Bloody Magic di SagaFrirry (/viewuser.php?uid=819857)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I- Nessuno ***
Capitolo 2: *** II- sogni ***
Capitolo 3: *** III- realtà ***
Capitolo 4: *** IV- verde vigilante ***
Capitolo 5: *** V- Visitatori ***
Capitolo 6: *** VI- Alba ***
Capitolo 7: *** VII- addestramento ***
Capitolo 8: *** VIII- il mio mondo ***
Capitolo 9: *** IX- Custode ***
Capitolo 10: *** X- cospiratore ***
Capitolo 11: *** XI- intrusi ***
Capitolo 12: *** XII- La stanza degli spettri ***
Capitolo 13: *** XIII- figlio unigenito ***
Capitolo 14: *** XIV- Per la Vita e per la Morte ***
Capitolo 15: *** XV- Esami finali ***
Capitolo 16: *** XVI- Inferno e Paradiso ***
Capitolo 1 *** I- Nessuno ***
I
NESSUNO
Nessuno
bussava mai al portone del castello. Nessuno aveva ormai da tempo il
coraggio
di affrontare la foresta nel mezzo in cui stava. Nessuno desiderava
incontrare
di persona il padrone di casa, descritto in paese come un uomo
decisamente poco
amichevole. Nessuno. Per questo il giovane sobbalzò quando
sentì il rumore
sordo prodotto dallo sbattere ripetuto contro il massiccio ingresso in
legno.
Quel suono non gli era per nulla familiare e quindi, quando
l’udì, si allarmò
chiedendosi cosa fosse. Quando realizzò che qualche pazzo
idiota stava
chiedendo di entrare al castello bussando, storse il naso. Era notte
fonda e
dalla finestra, sbirciando fuori, capì che la temperatura
esterna non era per
niente piacevole. Sperò in qualche scherzo del vento e non
si mosse, ma il
bussare si fece più insistente. Girò gli occhi al
cielo, si sistemò il pesante
mantello sulle spalle e, riponendo temporaneamente il volume che
leggeva, si
alzò. Con un gesto della mano, accese le candele lungo il
cammino, da quella
stanza fino all’ingresso. Dopo il suo passaggio, queste si
spegnevano,
riportando l’edificio al buio. Scese le scale lentamente,
quasi con noia. Si
chiese chi fosse tanto coglione da affrontare una notte come quella per
venire
fino a lì a disturbarlo. Mosse lentamente le dita,
attivandone la magia, pronto
al polverizzo di un eventuale venditore di ciarpame o divulgatore di
una non si
sa quale religione. Non aveva in mente altre possibilità.
“Ti
consiglio di sparire prima che apra la porta”
sbottò, con voce cavernosa.
Non
ricevette risposta, ma solo un bussare più insistente.
Odiava le persone
testarde. Odiava le persone invadenti. Più in generale,
odiava le persone e
basta.
Aprì
il portone e rimase alquanto perplesso da ciò che vide. Un
ragazzetto teneva
per mano una bambina. Entrambi vestiti con pochi stracci, sporchi, con
l’aria
di chi camminava senza sosta da giorni interi, sospirarono di sollievo
nel
vedersi aprire. Con loro portavano solo una piccola sacca con ben poco
dentro. La
bambina era visibilmente molto stanca, con i capelli rossicci che le si
appiccicavano sul viso fra sporco e pioggia. Tremava ma
riuscì comunque
ad alzare gli occhi chiari verso
colui che le aveva aperto e sorridergli, timidamente. Guardando
più da vicino il
ragazzo, l’abitante del castello notò che aveva un
accenno di barba,
probabilmente non era poi tanto piccolo come sembrava. Era magrolino,
con
capelli tendenti al biondo legati alla bene e meglio in un codino mezzo
disfatto. Aveva gli stessi occhi della sorella, e non sorrise. Lo
stupore del
castellano nel vedersi davanti un simile spettacolo fu pari allo
stupore che
provarono i due quando videro chi aprì la porta.
Quell’uomo era molto alto, con
larghe spalle accentuate dal mantello, lunghissimi capelli aranciati,
acconciati in una pettinatura assurda a ciuffi alti, un pizzetto a
punta, la
barba di alcuni giorni, abiti eleganti anche se molto strani e gli
stessi occhi
chiari degli “invasori”. In quegli occhi, ognuno di
loro rivide la propria
madre, per un istante.
“Non
so che siate venuti a fare fino a qui, ma questo non è un
luogo per bambini. Vi
consiglio di andarvene al più presto, e alla
svelta” sbottò il giovane uomo,
pronto a chiudere la porta.
“Ci
manda la mamma” parlò il ragazzo, alzando lo
sguardo triste verso quello sconosciuto.
“Non
siete figli miei, ve lo assicuro, perciò sparite”.
“Siamo
i tuoi fratelli”.
“Io
non ho fratelli”.
“Siamo
figli di tua madre!”.
“Io
non ho una madre”.
“Beh,
in effetti, ora non più. È morta”.
Scese
il silenzio, per qualche istante.
“Morta?”
chiese conferma il maggiore.
“Sì,
pensavo lo sapessi. Gli stregoni non sanno tutto?”.
“Gli
stregoni sanno quello che desiderano sapere. Era da quasi dieci anni
che non
allungavo il mio sguardo verso il villaggio in cui sono nato”.
“Non
abbiamo nessun’altro a questo mondo, ora che mamma
è morta, al di fuori di te”.
“Errato.
Non avete nessun’altro a questo mondo e basta. Punto. Io non
ho niente a che
fare con voi due, e questo non è posto per ragazzini, come
già detto”.
“Siamo
fratelli, questo non conta per te?”.
“Perché
dovrebbe contare? Ho molto di meglio da fare”.
“Ma
la mamma…”.
“Mia
madre, per me, ha smesso di esistere nel momento stesso in cui non ha
esitato
ad affidarmi al primo stregone sconosciuto che si è
presentato alla sua porta.
Spaventata perché avevo manifestato doti magiche, si
è sbarazzata di me senza
rimorso”.
“Non
è quello che ci risulta”.
“Beh,
è quello che risulta a me. L’unica famiglia che ho
mai avuto è stato il mio
maestro, che fortunatamente per voi al momento non è
presente”.
“Mamma
mi ha detto di darti questa” riprese il ragazzo, mostrando
una certa
perseveranza, porgendo una lettera leggermente bagnata dalla pioggia
all’uomo.
“Che
roba è?” borbottò questi, senza muovere
un muscolo per riceverla.
“Non
sai leggere? Prendila e aprila!” iniziò a
spazientirsi il ragazzino.
“Voi due, ve ne
dovete andare” ripeté, con
calma, il padrone di casa.
Un
potente lampo, seguito immediatamente da un tuono, fece sobbalzare la
bambina,
che afferrò saldamente la mano del ragazzetto.
“Beh…”
sospirò l’uomo “Sono cattivo, lo
ammetto, ma non così tanto. Dato il tempo, vi
concedo di rimanere qui per la notte. Ma solo per stanotte, intesi? Poi
dovrete
smammare”.
“E
dove andremo?”.
“Perché
credi che la cosa mi interessi?”.
“Perché
siamo i tuoi fratelli!”.
“Ti
ho già spiegato come la penso, sbarbatello”.
“Io
non riporterò mia sorella fuori, di nuovo! Hai idea di
quanti giorni di cammino
ci siamo fatti?”.
“Lo
so, e non vi invidio. Ma nemmeno mi fate pena. È stata
vostra la brillante idea
di venire qui”.
“Ma
sei l’unica persona che…”.
“Forse
solo un orso incazzato in una grotta umida sarebbe risultata una
soluzione
peggiore di venire fin qui a chiedere asilo”.
“Quando
sarò maggiorenne, potrò andarmene e
porterò via mia sorella, ma prima non mi è
concesso badare a lei. Me la porterebbero via”.
“Cercatevi
un’altra famiglia!”.
“Non
si può. In tempo di guerra è già tanto
se siamo sopravvissuti fino ad oggi.
Mamma se ne è andata il mese scorso e l’unica
possibilità che avevamo era
venire qui. Da te. Fratello”.
“Non
chiamarmi fratello, per favore. La mia decisione è questa,
mi spiace. Non più
di tanto, lo devo ammettere. Entrate, riposatevi e poi domattina
saranno affari
vostri”.
“Sei
crudele”.
“Sono
uno stregone. E tu, ragazzino? Hai passato i quattordici anni? Hai
scoperto il
tuo ruolo?”.
“Ne
ho quindici di anni e lo so bene il mio ruolo, ben diverso dal tuo. Mi
chiamo
Gudis, ad ogni modo. Fra gentiluomini ci si dovrebbe
presentare”.
“Tu
non sei un uomo. E io non sono gentile. Vi ho dato il permesso di
dormire qui.
Approfittatene. Andate a letto e non mettete ancora a dura prova la mia
pazienza”.
“Grazie”
storse il naso il ragazzo.
“E
datevi una lavata, non imbrattatemi la casa”.
“Sì”
risposero i due, senza voltarsi e dirigendosi verso il punto della casa
indicato dallo stregone.
“E
non fate casino. Ho bisogno di concentrazione”.
Non
si sentì altro, se non i passi dei giovani che si
allontanavano e quelli
dell’uomo che tornava alla stanza in cui aveva lasciato il
libro, convinto di
aver fatto un errore.
● ●
●
“Non
devi aver paura, sorellina. Non ci farà del male”
le sorrise il fratello,
asciugandole in visino.
“Lui
è uno stregone…” mormorò
lei, ricordando le storie che si narravano al
villaggio sulla loro crudeltà ed inumanità.
“Sì,
ma ricordi le cose che ci ha raccontato la mamma su di lui? Non devi
aver
paura”.
“E
noi domani cosa faremo?”.
“Non
lo so. Per ora riposiamo, ne abbiamo bisogno”.
La
piccola sbadigliò e sedette sul letto. La stanza che avevano
trovato era
pulita, nonostante si vedesse chiaramente che era inutilizzata da
tempo. I due
fratelli si misero nello stesso, unico, letto, abbracciati
l’uno all’altro per
il freddo e la paura, del luogo e del temporale esterno. Nemmeno
avevano chiuso
gli occhi quando un lampo di luce nella camera li spaventò.
Sul piccolo
tavolino accanto a dove stavano distesi, era apparso un cesto con del
pane, con
frutta e formaggio, una brocca d’acqua e delle vesti pulite.
“Visto?”
sorrise Gudis “Non è cattivo”.
La
piccola non parve molto convinta ma allungò la mano verso il
cibo, vinta dalla
fame. Con la pancia piena e il vestito pulito, si sentì
molto più tranquilla.
Si addormentò, sfinita, dopo pochi minuti. Il fratello
controllò per bene la
stanza e poi si addormentò a sua volta, piuttosto
preoccupato per la giornata
seguente.
● ●
●
I
due fratelli furono svegliati di soprassalto dal rumore ormai familiare
di un
mezzo militare volante che si avvicinava. Erano trappole create solo
per
portare morte al loro passaggio. Molti villaggi erano caduti e
distrutti per causa
loro. Terrorizzati, temendo il peggio, tentarono di trovare il luogo
migliore
della stanza dove riparasi.
“Non
abbiate paura” si sentirono dire.
Il
maggiore, apparso sull’uscio all’improvviso, li
fissava, senza espressione sul
volto. Chiuse la porta della camera dietro di sé e si
avvicinò.
“Non
abbiate paura” ripeté “Questo castello
è schermato, protetto dalla magia del
mio maestro”.
“Non
possono colpirci?” domandò conferma la bambina.
“Esatto.
Per loro stanno sorvolando solo un ampio bosco. Alberi. Nessun
obbiettivo
valido ed interessante. Siamo al sicuro”.
“La
copertura vale anche se il maestro non
c’è?” si incuriosì Gudis.
“Certo.
E molto presto sarò in grado di fare anch’io
altrettanto”.
“Sei
uno stregone di quinto livello?”.
“Non
sono così vecchio! Non ho ancora raggiunto
l’età per accedere al quinto
livello!”.
“Oh.
Pensavo di sì”.
“Insolente”.
Il
mezzo volante passò, facendo un gran fracasso, e non si
accorse dell’immenso
castello, schermato dalla magia.
“Visto?
Nessun problema”.
“Grazie
di averci avvertiti” parlò il ragazzo
“Eravamo parecchio spaventati”.
“Anche
se sono uno stregone, non sono senza cuore e senza anima, come a quelli
delle
altre classi piace dire. Fosse per me, vi farei restare. Ma il mio
maestro non
tollera distrazioni”.
“E
allora noi che faremo?”.
“Andatevene”.
“Ma
sarà un suicidio!”.
“Mai
peggio di ciò che vi farà il maestro se vi
troverà qui!”.
“Non
mi fa paura!”.
“Perché
sei stupido. Purtroppo maturità e saggezza si manifestano
quando si è già fatto
un bel pacco di cazzate nella vita”.
“Farò
di tutto per mettere in salvo la mia sorellina!”.
“Nobile
il tuo sentimento, ma del tutto inutile”.
“La
magia non mi spaventa. È solo scienza non ancora del tutto
spiegata”.
“Oh,
Dèi del cielo! Sei della classe degli scienziati?”.
Gudis
guardò il fratello con sguardo pieno di orgoglio, con
pomposo entusiasmo.
“Decisamente
te ne devi andare, prima che il mio maestro ti appenda per le palle
alla torre
principale, ragazzino”.
“Mi
chiamo Gudis!”.
“Puoi
chiamarti anche Mariangela, il concetto è lo stesso.
Stregoni, guerrieri e
scienziati sono classi in guerra. Anche se sei solo un ragazzino, sei
comunque
un nemico”.
“Io
non capisco il perché della guerra, non voglio averci nulla
a che fare”.
“Certe
cose non si possono evitare. Ma, se sei uno scienziato, so a chi
affidarti”.
“Affidarvi,
spero. Non mi separo da lei”.
“Sì,
va bene. Cercate di dormire un po’. Domattina, prima che il
padrone di casa
torni, vi porterò da chi potrà darvi un
futuro”.
Gudis
sorrise e sorrise alla sorella come a volerle dire “Hai
visto?!”.
“Ma
davvero la mamma ti ha mandato via? Affidato ad uno stregone
sconosciuto?”
domandò la piccola, con aria triste.
“Come
ti chiami, piccina?” fu la risposta dello stregone.
“Veda
Kami”.
“Vedi,
Veda Kami, quelli come me son bambini strani. Prima dei sette anni,
l’età in
cui iniziano a delinearsi le prime caratteristiche per le altre classi,
noi
stregoni già mostriamo qualche capacità, non
sempre facili da controllare. A
sette anni era chiaro a tutti che io fossi uno stregone e mamma,
essendo da
sola, non poteva gestire evidentemente una creatura come me e
così, quando
colui che poi è divenuto il mio maestro si è
presentato al villaggio, mi ha
affidato a lui”.
“Non
poteva tenerti con lei?”.
“Credo
fosse destino. Sono nato per errore, immagino, e mamma voleva una vita
normale.
Sposarsi, avere dei bambini senza niente di spaventoso e vivere felice.
Io ero
qualcosa di troppo, nel suo grande progetto”.
“Il
tuo papà non è il mio papà?”.
“No.
Mamma quando ha avuto me era molto giovane. Immagino sia normale che
una della
classe dei signori della natura si spaventasse dinnanzi ad un piccolo
stregone.
Quelli come lei e quelli della casta degli artisti non son coinvolti
direttamente nella guerra, e probabilmente temeva di richiamare a
sé i nemici
con una creatura come me per casa”.
“Non
sono coinvolti?” interruppe Gudis “Sono vittime,
chiusi nel mezzo delle tre
classi che si fan battaglia”.
“Capirai
che in guerra son tutte vittime, ragazzo. Ora cercate di dormire un
po’, vi
farà bene”.
“Come
hai scoperto di essere uno stregone?” riprese il ragazzo,
ignorando la
stanchezza.
“In
realtà, è stata una casualità
piuttosto singolare. Quando ero piccolo, volevo
rendermi utile e cercavo di aiutare la mamma nei lavori di casa. Un
pomeriggio,
per accontentarmi, mi ha fatto asciugare i piatti. Lei li lavava ed io
li
asciugavo. Maldestramente, ne feci cadere uno, che ovviamente si ruppe.
Mamma
cercò di rassicurarmi, dicendo che andava tutto bene, che
non importava, ma io
sapevo che non era così. Non eravamo ricchi, ogni oggetto in
quella casa era
stato ottenuto con sacrifici e fatica. Così, non so
perché, istinto immagino,
ho allungato la mano verso il piatto e questo si è
aggiustato. Io ricordo di
essermi sentito davvero bene, felice per aver aiutato la mamma, ma poi
il suo
sguardo ha incrociato il mio. Era terrorizzata, d’improvviso
consapevole di
aver generato una creatura rara e temuta dal resto del mondo. Da quel
giorno ho
tenuto nascosto il mio potere a mia madre, evitando di usarlo in sua
presenza,
anche se non potevo fare a meno di utilizzarlo. Quando lei mi ha
affidato a
quell’uomo che mi era parso tanto spaventoso, ricordo di
averla supplicata di non
mandarmi via, promettendo che non avrei mai più usato la
magia”.
“Era
la tua strada. Non potevi certo reprimere la tua natura”
commentò Gudis.
“No
di certo, ma un bambino questo non lo può capire. Ora
dormite. Sono stanco pure
io”.
● ●
●
La
mattina seguente, furono svegliati dalla luce esterna, segno che non
pioveva
più. Si alzarono pigramente, mangiarono quel che rimaneva
delle cose ricevute
la sera prima, si vestirono e si prepararono per partire, come gli era
stato
detto dal fratello.
“Siete
svegli?” domandò una voce femminile.
Stupiti
di questo, i due si fissarono con aria interrogativa.
“Venite.
Vostro fratello vi aspetta” riprese la voce.
Gudis
e Veda uscirono, aprendo lentamente la porta. Si trovarono faccia a
faccia con
una donna riccamente vestita, con i capelli lunghi sciolti e mori.
Sorrideva.
“Venite
con me. Seguitemi”.
Iniziarono
a camminare fra i corridoi fino a giungere alla base della grande torre
principale. la bimba sorrise, paragonandola ad una grossa matita. Aveva
quattordici lati, ciascuno chiuso e senza aperture se non praticamente
sulla
cima, coperta solo in parte da una punta tronca. Salirono, avvolti dal
buio,
seguendo la donna.
“Eccoli”
parlò lei, rivolta allo stregone che stava al centro della
stanza, circondata
da aperture ad arco che partivano dalle piastrelle scure del pavimento.
“Grazie”
rispose lui, senza girarsi a guardarla.
Lei
fece un piccolo inchino e se ne andò, facendo segno ai
fratelli di raggiungere
il centro della stanza. Gudis e Veda obbedirono, avvicinandosi al
maggiore.
“Chi
era quella?” domandò il giovane scienziato.
“La
figlia del mio maestro”.
“La
tua ragazza?”.
“Ho
il divieto di toccarla”.
“E
perché?”.
“Perché
queste sono le regole. Fra tre anni passerò al livello
successivo e sarò libero
di far ciò che mi pare”.
“È
molto bella…”.
“La
smettiamo di parlare di lei?! Avanti, venite qui”.
Lo
stregone pareva molto concentrato. Camminò verso una delle
aperture, che si
illuminò. Gudis non capì come questo fosse
possibile ma non chiese nulla, per
non sfigurare.
“Andate”
parlò il maggiore.
“Andate
dove?” storse il naso Gudis.
“Lì!”
indicò l’apertura lo stregone.
“Il
suicidio non rientra fra le mie priorità”.
“Macché
suicidio! Muovetevi”.
Diede
una piccola spinta alla bambina, che sparì avvolta dalla
luce.
“Veda!”
la chiamò Gudis, senza capire dove fosse andata a finire.
“Queste
non sono semplici finestre senza vetri. Sono porte verso il resto del
mondo.
Muoviti. Se il padrone di casa scopre che sono qui non mi
accadrà nulla di
bello!”.
I
due fratelli attraversarono quasi insieme la luce e riapparvero in una
grande
stanza bianca, attraverso uno specchio. Piena di tavoli con strani
oggetti che
facevano fumo e rumori misteriosi, la sala pareva deserta.
“Chi
è là?” domandò una voce.
“Uno
a cui devi un favore” rispose lo stregone.
“Ihanez!
Sei tu?” domandò un uomo, apparendo da dietro una
grossa lavagna.
Indossava
spessi occhiali con lenti d’ingrandimento e stringeva una
strana ampolla
attorcigliata fra le mani.
“Da
quanto non mi sentivo chiamare così…”.
“Beh,
è quello il tuo vero nome, no?”.
“Il
mio nome di nascita. Non so quale sia più vero fra il nome
di nascita e quello
che ho acquisito a quattordici anni divenendo ufficialmente uno
stregone”.
“E
questi due chi sono?”.
“Gudis
e Veda Kami. Sono i miei fratelli”.
“Non
sapevo avessi dei fratelli”.
“Nemmeno
io, prima di mezza giornata fa”.
“A
cosa devo la tua visita, stregone?”.
“Mi
devi un favore, spero che te ne ricordi ancora”.
“E
come scordarlo? Quella sera, nel bosco, avresti potuto uccidermi e
invece mi
hai lasciato andare. Che posso fare per te?”.
“Sono
orfani. Han bisogno di un posto dove stare e di qualcuno che li guidi.
Lui è
uno scienziato”.
“Davvero?
Ottimo! Un giovane promettente cervellone come il sottoscritto.
Fantastico”.
“Siete
uno scienziato pure Voi?” domandò, timidamente,
Gudis.
“Certo”.
“E
come mai siete amici? Stregoni e scienziati non
dovrebbero…”.
“Non
tutto è bianco o nero, ragazzo. Sarò lieto di
prendermi cura di voi. Ho giusto
bisogno di un paio di assistenti”.
“Non
usarli per strani esperimenti” lo ammonì Ihanez.
“Non
lo farò! Staranno benissimo qui e poi avranno sempre una
porta verso il tuo
mondo”.
“Siate
prudenti nell’usare simili porte”.
“Tranquillo.
So che succede se ci becca il tuo simpaticissimo maestro”.
“Devo
andare adesso. Se torna e non mi trova dovrò inventarmi
più di una balla per
giustificarmi”.
“Ti
auguro di passare presto al quinto livello, così da
liberarti da simili
presenze”.
“Anche
a te auguro di arrivare al quinto livello e di poter diventare uno dei
migliori”.
“Grazie.
Passa a trovarci”.
Gudis
e Veda videro il fratello attivare lo specchio per attraversarlo, senza
parlare. Il maggiore notò il loro sguardo e, a disagio, si
sforzò di trovare
delle parole di congedo.
“Con
lui vi troverete bene” borbottò “Meglio
che con me, questo è sicuro! Passerò
ogni tanto, ci rivedremo. Fate i bravi, vedrete che andrà
tutto bene”.
Fece
per andarsene ma Gudis lo fermò, porgendogli di nuovo la
lettera che la loro
madre aveva scritto, ringraziandolo per l’aiuto. Lo stregone
la prese e,
tornando alla sua solita mancanza d’espressione,
salutò con un cenno ed
attraversò lo specchio.
● ●
●
“Randoeku!”
tuonò il maestro, non appena l’allievo mise piede
alla torre a quattordici
facce.
“Sono
qui” rispose Ihanez.
“Lo
so che sei lì. E cosa ci fai lì?”.
“Io…io
volevo solo fare un giro. Tutto qui”.
Il
maestro gli si materializzò davanti. Non sembrava molto
anziano, anche se lo
era. Questo perché gli stregoni migliori, quelli che
superavano la prova finale
del quinto livello, non invecchiavano più.
“Tutto
qui, tu dici? Fammi un po’ capire. Ti senti forse pronto per
poter usare la
torre? Sai che con il minimo errore potresti trovarti chissà
dove o scomposto
in pezzi!”.
“Lo
so. Ma sono capace di usare la torre”.
“Davvero?”.
“Sono
intero. E sono andato dove volevo andare. Direi di
sì”.
“Non
fare lo strafottente”.
“E
voi non trattatemi come un ragazzino”.
“Sei
solo un quarto livello!”.
“Ho
venticinque anni!”.
“Sei
un pivello. Ti ci vogliono ancora tre anni per passare di livello e
dopo di questi
altri sette per poter aspirare ad essere ammesso alla prova finale del
quinto
stadio. Tu vuoi arrivare a quell’esame, vero? O non ti
interessa?”.
“Voglio
arrivarci!”.
“E
allora vedi di smetterla di disobbedirmi, se non vuoi che ti cacci
prima della
fine dell’addestramento!”.
“Sissignore”
si rassegnò Ihanez, sospirando.
“Dammi
la mano”.
L’allievo
non capì quelle parole ma porse la mano destra al suo
maestro, che l’afferrò
saldamente, stringendola fra le dita guizzanti di magia. Righe nere si
espansero lungo il dorso dell’arto dell’allievo,
che gridò per il dolore ma non
riuscì a liberarsi da quella presa.
“Questo
è per ricordarti qual è il tuo posto”
sbottò il maestro, prendendo le scale per
scendere dalla torre e ordinando al suo sottoposto di fare altrettanto.
Ihanez
si morse il labbro per non lamentarsi ancora. Quei segni neri erano
come
bruciature profonde e non era in grado di muovere le dita.
