ho
esagerato ». Mi riferivo alla reazione che avevo avuto per la
questione del bagno, sapevo che avrebbe capito al volo. Difatti mi
sorrise e abbassò lo sguardo, ancora leggermente mortificata.
Anche Emma si sedette con noi in tavola, dopo essersi
versata del caffè e aver preso le ultime uova che erano
rimaste.
Ancora una volta, a proferire parola fu Rose.
« Hai un aspetto orribile, Emma, sei sicura di stare
bene? » Alzai istintivamente lo sguardo verso la ragazza:
colorito
pallido, occhiaie violacee, occhi stanchi. Perfino il suo piatto
semivuoto sembrava parlare per lei.
« Io? Sto bene, benissimo. Sono solamente un po'
stanca, ho dormito poco. »
« Ah, che coincidenza » affermò la
rossa, lanciandomi
un'occhiataccia, prima di finire di bere il suo caffè.
« Rose ci darà un
passaggio a lavoro » affermai
mentre indossavo il mio giubbotto pesante. Rose era già
uscita da
casa e aveva preso posto in macchina, aspettandoci impaziente.
« Magnifico » mormorò Emma dopo essersi
sistemata una
sciarpa intorno al collo, avviandosi per uscire.
Forse stava semplicemente parlando con se stessa, non
dava l'impressione di voler far sentire quel commento a me, ma
infondo riuscivo a capirla, dopo quello che era successo quella
notte. Le afferrai il polso sinistro prima che potesse uscire di casa
e la feci voltare verso di me. Mi guardò stupita, dritto
negli
occhi.
« Senti... per quello che è successo ieri... »
cominciai, ma
mi interruppe subito.
« Mi dispiace, non avrei dovuto farlo »
affermò.
« No, non avresti dovuto. Ma è anche colpa mia,
insomma guardami, sono irresistibile » commentai per
alleggerire la
tensione. Lei mi guardò male per qualche istante, poi
sorrise
divertita e abbassò lo sguardo « seriamente, ci
siamo lasciati
trasportare dall'entusiasmo, dalla stanchezza, siamo tutti un po'
stressati con questo caso. Non abbiamo pensato alle conseguenze...
»
« No, affatto » commentò.
« Ascolta Emma, mi dispiacerebbe se adesso il nostro
rapporto si raffreddasse » tornò a guardarmi
attenta «
dimentichiamoci questa notte e.. amici come prima? »
Sembrò
chiedersi se fosse disposta a dimenticare davvero, a fare finta di
niente, glielo leggevo negli occhi, ma alla fine acconsentì.
Le lasciai andare il polso, mi accorsi solo in quel
momento di aver mantenuto la presa per tutto quel tempo, aprii la
porta di casa e la lasciai uscire per prima.
*Emma Pov*
Arrivati davanti Scotland Yard Rose ci
salutò, prima di
mettere in moto l'auto, pronta ad esaminare il cadavere del giorno
–
ebbi come l'impressione che continuasse ad osservarmi dallo
specchietto retrovisore man mano che si allontanava, ma probabilmente
era solamente una mia impressione –.
« Squadra, abbiamo novità! »
Esordì Killian,
richiamando Jack, Thomas, Henry e Phoebe, che subito lasciarono
perdere quello che stavano facendo e ci raggiunsero nell'ufficio del
capitano.
« Emma, hai un aspetto orribile »
esclamò Jack, il
primo a raggiungerci. Storsi il naso e scrollai le spalle, ero solo
un po' stanca, niente che mi avrebbe ucciso. « Quali sono le
novità?
»
« Ieri sera Emma ha finito di controllare i filmati su
Caroline Evans. In uno si vede chiaramente il nostro cacciatore
intento a seguire la ragazza. Tutto fin troppo sospetto per poter
essere solamente una coincidenza, dico bene? »
« Quindi? Abbiamo la prova che questo tipo c'entri con
gli assassini, ma come facciamo a rintracciarlo? » Phoebe si
era
fatta avanti, esprimendo le domande di tutti.
« Abbiamo la targa della sua auto » risposi io,
prendendo il pennarello per scriverla sulla lavagna bianca «
è un
suv. Nero » aggiunsi, prima di girarmi a guardarla.
« Scoviamo questi assassini! » Esclamò
Thomas,
guardandoci tutti entusiasta, così come gli altri tre.
I quattro uscirono dall'ufficio, tutti diretti ai loro
personalissimi computer, Killian si sedette alla sua scrivania e io
tornai a osservare la lavagna, piena di scritte riguardanti quel
maledetto caso, fino a quando due voci mi riportarono alla
realtà.
« Swan! »
« Mamma! »
Mi girai verso Regina e Henry, entrati così
all'improvviso che tutti si erano voltati ad osservarli.
« Cosa avete da guardare? Tornate ad occuparvi del
vostro lavoro, o non avete proprio nient'altro da fare? »
Ecco,
appunto, Regina come al solito si faceva riconoscere.
« Henry, Regina! Che ci fate qui? » Domandai loro,
abbracciando Henry, prima di guardarli stupita.
« Qualcuno non ci ha più
chiamato come avevamo
concordato, per cui abbiamo deciso di raggiungerti » rispose
la
donna, guardandosi intorno e perlustrando con lo sguardo ogni angolo
dell'edificio. Giusto, mi ero completamente dimenticata di chiamarli.
O meglio, dopo la non riuscita del bacio non ne avevo avuto la forza.
« Hai un aspetto orribile a proposito. »
« Non ho dormito bene » sbottai spazientita.
« Ehi, ma guarda chi c'è! »
Esclamò Killian, venendo
a salutare i due.
« Hook! » Lo salutò di rimando Henry,
mentre io mi
sentivo leggermente avvampare. L'uomo lo guardò incerto.
« Come fai a sapere del mio soprannome? »
« Colpa mia! Gliel'ho detto io » cercai di tirare
fuori una buona scusa, mimando una mezza risata. Henry mi
guardò
colpevole e rammaricato, Regina mi guardò male. Era meglio
spiegarle la situazione.
« Henry resta qui con Killian mentre io parlo fuori con
Regina » feci io, prendendo la mia giacca rossa e uscendo
fuori con
la mora.
« Non posso crederci, Swan! » Partì
subito quella «
Dovevi semplicemente baciarlo! Non è una cosa
così difficile.
Comincio a pensare che tu non voglia tornare a casa! »
« E' quello che ho fatto, l'ho baciato » affermai.
Questo la fece calmare un po', e forse addolcire leggermente,
perlomeno non mi rimproverò più. «
Ovviamente non ha funzionato,
perché, come già avevo detto, non tiene a me. Lui
ha già una
persona nella sua vita, io sono solamente una comparsa. »
« Ti prego non ricominciare » mi ammonì
« il
problema non sei tu, il problema è la sua ragazza. E' ancora
troppo
legato a lei per pensare a te in quel modo, magari il bacio
è
riuscito a scuoterlo un po' »
« Ne dubito » commentai scuotendo il capo.
« Emma, devi avere pazienza. E devi essere forte, da
sola » la guardai, non capendo « io e Henry
dobbiamo partire, fra
tre ore più precisamente. »
« Di già? » Sapevo che non sarebbero
rimasti per
troppo tempo, ma speravo rimanessero il più possibile per
escogitare
qualche altro piano.
« Sì, questa mattina mi ha chiamato Robin
– buffo,
vero? Una persona che sta scoprendo ora la tecnologia trova il tempo
di chiamarmi, a differenza di una che con la tecnologia ci è
cresciuta – e mi ha informato del fatto che Malefica ha
cominciato
a istruire Lily su come controllare i suoi poteri quando è.. beh, un drago, ma per il momento le
lezioni stanno procurando solo guai. Devo partire subito. »
« Torno con voi. »
« Come scusa?! »
Rientrati in ufficio trovai Henry intento a
spiegare
particolari sulla fiaba di Rapunzel, mentre Killian e l'intera
squadra ascoltava attenta e Phoebe digitava qualcosa sul portatile.
« Ma non conoscete la storia?! Era stata rinchiusa in
una torre! » Esclamava il ragazzino, tutto preso.
« Un po' come la principessa di Shrek, giusto? »
Provò
Thomas, grattandosi il capo.
« Shrek? Sì ma quella è un'altra
storia, non c'entra
niente! » Risi, poggiata alla parete con le braccia
incrociate,
mentre osservavo la scena divertita. Poi immaginai un orco verde, un
gatto spadaccino e un ciuco parlante passeggiare tranquilli per
Storybrooke, e smisi subito di ridere. Ci mancavano solo loro, in
effetti. « Il punto è che Rapunzel viveva
prigioniera in una torre.
Non c'è niente che possa ricordarla, qui a Londra?
»
« Ragazzino, ragazzino » mi intromisi, facendolo
scendere dalla scrivania sulla quale si era seduto, non che Killian o
chi altri stesse facendo storie, ma era sempre meglio prevenire
«
non ti sembra di star correndo un po' troppo con la fantasia? Pensi
davvero che abbiano rinchiuso Caroline in una torre? » Gli
domandai
accigliata, immaginando una ragazza intrappolata nella torre del Big
Bang.
« Perché no? » Fece Killian, alle mie
spalle.
« Cosa? Dici sul serio? Voglio dire, qualcuno se ne
sarebbe accorto. »
« No, se la torre è abbandonata da anni
» sentenziò
Phoebe, guadagnandosi la nostra attenzione. Non aveva ancora smesso
di digitare qualcosa sulla tastiera, continuava a guardare lo schermo
attenta ad ogni particolare che potesse risultare utile. «
Bingo! »
Esclamò ad un tratto, prima di voltare il portatile verso di
noi.
« Cos'è? » Domandai, avvicinandomi a
vedere, entrambe
le mani sulla scrivania.
« Un sito dove vengono raccolte immagini di luoghi
abbandonati, è fin troppo pieno di torri. Ma questa foto
» affermò
scorrendo verso il basso con il mouse « è stata
scattata quattro
giorni fa, probabilmente da un turista appassionato di queste
stupidaggini. »
Osservammo tutti la foto: c'era in primo piano
un'immensa torre dell'orologio, dall'aspetto molto molto vecchio, ai
suoi piedi l'erba era altissima, sintomo che quel posto era
abbandonato da anni. Poco più distante c'era un suv, non si
vedeva
la targa, ma il modello sembrava lo stesso.
« C'è un indirizzo, o qualcosa che ci possa
portare lì
il prima possibile? » Domandò Killian, non stando
più nella pelle.
« No, ma non mi ci vorrà molto per rintracciarlo.
Dammi un paio d'ore. »
Un paio d'ore. Forse quella storia sarebbe finalmente
finita nel giro di un paio d'ore.
Guardai prima Henry, poi mi voltai verso Regina che era
rimasta lontano dal gruppetto per tutto il tempo. Due ore, forse tre.
L'aereo diretto in America sarebbe partito per allora.
Note dell'autrice: Gridate
al miracolo ragazzi, sono viva e finalmente riesco a postare! Vi
dirò, in realtà ci ho messo relativamente poco
per finire questo
capitolo, quattro/cinque giorni credo e gran parte l'ho scritta oggi,
ragione in più per scusarmi per il ritardo, ma sono stata
fuori per
qualche giorno senza pc e al ritorno la voglia di mettermi a scrivere
era pari a zero ._. inoltre il capitolo è anche un po'
cortino (solo
sei pagine e mezzo, ma scherziamo?!). Spero comunque che possa
piacervi ^^
Alla fine il bacio del
Vero Amore non ha funzionato. Ad essere sinceri, prima di postare il
capitolo precedente, ero indecisa sul fatto di farli baciare subito o
meno (avevo ben chiaro che comunque il bacio non avrebbe fatto
tornare la memoria a Killian ora come ora). Alla fine ho pensato che
loro sono diversi da Charming e Snow. Il loro non è stato un
amore a
prima vista, ma è cresciuto piano piano, quindi penso che
sia giusto
farlo ricrescere piano piano (se crescerà).
Killian, quindi, non
prova amore per Emma, legato com'è alla figura di Rose, ma
quel
bacio l'ha scosso tanto e proprio non ce la fa a pensare ad altro! La
scena del bagno è venuta così, da sola, mi son
detta 'già la
situazione è imbarazzante di suo, rendiamola ancora
peggiore!'
ahahaha (e poi ogni scusa è buona per postare gif dal video
di The
Words, anche se io non sono solita postare immagini prima dei
capitoli, ma ho fatto un'eccezione lol)
Il prossimo capitolo
ce l'ho chiarissimo nella mia mente, e anche quello dopo, quindi...
PREPARATEVI PSICOLOGICAMENTE. Sul serio, io vi ho avvertiti tutti.
Ah, sono rimasta
indietrissimo con le vostre storie (vi chiedo scusa se ho smesso di
recensire, ma o recuperavo tutto o scrivevo lol), quindi adesso leggo
e recensisco tutto, promesso!
A presto, prometto che
questa volta NON vi farò aspettare ;)
Un bacio :)
Sà
PS.
Dico solo tre
parole:
DARK.
SWAN.
AMO.
|
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Capitolo 11 *** Love that refuses to give up on us ***
11.
Love
that refuses to give up on us
Pochi
istanti prima
« Torno con voi. »
« Come scusa?! »
Le parole mi erano uscite così
velocemente di bocca che mi stupii io stessa. Era la prima volta che
pensavo a una possibilità del genere, l'idea di tornare alla
mia
vita e lasciare Killian a Londra non mi aveva mai sfiorato neanche
lontanamente. Ora, invece, lo vedevo lì, felice e lontano da
qualsiasi pericolo; aveva degli amici, che poi erano la sua famiglia,
aveva una ragazza, seppur alquanto insopportabile, che amava.
Ricordavo come fosse perfetta la
mia vita a New York, priva di qualsiasi preoccupazione legata al
fatto di essere la Salvatrice, e non potevo negare quanto fosse
più
semplice. Certe volte cercavo di immaginare cosa sarebbe accaduto se
io non avessi mai bevuto la pozione o se Killian non avesse mai dato
via la sua nave per me, non riuscendo così a raggiungermi e
a
riportarmi a casa.
Poi lo guardavo, guardavo Henry,
guardavo la mia famiglia e mi dicevo che, no, non sarei più
scappata, non ce l'avrei mai fatta a lasciarli. Ma senza i miei
ricordi sarebbe stato diverso, sarei riuscita ad andare
tranquillamente avanti con la mia vita senza interrogarmi troppo sul
mio passato. L'avevo provato sulla mia pelle, del resto, sapevo di
cosa parlavo.
« Non c'è più posto per me
qui, non c'è posto per me nella vita di Killian. Ne ho avuto
la
conferma con quel bacio. »
Regina, per tutta risposta, mi
guardava con una strana smorfia della bocca, il capo appena chinato e
la fronte aggrottata. Mi stava insultando mentalmente, e ci andava
giù pesante, glielo si leggeva perfettamente in volto, ma
apprezzavo
il fatto che si stesse trattenendo perlomeno a parole.
« La mancanza di sonno ti fa
sparlare, Swan. Ma ascolti quello che dici? O ti stai solamente
prendendo gioco di me? »
« Parlo sul serio, Regina »
affermai guardandola dritta negli occhi con espressione, forse, un
po' scoraggiata.
Volevo che capisse cosa stavo
provando, volevo che percepisse anche solo lontanamente il dolore che
mi attraversava il cuore ogni volta che Killian rivolgeva una parola
dolce nei confronti di Rose, o parlava di “essere
amici” con me.
Amicizia. Noi che non eravamo mai stati veramente, solo, degli amici,
non con lui che, a detta degli altri, mi lanciava sguardi bramosi
ogni volta che poteva.
Regina, per tutta risposta, si
mise a ridere. Una risata leggera, quasi beffarda, mentre scuoteva
leggermente il capo verso il basso.
« Che c'è? » le domandai,
rivolgendole uno sguardo duro.
Stavo cercando di aprirmi, di
spiegare le mie ragioni, e lei si metteva a ridere.
« Scusa Swan, ma certe volte non
sembri neanche figlia di tua madre » disse, senza smettere di
ridacchiare.
« Che intendi dire? »
Scosse ancora una volta il capo,
prima di guardarmi, in volto ancora un sorrisetto divertito.
« Voglio dire che Snow ha sempre
affrontato ogni avversità a testa alta, mentre tu non fai
altro che
scappare. Pensavo che avessi messo da parte la passione per la fuga
già da un po'. »
« Infatti è così, questa volta
è diverso. Non sto scappando, mi faccio solamente da parte
»
ribattei, i pugni serrati.
Non scappavo da Killian, forse in
passato lo avevo fatto più volte, ma la situazione era
cambiata. In
altre circostanze non lo avrei mai lasciato solo, non dopo avergli
aperto il mio cuore, non dopo aver accettato i miei sentimenti nei
suoi confronti.
« E' questa la storia che hai
deciso di raccontare a te stessa per farti sentire meglio? »
Continuò la donna. Feci per ribattere, stanca di starla a
sentire,
ma non me lo permise « Non capisco da dove nasca la tua paura
di
lottare per le cose, o per le persone, in questo caso, che ami.
»
« Io non ho paura di lottare. »
« No, infatti » commentò
all'improvviso, come se le avessero appena sbattuto in faccia la
verità « tu non hai paura di lottare. Hai paura di
metterti in
gioco e di perdere ugualmente, non è così?
»
La guardai silenziosa. Volevo
ribattere, ma non trovavo solidi argomenti per farlo.
Era chiaro che avevo paura di
perdere Hook, avevo paura di vederlo mentre scambiava promesse di
amore eterno con un'altra, nonostante i miei sforzi, nonostante le
avessi tentate tutte per farlo innamorare di nuovo di me. Avevo paura
di fallire, per questo gettavo la spugna sul nascere.
“Non ho intenzione di
deluderti.”
Le sue parole si insinuarono
nella mia mente, riuscivo quasi a scorgere i suoi occhi, il mio
oceano, pieni di amore e di promesse.
Non potevo e non volevo
deluderlo. Lui non si sarebbe mai arreso con me, non lo avrebbe mai
fatto per nessun motivo al mondo e, del resto, non lo aveva mai
fatto. Glielo dovevo, lo dovevo a lui quanto lo dovevo a me stessa.
Aveva vinto il mio cuore, dopo mille peripezie, ed io avrei vinto il
suo, non importava quanto ci sarebbe voluto o quali altre
difficoltà
avrei affrontato.
« Ascolta Emma: se vuoi partire
con noi e lasciarlo qui per me va bene – un pirata in meno in
città
equivale a meno problemi a cui pensare –. Solo che poi non
voglio
sentire ripensamenti, lamentele o piagnistei durante e dopo il
viaggio. »
« No » la bloccai « non posso
partire, non voglio farlo. »
***
« Ragazzino, tu e Regina dovete
partire subito, a quanto ho capito. Non posso venire con voi
all'aeroporto, perciò... » aprii le braccia,
pronta a ricevere una
calorosa stretta come solo Henry sapeva fare, ma quello non si mosse.
« No, non voglio andare a casa!
Voglio rimanere qui con te » mi voltai a guardare Regina,
smarrita.
Non era solito di Henry fare i capricci, non capivo il motivo di quel
comportamento.
« Henry, sapevamo che non
saremmo rimasti a lungo e che saremmo ripartiti quanto prima... e poi
è sorta un'emergenza, riguardante Lily »
provò allora a
convincerlo la mora, rivolgendogli un'occhiata complice non potendo
spiegargli il tipo di problema, visto che Killian e la squadra erano
ancora presenti, seppur impegnati con il lavoro.
« Voglio rimanere almeno per
vedere la fine del caso. Ti prego mamma, rimaniamo un altro giorno...
solamente un giorno » implorò il ragazzino.
Mi passai una mano sulla tempia
destra, il mal di testa non mi permetteva neanche di pensare al modo
per far prendere a mio figlio quel maledettissimo aereo.
« Henry... » provai debolmente,
ma quello mi bloccò subito.
« Potrei tornarvi utile per le
indagini » tentò ancora.
« Henry... » riprovai io, ma
quella volta a bloccarmi fu Killian.
« Non ha tutti i torti » lo
fulminai.
« Non ti ci mettere anche tu,
Jones, per favore. »
« Tuo figlio ha ragione. Se non
fosse per lui non avremmo mai pensato alla torre »
affermò l'ex
pirata, indicando il ragazzo con la mano « andiamo, Swan.
Potrebbe
spuntare fuori un altro dettaglio legato a Rapunzel e lui potrebbe
aiutarci. Il ragazzino ne sa senz'altro più di tutti noi
messi
insieme, sulle favole. »
Chiusi appena gli occhi e
respirai profondamente. Non che mi dispiacesse avere Henry con me,
anzi, in quella settimana mi era mancato immensamente, senza contare
che Killian non aveva tutti i torti, affermando che poteva tornarci
utile grazie alla sua conoscenza del mondo delle fiabe. Avrei
però
preferito vederlo partire, insieme a Regina, per tutta una serie di
motivi.
Tanto per cominciare, la
situazione con Killian al momento non era delle migliori. Mi era
già
capitato di crollare, anche e soprattutto davanti a mio figlio, e non
volevo che succedesse ancora.
In più, avevo una bruttissima
sensazione addosso, anche se non sapevo trovarvi una spiegazione
sensata. Non sapevo a cosa fosse legata e magari era tutto frutto
della serie di eventi che mi avevano colpita in così poco
tempo, ma
non riuscivo a metterla da parte e a fare finta di niente.
E poi, e qui prevaleva il mio
spirito materno, aveva la scuola da frequentare, senza contare il
ruolo di Autore da ricoprire.
« Andiamo mamma, fra qualche ora
chiuderete il caso, molto probabilmente. Domani mattina
partirò
senza fare troppe storie » come facevo a resistere a quella
richiesta così insistente? Tra l'altro mi sentivo stremata
da non
riuscire neanche a discutere e a ribattere: gli ultimi avvenimenti mi
avevano tolto ogni forza che avevo in corpo.
« E va bene » sospirai « aiuta
i ragazzi con l'Operazione Grimm, ne sai senz'altro più di
noi »
come sempre, pensai tra me.
In un modo o nell'altro, Henry ci
aveva sempre aiutato ad uscire dai guai, trovando la soluzione ai
nostri problemi anche nelle situazioni più difficili. Mi ero
sempre
chiesta come potesse riuscirci, forse era per via della sua fede, o
per il cuore del vero credente, o per il suo destino che lo vedeva
come nuovo Autore, stava di fatto che, alla fine, Henry ci tirava
sempre fuori da guai.
Regina non era stata dello stesso
avviso, avrebbe preferito che nostro figlio tornasse a casa con lei,
ma cercò di non fare troppe storie, vedendo anche quanto
Henry ci
tenesse a restare.
Così, dopo che Killian mi ebbe
congedato e dato il permesso di allontanarmi per un po', io e mio
figlio accompagnammo la donna alla fermata dell'autobus più
vicina,
ed aspettammo con lei più o meno dieci minuti, prima di
salutarla.
Sapevo che Henry avrebbe preferito accompagnarla in aeroporto, ma
avevo paura ad allontanarmi troppo da Scotland Yard: se fosse
spuntato fuori l'indirizzo della torre abbandonata sarei dovuta
essere pronta per l'azione.
« Mi piace Londra! » Esclamò
il ragazzino, non appena usciti da Starbucks con due tazze di frappuccino in mano: nessuno dei due aveva saputo
resistere, nonostante io stessi bevendo il mio con non poche
difficoltà per colpa del mio stomaco chiuso.
« La preferisci a Storybrooke? »
Domandai io, prendendolo sotto braccio e rivolgendogli un debole
sorriso. Quello scosse la testa senza neanche pensarci.
« Assolutamente no » affermò
pronto « Storybrooke è casa. Non la scambierei per
nessun altro
posto al mondo » sapevo che le sue parole non avevano doppi
fini e
che non mi rimproverava di nulla, ma una parte di me si sentiva
ancora in colpa per aver anche solo progettato di tornare a New York,
una volta sconfitta la strega dell'Ovest, lasciandoci tutto alle
spalle, la nostra famiglia, i nostri amici, la nostra vita.
Non sarebbe stato giusto per
nessuno, quella scelta probabilmente avrebbe ferito più
cuori di
quanti ne avrebbe tenuti al sicuro. Per fortuna c'era stata
l'avventura nella Foresta Incantata a farmi aprire gli occhi, a farmi
sentire lontana da casa. La stessa sensazione che avevo lì a
Londra,
solo che, di diverso, c'era il fatto che non potessi rifugiarmi in
Killian. Ero praticamente sola, grazie a Dio Henry aveva deciso di
rimanere qualche giorno in più.
« Non ti piace? » Mi domandò a
un tratto, voltandosi a guardarmi in faccia velocemente.
« Cosa? Londra? E' una bella
città, più grande di Storybrooke ma
incredibilmente meno frenetica
» risposi, leggermente ironica.
« No, intendevo il frappuccino »
specificò « lo hai assaggiato a malapena
» mi fece notare,
indicandolo con l'indice, pur tenendo ben salda la tazza nel suo
pugno. Abbassai lo sguardo e notai che la mia era ancora
completamente piena.
« Uhm » mormorai scrollando le
spalle « preferisco la cioccolata di Granny »
aggiunsi,
rivolgendogli un occhiolino.
« Non credo che sia questo il
motivo, ti vedo strana. La mamma aveva ragione prima, quando ha detto
che hai un aspetto orribile, senza offesa. Sei sicura di stare bene?
» Inclinai appena il capo e strinsi le labbra. Possibile che
doveva
preoccuparsi sempre? Doveva essere il contrario, io dovevo
preoccuparmi per lui.
« Sto bene, Henry » ripetei,
per la... no, avevo perso il conto di quante volte avevo già
ripetuto quella frase quel giorno « sono solo stanca, sono
giorni
che non dormo più di tre o quattro ore a notte... e poi,
sai, c'è
la situazione con Killian... » tentai di convincerlo. In
realtà non
mi sentivo bene per niente, ma non volevo che si preoccupasse ancora
di più.
« Mi spieghi cos'è successo
ieri notte fra voi? Lo hai baciato? » Annuii a malapena.
« Sì, e il bacio non ha
funzionato » affermai scuotendo il capo e sorridendo
tristemente.
« Ma non è possibile! Il vostro
è Vero Amore » insisté il ragazzino.
Cercai di non guardarlo in
faccia, perdendo tempo a osservare ogni singolo dettaglio di quello
che ci trovavamo davanti, anche le cose più stupide, da un
mozzicone
abbandonato per terra a dei ragazzi che uscivano da un negozio
dall'altra parte della strada. Mi imbarazzava parlare di certe cose
con mio figlio, mi imbarazzava soprattutto la naturalezza con la
quale ne parlava « Deve essere andato storto qualcosa
» concluse.
« Niente del genere, ragazzino.
Il bacio avrebbe funzionato se solo lui fosse stato innamorato di me
» replicai, cercando di mantenere un tono calmo, la mia voce
non
doveva vacillare.
« Allora non devi far altro che
farlo innamorare nuovamente di te, sarà una cosa semplice,
infondo
l'hai già fatto prima » sorrisi, decidendo di non
replicare.
Magari sarebbe stato anche
semplice, come diceva lui, senza la presenza di Rose. Sì, in
quel
caso la strada non sarebbe stata così in salita.
« Beh certo, è anche vero che
la presenza di Rose non aiuta » affermò a un
tratto, come se mi
avesse letto nel pensiero, forse parlando più a se stesso
che a me «
deve succedere qualcosa di importante, qualcosa di molto grande.
Forse più forte di un bacio. »
« Forse » affermai, pensierosa.
Se c'era una cosa che avevo
imparato era che niente era tanto potente come il bacio del Vero
Amore, un bacio capace di spezzare anche la più forte delle
maledizioni. Forse Henry non si trovava propriamente nel torto,
magari Killian aveva bisogno di un qualcosa che gli facesse capire
quanto fossi importante nella sua vita, che facesse scattare fuori
anche solo la sensazione di conoscerci da tempo, di esserci amati e
di amarci ancora incondizionatamente.
Mio padre non perdeva occasione
di raccontare frammenti della sua storia con mia madre, per questo
ormai la sapevo a memoria, e sapevo anche che, quando Biancaneve
aveva bevuto la pozione della memoria e si era dimenticata di lui, ci
era voluta un'azione folle per farla innamorare, per farle capire di
potersi fidare del Principe. Mio padre si era preso la freccia
destinata alla regina, per salvare mia madre, e lei si era resa conto
che nessuno era mai stato disposto a rischiare tanto.
Ma di certo non era il massimo
come idea, non potevo mica buttarmi sotto un'auto per far scattare un
qualche meccanismo nel cuore dell'uomo che amavo. Anche se avrei
decisamente preferito essere colpita con una freccia, piuttosto che
vedere ancora la faccia di Rose.
Magari allontanandomi, Killian
avrebbe sentito la mia mancanza, si dice che prendiamo consapevolezza
di quanto una cosa ci è cara solo nel momento in cui la
perdiamo, ma
non potevo farlo, non avrei controllato la situazione e, per quanto
potessi saperne, Killian poteva benissimo andare avanti nella sua
vita e ricordarmi esclusivamente come una stramba donna che lo aveva
aiutato nelle indagini per un piccolo periodo di tempo.
No, non potevo assolutamente
rischiare.
Il modo l'avrei trovato, prima o
poi. Speravo solo prima del matrimonio.
« Ti erano mancate le nostre
missioni, vero? » Henry mi ridestò dai miei
pensieri, tornai quindi
a guardarlo con un sorriso. Tolsi il braccio dal suo per stringergli
le spalle e tenerlo vicino.
« Non è passato poi molto
dall'Operazione Mangusta » risposi, ricordando come mi fossi
offerta
di aiutare Regina a trovare il suo lieto fine, probabilmente e
soprattutto per via del senso di colpa per aver riportato Marian, o
meglio Zelena, da Robin.
« Sì, ma è diverso. E' tanto
che non lavoriamo solo noi due. »
« E' un po' un ritorno alle
origini » incurvai appena gli angoli della bocca e lo strinsi
forte
a me.
I ricordi dell'Operazione Cobra,
quella missione che, ai tempi, sembrava così assurda e
sciocca,
erano ancora vivi nella mia mente. Erano passati anni, in effetti,
seppure a me non sembrava esser passato un solo giorno da quando
Henry mi aveva portata a Storybrooke.
E il segno del tempo che passava,
degli anni che scorrevano veloci, era palese se ci si fermava anche
solo a pensare a quanto fosse cresciuto mio figlio. Ormai era un
giovane uomo, ma nel mio cuore sarebbe sempre rimasto quel bambino di
dieci anni che nel giorno del mio compleanno si era presentato alla
mia porta.
Rientrammo a Scotland Yard
abbastanza infreddoliti, o forse dovevo parlare esclusivamente per
me, visto che Henry non sembrava molto condizionato dal tempo.
Posai le mani sulle braccia, come
se mi stessi abbracciando, e cominciai a muoverle velocemente
dall'alto verso il basso, cercando di scaldarmi, una volta che ebbi
posato la mia giacca su di una sedia.
Alzai lo sguardo e trovai Killian
a guardarmi sospettoso, per questo mi fermai all'istante e, come se
niente fosse, mi avvicinai al più giovane della squadra,
Jack, per
aiutarlo con il lavoro.
A quanto pareva non avevano fatto
molti passi in avanti e, per tutto il tempo in cui ero stata via, non
era spuntato fuori niente, tanto che Phoebe, come mi fece notare il
ragazzo, cominciava a innervosirsi. Mi ritrovai ad osservarla da
lontano, notai la ruga che le si era disegnata sulla fronte, gli
occhi fissi sullo schermo del suo computer, la mascella serrata.
Sembrava determinata a scovare il nascondiglio dei Grimm da
sola, d'altronde già era responsabile di aver trovato la
torre,
voleva fare un lavoro completo e la cosa non poteva non farmi
sorridere, anche se stavo ben attenta a non farmi vedere. Mi piaceva
la sua determinazione, se non fosse stata troppo occupata a odiarmi
magari saremmo potute andare d'accordo.
Tornai a concentrarmi su Jack,
chiedendogli come potevo essergli utile e come funzionasse il
programma che stava usando. Thomas, proprio accanto alla scrivania
del ragazzo, mi fece notare, scherzando, che se il loro capo
Montgomery mi aveva assunta per quel lavoro anche se non conoscevo e
non sapevo usare programmi base del genere, voleva dire che avevo un
vero e proprio talento nel trovare le persone, un talento, disse,
fuori dal comune.
Cercai di accennare una risata,
facendomi vedere tranquilla. In realtà, solo il sentire il
nome del
loro capo mi fece gelare il sangue. Avevo smesso di pensarci, a dirla
tutta non mi ero mai realmente preoccupata di quel problema, troppo
impegnata ad occupare la mia mente negli altri mille che emergevano
ogni giorno. Killian mi aveva assicurato che sarebbe stato fuori per
qualche settimana, ma non ne sapevo di più. Poteva benissimo
tornare
da un momento all'altro e trovarmi lì e non osavo neanche
immaginare
a cosa sarebbe successo in un caso del genere. E invece, cosa sarebbe
successo se l'agente che Montgomery aveva assicurato di mandare si
fosse presentato senza preavviso? In ogni caso sarei stata spacciata,
avrebbero scoperto tutte le mie menzogne, avrei perso completamente
la fiducia di Killian e sarei stata cacciata via. O sarei finita
dietro le sbarre, non sapevo dirlo.
« Emma, c'è qualcosa che non
va? » Jack richiamò la mia attenzione, facendomi
voltare a
guardarlo « Sei così pallida.. sei sicura di stare
bene? »
« Oh, no Jack, tranquillo. Sto
bene » riuscii ad affermare, prima che Killian posasse una
tazza
bollente di cioccolata sulla scrivania. Alzai lo sguardo verso di
lui, che mi osservava dall'alto, in piedi, scrutandomi appena. Gli
rivolsi un'occhiata interrogativa, lui afferrò al volo e
scrollò le
spalle.
« Henry ha detto che ti avrebbe
fatto bene » spiegò, incrociando le braccia.
«
Ma io sto bene »
ribattei, prendendo comunque la cioccolata e cominciando a soffiarci
sopra. Guardai con la coda dell'occhio il ragazzino che se ne stava
affianco alla macchinetta delle bevande, anche lui mi osservava di
sottecchi.
Killian alzò gli occhi al cielo,
mormorò un « certo » poco convinto e
tornò nel suo ufficio.
Non successe niente di importante
per le successive due ore, tutto procedeva con calma, o meglio, tutti
erano indaffarati nel proprio lavoro ed era anche divertente vederli
andare da una parte all'altra, avanti e indietro senza una meta. Jack
aveva tentato di spiegarmi come potevo aiutarlo, ma alla fine,
entrambi convenimmo che se la sarebbe cavata meglio da solo,
così me
ne tornai da Killian, che trovò qualcosa più alla
mia portata da
farmi fare. Ogni tanto tenevo d'occhio Henry, anche lui ci aveva
raggiunti nell'ufficio dell'ex pirata.
Fu l'urlo di Phoebe a
interrompere ogni nostra attività.
« Ce l'ho fatta! L'ho trovata,
ce l'ho fatta! » Continuava a ripetere e, in men che non si
dica,
tutta la squadra era riunita intorno la sua scrivania. « Non
voleva
saltare fuori, la bastarda. Ma sono riuscita a rintracciare il
ragazzo che ha scattato la foto, mi ha spiegato come raggiungerla:
è
appena fuori Londra. Mi ha detto che non compare in nessuna mappa e
che anche lui l'ha trovata con un colpo di fortuna »
affermò,
infine, con un tono di disappunto nella voce.
« Bene, cosa stiamo aspettando?
Andiamo » esclamai, correndo a recuperare la mia giacca.
Guardai poi
Henry, mi sembrava ovvio che non sarebbe venuto con noi, ma non
potevo neanche lasciarlo a casa di Killian da solo. Forse la
soluzione migliore era che se ne rimanesse a Scotland Yard, fino a
quando non saremmo tornati.
« No, fermi! Aspettate »
Killian ci richiamò tutti, così mi voltai,
stupita, a guardarlo «
non andremo adesso. »
« Cosa?! » Phoebe era stizzita
« Quella ragazza potrebbe morire da un momento all'altro,
sempre se
non è già morta! Non abbiamo un minuto da
perdere, ma ti sei
impazzito? »
« Andremo stanotte. Questi due
sanno il fatto loro, bisogna sorprenderli quando meno se lo
aspettano. Non ci vedranno arrivare, cosa che succederebbe alla luce
del sole. O credi che, diverse auto della polizia dirette ad una
torre abbandonata, non diano nell'occhio? »
Il ragionamento di Killian non
faceva una piega, ero d'accordo con lui ovviamente, il fatto che non
ci vedessero arrivare era un punto enorme a nostro vantaggio e,
inoltre, avrebbe tenuto al sicuro il loro ostaggio. Osservai Phoebe,
non voleva ammettere di trovarsi nel torto, si vedeva
dall'ostilità
con cui ci osservava, ma alla fine annuì e alzò
le spalle.
Ora ci serviva solamente un piano
e poi, quella notte, avremmo affrontato i due assassini.
***
Osservavo Killian ai fornelli,
appoggiata allo stipite della porta. Non appena tornati a casa ero
andata a farmi un bagno caldo e, in un certo senso, mi sentivo
già
meglio, non dovevo fare altro che recuperare tutte le forze in vista
di quello che ci aspettava più tardi.
Henry mi si avvicinò, guardò
anche lui Killian e poi tornò a rivolgersi a me.
« Capitan Uncino che prepara la
cena » mormorò a bassa voce « non
è una cosa che si vede tutti i
giorni! »
« Visto? Avremo modo di
incastrarlo per fargli cucinare qualcosa, una volta tornati a
Storybrooke » gli risposi, ridacchiando appena. Mi rabbuiai
un
secondo dopo, mentre mi chiedevo se saremmo mai
tornati a
Storybrooke insieme a Killian. Ma non era il momento migliore per
abbattermi, dovevo pensare positivo, una volta tanto. Entrai in
cucina e mi avvicinai all'uomo « Hai bisogno di una mano?
»
« Simpatica » esclamò ridendo
lui, nell'attimo esatto in cui io mi rendevo conto di cosa avevo
detto. Tornai con la mente a Neverland, quando lui stesso mi aveva
offerto “una mano” e io non riuscivo a capire se
dovessi
prenderlo sul serio o meno « comunque no, grazie. Ti ho vista
all'opera in questi giorni, per il bene del nuovo ospite è
meglio
che prepari questa zuppa da solo. »
« Zuppa?! » Io e Henry parlammo
allo stesso tempo, sul volto la stessa espressione delusa e, appena,
disgustata. Non eravamo di certo amanti di certi tipi di piatti!
Killian ci guardò divertito,
prima di accendere una pentola.
« Sì, zuppa » confermò, come
se ce ne fosse bisogno « mi dispiace, Henry, davvero. Ma se
tua
madre avesse ammesso prima di non sentirsi bene, lasciandosi curare
come si deve, a quest'ora starei preparando un delizioso arrosto,
anziché questa brodaglia! »
« Ma io sto bene! » Borbottai
nuovamente, guadagnandomi un'occhiataccia da entrambi.
L'uomo si allontanò dai
fornelli, mi venne affianco e rabbrividii: solo la notte prima
eravamo così tanto vicini ed eravamo finiti col baciarci.
Invece,
alzò la mano e la posò sulla mia fronte. Notai il
suo imbarazzo,
visibile tanto quanto il mio, ma feci finta di niente. Qualche
secondo dopo si allontanò e tornò davanti ai
banconi da cucina.
« Scotti, sicuramente hai la
febbre. Dopo cena prendi la medicina e ti fai una bella dormita. Devi
essere nel pieno delle forze, altrimenti te ne rimarrai a casa.
»
Avevo preso sul serio gli
avvertimenti di Killian, seppure mi scocciava vederli, lui e Henry,
così premurosi nei miei confronti: avevo qualche linea di
febbre,
non mi trovavo mica in punto di morte! Mi ero trovata sicuramente in
situazioni ben peggiori.
Dopo cena acconsentii a prendere
una pasticca e ad andare a dormire per qualche ora, mentre i miei
uomini – se potevo definirli così – se
ne rimanevano in salotto
a guardare la tv. Saremmo partiti intorno la mezzanotte, ma speravo
di svegliarmi prima per evitare che Killian mi lasciasse a casa
pensando che stessi ancora male.
Per fortuna, Henry salì in
camera alle undici e, senza volerlo, mi svegliò. Non
essendoci un
altro letto in quella casa, avevamo concordato che avrei diviso
quello degli ospiti con mio figlio, anche se poi non ce ne sarebbe
stato bisogno, visto che quella notte non sarei stata a casa.
Aspettai una decina di minuti
affinché il ragazzo si addormentasse, dopodiché
mi alzai dal letto
e mi diressi al piano di sotto, in cucina, con l'intenzione di farmi
una cioccolata. Sicuramente la medicina e il riposo mi avevano fatto
bene, visto che mi sentivo molto meglio, quindi speravo che Killian
non mi facesse tante storie. E, a proposito dell'uomo, passando
vicino l'ingresso, lo vidi fuori, seduto sulla panchina posta nella
veranda.
Decisi di preparare anche un
caffè, oltre che la cioccolata. Presi quindi le due tazze
fumanti e
uscii fuori. Aveva lo sguardo perso verso le stelle, sembrava
studiarle ad una ad una, questo mi fece ricordare il vecchio pirata
che avevo conosciuto. Era talmente concentrato che non si accorse
della mia presenza fino a quando non gli rivolsi la parola.
« Seconda stella a destra »
esordii, a bassa voce per non sorprenderlo più di quanto non
stessi
già facendo, indicando con il capo il cielo stellato che
stava
osservando prima di voltarsi a guardarmi « e poi dritto fino
al
mattino » conclusi, porgendogli la tazza di caffè
bollente.
« Peter Pan, Swan? » Mi domandò
lui, per tutta risposta, con un sorriso sghembo dipinto sul volto,
mentre afferrava la tazza e se la portava vicino la bocca per poterci
soffiare sopra.
« E' così assurdo? » Chiesi a
mia volta, sedendomi al suo fianco.
« Non ti facevo una tipa da
Peter Pan » rispose.
« Non lo sono » mi affrettai ad
aggiungere, ricordando il piccolo demonio che avevo avuto il
dispiacere di incontrare tempo prima « sono più
una tipa da Capitan
Uncino! » Mi ritrovai a dire, prima ancora di rendermi conto
che,
anche in quella realtà, il soprannome di Killian era proprio
Hook «
Cioè, volevo dire... »
« Non dovresti stare fuori »
mormorò, prima di bere un sorso di caffè
« non dovresti prendere
freddo. »
« Mi sento meglio, lo giuro! »
Esclamai in fretta e furia, notando il suo sguardo sospetto.
Fece finta di niente, mi diede
per qualche istante la tazza ancora piena di caffè e se ne
tornò
dentro, pur lasciando la porta aperta, cosa che mi fece capire che
fosse entrato solo per prendere qualcosa. Osservavo il breve tragitto
tra la panchina e la porta d'ingresso a bocca aperta, spiazzata, non
riuscendo a capire cosa stesse cercando. Lo vidi tornare poco dopo
con in mano una coperta marroncina a quadri rossi; un secondo dopo la
coperta era sulle mie spalle.
« Grazie » mormorai, non
sapendo bene cosa dire. Scrollò le spalle e riprese il suo
caffè.
« Ho detto a Rose di dormire
qui, anzi dovrebbe arrivare a momenti ormai » mi
informò, dando
un'occhiata all'ora. Intercettò, poi, il mio sguardo
interrogativo e
si affrettò a spiegarsi meglio « Per Henry, non
credo che tu voglia
che rimanga qui da solo, mentre noi ci occupiamo dei Grimm, no?
»
Che stupida! Mi
rimproveravo di non aver pensato io stessa a una soluzione del
genere, beh era anche vero che era successo tutto così
dannatamente
in fretta da non avere neanche il tempo di pensare a certe cose.
« In effetti tuo figlio c'è
stato molto utile oggi! Diamine, avrei tanto voluto che fosse
arrivato prima, avrei già chiuso l'indagine da un bel pezzo
»
constatò ancora.
« Già, nessuno è più
informato di Henry sulle favole » osservai, bevendo l'ultimo
sorso
di cioccolata calda.
« Ho notato, da come le racconta
sembra che le viva in prima persona » scherzò.
Alzai gli angoli
della bocca e cercai di simulare una risata divertita e soprattutto
cercai di non farmi vedere come presa in causa da quella
affermazione.
Meno di due ore dopo ci
ritrovavamo, io e Killian insieme a Phoebe, Jack e i gemelli Thomas e
Henry, davanti la torre abbandonata che tanto avevamo cercato nella
precedente giornata.
Il silenzio regnava sovrano,
l'atmosfera che si respirava era quasi lugubre e l'edera che cresceva
sulle mura dell'edificio dava davvero l'impressione che quel luogo
non fosse abitato da anni. Mi domandai più volte se davvero
ci
trovassimo nel posto giusto, anche perché non vi era traccia
del suv
del cacciatore che avevamo visto dalla foto.
« Emma e Jack con me. Voi tre,
invece, entrate dal retro, ci sarà senz'altro un'entrata
secondaria!
» Ordinò Killian, parlando con un filo di voce.
Noi cinque annuimmo
all'unisono e ben presto ci dividemmo.
Il pirata fece ben attenzione
nell'aprire la porta principale, impresa che si rivelò
essere più
semplice del previsto. Com'era possibile che non l'avessero chiusa a
chiave facilitandoci in quel modo l'ingresso? Lanciai un'occhiata a
Killian, stupito tanto quanto me, prima di guardarmi intorno.
L'interno era desolato tanto quanto l'esterno, a regnare parevano
essere le ragnatele e la polvere che coprivano in grande
quantità
ogni mobile presente. La puzza di muffa mi arrivò alle
narici e mi
fece arricciare il naso, mentre mi avvicinavo al mio capitano.
« Siamo sicuri di trovarci nel
posto giusto? » Sibilai, senza smettere di studiare quello
che mi
circondava. L'altro annuì.
« Sì, ne sono certo, me lo
sento » affermò sicuro, avviandosi verso le scale.
« Dove vai?! »
« A cercare la ragazza! »
In men che non si dica si era già
volatilizzato. Mi voltai verso Jack che alzò le spalle e,
insieme
cominciammo ad ispezionare quel posto. Ero sempre più
convinta che
le uniche anime vive ad aver varcato la soglia di ingresso negli
ultimi anni fossimo noi, così, alla fine, feci per dirigermi
verso
le scale anche io.
« Vado a chiamare Killian, ci
troviamo nel posto sbagliato. »
« Non così in fretta, biondina!
»
Mi voltai di scatto, mentre una
delle voci più dure che avessi mai ascoltato in vita mia mi
giungeva
alle orecchie. Un uomo, dalla faccia coperta, stringeva il braccio
sinistro intorno al collo di Jack che cercava in ogni modo di
sottrarsi a quella presa, mentre la mano destra stringeva una pistola
che teneva puntata su di me.
Mi sentivo come bloccata sul
posto, la mia mente stava per esplodere.
Quanto potevo muovermi
velocemente affinché potessi afferrare la mia pistola e
puntarla, a
mia volta, su quell'uomo, senza che lui potesse spararmi, nel
frattempo?
Dov'erano Phoebe e i gemelli? Speravo in una loro
entrata ad effetto o non vedevo vie d'uscita per me e Jack.
E Killian? A quell'ora
sicuramente si trovava già nella stanza più alta
della torre, dove
presumevamo si trovasse la nostra Raperonzolo.
L'aveva trovata? Era ancora viva?
E, soprattutto, dov'era l'altro
assassino?
Più
tardi uno sparo squarciò
l'aria e risuonò per l'intero edificio, prima che le urla
disperate
della Salvatrice sovrastarono ogni cosa, una volta che ebbe raggiunto
la stanza in cui il suo Vero Amore si trovava.
Il sangue aveva ormai
macchiato quella torre abbandonata.
Angolo dell'Autrice:
buongiorno lettori, buonasera, buonanotte, buon salve! Ho tantissime
cose da dirvi questa volta, per cui partiamo subito!
Tanto
per cominciare, questo capitolo NON doveva concludersi in questo
modo, solo che vedendo la scritta “pagina 9” di
word ho deciso
che era meglio tagliare qui, prima di dilungarmi fino a pagina 394
(ogni riferimento a Harry Potter è puramente casuale!) Il
titolo
l'ho cambiato ieri dopo giorni di riflessione, inizialmente doveva
essere “Second star to the right” per richiamare
tutta la storia
di Peter Pan e quindi la storia di Killian, MA quella frase detta dal
nostro Rumple mi è piaciuta così tanto che non
potevo non trovare
il modo di inserirla in questa storia.
Cosa
importante (?) siamo ESATTAMENTE a metà di questa storia
(sentitevi
liberi di piangere per la disperazione çwç); in
realtà ho pronta
la trama di ogni singolo capitolo già da maggio o forse
giugno, non
ricordo neanche, comunque sia è tutto
“pronto” da mesi, devo
solo mettere per iscritto tutto ed arrivare così al
22° capitolo
(che sarà poi l'epilogo della storia, piango).
AH,
altre due cose: la parte della chiacchierata tra Emma e Henry l'avevo
scritta qualcosa come due/tre settimane fa, per cui immaginate la mia
faccia quando nella puntata di domenica i due si ritrovano a fare la
medesima (più o meno) chiacchierata sull'operazione cobra
:') Adam,
so che mi spii! Ultima cosa, questa è un po'
un'anticipazioneee
(essì): stanno uscendo tantissimi spoiler dal set (e
tantissime
teorie che mi fanno piangere solo al pensiero OKAY), tra cui il fatto
che l'anello di Killian (catturato, in qualche foto, al collo di
Emma) si rivelerà importante. Ecco, l'anello di Killian
sarà
ESTREMAMENTE IMPORTANTE anche in questa storia, vedrete più
avanti
che chicca vi ho preparato ;) e qui ritorno a dire: ADAM SMETTILA DI
RUBARMI LE IDEE lol
Questo
spazio sta diventando più disagiato di me, so... cerco di
tornare
seria: il prossimo capitolo è importantissimo, per me e per
la
storia, sappiate che tutto quello che avverrà mi ha dato
l'incipit
per iniziare a scrivere questa ff: in pratica ho costruito una trama
intorno al dodicesimo capitolo, sì, vi dico solo che non
vedo l'ora
di scriverlo, sono MESI che non vedo l'ora di scriverlo! Voi
preparatevi, preparatevi a tutto, seriamente, attenti.
Okay,
basta così dai, vi ho già messo troppa ansia XD
Vi
ringrazio nuovamente per tutte le recensioni e le bellissime parole
che mi lasciate, grazie a chi legge silenziosamente e grazie a chi
inserisce la storia nelle varie categorie :) Happy Halloween e Happy
OUAT Day per domani (vi sta piacendo questa 5a stagione, a proposito?
A me tantissimo, non capisco tutte le critiche che leggo sulla rete!)
Un
bacio enorme :)
Sà
|
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Capitolo 12 *** Yo ho ho, and a bottle of rum! ***
12.
Yo ho ho, and a bottle of rum!
Day 10
*Killian Pov*
«
Dove vai?! »
«
A cercare la ragazza! » Risposi con
naturalezza, prima
di far segno ad Emma di rimanere lì e di guardarsi intorno,
di
ispezionare meglio quella strana torre.
Mi girai subito e corsi per
la rampa di scale, lasciando Emma e Jack di sotto. Non diedi loro
modo neanche di fermarmi, in effetti, ma il mio istinto stava
prendendo il sopravvento di me stesso. Salivo i gradini due alla
volta, volevo sbrigarmi e trovare Caroline Evans il prima possibile,
possibilmente viva.
Mentre salivo, facevo
attenzione a non tralasciare neanche un dettaglio lungo la mia
strada, osservavo tutto, anche gli strati di polvere che coprivano il
pavimento. Sapevo che Emma aveva cominciato a nutrire dei dubbi sul
fatto che quello fosse il posto giusto, ma io me lo sentivo, me lo
sentivo dentro, ne ero certo, l'istinto non si sbagliava.
Probabilmente non era il
covo dei due ricercati, ma solamente il luogo dove tenevano rinchiusa
la Evans, quindi l'aspetto desolato e abbandonato doveva essere
dovuto a quello. Magari i nostri uomini non si trovavano nemmeno
all'interno, questo voleva significare che non avremmo concluso
l'indagine quel giorno, maledizione,
ma perlomeno avremmo salvato la ragazza.
Cominciai a sentire il
respiro mancarmi, perciò mi fermai per qualche istante.
Voltai
appena il capo e mi resi subito conto di quanto fossi in alto: non
riuscivo neanche più a scorgere l'inizio di quell'imponente
scala a
chiocciola, avevo corso per tutto il tempo senza far caso ai minuti
che passavano. Mi girai nuovamente, al contrario riuscivo a vedere la
fine di quel percorso, vedevo una porta di legno chiusa, sperando non
a chiave.
Con un'energia che non
immaginavo di avere, in pochissimi istanti dimezzai la distanza tra
me e la porta e, nel giro di due minuti, mi ci ritrovai davanti.
Prestai attenzione a ogni
minimo rumore mentre tiravo fuori la pistola, pronto a tutto. Ormai
ero quasi certo che i due uomini non fossero nella torre, ma
preferivo essere prudente. Il silenzio continuava a regnare sovrano,
non riuscivo a captare nessun suono, neanche il più debole
dei
respiri e questo mi scoraggiò. Tutta la fretta che avevo
avuto di
arrivare fino in cima e di chiudere la questione, in quel momento
aveva cominciato a dissolversi. Tentennai ancora osservando la
maniglia della porta. Coraggio Jones, abbi fede. La ragazza
si
trova oltre questa dannata porta, devi solamente portarla fuori da
lì.
Inspirai profondamente,
poggiai il gomito destro sulla maniglia, spinsi verso il basso quel
tanto che bastava ad aprirla – anche quella volta non era
chiusa a
chiave – e vi entrai, la pistola in alto bene in vista.
Caroline Evans mi si
presentò davanti devastata. Le si mozzò il
respiro nel momento in
cui mi vide arrivare, si era portata una mano sul petto e aveva fatto
qualche passo indietro, avvicinandosi al muro. La stanza era buia,
l'unica luce presente era quella della luna che entrava dalla
finestra e dava alla ragazza un aspetto decisamente tetro. Era ben
diversa da quella che avevo visto nei filmati insieme ad Emma: le
occhiaie erano marcate, il volto pallido, i capelli lunghi raccolti
in una coda disordinata.
Tremava, gli occhi
spaventati erano posati sulla mia pistola, me ne resi conto solamente
dopo.
« Oh... oh no.. no,
tranquilla! » Mi affrettai a rassicurarla, abbassando
immediatamente
la pistola e riponendola nel fodero. Feci qualche passo in avanti,
lentamente, per non sconvolgerla ancora di più. «
Sono della
polizia » la rassicurai, mentre le tesi la mano e la
incoraggiai con
un cenno del capo a fargliela stringere « ti porto via da
qui. »
La ragazza continuò a
mantenere lo sguardo fisso sulla pistola, seguì attentamente
il suo
percorso e solo quando non la vide più a portata di mano
alzò gli
occhi su di me. Erano pieni di lacrime, di rammarico, forse un
pizzico di speranza, o almeno così mi sembrò da
quel timido sorriso
che comparve sul suo volto per un tempo così breve che
potevo
benissimo essermelo immaginato. E poi i suoi occhi cambiarono di
significato, era tornato il terrore, ma non c'era solo quello,
sembrava quasi... senso di colpa?
Fece per aprire la bocca, ma
non emise alcun suono. Continuava a tremare quando le si
mozzò il
respiro, lo sguardo puntato, questa volta, in un punto indefinito
oltre la mia spalla. Nello stesso momento, la porta dietro di me fu
chiusa violentemente.
« Lei non porterà via
proprio nessuno, capitano! »
Mi voltai di scatto,
sorpreso, ma non ebbi modo di replicare o fare niente, visto che
l'altro mi colpì in pieno volto così velocemente,
e con così tanta
forza capace di farmi indietreggiare appena, da lasciarmi di stucco.
Sentii il sapore quasi
metallico del sangue riempirmi la bocca, per questo, come un gesto
automatico, portai la mano sul labbro inferiore. Quello
bruciò, o
meglio, la ferita provocata bruciò così che
allontanai subito le
dita. Alzai lo sguardo verso l'uomo: aveva il volto coperto, non che
mi aspettassi il contrario e non che potessi vederlo comunque bene
visto che la luce presente nella stanza era quasi inesistente.
Feci per prendere la pistola
ma quello scattò in avanti e mi colpì ancora una
volta, e ancora, e
ancora, due volte sul volto e un pugno violento nello stomaco. Mi
piegai dolorante in avanti, ma comunque deciso a reagire, non potevo
assolutamente lasciargliela vinta: c'era in ballo la mia vita, quella
di Caroline Evans e quella della mia squadra, che speravo se la
stesse passando meglio di me.
Rapido, riuscii a posare la
mano sul fodero, pronto ad estrarre l'arma, ma l'altro ancora una
volta fu più veloce di me e tornò a colpirmi. Mi
rassegnai, non
sarei mai riuscito a prenderla, mi avrebbe massacrato nel giro di
cinque minuti. Ma questo mi fece capire anche un'altra cosa,
più
importante: era disarmato, per chissà quale strano motivo,
dovevo
solamente metterlo KO, anche se non sarebbe stato semplice, visto che
per la stazza doveva essere il doppio di me, sembrava quasi uno
scimmione.
Non mi rizzai neanche bene
in piedi che subito gli sferrai un pugno alla cieca, alto,
affinché
lo prendessi in pieno volto, cosa che successe. L'uomo rise, non
avevo mai sentito una risata così macabra. Alzai lo sguardo
e feci
in tempo a vederlo mentre ritraeva la mano sinistra da sotto il
passamontagna, osservò le piccole macchie di sangue e
tornò a
ridere.
« Vedremo se riderai ancora
dietro le sbarre » esclamai di getto, prima di sferrare un
altro
pugno, che questa volta mancò il bersaglio.
Quello non rispose,
perlomeno non a parole, reagì subito scattando in avanti e
mirando
alla mia guancia destra. Riuscii a spostarmi appena in tempo, riuscii
a sentire il suo pugno chiuso che mi sfiorava. Pronto gli sferrai un
gancio nello stomaco e poi un calcio. Finì a terra, ma con
un rapido
movimento dei piedi fece cadere anche me e in un attimo mi fu
addosso. Cominciò a sferrare pugni ma non cedetti; alla
prima
occasione gli diedi una testata – cavoli, se fece male
– e lo
scaraventai dall'altra parte della stanza con tutta la forza che
avevo. Sbatté al muro e finì a terra, scosso.
Avevo il fiatone, ma non
persi tempo ed estrassi finalmente la pistola, lanciai uno sguardo a
Caroline che se ne era rimasta in disparte per tutto questo tempo.
Osservava prima me e poi il suo rapitore, terrorizzata forse
più di
prima, molto probabilmente io ero parte di quella preoccupazione, ai
suoi occhi non ero diverso dall'altro uomo.
« Va tutto bene » cercai
di rassicurarla, prima di tornare con l'attenzione rivolta al
rapitore, nonché assassino « è finita
amico, sei arrivato al
capolinea. » Ancora una volta, quello cominciò a
ridere.
« Cosa aspetta, allora? Mi
spari, avanti » mi incitò, come divertito da
quella situazione.
Lo guardai sbigottito, non
gli avrei sparato, non volevo ucciderlo, lo avrei solamente portato
in prigione. Non potevo negare che una parte di me voleva vederlo
morto, ma il mio senso di giustizia mi impediva di pensare
concretamente a quell'alternativa.
« Non ti farò questo
regalo, meriti di marcire dietro le sbarre. Tu e la tua spalla.
»
« Veramente sono io che le
sto concedendo un regalo, capitano » alzai un sopracciglio,
mentre
lui se la rideva ancora di gusto « a quest'ora mio fratello
si sarà
occupato dei suoi uomini, io le sto dando l'opportunità di
uccidermi, ora che può, di provare a fare lo stesso con mio
fratello
e di tenere salva la pelle. »
« Smettila di farneticare »
esclamai stanco, cominciando ad avanzare verso di lui « i
miei
uomini sono in cinque, lo avranno già ammanettato, e presto
gli
farai compagnia. »
« Non-si-avvicini »
esclamò con un tono talmente gelido che mi fece bloccare sul
posto,
seppure a pochi passi da lui « sa che non ci metterei niente
a
disarmarla e non si aspetti che di mia volontà mi consegni
ai suoi
uomini cosicché mi possano sbattere in cella. Mi spari,
adesso, non
ha alternative. »
« Non sparerò. »
« Prema il grilletto. »
« Non lo farò. »
« Finirà male, la avverto.
»
« Non ho intenzione di
ucciderti e di scendere al tuo livello. »
« Sei solamente un codardo
» esclamò, avanzando di un passo verso di me
« ti avevo avvertito.
»
Furono le sue ultime parole,
rapido mi diede una botta con la gamba sinistra, facendomi cadere. La
pistola mi scivolò via dalle mani, feci per alzarmi e
prenderla ma
lui fu più rapido e me la puntò dritta in faccia.
Ero in ginocchio, lo
guardavo dal basso mentre la canna della pistola era a pochi
centimetri dalla mia testa. Non per molto però, visto che
cominciò
a indietreggiare, mantenendo comunque lo sguardo su di me, verso la
finestra. Voleva scappare? No, non sarebbe sopravvissuto a quel
salto. Forse lo faceva solamente per un suo capriccio, era abbastanza
psicopatico per questo.
Guardò per un attimo la
Evans, poi tornò a concentrarsi su di me.
Probabilmente sotto quella
maschera stava anche ridendo, si divertiva come un folle.
Non ebbi tempo neanche di
pensare che fosse arrivata la fine, che quello premette il grilletto.
*Emma Pov*
Ventotto anni.
Ventotto anni passati senza
usare la magia. Ventotto anni dove la magia si limitava ad essere una
fantasia dei bambini. Ne avevo passate tante in ventotto anni, quando
riuscivo a scappare dall'orfanotrofio la vita non era facile e per
una ragazzina i pericoli erano dietro l'angolo. Da grande, prima
ladra e poi cacciatrice di taglie, avevo a che fare con tipacci ogni
giorno.
Eppure, in quei ventotto
anni non c'era stata una singola occasione in cui non fossi riuscita
a cavarmela con le mie forze, non c'era stato neanche un momento in
cui avrei voluto ricorrere alla magia.
In quel momento, invece, non
mi sarebbe per nulla dispiaciuto ricorrere ai miei poteri. Avevo
scoperto di averli da così poco tempo che mi stupivo di me
stessa
nel constatare quanto ne fossi diventata dipendente.
