Controlled

di ReaVi
(/viewuser.php?uid=692761)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinove ***
Capitolo 30: *** Capitolo trenta ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Avevo detto che non avrei postato niente finché non avessi terminato di scrivere, ma la verità è che sono una poppante e mi sono gasata così tanto che non ce la facevo più, perciò ho deciso di pubblicare lo stesso, anche se la mia esistenza va per i fatti suoi! Ci vediamo a fine capitolo con le note d'autore, buona lettura :*
 


CAPITOLO UNO
Victoire apre la porta facendomi quasi sussultare, la poltrona su cui siedo da venti minuti si è riscaldata, ma io continuo ad avere freddo. Questa stanza è troppo piccola, l’aria è irrespirabile e io mi sento uno schifo, voglio andarmene. Gli occhi scuri e penetranti di Victoire mi guardano con sufficienza, ha i capelli raccolti nel solito chignon nero, il collo bianco, le labbra pallide e un neo su una guancia.
« Aline? »
Deglutisco e la guardo, stretta nel suo abito scuro. Mi riserva un sorriso sottile, di quelli di circostanza. « Abbiamo finito. Puoi andare. »
Afferro la mia borsa e con una rapidità fulminante supero la sua figura e cammino a passo svelto tra i corridoi di questo posto, cercando le scale per l’uscita.
Fuori il cielo è bianco, potrebbe nevicare. Mi concedo di prendere una boccata d’aria solo quando varco il cancello in ferro scuro e mi appoggio al muro in mattoni. Lunghe e piccole trecce castane mi cadono lungo il corpo, mentre mi guardo attorno esausta. Due persone mi superano per entrare a passo lento oltre il cancello alla mia sinistra. Mi sistemo la borsa su una spalla e mi allontano da questo posto immenso, prendendo il primo autobus che passa e che mi può portare in centro.
Notre Dame mi osserva, la fronte pressata contro il vetro freddo, qualche passeggero addormentato in un pomeriggio tra tanti, il mio pollice sinistro massacrato dalle mie unghie per l’ansia. Quando arrivo alla fermata non c’è nessuno. Mi guardo attorno e mi concedo un sospiro di sollievo, anche se non si può mai stare sicuri in questa città. Mi volto per tornare a casa mia, la via è vuota e le case si susseguono in un ordine che conosco a memoria: ci sono i Martin, i Dubois, i Garcia, i Morel e i Bonnet, ma non ho mai parlato con nessuna di queste famiglie.
Cammino per dieci minuti buoni osservandomi le scarpe, finché poi raggiungo una casa bianca incastrata tra le altre, la porta d’ingresso di un verde bottiglia. Supero il cancelletto e apro con le mie chiavi. L’inconfondibile odore della cena di mio padre mi avvolge, e il calore domestico si porta via quel nodo allo stomaco e tutto il freddo di Dicembre.
Vedo i capelli color mogano di mia madre affacciarsi dal salotto, e poi mi viene incontro.
« Aline, » mi guarda preoccupata. « tutto bene? »
Annuisco soltanto, dirigendomi verso il piano di sopra.
« Com’è andato l’esame? »
« Il solito. » dico. « Nessuna incongruenza. »
« Non ceni? Tuo padre ha fatto la pizza. »
Mi blocco sul secondo scalino e mi mordo l’interno del labbro inferiore.
« Non ho fame. »
I passi di mio padre raggiungono mia madre, e i suoi occhi chiari mi guardano con apprensione.
« Aline, » è la terza volta che sento il mio nome nel giro di un’ora e mezza, e già non ce la faccio più. « sicura che vada tutto bene? »
Adesso mi volto, li osservo entrambi, vicini, preoccupati, la classica espressione da genitori. Mi sforzo di sorridere senza guardarli.
« Sì. Sono solo stanca. Ho bisogno di riposare. »
Mio padre annuisce. « D’accordo. »
Ho quindi il via libera per salire al piano di sopra. La camera di mio fratello Tristan è chiusa, ci passo di fronte per entrare in camera mia. Mi appoggio alla mia porta in legno scuro e mi lascio andare ad un sospiro stanco e rassegnato. Mi guardo attorno e riconosco il posto esattamente come l’ho lasciato.
Il mio letto è attaccato alla parete davanti ai miei occhi, c’è una panca di fronte ad esso, e poi un tappeto per terra, uno di quelli che mia madre compra ai mercatini. C’è una finestra sul soffitto, perché camera mia dà al tetto, e poi una scrivania ad un lato, con un tablet spento attaccato alla corrente. Lascio cadere la borsa e mi butto di peso sul letto cosparso di cuscini, trattenendo il respiro più a lungo che posso. Quando non reggo più, mi volto col viso verso la finestra sul tetto, e osservo le gocce di pioggia cadere contro il vetro.
Il calendario appeso affianco alla mia scrivania segna l’anno 2089, e tutto ciò che vorrei accadesse è chiudere gli occhi per non riaprirli mai più. Le cartoline appese in un riquadro accanto al mio letto mostrano la vecchia Parigi, con le sue luci, la sua magia e la sua libertà, fantasmi di città che adesso non esistono quasi più, ombre di un passato che è stato oscurato da guerre e da dittature severe.
Mi chiamo Aline Dupont, ho diciassette anni e non ho mai conosciuto la libertà. Questa mattina sono stata convocata per fare uno degli esami di routine che stabiliscono se la popolazione stia rispettando le regole imposte dal governo, o se la minaccia di una ribellione stia prendendo piede.
Io non sono una ribelle, o almeno non una di quelle che credono loro. C’è gente là fuori che cerca di combattere, di reagire per avere un futuro migliore, ma niente di tutto quello che fanno sembra andare a buon fine perché ogni nostra singola azione, ogni misero movimento, è tenuto sotto controllo. Non possiamo informarci come vogliamo, non possiamo navigare liberamente su Internet, le conversazioni via telefono e web sono lette da supervisori assunti con l’unico scopo di informare i dirigenti superiori di eventuali disobbedienze o oscillamenti nell’ordine cittadino. Non possiamo leggere, non possiamo scrivere, non possiamo andare in discoteca perché non esistono più posti per divertirsi e conoscere altra gente. Non possiamo giocare all’aperto, non possiamo svagarci con un videogame per più di un’ora e mezza, non possiamo parlare liberamente di ciò che vogliamo e non possiamo assentarci da scuola. La dittatura sotto la quale vivo non mi permette di esprimermi al meglio, sono incatenata alla mia esistenza e non so più come stare a galla. Non ci è permesso trasferirci, cambiare stato o nazionalità, conoscere gente straniera, fare amicizia con persone che sono ritenute pericolose per la società. Non so di preciso cosa succeda a chi tenta di mettersi contro il governo, mio padre non mi lascia guardare i notiziari che ne parlano e il web è off-limits per chiunque.
Allargo le braccia e raggiungo le due estremità del letto, sono perfettamente centrata. Potrei sbilanciarmi un po’ a destra o a sinistra, e le mie mani sarebbero oltre il materasso, penzolanti. Mi viene da pensare all’esame che ho fatto oggi in Centrale, e non mi sembra di stare in una situazione diversa. Non c’è niente di sbilanciato o di disobbediente in me, sono perfettamente al centro. Obbedisco agli ordini, non manco di riguardo, rispetto gli orari, sono educata e gentile anche quando non mi va, non commetto crimini, non oppongo resistenza. Sono una delle tante, una di quelle che nessuno potrebbe mai temere. Il test è, di conseguenza, andato bene, ma tutto questo mi soffoca. Vorrei non esistere, vivere in un mondo diverso, più libero, più adatto a me.
Sento la porta della camera di mio fratello aprirsi e chiudersi, e i suoi passi giù per le scale. La mia pancia non brontola, non ho fame. Non mangio da ventiquattro ore e non ne sento il bisogno.
Chiudo gli occhi e sento il rumore della pioggia contro casa, le braccia ancora aperte e le gambe distese che non toccano la fine del letto. Il mio respiro è regolare, il mio cuore batte con naturalezza. È tutto tremendamente controllato.
 



Eccoci qui! Per chi non mi conoscesse e non avesse mai letto niente di mio, ne approfitto per presentarmi: mi chiamo Andrea, sono una studentessa con la passione per i casi umani e questo è il mio modo preferito per sfogare le mie frustrazioni. I miei spazi d'autrice sono sempre dei piccoli diari, non ce la faccio proprio a fare la persona seria e responsabile!
Comunque, siamo qui per un motivo soltanto: la storia. Ambientata a Parigi, ma non la capitale dell'amore, bensì una città sottomessa ad una dittatura spregevole, che voi lettori ancora non conoscete bene né a fondo, che esercita un controllo forzato sulla sua popolazione, convincendola che tutto ciò sia giusto e normale. La nostra protagonista è Aline, che narra la storia in prima persona e al presente, e perciò seguiremo le vicende dal suo punto di vista, a volte un po' distorto e altre volte chiaro e più comprensibile. Aline è un personaggio molto particolare, ci lavoro su da mesi e ne sono abbastanza soddisfatta. Non è la classica eroina timida che poi si rivela essere la migliore in tutto, ma una ragazzina come tante, che si trova catapultata in qualcosa più grande di lei.
Ho preso ispirazione leggendo i libri della saga di Divergent e degli Hunger Games, perciò non è un caso se qualcosa vi ricorda una delle due saghe.
In questo primo capitolo si parla soltanto di Aline, viene introdotta in maniera superficiale la sua famiglia, e la Centrale, il luogo dove si svolgono i controlli. Come vengono svolti questi controlli e che effetti hanno sulla popolazione, verrà spiegato passo per passo. Per ora spero di avervi incuriositi/e!
Aggiornerò una volta alla settimana, ma siccome domani parto e torno mercoledì prossimo, credo che aggiornerò o mercoledì stesso, oppure giovedì, dipende da quanto sarò distrutta da uno a sempre.
Grazie per aver letto, spero che la storia vi piaccia a tal punto da continuare a leggere :) Buon proseguimento di settimana :*

Andrea

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo due ***




CAPITOLO DUE
Josée ha lo zaino in spalla, i capelli biondi legati in una treccia e la divisa nera che le calza a pennello come sempre. Mi cerca tra la gente appena uscita da scuola e quando i suoi occhi azzurri mi trovano, mi sorride raggiante. È bella anche dopo una giornata scolastica, e non se ne accorge.
« Hey » mi dà un bacio sulla guancia, lo fa sempre quando mi saluta, anche se ci siamo viste per pranzo e per l’ora di matematica. « Com’è andata? »
« Bene. Credo. »
« Volevo andare da Sofian, ti va? »
« Certo. »
La maggior parte di noi studenti fila dritta a casa non appena la scuola termina, ma a volte capita che qualcuno stia in giro a farsi i fatti propri ancora per un po’.
Il cielo è grigio e fa freddo, lo zaino è pesante e i miei capelli si muovono seguendo il vento. Ho sciolto le treccine questa mattina e adesso sembro un leone, faccio ridere. Josée mi guarda mentre camminiamo in silenzio, il rumore delle macchine e degli autobus a farci da sottofondo.
« Che hai? » mi chiede.
Mi giro a guardarla con un mugugno. « Mh? »
« Stai bene? »
« Sì » rispondo con una scrollata di spalle.
« Sembri da un’altra parte. »
Mi lecco le labbra screpolate e aspetto che il semaforo diventi verde.
« Ieri ero a fare il test di controllo. »
Gli occhi di Josée diventano più grandi.
« Ed è andata bene? »
« Se sono qui, credo di sì. »
Il semaforo scatta, stringo la cinghia dello zaino e attraverso. Josée trotterella al mio fianco per starmi vicina.
« E perché sei giù? »
« È stato stancante. »
« Ho sentito dire che hanno potenziato i sieri. »
« Davvero? » arriviamo dall’altra parte della strada, Josée mi si affianca di nuovo e annuisce.
« Sì. Forse è per questo che sei stanca, ti sei indebolita. »
Non rispondo, continuiamo a camminare. Arriviamo da Sofian che Josée mi sta raccontando di Mathias Picard, uno della sua classe di trigonometria, che è finito in presidenza per aver preso a pugni Leon Vidal. Lei sospetta che sia per via di Margot Aubert, che a quanto pare è uscita con entrambi. Mathias è sempre stato un tipo aggressivo e di poche parole, molto cupo e tenebroso. I miei zii abitano nel suo stesso quartiere, per questo lo conosco.
Ci sediamo ad un tavolo per due, non siamo le uniche nel locale, ma non c’è nessun altro studente. Josée ordina una cioccolata, io un thè caldo all’arancia e cannella. Mia madre adora la cannella e questo è il suo thè preferito.
Josée è la mia migliore amica, la mia sorella mancata, la mia migliore alleata. Ripongo in lei la più profonda fiducia, e so che non potrebbe mai tradirmi. Io e lei siamo cresciute insieme, sappiamo quali sono i nostri rispettivi limiti e cerchiamo di non superarli mai. So cosa la innervosisce, esattamente come lei sa cosa dà fastidio a me. Josée riesce a capirmi semplicemente guardandomi e la cosa è reciproca. Per questo la osservo mentre gira la cioccolata col cucchiaino, immersa nei suoi pensieri. Se mi ha portata da Sofian invece che filare a casa sua per studiare, significa che ha qualcosa da dirmi.
« Allora? » la sollecito a questo punto.
I suoi occhi chiari si sollevano per guardarmi, e vedo le tracce di un sorriso nascosto in malo modo.
« Cosa devi dirmi? » la sprono.
Lei si stringe nelle spalle, rituffa gli occhi nella cioccolata ed ecco che il suo sorriso finalmente esce allo scoperto, insieme a quello che deve dirmi da chissà quanto tempo.
« Lucas mi ha chiesto di uscire. »
Ridacchio accavallando le gambe.
« È carino, no? »
« Molto più di carino. » mi scocca un’occhiata e si mette a ridere.
Lucas è il suo vicino di casa, che frequenta quasi tutti i suoi corsi. Io lo vedo soltanto per matematica. Sembra un tipo in gamba, anche se non ci ho mai parlato. Forse capisce la matematica tanto quanto la capisco io, ma se ha scelto gli stessi corsi di Josée, che è un cervello che cammina, dev’esserci un motivo.
Josée continua a sorridere mentre mi racconta il come e il quando Lucas le ha chiesto di uscire. La mia amica sembra totalmente su un altro pianeta, lontana anni luce da me.
 
 
Ho accompagnato Josée a casa perché era di passaggio, e mi sono messa sulla via del ritorno. Non abbiamo iPod, o lettori MP3 per ascoltare musica mentre camminiamo. A dire il vero, la musica che possiamo ascoltare è davvero poca, controllata e censurata a dovere. Quindi cammino con le mani nelle tasche della divisa e fa freddo. Respiro e il mio fiato si condensa, fa un po’ di vento e cerco di affrettare il passo, ma non sono mai stata veloce.
Poi ecco che qualcuno mi dà una spinta, io barcollo in avanti e il mio zaino non è più sulle mie spalle. Sollevo lo sguardo e vedo qualcuno incappucciato darsela a gambe levate col mio zaino in mano. Cerco di seguirlo, ma è chiaramente più veloce di me. È un ragazzo, o almeno sembra.
Corre lungo tutto il marciapiede, poi svolta a sinistra e io so di averlo ormai perso, quindi nemmeno mi affretto a rincorrerlo più.
Solo che quando arrivo all’angolo e mi fermo, vedo che c’è un altro ragazzo che tiene il mio rapinatore immobile contro il muro. Non vedo la faccia di quest’ultimo perché ha il viso coperto da una cuffia bucata solo per gli occhi, ma invece riesco perfettamente ad osservare il volto di chi lo sta tenendo. Gli sfila lo zaino di dosso e lo lascia andare, guardandolo allontanarsi con rapidità e paura. Poi si gira di nuovo verso di me.
È particolare. Non l’ho mai visto prima, il che è normale visto e considerato che non passo molto tempo in giro per la città.
Tiene lo zaino in mano e poi mi si avvicina. Io ho il fiatone e sento le guance bruciare dal freddo.
« È tuo? » mi chiede con voce roca e profonda per un ragazzo così giovane.
Lo guardo un altro po’ e poi annuisco. Mi porge l’oggetto e io lo prendo senza distogliere gli occhi dai suoi verdi. Ha i capelli castani e ricci, non hanno forma, sembra uscito da un fumetto. Mio fratello ne ha qualcuno nascosto sotto il letto, in teoria non potremmo leggere nemmeno fumetti, per evitare che si fantastichi troppo su eroi e cose del genere.
« Fai attenzione, c’è gente disperata qui in giro. »
Non è un rimprovero, lo capisco dal tono di voce pacato e forse anche un po’ preoccupato con cui lo dice, perciò mi limito ad annuire.
« Grazie. »
« Figurati. »
Mi fa un cenno col capo e poi mi supera, girando l’angolo e percorrendo la strada che ho fatto di corsa. Infila le mani in tasca e cammina sicuro di sé, quasi spavaldo, guardandosi in giro come se niente potesse scalfirlo.
Mi ritrovo ad osservarlo in silenzio, quasi ammaliata dall’andatura del suo corpo, coi piedi che non vanno perfettamente dritti, e i capelli che si muovono per colpa del vento. Lo guardo e sono immobile, lo zaino stretto attorno ad una mano e la sensazione di aver avuto a che fare con qualcuno di diverso. Non so nemmeno il suo nome, né quanti anni ha o cosa fa nella vita, eppure lo percepisco anche adesso che è lontano metri da me. Lui non è come gli altri. Non è come me. 




Avrei dovuto aggiornare ieri, ma come avevo già detto sono rientrata da Berlino e con due orette di sonno non ero nelle condizioni adatte a postare ahahah chiedo perdono, sono una bruttissima persona!! Anyway... cavolo, che accoglienza!! Onestamente non pensavo che già dal primo capitolo la storia potesse coinvolgere qualcuno, e questo non può che farmi piacere! Grazie tantissimo per le recensioni e la fiducia che state riponendo in me ed in questa fanfiction :*
In questo capitolo si scoprono alcuni personaggi nuovi: Josée, la migliroe amica di Aline, e il """misterioso""" personaggio alla fine, che poi tanto misterioso non è perché noi già sappiamo dove si andrà a parare ahahah
È un capitolo molto corto (non che ci saranno capitoli lunghissimi, a dire il vero), ma spero di avervi dato qualche informazione in più sul mondo in cui Aline vive e sulla sua personalità molto particolare. Grazie mille per aver letto e buon fine settimana :**

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo tre ***




CAPITOLO TRE
Tristan mi passa un piatto appena lavato e io lo asciugo. Dal salotto arrivano i rumori della televisione accesa, mio padre e mia madre che chiacchierano tra di loro. C’è una finestra davanti al lavello di cucina, dove io e Tristan stiamo lavorando. Ora che è buio non si vede granché, soltanto le luci delle altre case.
« Ho conosciuto una ragazza oggi. » dice Tristan.
Lo guardo incuriosita, un piccolo sorriso che mi increspa le labbra.
« Ah sì? E dove? »
« In Centrale. »
« Perché eri in Centrale? »
Mi passa un altro piatto e io lo avvolgo nello strofinaccio, asciugandolo a dovere.
« Sono stato convocato per l’esame. »
Annuisco piano, posando il piatto insieme agli altri.
« Come si chiama? » gli chiedo.
Lui sorride appena, prima di rispondermi con un volume di voce più basso, come se temesse che i nostri genitori potessero sentirci quando in realtà stanno parlando tra di loro, seduti in soggiorno davanti alla TV accesa. Sono gli unici, in casa, che si concedono il lusso di guardare i programmi controllati che trasmettono.
« Anaïs » dice poi.
« È un bel nome. » lo guardo e lo vedo che sorride ancora, così lo stuzzico con una gomitata su un fianco e lui ride. Tristan è più alto di me di diversi centimetri, ha i miei stessi capelli scuri ma gli occhi cangianti di mia madre, che adesso sono castano chiaro, quasi verdi. Lo guardo con ammirazione, perché è più grande e mi fido di lui. È come un faro in una notte buia: sa dove devo andare e me lo indica con naturalezza. Mio fratello è uno dei pilastri fondamentali della mia vita.
« Porta fuori la spazzatura e poi vai a letto, qui finisco io. » mi dice con premura. Io mi alzo sulle punte dei piedi e gli lascio un bacio sulla guancia, che gli fa alzare gli occhi al cielo perché non è particolarmente affettuoso, nemmeno con me.
Afferro la busta dell’immondizia precedentemente chiusa e la tiro su con forza, rimuovendola dal suo bidone e trascinandola con me verso l’esterno.
Una volta fuori è tutto buio, ci sono soltanto i lampioni sul marciapiede che illuminano flebilmente la strada. Fa freddo, c’è un vento leggero ed io non ho addosso nemmeno un giubbotto adatto, perciò mi strofino la mano libera contro il braccio opposto, quello che tiene il sacco dell’immondizia, e scendo fino ai cassonetti comuni. Isso con forza la busta nera e la getto dentro il cassone verde scuro, sentendo poi un fruscio improvviso alle mie spalle.
Mi volto di scatto, spaventata e sola, intimorita dal rumore inaspettato, ed i miei occhi scrutano nella penombra che non mi permette di vedere con chiarezza ciò che mi circonda. Il fatto che non ci sia nessuno e che la porta di casa mia non sia poi così vicina, non è affatto d’aiuto. Il mio cuore pompa forte e veloce ed i miei occhi captano una figura accovacciata che si muove lentamente. È un ragazzo.
La sua schiena curva e magra è coperta da vestiti scuri e leggeri. Ha i capelli castani schiacciati sulla fronte e gli occhi così chiari da immobilizzarmi. Mi guarda spaventato ma allo stesso tempo minaccioso, sta fermo e si porta un indice alle labbra, mimandomi di stare in silenzio. Io continuo a guardarlo per un po’, come pietrificata, poi lui si alza, abbandona il suo rifugio ed attraversa la strada di corsa, immergendosi nella notte delle abitazioni vicine e lasciandomi impotente ed agghiacciata.
Un brivido di freddo mischiato alla paura mi risveglia e corro verso l’ingresso, aprendo rapidamente la porta e chiudendomela immediatamente alle spalle, prendendomi del tempo per processare ciò che mi è appena successo. Non mi capita mai di incontrare qualcuno fuori, la notte, ancora meno gente accovacciata tra l’erba ed i cassonetti, ed il fatto che quel ragazzo mi abbia intimato di stare zitta e di non fare alcun rumore non mi è affatto d’aiuto.
Faccio qualche passo verso le scale del piano superiore, passando davanti al soggiorno. La TV è ancora accesa, i miei genitori stanno guardando un notiziario e, passandoci davanti, lo vedo: in un riquadro rosso, grande quanto tutto lo schermo, c’è lo stesso ragazzo che ho appena visto, e la voce del giornalista informa i telespettatori della ricerca di questo individuo da parte delle forze dell’ordine. Il suo nome è Louis Tomlinson. Il mio mondo inizia a crollare.
 
Non ho chiuso occhio e la mia testa è decisamente altrove. Lo capisco quando la docente di matematica mi richiama tre volte di fila ed io non riesco a concentrarmi a dovere.
Non ho fatto colazione, il mio stomaco è chiuso e non so come sono arrivata a scuola se non per un effetto automatico secondo cui il mio corpo si comporta con una normalità che non sono sicura mi appartenga del tutto. Non calzo più in questa quotidianità, sono spaventata.
Chi è il ragazzo di nome Louis? Alla TV dicono che sia un ribelle, uno di quelli pericolosi che sperano in una rivoluzione, che sfuggono al sistema di controllo e che il regime, di conseguenza, deve recuperare. È il modo in cui si stabilisce il normale funzionamento delle cose, secondo l’attuale regime.
Io l’ho lasciato andare. Non tanto perché non sapessi chi fosse, perché dovevo immaginare che soltanto uno in via di fuga sarebbe stato abbastanza stolto da girare conciato in quel modo per le vie buia di un quartiere residenziale. Non so il motivo preciso che l’abbia portato nel mio vicinato, ma non sono sicura di volerlo sapere. Io, comunque, non ho detto a nessuno di averlo visto. Non voglio entrare in  queste cose, la Centrale ed i loro sieri mi spaventano e non sono poi tanto coraggiosa per denunciare qualcosa del genere. Dopotutto, non l’ho nemmeno bloccato e mi sono lasciata soggiogare dalla paura e dall’effetto che la sua figura mi incuteva. Sono proprio una fifona.
Trasalisco terribilmente quando la campanella chiude la lezione; è l’ora di pranzo, dovrei vedermi con Josée ma tutto quello che faccio è trascinarmi fuori dall’aula con una faccia da funerale.
Mi guardo attorno, improvvisamente conscia della realtà che mi circonda, e mi domando se tra gli studenti che si aggirano nei corridoi di questa scuola ci sia qualcuno in grado di ribellarsi e di scatenare una rivoluzione. Mi sembrano tutte persone con la testa apposto, in regola. Controllati.
Josée mi si fa affianco non appena imbocco la fila per il cibo, nella mensa della scuola. A dire il vero non ho fame, ma forse vedendo del cibo sul mio piatto riuscirò a buttare già qualche boccone, dopotutto sono a digiuno da ieri notte.
« Aline, tutto bene? » la voce di Josée mi arriva più squillante del normale e la guardo a lungo con gli occhi minacciosi, prima di annuire con fastidio. Lei sembra parecchio colpita dalla mia reazione e mi segue in silenzio.
Scelgo un tavolo lontano dal resto degli altri, perché il brusio mi dà fastidio e la mia testa inizia a pulsare. Josée mi segue, sempre senza dire una parola, e si siede esattamente di fronte a me, benché ci sia una sedia per entrambi i miei lati. Inizia a mangiare in silenzio e capisco di aver interrotto il normale flusso del nostro rapporto. Deglutisco e mi accorgo che sto osservando il mio piatto senza mangiarlo. La forchetta tra le mie dita inizia a tremare, ma non è l’oggetto a muoversi, sono io. Tremo tutta, come una foglia mossa dal vento, come se stessi crollando, staccata dal mio albero.
« Aline? » la voce di Josée mi sembra lontana, mi gira la testa.
Il pavimento si fa sempre più vicino eppure io ho le vertigini anche se sono ferma. Non mi muovo, è il resto del mondo a muoversi, come questa stanza, che inizia a girare. Le mattonelle bianche e lucide raggiungono il mio viso, sono fredde, e di colpo non vedo più niente. È tutto buio.




Se nello scorso capitolo entrava in scena il """misterioso""" ragazzo (aka Harry Styles), in questo invece abbiamo Louis Tomlinson che è un ricercato! Aline è troppo ingenua e troppo spaventata per poter fare qualsiasi cosa di avventato, e questo suo lato sarà molto presente in tutta la storia. Chiaramente tutto ciò ha delle ripercussioni su di lei, ed infatti il capitolo termina in modo brusco. C'è poi Tristan, il fratello, che è un cupcake messo in piedi!
Vi ringrazio un sacco per le recensioni e le letture, spero che la storia continui a piacervi :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***



CAPITOLO QUATTRO
Quando mi sveglio sono in infermeria e ho una flebo attaccata al braccio sinistro. Non c’è nessuno con me, se non la luce del Sole che si infiltra caldo e silenzioso, forse anche un po’ timido, dalla finestra alla mia destra. Riesco a vedere il cielo azzurro ed il suo colore mi ricorda gli occhi di Louis Tomlinson, il ragazzo ricercato che ho lasciato andare via. Mi chiedo dove sia ora.
Un tintinnio leggero, dei passi ed ecco comparire un’infermiera accanto al mio lettino.
« Sei sveglia. » dice quasi con sollievo. È Odile, l’infermiera bruna che tutti noi conosciamo. È famosa per aver guarito qualsiasi tipo di ferita, ed è sempre in prima linea per aiutarci al minimo malanno.
Osservo i suoi lineamenti marcati dall’età e mi accorgo di non aver detto niente. Constato che posso ancora parlare, perciò le pongo una semplice domanda.
« Cos’è successo? »
Odile sorride appena, tenera ed educata, calma e serafica, prima di rispondermi.
« Sei svenuta. »
Sembra la cosa più normale del mondo, detta dalle sue labbra, ma non mi capita mai di svenire. Non è da me.
« Da quanto tempo non mangi, Aline? »
Non ero sicura che conoscesse il mio nome, ma visto che mi hanno portata qui dev’essersi informata a dovere. Deglutisco.
« Ieri sera, credo. »
« E perché? »
« Non avevo fame. »
Mi sfila la flebo dal braccio e sento l’ago scivolare via, così emetto un piccolo verso di fastidio e Odile mi guarda appena, tamponandomi il buchetto con del cotone disinfettato.
« È la prima volta che non mangi? »
La guardo muoversi sicura di sé ed a proprio agio e non so proprio cosa rispondere, quale alternativa sia meglio. Ma sono abituata a dire la verità ed a non nascondere niente, perciò decido di non mentire.
« No »
« I tuoi genitori lo sanno? »
« Sto bene. »
Odile mi guarda a lungo, stavolta. Mi osserva coi suoi occhi grigi ed è ora che mi accorgo di alcuni capelli bianchi che le partono dall’attaccatura sulla fronte. Quanti anni potrebbe avere? Credo sia più grande di mia madre.
« Sei stata in Centrale, di recente? »
« Sì »
« E ti hanno parlato dei nuovi sieri? »
Scuoto la testa.
Odile si lecca le labbra quasi come se fosse stanca, dopodiché mi fornisce le spiegazioni che mi merito.
« Dicono che siano più potenti e che su alcuni soggetti possano indurre a forti scompensi, come il digiuno prolungato e lo svenimento, attacchi di panico, tachicardia, perdita di memoria e labirintite. Li stanno sperimentando soprattutto su voi giovani. »
Josée mi aveva detto che i nuovi sieri fossero più forti, ma non avevo idea di questi effetti.
« Ma perché? » chiedo. « Io non ho fatto niente, i miei esami sono sempre andati bene. »
« Perché hanno paura di voi. » Odile lo dice con una tranquillità che mi spiazza. Sono cresciuta con la convinzione che parlare di queste cose avesse un certo peso, ma lei parla del governo come se avesse delle falle, dei timori. Come se qualcuno potesse effettivamente scalfirlo. « Siete i più inclini a ribellarvi, siete quelli che, fra tutti, ne hanno più voglia. »
Odile sostiene il mio sguardo senza nessuno sforzo e mi chiedo se i più pericolosi siamo davvero noi giovani  o loro. Mi sorride e mi posa una mano su una spalla.
« Adesso sdraiati, la tua famiglia verrà presto a prenderti. »
 
Veniamo convocati in Centrale quella sera stessa, ed io ho il terrore di aver commesso qualcosa di sbagliato. Mi trascino in macchina con svogliatezza e timore, mio fratello non c’è. Mia madre ha detto che è già lì per via di alcuni esami, ed è per quello che stiamo andando in Centrale.
La strada è trafficata, osservo le persone e le studio, mi domando chi tra di loro possa essere un ribelle. Cosa succede, poi, a chi si ribella? Non ci ho mai pensato per davvero. Per me è sempre stato importante rispettare le regole e non destare alcun tipo di sospetto, che sarebbe peraltro infondato. La mia, difatti, è una paura immotivata, perché non c’è niente in me in grado di ribellarsi. Faccio tutto quello che la gente mi dice, sono come un camaleonte e non riesco a distinguermi. Sono solo generalmente spaventata delle incomprensioni, credo.
La tipica agitazione che la Centrale mi trasmette si fa subito strada nel mio corpo non appena vedo il grande ed imponente edificio farsi sempre più vicino. Mio padre parcheggia non lontano dall’ingresso ed è mia madre la prima a scendere. Li seguo stando leggermente indietro, per rispetto.
All’interno della Centrale ci accolgono, come di consuetudine, le guardie armate, che ci controllano attraverso un metal detector. Subito dopo di loro c’è uno sportello con un operatore che indossa giacca e cravatta completamente neri, i capelli pettinati da un lato e l’espressione giudiziosa e saccente.
« Siamo qui per Tristan Dupont. » dice mia madre con un filo di nervosismo nella voce.
Mio fratello è un ribelle? È successo qualcosa durante il suo controllo?
L’uomo ci guarda a lungo, chiede i nostri documenti e li controlla, confrontandoli con le nostre facce. Tutto attorno a me è un viavai continuo di persone, ragazzi e ragazze, anziani e giovani, adulti, bambini. Siamo tutti costantemente controllati.
« Di qua. »
Si alza dalla sua postazione e ci fa passare per un tornello, mio padre mi lascia andare prima di lui. Mia madre si muove veloce e agitata, segue l’uomo senza dire una parola. Attraversiamo il grande atrio e poi ci imbuchiamo in un corridoio bianco e ben illuminato, lungo e stretto. Lo percorriamo tutto fino ad arrivare ad una porta blindata, non credo di esser mai stata qui. Questa non è la strada che porta alle stanze dei sieri, ne sono più che sicura, perciò deglutisco ancora più angosciata di prima.
L’uomo inserisce un badge in una fessura e la lucina rossa che sta accanto diventa verde con uno squillante bip. La porta grossa e grigia che ci sta davanti si apre, ed ai nostri occhi appare una sala che sembra adibita a delle cerimonie, o processi, o forse entrambi.
Mio fratello sta al centro di essa e sorride, è circondato da altre persone vestite completamente di nero. Io esito un po’ sulla soglia prima di seguire mia madre e mio padre, perché ho paura di non aver capito cosa stia accadendo.
« Mamma. Papà. » Tristan ci viene incontro con euforia e abbraccia prima mia madre, poi mio padre.
« Tristan, che succede? » chiede lei.
Lui la guarda con la gioia e la commozione negli occhi.
« Io… non ve l’ho detto perché sono scaramantico. » la sua voce trema un po’, poi mi nota a qualche centimetro da loro. « Aline, ci sei anche tu! »
« Che cos’è quella spilla? » gli chiedo indicando la clip argentata che brilla sulla sua giacca scura. Sono sicura che Tristan non avesse nessun completo del genere nel suo armadio.
« Signori Dupont! » un uomo sulla sessantina si avvicina a noi e sfoggia un sorriso maestoso ai miei genitori, stringendo loro la mano. Mi guarda solo in un secondo momento, rivolgendomi un cenno del capo. « E tu devi essere Aline, la sorella di Tristan. »
Non mi piace come pronuncia il mio nome, sembra quasi che lo disprezzi. I suoi occhi sono scuri, quasi neri, e mi mettono in soggezione, ma mi scopro in grado di reggere il suo sguardo fin quando concede di nuovo tutte le attenzioni ai miei genitori.
« Sono felice di conoscervi. Sono il Dottor Christophe Mercier e ho seguito l’addestramento di vostro figlio dall’inizio alla fine. »
Mio padre guarda prima l’uomo, poi mio fratello e sono sicura che non abbia la più pallida idea di cosa stia succedendo.
« Quale addestramento? »
A questo punto è Tristan che, timidamente, si fa avanti con un piccolo sorriso.
« Ho seguito un corso di addestramento come guardia speciale. Adesso sono un membro effettivo e posso prendere servizio da domani stesso. »
Mia madre spalanca la bocca incredula, mentre mio padre si becca una pacca sulla spalla dal Dottor Mercier.
« Suo figlio è uno di noi adesso. Una guardia della Centrale, un Controllore. »
L’euforia del Dottor Mercier e di mio fratello sono inversamente proporzionali allo sgomento mio e di mio padre, che finge incredulità positiva. Mia madre abbraccia mio fratello quasi commossa, congratulandosi con lui, mentre il Dottor Mercier si dedica a mio padre, ancora imbambolato.
Tristan mi lancia uno sguardo quando nostra madre lo lascia andare, e allarga le braccia.
« Allora? Non mi dici niente? »
Mi stringo nelle spalle. Mio fratello è appena diventato un Controllore e io ho lasciato scappare il ragazzo attualmente più ricercato di Parigi dal giardino di casa nostra. Mi sembra un ossimoro quasi divertente, perciò gli sorrido educatamente.
« Se sei contento tu, allora sono contenta anch’io. »
Mi spettina i capelli, io scorgo l’occhiata che mio padre ci riserva. Non lo dirà mai a voce alta, ma è tremendamente preoccupato.