“Così
per un po’ ti concentrerai sulle magie di ricezione, con la
mano sinistra,
ignorando temporaneamente quelle di trasmissione. Tranquillo, prima o
poi
tornerai ad usare tutte le falangi”.
L’allievo
non disse sulla. Chinò lo sguardo davanti al viso della
figlia del maestro e
tornò nella sua stanza. Era stanco, piuttosto confuso e
dolorante. Sospirò. Era
abituato a quelle manifestazioni di forza del maestro ma ogni volta non
sapeva
mai esattamente spiegare il perché di certi gesti. Meglio
non chiederselo,
concluse, estraendo la lettera della madre dall’ampia manica
e dedicandosi ad
essa.
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Capitolo 2 *** II- sogni ***
II
SOGNI
Una
risata. Per Ihanez non
c’era modo
migliore di svegliarsi, soprattutto se a ridere era lei. Si
affacciò alla
finestra, ignorando la mano ancora un po’ dolorante, e la
vide laggiù,
dall’alto di una delle torri del castello, dove stavano le
sue stanze. Era nel
giardino interno e camminava fra gli alberi. Rideva, probabilmente
insensatamente, e probabilmente canticchiava sottovoce fra una risata
ed
un’altra.
“Buongiorno,
Randoeku!” lo salutò, inaspettatamente, lei
“Non credere che non mi accorga
quando qualcuno mi
osserva. Ho dei
poteri anch’io!”.
“Non
era mia intenzione spiarti”.
“Vieni
giù. Mio padre non c’è e credo che
occuparti assieme a me del giardino non
rientri fra le attività proibite”.
Ihanez
salì sul balcone e saltò, planando fino al
giardino. Spostarsi in quel modo era
una delle cose che gli riuscivano meglio. Guardò lei, che
nel frattempo si era
rimessa a curare le piante, e sospirò. Aspettare altri tre
anni? Ne valeva
pena? E per cosa?
“Hennay,
io…” iniziò, chiamandola per il vero
nome “Io pensavo di interrompere
l’apprendistato”.
“Come?!
Sei impazzito?! Ihanez, sei uno stregone fantastico, rinunciare
equivarrebbe a
buttar via un’esistenza. Perché?”.
“Perché
così potremmo andare via, io e te, e potrei prendermi cura
dei miei fratelli in
modo più diretto”.
“E
poi? Quale sarebbe il tuo futuro? Tu potresti divenire uno dei
più potenti,
passare la prova finale del quinto livello e divenire immortale.
Perché gettare
tutto al vento?”.
“E
se non riuscissi ad arrivare a quel giorno? Tutta la mia vita
è stata impostata
su questo. Sul fatto che a trentacinque anni avrei affrontato questa
prova, ma
se fallisco? Se lungo il mio cammino si presentasse qualcosa di
imprevisto, in
grado di togliermi ogni possibilità? Non voglio che tutto
sia basato solo sul
fatto che devo diventare uno stregone”.
“Altri
tre anni, e sarai passato al quinto livello. Lavorerai da solo, potrai
fare ciò
che vuoi e, vedrai, arriverai alla prova finale. Solo altri tre
anni”.
“Più
altri sette per la prova finale. Non credo di poter sopportare
tanto”.
“Mollare
tutto sarebbe un gravissimo errore”.
“E
perché?”.
“Perché
il tuo sogno è passare quella prova, e ce la farai. Poi
avrai l’eternità
davanti per ottenere tutto il resto”.
“Certo.
E se non ce la faccio avrò buttato trentacinque anni della
mia vita e avrò
perso tutto. I miei fratelli saranno cresciuti, non avranno
più bisogno di me e
tu…tu di certo sarai andata in sposa a qualche amico o
collega del maestro, tuo
padre, e ti sarai dimenticata di me”.
“Non
dire sciocchezze. Come credi che io possa dimenticarmi di te? Io posso
aspettare. Posso aspettarti, se lo desideri”.
“Tuo
padre non te lo permetterà mai”.
“Credi
che non sappia prendere le mie decisioni da sola?”.
“So
come può essere convincente tuo padre”.
Lei
non nascose la sua preoccupazione ma si sforzò di sorridere.
“Andrà
tutto bene” disse “Altri tre anni e sarai libero
dall’apprendistato da mio
padre e potremmo fare ciò che desideriamo”.
“Tre
anni è una specie di eternità”.
“Ma
sarai qui, ci vedremo sempre. E i tuoi fratelli sono affidati ad una
buona
persona, che si prenderà cura di loro. Andandoli a trovare,
poi, rimarrai di
certo legato a loro”.
“Sono
tanto confuso. E a questo punto della mia vita non dovrei esserlo
più”.
“Si
può essere confusi a tutte le età”.
Un
lampo azzurrognolo segnalò il ritorno del maestro. Ihanez si
affrettò a
raggiungerlo e vide subito dalla sua espressione che era di pessimo
umore.
“Successo
qualcosa?” domandò l’allievo.
“Questa
guerra mi sta decisamente stancando”.
“Credo
sia un sentimento comune”.
“Sono
così stufo di convocazioni per consulti che poi non servono
a un cazzo perché
lo stregone capo vuol vedere solo la sua e il suo unico pensiero
è stuzzicare i
capi di guerrieri e scienziati! Girano voci, tra l’altro, che
queste due classi
vogliano allearsi. Se ciò avvenisse, per noi sarebbe la
disfatta totale. Siamo
molti meno di loro”.
“Scienziati
e guerrieri uniti in un’unica fazione?”.
“È
quello che ho detto”.
“Cervelloni
esaltati e scemi del villaggio che combattono fianco a fianco?
Sinceramente,
non me li ci vedo molto”.
“Hanno
paura, Randoeku. Paura della nostra vita senza vecchiaia una volta
passato
l’ultimo esame. Hanno paura dei nostri poteri, di
ciò che non conoscono”.
“Non
siamo in tanti a passare quella prova e, comunque, se attaccati e
colpiti,
anche i grandi stregoni muoiono, aspetto da eterni trentacinquenni o
no!”.
“Lo
so. Ed è per questo che mi inquieta l’idea di una
loro alleanza. Già siamo
qualcosa di raro, se le cose peggiorassero non so quanto si potrebbe
andare
avanti”.
Ihanez
notò la preoccupazione sul volto del suo maestro e rimase in
silenzio, non
trovando parole sufficientemente rassicuranti.
“Dov’è
mia figlia?”.
“Credo
sia in giardino”.
“Chiamala.
Voglio tentare di rendervi più potenti il più
presto possibile. Non voglio
rischiare di trovarvi impreparati dinnanzi a certe
eventualità”.
“Sì,
maestro”.
“Venite
entrambi nel salone degli incantesimi”.
“Insieme?
Volete addestrarci insieme?”.
“Non
c’è tempo per concedervi pause e riposini.
D’ora in poi, sarà molto più dura.
Intesi?”.
“Sì,
maestro”.
●
●
●
“Bene,
bene, mio giovane scienziato, dimmi un po’: a quale ramo
della scienza vuoi
dedicarti?” domandò l’uomo, sorridendo.
“Non
lo so ancora” ammise Gudis “Per ora mi limito a
provarne il più possibile”.
“Ti
limiti? Questa è la via migliore, mio caro ragazzo. Solo
così potrai scoprire
per quale il tuo cervello superiore è più
portato. E se poi vuoi seguirle tutte
e ne sei in grado…vorrà dire che diverrai uno dei
migliori di noi”.
“Non
credo di arrivare a tanto”.
“Non
sottovalutarti. Sei giovane, tutte le porte sono ancora ben aperte
davanti a
te. E tu, piccolina? A che razza pensi di appartenere?”.
Veda
si nascose dietro al fratello, sgranando gli occhi in un insolito
attacco di
timidezza.
“Non
lo sai? Beh, non fa niente. Lo scopriremo. Ora venite con me. Vi mostro
la
casa, le stanze dove starete e tutto il resto”.
Lo
scienziato precedette i due ragazzi lungo una ripida rampa di scale in
salita,
che fece capire ai nuovi ospiti che il laboratorio dove erano arrivati
era una
sorta di seminterrato, diviso dal resto della casa da una pesante porta.
“Se
deve esplodere qualcosa…” spiegò lo
scienziato, come intuendo i loro pensieri
“…meglio che esploda il laboratorio, non anche il
resto della casa!”.
Chiuse
a fatica quella porta e poi riprese il suo cammino. La casa era molto
luminosa
e geometrica, si capiva subito che era anche dotata di tecnologie e
marchingegni vari. Gudis osservava tutto con curiosità
crescente, piuttosto
soddisfatto dall’idea di passare lì il periodo del
suo apprendistato. Si augurò
che anche la sorella provasse lo stesso, per non dover pensare ad
un’altra
soluzione.
“Io
creo oggetti, come avrete modo di notare, perciò se vi serve
qualche cosa basta
chiedere e vedrò di accontentarvi, per quanto
possibile” parlò l’uomo,
mostrando le stanze perfettamente quadrate ai due fratelli.
“Vivi
da solo?” domandò Veda, in uno slancio di coraggio.
“Purtroppo,
mia giovane fanciulla, mi sono dedicato interamente agli studi per
buona parte
della mia vita, tralasciando altri aspetti”.
“È
triste”.
“È
una scelta”.
“L’hai
fatta consapevolmente?” si intromise Gudis.
“Ora
che mi ci fai pensare, non proprio. Sta di fatto che un giorno mi son
svegliato
e mi son accorto che certe cose le avevo ormai perse. Ma non ho
rimpianti. Sono
felice di essere arrivato dove sono ora e credo di non aver bisogno di
altre
distrazioni”.
“Noi
siamo distrazioni” commentò il ragazzo.
“Lo
so. Ma distrazioni interessanti. Ti insegnerò tutto e
aiuterò tua sorella a
trovare la sua strada. Sarà stimolante. Ma l’idea
che non sia nulla di stabile,
perché ad una certa età ve ne andrete, mi
rassicura alquanto”.
Veda
non capì del tutto quelle parole ma non chiese nulla,
preferendo concentrarsi
sull’arredamento di quella che era stata definita la sua
camera. A suo parere,
era troppo squadrata, troppo geometrica e troppo triste. Bianca, con al
massimo
qualche tocco di grigio, non rispecchiava i suoi gusti.
“Posso
colorarla?” domandò.
“Certo.
È la tua stanza adesso. Puoi farci quello che
vuoi”.
La
bambina sorrise, già immaginando cose grandiose e colori
sgargianti. Gudis non
si fece troppo problemi. A lui il bianco ed il grigio, colori ufficiali
della
classe degli stregoni, non dispiacevano. Anche se la sua attenzione era
ormai
rivolta al laboratorio al piano interrato.
“Hai
quindici anni, giusto?” domandò il padrone di casa.
“Sì,
esatto”.
“Dove
hai fatto il primo anno di apprendistato?”.
“Da
nessuna parte. Mia madre era malata, le son rimasto accanto”.
“Beh,
allora dovremmo procedere al doppio della velocità per
recuperare. Possiamo
iniziare appena ti sentirai in grado di farlo”.
“Hem…adesso?”
sorrise Gudis, con entusiasmo trattenuto a stento.
“Se
vuoi. Andiamo. Lasciamo pure che tua sorella esplori la casa e faccia
alla sua
stanza quello che preferisce”.
“Ma
per farlo mi servono i colori” affermò la bambina.
“Credo
ce ne siano un po’ in soffitta. Va pure a cercarli e usane a
tuo piacimento”.
● ●
●
Non
era abituato a fare allenamento con la figlia del capo. Non sapeva
molto bene
come comportarsi. Una cosa era avere a che fare con il maestro e
un’altra cosa
era combattere, come gli era stato ordinato, con la sua erede. Lei
sorrise,
probabilmente con l’intento di deriderlo.
“Ihanez,
non fare i vigliacco” ghignò, a voce
sufficientemente bassa da non farsi
sentire dal padre.
“Non
lo faccio!”.
“E
allora avanti, muoviti!”.
“Randoeku!”
lo richiamò il maestro, immobile a braccia incrociate fuori
dal cerchio in cui
i due allievi si stavano esercitando “Perché usi
solo magie di protezione? La
mano destra ce l’hai, usa anche quella! Attacca!”.
“Non
lo ritengo necessario” commentò Ihanez.
“Come
sarebbe a dire?”.
“Se
questo addestramento è per la guerra, il mio desiderio
è imparare a difendermi,
non attaccare. Se qualcuno tenterà di farmi del male, allora
parerò”.
“E
non contrattaccherai?”.
“No.
Credo che la cosa sia controproducente”.
“Tu
non hai idea di cosa significhi trovarsi in mezzo ad una battaglia, e
prego gli
Dèi di non trovartici mai. Mi pare evidente che ancora non
abbia imparato a
stare al mondo. Vedi di iniziare ad attaccare, se non vuoi che venga io
all’interno del cerchio e ti mostri come si fa!”.
“Dai,
papà, non esagerare” parlò Hennay,
tentando di calmare gli animi.
“Non
intrometterti e ricorda che durante l’addestramento sono
prima di tutto il tuo
maestro, e poi tuo padre”.
“Lo
so. Scusi, maestro”.
“Vuoi
difenderti, ragazzo? Bene, allora devi difenderti da qualcosa di serio,
non
dagli attacchi di una tua pari. In guerra troverai molti avversari
forti,
vengono scelti proprio per questo” mormorò il
maestro, senza mostrare alcun
sentimento in particolare.
Avanzò
di un passo, sfiorando il cerchio di luce che circondava gli allievi, e
lo
espanse. Ihanez non si mosse. Invidiava la capacità del suo
superiore di creare
cerchi magici semplicemente con la mente, senza muovere un dito. La
luce emessa
dal disegno sul pavimento aumentò ed escluse la ragazza, che
capì che si
sarebbe divertita a guardare uno scontro impari.
“Preparati
a parare qualcosa di davvero pericoloso”.
Ihanez
si preoccupò a quella frase, non sapendo bene cosa
aspettarsi. Era
probabilmente il solito modo leggermente violento del suo maestro di
impartire
una lezione. Guardò in alto. Tutt’attorno al
padrone di casa si era creata
un’aura di colore azzurro brillante. L’allievo si
apprestò a fare lo stesso.
Purtroppo la sua era ben più piccola, data la notevole
differenza di energia, e
molto meno controllata. Lanciava sbuffi e lampi a casaccio. La cosa lo
imbarazzo leggermente.
“Non
ti preoccupare per la tua luce, sei ancora giovane. Ed hai ancora tre
anni
prima di passare al quinto livello, che pretende la sua totale
padronanza” lo
rassicurò il maestro, mostrando come riuscisse a modellare
la propria a suo
piacimento.
Ihanez
si sentiva piuttosto insignificante, e nella mente sempre
più si insinuava il
dubbio che fosse tempo di mollare. Perfino i draghi dipinti alle pareti
parevano deriderlo.
Il
primo colpo del maestro partì all’improvviso,
senza bisogno di alcuno sforzo da
parte del suo lanciatore se non di un lieve movimento degli occhi.
L’allievo si
concentrò e spalancò la mano sinistra, stendendo
il braccio. Pronunciò alcune
parole e riuscì a non subire danni. La magia si divise e si
dissolse,
lasciandolo incolume. Invidiava i rari stregoni che riuscivano a fare
tutto
questo senza muoversi e senza parlare.
“Bravo”
si sentì dire.
La
cosa andò avanti per un po’, finché il
maestro vide la stanchezza negli occhi
del suo allievo, che non l’avrebbe mai ammesso di essere
sfinito.
“Continua
così, ragazzo. Ma migliora anche
nell’attacco” fermò gli esercizi il
padrone
del castello, facendo segno anche alla figlia che per quel giorno
poteva
bastare. Ihanez annuì ma in realtà dentro di
sé si disse che non avrebbe
incentivato la guerra attaccando.
● ●
●
Veda
era soddisfatta. Dopo giorni di lavoro, ora la sua stanza rispecchiava
i suoi
desideri. Aveva ricoperto la parete di scarabocchi, non essendo molto
brava con
il disegno, molto colorati. Questo dava di certo un tocco di allegria a
quella
che altrimenti sarebbe stata una sorta di camera d’ospedale,
bianca e piatta. I
suoi esperimenti per dipingere il soffitto, basati sull’uso
di spugnette
impregnate di colore e lanci per aria, aveva donato
quell’effetto stile
esplosione che la soddisfaceva. Ignorando il fatto di aver dipinto
finestre,
mobilia, lenzuola e quasi tutta se stessa. Sedette in terra, osservando
il
tutto. Sospirò. Quanto vorrebbe aver avuto la mamma
lì accanto, a dirle che
aveva fatto un bel lavoro, che era stata brava. Ma era solo un sogno.
La mamma
non sarebbe mai tornata. A quel pensiero, sentì una
così forte rabbia crescerle
in corpo che fece davvero fatica a reprimerla. Le era sempre stato
detto che
certi scatti non si addicevano ad una signorina per bene.
Sentendo
dei rumori, uscì e vide due individui sconosciuti aggirarsi
per il corridoio.
Vestiti in bianco, parlavano tra loro di cose alla bambina
incomprensibili.
Notandola, i due si girarono. Veda si spaventò e
tornò a chiudersi in camera.
Gli sconosciuti la seguirono e non le diedero il tempo di chiudersi a
chiave.
“E
tu chi sei?” domandò uno di loro, con uno strano
accento.
“Mi
chiamo Veda Kami” mormorò lei, con un piccolo
inchino.
“Non
sei una scienziata!”.
“No”.
“E
cosa sei?”.
“Non
ne ho idea”.
“E
cosa ci fai qui?”.
“Sono
stata affidata al signore di questa casa, assieme a mio fratello Gudis,
da mio
fratello Ihanez”.
“E
chi è tuo fratello Ihanez?”.
“Il
mio fratello maggiore”.
“Uno
scienziato?”.
“No,
uno stregone”.
“La
sorella di uno stregone qui? Con il rischio che sia pure lei della
stessa
specie? Ma è inammissibile! La cosa non può
accadere in tempi come questi!”.
“Non
vedo dove sia il problema. Io non faccio male a nessuno!”.
“Forse
non adesso. Ma un giorno… Questo è un luogo per
scienziati, cultori della
sapienza, e non per bambinette che non sanno nemmeno a che classe
appartengano”.
“Scusi
la scortesia, ma credo che questi siano solo affari miei e di chi ha
accettato
di accudirmi”.
Veda
sentiva di nuovo quella rabbia crescere dentro di sé e,
quando i due
sconosciuti in camice bianco iniziarono ad avvicinarsi,
scattò in avanti,
seguendo l’istinto. La rabbia divenne energia ed
attaccò gli uomini, senza di
certo pensarci troppo. A suon di calci, e sfruttando qualche oggetto
qua e là
sparso per la stanza, come il secchio dei colori e dei libri,
mandò al tappeto
due esseri molto più grossi di lei.
“Che
sta succedendo qui?” domandò il padrone di casa,
entrando nella camera
allarmato dai rumori.
“Veda!
Che hai fatto?” spalancò gli occhi Gudis, senza
sapere bene come reagire.
Quando
vide che il suo maestro era scoppiato a ridere, un pochino si
tranquillizzò,
pur non trovandoci niente di divertente.
“A
quanto pare qui abbiamo una piccola guerriera”
commentò.
Veda
lo fissò, piuttosto imbarazzata da quell’evento, e
si scusò.
“Non
ti devi scusare” si affrettò a dirle il padrone di
casa “Certe persone non
capiscono ciò che gli viene detto finché non
vanno incontro a cose del genere.
Ho sempre avvisato i miei colleghi di rimanere al di fuori delle mie
faccende,
che son del tutto personali. Avrebbero dovuto seguire il tuo consiglio
e
lasciarti in pace. Non lo hanno fatto…peggio per
loro!”.
“Il
gran consiglio dovrà sapere che tieni con te una guerriera,
sorella di uno
stregone” gemette uno dei due attaccati, sforzandosi di
rimettersi in piedi dal
poderoso colpo al basso ventre che aveva ricevuto qualche istante prima.
“Il
gran consiglio deve farsi un mega pacco di affari suoi. Questa bambina
è qui
con me perché suo fratello è mio allievo e lei
è orfana, non ha un altro posto
dove stare. Che dovrei fare, secondo voi? Cacciarla via e lasciarla
morire da
sola in questo mondo di merda? Nossignore, non farò una cosa
del genere. Non ad
una bimba così adorabile. E così
manesca!”.
“Prima
o poi pagherei le conseguenze di simili familiarità con le
altre classi”.
“Può
darsi ma saranno solamente fatti miei. E ora, cortesemente, lasciate
questa
casa. Se per voi è così fastidioso avere a che
fare con una bambina, allora
siete pregati di non farvi più vedere da queste parti.
Andate a chiedere
consulto e aiuto ad altri scienziati, non più a
me”.
I
due uomini, gemendo e muovendosi in modo piuttosto scomposto,
lasciarono la
casa, pian piano.
“Li
hai conciate per le feste” ridacchiò il maestro,
passando una mano fra i
capelli della piccola e spettinandoli “Brava”.
“Ma
cosa succederà adesso?” domandò Gudis
“Non finirete nei guai a causa nostra?”.
“Nei
guai?”.
“Sì.
E quelle persone non torneranno più”.
“Ragazzo,
con gente simile è meglio avere a che fare il meno
possibile. Dicono di essere
scienziati ma hanno la mente più chiusa e bigotta del
peggiore degli ignoranti.
E, purtroppo mi duole ammetterlo, i migliori di noi stanno diventando
tutti
così. Spero di riuscire a fare in modo che tu stia ben
lontano da certe idee,
perché sono quelle idee che portano alla guerra”.
“La
guerra è di certo l’ultima cosa con cui voglio
avere a che fare”.
“Ed
io ti auguro di riuscire a starci fuori. Anche perché sta
andando avanti da
troppo tempo. Ma basta pensare a cose tristi. Torniamo a far
lezione”.
“Cosa
stai imparando?” domandò, incuriosita, Veda.
“Sono
ancora alle basi, sorellina. Appena sarò in grado di
mostrarti qualcosa, lo
farò”.
“Ti
insegnerò ad andare a trovare tuo fratello”
sghignazzò lo scienziato, alludendo
alla possibilità di giungere alla torre a quattordici facce
del castello
stregonesco.
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Capitolo 3 *** III- realtà ***
III
REALTÀ
“Buon
compleanno, Gudis” sorrise Ihanez, allo stappare della grossa
bottiglia da
parte del fratello.
“Grazie.
Grazie a tutti” rispose il festeggiato, servendo da bere agli
ospiti dopo il
botto provocato dallo schizzare in aria del tappo.
Non
erano in molti in quella stanza. Oltre ai due fratelli,
c’erano Veda Kami,
vestita a festa, il maestro scienziato padrone di casa ed alcuni altri
giovani,
amici del ragazzo che compiva gli anni.
“Hai
raggiunto un traguardo importante, Gudis” commentò
lo scienziato “Diciotto
anni. Quasi non ci credo. Sembra avvenuto ieri il nostro primo incontro
e
invece… Son passati già tre anni!”.
“Tre
anni straordinari. Ho imparato davvero molto e imparerò
ancora”.
“Certo.
Ne hai ancora di apprendistato da fare!”.
“Apri
i regali!” incalzò Veda, porgendo al fratello un
pacchetto che aveva realizzato
lei stessa “Questo è da parte di tutti
noi” aggiunse, indicando gli altri
ragazzi della sala.
“Non
dovevate” arrossì Gudis, pensando in
realtà che dovevano eccome.
Ignorò
momentaneamente la torta che stava divorando e aprì il
regalo della sorella.
Era un set per la scrittura, con il nome del festeggiato.
“Ti
servirà di certo per prendere appunti durante le
lezioni” sorrise Veda, vedendo
che il fratello gradiva molto ciò che aveva fra le mani.
Dopo
aver ringraziato la sorella e gli amici, Gudis passò al
regalo del suo maestro.
Era un grosso pacco, piuttosto pesante. Lo aprì con cautela
e trattenne il
respiro quando vide ciò che conteneva. Era un telescopio, di
quelli che
chiunque avrebbe trovato troppo complicato se non appartenente alla
classe
degli scienziati, che aveva desiderato tanto.
“Se
vuoi…” sorrise il padrone di casa
“…ti darò una mano a montarlo, ma non
credo
che necessiterai del mio aiuto”.
Gudis
era senza parole. Avere in dono una cosa del genere da parte di un
maestro
scienziato significava ricevere un tacito consenso nella libera
ricerca, cosa
che solitamente accadeva solamente parecchi anni dopo. Era un modo
magnifico
per dimostrare quanto si era orgogliosi e sicuri delle
capacità del proprio
allievo.
“E
tu?” si riprese il ragazzo, fissando il fratello e
ghignando“Tu cosa mi hai
portato? O sei qui solo come mangiatore di torta?”.
“Per
chi mi hai preso?” si difese Ihanez, aprendo la borsa che
teneva legata alla
cinta e porgendo un pacco al festeggiato.
“Cos’è?”
domandò Gudis, tentando di indovinare.
“L’unica
cosa di cui ci capisco qualcosa che può avere a che fare con
il tuo essere
scienziato” si limitò a dire Ihanez, mentre il
fratellino scartava.
Era
un libro. Un grosso volume, dall’aria piuttosto antica, che
parlava in modo
dettagliato di piante ed animali.