Continuavo a pensare alla
mossa da fare, e soprattutto a sperare che quell'uomo non desse di
matto e non facesse fuori Jack, nel frattempo. Osservavo il ragazzo:
in un primo momento mi era parso stupito, sorpreso sì, ma
per nulla
spaventato. Ero rimasta molto colpita dalla sua reazione, non voleva
farsi vedere debole per non dare soddisfazione a quel mostro.
Fu proprio questo aspetto di
Jack che mi diede la forza necessaria a muovermi. Non potevo rimanere
lì, inerme, e lasciare che o quell'assassino, stanco, ci
uccidesse,
o arrivassero Phoebe e gli altri a salvarci. Decisi che potevo
farcela, potevo essere più veloce dell'uomo e potevo
riuscire a
tirare fuori la pistola e a puntargliela, a mia volta, contro.
Rapida, riuscii a portare la
mano destra sul fodero, ma mi bloccai nuovamente quando l'uomo
sparò.
Il proiettile mi passò affianco, sorvolò di pochi
millimetri la mia
spalla sinistra e centrò il muro che avevo dietro di me.
« Provaci ancora, biondina,
e il prossimo te lo sparo dritto nel cuore. »
Deglutii e lo guardai con
disprezzo, ma proprio in quel momento vidi arrivare gli altri e
questo mi tranquillizzò e non mi fece fare azioni avventate.
« Lascialo andare, o il
colpo che sparerò io andrà
dritto nella tua testa » Phoebe
lo teneva sotto tiro, e come lei anche Thomas e Henry facevano lo
stesso. L'uomo, che dalla voce ero quasi certa che si trattasse del
cacciatore che avevamo già incontrato in precedenza, non
reagì
minimamente, anzi, lasciò andare immediatamente Jack e poi
alzò le
mani alto.
« D'accordo dolcezza »
disse « mi arrendo, mi arrendo. »
Thomas si sbrigò a
raggiungerlo, gli tolse la pistola e gli mise le mani dietro la
schiena. Phoebe uscì fuori diretta alla nostra volante, per
chiamare
Scotland Yard e dire di aver preso uno dei due
“Grimm”; Henry la
seguì, come un'ombra. Io mi diressi verso le scale, per
andare ad
avvertire Killian, quando il suono di uno sparo mi bloccò.
Non proveniva da quella
stanza, non proveniva da fuori, proveniva dall'alto, da molto in
alto, probabilmente dal luogo più in alto di quella torre.
« Killian » riuscii a
mormorare in un filo di voce, terrorizzata, prima di cominciare a
correre all'impazzata su per quella rampa di scale. Jack mi venne
dietro, il cacciatore, invece, approfittò di quell'attimo di
confusione per colpire Thomas con una testata e scappare via. Sentii
Thomas gridare ma non gli diedi importanza, in quel momento il
cacciatore poteva benissimo darsela a gambe, la squadra poteva
benissimo essere rimproverata per averlo lasciato fuggire, non mi
importava niente, in quel momento la mio priorità era
Killian,
nessun altro.
Avevo il cuore in gola e di
certo non per la corsa. La brutta sensazione che mi aveva
accompagnato negli ultimi giorni non era ancora sparita, era sempre
presente e non potevo smettere di pensarci. Non potevano avergli
fatto del male, non poteva essere vero, era solo frutto della mia
mente, solo il riflesso delle mie paure più grandi.
Arrivata fino in cima lo
vidi. Era in ginocchio, mi dava le spalle, la testa era china verso
il basso, era quasi abbandonata a se stessa e questo mi fece
sbiancare. Vedevo una grande pozza di sangue davanti a lui, non avevo
il coraggio di avvicinarmi. Mi sentii mancare, le gambe mi tremavano
e se non mi fossi retta alla ringhiera della scala probabilmente
sarei crollata a terra già da un bel pezzo.
« Killian... » mormorai a
bassa voce, muovendo un passo verso di lui, vidi un movimento quasi
accennato del suo capo e corsi da lui « Killian! »
Urlai ancora.
Mi ci inginocchiai davanti e
gli presi il volto tra le mani. Era cosciente, più o meno,
sembrava
quasi non accorgersi della mia presenza, osservava un punto
indefinito e non riuscivo ad attirare la sua attenzione.
« Killian, ehi.. Hook, stai
bene? Vuoi rispondere? » Esclamai alla fine, anche un pizzico
spazientita. Gli lasciai andare il volto e lo osservai meglio. Non
sembrava ferito, reduce da una rissa forse, ma ferito dal colpo di
una pistola di certo no. Non riuscendo a capire cosa fosse successo
decisi di seguire il suo sguardo, mi girai appena e, nel buio, scorsi
la figura di una donna. « Jack, chiama un'ambulanza!
» Feci rivolta
all'altro che mi aveva appena raggiunto e mi avvicinai alla ragazza.
Una pozza di sangue la
circondava, i suoi capelli dorati erano ormai ricoperti di quel
liquido rosso. Riconobbi subito Caroline Evans e il foro di
proiettile che aveva sulla testa mi fece capire che fosse morta sul
colpo.
Nel giro di qualche ora
nella vecchia torre abbandonata nel bel mezzo del nulla
regnò il
caos. Phoebe era arrabbiatissima, cercavamo tutti di tenerci alla
larga da lei dopo esserci ritrovati vittima di una sua sfuriata,
quando scoprì che avevamo perso sia gli assassini che
l'ostaggio.
Io e Killian avevamo
aspettato fuori, al gelo, l'arrivo di Rose, quale medico legale, e di
Henry, visto che la donna non poteva lasciarlo a nessuno e io non
volevo che rimanesse da solo, non dopo quello che avevo vissuto
quella sera. Nel frattempo, avevo tentato di far parlare di Killian,
di fargli raccontare quello che fosse successo, ma lui continuava a
lasciar cadere il discorso dopo aver mormorato qualche monosillabo.
Aveva lo sguardo perso, era sovrappensiero, ma non riuscivo a farmi
dire cosa lo turbasse.
Per ultima, arrivò la
stampa: i giornalisti sembravano gareggiare per arrivare prima sul
posto e accaparrarsi la notizia per primi. Appena li vedemmo
arrivare, io e Killian tornammo dentro, non volevamo ancora
rilasciare dichiarazioni, lui aveva detto che doveva prima
rintracciare il suo capo.
« E' arrivata la stampa »
informai gli altri, non appena ci sentirono arrivare e si girarono a
guardarci, immaginando novità.
« Quegli avvoltoi »
commentò Jack « Cosa dobbiamo dire? »
« Killian sta informando il
capo, ci farà sapere lui, » cominciai a dire,
lanciandogli
un'occhiata giusto in tempo per vederlo mentre chiudeva la chiamata
«
ma credo che sia meglio dire la verità fin da subito, presto
si
saprà tutto comunque e sarà peggio. »
« Sì, sono d'accordo »
esordì Killian, raggiungendoci mentre riponeva il telefono
nella
tasca interna della sua giacca – in un'altra situazione avrei
sorriso a quella scena, pensando al mio Killian che ignorava persino
cosa fosse la fotocamera di un cellulare – « Ma non
adesso.
Torniamo in centrale, dirò loro che risponderò a
qualsiasi domanda
più tardi. Prima devo fare una cosa. » Lo guardai
stranita, alzando
un sopracciglio.
« Di che parli? Cosa devi
fare? »
« Devo vedere delle persone
» mi rispose cupo, dirigendosi verso l'uscita. Subito lo
seguii e lo
raggiunsi.
« Aspetta, vengo con te »
affermai, anche se non avevo ben capito chi dovesse vedere di
così
importante.
« No » disse, voltandosi a
guardarmi « è una cosa che devo fare da solo.
»
***
A Scotland Yard non facevano
altro che rivolgerci occhiatacce, il che era snervante. Tutti,
nessuno escluso, ci giudicava per esserci lasciati scappare i due
assassini e per aver lasciato che uccidessero l'ennesima ragazza.
La stampa ci aveva seguiti
dopo che Killian aveva promesso loro di rispondere presto alle
domande, ma questo non li fermò dal provare a strapparci
qualche
informazione.
Phoebe si offrì di
accompagnare a casa me e Henry, cosa che mi lasciò un po'
spiazzata,
ma non ci feci molto caso, visto che la nottata era stata pesante ed
eravamo ancora tutti sconvolti.
A casa non c'erano né
Killian, né Rose. Sospirai, avrei voluto parlare almeno con
l'uomo
che aveva spiccicato pochissime parole, ma a quanto pareva mi toccava
aspettare. Henry si buttò subito sul divano, visibilmente
assonnato.
Immaginai che Rose lo avesse svegliato improvvisamente a poche ore
dall'alba e questo mi fece sorridere amaramente. Io, al contrario,
avevo dormito sì e no un paio d'ore, ma non mi sentivo
stanca, non
credevo che sarei riuscita ad addormentarmi tanto facilmente, quella
sera.
Mi diressi in cucina e
cominciai a rovistare nella dispensa: avevo bisogno di bere, anche
qualcosa di forte per una volta non mi avrebbe fatto male, ma non
trovai niente, non c'era la minima traccia di alcool in quella casa,
a parte, forse, quell'unica bottiglia di birra nel frigorifero. Me la
feci andare bene, la stappai e andai a sedermi accanto al ragazzino.
« Henry » chiamai la sua
attenzione, mentre mandava un messaggio, probabilmente a Regina
« il
patto era che saresti rimasto un solo giorno, ricordi? Domattina
prenderai il primo volo e tornerai a Storybrooke. »
« Ma le indagini non sono
ancora finite! » Ribatté lui, come avevo
immaginato.
« Lo so » mormorai appena
« ma sarò più tranquilla sapendoti a
casa e non qui, da solo »
avevo lo sguardo perso nel vuoto, la mente ancora al cacciatore, alla
sua voce dura, ai suoi occhi bui, neri come la sua anima. Eravamo
stati tutti in pericolo, seppure in maggioranza numerica, e sentivo
che lo saremmo stati nuovamente, in futuro, e mi terrorizzava il solo
pensiero che potesse accadere qualcosa a mio figlio.
Sarà stato per via del mio
sguardo cupo, o forse per il mio tono di voce appena tremolante,
Henry non ribatté ancora, ma si lasciò convincere
a partire
l'indomani.
Non passò molto che sentii
la porta di casa aprirsi, segno che Killian era tornato a casa.
Scattai subito in piedi e gli andai incontro.
« Allora, si può sapere
cosa dovevi fare di tanto importante? » Domandai ancora prima
di
ritrovarmelo davanti. La mia non era curiosità, non volevo
neanche
essere invadente, ma il suo sguardo così vuoto non riusciva
a uscire
dalla mia mente e continuava a preoccuparmi. Tutti noi eravamo
scossi, questo sì, ma c'era dell'altro e volevo scoprirlo
per
aiutarlo.
Non mi ero accorta di Rose,
subito dietro di lui. La vidi lanciare un'occhiata al cielo, prima di
posare la sua giacca. Mi ammutolii all'istante e abbassai per un
momento gli occhi, poi tornai a guardare Killian, che mi era passato
davanti.
Aveva deciso di ignorarmi,
così mi girai verso la donna.
« Tu sai dov'è stato? »
Sembrò pensarci su, poi scosse la testa.
« No, non ha voluto che lo
accompagnassi da nessuna parte e in macchina, adesso, non ha
spiccicato parola. »
« Killian » sospirai,
mentre davo le spalle alla rossa, diretta verso il pirata «
andiamo,
cosa ti angoscia? Puoi dirmelo, lo sai... »
« E' inutile, signorina
Swan » fece Rose, ancora alle mie spalle « non lo
ha detto nemmeno
a me! »
La ignorai e provai ancora.
« Sono... siamo
preoccupati. Tutti. L'intera squadra ha visto che c'è
qualcosa che
ti preoccupa, ti farà bene parlarne. »
« E con chi? » Sbottò a
un tratto, forse esasperato « Con te? »
« Sai che puoi fidarti di
me... » tentai, ma venni bloccata ancora una volta.
« Ah sì? » Commentò
ironico « Una settimana fa non sapevo neanche che tu avessi
un
figlio » fece, indicando Henry con la mano « due
settimane fa non
sapevo neanche chi fossi tu. »
Mi morsi le labbra. Avrei
tanto voluto esplodere, avrei tanto voluto urlargli in faccia la
realtà, dirgli che l'unico che non conosceva era se stesso,
quella
nuova versione di sé, quel nuovo Killian Jones, poliziotto
di
Scotland Yard, prossimo alle nozze, amante della lettura e meno
dell'alcool.
Volevo davvero dirgli tutte
quelle cose, ma non lo feci. Non potevo farlo, avrei peggiorato,
nuovamente e forse definitivamente, la situazione. Rimasi in
silenzio, quindi, e lo lasciai parlare.
« Non so niente di te, Emma
Swan. Non so da dove vieni, sì, okay, Storybrooke
» si affrettò ad
aggiungere, non appena feci per puntualizzare « questa
cittadina
fantasma che nessuno conosce. So che eri uno sceriffo e che sei
cresciuta da sola. E poi? Io non ti conosco, quindi no, non lo so se
posso fidarmi di te. »
Aveva detto ogni parola
senza guardarmi negli occhi. Aveva lanciato un'occhiata a tutto, ad
Henry, a Rose, al salotto, al soffitto, anche al tappeto, ma non a
me. Questo mi fece sperare e, soprattutto, capire che, in
realtà, si
stava solamente nascondendo dietro delle parole. Lo sapevo, e se lo
sapevo era perché mi riconoscevo in quel gesto, io stessa
avevo
innalzato muri pieni zeppi di parole urlate senza neanche pensarci
troppo, che non potevo non farci caso. A pensarci, Killian era
l'unico che, in tanti anni, era riuscito ad abbattere quei muri.
« Beh » cominciai a dire,
cercando di riportare i toni ad un volume sicuramente più
basso «
puoi almeno provarci. Puoi fidarti di me, Killian Jones, te lo giuro.
Devi fidarti di me. »
Finalmente si degnò di
guardarmi. I suoi occhi mi scrutavano, sembravano volessero rivelarmi
ogni verità, ma la sua bocca restava chiusa, la mascella
serrata, il
pollice che strofinava appena l'indice nella sua mano destra. Non mi
rispose, non disse niente, si limitò a girare le spalle e a
dirigersi in cucina, seguito poi da Rose, che si badò bene
di
lanciarmi un'occhiataccia non appena mi passò affianco.
Restai con lo sguardo fisso
sull'uomo che amavo, respiravo e inspiravo profondamente. Non volevo
stare in quella casa, in quel momento, non con una donna che aveva
cominciato a togliersi la maschera e dava segni di odiarmi ogni volta
che poteva e non con Killian che si rifiutava quasi di guardarmi.
Dissi ad Henry che avremmo
passato la sua ultima giornata a Londra fuori, avvertii gli altri due
e poi uscii insieme al ragazzo.
***
La giornata era passata
piacevolmente, Henry aveva fatto di tutto per farmi dimenticare gli
ultimi fatti accaduti e, per certi versi, ci era anche riuscito.
Avevamo cenato in un locale davvero molto carino, il ragazzo si era
gustato il suo hamburger consapevole che il giorno dopo avrebbe
mangiato il cibo salutare che gli rifilavano Regina o mia madre.
Prima di tornare mi ero
permessa di comprare una bottiglia di rum. I miei piani erano quelli
di rientrare, mandare a letto Henry, restarmene in salotto e
dimenticare ogni cosa, anche se poi me ne sarei pentita, forse, una
volta sveglia.
« Comincia ad andare a
dormire, domani devi svegliarti presto » affermai in un
sussurro,
mentre chiudevo la porta di casa. Le luci erano spente, il silenzio
faceva da padrone, era tardi, Killian doveva essere a letto e io non
avevo nessuna intenzione di svegliarlo. « Ti raggiungo fra
poco »
aggiunsi, prima di lasciargli un bacio sulla fronte.
Mi diressi quindi in
salotto, camminavo piano e attenta a non inciampare in qualunque cosa
potesse trovarsi sul pavimento. Cercai a tastoni il divano e quando
lo trovai mi ci sedei sopra.
Ma non era il divano, o
meglio sì, lo era, ma avevo la netta impressione di essermi
seduta
sulle gambe di qualcuno, per questo sobbalzai immediatamente,
soprattutto quando sentii i lamenti di Killian.
« Ma che diamine... Swan! »
Avevo acceso la luce e ora si copriva la faccia con il braccio
sinistro, mentre cercava, comunque, di guardarmi « Ma sei
impazzita?! Cosa stavi facendo? »
« Cosa ci facevi tu, sul
divano, piuttosto! » Esclamai a mia volta, possibile che
dovevo
sempre ritrovarmi nella parte del torto? Era lui ad essersi
addormentato sul divano, non io.
« Devo essermi addormentato
» fece lui, ormai si era seduto, stessa cosa feci io, tirando
poi
fuori la bottiglia di alcool dalla bustina che la conteneva.
« Me ne sono accorta »
commentai ironica, alzando le sopracciglia. Lui mi guardò
accigliato.
« Che stai facendo? » Il
suo sguardo andò da me alla bottiglia, la indicò
anche con il suo
indice, per essere sicuro che capissi al volo o forse solamente
perché ormai era un gesto automatico.
« Voglio bere, Killian. E'
stata una giornata pesante, okay? Saranno 24 ore che non chiudo
occhio e credo che non sarei in grado di farlo neanche se lo volessi.
Quindi ho deciso di bere così tanto rum da svenire, dormire
tranquillamente senza avere la voce di ghiaccio del nostro serial
killer o le mille preoccupazioni riguardanti mio figlio tra la mente
e, sì, svegliarmi domani mattina con un mal di testa
così forte che
non mi permetterà di pensare a niente. Sono libera di farlo?
» Non
sapevo neanche perché me la stessi prendendo con lui, non
volevo,
era tutta la tensione che stava uscendo fuori e si scaricava
così.
Mi presi la testa fra le mani e mi passai entrambe la mani sugli
occhi. Sospirai, stava succedendo tutto così in fretta,
tutto troppo
in fretta, non erano passate neanche due settimane da quando Gold
aveva lanciato il suo sortilegio e da allora era successo di tutto.
« Certo che puoi » disse
l'altro, deglutendo appena « posso farti compagnia?
»
Mi girai appena a guardarlo,
prima di annuire e gli passai la bottiglia, ancora da aprire. Non
perse molto tempo, ne bevve un grande sorso e poi me la
ripassò.
« Non succederà niente a
tuo figlio, è al sicuro qui » affermò
serio. Lo guardai e gli
sorrisi.
« Lo so, mi fido di te »
si grattò il capo, ma non aggiunse nulla.
Per vari minuti in tutta la
casa regnò il silenzio; Henry, al piano di sopra, era
già entrato
nel mondo dei sogni, tranquillo e spensierato, o almeno speravo, e
noi, al contrario, eravamo immersi nei nostri pensieri, nelle nostre
paure, nelle nostre preoccupazioni e, sì, anche nel rum. Ci
alternavamo la bottiglia automaticamente, il suono del liquido
all'interno che percorreva il vetro ogni volta che vi ci poggiavamo
le labbra sopra ci giungeva alle orecchie, ma sembravamo non farci
caso.
Passai ancora una volta
quella bottiglia a Killian, meccanicamente, lui la afferrò,
ma non
bevve subito, rimase concentrato con lo sguardo sulla parete che
avevamo davanti.
« Sono andato dagli Evans,
oggi » disse, a un tratto « qualcuno doveva
avvertirli della morte
della loro seconda figlia, a distanza di una decina di giorni dalla
prima » mi spiegò con una smorfia, prima di bere
velocemente un
sorso di rum e passarmelo nuovamente.
« Oh » mormorai « non eri
obbligato... »
« Invece sì. Sono stato io
a dir loro di Sasha. Così come sono stato il primo a dare la
notizia
ai Barnes e agli Stevens. Non so se ti è mai capitato, Emma,
dover
dire a un genitore che ha perso suo figlio, non è una cosa
facile,
il loro sguardo è difficile da dimenticare e tu, per loro,
resterai
per sempre la peggior persona che esiste al mondo, ti ricorderanno
sempre come quello che non ha fatto abbastanza per proteggere i loro
cari » bevve un enorme sorso di rum, questa volta, e stessa
cosa
feci poi io.
Pensai subito a Gold, o
meglio a Rumple, ai suoi occhi spenti nel momento in cui gli dissi
che suo figlio sarebbe morto. No, di certo non era stato facile,
anche perché io e Neal eravamo legati.
« So cosa si prova...
proprio per questo potevi dirmelo, non dovevi per forza farlo da
solo... »
« Invece sì » ribadì.
Silenzio. Ancora.
« E, comunque, non sei la
peggior persona che esiste al mondo » affermai,
sorridendogli. Lui
si fece improvvisamente più cupo.
« Eccome se lo sono. Per
questo dopo essere andato dagli Evans, sono andato sulla tomba della
nostra Cenerentola. A chiederle scusa per non essere riuscito a
salvare lei e sua sorella. »
« C'eravamo tutti noi in
quella torre, non puoi addossarti tutta la colpa » insistetti.
« Tu non eri con me, Emma,
non puoi sapere. Potevo ucciderlo, o ferirlo. Ho avuto la
possibilità
di sparargli, prima che lui uccidesse Caroline. Era disarmato, mi
incitava a sparare, mi incitava a finirla, mi avvertiva che me ne
sarei pentito in caso contrario. E aveva ragione. Sono stato un
codardo, non ho avuto il coraggio di premere quel dannato grilletto e
una ragazza ci è andata di mezzo. La verità
è che è colpa mia se
Caroline Evans è morta, dovevo essere io quello morto, non
lei, non
per colpa mia. »
Non sapevo cosa dire, restai
interdetta per qualche minuto. Adesso avevo ben chiara la ragione
della sua inquietudine, avevo capito perché non voleva
parlarne. Si
sentiva responsabile per tutto quello che era successo, ingiustamente
a mio parere. Lui non era riuscito a fermare un uomo, da solo, ma noi
ci eravamo pur sempre lasciati scappare l'altro, e noi eravamo in
cinque. Sapevo che il vecchio Killian non si sarebbe fatto scrupoli a
sparare, magari vedendosi bene dall'uccidere, per questo davo a Gold
la colpa per la sua indecisione.
« Smettila, non è stata
colpa tua. Non hai sparato, è vero, ma non sei sceso al suo
livello.
Lui era disarmato, se lo avessi ucciso o ferito ti saresti trovato in
altri problemi. »
« Ma la Evans sarebbe viva
» affermò cupo, stringendo la mano in un pugno.
Abbassai lo
sguardo, mi dispiaceva vederlo in quelle condizioni, soprattutto
perché mi sentivo impotente.
« Nessun altro morirà,
Killian. Non per causa nostra. Te lo prometto » feci,
stringendogli
la mano senza rendermene conto. La osservò per qualche
istante, poi
alzò la testa e si specchiò nei miei occhi. Mi
sorrise appena, il
suo senso di colpa non era svanito e forse non l'avrebbe mai fatto,
ma almeno sapeva che poteva contare su di me. Si era fidato di me,
era l'unica cosa che gli avevo chiesto e lo aveva fatto. Lasciai
andare la sua mano e presi un altra sorsata di rum, metà
bottiglia
era ormai andata.
« Se fosse andato tutto
bene, a quest'ora l'indagine sarebbe conclusa »
constatò a un
tratto.
« Già » mormorai, non
capendo al volo dove volesse andare a parare.
« Saresti stata libera di
tornare a casa, non avresti avuto nessun altro motivo per rimanere
»
lo guardai profondamente negli occhi.
Il suo viso non era poi
molto distante dal mio, perciò mi domandai quando e come ci
eravamo
avvicinati tanto. Io ero certa di non essermi mossa dal mio posto,
doveva essere stato lui, anche se non mi sembrava di ricordare il
minimo cenno di un suo spostamento. Forse era solamente una mia
impressione, forse stavo impazzendo, magari per colpa del rum.
« Magari sarei rimasta »
mi lasciai scappare, completamente ipnotizzata nei suoi occhi blu
magnetici.
« Ah sì? » Domandò
retoricamente lui, alzando appena un sopracciglio «
Perché? »
« Per... » cominciai a
dire, un sorriso appena accennato si dipinse sul suo volto, era
impossibile non notare gli angoli della bocca che si erano appena
incurvati verso l'alto. I suoi occhi grandi mi scrutavano, sembrava
che mi implorassero a dire la verità. Aprii la bocca e
cercai di
farmi forza. “Per te”, avrei tanto voluto dire, ma
non ci
riuscii. Nonostante l'alcool avesse cominciato ad annebbiarmi il
cervello, non era ancora in grado di controllarmi del tutto.
« Per
Londra, ovviamente. E' una bellissima città »
buttai lì. Killian
rise appena, interruppe il contatto visivo e mi tolse la bottiglia
dalle mani.
Per un attimo, un folle
attimo, mi era passata per la mente l'idea che il bacio del vero
amore avrebbe funzionato, in quel momento. Killian sembrava si fosse
aperto con me, maggiormente rispetto a quello che aveva fatto in
passato, senza contare che mi era sembrato che mi guardasse le labbra
con desiderio, ma una voce dentro di me mi diceva che non era
abbastanza, e un'altra mi diceva che senza aver bevuto mezza
bottiglia di rum non mi avrebbe guardata in quel modo.
Circa un'ora più tardi, il
salotto era riempito dalle nostre risa, la bottiglia di vetro ormai
vuota era rotolata dall'altra parte della stanza, probabilmente ci
era caduta, o forse ero stata io a farla arrivare fin lì,
non sapevo
dirlo con certezza.
Così come non sapevo dire
chi aveva cominciato a ridere per primo. Né
perché stavamo
effettivamente ridendo. Aveva cominciato Killian? No, ero stata io.
Credo.
Di cosa stavamo parlando? Me
lo chiedo ancora oggi. Forse era cominciato tutto quando io mi ero
messa più comoda sul divano, con le gambe su di esso, senza
togliermi neanche gli stivali. Killian mi aveva dato della
maleducata. Mi aveva guardato serio, io avevo messo di nuovo i piedi
a terra e lui era scoppiato a ridere improvvisamente. Io gli ero
andata dietro.
O forse era partito tutto
quando Killian aveva affermato che gli sarebbe piaciuto avere un
uncino di ferro, dicendo che poteva rivelarsi utile in molte
situazioni. Io non ero riuscita a trattenermi e mi ero ritrovata a
sputacchiare anche l'ultimo sorso di rum. Al ché Killian
aveva riso
perché lo avevo sprecato in quel modo, e io avevo risposto
che non
avevamo di certo bisogno del rum, e allora avevo lasciato rotolare la
bottiglia.
Sì, era andata così.
A un tratto, aveva anche
detto che Rose si sarebbe imbestialita nel saperlo in quello stato,
ubriaco, e io gli avevo consigliato di mandarla a farsi fottere.
Pensandoci, dopo, non era stata una cosa molto bella da dirgli, ma
lui in quella occasione mi aveva anche dato ragione, sempre se aveva
capito bene le mie parole, per via delle risate.
« Credo sia meglio andare a
letto » esclamai a un tratto, alzando il polso destro per
leggere
l'ora e aver fatto una faccia inorridita per il fatto che fosse tardi
– anche se non avevo nessun orologio al polso, e per quanto
potessi
saperne potevano essere appena le undici –.
Lui mi diede ragione ed
entrambi ci alzammo dal divano. Arrivata alle scale, non feci caso al
primo gradino e inciampai. Killian mi afferrò al volo,
scoppiando
nuovamente a ridere.
« Shhh! » Lo intimai, con
tanto di indice destro davanti la bocca. Lui si morse le labbra e
gonfiò appena la faccia, trattenendo le risate.
« Eccoci » affermò, non
appena ci ritrovammo davanti le nostre camere.
« Eccoci » ripetei,
facendolo ridere ancora.
« Shh! Sveglierai Henry! »
Lo rimproverai, ma lui mi guardò con una faccia
interrogativa, come
a volermi dire “Chi?” che fece ridere anche me.
« Mio figlio! »
Spiegai poi.
« Ah già » esclamò.
« Allora buonanotte »
affermai, con la mano sulla maniglia della porta.
« Buonanotte » ripeté
lui, mentre apriva quella della sua stanza. Feci lo stesso, entrambi
non ci staccavamo gli occhi di dosso – ed entrambi facevamo
di
tutto per non ridere – fino a quando non scomparì
dalla mia vista,
e io dalla sua.
Chiusi la porta piano e mi
tolsi gli stivali. Lanciai un'occhiata ad Henry che dormiva
tranquillo, sorrisi tra me, poi uscii ancora una volta dalla camera,
per andare in bagno.
Killian, evidentemente,
aveva avuto la stessa idea, perché me lo ritrovai davanti a
guardarmi sorpreso. Inutile dire che entrambi cominciammo di nuovo a
ridere e, all'unisono, ci portammo una mano sulla bocca. Killian
quasi scivolò, così lo raggiunsi e lo presi per
le spalle.
« Non ti reggi neanche in
piedi » affermai divertita « ti metto a letto!
»
« Quale onore! » Esclamò,
e quasi mi sembrò di essere tornata a Storybrooke, mi
sembrò di
trovarmi con il vero Killian, con l'uomo che amavo, con l'uomo che
amava me.
La porta alle nostre spalle
si chiuse, ci muovemmo piano per raggiungere il letto, poi un
movimento goffo ci tradì e entrambi ci cademmo sopra.
Risate. Ancora
risate.
« Sei caduto! »
« Sei caduta anche tu!
Sopra di me, per giunta! »
Risate. Era impossibile
trattenerle, per quanto la situazione, a mente lucida, fosse
imbarazzante.
Mi tirati su come meglio
potevo, lui fece lo stesso. Le risate svanirono piano, era rimasto
solamente qualche mio singhiozzo a regnare nella stanza prima che
tornasse a far da padrone il silenzio. Killian non aveva mai smesso
di osservarmi. Aveva smesso di ridere prima di me, e non aveva fatto
altro che guardarmi, guardarmi e sorridere. Forse non riuscivo a
smettere proprio per questo.
Quando entrambi ci
ritrovammo completamente in silenzio, si sporse verso di me, senza un
attimo di esitazione, la sua mano destra accarezzò la mia
guancia e
le sue labbra erano già posate sulle mie prima che potessi
rendermi
conto.
Non mi staccai, non mi
allontanai, non mi stupii. Gli misi le mani dietro al collo e schiusi
subito le labbra, perdendomi nel sapore del suo bacio.
Entrambi eravamo seduti sul
letto, io gli circondavo la vita con le gambe, per questo lui, con un
abbraccio, riuscì a farmi sedere meglio su di lui, mentre
riuscivo
già a percepire qualcosa scattare nei suoi pantaloni, contro
la mia
intimità.
Mi staccai dalle sua labbra
per lasciarmi scappare un gemito, lui non perse tempo e
cominciò a
baciarmi il collo, mentre le mie mani scendevano dal suo, lungo la
sua schiena, fino ad afferrargli la maglietta che aveva addosso e a
togliergliela. Killian non perse tempo e fece altrettanto con me, mi
lasciai accarezzare i seni una volta che il reggiseno fu volato via
chissà dove. Presto tutti i nostri indumenti fecero quella
fine e
presto mi ritrovai completamente nuda, sdraiata sul suo corpo.
Con un rapido movimento
capovolse la situazione e, dopo aver ripreso il bacio da dove avevamo
lasciato, entrò dentro di me e cominciò a
muoversi con movimenti,
in un primo momento, contenuti, poi, piano, sempre più
violenti.
Non so quanto tempo
trascorse fuori dalla nostra bolla di piacere –
perché, in quegli
istanti, noi eravamo senza tempo, nella nostra bolla questo si era
fermato – so che, a un tratto, lui uscì lento e si
lasciò
scivolare al mio fianco.
Forse mi attirò a sé,
forse era stata una mia iniziativa, fatto sta che lo abbracciai,
forte.
Lo tenni stretto per un
tempo indefinito, lui mi accarezzava i capelli biondi, calmo, come se
non avesse fatto altro per tutta la sua vita.
Il suo tocco delicato fu
l'ultima cosa che ricordai, prima di abbandonarmi tra le braccia di
Morfeo.
Angolo
dell'autrice: salve a
tuuuuuutti! Non so da dove iniziare, penso sia meglio farlo dalle
cose più importanti.
NON MI RIPRENDERO' MAI DALLA
5X11! Le ultime tre puntate (esclusa la 5x09 che è stata una
cosa a
sé(?)) sono state così eccezionali e
così sofferte, mi hanno
strappato e distrutto il cuore così tante volte che ormai
non le
conto neanche più. Cavoli, sul serio, come ci si riprende
dopo un
finale così? COME?!
Per questo ho voluto
regalarvi questo capitolo! (Non è vero, è in
programma praticamente
da sempre che nel 12° sarebbe successo questo, ma voi fate
finta di
niente). Come avevo già detto la volta scorsa, la storia
è nata
pensando a questo capitolo (capite il disagio dei miei pensieri? Non
è vero, sono tranquilla normalmente), e davvero non vedevo
l'ora di
farvelo leggere.
Volevo specificare che,
quando ho cominciato a scrivere la storia, la quarta stagione non era
ancora finita, quindi io mi sono ritrovata un Killian Jones
poliziotto nella fic e un Killian mozzo e codardo nello show. Ci ho
pensato e ho voluto rendere anche il mio (?) Killian codardo,
assecondando il desiderio di Gold (??). Però è
pur sempre un
poliziotto, non si è mai visto un poliziotto codardo, no?
Quindi
boh, l'unico modo a mio parere era farlo agire così.
E così arriviamo al tanto
atteso “coffie” dei nostri CS! Nello show
concludono tutti tranne
loro, quindi ero più che obbligata a fare qualcosa! Spero di
non
essere scivolata nel raiting rosso D: credo di essermi trattenuta
come meglio potevo, in caso contrario scusate (??)
E niente... adesso cosa
succederà? Sarà più facile, o ci
saranno altri guai? Killian
ricorderà? Killian ricorderà mai della sua vera
vita? E Rose verrà
a sapere della loro notte di passione? E i “Grimm”?
Ah, vi ho
lasciato un PICCOLISSIMO indizio sulla loro identità. Che
poi in
realtà sarebbero due gli indizi totali lasciati nella
storia, chissà
se ci arrivate. Non dovete pensare a una coppia, pensate a un
singolo. Sappiate che sono andata a tirare fuori uno dei personaggi
che più odio del mondo delle favole, o dell'animazione, o
della
Disney, o dei film, o dei cortometraggi, o di quello che volete lol
Ah, avete notato che è
tornato il vostro amato conta giorni? Vi mette ANSIA? Fra soli 20
giorni c'è il matrimonio, argh D:
Come al solito le note sono
più lunghe del capitolo (Capitolo di 11 pagine, non so se
rendo
l'idea LOL), spero che vi sia piaciuto. Ringrazio ancora tutti per le
recensioni, grazie davvero perché mi rallegrate la giornata,
sembrerà stupido ma è così! Spero che
il capitolo vi sia piaciuto
e che non abbiate trovato la situazione... forzata, diciamo.
(Comunque, i riferimenti a varie scene CS si sprecano in questo
capitolo, non so se avete notato xD)
A presto, un bacio :)
|
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Capitolo 13 *** Truth will out ***
13.
Truth will out
*Killian
Pov*
Aprii
improvvisamente gli occhi, come se mi fossi appena svegliato da un
lungo sonno, ma non mi trovavo nel mio letto, non mi trovavo neanche
a casa mia, a volere essere sinceri e, probabilmente, il posto che
stavo osservando allibito non si trovava neanche a Londra.
Era
una specie di... foresta? Intorno a me non c'era altro che verde:
immensi alberi mi circondavano, cespugli enormi e innumerevoli piante
componevano quello strano e misterioso quadretto.
Come
diavolo c'ero finito lì? Ricordavo di aver cenato da solo,
nella mia
casa ovviamente, e di aver dormito sul divano fino a quando Emma non
si era seduta, letteralmente, su di me. Poi? Cos'era successo? Ah,
già... avevamo bevuto del rum. Poi non ricordavo
più niente.
Com'ero passato dal mio salotto a quello strano posto?
«
Davvero gli hai salvato la vita? »
Mi
girai nell'istante in cui la voce di Emma mi giunse alle orecchie.
Anche lei era lì? Forse poteva spiegarmi come ci eravamo
arrivati
dato che sembrava essere l'unica persona insieme a me in quel
momento.
La
guardai sorpreso, per due motivi diversi: il primo, non mi aspettavo
di vederla spuntare all'improvviso, il secondo, e più
importante,
per il suo abbigliamento. Indossava una leggerissima canottiera
grigia e dietro la schiena portava... una spada?! Sul serio, Swan?
Mossi
un passo verso di lei, ma questo mi fece sentire improvvisamente
più
pesante, per questo lanciai un'occhiata anche ai miei, di vestiti, e
quello che vidi mi lasciò sbigottito. Avevo una giacca lunga
e
incredibilmente pesante che mi faceva risultare difficile muovere
anche un solo passo. Sembravano indumenti antichi, molto, quasi
fiabeschi, quasi... da pirata. E poi... “Maledizione!”
Quello che avevo alla mano sinistra era proprio un uncino!
Tornai a guardare Emma, mi aveva chiesto
qualcosa. Se avessi salvato la vita a qualcuno.
“Di
chi parli? Della Evans? No, sai che non l'ho fatto, sai che
è morta
a causa mia.” Le
dissi. O
almeno tentai di dirle, in realtà dalla mia bocca uscirono
altre
parole.
« Perché, ti sorprende? » Le domandai
di rimando, con tono furbo. Ma cosa stavo facendo? Non era il momento
di scherzare, dovevamo parlare di cose più importanti, per
esempio
come potevamo tornare a casa.
« Beh » cominciò a dire lei, venendomi
incontro e porgendomi una fiaschetta. Non l'avevo notata prima e mi
stupii che la donna avesse ancora voglia di bere. Nonostante questo
pensiero, con un gesto quasi automatico che sorprese me stesso, posai
la fiaschetta in una tasca all'interno di quell'ingombrante giacca di
pelle nera. « Non siete esattamente... come si dice... amici.
»
“Continuo a non capire a chi ti
riferisci...” provai ancora, sempre più
confuso, ma, di nuovo,
dalla mia bocca uscirono parole che non mi appartenevano.
« Non vuol dire che lo lascerei morire
su quest'isola. » Isola? Il Regno Unito? Ma cosa stavo
dicendo?
« Grazie. »
Abbassai il capo e mi grattai l'orecchio
destro. Dal tono di voce della donna, sembrava che tenesse molto alla
persone che, a detta sua, avevo salvato. Il problema era che non
ricordavo minimamente di avere fatto una cosa del genere. O forse
sì?
Una parte di me credeva davvero alle sue parole, quasi sapesse a cosa
si riferisse.
Tornai a guardarla negli occhi, mi parve
bellissima. Voglio dire, avevo sempre pensato che fosse una bella
donna, era impossibile negarlo, ma quella volta era diverso... mi
sentivo immensamente attratto da lei.
« Beh » cominciai a dire, mentre il mio
dito indice scivolava lungo il mio viso lentamente, fino a fermarsi
sul labbro inferiore. Qui, vi picchiettai appena un paio di volte,
mentre continuavo a guardare la bionda intensamente negli occhi
« un
po' di gratitudine sarebbe dovuta. »
« Sì » ribatté lei,
guardandomi con
freddezze e con un'aria quasi di superiorità che non le
apparteneva,
o meglio, non credevo che le appartenesse dato che non mi aveva mai
guardato in quel modo da quando l'avevo conosciuta « ed
è per
questo che ti ho ringraziato.»
« Vale così poco la vita di tuo padre?
» Ormai avevo smesso anche solo di provare a capirci
qualcosa, era
totalmente inutile! Ero certo di non aver salvato la vita a suo
padre, anche perché Emma era un'orfana. Non capivo cosa
stava
succedendo, non capivo per cosa mi ringraziasse la donna, non capivo
cosa stavo dicendo e soprattutto non capivo cosa stavo facendo, ma
avevo smesso di farmi domande.
« Per favore, non saresti all'altezza. »
« Forse tu non saresti all'altezza. »
Stavo, o forse stavamo, flirtando
davvero? Mi sembrava tutto così surreale. Ma non troppo.
Perché
avevo la sensazione che tutto quello che stavo vivendo fosse
già
successo, non molto tempo prima probabilmente. Mi sembrava quasi di
star avendo un deja vu. Ma non poteva essere così, conoscevo
Emma
solamente da una decina di giorni e di certo non ci eravamo mai
ritrovati soli in una specie di foresta sperduta in chissà
quale
angolo di mondo.
E poi successe tutto così in fretta che
quasi non me ne resi conto. Emma mi afferrò per il colletto
e mi
avvicinò prepotentemente a lei, i nostri due corpi aderirono
perfettamente l'uno contro l'altro e le sue labbra tornarono a
posarsi sulle mie. Era un bacio carico di tensione, quasi famelico,
sembravamo entrambi affamati e bramosi l'una della carne dell'altro.
Riuscii a portare la mano dietro la sua testa, mentre mi abbandonavo
fra le sue labbra, inebriato dal loro sapore.
Stavo vivendo quel bacio con ogni singolo
senso: il tatto, carezzando dolcemente la sua testa, i suoi capelli,
e divertendomi a stuzzicare le sue labbra morbide; l'olfatto, la sua
pelle, infatti, odorava di... camelie, se non andavo errato; l'udito,
visto che alle mie orecchie non giungeva altro che non fosse lo
schioccare delle nostre labbra e qualche leggero, impercettibile
ansimo proveniente da entrambi; e poi il gusto, neanche a dirlo,
perdendomi nel suo sapore. E, infine, la vista, certo. Non potevo
dire niente su quel fronte, per via degli occhi serrati.
Occhi che, proprio in quel momento,
sbarrai all'improvviso.
Non mi trovavo più in quella strana
quanto assurda foresta, ma ero nella mia camera, nel mio letto, i
raggi del sole che entravano dalla finestra e che mi costrinsero a
strizzare subito le palpebre. Era stato un sogno quindi, eppure c'era
qualcosa che non mi tornava, era tutto così realistico, le
sensazioni che avevo provato... ero certo che fossero vere, che non
fossero solo un inganno della mia mente. Potevo aver vissuto una
situazione, anche solo simile a quella del sogno, con Emma, e non
ricordarmene minimamente? No, era impossibile, non avevo mai avuto
vuoti di memoria. Non prima dell'arrivo di Emma in città.
Era
assurdo come, negli ultimi giorni, ogni cosa, ogni emozione, ogni
fatto, riconducesse a lei.
Mi massaggiai appena gli occhi e, quando
la luce non mi diede più fastidio, spostai, senza realmente
rendermene conto, la testa di lato, alla mia destra. Quello che vidi
mi sconcertò.
Emma dormiva dandomi le spalle a pancia
in sotto, una mano sotto il cuscino, coperto quasi del tutto dai suoi
lunghi capelli biondi, e l'altra sopra, la schiena nuda e scoperta
quasi completamente.
« Maledizione! » Con quell'esclamazione
scattai subito a sedere sul letto, forse un po' troppo velocemente ed
ecco che un dolore lancinante mi colpì fulmineo alle tempie.
Feci
per portarmi la mano sulla fronte, non che servisse ad arrestarne
l'intensità, ma dovetti prima afferrare al volo le coperte
che mi
avrebbero lasciato completamente nudo se fossero cadute a terra.
Emma sembrò svegliarsi nel sentire la
mia imprecazione, anche se con estrema lentezza. Si girò,
tirandosi
sui gomiti e tenendosi poi il piumone davanti al petto con la mano
destra, rivelando una faccia forse più stordita della mia.
Parve non
realizzare subito la situazione, addirittura sembrava quasi non
vedermi, magari ancora troppo accecata dalla luce mattutina, fino a
quando non focalizzò la mia immagine e la sua espressione
mutò di
colpo.
Spalancò la bocca e si guardò intorno
sconvolta, più e più volte. Guardava me e poi
tornava a muovere la
testa di qua e di là, come se non credesse ai proprio occhi.
Questo, e il suo silenzio, mi fece
innervosire ancora di più.
Le diedi le spalle, poggiai i piedi a
terra e mi piegai appena per afferrare i boxer che si trovavano,
fortunatamente, ai piedi del letto, li indossai velocemente e mi
alzai per cercare la mia roba, e la sua.
« Non ci posso credere, non è
possibile, non ci posso credere » continuavo a ripetere
nervoso,
mentre afferravo la maglietta che indossavo la sera precedente e
cercavo di indossarla, non senza troppi problemi per via della
tensione e della fretta che vi riversavo sopra.
« Killian... » tentò di parlare Emma,
ma la sua voce mi arrivò come un flebile mormorio.
« Zitta » esclamai, raccogliendo i suoi
jeans e lanciandoli verso il letto, senza guardarla neanche in
faccia.
« Killian... » provò ancora,
mormorando appena il mio nome. Ancora una volta la interruppi.
« Non parlare » ribattei duro,
indossando i miei pantaloni. Affianco a loro vi trovai la biancheria
della donna e la raccolsi senza preoccuparmi di nascondere
l'imbarazzo.
Piccoli flash mi giunsero alla mente, i
baci, le carezze, le sue mani che mi spogliavano velocemente e che mi
aiutavano a fare altrettanto con lei. Scossi la testa per cercare di
mandare via quei pensieri, non riuscivo davvero a capacitarmi di
quello che era successo.
« Ti prego, Killian... » la bloccai
ancora una volta, stanco e scocciato.
« Ti ho detto di stare zitta! » Sbottai
girandomi improvvisamente a guardarla.
La visione che mi trovai davanti fu
capaci di smorzare la rabbia con la quale avevo aggredito la donna,
anche se solo per pochi istanti. Quell'immagine di lei, sola nel
letto, nuda e coperta solamente da quelle coperte bianche come la sua
pelle che teneva attentamente strette a sé, quasi fossero
più di un
modo per coprirsi, quasi fossero un appiglio a cui aggrapparsi, una
sorta di conforto, lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi visibilmente
arrossati, ecco, quell'immagine mi confuse il cuore ancora
più di
quanto già non fosse.
« Maledetto il giorno in cui sei entrata
nella mia vita, Emma Swan » mormorai a denti stretti, mentre
raccoglievo le sue ultime cose. Non seppi dire se mi sentì o
meno,
la sua espressione era indecifrabile, sconcertata forse più
di me.
Era questo che mi faceva ribollire il sangue, se ne stava lì
con
quell'aria di chi aveva perso tutto, quando ero io quello che aveva
più cose da perdere. Ero che io che vedevo ogni mia certezza
sgretolarsi, io che ero in procinto di sposarmi, non lei, sicuramente
lei non aveva nulla da perdere.
« Non voglio vederti » affermai,
tornando a guardarla un'ultima volta, piuttosto contraddittoria come
cosa, prima di girare i tacchi, uscire dalla stanza e sbattere
violentemente la porta alle mie spalle.
*Emma Pov*
Me ne restavo lì, ferma e inerme,
incapace di fare qualsiasi cosa, di muovermi, di parlare, anche di
piangere.
Mi ero svegliata sentendo la voce di
Killian e in un primo momento avevo pensato che si trattasse di un
sogno. Furono i brividi che percorsero la mia schiena scoperta e la
sensazione, che diventava certezza secondo dopo secondo, di essere
nuda che mi convinsero ad aprire gli occhi e ad affrontare la
realtà.
Non potevo credere a quello che avevo
combinato, era tutto troppo surreale: io e Killian nello stesso
letto, i flash della notte appena trascorsa che cominciavano ad
affollare la mia mente, i baci, le carezze, i tocchi, le nostre pelli
a contatto, e poi lo sguardo dell'uomo, duro, sconvolto, frastornato,
colpevole, arrabbiato. Era in collera con me, lo sentivo e del resto
non si era fatto troppi problemi a nasconderlo.
Continuavo a chiedermi com'era potuto
accadere, una parte di me si rifiutava ancora di accettarlo. Mi
portai entrambe le mani nei capelli e chiusi gli occhi, sapevo che
non me lo avrebbe mai perdonato e, di conseguenza, io non mi sarei
mai perdonata per aver rovinato tutto, per essere stata tanto stupida
da lasciarmi annebbiare dall'alcool in un momento tanto delicato.
Killian se l'era presa per un bacio, si
era sentito in colpa nei confronti di Rose e aveva provato a tenermi
lontana, mi era chiaro che in quell'occasione la sua reazione sarebbe
stata peggiore, probabilmente mi avrebbe cacciata di casa, anzi mi
stupivo che non lo avesse fatto subito.
Allungai il braccio sinistro quel tanto
che bastava per afferrare i miei indumenti, Killian li aveva poggiati
malamente più o meno sopra i miei piedi, così da
rivestirmi e
tentare di parlargli. Non sapevo se era meglio lasciarlo da solo e
fargli sbollire la rabbia del momento o provare quantomeno ad
avvicinarlo e a dirgli... non ero certa neanche su cosa gli avrei
detto, per cui mi promisi di improvvisare un discorso quantomeno
convincente.
Con mani tremanti riuscii a far
combaciare i ferretti del reggiseno dietro la mia schiena e solo dopo
che fui completamente vestita mi alzai dal letto. Guardai ovunque, ma
non riuscii a trovare i miei stivali e mi ci volle qualche minuto
prima di ricordarmi che li avevo lasciati in camera, da Henry.
Uscii velocemente dalla stanza dell'uomo,
senza preoccuparmi di richiudere la porta, e mi diressi in quella
degli ospiti, dalla quale stava appena uscendo mio figlio,
probabilmente diretto in cucina per la colazione.
« Mamma! » Esclamò sorpreso, vedendomi
mentre gli andavo incontro. Incurvai appena gli angoli della bocca ed
abbassai gli occhi, mentre lasciavo uscire un flebile «
'Giorno »
dalle labbra.
Gli passai davanti decisa a non proferire
parola, ed anche ad indossare delle scarpe visto che non morivo dalla
voglia di restare scalza per il resto della giornata.
« Non hai dormito qui stanotte... »
mormorò il ragazzino, che non era affatto del mio stesso
avviso.
« Mi sono addormentata sul divano »
biascicai la scusa più plausibile accompagnandola con
un'alzata di
spalle. No, di certo non avrei mai rivelato a mio figlio che quella
notte avevo commesso l'errore di finire a letto con Killian, dopo
aver bevuto una bottiglia intera di rum. Diamine, come potevo anche
solo pensare di definire fare l'amore con l'uomo che amavo un
“errore”?
« Ho sentito Killian urlare, poco fa »
continuò Henry, deciso com'era a non lasciarmi chiudere in
me
stessa, deciso a farmi sputare fuori tutto, per aiutarmi, certo,
peccato che, in quella situazione, c'era ben poco che potesse fare.
« Già... mi dispiace se ti ha svegliato
» mormorai, sedendomi sul letto per infilare il primo
stivale, lo
sguardo fisso sulla calzatura, non avevo guardato mio figlio negli
occhi neanche per un secondo e questo non faceva che aumentare il suo
smarrimento, lo sentivo.
« No, ero già sveglio. Solo che... è
successo qualcosa fra di voi? Avete discusso? »
« Diciamo di sì » affermai a malapena,
concentrandomi sul secondo stivale.
« Come mai? »
« Per una sciocchezza Henry, davvero »
sospirai, rizzando la schiena e portando le mani sui fianchi
« cose
da grandi, non devi preoccuparti per questo. Ora scendi a fare
colazione, verrai a Scotland Yard con noi e poi ti
accompagnerò in
aeroporto » conclusi, tornando finalmente a guardarlo, con
fare
deciso.
« Sei sicura che non posso tornare utile
in nessun modo? E non parlo solo dell'indagine » gli sorrisi,
quella
volta sinceramente, e scossi appena il capo un paio di volte.
« No Henry, non puoi aiutarmi purtroppo.
Devo venire a capo di tutto questo da sola » per tutta
risposta, il
ragazzino si avvicinò a me e mi abbracciò forte.
Mi lasciai stringere per qualche istante
da quel figlio che mai avrei pensato di rivedere in vita mia, e che
mi aveva stravolto la vita, non solo metaforicamente. Gli accarezzai
appena il capo pensando alla prima volta che mi aveva abbracciato
senza il minimo preavviso, qualche anno prima.
Mi lasciò andare e si diresse verso lo
zaino che portava praticamente ovunque. Lo osservai mentre vi tirava
fuori il libro che aveva dato inizio a tutto, prima di tornare da me,
porgendomelo.
« Dì un po', dopo tutto questo tempo ti
ostini ancora a portarlo ovunque, eh?! » Mormorai ironica,
mentre lo
prendevo e lo appoggiavo appena sulle mie ginocchia.
« Voglio che lo tenga tu, fino a quando
questa assurda avventura non sarà finita »
“se finirà
mai” mi ritrovai a pensare, mordendomi il labbro inferiore e
osservando la copertina di quel vecchio volume di favole «
può
tornarti utile. Non solo per il caso. »
Henry e il suo libro. Non importava quale
fosse il problema, era sempre convinto che lì dentro ci
fosse la
soluzione e il bello era che aveva anche ragione.
Lo lasciai scendere a fare colazione,
mentre io rimasi seduta su quel letto, a fissare la porta di legno
chiusa. Tutto d'un tratto non avevo più il coraggio di
affrontare
Killian, non volevo raggiungerlo, al piano di sotto, non volevo
discutere, ma sapevo anche che la tensione fra noi non sarebbe
scomparsa dal nulla, necessitavamo di parlarne, di chiarire, di... in
realtà non sapevo neanche di cosa avevamo bisogno, io
sicuramente di
averlo vicino, ma quella era un'altra storia.
Non mi ero mai ritrovata in una
situazione del genere, dovevo andare da lui e scusarmi? Una cosa
come: “ehi, mi dispiace di essere venuta a letto con te, non
succederà più. Amici come prima?” No,
sicuramente non mi sarei
scusata per essermi lasciata trasportare, quella notte, e di averlo
amato senza alcun freno. E poi certe cose si fanno in due, entrambi
eravamo stati trascinati dall'alcool, non poteva addossare a me
l'intera colpa.
Mh, la mia mente era un ammasso di
pensieri, anche contraddittori e incoerenti fra loro, e, sommato al
mal di testa post sbornia, l'unico desiderio che ne scaturiva era
quello di stendermi e chiudere gli occhi per qualche istante. Cosa
che feci, per due minuti, solamente per due minuti. O almeno
così mi
sembrarono.
Quando aprii gli occhi, disturbata dal
suono di un clacson, nel cortile, lo sguardo andò subito
alla
sveglia sul mio comodino e, con sorpresa, scoprii di aver dormito per
un'oretta e mezza buona. Mi alzai velocemente, massaggiandomi poi gli
occhi con la mano destra, la sinistra puntata sul materasso morbido
per darmi la spinta.
« Mamma, stiamo andando via! » La voce
di Henry, infondo alle scale, mi raggiunse più forte di
quanto
avrebbe fatto normalmente, segno che quel misero pisolino non aveva
dato gli effetti sperati anzi, se possibile, aveva alimentato ancora
di più il dolore che adesso partiva da entrambe le tempie.
Nonostante questo, afferrai il libro di
Henry e lo raggiunsi al piano di sotto, avrei preso qualcosa per il
mal di testa una volta arrivati a Scotland Yard, o non sarei
sopravvissuta per un'intera giornata. Davanti alla porta vi trovai
Killian, intento a indossare la sua giacca e a coprirsi come meglio
poteva: quella mattina le temperature erano più basse del
solito.
Non c'era traccia di Henry, probabilmente già era salito
nella
macchina di Rose.
« Killian » lo chiamai, non avevo
ancora trovato le giuste parole da dirgli, ma non volevo comunque
perdere tempo. Quello mi ignorò, spalancò la
porta e fece per
uscire, ma io glielo impedii, afferrandolo per il braccio sinistro e
facendolo voltare prepotentemente verso di me, dopo aver corso gli
ultimi gradini che mi rimanevano « non possiamo evitare il
discorso
per sempre » affermai.
« Io invece credo di sì »
esclamò
lui, gelido quanto il vento che ci stava raggiungendo sull'uscio. Si
voltò e lo afferrai ancora, alzò gli occhi al
cielo.
« Dobbiamo parlarne. Quello che è
successo... insomma... » ecco, continuavo a non sapere cosa
dire,
ero pessima nei discorsi, non ero come i miei genitori che sapevano
trovare sempre le parole giuste, non ero come Killian che sapeva
sempre come rincuorarmi, e mi maledissi per questo « la
situazione è
complicata. Noi due... e poi c'è Rose... » l'altro
mi bloccò
all'istante.
« Noi due? Non c'è nessun noi,
Emma, mi hai capito?! » Esclamò, mettendo, in
quelle parole, più
rabbia di quanto già non ce ne fosse bisogno. « E
non mettere in
mezzo Rose, soprattutto non credere di farne mai parola con lei, anzi
non voglio più parlare di quello che è successo
questa notte. E'
stato un errore, un pessimo errore, ne converrai con me, immagino
»
ammutolii, se si aspettava una risposta sicuramente non gliela avrei
data, non in quel momento « sappiamo entrambi che se non ci
fosse
stato il rum di mezzo non sarebbe successo niente questa notte, per
questo non voglio più parlare di questa storia »
detto questo si
voltò e si diresse verso l'auto.
Quella volta non lo fermai, troppo
impegnata a ragionare sul senso delle sue parole. Vidi Rose, al
volante, ci osservava e mi fulminava, probabilmente aveva assistito
alla scena, anche se non poteva udire le nostre parole dalla distanza
in cui si trovava. Non mi importava di lei, sinceramente. Salii in
macchina senza parlare, un unico pensiero mi vagava per la mente: non
mi aveva incolpato di nulla, aveva dato la colpa al rum e,
probabilmente, anche a se stesso, ma non a me, e questo era
già
qualcosa.
Arrivati a Scotland Yard Killian filò
dritto nel suo ufficio, chiudendo la porta alle sue spalle.
« Oh, qualcuno è nervoso di prima
mattina » sentii mormorare Phoebe, rivolta probabilmente a
tutti e a
nessuno, mentre con Henry le passavo accanto, diretta a una scrivania
vuota, visto che era chiaro come il sole che non mi voleva tra i
piedi.
Mi sedei davanti a Henry e subito aprii
il suo libro, iniziando a sfogliarlo. Trovai la storia di Cenerentola
e quella di Cappuccetto Rosso, mi imbattei poi in quella di
Biancaneve e, rapida, girai le pagine fino ad arrivare al capitolo in
cui aveva deciso di dimenticarsi di mio padre. Non era stato facile
per lui, così come non lo era stato per mia madre,
mentirgli, mentre
lo guardava negli occhi e gli diceva che in realtà non lo
amava.
Mi domandai se fosse nel nostro DNA,
soffrire e lottare per amore, dovevo ricordarmi di ringraziarli per
questo, una volta tornata a Storybrooke.
Sfogliai ancora altre pagine e sorrisi
istintivamente ritrovandomi davanti alla festa di fidanzamento tra
mio padre e la figlia di Re Mida. Voltai quindi la pagina ed eccomi,
eccoci, io e Killian. Vedermi su quel libro mi faceva ancora uno
strano effetto, quella sera era successo di tutto, ma più di
ogni
altra cosa mi ero divertita a ballare e a lasciarmi guidare dal
pirata. Ero molto legata ai ricordi di quel viaggio perché
mi aveva
aiutato a far luce sui miei sentimenti.
Passai istintivamente la mano su quella
pagina, sorrisi ancora senza rendermene conto.
Pensai a quante cose fossero successe, da
allora, a dove eravamo finiti. Immagini di quello che era successo
ore prima mi riempirono la mente. Chiusi gli occhi e mi persi in quei
pensieri.
Non potevo dirmi veramente pentita di
quello che era successo, era stata una delle notti più belle
della
mia vita, neanche l'alcool era riuscito a rovinarla, anzi, dovevo
anche ringraziarlo per avercela fatta vivere. Le sensazioni che avevo
provato, e che sentivo ancora sulla pelle, erano quasi surreali, mai
provate prima.
Pensare che era stato lui a baciarmi e a
dare inizio a tutto.
Sgranai improvvisamente gli occhi,
stupendomi del mio stesso pensiero. Mi era appena tornato in mente
quel dettaglio, ricordavo come non facevamo altro che ridere sopra il
suo letto e, non appena entrambi ci eravamo calmati, lui si era
slanciato in avanti, verso di me, e aveva posato, volontariamente, le
sue labbra sulle mie.
Come reagire a quel fatto? Sicuramente
non era una cosa negativa, stava a significare che c'era ancora
qualcosa che lo portava da me, ora ne avevo l'assoluta certezza. A
bloccare Killian ad aprirsi non era il suo cuore, la sua anima era
ancora legata alla mia, ma il suo cervello, la sua mente, erano i
suoi pensieri a dirgli quanto fosse sbagliato lasciarsi andare.
Dovevo abbattere quel muro, come lui aveva abbattuto il mio.
Chiusi il libro e guardai Henry, intento
a scrivere qualcosa su un blocchetto. Alle sue spalle, invece, il
grande orologio da parete mi ricordò che il suo volo partiva
fra
circa tre ore, che l'autobus sarebbe passato fra una mezz'oretta e
che ci avrebbe portato all'aeroporto dopo un'ora di viaggio o poco
più.
« Meglio sbrigarsi, ragazzino »
esclamai ad un tratto, alzandomi e prendendo subito il libro
«
rischiamo di perdere l'autobus. Saluta tutti, ti aspetto fuori.
»
Prima di uscire mi avvicinai, però, a
Jack e Phoebe, per informarli del fatto che sarei stata fuori diverse
ore, ma che erano comunque liberi, o meglio obbligati, di chiamarmi
se fossero sorte delle novità di qualsiasi genere.
Aspettai quindi che mio figlio mi
raggiungesse, infilai il vecchio libro di favole dentro una borsa
–
non avevo la minima intenzione di andare in giro con quel pesante
volume in mano – ed insieme uscimmo da Scotland Yard. Proprio
all'uscita, quasi andai a sbattere contro un uomo, vestito elegante,
cappello sulla testa, occhiali che gli conferivano una certa aria
intellettuale e un ghigno autoritario, chiesi scusa e passai oltre,
notando poi Rose trovare un posto per parcheggiare la sua auto poco
lontano. Mi guardai intorno, chiedendomi se potevo tornare utile in
qualche modo, ma alla fine mi dissi che in caso mi avrebbero
chiamata.
La fermata dell'autobus non era molto
lontana dalla stazione di polizia, così dopo una manciata di
minuti
già ci trovavamo seduti su una panca ad aspettare, poche ore
e
almeno Henry sarebbe stato al sicuro, a casa. Sospirai sollevata a
quel pensiero.
