Hello, I love you, won't you tell me your name?

di Chipped Cup
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I will always find you ***
Capitolo 2: *** Where are you, Jones? ***
Capitolo 3: *** Everything has changed ***
Capitolo 4: *** Strangers in the night ***
Capitolo 5: *** Silent insecurities ***
Capitolo 6: *** Operation Grimm ***
Capitolo 7: *** She's not your happy ending ***
Capitolo 8: *** London serenade ***
Capitolo 9: *** The power of love ***
Capitolo 10: *** I told you to be patient ***
Capitolo 11: *** Love that refuses to give up on us ***
Capitolo 12: *** Yo ho ho, and a bottle of rum! ***
Capitolo 13: *** Truth will out ***
Capitolo 14: *** Serendipity ***
Capitolo 15: *** Come back to me (Part1) ***
Capitolo 16: *** Come back to me (Part2) ***
Capitolo 17: *** In the wolf's lair ***
Capitolo 18: *** This is the end ***
Capitolo 19: *** Survive ***
Capitolo 20: *** Seven days ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I will always find you ***




 

1. I will always find you

Nella mia vita ho avuto paura di perdere una persona cara così tante volte da perderne il conto. Ricordo il terrore provato vedendo Henry cadere a terra dopo aver mangiato la torta di mele di Regina. Il panico di vedere mia madre morire, uccisa dalla sua matrigna, e non poter far niente per evitarlo. In entrambi i casi ho cercato di non perdere la speranza: Henry poteva essere salvato, mia madre poteva non essere morta davvero. Ma questa volta è diverso, questa volta sto perdendo Killian Jones. Lo sto perdendo per sempre.



La tensione che si respirava nella cripta di Regina cominciava a stancarmi. Henry continuava a ripetere di voler unirsi a noi mentre Regina non smetteva di alzare la voce per dirgli che piuttosto lo avrebbe legato o rinchiuso nella tomba di suo padre; mio padre cercava di calmare la mamma, che sembrava sull'orlo di una crisi di nervi; Robin e Killian continuavano a ripassare il piano, tanto che davvero ne avevo la nausea, e Belle non faceva altro che scuotere la testa.
« Dovete far provare me, mi ascolterà vi dico! » Tornava a dire Belle, se non andavo errata quella doveva essere la sesta volta che lo ripeteva.
« E' finito il tempo delle parole, dolcezza » ribatté Killian tranquillo, girandosi nuovamente a guardarla « è tempo di passare all'azione. »
« Non funzionerà mai, è troppo forte per noi. Ci distruggerà senza che ce ne potremmo rendere conto. » Mia madre scoppiò in lacrime sotto gli occhi di tutti noi. Erano giorni che non la riconoscevo, da quando Gold era tornato al potere aveva perso anche l'ultimo briciolo di speranza rimasto in lei. Tutto ciò mi sconfortava, ma cercavo di non farlo vedere. Io e Regina eravamo le più forti, psicologicamente parlando, nessuna delle due poteva permettersi di crollare, sarebbe stato distruttivo per l'intera squadra.
« Smettila di piagnucolare, per la miseria! » Sbottò, ad un tratto, Regina, facendoci sobbalzare. « Io ed Emma riusciremo a togliergli ogni potere, fosse l'ultima cosa che facciamo quel verme lascerà questa città e smetterà di cercare il suo lieto fine distruggendo i nostri! »
Avevamo trovato l'incantesimo che faceva al caso nostro circa due giorni prima. Il piano, all'apparenza, risultava piuttosto semplice: Belle avrebbe fatto credere a Gold di voler abbandonare la città, intimandolo di fare lo stesso; lui sicuramente non ci avrebbe pensato due volte a raggiungerla sul confine e lì saremmo entrati in scena noi; Killian, Robin e mio padre avevano il compito di distrarlo, senza farsi ammazzare preferibilmente, mentre a me e Regina spettava il compito di lanciare l'incantesimo che gli avrebbe tolto ogni potere: la nostra magia doveva essere abbastanza forte da spingere l'uomo oltre il confine della città; questo, una volta fuori, avrebbe perso i suoi poteri, che sarebbero stati risucchiati poi dall'incantesimo. Regina li avrebbe imbottigliati in una fiala e li avrebbe tenuti al sicuro, nella sua cripta o in qualche altro nascondiglio. In quel modo eravamo sicuri che, anche se avesse trovato il modo di rientrare a Storybrooke, una volta varcato il confine, Gold non avrebbe più avuto un briciolo di magia.
« Se non dovessero farcela? Se l'incantesimo non dovesse funzionare? » Chiese allora mia madre. Questa domanda mi fece provare un brivido, mentre continuavo a ripetermi che tutto sarebbe andato per il meglio, che fra qualche ora sarebbe tutto finito.
« In quel caso ricorreremo al piano b. » Mi girai verso Killian guardandolo interrogativa. Il piano b? Sarebbe? « Lo pugnalerò dritto al cuore. » Belle trattenne il fiato ed io mi alzai di scatto, sconcertata.
« Qui nessuno pugnalerà nessuno, ci siamo capiti? Non guarderò una persona a me cara diventare il nuovo Signore Oscuro senza muovere un muscolo. Manderò ko chiunque voglia provarci con uno schiocco di dita, mi sono spiegata? » Mi guardarono tutti senza proferire parola, consapevoli del fatto che non mi sarei fatta nessuno scrupolo nel mettere fuori gioco uno dei miei amici, se questo significava tenerlo al sicuro. « Ho bisogno di un po' d'aria, fra un'ora mettiamo in atto il piano. » Affermai dopo averli scrutati dal primo all'ultimo.
Mi allontanai alla svelta prima che qualcuno potesse fermarmi, avevo bisogno di stare da sola, di concentrarmi, di ripetermi che sarebbe andato tutto bene. Arrivai fino al molo senza rendermene conto, guardai il mare e immaginai come sarebbe stata la mia vita se Henry non fosse mai venuto a cercarmi. Avrei continuato a fare il mio stupido lavoro, sola e senza nessuno da cui tornare a casa. Niente magia, niente streghe, niente draghi, niente favole, niente lieto fine. E Storybrooke non se la sarebbe passata meglio: senza il mio arrivo il tempo sarebbe rimasto fermo, i suoi abitanti avrebbero ripetuto le loro azioni quotidiane per un tempo infinito. D'altro canto saremmo stati tutti al sicuro, in quel momento. Al contrario, ora stavamo andando incontro a morte certa. Gold ci avrebbe scoperto, si sarebbe infuriato per l'inganno subito e avrebbe fatto piazza pulita. Quello era il mio timore più grande.
Speravo soltanto che nessuno restasse ferito, non me lo sarei mai perdonato.
Chiusi gli occhi e presi grandi respiri profondi. Il mio cuore continuò a martellare, sembrava non voler rallentare il suo battito.
Una mano mi prese per il fianco destro, un uncino mi sfiorò l'altro e l'inconfondibile tocco delicato di Killian mi riportò alla realtà. Poggiò dolcemente le labbra sul mio collo e vi lasciò un piccolo bacio.
« Andrà tutto bene, Swan. »
Mi girai e lo guardai negli occhi profondi e blu, come l'acqua del mare che tanto amava, per qualche secondo. Alla fine lo avvicinai a me, afferrandogli la giacca di pelle, e lo baciai con foga, consapevole che quella poteva essere l'ultima volta che ne avevo l'occasione
« Ti amo, Killian. » Gli sussurrai a fior di labbra, senza riuscire a trattenere una lacrima. Lui prontamente me l'asciugò, sembrò cogliere la mia angoscia, capire cosa mi stava passando per la mente, percepire le mie paure.
« Sai che credo in te, Emma. Se c'è qualcuno in grado di sconfiggere il coccodrillo quella sei tu. E non dimenticare che Regina eseguirà l'incantesimo con te, siete imbattibili voi due quando lavorate insieme. » Mi sorrise e non potei non farlo anch'io. Colsi la preoccupazione nei suoi occhi, sarebbe stato un pazzo se non avesse avuto neanche un briciolo di timore, ma sapevo che era fermamente convinto di quello che diceva.
Continuai ad avere molti dubbi sulla riuscita del piano, ma d'altra parte non avevamo alternative. Era la nostra sola ed unica possibilità.



Osservavamo Belle aspettare Gold. Cominciavo ad avere un'orribile sensazione, ma cercai di non farci caso e soprattutto di non farlo percepire agli altri.
« Tra poco sarà tutto finito. » Sussurrò Regina, alla mia destra, forse parlando con se stessa.
« Cosa ti fa essere così sicura? » Le chiesi, non riuscendo a trattenermi, con un sospiro.
« Il fatto che gli eroi vincono sempre. » Mi rispose prontamente lei, voltandosi verso di me e mostrandomi un sorriso ironico come il fatto che, fra tutti, fosse stata lei ad affermare una cosa del genere.
« Eccolo! »
Guardai Belle con il fiato sospeso. Gold sembrò disperato, significava che si era bevuto tutta la storia raccontata dalla ragazza. Un punto a nostro favore, l'elemento sorpresa sarebbe stato dalla nostra parte.
Eravamo troppo lontani e non riuscivamo a sentire cosa si stavano dicendo, Belle fece un passo indietro, verso il confine. Gold le prese la mano, parlava, lei scuoteva la testa.
Mi girai verso Regina. « Ora? »
« Ora. »
Cominciammo ad effettuare l'incantesimo, da quanto avevamo letto ci volevano non meno di cinque minuti prima che esso potesse essere scagliato. La nostra magia creò una piccola palla di luce bianca, il suo volume aumentava ogni secondo che passava.
Nel frattempo Gold aveva afferrato Belle, probabilmente con l'intenzione di portarla via da lì.
« Andate, forza! » Esclamai rivolta ai ragazzi, non potevamo in alcun modo permetterci che l'uomo si allontanasse troppo dal confine.
Loro non se lo fecero ripetere due volte e corsero subito verso i due.
« Lasciatela stare, coccodrillo! » Urlò Killian, mentre li raggiungeva insieme a mio padre e Robin.
Gold si voltò sorpreso di sentire la sua voce, ma li guardò ugualmente in modo beffardo.
« Ma bene, chi abbiamo qui?! » Domandò retoricamente, fin troppo divertito per i miei gusti.
Controllai quella sfera di luce creata da me e Regina, sperando fosse già a buon punto, ma quella era ancora molto piccola: se l'avessimo lanciata in quel momento, probabilmente a Gold sarebbe rimasto solamente un piccolo graffietto.
« Un finto principe, » continuò a dire la bestia, scrutando mio padre per leggerlo nel profondo. Strinsi i denti, mossa da un piccolo sentimento di rabbia « un ladro » Robin lo guardò con aria di sfida, pronto a tutto « e, naturalmente, un pirata. Ebbene, dov'è la vostra fidanzata, capitano? Devo immaginare che non sia qui nei paraggi, a tenere sotto controllo che nessuno sfregi il bel visino del suo fidanzato?» L'uomo scoppiò a ridere e il viso di Killian s'indurì.
Stava pensando a quanto sarebbe stato facile colpirlo al cuore col suo stesso pugnale. Sarebbe diventato il nuovo Signore Oscuro ma non gli importava, era certo che non sarebbe diventato un mostro come lui, non con me al suo fianco. In effetti sarebbe stato tutto molto più semplice e molto più sbrigativo, ma non avrei mai lasciato che si prendesse quel fardello, né lui né nessun altro.
« Lasciate fuori Emma, lei non c'entra. E' una questione fra noi due, risolviamola una volta per tutte. » Killian si avvicinò lentamente all'Oscuro, Robin e mio padre si guardarono senza capire le sue intenzioni.
« E' questo il fatto, Hook. La questione per quanto mi riguarda si è risolta nel momento in cui ho tagliato la vostra lurida mano. »
« Me ne basta una soltanto per mettervi a tacere per sempre. »
« No, non basta, e questo lo sapete benissimo. »
Bastò un rapido movimento del polso, e Killian si ritrovò in ginocchio, dolorante mentre il suo urlo squarciava il silenzio e mi risuonava nelle orecchie. Un altro movimento e mio padre e Robin si ritrovarono bloccati nello stesso istante in cui avevano provato a correre in aiuto del pirata.
Dovevo fare qualcosa, non potevo lasciarlo morire. Feci per muovermi, ma Regina fu più rapida e mi trattenne per un braccio.
« No, sai che non puoi. Avevamo già messo in conto tutto questo. Devi restare calma. » Sgranai gli occhi mentre cercai di divincolarmi, ma la sua presa era più forte « Non manca molto. Solamente due, tre minuti, e poi ti giuro che quel bastardo la pagherà. » La presa di Regina si fece più delicata ed anche il suo viso sembrò rivolgermi un'espressione meno dura. Anche lei stava rischiando molto, solo che non poteva capire cosa si provava a vedere l'uomo che si amava soffrire così tanto: Gold non se la sarebbe mai presa in quel modo con Robin Hood perché sostanzialmente egli non gli aveva mai fatto nessun torto, era questa la consapevolezza che rendeva Regina un po' più tranquilla.
Chiusi gli occhi e concentrai tutte le mie energie nell'incantesimo, speravo di velocizzare il processo, in quel modo.
Sentivo Belle gridare qualcosa, probabilmente aveva convinto la bestia a fermarsi, perché Killian si zittì di colpo. Gli rivolsi una rapida occhiata e lo vidi piegato in avanti, mentre cercava di riprendere fiato.
« E' tutto qui, quello che sapete fare, quindi? » Killian continuava a stuzzicarlo a parole, regalandoci secondi necessari per completare l'incantesimo, come avevamo concordato. « Basta una parola della piccola Belle per fermare il Signore Oscuro? »
« Killian, ti prego... » A fermarlo, quella volta, fu proprio Belle, che era sempre stata contraria al piano. Riteneva di potersela cavare da sola, sperando di tenere al sicuro noi e l'uomo che, in qualche modo, continuava ad amare.
« Siete un codardo, coccodrillo. La magia non vi rende più forte, soprattutto quando non si fa altro che nascondervisi dietro. Non avete neanche il coraggio di essere un uomo migliore per la donna che amate, neanche quando essa vi guarda negli occhi per implorarvi. » Sapevamo tutti che lo aveva appena colpito in pieno. Lo sguardo di Gold si irrigidì, tante volte avevo visto l'oscurità nei suoi occhi scuri, ma mai ne avevo avuto così timore.
« La magia non mi rende un codardo. » Sentenziò a denti stretti, un altro movimento del polso e Killian tornò a lottare contro una sofferenza interiore che sembrava bruciargli l'anima. « Cominciate a dire le vostre ultime preghiere, Jones, ho intenzione di chiudere questa faccenda una volta per tutte. »
Un altro impercettibile movimento e Killian si ritrovò a terra, le mani alle tempie. Il dolore nasceva da lì e si espandeva per tutto il corpo, Dio solo sapeva che razza di orribile maleficio stava mettendo in atto Gold.
« Un minuto. » Sussurrò Regina, capendo le mie intenzioni. Non avevamo un minuto, dovevamo agire subito o me lo avrebbe ucciso sotto gli occhi.
E poi successe una cosa che nessuno di noi aveva tenuto in conto.
« Nonno, non farlo! »
Mio figlio correva veloce e andò a mettersi davanti a Killian, come per proteggerlo.
« Henry no! » Quella volta, a gridare, fummo io e Regina, reagendo istintivamente e spuntando entrambe fuori dal nostro nascondiglio, le mani ancora rivolte verso il basso con l'incantesimo ancora in corso.
Mi pentii subito di averlo fatto e senza dubbio Regina era del mio stesso avviso.
Gold ci guardò sorridendo trionfante, un attimo dopo aver cancellato lo stupore per l'arrivo di Henry. No, decisamente nessuno dei presenti si sarebbe aspettato di vederlo lì, soprattutto quando mia madre non doveva fare altro che tenerlo sotto controllo e impedirgli di raggiungerci. Non volevo metterlo in pericolo, almeno lui doveva rimanere al sicuro. Ma ormai il danno era fatto.
« Oh, eccole. Finalmente. Mi chiedevo quando vi foste decise a venire fuori, credevate davvero che non riuscissi a percepire la vostra magia? »
« E' finita, Gold » io e Regina ci muovemmo all'unisono a passo deciso, ma molto lentamente. Mio padre e Robin, ormai liberi dall'incantesimo dell'uomo, si affrettarono verso Killian e lo aiutarono a tenersi in piedi, reggendolo per le spalle, ma esso si divincolò subito, non accettava il minimo aiuto, del resto aveva l'animo di un pirata.
« Hai perso. » Affermai, stranamente sicura di me, improvvisamente convinta di quel piano. Forse perché la parte più difficile era ormai passata, nessuno avrebbe potuto più ferire gli uomini ormai, non con me e Regina pronte ad agire. Non dovevamo fare altro che colpirlo con l'incantesimo, la sfera di luce magica sembrava essere delle giuste dimensione da riuscire a farlo uscire dal confine e abbastanza potente da poter risucchiare i suoi poteri, che non erano pochi.
« Voi dite? » Ci squadrammo da cima a fondo, ci studiammo attentamente e riconobbi subito il tono di sfida che aveva messo su. Aveva in mente qualcosa, dovevo stare attenta. « Ditemi, come reagirà la salvatrice, quando le avrò portato via il suo lieto fine? »
Spalancai la bocca, spiazzata. Erano quelle le sue intenzioni? Aveva trovato un modo per sentirsi vincitore anche nella sconfitta. Non appena i suoi occhi si posarono su Henry mi irrigidii. Ero terrorizzata, non gli avrei permesso di portare via mio figlio.
Lo vidi alzare lentamente una mano e mi girai verso Regina, anche lei spaventata « Ora! » gridammo all'unisono mentre ci piazzavamo davanti a Henry e lanciavamo il nostro incantesimo verso l'uomo. Nello stesso e identico momento, lui lanciò il suo. Verso Killian.
Una nuvola viola cominciò a circondare l'uomo che amavo, mi girai a guardarlo, lo chiamai per nome e lui chiamò il mio. I suoi occhi erano sbigottiti e timorosi come i miei.
Dovetti distogliere lo sguardo quando sentii i poteri di Gold venire risucchiati; un attimo dopo erano imprigionati dentro una bottiglietta, l'uomo era stato scaraventato verso il confine e Belle non ci aveva pensato due volte ed era corsa da lui.
Mi voltai verso Killian giusto in tempo per vedere un'ultima volta il suo viso, quasi sollevato per via della riuscita del piano. Poi la nuvola viola lo avvolse completamente e, quando si fu dissolta, mi accorsi che Hook era sparito.
« Killian! »
Gridai. Gridai con tutto il fiato che avevo in corpo. Mi accasciai a terra tremante. Non poteva essere vero, non poteva essere scomparso così, sotto i miei occhi. Non avevo fatto niente per evitarlo.
I miei occhi vagavano da destra a sinistra e viceversa, cominciai a guardarmi intorno, speranzosa di vederlo spuntare fuori.
Non accadde, dovevo aspettarmelo.
« Emma... » la voce di mia madre e la sua mano calda sulla spalla mi riscossero, ci aveva raggiunti anche lei. La mia espressione s'indurì e mi alzai di colpo, spaventandola, forse.
« GOLD! » Urlai rabbiosa, voltandomi e dirigendomi a gran passi verso di lui.
« Emma, fermati! » Mio padre mi afferrò e cercai di divincolarmi, ma lui mi strinse più forte.
« Lasciami, non voglio fargli niente. Solo sapere cos'ha fatto a Killian. » Più mi muovevo più mio padre mi tirava via, deciso a non farmi commettere delle sciocchezze.
« Non te lo dirà mai, lo sai. Adesso calmati. Lo troveremo, Emma, te lo prometto. » Mi fece girare verso di lui e mi abbracciò come non faceva da tanto tempo. Mi abbandonai ad un pianto liberatorio, bagnandogli l'intera spalla sinistra su cui mi ero poggiata.
« Come fai a sapere che non gli sia successo niente di orribile? E se fosse... »
« Sta bene. Deve star bene. » Continuavo a dimenticare dello strano rapporto che avessero Killian e mio padre. Non si erano piaciuti all'inizio, continuavano a stuzzicarsi a vicenda, ma alla fine si volevano bene, si potevano definire come due amici.
Smisi di piangere e sciolsi l'abbraccio. Mi asciugai le lacrime, lo sguardo basso. Solo in quel momento mi accorsi di un debole luccichio, lì, proprio dove Killian era sparito un attimo prima.
Mi fiondai a controllare cosa fosse e mi ritrovai con il suo anello tra le mani. Doveva avermelo lasciato per permettermi di ritrovarlo. Si fidava di me, sapeva che non mi sarei mai data pace finché non lo avessi rivisto.
Strinsi forte quel piccolo oggetto, mi aggrappai ad esso, la mia unica speranza.
« Io ti troverò, Killian Jones. »




 

Note dell'autrice: Beh, innanzitutto salve ^^ Ci tengo a dire che sono un po' molto arruginita, è da tantissimo tempo che non scrivo, anzi ringrazio OUAT per avermi ridato l'ispirazione che mi mancava da un po'. E' la prima volta che scrivo di questi personaggi, spero di non andare troppo OOC (in caso fatemelo notare, vi prego ç_ç). Il titolo è ispirato a una canzone dei Doors che adoro e che ci azzecca in pieno con la trama, capirete meglio più avanti (spoiler? mh) Altra cosa, non so dove mi porterà questa storia, nel senso che mentre ne scrivevo un'altra totalmente diversa (dove ho praticamente tutte le idee ben definite) ho trovato un post su tumblr che mi ha fatto venire quest'idea un po' assurda, che andrà a svilupparsi meglio dal secondo/terzo capitolo. Non volevo postarla subito, perché ho in mente solamente la trama generale, ma è da sabato che ho il capitolo pronto ed ogni volta che prendo il pc me lo ritrovo a supplicarmi di postarlo (che storia triste :o) Ultima cosa e poi smetto di rompere: questa storia si discosta completamente dal finale della quarta stagione, anche perché sto cercando di evitare qualsiasi tipo di spoiler a riguardo :') 
Spero di avervi incuriosito almeno un po', sarei felicissima di ricevere le vostre recensioni, soprattutto per capire se questa è un'idea che può piacere o meno, anche se avete delle critiche da fare, io sono a vostra disposizione e non mi offendo :)
Ringrazio chiunque abbia letto il primo capitolo, vi abbraccio tutti ♥

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Capitolo 2
*** Where are you, Jones? ***


2. Where are you, Jones?





Fu la settimana più lunga della mia vita.
Non avere la minima notizia su Killian, non sapere se stesse bene, se fosse ferito, se fosse stato mandato in qualche mondo magico mi rendeva nervosa e irrequieta. Era proprio il fatto del non sapere che mi faceva stare tanto male. Avevo bisogno di sentire la sua voce, anche solo per qualche secondo. Volevo che mi rassicurasse, che mi dicesse che presto l'avrei trovato e saremmo stati di nuovo insieme.
Invece le ricerche non stavano portando da nessuna parte.
La prima cosa che avevo fatto, dopo aver trovato l'anello, era stata catapultarmi in fretta e furia nel negozio di Gold, consapevole della grande scorta di pozioni dell'uomo. Avevo versato sull'anello un po' di pozione di localizzazione e avevo aspettato qualche secondo che facesse effetto. Inutilmente. L'oggetto non mostrava neanche il minimo accenno di uno scintillio.
Sprecai altre tre boccette, in preda al panico totale, prima che Regina mi raggiungesse e mi sgridasse senza farsi troppi problemi.
« Non è a Storybrooke, Swan » mi aveva detto in tono brusco, alla fine « in qualche modo lo troveremo, ma tu devi mantenere i nervi saldi. »
Ma non poteva comprendermi fino in fondo. Ci provava, e io di certo non gliene facevo una colpa, ma non poteva neanche solo immaginare cosa mi passasse per la testa durante quelle giornate.
« Hai trovato niente, mamma? » Henry mi ridestò da quei pensieri, facendomi alzare la testa dall'ennesimo libro che consultavo, senza sapere bene cosa stessi cercando. Sospirai, mentre lo chiudevo con delusione.
« No ragazzino, nessun progresso. » Affermai poggiando i gomiti sul tavolo e la fronte sui pugni chiusi.
Ero esausta. Non dormivo per più di due ore da giorni, ma non potevo permettermi di rilassarmi tanto per nessun motivo al mondo.
Henry si sedette al mio fianco e mi guardò silenziosamente. Mi strinse forte la mano sinistra e io ricambiai la sua stretta, girandomi a guardarlo e mostrandogli un debole sorriso.
« So che sei preoccupata, ma vedrai che... »
« Starà bene, sì, lo so. » Lo interruppi, ripetendo meccanicamente le due piccole parole che sentivo da giorni senza sosta. « Ormai sembra che me lo ripetiate tutti al solo scopo di farmi contenta. » Commentai poco dopo, visibilmente scocciata.
« Io non lo dicevo solo per farti contenta » ribatté Henry « ci credo davvero. »
« Lo so » ripetei sospirando, cercando di essere meno dura, almeno con lui. « E' solo che, da quel che vedo, vi preoccupate tutti quanti per me, quando io sono qui, al sicuro sana e salva. Invece Killian è lì fuori, chissà dove. Mi state aiutando nelle ricerche senza fermarvi un attimo, e ve ne sono grata, davvero, ma lo fate tutti per me, nessuno lo fa per lui. Mi sto rendendo conto che a nessuno importa qualcosa di Killian. » Buttai fuori il pensiero che mi attanagliava da giorni, quello che più mi infastidiva tra tutti. Eravamo tutti indaffarati in questa storia, ognuno indagava su un fronte diverso, ma l'unica che ci tenesse davvero a trovarlo ero io. Forse anche mio padre era dispiaciuto della sua scomparsa, ma al resto non avrebbe fatto né caldo né freddo, se lui non fosse stato così importante per me.
« Ehi! » Esclamò Henry, quasi offeso. « A me importa di lui. »
Mi girai a guardarlo sorpresa, non sapendo bene che cosa dire. Non me lo aspettavo, non lo avrei neanche mai immaginato. Henry si dava, sì, un bel da fare, molti dei libri della biblioteca li aveva consultati lui, ma avevo sempre pensato lo facesse per aiutare me. Non avevo mai parlato con mio figlio di Killian, non gli avevo mai chiesto cosa pensasse di lui. Forse perché una parte di me temeva la sua risposta.
Ripensai a come Henry avesse fermato Gold, pochi giorni prima, impedendogli di uccidere il pirata. Ero stata troppo impegnata a pensare a quanto fosse stato imprudente, e ad avercela con mia madre per non aver saputo controllarlo meglio, per rendermi conto che gli aveva salvato la vita sotto i miei occhi.
« Non credo di averti ringraziato per aver impedito che lo uccidesse. » Mormorai, guardandolo fiera. Lui mise su un timido sorriso e scosse la testa.
« Non ho fatto niente, ho solo agito d'istinto. »
« Non hai esitato un solo istante » continuai « ti sei comportato da vero eroe. » “Quello che non sono stata io” pensai, pur essendo orgogliosa di mio figlio.
« Beh, non potevo lasciarlo lì e restarmene a guardare in silenzio. E poi ero certo che il nonno non mi avrebbe mai fatto del male. »
Restarmene a guardare in silenzio.
Quelle parole, dette senza un briciolo di cattiveria, mi colpirono allo stomaco come se si trattasse di un pugno. Non erano riferite neanche lontanamente a me, ma non riuscivo a non sentirmi ugualmente colpevole. Dovevo essere io a correre in soccorso di Killian, magari le cose sarebbero andate diversamente. O magari sarebbero andate in peggio, visto che Gold non sarebbe stato sconfitto. Ma ero comunque rimasta lì, a guardarlo soffrire e probabilmente non me lo sarei mai perdonato.
« Ti sei affezionato a lui? » Domandai poi, di punto in bianco. Il ragazzo si dimostrò sorpreso quanto me da quello che avevo appena chiesto.
« Ma certo » rispose come se si trattasse di una cosa più che ovvia « Killian è forte, insomma... è Capitan Uncino. » Sorrisi divertita da quella affermazione, spesso dimenticavo che l'uomo facesse parte del mondo delle favole che avevo letto io stessa quando ero bambina. Anzi, spesso dimenticavo che io stessa facevo parte di quelle favole.
Cinsi le spalle di Henry, avvicinandolo a me, per poi stringerlo forte. Improvvisamente, cominciai a sentirmi meglio, quel ragazzino era veramente capace di infondermi una sicurezza che mi sorprendevo io stessa di avere.
Ad interromperci fu la suoneria del mio cellulare. Sciolsi subito l'abbraccio e mi sbrigai a prenderlo, speranzosa di ascoltare qualche novità sulle ricerche. Lessi il nome di mio padre e risposi all'istante.
« Pronto? »
« Emma, mi scoccia disturbati, ma hanno appena chiamato alla centrale: c'è un problema da Granny's e dovresti recarti lì. Ci andrei io stesso stesso, ma tua madre mi ha lasciato Neal, quindi...  »
« Va bene, va bene, tranquillo. Vado subito. »
Riagganciai la chiamata e mi alzai in piedi. Mi stiracchiai appena, ero seduta su quella sedia da ore e non avevo concluso niente lo stesso. Feci una smorfia e indossai la mia giacca di pelle rossa, tirandovi poi fuori i capelli. Mi avrebbe fatto bene distogliere la mente per qualche minuto, anche se dubitavo che si trattasse di una vera emergenza, probabilmente sarebbe stato solamente una perdita di tempo.
« Ci vediamo dopo, ragazzino. » Lo salutai, baciandolo sulla testa, prima di uscire dalla biblioteca.
La situazione da Granny's, come avevo immaginato, non sembrava fuori controllo, almeno dall'esterno. Maledissi mio padre per avermi mandato lì inutilmente, prima di decidermi ad entrare.
Subito, degli schiamazzi giunsero alle mie orecchie. La vecchia gridava, inveendo contro il ragazzo che, barcollando, si allontanava da Ruby: Will Scarlett.
« Cosa succede qui? » Domandai di rimando, posando le mani sui fianchi e lanciando una rapida occhiata a tutti e tre.
« Ma guardate gente, è arrivata la salvatrice! » Esclamò allora Will, alzando le braccia verso l'alto, in un gesto di esultanza. « Mi sbatterà di nuovo dentro, sceriffo? O chiamerà il suo fidanzatino per farmi pestare? Ah no, non può chiamarlo, perché PUFF! E' sparito nel nulla. »
Serrai i pugni, strinsi i denti e ridussi gli occhi a due fessure. Del fante di cuori sarebbe rimasto solamente un mucchietto di cenere, se il mio sguardo avesse potuto colpirlo in pieno. Dovetti fare appello a tutta la mia forza per non mettergli le mani addosso. Mi sembrava quasi di sentire Killian: “Resisti all'oscurità, Swan”.
« Sono stanca di vederti alzare il gomito, e creare problemi, ogni volta che ti si spezza il cuore, Scarlett. » Affermai dura, mettendogli subito un paio di manette, ignorando l'occhiata stupita e sconvolta che mi rivolgeva. « Intanto ti fai una bella dormitina dietro le sbarre, poi deciderò quando farti uscire. Ti stava dando fastidio? » Feci poi, voltandomi di colpo vero Ruby, che già scuoteva la testa.
« Mia nipote sa difendersi da sola, sceriffo. Il ladruncolo stava infastidendo la sirenetta, lei lo ha spintonato via ed è caduto. Ha anche cercato di aiutarlo, ma la poveretta è stata ripagata con un pugno sul naso. » S'intromise Granny, guardando torva Will.
« E' stato un incidente, nonna! » Esclamò allora Ruby, spazientita. « Non darle retta, Emma. Continuava a sbracciarsi e l'ha colpita per sbaglio. » Cercava di spiegare. Ma, in realtà, avevo smesso di seguire già dalla parola “sirenetta”.
« Sirenetta? » Ripetei « Ariel? E' tornata Ariel? »
Una volta avuta l'assoluta certezza che Killian si trovasse fuori Storybrooke, ci serviva un modo per poterlo cercare tra i vari mondi magici e le uniche creature che potevano affrontare viaggi del genere in poco tempo erano proprio le sirene. Per questo avevo chiesto aiuto ad Ariel, che aveva accettato subito, determinata a dare una mano. Non avevo notizie dalla ragazza da quando era partita, ma per fortuna sembrava essere appena tornata.
« Oh, sì! Anzi, ti cercava! » Esclamò allora Ruby, ricordandosi di colpo « E' in cucina. »
Ordinai loro di stare attente a Will e corsi subito in cucina: vi trovai Ariel, intenta a mettersi del ghiaccio sulla botta ricevuta.
« Emma! » Mi salutò sorpresa, vedendomi arrivare.
« Ariel, ciao » l'abbracciai, un po' allibita dalla piega che aveva preso quella giornata « ti fa male? »
« No, davvero, non è niente. » Sorrise, per poi guardarmi seria e, quasi, dispiaciuta. « Emma, non porto buone notizie. Non c'è traccia di Hook in nessun regno. »


*****


Stringevo forte il cuscino e continuavo a rigirarmi sul letto scomodo di quella cabina. Non avevo neanche fatto finire di parlare Ariel, che ero corsa via, scappata sulla Jolly Roger. Avevo preso l'abitudine di rifugiarmi su quella nave, ormai, ogni volta che volevo starmene da sola. E quello era uno di quei momenti. Pensavo a Killian, che lì ci aveva passato una vita intera, circondato dalla sua ciurma, ma ugualmente solo. Così come io ero sola, senza di lui. Mi sentivo vuota ed ora mi era stata strappata via anche l'ultima speranza di rivederlo.
Soffocai un singhiozzo, non volevo piangere, avevo già pianto abbastanza.
« Eccoti, finalmente. » Scattai a sedere spaventata, nell'udire la voce di mio padre. Non l'avevo sentito arrivare nonostante il silenzio che regnava su quella nave, troppo presa dai miei pensieri.
« Cosa... che ci fai qui? »
« Cercavo te, mi pare ovvio. » Rispose, sedendosi al mio fianco e guardandomi con occhi preoccupati, malgrado cercasse in tutti i modi di apparire tranquillo e rilassato.
« Sì ma... come hai fatto a trovarmi?! » Domandai ancora, senza riuscire a capacitarmi del fatto che mi avesse raggiunta lì.
« Sono tuo padre, ti conosco ormai. » Lo guardai male ed alzai un sopracciglio, cosa che fece sospirare l'uomo. « Okay, va bene. Ti ho vista tre sere fa, mentre uscivi di casa di soppiatto, così ti ho seguita e ho visto che entravi qui dentro. »
« Capisco. » Mormorai solamente, abbassando la testa e rigirandomi l'anello di Killian fra le mani.
« Ariel mi ha detto di non essere riuscita a trovarlo. »
Mi limitai ad annuire con il capo, uno dei motivi per cui ero scappata a bordo della Jolly Roger era proprio il non dover affrontare quell'argomento.
« Mi dispiace. »Affermò.
Mossi appena la testa, ancora una volta silenziosa.
« Ovviamente sai che significa questo, vero? » Alzai la testa di scatto e lo guardai dura.
« Non è morto, papà. Solo perché Ariel non ha trovato nessuna notizia su di lui, in nessun mondo magico, non significa che è- »
« Non intendevo assolutamente dire questo! » Esclamò lui, fermandomi. Lo guardai comunque torva.
« E allora cosa? Cosa intendevi? »
« Che si trova in questo mondo, solo fuori Storybrooke. »
Lo guardai attentamente per qualche secondo. Il ragionamento quadrava, non capivo come avevo fatto a non arrivarci prima. Mi ero lasciata vincere dallo sconforto e non avevo neanche preso in considerazione quell'opzione. Magari era più vicino di quanto pensassi, o forse no. Conoscendolo, Gold mi avrebbe reso le cose più difficili che mai.
« Bene, abbiamo solamente cinque continenti da perlustrare e una vita sola. » Mormorai con una smorfia. « Senza dimenticarci dei due poli. » Aggiunsi poi, cercando di togliermi dalla mente l'immagine di Killian sperduto tra i ghiacci.
« Andiamo, Emma, almeno sappiamo che è in questo mondo. Troveremo un incantesimo che- »
« Un incantesimo? Davvero? Perché, cosa credi che abbia cercato questa settimana in biblioteca? » Scattai in piedi e cominciai a camminare per la cabina, sotto al suo sguardo. « Ho consultato centinaia di libri, non c'è niente. Niente di niente. So come creare una città dal nulla, ma non so come trovare il mio uomo. » Diedi un calcio al muro, arrabbiata con me stessa.
« Emma... » Lo ignorai, non sarebbe riuscito a calmarmi.
« Pensi che sia semplice? Pensa a Gold, ha passato tutta una vita a cercare suo figlio, e lui è sempre stato l'uomo più potente di tutti i tempi. Non può essere questione solo di un incantesimo. Altrimenti non avrebbe trovato Neal così tardi. »
Mi zittii ed incrociai le braccia al petto, pensierosa. Continuavo a camminare avanti e indietro, quando ad un tratto mi voltai. Guardai mio padre sgranando gli occhi, lui fece altrettanto, non capendo.
« Cosa? » Domandò spazientito.
« Neal. » Risposi a mezza voce, aprendomi in un sorriso speranzoso. « Gold ha scoperto che Neal si trovava a New York grazie a una sottospecie di mappamondo magico. Voleva usarlo anche per trovare Henry quando era stato portato a Neverland. E' stato sotto il nostro naso per tutto questo tempo. » Spiegai tutto d'un fiato « Forza, non possiamo perdere altro tempo! »
Raggiungemmo il negozio di Gold in una manciata di minuti. Notai subito il globo magico, posizionato su uno scaffale in bella vista. Lo presi con mani tremanti e lo posizionai sul bancone. Lo guardai per qualche secondo, terrorizzata. Quella era davvero la nostra ultima possibilità, e non ero neanche sicura che potesse funzionare.
« Credo che funzioni solo con i legami di sangue. » Affermai a un tratto, scoraggiata. Mi morsi un labbro, avevamo la soluzione a portata di mano e probabilmente non potevamo fare niente per usarla.
« Il vero amore è un legame tanto forte come quello di sangue. Credo possa funzionare lo stesso. » Disse mio padre sicuro, osservandomi e aspettando che mi decidessi a pungermi il dito.
« Il... vero amore? » Lo guardai. Killian Jones era il mio vero amore? Me lo ero chiesta davvero tantissime volte, ora potevo trovare risposta anche a quella domanda.
Respirai profondamente, chiudendo gli occhi. Quando li riaprii mi punsi l'indice sinistro decisa, e lasciai scivolare la goccia di sangue sul globo di cristallo. Mi concentrai su Killian, mentre il sangue si radunava e andava a mostrare un'isoletta lontana da Storybrooke, lontana dall'America.
« Londra. Killian si trova a Londra. » Esclamai sconvolta, ma felice. « Non posso aspettare un minuto di più, parto all'istante. »






L'anello brillava tra le mie mani, tanto che dovevo stare bene attenta a non mostrarlo alla gente che mi circondava. Avevo preso il primo volo per Londra e non avevo lasciato che nessuno mi accompagnasse. Era una cosa che dovevo fare da sola, così come aveva fatto in precedenza Killian, trovandomi a New York per poi riportarmi a casa.
Ogni passo mi faceva sentire più vicina a lui, finalmente lo stavo raggiungendo e presto saremmo stati insieme.
L'anello mi portò in una stradina di campagna, dove spiccava una casetta circondata da un giardino ben curato. Il cancello era aperto, così lo aprii seppur con titubanza e seguii la stradina fatta di mattoncini grigi che portavano fino ad una veranda costruita in legno.
Non smisi un attimo di fissare quella porta, nervosa. Alla fine mi decisi e bussai due volte e un attimo dopo mi trovai davanti una ragazza dai lunghi capelli rossi e dagli occhi da cerbiatto che mi scrutavano incerti.
« Desidera? » Mi domandò, guardandomi con fare curioso.
« Oh... io... » mugugnai delusa: ero davvero convinta di trovare Killian, lì dentro. « Mi dispiace, devo aver sbagliato casa. » Feci imbarazzata, girando i tacchi e allontanandomi velocemente.
Richiusi il cancello alle mie spalle e cominciai ad andarmene. Guardai l'anello, che adesso tenevo sul pollice destro, visto che le altre dita erano troppo piccole per indossarlo. Mi aveva portato lì, quindi Killian non doveva essere troppo lontano, ero sulla strada giusta, non dovevo perdere la speranza.
« Ci vediamo domani, Hook. »
« A domani, e grazie ancora del passaggio. »
Mi bloccai nell'udire quelle voci, soprattutto l'ultima che avrei riconosciuto fra altre mille. Mi girai in tempo per vedere una macchina nera mettere in moto e andare via, e poi eccolo lì: Killian Jones, capitan Hook.
I suoi occhi blu si posarono su di me nello stesso istante in cui gridai il suo nome.
« Killian! »
Sorrisi entusiasta, finalmente l'avevo trovato, non potevo credere ai miei occhi. Gli corsi incontro, buttandogli le braccia al collo. Mi era mancato abbracciarlo, chiudere gli occhi e perdermi nel suo profumo.
Ma c'era comunque qualcosa che non andava in quella situazione, come un orribile presentimento.





Note dell'autrice:
 Eccomi di nuovo qui ^^ avrei voluto postare prima, ma i professori devono sempre ricordarci che non siamo degni di avere una vita all'infuori della scuola  :') Ma torniamo alla storia! Sono sincera, il capitolo non mi fa impazzire eccessivamente. A dirla tutta volevo finirlo con Ariel che diceva di non aver trovato nulla che riconducesse a Killian, ma poi sarebbe stato cortissimo, e quiiindi eccoci a Londra :D Sono piuttosto eccitata perché questo segna l'inizio della storia vera e propria, dal prossimo capitolo comincerete ad avere le idee più chiare :)
Per ora è tutto, rigrazio tutti quelli che hanno recensito e aggiunto la storia tra le preferite/seguite. Non immaginavo foste così in tanti, davvero. Grazie di cuore, spero di non avervi deluso in alcun modo. Un bacio a tutti ♥

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Capitolo 3
*** Everything has changed ***


3. Everything has changed




La mano sinistra gli stringeva le spalle, la destra si perdeva nei suoi capelli scuri, gli occhi chiusi, esausti, il viso rilassato. Non potevo davvero credere di essere riuscita a scovarlo. Ad essere sinceri, dopo aver pensato al globo magico, si era rivelato tutto piuttosto semplice: l'anello, e la pozione di Gold, mi avevano condotto da lui, e adesso potevo nuovamente stringerlo a me.
Eppure c'era qualcosa che non mi quadrava. Non lo riconoscevo, lo sentivo diverso, cambiato. Una settimana passata lontano dalla persona che si amava non poteva modificare alcun tipo di sentimento, quello mi sembrava abbastanza ovvio e scontato.
E allora perché non ricambiava quell'abbraccio?
Se ne stava lì, inerme, come spiazzato.
Ci stava lo stupore, potevo capirlo, ma il Killian che conoscevo non avrebbe perso tempo e mi avrebbe catturata tra le sue braccia, mi avrebbe preso il viso fra le mani e avrebbe gustato il sapore delle mie labbra.
Girò appena la testa verso di me, lanciandomi un'occhiata.
« Ci conosciamo? »
Due parole. Due semplicissime parole, che mi fecero crollare il mondo addosso nel giro di un secondo.
Aprii gli occhi, spaesata, e mi staccai leggermente.
« Killian... stai scherzando, vero? Sono io... »
Lo osservai attentamente: gli occhi smarriti, la fronte aggrottata, la bocca semi aperta non davano l'impressione di uno che stesse scherzando. Si portò lentamente una mano fra i capelli, grattandosi appena il capo. Mi squadrava dalla testa ai piedi, sembrava cercasse di non tralasciare nessun dettaglio. I suoi occhi cielo si immersero nei miei, verdi smeraldo. Si incontrarono di nuovo, a distanza di sette giorni. Sembrava si vedessero per la prima volta. Avvertii una scossa, lui non fece una piega.
« Io... mi dispiace, credo di non ricordarmi di te. »
Il mio cuore perse un battito. No, non potevo credere a quello che ascoltavo. Neanche Gold era tanto crudele. O forse sì? Forse era anche capace di peggio? Dovevo aspettarmelo, dovevo conoscerlo.
« Killian, sono Emma. » Affermai speranzosa, accarezzandogli la guancia con le dita. Un gesto che non dovevo fare. Lo sentii irrigidirsi, alzò un sopracciglio e con la mano mi prese il polso, allontanandolo dal suo viso. Prese un respiro profondo e mi guardò serio.
« Senti, non so come tu faccia a conoscermi- » Con un gesto deciso, alzai velocemente la mano destra, più o meno alla stessa altezza della sua bocca, per zittirlo. Me l'avvicinai poi alla tempia, massaggiandomela lentamente e socchiudendo appena gli occhi. Come facevo a conoscerlo, mi chiedeva. Non credevo di avere le forze per affrontare quel discorso, però dovevo comunque provarci.
Riaprii gli occhi e ritrovai il suo sguardo fisso su di me. Ebbi l'impulso di baciarlo, subito, senza troppi giri di parole. I miei occhi si posarono sulle sue labbra, ma sapevo che dovevo trattenermi. Se il bacio non avesse funzionato, sarebbe stato peggio. Ricordavo come avevo reagito io, quando mi aveva baciata dopo essersi presentato alla mia porta, a New York, per la prima volta. Lo avevo preso per un maniaco, lui mi avrebbe preso per una schizzata. Scossi la testa per abbandonare quel pensiero.
« Ascolta, so che adesso non riesci a ricordare, ma devi fidarti di me, o almeno provarci. » Non disse niente, mi lasciava parlare e basta. Non era un cattivo segno, pensai, almeno mi stava dando una possibilità quando avrebbe potuto allontanarmi facilmente. « Noi ci conosciamo da tempo, ne abbiamo passate veramente tante insieme. » Alzò un sopracciglio, cominciava a fidarsi meno e questo fece scattare una sorta di allarme nella mia testa che mi mandò in panico. « Per quanto ti risulta impossibile da credere, tu non sei di queste parti. »
« Ma davvero? » Commentò ironico, mostrandomi un sorriso sghembo. Stavo sbagliando tutto, ma l'ansia non mi permetteva di ragionare come avrei voluto.
« Non ti ricordi chi sei... » cercai di continuare, capendo, ancora una volta troppo tardi, che non avevo usato le parole migliori che potessi trovare.
« Io lo so chi sono! » Esclamò allora lui, visibilmente irritato. Stava cominciando a stufarsi di me, ebbi il sospetto che stesse pensando di portarmi in ospedale per farmi controllare. Dio, ero negata per quelle cose. Ero brava a trovare le persone, il mio talento iniziava e finiva lì, convincerle di essere in realtà qualcun altro non rientrava nelle mie capacità. Probabilmente non rientrava nelle capacità di nessuno. Eppure Killian ce l'aveva fatta, era riuscito a mettermi nella testa abbastanza dubbi da farmi prendere la pozione della memoria. Avrei tanto voluto essere come lui, avere la sua testardaggine. Mi avrebbe sicuramente aiutata a mantenere il sangue freddo in quella situazione.
« Tu sei Killian Jones- » provai, prima di essere interrotta.
« Sul serio? Credevo di essere Sherlock Holmes! » Ora faceva il sarcastico, davvero divertente Jones.
« Ho passato l'ultima settimana a cercarti senza sosta. Sei molto più di questo, guardati dentro. Tu sei Hook, ti chiamano tutti così per via dell- » uncino, avrei voluto dire, peccato che le parole mi morirono in gola non appena gli ebbi scoperto il braccio sinistro.
« Moncone, già. » Completò lui la frase per me, guardandomi preoccupato. Ero rimasta come pietrificata, mentre continuavo a darmi della stupida. Cosa mi aspettavo? Di vederlo andare in giro per Londra, tutto tranquillo, con un uncino affilato al posto della mano? Gold aveva pensato a tutto, probabilmente avrei dovuto aspettarmi anche dell'altro. « Mi chiamano tutti in quel modo dal college, divertente no? » Aggiunse poco dopo, facendomi tornare in me. College, con quanti altri ricordi falsi avrei avuto a che fare? Ero terrorizzata, le gambe cominciarono a tremare. Non smettevo di fissarlo, ma nel mentre indietreggiavo, decisa ad allontanarmi il più possibile da lui, almeno per il resto di quella giornata.
Distolsi finalmente lo sguardo e mi girai, dandogli le spalle. Non dissi niente, la mia mente era troppo impegnata a disperarsi e pensare ad un altro piano per riportarlo da me.
L'obiettivo non era più quello di riportarlo a Storybrooke, a casa, ma quello di fargli ricordare di me. Mi domandai se fossi in grado di trovare una soluzione e una vocina nella mia testa cominciava a darmi della povera illusa.
La vista mi si annebbiò per qualche istante. Portai la mano destra sugli occhi, me li strofinai appena e li riaprii. Sembravo stare meglio.
Barcollai e mi aggrappai al cancello a pochi passi da me. Non riuscivo a reggermi in piedi, all'improvviso le mie gambe non si dimostravano più in grado di sopportare il peso del corpo.
« Emma? »
Killian mi chiamò e mi girai all'istante. Aveva una mano tesa verso di me e un'espressione sinceramente preoccupata. Si mosse per raggiungermi, deciso ad aiutarmi e sorrisi istintivamente, prima di crollare a terra, vinta dalla stanchezza e dallo stress.


*Killian Pov*


« Emma! »
La chiamai ancora una volta, urlando, mentre scattai di corsa verso di lei, vedendola mentre le forze la abbandonavano. Mi chinai verso di lei, scostandole qualche ciocca di capelli che le era andata sul volto e la girai mettendola a pancia sopra. Mi sedei sulle ginocchia mentre la prendevo tra le mie braccia, inerme.
« Ehi, ehi Emma! Emma! »
La scuotevo con insistenza ma non si decideva a riprendersi, ad aprire gli occhi e a guardarmi ancora una volta con quelle iridi verdi che celavano sofferenza.
« Maledizione! »
Solamente io potevo ritrovarmi in una situazione del genere. Andiamo, quante persone potevano affermare di essere usciti di casa, un giorno, per recarsi al lavoro e di ritrovare, al ritorno, una sconosciuta che ribatteva di saperne più di loro, che per di più perdeva i sensi, lasciandoli di conseguenza nel panico più totale? “Ad occhio e croce” pensai “direi nessuno. Congratulazioni, Killian, vinci il premio per l'uomo più fortunato dell'anno”.
Non sapevo chi fosse, né come facesse a conoscermi, benché meno come mi avesse trovato. Ma era successo e dovevo ammettere di essere piuttosto curioso dal conoscerne di più.
La presi in braccio, il che non risultò molto semplice per via della mia unica mano, e mi tirai su lentamente: non l'avrei comunque mai lasciata lì a terra, senza prestarle il minimo soccorso, sarebbe stato da barbari.
Con la spalla destra aprii il cancello, chiudendolo subito dopo con la medesima gamba. Arrivato davanti la porta di casa mi resi conto dell'impossibilità di recuperare le chiavi dalla tasca interna della mia giacca, così, stando attento a non lasciar cadere la ragazza, stringendola di più a me, con il gomito suonai il campanello.
« Killian! Cos'è successo?! » Mi domandò la rossa che comparve da dietro la porta, osservando me e la ragazza che avevo in braccio, sbigottita.
« Mi è svenuta davanti, dovevo soccorrerla. » Risposi con semplicità, dando per scontato l'ovvietà della cosa.
Mi diressi velocemente al piano di sopra, stando bene attento a dove mettevo i piedi e a salire le scale lentamente, così da non rischiare di spaccare l'osso del collo a me e alla bionda. Nel mentre, l'altra ragazza mi seguiva come fosse la mia ombra, ponendo domande a cui io, però, non rispondevo, nel vano tentativo di capirci qualcosa.
Raggiunsi la camera degli ospiti -ora sì che quella camera si dimostrava avere una qualche utilità- che si trovava proprio accanto alla mia, vi entrai e adagiai la ragazza sul letto.
« Fai piano, Hook. Attento alla testa. » Mi sentivo rimproverare, mentre la rossa corse ad aiutarmi come meglio poteva.
« Rose, calmati, faresti agitare perfino un morto! » Ribattei io, guardandola spazientito. Lei sbuffò, allontanandomi visibilmente irritata, prima di cominciare a tastare il corpo della sconosciuta.
« Non sembra aver riportato traumi o fratture, hai detto che non ha battuto la testa, vero? »
« In realtà non l'ho detto, comunque no, non l'ha fatto. » Affermai, poggiandomi alla parete, portando il peso del corpo sulla spalla, incrociando le braccia al petto e osservando la scena: ormai non mi restava da fare più niente.
« Beh, si sveglierà presto. Probabilmente ha perso i sensi per via dello stress. A proposito, si era presentata qui poco fa, sembrava abbastanza agitata. La conosci? » Feci spallucce e scossi la testa, omettendo il fatto che lei si ostinava ad affermare il contrario. Rose sorrise appena « Devo andare a prepararmi, stai tu qui con lei? » Annuii e la osservai uscire dalla stanza.
Mi guardai intorno, non entravo quasi mai in quella stanza, spesso dimenticavo quante cianfrusaglie tenevo lì dentro. Puntai la scrivania e mi diressi verso di essa, prendendo la sedia che le stava accanto. La portai affianco al letto e mi ci sedei a cavalcioni, incrociando le braccia allo schienale e poggiando il mento su di esse.
Osservavo quella strana ragazza in silenzio, domandandomi da dove spuntasse fuori. Non l'avevo mai vista in giro e, seppur Londra fosse una città enorme, ero certo che non fosse quello il motivo per cui il suo volto non mi risultava familiare. Era americana, ne ero certo, il suo accento non mi lasciava il minimo dubbio.
Aveva dei lineamenti delicati, i capelli biondissimi e gli occhi grandi e color dello smeraldo. Gambe lunghe, di certo non messe in risalto dai jeans che indossava, infilati dentro degli stivali marroni. Stivali che in quel momento teneva sulla mia trapunta a quadri blu, cosa che mi fece fare una smorfia, ma cercai di non pensarci visto che non era stata lei a programmare ciò.
Era senz'altro una bella ragazza, l'avevo pensato fin da subito. Prima di trovarla abbastanza irritante per i suoi modi. Continuava a dire di conoscermi da tempo, ma ero certo che non fosse così. Continuavo a sforzarmi di ricordare, ma il suo viso non mi diceva nulla. Sapeva il mio nome, ma quello non voleva dire niente.
E mi era anche saltata addosso! Non avevo fatto in tempo a girarmi verso di lei che mi aveva circondato con le sue braccia.
E lì c'era stata quella scossa. Come un brivido, come un segnale mandato dal mio corpo per farmi capire che un pizzico di verità nelle sue parole c'era.
Era per quello che cercavo di notare un qualche dettaglio che riportasse a galla un qualsiasi ricordo di lei, ma non ci riuscivo, era come se qualcosa me lo impedisse.
« Killian, vado a lavoro. Ci vediamo più tardi? » Alzai la testa, una volta finito di pensare a quelle stupidaggini e mi girai verso Rose.
« Ma certo, tesoro, vedrò di farti trovare una bella cenetta per quando tornerai. » Mi sorrise, si avvicinò e mi lasciò un bacio sulla fronte prima di uscire in fretta e furia dalla stanza.
Ascoltai i suoi passi che scendevano le scale di corsa, la porta che si apriva e si chiudeva subito dopo, il motore della sua auto che veniva messa in moto. E poi silenzio.
Tornai a concentrarmi sulla ragazza. Sembrava così indifesa, in quel momento dov'era priva di sensi. Eppure avevo riconosciuto una certa luce negli occhi, la luce di una vera guerriera.
Chinai leggermente il capo e sospirai. Il mio sguardo cadde su un distintivo che teneva attaccato alla cintura dei pantaloni, non lo avevo notato prima. Mi sporsi appena per osservarlo meglio, più da vicino. “Sceriffo”, questo c'era scritto. Un'informazione in più che cominciava a farmi capire qualcosa.
Non feci in tempo ad allontanarmi che un tremito scosse il suo corpo.
« Mh... » mugugnò, catturando appena la mia attenzione. « Killian » chiamò il mio nome.
« Emma » pronunciai, allora, il suo, con una spontaneità che mi disarmò: solamente chiamarla per nome, in quel momento, mi era suonata come la cosa più naturale che potessi fare nella mia vita.


*Emma Pov*


Sentivo come un martello colpirmi senza sosta sulla testa, il corpo incredibilmente pesante. “Questa è la punizione per aver passato le ultime notti insonni” mi rimproverai, portando una mano sui miei occhi chiusi, provavo fatica solo ad aprirli.
« Emma »

Mi irrigidii ed aprii lentamente gli occhi. La figura sfocata di Killian Jones mi osservava preoccupata, seduta a cavalcioni su una sedia accanto al mio letto. Amavo il suono della sua voce che chiamava il mio nome, sembrava essere fatto apposta per essere detto da lui soltanto.
Piano, piano cominciai a metterlo a fuoco, e con lui anche il resto della stanza dove mi trovavo. Non ero a casa mia, il letto dove ero sdraiata non era il mio, così come l'intera camera. Cominciai a ricordare di quello che era successo nelle ultime ore: il globo magico, il viaggio, Londra, l'incontro con Killian.
Rumpelstiltskin gli aveva cancellato non solo il ricordo di me, ma quello di Storybrooke, dei suoi abitanti e, peggio, della sua vita da pirata, Neverland, Milah, forse persino di suo fratello Liam. Lo guardai con una smorfia, dispiaciuta, confusa e, soprattutto, imbarazzata per le cose che gli avevo detto prima. Avevo agito nel modo sbagliato, non dovevo mettergli subito in testa l'idea di vivere una vita che non gli apparteneva, sarebbe stato meglio raggirarlo, come prima cosa. Mi domandai cosa pensasse di me, mentre mi guardava senza proferire parola. Sicuramente non dovevo avere tutte le rotelle apposto, secondo il suo parere. Me lo meritavo, alla fine. Io stessa prendevo tutti per pazzi durante il mio primo periodo a Storybrooke.
« Sei svenuta, proprio qui fuori, così ti ho portato dentro. » Interruppe il silenzio che si era creato, abbozzando un mezzo sorriso. Neanche lui sapeva come comportarsi con me, glielo si leggeva perfettamente in faccia.
« Ehm, grazie. » Affermai incerta, mettendomi a sedere in una posizione decisamente più comoda per parlare. Abbassai lo sguardo, puntandolo verso le mie mani giunte, cominciando a torturare il labbro inferiore. Forse era meglio che dicessi qualcosa, tanto per fargli capire che non ero completamente pazza. « Scusami per prima, per aver detto quelle cose. Non dormo da giorni, sai. La stanchezza mi ha giocato un brutto tiro. » Alzai lo sguardo per un secondo, incurvai appena gli angoli delle labbra verso di lui e tornai a studiarmi le mani.
Killian non distolse neanche per momento lo sguardo da me, e questo mi faceva sentire piccola come una formica. Non sapevo che idea si stesse facendo, ero certa che si stesse interrogando su come agire: far finta che non fosse successo niente o affrontare l'argomento.
« Eri impegnata in un caso importante? »
Evidentemente aveva optato per la prima opzione. Lo guardai, comunque, interdetta, non capendo bene a cosa si riferisse.
« Scusami? » Feci, sperando potesse spiegarsi meglio.
« Hai detto che non chiudi occhio da giorni, e sei uno sceriffo... avevi un'indagine importante fra le mani? »
« Come sai che sono uno sceriffo? »
« Dal distintivo, ovviamente. » Rispose prontamente, indicandolo con l'indice destro e con un cenno del capo. Guardai istintivamente la mia cintura e lo trovai lì: me ne ero completamente dimenticata.
« Ah, giusto. » Commentai a mezza voce, senza smettere di osservare un certo luccichio nel distintivo. « Comunque sì, in un certo senso. » Dissi incerta, mi sembrava ancora una situazione surreale quella che stavo vivendo.
Tornai a guardarlo, aprii la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non mi uscì niente. Rimasi quindi a fissarlo, solo questo. Si grattò per qualche attimo la testa, non sapendo neanche lui in che modo cominciare un qualche discorso.
« Io... ti preparo un caffè, vuoi? O preferisci un té? Un latte caldo? Una tisana? » Cominciò a chiedere a raffica, alzandosi di scatto.
« Oh, no, grazie. Non voglio niente, non disturbarti. » Affermai tranquilla, scuotendo anche la testa per fargli capire che non ne avevo bisogno.
« Andiamo, hai bisogno di prendere qualcosa, ti aiuterà a recuperare le energie. Cosa preferisci, quindi? »
Mi sorrise sincero. Non lo aveva ancora fatto da quando l'avevo rivisto. Sentii qualcosa nello stomaco, come un fuoco che, improvvisamente, si era acceso senza il mio consenso. “Mi è mancato il tuo sorriso, Killian”.
« Beh... prenderei volentieri una cioccolata calda, ma, davvero, non devi disturbarti tanto, io mi sento già meglio. »
« Una cioccolata? » Si accigliò. Era una richiesta tanto strana, la mia? Mi rabbuiai nuovamente, ora arrivava a guardarmi in modo strano solo se al caffè preferivo della cioccolata. « Va bene, scendo a preparartela subito. » Così dicendo uscì dalla stanza, senza neanche darmi il tempo di ringraziarlo.
Mi guardai intorno, spaesata. La stanza non era molto grande, ma era disordinata quasi quanto la mia. La scrivania di legno era sepolta da una montagna di fogli, per la maggior parte strappati o accartocciati. Ai piedi del letto, a una piazza e mezza, c'era un tappeto dello stesso colore della coperta su cui ero seduta: blu. Sul comodino alla mia destra vi erano poggiati tre libri, li presi subito, senza esitare, curiosa: “Il cacciatore di teste” di Nesbø, “Il codice Da Vinci” di Brown e, quello che mi fece sorridere più di tutti, “Il corsaro nero” di Salgari. Immaginai Killian leggere anche solo uno di quei libri e, no, proprio non ce lo vedevo. Li rimisi al loro posto, cercando di nascondere una smorfia. L'armadio, anch'esso in legno, era semi aperto, mi alzai per dargli un'occhiata e rimasi delusa vedendo che fosse quasi completamente vuoto. Trovai solamente tre felpe, due paia di jeans, una camicia bianca e quattro t-shirt. Tutto completamente diverso dall'abbigliamento che indossava solitamente il Killian che conoscevo. Presi un respiro profondo e mi guardai intorno un'altra volta. Notai addirittura una chitarra, anche se dubitavo la suonasse ancora. Ancora? Mi stavo bevendo il cervello, per caso? Non l'aveva mai suonata prima, qualsiasi ricordo avesse di quell'oggetto era completamente falso!
Non riuscivo a restarmene lì dentro, da sola, ad osservare la finta vita dell'uomo che amavo, così uscii dalla camera, decisa a raggiungerlo in cucina. Pessima idea, anche quella, visto che i mobili che trovai lungo il tragitto erano pieni di foto: una lo ritraeva da bambino, vestito da marinaretto, una canna da pesca in mano e un sorriso orgoglioso mentre mostrava un pesce; un Killian adolescente, con lo zaino in spalla e una mano fra i capelli; e poi eccolo, decisamente più adulto, mentre abbracciava una ragazza. La guardai meglio: capelli rossi, occhi color nocciola, qualche lentiggine, le gote leggermente arrossate. Era la stessa tipa che mi aveva aperto la porta per la prima volta. Spalancai gli occhi sbigottita, non ero pronta a una notizia del genere. Non poteva essere fidanzato, Gold non poteva farmi una cosa del genere o lo avrei ucciso io stessa con le mie mani.
Indietreggiai appena e scossi la testa, non dovevo trarre delle conclusioni prima del tempo, probabilmente si sarebbero rivelate poi sbagliate. Afferrai la ringhiera alla mia sinistra e scesi le scale. Le pareti bianche erano piene di quadri di vario genere.
Arrivai in cucina e vi trovai Killian, con una tazza fumante in mano che mi guardava sorpreso.
« Emma, stavo salendo a portarti la cioccolata. »
Feci spallucce. « Mi ero stancata di stare a letto. » Dissi semplicemente. Si trovava dietro un bancone da cucina, così lo raggiunsi, sedendomi su uno dei quattro sgabelli posizionati davanti ad esso.
Presi la tazza con raffigurata la bandiera inglese tra le mani e osservai il contenuto, delusa. Niente panna, niente cannella. Incredibile come una semplice cioccolata calda potesse cambiarmi così tanto l'umore. O forse era quello che c'era dietro quella cioccolata.
« Qualcosa non va? » Mi domandò, scrutandomi dritto negli occhi, cercando di decifrare la mia faccia.
« No, niente. Di solito la prendo con della panna e una spruzzata di cannella, ma non fa niente. Di certo tu non potevi saperlo. » Commentai cercando di risultare normale e di non far notare la mia amarezza.
Soffiai appena sulla cioccolata fumante e ne presi un sorso, mentre lui si preparava un caffè.
« Killian » lo chiamai, attirando la sua attenzione. Lo vidi mentre girava appena, appena la testa nella mia direzione, guardandomi con la coda dell'occhio « Posso farti una domanda? »
« Non me l'hai appena fatta? » Fece lui, sarcasticamente. « Dimmi. »
« Posso chiederti chi era la ragazza che c'era prima in casa? » Domandai incerta, preferendo non guardarlo.
« Chi, Rose? » Chiese di rimando, rendendosi poi conto che di certo non potevo rispondere a quella domanda « Roseline Smith, anche se tutti noi la chiamiamo semplicemente Rose, ti ha dato una controllata veloce, prima, dopo che sei svenuta, per assicurarsi che stessi bene. E' un medico, sai. O meglio, un medico legale... autopsie e cose del genere. » Mi spiegò, mettendo il caffè sul fuoco e girandosi a guardarmi, la mano poggiata sul bancone alle sue spalle. « Stiamo insieme da una vita. »
Il mondo mi crollò nuovamente addosso per la seconda volta in quella giornata.
Non potevo credere a quello che avevo sentito.
Non solo Gold lo aveva spedito dall'altra parte del mondo, non solo gli aveva cancellato la memoria, non solo gli aveva riempito la testa di ricordi falsi, gli aveva trovato anche una finta ragazza. Realizzai che l'uomo doveva aver pensato ad ogni dettaglio già da molto tempo, intenzionato com'era a vendicarsi di Killian. A vendicarsi di me.
Ma c'era dell'altro.
« Ci sposiamo fra un mese. »
Riuscivo quasi a sentire la risata isterica del coccodrillo, nonostante si trovasse oltreoceano.



Note dell'autrice: buonanotte buonasera lettori :) Spero di non essermi fatta odiare troppo, adesso che la trama generale è stata finalmente spiegata, anche se la maggior parte di voi ci aveva visto giusto già da un po' di tempo. Ci troviamo con un Killian leggermente diverso da quello a cui siamo abituati (ci ho pensato su, e ho deciso di non andare troppo OOC, niente situazione alla Belle/Lacey, per capirci, anche se l'idea mi ha stuzzicato e non poco xD), senza memoria e promesso sposo (sono stata un po' stronzetta, me ne rendo conto). Non ho molti altri appunti da fare, solo vi avverto che in settimana avrò molto da studiare, quindi non so se riuscirò a scrivere/postare il quarto capitolo, anche se farò di tutto per riuscirci, al massimo ci 'vediamo' fra due settimane ;) Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, grazie mille per le recensioni, siete troppo buone :D
Ah, e buon (?) finale di stagione, preparate i fazzoletti che credo ce ne sarà molto bisogno ç_ç
Un bacio a tutti :*



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Capitolo 4
*** Strangers in the night ***


4. Strangers in the night




« Voi vi... sposate » ripetei lentamente, neanche mi aspettassi di essere corretta, potevo benissimo vederla, nella mia mente, una scena del tipo: “Sposarci? Cosa? No, tesoro, sei matta? Hai capito male!”
Illusa. Stupida. Idiota.
O forse cercavo solamente di memorizzare quelle parole nel mio cervello.
Mi trovavo in una specie di shock emotivo, ne stavano succedendo tante, troppe, di cose, tutte insieme e temevo di esplodere da un momento all'altro. Letteralmente esplodere, non solo metaforicamente.
Una batosta così grande l'avevo avuta solo una volta accettato il fatto di essere la Salvatrice. Ma non era la stessa cosa. In quel caso, pensavo di non essere la persona giusta per una missione del genere, avevo soltanto paura di deludere le aspettative delle persone che mi circondavano e risultare inutile nella ricerca del loro lieto fine. Ma non era niente a che vedere con quello che provavo in quel momento.
Ci ero già passata con Neal, in effetti, quando mi aveva confessato di stare per sposare Tamara. Con l'unica differenza che lì si trattava della realtà. Sì, lei lo ingannava, ma i sentimenti di lui erano veri. E poi, per quanto mi sentissi estremamente legata ancora all'uomo, la nostra storia era finita da un pezzo.
La situazione di Killian era diversa.
Lui mi era stato strappato via così, all'improvviso, senza una spiegazione, per una semplice ripicca. Gli era stata riempita la testa di menzogne, gli erano stati portati via i ricordi di un'intera vita, e gli erano stati sostituiti con altri, falsi.
Non potevo permetterlo, lui non meritava neanche la metà di quello che gli era capitato.
« Sì, fra un mese » ripeté lui, senza accorgersi della mia occhiata smarrita e del mio tono di voce devastato « Rose ultimamente è parecchio nervosa per via dei preparativi » diceva mentre si versava il caffè in una tazza color blu cobalto « Se dovesse sembrarti scorbutica, beh, sappi che non è sempre così. » Scherzò tranquillo, rivolgendomi un sorriso, prima di avvicinare le sue labbra alla tazza che teneva in mano.
Gli sorrisi di rimando, incurvando appena le labbra per un secondo e rivolgendogli un cenno con il capo.
Inspirai profondamente e volsi lo sguardo da un'altra parte. Il grande orologio da parete indicava le 17:09, si stava facendo tardi e non sapevo neanche dove potermi fermare per la notte visto che non avevo messo in conto di restare troppo a lungo a Londra, troppo ottimista del fatto che non ci sarebbero state complicazioni nel riportare Killian a Storybrooke.
Il cellulare cominciò a squillare e lo tirai velocemente fuori dalla tasca dei jeans. Era mia madre, probabilmente preoccupata di non avere ancora mie notizie dato che non avevo chiamato nessuno neanche una volta scesa dall'aereo.
Sfiorai appena il tasto rosso che chiudeva la chiamata e riposi l'oggetto al suo posto. Lanciai una rapida occhiata a Killian, dopodiché tornai a bere la mia cioccolata calda, quel poco che ne era rimasta. Dovevo alzarmi e andarmene, dovevo stare lontana da quella casa almeno per un paio d'ore, il tempo necessario per permettermi di ragionare sugli ultimi avvenimenti e di trovare una soluzione.
Il telefono squillò nuovamente: era Regina. Rifiutai ancora la chiamata, questa volta più scocciata. Già li vedevo, tutti riuniti nel loft a chiedersi il perché di quel mio comportamento. Sentivo quasi Regina darmi della stupida bambina.
« Sembra proprio che qualcuno abbia bisogno di te. » Commentò il ragazzo che aveva cominciato ad osservarmi circospetto.
« Oh, non puoi neanche immaginare quanto. » Commentai fra me, riferendomi velatamente a lui. Per fortuna non colse affatto quella mia allusione.
« Emma » mi chiamò. Mi girai e lo guardai per qualche istante, aspettando che parlasse. Ma se ne stava zitto, forse alla ricerca delle giuste parole da utilizzare.
« Killian. » Pronunciai il suo nome con tono di sfida, esortandolo a sputare fuori tutto quello che gli passava per la testa. Dovevo sapere cosa pensasse di me. Dovevo sapere se mi credesse pazza o che altro.
« Come fai a conoscermi? »
Sgranai gli occhi ed aprii leggermente la bocca, ma nessun suono uscì da essa. Ero alla disperata ricerca di parole, quelle più giuste ed adatte, ma la verità era che non ce ne erano, non esistevano. La verità era che non potevo ricominciare a raccontargli la storia di una cittadina chiamata Storybrooke, dove i suoi abitanti altri non erano che i personaggi delle fiabe più famose. Non potevo. A mente più lucida me ne rendevo conto benissimo, dovevo prima guadagnare la sua fiducia e, in quel momento, non mi sentivo in grado di farlo.
In silenzio, posai la tazza della cioccolata sul bancone da cucina. Tirai indietro lo sgabello sul quale ero seduta e mi alzai di scatto. Forse anche troppo velocemente, tanto che barcollai appena e mi girò la testa per un attimo.
Mi ressi alla parete bianca al mio fianco, accarezzandone la superficie e chiusi gli occhi per riprendermi.
« Stai di nuovo male?! » Fece lui avvicinandosi di corsa verso di me, posando la mano sulla mia spalla destra. Un brivido percorse la mia schiena a quel contatto, sbarrai gli occhi, pur tenendo lo sguardo basso e cercai di respirare normalmente. « Forse è meglio se ti porto da un medico per farti visitare, Rose torna per cena, ma non credo comunque che possa farlo lei. »
Mi scansai e scossi la testa. Non stavo male fisicamente, nessun dottore poteva guarirmi, mi avrebbero solamente visitata e mi avrebbero detto che non avevo niente che non andava. Nessuno avrebbe potuto vedere l'immenso spacco che avevo sul cuore. Lo avevo sentito spezzarsi quando Killian non mi aveva riconosciuta e la ferita non faceva altro che aumentare ogni volta che sentivo nominare la sua fantomatica ragazza. Rose, Rose, Rose. Avevo già la nausea del suo nome.
« Sto bene, non è nulla » cercai di dire, allontanandomi appena e puntando la porta: non vedevo l'ora di uscire da lì.
« Non stai bene per niente, almeno vai a stenderti per qualche minuto nella camera degli ospiti, e poi, magari, possiamo parlare di quello che è successo prima. » Mi aveva afferrata per il braccio e mi aveva costretto a voltarmi, ma io cercavo in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo o sarebbe stato impossibile andarmene.
« No » ribattei con un tono decisamente più forte « Vado in albergo, ho prenotato una camera prima di venire qui. Ma ci rivedremo. E ti spiegherò ogni cosa, te lo prometto. » Dissi tutto velocemente, senza mai riprendere fiato, mi divincolai dalla sua presa e scappai via. Sì, beh, scappare era proprio la parola più adatta per descrivere quello che stavo facendo.
Mi rimproveravo soprattutto per avergli mentito, io che davo tanto peso alle bugie, che dicevo di non tollerarle. Non sapevo quante altre ne avrei dette, ma sapevo che una volta tornato da me avrebbe capito.
Il cellulare ricominciò a suonare, ancora una volta lo presi esasperata: era nuovamente mia madre. Rifiutai ancora una volta la chiamata e impostai la modalità “silenzioso”, così da non essere più disturbata. Il fatto era che non volevo parlare con nessuno, non mi sentivo pronta ad ammettere ad alta voce quello che Gold aveva fatto e decisamente non impazzivo all'idea di sentire gli altri, dall'altro capo del telefono, con le loro stupide rassicurazioni e discorsi sulla speranza.
Speranza, in quel momento non ne vedevo la minima traccia, forse troppo scoraggiata dall'accaduto. Sentivo anche un immenso bisogno di piangere, ma cercavo di trattenermi, anche per non essere guardata con pena dalla gente che mi passava accanto.
Li vedevo, tutti loro, e li studiavo. Ragazzine che parlottavano ridacchiando tra di loro, coprendosi la bocca con le mani, come a voler proteggere chissà quale segreto dalle occhiate dei passanti. Ragazzi che le osservavano, tenendosi a debita distanza da loro, lo skateboard sotto le braccia, il sorriso sornione e furbo. Un bambino, seduto sulle spalle del padre che lo reggeva forte tenendolo per le gambe, rideva entusiasta sentendosi un gigante, talvolta gridando parole di gioia, che non comprendevo, verso la madre che avanzava a passo lento dietro di loro, guardandoli però con un sorriso intenerito, come si guarda lo spettacolo più bello del mondo. Una signora anziana rimproverava quello che aveva l'aria di essere suo marito, mormorava qualcosa sui cinquant'anni di matrimonio passati insieme, lui che si grattava la testa, dove l'unico colore che risaltava era il bianco, e le sussurrava di non aver mai smesso di amarla per tutto quel tempo.
Crollai a sedere sulla prima panchina che mi capitò a tiro, poggiai i gomiti sulle ginocchia e mi presi la testa fra le mani, sporgendomi in avanti. Tutte quelle immagini mi avevano fatto provare del dolore atroce, erano tutte pugnalate inferte al cuore senza un minimo di pietà, a continuare di quel passo ne sarebbero rimaste solo qualche briciola.
Alzai la testa e mi rilassai, poi, contro lo schienale della panchina. Guardai il cielo grigio sopra di me e mi sembrò la fotografia più triste di quella giornata. Risi sarcasticamente a quel pensiero: con tutto quello che era successo e che mi stava succedendo, andavo a leggere la tristezza in un normalissimo cielo grigio. Tornai seria, dicendomi che probabilmente stavo solamente riflettendo i miei sentimenti in quel fenomeno atmosferico.
Sospirai. Cominciai a sentire freddo e mi strinsi meglio nelle spalle. Forse quel misero giubbotto di pelle non era l'ideale per il clima perennemente invernale di Londra. Speravo solo di non doverci fare l'abitudine.
La gamba destra continuava a vibrare senza sosta, per via del cellulare che tenevo nella medesima tasca. Non avevano mai smesso di cercarmi, sembravano non volermi lasciare in pace.
Lo presi: quella volta era Regina. Risposi, non potendo ignorarli ancora a lungo.
« Regina. » Affermai in tono di saluto, anche se la mia voce faceva trasparire perfettamente il mio stato d'animo.
« Swan, che diavolo succede?! Cerchiamo di rintracciarti da ore. Perché non hai risposto alle chiamate? Hai trovato il pirata? Sta bene? Non potevate aspettare a recuperare il tempo perso? Potevi almeno mandare un messaggio, Cristo! Eravamo preoccupati! »
La donna parlava a raffica, non si fermava neanche per riprendere fiato. E urlava, tanto che dovetti più volte allontanare il telefono dall'orecchio o mi avrebbe resa sorda nel giro di pochi minuti. Mi massaggiai la tempia sinistra, chiudendo per un secondo gli occhi, mentre i rimproveri di Regina Mills non accennavano a voler terminare.
Certo, mi dispiaceva averli fatti preoccupare, ma dovevano capire che non ero dell'umore adatto per parlare con qualcuno, chiunque fosse stato.
« Regina... » cercai, invano di fermarla, volevo dirle tutto, dell'incantesimo, del mio fallimento, del mio sentirmi spaesata. Avrebbe senz'altro capito e, sicuramente, avrebbe perdonato ogni mia chiamata rifiutata.
« No, Swan, non ho ancora finito! » Continuò la donna, con tono fermo e deciso. Lo stesso tono con cui si rimprovera un bambino, ed io non ero di certo una bambina. « Sono stata tutto il giorno nel loft con i tuoi genitori, esclusivamente per Henry, e mi sono dovuta sorbire ogni più piccola preoccupazione di tua madre, che faceva poi stare in ansia tutti noi. Spero che tu abbia una buona scusa. Una scusa migliore del classico “sono stata in pena per lui, mi era mancato troppo”. »
« Non sa chi sono. »
Silenzio. Regina non parlava e stessa cosa facevo io. Non c'era altro da dire, tutto si riassumeva alla perfezione con quelle poche parole: non si ricordava di me, non sapeva chi ero.
« Non capisco se non ti spieghi meglio, Emma. Di che stai parlando? »
Ancora silenzio. Non riuscivo a spiegarmi meglio, non riuscivo a raccontarle nel dettaglio di quello che stava succedendo. Volevo farlo, ma mi stava risultando difficile. E mi sentivo stupida, mentre guardavo un punto indefinito davanti a me, mordendomi il labbro inferiore.
« Swan! » Mi riscossi, inspirai profondamente e cercai la forza di ammettere una volta per tutte che fosse tutto vero: che sì, Killian Jones non si ricordava più di me, grazie a Gold che gli aveva costruito una nuova vita.
« Hook non si ricorda più di me, Regina » dissi, reprimendo a stento un singhiozzo « Gold non solo lo ha spedito fin quaggiù, ma gli ha anche lanciato un maleficio. Non sa di essere il personaggio di una favola, non sa niente della sua vita da pirata, non sa di Storybrooke, non sa di noi. »
« Oh, Emma... »
« Aspetta, fammi parlare che già mi risulta complicato » la bloccai, se avesse cominciato a dispiacersi per me non sarei riuscita a continuare « Ha usato il tuo stesso incantesimo, gli ha creato una nuova vita, gli ha messo in testa nuovi ricordi. Regina... Regina devi spezzare quest'incantesimo, ti prego. » Qualche lacrima mi scappò dal controllo, mentre la supplicavo, anche se facevo di tutto per mantenere la voce il più ferma possibile.
« Emma non posso farlo, non è così semplice. » Annuii tra me, consapevole che lei non poteva vedermi. « Posso preparare una pozione della memoria, però. Con Belle ha funzionato. »
Finalmente tornai a sorridere, sincera. Mi ero subito buttata giù e non avevo ragionato per bene, come al solito. Mi chiesi come avevo fatto a non pensare prima a quella soluzione, dovevo smetterla di pensare sempre al peggio e cominciare a considerare ogni possibilità. Certo, dopo gli ultimi tiri mancini di Gold, non era neanche detto che la pozione avrebbe risolto ogni cosa. Mi rabbuiai ancora.
« Regina, se non dovesse funzionare? »
« Vorrà dire che ci inventeremo qualcos'altro, Swan. Ogni incantesimo ha la sua scappatoia, dovresti averlo imparato. »
« Hai ragione. » Dissi solamente. Dovevo smetterla di avere tutti quei dubbi, dovevo pensare positivo e, soprattutto, dovevo crederci davvero. Sarebbe stato tutto più semplice, o almeno così diceva mia madre. Restava il fatto che la sua “speranza” non mi aveva aiutato poi molto, negli ultimi tempi.
« Funzionerà Emma. Devi solo aspettare che trovi tutti gli ingredienti, la prepari e te la porti. Smettila di farti troppi problemi, abbiamo affrontato di peggio. Far tornare la memoria ad un pirata sarà una barzelletta al confronto. »
« Ho paura, Regina. Ho paura di perderlo. »
« Non lo perderai, te lo prometto. » Sentii la voce della donna addolcirsi. « Siamo noi stessi gli artifici del nostro lieto fine, ricordi? » Sorrisi ancora una volta. « Non perdere la speranza, sta vicina a Hook e il resto verrà da sé. »
« Grazie Regina, davvero. E mi dispiace di avervi fatto preoccupare tanto. »
« Non devi neanche dirlo Swan, avevi bisogno di stare da sola con i tuoi pensieri. » Sapevo che avrebbe capito. « Mi chiedo solo come abbia fatto Gold. »
« Beh, lo sai di chi parliamo. Trova sempre un modo per arrivare al suo scopo. »
Parlai con Regina per vari minuti. Non di Hook, era chiaro ad entrambe che mi serviva un attimo di distrazione, così mi parlava di Henry, di quello che era successo a Storybrooke nelle ultime ore: mio padre aveva portato Will da Granny's e lui si era scusato pubblicamente con la donna, con Ruby e con Ariel per il comportamento che aveva avuto; Robin e Roland si erano trasferiti ufficialmente a casa di Regina e, inoltre, Zelena cominciava a mostrarsi dispiaciuta (anche se sia io che Regina eravamo convinte fosse solo una messa in scena ideata per potersene andare in giro liberamente).
Mi fece bene parlare di altro, distrarmi completamente, ma poi giunse il momento di tornare alla realtà.
Chiusi la chiamata, riposi il cellulare in tasca e cominciai a sentirmi nuovamente vuota. Mi trovavo in una città che non conoscevo, piena di gente che non conoscevo. Non sapevo neanche dove andare, il sole stava calando e io cominciavo ad avere fame.
Mi avvicinai ad un signore che sembrava avere la sola intenzione di gustarsi in pace il tramonto e gli domandai se conoscesse un posto tranquillo dove mettere qualcosa sotto i denti. Mi consigliò il “Moon on the hill” e cercò di spiegarmi la strada il più dettagliatamente possibile.
Per fortuna fu piuttosto semplice trovare il locale e, una volta entrata, ordinai subito un hot dog e degli anelli di cipolla con una birra, prima di andare a sedermi al tavolo più nascosto che ero riuscita a scovare.
Finalmente un po' di pace, potevo starmene per conto mio, gustarmi la mia cena e pensare a quale scusa rifilare a Killian, così da non farmi prendere per una...
« Stalker. Sei una stalker, ammettilo. »
Alzai la testa spaventata, non riuscendo a nascondere un piccolo sobbalzo. Killian mi guardava con una smorfia divertita, in mano una bottiglia di birra, addosso una tshirt verde (e la cosa mi fece immensamente uno strano effetto) e dei jeans.
« Killian » esclamai sorpresa di ritrovarlo lì. Dovevo avere un'espressione ebete dipinta sul volto, perché lui trattenne a stendo una risata « Cosa diavolo ci fai qui?! »
« Buffo che tu me lo chieda » cominciò a dire, mentre tirava indietro una sedia sotto il mio sguardo, ancora stupito, e prendeva posto esattamente di fronte a me « stavo per farti la stessa domanda. Anzi, credo di avere più diritto io nel chiederti come tu sia finita qui, con tutti i locali che ci sono a Londra. Mi stai pedinando? » Il suo volto era rilassato e la sua espressione divertita, questo allentò la tensione.
« Certo che no! » Feci scandalizzata.
Portò la bottiglia di birra alle labbra e ne bevve un sorso, senza distogliere lo sguardo dal mio, studiandomi, forse, cercando di capire di più su di me, soltanto lanciandomi un'occhiata. Cercai con ogni modo di non guardarlo, nonostante sentissi i suoi profondi occhi azzurri puntati su di me che mi entravano dentro, in qualche modo, e questo mi fece arrossare le guance. O forse era dovuto al forte riscaldamento che c'era nel locale.
Concentrai la mia attenzione su un anello di cipolla che spezzai a metà, per poi portarmene un pezzo in bocca. Quando rialzai lo sguardo lui non aveva cambiato espressione, era sempre lì con quel suo ghigno, ad osservarmi.
« Cosa?! » Domandai allora, spazientita.
« Mi dici chi sei, adesso? » Chiese lui, serio ma comunque rilassato. Non c'era durezza nella sua voce, era il tono di un ragazzo che voleva semplicemente capirci di più.
« Emma Swan. » Risposi in un mormorio, cercando di sviare la domanda. Cominciai a dare un morso all'hot dog, nella vana speranza di fargli capire che non mi andava molto di parlare.
In realtà ero agitata, mi sentivo molto una ragazzina che andava in panico per il primo appuntamento col suo ragazzo. Peccato che quello non era affatto un appuntamento e non sapevo neanche se potevo ancora considerare Killian come mio ragazzo. Quella situazione mi confondeva, e i suoi occhi fissi su di me non mi aiutavano.
Mi resi conto che non baciavo le sue labbra da una settimana. Per giorni mi ero chiesta se mai l'avrei rifatto di nuovo e, adesso che ce l'avevo lì davanti, ancora non avevo trovato risposta.
Gli lanciavo occhiate rapide di tanto in tanto, per verificare se aveva, in qualche modo, cambiato obiettivo e si fosse girato a guardare da un'altra parte, ma ogni volta che alzavo la testa lui era nella stessa posizione in cui l'avevo lasciato. Se ne stava in silenzio e non faceva altro se non scrutarmi e sorridere tra sé, bevendo ogni tanto un sorso della sua birra. Mi snervava, forse voleva solo tastare la mia pazienza, inconsapevole di quanta poca ne avessi.
Ingoiai il quarto morso del panino e mangiai subito un altro anello di cipolla, mantenendo gli occhi fissi sul tavolo rosso e bianco.
« Dovresti riprendere fiato tra un boccone e l'altro. » Osservò lui, rompendo quel silenzio che regnava da qualche minuto. Alzai la faccia e lo fulminai con lo sguardo, stanca.
« Cosa vuoi realmente, Killian? » Gli domandai non potendo più sopportare un altro secondo di quella strampalata situazione, dove entrambi cercavamo di girare intorno a come mi ero comportata non appena l'avevo visto.
« Voglio sapere chi sei. » Rispose senza nascondere un certo tono autoritario, cercando invano di intimidirmi.
« Te l'ho già detto. »
Riabbassai nuovamente la testa e tornai a concentrarmi sul piatto pieno di cibo che avevo di fronte. Feci per prendere un altro anello di cipolla, ma lui fu più rapido e mi bloccò, affermandomi il polso. Trattenni il fiato a quel gesto e restai a guardare per qualche secondo la sua mano ferma. Quando mi decisi ad alzare gli occhi, notai che stava facendo lo stesso, ma subito dopo le sue iridi blu tornarono ad immergersi nelle mie.
« Chi sei, Emma Swan? Da dove vieni? »
Il suo sguardo mi penetrava e mi risultava difficile continuare ad evitarlo ancora a lungo, così cercai di non pensare al mio polso stretto tra la sua mano e tentai di rispondere.
« Il mio nome è Emma Swan, come hai già intuito sono uno sceriffo e vengo da Storybrooke. » Dissi, facendogli capire che avevo deciso di collaborare, svuotando finalmente il sacco, ma comunque decisa a non rivelargli ogni cosa, almeno per ora.
« Storybrooke? » Fece lui confuso, facendomi annuire appena con il capo.
« Sì, è una piccola cittadine nel Maine dove non succede mai niente di eclatante » informazione più che falsa « Dubito che tu ne abbia mai sentito parlare. »
« No, infatti » sentenziò « E so anche cosa ci fai qui. » Mi si mozzò il fiato e mi si gelò il sangue nell'udire quelle parole. Che avesse scoperto che ero lì per riportarlo a casa? In qualche modo aveva intuito cosa eravamo? Aveva indagato e aveva trovato tracce di un passato sconosciuto? « Ti ha fatta venire il mio capo, vero? »
Aggrottai la fronte, non capendo.
« Come? »
« Il mio capo, Montgomery. » Piegai appena il capo, in un'espressione interrogativa. « Sono un detective di Scotland Yard, credevo lo sapessi. »
« Tu sei cosa?! » Ero più che sconcertata, la trovavo una cosa impossibile. Avevo ormai perso il conto di quante notizie bombe mi ero ritrovata a sentire nel corso di una singola giornata.
« Un detective, e ho un caso importante fra le mani a cui non riusciamo, io e la mia squadra, a venire a capo. Montgomery starà via per qualche settimana, ma prima di partire mi aveva assicurato che avrebbe contattato la giusta persona per trovare quei criminali. » Mi spiegò, osservandomi questa volta con aria di sfida. Provai a comprenderlo, immaginando che fosse un po' un'umiliazione, per lui, ritrovarsi ad essere aiutato da un'altra persona per un caso che non riusciva a risolvere da solo.
« Ho uno spiccato talento per trovare le persone. » Dissi piano, quasi lo sussurrai. Nella mia testa pensavo a tutt'altro, pensavo al vecchio Killian, al pirata che agiva d'istinto e che pur volendo fare la cosa giusta, la maggior parte delle volte si ritrovava a commettere degli errori. « Non ti ricordi proprio di me, vero? » Mormorai in seguito, a denti stretti. Aggrottò appena la fronte e poi scosse la testa.
« No, mi dispiace. Puoi dirmi dove mi hai conosciuto? » Era la prima volta che la metteva come una richiesta educata e capii che era il momento di tirare fuori la balla più grande che potessi trovare, seppur a malincuore.
« Noi... » cominciai a dire, lasciando il discorso a metà. Noi cosa? Noi stavamo insieme? Ci amavamo? No, non potevo fargli questo. Lo avrebbe confuso ancora di più. Decisi di optare per una strada più semplice, una strada che non gli avrebbe permesso di pormi domande scomode. « Noi ci siamo diplomati insieme. So che sono passati davvero tanti anni, ma credevo ti ricordassi ancora di una vecchia amica. »
Rimase colpito da quella rivelazione e lo osservai mentre si sforzava in tutti i modi di ricordarsi di me, di una ragazzina dai capelli biondi e dagli occhi verdi, ma sapevo che non avrebbe trovato nessun ricordo.
« Mi sembra di ricordare un ballo » mugugnò, pensieroso « avevi i capelli raccolti ed eri vestita di rosso. » Spalancai la bocca, ascoltandolo. Sapevo che fosse esclusivamente opera di Gold, che gli aveva ficcato in testa delle immagini di un lui adolescente, che ballava insieme a una ragazza bionda, mai più vista né sentita.
« Sì, esatto. Il ballo di fine anno. » Mi ritrovai a dire, stupendomi di me stessa.
« Beh, non te la prendere con me! Siamo entrambi cresciuti e cambiati. Non avrei mai potuto riconoscerti. »
« Ma io ti ho riconosciuto. » Scherzai facendolo scoppiare a ridere, cosa che mi riempì il cuore di gioia.
« Sì, l'hai fatto. » Disse, sorridendo appena. « Ricordo di essere uscito con il minimo dei voti. Non mi piaceva studiare a quel tempo, odiavo la scuola per via di tutti quei bulletti che non facevano altro che prendermi in giro dopo l'incidente. » Alzò la mano con il moncone, con una smorfia rassegnata.
« Prendevano in giro anche me » affermai « troppo difficile accettare una ragazza che era stata adottata più e più volte. » Mi guardò sinceramente dispiaciuto.
« Mi dispiace, non lo sapevo. »
« Lo so. » Mormorai cupa, ma poi mi aprii in un sorriso, non volevo passare il resto della serata a deprimermi. Finii la mia birra e ne ordinai altre due, una per me e una per Killian. Lui prese subito la sua e ne bevve un gran sorso. Lo osservai per tutto il tempo. « Non dovresti essere a casa dalla tua fidanzata? Si starà chiedendo che fine tu abbia fatto. »
« In effetti avevamo in programma di cenare insieme, ma dovrà trattenersi a lavoro ancora per qualche ora e credo che poi se ne andrà dritta a casa a riposare. » Lo guardai pensierosa per un attimo.
« Voi.. voi non vivete insieme? » Domandai, convinta del contrario.
« Oh, no. Mi aveva detto di trasferirmi da lei, in città, ma a me piace starmene tranquillo, non credo di voler abbandonare casa mia. »
« E dopo il matrimonio cosa farete, vivrete in case separate? » Chiesi sarcasticamente, ricevendo una fitta al cuore non appena pronunciai la parola 'matrimonio'.
« Per il matrimonio cercherò di convincerla a venire da me. Sa che non sono molto amante della città e della confusione. » Annuii leggermente, disegnando cerchi invisibili sul tavolo con l'indice destro. « Tu sei sposata, o fidanzata, Emma? » Mi domandò ad un tratto. Ci pensai su.
« E' complicato. » Risposi, alzando le spalle. “Non immagini quanto”.
Chiacchierai con Killian per un'ora, forse per due, principalmente a parlare fu lui e io mi limitavo ad ascoltare, curiosa di conoscere il più possibile di quella sua nuova vita.
« Si è fatto tardi! » Esclamò ad un tratto e io non potei non girarmi verso il grande orologio rotondo appeso alla parete. « Sarà meglio tornare a casa. Tu... ti accompagno in hotel? » Scossi piano la testa.
« No, tranquillo. Aspetterò un taxi. » Risposi, trafficando con il cellulare che avevo tirato fuori in precedenza, per dare la buona notte ad Henry.
« Sei sicura di avere un posto dove passare la notte, vero? Guarda che non ho nessun problema ad ospitarti, c'è la camera degli ospiti che è sempre vuota... non è un disturbo. »
« No, no. Tranquillo, davvero non preoccuparti. Ho prenotato una camera, te l'ho detto. » Dissi, alzando la testa per un secondo, incurvando le labbra in un timido sorriso fatto esclusivamente per rassicurarlo.
Non fece obiezioni e prima di uscire dal locale pagò anche per me, non dopo un lungo battibecco dove cercavo di impormi a pagare almeno la mia parte.
Mi ritrovai nuovamente sola e mi resi conto una volta per tutte di non sapere dove andare. Chiesi al ragazzo dietro al bancone quale fosse il Bed&Breakfast più vicino, ringraziandolo dopo che mi ebbe anche chiamato un taxi. Raggiunsi il posto ma uscii subito dopo: tutte le camere erano occupate. Il taxista conosceva un altro posto, così mi ci portò, ma neanche lì ebbi successo. Entrai ed uscii in altri due Bed&Breakfast, prima di focalizzare nella mente quello che mi era successo quando prima volevo lasciare Storybrooke e quando, poi, volevo abbandonare la ricerca di Lily. Che c'entrasse il destino, anche in quel caso?
Rientrai sconsolata dentro al taxi e gli diedi indicazioni per la casa di Killian. Non mi sentivo tranquilla lì dentro, non mi sentivo a casa, ma se non volevo passare la notte sotto un ponte ero costretta ad accettare il suo invito.
Pagai la corsa al taxista, aprii il cancello perennemente aperto e suonai al campanello, notando poi come tutte le luci fossero spente, sintomo che con ogni probabilità l'uomo era già a letto. Mi aprì poco dopo, il petto scoperto mi fece tornare la voglia di abbandonarmi alla passione e di baciarlo con foga, ma distolsi lo sguardo e mi soffermai alla sua espressione stupita.
« Emma! » Esclamò.
« Killian. » Feci io. « La camera degli ospiti è ancora disponibile? »
Mi sorrise appena, facendosi quindi da parte per lasciarmi entrare in casa.