“Dove
l’hai trovato un libro del genere?”
domandò Gudis.
“Non
è poi così complicato. Noi stregoni ne abbiamo
parecchi di volumi così”.
“E
che ve ne fate?”.
“Li
studiamo. Per mutare la nostra forma, dobbiamo conoscere alla
perfezione la
creatura, l’oggetto o la pianta in cui ci trasformiamo.
Più lo conosciamo e
meglio riusciamo a controllarne gli istinti e gli impulsi che
rischierebbero di
farci rimanere intrappolati in un corpo che non è il nostro
o di commettere
errori irreparabili, dettati dal cervello animale. Oppure di non
ricreare
determinati dettagli e rendere inutile il cambio di forma”.
“Intendi
dire che tu sapresti trasformarti in qualsiasi cosa contenuta in questo
libro?”.
“In
linea di massima, direi di sì”.
“Mi
faresti vedere?”.
Ihanez
rimase in silenzio a fissare il fratello, come a volergli dire che non
era un
fenomeno da circo.
“Perché
piante ed animali in questo libro sono messi in questo ordine
così insensato?”
riprese il minore, sfogliando le pagine.
“Non
è insensato. Seguono l’ordine di
difficoltà” spiegò lo stregone
“Più vai avanti
con i capitoli e più diventa difficile la mutazione in
quello che descrivono”.
“E
in base a cosa si stabilisce una difficoltà?”.
“In
base al tipo di creatura. Gli ultimi lì citati, come avrai
modo di vedere, sono
grossi esseri selvatici, a volte provvisti di magia a loro volta. Sono
intelligenti e potenti, dotati di una forza di volontà ed un
istinto molto
forte. Per quando riguarda gli animali, si inizia sempre con quelli
domestici,
perché sono quelli che trovano più familiari gli
ambienti in cui viviamo, il
fatto di stare fra quattro mura o di sentire voci umane. Il loro
istinto di
base è molto assopito. Al contrario, le bestie degli ultimi
capitoli sono
predatori, liberi. Con loro è facile per uno stregone
inesperto rimanere preda
della creatura in cui ha scelto di mutare”.
“Cosa
c’è il rischio che faccia?”.
“Uccida.
Fugga. Perda per sempre la capacità di controllo e la
consapevolezza come
stregone, rimanendo quella creatura per sempre”.
“È
successo?”.
“Dicono
di sì. Personalmente, non ne conosco di intrappolati ma so
cosa significa
trovarsi al limite e quindi non mi stupisco se qualcuno di noi non
è riuscito a
tornare indietro”.
“E
quindi…puoi trasformarti in uno di questi?”
sorrise Gudis, sfogliando le pagine
e cercando l’animale che più lo ispirava.
“Sì”.
“E
lo faresti per me? Oggi è il mio compleanno, il diciottesimo
per giunta. Fammi
questo regalo!”.
“Ma
io…”.
“Anch’io
voglio vedere come ti trasformi!” si aggiunse Veda.
“In
effetti, sarebbe uno spettacolo piuttosto interessante”
concordò il maestro
scienziato.
“Ma
per chi mi avete preso? Per un prestigiatore o un clown?”
protestò Ihanez.
“Ti
prego!” sorrise Gudis e, guardandosi attorno, lo stregone si
accorse che
parecchie paia di occhi lo fissavano con aria di supplica e viva
curiosità.
“E
va bene” si arrese “In cosa vuoi che mi
trasformi?”.
“Posso
scegliere quello che voglio?”.
“Certo.
Io sono ad un livello che va ben oltre quel libro”.
“Ma
senti questo esaltato! Ad ogni modo, voglio questo”.
Gudis
indicò un grosso uccello, dai molti colori, riportato fra le
ultime pagine
perché dotato di magia propria e perché di
dimensioni notevoli, nonché carico
di un animo piuttosto irascibile.
Ihanez
sospirò. Si mosse verso il centro della stanza, chiudendo
gli occhi. Mormorò
qualche parola ed il suo corpo si riempì di scosse di luce.
Mutò piuttosto
rapidamente, crescendo di dimensioni e ricoprendosi di piume
variopinte. Le
gambe gli si assottigliarono e divennero quelle di un uccello. Le
braccia si
allungarono e su di essere crebbero molte piume. Il volto
formò un becco ed i
capelli si unirono al dorso. Una volta trasformato, spalancò
le ali e si girò
verso il fratello, che lo fissava con ammirazione e stupore.
“Straordinario!
Posso farci un giro su una bestia come te?”.
Ihanez
ridivenne umano e sorrise, scuotendosi da qualche piuma rimasta sul
mantello
blu.
“Un’altra
volta” rispose al festeggiato “Oggi sono un
po’ stanco”.
“Sei
pronto per l’esame dei ventotto anni?” si intromise
il maestro scienziato.
“Per
questo sono stanco. Il mio maestro mi sta facendo faticare parecchio
per quel
maledetto esame per il quinto livello”.
“Fra
quando sarà?”.
“Due
Lune. Continuando così, o ci arrivo preparatissimo, oppure
morto per la
stanchezza!”.
“Pensa
che poi sarai libero dalla supervisione del maestro e potrai andare
avanti da
solo. Pensi di andar via dal castello?”.
“Molto
probabile. Ma non da solo”.
“Ah,
giusto. Quella femmina. Come si chiama?”.
“Hennay”.
“Un’inutile
distrazione”.
“Pensala
come vuoi. Non voglio passare la mia vita come stregone solitario nel
suo
grande palazzo, covando odio e rancore verso il mondo”.
“Notevole
progetto”.
“Possiamo
venire a vederti nella prova per il quinto livello?”
domandò Veda.
“No,
mi spiace. Ci saranno moltissimi stregoni e non tutti sono aperti di
mente in
modo tale da sopportare la vista di uno scienziato, anche se solo
apprendista,
e una futura guerriera. Ma quando sarà tutto finito, andremo
a festeggiare
insieme. Che l’esame sia andato bene oppure no,
ok?”.
“Offri
da bere?” ghignò Gudis.
“Offro
una festa, con tutto il necessario. Cibo, bevande, musica e
compagnia”.
“Affare
fatto!”.
“E,
a questo proposito, ti pregherei di non passare lo specchio per venire
a
castello per un po’. Il mio maestro mi sta sempre dietro
ultimamente e rischi
di farti beccare”.
“Resisterò
al richiamo della curiosità per un paio di Lune”.
Ihanez
sorrise. Guardò con orgoglio quel suo fratello che cresceva
e prendeva sempre
più il suo posto nel mondo e, girandosi verso la sorella,
non poté fare a meno
di notare quanto in fretta stesse cambiando. Ormai era
un’adolescente, fra un
anno avrebbe iniziato il suo apprendistato da guerriera, ed
assomigliava sempre
più alla madre.
“Devo
andare adesso” si congedò lo stregone, notando che
il tempo era trascorso
rapido e che rischiava di far tardi alle lezioni.
“Vuoi
un pezzo di torta da portare alla tua bella?” lo derise il
padrone di casa.
“No,
lo lascio tutto a te. Che tu possa ingrassare felice”
ridacchiò Ihanez e passò
lo specchio, comparendo nella torre a quattordici finestre senza
bisogno di
usare formule magiche o di disegnare il cerchio, che gli comparve ai
piedi
automaticamente.
“Sì,
dopotutto sono abbastanza bravo” si disse e scese le scale.
● ●
●
“Non
essere nervoso” lo rimproverò Hennay, notando lo
sguardo di Ihanez.
“E
come posso non esserlo? All’esame saranno presenti molte
persone, sconosciute,
per giudicarmi. E se dovessi sbagliare qualche cosa?”.
“Non
sarà diverso dall’esame per il quarto livello che
hai fatto sette anni fa”.
“Sarà
molto diverso. A quello c’era solo il maestro ed un suo
collega. A questo
invece… Senza contare che in quello sapevi, più o
meno, cosa avrebbero potuto
chiederti di fare, perché comunque di fronte avevi colui che
ti ha addestrato
ed un suo amico”.
“Pensa
allora al fatto che all’esame finale, quello che affronterai
a trentacinque
anni, saranno presenti tutti gli stregoni, compreso il capo, e
sarà lui stesso
ad ordinarti che fare per superarlo”.
“Non
so se ci arriverò a quell’esame,
sinceramente”.
“Arrivarci
è il sogno della tua vita fin da quando hai capito di essere
uno stregone!”.
“Lo
so, ma forse adesso ho cambiato priorità”.
Lui
e lei si fissarono. La lieve brezza del mattino muoveva le foglie del
giardino
e piccoli fiori volavano fra mille piroette. Ihanez sorrise e
sperò che nulla
cambiasse da quel momento.
“Randoeku!”
lo richiamò alla realtà il maestro
“Sbrigati, stanno arrivando”.
L’allievo
si irrigidì, visibilmente terrorizzato, ma Hennay lo
sfiorò con la mano,
sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene.
● ●
●
“In
che cosa consiste la prova di quinto livello degli stregoni?”
domandò Gudis,
guardando il cielo con il telescopio, osservano la Luna che lentamente
veniva
coperta dalle nubi.
“Perché
pensi dovrei saperlo?” sorrise lo scienziato.
“Non
lo so. Non sai tutto?” ghignò l’allievo.
“Sinceramente,
ho sentito solo voci a riguardo. Gli stregoni sono piuttosto rari e
tendono a
starsene per i fatti loro. Potrai chiederlo a tuo fratello, appena
l’avrà
superata”.
“Ce
la farà?”.
“Ovvio.
Così come sono assolutamente certo che supererà
l’esame finale fra sette anni”.
“Ma
così non sarà più umano.
Diverrà uno strano essere che non invecchierà
mai”.
“Sarà
sempre Ihanez. E poi anche noi scienziati stiamo facendo grandi passi
con la
ricerca per il prolungamento della vita”.
“Sì,
ma non sarà mai la stessa cosa”.
“Ogni
classe ha i suoi pro ed i suoi contro”.
“Ed
i contro di essere uno stregone qual è?”.
“Hai
visto come vanno in giro vestiti?”.
Allievo
e maestro si misero a ridere, poi aggiungendo che probabilmente il lato
negativo era il fatto che tutti avevano paura degli stregoni e non
erano mai
liberi di andare per il mondo senza venire additati o schivati. Non
doveva
essere piacevole.
“Non
pensiamoci, ragazzo. Tuo fratello è diverso dagli altri
stregoni. Lui non fa
paura e sorride alla vita. Vedrai che presto ci inviterà a
quella festa che ci
ha promesso”.
Gudis
annuì, continuando a trafficare con il telescopio, in cerca
di qualche cosa che
fin ora non aveva mai osservato, anche se dovette smettere da
lì a poco perché
aveva iniziato a piovere.
● ●
●
“Fai
un passo avanti” ordinò la donna, indicando Ihanez.
Era
vestita in blu, come tutti gli stregoni, ed al collo portava la collana
simbolo
che aveva superato l’esame finale. L’esaminato si
chiese, per un attimo, quanti
anni avesse in realtà. Si trovavano nella grande sala
circolare dove era stato
addestrato e, oltre a lui e al maestro, erano presenti altri cinque
stregoni,
tutti con la stessa collana. La sua, quella di Ihanez, era diversa,
più piccola
e meno elaborata. Sperava di cambiarla quella sera, avvicinandola come
aspetto
a quella finale.
“Qual
è il tuo nome?” domandò la donna.
“Randoeku”
rispose Ihanez, tentando di nascondere il suo nervosismo.
“Bene,
Randoeku. Siamo in sette in questa stanza. Numero perfetto per un
rituale, non
trovi?”.
“Sissignora”.
“Allora,
Randoeku, guidaci. Ora noi siamo tutti tuoi allievi, pronti a seguirti
per
svolgere il rituale che preferisci”.
“Miei
allievi?”.
“Sì,
guidaci. Dicci cosa dobbiamo fare. Noi siamo tuoi allievi, senza alcuna
esperienza, e tu ci devi spiegare come svolgere un rituale. Uno
stregone di
quinto livello deve saperlo fare. Ti lasciamo qualche istante per
riflettere”.
Ihanez
non si sarebbe mai aspettato una richiesta del genere. La magia degli
stregoni
presenti era potente, ben più alta della sua, e si sentiva
tutto fuorché un
maestro.
Fuori
pioveva forte ed il cielo era attraversato da molti lampi. Perfino i
tuoni lo
innervosivano.
“Bene”
iniziò, prendendo un profondo respiro “Mettiamoci
in cerchio, non troppo
attaccati l’uno dall’altro”
ordinò, vincendo la momentanea timidezza.
Diede
istruzioni sulla loro sistemazione finché fu soddisfatto.
Poi raggiunse il suo
posto nel cerchio, al centro, e rimase in silenzio qualche istante.
Senza
parlare, attivò il meccanismo che sbloccava il tetto. I
presenti chiusero gli
occhi, aspettandosi di sentire la pioggia cadere su di loro, ma non fu
così.
Ihanez, tenendo la mano sollevata, impediva che questo accadesse.
Quando
abbassò il braccio, l’acqua continuò a
seguire un percorso alternativo, che non
prevedeva l’ingresso in casa. Il maestro annuì,
soddisfatto.
“Ora
rimanete immobili, per favore” mormorò Ihanez,
sollevando lo sguardo verso il
cielo con le mani giunte e le braccia abbassate.
Gli
esaminatori si lanciarono sguardi interrogativi.
“Immobili”
ripeté lentamente Ihanez, ad occhi chiusi.
Allargò
le braccia, lentamente, e spalancò gli occhi, divenuti di
colore unico e
luminosi di magia. Mormorò alcune parole e un lampo corse
verso di lui.
“Immobili!”
dovette gridare, di nuovo, intuendo le reazioni di panico dei presenti.
Il
fulmine raggiunse l’allievo, accompagnato da un boato
fortissimo. Lui mosse le
braccia e lo guidò. L’elettricità corse
tutt’attorno alla parete circolare del
palazzo, illuminandola, e poi si concentrò di nuovo su
Ihanez, che la indirizzò
verso gli esaminatori, creando dei cerchi ai loro piedi. Il cerchio
più grande
di tutti era il suo, collegato agli altri sei con dei raggi che lo
facevano
assomigliare ad un Sole.
“Questi
sono i vostri cerchi magici” spiegò “Non
uscitevi finché il rituale non sarà
terminato. Ora, per favore, vi chiedo cortesemente di concentrarvi.
Lasciate
che io prenda parte della vostra energia, richiamate la magia dentro di
voi.
Seguite l’istinto, non abbiate paura. Chiudete gli occhi e
trasmettete la
magia. Se volete, potete aiutarvi allungando il braccio destro e
aprendone la
mano. Attenti, però, a non uscire dal cerchio”.
I
presenti annuirono ed eseguirono gli ordini. Ihanez chiuse gli occhi a
sua
volta e richiamò a sé l’energia magica
degli altri stregoni. Ovviamente, ne
ebbe a disposizione solo la minima parte, dato che fingevano di essere
allievi
alle prime armi. Il cerchio attorno all’esaminato ora
brillava intensamente,
molto più degli altri. Quando si sentì
soddisfatto dell’energia accumulata,
riaprì gli occhi e li rivolse al cielo. Mormorò
qualche parola e sorrise. La
luce che aveva attorno corse verso le nubi e, lentamente, queste
iniziarono a
diradarsi. Smise di piovere, i presenti videro una splendida notte
stellata,
con una grande Luna che illuminava la stanza. I suoi raggi colpirono i
cerchi
creati da Ihanez e mutarono di colore, lasciando che
l’elettricità si
disperdesse. Argentei, quei raggi risalirono lungo il corpo degli
stregoni,
restituendo loro l’energia che avevano donato. Fatto questo,
tornò il buio.
Rimasero tutti in silenzio per qualche istante, poi fu
l’esaminato a parlare.
“Vi
ringrazio per la collaborazione” disse “Ora potete
lasciare pure le vostre
postazioni, senza dimenticarvi però di ringraziare la magia
e la natura per
quanto appena accaduto e concesso”.
Per
un po’, rimasero tutti immobili ed in silenzio. La cosa
inquietò Ihanez, che
attese impaziente in quegli attimi che gli parvero
un’eternità di sentirsi dire
qualcosa.
“Ottimo
lavoro, Randoeku” parlò una delle donne,
probabilmente la più anziana “Solo una
cosa: guidando un gruppo, raramente il capo usa termini di cortesia
come il
fatto di chiedere gentilmente di fare determinate cose. Per il resto:
fantastico. Riuscire a focalizzare l’energia per creare i
cerchi, il controllo
perfetto dell’elettricità e
l’interazione finale con la Luna in modo da
restituire la magia usata è stato qualcosa che non mi sarei
mai aspettata. Il
mio giudizio non può che essere positivo”.
Ihanez
fece un piccolo cenno con il capo, senza sapere che cosa dire.
“Anche
per me è positivo” parlò
un’altra donna “Il modo in cui hai saputo
controllare
la pioggia e svolgere il rituale è stato notevole”.
“Sarai
un ottimo insegnante, imparando a spiegare ciò che stai
facendo invece di
spaventare i commensali” sorrise uno stregone dai capelli
bianchi “Sono
soddisfatto di ciò che ci hai mostrato, sei degno di entrare
nel quinto
livello”.
“Ci
rivedremo all’esame finale, fra sette anni, ne sono
sicura” commentò colei che
aveva di fronte l’esaminato, che volle stringergli la mano.
“Assolutamente!
Ci vedremo fra sette anni! Un talento non si spreca” concluse
il giro dei
commenti degli ospiti l’unico che ancora non aveva parlato.
“Grazie”
mormorò Ihanez.
“Sono
fiero di te” gli disse il suo maestro, dandogli una poderosa
pacca sulla spalla
“Ora sei libero di seguire la tua strada, non hai
più bisogno dei miei
insegnamenti. E, per quanto riguarda mia figlia…per me
sarebbe un vero onore
averti come genero. Sempre che rientri nei vostri progetti”.
Hennay,
rimasta tutto il tempo nella sua stanza e che era rimasta
meravigliosamente
deliziata dal cielo stellato, non poté sentire quella frase
ma fu fatta entrare
nella stanza e capì tutto dal sorriso che i presenti avevano
sul volto.
“Congratulazioni.
Ci sei riuscito” disse, seguendo i cenni di suo padre che la
invitavano ad
avvicinarsi tranquillamente “Visto? Non avevi motivo di aver
paura”.
“Ora
vi lasciamo” commentò la donna a capo degli ospiti
“Questa è la tua collana,
che ti identifica come uno stregone di quinto livello. Non fermare qui
il tuo
percorso. Affronta l’esame finale fra sette anni e diventa
come noi, mi
raccomando”.
Ihanez
non rispose, per nulla sicuro di voler fare una cosa del genere.
Salutò, con un
inchino, e vide gli stregoni allontanarsi in fretta avvolti dalla luce.
Indossò
la collana con quel medaglione decorato con un certo orgoglio.
Ringrazio di
nuovo il suo maestro, per tutto il percorso fatto insieme. Poi
guardò Hennay,
senza sapere bene che cosa dirle. Fortunatamente, lei non si aspettava
parole e
scattò in avanti, abbracciandolo forte.
“Sei
stato bravissimo” gli mormorò.
“Avevi
qualche dubbio?” rispose, spavaldo.
Lei
incrociò le braccia, storcendo il naso e facendo intuire che
aveva afferrato il
sarcasmo. La sua civetteria era solo un banale trucco per fare la
carina.
“Ti
amo, Hennay” parlò, credendo di lasciarla senza
parole.
“Non
avevo dubbi al riguardo” ghignò lei, lasciando
decisamente spiazzato lo
stregone.
Non
attese che si riprendesse e si spostò di nuovo in avanti,
baciandolo.
“Smettiamola
di fare i ragazzini” commentò poi
“Festeggiamo come si deve. Giusto papà?”.
“Festeggiate
come meglio credete” ghignò il maestro, guardando
i due allontanarsi per mano
fra le stanze del castello.
“Grazie,
maestro”.
“Chiamami
Araden adesso, non sono più il tuo maestro”.
“Piacere
di conoscere il nome dell’uomo che mi ha cresciuto,
finalmente”.
“Andate
adesso. Buona serata” sorrise lo stregone padrone di casa
“Ah, questi giovani”
sospirò poi, dicendosi che una volta era stato
così anche lui.
● ●
●
Gudis
osservò il cielo sereno. Pioveva fino a poco tempo prima.
Che meraviglia la
natura! E la Luna era così grande e luminosa quella
sera… Con il telescopio,
osservò le costellazioni della notte, annotando su un
quadernetto ogni cosa che
riteneva interessante. Una stella cadente! Espresse un desiderio,
chiudendo gli
occhi. Poi si scosse, trovando stupido che uno scienziato credesse a
certe
cose. Sperò che nessuno lo avesse visto.
“Cosa
hai desiderato?” ovviamente si sentì chiedere,
dalla voce squillante della
sorella.
“Non
te lo posso dire. Altrimenti non si avvera”.
“Hai
ragione. Voglio anch’io una stella. Ho molti desideri da
esprimere”.
“Davvero?
Non sei felice così?”.
“Lo
sono. Ma non ho forse il diritto di sognare qualcosa di
carino?”.
“Ovviamente.
Meriti questo ed altro, sorellina”.
“Gudis,
io e te staremo sempre insieme?”.
“Lo
sai bene che fra un anno inizierai il periodo di addestramento con i
guerrieri.
Non potrò essere con te in quel caso”.
“Sì,
lo so. Ma ti verrò a trovare. E tu verrai a trovare me. Ci
scriveremo e…”.
“Ci
conto. Tutto dipenderà da come il tuo maestro guerriero
reagirà all’idea di
avere uno scienziato che passa a trovare l’allieva”.
“Troverò
un maestro perfetto, che mi aiuterà a non stare troppo
lontano dal mio
fratellone”.
Gudis
sorrise e lasciò che lo abbracciasse. Litigava,
com’era normale, con quella
testarda ragazzina ma, dopo la morte della madre, il loro legame si era
rafforzato sempre di più. Sapevano che fuori c’era
la guerra, fuori da quella
casa protetta dal maestro scienziato. Sapevano che, una volta privi
della
protezione di quest’ultimo, si sarebbero trovati in mezzo ad
una situazione per
nulla facile. Non avrebbero potuto nascondersi per sempre da
combattimenti e
scontri.
“Qualunque
cosa accada, Veda, ti prometto che sarò al tuo fianco.
Troverò un modo, sempre.
Perché sei la mia sorellina ed io ti
proteggerò”.
“E
Ihanez?”.
“Lui
veglia su di noi. Questa casa ed il mio tirocinio sono merito
suo”.
“Credi
che un giorno potremmo mai stare tutti insieme? Come una
famiglia?”.
“Quando
la guerra finirà, vedrai”.
“E
quando finirà la guerra?”.
Gudis
non sapeva cosa rispondere, ma sorrise. Veda rispose a quel sorriso.
“Come
si chiama quella stella?” domandò lei, e lui
iniziò a farle una rapida lezione
di nomenclatura stellare, aiutato dal telescopio.
● ●
●
Risvegliatosi
abbracciato alla donna che amava, Ihanez si allarmò
percependo un rumore
sconosciuto. Come un ronzio.
“Cosa
c’è?” biascicò Hennay,
aprendo gli occhi lentamente.
“Lo
senti anche tu?”.
“Cosa?”.
“Questo
rumore”.
“Non
sento nulla”.
Ihanez
decise di ignorare il ronzio, forse frutto della sua immaginazione. Era
ancora
notte, anche se mancava probabilmente poco all’alba.
“Ho
fame” borbottò lo stregone, alzandosi a fatica dal
letto completamente
disfatto.
Indossò
al volo la tunica semplice che metteva sotto la complicata veste della
sua
classe quando faceva più freddo, allacciandola in vita con
una cintura, e
si avviò
verso la cucina.
“Ti
vergogni?” ridacchiò lei, senza muoversi dal letto
e senza alcun pudore nella
sua totale nudità.
“Se
tuo padre dovesse vedermi, un pochino mi vergognerei”
ghignò Ihanez “Torno
subito, non andare via. E non rivestirti”.
Lei
ridacchiò. Lui si allontanò in fretta, sentendo
un brontolio sommesso provenire
dal suo stomaco. Però c’era ancora quel
ronzio…
Pensandoci,
avrebbe potuto chiamare a sé il cibo con la magia ma
c’era qualcosa che lo
aveva spinto ad alzarsi. Il formicolio della magia provocata dalle ore
precedenti era una sensazione meravigliosa. Prima lo aveva caricato di
energia
l’esame, grazie alle cariche donatagli dagli esaminatori.
Ovviamente l’esito
positivo di questo lo aveva ringalluzzito ed ulteriormente colmato di
potere
magico. Poi Hennay…la notte con Hennay era stata la
più bella della sua vita.
Due stregoni, uniti, erano in gradi di generare tanta energia da creare
lampi.
Quasi in sovraccarico, improvvisando balletti imbarazzanti, Ihanez non
riusciva
a dimenticare il corpo nudo di colei che per anni aveva desiderato e
che
finalmente aveva modo di toccare, baciare, assaporare, eccitare. Si
affrettò a
riempirsi la pancia con spuntini veloci, per tornare rapidamente dal
centro dei
suoi pensieri. Stava bevendo direttamente dalla bottiglia, cosa che il
maestro
gli aveva vietato da sempre, quando avvertì il rombo degli
aggeggi volanti che
bombardavano le città. Continuò a bere, sicuro
che il castello non sarebbe
stato individuato. La terra vibrò, un’esplosione
improvvisa lo travolse,
trascinandolo lungo il pavimento in pietra. Pochi secondi, in cui il
suo udito
non funzionò molto bene, e poi percepì di nuovo
quel ronzio.