« Non vuoi proprio dirmi come mai Hook è
tanto arrabbiato? » Esordì a un tratto,
interrompendo quel silenzio
che cercavo appena di godermi, immaginando cosa sarebbe successo una
volta tornata a casa. « Non credo di averlo mai visto
così
pensieroso, neanche dopo tutta la storia di Gold e del cappello
magico. »
« Pensieroso? » Domandai, sviando per
un attimo la prima domanda del ragazzino, cercando di nascondere come
meglio potevo le guance che si erano appena colorate di rosso.
« Sì, o almeno così mi è
parso quando
sono andato a salutarlo nel suo ufficio. Era talmente preso nei suoi
pensieri che ci ha messo un po' ad accorgersi della mia presenza.
»
« Ah. »
« E poi c'è stato il litigio di questa
mattina. O meglio, i litigi, visto che io e Rose, dalla macchina, vi
abbiamo visti discutere... insomma, cosa c'è che non va?
» Lo
guardai con la coda dell'occhio, restando in silenzio. Era ovvio che
non potevo dire a mio figlio cosa fosse realmente
successo tra
me e Killian, ma ormai era palese il fatto che avesse intuito
qualcosa. « Cos'è successo fra di voi? »
Provò ancora.
« Ecco, noi... » cominciai a dire,
bloccandomi subito. Noi cosa? Cosa potevo dirgli? « Lui...
» tentai
nuovamente di dire qualcosa, voltandomi a guardarlo ma lasciando la
frase in sospeso, forse troppo a lungo « lui mi ha baciata
»
biascicai alla fine, puntando a una mezza verità «
lui mi ha
baciata. Ieri notte ci siamo baciati di nuovo » mi vergognai
immensamente, per questo tornai a guardare la strada in fretta e
furia.
« Ma è fantastico! » Esclamò,
come
avevo immaginato.
« Non saprei » feci io, smorzando
appena il suo entusiasmo « avevamo bevuto molto, non so
quanto possa
contare. »
« Ma è stato comunque lui a baciarti,
no? » Annuii appena e gli sorrisi.
Nessuno dei due poté aggiungere altro,
però, per via del mio cellulare che prese a suonare senza
sosta. Lo
tirai fuori dalla tasca, mi scusai col ragazzo e mi allontanai di
pochi passi.
« Pronto? »
« Swan! » Era Killian, la sua voce
indecifrabile, non lasciava trasparire niente. Mi bloccai sul posto
piuttosto sorpresa, tanto che nemmeno gli risposi. « Swan?
Sei
ancora in linea? »
« Oh.. s-sì, sì! » Mi
ridestai «
Cosa succede? »
« Devi raggiungermi qui in ufficio. »
« Riguarda il caso? Killian, sto
accompagnando Henry all'aeroporto, ci vorranno un paio d'ore
probabilmente, forse qualcosa in più, possiamo parlarne a
casa se
non è una cosa impor- »
« Vieni a Scotland Yard » mi bloccò
«
immediatamente. » Riagganciò.
Restai interdetta per un po', la bocca
ancora semi aperta per via di quello scambio di battute telefoniche
interrotto così improvvisamente quanto era cominciato.
Doveva essere
successo qualcosa di grave, di terribile e avevano bisogno di me, ma
dall'altra parte c'era Henry, non potevo lasciarlo da solo.
« Cosa succede? » Mi domandò subito,
senza quasi darmi il tempo di raggiungerlo.
« Era Killian » lo informai, anche se
probabilmente mi aveva sentito pronunciare il suo nome poco prima
«
mi ha detto di raggiungerlo a Scotland Yard » aggiunsi,
alzando
appena le spalle.
« E cosa stai aspettando, scusa? »
Ribatté lui, con la sua solita naturalezza. Strabuzzai gli
occhi.
« Come? » Domandai piuttosto allibita,
non poteva davvero credere che lo avrei lasciato lì per
tornarmene
da Killian e gli altri.
« Avevi detto che in caso di urgenza
avrebbero potuto e dovuto chiamarti e così è
stato. Hook sa che sto
per tornare a casa e che tu mi stai accompagnando in aeroporto, se ti
vuole lì evidentemente è successo qualcosa, o si
tratta comunque di
una cosa importante » sentenziò, provando a
toccare diversi tasti
per convincermi.
« Sì, ma Henry... » provai, ma venni
nuovamente interrotta – mi stava succedendo fin troppe volte
quel
giorno, per i miei gusti –.
« Va tutto bene, devo solo prendere un
autobus. »
« E un aereo » puntualizzai.
« Sono tutte cose che ho già fatto
prima. O credi forse che salirò sul volo sbagliato e
finirò in
qualche frazione sperduta dell'Artide? » Scherzò,
facendomi
sorridere sinceramente.
« No, certo che no. Solo che... »
sapevo quanto quel ragazzino fosse in gamba, bastava pensare che
solamente a dieci anni era scappato di casa per trovarmi, e che ce
l'aveva anche fatta, riuscendo a rintracciarmi senza troppi problemi
in una città grande come Boston.
Sospirai, il bus sarebbe passato a
momenti e lo avrebbe lasciato esattamente davanti l'aeroporto, una
volta lì doveva solamente prendere l'aereo e una volta
atterrato ci
sarebbero stati Regina, in primis, e, conoscendoli, i miei genitori
ad accoglierlo. Eppure c'era qualcosa che mi frenava e che mi
suggeriva di restare con lui, ma con ogni probabilità era
tutto
frutto di preoccupazioni nate per il sortilegio e per l'Operazione
Grimm.
Aprii le braccia, sconfitta, pronta ad
abbracciarlo, cosa che non si fece ripetere due volte.
« Ci vediamo presto » disse, a mo' di
saluto. Mi trattenni dal rispondere “lo spero”,
mentre lo
lasciavo andare.
« Fai il bravo » mi raccomandai, anche
se sapevo che non ce ne fosse bisogno.
« Certo, e tu tienici informati su
tutto, ma soprattutto su Killian. »
« Lo farò » affermai, seppur entrambi
sapevamo che non lo avrei fatto per non preoccuparli o farli agitare
troppo « chiamami appena arrivi. »
Mi abbracciò un'ultima volta e poi lo
lasciai lì, in quella triste fermata, seppur a malincuore.
Mi odiavo
per quello che avevo appena fatto e se quello che aveva da dirmi
Killian non sarebbe stato della massima importanza lo avrei mandato
al diavolo senza troppi problemi, quella volta.
Una volta arrivata a Scotland Yard non
potei fare a meno di notare come mi stessero osservando tutti,
arricciai il naso pur cercando di avanzare in maniera tranquilla,
facendo di tutto per ignorare i vari poliziotti. Notai poi la squadra
di Killian tutta riunita in disparte, così mi avvicinai a
loro alla
svelta.
« Ragazzi » esclamai richiamando la
loro attenzione, parlavano in maniera tanto animata che, almeno loro,
non si erano resi conto del mio arrivo. Si girarono tutti e quattro a
guardarmi, le espressioni sconcertate, quella dei gemelli era anche
piuttosto dura « ma che succede? » Domandai
preoccupata,
cominciando a pensare a cosa potesse essere successo di tanto
orribile.
« Killian è dentro » Jack
parlò per
tutti, indicando l'ufficio di Killian, come sempre la porta era
chiusa.
Decisi di ignorare anche loro e bussai
sulla porta, l'uomo mormorò un « Avanti
» ed entrai nella stanza.
Killian non era da solo, ma la sua espressione nervosa fu la prima ad
accogliermi. Dall'altra parte della stanza c'era Rose, la guardai
senza preoccuparmi di nascondere il mio stupore, lei aveva tutto un
altro lavoro quindi non capivo il motivo della sua presenza,
così
come non mi spiegavo quel suo sguardo inquisitorio puntato su di me.
Infine c'era un terzo uomo, mi sembrava di averlo già visto
prima.
Lo osservai meglio e mi ricordai del signore al quale ero quasi
andata addosso mentre lasciavo la centrale insieme a Henry.
« Emma, conosci quest'uomo? » Killian
fu il primo a parlare, in piedi dietro la sua scrivania, la mano
destra poggiata su di essa e il busto appena sporto in avanti. Non mi
guardava, non guardava nessuno di noi in effetti, si limitò
a
indicarmi l'uomo con un cenno del capo.
« Ehm, sì » affermai incerta «
ci
siamo incontrati, o per meglio dire scontrati, prima, proprio qui
fuori » conclusi.
Killian sospirò, Rose alle mie spalle,
invece, si lasciò scappare un risolino, volontariamente
aggiungerei,
o forse era stata solo una mia impressione.
« Si può sapere cosa succede? »
Domandai a quel punto, nessuno si decideva a spiegarmi la situazione
e io mi stavo spazientendo, non avevo di certo lasciato Henry da solo
per perdere tempo a guardare la parete.
« Spiego io, se non è un problema » si
fece avanti Rose, guardai Killian che non fece niente per impedirle
di parlare, così la ragazza continuò, ma si
rivolse direttamente
allo sconosciuto « lei è la ragazza di cui ti ho
parlato per
telefono, la signorina Swan » alzai gli occhi al cielo quando
mi
apostrofò in quel modo, era una cosa che mi aveva sempre
dato
fastidio « ebbene, la conosci? Sei stato tu a farla venire
qui? »
Continuavo a capirci sempre meno, aggrottai la fronte e strizzai gli
occhi, le braccia incrociate sul petto, mentre osservavo Rose
destreggiarsi, o meglio improvvisarsi, come un avvocato in tribunale,
che elenca i capi di accusa.
« No, è la prima volta che la vedo in
vita mia » rispose quello, lo sguardo duro e gli occhi scuri.
« Sentite, continuo a capirci sempre
meno » mormorai.
« Oh scusa se non mi sono spiegata bene
» esclamò l'altra, con un tono così
finto da far invidia alle
lasagne surgelate di Granny « lui è un caro amico
di mio padre,
l'ho chiamato ieri sera per via del matrimonio » trattenni il
respiro involontariamente alla parola “matrimonio”
e lo rilasciai
subito dopo senza neanche accorgermene « ma soprattutto, lui
è il
vostro capo, o forse dovrei dire il loro? » Rimasi senza
parole
mentre sentivo il cuore cominciare a battere allarmato, le pulsazioni
fino in gola.
« Mont..gomery? » Domandai incerta,
mentre il mio sguardo passava da Rose allo sconosciuto, dallo
sconosciuto a Killian che, nel frattempo, scuoteva il capo
sconsolato, prima di alzarlo finalmente e di guardarmi negli occhi.
Dentro vi lessi soltanto delusione. « Killian... lascia che
ti
spieghi, non è come pensi » mi ritrovai ad
esclamare a raffica, le
classiche frasi fatte, Dio, io odiavo le frasi fatte, non potevo
credere che mi sarei mai ritrovata a pronunciarle. Ignorai gli altri
due, non mi importava di loro, potevano pensare di me quello che
volevano, l'unico con cui dovevo scusarmi era Killian, al quale avevo
mentito, su più punti ad essere onesti, ma lo avevo fatto
per
proteggere me e in un certo senso anche lui.
« Oh, e cosa c'è da spiegare, signorina
Swan? » Rose si mise in mezzo, autoproclamandosi come
l'eroina che
salva la situazione dall'imbrogliona di turno.
« Rose fatti da parte » affermai decisa
« non è una questione che ti riguarda, non sei
neanche della
polizia. »
« Ah, perché tu sì?! »
« Signorina Swan » Montgomery prese la
parola e interruppe quel battibecco fra noi rimandato forse da tempo.
L'atmosfera si fece quasi più cupa, non avevo mai pensato a
questa
eventualità, anzi adesso temevo che ci potessero essere
anche
conseguenze legali. Insomma, non ero un'esperta di legge, ma non
credevo che fosse nella norma spacciarsi per qualcun altro ed entrare
in una squadra di Scotland Yard come se niente fosse « in
tutti i
miei anni di carriera non mi sono mai ritrovato davanti a una
situazione simile. Mai. Improvvisarsi un'agente? Ma dico, è
impazzita?! Potrei sbatterla in prigione per molto meno e dovrei
proprio prendere dei provvedimenti per questa sua pazzia »
ormai ero
fritta, le gambe non smettevano più di tremare «
ma il signor Jones
mi ha convinto a lasciare stare » il respiro mi si
regolarizzò e
tornai a guardare Killian, ma lui era voltato nuovamente da un'altra
parte « a quanto pare si è rivelata
inaspettatamente utile
all'Operazione Grimm... ma che sia chiaro, non dovrà mai
più
mettere piede qua dentro, non voglio mai più vederla.»
Capii poco e niente di quel discorso, non
mi interessava un accidente di Scotland Yard, né di essere
utile o
meno all'indagine, volevo solamente che Killian mi parlasse, poteva
anche sbraitarmi contro e urlare tutta la sua ira, e invece se ne
restava in silenzio, come se tutto quello non lo riguardasse.
« Killian » lo chiamai, beccandomi una
fulminata sia da Rose che da Montgomery, probabilmente il secondo
aveva capito che non mi importava niente di quello che mi aveva
detto.
« Lasciateci soli » mormorò ad un
tratto l'ex pirata. Il respiro mi si regolarizzò, forse non
era
tutto perduto. Rose fece qualche storia, ma alla fine seguì
a ruota
l'uomo giunto a Londra solo per rovinarmi la vita e ci
lasciò soli.
« Ascolta, Killian, mi dispiace... »
« No, no, no. Adesso parlo io » sbottò
tutto d'un colpo, facendomi ammutolire « Cosa vuole
esattamente da
me, signorina Swan? » Accigliai lo sguardo.
« Cosa? Cosa sono tutte queste
formalità? Sono io... non volevo piombare a Scotland Yard,
né
volevo metterti nei guai con il tuo capo, solo... »
« Solo che cosa? Sai cosa mi aveva
detto, Rose, questa mattina, quando tuo figlio si era allontanato per
chiamarti? » Domanda retorica, restai in silenzio ad
osservare quei
suoi bellissimi occhi che sembravano freddi come il ghiaccio e
aspettai che continuasse. « Mi aveva avvertito che Montgomery
non
aveva chiesto a nessuna Emma Swan di aiutarci con il caso, ma che al
contrario aveva contattato un certo O'Malley dall'Irlanda, che
però
aveva rifiutato. “Cosa vuoi che sia?” le ho
risposto.
Incredibile, vero? » Accennò una risata
così glaciale che percepii
dei brividi lungo il braccio sinistro « Mi fidavo di te,
Emma. Mi
sono detto “okay, non è la persona che ci ha
mandato Montgomery,
ma è comunque un'agente qualificata”. »
« Mi dispiace... » provai, pensando che
avesse finito, ma a quanto pareva era solo l'inizio.
« Prima, invece, Rose è venuta da me.
Con questi » tirò fuori dei fogli dal suo cassetto
e li buttò
sulla sua scrivania, davanti a me « sai cosa sono?
» Domandò
sarcasticamente, io scossi il capo. « Prendili, leggili pure
» non
lo avevo mai visto così furioso, mi ero preoccupata tanto
della
reazione di un bacio, ora tutte le nostre precedenti discussioni
sembravano così futili.
Presi i fogli e cominciai a sfogliarli.
Erano tutti fascicoli su di me, veniva riportata ogni cosa, tutta la
mia vita prima di Storybrooke. Anche i furti e la prigione. Spalancai
la bocca incredula, non potevo credere che Rose si fosse messa ad
indagare su di me solo per mettermi fuorigioco, e soprattutto era
assurdo che fosse riuscita a scovare tutte quelle cose in
così poco
tempo.
« Si può sapere chi diavolo sei? Spunti
nella mia vita all'improvviso, dici di essere uno sceriffo e poi
scopro questo? Sei una ladra? Ti hanno messa dietro le sbarre? Ti ho
fatta entrare in casa mia, ti ho accolta decidendo di fidarmi di te e
poi vengo a sapere che sei una specie di fuorilegge? »
« Non sono una fuorilegge » esclamai
indignata, poi da chi veniva la predica. Certo, non poteva ricordare
della sua vita da pirata, ma era comunque assurdo sentire certe
accuse da lui.
« E Storybrooke nemmeno esiste, c'è un
aspetto della tua vita sul quale non hai mentito? »
« Storybrooke esiste » ribattei
con fermezza.
« Ah, sì? E allora come mai non compare
in nessuna cartina? »
“Perché è stata creata con un
sortilegio” pensai, alzando un sopracciglio e
abbassando lo
sguardo. Restai in silenzio, non sapendo bene come reagire, cosa che
però mi faceva sembrare ancora più colpevole.
« Come immaginavo » mormorò «
Allora,
torniamo alla domanda iniziale: cosa vuoi da me? Come mi hai trovato?
Perché hai fatto di tutto per avvicinarmi? Insomma, cosa
volevi
fare? »
« Volevo solo che tu ti ricordassi di me
» risposi sorridendo amaramente. Lui se la rise e
cominciò a
camminare per la stanza.
« Non ci posso credere. E' sempre più
ridicolo. Il mio lavoro e il mio fidanzamento rischiano di andare
all'aria perché tu volevi solo che mi ricordassi di te
» rise
ancora.
« Ascoltami, tutto quello che ho fatto
da quando ho preso quel maledettissimo aereo per Londra, l'ho fatto
per te. C'è una verità più grande di
questa, ma non posso dirtela,
non ancora. Non sei ancora pronto. E ti giuro, ti giuro che odio
doverti nascondere tutto, odio mentirti e mentirti ancora, inventare
le menzogne più stupide, ma lo faccio per te » ci
scrutammo negli
occhi per una frazione di tempo interminabile, io cercavo di
comunicargli fiducia, lui cercava di comprendere se fossi solo pazza
o se credermi « quando sarai pronto ti rivelerò
ogni cosa, ma devi
fidarti di me. »
« Come puoi chiedermelo? » Sbottò
ancora « Ho dimostrato di fidarmi di te più volte,
mi pare, e come
mi hai ripagato? Come?! » Mi urlò a pochi
centimetri dalla faccia.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, così inghiottii
cominciando a
sentire il groppo alla gola. Si allontanò di nuovo, poi
tornò a
guardarmi. « Ti ripeto quello che ti ho detto questa mattina:
non
voglio vederti. Non voglio vederti mai più. »
« Killian, ti prego... » tentai,
muovendo un passo verso di lui.
« Mai - più » gridò rabbioso,
facendomi indietreggiare di colpo. Un singhiozzo uscì dalla
mia
bocca, lo interpretai come il segnale che mi serviva per lasciare
quella stanza.
Scappai, letteralmente, fuori
dall'ufficio di Killian, passai davanti una soddisfatta Rose e un
serio Montgomery, corsi via da dei Thomas e Henry sorpresi e da una
Phoebe sconcertata, mi allontanai alla svelta da un Jack che
cercò
di trattenermi e uscii all'esterno.
Mi allontanai il più possibile fino a
quando non crollai su una panchina vuota. Mi presi la testa fra le
mani e cominciai a piangere silenziosamente, coperta dai miei lunghi
capelli biondi. Avevo perso tutto: la fiducia dell'uomo che amavo,
già duramente guadagnata in una decina di giorni, una casa,
un modo
per stargli vicino. Tra l'altro Henry era partito e io mi ritrovavo
completamente sola, come non mi accadeva già da molto tempo.
Sembrarono passate delle ore, prima che
qualcuno mi si avvicinò.
« Tu... tu sei la Salvatrice. »
Angolo
dell'Autrice: Salve
a tutti! Non credo di avervelo detto, quindi buon anno nuovo! (Con 12
giorni di ritardo ma dettagli) Contavo di aggiornare durante le
feste, ma da Natale in poi non ho praticamente scritto nulla, ho
solamente mangiato, per cui perdonatemi ):
Tornando
alla storia, spero che abbiate apprezzato il flashback iniziale ;) se
non sono stata chiara, la loro notte di passione ha fatto riemergere
in Killian quel ricordo, anche se sotto forma di sogno. Ammetto che
mi sono divertita molto a scrivere quella parte!
Ma una
volta svegli tutti i sogni si infrangono e bisogna fare i conti con
la realtà. Emma si sente in colpa perché crede di
aver rovinato
tutto, ma non è pentita di essersi lasciata andare con
l'uomo che
ama (nb: diamo per scontato che qualcosa tra loro è successa
anche a
Storybrooke, non vorrei mai che la loro prima volta avvenga da
ubriachi D:), Killian invece si sente incredibilmente uno schifo,
è
confuso e sconvolto per diversi motivi: primo fra tutti Rose e il
matrimonio, e poi per Emma, perché comincia a sentirsi
indissolubilmente legato a lei.
Ma
purtroppo Rose in questo capitolo parte alla carica e, sentendosi
minacciata dalla nostra Swan, comincia a cercare informazioni su di
lei e sul suo passato, approfittando anche di Montgomery,
distruggendo Emma e, forse, ogni progresso da lei fatto in meno di
due settimane. Killian ovviamente è arrabbiato e deluso, si
era
fidato di lei ed è stato ripagato solamente con delle
menzogne.
E
infine la frase finale... chi sarà a pronunciarla? Ammetto
che
questo è un po' un azzardo, pensato negli ultimi giorni,
spero che
vi piacerà, una volta scoperto tutto.
La
situazione non è facile, lo so. Una piccola precisazione: il
titolo
del capitolo significa “la verità verrà
fuori”, a quanto ho
capito è un modo inglese per dire “le bugie hanno
le gambe corte”.
Invece un piccolo spoiler: siamo davvero molto vicini a scoprire
l'identità dei Grimm, sono troppo emozionata!
Mi
rendo conto che questa storia è sempre più
#mainagioia D: mi andava
di informarmi che ne sto scrivendo una sui CaptainSwan decisamente
più leggera, comincerò a postarla una volta
finita questa ;) vi
dimostrerò che sono capace di non far soffrire Emma ogni due
capitoli ahaha
Detto
questo, grazie mille per tutte le recensioni, per chi segue questa
storia dall'inizio e per chi l'ha scoperta solo da poco :) se vi va,
fate un salto a leggere le mie one shot (Anime
Dannate e Merry
Christmas, Captain Hook, ve le linkerei ma non sono capace).
Detto
questo vi saluto, vi mando un abbraccio :)
Sà
|
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Capitolo 14 *** Serendipity ***
14.
Serendipity *
Mi
si mozzò il fiato.
Quattro
parole. Erano bastate quattro semplici parole a sconvolgermi. Quattro
parole e una voce, certo.
Sgranai
gli occhi non appena la sentii, non che fosse una cosa possibile da
vedere, avevo ancora le mani sul viso e i capelli sulla faccia a
coprirmi. Spalancai la bocca ma non parlai. Me ne restai immobile,
ferma in quella posizione che mi faceva apparire tanto disperata
–
beh, infondo lo ero davvero – e muta, come se non bastasse, e
tutto
questo solo per verificare di aver sentito bene, che fosse successo
nella realtà e non nella mia mente.
Avevo
riconosciuto quella voce, come poteva essere diversamente, del resto?
E proprio perché l'avevo riconosciuta continuavo a ripetermi
che non
fosse vero, che in realtà la discussione con Killian mi
aveva
sconvolta a tal punto da farmi immaginare le cose.
Insomma,
era così inverosimile che qualcuno in quella
città mi conoscesse, o
meglio, che conoscesse la Salvatrice e la sua storia. Forse si
trattava di un malinteso. Forse non aveva detto
“Salvatrice”
ma... “approfittatrice”? Okay, se ero arrivata a
dare una
spiegazione del genere, voleva dire soltanto che, sì, ero
impazzita
del tutto.
Sospirai
scoraggiata, ma poi mi resi conto che nessuno aveva parlato nell'arco
di una manciata di minuti. Magari mi ero davvero immaginata tutto,
anche se non sapevo se esserne sollevata o meno.
«
Swan! » Mi sentii chiamare.
Ancora
quella voce, allora avevo sentito bene, maledizione!
Mi
strofinai appena gli occhi e cercai di asciugarmi il viso, ancora
bagnato per via delle lacrime, come meglio potevo. Le poggiai sulle
ginocchia e aspettai ancora qualche secondo. Non sapevo come dover
reagire, o come affrontare la situazione, speravo solo di inventarmi
qualcosa sul momento. Mi alzai piano e mi girai lentamente,
chiedendomi se quella fosse la giornata mondiale della
verità,
perché mi sembrava assurdo come nel giro di poco ogni cosa
che avevo
tentato di nascondere era comunque venuta a galla.
Mi
ritrovai faccia a faccia con la mia interlocutrice, non mi ero
sbagliata, avevo riconosciuto davvero la sua voce e mi morsi la
lingua per fermarmi dal chiederle come fosse possibile che conoscesse la
Salvatrice.
«
Phoebe » mormorai, senza un vero motivo. Era un saluto? Mh,
no, non
lo era. Usai un tono come a volerle dire “Che diavolo ci fai
qui?”
ma che in realtà stava a significare “Come diavolo
sai di me?”
La
donna non mi rispose, fantastico. Arrivava di soppiatto, buttava
lì
una frase, mi sconvolgeva totalmente e poi se ne rimaneva in
silenzio. Davvero fantastico. Continuava a scrutarmi dall'alto in
basso, e a scuotere la testa di tanto in tanto. Forse era
più
sconvolta di me. Forse.
Fece
un passo in avanti, ma io mi ritrassi subito, istintivamente. Non
sapevo perché mi stessi comportando in quel modo, ero
davvero
ridicola.
«
Ascoltami Phoebe, mi dispiace di avervi ingannato. Immagino che siate
tutti furibondi per la storia di Montgomery, poi non so che altro vi
abbia raccontato Killian, ma... »
«
Oh » mi bloccò « al diavolo Montgomery e
al diavolo Jones! »
Questa volta fui io a scrutarla dall'alto in basso, e notai quanto
fosse nervosa, sembrava in procinto di scoppiare da un momento
all'altro. « Tu... tu sei la Salvatrice! »
Ripeté ancora,
incredula, quasi urlandolo.
Portai
subito le mani in avanti e le mossi verso il basso, di getto,
intimandole in quel modo di abbassare la voce, non che gli abitanti
di Londra potessero prenderci sul serio o sapessero qualcosa, ma
preferivo essere prudente.
«
Ti prego, non urlare » la pregai, chinando appena lo sguardo
« tu
sai? » Le domandai a conferma, non che ce
ne fosse realmente
bisogno visto che mi sembrava abbastanza chiaro.
L'altra
annuì incerta, senza rispondere. Mi portai d'impulso una
mano sulla
fronte, chiudendo gli occhi per un istante. Quando li riaprii Phoebe
era ancora lì, non che sperassi che scomparisse
all'improvviso,
ferma a torturarsi le mani, rigirandosele fra loro. Mi fece quasi
tenerezza, per la prima volta da quando l'avevo conosciuta, mi
sembrava quasi spaventata.
«
Senti, posso spiegarti tutto, » mi pentii subito di aver
affermato
quelle parole: la conoscevo a malapena e durante il mio soggiorno non
si era mai dimostrata così aperta nei miei confronti, quindi
non
sapevo se potevo fidarmi di lei, anzi, ad esserne sincera ne
dubitavo, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che mi spingeva a
raccontarle tutto, come se mi capisse o mi appoggiasse «
più o meno
» decisi di correggermi, almeno per il momento «
solo che questo
non mi sembra il luogo adatto, capisci? » Feci, guardandomi
intorno,
e agitando appena le mani e le braccia, nervosa.
Non
me la sentivo di parlare all'aperto, tutta quella situazione
continuava a friggermi il cervello, tanto che cominciavo a temere che
gli alberi alle mie spalle potessero sentire, parlare e muoversi come
quelli che avevo visto ne Il signore degli anelli.
« Sì » annuì la ragazza,
emergendo
dal suo apparente stato di trance e annuendo copiosamente «
sì, hai
ragione. Ehm, andiamo a casa mia, abito da sola e non ci
disturberà
nessuno. Ho la macchina parcheggiata a un isolato da qui. »
Nessuna di noi due fiatò per tutto il
tragitto, Phoebe, in auto, arrivò ad accendere la radio a
metà
strada, per via della tensione che vi regnava. Le fui grata per quel
gesto, le note di qualche vecchia canzone riuscirono a
tranquillizzarmi un po'. Per tutto il viaggio, a quanto pareva la
ragazza viveva in un appartamento lontano dal centro della
città,
più o meno un quarto d'ora con la macchina, socchiusi appena
gli
occhi e mi lasciai cullare dalla musica. Per un istante riuscii anche
a dimenticare la discussione avuta con Killian, ma solo per un
istante, poi le sue parole, la sua rabbia, la sua delusione nei miei
confronti tornarono a riempirmi la mente. Riaprii gli occhi e mi
concentrai sulla strada.
Phoebe parcheggiò davanti un vecchio
palazzo di, se la vista non mi ingannava, sei piani. Sperai
automaticamente che ci fosse l'ascensore e che non fossi costretta a
salire tante scale.
« Io sono al piano terra » mi rassicurò
ad un tratto l'altra che, una volta scese dall'auto, aveva
probabilmente intercettato il mio sguardo.
« Ah » affermai decisamente sollevata «
bene. »
La seguii senza aggiungere altro per
tutto il vialetto, mi faceva strada anche lei senza proferire parola.
Aprì il portone e mi lasciò passare per prima,
notai che ci fossero
quattro porte, quindi mi voltai ad aspettarla, non sapendo quale
fosse la sua. Lei chiuse il portone e mi passò davanti,
tirando
fuori le chiavi di casa dalla borsa, la seguii quando gliela vidi
infilare nella serratura della seconda porta alla mia destra.
Aprì
la porta e si fece subito da parte per lasciarmi entrare.
Una volta dentro, non potei fare più di
due passi che fui accolta da due cocker spaniel, uno dal pelo
completamente nero e l'altro marroncino, che mi corsero subito
incontro, probabilmente pensando che si trattasse della loro
padroncina.
« Ehi, ciao » mi ritrovai a dire
sorpresa di trovarli, mentre questi smettevano di scodinzolare e
cominciavano ad annusarmi.
« Brown, Black! » Mi girai a guardare
Phoebe che si era appena fatta avanti per richiamare i suoi cani dai
nomi non molto originali, di certo la fantasia non era una dote della
ragazza « va tutto bene, lei è... »
lasciò la frase in sospeso,
prima di guardarmi « un'amica » fece incerta, beh,
di certo non ci
eravamo molto simpatiche l'un l'altra, non potevo negarlo.
I cuccioli si fecero accarezzare per un
po', poi si allontanarono insieme, diretti alle loro ciotole.
« Non sapevo che avessi dei cani »
dissi dopo qualche instante di silenzio. In realtà volevo
solamente
chiederle quanto ne sapeva di Storybrooke, o di me, o di tutto il
resto, però non credevo che pressarla riempiendola di
domande fosse
la mossa più indicata da fare.
« E io non sapevo chi fossi tu, prima di
oggi » rimbeccò l'altra, mentre cercava di mettere
in ordine la
stanza, prendendo al volo una maglia abbandonata sul divano e una
confezione di cibo d'asporto cinese dimenticata sul tavolino affianco
ad esso. « Posso offrirti qualcosa? Un caffè? Un
tè? »
« Un caffè andrà benissimo, grazie
»
le risposi, prima che lei si allontanasse, diretta in cucina.
Non sapendo bene cosa fare, cominciai a
dare un'occhiata in giro: non era un grande appartamento, ad
accoglierti all'entrata vi erano un mobile con un cestino di metallo
per posarvi le chiavi dentro e una piccola libreria con, ad occhio e
croce, una ventina di libri; il salotto riempiva la casa, un grande
divano e una poltroncina al suo fianco, erano posti in mezzo alla
stanza e davanti un piccolo televisore e un tavolino in legno; vi
erano due porte, entrambe chiuse, probabilmente una era la camera da
letto e l'altra il bagno; la cucina invece era separata dal salotto
solamente da una tendina colorata posta a mo' di porta.
Decisi, quindi, di raggiungere Phoebe,
non sentendomi molto a mio agio. La trovai armeggiare con la
macchinetta del caffè, spostarsi da un parte all'altra alla
ricerca
di due tazzine dello stesso servizio – evidentemente, vivendo
da
sola, non prestava molta attenzione a dettagli del genere, potevo
capirla benissimo – ed aprendo un nuovo pacco di zucchero.
« Posso darti una mano? » Le domandai,
cominciando a sentirmi un po' in colpa e, soprattutto, inutile.
« Oh, no, tranquilla » affermò,
girandosi a guardarmi di sfuggita « anzi, siediti pure
» mi invitò
poi, indicando un tavolo rotondo posto vicino al muro, circondato da
tre sedie.
Non me lo feci ripetere due volte e andai
a sedermi, nel mentre lei poggiò sul tavolo un piatto pieno
di
biscotti con scaglie di cioccolato. Ne afferrai uno non appena
l'altra si fu girata per versare il caffè nelle tazzine,
rendendomi
conto solo in quel momento che non avevo toccato cibo per tutta la
giornata.
« Ecco » mormorò la mora, posando il
vassoio con le tazzine fumanti affianco al piatto dei biscotti.
« Grazie » mormorai, mentre con una
mano versavo un cucchiaino e mezzo di zucchero nel caffè e
con
l'altra agguantavo un altro biscotto, nel vano tentativo di smorzare
quella fame riemersa all'improvviso. « Allora »
cominciai a dire ad
un tratto, una volta ingoiato l'ultimo morso del biscotto e aver
bevuto un sorso del peggior caffè mai assaggiato «
quanto sai su di
me, sulla Salvatrice? » Domandai, strofinandomi appena le
mani
sporche di briciole con sguardo basso, prima di unirle fra loro e
tornare a guardare l'altra ragazza.
« Non molto, a dire il vero » aggrottai
la fronte e la guardai sospettosa, prima che lei potesse continuare
«
così come so poco e niente riguardo Storybrooke. Ma ne so
abbastanza
sul vostro mondo, so che venite tutti da un libro, so che le favole
sono vere. »
« Non tutti sono usciti dal mondo delle
fiabe » commentai, poggiandomi meglio allo schienale della
sedia.
« Tuo figlio, lo so » replicò lei,
senza neanche pensarci due volte. Rimasi a guardarla per un po',
avevo l'impressione che ne sapesse più di quanto lei stessa
credeva.
« In realtà parlavo di me » ribattei.
Sapevo di appartenere, tecnicamente, a quel mondo, ma nonostante
avessi finalmente accettato di essere la Salvatrice, figlia di
Biancaneve e del Principe, non mi sarei mai vista come un personaggio
di una favola, o cose del genere, non dopo essere cresciuta nel mondo
reale. « Cosa sai di Henry? » Feci, più
sospettosa.
« Che ha il cuore del Vero Credente, se
non vado errata. »
« Come?! » Esclamai allarmata,
spalancando occhi e bocca per la sorpresa « tu...? Cosa...?
Chi...?
» Provai più volte a formulare una domanda, ma
sconvolta com'ero
riuscivo solamente a esprimermi a monosillabi.
La storia del “Cuore del Vero Credente”
di Henry non veniva riportata in nessun racconto e soprattutto
eravamo in pochi a conoscerla, noi che l'avevamo vissuta in prima
persona e qualche amico fidato, potevo scommettere che più
di un
abitante di Storybrooke non ne sapesse niente, e ora spuntava fuori
lei, Phoebe, dal nulla, un'umana che probabilmente ne aveva sempre
saputo più di quanto ne avessi saputo io nei miei trentanni.
Presi
un respiro profondo per calmarmi, o altrimenti non sarei riuscita a
mettere insieme una frase di senso compiuto. « Come diavolo
fai a
sapere di Henry? »
« Michael » rispose tranquillamente,
credendo forse di essersi spiegata, e anche bene, come se bastasse un
solo nome per chiarire quella situazione.
Inarcai le sopracciglia in un'espressione
che le avrebbe fatto perfettamente intendere la mia
perplessità, se
solo mi avesse guardata in faccia, invece di concentrarsi sul suo
caffè.
« Cosa? »
« Michael Darling » provò ancora,
posando la tazzina.
Quel nome non mi era nuovo, lo avevo già
sentito nominare qualche volta. Tentai di far mente locale, fino a
quando non pensai a Wendy, intrappolata a Neverland. I suoi fratelli
avevano lavorato al servizio di Peter Pan nella speranza che la
liberasse, poi, alla fine, Belle e Ariel li avevano convinti a
fidarsi di noi e ad aiutarci.
« Quello di Peter Pan? » Domandai di
getto, rendendomi conto solo dopo di quanto potesse suonare strana
quella domanda: due donne adulte che parlavano di favole come se
fossero vere, chiunque avrebbe riso a quella scena. Lei, comunque,
annuì e questo non fece altro che aumentare la mia
curiosità e le
mie domande. « E tu come fai a conoscerlo? »
« Beh, quando, anni fa, Peter Pan ha
mandato lui e suo fratello John nel mondo reale, la prima cosa che
hanno fatto è stata tornare a Londra, per rivedere la loro
casa.
Ovviamente erano disorientati e storditi nel vedere com'era
diventata la città. Il caso ha voluto che un giorno me li
ritrovassi
qui fuori, davanti al palazzo, così spaesati da spingermi a
invitarli dentro, per capire cosa fosse successo. Naturalmente non mi
hanno detto niente, ma io e Michael siamo rimasti in contatto, siamo
diventati amici, e dopo un po' mi ha confessato di lavorare per Peter
Pan e... tutto il resto. »
« E tu gli hai creduto?! » Domandai,
alzando un sopracciglio.
« Certo che no! L'ho preso per pazzo e
ho evitato di vederlo per qualche settimana. »
« E poi? Sì, insomma, cos'è successo?
»
« E' tornato da me con della polvere di
fata. Ed ha letteralmente spiccato il volo sotto i miei occhi.
»
« Credevo che non funzionasse con gli
adulti » osservai, ricordando il racconto di Gold, su come
suo padre
lo avesse abbandonato: anche lui aveva tentato di volare,
inutilmente, ed era per questo che aveva deciso di liberarsi di suo
figlio.
« Ha detto la stessa cosa anche lui.
Credo che quando passi secoli a fare il Bimbo Sperduto, o scagnozzo
di Peter Pan, è difficile abbandonare la propria parte
infantile.
Michael e John sono adulti adesso, ma è come se fossero
ancora i due
bambini descritti nel tuo libro » concluse la frase
indicando, con
un rapido gesto della mano destra, la grande borsa che avevo poggiato
ai miei piedi e che conteneva, ovviamente, il libro di Henry.
Abbassai lo sguardo per un secondo, neanche volessi controllare che
ci fosse ancora, poi finii di bere il mio caffè, prima di
tornare a
rivolgermi a Phoebe.
« Quindi sai del libro » constatai,
mentre afferravo uno degli ultimi biscotti, per esortare la ragazza a
continuare con le sue spiegazioni. Sapevo che prima o poi avrei
dovuto cominciare a parlare anche io, ma preferivo prima tastare il
terreno e cercare di saperne il più possibile.
« Sì, esatto» confermò
« Michael me
ne ha parlato più volte, ma non ci pensavo più da
un po' di tempo.
Poi, prima, ti ho vista sfogliarlo e mi è stato tutto
più chiaro »
la guardai allibita.
« Così? Ti è bastato vedere un libro
di favole per capire tutto?! »
« Beh, quello e... Henry » inclinai
appena il capo, confusa. « Voglio dire, quando è
arrivato qui,
giorni fa, ho avuto come l'impressione di averlo già visto
prima, ma
proprio non riuscivo a ricordare dove e, soprattutto, non capivo
come. Ti ho vista con il libro, ho pensato alle storie che conteneva,
ho pensato a Michael e mi sono ricordata del ritratto di un ragazzo
che mi aveva mostrato anni fa. Peter Pan voleva che lo trovassero
perché aveva il cuore del Vero Credente, e quando ho capito
che quel
ragazzino era tuo figlio Henry... ammetto che mi è preso un
colpo!»
« A chi lo dici » commentai a denti
stretti. Lei sorrise appena, stessa cosa feci io.
« Ho collegato i pochi pezzi del puzzle
che avevo a disposizione, e per fortuna ci ho preso in pieno, o
sarebbe stato complicato da spiegare » rise. Risi anch'io,
abbassando appena la testa.
« Direi di sì » constatai, alzando e
riabbassando rapida le sopracciglia.
L'avevo studiata per tutto il tempo,
cercando di usare il mio famoso super potere per riscontrare nel suo
discorso anche la più piccola bugia, ma non ne avevo
trovate. Avevo
la certezza, quindi, di potermi fidare di quella ragazza, strano ma
vero.
« Quindi... cosa ci fai qui, Emma? » Mi
domandò dopo un breve momento di silenzio « Sei
qui per il caso? Le
vittime sono, anzi erano, davvero- »
« No » la bloccai subito, con un tono
di voce forse troppo alto, che la fece trasalire. « No, non
erano le
vere Biancaneve, o Cenerentola. No, assolutamente no » non
potevo
neanche pensare a una cosa del genere, sarebbe stato troppo per me.
« E allora perché sei qui? »
« Per Killian » risposi con semplicità,
alzando le spalle, stupita che non ci fosse arrivata lei stessa.
Aveva ricostruito tutta la storia che c'era dietro, ma non il vero
motivo della mia presenza a Londra. Non era arrivata al movente, per
usare dei termini più vicini a lei.
« Killian? Vi conoscevate già? Scusa
ma.. sembra difficile da credere, nonostante tutto. Insomma, si
è
sempre comportato come se non ti avesse mai vista prima in vita sua.
»
« Perché è quello che crede lui. E'
difficile da spiegare, è stato vittima di un sortilegio, ha
perso
ogni ricordo di quella che era la sua vita, di quello che è
sempre
stato, e ne ha ottenuti di nuovi, di fasulli. E anche voi, è
per
questo che vi sembra di conoscerlo da sempre, anche se, scommetto,
non sapreste dire esattamente da quando » la vidi pensarci
su, serrò
appena gli occhi concentrata, poi li spalancò di colpo.
« E' vero! » Esclamò stupita.
«
Quindi Killian è il personaggio di una storia? E chi
è? »
« Non ci arrivi? » Domandai di rimando,
indicando con gli occhi la mia mano sinistra.
« Oh mio Dio » fece spalancando la
bocca « Hook? Il vero Hook? » Annuii, mentre lei
era già pronta
con altre domande. « E voi due...? »
« Sì, esatto. »
« Ma non si ricorda di te. »
« Giusto. Per questo ho cercato di
stargli vicina il più possibile e di fingermi un'agente
qualificata
ad un'indagine del genere. Il bacio del Vero Amore può
spezzare il
sortilegio e far ritornare ogni cosa come prima, ma lui è
troppo
legato a Rose, il senso di colpa è troppo grande, sarebbe
stato più
semplice senza di lei. »
Mi resi conto, solo in quel momento, che
probabilmente lui non si sarebbe mai staccato da Rose, che sarebbe
andato fino in fondo e che l'avrebbe anche sposata. Io le avevo
tentate tutte, ero stata sua amica, sua confidente, persino sua
amante, ma non era bastato. Forse avrei dovuto mettermi l'anima in
pace dopo la non riuscita del bacio del Vero Amore, Regina e il suo
buon senso mi avevano convinta a rimanere e a lottare con ogni mezzo
per quell'uomo che aveva vinto il mio cuore, come si era ripromesso
di fare, e io lo avevo fatto, le avevo tentate tutte, ma non ero
riuscita a vincere il suo.
Mi sentivo così inutile, così
impotente. E mi odiavo. Odiavo non essere riuscita a conquistare il
suo amore come lui aveva conquistato il mio. Forse non ero abbastanza
forte. Non abbastanza per lui. Magari il mio destino era quello di
rimanere sola, l'amore non era previsto nella mia vita. Forse era per
questo che avevo perso tutti quelli con cui ero stata, o che avevo
amato.
Killian era felice con Rose, da quello
che avevo potuto vedere, mentre io non facevo altro che metterlo nei
casini.
Io amavo Killian Jones, era stato
difficile ammetterlo anche solo a me stessa, ma era così. E
proprio
perché lo amavo dovevo lasciarlo andare, era giusto mettere
il suo
bene prima del mio.
« Phoebe, grazie di tutto. E' meglio che
vada, adesso » mormorai ad un tratto, ridestando l'altra che
si era
presa un minuto per metabolizzare tutte quelle informazioni. Mi alzai
dalla sedia e presi la borsa, mettendomela a tracolla.
« Cosa? Dove? » Mi domandò, alzandosi
anche lei in un secondo momento, mentre io mi dirigevo verso la
porta.
« A prendere le mie cose e poi a casa, a
Storybrooke. »
« E Killian? » Mi fermai proprio
davanti la maniglia, la mano tesa verso di essa. Chiusi gli occhi e
deglutii.
« Probabilmente sarà più felice senza
di me » affermai con l'amaro in bocca, senza voltarmi a
guardarla
negli occhi.
« No » esclamò lei, lasciandomi senza
parole per la sorpresa « voglio dire, tu sei la Salvatrice,
se c'è
qualcuno che può risolvere questa situazione sei tu, dico
bene? E
lui... è Hook, Londra non è la sua casa. E poi
Rose è la mia
migliore amica, non posso permettere che anche lei sia vittima di
questo sortilegio, sposando un uomo solo perché l'ha deciso
qualcun
altro. »
Restai in silenzio per assimilare il
tutto. Io per prima non volevo mollare e tornare a Storybrooke da
sola, perché voleva dire aver rinunciato a Killian, anche se
per il
suo bene, ma non sapevo cos'altro fare.
« Resta almeno un paio di giorni,
vediamo se la situazione migliora, se Killian decide di perdonarti.
Puoi rimanere qui, se non ti scoccia dormire sul divano. »
« Perché fai tutto questo per me? » Le
domandai spontaneamente, guardandola seria. « Voglio dire,
non mi
conosci nemmeno, probabilmente non ti sono mai stata simpatica,
eppure decidi di aiutarmi. Perché? »
« Perché so che tu avresti fatto lo
stesso, per qualunque di noi. »
*****
Due
giorni dopo
Day
13
*Killian Pov*
Gli ultimi giorni erano stati davvero
pesanti.
Da quando Rose aveva scoperto la verità
su Emma, le cose non avevano fatto altro che peggiorare. Montgomery
non smetteva di tenermi d'occhio, come se potessi commettere un
errore in qualsiasi momento; la squadra sembrava guardarmi con occhi
diversi, sicuramente i gemelli ce l'avevano con me per essermi fidato
tanto di Emma; Jack era deluso perché l'avevo allontanata,
nonostante si fosse rivelata un valido aiuto per le indagini; Phoebe,
invece, non faceva altro che nominarla, ogni volta che poteva e ogni
volta che avevamo un dialogo, in effetti il suo era un comportamento
strano, non riuscivo proprio a spiegarlo.
Ma le tensioni con la squadra non erano
gli unici problemi emersi, anzi.
Il caso sembrava in uno stato di stallo.
Nessuna notizia dei due assassini, nessuna ragazza scomparsa che
catturasse la nostra attenzione. Il morale era a terra, l'unica che
sembrava metterci l'anima era Phoebe, che andava a casa la sera e
tornava la mattina dopo con nuove idee, che si rivelavano buchi
nell'acqua, ma pur sempre idee. E come se non bastasse, i media non
facevano altro che starci col fiato sul collo, ormai non lasciavano
Scotland Yard neanche per l'ora di pranzo.
Allontanai appena la sedia dalla
scrivania e mi passai la mano sul volto, massaggiandomi poi la
fronte. Mi ricordai che Rose mi aveva mandato un messaggio circa
un'oretta prima e che ancora non le avevo risposto. Anzi, a dirla
tutta, non lo aveva neanche aperto.
Presi il telefono e lessi il messaggio:
“Per oggi ho finito con il lavoro, sono
già a casa! Ti preparo
una bella cenetta ;)” Risposi semplicemente con un
emoticon,
accorgendomi di non avere fame, e poggiai nuovamente il cellulare.
La discussione con Emma e il successivo
allontanamento le aveva decisamente giovato all'umore, almeno a lei.
Aveva anche deciso di trasferirsi a casa mia visto che ormai, diceva,
mancava poco al matrimonio e non voleva ritrovarsi a passare la prima
notte di nozze tra scatoloni vari.
Alla fine mi alzai, recuperai le mie cose
ed uscii dall'ufficio. Mi accorsi solo in quel momento di quanto
fosse tardi, era rimasto solo Jack, che mi accompagnò poi a
casa,
visto che se ne stava andando anche lui.
Attraversai il cortile con la testa da
un'altra parte.
Pensavo ad Emma.
Due giorni prima avevo percorso lo stesso
tragitto fino alla porta di casa con la consapevolezza che, una volta
dentro, avrei dovuto affrontarla di nuovo, magari litigando o magari
chiarendo. Ad essere onesto avrei preferito la seconda ipotesi,
perché qualcosa in quella storia non mi tornava,
perché avevo visto
la sincerità nei suoi bellissimi occhi, sapevo di potermi
fidare di
lei. Era così assurdo. Ed assurda era anche una sensazione
di vuoto
che mi aveva assalito dopo aver scoperto che se n'era andata, ma
diedi la colpa al fatto di essermi abituato ad avere un'altra persona
in casa e di non dover stare per forza solo.
Per questo Rose aveva preso le sue cose,
la mattina dopo, e si era trasferita da me.
« Amore, sei tornato! » Mi accolse,
ridestandomi dai miei pensieri, le braccia intorno al mio collo.
La mattina dopo mi svegliai
incredibilmente presto, prima dell'alba, perciò cercai di
vestirmi
più silenziosamente possibile e uscire dalla camera senza
svegliare
Rose, che dormiva profondamente.
Me ne andai in cucina portandomi dietro
tutti i fascicoli che avevo preso a lavoro, li volevo studiare tutti,
probabilmente ci avrei passato sopra l'intera giornata ma non mi
importava.
I registri delle persone scomparse erano
sempre gli stessi, ormai le conoscevo tutte a memoria, volto, nome,
segni particolari, ma non c'era niente che riportasse a qualche
favola o cose del genere.
Mi comparve davanti il foglio di Caroline
Evans, evidentemente nessuno aveva pensato a toglierlo da
lì.
Dovetti pensarci io, sfilai la pagina dalla cartellina trasparente
che la conteneva, senza smettere di guardare la foto della ragazza.
Neanche con lei avevo mai riscontrato qualcosa che mi facesse pensare
al mondo dei Grimm, eppure Emma ci era arrivata subito, le era
bastato osservarla appena e riconoscere il suo cognome.
Sospirai rumorosamente, dovevo smetterla
di pensare a quella donna, maledizione!
Provai ad analizzare ogni delitto nei
minimi dettagli: la posizione della vittima, il luogo dove era stato
ritrovato il corpo, il lasso di tempo trascorso tra un omicidio e
l'altro. In quel modo potevo provare a prevedere quando ci sarebbe
stato il prossimo, sempre se ne stavano premeditando un altro.
Probabilmente era tutto un lavoro
inutile, ma confidavo che prima o poi qualcosa sarebbe saltata fuori.
« Buongiorno » sobbalzai. Rose mi aveva
raggiunto in cucina, abbracciato da dietro e poggiato le sue labbra
sulle mie, quando mi fui voltato verso di lei.
« Che ore sono?! » Domandai stupito,
mentre lei si dirigeva ai fornelli per preparare il caffè.
Diedi
un'occhiata al sole fuori: era già alto.
« Sono quasi le dieci » rispose lei,
scocciata, come al solito, per la poca attenzione che le avevo
riservato.
Avevo passato delle ore su quei fogli e
non avevo concluso ancora niente, bene.
« ...Tu hai idea di dove possano essere?
» Guardai sconvolto la ragazza, non capendo cosa stesse
dicendo.
« Come? »
« Ti ho chiesto se sai dove si trovano i
miei vestiti di ricambio, quelli che avevo lasciato nel tuo armadio
per quando dormivo qui, sono andata a cercarli ma non li ho trovati.
»
« Ah, probabilmente sono nella camera
degli ospiti. Li avevi prestati ad Emma, ricordi? »
Arricciò il
naso e mormorò un “ah, sì”
disgustato.
La guardai storto per qualche secondo,
non seppi dire se se ne accorse.
All'inizio era sempre stata gentile con
Emma, non che le andasse molto a genio l'idea che vivesse con me, ma
non aveva mai fatto scenate. Si era anche preoccupata di prestarle i
suoi vestiti! Non capivo il motivo di quel cambiamento, né
cosa
l'avesse spinta a fare ricerche su di lei.
O forse sì? Forse anche a lei era
evidente quanto io ed Emma ci stessimo avvicinando giorno dopo
giorno. Era gelosa, quindi? Eppure non mi aveva mai detto niente,
aveva continuato con la sua farsa. E neanche sapeva niente di quello
che c'era stato fra noi, o di come non riuscissi più a
smettere di
pensare a quella notte. O ad Emma.
Maledizione, dovevo assolutamente
piantarla!
Emma era andata via, ormai, e forse era
meglio così.
Ma era davvero “meglio”?
« Mi vuoi ascoltare?! » Rose sbottò di
colpo, picchiando un pugno sul tavolo. Mi ridestai da quel momento di
trance e tornai a guardarla.
« Scusa, io non... ero distratto,
scusami » biascicai, mettendo via tutti i fascicoli.
« Come sempre, devo dire » commentò
lei « Viviamo insieme da pochi giorni e già la
situazione si è
fatta difficile. Non mi ascolti mai, ti parlo ma sei distratto, sei
perennemente distratto, continui ad estraniarti da quello che hai
intorno. »
« Mi dispiace, ma è colpa del caso... »
« Sì, certo. Il caso ci è sempre
stato, ma non ti sei mai comportato in questo modo. A cosa
stavi
pensando? »
La osservai incerto. Dovevo ammettere che
stavo pensando ad Emma? Che erano giorni che pensavo a lei, per un
motivo o per un altro? Avrebbe fatto una tragedia per nulla, non mi
sembrava il caso. Ma d'altra parte non mi sembrava giusto mentirle,
anche perché ultimamente le avevo nascosto fin troppe cose.
« Stavo pensando ad Emma » confessai,
pronto a ricevere la sua ira.
« Ad Emma? » Ripeté, deglutendo, come
se dovesse digerire la notizia. « Dovevo immaginarlo.
»
« Sì, ma non ti agitare! E' scomparsa
così all'improvviso, è normale che sia
preoccupato... »
« Preoccupato?! » Quasi urlò «
Quella
donna è solamente una pazza che si è presentata
nella nostra vita
da un giorno all'altro. Ha mentito fin da quando è arrivata,
su ogni
cosa! E' addirittura stata in prigione per Dio solo sa cosa, e tu sei
preoccupato per lei? »
« Ma è normale, avevo cominciato a
tenerci a lei. »
« Ovviamente » mi diedi dello stupido
da solo, non dovevo dirlo, ma era stato più forte di me.
« E poi sono convinto che avrà una
spiegazione per ogni cosa, tu non l'hai vista, okay? E soprattutto
non l'hai conosciuta, è una brava persona, il suo cuore
è puro,
glielo si legge negli occhi. »
« Continui a difenderla, non ci posso
credere » esclamò, nervosa « non ci
posso credere, ti ha fatto il
lavaggio del cervello. »
« Ma smettila! »
« No, è così! E' da un po' che ci
penso. La guardavi in un modo... neanche fosse successo qualcosa fra
voi! »
Deglutii ed abbassai lo sguardo, gli
occhi, restando in silenzio. Mossa sbagliata, sembravo decisamente
colpevole. Sentii i suoi occhi su di me, riuscivo quasi a percepire
il suo sguardo sconvolto.
« E' successo qualcosa fra voi? »
« Rose, smettila, non mi sembra il cas-
»
« Rispondi. »
« Sì, okay? Sì. Ma non è
niente di
importante, davvero » tentai di dirle, avvicinandomi a lei di
un
passo. Mi facevo schifo da solo per quello, anche quando una parte di
me continuava a non vederci niente di sbagliato, chissà per
quale
motivo.
« Siete andati a letto insieme? »
« Rose... »
« Siete andati a letto insieme? »
Ripeté, agitata.
Sospirai, per tutta risposta. Ovviamente
lei capì, non c'era bisogno di altre parole.
Cominciò ad andare
avanti e indietro per la cucina, con le mani sugli occhi, continuando
a ripetere “quella puttana”. Non diceva altro. Mi
passai più
volte una mano sulla bocca per evitare di risponderle, di dirle di
piantarla di chiamarla in quel modo, ma sapevo che avrei solamente
peggiorato la situazione.
« Devi andare a lavoro » mormorò a un
tratto.
« Come? » Domandai di rimando, stupito.
« E' tardi. Devi andare a lavoro. »
Ero a Scotland Yard già da qualche ora.
La discussione con Rose era rimasta totalmente in sospeso,
né io né
lei avevamo più proferito parola, me ne ero andato
lasciandola sola
in casa. Continuavo a chiedermi perché non riuscissi a
sentirmi in
colpa come avrei dovuto. Mi dispiaceva di averla tradita, ma c'era
quella sensazione che non mi abbandonava, quella specie di legame che
sentivo quando stavo con Emma o quando pensavo a lei.
Forse aveva ragione Rose, mi aveva fatto
il lavaggio del cervello.
Lasciai perdere quei pensieri nel momento
in cui mi arrivò un messaggio. Lessi l'anteprima, era sempre
Rose:
“Torno in Scozia dai miei, non chiamar...”
scattai subito
in piedi prendendo il telefono. Il testo non diceva molto altro,
così
corsi fuori dall'ufficio, verso Phoebe, per chiederle se sapesse
qualcosa di quella storia, ma niente, era all'oscuro di tutto.
Propose quindi di accompagnarmi a casa, per fermarla, ma una volta
lì
mi accorsi che aveva già preso tutte le sue cose ed era
andata via.
« La sua macchina è ancora qua fuori,
conoscendola avrà preferito prendere il treno. Se ci
sbrighiamo
potrebbe essere ancora in stazione » affermai ad un tratto,
mi
sembrava l'unica cosa da fare. L'altra annuì,
così, senza perdere
altro tempo, partimmo diretti alla stazione.
L'avevamo quasi raggiunta, quando alla
fermata dell'autobus notai una figura dai lunghi capelli biondi,
raggomitolata su una panchina, stretta nel suo cappotto rosso.
« Emma?! » Feci stupito, pensando a
voce alta. Era davvero lei? Da quella distanza non potevo esserne
sicuro, ma qualcosa mi diceva che non mi stavo sbagliando.
« E' proprio lei » rispose Phoebe, che
ovviamente mi aveva sentito, avvicinandosi appena con l'auto.
« Cosa ci fa qui? Credevo fosse andata
via » esclamai.
« In realtà è stata a casa mia, in
questi giorni » la guardai sconvolto, lei cercò di
sviare
l'argomento, di non farmi fare domande, più che altro
« stava
pensando di andarsene, veramente, non credevo che lo avrebbe fatto
davvero. »
« Accosta » mormorai senza rendermene
conto.
« Che vuoi fare? » Mi domandò, mentre
fermava la macchina. Non risposi e feci per aprire lo sportello
«
Killian? E Rose? » Sentii chiederle, ma continuai a non
rispondere.
Volevo raggiungere Emma. Non sapevo bene per quale motivo, c'era
qualcosa che mi spingeva a raggiungerla sempre, qualsiasi cosa
facesse. Era una sensazione difficile da abbandonare.
« Swan » la chiamai, quando le fui
abbastanza vicino. Sobbalzò appena, probabilmente non si era
accorta
di niente.
« Killian » esclamò visibilmente
sorpresa. Senza che aggiungesse niente mi sedei accanto a lei,
nessuno dei due guardava in faccia l'altro.
« Credevo che te ne fossi andata »
mormorai appena, alzando di riflesso un sopracciglio.
« E' quello che volevo fare, ma
continuavo a chiedermi se fosse la cosa giusta. Alla fine mi sono
decisa » era nervosa, non faceva altro che rigirarsi l'anello
che le
avevo sempre visto al pollice tra le mani. Sapevo che ancora
continuava a chiedersi se quella fosse la decisione migliore,
riuscivo a capire la sua inquietudine.
« E lo è davvero? La cosa giusta? » La
osservai con la coda dell'occhio, mentre il suo sguardo lasciava
perdere l'anello e si alzava verso di me.
« Non lo so più » mormorò.
Ci guardammo finalmente negli occhi, così
intensamente che mi sembrò di aver passato tutta la vita ad
aspettare quel momento. Un'altra delle tante cose assurde che mi era
capitato di provare da aggiungere alla lista.
« Emma, mi dispiace » improvvisamente
mi sentii in colpa, avevo esagerato due giorni prima, avevo perso
completamente il controllo e mi ero ritrovato a urlarle contro cose
che non volevo assolutamente dirle. Mi aveva mentito su tante cose ed
ero, sì, deluso per questo, ma sentivo che lo aveva fatto
per un
motivo ben preciso « ho esagerato l'altro giorno, non dovevo
farlo.
»
« No, non devi scusarti di niente. Avevi
ragione, da quando sono arrivata ho raccontato solo bugie, ed
è una
cosa che odio fare. Da una parte sono sollevata che sia venuto tutto
fuori. »
« Non avevo comunque nessun diritto di
trattarti in quel modo... » tentai ancora, anche se, su quel
fronte,
la donna mi sembrava piuttosto tranquilla.
« Invece sì. Eri arrabbiato, lo
capisco. Mi dispiace davvero per quello che è successo,
soprattutto
se ti ho messo nei guai con il tuo capo. »
« Non preoccuparti per questo »
affermai, sorridendole. Lei fece lo stesso. « Phoebe mi ha
detto che
sei stata da lei in questi giorni » arrossì
appena, probabilmente
capendo dove volessi andare a parare « in questi giorni
veniva al
lavoro sempre con nuove idee, eri tu a suggerirgliele, vero? »
« Non proprio, ci lavoravamo insieme »
Ridacchiai appena.
« Sai che non dovresti più avere a che
fare con l'indagine e che certe informazioni sono riservate, vero?
»
« Lo so, lo so. Ma eravamo così
vicine... ma, lascia perdere. Non potrò indagare
più di tanto, a
Storybrooke » un sorriso tirato le si dipinse sul volto.
Serrai la mascella, non volevo che
partisse, non per colpa mia o per come l'avevo trattata, ma se
l'avessi trattenuta Rose non me l'avrebbe mai perdonato, anche se per
come si era messa la situazione, in quel momento non sapevo neanche
se il matrimonio si sarebbe celebrato o meno.
« Ascolta, non devi partire per forza »
cominciai a dire, guardandola ancora negli occhi « Montgomery
domani
parte per Parigi, gli hanno chiesto una collaborazione per un caso.