Personaggi nuovi che spuntano un po' a caso e modificano il corso della storia: Odile informa Aline sui nuovi sieri e parla come se sperasse in una rivoluzione, e Tristan entra ufficialmente a lavorare per il governo e per la Centrale, diventando Controllore. Sieri e Tristan avranno un ruolo particolare nei prossimi capitoli, ma torneranno anche Harry e Louis, non preoccupatevi :)
Spero che questo quarto capitolo vi sia piaciuto, i commenti e le critiche sono ben accetti :) buon proseguimento di settimana :*

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***




CAPITOLO CINQUE
Mio fratello è un Controllore e mio padre è uscito presto stamattina, senza fare colazione con noi. Mia madre ha detto che era per lavoro, ma non sembrava molto convinta. Io credo di non aver capito molto. Non mi ricordo che strada ho fatto per arrivare a scuola. Non ricordo nemmeno se mi sono lavata i denti.
« Aline? Aline Dupont? »
La professoressa Roux mi richiama più forte ed è come se mi svegliassi da un sonno profondo, scoprendo di essere a scuola. Alla mia destra Bruno sghignazza divertito dalla mia espressione da scema rintontita, mentre Arielle si volta a guardarmi quasi con preoccupazione.
« Aline, stai bene? » la professoressa mi guarda con sospetto ed io annuisco, deglutendo con imbarazzo. « Vuoi leggere? Siamo a pagina 54. »
Apro il libro, trovo la pagina e mi schiarisco la gola. Bruno continua a guardarmi e devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per concentrarmi nella lettura.
 
« Aline! » Josée mi corre dietro mentre cerco di filarmela prima che posso, senza grandi risultati. Mi ritrovo il suo viso di fronte prima ancora che riesca a superare il cancello. « Ti va di venire da Sofian? »
Probabilmente Josée deve dirmi qualcosa riguardo Lucas ed il loro appuntamento, ma io non ne ho voglia. La mia testa è pesante e sono angosciata per questo mio stare così male. Perciò la scuoto.
« No, scusa Jo, non oggi. Possiamo fare domani? »
Il suo entusiasmo scema rapidamente e stringe le stringhe del suo zaino, ma annuisce lo stesso con un cenno fermo della testa. « D’accordo, ma stai bene? Ti accompagno a casa? »
« No, non c’è bisogno, non preoccuparti. A domani. » mi dileguo più in fretta che riesco, come se stessi soffocando, ed imbocco la strada per tornare a casa. Potrei prendere l’autobus ma non mi va, preferisco farmela a piedi anche se fa freddo.
I miei passi si susseguono regolarmente ed io osservo le mie scarpe muoversi secondo un ordine che mi sembra di conoscere a memoria. Stringo le mani in due pugni e faccio un piccolo salto, ma riprendo a camminare esattamente come prima. Mi sembra così sbagliato che faccio un altro salto e niente cambia, allora balzo di nuovo e stavolta, lo vedo, il ritmo è diverso. Ci sono riuscita, ho cambiato il normale controllo della mia andatura.
Mi viene da sorridere e mi domando se sia davvero così errato non essere controllati, distinguersi dalla massa. Nella mia scuola abbiamo tutti gli stessi abiti perché indossiamo la divisa, studiamo dagli stessi libri, parliamo allo stesso modo e facciamo le stesse cose. Non appena qualcuno fa qualcosa di nuovo o che può sembrare irregolare, ecco che subito ci sono gli sguardi di disapprovazione, le risate di scherno. Come hanno fatto Bruno ed Arielle oggi. Non voglio che la gente pensi che io sia una ribelle, ma preferirei che pensassero questo piuttosto che etichettarmi come qualcuno che non regge i farmaci. Forse in Centrale vogliono che alcuni di noi perdano il controllo per essere messi k.o., ma io cosa c’entro in tutto questo? Sono soltanto Aline. Sono sempre Aline.
Svolto l’angolo appena in tempo per fermarmi e sgranare gli occhi, assistendo ad una scena del tutto nuova per me: riconosco il ragazzo che ha recuperato il mio zaino dal ladro e che me l’ha restituito, ma è pressato contro il muro da un secondo ragazzo, moro e muscoloso, che gli punta un coltello sul viso. Stanno entrambi in piedi davanti ad una serie di cassonetti con rottami vari, tra cui delle travi di legno. Ne vedo una di dimensioni non troppo grandi, maneggiabile perfino per me, e senza pensarci su troppo mi fiondo ad afferrarla, scaraventandola poi con forza contro l’aggressore armato. Riesco a prenderlo alla sprovvista e, rintontito, perde l’equilibrio, offrendo all’altro ragazzo l’opportunità di assestargli un calcio nello stomaco.
« Scappa! » mi grida contro, ma vedendo che io rimango immobile mi afferra una mano e mi trascina via con sé. Attraversiamo la strada e prendiamo una via secondaria, correndo lungo il marciapiede e dentro un vicolo più stretto. Seguo questo sconosciuto di cui ancora non so il nome ma che ho salvato e, prima che capisca la zona in cui siamo, dopo aver salito dei larghi gradoni in pietra mi ritrovo davanti alla porta di una casa. Il ragazzo bussa con un ordine ben preciso di tocchi e nei restanti tre secondi e mezzo d’attesa si guarda attorno con circospezione. Non mi rivolge nemmeno un’occhiata, ma la sua mano è ancora stretta nella mia. È quando la porta si apre, che inizio a non capire assolutamente niente, perché sulla soglia c’è Louis Tomlinson, e l’ultima volta che l’ho visto è scappato da un rifugio di cassonetti lungo la via buia e pericolosa di casa mia.
« Facci entrare. » dice l’altro, che mi trascina con sé dentro la dimora piccola e spoglia. Le finestre illuminano un minuscolo soggiorno con un divano malandato ed un tavolo in legno con sopra un computer. Non c’è nient’altro, se non un posacenere ricolmo di cicche ed una nauseante puzza di fumo.
È soltanto una volta dentro, che il moro lascia andare la mia mano.
Louis Tomlinson mi si para davanti, con lo sguardo tra il sorpreso ed il paranoico, una leggera barba sulle guance ed una felpa blu scuro a coprirgli il corpo ossuto.
« Tu sei la ragazza che mi ha fatto scappare l’altra notte. »
Mi riconosce ed io me ne sto in silenzio.
« Che cosa ci fa con te? » chiede all’altro, che nel frattempo si è acceso una sigaretta e la sta fumando quasi con fame.
« Ha tirato una trave in testa ad uno che voleva farmi secco. » mi si avvicina superando Louis Tomlinson e mi guarda quasi severamente. Forse non mi ha portata qui per mettermi in salvo, ma per tenermi d’occhio. Per catturarmi. Il pensiero mi fa tremare di angoscia, ma continuo a guardare nelle sue iridi chiare.
« Chi sei? » mi domanda, ed io non rispondo. Non sono sicura di poterglielo dire. Vedendo che sto zitta, allora, insiste con un’altra domanda. « Perché l’hai fatto? »
Deglutisco. « Tu hai fermato un rapinatore che aveva la mia borsa e me l’hai restituita. »
Il ragazzo mi guarda basito per qualche istante, prima che Louis Tomlinson compaia di nuovo al suo fianco, catturando la sua attenzione.
« Come? »
« Io non mi ricordo. » ammette l’altro. Mi guarda ancora una volta, da capo a piedi, e mi sento tremendamente piccola. C’è un lieve bagliore che gli colpisce gli occhi. Non dice niente lo stesso e si allontana.
« Perché l’hai portata qui? » gli chiede Louis Tomlinson.
Quello scrolla le spalle e continua a darci la schiena. « Non lo so, sono entrato nel pallone. »
Vedo che gli tremano le mani, anche se cerca di chiuderle in due pugni. Gli osservo le dita contrarsi, tendersi e rilassarsi come un mantra, prima che Louis Tomlinson mi si avvicini spaventosamente, facendomi indietreggiare. Lo guardo minacciosa, anche se penso che lui sia più forte ed in gamba di me.
« Io so chi sei. » gli dico, sfruttando questa cosa a mio favore. La ruga sulla sua fronte mi fa capire la sua confusione. « Louis Tomlinson. »
È quando pronuncio il suo nome che l’altro ragazzo rivolge nuovamente le sue attenzioni a noi, stavolta sorpreso.
« Come fai a sapere il mio nome? »
Cerco di indietreggiare ma c’è la parete contro la mia schiena; non ho via di fuga e questa casa mi terrorizza. Voglio andare via.
« Tutti lo sanno. » dico. « Sei ricercato, la tua faccia sta su tutti i notiziari. »
Si scambia uno sguardo preoccupato con l’altro, che esclama « Cazzo! » e ci dà ancora una volta le spalle. « Dobbiamo andarcene da qui. »
« Se sai chi sono allora perché mi hai fatto scappare? »
Io scuoto un poco la testa. « Non sapevo chi fossi, l’ho scoperto dopo. »
L’altro ragazzo si lecca le labbra, con evidente disagio e nervosismo. « Lou, dobbiamo davvero andare via. »
« Andare dove? » chiedo io, beccandomi delle occhiate strane da parte di entrambi. « Siete dei ribelli? »
C’è quasi dell’eccitazione nella mia voce e non so perché. Louis Tomlinson mi sfotte con una piccola risata.
« Ribelli? » mi riprende. « Solo degli scemi possono credere di poter rovesciare le cose stando qui dentro. »
Non capisco.
« Siamo dei fuggiaschi, stiamo cercando di darcela a gambe. »
Sgrano gli occhi. « E come? »
« Basta. » tuona l’altro, di cui ancora non so il nome. « Sa già troppo. » fa tintinnare un mazzo di chiavi e « Prendo il furgone di Adrien. » dice.
Louis Tomlinson annuisce con un semplice gesto e l’altro ragazzo chiude la mano destra sul mio avambraccio, tirandomi con sé. « Vieni. »
Fuori non avevo notato un furgone nero parcheggiato all’altra estremità della strada e, camminando vigile e attento, il ragazzo mi conduce di fronte alle porte del vano posteriore. Le apre e mi fa segno con la testa di entrarci: è buio e ci sono degli sacchi di iuta gonfi per tutto lo scomparto. Scuoto la testa, spaventata, e lui sospira stufo.
Indietreggio per darmela a gambe, ancora con lo zaino in spalla, ma vengo bloccata dalla figura di Louis Tomlinson, che mi tiene immobile. « Non andrai da nessuna parte. »
È un sorriso sghembo il suo, quasi malefico, che mi fa venire voglia di urlare. L’altro ragazzo mi afferra per le gambe e mi trascina con forza dentro il furgone.
« È per il tuo bene, ragazzina. Non farci usare le maniere forti. »
Chiude le porte ed io resto al buio. Sento che parlano, ma ad entrare è soltanto il ragazzo di cui ancora non so il nome, che si mette alla guida.
Deglutisco  e lo osservo da oltre la grata nera che ci divide, terrorizzata.
« Dove abiti? » mi chiede, allacciandosi la cintura. Io sto zitta, senza rispondergli, e lui mi guarda dallo specchietto retrovisore, decisamente seccato.
« Se non me lo dici come pretendi che ti possa accompagnare a casa? »
Mi accorgo solo ora dell’accento strano con cui parla, come se non fosse di qui. Ma è praticamente impossibile, perché nessuno riesce ad entrare o ad uscire.
Alla fine sospira e si rilassa sul sedile.
« D’accordo, allora staremo qui finché non ti decidi. »
Passano trenta secondi esatti, il tempo necessario a fargli cercare, trovare ed accendere una sigaretta per espirare il fumo ed intossicarmi, prima che ceda.
« Rue Saint-Paul. » rispondo.
Le sue labbra si tirano su in un piccolo sorriso e si volta appena per guardarmi.
« Abito in Rue Saint-Paul. »
« Dannatamente prevedibile. » commenta, accendendo il mezzo. « Dannatamente controllata. »




Piccoli tasselli che si incastrano tra di loro: Louis che conosce il misterioso (ma dove?) personaggio che incrocia il cammino di Aline. Un'Aline che subisce le conseguenze degli eventi che accadono nella sua vita, un'Aline intimorita ma che inizia a porsi delle domande. La normalità in cui è abituata a vivere, è davvero giusta?
Chi è il ragazzo che ha appena salvato da un aggressore? E chi è, davvero, Louis Tomlinson?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! :) Un bacio :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sei ***



CAPITOLO SEI
Quando il furgoncino si ferma riesco a malapena a vedere la strada di case affianco alla mia sbirciando attraverso la grata e verso il parabrezza. Il ragazzo alla guida spegne il motore e si volta a guardarmi.
« Siamo arrivati. » dice, autorevole, ma restando comunque fermo. Io non rispondo e aspetto che scenda, ma non lo fa.
« Devo restare qui dentro ancora per molto? » sbotto.
« Dipende da quando avrai intenzione di ringraziarmi. »
Spalanco gli occhi, sperando di aver sentito male, ma a giudicare dall’insistenza con cui mi guarda, deduco che sia tremendamente serio.
« Ringraziarti per cosa? »
« Per averti riaccompagnata a casa. » mi risponde, in tono ovvio.
Io lo guardo basita, i lineamenti del suo viso sono interrotti dal ferro nero della grata che ci separa. Stringo i pugni.
« Mio fratello è un Controllore, posso denunciarvi e farvi arrestare. So dove abitate! »
Lui sbotta in una risata e scuote la testa. « Come se fossimo così scemi da rimanere in quella casa ancora per molto. Ma dai! »
Incrocio le braccia al petto e mi guardo attorno, avvicinandomi poi agli sportelli posteriori del furgone e prendendoli a calci.
« Fammi uscire! »
« Dì ‘Grazie’. » continua, incurante di ciò che sto facendo.
Volto il capo verso di lui, stufa. « Non mi pare che tu mi abbia ringraziata per averti salvato la vita. »
Lui mi guarda di sbieco, sorpreso. « Non mi hai salvato la vita. »
« Ne sei sicuro? » ribatto.
Non mi risponde, ma sostiene il mio sguardo con astio. Alla fine apre lo sportello e scende dal mezzo, venendo a liberarmi. Balzo giù guardandolo dal basso, visto che è più alto di me, e stiamo ben attenti a non toccarci.
« Grazie. » sussurro a denti stretti, caricandomi lo zaino in spalla. Lo guardo ancora una volta aspettando che dica qualcosa ma è tutto inutile, perciò mi avvio verso casa mia.
Sono già oltre il marciapiede quando sento di nuovo la sua voce.
« Non devi farlo per forza. » mi dice. Io mi volto a guardarlo con espressione interrogativa. Ha le braccia incrociate come se non volesse far trapelare niente di personale. « Essere controllata, intendo. Puoi cambiare le cose. »
« E come? »
« Fuggendo. »
« Hai una vaga idea di ciò che succede a chi si ribella? »
Lui deglutisce e scrolla le spalle, ma abbassa lo sguardo. Forse lo sa per davvero.
« Ho una famiglia. » dico allora.
Lui mi guarda ancora, distende le braccia e si avvia di nuovo alla guida, chiudendo gli sportelli posteriori con dei colpi secchi.
« Anch’io. » mi risponde.
Sale sul mezzo, mette in moto e riparte. Io faccio per entrare in casa, ma mi accorgo che non mi ha mai detto come si chiama. In qualche modo mi sembra di averlo perso per sempre. Osservo il furgoncino sparire lungo la strada e sta per fare buio. Decido di rientrare in casa sperando che nessuno mi abbia vista uscire dal retro di un furgone nero, accompagnata da un ragazzo sconosciuto. I miei vicini non sono mai stati chiacchieroni, tantomeno ficcanaso. Di solito siamo tutti abbastanza privati e riservati, forse perché non vogliamo destare alcun tipo di sospetto. Ora che ci penso, i miei genitori non hanno degli amici strettissimi con cui passare le vacanze. C’è soltanto una coppia di coniugi con un figlio della mia età, Philippe, con cui ogni tanto trascorriamo del tempo, solitamente qualche pranzo o cena, ma niente di più. Mi viene da pensarci mentre infilo le chiavi nella toppa di casa ed entro. Le luci sono accese e mia madre si accorge subito della mia presenza.
« Aline! » dal suo tono di voce capisco che è spaventata, e questo mi stupisce. La guardo confusa. « Stai bene? »
Mi domando se sappia dove sono stata e con chi, ma non saprei proprio come avrebbe potuto venirne a conoscenza.
« Sto bene. » rispondo quindi, cercando di mantenere la calma e di non far trapelare niente.
« Dove sei stata? Eravamo in pensiero! Abbiamo chiamato Josée ma ha detto che non eravate insieme. »
Non posso usare la scusa di esser stata con lei fino ad ora proprio a causa di questo. Immaginavo che i miei avrebbero immediatamente telefonato alla famiglia di Josée per avere mie notizie, perciò opto per qualcos’altro. Dire loro la verità è decisamente fuori questione.
« Sono stata in Centrale. » dico, quindi. Mia madre mi guarda sgomenta.
« In Centrale? E per cosa? »
« Ecco… » mi tolgo lo zaino e il cappotto di dosso, scrollando le spalle pesanti. « Hai presente l’altro giorno, quando sono svenuta? »
« Certo. »
« Dicono che sia per i sieri, così sono andata in Centrale per chiedere informazioni. »
« E cosa ti hanno detto? »
Mi prendo qualche momento, giocherellando coi capelli.
« Niente, mi hanno fatto aspettare per nulla. »
Mia madre mi guarda quasi con rimprovero, mentre mi si avvicina per posarmi un braccio sulle spalle. « Avresti potuto chiamare. »
« Non mi ero accorta fosse così tardi. Mi dispiace. »
Mi sorride e mi bacia una tempia con dolcezza. « Vai a lavarti, la cena sarà pronta tra un po’. »
Ricambio il suo sorriso e salgo al piano di sopra, trascinandomi lo zaino dietro. Sto per entrare in camera mia quando mi trovo Tristan davanti. Ha l’espressione corrugata in avversione e un po’ mi lascia di stucco.
« Che c’è? » il mio tono è brusco.
« In Centrale, uh? » incrocia le braccia al petto e mi guarda con sufficienza, come se la sapesse lunga. Io annuisco, ma poi mi accorgo di un piccolo dettaglio: lui lavora lì. All’improvviso vedo tutta la mia messa in scena crollare, ma decido di far finta di niente.
« Aline, » dice, serio ma austero. « ti devo ricordare che sono un Controllore? Vivo praticamente lì, adesso. E tu non ci sei nemmeno passata in Centrale. »
Mi lascio sfuggire un sospiro ed alzo gli occhi al cielo. Cedo subito, preferisco dargliela vinta pur di cadere nella sua trappola. « D’accordo, hai vinto tu: non ero in Centrale. »
« E non eri nemmeno con Josée. »
« Sì, beh, non è che devo renderti partecipe di tutti i miei spostamenti. » replico.
« Eri con un ragazzo? »
Mi viene da arrossire e lo colpisco ad un gomito. « No! »
« Guardami! » si mette a ridere e mi costringe a sollevare lo sguardo verso di lui. « Eri con un ragazzo? »
« Non sono affari tuoi! » rispondo in una risata, facendolo spostare dalla porta della mia stanza per entrarci.
« Aline » mi richiama, facendomi voltare. Il suo sorriso scema lentamente. « Se ci fossero problemi me lo diresti, vero? »
Io scrollo le spalle. « Certo. »
« Anche se fossero cose che interessano il mio lavoro in Centrale? »
Sento uno strano vuoto d’aria in pancia e deglutisco. Annuisco con la testa, credo che se parlassi il mio tono di voce mi tradirebbe. Tristan si congeda con un cenno del capo e torna in camera sua, concedendomi l’occasione di chiudermi la porta alle spalle. Adesso sono in salvo.
Io mi fido di mio fratello, lo conosco e so che è una brava persona, per questo mi stupisce il fatto che abbia accettato di lavorare in Centrale. Non che io creda che il governo sia gestito da zoticoni e persone malvagie, ma Tristan mi ha sempre dato l’idea di una persona illibata e scaltra, ben lontana da quegli schemi. I fumetti che tiene in camera e che sono vietati dalla legge, sono una dimostrazione di quanto le sue passioni ed il suo lavoro facciano a pugni.
Forse potrei aiutare Louis ed il suo amico attraverso Tristan. Forse, raccontandogli di loro, potrei trovare qualcosa, una soluzione, per risolvere l’intera situazione.




Apparentemente, questo capitolo sembra inutile. Pare che racconti soltanto le pippe mentali di Aline, ma in realtà c'è molto di più sotto. A partire dal ragazzo senza nome: chi è, perché è così misterioso, cosa significano le cose che dice e i gesti che fa... tutte cose che avranno delle risposte con l'andare avanti dei capitoli. In secondo luogo, poi, abbiamo la famiglia di Aline che si preoccupa per lei, e suo fratello Tristan che, nonostante il suo lavoro, continua a comportarsi da fratello maggiore, dimostrandosi protettivo e sveglio. Aline decide di fidarsi di lui e potrebbe addirittura parlargli della situazione di cui è venuta a conoscenza. Dovrebbe farlo?
I prossimi capitoli saranno più movimentati ed i tasselli inizieranno a disegnare il puzzle di questa storia, per cui vi chiedo di pazientare ancora un pochino :) Spero che la storia vi stia piacendo sempre di più e vi auguro un buon proseguimento di settimana :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


 

CAPITOLO SETTE
Se c’è una cosa che funziona dannatamente bene, in me, quella è la mia memoria. Ricordo strade, codici, frasi, impegni e scadenze con un’accuratezza unica nella mia famiglia. Forse è per questo che hanno testato dei nuovi sieri su di me in Centrale, per via della mia memoria così forte e sviluppata. Eppure, in questo caso, mentre esco da scuola di corsa e saluto Josée con un veloce bacio sulla guancia, sono estremamente felice di possedere questo dono raro, questa particolarità così utile. Ricordo a memoria la strada percorsa dal ragazzo dall’accento strano e gli occhi verdi, e mi affretto a correre per raggiungere destinazione prima che sia troppo tardi e che mia madre si insospettisca. Non ho detto a nessuno di Louis Tomlinson, né del furgone, ma la notizia di mio fratello divenuto Controllore si è sparsa in fretta perfino in una città come Parigi, e questo ha portato la mia famiglia ad essere vista quasi come pura, senza difetti. Il fatto di avere qualcuno che lavora per il governo ci dipinge come persone per bene, perfettamente in regola e controllate, e nessuno sembra più badare al mio incidente. Sono grata a Tristan per questo, perché adesso nessuno mi guarda più in malo modo.
Ho il fiatone quando raggiungo la stretta via di case addossate l’una accanto all’altra, dopo i gradoni in pietra. Riconosco subito la porta che mi interessa, e busso con forza sperando che mi aprano in fretta, ma non devo affatto attendere perché la porta è già aperta. Scricchiola in maniera sinistra e la luce che mi segue proietta la mia ombra all’interno del soggiorno sporco, puzzolente e buio.
« C’è nessuno? » chiedo, insospettita. Il tavolo ed il divano sono ancora qui, ma non c’è il computer e nemmeno il posacenere. Mi spingo ad entrare nella dimora con un sospiro esalato per darmi un po’ di coraggio e, anche se i miei passi non fanno alcun rumore, mi sembra di poterli sentire rimbombare.
« Louis? Sei qui? Devo parlarvi. » chiamo ancora. « A tutti e due, te e… il tuo amico. »
Non ricevo risposta e trovo un giornale della mattina con sopra la faccia di Louis e il suo nome scritto a caratteri cubitali. Quindi erano qui, tutti e due. La casa mi sembra abbandonata, ma non mi sono spinta al piano superiore e ho paura di farlo. Forse venire qui non è stata una buona idea, magari se ne sono andati.
Calpesto un accendino blu elettrico e mi inchino per prenderlo, ancora con lo zaino in spalla. Lo soppeso per un po’, ricordandolo tra le mani del ragazzo misterioso di cui ancora non so il nome, e la mia figura viene oscurata più rapidamente del previsto. Mi volto di scatto e scorgo Louis Tomlinson sulla soglia, accompagnato da un ragazzotto di una certa stazza coi capelli neri e gli occhiali da vista.
« E tu che ci fai qui? » mi strilla contro, esasperato. Io allargo gli occhi, stringo l’accendino ed indietreggio di riflesso.
« Sono venuta a cercarvi. » rispondo.
Louis si scambia un’occhiata con l’altro ragazzo e poi gli fa un misero cenno col capo nella mia direzione. Non riesco a scappare dalla sua presa salda e forte, che mi cappotta sulle sue spalle e mi trascina fuori.
« Mettetemi giù! » sbraito, ma Louis apre le porte posteriori del furgoncino nero e l’altro mi adagia al suo interno. Louis sale insieme a me, mentre dal posto del passeggero accanto alla guida riconosco un tono di voce già sentito, che dice « Cosa? Di nuovo lei? ».
Il ragazzo robusto sale alla guida mentre, voltandomi, incontro lo sguardo sbigottito del ragazzo dagli occhi verdi.
« Adrien, vai! » è l’ordine di Louis, e il ragazzo alla guida, per l’appunto Adrien, mette in moto e parte spedito.
« Che state facendo? » domando, esagitata.
« Ce ne stiamo andando. »
« Cosa? No! Io non vengo! Lasciatemi uscire! » mi dimeno, gattonando verso gli sportelli posteriori, ma Louis mi afferra per un braccio e mi riporta al mio posto con uno scatto violento e repentino.
« Se non la smetti ti strangolo con le mie stesse mani. » mi intima, feroce. « Certo che non vieni con noi, ti stiamo solo portando in un posto lontano da quella casa. »
Si siede dall’altro lato del vano ed io deglutisco, massaggiandomi l’avambraccio che ha stretto con la sua mano. Sono decisamente turbata e sconcertata, non so in che guaio mi sto cacciando.
« Perché andate via? » chiedo.
« Santo cielo, quante domande. » si lamenta Louis, chiudendo gli occhi e buttando la testa all’indietro, mentre Adrien continua a guidare e il mezzo sbanda seguendo il corso della strada a volte irregolare.
« Perché ci stanno cercando e, devo ammetterlo, se non fosse stato per la tua soffiata sulla faccia di Louis in tutti i notiziati, non credo che ci saremmo salvati. » mi risponde invece l’altro. « Quelli della Centrale potrebbero già essere arrivati. »
Mi arrampico alla grata e cerco il suo viso perché spero possa ascoltarmi, ma tutto ciò che trovo sono i suoi capelli ondulati e spettinati.
« Posso aiutarvi a risolvere questo problema! » dico. « Mio fratello Tristan è diventato Controllore, posso parlargli di voi e possiamo risolvere la questione! »
« Hai detto a tuo fratello di noi? » scatta subito Louis, ed io scuoto la testa.
« No, ma potrei, se voi voleste. »
« Tuo fratello è un Controllore e se tu gli parlassi di noi sarebbe la nostra rovina. » aggiunge l’altro. Adrien non parla mai, sta sempre zitto e guida concentrato, ma non so verso dove.
« No, lui è un bravo ragazzo, potrebbe fare la differenza per voi. »
« Ma hai almeno la vaga idea di cosa stai dicendo? » mi riprende Louis, stizzito. A dire il vero no, non so bene di cosa sto parlando, ma Tristan mi ha offerto il suo aiuto ed io mi fido di lui, ciecamente.
« È mio fratello. » replico, piccata.
« E lavora per la Centrale. » aggiunge il riccio. « Sai cosa succede a quelli come noi che finiscono là dentro? »
Non rispondo. Non lo so.
« Chiedilo ad Adrien. » mi istiga Louis. Io guardo il ragazzo alla guida ma sto in silenzio. « Dai, su. »
Deglutisco. « Che cosa succede a quelli come voi, in Centrale? »
Adrien non mi risponde, mi guarda e basta. Non mi sembra di capire, e Louis mi sta tenendo d’occhio.
« Esatto, non ti risponde. E sai perché? »
Scuoto la testa e lui tira fuori la lingua, facendola penzolare fuori dalle sue labbra sottili.
« Perché questa gliel’hanno tagliata e adesso Adrien non dice più mezza parola, nemmeno annuisce. » mi dice. Io mi sento a disagio e abbasso lo sguardo. « Ecco cosa fanno quelli come tuo fratello. »
Non voglio pensare a Tristan in queste vesti. No. Lui è buono, ed è mio fratello. Non potrebbe mai fare una cosa così atroce e medievale, nemmeno sotto le vesti di Controllore. Non riesco assolutamente ad immaginarmelo, Adrien dev’essersi imbattuto in qualche bruto dalle maniere esagerate. Non voglio credere che in Centrale siano così crudi e meschini. Sapevo che i ribelli venissero puniti, ma non avevo idea del modo, e adesso mi si aprono una serie di scenari infiniti e macabri. Non voglio pensarci ma nella mia mente si susseguono svariate scene con parti del corpo mozzate e sangue ovunque. Sento che sto per vomitare, quando la voce del ragazzo sconosciuto mi riporta a galla.
« Come ti chiami? »
Lo guardo sollevando appena il viso, trovandolo col collo contorto per sbirciare verso di me. Mi inumidisco le labbra.
« Aline »
« Oggi sei nostra ospite, Aline. » dice con una nota di gentilezza che mi è nuova. Pronuncia il mio nome in maniera piuttosto bizzarra per essere parigino. « Ti portiamo in un posto speciale, un posto dove si può stare al sicuro. »
« E dove? » chiedo, incuriosita. Lui si rigira sorridendo ma senza rispondermi. È la risata roca e graffiata di Louis che mi cattura.
« Alla Corte dei Miracoli. »





Se siete arrivati fin qui, oltre a ringraziarvi, posso dirvi che inizierete a capire qualcosa della storia. Dopo sette capitoli, sì ahahahahah
La fine così netta è voluta, nel prossimo capitolo si scoprirà cos'è questa misteriosa Corte dei Miracoli che viene quì citata. E ancora non si sa l'identità del misterioso ragazzo dagli occhi verdi e i capelli ricci! O meglio, Aline non la sa, perché noi ovviamente ne siamo fin troppo a conoscenza ahahah
C'è un nuovo personaggio, Adrien, che suscita subito delle perplessità in Aline perché è muto, gli hanno tagliato la lingua per essere un ribelle. Una punizione molto drastica che lei si rifiuta di associare alla figura di suo fratello. Il personaggio di Adrien, anche se silenzioso, sarà molto presente.
In questo capitolo Louis appare molto acido e molto indisponente, ma in realtà si comporta in questo modo solo perché ha paura, anche se non lo ammetterà mai. Il suo rapporto con Aline sarà molto particolare!
Grazie mille per aver letto anche questo capitolo, spero vi sia piaciuto :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo otto ***




CAPITOLO OTTO
Non so cosa sia la Corte dei Miracoli, non ne ho mai sentito parlare. Perciò non so dove mi stiano portando, ma non chiedo niente perché tanto so che non mi risponderebbero. Mi limito a raggomitolarmi in un angolo, cercando di creare una scusa valida per mia madre, mio padre e Tristan. Sono consapevole che Josée non potrà farmi da copertura.
Adrien accende la radio e parte una canzone che mia madre ascolta continuamente. Questo mi fa stare ancora peggio, sono angosciata, ma non dura tanto perché ci fermiamo subito dopo che la canzone termina. Non voglio che mi vedano impaurita, non voglio dargli la soddisfazione di avermi in pugno. Spero soltanto che mi riportino a casa il prima possibile.
« Siamo arrivati. » dice il ragazzo di cui ignoro il nome, slacciandosi la cintura di sicurezza. Osservo Louis stiracchiarsi e mettersi in piedi, anche se si deve inchinare per non sbattere la testa contro il tettuccio del mezzo. Adrien viene ad aprirci e io sono ancora seduta, così mi lancia uno sguardo confuso. Mi fa segno di scendere, mentre Louis e l’altro non si sono minimamente degnati di aspettarmi, e poi mi porge una mano. Mi domando che voce avesse Adrien, se sia vero che è stato tutto a causa della Centrale, e mi chiedo anche che cosa abbia fatto per meritarsi un destino del genere. Io non so cosa farei se mi tagliassero la lingua e non potessi più parlare. Non so se sarei in grado di esprimermi in altri modi.
Adrien mi aspetta paziente, abbozza un piccolo sorriso reso amichevole dalle sue guance paffute, ed io mi lascio convincere, gattonando fino a lui. Gli prendo la mano e lui mi aiuta con dolcezza a scendere dal mezzo. Il cielo è terso, c’è il tramonto e sta facendo buio. Ho un po’ di freddo e mi volto per recuperare lo zaino, ma Adrien mi ferma, scuotendo la testa.
« Perché? » gli chiedo, ma lui scuote di nuovo il capo, incapace di rispondere a voce. Decido di dargli retta e, voltandomi, vedo Louis e l’amico che si accendono una sigaretta.
« Allora, andiamo? Ho una fame! » si lamenta il primo. Adrien mi si affianca come a darmi conforto e mi spinge lievemente verso di loro, che si addentrano in un piccolo vicolo dalla pavimentazione in lastroni di pietra. Non sembra esserci nessuno, ma sento una leggera musica. Non chiedo niente, seguo le loro schiene e sollevo il viso verso il ragazzone che mi affianca, il quale mi riserva un ampio sorriso, compresi gli occhi. Adrien sembra entusiasta, io vorrei soltanto tornare a casa.
« Prima, » Louis si ferma e vado quasi a sbattergli addosso. « una cosa. »
Mi guarda attentamente e si rimbocca le maniche della giacca. L’altro ragazzo si è fermato più avanti, c’è una luce arancione alla fine della via; Adrien lo raggiunge.
« Togli la cravatta e sbottonati la camicia. » mi ordina Louis con fare rigido. Io spalanco gli occhi.
« Cosa? »
« Muoviti, non abbiamo tutta la sera! »
« Io… io non mi spoglio! »
« Non ti devi spogliare, cretina! Devi soltanto sbottonarti i primi bottoni. Vuoi che lo faccia io? » mi guarda esasperato ed io inspiro a fondo. Mi allento il nodo della cravatta e poi la sfilo, posandola sulla sua mano aperta. Successivamente mi sbottono il primo bottone e lui mi guarda di traverso.
« Altri due. »
« No. »
« Dai, non ci voglio andare in giro con una verginella. » mi rimprovera, ed io avvampo per la vergogna. Sbottono il secondo bottone e sono decisa a non andare oltre.
« Basta così. » gli dico. Lui incastra la sigaretta tra le labbra e si avvicina, posandosi la cravatta su una spalla. Afferra i lembi della mia gonna e la tira su, fino all’ombelico, in modo che risulti a vita alta, dopo di che mi sistema la camicia. Avvicina una mano ai miei capelli e scioglie la coda che ho fatto stamattina, sistemando poi le mie ciocche castane lungo il mio viso.
« Ci si accontenta. Andiamo. »
Lo seguo imbarazzata e a disagio e Adrien ci precede. Il terzo ragazzo, quello dagli occhi verdi, rallenta per raggiungermi, visto che sto in disparte con le braccia incrociate contro le costole. Mi guarda a lungo, poi si sfila la sigaretta dalle labbra e mi parla piano, avvicinandosi al mio orecchio.
« Non ci mettiamo molto, solo il tempo di mangiare, poi ti riportiamo a casa, ok? »
Annuisco senza nemmeno guardarlo, mentre lui continua a rivolgermi le sue attenzione.
« Aline » mi chiama, serafico. Stavolta mi sforzo di guardarlo e vedo dell’interesse e della preoccupazione per me. Stringe le labbra in quello che dovrebbe essere un sorriso di conforto. « Sei al sicuro qui. »
Non gli credo nemmeno un po’ perché questo non è il mio ambiente. Non mi sento al sicuro e nemmeno a mio agio, ma questo non sembra interessare né Louis, né Adrien, né tantomeno lui, che mi sta ancora affianco. È tutta colpa mia, in fondo, sono stata io ad andare in quella dimora abbandonata con la speranza di fare cosa, poi? Convincerli a costituirsi? Sto andando in giro con dei fuggitivi, dei ribelli. Io, che non ho mai commesso uno sgarro, nemmeno minuscolo, sto gironzolando per un quartiere che non conosco con un ricercato, un muto ed un completo sconosciuto.
È Louis che mi richiama, stavolta, con un sorriso sghembo tra i denti.
« Vedi di stamparti un sorriso su quel bel faccino. » mi fa l’occhiolino e sbuchiamo in una via più ampia e illuminata di giallo ed arancione. Mi arresto immediatamente, colpita dal movimento di così tante persone diverse che chiacchierano e ridono tra di loro. Ci sono locali aperti, musicisti di strada, una via lunga e che mi pare infinita costeggiata da persone di ogni colore e aspetto che ridono, scherzano, gioiscono e cantano, bevendo o mangiando qualcosa. Sulle nostre teste si snocciolano file e file di bandierine colorate, l’illuminazione color arancio è proiettata da grandi lampade ed è come entrare in un nuovo mondo.
Louis ed Adrien saltellano lungo la via, diretti chissà dove, mentre il ragazzo coi ricci e gli occhi verdi mi si fa vicino. « Benvenuta alla Corte dei Miracoli. » mi dice.
 