La
voce telepatica di quello che un tempo era il suo maestro gli
rimbombò in
testa: “La torre! Raggiungete la torre! Agli intrusi
penserò io, andate lontano
da qui”.
“Sì”
rispose, sempre con il solo uso della mente, e volò da
Hennay.
Fra
la polvere alzatosi dall’esplosione, tentò di
raggiungerla. La ragazza, nel
frattempo, si era rivestita alla bene e meglio e, più vicina
alla torre come
posizione, si stava muovendo velocemente verso di essa.
“Tre
entità. Percepisco chiaramente tre entità
magiche” parlò un uomo vestito di
bianco, osservando lo schermo di uno strano marchingegno.
“Avete
sentito? Sono tre. Scovateli, non lasciateveli scappare”
rispose un altro uomo,
molto più muscoloso, dando ordini ad un manipolo di
individui armati e
dall’abito rosso.
“L’alleanza”
sobbalzò Ihanez, vedendo scienziati e guerrieri collaborare
e capendo che il
ronzio che sentiva proveniva da quegli affari che gli scienziati
stringevano
fra le mani.
Alzò
lo sguardo. Hennay aveva raggiunto la torre dai quattordici archi.
Stava
creando il cerchio per attivarla. Qualcosa non andava, però.
La luce di quelle
porte era diversa. Un uomo, in bianco, teneva fra le mani un altro
strano
oggetto, la cui
luce emessa stava
circondando l’edificio.
“Hennay!”
gridò Ihanez “Non usare il passaggio!”.
Ma
era tardi. La ragazza corse verso una delle aperture, spalancando le
braccia,
sicura di comparire in un altro luogo, al sicuro, certa che il padre e
Ihanez
l’avrebbero raggiunta presto. Al tocco dell’aria
magica fra gli archi, non si
sprigionarono le consuete luci azzurrine ma argento e rossicce. Hennay
gridò di
dolore, oltrepassandole ed iniziando a precipitare dalla torre. Ihanez
si
concentrò per trasportarsi al suo fianco e fermare la
caduta, ma la magia non
gli rispose. Quella luce misteriosa doveva avere la capacità
di bloccarla. Ma
chi aveva conoscenze così avanzate sugli stregoni per creare
una cosa del
genere? E chi sapeva del castello? Corse, nel vano tentativo di
raggiungere
Hennay in tempo, ma la vide solamente cadere nel vuoto e schiantarsi al
suolo.
Evidentemente pure lei priva della magia, non aveva trovato il modo di
sfuggire
dalla caduta. D’istinto, lui la prese fra le braccia e la
strascinò fuori da
quella bolla di luce rossa e argento, nonostante in contatto con essa
provocasse dolore e ferite sul corpo dello stregone.
Tentò di svegliare la donna che amava, sicuro
che la magia potesse fare tutto.
“Non
ti permetterò di morire” mormorò
“Io e te rimarremo uniti per sempre!”
esclamò,
baciandola.
Il
grido del suo maestro, che dalla finestra doveva aver capito cosa era
successo,
lo riempì ancora di più di rabbia nei confronti
di coloro che erano entrati al
castello. Divenne invisibile e risalì la torre, attendo a
non rientrare nella
zona circondata dalla luce nemica, vedendo maestro ed avversari nel
cortile
interno.
“Percepisco
un’entità” informò
l’uomo in bianco, indicando esattamente il punto dove si
trovava Ihanez, stupendo parecchio lo stregone.
All’inizio
pensò di aver sbagliato incantesimo ma capì
subito che non era così. Un gruppo
di uomini in rosso iniziò a sparargli contro con quelle
strane armi a raggi
simili a fulmini. Lui schivò a fatica, continuando a venir
indicato
costantemente dall’avversario in bianco. Doveva distruggere
quell’affare che
indicava la sua posizione. E, meglio ancora, spezzare quel fastidioso
dito che
lo puntava. Si fermò, concentrando la sua energia. Purtroppo
per lui, non aveva
calcolato la presenza di più dispositivi. Una volta fatto
esplodere uno di
essi, un altro era pronto a sostituirlo e alle spalle dello stregone,
che fu
colpito. Sentì la magia abbandonarlo e cadde malamente a
terra. Non trovandosi
molto in alto, riuscì a non farsi troppo male. Si
rialzò a fatica, fra i rovi
ed il frizzare del raggio dell’arma. Era circondato.
“Arrenditi,
stregone” lo intimò il capo dell’armata
in rosso.
Ihanez
non gli rispose. Tentò di recuperare le sue
capacità, ma capì che quell’arma lo
aveva privato dei poteri. Scosse il capo, ancora intontito dalla
caduta,
iniziando a percepire il dolore provocato da essa. Vedeva tutto fuori
fuoco.
Gemette e poi…qualcosa lo sollevò da terra. Una
luce bianca, fredda, lo sollevò
e lo trasportò lontano dagli aggressori molto velocemente.
“Prendetevela
con me!” gridò il padrone di casa, con ancora la
mano tesa verso il suo
allievo.
Aveva
usato la poca energia rimastogli per allontanarlo.
“Prendetelo!
Non fatevelo scappare” ordinò il capo in rosso,
indicando un paio dei suoi
soldati ed un individuo in bianco.
“Cose
ne facciamo?” domandò uno di questi.
“Stesso
trattamento della ragazza. Di lui non deve rimanere nulla, nemmeno
cenere.
Questi stronzi potrebbero trovare il modo di riportarsi in vita. Gli
altri, con
me. A quanto pare questo vecchio pazzo non ha ancora capito con chi ha
a che
fare”.
Araden
strinse i pugni. Era in minoranza, sia come numero che come forza. Ed
ora aveva
anche l’assoluta certezza che della sua bambina non era
rimasto altro che un
ricordo. O forse no? Gli sembrò di vederla, nel folto del
bosco, attraverso lo
squarcio provocato dall’esplosione.
“Randoeku!
Questo è l’ultimo compito che ti affido come tuo
maestro” gridò “Ti proibisco
di morire, chiaro? Hai il divieto assoluto di morire, piccolo bastardo,
mi hai
capito? Devi vivere e divenire il migliore di noi”.
Gli
assalitori lo fissarono, convinti ormai che fosse del tutto pazzo.
“Prenditi
cura di lui” mormorò alla fine il padrone del
castello.
Un’ombra
bianca annuì e corse via, nel buio del bosco e della notte,
mentre uomini in
bianco ed in rosso ormai non lasciavano alcuno scampo allo stregone in
blu, che
spalancò le braccia mentre veniva trafitto da centinaia di
colpi che ne
squartarono il corpo centenario senza lasciarne traccia.
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Capitolo 4 *** IV- verde vigilante ***
IV
VERDE
VIGILANTE
Avvolto
dal buio della foresta, Ihanez era ancora piuttosto confuso.
Accovacciato
contro un albero, guardava il cielo, senza capire molto bene cosa fosse
successo. Tutto troppo in fretta, non sapeva cosa fosse
realtà e cosa solo un
incubo. La voce dei suoi assalitori che si avvicinavano lo riportarono
totalmente alla realtà. Si alzò in piedi a
fatica, ignorando le molte ferite
che sentiva sanguinare e che pulsavano.
“Fatevi
sotto, stronzi” mormorò, quando lo ebbero
circondato.
Puntandogli
contro le armi, erano pronti a distruggerlo in migliaia di particelle.
“Arrenditi,
stregone” parlò uno di essi.
Ihanez
non si mosse.
“Bravo,
vedo che capisci. Vedrai, non sarà una cosa troppo
dolorosa”.
Con
le dita sul grilletto, già con l’occhio socchiuso
per prendere la mira, come un
plotone di esecuzione erano tutti pronti a porre fine alla vita di
colui che
consideravano una sorta di mostro. Ihanez non distolse lo sguardo dai
nemici.
Non aveva più niente da perdere. La donna che amava era
morta, il suo maestro
pure e lui era senza poteri. Tutto ciò che aveva sempre
sognato era svanito in pochi
attimi, a che scopo opporsi alla morte?
“Avanti”
sbottò “Che cosa state aspettando?”.
“Fuoco”
ordinò il maggiore di grado degli uomini in rosso ma nessuno
ebbe modo di
sparare, perché una creatura si frappose fra vittima e
carnefici.
“E
tu chi saresti?” domandò lo scienziato del gruppo
“Ti consiglio di toglierti di
mezzo!”.
L’essere
girò il viso verso colui che aveva parlato, incrociando il
suo sguardo,
facendogli capire che non si sarebbe mosso.
“Sei
vestito in verde. Sei un signore della natura. Cosa pensi di fare
contro armi e
scienza? Ti consiglio di farti da parte, così forse avrai
salva la vita”.
Non
ottenne l’effetto sperato. La creatura, vestita
effettivamente in verde, con
veli che ne lasciavano scoperto solo parte del volto, non si mosse di
un
centimetro.
“Come
vuoi, se ti fa così schifo vivere… Uccidete pure
lui” sbottò lo scienziato, con
un gesto di stizza rivolto ai guerrieri.
Premettero
i grilletti, i raggi partirono dalle armi ed immediatamente furono
fermati a
mezz’aria, in una sorta di bolla luminescente.
“Ma
che…” sbottò uno dei soldati.
I
raggi rimasero immobili qualche istante e poi tornarono indietro,
rientrando
nelle armi e facendole surriscaldare a tal punto da disarmare i
guerrieri,
facendo loro gettar a terra la loro difesa. Subito dopo, un ringhio
sommesso
alle loro spalle li fece immobilizzare.
“Sono
lupi della zona di Madden” spiegò
l’essere in verde, con voce ferma, profonda
“Se voialtri avete mai anche solo accennato ad un vago studio
della geografia
di questo mondo, dovreste sapere che è uno spiazzo roccioso
dove vi è ben poco
da mangiare. Penso che volentieri si farebbero uno spuntino con un paio
di
voi”.
“Maledetto
stregone” sibilò lo scienziato del gruppo, senza
sapere cosa fare.
“Non
sono uno stregone” fu la risposta mentre, soltanto alzando lo
sguardo, la
creatura ricacciò indietro i colpi di alcune armi in
lontananza.
Gli
altri guerrieri, non vedendo tornare i loro compagni, erano andati a
cercarli.
“Ti
consiglio di arrenderti, chiunque tu sia” parlò il
capo della compagnia vestita
di rosso “Siamo più di te e meglio
armati”.
“Io
non voglio che accidentalmente facciate del male ai miei
amici” parlò l’uomo in
verde, indicando i lupi “Perciò
ordinerò loro di sedersi e stare buoni. Voi,
però, in cambio, deponete subito le armi”.
I
guerrieri si fissarono, indecisi sul da farsi. Ihanez, nel frattempo,
fissava
il tutto con stupore. Chi era quell’essere e
perché lo stava difendendo in quel
modo?
“Va
bene, come vuoi tu” annuì il capo guerriero
“Ora mettiamo le armi per terra e tu
mandi via gli animali. Ok?”.
I
lupi smisero di ringhiare ed i guerrieri lentamente si abbassarono, con
l’intento di deporre in terra ciò che gelosamente
stringevano fra le mani.
All’ultimo instante, quando ormai l’erba gli
sfiorava le dita, il capo dei rossi
scattò e tentò di colpire lo sconosciuto. Non lo
colse di sorpresa. Il colpo
sparato tornò indietro, esattamente come tutti i precedenti.
L’attentatore
gridò, con la mano ustionata a causa del gran caldo
sprigionato dal raggio, e
rimase disarmato. L’essere in verde si accigliò e
tutte le armi spararaggi
esplosero, in una nuvoletta rossastra.
“Tu
mi hai davvero scocciato, bastardo” sibilò il
maggiore di grado fra i
guerrieri.
“Guarda
caso, è la stessa cosa che penso io”
mormorò l’uomo in verde.
“Ora
te la vedrai con me”.
Il
guerriero sguainò una lunga spada che teneva al fianco,
stringendola poi con
entrambe le mani e sfidando l’avversario. Questi non parve
particolarmente
intimorito. Sospirò e tolse lo strato di veli che ne
coprivano il viso e
avvolgevano il corpo. Mostrò ai presenti una cascata di
capelli verde acceso,
piuttosto voluminosi e dritti, raccolti a volte in piccole trecce con
perline e
gingilli tintinnanti. Attorno al collo, le caviglie ed i polsi portava
anelli
in oro, anch’essi piuttosto rumorosi. L’abito che
indossava era elaborato,
ricco di decori ricamati e dipinti su di esso, ma era piuttosto
aderente, e
questo gli permetteva di essere molto agile nei movimenti.
Scostò leggermente
la mano, mostrando di possedere a sua volta una spada.
“Osi
sfidarmi, ragazzino?” lo additò il guerriero
“Sei così magrolino e giovane, che
escludo del tutto tu possa battere me, che come abilità
nella spada sono
secondo soltanto al nostro capo supremo. Ti consiglio di
arrenderti”.
“Ragazzino,
tzh!” ridacchiò l’uomo in verde, con
quella sua voce profonda e mal combinata
con quel corpo gracile “Se posso darti un consiglio, che poi
so che non
seguirai, credo faresti meglio ad evitare che io sguaini la mia
spada”.
“Ma
con chi credi di avere a che fare?! Lui è il sommo generale
delle forze armate
dei guerrieri e tu sei solo un pazzo!” lo
apostrofò uno dei soldati in rosso.
“Per
quel che mi riguarda, potete anche attaccarmi tutti insieme”
sbottò l’essere in
verde e portò la mano sull’elsa della spada,
facendola scattare leggermente e
mostrando l’inizio della sua scintillante lama argentea.
“Ma
che fai? Sei pazzo sul serio?” protestò Ihanez,
capendo che si sarebbe
ritrovato nel mezzo di uno scontro impari “Io sono senza
poteri, non ti posso
aiutare!”.
“E
allora resta immobile e guarda”.
In
pochi secondi, ogni guerriero stringeva fra le mani la propria spada ed
era
pronto ad attaccare. Anche l’uomo in verde era pronto e
respinse con abilità i
primi tentativi di attacco. Tutto si svolse piuttosto in fretta. I
più giovani,
i più incoscienti, si lanciarono contro il nemico senza
valutarne prima le
reali capacità e furono disarmati in un istante, e intimati
a rimanere a terra.
I guerrieri di un rango un po’ più elevato,
sbalorditi da quella scena ma per
nulla intimoriti, si fecero dei cenni e lo attaccarono in modo da non
lasciargli via di fuga, circondandolo. L’attaccato rimase
impassibile. Afferrò
la spada e la ruotò, spezzando di netto la lama di due degli
assalitori. Poi
ordinò a Ihanez di abbassarsi e, con un potente fendente,
mandò a terra un
altro di loro. Allo stesso tempo, un guerriero tentò di
colpirlo alle spalle ma
lui fu più rapido, ruotò su se stesso e lo
scaraventò lontano con un potente
calcio.
Nel
frattempo, gli scienziati del gruppo, senza armi, osservavano il tutto
senza
capire. Come poteva una creatura con simili proporzioni essere in grado
di
lottare così? Doveva essere per forza una stregoneria. Molto
potente, ma pur
sempre una stregoneria.
Il
capo dei guerrieri si gettò nella mischia, gridando come un
pazzo, o un idiota,
rimanendo bloccato in una parata e fissando negli occhi
l’avversario. Quello
sguardo, non capì perché, lo riempì di
terrore per alcuni istanti.
“Ma
tu chi sei?” esclamò, allontanandosi di qualche
passo ed iniziando a girare
attorno al suo avversario “E perché difendi questo
stregone ormai senza
magia?”.
“Chi
sono e quel che io faccio non sono cose che ti riguardano. E se hai
bisogno di
una pausa per riprender fiato, ti consiglio di evitare di
parlare”.
“Non
ho bisogno di una pausa, insolente creatura!”.
Ripresero
a combattere, fra gli sguardi di tutti gli altri, sconfitti e
affaticati.
“Dev’essere
un feticcio” concluse uno degli scienziati.
“Cioè?”
domandò un giovane soldato, ancora ansimante.
“Un
essere creato da uno stregone, e quindi dotato di magia, ma carico di
altre
abilità. Deve averlo generato qualcuno davvero molto
potente, forse il loro
stesso capo”.
“Intendi
dire che quel mostro non è reale?”.
“Lo
è, ma è solo un pupazzo vuoto che, una volta
svolta la sua missione,
scomparirà”.
Lo
scontro continuava. Ihanez, intanto, stanco per le ferite, era riuscito
ad
accoccolarsi accanto ad un albero. Se avesse avuto sufficienti energie,
avrebbe
aiutato quello straniero, ma la magia lo aveva abbandonato. Non poteva
far
altro che restare fermo dov’era ed aspettare. Il guerriero
rosso sembrava
davvero molto forte, i suoi colpi erano velocissimi e precisi, ma
l’uomo in
verde parava tutto e rispondeva ad ogni attacco con altrettanta
precisione.
Finché il soldato non avvertì per primo la fatica
e rallentò, lasciando spazio
alla creatura in verde di gettarlo a terra, puntandogli alla gola la
lunga
spada. Lo sconfitto alzò le mani.
“Puf”
mormorò il vincitore “Non ho voglio di ucciderti
adesso. Però credo mi debba
delle scuse. Perlomeno a mia madre, per avermi dato del
bastardo”.
“Tu
sei un mostro”.
“Può
essere. E tu sei uno stupido. Vattene ora, andatevene tutti. Sparite,
prima che
mi venga voglia di uccidere”.
Il
gruppetto di soldati si rialzò, più o meno a
fatica e si allontanò.
“Ah,
dottore…” aggiunse il vincitore, fissando lo
scienziato “Non sono un feticcio”.
Detto
questo, si voltò e si diresse verso Ihanez, ignorando le
domande che gli
rivolgevano quelli della classe in bianco, tentando di capirci qualcosa
di
tutta quella storia. Vedendo che l’uomo non li degnava di uno
sguardo, si
allontanarono seguendo l’esempio dei soldati.
“Va
tutto bene?” domandò a Ihanez il vincitore.
“Più
o meno” mormorò lo stregone.
“Le
tue ferite non sembrano particolarmente gravi, ma è meglio
che ti porti via da
qui, in un luogo più sicuro. Riesci ad alzarti?”.
“Penso
di sì”.
“Allora
alzati”.
Ma
Ihanez rimase dove stava, seduto in terra e con lo sguardo rivolto
altrove.
“Ragazzo,
so che sei
sconvolto per quanto ti è
successo ma…”.
“Non
sono un ragazzo! Ho quasi trent’anni!”.
“Come
vuoi. Però ora alzati, ce ne dobbiamo andare, prima che
arrivino altri di
loro”.
I
lupi, ora mansueti, se ne stavano seduti tranquilli ed osservavano la
scena,
sperando nella generosità del loro padrone.
“Lui
non si mangia” sorrise loro l’uomo in verde,
indicando Ihanez “Ma, se avrete un
po’ di pazienza, fra poco andiamo a casa e lì vi
darò tutto ciò che volete”.
Il
capo branco scodinzolò.
“Porta
a casa le tue bestiole, e lasciami in pace” sbottò
lo stregone “Ti ringrazio
per quanto hai fatto, ma ora me la cavo da solo”.
“Fuori
discussione. Alzati e vieni con me”.
“Ma
chi sei? Perché mi dai ordini?”.
Ihanez
si alzò di colpo, respingendo la mano del suo salvatore che
tentava di dargli
una mano. Sfortunatamente per lui, le ferite che aveva su tutto il
corpo erano
più profonde di quanto credesse e non riuscì a
reggersi.
“Lasciami”
biascicò, rivolto all’uomo in verde che lo aveva
afferrato al volo.
Questi,
di tutta risposta, gli schioccò le dita davanti al volto,
facendolo
addormentare.
“Maghetto
testardo” commentò poi, portandolo via da quel
luogo pericoloso, seguito a
ruota da un branco di lupi affamati.
● ●
●
Fu
un ululato a svegliare Ihanez. Ancora nel dormiveglia, sentì
le morbide
lenzuola sotto le mani ed il cuscino su cui poggiava il viso e
pensò fosse
stato tutto solo un incubo. Poi arrivò il dolore, delle
ferite e dei ricordi, e
capì che era tutto vero. Morti, morti per davvero, e la sua
magia… tentò di
richiamarla a sé e formulare un incantesimo. Nulla. Sparita.
Affondò la faccia
nel cuscino, sperando ardentemente di potersi addormentare per sempre.
Dopo
qualche attimo, in cui rimase immobile, sentì di nuovo
quell’ululato. Sospirò.
Era stato non poco scortese con l’uomo che lo aveva salvato,
doveva
riconoscerlo. Si sentì in colpa per questo e scese dal
letto, piuttosto alto.
Le ferite erano quasi del tutto svanite, qualcuno doveva averlo guarito
con la
magia. Doveva ringraziare per tutto e andarsene. Non gli importava per
nulla se
possibili pericoli lo attendevano. Non aveva proprio niente da perdere.
Con
quei pensieri, uscì dalla stanza. Era scalzo, e con solo una
vestaglia
azzurrina addosso. Si guardò attorno. Si aspettava una
dimora decisamente più
piccola, invece era immensa. Dall’alto dove si trovava,
scorgeva una
moltitudine di porte di colore diverso, fra gli archi di un colonnato
attorcigliato e statue rappresentati vari soggetti.
“C’è
nessuno?” domandò, sentendo la sua voce rimbombare
diverse volte.
Camminò
un po’, sentendo solo il rumore dei suoi passi, quando ad un
tratto il grido di
un uomo lo fece arrestare.
“Nininsina!”
gridò l’uomo, che vide apparire da una delle
porte, coperto solo da un
asciugamano “Quante volte te lo devo dire di non toccare le
mie cose?!”.
“Cosa
vuoi? Cos’hai da gridare?” rispose una voce di
donna, che poco dopo apparve dal
piano inferiore, lungo il corridoio.
Ihanez
osservò entrambi in silenzio. Lui era molto alto, con lunghi
capelli blu scuro
ed occhi luminosi, quasi d’oro. La sua pelle si stava
scurendo gradatamente,
divenendo sempre più nera, cosa che inquietò lo
stregone. Lei sorrideva, calma,
e guardava in su come se fosse la cosa più normale del mondo
vedere una cosa
del genere. Aveva una lunga treccia di capelli scuri ed uno sguardo
limpido,
molto chiaro. La sua pelle era abbronzata ed indossava una veste
semplice,
chiara.
“Ti
avevo detto di non toccare la roba mia!” tuonò lui.
“Io
non ho toccato proprio niente”.
“Bugiarda”.
“Vuoi
che chiami Fides a testimoniare per me? Ero con lei in
cortile”.
“Bugiarda,
bugiarda, bugiarda! Solo tu ti diverti a girellare per le stanze altrui
in
cerca di materiale per i tuoi intrugli”.
“Vero,
ma non ho toccato la tua roba. Oggi sono stata molto
impegnata”.
“A
fare cosa?”.
“A…”.
“E
tu chi sei?” si sentì chiedere Ihanez, sobbalzando
e zittendo i due litiganti.
Alle
sue spalle stava un uomo moro, dai brillanti occhi verdi.
“Io…mi
chiamo Ihanez” rispose lo stregone, accorgendosi di avere ora
accanto anche
l’essere dai capelli blu che sbraitava prima.
“E
cosa ci fai qui?” domandò proprio lui.
“Mi
ha portato qui un tizio, credo”.
“Credi?
Come fai a non saperlo?”.
“Ero
svenuto, immagino”.
“E
questo tizio sapresti descriverlo?”.
“Alto,
magrolino, capelli verdi”.
“Gonfi,
incrocio fra un salice piangente e una palma?”.
“Immagino
che la descrizione calzi”.
“Ah,
Rashnu. Chissà quando la smetterà di portarsi
casa strani animaletti. Anche se
tu non sei un animaletto. Cosa sei?”.
“Uno
stregone”.
“Oh,
e come mai sei qui?”.
“Non
lo so. Lui mi ha salvato la vita e ha detto che mi serviva un posto
sicuro dove
stare. Immagino che per lui questo sia un luogo sicuro”.
“Il
più sicuro del mondo, ma è strano da parte di
Rashnu un atto del genere”.
“Perché
dite questo?”.
“Perché
lo conosco, e sa come essere un grandissimo stronzo”.
“Come
te” interruppe l’uomo moro.
“Come
tutti noi, Egres. Ma lui ha quel qualcosa in più. Merito di
suo padre,
immagino”.
“Se
lo ha portato qui, un motivo ci sarà”.
“Sei
in piedi!” scansò gli uomini la signora che prima
stava al piano di sotto “Io
sono Nininsina e sono stata incaricata di guarirti. Stai meglio,
vero?”.
“Dal
punto di vista fisico, sì” annuì
Ihanez, ormai arrendendosi all’evidenza che ci
avrebbe capito ben poco della situazione per un bel po’
“Avete detto che l’uomo
che mi ha salvato si chiama Rashnu. Dov’è adesso?
Vorrei parlargli,
ringraziarlo”.