Potresti tornare a lavoro, nessuno glielo riferirà, e se
tornasse
sono pronto a prendermi ogni responsabilità. »
« Non me ne vado per quello, Killian, ma
per tutto il resto » rimbeccò lei, sospirando
appena e alludendo,
se non stavo interpretando male, ovviamente, a quello che c'era stato
fra noi « è meglio così, capisco quando
devo farmi da parte. »
Proprio in quel momento arrivò
l'autobus, entrambi ci alzammo dalla panchina, lei per prenderlo e io
per fermarla, d'impulso. Le afferrai di getto il polso e la feci
voltare.
« Resta » fece per scuotere la testa «
ho bisogno di te » mi ritrovai ad affermare senza
accorgermene. Le
si mozzò il fiato e sgranò gli occhi.
« Cosa? » Io stesso ero stupito delle
mie parole, ma cosa mi era passato per la mente?!
« Per le indagini, ovviamente » tentai
di dire, lasciandole andare il polso e grattandomi appena il capo,
nervoso « resta per la fine del caso, come avevamo concordato
all'inizio » la vidi ancora incerta, così mi
affrettai a tentarle
ancora tutte « Conclusa l'Operazione Grimm sarai libera di
scappare
dove vorrai. »
« Io non scappo » commentò,
fulminandomi con lo sguardo. Ebbi la sensazione di averla messa
finalmente con le spalle al muro.
« E allora rimani. »
L'autobus chiuse le portiere.
« Va bene » cedette.
Proprio in quel momento il bus partì,
lasciandoci lì alla fermata, in piedi, occhi negli occhi, il
prato
verde immerso nell'oceano blu e viceversa.
Non so cosa mi passò per la testa, mi
sporsi in avanti e la strinsi tra le braccia, la mano dietro la sua
schiena. Lei rimase impassibile in un primo momento, potevo
immaginare il suo viso sconvolto per la sorpresa. Poi alzò
lentamente le braccia, una dietro il mio collo e una dietro la mia
schiena.
Ce ne restammo così, in silenzio, vari
minuti.
In quel momento era tutto ciò di cui
avevamo bisogno.
*Il termine serendipità (in inglese
“serendipidy”) è un neologismo che
indica la fortuna di fare
felici scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non
cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra.
Angolo dell'Autrice: ehilà,
salve! Ho fatto presto, eh? Questa volta meno di un mese di ritardo,
mi sto migliorando ^^ Allora, lasciatemi spiegare le solite due/tre
cosette:
In questo capitolo nessuna tragedia (lol)
ho cercato di mettere la minor sofferenza possibile in vista dei
prossimi capitoli (preparatevi che avverrà di tutto e ce ne
sarà
una a capitolo, probabilmente), però è ovvio che
Emma e Killian si
erano lasciati con un'accesa discussione, non potevano essere
l'immagine della felicità (non so se mi spiego,
probabilmente no
ahaha)
La storia di Phoebe è nata
improvvisamente mentre scrivevo il 13° capitolo. Avevo
programmato
da mesi che ospitasse Emma dopo il litigio, ma pensandoci la cosa mi
appariva inverosimile, visto che tra le due non scorreva buon sangue.
Quindi mi sono chiesta: cosa può spingere Phoebe a mettere
da parte
l'astio per Emma e ad offrirle il suo aiuto? Ho pensato
“Siamo a
Londra, Peter Pan è ambientato a Londra, la famiglia Darling
vive
lì, perciò... inciuciamo i personaggi!”
:'D non so, alla fine mi
è sembrata una cosa carina, ovunque andava Emma, nella sua
vita, si
è sempre trovata davanti personaggi immischiati con le fiabe
(Neal,
Lily, Ingrid ecc.), mi sembrava giusto portare avanti la tradizione
ahaha
E niente, questo capitolo in effetti è
un po' di passaggio, visto che non succede niente di che, escluso
l'allontanamento di Rose (il matrimonio salterà?!) e il
riavvicinamento fra Emma e Killian. Spero sia arrivato il messaggio
che, qualsiasi cosa succeda, qualsiasi difficoltà, loro due
sono
legati ed hanno bisogno l'uno dell'altro. Killian è pronto
ad
ammetterlo con se stesso, cosa importante del capitolo.
E niente, è tutto. Spero di metterci
presto ad aggiornare :)
Ringrazio tutte le persone che seguono la
storia, continuate a farmi sapere cosa ne pensate perché i
vostri
pareri sono fondamentali per me!
Un bacio a tutti, a presto :)
Sà
|
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Capitolo 15 *** Come back to me (Part1) ***
15.
Come back to me
(Part1)
Bene. Se qualcuno mi avesse
chiesto come mi sentissi in quel momento, avrei risposto
semplicemente “bene”.
All'inizio ero rimasta
sorpresa. Sorpresa di vedere Killian venirmi in contro e sedersi
accanto a me, alla fermata di un autobus che non si decideva ad
arrivare. Sorpresa di sentire le sue scuse, a mio parere sciocche
visto che ero stata la prima a mentire e su troppe cose. Sorpresa dei
suoi tentativi di trattenermi, di non farmi partire. E sorpresa anche
dal suo abbraccio, incredibilmente sincero e dettato da un bisogno
che andava ben oltre il semplice contatto fisico.
La realtà era che non
sapevo cosa fosse successo in quei pochi giorni in cui eravamo stati
lontani, ma percepivo una sorta di cambiamento. Non mi ero mai
sentita così vicina al mio vecchio Killian come in quel
momento, era
proprio quella sensazione che mi faceva sentire bene, mi faceva
sentire sicura e mi dava un senso di tranquillità e pace. Mi
domandai da quanto tempo avevo smesso di sentirmi tranquilla, ci
pensai su, ma proprio non riuscii a ricordare. Da troppo,
evidentemente.
E come una stupida stavo per
lasciarmi scappare tutto, stavo per prendere quel maledettissimo bus
e dire addio all'uomo che più aveva lottato per me in tutta
la mia
vita. Me ne ero rimasta su quella panchina per ore, ancora indecisa
sul da farsi, a interpretare quell'incredibile ritardo del mezzo come
un qualche segno a non partire. E invece il segno era un altro, il
più inaspettato.
Come quando Henry arrivò a
mangiare la mela avvelenata non solo per salvarmi, ma anche per
convincermi a restare e far parte della sua vita, così era
arrivato
inaspettatamente Killian, per fortuna senza fare un gesto tanto
plateale e pericoloso, ma con le sue parole era riuscito a fermarmi.
E non solo con delle semplicissime parole, c'era anche qualcosa di
diverso in lui, nel suo sguardo, nei occhi, nei suoi gesti. Non avevo
ancora capito cosa ci facesse lì, sicuramente trattenere me
era
l'ultimo dei suoi pensieri, all'inizio, ma poco mi importava.
A malincuore e molto
lentamente, come se ogni movimento mi provocasse un vero e proprio
dolore fisico, cominciai a staccarmi da quella stretta calma e
sicura; il pirata fece lo stesso. Fece un passo, due passi
all'indietro, e si guardò intorno. Capii che quell'abbraccio
aveva
scosso anche lui.
« Grazie » mormorai in un
mezzo sussurro. Lui aggrottò la fronte e incurvò
appena le labbra
in un flebile sorriso, spaesato per quello che avevo appena detto.
«
Lascia stare » affermai sorridendogli. Grazie per avermi
fermato,
per avermi fatto capire che quella storia non era finita, che c'era
ancora speranza. Evitai di dirglielo, però, avevo paura che
non
avrebbe capito fino in fondo. « Piuttosto »
aggiunsi poco dopo «
che ci facevi qui? »
« Ah, ecco » cominciò a
dire, passandosi una mano dietro la testa, aprendo ancora gli occhi
come se gli fosse appena tornato in mente qualcosa di importante
«
Rose se n'è andata, cercavamo di raggiungerla e fermarla, ma
credo... »
« … Che a quest'ora sarà
partita, sì, lo credo anche io » a completare la
frase di Killian
fu Phoebe, spuntando improvvisamente dal nulla. Ci raggiunse e ci
guardò seria, le mani sui fianchi.
« Se n'è andata? »
Domandai di rimando, stupita « Dove? Perché?
»
Killian e Phoebe si
lanciarono uno sguardo, anche quello della ragazza era leggermente
smarrito, sintomo che neanche lei sapeva tutta la verità, o
perché
non c'era stato tempo per le spiegazioni, o perché il pirata
non
voleva darle. Mi domandai se alla base di tutto ci fossi proprio io.
« Abbiamo avuto una
discussione questa mattina e poco fa mi ha detto che stava tornando a
casa dei suoi genitori » cominciò a dire, sguardo
fisso verso il
basso che di tanto in tanto si alzava senza guardare né me
né
l'altra ragazza bene in faccia « non mi ha detto per quanto
sarebbe
rimasta o cose del genere, solo che ha bisogno di stare sola per un
po', diciamo » aggiunse poi. Restammo tutti e tre in
silenzio, anche
ad aspettare che continuasse a spiegare, ma ci accorgemmo presto che
l'uomo non ne aveva la minima intenzione.
« Avete litigato? Perché?
» Phoebe fece la domanda che più di tutte mi
tormentava, avevo
bisogno di sapere anch'io, ma in un certo senso temevo la risposta.
« Non ha importanza »
affermò a sguardo basso, poi lo alzò su di me e
con un rapido gesto
delle sopracciglia mi fece intuire che doveva aver detto a Rose la
verità su di noi. Mi morsi un labbro, dovevo sentirmi
responsabile?
Probabilmente, ma dovevo esserne dispiaciuta? Ad essere completamente
onesti non lo ero per niente e non mi vergognavo a dirlo.
Forse mi si leggeva anche in
faccia quella nota di soddisfazione, soddisfazione legata al fatto
che, stranamente, stava andando tutto a gonfie vele: io e Killian
avevamo chiarito, stava aprendo il suo cuore, lo sentivo, e ora che
Rose era a conoscenza di quello che c'era stato fra noi due dubitavo
fortemente che volesse ancora sposarlo. In effetti non avevo capito
se il matrimonio fosse saltato o no, non avevo capito neanche se si
fossero lasciati a dirla tutta, ma non poteva essere diversamente,
no? D'altronde lei era andata via, doveva pur significare qualcosa.
Aspettai che Killian
cominciasse ad incamminarsi verso l'auto di Phoebe. Rimasi ferma sul
posto a braccia conserte, la ragazza gli andò dietro ma la
bloccai
afferrandola velocemente per il polso sinistro. Si voltò e
fece per
esclamare il suo stupore, ma le intimai con lo sguardo di non
attirare l'attenzione dell'altro. Per fortuna mi capì al
volo.
« Centri qualcosa con
questa storia? » Le domandai a bassa voce, Killian non poteva
in
alcun modo sentirci, lontano com'era. Proprio il giorno prima, una
volta tornata a casa, mi aveva rassicurato sul fatto che con Rose
fosse “apposto”. Non aveva detto altro, solamente
“apposto”.
Solo in quel momento cominciavo a capire il vero significato che
c'era dietro quella parola.
« Io? Dagli sguardi che vi
siete lanciati deduco che tra voi due sia successo qualcosa di serio,
non credo di essere io quella da incolpare»
affermò con un
sorrisetto ironico, mentre cominciavamo ad incamminarci verso
Killian, visto che si era appena reso conto della nostra lontananza.
« Certo, se siete andati a letto insieme potevi anche
dirmelo,
sarebbe stato ancora più facile. »
« Più facile? Cosa? Di che
parli? Che hai detto a Rose? »
« Ma niente! » Esclamò a
un tratto, cercando di tirare su un'aria da finta innocente «
Ho
cercato solamente di metterle abbastanza dubbi in testa, come per
esempio il fatto che lui fosse sempre più distratto, o il
modo in
cui vi eravate avvicinati negli ultimi tempi. Il bello è che
questi
dubbi si sono anche rivelati fondati! » Concluse,
ridacchiando
appena.
La fulminai con lo sguardo,
anche se non se ne rese conto. Quell'idea non mi andava molto a genio
e probabilmente era per quello che non mi aveva ancora detto niente
sull'argomento, ma alla fine dovevo essergliene anche grata visto che
era riuscita ad allontanare Rose, non sapevo dire se per sempre o
solo momentaneamente ma era già qualcosa, almeno Killian si
sarebbe
sentito meno in colpa. O forse il senso di colpa lo avrebbe fatto
stare ancora più male?
La mia mente doveva sempre
prendere in considerazione situazioni spiacevoli, potevo sembrare
fissata e pessimista, ma perlomeno partivo preparata. Mi dissi che la
cosa migliore, al momento, era quella di concentrarsi sul caso,
dovevamo ricominciare così e lasciarsi alle spalle tutto
quello che
era successo.
*****
Il resto della giornata lo
avevo passato a casa di Phoebe, non potendo presentarmi a Scotland
Yard come se nulla fosse per via della presenza di Montgomery e
avendo stabilito con Killian che non sarei tornata a casa sua, questo
per non far agitare Rose, in caso fosse tornata senza preavviso.
Avevo smesso di preoccuparmi per quella donna, sinceramente, ma a
proporre l'idea era stato Killian e non potevo dirgli di no.
Ovviamente non ero rimasta a
rigirarmi i pollici o a giocare con i cocker della padrona di casa
per tutto il giorno: Killian mi aveva fatto avere il fascicolo delle
persone scomparse e mi ero data da fare. Sapevo che nessuno della
squadra era riuscito ad arrivare a un nome, per questo non facevo
altro che domandarmi come potevo riuscirci io da sola,
tant'è vero
che dopo due ore non avevo niente fra le mani, se non un forte mal di
testa e un bruciore agli occhi – forse dovevo ricominciare a
mettere gli occhiali.
“L'ultima volta la tua
intuizione su Rapunzel è risultata esatta”
mi aveva detto
l'uomo, ed aveva ragione ma quella volta mi era bastato ricollegare
il cognome della ragazza a quello della sorella appena morta, il
dettaglio dei capelli lunghi mi era saltato all'occhio
successivamente. Era stato un colpo di fortuna, come avevo ribadito,
nient'altro. Ma lui aveva insistito, facendomi capire che si fidava
del mio intuito.
Alla fine, consultando anche
il libro che Henry mi aveva lasciato tenere, ero riuscita a
racchiudere la mia ricerca intorno a tre, anzi quattro, persone: il
primo era un uomo sulla trentina, scomparso nel nulla da quasi tre
settimane, che suonava la chitarra in un quartetto e questo me lo
faceva ricollegare ai Musicanti di Brema; poi c'era
una
ragazza appena diplomata, non c'era niente che me la faceva
ricondurre a una fiaba, se non che dalla foto mi ricordava tantissimo
Aurora; e poi, e speravo davvero che non c'entrassero niente con quel
caso, c'erano due bambini, due fratelli, un maschietto di sette anni
e una femminuccia di nove, scomparsi solamente da tre giorni. I
riferimenti ad Hansel e Gretel erano davvero tanti, ma l'idea di quei
due bambini nelle mani di pazzi serial killer mi faceva rabbrividire,
per questo misi da parte il loro fascicolo e mi concentrai sugli
altri due.
I “Fratelli Grimm” fino
a quel momento avevano concentrato la loro follia esclusivamente su
delle giovani donne, passando da Cappuccetto Rosso a Raperonzolo,
questo particolare mi diceva di concentrarmi sulla ragazza i cui
lineamenti ricordavano quelli de La bella addormentata,
ma
d'altra parte, proprio perché vittime fino a quel momento
erano
state solamente donne, gli assassini potevano mirare ad un uomo, per
sorprenderci.
La serata passò veloce e
ancora una volta mi addormentai sul divano, con ancora i fascicoli
delle due persone scomparse stretti fra le mani. La mattina dopo mi
svegliai tutta indolenzita, tanto per cambiare, cominciavo a non
farci più caso. Mangiai qualcosa al volo insieme a Phoebe,
prima di
passare a prendere Killian a casa e andare a lavoro. Una volta a
Scotland Yard ci dirigemmo tutti e tre nell'ufficio dell'uomo ad
aspettare l'arrivo degli altri componenti della squadra, era ancora
presto in effetti, quindi decisi di cominciare a discutere con loro
di quello che avevo scoperto, o meglio ipotizzato. Phoebe
cominciò a
fare teorie, qualcuna inverosimile, qualcuna invece molto probabile,
Killian invece si massaggiava la mascella, pensieroso, limitandosi ad
ascoltare.
« Eccoli, finalmente! »
Esclamò ad un tratto, uscendo dal suo silenzio. Io e Phoebe
ci
girammo prima a guardare lui e poi il punto che stava osservando
oltre le nostre teste. « I Grimm sono
ancora a piede libero e
loro si permettono di arrivare in ritardo »
continuò contrariato,
mentre si dirigeva verso la porta, senza distogliere lo sguardo da
Jack e dai gemelli, appena arrivati, che non si erano quasi accorti
della nostra presenza « nel mio ufficio, veloci! »
Li richiamò,
prima di rientrare e di tornare da noi.
I tre ubbidirono subito e ci
raggiunsero in un attimo. I loro occhi si posarono subito su di me,
mi guardarono sconvolti e poi guardarono allo stesso modo il loro
capitano, senza proferire parola, evidentemente aspettavano delle
spiegazioni. Ma queste non arrivarono, allora si girarono nuovamente
verso di me.
« Che ci fa lei qui? » Ad
esprimere a voce quello che stavano pensando tutti fu Thomas.
Arricciai il naso sentendo quel “lei”, detto come
se fossi una
persona qualunque, o peggio una persona che non meritava fiducia, una
persona da evitare. Quel tono mi diede fastidio, ma allo stesso tempo
mi dissi che dovevo capirlo e che aveva tutte le ragioni per non
fidarsi di me, dopo gli ultimi avvenimenti.
« Emma farà di nuovo parte
della squadra » li informò semplicemente Killian,
non sentendo
evidentemente il bisogno di dare altre spiegazioni. Era un modo per
dire che stavo tornando nella squadra perché era lui a
volerlo e che
non gli importava dell'opinione degli altri, benché meno del
loro
capo che mi aveva detto espressamente di non volermi più
trai piedi.
« E Montgomery? » Domandò,
questa volta, Jack, con un tono meno seccato da quello usato
dall'altro ragazzo, sembrava piuttosto confuso e anche un po'
curioso.
« Lui non ne sa niente »
gli rispose « anzi, non dovrà mai sapere niente!
Starà via per
circa due settimane, voglio il caso chiuso per allora »
dichiarò
infine, squadrandoli serio uno per uno, sembrava veramente
determinato a chiudere quella questione una volta per tutte. Nessuno
replicò, ci limitammo tutti ad annuire, quasi in sincronia.
« Bene.
Emma ha continuato a studiare il caso, in questi giorni, ed ha
scoperto cose importanti: probabilmente abbiamo il nome della
prossima vittima » mi lanciò uno sguardo e mi
incitò a prendere la
parola, per spiegare anche agli altri quello che avevo comunicato a
lui e a Phoebe poco prima. Annuii appena, presi la cartellina gialla
che mi ero portata dietro e mi avvicinai alla grande lavagna presente
nella stanza piena zeppa di post-it e foto dalle scene del delitto.
« Allora » cominciai a
dire, guardandoli attentamente « ho studiato ogni nome
presente
sulla lista delle persone scomparse, più e più
volte, fino a
racchiudere la ricerca intorno a tre persone: Leonard Richardson
»
annunciai il primo nome tirando fuori la sua foto dalla cartellina
gialla per attaccarla sulla lavagna « il “musicante
di Brema” »
aggiunsi, spiegando anche il perché di quell'intuizione
« Paulina e
Zacharias Cox, “Hansel e Gretel” » ancora
una volta fermai le
loro foto con delle puntine, trascrissi i loro nomi e aggiunsi un
punto interrogativo « e poi Esther Rogers, lei... beh, mi
ricorda la
“Bella Addormentata”, ma a parte questo non ho
trovato altro »
esclamai sincera, sapevo che non era una buona motivazione, ma
speravo che indagando a fondo qualcos'altro saltasse fuori. Gli altri
mi ascoltavano tutti attentamente, assorti nei loro pensieri e nelle
loro teorie, immaginavo come anche loro, giorni prima, avessero
già
letto i loro fascicoli senza però trovarci niente di
interessante o
inerente alle indagini, vero era che senza il libro di Henry da
consultare probabilmente non avrei concluso niente neanche io.
« Credo sia meglio
dividersi in tre gruppi » suggerì Killian,
prendendo la parola e
interrompendo quel momento di riflessione che si era venuto a creare
« Jack e Phoebe, voi due vi occuperete dei fratelli Cox
» i due
ragazzi annuirono all'unisono « voi gemelli vi occuperete di
Richardson » anche loro annuirono, pronti a scoprire il
più
possibile su quell'uomo « io ed Emma ci occuperemo della
Rogers.
Scavate a fondo nelle loro vite, scoprite qualsiasi cosa legata ai
precedenti casi, indagate sulla loro scomparsa, sul luogo in cui sono
stati visti l'ultima volta » mentre dava ordini alla squadra
rivedevo in lui il vecchio pirata che governava la Jolly Roger,
diretto a Neverland, e che continuava a dirci con decisione cosa fare
per aiutarlo a governare la nave. In quel momento realizzai che non
mi sarebbe per niente dispiaciuto osservarlo all'opera con i suoi
uomini, mentre navigavano per i sette mari, anche se un piccolo
assaggio lo avevo avuto durante il viaggio nel passato.
I gruppi si divisero
lasciando soli me e Killian nel suo ufficio, speravo davvero che
tutti insieme avremmo concluso qualcosa quel giorno, perché
in caso
contrario faticavo a vedere la soluzione dell'indagine.
« Allora, la Rogers ti
ricorda la.. bella addormentata? » L'uomo si sedé
alla sua
scrivania, io alle sua spalle annuii, braccia conserte e sguardo
rivolto alla lavagna. Mi resi conto dopo che non poteva vedermi,
così
mi sbrigai a sedermi davanti a lui, pronta a spulciare gli ennesimi
fascicoli. « Non può esserci solo questo
però, hai delle
spiegazioni più plausibili per gli altri due, cosa ti spinge
a
credere che lei possa essere la prossima vittima? »
« Non lo so » risposi in
completa sincerità « la verità
è che cercavo una donna, le
vittime fino ad ora erano tutte giovani donne e lei era l'unica che
mi diceva qualcosa » scrollai le spalle e sospirai, la volta
precedente era stato tutto più facile, mentre allora
sembrava che ci
stessimo attaccando alle minime cose. Era una cosa da disperati, non
potevo fare a meno di notarlo.
Mi massaggiai la testa e
cominciai a cercare, tutto e niente, andavo completamente alla cieca,
come Killian, del resto. Sentivo che più volte al minuto
alzava i
suoi occhi su di me, facevo di tutto per non incrociare il suo
sguardo, continuavo a tenere i miei ben puntati su quegli stupidi
fogli. Non eravamo mai rimasti soli nello stesso luogo dal giorno
prima, da quando mi aveva convinta a restare. Tanti discorsi erano
rimasti in sospeso, ma non sapevo neanche se volesse parlarne.
« Hai trovato qualcosa? »
Domandai a un tratto, alzando di scatto la testa quando, per
l'ennesima volta, si era messo a fissarmi. Abbassò subito il
capo,
come riscosso da uno stato di trance.
« No, niente. Tu? »
« Niente » risposi.
Silenzio. Entrambi continuavamo a lottare contro noi stessi, facevamo
di tutto per non guardarci, era anche piuttosto imbarazzante. Mi
domandai se le nostre conversazioni sarebbero state sempre
così,
eppure pensavo di aver risolto tutti i problemi solo poche ore prima.
Oh, al diavolo, mi mancava parlare con lui, dovevo dire qualcosa.
«
Mi dispiace se per colpa mia hai avuto problemi con Montgomery.
»
« Non posso negarlo »
commentò, prima di sorridermi « non ci
è andato leggero in questi
giorni, ma non importa, sei stata molto utile nell'Operazione Grimm e
alla fine lo ha capito anche lui. »
« Mi dispiace veramente di
aver causato tanti problemi » affermai, non riuscendo a
trattenermi.
« Swan, smetterai mai di
scusarti? » Esclamò l'altro per tutta risposa,
ridacchiando appena
sotto i baffi. Lo guardai offesa ed abbassai la testa in modo da far
scivolare una ciocca di capelli in avanti affinché potesse
coprirmi
un sorriso sincero dipinto sul volto. « Henry è
partito? » Domandò
dopo qualche minuto di silenzio. Io annuii.
« Sì, alla fine è tornato
a casa » risposi. Mi faceva piacere il fatto che si
interessasse,
sapevo di averlo deluso con tutte le mie bugie, ma vedevo come stesse
cercando di andare oltre, come stesse provando a vedere il meglio di
me, come ci eravamo promessi solo poche settimane prima. Quel giorno
sembrava lontano anni luce, continuavo a trovare incredibili quante
cose fossero successe in così poco tempo.
« Ti manca? » Aprii la
bocca per rispondere, ma lui mi bloccò subito «
Casa tua, intendo.
Che ti manchi tuo figlio la trovo una cosa abbastanza ovvia. »
« Beh, sì e no » risposi
dopo averci pensato un po', Henry e i miei genitori mi mancavano
certo, ma non mi sentivo così lontana dalla mia famiglia,
non quando
stavo con Killian. Lui, insieme a tutte le persone a cui volevo bene,
erano la mia casa, per questo non riuscivo a sentire la piena
mancanza di Storybrooke. « Ma non vedo l'ora di tornarci,
questo è
certo » “insieme”,
pensai.
« Sai, non ho ancora capito
come mai Phoebe ti ha ospitata a casa sua. Non siete mai state molto
amiche » mi sentii arrossare le guance, sicuramente non
potevo
dirgli il vero motivo, quindi eccoci, la storia si ripeteva,
continuavo a mentirgli su ogni minima cosa. Deglutii, ma non feci in
tempo a rispondere, fermata proprio dalla ragazza che era entrata
nell'ufficio un attimo prima.
« Perché mi faceva pena »
affermò alzando le sopracciglia, guardò prima me
e poi Killian
lasciando subito cadere il discorso rivelando una certa fretta. Si
diresse subito alla scrivania, posandovi sopra dei fogli, io e
Killian ci alzammo in simultanea per guardarli meglio, nel frattempo
ci raggiunse anche Jack. « Credo di aver trovato qualcosa,
guardate
qui! »
Lei e Jack rimasero in
attesa, erano piuttosto eccitati e al tempo stesso spaventati da
quella cosa, si vedeva che fremevano aspettando la nostra opinione.
Cercando di ignorarli, dimenticando i loro occhi puntati su di me,
presi quello che era un articolo di giornale piuttosto ingiallito,
datato giugno 2009, mentre Killian si metteva dietro di me, per
leggere anche lui. L'articolo parlava della chiusura di una storica
pasticceria situata vicino al centro della città, cercai di
leggere
ogni cosa nel minor tempo possibile, memorizzando ogni nome riportato
o fatto insolito, ma non riuscivo proprio a capire cosa c'entrasse
con il caso.
« Ragazzi non... »
cominciai a dire, prima di girare la pagina di giornale, alla ricerca
di quello che avevano visto Phoebe e Jack, ma proprio non riuscivo ad
arrivarci « non riesco a capire » guardai anche
Killian, anche lui
sembrava confuso.
« I bambini, no?! » Provò
Jack, facendola sembrare una cosa più che ovvia. Aggrottai
la
fronte, cosa mi sfuggiva? Scossi la testa, piano, dovevano usare
spiegazioni più convincenti altrimenti non ci saremmo mai
incontrati. « I due fratelli ricordano Hansel e Gretel.
»
« Giusto » commentai io,
senza smettere di fissarli interrogativa.
« Hansel e Gretel » tentò
Phoebe « la strega, la casetta di marzapane... »
« Credi che la pasticceria
rappresenti la casa? » Domandò Killian, abbastanza
esterrefatto. I
due annuirono, l'uomo parve pensarci ancora, i suoi occhi passavano
dall'articolo alle foto dei bambini affisse alla lavagna, poi,
improvvisamente, si allontanò per chiamare i due gemelli,
convinto
che la pista fosse quella esatta.
« Volete dire che le
prossime vittime saranno due ragazzini?! » Feci sconvolta,
dalla
sera prima speravo che non c'entrassero niente, che non fossero
caduti nelle mani di quegli psicopatici, e continuavo a voler credere
che la realtà fosse diversa. « Andiamo, ci deve
essere
qualcos'altro, infondo è solo una pasticceria. »
« E' l'unica pista che
abbiamo » esclamò l'altra ragazza, abbastanza
indignata « o forse
tu e Killian avete scoperto qualcosa su questa pseudo Aurora?
Cos'è, aveva la passione per gli arcolai? O forse il
musicista aveva
un asino, o magari un gallo, con sé? » Serrai la
mascella e
inspirai, noi altri non avevamo niente, aveva ragione, solo che non
era una cosa facile da accettare.
« Siamo certi che la
pasticceria sia ancora lì? » Chiesi, con un tono
di voce più
accondiscendente che fece calmare la ragazza.
« Assolutamente,
quell'edificio è rimasto abbandonato per anni. »
« Bene, allora muoviamoci »
tutti noi ci voltammo a guardare Killian che già si avviava
verso
l'uscita « non c'è tempo da perdere. »
« Aspetta » lo bloccai,
afferrandogli di getto il polso « così? Senza un
piano? »
« L'ultima volta avevamo un
piano perfetto e sappiamo tutti com'è andata. Se hanno
ragione la
vita di due bambini è nelle nostre mani, dobbiamo sbrigarci.
»
Poco dopo eravamo davanti
l'edificio abbandonato, sembrava di vivere un deja vu, le immagini
della torre dell'orologio mi riempirono la mente. Non doveva andare a
finire come l'ultima volta, dovevamo riuscire a portare fuori quei
bambini sani e salvi e dovevamo riuscire a prendere i due criminali.
« Dobbiamo essere prudenti,
è una zona abitata » mormorò Jack,
indicando il posto intorno a
lui.
Mi guardai intorno, anche se
la pasticceria era poco lontana dal centro, proprio davanti aveva una
palazzina ben curata, e altre casette erano sparse qua e là,
questo
voleva dire che vi erano dei civili e non solo dovevamo preoccuparci
degli assassini e dei fratellini, ma anche di loro.
La porta della pasticceria
era chiusa dall'interno, tutti, quasi nello stesso istante, tirammo
un sospiro di sollievo: la volta precedente ci eravamo trovati
davanti a delle porte aperte ed eravamo caduti nella loro trappola,
forse l'effetto sorpresa poteva finalmente riuscire.
« Lasciate fare a me »
sussurrai, mettendomi subito in ginocchio davanti alla maniglia. Mi
tolsi una forcina dai capelli, ma avevo bisogno di un'altra,
così mi
voltai a guardare Phoebe che capì al volo e mi diede anche
la sua.
Cominciai a lavorare velocemente, per fortuna Neal era stato un buon
maestro e ormai ero diventata un'esperta in quel campo,
così, pochi
secondi dopo, la serratura scattò. Sorrisi soddisfatta,
prima di
tornare in piedi.
« Sei piena di sorprese,
Swan » mormorò Killian, incurvando appena le
labbra. Sbuffai
appena, divertita, prima di abbassare la maniglia e aprire la porta,
cercando di fare meno rumore possibile.
L'interno era quasi
completamente buio, le finestre erano state coperte con dei fogli di
giornale ma riusciva ad entrare comunque qualche spiraglio di luce;
l'arredamento non era stato modificato negli anni, o almeno
l'impressione era quella, vi erano tre tavolini con intorno due o tre
sedie ciascuno, un bancone con diversi strati di polvere, una vetrina
che un tempo poteva vantarsi di offrire le più
varietà di dolci,
infine vi era anche la cassa, vuota ovviamente. Alle pareti
comparivano i chiari segni di quadri portati via probabilmente con la
chiusura del locale, qualche chiodo era ancora affisso.
Una porta dava a quello che
doveva essere il vecchio laboratorio, o cucina, perciò alzai
la
pistola, tenendola più o meno ad altezza del mio viso, gli
altri
dietro fecero la stessa cosa. Mi mossi lentamente fino a poggiarmi
con la spalla sulla parete vicina, Killian fece la stessa cosa
posizionandosi esattamente davanti a me, ci scrutammo negli occhi per
un po', respirando a fatica per via di tutta l'agitazione,
adrenalina, ansia, paura.
Un ultimo respiro, poi diedi
un calcio alla porta, spalancandola del tutto. Puntai subito la
pistola davanti a me, tenendola con entrambe le mani, più
che pronta
ad aprire il fuoco se fosse stato necessario. Solo che, con mia
grande sorpresa, non fu così.
« Non è possibile... »
La stanza era completamente
vuota, non c'era niente, niente di niente e, sopratutto, non c'era
nessuno. Entrai dentro e cominciai guardarmi intorno, spaesata, gli
altri fecero la stessa cosa, tutti visibilmente in panico. Ci eravamo
sbagliati? Possibile che fossimo completamente fuori pista? Eppure
l'intuizione di Phoebe era buona, decisamente buona, doveva per forza
essere esatta, non potevamo trovarci di nuovo al punto di partenza,
senza niente tra le mani.
« Loro sono qui, devono
essere qui » guardai gli altri, sembravano immersi nei loro
pensieri, alla ricerca del più piccolo dettaglio che ci
sfuggiva.
« Forse sono di sopra »
Phoebe ci riscosse tutti, guadagnandosi l'attenzione generale.
« Cosa? » Killian era
smarrito, non potevo fargliene una colpa visto che io ci stavo
capendo tanto quanto lui. In quel momento cominciai a rimpiangere
l'Operazione Cobra, l'Operazione Mangusta e tutte le altre affrontate
a Storybrooke.
« Nell'appartamento degli
ex proprietari, proprio sopra di noi. Non l'avete notato quando siamo
arrivati? » Scossi la testa, no, decisamente non ci avevo
fatto
caso, una volta non mi sarei mai permessa di commettere certi errori,
cominciavo a perdere colpi.
« Andiamo allora, speriamo
che tu abbia ragione! » Affermai, tornando velocemente
nell'altra
stanza. Killian e Phoebe fecero appena in tempo a seguirmi, che ecco
la porta alle nostre spalle chiudersi di colpo e un istante dopo la
stessa voce glaciale che mi aveva sorpreso nella torre dell'orologio
mi giunse alle orecchie.
« Ma certo che ha ragione.
Complimenti agenti, ottima intuizione » mi voltai di scatto,
pronta
a puntargli la pistola contro, pronta anche a sparargli se fosse
stato necessario. Eppure la scena che mi trovai davanti mi
bloccò,
facendomi prendere un tuffo al cuore.
L'uomo, ancora una volta con
il volto coperto da un passamontagna, teneva la bambina di nove anni
stretta a sé, la pistola puntata verso di lei. Sapeva quel
che
faceva, aveva chiuso tre di noi nello stanzino, ma si ritrovava
comunque in svantaggio numerico, così preferiva farci
pressione
psicologica.
« Lasciala andare
immediatamente » sbottò Killian, facendosi avanti
con sguardo duro
e vuoto, pronto molto probabilmente a sparare. Ma non servì
a
niente, quello si mise a ridere.
« Sappiamo tutti e due che
non hai il coraggio di spararmi o lo avresti già fatto.
»
« Non commetterò lo stesso
errore questa volta » deglutii, analizzando la situazione.
Quei due
avevano rapito dei bambini innocenti e ora uno di loro stava
tranquillamente puntando la pistola contro la sorella più
grande.
Erano abbastanza folli da andare oltre, da ucciderli? Continuavo a
farmi quella domanda da 24 ore, più o meno, e in quel
momento la
risposta sembrava solo una, e questo mi gelava il sangue. Dovevamo
fare qualcosa, magari dovevamo sparargli subito, anche se questo
avrebbe scatenato l'ira dell'altro, che presumevo fosse di sopra con
il fratellino piccolo.
« Mettete via le pistole,
agenti » serrai le sopracciglia e mi morsi il labbro
inferiore, non
mi mossi di un millimetro non sapendo cosa fare. Senza le pistole
eravamo completamente disarmati e sarebbe finita, ma non potevamo
rischiare in quel modo la vita dei bambini, magari se facevamo quel
che volevano li avremmo convinti almeno a lasciarli andare.
Sospirai rumorosamente, poi
mi piegai sulle ginocchia e posai la pistola sul pavimento, mi
rialzai subito e alzai le mani in alto. Sia Killian che Phoebe fecero
lo stesso, allontanando anche le armi da loro con il piede. Per
qualche istante il tempo parve fermarsi, nessuno osava muoversi,
tutti osservavano gli occhi neri dell'assassino e lui faceva lo
stesso, nonostante fosse coperto si riusciva a intravedere un sorriso
beffardo dipinto sul volto, anche se la mia attenzione era tutta per
quella luce macabra che aveva negli occhi.
Spostò finalmente la
pistola dalla tempia della ragazzina, che piangeva silenziosamente da
ormai vari minuti, la lasciò andare e quella
indietreggiò fino a un
angolo buio della stanza, senza tentare neanche la fuga troppo
terrorizzata da quello che potesse fargli. Il criminale
alzò,
infine, rapido la pistola e la puntò verso di me, si
preparò a
sparare e quasi allo stesso tempo Killian urlò.
« Emma! » Fece, buttandosi
a capofitto su di me proprio mentre il proiettile partiva. Mi
ritrovai a terra prima ancora di rendermene conto, tra le braccia
dell'uomo che amavo che ancora era lì a proteggermi.
Phoebe nella confusione
recuperò la sua pistola e cominciò a sparare,
l'assassino non se lo
fece ripetere due volte e rispose al fuoco. Io e Killian eravamo al
sicuro dietro al bancone, non potei non notare del sangue uscirli
dalla spalla.
« Sei ferito! » Esclamai
terrorizza da quella visione, subito mi avvicinai per vedere quanto
fosse grave, ma per fortuna sembrava una ferita leggera.
« Non è niente, mi ha
preso di striscio » fece lui, sorridendomi rassicurante. Gli
sorrisi
di rimando e poi mi girai verso la bambina, poco distante da noi,
accucciata a piangere con la testa fra le mani.
« Paulina » la chiamai,
cercando di mantenere un tono di voce più calmo possibile o
l'avrei
spaventata ancora di più « presto sarà
tutto finito, porteremo te
e tuo fratello in salvo » le promisi, tendendole la mano
destra. Lei
mi guardò ma sembrò non avere il coraggio di
muovere un solo passo,
o forse più semplicemente non si fidava di me,
così mi avvicinai
appena e le sorrisi, anche se nervosa, « andrà
tutto bene, te lo
prometto. » La piccola continuava a guardarmi e io continuavo
ad
allungare la mano verso di lei, alla fine l'afferrò e la
strinse,
l'avvicinai subito a me e l'abbracciai rassicurante, un po' per
infonderle speranza un po' per calmarla.
Killian sospirò sollevato
al mio fianco, senza staccarci gli occhi di dosso neanche per un
istante
« Emma » mormorò infine «
dobbiamo far uscire gli altri e dobbiamo salvare l'altro bambino
»
annuii, completamente d'accordo e lasciai andare la bambina, anche se
con un po' di difficoltà.
« Vado io, tu aiuta Phoebe
e tieni d'occhio la piccola. Agli altri ci penseremo dopo, ora i
bambini sono la priorità » esclamai decisa,
avevamo bisogno di
aiuto, ma ero quasi certa che i ragazzi sarebbero riusciti ad uscire
da soli dalla stanza, visto che non avevano mai smesso per un attimo
di picchiare violentemente sulla porta, probabilmente anche con
qualche strumento trovato lì, speravo che la buttassero
giù il
prima possibile.
Non diedi, comunque, modo a
Killian di replicare e corsi fuori prima che potesse fermarmi nel
vano tentativo di proteggermi. Corsi lungo le scale ed entrai dentro
al piccolo appartamento sopra il locale, rendendomi conto solamente
in quel momento di essere completamente disarmata.
« Merda » mi lasciai
scappare, mentre mi diressi verso la prima stanza che mi capitava e,
con mia enorme sorpresa, vi trovai subito il bambino, legato e seduto
su una sedia. « Zacharias. Zacharias, vero? »
« Zac » mormorò quello,
tirando su col naso e facendomi scappare un sorriso. Doveva aver
sentito gli spari al piano di sotto, inoltre era solo, non c'era la
minima traccia dell'altro assassino, e questo pensiero mi
preoccupò
ma cercai di non darlo a vedere.
« Tranquillo, Zac, ti porto
via da qui » affermai, prima di guardarmi velocemente
intorno.
Scivolai subito sulle ginocchia e cercai di slegare il ragazzino, ma
la corda era stretta bene e l'impresa non si rivelava per niente
facile.
« Dov'è mia sorella? »
« Non devi preoccuparti, è
» al sicuro? Sicuramente no, Killian l'avrebbe protetta a
costo
della vita, ma essere lì in una stanza piena di gente che
provava ad
ammazzarsi a vicenda non la definiva sicuramente al sicuro «
lei sta
bene » mi corressi, quindi, almeno quella era una mezza
verità,
visto che la bambina non mi era parsa ferita, ma solo spaventata.
Finalmente riuscii a slegare
completamente la corta, il bambino scattò subito in piedi e
mi
abbracciò. Gli accarezzai appena la testa, mentre sentivo il
suo
respiro tornare a regolarizzarsi, evidentemente più
tranquillo. Mi
alzai da terra, lo presi per mano e, prima di uscire da quella
camera, guardai bene in ogni angolo, per assicurarmi che non
spuntasse fuori nessuno. Non vidi niente, quindi uscii fuori con il
bambino, ma non feci in tempo a raggiungere la porta d'ingresso che
un proiettile mi passò davanti e si conficcò
sulla parete al mio
fianco.
Il secondo assassino era
saltato fuori dal nulla, Zac mi si era stretto intorno alla vita per
lo spavento e non riuscivo a lasciarlo andare per metterlo in salvo.
« Zac » gli urlai, mentre
l'altro ricaricava la pistola « Zac devi andare via
» provai
ancora, quello sparò un altro colpo che riuscii ad evitare
scansandomi velocemente, insieme al bambino « corri Zac, esci
fuori,
vai in strada! » Lo intimai e alla fine, per fortuna mi diede
retta.
Corsi via anch'io, cercando
riparo. Speravo che Jack e i gemelli fossero riusciti ad uscire dalla
cucina e che qualcuno di loro venisse ad aiutarmi, ma qualcosa mi
diceva di non contarci troppo. Mi guardai intorno, vidi una sedia di
legno e cominciai a sbatterla contro il pavimento. Riuscii a rompere
una gamba così la afferrai e mi appiattii contro il muro,
aspettando
che comparisse l'uomo.
Non mi fece aspettare
neanche molto, non appena entrò nella stanza lo colpii in
pieno
volto con tutte le mie forze. La pistola gli scivolò tra le
mani,
così ne approfittai per atterrarlo; feci per colpirlo ma mi
afferrò
per i polsi e mi fece finire a terra. Mi colpì ripetutamente
fino a
quando non riuscii a colpirlo con un calcio in pieno stomaco e ad
allontanarlo.
Mi alzai in piedi cercando
di riprendere fiato, ma mi accorsi di non avere tempo neanche per
quello. Lo vidi, infatti, mentre cercava di recuperare la sua
pistola, così corsi veloce e con un calcio mandai via l'arma
e allo
stesso tempo gli colpii la mano. Questo lo fece innervosire, si
alzò
in piedi furente, mi prese per le spalle e mi fece sbattere contro la
parete. Due volte. Tre volte. Sembrava non volersi mai fermare.
Riuscii comunque a poggiare
le mie mani sulle sue spalle, provai a spingerlo via ma il dolore che
mi provocava era davvero forte. Alla fine, non so neanche come feci,
forse mollò lui o forse l'adrenalina mi caricò a
tal punto, riuscii
a spintonarlo via.
Cominciai a picchiarlo senza
sosta fino a quando non mi afferrò il polso destro. Mi
storse il
braccio e mugugnai di dolore, ma cercai di non perdermi d'animo e con
l'altra mano gli afferrai il passamontagna e glielo tolsi.
Mi ritrovai un uomo
dall'aspetto crudele: occhi enormi e marroni come i capelli corti,
che però portava rasati dietro le orecchie; una mascella
lunga e
prolungata che passava in secondo piano con quel grande naso che si
ritrovava; dei baffi sottili e appena accennati sulle labbra e un
viso all'apparenza troppo magro in proporzione al corpo possente e
muscoloso che sembrava possedere.
Lo vidi scurirsi, qualcosa
mi disse che fosse accecato dalla rabbia per quel mio gesto. Subito
mi lasciò andare al polso e rapido mise entrambe le mani
intorno al
mio collo, ebbi tempo solo di lasciarmi scappare un mormorio per la
sorpresa, prima che l'uomo cominciasse a stringere sempre
più forte.
Le mie mani erano sulla sua faccia, spingevo con tutte le forze che
avevo, speravo di staccarlo, ma sembrava neanche accorgersi di quella
mia reazione. In pochi istanti mi ritrovai ancora contro il muro,
portai le mie mani sulle sue quando la stretta si fece più
forte.
Spalancai la bocca, non avevo più aria, le gambe tremavano e
senza
neanche accorgermene mi ritrovai per terra, con lui addosso, la sua
stretta ancora ben salda.
« William, andiamo via! »
Riuscii a sentire quelle grida dalla strada, sembrava la voce del
secondo assassino, ma l'altro, William a quanto pareva, non voleva
sentir ragioni.
Cominciai a scalciare, ma la
storia durò poco. Sentii le forze abbandonarmi, mi sentii
quasi
annegare.
Smisi di lottare.
Poi un colpo di pistola,
l'uomo mi lasciò andare e presi a tossire senza sosta,
cominciando a
massaggiarmi la gola senza rendermene conto. William si
buttò dalla
finestra e un attimo dopo sentii una macchina partire.
« Swan! » Killian buttò
via la pistola ancora calda e si abbassò verso di me, mi
fece sedere
stringendomi appena le spalle « Stai bene?» Mi
guardava
visibilmente preoccupato, perciò mi sbrigai ad annuire.
« Sì » riuscii a dire,
ancora con il fiatone « sì, sto bene »
poggiai la mano sul suo
braccio e gli sorrisi, lui fece altrettanto, decisamente più
sollevato. Mi aveva appena salvato la vita, gliene sarei stata per
sempre grata, anche se non era la prima volta che lo faceva,
effettivamente. « Sei riuscito a colpirlo? »
« Sfortunatamente no, ma è
bastato a lasciarti andare, è questo che conta »
affermò, prima di
aiutarmi ad alzarmi in piedi. Andai a guardare la finestra, in
effetti ci trovavamo al primo piano, dubitavo che si fosse fatto
veramente male, cadendo, soprattutto dopo che era riuscito a
cavarsela saltando dalla torre più alta, sicuramente il
fratello
doveva avergli preparato qualcosa per attutire la caduta,
perché
altrimenti non sarei mai riuscita a spiegarmelo. « I ragazzi
sono
riusciti a liberarsi, insieme a Phoebe tenevamo l'altro in pugno e ha
visto bene di scappare. I gemelli gli sono corsi dietro, ma dubito
che riusciranno a prenderlo, o meglio a prenderli » annuii,
mentre
mi spiegava quello che era successo giù in pasticceria,
anche se la
mia preoccupazione era un'altra.
« I bambini? »
« Stanno bene, sono solo
spaventati. Phoebe li ha portati fuori, abbiamo chiamato un'ambulanza
e i genitori. Ma, Emma... dobbiamo chiedere loro se hanno visto o
sentito qualcosa, so che non è il momento migliore, ma ogni
istante
che perdiamo è prezioso » annuii ancora, aveva
ragione anche se mi
scocciava mettermi a interrogare quei due bambini ancora sconvolti da
tutto quello che era successo.
Mi feci forza e, una volta
fuori dall'edificio, mi avvicinai a loro. Dei paramedici erano
arrivati e avevano dato loro delle coperte. Quando mi videro mi
sorrisero all'unisono, incurvai appena le labbra e mi sedei accanto
alla più grande, dopo aver scompigliato i capelli del
fratello.
« I vostri genitori stanno
arrivando » li informai, prima le buone notizie, era sempre
meglio
cominciare con quelle. « Ragazzi, so che vi sto chiedendo
molto, ma
dovete dirmi se avete visto o sentito qualcosa in questi giorni, se
avete mai visto i due uomini in faccia, se li avete mai sentiti
parlare di storie o di riscatti... »
« No » fece la più grande
« non li abbiamo mai visti. »
« Io però ho sentito
mentre si chiamavano “Clayton” » guardai
subito il più piccolo,
Clayton? Perché quel nome non mi era nuovo? « Uno
dei due diceva
che tutti avrebbero temuto i Clayton e l'altro invece continuava a
dire che stavano perdendo solo tempo, e che dovevano concentrarsi per
trovare una certa Crudelia » spalancai la bocca sentendo quel
nome,
non poteva trattarsi sicuramente di una coincidenza.
« Sì esatto, nominavano
sempre quel nome » gli fece eco la sorella, poi l'attenzione
fu
tutta per un'auto in arrivo, probabilmente a bordo c'erano i
genitori. Li ringraziai dell'aiuto e li lasciai stare, allontanandomi
da tutti.
Crudelia era legata ai due
assassini, non potevo davvero crederci. E loro, i Clayton, avevo
già
sentito quel nome, anche loro dovevano far parte di una storia, non
nutrivo il minimo dubbio su questo.
Continuavo a fare avanti e
indietro, con le braccia conserte, fino a quando Killian e Phoebe non
mi raggiunsero.
« Stai bene? » Mi chiesero
entrambi. « Sei pallida, forse dovresti farti vedere anche tu
da
qualche medico » affermò Killian, già
pronto a portarmi verso
l'ambulanza.
« No, sto bene. E poi sei
tu quello ferito » ribattei decisa.
« Non è niente, non
serviranno neanche i punti. Allora cos'hai? »
« E' per quello che mi
hanno detto i due bambini, i nostri uomini sono i Clayton, uno di
loro deve chiamarsi William, probabilmente il più grande, ho
sentito
l'altro che lo chiamava » spiegai loro.
« Ma c'è dell'altro, vero?
» Fece Phoebe, vedendomi così agitata.
« Parlavano di una certa
Crudelia, sono abbastanza sicura che sia la stessa persona che ho
conosciuto a Storybrooke poche settimane fa. »
« Cr-Crudelia? » Domandò
di rimando Phoebe, io la guardai e annuii appena, solo lei poteva
capire che dietro quel semplice nome c'era in realtà una
storia più
grande, una storia raccontata ai bambini e che non era poi solamente
una storia.
« La conosci?! » Fece,
invece, Killian, esaltato da quella notizia.
« La conoscevo » mormorai,
ripensando al momento in cui l'avevo colpita, facendola cadere lungo
il dirupo. « E' morta e... ed è stata colpa mia
» dissi tutto
senza guardare il pirata negli occhi. Non pensavo a quel momento da
tanto, il vero momento che mi aveva fatto cadere nel baratro, che mi
aveva fatto sentire “oscura” per la prima volta.
Sentii un rumore alle mie
spalle e mi voltai di scatto. Giurai di aver visto qualcosa dietro
l'edificio più vicino, ma gli altri non furono dello stesso
avviso e
insistettero affinché mi facessi controllare da un dottore,
perché
continuavo a tremare.
Circa un'ora dopo il mio
telefono cominciò a squillare, il numero non comparve e
questo mi
fece spaventare. Il cuore cominciò a martellare, la brutta
sensazione che avevo da giorni si ripresentò più
forte, come a
volermi buttare in faccia tutta la terribile verità.
Risposi con titubanza, una
voce glaciale mi accolse lasciandomi di sasso.
« Abbiamo tuo figlio. »
Angolo dell'autrice:
BOOM! Sì, vi lascio così perché sono
una persona perfida e
malvagia v.v lol Perdonate l'immenso ritardo, in realtà ci
tenevo a
postare entro febbraio e credevo veramente di riuscire a farlo, ma
poi mi sono 'bloccata' e sono rimasta senza un po' di ispirazione,
quindi perdonatemi. Il capitolo è pieno di azione, spero che
vi
piaccia perché io mi sono divertita veramente a scrivere
l'ultima
parte! ^^ Quindi abbiamo un nome e un volto: Clayton. Per chi non ci
fosse arrivato, Clayton è il cattivo di Tarzan, quello che
vuole
catturare i gorilla e quasi ci riesce davvero! E' praticamente il mio
cattivo spreferito (?), tra lui e Crudelia DeMon non so chi sopporto
meno. E a proposito, lui e Crudelia sono anche immischiati in qualche
modo BOOM! Comunque vi avevo detto di aver lasciato degli indizi: il
primo, più vago, è il fatto che l'assassino fosse
un cacciatore
(Clayton infatti si presenta così, con quel suo grande
fucile
(oddeo, detta così è un po' brutta) pronto a
sparare ad ogni
animale che ha davanti praticamente); il secondo invece era difficile
da trovare ma non impossibile: nel 12° capitolo avevo accostato
la
sua figura a quella di uno scimmione, per rimandare appunto a Tarzan
e blablabla xD
Insomma, fatemi sapere cosa
ne pensate!
Anyway, ci tenevo a postare
prima di domani/lunedì e, wow, ce l'ho fatta davvero! Sono
eccitatissima per la puntata, quindi buon #OUATDay e buon 100°
episodio *W* e buon rinnovo (???) perché yeeeah, avremo una
sesta
stagione alla faccia degli haters!
Vi mando un abbraccio,
risponderò alle vecchie recensioni appena ho un attimo di
tempo,
promesso ;) Grazie mille a chi recensisce/mette la storia nelle varie
categorie, che tra l'altro ho scoperto che è tra le 40 del
sito con
più recensioni positive e quindi GRAZIE davvero tante!
A presto,
Sà
PS.
Sapete, ogni tanto vado a rileggermi pezzi dei capitoli precedenti, e
nel primo (che tra l'altro si chiama “I will always find
you”) ho
ritrovato un dialogo dove Killian propone di pugnalare Gold e
diventare così il nuovo DarkOne, ed Emma promette a se
stessa che
non avrebbe mai visto qualcuno dei suoi cari diventare Signore
Oscuro. Potete immaginare la mia faccia xD io lo dico che Adam tra un
tweet e l'altro mi ruba le idee!
|
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Capitolo 16 *** Come back to me (Part2) ***
16.
Come back to me
(Part2)
Day 18
Avevo perso il conto di
quante volte avevo rischiato di perdere Henry. Quando avevo deciso di
darlo in adozione lo avevo fatto con la speranza di garantirgli una
vita migliore della mia, e l'aveva avuta fino ai 10 anni, fino a
quando non si era presentato alla mia porta per farmi entrare nella
sua vita. Fino a quel momento, il massimo della preoccupazione che
poteva aver avuto Regina nei confronti del ragazzino era quella di
vederlo tornare a casa con un ginocchio sbucciato o con un polso
rotto, niente di così allarmante. Poi sono arrivata in
città e la
questione è andata peggiorando sempre più.
Henry quasi non si faceva
ammazzare per dimostrarmi che la magia esisteva davvero, più
volte,
per non parlare di quando era stato preso dagli scagnozzi di Peter
Pan, o di quando Crudelia lo aveva minacciato. E ora veniva rapito da
due psicopatici, tutto per colpa mia. Magia o non magia, essere la
Salvatrice mi faceva mettere in pericolo tutte le persone a cui
volevo bene, mio figlio in primis.
Quando, tre giorni prima,
avevo sentito quelle tre misere parole per telefono mi era crollato
il mondo addosso. Mi avevano garantito che non gli avrebbero fatto
del male e che lo avrebbero lasciato andare presto, visto che in
realtà volevano me. Mi ero offerta subito di fare quello
scambio, ma
loro replicarono dicendo che prima dovevano finire quello che avevano
iniziato e di godermi appieno quegli ultimi giorni, perché
non ce ne
sarebbero stati altri.
Immaginavo che il “lavoro”
che dovevano finire riguardava i fratellini che eravamo riusciti a
salvare, per questo avevo detto a Killian di mandare degli agenti
come scorta, limitandomi a dirgli che avevo semplicemente una brutta
sensazione.
« Killian » mi
avvicinai all'uomo posandogli poi una mano tremante sulla spalla
sinistra. Quello si voltò subito, mi guardò
sospettoso e smise di
parlare con Jack, congedandolo per qualche minuto.
« Va tutto bene, Swan?
Sei così pallida, hai un aspetto spaventoso » mi
domandò,
accennando un sorriso. Non risposi, non lo guardai neanche a dire il
vero, troppo impegnata ad osservare che Jack si allontanasse di
parecchi metri, così che non potesse sentire una sola
parola. I suoi
occhi si spostarono sulle mie mani, in effetti non riuscivo a
fermarmi dal torturare le dita, continuavo a girare l'anello di
Killian che avevo al pollice sinistro, era un'abitudine che avevo
preso ultimamente e che mi ritrovavo a fare quando ero molto nervosa
– cosa che lì a Londra succedeva davvero troppo
spesso –.
Cominciavo a pensare fosse meglio tenerlo al collo, magari mi sarei
tolta quel nuovo tic. « Emma? »
« Sì » risposi,
riemergendo improvvisamente dai miei pensieri, non sapendo bene che
domanda mi avesse fatto. Smisi di guardare Jack, oramai era davvero
molto distante, e tornai con lo sguardo sul mio pirata. «
Volevo
parlarti dei fratelli Cox » cominciai a dire, incrociando le
braccia
al petto e spostando il peso del corpo dal piede sinistro al destro,
nervosa.
« Ti hanno detto
qualcos'altro? Qualche altro dettaglio sui Clayton o su questa
fantomatica Crudelia? »
« No, niente del genere,
no. Sono solamente preoccupata. »
« Questo lo vedo, anche
troppo aggiungerei » commentò l'uomo, che non
aveva mai smesso di
studiare il mio comportamento neanche per un secondo. Mi guardava
come se fossi pazza e allo stesso tempo sembrava sinceramente
preoccupato dalla mia agitazione. La verità era che cercavo
di
guardarlo negli occhi il minor tempo possibile, o sarei finita col
vuotare il sacco, raccontare cosa fosse successo e probabilmente
mettere in pericolo Henry ancora più di quanto
già non fosse.
Deglutii a quel pensiero, facendomi forza.
« Oggi siamo stati
fortunati, » cominciai a dire, fingendo di ignorare il suo
commento
« siamo arrivati in tempo e li abbiamo messi in salvo, ma le
persone
con cui abbiamo a che fare sono pericolose e senza scrupoli –
ce ne
hanno dato dimostrazione fin troppe volte, direi – dobbiamo
continuare a tenerli al sicuro » affermai con fermezza.
« Intendi che vuoi
affidargli una scorta? » Domandò, anche se credevo
di essere stata
abbastanza chiara, pur non avendo usato quelle parole esatte. Mi
limitai ad annuire, muovendo lentamente il capo, con espressione
assente. « Sì, d'accordo. In realtà ci
stavo pensando anche io »,
concesse l'uomo, senza togliermi gli occhi di dosso neanche per un
istante « manderò Henry », un brivido mi
percorse la schiena nel
sentire quel nome, cercai di non darlo a vedere ma ero certa che non
fosse sfuggito all'uomo « e Thomas a casa Cox domattina.
»
« No » esclamai forse
un po' troppo forte, con la coda dell'occhio notai Phoebe, poco
distante, che si era appena girata ad osservarci. « No
», ripetei,
abbassando la voce « non possiamo perdere tempo, andranno
subito. »
« Emma », cominciò a
dire, la voce preoccupata quanto il suo sguardo. Abbassai gli occhi,
non volevo incrociare i suoi per non crollare, era l'ultima cosa che
mi serviva in un momento del genere, dovevo restare forte e
concentrata. Notò come cercassi in ogni modo di evitare di
guardarlo
in faccia, perciò posò la mano destra sulla mia
spalla sinistra e
strinse forte, con fare protettivo e rassicurante. « Emma se
sai
qualcosa, se è successo qualcosa... sai che puoi dirmelo.»
Sospirai.
« Lo so », annuii, la
voce strozzata « non è successo niente, solo una
brutta sensazione.
»
Le dita correvano
velocemente sulla tastiera, cercavo di digitare il più
velocemente
possibile, come se questo mi avesse effettivamente aiutato a
guadagnare del tempo o cose del genere. La realtà dei fatti
era che
non sapevo quanto tempo mi restasse prima di essere presa da quei due
folli.
In quei tre giorni avevo
fatto di tutto per tenere la mia mente occupata, per non pensare ad
Henry e a tutto quello che potevano fargli passare, ma non era
servito a niente. Durante il giorno lavoravo senza sosta, continuavo
ad indagare sui Clayton, cercavo informazioni sulla loro vita e anche
su quella di Crudelia, anche se era praticamente impossibile risalire
a qualcosa, avevo scoperto veramente poco perfino sull'ex marito
della donna.
Poi la sera, o meglio notte,
o, ancora meglio, mattina visto che mi coricavo a letto solitamente
poco prima dell'alba, mi ritrovavo su quello scomodo divano di pelle
nel salone di Phoebe, a guardare il soffitto e ogni possibile crepa,
incapace di chiudere gli occhi. Il pensiero di mio figlio non mi
abbandonava un solo istante con le luci della casa che si spegnevano,
aspettavo che la ragazza andasse a dormire per potermi sfogare
versando qualche misera lacrima trattenuta durante il giorno.
« Caffè! »
Phoebe uscì dalla cucina
con una tazza bianca fumante che adagiò, poi, sopra il
tavolino alla
mia sinistra.
« Grazie » affermai,
alzando finalmente gli occhi dallo schermo del portatile che tenevo
poggiato sulle mie ginocchia da... non portavo neanche più
il conto
delle ore.
Accennai un flebile sorriso
e tornai alla mia ricerca. Era una scenetta che andava avanti da tre
giorni, ormai, con la differenza che, quel pomeriggio, la ragazza si
sedette alla mia destra, sentivo i suoi occhi fissi su di me ma
cercai di ignorarli.
« Non hai trovato niente? »
Domandò, dopo qualche secondo, forse rendendosi conto che se
fosse
dipeso da me sarei rimasta muta fino a quando quella situazione non
si sarebbe conclusa.
« No » risposi debolmente
alzando gli occhi dallo schermo e socchiudendoli appena. Avevano
cominciato a bruciarmi, ma continuavo a stringere i denti e a non
pensarci e fino ad allora aveva funzionato. « Sono
irrintracciabili!
Non mi è mai capitata una cosa del genere prima d'ora,
eppure questo
era il mio lavoro fino a pochi anni fa ed ero la migliore su questo
campo » sbottai, sfinita.
Avevo paura che non sarei
riuscita a risolvere niente. In quei giorni avevo provato a risalire
al loro nascondiglio o a qualcosa del genere così da salvare
Henry
il prima possibile e catturare i due uomini prima che potessero fare
del male ai fratelli Cox, ma si stava rivelando tutto un buco
nell'acqua e, per me, era davvero una situazione insostenibile.