Entriamo in quello che è un pub dove una ragazza ed un ragazzo stanno suonando ed invogliano i presenti ad unirsi a loro seguendo il ritmo e le parole della canzone, naturalmente in francese. Louis e Adrien sono molto affiatati, credo che il secondo si affidi completamente al primo per essere ben compreso anche dagli altri. Louis gli parla normalmente e legge i suoi gesti, il suo sguardo, le sue smorfie. Si capiscono al volo ed un po’ li ammiro ed invidio.
« Louis, guarda di là. » siedo affianco al riccio, che ha appena parlato, indicando con lo sguardo verso il bancone. « Non è quella che volevi rimorchiare l’altra sera? »
« Nadine! Certo! » gli occhi di Louis sembrano illuminarsi tutto d’un tratto. « Adrien, vieni con me, ci prendiamo un’altra birra. »
« Io vado fuori a fumare, ok? » gli strilla dietro l’altro, ed io lo guardo perché non ho nessuna intenzione di restare seduta qui da sola. Infatti, mi sorride e mi fa cenno di seguirlo. « Vieni, ti porto a fare un giro. »
Scendo dallo sgabello e lo seguo verso l’uscita, scoprendo che la via, così affollata, non permette al vento freddo di insinuarsi tra di noi, riscaldando l’ambiente già abbastanza tiepido per via delle grandi luci. Il viso del ragazzo al mio fianco è di un arancione forte, ora che siamo qui fuori. Si accende la sigaretta con lentezza e sicurezza, dandomi la sensazione di sentirsi a proprio agio. Quasi a casa. Incrocia il mio sguardo e aspetto che mi dica qualcosa, invece mi fa solo cenno di seguirlo. Ci incamminiamo lungo la via ed io mi guardo attorno quasi estasiata.
« Avevi mai sentito parlare della Corte dei Miracoli? »
« No. »
« Quella vera, intendo, di tanti anni fa. »
Scuoto la testa, insicura.
« Intorno al 1600 c’erano questi posti chiamati Corti dei Miracoli, e non erano nient’altro che vie chiuse dove si riunivano gli emarginati sociali e i mendicanti. Non ve l’hanno insegnato a scuola? »
« No. Non ci parlano di queste cose sugli emarginati sociali. » spiego io.
« Ovviamente. » lui si porta di nuovo la sigaretta alle labbra.
« Quindi tutte queste persone, sono… »
« Ribelli, sì. E fuggiaschi, come noi. » dice. « Tutti riuniti qui per vivere davvero, divertirsi, conoscersi e sperare in una rivoluzione che non avviene mai. »
Ci stiamo allontanando dal grosso della folla e arriviamo ad altri locali meno affollati e più silenziosi. La via è sempre illuminata a dovere, ma più libera. Alla fine si siede su una panchina e la sua sigaretta sta finendo, così mi siedo vicino a lui.
« Perché volete andare via? » gli chiedo.
« Beh, tu perché vuoi restare? »
« Perché qui c’è la mia famiglia. »
Si lecca le labbra ed annuisce. « Esatto. »
Non mi sembra di capire e il mio sguardo dev’essere parecchio eloquente, perché lui si preoccupa di darmi, finalmente, delle spiegazioni.
« Il mio nome è Harry e vengo da Londra. »
Questo stona alle mie orecchie, alla convinzione di essere circondata solamente da francesi. È la prima volta che incontro un inglese, e mi irrigidisco subito. Questo spiega tante cose: la sua andatura, il suo modo di porsi con le persone, con me, la sua pronuncia, il suo essere diverso da noi solo ad una prima vista.
« Cosa? » mi lascio sfuggire un sussurro, mi sembra tutto molto segreto. È come se, parlando ad alta voce, potessi farmi sentire dai piani alti, da chi ci governa, e non vorrei che il ragazzo passasse dei guai. Adesso so che si chiama Harry, ma non sono sicura di saperlo pronunciare come fa lui. « Ma non è possibile. »
Annuisce. « Invece lo è. »
Lo guardo ancora e non ho proprio idea di come possa essere Londra adesso, ma vedo un alone di malinconia posarsi sui suoi occhi verdi.
« Perché sei qui? Come hai fatto? » gli chiedo.
« Louis è mio cugino e ci siamo tenuti in contatto per anni. Il vostro governo dipinge la Francia e Parigi come un paese ricco e prosperoso, dove la gente sta bene e vive in tranquillità e libertà, ma Louis mi spiegava che non era affatto così. Solo che fuori non ci sono prove per dimostrare quanto sia sbagliato quello che vi fanno. »
« Perché è sbagliato? Soltanto perché da voi non succede? »
Harry mi lancia un’occhiata un po’ perplessa.
« Perché non vi lasciano scegliere. » dice in tono ovvio. « Controllano ogni vostra singola azione. Voi esistete, ma non vivete. » mi spiega.
Quello che mi dice mi turba e mi spaventa, ma voglio che mi racconti dell’altro. Perciò sto in silenzio e lo guardo a lungo, aspettando che continui.
« Fuori è diverso, non c’è tutta questa dittatura, questo regime così fiscale. Non ci iniettano dei sieri, non dobbiamo andare periodicamente a farci controllare in un posto chiamato Centrale. »
Penso a come sarebbe la mia vita senza la Centrale, senza la paranoia di sbagliare qualcosa pur essendo perfettamente in regola. Penso alla mia vita senza questa pressione, senza i sieri, senza i Controllori in giro per Parigi. Non riesco a farlo completamente perché ho sempre vissuto sotto la convinzione che questo fosse tutto giusto. Ora, invece, Harry mi parla di sbagli, di ingiustizie, e di posti dove non devo avere paura di risultare diversa e non in regola.
« Quindi sono venuto qui per portare via Louis ed Adrien, così che possano raccontare quello che succede qui ed innescare una reazione nei paesi liberi per aiutarvi. »
Deglutisco. « Cosa ti fa pensare che a noi questo non vada bene? Che non siamo tutti felici e sereni sotto questo regime e con questi controlli? Tu vieni da un posto diverso, ma questo non significa che la Francia sia sbagliata e Londra no. »
Harry mi guarda, poi si volta verso la via sempre più affollata di persone di ogni età e colore che si diverte, con le bocche spalancate per le risa ed il cielo a fare da scudo.
« Questo ti sembra sbagliato? » mi chiede. Io non rispondo. « Secondo me no. »
Questa gente fa parte della mia città. Sono francesi e parigini come me, o almeno credo la maggior parte perché non so in quanti, da fuori, siano riusciti ad entrare in città. Forse Harry è l’unico. In ogni caso, qui, adesso, sono felici, e questo tipo di cose non sono permesse. Scambiarsi opinioni, fare musica, ritrovarsi nei pub fino a notte fonda senza controlli, non avere scadenze da rispettare. Tutto questo non ci è permesso, siamo imbottigliati in una routine forzata.
« Come farete ad andare via? E come sei riuscito ad arrivare? Ci sono un sacco di controlli. »
Harry ride piano e poco, quasi come a schernirmi.
« Adesso vuoi sapere fin troppo ed io non posso fidarmi di te. Ti controllano ancora. » mi dice, ed io rimango un po’ basita ma so che ha ragione. Al suo posto farei lo stesso anch’io, e sapendo che mio fratello lavora per la Centrale, mi ha già raccontato abbastanza. « Forza, » dice alzandosi. « andiamo, ti riporto a casa. »
Mi obbligo a seguirlo lungo la via, percorrendola al contrario. Non avvisiamo né Louis né Adrien, Harry dice che non c’è bisogno. Quando abbandoniamo la Corte dei Miracoli, con l’eco distante delle sue vie e persone, mi sembra quasi di essere una persona diversa e di sentirne già la mancanza.




Me l'avete chiesto per tanto tempo, ed ora non solo Harry rivela la sua identità, ma viene spiegato anche il motivo per cui l'ha tenuta nascosta fino ad ora: è un inglese, e come tale non dovrebbe per nessuna ragione al mondo trovarsi libero di gironzolare per Parigi. Rappresenta una minaccia per il governo dittatoriale della Francia, e quindi è costretto a mantenere l'anonimato e a nascondersi.
Insieme ad Harry conosciamo anche la Corte dei Miracoli, un luogo quasi paradisiaco per i ribelli, un'area di Parigi del tutto nuova e sconosciuta per Aline, che si trova spaesata e disorientata. Si sta imbattendo in una realtà che non conosce e che, a causa di ciò che le hanno forzatamente inculcato, ritiene sbagliato perché è illegale. Harry cerca di spiegarle che tutto quello non è sbagliato, ma il discorso verrà ripreso anche in futuro.
So che ci sono ancora degli interrogativi per quanto riguarda il personaggio di Harry, e la sua storia verrà spiegata, così come quella di Louis.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di aver acceso un po' più di curiosità, perché ce ne saranno delle belle :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo nove ***




CAPITOLO NOVE
Tergiverso un po’ prima di scendere dal furgone. Harry mi ha lasciata sedere nel sedile del passeggero e ho potuto vedere la strada percorsa. C’è silenzio adesso, ha spento il motore e nessuno di noi due ha parlato per tutto il tragitto. Al mio fianco ho un inglese, se lo raccontassi in giro non ci crederebbe nessuno. O forse mi crederebbero a tal punto da farmi altri esami, iniettarmi altri sieri e spingersi alla ricerca di Harry, il che sarebbe ancora peggio.
« Ho lasciato la borsa dietro. » dico unendo le mani in grembo. Ho riabbottonato la camicia ed abbassato la gonna non appena siamo usciti dalla Corte dei Miracoli.
Harry apre il suo sportello ed esce dal mezzo, così lo imito e lo seguo sul retro del furgone, dove apre il vano e ripesca il mio zaino.
« Eccolo qui. »
« Grazie per oggi. »
« Grazie a te per la soffiata su Louis ricercato. »
« Adesso dove andrete? »
Scrolla le spalle e infila le mani nelle tasche posteriori dei suoi jeans neri.
« Non lo so, credo staremo alla Corte per un po’. Non è saggio andare in giro con Louis su tutti i notiziari, non possiamo farlo scorrazzare per Parigi. Escogiteremo qualcosa per superare i controlli e prendere il primo treno per il porto. »
« E se dovessero trovarvi? » lo guardo preoccupata ma lui mi sorride mestamente.
« Allora questa sarebbe l’ultima volta che ci vediamo. »
Il solo pensiero mi fa attorcigliare lo stomaco. Non voglio che i Controllori o chi per loro li trovino. Non voglio che vengano catturati, preferisco che riescano a scappare da Parigi. Stringo lo zaino tra le mani e deglutisco.
« Farò in modo che nessuno sappia di voi o della Corte. Mi farò dire da mio fratello qualsiasi cosa di importante e vi avviserò per tempo. »
« Non è necessario. »
« Ma io voglio farlo. Ti sei fidato di me, devo ripagarti in qualche modo. »
« L’hai già fatto. » insiste, osservandomi serio. « E poi così rischi di metterti in grossi guai. È meglio che tu stia fuori da tutto questo. »
Lo guardo a lungo, mi sento inutile. Mi sembra di rivedere mio fratello che mi raccomanda di non fare scemenze quando ero ancora una bambina.
« Mi hai capito? »
Annuisco senza guardarlo. In realtà ho già deciso che cosa fare. E li aiuterò.
 
Mia madre è convinta che io abbia un fidanzato a causa dei miei rientri ad orari vari, mio fratello sghignazza trovandomi sotto torchio e mio padre ha una faccia distrutta, con profonde occhiaie. Dice che lavora più del solito, il che fa preoccupare tutti noi.
Ho capito che Josée ce l’ha con me quando sono arrivata a scuola e lei era seduta insieme al gruppo di Odette. Mi ha guardata e non mi ha salutata, ha aspettato il suono della campanella per sparire tra i corridoi. Non la biasimo, io ho fatto lo stesso con lei quando voleva semplicemente passare del tempo con me.
Anche durante la mensa siede con Odette ed il suo gruppo di amiche pettegole. Mi avvicino stringendo i bordi del mio vassoio giallo canarino e mi piazzo di fianco alla mia amica, che sta in un angolo.
« Posso parlarti? »
Solleva appena gli occhi su di me, mentre Odette mi lancia uno sguardo inviperito ed il silenzio crolla sul tavolo. Josée non sposta il viso dal suo piatto e questo mi fa tentare ancora.
« È importante. »
« Sto mangiando. » mi risponde.
Resto sgomenta e faccio un passo indietro, guardandola perplessa ed avvilita.
« D’accordo, come vuoi. Ma non dire che non ci ho provato. »
Me ne vado con la schiena dritta, indirizzandomi ad un tavolo quasi libero, occupato solo da tre ragazze a un lato. Io mi siedo all’altro capo lasciando scivolare il mio vassoio con nervosismo, prima di buttarmi a peso morto sulla sedia e coprirmi il viso con entrambe le mani.
Una serie sconnessa di immagini mi attraversano la mente con un disordine fastidioso ed improvvisamente percepisco il mio cuore battere forte e veloce contro il mio petto.
Sento ancora la voce di Odile elencarmi gli effetti collaterali dei nuovi sieri e la paura mi assale. Cerco di controllarla, mi porto una mano sul petto e premo più forte che posso, come se potessi contrastare il battito forte del mio cuore. Non so come controllare questa tachicardia improvvisa, né da cosa dipenda, e chiudo forte gli occhi concentrandomi sul mio respiro.
Inspiro dal naso, espiro dalla bocca, continuo a farlo per un po’.
« Aline stai bene? »
Guardo in alto e vedo il viso di Josée, la mia migliore amica, con in mano il suo vassoio e l’espressione angosciata. Mi ci vuole qualche secondo ed una concentrazione immane prima di scuotere la testa.
Josée afferra la mia sedia e la fa strisciare all’indietro, mi prende per un braccio e mi trascina fuori con sé.
 
L’aria è fresca tanto quanto l’acqua che sto bevendo dalla bottiglietta della mia migliore amica, che mi guarda attenta e preoccupata.
« Va meglio? » mi chiede.
Annuisco con la testa prima di sollevare il viso verso di lei. La abbraccio con uno scatto che la sorprende lasciandola imbambolata per qualche istante.
« Mi dispiace. » dico al suo orecchio. « Sono stata troppo presa da altre cose, non volevo fare l’antipatica con te. Scusa. »
Lei mi poggia una mano sulla schiena. « Va tutto bene, tranquilla. »
La guardo e mi sorride. « Potevi scegliere qualcuno migliore di Odette per farmi ingelosire. »
Josée scoppia a ridere e chiude gli occhi. La sua risata scema lentamente, creando del silenzio.
« Che cosa ti sta succedendo, Aline? Sei diventata così misteriosa… sono i sieri? »
Vorrei dirle che è tutta colpa dei sieri, ma so che non è così. Sono angosciata per un sacco di cose, da mio fratello che è diventato un Controllore a tutta la faccenda di Harry, Louis e Adrien e la Corte dei Miracoli.
Volto il corpo verso Josée, prendendole entrambe le mani tra le mie.
« Promettimi che non dirai a nessuno quello che sto per dirti. »
Si allarma subito, ma annuisce.
« Louis Tomlinson sta cercando di lasciare la Francia. »
Josée mi guarda confusa. « Louis Tomlinson? Il ricercato? »
Annuisco.
« E tu come fai a saperlo? »
« Perché l’ho aiutato a scappare da casa sua per trovare un posto più sicuro dove stare. »
Gli occhi di Josée si spalancano in maniera preoccupante, ma non lascia le mie mani. Lo shock che la immobilizza è tale da farmi preoccupare, ma non posso smettere di raccontarle.
« Quando mi hai portato da Sofian per dirmi dell’appuntamento con Lucas, uno mi ha rubato lo zaino. Un altro ragazzo l’ha fermato ed è riuscito a restituirmi la borsa. »
« Cosa c’entra questo con Louis Tomlinson? »
« Qualche tempo dopo ho incontrato di nuovo quel ragazzo che veniva aggredito da un rapinatore, così l’ho aiutato a fuggire via ed ho scoperto che era amico di Louis, trovando anche il loro nascondiglio. »
« Aline, perché non me l’hai detto prima? » mi domanda. « Ti hanno fatto del male? »
« No, per niente. Ho avuto paura che potessero rapirmi o uccidermi o torturarmi, ma non mi hanno fatto assolutamente niente. Mi hanno riportata a casa e mi hanno ringraziata per avergli detto che Louis era ricercato. » dico. « Il ragazzo dello zaino si chiama Harry ed è inglese, viene da Londra. Louis è suo cugino e sta cercando di ribaltare il governo francese perché in nessun altro posto fanno i test che fanno su di noi. »
Josée è stupita ed esterrefatta, continua ad ascoltarmi con un velo di timore e senza dire una parola.
« Dice che siamo controllati, sotto dittatura. »
« E tu gli credi? »
Deglutisco. È una domanda importante e decisiva. Le ho detto tanto, ho condiviso con lei queste cose, ma vedo che ha paura.
« Non lo so. » rispondo, sincera. « Forse sì. »
Lascia scivolare le mani dalle mie e mi allarmo subito. Si alza in piedi, prendendo a camminare avanti e indietro con l’indice pressato sulle labbra.
« Effettivamente tutta la storia dei sieri è alquanto dubbia. » confabula. « Perché iniettarceli? Perché mantenere il controllo? Per avere una società rigida, certo. Ma tutte le misure di sorveglianza, tutti i divieti… non ci fanno sapere niente del mondo oltre la Francia e Parigi. »
Josée sembra quasi più sicura di me, mentre ne parla. Affronta la tematica con meticolosità e razionalità.
« Tuo fratello lavora alla Centrale, adesso, non potrebbe passarti qualche informazione? »
« Harry dice che devo stare fuori da tutto questo, crede che non mi possa fidare di mio fratello proprio perché lavora in Centrale. » rispondo. « Secondo lui non devo dire nulla a nessuno e tenere tutto per me. »
« E perché a me l’hai detto? » Josée aggrotta le sopracciglia.
Io scrollo le spalle con innocenza. « Perché tu sei la mia migliore amica. »
Mi sorride appena esalando un sospiro delicato, prima di avvicinarsi ed abbracciarmi.
« Promettimi che non ti metterai nei guai. » mi dice.
La stringo forte e le accarezzo la schiena.
« Te lo prometto. »





Altro capitolo, altre faccende da spiegare. Probabilmente non ve ne accorgerete adesso ma ci sono un sacco di cose implicite che si svilupperanno nei prossimi cruciali capitoli. Aline deve scoprire tante cose e tornerà alla Corte dei Miracoli da Harry e Louis, ma in questo capitolo la vediamo alle prese con una quotidianità quasi solita e normale, che coinvolge anche Jpsée. Secondo voi Aline ha fatto bene a confidarsi con lei? Harry le dice di non dirlo a nessuno, ma la nostra protagonista fa uno strappo alla promessa mantenuta, anche se è sempre convinta di voler parlare con Tristan. Di chi si può fidare? Di suo fratello o della sua migliore amica? Di entrambi o di nessuno dei due?
Ieri mattina ho terminato di scrivere la storia, sono trenta capitoli esatti, quindi pensavo di aggiornare due volte alla settimana, tipo il mercoledì ed il venerdì, in modo da velocizzare la vostra lettura, perché mi rendo conto che postare una volta ogni sette giorni può frenare l'entusiasmo.
Vi ringrazio tantissimo per continuare a leggere la storia e per condividere con me i vostri pareri e le vostre supposizioni! Spero di non deludervi.
Auguro a chi ha gli esami (che siano di terza media, la maturità o sessioni estive) un enorme in bocca al lupo, che la fortuna sia con voi, sono sicura che spaccherete alla grande!! :) buon proseguimento di settimana, al prossimo aggiornamento :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***




CAPITOLO DIECI
Al telegiornale continuano a dire che Louis Tomlinson è ricercato e questo per me è un enorme sollievo, perché sta a significare che non l’hanno ancora trovato, e quindi non hanno trovato nemmeno Harry, Adrien e la Corte dei Miracoli. Posso ancora sperare che siano vivi, ma non so se siano riusciti a lasciare Parigi. Ne dubito altamente, ma sembravano davvero intenzionati a farlo. Ho paura di trovarmi i loro visi su tutti i notiziari e non so come potrei reagire in quel caso.
Non ho avuto modo di parlare con Tristan di loro o della possibilità di lasciare Parigi e la Francia, perché non c’è mai o quasi. Non gli ho nemmeno chiesto se fosse vero che tagliano le lingue, che praticano quel tipo di torture ed abomini. Se penso ad Adrien, così amichevole e per niente spaventoso, mi domando per quale motivo avrebbero dovuto trattarlo in quella maniera. Ma poi una possibile soluzione mi attraversa la mente e sembra quella più appropriata: lui fa parte della Resistenza.
In teoria nessuno di noi dovrebbe sapere della Resistenza, perché il solo pensiero potrebbe alimentare delle speranze pericolose per il Governo. Io non so da che parte sto, ma so che ciò che Harry mi ha detto mi è rimasto in testa per parecchio tempo, fino ad ora. Non so come immaginarmi Londra, credo che sia completamente diversa da quello che mi è concesso pensare o vedere di nascosto. Mi domando che profumo abbiano le sue strade, se le persone siano tutte criptiche come Harry o se sia semplicemente la situazione a renderlo così cupo. Io non so se avrei il suo stesso coraggio. Non so se sarei disposta a rischiare così tanto per una causa che non è nemmeno la mia. L’idea di lasciare Parigi e la Francia mi elettrizza, ma ne sono terrorizzata allo stesso tempo. Ho paura di trovarmi faccia a faccia con un Controllore, e non sono sicura che mio fratello potrebbe fare molto, comunque.
Mia mamma ha fatto una torta margherita. Fa sempre dei cibi buoni, ma la pizza migliore di tutte è opera di mio padre.
Mia madre è una bella donna, l’ho sempre guardata con ammirazione. I suoi capelli sono di un rosso scuro, lunghi fino alle spalle in morbide onde, mi ricordano l’autunno e le cioccolate calde. Ha sempre un profumo particolare, rassicurante. Quando mi abbraccia so che andrà tutto bene.
Adesso mi guarda con un piccolo sorriso inquisitore, mentre entrambe mangiamo la sua squisita torta.
« Allora, » dice con fare malizioso. « quindi stai facendo conquiste? »
Alzo gli occhi al cielo esprimendo tutto il mio disappunto per la faccenda. Non mi piace dirle le bugie, ma non credo che raccontarle la verità riguardo i miei ritardi sia meglio.
« Non iniziare. » le dico.
« Non vuoi dirmi proprio niente? »
« No »
« Nemmeno il nome? »
« Nemmeno il nome. »
« Ma almeno è carino? »
« Mamma! » esclamo.
« Che c’è? » lei ride divertita e scrolla le spalle. Non sembra nemmeno mia madre, quanto più un’amica di vecchia data. « Sono curiosa, vorrei sapere qualcosa. »
Le rivolgo un’occhiataccia, prima di concedere le mie attenzioni alla fetta di torta.
« Sì, è carino. » rispondo.
« È biondo? Bruno? »
« Castano. »
« E gli occhi? Di che colore sono? »
Cerco di non mettermi a sorridere per l’imbarazzo. « Verdi. »
« Verdi come? »
« Beh, dipende. A volte sono verde acqua, altre volte verde normale. »
« E non vuoi proprio dirmi come si chiama? »
Scuoto la testa senza guardarla. Come potrei dirglielo? Complicherei soltanto le cose. Mia madre non è di certo una donna stupida, e anche se non credo che arriverebbe a pensare a quello che sta realmente succedendo, si preoccuperebbe comunque.
I suoi occhi rimangono su di me ancora per un po’, costringendomi a guardarla.
« Ma insomma, la vuoi finire? » le dico in imbarazzo, e lei si mette a ridere. Non ride abbastanza forte da coprire il suono della porta d’ingresso che sbatte con forza, seguita dai passi pesanti di mio padre.
Compare sulla soglia spettinato, pallido e col fiatone, gli occhi grandi come due orbite e terrorizzati.
« Margot! Aline! »
Si avvicina prima a mia madre, che nel vederlo in queste condizioni si è immediatamente alzata in piedi. Le prende le mani e la guarda dritta negli occhi.
« Sono qui. » dice, col panico nella voce. « L’hanno scoperto. »
Mi sarei aspettata che mia madre avesse la mia stessa espressione confusa ed interrogativa, perché non ho la più pallida idea di ciò che stia succedendo, ma invece, con sorpresa, la trovo sgomenta e terrorizzata.
« Cosa? »
Non appena lo dice, dei colpi decisi alla porta la scuotono con forza e mi sembra che l’intera casa potrebbe crollarmi addosso.
« Controllori, apriteci o butteremo giù la porta! »
Guardo entrambi i miei genitori.
« Che cosa ci fanno qui i Controllori? » c’è del panico nella mia voce.
Mio padre mi guarda con la mascella contratta e poi mi si avvicina, posandomi una mano su una spalla e l’altra su una guancia, come faceva quando ero bambina.
« Qualsiasi cosa accada d’ora in poi, non lasciare che ti sfruttino. » mi dice. Lo guardo sbigottita e lui continua a parlarmi. « Non lasciare che prendano il controllo della tua vita, Aline. »
« Di cosa stai parlando? »
I suoi occhi mi spaventano, ma i colpi alla porta diventano sempre più forti e capisco che non abbiamo più tempo.
« Promettimi che non cadrai ai loro piedi. »
La porta si apre con un tonfo, sono riusciti a scardinarla. Mia madre ha uno spasmo di terrore vedendo gli agenti entrare in casa nostra, armati fino ai denti. Non ne conosco nemmeno uno.
« Promettimelo! » urla mio padre.
« Te lo prometto! »
« Antoine Dupont, è in arresto per Alto Tradimento al Governo della Francia e per aver animato la Resistenza. » chi parla è il più anziano del gruppo, ed io non credo alle mie orecchie. Mio padre viene afferrato per le spalle e trascinato via, mentre lo ammanettano.
« Margot » chiama mia madre, si protende verso di lei ma gli piantano su un braccio un aggeggio strano che gli trasmette una scarica elettrica che lo stordisce per qualche istante, facendolo inginocchiare.
« Antoine! » mia madre si getta su di lui, ma viene trattenuta da uno dei Controllori, mentre un altro si avventa su di me tappandomi la bocca per l’urlo che mi è sfuggito.
« Alzati, Traditore! »
Mio padre viene fatto alzare con forza, ma sembra un vegetale: cammina con la testa bassa, mia madre si dimena ed io ho paura. Non so cosa sia successo, non so quando o come mio padre sia entrato nella Resistenza, non so se sia vero né perché me l’abbia tenuto nascosto, ma soprattutto non ho la minima idea di ciò che gli accadrà da questo momento in poi.
« La pagherete cara! » mia madre è diventata una belva, sta piangendo. « Troverò il bastardo che ci ha traditi e vi giuro che ve ne pentirete! »
« Non c’è bisogno. »
Mi volto subito alla mia sinistra, sul fondo della cucina, dove non avevo notato la presenza di un altro Controllore. Questo lo conosco.
« Sono stato io. » È Tristan. È mio fratello.





Se lo scorso capitolo poteva sembrare piatto e privo di utilità, questo senz'altro aggiunge nuove domande e porta qualcosa di shockante nella storia: il mondo di Aline inizia a crollare. Suo padre fa/faceva parte della Resistenza, sua madre a quanto pare ne è a conoscenza e suo fratello è la causa principale dell'arresto di Antoine Dupont. Un triangolo perfetto che non comprende Aline, tenuta all'oscuro di tutto quanto fino ad ora, quando la bomba esplode proprio tra le mura di casa sua.
Chiaramente questo genera delle domande sia in Aline che in voi (o almeno lo spero!) ma tutte le risposte si avranno coi prossimi capitoli, quindi non c'è molto da attendere :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo undici ***




CAPITOLO UNDICI
Quando mi sveglio, sono frastornata. Con me c’è Josée, seduta alla mia scrivania con un libro in mano, e non si accorge che sono vigile. L’ultima cosa che mi ricordo è che mi sono sentita avvampare, sormontata da un’ira mai provata prima, ed ho cercato di districarmi dalla presa del Controllore maschio che mi teneva immobile, per aggredire mio fratello. Poi mi hanno stordita con un elettroshock e non ricordo altro. Non so come sono arrivata fino a camera mia, nel mio letto, visto che è dove mi trovo in questo momento.
Mi metto a sedere con movimenti lenti, indolenzita in più punti.
« Aline » quello di Josée è più un soffio sorpreso, quando i suoi occhi mi scorgono ancora viva. Mi raggiunge subito e si siede al mio fianco, posandomi le mani sulle braccia come ad aiutarmi a stare seduta. Effettivamente mi sento molto debole e mi gira un po’ la testa.
Riesco a sollevare lo sguardo sul suo e vedo che è dispiaciuta. Adesso ricordo dell’altro: ricordo mio padre che viene scortato fuori dai Controllori in condizioni abominevoli, e ricordo mia madre che sbraita inferocita. Poi c’è Tristan, la sua voce, e tutto mi colpisce di nuovo, solo che ora non ho mio fratello davanti e di sicuro non ho tutte le energie che mi servirebbero per aggredirlo.
Deglutisco.
« Tua madre mi ha raccontato tutto. » dice Josée scostando le sue mani non appena vede che mi volto per scendere dal letto. « Mi dispiace… »
Io non capisco. Non capisco ancora. So cosa sia successo, ma mi sembra di vivere in una realtà parallela. Fino a qualche giorno fa ero io l’unica ad avere dei segreti, mi fidavo di mio fratello e credevo che mio padre fosse un uomo in regola. E invece mi sbagliavo. Adesso ho un fratello che ci ha traditi, ed un padre scomparso nei meandri della Centrale, accusato di Alto Tradimento e Resistenza. E mia madre sapeva tutto.
Credo che non mi basterebbe tutto il tempo di questo mondo per capacitarmene. Quello che vorrei sono delle spiegazioni, delle risposte ai miei perché, e sono sicura che Josée non sia la persona adatta a darmeli. Ora sono rimasta sola con mia madre, una donna che credevo di conoscere, ma che non mi sembra più la figura importante a cui l’avevo associata. So di avere anch’io dei segreti, ma quello che è appena successo va ben oltre tutto quanto. Siamo una famiglia distrutta, adesso.
Se la nomina di mio fratello che veniva promosso Controllore ha suscitato dell’interesse verso il nome Dupont, adesso, con la notizia di mio padre e del suo arresto da parte di Tristan stesso, non so cosa potrebbe pensare la gente. Certamente ci saranno delle ripercussioni, siamo nel mirino del Governo. Mio padre era nella Resistenza… fatico perfino a formulare la frase.
« Devo parlare con mia madre. » è l’unica cosa che dico alla mia migliore amica prima di filarmela di sotto. In realtà, non appena imbocco le scale, rallento intimorita. Sento la voce di mia madre parlare con Louane, la mamma di Josée. È agitata e dice che non capisce come sia potuto accadere. Credo stia piangendo e mi fermo dietro la porta, improvvisamente vigliacca ed incapace di andare oltre. Josée mi osserva dall’alto della rampa di scale.
Quando mia madre smette di parlare e Louane non le risponde, cala il silenzio e perfino il mio respiro è udibile a chiunque. Perciò esco dal mio nascondiglio e mia madre sta già guardando verso di me. I suoi occhi sono cerchiati di rosso perché ha evidentemente pianto, e i suoi capelli sono spettinati. Louane seduta di fronte a lei è più presentabile, mi concede un sorriso dolce come quelli di Josée e poi si alza.
« Josée, andiamo! » chiama, percependo la tensione nell’aria.
La mia amica scende le scale in fretta e mi abbraccia prima di andare via. Louane saluta sulla porta, chiudendosela poi alle spalle e lasciandoci da sole.
Questo è ciò a cui devo abituarmi. A noi due da sole.
Mio padre non c’è e Tristan ha scelto da che parte stare. Io sto navigando in acque torbide che non conosco, e non ho scelto affatto di stare qui in mezzo.
« Aline » il modo in cui mia madre pronuncia il mio nome è mortificato. Sono tremendamente dispiaciuta per questo inevitabile distacco che mantengo, ma non so più di chi posso fidarmi.
« Devi dirmi tutto, mamma. » dico con una sicurezza che fa a botte con ciò che davvero provo.
Voglio che mi dica tutto. Ho bisogno di sapere.
Fa un piccolo cenno d’assenso con la testa. Io mi siedo al posto di Louane, e Margot Fabre, mia madre, inizia a parlare.
 
Montmartre un tempo era un quartiere ricco di artisti di strada, pittoresco e meraviglioso. Adesso si è ridotto ad una serie di vie e rioni dove i mendicanti chiedono l’elemosina e si spacciano per malati terminali. Ogni tanto i Controllori si fanno vedere per arrestarne qualcuno, ed ecco che i sedicenti moribondi spariscono a gambe levate. Non è comunque un bel quartiere ed io non dovrei starci da sola, ma è l’unico punto in cui il tramonto sia perfetto e meraviglioso. Non mi meraviglia la scelta di questa zona come quartiere artistico, ma mi incuriosisce la decaduta che il posto ha avuto. È così triste vederlo grigio e spento, mentre il cielo esplode in un fuoco rovente di colori.
I gradini del Sacro Cuore sono scomodi e freddi, ma mi sembrava il posto migliore per stare da sola e ragionare su ciò che mia madre mi ha raccontato.
Mio padre faceva davvero parte della Resistenza, ed è iniziato tutto circa due anni fa. Io non mi sono mai accorta di niente perché sia lui che mia madre hanno mantenuto il segreto, ed erano convinti di esserci riusciti anche con Tristan, che tuttavia si è dimostrato più scaltro e sveglio di me.
Mi ha raccontato che all’inizio lei non era molto contenta della scelta, ma mio padre non aveva fatto nessun passo azzardato perché non voleva metterci in pericolo. Col passare delle settimane, però, mia madre aveva notato dei cambiamenti nella società: ciò di cui la Resistenza si lamentava, era vero e fondato. La gente non era felice, non agiva per il puro piacere personale, ma per rimanere in regola, per paura di uscire dai limiti imposti dal Governo. Era una dittatura. Così si convinse anche lei che la Resistenza avesse ragione, e che forse qualcosa si poteva davvero fare.
Mio padre iniziò, così, ad entrare nei circoli segreti di piccoli gruppi in contatto gli uni con gli altri. Minuscole riunioni dove per lo più si stilava un elenco delle falle del sistema, ed ogni tanto si parlava di chi era stato arrestato. Con molte probabilità adesso avrebbero parlato anche di lui.
Mia madre non sa di preciso cosa accadesse in quelle riunioni, ma ognuno aveva un ruolo ben preciso. Mio padre, un tecnico elettricista, probabilmente aveva una mansione consona al suo lavoro. Non era vero che le sue recenti occhiaie fossero a causa del suo impiego, ma per causa di Tristan.
Nel momento esatto in cui Tristan venne nominato Controllore, mio padre ebbe paura. Non per sé, o per noi, ma per Tristan stesso. Temeva che l’avrebbero rovinato, ed invece è stato lui a rovinare noi. Adesso non ho idea di dove mio fratello sia, e nemmeno mia madre.
Sono rimasta in silenzio dopo che mi ha raccontato tutto. In silenzio a domandarmi come fosse possibile non accorgermi di tutto ciò. Non sono riuscita a dirle di Louis Tomlinson ed Harry, di Londra, della Corte dei Miracoli. Sono stata zitta e lei mi ha chiesto se volessi un bicchiere d’acqua.
Sollevando il viso, davanti a me ho Parigi e l’orizzonte infinito. Ci sono case, edifici, ombre, macchine, ponti e tanto altro ancora che non riesco a vedere né a delineare. In quelle vie, tra quelle strade ed in mezzo a quelle persone, mio fratello ha tradito la nostra famiglia e mio padre è rinchiuso in Centrale come traditore. Ci sono persone che tentano di scappare, di rovesciare la medaglia e di donare alla Francia e a Parigi un nuovo volto, una libertà che non conosciamo.
Io non so cosa sia la libertà. Non mi è concesso saperlo. Ma se tutto questo è riuscito a portarmi via mio fratello e mio padre, allora è sicuramente sbagliato. E deve cambiare.