“Al
momento non è in casa, ma tornerà
presto” rispose la donna.
“Nel
frattempo, torna nella tua stanza e non girellare in posti che non ti
competono, intruso” sbottò l’uomo dai
capelli blu.
“Piantala
di fare il coglione, Reahu!” lo rimproverò Egres.
“Lui
non è come noi!” protestò, di risposta,
colui che era stato definito un
coglione.
“Nessuno
di noi era "come noi" quando è giunto qui, perciò
smettila” lo zittì
Nininsina “Se Rashnu l’ha portato qui, lo
saprà il perché e ce lo dirà a tempo
debito”.
Reahu
non disse altro, si allontanò stizzito e, gradatamente, la
sua pelle si
schiarì. Davanti alla sua porta, era ormai quasi bianco
latte.
“Non
devi avere paura di lui” ridacchiò Egres
“Abbaia ma non morde”.
“Come
i lupi di Rashnu?” domandò Ihanez.
“Oh
no, quelli mordono eccome. Basta che lo voglia il loro padrone. Ma tu
non
verrai morso da loro, puoi rilassarti”.
“Dove
mi trovo? Che posto è questo? È la casa del mio
salvatore?”.
“Questa
è la casa di tutti noi, e sarà anche la tua se si
deciderà in questo modo”
ripose la donna.
“La
casa di tutti noi? Noi chi?”.
“Ogni
cosa a suo tempo. Sarà Rashnu stesso a darti tutte le
riposte. È più bravo di
noi in queste cose. Ora credo faresti meglio a rientrare in stanza e
riposare”.
“Sto
bene. Voglio solo ringraziare ed andarmene”.
“Ma
ora il tuo salvatore non c’è. Ti consiglio di
tornare a letto ed aspettarlo”.
Ihanez
sospirò e si arrese. Rientrò e chiuse la porta.
“Ha
lo sguardo triste che avevamo in molti, quando siamo giunti
qui” mormorò Egres.
“Come
molti di noi hanno ancora” concluse Nininsina e ridiscese le
scale, lasciando
che nella grande casa tornasse il silenzio.
● ●
●
Era
notte inoltrata quando Rashnu tornò. Ihanez ne riconobbe la
voce. Uscì dalla
stanza e lo vide, lungo il corridoio al piano di sotto. Il salvatore
dai
capelli verdi lo sentì e girò la testa. Lo
stregone sobbalzò. Ora quell’uomo
era vestito di scuro ed il suo sguardo era molto più duro,
freddo, rispetto a
quello che gli aveva rivolto quando lo aveva soccorso. Mutò
in fretta, però,
ridivenendo rassicurante e sufficientemente normale.
“Sarò
subito da te” gli disse “Aspettami
lì”.
Ihanez
annuì, osservandone i capelli verdi. Ora quel rumore che
prima, nella foresta,
pareva un tintinnio, era molto più simile al suono prodotto
da delle catene.
“Il
coso dai capelli arancio fluo che sta al piano di sopra, chi cazzo
è?” lo
apostrofò Reahu.
“E
tu da quando ti permetti di rivolgermi la parola in questo modo,
Reahu?” si
stizzì Rashnu.
“Da
sempre. Tuo padre era il mio capo, ma questo non significa
automaticamente che
ora lo sia tu, mio caro psicopompo”.
“Mio
padre È il tuo capo, lo è ancora, fino a prova
contraria. E se a qualcuno non
sta bene il fatto che momentaneamente comandi io, allora fatevi avanti,
proponetevi. Io non sono un dittatore, e non lo voglio essere.
Sarò lieto di
farvi scegliere fra noi chi crediate sia il più adatto a
sostituire il mio genitore
fino al suo ritorno”.
“E
se non dovesse tornare? Mai considerata questa opzione? Ti accolleresti
le sue
mansioni fino alla fine dei tuoi giorni?”.
“Lui
tornerà. E con questo considero chiusa la
questione”.
“Non
lo è. E non mi hai ancora detto chi è
quell’essere al piano di sopra”.
“Ti
ha dato fastidio?”.
“No”.
“E
allora non sono affari tuoi, mi sembra”.
“Questa
è anche casa mia, o sbaglio? E gradirei sapere chi ci
abita”.
“Possiamo
rimandare questa discussione a domani? Sono molto stanco”.
“Oh,
no! Perché ti conosco. Tu dici così e poi svicoli
dalla questione per sempre.
Dammi ora tutte le spiegazioni che voglio, oppure ti
tormenterò tutta la
notte!”.
“Non
fare il coglione!”.
“E
tu spiegami perché hai portato quello stregone
qui!”.
“Piantatela
di gridare!” interruppe entrambi una donna vestita di bianco,
sporgendosi dal
pianerottolo davanti alla sua camera. Aveva lunghi capelli azzurro
chiaro e
grandi occhi rosa pesca “Magari voi due stronzi vi potete
permettere di
bighellonare fino a tardi” riprese, decisamente adirata
“Ma qui c’è gente che
si deve svegliare presto!”.
“Scusaci,
Thesan” si affrettò a dire Rashnu.
La
donna rientrò in camera, dietro una porta dello stesso
colore dei suoi occhi.
“Hai
visto? È tardi. Ora me ne vado a dormire, ne riparleremo
domattina” sbottò poi
lui, rivolto a Reahu, che però non accettò una
risposta del genere.
“Sei
la creatura più testarda che abbia mai
conosciuto!” si stizzì Rashnu, davanti a
tale insistenza.
“So
che non è così. Lui, lo stregone fluo, non
è uno di noi”.
“Nemmeno
tu lo eri quando sei giunto qui, o te lo devo ricordare?”.
“Lui
non ha mostrato altre capacità particolari”.
“Le
ha mostrate”.
“Quali?”.
“Fatti
gli stracazzi tuoi porca di quella troia e lasciami andare a dormire!
Ho avuto
una giornata tremenda, come tutte le altre a questa parte da quando
è iniziata
sta guerra inutile!”.
“Adesso
non ti arrabbiare con me per la guerra, io non ne ho colpa di
certo!”.
“La
mia è una rabbia in generale. Ad ogni modo, il coso dai
capelli fluo è il
figlio di Ipalnemoa. Ecco perché è qui. Mi ha
mostrato di poter essere come suo
padre”.
“Il
figlio di Ipal? Sei sicuro?”.
“Sicurissimo”.
“Non
sapevo avesse un figlio!”.
“Nemmeno
io, altrimenti sarebbe qui già da un pezzo”.
Reahu
guardò in su, sapendo probabilmente che Ihanez stava
sentendo tutto, sull’uscio
della porta della sua stanza.
“Cosa
intendi fare con lui?”.
“Intanto
l’ho trovato, e l’ho portato qui”.
“Ma
sapevi che c’era o lo hai trovato per puro caso?”.
“Non
credo molto al caso, ma l’ho capito solo vedendolo chi era
per davvero”.
“Quindi
tu eri andato da lui per altro…”.
“Per
fare il mio lavoro. E ora chiudi la bocca. Ho avvisato Mantus della
cosa,
dovrebbe arrivare”.
“Mantus?”
impallidì Reahu, per quanto possa impallidire uno dalla
pelle bianco latte “E
perché?”.
“Perché
è il fratello di Ipalnemoa. Non trovi sia giusto che veda
suo nipote?”.
“Sì,
certo, ma non puoi portare il nipote dallo zio? Quell’uomo
è inquietante!”.
“Come
te. Hai paura di Mantus?”.
“Non
sono qui da abbastanza tempo da sopportare l’idea di averlo
accanto. Già faccio
fatica con te, figuriamoci…”.
“Rilassati.
E avvisami se lo vedi arrivare”.
“Non
aspettarti che vada ad accoglierlo!”.
“A
questo son certo che penseranno altri”.
Detto
questo, Rashnu sorrise. Reahu non capì subito il suo
entusiasmo, ma poi scosse
il capo, arrendendosi al fatto che si doveva fidare di colui che aveva
di
fronte.
“Andrà
tutto bene, amico mio. Ora finalmente vedo la luce in fondo a tutto
questo
lungo tunnel”.
“Se
lo dici tu” mormorò Reahu, camminando lentamente
verso l’esterno.
“Non
ti fidi delle mie capacità di giudizio?”.
“Oh,
no, di quelle mi fido”.
“Bene,
ognuno pensi al proprio ruolo, ok? E, a proposito di ruolo, credo che
la notte
abbia bisogno di un po’ più di luce
quest’oggi. Sono le stelle che danno la
speranza”.
Reahu
alzò un sopracciglio. Sospirò e guadò
in alto, verso il cielo stellato.
Sull’uscio ad arco che dava sull’enorme giardino,
poggiato con la spalla lungo
lo stipite e a braccia incrociate, chiuse gli occhi per un istante e li
riaprì,
luminosi. Le stelle brillarono più intensamente.
“Va
bene così, Rashnu?” domandò.
“Benissimo,
grazie”.
● ●
●
Ihanez
ancora guardava Reahu con ammirazione e stupore, quando Rashnu lo
raggiunse.
“Perché
quella faccia?” domandò il salvatore, chiudendogli
la bocca spalancata con due dita.
“Hai
visto cosa ha fatto?” balbettò lo stregone.
“Sì,
e allora? Tu non sai cambiare il tempo atmosferico?”.
“Sì,
ma non così! Mi ci vuole un rituale e…”.
“Abitudine
ed esperienza, Ihanez. E Reahu ha un sacco di esperienza, un sacco di
abitudine
ed un sacco di anni”.
“Ma
tu sei più vecchio di lui, giusto?”.
“Giusto”.
“Non
lo sembri affatto”.
“Ne
sono consapevole”.
Rashnu
stava piegando e rimettendo a posto il mantello nero che portava.
“Conoscevi
mio padre?” domandò, dopo un po’, Ihanez.
“Conosco
tuo padre, sì”.
“È
vivo?”.
“Finché
nessuno me ne dà una prova contraria,
sì”.
“E
dov’è?”.
“Nessuno
lo sa”.
“Quindi
potrebbe anche essere morto?”.
“Non
ho sue notizie da quasi trent’anni, ma non è
morto, fidati. Uno come lui non
muore tanto facilmente”.
“Mia
madre mi ha sempre raccontato che era morto, non che mi avesse
abbandonato”.
“Dubito
ti abbia abbandonato. Tuo padre è un brav’uomo. Lo
conosco molto bene”.
“Mi
sembra così strano sentir parlare così uno che ha
la faccia di un ragazzino…”.
“Lo
so, me lo dicono in tanti” sorrise Rashnu.
“Sei
uno di quelli che raggiungono il massimo dell’energia molto
precocemente e
quindi mantengono l’aspetto di quando la ottengono? Il mio
maestro mi aveva
parlato di persone del genere, all’inizio del mio
addestramento, ma fin ora non
ne avevo mai incontrate”.
“Diciamo
che io son diventato grande in fretta, ho dovuto. Evidentemente il mio
cervello
ha risucchiato tutte le energie necessarie ed il mio corpo è
rimasto così”
ridacchiò il salvatore.
Ihanez
lo osservò meglio. Se era possibile, sembrava ancora
più giovane rispetto a
quando lo aveva visto la prima volta nel bosco.
“Dove
mi trovo? E voialtri chi siete? Mio padre era uno di voi?”.
Rashnu
sospirò. Sarebbe stata una lunga notte. Invitò lo
stregone a sedersi accanto ad
un piccolo tavolo circolare che stava sotto alla finestra e si sedette
a sua
volta, di fronte all’ospite.
“Sei
in un luogo sicuro. Qui nessuno potrà farti del male, salvo
non ti diverta ad
andare a stuzzicare le persone sbagliate. Noi non siamo stregoni, come
potresti
pensare. Noi non apparteniamo a nessuna classe. Non abbiamo
capacità
riconducibili ad una categoria soltanto”.
“Ho
notato come sai combattere bene. E come sei a tuo agio fra gli
animali”.
“La
maggior parte di noi, salvo i pochi nati fra queste mura, son venuti al
mondo
in una classe specifica. Io, per esempio, ero un signore della natura.
Ma poi,
con il passare del tempo, si risvegliano capacità latenti, e
questo fa sì che
la classe di nascita non ti accetti più”.
“Ma…è
assurdo!”.
“La
gente ha paura di ciò che non conosce. Ed un giovane
allevatore che usa la
magia è una cosa che non conosce”.
“Anche
tuo padre è scomparso, mi pare di aver
capito…”.
“Già.
Mio padre girava per questo mondo in cerca di creature simili a quelle
che
abitano questa casa. Molti qui son stati salvati da lui. Tuo padre
è uno fra
questi che, sì, era uno di noi. Un grande stregone che ha
sviluppato altre
doti. Una sera, però, il capo di questa casa, mio padre, non
è tornato.
Ipalnemoa è partito alla sua ricerca, mandandoci sempre
notizie a riguardo.
Questo fino ad una trentina di anni fa. Svanito anch’egli,
senza lasciare
traccia. Scomparsi entrambi. Nessuno sa dire che fine abbiano fatto. Di
sicuro,
tuo padre ha avuto te dopo che l’ho visto l’ultima
volta, ma di più non mi è
dato sapere”.
“Fuori
c’è la guerra. Si saranno ritrovati nel
mezzo”.
“Tuo
padre ha sempre evitato la guerra, fin da giovanissimo”.
“Ipalnemoa.
Così si chiamava, giusto?”.
“Ipalnemoa,
è così che si chiama. E, a proposito di nomi, so
che i miei colleghi ti hanno già
detto come ti chiamo ma non ci siamo ancora presentati ufficialmente.
Io sono
Rashnu”.
“Ihanez”
rispose lo stregone, stringendogli la mano.
“Domani
ti presenterò gli altri. Piano, piano li conoscerai tutti.
Compreso tuo zio
Mantus”.
“Ma
io non posso restare! Vi ringrazio davvero moltissimo, ma non posso
restare
qui”.
“E
dove pensi di poter andare?”.
“Devo
tornare a casa. E devo contattare i miei fratelli”.
“Fratelli?”.
“Fratellastri.
Saranno in pensiero, specie se han sentito
dell’attacco”.
“Posso
portare io un messaggio da parte tua ai tuoi consanguinei, ma
è estremamente
pericoloso che tu esca di qui”.
“Non
puoi tenermi prigioniero!”.
“No,
ma fuori ti cercano tutti. Scienziati e guerrieri si chiedono come tu
abbia
fatto a fuggire”.
“Perché
dovrebbero cercare proprio me? Sono solo uno stregone come
tanti”.
“Lo
hai appena detto il perché! Sei uno stregone, e le due
classi rivali si sono
alleate per distruggervi tutti. Una volta annientata la tua classe,
potranno
ricominciare a battibeccare fra di loro. Ma prima vogliono farvi
estinguere”.
“Ma
perché?!”.
“Perché
la gente, le classi al di fuori del conflitto, hanno paura della magia.
Non
sanno capirla. Mentre la scienza, bene o male, qualcuno gliela
può spiegare, la
magia resta un mistero. E per questo è meglio per loro che
svanisca del tutto”.
Ihanez
non trovò parole a delle frasi come quelle e rimase in
silenzio.
“Devi
fidarti di me, e rimanere qui, Ihanez”.
“Fino
a quando?”.
“Fino
a quando non sarà più sicuro”.
“E
quando sarà più sicuro? Io ho perso i poteri, non
potrò più difendermi!”.
“Non
hai perso i poteri in modo definitivo. Non si può togliere
la magia ad uno
stregone in modo permanente. Essa torna sempre. Devi solo avere
pazienza. E nel
frattempo starai qui”.
“Perché
fai questo per me?”.
“Perché
Ipalnemoa è un mio grande amico, che mi ha aiutato molto
quando mio padre non è
tornato ed è toccato a me prendere il suo posto”.
“Ora
sei tu quello che cerca le persone da portare qui?”.
“Anche.
Ogni cosa a suo tempo”.
“Io
non posso restare”.
“Non
essere testardo. Tu…”.
“Rashnu,
è l’alba” si sentì dire da
fuori della porta chiusa.
“Grazie,
Thesan. Arrivo”.
Rashnu
si alzò, lentamente, stiracchiandosi.
“Dove
vai?” domandò Ihanez.
“Al
lavoro, se così si può dire”.
“Ti
ho tenuto sveglio tutta la notte. Mi spiace”.
“Una
notte insonne non porterà danni irreparabili
nell’universo, Ihanez”.
“Volevo
ringraziarti. Per avermi salvato la vita”.
“Dovere.
Ora vado. Nell’armadio ci sono degli abiti per te. Va pure
dove vuoi, rimanendo
in casa o al massimo in giardino. Le stanze con porte nere sono le mie,
lì puoi
entrare. Per quando riguarda le altre, dovrai chiedere a chi le
possiede. Lo
scoprirai pian piano. Solo ti raccomando di non entrare mai nelle
camere con il
sigillo in oro”.
“Anche
se sono nere?”.
“Anche
se la porta è nera, se su di essa c’è
un sigillo d’oro non puoi entrarci. Vi
sono delle cose pericolose al loro interno per uno come te. Va
bene?”.
“Va
bene, ma io non posso restare qui”.
“Resta
qui. Non farmi diventare cattivo”.
Detto
questo, Rashnu uscì dalla stanza, chiudendo la porta e
sospirando. Sbadigliò.
Aveva fatto molto tardi quella notte ed ora era già mattino.
“Clio”
chiamò, pigramente “Sei già
sveglia?”.
Non
si aspettava una risposta, credendo fosse troppo presto, ma una giovane
con una
lunga veste color crema fece capolino dal piano di sotto.
“Sì,
sono qui” rispose, con le mani incrociate dietro la schiena
“Stavo per fare
colazione”.
“Puoi
venire qui un secondo?”.
La
ragazza salì in fretta le scale e si presentò al
cospetto di Rashnu, in attesa
di ordini, sorridendo.
“Non
voglio che questo ragazzo vada via da qui” mormorò
lui, in modo da non farsi
sentire da Ihanez “Andrò io dai suoi fratelli,
come lui desidera, ma fai in
modo che non se ne vada”.
Clio
annuì.
“Mi
raccomando. Al mio ritorno, voglio vederlo qui. Ovviamente non legato
ad una
sedia o cose del genere. Lo voglio tranquillo”.
“Sissignore”.
Rashnu
scese le scale, andando verso l’uscita.
“Ti
sei portato il lavoro a casa?” domandò Egres,
vedendoselo passare accanto.
“Che?!”
esclamò Rashnu, fermandosi e girandosi verso il punto
indicato dal suo
interlocutore.
Là
stava una donna, fatta di luce bianca.
“Hennay,
giusto?” le domandò.
Lei
annuì, e si avvicinò piano.
“Io
so chi sei” mormorò lei “E so cosa sono
ora io”.
“Sei
un’anima, senza più un corpo dove risiedere. Posso
porre rimedio a questo”.
“Ihanez
mi ha chiamata. Ihanez ha fatto in modo che non scivolassi nel regno
dei morti
per sempre. Lui ha voluto che gli stessi accanto, ed è
quello che farò. Se mi è
concesso”.
“Non
sono nella posizione di impedirtelo. Se gli scienziati non avessero
distrutto
completamente il tuo corpo, ora saresti di nuovo in vita grazie a
Ihanez.
Appartieni a lui, non al regno dei morti”.
“Grazie
per averlo risparmiato. Lui forse ora non capisce il perché
di essere rimasto
in vita, ma lo capirà, lo vedrà. So che tutto
accade per una ragione. So che il
grande padrone del mondo, Ogmios, signore della conoscenza e del
giudizio, non
fa accadere le cose senza un motivo”.
“Lieto
di sentir dire una cosa del genere. Puoi andare da lui se lo desideri,
da
Ihanez. Io ora devo proprio andare”.
“Ringrazio
ancora, signor Rashnu”.
Hennay,
la sua anima, fece un piccolo inchino e lui se ne andò, non
abituato a simili
gesti di riverenza da parte di essenze luminose.
● ●
●
Clio
bussò alla porta ed entrò. Ihanez era immobile,
che guardava fuori.
“Ciao”
salutò lei, sorridendo, senza ricevere risposta.
“Sotto
stiamo per fare colazione. Vieni?” riprese, dopo un
po’.
“Non
ho fame, grazie” mormorò Ihanez, senza girare il
viso.
“Dai,
è da ieri che non tocchi cibo. Vieni, così ci
presentiamo. Io sono Clio”.
Ihanez
sospirò. Non voleva, ma era scortese non presentarsi. Si
girò. Colei che si
chiamava Clio era giovane, almeno così sembrava, con
riccioli castani fino alle
spalle e grandi occhi neri.
“Io
sono Ihanez”.
“Caspita.
Certo che assomigli davvero tanto ad Ipalnemoa!”.
“Anche
tu conoscevi mio padre?!”.
“Non
l’ho mai visto, lo ammetto, ma ci sono i suoi ritratti in
giro e, se è davvero
così come è raffigurato, ti assomiglia davvero
molto. Gli occhi forse…”.
“Io
ho gli occhi di mia madre, che è morta. Dopo avermi
abbandonato”.
Sentendo
quelle parole, Clio capì che sorrisi ed inviti a colazione
non lo avrebbero
fatto smuovere.
“Io
ero un’apprendista scienziata quando degli stregoni hanno
attaccato il laboratorio
dove stavo facendo lezione con i miei due fratelli più
piccoli ed il mio
maestro. Mi sono salvata solo io. Fortunatamente Rashnu mi ha portata
qui. Mi
ha salvata”.
“Ed
i tuoi genitori?”.
“Li
avevo persi da tempo”.
“Mi
spiace”.
“Tutti
noi qui abbiamo una storia triste alle nostre spalle, Ihanez. La guerra
ci ha
portato via molto, le nostre straordinarie capacità han
fatto il resto. Ma qui
siamo al sicuro. Ci proteggiamo e ci sosteniamo a vicenda, come in una
grande
famiglia”.
“Quanti
siete?”.
“Quanti
siamo? Più o meno una cinquantina, ma non stiamo tutti qui
in casa. Alcuni
vivono altrove. Come tuo zio, per esempio, che sta per
arrivare”.
“Sei
qui da molto?”.
“Da
una quarantina d’anni circa”.
“Ma
sembri una bambina!”.
“Credo
che qui la gente mantenga l’aspetto di quando arriva, tranne
quelli nati qui,
ovviamente. Quelli crescono”.
“Il
padre di Rashnu era già scomparso quando sei
arrivata?”.
“Sì.
Per questo non ho visto tuo padre. Era già partito alla sua
ricerca”.
“Credi
davvero che siano vivi?”.
“Non
lo so. Nessuno può dirlo. Ma mi fido di Rashnu, e se lui
dice che sono in vita
allora è così. E se dice che tu sei speciale,
allora lo sei davvero”.
“Non
ho proprio nulla di speciale!”.
“Dai,
alzati. Vieni a fare colazione. Vedrai che poi ti sentirai
meglio”.
“Non
ho fame, davvero”.
“Allora
vieni giù e basta. Siediti al tavolo con noi, senza
mangiare. Non restare qui
da solo”.
“È
esattamente quello che intendo fare”.
Clio
allungò una mano verso Ihanez e gli sfiorò il
braccio. Lo stregone avvertì una
strana scossa. Si voltò di nuovo verso di lei.
“Vieni”
ripeté di nuovo Clio “Andrà tutto bene.
Ai tuoi fratelli parlerà Rashnu, il
dolore che senti non dico che passerà ma si
attenuerà. Rimanere immobile senza
reagire non farà che peggiorare la situazione. Scegli uno
dei vestiti che ti
sono stati dati, preparati e vieni”.
“Vieni”
si unì una seconda voce di donna.
Ihanez
alzò lo sguardo. C’era l’essenza di
Hennay che lo fissava. Clio parve stupita
nel vedere quell’anima, ma non disse nulla, vedendo che stava
facendo smuovere
lo stregone. Difatti lui si alzò ed andò verso di
lei. Clio sorrise e li seguì.
Non era proprio del tutto regolare che un’anima vagasse per
la casa così, ma
l’ospite pareva gradire parecchio quella presenza. Lui non
sorrideva, sapeva
che la sua amata era morta, ma non l’aveva persa, non del
tutto, e forse questo
gli bastava.
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Capitolo 5 *** V- Visitatori ***
V
VISITATORI
Rashnu
era molto indeciso su che tecnica usare per mettersi in contatto con i
fratelli
di Ihanez. Poteva mostrarsi loro in sogno, o comparire in uno sbuffo di
luce
all’improvviso. Alla fine scelse il metodo classico. Apparve
lungo la strada e
raggiunse la porta, bussando e tentando di presentarsi il
più normale
possibile. Aspettando che qualcuno gli aprisse, notò come
molti lo stessero
fissando, fra abitanti delle case
accanto e passanti.
“Branco
di impiccioni” mormorò, mentre una voce femminile
rispondeva dalla casa.
“Sì?
Chi è?” si sentì chiedere e una grossa
lente scese dalla parete, osservandolo.
“Porto
notizie di Ihanez. Devo parlare con i suoi fratelli”.
La
porta si aprì. Dall’altro lato c’era una
signora vestita di chiaro.
“Io
sono la domestica. Accomodatevi in quella stanza, vado a chiamare chi
cercate”.