« Vedrai che li troveremo e
li sbatteremo dietro le sbarre » affermò l'altra,
sicura di quello
che stava dicendo. Non sapevo se lo diceva perché ci credeva
davvero, se invece lo faceva perché voleva farmi
tranquillizzare in
qualche modo o se stesse cercando di auto convincersi.
« Sì, certo, ma quando?! »
Continuai io, nervosa. Sapevo che saremmo riusciti a prenderli, in
qualche modo, non eravamo mai stati così vicini, ma mi
preoccupavo
per l'incolumità di mio figlio, volevo vederlo sano e salvo
il prima
possibile, non potevo aspettare, nessuno poteva chiedermi di
aspettare.
« Sono certa che Henry stia
bene » provò ancora. Lei era l'unica a conoscenza
di tutto quello
che stava succedendo, proprio la sera prima le avevo rivelato ogni
cosa, non potendo più portare quel peso da sola. Era rimasta
sconvolta e aveva cercato di convincermi a parlare con Killian, ma
alla fine mi aveva promesso che avrebbe tenuto la bocca chiusa.
Era ormai passata la
mezzanotte. Avevo cominciato ad indagare sulla vecchia vita di
Crudelia DeVil curiosa di capire cosa l'avesse portata dai Clayton o
che rapporto ci fosse stato tra loro, sperando che in quel modo
spuntasse fuori qualcosa anche sui due fratelli. Ad essere
completamente oneste, cercare Crudelia era la mia ultima spiaggia: le
avevo tentate tutte, ormai, e non era spuntato fuori niente.
E poi eccola lì,
Crudelia, la stessa persona che era entrata a Storybrooke alla
ricerca del lieto fine che Isaac, l'Autore del libro di fiabe, le
aveva negato. Non riuscivo a trovare dettagli della sua vita nel
mondo reale che potessero tornarmi utili e le ultime informazioni su
di lei risalivano all'arresto di suo marito, il signor Feinberg. I
fratelli Clayton non venivano mai nominati, neanche tra le pagine dei
vari scandali di Crudelia, ovvero multe, frequentazione di posti poco
raccomandabili, problemi con l'alcool e con gli uomini.
Chiusi il portatile e lo
accantonai in un angolo del divano, lontano da me. Mi presi la testa
fra le mani, piegando appena la schiena verso l'avanti, e cominciai a
respirare profondamente. Ogni buco nell'acqua era stato come una
pugnalata in pieno petto, a quell'ultima batosta mi ero sentita
mancare il respiro e per questo cercavo di calmarmi come meglio
potevo.
Quando mi fui ripresa,
più o meno, mi alzai in piedi e cominciai a camminare per il
salotto, nel buio più totale, le mani sui fianchi che ad
intervalli
regolari finivo col passarmele in testa, in mezzo ai capelli. Se
neanche con quell'ultima ricerca era saltato fuori niente significava
che non avevo molte possibilità di trovare il
nascondiglio dei Clayton, quindi l'unica cosa che mi restava da fare
era aspettare che si facessero vivi loro e sperare che nel frattempo
avessero mantenuto la loro parola di non far del male ad Henry.
Presa da un impeto di
rabbia, tirai un calcio contro il tavolino facendo finire una
bottiglietta semivuota d'acqua, fortunatamente di plastica, a terra.
Avrei voluto batterli sul tempo, rovinare qualsiasi piano avessero in
mente, trarre mio figlio in salvo e concludere quella faccenda una
volta per tutte. E invece, ancora una volta, ero impotente.
« Emma! » Mi voltai
giusto il tempo di individuare la sagoma di Phoebe, in piedi davanti
a me. Dovetti poi strizzare e chiudere gli occhi, costretta dalla
luce accecante che la ragazza aveva appena acceso premendo
l'interruttore alla sua destra. « Ancora a cercare
informazioni sui
Clayton? E' notte fonda, non risolverai niente adesso, soprattutto
non da sola! Domani, a Scotland Yard, se ci degnerai della tua
presenza, lavoreremo insieme e- »
« No », la bloccai
prima che potesse aggiungere altro, la sua voce cominciava a farmi
venire la nausea, o era quello oppure il fatto che non mettevo niente
tra i denti da tutto il giorno « è una cosa che
devo fare da sola.
»
« Come scusa? » Domandò
di rimando, alzando un sopracciglio. « Non vorrei sembrarti
pignola,
ma noi – io, Jack e gli altri, voglio dire – stiamo
dietro a
questo caso da settimane. Capisco come tu possa sentirti coinvolta
con questa... faccenda delle fiabe o di Crudelia, ma- »
« E' una cosa che devo
fare da sola » sbottai, facendo
risuonare la mia voce per
tutto l'appartamento, tanto che mi parve di sentire un certo mugolio
da parte dei cuccioli di Phoebe.
Mi lasciai ricadere sul
divano, poggiai i gomiti sulle gambe e incrociai le mani. Le dita
andarono subito a cercare l'anello di Killian, bisognose quanto
poteva esserlo un fumatore che non toccava una sigaretta da ore.
L'altra rimase lì, in piedi, ad osservarmi silenziosa, non
sapendo
probabilmente cosa dirmi o perché mi stessi comportando in
quel modo
così assurdo da qualche giorno. Cercai di ignorarla, mi
girai alla
mia destra e ripresi il portatile che avevo abbandonato poco prima,
rimettendolo sulle ginocchia pronta a ricominciare da capo quella
ricerca, quella corsa contro il tempo.
Phoebe non smise certo di
fissarmi. Ad un tratto fece per allungare il braccio destro, strinsi
d'istinto il pc avvicinandolo maggiormente al mio petto, immaginando
che volesse togliermelo dalle mani per convincermi a dormire e a
rimandare ogni cosa al giorno dopo. Alla fine si fermò,
sospirò
sonoramente e si limitò a sedersi al mio fianco. La guardai
con la
coda dell'occhio, indossava un pigiama grigio con raffigurata la
Union Jack, portava una coperta rosa sulle spalle e teneva i capelli
raccolti in una coda spettinata.
« Hai scoperto qualcosa
sui Clayton? » Mi domandò, dopo circa dieci minuti
di completo
silenzio, passati più che altro ad osservarmi digitare
parole sulla
tastiera o a leggere gli articoli che comparivano sullo schermo. Mi
fermai dal premere tasti e guardai dritto davanti a me, come in
trance.
« No, sto cercando di
risalire a loro tramite Crudelia, ma non riesco a trovare niente
»
risposi, sconfitta. Quelle parole assumevano un certo peso se
pronunciate ad alta voce, mi facevano sentire quasi una perdente. Ed
io stavo veramente perdendo ogni cosa.
« Killian è preoccupato
per te » affermò la ragazza per tutta risposta,
buttandola lì come
se fosse una cosa inerente al discorso o alla precedente domanda che
mi aveva posto. Sospirai.
« Non dovrebbe »
mentii. Oramai, era una cosa che mi riusciva bene, mentire, solo che
odiavo farlo e allora mi estraniavo. Mi ero completamente estraniata
dagli altri, in quei giorni, non lasciavo entrare nella bolla che mi
ero costruita neanche Killian, nonostante tutti i vari tentativi
dell'uomo. Pensandoci bene, la situazione poteva anche far ridere:
avevo passato le ultime settimane ad avvicinarlo e ora mi ritrovavo a
respingerlo.
« Siamo tutti
preoccupati per te, Emma. E' per la storia di Crudelia? E' successo a
Storybrooke, vero? » Apprezzai il fatto che non avesse
esplicitamente pronunciato la parola “omicidio”, o
la frase “come
l'hai uccisa?”. La verità era che, nonostante il
senso di colpa
per quello che era successo non mi avesse mai abbandonata neanche per
un istante, quello era decisamente l'ultimo dei miei pensieri, ma
decisi di assecondare comunque Phoebe.
« Sì, è una storia
lunga. E complicata » come la maggior parte delle cose
successe
nella mia vita, ma omisi quel pensiero. « E' successo non
molte
settimane fa, a dire il vero. Per una serie di motivi che non ti sto
a spiegare, aveva preso Henry, mio figlio, e minacciava di ucciderlo
se io non avessi... fatto quello che voleva » mi fermai.
Avevo
appena realizzato che stava succedendo tutto di nuovo, come avevo
potuto permetterlo? Il mio cuore cominciò a partire a mille,
così
all'improvviso che mi allarmai io stessa in un primo momento. Portai
una mano sul petto e cercai di regolarizzare il respiro.
« Emma? »
« Sto bene », mormorai
veloce, prima di un altro respiro profondo « sto bene
» ripetei.
“Henry sta bene” mi dissi, anche se non potevo
esserne sicura al
100%. Cercai di accantonare quel pensiero dalla mente, doveva stare
bene, basta. « Non sapevo che non potesse effettivamente
fargli del
male – anche questa è una lunga storia
», ripresi a spiegarle «
in quel momento la mia sola preoccupazione era quella di salvare mio
figlio, capisci? Così non ci ho pensato più e
l'ho fatta cadere da
un dirupo. E' morta sul colpo. »
« Cavoli, non è una
bella storia » affermò Phoebe, guardandomi
dispiaciuta. Forse le
facevo pena, davvero, ci mancava solo quella al momento. Cercai di
non pensare al suo sguardo, osservando un punto indefinito dietro la
sua spalla.
« No, non lo è »
mugugnai, sovrappensiero.
« Ma non per questo devi
estraniarti. Nessuno ti giudica per quello che hai fatto, non avevi
altra scelta. Non devi sentirti responsabile per il caso solo per
quello che è successo a Storybrooke. »
« Non è per questo... »
« E allora cos'è? »
Sospirai, restandomene in silenzio. Phoebe lo prese come un segno per
continuare a parlare, evidentemente « Va bene se non vuoi
dirlo, ma
almeno lasciati aiutare. Dobbiamo aiutarci a vicenda o non ne verremo
mai fuori- »
« No, Phoebe, no », la
interruppi ancora « non potete aiutarmi, solo... non potete.
»
Ci avevo pensato più
volte a confidare tutto a Killian, a sfogarmi, a chiedere il suo
aiuto, ma non potevo farlo. Avevo un incredibile bisogno del suo
sostegno, mi sentivo crollare ormai, ma temevo per la vita di Henry.
Erano stati chiari, non dovevo parlarne con nessuno e non dovevo
mettere in mezzo la polizia, cos'altro potevo fare? Mi alzai dal
divano, diventato improvvisamente scomodo, e cominciai a camminare
per la stanza.
« Dimmi almeno perché
», scossi la testa all'ennesima richiesta della ragazza. Mi
sentivo
esplodere, al momento volevo solamente vomitare ma mi rifiutavo di
cedere anche dal punto di vista fisico, oltre che mentale. «
Swan »
provò ancora; scossi di nuovo la testa. Stavo per mettermi a
gridare, avevo una gran voglia di urlare tutta la mia disperazione.
«
Vuoi smetterla di fare la stronza, cazzo?! Non ci sei solo tu in
questa situazione, tutti noi abbiamo da perdere qualcosa, non lo
capisci, maledizione? »
« HANNO PRESO MIO FIGLIO
» esplosi.
Un silenzio sovrumano
calò in tutto l'appartamento. I cuccioli nell'altra stanza
parevano
essersi calati improvvisamente in un sonno profondo, le auto che ogni
notte disturbavano il mio sonno passando incessantemente nella strada
di fronte il condominio di Phoebe sembravano essersi dissolte nel
nulla. Perfino il vento aveva smesso di soffiare e di sbattere contro
le finestre. Era tutto così dannatamente inquietante, come
se il
mondo si fosse fermato nel sentire la mia rivelazione.
Tutto quel silenzio
cominciò a soffocarmi.
Phoebe non batteva
ciglio, si limitava a guardarmi, in attesa. Di cosa, mi domandai.
Forse aspettava che la rassicurassi, che cambiassi la mia risposta
dicendole che stavo scherzando. Se non fossi stata tanto impegnata a
trattenere le lacrime, probabilmente mi sarei indignata, come se
potessi anche solo pensare di scherzare su una cosa del genere.
Ci guardavamo negli
occhi, avevo il respiro corto e il cuore che batteva a mille, a
duemila, a cinquemila. Ero spaventata, terrorizzata, preoccupata, ma
anche sollevata. Non ne potevo più di portare quel peso da
sola, ma
d'altra parte adesso avevo il terrore che i Clayton scoprissero che
avevo raccontato tutto a qualcuno, temevo ogni possibile conseguenza.
La ragazza parve leggermi
nella mente, o negli occhi, immaginavo che adesso le fosse
più
chiaro il motivo della mia agitazione degli ultimi giorni, tutto
aveva un senso. Non seppi mai se perché non sapesse cosa
dire o
perché semplicemente fosse in pena per me, ma, dopo un
piccolo
attimo di esitazione, cogliendomi totalmente impreparata, si
avvicinò
a me e mi abbracciò.
« Non puoi assicurarmelo,
Phoebe » sospirai, cominciando a massaggiarmi debolmente le
tempie
con le dita, esausta.
« No, non posso », mormorò
l'altra, cercando di rimanere calma, sapevo che la stavo mandando
all'esasperazione « ma se gli fosse successo qualcosa penso
che lo
sapresti a quest'ora. » La guardai con la coda dell'occhio,
scettica. Decisi di non ribattere solo perché stava facendo
davvero
molto per me nonostante non ci stessimo proprio totalmente a genio, e
di questo gliene sarei stata grata per sempre. « Ora bevi il
tuo
caffè », aggiunse poco dopo « oggi vieni
a Scotland Yard con me,
hai bisogno di uscire da questa casa. »
« Non ci vengo in centrale,
pensavo di essere stata chiara. »
« Ormai non riguarda più
solo te, Emma. Ti ho promesso che ti avrei aiutata a trovare Henry e
lo farò, ma il caso non si risolverà mai se non
collaboriamo tutti.
» Mi voltai, riflettendo sulle sue parole: avevo bisogno
dell'aiuto
di tutti per risalire ai Clayton, ormai lo avevo capito, ma se mi ero
tenuta alla larga da loro era per non doverli guardare in faccia e
fingere che andasse tutto bene. Ero stanca di doverlo fare. «
Se
Killian comincia a farti pressione me ne occuperò io,
promesso »
sorrisi a quell'affermazione, abbassando appena gli occhi.
« Non fa niente,
tranquilla, so gestirlo » affermai, portandomi poi alla bocca
la
tazzina fumante, per bere il peggior caffè che avessi mai
assaggiato.
Killian in quei giorni era
sempre stato presente, aveva sempre cercato di non lasciarmi sola e
più volte aveva tentato di capire cosa mi stesse passando
per la
testa. Se Henry non fosse stato al centro dei miei pensieri, mi sarei
sentita lusingata da quelle attenzioni e anche divertita da quella
situazione che si era letteralmente ribaltata e che mi riportava con
la mente alle mie prime interazioni con il pirata.
Io e Phoebe arrivammo a
Scotland Yard, quindi, circa un'ora e mezza più tardi. La
ragazza
aveva insistito affinché mi dessi una sistemata e,
stranamente, mi
ero ritrovata a darle ragione e a coprire come meglio potevo quei
segni sul mio volto che le ultime notte insonni, lo stress e tutto il
resto, avevano lasciato. In genere non davo troppo peso a tutte
quelle attenzioni, ma non volevo che gli altri si preoccupassero per
me vedendomi così trasandata – o malandata?.
Tuttavia, non potevo
far miracoli e sia il colorito pallido della pelle che le borse sotto
ai miei occhi stanchi erano ancora ben visibili, perciò mi
toccava
sperare che non vi dessero troppo peso.
Appena entrata in stazione
tutti si voltarono a guardarmi, come avevo immaginato, li ignorai e
passai tranquilla davanti le loro scrivanie, diretta a sedermi
accanto a Phoebe.
« Emma? » Killian sbucò
fuori dal suo ufficio e rimase lì in piedi davanti la porta.
Mi domandai se mi stesse
aspettando, o meglio se stesse aspettando di vedermi tornare a lavoro
prima o poi, dato che, come avevo notato poco prima, la porta del suo
ufficio era aperta, fatto più che insolito. L'uomo,
comunque, non
aggiunse altre parole, si limitava solamente a lanciarmi uno sguardo
che mi intimava di raggiungerlo. Così non persi tempo ed
entrai nel
suo ufficio, lui chiuse la porta alle mie spalle non appena gli
passai davanti.
« Come stai? » Domandò
subito senza neanche darmi il tempo di sedermi, anche se io non avevo
la minima intenzione di farlo. Difatti restai in piedi al centro
dello studio, mentre lui mi girava intorno e si sedeva al suo posto.
Alzai le spalle.
« Bene » risposi,
guardandomi prima la punta delle scarpe e poi lui.
« Non sono nessuno per
pretendere di sapere cosa ti è successo »,
cominciò a dire,
ignorando completamente la mia risposta, come se già sapesse
che
avrei mentito a prescindere « non voglio obbligarti a dirmelo
in
nessun modo, è solo che voglio aiutarti », la sua
voce era dolce,
ma riuscii ad avvertire il suo disagio. Dal tono calmo riusciva a
trasparire ugualmente tutta la preoccupazione che stava provando, a
causa mia o del caso, o magari di entrambe le cose. Mi fece uno
strano effetto. « Gli altri pensano che c'entri la storia di
Crudelia, pensano che tu ti senta in colpa o cose del genere
»
continuò poi, poggiandosi allo schienale della sedia e
passandosi
velocemente la mano sugli occhi. Mi ritrovai a sorridere sarcastica,
non so se fosse dovuto alla stanchezza o ad altro.
« E tu? » Gli domandai,
entrambi alzammo lo sguardo nello stesso momento perdendoci negli
occhi l'un l'altro « Tu cosa pensi? »
« Penso che ci sia
dell'altro, qualcosa di importante e di serio. Penso che tu abbia
delle buone ragioni per non condividere questa cosa con noi e sono
serio quando dico che non voglio saperla, non perché non mi
interessi, anzi tutt'altro. Ma sono giorni che ti sei chiusa in te stessa
e non lasci avvicinare nessuno, non ti ho né vista e
né sentita,
Phoebe ci ha detto che a casa non ti comporti diversamente. Non so se
te ne sei resa conto, ma sono preoccupato per te, Emma. »
Non riuscivo più a
guardarlo negli occhi, mi sentivo quasi sotto esame, per questo mi
girai a osservare la finestra, la gente fuori che passava gustandosi
quei rari raggi di sole nell'autunno londinese. Conoscevo bene quello
sguardo di Killian, glielo avevo visto fare molte volte ed era sempre
riuscito a cavarmi fuori la verità, per quanto terribile o
dura
fosse, non ero mai riuscita a mentirgli, non ero mai riuscita a
resistere a quegli occhi che mi chiedevano solamente fiducia.
Avrei voluto davvero dirgli
tutto, in quel momento, perché in quelle settimane non lo
avevo mai
sentito così vicino come in quel momento. Lo sapevo dalla
mia parte,
sentivo quanto ci tenesse, il suo desiderio di aiutarmi era
così
sincero e dettato dal suo cuore che mi veniva quasi da piangere.
Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime mentre trattenevo le parole
che voleva sentirsi dire, tutta la verità e ogni possibile
spiegazioni sul mio comportamento degli ultimi giorni. Lo avrei
fatto, se ci fosse stato qualcun altro al posto di Henry sarei stata
felice di cedere a quelle pressione così da sfogarmi e
chiedere
l'aiuto dell'uomo che amavo, ma avevo già rischiato troppo
nel
rivelarlo a Phoebe, ero davvero terrorizzata a tal proposito.
« Dimmi cosa posso fare per
aiutarti, per favore » aggiunse dopo un breve istante di
silenzio e
di riflessioni. Quel “per favore” mi
spezzò, fu come un pugno
nello stomaco. Deglutii e chiusi gli occhi, scossi appena la testa
per ricacciare indietro parole e lacrime.
« Se vuoi davvero aiutarmi
», cominciai a dire, decidendomi finalmente a guardarlo in
faccia «
troviamo quegli assassini, insieme. Troviamo il loro nascondiglio.
Oggi » mi maledissi per quelle lacrime che cominciarono a
sfuggire
al mio controllo, calando lungo le mie guance. Cercai comunque di
controllarmi, di non scoppiare in un pianto disperato e parevo
riuscirci, ma allo stesso tempo non riuscivo ad arrestare quelle
misere gocce salate che uscivano dai miei occhi.
Killian scattò subito in
piedi, avvicinandosi a me, « Emma! »
Esclamò, come se mi fossi
appena fatta del male o mi trovassi in chissà quale
pericolo.
Abbassai il capo, non volevo che mi vedesse in quello stato, ma
questo non gli impedì di accarezzarmi la guancia sinistra e
di
alzarmi il volto, così che potessi specchiarmi nel suo mare.
« Li
troveremo, te lo giuro. Non so perché sei così
provata da questa
situazione, ma non ti lascio sola ad affrontarla. Li cattureremo,
insieme. E' una promessa. »
Sentivo il suo respiro sulle
mie labbra, mi domandai se si fosse accorto di quanto fossimo vicini
in quell'istante. Le sue parole riuscirono a fermare il pianto
silenzioso, ricacciando dentro ogni lacrima. La mia mente quasi si
svuotò da ogni pensiero, immersa nei suoi occhi. Mi
sembrò quasi
che i nostri cuori battessero all'unisono, così come i
nostri
respiri che si incrociavano nello stesso momento.
Avrei potuto baciarlo. Una
parte di me mi diceva che lui stesse pensando la stessa cosa e che,
magari, non gli sarebbe neanche dispiaciuto. Non sapevo cosa sarebbe
successo dopo, ma non era quell'incertezza a frenarmi, no,
semplicemente non volevo rovinare quell'attimo di assoluta calma. Era
una sensazione piacevole, quasi magica, era come se il tempo si fosse
fermato e non volevo fare niente per riattivarlo. Riuscii comunque ad
alzare la mano destra e a prendergli la sua, non la tolsi dalla mia
guancia, non ne ebbi quasi il coraggio o forse la forza, non saprei
dire.
Chiusi gli occhi ed inspirai
profondamente. Con il pollice carezzai il dorso della mano dell'uomo
e lui fece la stessa e identica cosa a contatto con la mia guancia.
Quando riaprii gli occhi lo sorpresi ad osservarmi le labbra. Fu un
attimo, perché un istante dopo mi scrutava nelle iridi
verdi,
riuscii quasi a percepire la sua speranza nel fatto che non mi fossi
accorta di niente. Fui io, invece, a spostare lo sguardo sulle sue,
di labbra. Ebbi come il sospetto che non me ne sarei pentita, quella
volta, se avessi assaporato nuovamente il loro sapore. Killian era
pronto? Non lo sapevo, davvero. Forse temevo solamente la risposta,
fatto era che non riuscivo a capirlo.
Mi ero quasi decisa, mi ero
anche avvicinata maggiormente al suo volto, pronta a baciarlo, quando
il pensiero di Henry tornò a bussare alla porta della mia
mente. Non
potevo permettermi distrazioni, di nessun tipo, dovevo pensare a mio
figlio, a metterlo in salvo. I miei occhi si colorarono di tristezza,
Killian se ne accorse e lasciò andare la mia guancia per
afferrarmi
la mano. Le nostre dita si intrecciarono, mentre la stringeva forte
neanche volesse darmi parte della sua forza. Gli sorrisi, mi sforzai
di mostrargli quel mezzo sorriso, seppur tirato e triste.
I miei occhi, poi, senza che
me ne rendessi veramente conto, andarono a posarsi sulla lavagna alle
spalle di Killian. Sgranai gli occhi non appena osservai tutti i
luoghi dove erano stati ritrovati i corpi e subito mi allontanai
dall'uomo per vedere meglio.
« Swan? » L'altro era
visibilmente frastornato, si mise al mio fianco continuando a
lanciare occhiate a me e ai fogli sulla lavagna, che cominciai poi a
staccare e a rigirarmeli tra le mani per studiarli al volo. «
Che
succede? » Provò ancora, mentre il mio viso si
illuminava di
stupore e di speranza. In quel momento mi era tutto più
chiaro, non
potevo credere che eravamo stati così ciechi da non
rendercene conto
prima! Avevamo la soluzione a portata di mano e l'avevamo
completamente ignorata.
« Credo di aver trovato il
loro nascondiglio! »
« Cosa? » Lo guardai
raggiante, prima di posare tutti quei fogli sulla scrivania, pronta
uscire. « Cosa, che stai facendo? Dove stai andando? Swan!
»
« Devo controllare una
cosa... nei fascicoli che ho lasciato a casa di Phoebe! Non ci
metterò molto, ti chiamo appena ho la conferma dei miei
sospetti! »
*Killian Pov*
Se
ne andò così, Emma
Swan, con una rapidità che mi disarmò. Chiese le
chiavi dell'auto
di Phoebe e partì sola, a tutta velocità,
lasciando me e la squadra
senza parole per spiegare quell'insolito comportamento.
Emma era una persona
insolita, ormai lo avevo capito, ma quello era troppo anche per lei.
In quei giorni si era
completamente isolata: dopo aver salvato i fratelli Cox era tornata a
casa con Phoebe e da allora non si era più fatta vedere a
lavoro.
Avevo provato a chiamarla al telefono ma non aveva mai risposto,
avevo provato anche a presentarmi a casa della mia collega, ma Emma
si chiudeva in camera della ragazza, il più delle volte, per
non
farsi vedere. Avevo provato di tutto, le avevo anche lasciato dei
messaggi, non so per quale motivo, una parte di me voleva solo
sentire che stava bene. Lei non aveva mai risposto e Phoebe non mi
aveva mai dato troppe spiegazioni – per quanto ne sapevo a
casa si
comportava allo stesso modo.
Avevo cominciato anche a
sentirmi in colpa nei confronti di Rose, cercavo di non far caso a
quella sensazione ma proprio non ci riuscivo. Non l'avevo
più
sentita da quando se ne era andata, non che avessi provato a
contattarla ultimamente. Le avevo lasciato lo spazio che mi aveva
chiesto, credevo fosse la cosa che desiderava al momento. In poche
parole mi ero ritrovato a ignorare la mia fidanzata – anche
se su
sua richiesta – e a cercare in più modi di
contattare un'amica che
conoscevo da poco, pur sapendo che quei gesti non sarebbero andati
molto a genio a Rose.
E poi c'era... quell'ultimo
momento che avevamo passato insieme. Cosa significava? Era stato
veramente intenso, forse troppo. Non lo nego, avevo provato il
desiderio di baciarla ma, dannazione, solamente un uomo senza tutte
le rotelle a posto non avrebbe voluto farlo. Non significava niente,
era una bella donna e le posizioni in cui ci eravamo trovati avevano
amplificato ogni cosa, ogni sentimento.
Tra l'altro non avevo
neanche capito perché si fosse ritratta così
inaspettatamente.
Mi girai a guardare la
lavagna, gli stessi fogli che aveva studiato lei poco prima. Aveva
trovato degli indizi o comunque aveva capito qualcosa di veramente
importante che però a me continuava a sfuggire. Avevo
studiato
quelle carte un'infinità di volte, e come me lo aveva fatto
la mia
squadra, ma non mi ero mai accorto di niente e continuavo a non
capire cosa non stessi vedendo.
Il telefono squillò e mi
ritrovai a sussultare. Ero talmente concentrato a studiare quegli
appunti che avevo perso totalmente la concezione del tempo.
« Swan? » Risposi subito
al cellulare non appena lessi il nome della donna. Aveva detto che mi
avrebbe contattato non appena avuta la conferma dei suoi sospetti,
quindi ero pronto a raggiungerla, se non a scovare quei pazzi
psicopatici.
« Avevo ragione Killian! »
La sentii esultare entusiasta. Sorrisi di rimando mentre uscivo
dall'ufficio e mi avvicinavo, carico, a Phoebe e Jack, non dovevamo
perdere un attimo di tempo. « So dov'è il
nascondig... » un rumore
assordante risuonò nell'apparecchio, tanto che dovetti
scostare
l'orecchio.
« Emma? » Non rispose,
sentivo solo il suo fiato corto e dei passi veloci: probabilmente
stava scappando pur rimanendo con il telefono attaccato alla faccia.
« Emma! » Urlai, quasi, mentre tutti si giravano a
guardarmi
spaventati, ma non quanto lo ero io.
« Killian! » Fece di
rimando lei, sentivo la paura della sua voce e questo mi
irrigidì,
ma cercai di non perdere la calma.
« Emma che succede? Noi
stiamo arrivando », affermai facendo segno agli altri di
muoversi «
ma dimmi che succede. Emma, dimmi che stai bene. »
« I Clayton », esclamò «
Killi- AAAAH »
« Emma? Emma rispondi!
Parlami Swan, cazzo! »
Ma non rispose, nessuno
rispose. Rimasi con il telefono in mano per qualche instante,
immobile, ad aspettare, prima che Phoebe mi riscosse e mi fece salire
nella macchina di Jack, nei sedili posteriori. Il mio cuore aveva
ormai perso il battito regolare e continuava a martellare
all'impazzata. Era successo qualcosa di brutto, non avevo capito
molto ma la voce di Emma mi era parsa veramente terrorizzata e questo
mi faceva impazzire.
Mi domandai se non fosse
andata al loro nascondiglio prima di contattarci, lo dissi anche alla
squadra ma loro preferirono andare a controllare prima a casa. E se i
Clayton l'avessero raggiunta? Ma perché? Cosa volevano da
lei?
L'avevano rapita o... no, non volevo neanche pensare a quell'altra
ipotesi, non avrei potuto sopportarlo.
Arrivati davanti al palazzo
della ragazza corsi fuori dall'auto, prima che Jack avesse il tempo
di fermarla.
« Killian! » Sentii Phoebe
rimproverarmi, ma sapevo che fosse agitata quanto me pur non avendo
sentito direttamente Emma.
La porta dell'appartamento
era spalancata e mi precipitai dentro senza pensarci due volte.
« Emma? Ti prego Emma,
dimmi che sei qui! » Ma non rispose, addirittura sembrava non
essere
mai stata lì dentro, o meglio nessuno sembrava essere stato
lì
dentro nelle ultime ore, ad eccezione forse dei cani di Phoebe che si
erano messi ad abbaiare senza sosta.
L'interno era completamente
immacolato, se davvero i due uomini l'avevano raggiunta mi sembrava
impossibile che non vi fosse un po' di caos, soprattutto dopo averla
sentita così agitata mentre correva via da qualcosa.
« Non c'è nessuno qui »,
constatò Jack, una volta che mi ebbe raggiunto seguito
dall'altra
ragazza « forse davvero è andata ad affrontarli da
sola. »
« No », esclamai un po'
troppo forte, nauseato da quell'idea « non avrebbe senso. La
porta
era spalancata, sono stati qui » affermai deciso mentre
lasciavo il
salotto per ispezionare le altre camere.
Il bagno era vuoto, non che
mi aspettassi di trovarla lì, veramente. Mi avvicinai alla
camera di
Phoebe e provai ad aprire la porta, ma non ci riuscii: era stata
chiusa a chiave.
« Phoebe! » La chiamai
allarmato « Sei stata tu a chiederla? » Le domandai
quando mi fu
davanti, ma lei scosse appena il capo.
« No, la lascio sempre
aperta.. non capisco. »
Provai ancora ad abbassare
la maniglia, più volte, e a spingere, come se il mio
cervello non
sapesse che fosse tutto inutile.
« Emma, sei lì dentro? »
Domandai rivolto al nulla, senza fermarmi un istante. Avrei buttato
giù quella porta da solo se sarebbe stato necessario.
« Killian, fermati! » La
ragazza alle mie spalle mi afferrò e cercò di
spingermi via «
Andiamo a cercare la chiave, se Emma ha chiuso la stanza deve aver
avuto delle ottime ragioni, ma non credo che lei sia qui. Cerca
qualcosa che può aiutarci ad aprire la porta, in caso quella
maledetta chiave non dovesse spuntare fuori! » Phoebe mi
lasciò
solo, mentre con Jack cominciarono ad ispezionare ogni angolo della
casa.
Cosa c'era lì dentro di
così importante? Continuavo a domandarmi se si fosse chiusa
lei
stessa al suo interno, ma non avrebbe avuto senso ignorarci e non
rispondere neanche una volta a noi che continuavamo a chiamarla.
Avevo paura che fosse ferita, o peggio. Poteva essere svenuta e per
questo non rispondeva. Magari aveva bisogno di soccorso, il prima
possibile.
« Dannazione, apriti
maledetta! » Urlai furioso mentre continuavo a sbattere con
le
spalle addosso alla porta, cominciando anche a farmi male sul serio ma
ignorai
ogni dolore fisico e non mi fermai.
« L'abbiamo trovata! »
Sentii gridare Jack da... fuori l'appartamento? La sua voce mi
appariva lontana, stupito mi fermai e mi voltai ad aspettarli.
« Era
fuori, in strada. Deve averla lanciata via! »
Ipotizzò, mentre mi
dava la chiave, eccitato.
« Forse i Clayton erano
davvero qui e deve averla buttata via per non farli entrare qui
dentro » provò anche Phoebe, incrociando le
braccia e aspettando.
Tutti e tre eravamo curiosi
di sapere cosa ci fosse in quella camera di così importante.
Doveva
essere un indizio fondamentale, perché altrimenti Emma non
si sarebbe
presa la briga di chiuderlo a chiave così che gli assassini
non
potessero vederlo. Ma se fossero stati loro a buttare via la chiave
per non farcela trovare? No, non l'avrebbero mai lasciata
così
vicino, probabilmente non se ne sarebbero neanche separati.
Con tutte quelle teorie per
la testa e con mano tremante, abbassai la maniglia e aprii finalmente
la porta. Era vuota, non c'era la minima traccia di Emma neanche
lì.
Entrai un po' sorpreso e un po' sconsolato, cominciai a guardarmi
intorno ma non trovai nulla di insolito. Non capivo, cosa doveva
esserci in quella stanza? Cosa aveva trovato Emma?
Alla fine guardai la
scrivania, c'era una mappa di Londra aperta, immaginai che l'ultima a
controllarla fosse stata Emma, così presi gli angoli tra le
mani e
l'alzai per vederla meglio. Proprio in quel momento qualcosa
scivolò
da sopra la cartina e cadde a terra, risuonando appena. Abbassai lo
sguardo e notai un anello ai miei piedi, non l'avevo notato prima e
mi domandai perché fosse proprio lì sopra. Lo
guardai meglio e mi
accorsi di averlo già visto, cercai di fare mente locale e
ricordai
come Emma fosse solita rigirarselo tra le mani.
Mi piegai appena sulle
ginocchia per prenderlo, ma non appena lo sfiorai mi sembrò
di ricevere
una scossa, una breve immagine dello strano sogno che avevo fatto su
me ed Emma mi attraversò la mente. Ritrassi subito la mano,
come
scottato. Quell'anello lo avevo già visto prima, era una
cosa che
andava aldilà di Emma, mi sembrava familiare.
Rapido, lo afferrai e nello
stesso istante fui travolto da una valanga di emozioni contrastanti,
fu come una doccia fredda, brividi mi attraversavano la schiena senza
sosta, sentii rizzarsi i peli delle braccia e cominciai a tremare.
Ancora una volta dei flash
mi tornarono alla mente, c'eravamo sempre io ed Emma intenti a
baciarci in quella strana foresta.
Subito dopo lo scenario
cambiò, ora osservavo Emma, la guardavo dritto negli occhi
verdi,
mentre ci trovavamo in una specie di grotta, chissà per
quale
motivo. « Il mio segreto è che io non
avevo mai creduto di poter
dimenticare il mio primo amore, la mia Milah. Non pensavo di poter
trovare qualcun altro, finché non sei arrivata tu.
» Restai ad
osservarla, ad aspettare che dicesse qualcosa, ma lei pareva quasi
muta, dalla sua bocca non usciva la minima parola. La sua espressione
era indecifrabile, ma i suoi occhi mi apparvero quasi commossi e,
forse, spaventati. Di cosa aveva paura?
Ancora una volta mi ritrovai
in mezzo alla foresta. Ancora una volta Emma mi osservava, ma io
subito accorciai le distanze così da ritrovarmi esattamente
davanti
a lei, in modo da poterla guardare meglio. Lei parve quasi
preoccupata da quel mio improvviso avvicinamento, ma non si
tirò
indietro, restando ad osservarmi senza fiato « Quando
vincerò il
tuo cuore, Emma, e so che ci riuscirò, non sarà
grazie all'inganno,
sarà perché tu vuoi me. »
Improvvisamente ci
ritrovammo in mezzo ad una strada, sembrava essere il confine di una
città. Emma mi guardava ancora, aveva un'espressione meno
dura sul
volto, simile a quella che ero abituato a vedere in quegli ultimi
giorni. Il suo viso era dolce, i suoi occhi carichi di sofferenza e
di lacrime trattenute allo stremo della forza. Una leggere brezza le
scompigliava appena i capelli, le sue labbra le si incurvarono appena
verso l'altro e stessa cosa fecero le mie. Provai un senso di
soddisfazione per averle strappato un sorriso.
Ora invece quegli occhi
erano tornati distanti e la sua espressione si era raggelata.
Sembrava guardarmi con sospetto, come se non si fidasse in alcun modo
di me o serbasse rancore per qualche motivo a me sconosciuto e la
cosa era snervante. « Perché hai tanta
paura di restare? »
Le domandai, ad un tratto. Lei voltò il capo evitando i miei
occhi,
capii che avevo centrato il punto. « Secondo me sei
spaventata
perché qui vedi un futuro. Un futuro felice.
» Continuai, prima
che potesse fulminarmi appena, come se fosse l'unica difesa che le
fosse rimasta ora che si trovava con le spalle al muro. « Fammi
indovinare, un futuro con te? »
Con la sua voce distaccata a
rimbombarmi nella mente, lo scenario mutò ancora una volta.
Per la
prima volta riuscivo a vederla felice, davvero felice e spensierata,
il suo volto a pochi centimetri dal mio. Sorrideva raggiante e non
l'avevo mai vista così bella. Indossava un vestito rosso
dall'aspetto fiabesco, aveva i capelli raccolti dietro la testa e mi
guardava come se avesse appena capito che ormai ero entrato nel suo
cuore. O così mi parve. La stringevo avvicinandola
maggiormente al
mio corpo mentre i nostri passi si confondevano tra altre persone,
guidati dal suono della musica. Non avevo occhi che per lei e lei non
aveva occhi che per me.
Improvvisamente ci trovammo
seduti davanti a un tavolino, fuori una specie di tavola calda.
Eravamo soli e vicini. Emma mi guardava sorpresa, nei suoi occhi
leggevo gratitudine, ma non c'era solo quello. Era come se si fosse
tolta un peso dal cuore, o come se avesse finalmente aperto gli occhi
a una verità più grande di lei, una
verità che la disarmava. «
Hai abbandonato la tua nave per me? »
Domandò sconvolta,
sconvolta da un gesto così grande, inaspettato. Riuscivo a
capire
che nessuno mai si era spinto a tanto per lei, ma una vocina nella
mia testa mi diceva che Emma Swan ne valeva la pena. « Aye
»
mi ritrovai a rispondere, guardandola intensamente, usando una parola
che non avrei mai pensato potesse appartenermi.
Mutò tutto ancora una
volta, mi ritrovavo a contemplare la donna che aveva ormai il mio
cuore fra le sue mani. No, aveva letteralmente il mio cuore tra le
sue mani e questo fatto mi sconcertò più di tutte
le altre strane
cose che avevo visto. L'organo vitale batteva e splendeva di luce
viva, io ero in piedi davanti a lei, respiravo perfettamente ma
sapevo che quel cuore apparteneva proprio a me. Con un gesto veloce, lo
premette contro il mio petto e tutto sembrò avere un sapore
diverso,
un sentimento diverso, un qualcosa di più forte e grande.
Non la
feci neanche parlare che subito mi gettai voglioso sulle sue labbra,
come se fossero fatte di ferro e io fossi una calamita che non poteva
restarsene in disparte perché attratta totalmente da loro.
Emma finì
col ritrovarsi in mezzo ad una parete e a me, il suo corpo contro il
mio, i nostri cuori che battevano veloci, presi dall'emozione. Le
nostre labbra a contatto che non riuscivano a staccarsi, le lingue
che si muovevano freneticamente e che non riuscivano a stancarsi. Ero
completamene senza fiato, ma allo stesso tempo mi sentivo
incredibilmente in forze, incredibilmente vivo.
Tutto cambiò, di nuovo. Ero
sempre più frastornato da quel fatto, ma come mi era
accaduto nel
sogno avevo smesso di farmi troppe domande. Ci trovavamo in una
casetta, il silenzio regnava sovrano. Emma sembrava pendere dalle mie
labbra, l'espressione commossa e stupita, mi guardava come se le
avessi appena rivelato qualcosa d'importante. Io, d'altro canto, la
guardavo serio, preoccupato, come se potesse sfuggirmi via da un
momento all'altro, ma lei sembrava non avere nessuna intenzione di
volerlo fare. « Se hai davvero paura di perdere il
lieto fine
vuol dire che l'hai trovato. Qual è? »
Sussurrò appena
quell'ultima domanda, quasi spaventata da quella che poteva essere la
risposta. Io scossi leggermente il capo, incredulo che non avesse
ancora capito, mentre sentii anche i miei occhi inumidirsi, anche se
non avrei mai versato una lacrima. « Non
lo sai, Emma? Sei
tu. » Affermai con voce rotta e sguardo perso nel
suo. Quella
confessione mi attraversò il petto come una spada, mi fece
male,
male davvero, ma poi mi sentii più leggero, come se avessi
finalmente ammesso a parole quello che mi portavo dietro da un po'.
Poi non vidi più niente.
Spalancai improvvisamente gli occhi che neanche ricordavo di aver
chiuso, strinsi forte l'anello nella mia mano tanto che cominciai a
sentire dolore e, in quell'attimo, in quel breve attimo, tutto mi
parve chiaro.
Angolo dell'Autrice:
Non ho davvero scusanti questa volta, sinceramente non so neanche io
perché ci ho messo tanto a portare a termine questo
capitolo, a mia
discolpa posso solamente dire che sto scrivendo e organizzando nuove
storie/one shot e progetti, quindi spesso mi sono ritrovata a
trascurare questa storia. Ma credo di essermi fatta perdonare ;)
Vi confesso che ci sono
stati momenti in cui pensavo che questo capitolo sarebbe venuto fuori
incredibilmente corto, tipo di 5/6 pagine e invece eccomi qui con ben
DODICI pagine! Credo sia il più lungo, non vorrei dire una
stupidaggine (sono incerta sulla mia stessa storia, questo vi fa
capire molto!)
Ma torniamo alle cose serie!
Spero che non abbiate trovato la prima parte, diciamo, confusionaria.
Ovviamente le parti in corsivo erano dei flashback usati per spiegare
meglio quello che era successo in quei giorni. Emma è persa,
completamene persa. Si isola da tutti terrorizzata dall'ammonizione
dei Clayton, ma alla fine vuota il sacco con Phoebe, non potendo
più
tenere quella responsabilità da sola. Non li ho fatti
baciare, con
Killian, perché ho pensato come Emma:
Henry viene prima di
tutto, come disse lei stessa a Hook e Neal, a Neverland. Anche ora
che ha finalmente aperto il suo cuore nei confronti di Killian, sa
che non può permettersi nessuna distrazione se vuole trovare
suo
figlio.
E, quindi, viene rapita,
anche lei, proprio quando aveva finalmente trovato il nascondiglio
dei due fratelli. E il pezzo finale del capitolo... è uno
dei miei
preferiti in assoluto! Lo penso da mesi e finalmente sono riuscita a
metterlo nero su bianco :'D ho cercato di inserire tutti i momenti
più significativi del loro rapporto, anche se ho dovuto
escluderne
tantissimi ma non poteva essere altrimenti o avrei dovuto fare un
capitolo basato esclusivamente sui flashback XD Ovviamente tutti
momenti pre-finale di stagione della quarta stagione,
perché, vi
ricordo, che questa storia è, diciamo, un finale alternativo.
E ora, la domanda che tutti
vi state ponendo: Killian ha recuperato FINALMENTE la memoria? Ed
Emma? I Clayton le hanno fatto del male? Killian riuscirà a
trovare
il loro nascondiglio e a salvare lei e Henry? Rose tornerà a
rompere
le balle?
Grazie a tutti per le
recensioni, non potete davvero capire quanto mi fa piacere leggerle e
confrontarmi con voi! Davvero, grazie infinite!
Con questo vi saluto, a
presto! :)
Sà
|
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Capitolo 17 *** In the wolf's lair ***
17.
In the wolf's lair
*Killian
Pov*
«
Killian, svegliati. Apri gli occhi! »
Sentivo
qualcuno continuare a chiamarmi senza sosta, non sapevo per quale
motivo ma sembrava allarmato. Quella voce continuava a farsi sempre
più forte, come se stesse arrivando da me da
chissà quale posto
lontano. Percepii una mano sulla mia spalla destra, non l'avevo
sentita posarsi e mi domandai da quanto tempo fosse lì;
questa
cominciò a scuotermi freneticamente, così tanto
che cominciai ad
avvertire un senso di nausea.
«
Non scuoterlo così forte Jack, lo farai vomitare! »
Un'altra
voce si unì alla precedente, più forte,
più autoritaria. Era una
voce femminile, una voce che già conoscevo e che avevo
sentito più
volte. Non riuscivo a capire di chi si trattasse, il mio cervello era
completamente annebbiato. A dire la verità, fino a quel
momento
avevo pensato che si trattasse tutto di un sogno, era quasi
divertente immaginare a chi appartenessero quelle voci o il motivo
della loro agitazione. Alla fine, però, capii quello che
stava
succedendo, più o meno, e tentai di aprire gli occhi.
Lentamente,
perché le palpebre sembravano stranamente pesanti, come
incollate
fra loro.
«
Killian! »
Mi
chiamò ancora una volta la voce femminile, captando,
probabilmente,
quel mio flebile movimento delle ciglia. Ad occhi ormai semiaperti
individuai la figura di una donna bionda, due occhi verdi che mi
scrutavano preoccupati, una smorfia ricca di agitazione disegnata
sulle labbra.
«
Emma! » Esclamai, come potevo, con la bocca impastata. Questa
sbatté
due volte le palpebre, sospirando appena più sollevata
sentendomi
parlare. La sua figura mutò appena, rivelandomi la faccia di
Phoebe
che mi scrutava leggermente tranquilla, prima di girarsi a
rassicurare un'altra persona, che poi riconobbi come Jack. «
Phoebe?
» Domandai, cercando di tirarmi su e di mettermi quantomeno a
sedere. Mi ero, difatti, accorto di essere disteso su un divano, come
ci fossi finito era un mistero. « Cos'è successo?
»
«
Spiegacelo tu », a rispondere fu il ragazzo, seduto
dall'altra parte
del divano, che mi fissava a braccia conserte « sei svenuto,
all'improvviso e senza una ragione. Non sapevamo cosa fare. »
«
Sono svenuto?! » Chiesi, spalancando gli occhi per la
sorpresa. I
due ragazzi annuirono e io cominciai a guardarmi intorno, cominciando
a ricordare. Emma mi aveva chiamato, eravamo corsi a casa di Phoebe,
non l'avevamo trovata. « Emma! Dobbiamo trovarla! »
«
Frena, frena, frena », la ragazza posò entrambe le
mani sulle mie
spalle nell'esatto momento in cui feci per alzarmi, spingendomi
indietro per
farmi rimettere seduto « quale parte non ti è
stata chiara? Hai
perso i sensi per una quindicina di minuti, prima ti portiamo al
pronto soccorso per farti controllare e poi torniamo in stazione e
cominciamo a cercare Emma. »
«
Sto bene », esclamai spazientito, roteando gli occhi verso
l'alto «
è stata colpa del- » anello, era stata colpa
dell'anello. Era stata
colpa dell'anello? Quelle parole suonavano assurde anche a me e
cominciai a dubitare della loro affidabilità.
Mi
accorsi solo in quel momento di avere la mano destra ancora stretta
in pugno. Abbassai lo sguardo mentre l'aprivo con fatica, il metallo
si era ormai attaccato al mio palmo. Mi rigirai l'anello tra le dita,
in attesa. I due ragazzi mi guardavano pazienti, ogni tanto si
lanciavano giusto qualche occhiata interrogativa, forse si
domandavano se non avessi sbattuto la testa da qualche parte prima di
cadere a terra. Indossai l'anello ad un dito qualunque dicendomi che
lo avrei ridato ad Emma non appena l'avremmo trovata, mentre notai
con sorpresa che fosse esattamente della mia misura.
«
Davvero », affermai, rialzando lo sguardo sui due «
mi sento bene.
Emma è la nostra priorità al momento, se davvero
è stata presa dai
Clayton dobbiamo muoverci e trovarla al più presto
» annuirono
entrambi e insieme ci avviammo, nella macchina di Jack, verso
Scotland Yard.
Mi
chiusi in me stesso per qualche istante, con decisamente troppi
pensieri per la testa. Con la telefonata di Emma era palese che la
donna si fosse trovata in un qualche pericolo e che, molto
probabilmente, ci si ritrovava ancora, in attesa di essere salvata.
Era anche abbastanza ovvio il fatto che i Clayton centrassero
qualcosa, li aveva anche nominati ad un certo punto, ma continuavo a
chiedermi cosa volessero da lei.
Ma
quella non era la mia unica preoccupazione.
Cominciavo
a ricordare cosa mi fosse successo prima di svenire. Ero stato
travolto da una valanga di immagini, immagini come quella che mi era
comparsa in sogno, immagini tanto reali quanto inverosimili. La mia
pelle sentiva di aver vissuto quelle scene in prima persona, o
perlomeno delle situazioni simili, lo sentivo dentro, c'era qualcosa
che mi scorreva nelle vene che me lo confermava.
Eppure
per quanto mi concentrassi non mi tornava in mente niente del genere.
Emma
sosteneva di conoscermi già da tempo e se i primi tempi
avevo
creduto a quelle parole, ora mi suonavano come l'ennesima menzogna.
Sapevo di averla incontrata per la prima volta quasi venti giorni
prima, la mia mente era priva di qualsiasi altro ricordo riguardante
anche la minima socializzazione tra noi due.
Ma
quei baci sembravano così veri. Chiudevo gli occhi e mi
sembrava di
assaporarli ancora sulle mie labbra. E quelle parole, tutte quelle
dichiarazioni che mai avevo fatto neanche a Rose. Mi sembrava di
averle pronunciate davvero in qualche angolo remoto del tempo. Ci
ripensavo e sentivo crescere dentro di me una specie di fiammella, e
anche un briciolo di soddisfazione. Soddisfazione e orgoglio, come se
avessi lottato tanto per l'amore di Emma Swan fino a vincerlo.
Ma
non poteva essere vero. Sapevo con certezza di non essermi adoperato
tanto neanche per la mia attuale fidanzata, sicuramente non l'avevo
mai fatto per Emma, per una sconosciuta. E, se anche le cose fossero
andate veramente così, dov'erano i ricordi? Qualche
frammento qua e
là non era sufficiente, eppure, poco prima di svenire, avevo
provato
una sensazione strana, nuova, che mi spingeva a definire veritiere
quelle immagini.
Forse
in un'altra vita.
«
C'è una cosa che non capisco, in
tutta questa faccenda » affermai interrompendo quel silenzio
snervante che si era creato durante il viaggio e ponendo
così fine a
tutti i miei pensieri riguardanti l'anello.
Phoebe
voltò appena il viso per
guardarmi con la coda dell'occhio, essendo impossibilitata dalla
cintura a girarsi completamente verso di me, mentre Jack
alzò per un
momento gli occhi allo specchietto retrovisore, prima di posarli
nuovamente sulla strada davanti a sé. Entrambi sembravano
volermi
incitare a continuare.
«
Perché Emma? » Domandai
semplicemente, spostando per un secondo lo sguardo sulla strada.
Phoebe corrugò la fronte.
«
“Perché Emma” cosa? »
Ripeté
l'altra, confusa, provando a guardarmi bene in faccia senza
riuscirci.
«
Perché proprio lei? Perché non hanno
preso me o qualcun altro della squadra? Perché catturare una
persona
che ha cominciato ad indagare su di loro da meno di un mese e neanche
in via ufficiale. Cosa vogliono da lei?! »
Phoebe
sospirò e chiuse appena gli
occhi, poi si voltò e si concentrò sulla strada.
Capii che ne
sapeva senz'altro più di me, abbastanza da formulare delle
buone
teorie, ma continuava a restare in silenzio. Mi sembrò che
anche
Jack le lanciasse delle occhiate veloci, aspettando che dicesse
qualcosa. Alla fine feci per aprire bocca, per incitarla a parlare,
ma quella mi anticipò.
«
Hanno preso suo figlio » buttò lì,
serrando la mascella e incupendosi, come potei osservare grazie allo
specchietto davanti a me.
«
Cosa? » Domandai di getto, non
recependo subito il messaggio.
«
Suo figlio, Henry », ribadì la
ragazza, cercando di mantenere un tono di voce freddo anche se in
realtà si percepiva tutta la sua preoccupazione «
subito dopo aver
salvato i fratelli Cox, Emma ha ricevuto una chiamata dai Clayton. Le
hanno detto di non dire niente alla polizia, di non dire niente a
nessuno, e che presto l'avrebbero presa e avrebbero rilasciato il
ragazzo. »
«
Ma perché? » Feci sconvolto «
Perché tutto questo? »
«
Non lo so, penso per via di Crudelia,
vorranno vendicare la sua morte. »
«
Ma è stato un incidente », ribattei
con forza, spalancando il palmo della mano esasperato « e poi
loro
come facevano a sapere che Emma era immischiata in quella storia?
»
«
Non lo so, Killian, non lo so »,
sbottò la donna, all'improvviso « ne so quanto te
in questa storia
» aggiunse infine, sbuffando. La guardai di sottecchi, prima
di
voltare lo sguardo alla mia destra, verso il finestrino.
«
A me sembra che tu ne sappia molto più
di chiunque altro » borbottai fra me, ma ebbi la certezza di
essermi
fatto sentire anche dai due ragazzi.
Phoebe
non ribatté, questo mi fece
presumere di avere ragione. Avevo quasi l'assoluta certezza che Emma
le avesse confidato qualcosa, ma non feci altre domande e lasciai
cadere il discorso. Se fosse stata una rivelazione importante per le
indagini, la ragazza ce lo avrebbe detto senz'altro e, in quel
momento, non mi importava niente che non riguardasse il ritrovamento
di Emma Swan.
*Emma
Pov*
Fui
scaraventata in avanti e sbattei la
faccia contro qualcosa. Questo mi fece ridestare e aprire
immediatamente gli occhi, non che la situazione cambiasse molto.
Difatti, il buio avrebbe regnato indisturbato in quella specie di
cubicolo in cui mi trovavo, se non fosse stato per un microbico
stralcio di luce che filtrava da un angolo non lontano dal mio viso,
rivolto verso sinistra grazie alla guancia destra schiacciata contro
una superficie piuttosto dura e scomoda.
Cercai
di girarmi e di tirarmi su a
sedere, volevo poggiare le mani a terra e darmi una spinta, ma mi
resi conto solo in quel momento di non poterlo fare. Improvvisamente
sentii una stretta su entrambi i polsi: mi accorsi di avere le mani
legate dietro la schiena ed andai in panico. Quand'era successo?
Con
un colpo di spalla riuscii a girarmi
a pancia in sopra, andando a colpire qualcosa con il braccio
sinistro. Proprio allora cominciai a muovermi. O perlomeno l'ambiente
intorno a me cominciò a muoversi, io non avevo osato
spostarmi di un
solo centimetro. Tutto cominciò a tremare, mentre i classici
rumori
da strada e la puzza di benzina mi pervasero ogni senso. Ero
rinchiusa in un bagagliaio. Non potevo crederci. Cominciai a sentirmi
soffocare e a respirare a fatica, come se tutta l'aria fosse finita
alla sola realizzazione di essere in trappola.
Diamine
Emma, mantieni la calma. Ne hai passate di peggio.
Continuavo
a ripetermelo senza sosta,
mentre provavo a slegarmi i polsi senza riuscirci. Mi chiesi
perché
non avessi mai chiesto a Killian di insegnarmi qualche vecchio trucco
da pirata, sicuramente sarebbe stato un gioco da ragazzi per lui
liberarsi. Provai e provai ancora, ma mi risultava impossibile
riuscire, non da quella posizione perlomeno.
Mi
fermai e respirai profondamente,
socchiudendo appena gli occhi. Provai a fare mente locale sugli
ultimi avvenimenti: ero riuscita a trovare il nascondiglio dei
Clayton ma, neanche a volerlo fare apposta, loro mi avevano raggiunta
a casa di Phoebe per prendermi, anche se in un primo momento ero
certa che mi avrebbero uccisa subito, senza troppe storie. Ero
riuscita a lasciare un indizio a Killian, prima di tentare una fuga
disperata. A quel pensiero sperai vivamente che l'uomo avesse colto
al volo quello che volevo suggerirgli, in quel modo poteva salvare
Henry il prima possibile e poi trovare anche me, se mi avessero
portata in un posto diverso. Non ero riuscita a scappare dai due
folli, e questo era abbastanza ovvio. Ricordai come uno di loro mi
avesse afferrata per le spalle, ero riuscita a liberarmi ma non ad
allontanarmi, dato che mi avevano colpita violentemente alla testa,
facendomi perdere i sensi.
Le
mie labbra si contrassero in una
smorfia e un lieve dolore comparve sul mio capo. Come avevo fatto ad
essere così stupida e a farmi catturare?! Dovevo riuscire a
scappare, il prima possibile.
Mossi
appena le gambe, legate ovviamente,
neanche a dirlo, verso l'alto, cominciando a dare dei calci ovunque
riuscissi ad arrivare. Mi fermai solo quando non avvertii
più nessun
movimento. Sentii una portiera aprirsi e chiudersi subito, seguita
poi da una seconda. Dei passi si fecero sempre più vicini,
poi si
arrestarono. Aprirono lo sportello e fui costretta a chiudere gli
occhi per via della luce.
«
Allora sei sveglia, biondina »,
affermò, anche apparentemente divertito, l'uomo che qualche
giorno
prima aveva tentato di strangolarmi, William, se la mia mente non mi
ingannava « hai finito di far casino? Chi vuoi che ti senta,
comunque? » Accennò una risata macabra, voltandosi
a guardare il
suo compare. Aggrottai appena la fronte e lanciai loro uno sguardo di
sfida, dovevano sapere che non li temevo e che avrei sicuramente
trovato il modo di uscire dai guai.
«
Falla uscire da lì, vi aspetto dentro
» ordinò l'altro, che a prima vista mi sembrava il
più piccolo dei
due.
«
Hai sentito, biondina? Esci fuori, o
forse vuoi rimanere chiusa dentro il bagagliaio? » Mi
domandò
William, che non aveva smesso un attimo di ridacchiare tra
sé,
probabilmente per la mia situazione, o forse solo perché era
totalmente pazzo.
«
E come dovrei fare? » Me ne uscii,
allora io, senza batter ciglio e indicando con un cenno del capo le
mie gambe legate fra loro. Ero impossibilitata a muovermi, dovevano
quantomeno lasciarmi liberi i piedi se volevano farmi andare con
loro.
«
Sai una cosa, John », l'uomo chiamò
il fratello, senza smettere di guardarmi per un solo istante
« la
bionda sa il fatto suo » concluse, e sotto lo sguardo vigile
dell'altro estrasse un coltellino da tasca dai suoi jeans e
tagliò
la corda che mi circondava le gambe.
Non
aspettai un solo istante e gli colpii
la mano destra con un calcio, facendo cadere il coltello, poi,
rapida, lo colpii in pieno volto. Balzai fuori dall'auto e mi
accovacciai a raccogliere il coltello, ma non feci in tempo a
prenderlo che John Clayton mi puntò una pistola contro,
avvicinandosi lentamente a me, fino a quando non mi ritrovai con la
canna appiccicata alla mia fronte.
«
Mollalo », fece duro. Digrignai i
denti e strinsi forte l'arma nella mano sinistra, non volevo dargli
soddisfazione « tuo figlio è dentro, molla il
coltello o lo faccio
portare qui e giuro che non ti piacerà quello che potrei
fargli. »
Mi
irrigidii a quelle parole e squadrai
l'uomo per cercare di capire se stesse bluffando o se, invece, fosse
serio. Purtroppo non riuscii a scorgere neanche la traccia della
minima bugia, anzi, la sua voce era apparsa così ferma e
crudele che
non lasciava trasparire dubbi. Aprii subito la mano e il coltello cadde
immediatamente a terra, risuonando appena. Serrai la mascella e
guardai torva l'uomo che abbassò l'arma e fece per dirigersi
verso
un capanno. Deglutii appena, quando si fu voltato.
L'altro
mi afferrò il braccio sinistro e
mi mise prepotentemente in piedi, persi un attimo l'equilibrio ma non
caddi, la mente a Henry, non sapevo se sperare che fosse dietro
quella porta o meno. Se gli avevano toccato anche un solo capello li
avrei uccisi con le mie stesse mani quel giorno stesso.
Mi
fecero entrare dentro il capannone, ma
non mi diedero neanche il tempo di guardarmi intorno che mi spinsero
verso una scalinata, sotto una specie di botola. Una volta scesa, lo
vidi subito, rinchiuso dentro una piccola cella.
«
Henry! » Esclamai, sconvolta, mentre
il ragazzino scattava in piedi sorpreso e si piazzava davanti le
sbarre.
«
Mamma! » Fece lui, mentre mi
scrollavo di dosso le manacce di Clayton e correvo verso mio figlio.
Avrei voluto allungare almeno una mano e stringerlo a me, ma non mi
fu possibile.
«
Ti hanno fatto qualcosa? » Gli
domandai all'istante « Stai bene? » Continuai senza
neanche dargli
tempo di replicare alla prima domanda. Lui accennò un
sorriso
rassicurante, mentre stringeva appena le sbarre della cella.
«
Tranquilla mamma, non mi hanno fatto
niente. Beh, tranne rinchiudermi qua dentro » sospirai
sollevata,
mentre lo osservavo meglio per sicurezza. Mi sembrava sincero e
sicuramente non avrebbe mai osato mentirmi su una cosa tanto
importante, ma mi sentii più tranquilla nel constatarlo con
i miei
occhi.
«
Ma che scena toccante » sentii
mormorare alle mie spalle. Immediatamente cancellai il timido sorriso
che mi si era dipinto sul volto alla vista di Henry, per dare posto
all'espressione più fredda e glaciale che possedessi.
«
Lasciatelo andare », affermai con un
tono che non ammetteva repliche « avevate garantito che lo
avreste
liberato, una volta avuta me. Lasciatelo andare » ribadii
ancora una
volta, come se non fossi stata chiara.