Buonasera a tutte/i! Come state? :) Spero che il capitolo vi sia piaciuto! So che nell'altro vi ho lasciate parecchio sulle spine, me l'avete scritto anche nelle recensioni, e spero che le spiegazioni che Margot dà ad Aline in questo nuovo capitolo, siano state più o meno soddisfacenti. Da questo momento in poi, Aline non farà altro che scoprire sempre più cose riguardo la Corte dei Miracoli e tutto ciò che concerne la Resistenza, perché è alimentata da una rabbia e da una delusione troppo grande per stare ferma. Comunque, un po' per tutta la storia, Aline si ritroverà più che altro a subire ciò che le accade, non a scegliere per davvero di ritrovarsi immischiata in determinate situazioni.
Spero che questo capitolo e i prossimi vi piacciano e mi farebbe tanto piacere sapere i vostri pareri :) un bacio :*

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***




CAPITOLO DODICI
La casa senza mio padre e senza Tristan è spoglia, vuota, silenziosa e tetra. L’orologio a pendolo in cucina scandisce i secondi come una ghigliottina che mozza una testa dopo l’altra.
Non sappiamo nulla. Non sappiamo se papà sia vivo, se stia bene, cosa gli stiano facendo e se ci saranno delle ripercussioni su di noi. Non sappiamo niente nemmeno di Tristan.
Mia madre si aggira per le stanze della casa come un fantasma, l’ho sentita parlare con una vicina di casa di lavoro e di bollette. Io non mi occupo di queste cose, i miei genitori mi hanno sempre tenuta fuori dai loro guadagni, ma non credo che il solo impiego di mia madre sia in grado di mantenerci entrambe. Io devo ancora terminare gli studi, che hanno un costo ben preciso.
Più ci penso, più mi accorgo di quanto tutto segua uno schema perfetto in cui non è possibile sgarrare, fare delle imprecisioni. Superare i limiti equivale ad andare contro la legge, e noi due non possiamo più permettercelo.
Sono sola in casa quando suona il campanello. Con i capelli legati in una treccia, mi trascino verso l’ingresso guardando dallo spioncino. È un Controllore.
La sua divisa nera con la spilla argentata mi agitano immediatamente. Suona di nuovo, trasalisco e sento le mani sudare. Non ho nessuna scelta, devo aprire.
Deglutisco e mi sento avvampare per l’agitazione, quando abbasso la maniglia della porta e la apro. L’uomo che mi sta di fronte è altissimo, mi guarda con espressione seria e severa, e le mani congiunte sull’addome.
« Aline Dupont? » mi chiede.
« Sì » la mia voce è poco più di un sussurro, credo di aver semplicemente espirato.
Le sue mani si separano, ne infila una nella giacca e toglie fuori una busta giallognola col sigillo della Centrale, porgendomela. Quando la prendo, mi concede un misero cenno del capo e poi se ne va, salendo sul furgoncino nero che parte subito. I vetri oscurati non mi permettono di vedere chi c’è all’interno, e mi domando se mio fratello fosse seduto proprio in quel mezzo, a guardarmi.
Rientro in casa con la busta tra le mani, conosco questo genere di cose. Queste buste sono tipiche della Centrale, ma nessuno era mai venuto a consegnarmela personalmente.
La apro e sfilo un foglio di carta bianca scritto solo per qualche riga. Il mio cuore prende a battere all’impazzata e mi sento soffocare.
Mi hanno convocata per un nuovo controllo.
 
L’aria fredda mi punge i polmoni, le mie gambe stanno per cedere ma io continuo a correre perché è l’unica cosa che posso e devo fare. Ricordo la strada a memoria, il sole è già calato e mia madre non era ancora rientrata in casa quando sono scappata. Sento che potrei crollare al suolo da un momento all’altro, ma mi spingo ad andare avanti fino alla fine.
Quando imbocco la stretta via e sento già le prime musiche, so di essere arrivata e mi sento un po’ più in salvo. Una volta superato lo sbocco, la Corte dei Miracoli mi appare gremita di gente, ma non come nelle tarde ore.
Mi guardo attorno col fiatone, il mio petto si alza e abbassa ad una velocità inaudita e non so bene dove cercare. I locali sono diversi e tanti, le persone non sembrano notarmi e non so quanto, effettivamente, possa spingermi a chiedere loro dell’aiuto. Mi sento confusa, ho voglia di vomitare e poggio le mani sulle mie ginocchia, socchiudendo gli occhi per regolarizzare il respiro, con l’aria che mi raschia la trachea.
Una mano si posa pesante sulla mia schiena e balzo di nuovo su, vigile.
« Adrien! » sono quasi felice di vederlo qui, e d’istinto la prima cosa che faccio è abbracciarlo. Interdetto, mi stacca dal suo corpo con imbarazzo, guardandosi poi attorno. Le mie mani si stringono attorno ai suoi gomiti.
« Devo parlare con Harry e Louis, è urgente. »
Aggrotta la fronte, mi guarda perplesso e capisco che è scettico.
« Per favore! È importante! »
Parlo col fiatone, mi sento pesante ed instabile. Adrien assottiglia le labbra, ma poi mi fa cenno di seguirlo e ci incamminiamo.
Louis ed Harry sono in un pub non lontano, tra di loro quattro birre di cui, apparentemente, tre sono di Louis e quella piena per metà è di Harry. Stanno giocando a carte, sono molto concentrati, così tanto che non ci vedono arrivare. Solo quando Adrien è di fronte al loro tavolo, Louis solleva gli occhi.
« E tu cosa ci fai qui? » mi apostrofa. La mia gola pizzica.
« Aline » adesso anche Harry ci ha visti. Sono entrambi sorpresi, ma Louis sembra seccato.
« Ho bisogno del vostro aiuto. » dico, inumidendomi le labbra. Adrien mi è accanto e mi guarda dubbioso.
Harry si alza in piedi e mi posa le mani sulle spalle.
« Stai bene? »
Scuoto subito la testa e sento la rabbia e la frustrazione colpirmi ad ondate. Non trovo aria con cui respirare, il mio cuore batte troppo veloce. Sta succedendo proprio come avevo detto Odile.
« Mio fratello » biascico. « Ha tradito mio padre e l’ha fatto arrestare. Era nella Resistenza e Tristan ha fatto in modo che quelli della Centrale lo venissero a sapere. »
Harry mi guarda attento e vigile, i suoi occhi sono puntati su di me. Stringe la presa sulle mia spalle.
« Ci ha traditi! »
« Stai calma, è tutto ok. »
« No, non è tutto ok! » esclamo, guardando anche Louis, che non sa bene come comportarsi o cosa dire. « Mi hanno convocata in Centrale per un nuovo controllo! Capisci? »
Harry sposta lo sguardo su Louis, che ora è sgomento. La mia agitazione non si placa, mi sento in trappola.
« Se le fanno un controllo è la fine. Scopriranno tutto di noi e della Corte. » decreta Louis.
Harry deglutisce, io sento la mia stessa pelle scomoda.
« Vieni con me. » mi prende per mano e mi porta fuori, con Louis e Adrien alle spalle.
« Che cosa vuoi fare? » domanda il primo, cinico.
« Hai detto tu stesso che se le fanno un controllo scopriranno di noi, no? »
Non risponde, Harry mi trascina con sé.
« Allora dobbiamo fare in modo che lei li blocchi. »
Non capisco a cosa Harry si riferisca. Cosa dovrei bloccare? I test sono infallibili.
Ci incamminiamo in una via più piccola della Corte, che oggi è azzurra. Entriamo in un locale dalla porta nera con un pipistrello grigio disegnato sopra e vengo colpita dal fumo annebbiante. Harry continua a tirarmi e sento Louis ed Adrien alle mie spalle.
Ci sono una serie di LED blu sul soffitto che creano un’atmosfera rilassante. Due tavoli da biliardo sono disposti al centro della stanza, mentre i divanetti bianchi riflettono la luce. Harry si ferma davanti ad uno di essi dove c’è un ragazzo di colore in compagnia di due ragazze, una coi capelli chiari legati in una coda alta e l’altra con diversi piercing sul viso, entrambe masticano una gomma e sono identiche, gemelle.
« Malo? » non appena Harry lo chiama, il ragazzo si volta verso di noi.
« Hey, forestiero! » lo saluta, sorridendogli raggiante e dandogli la mano. « Cosa ti porta da queste parti? »
« Ho bisogno di chiederti un favore. »
« Certo amico, dimmi pure. »
Harry lascia scorrere lo sguardo un po’ ovunque, poi abbassa la voce ma intestardisce il tono.
« Non qui. »
A quel punto, allora, il sorriso di Malo si affievolisce e capisce che è qualcosa di serio.
« D’accordo, seguimi. » la sua voce è piatta, si alza dal divanetto sotto lo sguardo delle gemelle e ci indica di seguirlo. Fa un cenno di saluto sia a Louis che Adrien, mentre gli passa davanti e si dirige verso una porta chiara, difficile da distinguere dal resto del muro.
Ci troviamo in un piccolo ufficio con una scrivania, una sedia girevole e due poltroncine. Un sigaro è poggiato sul tavolo in vetro, e ci sono delle foto che non vedo perché sono rivolte verso l’altra parte. Malo si dirige proprio verso quel lato, sedendosi sulla sedia girevole.
« Allora, deduco che sia qualcosa di importante. »
Harry deglutisce ed annuisce una sola volta. Poi, mi indica con una mano.
« Lei è Aline. »
Malo rivolge i suoi occhi scuri su di me, sorridendomi con un gesto di saluto.
« Cognome? »
« Dupont »
Vedo subito il mutamento della sua espressione. Diventa più serio, il sorriso scompare.
« La figlia di Antoine Dupont? »
Sgrano gli occhi. « Conosci mio padre? »
Lui contrae la mascella, assottiglia le labbra ed annuisce. « Sì, eravamo in molti a conoscerlo. Non si presentava mai alla Corte dei Miracoli, ma era un valido membro della Resistenza, con delle ottime idee. » dice. « Mi dispiace per quello che è successo. »
Stringo i pugni e non dico altro. Parla di mio padre al passato, come se fosse morto o non esistesse più. Ci pensa Harry a rompere il silenzio al mio posto.
« Aline è stata richiamata per un controllo. »
Malo si inumidisce le labbra. « Non mi stupisce. » dice.
« Se lei si presenta al controllo, per noi è la fine. » aggiunge Louis.
« Non presentarti allora. » Malo scrolla le spalle ed io mi sento subito contro il muro. Guardo Harry, che però non parla e mi restituisce lo sguardo perché sono io che devo rispondere.
« No, io… » mi perdo nelle mie stesse parole. Se non mi presentassi, le conseguenze sarebbero terribili. « Non posso lasciare mia madre da sola, ha perso mio padre e mio fratello nello stesso momento. »
Malo unisce le mani davanti al viso, formando un triangolo perfetto. Louis sospira in maniera molto rumorosa, scocciato ed irrequieto.
« Malo, sai perché sono venuto da te. Se Aline avesse potuto evitare il richiamo, non ti avrei mai scomodato. » dice Harry.
Malo solleva lo sguardo su di lui e non risponde. Non si parlano ma continuano a fissarsi insistentemente.
« Per favore. È importante. »
« Questo non è un gioco, Harry. » Malo pronuncia il suo nome in maniera tipicamente parigina, diverso dal modo in cui Harry stesso parla. Stanno decidendo per me, parlano di qualcosa che non capisco.
« Malo ha ragione, » concorda Louis. « potrebbe non farcela. »
« Ce la farà. » insiste Harry, come se io non fossi qui. « È abbastanza forte e determinata da riuscirci. »
Malo sospira ed inclina il capo a sinistra, poi rivolge i palmi delle mani verso di noi, come se si stesse arrendendo.
« D’accordo, come vuoi. Vi faccio strada. »
Ci precede ed io non ho la minima idea di cosa stia succedendo. Prima di seguirlo, Harry lascia scivolare la sua mano nella mia, afferrandomela. Non lo dice a voce alta, ma è preoccupato anche lui.





Punto primo: mi stavo dimenticando di aggiornare, e sono una pessima persona per questo, me ne rendo conto!! Punto secondo: heeeeeeeeey, quante cose!!! Aline viene richiamata in Centrale, entra nel panico totale e cosa fa? Va dalle uniche persone che crede possano aiutarla e che, a quanto pare, hanno una soluzione per lei. Chi è Malo? Aline si può fidare di lui? E che cosa dovrebbe fare? Perché Harry si è rivolto a lui?
Si parlerà ancora di Malo, ovviamente, e nel prossimo capitolo si scoprirà che cosa sta succedendo in queste scene e che cosa deve affrontare Aline :)
Scusate ancora per il ritardo, spero che il capitolo vi sia piaciuto :* buon weekend!!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***




CAPITOLO TREDICI
Mi sembra di essere in una stanza delle torture e invece, a quanto pare, questo è il luogo che potrebbe salvare tutti noi: c’è un lettino con accanto un monitor ed una sedia girevole bianca. Se non fosse per le pareti spoglie e scure, invece che bianche, giurerei di essere in Centrale per il controllo.
Harry mi tiene ancora la mano e lo guardo intimorita.
« Mio fratello Gabriel lavora alla Centrale come Controllore Speciale. » dice Malo. I Controllori Speciali sono quelli che effettuano i controlli sui cittadini che vengono richiamati. Malo continua a parlare. « È riuscito ad entrare con l’unico scopo di fornirci informazioni utili a depistare la Centrale ed anticipare le loro mosse. Qualsiasi campione dei loro sieri, sta proprio qui dove siamo noi. »
Adesso mi è quasi tutto chiaro. Il lettino, il monitor, i sieri. È un test. Un test di controllo esattamente come quelli in Centrale.
« Se vuoi lasciarli fuori, devi prima provare. » Malo mi guarda serio, ha gli occhi grandi e le labbra piene. Deglutisco.
« Ce la puoi fare. » mormora Harry, stringendo la mia mano.
« Dove vedrete le cose che mi passano per la mente? » chiedo.
Malo fa un cenno col capo verso la parete alle mie spalle. « Su quello schermo. Io monitorerò la visita e sapendo cosa non vogliamo che trovino, andrò subito a cercare tra le informazioni che ci riguardano. Sta a te tenermi fuori. »
Ho capito. Devo superare questa prova se voglio tenere fuori il vero pericolo.
Annuisco cercando di essere coraggiosa.
« Vieni, sdraiati. »
Lascio la mano di Harry e mi accomodo sul lettino. Malo armeggia con dei sensori e poi me li posiziona su entrambe le tempie, come da procedura. Successivamente inizia a lavorare coi sieri.
Sul fondo della stanza, Adrien sta parlando a Louis tramite gesti, ma questo non gli risponde. Ha lo sguardo preoccupato, sta in silenzio e ogni tanto fissa Harry, in piedi con due dita pressate contro le labbra. È in pensiero, ma non so dire se lo sia per me o per la situazione.
« Quando è il richiamo? » mi chiede Malo. Lo guardo, è serio e concentrato. Cerco di non spostare lo sguardo sulla siringa con cui aspira il siero scuro.
« Domani. » rispondo.
L’alzata delle sue sopracciglia la dice lunga.
« Allora farai meglio a sorprenderci tutti quanti. »
Mi inietta il siero con una rapidità fulminea, e sento il liquido scorrere fastidioso nelle mie vene. Il monitor e lo schermo si accendono, il mio respiro accelera. Malo si è collegato al mio cervello con altri due sensori.
« L’hai fatto altre volte? » gli chiedo piano. Il siero sta facendo effetto, apro e chiudo le mani nella speranza di rimanere vigile e di contrastarlo.
« Sì, alcune. »
« E come sono andate? »
Inspira. « Sono riuscito a convincerli che non presentarsi fosse la soluzione migliore. »
Questo non mi fa affatto stare meglio. Guardo Harry, in piedi e teso come la corda di un violino. È l’ultima cosa che vedo.
 
« Aline? Aline, sveglia. »
Malo mi scuote con forza e riprendo conoscenza. Lo guardo alienata, poi vedo Harry dall’altro lato. Mi sento strana, storta.
« Com’è andata? » domando. Non ricordo assolutamente niente.
Malo alza di nuovo le sopracciglia e capisco che lo fa quando preferirebbe non dire niente.
« Hai un GPS così perfetto che sono riuscito ad arrivare alla Corte direttamente da casa tua. »
Mi sento sprofondare. Non ha funzionato.
« Ho un’ottima memoria un po’ per tutto, purtroppo. »
Malo si volta verso Harry, è tremendamente serio. « Non funziona. » dice, scuotendo la testa.
« Ma deve. » replica Harry.
« Non possiamo rifarlo? » domando io.
Malo mi guarda. « Sì, se te la senti. »
« Me la sento. »
« Focalizzati su altro. » mi dice Louis, avvicinandosi con le braccia incrociate. « Adrien dice di pensare ad altro, questo ti aiuterà a stare lontana dalle cose che non vuoi mostrare. »
Annuisco. « D’accordo. »
Malo ripete la procedura, ed io mi concentro su altro.
Penso a Tristan e a mio padre, a Josée, ma anche in questo caso non aiuta.
Ho raccontato a Josée di Louis ed Harry, e a quanto pare loro lo vedono. Quando mi risveglio la seconda volta, Louis è furibondo.
« Che diavolo ti dice il cervello? »
« Calmati, Louis. » Harry si mette in mezzo, Louis sembra quasi che voglia aggredirmi fisicamente. Guarda Harry come a volerlo uccidere.
« Calmarmi? » sbraita. « Come faccio a calmarmi dopo una cosa del genere? »
Io sono rintontita. Mi sento spossata ed accaldata, la mia mente vortica come se avessi la nausea, ma c’è qualcosa di positivo in tutto questo: mi ricordo ciò che si è visto, quello che il mio cervello ha mostrato. Mi sento inebetita, mentre Louis continua accanito.
« Non avevi nessun diritto di dirle cos’abbiamo intenzione di fare! »
« Louis, non capisci! Lei ci ha salvato la vita! Se siamo qui, vivi e vegeti, è soltanto grazie al suo avviso! »
« Potremmo morire da un momento all’altro, ma non ci arrivi? »
« Tutto ok? » Malo richiama la mia attenzione su di sé.
Non rispondo subito. Sono intorpidita e meravigliata.
« Ricordo quello che vi ho mostrato. Le esatte scene, tutto. »
Lo vedo arcuare leggermente la fronte, sorpreso. Louis ha smesso di sbraitare ma continua a rimproverare Harry, mentre Adrien si mette in mezzo per separarli.
« Bene. » Malo annuisce. « Vuoi riprovare? »
« Sì »
« Se non ce la fai basta che me lo dici. »
Mi inumidisco le labbra, scuoto la testa « No » dico, sicura. « Ce la faccio. »
Voglio arrivare fino in fondo, dimostrare a Louis che si sbaglia. Malo prepara la terza seduta.
« Di nuovo? » Harry è agitato. « Le farà male. »
« Ha fatto dei progressi. » risponde Malo, più serio di prima. « È riuscita a rimanere vigile durante il test. »
Harry mi guarda. Mi suda il viso ed il collo, mi sento avvampare per lo sforzo. Le mie mani continuano ad aprirsi e chiudersi. Inizio già a pensare a Tristan e a mio padre, a mia madre che parla con Louane.
« Sei pronta? » Malo adesso me lo chiede, prima di iniettarmi il siero. Io annuisco con un misero gesto, ed ecco che il liquido confluisce di nuovo col mio sangue. Stavolta sono io che chiudo gli occhi, abituandomi a quest’oscurità. Louane siede di fronte a mia madre, io sto origliando, loro parlano. Mia madre piagnucola, i Controllori entrano in casa, prendono mio padre e lo portano via. È Tristan ad averlo fatto arrestare, cerco di aggredirlo ma non mi è possibile. C’è Josée, le voglio bene, l’abbraccio, ho avuto un attacco di panico e siamo fuori a parlare, sto bevendo la sua acqua, mi chiede se stia succedendo qualcosa, e io so cosa le ho raccontato, lo sanno anche Malo, Harry, Louis e Adrien. Ma non lo deve sapere nessun altro. Mi concentro, non è reale, è un ricordo, posso decidere io cosa fargli vedere. È la mia mente, loro stanno guardando, io posso bloccarli.
Josée mi parla, siamo da Sofian, mi dice di Lucas, sta sorridendo. Io sono a casa mia, sono coricata, fuori piove. Tristan mi passa i piatti da asciugare, qui ho incontrato Louis, ma invece lo vedo solo al telegiornale, è ricercato. Poi mi sveglio e ho il fiatone e brividi di freddo.
Malo mi guarda sgomento, c’è del silenzio.
« Allora? » chiedo.
Mi sorride appena, colpito. « Ce l’hai fatta. » dice. « Ci hai bloccati fuori. Hai scelto tu. »
Sospiro, socchiudo gli occhi. Ho freddo e sete, le mie mani sono aperte. Harry allunga la sua per stringere la mia. Non sento Louis lamentarsi e questo è già un grosso passo avanti.





Un piccolo passo in avanti per Aline, un grande passo in avanti per voi che scoprite sempre più come sia strutturata la Resistenza. Il personaggio di Malo si rivela essere molto importante e forte, Harry si fida ciecamente di lui e lo stesso fanno Adrien e Louis, anche se quest'ultimo non sembra vedere Aline di buon occhio. Le precisazioni verranno a tempo debito, riguardo il suo comportamento scontroso. In realtà Louis non sarà sempre così :)
Se riscontrate che il capitolo sia troppo confuso ditemelo tranquillamente, come al solito io mi immedesimo nei personaggi e sono più loro che io a scrivere ahahah
Grazie mille per aver letto, come sempre attendo i vsotri commenti :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***




CAPITOLO QUATTORDICI
La simulazione del test è durata più di quanto mi sia sembrato. Mi dicono che è notte fonda, e Louis è il primo ad andare via, assicurandosi di lanciarmi un’occhiata eloquente. So bene che il suo destino dipende da me, non c’è bisogno che mi metta altre pressioni o ansie, ma dopotutto lui non si è mai fidato di me. L’unico che ha riposto qualcosa nelle mie mani, siede ai piedi del lettino e mi guarda mentre mi asciugo il sudore dal collo. Harry non dice niente.
Malo mi porge un bicchiere d’acqua che tracanno avidamente, sotto lo sguardo attento dell’inglese.
« Grazie. »
« Va meglio? » mi chiede il ragazzo di colore.
Annuisco. Lui sorride appena.
« State pure qui quanto volete. Mi troverete di là. » dice.
Malo gestisce il locale in cui l’abbiamo trovato, che è conosciuto per essere il ritrovo dei gemelli. Tutti i fratelli gemelli, omozigoti ed eterozigoti, si riuniscono lì per conoscere altri simili. I gemelli sono oggetto di studio frequente da parte della Centrale, per questo la maggior parte dei disertori sono come loro. Questo, Malo me l’ha detto poco fa, mentre stanca ed un po’ rintontita, fissavo il vuoto chiedendogli come fosse arrivato qui.
Restiamo solo io e Harry, che continua a guardarmi con insistenza. Gli restituisco un’occhiata intimidita ed imbarazzata.
« Che c’è? » chiedo.
Stringe le labbra e le spalle, scuotendo piano la testa.
« Sei una persona coraggiosa. »
Non mi aspettavo mi dicesse una cosa del genere, e mi trova impreparata. Sorrido appena, non riesco a ringraziarlo e non sono sicura sia la risposta adatta, perciò guardo altrove.
« Potrei non farcela. » gli dico.
« No » mi risponde, sicuro e calmo. « Ce la farai. »
« Come fai ad esserne sicuro? »
È chiaro che Harry non sia uno di noi. Chiunque capirebbe che è diverso dalla Parigi controllata, perché ha dei modi di fare ed usa delle parole così inusuali per me, per noi. Lui è libero, mentre io no.
« Perché sei come me. »
Lo guardo confusa.
« No » ribatto. « Io sono controllata. »
« Non mi riferivo a quello. » dice, inumidendosi le labbra e senza smettere di guardarmi. « Ma a quello che hai dentro. Quello che sei per davvero. »
« Come fai a sapere come sono per davvero se ho passato tutta la mia vita ad effettuare dei controlli continui per essere in regola? »
Sembra pensarci su, distoglie gli occhi dal mio viso per portarli in basso. Sono confusa. Ragionandoci, capisco di non conoscermi affatto. Ho trascorso la mia intera esistenza sotto il controllo di qualcuno, rispettando regole autoimposte. Chi sono io, davvero?
« Sei qui. » dice Harry. « In una zona di fuggiaschi e traditori, che tenti disperatamente di bloccare chiunque cerchi di leggerti nella mente, nei ricordi. Sei qui perché vuoi aiutarci e salvarci, perché ti hanno portato via qualcosa. Qualcuno. »
È cupo e serio contemporaneamente. Non ha finito di parlare.
« Come me. »
Respiro a fondo ed in silenzio, osservandolo.
« Chi hai perso? » la domanda mi sfugge senza che me ne accorga. Harry stringe le labbra e si volta. Ho quasi paura di aver detto qualcosa di sbagliato, di aver commesso un errore, ma invece di andare via mi rivolge le spalle, sfilandosi la maglietta di dosso. Trattengo il fiato.
La sua schiena è cosparsa di cicatrici di ogni tipo: ci sono marchi di bruciature, tagli profondi, graffi, lacerazioni rimarginate. La mia mano destra si avvicina tremante alla sua pelle calda, toccandola con cautela. Sento quasi il dolore che può aver provato mentre le mie dita sfiorano la pelle in risalto e arrossata.
« Mia madre era la sorella gemella della madre di Louis. » mi spiega. « L’hanno convocata per dei test. Non è mai più tornata a casa. »
Il mio cuore batte forte e poggio il palmo sulla sua carne malandata. Ci sono dei nei sparsi qua e là, che tocco con le punte delle dita della mano sinistra. Harry continua a parlare.
« Quando sono arrivato qui, non sapevo bene come muovermi, così mi hanno catturato e torturato. Volevano che rivelassi loro dove fossero i fuggiaschi ed i traditori, ma non lo sapevo. Non avevo ancora incontrato Louis, non conoscevo questo mondo. È stato Adrien il primo che ho conosciuto, eravamo vicini di prigione, nelle segrete della Centrale. »
Ecco come fa a sapere di Adrien e della sua lingua. Mi viene la nausea mentre continuo a tastare la sua pelle, come se le mie mani potessero guarirlo.
Volta appena il viso nella mia direzione, cercandomi.
« Non lasciare che ti trovino. » dice autoritario. « Quello che ti fanno equivale a quello che vedi nella mia schiena, ma i tuoi segni non sono visibili ad occhio nudo. »
Si allontana, si alza e si rinfila la maglietta. Io sono ancora interdetta.
« È come una malattia mentale, la depressione o un disturbo del genere: non ne vedi le cicatrici, ma c’è, è reale. »
« Che cosa devo fare? » glielo chiedo perché mi fido. Perché, oltre a mia madre e Josée, è l’unico che mi è rimasto.
Harry mi guarda a lungo, inspira dalle narici allargate, le sue spalle muscolose che si alzano ed abbassano col petto.
« Fottili. » mi dice. « Fotti il sistema. »
Voglio essere libera. Non voglio più essere controllata. Voglio essere io a controllarli. E forse lo posso fare.




Un capitolo molto piccolo in cui viene raccontato ciò che è successo a Harry, spiegando i motivi che l'hanno spinto ad arrivare a Parigi e a diventare il personaggio che noi stiamo conoscendo. Questo suo aprirsi con Aline e il fatto che si prenda cura di lei, è molto importante per il loro rapporto. Aline si fida sempre più di lui, a tal punto da dargli ascolto e da credere più alle sue parole, che a se stessa. Non a caso, infatti, inizia a domandarsi chi sia lei veramente, visto che ha trascorso tutta la sua vita secondo delle regole ben precise e dei controlli continui.
So che il capitolo è parecchio corto e che probabilmente vi aspettate qualcosa di più, ma le parti più importanti della storia stanno arrivando veloci come un treno, ed in breve vi ritrovere dentro la trama in un batter d'occhio, quasi come Aline.
Grazie mille per aver letto e buon weekend :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo quindici ***




CAPITOLO QUINDICI
Mia madre non mi accompagna. Arrivo in Centrale con qualche minuto d’anticipo, la lettera del richiamo stretta tra le dita e il cuore in gola. Quando entro, le guardie armate mi squadrano da capo a piedi, controllandomi col metal detector e lasciandomi passare quando appurano che non ho niente di pericoloso con me. L’operatore allo sportello successivo è giovane e annoiato, mi guarda inspirando a fondo. I suoi occhi grigi mi animano qualcosa di negativo che non riesco a descrivere. È come se stessi guardando un leone che può sbranarmi da un momento all’altro. Improvvisamente, mi sento sepolta dall’ansia.
« Prego? »
Gli porgo il richiamo con le mani che tremano, affrettandomi a nasconderle il prima possibile perché ho paura che il minimo mio turbamento possa scatenare qualcosa. Come se potesse capire che ho dei segreti da nascondere.
Mi è sembrato tutto fin troppo facile fino ad ora. Mi accorgo che, in realtà, sto correndo un pericolo enorme e non sono totalmente sicura di reggerne il peso.
Gli occhi chiari dell’operatore mi guardano, dopodiché si alza.
« Da questa parte, signorina Dupont. »
Deglutisco e lo seguo. In realtà so già dove sta andando, per questo mi concentro sulle mie mani. I suoi passi sono ben studiati e distanziati gli uni dagli altri, seguono un ordine ben preciso che mi sforzo di imitare. Non so perché, ma è come se mi sentissi un’estranea, diversa e colpevole.
Superiamo una porta scorrevole che apre con il suo badge, e ci intrufoliamo tra i corridoi. Non abbiamo camminato molto quando raggiungiamo una seconda porta, quella dove mi farà accomodare per attendere il mio turno. Voltandomi alla mia destra, incuriosita da alcune voci, scorgo delle figure passeggiare lungo il corridoio che si interseca col mio. E lo vedo.
Tristan si muove sicuro di sé, autoritario ed imponente, i suoi passi echeggiano in questo candore e mi rimbombano nella testa, rimbalzando contro il mio corpo. Come un boomerang, come se percepisse i miei occhi su di lui, si volta a guardarmi ed io smetto di respirare. Dura qualche istante che mi sembra un’eternità, ma è la prima volta che io e mio fratello ci incontriamo dopo l’arresto di mio padre. Le mie sopracciglia si arcuano in un’espressione delusa ed irata, e la voce dell’operatore mi richiama alla realtà prima che uno di noi due possa fare o dire qualcosa.
« Signorina Dupont? »
Questo cognome è l’unica cosa che mi lega a mio fratello. Ci penso varcando la soglia e lasciandomelo alle spalle, così come lui ha fatto con me e la mia famiglia. Mi domando se tra queste stesse mura ci sia anche mio padre, o ciò che ne resta di lui. Ed improvvisamente, mi sento vulnerabile e spoglia.
 
È Victoire che mi accoglie. È sempre lei che mi fa i test. Il suo collo bianco è scoperto, lo chignon nero è sempre al suo posto. Mi sembra come se non fosse reale.
Quando mi vede, mi sorride debolmente.
« Aline » dal suo tono di voce capisco che conosce la mia situazione. Chi non la conosce, in questo posto? Probabilmente il mio cognome è sulle bocche di tutti. Mi accomodo subito sulla sedia e Victoire si avvicina alla sua postazione. La stanza di Malo è diversa da questa per alcuni piccoli dettagli: non c’è uno schermo dove vengono proiettati i miei ricordi, perché soltanto Victoire li può e li deve vedere. È lei il Supervisore del mio test.
« Come stai? » mi chiede.
« Bene. » mento. Non è stato difficile dire questa prima bugia. Posso ancora completare la mia missione. In fondo, devo farlo.
La vedo trafficare coi cavi, mi posiziona i sensori sulle tempie e digita qualcosa sul monitor. So che stiamo per iniziare quando la vedo posizionare altri due sensori sulle sue tempie. Il siero non è ancora pronto, però. Victoire si sporge per prenderlo e prepararlo, io apro e chiudo le mani come ho fatto con Malo. Inizio a concentrarmi. Penso a Josée, a mio padre, a Tristan e a mia madre. Penso a tutto ciò che non comporta la Corte dei Miracoli, Harry, Adrien o Louis. Penso all’ultimo test che ho fatto con Malo e decido che ciò che ho mostrato in quella seduta, devono essere le stesse cose che mostrerò anche a Victoire. Victoire che, tuttavia, si sta prendendo il suo tempo e sta impiegando più del previso per prepararmi.
Si schiarisce la gola.
« Mi dispiace per quello che è successo. » dice. Io stringo i pugni. « Posso solo immaginare quanto sia stato difficile e atroce per te e tua madre. »
Non rispondo e lei mi lancia un’occhiata. Adesso ha il siero in mano.
« Tristan è molto fedele alla Centrale. »
Le mie dita tremano un po’. Non è di Tristan che voglio parlare. Victoire sembra leggermi nella mente.
« E tuo padre è ancora vivo. »
La guardo subito. In me scatta qualcosa di molto forte, che mi agita. Sento il mio cuore battere veloce, mi rimbomba nella cassa toracica. Vorrei chiederle altro ma sono timorosa; non so quanto mi possa spingere oltre. Lei mi guarda come se sapesse. E poi mi inietta il siero.
Mi trova spiazzata, non riesco a controllarmi. Perdo coscienza quasi subito, le mie dita sembrano staccarsi ed andare per conto loro. Victoire mi ha destabilizzata colpendo i miei punti deboli. È questo quello che fanno in Centrale: ti battono perché sanno dove colpire. Avendoti sotto controllo conoscono ogni tua singola debolezza.
Cerco di manipolare la visita ma è tutto inutile. Vedo Harry, Adrien e Louis. La Corte dei Miracoli, mia madre, Josée. Mio padre e Tristan. Malo. Vedo tutto quello che non dovevo vedere, fallendo.
Mi risveglio con uno spasmo, mettendomi subito a sedere. Victoire è più pallida del solito ed i miei occhi fanno male per quanto li ho spalancati. Ho la gola secca, ma tutto ciò che riesco a fare, a quanto pare, è respirare con l’affanno. Ho fallito, ho fallito miseramente e sono terrorizzata. Le mie gambe tremano, devo trovare qualcosa da dire prima che sia troppo tardi, ma cosa?
« Victoire… » è poco più di un sussurro, ma lei scatta subito in piedi.
« Non dire una parola, Aline. »
È agitata. Mi zittisco subito. Sto immobile al mio posto e lei stacca tutti i sensori – i miei, i suoi – con una rapidità che, se possibile, mi agita ancora di più.
« Victoire, io… »
« Ascoltami bene. » mi prende per le spalle, guardandomi dritta negli occhi. Mi sento avvampare per l’inquietudine. « Non devi raccontare niente a nessuno, ok? »
Aggrotto la fronte. Victoire sostiene il mio sguardo con tenacia.
« Nessuno deve sapere quello che hai visto. Non parlarne con nessuno, fila dritta a casa e non dire niente nemmeno a tua madre. Ti tengono d’occhio, Aline. Tengono d’occhio tutti quanti, ma voi in particolare. »
Non capisco. Victoire mi sta mettendo in guardia da qualcosa per cui lei stessa lavora. La confusione della mia testa dev’essere molto eloquente, perché lei continua a parlare.
« Tuo padre è ancora vivo perché hanno bisogno di lui per arrivare al fulcro della ribellione, ma se trovassero te, per lui sarebbe la fine, così come per tutti i ribelli. »
Apro e chiudo gli occhi cercando di collocare queste informazioni in uno spazio della mia mente dove non regna il caos.
« Dirò che la tua visita è andata bene esattamente come tutte le altre ma non posso assicurarti che ti assegneranno sempre a me. Ti vogliono debole, Aline, perché sei nel loro mirino. Tu, nella tua famiglia, sei quella che reputano la più innocua, ma sei anche quella che potrebbe cambiare tutto. »
La guardo frastornata. « E come? »
Victoire si inumidisce le labbra e poi parla a voce bassa, come se potessero sentirci.
« Vattene da questo posto. Rifugiati dove sai che possono tenerti al sicuro. »
Scuoto subito la testa. « Non posso lasciare mia madre da sola. »
« Tua madre non avrà alcun tipo di problema se i suoi richiami saranno regolari. »
« Victoire, io non posso farlo! »
« Ma devi! » mi riprende, con più foga. « Potresti essere l’ultima possibilità per la tua famiglia. »
Mi sento crollare, sormontata da pressioni che non mi appartengono. Victoire si scosta da me con lentezza, guardandomi seria e preoccupata. Io non riesco quasi più a contenere la mia agitazione.
« Sai perché il tuo amico porta delle cicatrici solo sulla schiena? »
Sta parlando di Harry, ma non lo nomina direttamente. Scuoto la testa. Non lo so, non ci ho mai riflettuto per davvero. Victoire solleva poco il mento ed incurva le labbra verso il basso.
« Lo torturavano mentre gli mostravano i video delle violenze che praticavano su sua madre. »
È come crollare nelle profondità di un burrone completamente buio. Cado, cado e cado e non c’è mai fine. Mi sento sprofondare nella brutalità di ciò che Victoire mi ha appena rivelato e mi sembra di non essere più in grado di respirare. Mi manca l’ossigeno, vorrei coricarmi e dormire per un po’, come se ciò potesse scacciare via tutto quanto. Provo un orrore immenso.
Vedo Harry in ginocchio di fronte ad un monitor in cui vengono proiettate le immagini delle sevizie praticate su sua madre, mentre lui piange ed urla, incapace di andare via e di dare delle risposte in grado di salvarlo. Sento quasi le sue urla disperate lacerarmi gli organi.
« Questo posto è malato. » continua Victoire.
« Come fai a sapere queste cose? »
Ci mette un po’ a rispondere, sembra che non voglia farlo. A dire il vero, non mi parla, ma leggo i suoi occhi. Leggo il terrore, quel senso di nausea che la attraversa, la colpa che la mangia viva.
« Tu eri lì. » il mio non è altro che un misero soffio. Victoire mi guarda atterrita ed abbattuta. Non dice niente. « Che ne sarà di mio padre? » chiedo quindi.
Scuote piano la testa, le si sono inumiditi gli occhi.
« Non lo so. » mi dice.
Mi sento persa. Mio fratello mi ha tradita, mio padre viene torturato e la vita di Harry è un inferno. Mi chiedono di abbandonare mia madre per darmi alla vita da ribelle, una vita che non conosco e che non mi attira, e mi sento incredibilmente sola e tradita. Davanti a me non so più con chi ho a che fare, Victoire non è la persona che credevo fosse.
« Devi andare via, adesso. » mi dice. « Salvati finché sei in tempo, Aline. »
Scendo dal lettino più frastornata che mai. Victoire mi spinge fuori dalla porta, nella sala d’aspetto, e mi guarda attentamente, prima di indicarmi con lo sguardo la porta dall’altra parte.
Io non voglio restare in questo posto, perciò seguo il suo consiglio ed esco. È sorprendente come le mie gambe riescano a muoversi così rapide. Non corro dentro la Centrale, lo faccio solo una volta fuori, mentre mi piove addosso. Ho una paura folle, che mi mangia viva, ma devo scappare da quel posto. C’è mio padre, c’è mio fratello, ci sono le torture, c’è una parte di me. C’è tutto quello che vorrei dimenticare, tutto quello che vorrei non ci fosse.
Mi sento in gabbia. Non so che fare. Ho perso il controllo. Il loro controllo.