Rashnu
fu accompagnato e poi lasciato solo, in una grande stanza bianca. Si
sentiva a
disagio. Quella casa era troppo artificiale, troppo finta. Si
guardò attorno,
sfiorando i mobili spogli e lisci, squadrati, pieni di cassetti. Dopo
qualche
minuto, vide un ragazzo sull’uscio. Vestito di bianco, quasi
si confondeva con
le pareti.
“Gudis?”
domandò Rashnu.
“Chi
lo vuole sapere?” rispose il giovane, sospettoso.
“Mi
chiamo Rashnu. Sono qui per parlarti di Ihanez”.
“Rashnu?
È un nome che non mi è nuovo”.
“Non
sono qua per questo”.
“Scusami.
Siamo molto diffidenti ultimamente
da
queste parti”.
“Fate
bene. Ma, dimmi, sei tu Gudis, il fratello minore di Ihanez?”.
“Sì,
sono io. Gli è successo qualcosa?”.
“Sì”.
“Oh,
per Ogmios! In quell’attacco lui…”.
“È
vivo. E sta bene, più o meno”.
“Cosa
intendi dire?”.
“Purtroppo
il suo maestro e la sua donna sono rimasti uccisi”.
Gudis
chinò il capo. Conosceva Hennay e osò solo
immaginare cosa potesse provare suo
fratello in quel momento. Se al suo maestro fosse successo qualcosa,
non si
sarebbe dato pace.
“Tu
sei uno stregone?” parlò il giovane scienziato,
dopo un po’, invitando Rashnu a
sedersi.
“Non
proprio, ma mi sto prendendo cura di Ihanez”.
“È
ferito?”.
“No,
ma è in pericolo. Era in pensiero per i suoi fratelli e mi
sono proposto di
dargli una mano, venendo a parlarvi. Per un po’ è
meglio non si faccia vedere
in giro”.
“Capisco”.
“Però,
posso ospitarvi. Potere raggiungerlo, se volete”.
Gudis
rifletté un attimo, poi scosse la testa.
“Ho
il mio apprendistato da finire qui” rispose “E Veda
inizierà presto il suo
cammino fra i guerrieri. Non possiamo allontanarci da questo”.
“Lo
supponevo. Sarò lieto di far da tramite fra voi fratelli, se
vorrete scrivervi
o lasciarvi dei messaggi. Non abbiate timore a chiedere”.
“Non
è un problema?”.
“No.
Non per me”.
“Siete
gentile. Questa guerra mi sta veramente snervando”.
“Vale
per tutti”.
Il
maestro di Gudis sbirciava da una piccola telecamera e si
rassicurò, perché a
quanto pare quello sconosciuto non era pericoloso. Mandò la
domestica a servire
un po’ di tè e si unì alla
conversazione. Rashnu lo fissò con un pizzico di
dubbio, era comunque uno scienziato.
“Dove
si trova adesso Ihanez?” fu la prima cosa che disse il
padrone di casa.
“Spiacente,
ma non è prudente che lo dica. Molti lo cercano, e non sono
sicuro di fin dove
arrivino le loro orecchie” rispose Rashnu.
“Giusto.
E voi siete?”.
“Un
amico di Ihanez”.
“Si
chiama Rashnu, non essere sospettoso” ridacchiò
Gudis.
“Rashnu?”.
“Non
siamo qui per parlare di me! Avete qualche messaggio da mandare allo
stregone?
Perché io dovrei andare, ho molto da fare”.
“Salutatemelo
tanto” parlò Gudis “Veda purtroppo
è fuori, ma le riferirò ogni cosa”.
“Perfetto”.
“E
se volessimo contattarvi? Insomma, se volessimo dire qualcosa a Ihanez,
come
possiamo fare?”.
“Purtroppo,
finché non è al sicuro, non posso fidarmi. Non
è saggio lasciare recapiti o
altro”.
“Giusto.
Non ci avevo pensato”.
“Non
temere, è in buone mani”.
“Lo
so. Mio fratello è uno tosto”.
“Anche
tu lo sei, ne sono sicuro”.
“Puoi
darmi un paio di minuti? Vorrei scrivere una lettera a
Ihanez”.
“Certamente”.
Gudis
si allontanò in fretta, diretto alla sua stanza dove teneva
tutto l’occorrente,
e vi si chiuse dentro per scrivere in pace. Il padrone di casa e Rashnu
rimasero da soli, fissandosi. L’ospite finì il suo
tè in silenzio, a gambe
incrociate.
“E
così…” iniziò lo scienziato
“Siete un amico di Ihanez”.
“Più
che amico, sono il suo custode, momentaneamente”.
“Non
è abbastanza grande per badare a se stesso?”.
“No,
non lo è. Non in questo caso”.
“Sembrate
molto più giovane del mio amico stregone”.
“No,
non lo sono”.
“Come
possiamo fidarci? Vogliamo parlare con Ihanez, sapere dove si
trova!”.
“Quando
sarà possibile”.
“E
quando lo sarà?”.
“Non
lo so”.
Lo
scienziato trovò piuttosto irritante quello straniero dai
capelli verdi. Diceva
di non essere uno stregone, ma allora che cos’era? E
perché i suoi occhi non
gli trasmettevano nulla si buono?
“Eccomi”
rientrò Gudis, dopo parecchi minuti di silenzio.
“Gliela
consegnerò personalmente” gli disse Rashnu,
afferrando la lettera che il
ragazzo gli stava porgendo a braccio teso.
“Spero
di ricevere presto sue notizie in risposta”.
“Farò
tutto il possibile. Ora, però, devo andare. Scusate, e
grazie per il tè”.
Rashnu
si alzò in piedi, facendo un paio di inchini agli scienziati
presenti. Uscì
dalla casa senza voltarsi, ignorando gli sguardi interrogativi del
circondario.
“Ma
tu ti fidi di quello?” sbottò il maestro, quando
lo credette sufficientemente
lontano.
“Sì.
I suoi occhi non mentono” annuì Gudis
“Torniamo a lezione”.
L’allievo
tentò di nascondere i suoi timori ed il suo dolore. Forse
doveva raggiungere il
suo fratello maggiore, fu il pensiero che lo tormentò per un
po’ ma subito lo
mise a tacere. La sua decisione era quella giusta, non poteva mettere
in
pericolo Ihanez e rinunciare all’addestramento, suo e della
sorella. Sospirò.
Ma perché era così complicata la vita su quel
mondo?
● ●
●
Mantus
arrivò senza troppe cerimonie e convenevoli. Completamente
vestito in nero,
compresi un paio di vistosi occhiali da sole, camminò
silenzioso lungo il
corridoio. Si sorreggeva con un lungo bastone attorcigliato,
anch’esso nero.
Pareva scivolare, non emetteva alcun rumore. Dietro di lui venivano due
individui, un uomo ed una donna, decisamente di atteggiamento opposto.
Facevano
una gran confusione. Raggiunsero la sala dove si stava per consumare la
colazione e gli altri commensali rimasero in assoluto silenzio.
Quell’essere
aveva sempre indotto un certo timore in tutti loro. Lo videro
accomodarsi, e
finsero indifferenza continuando nelle loro faccende. Mantus
abbassò il
mantello, lasciando che i suoi capelli neri si rialzassero in ciuffi
sconnessi,
molto lunghi sulla schiena. Più o meno la stessa pettinatura
di Ihanez.
“Scusate
il ritardo” ruppe il silenzio Clio, entrando nella sala
seguita da Ihanez e
l’essenza luminosa di Hennay.
Mantus
si alzò, vedendo entrare lo stregone, e molti presenti
sobbalzarono.
“Sei
tu il figlio di Ipalnemoa?” domandò, con un
vocione inquietante.
“Sì.
E tu sei mio zio?”.
Mantus
sorrise, togliendo gli occhiali da sole. Si vedeva che la luce doveva
dargli un
certo fastidio, ma sotto quelle lenti mostrò un inaspettato
bellissimo paio di
occhi scuri. Ihanez, guardando quel viso e quegli occhi ebbe come un
flash, un'immagine lontana gli si presentò davanti. Forse,
tanto tempo fa, quando era
bambino, un uomo con lo stesso viso lo aveva fissato allo stesso modo.
“Gli
assomigli tanto, lo sai?” parlò lo zio.
“Davvero?
Me lo dicono tutti, ma io non posso saperlo. Non me lo
ricordo”.
“Come
ti chiami?”.
“Ihanez”.
“Io
sono Mantus”.
Rimasero
qualche istante il silenzio, fissandosi a vicenda. Lo zio era
più alto del
nipote, anche se non di molto, ed i due non parevano avere una gran
differenza
di età, anche se era così.
“È
un piacere conoscerti, Ihanez. Pensavo di essere rimasto solo,
completamente
solo. Invece ci sei tu, e non immagini quanto questo mi renda
felice”.
“Potrebbe
tornare Ipalnemoa”.
“Uno
come mio fratello, sparisce solo se ha voglia di farlo. Siamo gemelli,
ci
siamo sempre capiti al volo. Se fosse morto, lo saprei, ma nemmeno lo
percepisco. È
come se si nascondesse”.
“E
se gli fosse successo qualcosa? Se qualcosa gli impedisse di
comunicare?”.
“Il
nostro legame va oltre una sorta di sesto senso, Ihanez. Ho tentato di
contattarlo tante volte, non ha mai risposto. Non ha mai voluto
rispondere.
Perché sento che qualcuno c’è a
recepire i miei messaggi. Qualcuno
c’è…”.
Ihanez
non aggiunse altro sull’argomento, ammettendo di non saperne
molto.
“Ma
ora ci sei tu” riprese Mantus “L’erede
legittimo del mio adorato gemello”.
“Sono
suo figlio, ma fino a ieri sera non sapevo nemmeno come si chiamasse.
Non credo
di poter essere definito il suo erede”.
“Lo
sei. Il sangue non mente mai. Sono proprio contento di questo. Ti
proporrei di
venire a vivere con me, ma dubito che ti piacerebbe un
granché come posto”.
“Come
mai?”.
“Se
assomiglio almeno solo vagamente a Ipalnemoa, non apprezzi i luoghi
tetri”.
“Dipende
dal livello di tetro”.
“La
tetraggine? Piuttosto elevata”.
“Allora
forse non fa proprio per me”.
Detto
questo, Ihanez sedette accanto allo zio, cosa che
nessun’altro aveva voluto
fare, e lasciò che Hennay gli venisse vicino. solo in quel
momento, Mantus la
notò. Gli altri dei commensali la vide passare attraverso a
parecchi di loro
per poi appoggiarsi contro Ihanez, che riuscì a cingerla con
la mano. Non capì
gli sguardi degli altri, specie quello di Reahu.
“Un’anima?
E riesci a toccarla in quel modo?” parlò lo zio.
“È
una cosa tanto strana?” si stupì lo stregone.
“Assolutamente.
Le anime non possono essere toccate dai viventi, se non da coloro che
hanno il
compito di accompagnarle agli inferi o coloro che le sorvegliano
nell’aldilà.
Non mi risulta che tu svolga uno di questi ruoli,e nemmeno che tu sia
morto”.
“Inferi?!
Morto?! Ma no. Sarà stato Rashnu a fare in modo che possa
toccarla”.
“Il
potere di Rashnu è immenso, ma non può fare una
cosa del genere. L’hai evocata
tu?”.
“Evocata?”.
“Sei
stato tu a richiamare la sua anima?”.
“No.
Non so come si fa!”.
“Ha
detto che non mi permetteva di morire” parlò
Hennay “E che saremmo rimasti
uniti per sempre. Poi mi ha baciata. Quando il mio corpo è
stato distrutto, la
mia essenza è rimasta accanto a lui e non l’ha
più lasciato”.
“Con
un bacio? Con un semplice bacio sei riuscito ad evocare
un’anima?” si stupì lo
zio.
“Io
non ho fatto niente! Quelle erano solo parole, non
un’evocazione” protestò
Ihanez.
“Ma
la forza dei tuoi desideri e la tua magia è stata
così forte da ottenere ciò
che volevi”.
“Può
essere. Non lo so. Per me ha molto più senso che sia stato
Rashnu”.
“Ihanez,
tu lo sai che il posto di un’anima non è qui,
vero? Tu lo sai che un’anima deve
risiedere in un luogo specifico, e non fra i vivi. E, dato che tu la
possiedi,
avendola evocata, solo tu puoi fare in modo che sia libera”.
“Io
le ridarò il corpo. Lei tornerà in
vita”.
“Non
si può ridare la vita ad un corpo distrutto in migliaia e
migliaia di
particelle!”.
“Ci
riuscirò. E lei tornerà da me. Non la
lascerò andare”.
“Ihanez,
è una cosa che non si può fare.
Fidati
di me”.
“Mi
avete appena detto che ho evocato un’anima con un bacio,
perché non dovrei
essere in grado di ridarle un corpo? La mia magia tornerà
e…”.
“Non
puoi!” alzò la voce Mantus “Non si
possono fare cose del genere. Le persone non
tornano in vita. Seguono il loro destino. E tenere un’essenza
imprigionata è…”.
“Non
è imprigionata. Lei vuole stare accanto a me, vero
Hennay?”.
Hennay
annuì, e si lasciò abbracciare più
forte.
“Questi
discorsi mi han fatto passare la fame, scusate”
sbottò Reahu, alzandosi ed
uscendo dalla sala a passo svelto.
“Lei
vuole stare con me” ripeté Ihanez.
“Lei
è un’anima, legata a te. Non ha desideri, se non
quelli che hai tu. Non ha
sentimenti, se non quelli che provi tu”.
“Menti!”.
“Ragazzo,
ne so qualcosa in più delle anime rispetto a te”.
Ihanez
fece per aprir bocca, ma Egres interruppe tutti.
“La
smettiamo di fare questi discorsi? Adesso mangiamo, poi magari ne
riparlerete
con calma” disse, mostrando con la mano la tavola imbandita.
Lo
stregone si accorse di avere effettivamente una gran fame e, in
silenzio, fece
colazione.
● ●
●
In
quella casa c’era un continuo viavai. Gente che veniva, gente
che se ne andava.
Ognuno con una sua porta, delle proprie stanze e dei propri compiti. Ad
Ihanez
non era molto chiaro cosa facessero e dove andassero. Evitò
di tornare
sull’argomento delle anime fino a pomeriggio inoltrato. Lo
zio rimase anche a
pranzo e poi decise che era tempo di tornare ai suoi alloggi.
“Un
giorno verrai a farmi visita, intesi?” disse Mantus
“Mi dispiace di averti
fatto arrabbiare. Chi sono io per dirti cosa devi fare? Il mio era solo
un
suggerimento, poi spetta a te scegliere che strada seguire. Spero farai
la cosa
giusta, per te e per lei. Ora devo andare”.
Rimise
gli occhiali da sole e si voltò.
“Ciao,
Reahu” salutò, notando che l’uomo era
sul terrazzino che si trovava proprio
sopra l’ingresso, rivolto verso ovest.
Lui
non rispose. Mantus salutò il nipote, promettendogli di
tornare a fargli
visita, e si allontanò, seguito dai due casinisti che lo
avevano accompagnato
fin lì, presentati come suoi “colleghi di
lavoro”. Da quel che aveva capito
Ihanez, si chiamavano Nirrita e Nirriti.
“Ah,
sei lì” esclamò lo stregone,
raggiungendo Reahu sulla terrazza.
“Posso
parlarti un attimo, Ihanez? Da solo” domandò
l’uomo, notando l’anima di Hennay.
“Certo”
rispose, perplesso, Ihanez, facendo segno all’essenza di
tornare in stanza “Di
cosa vuoi parlarmi? Adesso siamo soli”.
“Ti
piacciono i tramonti, ragazzo?” parlò Reahu, senza
voltarsi verso il suo
interlocutore.
“Sì”
borbottò, sempre più perplesso, Ihanez.
“Quando
ero più giovane, guardare i cambiamenti del cielo era
un’infinita fonte di
estasi. La mia magia brillava in maniera incredibile ed io non mi
stancavo mai
di osservare l’infinito che sta sopra le nostre
teste”.
“E
adesso non ti piace più?”.
“Ora,
guardando il cielo, non faccio che sognare che girandomi ci sia
qualcuno
accanto a me, che mi fa capire che, nonostante l’universo sia
immenso, io non
sono solo un’infinitesima ed inutile particella di esso.
Qualcuno che mi faccia
sentire importante, utile. Qualcuno per cui essere una delle stelle del
cielo,
e per cui essere una stella a mia volta. Ma accanto a me non
c’è nessuno e nel
cielo stanno solo stelle che cadendo non avverano i miei desideri. Non
diventare come me, Ihanez”.
“Non
ho capito il tuo discorso”.
“Lasciala
andare. Non ricoprire il tuo corpo e la tua anima di cicatrici
indelebili.
Guarda avanti, ora che sei ancora in tempo, senza imbarcarti in una
guerra
senza speranza”.
“Stai
parlando di Hennay e della sua essenza? Del mio desiderio di ridarle un
corpo?”.
“Sì.
Fermati, ora che ancora puoi”.
“Non
ci penso proprio”.
Reahu
si voltò e solo in quel momento Ihanez notò
quante cicatrici avesse sul viso e
sulle mani. Probabilmente la sua pelle bianca ne era piena. Come aveva
fatto a
non vederlo il giorno prima, quando gli si era presentato davanti con
solo un
asciugamano? Poi vide che brillavano con gli ultimi raggi del sole.
“Il
mio è un consiglio, Ihanez”.
“Vogliono
tutti darmi consigli, qui”.
“Non
possiamo obbligarti a fare niente. La vita è la tua. Ma chi
ci è già passato,
vuole evitare che accada lo stesso a qualcun altro”.
“Lo
stesso? Ah, ora ho capito la faccenda. Tu ti sei arreso e vuoi che io
faccia lo
stesso. Non lo farò. Io non sono un debole”.
“Io
sono un debole, secondo te, ragazzino?” si stizzì
Reahu, iniziando a scurire la
pelle, segno che si stava innervosendo.
“Chi
si arrende è un debole”.
“Io
non mi sono arreso”.
“Ma
lei non c’è, o sbaglio? Io la riporterò
in vita”.
“Non
lo puoi fare!”.
“Sei
solo un vigliacco. Un vigliacco ed un debole. Hai paura perfino di mio
zio”.
Reahu
ringhiò, cosa che inquietò un po’
Ihanez, perché brontolò anche il cielo, ma
non lo fece capire a colui che, con uno scatto, lo colpì
violentemente al viso
con un pugno e lo scagliò contro il muro, senza lasciargli
modo di rispondere.
“Ah,
così la metti!” sbottò lo stregone,
rialzandosi “Non ho paura di te!”.
“Credimi,
dovresti!” continuò a ringhiare Reahu,
concentrando dei fulmini sulla mano
destra.
Ihanez,
confondendoli con le scintille della magia e non per fulmini veri e
propri, si concentrò.
Si sentì piuttosto soddisfatto quando la sua energia si
risvegliò a suo
comando.
“Fatti
sotto, non ho niente da perdere!” esclamò,
ricoprendosi di scintille magiche.
“Nemmeno
io” fu la risposta di Reahu, che alzò il braccio
pieno di fulmini al cielo.
E
tutte quelle nuvole da dove venivano? Un lampo ed un tuono. Una luce
accecante
si diresse verso Ihanez, che reagì in tempo e
deviò il fulmine come aveva fatto
all’esame, con il movimento di due mani e facendolo correre
lungo le pareti
fino a scaricarlo del tutto.
“Senza
cerchio riesci a fare questo, notevole” commentò
“Ma non abbastanza”.
“Ci
sono un sacco di cose che so fare senza il cerchio, irriverente
stregoncino.
Però, te lo riconosco, deviare i miei fulmini non
è cosa da tutti”.
Reahu
si alzò in aria, richiamando altri fulmini. Poi
sollevò Ihanez in aria e
ghignò. Ihanez inclinò la testa, non capendo quel
momento di calma apparente,
prima di venire investito da una moltitudine di piccoli fulmini. Il
tutto
rimanendo sospeso.
“Mi
sto trattenendo, Ihanez. Ti prego, arrenditi” gli disse Reahu
atterrando ma
lasciando l’avversario a mezz’aria.
“Non
farmi ridere!” gridò lo stregone, cominciando a
ricacciare indietro alcuni
fulmini con la magia e rendendosi conto che quell’essere
aveva un’energia
spaventosa.
“Come
vuoi” furono le parole di Reahu che, ormai con la pelle del
tutto nera e gli
occhi oro che brillavano come stelle, alzò entrambe le mani
al cielo.
Fra
di esse iniziò a formarsi una palla di luce, sempre
più grande e lucente.
“Che
roba è quella?!” esclamò Ihanez,
agitandosi nel vano tentativo di tornare con i
piedi per terra.
“Una
stella” si limitò a dire Reahu.
Aprì
la bocca, probabilmente per gridare qualche cosa, ma venne come
risucchiato
verso il terrazzino di colpo. La palla di luce si dissolse e lui si
trovò con i
piedi infilati all’interno della roccia di cui era fatto il
pavimento.
“Tork!
Questa è opera tua!” sibilò Reahu,
riuscendo a liberarsi.
“Esattamente”
gli rispose colui che, Ihanez dedusse, doveva essere Tork.
Si
trovava al piano terra e guardava in su. Non era molto alto e nemmeno
particolarmente grosso, ma scintillava di magia aranciata.
“Vieni
qui, e battiti da uomo!” gli gridò contro Reahu,
minacciandolo con il pugno di
fulmini.
Tork
non rispose. Camminò e raggiunse la terrazza avanzando lungo
i muri in pietra
della casa. nel frattempo, Ihanez fu tirato giù dalla sua
sospensione
volontaria da un uomo dai lunghissimi capelli argento e grandi occhi
azzurri.
“Grazie”
esclamò lo stregone.
“Prego.
Però ora smettetela, ok?” gli rispose il
salvatore, con voce quasi femminile.
“Ha
iniziato lui!”.
“Stupido
e pure bugiardo!” sbottò Reahu, svolazzando.
“Adesso
basta, Reahu!” esclamò Tork “Dovremmo
stare tutti quanti calmi e…”.
“Zitto,
sasso!” si sentì rispondere.
“Adesso
basta tutti quanti!” tuonò un altro uomo, giunto
sulla terrazza assieme ad
altri abitanti della casa, con guizzanti capelli giallo elettrico ed
occhi
fosforescenti.
Dicendo
questo, spalancò le braccia e Reahu cadde in terra, Tork non
riuscì a mandare
verso il suo avversario il sasso che stringeva fra le mani e tutti si
sentirono
piuttosto intontiti.
“Che
è successo?” si stupì Ihanez.
“Lui
controlla la magia” spiegò Clio “In
questo momento, sta trattenendo l’energia
di tutti, compresa la tua. Perciò ti consiglio di stare
calmo ed ascoltarmi”.
Nel
frattempo, una coppia di individui, un uomo ed una donna, massicci ed
armati,
avevano immobilizzato Reahu e lo stavano riportando ai suoi alloggi.
“Sei
impazzito?!” esclamò l’uomo dai capelli
argento, rivolto a Ihanez “Volevi farti
ammazzare?!”.
“Ha
davvero iniziato lui!” protestò lo stregone.
“Non
è vero!” gridò Reahu, da non si
capì bene dove.
“Iniziato
lui o meno, non è molto saggio da parte tua attaccare uno
come lui. Specie
perché sei appena arrivato”.
“Mi
ha provocato. Ed io rispondo sempre alle provocazioni”.
“Sei
un pazzo, per davvero. Se avesse mostrato appieno il suo potere,
saresti morto.
E, a proposito, io mi chiamo Tate, specialista nel controllo dei
venti”.
“Piacere”.
“Lui
e Tork” indicò l’uomo e Tork fece un
piccolo inchino.
“Tu
sei bravo con le rocce, immagino” commentò Ihanez.
Era
più basso dello stregone, ma l’energia che
emetteva era nettamente più forte.
Portava i lunghi capelli legati ed aveva la pelle grigia, come le
pietre.
“E
adesso siediti, calmati, e raccontami cosa è
successo” intervenne Clio.
● ●
●
“Lasciatemi!
Non avete alcun diritto di trattarmi così!”
protestò Reahu, ancora
momentaneamente privo di poteri e tenuto stretto da due massicce
creature, un
uomo ed una donna.
Venne
buttato a forza dentro la sua stanza e minacciato con la spada, quando
tentò di
uscirvi.
“Quel
ragazzo ha bisogno di una lezione” borbottò il
prigioniero.
“Anche
tu. Ma aspetterò che sia Rashnu ad ordinarmi di
dartela” fu la risposta della
donna, con i capelli corti rossicci e lo sguardo accigliato, quasi
rosso
anch’esso.
“Pensate
davvero di riuscire ad avere la meglio su di me? Solo perché
ora quel bastardo
di Hike mi ha tolto tutti i poteri, altrimenti sarete già
fuori dalla
finestra!”.
“Reahu,
tu…sanguini!” parlò di nuovo la donna,
deponendo la spada ed avvicinandosi.
Reahu
si toccò il viso e sentì quella strana sensazione
vischiosa e calda che lascia
il sangue sulla pelle. Si guardò le dita, stupito.
“Deve
essere riuscito a colpirmi quando ha respinto i miei fulmini”.
“Ha
respinto i tuoi fulmini?!” volle aver conferma
l’uomo in armatura, di molto più
grosso degli altri due nella stanza e dal volto coperto da un pesante
elmo.
“Non
tutti, ma parte di essi”.
“Anche
se solo una parte, è una cosa straordinaria!”.