Note dell'autrice:
Ed eccomi qui, buon salve a tutti lettori :) Ammettetelo, dopo aver visto il finale di stagione cominciate ad odiare il mio un po' meno :P DarkSwan, aah, ormai era nell'aria da un po' ma non oso comunque immaginare cosa ci aspetta! Devo anche ammettere di esser stata in qualche modo ispirata da questo finale, vedrò come far evolvere le cose, non temete ;) (o forse sì?)
Questo capitolo è piuttosto tranquillo, vediamo lo stato d'animo disturbato di Emma e veniamo a conoscenza di qualche piccola informazione in più di questo nuovo Killian. Inoltre, c'è già il prospetto di risolvere questa situazione con l'aiuto di Regina. E poi sta per cominciare non solo una collaborazione lavorativa tra i due, ma anche una convivenza e credo che ne vedremo delle belle! :D
Mi dispiace siano passati tanti giorni dall'altro capitolo, ma la scuola ormai ha la priorità e mancando meno di trenta giorni agli esami non ho molto tempo per scrivere ç__ç ma per farmi perdonare vi ho regalato queste sette pagine di word piene piene (non so se sia un bel regalo, in genere io preferisco capitoli lunghi, non so voi LOL)
Per ora è tutto, ringrazio tutte le persone che recensiscono e che continuano ad aggiungere la storia alle seguite/preferite/ricordate, non sapete quanto mi rendete felice :)
Per chi volesse, vi lascio il link del mio nuovo contatto twitter: http://twitter.com/ehisuperpippo
Un bacio, a presto ♥

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Capitolo 5
*** Silent insecurities ***


5. Silent insecurities



*Killian Pov*

Steso a pancia in sopra sul mio letto, le mani dietro la testa, guardavo il soffitto in silenzio, nella vana speranza di prendere sonno.
In realtà l'impresa si rivelava più che impossibile, tutto colpa della mia mente che vagava senza freno, riuscivo quasi a captare le rotelle dentro al mio cervello che non smettevano di correre veloci, impedendomi, quindi, di rilassarmi.

Non riuscivo a smettere di chiedermi se avessi fatto la cosa giusta nell'ospitare, senza farmi troppi problemi, in un primo momento, una ragazza di cui non sapevo, oggettivamente, nulla. Mi era sembrata la cosa giusta da fare, considerando che, come avevo intuito già più volte, quella non aveva un posto dove andare e passare la notte. Di certo non potevo permettere che una ragazza si ritrovasse a dormire in qualche angolo della strada, magari su una panchina, come una qualsiasi senzatetto.
Mi era sembrata una cosa naturale, una buona azione, non c'era niente di male nell'aiutare il prossimo, no?
E allora perché non riuscivo a smettere di pensare che, nella stanza accanto alla mia, c'era una sconosciuta che dormiva beata sul mio letto?
C'era una sola parete a dividerci, un muro sottile che lasciava ascoltare qualunque respiro provenisse dall'altra parte, se ci si concentrava bene.
Mi alzai e cominciai a girare nervoso per la camera. Tutta quella situazione mi rendeva irrequieto e non perché temessi che quella ragazza fosse nient'altro che una pazza, magari anche ladra. O meglio, per un momento mi ero domandato se ci fosse qualcosa sotto, mi era sembrato tutto fin troppo assurdo, ma poi avevo accantonato quell'idea dalla mente: sicuramente Emma Swan aveva tenuto molte informazioni per sé, ma ero abbastanza convinto che non lo avesse fatto per scopi tutt'altro che buoni.
La realtà era che sentivo come la necessità di tenerla vicina. Non riuscivo a spiegarmi né come e né, soprattutto, perché, ma dal momento in cui i miei occhi si erano specchiati nei suoi, mi ero sentito in qualche modo legato a quella misteriosa ragazza.
Avevo passato l'intera giornata a farmi domande sul suo conto, agitandomi, talvolta, quando nessun ricordo veniva a galla. Durante il tragitto a piedi dal pub a casa, non avevo fatto altro che pensare alle sue parole: diceva di essere una vecchia amica, dei tempi della scuola, eppure mi sembrava di non aver mai avuto una Emma Swan nella mia vita. Piccoli flash di momenti passati in compagnia di una ragazzina bionda. Questo era tutto quello che avevo e non ero neanche sicuro che quella ragazzina fosse la donna che mi ero trovato davanti così all'improvviso.
Non potevo fare altro che fidarmi.
Questa era un'altra cosa buffa.
Io, che nella mia vita avevo deciso di porre la mia fiducia in pochissime persone, quali erano la mia Rose e la squadra di Scotland Yard che mi affiancava nelle indagini ormai da cinque anni, sceglievo di fidarmi di una sconosciuta, e questo perché sentivo che potevo farlo, c'era come qualcosa di invisibile che mi assicurava che non mi avrebbe deluso.
Semplici sensazioni che semplicemente non riuscivo a spiegarmi.
Me ne stavo davanti la finestra, perso nei miei pensieri, braccia incrociate al petto scoperto, lo sguardo rivolto al cielo, alla luna, alle stelle. Ce ne erano sempre state due più luminose, le più alte a destra, una risaltava più dell'altra. Mi incantavo sempre ad osservarle, neanche fossi un bambino privo di qualsiasi tipo di preoccupazione.
Fui riscosso da quei pensieri dai fari di una macchina che si avvicinava lentamente, facendosi strada nel buio, e andava a fermarsi proprio davanti al cancello di casa mia.
Pochissimi istanti dopo, ecco vibrare il mio cellulare, facendo risuonare il suono nel silenzio della notte, entrando in contatto con la fredda e dura superficie del legno del comodino su cui era poggiato.
Sorrisi di rimando, capendo subito cosa stesse succedendo. Con una smorfia divertita dipinta sul volto, presi il telefono e osservai l'ultimo messaggio ricevuto, per niente sorpreso dal nome che lessi.
Rose: Sei sveglio?
Veloce, digitai la risposta.
Dipende da chi mi cerca...
Premetti invio e sorrisi soddisfatto, tornando alla finestra giusto il tempo di vederla scendere dalla sua auto e avanzare con passo fiero e sicuro di sé.
Scesi al piano di sotto, aprii la porta e me la ritrovai tra le braccia.
« Giornata pesante » annunciò in un sussurro, dopo avermi lasciato un bacio fugace sulle labbra « Mi dispiace di non essere venuta a cena. »
Per tutta risposta le presi il viso tra le mani e la baciai con passione, accarezzandole poi i capelli rossi, raccolti in un fermaglio che aveva comprato ad un mercatino dell'usato solo una settimana prima. Chiusi la porta con un calcio leggero e, velocemente, la sollevai tra le braccia, facendole scappare un risolino, deciso a portarla in camera da letto.


*Emma Pov*


Mi girai sul fianco destro, disturbata dalla flebile luce che arrivava dalla finestra. Lenta, mi passai una mano sugli occhi, consapevole del fatto che, una volta sveglia, avrei dovuto cominciare a fare veramente i conti con la nuova vita di Killian Jones.
Aprii piano gli occhi, prima il sinistro e, successivamente, il destro, strizzandoli subito dopo, infastidita dalla luce. Continuai a strofinarli con una mano fino a quando non mi fui completamente abituata ai pochi raggi del sole che entravano in quella stanza così disordinata.
Mi rizzai a sedere, mantenendo con una mano la coperta calda contro il mio petto, infreddolita. Avevo dormito mezza nuda, praticamente: avevo lasciato addosso solamente una maglietta bianca che mi aveva prestato Killian, che era all'incirca il doppio di me e mi copriva metà coscia. Dovevo assolutamente comprare dei vestiti o avrei passato le giornate al Londra con gli stessi indumenti con i quali ero arrivata e, francamente, non era un'idea che mi allettava tanto. Speravo solamente che Regina non ci impiegasse troppo nel trovare tutti gli ingredienti e preparare una pozione della memoria, mi aveva assicurato che aveva bisogno solamente di qualche giorno e non potevo fare altro che affidarmi alle sue parole.

Mi grattai appena la testa con la mano sinistra, pensierosa, mentre la destra era beatamente poggiata sul materasso morbido. Non riuscivo a sentire il minimo suono, il silenzio regnava in quella casa. Mi voltai verso la finestra e notai come il sole non fosse ancora alto. Presi la sveglia poggiata sul comodino affianco al letto: segnava le sei meno un quarto.
Sbuffai, non avevo sonno, sicuramente non sarei riuscita ad addormentarmi e, come se non bastasse, era prestissimo, Killian probabilmente si trovava ancora nel mondo dei sogni e io mi ritrovavo, quindi, sola in una casa sconosciuta.
Decisi di avere decisamente bisogno di un bel bagno caldo. Avevo notato la piccola vasca solo la sera prima e, sul momento, mi sembrava la cosa migliore che potessi fare per ingannare l'attesa, per rilassarmi e per distendere i nervi.
Mi alzai dal letto sicuramente più motivata ed uscii dalla camera, chiudendo la porta alle mie spalle. Meccanicamente girai lo sguardo in direzione di quella che era la stanza di Killian: anche lì la porta era chiusa, cercai quindi di fare meno rumore possibile, camminando in punta di piedi.
Mi chiusi in bagno, girando poi la chiave che trovai già infilata nella serratura della porta. Aprii l'acqua calda, sorridendo tra me come una bambina non appena vi ci gettai dentro del bagnoschiuma. Mi immersi, quindi, nella vasca, decisa a non pensare più a niente almeno per quei pochi minuti.
Non sapevo come sarebbe stato, affrontare Killian quella mattina, cercare di ripartire da zero, fingere interesse per un caso che non avremmo mai risolto davvero dato che saremmo tornati presto a Storybrooke.
Poi c'era quella ragazza, quella Rose, non avevo la più pallida idea di come mi sarei dovuta comportare con lei, non sapevo cosa pensare. Alla fine non mi aveva fatto nessun torto. Alla fine era lei quella usata come marionetta da Gold. Lei era vittima quanto me e Killian di quell'assurda situazione.
Improvvisamente, mi ritrovai a pensare che non avevo fatto altro che mostrarmi debole e non solo nelle ultime ore. Lo ero stata fin da quando Killian era scomparso sotto i miei occhi, colpito dall'incantesimo. Non avevo fatto altro che chiudermi in me stessa, piangere non appena mi trovavo da sola, farmi trovare con gli occhi arrossati da chiunque venisse a cercarmi e prendermela con i miei cari ogni volta che facevamo un buco nell'acqua. E Killian ancora non aveva conosciuto la donna forte e sicura di sé che lo aveva fatto innamorare, non potevo permettere che pensasse di aver a che fare con una debole. “Da oggi si cambia musica, Emma” mi dissi.
Poggiai la testa contro la superficie bianca della vasca, le braccia distese su di essa. Chiusi gli occhi e per un attimo mi sentii a casa. Forse dovevo permettere ad Henry di accompagnarmi, almeno non mi sarei trovata da sola. O ancora meglio, potevo far venire mio padre con me, avrebbe saputo come aiutarmi e infondermi sicurezza.
Riaprii gli occhi nel momento in cui la maniglia si abbassò, sobbalzai e cercai di coprirmi con la schiuma come meglio potevo, dimenticando come una sciocca che avevo chiuso la porta a chiave.
« Esco subito, Killian! » Gli urlai mortificata, non credevo che si sarebbe svegliato tanto presto. Ecco, era solo il primo giorno di 'convivenza' e già gli rovinato la routine che si era creato, andavo davvero alla grande.
« Tranquilla, fai con comodo. » Mi rispose lui, restando dall'altra parte.
Restai in silenzio ed ascoltai i suoi passi mentre si allontanava, ero certa che fosse sceso al piano di sotto, probabilmente intento a preparare la colazione.
Mi sciacquai velocemente, il senso di pace ormai si era interrotto ed ero stata riportata inevitabilmente alla realtà, una realtà che continuava a non piacermi per niente.
Uscii dalla vasca e mi guardai intorno spaesata, rendendomi conto subito di aver dimenticato i miei vestiti in camera, abbandonati su una sedia. Mi morsi un labbro maledicendo la mia sbadataggine, presi un asciugamano e me lo legai intorno al corpo, aprii la porta e, stando attenta a non scivolare, mi diressi verso la stanza degli ospiti. Una volta lì, mi ritrovai a guardare ovunque e in ogni angolo, ma dei miei vestiti non vi era traccia.
« Hook. » Mormorai tra me, sicuramente c'era lui dietro a tutto quello, dei vestiti non se ne andavano a passeggio... non in un mondo privo di magia almeno! « Killian! » Cominciai a chiamarlo, mentre scendevo le scale di corsa, reggendomi con la mano destra alla ringhiera di legno per non rischiare di fare un bel ruzzolone, con i piedi ancora leggermente bagnati.
Non feci in tempo a girare l'angolo, decisa a raggiungere l'uomo in cucina, che me lo ritrovai addosso. Come se non bastasse, per lo scontro scivolai e mi preparai mentalmente a ritrovarmi con il sedere per terra. Cosa che non successe, grazie ai riflessi pronti di Killian, che mi afferrò al volo per i fianchi e mi tenne stretta a sé. Istintivamente, posai le mani sulle spalle muscolose di lui, accorgendomi poi che neanche si era rivestito, indossava ancora i pantaloni del pigiama che gli avevo visto la sera prima, se ne restava ancora con il petto scoperto, nonostante la temperatura a Londra non fosse delle più alte. Alzai lo sguardo e trovai il suo a pochi centimetri dal mio, avevamo la stessa espressione stupita. Aprii la bocca per dire qualcosa, per formulare una qualsiasi frase, anche un semplice “grazie” andava bene, ma le parole mi morivano in gola.
« Ho portato la colazion- » nessuno dei due aveva sentito la porta spalancarsi, benché meno ci eravamo accorti dell'arrivo di Rose, che adesso ci osservava spiazzata, con occhi e bocca spalancati per lo stupore. « Che diavolo sta succedendo qui?! »
Io e Killian ci lasciammo andare entrambi nello stesso istante. Volsi lo sguardo da un'altra parte, imbarazzata. Mi ressi subito l'asciugamano con la mano destra, ricordandomi solo in quel momento di essere mezza nuda.
« Non è per niente come sembra Rose » cominciò a dire Killian, muovendo qualche passo verso di lei.
« Perché, a te come sembra, Killian? » Lo rimbeccò lei, con tono di sfida. Lui sbuffò spazientito, mentre la rossa aveva posato i suoi occhi, ridotti a due fessure, su di me. Spaesata, mi girai a guardare Killian.
« Io... ehm, non trovavo le mie cose, quindi... insomma mi servono dei vestiti! » Esclamai, possibile che non ci era arrivato già da prima?
« Oh sì, direi che sia il caso. » Commentò Rose esasperata, continuando a guardarmi torva.
Killian parve riscosso, sentendo le mie parole e concentrò l'attenzione su di me.
« Oh, ho visto che avevi lasciato i vestiti in camera, credevo fossero sporchi » mormorò grattandosi il capo « in camera c'è un cassetto con delle cose di Rose, sono sicuro che a lei non darà fastidio. » Mi girai a guardarla e non parve molto entusiasta dell'idea, ma comunque non disse niente.
Presi quell'informazione come un invito a lasciare la stanza e, senza farmelo ripetere una seconda volta, corsi al piano di sopra, mentre i due cominciavano a litigare. Sentivo Rose chiedere delle informazioni su di me e Killian cercare di rassicurarla sul fatto che non sarei rimasta in quella casa per molto tempo. “Questo è poco ma sicuro” pensai, mentre mi chiudevo dentro la stanza dell'uomo, poggiando la schiena contro la porta. Le urla arrivavano ovattate, fino a quando i toni di voce non si abbassarono e non potei sentire più quello che si stavano dicendo.
Chiusi gli occhi e sospirai, scossi poi la testa e cominciai ad aprire ogni cassetto che trovai davanti a me, alla ricerca di vestiti che potessi indossare. Finalmente trovai quello che cercavo: tirai fuori un paio di jeans scuri e un maglioncino nero con il girocollo e li indossai velocemente. Tornai nella camera degli ospiti e indossai i miei stivali, ancora ai piedi di un letto pulito e ordinato. Aggrottai la fronte, osservandolo. Killian doveva aver messo in ordine la stanza mentre io ero nella vasca.
Arricciai il naso ed indossai gli stivali, poi ritornai al piano di sotto, in cucina, dove trovai Killian e Rose intenti a fare colazione.
« Eccola qui! » Esclamò l'uomo rivolgendomi un sorriso. “Eccola” pensai, stava a significare che non avevano mai smesso di parlare di me. Restai ancora un po' sulla porta, scrutando con la coda dell'occhio Rose, decidendomi se dovevo scusarmi o meno. Ma scusarmi per cosa poi? Non avevo fatto nulla di male. « Direi che sia meglio cominciare dalle presentazioni: Rose, lei è Emma ed Emma, lei è Rose. » La ragazza si alzò dalla sedia e mi venne incontro, porgendomi la mano. La guardai per un secondo prima di decidermi a stringerla.
« Scusa se sono stata scortese prima » cominciò a dire lei, spiazzandomi leggermente « Killian ieri sera non mi aveva detto di averti offerto un posto dove dormire. »
« Già, ero concentrato su altro » commentò lui, lanciandole uno sguardo languido. Il mio respirò si fermò, ma cercai di non darlo a vedere.
« Ero uscita presto questa mattina per prendere la colazione... ti ho lasciato la mia parte, mangerò andando a lavoro. » Continuò quella, senza tener conto delle battutine dell'altro, rivolgendomi anche un sorriso. Non capivo se la sua era solo una parte per non sfigurare davanti a Killian, o se davvero era dispiaciuta per come aveva reagito poco prima. Cercai anche di usare il mio famoso superpotere, ma la ragazza appariva più che sincera, con quei suoi occhi dolci e quel suo sorriso timido.
« Ehm, grazie. » Affermai debolmente, mentre entrambi, io e Killian, la osservavamo raccogliere la sua borsa e il suo cappotto, pronta ad uscire. Si girò nuovamente verso di me e mi osservò in modo cortese.
« Starò a lavoro per qualche ora, poi, se ti va, posso accompagnarti a comprare qualche vestito. Killian mi ha detto che sei arrivata a Londra sprovvista di qualunque cosa. »

Annuii silenziosa prima che me ne potessi rendere conto. La ragazza dai capelli rossi uscì dalla casa e io cominciai a chiedermi cosa mi fosse passato per la mente, accettando il suo invito.

*****

Aiutai Killian a riordinare la cucina e, insieme, preparammo anche il pranzo. Gli inglesi, imparai per mia sfortuna, non erano soliti mangiare molto durante quel pasto, quindi ci limitammo a fare dei semplici sandwich, mentre io già pregustavo la cena che mi aspettava quella sera: Killian mi aveva promesso di portarmi a mangiare il miglior Fish&Chips di tutta Londra. Beh, portare me e Rose, a dirla tutta, e quella parte del piano non mi allettava particolarmente, a voler essere sinceri.
Tra l'altro non potevo fare a meno di pensare che di lì a poco mi sarei dovuta incontrare con lei per far spese, anche se per il momento ero riuscita a rimandare quell'uscita, visto che la donna ci aveva avvertito che a lavoro ci avrebbe messo più del previsto.
Così eravamo usciti io e Killian e già avevo comprato un paio di magliette.
« Due paia di pantaloni e poi basta, okay? Tanto fra qualche giorno, massimo una settimana, me ne sarò tornata a casa. » Dissi convinta, uscendo dall'ennesimo negozio. Odiavo far compere, cosa molto insolita per una ragazza, la noia provata mentre indossavo degli indumenti davanti ad uno specchio batteva di gran lunga la piacevole compagnia di Killian.
« Qualche giorno? Sei davvero un'ottimista. » Commentò lui mentre camminavamo tra i negozi, le mani nelle tasche dei pantaloni, lo sguardo dritto davanti a sé.
« Come? » Domandai senza capire a cosa si riferisse.
« Il caso, non è così semplice. Io ci lavoro da settimane e non ho raccolto il minimo indizio. Non credere di partire così velocemente, abbiamo molta strada da fare prima. »
« Ah già, il caso. » Mormorai tra me, abbassando appena lo sguardo. « A proposito, non mi hai ancora accennato niente al riguardo. »
« Preferisco non parlarne adesso, non si è mai troppo prudenti per queste cose. Domani scoprirai ogni dettaglio. »
« Domani? »
« Sì, da domani vieni a lavoro con me. Ti troverai bene con la squadra, vedrai. » Affermò, girandosi finalmente a guardarmi e rivolgendomi un sorriso, che ricambiai.
« Perfetto. » Commentai, non mi dispiaceva staccare la spina per un po' da perfide streghe, terribili maghi e quant'altro. Ora mi appariva tutto come un gioco da ragazzi. « Mi dispiace di averti messo nei guai con Rose, stamani. » Mi ritrovai a dire di punto in bianco.
« Non è colpa tua. Rose... beh lei... lei crede che possa tirarmi indietro da un momento all'altro. Entrare in casa e trovarmi con un'altra donna l'ha un po'... terrorizzata, ecco. Ma le ho spiegato la situazione, non devi preoccuparti, davvero. »
« Non si fida di te? » Mi pentii subito di aver fatto quella domanda, infondo non era affar mio. O meglio lo era, perlomeno in teoria.
« Non è questo, ha soltanto paura di perdermi. Come io ho paura di perdere lei. E' normale in un rapporto. Tu non hai paura di perdere il ragazzo della “situazione complicata”? » Mi domandò divertito, guardandomi con un ghigno.
« Sì, ho paura » affermai « ma... » smisi di camminare e restai immobile, un attimo dopo anche lui si girava, curioso, senza distogliere i suoi occhi dai miei. « Forse l'ho già perso. » Affermai in un sussurro, un sussurro che voleva dire molto, forse anche troppo.
Voleva dire che avevo un'immensa paura di perderlo, che fingere di essere una semplice sconosciuta mi mandava il morale a terra. Voleva dire che vederlo sorridere mentre parlava di un'altra donna mi faceva sentire spezzata in due, come se mi stessero privando di una parte del mio corpo. Voleva dire che ero spaventata perché mi sembrava sempre più lontano, nonostante si trovasse ad un passo da me.
« Non puoi esserne così sicura. E' stato lui a dirti che è finita? » Mi chiese serio.
« No, ma... »
« Nessun ma. Bisogna lottare per raggiungere ciò che si vuole, per prendersi il proprio lieto fine. »
Lieto fine, quelle parole dette da lui mi fecero sorridere.

Sono io il tuo lieto fine, Killian Jones, sei stato tu stesso a dirmelo.”
Annuii, ma non potei aggiungere altro visto che la figura di Rose si faceva largo tra la gente che passeggiava tranquilla, decisa a raggiungerci.
Lasciai che i due si baciassero, volgendo lo sguardo da un'altra parte, fingendo attenzione per la merce esposta nella vetrina del negozio di fronte a me. Negozio dal quale uscii una decina di minuti dopo, con un paio di buste in mano, sicura del fatto che per un po' avrei fatto decisamente a meno dello shopping.
« Se questo è tutto, Emma, dovrei chiederti un favore. Fra un'ora ho la prova dell'abito e le mie damigelle mi hanno dato buca » Killian nel frattempo si era allontanato per rispondere al telefono, cosa che mi fece venire in mente che non avevo ancora sentito Henry, quel giorno, e che dovevo chiamarlo al più presto. Nel frattempo ascoltavo Rose, non capendo dove volesse andare a parare. « Ti andrebbe di accompagnarmi e, magari, di consigliarmi? »
« Cosa?! » Proprio non riuscii a trattenermi, ma mi sembrava una cosa da pazzi. Io, Emma Swan, mi sarei dovuta sorbire le varie prove d'abito della futura moglie di Killian Jones, l'uomo che amavo. Era decisamente troppo, ma, nonostante ciò, decisi che era meglio accettare, tenere il gioco per quei pochi giorni rimasti, fingermi felice per la coppietta di sposini per una settimana al massimo, poi sarebbe arrivata Regina, avrei fatto bere la pozione a Killian e, tutti e tre, avremmo preso il primo volo disponibile. « Volevo dire, certo... ne sarei felice. »
« Mi dispiace interrompervi, signore » Killian riapparve alle nostre spalle all'improvviso, con espressione dura e preoccupata « temo che dobbiate rimandare, c'è stata un'emergenza, meglio sbrigarsi. Ah, Emma... pronta per l'Operazione Grimm? »
« La cosa? » Domandai spiazzata, come primo giorno effettivo a Londra stavano accadendo decisamente troppe cose, avevo la sensazione di poter scoppiare da un momento all'altro.
« E' il nome in codice del nostro caso, Operazione Grimm. Allora, sei pronta? »







Note dell'autrice: eeehi salve! Come potete vedere sono ancora viva *cori angelici*, mi scuso per il tremendo ritardo, davvero mi dispiace tantissimo. Avevo cominciato a scrivere il capitolo... beh, settimane fa, ormai, mi ero fermata solamente alla seconda pagina e poi non ho potuto più continuare causa scuola D: settimana scorsa non ho praticamente mai preso il pc per quanto dovevo studiare, dico solo questo! ^^'' La buona notizia è che la scuola è finita e che ho approfittato del weekend per terminare il capitolo, la brutta, terribile, anzi orrida notizia è che settimana prossima cominciano gli esami *zan zan zaaan* (voglio morire çwç) quindi non ho la più pallida idea di quando posterò il prossimo. Spero di avere un po' di tempo per scrivere, almeno la sera cercherò di buttare giù qualche riga, non vi abbandono, non temete ^^
Questo capitolo all'inizio volevo incentrarlo su Rose, poi ho cambiato idea. Volevo che le due si conoscessero meglio andando a fare spese, ma ho cambiato idea. Volevo fare subito la prova dell'abito ma, indovinate, ho cambiato idea. Nah, ho immaginato all'ultimo momento una scena migliore, vedrete più avanti.
Nel prossimo capitolo si parlerà dell'Operazione Grimm (credo di aver superato me stessa con le idee che mi sono venute in mente per questo caso, anni di polizieschi saranno pur serviti a qualcosa).
Ma adesso vi lascio o le note diventeranno più lunghe del capitolo ò.ò
Vi ringrazio veramente di cuore per le recensioni, siete fantastiche e, inoltre, mi offrite anche degli ottimi spunti ;)
Alla prossima, vi abbraccio tutte ♥

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Capitolo 6
*** Operation Grimm ***


6. Operation Grimm



Nell'auto regnava il silenzio nonostante fossimo in viaggio da non meno di quindici minuti. Rose guidava tranquilla, mantenendo il contatto visivo con la strada trafficata davanti a sé. Killian sedeva alla sua sinistra, mentre io me ne stavo rintanata sui sedili posteriori, guardando fuori dal finestrino e giocherellando con il vecchio anello di Killian, che non toglievo mai dal pollice. Era quantomeno buffo il tempo lì, sembrava quasi dovesse piovere da un momento all'altro, eppure non avevo visto neanche una misera goccia d'acqua, per il momento.
« E' sempre così qui » cominciò a dire Killian leggendomi nella mente, portai nuovamente lo sguardo davanti a me e non potei non notare che mi stesse osservando dallo specchietto retrovisore interno, quasi divertito « ti ci abituerai. »
« Spero proprio di no » commentai di rimando, senza nascondergli un piccolo sorriso. I suoi occhi si staccarono dai miei, così tornai anche io a concentrarmi sulla strada.
« Gira a destra, Rose... al prossimo incrocio. » Killian allungò la mano destra, l'indice ad indicare meglio la strada. L'avevo visto gesticolare così tante volte da aver perso il conto, ero contenta che quella cosa non fosse cambiata, mi faceva sentire più vicina a lui, mi ricordava che il Killian che conoscevo ed avevo imparato ad amare era sempre lì e stava a me, soltanto a me, farlo tornare in sé.
« Ma da quella parte c'è la boscaglia! » Aveva esclamato allora lei, accigliata, ma comunque svoltando subito a destra, seguendo le sue istruzioni.
« Killian, vuoi spiegarci adesso? » Presi in mano la situazione, portandomi in avanti e appoggiando la mano sul suo sedile. Non ci aveva detto ancora niente, se non che c'era stata un'emergenza e che riguardava il famoso caso di cui conoscevo solamente il nome: Operazione Grimm. E io che volevo prendermi una vacanza dalla magia, fantastico scherzo del destino.
« Hanno trovato il corpo di una donna, non so altro. Scoprirò i dettagli insieme a voi. » Mi rispose, grattandosi appena il capo, pensieroso.
« Un'altra donna?! » Rose si voltò di scatto verso Killian, allarmata, dimenticando probabilmente di essere alla guida, tanto che fu costretta a frenare di colpo per non rischiare di prendere un pedone. Fui scaraventata in avanti, ma per fortuna riuscii a reggermi ad entrambi i sedili, mantenendo una presa salda.
« Stai attenta! » Esclamai stizzita, con il cuore a mille. Mi girai a guardare se il ragazzo che aveva quasi messo sotto stesse bene. Lo vidi gesticolare velocemente, probabilmente imprecando, per poi allontanarsi dalla vettura. Fulminai la donna al volante con lo sguardo, soprattutto vedendo come questa mi stesse ignorando.
« E' la terza in un mese » commentò, rimettendo in moto l'auto e concentrandosi nuovamente sulla strada « tutte trovate tra i boschi... e non avete neanche un indizio! Di questo passo tutte le donne di Londra saranno uccise nel giro di un anno, due al massimo. »
« Non essere così esagerata. » La rimproverò Killian, che fino a quel momento era rimasto impassibile. Si vedeva come la sua mente fosse totalmente da un'altra parte, questo significava che forse stavo sottovalutando quel caso, anche se continuavo a preferirlo a un piano pazzo per sconfiggere un Peter Pan o una Zelena.
Nel frattempo cercavo di raccogliere il maggior numero di informazioni possibili. L'indagine andava avanti da un mese e l'assassino, o gli assassini, colpiva esclusivamente il genere femminile, almeno per il momento. Non sapevo perché avessero dato proprio il nome Grimm, a quell'operazione, continuavo a domandarmelo, ma non riuscivo neanche a immaginare una risposta.
« C'è qualcosa che accomuna le ragazze? » Domandai, anche abbastanza curiosa dato che era la prima volta che mi cimentavo in un caso del genere, ma questo era meglio che Killian non venisse mai a saperlo.
« No, almeno le prime due ragazze non avevano nessuna caratteristica in comune, senza contare che erano due perfette sconosciute. Anche le cause della morte erano diverse. Potevano benissimo trattarsi di due omicidi che non avevano niente a che fare tra di loro, se non fosse stato per due piccoli dettagli lasciati dagli assassini. » Killian spiegava con voce ferma, mentre indicava a Rose la strada da seguire con piccoli cenni della mano. “Degli assassini”... più di un uomo da cercare, altra informazione da tenere a mente. « Accosta qui, riesco a vedere le altre volanti. » Disse a un tratto e quella non se lo fece ripetere.
« Due piccoli dettagli? » Domandai nel frattempo io, mentre tutti e tre aprivamo la portiera, quasi all'unisono, e scendevamo dalla macchina. « Quali dettagli? » Rincarai, affrettando il passo in modo da trovarmi al fianco di Killian.
Non rispose subito, quindi mi voltai a guardarlo e quello che vidi quasi mi spaventò. Aveva un'espressione così scura in volto, quasi crudele, come gliela avevo vista addosso raramente. La ricollegai subito alla volta in cui aveva quasi ucciso Gold, colpendolo con la punta avvelenata del suo uncino. Era chiaro che stesse pensando agli assassini, non doveva essere facile per lui vedere la terza donna ad essere uccisa in un mese e non avere nulla tra le mani da collegare a chi le aveva fatto del male. Non doveva essere facile per nessuno.
« Devi essere preparata a quello che stai per vedere » mormorò ad un tratto, rivolgendomi una rapida occhiata, quasi ignorando la mia domanda « non hanno alcuna pietà. »
I suoi occhi erano vuoti, avevano perso la luce che gli avevo visto quella stessa mattina. Deglutii, prima di abbassare la testa per controllare dove stessi mettendo i piedi, al contrario di lui che avanzava con passo sicuro.
« La prima ragazza, Kathleen Stevens, è stata trovata vicino ad un ruscello, trentaquattro giorni fa » cominciò ad illustrarmi, mentre un gruppetto di persone, poco più lontano da noi, si girava a guardarci, probabilmente in attesa che li raggiungessimo. « Non pensavamo si trattasse di omicidio: le ferite riportate, che l'avevano poi portata alla morte, non potevano essere attribuite a nessun essere umano. Nessun segno di colluttazione, nessun segno di arma da fuoco, nessun taglio. »
« E allora com'è morta? » Chiesi, decisamente più coinvolta, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare.
« Sbranata da un animale. Un lupo, probabilmente. »
A parlare non fu Killian, ma un ragazzo magrolino sui vent'anni, le lentiggini sparse per le guance e i capelli marroni arruffati, che ci era venuto incontro quasi di soppiatto e che, con ogni probabilità, aveva ascoltato la nostra conversazione, o almeno la parte finale.
« Jack! » Lo salutò Killian, alzando velocemente la mano. « Lei è Emma, viene dal Maine appositamente per darci una mano » disse quest'ultima frase senza nascondere una smorfia, cosa che mi fece stringere le labbra e arricciare il naso. Si voltò, poi, verso di me « Emma, lui è Jack, il più giovane della squadra ma anche il più promettente e, detto fra noi, il più fidato. » Mi presentò il ragazzo, rivolgendogli poi un occhiolino complice, come avrebbe fatto un padre con un figlio.
« Piacere! » Esclamai, una volta che gli ebbi stretto la mano. I miei occhi andavano veloci dall'uno all'altro, attendendo spiegazioni. « Allora, se è stata sbranata da un animale selvaggio, cosa ha a che fare con noi e cosa la ricollega con gli altri casi? »
« Per rispondere alla domanda dobbiamo fare un salto temporale di due settimane esatte » cominciò Killian, la mano portata in alto a mimare un due con l'indice e il dito medio, mentre Rose ci passava davanti in silenzio, diretta verso il corpo: come medico legale era ovvio che avesse fretta di vederlo. « La seconda ragazza, Sylvia Barnes, è stata trovata anch'essa in mezzo al bosco, alle radici di un melo » sgranai gli occhi e lo guardai sorpresa, cominciando a capire « riesci a immaginare la causa della sua morte? »
« No, non è vero... non può essere! » Riuscii solo a dire, scuotendo il capo senza tregua.
« Avvelenata, sì » mi confermò lui, sospirando « la mano era tesa in direzione di una mela che si trovava a terra poco più distante dal corpo, ed era stata addentata. Analizzandola abbiamo riscontrato del cianuro. »
« Biancaneve. » Mormorò Jack, senza che nessuno glielo avesse effettivamente chiesto.
Le gambe cominciarono a tremarmi e probabilmente ero diventata pallida. Non potei evitarlo, non potevo evitare di pensare a mia madre.
Mi resi conto solo in quel momento a quanto le fiabe avessero assunto, per me, tutto un altro significato.
« E per quanto riguarda la prima ragazza, allora? » Cercai di distogliere l'attenzione dei due sul mio aspetto preoccupato e allarmato e, probabilmente, ci riuscii senza troppi problemi.
Killian guardò Jack, come ad aspettare che rispondesse alla mia domanda, ricordandomi un maestro col suo allievo modello.
« Affianco al corpo della ragazza fu trovata una mantellina rossa, in un primo momento non ci avevamo dato molta importanza, ma il riferimento alla famosa fiaba dei fratelli Grimm ci parve piuttosto ovvio, una volta avuti i risultati della mela avvelenata. »
« Cappuccetto Rosso » “Ruby” pensai, sentendo una potente morsa allo stomaco.
Avanzammo cautamente in direzione di una vecchia casetta, all'apparenza abbandonata. Cercavamo di non inquinare la scena del crimine e di non lasciare tracce che ci avrebbero solamente confuso.
« Come sapete che ci troviamo davanti a più di un assassino? » Domandai, fermandomi di colpo proprio davanti la casa, fingendo normalità. La realtà era un'altra: avevo paura di quello a cui stavamo andando incontro, non volevo assolutamente ricollegare quella ragazza a qualcuno di mia conoscenza.
« Sulla seconda scena del crimine abbiamo trovato impronte di due paia di scarpe differenti » rispose prontamente Killian « Ovviamente abbiamo analizzate anche quelle, e siamo anche riusciti a risalire ai proprietari. » Alzai un sopracciglio, decisamente stupita.
« Dicevi di non avere niente da ricondurre ai colpevoli! »
« I proprietari sono morti da tre e cinque anni. » Fece lui, visibilmente infastidito.
Proprio in quel momento, dalla casetta uscirono due ragazzi e una ragazza: lei alta e slanciata, carnagione scura, due occhi neri come il carbone e un'espressione un po', forse, altezzosa; gli altri due, completamente identici, due gemelli, se non fosse stato per la stazza fisica, capelli neri, viso tondo, naso all'insù, uno più robusto dell'altro, entrambi avevano un aspetto giocoso.
« Signor Jones! » Fece la ragazza, quasi sorpresa di vederci « Ci domandavamo che fine avesse fatto! »
« Perdonami Phoebe, ci trovavamo fuori zona. » Si giustificò lui. Gli occhi della ragazza andarono poi a posarsi su di me, ebbi quasi l'impressione di essere scrutata nel profondo. Ricambiai lo sguardo duro che mi rivolgeva, volevo farle capire che non mi lasciavo intimidire così facilmente. « Ah, lei è Emma, lavorerà con noi. Emma, loro sono Phoebe, Thomas e Henry. »
« Henry?! » Feci stranita, non riuscendo a trattenermi « Hai lo stesso nome di mio figl... ehm... » mi fermai di colpo, rendendomi conto che Killian ancora non sapeva dell'esistenza di Henry.
« Oh, hai un figlio Swan? » Mi domandò, infatti, subito, visibilmente stupito.
« Sì, bene, di questo ce ne rallegriamo tutti, ma ora direi di concentrarci tutti sul caso. » Disse Phoebe, posando le braccia sui fianchi, osservandoci con un sopracciglio alzato. Sembrava nata per prendere il comando, tanto che ebbi l'impressione che aspirasse al posto di Killian, magari pensava anche che, con lei al comando, gli assassini sarebbero stati dietro le sbarre già da un bel pezzo. Quando ebbe la nostra attenzione, riprese il discorso « La ragazza si chiama Sasha Evans, abbiamo trovato i documenti nella sua borsa. A trovarla è stata quell'uomo laggiù: Tyler Watkins, è un cacciatore e la casa è sua. » Ci girammo tutti in direzione dell'uomo che, ancora scosso, parlava con un agente che scriveva velocemente su un taccuino. « Rose è dentro » continuò la ragazza, parlando direttamente a Killian « non è un bello spettacolo. »
Dicendo questo si fece da parte, lasciandoci passare, ormai non potevo più rimandare quel momento.
Entrai nella casa un po' titubante. L'interno era decisamente piccolo, tre stanze la componevano: la cucina, con tanto di poltrona per momenti di riposo, era la camera principale, per il resto riuscivo a vedere solamente altre due porte (una per il bagno e una per la camera, mi dissi a mente).
Ma in quel momento la composizione delle stanze era l'ultimo dei miei problemi.
La prima cosa che riuscii a pensare, una volta varcata la porta, era: sangue. Molto sangue, decisamente troppo sangue. Sangue sul pavimento, sangue sulle pareti. La ragazza stessa ricoperta di sangue.
« Ha il viso completamente sfregiato » commentò Killian, abbassandosi sulle ginocchia ed esaminandola da vicino, indice sulle labbra e pollice sul mento. Sembrava sapesse cosa faceva. Io invece me ne restavo in disparte, metabolizzando la scena in silenzio.
« L'omicidio si è svolto tra le 14:00 e le 16:00 di questo pomeriggio » sentenziò Rose dopo una lunga osservazione, fredda e impassibile, come se quello che era successo non la riguardasse e, infondo, era così. Eppure io non potevo che chiedermi cosa stessi facendo quattro ore prima. Forse avevo appena finito di pranzare, forse cercavo una scusa per evitare di uscire con Rose. La cosa mi diede il voltastomaco: io mi disperavo per una stupidaggine, mentre una ragazza veniva brutalmente uccisa. « La causa del decesso mi sembra piuttosto ovvia, ma, come al solito, ti saprò dire i dettagli dopo l'autopsia » continuò a dire, prese la sua borsa fino a posare la tracolla sulla spalla destra. Killian annuì distrattamente con il capo e l'altra uscì fuori, non avendo più niente da fare lì dentro.
Non riuscivo a distogliere gli occhi da quella poveretta: indossava una maglietta celeste che ora era imbrattata di rosso e strappata, si notavano perfettamente i tagli profondi che aveva sul petto. Anche le gambe erano fradice di sangue e, dettaglio che notai per ultimo, non indossava una scarpa.
« Ashley » pensai, a voce alta, riferendomi alla ragazza che avevo conosciuto e aiutato durante i miei primi giorni a Storybrooke.
« Come? » Killian mi aveva sentito, ma continuava a fissare comunque la ragazza, assorto, anche lui, in chissà quale pensiero.
« Niente. »
« Hai paura dei cadaveri, Swan? » Domandò ad un tratto, girandosi finalmente verso di me, forse neanche si era accorto del fatto che me ne fossi rimasta lontana per tutto quel tempo « non mordono mica, sai? » Continuò a stuzzicarmi e lo fulminai con lo sguardo, ma la cosa lo fece ridacchiare ancora di più. Si fermò poi di colpo, ricordando improvvisamente dove si trovava, cosa stava facendo e cosa fosse successo.
Mossi un passo per raggiungerlo, ma mi bloccai subito dopo, calpestando qualcosa. Il rumore fece voltare di scatto l'altro, occhi spalancati, bocca aperta come se avesse trattenuto un grido all'ultimo secondo.
« Swan! Diamine, guarda dove metti i piedi! » Si alzò all'istante e mi raggiunse, più preoccupato per quello che c'era sotto il mio stivale.
« Dimmi che non ho fatto quello che penso... » mormorai, alzando gli occhi al cielo, o meglio al soffitto, non volevo guardare il disastro che potevo aver combinato.
Killian tirò fuori un paio di guanti dalla sua giacca, ne indossò uno e diede l'altro a me. Alzai lentamente il piede destro, lasciandolo raccogliere dei pezzi di vetro.
« Non doveva essere un frammento molto grande, impossibile che solo questo l'abbia ridotta così. » Si morse il labbro e si voltò. Anche io cominciai a guardare in giro, stando ben attenta stavolta a non combinare disastri più grandi. Notai qualcosa luccicare sotto il tavolo, così mi precipitai subito a vedere. Ciò che vidi mi lasciò stupefatta: sembrava a tutti gli effetti il tacco di una scarpa, solo che era di vetro, decisamente appuntito e sporco di sangue su gran parte della punta.
« Hook... » lo chiamai piano, seduta in ginocchio, la mano leggermente tremante. Con ogni probabilità avevo trovato l'arma del delitto.
« Ho trovato dei resti di quella che sembra una scarpa. Indovina? Una scarpa di vetro! Ma nessuno di questi pezzi sembra in grado di fare così tanto male » pensava a voce alta e non mi dava ascolto. Lo osservai con la coda dell'occhio e vidi che era alle prese con una bustina trasparente, dove cercava di metterci dentro i pezzi di vetro raccolti.
« Hook! » Lo chiamai ancora, questa volta autoritaria, tanto che rimase per qualche secondo interdetto.
« Cosa c'è? »
Prima di rispondere alzai la mano che reggeva il vetro insanguinato, in modo che potesse vederlo bene.
« Credo di aver trovato l'arma del delitto. »

*****

Ce ne tornammo tutti a Scotland Yard, per me era la prima volta in quel posto tanto famoso, ma non potevo neanche dirmi emozionata, dato che le immagini di quella ragazza morta non si decidevano ad uscire dalla mia testa.
Killian si allontanò giusto il tempo di portare quello che rimaneva della scarpetta di vetro in laboratorio, speravamo tutti che potesse contenere le impronte digitali degli assassini, ma allo stesso tempo non ci contavamo molto. I due si erano dimostrati fin da subito molto esperti e non inclini ad alcun errore, scoprire qualcosa sul loro conto era un'impresa non da poco.
Rimasi sola insieme alla squadra. Jack, molto gentilmente, mi chiese se volessi un caffè, annuii, quindi, prima di ringraziarlo. Anche il ragazzo, che rimaneva l'unico con cui avevo scambiato qualche battuta, si allontanò. Mi girai verso gli altri tre che confabulavano tra loro. Con le mani nelle tasche posteriori dei jeans mi avvicinai a loro, cercando di aggiungermi nel loro discorso, sempre sperando si trattasse di lavoro.
Phoebe si zittì e mi guardò con sufficienza, non era difficile da capire che non le fossi simpatica, cosa più che ricambiata almeno per il momento, non riuscivo solamente a capire perché.
« Avevo capito che fossi una professionista » fece lei, incrociando le braccia al petto, con un sopracciglio alzato.
« A cosa ti riferisci? » Domandai tranquilla, riducendo gli occhi a due fessure.
« Sei andata in panico non appena hai visto il corpo della ragazza. »
« Non sono andata in panico, per prima cosa, e poi, se anche fosse? Qual è il tuo problema? »
« Se fossi stata una professionista non ti avrebbe dato fastidio la vista di un cadavere. Per me sei solo una novellina, non capisco perché il capo ti abbia fatto venire fin qui. »
Non aveva tutti i torti, sul fatto che non fossi un'esperta, ma non potevo comunque dargliela vinta così facilmente.
« Ma finiscila! Non è la prima volta che vedo un cadavere » vero « non sono andata in panico per via del corpo della ragazza » vero anche questo, stavo andando bene « solo che non ero preparata ad un omicidio del genere, pensavo fosse più semplice e pensavo che aveste almeno una traccia da seguire. E' la prima volta che mi capita un caso così » vero a metà.
A quella parve non bastare e cercò di tornare all'attacco.
« Nessuno di noi si è trovato ad affrontare un caso del genere prima, è la prima volta per tutti. »
« Ognuno reagisce in modo diverso, sai? Non siamo tutti uguali. »
« Grazie al cielo. »
Pronta a ribattere aprii la bocca, senza emettere alcun suono, dal momento che avvertii una mano sulla mia spalla destra. Avvertii il calore del corpo di Killian, quasi al contatto con la mia schiena e interpretai la sua presa come un invito a lasciarla perdere, che Phoebe era così, dubitava di tutto e di tutti e non avrebbe cambiato idea così facilmente. Girai la testa quanto bastava per vedere l'espressione di rimprovero che aveva messo su.
« Che succede qui? » Domandò e li osservò tutti e tre uno ad uno.
« Ci chiedevamo » a queste parole sia Henry che Thomas la guardarono smarriti, ma lei sembrò non farci caso « se una persona davvero qualificata per questo lavoro possa arrivare a sentirsi male per la semplice vista di un cadavere » Alzai gli occhi al cielo e sospirai, stanca. Sperai che almeno Killian non si facesse influenzare dal suo discorso.
« Credo tu stia esagerando, Phoebe » disse invece e la cosa mi fece incurvare le labbra verso l'altro « credo sia una persona abbastanza qualificata da trovare, dopo un sopraluogo di neanche dieci minuti, l'arma del delitto. Voi quattro avete avuto perlomeno venti minuti di tempo per esaminare ogni angolo della casa del cacciatore, eppure vi siete presentati da noi a mani vuote. »
La mora lo guardò torva ma restò in silenzio, visibilmente sconfitta. Esultai tra me, non avevo di certo bisogno di qualcuno che prendesse le mie parti, me la sarei cavata benissimo anche da sola, ma mi fece comunque piacere sentire che Killian avesse deciso di fidarsi di me.
Jack si unì nuovamente al, silenzioso, gruppo, due bicchieri di caffè tra le mani. Ne diede uno a me, per poi portare il suo alle labbra. Killian si diresse verso una stanzetta chiusa, si girò e mi fece cenno con la testa di raggiungerlo.
« Non ci sarà sempre Killian Jones a difenderti » affermò Phoebe mentre le passavo accanto, abbastanza forte affinché anche l'uomo la sentisse. Mi girai, questa volta ero io a guardarla con sufficienza.
« Non ho bisogno di essere difesa, ti stavo azzerando da sola » commentai appena, raggiunsi poi Killian, notando come stesse sghignazzando sotto i baffi. Quello aprì la porta grigia, probabilmente di metallo, lasciandomi passare cortesemente, per poi richiuderla alle sue spalle.
Mi trovai dentro quello che doveva essere il suo ufficio, dove le cose che spiccavano maggiormente erano una disordinata scrivania, anche quella era di metallo, piena di fogli e scartoffie varie, e una lavagna grande tutta una parete, piena di post-it e fotografie scattate sulle varie scene del crimine.
« Non fare caso a Phoebe, lei è... è fatta così. Imparerai a conoscerla e ad andare oltre. Magari vi vorrete anche bene, un giorno » provò a dire Killian mentre si dirigeva verso la scrivania e buttava via le cartacce, nella speranza che bastasse per fare un po' di ordine.
Scrollai le spalle e finii di bere quello che rimaneva del caffè, prima di buttare il bicchiere di carta nel cestino.
Non mi importava conoscere Phoebe, non volevo imparare ad andare oltre il suo carattere, non volevo imparare a volerle bene. Volevo solamente tornarmene a Storybrooke, ora che finalmente cominciavo a definirla “casa”, volevo distendermi sul mio letto, girarmi e trovare Killian al mio fianco, baciarlo con foga, come se tutto il resto intorno a noi non esistesse o come se il tempo si fermasse.
Ecco, volevo anche fermare il tempo.
Volevo che lui mi stringesse tra le sue braccia forti, volevo cominciare a spogliarlo e poi fermarmi subito dopo, interrotta dalla voce di mio padre che captava qualcosa, da quella di Henry che inveiva contro i videogame al piano di sotto o dal pianto del piccolo Neal che aveva fame.
Volevo tornare alla normalità, alla quotidianità.
Non avrei mai perdonato Gold per quello che mi aveva tolto, mai.
Incrociai le braccia sotto il seno e scacciai via quei pensieri malinconici dalla mente, non era assolutamente il luogo adatto per perdersi in certe cose.
Mi misi davanti la grande lavagna e cominciai a studiare le foto, una per una. La ragazza sbranata dal lupo era uno spettacolo che portava alla nausea, la carne era stata fatta a brandelli, il viso era quasi irriconoscibile. Mi domandai allora cosa spingesse una persona a trasformarsi in un tale mostro, cosa innescasse il meccanismo di distruzione dell'animo umano, ma forse una risposta non c'era, non ci sarebbe mai stata.
Forse era così e basta, ci trovavano davanti dei pazzi.
La seconda ragazza continuava a mettermi i brividi per quanto mi ricordasse mia madre. Aveva capelli corvini come la notte, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue. Mi dissi che nessun'altra poteva impersonare Biancaneve, tolta quella ragazza. Sotto la foto, con una grafia disordinata e frettolosa, che riconobbi come quella di Killian, lessi il suo nome, affiancato da quello di mia madre: Snow White. Snow White. Snow White. Non facevo altro che ripetermelo.
Allungai la mano sinistra e la posai sulla foto, ripercorsi delicatamente il profilo della ragazza e mi fermai sul suo viso. Sembravo una pazza, forse lo ero, ma non mi importava.
Killian, in silenzio, mi si posizionò affianco e attaccò la foto di Sasha Evans, riportandone il nome e quello di Cinderella.
« Scommetto che hai capito, adesso. Perché l'abbiamo chiamata Operazione Grimm, intendo » disse, tanto per interrompere il silenzio che si era creato da qualche minuto.
Annuii solamente, sì avevo capito. Quei delitti riportavano alle favole, riportavano proprio ai due fratelli e ai loro racconti.
« Sono degli psicopatici » commentai, non avevo altro da dire. Non c'era altro da dire.
« Prendiamo qualcosa da mangiare e torniamo a casa. Non so tu, ma io sono esausto! »
Lo guardai mentre mi sorrideva comprensivo, cercai di ricambiare e questo lo tranquillizzò. Si stiracchiò appena, raccolse la sua giacca, spense la luce e fece per uscire. Si fermò però, poco prima di chiudere la porta, come colto da un'illuminazione, tornò indietro e ricomparve poco dopo con dei fascicoli.
« Sai, ripensavo alle tue parole » mi disse poi, una volta tornati in quella che lui chiamava casa, dove posai sul tavolo della cucina una busta da asporto contenente due hamburger e una porzione doppia di patatine « in effetti c'è una cosa che accomunava quelle ragazze. »
Aspettai che proseguisse, invano. Lo seguii in salotto e lo vidi mentre si accomodava sul divano, posava i fascicoli su un piccolo tavolino posizionato proprio davanti a lui, si portava in avanti a cominciava a sfogliarli attentamente.
« Cos'avevano in comune? » Chiesi, restandomene sulla porta.
« Ne era stata denunciata la scomparsa una settimana, o due settimane, prima della loro morte. »
Quell'informazione in più mi raggelò il sangue e me lo riscaldò allo stesso tempo. Sfogliando quei fascicoli potevamo capire chi sarebbe stata la prossima vittima, potevamo evitare che venisse uccisa.
Tornai in cucina, presi due piatti e ci poggiai sopra i panini e le patatine. Poggiai tutto sul tavolinetto davanti il divano, cercando di non sporcare di olio per fritti quei fogli tanto importanti.
Killian mi guardò accigliato, come se non si aspettasse che lo raggiungessi decisa ad aiutarlo. Gli mostrai un sorriso rincuorante, non mi sarei allontanata da quella stanza fino a quando non avremmo trovato qualcosa.
Mi sedei a gambe incrociate sul pavimento, o meglio su un tappeto posizionato proprio ai piedi del divano, avevo le ginocchia dell'uomo a qualche centimetro dalla faccia e questo mi fece sentire quasi bene, come non mi ci sentivo da un po' di tempo.
Presi un fascicolo e lo poggiai sulle gambe. Sfogliavo, leggevo nomi, osservavo i volti delle persone scomparse e nel mentre mangiavo quella misera cena che aveva già cominciato a raffreddarsi.
« Non era quello che ti avevo promesso, mi dispiace » se ne uscì a un tratto Killian, facendomi uscire uno strano suono dalla gola, di disapprovazione.
« Ma va, per così poco! Prima il dovere e poi il piacere, ci andremo un'altra volta. »
« Puoi contarci » alzai la testa e gli sorrisi, lui faceva altrettanto. Non sorrideva solo con la bocca, ma anche con gli occhi, con qualsiasi muscolo della faccia.
Non avvertii più lo scorrere del tempo per un minuto buono.

Passai due ore e quaranta minuti su quei fogli. L'euforia del momento stava lasciando il posto lentamente alla stanchezza e alla consapevolezza che forse non sarebbe uscito fuori proprio un bel niente.
« Non è stato semplice » disse a un tratto Killian, distogliendomi almeno per un po' da quella ricerca che si rivelava sempre più un buco nell'acqua « dire alla famiglia Stevens che la loro figlia non era morta accidentalmente. C'era già stato il funerale, il suo corpo era stato sepolto ed io, un perfetto sconosciuto che probabilmente odieranno per tutta la vita, mi sono presentato alla loro porta ad informarli della notizia. Si erano già messi l'anima in pace, glielo si leggeva negli occhi, ma quando hanno saputo che c'era qualcuno dietro la sua morte... poi ho aggiunto che avremmo riesumato il corpo, per una seconda autopsia. Suo padre si è messo a piangere, sua madre mi accusava di essere un incompetente, e forse lo sono. »
Ascoltavo in silenzio, respirando piano. Si stava confidando con me, non mi conosceva neanche da 48 ore e si confidava con me. La cosa mi faceva piacere e mi spaventava al tempo stesso.
« Non sei un incompetente » affermai seria.
« Vorrei che avessi ragione. »
« Smettila, non devi neanche pensarlo. »
Mi sorrise, un sorriso vuoto, finto, messo a mo' di protezione. Voleva far cadere l'argomento e così glielo lasciai fare.
« Com'è che sei diventata sceriffo della tua città? » Mi domandò ad un tratto, non capivo se stesse cercando di cambiare argomento o se fosse davvero interessato.
« Non è stata una mia scelta in effetti » cominciai a rispondere, tornando a guardare i fogli che avevo davanti « mi ci sono ritrovata dentro dopo che il mio... amico Graham è... beh, morto. »
Era da tanto che non pensavo a Graham, mi sentii improvvisamente in colpa per questo. Non lo avevo dimenticato, questo no, non l'avrei mai fatto, avevo solamente avuto la testa da un'altra parte.
« Mi dispiace » affermò l'altro, sincero.
Con un movimento delle spalle lasciai cadere anche quell'argomento, e tornai a guardare il foglio che avevo davanti.
La ragazza ritratta nella foto mi sembrava di averla già vista. Inclinai appena il capo, aggrottai la fronte. Non mi veniva in mente dove potessi averla incontrata. Lessi poi il nome: Caroline Evans. Evans... Evans... ma certo!
Mi rizzai a sedere meglio, presi il foglio e lo portai in alto, ad altezza della faccia per leggere meglio ed essere sicura di non sbagliare. Tra le informazioni veniva riportato il nome di Sasha, sua sorella. La scomparsa era stata denunciata solo due giorni prima: avevamo tutto il tempo per trovarla!
« Killian! » Esclamai alzandomi di colpo e sedendomi di botto sul divano, al suo fianco, in ginocchio. Gli misi il foglio davanti gli occhi, lui lo guardò in principio un po' spaesato, poi cominciò a capire, spalancò la bocca e mi guardò senza nascondere lo stupore.
« Bel colpo, Swan! » Disse solamente, lanciandomi uno sguardo d'intesa.
Osservai meglio il foglio e cercai di capire se avevo preso la pista giusta, se quella ragazza potesse aver a che fare col mondo delle fiabe. Cercavo un dettaglio e lo trovai subito: i suoi capelli, biondi come l'oro e come quelli della sorella, certo, solo più lunghi, incredibilmente lunghi, nella foto sembravano coprirle l'intera schiena.
Guardai Killian, capì al volo.
« Rapunzel. »




Note dell'autrice: Beh? Scommetto che non ve l'aspettavate che aggiornassi così presto! In effetti non me l'aspettavo neanche io, il che è tutto dire... il fatto è che il capitolo si è praticamente scritto da solo, non mi è mai capitato di scrivere un capitolo completo in tre giorni (o per meglio dire notti), era già a buon punto venerdì, poi ieri sera a mezzanotte mi è presa l'ansia per troppe cose e mi sono messa a scrivere, perché scrivere mi calma, poi sapevo che stasera non ci sarei stata e ho deciso di finirlo.
Mi piace com'è venuto, strano ma vero, in più è uno dei primi che ho pensato mentre cominciavo a scrivere la storia. Spero piaccia anche a voi questa (stramba) idea! L'intero capitolo gira intorno al caso, spero non vi dispiaccia ma è stato necessario. Comunque, ho cercato di inserire il maggior numero di momenti Captain Swan possibili, personalmente amo la loro scena finale ;D
Nel prossimo ci sarà un dialogo molto profondo, non dico altro, e una bella scena vista dagli occhi di Killian... vi piacerà, credo.
Credo di aver detto tutto, come al solito non so quando posterò, gli esami si avvicinano davvero questa volta, ma vedrò comunque di scrivere. Fatemi sapere quello che pensate, questa volta sono davvero moooolto curiosa di sentirvi, voglio i vostri pareri sull'operazione Grimm :)



Ah! Tutte le fiabe citate nel capitolo appartengono ai due fratelli, ci tenevo a chiarirlo.. vediamo se vi avvicinate nell'indovinare quale altre fiabe verranno trattate (o magari si fermerà tutto con Rapunzel, chi può saperlo)

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Capitolo 7
*** She's not your happy ending ***


7. She's not your happy ending


Day 5


Era tutta una questione di giorni.
Tre giorni erano passati da quando avevamo ritrovato il corpo senza vita di Sasha Evans. Nessun vero passo in avanti era stato fatto.
Tre sere da quando avevo presupposto che sua sorella sarebbe stata la prossima vittima. Tutti si erano dimostrati d'accordo con me. Phoebe aveva, sì, storto il naso all'inizio, ma poi si era arresa all'evidenza.
Cinque giorni trascorsi da quando ero scesa da un aereo, convinta del fatto che l'avrei ripreso la sera stessa, e avevo cominciato a muovere i primi passi in quella città a me sconosciuta.
Venticinque giorni al matrimonio di Killian. Quello era il conto che portavo con più peso sul cuore. Sapevo che l'unica che potesse riportare la situazione alla normalità era Regina, mi fidavo di lei ed ero abbastanza tranquilla, ma non potevo che sentirmi inutile. Il senso di impotenza mi logorava, avevo le mani legate, non potevo fare niente se non stare vicino a Killian e sperare di far scattare in lui qualcosa, qualunque cosa. Il che non era facile, dato che Rose gli stava sempre intorno come un cane fa col suo padrone. E io non potevo fare altro che restare a guardare, come quando rimanevo in disparte quando lei si presentava all'improvviso sulla porta di casa con il pranzo, come quando io mi allontanavo con la scusa di fare una telefonata che durava più del previsto, solamente per stare lontano da quella scenetta. Mi era stato affidato il ruolo di osservatrice, e questo mi stava stretto.
Era tutta una questione di giorni, numeri e cifre. Nient'altro.
Passavo il mio tempo a casa di Killian o nel suo ufficio a Scotland Yard, ormai quella era diventata la mia quotidianità. Inaspettatamente, quel caso mi aveva presa totalmente ed ora quasi speravo di poterlo risolvere prima di tornare a casa.
Casa.
Ogni tanto guardavo Killian di sottecchi, mi chiedevo se lui si sentisse davvero a casa, lì a Londra, con quella nuova vita, o se magari provasse una sorta di vuoto incolmabile nel cuore, la sensazione che gli mancasse qualcosa.
Non che questo avrebbe facilitato le cose, ma forse mi avrebbe aiutata a sentirmi meglio.
Strizzai gli occhi e poggiai la schiena alla poltrona, stendendo le gambe in avanti ed allontanandomi dallo schermo del computer che osservavo da diverse ore. Da quattro, per la precisione, come potei appurare alzando lo sguardo verso l'orologio digitale appeso al muro.
Avevo esaminato ogni singolo filmato, fotogramma per fotogramma, delle varie telecamere di sicurezza di tutte le zone dove era stata vista la ragazza prima di scomparire, ma quelle ricerche si stavano rivelando un ennesimo buco nell'acqua: le immagini ritraevano Caroline Evans in piccoli attimi di normalità, come poteva essere il fermarsi davanti la vetrina di una libreria o il passeggiare in compagnia di qualche amica. Degli aggressori non vi era nessuna traccia.
« Maledizione! » Esclamai tra me, visibilmente scocciata. Mi passai una mano sugli occhi, massaggiandomeli appena, cercando la forza di osservare gli ultimi due filmati.
Portai la sedia con le rotelle in avanti e mi misi seduta comoda e composta mentre azionavo “play” e tornavo ad osservare lo schermo del pc. Dopo due, o forse tre minuti, ne ero già stanca, portai la schiena in avanti, poggiai i gomiti sul tavolo e misi la testa tra le mani, sconsolata.
Proprio in quel momento la porta si aprì leggermente e la testa di Killian Jones ne fece capolino qualche istante dopo.
« Ancora quei filmati? » Domandò mentre lo guardavo da sopra lo schermo, forse era stupito, forse non lo era per niente, non sapevo dirlo con certezza, la mia mente era presa da altri pensieri, e dalla stanchezza.
Arricciai il naso prima di abbassare la testa giusto il tempo di bloccare le immagini, prendendo il mouse tra la mano destra e mettendo in pausa.
« Non c'è niente qui sopra. Caroline appare sempre tranquilla e non compare nessuno, nessuno, di sospetto. Neanche per un microsecondo! » Sbuffai senza preoccuparmi di rispondere alla sua domanda, mi poggiai nuovamente allo schienale, posando poi le braccia sui braccioli. Osservavo un punto indefinito del pavimento, una delle mattonelle bianche sembrava essere scheggiata e al momento mi sembrava una cosa molto interessante.
Sentivo il suo sguardo fisso su di me, ero quasi certa che si stesse chiedendo come mai mi sentissi sconfitta, dopo soli tre giorni di indagini. Non poteva di certo capire che quel caso doveva essere per me un modo per pensare il meno possibile alla situazione che gli, ci, girava attorno e non riuscire neanche in quello non mi aiutava di certo a farmi alzare il morale.
« Te l'avevo detto, Swan » affermò, tutt'altro che divertito, mentre si decideva ad entrare nell'ufficio. Alzai finalmente la testa e tornai a guardarlo. La camicia blu gli metteva in risalto gli occhi, preoccupati quanto i miei.
« I risultati dell'autopsia? » Gli domandai ricordando all'improvviso dove fosse stato nelle ultime ore, ovvero insieme a Rose.
« Non ci dicono niente di nuovo, come immaginavamo » fece lui, posando il rapporto sulla scrivania « andiamo a casa, dai, riprenderemo domani.»
Scossi la testa « No, mi mancano gli ultimi due filmati » mi imposi io, tornando a riposizionarmi davanti allo schermo. Poggiò la mano sulla scrivania e si sporse verso di me.
« Avanti Swan, sei stanca adesso. Non vedresti i fratelli Grimm neanche se spuntassero fuori a cavalcioni di un unicorno! » Mi stuzzicò guadagnandosi un'occhiataccia.
« Davvero divertente. »
« Emma » ci guardammo negli occhi, i nostri visi erano molto vicini, me ne resi conto solamente allora « stavo scherzando. »
« Lo so » sospirai « è solo che... non riesco a fare a meno di pensare a Sasha... »
« Cenerentola? »
« Sasha » ribattei, in quei giorni nessuno le aveva mai chiamate usando il loro vero nome, e la cosa continuava ad urtarmi immensamente « ho negli occhi il suo corpo torturato, la pozza di sangue... Continuo a ripetermi che dobbiamo darci una mossa se vogliamo evitare che capiti la stessa cosa a sua sorella. »
« Non faccio che ripetermi la stessa cosa, Emma, puoi credermi. Ma so anche riconoscere i miei limiti, per esempio so per certo che se rimanessi più di cinque ore davanti a questa vecchia scatola » indicò con un cenno del capo il computer « i miei occhi chiederebbero pietà, e un po' di riposo » mi sorrise e feci altrettanto, con una smorfia delle labbra. « Non hai fame? Oggi siamo soli, Rose non può raggiungerci, per cui ci tocca preparare la cena e più tempo perdiamo, più tempo dovremmo aspettare per riempirci lo stomaco! »
Neanche a dirlo, morivo di fame. Per questo mi arresi, mormorando un « e va bene » che gli fece mettere su un'aria vittoriosa che mi spinse a tirargli un pugno sul braccio.
« Ehi! » Esclamò lui, cercando in tutti i modi di rimanere serio, mentre io, invece, ridacchiavo sotto i baffi.
Mi sembrò quasi di essere a Storybrooke, mi sembrò che il sortilegio di Gold non fosse stato mai lanciato, mi sembrò che non fosse passato un singolo giorno da quando lo avevo baciato per l'ultima volta. Erano già capitati, in quei giorni, dei momenti del genere, questo perché Killian aveva davvero scelto di fidarsi di me, aveva scelto di credere nella storia tirata sù su due piedi da me. Mi aveva accolta in casa sua, cercava spesso di farmi sentire a mio agio. Si fidava di me, lo percepivo, e magari cominciava a volermi anche bene, cominciava ad affezionarsi.

Torna coi piedi per terra, Emma” disse la vocina nella mia testa che in tutti i modi cercava di non farmi sognare troppo e di riportarmi alla realtà.
Scossi la testa per far uscire quei pensieri e mi alzai in piedi, presi il mio giubbotto di pelle rosso, indossai il cappellino grigio e mi avviai con l'uomo verso casa sua.
Killian non guidava, non poteva per via del moncone, Rose a quanto pare non poteva passarci a prendere ed io sentivo la mancanza del mio caro, vecchio e buon maggiolino giallo.
L'aria di Londra era fredda, come al solito, così mi strinsi nelle spalle e nascosi la bocca dietro al colletto. L'altro, dal canto suo, sembrava non farci caso, quasi fosse davvero abituato a quelle temperature.
« Hai freddo? » Mi chiese, lanciandomi un'occhiata prima di girarsi a guardarmi.
« Devo ancora abituarmi al clima » risposi, con le mani nelle tasche e lo sguardo puntato sulla strada « ma fidati se ti dico che sono stata peggio » affermai sicura, pensando a quando ero rimasta intrappolata nel ghiaccio insieme ad Elsa. Mai come quella volta avevo pensato che fosse arrivata la mia fine, poi mi sono ritrovata tra le braccia calde di Killian e piano, piano avevo cominciato a sentirmi meglio.
« Non te l'aspettavi che fosse così difficile il caso, vero? » Domandò ad un tratto lui, facendomi alzare le spalle.
« No, in effetti. Pensavo che dopo tutto quello che ho affrontato negli ultimi anni, risolvere un caso di omicidio sarebbe stato facile » commentai pensando ad alta voce, rendendomi conto dopo di quello che aveva detto. Mi guadagnai, infatti, un'occhiata stupita e diffidente.
« Ma davvero, Swan? E che cosa avrà mai affrontato una giovane sceriffo di una piccola cittadina?! » Mi canzonò.
« Non puoi neanche immaginare » risposi semplicemente, facendomi improvvisamente piccola e sperando che quel discorso cadesse presto.
« Del tipo? » Fece lui, senza nascondere il tono curioso della sua voce.
Del tipo da riuscire a spezzare un sortilegio lanciato dalla Regina Cattiva di Biancaneve, che poi è la madre adottiva di mio figlio Henry o magari di trovare un modo per sconfiggere la madre della regina, Cora, e di tenere lontano due misteriosi stranieri giunti in città con l'intento di scoprirne di più sulla magia. Del tipo di affrontare un viaggio incredibile e di arrivare sull'Isola Che Non C'E', o quello di risolvere un secondo sortilegio lanciato dalla Strega Perfida dell'Ovest. Del tipo di affrontare un viaggio nel tempo, o quello di tornare e affrontare un mostro di neve. O del tipo di tenere a bada le Regine dell'Oscurità e di fare i conti con il mio lato “oscuro”.
Quanto avrei voluto rispondergli in quel modo, rivelargli tutto, cercare di convincerlo del fatto che fosse tutto vero, ma non potevo farlo. Non potevo e non ne avevo la forza, forse. Non avevo la forza di vederlo mentre mi prendeva per pazza, come avevo fatto io con Henry, o con Graham, o con lo stesso Hook.
« Niente degno di rilevanza, adesso che ci penso bene. »
Lasciai cadere il discorso e lui non indagò oltre, capendo al volo che non avevo voglia di parlare del mio lavoro. Seguì qualche irritante istante di silenzio, dove gli unici suoni che ne facevano da padrone erano i nostri passi sul marciapiede e le auto che sfrecciavano sulla strada alla nostra destra.
Non sapevo mai che discorso cominciare con lui, era una cosa più forte di me. Non ero molto entusiasta di sapere i vari aspetti fasulli della sua vita, non impazzivo per niente all'idea di sapere proprio tutte le cose con cui Gold gli aveva riempito la testa, mi limitavo a sapere lo stretto necessario, per me era più che sufficiente.
Però sapevo che, in qualche modo, dovevo provarci, dovevo farlo avvicinare a me nel minor tempo possibile o sarei impazzita nel giro di poco.
« Come... sì, insomma, com'è successo? » Indicai con il dito il suo braccio sinistro, quello che dovrebbe aver avuto un uncino al posto della mano.
Davvero non avevo saputo trovare una domanda migliore? Cominciai a maledirmi per quanto fossi stata indelicata e sperai che non se la prendesse troppo. Lui invece appariva tranquillo, visibilmente sorpreso dalla domanda a bruciapelo, ma tranquillo.
« Oh... mi sembrava strano che tu non me lo avessi ancora chiesto. Di solito è la prima domanda che mi fanno, sai? »
« Mi dispiace, non volevo essere... »
« Ehi no, non importa! Sono abituato a questa domanda » mi tranquillizzò subito con un sorriso « se mi trovassi dall'altra parte anche io sarei curioso! »
« Io non sono curiosa! » Mi affrettai subito a dire.
« Emma, non importa, davvero! » Rise, facendomi tranquillizzare « Comunque è successo in un incidente d'auto. »
Storsi il naso.
« Un incidente d'auto? Come? »
« Beh » cominciò a dire, ma si bloccò poco dopo. Si grattò la testa, prima di rintanare la mano nella tasca della giacca « sinceramente non ricordo i particolari. »
« A volte succede, per lo shock sai... » cercai di dire io, per toglierlo dall'imbarazzo.
« Sì, deve essere così. » Mormorò.
Io sapevo la verità, o almeno con quell'affermazione mi si era messa una certa pulce nell'orecchio. Lo avevo già visto nel primo sortilegio, gli abitanti di Storybrooke conducevano le loro vite senza interrogarsi troppo su futili questioni che per loro erano nella norma, come il fatto di conoscersi tutti da una vita senza però ricordare nessun primo incontro, o come quello di vedere Regina nel ruolo di sindaco senza però chiedersi nemmeno una volta chi fosse stato il suo predecessore.
Per Killian era la stessa cosa. Aveva perso la mano prima dell'incantesimo, per questo poteva ricordare solamente di avere un moncone da quando ne aveva memoria.
Pensai di poter usare la cosa a mio vantaggio, potevo mettergli nella testa abbastanza dubbi sul fatto che non fosse normale non ricordare determinate cose, ma non sapevo se quello fosse il momento adatto.
Magari era ancora presto, ci voleva più tempo: doveva riporre in me la più totale fiduciosa.
Ma i miei pensieri furono interrotti all'improvviso da Killian, che aveva altre domande da chiedermi, a quanto pareva.
« Allora... » cominciò a dire « non mi hai ancora detto una cosa sul ragazzo della “situazione complicata”. »
« Smettila di chiamarlo cosi » risi io, per nascondere l'imbarazzo di quella domanda.
« Non posso chiamarlo diversamente, non mi hai detto neanche il nome! »
« Non è importante per te saperlo! »
« Va bene. Ma la mia domanda era un'altra. Lui è il padre di tuo figlio? »
Sbiancai. Non aveva mai fatto domande su Henry, neanche una, da quando aveva scoperto della sua esistenza. Mi domandai da quanto tempo volesse chiedermelo, prima di scuotere velocemente la testa.
« No! Cosa? No, no. Perché questa domanda? » Ero agitata. Mi agitava parlare con lui della mia situazione sentimentale per ovvi motivi, parlare anche di Henry, del quale lui aveva anche cominciato ad affezionarsi, mi mandava nel panico totale.
« Te l'ha mai detto nessuno che sei uno spasso quando ti agiti? »
« Ah, ah, ah. Davvero molto diverte, Jones. » Affermai guardandolo male per qualche istante « Comunque no, il padre di Henry è morto non molto tempo fa. Ma noi due non stavamo più insieme già da molti anni. »
« Ah... io non immaginavo... davvero, mi dispiace. »
« Non fa niente, non potevi saperlo. » Mormorai.
« Perché non mi hai detto di avere un figlio? » Lo guardai silenziosa per qualche istante, anche questa era una domanda che mi aspettavo.
« Non lo so, non c'è stata occasione, penso. »
« Devo ammettere che mi hai colto alla sprovvista, Swan. Davvero non me lo immaginavo! Quanti anni ha? »
« Tredici. »
« T-tredici?! »
Questa volta quello a sbiancare fu lui, stava facendo ogni calcolo possibile, ne ero certa, era quello che facevano tutti quelli che venivano a sapere che avevo un figlio grande rispetto alla mia giovane età.
Annuii divertita, perché la sua faccia era memorabile e decisi di cambiare argomento, di prendermi una piccola soddisfazione almeno per quella sera.
« Come vi siete conosciuti tu e Rose? »
« Al college, non te lo avevo già detto? »
« Sì, dico il vostro primo incontro, lo ricordi? »
« Certo! » Affermò prontamente « Eravamo in... cioè, io ero... »
Aspettavo che concludesse di parlare, mentre avanzavo con passo tranquillo e testa alta. Nuvoloni neri si radunavano sul cielo di Londra, tanto che ebbi l'impressione che potesse piovere da un momento all'altro, ragion per cui era meglio sbrigarsi, anche se ormai mancava poco per arrivare.
Nonostante ciò, mi fermai non sentendo più il passo di Killian e il fatto che non parlasse non faceva che accrescere la mia preoccupazione.
Lo trovai a pochi metri da me, l'espressione quasi spaesata e gli occhi bassi.
« Che c'è? » Chiesi subito, raggiungendolo
« Non mi ricordo » affermò « non ricordo quasi niente a dire il vero, ho solo dei vaghi flash di noi due insieme e... stai ridendo? »
Neanche mi ero accorta del sorrisetto che mi si era dipinto in volto, ma cercai di cancellarlo subito, mortificata.
« Scusa... non ridevo di te. Ma è una cosa normale, no? Voi uomini dimenticate sempre tutto, dall'anniversario a cose più o meno stupide. E' nella vostra natura. » Lo stuzzicai facendo spallucce e trovando l'ennesima, sciocca, spiegazione alle sue domande. No, non era ancora pronto per conoscere la verità, decisamente no.
Anche lui la prese sul ridere, prima di rimettersi in cammino.
Era una bella sensazione, quella, mi sentivo inspiegabilmente più leggere e, soprattutto, non facevo altro che ripetermi a quanto sarebbe stato bello se Rose fosse stata presente, sicuramente la sua reazione sarebbe stata epica. Magari si sarebbe arrabbiata, o irritata, e avrebbe cercato di non darlo a vedere.
Scossi ancora una volta la testa, cercando di tornare in me. Non andavano bene quei pensieri. Quella ragazza mi trattava come una sua vecchia amica, non mi aveva fatto niente. In un certo senso. La accostavo molto a Kathryn Nolan, vittima inconsapevole di amare l'uomo sbagliato.
« Killian, posso farti una domanda un po' personale? » Gli domandai una volta tornati a casa, mentre mi toglievo il cappello dalla testa e cercavo di riordinare i capelli spettinati.
« Sentiamo » mi invitò lui tranquillo, togliendosi la giacca e osservandomi curioso.
« Pensi che lei sia il tuo lieto fine? »
In qualche modo cadde il gelo in quella casa. Io, terrorizzata all'idea di sapere la risposta e lui, completamente sconvolto dalla domanda inaspettata.
« Mi stai chiedendo se la amo?! » Mi domandò stranito, occhi negli occhi.
« No, ti sto chiedendo se la consideri come il tuo lieto fine. »
« Beh... io... » era visibilmente spaesato, la cosa mi rincuorò appena « non è la stessa cosa?! »
Scossi piano la testa e mormorai un « no, affatto. »
« Io... io credo di sì. »
« Credi? Non ne sei certo? »
« Io la amo Emma, se è questo che vuoi sapere. »

*Killian Pov*

Dopo averle risposto, interruppi il contatto visivo che si era venuto a creare e mi diressi in cucina, con l'intenzione di preparare la cena.
« Non è quello che ti ho chiesto » le sentii mormorare a bassa voce, non sapevo se stesse parlando con me o se, piuttosto, parlasse con se stessa. Non le risposi, non c'era niente da rispondere, infondo. O forse non avevo la più pallida idea di cosa rispondere. Quella domanda mi aveva spiazzato e non poco, era inutile negarlo, almeno a me stesso.
Il mio lieto fine... non mi ero mai interrogato su quale potesse essere il mio lieto fine.
Rose? Era lei?
Probabilmente sì. Insomma, era la donna che amavo e che mi accingevo a sposare, nonché a trascorrere il resto della mia vita con lei. Questo bastava a considerarla tale? Ma sì, certo. E allora perché ero andato in panico, appena sentita la domanda? E perché la risposta affermativa non convinceva neanche me?
Mi dissi che fosse esclusivamente per il fatto che non mi ero mai posto una simile domanda, nient'altro.
« Ti do una mano. » Emma mi raggiunse e cominciò a tirare fuori svariate pentole e padelle, senza realmente sapere cosa preparare.
Sorrisi tra me a quella visione, ebbi l'impressione che fosse abbastanza imbranata ai fornelli, eppure aveva un figlio, in tredici anni con lui avrà pur dovuto cucinare qualcosa, no?
« D'accordo Swan. Puoi cominciare tagliando le patate, mentre io pulisco il merluzzo » acconsentii mentre le passavo tutto l'occorrente, non badando ai suoi occhi verdi e interrogativi.
« Fish and Chips? Davvero? »
« Te l'avevo promesso, no? »
Entrambi ci mettemmo a lavoro, schiena contro schiena. Nonostante mi ritrovassi con una sola mano, riuscivo a destreggiarmi egregiamente ai fornelli.
« Non proprio » mi canzonò lei, nel frattempo che il rumore del coltello che colpiva la superficie di legno riempiva la stanza « mi avevi promesso che lo avrei mangiato nel miglior locale di Londra. »
« Io cucino meglio » affermai voltandomi a guardarla con un sorriso sghembo.
« Non ne dubito » disse lei, rispondendo con un sorrisetto ironico e alzando gli occhi al cielo.
Poco dopo arrivò il momento di friggere il tutto, già pregustavo quell'ottimo piatto quando mi avvicinai ad Emma.
Poggiai il moncone, senza neanche rendermene conto, al fianco di lei e, con la naturalezza più estrema, sfiorai col petto la sua schiena, allungando quindi la mano per prendere le patatine che aveva finito di tagliare e riposto in una ciotolina.
Rimasi con la mano sulla ceramica, non riuscendo a respirare bene per qualche secondo, quando Emma girò appena il capo verso sinistra, verso il mio volto. L'avevo percepita mentre sussultava non appena entrata in contatto col mio corpo, ma non ci avevo fatto molto caso.
Ora invece osservavo le sue labbra dall'aspetto morbido, sentivo il suo respiro sulla mia bocca e per un istante, solo per un istante, mi dissi che in quel fatto non ci fosse niente di sbagliato, ebbi la sensazione che il mio posto fosse quello.
Fu quando misi in moto il cervello che capii di stare letteralmente impazzendo, dando tutta la colpa alla stanchezza.
La cena si svolte nel silenzio totale, riuscivo a leggere un sottile imbarazzo da parte sua, ma forse stavo fraintendendo. Mi aiutò a lavare i piatti e a mettere in ordine, poi si allontanò in camera sua, dicendo che fosse meglio sentire Henry per assicurarsi che stesse bene, e non la vidi più uscirne fuori.

***

Il mattino seguente Rose si era presentata a casa, avevamo trascorso il tempo insieme fino all'ora di pranzo, dove aveva “rapito” Emma, per farsi accompagnare alla prova dell'abito che aveva dovuto rimandare, precedentemente, di qualche giorno.
Dopo un paio d'ore passate a lavorare sul caso con la squadra al completo, decisi che fosse meglio raggiungerle e andare a controllare che tutto procedesse bene. Sapevo che mi sarei sorbito una sfuriata di Rose sul fatto che “porta male vedere l'abito della sposa”, ma sapevo anche che l'avrei convinta che fossero solamente stupidaggini.
Restai comunque più di qualche minuto fuori dal negozio, ad osservare la vetrina. Qualcosa mi diceva di aspettare che le due finissero, un'altra mi diceva di entrare, come attirato da una calamita. Eppure non ero curioso di vedere l'abito né altro, non sapevo neanche chi avesse dato l'ordine ai miei piedi di muoversi e alla mia mano di aprire la porta, facendo risuonare il tintinnio del campanello appeso su di essa.
« Ehm, cercavo la signorina Smith » mi ritrovai a dire ad una ragazza che mi indicò con un cenno di entrare nella stanza a destra.
Non feci in tempo a raggiungerla che mi bloccai all'istante, fulminato da ciò che vidi: la gonna ampia le ricadeva perfetta lungo le gambe fino al pavimento, lasciando un po' di coda dietro di sé, le spalle erano scoperte, il corpetto ricamato e dalla forma a cuore, anche le maniche lunghe erano ricamate e lasciavano intravedere la pelle bianca della ragazza.
La ciliegina sulla torta erano i capelli biondi e lunghi che le ricadevano sul petto, tanto da conferire ad Emma l'aspetto di una vera principessa, una dea antica o una creatura di estrema bellezza.

Un attimo... Emma?!
Sì, c'era proprio Emma davanti a me, che mi guardava sbigottita e sconcertata, stringendosi nelle spalle, come se si vergognasse, neanche fosse stata nuda o altro.
« Che diavolo ci fai qui?! » Sbottò, e tanti cari saluti alla principessa che avevo visto un attimo prima.
« E tu che diavolo stai facendo? »
« Io... Rose è dovuta andare via, dovevano ancora sistemarle l'abito così, dato che abbiamo più o meno la stessa corporatura e statura, ha avuto la brillante idea di lasciarmi qui a indossarlo e a lasciarlo sistemare per lei! »
Parlava tutta agitata, lasciando capire quanto la cosa le desse fastidio. Si reggeva la gonna, nonostante non ci fosse alcun bisogno visto che né doveva camminare, né avrebbe avuto particolari problemi nel farlo, a parer mio. Ogni tanto si alzava il corpetto, quasi a temere che questo potesse cadere da un momento all'altro.
Si diresse verso lo specchio, per ammirare, almeno, l'opera finita. Si guardava, mugugnava suoni e affermazioni incomprensibili, si girava da un lato, si osservava il seno, si girava dall'altro lato, storceva il naso, tornava a mettersi dritta e chinava appena il capo, prima a sinistra e poi a destra.
« Secondo me sei bellissima » mi scappò.