Chiaramente le cose non potevano andare bene per Aline, lol... e questo, in realtà, è soltanto l'inizio! Prima l'incontro con Tristan, poi il fallimento della sua "missione" e Victoire che sceglie di aiutarla e di coprirla, offrendole dei consigli che Aline non sembra disposta ad accettare. Si scopre anche qualcosa di nuovo riguardo Harry e ciò che gli è successo mentre era prigioniero, una realtà che destabilizza Aline ancora di più, se è possibile. Il prossimo capitolo segnerà un confine netto e la storia prenderà una nuova piega. Spero che questo vi sia piaciuto!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo sedici ***




CAPITOLO SEDICI
A casa mia c’è un trambusto non indifferente. I mobili sono stati spostati, il soggiorno è sottosopra, gli scaffali e le mensole della cucina sono completamente in disordine e c’è un silenzio snervante.
« Mamma? » chiamo, piano. Sono corsa qui il più in fretta possibile, completamente fradicia, ma non ricevo alcuna risposta. Tiro su col naso e salgo al piano superiore.
« Mamma? » dico ancora, stavolta a voce più alta. Niente. Sono sola e questo caos mi turba parecchio, agitandomi e provocandomi un’ansia che fatico a gestire. Le mie mani iniziano a tremare. Dov’è mia madre?
Corro in camera di Tristan e la spalanco, è tutto a soqquadro e non capisco cosa sto guardando. I cuscini sono rotti, il letto è disfatto, i libri di mio fratello sono riversi a terra in pagine ridotte a brandelli. Il mio cuore pompa troppo rapido per permettermi di agire con razionalità e calma.
Mi dirigo subito in camera mia aspettandomi di trovarla nelle stesse identiche condizioni. Ma non è così.
È tutto in ordine e per la prima volta, come se fossi un’estranea che visita casa nostra, percepisco il lieve profumo che tinge la mia vita. Sulla scrivania, messo un po’ a caso, spicca un foglio di carta che ero sicura non ci fosse quando sono uscita.
Mi avvicino piano, come se non avessi corso per chilometri e non fossi sul punto di avere una crisi di panico. I miei abiti gocciolano sul pavimento così come le punte dei miei capelli, e le mie dita afferrano il biglietto con una sicurezza che non mi riconosco. Bagno un poco la carta, avvicinandola al viso per leggere. È la scrittura di mia madre. Ed io crollo parola per parola.
 
Aline, se leggi queste parole significa che sei sola. Io non posso aiutarti.
La nostra famiglia ha perso un tassello importante, è stata ammaccata come una mela col verme, e ne siamo stati infettati tutti. Tuo padre ha cercato di proteggerci, ma sa bene che non durerà a lungo. Se dovessero trovarci, lui non sarebbe più utile, e di conseguenza non avremmo più nemmeno la speranza di rivederlo. Non sono comunque sicura che, di questo passo, questo desiderio possa divenire realtà.
Sei l’unica, tra di noi, che non ha mai avuto secondi fini. L’unica che merita serenità, ma né io né tuo padre siamo riusciti a dartela, pur facendo il nostro meglio, pur cercando di combattere, a modo nostro, qualcosa così grande come il controllo esercitato su di noi.
Vedo tanto di lui, in te. C’è quella parte testarda che si riflette nei tuoi occhi, quel senso di responsabilità che ti permette di prenderti i tuoi obblighi e di proteggere i tuoi cari anche a costo della tua stessa vita. Ci hai sempre messo in primo piano, pur sorpassando te stessa, perché la famiglia, per te, è più importante di qualunque altro. Più importante perfino di Tristan.
Nella vita si prendono delle scelte e lui ha fatto la sua. Le nostre strade si sono divise e ci ha voltato le spalle, ma rimane comunque un membro della famiglia. Ma questo non ci assicura nessuna protezione, bensì ci espone a pericoli ben più gravi.
Ti scrivo queste parole per donarti la libertà che, forse, non potresti mai ottenere con me, con noi. Tuo padre ti ha chiesto di non lasciarti controllare, ma sei cresciuta in una società che non ti permette di pensare per conto tuo, di agire secondo i tuoi istinti. Perciò io, nel mio piccolo, ti chiedo e ti sprono a farlo. Liberati di noi, Aline. Liberati di tutto quello che sei stata costretta ad essere.
Con me in giro, le cose sarebbero peggiori. So troppo e i Controllori non impiegherebbero tanto a trovarmi e ad usarmi a loro piacimento. Noi siamo il punto debole di tuo padre, e se vogliamo che lui sopravviva, dobbiamo difenderci con le unghie e coi denti. Confido nella tua purezza e nella tua bontà. So che capirai. Che non hai mai avuto cattive intenzioni e che non ti metterai nei guai. Che sei una ragazza diligente e sveglia.
Louane e Josée sono disposte a darti una mano e a proteggerti. Non avere paura dei test in Centrale, perché non hai niente da nascondere. Tu non c’entri nulla in questa storia, e tuo padre è al sicuro se nessuno può trovarmi.
Spero un giorno, bambina mia, di poterti rivedere, di ammirare la grande e bellissima donna che sei destinata ad essere, e di poterti porgere le mie scuse per il baratro abissale in cui ti sto gettando. Credimi: è l’unica scelta che ho e che abbiamo.
Ti supplico di fidarti di me e di comprendermi.
Con tutto l’amore che provo per te,
tua madre.
 
Il post scriptum mi suggerisce di bruciare la lettera. Adesso capisco il caos della casa. Le cose mancanti, il mio nervosismo, l’ansia che mi attanaglia lo stomaco. La voglia di piangere. La solitudine. L’abbandono.
Mi guardo attorno e no, mia madre non c’è per davvero. Sono sola. Completamente sola.
Sono furiosa con lei per questa sua scelta, perché non sa che cosa sto affrontando, perché avremmo potuto trovare un’altra soluzione, andare via insieme, ma invece non è stato così. Eppure, una minuscola parte di me, sa che mia madre ha ragione. Mia madre ha sempre avuto ragione. Tranne su alcuni punti.
Anch’io ho dei segreti e non sono così pura come lei crede. Mi ha lasciato la sua libertà convinta che io fossi controllata. In realtà, ora, mi sento più in gabbia che mai. E vorrei soltanto affogare in questo mio mare di lacrime che mi prosciugano di ogni energia.
Mi sembra tutto uno sbaglio.




Un altro terremoto nella vita di Aline, stavolta del tutto devastante. Nel giro di pochissimo tempo ha perso tutto quello a cui era abituata e affezionata, e adesso non sa più dove sbattere la testa. Spero di riuscire a farvi immedesimare nel personaggio al punto da capire i suoi comportamenti ed i suoi pensieri a volte confusi. Aline, dopotutto, ha soltanto diciassette anni e non conosce la libertà.
Vi lascio augurandovi un buon proseguimento di settimana, stavolta non posso dilungarmi troppo nelle chiacchiere perché ho un aereo che parte fra tipo tre ore e devo sbrigarmi!! Grazie mille per continuare a leggere e recensire :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo diciassette ***




CAPITOLO DICIASSETTE
Mi chiamo Aline Dupont, ho diciassette anni e sono persa. Le luci della stanza sono basse e le mie ginocchia sfregano le une contro le altre. Ho freddo. Mi sento in trappola. Voglio vomitare.
Cerco di frenare il tremolio delle mie mani, ma non sono sicura sia tutta colpa del freddo e della pioggia che ho preso. Anche se mi sto riscaldando, so che non sarà facile liberarmi di quest’agitazione.
La porta si apre e sento la voce di Malo, ma non sollevo lo sguardo su di lui.
« L’hanno trovata fuori dal locale che tremava per il freddo, sotto la pioggia. Ha chiesto di me e l’hanno portata dentro. »
Sento dei passi rapidi nella mia direzione e poco dopo il viso di Harry mi oscura la visuale.
« Aline! » è preoccupato. « Che ti è successo? »
Come faccio a parlare e a raccontare tutto quanto senza sembrare una miserabile? Come faccio ad essere coraggiosa e guardare in faccia la realtà, i cambiamenti che sto subendo, ed accettare ciò che la mia esistenza è diventata? Se la libertà ha questo prezzo non sono sicura di volerlo pagare. Io non ho mai chiesto niente di tutto ciò.
« Ho fallito il test. » dico.
« Che cosa? » questo è Louis, credo potrei riconoscere il suo tono di voce squillante in mezzo a qualunque altro, ormai. Me lo immagino che fa uno scatto verso di me mentre Adrien e Malo lo trattengono e non ho poi tanta paura della sua reazione.
« E mia madre se n’è andata via. »
« Tua madre è andata via? » Harry cerca il mio sguardo ma non lo trova, lo evito in ogni modo. Potrebbe forzarmi a guardarlo solo trattenendomi il viso con una mano, ma non lo fa. Mantiene un certo distacco.
« Victoire ha detto che manipolerà la mia visita e che mi coprirà, dicendo che è andata bene esattamente come tutte le altre. » continuo, senza un filo logico. Le mie parole escono confuse, così come confusa è la mia testa. Un turbinio di informazioni aggrovigliate che mi lasciano in un ordine disordinato. « Siete ancora al sicuro. »
« Chi è Victoire? » domanda Louis.
« Lavora alla Centrale. » spiega Malo, attento. « È una collega di mio fratello. Sta dalla nostra. »
Deglutisco e ripenso a tutto quello che Victoire mi ha detto. Alle torture che Harry ha subìto. Sollevo lo sguardo su di lui e lo trovo costernato. Non mi ha tolto gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
« Non ho nessun posto in cui stare. » sussurro, così che mi possa sentire solo lui.
La sua mano destra si avvicina cauta al mio ginocchio e lo tocca, stringendo appena. È una piccola sicurezza in più, mi sta offrendo qualcosa.
« Hai noi. » lo dice con tono sicuro. Louis, dall’altro lato della stanza, lo sente benissimo.
« Non ho intenzione di fare il babysitter. » si lamenta.
« Nessuno ha chiesto la tua cooperazione. » ribatto io, scoprendomi aggressiva. « Non ho bisogno di un babysitter. »
Lo vedo irrigidirsi. Non si aspettava una risposta del genere. Nemmeno io, a dire il vero, e nessun’altro in questa stanza.
« Siamo tutti parecchio agitati. » dice Malo. « Non c’è niente di cui preoccuparsi se Victoire ha dato la sua parola. La conosco bene, non farebbe mai niente per metterci in pericolo. »
« Ha detto che non devono trovarmi. » dico, sentendo il tremore alle mie mani andare via. « Non posso tornare alla Centrale, non con le informazioni che conosco. Tengono mio padre in ostaggio per estrapolargli qualcosa, ma se dovessero trovare me o mia madre, si sbarazzerebbero di lui e sarebbe la fine per tutti. »
« Tua madre è andata via per questo? » mi chiede Louis. « Per proteggere tuo padre? »
« E me. » aggiungo. « È convinta che io non sappia nulla sulla ribellione e sui ribelli. Non sa di voi, non le ho mai raccontato niente. »
C’è del silenzio che mi mette un po’ a disagio.
« Dovete aiutarmi. Vi prego. »
Non ho mai supplicato nessuno, non è nella mia indole. Ma adesso lo sto facendo per tutte quelle persone che mi hanno protetta fino ad ora. Per mio padre. Per mia madre. Per Victoire. Per Josée. Credo che starmene qui non metterà Louis, Harry, Adrien e Malo più in pericolo di quanto in realtà già siano. Louis è già ricercato, e forse la mia scomparsa, insieme a quella di mia madre, potrebbe tenere occupati i Controllori per un po’. Se nessuno ha mai trovato la Corte dei Miracoli, spero che non succeda adesso che deve proteggere me. In fondo, se si chiama così forse può davvero fare qualcosa di prodigioso.
« Non preoccuparti. » dice Harry, alzandosi in piedi ed affiancandomi, rivolgendo così il suo sguardo a Louis. « Sei al sicuro qui con noi. »
Louis contrae la mascella e stringe i pugni. Esce senza nemmeno guardarmi, sbattendo la porta. Malo mi guarda taciturno e pensieroso.
« Avete abbastanza cibo? » chiede ad Adrien lì al suo fianco. Lui annuisce con la testa, dopodiché Malo si rivolge a Harry. « Chiamami se ti serve qualcosa. »
Harry gli fa un cenno con la testa e Malo se ne va per la stessa porta da cui è uscito Louis.
Guardo Adrien ancora in piedi. Scrolla le spalle e mi sorride, come a dire “Gli passerà”.
« Vieni, » Harry mi cinge una spalla ed io sobbalzo un poco, tesa. « ti porto nel nostro nascondiglio. »
 
I ribelli non stanno tutti nello stesso quartiere, saggiamente. Mi immagino un’imboscata in cui vengono acciuffati tutti, dal primo all’ultimo, e la mia nausea peggiora ulteriormente. Credo di avere la febbre.
Harry getta la sua giacca su un divano malandato, coi cuscini piatti e visibilmente scomodi. Mi fa segno di seguirlo dentro una stanza minuscola con un letto, niente armadio né comodini. C’è una cassapanca aperta in cui dentro vedo qualche maglione ed un jeans nero.
« Puoi dormire qui. » mi dice. « So che non è il massimo. »
« È camera tua? »
Annuisce.
« E tu dove dormirai? »
« Sul divano. »
« Posso dormire io nel divano. »
Scuote la testa e mi sorride. « Non è il caso. Devi recuperare molte forze, sei debole. Hai mangiato qualcosa? »
« Sì » mento prima ancora di accorgermene. Comunque non ho fame. Harry mi guarda a lungo ma non dice niente.
« Posso darti qualcosa con cui cambiarti, sempre che i miei abiti ti stiano. »
Si mette a frugare nella cassapanca, togliendo fuori dei pantaloni da ginnastica ed una maglietta a maniche lunghe. Guarda gli indumenti e poi me, storcendo la bocca.
« Potrebbero starti larghi. »
« Non fa niente. » non riesco ad esternargli la mia gratitudine. Sono come bloccata.
« Il bagno è da quella parte. » indica altrove, verso una porta chiusa, ed io stringo le labbra prima di uscire dalla sua camera da letto. Una volta in bagno mi spoglio dei miei vestiti fradici e resto a guardarmi allo specchio per un po’. I miei capelli si stanno asciugando, gonfi e scarmigliati, annodati in alcuni punti e scuri. Il mio viso è pallido e due occhiaie violacee mi contornano gli occhi. Le mie labbra sono secche e screpolate, ci passo la lingua sopra per inumidirle ma non ho molta salivazione. Prendo respiri profondi e mi sento incendiare.
Mi rivesto prima di collassare al suolo, scossa da forti tremiti ed una nausea che mi stordisce.
« Mettiti a letto. » Harry mi aiuta ad infilarmi a letto mentre i miei occhi si aprono e chiudono con lentezza, gonfi e pesanti. Mi rimbocca le coperte mentre le forze mi abbandonano, dopodiché mi tocca la fronte.
« Hai la febbre. » sentenzia con preoccupazione.
« Mi passerà. » gli rispondo. « Resti un po’ con me? »
Sorride delicato ed educato, accovacciandosi al mio fianco. È un sì.
La sua mano non è più sulla mia fronte, ma è come se sentissi ancora il suo palmo premuto contro la mia pelle. Lo guardo a lungo negli occhi, il suo viso è sereno e calmo, e nella mia mente, anche se non ci sono stata, vedo le immagini delle sue torture. Sento i colpi di frusta sulla sua schiena, il rumore del ferro caldo a contatto con la sua pelle, le sue urla sguaiate mentre lo obbligano e guardare quello che hanno fatto anche a sua madre.
Prima che me ne accorga, le mie dita gli stanno sfiorando una guancia. È calda e liscia al mio tocco gracile ed insicuro. I miei polpastrelli gli sfiorano la pelle in maniera incerta e timorosa. Continuo a guardarlo e lui non si scompone. Non ho le forze per dirgli che mi dispiace. Per chiedergli scusa per non essere riuscita a proteggerli come avrei voluto. Non vorrei mai che Harry perdesse qualcun altro. Soprattutto a causa mia.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo diciotto ***




CAPITOLO DICIOTTO
Non dormo bene. La febbre è troppo alta e non accenna a scendere. Quando Louis e Adrien rientrano a casa, Harry è ancora con me che mi cambia il panno umido che mi ha posato sulla fronte.
« Che succede? » domanda Louis.
« Sta male, ha la febbre. » risponde l’inglese.
Inizialmente Louis non si interessa a me, mentre Adrien sta sulla soglia della porta e mi guarda come se fosse colpa sua. Harry gli consiglia di andare a letto perché ci sta pensando lui a me, ed io vorrei che anche lui andasse a dormire, perché ha le occhiaie molto pronunciate e sbadiglia in continuazione. So che mi sta accanto per assicurarsi che io stia bene, ma non voglio che si indebolisca per me.
Louis impiega tre quarti d’ora prima di raggiungerci, ed io ero convinta che si fosse addormentato, visto che non ci ha detto mezza parola. In realtà scopro che mi ha preparato qualcosa da bere, di un colore chiaro ma che non riesco a definire. Sembra quasi sabbia.
« Bevilo tutto. » mi dice, porgendomi il bicchiere in vetro. Io faccio un po’ di fatica a mettermi a sedere, ed è Harry che mi aiuta, ma Louis lo scansa quasi subito, prendendo il suo posto. Le sue mani ruvide mi aiutano nei movimenti e poi mi avvicina il bicchiere alle labbra. È freddo. Bevo piano e a grandi sorsi, è dissetante ed ha un sapore strano.
Harry sbadiglia di nuovo, adesso è in piedi e ci guarda in silenzio.
« Vai pure a letto, » gli dice Louis. « resto io con lei. »
L’inglese ci mette un po’ prima di schiodarsi dal suo posto, convinto da un’ulteriore occhiataccia da parte di Louis. Non hanno bisogno di molte parole per capirsi.
Quando io e Louis siamo soli, mi sento un po’ a disagio. Lui non mi vuole qui, mi detesta, ed io sto occupando il suo spazio. Apre bocca per parlare, ed io sono tesa come la corda di un violino, benché il mio corpo sembra andare a fuoco.
« Mia mamma me lo preparava sempre quando stavo male. » dice, con mia sorpresa. Il suo tono di voce è pacato e tranquillo, non burbero come mi sarei aspettata. Resto a guardarlo, immobile.
« Sapeva sempre un sacco di cose, era una forte. Credo sapesse fin da subito che non sarebbe più tornata a casa, quando hanno convocato lei e mia zia, ma non ha detto niente per proteggerci. »
« Come si chiamava? » mi sforzo di chiedere, con la voce impastata dalla stanchezza.
Louis si prende qualche momento.
« Isabel »
« È un bel nome. » gli dico.
Annuisce piano. « Già. »
Afferra il mio bicchiere in modo brusco ed esce dalla stanza a grandi passi. Harry gli chiede qualcosa, Louis lo liquida intimandogli di dormire e poi ritorna da me.
Stiamo insieme tutta la notte. In silenzio. Entrambi un po’ soli ed un po’ persi.
 
Quando mi risveglio, Louis non c’è. Nella stanza filtra la luce del giorno. Siamo al quarto piano di un piccolo palazzo silenzioso e a giudicare dalla conformità dell’edificio mi viene da dedurre che tutte le case siano piccole come questa. Mi sento strana, sporca, e dato che ho sudato per tutta la notte, è normale.
Mi alzo dal letto e le mie gambe sono molli, perciò cammino piano. La casa è illuminata, ma non mi sembra ci siano altre persone. Sono sola.
Il divano su cui Harry ha passato la notte è ancora disfatto ed in disordine. Non ci sono molti oggetti in giro. Il bagno è pulito e non trovo niente che possa appartenere a loro tre.
Non ho fame né sete, ma mi sento ancora parecchio debole. Lego i capelli in una coda alta e disordinata, guardandomi attorno ma senza niente da fare, così ritorno a letto e ripenso alle cose appena successe. Io e Louis, dopotutto, non siamo così diversi. Abbiamo entrambi perso nostra madre, e anche se non mi ha parlato di suo padre, immagino che in qualche modo abbia perso anche lui, che sia fisicamente o meno. Non so molto di Louis. Non so molto di nessuno di loro, a dire il vero.
Sono ancora a letto e ci sono da qualche ora quando la porta si apre e si richiude con un tonfo. Sento dei respiri agitati e mi alzo subito per andare a vedere: è Harry. Il suo viso è, se possibile, ancora più pallido, l’espressione su di esso è nervosa.
« Harry » lo chiamo, catturando la sua attenzione. Le sue mani tremano un sacco e mi guarda spaventato. Pronuncia il mio nome così piano che quasi non lo sento, e si guarda attorno frastornato. I suoi respiri si fanno sempre più rapidi e pesanti, sembra che gli raschiano la gola e la sua agitazione diventa quasi fisica e materiale. Capisco subito cosa gli stia succedendo perché è successo anche a me: sta avendo un attacco di panico.
« Harry » lo chiamo di nuovo, avvicinandomi, ma lui si appoggia con una mano ad una parete e con l’altra si tocca il petto come se questo potesse esplodergli da un momento all’altro. Socchiude gli occhi, trema come una foglia.
« Respira con me. » gli suggerisco, mettendomi al suo fianco. Non lo tocco, ma cerco di accompagnare i suoi respiri, guidandoli coi miei.
Inizialmente Harry non mi segue, mantiene gli occhi chiusi e non sono nemmeno sicura che mi abbia sentita, ma poi cerca di allineare i suoi respiri coi miei. Piano piano ci riesce, e ci troviamo a respirare allo stesso modo. Le sue mani non tremano più e rizza lentamente la schiena, aprendo gli occhi. Lo guardo un po’, mentre si riprende e si passa una mano tra i capelli ricci.
« Va meglio? » gli chiedo.
Annuisce. « Sì. E tu? Come stai? »
« Molto meglio, grazie. » rispondo. « Che cosa ti è successo? »
Si muove e mi supera, andando verso il bagno.
« Ogni tanto vengo assalito da questi attacchi di panico. » mi dice. « A volte riesco a controllarli da solo, altre sono più forti. »
« Hanno testato i sieri anche su di te? » continuo a chiedergli mentre si sciacqua la faccia con acqua fredda. Lui mi guarda dallo specchio sul lavandino per diversi secondi, ed io mi sento quasi completamente nuda, anche se indosso ancora i vestiti.
« Sì » dice. « Ma non ottenendo nulla sono passati alle violenze fisiche. »
Non faccio altre domande a riguardo e lo osservo prendere un asciugamano lì vicino e asciugarsi il viso con fretta.
« Quanto starò qui? » domando. Harry mi guarda, alto e muscoloso.
« Quanto vorrai. »
« E voi quanto starete qui? »
Adesso si acciglia e abbassa lo sguardo sui suoi piedi.
« Non molto. »
Mi supera, cammina spedito verso la cucina e lo seguo piano.
« E io cosa farò quando voi non ci sarete? »
Apre il rubinetto e si riempie un bicchiere con dell’acqua.
« Malo si prenderà cura di te. » mi risponde. « La Corte dei Miracoli è abbastanza sicura da tenerti al riparo. »
« E se la Centrale dovesse scoprire tutto? Se la ribellione venisse oppressa? »
Beve veloce, dopodiché mi guarda attentamente. Sembra più stanco del normale.
« Se dovesse accadere una cosa del genere, io, Louis ed Adrien saremo già fuori da Parigi e dalla Francia, e faremmo del nostro meglio per salvarvi. »
Strabuzzo un po’ gli occhi. Harry è convinto di ciò che dice, così tanto da irritarmi, inaspettatamente.
« Come fai ad essere così sicuro di riuscirci? » gli chiedo. « Non sai cosa potrebbe succedere, potrebbero scoprirvi. È pericoloso! »
Mi guarda di nuovo, aggrottando la fronte.
« Non sai cosa potrebbe accadere una volta fuori, se mai riusciste ad andare oltre Parigi e la Francia. » continuo
« Perché tu lo sai? » sbotta. « Tu, che hai vissuto tutta la tua vita in questo posto, controllata dalla nascita fino ad ora, pensi davvero di sapere di cosa stiamo parlando? »
Ammutolisco. Lo guardo sgomenta e colpita. Non mi ha mai parlato in questo modo, e non so bene come comportarmi. Lascio che sia il mio corpo a rispondere, e gli do le spalle, dirigendomi verso camera sua. Non dice una parola, ed io sbatto la porta dietro di me, poggiandomici sopra con tutto il corpo.
So che quello che dice Harry è vero e che non ho la più pallida idea di cosa significhi vivere al di fuori di Parigi. Ma so anche che ciò che mi ha detto è stato forte ed il tono che ha utilizzato nei miei confronti era ingiusto. Non riesco a non prendermela.
Harry non viene a cercarmi. Sento la porta chiudersi dopo qualche minuto, e capisco di essere di nuovo sola, così esco dalla camera e mi affaccio alla finestra del soggiorno. Lo vedo camminare a passo svelto e allontanarsi dal palazzo, con le mani in tasca.
Mi sento in trappola. Questa non è più la mia vita. Sto affrontando qualcosa di più grande di me e che non ho scelto di combattere, e non so cosa fare né come comportarmi. Paradossalmente, mi sentivo molto più libera stando sotto il controllo della Centrale. Adesso sono chiusa in una casa che non è la mia, da sola, con un sacco di quesiti per la testa e poca voglia di dormire perché la mia vita sembra un enorme problema. Una specie di nodo che non riesco a sciogliere.
So soltanto che devo stare al sicuro perché altrimenti potrei mettere in pericolo mio padre. Non ho la più pallida idea di cosa gli stia accadendo, né di dove sia mia madre in questo momento. Mi sembra di non avere più nessuno, e come per sbaglio, automaticamente, le parole scritte da mia madre rimbombano nella mia mente già affollata. Mi ricordo che in realtà c’è ancora qualcuno dalla mia parte.
Josée.





In questo capitolo vediamo Louis sotto una luce diversa: è più disponibile ed amichevole, quasi, e si sforza addirittura di raccontare qualcosa di suo ad Aline, parlando di sua madre. Successivamente Aline ed Harry hanno una specie di scontro in cui lui le spiattella in faccia la realtà dei fatti, con una rabbia che Aline non accetta. Questo provocherà delle conseguenze abbastanza importanti e quasi decisive per il corso della storia!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che stiate trascorrendo una buona estate :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo diciannove ***




CAPITOLO DICIANNOVE
Mi ci vogliono altri due giorni, prima di essere sicura di avere le forze necessarie per affrontare la missione che mi sono autoimposta. So che è molto pericoloso e potrebbe causare un sacco di problemi, ma sono decisa ad andare fino in fondo stavolta. Lo devo a me stessa.
Adrien esce per primo, mentre Louis ed Harry rimangono a fare colazione con me. Non c’è molto in questa casa, ed Adrien è l’unico con un lavoro. Alla Corte dei Miracoli è possibile fare qualche lavoretto qua e là, ma di mattina sembra un quartiere come gli altri, solo un po’ più nascosto. Louis, essendo ricercato, sta sempre da Malo o da altri in cerca di una via di fuga da Parigi, ed Harry girotta di qua e di là alla ricerca di qualcosa che non mi è concesso sapere. Quando parla con Louis, lo sento nominare mappe e tragitti, ma non mi dicono niente. Mi sento un peso ingombrante e vorrei sparire.
Per questo aspetto che anche loro due escano, con la totale convinzione che rispetterò i loro limiti. Mi sembra quasi che credano di avere un certo controllo su di me, ma si sbagliano. Se non può controllarmi la Centrale, allora non possono nemmeno loro.
Infilo una felpa di Louis, dato che non ho nulla di mio con me ed i suoi abiti sono quelli che mi stanno meglio. Adrien è troppo grande e Harry troppo alto. Louis sembra l’unico con qualche indumento più o meno della mia taglia, ma questo non significa che gli faccia piacere prestarmi dei vestiti. Harry ha detto che mi avrebbe portata a comprare qualcosa quando sarei stata meglio, ma non abbiamo soldi e non so come potrebbe procurarseli. La sola idea di comprare qualcosa con dei soldi rubati mi fa stare male. Questa non è la vita che voglio, nascosta dal mondo intero per qualcosa che non ho commesso.
Esco piano di casa, portandomi dietro un mazzo di chiavi. Ho imparato bene gli orari dei tre ragazzi, perciò so quanto tempo ho a disposizione e sono intenzionata a non lasciarmi sfuggire nemmeno un secondo.
La Domenica, Parigi è parecchio affollata. Le scuole sono chiuse, perciò intravedo diversi ragazzi della mia età. Mi spingo il cappuccio sulla testa per non essere riconosciuta, e cammino veloce, sperando di passare inosservata.
Prendo strade secondarie, un po’ perché vorrei evitare che i Controllori mi vedessero, ed un po’ perché spero di non incontrare Harry, Adrien o Louis. Mi rilasso quando abbandono il centro città e mi inserisco nelle vie residenziali. Sono silenziose e calmanti, mi concedo di rallentare il passo e guardarmi attorno. Ci sono poche persone che ogni tanto incrociano il mio cammino ma non mi guardano. Alla fine, raggiungo la mia meta prima di quanto mi fossi aspettata, col cuore in gola per l’agitazione.
Casa di Josée è a qualche passo da me ed io mi blocco. Improvvisamente mi sembra un’idea pessima, ma sento di non avere molte scelte. Mi sento in trappola, chiusa nell’appartamento dei ragazzi, e non ho più nessuno al mio fianco. Josée è l’unica persona relativamente vicina alla mia famiglia, che mi è rimasta. Perciò mi spingo sul retro. Conosco questa casa come le mie tasche perché siamo cresciute insieme e Louane è stata come una zia per me.
La camera da letto di Josée ha una finestra coperta da tende bianche, sta al secondo piano. Afferro qualche piccola pietrolina e inizio a lanciarle una dopo l’altra. Alcune non raggiungono il vetro, altre invece sì ed il tintinnio arriva fino alle mie orecchie. Prendo un’altra manciata di pietroline che trovo sparse per il giardino, continuando a lanciarle finché la tenda si sposta. Josée compare coi capelli legati e l’espressione interrogativa.
« Josée! » la chiamo piano. Lei mi cerca, mi trova, ed i suoi occhi si ingigantiscono.
« Aline! »
Le faccio segno con un dito di fare silenzio, e lei rientra immediatamente dentro. Aspetto qualche istante e la mia migliore amica compare davanti a me, in una corsa sfrenata per abbracciarmi.
« Sei viva! » è la prima cosa che dice, sussurrandomela tra i capelli. La stringo a me col cuore che batte veloce. Ho un disperato bisogno di sentirla vicina.
« Sono dovuta scappare. » dico. « Come stai? »
« Ero preoccupata, nessuno sapeva dove fossi, se stessi bene. Tua madre ha parlato con la mia, e quando ho saputo che… » si ferma senza trovare le parole adatte, e poi scuote la testa, guardandomi con tristezza. « Mi dispiace così tanto, Aline »
Io deglutisco. Faccio finta di essere forte perché non ho il tempo di crollare, anche se so che Josée sarebbe l’unica in grado di consolarmi a dovere.
« Io sto bene. » dico quindi. « Sto bene, ma non posso restare con te. »
« Perché no? Ti terremo al sicuro. »
Scuoto la testa con veemenza.
« È troppo rischioso. Se i Controllori dovessero trovarmi sarebbe la fine per voi e anche per mio padre. Lo tengono prigioniero per avere delle informazioni, ma lui riesce a tenerli fuori dalla sua mente. Io non ne sono in grado e se dovessero trovarmi, sarebbe la fine per tutti. »
Josée scuote la testa. « Questa non è la tua battaglia. »
« Mio padre è la mia battaglia. » replico. « La mia famiglia. O almeno quello che ne è rimasto. »
So che Josée non può capire. Lei è ancora controllata e non ha subìto tutti i cambiamenti drastici che ho dovuto affrontare io. Inoltre non ha la più pallida idea di come sia la vita alla Corte dei Miracoli, dei colori, delle luci, dell’allegria.
Mi accarezza una guancia.
« La gente a scuola dice che sei una ribelle e che sei fuggita per unirti alla rivolta. »
Scuoto di nuovo il capo. « Non sono una ribelle. Ci sono capitata per caso in questa situazione. Devi credermi. »
« A me non cambierebbe nulla se tu fossi una ribelle. Mi hai già raccontato come stanno le cose fuori, no? »
« È diverso. Qui non siamo fuori, siamo dentro. E questa è l’unica realtà che conosciamo. »
Josée stringe le labbra.
« Fammi venire con te. » dice.
« Cosa? »
« Voglio venire con te, ovunque tu sia. Non ti lascio da sola. »
« Non se ne parla Josée. È troppo pericoloso. »
« Se è troppo pericoloso allora lasciami venire. In due sarà più facile. »
Le stringo le spalle.
« Ascoltami: questo non è un gioco. Ci sono in ballo delle vite, un sacco di vite. La ribellione è una cosa seria, ci sono persone che vogliono andare via da qui ma non ci riescono. Ci tengono in trappola. Tu non puoi venire con me. Non è giusto. Rischieresti la tua vita per niente. »
« Ma tu… »
« Io non ho altra scelta! » replico. Josée sa essere molto testarda, ma so di poterla dissuadere. « Non ho più nulla qui, lo capisci? La mia famiglia non esiste più ed io… io sono solo il frutto di tante menzogne. »
Josée mi guarda a lungo. Sento che la mia migliore amica mi sta scivolando dalle mani. Ci stiamo allontanando senza poter fare niente. Io non posso portarla con me, è davvero troppo pericoloso. Non so come badare a me stessa, figuriamoci aiutare Josée che verrebbe sbattuta in una realtà che non ci appartiene affatto. Inspira a fondo, ha capito che cosa sta succedendo.
« Ti rivedrò ancora? » mi chiede.
Ho un groppo enorme in gola che non mi permette di ragionare a dovere. Non voglio lasciarla, abbandonarla e andarmene via, ma so che non ho altra scelta. In ogni caso, il suo sguardo è troppo addolorato per consentirmi di dirglielo. Perciò mento, perché sto imparando a farlo.
« Certo. »
La abbraccio perché non voglio che veda il terrore sul mio viso, né che capisca che le ho detto un’enorme bugia. Forse lo dedurrà dalla forza con cui la tengo stretta a me. Ci stringiamo così tanto e così a lungo che sono sicura il mio petto si è scavato per mantenere la forma del corpo di Josée contro il mio.
« Devo andare. » sussurro con una debolezza lancinante. Josée non aggiunge altro. Mi osserva allontanarmi come un’ombra, nel silenzio di una vita che non mi appartiene più.