“Già.
Ha una potenza difensiva spaventosa”.
“E
per quanto riguarda l’attacco?”.
“Non
lo so. Non mi ha mai attaccato. Si è solo difeso”.
“Credi
sia pericoloso?” mormorò la donna, asciugando il
viso ferito di Reahu con un
fazzoletto bagnato, dopo averlo costretto a sedersi.
“Pericoloso?
Per chi?”.
“Per
noi. Tu sei uno dei più forti in questa casa, ma se
decidesse di attaccare
qualcun altro? Qualcuno più debole, non in grado di
difendersi?”.
“Non
credo sia cattivo” rispose Reahu, scostando il volto dalle
cure della donna
“Credo solamente che sia confuso. Ha perso tutto
ciò che aveva, la sua vita è
cambiata completamente, e non c’è da stupirsi che
reagisca in modo strano”.
“Come
sei saggio all’improvviso” ridacchiò
l’uomo.
“Credo…di
rivedermi in lui, Saxnot. E devo impedirgli di diventare come
me”.
“Cosa
c’è di male nell’essere come
te?”.
“Nell’essere
un irascibile stronzo, senza più un’anima,
incapace di amare?”.
“Tu
non sei così” protestò la donna,
insistendo con il fazzoletto.
“Grazie
per l’incoraggiamento, ma so come sono. E piantala con quel
coso, sto bene!”.
L’uomo
e la donna si guardarono. Ora Reahu pareva sufficientemente calmo da
essere
lasciato da solo. Lo videro rialzarsi ed andare verso la finestra,
alzando lo
sguardo verso le stelle.
“Dovrò
fare rapporto a Rashnu di quanto successo. È il mio
compito” parlò Saxnot.
“Fai
pure la spia. Rashnu non mi spaventa” sbottò
Reahu, senza girare la testa.
“Come
preferisci. Andiamo, Adraste”.
La
donna annuì e prese per mano Saxnot, uscendo dalla stanza
assieme. Reahu li
osservò solo di sfuggita, mentre chiudevano la pesante porta
blu alle loro
spalle. Allungò il collo, per osservarsi nel grande specchio
ovale appeso alla
parete. Sulla guancia destra e poco sopra il sopracciglio dello stesso
lato
aveva dei tagli che sanguinavano ancora un po’. Anche altri
punti, dove vedeva
la sua veste rovinata, probabilmente erano stati ugualmente colpiti ed
ora si
cicatrizzavano lentamente. Era una sensazione così strana,
per lui, provare
dolore fisico di nuovo. Da passato tanto di quel tempo
dall’ultima volta in cui
qualcuno era stato in grado di colpirlo! E quello stregone inesperto
era stato
in grado di difendersi e fargli questo. Meglio per lui,
perché se non ne fosse
stato in grado sarebbe morto fulminato ed incenerito.
“Sei
proprio il figlio di Ipalnemoa” commentò Reahu,
togliendo la veste,
bruciacchiata e strappata.
● ●
●
“Ho
capito quel che è successo, ma ora calmati” lo
rimproverò velatamente Clio.
“Ha
tentato di uccidermi!” sbottò Ihanez.
“E
tu lo hai provocato. Non sai molte cose su di lui, Ihanez. Tu non sai
perché
lui sia qui”.
“E
tu lo sai, invece. Raccontamelo”.
Clio
guardò gli altri abitanti della casa accorsi sul posto.
Più di qualcuno annuì.
“Bisogna
conoscere certe cose di Reahu, per poterlo comprendere”
parlò Tate.
“E
sopportare!” concluse Tork.
“Va
bene. Allora siediti, calmati, ed io ti dirò
tutto” sospirò Clio.
Ihanez
obbedì, liberandosi dalla stretta dei sui salvatori. Allo
stesso tempo, la
magia tornò a scorrere fra i presenti, perché
Hike la rilasciò, una volta
compreso che lo scontro era finito.
“Reahu
era un potente stregone” iniziò Clio
“Potente come non ne nascevano da tempo.
Tuttavia, una volta superato l’esame per accedere al quinto
livello, quello che
hai fatto tu, non mostrò il desiderio di continuare su
quella strada. Andò a
vivere in un piccolo villaggio fra le montagne, con la donna che amava.
Lì era
convinto che la guerra non potesse arrivare. Dopo qualche tempo,
notò che
purtroppo il conflitto rischiava di mettere in pericolo sua moglie, il
figlio
che aspettava e tutto il paese dove era stato ben accettato.
Così decise di
riprendere gli studi, per poter celare l’intero
villaggio”.
“Celare
l’intero villaggio?! Ma richiede tantissima
energia!”.
“Non
credere che non lo sappia!” sbottò Clio
“Lasciami andare avanti!”.
Ihanez
si ammutolì, preferendo non irritarla. Le fece segno di
continuare.
“Al
villaggio, non aveva modo di imparare granché. Era
l’unico stregone e nessun
libro riportava informazioni sulla magia. Così,
partì diretto verso la città
più vicina. Con la usa energia si spostava piuttosto
agilmente da un luogo
all’altro, senza fatica e rapidamente. Doveva esserci
qualcuno che controllava
il villaggio perché, proprio il giorno in cui si
allontanò in cerca di libri e
materiali utili, la guerra giunse fino a là. Vi vivevano
solo contadini,
allevatori, artigiani ed altre creature che mai fino a quel momento
avevano
combattuto e che non potevano certo rispondere ai bombardamenti o alle
armi da
fuoco. Reahu volò in fretta ma arrivò tardi. Del
paese non rimaneva più nulla,
se non scheletri di case ed odore di morte. Con i libri di magia fra le
mani,
non si diede mai pace. Doveva trovare un modo per farla tornare, per
riavere
sua moglie ed il figlio che stava per nascere. Per anni
cercò una soluzione.
Arrivò perfino, alla fine, a varcare le porte degli inferi.
Rivoleva l’anima di
colei che amava. Rivoleva anche solo una minima parte di lei. E per
questo
sfidò l’inferno ed il suo oscuro
guardiano”.
“Nessuno
può attraversare gli inferi” mormorò
Ihanez “Non si sopravvive. Dicono che il
suo re non permetta l’accesso, se non dopo la morte, e una
volta entrati non vi
si può più uscire”.
“Ma
questo non fermò Reahu. Arrivò alle porte degli
inferi, determinato come è
sempre stato, e vi entrò. Fu questo a provocare tutte quelle
cicatrici sul suo
corpo. La vita lentamente scorreva via, mentre cercava la sua amata, ma
pareva
ignorare la cosa. La chiamava a gran voce, disturbando il sonno dei
morti ed
infastidendo il padrone di casa, che lo raggiunse per aggiungerlo alla
schiera
delle sue anime. Reahu, ormai sfinito, lo vide arrivare e non
indietreggiò. Era
pronto a morire per salvarla o a morire per raggiungerla. Il signore di
quel
mondo gli spiegò che un’anima da sola, senza un
corpo, non ama e perciò se
fosse morto non avrebbe ottenuto proprio un bel niente. Ma lui propose
la sua
vita in cambio di quella di lei. La vita della donna e del bambino in
cambio
della sua. Il re degli inferi doveva aver capito che colui che aveva
davanti
era una creatura estremamente potente, perché ancora in vita
nonostante tutto
quel tempo trascorso fra i morti, ma non poteva permettere uno scambio
del
genere. Certe regole non possono essere infrante. Nonostante fosse
indubbiamente un essere speciale, colui che aveva di fronte, il signore
degli
inferi sapeva che sarebbe inevitabilmente morto. Fu grazie ad un uomo
dalla
folta chioma arancione che si salvò”.
“Un
uomo dalla chioma arancione? Simile alla mia?”.
“Esattamente
come la tua. Era tuo padre, Ipalnemoa. Lui decise che Reahu doveva
vivere,
probabilmente seguendo qualche ordine superiore, e lo salvò.
Mediò lui stesso
con il signore degli inferi e lo riportò in superficie. Ma
Reahu ormai l’aveva
vista, aveva visto colei che amava ed era quasi riuscito a sfiorarla.
Una volta
fuori, parte della sua anima era perduta”.
“Intendi
dire che Reahu ha solo un pezzo di anima?! E che mio padre girava
tranquillamente nel regno dei morti, senza riportare alcuna
conseguenza?”.
“Tuo
padre è una creatura speciale, dalla potenza inimmaginabile.
E Reahu…sì, parte
della sua anima è perduta. Non è in grado di
provare molte sensazioni, come
l’amore per esempio. Tuo padre lo portò fuori fra
le braccia da quel luogo di
morte, mostrandogli la luce della vita. Quella luce che ora Reahu vede
nelle
stelle, perché all’anima della sua amata
è stato concesso di divenire una
stella del cielo”.
“E
chi può tramutare un’anima in stella?”.
“Ogmios.
Il signore supremo di questo mondo, Dio fra gli Dèi, ha
concesso questo dono ad
una creatura che aveva sfidato l’inferno. Una cosa del genere
non capita tutti
i giorni”.
Ihanez
era meravigliato nel sentire certe cose. Reahu aveva visto
l’inferno ed il
signore che vi regnava, lo aveva sfidato e non si era arreso. Con la
meraviglia, cresceva però anche il suo senso di colpa. Aveva
detto delle cose
orribile a quella creatura, che già troppe doveva averne
passate senza sentirsi
insultare da uno stregone appena arrivato. E suo padre? Quanto potere
possedeva
suo padre per fare quel che aveva fatto? Ne fu quasi spaventato.
“Rifletti
su questa storia, Ihanez” lo intimò Clio
“E cerca di controllarti, almeno
finché ti è concesso rimanere sotto questo
tetto”.
Lo
stregone annuì. Guardò in su. Chissà
quale di quelle stelle era la donna che
Reahu aveva amato tanto da sfidare il re degli inferi… Si
voltò verso Hennay,
che vagava galleggiando lungo la terrazza in attesa di quello che era
il suoi
padrone. Era giusto quello che stava facendo? Se era vero che lui
possedeva
capacità simili a quelle di suo padre, allora sarebbe andato
tutto in modo
diverso. Se suo padre era stato in grado di salvare un vivo
dall’inferno,
grande tabù e missione impossibile, allora lui sarebbe stato
in grado di ridare
un corpo ad Hennay. Ci sarebbe riuscito.
● ●
●
Nel
cuore della notte, quando tutto era più tranquillo e Ihanez
era riuscito ad
addormentarsi, la voce profonda di Rashnu fece vibrare la casa. Lo
stregone
sobbalzò. L’enorme orologio a pendolo della casa
segnava un’ora molto tarda.
Era tornato solo in quel momento? Il padrone di casa chiamava Reahu,
con tono
molto duro e di rimprovero. Ihanez si apprestò a vestirsi.
“Mi
avete chiamato?” mormorò Reahu, trovando opportuno
usare la cortesia dinnanzi a
Rashnu che pareva ardere di rabbia.
Il
padrone di casa non ripose. Si limitò a fissarlo, accigliato
e a pugni chiusi.
Erano entrambi in una stanza piuttosto tetra, buia. Rashnu sedeva su
una sorta
di poltrona fin troppo pomposa. Ancora vestito in nero, fissava Reahu,
che era
in piedi di fronte a lui. Una lieve brezza soffiava dalle finestre che
stavano
ai lati di quella sorta di trono ed il pavimento rifletteva la luce
delle
stelle della notte e della Luna. In terra un tappeto rossiccio, con su
dipinti
complicati simboli che poi si ripetevano sulle pareti.
“Sì,
lo so” riprese Reahu, rompendo il lungo silenzio
“Siete arrabbiato per la
piccola diatriba successa fra me ed il vostro giovane ospite,
ma…”.
“Fai
silenzio. Ti avevo già avvertito al riguardo, Reahu. O si
rispettano le regole
di questa casa o
si
viene cacciati via. Ihanez non le conosce, mi appresterò a
mettergliele bene in
chiaro il più presto possibile, ma tu sei qui da molto
tempo, da prima che mio
padre se ne andasse, quando questa guerra era appena iniziata. Direi
che come
tempo è sufficiente per infilarsi in zucca i rede
fondamentali che reggono
questa dimora. Primo fra tutti quello di non usare la propria energia
contro
gli altri abitanti, se non per allenamento. E tu non solo hai attaccato
volutamente Ihanez, che non è assolutamente tuo pari come
forza, ma hanno
dovuto intervenire altri per fermarti. Altrimenti? Che avresti fatto,
Reahu?
L’avresti ucciso?”.
Reahu
non rispose.
“Sono
stanco, Reahu. Stanco di questa guerra, di questo mondo e di tutto il
lavoro
che mi tocca fare. Non mi serve proprio avere sotto il mio tetto un
sovversivo
irascibile che lancia stelle contro gli altri senza alcun
ritegno”.
“Ma…io
non ho un luogo dove andare, se mi cacciate da qui!”.
“Potevi
pensarci prima. Non è il primo avvertimento che ti lancio. E
per quanto
riguarda la tua mansione, può essere facilmente
ridistribuita fra Tate,
Tarhunt, Omikhle ed la coppia di lunari”.
Reahu
non parlò. Venir cacciato da lì, perdendo parte
della sua energia, gli avrebbe
tolto ogni cosa. Chinò il capo, preferendo non peggiorare
ulteriormente la sua
posizione.
“È
tempo che tu vada, Reahu. Non posso permettere che tu rimanga qui. Il
mio
compito è far rispettare le regole”.
“Principe,
io…”.
“Non
chiamarmi principe. Non ora. Non ti servirà. Sei bandito,
Reahu”.
“Rispetto
la vostra decisione”.
Reahu
si inchinò, leggermente, e fece per andarsene, quando la
porta alle sue spalle
si spalancò ed entrò Ihanez.
“Oggi
a tutti piace infrangere le regole” mormorò
Rashnu, trovando irrispettosa
quell’entrata.
“Non
mandatelo via” esclamò Ihanez “E non
punitelo. È stata colpa mia. Sono stato io
ad iniziare. Se qualcuno qui dev’essere punito, allora spetta
a me”.
“Ihanez,
ragazzo, queste sono cose che non ti riguardano”.
“Mi
riguardano, invece! Lo hai detto tu che ora sono un abitante di questa
casa,
giusto? Anche io devo sottostare alle regole ed anch’io devo
essere punito
perché le ho infrante. Ho iniziato io la lite, spetta a me
essere giudicato”.
“Una
persona non può litigare da sola, Ihanez. E spettava a Reahu
avere
autocontrollo”.
“Ma
io l’ho provocato. È stata colpa mia. E se state
punendo lui, allora dovete
riserbare lo stesso trattamento anche a me. Non sarebbe giusto il
contrario”.
“Non
sarebbe giusto?”.
“No.
Non sarebbe giusto”.
Rashnu
respirò profondamente, lasciandosi leggermente cadere sulla
poltrona,
rilassandosi e chiudendo gli occhi.
“Sai
che parole usare con me, Ihanez. E va bene. sono disposto a concedere
ad
entrambi un’altra possibilità, una soltanto.
Reahu, puoi restare”.
“Grazie”
mormorò l’uomo, abbassando la testa.
“Però
non voglio venire a sapere, né tantomeno vederlo di persona,
che avete
combinato altri casini, intesi? Vi lascio la massima
libertà, ma distruggere il
palazzo di mio padre non rientra fra queste libertà, mi
pareva una cosa
ovvia!”.
“Penserò
personalmente ai danni” si propose Ihanez
“Riparerò tutto, entro l’alba non vi
sarà alcun segno di quanto successo”.
“Bene.
E chiedete alla guaritrice Nininsina di dare un’occhiata a
tutte le ferite che
vi siete provocati. Non sembrano gravi, ma sono comunque provocate
dalla
magia”.
Ihanez
e Reahu annuirono. Lo stregone si congedò ed andò
subito a mettersi al lavoro
sulla parete della casa danneggiate.
“Reahu”
parlò, di nuovo Rashnu “Chiama tutti gli altri per
l’alba, nella sala grande”.
“Tutti?
Anche quelli fuori?”.
“No,
quelli non sono necessari. Limitati agli abitanti stabili”.
“Sissignore”.
“Ti
serve una mano?” domandò Reahu, dopo qualche ora.
“Ho
quasi finito, no grazie” rispose Ihanez, con le mani rivolte
alla casa che
stava sistemando.
“Io…volevo
ringraziarti per prima, stregone. Se non fosse stato per te, sarei
stato
bandito”.
“Ed
io volevo scusarmi, per prima. Ho parlato a sproposito, senza sapere le
cose.
Perdonami”.
“Fingiamo
che non sia successo niente, ok? Non tenterò più
di darti consigli non
richiesti”.
“Ok.
Ed io non ti insulterò”.
“Ottimo.
Ignorarci è la cosa migliore da fare”.
“Solo
una cosa…posso?”.
“Parla…”.
“Come
si chiamava lei?”.
Reahu
rimase in silenzio. Nel buio della notte, brillava leggermente.
“Alinn”
rispose, dopo un po’.
“E
qual è la sua stella?”.
“Quella
lassù. Quella al centro, attorno alla quale ruota il cielo.
Il suo perno”.
“Sono
certo che lei ti guarda da lassù, Reahu. Ti
guardano”.
“Mi
guardano?”.
“Sì.
Lei e tuo figlio. Ti guardano”.
Reahu
non sapeva che rispondere. Guardò lo stregone, domandandosi
chi fosse stata la
lingua lunga che si era divertita a raccontare gli affari propri a
quell’intruso.
“Lo
spero” disse, dopo un po’, mentre lo schiarirsi del
cielo ed il risveglio di
Thesan erano il segno che la notte stava per finire.
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Capitolo 6 *** VI- Alba ***
VI
ALBA
“Intendi
dire che Ihanez è stato qui?” domandò
Veda, incuriosita.
“Non
lui di persona” spiegò Gudis “Un uomo,
un giovane, piuttosto strano, lo devo
ammettere, è venuto qui in sua vece e ci farà da
intermediario”.
“Ma
chi ti assicura che stia bene? Che quest’uomo non sia altro
che un impostore?”.
“E
perché dovrebbe esserlo?!”.
“Per
scoprire cose su di noi”.
“Che
genere di cose? Sei paranoica pure tu adesso. Non bastava il maestro,
che vede
cospirazioni ovunque! Quell’uomo aveva uno sguardo sincero, e
quando lo vedrai
te ne convincerai”.
“Ma
io voglio vedere il mio fratellone di persona!”.
“Non
si può. Lo metteremmo in pericolo”.
Veda
sospirò. Non era certo così che immaginava il
futuro!
Gudis,
nel frattempo, continuava a cercare fra i vari libri della biblioteca
di casa.
Cercava un nome, che era certo di aver già sentito ma non
riusciva a ricordare
dove! Rashnu. Dove gli era già stato dato modo di sentirlo?
“Anche
voi lo avete già udito prima, maestro?”
domandò, a risposta dello sguardo
interrogativo dello scienziato più anziano.
“Sì,
devo ammetterlo. Ma devo anche ammettere che non ricordo
dove”.
“Devo
scoprirlo! Quel nome mi dà una così strana
sensazione…”.
“Rilassati,
Gudis. Sarà un nome piuttosto comune di una qualche zona del
mondo e quindi lo
avrai già sentito, ma non credo ci sia qualcosa di cui
preoccuparsi”.
L’allievo
annuì. Forse aveva ragione il suo maestro. La sua era solo
paranoia, dettata
dalla preoccupazione e da una sensazione senza senso. Il maestro
guardò
l’allievo uscire dalla biblioteca, per tornare in laboratorio
a fare lezione.
“Rashnu”
mormorò, e rabbrividì.
C’era
qualcosa in quelle poche lettere che lo metteva decisamente a disagio!
● ●
●
“Ci
siamo tutti?” sbadigliò Rashnu, seduto capotavola.
“Anche
stanotte non hai dormito?” domandò Nininsina.
“Colpa
dei vostri casini” sbottò lui, notando lo sguardo
indifferente di Reahu.
Le
sedie attorno al lungo tavolo erano quasi tutte occupate, ma alcune
erano
riservate a chi di loro viveva al di fuori della casa. due grossi
lampadari pendenti
illuminavano tutto flebilmente e le prime luci dell’alba
entravano dalle
finestre ad arco. Colonne attorcigliate e statue riempivano gli spazi e
coprivano solo in parte le pareti rosso cupo, piene di simboli ed
incisioni. Il
soffitto, molto alto, era a cassettoni e decorato a sua volta. Una
pesante
porta nera divideva quella stanza dal corridoio. Fuori dalla sala,
esclusi da
quella riunione, vi erano Ihanez e due fratelli gemelli, un maschio ed
una
femmina, ancora bambini, figli di una coppia abitante della casa.
Si
udivano parecchie voci di protesta per l’ora stabilita.
Rashnu ignorò la cosa,
ben consapevole che fosse l’unica ora possibile in cui erano
tutti presenti,
pronti a dormire od andarsene. Attese ancora un po’,
lasciando ai commensali il
tempo di prendere posto e sistemarsi. Li guardò, con i suoi
grandi occhi
arancio. Sembrava davvero così gracile rispetto alla maggior
parte di loro!
Eppure la percepiva piuttosto bene la spaventosa differenza di energie
fra lui
e loro. Quando Thesan, con i suoi dolci occhi color pesca, fece il suo
ingresso, Rashnu capì che erano tutti presenti.
“Quest’oggi
vorrei discutere con voi di alcune cose. Di tre questioni, per
l’esattezza. So
che molti di voi sono abituati a riunioni generali capitanate da mio
padre, e
trovano insolito tutto questo. Per qualcuno, invece, questa
è la prima riunione
e si sente a disagio. Rilassatevi un po’ tutti quanti. non
è una situazione di
emergenza. Solo certe piccole questione burocratiche”.
Un
soffio di vento entrò dalla finestra, facendo tintinnare
tutti i vari gingilli
che Rashnu portava su capelli e corpo. Più di qualcuno
trovava quel suono
inquietante.
“Per
prima cosa…” riprese a parlare il capotavola, con
la sua voce bassa e profonda
“Vorrei porre a voi la stessa domanda che non molto tempo fa
ho rivolto a
Reahu”.
Sentendosi
chiamare per nome, Reahu si guardò attorno piuttosto confuso.
“Voglio
sapere se vi sta bene che io stia qui, come vostro capo temporaneo.
Sono
passati molti anni da quanto mio padre è scomparso, e per
ereditarietà mi son
accollato tutti i suoi doveri. Pensavo che la cosa fosse solo
momentanea, che
durasse poco, invece son qui ancora e perciò io vi chiedo:
vi sta bene? Non
sono un dittatore, e mio padre non mi hai designato come successore,
perciò
vorrei tanto sapere se ritenete appropriato il mio ruolo. In caso
contrario,
sarò lieto di sentire chi proponete e scegliere assieme a
voi il più adatto a
comandare questa casa e tutti voi”.
Seguirono
alcuni istanti di silenzio, accompagnati da un brusio sommesso fra i
commensali. Rashnu lasciò pure che discutessero fra di loro,
senza
interromperli. Non osava dire a nessuno di loro che in
realtà desiderava tanto
che qualcuno si facesse avanti, alleggerendogli le giornate.
“Tu
sei l’unico in grado di occupare il posto di tuo padre, fino
a quando questi
non tornerà” parlò Clio, cercando con
lo sguardo l’appoggio di altri.
“Do
ragione a Clio” annuì Ninurta, il compagno di
Nininsina.
“Pure
io” si unì Tate “Nonostante
l’apparente giovane età, la maggior parte di noi
è
nata ben dopo e noi tutti sappiamo benissimo che sotto
quell’aspetto
apparentemente docile si nasconde una creatura di potenza difficile da
eguagliare”.
“Direi
che fare ad alzata di mano è più
semplice” commentò Hike.
Quasi
tutti i presenti alzarono la mano a favore di Rashnu, che
sospirò.
“E,
a proposito di questo…” parlò un uomo
dal fondo del tavolo, vestito di rosso
“…non credete sia giunto il tempo che questa casa
abbia un principe?”.
“Tecnicamente,
sono io il principe, Kama” rispose Rashnu, senza capire.
“Un
piccolo principe. Un erede del capo che ci governa, a cui passare il
testimone
un giorno” riprese Kama, accompagnando la frase con un mezzo
ghigno.
“Stai
scherzando?”.
“E
tu hai capito di cosa parlo? O vuoi un disegnino? Rashnu, non sei
più un bambino.
Non pensi sia ora per te di prender moglie e far proseguire il tuo
sangue? In
tempo di guerra, non si sa mai cosa può succedere e non
possiamo correre il
rischio di veder estinguersi la tua famiglia”.
Rashnu
rimase in silenzio, sconcertato. Certi discorsi non glieli aveva mai
fatti
nemmeno suo padre!
“Sono
d’accordo con Kama” annuì Thesan.
“Pure
io” si aggiunse la donna che stava accanto proprio a Kama, la
sua compagna
Kadesh.
“Che
ventata di felicità darebbe un bambino in questa
casa!” rise Idun, una giovane
dallo sguardo molto luminoso ed i capelli indaco.
“Scusate,
qui stiamo andando fuori tema” borbottò Rashnu
“E fateli voi, i figli, se tanto
ci tenete. Dopotutto siete quasi tutti sposati”.