Accidenti!
Ma che diavolo mi prendeva?! Non avevo detto niente di male, alla fine, mi ero limitato ad esprimere solamente la mia opinione. Le sue guance si colorarono rosso, ma finsi di non farci caso.
« Non è proprio il mio genere » affermò lei a un tratto « ma a Rose piace molto, perciò credo che sarà meglio che lei non sappia che hai visto il suo abito da sposa con un mese di anticipo. »
A lei non piaceva, Rose lo amava.
Erano estremamente diverse anche in quello, non feci a meno di constatare.
Il telefono le squillò poco dopo che si fu cambiata, indossando i suoi jeans, i suoi stivali e un maglione che le avevo visto comprare qualche giorno prima. Decisamente quella era la Emma che stavo imparando a conoscere.
Vidi le sue mani tremare mentre reggeva il cellulare e leggeva il nome che compariva sul display, ma alla fine si fece forza e rispose.
« Regina! »






Note dell'autrice: oddio vi prego, non linciatemi! Eh sì, sono ancora viva e, anzi, mi scuso per il tremendo ritardo... insomma... l'ultima volta che ho scritto e aggiornato questa storia era.... beh, tipo un mese fa D: ma gli esami mi hanno preso tutto il tempo e una volta finiti mi sono ritrovata indietrissimo con serie tv e, non lo nego, fanfiction, quindi è anche colpa vostra se ci ho messo tanto :') no dai scherzo, non voglio far ricadere la colpa su nessuno XD Per farmi perdonare ho inserito il maggior numero di momenti Captain Swan che la mia mente potesse partorire, spero sia stato un bel regalo.
Quiiindi, vediamo il nostro Killian preso un po' di più da Emma, ma è ancora presto per cantare vittoria, non per spezzarvi il cuore, ma quella che abbiamo letto in questo capitolo potrebbe limitarsi ad essere normale attrazione fisica ;) Ma del resto, la loro storia non è forse cominciata in questo modo?! E Regina? Che vorrà?! La pozione è pronta, o sono subentrati nuovi ostacoli? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, e giuro di non farvi aspettare un altro mese xD
Ah, come avete potuto notare ho inserito una specie di “contagiorni” a inizio capitolo, lo metterò di tanto in tanto, giusto per farvi venire ansia xD
Per adesso è tutto, grazie a tutte le persone che leggono questa storia e che spendono anche qualche minuto del loro tempo a recensire, mi riempite il cuore di gioia (senza contare che mi offrite degli spunti pazzeschi... volevo far succedere una determinata cosa, ma ho letto un commento e questo mi ha fatto completamente stravolgere la mia idea! #boom)
Un abbraccio a tutte ♥
- Sà (la vostra Chipped Cup)

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Capitolo 8
*** London serenade ***


8. London serenade





Uscii di fretta dal negozio, nella mano destra il mio cellulare che tenevo appiccicato al medesimo orecchio, cercando di ascoltare Regina. Cosa all'apparenza semplice, se non si contava il fatto che, un secondo dopo averle risposto, una signora sulla cinquantina era entrata seguita da una scorta di familiari e amiche, dando ordini sparsi alle commesse su come aiutare sua figlia, una giovanotta mingherlina che non faceva altro che mangiucchiarsi le unghie, prossima alle nozze. Non avrei mai pensato che una persona sola potesse fare tanto baccano, mi ripetevo questo mentre mi affrettavo ad andarmene da lì dentro e cercavo di decifrare le parole di Regina.
“Swan... non... pozione... diavolo!”
Erano le uniche cose che ero riuscita a captare da quella conversazione. Non lasciavano presagire niente di buono. Cominciavo a farci l'abitudine, in effetti, a quella che era diventata la mia odissea personale: ogni qualvolta che avevo la soluzione a portata di mano subentrava qualcosa, o qualcuno, che me la spazzava via, come se fosse vittima di una raffica di vento.
E il vento mi colpì non solo metaforicamente, dato che non appena ebbi messo piede fuori dal negozio di abiti da sposa mi sentii congelare. Abbassai il capo e mi lanciai un'occhiata veloce addosso, rendendomi quindi conto che, per la fretta, avevo dimenticato la mia giacca dentro. Rimasi per un attimo incerta, il tempo di rendermi conto che il freddo non era attualmente il mio problema più grande. E poi non sarei tornata lì dentro per niente al mondo, non con quella donna che, riuscivo a scorgerne l'ombra, ancora si agitava, sbracciandosi all'impazzata.
« Emma? Emma rispondimi! Swan, cosa diamine stai combinando?! » La voce di Regina risuonò potente, dritta nel mio orecchio, tanto che dovetti allontanare il cellulare di qualche centimetro per non rischiare di diventare sorda, ci mancava solo quella in effetti.
« Regina eccomi, smettila di urlare, sono qui! » Tentai di dire, mentre poggiavo la mano sinistra sul gomito destro e cercavo di stringermi in qualche modo, per non congelarmi.
« Che diavolo era quel baccano? L'ultima volta che ho sentito una cosa simile interrompevo una rivolta popolare guidata da sostenitori di tua madre » affermò la donna con voce contrariata, probabilmente intenta a ripensare a quell'episodio.
« Niente del genere, ero in un negozio e una signora è entrata e... non importa. Allora, cos'è successo? Lasciami indovinare: problemi con la pozione. Ci vorranno ancora un paio di giorni, vero? Ti prego, dimmi almeno che si tratta di una questione risolvibile in settimana, la situazione qui è sempre più... complicata » la preoccupazione parlava per me, non riuscivo quasi a controllarmi e Regina, dall'altro capo del telefono, trovava difficile prendere parola, non che non ci provasse.
« Swan! » Sentii la voce di Killian e mi voltai di scatto. Era appena uscito anche lui dal negozio, agitava nella mano la mia giacca di pelle rossa, con espressione di rimprovero. « Ma che hai nel cervello?! Siamo in pieno inverno, vuoi congelare per caso?! » Alzai la mano sinistra e gli feci segno di tranquillizzarsi e, soprattutto, di stare zitto, facendogli intendere con lo sguardo l'importanza che aveva, almeno per me, quella chiamata.
« E' Hook? » Mi domandò improvvisamente Regina, a quanto pareva aveva sentito la sua voce.
« Sì. Regina dimmi, ti prego. Quanto ci vorrà? »
« Non devi più preoccuparti, Swan. La pozione è pronta, fra più o meno ventiquattro ore sarà nelle tue mani. »
Rimasi completamente spiazzata, immobile, muta. Non riuscivo a spiccicare parola, le sentivo salire e fermarsi in gola, così come non riuscivo a muovere un solo muscolo, per quanta era l'emozione.
Improvvisamente sentii anche meno freddo, ma quella sensazione non aveva niente a che fare con la notizia che avevo appena ricevuto. Killian, infatti, si era portato alle mie spalle, cercando di coprirle al meglio poggiandovi la mia giacca sopra, trovando qualche difficoltà nel farlo con una mano sola. Con il suo caro e vecchio uncino, mi dissi, probabilmente si sarebbe trovato più facilitato.
Rimasi a guardarlo per quattro, cinque, dieci secondi buoni, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, ma non per il gesto, no, in quel momento mi sembrava tutto così familiare da non dovermi più meravigliare né imbarazzare per via di qualche parola detta o qualche gesto fatto che potevano benissimo essere malintesi. No, mi sembrava già di avere quella pozione tra le mani. O, ancora meglio, mi sembrava già di avergliela fatta bere.
Sorrisi di getto. In una giornata, al massimo, si sarebbe risolto tutto: Killian avrebbe riacquistato la memoria, Rose sarebbe sparita dalla nostra vita, quella breve avventura a Londra sarebbe stata solamente un ricordo.
« Che c'è? » Mi chiese ingenuamente lui, guardandomi incuriosito, facendomi tornare in me « buone notizie? » Scossi appena la testa.
« Ottime, direi. »
« Mi pagherete una cura per il diabete, prima o poi. Rimpiango il mio sortilegio in momenti come questo » ascoltai le parole di disappunto di Regina e risi di getto, potevo benissimo immaginare la sua smorfia disgustata.
Mi sentivo come libera da un peso, il macigno che sentivo sullo stomaco da settimane, ovvero da quando Killian era scomparso sotto i miei occhi, si era magicamente, e finalmente aggiungerei, dissolto nel nulla.
« Pensa a Robin » la presi in giro e si ammutolì all'istante. Tornai poi seria « Regina, davvero, non so come ringraziarti. »
« Non ce n'è bisogno, Swan, mi basta che torniate a Storybrooke quanto prima, così che tua madre mi lasci in pace per un po' » sorrisi nuovamente pensando che non doveva essere così facile, per lei, essere buona, non dopo aver passato gran parte della sua vita nell'oscurità.
« Arrivi domani? » Le domandai, non stando più nella pelle.
« Sì, in mattinata. O al massimo per l'ora di pranzo » Annuii, pur sapendo che non poteva vedermi, prima di salutarla e chiudere la chiamata.
Regina Mills dava il giusto peso alle parole, sapevo che potevo contare su di lei, non mi avrebbe delusa, non come avevo fatto io quando avevo riportato Marian, o meglio Zelena, nella vita di Robin.
Mi ritrovai a pensare al viaggio nel tempo che avevamo affrontato io e Killian, forse quella era stata la nostra disavventura più grande. Mi ricordavo ancora perfettamente la sensazione di incertezza che mi aveva accompagnata per tutto il tempo, avevo dei dubbi sul fatto che si sarebbe conclusa per il meglio, ma lui era lì con me e solo quello mi donava un'immensa fiducia. Portavo ogni attimo di quella avventura nel cuore, perché grazie ad essa avevo deciso di lasciarmi andare e di far cadere ogni difesa protettiva che avevo innalzato negli anni, con lui. Ero sicura che fosse la decisione giusta e che non mi avrebbe mai ferita.
« Era una tua amica? » Mi domandò Killian, mentre tornavamo in ufficio.
« Sì, una mia amica » mi resi conto che era strano anche solo pensarla una cosa del genere: Regina aveva, addirittura, tentato di avvelenarmi con una mela e di mettermi fuori dai giochi in ogni modo, e neanche io ci ero andata molto leggera con lei, anzi. Alla fine era divertente pensare a come eravamo qualche anno prima, un paio di volte ci avevamo anche riso sopra. Decisi che non c'era alcun bisogno di scendere tanto nei dettagli, con Killian, non che mi aspettassi avesse creduto alla storia della torta di mele che avrebbe dovuto procurarmi un sonno eterno.
« Allora? Che grandi novità ti ha riferito la tua amica? »
Guardai Killian con la coda dell'occhio, mentre entrambi ci toglievamo la giacca e la posavamo sull'attaccapanni affianco alla porta dell'ufficio dell'uomo.
Non appena arrivati vi avevamo trovato la squadra al completo. Killian odiava che vi entrassero quando lui non era presente, per questo aveva urlato prima contro Jack e poi contro Phoebe, che si era messa in mezzo per difendere il ragazzino e assumendosi poi ogni responsabilità. Si giustificò dicendo di aver pensato a una pista e aveva bisogno di tutte le scartoffie per confermarla, ma all'altro non importava alcuna spiegazione.
Rimasi in silenzio per tutto il tempo, ad osservarlo, non ero abituata a vederlo perdere le staffe in quel modo. Lo accostai facilmente alla figura di un pirata, anche se forse era la mia mente che mi condizionava e vedeva similitudini ovunque. In qualche modo mi incoraggiava a sperare, a notare tracce del vecchio Killian Jones nell'uomo che avevo davanti. Anche se, effettivamente, per quello non mi serviva alcuna buona notizia: sapevo che l'uomo che amavo era lì, da qualche parte, in attesa di essere tirato fuori.
« Probabilmente domani verrà a trovarmi » risposi alla sua domanda, non appena mi fui sistemata i capelli, all'apparenza più crespi del solito, forse per via di tutta quell'umidità.
« Oh! » Esclamò, forse deluso. Capii, infatti, dal suo sguardo che si aspettava qualcosa di più, ma di certo non potevo dirgli tutta la verità e preferivo evitare altre bugie.
« Sai... io e Regina, la mia amica, quando ci siamo conosciute... beh, dire che ci odiavamo è un eufemismo! » Risi appena, le immagini di un ramo di un albero che cadeva a terra mi riempirono la mente, seguite poi da quelle di una donna che cercava di allontanarmi da Henry con ogni mezzo a sua disposizione. « E' la madre adottiva di Henry » aggiunsi, sedendomi davanti la scrivania di Killian, proprio di fronte a lui, gomiti sul tavolo. Mi lanciò un'occhiata accigliata, si vedeva che non se l'aspettava minimamente.
« Henry? Tuo figlio Henry? » Domandò, anche se conosceva già la risposta. Annuii e incurvai appena gli angoli della bocca.
« Ero una ragazzina quando ho scoperto di essere incinta, ci sarai arrivato anche tu, e non mi trovavo di certo nel momento migliore della mia vita. In più ero sola, suo padre mi aveva lasciata, la decisione di darlo in adozione mi sembrava la più giusta » gli raccontai. Avevo abbassato lo sguardo e mi ero messa a giocherellare con il suo anello, facendomelo passare da una mano all'altra o rigirandomelo tra le dita.
« Ma poi l'hai ritrovato, a quanto ho capito. L'hai cercato a lungo? »
« No, affatto. In realtà è stato lui a trovare me » tornai ad alzare lo sguardo e lo vidi sempre più confuso. « La sera del mio ventottesimo compleanno si è presentato fuori dalla mia porta, nel mio appartamento a Boston. Avevo appena espresso il desiderio di non dover più rimanere sola il giorno del mio compleanno. Ed è arrivato lui » sorrisi spontaneamente raccontando quell'episodio, stessa cosa fece lui, in modo sincero.
Mi mancava da morire la complicità che avevamo, raccontargli cose sulla mia vita mi aiutava a sentirlo più vicino, anche se sentivo di essermi già avvicinata parecchio a lui in quell'unica settimana. Avevo deciso di raccontargli quel fatto per fargli capire che mi fidavo di lui e che, speravo, lui potesse fidarsi ciecamente di me, prima o poi.
Sapevo di dovermi limitare a pochi piccoli dettagli, non potevo andare a scavare più a fondo. Non volevo nascondere solo di essere la salvatrice, volevo tener ben nascosto anche il mio passato. Era la seconda volta nella mia vita che mi capitava di essere terrorizzata all'idea che qualcuno potesse scoprire che ero finita in prigione per undici mesi. Solo pochi anni prima vi vergognavo di farlo sapere a Henry, ora stavo riconoscendo la stessa sensazione.
« Beh, deve essere un ragazzino molto sveglio » commentò Killian, notando il mio sguardo perso tra i ricordi. La sua voce mi fece tornare in me e gli rivolsi un'occhiata « e non goffo quanto sua madre! » Esclamò divertito, per alleggerire la tensione.
« Io non sono goffa! » Ribattei, fulminandolo con gli occhi, pur non riuscendo a non sorridere.
« Oh no, Swan. Proprio per nulla » replicò l'altro, tirando indietro la mano proprio mentre io mi ero mossa per colpirgliela.
All'improvviso la porta della stanza si aprì di corsa, facendo entrare uno dei due gemelli.
« Allora, Thomas, le carte del caso di Cenerentola vi sono tornate utili? » Gli domandò subito Killian, tornando immediatamente serio e guardandolo in modo autoritario. Osservai i suoi occhi attentamente, non mi bastò molto per capire che aspettava brutte notizie, un po' per non dover ammettere che a lui fosse sfuggito qualcosa, un po' per ribattere che avessero solo perso tempo.
« In effetti sì » il vecchio pirata sbarrò gli occhi, stessa cosa feci io, voltandomi di scatto verso il ragazzo, tenendo la mano sinistra ferma sullo schienale della sedia sulla quale ero seduta « Phoebe aveva avuto un'intuizione riguardo il modo in cui era posizionata la vittima, per questo ci servivano delle foto... credeva che gli assassini vi avessero lasciato un messaggio, non so... Ha letto che è una cosa comune per i serial killer, sapete.. »
« Thomas arriva al punto, per favore » lo interruppe Killian, fremeva e potevo capirlo benissimo, entrambi volevamo sapere cosa avessero scoperto i ragazzi « che indizi, o messaggi, son saltati fuori da quelle foto? »
« Beh... da quelle foto non è spuntato fuori niente. »
« Cosa?! » Io e Killian parlammo nello stesso momento. « E allora che altro c'è? Cosa avete trovato? » Domandai, cercando di essere calma, anche se io stessa mi stavo spazientendo appena.
«Tyler Watkins » fece lui, quasi con ovvietà. Inarcai le sopracciglia e aspettai che proseguisse, cosa che, invece, non avvenne.
« Chi? » Chiesi ancora, non capendo dove stesse andando a parare.
« Il cacciatore? » Domandò Killian alle mie spalle, stupito quanto me.
« Esatto. »
Il mio sguardo andava da Thomas a Killian. Il primo aveva un'espressione decisamente più tranquilla rispetto a quando era entrato nell'ufficio, evidentemente perché sapeva di star portando una notizia importante. L'altro era inquieto, si era portato la mano sulla bocca e sembrava concentrato, la mascella serrata. Nonostante ciò, non riuscivo a capire a chi si riferissero.
« Scusate, ma chi è Tyler Watsing? » Chiesi nuovamente, sperando di ricevere una spiegazione, questa volta.
« Watkins » mi corresse Killian, il suo sguardo ancora perso nel vuoto come se con la mente stesse ripercorrendo il giorno del ritrovamento della ragazza « il cacciatore, l'uomo che ha trovato il corpo » alzò i suoi occhi nei miei e capii finalmente di chi parlassero. « Ebbene, Thomas? Cos'hai scoperto su di lui? »
« Non molto » affermò quasi sconfitto « qualcosa nel suo resoconto non ci tornava, così abbiamo indagato sul suo conto ed è spuntato fuori che non esiste nessun Tyler Watkins. O meglio, ce ne sono due: uno ha sei anni compiuti a maggio, l'altro ne ha una sessantina e vive nel Galles. So che è poco, ma è-»
« Sospetto, sì. Abbastanza da farci cominciare a sospettare di lui, senza trarre conclusioni affrettate, però. Per quanto ne sappiamo, potrebbe aver mentito sulla sua identità per svariati motivi, non cantiamo vittoria tanto presto » disse Killian cercando di farci rimanere coi piede per terra.
« C'è dell'altro, signor Jones. »
« Ovvero? »
« La stampa è qui fuori, ancora... »
Killian alzò gli occhi al cielo e si alzò quasi immediatamente, sospirando tra sé. Scattai in piedi anche io, decisa a seguirlo. Da qualche giorno, gruppi di giornalisti andavano e venivano, alla ricerca di notizie, passi avanti nell'indagine, possibili sospetti, una pista nuova da seguire. Nessuno di noi aveva mai rilasciato interviste, lo stesso Killian ce lo aveva espressamente vietato affermando che sarebbe stato peggio l'impatto col pubblico.
« E va bene, rilascerò una breve dichiarazione così da toglierceli di torno almeno per qualche giorno » affermò, anche se un po' spazientito, avviandosi verso l'uscita con me e Thomas subito dietro « la faccenda del cacciatore non deve uscire da qui dentro, è chiaro? » Ci domandò ed entrambi annuimmo « Perfetto. Swan, tu rimani qui, se non ti dispiace » disse infine, proprio davanti la porta, girandosi velocemente verso di me. Non mi diede neanche il tempo di rispondergli, ribattendo a modo o acconsentendo, che era già uscito.
Guardai scocciata la porta che si chiudeva alle sue spalle, prima di dirigermi con l'altro verso la macchinetta del caffè, dove Phoebe, Henry e Jack stavano discutendo tranquilli. Scelsi il tasto della cioccolata calda, poi mi voltai verso gli altri tre.
« Killian ci raccomanda di non divulgare le informazioni riguardanti Watkins » li informai. I ragazzi annuirono, Phoebe, invece, arricciò il naso senza, però, dire nulla. Cosa che mi fece piacere, non mi andava di discutere, neanche lei poteva rovinare quella giornata.
« Non ti ha fatto stare con lui mentre parlava con la stampa, eh? » Mi domandò ad un tratto, prima di portarsi il bicchiere di plastica con il caffè alle labbra « non vuole ammettere che il capo ha dovuto chiamare qualcuno da fuori per aiutarci con il caso. Può risolverlo da solo, riconoscendo anche il nostro merito. Perché noi siamo la sua squadra, sai, noi quattro. Neanche ti voleva qui e non credo che digerirà la tua presenza tanto presto. »
« Phoebe » cominciai a dire, cercando di rimanere calma. Respiri profondi. Inspira, espira. « Una volta per tutte, qual è il tuo problema? Cosa ti ho fatto di tanto grave?! »
« Con te? Dovrei essere frustrata per via della tua presenza quando ci sono due psicopatici a piede libero che potrebbero star uccidendo un'altra ragazza proprio in questo momento? Il mondo non gira tutto intorno a te, Emma Swan, probabilmente non te ne rendi conto, troppo impegnata a sbattere le ciglia in faccia a Killian e a fargli gli occhi dolci ogni volta che ne hai l'occasione. »
Mi feci subito seria, guardandola torva, non riuscivo a credere che stesse davvero dicendo una cosa del genere, a me per giunta! Io che mi facevo in quattro in quel caso, nonostante non fossero miei problemi, nonostante presto me ne sarei tornata a Storybrooke con Killian, lasciandoli lì a cavarsela da soli. Mi addormentavo addirittura con vari fascicoli tra le mani, dato che ci lavoravo sopra fino a tarda notte! Ma forse... forse c'era dell'altro. Forse mi dava fastidio che avesse capito tutto. Sapeva che ero innamorata di Killian, non poteva conoscere tutta la storia ma era arrivata alla cosa più importante.
« Killian è una persona orgogliosa » continuò « non accetterà mai l'idea di un estraneo giunto dall'altra parte del mondo esclusivamente per aiutarlo, come se noi non bastassimo. Faresti meglio a prendere il primo aereo, o il primo traghetto, quello che ti pare, e tornartene a casa! »
« Oh, ci tornerò presto a casa, stanne certa! » Mi lasciai sfuggire, socchiudendo appena gli occhi « e non puoi sapere di certo com'è fatto Killian Jones, non lo conosci, non sai cosa pensa o cosa non pensa! » La mora scoppiò a ridere.
« Lo conosco da anni! Credi che questo non basti? Siamo la sua famiglia, noi e Rose. »
« Sì, certo » sbuffai.
Presi la mia cioccolata e mi diressi verso l'ufficio di Killian, più che decisa a trovare un modo per rintracciare il cacciatore, in quel compito non avevo decisamente rivali.


***


La radiosveglia suonò come di consueto. Sentii un brivido percorrermi l'intera schiena, perciò portai la mano sinistra alle mie spalle, cominciando a tastare il nulla. Con gli occhi ancora ben serrati mugugnai qualcosa di incomprensibile anche a me stessa, mentre mi rendevo conto di essere completamente scoperta, ancora.
Cercai di aprire gli occhi, piano. Prima il sinistro e a seguire il destro, ma li strizzai subito e mi ci volle, come al solito, un po' di tempo prima di mettere a fuoco qualcosa. Subito notai i numeri rossi segnati sulla sveglia: 11:15, avevo seriamente dormito per tutto quel tempo senza che nessuno venisse a svegliarmi? Beh, pareva proprio di sì.
Mi misi a sedere, portando i piedi giù dal letto. Le coperte erano quasi completamente sul pavimento, dovevo cominciare a darmi una regolata o sarei diventata peggio di Anna, nel dormire, per quanto mi avesse raccontato Elsa. Mi strofinai una mano sulle palpebre e afferrai il foglio con su riportata la dichiarazione del cacciatore, caduto anch'esso per terra durante la notte. Non riuscivo a capacitarmi di come mi ero fatta sfuggire una cosa del genere, forse era dovuto al fatto che la situazione con Killian occupava il 99% della mia mente.
Killian, memoria, pozione, Regina! Quel giorno sarebbe finalmente venuta Regina con la sua pozione, non mi sarei più dovuta preoccupare di niente.
Sorrisi raggiante a quel pensiero, mentre la radiosveglia alla mia destra, che ancora non avevo spento, cominciò a mandare “Running On Sunshine”, una delle mie canzoni preferite. Mi sporsi verso il comodino per aumentare il volume della musica, prima di alzarmi dal letto, decisamente più allegra di quanto non lo fossi mai stata lì a Londra. Cominciai a muovermi per la stanza, per rimettere in ordine e per trovare qualcosa di pulito da mettermi, mentre la musica mi contagiava, facendomi muovere seguendone il ritmo, prima la testa e poi tutto il corpo, accennando qualche parola del testo.
Era da tanto che non ballavo. Solo l'idea che stavo davvero ballando mi suonava talmente ridicola, e sicuramente così sarei risultata se qualcuno mi avesse vista, là a muovermi seguendo il tempo, dentro una stanza più che al limite del disordine, con indosso un orribile pigiama a quadri rosa, che mi aveva gentilmente prestato Rose giorni prima.
« Emma...?! »
La voce di Killian mi immobilizzò sul posto. Mi aveva colta in flagrante, non avevo neanche il coraggio di voltarmi. Cosa che dovetti fare, seppur a malincuore. Lo guardai imbarazzata ed osservai il suo volto più che stupito che mi scrutava. Scoppiò poi in una grassa risata, non riuscendo più a trattenersi.
« Scusami, ma dovresti vedere la tua faccia » affermò, continuando a ridere, poggiato con il braccio alla parete. Lo guardai male e feci di tutto per non scoppiare anche io, non volevo dargli soddisfazione.
« Smettila » lo sgridai, incrociando le braccia sotto il seno, concentrandomi tanto per non lasciar scappare neanche un piccolo sorriso.
« Va bene, va bene » esclamò lui, rizzandosi su con la schiena « non mi aspettavo che fossi una gran ballerina, Swan. Potresti avere un futuro! »
« Davvero divertente, Jones! » Feci, scuotendo la testa « Volevi qualcosa? »
« Ah sì, giusto! Dovresti scendere di sotto... prima cambiati però, io ti aspetto giù » detto questo, mi rivolse un occhiolino -sì, proprio un occhiolino, non stavo impazzendo- e mi lasciò da sola.
Guardai per qualche secondo la porta, come aspettando di vederlo ritornare da un momento all'altro con qualche spiegazione in più. Cosa che non avvenne, così mi decisi ad afferrare un paio di pantaloni neri e una camicetta azzurrina, e ad indossarli.
Scesi le scale senza nessuna fretta, speravo solo non fossero arrivate brutte notizie, non quel giorno, quel giorno doveva essere perfetto. Non vedevo l'ora di far bere la pozione a Killian, anche se solo allora mi domandai come avrei fatto a fargliela bere. Lui mi aveva messo nella testa abbastanza dubbi da indurmi a berla, a New York, ma io? Io non ero riuscita a farlo, troppo preoccupata a pensare a come potesse reagire. No, gliela avrei fatta bere a tradimento, anche se un po' mi dispiaceva. Forse era meglio parlarne prima con Regina, mi dissi, poteva darmi un consiglio. Tra l'altro non doveva volerci ancora molto, mi aveva detto che sarebbe arrivata in mattinata, speravo davvero non ci mettesse troppo.
« Mamma! »
Sgranai gli occhi e spalancai la bocca. Mi voltai di scatto e mi ritrovai Henry davanti, mentre si alzava dal divano sul quale si era accomodato in salotto, per corrermi incontro.
« Henry! Ma che...?! » Le parole mi morirono in gola quando il ragazzino mi abbracciò. Ricambiai la stretta forte, ad occhi chiusi, gli misi la mano destra fra i capelli e glieli scompigliai un po', prima di riaprire gli occhi « Che ci fai qui?! Regina! » Esclamai di colpo, mentre vedevo la mora venire verso di noi, non l'avevo vista poco prima! Mi staccai da Henry e la guardai incerta per qualche secondo.
« Non ci provare Swan, niente abbracci » affermò subito, alzando la mano destra, come a volermi fermare in qualche modo. La mia mente, invece, era presa dalla sua mano sinistra, stretta intorno a una borsetta nera di piccole dimensioni; sorrisi tra me immaginando quello che potesse contenere.
« Non vi aspettavo così presto, anzi, non ti aspettavo » mi corressi tornando a guardare mio figlio, con il sorriso sulle labbra. Mi era mancato, lui più degli altri, non lo vedevo soltanto da una settimana e già mi sembrava impossibile vivere senza quel ragazzino che mi aveva sconvolto, sconvolto davvero, la vita. Come avevo fatto dieci anni senza di lui?
« Siamo partiti presto, qualcuno qui non stava più nella pelle » mi informò Regina, accennando con il capo a Henry. Il ragazzino, che ormai quasi era più grande di me, subito scattò a stringermi di nuovo, lo avvolsi con un braccio intorno alle spalle e lo strinsi a me.
Guardai istintivamente Killian, sorridendo ancora per la sorpresa. Lo vidi mentre se ne restava in disparte, ma ci osservava probabilmente intenerito. Ci guardammo negli occhi per degli istanti interminabili, incurvò le labbra verso l'alto e mi lanciò un cenno con il capo.
Inspiegabilmente, sentii già di essere tornata a casa.
« Avete già fatto conoscenza? » Domandai, tornando in me, prima di guardarli tutti e tre.
« Sì, Killian ci ha detto che state lavorando tantissimo su un caso molto importante » mi fece sapere Henry. Riuscii quasi a vedere la luce di una lampadina che si accendeva sopra la mia testa!
« Killian! » Lo chiamai « Sapevi che Henry è un esperto di fiabe?! Potreste parlarne mentre io e Regina prepariamo qualcosa di caldo » così dicendo portai il ragazzino dall'uomo in salotto, lanciai quindi un'occhiata a Regina e la guidai verso la cucina.
« Come te la stai cavando? » Mi domandò la donna, mentre entrava nella stanza e si guardava intorno. Sembrava la stesse ispezionando tutta solo con lo sguardo.
« Potrebbe andare meglio » sospirai io « prima gli faccio bere quella pozione, prima mi sentirò meglio! »
La vidi trafficare con la borsetta, ovviamente sapevo cosa stesse cercando. I miei occhi si illuminarono non appena la vidi: rinchiuso in quella boccetta di vetro, il liquido azzurrino splendeva sotto i miei occhi. Regina me la porse e io l'afferrai subito, anche se incerta.
« Come faccio a fargliela bere, Regina? » Le domandai retoricamente, cercando di non farmi prendere dallo sconforto.
« Come sarebbe a dire? »
« Avrei voluto raccontargli la verità, prima di fargliela bere. Da quando sono arrivata non faccio che inventare storie. Mi sembra di imbrogliarlo. »
« Emma... una volta che avrà bevuto quella pozione si ricorderà tutto, non ce l'avrà con te per avergli mentito, lo sai. Lo conosci molto meglio di me. »
Mi sentivo ugualmente in colpa, ma rimaneva l'unico modo per fargliela bere. Impressionante come le cosa non andassero mai come mi aspettavo, potevano costruirci sopra una storia basata sulle mie disavventure.
Preparai velocemente una cioccolata calda per Henry, la versai in una tazza e vi misi sopra della panna; afferrai nuovamente la boccetta con la pozione, la studiai per un po', presi un respiro profondo e la versai in una tazzina.
Nel giro di un minuto sarebbe tutto finito, non mi sembrava vero.
Tornai in salotto, seguita da Regina, la tazza fumante per Henry nella mano destra, quella per Killian nella sinistra. Li trovai entrambi assorti in una conversazione su Rapunzel, non mi sarei aspettata di vedere l'uomo tanto partecipe.
« Vi disturbo? » Ridacchiai, porgendo la cioccolata al ragazzo « Killian, Regina ci ha portato una bevanda tipica di Storybrooke » Henry quasi soffocò nella sua cioccolata, per trattenersi dal ridere, guadagnandosi un'occhiataccia da me e dalla sua madre adottiva « vedrai che ti piacerà e sono sicura che ti sentirai meglio, una volta bevuta. »
Con mano tremante gli passai la tazzina. Lui la scrutò per un po', forse il colorito non lo convinceva, lo vedevo mentre si chiedeva la quantità di coloranti che conteneva quella assurda bevanda. Ne sentì anche l'odore e la cosa mi scocciò. Era più snervante quell'attesa formata da pochi minuti, rispetto ai giorni interi passati aspettando notizie.
Finalmente posò le labbra sulla tazzina e cominciò a berne il contenuto, fino all'ultima goccia.
Espirai profondamente, improvvisamente più leggera. Sorrisi subito, guardai prima Henry che strizzò un occhio in mia direzione, e poi Regina, sorridente anche lei.
Era fatta, era finita.
Quell'incubo ormai si era dissolto nel nulla, potevamo finalmente andare avanti e dimenticare tutto.
« Killian... » lo chiamai a mezza voce, una volta che finì di bere.
Aveva gli occhi puntati sulla tazzina, non riuscivo a decifrare la sua espressione. Poi parlò.
« Aveva uno strano sapore » mi irrigidii « mi sembra di aver sentito delle mele, c'erano vero? Non ne vado molto pazzo, sarà per questo che... » parlava, parlava, parlava. Neanche lo ascoltavo più.
Incurvai velocemente le labbra, simulai un sorriso ed annuii appena, chissà per quale motivo poi.
Non proferii parola, girai i tacchi e mi avviai verso la cucina. Passai davanti Regina, esitò voltandosi dalla mia parte, ma anche lei rimase in silenzio, scoraggiata.
Mi chiusi la porta alle spalle e rimasi ferma. Cosa non aveva funzionato? Cosa era andato storto, quella volta? Perché Gold aveva maturato tutto quell'odio nei miei confronti? Cosa ci stava guadagnando lui da quella storia?
Osservai la boccetta, immobile su uno dei banconi di quella cucina.
« Aaaah! » Urlai, afferrandola con rabbia e lanciandola verso la parete opposta con tutta la forza che avevo in corpo.
La vidi andare a sbattere sul muro, infrangersi in tanti piccoli pezzi. Allora scoppiai in un pianto disperato e sordo. Mi lasciai scivolare a terra, la schiena poggiata al bancone. Strinsi le ginocchia tra le braccia e vi poggiai sopra la testa.
Piansi, piansi tutte le lacrime che avevo in corpo e che avevo trattenuto per giorni, sconfitta.
Nella mia testa piombò l'immagine di Gold. Rideva, rideva come un pazzo, vittorioso e compiaciuto della mia impotenza in tutta quella storia.






Note dell'autrice: salve a tutti (vipregononuccidetemi)! Prima di tutto mi scuso subito per l'immenso ritardo! Non è stato molto semplice scrivere questo capitolo, anzi, senza contare che il risultato finale neanche mi soddisfa, ma vabbè.
In più ci ho messo più del previsto visto che la Comic Con (Jennifer che cerca di parlare irlandese non me la leverò mai dalla testa) mi ha ispirato a tal punto da spingermi a concentrarmi sulla OneShot che poi ho pubblicato qualche settimana fa, se vi va di leggerla :'D (pubblicità occulta), quindi ho cominciato a scrivere questo molto più tardi di quanto avrei sperato!
So che state venendo a cercarmi con le torce e i forconi per via del pezzo finale, ma vi prego di rimandare la mia uccisione (vi pregherei anche di cancellarla dalla vostra mente, a dire la verità!!) perché ho tante di quelle scene in mente... eheheheh... mi perdonerete di certo! (prima o poi!)
Spero di non metterci troppo con il prossimo capitolo, cosa che non credo visto che sono riuscita a mettermi finalmente in pari con Grey's Anatomy (dalla 5 alla 11 in poco più di un mese, non so se mi spiego :'))
Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto, vi ringrazio tutte come sempre per le bellissime parole che mi lasciate scritte, leggere le vostre recensioni è la parte in cui mi diverto di più xD fatemi sapere cosa pensate di questo e... okay basta, mi sto dilungando troppo!
Un bacio a tutte :)

PS. Le avete viste le foto/video dal set?! Il quasi bacio?! Killian con il pugnale?! Oddio, non sto più nella pelle!

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Capitolo 9
*** The power of love ***


9. The power of love






Le lacrime non accennavano a volersi arrestare. Scorrevano veloci lungo le mie guance, seguendo sempre il solito percorso, ed andavano ad infrangersi dritte sulle mie gambe. Una manciata di minuti ancora in quelle condizioni e mi sarei ritrovata con i pantaloni zuppi di pianto. Ma cosa poteva importarmi, alla fine?! Di certo quello era l'ultimo dei miei problemi. Anzi, non era neanche degno di essere considerato un problema, quando tutte le speranze che avevo riposto in quella dannatissima pozione si erano infrante e ora giacevano sul pavimento piastrellato, insieme a vari pezzi di vetro, più o meno grandi.
Il tempo si era fermato di colpo. Tutto si muoveva a rallentatore, in quella piccola e fredda cucina, la mia testa andava a rallentatore. Potevano essere passate ore intere; gli altri potevano anche aver deciso di lasciarmi sfogare in santa pace in quella stanzetta, oppure potevano non essersi accorti di niente. Difficile, visto il casino che avevo appena fatto tra grida e una boccetta lanciata contro la parete opposta. La verità era che li avevo sentiti, tutti e tre, non appena il vetro aveva colpito con forza il muro, erano scattati in piedi con l'intenzione di raggiungermi.
Avevo distinto i loro passi, non era buffo? Nonostante i miei singhiozzi e il suono assordante del mio respiro affannato e dei miei lamenti, che cercavo comunque di contenere, ero riuscita a distinguere quello che avveniva nella stanza oltre il corridoio.
I tacchi alti di Regina erano la prima cosa che avevo sentito, così come erano la prima cosa che saltava all'attenzione di qualsiasi orecchio presente nell'arco di una trentina di metri. Si muovevano senza troppa fretta, ma comunque agitati, lo percepivo. Probabilmente, fosse dipeso da lei, mi avrebbe lasciata sola per un po' di tempo, mi avrebbe concesso istanti preziosi per farmi calmare. Immaginavo che, invece, si volesse affrettare per arrivare prima di quelli che avevo imparato a considerare come i miei uomini e che, adesso, erano semplicemente mio figlio e, beh... Killian Jones.
Henry poggiò pesantemente la tazza di cioccolato sul tavolino posto davanti al divanetto sul quale si era appollaiato dopo che io stessa gli avevo chiesto di restare con Killian, così che io e Regina potessimo parlare. I passi leggeri emessi da un ragazzino appena tredicenne mi giunsero all'orecchio, veloci e ansiosi. Odiavo farlo preoccupare: ero sua madre, quello era un compito che spettava a me, soltanto a me!
Killian, invece, era quello che si era alzato di scatto non appena sentita la mia voce. Forse per istinto, forse per preoccupazione, i suoi passi pesanti erano quelli su cui mi concentravo meglio, in attesa. Speravo quasi si precipitasse da me mostrandosi in colpa, speravo che la sua fosse solo una messa in scena. Mi era saltato per la mente, per una frazione di secondo, che poteva essersi ricordato tutto e poteva solamente essersi messo a prendermi in giro, ma poi avevo visto i suoi occhi: nessun riflesso, nessuna nuova luce, nessuna sfumatura che potesse farmi stare tranquilla.
E quest'ultimo fu proprio il primo a raggiungermi, forse perché il destino aveva deciso di prendersi gioco di me o forse perché era stato realmente più veloce degli altri due.
La porta si spalancò di botto, andando quasi a sbattere contro il muro. Nonostante il rumore assordante e lo stupore non mossi un muscolo, non alzai la testa, non mi girai a guardare. Non ne avevo le forze, o magari non volevo farmi vedere così. O più semplicemente tutte e due le opzioni.
« Swan! » Lo sentii esclamare preoccupato mentre, o almeno ebbi quell'impressione, cominciava a guardarsi intorno, per capire cosa aveva scatenato tutto il trambusto che avevo combinato, pur rimanendo in piedi sulla porta, insieme agli altri due che lo avevano raggiunto all'incirca un secondo dopo.
« Mamma! » La voce di Henry mi arrivò quasi come un sussurro, sentii una specie di pugno nello stomaco nell'udire la sua voce allarmata. Ero certa che Regina aveva preventivamente poggiato le sue mani sulle spalle del ragazzino, un po' per farlo stare tranquillo, un po' per non farlo correre da me.
Sentivo gli occhi ansiosi di Killian e quelli di Henry puntati su di me, così come percepivo quelli sconsolati dell'ex regina cattiva della Foresta Incantata.
« Ma che diamine...? » Cominciò a dire l'uomo dagli occhi blu profondi, mosse un passo verso di me, ma l'altra donna lo fermò, anche se non fisicamente.
« Okay, non c'è niente da vedere, lasciateci da sole » si impose con autorità, seppur rivolgendo uno sguardo intenerito verso il ragazzino, sicura che avrebbe capito.
I due, tuttavia, in un primo momento rimasero fermi nella loro postazione, guardando prima lei e poi me e viceversa. Alla fine, scoraggiati di non poter effettivamente fare nulla, se ne tornarono entrambi in salotto. Regina chiuse la porta subito, concedendomi quel tanto di privacy che mi era rimasta.
Si avvicinò a me abbastanza cautamente, un po' incerta. Non sapendo bene cosa fare, o dire, si limitò a sedersi al mio fianco, anche lei con la schiena poggiata al bancone, braccia a circondare le ginocchia.
Se ne restava in silenzio, decisa a darmi tutto il tempo di cui avessi bisogno, o magari sapeva che le sue parole mi sarebbero parse ovattate, sovrastate dai miei singhiozzi che erano tornati a farsi sentire non appena gli altri due avevano lasciato la stanza.
« Perché? » Le parole mi uscirono di bocca in un sussurro, io stessa avrei faticato a capirle. Alzai la testa segnata dalle lacrime, la poggiai sulla superficie del bancone e rivolsi gli occhi arrossati verso un punto fisso del soffitto.
« Come? » Domandò l'altra, girandosi istintivamente verso di me, non appena ebbe sentito il flebile mormorio uscito dalla mia bocca.
« Perché? » Ripetei « Perché non ha funzionato?! Cos'è successo? Qual è la scusa, questa volta?! » Sbottai improvvisamente, scattando in piedi e guardandola dall'alto verso il basso, arrabbiata. Ero arrabbiata con lei? No, sapevo che non aveva nessuna colpa e che anche lei era rimasta stupita quanto me. Forse. Pensandoci non sembrava molto sconvolta, semmai dispiaciuta. Ma non me ne facevo proprio nulla del suo dispiacere, avevo bisogno di risposte in quel momento, nient'altro.
Diedi una manata sul frigorifero, la cosa più vicina a me. Ritirai subito la mano e guardai il palmo, dolorante.
« Swan! » Regina scattò subito, si avvicinò a me e fece per prendermi la mano, ma la scansai immediatamente.
Non potevo fare altro che pensare a tutta quella rabbia che stavo provando e che aveva preso il posto prima dello stupore e poi della delusione. Mi focalizzai sulla mia oscurità. Mi balzò per la mente come Gold potesse aver programmato tutta quella storia solo per farmi cadere vittima di essa, peccato che lui non avrebbe goduto del minimo beneficio, privato com'era dei suoi poteri e ormai lontano da Storybrooke.
« Allora » cominciai, cercando di mantenermi su un tono di voce abbastanza basso « cosa non ha funzionato? » Domandai, guardando finalmente Regina che sospirò tra sé. Non mi ero calmata, lo sapevamo entrambe, solo che non potevo più aspettare, dovevo avere delle risposte e, a giudicare dall'espressione della donna, lei era l'unica in grado di darmele, l'unica a sapere nel dettaglio cos'era accaduto.
« Dopo che mi hai chiamato per spiegarmi la situazione, mi sono subito messa a fare delle ricerche. Ho scoperto delle cose interessanti, probabilmente avrei dovuto dirti tutto subito, ma non l'ho fatto solamente per non farti prendere dal panico inutilmente, Emma, davvero » la ascoltavo attentamente con le braccia incrociate, le mie iridi verdi puntate nelle sue; inclinai appena il capo e la studiai. No, non mi stava mentendo, non ne avrebbe avuto alcun motivo pensandoci. Annuii appena e la incitai a continuare. « Ho pensato subito che i due sortilegi fossero diversi: in questo caso, Gold ha dovuto alterare le memorie di persone normali, persone che non provengono dal nostro mondo, situazione che non si era venuta a creare durante il mio sortilegio per capirci. »
Non riuscivo a comprendere dove volesse andare a parare, o forse ero io a non volerlo vedere, poteva essere qualsiasi opzione. Certo, una volta trovato Killian, solo una settimana prima, ero subito arrivata alla conclusione che fosse stato vittima dello stesso sortilegio che aveva colpito Storybrooke e, magari, la mia mente mi diceva questo perché già una volta mi ero ritrovata a far tornare la memoria a tutti, in qualche modo quel pensiero mi dava quel briciolo di forza di cui avevo bisogno. Ma dovevo ammettere che Regina, con il suo ragionamento, non aveva tutti i torti, avrei potuto arrivarci benissimo da sola se non fossi stata tanto cieca.
Solo che non continuavo a capire come quelle informazioni fossero legate alla nostra situazione e alla non riuscita della pozione della memoria.
« Quindi? » le chiesi subito « Cosa c'entra tutto questo con la pozione? »
« C'entra eccome » esclamò « secondo le mie ricerche, è possibile ricorrere a tre incantesimi diversi per creare una vita fasulla ad una persona. Il primo, quello che mi ha fatto lanciare Gold più di 28 anni fa, è il più semplice da spezzare se si ricorre alla magia. E' quello che ho fatto anche con te, ti ho creato dei nuovi ricordi, una nuova vita per ricominciare, ed è bastata una semplicissima pozione a farti ricordare chi eri davvero. Il secondo, invece, si può spezzare esclusivamente con il bacio del Vero Amore. E il terzo... beh... il terzo non si può spezzare in alcun modo, neanche con la magia oscura – non che pensassi di utilizzarla – . » Mi sentii subito mancare il fiato, Regina si rese conto del mio sguardo sperduto e si affrettò a continuare « ma il terzo non è il nostro caso, puoi stare tranquilla! »
« Come fai ad esserne sicura? Conosci Gold, non si sarebbe fatto nessuno scrupolo per distruggere Killian! »
« Non se significava sacrificare il suo Vero Amore » la fissai silenziosa, la bocca ancora semi aperta, pronta a ribattere, cosa che non feci, per lasciarla finire « per lanciare questo sortilegio, spedendo così Hook qui a Londra, in un posto senza magia, e modificando non solo i suoi ricordi, ma anche quelli di gente comune, pretendendo che tutto questo non possa essere spezzato, Gold avrebbe dovuto uccidere Belle. Questo era il suo prezzo. »
Tornai a respirare per qualche istante, lasciandomi cadere su uno sgabello a pochi passi da me. Il coccodrillo era una persona spregevole, quello era certo, ma amava Belle e non le avrebbe mai fatto del male.
Ero rincuorata dal fatto che il sortilegio poteva essere spezzato, certo, ma non potevo saltare dalla gioia comunque. Il bacio del Vero Amore, quella era l'unica soluzione. Il nostro era Vero Amore, ora lo sapevo, ma lo era a Storybrooke. Lì a Londra ero solamente una vecchia amica di cui neanche ricordava l'esistenza, che adesso lo aiutava a risolvere un caso.
Era un sorriso amaro quello che rivolsi a Regina, basato sulla consapevolezza che probabilmente non sarei mai riuscita nell'impresa, quella volta.
« Gold ha utilizzato un incantesimo che non può essere spezzato » mormorai, abbassando immediatamente lo sguardo.
« Cosa?! Swan, ma mi ascolti quando parlo? No, decisamente no a quanto pare! Per farlo avrebbe dovuto uccidere Belle » aveva cominciato a parlare molto lentamente e a scandire bene ogni singola parola, come se non potessi capire quello che stava dicendo e la cosa mi fece storcere il naso « tra l'altro l'abbiamo vista anche con i nostri occhi, viva e vegeta. Davvero non capisco come puoi dire una cosa del genere. »
« Io non capisco? Tu non capisci! » Sbottai nuovamente, alzando di scatto il capo e tornando a fissarla duramente, cosa che la fece ammutolire. « Lui è fidanzato adesso, te l'ho detto. Non mi ama, non è neanche lontanamente innamorato di me, il suo cuore è già occupato. Non gli importa più niente di me » tirai fuori così tutti i pensieri e le paure che mi avevano attanagliato per giorni interi, solo che non erano più esclusivamente delle mie idee, erano la realtà, ormai.
La donna scosse la testa: non era d'accordo con me, non era di certo una novità, ma quella volta avevo ragione io, del resto ero stata io a passare tanto tempo insieme a quell'uomo, sapevo di cosa parlavo.
« Non gli importa più niente di te? Ma lo vedi come ti guarda? Era davvero preoccupato di vederti in quello stato, Swan; quando ti abbiamo sentita urlare è scattato subito. Perché dovrebbe preoccuparsi per te se davvero non conti più niente per lui? »
Non sapevo come prendere quelle parole. Un pizzico di verità sicuramente c'era, non mi avrebbe mai permesso di vivere nella sua stessa casa se così non fosse stato. Forse una parte di lui continuava ad essere legata a me, nonostante tutto.
Con la mente tornai ai miei primi giorni a Storybrooke. Mi ero subito sentita estremamente legata ad una persona: Mary Margaret. Entrambe ci siamo fidate l'una dell'altra fin dal primo istante e quando poi si è rivelata essere mia madre mi è sembrato tutto più chiaro.
Magari a Killian era successa la stessa cosa, ma avevo ugualmente paura. Ci eravamo molto avvicinati negli ultimi giorni, non potevo rischiare di buttare via tutti quei progressi. Da sconosciuti ad amici, avevo cercato in tutti i modi di avvicinarlo a me, di fargli capire, sentire, che poteva fidarsi, che non lo avrei deluso, un bacio avrebbe rovinato tutto, avrebbe rialzato il muro protettivo intorno a lui.
Sì, dovevo solamente aspettare. Ancora un po' di tempo e saremmo stati abbastanza intimi, saremmo tornati ad essere noi e un bacio sarebbe venuto da solo.
Oppure i giorni sarebbero trascorsi velocemente, Killian sarebbe stato più indaffarato del solito per stare dietro a Rose e ai preparativi del matrimonio (anche se, da quanto avevo capito, era già quasi tutto pronto), avrebbe passato sempre meno tempo con me, il nostro rapporto sarebbe rimasto in stallo e prima che potessi rendermene conto, si sarebbe ritrovato con l'anello al dito.
« Hai ragione tu, non posso tirarmi indietro proprio adesso. Non posso rimandare ancora per molto, devo sperare nel bacio del Vero Amore, è l'unica soluzione. »
Speranza, già. Come se bastasse davvero così poco per far andare le cose nel verso giusto. E dove mi aveva portato, tra l'altro, la speranza? Non molto lontano a quanto pare, avevo solamente sofferto il doppio. Ero sempre stata scettica in quei giorni e non appena avevo accennato anche solo di credere che tutto sarebbe andato per il meglio, ecco l'ennesima batosta.
Pensai improvvisamente alle parole di mia madre: “Credere anche solamente nella possibilità di un lieto fine è un mezzo molto potente”. Decisi che almeno dovevo provarci, e riuscirci. Dovevo riuscire a credere, lo dovevo a lei, lo dovevo a Killian e, soprattutto, lo dovevo a me stessa.
Sorrisi appena alla donna, mi alzai dallo sgabello sul quale mi ero seduta poco prima e mi avviai, seguita a ruota da Regina, verso il salotto, dove trovai i miei uomini. Entrambi si voltarono di scatto verso di me, non appena li ebbi raggiunti.
« Henry! Non hai bevuto la tua cioccolata, oramai si sarà ghiacciata! » Esclamai fingendo interesse per una questione così futile. Il mio unico intento era quello di apparire naturale e lasciare alle spalle di tutti quello che era accaduto solo poco prima.
« Emma » mi chiamò Killian, cauto, come se stesse decidendo quali parole fosse meglio usare « tutto bene? » Optò, dunque, per la domanda più facile e sicura.
« Sì, certo » affermai, alzando gli angoli della bocca in un sorriso. Certo, sarei stata molto più convincente senza gli occhi rossi e il volto segnato dal pianto, ma cercai di non farci caso.
« Emma ha avuto un piccolo calo di nervi » Regina venne in mio soccorso, guadagnandosi un'occhiata accigliata da parte mia e da quella di Henry. Killian, invece, sembrò convinto da quella informazione e mi guardò apprensivo.
« Forse ti stai chiudendo troppo sul caso, ti addormenti addirittura sulle cartelle! » Mi rimproverò lui. Mi trattenni con ogni mezzo di rispondergli a modo, il mio problema di certo non era dovuto a quella stupida operazione. Mi limitai, però, a scrollare le spalle, infilando le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni. « Beh, se non ci sono particolari problemi allora... mi dispiace lasciarti, voglio dire.. lasciarvi!, ma avevo promesso a Rose che avrei passato la giornata con lei e che l'avrei accompagnata a sistemare le ultime cose per il matrimonio – sapete, mi sposo fra meno di un mese, ventitré giorni – e poi saremmo andati a cena... »
« Oh, va bene Killian. Non è di certo un problema! » affermai, abbassando appena il capo per nascondere un'espressione di disappunto, cominciavo a non tollerare più neanche il nome di quella ragazza « io sto bene, si è trattato di una sciocchezza. E poi non mi lasci mica da sola, non importa » aggiunsi in seguito, questa volta guardandolo negli occhi. Lui mi accennò un sorriso.
« Okay. E' stato un piacere conoscervi! Tienila d'occhio da parte mia » disse poi, avvicinandosi a Henry con fare complice « non farla avvicinare a niente che si tratti di lavoro! » Il ragazzino rispose con qualcosa che somigliava a un “puoi contarci”, non gli prestai molta attenzione, troppo impegnata a scuotere il capo per quella scena.
Osservai Killian che prendeva la sua giacca prima di fermarsi qualche secondo sulla porta, girarsi verso di noi, rivolgermi un sorriso appena mortificato ed uscire.
Espirai lentamente, quando mi voltai Regina già mi rivolgeva uno sguardo che voleva solo dire “te l'avevo detto”.
« E lui non tiene a te, ma per favore » commentò a bassa voce, come se parlasse fra sé e sé.


« Vi preparo la cena » affermai ad un tratto, alzandomi dal divano dove ero seduta con Henry e Regina da qualche ora.
Avevamo perso la cognizione del tempo, specialmente grazie a Henry che aveva intenzione di raccontarmi per filo e per segno tutto quello che era successo a Storybrooke durante la mia assenza. Era impressionante come in una cittadina così piccola potessero accadere così tante cose in così poco tempo! Certo, il fatto che i suoi abitanti erano personaggi delle fiabe e che la magia regnasse sovrana in quel piccolo angolo del Maine aiutavano, e parecchio anche, a far sì che nella cara e vecchia Storybrooke non ci si annoiasse mai.
I due mi guardarono stupiti per una manciata di secondi, si lanciarono poi un'occhiata veloce, prima di tornare con il loro sguardo su me.
« Che c'è? » domandai allora, non riuscendo a decifrare le loro facce.
« Una settimana lontana da casa ti è servita per imparare a cucinare? » Chiese subito Regina, per tutta risposta, con ironia.
Si mise in testa di voler cucinare a tutti i costi le sue famose lasagne – la sua cucina, diceva, era più sicura della mia – e a niente erano servite le mie proteste e i tentativi fatti per dissuaderla. Sbuffai quando entrò in cucina e cominciò a tirare fuori pentole varie e tutto il necessario per la ricetta; cercai anche di proporle il mio aiuto, ma rifiutò decisa. Mi sentivo un po' offesa, non ero di certo una maga dei fornelli, ma non avevo mai avvelenato e/o ucciso nessuno.
Capii che non c'era molto che potessi fare, così mi sedei su uno sgabello, misi i gomiti sul bancone e guardai Henry che prendeva posto al mio fianco. Gli rivolsi un piccolo sorriso, prima di tornare con lo sguardo a un punto indefinito della stanza, pensierosa.
Avrei baciato Killian quella stessa sera, parlando con gli altri due avevamo concluso che quella fosse la decisione migliore. Prima lo avrei baciato, prima avrei spezzato l'incantesimo, prima si sarebbe ricordato di me. Poi, avremmo potuto decidere insieme il da farsi: partire subito e tornare a casa, oppure rimanere e dare una mano con il caso, una volta osservate le reazioni di Rose, Phoebe e il resto della squadra, visto che nessuno di noi era certo di come avrebbero reagito a fine incantesimo.
Certo, c'era un'incognita più grande che occupava i miei pensieri, ovvero se il bacio avrebbe funzionato o meno. Non avrei sopportato l'ennesimo tentativo fallito, così come non avrei sopportato decisamente un rifiuto da parte sua.
« Sei preoccupata, vero? » Mi domandò, a un tratto, Henry, facendomi tornare alla realtà. Voltai la testa verso la sua direzione e lo osservai dritto negli occhi. Non c'era motivo di mentirgli, non c'era proprio alcun motivo di far finta che non ci fosse niente, neanche mi avrebbe creduto, probabilmente.
« Sì, ragazzino, ho paura che il bacio non risolva nulla. »
« Ma il vostro è Vero Amore, il nonno ci ha detto di come hai rintracciato Killian sul mappamondo magico. Il Vero Amore vince sempre » parlò lui tranquillo, come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo, prima di tornare ad osservare la sua madre adottiva, che nel frattempo ci ascoltava in silenzio.
« Temo che sia più complicato di così, Henry » commentai, toccandomi istintivamente l'anello di Killian fermo al mio pollice.
« Non credo. Forse sei tu a renderlo più complicato. »
Restai a guardarlo per un po', lui non ci fece troppo caso o perlomeno non volle darlo a vedere. In effetti le sue parole avevano senso, del resto Henry aveva dimostrato di saperne più di tutti noi messi insieme su come andavano certe cose, come quando aveva talmente insistito affinché mia madre leggesse a mio padre, in coma, la loro storia. Ma d'altronde lui era il nuovo autore, anche se mi sembrava assurdo anche solo il pensiero, doveva per forza saperne più di noi.
Ero io a impedire a Killian di riacquistare la memoria, io e le mie paure. Non dovevo permettere che prendessero il sopravvento, Henry aveva ragione.
Il mio bacio con Killian a New York non aveva funzionato, quello era il mio pensiero fisso. Ma, ragionandoci, era andata in quel modo perché lui non aveva perso un solo secondo e subito mi era saltato addosso. Non sapevo neanche il suo nome, per me era solo uno sconosciuto, un folle, e l'odore di rum che emanava non aiutava di certo a farmi avere una buona impressione di lui.
Così com'era successo ai miei genitori, nella Foresta Incantata. Se il primo bacio non aveva funzionato Biancaneva e non le aveva fatto tornare la memoria, il principe non si era perso d'animo e aveva tentato il tutto e per tutto, dimostrandole di avere un animo nobile, dimostrandole che poteva fidarsi di lui, dimostrandole di amarla con tutto il suo cuore.
Io e Killian non eravamo più due sconosciuti. Mi ero aperta con lui, in qualche modo, e lui lo aveva fatto con me. Mi aveva accolta in casa sua e, se anche la mia presenza a Scotland Yard ancora faticava a digerirla, sentivo che aveva cominciato a fidarsi di me, si preoccupava per me, forse davvero aveva ricominciato a tenerci, forse il nostro legame si stava ricreando inconsapevolmente.
La cena passò tranquilla, quelle lasagne mi sembrarono la cosa più buona che avessi mai mangiato. Forse perché stavo per togliermi finalmente un peso dal cuore.


Osservavo Henry mentre indossava il suo giubbotto, seguito a ruota da Regina.
« Sai, Swan, al contrario di te, le persone prenotano una stanza ad un Bed&Breakfast prima di mettersi in viaggio » affermò la mora, mentre portava i suoi capelli fuori dalla giacca.
Mi ero presa la libertà di chieder loro se se la sentissero davvero di andare via, quando potevano rimanere da me e Killian. Il problema su dove farli dormire, in caso, si era posto subito dopo aver formulato la domanda, visto che le camere in quella casa erano solamente due ed entrambe occupate. Per fortuna Regina mi aveva tranquillizzato sul fatto di aver prenotato una camera proprio il giorno prima, e, tra l'altro, il Bed&Breakfast distava meno di 600 metri, quindi eravamo vicini, in caso ci fosse stato bisogno.
« Copriti, Henry » dissi, aprendo la porta « le temperature scendono a picco a quest'ora » risi, poi, vedendo la smorfia dipinta sul suo volto, mentre mi ricordava che non era più un bambino.
Già, cresceva in fretta, senza neanche darmi il tempo di rendermene conto. Molte volte rimpiangevo di non averlo tenuto con me, poi mi rendevo conto che tredici anni prima non ero assolutamente in grado di crescere un figlio e che quella era stata la decisione migliore, nonché la più dura, per garantirgli una vita migliore.
Rimasi con la mano sinistra sulla porta, mentre i due si voltarono a guardarmi, prima di allontanarsi.
« Allora... dacci subito notizie, non farci aspettare fino a domani. E vedi di non tirarti indietro all'ultimo momento! » Si raccomandò Regina e, quella volta, toccò a me mostrare una smorfia contrariata. Infondo non ero una ragazzina, non c'era bisogno di fare tante storie.
Diedi un bacio a Henry sulla fronte e li salutai non appena concordato a che ora vederci l'indomani. Richiusi la porta solo quando li vidi abbastanza lontani da distinguere appena le loro sagome e me ne tornai in salotto. Controllai l'orologio che segnava pochi minuti alla mezzanotte. Killian sarebbe tornato a momenti, o almeno speravo che sarebbe tornato, visto che c'era anche l'opzione che potesse fermarsi da Rose, quella notte.
No, no, no, non dovevo mettermi a pensare cose del genere. Anzi, non dovevo pensare e basta!
Andai, quindi, a prendere il portatile, che poggiai sulle gambe incrociate una volta seduta sul divano. Se dovevo aspettare Killian per chissà quanto altro tempo ancora, tanto valeva rendermi utile e dedicarmi all'indagine ancora in corso!
Avevo ancora due filmati su Caroline Evans da controllare, entrambi da più o meno cinquanta minuti, avrei fatto meglio a cominciare subito.
Il primo si dimostrò fin da subito un buco nell'acqua come tutti gli altri che avevo controllato. Mandai più volte indietro i momenti in cui appariva la nostra fantomatica Raperonzolo, ma non servì comunque a granché.
Il secondo, e ultimo, finalmente, filmato procedeva lento e con una calma disarmante. Ritraeva sulla sinistra un bar, un uomo leggeva un quotidiano mentre quattro signori anziani giocavano a carte seduti ai tavoli fuori dal locale; mentre sulla sinistra vi erano delle auto parcheggiate affianco al marciapiede, un suv nero in bella vista che copriva la figura di un'altra.
Le cose si fecero estremamente più interessanti circa venti minuti dopo, con la comparsa di una Caroline Evans più che tranquilla, i lunghissimi capelli biondi raccolti in una coda alta che le cadevano sulla schiena. Sentii, proprio in quel momento, il rumore di una macchina che si fermava a pochi metri da casa, per questo fermai il filmato e restai in ascolto.
Voci soffuse, tutto quello che riuscii a sentire, ma riconobbi immediatamente quella di Killian, intento probabilmente a salutare Rose, e a darle la buonanotte, prima di rientrare.
Scossi appena il capo quando sentii il motore rimettersi in moto e procedere in retromarcia, guardai quindi verso la porta e aspettai di veder comparire l'uomo, cosa che accadde poco dopo.
« Swan! » Esclamò, vedendomi illuminata solamente dalla luce dello schermo del computer, dato che avevo spento tutte le luci « Sei ancora sveglia?! Tuo figlio e la tua amica? »
« Sono andati via più di un'ora fa » risposi con semplicità.
Mi sentii mancare il fiato, il cuore cominciò a martellarmi dentro al petto. Ora che lo avevo lì davanti capii la raccomandazione di Regina sul non tirarmi indietro all'ultimo secondo, ma davvero non riuscivo a muovere un solo muscolo, ero paralizzata.
Per fortuna ci pensò lui, a muoversi, e si avvicinò a me, portandosi dietro il divano per vedere cosa stessi guardando. Automaticamente, io stessa tornai ad osservare lo schermo.
« Ti avevo detto di staccare la spina, almeno per oggi! » Mi rimproverò.
« Lo so, ma rimane solo questo filmato e poi li avrò esaminati tutti » affermai, premendo 'play'.
« E hai scoperto qualcosa fino ad ora? »
« Assolutamente no » risposi scoraggiata.
Osservai annoiata le immagini che scorrevano, Caroline stava quasi per svoltare a destra, uscendo così dalla nostra visuale, quando accadde qualcosa. L'uomo che, fino a poco prima, era rimasto a leggere un giornale per tutto quel tempo, si alzò, lasciando il quotidiano sul tavolino. Si avvicinò al suv tirando fuori un mazzo di chiavi, lo sguardo fisso sulla ragazza che ormai scompariva dietro un edificio. L'uomo salì in macchina e, parve, seguirla, percorrendo la sua stessa strada.
Rimasi a bocca spalancata e mandai indietro il filmato. Killian osservava tutto dall'alto, a braccia incrociate.
Vedemmo ancora l'uomo alzarsi e allontanarsi dal tavolino, mi sembrava di averlo già visto da qualche parte. Fermai ancora e ingrandii l'immagine: quello che vidi mi lasciò sconcertata.
« Oh mio Dio, Killian! E' il cacciatore! »
Tyler Watkins era fermo a osservare la signorina Evans proprio davanti a noi. Non era una prova che lo incastrava del tutto, ma era una coincidenza da non tralasciare.
« E' il cacciatore » ripeté Killian alle mie spalle, abbassandosi con la schiena per vederlo meglio, stupito tanto quanto me « e quella è la sua auto... la targa, la targa è leggibile! » Lo stupore si era trasformato in entusiasmo, si rizzò in piedi e mi guardò con un sorriso a trentadue denti.
« Abbiamo una targa! » Esclamai io, voltandomi a guardarlo « Abbiamo una targa! » Ripetei di nuovo, scattando in piedi come una bambina che aveva appena vinto il peluche più grande esposto sulla bancarella.
Avevamo fatto un salto avanti enorme, se il cacciatore era davvero coinvolto in tutta quella storia, avevamo tutti i motivi per festeggiare e per farci trascinare dall'entusiasmo.
Il salotto si riempì alla svelta di esclamazioni e di esultanze, le parole si perdevano, sovrastate da altre. Entrambi cominciammo a non capirci più niente e ad osservarci a malapena, illuminati dal misero schermo del portatile.
All'improvviso, mi slanciai inaspettatamente in avanti e gli presi il volto tra le mani. Accarezzai la barba rada, che non mi aveva mai dato veramente troppo fastidio, coi polpastrelli. Mi specchiai velocemente nei suoi occhi, come non facevo da troppo tempo.
Fu allora che mi decisi.
Posai le mie labbra sulle sue, con foga. Erano calde, e morbide, proprio come le ricordavo. Le avevo bramate per giorni, avendole davanti costantemente, consapevole che non avrei potuto assaporarle ancora per un po'.
E ora eccomi lì, spiazzata da me stessa, mentre portavo la mano destra dietro la sua nuca.

Qualche breve istante di incertezza e poi, Killian Jones, ricambiò il bacio.






Note dell'autrice: Buonasera, buonanotte, buon tutto! ^^ Sono in anticipo, avete notato? Eh? Eh? EH?! No vabbè scusate, tutte queste nuove foto dal set mi fanno sclerare e non poco! Captain Swan a cavallo, il bacio, la rosa... Dio, datemi la S5 adesso e nessuno si farà MALE.
Tornando a noi, ecco il nuovo capitolo! Ho scritto praticamente metà capitolo con la voce e le canzoni di Christina Perri in sottofondo e WOW, le parole in pratica uscivano da sole! O.O Anyway mi sono resa conto mentre scrivevo (e rileggendolo, soprattutto) che non è molto ricco di dialoghi, spero non lo troviate troppo... pesante? No oddio, spero di no, è l'ultima cosa che volevo! Qui emergono soprattutto i pensieri, i timori, le speranze, i ricordi, le sensazioni di Emma: ho trovato giusto dedicarle un capitolo intero dopo la non riuscita shock della pozione. A questo proposito, spero che la spiegazione non sia... boh, stupida, banalotta o altro ahaha a me personalmente piace immaginare questi tre diversi tipi di sortilegio, dal meno al più estremo. E adesso... IL BACIO?! OMG!
Concludo che sta venendo fuori un papiro, da qui le cose cominciano a farsi più interessanti (eheheh). Grazie mille a tutte le persone che leggono questa storia, un grazie speciale a chi si ferma a perdere minuti preziosi per recensirla in modo da farmi scappare un sorriso (più di uno) rileggendo le vostre splendide parole e opinioni :)
Vi abbraccio tutti :*

ps. aaah, sono giorni che non leggo fanfiction per finire il capitolo in tempo, posso tornare a immegermi nelle vostre storie *-* X'D (#perdonateildisagio)

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Capitolo 10
*** I told you to be patient ***


10. I told you to be patient





Mi era mancato, Killian mi era mancato da matti. Tutta quell'attesa mi parve, improvvisamente, stupida, inutile.
Le sue labbra avevano il potere di farmi sentire a casa, sempre, in qualsiasi momento e con qualsiasi stato d'animo. Mi bastava anche solo sfiorarle, farmi cullare dal suo respiro, sentirlo sulle mie labbra, per farmi avere l'impressione di aver trovato il mio posto nel mondo.
Mi ritrovai a portare una mano sulla sua spalla e una dietro al suo collo; lui, al contrario, non mi abbracciava minimamente, ma non me ne preoccupai, non mi sembrava decisamente il momento per preoccuparmi di una cosa del genere, la mia mente era presa da altro.
Schiusi le labbra decisa ad approfondire quel bacio, gli occhi erano serrati così da poter godere appieno di tutte quelle sensazioni ed emozioni ritrovate.
Solo in quel momento, riuscii a sentire la mano di Killian sfiorarmi il fianco sinistro, fino a posarsi su di esso con un po' troppa foga, o perlomeno così mi parve.
Nel giro di pochi microsecondi mi ritrovai a guardarlo negli occhi, a qualche centimetro di troppo di distanza. Era stato lui ad allontanarmi, seppur con delicatezza e senza il minimo accenno di forza, e ora mi scrutava con stupore.
« Emma... io.. » sussurrò, ma lo interruppi subito.
« Killian » cominciai a dire, in un mormorio sommesso, non riuscendo a trattenere un sorriso. Ero decisa a chiedergli scusa per averci messo tanto, così come volevo spiegargli nel minimo dettaglio cosa aveva architettato Gold quella volta. Ma prima di tutto, dovevo dirgli quanto mi era mancato.
« Emma no, io non... » sembrava quasi che non sapesse cosa dire. Si allontanò appena, indietreggiando di qualche passo e passandosi la mano in volto, nervoso « Io non posso, diamine! »
Aggrottai la fronte, rimanendo a guardarlo silenziosa. Cosa stava dicendo? Non poteva cosa? Non riuscivo a capire. Forse era solo confuso, il nuovo incantesimo era più potente rispetto a quello che Regina aveva lanciato su di me, poteva anche volerci qualche minuto prima che rimettesse insieme tutti i pezzi delle ultime settimane.
Se ne andava in giro per la stanza con fare colpevole, testa bassa, occhi puntati sul pavimento, mano sul volto. Sembrava continuasse a rimproverarsi, chissà per quale assurdo motivo. Di certo non era colpa sua se ci trovavamo in quella situazione, la colpa era solamente di Gold.
« Rose... » riuscii a sentire solo quel nome e già era tanto, visto che l'aveva sussurrato in un tono di voce veramente molto basso e incomprensibile.
Improvvisamente mi fu chiaro il motivo di quel turbamento. Si sentiva in colpa per essere stato con lei, anche e soprattutto fisicamente, ma io di certo non ero arrabbiata con lui, come poteva sapere quel che stava realmente facendo?!
« Killian » lo chiamai, si era fermato davanti la piccola libreria in legno che si trovava dall'altra parte della stanza, ma ancora non riusciva a guardarmi « ehi » mormorai appena con fare dolce, così da fargli capire che per me non era cambiato niente, mentre mi avvicinavo a lui, con l'intenzione di stringerlo nuovamente a me.
Fu allora che alzò lo sguardo e mi fece, quasi, pietrificare. Mi si mozzò il fiato mentre ci osservavamo. Lo guardavo attentamente, guardavo i suoi occhi... quegli occhi... Se l'incantesimo si era spezzato, perché nei suoi occhi non c'era la minima traccia di amore nei miei confronti?
Sorrisi amaramente quando mi fu tutto più chiaro.
Il bacio non aveva funzionato.
Non era innamorato di me.
Nella sua testa c'era solo Rose, l'affetto, se davvero lo provava, nei miei confronti non era abbastanza forte.
« Mi dispiace » dissi, cercando con ogni mezzo di apparire sincera, quando la verità era tutt'altro. La verità era che non mi dispiaceva per niente di averlo baciato, anche se significava momenti imbarazzanti da lì in avanti e forse più freddezza da parte dell'uomo, io non mi pentivo. Mi era mancato, le sue labbra non si posavano sulle mie da troppo tempo, tanto che prima o poi sarei impazzita probabilmente.
Killian non disse niente, mi guardò solamente. Interpretai il suo mutismo come una richiesta silenziosa di essere lasciato da solo, così girai i tacchi e, forse più velocemente di quanto avrei fatto di solito, me ne tornai in camera.



*Killian Pov*



I miei occhi rimasero puntati sulla figura di Emma: la osservai scusarsi – un “mi dispiace” meno convincente non poteva sicuramente tirarlo fuori, o forse ero io che mi ritrovavo a interpretare i suoi comportamenti senza accorgermene e a prenderci in pieno ogni volta –, girarsi di scatto e allontanarsi di corsa dal salotto.
Cosa diavolo le era preso?
Cosa diavolo mi era preso?!
Pochi istanti di euforia erano bastati a farmi perdere completamente la lucidità, erano bastati a farmi dimenticare chi ero. Perché sicuramente di quello si trattava. Ci eravamo lasciati prendere entrambi dall'euforia e dalla gioia di aver fatto finalmente un passo avanti nell'indagine e nessuno dei due aveva pensato alle conseguenze.
Sempre se le conseguenze ci sarebbero state.
Forse non era neanche il caso di farlo sapere a Rose, anzi, non era assolutamente il caso di farglielo sapere, visto che quel bacio non aveva significato niente per nessuno dei due.
Forse.
Probabile.
Sicuramente per me era così, se continuavo a pensarci era solo perché mi aveva spiazzato, non c'erano altre spiegazioni.
Mi accorsi solo in quel momento di star camminando nervosamente per la stanza. Mi stavo agitando per nulla, di questo ne ero certo.
Diedi un'occhiata verso il divano: il portatile era ancora lì, acceso, con lo screen saver azionato. Mi ci sedei affianco, lo misi sulle ginocchia – era rovente – e lo spensi, prima di poggiarlo nuovamente dove lo avevo trovato.
Mi ritrovai così completamente al buio e mi ci volle un minuto buono per abituarmici. Non avevo voglia di andarmene a letto, per prima cosa non avevo per niente sonno e poi ero consapevole del fatto che non avrei dormito ugualmente.
Non riuscivo a far uscire Emma dalla mia testa, era come se quel bacio avesse risvegliato qualcosa nel profondo, come una piccola miccia. Anzi no, la sensazione che avevo addosso, che sentivo dentro di me, era quella di una piccola miccia che aveva provato ad accendersi, ma che non era stata potente fino a quel punto. Evidentemente stavo impazzendo!
Passai inconsapevolmente l'indice e il medio sulle labbra. Ne sfiorai piano ogni angolo, ne accarezzai il contorno mentre potevo ancora sentire il tocco morbido e delicato, ma allo stesso tempo famelico, di quelle della bionda che si stava insinuando nella mia vita senza neanche chiedermi se fossi d'accordo. Il suo sapore era ancora lì, non riusciva ad abbandonarmi, o forse ero io che non riuscivo a lasciarlo andare.
« Maledetta Emma Swan! » Esclamai a mezza voce quando mi resi conto di quello che stavo facendo.
Cosa mi aveva fatto?
Mi ero sentito in qualche modo attratto da lei dal primo istante in cui l'avevo guardata negli occhi. Mi ero sentito legato a quella donna non appena le sue braccia mi ebbero stretto a lei. Da subito ero rimasto incuriosito dalla sua persona, perché qualcosa era scattato nella mia testa e mi aveva avvertito del fatto che le nostre vite erano destinate a incrociarsi e che si sarebbero incontrate comunque, in qualche modo.
Scossi la testa e sbuffai. Stavo dando troppa importanza a quel bacio, decisamente. Certo, da una parte era normale che mi sentissi in colpa nei confronti di Rose, sarebbe andata su tutte le furie se mai lo avesse scoperto. Anche se se la sarebbe presa principalmente con Emma, visto che era stata lei a saltarmi addosso. Ma io avevo ricambiato quel maledettissimo bacio, dannazione!

Datti una regolata, Jones. Ti stai facendo più film mentali tu di un'adolescente!”
Fu con quel pensiero che mi alzai dal divano, diretto in bagno. Era notte fonda, di certo non il momento migliore per farsi un bagno, ma avevo bisogno di sciacquarmi via di dosso tutti quei pensieri. Subito aprii l'acqua calda e ci volle davvero poco affinché il calore riempisse la stanza. Veloce, mi tolsi di dosso quei vestiti che ormai portavo da mezza giornata ed entrai in vasca.
L'acqua calda sembrò davvero riuscire a spazzare via ogni problema e la cosa mi fece sospirare, lieto e decisamente più tranquillo. Avevo avuto davvero un'ottima idea, senza contare che il silenzio, quasi surreale, che regnava in casa, contribuiva a farmi rilassare. La mia mente, ora, era concentrata su un'unica cosa: l'Operazione Grimm. Sicuramente la scoperta della targa e del suv avrebbe risollevato il morale della squadra, ero anche certo che Jack non ci avrebbe messo molto per rintracciare l'auto e il suo proprietario. Certo, c'era un'alta possibilità che risultasse rubata, quei due criminali si stavano dimostrando veramente furbi e l'idea che si fossero lasciati sfuggire così bellamente un indizio tanto importante non mi sembrava vero, ma non era il momento di pensare al peggio. Morale alto, Jones.
Mi lasciai scivolare man mano lungo la vasca così da poter appoggiare per bene la testa sul bordo, le braccia distese su di esso. Chiusi appena gli occhi per qualche istante. Inspirai. Espirai. Inspirai. Espirai. Inspirai. Lucenti ciocche bionde comparvero lì dove pochi istanti prima vedevo solamente buio. Due piccole pietre di smeraldo puro sembravano scrutarmi silenziose. Labbra morbide si distesero in un sorriso, ebbi quasi la voglia di tornare ad assaggiarle, come se una volta non mi fosse bastato.
Sbarrai improvvisamente gli occhi e scattai a sedere, un po' d'acqua uscì violentemente dalla vasca fino a cadere sul pavimento ma non vi prestai attenzione. Dovevo darci un taglio, era stato un bel bacio, inaspettato forse e molto, ma la dovevo piantare di pensare ad Emma in quel modo.
Quell'attrazione che provavamo entrambi doveva sparire.
La porta del bagno improvvisamente si spalancò e senza che me ne rendessi conto mi ritrovai la giovane Swan davanti. Cercai di coprirmi come meglio potevo, neanche avevo messo il bagnoschiuma nell'acqua, la schiuma avrebbe contribuito a darmi una mano, che diamine!
« Oh mio Dio! » La bionda reagì quasi in preda al panico, in un primo momento sbiancò totalmente, subito dopo le sue guance si furono dipinte di rosso, gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
Senza pensarci troppo, si voltò all'istante e uscì dal bagno, chiudendosi la porta alle spalle ma restando comunque lì ferma.
« Swan, cazzo! » Esclamai io, ancora stupefatto, uscendo dalla vasca e afferrando un asciugamano al volo, così da potermelo legare alla vita.
« Mi dispiace! » Gridò lei da dietro la porta, apparentemente mortificata.
« Cosa diamine pensavi di fare?! » Domandai, una volta aperto la porta e trovandomi la sua schiena davanti. Solo allora si girò.
« Beh io... non riuscivo a dormire, volevo solamente sciacquarmi la faccia. Tu, piuttosto, non avevi proprio nient'altro da fare? »
« Stavo solamente facendo un bagno! »
« A quest'ora? Sono quasi le tre del mattino! » La situazione si stava capovolgendo senza una ragione. Era lei in torto marcio. Lei era entrata all'improvviso nel bagno mentre io ero nella vasca. Lei doveva verificare prima se dentro ci fosse qualcuno. Lei era l'ospite. Lei mi aveva baciato.
« Credo di essere libero di fare quello che voglio all'orario che voglio, a casa mia » affermai, alzando lievemente le sopracciglia. Lei mi fulminò con lo sguardo e alzò, poi, gli occhi al cielo.
« Magari la prossima volta, prima di ospitare qualcuno a casa tua dovresti avvertirlo riguardo le tue assurde e strambe manie, così che nessun altro possa disturbare il tuo... bagno notturno » dicendo questo, ancora una volta, mi diede le spalle e si allontanò a passo fiero, in perfetto contrasto con l'imbarazzo che era emerso nella sua voce e nei suoi comportamenti fino a quell'istante.
Quel fatto mi colpì e il suo andamento sicuro fu una delle cause che mi tenne sveglio per tutta la notte.


***


Quella mattina la sveglia era suonata presto, come di consueto. Ci avevo messo più tempo del solito per abbandonare il mio letto, vestirmi e cercare di cominciare al meglio la giornata. Non avevo chiuso occhio, non avevo avuto un attimo di tregua, ma un nuovo giorno aveva inizio, un giorno che preannunciava importanti svolte, quindi dovevo riuscire a tenere il morale alto.
« Per poco non bruciavi tutte le uova. Guarda qua! »
Rose, seduta accanto a me, mi ridestò. Si era presentata a casa pochi minuti prima, ovviamente sapevo che lo avrebbe fatto, me lo aveva detto solamente la sera prima, solo che non avevo avuto modo di ripensarci e mi era completamente sfuggito di mente. Per questo, da quando ero andato ad aprirle con espressione sorpresa, aveva messo su un broncio alquanto offeso.
« Mi ero allontanato per farti entrare in casa, e poi il sapore è buono, sono semplicemente un po' annerite ai lati » ribattei io, dando un'occhiata veloce alle uova che aveva nel piatto, prima di bere una grande sorsata di caffè dalla mia tazza blu.
« Non ci provare, quando sono entrata in cucina i fornelli erano spenti. Sembra che tu fossi sovrappensiero, e non sarebbe stata l'unica volta questa mattina! Ti parlo e non mi ascolti, hai la testa da un'altra parte » mi fece notare, come se io non me ne rendessi conto, schioccando la lingua. Sospirai profondamente.
« Ma no, è solo che non ho dormito bene » alzai la testa e le sorrisi come meglio potevo, per rassicurarla. Sembrò berla e non pose altre domande.
« Phoebe deve venire a provare il vestito da damigella, può tornare a casa prima, oggi, vero? »
« Non credo, mi serve tutta la squadra concentrata sul caso, oggi. »
La rossa storse la bocca.
« Sono settimane che lavorate a quel caso e non avete mosso nessun passo in avanti, cosa ti cambia non avere Phoebe a disposizione per una volta? »
Avevo sentito che le donne diventavano più isteriche man mano che si avvicinava la data del matrimonio, ma non ci avevo dato molto peso. Povero stolto! Ero pronto a ribattere, ma i passi veloci di Emma che scendevano le scale mi distrassero. Soprattutto la voce della bionda che mi raggiunse dal corridoio.
« Killian » gridò, ancora per le scale, diretta in cucina « volevo chiederti scusa per stanot... » si bloccò una volta arrivata, trovandosi Rose davanti: evidentemente non l'aveva sentita arrivare « ... oh, buongiorno. Buongiorno Rose. »
La mia fidanzata sembrò osservarla, un po' in trance, e studiarla per bene, prima di salutarla a sua volta e partire con un interrogatorio.
« Buongiorno a te, Emma. Cos'è successo stanotte? Sono proprio curiosa! » Cercò di smascherare il tutto con un sorriso smagliante, che forse doveva rassicurare la Swan, ma dubitavo che facesse il minimo effetto, visto che quella sbiancò ancora una volta.
« Niente, tesoro » mi sbrigai ad intervenire, prima che la situazione degenerasse « quando sono tornato a casa ho trovato il computer acceso e abbandonato sul divano chissà da quanto tempo. Credo di essermela presa un po' troppo, a proposito » aggiunsi, questa volta guardando serio Emma « mi dispiace, ho esagerato ». Mi riferivo alla reazione che avevo avuto per la questione del bagno, sapevo che avrebbe capito al volo. Difatti mi sorrise e abbassò lo sguardo, ancora leggermente mortificata.
Anche Emma si sedette con noi in tavola, dopo essersi versata del caffè e aver preso le ultime uova che erano rimaste. Ancora una volta, a proferire parola fu Rose.
« Hai un aspetto orribile, Emma, sei sicura di stare bene? » Alzai istintivamente lo sguardo verso la ragazza: colorito pallido, occhiaie violacee, occhi stanchi. Perfino il suo piatto semivuoto sembrava parlare per lei.
« Io? Sto bene, benissimo. Sono solamente un po' stanca, ho dormito poco. »
« Ah, che coincidenza » affermò la rossa, lanciandomi un'occhiataccia, prima di finire di bere il suo caffè.


« Rose ci darà un passaggio a lavoro » affermai mentre indossavo il mio giubbotto pesante. Rose era già uscita da casa e aveva preso posto in macchina, aspettandoci impaziente.
« Magnifico » mormorò Emma dopo essersi sistemata una sciarpa intorno al collo, avviandosi per uscire.
Forse stava semplicemente parlando con se stessa, non dava l'impressione di voler far sentire quel commento a me, ma infondo riuscivo a capirla, dopo quello che era successo quella notte. Le afferrai il polso sinistro prima che potesse uscire di casa e la feci voltare verso di me. Mi guardò stupita, dritto negli occhi.
« Senti... per quello che è successo ieri... » cominciai, ma mi interruppe subito.
« Mi dispiace, non avrei dovuto farlo » affermò.
« No, non avresti dovuto. Ma è anche colpa mia, insomma guardami, sono irresistibile » commentai per alleggerire la tensione. Lei mi guardò male per qualche istante, poi sorrise divertita e abbassò lo sguardo « seriamente, ci siamo lasciati trasportare dall'entusiasmo, dalla stanchezza, siamo tutti un po' stressati con questo caso. Non abbiamo pensato alle conseguenze... »
« No, affatto » commentò.
« Ascolta Emma, mi dispiacerebbe se adesso il nostro rapporto si raffreddasse » tornò a guardarmi attenta « dimentichiamoci questa notte e.. amici come prima? » Sembrò chiedersi se fosse disposta a dimenticare davvero, a fare finta di niente, glielo leggevo negli occhi, ma alla fine acconsentì.
Le lasciai andare il polso, mi accorsi solo in quel momento di aver mantenuto la presa per tutto quel tempo, aprii la porta di casa e la lasciai uscire per prima.


*Emma Pov*


Arrivati davanti Scotland Yard Rose ci salutò, prima di mettere in moto l'auto, pronta ad esaminare il cadavere del giorno – ebbi come l'impressione che continuasse ad osservarmi dallo specchietto retrovisore man mano che si allontanava, ma probabilmente era solamente una mia impressione –.
« Squadra, abbiamo novità! » Esordì Killian, richiamando Jack, Thomas, Henry e Phoebe, che subito lasciarono perdere quello che stavano facendo e ci raggiunsero nell'ufficio del capitano.
« Emma, hai un aspetto orribile » esclamò Jack, il primo a raggiungerci. Storsi il naso e scrollai le spalle, ero solo un po' stanca, niente che mi avrebbe ucciso. « Quali sono le novità? »
« Ieri sera Emma ha finito di controllare i filmati su Caroline Evans. In uno si vede chiaramente il nostro cacciatore intento a seguire la ragazza. Tutto fin troppo sospetto per poter essere solamente una coincidenza, dico bene? »
« Quindi? Abbiamo la prova che questo tipo c'entri con gli assassini, ma come facciamo a rintracciarlo? » Phoebe si era fatta avanti, esprimendo le domande di tutti.
« Abbiamo la targa della sua auto » risposi io, prendendo il pennarello per scriverla sulla lavagna bianca « è un suv. Nero » aggiunsi, prima di girarmi a guardarla.
« Scoviamo questi assassini! » Esclamò Thomas, guardandoci tutti entusiasta, così come gli altri tre.
I quattro uscirono dall'ufficio, tutti diretti ai loro personalissimi computer, Killian si sedette alla sua scrivania e io tornai a osservare la lavagna, piena di scritte riguardanti quel maledetto caso, fino a quando due voci mi riportarono alla realtà.
« Swan! »
« Mamma! »
Mi girai verso Regina e Henry, entrati così all'improvviso che tutti si erano voltati ad osservarli.
« Cosa avete da guardare? Tornate ad occuparvi del vostro lavoro, o non avete proprio nient'altro da fare? » Ecco, appunto, Regina come al solito si faceva riconoscere.
« Henry, Regina! Che ci fate qui? » Domandai loro, abbracciando Henry, prima di guardarli stupita.
« Qualcuno non ci ha più chiamato come avevamo concordato, per cui abbiamo deciso di raggiungerti » rispose la donna, guardandosi intorno e perlustrando con lo sguardo ogni angolo dell'edificio. Giusto, mi ero completamente dimenticata di chiamarli. O meglio, dopo la non riuscita del bacio non ne avevo avuto la forza. « Hai un aspetto orribile a proposito. »
« Non ho dormito bene » sbottai spazientita.
« Ehi, ma guarda chi c'è! » Esclamò Killian, venendo a salutare i due.
« Hook! » Lo salutò di rimando Henry, mentre io mi sentivo leggermente avvampare. L'uomo lo guardò incerto.
« Come fai a sapere del mio soprannome? »
« Colpa mia! Gliel'ho detto io » cercai di tirare fuori una buona scusa, mimando una mezza risata. Henry mi guardò colpevole e rammaricato, Regina mi guardò male. Era meglio spiegarle la situazione.
« Henry resta qui con Killian mentre io parlo fuori con Regina » feci io, prendendo la mia giacca rossa e uscendo fuori con la mora.
« Non posso crederci, Swan! » Partì subito quella « Dovevi semplicemente baciarlo! Non è una cosa così difficile. Comincio a pensare che tu non voglia tornare a casa! »
« E' quello che ho fatto, l'ho baciato » affermai. Questo la fece calmare un po', e forse addolcire leggermente, perlomeno non mi rimproverò più. « Ovviamente non ha funzionato, perché, come già avevo detto, non tiene a me. Lui ha già una persona nella sua vita, io sono solamente una comparsa. »
« Ti prego non ricominciare » mi ammonì « il problema non sei tu, il problema è la sua ragazza. E' ancora troppo legato a lei per pensare a te in quel modo, magari il bacio è riuscito a scuoterlo un po' »
« Ne dubito » commentai scuotendo il capo.
« Emma, devi avere pazienza. E devi essere forte, da sola » la guardai, non capendo « io e Henry dobbiamo partire, fra tre ore più precisamente. »
« Di già? » Sapevo che non sarebbero rimasti per troppo tempo, ma speravo rimanessero il più possibile per escogitare qualche altro piano.
« Sì, questa mattina mi ha chiamato Robin – buffo, vero? Una persona che sta scoprendo ora la tecnologia trova il tempo di chiamarmi, a differenza di una che con la tecnologia ci è cresciuta – e mi ha informato del fatto che Malefica ha cominciato a istruire Lily su come controllare i suoi poteri quando è.. beh, un drago, ma per il momento le lezioni stanno procurando solo guai. Devo partire subito. »
« Torno con voi. »
« Come scusa?! »


Rientrati in ufficio trovai Henry intento a spiegare particolari sulla fiaba di Rapunzel, mentre Killian e l'intera squadra ascoltava attenta e Phoebe digitava qualcosa sul portatile.
« Ma non conoscete la storia?! Era stata rinchiusa in una torre! » Esclamava il ragazzino, tutto preso.
« Un po' come la principessa di Shrek, giusto? » Provò Thomas, grattandosi il capo.
« Shrek? Sì ma quella è un'altra storia, non c'entra niente! » Risi, poggiata alla parete con le braccia incrociate, mentre osservavo la scena divertita. Poi immaginai un orco verde, un gatto spadaccino e un ciuco parlante passeggiare tranquilli per Storybrooke, e smisi subito di ridere. Ci mancavano solo loro, in effetti. « Il punto è che Rapunzel viveva prigioniera in una torre. Non c'è niente che possa ricordarla, qui a Londra? »
« Ragazzino, ragazzino » mi intromisi, facendolo scendere dalla scrivania sulla quale si era seduto, non che Killian o chi altri stesse facendo storie, ma era sempre meglio prevenire « non ti sembra di star correndo un po' troppo con la fantasia? Pensi davvero che abbiano rinchiuso Caroline in una torre? » Gli domandai accigliata, immaginando una ragazza intrappolata nella torre del Big Bang.
« Perché no? » Fece Killian, alle mie spalle.
« Cosa? Dici sul serio? Voglio dire, qualcuno se ne sarebbe accorto. »
« No, se la torre è abbandonata da anni » sentenziò Phoebe, guadagnandosi la nostra attenzione. Non aveva ancora smesso di digitare qualcosa sulla tastiera, continuava a guardare lo schermo attenta ad ogni particolare che potesse risultare utile. « Bingo! » Esclamò ad un tratto, prima di voltare il portatile verso di noi.
« Cos'è? » Domandai, avvicinandomi a vedere, entrambe le mani sulla scrivania.
« Un sito dove vengono raccolte immagini di luoghi abbandonati, è fin troppo pieno di torri. Ma questa foto » affermò scorrendo verso il basso con il mouse « è stata scattata quattro giorni fa, probabilmente da un turista appassionato di queste stupidaggini. »
Osservammo tutti la foto: c'era in primo piano un'immensa torre dell'orologio, dall'aspetto molto molto vecchio, ai suoi piedi l'erba era altissima, sintomo che quel posto era abbandonato da anni. Poco più distante c'era un suv, non si vedeva la targa, ma il modello sembrava lo stesso.
« C'è un indirizzo, o qualcosa che ci possa portare lì il prima possibile? » Domandò Killian, non stando più nella pelle.
« No, ma non mi ci vorrà molto per rintracciarlo. Dammi un paio d'ore. »
Un paio d'ore. Forse quella storia sarebbe finalmente finita nel giro di un paio d'ore.
Guardai prima Henry, poi mi voltai verso Regina che era rimasta lontano dal gruppetto per tutto il tempo. Due ore, forse tre. L'aereo diretto in America sarebbe partito per allora.







Note dell'autrice: Gridate al miracolo ragazzi, sono viva e finalmente riesco a postare! Vi dirò, in realtà ci ho messo relativamente poco per finire questo capitolo, quattro/cinque giorni credo e gran parte l'ho scritta oggi, ragione in più per scusarmi per il ritardo, ma sono stata fuori per qualche giorno senza pc e al ritorno la voglia di mettermi a scrivere era pari a zero ._. inoltre il capitolo è anche un po' cortino (solo sei pagine e mezzo, ma scherziamo?!). Spero comunque che possa piacervi ^^
Alla fine il bacio del Vero Amore non ha funzionato. Ad essere sinceri, prima di postare il capitolo precedente, ero indecisa sul fatto di farli baciare subito o meno (avevo ben chiaro che comunque il bacio non avrebbe fatto tornare la memoria a Killian ora come ora). Alla fine ho pensato che loro sono diversi da Charming e Snow. Il loro non è stato un amore a prima vista, ma è cresciuto piano piano, quindi penso che sia giusto farlo ricrescere piano piano (se crescerà).
Killian, quindi, non prova amore per Emma, legato com'è alla figura di Rose, ma quel bacio l'ha scosso tanto e proprio non ce la fa a pensare ad altro! La scena del bagno è venuta così, da sola, mi son detta 'già la situazione è imbarazzante di suo, rendiamola ancora peggiore!' ahahaha (e poi ogni scusa è buona per postare gif dal video di The Words, anche se io non sono solita postare immagini prima dei capitoli, ma ho fatto un'eccezione lol)
Il prossimo capitolo ce l'ho chiarissimo nella mia mente, e anche quello dopo, quindi... PREPARATEVI PSICOLOGICAMENTE. Sul serio, io vi ho avvertiti tutti.
Ah, sono rimasta indietrissimo con le vostre storie (vi chiedo scusa se ho smesso di recensire, ma o recuperavo tutto o scrivevo lol), quindi adesso leggo e recensisco tutto, promesso!
A presto, prometto che questa volta NON vi farò aspettare ;)
Un bacio :)


PS. Dico solo tre parole:
DARK.
SWAN.
AMO.