«
E lo faremo, biondina, hai la nostra
parola », storsi il naso pensando a quanto potesse valere, la
loro
parola, la parola di due pazzi criminali che non avevano guardato in
faccia a nessuno, neanche a due bambini indifesi « ma non
è ancora
il momento. » Mi voltai e feci per andargli incontro, ma
l'altro mi
afferrò di nuovo, bloccandomi. Aprii la bocca, pronta a
ribattere,
ma il fratello non me ne diede il tempo « Dobbiamo trovare un
altro
nascondiglio, per te e per noi, e poi liberemo il ragazzo. Ha
imparato a conoscere fin troppo bene questo posto, non vogliamo
rischiare che riveli tutto ai tuoi amichetti di Scotland Yard
»
concluse il discorso con un sorriso ironico sul volto, fece un segno
veloce a suo fratello e poi si voltò verso le scale, dalle
quali
sparì un secondo dopo.
L'altro
mi spinse verso una sedia, con
una mano sulla mia spalla destra mi obbligò a sedermi e poi
mi legò
per bene con i piedi alle gambe della sedia e le mani dietro lo
schienale.
«
Spero che tu sia comoda » rise
quello, prima di seguire l'altro e lasciarci soli. Chiuse la botola,
lasciandoci, anche se non completamente, al buio. Abbassai la testa,
incapace di fare altro, cominciando a pensare a un modo per farci
uscire dal quella situazione: non avevo nessuna intenzione di
restarmene con le mani in mano, senza far niente, aspettando, o
sperando, che qualcuno ci salvasse.
«
Mi dispiace, mamma » Henry interruppe
improvvisamente il silenzio che andava avanti da... svariati minuti,
non sapevo dirlo con certezza. Alzai subito lo sguardo verso di lui,
per fortuna c'era una piccola finestrella e la luce riusciva ad
entrare, seppur minima, così che riuscissi a scorgere il suo
volto.
«
Per cosa? » Domandai solamente,
incapace di capire e, soprattutto preoccupata. Preoccupata per tutto.
«
E' colpa mia se ti hanno rinchiusa
qui... » rispose lui, abbassando gli occhi con fare colpevole
e
dispiaciuto. Avrei tanto voluto abbracciarlo, o almeno avvicinarmi a
lui per rassicurarlo, e invece mi toccava restarmene lì su
quella
stramaledetta sedia.
«
Ma cosa dici? Non è assolutamente
colpa tua, ragazzino. Togliti dalla mente queste idee »
affermai con
un tono di voce dolce, cercando di sorridere come meglio potevo.
L'ultima cosa di cui avevo bisogno era che Henry cominciasse ad
addossarsi tutta la colpa, come se non fosse vittima anche lui di
quegli avvenimenti. Ci pensai sopra, in realtà era colpa
mia. Se lo
avessi fatto partire subito, insieme a Regina, come avevamo
programmato, non sarebbe successo niente. O perlomeno non gli
sarebbe successo niente. Mi sentii improvvisamente uno schifo a
quella realizzazione, come potevo aver permesso una cosa del genere?
« Piuttosto sono io che devo scusarmi, non avrei dovuto
lasciarti da
solo. Dovevi ripartire insieme a Regina, non so cosa mi sia passato
per la testa. »
«
No, non volevo assolutamente restare
ancora in disparte a Storybrooke, volevo dare una mano con il caso,
con Killian... »
«
E invece eccoci qui, tutti e due »,
sospirai « forse dovevo chiedere aiuto a Killian fin
dall'inizio –
no, non gli ho detto niente sul tuo rapimento », mi affrettai
ad
aggiungere, per spiegargli meglio la situazione « ma per
fortuna
sono riuscita a lasciargli un indizio riguardo questo nascondiglio.
Spero che ci trovi presto. »
«
Non hai detto niente alla mamma, vero?
» Scossi appena la testa a quella domanda, sentendomi
improvvisamente in colpa anche nei confronti della ex Regina Cattiva.
Probabilmente non avrei dovuto escludere neanche lei da quella
storia, ma avevo pensato ad ogni possibile conseguenza e tutte si
ritorcevano contro Henry. E poi, la presenza di Regina, si sarebbe
rivelata inutile in una città priva di magia.
«
No, niente. Ho solo informato tutti
del fatto che saresti rimasto con me ancora per qualche giorno, poi
non ho più sentito né lei né i tuoi
nonni. Hanno provato a
chiamarmi, ma evitavo di rispondere. Come al solito »,
spiegai in un
mezzo sospiro, tornando ad abbassare il capo « avevo il
terrore che
ti facessero del male, se avessi parlato con qualcuno. Anche se alla
fine non ce l'ho fatta e ho vuotato il sacco con Phoebe, la ragazza
di Scotland Yard » il ragazzino annuì.
«
Mi hanno fatto chiamare Storybrooke,
quando mi hanno portato qui, dicendomi che se avessi riferito
qualcosa ti avrebbero presa. Non ho parlato con la mamma
perché ero
certo che avrebbe sentito puzza di bruciato in questa situazione, ho
parlato con la nonna informandola del fatto che ti avevo convinta a
farmi restare e l'ho pregata di riferirlo alla mamma. Non so se ha
provato a chiamarmi, mi hanno preso e spento il cellulare »
spiegò.
Cominciai anche a capire il perché di tutte quelle chiamate
da parte
di Regina, non avevo mai risposto credendo che mi chiedesse di
parlare con Henry, o che mi passasse i miei genitori come
già aveva
fatto settimane prima. Capii che in quel modo non avevo fatto altro
che allarmare tutti ugualmente, avevo provato a tenerli al sicuro ma
non aveva funzionato.
«
Henry... » cominciai a dirgli,
cercando di dare voce a quelli che erano i miei dubbi più
grandi «
loro sanno chi sono? Ti hanno detto qualcosa?
» Non capivo
perché avessero preso proprio lui, il figlio dell'ultima
arrivata in
città. Volevano ferire me, non la polizia. Volevano ferirmi
perché
ero la Salvatrice? O perché avevano scoperto di Crudelia, in
qualche
modo?
«
Mi hanno fatto tante domande su di te,
ho cercato di rispondere in modo più vago possibile. Ma...
ho una
teoria, non so quanto possa essere vera » si
rabbuiò, forse perché
temeva di aver rivelato troppe cose ai Clayton, ma in una situazione
del genere quella doveva essere la nostra preoccupazione minore.
«
Che teoria? » Lo incitai, seppur
veramente curiosa e in attesa di capire il più possibile di
quella
storia.
«
Credo ci sia di mezzo Isaac. Credo che
siano riusciti a contattarlo e che lui abbia raccontato tutto. E
penso che da me cercassero delle conferme, così da colpire
te. »
«
Isaac... l'Autore?! » Domandai
retoricamente, beh, vecchio autore sarebbe stato la definizione
migliore. Chinai appena il capo, osservai il pavimento senza
veramente guardarlo, pensando, riflettendo sulle parole di Henry.
Quella teoria sembrava esatta, credevo che quella fosse davvero
l'unica spiegazione. Avevamo bandito Isaac da Storybrooke, prima di
sconfiggere anche Gold, era chiaro che serbasse ancora rancore nei
nostri confronti e collaborare con vecchie, e pazze, conoscenze di
Crudelia DeMon suonava come cosa molto plausibile. « E loro
sanno di
Storybrooke? »
«
Certo che sì », la voce alle nostre
spalle ci fece sobbalzare entrambi: il più grande, almeno
dall'aspetto, dei fratelli Clayton ci aveva appena raggiunti
«
Crudelia ci aveva raccontato tutto sul mondo da cui veniva, mentre
Isaac ci ha informato della vostra assurda cittadina. »
«
Perché vi siete messi in contatto con
lui? Come facevate a conoscerlo? » Domandai, non riuscendo a
trattenermi. Mi resi poi conto che l'ultimo dei nostri pensieri,
miei, di Henry, di Clayton, fosse quello di fare conversazione, ma da
una parte pensavo che, se ne avessi saputo il più possibile,
avrei
scoperto un qualche loro punto debole e un modo per liberarmi.
«
Grazie a Crudelia, ovviamente.
Sapevamo che per colpa sua era innocua come un moscerino, troppe
volte si era lamentata del fatto di non poter uccidere nessuno
»
commentò con un'aria vagamente rivolta verso il passato.
Feci una
smorfia a quel pensiero, Crudelia si dimostrava la solita
psicopatica. « Non abbiamo avuto notizie di Crudelia per un
po', per
questo abbiamo contattato quel tipo strano. »
«
Eravate in contatto con Crudelia
quando lei era a Storybrooke? » Domandai sconvolta,
cominciando a
chiedermi chi fossero quei tipi.
«
Certo che sì » si limitò a
rispondere l'uomo, ma non aggiunse altro.
«
Che rapporto c'era fra voi e Crudelia?
» Fece Henry, non riuscendo più a starsene in
silenzio. Clayton,
William, parve pensarci un po' sopra, passandosi una mano tra i
baffi. Riuscivo a scorgere l'indecisione sul suo volto, non sapeva se
parlare o meno dato che già ci aveva detto fin troppo, ma,
probabilmente, ci dava per spacciati, così si decise a
rispondere.
«
Lei e mio fratello erano amanti »
rispose.
Silenzio.
Lo guardai per qualche istante,
mi domandai se tra loro ci fosse mai stato davvero amore, mi dissi
anche che era stata una risposta ovvia, dovevo benissimo immaginarlo
fin dal momento in cui era saltato fuori il nome della donna. Lanciai
un'occhiata veloce ad Henry, non ne pareva affatto sorpreso, forse
anche quella era una sua teoria.
«
E quando abbiamo saputo della sua
morte », continuò l'uomo « avvenuta per
mano di questa fantomatica
Salvatrice che si muoveva affinché tutti i personaggi delle
favole
avessero il loro lieto fine, abbiamo ritenuto giusto renderle questo
compito più difficile. »
«
Sapete che le ragazze che avete ucciso
non sono veramente personaggi di fiabe, vero? »
«
Certo che sì », rispose ancora,
sorridendo vagamente e mostrando i denti, bianchi e splendenti che
stonavano un po' con la sua figura « ma ha importanza?
»
*Killian Pov*
Quattro
giorni di ricerche non avevano
portato a nulla. Emma sembrava come svanita, e con lei i Clayton e il
piccolo Henry. Ero andato da un luogo all'altro, avevo ripercorso
tutti i casi precedenti, ero tornato nel bosco, nella casa del
cacciatore, nella torre dell'orologio, ma non c'era niente che ci
fosse sfuggito durante i primi sopralluoghi.
Eppure
sapevo che Emma avesse intuito
qualcosa, guardando quei posti, sapevo che stavo girando intorno alla
situazione senza venirne a capo e non facevo altro che sentirmi
inutile, inutile e incompetente.
Avevo
richiesto l'aiuto di tutti perché
ormai era ovvio che quel lavoro non era adatto ad una squadra di sole
cinque persone: i rapitori di Emma sapevano il fatto loro e trovarli
nel minor tempo possibile stava cominciando a risultare impossibile.
«
Jones, nel mio ufficio » scattai in
piedi alla voce di Montgomery e mi sbrigai a raggiungerlo.
Avevamo
contattato anche lui, ovviamente.
Avevo fatto rientrare Emma nell'indagine contrariamente a quello che
il mio capo aveva ordinato, quando gli avevo detto cos'era successo
era andato su tutte le furie, ma non mi importava, troppo impegnato a
incolparmi per non averla allontanata da quel caso, magari non
sarebbe successo niente.
«
Capo... » mormorai, entrando nel suo
ufficio, per richiamare la sua attenzione.
«
Siediti, Jones », ubbidii anche se il
tono dell'uomo non mi lasciava presagire niente di buono «
ascolta,
ci ho riflettuto a lungo e credo di non avere alternative »
si
fermò, rimanendo ad osservarmi fisso. Non sapevo cosa dire,
per
questo gli feci un rapido cenno con il capo, per fargli capire che
ero tutto orecchi e che aspettavo che continuasse. « Mi vedo
costretto a sollevarti dall'incarico », aggrottai appena la
fronte e
scossi la testa piano, forse non avevo capito bene quello che stava
dicendo « sei fuori dal caso » boom,
non poteva essere più chiaro di così.
«
Che cosa?! » Esclamai sconvolto, con
voce forse un po' troppo alta. Io, fuori dal caso, assurdo.
Inconcepibile. « Non può farlo! »
«
Oh, invece posso eccome. Sono ancora
il tuo capo, se ben ricordi! » Ribadì l'altro,
offeso. Non mi
importava un accidente, comunque, perché ero furioso. Dopo
settimane
di ricerche avevo bisogno di catturare i fratelli Clayton, di
consegnarli io stesso alla giustizia e, soprattutto, avevo bisogno di
ritrovare Emma. Per qualche ragione sentivo che dovevo essere io, ed
io soltanto, a scoprire il posto in cui la tenevano nascosta e
portarla in salvo. Forse era una sensazione assurda e senza senso, ma
avevo deciso di ascoltarla. Lo dovevo a lei.
«
Con tutto il rispetto signore, ma
credo stia commettendo un grosso errore », continuai ancora
senza
preoccuparmi di abbassare i toni, dopo essermi guardato intorno
velocemente prima di tornare con gli occhi su di lui « ho
passato
intere settimane dietro questo caso! Io e la mia squadra abbiamo
lavorato senza sosta per trovare quei due, non può
toglierci- »
«
Oh no, no no no, non sono stato
chiaro, forse », mi interruppe, scuotendo appena la mano
sinistra «
la squadra resta a lavoro, è il loro capitano ad essere
affidato ad
altre indagini. »
«
Continuo a non capirne il motivo!
Proprio adesso che abbiamo fatto passi da gigante, potremmo prenderli
da un momento all'altro! » Continuai, gesticolando senza
freno con
la mano e con le braccia, nervoso.
«
Se non vado errato hai avuto più di
una possibilità di catturarli, ed hai sempre fallito...
» fece lui,
calmo, senza, però, un briciolo di tono accusatorio nella
voce. Mi diede
comunque fastidio.
«
Abbiamo dei nomi. L'identikit di uno
di loro. Siamo vicini, sono vicino a trovare il loro nascondiglio.
Non può togliermi da questo caso. Non può.
»
«
Non cambio idea, Killian, se è questo
che stai cercando di fare. »
«
Ma almeno mi dica perché! Mi dia un
valido motivo! » Ero davvero furioso, avrei volentieri preso
a calci la scrivania, ma continuavo a trattenermi per non
peggiorare la
situazione. Mi accorsi di tenere la mano destra stretta in un pugno,
poggiata sulla gamba, le nocche arrossate. Montgomery restò
in
silenzio, poi sospirò e decise di rispondermi.
«
Non so che rapporto ci sia fra te e la
signorina Swan- »
«
E' mia amica » lo interruppi subito,
troppo velocemente probabilmente, guadagnandomi un'occhiataccia. Mi
ammutolii e lo lasciai parlare.
«
Il punto è proprio questo. Non
ragioni a mente lucida. Il tuo pensiero fisso non è quello
di
mettere due assassini dietro le sbarre, non è quello di
salvare
degli ostaggi, è quello di trovare Emma Swan. Ora la vittima
è una
persona che ti sta a cuore, ed è per questo motivo che non
puoi
continuare a seguire questo caso. »
«
Ma, signore, proprio per questo sono
l'uomo giusto! Chi meglio di me è più motivato a
trovarla? E poi
tutti si sono affezionati ad Emma! Phoebe l'ha addirittura ospitata a
casa sua per qualche giorno, e Jack l'ha ammirata fin dal primo
momento in cui è entrata a Scotland Yard » provai
ancora, cercando
di far valere le mie ragioni senza esplodere del tutto, sapevo che
una sfuriata mi sarebbe costata quella minima possibilità
che avevo
di convincerlo.
«
Non è la stessa cosa, per loro la
signorina Swan rimane una semplice collega. Non sono sicuro di poter
affermare la stessa cosa anche di te » sbottò
l'uomo. Feci per
ribattere ma mi bloccò con un cenno rapido della mano
« Mi dispiace
Jones, sono irremovibile. Puoi andare, ora. »
«
Ma, capo... »
« Puoi andare. »
Rimasi
seduto ancora qualche secondo, la
mano a mezz'aria, aperta, la bocca schiusa per delle parole che non
riuscivano ad arrivare neanche in gola. Volevo dire tante cose, ma
allo stesso tempo non riuscivo a mettere in ordine una frase.
Montgomery neanche mi guardava più, per questo alla fine mi
alzai e
me ne tornai nel mio, di ufficio, stando bene attento a sbattere la
porta alle mie spalle. Un calcio arrivò alla sedia dietro la
mia
scrivania, mentre il palmo della mano si arrossava dopo aver sbattuto
violentemente contro la parete.
Non
era solo una questione di orgoglio,
anche se, comunque, sentirmi dire di non essere stato in grado di
catturare i Clayton mi aveva ferito nel profondo. Ero frustrato del
fatto che non mi fosse concesso di aiutare nel ritrovare Emma e suo
figlio. Avevo bisogno di salvarli e il legame che avevo instaurato
con la donna non poteva non giocare a nostro favore, proprio
perché
non mi sarei mai dato per vinto e avrei fatto di tutto per trovarla.
Non capivo davvero cosa c'era di sbagliato, o di fuori luogo. Non era
una semplice collega per me, mi ero reso conto solo da poco di quanto
in realtà tenessi a lei, ma ritenevo comunque di non
meritare di
essere messo da parte.
Me
ne rimasi fermo, chinato in avanti con
la schiena ricurva verso la scrivania, la mano appoggiata sulla
superficie fredda. Respirai piano, cercando di riprendermi, poi alzai
il capo ed osservai ancora una volta, l'ultima, la lavagna con tutto
quello che avevamo raccolto o scoperto dall'Operazione Grimm. Ancora
una volta i miei occhi ripercorsero ogni delitto, ma cosa continuava
a sfuggirmi?
Presi
una cartina e segnai con una X il
luogo dove era stata trovata la prima vittima, “Cappuccetto
Rosso”;
un'altra X rossa segnava il ritrovamento di
“Biancaneve”; così
continuai anche per le nostre “Cenerentola” e
“Rapunzel” e
per i nostri piccoli “Hansel e Gretel”. Guardai il
risultato
senza troppe aspettative, ma mi ritrovai davanti un cerchio perfetto.
Cominciai a tremare sorpreso e sconvolto al tempo stesso per quella
scoperta, mi tolsi l'anello di Emma dal dito e, poi, delicatamente
lo poggiai proprio sopra le X. Cominciai a capire cosa intendesse
Emma, non mi aveva lasciato solamente un oggetto a lei caro per farmi
capire che fosse in pericolo, mi aveva lasciato un vero e proprio
indizio sul vero nascondiglio dei Clayton. Se quell'intuizione
risultava corretta, proprio nel centro di quel cerchio perfetto si
sarebbe trovata una casa, o un edificio, o qualsiasi cosa che
utilizzassero come quartier generale.
Non
persi tempo e mi precipitai subito
sul posto, senza dare troppe spiegazioni ai miei colleghi.
Mi
trovai davanti un capanno
abbandonando, questo confermò le mie teorie così
mi decisi ad
informare Scotland Yard, chiedendo dei rinforzi.
«
Jack », mormorai a bassa voce, mentre
provavo a sbirciare da una finestra, una volta che il ragazzo
dall'altro capo del telefono mi ebbe risposto « ho trovato il
nascondiglio. Il nascondiglio dei Clayton. Andate nel mio ufficio, vi
ho lasciato ogni indicazione. Vi aspetto. »
Chiusi
la chiamata ancora prima di dargli
tempo di rispondere, troppo in ansia per poter aggiungere altro. Emma
era lì dentro, me lo sentivo, era come se riuscissi a
percepire la
sua presenza. Continuavo a guardare attraverso la finestra, ma era
troppo buio per poter vedere qualcosa.
Aspettai,
guardandomi intorno, l'arrivo
della squadra, ovviamente alla faccia degli ordini che mi erano stati
dati neanche un'ora prima. Passò, forse, una decina di
minuti, prima
di lanciare un'altra occhiata al capanno alle mie spalle. Mi guardai
intorno velocemente, non che mi aspettassi che i rinforzi arrivassero
così presto.
Alla
fine non riuscii più a contenere la
mia impazienza e, dopo aver controllato nuovamente la situazione
intorno a me, entrai dentro il capannone, da solo, deciso a chiudere
una volta per tutte quella maledetta storia.
Angolo
dell'Autrice:
Ehilà,
salve gente! Cavoli, pensavo di
aggiornare prima, intorno a mercoledì/giovedì
sicuramente, ma mi
sono sempre ritrovata a rimandare la scrittura della parte finale del
capitolo. Il fatto è che per un motivo o per un altro, il
tempo
passato a casa o al pc in questa settimana è stato veramente
poco,
non potete neanche immaginare quante serietv mi tocca recuperare
adesso povera me! Anyway, ecco qui
il tanto atteso
capitolo, finally, spero vi sia piaciuto!
Alla
fine, no, Killian non ha recuperato
la memoria. Mi dispiace di avervi fatto questo scherzetto ):
Montgomery lo ha allontanato dal caso, ma la voglia di salvare Emma
prevale su tutto e subito parte per trovarla. E ora? Nel frattempo
abbiamo scoperto anche che fine ha fatto Emma, ovviamente l'hanno
catturata i Clayton. Per fortuna rivede Henry e sono state spiegate
anche un po' di cose rimaste in sospeso, come per esempio il legame
tra la nostra cara Cruella e Clayton
(chissà che farebbe se
sapesse di James)
Per
il resto, capitolo tutto sommato
tranquillo per prepararvi alla bomba del prossimo! Davvero, il
18°
sarà... beh... importante e, forse, commovente. Davvero,
preparatevi
a tutto!
Colgo
l'occasione per augurarvi buona
festa della mamma e buon OUAT DAY (anche se ancora
piango
per via della 5x20
E
a proposito della 5x20, se vi va di
fare un salto a leggere la mia OneShot basata sulla puntata e a
lasciarmi una piccola recensione mi farebbe piacere :) She's
gone and I cannot get her out
Grazie
per tutti quelli che hanno recensito la storia, per coloro che
continuano a seguirla e per coloro che l'hanno cominciata da poco :)
mi rende davvero davvero felice vedere che ci sono persone che
perdono un po' di tempo a leggere questa mia follia (?). Davvero
grazie.
Proverò
davvero a non metterci un altro mese questa volta, credo che il
prossimo sia più scorrevole da scrivere (tra l'altro ho
già scritto
un pezzo). Siate fiduciose lol
Un
bacio a tutti, a presto :)
Sà
|
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Capitolo 18 *** This is the end ***
18.
This is the end
Day 22
*Killian
Pov*
Avevo
aspettato l'arrivo della squadra per una decina di minuti, forse
qualcosa in più. Continuavo a girarmi verso ogni direzione,
prima
guardavo la strada sperando di veder arrivare i rinforzi, poi tornavo
a ispezionare, almeno con la vista, quel capannone, alla ricerca del
minimo indizio che andava a confermare ogni mia teoria.
Dalle
finestre non si riusciva a vedere molto, l'interno pareva desolato,
così come lo era l'esterno in effetti. Non proveniva il
minimo
rumore, da dentro. Tutto dava l'impressione che quel posto fosse
abbandonato, ed era proprio quello a rassicurarmi del fatto che,
probabilmente, i Clayton si nascondessero proprio lì. Era
tutto
troppo tranquillo, non poteva essere una coincidenza.
Alla
fine non riuscii a resistere un secondo di più, diedi
un'ultima,
veloce, occhiata alle mie spalle, mi passai una mano fra i capelli
ribelli, e poi mi decisi ad entrare nel capanno. Aprii la porta
lentamente, questa non fece il minimo rumore e interiormente ne
gioii. I miei occhi squadrarono in pochi istanti tutto l'interno,
quasi completamente vuoto. Vi erano un tavolo, qualche strumento da
lavoro e delle coperte. Coperte, bingo!
Corsi
dentro e mi avvicinai alle coperte marroni, mi chinai sulle ginocchia
e ne presi una nella mia mano. La tastai appena, prima di lasciarla
cadere dove l'avevo trovata. Non era calda, anzi, all'apparenza
sembrava inutilizzata da anni, ricoperta com'era di polvere. Feci una
smorfia, prima di alzarmi in piedi, pulendo appena la mano sui
pantaloni. Mi guardai nuovamente intorno, alla ricerca di qualcosa,
qualunque cosa, ma niente risultava sospetto.
Avevo
fatto un buco nell'acqua, avevo frainteso tutto. Emma aveva perso
minuti preziosi lasciandomi quell'indizio e io la ripagavo in quel
modo.
Tornai
fuori, frustrato. Mi passai una mano nei capelli camminando nervoso
lungo il perimetro delineato dal capanno. Sospirai, più
volte,
provando a calmarmi. Presi a fare mente locale, ripercorrendo gli
ultimi avvenimenti che mi avevano portato in quel luogo abbandonato
dal mondo. Tirai fuori il mio cellulare dalla tasca posteriore dei
pantaloni e composi il numero di Phoebe
«
Jones, dove diavolo sei?! » La voce della ragazza non si fece
attendere, la udii subito, forte e chiara, fin troppo, tanto che
dovetti allontanare l'orecchio per i toni usati.
«
Phoebe, Jack ti ha detto di raggiungermi? » Le chiesi subito,
senza
dar troppo conto alla sua domanda, non avevo tempo per mettermi a
litigare.
«
Certo che sì! Hai notato niente di strano sul posto? Noi
siamo quasi
arrivati, non fare sciocchezze e aspettaci! »
«
No, aspetta, non capisci », esclamai esasperato, soffiando
appena «
non c'è niente qui. Sono... già entrato ad
ispezionare, lo so avrei
dovuto aspettare ma ormai è fatta. E non c'è
niente, non più
almeno. Se ne sono andati, oppure non sono mai stati qui. »
«
Cosa? Che stai dicendo? » Socchiusi gli occhi e inspirai,
prima di
ammettere ancora una volta quell'ennesima sconfitta.
«
Mi sono sbagliato, non c'è bisogno che veniate qui.
»
«
Killian, Montgomery ti ammazzerà questa volta » fu
l'ultima cosa
che mi disse Phoebe, prima di chiudere la chiamata. Non potevo essere
più d'accordo con lei come in quel momento.
Avevo
disobbedito agli ordini del mio capo per l'ennesima volta, eppure ero
stato così sicuro. Maledizione. Serrai la mascella ed
osservai da
lontano quello scenario. Era così malmesso, ricordava molto
la torre
dell'orologio o la pasticceria, per quel dettaglio. Però in
quelle
quattro mura non vi erano nascondigli e non c'era la minima traccia
di una presenza umana.
Ma
c'era qualcosa, sentivo qualcosa dentro di me. In qualche modo non mi
ero mai sentito così vicino ad Emma come in quel momento. Fu
per
quella sensazione che decisi di tornare dentro e di dare un'altra
occhiata, quella volta deciso ad ispezionare tutto,
ogni cosa presente al suo interno, sperando di trovare così
un altro
indizio.
Cominciai a spostare ogni
strumento da lavoro lì presente, alla ricerca di qualcosa
che poteva
essere stato nascosto, di proposito o per pura casualità ma
non
spuntò fuori niente, solo un cumulo di polvere che si
sollevò in
aria facendomi strizzare gli occhi in automatico. Mi allontanai e
tornai a studiare le coperte, sollevai anche quelle e le scrollai
appena, sperando che facessero cadere qualcosa, oltre alla polvere.
Niente. Guardai in alto, poi alle mie spalle girando appena la testa
e restando piegato sulle ginocchia, i gomiti su di esse, sospirai a
bocca aperta. Non sapevo cos'altro fare.
Mi alzai in piedi e, proprio
mentre mi ero deciso a gettare la spugna e a tornare a Scotland Yard,
in un angolo della stanza, completamente nascosto dal buio, notai un
oggetto per terra, abbandonato. Mi avvicinai di corsa, dandomi
mentalmente dello stupido per non essermene accorto prima, ma comunque
cercando di non farmi troppe illusioni.
Mi inginocchiai e
raccolsi... una sciarpa. Tanta eccitazione per una sciarpa? Storsi
appena la bocca, alzando il braccio verso l'alto in modo che si
allungasse tutta. Eppure mi sembrava di averla già vista
prima di
allora, o era così o stavo solamente cercando di
auto-convincermi.
Cercai di fare mente locale, osservandone il colore, grigio a strisce
rosse, provando ad aprire un qualche cassetto della memoria. Mi
sembrava di averla vista addosso a Henry, il figlio di Emma. Ce
l'aveva sempre addosso. Spalancai la bocca per la sorpresa e tornai a
guardarmi intorno. Erano stati lì, ora ne ero certo. E
continuavo ad
avere quella sensazione, mi stava dicendo che erano ancora
lì, mi
stava dicendo che ero vicino a trovarli.
Presi a scaraventare a terra
ogni oggetto presente nella stanza, facendo forse un po' troppa
confusione. Non sapevo neanche io cosa stessi cercando, forse una
botola? Una botola...
Guardai con la coda
dell'occhio le coperte a terra, le afferrai e le lanciai via. Tastai
il pavimento fino a trovare una specie di forellino, non l'avevo
notato prima per via della poca luce. Respirai profondamente, mentre
ci infilavo dentro l'indice, per poi sollevare quello che credevo
essere un semplice pavimento. C'erano delle scale di legno che
portavano a un sotterraneo. Ormai non avevo più dubbi:
lì sotto
c'era Emma.
Mi precipitai dentro,
saltando scalini per non perdere tempo. Se la luce, al piano di
sopra, era poca, ora era davvero misera, ma riuscii comunque a
distinguere la figura della donna chinata su di una sedia, le braccia
rivolte all'indietro, probabilmente aveva le mani legate dietro lo
schienale.
« Emma! » Gridai
spontaneo, mentre cominciavo a correre verso di lei. La donna
alzò
il capo, occhi e bocca spalancati per lo stupore.
« Killian, che diavolo...?!
»
«
Potresti mostrarti più riconoscente? Infondo ti sto
salvando, tesoro
» scherzai leggero, accennando un sorriso, mentre la
osservavo
storcere la bocca e alzare gli occhi al cielo, infastidita al solo
pensiero. Mi rassicurò quell'occhiata, significava che
nonostante
tutto quello che le era successo negli ultimi giorni non si era
scalfita, anzi. Emma Swan era davvero una persona disarmante, sotto
ogni punto di vista. Alzai appena lo sguardo e notai il ragazzino,
rinchiuso dietro delle sbarre. « Henry! » Mi
vergognavo per non
essermi accorto prima della sua presenza, preso com'ero dalla bionda
legata alla sedia.
Dovevo
trovare qualcosa per farlo uscire da lì, e poi concentrarmi
sulla
corda che stringeva i polsi di Emma.
«
Ti tiro fuori da qui. E poi slegherò anche te »
affermai, rivolto
prima al ragazzo e poi ad Emma.
«
Killian no, staranno per tornare » fece lei per tutta
risposta,
cominciando ad agitarsi e a voltare la testa da una parte all'altra,
senza sosta.
«
Motivo in più per sbrigarmi, Swan » continuai,
determinato,
cominciando a cercare qualsiasi cosa potesse tornarmi utile.
« Killian », sentii sussurrare il ragazzino, ma non
gli diedi troppa
corda, immaginando che come sua madre stesse cercando di dissuadermi,
spaventato dell'arrivo dei due Clayton.
«
Killian » gli fece eco la donna, ignorai anche lei, muovendo
appena
la mano, come a garantirle che fosse tutto sotto controllo.
«
Killian, dietro di te! »
Gridarono
entrambi, nello stesso momento, Le loro voci unite mi fecero rizzare
i peli, mi voltai di scatto, in tempo per vedere uno degli assassini,
senza maschera, con una mazza di ferro in mano. Mi sorrise sghembo,
raggelai. Alzò le braccia e mi colpì in pieno
volto, con tutta la
forza che aveva in corpo.
*Emma
Pov*
Lo
vidi cadere a terra, ma prima ancora riuscii a vedere uno scorcio di
sangue sul suo viso.
«
Killian! » Gridai con tutto il fiato che avevo, terrorizzata,
cominciando a muovere i polsi, strisciandoli fra loro. Mossi la
schiena, le spalle, la testa che si girava prima a destra e poi a
sinistra nella speranza di vedere quello che stava succedendo, cosa
stavano facendo all'uomo che amavo. « Killian! »
Provai ancora a
chiamarlo, continuando ad agitarmi su quella sedia, ma l'uomo non
osava rispondermi, o meglio, non poteva.
«
Calmati dolcezza », fece Clayton, John – oramai
avevo imparato i
loro nomi – abbassando la mazza e mettendola sul palmo
sinistro,
con il quale cominciò quasi ad accarezzarla leggermente con
i
polpastrelli « il tuo fidanzatino è solamente
svenuto. Per il
momento. »
«
Non osare toccarlo » reagii rabbiosa a quella minaccia,
mentre
l'uomo mi si parava davanti e si abbassava con la schiena per essere
più o meno alla mia altezza.
«
Se non mi farà arrabbiare » sorrise, lasciando la
frase a metà.
Continuai a guardarlo dura, mentre suo fratello scendeva e ci
raggiungeva. « Aiutami a tirarlo su, Will. »
Cercai
di osservarli con la coda dell'occhio mentre prendevano un'altra
sedia e la posizionavano esattamente alle mie spalle. Li sentii
sforzarsi mentre sollevavano il corpo svenuto di Killian e lo
facevano sedere sulla sedia. Percepii le loro manacce che
trafficavano con la corda per legargli i polsi: riuscivo a toccare le
dita della sua mano con i polpastrelli, sorrisi piacevolmente,
accarezzandogli il dorso, anche se non poteva accorgersi di quel
gesto.
«
Si sta facendo buio », esclamò il fratello
più grande, William «
libereremo il ragazzino fra non molto, come promesso.
» Sgranai gli occhi, stupita, quello significava che avevano
trovato
un nuovo nascondiglio e di conseguenza la squadra di Scotland Yard
avrebbe dovuto rincominciare da zero con le ricerche. E per quanto
riguardava me... mi dissi mentalmente che probabilmente non sarei
sopravvissuta ancora per molto. Ormai sembrava l'unica certezza.
«
Come vedi siamo uomini di parola, non faremo niente a tuo figlio, ma
non possiamo dire la stessa cosa anche per te e il tuo uomo »
rise
appena, il fratello gli fece da eco, e poi se ne andarono,
lasciandoci soli.
Se
la sarebbero presa anche con Killian, era stato il primo pensiero che
mi aveva attraversato la mente quando lo avevo visto lì
dentro. Ma
non potevo permetterlo, ne aveva passate tante, Hook, non potevo
farlo morire per mano di due psicopatici e, oltretutto, per colpa
mia.
“Tesoro,
non devi preoccuparti per me. Se c'è una cosa in cui sono
bravo, è
sopravvivere.”
Sì, dovevo
stare tranquilla. Lui sopravviveva, in un modo o nell'altro riusciva
sempre a scamparla, dovevo restare fiduciosa.
« Mamma... »
«
Henry, tranquillo. Usciremo da questa situazione, mi
inventerò
qualcosa » fermai subito il ragazzino dalla voce spezzata
dalla
preoccupazione. Non poteva mollare, non lui. Doveva credere che ce
l'avremmo fatta, tutti e tre.
« Lo so », affermò, quasi
offeso di essere passato per il pessimista della situazione «
Quando
mi libereranno avvertirò Scotland Yard e li farò
subito venire qui,
così- »
« No », lo interruppi «
non arriveranno mai in tempo, se ne saranno già andati.
»
« Posso provare a
disarmarli.. »
« Henry non se ne parla! »
Sbottai sconvolta.
Ero orgogliosa del ragazzo
buono e coraggioso che stava diventando e dovevo ammettere che molte
volte la sua espressione delusa per il fatto di non poter collaborare
con noi “grandi” mi spezzava il cuore, ma rimaneva
lo stesso un
adolescente, non avrei mai permesso che affrontasse certi rischi. Ne
sarei morta. Due volte, una per mano di Regina.
Il ragazzino si ammutolì,
abbassando lo sguardo verso i suoi piedi. Aveva capito dal mio
sguardo che non ammettevo repliche e, presto, avrebbe capito che lo
escludevo da certe cose per il suo bene.
« Ora abbiamo Killian,
dobbiamo solamente liberarci prima del loro ritorno »
mormorai,
cominciando a muovere lentamente la spalla, per scuotere un po'
l'uomo dietro di me.
« E come? Ci proviamo da
giorni senza risultati » mi fece notare l'altro, al
ché sorrisi,
contenta, in un certo senso, per quella domanda.
« Lui è un pirata, no? »
Incurvai gli angoli della
bocca, quasi fossi orgogliosa di quello che avevo appena affermato ad
alta voce. Henry sorrise di rimando, lanciandomi un'occhiata
complice. Killian non aveva più i suoi ricordi, lo sapevamo,
non
sapeva neanche di essere stato un temutissimo capitano che navigava
per mari per inseguire la sua vendetta, ma la sua natura non poteva
essere cambiata tanto. Poteva anche non avere la più pallida
idea di
chi fosse realmente, ma sangue pirata scorreva nelle sue vene, il suo
animo si sarebbe risvegliato. O perlomeno lo speravo, perché
da
quella situazione solamente un pirata poteva tirarci fuori nel minor
tempo possibile. Certo, se almeno quel pirata fosse stato sveglio..
« Forza, Hook », mormorai
a bassa voce, fra me, a denti stretti, mentre cominciavo a tirargli
piccoli calcetti alle gambe, quando ci arrivavo, e alla sua sedia
«
devi svegliarti » continuai ancora, questa volta a voce
più alta,
speranzosa che riuscisse a sentirmi.
« Andiamo Killian » provò
anche Henry, le mani strette alle sbarre, la bocca quasi del tutto
fuori da esse.
Lo colpivo con ogni mezzo a
mia disposizione, ma niente. Non riuscivo a provocargli la minima
reazione. Alla fine mi arresi, non si sarebbe svegliato con quelle
misere bottarelle che riuscivo a dargli, limitata com'ero. Ci sarebbe
voluta una bella secchiata d'acqua, ah, quanto mi sarebbe piaciuto
fargli un bel gavettone, in quel momento.
Alzai appena gli occhi, il
tempo di guardare velocemente Henry, che guardava Killian come se
potesse ordinargli di svegliarsi con il pensiero. Sapevo che dovevo
passare alle maniere forti, così presi un respiro profondo
preparandomi all'urto contro il pavimento, guardai con la coda
dell'occhio la sagoma dell'uomo beatamente svenuto alle mie spalle,
mordendomi appena il labbro inferiore, così forte che
percepii il
sapore metallico del sangue uscire fuori da una piccola ferita. Cercai
di darmi uno slancio con la sedia verso la mia sinistra, le gambe di
legno si sollevarono appena, ma poi ritornarono a terra, come a
prendermi in giro. Cercai di prendere uno slancio maggiore, ma il
risultato fu lo stesso. Sbuffai arrabbiata, socchiudendo le palpebre
con fare minaccioso.
« Coraggio, Emma » mi
incitai ad alta voce, prima dell'ultima spinta.
Quella volta andò a buon
segno. Avvertii entrambe le sedie alzarsi pericolosamente, persi
l'equilibrio, guardai di sfuggita il pavimento impolverato farsi
sempre più vicino, serrai istintivamente gli occhi e scostai
appena
il capo, prima di cadere a terra rovinosamente, atterrando sulla
spalla sinistra.
« Aah! » Il lamento di
dolore uscito dalle labbra di Hook mi fece sorridere e sospirare
sollevata, finalmente ero riuscita a svegliarlo e finalmente potevamo
trovare un modo per liberarci.
« Killian », mormorai
cercando di attirarmi la sua attenzione, mentre lo sentivo cominciare
a muoversi e ad agitarsi per via dei polsi legati, o forse nel suo
caso era meglio dire polso e moncone « stai bene? »
« Swan! » Esclamò
sorpreso, come se si fosse accorto solo in quel momento della mia
presenza. Mi sentii anche un po' offesa, ma cercai di accantonare
quel pensiero, non era di certo la priorità al momento.
« Cosa
diavolo è successo?! » Avvertii un movimento
rapido del capo,
probabilmente cercava di guardarmi come meglio poteva, ma si
bloccò
subito, con un altro lamento « Ahi, la testa.. ma cosa..?
Clayton!
Clayton mi ha colpito! »
« Sì, John », confermai,
non che ce ne fosse particolare bisogno « è stata
una bella botta.
»
« Siete passati ai nomi,
adesso? Qual è il prossimo passo, scambiarvi il numero di
telefono?
» Fece lui per tutta risposta, puntando sul sarcasmo.
Arricciai il
naso.
« Non sei simpatico, Jones.
E soprattutto non credo di essere nella posizione più
indicata per
fare sarcasmo. In tutti i sensi » ribattei, alludendo al
fatto di
essere entrambi intrappolati su quelle maledette sedie, spalle al
pavimento poi. « Dobbiamo liberarci al più presto,
quando
torneranno ci uccideranno » rabbrividii affermando certe
parole ad
alta voce, seppi che Henry fece lo stesso, guardandoci in attesa.
« Non lo permetterò »
fece il pirata, sicuro di se stesso. Sorrisi amaramente, anche se non
poteva in alcun modo vedermi.
« E come farai, legato in
quel modo? »
Si ammutolì, probabilmente
serrò la mascella prima di cominciare a muovere le braccia.
Era
difficile farlo da terra, il braccio con cui toccavamo il pavimento
era pressoché immobile sotto al peso del corpo, ma provavamo
a non
darci per vinti. Per parecchio tempo regnò il silenzio,
spezzato
solamente da qualche mugolio fatto per lo sforzo.
« Killian... » lo chiamai,
fermandomi solo per un momento, a bassa voce. Lui non rispose, non
disse niente. Potevo benissimo pensare che non mi avesse minimamente
sentito, se non fosse stato per il fatto che, anche lui,
arrestò i
suoi tentativi di liberarsi dalla presa della corda, come per
esortarmi a parlare. « Ti devo le mie scuse »
mormorai pensierosa,
dopo aver preso fiato.
« Beh, sì. Penso sia il
minimo » alzai un sopracciglio, non aspettandomi minimamente
delle
parole del genere da parte sua. Restai spiazzata per qualche secondo,
bocca spalancata alla ricerca di parole adeguate da esprimere, mentre
l'altro riprese a contorcersi con le braccia.
« Io... speravo non venissi
qui da solo, speravo ci fosse l'intera squadra. Non ho mai voluto che
catturassero anche te... »
« Cosa? No, Emma. Non ci
siamo » mi interruppe, alternando un movimento del polso con
una
parola. Aggrottai la fronte e aspettai che continuasse, nel frattempo
cominciavo ad avvertire un leggero dolore alla spalla. « Non
mi
importa niente di essere stato catturato, diamine »
continuò
agitato. Lo sentii alzare appena il capo con fare esasperato, feci
per rispondere ma mi bloccò sul nascere « Sapevo i
rischi a cui
andavo incontro, Swan. La mia priorità è sempre
stata quella di
portarvi fuori di qui, tutti e due. Non posso fartene una colpa, ma
che razza di uomo pensi che io sia?! »
« E allora cosa c'è? »
Domandai, non riuscendo a trattenermi. Non riuscivo a capire, forse
perché avevo altre rogne per la testa.
« C'è che non mi hai detto
niente, Swan. Niente! Potevi scegliere di fidarti di me, potevi dirmi
che Henry si trovava in pericolo. Credi che non sarei stato in grado
di metterlo in salvo, o di aiutarti a trovarlo? Hai rivelato tutto a
Phoebe, mentre con me hai pensato bene di alzare i tuoi muri. Credevo
fosse una cosa che avessimo superato, ormai » sì,
l'avevamo
superata, più o meno del tutto. Killian non poteva rendersi
conto
dell'importanza delle sue parole, non poteva sapere che la persona
che era riuscita ad abbattere ogni mia barriera era proprio lui, ma
non potevo dirglielo. Non in un momento del genere perlomeno.
In quel momento, promisi a
me stessa che, una volta in salvo, gli avrei raccontato ogni
verità.
Avrei vuotato il sacco, gli avrei parlato di Liam, di Neverland, di
una pianta di fagioli che aveva segnato l'inizio della nostra
avventura. Gli avrei parlato di una pozione della memoria che era
riuscita a farmi tornare in me, ma che non era stata abbastanza forte
per lui. Ero pronta a dirgli di essere io il suo lieto fine,
perché
era stato lui stesso a dirmelo, lui che aveva sacrificato ogni cosa
per me.
Mi sentii determinata e
sicura di me dopo tanto tempo, ma prima dovevo battere i Clayton.
« Non hai capito niente,
Killian Jones », sospirai piano « mi fido di te,
ciecamente. Ma non
potevo dirti niente, per Henry... ma anche per te »,
sembravano
parole già dette, una conversazione che già c'era
stata « non
potevo metterti in pericolo, non sopportavo l'idea che potesse
succedere qualcosa anche a te. Cercavo di tenerti al sicuro,
tenendoti lontano da me. »
Non rispose, si limitò a
sospirare. In quell'attimo di silenzio mi resi conto che aveva smesso
di provare a slegarsi, forse per ascoltare quello che avevo da dire,
forse perché le mie parole lo avevano scosso o provocato in
lui una
qualche reazione. Avrei preferito che mi dicesse qualcosa,
però,
qualunque cosa, anche un rimprovero.
Pensai che probabilmente si
sentiva in colpa per aver dubitato del mio intento e di avermi
rimproverato solo pochi minuti prima, sarebbe stato molto da Killian
in effetti e non me ne stupii. Rimasi zitta anche io, ad aspettare,
ad ascoltare il suo respiro, quello di Henry, che sovrastavano appena
il mio. Ci voleva un momento di calma, mi dissi, cercando di non
pensare che non ci fosse tempo per certe cose, che dovevamo agire.
Chiusi gli occhi e mi domandai se ogni sforzo non fosse stato
inutile, visto che, quelle corde, non accennavano minimamente a
volersi sciogliere.
Poi percepii la presa
intorno ai miei polsi allentarsi e spalancai le palpebre di rimando.
Non ebbi tempo neanche di chiedermi se lo avessi immaginato o meno,
che sentii quel laccio che mi teneva prigioniera da giorni, scivolare
via lungo la mia pelle, guidato dalla mano di un uomo che avevo
stretto così tante volte da averne perso il conto.
« Killian, ma come... »
l'uomo si era già spostato, i suoi passi risultarono quasi
impercettibili. Poggiai il palmo sinistro a terra e cercai di
rizzarmi a sedere, presi a massaggiarmi i polsi completamente
arrossati e segnati dalla prigionia, mentre lo osservavo piegarsi
appena sulle ginocchia per slegarmi anche i piedi. Poco dopo fui
completamente libera.
« E' stato facile, in
effetti », affermò senza riuscire a trattenere un
sorriso
smagliante, evidentemente orgoglioso di essere riuscito nell'impresa,
prima di allungare la sua mano verso di me, per aiutarmi a rimettermi
in piedi « non capisco come hai fatto a non slegarti prima.
»
« Probabilmente non ti
avevano legato bene » dissi, un po' per smorzare il suo ego e
un po'
per non far saltare fuori la parola “pirata”. Mi
massaggiai
appena il braccio, nel frattempo entrambi cominciammo a guardarci
intorno, cercando qualcosa per far uscire Henry da quell'orribile
cella. « Mi basterebbe una forcina » commentai,
mordendomi appena
il labbro con fare pensieroso.
« Certo, probabilmente quei
due energumeni tengono le forcine nel loro portagioie, vicino agli
abiti da sera e agli asciugamani per gli ospiti » mi
rimbeccò,
ancora una volta, sarcastico. La situazione di pericolo faceva
risvegliare gli anni di pirateria che c'erano in lui, in un certo
senso mi faceva un immenso piacere, mi era veramente mancato.
« Mi
basterà questo, romperò la serratura »
aggiunse dopo, prendendo un
piede di porco arrugginito trovato in mezzo ad altra ferraglia.
Subito corsi da lui e riuscii ad afferrargli il braccio prima che
potesse fare qualsiasi cosa.
« No, fermo! Ma sei
impazzito?! » Esclamai, seppur abbassando di colpo la voce e
guardandomi alle spalle come se temessi che potesse spuntare fuori
qualcuno dal nulla « Hai idea del casino che
provocherà? Non
possiamo farci sentire. L'elemento sorpresa, ricordi? » Senza
accorgermene mi ero ritrovata a stringere la sua mano nelle mie e,
quasi notandolo nello stesso istante, entrambi abbassammo il capo e
ci perdemmo un attimo a guardarle.
«
Se non riuscite a trovare nulla, non fa niente. Mi liberete dopo aver
catturato i Clayton, sicuramente loro hanno la chiave » la
voce di
Henry ci riportò entrambi alla realtà, ma mi fece
scuotere la testa
prima ancora di essermi voltata a fronteggiarlo.
« No, voglio tirarti subito
fuori da lì » ribattei. Continuavo ad incolparmi
per averlo messo
in mezzo e per avergli causato così tanti guai, liberarlo
avrebbe
sicuramente contribuito ad alleggerirmi la coscienza. E poi avevo una
voglia enorme di abbracciarlo. « La squadra sarà
qui a momenti,
vero? » Domandai poi, girando il capo verso Killian,
immaginando che
doveva pur averli avvertiti prima di precipitarsi in quel posto da
solo.
« Sì », fece lui,
sovrappensiero, ma non ebbi tempo di rassicurarmi che si corresse
subito « no... pensavo fosse il luogo sbagliato e ho detto
loro di
lasciar perdere » sgranai gli occhi e lo osservai sconvolta,
sapevamo entrambi che non li avremmo mai presi da soli, ci servivano
senza dubbio dei rinforzi. Alzai gli occhi al cielo, chiedendomi
perché andava sempre di male in peggio, cosa avevamo fatto
di male
per meritarci tutto quello! « Aspetta »,
esclamò ad un tratto,
tastandosi la tasca posteriore dei pantaloni « ho ancora il
mio
telefono! » Spalancai la bocca per la sorpresa, finalmente la
ruota
cominciava a girare dalla nostra parte.
« Forza, chiamali allora,
io cerco qualcosa per aprire la serratura » annuimmo
pressoché
all'unisono.
Cominciai a guardare ovunque
alla ricerca di qualche oggettino da usare per forzare il lucchetto,
nel mentre sentivo Killian imprecare contro il tempo che trascorreva
prima che Phoebe, o Jack, rispondesse alla chiamata. Per fortuna
quello in cui ci trovavamo doveva essere stato, una volta, un capanno
degli attrezzi. C'era veramente di tutto, ma niente che potesse
servirmi. Phoebe nel frattempo rispose al telefono e l'uomo
cominciò
a parlottare a bassa voce, intimandola di raggiungerci con tutti gli
uomini che aveva a disposizione. Mi sembrò di sentir
nominare
Montgomery e mi dissi che probabilmente non avrei avuto il coraggio
di affrontarlo di nuovo, non dopo aver messo in pericolo uno dei suoi
uomini.
Ad un tratto ritrassi la
mano da una cassetta degli attrezzi lasciata in un angolo, punta da
qualcosa. Una piccola riga si disegnò sull'indice destro a
segnare
quel graffietto. Subito dopo notai del fildiferro mezzo arrotolato,
perfetto. Neal mi aveva insegnato tutti i trucchi
del
mestiere, sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Corsi subito davanti la
cella, sbrogliando quella matassa attorcigliata come meglio potevo,
anche se alla fine mi sarei accontentata di un decimo di quel filo,
sarebbe stato più che sufficiente.
« Ti tiro fuori, ragazzino
» gli assicurai con un mezzo occhiolino, facendogli scappare
un
sorriso.
Raddrizzai quel piccolo
pezzo di fildiferro con le dita come meglio potevo, prima di andarlo
ad infilare nella serratura. Cominciavo a vedere il bicchiere mezzo
pieno, finalmente. Il vecchio Killian, il pirata, era riemerso,
più
o meno, e lo aveva fatto per il solo scopo di aiutarci e di tirarci
fuori dai guai. Eravamo riusciti a contattare Scotland Yard per un
colpo di fortuna abbastanza notevole, e ora potevo finalmente tirare
fuori mio figlio da quella prigione nella quale era rinchiuso da fin
troppo tempo.
Muovevo il filo abilmente e
con pazienza, fronte corrugata e sopracciglia inarcate alla ricerca
della concentrazione e calma necessaria per riuscire. Non doveva
esserci fretta, nei miei gesti, dovevo muovermi pacatamente e con
attenzione. Mi accorsi solo allora che Killian aveva smesso di
parlare, perciò dedussi che la squadra stava correndo in
nostro
soccorso, ma c'era comunque la possibilità che i Clayton ci
raggiungessero prima di loro. Dovevamo trovare un piano B, e alla
svelta, magari potevamo affrontarli con qualche arma improvvisata
trovata lì dentro. Un piede di porco non era neanche un'idea
così
malvagia, ma, certo, loro avevano le pistole, probabilmente una bella
scorta, mentre noi ne avevamo solo una, quella che non avevano,
fortunatamente, preso a Killian, ma i colpi erano un po' limitati.
Ancora qualche secondo ci
volle prima che, tutti e tre, aiutati anche dall'innaturale silenzio
che regnava nella stanza, potessimo sentire il flebile suono della
serratura che scattava. Il lucchetto si aprì e, senza
perdere tempo
nel pensarci sopra, lo tolsi, aprendo poi la porta della cella ed
accogliendo il ragazzino fra le mie braccia. Era diventato quasi
più
alto di me, ma riusciva ugualmente a farsi piccolo piccolo, con il
viso contro la mia spalla sinistra. Chiusi gli occhi poggiando la
guancia sul suo capo, un secondo, chiedevo solamente un secondo di
pace mentre gli accarezzavo i capelli marroni con fare rassicurante.
Quando li riaprii, ritrovai il sorriso commosso di Killian ed
incurvai le labbra verso l'alto di rimando.
Ma non era ancora finita.
« Coraggio », sussurrai
interrompendo quel momento « non possiamo ancora cantare
vittoria,
dobbiamo escogitare un piano. »
Non aspettammo poi molto, ad
occhio e croce. Avevamo tutti concordato di fingere di essere ancora
prigionieri, sperando che solo uno dei Clayton scendesse a
controllarci, prima o poi, così da avere più
possibilità di
ribaltare la situazione e di atterrarlo.
Henry era tornato in cella,
avevamo lasciato il lucchetto aperto e dovevo ammettere che quasi non
si notava quel particolare visto che la luce era piuttosto bassa
ormai, probabilmente il sole sarebbe tramontato a momenti.
Io e Killian eravamo tornati
nuovamente a sederci su quelle sedie scomode, tenendo le mani dietro
la schiena, ma, ai nostri piedi, tenevamo il piede di porco e la
corda che eravamo riusciti a recuperare. Eravamo pronti a tutto.
Ad un certo punto sentimmo
dei passi provenire dal piano superiore. Deglutii silenziosa e mi
preparai psicologicamente ad entrare in azione, seppi che Killian
dietro di me faceva la stessa cosa e mi tranquillizzò.
Un minuto dopo qualcuno aprì
la botola, girai appena il capo in tempo per vedere due stivali
marroni, sporchi di fango sulle punte, scendere quei pochi scalini
prima di rivelare la figura del loro proprietario. William Clayton,
l'uomo che per qualche settimana avevamo chiamato “Il
cacciatore”,
si presentò a noi con fare più che tranquillo, i
possenti pettorali
che si individuavano benissimo sotto la canottiera marroncina che
aveva addosso.
Posò il suo sguardo su di
noi, un mezzo sorriso divertito comparve sulla sua bocca.
« Guarda un po' chi si è
svegliato! » Esclamò retorico, rivolto a nessuno
in particolare.
Guardai oltre la sua spalla destra, in attesa di vedere arrivare
anche suo fratello, ma questo non accadde e ciò mi fece
sospirare
sollevata. Proprio come avevamo sperato. « Portiamo via il
ragazzino
e poi ci occupiamo di voi » aggiunse l'uomo, la bestia, il
mostro, a
mo' di avvertimento.
Ci passò davanti senza
degnarci di un'ulteriore occhiata, tirò fuori un mazzo di
chiavi e
partì a cercare quella che gli serviva, dandoci le spalle.
Mi
abbassai furtivamente ed afferrai il piede di porco con la mano
destra, lo strinsi forte nel pugno, mi alzai in piedi mettendomi
dietro di lui, afferrai l'oggetto con entrambe le mani, alzai le
braccia e colpii meglio che potevo.
Quello quasi non se ne
accorse. Non gridò, non gridai. Non un fiato.
Stramazzò solamente
al suolo, le chiavi che gli scivolavano di mano e risuonavano sul
pavimento. Trattenni il fiato e tesi le orecchie, ma nessuno, dal
piano di sopra, parve essersi accorto o preoccuparsi di un simile e,
all'apparenza, innocente suono. Ancora una volta, sospirai con
più
sollievo nel cuore, lasciando andare il fiato che neanche mi ero resa
conto di aver trattenuto. Solo allora notai il sangue sul piede di
porco, abbassai lo sguardo e vidi una piccola pozza rossa emergere da
sotto il capo di Clayton.
Lo avevo ucciso? La testa
prese a girarmi inaspettatamente.
« Non incolparti, Swan »,
Killian mi si avvicinò interpretando bene la mia
espressione, prima
di posare debole la mano sulla mia spalla sinistra « ha avuto
quello
che si meritava. » Annuii appena.
« Lo so » affermai
solamente. La verità era che avevo ucciso un uomo a sangue
freddo,
di nuovo. Che ripercussioni poteva avere su di me?
Killian si premurò di far
uscire Henry, mentre io mi chinavo sul corpo inerme al centro della
stanza e prendevo la sua pistola. Guardai in direzione della corda,
poco distante, preparata per legarlo ma, a quanto pareva, non sarebbe
più servita.
« Ora viene la parte
difficile », esclamai, tirandomi su e
controllando quanti proiettili avesse la pistola « Henry,
qualsiasi
cosa succeda, resta dietro di me. La squadra sarà qui a
momenti
ormai, se dovessero arrivare prima della fine di questa storia,
voglio che tu raggiunga Phoebe e che ti metta al sicuro, siamo
intesi? » Il ragazzino annuì, stanco probabilmente
di ribattere o,
forse, consapevole del fatto che non ammettevo repliche.
Lanciai un'occhiata d'intesa
a Killian, anche lui estrasse la sua pistola e fece per salire, senza
aspettare il mio okay. Lo lasciai fare, sapendo che fosse inutile
mettermi a discutere su chi doveva salire per primo, e poi era meglio
restare indietro e tenere Henry sotto controllo.
L'uomo salì un gradino per
volta, lentamente. Noi, dietro, facemmo esattamente la stessa cosa,
premurandoci di mettere i piedi nel suo stesso punto, per evitare
scricchiolii indesiderati. Improvvisamente, Hook portò il
braccio
sinistro indietro, come per fermarmi o intimarmi di non far rumore.
Mi arrestai immediatamente, non capendo cosa avesse in mente, ma non
feci in tempo neanche a domandarmelo che subito scattò
fuori,
pistola puntata verso destra, alta.
« Arrenditi Clayton »,
fece duramente, l'arma ben stretta « sei rimasto solo, non
hai
scampo ormai. »
« Oh, Jones, mettila via »,
cominciò una voce calma ma penetrante « non hai il
coraggio di
usarla, devo forse ricordartelo? »
« Non mettermi alla prova »
tuonò il pirata, una voce che, quasi, mi
spaventò. Tenevo stretto
Henry, sperando che l'uomo non facesse niente di avventato.
« Quando è così... »
mormorò l'altro.
Poi uno sparo, sobbalzai sul
posto e tirai fuori la pistola, feci per raggiungere Killian, ma
Henry mi bloccò per un braccio. Restai in attesa prima di
sentire un
altro sparo, allora mi girai verso il ragazzino e gli intimai di
restare lì, al sicuro, poi corsi fuori anche io.
Vidi subito Killian
rintanato dietro a un tavolo, Clayton al sicuro dietro una parete.
« Emma, togliti da lì! »
Mi urlò contro il pirata, prima che un colpo
partì dalla parte
opposta della stanza. Mi chinai giusto in tempo e riuscii a
schivarlo, presi la pistola con entrambi le mani e presi a sparare
come una matta, in preda alla collera. Un rantolo di dolore mi fece
capire che lo avevo colpito, forse a un braccio o a una gamba.
«
Emma! » La voce di Killian mi raggiunse un'altra volta,
voleva che
lo raggiungessi o che mi mettessi al sicuro, ma non volevo
ascoltarlo.
« Marcerai all'inferno,
Clayton! » Gridai arrabbiata, nella mia mente rimbombavano i
nomi di
tutte le vittime innocenti uccise a sangue freddo da quei due mostri.
Sentii quasi il senso di colpa per la morte del fratello maggiore
scivolare via, seguito da una vocina che mi diceva che era giusto
così. In quel momento mi fermai, chiedendomi cosa mi stesse
prendendo. Avevo accantonato ogni preoccupazione riguardante la mia
oscurità, decisa ad andare avanti, ad aiutare Lily, a
perdonare i
miei genitori. Dovevo calmarmi.
« Prima vi ci porterò
insieme a me! » Clayton spuntò fuori e prese a
sparare
all'impazzata, Killian uscì dal suo nascondiglio e mi
afferrò per
il braccio destro, strattonandomi, poi, insieme a lui dietro a quel
tavolo.
« Oddio, Killian! »
Esclamai, notandolo mentre si portava la mano sulla spalla opposta,
con espressione dolorante. Era stato colpito, era stato colpito per
colpa mia!
« No- non è niente, Swan.
Tranquilla » respirò a fatica, ma non sembrava
esser grave. Con un
po' di fortuna il proiettile lo aveva trapassato da parte a parte ed
era uscito, ma non avevo il tempo di controllare. « Mi
è rimasto un
solo proiettile » rivelò poi, scoraggiato.
Lo guardai rapida e seppi di
non avere alternative. Mi alzai e presi a sparare, un colpo dopo
l'altro. Il terzo andò a segno e così continuai.
Vidi l'uomo venir
colpito prima alla spalla, poi al petto, poi ad una gamba. Ad un
certo punto cadde a terra e solo allora mi fermai, accorgendomi
subito delle sirene di qualche volante della polizia proveniente
dall'esterno del capanno.
Erano arrivati, i Clayton
erano morti. Era tutto finito. Abbassai la pistola e presi a
respirare piano. Killian si alzò poco dopo, Henry parve fare
capolino timidamente. Un istante dopo Jack irrompeva nel capannone,
seguito dai gemelli e poi da Phoebe, le armi in bella vista, pronti
ad aprire il fuoco.
« Killian! Emma! »
Esclamarono tutti, quasi all'unisono, prima di guardarsi intorno e
rendersi conto della situazione.