Perdonatemi il ritardo, ma per motivi di salute non ho potuto aggiornare mercoledì, come di consuetudine.
Questo capitolo sembra segnare un punto finale all'amicizia tra Aline e Josée, perché Aline sa che non può mettere in pericolo la sua migliore amica. Fa un grosso passo scappando da casa di Harry, Louis ed Adrien per andare da lei, mossa dal desiderio di vedere qualcuno di familiare e di cui si fida. Aline è anche più cosciente di come le cose si stiano evolvendo e di quale sia la situazione, e cerca di farlo capire anche alla sua migliore amica. Questo loro incontro avrà delle ripercussioni già dal prossimo capitolo!
Grazie mille per aver letto e per le recensioni, vi auguro un buon fine settimana :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo venti ***




CAPITOLO VENTI
Ad accogliermi in casa ci sono Harry e Louis. Di Adrien nemmeno l’ombra. Comunque non è un’accoglienza calorosa, perché Louis si alza dal divano con una rapidità che mi inchioda al mio posto, terrorizzandomi.
« Dove diavolo eri? » mi sbraita addosso, rosso in viso. I suoi occhi chiari sono enormi adesso.
Non rispondo. Harry alle sue spalle è in piedi in una posizione che mi fa pensare che stesse percorrendo la stanza a grandi passi, come fa di solito quando è agitato o in pensiero. Questo, di lui, l’ho capito.
Deglutisco in difficoltà.
« Torniamo a casa e non ti troviamo, hai idea di tutto quello che abbiamo pensato? » continua il primo. Non credo che fosse preoccupato per la mia incolumità, quanto più per la propria, nonostante i recenti sviluppi – se così possono definirsi – del nostro rapporto. Decido di vuotare il sacco perché mi sentirei troppo pesante a stare ancora in silenzio. Ed inoltre Harry mi guarda quasi supplicandomi di dargli una risposta. Perciò lo faccio più per lui che per Louis.
« Ero da Josée. »
Louis allarga gli occhi e credo che potrebbe sbranarmi, se solo avesse le fauci adatte.
« Mi prendi in giro? »
Sto zitta, Harry si passa entrambe le mani tra i capelli e capisco che la situazione è grave.
« Ne avevo bisogno! » esclamo. « Non ho più nessuno, lei è l’unica che mi può capire! »
« Ed è l’unica che può distruggere tutto quanto! Ma non ci arrivi? » Louis mi urla addosso. « La stai mettendo in pericolo! Adesso se le fanno un controllo la terranno sotto osservazione perché è l’unico appiglio che hanno per arrivare a te! »
Mi sento con le spalle contro il muro. Non avevo proprio messo in conto questo punto di vista, e Louis ha ragione. Andando da Josée, parlando con lei, l’ho inevitabilmente esposta a degli enormi pericoli. La Centrale mi cerca, così come cerca mia madre e delle risposte da mio padre, ed io ho fatto il loro sporco gioco mettendo in pericolo la mia migliore amica. Mi sento un verme, stupida ed ingenua. Sono soltanto una bambina capricciosa che non sa controllare i propri stimoli. Arpiono le mie unghie contro il muro dietro di me, cercandovi un appiglio che non esiste.
« Louis, basta! » Harry lo afferra per un braccio e lo tira indietro. L’altro lo guarda inviperito, potrebbe scagliare la rabbia che nutre nei miei confronti su di lui, ed Harry non c’entra niente. Sono io che ho sbagliato, sono io la stolta.
« Perché la proteggi sempre? » Louis lo guarda sgomento.
« Non la sto proteggendo, ti sto solo dicendo di smetterla di urlarle addosso! »
Io li guardo discutere, impotente.
« Guardala! Non ha nessuno! » continua Harry. Non lo dice con cattiveria, ma mi fa comunque male perché è la verità. Adesso so che non posso più avere nemmeno Josée, e mi sento sola ed abbandonata. Ho soltanto me stessa e non so che fine farò. Mi viene da piangere.
Louis sta in silenzio ed osserva Harry, respirando piano. L’assenza delle loro voci mi reca una pesantezza invadente nel petto.
« Mi dispiace. » socchiudo gli occhi sentendoli pizzicare, ed abbasso il capo. Se potessi farmi minuscola e rinchiudermi in un cassetto per sempre, probabilmente lo farei. Ma invece sono costretta ad avere a che fare coi loro occhi puntati addosso: quelli di Harry sono comprensivi, mentre quelli di Louis rabbiosi. Credo che Louis si comporti in questo modo solo perché ha paura, ma non è abbastanza maturo e lucido per immedesimarsi nei miei panni.
« Adesso piangi anche? » mi sfotte, acidamente.
Harry lo scansa venendomi incontro. « Ha solo diciassette anni. » lo rimprovera racchiudendomi tra le sue braccia.
Ci sto bene, chiusa in questa stretta calda e morbida. Harry è molto protettivo, la differenza dei nostri corpi è evidente. Non faccio niente, resto immobile in questa posizione.
« Dobbiamo andarcene il prima possibile. » decreta Louis, agitato.
« Non possiamo lasciarla da sola in queste condizioni. » ribatte Harry, voltando appena il capo per guardarlo ma tenendomi stretta a sé. Sento il suo cuore battere.
« Non vorrai portarla con noi! » Louis alza di nuovo il tono di voce. Harry contrae la mascella.
« Ne abbiamo già parlato. Aline sa che non verrà con noi, ma ti ricordo che se sei ancora vivo e libero è anche grazie a lei. »
Louis assottiglia le labbra con fare perfido. « Non sono libero. Non finché sto in questa città di merda. »
Harry adesso scioglie l’abbraccio per guardarlo. « Come vuoi. » dice. « Ma spero che almeno la tua coscienza ti aiuti a capire che dobbiamo aiutarla. O ti sei dimenticato di quando tua madre è andata via? »
Louis cambia immediatamente atteggiamento, quando Harry nomina Isabel. Lo noto subito nel suo sguardo e nelle sue mani che si chiudono in due pugni. È una ferita costantemente aperta.
« Non abbiamo più molto tempo, ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. » dice con tono piatto.
« Mi occuperò io di Aline. » continua Harry, pacato. « Parlerò con Malo, troveremo una sistemazione per lei e poi partiremo. Ti porto via da qui, Louis. »
L’altro lo guarda a lungo, dopodiché annuisce. Mi rivolge un’occhiata senza dire una parola. Non si scusa esplicitamente, ma quel misero cenno del capo che mi rivolge prima di chiudersi nella sua stanza, mi basta per capire che gli dispiace.
 
Resto chiusa in casa qualche altro giorno, come una prigioniera. In realtà mi sento così persa e disorientata che stare tra queste mura è l’unica sicurezza che mi è rimasta. Col passare dei giorni, mi sembra di essere al riparo, come se questo piccolo appartamento potesse effettivamente proteggermi dai Controllori e da qualsiasi altra minaccia. Non so che fine farò quando Harry, Louis ed Adrien andranno via, ma Harry non vuole che mi preoccupi. Dice sempre che ha tutto sotto controllo e che la Corte dei Miracoli diventerà la mia casa. Io non ne sono poi così tanto sicura, mi sembra di sentirmi scomoda e fuori luogo ovunque. Forse non avrò mai più una casa o non mi sentirò a mio agio in nessun posto. Forse la mia faccia gira su tutti i notiziari insieme a quella di Louis Tomlinson, con sotto la scritta “Ricercata”.
Questi pensieri mi agitano perché non so cosa fare. Mi sembra che ogni mio passo sia sbagliato e comporti delle conseguenze disastrose per le ultime persone che mi sono rimaste. Mi sono ancorata ad Harry, Louis ed Adrien perché sono gli unici che possono capire la mia situazione e che sono già in pericolo, ma col mio comportamento immaturo ed irresponsabile rischio di peggiorare le loro già difficili situazioni.
Non parlo quasi mai con loro, perché non ho niente da raccontare. Spesso mi sento debole, mi vengono delle vertigini ed è come se perdessi l’equilibrio. Adrien ha detto che sono i sieri. Hanno ancora effetto su di me, soprattutto perché Malo me ne ha iniettato diversi uno dopo l’altro, ed è stato come fare più controlli in una botta sola. In un certo senso, mi sto rovinando con le mie stesse mani.
Guardo la strada e la gente che vi cammina, quando Harry rientra a casa. Adrien e Louis sono ritornati già da un po’ e il primo sta preparando la cena per tutti quanti, mentre Louis è seduto in soggiorno insieme a me. Siamo in silenzio, ma so che mi osserva.
« Ciao » saluta Harry, poggiando una busta della spesa per terra. Non voglio sapere dove abbia trovato quella roba, né come si sia procurato i soldi per comprarla. « Tutto bene? »
Louis annuisce con un mugugno, io non rispondo. Il cielo sta diventando buio, le stelle lo illuminano appena.
« Aline? » mi chiama Harry. « Come va? »
Io mi giro appena a guardarlo. Annuisco una sola volta, poi torno a fissare fuori.
Sento Louis bisbigliare: « Non ha pranzato, oggi. »
Harry non dice niente ed io non vedo cosa stia facendo, anche se percepisco la sua persona in questa stanza. Non so perché mi stia lasciando andare in questo modo, forse perché spero che, senza fare niente, la mia presenza non pesi troppo sulle loro spalle. D’altronde, se sto ferma e zitta non faccio del male a nessuno. Devo solo attendere la loro partenza, prima di poter voltare pagina verso un nuovo sconosciuto capitolo della mia vita. Do la colpa ai sieri, ma so che io non sto facendo nulla per migliorare.
Harry mi guarda ancora un po’, ma non trova niente da dire né da fare. Accenna un passo nella mia direzione, mi premo le ginocchia contro il petto e si ferma. Se ne va dopo un po’, entrando in cucina da Adrien, lasciandomi di nuovo sola con Louis. Non ci diciamo niente, perché è come se non avessi più una voce.
 
Dopo cena, Harry entra nella camera che mi ha lasciato. Io siedo sul letto con un libro in mano. È suo, l’ho trovato sul comodino ed ho iniziato a leggerlo perché non avevo nient’altro da fare. Quando apre la porta, dopo aver bussato con due colpi, mi sento quasi una ladra colta con le mani nel sacco. Invece lui sorride e indica con lo sguardo le pagine che sto sfogliando.
« Il mio libro preferito. » dice. « Ti piace? »
Soppeso un po’ l’oggetto.
« Abbastanza. Ma non sono nemmeno a metà. »
« Te lo regalo, se vuoi. A casa ho la versione originale in inglese. »
« Esiste una versione in inglese? » domando.
« E anche in italiano, tedesco, spagnolo, portoghese… un po’ in tutte le lingue, credo. È molto famoso. »
Guardo la copertina del libro e la sfioro appena con le dita, come se stessi accarezzando una mano. Queste stesse parole vengono pronunciate in maniera diversa e scritte con lettere differenti. Non ci avevo mai pensato sul serio. Il mondo di fuori dev’essere pieno zeppo di cose curiose e nuove. Mi domando davvero come debba essere stare sotto un cielo identico a questo ma come se fossi in una dimensione nuova.
« Sono venuto qui per dirti che usciamo. »
Sollevo di nuovo gli occhi su di lui.
« Va bene. Io adesso andrò a letto. Mi troverete qui, non scappo. »
Scuote la testa. « No, non hai capito: usciamo io e te. »
Aggrotto la fronte e lo guardo dubbiosa. « Tu e me? »
« Sì, io e te. Voglio farti vedere delle cose. »
« Ma io non ho voglia di uscire. »
« È proprio per questo che non ti sto chiedendo il permesso. E tu sai bene che posso prenderti di peso senza il minimo sforzo, Aline. »
C’è una nota divertita nel modo in cui parla, e il sorriso sghembo che mi riserva esplicita la sua caparbietà. Inoltre, il modo in cui pronuncia il mio nome mi manda su di giri.
« Ti aspetto in soggiorno, hai dieci minuti di tempo. »
Esce che non gli ho risposto. Mi gratto la nuca, sono un po’ a disagio. Non mi va di uscire, ma so che Harry è molto testardo. Non respiro aria fresca da un po’, precisamente da quando sono scappata per andare da Josée, e Harry ha acceso la mia curiosità dicendomi che deve mostrarmi qualcosa. Ci metto un po’, ma alla fine cedo. Dannatamente prevedibile, direbbe lui.




Nello scorso capitolo Aline si è lasciata prendere dal bisogno di parlare con qualcuno, ma in questo viene messa faccia a faccia coi pericoli che corre e in cui ha involontariamente messo la sua migliore amica. Mentre lei non sa più dove sbattere la testa, perché ha rapidamente perso tutto quanto e non sa nemmeno se può fidarsi di se stessa, Louis è terrorizzato all'idea che qualcosa possa andare storto e che il loro piano di fuga possa fallire. Harry, che invece ha una visione più "libera", diciamo, cerca di mediare tra i due, perché Aline è indifesa e debole, mentre Louis è spaventato ed aggressivo. Nel prossimo capitolo ci sarà una svolta fra Aline, che lentamente si affloscia su se stessa, ed Harry, che non tollera che lei si lasci andare in questo modo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo ventuno ***




CAPITOLO VENTUNO
« Conosco già la Corte. » dico mentre io e Harry camminiamo per le vie della Corte dei Miracoli, che stanotte è gialla. La gente si riversa nelle strade, ci sono così tante persone in questo posto che ogni volta mi sembra utopico.
« Sì, ma non ti sei integrata. » replica lui, guidandomi chissà dove.
« Forse non fa per me. »
« Forse non ci hai mai provato per davvero. »
Non so perché, ma Harry riesce sempre a trovare qualcosa con cui zittirmi. Lo seguo, camminando svogliata tra le altre persone, attenta a non perderlo quando raggiungiamo dei punti più affollati. Lui si gira di tanto in tanto per controllare che io sia ancora alle sue spalle, e poi mi fa cenno di continuare a seguirlo. Trovo ridicolo tutto questo, a partire dal semplice fatto che mi abbia voluta far uscire a tutti i costi.
Raggiungiamo un posto con una fila di almeno una ventina di persone, e ci mettiamo in coda, Harry con le mani nelle tasche dei jeans neri. Non c’è un’insegna né niente, sembra quasi un edificio abbandonato se non fosse per l’omone enorme che sta all’ingresso e che fa entrare le persone piano piano.
« Che posto è? » chiedo a Harry, con la voce bassa per non farmi sentire. Altre tre persone si mettono in fila dopo di me, parlando tra di loro.
« Qualcosa che non credo tu conosca. » mi risponde. Questo non mi aiuta affatto, perché della Corte dei Miracoli ci sono un sacco di cose e di posti che non conosco. Non indago oltre perché so che non mi dirà nulla, e comunque mi basta aspettare un po’ per avere delle risposte. Mi domando se anche questo sia un comportamento controllato. Se il mio arrendermi alla sua volontà sia da considerare come sbagliato. In realtà, ora non so proprio più cosa sia sbagliato e cosa, invece, sia giusto. Sono molto confusa.
Mentre cerco di non infangarmi nella mia stessa mente, la fila procede, ed è presto il nostro turno. Il bodyguard non ci chiede nessun tipo di documento, vuole solo sapere se abbiamo alcolici con noi. Neghiamo entrambi, e ci fa passare insieme.
Sento della musica forte e il posto non è molto illuminato. Harry cammina per un lungo corridoio, dopodiché sbuchiamo in una grande sala con luci stroboscopiche e la musica a volume altissimo.
« Sei mai stata in una discoteca? » Harry deve urlare per farsi sentire. Io scuoto la testa, con gli occhi enormi per quello che sto vedendo: la gente balla e ride, alcuni bevono da bicchieri di plastica trasparenti, c’è un piano rialzato dove un tizio con le cuffie si muove e fa girare dei dischi, controlla qualcosa che credo abbia a che fare con la musica, e da un lato, oltre l’ampio spazio in cui la gente balla, si estende un lungo bancone ricolmo di gente che compra da bere.
« Qui la gente balla, canta, beve e si diverte. » Harry mi spinge da un lato per liberare l’ingresso, mentre io continuo a guardare attonita tutto quello che succede attorno a me. Questi posti non sono autorizzati, Parigi non permette l’apertura di discoteche, di locali in cui bere e conoscere nuove persone, divertirsi in questo modo. È come addormentarsi e sognare.
« Tutto questo è illegale. » dico, sgomenta, prima di guardare Harry. Mi sorride come se la sapesse lunga.
« Questo non significa che sia sbagliato. »
Quello che dice mi lascia di stucco. Ha ragione. Queste persone si divertono e stanno bene, perciò non può essere sbagliato. Anch’io, pur non essendo abituata a questo genere di cose, estranea alla vita a cui Harry mi sta introducendo, apprezzo la musica, l’ambiente, l’atmosfera. Mi viene quasi voglia di integrarmi per davvero, di far finta di essere una di loro. In fondo, però, io sono una di loro.
Harry mi fa cenno di seguirlo e si sposta verso la pista. Mi concentro sulle sue spalle larghe mentre si muove sicuro in mezzo alla gente che danza e salta, in preda alla foga. È soltanto adesso che noto qualcosa sui loro visi: sono disegnati, illuminati da strisce colorate che brillano nell’oscurità.
« Che cosa sono? » devo urlare per farmi sentire da Harry, afferrandolo per un braccio così che si fermi. Lui si guarda attorno, poi sorride.
« Inchiostro invisibile! » mi dice, ma vedendo la mia espressione interrogativa si preoccupa di spiegarmi. « È un tipo di inchiostro che si vede solo al buio, ti ci puoi disegnare la faccia… aspetta! »
Si guarda un po’ attorno, parla con qualche persona, poi si gira di nuovo verso di me con in mano un pennarello. Si disegna due strisce dritte e nette sugli zigomi.
« Come i giocatori di rugby! » dice.
« I cosa? »
Scuote la testa. Non conosco i “giocatori di rugby”.
« Non importa. » dice continuando a sorridere. « Vieni, ti disegno qualcosa. »
Con una mano mi cinge il mento e con l’altra disegna tre strisce per guancia, a mo’ di gatto.
« Adesso puoi confonderti con tutti loro e una volta fuori nessuno noterà niente. »
Mi viene da ridere e mentre Harry restituisce il pennarello, io  sono già entrata in un mondo tutto mio, nuovo, che mi piace un sacco. Mi muovo seguendo il ritmo della musica, Harry sembra entusiasta della mia reazione. Se penso che un’ora fa non volevo lasciare quella camera, mentre ora sto ballando in una discoteca con la faccia disegnata con dell’inchiostro invisibile, mi viene da ridere. Com’è possibile che tutto questo sia sbagliato? Io mi sento terribilmente viva, come non lo sono mai stata. Mi sembra di poter fare qualsiasi cosa e di poter andare ovunque, pur non conoscendo i confini del mondo. Ad essere sincera, mi sembra addirittura che il mondo non abbia affatto confini.
 
Quando rientriamo a casa, fuori è ancora buio e Louis ed Adrien sono già a letto. Harry mi segue nella sua camera con entrambe le mani premute sulla bocca per evitare che la sua risata svegli gli altri due. Io gli faccio segno di stare in silenzio, ma in realtà sto ridendo anch’io.
Le sue spalle si scuotono veloci mentre cerca di frenare la sua allegria, che lentamente, nel silenzio di queste mura, scema fino a scomparire in un sorriso nascosto nell’ombra di questa stanza. I nostri visi brillano ancora con l’inchiostro invisibile.
« Come ti è sembrato? » mi chiede a bassa voce.
« È stato bellissimo. » rispondo. « Non mi sono mai divertita così tanto in vita mia. E quella ragazza! Greta! Faceva delle cose strabilianti! »
Harry ridacchia. « Già. »
Abbiamo conosciuto delle persone, tra cui Greta, una ballerina fantastica. Ne sono rimasta affascinata.
« Queste cose fanno parte del mondo là fuori? Oltre la Francia? » domando.
Harry diventa lentamente serio, mentre annuisce. « Sì, ovunque. »
Sospiro. « Le vedrò mai? »
« Intendi fuori dalla Corte dei Miracoli? »
« Sì. Fuori da tutto questo. »
Harry ci pensa un po’ su. Si inumidisce le labbra e poi mi si avvicina, raccogliendo il mio viso tra le sue mani grandi e calde. Mi guarda dritta negli occhi.
« Ti prometto che quando porterò Louis ed Adrien a Londra, tornerò qui e ti salverò. Ti porterò lontana da tutto questo. »
Osservo il modo in cui mi guarda, tocco le sue mani con le mie come ad avere conferma che sia reale.
Lo è.
« Come puoi esserne certo? Potresti dimenticarti di me non appena superi Parigi. »
I miei timori non sono infondati. Mia madre e mio fratello mi hanno voltato le spalle, chi per proteggermi e chi per tradirmi. Mio padre non ha avuto alcuna scelta, ma mi ha tenuta all’oscuro di ciò che stava accadendo, abbandonandomi nell’ignoranza. Perciò ho paura di credere a ciò che Harry mi promette, perché anche se sta facendo di tutto per proteggermi e per tenermi al sicuro, non so se ciò che dice possa realmente accadere.
Scuote la testa senza distogliere lo sguardo dai miei occhi, come se potesse leggermi dentro. O come se stesse lasciando a me l’opportunità di leggergli dentro.
« Questo non accadrà mai. » mi dice piano, in un sussurro. « Mantengo sempre le mie promesse. » Il suo pollice destro ha iniziato ad accarezzarmi la guancia. Mi sento inspiegabilmente a mio agio e, contemporaneamente, in subbuglio. I miei occhi di posano sulle sue labbra quando continua a parlare. « Non ti lascio, Aline. »
Non so se sia il modo in cui lo dice, lo sguardo che mi rivolge o come mi tiene tra le sue mani, quasi come se fossi un oggetto prezioso. Ma riesco a credergli. Accende in me la possibilità di avere una speranza, di poterlo rivedere, di iniziare a vivere per davvero, in un posto nuovo, ripartendo da zero.
La sua bocca trova la mia e con delicatezza mi bacia sigillando questa promessa. Non mi sono mai accorta di essere attratta da Harry, dai suoi modi di fare, dalle sue parole, dai suoi gesti, dalle sue attenzioni. Adesso che i nostri corpi sono così uniti, vorrei non separarmi mai più da lui. Che mi portasse via con sé, che fosse sempre sano e salvo. Ma non glielo dico. Lo tengo per me, come se potessi soffocarlo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo ventidue ***




CAPITOLO VENTIDUE
Andiamo altre volte in discoteca, e ci diamo altri baci. Solo baci e carezze, nient’altro. Harry mi rispetta e mi protegge. Ma non ci baciamo mai di fronte ad Adrien e Louis. Mi sento a disagio. È qualcosa che condividiamo solo noi, e loro non credo potrebbero capire. Louis è particolarmente irascibile quando si presenta la minima problematica riguardo la sua fuga. Ed in qualche modo mi sento come tale, una possibilità in più per il loro fallimento.
Ma non lo dico. Non voglio essere un peso, non più di ora, almeno. Lo so che stanno ritardando la loro partenza a causa mia, ed in qualche modo mi viene da pensare che Harry stia tergiversando, che non voglia lasciarmi completamente. Si fida di Malo, ma ha comunque paura. La nostra situazione è pericolosa.
Louis perde spesso la pazienza, ma non con me. A volte nemmeno mi guarda, come se preferisse ignorarmi piuttosto che prendersela con me. Forse ha capito che, in fondo, io non c’entro molto. Non voglio, comunque, che Harry metta ulteriormente in pericolo tutti loro a causa mia. Se ne devono andare per salvarsi, anche se so che sarà difficile.
Una parte di me vorrebbe che restassero, per averli al mio fianco e sapere che sono vivi, mentre l’altra preferirebbe che tentassero la fuga, per avere un futuro ed una vita migliore. Sono incerta. Non so dove sbattere la testa.
Più passano i giorni, più vedo che si preparano per lasciare Parigi. Adrien ha riempito il serbatoio del furgoncino e lo usano il meno possibile, con loro porteranno altre due taniche di benzina che dovrebbero bastare. Louis si è occupato del cibo e della roba da bere, perché dovranno passare inosservati. Sul calendario attaccato al frigo della cucina, segna con delle X rosse i giorni che trascorrono. Mi mette ansia.
Rispetto tutto ciò che mi dicono di fare, ubbidiente ed educata. Non esco di casa senza di loro, mi faccio trovare disponibile in tutto. Non sono comunque molto utile, perché mi tengono fuori dai loro piani.
È un’altra sera in discoteca. Harry mi guarda e ogni tanto mi sorride, come a dirmi che va tutto bene. Stasera non ci siamo disegnati la faccia, in pochi l’hanno fatto. Mi guarda con un cipiglio strano, diverso da quelli che ho imparato a conoscere. È come se dovesse dirmi qualcosa. Ed in qualche modo so già quale sia il problema.
Gli prendo una mano e mi avvicino a lui, posando la testa sul suo petto. Anche con la musica assordante, sento il suo cuore battere forte e presente. Mi accarezza i capelli.
« Quando partite? » gli domando.
Lui deglutisce. Devo guardarlo per convincerlo a rispondermi, per fargli capire che va tutto bene, che sono pronta. In realtà non vorrei mai lasciarlo, soprattutto adesso, ma so che è per un’ottima causa. So che, prima di me, viene la sua libertà. Dopotutto, lui non appartiene a questo mondo.
Mi sfiora una guancia con una mano.
« Fra due giorni. »
Lascio che le parole ronzino ancora un po’ nella mia mente, insabbiandosi. Fra due giorni Harry non sarà più con me. Fra due giorni dovrò vedermela da sola, per davvero. E sperare che vada tutto per il meglio.
Mi sforzo di sorridergli per trasmettergli fiducia e coraggio. Per fare esattamente come lui ha fatto con me quando ero sola, impaurita e persa.
« Andrà tutto bene. »
« Tornerò a prenderti. » mi dice.
« Per ora pensa a salvarti. Starò bene se tu sarai salvo. »
C’è un forte botto che mi fa sobbalzare, e la musica cessa, mentre le luci continuano i loro giochi. L’espressione sul viso di Harry muta improvvisamente, e nel silenzio creato dallo stupore dei presenti, si sentono degli spari. E inizia il finimondo.
Qualcuno urla dal panico e la mano destra di Harry cerca e trova la mia.
« Vieni con me! » strilla, tirandomi. Lo seguo sapendo di non avere altra scelta, e corriamo in mezzo alla gente che si muove impazzita. Harry spintona chiunque gli si metta in mezzo, buttandosi poi con tutto il corpo contro una porta di sicurezza, aprendola. Ci immergiamo così nelle strade della Corte, che ora, somigliano all’inferno che non ho mai visto.
I Controllori avanzano in piccoli gruppi, armati fino ai denti e minacciosi. Alcuni locali sono in fiamme, ci sono dei cadaveri a terra e del sangue che macchia le strade. Resto immobile, pietrificata dalla paura. Siamo stati scoperti.
Malo sbuca fuori dal balconcino al terzo piano del suo locale e, con un fucile, inizia a sparare agli agenti. La mano di Harry stringe la mia.
« Louis! » esclama, iniziando a correre e trascinandomi con sé.
Scappiamo come due dannati, senz’armi e spaventati, intrufolandoci nelle vie più strette, buie e sconosciute e allontanandoci dal fuoco, dalle urla e dal sangue. Il mio cuore, ora, mi batte in gola, non riesco quasi a respirare.
Ad un certo punto Harry si ferma e si guarda attorno. Ci sono dei Controllori, dei ribelli che tentano di contrattaccare e i suoi occhi persi.
« Harry » lo chiamo. Lascia andare la mia mano e lo vedo che trema. Sta avendo un attacco di panico.
« Harry, guardami! » lo imploro mettendomi davanti a lui, in mezzo a tutto questo macello, circondati dalle grida di dolore e paura. Sento l’agitazione farsi strada anche nel mio corpo, ma so che devo restare in me. Devo farlo per Harry.
« Non so… » si guarda attorno con degli scatti paurosi. « Non capisco dove dobbiamo andare. »
Mi guardo attorno. La Corte dei Miracoli non sembra più quella che conoscevo. Le luci viola non aiutano il fuoco che divampa e il sangue che sgorga dalle vittime. Un Controllore ci vede. Io afferro il braccio di Harry e lo tiro via.
« Seguimi! » urlo stridula, convincendolo a schiodarsi e a venire con me. Grazie alla mia memoria, sono in grado di tracciare una mappa perfetta del luogo in cui ci troviamo. L’immensità della Corte dei Miracoli, e di Parigi, non mi mettono nessun problema, nonostante la mia instabilità mentale causata dai sieri. Harry ha il fiatone, la sua mano non stringe la mia e suda, ma non lo lascio andare e, soprattutto, non mi fermo. Non deve farlo nemmeno lui.
Corriamo fulminei, sento le mie gambe quasi paralizzate dalla paura ma non mi fermo. Harry sembra reagire dopo qualche minuto di corsa sfrenata, quando sento che sto per collassare e vomitare per lo sforzo. Mi affianca, poi mi precede, e adesso è di nuovo lui che mi fa da guida. Ha riconosciuto la strada, e corre come un matto.
Quando raggiungiamo l’appartamento, non ci importa nulla dei rumori, del baccano che creiamo. In lontananza ci sembra ancora di sentire le urla della gente nella Corte. Penso a Malo, mi chiedo se sia ancora vivo.
« Louis! Adrien! » Harry urla, accende tutte le luci, io mi fiondo in bagno e vomito. Louis si è addormentato nel divano e balza subito a sedere. Harry tira un sospiro di sollievo, mentre Adrien esce fuori dalla sua stanza con la faccia addormentata.
« Che cazzo fai? Vuoi svegliare tutti? » Louis guarda Harry in cagnesco. Una volta che lo vede bene in viso, capisce che c’è qualcosa che non va. « Che ti è successo? »
« La Corte » rispondo io, comparendo sulla soglia del bagno. « I Controllori l’hanno trovata. »
Gli occhi di Louis si ingigantiscono e Adrien sposta il suo sguardo da me ad Harry, che annuisce.
« Dobbiamo andarcene. » dice.
Adrien fa dei gesti con le mani e poi mi indica, impaurito. Credo stia chiedendo qualcosa su di me.
« Avevamo deciso che Aline sarebbe rimasta con Malo. » gli risponde Louis, e capisco che ha domandato cosa ne sarà di me.
« È impossibile, Louis. » lo contraddice Harry, ben sapendo che Louis potrebbe esplodere d’ira da un momento all’altro.
« Come sarebbe a dire? » sbotta lui, infatti.
« Malo sta cercando di contrattaccare. » rispondo. « L’abbiamo visto prima. »
Adrien dice di nuovo qualcosa che non capisco e Louis si infervora subito.
« Non se ne parla! »
« Che ha detto? » domando io ad Harry.
« Ha detto di portarti con noi. »
« È fuori discussione. » Louis è rosso in viso e ha iniziato a fare avanti e indietro. « Ne avevamo già parlato. »
« Non c’è nessun’altra alternativa! » insiste Harry.
« Dalla in pasto alla Centrale, tanto ormai hanno già scoperto tutto! » è furibondo. Non ho mai visto Louis così spaventato e furioso. I miei occhi si ingigantiscono per ciò che ha appena detto, Harry serra i pugni prima di urlare.
« Louis! »
La porta viene scardinata e buttata a terra ed un colpo di pistola parte dritto su Louis, che si accascia al suolo con dei lamenti. Adrien si butta su di lui, mentre il Controllore che l’ha colpito avanza spedito.
Harry reagisce immediatamente, disarmandolo. La sua pistola cade a terra, lontana da entrambi. Iniziano a rotolare prendendosi a pugni, mentre Louis mastica delle bestemmie tra i denti e il suo fianco sanguina; Adrien gli tampona la ferita con quello che trova lì accanto, bianco in viso.
Io mi fiondo a recuperare la pistola, non ne ho mai presa una in mano.
« Aline! » urla Harry. Mi giro, lo vedo a terra. Il Controllore gli punta un’altra pistola contro la fronte. Io punto la mia verso di loro, Louis mi urla qualcosa.
E sparo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo ventitre ***




CAPITOLO VENTITRE
Io non sono un’assassina. Non ho mai ucciso nessuno in vita mia. Non sono un’assassina, non lo sono. Non lo sono mai stata e mai lo sarò. Non posso esserlo. Non fa parte di me.
« A sinistra! »
La mia testa pulsa mentre do ad Adrien le indicazioni stradali. Corre spericolato tra le strade, Louis che piange e si lamenta tra le braccia di Harry, entrambi nel vano posteriore del furgone. I loro abiti sono macchiati di sangue fresco, il cui odore mi arriva alle narici. Sto per vomitare di nuovo, ne sono quasi sicura.
« Alla fine della strada, svolta a destra. »
Stringo la maniglia dello sportello, pronta a scendere non appena ci fermiamo. Adrien accelera, svolta a destra e vedo la casa.
« Parcheggia! »
Il suo è un parcheggio fatto alla svelta, di sbieco, brusco e che raschia sull’asfalto. La testa di Louis ciondola insieme a quella di Harry, che non sa bene cosa fare.
Salto giù dal furgone e mi metto a correre verso la porta, bussando come una dannata. Le lacrime hanno già iniziato a scorrere sulle mie guance.
« Sono Aline! Aprite, per favore! »
Sulla soglia, la prima persona che vedo è Louane. Non appena i suoi occhi scorgono la mia figura, mi tira dentro prendendomi per una spalla, abbracciandomi. È spettinata ed è evidente che stesse dormendo.
« Aline! » soffia il mio nome tra i miei capelli, ma io so che non c’è tempo. Anche se le lacrime sgorgano sulle mie guance, mi sforzo di parlare, agitata e spaventata.
« Louane, devi aiutarmi. »
Adrien ed Harry entrano portando Louis, ferito e bianco come un lenzuolo, con le mani poggiate sul fianco colpito, il sangue che le ha colorate.
« Santo cielo! » Louane si fionda in cucina, facendo segno ai ragazzi di seguirla, mentre dal piano superiore scende Josée.
La mia migliore amica mi corre incontro ed io singhiozzo così forte che mi dimentico dell’ora tarda.
« Che cosa ti è successo? » Josée mi prende il viso tra le mani, ma io non so rispondere. Non ci riesco.
« Josée, portami il kit medico da sotto la scala! » urla Louane. Sento qualcosa strapparsi e affacciandomi sulla soglia vedo che la madre della mia amica ha rotto la maglietta di Louis per avere una visione migliore della ferita. Josée, con una rapidità che mi sorprende, obbedisce alla sua richiesta. Louane mi passa affianco ed io la blocco prendendola per le braccia.
« Mi dispiace. » dico piagnucolando come una bambina. Scuoto la testa. « Non sapevo dove altro andare. »
« Va tutto bene. » Louane è in ansia, ma mi sorride comunque. « Hai fatto la cosa giusta, Aline. »
Mi accarezza il viso e corre in bagno a prendere degli asciugamani, incrociando Josée che le porge il kit medico. La mia amica sbircia in cucina, vedendo Louis dimenarsi sotto la presa salda di Harry ed Adrien.
« Quello è… » mormora, sgomenta. Io non le rispondo perché è ovvio che abbia riconosciuto Louis. Chiunque lo farebbe.
Louane ci passa in mezzo, dividendoci.
« Josée, porta Aline fuori da qui. Adesso! »
Josée, ancora una volta, ubbidisce, e mi spinge delicatamente via. Io guardo verso Louis, impaurita, mentre Louane chiude la porta della cucina, separandomi da Harry, i cui occhi mi cercano poco prima che l’ingresso venga sbarrato. Josée mi cinge entrambe le spalle, come a volermi riportare coi piedi per terra. Devo avere un aspetto orribile, con gli occhi gonfi ed arrossati, spettinata ed esausta. Sento il terrore scorrermi nelle vene, non ho idea di come riesca a reggermi ancora in piedi.
Louis lancia un urlo che mi destabilizza, facendomi voltare verso la porta della cucina.
« Stai tranquilla, va tutto bene! » Josée mi parla piano, pacatamente, come se fossi una bomba pronta ad esplodere. « Sei al sicuro qui. »
« No, non sono al sicuro, nessuno di noi lo è. » scuoto la testa. « Nemmeno voi. »
I suoi occhi mi implorano di non renderle il compito ancora più difficile. Ho paura per lei.
« Hanno scoperto tutto. Della Corte, dei ribelli… stanno radendo al suolo ogni cosa… » dico in un sussurro. Josée ascolta quello che dico ed osserva le lacrime che, silenziose e lente, mi tracciano dei sentieri invisibili ed umidi sugli zigomi. « Ed io ho ucciso uno di loro… »
Mi guarda a lungo, aspetta che dica dell’altro ma non ci riesco. Sono sotto shock.
« Cosa… » non riesce quasi a parlare, le mie labbra tremano. « Cosa stai dicendo, Aline? »
Ed è qui che crollo. Tutto il mio mondo, tutto quello in cui ho sempre creduto, tutto ciò a cui ho fatto l’abitudine, esplode all’interno del mio corpo con una furia tale da farmi cadere in ginocchio, rantolando. Sono diventata un mostro. Una macchina d’odio.
Mi sento piena zeppa di buchi, colma di un’ira spiacevole, che mi fa sprofondare nella perdizione più totale. Non mi riconosco più. Non so cosa sono in grado di fare, dove devo andare e cosa mi sta accadendo. Ho fatto delle cose in automatico, mossa dall’istinto di sopravvivenza, macchiandomi con un reato che non potrò mai cancellare dalla mia vita.
Mi sento spregevole, anche se sto piangendo.
Josée mi tiene stretta fra le sue braccia, accovacciandosi di fronte a me. Cerca di cullarmi come meglio può, senza sapere che mi sento in colpa anche per questo. Per le sue braccia attorno al mio corpo fragile e sporco, per sua madre che sta curando uno dei ragazzi più ricercati di tutta Parigi, per averle svegliate nel bel mezzo della notte, per averle introdotte a qualcosa più grande di tutti noi.
Ma avevo altra scelta?
Ho sparato perché se non l’avessi fatto, Harry a quest’ora sarebbe morto, e probabilmente lo saremmo anche noi. Li ho portati a casa di Josée e Louane perché non sapevo dove altro andare, ed in ospedale ci avrebbero arrestati ed uccisi. Adesso che la Corte dei Miracoli è stata scoperta ed attaccata, non so nemmeno che fine abbiano fatto mio padre e mia madre. E Tristan? Dov’è lui? Sta facendo esattamente come gli altri Controllori?
Penso a lui al posto del Controllore a cui ho sparato e sento i polsi prudermi. È la prima volta che desidero morire, per non provare più questo dolore atroce che mi dilania senza pietà, tra i miei singhiozzi, le parole di Josée e le urla quasi disumane di Louis nella stanza affianco.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattro ***