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Capitolo 11
*** Love that refuses to give up on us ***


11. Love that refuses to give up on us





Pochi istanti prima


« Torno con voi. »
« Come scusa?! »
Le parole mi erano uscite così velocemente di bocca che mi stupii io stessa. Era la prima volta che pensavo a una possibilità del genere, l'idea di tornare alla mia vita e lasciare Killian a Londra non mi aveva mai sfiorato neanche lontanamente. Ora, invece, lo vedevo lì, felice e lontano da qualsiasi pericolo; aveva degli amici, che poi erano la sua famiglia, aveva una ragazza, seppur alquanto insopportabile, che amava.
Ricordavo come fosse perfetta la mia vita a New York, priva di qualsiasi preoccupazione legata al fatto di essere la Salvatrice, e non potevo negare quanto fosse più semplice. Certe volte cercavo di immaginare cosa sarebbe accaduto se io non avessi mai bevuto la pozione o se Killian non avesse mai dato via la sua nave per me, non riuscendo così a raggiungermi e a riportarmi a casa.
Poi lo guardavo, guardavo Henry, guardavo la mia famiglia e mi dicevo che, no, non sarei più scappata, non ce l'avrei mai fatta a lasciarli. Ma senza i miei ricordi sarebbe stato diverso, sarei riuscita ad andare tranquillamente avanti con la mia vita senza interrogarmi troppo sul mio passato. L'avevo provato sulla mia pelle, del resto, sapevo di cosa parlavo.
« Non c'è più posto per me qui, non c'è posto per me nella vita di Killian. Ne ho avuto la conferma con quel bacio. »
Regina, per tutta risposta, mi guardava con una strana smorfia della bocca, il capo appena chinato e la fronte aggrottata. Mi stava insultando mentalmente, e ci andava giù pesante, glielo si leggeva perfettamente in volto, ma apprezzavo il fatto che si stesse trattenendo perlomeno a parole.
« La mancanza di sonno ti fa sparlare, Swan. Ma ascolti quello che dici? O ti stai solamente prendendo gioco di me? »
« Parlo sul serio, Regina » affermai guardandola dritta negli occhi con espressione, forse, un po' scoraggiata.
Volevo che capisse cosa stavo provando, volevo che percepisse anche solo lontanamente il dolore che mi attraversava il cuore ogni volta che Killian rivolgeva una parola dolce nei confronti di Rose, o parlava di “essere amici” con me. Amicizia. Noi che non eravamo mai stati veramente, solo, degli amici, non con lui che, a detta degli altri, mi lanciava sguardi bramosi ogni volta che poteva.
Regina, per tutta risposta, si mise a ridere. Una risata leggera, quasi beffarda, mentre scuoteva leggermente il capo verso il basso.
« Che c'è? » le domandai, rivolgendole uno sguardo duro.
Stavo cercando di aprirmi, di spiegare le mie ragioni, e lei si metteva a ridere.
« Scusa Swan, ma certe volte non sembri neanche figlia di tua madre » disse, senza smettere di ridacchiare.
« Che intendi dire? »
Scosse ancora una volta il capo, prima di guardarmi, in volto ancora un sorrisetto divertito.
« Voglio dire che Snow ha sempre affrontato ogni avversità a testa alta, mentre tu non fai altro che scappare. Pensavo che avessi messo da parte la passione per la fuga già da un po'. »
« Infatti è così, questa volta è diverso. Non sto scappando, mi faccio solamente da parte » ribattei, i pugni serrati.
Non scappavo da Killian, forse in passato lo avevo fatto più volte, ma la situazione era cambiata. In altre circostanze non lo avrei mai lasciato solo, non dopo avergli aperto il mio cuore, non dopo aver accettato i miei sentimenti nei suoi confronti.
« E' questa la storia che hai deciso di raccontare a te stessa per farti sentire meglio? » Continuò la donna. Feci per ribattere, stanca di starla a sentire, ma non me lo permise « Non capisco da dove nasca la tua paura di lottare per le cose, o per le persone, in questo caso, che ami. »
« Io non ho paura di lottare. »
« No, infatti » commentò all'improvviso, come se le avessero appena sbattuto in faccia la verità « tu non hai paura di lottare. Hai paura di metterti in gioco e di perdere ugualmente, non è così? »
La guardai silenziosa. Volevo ribattere, ma non trovavo solidi argomenti per farlo.
Era chiaro che avevo paura di perdere Hook, avevo paura di vederlo mentre scambiava promesse di amore eterno con un'altra, nonostante i miei sforzi, nonostante le avessi tentate tutte per farlo innamorare di nuovo di me. Avevo paura di fallire, per questo gettavo la spugna sul nascere.
Non ho intenzione di deluderti.
Le sue parole si insinuarono nella mia mente, riuscivo quasi a scorgere i suoi occhi, il mio oceano, pieni di amore e di promesse.
Non potevo e non volevo deluderlo. Lui non si sarebbe mai arreso con me, non lo avrebbe mai fatto per nessun motivo al mondo e, del resto, non lo aveva mai fatto. Glielo dovevo, lo dovevo a lui quanto lo dovevo a me stessa. Aveva vinto il mio cuore, dopo mille peripezie, ed io avrei vinto il suo, non importava quanto ci sarebbe voluto o quali altre difficoltà avrei affrontato.
« Ascolta Emma: se vuoi partire con noi e lasciarlo qui per me va bene – un pirata in meno in città equivale a meno problemi a cui pensare –. Solo che poi non voglio sentire ripensamenti, lamentele o piagnistei durante e dopo il viaggio. »
« No » la bloccai « non posso partire, non voglio farlo. »


***


« Ragazzino, tu e Regina dovete partire subito, a quanto ho capito. Non posso venire con voi all'aeroporto, perciò... » aprii le braccia, pronta a ricevere una calorosa stretta come solo Henry sapeva fare, ma quello non si mosse.
« No, non voglio andare a casa! Voglio rimanere qui con te » mi voltai a guardare Regina, smarrita. Non era solito di Henry fare i capricci, non capivo il motivo di quel comportamento.
« Henry, sapevamo che non saremmo rimasti a lungo e che saremmo ripartiti quanto prima... e poi è sorta un'emergenza, riguardante Lily » provò allora a convincerlo la mora, rivolgendogli un'occhiata complice non potendo spiegargli il tipo di problema, visto che Killian e la squadra erano ancora presenti, seppur impegnati con il lavoro.
« Voglio rimanere almeno per vedere la fine del caso. Ti prego mamma, rimaniamo un altro giorno... solamente un giorno » implorò il ragazzino.
Mi passai una mano sulla tempia destra, il mal di testa non mi permetteva neanche di pensare al modo per far prendere a mio figlio quel maledettissimo aereo.
« Henry... » provai debolmente, ma quello mi bloccò subito.
« Potrei tornarvi utile per le indagini » tentò ancora.
« Henry... » riprovai io, ma quella volta a bloccarmi fu Killian.
« Non ha tutti i torti » lo fulminai.
« Non ti ci mettere anche tu, Jones, per favore. »
« Tuo figlio ha ragione. Se non fosse per lui non avremmo mai pensato alla torre » affermò l'ex pirata, indicando il ragazzo con la mano « andiamo, Swan. Potrebbe spuntare fuori un altro dettaglio legato a Rapunzel e lui potrebbe aiutarci. Il ragazzino ne sa senz'altro più di tutti noi messi insieme, sulle favole. »
Chiusi appena gli occhi e respirai profondamente. Non che mi dispiacesse avere Henry con me, anzi, in quella settimana mi era mancato immensamente, senza contare che Killian non aveva tutti i torti, affermando che poteva tornarci utile grazie alla sua conoscenza del mondo delle fiabe. Avrei però preferito vederlo partire, insieme a Regina, per tutta una serie di motivi.
Tanto per cominciare, la situazione con Killian al momento non era delle migliori. Mi era già capitato di crollare, anche e soprattutto davanti a mio figlio, e non volevo che succedesse ancora.
In più, avevo una bruttissima sensazione addosso, anche se non sapevo trovarvi una spiegazione sensata. Non sapevo a cosa fosse legata e magari era tutto frutto della serie di eventi che mi avevano colpita in così poco tempo, ma non riuscivo a metterla da parte e a fare finta di niente.
E poi, e qui prevaleva il mio spirito materno, aveva la scuola da frequentare, senza contare il ruolo di Autore da ricoprire.
« Andiamo mamma, fra qualche ora chiuderete il caso, molto probabilmente. Domani mattina partirò senza fare troppe storie » come facevo a resistere a quella richiesta così insistente? Tra l'altro mi sentivo stremata da non riuscire neanche a discutere e a ribattere: gli ultimi avvenimenti mi avevano tolto ogni forza che avevo in corpo.
« E va bene » sospirai « aiuta i ragazzi con l'Operazione Grimm, ne sai senz'altro più di noi » come sempre, pensai tra me.
In un modo o nell'altro, Henry ci aveva sempre aiutato ad uscire dai guai, trovando la soluzione ai nostri problemi anche nelle situazioni più difficili. Mi ero sempre chiesta come potesse riuscirci, forse era per via della sua fede, o per il cuore del vero credente, o per il suo destino che lo vedeva come nuovo Autore, stava di fatto che, alla fine, Henry ci tirava sempre fuori da guai.


Regina non era stata dello stesso avviso, avrebbe preferito che nostro figlio tornasse a casa con lei, ma cercò di non fare troppe storie, vedendo anche quanto Henry ci tenesse a restare.
Così, dopo che Killian mi ebbe congedato e dato il permesso di allontanarmi per un po', io e mio figlio accompagnammo la donna alla fermata dell'autobus più vicina, ed aspettammo con lei più o meno dieci minuti, prima di salutarla. Sapevo che Henry avrebbe preferito accompagnarla in aeroporto, ma avevo paura ad allontanarmi troppo da Scotland Yard: se fosse spuntato fuori l'indirizzo della torre abbandonata sarei dovuta essere pronta per l'azione.
« Mi piace Londra! » Esclamò il ragazzino, non appena usciti da Starbucks con due tazze di frappuccino in mano: nessuno dei due aveva saputo resistere, nonostante io stessi bevendo il mio con non poche difficoltà per colpa del mio stomaco chiuso.
« La preferisci a Storybrooke? » Domandai io, prendendolo sotto braccio e rivolgendogli un debole sorriso. Quello scosse la testa senza neanche pensarci.
« Assolutamente no » affermò pronto « Storybrooke è casa. Non la scambierei per nessun altro posto al mondo » sapevo che le sue parole non avevano doppi fini e che non mi rimproverava di nulla, ma una parte di me si sentiva ancora in colpa per aver anche solo progettato di tornare a New York, una volta sconfitta la strega dell'Ovest, lasciandoci tutto alle spalle, la nostra famiglia, i nostri amici, la nostra vita.
Non sarebbe stato giusto per nessuno, quella scelta probabilmente avrebbe ferito più cuori di quanti ne avrebbe tenuti al sicuro. Per fortuna c'era stata l'avventura nella Foresta Incantata a farmi aprire gli occhi, a farmi sentire lontana da casa. La stessa sensazione che avevo lì a Londra, solo che, di diverso, c'era il fatto che non potessi rifugiarmi in Killian. Ero praticamente sola, grazie a Dio Henry aveva deciso di rimanere qualche giorno in più.
« Non ti piace? » Mi domandò a un tratto, voltandosi a guardarmi in faccia velocemente.
« Cosa? Londra? E' una bella città, più grande di Storybrooke ma incredibilmente meno frenetica » risposi, leggermente ironica.
« No, intendevo il frappuccino » specificò « lo hai assaggiato a malapena » mi fece notare, indicandolo con l'indice, pur tenendo ben salda la tazza nel suo pugno. Abbassai lo sguardo e notai che la mia era ancora completamente piena.
« Uhm » mormorai scrollando le spalle « preferisco la cioccolata di Granny » aggiunsi, rivolgendogli un occhiolino.
« Non credo che sia questo il motivo, ti vedo strana. La mamma aveva ragione prima, quando ha detto che hai un aspetto orribile, senza offesa. Sei sicura di stare bene? » Inclinai appena il capo e strinsi le labbra. Possibile che doveva preoccuparsi sempre? Doveva essere il contrario, io dovevo preoccuparmi per lui.
« Sto bene, Henry » ripetei, per la... no, avevo perso il conto di quante volte avevo già ripetuto quella frase quel giorno « sono solo stanca, sono giorni che non dormo più di tre o quattro ore a notte... e poi, sai, c'è la situazione con Killian... » tentai di convincerlo. In realtà non mi sentivo bene per niente, ma non volevo che si preoccupasse ancora di più.
« Mi spieghi cos'è successo ieri notte fra voi? Lo hai baciato? » Annuii a malapena.
« Sì, e il bacio non ha funzionato » affermai scuotendo il capo e sorridendo tristemente.
« Ma non è possibile! Il vostro è Vero Amore » insisté il ragazzino. Cercai di non guardarlo in faccia, perdendo tempo a osservare ogni singolo dettaglio di quello che ci trovavamo davanti, anche le cose più stupide, da un mozzicone abbandonato per terra a dei ragazzi che uscivano da un negozio dall'altra parte della strada. Mi imbarazzava parlare di certe cose con mio figlio, mi imbarazzava soprattutto la naturalezza con la quale ne parlava « Deve essere andato storto qualcosa » concluse.
« Niente del genere, ragazzino. Il bacio avrebbe funzionato se solo lui fosse stato innamorato di me » replicai, cercando di mantenere un tono calmo, la mia voce non doveva vacillare.
« Allora non devi far altro che farlo innamorare nuovamente di te, sarà una cosa semplice, infondo l'hai già fatto prima » sorrisi, decidendo di non replicare.
Magari sarebbe stato anche semplice, come diceva lui, senza la presenza di Rose. Sì, in quel caso la strada non sarebbe stata così in salita.
« Beh certo, è anche vero che la presenza di Rose non aiuta » affermò a un tratto, come se mi avesse letto nel pensiero, forse parlando più a se stesso che a me « deve succedere qualcosa di importante, qualcosa di molto grande. Forse più forte di un bacio. »
« Forse » affermai, pensierosa.
Se c'era una cosa che avevo imparato era che niente era tanto potente come il bacio del Vero Amore, un bacio capace di spezzare anche la più forte delle maledizioni. Forse Henry non si trovava propriamente nel torto, magari Killian aveva bisogno di un qualcosa che gli facesse capire quanto fossi importante nella sua vita, che facesse scattare fuori anche solo la sensazione di conoscerci da tempo, di esserci amati e di amarci ancora incondizionatamente.
Mio padre non perdeva occasione di raccontare frammenti della sua storia con mia madre, per questo ormai la sapevo a memoria, e sapevo anche che, quando Biancaneve aveva bevuto la pozione della memoria e si era dimenticata di lui, ci era voluta un'azione folle per farla innamorare, per farle capire di potersi fidare del Principe. Mio padre si era preso la freccia destinata alla regina, per salvare mia madre, e lei si era resa conto che nessuno era mai stato disposto a rischiare tanto.
Ma di certo non era il massimo come idea, non potevo mica buttarmi sotto un'auto per far scattare un qualche meccanismo nel cuore dell'uomo che amavo. Anche se avrei decisamente preferito essere colpita con una freccia, piuttosto che vedere ancora la faccia di Rose.
Magari allontanandomi, Killian avrebbe sentito la mia mancanza, si dice che prendiamo consapevolezza di quanto una cosa ci è cara solo nel momento in cui la perdiamo, ma non potevo farlo, non avrei controllato la situazione e, per quanto potessi saperne, Killian poteva benissimo andare avanti nella sua vita e ricordarmi esclusivamente come una stramba donna che lo aveva aiutato nelle indagini per un piccolo periodo di tempo.
No, non potevo assolutamente rischiare.
Il modo l'avrei trovato, prima o poi. Speravo solo prima del matrimonio.
« Ti erano mancate le nostre missioni, vero? » Henry mi ridestò dai miei pensieri, tornai quindi a guardarlo con un sorriso. Tolsi il braccio dal suo per stringergli le spalle e tenerlo vicino.
« Non è passato poi molto dall'Operazione Mangusta » risposi, ricordando come mi fossi offerta di aiutare Regina a trovare il suo lieto fine, probabilmente e soprattutto per via del senso di colpa per aver riportato Marian, o meglio Zelena, da Robin.
« Sì, ma è diverso. E' tanto che non lavoriamo solo noi due. »
« E' un po' un ritorno alle origini » incurvai appena gli angoli della bocca e lo strinsi forte a me.
I ricordi dell'Operazione Cobra, quella missione che, ai tempi, sembrava così assurda e sciocca, erano ancora vivi nella mia mente. Erano passati anni, in effetti, seppure a me non sembrava esser passato un solo giorno da quando Henry mi aveva portata a Storybrooke.
E il segno del tempo che passava, degli anni che scorrevano veloci, era palese se ci si fermava anche solo a pensare a quanto fosse cresciuto mio figlio. Ormai era un giovane uomo, ma nel mio cuore sarebbe sempre rimasto quel bambino di dieci anni che nel giorno del mio compleanno si era presentato alla mia porta.
Rientrammo a Scotland Yard abbastanza infreddoliti, o forse dovevo parlare esclusivamente per me, visto che Henry non sembrava molto condizionato dal tempo.
Posai le mani sulle braccia, come se mi stessi abbracciando, e cominciai a muoverle velocemente dall'alto verso il basso, cercando di scaldarmi, una volta che ebbi posato la mia giacca su di una sedia.
Alzai lo sguardo e trovai Killian a guardarmi sospettoso, per questo mi fermai all'istante e, come se niente fosse, mi avvicinai al più giovane della squadra, Jack, per aiutarlo con il lavoro.
A quanto pareva non avevano fatto molti passi in avanti e, per tutto il tempo in cui ero stata via, non era spuntato fuori niente, tanto che Phoebe, come mi fece notare il ragazzo, cominciava a innervosirsi. Mi ritrovai ad osservarla da lontano, notai la ruga che le si era disegnata sulla fronte, gli occhi fissi sullo schermo del suo computer, la mascella serrata. Sembrava determinata a scovare il nascondiglio dei Grimm da sola, d'altronde già era responsabile di aver trovato la torre, voleva fare un lavoro completo e la cosa non poteva non farmi sorridere, anche se stavo ben attenta a non farmi vedere. Mi piaceva la sua determinazione, se non fosse stata troppo occupata a odiarmi magari saremmo potute andare d'accordo.
Tornai a concentrarmi su Jack, chiedendogli come potevo essergli utile e come funzionasse il programma che stava usando. Thomas, proprio accanto alla scrivania del ragazzo, mi fece notare, scherzando, che se il loro capo Montgomery mi aveva assunta per quel lavoro anche se non conoscevo e non sapevo usare programmi base del genere, voleva dire che avevo un vero e proprio talento nel trovare le persone, un talento, disse, fuori dal comune.
Cercai di accennare una risata, facendomi vedere tranquilla. In realtà, solo il sentire il nome del loro capo mi fece gelare il sangue. Avevo smesso di pensarci, a dirla tutta non mi ero mai realmente preoccupata di quel problema, troppo impegnata ad occupare la mia mente negli altri mille che emergevano ogni giorno. Killian mi aveva assicurato che sarebbe stato fuori per qualche settimana, ma non ne sapevo di più. Poteva benissimo tornare da un momento all'altro e trovarmi lì e non osavo neanche immaginare a cosa sarebbe successo in un caso del genere. E invece, cosa sarebbe successo se l'agente che Montgomery aveva assicurato di mandare si fosse presentato senza preavviso? In ogni caso sarei stata spacciata, avrebbero scoperto tutte le mie menzogne, avrei perso completamente la fiducia di Killian e sarei stata cacciata via. O sarei finita dietro le sbarre, non sapevo dirlo.
« Emma, c'è qualcosa che non va? » Jack richiamò la mia attenzione, facendomi voltare a guardarlo « Sei così pallida.. sei sicura di stare bene? »
« Oh, no Jack, tranquillo. Sto bene » riuscii ad affermare, prima che Killian posasse una tazza bollente di cioccolata sulla scrivania. Alzai lo sguardo verso di lui, che mi osservava dall'alto, in piedi, scrutandomi appena. Gli rivolsi un'occhiata interrogativa, lui afferrò al volo e scrollò le spalle.
« Henry ha detto che ti avrebbe fatto bene » spiegò, incrociando le braccia.
« Ma io sto bene » ribattei, prendendo comunque la cioccolata e cominciando a soffiarci sopra. Guardai con la coda dell'occhio il ragazzino che se ne stava affianco alla macchinetta delle bevande, anche lui mi osservava di sottecchi.
Killian alzò gli occhi al cielo, mormorò un « certo » poco convinto e tornò nel suo ufficio.
Non successe niente di importante per le successive due ore, tutto procedeva con calma, o meglio, tutti erano indaffarati nel proprio lavoro ed era anche divertente vederli andare da una parte all'altra, avanti e indietro senza una meta. Jack aveva tentato di spiegarmi come potevo aiutarlo, ma alla fine, entrambi convenimmo che se la sarebbe cavata meglio da solo, così me ne tornai da Killian, che trovò qualcosa più alla mia portata da farmi fare. Ogni tanto tenevo d'occhio Henry, anche lui ci aveva raggiunti nell'ufficio dell'ex pirata.
Fu l'urlo di Phoebe a interrompere ogni nostra attività.
« Ce l'ho fatta! L'ho trovata, ce l'ho fatta! » Continuava a ripetere e, in men che non si dica, tutta la squadra era riunita intorno la sua scrivania. « Non voleva saltare fuori, la bastarda. Ma sono riuscita a rintracciare il ragazzo che ha scattato la foto, mi ha spiegato come raggiungerla: è appena fuori Londra. Mi ha detto che non compare in nessuna mappa e che anche lui l'ha trovata con un colpo di fortuna » affermò, infine, con un tono di disappunto nella voce.
« Bene, cosa stiamo aspettando? Andiamo » esclamai, correndo a recuperare la mia giacca. Guardai poi Henry, mi sembrava ovvio che non sarebbe venuto con noi, ma non potevo neanche lasciarlo a casa di Killian da solo. Forse la soluzione migliore era che se ne rimanesse a Scotland Yard, fino a quando non saremmo tornati.
« No, fermi! Aspettate » Killian ci richiamò tutti, così mi voltai, stupita, a guardarlo « non andremo adesso. »
« Cosa?! » Phoebe era stizzita « Quella ragazza potrebbe morire da un momento all'altro, sempre se non è già morta! Non abbiamo un minuto da perdere, ma ti sei impazzito? »
« Andremo stanotte. Questi due sanno il fatto loro, bisogna sorprenderli quando meno se lo aspettano. Non ci vedranno arrivare, cosa che succederebbe alla luce del sole. O credi che, diverse auto della polizia dirette ad una torre abbandonata, non diano nell'occhio? »
Il ragionamento di Killian non faceva una piega, ero d'accordo con lui ovviamente, il fatto che non ci vedessero arrivare era un punto enorme a nostro vantaggio e, inoltre, avrebbe tenuto al sicuro il loro ostaggio. Osservai Phoebe, non voleva ammettere di trovarsi nel torto, si vedeva dall'ostilità con cui ci osservava, ma alla fine annuì e alzò le spalle.
Ora ci serviva solamente un piano e poi, quella notte, avremmo affrontato i due assassini.


***


Osservavo Killian ai fornelli, appoggiata allo stipite della porta. Non appena tornati a casa ero andata a farmi un bagno caldo e, in un certo senso, mi sentivo già meglio, non dovevo fare altro che recuperare tutte le forze in vista di quello che ci aspettava più tardi.
Henry mi si avvicinò, guardò anche lui Killian e poi tornò a rivolgersi a me.
« Capitan Uncino che prepara la cena » mormorò a bassa voce « non è una cosa che si vede tutti i giorni! »
« Visto? Avremo modo di incastrarlo per fargli cucinare qualcosa, una volta tornati a Storybrooke » gli risposi, ridacchiando appena. Mi rabbuiai un secondo dopo, mentre mi chiedevo se saremmo mai tornati a Storybrooke insieme a Killian. Ma non era il momento migliore per abbattermi, dovevo pensare positivo, una volta tanto. Entrai in cucina e mi avvicinai all'uomo « Hai bisogno di una mano? »
« Simpatica » esclamò ridendo lui, nell'attimo esatto in cui io mi rendevo conto di cosa avevo detto. Tornai con la mente a Neverland, quando lui stesso mi aveva offerto “una mano” e io non riuscivo a capire se dovessi prenderlo sul serio o meno « comunque no, grazie. Ti ho vista all'opera in questi giorni, per il bene del nuovo ospite è meglio che prepari questa zuppa da solo. »
« Zuppa?! » Io e Henry parlammo allo stesso tempo, sul volto la stessa espressione delusa e, appena, disgustata. Non eravamo di certo amanti di certi tipi di piatti!
Killian ci guardò divertito, prima di accendere una pentola.
« Sì, zuppa » confermò, come se ce ne fosse bisogno « mi dispiace, Henry, davvero. Ma se tua madre avesse ammesso prima di non sentirsi bene, lasciandosi curare come si deve, a quest'ora starei preparando un delizioso arrosto, anziché questa brodaglia! »
« Ma io sto bene! » Borbottai nuovamente, guadagnandomi un'occhiataccia da entrambi.
L'uomo si allontanò dai fornelli, mi venne affianco e rabbrividii: solo la notte prima eravamo così tanto vicini ed eravamo finiti col baciarci. Invece, alzò la mano e la posò sulla mia fronte. Notai il suo imbarazzo, visibile tanto quanto il mio, ma feci finta di niente. Qualche secondo dopo si allontanò e tornò davanti ai banconi da cucina.
« Scotti, sicuramente hai la febbre. Dopo cena prendi la medicina e ti fai una bella dormita. Devi essere nel pieno delle forze, altrimenti te ne rimarrai a casa. »


Avevo preso sul serio gli avvertimenti di Killian, seppure mi scocciava vederli, lui e Henry, così premurosi nei miei confronti: avevo qualche linea di febbre, non mi trovavo mica in punto di morte! Mi ero trovata sicuramente in situazioni ben peggiori.
Dopo cena acconsentii a prendere una pasticca e ad andare a dormire per qualche ora, mentre i miei uomini – se potevo definirli così – se ne rimanevano in salotto a guardare la tv. Saremmo partiti intorno la mezzanotte, ma speravo di svegliarmi prima per evitare che Killian mi lasciasse a casa pensando che stessi ancora male.
Per fortuna, Henry salì in camera alle undici e, senza volerlo, mi svegliò. Non essendoci un altro letto in quella casa, avevamo concordato che avrei diviso quello degli ospiti con mio figlio, anche se poi non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che quella notte non sarei stata a casa.
Aspettai una decina di minuti affinché il ragazzo si addormentasse, dopodiché mi alzai dal letto e mi diressi al piano di sotto, in cucina, con l'intenzione di farmi una cioccolata. Sicuramente la medicina e il riposo mi avevano fatto bene, visto che mi sentivo molto meglio, quindi speravo che Killian non mi facesse tante storie. E, a proposito dell'uomo, passando vicino l'ingresso, lo vidi fuori, seduto sulla panchina posta nella veranda.
Decisi di preparare anche un caffè, oltre che la cioccolata. Presi quindi le due tazze fumanti e uscii fuori. Aveva lo sguardo perso verso le stelle, sembrava studiarle ad una ad una, questo mi fece ricordare il vecchio pirata che avevo conosciuto. Era talmente concentrato che non si accorse della mia presenza fino a quando non gli rivolsi la parola.
« Seconda stella a destra » esordii, a bassa voce per non sorprenderlo più di quanto non stessi già facendo, indicando con il capo il cielo stellato che stava osservando prima di voltarsi a guardarmi « e poi dritto fino al mattino » conclusi, porgendogli la tazza di caffè bollente.
« Peter Pan, Swan? » Mi domandò lui, per tutta risposta, con un sorriso sghembo dipinto sul volto, mentre afferrava la tazza e se la portava vicino la bocca per poterci soffiare sopra.
« E' così assurdo? » Chiesi a mia volta, sedendomi al suo fianco.
« Non ti facevo una tipa da Peter Pan » rispose.
« Non lo sono » mi affrettai ad aggiungere, ricordando il piccolo demonio che avevo avuto il dispiacere di incontrare tempo prima « sono più una tipa da Capitan Uncino! » Mi ritrovai a dire, prima ancora di rendermi conto che, anche in quella realtà, il soprannome di Killian era proprio Hook « Cioè, volevo dire... »
« Non dovresti stare fuori » mormorò, prima di bere un sorso di caffè « non dovresti prendere freddo. »
« Mi sento meglio, lo giuro! » Esclamai in fretta e furia, notando il suo sguardo sospetto.
Fece finta di niente, mi diede per qualche istante la tazza ancora piena di caffè e se ne tornò dentro, pur lasciando la porta aperta, cosa che mi fece capire che fosse entrato solo per prendere qualcosa. Osservavo il breve tragitto tra la panchina e la porta d'ingresso a bocca aperta, spiazzata, non riuscendo a capire cosa stesse cercando. Lo vidi tornare poco dopo con in mano una coperta marroncina a quadri rossi; un secondo dopo la coperta era sulle mie spalle.
« Grazie » mormorai, non sapendo bene cosa dire. Scrollò le spalle e riprese il suo caffè.
« Ho detto a Rose di dormire qui, anzi dovrebbe arrivare a momenti ormai » mi informò, dando un'occhiata all'ora. Intercettò, poi, il mio sguardo interrogativo e si affrettò a spiegarsi meglio « Per Henry, non credo che tu voglia che rimanga qui da solo, mentre noi ci occupiamo dei Grimm, no? »
Che stupida! Mi rimproveravo di non aver pensato io stessa a una soluzione del genere, beh era anche vero che era successo tutto così dannatamente in fretta da non avere neanche il tempo di pensare a certe cose.
« In effetti tuo figlio c'è stato molto utile oggi! Diamine, avrei tanto voluto che fosse arrivato prima, avrei già chiuso l'indagine da un bel pezzo » constatò ancora.
« Già, nessuno è più informato di Henry sulle favole » osservai, bevendo l'ultimo sorso di cioccolata calda.
« Ho notato, da come le racconta sembra che le viva in prima persona » scherzò. Alzai gli angoli della bocca e cercai di simulare una risata divertita e soprattutto cercai di non farmi vedere come presa in causa da quella affermazione.
Meno di due ore dopo ci ritrovavamo, io e Killian insieme a Phoebe, Jack e i gemelli Thomas e Henry, davanti la torre abbandonata che tanto avevamo cercato nella precedente giornata.
Il silenzio regnava sovrano, l'atmosfera che si respirava era quasi lugubre e l'edera che cresceva sulle mura dell'edificio dava davvero l'impressione che quel luogo non fosse abitato da anni. Mi domandai più volte se davvero ci trovassimo nel posto giusto, anche perché non vi era traccia del suv del cacciatore che avevamo visto dalla foto.
« Emma e Jack con me. Voi tre, invece, entrate dal retro, ci sarà senz'altro un'entrata secondaria! » Ordinò Killian, parlando con un filo di voce. Noi cinque annuimmo all'unisono e ben presto ci dividemmo.
Il pirata fece ben attenzione nell'aprire la porta principale, impresa che si rivelò essere più semplice del previsto. Com'era possibile che non l'avessero chiusa a chiave facilitandoci in quel modo l'ingresso? Lanciai un'occhiata a Killian, stupito tanto quanto me, prima di guardarmi intorno. L'interno era desolato tanto quanto l'esterno, a regnare parevano essere le ragnatele e la polvere che coprivano in grande quantità ogni mobile presente. La puzza di muffa mi arrivò alle narici e mi fece arricciare il naso, mentre mi avvicinavo al mio capitano.
« Siamo sicuri di trovarci nel posto giusto? » Sibilai, senza smettere di studiare quello che mi circondava. L'altro annuì.
« Sì, ne sono certo, me lo sento » affermò sicuro, avviandosi verso le scale.
« Dove vai?! »
« A cercare la ragazza! »
In men che non si dica si era già volatilizzato. Mi voltai verso Jack che alzò le spalle e, insieme cominciammo ad ispezionare quel posto. Ero sempre più convinta che le uniche anime vive ad aver varcato la soglia di ingresso negli ultimi anni fossimo noi, così, alla fine, feci per dirigermi verso le scale anche io.
« Vado a chiamare Killian, ci troviamo nel posto sbagliato. »
« Non così in fretta, biondina! »
Mi voltai di scatto, mentre una delle voci più dure che avessi mai ascoltato in vita mia mi giungeva alle orecchie. Un uomo, dalla faccia coperta, stringeva il braccio sinistro intorno al collo di Jack che cercava in ogni modo di sottrarsi a quella presa, mentre la mano destra stringeva una pistola che teneva puntata su di me.
Mi sentivo come bloccata sul posto, la mia mente stava per esplodere.
Quanto potevo muovermi velocemente affinché potessi afferrare la mia pistola e puntarla, a mia volta, su quell'uomo, senza che lui potesse spararmi, nel frattempo?
Dov'erano Phoebe e i gemelli? Speravo in una loro entrata ad effetto o non vedevo vie d'uscita per me e Jack.
E Killian? A quell'ora sicuramente si trovava già nella stanza più alta della torre, dove presumevamo si trovasse la nostra Raperonzolo.
L'aveva trovata? Era ancora viva?
E, soprattutto, dov'era l'altro assassino?


Più tardi uno sparo squarciò l'aria e risuonò per l'intero edificio, prima che le urla disperate della Salvatrice sovrastarono ogni cosa, una volta che ebbe raggiunto la stanza in cui il suo Vero Amore si trovava.
Il sangue aveva ormai macchiato quella torre abbandonata.






Angolo dell'Autrice: buongiorno lettori, buonasera, buonanotte, buon salve! Ho tantissime cose da dirvi questa volta, per cui partiamo subito!
Tanto per cominciare, questo capitolo NON doveva concludersi in questo modo, solo che vedendo la scritta “pagina 9” di word ho deciso che era meglio tagliare qui, prima di dilungarmi fino a pagina 394 (ogni riferimento a Harry Potter è puramente casuale!) Il titolo l'ho cambiato ieri dopo giorni di riflessione, inizialmente doveva essere “Second star to the right” per richiamare tutta la storia di Peter Pan e quindi la storia di Killian, MA quella frase detta dal nostro Rumple mi è piaciuta così tanto che non potevo non trovare il modo di inserirla in questa storia.
Cosa importante (?) siamo ESATTAMENTE a metà di questa storia (sentitevi liberi di piangere per la disperazione çwç); in realtà ho pronta la trama di ogni singolo capitolo già da maggio o forse giugno, non ricordo neanche, comunque sia è tutto “pronto” da mesi, devo solo mettere per iscritto tutto ed arrivare così al 22° capitolo (che sarà poi l'epilogo della storia, piango).
AH, altre due cose: la parte della chiacchierata tra Emma e Henry l'avevo scritta qualcosa come due/tre settimane fa, per cui immaginate la mia faccia quando nella puntata di domenica i due si ritrovano a fare la medesima (più o meno) chiacchierata sull'operazione cobra :') Adam, so che mi spii! Ultima cosa, questa è un po' un'anticipazioneee (essì): stanno uscendo tantissimi spoiler dal set (e tantissime teorie che mi fanno piangere solo al pensiero OKAY), tra cui il fatto che l'anello di Killian (catturato, in qualche foto, al collo di Emma) si rivelerà importante. Ecco, l'anello di Killian sarà ESTREMAMENTE IMPORTANTE anche in questa storia, vedrete più avanti che chicca vi ho preparato ;) e qui ritorno a dire: ADAM SMETTILA DI RUBARMI LE IDEE lol
Questo spazio sta diventando più disagiato di me, so... cerco di tornare seria: il prossimo capitolo è importantissimo, per me e per la storia, sappiate che tutto quello che avverrà mi ha dato l'incipit per iniziare a scrivere questa ff: in pratica ho costruito una trama intorno al dodicesimo capitolo, sì, vi dico solo che non vedo l'ora di scriverlo, sono MESI che non vedo l'ora di scriverlo! Voi preparatevi, preparatevi a tutto, seriamente, attenti.
Okay, basta così dai, vi ho già messo troppa ansia XD
Vi ringrazio nuovamente per tutte le recensioni e le bellissime parole che mi lasciate, grazie a chi legge silenziosamente e grazie a chi inserisce la storia nelle varie categorie :) Happy Halloween e Happy OUAT Day per domani (vi sta piacendo questa 5a stagione, a proposito? A me tantissimo, non capisco tutte le critiche che leggo sulla rete!)
Un bacio enorme :)

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Capitolo 12
*** Yo ho ho, and a bottle of rum! ***


12. Yo ho ho, and a bottle of rum!




Day 10



*Killian Pov*



« Dove vai?! »
« A cercare la ragazza! »
Risposi con naturalezza, prima di far segno ad Emma di rimanere lì e di guardarsi intorno, di ispezionare meglio quella strana torre.
Mi girai subito e corsi per la rampa di scale, lasciando Emma e Jack di sotto. Non diedi loro modo neanche di fermarmi, in effetti, ma il mio istinto stava prendendo il sopravvento di me stesso. Salivo i gradini due alla volta, volevo sbrigarmi e trovare Caroline Evans il prima possibile, possibilmente viva.
Mentre salivo, facevo attenzione a non tralasciare neanche un dettaglio lungo la mia strada, osservavo tutto, anche gli strati di polvere che coprivano il pavimento. Sapevo che Emma aveva cominciato a nutrire dei dubbi sul fatto che quello fosse il posto giusto, ma io me lo sentivo, me lo sentivo dentro, ne ero certo, l'istinto non si sbagliava.
Probabilmente non era il covo dei due ricercati, ma solamente il luogo dove tenevano rinchiusa la Evans, quindi l'aspetto desolato e abbandonato doveva essere dovuto a quello. Magari i nostri uomini non si trovavano nemmeno all'interno, questo voleva significare che non avremmo concluso l'indagine quel giorno, maledizione, ma perlomeno avremmo salvato la ragazza.
Cominciai a sentire il respiro mancarmi, perciò mi fermai per qualche istante. Voltai appena il capo e mi resi subito conto di quanto fossi in alto: non riuscivo neanche più a scorgere l'inizio di quell'imponente scala a chiocciola, avevo corso per tutto il tempo senza far caso ai minuti che passavano. Mi girai nuovamente, al contrario riuscivo a vedere la fine di quel percorso, vedevo una porta di legno chiusa, sperando non a chiave.
Con un'energia che non immaginavo di avere, in pochissimi istanti dimezzai la distanza tra me e la porta e, nel giro di due minuti, mi ci ritrovai davanti.
Prestai attenzione a ogni minimo rumore mentre tiravo fuori la pistola, pronto a tutto. Ormai ero quasi certo che i due uomini non fossero nella torre, ma preferivo essere prudente. Il silenzio continuava a regnare sovrano, non riuscivo a captare nessun suono, neanche il più debole dei respiri e questo mi scoraggiò. Tutta la fretta che avevo avuto di arrivare fino in cima e di chiudere la questione, in quel momento aveva cominciato a dissolversi. Tentennai ancora osservando la maniglia della porta. Coraggio Jones, abbi fede. La ragazza si trova oltre questa dannata porta, devi solamente portarla fuori da lì.
Inspirai profondamente, poggiai il gomito destro sulla maniglia, spinsi verso il basso quel tanto che bastava ad aprirla – anche quella volta non era chiusa a chiave – e vi entrai, la pistola in alto bene in vista.
Caroline Evans mi si presentò davanti devastata. Le si mozzò il respiro nel momento in cui mi vide arrivare, si era portata una mano sul petto e aveva fatto qualche passo indietro, avvicinandosi al muro. La stanza era buia, l'unica luce presente era quella della luna che entrava dalla finestra e dava alla ragazza un aspetto decisamente tetro. Era ben diversa da quella che avevo visto nei filmati insieme ad Emma: le occhiaie erano marcate, il volto pallido, i capelli lunghi raccolti in una coda disordinata.
Tremava, gli occhi spaventati erano posati sulla mia pistola, me ne resi conto solamente dopo.
« Oh... oh no.. no, tranquilla! » Mi affrettai a rassicurarla, abbassando immediatamente la pistola e riponendola nel fodero. Feci qualche passo in avanti, lentamente, per non sconvolgerla ancora di più. « Sono della polizia » la rassicurai, mentre le tesi la mano e la incoraggiai con un cenno del capo a fargliela stringere « ti porto via da qui. »
La ragazza continuò a mantenere lo sguardo fisso sulla pistola, seguì attentamente il suo percorso e solo quando non la vide più a portata di mano alzò gli occhi su di me. Erano pieni di lacrime, di rammarico, forse un pizzico di speranza, o almeno così mi sembrò da quel timido sorriso che comparve sul suo volto per un tempo così breve che potevo benissimo essermelo immaginato. E poi i suoi occhi cambiarono di significato, era tornato il terrore, ma non c'era solo quello, sembrava quasi... senso di colpa?
Fece per aprire la bocca, ma non emise alcun suono. Continuava a tremare quando le si mozzò il respiro, lo sguardo puntato, questa volta, in un punto indefinito oltre la mia spalla. Nello stesso momento, la porta dietro di me fu chiusa violentemente.
« Lei non porterà via proprio nessuno, capitano! »
Mi voltai di scatto, sorpreso, ma non ebbi modo di replicare o fare niente, visto che l'altro mi colpì in pieno volto così velocemente, e con così tanta forza capace di farmi indietreggiare appena, da lasciarmi di stucco.
Sentii il sapore quasi metallico del sangue riempirmi la bocca, per questo, come un gesto automatico, portai la mano sul labbro inferiore. Quello bruciò, o meglio, la ferita provocata bruciò così che allontanai subito le dita. Alzai lo sguardo verso l'uomo: aveva il volto coperto, non che mi aspettassi il contrario e non che potessi vederlo comunque bene visto che la luce presente nella stanza era quasi inesistente.
Feci per prendere la pistola ma quello scattò in avanti e mi colpì ancora una volta, e ancora, e ancora, due volte sul volto e un pugno violento nello stomaco. Mi piegai dolorante in avanti, ma comunque deciso a reagire, non potevo assolutamente lasciargliela vinta: c'era in ballo la mia vita, quella di Caroline Evans e quella della mia squadra, che speravo se la stesse passando meglio di me.
Rapido, riuscii a posare la mano sul fodero, pronto ad estrarre l'arma, ma l'altro ancora una volta fu più veloce di me e tornò a colpirmi. Mi rassegnai, non sarei mai riuscito a prenderla, mi avrebbe massacrato nel giro di cinque minuti. Ma questo mi fece capire anche un'altra cosa, più importante: era disarmato, per chissà quale strano motivo, dovevo solamente metterlo KO, anche se non sarebbe stato semplice, visto che per la stazza doveva essere il doppio di me, sembrava quasi uno scimmione.
Non mi rizzai neanche bene in piedi che subito gli sferrai un pugno alla cieca, alto, affinché lo prendessi in pieno volto, cosa che successe. L'uomo rise, non avevo mai sentito una risata così macabra. Alzai lo sguardo e feci in tempo a vederlo mentre ritraeva la mano sinistra da sotto il passamontagna, osservò le piccole macchie di sangue e tornò a ridere.
« Vedremo se riderai ancora dietro le sbarre » esclamai di getto, prima di sferrare un altro pugno, che questa volta mancò il bersaglio.
Quello non rispose, perlomeno non a parole, reagì subito scattando in avanti e mirando alla mia guancia destra. Riuscii a spostarmi appena in tempo, riuscii a sentire il suo pugno chiuso che mi sfiorava. Pronto gli sferrai un gancio nello stomaco e poi un calcio. Finì a terra, ma con un rapido movimento dei piedi fece cadere anche me e in un attimo mi fu addosso. Cominciò a sferrare pugni ma non cedetti; alla prima occasione gli diedi una testata – cavoli, se fece male – e lo scaraventai dall'altra parte della stanza con tutta la forza che avevo. Sbatté al muro e finì a terra, scosso.
Avevo il fiatone, ma non persi tempo ed estrassi finalmente la pistola, lanciai uno sguardo a Caroline che se ne era rimasta in disparte per tutto questo tempo. Osservava prima me e poi il suo rapitore, terrorizzata forse più di prima, molto probabilmente io ero parte di quella preoccupazione, ai suoi occhi non ero diverso dall'altro uomo.
« Va tutto bene » cercai di rassicurarla, prima di tornare con l'attenzione rivolta al rapitore, nonché assassino « è finita amico, sei arrivato al capolinea. » Ancora una volta, quello cominciò a ridere.
« Cosa aspetta, allora? Mi spari, avanti » mi incitò, come divertito da quella situazione.
Lo guardai sbigottito, non gli avrei sparato, non volevo ucciderlo, lo avrei solamente portato in prigione. Non potevo negare che una parte di me voleva vederlo morto, ma il mio senso di giustizia mi impediva di pensare concretamente a quell'alternativa.
« Non ti farò questo regalo, meriti di marcire dietro le sbarre. Tu e la tua spalla. »
« Veramente sono io che le sto concedendo un regalo, capitano » alzai un sopracciglio, mentre lui se la rideva ancora di gusto « a quest'ora mio fratello si sarà occupato dei suoi uomini, io le sto dando l'opportunità di uccidermi, ora che può, di provare a fare lo stesso con mio fratello e di tenere salva la pelle. »
« Smettila di farneticare » esclamai stanco, cominciando ad avanzare verso di lui « i miei uomini sono in cinque, lo avranno già ammanettato, e presto gli farai compagnia. »
« Non-si-avvicini » esclamò con un tono talmente gelido che mi fece bloccare sul posto, seppure a pochi passi da lui « sa che non ci metterei niente a disarmarla e non si aspetti che di mia volontà mi consegni ai suoi uomini cosicché mi possano sbattere in cella. Mi spari, adesso, non ha alternative. »
« Non sparerò. »
« Prema il grilletto. »
« Non lo farò. »
« Finirà male, la avverto. »
« Non ho intenzione di ucciderti e di scendere al tuo livello. »
« Sei solamente un codardo » esclamò, avanzando di un passo verso di me « ti avevo avvertito. »
Furono le sue ultime parole, rapido mi diede una botta con la gamba sinistra, facendomi cadere. La pistola mi scivolò via dalle mani, feci per alzarmi e prenderla ma lui fu più rapido e me la puntò dritta in faccia.
Ero in ginocchio, lo guardavo dal basso mentre la canna della pistola era a pochi centimetri dalla mia testa. Non per molto però, visto che cominciò a indietreggiare, mantenendo comunque lo sguardo su di me, verso la finestra. Voleva scappare? No, non sarebbe sopravvissuto a quel salto. Forse lo faceva solamente per un suo capriccio, era abbastanza psicopatico per questo.
Guardò per un attimo la Evans, poi tornò a concentrarsi su di me.
Probabilmente sotto quella maschera stava anche ridendo, si divertiva come un folle.
Non ebbi tempo neanche di pensare che fosse arrivata la fine, che quello premette il grilletto.


*Emma Pov*


Ventotto anni.
Ventotto anni passati senza usare la magia. Ventotto anni dove la magia si limitava ad essere una fantasia dei bambini. Ne avevo passate tante in ventotto anni, quando riuscivo a scappare dall'orfanotrofio la vita non era facile e per una ragazzina i pericoli erano dietro l'angolo. Da grande, prima ladra e poi cacciatrice di taglie, avevo a che fare con tipacci ogni giorno.
Eppure, in quei ventotto anni non c'era stata una singola occasione in cui non fossi riuscita a cavarmela con le mie forze, non c'era stato neanche un momento in cui avrei voluto ricorrere alla magia.
In quel momento, invece, non mi sarebbe per nulla dispiaciuto ricorrere ai miei poteri. Avevo scoperto di averli da così poco tempo che mi stupivo di me stessa nel constatare quanto ne fossi diventata dipendente.
Continuavo a pensare alla mossa da fare, e soprattutto a sperare che quell'uomo non desse di matto e non facesse fuori Jack, nel frattempo. Osservavo il ragazzo: in un primo momento mi era parso stupito, sorpreso sì, ma per nulla spaventato. Ero rimasta molto colpita dalla sua reazione, non voleva farsi vedere debole per non dare soddisfazione a quel mostro.
Fu proprio questo aspetto di Jack che mi diede la forza necessaria a muovermi. Non potevo rimanere lì, inerme, e lasciare che o quell'assassino, stanco, ci uccidesse, o arrivassero Phoebe e gli altri a salvarci. Decisi che potevo farcela, potevo essere più veloce dell'uomo e potevo riuscire a tirare fuori la pistola e a puntargliela, a mia volta, contro.
Rapida, riuscii a portare la mano destra sul fodero, ma mi bloccai nuovamente quando l'uomo sparò. Il proiettile mi passò affianco, sorvolò di pochi millimetri la mia spalla sinistra e centrò il muro che avevo dietro di me.
« Provaci ancora, biondina, e il prossimo te lo sparo dritto nel cuore. »
Deglutii e lo guardai con disprezzo, ma proprio in quel momento vidi arrivare gli altri e questo mi tranquillizzò e non mi fece fare azioni avventate.
« Lascialo andare, o il colpo che sparerò io andrà dritto nella tua testa » Phoebe lo teneva sotto tiro, e come lei anche Thomas e Henry facevano lo stesso. L'uomo, che dalla voce ero quasi certa che si trattasse del cacciatore che avevamo già incontrato in precedenza, non reagì minimamente, anzi, lasciò andare immediatamente Jack e poi alzò le mani alto.
« D'accordo dolcezza » disse « mi arrendo, mi arrendo. »
Thomas si sbrigò a raggiungerlo, gli tolse la pistola e gli mise le mani dietro la schiena. Phoebe uscì fuori diretta alla nostra volante, per chiamare Scotland Yard e dire di aver preso uno dei due “Grimm”; Henry la seguì, come un'ombra. Io mi diressi verso le scale, per andare ad avvertire Killian, quando il suono di uno sparo mi bloccò.
Non proveniva da quella stanza, non proveniva da fuori, proveniva dall'alto, da molto in alto, probabilmente dal luogo più in alto di quella torre.
« Killian » riuscii a mormorare in un filo di voce, terrorizzata, prima di cominciare a correre all'impazzata su per quella rampa di scale. Jack mi venne dietro, il cacciatore, invece, approfittò di quell'attimo di confusione per colpire Thomas con una testata e scappare via. Sentii Thomas gridare ma non gli diedi importanza, in quel momento il cacciatore poteva benissimo darsela a gambe, la squadra poteva benissimo essere rimproverata per averlo lasciato fuggire, non mi importava niente, in quel momento la mio priorità era Killian, nessun altro.
Avevo il cuore in gola e di certo non per la corsa. La brutta sensazione che mi aveva accompagnato negli ultimi giorni non era ancora sparita, era sempre presente e non potevo smettere di pensarci. Non potevano avergli fatto del male, non poteva essere vero, era solo frutto della mia mente, solo il riflesso delle mie paure più grandi.
Arrivata fino in cima lo vidi. Era in ginocchio, mi dava le spalle, la testa era china verso il basso, era quasi abbandonata a se stessa e questo mi fece sbiancare. Vedevo una grande pozza di sangue davanti a lui, non avevo il coraggio di avvicinarmi. Mi sentii mancare, le gambe mi tremavano e se non mi fossi retta alla ringhiera della scala probabilmente sarei crollata a terra già da un bel pezzo.
« Killian... » mormorai a bassa voce, muovendo un passo verso di lui, vidi un movimento quasi accennato del suo capo e corsi da lui « Killian! » Urlai ancora.
Mi ci inginocchiai davanti e gli presi il volto tra le mani. Era cosciente, più o meno, sembrava quasi non accorgersi della mia presenza, osservava un punto indefinito e non riuscivo ad attirare la sua attenzione.
« Killian, ehi.. Hook, stai bene? Vuoi rispondere? » Esclamai alla fine, anche un pizzico spazientita. Gli lasciai andare il volto e lo osservai meglio. Non sembrava ferito, reduce da una rissa forse, ma ferito dal colpo di una pistola di certo no. Non riuscendo a capire cosa fosse successo decisi di seguire il suo sguardo, mi girai appena e, nel buio, scorsi la figura di una donna. « Jack, chiama un'ambulanza! » Feci rivolta all'altro che mi aveva appena raggiunto e mi avvicinai alla ragazza.
Una pozza di sangue la circondava, i suoi capelli dorati erano ormai ricoperti di quel liquido rosso. Riconobbi subito Caroline Evans e il foro di proiettile che aveva sulla testa mi fece capire che fosse morta sul colpo.


Nel giro di qualche ora nella vecchia torre abbandonata nel bel mezzo del nulla regnò il caos. Phoebe era arrabbiatissima, cercavamo tutti di tenerci alla larga da lei dopo esserci ritrovati vittima di una sua sfuriata, quando scoprì che avevamo perso sia gli assassini che l'ostaggio.
Io e Killian avevamo aspettato fuori, al gelo, l'arrivo di Rose, quale medico legale, e di Henry, visto che la donna non poteva lasciarlo a nessuno e io non volevo che rimanesse da solo, non dopo quello che avevo vissuto quella sera. Nel frattempo, avevo tentato di far parlare di Killian, di fargli raccontare quello che fosse successo, ma lui continuava a lasciar cadere il discorso dopo aver mormorato qualche monosillabo. Aveva lo sguardo perso, era sovrappensiero, ma non riuscivo a farmi dire cosa lo turbasse.
Per ultima, arrivò la stampa: i giornalisti sembravano gareggiare per arrivare prima sul posto e accaparrarsi la notizia per primi. Appena li vedemmo arrivare, io e Killian tornammo dentro, non volevamo ancora rilasciare dichiarazioni, lui aveva detto che doveva prima rintracciare il suo capo.
« E' arrivata la stampa » informai gli altri, non appena ci sentirono arrivare e si girarono a guardarci, immaginando novità.
« Quegli avvoltoi » commentò Jack « Cosa dobbiamo dire? »
« Killian sta informando il capo, ci farà sapere lui, » cominciai a dire, lanciandogli un'occhiata giusto in tempo per vederlo mentre chiudeva la chiamata « ma credo che sia meglio dire la verità fin da subito, presto si saprà tutto comunque e sarà peggio. »
« Sì, sono d'accordo » esordì Killian, raggiungendoci mentre riponeva il telefono nella tasca interna della sua giacca – in un'altra situazione avrei sorriso a quella scena, pensando al mio Killian che ignorava persino cosa fosse la fotocamera di un cellulare – « Ma non adesso. Torniamo in centrale, dirò loro che risponderò a qualsiasi domanda più tardi. Prima devo fare una cosa. » Lo guardai stranita, alzando un sopracciglio.
« Di che parli? Cosa devi fare? »
« Devo vedere delle persone » mi rispose cupo, dirigendosi verso l'uscita. Subito lo seguii e lo raggiunsi.
« Aspetta, vengo con te » affermai, anche se non avevo ben capito chi dovesse vedere di così importante.
« No » disse, voltandosi a guardarmi « è una cosa che devo fare da solo. »


***


A Scotland Yard non facevano altro che rivolgerci occhiatacce, il che era snervante. Tutti, nessuno escluso, ci giudicava per esserci lasciati scappare i due assassini e per aver lasciato che uccidessero l'ennesima ragazza.
La stampa ci aveva seguiti dopo che Killian aveva promesso loro di rispondere presto alle domande, ma questo non li fermò dal provare a strapparci qualche informazione.
Phoebe si offrì di accompagnare a casa me e Henry, cosa che mi lasciò un po' spiazzata, ma non ci feci molto caso, visto che la nottata era stata pesante ed eravamo ancora tutti sconvolti.
A casa non c'erano né Killian, né Rose. Sospirai, avrei voluto parlare almeno con l'uomo che aveva spiccicato pochissime parole, ma a quanto pareva mi toccava aspettare. Henry si buttò subito sul divano, visibilmente assonnato. Immaginai che Rose lo avesse svegliato improvvisamente a poche ore dall'alba e questo mi fece sorridere amaramente. Io, al contrario, avevo dormito sì e no un paio d'ore, ma non mi sentivo stanca, non credevo che sarei riuscita ad addormentarmi tanto facilmente, quella sera.
Mi diressi in cucina e cominciai a rovistare nella dispensa: avevo bisogno di bere, anche qualcosa di forte per una volta non mi avrebbe fatto male, ma non trovai niente, non c'era la minima traccia di alcool in quella casa, a parte, forse, quell'unica bottiglia di birra nel frigorifero. Me la feci andare bene, la stappai e andai a sedermi accanto al ragazzino.
« Henry » chiamai la sua attenzione, mentre mandava un messaggio, probabilmente a Regina « il patto era che saresti rimasto un solo giorno, ricordi? Domattina prenderai il primo volo e tornerai a Storybrooke. »
« Ma le indagini non sono ancora finite! » Ribatté lui, come avevo immaginato.
« Lo so » mormorai appena « ma sarò più tranquilla sapendoti a casa e non qui, da solo » avevo lo sguardo perso nel vuoto, la mente ancora al cacciatore, alla sua voce dura, ai suoi occhi bui, neri come la sua anima. Eravamo stati tutti in pericolo, seppure in maggioranza numerica, e sentivo che lo saremmo stati nuovamente, in futuro, e mi terrorizzava il solo pensiero che potesse accadere qualcosa a mio figlio.
Sarà stato per via del mio sguardo cupo, o forse per il mio tono di voce appena tremolante, Henry non ribatté ancora, ma si lasciò convincere a partire l'indomani.
Non passò molto che sentii la porta di casa aprirsi, segno che Killian era tornato a casa. Scattai subito in piedi e gli andai incontro.
« Allora, si può sapere cosa dovevi fare di tanto importante? » Domandai ancora prima di ritrovarmelo davanti. La mia non era curiosità, non volevo neanche essere invadente, ma il suo sguardo così vuoto non riusciva a uscire dalla mia mente e continuava a preoccuparmi. Tutti noi eravamo scossi, questo sì, ma c'era dell'altro e volevo scoprirlo per aiutarlo.
Non mi ero accorta di Rose, subito dietro di lui. La vidi lanciare un'occhiata al cielo, prima di posare la sua giacca. Mi ammutolii all'istante e abbassai per un momento gli occhi, poi tornai a guardare Killian, che mi era passato davanti.
Aveva deciso di ignorarmi, così mi girai verso la donna.
« Tu sai dov'è stato? » Sembrò pensarci su, poi scosse la testa.
« No, non ha voluto che lo accompagnassi da nessuna parte e in macchina, adesso, non ha spiccicato parola. »
« Killian » sospirai, mentre davo le spalle alla rossa, diretta verso il pirata « andiamo, cosa ti angoscia? Puoi dirmelo, lo sai... »
« E' inutile, signorina Swan » fece Rose, ancora alle mie spalle « non lo ha detto nemmeno a me! »
La ignorai e provai ancora.
« Sono... siamo preoccupati. Tutti. L'intera squadra ha visto che c'è qualcosa che ti preoccupa, ti farà bene parlarne. »
« E con chi? » Sbottò a un tratto, forse esasperato « Con te? »
« Sai che puoi fidarti di me... » tentai, ma venni bloccata ancora una volta.
« Ah sì? » Commentò ironico « Una settimana fa non sapevo neanche che tu avessi un figlio » fece, indicando Henry con la mano « due settimane fa non sapevo neanche chi fossi tu. »
Mi morsi le labbra. Avrei tanto voluto esplodere, avrei tanto voluto urlargli in faccia la realtà, dirgli che l'unico che non conosceva era se stesso, quella nuova versione di sé, quel nuovo Killian Jones, poliziotto di Scotland Yard, prossimo alle nozze, amante della lettura e meno dell'alcool.
Volevo davvero dirgli tutte quelle cose, ma non lo feci. Non potevo farlo, avrei peggiorato, nuovamente e forse definitivamente, la situazione. Rimasi in silenzio, quindi, e lo lasciai parlare.
« Non so niente di te, Emma Swan. Non so da dove vieni, sì, okay, Storybrooke » si affrettò ad aggiungere, non appena feci per puntualizzare « questa cittadina fantasma che nessuno conosce. So che eri uno sceriffo e che sei cresciuta da sola. E poi? Io non ti conosco, quindi no, non lo so se posso fidarmi di te. »
Aveva detto ogni parola senza guardarmi negli occhi. Aveva lanciato un'occhiata a tutto, ad Henry, a Rose, al salotto, al soffitto, anche al tappeto, ma non a me. Questo mi fece sperare e, soprattutto, capire che, in realtà, si stava solamente nascondendo dietro delle parole. Lo sapevo, e se lo sapevo era perché mi riconoscevo in quel gesto, io stessa avevo innalzato muri pieni zeppi di parole urlate senza neanche pensarci troppo, che non potevo non farci caso. A pensarci, Killian era l'unico che, in tanti anni, era riuscito ad abbattere quei muri.
« Beh » cominciai a dire, cercando di riportare i toni ad un volume sicuramente più basso « puoi almeno provarci. Puoi fidarti di me, Killian Jones, te lo giuro. Devi fidarti di me. »
Finalmente si degnò di guardarmi. I suoi occhi mi scrutavano, sembravano volessero rivelarmi ogni verità, ma la sua bocca restava chiusa, la mascella serrata, il pollice che strofinava appena l'indice nella sua mano destra. Non mi rispose, non disse niente, si limitò a girare le spalle e a dirigersi in cucina, seguito poi da Rose, che si badò bene di lanciarmi un'occhiataccia non appena mi passò affianco.
Restai con lo sguardo fisso sull'uomo che amavo, respiravo e inspiravo profondamente. Non volevo stare in quella casa, in quel momento, non con una donna che aveva cominciato a togliersi la maschera e dava segni di odiarmi ogni volta che poteva e non con Killian che si rifiutava quasi di guardarmi.
Dissi ad Henry che avremmo passato la sua ultima giornata a Londra fuori, avvertii gli altri due e poi uscii insieme al ragazzo.


***


La giornata era passata piacevolmente, Henry aveva fatto di tutto per farmi dimenticare gli ultimi fatti accaduti e, per certi versi, ci era anche riuscito. Avevamo cenato in un locale davvero molto carino, il ragazzo si era gustato il suo hamburger consapevole che il giorno dopo avrebbe mangiato il cibo salutare che gli rifilavano Regina o mia madre.
Prima di tornare mi ero permessa di comprare una bottiglia di rum. I miei piani erano quelli di rientrare, mandare a letto Henry, restarmene in salotto e dimenticare ogni cosa, anche se poi me ne sarei pentita, forse, una volta sveglia.
« Comincia ad andare a dormire, domani devi svegliarti presto » affermai in un sussurro, mentre chiudevo la porta di casa. Le luci erano spente, il silenzio faceva da padrone, era tardi, Killian doveva essere a letto e io non avevo nessuna intenzione di svegliarlo. « Ti raggiungo fra poco » aggiunsi, prima di lasciargli un bacio sulla fronte.
Mi diressi quindi in salotto, camminavo piano e attenta a non inciampare in qualunque cosa potesse trovarsi sul pavimento. Cercai a tastoni il divano e quando lo trovai mi ci sedei sopra.
Ma non era il divano, o meglio sì, lo era, ma avevo la netta impressione di essermi seduta sulle gambe di qualcuno, per questo sobbalzai immediatamente, soprattutto quando sentii i lamenti di Killian.
« Ma che diamine... Swan! » Avevo acceso la luce e ora si copriva la faccia con il braccio sinistro, mentre cercava, comunque, di guardarmi « Ma sei impazzita?! Cosa stavi facendo? »
« Cosa ci facevi tu, sul divano, piuttosto! » Esclamai a mia volta, possibile che dovevo sempre ritrovarmi nella parte del torto? Era lui ad essersi addormentato sul divano, non io.
« Devo essermi addormentato » fece lui, ormai si era seduto, stessa cosa feci io, tirando poi fuori la bottiglia di alcool dalla bustina che la conteneva.
« Me ne sono accorta » commentai ironica, alzando le sopracciglia. Lui mi guardò accigliato.
« Che stai facendo? » Il suo sguardo andò da me alla bottiglia, la indicò anche con il suo indice, per essere sicuro che capissi al volo o forse solamente perché ormai era un gesto automatico.
« Voglio bere, Killian. E' stata una giornata pesante, okay? Saranno 24 ore che non chiudo occhio e credo che non sarei in grado di farlo neanche se lo volessi. Quindi ho deciso di bere così tanto rum da svenire, dormire tranquillamente senza avere la voce di ghiaccio del nostro serial killer o le mille preoccupazioni riguardanti mio figlio tra la mente e, sì, svegliarmi domani mattina con un mal di testa così forte che non mi permetterà di pensare a niente. Sono libera di farlo? » Non sapevo neanche perché me la stessi prendendo con lui, non volevo, era tutta la tensione che stava uscendo fuori e si scaricava così. Mi presi la testa fra le mani e mi passai entrambe la mani sugli occhi. Sospirai, stava succedendo tutto così in fretta, tutto troppo in fretta, non erano passate neanche due settimane da quando Gold aveva lanciato il suo sortilegio e da allora era successo di tutto.
« Certo che puoi » disse l'altro, deglutendo appena « posso farti compagnia? »
Mi girai appena a guardarlo, prima di annuire e gli passai la bottiglia, ancora da aprire. Non perse molto tempo, ne bevve un grande sorso e poi me la ripassò.
« Non succederà niente a tuo figlio, è al sicuro qui » affermò serio. Lo guardai e gli sorrisi.
« Lo so, mi fido di te » si grattò il capo, ma non aggiunse nulla.
Per vari minuti in tutta la casa regnò il silenzio; Henry, al piano di sopra, era già entrato nel mondo dei sogni, tranquillo e spensierato, o almeno speravo, e noi, al contrario, eravamo immersi nei nostri pensieri, nelle nostre paure, nelle nostre preoccupazioni e, sì, anche nel rum. Ci alternavamo la bottiglia automaticamente, il suono del liquido all'interno che percorreva il vetro ogni volta che vi ci poggiavamo le labbra sopra ci giungeva alle orecchie, ma sembravamo non farci caso.
Passai ancora una volta quella bottiglia a Killian, meccanicamente, lui la afferrò, ma non bevve subito, rimase concentrato con lo sguardo sulla parete che avevamo davanti.
« Sono andato dagli Evans, oggi » disse, a un tratto « qualcuno doveva avvertirli della morte della loro seconda figlia, a distanza di una decina di giorni dalla prima » mi spiegò con una smorfia, prima di bere velocemente un sorso di rum e passarmelo nuovamente.
« Oh » mormorai « non eri obbligato... »
« Invece sì. Sono stato io a dir loro di Sasha. Così come sono stato il primo a dare la notizia ai Barnes e agli Stevens. Non so se ti è mai capitato, Emma, dover dire a un genitore che ha perso suo figlio, non è una cosa facile, il loro sguardo è difficile da dimenticare e tu, per loro, resterai per sempre la peggior persona che esiste al mondo, ti ricorderanno sempre come quello che non ha fatto abbastanza per proteggere i loro cari » bevve un enorme sorso di rum, questa volta, e stessa cosa feci poi io.
Pensai subito a Gold, o meglio a Rumple, ai suoi occhi spenti nel momento in cui gli dissi che suo figlio sarebbe morto. No, di certo non era stato facile, anche perché io e Neal eravamo legati.
« So cosa si prova... proprio per questo potevi dirmelo, non dovevi per forza farlo da solo... »
« Invece sì » ribadì.
Silenzio. Ancora.
« E, comunque, non sei la peggior persona che esiste al mondo » affermai, sorridendogli. Lui si fece improvvisamente più cupo.
« Eccome se lo sono. Per questo dopo essere andato dagli Evans, sono andato sulla tomba della nostra Cenerentola. A chiederle scusa per non essere riuscito a salvare lei e sua sorella. »
« C'eravamo tutti noi in quella torre, non puoi addossarti tutta la colpa » insistetti.
« Tu non eri con me, Emma, non puoi sapere. Potevo ucciderlo, o ferirlo. Ho avuto la possibilità di sparargli, prima che lui uccidesse Caroline. Era disarmato, mi incitava a sparare, mi incitava a finirla, mi avvertiva che me ne sarei pentito in caso contrario. E aveva ragione. Sono stato un codardo, non ho avuto il coraggio di premere quel dannato grilletto e una ragazza ci è andata di mezzo. La verità è che è colpa mia se Caroline Evans è morta, dovevo essere io quello morto, non lei, non per colpa mia. »
Non sapevo cosa dire, restai interdetta per qualche minuto. Adesso avevo ben chiara la ragione della sua inquietudine, avevo capito perché non voleva parlarne. Si sentiva responsabile per tutto quello che era successo, ingiustamente a mio parere. Lui non era riuscito a fermare un uomo, da solo, ma noi ci eravamo pur sempre lasciati scappare l'altro, e noi eravamo in cinque. Sapevo che il vecchio Killian non si sarebbe fatto scrupoli a sparare, magari vedendosi bene dall'uccidere, per questo davo a Gold la colpa per la sua indecisione.
« Smettila, non è stata colpa tua. Non hai sparato, è vero, ma non sei sceso al suo livello. Lui era disarmato, se lo avessi ucciso o ferito ti saresti trovato in altri problemi. »
« Ma la Evans sarebbe viva » affermò cupo, stringendo la mano in un pugno. Abbassai lo sguardo, mi dispiaceva vederlo in quelle condizioni, soprattutto perché mi sentivo impotente.
« Nessun altro morirà, Killian. Non per causa nostra. Te lo prometto » feci, stringendogli la mano senza rendermene conto. La osservò per qualche istante, poi alzò la testa e si specchiò nei miei occhi. Mi sorrise appena, il suo senso di colpa non era svanito e forse non l'avrebbe mai fatto, ma almeno sapeva che poteva contare su di me. Si era fidato di me, era l'unica cosa che gli avevo chiesto e lo aveva fatto. Lasciai andare la sua mano e presi un altra sorsata di rum, metà bottiglia era ormai andata.
« Se fosse andato tutto bene, a quest'ora l'indagine sarebbe conclusa » constatò a un tratto.
« Già » mormorai, non capendo al volo dove volesse andare a parare.
« Saresti stata libera di tornare a casa, non avresti avuto nessun altro motivo per rimanere » lo guardai profondamente negli occhi.
Il suo viso non era poi molto distante dal mio, perciò mi domandai quando e come ci eravamo avvicinati tanto. Io ero certa di non essermi mossa dal mio posto, doveva essere stato lui, anche se non mi sembrava di ricordare il minimo cenno di un suo spostamento. Forse era solamente una mia impressione, forse stavo impazzendo, magari per colpa del rum.
« Magari sarei rimasta » mi lasciai scappare, completamente ipnotizzata nei suoi occhi blu magnetici.
« Ah sì? » Domandò retoricamente lui, alzando appena un sopracciglio « Perché? »
« Per... » cominciai a dire, un sorriso appena accennato si dipinse sul suo volto, era impossibile non notare gli angoli della bocca che si erano appena incurvati verso l'alto. I suoi occhi grandi mi scrutavano, sembrava che mi implorassero a dire la verità. Aprii la bocca e cercai di farmi forza. “Per te”, avrei tanto voluto dire, ma non ci riuscii. Nonostante l'alcool avesse cominciato ad annebbiarmi il cervello, non era ancora in grado di controllarmi del tutto. « Per Londra, ovviamente. E' una bellissima città » buttai lì. Killian rise appena, interruppe il contatto visivo e mi tolse la bottiglia dalle mani.
Per un attimo, un folle attimo, mi era passata per la mente l'idea che il bacio del vero amore avrebbe funzionato, in quel momento. Killian sembrava si fosse aperto con me, maggiormente rispetto a quello che aveva fatto in passato, senza contare che mi era sembrato che mi guardasse le labbra con desiderio, ma una voce dentro di me mi diceva che non era abbastanza, e un'altra mi diceva che senza aver bevuto mezza bottiglia di rum non mi avrebbe guardata in quel modo.
Circa un'ora più tardi, il salotto era riempito dalle nostre risa, la bottiglia di vetro ormai vuota era rotolata dall'altra parte della stanza, probabilmente ci era caduta, o forse ero stata io a farla arrivare fin lì, non sapevo dirlo con certezza.
Così come non sapevo dire chi aveva cominciato a ridere per primo. Né perché stavamo effettivamente ridendo. Aveva cominciato Killian? No, ero stata io. Credo.
Di cosa stavamo parlando? Me lo chiedo ancora oggi. Forse era cominciato tutto quando io mi ero messa più comoda sul divano, con le gambe su di esso, senza togliermi neanche gli stivali. Killian mi aveva dato della maleducata. Mi aveva guardato serio, io avevo messo di nuovo i piedi a terra e lui era scoppiato a ridere improvvisamente. Io gli ero andata dietro.
O forse era partito tutto quando Killian aveva affermato che gli sarebbe piaciuto avere un uncino di ferro, dicendo che poteva rivelarsi utile in molte situazioni. Io non ero riuscita a trattenermi e mi ero ritrovata a sputacchiare anche l'ultimo sorso di rum. Al ché Killian aveva riso perché lo avevo sprecato in quel modo, e io avevo risposto che non avevamo di certo bisogno del rum, e allora avevo lasciato rotolare la bottiglia.
Sì, era andata così.
A un tratto, aveva anche detto che Rose si sarebbe imbestialita nel saperlo in quello stato, ubriaco, e io gli avevo consigliato di mandarla a farsi fottere. Pensandoci, dopo, non era stata una cosa molto bella da dirgli, ma lui in quella occasione mi aveva anche dato ragione, sempre se aveva capito bene le mie parole, per via delle risate.
« Credo sia meglio andare a letto » esclamai a un tratto, alzando il polso destro per leggere l'ora e aver fatto una faccia inorridita per il fatto che fosse tardi – anche se non avevo nessun orologio al polso, e per quanto potessi saperne potevano essere appena le undici –.
Lui mi diede ragione ed entrambi ci alzammo dal divano. Arrivata alle scale, non feci caso al primo gradino e inciampai. Killian mi afferrò al volo, scoppiando nuovamente a ridere.
« Shhh! » Lo intimai, con tanto di indice destro davanti la bocca. Lui si morse le labbra e gonfiò appena la faccia, trattenendo le risate.
« Eccoci » affermò, non appena ci ritrovammo davanti le nostre camere.
« Eccoci » ripetei, facendolo ridere ancora.
« Shh! Sveglierai Henry! » Lo rimproverai, ma lui mi guardò con una faccia interrogativa, come a volermi dire “Chi?” che fece ridere anche me. « Mio figlio! » Spiegai poi.
« Ah già » esclamò.
« Allora buonanotte » affermai, con la mano sulla maniglia della porta.
« Buonanotte » ripeté lui, mentre apriva quella della sua stanza. Feci lo stesso, entrambi non ci staccavamo gli occhi di dosso – ed entrambi facevamo di tutto per non ridere – fino a quando non scomparì dalla mia vista, e io dalla sua.
Chiusi la porta piano e mi tolsi gli stivali. Lanciai un'occhiata ad Henry che dormiva tranquillo, sorrisi tra me, poi uscii ancora una volta dalla camera, per andare in bagno.
Killian, evidentemente, aveva avuto la stessa idea, perché me lo ritrovai davanti a guardarmi sorpreso. Inutile dire che entrambi cominciammo di nuovo a ridere e, all'unisono, ci portammo una mano sulla bocca. Killian quasi scivolò, così lo raggiunsi e lo presi per le spalle.
« Non ti reggi neanche in piedi » affermai divertita « ti metto a letto! »
« Quale onore! » Esclamò, e quasi mi sembrò di essere tornata a Storybrooke, mi sembrò di trovarmi con il vero Killian, con l'uomo che amavo, con l'uomo che amava me.
La porta alle nostre spalle si chiuse, ci muovemmo piano per raggiungere il letto, poi un movimento goffo ci tradì e entrambi ci cademmo sopra. Risate. Ancora risate.
« Sei caduto! »
« Sei caduta anche tu! Sopra di me, per giunta! »
Risate. Era impossibile trattenerle, per quanto la situazione, a mente lucida, fosse imbarazzante.
Mi tirati su come meglio potevo, lui fece lo stesso. Le risate svanirono piano, era rimasto solamente qualche mio singhiozzo a regnare nella stanza prima che tornasse a far da padrone il silenzio. Killian non aveva mai smesso di osservarmi. Aveva smesso di ridere prima di me, e non aveva fatto altro che guardarmi, guardarmi e sorridere. Forse non riuscivo a smettere proprio per questo.
Quando entrambi ci ritrovammo completamente in silenzio, si sporse verso di me, senza un attimo di esitazione, la sua mano destra accarezzò la mia guancia e le sue labbra erano già posate sulle mie prima che potessi rendermi conto.
Non mi staccai, non mi allontanai, non mi stupii. Gli misi le mani dietro al collo e schiusi subito le labbra, perdendomi nel sapore del suo bacio.
Entrambi eravamo seduti sul letto, io gli circondavo la vita con le gambe, per questo lui, con un abbraccio, riuscì a farmi sedere meglio su di lui, mentre riuscivo già a percepire qualcosa scattare nei suoi pantaloni, contro la mia intimità.
Mi staccai dalle sua labbra per lasciarmi scappare un gemito, lui non perse tempo e cominciò a baciarmi il collo, mentre le mie mani scendevano dal suo, lungo la sua schiena, fino ad afferrargli la maglietta che aveva addosso e a togliergliela. Killian non perse tempo e fece altrettanto con me, mi lasciai accarezzare i seni una volta che il reggiseno fu volato via chissà dove. Presto tutti i nostri indumenti fecero quella fine e presto mi ritrovai completamente nuda, sdraiata sul suo corpo.
Con un rapido movimento capovolse la situazione e, dopo aver ripreso il bacio da dove avevamo lasciato, entrò dentro di me e cominciò a muoversi con movimenti, in un primo momento, contenuti, poi, piano, sempre più violenti.
Non so quanto tempo trascorse fuori dalla nostra bolla di piacere – perché, in quegli istanti, noi eravamo senza tempo, nella nostra bolla questo si era fermato – so che, a un tratto, lui uscì lento e si lasciò scivolare al mio fianco.
Forse mi attirò a sé, forse era stata una mia iniziativa, fatto sta che lo abbracciai, forte.
Lo tenni stretto per un tempo indefinito, lui mi accarezzava i capelli biondi, calmo, come se non avesse fatto altro per tutta la sua vita.
Il suo tocco delicato fu l'ultima cosa che ricordai, prima di abbandonarmi tra le braccia di Morfeo.



Angolo dell'autrice: salve a tuuuuuutti! Non so da dove iniziare, penso sia meglio farlo dalle cose più importanti.
NON MI RIPRENDERO' MAI DALLA 5X11! Le ultime tre puntate (esclusa la 5x09 che è stata una cosa a sé(?)) sono state così eccezionali e così sofferte, mi hanno strappato e distrutto il cuore così tante volte che ormai non le conto neanche più. Cavoli, sul serio, come ci si riprende dopo un finale così? COME?!
Per questo ho voluto regalarvi questo capitolo! (Non è vero, è in programma praticamente da sempre che nel 12° sarebbe successo questo, ma voi fate finta di niente). Come avevo già detto la volta scorsa, la storia è nata pensando a questo capitolo (capite il disagio dei miei pensieri? Non è vero, sono tranquilla normalmente), e davvero non vedevo l'ora di farvelo leggere.
Volevo specificare che, quando ho cominciato a scrivere la storia, la quarta stagione non era ancora finita, quindi io mi sono ritrovata un Killian Jones poliziotto nella fic e un Killian mozzo e codardo nello show. Ci ho pensato e ho voluto rendere anche il mio (?) Killian codardo, assecondando il desiderio di Gold (??). Però è pur sempre un poliziotto, non si è mai visto un poliziotto codardo, no? Quindi boh, l'unico modo a mio parere era farlo agire così.
E così arriviamo al tanto atteso “coffie” dei nostri CS! Nello show concludono tutti tranne loro, quindi ero più che obbligata a fare qualcosa! Spero di non essere scivolata nel raiting rosso D: credo di essermi trattenuta come meglio potevo, in caso contrario scusate (??)
E niente... adesso cosa succederà? Sarà più facile, o ci saranno altri guai? Killian ricorderà? Killian ricorderà mai della sua vera vita? E Rose verrà a sapere della loro notte di passione? E i “Grimm”? Ah, vi ho lasciato un PICCOLISSIMO indizio sulla loro identità. Che poi in realtà sarebbero due gli indizi totali lasciati nella storia, chissà se ci arrivate. Non dovete pensare a una coppia, pensate a un singolo. Sappiate che sono andata a tirare fuori uno dei personaggi che più odio del mondo delle favole, o dell'animazione, o della Disney, o dei film, o dei cortometraggi, o di quello che volete lol
Ah, avete notato che è tornato il vostro amato conta giorni? Vi mette ANSIA? Fra soli 20 giorni c'è il matrimonio, argh D:
Come al solito le note sono più lunghe del capitolo (Capitolo di 11 pagine, non so se rendo l'idea LOL), spero che vi sia piaciuto. Ringrazio ancora tutti per le recensioni, grazie davvero perché mi rallegrate la giornata, sembrerà stupido ma è così! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non abbiate trovato la situazione... forzata, diciamo. (Comunque, i riferimenti a varie scene CS si sprecano in questo capitolo, non so se avete notato xD)
A presto, un bacio :)

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Capitolo 13
*** Truth will out ***


13. Truth will out





*Killian Pov*


Aprii improvvisamente gli occhi, come se mi fossi appena svegliato da un lungo sonno, ma non mi trovavo nel mio letto, non mi trovavo neanche a casa mia, a volere essere sinceri e, probabilmente, il posto che stavo osservando allibito non si trovava neanche a Londra.
Era una specie di... foresta? Intorno a me non c'era altro che verde: immensi alberi mi circondavano, cespugli enormi e innumerevoli piante componevano quello strano e misterioso quadretto.
Come diavolo c'ero finito lì? Ricordavo di aver cenato da solo, nella mia casa ovviamente, e di aver dormito sul divano fino a quando Emma non si era seduta, letteralmente, su di me. Poi? Cos'era successo? Ah, già... avevamo bevuto del rum. Poi non ricordavo più niente. Com'ero passato dal mio salotto a quello strano posto?
« Davvero gli hai salvato la vita? »
Mi girai nell'istante in cui la voce di Emma mi giunse alle orecchie. Anche lei era lì? Forse poteva spiegarmi come ci eravamo arrivati dato che sembrava essere l'unica persona insieme a me in quel momento.
La guardai sorpreso, per due motivi diversi: il primo, non mi aspettavo di vederla spuntare all'improvviso, il secondo, e più importante, per il suo abbigliamento. Indossava una leggerissima canottiera grigia e dietro la schiena portava... una spada?! Sul serio, Swan?
Mossi un passo verso di lei, ma questo mi fece sentire improvvisamente più pesante, per questo lanciai un'occhiata anche ai miei, di vestiti, e quello che vidi mi lasciò sbigottito. Avevo una giacca lunga e incredibilmente pesante che mi faceva risultare difficile muovere anche un solo passo. Sembravano indumenti antichi, molto, quasi fiabeschi, quasi... da pirata. E poi... Maledizione!” Quello che avevo alla mano sinistra era proprio un uncino!
Tornai a guardare Emma, mi aveva chiesto qualcosa. Se avessi salvato la vita a qualcuno.
Di chi parli? Della Evans? No, sai che non l'ho fatto, sai che è morta a causa mia.” Le dissi. O almeno tentai di dirle, in realtà dalla mia bocca uscirono altre parole.
« Perché, ti sorprende? » Le domandai di rimando, con tono furbo. Ma cosa stavo facendo? Non era il momento di scherzare, dovevamo parlare di cose più importanti, per esempio come potevamo tornare a casa.
« Beh » cominciò a dire lei, venendomi incontro e porgendomi una fiaschetta. Non l'avevo notata prima e mi stupii che la donna avesse ancora voglia di bere. Nonostante questo pensiero, con un gesto quasi automatico che sorprese me stesso, posai la fiaschetta in una tasca all'interno di quell'ingombrante giacca di pelle nera. « Non siete esattamente... come si dice... amici. »
Continuo a non capire a chi ti riferisci...” provai ancora, sempre più confuso, ma, di nuovo, dalla mia bocca uscirono parole che non mi appartenevano.
« Non vuol dire che lo lascerei morire su quest'isola. » Isola? Il Regno Unito? Ma cosa stavo dicendo?
« Grazie. »
Abbassai il capo e mi grattai l'orecchio destro. Dal tono di voce della donna, sembrava che tenesse molto alla persone che, a detta sua, avevo salvato. Il problema era che non ricordavo minimamente di avere fatto una cosa del genere. O forse sì? Una parte di me credeva davvero alle sue parole, quasi sapesse a cosa si riferisse.
Tornai a guardarla negli occhi, mi parve bellissima. Voglio dire, avevo sempre pensato che fosse una bella donna, era impossibile negarlo, ma quella volta era diverso... mi sentivo immensamente attratto da lei.
« Beh » cominciai a dire, mentre il mio dito indice scivolava lungo il mio viso lentamente, fino a fermarsi sul labbro inferiore. Qui, vi picchiettai appena un paio di volte, mentre continuavo a guardare la bionda intensamente negli occhi « un po' di gratitudine sarebbe dovuta. »
« Sì » ribatté lei, guardandomi con freddezze e con un'aria quasi di superiorità che non le apparteneva, o meglio, non credevo che le appartenesse dato che non mi aveva mai guardato in quel modo da quando l'avevo conosciuta « ed è per questo che ti ho ringraziato.»
« Vale così poco la vita di tuo padre? » Ormai avevo smesso anche solo di provare a capirci qualcosa, era totalmente inutile! Ero certo di non aver salvato la vita a suo padre, anche perché Emma era un'orfana. Non capivo cosa stava succedendo, non capivo per cosa mi ringraziasse la donna, non capivo cosa stavo dicendo e soprattutto non capivo cosa stavo facendo, ma avevo smesso di farmi domande.
« Per favore, non saresti all'altezza. »
« Forse tu non saresti all'altezza. »
Stavo, o forse stavamo, flirtando davvero? Mi sembrava tutto così surreale. Ma non troppo. Perché avevo la sensazione che tutto quello che stavo vivendo fosse già successo, non molto tempo prima probabilmente. Mi sembrava quasi di star avendo un deja vu. Ma non poteva essere così, conoscevo Emma solamente da una decina di giorni e di certo non ci eravamo mai ritrovati soli in una specie di foresta sperduta in chissà quale angolo di mondo.
E poi successe tutto così in fretta che quasi non me ne resi conto. Emma mi afferrò per il colletto e mi avvicinò prepotentemente a lei, i nostri due corpi aderirono perfettamente l'uno contro l'altro e le sue labbra tornarono a posarsi sulle mie. Era un bacio carico di tensione, quasi famelico, sembravamo entrambi affamati e bramosi l'una della carne dell'altro. Riuscii a portare la mano dietro la sua testa, mentre mi abbandonavo fra le sue labbra, inebriato dal loro sapore.
Stavo vivendo quel bacio con ogni singolo senso: il tatto, carezzando dolcemente la sua testa, i suoi capelli, e divertendomi a stuzzicare le sue labbra morbide; l'olfatto, la sua pelle, infatti, odorava di... camelie, se non andavo errato; l'udito, visto che alle mie orecchie non giungeva altro che non fosse lo schioccare delle nostre labbra e qualche leggero, impercettibile ansimo proveniente da entrambi; e poi il gusto, neanche a dirlo, perdendomi nel suo sapore. E, infine, la vista, certo. Non potevo dire niente su quel fronte, per via degli occhi serrati.
Occhi che, proprio in quel momento, sbarrai all'improvviso.
Non mi trovavo più in quella strana quanto assurda foresta, ma ero nella mia camera, nel mio letto, i raggi del sole che entravano dalla finestra e che mi costrinsero a strizzare subito le palpebre. Era stato un sogno quindi, eppure c'era qualcosa che non mi tornava, era tutto così realistico, le sensazioni che avevo provato... ero certo che fossero vere, che non fossero solo un inganno della mia mente. Potevo aver vissuto una situazione, anche solo simile a quella del sogno, con Emma, e non ricordarmene minimamente? No, era impossibile, non avevo mai avuto vuoti di memoria. Non prima dell'arrivo di Emma in città. Era assurdo come, negli ultimi giorni, ogni cosa, ogni emozione, ogni fatto, riconducesse a lei.
Mi massaggiai appena gli occhi e, quando la luce non mi diede più fastidio, spostai, senza realmente rendermene conto, la testa di lato, alla mia destra. Quello che vidi mi sconcertò.
Emma dormiva dandomi le spalle a pancia in sotto, una mano sotto il cuscino, coperto quasi del tutto dai suoi lunghi capelli biondi, e l'altra sopra, la schiena nuda e scoperta quasi completamente.
« Maledizione! » Con quell'esclamazione scattai subito a sedere sul letto, forse un po' troppo velocemente ed ecco che un dolore lancinante mi colpì fulmineo alle tempie. Feci per portarmi la mano sulla fronte, non che servisse ad arrestarne l'intensità, ma dovetti prima afferrare al volo le coperte che mi avrebbero lasciato completamente nudo se fossero cadute a terra.
Emma sembrò svegliarsi nel sentire la mia imprecazione, anche se con estrema lentezza. Si girò, tirandosi sui gomiti e tenendosi poi il piumone davanti al petto con la mano destra, rivelando una faccia forse più stordita della mia. Parve non realizzare subito la situazione, addirittura sembrava quasi non vedermi, magari ancora troppo accecata dalla luce mattutina, fino a quando non focalizzò la mia immagine e la sua espressione mutò di colpo.
Spalancò la bocca e si guardò intorno sconvolta, più e più volte. Guardava me e poi tornava a muovere la testa di qua e di là, come se non credesse ai proprio occhi.
Questo, e il suo silenzio, mi fece innervosire ancora di più.
Le diedi le spalle, poggiai i piedi a terra e mi piegai appena per afferrare i boxer che si trovavano, fortunatamente, ai piedi del letto, li indossai velocemente e mi alzai per cercare la mia roba, e la sua.
« Non ci posso credere, non è possibile, non ci posso credere » continuavo a ripetere nervoso, mentre afferravo la maglietta che indossavo la sera precedente e cercavo di indossarla, non senza troppi problemi per via della tensione e della fretta che vi riversavo sopra.
« Killian... » tentò di parlare Emma, ma la sua voce mi arrivò come un flebile mormorio.
« Zitta » esclamai, raccogliendo i suoi jeans e lanciandoli verso il letto, senza guardarla neanche in faccia.
« Killian... » provò ancora, mormorando appena il mio nome. Ancora una volta la interruppi.
« Non parlare » ribattei duro, indossando i miei pantaloni. Affianco a loro vi trovai la biancheria della donna e la raccolsi senza preoccuparmi di nascondere l'imbarazzo.
Piccoli flash mi giunsero alla mente, i baci, le carezze, le sue mani che mi spogliavano velocemente e che mi aiutavano a fare altrettanto con lei. Scossi la testa per cercare di mandare via quei pensieri, non riuscivo davvero a capacitarmi di quello che era successo.
« Ti prego, Killian... » la bloccai ancora una volta, stanco e scocciato.
« Ti ho detto di stare zitta! » Sbottai girandomi improvvisamente a guardarla.
La visione che mi trovai davanti fu capaci di smorzare la rabbia con la quale avevo aggredito la donna, anche se solo per pochi istanti. Quell'immagine di lei, sola nel letto, nuda e coperta solamente da quelle coperte bianche come la sua pelle che teneva attentamente strette a sé, quasi fossero più di un modo per coprirsi, quasi fossero un appiglio a cui aggrapparsi, una sorta di conforto, lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi visibilmente arrossati, ecco, quell'immagine mi confuse il cuore ancora più di quanto già non fosse.
« Maledetto il giorno in cui sei entrata nella mia vita, Emma Swan » mormorai a denti stretti, mentre raccoglievo le sue ultime cose. Non seppi dire se mi sentì o meno, la sua espressione era indecifrabile, sconcertata forse più di me. Era questo che mi faceva ribollire il sangue, se ne stava lì con quell'aria di chi aveva perso tutto, quando ero io quello che aveva più cose da perdere. Ero che io che vedevo ogni mia certezza sgretolarsi, io che ero in procinto di sposarmi, non lei, sicuramente lei non aveva nulla da perdere.
« Non voglio vederti » affermai, tornando a guardarla un'ultima volta, piuttosto contraddittoria come cosa, prima di girare i tacchi, uscire dalla stanza e sbattere violentemente la porta alle mie spalle.