« E' finita » esclamò
l'uomo al mio fianco.
Dovetti rilasciare una
deposizione, Killian invece dovette sorbirsi i rimproveri di un
Montgomery decisamente molto adirato, che continuava a lanciarmi
truci occhiatacce. Quando fui libera di andare, mi avvicinai a Jack
che si stava occupando di Henry.
« Torno un attimo dentro
a... controllare i corpi » lo informai. Non sapevo cosa mi
stava
prendendo, sentivo il bisogno di scendere nella botola, forse era la
coscienza a muoversi per me, forse una cattiva sensazione. Non sapevo
dirlo. Volevo davvero scusarmi con quei mostri che avevano causato
tanto dolore? Sapevo che quella era la fine che avevano meritato e
sapevo che, per quanto riguardava John, era stata decisamente
legittima difesa. Ma suo fratello... lo avevo colpito alle spalle con
una crudeltà che non credevo di avere.
Mi vergognavo quasi di me
stessa.
Scesi nella botola e,
subito, notai che qualcosa non andava. Mi guardai intorno, il corpo
doveva trovarsi oltre le nostre sedie, poco vicino alla cella.
Doveva, ma non c'era.
Decisamente qualcosa non
andava. Presi a tremare. Forse non era morto, ma, con le ultime forze
che gli rimanevano, era riuscito a spostarsi. Sicuramente non doveva
essere andato molto lontano.
Cominciai a mettere tutto a
soqquadro, ma Clayton non c'era. Restava solo la pozza di sangue come
prova della sua presenza. Nient'altro.
Tornai di sopra confusa, ma
subito impietrii.
Il
cacciatore era davanti a me e sorrideva sghembo. Disarmata alzai le
mani in aria, rassegnata, stava per spararmi, sentii che la mia ora
fosse
arrivata. Non potevo credere che sarebbe finita in quel modo,
così come non potevo credere che ci avesse beffato in quel
modo, che quel colpo lo avesse solamente tramortito.
Chiusi gli occhi debolmente, sentii l'uomo premere il grilletto,
deglutii,
sperai che Henry fosse al sicuro, non volevo che mi vedesse. Pensai a
Killian, mi dissi che se la sarebbe cavata anche senza di me, anche se
sarebbe rimasto per
sempre lì a Londra. Pensai ai miei genitori, mi avrebbero
persa per
l'ennesima volta, avrei solamente voluto abbracciarli in quel
momento.
E poi lo sparo.
Sobbalzai e spalancai gli occhi. Mi mancava
il respiro ma non sentivo dolore. Non provavo il minimo dolore...
com'era
possibile? Mi avevano appena sparato! Vidi il cacciatore stramazzare
al suolo, il sangue uscire dal suo petto, dal cuore, gli occhi
spalancati. Tornai a
respirare nel momento in cui capii che qualcun altro mi aveva appena
salvata. Mi girai e vidi Killian, la pistola ancora puntata verso il
nulla, mi guardava preoccupato. Mi aveva salvato la vita, ancora. Gli
sorrisi, come a dirgli 'sto bene', ma poi impallidii. John Clayton, con
le
ultime energie che gli rimanevano, alle spalle dell'uomo, gli aveva
appena rivolto la pistola contro e si accingeva a sparargli. Quei due
fratelli avevano la pellaccia dura, decisamente troppo per i miei gusti.
«
Killian! » Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. Corsi
in suo
aiuto mentre Clayton sparava, ma riuscii a pararmi davanti a lui,
riuscii a
proteggerlo. L'assassino cadde subito a terra, privo di forze.
«
Emma! » A urlare, quella volta, fu Killian. Quella volta il
dolore
lo sentivo, un dolore mai provato prima mi invadeva tutto il corpo
tanto da non farmi capire da dove provenisse. Non riuscivo a respirare,
mi sentii mancare e
proprio in quel momento Killian mi afferrò per il ventre. Si
abbassò
delicatamente a terra, facendomi sdraiare quando si accorse che non
riuscivo più a stare in piedi. « Emma, non dovevi
farlo! » Mi
rimproverò, guardandomi sconvolto. I suoi occhi andavano
dalla ferita, al mio volto, alla mia bocca, poi di nuovo alla ferita.
«
Tu... stai bene » constatai rincuorata con un filo di voce.
Speravo di non essere messa così male ma, evidentemente, mi
sbagliavo. Provavo
dolore anche solo nel parlare.
«
Che ti è saltato in mente, Swan, cazzo! »
Continuò lui, con la
voce spezzata. I suoi occhi luccicavano, che stesse per piangere? O
forse ero io che non riuscivo a distinguere realtà e
finzione? Il
pirata si guardò poi la mano, che fino a quel momento era
stata
ferma sulla mia pancia: era sporca di sangue, completamente rossa,
non si riusciva quasi a vedere il minimo accenno della sua pelle. La
maglietta che indossavo completamente zuppa, sentivo quasi il sangue
uscire dalla ferita d'arma da fuoco. Sospirai
appena, anche quello mi fece male. « Phoebe! Maledizione,
dove cazzo
sei? Chiama i soccorsi, muoviti! »
« Stanno arrivando », rispose la ragazza, non
riuscivo a vederla, neanche mi ero accorta della sua presenza, ma ero
certa che ci avesse raggiunto una volta sentito gli spari «
cazzo, cazzo, cazzo » continuava a ripetere fra sé.
«
Killian... », lo richiamai « Credo... credo che sia
tardi, Killian. »
«
No che non lo è! E non parlare, devi conservare le forze,
Swan. Devo dirti proprio tutto? » Disse quelle ultime parole
con una smorfia sul viso, provando a risultare ironico. Gli sorrisi.
«
Ascolta », affermai debolmente, lui chinò appena
il capo verso di me, per sentire meglio « ascolta.
Grazie... per tutto quello che hai fatto per me e per la mia
famiglia. Grazie per essermi stato sempre... accanto. Sei stato la...
mia roccia... nei momenti peggiori. Io... io ti amo, Killian... ti
amo... non dimenticarlo... non dimenticarmi, ti prego » gli
accarezzai la guancia e in quel momento avrei tanto desiderato
baciarlo un'ultima volta, ma non ne avevo le forze. Mise la sua mano
sulla mia, fu macchiata anch'essa del mio stesso sangue, e mi
guardò profondamente.
«
Emma... cosa stai dicendo? Non stai morendo Swan, non lo
permetterò.
Te lo prometto. »
Sorrisi per quelle sue parole così ingenue.
Improvvisamente non sentii più alcun dolore, mi concentrai
su quegli
occhi blu, mi immersi in quell'oceano che mi scrutava disperato.
Decisi che non era un brutto modo per morire, quegli occhi mi
avrebbero addolcito il viaggio e guidato in un posto migliore. La mia
mano cadde dalla sua guancia, non avevo davvero più forze.
« Swan! » Gridò
Killian « Swan! No. No, no, no, no. Guardami. Emma, guardami
ti
prego. Emma! No, ti prego no. Emma! Swan! » I suoi occhi
furono
l'ultima cosa che vidi e la sua voce – mischiata a una sirena
dell'ambulanza forse troppo lontana – l'ultima cosa che
sentii. Poi
ci fu solo buio.
Nient'altro
che buio.
Angolo dell'Autrice:
Vi
chiedo decisamente scusa per via di questo immenso ritardo (come al
solito), solo che questa volta, davvero, non mi aspettavo di ritardare
tanto. E' stata un'ultima settimana particolare, devo ammetterlo, e ci
sono stati giorni in cui la voglia di mettermi a scrivere scarseggiava.
Ho cominciato a pensare che forse dovrei concentrarmi su capitoli
più brevi, magari di 5-6 pagine, così da non
lasciarvi a digiuno per tutto questo tempo, ma ormai direi di
continuare su questa linea visto che mancano 3/4 capitoli alla
fine.
Anyway.Via, insultatemi pure. Emma, Emma, Emma. Ancora una volta ha
scelto la vita di qualcun altro, la vita del suo Vero Amore, prima
ancora della sua. Dove porterà questa scelta? Cosa
capiterà adesso alla nostra beniamina? La sua vita
finirà davvero qui o subirà qualche ripercussione?
Perlomeno, l'Operazione Grimm è finalmente giunta al
termine. I cattivi sono andati, morti. Non ho mai pensato a una fine
diversa per loro, nessuna redenzione o seconda possibilità
per restare fedele al personaggio originale al quale mi sono ispirata.
Magari Clayton si ricongiungerà alla sua Cruella, magari
semineranno il panico nell'Underworld, chi lo sa? (Attento James,
arriva la concorrenza!) Ah, ho trovato quest'immagine su internet prima
che finissi di scrivere il capitolo e dovevo assolutamente condividerla
con voi! Quasi quasi mi metto a shipparli, giusto un pochino.
Be', fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, se vi aspettavate
una conclusione del genere, cosa credete che succederà nel
prossimo?
Vi lascio mandandovi un bacio e ringraziandovi per le recensioni che mi
lasciate e per il tempo che perdete per leggere questa storia che,
ahimé, sta per giungere al termine. Voglio piangere.
A presto,
Sà
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Capitolo 19 *** Survive ***
19.
Survive
*Killian
Pov*
Sentii
scivolare la sua mano dalla mia guancia e mi sentii svenire.
Non
poteva mollare. Emma era una che combatteva, sempre, con tutte le
forze che aveva. Doveva rimanere aggrappata anche alla più
flebile
speranza di salvezza, e così dovevo io, non potevo lasciarmi
prendere dal panico, anche se mi risultava difficile non farlo in un
momento del genere.
Non
potevo perderla. Vedevo la vita lasciare i suoi occhi profondi e mi
rendevo conto che non potevo lasciarla andare via, era mio compito
non lasciarglielo fare in alcun modo.
«
Ti prego, Emma » le dissi agitato cominciando a scuoterla,
sperando
che questo bastasse a farle spalancare le palpebre che si erano
debolmente serrata solamente un istante prima. Avevo poggiato la mano
sul suo braccio sinistro, la muovevo come meglio potevo mentre
osservavo disperato quelle labbra ancora schiuse, sembravano portarsi
addosso ancora quel “Ti amo” che mi aveva detto
prendendomi alla
sprovvista.
Quando
non percepii alcun movimento, abbassai il capo quasi a sfiorare il
suo, ma non sentii niente. Neanche un debole respiro. Le sentii il
polso, allarmato e preso dal panico, ed anche lì non
percepii il
minimo battito. In compenso il mio cuore prese ad accelerare, a
martellarmi nel petto senza sosta, come se volesse farmi sapere che
fosse lì e me lo stesse gridando all'impazzata.
«
Maledizione, Swan » esclamai tra me, a denti stretti, senza
un vero
motivo. Posai la mano sul torace della donna e il moncone su di essa,
senza aggiungere un'altra parola che si sarebbe persa solamente nel
vento, e cominciai a fare pressione in un disperato massaggio
cardiaco che non avevo intenzione di interrompere fino a quando non
avesse aperto gli occhi. O mosso anche solo un muscolo.
Dentro
di me ero certo di non aver mai provato tanta preoccupazione, per una
persona o per una situazione, in tutta la mia vita. Ad un certo punto
arrivai anche ad incolparla, ad avercela con lei. La incolpai di
essersi fatta sparare, di avermi trascinato in quella situazione, di
essersi messa fra me e la pistola di Clayton. Non mi ero mai reso
conto di essermi così affezionato a quella donna, anche se
avevo
sempre sentito nel profondo che ci fosse qualcosa che ci legasse,
anche se continuavo a non spiegarmi il perché.
Emma
Swan era una persona importante per me, cominciavo a capirlo, ma non
capivo come fosse possibile attaccarsi tanto a una persona che avevo
conosciuto neanche un mese prima.
Quindi
sì, la odiavo per avermi messo in quel casino, la odiavo per
avermi
fatto vivere una cosa del genere, per avermi fatto sperimentare un
livello di paura, ansia ed agitazione che non pensavo fosse possibile
raggiungere. E la odiavo perché continuava a restare
lì per terra,
priva di sensi, nonostante tutto.
«
Killian » la voce di Phoebe, alle mie spalle, mi riscosse ma
non mi
fermai, non potevo smettere di comprimere sul petto neanche per un
secondo. Mi chiesi quando si fosse avvicinata tanto, sentivo quasi il
suo fiato sul collo e mi parve di vedere la sua figura, con la coda
dell'occhio, a qualche centimetro dalla mia. Forse si era
inginocchiata al mio fianco senza che me ne rendessi conto «
Non c'è
più niente da fare » commentò a bassa
voce. Sentii la rabbia
cominciare a salire, ma anche la stanchezza, serrai quindi la
mascella cercando di mettere ogni emozione sull'operazione che stavo
facendo.
«
Zitta » mormorai di scatto, quasi in un sussurro. Non volevo
perdere
il ritmo, ma soprattutto non volevo che dicesse cose del genere, non
potevo starla a sentire.
«
Mi dispiace » fece lei, mettendo una mano sulla mia spalla
sinistra.
La voce spezzata.
«
Non dovrebbe dispiacerti, Emma starà bene »
affermai deciso,
cercando di smorzare il fiatone.
«
Emma non c'è più »
singhiozzò lei, forse portandosi una mano
sulla bocca per non farmene accorgere.
«
No » ribattei scocciato. Non potevo credere che fosse
già finita.
Non lo accettavo. Quella ragazza stava cominciando seriamente ad
infastidirmi.
«
Ti prego, Killian. Fermati » urlò allora lei,
forse pensando di
intimorirmi o sorprendermi a tal punto.
«
No! »
«
Non puoi fare più niente! »
«
Smettila Phoebe, stai zitta! » Sbottai alterato, girando
leggermente
il capo per guardarla « Vai via, è meglio
» continuai poco dopo,
tornando a guardare il corpo senza vita di Emma che si muoveva sotto
la mia mano. Phoebe, comunque, non si mosse, posò le mani
sulle sue
ginocchia e rimase al mio fianco, con la testa basta, a piangere
silenziosamente.
La
sirena dell'ambulanza sembrava sempre più vicina e una parte
di me
parve tranquillizzarsi appena, l'altra, invece, cominciò a
provare
un certo dolore fisico: mi invadeva per tutto il corpo e parve
concentrarsi sulla spalla sinistra. Cominciai ad avere la nausea, mi
veniva da vomitare, volevo vomitare. Tutto, sia il
dolore
fisico che quella sofferenza del cuore che mi aveva attanagliato
dall'istante in cui avevo preso Emma Swan tra le braccia, ferita e
debole.
«
Tu sanguini » la ragazza al mio fianco fece notare una cosa
che
poteva anche sembrare ovvia, se solo non mi fossi dimenticato di
essere stato ferito io stesso durante il primo conflitto a fuoco. Era
quella la causa del male che stavo provando, la ferita alla spalla.
Da quanto tempo aveva preso a dolermi di nuovo? Me ne stavo
accorgendo solo in quel momento, forse si era riaperta per lo sforzo,
ricordavo di averla controllata subito prima di parlare con
Montgomery e non mi sembrava messa tanto male.
«
Non è niente » provai a tranquillizzarla o almeno
a spostare la sua
attenzione su una faccenda più importante. Alzai lo sguardo
e vidi
Jack poco distante, mi guardai intorno come a cercare quell'ambulanza
che ancora non ci aveva davvero raggiunto, lui parve interpretare i
miei occhi spaventati e si allontanò, ad aspettare i
soccorsi.
«
Sei ferito », Phoebe parve non avermi ascoltato minimamente,
cominciò a trafficare con la mia maglietta, tirando il
colletto
verso di lei così da scoprire quel foro di proiettile
« Dio, credo
si stia infettando! »
«
Sciocchezze » mormorai col respiro affannato. Valutai l'idea
di
mettere la ragazza a effettuare il massaggio cardiaco al posto mio,
ma avevo il terrore che avrebbe gettato la spugna dopo poco, allora
stringevo i denti e continuavo come un matto.
«
Devi piantarla. »
«
Phoebe, ne abbiamo già discusso. »
«
Stai perdendo troppo sangue, cosa non ti è chiaro?!
»
«
Non posso lasciarla morire, cosa non è chiaro a te?
»
«
E' già morta, Jones! Smettila. »
«
Smettila tu, cazzo » le sue parole mi fecero un incredibile
male. Lo
capì lei stessa, quando mi girai a guardarla, duro e truce,
forse
non mi aveva mai visto in quello stato. Ero pieno di sangue, tra
l'altro, il mio e quello di Emma. Lo avevo anche sulla parte destra
del viso, ero letteralmente imbrattato dalla testa ai piedi.
«
Testardo di un pirata » affermò quella,
spintonandomi via con tutta
la forza che aveva concentrata nelle spalle, e riuscendoci per
giunta. Fui scostato, allontanato da Emma. Persi per un attimo
l'equilibrio, ma girai subito lo sguardo per urlare contro la donna e
sfogare così tutta la rabbia. Rimasi con la bocca chiusa,
però,
quando la vidi comprimere il torace della bionda con un ritmo
regolare. Aveva preso il mio posto, per farmi contento e per farmi
riposare.
Pensai
anche alla parola che mi aveva detto: pirata. Un'espressione
bizzarra, ma non ebbi tempo o voglia di chiedergli qualunque cosa,
perché Jack aveva appena fatto ritorno in tutta corsa,
portandosi
dietro ben due paramedici.
«
Forza muovetevi » gridai loro contro, rizzandomi in piedi e
notando
poi la barella che si portavano dietro. Diedi loro una mano –
letteralmente – ad adagiare la donna su di esso e li seguii
fuori,
con Phoebe e Jack dietro.
«
Le serve dell'ossigeno! » Gridò uno in direzione
di un altro
paramedico che aspettava dentro la volante. Ben presto Emma si
ritrovò con una maschera alla bocca a pomparle l'aria di cui
aveva
bisogno, mentre continuavano ad effettuare il massaggio cardiaco.
Sapevo che se non ci fosse stato nessun miglioramento non ci sarebbe
stato nient'altro da fare, si sarebbero arresi anche loro e non
potevo sopportare l'idea. Phoebe mi stringeva per il braccio sano,
forse voleva sorreggermi o forse voleva sorreggere se stessa, non lo
sapevo e non mi interessava. Probabilmente stava piangendo, almeno
lei ne aveva la forza. « Abbiamo il battito! »
Ebbi
un tuffo al cuore e improvvisamente mi sentii più leggero.
Phoebe
singhiozzò, Jack sospirò forte e gli altri
componenti della squadra
– che ci avevano raggiunti da poco – si guardarono
tranquilli,
mentre io non riuscii a fare niente, non mossi un solo muscolo e non
dissi la minima parola. Ne ero grato, ovviamente. Ne ero immensamente
grato. Emma stava combattendo, non si sarebbe arresa ed era la
notizia più bella che potessero dare. Tutti quegli sforzi
non erano
stati inutili, avevo avuto ragione a non perdermi d'animo e a non
mollare. Sapevo che non mi sarei mai dato pace se non avessi tentato
fino alla fine ed Emma mi aveva ripagato come meglio poteva.
Indietreggiai
appena, sollevato. Mi passai una mano sulla fronte per asciugarmi il
sudore, anche se probabilmente non feci altro che sporcarmi
maggiormente di sangue. Improvvisamente, avvertii, dapprima, un
leggero tremolio delle gambe, poi la testa prese a girarmi. Il buio
mi accolse d'improvviso e svenni prima che potessi rendermene conto,
o di sentire tutti gli altri chiamarmi per nome, allarmati.
***
Fu
un frastuono fatto di voci e rumori assordanti a svegliarmi. Sentivo
le palpebre pesanti, ma mi imposi di aprirle e piano piano ci
riuscii. In un primo momento vidi tutto appannato, sbattei lentamente
le ciglia un paio di volte prima di mettere a fuoco tutto quello che
mi circondava.
Mi
resi conto subito di trovarmi in una stanza d'ospedale e rizzai
subito la schiena, mettendomi seduto pur restando con le gambe
allungate su quel lettino bianco e scomodo, allarmato. Con quel
movimento brusco provai una lievissima fitta alla spalla, dove mi
accorsi di avere un cerotto abbastanza grande che probabilmente
nascondeva vari punti. Mugugnai leggermente e mi guardai intorno: non
c'era nessuno, ma affianco al letto vi era una poltroncina che mi
fece presumere che qualcuno, almeno fino a qualche istante prima,
avesse aspettato che riprendessi i sensi.
Mi
alzai, infine, senza farmi troppe domande e passandomi una mano prima
sulla testa e poi sugli occhi. Dovevo trovare Emma. Non sapevo in che
condizioni si trovasse e solo questo mi faceva agitare forse
più di
quando l'avevo vista abbandonarsi fra le mie braccia. Lei... lei mi
era morta fra le braccia. Realizzai solo in quel momento la
disperazione che mi aveva provocato e il miracolo che era avvenuto,
forse grazie a me, forse no, dopo. Il suo cuore aveva ripreso a
battere, ma poi? Dove l'avevano portata? Speravo si trovasse in
quello stesso ospedale perché volevo assolutamente vederla,
senza
perdere altro tempo.
Prima
che ebbi tempo di avviarmi verso l'uscita, Jack mi precedette ed
entrò nella stanzetta con una tazza di caffè in
mano. Camminava a
testa basta, per questo quando alzò il capo e mi vide
davanti a lui
sobbalzò sorpreso.
«
Killian », esclamò, quasi incredulo « ti
sei svegliato finalmente!
» Sorrise sincero e feci la stessa cosa di rimando,
accennando un
piccolo gesto del capo. Feci per replicare, ma mi bloccò sul
nascere
« Non so se dovresti stare in piedi! »
«
Jack non ho subito un'operazione », dissi leggermente
esasperato «
io sto
bene. Nessuna
infezione, nessun proiettile, solo qualche punto
» aggiunsi,
mostrando quindi la spalla sinistra, per far capire al ragazzo che
fosse tutto sotto controllo. Prima Phoebe, poi Jack. Non avevo
bisogno di qualcuno che si preoccupasse per me, o meglio, ne ero
lusingato, davvero, ma non ero io quello messo male, c'era Emma che
aveva bisogno di noi, dovevano pensare a lei, non a me.
«
Anche prima avevi detto di star bene, e poi sei svenuto »
replicò
il ragazzo. Alzai gli occhi al cielo e mossi appena la mano,
facendogli intendere che non volevo più sentire una sola
parola su
quel discorso. Gli passai accanto e gli tolsi la tazza dalle mani,
gustando subito un sorso del liquido nero e caldo. L'altro non
poté
fare altro che venirmi dietro, scoraggiato.
«
Dov'è Emma? Come sta? E' successo qualcosa dopo che sono
svenuto? E
Henry è con voi? » Cominciai a chiedergli a
raffica, volgendo di
tanto in tanto lo sguardo a destra e a manca, alla ricerca di qualche
faccia conosciuta. Probabilmente la maggior parte della squadra era
tornata a Scotland Yard, o a casa. Mi domandai che ore fossero, per
quanto tempo ero rimasto svenuto, ma accantonai subito quel pensiero
perché poco mi importava. Mi convinsi del fatto che Henry
stesse
sicuramente con Emma, forse Phoebe era rimasta con loro, magari lei e
Jack si erano dati il cambio un paio di volte.
«
Respira, Killian », affermò il ragazzo mentre, me
ne resi conto
solo in quel momento, mi guidava per i corridoi dell'ospedale con
fare sicuro e disinvolto « Henry è con Phoebe,
l'ho lasciato con
lei poco fa, prima di venire a controllarti »,
confermò la mia
teoria e annuii silenzioso, capendo che non aveva finito di parlare e
spiegarmi la situazione « stanno aspettando notizie. Killian
», si
bloccò, letteralmente, e fermò anche me,
afferrandomi al volo per
il braccio sano e facendomi voltare a fronteggiarlo, anche se era
parecchio più basso di me e faceva fatica a guardarmi in
faccia «
Emma non sta bene », raggelai, feci per parlare ma non me lo
concesse « è grave, non potevi aspettarti il
contrario, voglio dire
lei era... era... insomma, hai capito »,
“morta” sì, avevo
capito cosa intendesse e anche io faticavo ancora a realizzarlo
«
comunque la stanno operando, sono dentro da circa un'ora e mezza e
credo ne avranno per un altro po' ancora. Ora andiamo, sono tutti in
sala d'aspetto » sospirai e mi lasciai guidare dal ragazzo.
Cominciai
a pregare, dentro di me, con la mente e con il cuore. Pregai
affinché
l'operazione andasse bene, pregai affinché Emma si
svegliasse presto
e riprendesse le forze. Se fosse successo qualcosa, se l'avessi persa
per sempre, non me lo sarei mai perdonato. Il che suonava un po' come
un controsenso, visto che qualche ora prima ero arrivato a incolparla
di tutto.
Mi
grattai appena il capo, il collo, e presi a respirare piano,
profondamente. Dovevo darmi una calmata. Stavo andando incontro ad
Henry, non potevo rischiare di agitare quel ragazzino più
del
dovuto. Immaginai quanto potesse essere terrorizzato: solo, in una
città che non conosceva, libero solamente da un paio d'ore
da una
prigionia lunga una decina di giorni o forse di più, con la
madre
sotto ai ferri e per giunta circondato da completi (o quasi)
sconosciuti.
Anche
se, arrivati in sala d'aspetto, la prima cosa che notai fu
l'apparente calma del ragazzo in questione. Se ne restava seduto,
alla destra di Phoebe, in silenzio, i gomiti poggiati sulle ginocchia
e le mani incrociate, ferme. Nessun tremolio o segnale d'ansia,
nessun piede che sbatteva rapidamente sul pavimento, nessun occhiata
furtiva all'orologio che ticchettava per un fortuito caso proprio
davanti a lui. Guardava solo per terra. Forse ebbi l'impressione di
scorgerlo mentre si mordicchiava il labbro inferiore, ma fu una cosa
rapida, tanto che pensai di essermelo immaginato.
«
Henry, Phoebe » li chiamai, avvicinandomi a loro. Si girarono
quasi
simultaneamente, sorpresi di vedermi arrivare, anzi, probabilmente
neanche si sarebbero accorti della mia presenza se me ne fossi
rimasto in silenzio. Henry mi sorrise, Phoebe invece mi
lanciò
un'occhiataccia.
«
Ti hanno dato l'ok per andartene in giro? » Mi
domandò con fare
accusatorio, sapendo già che la risposta fosse negativa.
«
Non cominciare anche tu. Sto bene » ripetei per la
milionesima
volta. Mi guardò attentamente, sembrava pensare a cosa
replicare, o
forse se replicare.
Alla fine
lasciò perdere e volse il capo verso sinistra, dove
probabilmente
sarebbe arrivato uno dei dottori a cui era affidata la vita di Emma,
subito dopo essersi lanciata un'occhiata silenziosa con Jack, che
rimase alle mie spalle, poggiato alla parete, mentre io prendevo
posto accanto al ragazzino. « Ci sono novità?
» La ragazza scosse
la testa e fu la prima a rispondere.
« No », affermò « o
meglio, qualche minuto fa ci hanno detto che è stabile, ma
comunque
non è fuori pericolo. Stanno facendo tutto il possibile
eccetera
eccetera. La solita solfa che ti rifilano i chirurghi » mi
spiegò,
cercando di rimanere di ghiaccio, anche se riuscivo benissimo a
percepire la sua preoccupazione. In altre occasioni avrei sorriso e
l'avrei presa in giro: alla fine si era affezionata anche lei ad
Emma, nonostante l'antipatia iniziale tra le due.
« Starà bene », affermai
sovrappensiero, forse per rassicurare Henry, forse per rassicurare
me, forse per rassicurare tutti « Emma è forte,
sono sicuro che
presto ci prenderà in giro per esserci preoccupati tanto
» tentai
di ironizzare, incurvando appena le labbra verso l'alto, prima di
guardare Henry.
« Lo so », fece lui,
ancora apparentemente tranquillo « non sono preoccupato, si
rimetterà presto. Gli eroi cadono, ma si rialzano sempre.
Anche io,
anni fa, sembravo spacciato, e poi la mamma è riuscita a
salvarmi »
corrugai la fronte e lo guardai accigliato, ebbi il sospetto che
Phoebe e Jack facessero la stessa cosa.
« Come? » Mi limitai a
domandare, non capendo cosa volesse dire con “riuscita a
salvarmi”.
In che modo? E cosa era successo a Henry?
« Lascia stare », rispose
lui, evasivo « il punto è che non bisogna perdere
la speranza. Sono
spaventato anch'io ovviamente », si sbrigò ad
aggiungere, forse
vedendo finalmente le nostre espressioni « ma cerco di
rimanere
aggrappato alla speranza » concluse. Speranza. Magari nei
suoi libri
di fiabe era così che andavano le cose, ma quella era la
realtà,
sua madre stava davvero rischiando la vita e della nostra speranza,
probabilmente, non se ne faceva nulla. Ma non dissi niente del
genere, mi limitai ad annuire e ad accennare un mezzo sorriso, prima
di voltarmi a guardare che ore fossero. Forse Henry aveva captato la
mia occhiata diffidente, ma non ne fece un dramma, quasi si
aspettasse quella reazione.
« A proposito ragazzino »,
richiamai la sua attenzione, gli occhi ancora puntati sulle lancette
che ticchettavano lente « non dovresti avvertire tua madre?
» Gli
domandai, ricordando la donna che si era presentata a Londra insieme
a lui qualche settimana prima. Emma mi aveva spiegato la loro
situazione anche se non avevo capito molto, per quanto incasinata
fosse.
Il ragazzino fece una
smorfia. Immaginai che fosse preoccupato della reazione della donna,
probabilmente già furiosa per il fatto che né lui
né Emma si erano
fatti sentire in quel lasso di tempo. O forse non voleva farla
preoccupare, raccontandole, almeno per telefono, quello che gli era
capitato, ma entrambi sapevamo che fosse la cosa giusta da fare.
Regina Mills, se non ricordavo male era quello il nome della donna,
meritava di essere informata subito.
« Non dovresti anche
avvertire i tuoi nonni? » Chiese ad un tratto Phoebe,
innocentemente. La fulminai con lo sguardo, poi pensai che
probabilmente non era a conoscenza della storia di Emma, allora
sospirai.
« Emma è un'orfana », mi
ritrovai a dire sottovoce, neanche temessi che le mura di
quell'ospedale potessero captare le mie parole e riferirle al
prossimo « non c'è nessun parente da avvertire.
»
La donna mi guardò per
qualche istante, incerta, tanto che cominciai a chiedermi se non ne
sapesse più di me o se la storia che mi aveva raccontato
Emma fosse
vera. Certo, mi aveva mentito su parecchie cose, ma avevo visto il
suo sguardo perso in ricordi tristi e malinconici, mentre mi
confidava determinate cose. Non poteva avermi mentito.
« Già », si interruppe
Henry, lanciando poi un'occhiata a Phoebe, prima di rivolgersi a me
«
ma credo che avvertirò David e Mary Margaret, degli amici.
Sicuramente staranno insieme alla mamma » concluse, forse
l'ultima
parte era diretto più a sé stesso che a noi. Gli
prestai il
cellulare e poi lo guardai allontanarsi per chiamare a casa.
« Killian », mi voltai a
guardare nuovamente Phoebe che sembrava piuttosto pensierosa, come se
stesse cercando le parole giuste da dire « dopo che sei
svenuto,
Montgomery ha pensato di avvertire Rose » ROSE?!
« Montgomery? Cosa...
perché? Voglio dire... si è preoccupata?
»
« Hai rischiato grosso in
quel capanno Killian, certo che si è preoccupata!
» Esclamò
esasperata « Tanto lo avrebbe scoperto comunque, sentendo i
notiziari. E' stato meglio sentirlo da una persona vicina, no?
»
Annuii, non potevo darle torto. Non avevo capito che situazione ci
fosse tra me e Rose, se mi avesse lasciato o cos'altro, ma le volevo
bene e senza dubbio lei ne voleva a me, era stato giusto
così. «
C'è ancora un'altra cosa » continuò la
donna, interrompendo i miei
pensieri. La guardai con la coda dell'occhio, alzai il sopracciglio
sinistro per esortarla a continuare. « Sta tornando a Londra,
per
te. »
***
Avevo
passato l'intera notte
in ospedale.
Jack era tornato a casa per
primo, Phoebe aveva convinto Henry a dormire qualche oretta, a
dormire in un letto caldo, ed avevano deciso che sarebbe stato a casa
sua per quella sera. Mi avevano anche chiesto se volessi un
passaggio, ma rifiutai. Volevo restare lì, in caso Emma si
fosse
svegliata o fosse successo qualcosa, non per forza qualcosa di
brutto.
Tutti e tre, comunque,
avevano aspettato la fine dell'operazione: era andata a bene, ci
aveva detto il chirurgo che l'aveva operata, non erano sorte
complicazioni di qualsiasi genere ed erano ottimisti. Ora si trovava
in terapia intensiva, ma non sapevano dire con certezza quando si
sarebbe svegliata. Per questo non me l'ero sentita ad andarmene, non
volevo abbandonarla, poteva aver bisogno di me in qualsiasi momento.
Così mi ero abbandonato su
una vecchia poltrona in sala d'aspetto, avevo poggiato il capo alla
parete e mi ero addormentato dopo circa un'oretta, senza rendermene
conto. Fu un sonno tranquillo, troppo stanco per sognare,
probabilmente.
Quando mi ridestai provai
subito un leggero dolore al collo, me lo massaggiai appena con la
mano, prima di passarmela anche sugli occhi e di strizzarli. La prima
cosa che vidi fu Phoebe, che mi guardava con un sorrisetto, seduta su
una poltrona davanti alla mia. Due tazze di caffè in mano.
« Hai veramente passato
tutta la notte lì sopra? » Domandò
retorica, indicando con
l'indice destro la mia seduta. Era ovvio che sapesse già la
risposta, perciò mi limitai ad alzare le spalle.
« Avevi qualche dubbio? »
Domandai di rimando, guardandomi in giro senza un perché.
« No, affatto », rispose
porgendomi una tazza di caffè fumante che mi affrettai a
bere «
ascolta, sono passata per sapere se c'erano novità, ma
soprattutto
per portare Henry, ma non posso fermarmi oltre: devo andare a
Scotland Yard, lì è il caos, ci sono giornalisti
ovunque per via
della fine dell'Operazione Grimm. »
« Devo venire anch'io? »
Domandai, non che ne fossi entusiasta, ma alla fine ero il capitano
della squadra che aveva risolto l'indagine, nonché
protagonista in
prima persona di quello che ne era seguito dopo. Mi sentivo
responsabile del caso. La donna parve pensarci su, poi scosse la
testa.
« No, ce la caviamo. E'
questo il tuo posto », affermò quella frase con
una leggerezza che
mi lasciò perplesso, ma si allontanò subito,
dandomi le spalle «
chiamami se ci sono novità! » Mi disse, come
ultima cosa, prima di
andare via.
Finii la tazza di caffè e
decisi di raggiungere Henry, da Emma. Rimasi, però, fuori
dalla
stanza, a limitarmi ad osservarli distante. Fu il pensiero del corpo
della donna scosso per via del mio massaggio cardiaco a bloccarmi,
soprattutto perché non l'avevo più vista da
allora. Henry sedeva
sul letto della madre, probabilmente le stava tenendo la mano, ma non
riuscivo a scorgere la bionda per via del ragazzo che la copriva.
Sospirai e serrai la mascella. Decisi di concedere al ragazzo un po'
di intimità, così voltai le spalle e presi a
camminare per il
corridoio, avanti di una ventina di passi e poi indietro. E ancora
un'altra decina di passi e poi di nuovo indietro. Le braccia
incrociate al petto, lo sguardo pensieroso.
Non potevamo far altro che
aspettare, io, Henry, i dottori, tutti gli altri che avevano imparato
a conoscere e a voler bene a Emma Swan. Non c'era un modo per
aiutarla, avrei fatto qualsiasi cosa, così come lo avrebbe
fatto
chiunque altro. Era quello a rendere tutta la situazione
così
snervante: veder soffrire una persona cara e non poter fare nulla per
alleviare il suo dolore o per aiutarla a superarlo. Pensai al libro
di fiabe di Henry, sarebbe stato più semplice se ci fossimo
ritrovati lì dentro. Mi sembrava una sciocchezza solo
pensarlo, ma
mi ci vedevo bene nei panni di un pirata, come mi aveva chiamato
Phoebe meno di ventiquattrore prima. Ed Emma... poteva essere una
principessa, sì, ma non una di quelle tutte merletti e
pizzi.
Sorrisi a quel pensiero, quasi risi per gli effetti che ansia,
stanchezza e preoccupazione si stavano rivelando su di me.
Mi fermai, dal pensare e dal
camminare, vedendo un gruppetto di persone percorrere il mio stesso
corridoio, solo con più fretta. Continuavano a guardarsi
intorno
spaesati, erano ancora parecchio distanti ma riuscivo a scorgere il
passo fiero della prima figura, una donna a giudicare dalla gonna che
indossava, che si limitava a girare appena il capo, passando davanti
alle diverse camere; gli altri due, invece, si tenevano per mano, ed
erano visibilmente più agitati dell'altra, sembrava stessero
partecipando ad una maratona di marcia.
Quando furono più vicini
riconobbi subito Regina Mills così come notai lo sguardo
carico
d'ira che mi lanciò. Provai a convincermi del fatto che
l'avrebbe
riservato a chiunque si sarebbe trovata davanti per primo, dopo
quella serie di eventi che le erano stati nascosti per tutto quel
tempo. Mi sentii improvvisamente in colpa per non essere riuscito a
contattarla prima, ci avevamo anche provato, ma nessuno era riuscito
a trovare un suo recapito, era come se abitasse su un altro mondo.
Quando tutti e tre mi si
fermarono davanti, ne approfittai per distogliere lo sguardo dalla
donna dall'espressione di ghiaccio, per concentrarmi sugli altri due,
che mi guardavano così come si guarda un fantasma. Se solo
esistessero i fantasmi, certo. Continuavano a tenersi per mano, come
non riuscissero a staccarsi, o come se volessero darsi forza a
vicenda in quel modo, e i loro occhi si muovevano rapidi a studiarmi
dalla testa ai piedi.
L'uomo, alto e biondo, mi
fissava accusatorio e sospettoso. Sembrava fosse pronto a dire
qualcosa. O a mettermi le mani addosso, l'impressione che dava era
quello. Mi chiesi chi fosse e, soprattutto, cosa gli avessi fatto di
tanto grave visto che neanche ci conoscevamo. Lo guardai fisso,
comunque, giusto per fargli sapere che non ero intimorito da quelle
sue occhiatacce, anche perché avevo altro per la testa in
quel
momento. Alla fine, con una smorfia e un sospiro, si volse a guardare
la donna al suo fianco, lasciando andare la sua mano per avvolgerle
le spalle con il braccio destro.
Quella non aveva mai smesso
di fissarmi sconvolta, davvero molto sconvolta. Portava i capelli
cortissimi che risaltavano i lineamenti dolci del viso. Sembrava
sicuramente più benevola nei miei confronti rispetto suo
marito o il
suo fidanzato. Anche se continuavo a sentirmi in soggezione ad essere
guardato in quel modo. Forse era per via del sangue: da svenuto,
qualcuno mi aveva lavato il volto e le braccia, ma gli indumenti che
indossavano era ancora quelli del giorno prima e, ovviamente, erano
sporchi.
« Mamma! » Sobbalzai
appena, come gli altri tre, al sentire la voce di Henry che per
fortuna arrivava a toglierci da quella situazione e da quel silenzio
imbarazzante.
Mi feci da parte per
lasciarlo passare e lo osservai abbracciare la sua mamma adottiva,
mentre l'espressione dura di lei finalmente si addolciva di sollievo.
Non avevo mai visto quella donna tanto serena come in quel momento,
addirittura credevo di non averla mai vista neanche sorridere prima di
allora.
« Henry » fecero eco a
Regina, gli altri due che già si facevano avanti per
abbracciare il
ragazzo. Non c'erano più dubbi sul fatto che si
conoscessero, ormai.
Probabilmente erano David e Mary Margaret, gli amici che aveva
nominato Henry il giorno prima. Mi sorpresi di me stesso per
ricordare i loro nomi con tanta sicurezza.
« Cosa ci fate qui? »
lasciai parlare il ragazzo, sentendomi improvvisamente di troppo in
quel quadretto. Feci addirittura due passi indietro e mi poggiai alla
parete con la spalla destra, limitandomi a guardarli in silenzio.
Regina fulminò il figlio.
« E ce lo chiedi anche? »
Esordì, alzando un sopracciglio e posando le mani sui
fianchi,
ammonitrice « Dopo quello che è successo pensavi
che ce ne saremmo
rimasti a Storybrooke come se niente fosse? » Storybrooke.
Ancora
quel nome. Eppure avevamo provato il fatto che non esistesse,
perché
continuavano a nominare quella città? Che lo facessero per
coprire
Emma? Però mi sembrava strano, la mora sembrava troppo
agitata e
carica di ansia repressa per giorni per preoccuparsi di proteggere
Emma con quello stupido dettaglio.
« A proposito », cominciò
a dire l'uomo, David, cancellando il sorriso che gli si era dipinto
in volto mentre abbracciava Henry « grazie mille per averci
avvertiti subito » finì sarcasticamente,
rivolgendomi un'occhiata
che non ammetteva altre interpretazioni: mi incolpava di tutto quello
che era successo ad Emma e a suo figlio.
« Be', noi ci abbiamo
provato », feci subito, scattando in avanti di qualche passo,
anche
abbastanza infastidito da quel comportamento « quando Emma
è stata
rapita insieme a Henry abbiamo fatto di tutto per rintracciare
Regina, ma se non è saltato fuori niente la colpa non
è sicuramente
nostra. »
« Già, il rapimento è un
altro punto da chiarire » continuò come se non
avessi aperto bocca.
I suoi occhi mi ricordarono quelli del padre della Stevens, la nostra
Cappuccetto Rosso, alla notizia dell'assassinio di sua figlia. Doveva
essere molto affezionato ad Emma.
« Basta così, non mi
sembra né il luogo né il tempo di discutere
» Mary Margaret sedò
l'animo del suo uomo, così anch'io mi tranquillizzai. Poi si
rivolse
direttamente a me, mi guardava con un'espressione triste, gli occhi
sembravano trattenere le lacrime da troppo tempo « Vogliamo
solo
vedere Emma, è possibile? »
« Ma certo » annuii,
lasciandoli passare.
Regina si allontanò poi con
Henry, mentre io restai per un attimo ad osservare le reazioni dei
due, alla vista della bionda. Lei si portò le mani sul viso,
forse
non ce l'aveva fatta più e il pianto l'aveva vinta. Lui la
cinse di
nuovo per le spalle, poi l'abbracciò, passandole anche una
mano sui
capelli corti, ad accarezzarle il capo. Mi parve di intravedere degli
occhi lucidi anche sul suo volto.
Sì, pensai, le volevano
decisamente un grande bene.
***
Le
ultime ore erano state le
più assurde e le più lunghe dell'ultimo periodo.
Magari anche le
più strane. Forse le più cariche di avvenimenti.
Sicuramente le più
cariche di avvenimenti.
Non avevo ancora trovato il
coraggio di sedermi al fianco di Emma, nella sua stanza d'ospedale.
Non si era ancora svegliata ed io ero sempre più nervoso.
Mary
Margaret si era dimostrata gentile nei miei confronti, come se fossi
un amico di vecchia data ritrovato. David, suo marito, aveva messo da
parte quell'aria ostile, ma aveva mantenuto un certo distacco,
rivolgendomi solo dei convenevoli. Regina non mi aveva rivolto
parola, troppo concentrata e presa dal figlio.
Alla fine mi avevano
convinto a passare la notte a casa mia, subito dopo aver saputo che
non mi ero mosso dall'ospedale in quelle ultime 24 ore. A casa mi ero
fatto una doccia, indossato dei vestiti nuovi e subito messo a letto,
stravolto.
La mattina seguente mi ero
svegliato presto ed ero andato subito in cucina. Lì vi
avevo, con
una certa sorpresa e un pizzico di sconcerto, trovato la colazione
pronta e la figura di Rose che corse ad abbracciarmi
inaspettatamente. Mi disse tante cose, davvero tante. Persi il filo
del discorso tre o quattro volte. All'inizio fu imbarazzante
cominciare la conversazione, poi l'atmosfera si alleggerì.
Di tutto quello che mi
disse, solo una cosa mi si era impressa nel cervello. Entrai in
ospedale con le sue parole che si ripetevano nella mia testa:
“Non
posso credere che fra meno di una settimana saremo marito e
moglie!”
Lo aveva detto con una tranquillità che mi aveva lasciato
senza
fiato per un po' di tempo.
E ancora dovevo riprendermi
del tutto.
Al bar presi due tazze di
caffè per gli amici di Emma – immaginai che Regina
e Henry fossero
ancora in albergo, vista l'ora – prima di raggiungerli. Per
fortuna
li trovai svegli, con delle occhiaie, però, che mi fecero
presumere
che, entrambi, avevano passato la notte in bianco, a vegliare sulla
donna.
« Ancora niente? »
Domandai loro a mo' di buongiorno, immaginando già la
risposta.
Mary Margaret scosse piano
la testa, nessuno dei due aggiunse niente, così mi sedei
affianco a
loro. Ancora una volta su quella sedia scomoda, ad osservare i minuti
che passavano lenti o i vari infermieri e dottori che correvano da un
parte all'altra. Era snervante.
« Non sei ancora entrato a
vederla? » Mi domandò a un certo punto, la donna,
cogliendomi alla
sprovvista. Mi voltai a guardarla e non potei non notare il solito
sorriso gentile dipinto sul volto.
« Ehm, no, non ancora »,
risposi, grattandomi appena il collo « ho cercato di lasciare
ad
Henry un po' di privacy quando era con lei, poi siete arrivati voi...
e allora... » mi stavo arrampicando sopra gli specchi, se
n'erano
accorti anche i muri. Era così difficile ammettere ad alta
voce che
non avevo più trovato il coraggio di vederla dopo quello che
era
successo? Avevo paura di crollare, vedendola su quel letto
d'ospedale. Forse era normale, dopotutto.
« Henry ci ha detto che hai
cominciato a praticarle il massaggio cardiaco prima che arrivasse
l'ambulanza, anche se sembrava non ci fosse più niente da
fare »,
un luccichio si intravide negli occhi della donna, mentre David
abbassava silenziosamente il capo, dopo aver annuito appena «
ti
siamo grati per non esserti arreso. Ed anche Emma lo è
», sorrise
tristemente « vai da lei. Parlale. »
Parlarle? La faceva così
facile, lei. Ero venuto a sapere che anche David si era ritrovato in
una situazione simile e che si era svegliato al suono della voce di
Mary Margaret. Sembrava un racconto da favola, una cosa che si sente
solo nei film. O comunque una cosa che poteva succedere una volta ogni
100 anni. Alla fine mi lasciai convincere, comunque, anche
perché sapevo che non potevo rimandare il momento ancora per
molto.
Appena la vidi mi si gelò
il sangue, ma mi feci coraggio e andai a sedermi al suo fianco.
Sembrava che dormisse, il petto si alzava e si abbassava
regolarmente. La guardai in volto, ma questo non fece altro che fammi
tornare in mente il suo sguardo che si spegneva, i suoi occhi che si
chiudevano e il respiro che l'abbandonava solo due giorni prima.
Scossi la testa per allontanare quei momenti orribili di assoluto
terrore, ormai era fuori pericolo, dovevo tranquillizzarmi.
« Ho conosciuto i tuoi
amici » cominciai a dire a bassa voce, sentendomi fin da
subito uno
stupido. Mi sembrava di parlare da solo, quasi me ne vergognavo, ma
cercai di sforzarmi ad andare avanti. « Mary Margaret e
David. Credo
di non piacergli molto, a David » sorrisi appena e la
guardai: non
aveva fatto una mossa. Era tutto inutile, mi dissi. Cosa stavo
facendo? Invece di essere a lavoro a cercare di distrarmi me ne stavo
lì, a parlare a voce alta. Sospirai e dopo qualche attimo di
silenzio mi convinsi a continuare, qualcosa mi diceva che dovevo
farlo per lei.
« Non ho avuto ancora modo
di dirtelo, o di rifletterci sopra, ma quando ho raccolto l'anello
che ci hai lasciato come indizio... hai presente l'espressione
“mi è passata tutta la vita davanti agli
occhi”? Be', per me è
stato così, solo che quella non era la mia vita »
era un
controsenso, forse. Non sapevo neanche perché, tra tante
cose, mi
ero messo a parlare di quell'episodio. Forse era un modo per venirne
a capo, parlandone avrei trovato una spiegazione, magari. «
C'eravamo noi. Io e te, in situazioni più o meno
inverosimili. In
certe ti facevo delle vere e proprie dichiarazioni, pazzesco, vero?
»
Risi appena, guardandola ancora. Niente, neanche un movimento della
palpebra. Continuai « Ti dicevo che avrei vinto il tuo cuore
oppure
che il mio lieto fine eri tu. In un'immagine, avevi il mio cuore tra
le mani. Credo di non aver visto una cosa del genere neanche nel
peggiore degli horror » risi ancora, rendendomi conto di
quanto
fossero assurde le cose che avevo visto. « Ti ho vista con un
abito
rosso da principessa addosso, eri felice, davvero molto felice. E
stavamo ballando. La cosa strana è stata il vederti tanto
distante
nei miei confronti, almeno all'inizio, mentre nelle immagini finali
sembravamo davvero molto vicini. Mi chiedo da dove abbia tirato fuori
certi flash. Forse sono nati dopo aver visto dei film particolari, o
forse l'Operazione Grimm è arrivata a condizionarmi tanto.
Non so
proprio darmi una risposta, so solo che è stato assurdo
» dissi
quelle ultime parole un po' distaccato, cercando di riflettere su
quello che poteva aver scatenato certe cose. Per la verità
mi era
sembrato di vivere un viaggio nei meandri più nascosti della
mia
mente. Forse in un'altra vita erano davvero successe.
Stavo impazzendo,
probabilmente.
« Comunque... devo ringraziarti, Emma. Mi hai salvato la vita
in quel capanno. Ti sono
debitore. »
« No, invece. »
Scattai in piedi sconvolto,
neanche avessi ricevuto una scossa sotto il sedere. Aveva parlato.
Non mi ero immaginato tutto, aveva parlato. Passarono forse due
secondi, la vidi muovere appena il capo verso la sua destra, verso di
me, le palpebre deboli che si muovevano appena. Strizzò gli
occhi
alla fine, mi vide e mi sorrise debolmente.
« Emma! » Quasi urlai per
la gioia, per la sorpresa, per il sollievo. Preso dal momento, mi
abbassai e la presi tra le braccia, facendola sollevare di qualche
centimetro dal lettino.
« Killian.. piano... non mi
sento ancora troppo bene » affermò, ridendo
lievemente forse colta
alla sprovvista. La lasciai andare e lei si riadagiò sul
letto.
« Hai sentito tutto quello
che ho detto? » Le domandai. Poi mi diedi dello stupido. Era
la cosa
più importante da chiederle? Decisamente no. Lei, comunque,
sorrise.
« La maggior parte. »
« Ci hai fatto preoccupare
tutti. »
« Non dovevate », affermò
in un sussurro, il sorriso non aveva mai abbandonato il suo viso e
questo fatto mi riempiva il cuore di gioia « se
c'è una cosa in cui
sono brava », continuò poi, «
è sopravvivere ».
Angolo
dell'Autrice:
Due capitoli nello stesso mese. SONO SCONVOLTA. Faccio progressi
ragazzi :P
Okay, non so da dove
cominciare, rido. E' stato strano scrivere un intero capitolo senza
Emma, infatti credevo che sarebbe venuto fuori corto e invece sembra
che non sia più capace di fermarmi prima della decima pagina
(ma
come facevo nei primi capitoli a restare sulle 5/6 pagine???). Spero
che questo capitolo non sia stato pesante, girando tutto intorno a
Killian. Ho fatto molti tagli/salti temporali/come preferite
chiamarli, per dare l'idea del tempo che scorreva veloce nella solita
routine, anche se a Killian le ore nell'attesa del risveglio di Emma
sono sembrate interminabili.
Tra l'altro è successo di
tutto. Per la scena iniziale con Phoebe mi sono ispirata a Lost
(guardatelo se non l'avete mai fatto), a quando Jack provava a
rianimare Charlie, nonostante Kate, tra le lacrime, continuava ad
urlargli contro che non c'era più niente da fare. Poi
vediamo,
cos'altro è successo? Regina e gli Charmings sono volati
subito a
Londra, non poteva non succedere. E Rose è tornata e vuole
ancora
sposarsi. Tra una settimana. Potete linciarmi adesso. *scappa*
Ancora non ho veramente
deciso se ci saranno altri due capitoli o solo uno. Al 90% il
prossimo è l'ultimo (poi ci sarà l'epilogo
ovviamente, breve ma ci
sarà), tutto dipende da come uscirà lungo,
insomma potrei decidere
di spezzarlo in due parti.
Non posso credere che stiamo
veramente arrivando alla fine.
Bene, ora torno a cercare di
mettermi in pari con Outlander visto che l'ho messo un po' da parte
per postare il capitolo prima della fine del mese :P Sono stata
brava!
Grazie mille per le
recensioni ragazze, mi riempite il cuore di gioia!
A presto con l'ultimo
(forse, probabile) capitolo di questa storia,
Un bacione a tutte :*
Sà
|
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Capitolo 20 *** Seven days ***
20.
Seven days
Day
24
Ero morta. Come potevo dirlo
con certezza? Davvero non saprei spiegarlo, lo sapevo e basta.
Era strano anche solo
pensarci, ma l'avevo sentita, la mia vita che giungeva al termine,
che mi veniva strappata via attraverso quel foro di proiettile che mi
aveva colpita in pieno. Ma andava bene così, lo avevo
accettato una
volta verificate le condizioni di Killian, che stava bene e che non
era rimasto ferito. Fortunatamente ero riuscita a salvarlo.
Avevo deciso di andarmene,
di lasciare quel mondo, con l'immagine dei suoi profondi occhi blu
che si specchiavano nei miei. Ero anche riuscita a dirgli che lo
amavo, senza pretendere una risposta o senza pretendere che lui
ricambiasse i miei sentimenti. Avevo accettato che quella fosse
l'ultima occasione che avevo per dirglielo e non me l'ero lasciata
scappare.
Poi era arrivato il buio,
che aveva preso, quasi al tempo stesso, il posto del dolore. E'
difficile da dire quello che era accaduto in seguito, l'unica cosa a
cui potevo aggrapparmi erano delle voci, voci che conoscevo e che mi
erano famigliari.
La voce di Henry mi
risuonava nella testa, mentre mormorava parole di rassicurazione,
sarebbe andato tutto bene, diceva, me la
sarei cavata anche
quella volta. Alla sua voce si aggiunsero quelle dei miei
genitori e, se la mia mente non mi ingannava del tutto, anche quella
di Regina. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, o se stesse
realmente accadendo, riuscivo a memorizzare solo
qualche
stralcio di conversazione, qualche frase, qualche parola buttata
lì
che sembrava priva di senso. Tutta quella situazione appariva priva
di qualsiasi senso.
L'unica cosa che mi mancava,
però, era Killian. In mezzo a quell'ammasso di suoni mancava
la sua
voce. Avevo bisogno di sentirlo, un bisogno fisico, come quando si ha
sete in una giornata calda d'estate torrida, o come l'aria che
comincia a mancare dopo aver corso per delle ore. Killian era il mio
ossigeno, forse una parte di me era convinta che sarei riuscita a
cavarmela se solo fosse arrivato.
Un pensiero assurdo, fatto a
mente lucida.
Infine, però, la sua voce
era arrivata. Come le altre volte, riuscivo solo a percepire qualche
parola, nessuna frase di senso compiuto. Poi, lentamente, tutto mi
apparve più chiaro. Riuscii a sentirmi le punte dei piedi,
forse
persino a muoverle. Credo di aver mosso, anche se quasi
impercettibilmente, l'indice sinistro, guidata dalla sua voce calda.
Persino il suo discorso cominciava ad apparirmi più chiaro.
«
Mi
hai salvato la vita in quel capanno. Ti sono debitore »
Debitore? Dopo tutto quello
che aveva fatto per me, forse era il contrario. Cosa stava
blaterando? « No, invece » parlai ancora prima di
rendermene conto
sul serio. Le mie labbra si erano schiuse piano, la lingua si era
mossa senza che potessi controllarla e quelle due parole erano uscite
fuori da sole.
Aprii gli occhi con non poca
fatica ed ebbi bisogno di un momento prima di mettere a fuoco quello
che avevo intorno. Non ero a casa mia, non ero nel mio letto. Mi
sembrava di aver vissuto già una sensazione simile, appena
arrivata
a Londra, dopo essere svenuta e risvegliata nella casa di Killian.
Sempre se potevo definirla casa sua. Feci per passarmi una mano sulle
tempie, quando mi accorsi della flebo. Sgranai gli occhi e mi guardai
meglio intorno: ero in un ospedale, mi domandai come avessi fatto a
non accorgermene prima.
Killian, al mio fianco,
pareva come impazzito. Aveva gridato, poi mi aveva abbracciata
provocandomi un dolore immane al ventre, e poi una scossa che mi
attraversò per l'intero corpo. Gli avevo poi mormorato di
andarci
piano, che non mi sentivo ancora troppo bene. Con la mente provai a
tornare agli ultimi ricordi che avevo, ma non riuscivo ad andare
oltre il conflitto a fuoco.
« Cos'è successo? »
Riuscii a domandargli con un tono di voce leggermente più
forte.
Provai a tirarmi su, a mettermi in una posizione più comoda,
ma non
ci riuscii; Killian, fortunatamente e come al solito, capì
tutto al
volo e mi aiutò a sistemare meglio il cuscino, prima di
rispondermi.
« Ti hanno sparato, Swan »,
rispose sedendosi poi sul mio lettino, alzai mentalmente gli occhi al
cielo per la sua solita ovvietà « o meglio, ti sei
presa un bel
proiettile al posto mio. Anzi, io... »
« Non ce n'è bisogno, non
farlo » lo fermai subito, l'ultima cosa che volevo era
sentire
qualsiasi frase di ringraziamento uscire dalla sua bocca. «
Comunque, questo lo ricordavo » affermai dopo, inumidendomi
appena
le labbra con la lingua subito prima di chiedermi per quanto tempo
non avessi aperto bocca « intendevo cos'è successo
dopo? »
Killian mi guardò dritto
negli occhi per degli istanti che mi parvero interminabili. Riuscii
quasi a percepire lo scorrere dei minuti in attesa di una sua
risposta. Era inquieto, di tanto in tanto si passava una mano dietro
al collo, se lo grattasse e lo accarezzasse pesantemente non potevo
dirlo con assoluta certezza. Lo osservavo mentre serrava la mascella
e forse si torturava l'interno della guancia sinistra, visto che
riuscii a captare un veloce movimento. Nonostante questo aspettai in
silenzio, un po' perché parlare mi aveva fatto leggermente
stancare,
e un po' perché volevo rispettare lui che, con molta
probabilità,
stava cercando le parole giuste da usare.
« Tu... » cominciò a
dire, incerto. Chinò appena il viso verso destra e si
grattò,
ancora, il capo, aprì la bocca ma la richiuse poco dopo.
Volse la
testa da un'altra parte, alle sue spalle, a cercare qualcuno che lo
togliesse da quella situazione oppure a trovare il coraggio che,
perlomeno in apparenza, gli stava mancando. Alla fine tornò
a
guardarmi serio, mi sembrò di tremare e di sudare insieme
per la
verità che stava arrivando. « Tu eri... morta
» silenzio. Non osai
parlare, non osai fare niente. Mi limitai solamente a sbattere le
palpebre, piano, la bocca serrata che non aveva la minima voglia di
aprirsi. E poi, cosa avrei dovuto dire? Eppure mi parve di essermi
tolta un peso di dosso, o meglio, che Killian me lo avesse tolto con
quella rivelazione. Alla fin fine, ne ero già consapevole,
avevo già
quella sensazione sulla pelle e ora lui non aveva fatto altro che
confermarmela. « Mi sei morta tra le braccia, Emma. Non
sapevo cosa
fare, Phoebe continuava a dire che non c'era più niente da
fare. E
piangeva e urlava e io le urlavo contro » continuò
poco dopo senza
riprendere fiato, d'un tratto pareva un fiume in piena, forse si
stava sfogando per la prima volta da chissà quanto tempo. E
lo stava
facendo con me.
« Mi dispiace » sussurrai
colpevole. L'uomo sorrise teneramente con lo sguardo basso, prima di
tornare a girarsi verso di me.
« Ti dispiace? Non devi,
Swan, sei un'eroina. Hai salvato me, ci hai aiutato a prendere i
Clayton – a proposito, sono morti. Ora vedi di riposare, ti
lascio
sola, okay? Così vado ad avvertire Henry e i tuoi amici?
»
« I miei amici? » Domandai
di rimando, sollevandomi appena per afferrargli il polso e impedirgli
di andarsene, per 5 minuti, per spiegarsi meglio, per sempre.
« E
Henry come sta? » Chiesi ancora, maledicendomi mentalmente
per non
aver pensato subito a mio figlio. « E per quanto tempo sono
stata
senza sensi? »
« Due giorni », rispose
lui rimettendosi a sedere, mentre sbarravo gli occhi per la sorpresa,
le mie mani ancora intorno al suo polso « ed Henry sta bene,
stai
tranquilla. Lo abbiamo tenuto d'occhio noi prima che arrivasse sua
madre, la sua madre adottiva voglio dire », schiusi appena le
labbra, inconsciamente mi tranquillizzai sapendo che Regina fosse a
Londra e che Henry stesse con lei « insieme agli altri due,
David e
Mary Margaret. »
« Cosa? Quando sono
arrivati? Li ha chiamati Henry? » Domandai di scatto,
sorpresa, ma
non troppo, dalla notizia e impaziente di vederli, neanche mi stupii
di me stessa o mi preoccupai di darlo a vedere. I miei genitori non
mi avevano abbandonato neanche quella volta ed erano corsi subito da
me, mi accigliai solamente una volta realizzato quanto avevo potuto
farli preoccupare se si erano addirittura spinti fuori i confini di
Storybrooke per raggiungermi.
« Rallenta Swan », rise
l'altro, entrambi ci stupimmo per l'aria leggera che si era creata
nel giro di pochi minuti « sono arrivati ieri. Adesso che
dici di
riposarti un po'? Non sei stanca? »
« Un po' », annuii e
sorrisi per la sua preoccupazione « ma credo di aver dormito
abbastanza. »
« Allora vado a chiamare i
medici », fece lui senza smettere un secondo di sorridere
« e ti
mando i tuoi amici. »
Sorrisi ancora una volta
lasciandogli andare la mano. Lo osservai uscire, riuscivo a vedere il
suo cuore alleggerirsi, la sua anima tranquillizzarsi. Mi dispiaceva
di aver fatto soffrire tanto le persone più care che avevo,
ma avrei
rifatto tutto ancora una volta, e poi un'altra, se significava
salvare la vita di Killian. E chi meglio dei miei genitori poteva
capirmi?