CAPITOLO VENTIQUATTRO
Josée vuole a tutti i costi che dorma insieme a lei. Ma io non dormo affatto.
Credo che Louane sia ancora con Louis. È riuscita ad estrapolare il proiettile e a curargli la ferita, evitando che si infettasse e che peggiorasse.
Fisso il nulla di fronte a me, stanca, spossata e agitata. Sono molto confusa e non riesco a liberarmi di quest’angoscia che mi opprime. Si è ribaltato tutto quanto nel giro di qualche istante.
Mi sento scomoda, immobile in questa posizione, perciò mi volto per controllare Josée: sta dormendo beatamente. Vorrei poter avere la sua serenità, e ancora un tetto sotto cui stare. Adesso che la Corte dei Miracoli è stata trovata, non so dove andrò. Devo parlare con Harry.
Mi muovo piano, mettendomi prima a sedere, con la testa pesante per i troppo pensieri, e poi scendo dal letto cercando di non fare il minimo rumore. La camera di Louane è chiusa, so che Harry ed Adrien hanno spostato Louis lì dentro, per permettergli di riposare un po’.
Scendo piano le scale, trovando Adrien addormentato sul divano in soggiorno, che russa beato, con una mano sotto la guancia e l’altra penzolante. Voci basse arrivano dalla cucina, in cui trovo Harry e Louane, entrambi che fumano. Non ho mai visto Louane fumare, non sapevo nemmeno che lo facesse. Harry è il primo che mi vede.
Ha gli occhi scavati in due profonde occhiaie, è bianco come un lenzuolo e si è lavato via il sangue dalle mani. Louane mi sorride appena.
« Hai dormito un po’? »
Scuoto la testa, entrando nella stanza. Mi siedo con loro, in silenzio.
« Come sta Louis? » chiedo.
« È di sopra che dorme. Deve recuperare un sacco di forze, ha perso parecchio sangue. »
« Quanto gli ci vorrà? »
Louane scrolla le spalle. È esausta.
« Qualche giorno. »
I miei occhi saettano subito su di Harry, che ha lo sguardo fisso nel nulla.
« Non avete tutto quel tempo. » gli dico. Lui mi guarda subito.
Scuote la testa, cosciente della situazione tragica in cui ci troviamo.
« Potete restare qui quanto volete. » dice subito Louane.
« No. » sentenzia invece Harry. « Se restiamo qui è troppo pericoloso. Non possiamo causarvi altri danni. »
Louane sospira, non ha voglia di ribattere.
« Partiremo non appena Louis si sveglia. »
« E io? » domando, incerta. « Cosa farò io? »
Harry punta i suoi occhi nei miei. Sono di un verde difficile da descrivere. Ci leggo dentro un sacco di cose, tra cui paura ed insicurezza, ma voglia di andare via.
« Tu verrai con noi. »
Sbatto un po’ gli occhi. Perfino Louane lo guarda sorpresa.
« Non ti lascio qui. » continua.
Non so bene come mi sento. So che se restassi con Louane e Josée, potrei metterle in grave pericolo solo con la mia presenza. Ma so anche che non sono pronta ad affrontare questo viaggio. Mi sembra di andare dritta tra le braccia della morte, in entrambi i casi.
E forse, preferisco morire al fianco di Harry, che con il pensiero di lui lontano da me e in pericolo. Dopotutto, è l’unico che non mi sta abbandonando al mio destino, ma mi sta accompagnando verso una prospettiva migliore.
« Cosa dirà Louis? » gli chiedo.
Socchiude gli occhi. « Niente. Non dirà niente. »
« Dove siete diretti? » domanda Louane, spegnendo la sua sigaretta. Harry la guarda con sospetto.
« Stai tranquillo, non dirò niente. »
Io non ho paura che possa dire qualcosa. Ho paura che possa involontariamente mostrarlo. Nessuno è immune ai sieri. Ma Louane sembra decisa a voler avere una risposta.
« Calais. » dice allora Harry. Non ci sono mai stata. Lui continua a parlare. « Il porto fa partire delle navi che arrivano dritte a Dover, nel sud dell’Inghilterra. I francesi che vengono richiamati a Parigi per i controlli passano da lì. »
« L’hai fatto per venire fino a qui? » chiede ancora Louane. Harry annuisce.
Devono aver parlato parecchio, mentre non c’ero. Ed io non ho mai pensato di chiedere a Harry come sia arrivato fin qui, come sia entrato a far parte di tutto questo. Immagino che per lui debba esser stato atroce, per questo si prende cura di me e non mi lascia andare. Non so più se sono io ad avere bisogno di lui, o il contrario. Forse, siamo semplicemente due pezzi dello stesso puzzle.
« Avete una cartina con voi? »
Lui annuisce.
« Posso vederla? »
Harry non si fida di Louane, ma in qualche modo le dà retta. Esce per recuperare la cartina dal furgoncino, tornando in casa infreddolito. Louane la apre sul tavolo, appiattendola per bene. La osserva a lungo, e noi con lei.
« Pensavamo di passare di qua, costeggiando il mare. » dice Harry, indicando con un dito una strada che passa per Beauvais e Boulogne-sur-Mer. Louane scuote subito la testa.
« No. Beauvais gestisce l’aeroporto e lì trovereste un sacco di agenti che vi ucciderebbero senza esitazione. Non riuscireste ad arrivare nemmeno ad Amiens. » dice. Harry corruga la fronte. Evidentemente non lo sapeva.
« Passate di qua. » il dito di Louane percorre una lunga strada. « Per Arras e Lens. La gente è molto più tranquilla, pochissime pattuglie di polizia e Controllori e potreste addirittura trovare qualche posto in cui passare la notte. »
Io seguo il suo dito e le sue indicazioni. Memorizzo i nomi, le strade. So che non li dimenticherò.
« Ma state lontani da Lille. » continua.
« Perché? »
« Il confine col Belgio è tappezzato di controlli di ogni tipo. Non riuscireste ad andare verso Calais. È troppo pericoloso. »
Harry annuisce. « D’accordo. »
« Come fai a sapere tutte queste cose? » chiedo, prima ancora di rendermene conto. Louane ed Harry mi guardano, ma poco dopo anche lui rivolge le sue attenzioni alla donna. Lei mi sorride e mi accarezza una guancia. Mi sembra quasi di sentire la mano di mia madre. La mano della donna che mi ha messa al mondo e che mi ha abbandonata, e di cui non ho notizie.
« È facile sapere queste cose quando fai parte della ribellione. »
Io resto senza parole, molto più di Harry, che forse in qualche modo l’aveva sospettato. Louane non può essere una ribelle. Lei, che fa l’infermiera in ospedale, madre della mia migliore amica. Sospira, decodificando il mio sguardo.
« Tua madre lo sapeva, per questo ti ha affidata a me. Non aveva idea che tu fossi già in contatto con dei ribelli. »
« Fuggiaschi. » la corregge Harry. Lei gli rivolge una misera occhiata, prima di continuare.
« Non tutti si rifugiano alla Corte dei Miracoli. Molti di noi sono infiltrati tra le più grandi cariche. Se così non fosse stato, niente di tutto questo sarebbe accaduto, e i ribelli non sarebbero mai esistiti, estirpati fin dal principio. »
Penso al fratello gemello di Malo, che lavora in Centrale. Penso a Victoire. A Tristan. Forse anche lui non è completamente dalla loro parte. Forse mio padre è ancora vivo.
« Josée lo sa? »
Louane scuote la testa.
« Non ancora. »
« Devi dirglielo. » la guardo dritta in viso. « Devi dirglielo, Louane. Non si merita questo. »
Lei aggrotta la fronte, ed io mi sento avvampare. Voglio piangere ancora.
« Non voglio che pensi che sua madre sia una bugiarda e che non possa fidarsi di lei. Non devi lasciare che succeda ciò che è accaduto a me e alla mia famiglia. »
Deglutisce. Se ripenso con insistenza a ciò che mia madre e mio padre mi hanno nascosto, sento una rabbia enorme nei loro confronti. So che l’hanno fatto per proteggermi, ma forse hanno solo peggiorato le cose.
Louane annuisce piano. Voglio proteggere Josée fino alla fine. Qualsiasi essa sia.
 
Louis Tomlinson e Aline Dupont sono i nomi dei primi ricercati. La mia foto e quella di Louis passano ai notiziari come se avessimo causato noi, tutto questo. Alla TV, i miei occhi vedono cose che non avrei mai pensato di vivere: la Corte dei Miracoli è stata rasa al suolo, i corpi dei ribelli giacciono ammassati in pozze di sangue, alcuni carbonizzati. Non riconosco Malo.
Louane dice che chi stava alla Corte erano piccoli gruppi di ribelli emarginati dalla società. Quelli più scalmanati, privi di controllo o misure. I più pericolosi, sono ancora radicati all’interno della città, possono essere ovunque, vicini di casa, l’edicolante, lo stesso giornalista.
« Si muoveranno presto. » dice, le braccia incrociate e la luce della televisione che le illumina il viso. « La Centrale è convinta di aver sconfitto la minaccia, ma non sa che ha solo alimentato la fiamma. »
È come se nella Corte ci fossero stati i figli. Adesso saranno i genitori a muoversi e a combattere.
Louis si sveglia all’alba, con la pioggia che scende sul fuoco della rabbia ancora acceso. La ribellione è appena iniziata. Harry dice che dobbiamo andare.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo venticinque ***




CAPITOLO VENTICINQUE
Mio fratello è morto. Mio padre è morto. Mia madre è morta. Harry e Josée sono morti. Louis ed Adrien pure. Louane anche. Io, quasi.
Vicino a me non vedo altro che fiamme, e i palazzi della Corte dei Miracoli cadono tutt’attorno. Mi sento in trappola, mangiata viva. Voglio piangere ma non ci riesco, così come non sono in grado di urlare. Ho fallito. Ho portato tutti quanti alla morte. Li ho uccisi io.
Quando sollevo lo sguardo dai corpi carbonizzati, vedo una sola persona, che mi fissa attentamente, compiaciuto. È il Dottor Christophe Mercier, lo stesso che ha seguito l’addestramento di Tristan.
Ho uno scatto d’ira e vorrei saltargli addosso, ma invece apro gli occhi e scopro che era tutto un incubo. Sono nel vano posteriore del furgoncino nero di Adrien, che sballotta un po’ perché siamo in movimento. Harry mi posa una mano sulla spalla ed io trasalisco.
« Stai bene? » mi chiede.
Mi sono addormentata senza rendermene conto. Non so quanto sia passato, né dove siamo. So soltanto che stiamo cercando di uscire da Parigi.
Guardo Harry ed annuisco. Louis è sdraiato vicino a lui, dorme ed è debole. Louane ci ha dato dei calmanti e degli antidolorifici da dargli se sente dolore. Non ho salutato Josée quando siamo partiti, perché dormiva ancora. Spero che capisca. Spero di rivederla.
Sollevo lo sguardo verso Adrien che è alla guida, ma non vedo la strada. Non sono sicura di potermi sporgere verso la grata solo per il gusto di capire dove sono. Potrei esser vista ed è meglio non rischiare.
Adrien ha dei documenti falsi che lo identificano come un commerciante di scambio autorizzato dal governo. Glieli ha procurati Malo facendo delle copie perfette di alcuni documenti che suo fratello gli aveva segretamente passato. Anche Harry ce li ha, ma Adrien, essendo muto, è più convincente di lui che parla con un accento strano.
« Torna a dormire. » Harry mi parla piano, non vuole svegliare Louis. « Ti sveglio io se ci sono problemi. »
Sarebbe facile addormentarmi fin quando non raggiungiamo Calais. Vorrei davvero essere in grado di farlo, ma non mi è possibile. Non voglio fare altri incubi come quello appena avuto. Perciò scuoto piano la testa, esausta.
« Non ci riesco. » dico.
Stringe le labbra e si sposta per starmi più vicino. Mi cinge i fianchi con le mani e mi fa poggiare il capo sul suo petto, dopodiché mi bacia la testa con premura.
« Andrà tutto bene. » mi sussurra.
Il suo cuore batte veloce da sotto la sua pelle, incastrato tra le sue ossa. Non ci crede nemmeno lui.
 
Louis si sveglia dopo diversi minuti, e la prima cosa che fa è cercare di mettersi a sedere. Harry lo aiuta, facendogli poggiare la schiena contro il lato del furgone. Lui si tocca il fianco con espressione dolorante.
« Acqua. » chiede in un sussurro. Harry gli passa una bottiglia d’acqua naturale e lui inizia a bere senza sosta. Ne ingurgita metà, e quando ha finito mi guarda. Le sue sopracciglia si curvano.
« Lei cosa ci fa qui? »
Credevo che fosse cosciente quando l’abbiamo caricato sul furgone, ma evidentemente non aveva capito cosa stesse realmente accadendo.
Balbetto qualcosa senza senso, incapace di rispondere. Harry mi viene in soccorso.
« C’è stato un cambiamento dei piani. » dice con tono autoritario. Louis lo guarda subito.
« Dovevo immaginare che avresti fatto come volevi tu. »
« Ti ha salvato la vita. » gli dice ancora, riferendosi a me.
Louis mi lancia un’occhiata, ma non mi ringrazia. Non lo fa mai.
« Vuoi altra acqua? » Harry cerca di spostare l’attenzione su altro. Louis scuote la testa e si sistema meglio, mentre Harry torna vicino a me, ma senza abbracciarmi come prima.
« Dove siamo? » domanda il primo, indolenzito. « Siamo già usciti da Parigi? »
« No » Harry scuote la testa. « Ma dovremmo esserci quasi. »
Louis sbuffa e poggia la testa contro la parete del furgone, socchiudendo appena gli occhi. Harry tira fuori la cartina e cerca di appiattirla per mostrarla al cugino.
« Passiamo per qua. Abbiamo cambiato strada. » gli dice.
« Come mai? »
« La mamma dell’amica di Aline ci ha suggerito questa via, per evitare quanti più controlli possibili. »
Louis aggrotta la fronte, sospettoso, e poi solleva i suoi occhi chiari su Harry.
« E voi vi fidate di lei? »
« Sì » decreto io immediatamente, sentendomi chiamata in causa e toccata. Louis può permettersi di aprire bocca su qualsiasi cosa, ma non su Louane e Josée. Loro non sono affatto cattive persone, e dopo ciò che gli hanno fatto, salvandolo dalla morte, dovrebbe almeno avere un minimo di rispetto.
« Lei è una ribelle. Molti di loro sono infiltrati nelle grandi organizzazioni, per questo è riuscita a guidarci. » gli spiega Harry, cercando di mantenere la calma. « E poi è stata lei a curarti. Se avesse voluto ingannarci ci avrebbe già dati in pasto ai Controllori. »
Louis non sembra in grado di trovare niente con cui ribattere, perciò poggia di nuovo la testa nella posizione che aveva precedentemente, in silenzio. Harry attende che dica qualcosa, ma vedendo che resta immobile, si decide a richiudere la cartina.
« Fidarci è l’unica alternativa che abbiamo. » conviene, pochi istanti prima che Adrien batta sulla grata, richiamando la nostra attenzione.
« Che c’è? » domanda subito Louis, mentre Harry si inginocchia per dare un’occhiata, dato che Adrien non è in grado di spiegare.
« Posto di blocco, siamo all’uscita della città. » si muove in fretta, sedendosi di nuovo a terra e togliendo i sacchi di iuta dal pavimento del vano.
« Muoviti, prendi le armi! » lo incita Louis.
Io li guardo sgomenta.
« Armi? » ripeto.
Harry apre una specie di botola che scopre togliendo i sacchi, e tira fuori un fucile e due pistole. Me ne consegna una, ma io tentenno nel prenderla.
« Non pensavi che saremmo partiti sprovveduti? » commenta Louis, caricando il suo fucile. Adrien ha già iniziato a rallentare.
« Io… »
« Dai, Aline. » Harry mi sprona spazientito, non ha idea di ciò che mi sta accadendo. Prendo la pistola per l’agitazione che mi sta mettendo, e lo guardo chiudere lo scomparto nascosto e coprirlo di nuovo coi sacchi.
« Se decidono di ispezionare il furgone, sparate non appena aprono gli sportelli, ok? » dice.
Louis annuisce subito. Io sto zitta.
Non voglio sparare e non so nemmeno se ne sono in grado. Dopo che ho ammazzato quel Controllore, mi sembra di essere incapace di fare qualsiasi cosa. Sono divorata dai sensi di colpa.
Adrien rallenta fino a fermarsi del tutto, e Louis mi fa cenno con un dito di stare in silenzio. Mi sembra di non poter nemmeno respirare, per quanto sono in tensione.
Sollevo il viso su Harry, che guarda in alto verso la grata, per sentire meglio. Una voce bassa e grave chiede i documenti ad Adrien.
Non riesco a vedere cosa sta succedendo, ma la stessa voce dice « Un mutilato… vi fanno fare il carico e lo scarico merci perché non potete lamentarvi, vero? »
Ovviamente, Adrien non risponde, e l’altro ride.
« Devo controllare il furgone, ti spiace? »
La luce di una pila illumina Adrien ed il sedile del passeggero al suo fianco, passando sopra la grata. Cerco di appiattirmi come meglio mi riesce, e sento dei passi all’esterno. La luce va via, Adrien batte due colpetti. Harry al mio fianco, sussurra: « Sono in due. »
Accade tutto troppo veloce perché io me ne renda completamente conto. Sono già convinta di morire, quando da fuori si sentono delle urla, e qualcuno grida « Fuggiaschi! ».
Guardo immediatamente Harry e Louis, senza capire come ci abbiano scoperti, ma poi si sentono degli spari, e l’uomo che ha controllato i documenti di Adrien gli dice: « Muoviti, levati di qua prima che ti facciano fuori! ».
Adrien parte spedito, io sbatto la schiena e Louis impreca perché ha battuto la testa. Non ho capito assolutamente nulla di quello che è successo.
« Cosa cazzo… » Louis si rivolge direttamente a Harry, e la mano di Adrien compare sulla grata, facendo segno a quest’ultimo di avvicinarglisi. Harry allora si inginocchia.
« Cos’è successo? »
Adrien gli spiega a gesti, continuando a guidare, ed io non capisco niente, anche se mi sono messa in ginocchio per vederlo. Louis non può farlo, perciò resta seduto. Harry spiega ciò che Adrien gli sta raccontando.
« C’era un altro furgone carico di fuggiaschi. Hanno scovato prima loro, così ci hanno fatti passare per non creare intralcio. Hanno aperto il fuoco e il posto di blocco si è trasformato in un campo di battaglia. »
Resto in silenzio, guardando Louis.
« Hey » Harry è immobile, i suoi occhi verdi puntati oltre la grata. « Aline, vieni. »
Mi avvicino a lui, seguendo il suo sguardo. Riesco a vedere un grosso cartello su un cavalcavia, con la scritta “Parigi” sbarrata di rosso, ed una lunga strada completamente vuota.
« Che succede? » chiede Louis.
Il mio cuore batte ad una velocità pazzesca.
« Siamo appena usciti da Parigi. » risponde Harry.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo ventisei ***




CAPITOLO VENTISEI
La strada vuota mi fa paura. È incredibile come nessuno giri per queste vie. Harry dice che probabilmente stanno chiudendo tutti i passaggi da e per Parigi, in modo da bloccare la rivolta. Si è scatenato qualcosa di enorme, secondo lui.
Io non so che pensare. Mi ritrovo nel retro di un furgone alla fuga disperata insieme a tre ragazzi che conosco a malapena. Vorrei che Harry mi baciasse, per farmi passare quest’angoscia che mi attanaglia lo stomaco.
« Hai paura? » la voce di Louis sembra risvegliarmi dai miei pensieri scomodi. Lo guardo. Non ripete la domanda, ma aspetta una mia risposta.
Annuisco debolmente, come se stessi confessando un peccato.
« Di cosa hai paura? »
Harry siede al lato opposto, contro le portine, e ci guarda. I suoi occhi zigzagano da Louis a me, incuriositi ed un poco allarmati.
Mi gratto una guancia e cerco di mettermi meglio a sedere, Adrien che continua a guidare piano.
« Che ci scoprano. » dico.
« E poi? » mi incita a dire qualcosa che non so. Sostengo il suo sguardo solo perché sto cercando di capire cosa voglia da me. Le sue sopracciglia conferiscono ai suoi occhi chiari una sfumatura tenebrosa ed antipatica, quasi meschina. « Hai paura di morire? »
Mi sento stringermi in me stessa. Sì, ho paura di morire. Una paura enorme di morire, e che loro possano venire uccisi insieme a me. Non so cosa aspettarmi, dopo la morte.
Ma non glielo dico, e lui continua imperterrito.
« Hai paura di uccidere qualcuno? Di sentirti colpevole? »
« Louis » Harry lo richiama piano, stanco dei suoi giochetti. Il cugino non lo ascolta, continua a guardarmi come se fossi una sfida.
« Hai paura di scoprire che non sei buona ed ingenua come credevi, Aline? »
« Louis, basta. » Harry adesso è più austero. Io ho stretto le mie mani in due pugni e mi sto mordendo la lingua. Sta scatenando in me una rabbia innata, che non avevo mai provato prima.
Poggia di nuovo la schiena contro la parete e sta zitto, sorridendomi appena.
« Tutto quello che conosci è uno sbaglio ed una menzogna. » mi dice. « Perfino te stessa. »
Harry sobbalza in avanti, finendo tra di noi. Lo prende per un braccio, strattonandolo e facendolo gemere di dolore per via della ferita.
« Ma che cazzo hai in testa, si può sapere? È una ragazzina, non hai nessuno diritto di dirle queste cose. »
« Ha già subìto delle violenze psicologiche, io le sto solo facilitando il lavoro e le sto aprendo gli occhi. »
« Parlandole in questo modo? » continua Harry. « A me sembra soltanto che stai scaricando le tue frustrazioni su di lei. »
Louis lo calcia via, ed Harry indietreggia. Adesso si guardano in cagnesco. Il francese scuote la testa.
« Non sei mia madre. E nemmeno la sua. »
Louis sembra furioso. Harry sta cercando in ogni modo di tenere a bada la sua ira. È un argomento che nessuno dei due vuole toccare, ma Louis sa che è il punto debole di entrambi.
Non si dicono nient’altro per l’ora successiva. Poi, Adrien inizia a rallentare.
 
Alle porte di Arras non ci sono controlli; Louane aveva ragione. Probabilmente sono tutti concentrati attorno a Parigi.
C’è una grande piazza con un movimento non indifferente di persone e qualche macchina scura. Ci sono dei locali aperti, il Sole è alto in cielo ma non mi riscalda per niente.
Quando scendo dal furgone e mi guardo attorno, respirando l’aria pulita, mi sembra di essere tremendamente vulnerabile. Louis sta ancora nel vano mentre Harry scende e si guarda un po’ attorno.
« Adrien, stai qui con Louis. » gli dice, e lui annuisce una sola volta. Poi, Harry si volta verso di me e mi fa cenno di seguirlo.
Ci avviamo verso non so dove, lo seguo in silenzio, con le braccia strette attorno al corpo. Mi lancia un’occhiata impensierita.
« Tutto bene? » mi chiede.
Annuisco subito, guardandolo appena, ben cosciente di dire una bugia.
« Sei sicura? »
Sollevo lo sguardo, trovando il suo. Decido di non rispondere, inspirando angosciata.
« Dove stiamo andando? » gli chiedo, cambiando discorso.
« A cercare un posto in cui dormire. »
Mi guardo attorno sospettosa ed intimorita, le braccia sempre più premute contro il mio corpo.
« E se non dovessero aiutarci? » chiedo. « Se dovessero scoprire che stiamo scappando da Parigi e che facciamo parte della Rivolta? »
Harry non mi guarda quando mi risponde. Continua a camminare sicuro di sé, come se niente potesse scalfirlo, ma so che anche lui ha delle insicurezze.
« Hai sparato una volta. » mi dice. « Puoi farlo anche una seconda ed una terza. »
Non sono sicura che abbia ragione, perciò gli rivolgo un’occhiata preoccupata, schiudendo le labbra. Uccidere altre persone? Non credo faccia per me.
Le iridi verdi di Harry mi scrutano per un po’, poi torna a guardare davanti a sé.
« Di là. » dice, indicando appena un posto dall’altro lato. Si guarda alle spalle, poi mi cinge un gomito e mi trascina con sé in una piccola corsetta, per superare una vettura che ci sta facendo attraversare.
Ci ritroviamo di fronte ad una porta scorrevole in legno, che si apre automaticamente, presentandoci così la hall di un piccolo albergo costruito in altezza. Alla reception c’è un uomo di bell’aspetto, di età avanzata, coi capelli bianchi ed una folta barba dello stesso colore. Ci guarda e ci sorride cordiale, gli zigomi che quasi gli fanno chiudere gli occhi chiari.
« Benvenuti. » dice. « Desiderate una stanza? »
 
La stanza di Louis ed Adrien è accanto a quella mia e di Harry, ed è lì che ci riuniamo tutto il giorno. Non facciamo molto, se non osservare la cartina della Francia ed attendere il notiziario della sera. Sappiamo che le TV francesi sono controllate dal governo, ma speriamo di ottenere qualche informazione riguardo Parigi. Per pranzo, nessuno ha parlato della rivolta e dei recenti sviluppi, e nessuno di noi sa cosa stia accadendo.
Ci sono delle armi nella stanza, diverse armi che non avevo notato nel fondo del furgone. Adrien le sistema tutte quante sul letto e le osserva, mentre Louis si rilassa seduto su una poltrona. L’albergo non è di lusso, e non avevano né stanze singole né da quattro, ma almeno è decente e abbiamo un rifugio per la notte. Non credo sarei sopravvissuta ancora a lungo dentro quel furgone.
« Queste sono le armi che abbiamo. » dice Harry.
« Le pistole ad Aline. » suggerisce Louis, che guardo subito. Ho il sentore che abbia captato il mio turbamento nei confronti delle armi. Harry lo guarda appena, decidendo di ignorarlo.
Mi sento tremendamente ingombrante e sporca, nonostante mi sia fatta una doccia. È come se fossi un grosso peso per tutti e loro non mi volessero qui.
Non mi sbaglio, in fondo. Louis ha sempre detto che non sarei dovuta partire insieme a loro, ma poi le circostanze hanno voluto il contrario. E adesso sono qui.
La TV si colora di blu, poi inizia un comunicato speciale.
« Ragazzi! » dico, richiamando la loro attenzione.
Osserviamo lo schermo col cuore in gola. E poi appare.
Parigi non è più la mia città. Parigi, ora, è un inferno. Le fiamme divampano, la gente urla e scappa, i Controllori girano armati fino ai denti, scuri, tenebrosi e terrificanti.
Respiro a fondo mentre guardo la Tour Eiffel spegnersi perché il fuoco attorno a lei è più grande. Dicono che sia tutta colpa dei ribelli. Che sia scattato qualcosa di enorme e di anomalo, che le forze dell’ordine stanno cercando di fare il loro meglio per riportare la popolazione allo status quo. Io non ci credo.
La Corte dei Miracoli non esiste più, è ridotta ad un cumulo di macerie e cenere, mentre il Sole sorge e l’alba nasce sulla morte di centinaia di persone uguali a me.
Mi viene automatico pensare a Josée e Louane, che hanno fatto tanto per noi. Mi domando che fine abbiano fatto, se siano ancora vive, così come temo per mio padre e mia madre. Non sapere niente di loro mi rende nervosa e terrorizzata. E poi penso a Tristan. Mi chiedo se anche lui, come me, abbia ucciso qualcuno o se l’abbiano fatto fuori prima che riuscisse a premere il grilletto. Mi domando come debba sentirsi, ora.
Harry sospira spazientito, la mascella contratta.
« È iniziata. » dice Louis, concentrato. « La rivoluzione è ufficialmente iniziata. »
« Dobbiamo andare via da qui prima dell’alba. » suggerisce Harry, ed Adrien annuisce subito. Io lo seguo con lo sguardo, mentre si sposta di fronte alle armi.
« Caricheremo queste nel vano insieme a noi, per essere pronti ad ogni evenienza, e poi partiremo alla volta del porto, seguendo la strada indicataci da Louane. Non ci fermeremo finché non saremo arrivati a Calais, d’accordo? »
Adrien, di nuovo, è il primo ad annuire. Louis fa un cenno con la testa mentre risponde. « D’accordo. »
Poi, inaspettatamente, Harry si volta verso di me, attendendo che dica qualcosa. Mi stringo nelle spalle.
« Va bene. » dico.
In realtà non sono affatto sicura, ma non ho altra scelta. Sto imparando a convivere con questa sensazione di turbamento continuo che non mi abbandona mai, e non ho una misera idea di ciò che mi accadrà. Forse, visto che tutto il mio mondo sta crollando ad una velocità inaudita, non m’importerebbe poi tanto se morissi.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo ventisette ***




CAPITOLO VENTISETTE
Mi sento tremendamente pesante quando, con Harry, torniamo nella nostra stanza. È come se, ad ogni passo, stessi perdendo un istante in più della mia vita. Come se fossi prossima al patibolo.
« Stai bene? » Harry inizia sempre le conversazioni così, come se non volesse fare troppa pressione o essere invadente. Come se volesse farsi strada tra le mie paure in maniera delicata, senza sapere che sta camminando su un prato di spine.
Mi limito ad annuire in silenzio.
« Non hai detto mezza parola per tutta la sera. » mi fa notare.
Io scrollo le spalle, dirigendomi verso il mio letto.
« Non ne avevo il motivo. » replico.
Sta in silenzio per un po’, poi sospira molto rumorosamente. La sua voce riempie di nuovo l’intero ambiente.
« So che Louis è molto aggressivo con te, ma gli passerà. »
« Ne sei sicuro? » lo dico quasi in tono di scherno, stringendo i pugni. « Io non credo affatto. »
Non risponde, e questo non fa che alimentare i miei problemi e le mie paranoie più grandi.
« La verità è che Louis ha ragione ad avercela con me, perché sono soltanto un enorme peso. »
« Non è vero. » Harry replica subito, con un impeto inaspettato.
« Sì invece. » ribatto io, ferma nelle mie convinzioni. « Non riesco nemmeno a prendere una pistola in mano senza pensare a… »
Le parole mi si incastrano in gola. Sento un groppo enorme annodarsi nella mia laringe e bloccarmi le corde vocali. Devo spostare lo sguardo per evitare che, guardando Harry, le lacrime comincino a macchiarmi il viso, mostrando le mie debolezze già scoperte.
« Non volevo ribellarmi. » sussurro. « Volevo soltanto smettere di sopravvivere e vivere per davvero. »
Se ripenso a tutto quello che ho visto, mi sembra di essere in un incubo orribile.
« Invece sono diventata un’assassina, una bugiarda ed una ladra. » aggiungo, indicando gli abiti che indosso e che, con Adrien, abbiamo rubato da un negozio non lontano dall’albergo. Non ho niente con me. Nemmeno dei vestiti puliti. Ma questa non è una scusa valida, Aline.
« Non sei niente di tutto questo. » Harry scuote la testa e mi guarda con dispiacere.
« Ho sparato, ho mentito ed ho rubato. » marco io. « Questo fa di me un’assassina, una bugiarda ed una ladra. » ripeto le stesse parole, sperando che perdano il loro significato. Ma non succede.
Harry mi si avvicina subito, racchiudendo il mio viso tra le sue mani. Mi guarda così intensamente che gli angoli delle mie labbra si incurvano verso il basso.
« Ascoltami bene, » parla piano, perché non c’è bisogno di un tono di voce alto. « tu non sei un’assassina, né una bugiarda e tantomeno una ladra. Le cose che stanno succedendo non accadono a causa tua, e tu puoi essere la ragione per mettere una fine a tutto questo. »
Deglutisco senza rispondere, perché non so come si fa.
« A volte il sentiero giusto non è quello più facile. » continua.
« Ma perché io? » la mia voce si incrina. « Perché non poteva capitare a qualcun altro? »
Harry mi sposta un ciuffo di capelli dal viso, continuando ad accarezzarmelo.
« Perché non tu? »
« Perché sono debole… e ho paura. »
Le sue mani continuano a toccarmi con delicatezza, come una ninna nanna. È l’unica culla che posso avere ora.
« Se sei qui significa che non sei affatto debole. Ti dobbiamo la vita, questo non è poco. »
Socchiudo gli occhi e scuoto impercettibilmente il capo, come a scrollarmi di dosso tutta la negatività che mi spegne.
Mi sembra di non avere un posto. E di non potermelo creare.
 