*Emma Pov*


Me ne restavo lì, ferma e inerme, incapace di fare qualsiasi cosa, di muovermi, di parlare, anche di piangere.
Mi ero svegliata sentendo la voce di Killian e in un primo momento avevo pensato che si trattasse di un sogno. Furono i brividi che percorsero la mia schiena scoperta e la sensazione, che diventava certezza secondo dopo secondo, di essere nuda che mi convinsero ad aprire gli occhi e ad affrontare la realtà.
Non potevo credere a quello che avevo combinato, era tutto troppo surreale: io e Killian nello stesso letto, i flash della notte appena trascorsa che cominciavano ad affollare la mia mente, i baci, le carezze, i tocchi, le nostre pelli a contatto, e poi lo sguardo dell'uomo, duro, sconvolto, frastornato, colpevole, arrabbiato. Era in collera con me, lo sentivo e del resto non si era fatto troppi problemi a nasconderlo.
Continuavo a chiedermi com'era potuto accadere, una parte di me si rifiutava ancora di accettarlo. Mi portai entrambe le mani nei capelli e chiusi gli occhi, sapevo che non me lo avrebbe mai perdonato e, di conseguenza, io non mi sarei mai perdonata per aver rovinato tutto, per essere stata tanto stupida da lasciarmi annebbiare dall'alcool in un momento tanto delicato.
Killian se l'era presa per un bacio, si era sentito in colpa nei confronti di Rose e aveva provato a tenermi lontana, mi era chiaro che in quell'occasione la sua reazione sarebbe stata peggiore, probabilmente mi avrebbe cacciata di casa, anzi mi stupivo che non lo avesse fatto subito.
Allungai il braccio sinistro quel tanto che bastava per afferrare i miei indumenti, Killian li aveva poggiati malamente più o meno sopra i miei piedi, così da rivestirmi e tentare di parlargli. Non sapevo se era meglio lasciarlo da solo e fargli sbollire la rabbia del momento o provare quantomeno ad avvicinarlo e a dirgli... non ero certa neanche su cosa gli avrei detto, per cui mi promisi di improvvisare un discorso quantomeno convincente.
Con mani tremanti riuscii a far combaciare i ferretti del reggiseno dietro la mia schiena e solo dopo che fui completamente vestita mi alzai dal letto. Guardai ovunque, ma non riuscii a trovare i miei stivali e mi ci volle qualche minuto prima di ricordarmi che li avevo lasciati in camera, da Henry.
Uscii velocemente dalla stanza dell'uomo, senza preoccuparmi di richiudere la porta, e mi diressi in quella degli ospiti, dalla quale stava appena uscendo mio figlio, probabilmente diretto in cucina per la colazione.
« Mamma! » Esclamò sorpreso, vedendomi mentre gli andavo incontro. Incurvai appena gli angoli della bocca ed abbassai gli occhi, mentre lasciavo uscire un flebile « 'Giorno » dalle labbra.
Gli passai davanti decisa a non proferire parola, ed anche ad indossare delle scarpe visto che non morivo dalla voglia di restare scalza per il resto della giornata.
« Non hai dormito qui stanotte... » mormorò il ragazzino, che non era affatto del mio stesso avviso.
« Mi sono addormentata sul divano » biascicai la scusa più plausibile accompagnandola con un'alzata di spalle. No, di certo non avrei mai rivelato a mio figlio che quella notte avevo commesso l'errore di finire a letto con Killian, dopo aver bevuto una bottiglia intera di rum. Diamine, come potevo anche solo pensare di definire fare l'amore con l'uomo che amavo un “errore”?
« Ho sentito Killian urlare, poco fa » continuò Henry, deciso com'era a non lasciarmi chiudere in me stessa, deciso a farmi sputare fuori tutto, per aiutarmi, certo, peccato che, in quella situazione, c'era ben poco che potesse fare.
« Già... mi dispiace se ti ha svegliato » mormorai, sedendomi sul letto per infilare il primo stivale, lo sguardo fisso sulla calzatura, non avevo guardato mio figlio negli occhi neanche per un secondo e questo non faceva che aumentare il suo smarrimento, lo sentivo.
« No, ero già sveglio. Solo che... è successo qualcosa fra di voi? Avete discusso? »
« Diciamo di sì » affermai a malapena, concentrandomi sul secondo stivale.
« Come mai? »
« Per una sciocchezza Henry, davvero » sospirai, rizzando la schiena e portando le mani sui fianchi « cose da grandi, non devi preoccuparti per questo. Ora scendi a fare colazione, verrai a Scotland Yard con noi e poi ti accompagnerò in aeroporto » conclusi, tornando finalmente a guardarlo, con fare deciso.
« Sei sicura che non posso tornare utile in nessun modo? E non parlo solo dell'indagine » gli sorrisi, quella volta sinceramente, e scossi appena il capo un paio di volte.
« No Henry, non puoi aiutarmi purtroppo. Devo venire a capo di tutto questo da sola » per tutta risposta, il ragazzino si avvicinò a me e mi abbracciò forte.
Mi lasciai stringere per qualche istante da quel figlio che mai avrei pensato di rivedere in vita mia, e che mi aveva stravolto la vita, non solo metaforicamente. Gli accarezzai appena il capo pensando alla prima volta che mi aveva abbracciato senza il minimo preavviso, qualche anno prima.
Mi lasciò andare e si diresse verso lo zaino che portava praticamente ovunque. Lo osservai mentre vi tirava fuori il libro che aveva dato inizio a tutto, prima di tornare da me, porgendomelo.
« Dì un po', dopo tutto questo tempo ti ostini ancora a portarlo ovunque, eh?! » Mormorai ironica, mentre lo prendevo e lo appoggiavo appena sulle mie ginocchia.
« Voglio che lo tenga tu, fino a quando questa assurda avventura non sarà finita » “se finirà mai” mi ritrovai a pensare, mordendomi il labbro inferiore e osservando la copertina di quel vecchio volume di favole « può tornarti utile. Non solo per il caso. »
Henry e il suo libro. Non importava quale fosse il problema, era sempre convinto che lì dentro ci fosse la soluzione e il bello era che aveva anche ragione.
Lo lasciai scendere a fare colazione, mentre io rimasi seduta su quel letto, a fissare la porta di legno chiusa. Tutto d'un tratto non avevo più il coraggio di affrontare Killian, non volevo raggiungerlo, al piano di sotto, non volevo discutere, ma sapevo anche che la tensione fra noi non sarebbe scomparsa dal nulla, necessitavamo di parlarne, di chiarire, di... in realtà non sapevo neanche di cosa avevamo bisogno, io sicuramente di averlo vicino, ma quella era un'altra storia.
Non mi ero mai ritrovata in una situazione del genere, dovevo andare da lui e scusarmi? Una cosa come: “ehi, mi dispiace di essere venuta a letto con te, non succederà più. Amici come prima?” No, sicuramente non mi sarei scusata per essermi lasciata trasportare, quella notte, e di averlo amato senza alcun freno. E poi certe cose si fanno in due, entrambi eravamo stati trascinati dall'alcool, non poteva addossare a me l'intera colpa.
Mh, la mia mente era un ammasso di pensieri, anche contraddittori e incoerenti fra loro, e, sommato al mal di testa post sbornia, l'unico desiderio che ne scaturiva era quello di stendermi e chiudere gli occhi per qualche istante. Cosa che feci, per due minuti, solamente per due minuti. O almeno così mi sembrarono.
Quando aprii gli occhi, disturbata dal suono di un clacson, nel cortile, lo sguardo andò subito alla sveglia sul mio comodino e, con sorpresa, scoprii di aver dormito per un'oretta e mezza buona. Mi alzai velocemente, massaggiandomi poi gli occhi con la mano destra, la sinistra puntata sul materasso morbido per darmi la spinta.
« Mamma, stiamo andando via! » La voce di Henry, infondo alle scale, mi raggiunse più forte di quanto avrebbe fatto normalmente, segno che quel misero pisolino non aveva dato gli effetti sperati anzi, se possibile, aveva alimentato ancora di più il dolore che adesso partiva da entrambe le tempie.
Nonostante questo, afferrai il libro di Henry e lo raggiunsi al piano di sotto, avrei preso qualcosa per il mal di testa una volta arrivati a Scotland Yard, o non sarei sopravvissuta per un'intera giornata. Davanti alla porta vi trovai Killian, intento a indossare la sua giacca e a coprirsi come meglio poteva: quella mattina le temperature erano più basse del solito. Non c'era traccia di Henry, probabilmente già era salito nella macchina di Rose.
« Killian » lo chiamai, non avevo ancora trovato le giuste parole da dirgli, ma non volevo comunque perdere tempo. Quello mi ignorò, spalancò la porta e fece per uscire, ma io glielo impedii, afferrandolo per il braccio sinistro e facendolo voltare prepotentemente verso di me, dopo aver corso gli ultimi gradini che mi rimanevano « non possiamo evitare il discorso per sempre » affermai.
« Io invece credo di sì » esclamò lui, gelido quanto il vento che ci stava raggiungendo sull'uscio. Si voltò e lo afferrai ancora, alzò gli occhi al cielo.
« Dobbiamo parlarne. Quello che è successo... insomma... » ecco, continuavo a non sapere cosa dire, ero pessima nei discorsi, non ero come i miei genitori che sapevano trovare sempre le parole giuste, non ero come Killian che sapeva sempre come rincuorarmi, e mi maledissi per questo « la situazione è complicata. Noi due... e poi c'è Rose... » l'altro mi bloccò all'istante.
« Noi due? Non c'è nessun noi, Emma, mi hai capito?! » Esclamò, mettendo, in quelle parole, più rabbia di quanto già non ce ne fosse bisogno. « E non mettere in mezzo Rose, soprattutto non credere di farne mai parola con lei, anzi non voglio più parlare di quello che è successo questa notte. E' stato un errore, un pessimo errore, ne converrai con me, immagino » ammutolii, se si aspettava una risposta sicuramente non gliela avrei data, non in quel momento « sappiamo entrambi che se non ci fosse stato il rum di mezzo non sarebbe successo niente questa notte, per questo non voglio più parlare di questa storia » detto questo si voltò e si diresse verso l'auto.
Quella volta non lo fermai, troppo impegnata a ragionare sul senso delle sue parole. Vidi Rose, al volante, ci osservava e mi fulminava, probabilmente aveva assistito alla scena, anche se non poteva udire le nostre parole dalla distanza in cui si trovava. Non mi importava di lei, sinceramente. Salii in macchina senza parlare, un unico pensiero mi vagava per la mente: non mi aveva incolpato di nulla, aveva dato la colpa al rum e, probabilmente, anche a se stesso, ma non a me, e questo era già qualcosa.
Arrivati a Scotland Yard Killian filò dritto nel suo ufficio, chiudendo la porta alle sue spalle.
« Oh, qualcuno è nervoso di prima mattina » sentii mormorare Phoebe, rivolta probabilmente a tutti e a nessuno, mentre con Henry le passavo accanto, diretta a una scrivania vuota, visto che era chiaro come il sole che non mi voleva tra i piedi.
Mi sedei davanti a Henry e subito aprii il suo libro, iniziando a sfogliarlo. Trovai la storia di Cenerentola e quella di Cappuccetto Rosso, mi imbattei poi in quella di Biancaneve e, rapida, girai le pagine fino ad arrivare al capitolo in cui aveva deciso di dimenticarsi di mio padre. Non era stato facile per lui, così come non lo era stato per mia madre, mentirgli, mentre lo guardava negli occhi e gli diceva che in realtà non lo amava.
Mi domandai se fosse nel nostro DNA, soffrire e lottare per amore, dovevo ricordarmi di ringraziarli per questo, una volta tornata a Storybrooke.
Sfogliai ancora altre pagine e sorrisi istintivamente ritrovandomi davanti alla festa di fidanzamento tra mio padre e la figlia di Re Mida. Voltai quindi la pagina ed eccomi, eccoci, io e Killian. Vedermi su quel libro mi faceva ancora uno strano effetto, quella sera era successo di tutto, ma più di ogni altra cosa mi ero divertita a ballare e a lasciarmi guidare dal pirata. Ero molto legata ai ricordi di quel viaggio perché mi aveva aiutato a far luce sui miei sentimenti.
Passai istintivamente la mano su quella pagina, sorrisi ancora senza rendermene conto.
Pensai a quante cose fossero successe, da allora, a dove eravamo finiti. Immagini di quello che era successo ore prima mi riempirono la mente. Chiusi gli occhi e mi persi in quei pensieri.
Non potevo dirmi veramente pentita di quello che era successo, era stata una delle notti più belle della mia vita, neanche l'alcool era riuscito a rovinarla, anzi, dovevo anche ringraziarlo per avercela fatta vivere. Le sensazioni che avevo provato, e che sentivo ancora sulla pelle, erano quasi surreali, mai provate prima.
Pensare che era stato lui a baciarmi e a dare inizio a tutto.
Sgranai improvvisamente gli occhi, stupendomi del mio stesso pensiero. Mi era appena tornato in mente quel dettaglio, ricordavo come non facevamo altro che ridere sopra il suo letto e, non appena entrambi ci eravamo calmati, lui si era slanciato in avanti, verso di me, e aveva posato, volontariamente, le sue labbra sulle mie.
Come reagire a quel fatto? Sicuramente non era una cosa negativa, stava a significare che c'era ancora qualcosa che lo portava da me, ora ne avevo l'assoluta certezza. A bloccare Killian ad aprirsi non era il suo cuore, la sua anima era ancora legata alla mia, ma il suo cervello, la sua mente, erano i suoi pensieri a dirgli quanto fosse sbagliato lasciarsi andare. Dovevo abbattere quel muro, come lui aveva abbattuto il mio.
Chiusi il libro e guardai Henry, intento a scrivere qualcosa su un blocchetto. Alle sue spalle, invece, il grande orologio da parete mi ricordò che il suo volo partiva fra circa tre ore, che l'autobus sarebbe passato fra una mezz'oretta e che ci avrebbe portato all'aeroporto dopo un'ora di viaggio o poco più.
« Meglio sbrigarsi, ragazzino » esclamai ad un tratto, alzandomi e prendendo subito il libro « rischiamo di perdere l'autobus. Saluta tutti, ti aspetto fuori. »
Prima di uscire mi avvicinai, però, a Jack e Phoebe, per informarli del fatto che sarei stata fuori diverse ore, ma che erano comunque liberi, o meglio obbligati, di chiamarmi se fossero sorte delle novità di qualsiasi genere.
Aspettai quindi che mio figlio mi raggiungesse, infilai il vecchio libro di favole dentro una borsa – non avevo la minima intenzione di andare in giro con quel pesante volume in mano – ed insieme uscimmo da Scotland Yard. Proprio all'uscita, quasi andai a sbattere contro un uomo, vestito elegante, cappello sulla testa, occhiali che gli conferivano una certa aria intellettuale e un ghigno autoritario, chiesi scusa e passai oltre, notando poi Rose trovare un posto per parcheggiare la sua auto poco lontano. Mi guardai intorno, chiedendomi se potevo tornare utile in qualche modo, ma alla fine mi dissi che in caso mi avrebbero chiamata.
La fermata dell'autobus non era molto lontana dalla stazione di polizia, così dopo una manciata di minuti già ci trovavamo seduti su una panca ad aspettare, poche ore e almeno Henry sarebbe stato al sicuro, a casa. Sospirai sollevata a quel pensiero.
« Non vuoi proprio dirmi come mai Hook è tanto arrabbiato? » Esordì a un tratto, interrompendo quel silenzio che cercavo appena di godermi, immaginando cosa sarebbe successo una volta tornata a casa. « Non credo di averlo mai visto così pensieroso, neanche dopo tutta la storia di Gold e del cappello magico. »
« Pensieroso? » Domandai, sviando per un attimo la prima domanda del ragazzino, cercando di nascondere come meglio potevo le guance che si erano appena colorate di rosso.
« Sì, o almeno così mi è parso quando sono andato a salutarlo nel suo ufficio. Era talmente preso nei suoi pensieri che ci ha messo un po' ad accorgersi della mia presenza. »
« Ah. »
« E poi c'è stato il litigio di questa mattina. O meglio, i litigi, visto che io e Rose, dalla macchina, vi abbiamo visti discutere... insomma, cosa c'è che non va? » Lo guardai con la coda dell'occhio, restando in silenzio. Era ovvio che non potevo dire a mio figlio cosa fosse realmente successo tra me e Killian, ma ormai era palese il fatto che avesse intuito qualcosa. « Cos'è successo fra di voi? » Provò ancora.
« Ecco, noi... » cominciai a dire, bloccandomi subito. Noi cosa? Cosa potevo dirgli? « Lui... » tentai nuovamente di dire qualcosa, voltandomi a guardarlo ma lasciando la frase in sospeso, forse troppo a lungo « lui mi ha baciata » biascicai alla fine, puntando a una mezza verità « lui mi ha baciata. Ieri notte ci siamo baciati di nuovo » mi vergognai immensamente, per questo tornai a guardare la strada in fretta e furia.
« Ma è fantastico! » Esclamò, come avevo immaginato.
« Non saprei » feci io, smorzando appena il suo entusiasmo « avevamo bevuto molto, non so quanto possa contare. »
« Ma è stato comunque lui a baciarti, no? » Annuii appena e gli sorrisi.
Nessuno dei due poté aggiungere altro, però, per via del mio cellulare che prese a suonare senza sosta. Lo tirai fuori dalla tasca, mi scusai col ragazzo e mi allontanai di pochi passi.
« Pronto? »
« Swan! » Era Killian, la sua voce indecifrabile, non lasciava trasparire niente. Mi bloccai sul posto piuttosto sorpresa, tanto che nemmeno gli risposi. « Swan? Sei ancora in linea? »
« Oh.. s-sì, sì! » Mi ridestai « Cosa succede? »
« Devi raggiungermi qui in ufficio. »
« Riguarda il caso? Killian, sto accompagnando Henry all'aeroporto, ci vorranno un paio d'ore probabilmente, forse qualcosa in più, possiamo parlarne a casa se non è una cosa impor- »
« Vieni a Scotland Yard » mi bloccò « immediatamente. » Riagganciò.
Restai interdetta per un po', la bocca ancora semi aperta per via di quello scambio di battute telefoniche interrotto così improvvisamente quanto era cominciato. Doveva essere successo qualcosa di grave, di terribile e avevano bisogno di me, ma dall'altra parte c'era Henry, non potevo lasciarlo da solo.
« Cosa succede? » Mi domandò subito, senza quasi darmi il tempo di raggiungerlo.
« Era Killian » lo informai, anche se probabilmente mi aveva sentito pronunciare il suo nome poco prima « mi ha detto di raggiungerlo a Scotland Yard » aggiunsi, alzando appena le spalle.
« E cosa stai aspettando, scusa? » Ribatté lui, con la sua solita naturalezza. Strabuzzai gli occhi.
« Come? » Domandai piuttosto allibita, non poteva davvero credere che lo avrei lasciato lì per tornarmene da Killian e gli altri.
« Avevi detto che in caso di urgenza avrebbero potuto e dovuto chiamarti e così è stato. Hook sa che sto per tornare a casa e che tu mi stai accompagnando in aeroporto, se ti vuole lì evidentemente è successo qualcosa, o si tratta comunque di una cosa importante » sentenziò, provando a toccare diversi tasti per convincermi.
« Sì, ma Henry... » provai, ma venni nuovamente interrotta – mi stava succedendo fin troppe volte quel giorno, per i miei gusti –.
« Va tutto bene, devo solo prendere un autobus. »
« E un aereo » puntualizzai.
« Sono tutte cose che ho già fatto prima. O credi forse che salirò sul volo sbagliato e finirò in qualche frazione sperduta dell'Artide? » Scherzò, facendomi sorridere sinceramente.
« No, certo che no. Solo che... » sapevo quanto quel ragazzino fosse in gamba, bastava pensare che solamente a dieci anni era scappato di casa per trovarmi, e che ce l'aveva anche fatta, riuscendo a rintracciarmi senza troppi problemi in una città grande come Boston.
Sospirai, il bus sarebbe passato a momenti e lo avrebbe lasciato esattamente davanti l'aeroporto, una volta lì doveva solamente prendere l'aereo e una volta atterrato ci sarebbero stati Regina, in primis, e, conoscendoli, i miei genitori ad accoglierlo. Eppure c'era qualcosa che mi frenava e che mi suggeriva di restare con lui, ma con ogni probabilità era tutto frutto di preoccupazioni nate per il sortilegio e per l'Operazione Grimm.
Aprii le braccia, sconfitta, pronta ad abbracciarlo, cosa che non si fece ripetere due volte.
« Ci vediamo presto » disse, a mo' di saluto. Mi trattenni dal rispondere “lo spero”, mentre lo lasciavo andare.
« Fai il bravo » mi raccomandai, anche se sapevo che non ce ne fosse bisogno.
« Certo, e tu tienici informati su tutto, ma soprattutto su Killian. »
« Lo farò » affermai, seppur entrambi sapevamo che non lo avrei fatto per non preoccuparli o farli agitare troppo « chiamami appena arrivi. »
Mi abbracciò un'ultima volta e poi lo lasciai lì, in quella triste fermata, seppur a malincuore. Mi odiavo per quello che avevo appena fatto e se quello che aveva da dirmi Killian non sarebbe stato della massima importanza lo avrei mandato al diavolo senza troppi problemi, quella volta.
Una volta arrivata a Scotland Yard non potei fare a meno di notare come mi stessero osservando tutti, arricciai il naso pur cercando di avanzare in maniera tranquilla, facendo di tutto per ignorare i vari poliziotti. Notai poi la squadra di Killian tutta riunita in disparte, così mi avvicinai a loro alla svelta.
« Ragazzi » esclamai richiamando la loro attenzione, parlavano in maniera tanto animata che, almeno loro, non si erano resi conto del mio arrivo. Si girarono tutti e quattro a guardarmi, le espressioni sconcertate, quella dei gemelli era anche piuttosto dura « ma che succede? » Domandai preoccupata, cominciando a pensare a cosa potesse essere successo di tanto orribile.
« Killian è dentro » Jack parlò per tutti, indicando l'ufficio di Killian, come sempre la porta era chiusa.
Decisi di ignorare anche loro e bussai sulla porta, l'uomo mormorò un « Avanti » ed entrai nella stanza. Killian non era da solo, ma la sua espressione nervosa fu la prima ad accogliermi. Dall'altra parte della stanza c'era Rose, la guardai senza preoccuparmi di nascondere il mio stupore, lei aveva tutto un altro lavoro quindi non capivo il motivo della sua presenza, così come non mi spiegavo quel suo sguardo inquisitorio puntato su di me. Infine c'era un terzo uomo, mi sembrava di averlo già visto prima. Lo osservai meglio e mi ricordai del signore al quale ero quasi andata addosso mentre lasciavo la centrale insieme a Henry.
« Emma, conosci quest'uomo? » Killian fu il primo a parlare, in piedi dietro la sua scrivania, la mano destra poggiata su di essa e il busto appena sporto in avanti. Non mi guardava, non guardava nessuno di noi in effetti, si limitò a indicarmi l'uomo con un cenno del capo.
« Ehm, sì » affermai incerta « ci siamo incontrati, o per meglio dire scontrati, prima, proprio qui fuori » conclusi.
Killian sospirò, Rose alle mie spalle, invece, si lasciò scappare un risolino, volontariamente aggiungerei, o forse era stata solo una mia impressione.
« Si può sapere cosa succede? » Domandai a quel punto, nessuno si decideva a spiegarmi la situazione e io mi stavo spazientendo, non avevo di certo lasciato Henry da solo per perdere tempo a guardare la parete.
« Spiego io, se non è un problema » si fece avanti Rose, guardai Killian che non fece niente per impedirle di parlare, così la ragazza continuò, ma si rivolse direttamente allo sconosciuto « lei è la ragazza di cui ti ho parlato per telefono, la signorina Swan » alzai gli occhi al cielo quando mi apostrofò in quel modo, era una cosa che mi aveva sempre dato fastidio « ebbene, la conosci? Sei stato tu a farla venire qui? » Continuavo a capirci sempre meno, aggrottai la fronte e strizzai gli occhi, le braccia incrociate sul petto, mentre osservavo Rose destreggiarsi, o meglio improvvisarsi, come un avvocato in tribunale, che elenca i capi di accusa.
« No, è la prima volta che la vedo in vita mia » rispose quello, lo sguardo duro e gli occhi scuri.
« Sentite, continuo a capirci sempre meno » mormorai.
« Oh scusa se non mi sono spiegata bene » esclamò l'altra, con un tono così finto da far invidia alle lasagne surgelate di Granny « lui è un caro amico di mio padre, l'ho chiamato ieri sera per via del matrimonio » trattenni il respiro involontariamente alla parola “matrimonio” e lo rilasciai subito dopo senza neanche accorgermene « ma soprattutto, lui è il vostro capo, o forse dovrei dire il loro? » Rimasi senza parole mentre sentivo il cuore cominciare a battere allarmato, le pulsazioni fino in gola.
« Mont..gomery? » Domandai incerta, mentre il mio sguardo passava da Rose allo sconosciuto, dallo sconosciuto a Killian che, nel frattempo, scuoteva il capo sconsolato, prima di alzarlo finalmente e di guardarmi negli occhi. Dentro vi lessi soltanto delusione. « Killian... lascia che ti spieghi, non è come pensi » mi ritrovai ad esclamare a raffica, le classiche frasi fatte, Dio, io odiavo le frasi fatte, non potevo credere che mi sarei mai ritrovata a pronunciarle. Ignorai gli altri due, non mi importava di loro, potevano pensare di me quello che volevano, l'unico con cui dovevo scusarmi era Killian, al quale avevo mentito, su più punti ad essere onesti, ma lo avevo fatto per proteggere me e in un certo senso anche lui.
« Oh, e cosa c'è da spiegare, signorina Swan? » Rose si mise in mezzo, autoproclamandosi come l'eroina che salva la situazione dall'imbrogliona di turno.
« Rose fatti da parte » affermai decisa « non è una questione che ti riguarda, non sei neanche della polizia. »
« Ah, perché tu sì?! »
« Signorina Swan » Montgomery prese la parola e interruppe quel battibecco fra noi rimandato forse da tempo. L'atmosfera si fece quasi più cupa, non avevo mai pensato a questa eventualità, anzi adesso temevo che ci potessero essere anche conseguenze legali. Insomma, non ero un'esperta di legge, ma non credevo che fosse nella norma spacciarsi per qualcun altro ed entrare in una squadra di Scotland Yard come se niente fosse « in tutti i miei anni di carriera non mi sono mai ritrovato davanti a una situazione simile. Mai. Improvvisarsi un'agente? Ma dico, è impazzita?! Potrei sbatterla in prigione per molto meno e dovrei proprio prendere dei provvedimenti per questa sua pazzia » ormai ero fritta, le gambe non smettevano più di tremare « ma il signor Jones mi ha convinto a lasciare stare » il respiro mi si regolarizzò e tornai a guardare Killian, ma lui era voltato nuovamente da un'altra parte « a quanto pare si è rivelata inaspettatamente utile all'Operazione Grimm... ma che sia chiaro, non dovrà mai più mettere piede qua dentro, non voglio mai più vederla.»
Capii poco e niente di quel discorso, non mi interessava un accidente di Scotland Yard, né di essere utile o meno all'indagine, volevo solamente che Killian mi parlasse, poteva anche sbraitarmi contro e urlare tutta la sua ira, e invece se ne restava in silenzio, come se tutto quello non lo riguardasse.
« Killian » lo chiamai, beccandomi una fulminata sia da Rose che da Montgomery, probabilmente il secondo aveva capito che non mi importava niente di quello che mi aveva detto.
« Lasciateci soli » mormorò ad un tratto l'ex pirata. Il respiro mi si regolarizzò, forse non era tutto perduto. Rose fece qualche storia, ma alla fine seguì a ruota l'uomo giunto a Londra solo per rovinarmi la vita e ci lasciò soli.
« Ascolta, Killian, mi dispiace... »
« No, no, no. Adesso parlo io » sbottò tutto d'un colpo, facendomi ammutolire « Cosa vuole esattamente da me, signorina Swan? » Accigliai lo sguardo.
« Cosa? Cosa sono tutte queste formalità? Sono io... non volevo piombare a Scotland Yard, né volevo metterti nei guai con il tuo capo, solo... »
« Solo che cosa? Sai cosa mi aveva detto, Rose, questa mattina, quando tuo figlio si era allontanato per chiamarti? » Domanda retorica, restai in silenzio ad osservare quei suoi bellissimi occhi che sembravano freddi come il ghiaccio e aspettai che continuasse. « Mi aveva avvertito che Montgomery non aveva chiesto a nessuna Emma Swan di aiutarci con il caso, ma che al contrario aveva contattato un certo O'Malley dall'Irlanda, che però aveva rifiutato. “Cosa vuoi che sia?” le ho risposto. Incredibile, vero? » Accennò una risata così glaciale che percepii dei brividi lungo il braccio sinistro « Mi fidavo di te, Emma. Mi sono detto “okay, non è la persona che ci ha mandato Montgomery, ma è comunque un'agente qualificata”. »
« Mi dispiace... » provai, pensando che avesse finito, ma a quanto pareva era solo l'inizio.
« Prima, invece, Rose è venuta da me. Con questi » tirò fuori dei fogli dal suo cassetto e li buttò sulla sua scrivania, davanti a me « sai cosa sono? » Domandò sarcasticamente, io scossi il capo. « Prendili, leggili pure » non lo avevo mai visto così furioso, mi ero preoccupata tanto della reazione di un bacio, ora tutte le nostre precedenti discussioni sembravano così futili.
Presi i fogli e cominciai a sfogliarli. Erano tutti fascicoli su di me, veniva riportata ogni cosa, tutta la mia vita prima di Storybrooke. Anche i furti e la prigione. Spalancai la bocca incredula, non potevo credere che Rose si fosse messa ad indagare su di me solo per mettermi fuorigioco, e soprattutto era assurdo che fosse riuscita a scovare tutte quelle cose in così poco tempo.
« Si può sapere chi diavolo sei? Spunti nella mia vita all'improvviso, dici di essere uno sceriffo e poi scopro questo? Sei una ladra? Ti hanno messa dietro le sbarre? Ti ho fatta entrare in casa mia, ti ho accolta decidendo di fidarmi di te e poi vengo a sapere che sei una specie di fuorilegge? »
« Non sono una fuorilegge » esclamai indignata, poi da chi veniva la predica. Certo, non poteva ricordare della sua vita da pirata, ma era comunque assurdo sentire certe accuse da lui.
« E Storybrooke nemmeno esiste, c'è un aspetto della tua vita sul quale non hai mentito? »
« Storybrooke esiste » ribattei con fermezza.
« Ah, sì? E allora come mai non compare in nessuna cartina? »
Perché è stata creata con un sortilegio” pensai, alzando un sopracciglio e abbassando lo sguardo. Restai in silenzio, non sapendo bene come reagire, cosa che però mi faceva sembrare ancora più colpevole.
« Come immaginavo » mormorò « Allora, torniamo alla domanda iniziale: cosa vuoi da me? Come mi hai trovato? Perché hai fatto di tutto per avvicinarmi? Insomma, cosa volevi fare? »
« Volevo solo che tu ti ricordassi di me » risposi sorridendo amaramente. Lui se la rise e cominciò a camminare per la stanza.
« Non ci posso credere. E' sempre più ridicolo. Il mio lavoro e il mio fidanzamento rischiano di andare all'aria perché tu volevi solo che mi ricordassi di te » rise ancora.
« Ascoltami, tutto quello che ho fatto da quando ho preso quel maledettissimo aereo per Londra, l'ho fatto per te. C'è una verità più grande di questa, ma non posso dirtela, non ancora. Non sei ancora pronto. E ti giuro, ti giuro che odio doverti nascondere tutto, odio mentirti e mentirti ancora, inventare le menzogne più stupide, ma lo faccio per te » ci scrutammo negli occhi per una frazione di tempo interminabile, io cercavo di comunicargli fiducia, lui cercava di comprendere se fossi solo pazza o se credermi « quando sarai pronto ti rivelerò ogni cosa, ma devi fidarti di me. »
« Come puoi chiedermelo? » Sbottò ancora « Ho dimostrato di fidarmi di te più volte, mi pare, e come mi hai ripagato? Come?! » Mi urlò a pochi centimetri dalla faccia. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, così inghiottii cominciando a sentire il groppo alla gola. Si allontanò di nuovo, poi tornò a guardarmi. « Ti ripeto quello che ti ho detto questa mattina: non voglio vederti. Non voglio vederti mai più. »
« Killian, ti prego... » tentai, muovendo un passo verso di lui.
« Mai - più » gridò rabbioso, facendomi indietreggiare di colpo. Un singhiozzo uscì dalla mia bocca, lo interpretai come il segnale che mi serviva per lasciare quella stanza.
Scappai, letteralmente, fuori dall'ufficio di Killian, passai davanti una soddisfatta Rose e un serio Montgomery, corsi via da dei Thomas e Henry sorpresi e da una Phoebe sconcertata, mi allontanai alla svelta da un Jack che cercò di trattenermi e uscii all'esterno.
Mi allontanai il più possibile fino a quando non crollai su una panchina vuota. Mi presi la testa fra le mani e cominciai a piangere silenziosamente, coperta dai miei lunghi capelli biondi. Avevo perso tutto: la fiducia dell'uomo che amavo, già duramente guadagnata in una decina di giorni, una casa, un modo per stargli vicino. Tra l'altro Henry era partito e io mi ritrovavo completamente sola, come non mi accadeva già da molto tempo.
Sembrarono passate delle ore, prima che qualcuno mi si avvicinò.
« Tu... tu sei la Salvatrice. »



Angolo dell'Autrice: Salve a tutti! Non credo di avervelo detto, quindi buon anno nuovo! (Con 12 giorni di ritardo ma dettagli) Contavo di aggiornare durante le feste, ma da Natale in poi non ho praticamente scritto nulla, ho solamente mangiato, per cui perdonatemi ):
Tornando alla storia, spero che abbiate apprezzato il flashback iniziale ;) se non sono stata chiara, la loro notte di passione ha fatto riemergere in Killian quel ricordo, anche se sotto forma di sogno. Ammetto che mi sono divertita molto a scrivere quella parte!
Ma una volta svegli tutti i sogni si infrangono e bisogna fare i conti con la realtà. Emma si sente in colpa perché crede di aver rovinato tutto, ma non è pentita di essersi lasciata andare con l'uomo che ama (nb: diamo per scontato che qualcosa tra loro è successa anche a Storybrooke, non vorrei mai che la loro prima volta avvenga da ubriachi D:), Killian invece si sente incredibilmente uno schifo, è confuso e sconvolto per diversi motivi: primo fra tutti Rose e il matrimonio, e poi per Emma, perché comincia a sentirsi indissolubilmente legato a lei.
Ma purtroppo Rose in questo capitolo parte alla carica e, sentendosi minacciata dalla nostra Swan, comincia a cercare informazioni su di lei e sul suo passato, approfittando anche di Montgomery, distruggendo Emma e, forse, ogni progresso da lei fatto in meno di due settimane. Killian ovviamente è arrabbiato e deluso, si era fidato di lei ed è stato ripagato solamente con delle menzogne.
E infine la frase finale... chi sarà a pronunciarla? Ammetto che questo è un po' un azzardo, pensato negli ultimi giorni, spero che vi piacerà, una volta scoperto tutto.
La situazione non è facile, lo so. Una piccola precisazione: il titolo del capitolo significa “la verità verrà fuori”, a quanto ho capito è un modo inglese per dire “le bugie hanno le gambe corte”. Invece un piccolo spoiler: siamo davvero molto vicini a scoprire l'identità dei Grimm, sono troppo emozionata!
Mi rendo conto che questa storia è sempre più #mainagioia D: mi andava di informarmi che ne sto scrivendo una sui CaptainSwan decisamente più leggera, comincerò a postarla una volta finita questa ;) vi dimostrerò che sono capace di non far soffrire Emma ogni due capitoli ahaha
Detto questo, grazie mille per tutte le recensioni, per chi segue questa storia dall'inizio e per chi l'ha scoperta solo da poco :) se vi va, fate un salto a leggere le mie one shot (Anime Dannate e Merry Christmas, Captain Hook, ve le linkerei ma non sono capace).
Detto questo vi saluto, vi mando un abbraccio :)

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Capitolo 14
*** Serendipity ***


14. Serendipity *




Mi si mozzò il fiato.
Quattro parole. Erano bastate quattro semplici parole a sconvolgermi. Quattro parole e una voce, certo.
Sgranai gli occhi non appena la sentii, non che fosse una cosa possibile da vedere, avevo ancora le mani sul viso e i capelli sulla faccia a coprirmi. Spalancai la bocca ma non parlai. Me ne restai immobile, ferma in quella posizione che mi faceva apparire tanto disperata – beh, infondo lo ero davvero – e muta, come se non bastasse, e tutto questo solo per verificare di aver sentito bene, che fosse successo nella realtà e non nella mia mente.
Avevo riconosciuto quella voce, come poteva essere diversamente, del resto? E proprio perché l'avevo riconosciuta continuavo a ripetermi che non fosse vero, che in realtà la discussione con Killian mi aveva sconvolta a tal punto da farmi immaginare le cose.
Insomma, era così inverosimile che qualcuno in quella città mi conoscesse, o meglio, che conoscesse la Salvatrice e la sua storia. Forse si trattava di un malinteso. Forse non aveva detto “Salvatrice” ma... “approfittatrice”? Okay, se ero arrivata a dare una spiegazione del genere, voleva dire soltanto che, sì, ero impazzita del tutto.
Sospirai scoraggiata, ma poi mi resi conto che nessuno aveva parlato nell'arco di una manciata di minuti. Magari mi ero davvero immaginata tutto, anche se non sapevo se esserne sollevata o meno.
« Swan! » Mi sentii chiamare.
Ancora quella voce, allora avevo sentito bene, maledizione!
Mi strofinai appena gli occhi e cercai di asciugarmi il viso, ancora bagnato per via delle lacrime, come meglio potevo. Le poggiai sulle ginocchia e aspettai ancora qualche secondo. Non sapevo come dover reagire, o come affrontare la situazione, speravo solo di inventarmi qualcosa sul momento. Mi alzai piano e mi girai lentamente, chiedendomi se quella fosse la giornata mondiale della verità, perché mi sembrava assurdo come nel giro di poco ogni cosa che avevo tentato di nascondere era comunque venuta a galla.
Mi ritrovai faccia a faccia con la mia interlocutrice, non mi ero sbagliata, avevo riconosciuto davvero la sua voce e mi morsi la lingua per fermarmi dal chiederle come fosse possibile che conoscesse la Salvatrice.
« Phoebe » mormorai, senza un vero motivo. Era un saluto? Mh, no, non lo era. Usai un tono come a volerle dire “Che diavolo ci fai qui?” ma che in realtà stava a significare “Come diavolo sai di me?”
La donna non mi rispose, fantastico. Arrivava di soppiatto, buttava lì una frase, mi sconvolgeva totalmente e poi se ne rimaneva in silenzio. Davvero fantastico. Continuava a scrutarmi dall'alto in basso, e a scuotere la testa di tanto in tanto. Forse era più sconvolta di me. Forse.
Fece un passo in avanti, ma io mi ritrassi subito, istintivamente. Non sapevo perché mi stessi comportando in quel modo, ero davvero ridicola.
« Ascoltami Phoebe, mi dispiace di avervi ingannato. Immagino che siate tutti furibondi per la storia di Montgomery, poi non so che altro vi abbia raccontato Killian, ma... »
« Oh » mi bloccò « al diavolo Montgomery e al diavolo Jones! » Questa volta fui io a scrutarla dall'alto in basso, e notai quanto fosse nervosa, sembrava in procinto di scoppiare da un momento all'altro. « Tu... tu sei la Salvatrice! » Ripeté ancora, incredula, quasi urlandolo.
Portai subito le mani in avanti e le mossi verso il basso, di getto, intimandole in quel modo di abbassare la voce, non che gli abitanti di Londra potessero prenderci sul serio o sapessero qualcosa, ma preferivo essere prudente.
« Ti prego, non urlare » la pregai, chinando appena lo sguardo « tu sai? » Le domandai a conferma, non che ce ne fosse realmente bisogno visto che mi sembrava abbastanza chiaro.
L'altra annuì incerta, senza rispondere. Mi portai d'impulso una mano sulla fronte, chiudendo gli occhi per un istante. Quando li riaprii Phoebe era ancora lì, non che sperassi che scomparisse all'improvviso, ferma a torturarsi le mani, rigirandosele fra loro. Mi fece quasi tenerezza, per la prima volta da quando l'avevo conosciuta, mi sembrava quasi spaventata.
« Senti, posso spiegarti tutto, » mi pentii subito di aver affermato quelle parole: la conoscevo a malapena e durante il mio soggiorno non si era mai dimostrata così aperta nei miei confronti, quindi non sapevo se potevo fidarmi di lei, anzi, ad esserne sincera ne dubitavo, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che mi spingeva a raccontarle tutto, come se mi capisse o mi appoggiasse « più o meno » decisi di correggermi, almeno per il momento « solo che questo non mi sembra il luogo adatto, capisci? » Feci, guardandomi intorno, e agitando appena le mani e le braccia, nervosa.
Non me la sentivo di parlare all'aperto, tutta quella situazione continuava a friggermi il cervello, tanto che cominciavo a temere che gli alberi alle mie spalle potessero sentire, parlare e muoversi come quelli che avevo visto ne Il signore degli anelli.
« Sì » annuì la ragazza, emergendo dal suo apparente stato di trance e annuendo copiosamente « sì, hai ragione. Ehm, andiamo a casa mia, abito da sola e non ci disturberà nessuno. Ho la macchina parcheggiata a un isolato da qui. »
Nessuna di noi due fiatò per tutto il tragitto, Phoebe, in auto, arrivò ad accendere la radio a metà strada, per via della tensione che vi regnava. Le fui grata per quel gesto, le note di qualche vecchia canzone riuscirono a tranquillizzarmi un po'. Per tutto il viaggio, a quanto pareva la ragazza viveva in un appartamento lontano dal centro della città, più o meno un quarto d'ora con la macchina, socchiusi appena gli occhi e mi lasciai cullare dalla musica. Per un istante riuscii anche a dimenticare la discussione avuta con Killian, ma solo per un istante, poi le sue parole, la sua rabbia, la sua delusione nei miei confronti tornarono a riempirmi la mente. Riaprii gli occhi e mi concentrai sulla strada.
Phoebe parcheggiò davanti un vecchio palazzo di, se la vista non mi ingannava, sei piani. Sperai automaticamente che ci fosse l'ascensore e che non fossi costretta a salire tante scale.
« Io sono al piano terra » mi rassicurò ad un tratto l'altra che, una volta scese dall'auto, aveva probabilmente intercettato il mio sguardo.
« Ah » affermai decisamente sollevata « bene. »
La seguii senza aggiungere altro per tutto il vialetto, mi faceva strada anche lei senza proferire parola. Aprì il portone e mi lasciò passare per prima, notai che ci fossero quattro porte, quindi mi voltai ad aspettarla, non sapendo quale fosse la sua. Lei chiuse il portone e mi passò davanti, tirando fuori le chiavi di casa dalla borsa, la seguii quando gliela vidi infilare nella serratura della seconda porta alla mia destra. Aprì la porta e si fece subito da parte per lasciarmi entrare.
Una volta dentro, non potei fare più di due passi che fui accolta da due cocker spaniel, uno dal pelo completamente nero e l'altro marroncino, che mi corsero subito incontro, probabilmente pensando che si trattasse della loro padroncina.
« Ehi, ciao » mi ritrovai a dire sorpresa di trovarli, mentre questi smettevano di scodinzolare e cominciavano ad annusarmi.
« Brown, Black! » Mi girai a guardare Phoebe che si era appena fatta avanti per richiamare i suoi cani dai nomi non molto originali, di certo la fantasia non era una dote della ragazza « va tutto bene, lei è... » lasciò la frase in sospeso, prima di guardarmi « un'amica » fece incerta, beh, di certo non ci eravamo molto simpatiche l'un l'altra, non potevo negarlo.
I cuccioli si fecero accarezzare per un po', poi si allontanarono insieme, diretti alle loro ciotole.
« Non sapevo che avessi dei cani » dissi dopo qualche instante di silenzio. In realtà volevo solamente chiederle quanto ne sapeva di Storybrooke, o di me, o di tutto il resto, però non credevo che pressarla riempiendola di domande fosse la mossa più indicata da fare.
« E io non sapevo chi fossi tu, prima di oggi » rimbeccò l'altra, mentre cercava di mettere in ordine la stanza, prendendo al volo una maglia abbandonata sul divano e una confezione di cibo d'asporto cinese dimenticata sul tavolino affianco ad esso. « Posso offrirti qualcosa? Un caffè? Un tè? »
« Un caffè andrà benissimo, grazie » le risposi, prima che lei si allontanasse, diretta in cucina.
Non sapendo bene cosa fare, cominciai a dare un'occhiata in giro: non era un grande appartamento, ad accoglierti all'entrata vi erano un mobile con un cestino di metallo per posarvi le chiavi dentro e una piccola libreria con, ad occhio e croce, una ventina di libri; il salotto riempiva la casa, un grande divano e una poltroncina al suo fianco, erano posti in mezzo alla stanza e davanti un piccolo televisore e un tavolino in legno; vi erano due porte, entrambe chiuse, probabilmente una era la camera da letto e l'altra il bagno; la cucina invece era separata dal salotto solamente da una tendina colorata posta a mo' di porta.
Decisi, quindi, di raggiungere Phoebe, non sentendomi molto a mio agio. La trovai armeggiare con la macchinetta del caffè, spostarsi da un parte all'altra alla ricerca di due tazzine dello stesso servizio – evidentemente, vivendo da sola, non prestava molta attenzione a dettagli del genere, potevo capirla benissimo – ed aprendo un nuovo pacco di zucchero.
« Posso darti una mano? » Le domandai, cominciando a sentirmi un po' in colpa e, soprattutto, inutile.
« Oh, no, tranquilla » affermò, girandosi a guardarmi di sfuggita « anzi, siediti pure » mi invitò poi, indicando un tavolo rotondo posto vicino al muro, circondato da tre sedie.
Non me lo feci ripetere due volte e andai a sedermi, nel mentre lei poggiò sul tavolo un piatto pieno di biscotti con scaglie di cioccolato. Ne afferrai uno non appena l'altra si fu girata per versare il caffè nelle tazzine, rendendomi conto solo in quel momento che non avevo toccato cibo per tutta la giornata.
« Ecco » mormorò la mora, posando il vassoio con le tazzine fumanti affianco al piatto dei biscotti.
« Grazie » mormorai, mentre con una mano versavo un cucchiaino e mezzo di zucchero nel caffè e con l'altra agguantavo un altro biscotto, nel vano tentativo di smorzare quella fame riemersa all'improvviso. « Allora » cominciai a dire ad un tratto, una volta ingoiato l'ultimo morso del biscotto e aver bevuto un sorso del peggior caffè mai assaggiato « quanto sai su di me, sulla Salvatrice? » Domandai, strofinandomi appena le mani sporche di briciole con sguardo basso, prima di unirle fra loro e tornare a guardare l'altra ragazza.
« Non molto, a dire il vero » aggrottai la fronte e la guardai sospettosa, prima che lei potesse continuare « così come so poco e niente riguardo Storybrooke. Ma ne so abbastanza sul vostro mondo, so che venite tutti da un libro, so che le favole sono vere. »
« Non tutti sono usciti dal mondo delle fiabe » commentai, poggiandomi meglio allo schienale della sedia.
« Tuo figlio, lo so » replicò lei, senza neanche pensarci due volte. Rimasi a guardarla per un po', avevo l'impressione che ne sapesse più di quanto lei stessa credeva.
« In realtà parlavo di me » ribattei. Sapevo di appartenere, tecnicamente, a quel mondo, ma nonostante avessi finalmente accettato di essere la Salvatrice, figlia di Biancaneve e del Principe, non mi sarei mai vista come un personaggio di una favola, o cose del genere, non dopo essere cresciuta nel mondo reale. « Cosa sai di Henry? » Feci, più sospettosa.
« Che ha il cuore del Vero Credente, se non vado errata. »
« Come?! » Esclamai allarmata, spalancando occhi e bocca per la sorpresa « tu...? Cosa...? Chi...? » Provai più volte a formulare una domanda, ma sconvolta com'ero riuscivo solamente a esprimermi a monosillabi.
La storia del “Cuore del Vero Credente” di Henry non veniva riportata in nessun racconto e soprattutto eravamo in pochi a conoscerla, noi che l'avevamo vissuta in prima persona e qualche amico fidato, potevo scommettere che più di un abitante di Storybrooke non ne sapesse niente, e ora spuntava fuori lei, Phoebe, dal nulla, un'umana che probabilmente ne aveva sempre saputo più di quanto ne avessi saputo io nei miei trentanni. Presi un respiro profondo per calmarmi, o altrimenti non sarei riuscita a mettere insieme una frase di senso compiuto. « Come diavolo fai a sapere di Henry? »
« Michael » rispose tranquillamente, credendo forse di essersi spiegata, e anche bene, come se bastasse un solo nome per chiarire quella situazione.
Inarcai le sopracciglia in un'espressione che le avrebbe fatto perfettamente intendere la mia perplessità, se solo mi avesse guardata in faccia, invece di concentrarsi sul suo caffè.
« Cosa? »
« Michael Darling » provò ancora, posando la tazzina.
Quel nome non mi era nuovo, lo avevo già sentito nominare qualche volta. Tentai di far mente locale, fino a quando non pensai a Wendy, intrappolata a Neverland. I suoi fratelli avevano lavorato al servizio di Peter Pan nella speranza che la liberasse, poi, alla fine, Belle e Ariel li avevano convinti a fidarsi di noi e ad aiutarci.
« Quello di Peter Pan? » Domandai di getto, rendendomi conto solo dopo di quanto potesse suonare strana quella domanda: due donne adulte che parlavano di favole come se fossero vere, chiunque avrebbe riso a quella scena. Lei, comunque, annuì e questo non fece altro che aumentare la mia curiosità e le mie domande. « E tu come fai a conoscerlo? »
« Beh, quando, anni fa, Peter Pan ha mandato lui e suo fratello John nel mondo reale, la prima cosa che hanno fatto è stata tornare a Londra, per rivedere la loro casa. Ovviamente erano disorientati e storditi nel vedere com'era diventata la città. Il caso ha voluto che un giorno me li ritrovassi qui fuori, davanti al palazzo, così spaesati da spingermi a invitarli dentro, per capire cosa fosse successo. Naturalmente non mi hanno detto niente, ma io e Michael siamo rimasti in contatto, siamo diventati amici, e dopo un po' mi ha confessato di lavorare per Peter Pan e... tutto il resto. »
« E tu gli hai creduto?! » Domandai, alzando un sopracciglio.
« Certo che no! L'ho preso per pazzo e ho evitato di vederlo per qualche settimana. »
« E poi? Sì, insomma, cos'è successo? »
« E' tornato da me con della polvere di fata. Ed ha letteralmente spiccato il volo sotto i miei occhi. »
« Credevo che non funzionasse con gli adulti » osservai, ricordando il racconto di Gold, su come suo padre lo avesse abbandonato: anche lui aveva tentato di volare, inutilmente, ed era per questo che aveva deciso di liberarsi di suo figlio.
« Ha detto la stessa cosa anche lui. Credo che quando passi secoli a fare il Bimbo Sperduto, o scagnozzo di Peter Pan, è difficile abbandonare la propria parte infantile. Michael e John sono adulti adesso, ma è come se fossero ancora i due bambini descritti nel tuo libro » concluse la frase indicando, con un rapido gesto della mano destra, la grande borsa che avevo poggiato ai miei piedi e che conteneva, ovviamente, il libro di Henry. Abbassai lo sguardo per un secondo, neanche volessi controllare che ci fosse ancora, poi finii di bere il mio caffè, prima di tornare a rivolgermi a Phoebe.
« Quindi sai del libro » constatai, mentre afferravo uno degli ultimi biscotti, per esortare la ragazza a continuare con le sue spiegazioni. Sapevo che prima o poi avrei dovuto cominciare a parlare anche io, ma preferivo prima tastare il terreno e cercare di saperne il più possibile.
« Sì, esatto» confermò « Michael me ne ha parlato più volte, ma non ci pensavo più da un po' di tempo. Poi, prima, ti ho vista sfogliarlo e mi è stato tutto più chiaro » la guardai allibita.
« Così? Ti è bastato vedere un libro di favole per capire tutto?! »
« Beh, quello e... Henry » inclinai appena il capo, confusa. « Voglio dire, quando è arrivato qui, giorni fa, ho avuto come l'impressione di averlo già visto prima, ma proprio non riuscivo a ricordare dove e, soprattutto, non capivo come. Ti ho vista con il libro, ho pensato alle storie che conteneva, ho pensato a Michael e mi sono ricordata del ritratto di un ragazzo che mi aveva mostrato anni fa. Peter Pan voleva che lo trovassero perché aveva il cuore del Vero Credente, e quando ho capito che quel ragazzino era tuo figlio Henry... ammetto che mi è preso un colpo!»
« A chi lo dici » commentai a denti stretti. Lei sorrise appena, stessa cosa feci io.
« Ho collegato i pochi pezzi del puzzle che avevo a disposizione, e per fortuna ci ho preso in pieno, o sarebbe stato complicato da spiegare » rise. Risi anch'io, abbassando appena la testa.
« Direi di sì » constatai, alzando e riabbassando rapida le sopracciglia.
L'avevo studiata per tutto il tempo, cercando di usare il mio famoso super potere per riscontrare nel suo discorso anche la più piccola bugia, ma non ne avevo trovate. Avevo la certezza, quindi, di potermi fidare di quella ragazza, strano ma vero.
« Quindi... cosa ci fai qui, Emma? » Mi domandò dopo un breve momento di silenzio « Sei qui per il caso? Le vittime sono, anzi erano, davvero- »
« No » la bloccai subito, con un tono di voce forse troppo alto, che la fece trasalire. « No, non erano le vere Biancaneve, o Cenerentola. No, assolutamente no » non potevo neanche pensare a una cosa del genere, sarebbe stato troppo per me.
« E allora perché sei qui? »
« Per Killian » risposi con semplicità, alzando le spalle, stupita che non ci fosse arrivata lei stessa. Aveva ricostruito tutta la storia che c'era dietro, ma non il vero motivo della mia presenza a Londra. Non era arrivata al movente, per usare dei termini più vicini a lei.
« Killian? Vi conoscevate già? Scusa ma.. sembra difficile da credere, nonostante tutto. Insomma, si è sempre comportato come se non ti avesse mai vista prima in vita sua. »
« Perché è quello che crede lui. E' difficile da spiegare, è stato vittima di un sortilegio, ha perso ogni ricordo di quella che era la sua vita, di quello che è sempre stato, e ne ha ottenuti di nuovi, di fasulli. E anche voi, è per questo che vi sembra di conoscerlo da sempre, anche se, scommetto, non sapreste dire esattamente da quando » la vidi pensarci su, serrò appena gli occhi concentrata, poi li spalancò di colpo.
« E' vero! » Esclamò stupita. « Quindi Killian è il personaggio di una storia? E chi è? »
« Non ci arrivi? » Domandai di rimando, indicando con gli occhi la mia mano sinistra.
« Oh mio Dio » fece spalancando la bocca « Hook? Il vero Hook? » Annuii, mentre lei era già pronta con altre domande. « E voi due...? »
« Sì, esatto. »
« Ma non si ricorda di te. »
« Giusto. Per questo ho cercato di stargli vicina il più possibile e di fingermi un'agente qualificata ad un'indagine del genere. Il bacio del Vero Amore può spezzare il sortilegio e far ritornare ogni cosa come prima, ma lui è troppo legato a Rose, il senso di colpa è troppo grande, sarebbe stato più semplice senza di lei. »
Mi resi conto, solo in quel momento, che probabilmente lui non si sarebbe mai staccato da Rose, che sarebbe andato fino in fondo e che l'avrebbe anche sposata. Io le avevo tentate tutte, ero stata sua amica, sua confidente, persino sua amante, ma non era bastato. Forse avrei dovuto mettermi l'anima in pace dopo la non riuscita del bacio del Vero Amore, Regina e il suo buon senso mi avevano convinta a rimanere e a lottare con ogni mezzo per quell'uomo che aveva vinto il mio cuore, come si era ripromesso di fare, e io lo avevo fatto, le avevo tentate tutte, ma non ero riuscita a vincere il suo.
Mi sentivo così inutile, così impotente. E mi odiavo. Odiavo non essere riuscita a conquistare il suo amore come lui aveva conquistato il mio. Forse non ero abbastanza forte. Non abbastanza per lui. Magari il mio destino era quello di rimanere sola, l'amore non era previsto nella mia vita. Forse era per questo che avevo perso tutti quelli con cui ero stata, o che avevo amato.
Killian era felice con Rose, da quello che avevo potuto vedere, mentre io non facevo altro che metterlo nei casini.
Io amavo Killian Jones, era stato difficile ammetterlo anche solo a me stessa, ma era così. E proprio perché lo amavo dovevo lasciarlo andare, era giusto mettere il suo bene prima del mio.
« Phoebe, grazie di tutto. E' meglio che vada, adesso » mormorai ad un tratto, ridestando l'altra che si era presa un minuto per metabolizzare tutte quelle informazioni. Mi alzai dalla sedia e presi la borsa, mettendomela a tracolla.
« Cosa? Dove? » Mi domandò, alzandosi anche lei in un secondo momento, mentre io mi dirigevo verso la porta.
« A prendere le mie cose e poi a casa, a Storybrooke. »
« E Killian? » Mi fermai proprio davanti la maniglia, la mano tesa verso di essa. Chiusi gli occhi e deglutii.
« Probabilmente sarà più felice senza di me » affermai con l'amaro in bocca, senza voltarmi a guardarla negli occhi.
« No » esclamò lei, lasciandomi senza parole per la sorpresa « voglio dire, tu sei la Salvatrice, se c'è qualcuno che può risolvere questa situazione sei tu, dico bene? E lui... è Hook, Londra non è la sua casa. E poi Rose è la mia migliore amica, non posso permettere che anche lei sia vittima di questo sortilegio, sposando un uomo solo perché l'ha deciso qualcun altro. »
Restai in silenzio per assimilare il tutto. Io per prima non volevo mollare e tornare a Storybrooke da sola, perché voleva dire aver rinunciato a Killian, anche se per il suo bene, ma non sapevo cos'altro fare.
« Resta almeno un paio di giorni, vediamo se la situazione migliora, se Killian decide di perdonarti. Puoi rimanere qui, se non ti scoccia dormire sul divano. »
« Perché fai tutto questo per me? » Le domandai spontaneamente, guardandola seria. « Voglio dire, non mi conosci nemmeno, probabilmente non ti sono mai stata simpatica, eppure decidi di aiutarmi. Perché? »
« Perché so che tu avresti fatto lo stesso, per qualunque di noi. »


*****

Due giorni dopo

Day 13


*Killian Pov*


Gli ultimi giorni erano stati davvero pesanti.
Da quando Rose aveva scoperto la verità su Emma, le cose non avevano fatto altro che peggiorare. Montgomery non smetteva di tenermi d'occhio, come se potessi commettere un errore in qualsiasi momento; la squadra sembrava guardarmi con occhi diversi, sicuramente i gemelli ce l'avevano con me per essermi fidato tanto di Emma; Jack era deluso perché l'avevo allontanata, nonostante si fosse rivelata un valido aiuto per le indagini; Phoebe, invece, non faceva altro che nominarla, ogni volta che poteva e ogni volta che avevamo un dialogo, in effetti il suo era un comportamento strano, non riuscivo proprio a spiegarlo.
Ma le tensioni con la squadra non erano gli unici problemi emersi, anzi.
Il caso sembrava in uno stato di stallo. Nessuna notizia dei due assassini, nessuna ragazza scomparsa che catturasse la nostra attenzione. Il morale era a terra, l'unica che sembrava metterci l'anima era Phoebe, che andava a casa la sera e tornava la mattina dopo con nuove idee, che si rivelavano buchi nell'acqua, ma pur sempre idee. E come se non bastasse, i media non facevano altro che starci col fiato sul collo, ormai non lasciavano Scotland Yard neanche per l'ora di pranzo.
Allontanai appena la sedia dalla scrivania e mi passai la mano sul volto, massaggiandomi poi la fronte. Mi ricordai che Rose mi aveva mandato un messaggio circa un'oretta prima e che ancora non le avevo risposto. Anzi, a dirla tutta, non lo aveva neanche aperto.
Presi il telefono e lessi il messaggio: “Per oggi ho finito con il lavoro, sono già a casa! Ti preparo una bella cenetta ;)” Risposi semplicemente con un emoticon, accorgendomi di non avere fame, e poggiai nuovamente il cellulare.
La discussione con Emma e il successivo allontanamento le aveva decisamente giovato all'umore, almeno a lei. Aveva anche deciso di trasferirsi a casa mia visto che ormai, diceva, mancava poco al matrimonio e non voleva ritrovarsi a passare la prima notte di nozze tra scatoloni vari.
Alla fine mi alzai, recuperai le mie cose ed uscii dall'ufficio. Mi accorsi solo in quel momento di quanto fosse tardi, era rimasto solo Jack, che mi accompagnò poi a casa, visto che se ne stava andando anche lui.
Attraversai il cortile con la testa da un'altra parte.
Pensavo ad Emma.
Due giorni prima avevo percorso lo stesso tragitto fino alla porta di casa con la consapevolezza che, una volta dentro, avrei dovuto affrontarla di nuovo, magari litigando o magari chiarendo. Ad essere onesto avrei preferito la seconda ipotesi, perché qualcosa in quella storia non mi tornava, perché avevo visto la sincerità nei suoi bellissimi occhi, sapevo di potermi fidare di lei. Era così assurdo. Ed assurda era anche una sensazione di vuoto che mi aveva assalito dopo aver scoperto che se n'era andata, ma diedi la colpa al fatto di essermi abituato ad avere un'altra persona in casa e di non dover stare per forza solo.
Per questo Rose aveva preso le sue cose, la mattina dopo, e si era trasferita da me.
« Amore, sei tornato! » Mi accolse, ridestandomi dai miei pensieri, le braccia intorno al mio collo.
La mattina dopo mi svegliai incredibilmente presto, prima dell'alba, perciò cercai di vestirmi più silenziosamente possibile e uscire dalla camera senza svegliare Rose, che dormiva profondamente.
Me ne andai in cucina portandomi dietro tutti i fascicoli che avevo preso a lavoro, li volevo studiare tutti, probabilmente ci avrei passato sopra l'intera giornata ma non mi importava.
I registri delle persone scomparse erano sempre gli stessi, ormai le conoscevo tutte a memoria, volto, nome, segni particolari, ma non c'era niente che riportasse a qualche favola o cose del genere.
Mi comparve davanti il foglio di Caroline Evans, evidentemente nessuno aveva pensato a toglierlo da lì. Dovetti pensarci io, sfilai la pagina dalla cartellina trasparente che la conteneva, senza smettere di guardare la foto della ragazza. Neanche con lei avevo mai riscontrato qualcosa che mi facesse pensare al mondo dei Grimm, eppure Emma ci era arrivata subito, le era bastato osservarla appena e riconoscere il suo cognome.
Sospirai rumorosamente, dovevo smetterla di pensare a quella donna, maledizione!
Provai ad analizzare ogni delitto nei minimi dettagli: la posizione della vittima, il luogo dove era stato ritrovato il corpo, il lasso di tempo trascorso tra un omicidio e l'altro. In quel modo potevo provare a prevedere quando ci sarebbe stato il prossimo, sempre se ne stavano premeditando un altro.
Probabilmente era tutto un lavoro inutile, ma confidavo che prima o poi qualcosa sarebbe saltata fuori.
« Buongiorno » sobbalzai. Rose mi aveva raggiunto in cucina, abbracciato da dietro e poggiato le sue labbra sulle mie, quando mi fui voltato verso di lei.
« Che ore sono?! » Domandai stupito, mentre lei si dirigeva ai fornelli per preparare il caffè. Diedi un'occhiata al sole fuori: era già alto.
« Sono quasi le dieci » rispose lei, scocciata, come al solito, per la poca attenzione che le avevo riservato.
Avevo passato delle ore su quei fogli e non avevo concluso ancora niente, bene.
« ...Tu hai idea di dove possano essere? » Guardai sconvolto la ragazza, non capendo cosa stesse dicendo.
« Come? »
« Ti ho chiesto se sai dove si trovano i miei vestiti di ricambio, quelli che avevo lasciato nel tuo armadio per quando dormivo qui, sono andata a cercarli ma non li ho trovati. »
« Ah, probabilmente sono nella camera degli ospiti. Li avevi prestati ad Emma, ricordi? » Arricciò il naso e mormorò un “ah, sì” disgustato.
La guardai storto per qualche secondo, non seppi dire se se ne accorse.
All'inizio era sempre stata gentile con Emma, non che le andasse molto a genio l'idea che vivesse con me, ma non aveva mai fatto scenate. Si era anche preoccupata di prestarle i suoi vestiti! Non capivo il motivo di quel cambiamento, né cosa l'avesse spinta a fare ricerche su di lei.
O forse sì? Forse anche a lei era evidente quanto io ed Emma ci stessimo avvicinando giorno dopo giorno. Era gelosa, quindi? Eppure non mi aveva mai detto niente, aveva continuato con la sua farsa. E neanche sapeva niente di quello che c'era stato fra noi, o di come non riuscissi più a smettere di pensare a quella notte. O ad Emma.
Maledizione, dovevo assolutamente piantarla!
Emma era andata via, ormai, e forse era meglio così.
Ma era davvero “meglio”?
« Mi vuoi ascoltare?! » Rose sbottò di colpo, picchiando un pugno sul tavolo. Mi ridestai da quel momento di trance e tornai a guardarla.
« Scusa, io non... ero distratto, scusami » biascicai, mettendo via tutti i fascicoli.
« Come sempre, devo dire » commentò lei « Viviamo insieme da pochi giorni e già la situazione si è fatta difficile. Non mi ascolti mai, ti parlo ma sei distratto, sei perennemente distratto, continui ad estraniarti da quello che hai intorno. »
« Mi dispiace, ma è colpa del caso... »
« Sì, certo. Il caso ci è sempre stato, ma non ti sei mai comportato in questo modo. A cosa stavi pensando? »
La osservai incerto. Dovevo ammettere che stavo pensando ad Emma? Che erano giorni che pensavo a lei, per un motivo o per un altro? Avrebbe fatto una tragedia per nulla, non mi sembrava il caso. Ma d'altra parte non mi sembrava giusto mentirle, anche perché ultimamente le avevo nascosto fin troppe cose.
« Stavo pensando ad Emma » confessai, pronto a ricevere la sua ira.
« Ad Emma? » Ripeté, deglutendo, come se dovesse digerire la notizia. « Dovevo immaginarlo. »
« Sì, ma non ti agitare! E' scomparsa così all'improvviso, è normale che sia preoccupato... »
« Preoccupato?! » Quasi urlò « Quella donna è solamente una pazza che si è presentata nella nostra vita da un giorno all'altro. Ha mentito fin da quando è arrivata, su ogni cosa! E' addirittura stata in prigione per Dio solo sa cosa, e tu sei preoccupato per lei? »
« Ma è normale, avevo cominciato a tenerci a lei. »
« Ovviamente » mi diedi dello stupido da solo, non dovevo dirlo, ma era stato più forte di me.
« E poi sono convinto che avrà una spiegazione per ogni cosa, tu non l'hai vista, okay? E soprattutto non l'hai conosciuta, è una brava persona, il suo cuore è puro, glielo si legge negli occhi. »
« Continui a difenderla, non ci posso credere » esclamò, nervosa « non ci posso credere, ti ha fatto il lavaggio del cervello. »
« Ma smettila! »
« No, è così! E' da un po' che ci penso. La guardavi in un modo... neanche fosse successo qualcosa fra voi! »
Deglutii ed abbassai lo sguardo, gli occhi, restando in silenzio. Mossa sbagliata, sembravo decisamente colpevole. Sentii i suoi occhi su di me, riuscivo quasi a percepire il suo sguardo sconvolto.
« E' successo qualcosa fra voi? »
« Rose, smettila, non mi sembra il cas- »
« Rispondi. »
« Sì, okay? Sì. Ma non è niente di importante, davvero » tentai di dirle, avvicinandomi a lei di un passo. Mi facevo schifo da solo per quello, anche quando una parte di me continuava a non vederci niente di sbagliato, chissà per quale motivo.
« Siete andati a letto insieme? »
« Rose... »
« Siete andati a letto insieme? » Ripeté, agitata.
Sospirai, per tutta risposta. Ovviamente lei capì, non c'era bisogno di altre parole. Cominciò ad andare avanti e indietro per la cucina, con le mani sugli occhi, continuando a ripetere “quella puttana”. Non diceva altro. Mi passai più volte una mano sulla bocca per evitare di risponderle, di dirle di piantarla di chiamarla in quel modo, ma sapevo che avrei solamente peggiorato la situazione.
« Devi andare a lavoro » mormorò a un tratto.
« Come? » Domandai di rimando, stupito.
« E' tardi. Devi andare a lavoro. »


Ero a Scotland Yard già da qualche ora. La discussione con Rose era rimasta totalmente in sospeso, né io né lei avevamo più proferito parola, me ne ero andato lasciandola sola in casa. Continuavo a chiedermi perché non riuscissi a sentirmi in colpa come avrei dovuto. Mi dispiaceva di averla tradita, ma c'era quella sensazione che non mi abbandonava, quella specie di legame che sentivo quando stavo con Emma o quando pensavo a lei.
Forse aveva ragione Rose, mi aveva fatto il lavaggio del cervello.
Lasciai perdere quei pensieri nel momento in cui mi arrivò un messaggio. Lessi l'anteprima, era sempre Rose: “Torno in Scozia dai miei, non chiamar...” scattai subito in piedi prendendo il telefono. Il testo non diceva molto altro, così corsi fuori dall'ufficio, verso Phoebe, per chiederle se sapesse qualcosa di quella storia, ma niente, era all'oscuro di tutto. Propose quindi di accompagnarmi a casa, per fermarla, ma una volta lì mi accorsi che aveva già preso tutte le sue cose ed era andata via.
« La sua macchina è ancora qua fuori, conoscendola avrà preferito prendere il treno. Se ci sbrighiamo potrebbe essere ancora in stazione » affermai ad un tratto, mi sembrava l'unica cosa da fare. L'altra annuì, così, senza perdere altro tempo, partimmo diretti alla stazione.
L'avevamo quasi raggiunta, quando alla fermata dell'autobus notai una figura dai lunghi capelli biondi, raggomitolata su una panchina, stretta nel suo cappotto rosso.
« Emma?! » Feci stupito, pensando a voce alta. Era davvero lei? Da quella distanza non potevo esserne sicuro, ma qualcosa mi diceva che non mi stavo sbagliando.
« E' proprio lei » rispose Phoebe, che ovviamente mi aveva sentito, avvicinandosi appena con l'auto.
« Cosa ci fa qui? Credevo fosse andata via » esclamai.
« In realtà è stata a casa mia, in questi giorni » la guardai sconvolto, lei cercò di sviare l'argomento, di non farmi fare domande, più che altro « stava pensando di andarsene, veramente, non credevo che lo avrebbe fatto davvero. »
« Accosta » mormorai senza rendermene conto.
« Che vuoi fare? » Mi domandò, mentre fermava la macchina. Non risposi e feci per aprire lo sportello « Killian? E Rose? » Sentii chiederle, ma continuai a non rispondere. Volevo raggiungere Emma. Non sapevo bene per quale motivo, c'era qualcosa che mi spingeva a raggiungerla sempre, qualsiasi cosa facesse. Era una sensazione difficile da abbandonare.
« Swan » la chiamai, quando le fui abbastanza vicino. Sobbalzò appena, probabilmente non si era accorta di niente.
« Killian » esclamò visibilmente sorpresa. Senza che aggiungesse niente mi sedei accanto a lei, nessuno dei due guardava in faccia l'altro.
« Credevo che te ne fossi andata » mormorai appena, alzando di riflesso un sopracciglio.
« E' quello che volevo fare, ma continuavo a chiedermi se fosse la cosa giusta. Alla fine mi sono decisa » era nervosa, non faceva altro che rigirarsi l'anello che le avevo sempre visto al pollice tra le mani. Sapevo che ancora continuava a chiedersi se quella fosse la decisione migliore, riuscivo a capire la sua inquietudine.
« E lo è davvero? La cosa giusta? » La osservai con la coda dell'occhio, mentre il suo sguardo lasciava perdere l'anello e si alzava verso di me.
« Non lo so più » mormorò.
Ci guardammo finalmente negli occhi, così intensamente che mi sembrò di aver passato tutta la vita ad aspettare quel momento. Un'altra delle tante cose assurde che mi era capitato di provare da aggiungere alla lista.
« Emma, mi dispiace » improvvisamente mi sentii in colpa, avevo esagerato due giorni prima, avevo perso completamente il controllo e mi ero ritrovato a urlarle contro cose che non volevo assolutamente dirle. Mi aveva mentito su tante cose ed ero, sì, deluso per questo, ma sentivo che lo aveva fatto per un motivo ben preciso « ho esagerato l'altro giorno, non dovevo farlo. »
« No, non devi scusarti di niente. Avevi ragione, da quando sono arrivata ho raccontato solo bugie, ed è una cosa che odio fare. Da una parte sono sollevata che sia venuto tutto fuori. »
« Non avevo comunque nessun diritto di trattarti in quel modo... » tentai ancora, anche se, su quel fronte, la donna mi sembrava piuttosto tranquilla.
« Invece sì. Eri arrabbiato, lo capisco. Mi dispiace davvero per quello che è successo, soprattutto se ti ho messo nei guai con il tuo capo. »
« Non preoccuparti per questo » affermai, sorridendole. Lei fece lo stesso. « Phoebe mi ha detto che sei stata da lei in questi giorni » arrossì appena, probabilmente capendo dove volessi andare a parare « in questi giorni veniva al lavoro sempre con nuove idee, eri tu a suggerirgliele, vero? »
« Non proprio, ci lavoravamo insieme » Ridacchiai appena.
« Sai che non dovresti più avere a che fare con l'indagine e che certe informazioni sono riservate, vero? »
« Lo so, lo so. Ma eravamo così vicine... ma, lascia perdere. Non potrò indagare più di tanto, a Storybrooke » un sorriso tirato le si dipinse sul volto.
Serrai la mascella, non volevo che partisse, non per colpa mia o per come l'avevo trattata, ma se l'avessi trattenuta Rose non me l'avrebbe mai perdonato, anche se per come si era messa la situazione, in quel momento non sapevo neanche se il matrimonio si sarebbe celebrato o meno.
« Ascolta, non devi partire per forza » cominciai a dire, guardandola ancora negli occhi « Montgomery domani parte per Parigi, gli hanno chiesto una collaborazione per un caso. Potresti tornare a lavoro, nessuno glielo riferirà, e se tornasse sono pronto a prendermi ogni responsabilità. »
« Non me ne vado per quello, Killian, ma per tutto il resto » rimbeccò lei, sospirando appena e alludendo, se non stavo interpretando male, ovviamente, a quello che c'era stato fra noi « è meglio così, capisco quando devo farmi da parte. »
Proprio in quel momento arrivò l'autobus, entrambi ci alzammo dalla panchina, lei per prenderlo e io per fermarla, d'impulso. Le afferrai di getto il polso e la feci voltare.
« Resta » fece per scuotere la testa « ho bisogno di te » mi ritrovai ad affermare senza accorgermene. Le si mozzò il fiato e sgranò gli occhi.
« Cosa? » Io stesso ero stupito delle mie parole, ma cosa mi era passato per la mente?!
« Per le indagini, ovviamente » tentai di dire, lasciandole andare il polso e grattandomi appena il capo, nervoso « resta per la fine del caso, come avevamo concordato all'inizio » la vidi ancora incerta, così mi affrettai a tentarle ancora tutte « Conclusa l'Operazione Grimm sarai libera di scappare dove vorrai. »
« Io non scappo » commentò, fulminandomi con lo sguardo. Ebbi la sensazione di averla messa finalmente con le spalle al muro.
« E allora rimani. »
L'autobus chiuse le portiere.
« Va bene » cedette.
Proprio in quel momento il bus partì, lasciandoci lì alla fermata, in piedi, occhi negli occhi, il prato verde immerso nell'oceano blu e viceversa.
Non so cosa mi passò per la testa, mi sporsi in avanti e la strinsi tra le braccia, la mano dietro la sua schiena. Lei rimase impassibile in un primo momento, potevo immaginare il suo viso sconvolto per la sorpresa. Poi alzò lentamente le braccia, una dietro il mio collo e una dietro la mia schiena.
Ce ne restammo così, in silenzio, vari minuti.
In quel momento era tutto ciò di cui avevamo bisogno.



*Il termine serendipità (in inglese “serendipidy”) è un neologismo che indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra.


Angolo dell'Autrice: ehilà, salve! Ho fatto presto, eh? Questa volta meno di un mese di ritardo, mi sto migliorando ^^ Allora, lasciatemi spiegare le solite due/tre cosette:
In questo capitolo nessuna tragedia (lol) ho cercato di mettere la minor sofferenza possibile in vista dei prossimi capitoli (preparatevi che avverrà di tutto e ce ne sarà una a capitolo, probabilmente), però è ovvio che Emma e Killian si erano lasciati con un'accesa discussione, non potevano essere l'immagine della felicità (non so se mi spiego, probabilmente no ahaha)
La storia di Phoebe è nata improvvisamente mentre scrivevo il 13° capitolo. Avevo programmato da mesi che ospitasse Emma dopo il litigio, ma pensandoci la cosa mi appariva inverosimile, visto che tra le due non scorreva buon sangue. Quindi mi sono chiesta: cosa può spingere Phoebe a mettere da parte l'astio per Emma e ad offrirle il suo aiuto? Ho pensato “Siamo a Londra, Peter Pan è ambientato a Londra, la famiglia Darling vive lì, perciò... inciuciamo i personaggi!” :'D non so, alla fine mi è sembrata una cosa carina, ovunque andava Emma, nella sua vita, si è sempre trovata davanti personaggi immischiati con le fiabe (Neal, Lily, Ingrid ecc.), mi sembrava giusto portare avanti la tradizione ahaha
E niente, questo capitolo in effetti è un po' di passaggio, visto che non succede niente di che, escluso l'allontanamento di Rose (il matrimonio salterà?!) e il riavvicinamento fra Emma e Killian. Spero sia arrivato il messaggio che, qualsiasi cosa succeda, qualsiasi difficoltà, loro due sono legati ed hanno bisogno l'uno dell'altro. Killian è pronto ad ammetterlo con se stesso, cosa importante del capitolo.
E niente, è tutto. Spero di metterci presto ad aggiornare :)
Ringrazio tutte le persone che seguono la storia, continuate a farmi sapere cosa ne pensate perché i vostri pareri sono fondamentali per me!
Un bacio a tutti, a presto :)

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Capitolo 15
*** Come back to me (Part1) ***


15. Come back to me

(Part1)




Bene. Se qualcuno mi avesse chiesto come mi sentissi in quel momento, avrei risposto semplicemente “bene”.
All'inizio ero rimasta sorpresa. Sorpresa di vedere Killian venirmi in contro e sedersi accanto a me, alla fermata di un autobus che non si decideva ad arrivare. Sorpresa di sentire le sue scuse, a mio parere sciocche visto che ero stata la prima a mentire e su troppe cose. Sorpresa dei suoi tentativi di trattenermi, di non farmi partire. E sorpresa anche dal suo abbraccio, incredibilmente sincero e dettato da un bisogno che andava ben oltre il semplice contatto fisico.
La realtà era che non sapevo cosa fosse successo in quei pochi giorni in cui eravamo stati lontani, ma percepivo una sorta di cambiamento. Non mi ero mai sentita così vicina al mio vecchio Killian come in quel momento, era proprio quella sensazione che mi faceva sentire bene, mi faceva sentire sicura e mi dava un senso di tranquillità e pace. Mi domandai da quanto tempo avevo smesso di sentirmi tranquilla, ci pensai su, ma proprio non riuscii a ricordare. Da troppo, evidentemente.
E come una stupida stavo per lasciarmi scappare tutto, stavo per prendere quel maledettissimo bus e dire addio all'uomo che più aveva lottato per me in tutta la mia vita. Me ne ero rimasta su quella panchina per ore, ancora indecisa sul da farsi, a interpretare quell'incredibile ritardo del mezzo come un qualche segno a non partire. E invece il segno era un altro, il più inaspettato.
Come quando Henry arrivò a mangiare la mela avvelenata non solo per salvarmi, ma anche per convincermi a restare e far parte della sua vita, così era arrivato inaspettatamente Killian, per fortuna senza fare un gesto tanto plateale e pericoloso, ma con le sue parole era riuscito a fermarmi. E non solo con delle semplicissime parole, c'era anche qualcosa di diverso in lui, nel suo sguardo, nei occhi, nei suoi gesti. Non avevo ancora capito cosa ci facesse lì, sicuramente trattenere me era l'ultimo dei suoi pensieri, all'inizio, ma poco mi importava.
A malincuore e molto lentamente, come se ogni movimento mi provocasse un vero e proprio dolore fisico, cominciai a staccarmi da quella stretta calma e sicura; il pirata fece lo stesso. Fece un passo, due passi all'indietro, e si guardò intorno. Capii che quell'abbraccio aveva scosso anche lui.
« Grazie » mormorai in un mezzo sussurro. Lui aggrottò la fronte e incurvò appena le labbra in un flebile sorriso, spaesato per quello che avevo appena detto. « Lascia stare » affermai sorridendogli. Grazie per avermi fermato, per avermi fatto capire che quella storia non era finita, che c'era ancora speranza. Evitai di dirglielo, però, avevo paura che non avrebbe capito fino in fondo. « Piuttosto » aggiunsi poco dopo « che ci facevi qui? »
« Ah, ecco » cominciò a dire, passandosi una mano dietro la testa, aprendo ancora gli occhi come se gli fosse appena tornato in mente qualcosa di importante « Rose se n'è andata, cercavamo di raggiungerla e fermarla, ma credo... »
« … Che a quest'ora sarà partita, sì, lo credo anche io » a completare la frase di Killian fu Phoebe, spuntando improvvisamente dal nulla. Ci raggiunse e ci guardò seria, le mani sui fianchi.
« Se n'è andata? » Domandai di rimando, stupita « Dove? Perché? »
Killian e Phoebe si lanciarono uno sguardo, anche quello della ragazza era leggermente smarrito, sintomo che neanche lei sapeva tutta la verità, o perché non c'era stato tempo per le spiegazioni, o perché il pirata non voleva darle. Mi domandai se alla base di tutto ci fossi proprio io.
« Abbiamo avuto una discussione questa mattina e poco fa mi ha detto che stava tornando a casa dei suoi genitori » cominciò a dire, sguardo fisso verso il basso che di tanto in tanto si alzava senza guardare né me né l'altra ragazza bene in faccia « non mi ha detto per quanto sarebbe rimasta o cose del genere, solo che ha bisogno di stare sola per un po', diciamo » aggiunse poi. Restammo tutti e tre in silenzio, anche ad aspettare che continuasse a spiegare, ma ci accorgemmo presto che l'uomo non ne aveva la minima intenzione.
« Avete litigato? Perché? » Phoebe fece la domanda che più di tutte mi tormentava, avevo bisogno di sapere anch'io, ma in un certo senso temevo la risposta.
« Non ha importanza » affermò a sguardo basso, poi lo alzò su di me e con un rapido gesto delle sopracciglia mi fece intuire che doveva aver detto a Rose la verità su di noi. Mi morsi un labbro, dovevo sentirmi responsabile? Probabilmente, ma dovevo esserne dispiaciuta? Ad essere completamente onesti non lo ero per niente e non mi vergognavo a dirlo.
Forse mi si leggeva anche in faccia quella nota di soddisfazione, soddisfazione legata al fatto che, stranamente, stava andando tutto a gonfie vele: io e Killian avevamo chiarito, stava aprendo il suo cuore, lo sentivo, e ora che Rose era a conoscenza di quello che c'era stato fra noi due dubitavo fortemente che volesse ancora sposarlo. In effetti non avevo capito se il matrimonio fosse saltato o no, non avevo capito neanche se si fossero lasciati a dirla tutta, ma non poteva essere diversamente, no? D'altronde lei era andata via, doveva pur significare qualcosa.
Aspettai che Killian cominciasse ad incamminarsi verso l'auto di Phoebe. Rimasi ferma sul posto a braccia conserte, la ragazza gli andò dietro ma la bloccai afferrandola velocemente per il polso sinistro. Si voltò e fece per esclamare il suo stupore, ma le intimai con lo sguardo di non attirare l'attenzione dell'altro. Per fortuna mi capì al volo.
« Centri qualcosa con questa storia? » Le domandai a bassa voce, Killian non poteva in alcun modo sentirci, lontano com'era. Proprio il giorno prima, una volta tornata a casa, mi aveva rassicurato sul fatto che con Rose fosse “apposto”. Non aveva detto altro, solamente “apposto”. Solo in quel momento cominciavo a capire il vero significato che c'era dietro quella parola.
« Io? Dagli sguardi che vi siete lanciati deduco che tra voi due sia successo qualcosa di serio, non credo di essere io quella da incolpare» affermò con un sorrisetto ironico, mentre cominciavamo ad incamminarci verso Killian, visto che si era appena reso conto della nostra lontananza. « Certo, se siete andati a letto insieme potevi anche dirmelo, sarebbe stato ancora più facile. »
« Più facile? Cosa? Di che parli? Che hai detto a Rose? »
« Ma niente! » Esclamò a un tratto, cercando di tirare su un'aria da finta innocente « Ho cercato solamente di metterle abbastanza dubbi in testa, come per esempio il fatto che lui fosse sempre più distratto, o il modo in cui vi eravate avvicinati negli ultimi tempi. Il bello è che questi dubbi si sono anche rivelati fondati! » Concluse, ridacchiando appena.
La fulminai con lo sguardo, anche se non se ne rese conto. Quell'idea non mi andava molto a genio e probabilmente era per quello che non mi aveva ancora detto niente sull'argomento, ma alla fine dovevo essergliene anche grata visto che era riuscita ad allontanare Rose, non sapevo dire se per sempre o solo momentaneamente ma era già qualcosa, almeno Killian si sarebbe sentito meno in colpa. O forse il senso di colpa lo avrebbe fatto stare ancora più male?
La mia mente doveva sempre prendere in considerazione situazioni spiacevoli, potevo sembrare fissata e pessimista, ma perlomeno partivo preparata. Mi dissi che la cosa migliore, al momento, era quella di concentrarsi sul caso, dovevamo ricominciare così e lasciarsi alle spalle tutto quello che era successo.


*****


Il resto della giornata lo avevo passato a casa di Phoebe, non potendo presentarmi a Scotland Yard come se nulla fosse per via della presenza di Montgomery e avendo stabilito con Killian che non sarei tornata a casa sua, questo per non far agitare Rose, in caso fosse tornata senza preavviso. Avevo smesso di preoccuparmi per quella donna, sinceramente, ma a proporre l'idea era stato Killian e non potevo dirgli di no.
Ovviamente non ero rimasta a rigirarmi i pollici o a giocare con i cocker della padrona di casa per tutto il giorno: Killian mi aveva fatto avere il fascicolo delle persone scomparse e mi ero data da fare. Sapevo che nessuno della squadra era riuscito ad arrivare a un nome, per questo non facevo altro che domandarmi come potevo riuscirci io da sola, tant'è vero che dopo due ore non avevo niente fra le mani, se non un forte mal di testa e un bruciore agli occhi – forse dovevo ricominciare a mettere gli occhiali.