Day 25
Avevo dormito per dieci ore
buone. Anzi, a dirla tutta non ricordavo neanche di essermi
addormentata. Stavo parlando con Henry, o meglio, a parlare era lui,
che mi raccontava per filo e per segno gli ultimi avvenimenti. Niente
di veramente interessante o stupefacente, solo qualche stralcio di
vita quotidiana, o ospedaliera. Però mi faceva piacere
ascoltarlo e
allora lo lasciavo fare. Ricordavo di essermi sentita veramente
stanca ad un certo punto, ma avevo comunque lottato con tutte le
forze per restare sveglia ancora un po'.
Alla fine il sonno aveva
avuto la meglio, gli occhi si erano chiusi piano mentre la voce di
Henry quasi mi cullava. Una cosa paradossale, osservai dopo. Appena
sveglia la prima cosa che mi saltò all'occhio fu Killian,
profondamente addormentato sulla poltroncina al posto di mio figlio.
Testa abbandonata all'indietro e braccia allungate sulle gambe, mi
domandai come riuscisse a dormire in quella posizione e soprattutto
cosa ci facesse ancora lì, perché non fosse
tornato a casa. Tra
l'altro c'era anche Rose ad aspettarlo a braccia aperte, pensai
arricciando le labbra.
Era tornata a Londra solo il
giorno prima, a quanto avevo capito. Killian mi aveva raccontato ogni
cosa seppur superficialmente, mentre Phoebe, che era venuta a
trovarmi insieme a Jack una volta finito il lavoro, mi aveva spiegato
ogni particolare. Era stata lei a chiamarla e a dirle quello che era
successo, era la sua migliore amica e non gliene facevo una colpa,
anzi, capivo la sua scelta. Rose si era poi presentata a casa di
Killian come se niente fosse successo o nulla fosse cambiato, ogni
discussione sembrava inutile adesso, diceva, si era spaventata tanto
da rendersi conto di non voler lasciar finire la loro storia
così.
Lo amava e sarebbe passata sopra a tutto pur di stargli accanto.
Una volta rimaste sole, io e
Phoebe, siamo arrivate a chiederci se quelle parole venivano
veramente da Rose o se era stato il sortilegio di Gold a metterle
alla luce. Dovevo odiarla, Rose, dopo tutto quello che aveva
combinato, ma proprio non riuscivo a far vincere la rabbia in
quell'occasione, forse mi avrebbe fatto anche pena, se non fossi
stata troppo impegnata a trovare un modo per impedire il matrimonio,
perché alla fine anche lei non era altro che una pedina del
Signore
Oscuro, la sua mente era stata manipolata tanto quanto quella di
Killian. Ma magari non riuscivo ad avercela con lei solo
perché ero
appena sopravvissuta a una ferita d'arma da fuoco piuttosto
importante.
Per alleggerire la tensione,
poi, Phoebe aveva cominciato a parlare dei miei genitori, o meglio di
Biancaneve e del principe Azzurro.
« Li ho conosciuti ieri
mattina! » Disse senza premurarsi di contenere o nascondere
l'eccitazione « E' stato stranissimo... credevo di essere
preparata
ad un incontro del genere, voglio dire, non sono i primi personaggi
delle fiabe che mi capita di conoscere, però non
è una cosa da
tutti i giorni stringere la mano alla vera Biancaneve e non a una
copia da quattro soldi di Disneyland. »
Sorrisi mentre lei
continuava a parlarmi, di quello che aveva provato o di come gli
erano parsi. Mi parlò anche di Regina dicendomi che,
nonostante
l'espressione di ghiaccio che mostrava all'apparenza, non le sembrava
poi così crudele e maligna come le favole erano solite
raccontarla.
« Non l'hai vista ai tempi
del sortilegio. O nella Foresta Incantata » scherzai mentre
cominciavo a domandarmi quando, io e quella ragazza, avevamo messo da
parte l'ascia di guerra ed eravamo diventate amiche. Forse era
successo quando mi aveva ospitato a casa sua, senza chiedere nulla in
cambio e senza che la obbligasse qualcuno. Ci eravamo aperte l'una
con l'altra in quei giorni ed ero grata di averlo fatto, Phoebe si
era rivelata una persona buona, nonostante qualche diffidenza
iniziale.
Prima di andarsene andò a
salutare i miei genitori, che poi entrarono prendendo posto chi sulla
fedele poltroncina (mio padre) chi sul lettino (mia madre). Osservai
la donna con il sorriso sul volto mentre mi prendeva la mano con fare
premuroso e rassicurante. Solo 24 ore prima era tra le mie braccia a
riempirmi il camice ospedaliero di lacrime e, in effetti, i suoi
occhi dolci erano ancora un po' gonfi, sintomo che le lacrime non si
erano limitate solo alla sua prima visita. Mi si strinse il cuore,
mentre allungavo l'altra mano verso mio padre per fargliela stringere
e stare così, tranquilli, una volta tanto, tutti e tre,
uniti mano
nella mano. In quel momento mi ripromisi di non farli più
preoccupare in quel modo.
Day 26
La vita all'ospedale era
veramente monotona, soprattutto se si era bloccati su un lettino per
tutto il tempo. Cominciavo a sentirmi meglio, potevo stare
tranquillamente seduta, seppur con la schiena poggiata al doppio
cuscino del letto, senza provare nessun dolore, magari una piccola
fitta ogni tanto dovuta a dei movimenti bruschi. I medici volevano
aspettare ancora qualche giorno prima di rimettermi in piedi e io
trovavo quell'attesa inutile e snervante. Sapevo di stare bene,
sapevo che muovermi non avrebbe comportato nessuna conseguenza, anzi;
sentivo l'energia, la vita, che era tornata a scorrermi nelle vene,
era più che un semplice capriccio di uno dei tanti pazienti.
Perciò storcevo la bocca e
ripetevo quei pensieri ad alta voce, ogni volta che un medico o
un'infermiera veniva a controllarmi o a cambiare il bendaggio al
ventre. La ferita si stava rimarginando del tutto, non c'erano
infezioni ed era ormai raro trovare del sangue nelle bende. Non
smettevo di farlo notare, ma per tutta risposta mi dicevano di
pazientare ancora qualche giorno. Pazientare qualche giorno, la
facevano tanto facile, loro, che non dovevano neanche pensare di
impedire un matrimonio.
Con l'Operazione Grimm
conclusa non pensavo ad altro, per quanto il tempo in quella
stanzetta d'ospedale scorresse lentamente, i giorni parevano correre
come non mai, la settimana stava volando e io non avevo concluso
nulla. La verità era che non sapevo proprio cos'altro fare
e, forse,
non c'era proprio più niente che io potessi fare. Ora stava
a lui,
io lo avevo avvicinato abbastanza in quel mese, avevamo stretto un
legame e sentivo quanto tenesse a me, lo dimostravano tutte le visite
che mi faceva giornalmente. Doveva capire se teneva più a me
o a
Rose. E doveva capirlo prima di compiere il grande passo,
possibilmente.
Anche gli altri non sapevano
bene cos'altro consigliarmi, anche se mia madre era arrivata anche a
dirmi di parlare con Rose, di dirle tutta la verità, ma era
un'opzione folle e che non avrei mai preso in considerazione. Non mi
avrebbe mai creduto, mi avrebbe solamente preso per pazza. Henry
suggerì di dire tutta la verità a Killian ed era
una cosa sulla
quale stavo rimuginando parecchio, in quei giorni. La verità
mai
come quella volta sarebbe stata un'arma a doppio taglio. Eravamo
molto amici, tra noi il legame era forte, ma mi avrebbe creduto?
Avrebbe creduto alla magia, a Capitan Hook e tutto il resto? Io,
d'altro canto, non avevo creduto neanche a mio figlio, era forse
quello a bloccarmi. Se mi avesse presa per pazza, sarebbe crollato
tutto.
« Emma? » Regina mi chiamò
entrando piano nella stanza, da sola per la prima volta da quando mi
ero svegliata (e forse anche da quando era arrivata). Mi tirai su per
parlare meglio, immaginando dovesse dirmi qualcosa di importante, ed
aspettai che venisse a sedersi sulla poltrona come gli altri, ma se
ne rimaneva in piedi sulla porta, le mani davanti al ventre che
stringevano la sua borsetta nera.
« Che succede? » Domandai
a quel punto, un po' preoccupata da quelle che potevano essere le
parole della mora. In realtà mi sembrava abbastanza
tranquilla,
nessuna brutta notizia sembrava esserci all'orizzonte, ma aveva la
sua solita espressione indecifrabile in volto e per questo mi
preparai a tutto.
« Torno a Storybrooke. Fra
circa... », alzò il polso sinistro quel tanto che
le bastava per
controllare il suo orologio, « tre ore e mezza ho il volo e
non
vorrei assolutamente perderlo », riabbassò il
braccio e lo scrollò
appena, per far scivolare verso il basso la manica della sua giacca,
che le arrivò quasi a coprirle le dita « tanto qui
non sono di
nessun aiuto, e poi non voglio stare troppo tempo lontano dalla mia
cara sorellina
»,
alzò gli occhi al cielo e mosse appena il capo con fare
contrariato
« e dalla sua gravidanza. »
« Ma certo », cominciai a
dire annuendo appena « sei il sindaco, anche con Gold fuori
dalla
città avrai senz'altro il tuo bel da fare con la normale
amministrazione, Zelena, Lily... » tra l'altro immaginavo che
se
sentisse così tanto l'urgenza di tornare a Storybrooke era
anche
perché non si sentiva a suo agio in quel mondo senza magia
che non
le apparteneva, ma non glielo dissi ad alta voce « a
proposito, come
sta? » Chiesi invece, realmente interessata alla condizione
di
quella che era stata la mia migliore amica, in un tempo che ormai
sembrava così lontano.
« Sta bene, credo »,
rispose lei, leggermente distaccata sull'argomento « ha
smesso di
mandare a fuoco tutto quello che si trova davanti ogni volta che si
trasforma. Lo possiamo definire un passo avanti. Comunque Emma
»,
tornò seria e mi guardò fisso « questa
volta Henry tornerà con
me, se non ti dispiace » l'ultima frase la
pronunciò solo per
rispetto di una persona che si stava riprendendo dopo essersi beccata
un proiettile, me ne accorsi subito ma comunque non me la presi.
Pensai anche che non ce ne sarebbe stato bisogno, ero d'accordo con
lei per una volta.
« No, assolutamente. Dopo
quello che è successo sarò più
tranquilla a saperlo lontano da
questo posto, finalmente a casa e al sicuro » sospirai
appena, dopo
aver abbassato piano lo sguardo. L'altra rimase in silenzio,
probabilmente entrambe avevamo lo stesso pensiero per la testa, ma
nessuna si premurava di esprimerlo ad alta voce. Per un momento
ringraziai di essermi ritrovata in ospedale, mi aveva evitato una
grandissima sfuriata (meritata) dalla donna. « Non avrei
dovuto
lasciarlo solo, quel giorno » alla fine espressi quel senso
di colpa
ad alta voce.
« Già, non avresti dovuto
», commentò Regina con una freddezza tale che
subito ringraziai
anche il fatto di trovarci lontano da qualsiasi tipo di magia.
Sospirò alla fine, la mora, abbassò il capo e si
prese un attimo
per mettere insieme qualche parola, poi tornò a fissarmi con
un'espressione meno dura e forse appena appena colpevole « E
io
avrei dovuto prendere subito il primo volo per Londra quando nessuno
di voi due si faceva sentire. Ero furiosa, ma credevo fosse tutto
sotto controllo, avrei dovuto capirlo subito » quella
confessione le
era costata molto, glielo si leggeva perfettamente in faccia e non
riuscii a replicare per questo. Eravamo state due stupide, chi per un
motivo e chi per un altro, era inutile girarci intorno e prenderci in
giro. « Vado a chiamare Henry, l'ho lasciato a prenderti una
cioccolata calda prima di venire a salutare ma evidentemente tua
madre deve averlo bloccato lungo il percorso. »
« Regina.. » la fermai, il
tono grave.
« Sì? » Voltò appena il
capo verso destra, quel tanto che bastava per osservarmi con la coda
dell'occhio, la mano sopra la maniglia della porta.
« Tu cosa faresti? Se fossi
al mio posto, se Robin stesse sposando un'altra, se non si ricordasse
più di te... come agiresti? » La sentii sospirare,
lo sguardo andò
ad abbassarsi e forse chiuse anche gli occhi. Il pugno intorno alla
maniglia si fece più forte, poi la mano si aprì e
scivolò via
piano da essa. Alla fine Regina si girò per fronteggiarmi,
fece due
passi in avanti incerta, pensierosa. Entrambe le mani reggevano la
borsetta, adesso.
« Emma, devono essere
chiare due cose. La prima è che io non sono te, la seconda
è che
Robin non è Hook » un'altra persona l'avrebbe
fermata subito, il
tempo che bastava a sottolineare l'ovvietà di quelle parole,
ma io
restai in silenzio, capendo al volo quello che voleva dire: io e
Regina eravamo due persone completamente diverse, avevamo avuto due
vite diverse, avevamo sofferto ma in modo diverso e questo ci aveva
plasmato in modo diverso. Allo stesso modo, Killian e Robin erano due
persone completamente diverse. E, forse, anche le nostre relazioni lo
erano. « Quasi una ventina di giorni fa sono riuscita a farti
ragionare e a convincerti a restare. L'ho fatto perché
sapevo che
non ti saresti mai perdonata per essertene andata senza lottare. Non
so se io avrei mai preso in considerazione l'idea di farmi da parte,
non con una maledizione in mezzo perlomeno! Non avrei mai permesso
che Gold giocasse così con la sua vita e avrei lottato a
testa alta
contro ogni ostacolo. Ma non ti giudico, come ho detto, tu non sei me
e so perché ti sono venuti certi dubbi per la testa. Avevi
solo
bisogno di essere spronata ad andare avanti e l'hai fatto. In
più,
Robin ha un figlio e non avrei mai permesso che vivesse lontano da
lui, privo di qualsiasi ricordo. Avrei accettato che non si
ricordasse di me, della nostra storia, di Marian, di chi fosse in
realtà, ma non che non si ricordasse di Roland. Invece...
» si
bloccò, mordendosi appena il labbro. Pensai che avesse paura
di
risultare indelicata, cosa assurda se parliamo di Regina Mills
«
Invece Hook non ha nessuno a Storybrooke, a parte te. »
Robin aveva la sua famiglia,
a Storybrooke, formata da dei ladri ma pur sempre una famiglia. Aveva
un figlio che era già orfano di madre, più un
altro inatteso in
arrivo. Killian era solo, se non fosse stato per me probabilmente
avrebbe trovato il modo di tornare nella Foresta Incantata
già da un
pezzo. Alle spalle si stava lasciando una madre che lo aveva lasciato
quando era ancora un bambino, un padre che lo aveva abbandonato, un
fratello che era morto troppo presto e il suo primo grande amore che
gli era stato portato via. Senza tralasciare secoli passati
nell'oscurità, alla ricerca della sua vendetta. Avevo capito
bene
quello che mi stava dicendo Regina.
« Regina, stai girando
intorno alla mia domanda senza rispondere », affermai con
decisione,
senza battere ciglio « che cosa faresti al mio posto?
»
« Se fossi in te, non
appena possibile, mi alzerei da quel letto e me ne tornerei a
Storybrooke. Venti giorni fa ti avevo accusato di non lottare per la
paura di perdere. Tu hai lottato, non è andata bene ma ci
hai
provato. Non puoi avercela con te stessa. Tu sei la Salvatrice, il
tuo compito è assicurare che tutti abbiano il loro lieto
fine e
forse... » si fermò. Non sapevo se aspettasse che
dicessi qualcosa,
ma io restai in silenzio « forse restando a Londra
potrà trovarlo.
Lontano dalla magia, lontano dai suoi ricordi bui. Magari
riuscirà
ad essere davvero felice. »
Pensai che quell'idea in
realtà l'allettasse. Regina e Killian erano stati dalla
parte dei
cattivi e, per quanto si sforzassero di essere dalla parte degli
eroi, qualunque cosa facessero, sembrava che per loro non ci fosse la
possibilità di avere un lieto fine. Pensai che in qualche
modo, la
donna lo stesse invidiando in quel momento, ma non lo dissi. Non
dissi niente. Non riuscii a dire niente.
Alla fine Regina uscì dalla
camera per chiamare Henry, lasciandomi sola con i miei pensieri.
Day 27
Il lieto fine di Killian
Jones ero io. Per una giornata intera quelle parole si erano ripetute
nella mia testa senza darmi tregua, neanche per un minuto. I miei
genitori mi parlavano, mi parlava Phoebe, mi parlava Jack e mi
parlavano addirittura i gemelli nell'unica visita che mi avevano
fatto, quel pomeriggio. Mi parlava anche Killian, ma io non
ascoltavo. Potevo lasciarlo alla sua bella e nuova vita, potevo farmi
da parte in qualsiasi momento, ero pronta a compiere quel sacrificio
per amore se significava vederlo per sempre felice e contento.
Davvero, ero pronta a compiere un passo del genere. Se solo quella
dichiarazione non mi avesse tormentata tanto. Lo osservavo fingendomi
tranquilla e annuendo, di tanto in tanto i nostri sguardi si
incrociavano Non potevo ripetere quello che mi stava dicendo, avevo
capito veramente poco e niente di tutto il discorso. Forse se n'era
anche accorto, ma aveva fatto finta di nulla.
“Sei veramente
innamorato di Rose? Pensi davvero che sia lei il tuo vero amore? E
io, che posto ho, io?” era tutto quello che volevo
chiedergli,
mentre vedevo la sua bocca che si muoveva, le sue labbra invitanti
che ogni tanto si stendevano in un sorriso subito dopo aver fatto una
battuta. Però me ne restavo in silenzio, a mordermi la
lingua.
Quella sera non avevo voluto
la compagnia di nessuno. Henry e Regina erano ormai arrivati a
Storybrooke, il ragazzino mi aveva chiamato e mi aveva detto che
tutta la città sperava che stessi bene e che tornassi presto
a casa.
Nessuno di loro si preoccupava per le sorti di Hook?
Avevo chiesto ai miei
genitori di lasciarmi sola, intimandoli di andare nella loro stanza
d'albergo a riposare un po' e di staccare la spina dall'ospedale ora
che stavo meglio. Non era stato semplice convincerli, ma alla fine,
dopo essermi finta stanca e assonnata, avevano girato i tacchi ed
erano andati via.
Finalmente sola, provai ad
immaginare cosa stesse facendo Killian. Quella era la sera del suo
addio al celibato, il matrimonio sembrava una cosa fin troppo
concreta adesso. Non mi era sembrato troppo contento di andare, ma
non avevo dato troppo peso a quel fatto. Jack era il suo testimone ed
aveva assicurato una festa sobria, al quale partecipava solamente
qualche persona di Scotland Yard.
A Storybrooke non aveva
nessuno, a Londra aveva una piccola famiglia formata da Jack e
Phoebe, ma anche dai gemelli. Erano la sua squadra ed erano molto
uniti e legati. A quel pensiero mi venne da vomitare, tanto da
portare il palmo sinistro sulla bocca, per fermare il conato. Non
avevo mai odiato Gold così tanto, speravo che, ovunque si
trovasse,
se la stesse passando male. Se non peggio. Alla fine mi distesi sul
letto, decisa a dormire così da rimandare tutti quei
pensieri al
giorno dopo.
Ma il mio sonno fu
interrotto presto, poco prima di mezzanotte. Svegliata da un rumore
improvviso, sobbalzai rizzando la schiena e guardandomi intorno.
Killian era in piedi, fermo sul posto come se temesse di muoversi
anche se, vedendomi sveglia, si rilassò poco dopo, prima di
sorridermi. Guardai l'ora e mi meravigliai di vederlo lì. O
meglio,
sapevo che l'infermiera di turno fosse un'ottima amica di Rose che,
chiudendo un occhio o anche tutti e due, lo lasciava entrare
tranquillamente a qualsiasi ora del giorno a farmi compagnia. Ero
stupita, piuttosto, che fosse tornato così presto dalla sua
festa.
« Ti ho svegliata? »
Domanda retorica « Scusa, ho cercato di fare piano ma...
»
« Cosa ci fai qui? » Non
lo lasciai finire, guardandolo con occhi sgranati e bocca semi
aperta, neanche lo avessi colto sulla scena di un delitto. Lui parve
quasi divertito da quella reazione.
« Sono venuto a vedere se
stavi bene e se ti serviva qualcosa » commentò
tranquillo, alzando
bene in alto le braccia, il palmo della mano aperto, come a far
vedere di essere “pulito”, di non avere niente da
nascondere. Il
tono così naturale quasi mi spaventò, non sapevo
neanche perché ma
mi tremarono appena le mani.
« Sto bene e se mi servirà
qualcosa, chiamerò le infermiere. Sono qui per questo, alla
fine »
borbottai duramente, senza un vero motivo di fondo. Una vocina dentro
di me mi fece prendere in considerazione l'ipotesi che potesse
trattarsi del semplice accumulo di tensione. Killian, comunque, parve
ferito ma il suo sorriso non scomparve dal suo volto.
« Che succede? » Si limitò
a chiedermi a braccia incrociate. Lo fulminai con lo sguardo
perché
non riusciva a capire. In realtà neanche io sapevo cosa
c'era da
capire, ma ero ugualmente infastidita.
« Succede che è quasi
mezzanotte, Killian. E' tardi, cosa sei venuto a fare? »
Presi a
biascicare bruscamente « Non dovresti essere al tuo addio al
celibato, tra l'altro? » Il sorriso scomparve dal suo volto,
debolmente. Mi fissava stranito, di sicuro non si era aspettato
niente del genere.
« Mi annoiavo, ci
annoiavamo tutti a dire il vero. Preferivo stare qui », le
mie
sopracciglia si assottigliarono e lui lo notò subito
« Qual è il
problema, Emma? Passo sempre la notte qui, cos'è cambiato
adesso? »
Tutto e niente, ecco cos'era
cambiato. Il matrimonio era dietro l'angolo e la situazione sembrava
la stessa che mi si era presentata davanti appena arrivata a Londra.
Tante cose erano successe, e se da una parte mi confortava trovarmi
Killian, addormentato al mio fianco sulla poltrona, appena sveglia,
dall'altra mi sconfortava sapere che, nonostante tutte quelle
attenzioni, lui avrebbe comunque sposato Rose.
« Il problema è che fra
pochi giorni ti sposi, dovresti tornare a casa dalla tua fidanzata
invece di venire qui. Non credi anche tu? » “Dì
che non ti
importa niente della tua fidanzata, dimmi che le
cose sono
cambiate e che non vuoi più sposarti. Rose non conta
più niente per
te, dillo Killian, avanti. Dillo e saprò che non
è ancora finita.”
« Io volevo solamente
assicurarmi che non ti mancasse niente », affermò
a bassa voce,
dopo un secondo di esitazione « ma ho ricevuto il messaggio.
Certo,
potevi dirmelo anche prima però, mi avresti risparmiato un
terribile
mal di schiena » indicò con il capo la poltroncina
dove aveva
passato le ultime notti con una smorfia, tornò a sorridere
poi,
facendomi capire che non me ne faceva assolutamente una colpa e che
era tutto okay, non c'era nessun problema. Non c'era nessun problema?
Mormorò poi che in quei
giorni non sarebbe passato, al 90%, perché impegnato negli
ultimi
preparativi del matrimonio. Mi salutò, infine, e se ne
andò anche
lui, diretto, sicuramente, verso casa. Era finita, quindi?
Day 30
Negli ultimi giorni non era
successo niente di eccezionale. O così parve a me, che avevo
cominciato a capire che la mia storia con Killian era arrivata al
capolinea. Cominciavo a dare seriamente ragione a Regina, in me
aumentava la consapevolezza che dovevo farmi da parte una volta per
tutte. Partire senza mai voltarmi indietro, come nel mito di Orfeo ed
Euridice. Solo che non avrei avuto la benché minima
ricompensa e,
certamente, non avrei riavuto Killian indietro.
Eppure tutto quello
continuava a suonarmi sbagliato e ingiusto. Ma d'altra parte sapevo
di non poter obbligare Killian ad innamorarsi di nuovo di me, non con
una data di scadenza in mezzo, oppure a lasciare la donna che, in
quella realtà, era la donna che aveva amato o che amava
ancora.
Era anche venuta a trovarmi,
lei e Montgomery, il giorno dopo la mezza discussione con il pirata.
Si scusavano entrambi, chi per un motivo e chi per un altro, l'uomo
era arrivato anche a parlare di una medaglia al valore ma gli avevo
espressamente detto che non era necessario. Un modo carino per dirgli
che la trovavo un'idea stupida. Rose non fece riferimenti al
matrimonio e di questo gliene fui grata. Mi parve appena appena
imbarazzata, raramente alzava gli occhi in cerca di un contatto
visivo, anche minimo, e io la lasciai fare, del resto mi importava
poco e niente di lei. Più che altro mi chiedevo,
osservandola, se
avrebbe reso felice Killian, se era davvero la donna giusta per lui.
La risposta arrivò ancora prima della domanda: no.
La buona notizia era che
finalmente mi avevano dato il permesso di muovermi, non potevo
andarmene in giro per l'ospedale a mio piacimento, naturalmente, ma
era già qualcosa. Ogni tanto camminavo lungo il corridoio,
mio padre
al mio fianco ad offrirmi il braccio destro non appena mi vedeva
stanca e affaticata. In genere, poi, mi riportava in camera e andava
a prendere qualcosa da mangiare, perché il cibo
dell'ospedale era
veramente immangiabile. Era allora che mia madre cominciava a
parlarmi della mia situazione con Killian, provava a farmi ragionare
rifilandomi frasi come “l'amore ne vale la pena”.
Certo, peccato
che l'unica ad essere innamorata ero io.
« Mi ero dimenticata di tuo
padre e dei sentimenti che provavo nei suoi confronti »,
continuava
ancora lei, conoscevo quel discorso a memoria ormai « ma non
si è
arreso. Ha lottato e alla fine è riuscito a farmi aprire gli
occhi »
a quel punto io annuivo piano con il capo, aspettavo che mi guardasse
attentamente, prima di aprire bocca.
« Papà è stato ferito da
una freccia e questo ha fatto scattare qualcosa dentro di te. Io mi
sono beccata un proiettile, proprio qui », indicavo, in
automatico,
i punti che avevo sul ventre, coperti ovviamente dal camice «
e non
è scattato niente. Più di questo cosa posso fare?
» A quella mia
risposta, mia madre si sentiva messa con le spalle al muro, sempre,
glielo leggevo in quella piccola sfumatura grigia che compariva nei
suoi occhi. Eppure, ogni volta, replicava in modo diverso anche se la
morale era sempre “non darti per vinta”.
Ma era facile, per lei,
parlare, mi dicevo. Biancaneve e il suo Principe erano cresciuti
nella Foresta Incantata, dove le storie degli eroi terminano con un
lieto fine. Nella vita reale le cose andavano diversamente.
Quel giorno camminai a
lungo, le forze erano ritornate e, anche se i miei genitori
continuavano a preoccuparsi, potevo affermare con convinzione di
sentirmi veramente bene, almeno fisicamente. Tornai comunque in
camera presto per via delle numerose occhiate allarmate che
continuavano a lanciarsi gli altri due. Mia madre andò a
prendere il
pranzo, cosa che mi stupì parecchio anche se cercai di non
darlo a
vedere. Mio padre dava sempre dei buoni consigli, ma quando c'era in
mezzo la mia storia con Killian non sapevo cosa aspettarmi. Certo,
aveva creduto che il nostro fosse vero amore, a Storybrooke, e la
cosa mi aveva sorpresa parecchio, ma non ero comunque preparata a
qualsiasi sermone volesse farmi.
« Non ho visto Hook in
questi giorni », esordì con un tono distaccato
mentre si accomodava
sulla poltrona « è successo qualcosa? »
Domandò alla fine, senza
girarci troppo intorno. Capii subito che quella domanda dovevano
essersela rivolta molte volte, i miei genitori, anche se non avevano
mai trovato il coraggio di chiedermelo. Fino a quel momento, almeno.
« No, non è successo
niente » risposi tranquilla, ed era vero dopotutto, no? Era
stata
una piccolissima discussione, niente di così eclatante.
Anche se,
andando via, aveva dimostrato di aver scelto Rose una volta per
tutte. E allora sì, era stato un avvenimento importante.
« E' solo
impegnato con gli ultimi preparativi » aggiunsi dopo, optando
per la
stessa mezza verità che mi aveva rifilato il pirata. Lui
annuì,
senza però preoccuparsi di nascondere un'espressione alla
“so che
c'è dell'altro sotto”, ma non indagò
oltre, capendo che non avevo
voglia di raccontare per filo e per segno quello che era successo.
« Ascolta, Emma »,
cominciò lui con tono grave « domani
c'è il matrimonio, hai già
pensato a cosa succederà dopo? »
« Sì », respirai piano «
tornerò a casa. » Quella risposta lo
disarmò. Lo osservai mentre
mi fissava a bocca aperta per qualche istante, serrò appena
le
sopracciglia senza abbassare mai lo sguardo, forse cercando di capire
se fossi seria o meno.
« Stai dicendo sul serio? »
Replicò sorpreso, mi vide annuire e si accigliò
ancora di più «
Vuoi davvero arrenderti così? Dopo tutto quello che hai
fatto, tutto
quello che hai passato e tutto quello che hai tentato per fargli
tornare la memoria? »
« Esattamente », risposi
tranquilla, anche se in realtà il cuore martellava
all'impazzata «
ne ho tentate tante, troppe. Non so più cosa inventarmi.
Ascolta »,
mi girai meglio verso di lui per poterlo guardare bene in volto, gli
presi una mano come a dirgli “va tutto bene”, anche
se la realtà
era ben diversa « Nella mia vita ho avuto paura di perdere
una
persona cara così tante volte da perderne il conto. Ricordo
il
terrore provato vedendo Henry cadere a terra dopo aver mangiato la
torta di mele di Regina. Il panico di vedere mia madre morire, uccisa
dalla sua matrigna, e non poter far niente per evitarlo. In entrambi
i casi ho cercato di non perdere la speranza: Henry poteva essere
salvato, mia madre poteva non essere morta davvero. Ma questa volta
è
diverso, questa volta sto perdendo Killian. Lo sto perdendo per
sempre, papà. Non è una paura, è una
certezza. Non c'è più
niente che io possa fare, era tutto nelle sue mani ed ha scelto Rose.
E va bene così » no, in realtà non
andava affatto bene, ma cercavo
di farmene una ragione.
« Il vero Killian avrebbe
scelto te, lo sai vero? » Annuii simulando un sorriso, mi
strinse
forte la mano che non aveva lasciato neanche per un istante «
Ma il
Vero Amore è una cosa unica, ne esiste solamente uno per
ognuno di
noi. Forse, se tu gli parlassi... »
« E farmi ricordare per
sempre come una pazza? No, papà, sarebbe troppo. Forse
questo nuovo
Killian non è alla ricerca del Vero Amore, perché
la storia che ha
basta a renderlo felice. Ed io devo accettarlo, per me conta la sua
felicità. Sono la Salvatrice e il mio dovere è
assicurarmi che
tutti i personaggi delle favole riescano a trovarla; se Killian l'ha
trovata qui, se finalmente ha trovato un po' di pace e
serenità,
devo accettarlo. »
« Ma non è realmente
quello che avrebbe voluto... » provò ancora,
facendomi sospirare.
« Ma è quello che,
evidentemente, vuole questo Killian. Ormai ho
deciso, papà.
Domani mi dimetterò dall'ospedale e andrò al
matrimonio. Quando
sarà finito prenderemo il primo volo disponibile e ce ne
torneremo a
casa. »
« Io e tua madre staremo lì
al tuo fianco, Emma, non ti lasceremo da sola. »
Day
31
Appena dimessa dall'ospedale
andai, insieme a mia madre, a casa di Phoebe per prendere tutte le
mie cose; nel frattempo mio padre era andato a comprare una valigia e
ci aspettava nella camera d'albergo che avevano preso qualche giorno
prima. Anche Phoebe si era detta contraria alla decisione che avevo
preso, ma smise di protestare quando capì che se neanche i
miei
genitori erano riusciti a farmi cambiare idea, difficilmente ci
sarebbe riuscita lei.
Mentre ci avviavamo verso
l'hotel, sentii il telefono vibrarmi nella tasca posteriore. Lo presi
e vi trovai un messaggio da Killian: Emma, sono passato in
ospedale a salutarti e mi hanno detto che ti sei dimessa. Mi dispiace
non esserci stato in questi giorni, ma spero che tu stia bene. Non so
che intenzioni tu abbia, ma pensa a riposare, adesso. Non venire al
matrimonio, ti affaticheresti solamente. Magari passiamo
a
trovarti più tardi, okay?
Lessi il messaggio tre volte
per capire bene se si stesse davvero preoccupando per me o se non mi
volesse solo tra i piedi. Mi domandai anche se fosse stata Rose a
dirgli di non farmi andare al matrimonio, aveva paura che entrassi in
chiesa gridando un sonoro “io mi oppongo”? Non
sapevo se si
aspettasse una risposta o se immaginasse che quelle parole mi
avrebbero infastidita tanto da non voler replicare.
L'unica cosa certa era che
non mi importava niente di quello che mi diceva, io, al matrimonio,
ci sarei andata. Non sapevo neanche quale fosse il motivo che mi
spingesse lì, sentivo solo che dovevo esserci, come ad
assicurarmi
che raggiungesse la sua felicità. E poi, anche e
soprattutto, per
vederlo un'ultima volta prima di partire quella sera stessa.
Non dissi niente ai miei
genitori, arrivata in albergo indossai il vestito che mi aveva
prestato Phoebe per l'occasione: verde, la gonna ampia superava
appena le ginocchia, era abbastanza sobrio, con qualche ricamo e
soltanto l'orlo della gonna in pizzo; non aveva le maniche, per
questo indossai una giacca sopra, per non morire di freddo. Legai i
capelli in una coda alta e mi presentai in chiesta poco dopo.
Era già piena, immaginai
che Rose avesse invitato praticamente tutti i suoi parenti sparsi nel
mondo, anche quelli più lontani. Mi sedei agli ultimi posti,
mia
madre alla destra, mio padre alla sinistra. Ci volle un'altra
mezz'oretta prima che lo sposo prendesse il suo posto, non si accorse
di me, troppo lontana e nascosta dagli altri invitati. La sposa
arrivò subito dopo e la cerimonia iniziò.
Li guardai silenziosa e
inquieta, ogni tanto mia madre mi accarezzava la mano. Cominciai a
mangiucchiarmi le unghie, mentre sentivo gli occhi farsi lucidi. Mi
veniva da piangere, vedere l'uomo che amavo mentre si sposava con
un'altra donna stava per farmi crollare. Provai a pensare ad altro e
a focalizzare la mia attenzione sul sacerdote, i miei piedi non
riuscivano a stare fermi. Alla fine non resistetti più, mi
alzai in
piedi pronta ad andarmene o almeno ad uscire a prendere aria. Sentii
improvvisamente ogni singolo sguardo fisso su di me e mi bloccai.
Killian si voltò e rimase a fissarmi a bocca aperta, Rose mi
guardava indignata. Non capivo il perché di quella reazione,
nessuno
fiatava e il sacerdote non si azzardava a continuare.
« Emma », sentii mia madre
sussurrare « è il momento meno indicato per
alzarti in piedi » mi
prese la mano e mi tirò affinché tornassi a
sedere. Capii che
eravamo arrivati al fatidico momento, quello del “se qualcuno
dei
presenti ha qualcosa in contrario su questa cerimonia, lo dica
adesso”. Dovevano aver pensato che volessi fermarli, in
effetti
sarebbe stato anche semplice, ma non era davvero la mia intenzione.
Tornai al mio posto con lo sguardo basso, imbarazzata. Sentivo ancora
gli occhi blu di Killian fissi su di me. Cominciai a pensare, cosa
stavo facendo? Lasciavo davvero che si sposasse con quella donna,
quella Rose che non era assolutamente fatta per lui? Che non gli
avrebbe mai dato un lieto fine? Mi alzai nuovamente, questa volta con
un motivo. Ancora, si voltarono tutti a guardarmi. Aprii la bocca
decisa, pronta a intimare l'uomo di non farlo, pronta a confessargli,
ancora, i miei sentimenti e ad aspettare che lui facesse altrettanto.
Occhi negli occhi, ci scrutammo, le parole mi morirono in gola, mi
diedi della stupida e corsi fuori.
Tanto casino per niente, non
ce l'avevo fatta neanche a reggere il suo sguardo. Sarebbe stato
inutile, mi dissi, mi sarei messa ancora di più in ridicolo.
Lui
aveva scelto Rose, quella sera in ospedale, non avrebbe cambiato idea
proprio mentre stava per sposarla. Misi le mani tra i capelli, forse
rovinai un po' la coda ma non mi importava.
« Emma! » Mi voltai di
scatto, agitata. Killian mi aveva raggiunta ed ora correva verso di
me « Che cosa ti è saltato per la testa?!
» Urlava furioso,
lasciandomi spiazzata e priva di parole. Aveva lasciato la sua sposa
in chiesa per farmi una sfuriata? Cerimonia interrotta per inveire
contro un'imbucata al matrimonio? « Ti avevo anche detto di
non
venire, ma tu devi fare sempre di testa tua! »
« Ma sto bene! » Trovai la
forza di replicare, scocciata e alzando i toni come stava facendo lui
stesso.
« Lo so, ho parlato con i
tuoi medici questa mattina, cosa credevi?! » Fece lui,
cominciando a
gesticolare spazientito.
« E allora perché non mi
volevi qui? E' stata Rose? Aveva paura che mi mettessi in mezzo, o
facessi qualcosa o... » Mi interruppe subito.
« Non ti volevo qui perché
sapevo che se ti avrei vista non sarei mai riuscito a sposarmi!
»
Restai in silenzio, nella mia mente le sue parole si ripetevano
veloci tanto che mi fecero girare la testa per un momento. Respirai a
fondo e continuai a guardarlo, aveva davvero detto quelle cose o
erano state solo frutto della mia mente? Le avevo intese nel senso
giusto o avevo frainteso tutto? Non osavo fiatare e allora lui
continuò a parlare, abbassando, però, i toni
« Lo so da quando sei
stata rapita, o forse ancora da prima solo che ero troppo cieco per
rendermene conto. Non potevo sopportare l'idea che ti succedesse
qualcosa, stavo impazzendo. E quando hai perso i sensi mi sono
sentito morire, ho sentito ogni mia certezza sbriciolarsi. Non sapevo
immaginare un futuro senza di te, non so immaginarlo neanche adesso.
C'è qualcosa che ci lega, Emma, adesso l'ho capito. L'ho
sentito
subito ad essere sincero, ma non ci ho mai dato troppo peso.
» Mi
fissò serio, emozionato, gli occhi lucidi.
«
Cosa stai cercando di dirmi? » Sussurrai, tremando. Fece un
passo
verso di me e mi accarezzò la spalla, poi il braccio e
infine mi
prese la mano. Il pollice si muoveva leggero contro la mia pelle,
rassicurante e affettuoso.
«
Ti amo, Emma. Sono innamorato di te » incurvai appena gli
angoli
della bocca. Non potevo credere a quello che stava succedendo. Si era
innamorato di me, di nuovo. La nostra storia era stata azzerata, ma i
suoi sentimenti erano nati una seconda volta. Forse era davvero
così,
il Vero Amore è una cosa unica e che non ti lascia
possibilità di
scampo.
Mi
alzai sulle punte, pronta a baciarlo. Mi lasciò andare la
mano e mi
sfiorò appena il capo, si avvicinò lentamente,
chiuse gli occhi e
feci lo stesso. Sentivo il suo respiro, sfiorai le sue labbra.
Mi
bloccai, allontanai improvvisamente la testa all'indietro e lo
fissai.
«
No », mormorai piano « non così
» mi guardò sorpreso, non
riuscendo a capire perché mi fossi fermata. « Ti
avevo promesso che
ti avrei raccontato ogni cosa quando saresti stato pronto e il
momento è arrivato » sorrisi nervosa, mentre gli
prendevo la mano e
lo portavo in un posto più appartato. Killian non fiatava,
non stava
capendo dove volessi andare a parare ma mi lasciava fare. Presi un
respiro profondo prima di tornare ad aprire bocca.
«
Tu sei Killian Jones, ma io ti ho conosciuto con un altro nome: Hook,
Capitan Hook » sapevo quanto fosse rischioso, scegliere di
raccontargli la verità proprio nel momento in cui si era
dichiarato,
ma avevo deciso di lasciargli una scelta. Non vedevo l'ora di
riportarlo nel suo mondo, nel nostro mondo, ma doveva essere lui a
volerlo, doveva essere consapevole di chi fosse e da dove venisse.
Glielo dovevo.
E così gli raccontai tutto,
non tralasciai nessuna cosa. Gli parlai di Cora, del fagiolo magico
che ci aveva dato per trovare Henry, della nostra avventura a
Neverland, di come avesse salvato la vita a mio padre e di come mi
avesse sempre supportata. Gli parlai anche di Zelena, e di Gold,
l'uomo che odiava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Provai a
parlargli di Milah e di Liam, spiegandogli com'era diventato un
pirata, andando a ripescare stralci di conversazione che avevamo
fatto tempo prima. Il primo bacio fuori da Granny's, il nostro ballo,
il primo appuntamento. Mostri di ghiaccio, sortilegi oscuri,
incantesimi e pozioni. Ascoltava tutto, senza fiatare. Ogni tanto lo
osservavo schiudere appena la bocca, ma non osava dire neanche una
singola parola.
Immaginai cosa gli stesse
passando per la testa. Riuscii a sentirlo, mentre mi dava della
pazza, come era successo durante il mio primo giorno a Londra, quando
lo avevo finalmente ritrovato, più o meno. Gli parlai anche
di
quello, di come era stata dura stargli vicino durante i primi giorni,
quando ancora non riusciva a fidarsi e continuava a chiedersi da dove
sbucassi fuori.
Alla fine sospirai
sonoramente, chinando appena il capo, prima di tornare a guardarlo di
nuovo negli occhi. Continuava a restare in silenzio, aspettava che
dicessi qualche altra cosa?
« Questo è tutto »,
affermai timidamente: cercavo di non farlo vedere, ma in
realtà
temevo la sua reazione: se il mio discorso non aveva fatto la minima
breccia nel suo cuore lo avrei perso per sempre, non si poteva
tornare indietro, ormai era fatta « so che è
difficile da capire,
che sono tante informazioni tutte insieme e che probabilmente avrai
bisogno di tempo per assimilarle. Ma dovevi sapere la
verità, avrei
voluto dirtela subito, trenta giorni fa, fuori la porta di casa...
tua », pronunciai quell'ultimo aggettivo
con una smorfia «
ma non era il momento. Non mi avresti creduto. E forse non mi
crederai neanche adesso » accennai una bassa risata isterica,
nervosa del suo giudizio. L'uomo, dal canto suo non aveva mai smesso
di fissarmi dritto negli occhi, un'espressione vaga sul volto. Non
riuscivo a capire cosa gli passasse per la mente, era quello il
motivo per cui stavo quasi uscendo di testa. « Può
sembrare una
follia, ci sono già passata e so che ai tuoi occhi tutto
questo
sembra una follia. E magari lo è davvero. Ma tutto questo,
ogni
singolo ricordo, tornerà. Basta un bacio per farti ricord-
»
Non mi lasciò neanche il
tempo di concludere la frase, benché meno quello di finire
la
parola. Tre lettere che rimasero in sospeso. Killian Jones parve non
poter aspettare un secondo di più, una lettera di
più.
Si fiondò sulle mie labbra
con una foga tale da farmi trasalire per la sorpresa. Sgranai gli
occhi a quel gesto del tutto inaspettato, quasi a volerne verificare
l'autenticità con ogni modo. Smisi di pensare e di farmi
troppe
domande nel momento in cui percepii la barba ispida di lui
solleticarmi il volto. Percepii quasi un calore nuovo, mai provato
prima, diffondersi per tutto il corpo. Mi dissi che, probabilmente,
era dovuto al sollievo per non aver turbato Killian.
Poi accadde.
Killian aveva accorciato le
distanze portandomi verso di lui, la mano sul mio fianco. Petto
contro petto. Una piccola scintilla parve uscire dai nostri cuori e
non solo metaforicamente. Un fascio di luce bianca venne fuori dai
nostri corpi a contatto fra loro, una luce che si espanse per tutta
la stanza, ma anche oltre. Una folata di vento ci sorprese entrambi,
facendoci svolazzare i capelli per una manciata di secondi. Sentii
Killian irrigidirsi.
Ci staccammo, slanciati via
da quella forza scaturita dal nostro bacio, o forse scaturì
tutto da
noi, che ci scrutammo sorpresi. Aveva gli occhi sgranati, la bocca
aperta e la mano che mi aveva stretto a lui fino a poco prima ferma a
mezz'aria. Tremavo, gambe, mani, braccia. Non riuscivo a stare ferma
sul posto, agitata forse più di prima. Il bacio aveva
funzionato.
Sì? Aveva funzionato davvero?
« Swan » sorrise, i suoi
occhi brillarono di una luce nuova, ma allo stesso tempo ritrovata.
Mi rilassai completamente, forse mi scappò un sospiro.
Sentii come
una massa sullo stomaco sparire lentamente, così come tutte
le mie
preoccupazioni, tutti i miei timori. Le mie labbra si distesero in un
sorriso raggiante e sentii i miei occhi inumidirsi. Mormorai appena
il suo nome, il suono quasi non uscì, ma l'uomo lesse il
labiale e
soffocò piano una risata. Allargò le braccia e
subito mi gettai ad
abbracciarlo. Cominciai a ridere anche io, mentre mi sollevava
leggermente dal pavimento e mi stringeva a lui come se non volesse
più lasciarmi andare.
Gli passai una mano fra i
capelli neri, accarezzandogli leggermente il capo. Persi il controllo
di qualche lacrima, sentii il suo respiro sul mio collo, le sue
labbra che si aprivano e un sussurro che mi provocò brividi
per
tutto il corpo: « Mi sei mancata, love
».
Angolo dell'autrice:
Prima che mi dimentichi:
UNDICI RECENSIONI COSA??? Ho aperto la pagina e me le sono ritrovate
tutte insieme, a momenti mi prende un colpo! Ci metterò una
vita a
rispondervi lol Non sono abituata cavolo, davvero grazie mille. E
soprattutto scusate se ci ho messo tutto questo tempo, è
stato un
vero e proprio parto. Non sapevo come strutturarlo, il capitolo, ci
ho messo davvero tanto tempo prima di arrivare ad un dunque e ad una
bozza che mi convincesse. Alla fine ce l'ho fatta, ho optato per
questa suddivisione a giorni e spero che il risultato sia all'altezza
delle vostre aspettative!
L'ultima pagina l'ho scritta
fermandomi ogni 5 minuti per dire “stiamo arrivando alla
fine. Sto
concludendo questa storia. Sto davvero terminando l'ultimo
capitolo”.
Ho il magone, davvero, sarà difficile non aggiornare
più questa
storia. Non credo neanche di essere pronta ma come ogni cosa, anche
questa doveva giungere al termine :') Ma comunque ci sarà
l'epilogo,
approfitterò di quello per tutti i ringraziamenti (magari
riesco a
scriverlo per la settimana prossima, tanto non dovrebbe essere
lungo).
Beh, tutto è bene quel che
finisce bene, no? (Forse, magari con l'epilogo combinerò
altri
disastri, chi lo sa muahaha lol) E' stata una settimana dura per
Emma, aveva anche scelto di lasciare Killian a questa sua nuova vita,
ma questa volta è stato lui a non volerla lasciare andare.
Spero che
il cambio di pensiero di Regina sia stato chiaro, è vero che
era
stata lei a convincerla, in precedenza, a restare, ma anche lei
credeva che ormai non c'era più niente da fare.
E beh, non so che altro
dirvi. Ah, solo che ho cominciato a postare una nuova long: Meant
To Be e che spero vogliate salpare insieme a me in
questa
nuova avventura :)
Quindi niente, vi aspetto
nella nuova storia e vi aspetto nell'epilogo (già piango).
Grazie a tutte per il vostro
supporto e per le vostre parole, un abbraccio e a presto :)
Sà
|
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Capitolo 21 *** Epilogo ***
21.
Epilogue
There's
no place like Home
Una
cosa era venuta fuori da tutta quell'avventura: odiavo volare. Avrei
preferito non scoprirlo, in tutta franchezza, così come
avrei
preferito scegliere il mare, come via di ritorno. Ma Emma sosteneva
che il viaggio sarebbe stato incredibilmente più lungo e
più
costoso, tanto che alla fine mi ero fatto persuadere. La
verità era
che sapevo come non vedesse l'ora di tornare a Storybrooke, di
tornare nella sua casa, di riunirsi a suo figlio e a tutti gli
abitanti della città ai quali si era affezionata, che non me
l'ero
sentita di posticipare ancora il ritorno, allungandolo tanto solo per
soddisfare il mio capriccio di salire di nuovo sopra una nave. Mi
dissi poi che non sarebbe neanche stato così gratificante,
con un
altro a manovrarla.
E
poi un aspetto positivo c'era.
Vedere
Emma dormire, finalmente serena, sulla mia spalla mi era più
che
sufficiente. Io avevo dormito poco, pochissimo. Mi sentivo troppo
euforico per dormire, troppo carico di adrenalina anche solo per
pensare di chiudere gli occhi per più di un minuto. Avrei
dormito
sulla Jolly Roger, una volta atterrati, se fossi stato stanco.
Speravo che Emma fosse abbastanza riposata per raggiungermi, avremmo
avuto finalmente un po' di intimità, magari. Nel frattempo
mi
limitavo a leggere un libro comprato in aeroporto, un libro che
parlava di un tesoro nascosto e di Long John Silver. Era stato David
a mettermelo in mano, ridacchiando tra sé, e io ero stato al
gioco,
comprando per lui una spada giocattolo che ora teneva ben nascosta
dentro una valigia, ma che era stato costretto a portare in giro per
molto tempo, guadagnandosi occhiate divertite da qualsiasi passante.
Sapevo
che non avrei mai dimenticato lo sguardo sollevato e quel piccolo
sospiro dell'uomo, nel vederci rientrare in chiesa. Sua moglie aveva
trattenuto a stento le lacrime e aveva subito abbracciato la figlia,
mentre lui si era limitato a lanciarmi un'occhiata d'intesa e un
mezzo sorriso che avevo interpretato come “tutto è
bene quel che
finisce bene”. Non sapevo se erano contenti di riavermi fra
loro o
se, e al novanta per cento era così, erano sollevati nel
vedere Emma
finalmente serena. Non mi importava, alla fine, anche io ero contento
di vederla sorridere, sembrava in pace assoluta con il mondo.
Probabilmente il bene che provavamo per lei era l'unica cosa che ci
accomunava, non sapevo dire se in futuro le cose sarebbero state
diverse, ma per il momento quella situazione mi bastava.
Svegliai
Emma quando annunciarono l'atterraggio; sorrise nel sentire la mia
voce, ancora prima di aprire gli occhi e guardarmi teneramente.
Avvicinò i nostri visi in modo da lasciarmi un piccolo bacio
all'angolo della mia bocca, prima di prendere ad accarezzarmi la
guancia con la mano sinistra, la fronte appoggiata sull'altra. Pace,
felicità, armonia. Non mi ero mai sentito così
vivo, non ero mai
stato così bene.
Ripensai
a tutto quello che quel Killian Jones, la
marionetta creata da
Gold, aveva provato solamente una decina di ore prima. L'amore verso
Emma era diventato difficile da nascondere, da controllare, da
mandare indietro, in un angolino in fondo al cuore. Ma, come me,
anche quel Killian Jones era un uomo d'onore ed era
deciso ad
andare fino in fondo alla promessa che aveva fatto alla signorina
Smith. Ma Emma aveva cambiato tutto. Era bastato uno sguardo per far
crollare tutti i castelli, i muri che si erano costruiti in modo da
celare il sentimento provato per la donna. L'aveva seguita, l'avevo
seguita e non ce l'avevo più fatta a restarmene zitto, a
combattere
contro qualcosa di tanto forte, qualcosa che nessun incantesimo era
riuscito a spezzare. Le parole di Emma non mi avevano spaventato.
Avevo sentito la sua storia attentamente e in silenzio e non nascondo
di essermi sentito un po' spaventato dal fatto che tanti dei suoi
racconti combaciassero con le immagini, quei piccoli flash, che mi
erano tornati alla mente. Avevo creduto alle sue parole? No, o
meglio, non lo so proprio. Neanche quel
Killian Jones lo sapeva. Era davvero difficile riuscire a credere a
una cosa del genere, se non impossibile. Ma una cosa posso dirla con
certezza: ero bisognoso di ricordare. Volevo riavere indietro quei
ricordi e sì, speravo con tutto il cuore che fossero veri.
Avevo
baciato Emma e subito mi ero sentito rinascere. Avevo ripreso
ciò
che era mio, avevo riavuto la mia vita. Ero tornato. E, Dio, come mi
sentivo bene.
Le
presi la mano, ancora ferma sulla mia guancia, accarezzandola appena
con il pollice. La portai alle labbra e la baciai, ad occhi chiusi,
perdendomi nel profumo della sua pelle. Ultimi momenti tranquilli
prima dell'atterraggio, che era stato decisamente traumatico e, lo
giurai a me stesso, un'esperienza da non riprovare mai più.
Emma mi
aveva stretto la mano e, una volta scesi, mi aveva preso in giro per
vari minuti, ridendo di gusto come non l'avevo mai vista fare da
quando l'avevo conosciuta nella Foresta Incantata.
Henry,
Regina e Robin ci aspettavano subito oltre il confine. Ovviamente il
ragazzino si fiondò subito tra le braccia della madre e poi
fu
accolto in quelle dei nonni. Mi lanciò un'occhiata
sorridente e io
gli feci un occhiolino, restando al fianco di Emma. Robin mi sorrise,
mentre la sua compagna mi accolse con un flebile « Hook
» e un
piccolo cenno del capo. Da Granny's non ci raggiunse molta altra
gente; bevevo del rum mentre ascoltavo le chiacchiere degli abitanti
di Storybrooke. Emma mi abbracciò, ad un tratto, e subito le
passai
il braccio intorno alle spalle, mentre lei posava il capo sulla mia.
Sentiva il bisogno di sapermi con lei non osando tenermi lontano
neanche per un minuto ed io provavo la stessa cosa. Eravamo stati
messi a dura prova, ma alla fine il Vero Amore aveva trionfato.
Faticavo ancora a crederci.
A
Londra avevamo cancellato gli ultimi avvenimenti dalla memoria di
tutti, eccetto che in quella di Phoebe, grazie a una strana pietra
proveniente da Arendelle che Regina aveva lasciato a Mary Margaret
prima di partire. In caso le cose fossero andate bene, aveva detto.
Un po' mi dispiaceva essere scomparso dalle vite di quei ragazzi ai
quali avevo cominciato a volere veramente bene, ma era giusto
così.
Ora dovevo solamente cercare i fratelli Darling e dar loro una
lettera da parte di Phoebe. Speravo per loro che si sarebbero
rivisti, prima o poi.
Tutti
quanti ci gustavamo quei momenti di tranquillità, tra risate
e
racconti generali, ma poi Regina entrò come una furia nel
locale.
«
Sono spariti, andati. Ci ha beffato di nuovo, ma questa volta lo
uccido con le mie stesse mani » sciolsi l'abbraccio e lasciai
andare
Emma verso la donna che sembrava su tutte le furie, in pochi istanti
eravamo tutti intorno a lei.
«
Calmati, Regina. Cos'è successo? Cos'è sparito?
» Cominciarono a
chiederle, tutti accalorati e preoccupati dalla sua agitazione.
«
I poteri di Gold, se li è ripresi. »
«
Che cosa? » Eravamo riusciti ad intrappolare i suoi poteri
prima di
bandirlo da Storybrooke, com'era possibile? « Non
può essere, come
può essersi ripreso i poteri? »
«
E' Gold », commentò la donna sprezzante,
guardandomi come se fossi
tanto stupido da non riuscire a capire un concetto così
semplice «
un modo lo trova sempre. »
«
Non usare quel tono con me, del resto avevi solamente una cosa da
fare: tenere i suoi poteri al sicuro e inaccessibili. Bel lavoro
Regina » replicai adirato, più per il fatto di
sapere Gold ancora a
piede libero che con lei.
«
Oh, scusa tanto se sono stata impegnata a trovare un modo per farti
tornare la memoria, Capitan Eyeliner! »
«
Adesso basta, piantatela tutti e due! » Emma si mise in mezzo
e ci
divise, letteralmente, alzando la voce in modo da farsi sentire da
tutti « Non è il momento di discutere.
Dividiamoci, lo troveremo
prima. Killian, andiamo dall'apprendista: ha ancora il cappello
magico, potrebbe tentare di riprenderselo. »
E
lì lo trovammo, ma non come ce lo aspettavamo. Il
coccodrillo era
sdraiato sul pavimento, pareva addormentato, o forse morto? Non
sapevo dirlo, non riuscivo neanche a vedere il petto alzarsi e
abbassarsi. Era così che finiva il più grande
Signore Oscuro di
tutti i tempi? E soprattutto cosa era successo? Belle era al suo
fianco, non piangeva ma aveva gli occhi lucidi. Io ed Emma stavamo
per avvicinarsi a lei, quando l'apprendista catturò la
nostra
attenzione. Anche lui era per terra, cercava di alzarsi con fatica,
allo stremo delle forze. Corsi ad aiutarlo e riuscimmo a portarlo sul
letto. Belle ci spiegò che erano riusciti a separare
l'oscurità dal
cuore del coccodrillo, che lo stava consumando definitivamente. Ma
l'oscurità si era ribellata, era uscita dal cappello, aveva
aggredito l'apprendista e poi era scomparsa.
L'apprendista
ci avvisò del pericolo che incombeva sopra di noi, ci
consigliò di
rivolgerci a Merlino, il più grande mago mai esistito,
così da
poter sconfiggere l'oscurità una volta per tutte. Io ed Emma
ci
fissammo a lungo, preoccupati, quando l'uomo chiuse gli occhi,
stanco. La donna stringeva in mano il pugnale del Signore Oscuro,
privo, adesso, di qualsiasi nome.
Ci
precipitammo in strada, gli altri ci raggiunsero dopo poco. Sentivamo
tutti la stessa oscura presenza intorno a noi, ci guardavamo l'un
l'altro, ansiosi. Nessuno di noi sapeva bene cosa fare, come reagire
davanti a un pericolo così grande. L'Oscurità ci
girava intorno,
potevamo sentirla, potevamo percepirla. Sembrava quasi che ci stesse
studiando, tutti noi. Lanciai ad Emma un'occhiata: anche lei temeva
il peggio. E come poteva essere il contrario? Eravamo a Storybrooke,
e a Storybrooke i guai erano sempre dietro l'angolo.
A
Storybrooke, quella che ormai era diventata la nostra casa, le cose
andavano così. Un nuovo giorno, un nuovo nemico, una nuova
storia.
Angolo
dell'Autrice:
This
is the end, my only friend, the end
Okay
la pianto e faccio la seria (anche se preferirei buttarla sul ridere,
almeno è sicuro che non mi commuovo). Questa storia (va
avanti da un
anno e mezzo, quindi magari qualcuno lo avrà anche
dimenticato) è
nata ancora prima del finale della quarta stagione, quindi gli
avvenimenti raccontati sono una sorta di alternativa delle ultime due
puntate nell'universo parallelo. Riflettendo su questa cosa, mesi fa,
mi sono detta che non poteva esserci fine migliore e più
giusta di
questa, ovvero riagganciarmi alla trama iniziale e seguire la linea narrativa
della serie.
Credevo
di terminarla allo stesso modo di come è iniziata, ovvero
con il pov
di Emma, ma mi hanno fatto notare che sarebbe stato bello leggere dal
punto di vista di Killian il riacquisto dei suoi ricordi, e
così mi
sono inventata qualcosa sul momento, qualche spiegazione qua e
là.
Ora,
i ringraziamenti. Vi ho ringraziato in ogni capitolo, per le
recensioni, le bellissime parole che avete sempre speso per me e per
la storia, per le visualizzazioni, per i preferiti e tutto il resto.
Lo rifaccio un'ultima volta, perché, davvero, quando ho
postato il
primo capitolo, così per gioco, non avevo la minima
aspettativa, la
trama era quasi inesistente e credevo che avrei mollato tutto presto
1) per mancanza di inventiva e 2) per mancanza di seguito. E invece
mi avete sostenuta, e tanto anche, e non potrò mai
ringraziarvi
tanto. All'inizio ero completamente arrugginita e se sono riuscita a
sbloccarvi è grazie a voi. Quindi, grazie a Kerri,
a pandina e a
gattina04 che stimo
tantissimo come autrici in questo sito, per un motivo o per un altro,
e che leggere certi complimenti da loro mi ha sempre riempito il
cuore di gioia; grazie a ErinJS
che anche se non si vede sul sito da un po', mi ha sempre lasciato
delle lunghissime recensioni che mi facevano scappare molte risate e
non posso non nominarla; grazie a Lely_1324
che con le sue parole mi ha sempre lusingata e fatta emozionare,
credo di aver versato qualche lacrima una volta o due, davvero troppo
gentile; grazie a spongansss
e Lady Lara che sono
arrivate 'dopo' ma che sono rimaste, e mi hanno sempre fatta
sorridere con le loro recensioni; e ancora grazie a itsyouemma
(oh cavoli, quanto invidio il tuo nick), a _Arya_,
gaialor95, verop98,
smemorina89 e a tutte
le altre che, perdonatemi, dimentico ma che hanno sempre trovato il
tempo di lasciarmi la loro opinione sui miei capitoli. E grazie
davvero di cuore, anche a voi che leggete silenziosi, che pochi di
certo non siete. Grazie davvero tanto.
E
PERDONATEMI PER L'ANGST.
Questa
storia si può definire ufficialmente conclusa. Addio Phoebe,
addio
Jack, addio Rose, addio gemelli, addio Montgomery, addio fratelli
Clayton, addio Londra.
A
voi, a Emma, Killian e tutti gli altri, invece, vi dico arrivederci e
spero di ritrovarmi sulla mia nuova storia, Meant
To Be, vi lascio il link del
prologo (domani o sabato dovrebbe arrivare il primo capitolo) ;)
Grazie
ancora a tutte,
A
presto :)
Sà
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