Lasciamo l’hotel e Arras prima ancora che il Sole sorga, e non lo vedo illuminare la via perché mi chiudono di nuovo nel vano posteriore.
Louis è più scorbutico del solito, ma non se la prende con me. Le occhiaie sui nostri volti dimostrano che nessuno ha dormito, nemmeno Adrien che deve guidare.
Harry tiene le armi al suo fianco, mi ha lasciato una pistola che ogni tanto sfioro con le dita, per ricordarmi che c’è e che, prima o poi, dovrò utilizzarla.
Canticchio il motivetto della canzone preferita di mia madre, per coprire il silenzio atroce che ci accompagna in questo viaggio estenuante. Louis forse vuole dirmi di stare zitta, ma vedo gli occhi di Harry che, fulminei, si scagliano contro di lui non appena tenta di dire qualcosa.
Non canto molto a lungo, comunque. Lo faccio solo per me, per trovare qualcosa da fare, perché dormire è diventato complicato, e stringere la pistola mi fa venire i brividi.
Siamo diretti a Lens, come ci ha suggerito Louane, e procediamo ad una velocità così bassa che a volte mi domando perfino se ci stiamo muovendo per davvero. Quando la mia testa ciondola in avanti, capisco che siamo in movimento.
Harry si sporge di tanto in tanto per controllare, scoprendo che non siamo soli sulla strada, ma ci sono altre vetture.
« Non è un cattivo segno, » dice. « potremmo passare più inosservati, se non siamo gli unici in strada. »
Io ho comunque paura.
Chiediamo ad Adrien di fermarci per medicare la ferita di Louis e cambiargli le bende. Harry, che ha visto come si fa da Louane, è quello che si premura di operare, mentre io cerco di dargli una mano. Louis non si trattiene dall’imprecare in maniera piuttosto colorata, ma mi sarei stupita del contrario.
Harry non si lascia frenare dalle sue lamentele, e non impiega troppo tempo, rimettendo poi il cugino nella stessa identica posizione di prima.
« E cerca di non lamentarti troppo, se ci riesci. » lo rimprovera, prima di sedersi al mio fianco, abbastanza vicino da sfiorarmi per sbaglio. Adrien riparte e ci rimettiamo in carreggiata.
 
Siamo in viaggio da un po’ quando Adrien batte due colpi sulla grata, facendoci trasalire tutti e tre.
Harry si mette immediatamente in ginocchio, controllando. Louis cerca di imitarlo, issandosi con delle smorfie di dolore, mentre io resto immobile.
« Che c’è? » chiede il francese. Harry deglutisce.
« La strada è bloccata. » dice, e i miei occhi si allargano immediatamente.
« Bloccata? » ripeto, e Louis si rimette a sedere con l’espressione dubbiosa e preoccupata. I suoi occhi incontrano i miei e per una volta sento che siamo sulla stessa barca.
Harry si nasconde abbassandosi, ma tenendosi ben attento ad ogni minimo rumore. Il furgone, infatti, si ferma dopo pochissimo, e Adrien abbassa il finestrino.
« Le strade per la ferrovia sono bloccate. » dice una voce maschile, appartenente a qualcuno che non mi è concesso vedere. « Per il treno per Calais dovete andare fino a Lille e prendere quello che va a Dunkerque, dove ci sono alcuni traghetti che vi porteranno direttamente al porto, d’accordo? »
Adrien annuisce con la testa, probabilmente, perché non sento alcuna risposta, e l’uomo poi saluta educatamente, spostandosi altrove. Adrien fa qualche manovra per tornare indietro e cambiare strada.
Io guardo Harry, confusa.
« Lille? » ripeto. « Louane aveva detto di stare alla larga da Lille perché il confine col Belgio è pieno di truppe di controllo. »
Lui annuisce. « Lo so. Ma non sembra che abbiamo altra scelta. »
Louis sospira molto rumorosamente.
« In pratica stiamo andando nelle fauci del lupo. »
Harry ha la mascella contratta e non ci guarda. Torna a sedersi, più nervoso che mai. Io non so che dirgli per farlo calmare, perché sento che l’agitazione si impossessa di me.
Adrien continua a guidare verso il nostro patibolo. Le mie dita si stringono attorno alla pistola, e sono certa che dovrò usarla molto presto.
 
Sto dormendo quando il furgoncino si ferma. È Harry che mi sveglia con delicatezza, ed io non mi ero nemmeno accorta di aver chiuso gli occhi. Scopro che il vano è aperto e il Sole sta calando.
« Vieni, lasciamo qui il furgone. » mi dice, porgendomi una mano per seguirlo.
Mi conduce fuori ed io, ancora addormentata, tengo la pistola stretta nella mano destra.
Siamo in mezzo ad una campagna cosparsa da alberi alti e robusti, con le chiome grandi e ricche di foglie verde scuro. I raggi del Sole tramontante si infiltrano prepotenti tra i rami, ma non sono abbastanza forti da riscaldarmi. Non c’è niente attorno a noi, se non una piccola stradina in salita.
Adrien, goffo ed impacciato, getta della benzina all’interno del furgone, ed io sgrano gli occhi.
« Che fai? » esclamo.
« Per che cosa credevi avessimo tutte quelle taniche di benzina? » mi risponde Louis, con tono di scherno. « Per darci fuoco se avevamo troppo freddo? »
Lo trovo poggiato contro il tronco di un albero, con entrambe le mani sulla ferita che, evidentemente, gli fa ancora male.
Harry ha le braccia incrociate ed osserva attentamente Adrien che svuota anche la seconda tanica, bagnando ogni angolo del mezzo. Quando termina quest’operazione, tira fuori un accendino e sospira. Lo accende con un semplice click e, mantenendosi a debita distanza, dà fuoco a quello che è stato il nostro ultimo rifugio.
Harry mi tira indietro, mentre le fiamme divampano e ci colorano i visi delle stesse tonalità del cielo. Adrien ci raggiunge rapido, lasciandosi il furgone alle spalle. Non dice niente, ma prende uno zaino in spalla e inizia a camminare verso Louis, afferrandogli un braccio e portandoselo sulle spalle.
Lo osservo avviarsi per la strada in salita, in silenzio. Sono quasi certa che, anche se avesse potuto parlare, non avrebbe avuto le parole adatte per descrivere questo momento.
Harry sta ancora guardando le fiamme che divorano il furgone, quando mi volto verso di lui.
« Harry? » mi basta chiamarlo una sola volta, per sapere che mi sente e che è ancora qui con me.
Contrae un poco la mascella, poi mi raggiunge piano.
« Andiamocene da qui. » dice in un sussurro rattristato e afflitto, mentre incastra le sue dita tra le mie e segue Adrien e Louis.
È soltanto una volta giunti in cima alla salita, che ci fermiamo. Davanti a noi, solo Lille.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo ventotto ***




CAPITOLO VENTOTTO
Sappiamo bene di non poter rubare a Lille. Non possiamo procurarci né cibo, né vestiti, dobbiamo accontentarci di quelle pochissime cose che abbiamo. Siamo decisamente alla deriva, me ne accorgo passo dopo passo.
Louis cerca di camminare come un essere umano comune, ma è chiaro dalle espressioni sul suo viso che stia soffrendo come un animale al macello. Io mi guardo attorno con l’ansia che mi circonda lo stomaco.
La gente qui è meno accogliente di Arras, e non ho nessun’intenzione di passare qui una notte, nonostante il Sole sia calato. Adesso che c’è buio e che solo i lampioni fanno luce, mi sento in pericolo perché non abbiamo nessun posto dove dormire.
Decidiamo di andare in stazione, scoprendola gremita di persone che aspettano il treno per andare a Dunkerque. Mi aspettavo di trovare Controllori girare nel pieno centro città, ma così non è stato. Ciononostante, questo non ha alleviato le mie angosce.
Mi stringo ad Harry mentre aspettiamo che il treno arrivi, infreddoliti ed affamati, deboli e stanchi, provati. Il nostro viaggio verso la libertà diventa sempre più difficile, ed io sempre più scettica. Le mie dita si sono abituate al contatto con la pistola, come se sapessero già che il momento di usarla si sta avvicinando.
C’è un fischio e poi delle luci che arrivano veloci, illuminando l’intera banchina. Mi aspetto di trovare Controllori che, armati, scendono dal treno in arrivo per controllare i passeggeri, ma così non è. A Lille non scende nessuno. Ma saliamo tutti, lasciandoci il vuoto e il buio alle spalle.
 
Il paesaggio buio si muove rapido da oltre il finestrino. Abbiamo trovato uno scomparto libero e successivamente si sono seduti altri due ragazzi insieme a noi, per questo stiamo in silenzio.
Adrien ed Harry ogni tanto si alzano e controllano che il corridoio sia vuoto e che nessun Controllore stia arrivando verso di noi. È un terrore costante, che non mi permette di chiudere occhio.
Louis è seduto scomposto, ma dal suo viso capiamo benissimo che stia soffrendo. Dovremmo medicargli la ferita, ma non abbiamo modo né spazio. Non ci fidiamo minimamente dei due che si sono aggiunti, e che stanno zitti esattamente come facciamo noi. Percepisco dagli sguardi rapidi di Harry, che anche lui sia parecchio angosciato.
Il mio sguardo non fa che vagare fuori, con la fronte poggiata contro il finestrino freddo e le braccia incrociate al petto. È Adrien che si alza per controllare che fuori, nel corridoio, vada tutto bene, mentre io sospiro stancamente.
« Da dove venite? » Louis si rivolge ai due estranei, che lo guardano immediatamente. Sono sorpresi tanto quanto me ed Harry.
Uno dei due, coi capelli neri e gli occhi blu, si decide a rispondere.
« Roubaix »
Louis annuisce.
« E dove siete diretti? »
Harry vorrebbe riprenderlo, ma si trattiene dal farlo perché il suo accento potrebbe tradirlo.
Stavolta è il secondo ragazzo che risponde, coi capelli leggermente più chiari ma lo stesso colore di occhi. Devono essere fratelli, penso.
« Dunkerque, ovviamente. » dice in tono ovvio. « Voi no? »
« Certamente. » fa subito Louis. « Stavo solo cercando di conversare. »
« Lavoriamo lì. » aggiunge il primo, più disponibile. « Il Governo francese ci ha designati al controllo dei traghetti diretti a Calais. »
Louis annuisce, mentre dallo sguardo di Harry evinco una certa agitazione.
« Voi? » chiede il secondo, più distante.
Louis scrolla le spalle con noncuranza. « Torniamo a casa. »
Harry lo guarda subito. È per caso impazzito? Io lo osservo sgomenta, ma dalla sua espressione strafottente non capisco cosa stia cercando di fare.
« Io e mia sorella siamo scesi fino a Parigi per recuperare mio cugino giusto in tempo. » aggiunge.
« In tempo per la rivolta? » domanda il primo, incuriosito.
« Esatto, per quello scempio che sta succedendo. Gente insulsa priva di valori che tenta di rovesciare qualcosa che ci permette di vivere. È tutto senza senso, per me. » commenta con finto sdegno. Quasi quasi gli credo perfino io. Continuo ad ascoltarlo sgomenta. « L’altro che è con noi, il grassone, quello è mutilato. Era uno della rivolta, prima che lo acciuffassero e che gli tagliassero la lingua. Adesso lavora per il Governo, per questo è con noi: ci sta scortando. Fortuna che mio zio lavora alla Centrale di Parigi. »
Il secondo ragazzo sorride ed annuisce. « Almeno voi siete in quattro, potete farvi compagnia. »
« Beh, mica più di tanto. Passiamo gran parte del tempo a litigare, non è così? »
Louis ci guarda ed esplode in una finta risata, a cui mi sforzo di aggiungermi. Harry sorride appena, troppo impacciato.
« Speriamo che il viaggio non duri troppo a lungo. » dice il primo ragazzo. Louis annuisce con un sorriso sottile.
« Già, speriamo. »
Adrien rientra giusto in tempo per assaporare il silenzio. Si mette a sedere senza farci segno di niente; questo significa che, per ora, è tutto tranquillo.
 
Louis si è addormentato con la testa ciondolante, e anche i due insieme a noi sono crollati in fretta. Adrien guarda fuori insieme a me, mentre Harry è concentrato ad osservare il pavimento.
Il cielo è nero come il carbone, non c’è la luna, o almeno io non la vedo, e le luci di questa carrozza sono così luminose da infastidirmi. Non credo potrei dormire in queste condizioni, soprattutto per l’ansia che mi sta divorando.
Il treno fa una svolta e Louis dondola contro Adrien, ma non si sveglia. Harry lo guarda qualche istante, prima di rivolgermi lo sguardo. È distrutto, stanco e provato. Tento di sorridergli per infondergli un po’ di coraggio e fiducia, ma lui non risponde.
Fuori, nel corridoio, si sente qualcosa sbattere, e successivamente ci sono delle voci molto forti, maschili. Harry raddrizza subito la schiena e Adrien si volta verso la porta del nostro scomparto.
Io aggrotto la fronte e seguo con lo sguardo Harry, che si alza e si sporge per controllare. Impiega meno di tre secondi, per capire cosa stia succedendo.
« I Controllori! I Controllori! » esclama, avventandosi su Louis e svegliandolo bruscamente.
Adrien si alza subito e tira fuori la sua pistola, mentre io cerco di sorreggere Louis che, svegliatosi ed alzatosi all’improvviso e in fretta, si lamenta subito dei dolori lancinanti. Anche gli altri due passeggeri si svegliano, guardandoci sbigottiti.
Harry si fa avanti nel corridoio, mentre Adrien aguzza la vista, con la pistola pronta. L’inglese si volta verso me e Louis.
« Andate da quella parte, io e Adrien penseremo a loro. »
« Cosa? » sbotto subito. « Voi venite con noi! »
« Vi seguiamo, ma voi muovetevi! Trova la prima uscita che vedi, salteremo giù dal treno. »
Adrien fa partire il primo colpo di pistola, ed Harry mi incita ad andare, prima di affiancare l’amico.
« Dove hai la pistola? » mi chiede Louis, mentre lo trascino con me lungo il corridoio, ma verso la direzione opposta rispetto ad Harry e Adrien.
« In tasca. » gli rispondo.
« Molto utile messa lì. » è un commento ironico e pungente, e gli rispondo guardandolo in cagnesco.
« Se preferisci ti lascio qui da solo. »
Non replica e continuiamo ad andare avanti, con Harry ed Adrien che ci seguono indietreggiando e sparando.
« Cosa succede qui? »
Il Controllore sbuca da dentro uno degli scomparti, immobilizzandomi immediatamente. I suoi occhi si allargano e sento il mio cuore battere all’impazzata, mentre capisco che ci ha visti e che ci riconosce: siamo io e Louis, due ricercati, fuggiaschi e ribelli.
La mia mano cerca e trova immediatamente la pistola, e prima ancora che me ne renda conto gli ho sparato due colpi al petto, facendolo cascare al suolo senza vita. Lo guardo sgomenta, incapace di realizzare che sono stata io ad ucciderlo. L’ho fatto di nuovo.
Afferro Louis per il braccio e lo tiro con me, mettendomi a correre come se potessi scappare dalle mie azioni, attraversando una porta scorrevole e fermandomi in mezzo ad essa.
Sento un forte botto e diversi spari, così mi volto e Adrien ed Harry si stanno scontrando con dei Controllori all’interno di uno scomparto. Alla mia sinistra c’è la porta per uscire, ci siamo quasi.
Sto per urlare il nome di Harry e sparare nella sua direzione per avvantaggiarlo e lasciare che ci raggiungano, quando il rumore della porta di fronte a me cattura la mia attenzione.
Ruotando il corpo dall’altro lato, sento che tutti i miei muscoli si pietrificano uno dopo l’altro, mentre sprofondo in un oceano di acqua gelida.
« Tristan » soffio, lasciando andare il braccio di Louis.
Mio fratello mi fissa attonito, la divisa da Controllore logora, e spettinato, con uno zigomo gonfio e gli occhi vitrei e sgomenti. Non ci diciamo niente, restiamo a guardarci per secondi che mi sembrano infiniti, quasi non sento più il treno che corre, gli spari e le colluttazioni di Harry e Adrien.
« Aline! » l’urlo di Louis mi perfora le orecchie e mi risveglia dallo shock, obbligandomi a notare il secondo Controllore che mi punta una pistola contro. Tristan reagisce troppo in ritardo per fermarlo, e lui preme il grilletto. Solo che la pallottola non mi colpisce. No. Non lo fa.
Perché in mezzo si è messo Louis Tomlinson.




Ciao a tutti! Lo so, sono sparita dalle note a fine pagina, questo perché spesso mi trovavo ad aggiornare la storia di fretta e non avevo tempo per scrivere nulla, e a volte perché i capitoli erano abbastanza espliciti e non necessitavano di ulteriori chiarimenti. Ma adesso sono qui, per informarvi che la storia si sta avviando verso la sua fine, infatti mancano solamente due capitoli alla conclusione! E so anche che probabilmente mi volete uccidere perché questo capitolo è estremamente shockante ahahah
Grazie per aver letto fino a qui, spero che la storia vi sia piaciuta! :)

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo ventinove ***




CAPITOLO VENTINOVE
 
Il peso del corpo di Louis mi trascina giù con sé, mentre Tristan ferma il collega.
Alle mie spalle sento Harry che lo chiama, ma voltandomi vedo che lo tengono immobile contro i vetri del treno, gli stringono i polsi e la sua voce raschia contro la sua gola in un latrato disperato. Perché sa già che non c’è più niente da fare.
Le mie iridi bagnate si posano su Louis, i quali occhi sono spalancati. Il suo sangue macchia i suoi vestiti e le mie mani, vorrei urlare ma non riesco a farlo, mi manca il respiro. Sento che sto per svenire, vorrei essere al suo posto. Harry e Adrien vengono catturati e i loro capi vengono coperti con dei cappucci neri, dopo che gli hanno tappato la bocca.
Tristan si inginocchia di fronte a me e mi guarda intensamente. I suoi occhi tremano per ciò che siamo diventati. Non voleva spararmi, non l’avrebbe mai fatto, e nemmeno io ne sarei stata in grado.
Che cosa ci è successo? Vorrei chiederglielo. Anche con Louis tra le mie braccia. Anche con la cruda consapevolezza di aver perso qualcuno che mi stava salvando.
Credo che Tristan voglia dirmi qualcosa, o accarezzarmi il viso sporco di stanchezze e paure. Ma mi tappano la bocca con una corda e mi coprono la visuale con un cappuccio nero, ed è come sprofondare nel peggiore dei miei incubi.
 
Mi tolgono il corpo di Louis di dosso, ma è come se lo sentissi ancora gravare su di me. Poi ci fanno sedere per terra, mi mettono tra Adrien ed Harry. Mi sento in colpa per la morte di Louis, ma il vuoto che mi ha creato la sua perdita è più grande di qualsiasi altra cosa.
Coi cappucci ancora sui volti, riesco a fare affidamento solo all’udito: qualcuno fa avanti e indietro mentre il treno continua la sua corsa. Le porte si aprono e chiudono, permettendo ai Controllori di passare da un corridoio all’altro. Probabilmente ci guardano, quando ci sfilano davanti, ma non ci toccano.
« Jules » riconosco la voce di mio fratello, ma decido di restare immobile. « Ho parlato con gli altri colleghi, abbiamo deciso che loro verranno con me giù a Dunkerque. Li porterò alla Stazione 497 e da lì chiameremo gli elicotteri per portarli nuovamente a Parigi. »
« Avete già informato Parigi? » chiede il presunto Jules.
« Certamente, ho telefonato io stesso. » risponde prontamente Tristan.
Jules sospira e poi sbadiglia. « E va bene. Sono tutti tuoi. »
Sento dei passi sempre più vicini, poi una mano mi da delle pacche sul viso.
« Hai sentito, principessa? Tuo fratello ti riporta a casa. » Jules lo dice con scherno, poi scoppia in una risata rauca e fastidiosa. Successivamente, si rivolge di nuovo a Tristan. « Non fare scherzetti, pivello, o al posto di tua sorella sarai tu a finire sulla sedia elettrica, chiaro? »
« Chiaro. » il tono di Tristan è piatto ed io non avevo idea di dover finire nella sedia elettrica.
Se potessi guardare mio fratello, gli riserverei l’occhiata più schifata che mi è concessa. Invece non riesco nemmeno a capire se sia andato via anche lui, o se stia solamente aspettando il momento per farmi fuori.
 
Ci trascinano giù dal treno dopo un po’. Il mio braccio sinistro viene stretto in una morsa dalla quale non potrei mai scappare.
Il freddo mi abbraccia facendomi tremare come una foglia, mentre camminiamo. Tristan parla con qualcuno, poi dice « Possiamo andare. » e vengo spinta verso un cammino che non conosco.
Non siamo solo noi tre e Tristan, me ne accorgo per la moltitudine di passi che seguono i miei. Camminiamo per un po’, poi ci fermiamo e sento il rumore di alcuni sportelli.
« Metti giù la testa e alza una gamba. » mi dicono, prima di spingermi su qualcosa di più duro e farmi rotolare in avanti. Fanno salire anche Harry e Adrien, prima di chiudere delle porte. Continuo a non vedere niente, ma poco dopo sento qualcuno mettere in moto e capisco che dobbiamo essere dentro una macchina, o un furgone simile a quello che aveva Adrien.
Cerco di muovere le dita, ho i polsi stretti da una corda legata in maniera impeccabile, ma mi arrendo subito dopo, mentre vengo sballottata da una parte all’altra.
Anche se non posso vedere dove sono e cosa sta succedendo, riesco a piangere in silenzio. Forse il cappuccio è un ottimo scudo per nascondere le mie lacrime di terrore.
Per tutto il viaggio non faccio che domandarmi cosa mi sia successo, se sia tutto reale o se stia facendo un incubo. A volte vorrei che fosse così, che potessi svegliarmi di nuovo a casa mia, nel mio letto, con la mia famiglia intatta. Non mi importerebbe di dover sottopormi ai richiami della Centrale, o forse agirei in maniera diversa. Più responsabile, più convinta.
Stringo le mani in due pugni, col bisogno estenuante di vedere cosa stia accadendo e di trovare la calma giusta per permettermi di pensare.
Quante persone sono morte per me? Quante si sono sacrificate per darmi una mano?
E io sono stata catturata. Non ho saputo difendere me né i miei compagni, ho lasciato andare in rovina tutto: la mia famiglia, i miei affetti, le persone che volevano darmi una mano.
Tristan non dice niente e non sento rumori che possano descrivermi la posizione di Harry ed Adrien. Mi sembra addirittura impossibile credere che Louis non sia con noi.
 
Ci fermiamo con uno scossone e cerco di non cadere da un lato. Tristan scende dal mezzo e viene ad aprirci: tira giù prima me, scoprendomi il capo.
La luce fioca dell’alba mi stordisce dopo che ho passato tutto questo tempo al buio e nella paura, e sbatto un po’ gli occhi, mentre mio fratello mi slaccia la corda che ho attorno alla bocca e mi libera le mani. Io mi guardo attorno, scorgendo persone intente nel loro lavoro, e tanta, tantissima acqua con svariate barche e barconi.
Una volta che ho i polsi liberi me li accarezzo delicatamente, respirando l’aria salmastra. Non ho mai sentito quest’odore prima, mi entra nei polmoni a boccate fredde.
Tristan fa scendere Adrien ed infine Harry, liberandoli. Siamo senza armi adesso, e anche loro due si guardano attorno non capendo.
« Dunkerque, giusto? Eravate diretti qui? » chiede mio fratello.
Lo guardiamo tutti e tre, ma lui ha occhi solo per me.
« Sì » dico.
Mi sorride appena, poi indica un punto oltre le nostre teste.
« Laggiù al molo troverete i traghetti che vi porteranno a Calais. »
« Come fai a sapere che dobbiamo andare a Calais? » domanda subito Harry, affiancandomi.
Tristan fa un rapido movimento con la testa. « Ho letto i tuoi fascicoli in Centrale. Non ci è voluto molto per capire che volessi tornare a Londra. E l’unico modo per farlo è Calais. »
Gli occhi di Tristan mi trovano di nuovo e sono identici a quelli di mia madre. Vorrei chiedergli perché lo sta facendo, perché ci sta lasciando andare quando dovrebbe riportarci a Parigi, ma le parole non abbandonano la mia gola.
« Papà è vivo. » mi dice, come se sapesse quali sono i miei crucci.
Il mio cuore fa un piccolo salto di gioia e sento un peso in meno sciogliersi nel mio petto.
« E la mamma? » chiedo.
Tristan scuote la testa. « Non so niente di lei. »
Decido di prenderla come una buona notizia, perché significa che non l’hanno catturata. Forse ce la sta facendo, forse è ancora viva e vegeta.
Tristan solleva il mento e ci sprona ad andare.
« Muovetevi, prima che sia troppo tardi. »
« Tu non vieni? » gli chiedo.
Scuote di nuovo il capo ed io sgrano gli occhi.
« Perché? »
« Se venissi con voi mi arresterebbero: lavoro per la Centrale di Parigi, per il Governo. »
« Ma se resti qui… »
« Devo farlo, Aline. » mi interrompe. Lo fisso sgomenta. « Non posso venire con voi. »
Quello che provo per mio fratello è contrastante. Non capisco. Credo di non averlo mai fatto.
Il Sole che sorge gli illumina il viso e cerco di imprimermi nella memoria queste immagini, sperando di farmele bastare.
« Ti rivedrò mai, Tristan? »
Lui sorride appena, mestamente. Sappiamo entrambi la risposta.
« No, Aline. »
Cerco di non piangere, muovendo un passo verso di lui, che tuttavia si scansa.
« Sono un traditore. » mi ricorda.
« Sei mio fratello. » lo correggo.
Lo abbraccio muovendomi in fretta, prima che possa dire o fare altro e per la prima volta, dopo tanto tempo, sento di nuovo il profumo di casa, di normalità, di una vita che non è più la mia.
È lui a rompere il nostro contatto, indietreggiando.
« Andate. » ci dice, e Adrien segue il suo consiglio.
Harry mi sfiora la mano con la sua, invitandomi tacitamente a seguirli.
Io indietreggio continuando a guardare mio fratello, prima di concedere le mie attenzioni a ciò che stiamo facendo.
Adrien cerca con lo sguardo un traghetto libero, ma spetta a me domandare se possiamo imbarcarci. L’uomo che ci porterà a Calais dice di chiamarsi Charles e ci fa accomodare sulla sua barca. Harry mi aiuta a salire.
Charles cerca di metterci a nostro agio, aspetta che altri tre passeggeri salgano con noi e poi salpa.
Quando la barca inizia ad allontanarsi, prendendo il largo tra il rumore dell’acqua calma e blu, mi volto a guardare un’ultima volta mio fratello, che diventa sempre più piccolo.
Harry probabilmente lo vede prima di me, perché mi allaccia un braccio attorno alla vita e mi trattiene a sé, prima che possa buttarmi in acqua urlando disperatamente.
Tristan tira fuori una pistola e si spara ad una tempia.





Eccoci qui col penultimo capitolo!
Tristan l'avete prima apprezzato, poi odiato ma adesso non potete negare che qualcosa in voi abbia fatto crack *eheh*
Ancora non mi sembra vero che questa storia sia praticamente terminata... i dovuti ringraziamenti saranno fatti nel prossimo ed ultimo capitolo, ma per ora vi dico grazie per aver letto anche questo! :*

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo trenta ***




CAPITOLO TRENTA
Mi dico che avrei dovuto capirlo subito. Che avrei dovuto insistere e farlo venire con noi. Che sarei dovuta rimanere con lui. Che l’avrei dovuto trascinare. Che ho sbagliato tutto.
Tremo ancora come una foglia, perfino quando arriviamo a Calais. Mi sembra di essere finita nel mondo degli orrori.
Calais è così affollata da stordirmi ulteriormente, e Harry mi tiene stretta a sé, come se avesse paura che potessi sparire da un momento all’altro. Dal canto mio, mi sembra di essere in grado di fare una cosa soltanto: crollare.
Vorrei poter fermare il tempo per concedermi il lusso di stare male e singhiozzare per le perdite subite.
Invece ci affrettiamo per salire sulla nave che sta partendo, supplicando di farci imbarcare. Con un po’ di fortuna, mi trovo nei corridoi dell’imbarcazione, insieme ad altra gente. Harry è alla mia destra.
Non guardo Calais allontanarsi, la Francia farsi sempre più piccola. Non sento il macigno pesante distruggersi sul fondo del mio stomaco. Sento solo una tristezza lancinante ed una nausea mai provata prima.
Rimango seduta sulla moquette di uno dei corridoi con la gente che mi passa davanti, ignara di tutto ciò che ho dovuto passare. Perlopiù sono mercanti e commercianti che parlano di trattative e di commercio. Sento già qualcuno parlare in inglese.
Mi accoccolo contro il corpo di Harry, pronto a stringermi a sé e ad offrirmi un piccolo rifugio temporaneo.
 
« Siamo a Dover. » dice Harry. Svegliamo Adrien e ci alziamo in piedi, dirigendoci verso un’uscita, insieme ad altri passeggeri. Sono agitata.
Quando la porta si apre e scendiamo, c’è il Sole alto in cielo, ed un posto che non ho mai visto prima. L’odore è lo stesso di Calais, ma i rumori sono diversi, più forti.
Harry mi guida con sé, seguito da Adrien.
Mi guardo attorno completamente spaesata e destabilizzata, e mi accorgo tardi che ho iniziato a tremare.
Qualcuno ci ferma non appena scendiamo, e ci fa spostare, parlando in un inglese fluente. Harry ci dialoga senza problemi, lasciando me e Adrien in disparte. Mi sento agitata.
Guardo il mio compagno di viaggio francese, e adesso capisco il suo stato d’animo anche senza bisogno che me lo esponga verbalmente. Ha gli occhi lucidi. È finalmente libero.
Spostando lo sguardo un po’ ovunque, mi accorgo di esser stata catapultata in un mondo nuovo e diverso, dal quale devo imparare un sacco di cose.
« Signorina? » qualcuno si rivolge a me in francese, offrendomi una coperta e posandomela sulle spalle. È una donna. Una sua collega si occupa di Adrien, mentre Harry si avvicina scortato da un uomo in divisa blu, che deduco sia un poliziotto.
« State bene? » ci chiede Harry. Adrien annuisce subito, con gli occhi lucidi per la commozione. Harry poi mi guarda. Gli sorrido appena.
« Adesso ci porteranno a Londra. È tutto finito. » dice.
La mia bocca si incurva senza che io riesca a controllarla. Harry mi lascia libera di singhiozzare contro il suo petto.
È davvero tutto finito.
 
***
 
Quindici anni dopo.
Christophe Mercier è stato condannato all’ergastolo e ha tentato il suicidio due volte, prima di arrendersi alla triste idea di dover marcire in prigione. Io, Harry ed Adrien siamo stati chiamati a testimoniare le brutalità in cui eravamo costretti a vivere, e l’Europa, aiutata dall’America, ha rovesciato il regime dittatoriale, mettendo fine al controllo ossessivo del governo francese sulla sua popolazione. La nostra fuga è stata raccontata per filo e per segno da giornali, notiziari e documentari. I nostri visi sono diventati gli stemmi di una rivoluzione che non abbiamo mai condotto dall’interno. I veri ribelli non siamo noi, e non lo siamo mai stati.
Louise ha gli stessi occhi verdi di Harry, ma i miei capelli fini e castani. Le piace la danza classica e adesso ha sei anni. Non ha mai conosciuto la Francia, ma sa di avere lo stesso nome di suo zio.
Harry è un professore di storia all’Università, suo padre è stato così felice di rivederlo che non è riuscito a parlare. Ci ha offerto un tetto sotto cui stare e del cibo con cui nutrirci.
Io e Harry ci siamo sposati un anno prima che rimanessi incinta di Louise, e adesso aspettiamo un altro figlio. Sono diventata insegnate di Francese alle scuole superiori.
Adrien fa il fotografo. Riesce a parlare attraverso la sua macchina fotografica, e si è comprato un nuovo furgoncino, ma stavolta bianco.
Josée e Louane sono vive e abitano ancora a Parigi, che dopo la Rivoluzione è stata distrutta e ricostruita dalle truppe inglesi e americane. Adesso la minaccia di una dittatura non si affaccia nemmeno nelle barzellette.
La mia amica è diventata una psicologa; sua madre continua a fare l’infermiera ed ha ricevuto un premio per l’aiuto che ha dato durante la ricostruzione della nazione.
La Corte dei Miracoli non esiste più, ma le sue vie sono diventate patrimonio nazionale della Francia, e i turisti che visitano Parigi continuano a percorrerla nella speranza di poterne captare ancora gli odori e l’atmosfera. Niente di tutto quello tornerà indietro.
Ho impiegato degli anni prima di abituarmi alla mia nuova vita, alla lingua così diversa dalla mia, alle abitudini, alla libertà di potermi esprimere senza aver paura di essere condannata. Ho dovuto indossare delle vesti che credevo mi sarebbero state scomode, ma che in realtà mi permettono di vivere come ho sempre, inconsciamente, desiderato.
Adesso, quando sollevo lo sguardo sul cielo di Londra, non mi sento un’estranea catapultata in qualcosa che non l’appartiene. Mi sento incredibilmente a casa.
 
Il campanello suona una volta soltanto.
« Louise, vai ad aprire! » dico a mia figlia. La sento sgambettare verso l’ingresso e aprire l’uscio. Sta in silenzio qualche istante, poi torna in cucina da me.
« È per te, mamma. » mi dice.
« Chi è? »
Scrolla le spalle. « È come lo zio Adrien. »
Intende dire che è muto. Adrien stesso ha insegnato ad entrambe il linguaggio dei segni.
Mi asciugo le mani con uno strofinaccio, e poi seguo la bambina fino al soggiorno. Mi fermo non appena varco la soglia, riconoscendo l’uomo in piedi al centro della stanza, che si guarda attorno con fare incuriosito ed ammaliato, le mani unite dietro la schiena. Dopo quindici anni il suo viso è più vecchio e sciupato, ed i suoi capelli sono grigi e bianchi. Il mio cuore straripa di gioia.
« Papà? » lo chiamo piano, in francese. Louise al mio fianco solleva lo sguardo su di me, perché ha capito. Mio padre si volta subito, ed i suoi occhi non impiegano tanto per ricoprirsi di lacrime.
Gli corro incontro e lo raggiungo, abbracciandolo più forte che mi riesce, con la mia pancia carica di un futuro nuovo tra di noi. Louise è rimasta in disparte, forse si sente estranea.
« Sei vivo. » dico guardandolo in viso. Mi sento di nuovo la Aline diciassettenne di quando me l’hanno strappato di dosso. La stessa che non voleva che tutto questo accadesse.
Lui annuisce, ma poi inizia a gesticolare. Mi dice che non può parlare, che gli hanno tagliato la lingua proprio come ad Adrien.
« Non fa niente, ti capiamo. » gli rispondo con un sorriso. « Credevo che non ti avrei mai più rivisto. »
Mi dice che mi ha cercata per tanto tempo e che aveva paura di lasciare la Francia, perché non capisce niente dell’inglese. Mi dice anche che è orgoglioso di me, ed io singhiozzo più forte.
« Avrei dovuto cercarti, ma tornare a Parigi… »
Mi interrompe e scuote la testa. Mi dice che va bene così, perché adesso ci siamo ritrovati.
Voltandomi vedo che Louise è ancora qui, timida e impacciata come ero io alla sua età. Le porgo una mano.
« Louise, vieni qui. » lei mi raggiunge e afferra la mia mano, stringendola appena. Mio padre non le fa affatto paura. « Voglio presentarti tuo nonno. »
Mio padre si inginocchia davanti a lei e, a modo suo, la saluta con “Ciao principessa”. Louise capisce sia il francese che il linguaggio dei segni. Gli risponde subito: “Ciao nonno”.





Concludere questa storia è un po’ come svegliarsi il giorno dopo il proprio compleanno: non sai bene come ti senti, vorresti essere ancora la festeggiata ma sai che non puoi protrarre la cosa troppo a lungo, perché tutto ha una fine.
Quando ho iniziato Controlled non avevo in mente di pubblicarla, non pensavo che potesse interessare qualcuno, piacere e prendere nella lettura fin da subito. Poi, così tanto per, l’ho passata ad una mia amica per leggerla, perché tra di noi funziona così: lei mi passa le cose che scrive, ed io le passo le mie. Il suo parere è stato entusiasmante, mi ha spronata non solo a continuare a scriverla ma addirittura a postarla. Perciò, se Controlled vi è piaciuta e avete avuto occasione di leggerla, il merito in realtà è tutto suo, perché altrimenti sarebbe rimasta nascosta nel mio pc insieme a tante altre. Perciò questo spazio è dedicato a Roberta, che mi accompagna sempre, nonostante la distanza e le difficoltà, qualsiasi sia il mio cammino. Sei un po’ la mia Corte dei Miracoli personale :)
 
Ovviamente non mi dimentico di ringraziare voi, cari lettori, che con coraggio vi siete imbattuti in me e nella mia storia. Spero che il finale vi sia piaciuto, che i personaggi vi abbiano fatto compagnia e, sì, lo ammetto, che sentiate almeno un pochino la mancanza di questa storia. Se vi va di lasciare un commento, sarò ben felice di leggere ciò che avete da dirmi!

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3100177