L'ultima volta la tua intuizione su Rapunzel è risultata esatta” mi aveva detto l'uomo, ed aveva ragione ma quella volta mi era bastato ricollegare il cognome della ragazza a quello della sorella appena morta, il dettaglio dei capelli lunghi mi era saltato all'occhio successivamente. Era stato un colpo di fortuna, come avevo ribadito, nient'altro. Ma lui aveva insistito, facendomi capire che si fidava del mio intuito.
Alla fine, consultando anche il libro che Henry mi aveva lasciato tenere, ero riuscita a racchiudere la mia ricerca intorno a tre, anzi quattro, persone: il primo era un uomo sulla trentina, scomparso nel nulla da quasi tre settimane, che suonava la chitarra in un quartetto e questo me lo faceva ricollegare ai Musicanti di Brema; poi c'era una ragazza appena diplomata, non c'era niente che me la faceva ricondurre a una fiaba, se non che dalla foto mi ricordava tantissimo Aurora; e poi, e speravo davvero che non c'entrassero niente con quel caso, c'erano due bambini, due fratelli, un maschietto di sette anni e una femminuccia di nove, scomparsi solamente da tre giorni. I riferimenti ad Hansel e Gretel erano davvero tanti, ma l'idea di quei due bambini nelle mani di pazzi serial killer mi faceva rabbrividire, per questo misi da parte il loro fascicolo e mi concentrai sugli altri due.
I “Fratelli Grimm” fino a quel momento avevano concentrato la loro follia esclusivamente su delle giovani donne, passando da Cappuccetto Rosso a Raperonzolo, questo particolare mi diceva di concentrarmi sulla ragazza i cui lineamenti ricordavano quelli de La bella addormentata, ma d'altra parte, proprio perché vittime fino a quel momento erano state solamente donne, gli assassini potevano mirare ad un uomo, per sorprenderci.
La serata passò veloce e ancora una volta mi addormentai sul divano, con ancora i fascicoli delle due persone scomparse stretti fra le mani. La mattina dopo mi svegliai tutta indolenzita, tanto per cambiare, cominciavo a non farci più caso. Mangiai qualcosa al volo insieme a Phoebe, prima di passare a prendere Killian a casa e andare a lavoro. Una volta a Scotland Yard ci dirigemmo tutti e tre nell'ufficio dell'uomo ad aspettare l'arrivo degli altri componenti della squadra, era ancora presto in effetti, quindi decisi di cominciare a discutere con loro di quello che avevo scoperto, o meglio ipotizzato. Phoebe cominciò a fare teorie, qualcuna inverosimile, qualcuna invece molto probabile, Killian invece si massaggiava la mascella, pensieroso, limitandosi ad ascoltare.
« Eccoli, finalmente! » Esclamò ad un tratto, uscendo dal suo silenzio. Io e Phoebe ci girammo prima a guardare lui e poi il punto che stava osservando oltre le nostre teste. « I Grimm sono ancora a piede libero e loro si permettono di arrivare in ritardo » continuò contrariato, mentre si dirigeva verso la porta, senza distogliere lo sguardo da Jack e dai gemelli, appena arrivati, che non si erano quasi accorti della nostra presenza « nel mio ufficio, veloci! » Li richiamò, prima di rientrare e di tornare da noi.
I tre ubbidirono subito e ci raggiunsero in un attimo. I loro occhi si posarono subito su di me, mi guardarono sconvolti e poi guardarono allo stesso modo il loro capitano, senza proferire parola, evidentemente aspettavano delle spiegazioni. Ma queste non arrivarono, allora si girarono nuovamente verso di me.
« Che ci fa lei qui? » Ad esprimere a voce quello che stavano pensando tutti fu Thomas. Arricciai il naso sentendo quel “lei”, detto come se fossi una persona qualunque, o peggio una persona che non meritava fiducia, una persona da evitare. Quel tono mi diede fastidio, ma allo stesso tempo mi dissi che dovevo capirlo e che aveva tutte le ragioni per non fidarsi di me, dopo gli ultimi avvenimenti.
« Emma farà di nuovo parte della squadra » li informò semplicemente Killian, non sentendo evidentemente il bisogno di dare altre spiegazioni. Era un modo per dire che stavo tornando nella squadra perché era lui a volerlo e che non gli importava dell'opinione degli altri, benché meno del loro capo che mi aveva detto espressamente di non volermi più trai piedi.
« E Montgomery? » Domandò, questa volta, Jack, con un tono meno seccato da quello usato dall'altro ragazzo, sembrava piuttosto confuso e anche un po' curioso.
« Lui non ne sa niente » gli rispose « anzi, non dovrà mai sapere niente! Starà via per circa due settimane, voglio il caso chiuso per allora » dichiarò infine, squadrandoli serio uno per uno, sembrava veramente determinato a chiudere quella questione una volta per tutte. Nessuno replicò, ci limitammo tutti ad annuire, quasi in sincronia. « Bene. Emma ha continuato a studiare il caso, in questi giorni, ed ha scoperto cose importanti: probabilmente abbiamo il nome della prossima vittima » mi lanciò uno sguardo e mi incitò a prendere la parola, per spiegare anche agli altri quello che avevo comunicato a lui e a Phoebe poco prima. Annuii appena, presi la cartellina gialla che mi ero portata dietro e mi avvicinai alla grande lavagna presente nella stanza piena zeppa di post-it e foto dalle scene del delitto.
« Allora » cominciai a dire, guardandoli attentamente « ho studiato ogni nome presente sulla lista delle persone scomparse, più e più volte, fino a racchiudere la ricerca intorno a tre persone: Leonard Richardson » annunciai il primo nome tirando fuori la sua foto dalla cartellina gialla per attaccarla sulla lavagna « il “musicante di Brema” » aggiunsi, spiegando anche il perché di quell'intuizione « Paulina e Zacharias Cox, “Hansel e Gretel” » ancora una volta fermai le loro foto con delle puntine, trascrissi i loro nomi e aggiunsi un punto interrogativo « e poi Esther Rogers, lei... beh, mi ricorda la “Bella Addormentata”, ma a parte questo non ho trovato altro » esclamai sincera, sapevo che non era una buona motivazione, ma speravo che indagando a fondo qualcos'altro saltasse fuori. Gli altri mi ascoltavano tutti attentamente, assorti nei loro pensieri e nelle loro teorie, immaginavo come anche loro, giorni prima, avessero già letto i loro fascicoli senza però trovarci niente di interessante o inerente alle indagini, vero era che senza il libro di Henry da consultare probabilmente non avrei concluso niente neanche io.
« Credo sia meglio dividersi in tre gruppi » suggerì Killian, prendendo la parola e interrompendo quel momento di riflessione che si era venuto a creare « Jack e Phoebe, voi due vi occuperete dei fratelli Cox » i due ragazzi annuirono all'unisono « voi gemelli vi occuperete di Richardson » anche loro annuirono, pronti a scoprire il più possibile su quell'uomo « io ed Emma ci occuperemo della Rogers. Scavate a fondo nelle loro vite, scoprite qualsiasi cosa legata ai precedenti casi, indagate sulla loro scomparsa, sul luogo in cui sono stati visti l'ultima volta » mentre dava ordini alla squadra rivedevo in lui il vecchio pirata che governava la Jolly Roger, diretto a Neverland, e che continuava a dirci con decisione cosa fare per aiutarlo a governare la nave. In quel momento realizzai che non mi sarebbe per niente dispiaciuto osservarlo all'opera con i suoi uomini, mentre navigavano per i sette mari, anche se un piccolo assaggio lo avevo avuto durante il viaggio nel passato.
I gruppi si divisero lasciando soli me e Killian nel suo ufficio, speravo davvero che tutti insieme avremmo concluso qualcosa quel giorno, perché in caso contrario faticavo a vedere la soluzione dell'indagine.
« Allora, la Rogers ti ricorda la.. bella addormentata? » L'uomo si sedé alla sua scrivania, io alle sua spalle annuii, braccia conserte e sguardo rivolto alla lavagna. Mi resi conto dopo che non poteva vedermi, così mi sbrigai a sedermi davanti a lui, pronta a spulciare gli ennesimi fascicoli. « Non può esserci solo questo però, hai delle spiegazioni più plausibili per gli altri due, cosa ti spinge a credere che lei possa essere la prossima vittima? »
« Non lo so » risposi in completa sincerità « la verità è che cercavo una donna, le vittime fino ad ora erano tutte giovani donne e lei era l'unica che mi diceva qualcosa » scrollai le spalle e sospirai, la volta precedente era stato tutto più facile, mentre allora sembrava che ci stessimo attaccando alle minime cose. Era una cosa da disperati, non potevo fare a meno di notarlo.
Mi massaggiai la testa e cominciai a cercare, tutto e niente, andavo completamente alla cieca, come Killian, del resto. Sentivo che più volte al minuto alzava i suoi occhi su di me, facevo di tutto per non incrociare il suo sguardo, continuavo a tenere i miei ben puntati su quegli stupidi fogli. Non eravamo mai rimasti soli nello stesso luogo dal giorno prima, da quando mi aveva convinta a restare. Tanti discorsi erano rimasti in sospeso, ma non sapevo neanche se volesse parlarne.
« Hai trovato qualcosa? » Domandai a un tratto, alzando di scatto la testa quando, per l'ennesima volta, si era messo a fissarmi. Abbassò subito il capo, come riscosso da uno stato di trance.
« No, niente. Tu? »
« Niente » risposi. Silenzio. Entrambi continuavamo a lottare contro noi stessi, facevamo di tutto per non guardarci, era anche piuttosto imbarazzante. Mi domandai se le nostre conversazioni sarebbero state sempre così, eppure pensavo di aver risolto tutti i problemi solo poche ore prima. Oh, al diavolo, mi mancava parlare con lui, dovevo dire qualcosa. « Mi dispiace se per colpa mia hai avuto problemi con Montgomery. »
« Non posso negarlo » commentò, prima di sorridermi « non ci è andato leggero in questi giorni, ma non importa, sei stata molto utile nell'Operazione Grimm e alla fine lo ha capito anche lui. »
« Mi dispiace veramente di aver causato tanti problemi » affermai, non riuscendo a trattenermi.
« Swan, smetterai mai di scusarti? » Esclamò l'altro per tutta risposa, ridacchiando appena sotto i baffi. Lo guardai offesa ed abbassai la testa in modo da far scivolare una ciocca di capelli in avanti affinché potesse coprirmi un sorriso sincero dipinto sul volto. « Henry è partito? » Domandò dopo qualche minuto di silenzio. Io annuii.
« Sì, alla fine è tornato a casa » risposi. Mi faceva piacere il fatto che si interessasse, sapevo di averlo deluso con tutte le mie bugie, ma vedevo come stesse cercando di andare oltre, come stesse provando a vedere il meglio di me, come ci eravamo promessi solo poche settimane prima. Quel giorno sembrava lontano anni luce, continuavo a trovare incredibili quante cose fossero successe in così poco tempo.
« Ti manca? » Aprii la bocca per rispondere, ma lui mi bloccò subito « Casa tua, intendo. Che ti manchi tuo figlio la trovo una cosa abbastanza ovvia. »
« Beh, sì e no » risposi dopo averci pensato un po', Henry e i miei genitori mi mancavano certo, ma non mi sentivo così lontana dalla mia famiglia, non quando stavo con Killian. Lui, insieme a tutte le persone a cui volevo bene, erano la mia casa, per questo non riuscivo a sentire la piena mancanza di Storybrooke. « Ma non vedo l'ora di tornarci, questo è certo » “insieme”, pensai.
« Sai, non ho ancora capito come mai Phoebe ti ha ospitata a casa sua. Non siete mai state molto amiche » mi sentii arrossare le guance, sicuramente non potevo dirgli il vero motivo, quindi eccoci, la storia si ripeteva, continuavo a mentirgli su ogni minima cosa. Deglutii, ma non feci in tempo a rispondere, fermata proprio dalla ragazza che era entrata nell'ufficio un attimo prima.
« Perché mi faceva pena » affermò alzando le sopracciglia, guardò prima me e poi Killian lasciando subito cadere il discorso rivelando una certa fretta. Si diresse subito alla scrivania, posandovi sopra dei fogli, io e Killian ci alzammo in simultanea per guardarli meglio, nel frattempo ci raggiunse anche Jack. « Credo di aver trovato qualcosa, guardate qui! »
Lei e Jack rimasero in attesa, erano piuttosto eccitati e al tempo stesso spaventati da quella cosa, si vedeva che fremevano aspettando la nostra opinione. Cercando di ignorarli, dimenticando i loro occhi puntati su di me, presi quello che era un articolo di giornale piuttosto ingiallito, datato giugno 2009, mentre Killian si metteva dietro di me, per leggere anche lui. L'articolo parlava della chiusura di una storica pasticceria situata vicino al centro della città, cercai di leggere ogni cosa nel minor tempo possibile, memorizzando ogni nome riportato o fatto insolito, ma non riuscivo proprio a capire cosa c'entrasse con il caso.
« Ragazzi non... » cominciai a dire, prima di girare la pagina di giornale, alla ricerca di quello che avevano visto Phoebe e Jack, ma proprio non riuscivo ad arrivarci « non riesco a capire » guardai anche Killian, anche lui sembrava confuso.
« I bambini, no?! » Provò Jack, facendola sembrare una cosa più che ovvia. Aggrottai la fronte, cosa mi sfuggiva? Scossi la testa, piano, dovevano usare spiegazioni più convincenti altrimenti non ci saremmo mai incontrati. « I due fratelli ricordano Hansel e Gretel. »
« Giusto » commentai io, senza smettere di fissarli interrogativa.
« Hansel e Gretel » tentò Phoebe « la strega, la casetta di marzapane... »
« Credi che la pasticceria rappresenti la casa? » Domandò Killian, abbastanza esterrefatto. I due annuirono, l'uomo parve pensarci ancora, i suoi occhi passavano dall'articolo alle foto dei bambini affisse alla lavagna, poi, improvvisamente, si allontanò per chiamare i due gemelli, convinto che la pista fosse quella esatta.
« Volete dire che le prossime vittime saranno due ragazzini?! » Feci sconvolta, dalla sera prima speravo che non c'entrassero niente, che non fossero caduti nelle mani di quegli psicopatici, e continuavo a voler credere che la realtà fosse diversa. « Andiamo, ci deve essere qualcos'altro, infondo è solo una pasticceria. »
« E' l'unica pista che abbiamo » esclamò l'altra ragazza, abbastanza indignata « o forse tu e Killian avete scoperto qualcosa su questa pseudo Aurora? Cos'è, aveva la passione per gli arcolai? O forse il musicista aveva un asino, o magari un gallo, con sé? » Serrai la mascella e inspirai, noi altri non avevamo niente, aveva ragione, solo che non era una cosa facile da accettare.
« Siamo certi che la pasticceria sia ancora lì? » Chiesi, con un tono di voce più accondiscendente che fece calmare la ragazza.
« Assolutamente, quell'edificio è rimasto abbandonato per anni. »
« Bene, allora muoviamoci » tutti noi ci voltammo a guardare Killian che già si avviava verso l'uscita « non c'è tempo da perdere. »
« Aspetta » lo bloccai, afferrandogli di getto il polso « così? Senza un piano? »
« L'ultima volta avevamo un piano perfetto e sappiamo tutti com'è andata. Se hanno ragione la vita di due bambini è nelle nostre mani, dobbiamo sbrigarci. »


Poco dopo eravamo davanti l'edificio abbandonato, sembrava di vivere un deja vu, le immagini della torre dell'orologio mi riempirono la mente. Non doveva andare a finire come l'ultima volta, dovevamo riuscire a portare fuori quei bambini sani e salvi e dovevamo riuscire a prendere i due criminali.
« Dobbiamo essere prudenti, è una zona abitata » mormorò Jack, indicando il posto intorno a lui.
Mi guardai intorno, anche se la pasticceria era poco lontana dal centro, proprio davanti aveva una palazzina ben curata, e altre casette erano sparse qua e là, questo voleva dire che vi erano dei civili e non solo dovevamo preoccuparci degli assassini e dei fratellini, ma anche di loro.
La porta della pasticceria era chiusa dall'interno, tutti, quasi nello stesso istante, tirammo un sospiro di sollievo: la volta precedente ci eravamo trovati davanti a delle porte aperte ed eravamo caduti nella loro trappola, forse l'effetto sorpresa poteva finalmente riuscire.
« Lasciate fare a me » sussurrai, mettendomi subito in ginocchio davanti alla maniglia. Mi tolsi una forcina dai capelli, ma avevo bisogno di un'altra, così mi voltai a guardare Phoebe che capì al volo e mi diede anche la sua. Cominciai a lavorare velocemente, per fortuna Neal era stato un buon maestro e ormai ero diventata un'esperta in quel campo, così, pochi secondi dopo, la serratura scattò. Sorrisi soddisfatta, prima di tornare in piedi.
« Sei piena di sorprese, Swan » mormorò Killian, incurvando appena le labbra. Sbuffai appena, divertita, prima di abbassare la maniglia e aprire la porta, cercando di fare meno rumore possibile.
L'interno era quasi completamente buio, le finestre erano state coperte con dei fogli di giornale ma riusciva ad entrare comunque qualche spiraglio di luce; l'arredamento non era stato modificato negli anni, o almeno l'impressione era quella, vi erano tre tavolini con intorno due o tre sedie ciascuno, un bancone con diversi strati di polvere, una vetrina che un tempo poteva vantarsi di offrire le più varietà di dolci, infine vi era anche la cassa, vuota ovviamente. Alle pareti comparivano i chiari segni di quadri portati via probabilmente con la chiusura del locale, qualche chiodo era ancora affisso.
Una porta dava a quello che doveva essere il vecchio laboratorio, o cucina, perciò alzai la pistola, tenendola più o meno ad altezza del mio viso, gli altri dietro fecero la stessa cosa. Mi mossi lentamente fino a poggiarmi con la spalla sulla parete vicina, Killian fece la stessa cosa posizionandosi esattamente davanti a me, ci scrutammo negli occhi per un po', respirando a fatica per via di tutta l'agitazione, adrenalina, ansia, paura.
Un ultimo respiro, poi diedi un calcio alla porta, spalancandola del tutto. Puntai subito la pistola davanti a me, tenendola con entrambe le mani, più che pronta ad aprire il fuoco se fosse stato necessario. Solo che, con mia grande sorpresa, non fu così.
« Non è possibile... »
La stanza era completamente vuota, non c'era niente, niente di niente e, sopratutto, non c'era nessuno. Entrai dentro e cominciai guardarmi intorno, spaesata, gli altri fecero la stessa cosa, tutti visibilmente in panico. Ci eravamo sbagliati? Possibile che fossimo completamente fuori pista? Eppure l'intuizione di Phoebe era buona, decisamente buona, doveva per forza essere esatta, non potevamo trovarci di nuovo al punto di partenza, senza niente tra le mani.
« Loro sono qui, devono essere qui » guardai gli altri, sembravano immersi nei loro pensieri, alla ricerca del più piccolo dettaglio che ci sfuggiva.
« Forse sono di sopra » Phoebe ci riscosse tutti, guadagnandosi l'attenzione generale.
« Cosa? » Killian era smarrito, non potevo fargliene una colpa visto che io ci stavo capendo tanto quanto lui. In quel momento cominciai a rimpiangere l'Operazione Cobra, l'Operazione Mangusta e tutte le altre affrontate a Storybrooke.
« Nell'appartamento degli ex proprietari, proprio sopra di noi. Non l'avete notato quando siamo arrivati? » Scossi la testa, no, decisamente non ci avevo fatto caso, una volta non mi sarei mai permessa di commettere certi errori, cominciavo a perdere colpi.
« Andiamo allora, speriamo che tu abbia ragione! » Affermai, tornando velocemente nell'altra stanza. Killian e Phoebe fecero appena in tempo a seguirmi, che ecco la porta alle nostre spalle chiudersi di colpo e un istante dopo la stessa voce glaciale che mi aveva sorpreso nella torre dell'orologio mi giunse alle orecchie.
« Ma certo che ha ragione. Complimenti agenti, ottima intuizione » mi voltai di scatto, pronta a puntargli la pistola contro, pronta anche a sparargli se fosse stato necessario. Eppure la scena che mi trovai davanti mi bloccò, facendomi prendere un tuffo al cuore.
L'uomo, ancora una volta con il volto coperto da un passamontagna, teneva la bambina di nove anni stretta a sé, la pistola puntata verso di lei. Sapeva quel che faceva, aveva chiuso tre di noi nello stanzino, ma si ritrovava comunque in svantaggio numerico, così preferiva farci pressione psicologica.
« Lasciala andare immediatamente » sbottò Killian, facendosi avanti con sguardo duro e vuoto, pronto molto probabilmente a sparare. Ma non servì a niente, quello si mise a ridere.
« Sappiamo tutti e due che non hai il coraggio di spararmi o lo avresti già fatto. »
« Non commetterò lo stesso errore questa volta » deglutii, analizzando la situazione. Quei due avevano rapito dei bambini innocenti e ora uno di loro stava tranquillamente puntando la pistola contro la sorella più grande. Erano abbastanza folli da andare oltre, da ucciderli? Continuavo a farmi quella domanda da 24 ore, più o meno, e in quel momento la risposta sembrava solo una, e questo mi gelava il sangue. Dovevamo fare qualcosa, magari dovevamo sparargli subito, anche se questo avrebbe scatenato l'ira dell'altro, che presumevo fosse di sopra con il fratellino piccolo.
« Mettete via le pistole, agenti » serrai le sopracciglia e mi morsi il labbro inferiore, non mi mossi di un millimetro non sapendo cosa fare. Senza le pistole eravamo completamente disarmati e sarebbe finita, ma non potevamo rischiare in quel modo la vita dei bambini, magari se facevamo quel che volevano li avremmo convinti almeno a lasciarli andare.
Sospirai rumorosamente, poi mi piegai sulle ginocchia e posai la pistola sul pavimento, mi rialzai subito e alzai le mani in alto. Sia Killian che Phoebe fecero lo stesso, allontanando anche le armi da loro con il piede. Per qualche istante il tempo parve fermarsi, nessuno osava muoversi, tutti osservavano gli occhi neri dell'assassino e lui faceva lo stesso, nonostante fosse coperto si riusciva a intravedere un sorriso beffardo dipinto sul volto, anche se la mia attenzione era tutta per quella luce macabra che aveva negli occhi.
Spostò finalmente la pistola dalla tempia della ragazzina, che piangeva silenziosamente da ormai vari minuti, la lasciò andare e quella indietreggiò fino a un angolo buio della stanza, senza tentare neanche la fuga troppo terrorizzata da quello che potesse fargli. Il criminale alzò, infine, rapido la pistola e la puntò verso di me, si preparò a sparare e quasi allo stesso tempo Killian urlò.
« Emma! » Fece, buttandosi a capofitto su di me proprio mentre il proiettile partiva. Mi ritrovai a terra prima ancora di rendermene conto, tra le braccia dell'uomo che amavo che ancora era lì a proteggermi.
Phoebe nella confusione recuperò la sua pistola e cominciò a sparare, l'assassino non se lo fece ripetere due volte e rispose al fuoco. Io e Killian eravamo al sicuro dietro al bancone, non potei non notare del sangue uscirli dalla spalla.
« Sei ferito! » Esclamai terrorizza da quella visione, subito mi avvicinai per vedere quanto fosse grave, ma per fortuna sembrava una ferita leggera.
« Non è niente, mi ha preso di striscio » fece lui, sorridendomi rassicurante. Gli sorrisi di rimando e poi mi girai verso la bambina, poco distante da noi, accucciata a piangere con la testa fra le mani.
« Paulina » la chiamai, cercando di mantenere un tono di voce più calmo possibile o l'avrei spaventata ancora di più « presto sarà tutto finito, porteremo te e tuo fratello in salvo » le promisi, tendendole la mano destra. Lei mi guardò ma sembrò non avere il coraggio di muovere un solo passo, o forse più semplicemente non si fidava di me, così mi avvicinai appena e le sorrisi, anche se nervosa, « andrà tutto bene, te lo prometto. » La piccola continuava a guardarmi e io continuavo ad allungare la mano verso di lei, alla fine l'afferrò e la strinse, l'avvicinai subito a me e l'abbracciai rassicurante, un po' per infonderle speranza un po' per calmarla.
Killian sospirò sollevato al mio fianco, senza staccarci gli occhi di dosso neanche per un istante
« Emma » mormorò infine « dobbiamo far uscire gli altri e dobbiamo salvare l'altro bambino » annuii, completamente d'accordo e lasciai andare la bambina, anche se con un po' di difficoltà.
« Vado io, tu aiuta Phoebe e tieni d'occhio la piccola. Agli altri ci penseremo dopo, ora i bambini sono la priorità » esclamai decisa, avevamo bisogno di aiuto, ma ero quasi certa che i ragazzi sarebbero riusciti ad uscire da soli dalla stanza, visto che non avevano mai smesso per un attimo di picchiare violentemente sulla porta, probabilmente anche con qualche strumento trovato lì, speravo che la buttassero giù il prima possibile.
Non diedi, comunque, modo a Killian di replicare e corsi fuori prima che potesse fermarmi nel vano tentativo di proteggermi. Corsi lungo le scale ed entrai dentro al piccolo appartamento sopra il locale, rendendomi conto solamente in quel momento di essere completamente disarmata.
« Merda » mi lasciai scappare, mentre mi diressi verso la prima stanza che mi capitava e, con mia enorme sorpresa, vi trovai subito il bambino, legato e seduto su una sedia. « Zacharias. Zacharias, vero? »
« Zac » mormorò quello, tirando su col naso e facendomi scappare un sorriso. Doveva aver sentito gli spari al piano di sotto, inoltre era solo, non c'era la minima traccia dell'altro assassino, e questo pensiero mi preoccupò ma cercai di non darlo a vedere.
« Tranquillo, Zac, ti porto via da qui » affermai, prima di guardarmi velocemente intorno. Scivolai subito sulle ginocchia e cercai di slegare il ragazzino, ma la corda era stretta bene e l'impresa non si rivelava per niente facile.
« Dov'è mia sorella? »
« Non devi preoccuparti, è » al sicuro? Sicuramente no, Killian l'avrebbe protetta a costo della vita, ma essere lì in una stanza piena di gente che provava ad ammazzarsi a vicenda non la definiva sicuramente al sicuro « lei sta bene » mi corressi, quindi, almeno quella era una mezza verità, visto che la bambina non mi era parsa ferita, ma solo spaventata.
Finalmente riuscii a slegare completamente la corta, il bambino scattò subito in piedi e mi abbracciò. Gli accarezzai appena la testa, mentre sentivo il suo respiro tornare a regolarizzarsi, evidentemente più tranquillo. Mi alzai da terra, lo presi per mano e, prima di uscire da quella camera, guardai bene in ogni angolo, per assicurarmi che non spuntasse fuori nessuno. Non vidi niente, quindi uscii fuori con il bambino, ma non feci in tempo a raggiungere la porta d'ingresso che un proiettile mi passò davanti e si conficcò sulla parete al mio fianco.
Il secondo assassino era saltato fuori dal nulla, Zac mi si era stretto intorno alla vita per lo spavento e non riuscivo a lasciarlo andare per metterlo in salvo.
« Zac » gli urlai, mentre l'altro ricaricava la pistola « Zac devi andare via » provai ancora, quello sparò un altro colpo che riuscii ad evitare scansandomi velocemente, insieme al bambino « corri Zac, esci fuori, vai in strada! » Lo intimai e alla fine, per fortuna mi diede retta.
Corsi via anch'io, cercando riparo. Speravo che Jack e i gemelli fossero riusciti ad uscire dalla cucina e che qualcuno di loro venisse ad aiutarmi, ma qualcosa mi diceva di non contarci troppo. Mi guardai intorno, vidi una sedia di legno e cominciai a sbatterla contro il pavimento. Riuscii a rompere una gamba così la afferrai e mi appiattii contro il muro, aspettando che comparisse l'uomo.
Non mi fece aspettare neanche molto, non appena entrò nella stanza lo colpii in pieno volto con tutte le mie forze. La pistola gli scivolò tra le mani, così ne approfittai per atterrarlo; feci per colpirlo ma mi afferrò per i polsi e mi fece finire a terra. Mi colpì ripetutamente fino a quando non riuscii a colpirlo con un calcio in pieno stomaco e ad allontanarlo.
Mi alzai in piedi cercando di riprendere fiato, ma mi accorsi di non avere tempo neanche per quello. Lo vidi, infatti, mentre cercava di recuperare la sua pistola, così corsi veloce e con un calcio mandai via l'arma e allo stesso tempo gli colpii la mano. Questo lo fece innervosire, si alzò in piedi furente, mi prese per le spalle e mi fece sbattere contro la parete. Due volte. Tre volte. Sembrava non volersi mai fermare.
Riuscii comunque a poggiare le mie mani sulle sue spalle, provai a spingerlo via ma il dolore che mi provocava era davvero forte. Alla fine, non so neanche come feci, forse mollò lui o forse l'adrenalina mi caricò a tal punto, riuscii a spintonarlo via.
Cominciai a picchiarlo senza sosta fino a quando non mi afferrò il polso destro. Mi storse il braccio e mugugnai di dolore, ma cercai di non perdermi d'animo e con l'altra mano gli afferrai il passamontagna e glielo tolsi.
Mi ritrovai un uomo dall'aspetto crudele: occhi enormi e marroni come i capelli corti, che però portava rasati dietro le orecchie; una mascella lunga e prolungata che passava in secondo piano con quel grande naso che si ritrovava; dei baffi sottili e appena accennati sulle labbra e un viso all'apparenza troppo magro in proporzione al corpo possente e muscoloso che sembrava possedere.
Lo vidi scurirsi, qualcosa mi disse che fosse accecato dalla rabbia per quel mio gesto. Subito mi lasciò andare al polso e rapido mise entrambe le mani intorno al mio collo, ebbi tempo solo di lasciarmi scappare un mormorio per la sorpresa, prima che l'uomo cominciasse a stringere sempre più forte. Le mie mani erano sulla sua faccia, spingevo con tutte le forze che avevo, speravo di staccarlo, ma sembrava neanche accorgersi di quella mia reazione. In pochi istanti mi ritrovai ancora contro il muro, portai le mie mani sulle sue quando la stretta si fece più forte. Spalancai la bocca, non avevo più aria, le gambe tremavano e senza neanche accorgermene mi ritrovai per terra, con lui addosso, la sua stretta ancora ben salda.
« William, andiamo via! » Riuscii a sentire quelle grida dalla strada, sembrava la voce del secondo assassino, ma l'altro, William a quanto pareva, non voleva sentir ragioni.
Cominciai a scalciare, ma la storia durò poco. Sentii le forze abbandonarmi, mi sentii quasi annegare.
Smisi di lottare.
Poi un colpo di pistola, l'uomo mi lasciò andare e presi a tossire senza sosta, cominciando a massaggiarmi la gola senza rendermene conto. William si buttò dalla finestra e un attimo dopo sentii una macchina partire.
« Swan! » Killian buttò via la pistola ancora calda e si abbassò verso di me, mi fece sedere stringendomi appena le spalle « Stai bene?» Mi guardava visibilmente preoccupato, perciò mi sbrigai ad annuire.
« Sì » riuscii a dire, ancora con il fiatone « sì, sto bene » poggiai la mano sul suo braccio e gli sorrisi, lui fece altrettanto, decisamente più sollevato. Mi aveva appena salvato la vita, gliene sarei stata per sempre grata, anche se non era la prima volta che lo faceva, effettivamente. « Sei riuscito a colpirlo? »
« Sfortunatamente no, ma è bastato a lasciarti andare, è questo che conta » affermò, prima di aiutarmi ad alzarmi in piedi. Andai a guardare la finestra, in effetti ci trovavamo al primo piano, dubitavo che si fosse fatto veramente male, cadendo, soprattutto dopo che era riuscito a cavarsela saltando dalla torre più alta, sicuramente il fratello doveva avergli preparato qualcosa per attutire la caduta, perché altrimenti non sarei mai riuscita a spiegarmelo. « I ragazzi sono riusciti a liberarsi, insieme a Phoebe tenevamo l'altro in pugno e ha visto bene di scappare. I gemelli gli sono corsi dietro, ma dubito che riusciranno a prenderlo, o meglio a prenderli » annuii, mentre mi spiegava quello che era successo giù in pasticceria, anche se la mia preoccupazione era un'altra.
« I bambini? »
« Stanno bene, sono solo spaventati. Phoebe li ha portati fuori, abbiamo chiamato un'ambulanza e i genitori. Ma, Emma... dobbiamo chiedere loro se hanno visto o sentito qualcosa, so che non è il momento migliore, ma ogni istante che perdiamo è prezioso » annuii ancora, aveva ragione anche se mi scocciava mettermi a interrogare quei due bambini ancora sconvolti da tutto quello che era successo.
Mi feci forza e, una volta fuori dall'edificio, mi avvicinai a loro. Dei paramedici erano arrivati e avevano dato loro delle coperte. Quando mi videro mi sorrisero all'unisono, incurvai appena le labbra e mi sedei accanto alla più grande, dopo aver scompigliato i capelli del fratello.
« I vostri genitori stanno arrivando » li informai, prima le buone notizie, era sempre meglio cominciare con quelle. « Ragazzi, so che vi sto chiedendo molto, ma dovete dirmi se avete visto o sentito qualcosa in questi giorni, se avete mai visto i due uomini in faccia, se li avete mai sentiti parlare di storie o di riscatti... »
« No » fece la più grande « non li abbiamo mai visti. »
« Io però ho sentito mentre si chiamavano “Clayton” » guardai subito il più piccolo, Clayton? Perché quel nome non mi era nuovo? « Uno dei due diceva che tutti avrebbero temuto i Clayton e l'altro invece continuava a dire che stavano perdendo solo tempo, e che dovevano concentrarsi per trovare una certa Crudelia » spalancai la bocca sentendo quel nome, non poteva trattarsi sicuramente di una coincidenza.
« Sì esatto, nominavano sempre quel nome » gli fece eco la sorella, poi l'attenzione fu tutta per un'auto in arrivo, probabilmente a bordo c'erano i genitori. Li ringraziai dell'aiuto e li lasciai stare, allontanandomi da tutti.
Crudelia era legata ai due assassini, non potevo davvero crederci. E loro, i Clayton, avevo già sentito quel nome, anche loro dovevano far parte di una storia, non nutrivo il minimo dubbio su questo.
Continuavo a fare avanti e indietro, con le braccia conserte, fino a quando Killian e Phoebe non mi raggiunsero.
« Stai bene? » Mi chiesero entrambi. « Sei pallida, forse dovresti farti vedere anche tu da qualche medico » affermò Killian, già pronto a portarmi verso l'ambulanza.
« No, sto bene. E poi sei tu quello ferito » ribattei decisa.
« Non è niente, non serviranno neanche i punti. Allora cos'hai? »
« E' per quello che mi hanno detto i due bambini, i nostri uomini sono i Clayton, uno di loro deve chiamarsi William, probabilmente il più grande, ho sentito l'altro che lo chiamava » spiegai loro.
« Ma c'è dell'altro, vero? » Fece Phoebe, vedendomi così agitata.
« Parlavano di una certa Crudelia, sono abbastanza sicura che sia la stessa persona che ho conosciuto a Storybrooke poche settimane fa. »
« Cr-Crudelia? » Domandò di rimando Phoebe, io la guardai e annuii appena, solo lei poteva capire che dietro quel semplice nome c'era in realtà una storia più grande, una storia raccontata ai bambini e che non era poi solamente una storia.
« La conosci?! » Fece, invece, Killian, esaltato da quella notizia.
« La conoscevo » mormorai, ripensando al momento in cui l'avevo colpita, facendola cadere lungo il dirupo. « E' morta e... ed è stata colpa mia » dissi tutto senza guardare il pirata negli occhi. Non pensavo a quel momento da tanto, il vero momento che mi aveva fatto cadere nel baratro, che mi aveva fatto sentire “oscura” per la prima volta.
Sentii un rumore alle mie spalle e mi voltai di scatto. Giurai di aver visto qualcosa dietro l'edificio più vicino, ma gli altri non furono dello stesso avviso e insistettero affinché mi facessi controllare da un dottore, perché continuavo a tremare.
Circa un'ora dopo il mio telefono cominciò a squillare, il numero non comparve e questo mi fece spaventare. Il cuore cominciò a martellare, la brutta sensazione che avevo da giorni si ripresentò più forte, come a volermi buttare in faccia tutta la terribile verità.
Risposi con titubanza, una voce glaciale mi accolse lasciandomi di sasso.
« Abbiamo tuo figlio. »




Angolo dell'autrice: BOOM! Sì, vi lascio così perché sono una persona perfida e malvagia v.v lol Perdonate l'immenso ritardo, in realtà ci tenevo a postare entro febbraio e credevo veramente di riuscire a farlo, ma poi mi sono 'bloccata' e sono rimasta senza un po' di ispirazione, quindi perdonatemi. Il capitolo è pieno di azione, spero che vi piaccia perché io mi sono divertita veramente a scrivere l'ultima parte! ^^ Quindi abbiamo un nome e un volto: Clayton. Per chi non ci fosse arrivato, Clayton è il cattivo di Tarzan, quello che vuole catturare i gorilla e quasi ci riesce davvero! E' praticamente il mio cattivo spreferito (?), tra lui e Crudelia DeMon non so chi sopporto meno. E a proposito, lui e Crudelia sono anche immischiati in qualche modo BOOM! Comunque vi avevo detto di aver lasciato degli indizi: il primo, più vago, è il fatto che l'assassino fosse un cacciatore (Clayton infatti si presenta così, con quel suo grande fucile (oddeo, detta così è un po' brutta) pronto a sparare ad ogni animale che ha davanti praticamente); il secondo invece era difficile da trovare ma non impossibile: nel 12° capitolo avevo accostato la sua figura a quella di uno scimmione, per rimandare appunto a Tarzan e blablabla xD
Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate!
Anyway, ci tenevo a postare prima di domani/lunedì e, wow, ce l'ho fatta davvero! Sono eccitatissima per la puntata, quindi buon #OUATDay e buon 100° episodio *W* e buon rinnovo (???) perché yeeeah, avremo una sesta stagione alla faccia degli haters!
Vi mando un abbraccio, risponderò alle vecchie recensioni appena ho un attimo di tempo, promesso ;) Grazie mille a chi recensisce/mette la storia nelle varie categorie, che tra l'altro ho scoperto che è tra le 40 del sito con più recensioni positive e quindi GRAZIE davvero tante!
A presto,


PS. Sapete, ogni tanto vado a rileggermi pezzi dei capitoli precedenti, e nel primo (che tra l'altro si chiama “I will always find you”) ho ritrovato un dialogo dove Killian propone di pugnalare Gold e diventare così il nuovo DarkOne, ed Emma promette a se stessa che non avrebbe mai visto qualcuno dei suoi cari diventare Signore Oscuro. Potete immaginare la mia faccia xD io lo dico che Adam tra un tweet e l'altro mi ruba le idee!

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Capitolo 16
*** Come back to me (Part2) ***


16. Come back to me

(Part2)




Day 18



Avevo perso il conto di quante volte avevo rischiato di perdere Henry. Quando avevo deciso di darlo in adozione lo avevo fatto con la speranza di garantirgli una vita migliore della mia, e l'aveva avuta fino ai 10 anni, fino a quando non si era presentato alla mia porta per farmi entrare nella sua vita. Fino a quel momento, il massimo della preoccupazione che poteva aver avuto Regina nei confronti del ragazzino era quella di vederlo tornare a casa con un ginocchio sbucciato o con un polso rotto, niente di così allarmante. Poi sono arrivata in città e la questione è andata peggiorando sempre più.
Henry quasi non si faceva ammazzare per dimostrarmi che la magia esisteva davvero, più volte, per non parlare di quando era stato preso dagli scagnozzi di Peter Pan, o di quando Crudelia lo aveva minacciato. E ora veniva rapito da due psicopatici, tutto per colpa mia. Magia o non magia, essere la Salvatrice mi faceva mettere in pericolo tutte le persone a cui volevo bene, mio figlio in primis.
Quando, tre giorni prima, avevo sentito quelle tre misere parole per telefono mi era crollato il mondo addosso. Mi avevano garantito che non gli avrebbero fatto del male e che lo avrebbero lasciato andare presto, visto che in realtà volevano me. Mi ero offerta subito di fare quello scambio, ma loro replicarono dicendo che prima dovevano finire quello che avevano iniziato e di godermi appieno quegli ultimi giorni, perché non ce ne sarebbero stati altri.
Immaginavo che il “lavoro” che dovevano finire riguardava i fratellini che eravamo riusciti a salvare, per questo avevo detto a Killian di mandare degli agenti come scorta, limitandomi a dirgli che avevo semplicemente una brutta sensazione.


« Killian » mi avvicinai all'uomo posandogli poi una mano tremante sulla spalla sinistra. Quello si voltò subito, mi guardò sospettoso e smise di parlare con Jack, congedandolo per qualche minuto.
« Va tutto bene, Swan? Sei così pallida, hai un aspetto spaventoso » mi domandò, accennando un sorriso. Non risposi, non lo guardai neanche a dire il vero, troppo impegnata ad osservare che Jack si allontanasse di parecchi metri, così che non potesse sentire una sola parola. I suoi occhi si spostarono sulle mie mani, in effetti non riuscivo a fermarmi dal torturare le dita, continuavo a girare l'anello di Killian che avevo al pollice sinistro, era un'abitudine che avevo preso ultimamente e che mi ritrovavo a fare quando ero molto nervosa – cosa che lì a Londra succedeva davvero troppo spesso –. Cominciavo a pensare fosse meglio tenerlo al collo, magari mi sarei tolta quel nuovo tic. « Emma? »
« Sì » risposi, riemergendo improvvisamente dai miei pensieri, non sapendo bene che domanda mi avesse fatto. Smisi di guardare Jack, oramai era davvero molto distante, e tornai con lo sguardo sul mio pirata. « Volevo parlarti dei fratelli Cox » cominciai a dire, incrociando le braccia al petto e spostando il peso del corpo dal piede sinistro al destro, nervosa.
« Ti hanno detto qualcos'altro? Qualche altro dettaglio sui Clayton o su questa fantomatica Crudelia? »
« No, niente del genere, no. Sono solamente preoccupata. »
« Questo lo vedo, anche troppo aggiungerei » commentò l'uomo, che non aveva mai smesso di studiare il mio comportamento neanche per un secondo. Mi guardava come se fossi pazza e allo stesso tempo sembrava sinceramente preoccupato dalla mia agitazione. La verità era che cercavo di guardarlo negli occhi il minor tempo possibile, o sarei finita col vuotare il sacco, raccontare cosa fosse successo e probabilmente mettere in pericolo Henry ancora più di quanto già non fosse. Deglutii a quel pensiero, facendomi forza.
« Oggi siamo stati fortunati, » cominciai a dire, fingendo di ignorare il suo commento « siamo arrivati in tempo e li abbiamo messi in salvo, ma le persone con cui abbiamo a che fare sono pericolose e senza scrupoli – ce ne hanno dato dimostrazione fin troppe volte, direi – dobbiamo continuare a tenerli al sicuro » affermai con fermezza.
« Intendi che vuoi affidargli una scorta? » Domandò, anche se credevo di essere stata abbastanza chiara, pur non avendo usato quelle parole esatte. Mi limitai ad annuire, muovendo lentamente il capo, con espressione assente. « Sì, d'accordo. In realtà ci stavo pensando anche io », concesse l'uomo, senza togliermi gli occhi di dosso neanche per un istante « manderò Henry », un brivido mi percorse la schiena nel sentire quel nome, cercai di non darlo a vedere ma ero certa che non fosse sfuggito all'uomo « e Thomas a casa Cox domattina. »
« No » esclamai forse un po' troppo forte, con la coda dell'occhio notai Phoebe, poco distante, che si era appena girata ad osservarci. « No », ripetei, abbassando la voce « non possiamo perdere tempo, andranno subito. »
« Emma », cominciò a dire, la voce preoccupata quanto il suo sguardo. Abbassai gli occhi, non volevo incrociare i suoi per non crollare, era l'ultima cosa che mi serviva in un momento del genere, dovevo restare forte e concentrata. Notò come cercassi in ogni modo di evitare di guardarlo in faccia, perciò posò la mano destra sulla mia spalla sinistra e strinse forte, con fare protettivo e rassicurante. « Emma se sai qualcosa, se è successo qualcosa... sai che puoi dirmelo.» Sospirai.
« Lo so », annuii, la voce strozzata « non è successo niente, solo una brutta sensazione. »


Le dita correvano velocemente sulla tastiera, cercavo di digitare il più velocemente possibile, come se questo mi avesse effettivamente aiutato a guadagnare del tempo o cose del genere. La realtà dei fatti era che non sapevo quanto tempo mi restasse prima di essere presa da quei due folli.
In quei tre giorni avevo fatto di tutto per tenere la mia mente occupata, per non pensare ad Henry e a tutto quello che potevano fargli passare, ma non era servito a niente. Durante il giorno lavoravo senza sosta, continuavo ad indagare sui Clayton, cercavo informazioni sulla loro vita e anche su quella di Crudelia, anche se era praticamente impossibile risalire a qualcosa, avevo scoperto veramente poco perfino sull'ex marito della donna.
Poi la sera, o meglio notte, o, ancora meglio, mattina visto che mi coricavo a letto solitamente poco prima dell'alba, mi ritrovavo su quello scomodo divano di pelle nel salone di Phoebe, a guardare il soffitto e ogni possibile crepa, incapace di chiudere gli occhi. Il pensiero di mio figlio non mi abbandonava un solo istante con le luci della casa che si spegnevano, aspettavo che la ragazza andasse a dormire per potermi sfogare versando qualche misera lacrima trattenuta durante il giorno.
« Caffè! »
Phoebe uscì dalla cucina con una tazza bianca fumante che adagiò, poi, sopra il tavolino alla mia sinistra.
« Grazie » affermai, alzando finalmente gli occhi dallo schermo del portatile che tenevo poggiato sulle mie ginocchia da... non portavo neanche più il conto delle ore.
Accennai un flebile sorriso e tornai alla mia ricerca. Era una scenetta che andava avanti da tre giorni, ormai, con la differenza che, quel pomeriggio, la ragazza si sedette alla mia destra, sentivo i suoi occhi fissi su di me ma cercai di ignorarli.
« Non hai trovato niente? » Domandò, dopo qualche secondo, forse rendendosi conto che se fosse dipeso da me sarei rimasta muta fino a quando quella situazione non si sarebbe conclusa.
« No » risposi debolmente alzando gli occhi dallo schermo e socchiudendoli appena. Avevano cominciato a bruciarmi, ma continuavo a stringere i denti e a non pensarci e fino ad allora aveva funzionato. « Sono irrintracciabili! Non mi è mai capitata una cosa del genere prima d'ora, eppure questo era il mio lavoro fino a pochi anni fa ed ero la migliore su questo campo » sbottai, sfinita.
Avevo paura che non sarei riuscita a risolvere niente. In quei giorni avevo provato a risalire al loro nascondiglio o a qualcosa del genere così da salvare Henry il prima possibile e catturare i due uomini prima che potessero fare del male ai fratelli Cox, ma si stava rivelando tutto un buco nell'acqua e, per me, era davvero una situazione insostenibile.
« Vedrai che li troveremo e li sbatteremo dietro le sbarre » affermò l'altra, sicura di quello che stava dicendo. Non sapevo se lo diceva perché ci credeva davvero, se invece lo faceva perché voleva farmi tranquillizzare in qualche modo o se stesse cercando di auto convincersi.
« Sì, certo, ma quando?! » Continuai io, nervosa. Sapevo che saremmo riusciti a prenderli, in qualche modo, non eravamo mai stati così vicini, ma mi preoccupavo per l'incolumità di mio figlio, volevo vederlo sano e salvo il prima possibile, non potevo aspettare, nessuno poteva chiedermi di aspettare.
« Sono certa che Henry stia bene » provò ancora. Lei era l'unica a conoscenza di tutto quello che stava succedendo, proprio la sera prima le avevo rivelato ogni cosa, non potendo più portare quel peso da sola. Era rimasta sconvolta e aveva cercato di convincermi a parlare con Killian, ma alla fine mi aveva promesso che avrebbe tenuto la bocca chiusa.


Era ormai passata la mezzanotte. Avevo cominciato ad indagare sulla vecchia vita di Crudelia DeVil curiosa di capire cosa l'avesse portata dai Clayton o che rapporto ci fosse stato tra loro, sperando che in quel modo spuntasse fuori qualcosa anche sui due fratelli. Ad essere completamente oneste, cercare Crudelia era la mia ultima spiaggia: le avevo tentate tutte, ormai, e non era spuntato fuori niente.
E poi eccola lì, Crudelia, la stessa persona che era entrata a Storybrooke alla ricerca del lieto fine che Isaac, l'Autore del libro di fiabe, le aveva negato. Non riuscivo a trovare dettagli della sua vita nel mondo reale che potessero tornarmi utili e le ultime informazioni su di lei risalivano all'arresto di suo marito, il signor Feinberg. I fratelli Clayton non venivano mai nominati, neanche tra le pagine dei vari scandali di Crudelia, ovvero multe, frequentazione di posti poco raccomandabili, problemi con l'alcool e con gli uomini.
Chiusi il portatile e lo accantonai in un angolo del divano, lontano da me. Mi presi la testa fra le mani, piegando appena la schiena verso l'avanti, e cominciai a respirare profondamente. Ogni buco nell'acqua era stato come una pugnalata in pieno petto, a quell'ultima batosta mi ero sentita mancare il respiro e per questo cercavo di calmarmi come meglio potevo.
Quando mi fui ripresa, più o meno, mi alzai in piedi e cominciai a camminare per il salotto, nel buio più totale, le mani sui fianchi che ad intervalli regolari finivo col passarmele in testa, in mezzo ai capelli. Se neanche con quell'ultima ricerca era saltato fuori niente significava che non avevo molte possibilità di trovare il nascondiglio dei Clayton, quindi l'unica cosa che mi restava da fare era aspettare che si facessero vivi loro e sperare che nel frattempo avessero mantenuto la loro parola di non far del male ad Henry.
Presa da un impeto di rabbia, tirai un calcio contro il tavolino facendo finire una bottiglietta semivuota d'acqua, fortunatamente di plastica, a terra. Avrei voluto batterli sul tempo, rovinare qualsiasi piano avessero in mente, trarre mio figlio in salvo e concludere quella faccenda una volta per tutte. E invece, ancora una volta, ero impotente.
« Emma! » Mi voltai giusto il tempo di individuare la sagoma di Phoebe, in piedi davanti a me. Dovetti poi strizzare e chiudere gli occhi, costretta dalla luce accecante che la ragazza aveva appena acceso premendo l'interruttore alla sua destra. « Ancora a cercare informazioni sui Clayton? E' notte fonda, non risolverai niente adesso, soprattutto non da sola! Domani, a Scotland Yard, se ci degnerai della tua presenza, lavoreremo insieme e- »
« No », la bloccai prima che potesse aggiungere altro, la sua voce cominciava a farmi venire la nausea, o era quello oppure il fatto che non mettevo niente tra i denti da tutto il giorno « è una cosa che devo fare da sola. »
« Come scusa? » Domandò di rimando, alzando un sopracciglio. « Non vorrei sembrarti pignola, ma noi – io, Jack e gli altri, voglio dire – stiamo dietro a questo caso da settimane. Capisco come tu possa sentirti coinvolta con questa... faccenda delle fiabe o di Crudelia, ma- »
« E' una cosa che
devo fare da sola » sbottai, facendo risuonare la mia voce per tutto l'appartamento, tanto che mi parve di sentire un certo mugolio da parte dei cuccioli di Phoebe.
Mi lasciai ricadere sul divano, poggiai i gomiti sulle gambe e incrociai le mani. Le dita andarono subito a cercare l'anello di Killian, bisognose quanto poteva esserlo un fumatore che non toccava una sigaretta da ore. L'altra rimase lì, in piedi, ad osservarmi silenziosa, non sapendo probabilmente cosa dirmi o perché mi stessi comportando in quel modo così assurdo da qualche giorno. Cercai di ignorarla, mi girai alla mia destra e ripresi il portatile che avevo abbandonato poco prima, rimettendolo sulle ginocchia pronta a ricominciare da capo quella ricerca, quella corsa contro il tempo.
Phoebe non smise certo di fissarmi. Ad un tratto fece per allungare il braccio destro, strinsi d'istinto il pc avvicinandolo maggiormente al mio petto, immaginando che volesse togliermelo dalle mani per convincermi a dormire e a rimandare ogni cosa al giorno dopo. Alla fine si fermò, sospirò sonoramente e si limitò a sedersi al mio fianco. La guardai con la coda dell'occhio, indossava un pigiama grigio con raffigurata la Union Jack, portava una coperta rosa sulle spalle e teneva i capelli raccolti in una coda spettinata.
« Hai scoperto qualcosa sui Clayton? » Mi domandò, dopo circa dieci minuti di completo silenzio, passati più che altro ad osservarmi digitare parole sulla tastiera o a leggere gli articoli che comparivano sullo schermo. Mi fermai dal premere tasti e guardai dritto davanti a me, come in trance.
« No, sto cercando di risalire a loro tramite Crudelia, ma non riesco a trovare niente » risposi, sconfitta. Quelle parole assumevano un certo peso se pronunciate ad alta voce, mi facevano sentire quasi una perdente. Ed io stavo veramente perdendo ogni cosa.
« Killian è preoccupato per te » affermò la ragazza per tutta risposta, buttandola lì come se fosse una cosa inerente al discorso o alla precedente domanda che mi aveva posto. Sospirai.
« Non dovrebbe » mentii. Oramai, era una cosa che mi riusciva bene, mentire, solo che odiavo farlo e allora mi estraniavo. Mi ero completamente estraniata dagli altri, in quei giorni, non lasciavo entrare nella bolla che mi ero costruita neanche Killian, nonostante tutti i vari tentativi dell'uomo. Pensandoci bene, la situazione poteva anche far ridere: avevo passato le ultime settimane ad avvicinarlo e ora mi ritrovavo a respingerlo.
« Siamo tutti preoccupati per te, Emma. E' per la storia di Crudelia? E' successo a Storybrooke, vero? » Apprezzai il fatto che non avesse esplicitamente pronunciato la parola “omicidio”, o la frase “come l'hai uccisa?”. La verità era che, nonostante il senso di colpa per quello che era successo non mi avesse mai abbandonata neanche per un istante, quello era decisamente l'ultimo dei miei pensieri, ma decisi di assecondare comunque Phoebe.
« Sì, è una storia lunga. E complicata » come la maggior parte delle cose successe nella mia vita, ma omisi quel pensiero. « E' successo non molte settimane fa, a dire il vero. Per una serie di motivi che non ti sto a spiegare, aveva preso Henry, mio figlio, e minacciava di ucciderlo se io non avessi... fatto quello che voleva » mi fermai. Avevo appena realizzato che stava succedendo tutto di nuovo, come avevo potuto permetterlo? Il mio cuore cominciò a partire a mille, così all'improvviso che mi allarmai io stessa in un primo momento. Portai una mano sul petto e cercai di regolarizzare il respiro.
« Emma? »
« Sto bene », mormorai veloce, prima di un altro respiro profondo « sto bene » ripetei. “Henry sta bene” mi dissi, anche se non potevo esserne sicura al 100%. Cercai di accantonare quel pensiero dalla mente, doveva stare bene, basta. « Non sapevo che non potesse effettivamente fargli del male – anche questa è una lunga storia », ripresi a spiegarle « in quel momento la mia sola preoccupazione era quella di salvare mio figlio, capisci? Così non ci ho pensato più e l'ho fatta cadere da un dirupo. E' morta sul colpo. »
« Cavoli, non è una bella storia » affermò Phoebe, guardandomi dispiaciuta. Forse le facevo pena, davvero, ci mancava solo quella al momento. Cercai di non pensare al suo sguardo, osservando un punto indefinito dietro la sua spalla.
« No, non lo è » mugugnai, sovrappensiero.
« Ma non per questo devi estraniarti. Nessuno ti giudica per quello che hai fatto, non avevi altra scelta. Non devi sentirti responsabile per il caso solo per quello che è successo a Storybrooke. »
« Non è per questo... »
« E allora cos'è? » Sospirai, restandomene in silenzio. Phoebe lo prese come un segno per continuare a parlare, evidentemente « Va bene se non vuoi dirlo, ma almeno lasciati aiutare. Dobbiamo aiutarci a vicenda o non ne verremo mai fuori- »
« No, Phoebe, no », la interruppi ancora « non potete aiutarmi, solo... non potete. »
Ci avevo pensato più volte a confidare tutto a Killian, a sfogarmi, a chiedere il suo aiuto, ma non potevo farlo. Avevo un incredibile bisogno del suo sostegno, mi sentivo crollare ormai, ma temevo per la vita di Henry. Erano stati chiari, non dovevo parlarne con nessuno e non dovevo mettere in mezzo la polizia, cos'altro potevo fare? Mi alzai dal divano, diventato improvvisamente scomodo, e cominciai a camminare per la stanza.
« Dimmi almeno perché », scossi la testa all'ennesima richiesta della ragazza. Mi sentivo esplodere, al momento volevo solamente vomitare ma mi rifiutavo di cedere anche dal punto di vista fisico, oltre che mentale. « Swan » provò ancora; scossi di nuovo la testa. Stavo per mettermi a gridare, avevo una gran voglia di urlare tutta la mia disperazione. « Vuoi smetterla di fare la stronza, cazzo?! Non ci sei solo tu in questa situazione, tutti noi abbiamo da perdere qualcosa, non lo capisci, maledizione? »
« HANNO PRESO MIO FIGLIO » esplosi.
Un silenzio sovrumano calò in tutto l'appartamento. I cuccioli nell'altra stanza parevano essersi calati improvvisamente in un sonno profondo, le auto che ogni notte disturbavano il mio sonno passando incessantemente nella strada di fronte il condominio di Phoebe sembravano essersi dissolte nel nulla. Perfino il vento aveva smesso di soffiare e di sbattere contro le finestre. Era tutto così dannatamente inquietante, come se il mondo si fosse fermato nel sentire la mia rivelazione.
Tutto quel silenzio cominciò a soffocarmi.
Phoebe non batteva ciglio, si limitava a guardarmi, in attesa. Di cosa, mi domandai. Forse aspettava che la rassicurassi, che cambiassi la mia risposta dicendole che stavo scherzando. Se non fossi stata tanto impegnata a trattenere le lacrime, probabilmente mi sarei indignata, come se potessi anche solo pensare di scherzare su una cosa del genere.
Ci guardavamo negli occhi, avevo il respiro corto e il cuore che batteva a mille, a duemila, a cinquemila. Ero spaventata, terrorizzata, preoccupata, ma anche sollevata. Non ne potevo più di portare quel peso da sola, ma d'altra parte adesso avevo il terrore che i Clayton scoprissero che avevo raccontato tutto a qualcuno, temevo ogni possibile conseguenza.
La ragazza parve leggermi nella mente, o negli occhi, immaginavo che adesso le fosse più chiaro il motivo della mia agitazione degli ultimi giorni, tutto aveva un senso. Non seppi mai se perché non sapesse cosa dire o perché semplicemente fosse in pena per me, ma, dopo un piccolo attimo di esitazione, cogliendomi totalmente impreparata, si avvicinò a me e mi abbracciò.


« Non puoi assicurarmelo, Phoebe » sospirai, cominciando a massaggiarmi debolmente le tempie con le dita, esausta.
« No, non posso », mormorò l'altra, cercando di rimanere calma, sapevo che la stavo mandando all'esasperazione « ma se gli fosse successo qualcosa penso che lo sapresti a quest'ora. » La guardai con la coda dell'occhio, scettica. Decisi di non ribattere solo perché stava facendo davvero molto per me nonostante non ci stessimo proprio totalmente a genio, e di questo gliene sarei stata grata per sempre. « Ora bevi il tuo caffè », aggiunse poco dopo « oggi vieni a Scotland Yard con me, hai bisogno di uscire da questa casa. »
« Non ci vengo in centrale, pensavo di essere stata chiara. »
« Ormai non riguarda più solo te, Emma. Ti ho promesso che ti avrei aiutata a trovare Henry e lo farò, ma il caso non si risolverà mai se non collaboriamo tutti. » Mi voltai, riflettendo sulle sue parole: avevo bisogno dell'aiuto di tutti per risalire ai Clayton, ormai lo avevo capito, ma se mi ero tenuta alla larga da loro era per non doverli guardare in faccia e fingere che andasse tutto bene. Ero stanca di doverlo fare. « Se Killian comincia a farti pressione me ne occuperò io, promesso » sorrisi a quell'affermazione, abbassando appena gli occhi.
« Non fa niente, tranquilla, so gestirlo » affermai, portandomi poi alla bocca la tazzina fumante, per bere il peggior caffè che avessi mai assaggiato.
Killian in quei giorni era sempre stato presente, aveva sempre cercato di non lasciarmi sola e più volte aveva tentato di capire cosa mi stesse passando per la testa. Se Henry non fosse stato al centro dei miei pensieri, mi sarei sentita lusingata da quelle attenzioni e anche divertita da quella situazione che si era letteralmente ribaltata e che mi riportava con la mente alle mie prime interazioni con il pirata.
Io e Phoebe arrivammo a Scotland Yard, quindi, circa un'ora e mezza più tardi. La ragazza aveva insistito affinché mi dessi una sistemata e, stranamente, mi ero ritrovata a darle ragione e a coprire come meglio potevo quei segni sul mio volto che le ultime notte insonni, lo stress e tutto il resto, avevano lasciato. In genere non davo troppo peso a tutte quelle attenzioni, ma non volevo che gli altri si preoccupassero per me vedendomi così trasandata – o malandata?. Tuttavia, non potevo far miracoli e sia il colorito pallido della pelle che le borse sotto ai miei occhi stanchi erano ancora ben visibili, perciò mi toccava sperare che non vi dessero troppo peso.
Appena entrata in stazione tutti si voltarono a guardarmi, come avevo immaginato, li ignorai e passai tranquilla davanti le loro scrivanie, diretta a sedermi accanto a Phoebe.
« Emma? » Killian sbucò fuori dal suo ufficio e rimase lì in piedi davanti la porta.
Mi domandai se mi stesse aspettando, o meglio se stesse aspettando di vedermi tornare a lavoro prima o poi, dato che, come avevo notato poco prima, la porta del suo ufficio era aperta, fatto più che insolito. L'uomo, comunque, non aggiunse altre parole, si limitava solamente a lanciarmi uno sguardo che mi intimava di raggiungerlo. Così non persi tempo ed entrai nel suo ufficio, lui chiuse la porta alle mie spalle non appena gli passai davanti.
« Come stai? » Domandò subito senza neanche darmi il tempo di sedermi, anche se io non avevo la minima intenzione di farlo. Difatti restai in piedi al centro dello studio, mentre lui mi girava intorno e si sedeva al suo posto. Alzai le spalle.
« Bene » risposi, guardandomi prima la punta delle scarpe e poi lui.
« Non sono nessuno per pretendere di sapere cosa ti è successo », cominciò a dire, ignorando completamente la mia risposta, come se già sapesse che avrei mentito a prescindere « non voglio obbligarti a dirmelo in nessun modo, è solo che voglio aiutarti », la sua voce era dolce, ma riuscii ad avvertire il suo disagio. Dal tono calmo riusciva a trasparire ugualmente tutta la preoccupazione che stava provando, a causa mia o del caso, o magari di entrambe le cose. Mi fece uno strano effetto. « Gli altri pensano che c'entri la storia di Crudelia, pensano che tu ti senta in colpa o cose del genere » continuò poi, poggiandosi allo schienale della sedia e passandosi velocemente la mano sugli occhi. Mi ritrovai a sorridere sarcastica, non so se fosse dovuto alla stanchezza o ad altro.
« E tu? » Gli domandai, entrambi alzammo lo sguardo nello stesso momento perdendoci negli occhi l'un l'altro « Tu cosa pensi? »
« Penso che ci sia dell'altro, qualcosa di importante e di serio. Penso che tu abbia delle buone ragioni per non condividere questa cosa con noi e sono serio quando dico che non voglio saperla, non perché non mi interessi, anzi tutt'altro. Ma sono giorni che ti sei chiusa in te stessa e non lasci avvicinare nessuno, non ti ho né vista e né sentita, Phoebe ci ha detto che a casa non ti comporti diversamente. Non so se te ne sei resa conto, ma sono preoccupato per te, Emma. »
Non riuscivo più a guardarlo negli occhi, mi sentivo quasi sotto esame, per questo mi girai a osservare la finestra, la gente fuori che passava gustandosi quei rari raggi di sole nell'autunno londinese. Conoscevo bene quello sguardo di Killian, glielo avevo visto fare molte volte ed era sempre riuscito a cavarmi fuori la verità, per quanto terribile o dura fosse, non ero mai riuscita a mentirgli, non ero mai riuscita a resistere a quegli occhi che mi chiedevano solamente fiducia.
Avrei voluto davvero dirgli tutto, in quel momento, perché in quelle settimane non lo avevo mai sentito così vicino come in quel momento. Lo sapevo dalla mia parte, sentivo quanto ci tenesse, il suo desiderio di aiutarmi era così sincero e dettato dal suo cuore che mi veniva quasi da piangere. Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime mentre trattenevo le parole che voleva sentirsi dire, tutta la verità e ogni possibile spiegazioni sul mio comportamento degli ultimi giorni. Lo avrei fatto, se ci fosse stato qualcun altro al posto di Henry sarei stata felice di cedere a quelle pressione così da sfogarmi e chiedere l'aiuto dell'uomo che amavo, ma avevo già rischiato troppo nel rivelarlo a Phoebe, ero davvero terrorizzata a tal proposito.
« Dimmi cosa posso fare per aiutarti, per favore » aggiunse dopo un breve istante di silenzio e di riflessioni. Quel “per favore” mi spezzò, fu come un pugno nello stomaco. Deglutii e chiusi gli occhi, scossi appena la testa per ricacciare indietro parole e lacrime.
« Se vuoi davvero aiutarmi », cominciai a dire, decidendomi finalmente a guardarlo in faccia « troviamo quegli assassini, insieme. Troviamo il loro nascondiglio. Oggi » mi maledissi per quelle lacrime che cominciarono a sfuggire al mio controllo, calando lungo le mie guance. Cercai comunque di controllarmi, di non scoppiare in un pianto disperato e parevo riuscirci, ma allo stesso tempo non riuscivo ad arrestare quelle misere gocce salate che uscivano dai miei occhi.
Killian scattò subito in piedi, avvicinandosi a me, « Emma! » Esclamò, come se mi fossi appena fatta del male o mi trovassi in chissà quale pericolo. Abbassai il capo, non volevo che mi vedesse in quello stato, ma questo non gli impedì di accarezzarmi la guancia sinistra e di alzarmi il volto, così che potessi specchiarmi nel suo mare. « Li troveremo, te lo giuro. Non so perché sei così provata da questa situazione, ma non ti lascio sola ad affrontarla. Li cattureremo, insieme. E' una promessa. »
Sentivo il suo respiro sulle mie labbra, mi domandai se si fosse accorto di quanto fossimo vicini in quell'istante. Le sue parole riuscirono a fermare il pianto silenzioso, ricacciando dentro ogni lacrima. La mia mente quasi si svuotò da ogni pensiero, immersa nei suoi occhi. Mi sembrò quasi che i nostri cuori battessero all'unisono, così come i nostri respiri che si incrociavano nello stesso momento.
Avrei potuto baciarlo. Una parte di me mi diceva che lui stesse pensando la stessa cosa e che, magari, non gli sarebbe neanche dispiaciuto. Non sapevo cosa sarebbe successo dopo, ma non era quell'incertezza a frenarmi, no, semplicemente non volevo rovinare quell'attimo di assoluta calma. Era una sensazione piacevole, quasi magica, era come se il tempo si fosse fermato e non volevo fare niente per riattivarlo. Riuscii comunque ad alzare la mano destra e a prendergli la sua, non la tolsi dalla mia guancia, non ne ebbi quasi il coraggio o forse la forza, non saprei dire.
Chiusi gli occhi ed inspirai profondamente. Con il pollice carezzai il dorso della mano dell'uomo e lui fece la stessa e identica cosa a contatto con la mia guancia. Quando riaprii gli occhi lo sorpresi ad osservarmi le labbra. Fu un attimo, perché un istante dopo mi scrutava nelle iridi verdi, riuscii quasi a percepire la sua speranza nel fatto che non mi fossi accorta di niente. Fui io, invece, a spostare lo sguardo sulle sue, di labbra. Ebbi come il sospetto che non me ne sarei pentita, quella volta, se avessi assaporato nuovamente il loro sapore. Killian era pronto? Non lo sapevo, davvero. Forse temevo solamente la risposta, fatto era che non riuscivo a capirlo.
Mi ero quasi decisa, mi ero anche avvicinata maggiormente al suo volto, pronta a baciarlo, quando il pensiero di Henry tornò a bussare alla porta della mia mente. Non potevo permettermi distrazioni, di nessun tipo, dovevo pensare a mio figlio, a metterlo in salvo. I miei occhi si colorarono di tristezza, Killian se ne accorse e lasciò andare la mia guancia per afferrarmi la mano. Le nostre dita si intrecciarono, mentre la stringeva forte neanche volesse darmi parte della sua forza. Gli sorrisi, mi sforzai di mostrargli quel mezzo sorriso, seppur tirato e triste.
I miei occhi, poi, senza che me ne rendessi veramente conto, andarono a posarsi sulla lavagna alle spalle di Killian. Sgranai gli occhi non appena osservai tutti i luoghi dove erano stati ritrovati i corpi e subito mi allontanai dall'uomo per vedere meglio.
« Swan? » L'altro era visibilmente frastornato, si mise al mio fianco continuando a lanciare occhiate a me e ai fogli sulla lavagna, che cominciai poi a staccare e a rigirarmeli tra le mani per studiarli al volo. « Che succede? » Provò ancora, mentre il mio viso si illuminava di stupore e di speranza. In quel momento mi era tutto più chiaro, non potevo credere che eravamo stati così ciechi da non rendercene conto prima! Avevamo la soluzione a portata di mano e l'avevamo completamente ignorata.
« Credo di aver trovato il loro nascondiglio! »
« Cosa? » Lo guardai raggiante, prima di posare tutti quei fogli sulla scrivania, pronta uscire. « Cosa, che stai facendo? Dove stai andando? Swan! »
« Devo controllare una cosa... nei fascicoli che ho lasciato a casa di Phoebe! Non ci metterò molto, ti chiamo appena ho la conferma dei miei sospetti! »


*Killian Pov*


Se ne andò così, Emma Swan, con una rapidità che mi disarmò. Chiese le chiavi dell'auto di Phoebe e partì sola, a tutta velocità, lasciando me e la squadra senza parole per spiegare quell'insolito comportamento.
Emma era una persona insolita, ormai lo avevo capito, ma quello era troppo anche per lei.
In quei giorni si era completamente isolata: dopo aver salvato i fratelli Cox era tornata a casa con Phoebe e da allora non si era più fatta vedere a lavoro. Avevo provato a chiamarla al telefono ma non aveva mai risposto, avevo provato anche a presentarmi a casa della mia collega, ma Emma si chiudeva in camera della ragazza, il più delle volte, per non farsi vedere. Avevo provato di tutto, le avevo anche lasciato dei messaggi, non so per quale motivo, una parte di me voleva solo sentire che stava bene. Lei non aveva mai risposto e Phoebe non mi aveva mai dato troppe spiegazioni – per quanto ne sapevo a casa si comportava allo stesso modo.
Avevo cominciato anche a sentirmi in colpa nei confronti di Rose, cercavo di non far caso a quella sensazione ma proprio non ci riuscivo. Non l'avevo più sentita da quando se ne era andata, non che avessi provato a contattarla ultimamente. Le avevo lasciato lo spazio che mi aveva chiesto, credevo fosse la cosa che desiderava al momento. In poche parole mi ero ritrovato a ignorare la mia fidanzata – anche se su sua richiesta – e a cercare in più modi di contattare un'amica che conoscevo da poco, pur sapendo che quei gesti non sarebbero andati molto a genio a Rose.
E poi c'era... quell'ultimo momento che avevamo passato insieme. Cosa significava? Era stato veramente intenso, forse troppo. Non lo nego, avevo provato il desiderio di baciarla ma, dannazione, solamente un uomo senza tutte le rotelle a posto non avrebbe voluto farlo. Non significava niente, era una bella donna e le posizioni in cui ci eravamo trovati avevano amplificato ogni cosa, ogni sentimento.
Tra l'altro non avevo neanche capito perché si fosse ritratta così inaspettatamente.
Mi girai a guardare la lavagna, gli stessi fogli che aveva studiato lei poco prima. Aveva trovato degli indizi o comunque aveva capito qualcosa di veramente importante che però a me continuava a sfuggire. Avevo studiato quelle carte un'infinità di volte, e come me lo aveva fatto la mia squadra, ma non mi ero mai accorto di niente e continuavo a non capire cosa non stessi vedendo.
Il telefono squillò e mi ritrovai a sussultare. Ero talmente concentrato a studiare quegli appunti che avevo perso totalmente la concezione del tempo.
« Swan? » Risposi subito al cellulare non appena lessi il nome della donna. Aveva detto che mi avrebbe contattato non appena avuta la conferma dei suoi sospetti, quindi ero pronto a raggiungerla, se non a scovare quei pazzi psicopatici.
« Avevo ragione Killian! » La sentii esultare entusiasta. Sorrisi di rimando mentre uscivo dall'ufficio e mi avvicinavo, carico, a Phoebe e Jack, non dovevamo perdere un attimo di tempo. « So dov'è il nascondig... » un rumore assordante risuonò nell'apparecchio, tanto che dovetti scostare l'orecchio.
« Emma? » Non rispose, sentivo solo il suo fiato corto e dei passi veloci: probabilmente stava scappando pur rimanendo con il telefono attaccato alla faccia. « Emma! » Urlai, quasi, mentre tutti si giravano a guardarmi spaventati, ma non quanto lo ero io.
« Killian! » Fece di rimando lei, sentivo la paura della sua voce e questo mi irrigidì, ma cercai di non perdere la calma.
« Emma che succede? Noi stiamo arrivando », affermai facendo segno agli altri di muoversi « ma dimmi che succede. Emma, dimmi che stai bene. »
« I Clayton », esclamò « Killi- AAAAH »
« Emma? Emma rispondi! Parlami Swan, cazzo! »
Ma non rispose, nessuno rispose. Rimasi con il telefono in mano per qualche instante, immobile, ad aspettare, prima che Phoebe mi riscosse e mi fece salire nella macchina di Jack, nei sedili posteriori. Il mio cuore aveva ormai perso il battito regolare e continuava a martellare all'impazzata. Era successo qualcosa di brutto, non avevo capito molto ma la voce di Emma mi era parsa veramente terrorizzata e questo mi faceva impazzire.
Mi domandai se non fosse andata al loro nascondiglio prima di contattarci, lo dissi anche alla squadra ma loro preferirono andare a controllare prima a casa. E se i Clayton l'avessero raggiunta? Ma perché? Cosa volevano da lei? L'avevano rapita o... no, non volevo neanche pensare a quell'altra ipotesi, non avrei potuto sopportarlo.
Arrivati davanti al palazzo della ragazza corsi fuori dall'auto, prima che Jack avesse il tempo di fermarla.
« Killian! » Sentii Phoebe rimproverarmi, ma sapevo che fosse agitata quanto me pur non avendo sentito direttamente Emma.
La porta dell'appartamento era spalancata e mi precipitai dentro senza pensarci due volte.
« Emma? Ti prego Emma, dimmi che sei qui! » Ma non rispose, addirittura sembrava non essere mai stata lì dentro, o meglio nessuno sembrava essere stato lì dentro nelle ultime ore, ad eccezione forse dei cani di Phoebe che si erano messi ad abbaiare senza sosta.
L'interno era completamente immacolato, se davvero i due uomini l'avevano raggiunta mi sembrava impossibile che non vi fosse un po' di caos, soprattutto dopo averla sentita così agitata mentre correva via da qualcosa.
« Non c'è nessuno qui », constatò Jack, una volta che mi ebbe raggiunto seguito dall'altra ragazza « forse davvero è andata ad affrontarli da sola. »
« No », esclamai un po' troppo forte, nauseato da quell'idea « non avrebbe senso. La porta era spalancata, sono stati qui » affermai deciso mentre lasciavo il salotto per ispezionare le altre camere.
Il bagno era vuoto, non che mi aspettassi di trovarla lì, veramente. Mi avvicinai alla camera di Phoebe e provai ad aprire la porta, ma non ci riuscii: era stata chiusa a chiave.
« Phoebe! » La chiamai allarmato « Sei stata tu a chiederla? » Le domandai quando mi fu davanti, ma lei scosse appena il capo.
« No, la lascio sempre aperta.. non capisco. »
Provai ancora ad abbassare la maniglia, più volte, e a spingere, come se il mio cervello non sapesse che fosse tutto inutile.
« Emma, sei lì dentro? » Domandai rivolto al nulla, senza fermarmi un istante. Avrei buttato giù quella porta da solo se sarebbe stato necessario.
« Killian, fermati! » La ragazza alle mie spalle mi afferrò e cercò di spingermi via « Andiamo a cercare la chiave, se Emma ha chiuso la stanza deve aver avuto delle ottime ragioni, ma non credo che lei sia qui. Cerca qualcosa che può aiutarci ad aprire la porta, in caso quella maledetta chiave non dovesse spuntare fuori! » Phoebe mi lasciò solo, mentre con Jack cominciarono ad ispezionare ogni angolo della casa.
Cosa c'era lì dentro di così importante? Continuavo a domandarmi se si fosse chiusa lei stessa al suo interno, ma non avrebbe avuto senso ignorarci e non rispondere neanche una volta a noi che continuavamo a chiamarla. Avevo paura che fosse ferita, o peggio. Poteva essere svenuta e per questo non rispondeva. Magari aveva bisogno di soccorso, il prima possibile.
« Dannazione, apriti maledetta! » Urlai furioso mentre continuavo a sbattere con le spalle addosso alla porta, cominciando anche a farmi male sul serio ma ignorai ogni dolore fisico e non mi fermai.
« L'abbiamo trovata! » Sentii gridare Jack da... fuori l'appartamento? La sua voce mi appariva lontana, stupito mi fermai e mi voltai ad aspettarli. « Era fuori, in strada. Deve averla lanciata via! » Ipotizzò, mentre mi dava la chiave, eccitato.
« Forse i Clayton erano davvero qui e deve averla buttata via per non farli entrare qui dentro » provò anche Phoebe, incrociando le braccia e aspettando.
Tutti e tre eravamo curiosi di sapere cosa ci fosse in quella camera di così importante. Doveva essere un indizio fondamentale, perché altrimenti Emma non si sarebbe presa la briga di chiuderlo a chiave così che gli assassini non potessero vederlo. Ma se fossero stati loro a buttare via la chiave per non farcela trovare? No, non l'avrebbero mai lasciata così vicino, probabilmente non se ne sarebbero neanche separati.
Con tutte quelle teorie per la testa e con mano tremante, abbassai la maniglia e aprii finalmente la porta. Era vuota, non c'era la minima traccia di Emma neanche lì. Entrai un po' sorpreso e un po' sconsolato, cominciai a guardarmi intorno ma non trovai nulla di insolito. Non capivo, cosa doveva esserci in quella stanza? Cosa aveva trovato Emma?
Alla fine guardai la scrivania, c'era una mappa di Londra aperta, immaginai che l'ultima a controllarla fosse stata Emma, così presi gli angoli tra le mani e l'alzai per vederla meglio. Proprio in quel momento qualcosa scivolò da sopra la cartina e cadde a terra, risuonando appena. Abbassai lo sguardo e notai un anello ai miei piedi, non l'avevo notato prima e mi domandai perché fosse proprio lì sopra. Lo guardai meglio e mi accorsi di averlo già visto, cercai di fare mente locale e ricordai come Emma fosse solita rigirarselo tra le mani.
Mi piegai appena sulle ginocchia per prenderlo, ma non appena lo sfiorai mi sembrò di ricevere una scossa, una breve immagine dello strano sogno che avevo fatto su me ed Emma mi attraversò la mente. Ritrassi subito la mano, come scottato. Quell'anello lo avevo già visto prima, era una cosa che andava aldilà di Emma, mi sembrava familiare.
Rapido, lo afferrai e nello stesso istante fui travolto da una valanga di emozioni contrastanti, fu come una doccia fredda, brividi mi attraversavano la schiena senza sosta, sentii rizzarsi i peli delle braccia e cominciai a tremare.
Ancora una volta dei flash mi tornarono alla mente, c'eravamo sempre io ed Emma intenti a baciarci in quella strana foresta.
Subito dopo lo scenario cambiò, ora osservavo Emma, la guardavo dritto negli occhi verdi, mentre ci trovavamo in una specie di grotta, chissà per quale motivo. « Il mio segreto è che io non avevo mai creduto di poter dimenticare il mio primo amore, la mia Milah. Non pensavo di poter trovare qualcun altro, finché non sei arrivata tu. » Restai ad osservarla, ad aspettare che dicesse qualcosa, ma lei pareva quasi muta, dalla sua bocca non usciva la minima parola. La sua espressione era indecifrabile, ma i suoi occhi mi apparvero quasi commossi e, forse, spaventati. Di cosa aveva paura?
Ancora una volta mi ritrovai in mezzo alla foresta. Ancora una volta Emma mi osservava, ma io subito accorciai le distanze così da ritrovarmi esattamente davanti a lei, in modo da poterla guardare meglio. Lei parve quasi preoccupata da quel mio improvviso avvicinamento, ma non si tirò indietro, restando ad osservarmi senza fiato « Quando vincerò il tuo cuore, Emma, e so che ci riuscirò, non sarà grazie all'inganno, sarà perché tu vuoi me. »
Improvvisamente ci ritrovammo in mezzo ad una strada, sembrava essere il confine di una città. Emma mi guardava ancora, aveva un'espressione meno dura sul volto, simile a quella che ero abituato a vedere in quegli ultimi giorni. Il suo viso era dolce, i suoi occhi carichi di sofferenza e di lacrime trattenute allo stremo della forza. Una leggere brezza le scompigliava appena i capelli, le sue labbra le si incurvarono appena verso l'altro e stessa cosa fecero le mie. Provai un senso di soddisfazione per averle strappato un sorriso.
Ora invece quegli occhi erano tornati distanti e la sua espressione si era raggelata. Sembrava guardarmi con sospetto, come se non si fidasse in alcun modo di me o serbasse rancore per qualche motivo a me sconosciuto e la cosa era snervante. « Perché hai tanta paura di restare? » Le domandai, ad un tratto. Lei voltò il capo evitando i miei occhi, capii che avevo centrato il punto. « Secondo me sei spaventata perché qui vedi un futuro. Un futuro felice. » Continuai, prima che potesse fulminarmi appena, come se fosse l'unica difesa che le fosse rimasta ora che si trovava con le spalle al muro. « Fammi indovinare, un futuro con te? »
Con la sua voce distaccata a rimbombarmi nella mente, lo scenario mutò ancora una volta. Per la prima volta riuscivo a vederla felice, davvero felice e spensierata, il suo volto a pochi centimetri dal mio. Sorrideva raggiante e non l'avevo mai vista così bella. Indossava un vestito rosso dall'aspetto fiabesco, aveva i capelli raccolti dietro la testa e mi guardava come se avesse appena capito che ormai ero entrato nel suo cuore. O così mi parve. La stringevo avvicinandola maggiormente al mio corpo mentre i nostri passi si confondevano tra altre persone, guidati dal suono della musica. Non avevo occhi che per lei e lei non aveva occhi che per me.
Improvvisamente ci trovammo seduti davanti a un tavolino, fuori una specie di tavola calda. Eravamo soli e vicini. Emma mi guardava sorpresa, nei suoi occhi leggevo gratitudine, ma non c'era solo quello. Era come se si fosse tolta un peso dal cuore, o come se avesse finalmente aperto gli occhi a una verità più grande di lei, una verità che la disarmava. « Hai abbandonato la tua nave per me? » Domandò sconvolta, sconvolta da un gesto così grande, inaspettato. Riuscivo a capire che nessuno mai si era spinto a tanto per lei, ma una vocina nella mia testa mi diceva che Emma Swan ne valeva la pena. « Aye » mi ritrovai a rispondere, guardandola intensamente, usando una parola che non avrei mai pensato potesse appartenermi.
Mutò tutto ancora una volta, mi ritrovavo a contemplare la donna che aveva ormai il mio cuore fra le sue mani. No, aveva letteralmente il mio cuore tra le sue mani e questo fatto mi sconcertò più di tutte le altre strane cose che avevo visto. L'organo vitale batteva e splendeva di luce viva, io ero in piedi davanti a lei, respiravo perfettamente ma sapevo che quel cuore apparteneva proprio a me. Con un gesto veloce, lo premette contro il mio petto e tutto sembrò avere un sapore diverso, un sentimento diverso, un qualcosa di più forte e grande. Non la feci neanche parlare che subito mi gettai voglioso sulle sue labbra, come se fossero fatte di ferro e io fossi una calamita che non poteva restarsene in disparte perché attratta totalmente da loro. Emma finì col ritrovarsi in mezzo ad una parete e a me, il suo corpo contro il mio, i nostri cuori che battevano veloci, presi dall'emozione. Le nostre labbra a contatto che non riuscivano a staccarsi, le lingue che si muovevano freneticamente e che non riuscivano a stancarsi. Ero completamene senza fiato, ma allo stesso tempo mi sentivo incredibilmente in forze, incredibilmente vivo.
Tutto cambiò, di nuovo. Ero sempre più frastornato da quel fatto, ma come mi era accaduto nel sogno avevo smesso di farmi troppe domande. Ci trovavamo in una casetta, il silenzio regnava sovrano. Emma sembrava pendere dalle mie labbra, l'espressione commossa e stupita, mi guardava come se le avessi appena rivelato qualcosa d'importante. Io, d'altro canto, la guardavo serio, preoccupato, come se potesse sfuggirmi via da un momento all'altro, ma lei sembrava non avere nessuna intenzione di volerlo fare. « Se hai davvero paura di perdere il lieto fine vuol dire che l'hai trovato. Qual è? » Sussurrò appena quell'ultima domanda, quasi spaventata da quella che poteva essere la risposta. Io scossi leggermente il capo, incredulo che non avesse ancora capito, mentre sentii anche i miei occhi inumidirsi, anche se non avrei mai versato una lacrima. « Non lo sai, Emma? Sei tu. » Affermai con voce rotta e sguardo perso nel suo. Quella confessione mi attraversò il petto come una spada, mi fece male, male davvero, ma poi mi sentii più leggero, come se avessi finalmente ammesso a parole quello che mi portavo dietro da un po'.
Poi non vidi più niente. Spalancai improvvisamente gli occhi che neanche ricordavo di aver chiuso, strinsi forte l'anello nella mia mano tanto che cominciai a sentire dolore e, in quell'attimo, in quel breve attimo, tutto mi parve chiaro.




Angolo dell'Autrice: Non ho davvero scusanti questa volta, sinceramente non so neanche io perché ci ho messo tanto a portare a termine questo capitolo, a mia discolpa posso solamente dire che sto scrivendo e organizzando nuove storie/one shot e progetti, quindi spesso mi sono ritrovata a trascurare questa storia. Ma credo di essermi fatta perdonare ;)
Vi confesso che ci sono stati momenti in cui pensavo che questo capitolo sarebbe venuto fuori incredibilmente corto, tipo di 5/6 pagine e invece eccomi qui con ben DODICI pagine! Credo sia il più lungo, non vorrei dire una stupidaggine (sono incerta sulla mia stessa storia, questo vi fa capire molto!)
Ma torniamo alle cose serie! Spero che non abbiate trovato la prima parte, diciamo, confusionaria. Ovviamente le parti in corsivo erano dei flashback usati per spiegare meglio quello che era successo in quei giorni. Emma è persa, completamene persa. Si isola da tutti terrorizzata dall'ammonizione dei Clayton, ma alla fine vuota il sacco con Phoebe, non potendo più tenere quella responsabilità da sola. Non li ho fatti baciare, con Killian, perché ho pensato come Emma: Henry viene prima di tutto, come disse lei stessa a Hook e Neal, a Neverland. Anche ora che ha finalmente aperto il suo cuore nei confronti di Killian, sa che non può permettersi nessuna distrazione se vuole trovare suo figlio.
E, quindi, viene rapita, anche lei, proprio quando aveva finalmente trovato il nascondiglio dei due fratelli. E il pezzo finale del capitolo... è uno dei miei preferiti in assoluto! Lo penso da mesi e finalmente sono riuscita a metterlo nero su bianco :'D ho cercato di inserire tutti i momenti più significativi del loro rapporto, anche se ho dovuto escluderne tantissimi ma non poteva essere altrimenti o avrei dovuto fare un capitolo basato esclusivamente sui flashback XD Ovviamente tutti momenti pre-finale di stagione della quarta stagione, perché, vi ricordo, che questa storia è, diciamo, un finale alternativo.
E ora, la domanda che tutti vi state ponendo: Killian ha recuperato FINALMENTE la memoria? Ed Emma? I Clayton le hanno fatto del male? Killian riuscirà a trovare il loro nascondiglio e a salvare lei e Henry? Rose tornerà a rompere le balle?
Grazie a tutti per le recensioni, non potete davvero capire quanto mi fa piacere leggerle e confrontarmi con voi! Davvero, grazie infinite!
Con questo vi saluto, a presto! :)

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Capitolo 17
*** In the wolf's lair ***


17. In the wolf's lair


*Killian Pov*


« Killian, svegliati. Apri gli occhi! »
Sentivo qualcuno continuare a chiamarmi senza sosta, non sapevo per quale motivo ma sembrava allarmato. Quella voce continuava a farsi sempre più forte, come se stesse arrivando da me da chissà quale posto lontano. Percepii una mano sulla mia spalla destra, non l'avevo sentita posarsi e mi domandai da quanto tempo fosse lì; questa cominciò a scuotermi freneticamente, così tanto che cominciai ad avvertire un senso di nausea.
« Non scuoterlo così forte Jack, lo farai vomitare! »
Un'altra voce si unì alla precedente, più forte, più autoritaria. Era una voce femminile, una voce che già conoscevo e che avevo sentito più volte. Non riuscivo a capire di chi si trattasse, il mio cervello era completamente annebbiato. A dire la verità, fino a quel momento avevo pensato che si trattasse tutto di un sogno, era quasi divertente immaginare a chi appartenessero quelle voci o il motivo della loro agitazione. Alla fine, però, capii quello che stava succedendo, più o meno, e tentai di aprire gli occhi. Lentamente, perché le palpebre sembravano stranamente pesanti, come incollate fra loro.
« Killian! »
Mi chiamò ancora una volta la voce femminile, captando, probabilmente, quel mio flebile movimento delle ciglia. Ad occhi ormai semiaperti individuai la figura di una donna bionda, due occhi verdi che mi scrutavano preoccupati, una smorfia ricca di agitazione disegnata sulle labbra.
« Emma! » Esclamai, come potevo, con la bocca impastata. Questa sbatté due volte le palpebre, sospirando appena più sollevata sentendomi parlare. La sua figura mutò appena, rivelandomi la faccia di Phoebe che mi scrutava leggermente tranquilla, prima di girarsi a rassicurare un'altra persona, che poi riconobbi come Jack. « Phoebe? » Domandai, cercando di tirarmi su e di mettermi quantomeno a sedere. Mi ero, difatti, accorto di essere disteso su un divano, come ci fossi finito era un mistero. « Cos'è successo? »
« Spiegacelo tu », a rispondere fu il ragazzo, seduto dall'altra parte del divano, che mi fissava a braccia conserte « sei svenuto, all'improvviso e senza una ragione. Non sapevamo cosa fare. »
« Sono svenuto?! » Chiesi, spalancando gli occhi per la sorpresa. I due ragazzi annuirono e io cominciai a guardarmi intorno, cominciando a ricordare. Emma mi aveva chiamato, eravamo corsi a casa di Phoebe, non l'avevamo trovata. « Emma! Dobbiamo trovarla! »
« Frena, frena, frena », la ragazza posò entrambe le mani sulle mie spalle nell'esatto momento in cui feci per alzarmi, spingendomi indietro per farmi rimettere seduto « quale parte non ti è stata chiara? Hai perso i sensi per una quindicina di minuti, prima ti portiamo al pronto soccorso per farti controllare e poi torniamo in stazione e cominciamo a cercare Emma. »
« Sto bene », esclamai spazientito, roteando gli occhi verso l'alto « è stata colpa del- » anello, era stata colpa dell'anello. Era stata colpa dell'anello? Quelle parole suonavano assurde anche a me e cominciai a dubitare della loro affidabilità.
Mi accorsi solo in quel momento di avere la mano destra ancora stretta in pugno. Abbassai lo sguardo mentre l'aprivo con fatica, il metallo si era ormai attaccato al mio palmo. Mi rigirai l'anello tra le dita, in attesa. I due ragazzi mi guardavano pazienti, ogni tanto si lanciavano giusto qualche occhiata interrogativa, forse si domandavano se non avessi sbattuto la testa da qualche parte prima di cadere a terra. Indossai l'anello ad un dito qualunque dicendomi che lo avrei ridato ad Emma non appena l'avremmo trovata, mentre notai con sorpresa che fosse esattamente della mia misura.
« Davvero », affermai, rialzando lo sguardo sui due « mi sento bene. Emma è la nostra priorità al momento, se davvero è stata presa dai Clayton dobbiamo muoverci e trovarla al più presto » annuirono entrambi e insieme ci avviammo, nella macchina di Jack, verso Scotland Yard.
Mi chiusi in me stesso per qualche istante, con decisamente troppi pensieri per la testa. Con la telefonata di Emma era palese che la donna si fosse trovata in un qualche pericolo e che, molto probabilmente, ci si ritrovava ancora, in attesa di essere salvata. Era anche abbastanza ovvio il fatto che i Clayton centrassero qualcosa, li aveva anche nominati ad un certo punto, ma continuavo a chiedermi cosa volessero da lei.
Ma quella non era la mia unica preoccupazione.
Cominciavo a ricordare cosa mi fosse successo prima di svenire. Ero stato travolto da una valanga di immagini, immagini come quella che mi era comparsa in sogno, immagini tanto reali quanto inverosimili. La mia pelle sentiva di aver vissuto quelle scene in prima persona, o perlomeno delle situazioni simili, lo sentivo dentro, c'era qualcosa che mi scorreva nelle vene che me lo confermava.
Eppure per quanto mi concentrassi non mi tornava in mente niente del genere.
Emma sosteneva di conoscermi già da tempo e se i primi tempi avevo creduto a quelle parole, ora mi suonavano come l'ennesima menzogna. Sapevo di averla incontrata per la prima volta quasi venti giorni prima, la mia mente era priva di qualsiasi altro ricordo riguardante anche la minima socializzazione tra noi due.
Ma quei baci sembravano così veri. Chiudevo gli occhi e mi sembrava di assaporarli ancora sulle mie labbra. E quelle parole, tutte quelle dichiarazioni che mai avevo fatto neanche a Rose. Mi sembrava di averle pronunciate davvero in qualche angolo remoto del tempo. Ci ripensavo e sentivo crescere dentro di me una specie di fiammella, e anche un briciolo di soddisfazione. Soddisfazione e orgoglio, come se avessi lottato tanto per l'amore di Emma Swan fino a vincerlo.
Ma non poteva essere vero. Sapevo con certezza di non essermi adoperato tanto neanche per la mia attuale fidanzata, sicuramente non l'avevo mai fatto per Emma, per una sconosciuta. E, se anche le cose fossero andate veramente così, dov'erano i ricordi? Qualche frammento qua e là non era sufficiente, eppure, poco prima di svenire, avevo provato una sensazione strana, nuova, che mi spingeva a definire veritiere quelle immagini.
Forse in un'altra vita.
« C'è una cosa che non capisco, in tutta questa faccenda » affermai interrompendo quel silenzio snervante che si era creato durante il viaggio e ponendo così fine a tutti i miei pensieri riguardanti l'anello.
Phoebe voltò appena il viso per guardarmi con la coda dell'occhio, essendo impossibilitata dalla cintura a girarsi completamente verso di me, mentre Jack alzò per un momento gli occhi allo specchietto retrovisore, prima di posarli nuovamente sulla strada davanti a sé. Entrambi sembravano volermi incitare a continuare.
« Perché Emma? » Domandai semplicemente, spostando per un secondo lo sguardo sulla strada. Phoebe corrugò la fronte.
« “Perché Emma” cosa? » Ripeté l'altra, confusa, provando a guardarmi bene in faccia senza riuscirci.
« Perché proprio lei? Perché non hanno preso me o qualcun altro della squadra? Perché catturare una persona che ha cominciato ad indagare su di loro da meno di un mese e neanche in via ufficiale. Cosa vogliono da lei?! »
Phoebe sospirò e chiuse appena gli occhi, poi si voltò e si concentrò sulla strada. Capii che ne sapeva senz'altro più di me, abbastanza da formulare delle buone teorie, ma continuava a restare in silenzio. Mi sembrò che anche Jack le lanciasse delle occhiate veloci, aspettando che dicesse qualcosa. Alla fine feci per aprire bocca, per incitarla a parlare, ma quella mi anticipò.
« Hanno preso suo figlio » buttò lì, serrando la mascella e incupendosi, come potei osservare grazie allo specchietto davanti a me.
« Cosa? » Domandai di getto, non recependo subito il messaggio.
« Suo figlio, Henry », ribadì la ragazza, cercando di mantenere un tono di voce freddo anche se in realtà si percepiva tutta la sua preoccupazione « subito dopo aver salvato i fratelli Cox, Emma ha ricevuto una chiamata dai Clayton. Le hanno detto di non dire niente alla polizia, di non dire niente a nessuno, e che presto l'avrebbero presa e avrebbero rilasciato il ragazzo. »
« Ma perché? » Feci sconvolto « Perché tutto questo? »
« Non lo so, penso per via di Crudelia, vorranno vendicare la sua morte. »
« Ma è stato un incidente », ribattei con forza, spalancando il palmo della mano esasperato « e poi loro come facevano a sapere che Emma era immischiata in quella storia? »
« Non lo so, Killian, non lo so », sbottò la donna, all'improvviso « ne so quanto te in questa storia » aggiunse infine, sbuffando. La guardai di sottecchi, prima di voltare lo sguardo alla mia destra, verso il finestrino.
« A me sembra che tu ne sappia molto più di chiunque altro » borbottai fra me, ma ebbi la certezza di essermi fatto sentire anche dai due ragazzi.
Phoebe non ribatté, questo mi fece presumere di avere ragione. Avevo quasi l'assoluta certezza che Emma le avesse confidato qualcosa, ma non feci altre domande e lasciai cadere il discorso. Se fosse stata una rivelazione importante per le indagini, la ragazza ce lo avrebbe detto senz'altro e, in quel momento, non mi importava niente che non riguardasse il ritrovamento di Emma Swan.


*Emma Pov*


Fui scaraventata in avanti e sbattei la faccia contro qualcosa. Questo mi fece ridestare e aprire immediatamente gli occhi, non che la situazione cambiasse molto. Difatti, il buio avrebbe regnato indisturbato in quella specie di cubicolo in cui mi trovavo, se non fosse stato per un microbico stralcio di luce che filtrava da un angolo non lontano dal mio viso, rivolto verso sinistra grazie alla guancia destra schiacciata contro una superficie piuttosto dura e scomoda.
Cercai di girarmi e di tirarmi su a sedere, volevo poggiare le mani a terra e darmi una spinta, ma mi resi conto solo in quel momento di non poterlo fare. Improvvisamente sentii una stretta su entrambi i polsi: mi accorsi di avere le mani legate dietro la schiena ed andai in panico. Quand'era successo?
Con un colpo di spalla riuscii a girarmi a pancia in sopra, andando a colpire qualcosa con il braccio sinistro. Proprio allora cominciai a muovermi. O perlomeno l'ambiente intorno a me cominciò a muoversi, io non avevo osato spostarmi di un solo centimetro. Tutto cominciò a tremare, mentre i classici rumori da strada e la puzza di benzina mi pervasero ogni senso. Ero rinchiusa in un bagagliaio. Non potevo crederci. Cominciai a sentirmi soffocare e a respirare a fatica, come se tutta l'aria fosse finita alla sola realizzazione di essere in trappola.
Diamine Emma, mantieni la calma. Ne hai passate di peggio.
Continuavo a ripetermelo senza sosta, mentre provavo a slegarmi i polsi senza riuscirci. Mi chiesi perché non avessi mai chiesto a Killian di insegnarmi qualche vecchio trucco da pirata, sicuramente sarebbe stato un gioco da ragazzi per lui liberarsi. Provai e provai ancora, ma mi risultava impossibile riuscire, non da quella posizione perlomeno.
Mi fermai e respirai profondamente, socchiudendo appena gli occhi. Provai a fare mente locale sugli ultimi avvenimenti: ero riuscita a trovare il nascondiglio dei Clayton ma, neanche a volerlo fare apposta, loro mi avevano raggiunta a casa di Phoebe per prendermi, anche se in un primo momento ero certa che mi avrebbero uccisa subito, senza troppe storie. Ero riuscita a lasciare un indizio a Killian, prima di tentare una fuga disperata. A quel pensiero sperai vivamente che l'uomo avesse colto al volo quello che volevo suggerirgli, in quel modo poteva salvare Henry il prima possibile e poi trovare anche me, se mi avessero portata in un posto diverso. Non ero riuscita a scappare dai due folli, e questo era abbastanza ovvio. Ricordai come uno di loro mi avesse afferrata per le spalle, ero riuscita a liberarmi ma non ad allontanarmi, dato che mi avevano colpita violentemente alla testa, facendomi perdere i sensi.
Le mie labbra si contrassero in una smorfia e un lieve dolore comparve sul mio capo. Come avevo fatto ad essere così stupida e a farmi catturare?! Dovevo riuscire a scappare, il prima possibile.
Mossi appena le gambe, legate ovviamente, neanche a dirlo, verso l'alto, cominciando a dare dei calci ovunque riuscissi ad arrivare. Mi fermai solo quando non avvertii più nessun movimento. Sentii una portiera aprirsi e chiudersi subito, seguita poi da una seconda. Dei passi si fecero sempre più vicini, poi si arrestarono. Aprirono lo sportello e fui costretta a chiudere gli occhi per via della luce.
« Allora sei sveglia, biondina », affermò, anche apparentemente divertito, l'uomo che qualche giorno prima aveva tentato di strangolarmi, William, se la mia mente non mi ingannava « hai finito di far casino? Chi vuoi che ti senta, comunque? » Accennò una risata macabra, voltandosi a guardare il suo compare. Aggrottai appena la fronte e lanciai loro uno sguardo di sfida, dovevano sapere che non li temevo e che avrei sicuramente trovato il modo di uscire dai guai.
« Falla uscire da lì, vi aspetto dentro » ordinò l'altro, che a prima vista mi sembrava il più piccolo dei due.
« Hai sentito, biondina? Esci fuori, o forse vuoi rimanere chiusa dentro il bagagliaio? » Mi domandò William, che non aveva smesso un attimo di ridacchiare tra sé, probabilmente per la mia situazione, o forse solo perché era totalmente pazzo.
« E come dovrei fare? » Me ne uscii, allora io, senza batter ciglio e indicando con un cenno del capo le mie gambe legate fra loro. Ero impossibilitata a muovermi, dovevano quantomeno lasciarmi liberi i piedi se volevano farmi andare con loro.
« Sai una cosa, John », l'uomo chiamò il fratello, senza smettere di guardarmi per un solo istante « la bionda sa il fatto suo » concluse, e sotto lo sguardo vigile dell'altro estrasse un coltellino da tasca dai suoi jeans e tagliò la corda che mi circondava le gambe.
Non aspettai un solo istante e gli colpii la mano destra con un calcio, facendo cadere il coltello, poi, rapida, lo colpii in pieno volto. Balzai fuori dall'auto e mi accovacciai a raccogliere il coltello, ma non feci in tempo a prenderlo che John Clayton mi puntò una pistola contro, avvicinandosi lentamente a me, fino a quando non mi ritrovai con la canna appiccicata alla mia fronte.
« Mollalo », fece duro. Digrignai i denti e strinsi forte l'arma nella mano sinistra, non volevo dargli soddisfazione « tuo figlio è dentro, molla il coltello o lo faccio portare qui e giuro che non ti piacerà quello che potrei fargli. »
Mi irrigidii a quelle parole e squadrai l'uomo per cercare di capire se stesse bluffando o se, invece, fosse serio. Purtroppo non riuscii a scorgere neanche la traccia della minima bugia, anzi, la sua voce era apparsa così ferma e crudele che non lasciava trasparire dubbi. Aprii subito la mano e il coltello cadde immediatamente a terra, risuonando appena. Serrai la mascella e guardai torva l'uomo che abbassò l'arma e fece per dirigersi verso un capanno. Deglutii appena, quando si fu voltato.
L'altro mi afferrò il braccio sinistro e mi mise prepotentemente in piedi, persi un attimo l'equilibrio ma non caddi, la mente a Henry, non sapevo se sperare che fosse dietro quella porta o meno. Se gli avevano toccato anche un solo capello li avrei uccisi con le mie stesse mani quel giorno stesso.
Mi fecero entrare dentro il capannone, ma non mi diedero neanche il tempo di guardarmi intorno che mi spinsero verso una scalinata, sotto una specie di botola. Una volta scesa, lo vidi subito, rinchiuso dentro una piccola cella.
« Henry! » Esclamai, sconvolta, mentre il ragazzino scattava in piedi sorpreso e si piazzava davanti le sbarre.
« Mamma! » Fece lui, mentre mi scrollavo di dosso le manacce di Clayton e correvo verso mio figlio. Avrei voluto allungare almeno una mano e stringerlo a me, ma non mi fu possibile.
« Ti hanno fatto qualcosa? » Gli domandai all'istante « Stai bene? » Continuai senza neanche dargli tempo di replicare alla prima domanda. Lui accennò un sorriso rassicurante, mentre stringeva appena le sbarre della cella.
« Tranquilla mamma, non mi hanno fatto niente. Beh, tranne rinchiudermi qua dentro » sospirai sollevata, mentre lo osservavo meglio per sicurezza. Mi sembrava sincero e sicuramente non avrebbe mai osato mentirmi su una cosa tanto importante, ma mi sentii più tranquilla nel constatarlo con i miei occhi.
« Ma che scena toccante » sentii mormorare alle mie spalle. Immediatamente cancellai il timido sorriso che mi si era dipinto sul volto alla vista di Henry, per dare posto all'espressione più fredda e glaciale che possedessi.
« Lasciatelo andare », affermai con un tono che non ammetteva repliche « avevate garantito che lo avreste liberato, una volta avuta me. Lasciatelo andare » ribadii ancora una volta, come se non fossi stata chiara.
« E lo faremo, biondina, hai la nostra parola », storsi il naso pensando a quanto potesse valere, la loro parola, la parola di due pazzi criminali che non avevano guardato in faccia a nessuno, neanche a due bambini indifesi « ma non è ancora il momento. » Mi voltai e feci per andargli incontro, ma l'altro mi afferrò di nuovo, bloccandomi. Aprii la bocca, pronta a ribattere, ma il fratello non me ne diede il tempo « Dobbiamo trovare un altro nascondiglio, per te e per noi, e poi liberemo il ragazzo. Ha imparato a conoscere fin troppo bene questo posto, non vogliamo rischiare che riveli tutto ai tuoi amichetti di Scotland Yard » concluse il discorso con un sorriso ironico sul volto, fece un segno veloce a suo fratello e poi si voltò verso le scale, dalle quali sparì un secondo dopo.
L'altro mi spinse verso una sedia, con una mano sulla mia spalla destra mi obbligò a sedermi e poi mi legò per bene con i piedi alle gambe della sedia e le mani dietro lo schienale.
« Spero che tu sia comoda » rise quello, prima di seguire l'altro e lasciarci soli. Chiuse la botola, lasciandoci, anche se non completamente, al buio. Abbassai la testa, incapace di fare altro, cominciando a pensare a un modo per farci uscire dal quella situazione: non avevo nessuna intenzione di restarmene con le mani in mano, senza far niente, aspettando, o sperando, che qualcuno ci salvasse.
« Mi dispiace, mamma » Henry interruppe improvvisamente il silenzio che andava avanti da... svariati minuti, non sapevo dirlo con certezza. Alzai subito lo sguardo verso di lui, per fortuna c'era una piccola finestrella e la luce riusciva ad entrare, seppur minima, così che riuscissi a scorgere il suo volto.
« Per cosa? » Domandai solamente, incapace di capire e, soprattutto preoccupata. Preoccupata per tutto.
« E' colpa mia se ti hanno rinchiusa qui... » rispose lui, abbassando gli occhi con fare colpevole e dispiaciuto. Avrei tanto voluto abbracciarlo, o almeno avvicinarmi a lui per rassicurarlo, e invece mi toccava restarmene lì su quella stramaledetta sedia.
« Ma cosa dici? Non è assolutamente colpa tua, ragazzino. Togliti dalla mente queste idee » affermai con un tono di voce dolce, cercando di sorridere come meglio potevo. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era che Henry cominciasse ad addossarsi tutta la colpa, come se non fosse vittima anche lui di quegli avvenimenti. Ci pensai sopra, in realtà era colpa mia. Se lo avessi fatto partire subito, insieme a Regina, come avevamo programmato, non sarebbe successo niente. O perlomeno non gli sarebbe successo niente. Mi sentii improvvisamente uno schifo a quella realizzazione, come potevo aver permesso una cosa del genere? « Piuttosto sono io che devo scusarmi, non avrei dovuto lasciarti da solo. Dovevi ripartire insieme a Regina, non so cosa mi sia passato per la testa. »
« No, non volevo assolutamente restare ancora in disparte a Storybrooke, volevo dare una mano con il caso, con Killian... »
« E invece eccoci qui, tutti e due », sospirai « forse dovevo chiedere aiuto a Killian fin dall'inizio – no, non gli ho detto niente sul tuo rapimento », mi affrettai ad aggiungere, per spiegargli meglio la situazione « ma per fortuna sono riuscita a lasciargli un indizio riguardo questo nascondiglio. Spero che ci trovi presto. »
« Non hai detto niente alla mamma, vero? » Scossi appena la testa a quella domanda, sentendomi improvvisamente in colpa anche nei confronti della ex Regina Cattiva. Probabilmente non avrei dovuto escludere neanche lei da quella storia, ma avevo pensato ad ogni possibile conseguenza e tutte si ritorcevano contro Henry. E poi, la presenza di Regina, si sarebbe rivelata inutile in una città priva di magia.
« No, niente. Ho solo informato tutti del fatto che saresti rimasto con me ancora per qualche giorno, poi non ho più sentito né lei né i tuoi nonni. Hanno provato a chiamarmi, ma evitavo di rispondere. Come al solito », spiegai in un mezzo sospiro, tornando ad abbassare il capo « avevo il terrore che ti facessero del male, se avessi parlato con qualcuno. Anche se alla fine non ce l'ho fatta e ho vuotato il sacco con Phoebe, la ragazza di Scotland Yard » il ragazzino annuì.
« Mi hanno fatto chiamare Storybrooke, quando mi hanno portato qui, dicendomi che se avessi riferito qualcosa ti avrebbero presa. Non ho parlato con la mamma perché ero certo che avrebbe sentito puzza di bruciato in questa situazione, ho parlato con la nonna informandola del fatto che ti avevo convinta a farmi restare e l'ho pregata di riferirlo alla mamma. Non so se ha provato a chiamarmi, mi hanno preso e spento il cellulare » spiegò. Cominciai anche a capire il perché di tutte quelle chiamate da parte di Regina, non avevo mai risposto credendo che mi chiedesse di parlare con Henry, o che mi passasse i miei genitori come già aveva fatto settimane prima. Capii che in quel modo non avevo fatto altro che allarmare tutti ugualmente, avevo provato a tenerli al sicuro ma non aveva funzionato.
« Henry... » cominciai a dirgli, cercando di dare voce a quelli che erano i miei dubbi più grandi « loro sanno chi sono? Ti hanno detto qualcosa? » Non capivo perché avessero preso proprio lui, il figlio dell'ultima arrivata in città. Volevano ferire me, non la polizia. Volevano ferirmi perché ero la Salvatrice? O perché avevano scoperto di Crudelia, in qualche modo?
« Mi hanno fatto tante domande su di te, ho cercato di rispondere in modo più vago possibile. Ma... ho una teoria, non so quanto possa essere vera » si rabbuiò, forse perché temeva di aver rivelato troppe cose ai Clayton, ma in una situazione del genere quella doveva essere la nostra preoccupazione minore.
« Che teoria? » Lo incitai, seppur veramente curiosa e in attesa di capire il più possibile di quella storia.
« Credo ci sia di mezzo Isaac. Credo che siano riusciti a contattarlo e che lui abbia raccontato tutto. E penso che da me cercassero delle conferme, così da colpire te. »
« Isaac... l'Autore?! » Domandai retoricamente, beh, vecchio autore sarebbe stato la definizione migliore. Chinai appena il capo, osservai il pavimento senza veramente guardarlo, pensando, riflettendo sulle parole di Henry. Quella teoria sembrava esatta, credevo che quella fosse davvero l'unica spiegazione. Avevamo bandito Isaac da Storybrooke, prima di sconfiggere anche Gold, era chiaro che serbasse ancora rancore nei nostri confronti e collaborare con vecchie, e pazze, conoscenze di Crudelia DeMon suonava come cosa molto plausibile. « E loro sanno di Storybrooke? »
« Certo che sì », la voce alle nostre spalle ci fece sobbalzare entrambi: il più grande, almeno dall'aspetto, dei fratelli Clayton ci aveva appena raggiunti « Crudelia ci aveva raccontato tutto sul mondo da cui veniva, mentre Isaac ci ha informato della vostra assurda cittadina. »
« Perché vi siete messi in contatto con lui? Come facevate a conoscerlo? » Domandai, non riuscendo a trattenermi. Mi resi poi conto che l'ultimo dei nostri pensieri, miei, di Henry, di Clayton, fosse quello di fare conversazione, ma da una parte pensavo che, se ne avessi saputo il più possibile, avrei scoperto un qualche loro punto debole e un modo per liberarmi.
« Grazie a Crudelia, ovviamente. Sapevamo che per colpa sua era innocua come un moscerino, troppe volte si era lamentata del fatto di non poter uccidere nessuno » commentò con un'aria vagamente rivolta verso il passato. Feci una smorfia a quel pensiero, Crudelia si dimostrava la solita psicopatica. « Non abbiamo avuto notizie di Crudelia per un po', per questo abbiamo contattato quel tipo strano. »
« Eravate in contatto con Crudelia quando lei era a Storybrooke? » Domandai sconvolta, cominciando a chiedermi chi fossero quei tipi.
« Certo che sì » si limitò a rispondere l'uomo, ma non aggiunse altro.
« Che rapporto c'era fra voi e Crudelia? » Fece Henry, non riuscendo più a starsene in silenzio. Clayton, William, parve pensarci un po' sopra, passandosi una mano tra i baffi. Riuscivo a scorgere l'indecisione sul suo volto, non sapeva se parlare o meno dato che già ci aveva detto fin troppo, ma, probabilmente, ci dava per spacciati, così si decise a rispondere.
« Lei e mio fratello erano amanti » rispose.
Silenzio. Lo guardai per qualche istante, mi domandai se tra loro ci fosse mai stato davvero amore, mi dissi anche che era stata una risposta ovvia, dovevo benissimo immaginarlo fin dal momento in cui era saltato fuori il nome della donna. Lanciai un'occhiata veloce ad Henry, non ne pareva affatto sorpreso, forse anche quella era una sua teoria.
« E quando abbiamo saputo della sua morte », continuò l'uomo « avvenuta per mano di questa fantomatica Salvatrice che si muoveva affinché tutti i personaggi delle favole avessero il loro lieto fine, abbiamo ritenuto giusto renderle questo compito più difficile. »
« Sapete che le ragazze che avete ucciso non sono veramente personaggi di fiabe, vero? »
« Certo che sì », rispose ancora, sorridendo vagamente e mostrando i denti, bianchi e splendenti che stonavano un po' con la sua figura « ma ha importanza? »

*Killian Pov*


Quattro giorni di ricerche non avevano portato a nulla. Emma sembrava come svanita, e con lei i Clayton e il piccolo Henry. Ero andato da un luogo all'altro, avevo ripercorso tutti i casi precedenti, ero tornato nel bosco, nella casa del cacciatore, nella torre dell'orologio, ma non c'era niente che ci fosse sfuggito durante i primi sopralluoghi.
Eppure sapevo che Emma avesse intuito qualcosa, guardando quei posti, sapevo che stavo girando intorno alla situazione senza venirne a capo e non facevo altro che sentirmi inutile, inutile e incompetente.
Avevo richiesto l'aiuto di tutti perché ormai era ovvio che quel lavoro non era adatto ad una squadra di sole cinque persone: i rapitori di Emma sapevano il fatto loro e trovarli nel minor tempo possibile stava cominciando a risultare impossibile.
« Jones, nel mio ufficio » scattai in piedi alla voce di Montgomery e mi sbrigai a raggiungerlo.
Avevamo contattato anche lui, ovviamente. Avevo fatto rientrare Emma nell'indagine contrariamente a quello che il mio capo aveva ordinato, quando gli avevo detto cos'era successo era andato su tutte le furie, ma non mi importava, troppo impegnato a incolparmi per non averla allontanata da quel caso, magari non sarebbe successo niente.
« Capo... » mormorai, entrando nel suo ufficio, per richiamare la sua attenzione.
« Siediti, Jones », ubbidii anche se il tono dell'uomo non mi lasciava presagire niente di buono « ascolta, ci ho riflettuto a lungo e credo di non avere alternative » si fermò, rimanendo ad osservarmi fisso. Non sapevo cosa dire, per questo gli feci un rapido cenno con il capo, per fargli capire che ero tutto orecchi e che aspettavo che continuasse. « Mi vedo costretto a sollevarti dall'incarico », aggrottai appena la fronte e scossi la testa piano, forse non avevo capito bene quello che stava dicendo « sei fuori dal caso » boom, non poteva essere più chiaro di così.
« Che cosa?! » Esclamai sconvolto, con voce forse un po' troppo alta. Io, fuori dal caso, assurdo. Inconcepibile. « Non può farlo! »
« Oh, invece posso eccome. Sono ancora il tuo capo, se ben ricordi! » Ribadì l'altro, offeso. Non mi importava un accidente, comunque, perché ero furioso. Dopo settimane di ricerche avevo bisogno di catturare i fratelli Clayton, di consegnarli io stesso alla giustizia e, soprattutto, avevo bisogno di ritrovare Emma. Per qualche ragione sentivo che dovevo essere io, ed io soltanto, a scoprire il posto in cui la tenevano nascosta e portarla in salvo. Forse era una sensazione assurda e senza senso, ma avevo deciso di ascoltarla. Lo dovevo a lei.
« Con tutto il rispetto signore, ma credo stia commettendo un grosso errore », continuai ancora senza preoccuparmi di abbassare i toni, dopo essermi guardato intorno velocemente prima di tornare con gli occhi su di lui « ho passato intere settimane dietro questo caso! Io e la mia squadra abbiamo lavorato senza sosta per trovare quei due, non può toglierci- »
« Oh no, no no no, non sono stato chiaro, forse », mi interruppe, scuotendo appena la mano sinistra « la squadra resta a lavoro, è il loro capitano ad essere affidato ad altre indagini. »
« Continuo a non capirne il motivo! Proprio adesso che abbiamo fatto passi da gigante, potremmo prenderli da un momento all'altro! » Continuai, gesticolando senza freno con la mano e con le braccia, nervoso.
« Se non vado errato hai avuto più di una possibilità di catturarli, ed hai sempre fallito... » fece lui, calmo, senza, però, un briciolo di tono accusatorio nella voce. Mi diede comunque fastidio.
« Abbiamo dei nomi. L'identikit di uno di loro. Siamo vicini, sono vicino a trovare il loro nascondiglio. Non può togliermi da questo caso. Non può. »
« Non cambio idea, Killian, se è questo che stai cercando di fare. »
« Ma almeno mi dica perché! Mi dia un valido motivo! » Ero davvero furioso, avrei volentieri preso a calci la scrivania, ma continuavo a trattenermi per non peggiorare la situazione. Mi accorsi di tenere la mano destra stretta in un pugno, poggiata sulla gamba, le nocche arrossate. Montgomery restò in silenzio, poi sospirò e decise di rispondermi.
« Non so che rapporto ci sia fra te e la signorina Swan- »
« E' mia amica » lo interruppi subito, troppo velocemente probabilmente, guadagnandomi un'occhiataccia. Mi ammutolii e lo lasciai parlare.
« Il punto è proprio questo. Non ragioni a mente lucida. Il tuo pensiero fisso non è quello di mettere due assassini dietro le sbarre, non è quello di salvare degli ostaggi, è quello di trovare Emma Swan. Ora la vittima è una persona che ti sta a cuore, ed è per questo motivo che non puoi continuare a seguire questo caso. »
« Ma, signore, proprio per questo sono l'uomo giusto! Chi meglio di me è più motivato a trovarla? E poi tutti si sono affezionati ad Emma! Phoebe l'ha addirittura ospitata a casa sua per qualche giorno, e Jack l'ha ammirata fin dal primo momento in cui è entrata a Scotland Yard » provai ancora, cercando di far valere le mie ragioni senza esplodere del tutto, sapevo che una sfuriata mi sarebbe costata quella minima possibilità che avevo di convincerlo.
« Non è la stessa cosa, per loro la signorina Swan rimane una semplice collega. Non sono sicuro di poter affermare la stessa cosa anche di te » sbottò l'uomo. Feci per ribattere ma mi bloccò con un cenno rapido della mano « Mi dispiace Jones, sono irremovibile. Puoi andare, ora. »
« Ma, capo... »
« Puoi andare. »
Rimasi seduto ancora qualche secondo, la mano a mezz'aria, aperta, la bocca schiusa per delle parole che non riuscivano ad arrivare neanche in gola. Volevo dire tante cose, ma allo stesso tempo non riuscivo a mettere in ordine una frase. Montgomery neanche mi guardava più, per questo alla fine mi alzai e me ne tornai nel mio, di ufficio, stando bene attento a sbattere la porta alle mie spalle. Un calcio arrivò alla sedia dietro la mia scrivania, mentre il palmo della mano si arrossava dopo aver sbattuto violentemente contro la parete.
Non era solo una questione di orgoglio, anche se, comunque, sentirmi dire di non essere stato in grado di catturare i Clayton mi aveva ferito nel profondo. Ero frustrato del fatto che non mi fosse concesso di aiutare nel ritrovare Emma e suo figlio. Avevo bisogno di salvarli e il legame che avevo instaurato con la donna non poteva non giocare a nostro favore, proprio perché non mi sarei mai dato per vinto e avrei fatto di tutto per trovarla. Non capivo davvero cosa c'era di sbagliato, o di fuori luogo. Non era una semplice collega per me, mi ero reso conto solo da poco di quanto in realtà tenessi a lei, ma ritenevo comunque di non meritare di essere messo da parte.
Me ne rimasi fermo, chinato in avanti con la schiena ricurva verso la scrivania, la mano appoggiata sulla superficie fredda. Respirai piano, cercando di riprendermi, poi alzai il capo ed osservai ancora una volta, l'ultima, la lavagna con tutto quello che avevamo raccolto o scoperto dall'Operazione Grimm. Ancora una volta i miei occhi ripercorsero ogni delitto, ma cosa continuava a sfuggirmi?
Presi una cartina e segnai con una X il luogo dove era stata trovata la prima vittima, “Cappuccetto Rosso”; un'altra X rossa segnava il ritrovamento di “Biancaneve”; così continuai anche per le nostre “Cenerentola” e “Rapunzel” e per i nostri piccoli “Hansel e Gretel”. Guardai il risultato senza troppe aspettative, ma mi ritrovai davanti un cerchio perfetto. Cominciai a tremare sorpreso e sconvolto al tempo stesso per quella scoperta, mi tolsi l'anello di Emma dal dito e, poi, delicatamente lo poggiai proprio sopra le X. Cominciai a capire cosa intendesse Emma, non mi aveva lasciato solamente un oggetto a lei caro per farmi capire che fosse in pericolo, mi aveva lasciato un vero e proprio indizio sul vero nascondiglio dei Clayton. Se quell'intuizione risultava corretta, proprio nel centro di quel cerchio perfetto si sarebbe trovata una casa, o un edificio, o qualsiasi cosa che utilizzassero come quartier generale.
Non persi tempo e mi precipitai subito sul posto, senza dare troppe spiegazioni ai miei colleghi.
Mi trovai davanti un capanno abbandonando, questo confermò le mie teorie così mi decisi ad informare Scotland Yard, chiedendo dei rinforzi.
« Jack », mormorai a bassa voce, mentre provavo a sbirciare da una finestra, una volta che il ragazzo dall'altro capo del telefono mi ebbe risposto « ho trovato il nascondiglio. Il nascondiglio dei Clayton. Andate nel mio ufficio, vi ho lasciato ogni indicazione. Vi aspetto. »
Chiusi la chiamata ancora prima di dargli tempo di rispondere, troppo in ansia per poter aggiungere altro. Emma era lì dentro, me lo sentivo, era come se riuscissi a percepire la sua presenza. Continuavo a guardare attraverso la finestra, ma era troppo buio per poter vedere qualcosa.
Aspettai, guardandomi intorno, l'arrivo della squadra, ovviamente alla faccia degli ordini che mi erano stati dati neanche un'ora prima. Passò, forse, una decina di minuti, prima di lanciare un'altra occhiata al capanno alle mie spalle. Mi guardai intorno velocemente, non che mi aspettassi che i rinforzi arrivassero così presto.
Alla fine non riuscii più a contenere la mia impazienza e, dopo aver controllato nuovamente la situazione intorno a me, entrai dentro il capannone, da solo, deciso a chiudere una volta per tutte quella maledetta storia.



Angolo dell'Autrice:
Ehilà, salve gente! Cavoli, pensavo di aggiornare prima, intorno a mercoledì/giovedì sicuramente, ma mi sono sempre ritrovata a rimandare la scrittura della parte finale del capitolo. Il fatto è che per un motivo o per un altro, il tempo passato a casa o al pc in questa settimana è stato veramente poco, non potete neanche immaginare quante serietv mi tocca recuperare adesso povera me! Anyway, ecco qui il tanto atteso capitolo, finally, spero vi sia piaciuto!
Alla fine, no, Killian non ha recuperato la memoria. Mi dispiace di avervi fatto questo scherzetto ): Montgomery lo ha allontanato dal caso, ma la voglia di salvare Emma prevale su tutto e subito parte per trovarla. E ora? Nel frattempo abbiamo scoperto anche che fine ha fatto Emma, ovviamente l'hanno catturata i Clayton. Per fortuna rivede Henry e sono state spiegate anche un po' di cose rimaste in sospeso, come per esempio il legame tra la nostra cara Cruella e Clayton (chissà che farebbe se sapesse di James)
Per il resto, capitolo tutto sommato tranquillo per prepararvi alla bomba del prossimo! Davvero, il 18° sarà... beh... importante e, forse, commovente. Davvero, preparatevi a tutto!
Colgo l'occasione per augurarvi buona festa della mamma e buon OUAT DAY (anche se ancora piango per via della 5x20
E a proposito della 5x20, se vi va di fare un salto a leggere la mia OneShot basata sulla puntata e a lasciarmi una piccola recensione mi farebbe piacere :) She's gone and I cannot get her out
Grazie per tutti quelli che hanno recensito la storia, per coloro che continuano a seguirla e per coloro che l'hanno cominciata da poco :) mi rende davvero davvero felice vedere che ci sono persone che perdono un po' di tempo a leggere questa mia follia (?). Davvero grazie.
Proverò davvero a non metterci un altro mese questa volta, credo che il prossimo sia più scorrevole da scrivere (tra l'altro ho già scritto un pezzo). Siate fiduciose lol
Un bacio a tutti, a presto :)

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Capitolo 18
*** This is the end ***


18. This is the end




Day 22


*Killian Pov*


Avevo aspettato l'arrivo della squadra per una decina di minuti, forse qualcosa in più. Continuavo a girarmi verso ogni direzione, prima guardavo la strada sperando di veder arrivare i rinforzi, poi tornavo a ispezionare, almeno con la vista, quel capannone, alla ricerca del minimo indizio che andava a confermare ogni mia teoria.
Dalle finestre non si riusciva a vedere molto, l'interno pareva desolato, così come lo era l'esterno in effetti. Non proveniva il minimo rumore, da dentro. Tutto dava l'impressione che quel posto fosse abbandonato, ed era proprio quello a rassicurarmi del fatto che, probabilmente, i Clayton si nascondessero proprio lì. Era tutto troppo tranquillo, non poteva essere una coincidenza.
Alla fine non riuscii a resistere un secondo di più, diedi un'ultima, veloce, occhiata alle mie spalle, mi passai una mano fra i capelli ribelli, e poi mi decisi ad entrare nel capanno. Aprii la porta lentamente, questa non fece il minimo rumore e interiormente ne gioii. I miei occhi squadrarono in pochi istanti tutto l'interno, quasi completamente vuoto. Vi erano un tavolo, qualche strumento da lavoro e delle coperte. Coperte, bingo!
Corsi dentro e mi avvicinai alle coperte marroni, mi chinai sulle ginocchia e ne presi una nella mia mano. La tastai appena, prima di lasciarla cadere dove l'avevo trovata. Non era calda, anzi, all'apparenza sembrava inutilizzata da anni, ricoperta com'era di polvere. Feci una smorfia, prima di alzarmi in piedi, pulendo appena la mano sui pantaloni. Mi guardai nuovamente intorno, alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, ma niente risultava sospetto.
Avevo fatto un buco nell'acqua, avevo frainteso tutto. Emma aveva perso minuti preziosi lasciandomi quell'indizio e io la ripagavo in quel modo.
Tornai fuori, frustrato. Mi passai una mano nei capelli camminando nervoso lungo il perimetro delineato dal capanno. Sospirai, più volte, provando a calmarmi. Presi a fare mente locale, ripercorrendo gli ultimi avvenimenti che mi avevano portato in quel luogo abbandonato dal mondo. Tirai fuori il mio cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni e composi il numero di Phoebe
« Jones, dove diavolo sei?! » La voce della ragazza non si fece attendere, la udii subito, forte e chiara, fin troppo, tanto che dovetti allontanare l'orecchio per i toni usati.
« Phoebe, Jack ti ha detto di raggiungermi? » Le chiesi subito, senza dar troppo conto alla sua domanda, non avevo tempo per mettermi a litigare.
« Certo che sì! Hai notato niente di strano sul posto? Noi siamo quasi arrivati, non fare sciocchezze e aspettaci! »
« No, aspetta, non capisci », esclamai esasperato, soffiando appena « non c'è niente qui. Sono... già entrato ad ispezionare, lo so avrei dovuto aspettare ma ormai è fatta. E non c'è niente, non più almeno. Se ne sono andati, oppure non sono mai stati qui. »
« Cosa? Che stai dicendo? » Socchiusi gli occhi e inspirai, prima di ammettere ancora una volta quell'ennesima sconfitta.
« Mi sono sbagliato, non c'è bisogno che veniate qui. »
« Killian, Montgomery ti ammazzerà questa volta » fu l'ultima cosa che mi disse Phoebe, prima di chiudere la chiamata. Non potevo essere più d'accordo con lei come in quel momento.
Avevo disobbedito agli ordini del mio capo per l'ennesima volta, eppure ero stato così sicuro. Maledizione. Serrai la mascella ed osservai da lontano quello scenario. Era così malmesso, ricordava molto la torre dell'orologio o la pasticceria, per quel dettaglio. Però in quelle quattro mura non vi erano nascondigli e non c'era la minima traccia di una presenza umana.
Ma c'era qualcosa, sentivo qualcosa dentro di me. In qualche modo non mi ero mai sentito così vicino ad Emma come in quel momento. Fu per quella sensazione che decisi di tornare dentro e di dare un'altra occhiata, quella volta deciso ad ispezionare tutto, ogni cosa presente al suo interno, sperando di trovare così un altro indizio.
Cominciai a spostare ogni strumento da lavoro lì presente, alla ricerca di qualcosa che poteva essere stato nascosto, di proposito o per pura casualità ma non spuntò fuori niente, solo un cumulo di polvere che si sollevò in aria facendomi strizzare gli occhi in automatico. Mi allontanai e tornai a studiare le coperte, sollevai anche quelle e le scrollai appena, sperando che facessero cadere qualcosa, oltre alla polvere. Niente. Guardai in alto, poi alle mie spalle girando appena la testa e restando piegato sulle ginocchia, i gomiti su di esse, sospirai a bocca aperta. Non sapevo cos'altro fare.
Mi alzai in piedi e, proprio mentre mi ero deciso a gettare la spugna e a tornare a Scotland Yard, in un angolo della stanza, completamente nascosto dal buio, notai un oggetto per terra, abbandonato. Mi avvicinai di corsa, dandomi mentalmente dello stupido per non essermene accorto prima, ma comunque cercando di non farmi troppe illusioni.
Mi inginocchiai e raccolsi... una sciarpa. Tanta eccitazione per una sciarpa? Storsi appena la bocca, alzando il braccio verso l'alto in modo che si allungasse tutta. Eppure mi sembrava di averla già vista prima di allora, o era così o stavo solamente cercando di auto-convincermi. Cercai di fare mente locale, osservandone il colore, grigio a strisce rosse, provando ad aprire un qualche cassetto della memoria. Mi sembrava di averla vista addosso a Henry, il figlio di Emma. Ce l'aveva sempre addosso. Spalancai la bocca per la sorpresa e tornai a guardarmi intorno. Erano stati lì, ora ne ero certo. E continuavo ad avere quella sensazione, mi stava dicendo che erano ancora lì, mi stava dicendo che ero vicino a trovarli.
Presi a scaraventare a terra ogni oggetto presente nella stanza, facendo forse un po' troppa confusione. Non sapevo neanche io cosa stessi cercando, forse una botola? Una botola...
Guardai con la coda dell'occhio le coperte a terra, le afferrai e le lanciai via. Tastai il pavimento fino a trovare una specie di forellino, non l'avevo notato prima per via della poca luce. Respirai profondamente, mentre ci infilavo dentro l'indice, per poi sollevare quello che credevo essere un semplice pavimento. C'erano delle scale di legno che portavano a un sotterraneo. Ormai non avevo più dubbi: lì sotto c'era Emma.
Mi precipitai dentro, saltando scalini per non perdere tempo. Se la luce, al piano di sopra, era poca, ora era davvero misera, ma riuscii comunque a distinguere la figura della donna chinata su di una sedia, le braccia rivolte all'indietro, probabilmente aveva le mani legate dietro lo schienale.
« Emma! » Gridai spontaneo, mentre cominciavo a correre verso di lei. La donna alzò il capo, occhi e bocca spalancati per lo stupore.
« Killian, che diavolo...?! »
« Potresti mostrarti più riconoscente? Infondo ti sto salvando, tesoro » scherzai leggero, accennando un sorriso, mentre la osservavo storcere la bocca e alzare gli occhi al cielo, infastidita al solo pensiero. Mi rassicurò quell'occhiata, significava che nonostante tutto quello che le era successo negli ultimi giorni non si era scalfita, anzi. Emma Swan era davvero una persona disarmante, sotto ogni punto di vista. Alzai appena lo sguardo e notai il ragazzino, rinchiuso dietro delle sbarre. « Henry! » Mi vergognavo per non essermi accorto prima della sua presenza, preso com'ero dalla bionda legata alla sedia.
Dovevo trovare qualcosa per farlo uscire da lì, e poi concentrarmi sulla corda che stringeva i polsi di Emma.
« Ti tiro fuori da qui. E poi slegherò anche te » affermai, rivolto prima al ragazzo e poi ad Emma.
« Killian no, staranno per tornare » fece lei per tutta risposta, cominciando ad agitarsi e a voltare la testa da una parte all'altra, senza sosta.
« Motivo in più per sbrigarmi, Swan » continuai, determinato, cominciando a cercare qualsiasi cosa potesse tornarmi utile.
« Killian », sentii sussurrare il ragazzino, ma non gli diedi troppa corda, immaginando che come sua madre stesse cercando di dissuadermi, spaventato dell'arrivo dei due Clayton.
« Killian » gli fece eco la donna, ignorai anche lei, muovendo appena la mano, come a garantirle che fosse tutto sotto controllo.
« Killian, dietro di te! »
Gridarono entrambi, nello stesso momento, Le loro voci unite mi fecero rizzare i peli, mi voltai di scatto, in tempo per vedere uno degli assassini, senza maschera, con una mazza di ferro in mano. Mi sorrise sghembo, raggelai. Alzò le braccia e mi colpì in pieno volto, con tutta la forza che aveva in corpo.


*Emma Pov*


Lo vidi cadere a terra, ma prima ancora riuscii a vedere uno scorcio di sangue sul suo viso.
« Killian! » Gridai con tutto il fiato che avevo, terrorizzata, cominciando a muovere i polsi, strisciandoli fra loro. Mossi la schiena, le spalle, la testa che si girava prima a destra e poi a sinistra nella speranza di vedere quello che stava succedendo, cosa stavano facendo all'uomo che amavo. « Killian! » Provai ancora a chiamarlo, continuando ad agitarmi su quella sedia, ma l'uomo non osava rispondermi, o meglio, non poteva.
« Calmati dolcezza », fece Clayton, John – oramai avevo imparato i loro nomi – abbassando la mazza e mettendola sul palmo sinistro, con il quale cominciò quasi ad accarezzarla leggermente con i polpastrelli « il tuo fidanzatino è solamente svenuto. Per il momento. »
« Non osare toccarlo » reagii rabbiosa a quella minaccia, mentre l'uomo mi si parava davanti e si abbassava con la schiena per essere più o meno alla mia altezza.
« Se non mi farà arrabbiare » sorrise, lasciando la frase a metà. Continuai a guardarlo dura, mentre suo fratello scendeva e ci raggiungeva. « Aiutami a tirarlo su, Will. »
Cercai di osservarli con la coda dell'occhio mentre prendevano un'altra sedia e la posizionavano esattamente alle mie spalle. Li sentii sforzarsi mentre sollevavano il corpo svenuto di Killian e lo facevano sedere sulla sedia. Percepii le loro manacce che trafficavano con la corda per legargli i polsi: riuscivo a toccare le dita della sua mano con i polpastrelli, sorrisi piacevolmente, accarezzandogli il dorso, anche se non poteva accorgersi di quel gesto.
« Si sta facendo buio », esclamò il fratello più grande, William « libereremo il ragazzino fra non molto, come promesso. » Sgranai gli occhi, stupita, quello significava che avevano trovato un nuovo nascondiglio e di conseguenza la squadra di Scotland Yard avrebbe dovuto rincominciare da zero con le ricerche. E per quanto riguardava me... mi dissi mentalmente che probabilmente non sarei sopravvissuta ancora per molto. Ormai sembrava l'unica certezza. « Come vedi siamo uomini di parola, non faremo niente a tuo figlio, ma non possiamo dire la stessa cosa anche per te e il tuo uomo » rise appena, il fratello gli fece da eco, e poi se ne andarono, lasciandoci soli.
Se la sarebbero presa anche con Killian, era stato il primo pensiero che mi aveva attraversato la mente quando lo avevo visto lì dentro. Ma non potevo permetterlo, ne aveva passate tante, Hook, non potevo farlo morire per mano di due psicopatici e, oltretutto, per colpa mia.

Tesoro, non devi preoccuparti per me. Se c'è una cosa in cui sono bravo, è sopravvivere.” Sì, dovevo stare tranquilla. Lui sopravviveva, in un modo o nell'altro riusciva sempre a scamparla, dovevo restare fiduciosa.
« Mamma... »
« Henry, tranquillo. Usciremo da questa situazione, mi inventerò qualcosa » fermai subito il ragazzino dalla voce spezzata dalla preoccupazione. Non poteva mollare, non lui. Doveva credere che ce l'avremmo fatta, tutti e tre.
« Lo so », affermò, quasi offeso di essere passato per il pessimista della situazione « Quando mi libereranno avvertirò Scotland Yard e li farò subito venire qui, così- »
« No », lo interruppi « non arriveranno mai in tempo, se ne saranno già andati. »
« Posso provare a disarmarli.. »
« Henry non se ne parla! » Sbottai sconvolta.
Ero orgogliosa del ragazzo buono e coraggioso che stava diventando e dovevo ammettere che molte volte la sua espressione delusa per il fatto di non poter collaborare con noi “grandi” mi spezzava il cuore, ma rimaneva lo stesso un adolescente, non avrei mai permesso che affrontasse certi rischi. Ne sarei morta. Due volte, una per mano di Regina.
Il ragazzino si ammutolì, abbassando lo sguardo verso i suoi piedi. Aveva capito dal mio sguardo che non ammettevo repliche e, presto, avrebbe capito che lo escludevo da certe cose per il suo bene.
« Ora abbiamo Killian, dobbiamo solamente liberarci prima del loro ritorno » mormorai, cominciando a muovere lentamente la spalla, per scuotere un po' l'uomo dietro di me.
« E come? Ci proviamo da giorni senza risultati » mi fece notare l'altro, al ché sorrisi, contenta, in un certo senso, per quella domanda.
« Lui è un pirata, no? »
Incurvai gli angoli della bocca, quasi fossi orgogliosa di quello che avevo appena affermato ad alta voce. Henry sorrise di rimando, lanciandomi un'occhiata complice. Killian non aveva più i suoi ricordi, lo sapevamo, non sapeva neanche di essere stato un temutissimo capitano che navigava per mari per inseguire la sua vendetta, ma la sua natura non poteva essere cambiata tanto. Poteva anche non avere la più pallida idea di chi fosse realmente, ma sangue pirata scorreva nelle sue vene, il suo animo si sarebbe risvegliato. O perlomeno lo speravo, perché da quella situazione solamente un pirata poteva tirarci fuori nel minor tempo possibile. Certo, se almeno quel pirata fosse stato sveglio..
« Forza, Hook », mormorai a bassa voce, fra me, a denti stretti, mentre cominciavo a tirargli piccoli calcetti alle gambe, quando ci arrivavo, e alla sua sedia « devi svegliarti » continuai ancora, questa volta a voce più alta, speranzosa che riuscisse a sentirmi.
« Andiamo Killian » provò anche Henry, le mani strette alle sbarre, la bocca quasi del tutto fuori da esse.
Lo colpivo con ogni mezzo a mia disposizione, ma niente. Non riuscivo a provocargli la minima reazione. Alla fine mi arresi, non si sarebbe svegliato con quelle misere bottarelle che riuscivo a dargli, limitata com'ero. Ci sarebbe voluta una bella secchiata d'acqua, ah, quanto mi sarebbe piaciuto fargli un bel gavettone, in quel momento.
Alzai appena gli occhi, il tempo di guardare velocemente Henry, che guardava Killian come se potesse ordinargli di svegliarsi con il pensiero. Sapevo che dovevo passare alle maniere forti, così presi un respiro profondo preparandomi all'urto contro il pavimento, guardai con la coda dell'occhio la sagoma dell'uomo beatamente svenuto alle mie spalle, mordendomi appena il labbro inferiore, così forte che percepii il sapore metallico del sangue uscire fuori da una piccola ferita. Cercai di darmi uno slancio con la sedia verso la mia sinistra, le gambe di legno si sollevarono appena, ma poi ritornarono a terra, come a prendermi in giro. Cercai di prendere uno slancio maggiore, ma il risultato fu lo stesso. Sbuffai arrabbiata, socchiudendo le palpebre con fare minaccioso.
« Coraggio, Emma » mi incitai ad alta voce, prima dell'ultima spinta.
Quella volta andò a buon segno. Avvertii entrambe le sedie alzarsi pericolosamente, persi l'equilibrio, guardai di sfuggita il pavimento impolverato farsi sempre più vicino, serrai istintivamente gli occhi e scostai appena il capo, prima di cadere a terra rovinosamente, atterrando sulla spalla sinistra.
« Aah! » Il lamento di dolore uscito dalle labbra di Hook mi fece sorridere e sospirare sollevata, finalmente ero riuscita a svegliarlo e finalmente potevamo trovare un modo per liberarci.
« Killian », mormorai cercando di attirarmi la sua attenzione, mentre lo sentivo cominciare a muoversi e ad agitarsi per via dei polsi legati, o forse nel suo caso era meglio dire polso e moncone « stai bene? »
« Swan! » Esclamò sorpreso, come se si fosse accorto solo in quel momento della mia presenza. Mi sentii anche un po' offesa, ma cercai di accantonare quel pensiero, non era di certo la priorità al momento. « Cosa diavolo è successo?! » Avvertii un movimento rapido del capo, probabilmente cercava di guardarmi come meglio poteva, ma si bloccò subito, con un altro lamento « Ahi, la testa.. ma cosa..? Clayton! Clayton mi ha colpito! »
« Sì, John », confermai, non che ce ne fosse particolare bisogno « è stata una bella botta. »
« Siete passati ai nomi, adesso? Qual è il prossimo passo, scambiarvi il numero di telefono? » Fece lui per tutta risposta, puntando sul sarcasmo. Arricciai il naso.
« Non sei simpatico, Jones. E soprattutto non credo di essere nella posizione più indicata per fare sarcasmo. In tutti i sensi » ribattei, alludendo al fatto di essere entrambi intrappolati su quelle maledette sedie, spalle al pavimento poi. « Dobbiamo liberarci al più presto, quando torneranno ci uccideranno » rabbrividii affermando certe parole ad alta voce, seppi che Henry fece lo stesso, guardandoci in attesa.
« Non lo permetterò » fece il pirata, sicuro di se stesso. Sorrisi amaramente, anche se non poteva in alcun modo vedermi.
« E come farai, legato in quel modo? »
Si ammutolì, probabilmente serrò la mascella prima di cominciare a muovere le braccia. Era difficile farlo da terra, il braccio con cui toccavamo il pavimento era pressoché immobile sotto al peso del corpo, ma provavamo a non darci per vinti. Per parecchio tempo regnò il silenzio, spezzato solamente da qualche mugolio fatto per lo sforzo.
« Killian... » lo chiamai, fermandomi solo per un momento, a bassa voce. Lui non rispose, non disse niente. Potevo benissimo pensare che non mi avesse minimamente sentito, se non fosse stato per il fatto che, anche lui, arrestò i suoi tentativi di liberarsi dalla presa della corda, come per esortarmi a parlare. « Ti devo le mie scuse » mormorai pensierosa, dopo aver preso fiato.
« Beh, sì. Penso sia il minimo » alzai un sopracciglio, non aspettandomi minimamente delle parole del genere da parte sua. Restai spiazzata per qualche secondo, bocca spalancata alla ricerca di parole adeguate da esprimere, mentre l'altro riprese a contorcersi con le braccia.
« Io... speravo non venissi qui da solo, speravo ci fosse l'intera squadra. Non ho mai voluto che catturassero anche te... »
« Cosa? No, Emma. Non ci siamo » mi interruppe, alternando un movimento del polso con una parola. Aggrottai la fronte e aspettai che continuasse, nel frattempo cominciavo ad avvertire un leggero dolore alla spalla. « Non mi importa niente di essere stato catturato, diamine » continuò agitato. Lo sentii alzare appena il capo con fare esasperato, feci per rispondere ma mi bloccò sul nascere « Sapevo i rischi a cui andavo incontro, Swan. La mia priorità è sempre stata quella di portarvi fuori di qui, tutti e due. Non posso fartene una colpa, ma che razza di uomo pensi che io sia?! »
« E allora cosa c'è? » Domandai, non riuscendo a trattenermi. Non riuscivo a capire, forse perché avevo altre rogne per la testa.
« C'è che non mi hai detto niente, Swan. Niente! Potevi scegliere di fidarti di me, potevi dirmi che Henry si trovava in pericolo. Credi che non sarei stato in grado di metterlo in salvo, o di aiutarti a trovarlo? Hai rivelato tutto a Phoebe, mentre con me hai pensato bene di alzare i tuoi muri. Credevo fosse una cosa che avessimo superato, ormai » sì, l'avevamo superata, più o meno del tutto. Killian non poteva rendersi conto dell'importanza delle sue parole, non poteva sapere che la persona che era riuscita ad abbattere ogni mia barriera era proprio lui, ma non potevo dirglielo. Non in un momento del genere perlomeno.
In quel momento, promisi a me stessa che, una volta in salvo, gli avrei raccontato ogni verità. Avrei vuotato il sacco, gli avrei parlato di Liam, di Neverland, di una pianta di fagioli che aveva segnato l'inizio della nostra avventura. Gli avrei parlato di una pozione della memoria che era riuscita a farmi tornare in me, ma che non era stata abbastanza forte per lui. Ero pronta a dirgli di essere io il suo lieto fine, perché era stato lui stesso a dirmelo, lui che aveva sacrificato ogni cosa per me.
Mi sentii determinata e sicura di me dopo tanto tempo, ma prima dovevo battere i Clayton.
« Non hai capito niente, Killian Jones », sospirai piano « mi fido di te, ciecamente. Ma non potevo dirti niente, per Henry... ma anche per te », sembravano parole già dette, una conversazione che già c'era stata « non potevo metterti in pericolo, non sopportavo l'idea che potesse succedere qualcosa anche a te. Cercavo di tenerti al sicuro, tenendoti lontano da me. »
Non rispose, si limitò a sospirare. In quell'attimo di silenzio mi resi conto che aveva smesso di provare a slegarsi, forse per ascoltare quello che avevo da dire, forse perché le mie parole lo avevano scosso o provocato in lui una qualche reazione. Avrei preferito che mi dicesse qualcosa, però, qualunque cosa, anche un rimprovero.
Pensai che probabilmente si sentiva in colpa per aver dubitato del mio intento e di avermi rimproverato solo pochi minuti prima, sarebbe stato molto da Killian in effetti e non me ne stupii. Rimasi zitta anche io, ad aspettare, ad ascoltare il suo respiro, quello di Henry, che sovrastavano appena il mio. Ci voleva un momento di calma, mi dissi, cercando di non pensare che non ci fosse tempo per certe cose, che dovevamo agire. Chiusi gli occhi e mi domandai se ogni sforzo non fosse stato inutile, visto che, quelle corde, non accennavano minimamente a volersi sciogliere.
Poi percepii la presa intorno ai miei polsi allentarsi e spalancai le palpebre di rimando. Non ebbi tempo neanche di chiedermi se lo avessi immaginato o meno, che sentii quel laccio che mi teneva prigioniera da giorni, scivolare via lungo la mia pelle, guidato dalla mano di un uomo che avevo stretto così tante volte da averne perso il conto.
« Killian, ma come... » l'uomo si era già spostato, i suoi passi risultarono quasi impercettibili. Poggiai il palmo sinistro a terra e cercai di rizzarmi a sedere, presi a massaggiarmi i polsi completamente arrossati e segnati dalla prigionia, mentre lo osservavo piegarsi appena sulle ginocchia per slegarmi anche i piedi. Poco dopo fui completamente libera.
« E' stato facile, in effetti », affermò senza riuscire a trattenere un sorriso smagliante, evidentemente orgoglioso di essere riuscito nell'impresa, prima di allungare la sua mano verso di me, per aiutarmi a rimettermi in piedi « non capisco come hai fatto a non slegarti prima. »
« Probabilmente non ti avevano legato bene » dissi, un po' per smorzare il suo ego e un po' per non far saltare fuori la parola “pirata”. Mi massaggiai appena il braccio, nel frattempo entrambi cominciammo a guardarci intorno, cercando qualcosa per far uscire Henry da quell'orribile cella. « Mi basterebbe una forcina » commentai, mordendomi appena il labbro con fare pensieroso.
« Certo, probabilmente quei due energumeni tengono le forcine nel loro portagioie, vicino agli abiti da sera e agli asciugamani per gli ospiti » mi rimbeccò, ancora una volta, sarcastico. La situazione di pericolo faceva risvegliare gli anni di pirateria che c'erano in lui, in un certo senso mi faceva un immenso piacere, mi era veramente mancato. « Mi basterà questo, romperò la serratura » aggiunse dopo, prendendo un piede di porco arrugginito trovato in mezzo ad altra ferraglia. Subito corsi da lui e riuscii ad afferrargli il braccio prima che potesse fare qualsiasi cosa.
« No, fermo! Ma sei impazzito?! » Esclamai, seppur abbassando di colpo la voce e guardandomi alle spalle come se temessi che potesse spuntare fuori qualcuno dal nulla « Hai idea del casino che provocherà? Non possiamo farci sentire. L'elemento sorpresa, ricordi? » Senza accorgermene mi ero ritrovata a stringere la sua mano nelle mie e, quasi notandolo nello stesso istante, entrambi abbassammo il capo e ci perdemmo un attimo a guardarle.
« Se non riuscite a trovare nulla, non fa niente. Mi liberete dopo aver catturato i Clayton, sicuramente loro hanno la chiave » la voce di Henry ci riportò entrambi alla realtà, ma mi fece scuotere la testa prima ancora di essermi voltata a fronteggiarlo.
« No, voglio tirarti subito fuori da lì » ribattei. Continuavo ad incolparmi per averlo messo in mezzo e per avergli causato così tanti guai, liberarlo avrebbe sicuramente contribuito ad alleggerirmi la coscienza. E poi avevo una voglia enorme di abbracciarlo. « La squadra sarà qui a momenti, vero? » Domandai poi, girando il capo verso Killian, immaginando che doveva pur averli avvertiti prima di precipitarsi in quel posto da solo.
« Sì », fece lui, sovrappensiero, ma non ebbi tempo di rassicurarmi che si corresse subito « no... pensavo fosse il luogo sbagliato e ho detto loro di lasciar perdere » sgranai gli occhi e lo osservai sconvolta, sapevamo entrambi che non li avremmo mai presi da soli, ci servivano senza dubbio dei rinforzi. Alzai gli occhi al cielo, chiedendomi perché andava sempre di male in peggio, cosa avevamo fatto di male per meritarci tutto quello! « Aspetta », esclamò ad un tratto, tastandosi la tasca posteriore dei pantaloni « ho ancora il mio telefono! » Spalancai la bocca per la sorpresa, finalmente la ruota cominciava a girare dalla nostra parte.
« Forza, chiamali allora, io cerco qualcosa per aprire la serratura » annuimmo pressoché all'unisono.
Cominciai a guardare ovunque alla ricerca di qualche oggettino da usare per forzare il lucchetto, nel mentre sentivo Killian imprecare contro il tempo che trascorreva prima che Phoebe, o Jack, rispondesse alla chiamata. Per fortuna quello in cui ci trovavamo doveva essere stato, una volta, un capanno degli attrezzi. C'era veramente di tutto, ma niente che potesse servirmi. Phoebe nel frattempo rispose al telefono e l'uomo cominciò a parlottare a bassa voce, intimandola di raggiungerci con tutti gli uomini che aveva a disposizione. Mi sembrò di sentir nominare Montgomery e mi dissi che probabilmente non avrei avuto il coraggio di affrontarlo di nuovo, non dopo aver messo in pericolo uno dei suoi uomini.
Ad un tratto ritrassi la mano da una cassetta degli attrezzi lasciata in un angolo, punta da qualcosa. Una piccola riga si disegnò sull'indice destro a segnare quel graffietto. Subito dopo notai del fildiferro mezzo arrotolato, perfetto. Neal mi aveva insegnato tutti i trucchi del mestiere, sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Corsi subito davanti la cella, sbrogliando quella matassa attorcigliata come meglio potevo, anche se alla fine mi sarei accontentata di un decimo di quel filo, sarebbe stato più che sufficiente.
« Ti tiro fuori, ragazzino » gli assicurai con un mezzo occhiolino, facendogli scappare un sorriso.
Raddrizzai quel piccolo pezzo di fildiferro con le dita come meglio potevo, prima di andarlo ad infilare nella serratura. Cominciavo a vedere il bicchiere mezzo pieno, finalmente. Il vecchio Killian, il pirata, era riemerso, più o meno, e lo aveva fatto per il solo scopo di aiutarci e di tirarci fuori dai guai. Eravamo riusciti a contattare Scotland Yard per un colpo di fortuna abbastanza notevole, e ora potevo finalmente tirare fuori mio figlio da quella prigione nella quale era rinchiuso da fin troppo tempo.
Muovevo il filo abilmente e con pazienza, fronte corrugata e sopracciglia inarcate alla ricerca della concentrazione e calma necessaria per riuscire. Non doveva esserci fretta, nei miei gesti, dovevo muovermi pacatamente e con attenzione. Mi accorsi solo allora che Killian aveva smesso di parlare, perciò dedussi che la squadra stava correndo in nostro soccorso, ma c'era comunque la possibilità che i Clayton ci raggiungessero prima di loro. Dovevamo trovare un piano B, e alla svelta, magari potevamo affrontarli con qualche arma improvvisata trovata lì dentro. Un piede di porco non era neanche un'idea così malvagia, ma, certo, loro avevano le pistole, probabilmente una bella scorta, mentre noi ne avevamo solo una, quella che non avevano, fortunatamente, preso a Killian, ma i colpi erano un po' limitati.
Ancora qualche secondo ci volle prima che, tutti e tre, aiutati anche dall'innaturale silenzio che regnava nella stanza, potessimo sentire il flebile suono della serratura che scattava. Il lucchetto si aprì e, senza perdere tempo nel pensarci sopra, lo tolsi, aprendo poi la porta della cella ed accogliendo il ragazzino fra le mie braccia. Era diventato quasi più alto di me, ma riusciva ugualmente a farsi piccolo piccolo, con il viso contro la mia spalla sinistra. Chiusi gli occhi poggiando la guancia sul suo capo, un secondo, chiedevo solamente un secondo di pace mentre gli accarezzavo i capelli marroni con fare rassicurante. Quando li riaprii, ritrovai il sorriso commosso di Killian ed incurvai le labbra verso l'alto di rimando.
Ma non era ancora finita.
« Coraggio », sussurrai interrompendo quel momento « non possiamo ancora cantare vittoria, dobbiamo escogitare un piano. »


Non aspettammo poi molto, ad occhio e croce. Avevamo tutti concordato di fingere di essere ancora prigionieri, sperando che solo uno dei Clayton scendesse a controllarci, prima o poi, così da avere più possibilità di ribaltare la situazione e di atterrarlo.
Henry era tornato in cella, avevamo lasciato il lucchetto aperto e dovevo ammettere che quasi non si notava quel particolare visto che la luce era piuttosto bassa ormai, probabilmente il sole sarebbe tramontato a momenti.
Io e Killian eravamo tornati nuovamente a sederci su quelle sedie scomode, tenendo le mani dietro la schiena, ma, ai nostri piedi, tenevamo il piede di porco e la corda che eravamo riusciti a recuperare. Eravamo pronti a tutto.
Ad un certo punto sentimmo dei passi provenire dal piano superiore. Deglutii silenziosa e mi preparai psicologicamente ad entrare in azione, seppi che Killian dietro di me faceva la stessa cosa e mi tranquillizzò.
Un minuto dopo qualcuno aprì la botola, girai appena il capo in tempo per vedere due stivali marroni, sporchi di fango sulle punte, scendere quei pochi scalini prima di rivelare la figura del loro proprietario. William Clayton, l'uomo che per qualche settimana avevamo chiamato “Il cacciatore”, si presentò a noi con fare più che tranquillo, i possenti pettorali che si individuavano benissimo sotto la canottiera marroncina che aveva addosso.
Posò il suo sguardo su di noi, un mezzo sorriso divertito comparve sulla sua bocca.
« Guarda un po' chi si è svegliato! » Esclamò retorico, rivolto a nessuno in particolare. Guardai oltre la sua spalla destra, in attesa di vedere arrivare anche suo fratello, ma questo non accadde e ciò mi fece sospirare sollevata. Proprio come avevamo sperato. « Portiamo via il ragazzino e poi ci occupiamo di voi » aggiunse l'uomo, la bestia, il mostro, a mo' di avvertimento.
Ci passò davanti senza degnarci di un'ulteriore occhiata, tirò fuori un mazzo di chiavi e partì a cercare quella che gli serviva, dandoci le spalle. Mi abbassai furtivamente ed afferrai il piede di porco con la mano destra, lo strinsi forte nel pugno, mi alzai in piedi mettendomi dietro di lui, afferrai l'oggetto con entrambe le mani, alzai le braccia e colpii meglio che potevo.
Quello quasi non se ne accorse. Non gridò, non gridai. Non un fiato. Stramazzò solamente al suolo, le chiavi che gli scivolavano di mano e risuonavano sul pavimento. Trattenni il fiato e tesi le orecchie, ma nessuno, dal piano di sopra, parve essersi accorto o preoccuparsi di un simile e, all'apparenza, innocente suono. Ancora una volta, sospirai con più sollievo nel cuore, lasciando andare il fiato che neanche mi ero resa conto di aver trattenuto. Solo allora notai il sangue sul piede di porco, abbassai lo sguardo e vidi una piccola pozza rossa emergere da sotto il capo di Clayton.
Lo avevo ucciso? La testa prese a girarmi inaspettatamente.
« Non incolparti, Swan », Killian mi si avvicinò interpretando bene la mia espressione, prima di posare debole la mano sulla mia spalla sinistra « ha avuto quello che si meritava. » Annuii appena.
« Lo so » affermai solamente. La verità era che avevo ucciso un uomo a sangue freddo, di nuovo. Che ripercussioni poteva avere su di me?
Killian si premurò di far uscire Henry, mentre io mi chinavo sul corpo inerme al centro della stanza e prendevo la sua pistola. Guardai in direzione della corda, poco distante, preparata per legarlo ma, a quanto pareva, non sarebbe più servita.
« Ora viene la parte difficile », esclamai, tirandomi su e controllando quanti proiettili avesse la pistola « Henry, qualsiasi cosa succeda, resta dietro di me. La squadra sarà qui a momenti ormai, se dovessero arrivare prima della fine di questa storia, voglio che tu raggiunga Phoebe e che ti metta al sicuro, siamo intesi? » Il ragazzino annuì, stanco probabilmente di ribattere o, forse, consapevole del fatto che non ammettevo repliche.
Lanciai un'occhiata d'intesa a Killian, anche lui estrasse la sua pistola e fece per salire, senza aspettare il mio okay. Lo lasciai fare, sapendo che fosse inutile mettermi a discutere su chi doveva salire per primo, e poi era meglio restare indietro e tenere Henry sotto controllo.
L'uomo salì un gradino per volta, lentamente. Noi, dietro, facemmo esattamente la stessa cosa, premurandoci di mettere i piedi nel suo stesso punto, per evitare scricchiolii indesiderati. Improvvisamente, Hook portò il braccio sinistro indietro, come per fermarmi o intimarmi di non far rumore. Mi arrestai immediatamente, non capendo cosa avesse in mente, ma non feci in tempo neanche a domandarmelo che subito scattò fuori, pistola puntata verso destra, alta.
« Arrenditi Clayton », fece duramente, l'arma ben stretta « sei rimasto solo, non hai scampo ormai. »
« Oh, Jones, mettila via », cominciò una voce calma ma penetrante « non hai il coraggio di usarla, devo forse ricordartelo? »
« Non mettermi alla prova » tuonò il pirata, una voce che, quasi, mi spaventò. Tenevo stretto Henry, sperando che l'uomo non facesse niente di avventato.
« Quando è così... » mormorò l'altro.
Poi uno sparo, sobbalzai sul posto e tirai fuori la pistola, feci per raggiungere Killian, ma Henry mi bloccò per un braccio. Restai in attesa prima di sentire un altro sparo, allora mi girai verso il ragazzino e gli intimai di restare lì, al sicuro, poi corsi fuori anche io.
Vidi subito Killian rintanato dietro a un tavolo, Clayton al sicuro dietro una parete.
« Emma, togliti da lì! » Mi urlò contro il pirata, prima che un colpo partì dalla parte opposta della stanza. Mi chinai giusto in tempo e riuscii a schivarlo, presi la pistola con entrambi le mani e presi a sparare come una matta, in preda alla collera. Un rantolo di dolore mi fece capire che lo avevo colpito, forse a un braccio o a una gamba. « Emma! » La voce di Killian mi raggiunse un'altra volta, voleva che lo raggiungessi o che mi mettessi al sicuro, ma non volevo ascoltarlo.
« Marcerai all'inferno, Clayton! » Gridai arrabbiata, nella mia mente rimbombavano i nomi di tutte le vittime innocenti uccise a sangue freddo da quei due mostri. Sentii quasi il senso di colpa per la morte del fratello maggiore scivolare via, seguito da una vocina che mi diceva che era giusto così. In quel momento mi fermai, chiedendomi cosa mi stesse prendendo. Avevo accantonato ogni preoccupazione riguardante la mia oscurità, decisa ad andare avanti, ad aiutare Lily, a perdonare i miei genitori. Dovevo calmarmi.
« Prima vi ci porterò insieme a me! » Clayton spuntò fuori e prese a sparare all'impazzata, Killian uscì dal suo nascondiglio e mi afferrò per il braccio destro, strattonandomi, poi, insieme a lui dietro a quel tavolo.
« Oddio, Killian! » Esclamai, notandolo mentre si portava la mano sulla spalla opposta, con espressione dolorante. Era stato colpito, era stato colpito per colpa mia!
« No- non è niente, Swan. Tranquilla » respirò a fatica, ma non sembrava esser grave. Con un po' di fortuna il proiettile lo aveva trapassato da parte a parte ed era uscito, ma non avevo il tempo di controllare. « Mi è rimasto un solo proiettile » rivelò poi, scoraggiato.
Lo guardai rapida e seppi di non avere alternative. Mi alzai e presi a sparare, un colpo dopo l'altro. Il terzo andò a segno e così continuai. Vidi l'uomo venir colpito prima alla spalla, poi al petto, poi ad una gamba. Ad un certo punto cadde a terra e solo allora mi fermai, accorgendomi subito delle sirene di qualche volante della polizia proveniente dall'esterno del capanno.
Erano arrivati, i Clayton erano morti. Era tutto finito. Abbassai la pistola e presi a respirare piano. Killian si alzò poco dopo, Henry parve fare capolino timidamente. Un istante dopo Jack irrompeva nel capannone, seguito dai gemelli e poi da Phoebe, le armi in bella vista, pronti ad aprire il fuoco.
« Killian! Emma! » Esclamarono tutti, quasi all'unisono, prima di guardarsi intorno e rendersi conto della situazione.
« E' finita » esclamò l'uomo al mio fianco.


Dovetti rilasciare una deposizione, Killian invece dovette sorbirsi i rimproveri di un Montgomery decisamente molto adirato, che continuava a lanciarmi truci occhiatacce. Quando fui libera di andare, mi avvicinai a Jack che si stava occupando di Henry.
« Torno un attimo dentro a... controllare i corpi » lo informai. Non sapevo cosa mi stava prendendo, sentivo il bisogno di scendere nella botola, forse era la coscienza a muoversi per me, forse una cattiva sensazione. Non sapevo dirlo. Volevo davvero scusarmi con quei mostri che avevano causato tanto dolore? Sapevo che quella era la fine che avevano meritato e sapevo che, per quanto riguardava John, era stata decisamente legittima difesa. Ma suo fratello... lo avevo colpito alle spalle con una crudeltà che non credevo di avere.
Mi vergognavo quasi di me stessa.
Scesi nella botola e, subito, notai che qualcosa non andava. Mi guardai intorno, il corpo doveva trovarsi oltre le nostre sedie, poco vicino alla cella. Doveva, ma non c'era.
Decisamente qualcosa non andava. Presi a tremare. Forse non era morto, ma, con le ultime forze che gli rimanevano, era riuscito a spostarsi. Sicuramente non doveva essere andato molto lontano.
Cominciai a mettere tutto a soqquadro, ma Clayton non c'era. Restava solo la pozza di sangue come prova della sua presenza. Nient'altro.
Tornai di sopra confusa, ma subito impietrii.

Il cacciatore era davanti a me e sorrideva sghembo. Disarmata alzai le mani in aria, rassegnata, stava per spararmi, sentii che la mia ora fosse arrivata. Non potevo credere che sarebbe finita in quel modo, così come non potevo credere che ci avesse beffato in quel modo, che quel colpo lo avesse solamente tramortito.
Chiusi gli occhi debolmente, sentii l'uomo premere il grilletto, deglutii, sperai che Henry fosse al sicuro, non volevo che mi vedesse. Pensai a Killian, mi dissi che se la sarebbe cavata anche senza di me, anche se sarebbe rimasto per sempre lì a Londra. Pensai ai miei genitori, mi avrebbero persa per l'ennesima volta, avrei solamente voluto abbracciarli in quel momento.
E poi lo sparo.
Sobbalzai e spalancai gli occhi. Mi mancava il respiro ma non sentivo dolore. Non provavo il minimo dolore... com'era possibile? Mi avevano appena sparato! Vidi il cacciatore stramazzare al suolo, il sangue uscire dal suo petto, dal cuore, gli occhi spalancati. Tornai a respirare nel momento in cui capii che qualcun altro mi aveva appena salvata. Mi girai e vidi Killian, la pistola ancora puntata verso il nulla, mi guardava preoccupato. Mi aveva salvato la vita, ancora. Gli sorrisi, come a dirgli 'sto bene', ma poi impallidii. John Clayton, con le ultime energie che gli rimanevano, alle spalle dell'uomo, gli aveva appena rivolto la pistola contro e si accingeva a sparargli. Quei due fratelli avevano la pellaccia dura, decisamente troppo per i miei gusti.
« Killian! » Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. Corsi in suo aiuto mentre Clayton sparava, ma riuscii a pararmi davanti a lui, riuscii a proteggerlo. L'assassino cadde subito a terra, privo di forze.
« Emma! » A urlare, quella volta, fu Killian. Quella volta il dolore lo sentivo, un dolore mai provato prima mi invadeva tutto il corpo tanto da non farmi capire da dove provenisse. Non riuscivo a respirare, mi sentii mancare e proprio in quel momento Killian mi afferrò per il ventre. Si abbassò delicatamente a terra, facendomi sdraiare quando si accorse che non riuscivo più a stare in piedi. « Emma, non dovevi farlo! » Mi rimproverò, guardandomi sconvolto. I suoi occhi andavano dalla ferita, al mio volto, alla mia bocca, poi di nuovo alla ferita.
« Tu... stai bene » constatai rincuorata con un filo di voce. Speravo di non essere messa così male ma, evidentemente, mi sbagliavo. Provavo dolore anche solo nel parlare.
« Che ti è saltato in mente, Swan, cazzo! » Continuò lui, con la voce spezzata. I suoi occhi luccicavano, che stesse per piangere? O forse ero io che non riuscivo a distinguere realtà e finzione? Il pirata si guardò poi la mano, che fino a quel momento era stata ferma sulla mia pancia: era sporca di sangue, completamente rossa, non si riusciva quasi a vedere il minimo accenno della sua pelle. La maglietta che indossavo completamente zuppa, sentivo quasi il sangue uscire dalla ferita d'arma da fuoco. Sospirai appena, anche quello mi fece male. « Phoebe! Maledizione, dove cazzo sei? Chiama i soccorsi, muoviti! »
« Stanno arrivando », rispose la ragazza, non riuscivo a vederla, neanche mi ero accorta della sua presenza, ma ero certa che ci avesse raggiunto una volta sentito gli spari « cazzo, cazzo, cazzo » continuava a ripetere fra sé.
« Killian... », lo richiamai « Credo... credo che sia tardi, Killian. »
« No che non lo è! E non parlare, devi conservare le forze, Swan. Devo dirti proprio tutto? » Disse quelle ultime parole con una smorfia sul viso, provando a risultare ironico. Gli sorrisi.
« Ascolta », affermai debolmente, lui chinò appena il capo verso di me, per sentire meglio « ascolta. Grazie... per tutto quello che hai fatto per me e per la mia famiglia. Grazie per essermi stato sempre... accanto. Sei stato la... mia roccia... nei momenti peggiori. Io... io ti amo, Killian... ti amo... non dimenticarlo... non dimenticarmi, ti prego » gli accarezzai la guancia e in quel momento avrei tanto desiderato baciarlo un'ultima volta, ma non ne avevo le forze. Mise la sua mano sulla mia, fu macchiata anch'essa del mio stesso sangue, e mi guardò profondamente.
« Emma... cosa stai dicendo? Non stai morendo Swan, non lo permetterò. Te lo prometto. »
Sorrisi per quelle sue parole così ingenue. Improvvisamente non sentii più alcun dolore, mi concentrai su quegli occhi blu, mi immersi in quell'oceano che mi scrutava disperato. Decisi che non era un brutto modo per morire, quegli occhi mi avrebbero addolcito il viaggio e guidato in un posto migliore. La mia mano cadde dalla sua guancia, non avevo davvero più forze.
« Swan! » Gridò Killian « Swan! No. No, no, no, no. Guardami. Emma, guardami ti prego. Emma! No, ti prego no. Emma! Swan! » I suoi occhi furono l'ultima cosa che vidi e la sua voce – mischiata a una sirena dell'ambulanza forse troppo lontana – l'ultima cosa che sentii. Poi ci fu solo buio.
Nient'altro che buio.




Angolo dell'Autrice:
Vi chiedo decisamente scusa per via di questo immenso ritardo (come al solito), solo che questa volta, davvero, non mi aspettavo di ritardare tanto. E' stata un'ultima settimana particolare, devo ammetterlo, e ci sono stati giorni in cui la voglia di mettermi a scrivere scarseggiava. Ho cominciato a pensare che forse dovrei concentrarmi su capitoli più brevi, magari di 5-6 pagine, così da non lasciarvi a digiuno per tutto questo tempo, ma ormai direi di continuare su questa linea visto che mancano 3/4 capitoli alla fine.
Anyway.Via, insultatemi pure. Emma, Emma, Emma. Ancora una volta ha scelto la vita di qualcun altro, la vita del suo Vero Amore, prima ancora della sua. Dove porterà questa scelta? Cosa capiterà adesso alla nostra beniamina? La sua vita finirà davvero qui o subirà qualche ripercussione?
Perlomeno, l'Operazione Grimm è finalmente giunta al termine. I cattivi sono andati, morti. Non ho mai pensato a una fine diversa per loro, nessuna redenzione o seconda possibilità per restare fedele al personaggio originale al quale mi sono ispirata. Magari Clayton si ricongiungerà alla sua Cruella, magari semineranno il panico nell'Underworld, chi lo sa? (Attento James, arriva la concorrenza!) Ah, ho trovato quest'immagine su internet prima che finissi di scrivere il capitolo e dovevo assolutamente condividerla con voi! Quasi quasi mi metto a shipparli, giusto un pochino.
Be', fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, se vi aspettavate una conclusione del genere, cosa credete che succederà nel prossimo?
Vi lascio mandandovi un bacio e ringraziandovi per le recensioni che mi lasciate e per il tempo che perdete per leggere questa storia che, ahimé, sta per giungere al termine. Voglio piangere.
A presto,

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Capitolo 19
*** Survive ***


19. Survive




*Killian Pov*


Sentii scivolare la sua mano dalla mia guancia e mi sentii svenire.
Non poteva mollare. Emma era una che combatteva, sempre, con tutte le forze che aveva. Doveva rimanere aggrappata anche alla più flebile speranza di salvezza, e così dovevo io, non potevo lasciarmi prendere dal panico, anche se mi risultava difficile non farlo in un momento del genere.
Non potevo perderla. Vedevo la vita lasciare i suoi occhi profondi e mi rendevo conto che non potevo lasciarla andare via, era mio compito non lasciarglielo fare in alcun modo.
« Ti prego, Emma » le dissi agitato cominciando a scuoterla, sperando che questo bastasse a farle spalancare le palpebre che si erano debolmente serrata solamente un istante prima. Avevo poggiato la mano sul suo braccio sinistro, la muovevo come meglio potevo mentre osservavo disperato quelle labbra ancora schiuse, sembravano portarsi addosso ancora quel “Ti amo” che mi aveva detto prendendomi alla sprovvista.
Quando non percepii alcun movimento, abbassai il capo quasi a sfiorare il suo, ma non sentii niente. Neanche un debole respiro. Le sentii il polso, allarmato e preso dal panico, ed anche lì non percepii il minimo battito. In compenso il mio cuore prese ad accelerare, a martellarmi nel petto senza sosta, come se volesse farmi sapere che fosse lì e me lo stesse gridando all'impazzata.
« Maledizione, Swan » esclamai tra me, a denti stretti, senza un vero motivo. Posai la mano sul torace della donna e il moncone su di essa, senza aggiungere un'altra parola che si sarebbe persa solamente nel vento, e cominciai a fare pressione in un disperato massaggio cardiaco che non avevo intenzione di interrompere fino a quando non avesse aperto gli occhi. O mosso anche solo un muscolo.
Dentro di me ero certo di non aver mai provato tanta preoccupazione, per una persona o per una situazione, in tutta la mia vita. Ad un certo punto arrivai anche ad incolparla, ad avercela con lei. La incolpai di essersi fatta sparare, di avermi trascinato in quella situazione, di essersi messa fra me e la pistola di Clayton. Non mi ero mai reso conto di essermi così affezionato a quella donna, anche se avevo sempre sentito nel profondo che ci fosse qualcosa che ci legasse, anche se continuavo a non spiegarmi il perché.
Emma Swan era una persona importante per me, cominciavo a capirlo, ma non capivo come fosse possibile attaccarsi tanto a una persona che avevo conosciuto neanche un mese prima.
Quindi sì, la odiavo per avermi messo in quel casino, la odiavo per avermi fatto vivere una cosa del genere, per avermi fatto sperimentare un livello di paura, ansia ed agitazione che non pensavo fosse possibile raggiungere. E la odiavo perché continuava a restare lì per terra, priva di sensi, nonostante tutto.
« Killian » la voce di Phoebe, alle mie spalle, mi riscosse ma non mi fermai, non potevo smettere di comprimere sul petto neanche per un secondo. Mi chiesi quando si fosse avvicinata tanto, sentivo quasi il suo fiato sul collo e mi parve di vedere la sua figura, con la coda dell'occhio, a qualche centimetro dalla mia. Forse si era inginocchiata al mio fianco senza che me ne rendessi conto « Non c'è più niente da fare » commentò a bassa voce. Sentii la rabbia cominciare a salire, ma anche la stanchezza, serrai quindi la mascella cercando di mettere ogni emozione sull'operazione che stavo facendo.
« Zitta » mormorai di scatto, quasi in un sussurro. Non volevo perdere il ritmo, ma soprattutto non volevo che dicesse cose del genere, non potevo starla a sentire.
« Mi dispiace » fece lei, mettendo una mano sulla mia spalla sinistra. La voce spezzata.
« Non dovrebbe dispiacerti, Emma starà bene » affermai deciso, cercando di smorzare il fiatone.
« Emma non c'è più » singhiozzò lei, forse portandosi una mano sulla bocca per non farmene accorgere.
« No » ribattei scocciato. Non potevo credere che fosse già finita. Non lo accettavo. Quella ragazza stava cominciando seriamente ad infastidirmi.
« Ti prego, Killian. Fermati » urlò allora lei, forse pensando di intimorirmi o sorprendermi a tal punto.
« No! »
« Non puoi fare più niente! »
« Smettila Phoebe, stai zitta! » Sbottai alterato, girando leggermente il capo per guardarla « Vai via, è meglio » continuai poco dopo, tornando a guardare il corpo senza vita di Emma che si muoveva sotto la mia mano. Phoebe, comunque, non si mosse, posò le mani sulle sue ginocchia e rimase al mio fianco, con la testa basta, a piangere silenziosamente.
La sirena dell'ambulanza sembrava sempre più vicina e una parte di me parve tranquillizzarsi appena, l'altra, invece, cominciò a provare un certo dolore fisico: mi invadeva per tutto il corpo e parve concentrarsi sulla spalla sinistra. Cominciai ad avere la nausea, mi veniva da vomitare, volevo vomitare. Tutto, sia il dolore fisico che quella sofferenza del cuore che mi aveva attanagliato dall'istante in cui avevo preso Emma Swan tra le braccia, ferita e debole.
« Tu sanguini » la ragazza al mio fianco fece notare una cosa che poteva anche sembrare ovvia, se solo non mi fossi dimenticato di essere stato ferito io stesso durante il primo conflitto a fuoco. Era quella la causa del male che stavo provando, la ferita alla spalla. Da quanto tempo aveva preso a dolermi di nuovo? Me ne stavo accorgendo solo in quel momento, forse si era riaperta per lo sforzo, ricordavo di averla controllata subito prima di parlare con Montgomery e non mi sembrava messa tanto male.
« Non è niente » provai a tranquillizzarla o almeno a spostare la sua attenzione su una faccenda più importante. Alzai lo sguardo e vidi Jack poco distante, mi guardai intorno come a cercare quell'ambulanza che ancora non ci aveva davvero raggiunto, lui parve interpretare i miei occhi spaventati e si allontanò, ad aspettare i soccorsi.
« Sei ferito », Phoebe parve non avermi ascoltato minimamente, cominciò a trafficare con la mia maglietta, tirando il colletto verso di lei così da scoprire quel foro di proiettile « Dio, credo si stia infettando! »
« Sciocchezze » mormorai col respiro affannato. Valutai l'idea di mettere la ragazza a effettuare il massaggio cardiaco al posto mio, ma avevo il terrore che avrebbe gettato la spugna dopo poco, allora stringevo i denti e continuavo come un matto.
« Devi piantarla. »
« Phoebe, ne abbiamo già discusso. »
« Stai perdendo troppo sangue, cosa non ti è chiaro?! »
« Non posso lasciarla morire, cosa non è chiaro a te? »
« E' già morta, Jones! Smettila. »
« Smettila tu, cazzo » le sue parole mi fecero un incredibile male. Lo capì lei stessa, quando mi girai a guardarla, duro e truce, forse non mi aveva mai visto in quello stato. Ero pieno di sangue, tra l'altro, il mio e quello di Emma. Lo avevo anche sulla parte destra del viso, ero letteralmente imbrattato dalla testa ai piedi.
« Testardo di un pirata » affermò quella, spintonandomi via con tutta la forza che aveva concentrata nelle spalle, e riuscendoci per giunta. Fui scostato, allontanato da Emma. Persi per un attimo l'equilibrio, ma girai subito lo sguardo per urlare contro la donna e sfogare così tutta la rabbia. Rimasi con la bocca chiusa, però, quando la vidi comprimere il torace della bionda con un ritmo regolare. Aveva preso il mio posto, per farmi contento e per farmi riposare.
Pensai anche alla parola che mi aveva detto: pirata. Un'espressione bizzarra, ma non ebbi tempo o voglia di chiedergli qualunque cosa, perché Jack aveva appena fatto ritorno in tutta corsa, portandosi dietro ben due paramedici.
« Forza muovetevi » gridai loro contro, rizzandomi in piedi e notando poi la barella che si portavano dietro. Diedi loro una mano – letteralmente – ad adagiare la donna su di esso e li seguii fuori, con Phoebe e Jack dietro.
« Le serve dell'ossigeno! » Gridò uno in direzione di un altro paramedico che aspettava dentro la volante. Ben presto Emma si ritrovò con una maschera alla bocca a pomparle l'aria di cui aveva bisogno, mentre continuavano ad effettuare il massaggio cardiaco. Sapevo che se non ci fosse stato nessun miglioramento non ci sarebbe stato nient'altro da fare, si sarebbero arresi anche loro e non potevo sopportare l'idea. Phoebe mi stringeva per il braccio sano, forse voleva sorreggermi o forse voleva sorreggere se stessa, non lo sapevo e non mi interessava. Probabilmente stava piangendo, almeno lei ne aveva la forza. « Abbiamo il battito! »
Ebbi un tuffo al cuore e improvvisamente mi sentii più leggero. Phoebe singhiozzò, Jack sospirò forte e gli altri componenti della squadra – che ci avevano raggiunti da poco – si guardarono tranquilli, mentre io non riuscii a fare niente, non mossi un solo muscolo e non dissi la minima parola. Ne ero grato, ovviamente. Ne ero immensamente grato. Emma stava combattendo, non si sarebbe arresa ed era la notizia più bella che potessero dare. Tutti quegli sforzi non erano stati inutili, avevo avuto ragione a non perdermi d'animo e a non mollare. Sapevo che non mi sarei mai dato pace se non avessi tentato fino alla fine ed Emma mi aveva ripagato come meglio poteva.
Indietreggiai appena, sollevato. Mi passai una mano sulla fronte per asciugarmi il sudore, anche se probabilmente non feci altro che sporcarmi maggiormente di sangue. Improvvisamente, avvertii, dapprima, un leggero tremolio delle gambe, poi la testa prese a girarmi. Il buio mi accolse d'improvviso e svenni prima che potessi rendermene conto, o di sentire tutti gli altri chiamarmi per nome, allarmati.


***


Fu un frastuono fatto di voci e rumori assordanti a svegliarmi. Sentivo le palpebre pesanti, ma mi imposi di aprirle e piano piano ci riuscii. In un primo momento vidi tutto appannato, sbattei lentamente le ciglia un paio di volte prima di mettere a fuoco tutto quello che mi circondava.
Mi resi conto subito di trovarmi in una stanza d'ospedale e rizzai subito la schiena, mettendomi seduto pur restando con le gambe allungate su quel lettino bianco e scomodo, allarmato. Con quel movimento brusco provai una lievissima fitta alla spalla, dove mi accorsi di avere un cerotto abbastanza grande che probabilmente nascondeva vari punti. Mugugnai leggermente e mi guardai intorno: non c'era nessuno, ma affianco al letto vi era una poltroncina che mi fece presumere che qualcuno, almeno fino a qualche istante prima, avesse aspettato che riprendessi i sensi.
Mi alzai, infine, senza farmi troppe domande e passandomi una mano prima sulla testa e poi sugli occhi. Dovevo trovare Emma. Non sapevo in che condizioni si trovasse e solo questo mi faceva agitare forse più di quando l'avevo vista abbandonarsi fra le mie braccia. Lei... lei mi era morta fra le braccia. Realizzai solo in quel momento la disperazione che mi aveva provocato e il miracolo che era avvenuto, forse grazie a me, forse no, dopo. Il suo cuore aveva ripreso a battere, ma poi? Dove l'avevano portata? Speravo si trovasse in quello stesso ospedale perché volevo assolutamente vederla, senza perdere altro tempo.
Prima che ebbi tempo di avviarmi verso l'uscita, Jack mi precedette ed entrò nella stanzetta con una tazza di caffè in mano. Camminava a testa basta, per questo quando alzò il capo e mi vide davanti a lui sobbalzò sorpreso.
« Killian », esclamò, quasi incredulo « ti sei svegliato finalmente! » Sorrise sincero e feci la stessa cosa di rimando, accennando un piccolo gesto del capo. Feci per replicare, ma mi bloccò sul nascere « Non so se dovresti stare in piedi! »
« Jack non ho subito un'operazione », dissi leggermente esasperato « io sto bene. Nessuna infezione, nessun proiettile, solo qualche punto » aggiunsi, mostrando quindi la spalla sinistra, per far capire al ragazzo che fosse tutto sotto controllo. Prima Phoebe, poi Jack. Non avevo bisogno di qualcuno che si preoccupasse per me, o meglio, ne ero lusingato, davvero, ma non ero io quello messo male, c'era Emma che aveva bisogno di noi, dovevano pensare a lei, non a me.
« Anche prima avevi detto di star bene, e poi sei svenuto » replicò il ragazzo. Alzai gli occhi al cielo e mossi appena la mano, facendogli intendere che non volevo più sentire una sola parola su quel discorso. Gli passai accanto e gli tolsi la tazza dalle mani, gustando subito un sorso del liquido nero e caldo. L'altro non poté fare altro che venirmi dietro, scoraggiato.
« Dov'è Emma? Come sta? E' successo qualcosa dopo che sono svenuto? E Henry è con voi? » Cominciai a chiedergli a raffica, volgendo di tanto in tanto lo sguardo a destra e a manca, alla ricerca di qualche faccia conosciuta. Probabilmente la maggior parte della squadra era tornata a Scotland Yard, o a casa. Mi domandai che ore fossero, per quanto tempo ero rimasto svenuto, ma accantonai subito quel pensiero perché poco mi importava. Mi convinsi del fatto che Henry stesse sicuramente con Emma, forse Phoebe era rimasta con loro, magari lei e Jack si erano dati il cambio un paio di volte.
« Respira, Killian », affermò il ragazzo mentre, me ne resi conto solo in quel momento, mi guidava per i corridoi dell'ospedale con fare sicuro e disinvolto « Henry è con Phoebe, l'ho lasciato con lei poco fa, prima di venire a controllarti », confermò la mia teoria e annuii silenzioso, capendo che non aveva finito di parlare e spiegarmi la situazione « stanno aspettando notizie. Killian », si bloccò, letteralmente, e fermò anche me, afferrandomi al volo per il braccio sano e facendomi voltare a fronteggiarlo, anche se era parecchio più basso di me e faceva fatica a guardarmi in faccia « Emma non sta bene », raggelai, feci per parlare ma non me lo concesse « è grave, non potevi aspettarti il contrario, voglio dire lei era... era... insomma, hai capito », “morta” sì, avevo capito cosa intendesse e anche io faticavo ancora a realizzarlo « comunque la stanno operando, sono dentro da circa un'ora e mezza e credo ne avranno per un altro po' ancora. Ora andiamo, sono tutti in sala d'aspetto » sospirai e mi lasciai guidare dal ragazzo.
Cominciai a pregare, dentro di me, con la mente e con il cuore. Pregai affinché l'operazione andasse bene, pregai affinché Emma si svegliasse presto e riprendesse le forze. Se fosse successo qualcosa, se l'avessi persa per sempre, non me lo sarei mai perdonato. Il che suonava un po' come un controsenso, visto che qualche ora prima ero arrivato a incolparla di tutto.
Mi grattai appena il capo, il collo, e presi a respirare piano, profondamente. Dovevo darmi una calmata. Stavo andando incontro ad Henry, non potevo rischiare di agitare quel ragazzino più del dovuto. Immaginai quanto potesse essere terrorizzato: solo, in una città che non conosceva, libero solamente da un paio d'ore da una prigionia lunga una decina di giorni o forse di più, con la madre sotto ai ferri e per giunta circondato da completi (o quasi) sconosciuti.
Anche se, arrivati in sala d'aspetto, la prima cosa che notai fu l'apparente calma del ragazzo in questione. Se ne restava seduto, alla destra di Phoebe, in silenzio, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani incrociate, ferme. Nessun tremolio o segnale d'ansia, nessun piede che sbatteva rapidamente sul pavimento, nessun occhiata furtiva all'orologio che ticchettava per un fortuito caso proprio davanti a lui. Guardava solo per terra. Forse ebbi l'impressione di scorgerlo mentre si mordicchiava il labbro inferiore, ma fu una cosa rapida, tanto che pensai di essermelo immaginato.
« Henry, Phoebe » li chiamai, avvicinandomi a loro. Si girarono quasi simultaneamente, sorpresi di vedermi arrivare, anzi, probabilmente neanche si sarebbero accorti della mia presenza se me ne fossi rimasto in silenzio. Henry mi sorrise, Phoebe invece mi lanciò un'occhiataccia.
« Ti hanno dato l'ok per andartene in giro? » Mi domandò con fare accusatorio, sapendo già che la risposta fosse negativa.
« Non cominciare anche tu. Sto bene » ripetei per la milionesima volta. Mi guardò attentamente, sembrava pensare a cosa replicare, o forse se replicare. Alla fine lasciò perdere e volse il capo verso sinistra, dove probabilmente sarebbe arrivato uno dei dottori a cui era affidata la vita di Emma, subito dopo essersi lanciata un'occhiata silenziosa con Jack, che rimase alle mie spalle, poggiato alla parete, mentre io prendevo posto accanto al ragazzino. « Ci sono novità? » La ragazza scosse la testa e fu la prima a rispondere.
« No », affermò « o meglio, qualche minuto fa ci hanno detto che è stabile, ma comunque non è fuori pericolo. Stanno facendo tutto il possibile eccetera eccetera. La solita solfa che ti rifilano i chirurghi » mi spiegò, cercando di rimanere di ghiaccio, anche se riuscivo benissimo a percepire la sua preoccupazione. In altre occasioni avrei sorriso e l'avrei presa in giro: alla fine si era affezionata anche lei ad Emma, nonostante l'antipatia iniziale tra le due.
« Starà bene », affermai sovrappensiero, forse per rassicurare Henry, forse per rassicurare me, forse per rassicurare tutti « Emma è forte, sono sicuro che presto ci prenderà in giro per esserci preoccupati tanto » tentai di ironizzare, incurvando appena le labbra verso l'alto, prima di guardare Henry.
« Lo so », fece lui, ancora apparentemente tranquillo « non sono preoccupato, si rimetterà presto. Gli eroi cadono, ma si rialzano sempre. Anche io, anni fa, sembravo spacciato, e poi la mamma è riuscita a salvarmi » corrugai la fronte e lo guardai accigliato, ebbi il sospetto che Phoebe e Jack facessero la stessa cosa.
« Come? » Mi limitai a domandare, non capendo cosa volesse dire con “riuscita a salvarmi”. In che modo? E cosa era successo a Henry?
« Lascia stare », rispose lui, evasivo « il punto è che non bisogna perdere la speranza. Sono spaventato anch'io ovviamente », si sbrigò ad aggiungere, forse vedendo finalmente le nostre espressioni « ma cerco di rimanere aggrappato alla speranza » concluse. Speranza. Magari nei suoi libri di fiabe era così che andavano le cose, ma quella era la realtà, sua madre stava davvero rischiando la vita e della nostra speranza, probabilmente, non se ne faceva nulla. Ma non dissi niente del genere, mi limitai ad annuire e ad accennare un mezzo sorriso, prima di voltarmi a guardare che ore fossero. Forse Henry aveva captato la mia occhiata diffidente, ma non ne fece un dramma, quasi si aspettasse quella reazione.
« A proposito ragazzino », richiamai la sua attenzione, gli occhi ancora puntati sulle lancette che ticchettavano lente « non dovresti avvertire tua madre? » Gli domandai, ricordando la donna che si era presentata a Londra insieme a lui qualche settimana prima. Emma mi aveva spiegato la loro situazione anche se non avevo capito molto, per quanto incasinata fosse.
Il ragazzino fece una smorfia. Immaginai che fosse preoccupato della reazione della donna, probabilmente già furiosa per il fatto che né lui né Emma si erano fatti sentire in quel lasso di tempo. O forse non voleva farla preoccupare, raccontandole, almeno per telefono, quello che gli era capitato, ma entrambi sapevamo che fosse la cosa giusta da fare. Regina Mills, se non ricordavo male era quello il nome della donna, meritava di essere informata subito.
« Non dovresti anche avvertire i tuoi nonni? » Chiese ad un tratto Phoebe, innocentemente. La fulminai con lo sguardo, poi pensai che probabilmente non era a conoscenza della storia di Emma, allora sospirai.
« Emma è un'orfana », mi ritrovai a dire sottovoce, neanche temessi che le mura di quell'ospedale potessero captare le mie parole e riferirle al prossimo « non c'è nessun parente da avvertire. »
La donna mi guardò per qualche istante, incerta, tanto che cominciai a chiedermi se non ne sapesse più di me o se la storia che mi aveva raccontato Emma fosse vera. Certo, mi aveva mentito su parecchie cose, ma avevo visto il suo sguardo perso in ricordi tristi e malinconici, mentre mi confidava determinate cose. Non poteva avermi mentito.
« Già », si interruppe Henry, lanciando poi un'occhiata a Phoebe, prima di rivolgersi a me « ma credo che avvertirò David e Mary Margaret, degli amici. Sicuramente staranno insieme alla mamma » concluse, forse l'ultima parte era diretto più a sé stesso che a noi. Gli prestai il cellulare e poi lo guardai allontanarsi per chiamare a casa.
« Killian », mi voltai a guardare nuovamente Phoebe che sembrava piuttosto pensierosa, come se stesse cercando le parole giuste da dire « dopo che sei svenuto, Montgomery ha pensato di avvertire Rose » ROSE?!
« Montgomery? Cosa... perché? Voglio dire... si è preoccupata? »
« Hai rischiato grosso in quel capanno Killian, certo che si è preoccupata! » Esclamò esasperata « Tanto lo avrebbe scoperto comunque, sentendo i notiziari. E' stato meglio sentirlo da una persona vicina, no? » Annuii, non potevo darle torto. Non avevo capito che situazione ci fosse tra me e Rose, se mi avesse lasciato o cos'altro, ma le volevo bene e senza dubbio lei ne voleva a me, era stato giusto così. « C'è ancora un'altra cosa » continuò la donna, interrompendo i miei pensieri. La guardai con la coda dell'occhio, alzai il sopracciglio sinistro per esortarla a continuare. « Sta tornando a Londra, per te. »


***


Avevo passato l'intera notte in ospedale.
Jack era tornato a casa per primo, Phoebe aveva convinto Henry a dormire qualche oretta, a dormire in un letto caldo, ed avevano deciso che sarebbe stato a casa sua per quella sera. Mi avevano anche chiesto se volessi un passaggio, ma rifiutai. Volevo restare lì, in caso Emma si fosse svegliata o fosse successo qualcosa, non per forza qualcosa di brutto.
Tutti e tre, comunque, avevano aspettato la fine dell'operazione: era andata a bene, ci aveva detto il chirurgo che l'aveva operata, non erano sorte complicazioni di qualsiasi genere ed erano ottimisti. Ora si trovava in terapia intensiva, ma non sapevano dire con certezza quando si sarebbe svegliata. Per questo non me l'ero sentita ad andarmene, non volevo abbandonarla, poteva aver bisogno di me in qualsiasi momento.
Così mi ero abbandonato su una vecchia poltrona in sala d'aspetto, avevo poggiato il capo alla parete e mi ero addormentato dopo circa un'oretta, senza rendermene conto. Fu un sonno tranquillo, troppo stanco per sognare, probabilmente.
Quando mi ridestai provai subito un leggero dolore al collo, me lo massaggiai appena con la mano, prima di passarmela anche sugli occhi e di strizzarli. La prima cosa che vidi fu Phoebe, che mi guardava con un sorrisetto, seduta su una poltrona davanti alla mia. Due tazze di caffè in mano.
« Hai veramente passato tutta la notte lì sopra? » Domandò retorica, indicando con l'indice destro la mia seduta. Era ovvio che sapesse già la risposta, perciò mi limitai ad alzare le spalle.
« Avevi qualche dubbio? » Domandai di rimando, guardandomi in giro senza un perché.
« No, affatto », rispose porgendomi una tazza di caffè fumante che mi affrettai a bere « ascolta, sono passata per sapere se c'erano novità, ma soprattutto per portare Henry, ma non posso fermarmi oltre: devo andare a Scotland Yard, lì è il caos, ci sono giornalisti ovunque per via della fine dell'Operazione Grimm. »
« Devo venire anch'io? » Domandai, non che ne fossi entusiasta, ma alla fine ero il capitano della squadra che aveva risolto l'indagine, nonché protagonista in prima persona di quello che ne era seguito dopo. Mi sentivo responsabile del caso. La donna parve pensarci su, poi scosse la testa.
« No, ce la caviamo. E' questo il tuo posto », affermò quella frase con una leggerezza che mi lasciò perplesso, ma si allontanò subito, dandomi le spalle « chiamami se ci sono novità! » Mi disse, come ultima cosa, prima di andare via.
Finii la tazza di caffè e decisi di raggiungere Henry, da Emma. Rimasi, però, fuori dalla stanza, a limitarmi ad osservarli distante. Fu il pensiero del corpo della donna scosso per via del mio massaggio cardiaco a bloccarmi, soprattutto perché non l'avevo più vista da allora. Henry sedeva sul letto della madre, probabilmente le stava tenendo la mano, ma non riuscivo a scorgere la bionda per via del ragazzo che la copriva. Sospirai e serrai la mascella. Decisi di concedere al ragazzo un po' di intimità, così voltai le spalle e presi a camminare per il corridoio, avanti di una ventina di passi e poi indietro. E ancora un'altra decina di passi e poi di nuovo indietro. Le braccia incrociate al petto, lo sguardo pensieroso.
Non potevamo far altro che aspettare, io, Henry, i dottori, tutti gli altri che avevano imparato a conoscere e a voler bene a Emma Swan. Non c'era un modo per aiutarla, avrei fatto qualsiasi cosa, così come lo avrebbe fatto chiunque altro. Era quello a rendere tutta la situazione così snervante: veder soffrire una persona cara e non poter fare nulla per alleviare il suo dolore o per aiutarla a superarlo. Pensai al libro di fiabe di Henry, sarebbe stato più semplice se ci fossimo ritrovati lì dentro. Mi sembrava una sciocchezza solo pensarlo, ma mi ci vedevo bene nei panni di un pirata, come mi aveva chiamato Phoebe meno di ventiquattrore prima. Ed Emma... poteva essere una principessa, sì, ma non una di quelle tutte merletti e pizzi. Sorrisi a quel pensiero, quasi risi per gli effetti che ansia, stanchezza e preoccupazione si stavano rivelando su di me.
Mi fermai, dal pensare e dal camminare, vedendo un gruppetto di persone percorrere il mio stesso corridoio, solo con più fretta. Continuavano a guardarsi intorno spaesati, erano ancora parecchio distanti ma riuscivo a scorgere il passo fiero della prima figura, una donna a giudicare dalla gonna che indossava, che si limitava a girare appena il capo, passando davanti alle diverse camere; gli altri due, invece, si tenevano per mano, ed erano visibilmente più agitati dell'altra, sembrava stessero partecipando ad una maratona di marcia.
Quando furono più vicini riconobbi subito Regina Mills così come notai lo sguardo carico d'ira che mi lanciò. Provai a convincermi del fatto che l'avrebbe riservato a chiunque si sarebbe trovata davanti per primo, dopo quella serie di eventi che le erano stati nascosti per tutto quel tempo. Mi sentii improvvisamente in colpa per non essere riuscito a contattarla prima, ci avevamo anche provato, ma nessuno era riuscito a trovare un suo recapito, era come se abitasse su un altro mondo.
Quando tutti e tre mi si fermarono davanti, ne approfittai per distogliere lo sguardo dalla donna dall'espressione di ghiaccio, per concentrarmi sugli altri due, che mi guardavano così come si guarda un fantasma. Se solo esistessero i fantasmi, certo. Continuavano a tenersi per mano, come non riuscissero a staccarsi, o come se volessero darsi forza a vicenda in quel modo, e i loro occhi si muovevano rapidi a studiarmi dalla testa ai piedi.
L'uomo, alto e biondo, mi fissava accusatorio e sospettoso. Sembrava fosse pronto a dire qualcosa. O a mettermi le mani addosso, l'impressione che dava era quello. Mi chiesi chi fosse e, soprattutto, cosa gli avessi fatto di tanto grave visto che neanche ci conoscevamo. Lo guardai fisso, comunque, giusto per fargli sapere che non ero intimorito da quelle sue occhiatacce, anche perché avevo altro per la testa in quel momento. Alla fine, con una smorfia e un sospiro, si volse a guardare la donna al suo fianco, lasciando andare la sua mano per avvolgerle le spalle con il braccio destro.
Quella non aveva mai smesso di fissarmi sconvolta, davvero molto sconvolta. Portava i capelli cortissimi che risaltavano i lineamenti dolci del viso. Sembrava sicuramente più benevola nei miei confronti rispetto suo marito o il suo fidanzato. Anche se continuavo a sentirmi in soggezione ad essere guardato in quel modo. Forse era per via del sangue: da svenuto, qualcuno mi aveva lavato il volto e le braccia, ma gli indumenti che indossavano era ancora quelli del giorno prima e, ovviamente, erano sporchi.
« Mamma! » Sobbalzai appena, come gli altri tre, al sentire la voce di Henry che per fortuna arrivava a toglierci da quella situazione e da quel silenzio imbarazzante.
Mi feci da parte per lasciarlo passare e lo osservai abbracciare la sua mamma adottiva, mentre l'espressione dura di lei finalmente si addolciva di sollievo. Non avevo mai visto quella donna tanto serena come in quel momento, addirittura credevo di non averla mai vista neanche sorridere prima di allora.
« Henry » fecero eco a Regina, gli altri due che già si facevano avanti per abbracciare il ragazzo. Non c'erano più dubbi sul fatto che si conoscessero, ormai. Probabilmente erano David e Mary Margaret, gli amici che aveva nominato Henry il giorno prima. Mi sorpresi di me stesso per ricordare i loro nomi con tanta sicurezza.
« Cosa ci fate qui? » lasciai parlare il ragazzo, sentendomi improvvisamente di troppo in quel quadretto. Feci addirittura due passi indietro e mi poggiai alla parete con la spalla destra, limitandomi a guardarli in silenzio. Regina fulminò il figlio.
« E ce lo chiedi anche? » Esordì, alzando un sopracciglio e posando le mani sui fianchi, ammonitrice « Dopo quello che è successo pensavi che ce ne saremmo rimasti a Storybrooke come se niente fosse? » Storybrooke. Ancora quel nome. Eppure avevamo provato il fatto che non esistesse, perché continuavano a nominare quella città? Che lo facessero per coprire Emma? Però mi sembrava strano, la mora sembrava troppo agitata e carica di ansia repressa per giorni per preoccuparsi di proteggere Emma con quello stupido dettaglio.
« A proposito », cominciò a dire l'uomo, David, cancellando il sorriso che gli si era dipinto in volto mentre abbracciava Henry « grazie mille per averci avvertiti subito » finì sarcasticamente, rivolgendomi un'occhiata che non ammetteva altre interpretazioni: mi incolpava di tutto quello che era successo ad Emma e a suo figlio.
« Be', noi ci abbiamo provato », feci subito, scattando in avanti di qualche passo, anche abbastanza infastidito da quel comportamento « quando Emma è stata rapita insieme a Henry abbiamo fatto di tutto per rintracciare Regina, ma se non è saltato fuori niente la colpa non è sicuramente nostra. »
« Già, il rapimento è un altro punto da chiarire » continuò come se non avessi aperto bocca. I suoi occhi mi ricordarono quelli del padre della Stevens, la nostra Cappuccetto Rosso, alla notizia dell'assassinio di sua figlia. Doveva essere molto affezionato ad Emma.
« Basta così, non mi sembra né il luogo né il tempo di discutere » Mary Margaret sedò l'animo del suo uomo, così anch'io mi tranquillizzai. Poi si rivolse direttamente a me, mi guardava con un'espressione triste, gli occhi sembravano trattenere le lacrime da troppo tempo « Vogliamo solo vedere Emma, è possibile? »
« Ma certo » annuii, lasciandoli passare.
Regina si allontanò poi con Henry, mentre io restai per un attimo ad osservare le reazioni dei due, alla vista della bionda. Lei si portò le mani sul viso, forse non ce l'aveva fatta più e il pianto l'aveva vinta. Lui la cinse di nuovo per le spalle, poi l'abbracciò, passandole anche una mano sui capelli corti, ad accarezzarle il capo. Mi parve di intravedere degli occhi lucidi anche sul suo volto.
Sì, pensai, le volevano decisamente un grande bene.


***


Le ultime ore erano state le più assurde e le più lunghe dell'ultimo periodo. Magari anche le più strane. Forse le più cariche di avvenimenti. Sicuramente le più cariche di avvenimenti.
Non avevo ancora trovato il coraggio di sedermi al fianco di Emma, nella sua stanza d'ospedale. Non si era ancora svegliata ed io ero sempre più nervoso. Mary Margaret si era dimostrata gentile nei miei confronti, come se fossi un amico di vecchia data ritrovato. David, suo marito, aveva messo da parte quell'aria ostile, ma aveva mantenuto un certo distacco, rivolgendomi solo dei convenevoli. Regina non mi aveva rivolto parola, troppo concentrata e presa dal figlio.
Alla fine mi avevano convinto a passare la notte a casa mia, subito dopo aver saputo che non mi ero mosso dall'ospedale in quelle ultime 24 ore. A casa mi ero fatto una doccia, indossato dei vestiti nuovi e subito messo a letto, stravolto.
La mattina seguente mi ero svegliato presto ed ero andato subito in cucina. Lì vi avevo, con una certa sorpresa e un pizzico di sconcerto, trovato la colazione pronta e la figura di Rose che corse ad abbracciarmi inaspettatamente. Mi disse tante cose, davvero tante. Persi il filo del discorso tre o quattro volte. All'inizio fu imbarazzante cominciare la conversazione, poi l'atmosfera si alleggerì.
Di tutto quello che mi disse, solo una cosa mi si era impressa nel cervello. Entrai in ospedale con le sue parole che si ripetevano nella mia testa: “Non posso credere che fra meno di una settimana saremo marito e moglie!” Lo aveva detto con una tranquillità che mi aveva lasciato senza fiato per un po' di tempo.
E ancora dovevo riprendermi del tutto.
Al bar presi due tazze di caffè per gli amici di Emma – immaginai che Regina e Henry fossero ancora in albergo, vista l'ora – prima di raggiungerli. Per fortuna li trovai svegli, con delle occhiaie, però, che mi fecero presumere che, entrambi, avevano passato la notte in bianco, a vegliare sulla donna.
« Ancora niente? » Domandai loro a mo' di buongiorno, immaginando già la risposta.
Mary Margaret scosse piano la testa, nessuno dei due aggiunse niente, così mi sedei affianco a loro. Ancora una volta su quella sedia scomoda, ad osservare i minuti che passavano lenti o i vari infermieri e dottori che correvano da un parte all'altra. Era snervante.
« Non sei ancora entrato a vederla? » Mi domandò a un certo punto, la donna, cogliendomi alla sprovvista. Mi voltai a guardarla e non potei non notare il solito sorriso gentile dipinto sul volto.
« Ehm, no, non ancora », risposi, grattandomi appena il collo « ho cercato di lasciare ad Henry un po' di privacy quando era con lei, poi siete arrivati voi... e allora... » mi stavo arrampicando sopra gli specchi, se n'erano accorti anche i muri. Era così difficile ammettere ad alta voce che non avevo più trovato il coraggio di vederla dopo quello che era successo? Avevo paura di crollare, vedendola su quel letto d'ospedale. Forse era normale, dopotutto.
« Henry ci ha detto che hai cominciato a praticarle il massaggio cardiaco prima che arrivasse l'ambulanza, anche se sembrava non ci fosse più niente da fare », un luccichio si intravide negli occhi della donna, mentre David abbassava silenziosamente il capo, dopo aver annuito appena « ti siamo grati per non esserti arreso. Ed anche Emma lo è », sorrise tristemente « vai da lei. Parlale. »
Parlarle? La faceva così facile, lei. Ero venuto a sapere che anche David si era ritrovato in una situazione simile e che si era svegliato al suono della voce di Mary Margaret. Sembrava un racconto da favola, una cosa che si sente solo nei film. O comunque una cosa che poteva succedere una volta ogni 100 anni. Alla fine mi lasciai convincere, comunque, anche perché sapevo che non potevo rimandare il momento ancora per molto.
Appena la vidi mi si gelò il sangue, ma mi feci coraggio e andai a sedermi al suo fianco. Sembrava che dormisse, il petto si alzava e si abbassava regolarmente. La guardai in volto, ma questo non fece altro che fammi tornare in mente il suo sguardo che si spegneva, i suoi occhi che si chiudevano e il respiro che l'abbandonava solo due giorni prima. Scossi la testa per allontanare quei momenti orribili di assoluto terrore, ormai era fuori pericolo, dovevo tranquillizzarmi.
« Ho conosciuto i tuoi amici » cominciai a dire a bassa voce, sentendomi fin da subito uno stupido. Mi sembrava di parlare da solo, quasi me ne vergognavo, ma cercai di sforzarmi ad andare avanti. « Mary Margaret e David. Credo di non piacergli molto, a David » sorrisi appena e la guardai: non aveva fatto una mossa. Era tutto inutile, mi dissi. Cosa stavo facendo? Invece di essere a lavoro a cercare di distrarmi me ne stavo lì, a parlare a voce alta. Sospirai e dopo qualche attimo di silenzio mi convinsi a continuare, qualcosa mi diceva che dovevo farlo per lei.
« Non ho avuto ancora modo di dirtelo, o di rifletterci sopra, ma quando ho raccolto l'anello che ci hai lasciato come indizio... hai presente l'espressione “mi è passata tutta la vita davanti agli occhi”? Be', per me è stato così, solo che quella non era la mia vita » era un controsenso, forse. Non sapevo neanche perché, tra tante cose, mi ero messo a parlare di quell'episodio. Forse era un modo per venirne a capo, parlandone avrei trovato una spiegazione, magari. « C'eravamo noi. Io e te, in situazioni più o meno inverosimili. In certe ti facevo delle vere e proprie dichiarazioni, pazzesco, vero? » Risi appena, guardandola ancora. Niente, neanche un movimento della palpebra. Continuai « Ti dicevo che avrei vinto il tuo cuore oppure che il mio lieto fine eri tu. In un'immagine, avevi il mio cuore tra le mani. Credo di non aver visto una cosa del genere neanche nel peggiore degli horror » risi ancora, rendendomi conto di quanto fossero assurde le cose che avevo visto. « Ti ho vista con un abito rosso da principessa addosso, eri felice, davvero molto felice. E stavamo ballando. La cosa strana è stata il vederti tanto distante nei miei confronti, almeno all'inizio, mentre nelle immagini finali sembravamo davvero molto vicini. Mi chiedo da dove abbia tirato fuori certi flash. Forse sono nati dopo aver visto dei film particolari, o forse l'Operazione Grimm è arrivata a condizionarmi tanto. Non so proprio darmi una risposta, so solo che è stato assurdo » dissi quelle ultime parole un po' distaccato, cercando di riflettere su quello che poteva aver scatenato certe cose. Per la verità mi era sembrato di vivere un viaggio nei meandri più nascosti della mia mente. Forse in un'altra vita erano davvero successe.
Stavo impazzendo, probabilmente.
« Comunque... devo ringraziarti, Emma. Mi hai salvato la vita in quel capanno. Ti sono debitore. »
« No, invece. »
Scattai in piedi sconvolto, neanche avessi ricevuto una scossa sotto il sedere. Aveva parlato. Non mi ero immaginato tutto, aveva parlato. Passarono forse due secondi, la vidi muovere appena il capo verso la sua destra, verso di me, le palpebre deboli che si muovevano appena. Strizzò gli occhi alla fine, mi vide e mi sorrise debolmente.
« Emma! » Quasi urlai per la gioia, per la sorpresa, per il sollievo. Preso dal momento, mi abbassai e la presi tra le braccia, facendola sollevare di qualche centimetro dal lettino.
« Killian.. piano... non mi sento ancora troppo bene » affermò, ridendo lievemente forse colta alla sprovvista. La lasciai andare e lei si riadagiò sul letto.
« Hai sentito tutto quello che ho detto? » Le domandai. Poi mi diedi dello stupido. Era la cosa più importante da chiederle? Decisamente no. Lei, comunque, sorrise.
« La maggior parte. »
« Ci hai fatto preoccupare tutti. »
« Non dovevate », affermò in un sussurro, il sorriso non aveva mai abbandonato il suo viso e questo fatto mi riempiva il cuore di gioia « se c'è una cosa in cui sono brava », continuò poi, « è sopravvivere ».




Angolo dell'Autrice: Due capitoli nello stesso mese. SONO SCONVOLTA. Faccio progressi ragazzi :P
Okay, non so da dove cominciare, rido. E' stato strano scrivere un intero capitolo senza Emma, infatti credevo che sarebbe venuto fuori corto e invece sembra che non sia più capace di fermarmi prima della decima pagina (ma come facevo nei primi capitoli a restare sulle 5/6 pagine???). Spero che questo capitolo non sia stato pesante, girando tutto intorno a Killian. Ho fatto molti tagli/salti temporali/come preferite chiamarli, per dare l'idea del tempo che scorreva veloce nella solita routine, anche se a Killian le ore nell'attesa del risveglio di Emma sono sembrate interminabili.
Tra l'altro è successo di tutto. Per la scena iniziale con Phoebe mi sono ispirata a Lost (guardatelo se non l'avete mai fatto), a quando Jack provava a rianimare Charlie, nonostante Kate, tra le lacrime, continuava ad urlargli contro che non c'era più niente da fare. Poi vediamo, cos'altro è successo? Regina e gli Charmings sono volati subito a Londra, non poteva non succedere. E Rose è tornata e vuole ancora sposarsi. Tra una settimana. Potete linciarmi adesso. *scappa*
Ancora non ho veramente deciso se ci saranno altri due capitoli o solo uno. Al 90% il prossimo è l'ultimo (poi ci sarà l'epilogo ovviamente, breve ma ci sarà), tutto dipende da come uscirà lungo, insomma potrei decidere di spezzarlo in due parti.
Non posso credere che stiamo veramente arrivando alla fine.
Bene, ora torno a cercare di mettermi in pari con Outlander visto che l'ho messo un po' da parte per postare il capitolo prima della fine del mese :P Sono stata brava!
Grazie mille per le recensioni ragazze, mi riempite il cuore di gioia!
A presto con l'ultimo (forse, probabile) capitolo di questa storia,
Un bacione a tutte :*

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Capitolo 20
*** Seven days ***


20. Seven days




Day 24


Ero morta. Come potevo dirlo con certezza? Davvero non saprei spiegarlo, lo sapevo e basta.
Era strano anche solo pensarci, ma l'avevo sentita, la mia vita che giungeva al termine, che mi veniva strappata via attraverso quel foro di proiettile che mi aveva colpita in pieno. Ma andava bene così, lo avevo accettato una volta verificate le condizioni di Killian, che stava bene e che non era rimasto ferito. Fortunatamente ero riuscita a salvarlo.
Avevo deciso di andarmene, di lasciare quel mondo, con l'immagine dei suoi profondi occhi blu che si specchiavano nei miei. Ero anche riuscita a dirgli che lo amavo, senza pretendere una risposta o senza pretendere che lui ricambiasse i miei sentimenti. Avevo accettato che quella fosse l'ultima occasione che avevo per dirglielo e non me l'ero lasciata scappare.
Poi era arrivato il buio, che aveva preso, quasi al tempo stesso, il posto del dolore. E' difficile da dire quello che era accaduto in seguito, l'unica cosa a cui potevo aggrapparmi erano delle voci, voci che conoscevo e che mi erano famigliari.
La voce di Henry mi risuonava nella testa, mentre mormorava parole di rassicurazione, sarebbe andato tutto bene, diceva, me la sarei cavata anche quella volta. Alla sua voce si aggiunsero quelle dei miei genitori e, se la mia mente non mi ingannava del tutto, anche quella di Regina. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, o se stesse realmente accadendo, riuscivo a memorizzare solo qualche stralcio di conversazione, qualche frase, qualche parola buttata lì che sembrava priva di senso. Tutta quella situazione appariva priva di qualsiasi senso.
L'unica cosa che mi mancava, però, era Killian. In mezzo a quell'ammasso di suoni mancava la sua voce. Avevo bisogno di sentirlo, un bisogno fisico, come quando si ha sete in una giornata calda d'estate torrida, o come l'aria che comincia a mancare dopo aver corso per delle ore. Killian era il mio ossigeno, forse una parte di me era convinta che sarei riuscita a cavarmela se solo fosse arrivato.
Un pensiero assurdo, fatto a mente lucida.
Infine, però, la sua voce era arrivata. Come le altre volte, riuscivo solo a percepire qualche parola, nessuna frase di senso compiuto. Poi, lentamente, tutto mi apparve più chiaro. Riuscii a sentirmi le punte dei piedi, forse persino a muoverle. Credo di aver mosso, anche se quasi impercettibilmente, l'indice sinistro, guidata dalla sua voce calda. Persino il suo discorso cominciava ad apparirmi più chiaro.
«
Mi hai salvato la vita in quel capanno. Ti sono debitore »
Debitore? Dopo tutto quello che aveva fatto per me, forse era il contrario. Cosa stava blaterando? « No, invece » parlai ancora prima di rendermene conto sul serio. Le mie labbra si erano schiuse piano, la lingua si era mossa senza che potessi controllarla e quelle due parole erano uscite fuori da sole.
Aprii gli occhi con non poca fatica ed ebbi bisogno di un momento prima di mettere a fuoco quello che avevo intorno. Non ero a casa mia, non ero nel mio letto. Mi sembrava di aver vissuto già una sensazione simile, appena arrivata a Londra, dopo essere svenuta e risvegliata nella casa di Killian. Sempre se potevo definirla casa sua. Feci per passarmi una mano sulle tempie, quando mi accorsi della flebo. Sgranai gli occhi e mi guardai meglio intorno: ero in un ospedale, mi domandai come avessi fatto a non accorgermene prima.
Killian, al mio fianco, pareva come impazzito. Aveva gridato, poi mi aveva abbracciata provocandomi un dolore immane al ventre, e poi una scossa che mi attraversò per l'intero corpo. Gli avevo poi mormorato di andarci piano, che non mi sentivo ancora troppo bene. Con la mente provai a tornare agli ultimi ricordi che avevo, ma non riuscivo ad andare oltre il conflitto a fuoco.
« Cos'è successo? » Riuscii a domandargli con un tono di voce leggermente più forte. Provai a tirarmi su, a mettermi in una posizione più comoda, ma non ci riuscii; Killian, fortunatamente e come al solito, capì tutto al volo e mi aiutò a sistemare meglio il cuscino, prima di rispondermi.
« Ti hanno sparato, Swan », rispose sedendosi poi sul mio lettino, alzai mentalmente gli occhi al cielo per la sua solita ovvietà « o meglio, ti sei presa un bel proiettile al posto mio. Anzi, io... »
« Non ce n'è bisogno, non farlo » lo fermai subito, l'ultima cosa che volevo era sentire qualsiasi frase di ringraziamento uscire dalla sua bocca. « Comunque, questo lo ricordavo » affermai dopo, inumidendomi appena le labbra con la lingua subito prima di chiedermi per quanto tempo non avessi aperto bocca « intendevo cos'è successo dopo? »
Killian mi guardò dritto negli occhi per degli istanti che mi parvero interminabili. Riuscii quasi a percepire lo scorrere dei minuti in attesa di una sua risposta. Era inquieto, di tanto in tanto si passava una mano dietro al collo, se lo grattasse e lo accarezzasse pesantemente non potevo dirlo con assoluta certezza. Lo osservavo mentre serrava la mascella e forse si torturava l'interno della guancia sinistra, visto che riuscii a captare un veloce movimento. Nonostante questo aspettai in silenzio, un po' perché parlare mi aveva fatto leggermente stancare, e un po' perché volevo rispettare lui che, con molta probabilità, stava cercando le parole giuste da usare.
« Tu... » cominciò a dire, incerto. Chinò appena il viso verso destra e si grattò, ancora, il capo, aprì la bocca ma la richiuse poco dopo. Volse la testa da un'altra parte, alle sue spalle, a cercare qualcuno che lo togliesse da quella situazione oppure a trovare il coraggio che, perlomeno in apparenza, gli stava mancando. Alla fine tornò a guardarmi serio, mi sembrò di tremare e di sudare insieme per la verità che stava arrivando. « Tu eri... morta » silenzio. Non osai parlare, non osai fare niente. Mi limitai solamente a sbattere le palpebre, piano, la bocca serrata che non aveva la minima voglia di aprirsi. E poi, cosa avrei dovuto dire? Eppure mi parve di essermi tolta un peso di dosso, o meglio, che Killian me lo avesse tolto con quella rivelazione. Alla fin fine, ne ero già consapevole, avevo già quella sensazione sulla pelle e ora lui non aveva fatto altro che confermarmela. « Mi sei morta tra le braccia, Emma. Non sapevo cosa fare, Phoebe continuava a dire che non c'era più niente da fare. E piangeva e urlava e io le urlavo contro » continuò poco dopo senza riprendere fiato, d'un tratto pareva un fiume in piena, forse si stava sfogando per la prima volta da chissà quanto tempo. E lo stava facendo con me.
« Mi dispiace » sussurrai colpevole. L'uomo sorrise teneramente con lo sguardo basso, prima di tornare a girarsi verso di me.
« Ti dispiace? Non devi, Swan, sei un'eroina. Hai salvato me, ci hai aiutato a prendere i Clayton – a proposito, sono morti. Ora vedi di riposare, ti lascio sola, okay? Così vado ad avvertire Henry e i tuoi amici? »
« I miei amici? » Domandai di rimando, sollevandomi appena per afferrargli il polso e impedirgli di andarsene, per 5 minuti, per spiegarsi meglio, per sempre. « E Henry come sta? » Chiesi ancora, maledicendomi mentalmente per non aver pensato subito a mio figlio. « E per quanto tempo sono stata senza sensi? »
« Due giorni », rispose lui rimettendosi a sedere, mentre sbarravo gli occhi per la sorpresa, le mie mani ancora intorno al suo polso « ed Henry sta bene, stai tranquilla. Lo abbiamo tenuto d'occhio noi prima che arrivasse sua madre, la sua madre adottiva voglio dire », schiusi appena le labbra, inconsciamente mi tranquillizzai sapendo che Regina fosse a Londra e che Henry stesse con lei « insieme agli altri due, David e Mary Margaret. »
« Cosa? Quando sono arrivati? Li ha chiamati Henry? » Domandai di scatto, sorpresa, ma non troppo, dalla notizia e impaziente di vederli, neanche mi stupii di me stessa o mi preoccupai di darlo a vedere. I miei genitori non mi avevano abbandonato neanche quella volta ed erano corsi subito da me, mi accigliai solamente una volta realizzato quanto avevo potuto farli preoccupare se si erano addirittura spinti fuori i confini di Storybrooke per raggiungermi.
« Rallenta Swan », rise l'altro, entrambi ci stupimmo per l'aria leggera che si era creata nel giro di pochi minuti « sono arrivati ieri. Adesso che dici di riposarti un po'? Non sei stanca? »
« Un po' », annuii e sorrisi per la sua preoccupazione « ma credo di aver dormito abbastanza. »
« Allora vado a chiamare i medici », fece lui senza smettere un secondo di sorridere « e ti mando i tuoi amici. »
Sorrisi ancora una volta lasciandogli andare la mano. Lo osservai uscire, riuscivo a vedere il suo cuore alleggerirsi, la sua anima tranquillizzarsi. Mi dispiaceva di aver fatto soffrire tanto le persone più care che avevo, ma avrei rifatto tutto ancora una volta, e poi un'altra, se significava salvare la vita di Killian. E chi meglio dei miei genitori poteva capirmi?


Day 25


Avevo dormito per dieci ore buone. Anzi, a dirla tutta non ricordavo neanche di essermi addormentata. Stavo parlando con Henry, o meglio, a parlare era lui, che mi raccontava per filo e per segno gli ultimi avvenimenti. Niente di veramente interessante o stupefacente, solo qualche stralcio di vita quotidiana, o ospedaliera. Però mi faceva piacere ascoltarlo e allora lo lasciavo fare. Ricordavo di essermi sentita veramente stanca ad un certo punto, ma avevo comunque lottato con tutte le forze per restare sveglia ancora un po'.
Alla fine il sonno aveva avuto la meglio, gli occhi si erano chiusi piano mentre la voce di Henry quasi mi cullava. Una cosa paradossale, osservai dopo. Appena sveglia la prima cosa che mi saltò all'occhio fu Killian, profondamente addormentato sulla poltroncina al posto di mio figlio. Testa abbandonata all'indietro e braccia allungate sulle gambe, mi domandai come riuscisse a dormire in quella posizione e soprattutto cosa ci facesse ancora lì, perché non fosse tornato a casa. Tra l'altro c'era anche Rose ad aspettarlo a braccia aperte, pensai arricciando le labbra.
Era tornata a Londra solo il giorno prima, a quanto avevo capito. Killian mi aveva raccontato ogni cosa seppur superficialmente, mentre Phoebe, che era venuta a trovarmi insieme a Jack una volta finito il lavoro, mi aveva spiegato ogni particolare. Era stata lei a chiamarla e a dirle quello che era successo, era la sua migliore amica e non gliene facevo una colpa, anzi, capivo la sua scelta. Rose si era poi presentata a casa di Killian come se niente fosse successo o nulla fosse cambiato, ogni discussione sembrava inutile adesso, diceva, si era spaventata tanto da rendersi conto di non voler lasciar finire la loro storia così. Lo amava e sarebbe passata sopra a tutto pur di stargli accanto.
Una volta rimaste sole, io e Phoebe, siamo arrivate a chiederci se quelle parole venivano veramente da Rose o se era stato il sortilegio di Gold a metterle alla luce. Dovevo odiarla, Rose, dopo tutto quello che aveva combinato, ma proprio non riuscivo a far vincere la rabbia in quell'occasione, forse mi avrebbe fatto anche pena, se non fossi stata troppo impegnata a trovare un modo per impedire il matrimonio, perché alla fine anche lei non era altro che una pedina del Signore Oscuro, la sua mente era stata manipolata tanto quanto quella di Killian. Ma magari non riuscivo ad avercela con lei solo perché ero appena sopravvissuta a una ferita d'arma da fuoco piuttosto importante.
Per alleggerire la tensione, poi, Phoebe aveva cominciato a parlare dei miei genitori, o meglio di Biancaneve e del principe Azzurro.
« Li ho conosciuti ieri mattina! » Disse senza premurarsi di contenere o nascondere l'eccitazione « E' stato stranissimo... credevo di essere preparata ad un incontro del genere, voglio dire, non sono i primi personaggi delle fiabe che mi capita di conoscere, però non è una cosa da tutti i giorni stringere la mano alla vera Biancaneve e non a una copia da quattro soldi di Disneyland. »
Sorrisi mentre lei continuava a parlarmi, di quello che aveva provato o di come gli erano parsi. Mi parlò anche di Regina dicendomi che, nonostante l'espressione di ghiaccio che mostrava all'apparenza, non le sembrava poi così crudele e maligna come le favole erano solite raccontarla.
« Non l'hai vista ai tempi del sortilegio. O nella Foresta Incantata » scherzai mentre cominciavo a domandarmi quando, io e quella ragazza, avevamo messo da parte l'ascia di guerra ed eravamo diventate amiche. Forse era successo quando mi aveva ospitato a casa sua, senza chiedere nulla in cambio e senza che la obbligasse qualcuno. Ci eravamo aperte l'una con l'altra in quei giorni ed ero grata di averlo fatto, Phoebe si era rivelata una persona buona, nonostante qualche diffidenza iniziale.
Prima di andarsene andò a salutare i miei genitori, che poi entrarono prendendo posto chi sulla fedele poltroncina (mio padre) chi sul lettino (mia madre). Osservai la donna con il sorriso sul volto mentre mi prendeva la mano con fare premuroso e rassicurante. Solo 24 ore prima era tra le mie braccia a riempirmi il camice ospedaliero di lacrime e, in effetti, i suoi occhi dolci erano ancora un po' gonfi, sintomo che le lacrime non si erano limitate solo alla sua prima visita. Mi si strinse il cuore, mentre allungavo l'altra mano verso mio padre per fargliela stringere e stare così, tranquilli, una volta tanto, tutti e tre, uniti mano nella mano. In quel momento mi ripromisi di non farli più preoccupare in quel modo.


Day 26


La vita all'ospedale era veramente monotona, soprattutto se si era bloccati su un lettino per tutto il tempo. Cominciavo a sentirmi meglio, potevo stare tranquillamente seduta, seppur con la schiena poggiata al doppio cuscino del letto, senza provare nessun dolore, magari una piccola fitta ogni tanto dovuta a dei movimenti bruschi. I medici volevano aspettare ancora qualche giorno prima di rimettermi in piedi e io trovavo quell'attesa inutile e snervante. Sapevo di stare bene, sapevo che muovermi non avrebbe comportato nessuna conseguenza, anzi; sentivo l'energia, la vita, che era tornata a scorrermi nelle vene, era più che un semplice capriccio di uno dei tanti pazienti.
Perciò storcevo la bocca e ripetevo quei pensieri ad alta voce, ogni volta che un medico o un'infermiera veniva a controllarmi o a cambiare il bendaggio al ventre. La ferita si stava rimarginando del tutto, non c'erano infezioni ed era ormai raro trovare del sangue nelle bende. Non smettevo di farlo notare, ma per tutta risposta mi dicevano di pazientare ancora qualche giorno. Pazientare qualche giorno, la facevano tanto facile, loro, che non dovevano neanche pensare di impedire un matrimonio.
Con l'Operazione Grimm conclusa non pensavo ad altro, per quanto il tempo in quella stanzetta d'ospedale scorresse lentamente, i giorni parevano correre come non mai, la settimana stava volando e io non avevo concluso nulla. La verità era che non sapevo proprio cos'altro fare e, forse, non c'era proprio più niente che io potessi fare. Ora stava a lui, io lo avevo avvicinato abbastanza in quel mese, avevamo stretto un legame e sentivo quanto tenesse a me, lo dimostravano tutte le visite che mi faceva giornalmente. Doveva capire se teneva più a me o a Rose. E doveva capirlo prima di compiere il grande passo, possibilmente.
Anche gli altri non sapevano bene cos'altro consigliarmi, anche se mia madre era arrivata anche a dirmi di parlare con Rose, di dirle tutta la verità, ma era un'opzione folle e che non avrei mai preso in considerazione. Non mi avrebbe mai creduto, mi avrebbe solamente preso per pazza. Henry suggerì di dire tutta la verità a Killian ed era una cosa sulla quale stavo rimuginando parecchio, in quei giorni. La verità mai come quella volta sarebbe stata un'arma a doppio taglio. Eravamo molto amici, tra noi il legame era forte, ma mi avrebbe creduto? Avrebbe creduto alla magia, a Capitan Hook e tutto il resto? Io, d'altro canto, non avevo creduto neanche a mio figlio, era forse quello a bloccarmi. Se mi avesse presa per pazza, sarebbe crollato tutto.
« Emma? » Regina mi chiamò entrando piano nella stanza, da sola per la prima volta da quando mi ero svegliata (e forse anche da quando era arrivata). Mi tirai su per parlare meglio, immaginando dovesse dirmi qualcosa di importante, ed aspettai che venisse a sedersi sulla poltrona come gli altri, ma se ne rimaneva in piedi sulla porta, le mani davanti al ventre che stringevano la sua borsetta nera.
« Che succede? » Domandai a quel punto, un po' preoccupata da quelle che potevano essere le parole della mora. In realtà mi sembrava abbastanza tranquilla, nessuna brutta notizia sembrava esserci all'orizzonte, ma aveva la sua solita espressione indecifrabile in volto e per questo mi preparai a tutto.
« Torno a Storybrooke. Fra circa... », alzò il polso sinistro quel tanto che le bastava per controllare il suo orologio, « tre ore e mezza ho il volo e non vorrei assolutamente perderlo », riabbassò il braccio e lo scrollò appena, per far scivolare verso il basso la manica della sua giacca, che le arrivò quasi a coprirle le dita « tanto qui non sono di nessun aiuto, e poi non voglio stare troppo tempo lontano dalla mia cara sorellina », alzò gli occhi al cielo e mosse appena il capo con fare contrariato « e dalla sua gravidanza. »
« Ma certo », cominciai a dire annuendo appena « sei il sindaco, anche con Gold fuori dalla città avrai senz'altro il tuo bel da fare con la normale amministrazione, Zelena, Lily... » tra l'altro immaginavo che se sentisse così tanto l'urgenza di tornare a Storybrooke era anche perché non si sentiva a suo agio in quel mondo senza magia che non le apparteneva, ma non glielo dissi ad alta voce « a proposito, come sta? » Chiesi invece, realmente interessata alla condizione di quella che era stata la mia migliore amica, in un tempo che ormai sembrava così lontano.
« Sta bene, credo », rispose lei, leggermente distaccata sull'argomento « ha smesso di mandare a fuoco tutto quello che si trova davanti ogni volta che si trasforma. Lo possiamo definire un passo avanti. Comunque Emma », tornò seria e mi guardò fisso « questa volta Henry tornerà con me, se non ti dispiace » l'ultima frase la pronunciò solo per rispetto di una persona che si stava riprendendo dopo essersi beccata un proiettile, me ne accorsi subito ma comunque non me la presi. Pensai anche che non ce ne sarebbe stato bisogno, ero d'accordo con lei per una volta.
« No, assolutamente. Dopo quello che è successo sarò più tranquilla a saperlo lontano da questo posto, finalmente a casa e al sicuro » sospirai appena, dopo aver abbassato piano lo sguardo. L'altra rimase in silenzio, probabilmente entrambe avevamo lo stesso pensiero per la testa, ma nessuna si premurava di esprimerlo ad alta voce. Per un momento ringraziai di essermi ritrovata in ospedale, mi aveva evitato una grandissima sfuriata (meritata) dalla donna. « Non avrei dovuto lasciarlo solo, quel giorno » alla fine espressi quel senso di colpa ad alta voce.
« Già, non avresti dovuto », commentò Regina con una freddezza tale che subito ringraziai anche il fatto di trovarci lontano da qualsiasi tipo di magia. Sospirò alla fine, la mora, abbassò il capo e si prese un attimo per mettere insieme qualche parola, poi tornò a fissarmi con un'espressione meno dura e forse appena appena colpevole « E io avrei dovuto prendere subito il primo volo per Londra quando nessuno di voi due si faceva sentire. Ero furiosa, ma credevo fosse tutto sotto controllo, avrei dovuto capirlo subito » quella confessione le era costata molto, glielo si leggeva perfettamente in faccia e non riuscii a replicare per questo. Eravamo state due stupide, chi per un motivo e chi per un altro, era inutile girarci intorno e prenderci in giro. « Vado a chiamare Henry, l'ho lasciato a prenderti una cioccolata calda prima di venire a salutare ma evidentemente tua madre deve averlo bloccato lungo il percorso. »
« Regina.. » la fermai, il tono grave.
« Sì? » Voltò appena il capo verso destra, quel tanto che bastava per osservarmi con la coda dell'occhio, la mano sopra la maniglia della porta.
« Tu cosa faresti? Se fossi al mio posto, se Robin stesse sposando un'altra, se non si ricordasse più di te... come agiresti? » La sentii sospirare, lo sguardo andò ad abbassarsi e forse chiuse anche gli occhi. Il pugno intorno alla maniglia si fece più forte, poi la mano si aprì e scivolò via piano da essa. Alla fine Regina si girò per fronteggiarmi, fece due passi in avanti incerta, pensierosa. Entrambe le mani reggevano la borsetta, adesso.
« Emma, devono essere chiare due cose. La prima è che io non sono te, la seconda è che Robin non è Hook » un'altra persona l'avrebbe fermata subito, il tempo che bastava a sottolineare l'ovvietà di quelle parole, ma io restai in silenzio, capendo al volo quello che voleva dire: io e Regina eravamo due persone completamente diverse, avevamo avuto due vite diverse, avevamo sofferto ma in modo diverso e questo ci aveva plasmato in modo diverso. Allo stesso modo, Killian e Robin erano due persone completamente diverse. E, forse, anche le nostre relazioni lo erano. « Quasi una ventina di giorni fa sono riuscita a farti ragionare e a convincerti a restare. L'ho fatto perché sapevo che non ti saresti mai perdonata per essertene andata senza lottare. Non so se io avrei mai preso in considerazione l'idea di farmi da parte, non con una maledizione in mezzo perlomeno! Non avrei mai permesso che Gold giocasse così con la sua vita e avrei lottato a testa alta contro ogni ostacolo. Ma non ti giudico, come ho detto, tu non sei me e so perché ti sono venuti certi dubbi per la testa. Avevi solo bisogno di essere spronata ad andare avanti e l'hai fatto. In più, Robin ha un figlio e non avrei mai permesso che vivesse lontano da lui, privo di qualsiasi ricordo. Avrei accettato che non si ricordasse di me, della nostra storia, di Marian, di chi fosse in realtà, ma non che non si ricordasse di Roland. Invece... » si bloccò, mordendosi appena il labbro. Pensai che avesse paura di risultare indelicata, cosa assurda se parliamo di Regina Mills « Invece Hook non ha nessuno a Storybrooke, a parte te. »
Robin aveva la sua famiglia, a Storybrooke, formata da dei ladri ma pur sempre una famiglia. Aveva un figlio che era già orfano di madre, più un altro inatteso in arrivo. Killian era solo, se non fosse stato per me probabilmente avrebbe trovato il modo di tornare nella Foresta Incantata già da un pezzo. Alle spalle si stava lasciando una madre che lo aveva lasciato quando era ancora un bambino, un padre che lo aveva abbandonato, un fratello che era morto troppo presto e il suo primo grande amore che gli era stato portato via. Senza tralasciare secoli passati nell'oscurità, alla ricerca della sua vendetta. Avevo capito bene quello che mi stava dicendo Regina.
« Regina, stai girando intorno alla mia domanda senza rispondere », affermai con decisione, senza battere ciglio « che cosa faresti al mio posto? »
« Se fossi in te, non appena possibile, mi alzerei da quel letto e me ne tornerei a Storybrooke. Venti giorni fa ti avevo accusato di non lottare per la paura di perdere. Tu hai lottato, non è andata bene ma ci hai provato. Non puoi avercela con te stessa. Tu sei la Salvatrice, il tuo compito è assicurare che tutti abbiano il loro lieto fine e forse... » si fermò. Non sapevo se aspettasse che dicessi qualcosa, ma io restai in silenzio « forse restando a Londra potrà trovarlo. Lontano dalla magia, lontano dai suoi ricordi bui. Magari riuscirà ad essere davvero felice. »
Pensai che quell'idea in realtà l'allettasse. Regina e Killian erano stati dalla parte dei cattivi e, per quanto si sforzassero di essere dalla parte degli eroi, qualunque cosa facessero, sembrava che per loro non ci fosse la possibilità di avere un lieto fine. Pensai che in qualche modo, la donna lo stesse invidiando in quel momento, ma non lo dissi. Non dissi niente. Non riuscii a dire niente.
Alla fine Regina uscì dalla camera per chiamare Henry, lasciandomi sola con i miei pensieri.


Day 27


Il lieto fine di Killian Jones ero io. Per una giornata intera quelle parole si erano ripetute nella mia testa senza darmi tregua, neanche per un minuto. I miei genitori mi parlavano, mi parlava Phoebe, mi parlava Jack e mi parlavano addirittura i gemelli nell'unica visita che mi avevano fatto, quel pomeriggio. Mi parlava anche Killian, ma io non ascoltavo. Potevo lasciarlo alla sua bella e nuova vita, potevo farmi da parte in qualsiasi momento, ero pronta a compiere quel sacrificio per amore se significava vederlo per sempre felice e contento. Davvero, ero pronta a compiere un passo del genere. Se solo quella dichiarazione non mi avesse tormentata tanto. Lo osservavo fingendomi tranquilla e annuendo, di tanto in tanto i nostri sguardi si incrociavano Non potevo ripetere quello che mi stava dicendo, avevo capito veramente poco e niente di tutto il discorso. Forse se n'era anche accorto, ma aveva fatto finta di nulla.
Sei veramente innamorato di Rose? Pensi davvero che sia lei il tuo vero amore? E io, che posto ho, io?” era tutto quello che volevo chiedergli, mentre vedevo la sua bocca che si muoveva, le sue labbra invitanti che ogni tanto si stendevano in un sorriso subito dopo aver fatto una battuta. Però me ne restavo in silenzio, a mordermi la lingua.
Quella sera non avevo voluto la compagnia di nessuno. Henry e Regina erano ormai arrivati a Storybrooke, il ragazzino mi aveva chiamato e mi aveva detto che tutta la città sperava che stessi bene e che tornassi presto a casa. Nessuno di loro si preoccupava per le sorti di Hook?
Avevo chiesto ai miei genitori di lasciarmi sola, intimandoli di andare nella loro stanza d'albergo a riposare un po' e di staccare la spina dall'ospedale ora che stavo meglio. Non era stato semplice convincerli, ma alla fine, dopo essermi finta stanca e assonnata, avevano girato i tacchi ed erano andati via.
Finalmente sola, provai ad immaginare cosa stesse facendo Killian. Quella era la sera del suo addio al celibato, il matrimonio sembrava una cosa fin troppo concreta adesso. Non mi era sembrato troppo contento di andare, ma non avevo dato troppo peso a quel fatto. Jack era il suo testimone ed aveva assicurato una festa sobria, al quale partecipava solamente qualche persona di Scotland Yard.
A Storybrooke non aveva nessuno, a Londra aveva una piccola famiglia formata da Jack e Phoebe, ma anche dai gemelli. Erano la sua squadra ed erano molto uniti e legati. A quel pensiero mi venne da vomitare, tanto da portare il palmo sinistro sulla bocca, per fermare il conato. Non avevo mai odiato Gold così tanto, speravo che, ovunque si trovasse, se la stesse passando male. Se non peggio. Alla fine mi distesi sul letto, decisa a dormire così da rimandare tutti quei pensieri al giorno dopo.
Ma il mio sonno fu interrotto presto, poco prima di mezzanotte. Svegliata da un rumore improvviso, sobbalzai rizzando la schiena e guardandomi intorno. Killian era in piedi, fermo sul posto come se temesse di muoversi anche se, vedendomi sveglia, si rilassò poco dopo, prima di sorridermi. Guardai l'ora e mi meravigliai di vederlo lì. O meglio, sapevo che l'infermiera di turno fosse un'ottima amica di Rose che, chiudendo un occhio o anche tutti e due, lo lasciava entrare tranquillamente a qualsiasi ora del giorno a farmi compagnia. Ero stupita, piuttosto, che fosse tornato così presto dalla sua festa.
« Ti ho svegliata? » Domanda retorica « Scusa, ho cercato di fare piano ma... »
« Cosa ci fai qui? » Non lo lasciai finire, guardandolo con occhi sgranati e bocca semi aperta, neanche lo avessi colto sulla scena di un delitto. Lui parve quasi divertito da quella reazione.
« Sono venuto a vedere se stavi bene e se ti serviva qualcosa » commentò tranquillo, alzando bene in alto le braccia, il palmo della mano aperto, come a far vedere di essere “pulito”, di non avere niente da nascondere. Il tono così naturale quasi mi spaventò, non sapevo neanche perché ma mi tremarono appena le mani.
« Sto bene e se mi servirà qualcosa, chiamerò le infermiere. Sono qui per questo, alla fine » borbottai duramente, senza un vero motivo di fondo. Una vocina dentro di me mi fece prendere in considerazione l'ipotesi che potesse trattarsi del semplice accumulo di tensione. Killian, comunque, parve ferito ma il suo sorriso non scomparve dal suo volto.
« Che succede? » Si limitò a chiedermi a braccia incrociate. Lo fulminai con lo sguardo perché non riusciva a capire. In realtà neanche io sapevo cosa c'era da capire, ma ero ugualmente infastidita.
« Succede che è quasi mezzanotte, Killian. E' tardi, cosa sei venuto a fare? » Presi a biascicare bruscamente « Non dovresti essere al tuo addio al celibato, tra l'altro? » Il sorriso scomparve dal suo volto, debolmente. Mi fissava stranito, di sicuro non si era aspettato niente del genere.
« Mi annoiavo, ci annoiavamo tutti a dire il vero. Preferivo stare qui », le mie sopracciglia si assottigliarono e lui lo notò subito « Qual è il problema, Emma? Passo sempre la notte qui, cos'è cambiato adesso? »
Tutto e niente, ecco cos'era cambiato. Il matrimonio era dietro l'angolo e la situazione sembrava la stessa che mi si era presentata davanti appena arrivata a Londra. Tante cose erano successe, e se da una parte mi confortava trovarmi Killian, addormentato al mio fianco sulla poltrona, appena sveglia, dall'altra mi sconfortava sapere che, nonostante tutte quelle attenzioni, lui avrebbe comunque sposato Rose.
« Il problema è che fra pochi giorni ti sposi, dovresti tornare a casa dalla tua fidanzata invece di venire qui. Non credi anche tu? » “Dì che non ti importa niente della tua fidanzata, dimmi che le cose sono cambiate e che non vuoi più sposarti. Rose non conta più niente per te, dillo Killian, avanti. Dillo e saprò che non è ancora finita.
« Io volevo solamente assicurarmi che non ti mancasse niente », affermò a bassa voce, dopo un secondo di esitazione « ma ho ricevuto il messaggio. Certo, potevi dirmelo anche prima però, mi avresti risparmiato un terribile mal di schiena » indicò con il capo la poltroncina dove aveva passato le ultime notti con una smorfia, tornò a sorridere poi, facendomi capire che non me ne faceva assolutamente una colpa e che era tutto okay, non c'era nessun problema. Non c'era nessun problema?
Mormorò poi che in quei giorni non sarebbe passato, al 90%, perché impegnato negli ultimi preparativi del matrimonio. Mi salutò, infine, e se ne andò anche lui, diretto, sicuramente, verso casa. Era finita, quindi?


Day 30


Negli ultimi giorni non era successo niente di eccezionale. O così parve a me, che avevo cominciato a capire che la mia storia con Killian era arrivata al capolinea. Cominciavo a dare seriamente ragione a Regina, in me aumentava la consapevolezza che dovevo farmi da parte una volta per tutte. Partire senza mai voltarmi indietro, come nel mito di Orfeo ed Euridice. Solo che non avrei avuto la benché minima ricompensa e, certamente, non avrei riavuto Killian indietro.
Eppure tutto quello continuava a suonarmi sbagliato e ingiusto. Ma d'altra parte sapevo di non poter obbligare Killian ad innamorarsi di nuovo di me, non con una data di scadenza in mezzo, oppure a lasciare la donna che, in quella realtà, era la donna che aveva amato o che amava ancora.
Era anche venuta a trovarmi, lei e Montgomery, il giorno dopo la mezza discussione con il pirata. Si scusavano entrambi, chi per un motivo e chi per un altro, l'uomo era arrivato anche a parlare di una medaglia al valore ma gli avevo espressamente detto che non era necessario. Un modo carino per dirgli che la trovavo un'idea stupida. Rose non fece riferimenti al matrimonio e di questo gliene fui grata. Mi parve appena appena imbarazzata, raramente alzava gli occhi in cerca di un contatto visivo, anche minimo, e io la lasciai fare, del resto mi importava poco e niente di lei. Più che altro mi chiedevo, osservandola, se avrebbe reso felice Killian, se era davvero la donna giusta per lui. La risposta arrivò ancora prima della domanda: no.
La buona notizia era che finalmente mi avevano dato il permesso di muovermi, non potevo andarmene in giro per l'ospedale a mio piacimento, naturalmente, ma era già qualcosa. Ogni tanto camminavo lungo il corridoio, mio padre al mio fianco ad offrirmi il braccio destro non appena mi vedeva stanca e affaticata. In genere, poi, mi riportava in camera e andava a prendere qualcosa da mangiare, perché il cibo dell'ospedale era veramente immangiabile. Era allora che mia madre cominciava a parlarmi della mia situazione con Killian, provava a farmi ragionare rifilandomi frasi come “l'amore ne vale la pena”. Certo, peccato che l'unica ad essere innamorata ero io.
« Mi ero dimenticata di tuo padre e dei sentimenti che provavo nei suoi confronti », continuava ancora lei, conoscevo quel discorso a memoria ormai « ma non si è arreso. Ha lottato e alla fine è riuscito a farmi aprire gli occhi » a quel punto io annuivo piano con il capo, aspettavo che mi guardasse attentamente, prima di aprire bocca.
« Papà è stato ferito da una freccia e questo ha fatto scattare qualcosa dentro di te. Io mi sono beccata un proiettile, proprio qui », indicavo, in automatico, i punti che avevo sul ventre, coperti ovviamente dal camice « e non è scattato niente. Più di questo cosa posso fare? » A quella mia risposta, mia madre si sentiva messa con le spalle al muro, sempre, glielo leggevo in quella piccola sfumatura grigia che compariva nei suoi occhi. Eppure, ogni volta, replicava in modo diverso anche se la morale era sempre “non darti per vinta”.
Ma era facile, per lei, parlare, mi dicevo. Biancaneve e il suo Principe erano cresciuti nella Foresta Incantata, dove le storie degli eroi terminano con un lieto fine. Nella vita reale le cose andavano diversamente.
Quel giorno camminai a lungo, le forze erano ritornate e, anche se i miei genitori continuavano a preoccuparsi, potevo affermare con convinzione di sentirmi veramente bene, almeno fisicamente. Tornai comunque in camera presto per via delle numerose occhiate allarmate che continuavano a lanciarsi gli altri due. Mia madre andò a prendere il pranzo, cosa che mi stupì parecchio anche se cercai di non darlo a vedere. Mio padre dava sempre dei buoni consigli, ma quando c'era in mezzo la mia storia con Killian non sapevo cosa aspettarmi. Certo, aveva creduto che il nostro fosse vero amore, a Storybrooke, e la cosa mi aveva sorpresa parecchio, ma non ero comunque preparata a qualsiasi sermone volesse farmi.
« Non ho visto Hook in questi giorni », esordì con un tono distaccato mentre si accomodava sulla poltrona « è successo qualcosa? » Domandò alla fine, senza girarci troppo intorno. Capii subito che quella domanda dovevano essersela rivolta molte volte, i miei genitori, anche se non avevano mai trovato il coraggio di chiedermelo. Fino a quel momento, almeno.
« No, non è successo niente » risposi tranquilla, ed era vero dopotutto, no? Era stata una piccolissima discussione, niente di così eclatante. Anche se, andando via, aveva dimostrato di aver scelto Rose una volta per tutte. E allora sì, era stato un avvenimento importante. « E' solo impegnato con gli ultimi preparativi » aggiunsi dopo, optando per la stessa mezza verità che mi aveva rifilato il pirata. Lui annuì, senza però preoccuparsi di nascondere un'espressione alla “so che c'è dell'altro sotto”, ma non indagò oltre, capendo che non avevo voglia di raccontare per filo e per segno quello che era successo.
« Ascolta, Emma », cominciò lui con tono grave « domani c'è il matrimonio, hai già pensato a cosa succederà dopo? »
« Sì », respirai piano « tornerò a casa. » Quella risposta lo disarmò. Lo osservai mentre mi fissava a bocca aperta per qualche istante, serrò appena le sopracciglia senza abbassare mai lo sguardo, forse cercando di capire se fossi seria o meno.
« Stai dicendo sul serio? » Replicò sorpreso, mi vide annuire e si accigliò ancora di più « Vuoi davvero arrenderti così? Dopo tutto quello che hai fatto, tutto quello che hai passato e tutto quello che hai tentato per fargli tornare la memoria? »
« Esattamente », risposi tranquilla, anche se in realtà il cuore martellava all'impazzata « ne ho tentate tante, troppe. Non so più cosa inventarmi. Ascolta », mi girai meglio verso di lui per poterlo guardare bene in volto, gli presi una mano come a dirgli “va tutto bene”, anche se la realtà era ben diversa « Nella mia vita ho avuto paura di perdere una persona cara così tante volte da perderne il conto. Ricordo il terrore provato vedendo Henry cadere a terra dopo aver mangiato la torta di mele di Regina. Il panico di vedere mia madre morire, uccisa dalla sua matrigna, e non poter far niente per evitarlo. In entrambi i casi ho cercato di non perdere la speranza: Henry poteva essere salvato, mia madre poteva non essere morta davvero. Ma questa volta è diverso, questa volta sto perdendo Killian. Lo sto perdendo per sempre, papà. Non è una paura, è una certezza. Non c'è più niente che io possa fare, era tutto nelle sue mani ed ha scelto Rose. E va bene così » no, in realtà non andava affatto bene, ma cercavo di farmene una ragione.
« Il vero Killian avrebbe scelto te, lo sai vero? » Annuii simulando un sorriso, mi strinse forte la mano che non aveva lasciato neanche per un istante « Ma il Vero Amore è una cosa unica, ne esiste solamente uno per ognuno di noi. Forse, se tu gli parlassi... »
« E farmi ricordare per sempre come una pazza? No, papà, sarebbe troppo. Forse questo nuovo Killian non è alla ricerca del Vero Amore, perché la storia che ha basta a renderlo felice. Ed io devo accettarlo, per me conta la sua felicità. Sono la Salvatrice e il mio dovere è assicurarmi che tutti i personaggi delle favole riescano a trovarla; se Killian l'ha trovata qui, se finalmente ha trovato un po' di pace e serenità, devo accettarlo. »
« Ma non è realmente quello che avrebbe voluto... » provò ancora, facendomi sospirare.
« Ma è quello che, evidentemente, vuole questo Killian. Ormai ho deciso, papà. Domani mi dimetterò dall'ospedale e andrò al matrimonio. Quando sarà finito prenderemo il primo volo disponibile e ce ne torneremo a casa. »
« Io e tua madre staremo lì al tuo fianco, Emma, non ti lasceremo da sola. »


Day 31


Appena dimessa dall'ospedale andai, insieme a mia madre, a casa di Phoebe per prendere tutte le mie cose; nel frattempo mio padre era andato a comprare una valigia e ci aspettava nella camera d'albergo che avevano preso qualche giorno prima. Anche Phoebe si era detta contraria alla decisione che avevo preso, ma smise di protestare quando capì che se neanche i miei genitori erano riusciti a farmi cambiare idea, difficilmente ci sarebbe riuscita lei.
Mentre ci avviavamo verso l'hotel, sentii il telefono vibrarmi nella tasca posteriore. Lo presi e vi trovai un messaggio da Killian: Emma, sono passato in ospedale a salutarti e mi hanno detto che ti sei dimessa. Mi dispiace non esserci stato in questi giorni, ma spero che tu stia bene. Non so che intenzioni tu abbia, ma pensa a riposare, adesso. Non venire al matrimonio, ti affaticheresti solamente. Magari passiamo a trovarti più tardi, okay?
Lessi il messaggio tre volte per capire bene se si stesse davvero preoccupando per me o se non mi volesse solo tra i piedi. Mi domandai anche se fosse stata Rose a dirgli di non farmi andare al matrimonio, aveva paura che entrassi in chiesa gridando un sonoro “io mi oppongo”? Non sapevo se si aspettasse una risposta o se immaginasse che quelle parole mi avrebbero infastidita tanto da non voler replicare.
L'unica cosa certa era che non mi importava niente di quello che mi diceva, io, al matrimonio, ci sarei andata. Non sapevo neanche quale fosse il motivo che mi spingesse lì, sentivo solo che dovevo esserci, come ad assicurarmi che raggiungesse la sua felicità. E poi, anche e soprattutto, per vederlo un'ultima volta prima di partire quella sera stessa.
Non dissi niente ai miei genitori, arrivata in albergo indossai il vestito che mi aveva prestato Phoebe per l'occasione: verde, la gonna ampia superava appena le ginocchia, era abbastanza sobrio, con qualche ricamo e soltanto l'orlo della gonna in pizzo; non aveva le maniche, per questo indossai una giacca sopra, per non morire di freddo. Legai i capelli in una coda alta e mi presentai in chiesta poco dopo.
Era già piena, immaginai che Rose avesse invitato praticamente tutti i suoi parenti sparsi nel mondo, anche quelli più lontani. Mi sedei agli ultimi posti, mia madre alla destra, mio padre alla sinistra. Ci volle un'altra mezz'oretta prima che lo sposo prendesse il suo posto, non si accorse di me, troppo lontana e nascosta dagli altri invitati. La sposa arrivò subito dopo e la cerimonia iniziò.
Li guardai silenziosa e inquieta, ogni tanto mia madre mi accarezzava la mano. Cominciai a mangiucchiarmi le unghie, mentre sentivo gli occhi farsi lucidi. Mi veniva da piangere, vedere l'uomo che amavo mentre si sposava con un'altra donna stava per farmi crollare. Provai a pensare ad altro e a focalizzare la mia attenzione sul sacerdote, i miei piedi non riuscivano a stare fermi. Alla fine non resistetti più, mi alzai in piedi pronta ad andarmene o almeno ad uscire a prendere aria. Sentii improvvisamente ogni singolo sguardo fisso su di me e mi bloccai. Killian si voltò e rimase a fissarmi a bocca aperta, Rose mi guardava indignata. Non capivo il perché di quella reazione, nessuno fiatava e il sacerdote non si azzardava a continuare.
« Emma », sentii mia madre sussurrare « è il momento meno indicato per alzarti in piedi » mi prese la mano e mi tirò affinché tornassi a sedere. Capii che eravamo arrivati al fatidico momento, quello del “se qualcuno dei presenti ha qualcosa in contrario su questa cerimonia, lo dica adesso”. Dovevano aver pensato che volessi fermarli, in effetti sarebbe stato anche semplice, ma non era davvero la mia intenzione. Tornai al mio posto con lo sguardo basso, imbarazzata. Sentivo ancora gli occhi blu di Killian fissi su di me. Cominciai a pensare, cosa stavo facendo? Lasciavo davvero che si sposasse con quella donna, quella Rose che non era assolutamente fatta per lui? Che non gli avrebbe mai dato un lieto fine? Mi alzai nuovamente, questa volta con un motivo. Ancora, si voltarono tutti a guardarmi. Aprii la bocca decisa, pronta a intimare l'uomo di non farlo, pronta a confessargli, ancora, i miei sentimenti e ad aspettare che lui facesse altrettanto. Occhi negli occhi, ci scrutammo, le parole mi morirono in gola, mi diedi della stupida e corsi fuori.
Tanto casino per niente, non ce l'avevo fatta neanche a reggere il suo sguardo. Sarebbe stato inutile, mi dissi, mi sarei messa ancora di più in ridicolo. Lui aveva scelto Rose, quella sera in ospedale, non avrebbe cambiato idea proprio mentre stava per sposarla. Misi le mani tra i capelli, forse rovinai un po' la coda ma non mi importava.
« Emma! » Mi voltai di scatto, agitata. Killian mi aveva raggiunta ed ora correva verso di me « Che cosa ti è saltato per la testa?! » Urlava furioso, lasciandomi spiazzata e priva di parole. Aveva lasciato la sua sposa in chiesa per farmi una sfuriata? Cerimonia interrotta per inveire contro un'imbucata al matrimonio? « Ti avevo anche detto di non venire, ma tu devi fare sempre di testa tua! »
« Ma sto bene! » Trovai la forza di replicare, scocciata e alzando i toni come stava facendo lui stesso.
« Lo so, ho parlato con i tuoi medici questa mattina, cosa credevi?! » Fece lui, cominciando a gesticolare spazientito.
« E allora perché non mi volevi qui? E' stata Rose? Aveva paura che mi mettessi in mezzo, o facessi qualcosa o... » Mi interruppe subito.
« Non ti volevo qui perché sapevo che se ti avrei vista non sarei mai riuscito a sposarmi! » Restai in silenzio, nella mia mente le sue parole si ripetevano veloci tanto che mi fecero girare la testa per un momento. Respirai a fondo e continuai a guardarlo, aveva davvero detto quelle cose o erano state solo frutto della mia mente? Le avevo intese nel senso giusto o avevo frainteso tutto? Non osavo fiatare e allora lui continuò a parlare, abbassando, però, i toni « Lo so da quando sei stata rapita, o forse ancora da prima solo che ero troppo cieco per rendermene conto. Non potevo sopportare l'idea che ti succedesse qualcosa, stavo impazzendo. E quando hai perso i sensi mi sono sentito morire, ho sentito ogni mia certezza sbriciolarsi. Non sapevo immaginare un futuro senza di te, non so immaginarlo neanche adesso. C'è qualcosa che ci lega, Emma, adesso l'ho capito. L'ho sentito subito ad essere sincero, ma non ci ho mai dato troppo peso. » Mi fissò serio, emozionato, gli occhi lucidi.
« Cosa stai cercando di dirmi? » Sussurrai, tremando. Fece un passo verso di me e mi accarezzò la spalla, poi il braccio e infine mi prese la mano. Il pollice si muoveva leggero contro la mia pelle, rassicurante e affettuoso.
« Ti amo, Emma. Sono innamorato di te » incurvai appena gli angoli della bocca. Non potevo credere a quello che stava succedendo. Si era innamorato di me, di nuovo. La nostra storia era stata azzerata, ma i suoi sentimenti erano nati una seconda volta. Forse era davvero così, il Vero Amore è una cosa unica e che non ti lascia possibilità di scampo.
Mi alzai sulle punte, pronta a baciarlo. Mi lasciò andare la mano e mi sfiorò appena il capo, si avvicinò lentamente, chiuse gli occhi e feci lo stesso. Sentivo il suo respiro, sfiorai le sue labbra.
Mi bloccai, allontanai improvvisamente la testa all'indietro e lo fissai.
« No », mormorai piano « non così » mi guardò sorpreso, non riuscendo a capire perché mi fossi fermata. « Ti avevo promesso che ti avrei raccontato ogni cosa quando saresti stato pronto e il momento è arrivato » sorrisi nervosa, mentre gli prendevo la mano e lo portavo in un posto più appartato. Killian non fiatava, non stava capendo dove volessi andare a parare ma mi lasciava fare. Presi un respiro profondo prima di tornare ad aprire bocca.
« Tu sei Killian Jones, ma io ti ho conosciuto con un altro nome: Hook, Capitan Hook » sapevo quanto fosse rischioso, scegliere di raccontargli la verità proprio nel momento in cui si era dichiarato, ma avevo deciso di lasciargli una scelta. Non vedevo l'ora di riportarlo nel suo mondo, nel nostro mondo, ma doveva essere lui a volerlo, doveva essere consapevole di chi fosse e da dove venisse. Glielo dovevo.

E così gli raccontai tutto, non tralasciai nessuna cosa. Gli parlai di Cora, del fagiolo magico che ci aveva dato per trovare Henry, della nostra avventura a Neverland, di come avesse salvato la vita a mio padre e di come mi avesse sempre supportata. Gli parlai anche di Zelena, e di Gold, l'uomo che odiava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Provai a parlargli di Milah e di Liam, spiegandogli com'era diventato un pirata, andando a ripescare stralci di conversazione che avevamo fatto tempo prima. Il primo bacio fuori da Granny's, il nostro ballo, il primo appuntamento. Mostri di ghiaccio, sortilegi oscuri, incantesimi e pozioni. Ascoltava tutto, senza fiatare. Ogni tanto lo osservavo schiudere appena la bocca, ma non osava dire neanche una singola parola.
Immaginai cosa gli stesse passando per la testa. Riuscii a sentirlo, mentre mi dava della pazza, come era successo durante il mio primo giorno a Londra, quando lo avevo finalmente ritrovato, più o meno. Gli parlai anche di quello, di come era stata dura stargli vicino durante i primi giorni, quando ancora non riusciva a fidarsi e continuava a chiedersi da dove sbucassi fuori.
Alla fine sospirai sonoramente, chinando appena il capo, prima di tornare a guardarlo di nuovo negli occhi. Continuava a restare in silenzio, aspettava che dicessi qualche altra cosa?
« Questo è tutto », affermai timidamente: cercavo di non farlo vedere, ma in realtà temevo la sua reazione: se il mio discorso non aveva fatto la minima breccia nel suo cuore lo avrei perso per sempre, non si poteva tornare indietro, ormai era fatta « so che è difficile da capire, che sono tante informazioni tutte insieme e che probabilmente avrai bisogno di tempo per assimilarle. Ma dovevi sapere la verità, avrei voluto dirtela subito, trenta giorni fa, fuori la porta di casa... tua », pronunciai quell'ultimo aggettivo con una smorfia « ma non era il momento. Non mi avresti creduto. E forse non mi crederai neanche adesso » accennai una bassa risata isterica, nervosa del suo giudizio. L'uomo, dal canto suo non aveva mai smesso di fissarmi dritto negli occhi, un'espressione vaga sul volto. Non riuscivo a capire cosa gli passasse per la mente, era quello il motivo per cui stavo quasi uscendo di testa. « Può sembrare una follia, ci sono già passata e so che ai tuoi occhi tutto questo sembra una follia. E magari lo è davvero. Ma tutto questo, ogni singolo ricordo, tornerà. Basta un bacio per farti ricord- »
Non mi lasciò neanche il tempo di concludere la frase, benché meno quello di finire la parola. Tre lettere che rimasero in sospeso. Killian Jones parve non poter aspettare un secondo di più, una lettera di più.
Si fiondò sulle mie labbra con una foga tale da farmi trasalire per la sorpresa. Sgranai gli occhi a quel gesto del tutto inaspettato, quasi a volerne verificare l'autenticità con ogni modo. Smisi di pensare e di farmi troppe domande nel momento in cui percepii la barba ispida di lui solleticarmi il volto. Percepii quasi un calore nuovo, mai provato prima, diffondersi per tutto il corpo. Mi dissi che, probabilmente, era dovuto al sollievo per non aver turbato Killian.
Poi accadde.
Killian aveva accorciato le distanze portandomi verso di lui, la mano sul mio fianco. Petto contro petto. Una piccola scintilla parve uscire dai nostri cuori e non solo metaforicamente. Un fascio di luce bianca venne fuori dai nostri corpi a contatto fra loro, una luce che si espanse per tutta la stanza, ma anche oltre. Una folata di vento ci sorprese entrambi, facendoci svolazzare i capelli per una manciata di secondi. Sentii Killian irrigidirsi.
Ci staccammo, slanciati via da quella forza scaturita dal nostro bacio, o forse scaturì tutto da noi, che ci scrutammo sorpresi. Aveva gli occhi sgranati, la bocca aperta e la mano che mi aveva stretto a lui fino a poco prima ferma a mezz'aria. Tremavo, gambe, mani, braccia. Non riuscivo a stare ferma sul posto, agitata forse più di prima. Il bacio aveva funzionato. Sì? Aveva funzionato davvero?
« Swan » sorrise, i suoi occhi brillarono di una luce nuova, ma allo stesso tempo ritrovata. Mi rilassai completamente, forse mi scappò un sospiro. Sentii come una massa sullo stomaco sparire lentamente, così come tutte le mie preoccupazioni, tutti i miei timori. Le mie labbra si distesero in un sorriso raggiante e sentii i miei occhi inumidirsi. Mormorai appena il suo nome, il suono quasi non uscì, ma l'uomo lesse il labiale e soffocò piano una risata. Allargò le braccia e subito mi gettai ad abbracciarlo. Cominciai a ridere anche io, mentre mi sollevava leggermente dal pavimento e mi stringeva a lui come se non volesse più lasciarmi andare.
Gli passai una mano fra i capelli neri, accarezzandogli leggermente il capo. Persi il controllo di qualche lacrima, sentii il suo respiro sul mio collo, le sue labbra che si aprivano e un sussurro che mi provocò brividi per tutto il corpo: « Mi sei mancata, love ».




Angolo dell'autrice:
Prima che mi dimentichi: UNDICI RECENSIONI COSA??? Ho aperto la pagina e me le sono ritrovate tutte insieme, a momenti mi prende un colpo! Ci metterò una vita a rispondervi lol Non sono abituata cavolo, davvero grazie mille. E soprattutto scusate se ci ho messo tutto questo tempo, è stato un vero e proprio parto. Non sapevo come strutturarlo, il capitolo, ci ho messo davvero tanto tempo prima di arrivare ad un dunque e ad una bozza che mi convincesse. Alla fine ce l'ho fatta, ho optato per questa suddivisione a giorni e spero che il risultato sia all'altezza delle vostre aspettative!
L'ultima pagina l'ho scritta fermandomi ogni 5 minuti per dire “stiamo arrivando alla fine. Sto concludendo questa storia. Sto davvero terminando l'ultimo capitolo”. Ho il magone, davvero, sarà difficile non aggiornare più questa storia. Non credo neanche di essere pronta ma come ogni cosa, anche questa doveva giungere al termine :') Ma comunque ci sarà l'epilogo, approfitterò di quello per tutti i ringraziamenti (magari riesco a scriverlo per la settimana prossima, tanto non dovrebbe essere lungo).
Beh, tutto è bene quel che finisce bene, no? (Forse, magari con l'epilogo combinerò altri disastri, chi lo sa muahaha lol) E' stata una settimana dura per Emma, aveva anche scelto di lasciare Killian a questa sua nuova vita, ma questa volta è stato lui a non volerla lasciare andare. Spero che il cambio di pensiero di Regina sia stato chiaro, è vero che era stata lei a convincerla, in precedenza, a restare, ma anche lei credeva che ormai non c'era più niente da fare.
E beh, non so che altro dirvi. Ah, solo che ho cominciato a postare una nuova long: Meant To Be e che spero vogliate salpare insieme a me in questa nuova avventura :)
Quindi niente, vi aspetto nella nuova storia e vi aspetto nell'epilogo (già piango).
Grazie a tutte per il vostro supporto e per le vostre parole, un abbraccio e a presto :)

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


21. Epilogue

There's no place like Home




Una cosa era venuta fuori da tutta quell'avventura: odiavo volare. Avrei preferito non scoprirlo, in tutta franchezza, così come avrei preferito scegliere il mare, come via di ritorno. Ma Emma sosteneva che il viaggio sarebbe stato incredibilmente più lungo e più costoso, tanto che alla fine mi ero fatto persuadere. La verità era che sapevo come non vedesse l'ora di tornare a Storybrooke, di tornare nella sua casa, di riunirsi a suo figlio e a tutti gli abitanti della città ai quali si era affezionata, che non me l'ero sentita di posticipare ancora il ritorno, allungandolo tanto solo per soddisfare il mio capriccio di salire di nuovo sopra una nave. Mi dissi poi che non sarebbe neanche stato così gratificante, con un altro a manovrarla.
E poi un aspetto positivo c'era.
Vedere Emma dormire, finalmente serena, sulla mia spalla mi era più che sufficiente. Io avevo dormito poco, pochissimo. Mi sentivo troppo euforico per dormire, troppo carico di adrenalina anche solo per pensare di chiudere gli occhi per più di un minuto. Avrei dormito sulla Jolly Roger, una volta atterrati, se fossi stato stanco. Speravo che Emma fosse abbastanza riposata per raggiungermi, avremmo avuto finalmente un po' di intimità, magari. Nel frattempo mi limitavo a leggere un libro comprato in aeroporto, un libro che parlava di un tesoro nascosto e di Long John Silver. Era stato David a mettermelo in mano, ridacchiando tra sé, e io ero stato al gioco, comprando per lui una spada giocattolo che ora teneva ben nascosta dentro una valigia, ma che era stato costretto a portare in giro per molto tempo, guadagnandosi occhiate divertite da qualsiasi passante.
Sapevo che non avrei mai dimenticato lo sguardo sollevato e quel piccolo sospiro dell'uomo, nel vederci rientrare in chiesa. Sua moglie aveva trattenuto a stento le lacrime e aveva subito abbracciato la figlia, mentre lui si era limitato a lanciarmi un'occhiata d'intesa e un mezzo sorriso che avevo interpretato come “tutto è bene quel che finisce bene”. Non sapevo se erano contenti di riavermi fra loro o se, e al novanta per cento era così, erano sollevati nel vedere Emma finalmente serena. Non mi importava, alla fine, anche io ero contento di vederla sorridere, sembrava in pace assoluta con il mondo. Probabilmente il bene che provavamo per lei era l'unica cosa che ci accomunava, non sapevo dire se in futuro le cose sarebbero state diverse, ma per il momento quella situazione mi bastava.
Svegliai Emma quando annunciarono l'atterraggio; sorrise nel sentire la mia voce, ancora prima di aprire gli occhi e guardarmi teneramente. Avvicinò i nostri visi in modo da lasciarmi un piccolo bacio all'angolo della mia bocca, prima di prendere ad accarezzarmi la guancia con la mano sinistra, la fronte appoggiata sull'altra. Pace, felicità, armonia. Non mi ero mai sentito così vivo, non ero mai stato così bene.
Ripensai a tutto quello che quel Killian Jones, la marionetta creata da Gold, aveva provato solamente una decina di ore prima. L'amore verso Emma era diventato difficile da nascondere, da controllare, da mandare indietro, in un angolino in fondo al cuore. Ma, come me, anche quel Killian Jones era un uomo d'onore ed era deciso ad andare fino in fondo alla promessa che aveva fatto alla signorina Smith. Ma Emma aveva cambiato tutto. Era bastato uno sguardo per far crollare tutti i castelli, i muri che si erano costruiti in modo da celare il sentimento provato per la donna. L'aveva seguita, l'avevo seguita e non ce l'avevo più fatta a restarmene zitto, a combattere contro qualcosa di tanto forte, qualcosa che nessun incantesimo era riuscito a spezzare. Le parole di Emma non mi avevano spaventato. Avevo sentito la sua storia attentamente e in silenzio e non nascondo di essermi sentito un po' spaventato dal fatto che tanti dei suoi racconti combaciassero con le immagini, quei piccoli flash, che mi erano tornati alla mente. Avevo creduto alle sue parole? No, o meglio, non lo so proprio. Neanche quel Killian Jones lo sapeva. Era davvero difficile riuscire a credere a una cosa del genere, se non impossibile. Ma una cosa posso dirla con certezza: ero bisognoso di ricordare. Volevo riavere indietro quei ricordi e sì, speravo con tutto il cuore che fossero veri. Avevo baciato Emma e subito mi ero sentito rinascere. Avevo ripreso ciò che era mio, avevo riavuto la mia vita. Ero tornato. E, Dio, come mi sentivo bene.
Le presi la mano, ancora ferma sulla mia guancia, accarezzandola appena con il pollice. La portai alle labbra e la baciai, ad occhi chiusi, perdendomi nel profumo della sua pelle. Ultimi momenti tranquilli prima dell'atterraggio, che era stato decisamente traumatico e, lo giurai a me stesso, un'esperienza da non riprovare mai più. Emma mi aveva stretto la mano e, una volta scesi, mi aveva preso in giro per vari minuti, ridendo di gusto come non l'avevo mai vista fare da quando l'avevo conosciuta nella Foresta Incantata.
Henry, Regina e Robin ci aspettavano subito oltre il confine. Ovviamente il ragazzino si fiondò subito tra le braccia della madre e poi fu accolto in quelle dei nonni. Mi lanciò un'occhiata sorridente e io gli feci un occhiolino, restando al fianco di Emma. Robin mi sorrise, mentre la sua compagna mi accolse con un flebile « Hook » e un piccolo cenno del capo. Da Granny's non ci raggiunse molta altra gente; bevevo del rum mentre ascoltavo le chiacchiere degli abitanti di Storybrooke. Emma mi abbracciò, ad un tratto, e subito le passai il braccio intorno alle spalle, mentre lei posava il capo sulla mia. Sentiva il bisogno di sapermi con lei non osando tenermi lontano neanche per un minuto ed io provavo la stessa cosa. Eravamo stati messi a dura prova, ma alla fine il Vero Amore aveva trionfato. Faticavo ancora a crederci.
A Londra avevamo cancellato gli ultimi avvenimenti dalla memoria di tutti, eccetto che in quella di Phoebe, grazie a una strana pietra proveniente da Arendelle che Regina aveva lasciato a Mary Margaret prima di partire. In caso le cose fossero andate bene, aveva detto. Un po' mi dispiaceva essere scomparso dalle vite di quei ragazzi ai quali avevo cominciato a volere veramente bene, ma era giusto così. Ora dovevo solamente cercare i fratelli Darling e dar loro una lettera da parte di Phoebe. Speravo per loro che si sarebbero rivisti, prima o poi.
Tutti quanti ci gustavamo quei momenti di tranquillità, tra risate e racconti generali, ma poi Regina entrò come una furia nel locale.
« Sono spariti, andati. Ci ha beffato di nuovo, ma questa volta lo uccido con le mie stesse mani » sciolsi l'abbraccio e lasciai andare Emma verso la donna che sembrava su tutte le furie, in pochi istanti eravamo tutti intorno a lei.
« Calmati, Regina. Cos'è successo? Cos'è sparito? » Cominciarono a chiederle, tutti accalorati e preoccupati dalla sua agitazione.
« I poteri di Gold, se li è ripresi. »
« Che cosa? » Eravamo riusciti ad intrappolare i suoi poteri prima di bandirlo da Storybrooke, com'era possibile? « Non può essere, come può essersi ripreso i poteri? »
« E' Gold », commentò la donna sprezzante, guardandomi come se fossi tanto stupido da non riuscire a capire un concetto così semplice « un modo lo trova sempre. »
« Non usare quel tono con me, del resto avevi solamente una cosa da fare: tenere i suoi poteri al sicuro e inaccessibili. Bel lavoro Regina » replicai adirato, più per il fatto di sapere Gold ancora a piede libero che con lei.
« Oh, scusa tanto se sono stata impegnata a trovare un modo per farti tornare la memoria, Capitan Eyeliner! »
« Adesso basta, piantatela tutti e due! » Emma si mise in mezzo e ci divise, letteralmente, alzando la voce in modo da farsi sentire da tutti « Non è il momento di discutere. Dividiamoci, lo troveremo prima. Killian, andiamo dall'apprendista: ha ancora il cappello magico, potrebbe tentare di riprenderselo. »
E lì lo trovammo, ma non come ce lo aspettavamo. Il coccodrillo era sdraiato sul pavimento, pareva addormentato, o forse morto? Non sapevo dirlo, non riuscivo neanche a vedere il petto alzarsi e abbassarsi. Era così che finiva il più grande Signore Oscuro di tutti i tempi? E soprattutto cosa era successo? Belle era al suo fianco, non piangeva ma aveva gli occhi lucidi. Io ed Emma stavamo per avvicinarsi a lei, quando l'apprendista catturò la nostra attenzione. Anche lui era per terra, cercava di alzarsi con fatica, allo stremo delle forze. Corsi ad aiutarlo e riuscimmo a portarlo sul letto. Belle ci spiegò che erano riusciti a separare l'oscurità dal cuore del coccodrillo, che lo stava consumando definitivamente. Ma l'oscurità si era ribellata, era uscita dal cappello, aveva aggredito l'apprendista e poi era scomparsa.
L'apprendista ci avvisò del pericolo che incombeva sopra di noi, ci consigliò di rivolgerci a Merlino, il più grande mago mai esistito, così da poter sconfiggere l'oscurità una volta per tutte. Io ed Emma ci fissammo a lungo, preoccupati, quando l'uomo chiuse gli occhi, stanco. La donna stringeva in mano il pugnale del Signore Oscuro, privo, adesso, di qualsiasi nome.
Ci precipitammo in strada, gli altri ci raggiunsero dopo poco. Sentivamo tutti la stessa oscura presenza intorno a noi, ci guardavamo l'un l'altro, ansiosi. Nessuno di noi sapeva bene cosa fare, come reagire davanti a un pericolo così grande. L'Oscurità ci girava intorno, potevamo sentirla, potevamo percepirla. Sembrava quasi che ci stesse studiando, tutti noi. Lanciai ad Emma un'occhiata: anche lei temeva il peggio. E come poteva essere il contrario? Eravamo a Storybrooke, e a Storybrooke i guai erano sempre dietro l'angolo.
A Storybrooke, quella che ormai era diventata la nostra casa, le cose andavano così. Un nuovo giorno, un nuovo nemico, una nuova storia.


Angolo dell'Autrice:
This is the end, my only friend, the end
Okay la pianto e faccio la seria (anche se preferirei buttarla sul ridere, almeno è sicuro che non mi commuovo). Questa storia (va avanti da un anno e mezzo, quindi magari qualcuno lo avrà anche dimenticato) è nata ancora prima del finale della quarta stagione, quindi gli avvenimenti raccontati sono una sorta di alternativa delle ultime due puntate nell'universo parallelo. Riflettendo su questa cosa, mesi fa, mi sono detta che non poteva esserci fine migliore e più giusta di questa, ovvero riagganciarmi alla trama iniziale e seguire la linea narrativa della serie.
Credevo di terminarla allo stesso modo di come è iniziata, ovvero con il pov di Emma, ma mi hanno fatto notare che sarebbe stato bello leggere dal punto di vista di Killian il riacquisto dei suoi ricordi, e così mi sono inventata qualcosa sul momento, qualche spiegazione qua e là.
Ora, i ringraziamenti. Vi ho ringraziato in ogni capitolo, per le recensioni, le bellissime parole che avete sempre speso per me e per la storia, per le visualizzazioni, per i preferiti e tutto il resto. Lo rifaccio un'ultima volta, perché, davvero, quando ho postato il primo capitolo, così per gioco, non avevo la minima aspettativa, la trama era quasi inesistente e credevo che avrei mollato tutto presto 1) per mancanza di inventiva e 2) per mancanza di seguito. E invece mi avete sostenuta, e tanto anche, e non potrò mai ringraziarvi tanto. All'inizio ero completamente arrugginita e se sono riuscita a sbloccarvi è grazie a voi. Quindi, grazie a Kerri, a pandina e a gattina04 che stimo tantissimo come autrici in questo sito, per un motivo o per un altro, e che leggere certi complimenti da loro mi ha sempre riempito il cuore di gioia; grazie a ErinJS che anche se non si vede sul sito da un po', mi ha sempre lasciato delle lunghissime recensioni che mi facevano scappare molte risate e non posso non nominarla; grazie a Lely_1324 che con le sue parole mi ha sempre lusingata e fatta emozionare, credo di aver versato qualche lacrima una volta o due, davvero troppo gentile; grazie a spongansss e Lady Lara che sono arrivate 'dopo' ma che sono rimaste, e mi hanno sempre fatta sorridere con le loro recensioni; e ancora grazie a itsyouemma (oh cavoli, quanto invidio il tuo nick), a _Arya_, gaialor95, verop98, smemorina89 e a tutte le altre che, perdonatemi, dimentico ma che hanno sempre trovato il tempo di lasciarmi la loro opinione sui miei capitoli. E grazie davvero di cuore, anche a voi che leggete silenziosi, che pochi di certo non siete. Grazie davvero tanto.
E PERDONATEMI PER L'ANGST.
Questa storia si può definire ufficialmente conclusa. Addio Phoebe, addio Jack, addio Rose, addio gemelli, addio Montgomery, addio fratelli Clayton, addio Londra.
A voi, a Emma, Killian e tutti gli altri, invece, vi dico arrivederci e spero di ritrovarmi sulla mia nuova storia, Meant To Be, vi lascio il link del prologo (domani o sabato dovrebbe arrivare il primo capitolo) ;)
Grazie ancora a tutte,
A presto :)

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