“Lo
sappiamo” sorrise Bragi, il marito di Idun, con la lunga
veste grigio perla che
svolazzava mossa dal vento e con i capelli bruni raccolti in una coda
“Ma il
figlio di Rashnu avrebbe di certo un valore simbolico più
alto, rispetto a
quello di chicchessia. Darebbe una certa ventata di speranza”.
“Non
voglio parlare di questo, finitela!” sbottò Rashnu.
“Dovresti
sceglierti una femmina e…” riprese Thesan.
“Non
sarai sempre giovane e pieno di energia come adesso!”
interruppe Idun.
“Basta!”
tuonò il capotavola e qualcuno giurò di aver
sentito il terreno vibrare sotto si
sé “Non siamo qui per questo”.
Calò il silenzio,
totale, e Rashnu ghignò.
“Il
secondo punto della riunione…” riprese a parlare,
come se nulla fosse successo
“…riguarda la guerra in corso. Sta diventando
piuttosto disequilibrata”.
“Esiste
come termine?” alzò un sopracciglio Bragi.
“Fottiti,
Bragi. Non è questo il punto” lo zittì
Reahu.
“Grazie”
disse Rashnu, sentendo distintamente il “lecchino”
rivolto al collega.
“Quel
che voglio dire…” ricominciò il
capotavola “…è che ora si è
formata un’alleanza
fra scienziati e guerrieri, mettendo gli stregoni in posizione di
svantaggio.
La cosa mi preoccupa”.
“Perché?
Lo sappiamo tutti che è un’alleanza solo
temporanea. Una volta sconfitti gli
stregoni, torneranno a battibeccare fra loro”
commentò Adraste, e suo marito
Saxnot annuì.
“Ormai
non sanno nemmeno perché si fan la guerra” si
unì il figlio della coppia,
Petbe, un ragazzo molto alto dai lunghi capelli neri “Tutto
è diventata solo
una questione di vendetta”.
“Appunto.
I capi stessi di queste classi non sanno perché stanno
combattendo, essendo
iniziato tutto questo prima della loro venuta. Non credete sia ora di
metterci
un freno?” riprese Rashnu.
“Intendi
intervenire? Interferire in queste faccende che non ci
riguardano?” drizzò le
orecchie Tate.
“Non
ci riguardano?! Siete o no stati stregoni, scienziati, guerrieri o
quant’altro
pure voi, prima di giungere qui?”.
“Sì,
certo” parlò Reahu “Ma quasi tutti noi
siamo stati rinnegati dalle stesse
famiglie. Perché difendere gente che non ci ha mai voluto?
Che senso ha?”.
“Ha
ragione Reahu! Quelli hanno tentato di uccidermi perché
usavo la magia!” annuì
Egres.
“Non
credo meritino il nostro sostegno” convenne Tork.
“Ma
così gli stregoni finiranno per essere sterminati. Lo volete
davvero?” si alzò
Hike.
“Sì”
annuì Tarhunt, l’uomo il cui colore mutava a
seconda del tempo atmosferico.
“Come
sarebbe a dire?!” si stupì Thesan.
“Credo
sia ora per loro di porre un punto a tutto questo” aggiunse
Nebu, che portava
la barba lunga e riccia, piuttosto disordinata.
“Nebu!
Mi stupisco di te!” esclamò Kama.
“Io
mi stupisco di tutti quanti voi!” sbottò Whope,
una ragazza vestita di chiaro
“Dovremmo aver posto un freno a tutta questa guerra al suo
nascere, altro che
starcene qui in panciolle a dormire!”.
“Ma
stai zitta, ragazzina pacifista. Sei l’ultima arrivata
qui!” la minacciò
Saxnot.
“Non
voglio sentirvi litigare” esclamò Rashnu
“Quello che vi chiedo è semplice:
pensate sia giusto intervenire, oppure facciamo come abbiamo fatto fin
ora?”.
“Io
son per la seconda opzione” annuì Ilmarinen, un
uomo che pareva piuttosto
anziano.
“Ma
così tutto questo non si fermerà mai!”
protestò Whope.
“Così
sia. Devi imparare a guardare al di sopra di certe cose”
commentò Adraste.
“Ma
noi non siamo al di sopra. Facciamo parte di questo mondo esattamente
come tutte
le altre classi, quasi tutti noi ne facevamo parte!”.
“Propongo
di verificare come procede questa alleanza” parlò
Nabu “Ed intervenire solo se
ci rendiamo conto che la situazione sta precipitando. È
inutile esporci, anche
perché non sappiamo come potrebbero reagire
nell’apprendere dell’esistenza di
creature come noi”.
“Potrebbero
allearsi tutti contro di noi” notò Clio.
“Che
facciano. Li schiaccerò come tante mosche lagnose”
fu il commento di Reahu.
“Reahu!”
lo ammonì Rashnu, senza però alzare la voce
“Controllati!”.
“Come
può controllarsi? Lui non ha un’anima”
lo prese in giro Tarhunt, ridacchiando.
Reahu
non gli spaccò la faccia solo per il poco tempo trascorso
dall’ultima ramanzina
di Rashnu. In compenso mutò di colore, facendo intendere che
non era affatto
felice di ciò che gli era stato detto.
“Nabu
ha ragione” disse, sforzandosi di tornare gradatamente al suo
colore chiaro
“Inutile esporsi.
Non ancora, perlomeno.
Meglio evitare di cercar rogne di nostra spontanea
volontà”.
“La
maggior parte di voi è d’accordo con queste
parole?” volle sapere Rashnu,
contando rapidamente tutte le teste che annuivano.
La
maggioranza. Perfetto. Qualcuno protestò vivacemente ma poi
si zittì, capendo
che non sarebbe stato ascoltato.
“Interverremo
quando e se la situazione sarà critica. Se si dovesse
verificare qualche
cambiamento, ci riuniremo di nuovo, questa volta con anche gli altri di
noi,
non solo quelli che vivono qui, e decideremo il da farsi”
concluse il padrone
di quel luogo, spostando l’attenzione sull’ultimo
argomento, che più di
qualcuno pareva aver capito.
Non
parlò subito, distratto da una voce dal giardino che cantava.
“Il
terzo punto…” riprese, scendendo dalle nuvole
“…è, ovviamente, il nuovo
arrivato. A qualcuno non piace stia qui ma, ve lo dico subito, non lo
caccerò
via”.
“E
quale sarebbe la questione allora?” incrociò le
braccia Saxnot “Quello è qui da
pochi giorni ed ha già fatto danni!”.
“Quello,
come piace chiamarlo a te, è il figlio di Ipalnemoa ed ha
ereditato il suo
potere, ne sono più che certo”.
“E
come puoi esserlo? Hai qualche prova?”.
“L’anima
che porta appresso. L’ha evocata lui, da solo, senza nemmeno
rendersene conto”.
“Credevo
fossi stato tu a concedergliela”.
“Al
contrario. La sua determinazione è stata così
grande da portarmela via ed appropriarsene”.
“Non
lo so, non mi convince. È comunque un mezzosangue che ha
passato tutta la vita
a fare lo stregone soltanto, senza alcun segno di risvegli di altri
poteri.
Potrebbe anche essere soltanto uno stregone molto, molto
forte”.
“Pure
io ho passato molti anni fra i signori della natura, ignorando
completamente
chi fossi in realtà, Saxnot. Mi stai forse dicendo che non
sono degno di stare
qui?”.
Le
dita di Rashnu si mossero lentamente sul bracciolo della poltrona dove
sedeva e
si udì un forte ululato, seguito da molti altri.
“Mai
detto questo, principe” si allarmò Saxnot,
conoscendo il caratterino dei lupi
di Rashnu.
“Molto
bene. Direi che abbiamo stabilito che lo stregone può
restare”.
“Sì,
va bene, ok. Ma ha comunque bisogno di un freno!”.
“Questo
è il terzo punto di cui vorrei parlarvi. Gli serve una
guida, un aiuto, un
maestro, per poter risvegliare pianamente tutto il suo potere in
sicurezza e
controllo. Ha moltissime cose da imparare, che non può
apprendere di certo da
solo. Io non posso occuparmi direttamente di lui, perché
sapete bene che passo
la maggior parte del tempo fuori da casa, perciò vorrei
sapere chi fra di voi
se la sente di fargli da insegnante”.
“Da
babysitter, vorrai dire!” ghignò Tarhunt.
“Da
quello che volete. Scegliete voi il temine, ma qualcuno deve
occuparsene, come
qualcuno si è preso cura di voi quando siete arrivati
qui”.
“Direi
che la cosa migliore è far scegliere
l’allievo” parlò Nabu, con fare solenne.
“Far
scegliere Ihanez? Perché?”.
“Perché
di certo avrà avuto modo di conoscere qualcuno di noi ed
avrà provato delle
simpatie. Non possiamo obbligare due persone che non vanno
d’accordo a passare
quasi tutta la giornata insieme. La cosa migliore, è che sia
lui stesso ad
indicare una sua preferenza”.
“Benissimo.
In questo caso: fate entrare Ihanez. Egres, puoi pensarci tu, per
favore?”.
“Io?
Va bene, ma posso sapere perché proprio io?”.
“Credo
ci sia una cosa che devi vedere, fuori in giardino”
● ●
●
“E
così, tu sei il nuovo arrivato” domandò
una bimba, spiando Ihanez.
“Sì.
Mi chiamo Ihanez. E tu come ti chiami?”.
“Io
sono Aura. E lui è mio fratello Aer”.
“Piacere
di conoscere entrambi”.
“Tu
che cosa fai?”.
“In
che senso?”.
“La
mia mamma fa scendere la notte e può farti fare gli incubi.
Anche i bei sogni.
Mentre il mio papà fa i desideri e dà
forza”.
Ihanez
non capì del tutto quel discorso, ma sorrise a quei due
bambini. Erano piccoli,
non dovevano avere più di sei anni. Anche se erano gemelli,
il loro aspetto non
aveva punti in comune. Lei era chiara di capelli e di pelle, vestita in
tonalità pastello. Lui, invece, era piuttosto scuro e
vestiva di colori accesi.
“Come
si chiamano la tua mamma ed il tuo papà?”
domandò lo stregone, sforzandosi di
imparare nomi e facce il più in fretta possibile.
“Papà
è Pothos e mamma è Omikhle”.
“Li
riconosci perché mamma è sempre in nero e
papà è grande, grande” si intromise
il bambino.
“Oh,
ho capito chi sono!”.
“Quindi
tu non sai ancora qual è il tuo potere speciale?”
riprese la bimba.
“No,
non ancora. E non so se lo avrò mai, sinceramente”.
“Se
sei qui, allora lo avrai. Rashnu non sbaglia mai”.
“Bene.
Mi fido, allora”.
“Nemmeno
noi sappiamo qual è il nostro potere speciale, ma lo
scopriremo”.
“E
quando si risveglierà, saremo ammessi alla riunione dei
grandi” quasi gridò il
bambino.
Erano
tutti e tre in giardino. Ihanez aveva finito di sistemare i danni che
erano
stati provocati dalla lite fra lui e Reahu ed era piuttosto stanco. Ma
non se
la sentiva di lasciare due bambini da soli, senza nessuna supervisione.
Dopo
alcuni momenti di gioco, si sentì l’ululato di un
lupo. I piccoli parvero non
farci nemmeno caso. Lo stregone girò le orecchie a punta,
piuttosto
preoccupato.
“Tu
hai le magie? Sei uno stregone?” domandò Aer,
distogliendolo dai suoi pensieri..
“Sì,
esatto”.
“Anch’io
faccio le magie! Tu come le fai?”.
“Come
faccio che cosa?”.
“Le
magie. Usi le parole? Fai disegni?”.
“Dipende
da quel che devo fare”.
“Hai
mai provato a cantare?” si intromise Aura.
“Cantare
che cosa?”.
“Le
parole magiche! Se le canti, sono più forti”.
“Non
ho mai provato, sinceramente”.
“Prova
adesso! Guarda cosa faccio io!”.
La
piccola si avvicinò ad un grosso fiore ancora in bocciolo,
posto all’ombra di
un albero enorme. Iniziò a cantare, Ihanez rimase incantando
sentendone la
bellissima voce, ed il fiore si schiuse.
“Ecco.
Visto? Ricordi le parole che ho detto? Prova tu”.
“Io
non credo di essere particolarmente dotato nel canto, non sono della
classe
degli artisti e non ho mai cantato in vita mia!”.
“Non
ti sente nessuno! Tranne noi, ma giuriamo di non raccontarlo a nessuno
se sei
stonato. Prova. Papà dice sempre che bisogna fare sempre
almeno un tentativo”.
Ihanez
sorrise. Dopotutto era vero, non ci vedeva niente di male nel cantare
ad un
fiore! Accanto a quello appena sbocciato, ce n’era un altro
ancora chiuso.
“Promettete
di non ridere” disse ai due bambini, ed i piccoli annuirono.
Gli
veniva un po’ da ridere, ma alla fine raggiunse il grado di
concentrazione
necessaria. Respirò a fondo ed iniziò a cantare
le parole che Aura aveva usato.
Si stupì del fatto che la sua voce non fosse affatto male,
anzi la trovò
piuttosto piacevole. Il fiore iniziò a brillare e si
aprì, ma quella luce non
cessò e si arrampicò lungo il tronco del grosso
albero sotto cui stavano. La
pianta fiorì immediatamente, riempiendo l’aria di
un profumo magnifico.
“Wow”
commentò la bambina, dopo qualche istante di silenzio, senza
però mostrare
emozione nella voce “Ora capisco perché sei
qui”.
“Forte.
Chissà che dirà Egres” sorrise Aer.
“Perché?”
domandò Ihanez.
“Lui
cura le piante del giardino. Le mette nella terra, le fa crescere,
controlla i
fiori, i frutti eccetera. Chissà cosa
dirà”.
“Credi
che si arrabbierà? Perché ho già fatto
arrabbiare abbastanza persone in pochi
giorni”.
“No.
Egres non è cattivo. Credo sarà felice. Lui
è sempre felice quando un albero fa
i fiori”.
“Ihanez”
chiamò proprio Egres, che fece per continuare la frase ma
rimase senza parole,
vedendo come l’albero più grande del giardino
fosse fiorito così, tutto ad un
tratto.
“Ihanez
lo ha fatto fiorire!” sorrise Aura “Grazie a me che
l’ho fatto cantare!”.
“Davvero,
Ihanez? Tu davvero
lo hai fatto fiorire
da solo?” si stupì Egres, col naso
all’insù.
“Sì,
è così strano?”.
“Strano
non direi. Ma non è cosa da tutti”.
“Spero
che la cosa non ti infastidisca”.
“Infastidirmi?!
Ragazzo, perché dovrebbe? È un segno del tuo
potere, è grandioso! Ad ogni modo,
ero venuto qui per chiamarti. Ti vogliono alla riunione”.
“Perché
lui sì e noi no?” protestò Aer.
“Perché
tu sei ancora piccolo. Non ci vorrà molto, ve lo riporto
subito il vostro compagno
di giochi” sorrise Egres, trascinando Ihanez per il giardino.
● ●
●
“Mi
volevate?” mormorò Ihanez, rimanendo in piedi
sulla porta, mentre Egres
riprendeva il suo posto a tavola.
“Che
è successo?” domandò una donna dagli
accesi capelli rossi di nome Gabija,
notando lo sguardo un po’ strano di Egres.
“Ha
fatto fiorire l’albero grande” si limitò
a dire l’interpellato, lasciando che i
commensali si stupissero quanto lui.
“La
fortuna del principiante” commentò, acido, Tarhunt.
“L’invidia
del vecchio” lo zittì, sorridendo beffardo, un
ragazzo vestito dei colori della
sera.
“Monimos!”
lo rimproverò velatamente la madre, Kuma, una donna
intermente grigia, sia nel
vestire che nel colore della pelle.
“Ragazzo”
interruppe le questioni Rashnu “Ti abbiamo chiamato per dirti
che abbiamo
stabilito definitivamente che puoi restare. Scegli, fra noi, chi
sarà il tuo
maestro. Colui, o colei, che ti guiderà nel cammino che
porterà al totale
risveglio delle tue reali capacità”.
“Io?
Lo devo scegliere io?”.
“Nessuno
meglio di te conosce se stesso, Ihanez. Devi trovare fra noi la persona
che
senti più vicina, quella che secondo te saprà
illuminarti la strada, quella di
cui fidarti e obbedire. Non c’è fretta. Non devi
scegliere oggi, ora. Prenditi
il tempo che ti serve, conoscici meglio. Sei qui da poco, ti ci
vorrà del tempo
per poter apprendere gli aspetti fondamentali di ognuno di noi, come
per noi ci
vorrà del tempo per imparare delle cose su di te che
poi…”.
“Mi
scuso per l’interruzione, ma non credo che mi
servirà tempo per decidere”.
“Davvero?
Hai già preso la tua decisione?”.
“Sì.
Ma prima volevo ringraziare tutti quanti voi per avermi accolto qui. E
mi scuso
per i casini che ho combinato e che combinerò. Il mio
maestro diceva sempre che
ero un pasticcione dotato di grande talento”.
“A
fare pasticci?” domandò Hike.
“Anche”
annuì Ihanez, mostrano ora un certo controllo nei confronti
delle volute
provocazioni.
“Se
credi di essere già in grado di scegliere, allora avanti,
dicci chi sarà la tua
guida” riprese Rashnu, facendo cenno ad Hike di fare silenzio.
“Reahu”
rispose lo stregone, come se fosse qualcosa di scontato.
La
sala si ammutolì, trovando quasi tutti quell’uomo
un pazzo dal pessimo
carattere.
“Divertente,
Ihanez” commentò Reahu “Scusa se non
rido ma, sai, senza parte dell’anima non
mi è concesso farlo”.
“Non
sto scherzando!” continuò il nuovo arrivato
“Io sento che puoi comprendermi,
sento che puoi capire il mio modo di agire e di pensare. Ti ho visto
illuminare
il cielo e creare una stella da lanciarmi contro. E poi i fulmini. Io
non
conosco le capacità della maggior parte dei presenti, ma
conosco le tue e le
trovo straordinarie”.
“Grazie”
non trovò altro da dire Reahu.
“Sarei
onorato se fossi tu ad aprirmi la strada in quello che stando a voi
è il mio
futuro certo”.
“Se
è quello che desideri, accetto. Però, ti avviso
fin da subito, che non sono una
persona buona. Non ti sarà facile sopportarmi”.
“Sono
pronto. Non ho mai avuto insegnanti facili”.
“Io
non provo pietà, gioia, stanchezza, speranza ed altre
piccole cose che tu,
anima integra, puoi provare. La comprensione dei sentimenti non rientra
fra le
mie doti più spiccate. Questo mi rende più simile
ad una statua di pietra
piuttosto che ad una creatura come te, come loro. Sei pronto ad
affrontare
anche questo?”.
“Certo”.
“Veramente
la cosa non ti spaventa?”.
“No”.
“Ammiro
il tuo coraggio” ridacchiò Pothos.
“Buona
fortuna, pivello. Ti sei scelto proprio un bel bastardo con cui avere a
che
fare!” incrociò le braccia Tarhunt, chiudendo gli
occhi, divertito.
Un
lampo seguito da un potente tuono squarciò il cielo sereno
e, riaprendo le
palpebre, l’uomo notò lo sguardo furioso e dorato
di Reahu, divenuto
d’improvviso con la pelle del tutto nera.
“Calma”
sorrise Rashnu, scuotendo la testa.
A
volte aveva l’impressione di stare in un grande asilo, o un
manicomio.
“Hai
fatto la tua scelta, Ihanez” riprese, quando le acque si
furono calmate “Dato
che Reahu ha accettato l’incarico, sei ufficialmente suo
allievo. Puoi andare
adesso”.
Ihanez
lasciò la stanza, con un inchino. Molti non nascosero la
propria perplessità,
Reahu compreso, ma Rashnu li zittì, sciogliendo la riunione
e lasciando liberi
i presenti di andare dove meglio preferissero. Era mattino ormai
inoltrato, e
molti erano indietro con le proprie mansioni, compreso lui stesso, che
fissò
l’orologio a pendolo con un certo disappunto.
“Clio”
fermò la ragazza, prima che se ne andasse “Posso
parlarti?”.
“Sì,
principe” rispose lei, imbarazzata.
“Tu
sei una persona molto dolce, lo so per certo. Sei brava ad entrare in
armonia
con le persone, dare loro consigli, sostenerle e guidarle”.
“Sul
serio?” arrossì lei.
“Per
questo vorrei affidarti un compito. Il nuovo arrivato ha bisogno di
sostegno,
di appoggio. Si è scelto un ottimo maestro. Credo che
nessuno meglio di Reahu
possa capirlo e guidarlo. Ma tu sai bene che in quanto a rapporti
interpersonali quell’uomo non è ferratissimo e
penso che Ihanez avrà bisogno
anche di qualche aiuto psicologico, soprattutto adesso che si deve
ambientare,
che soffre per un lutto ed è spaesato. So che tu saprai
essere di grande aiuto
e, inoltre, confido nella tua capacità di saper porre un
freno agli eccessi di
Reahu”.
“Se
è questo che desiderate, signore, lo
farò”.
“Niente
signore, per favore! Sono Rashnu, e basta. Confido poi che
potrò ricevere molti
più aggiornamenti sui progressi dello stregone da te,
piuttosto che da Reahu e
da Ihanez stesso. La tua capacità di osservazione
è notevole e la tua memoria è
di certo migliore rispetto a quella di chiunque altro qua dentro. Non
ti
perderai nemmeno un dettaglio”.
“Li
devo spiare?”.
“Assistere”.
“Lo
farò”.
“Grazie”.
Rashnu
uscì dalla stanza e Clio lo seguì con lo sguardo,
senza capire bene a che gioco
stesse giocando. Lo vide allontanarsi in fretta, in groppa ad uno dei
suoi lupi
ora divenuto enorme e circondato dagli altri, di dimensioni normali.
Avvolto da
un pesante mantello nero che ne copriva il viso, riuscì a
scorgere la
luminosità degli occhi arancio di lui, e poi il bianco del
suo sorriso. Le
aveva sorriso? Le aveva sorriso veramente.
Kama
e Kadesh si fissarono, compiaciuti, sfiorando con la mano la spalla di
Clio, e
tornarono alle loro stanze.
“Straordinario”
commentò Ihanez, avendo visto anche lui andar via di corsa
Rashnu “Deve
possedere un’energia inimmaginabile”.
“È
il nostro capo” commentò Clio “Ti
consiglio di raggiungere Reahu al più presto.
Non è la persona più paziente del
mondo”.
“Grazie
per l’aiuto”.
“Son
sempre qui per darti una mano”.
“Sento
che io e te saremo ottimi amici, Clio”.
“Bene.
Gli amici vanno sempre comodo”.
● ●
●
“E
così…” commentò Reahu,
guardando in su “…hai fatto fiorire questo
bestione
cantando”.
Allievo
e maestro stavano seduti, a gambe incrociate, all’ombra
dell’albero grande del
giardino. Era pomeriggio inoltrato e fino a quel momento Reahu aveva
volutamente ignorato il nuovo arrivato, probabilmente per riordinarsi
un po’ le
idee e decidere sul da farsi. Era da davvero troppo tempo che non aveva
un
allievo.
“A
quanto pare…” mormorò Ihanez, che aveva
seguito pazientemente Reahu per
l’intera giornata, in silenzio, come consigliato da Clio, in
attesa di un suo
ordine o cenno.
“Sei
stato bravo”.
“Grazie”.
Nel
silenzio che seguì, l’allievo osservò
il maestro mentre trafficava con
l’accendino e si accendeva una sigaretta.
“Non
oso immaginare cosa sia in grado di fare tu, cantando”
parlò, dopo un po’.
“Scusa?
Una domanda” borbottò Reahu “Al tuo
maestro dai del Tu?”.
“No,
in effetti no. Domando scusa”.
“Meglio.
Ad ogni modo, vedrai stasera cosa sono in grado di fare”.
“Davvero?!
Non vedo l’ora” spalancò gli occhi
Ihanez, sporgendosi in avanti, in un attacco
d’entusiasmo che fece indietreggiare Reahu con il busto.
Tornò
calmo, un po’ in imbarazzo, e scese di nuovo il silenzio.
“A
cosa pensavi?” parlò Reahu, dopo un po’.
“Quando?”.
“Quando
hai cantato”.
“Alle
persone che ho perso”.
L’allievo
chinò il capo, con gli occhi lucidi. Erano cambiate
moltissime cose, ma erano
trascorsi solo pochi giorni da quando aveva visto morire il suo maestro
e la
donna che amava. Reahu lo osservò e poi guardò i
fiori.
“Io
non sono più in grado di provare molte cose, Ihanez, ma
ricordo il dolore
lancinante che resta dentro quando perdi ogni cosa. Per questo credo
che, al
momento, sia meglio per te un periodo di tranquillità.
Ambientati, prendi il
tuo tempo e, quando sarai pronto, inizieremo le lezioni”.
“Credo
che aspettare complicherebbe solo le cose”.
“Interessante.
È la stessa risposta che ho detto io a tuo padre. Ma nel mio
caso era diverso”.
“Non
soffrivi più?”.
“Soffrivo.
Molto. Ma lo sguardo di tuo padre aveva qualcosa che non riesco a
spiegarti,
che mi ha dato forza. Io so di non avere quello sguardo”.
“Mio
padre era il tuo maestro? Era bravo?”.
“Lo
era, prima di sparire. Poi ho dovuto arrangiarmi da solo. Non
è stato un
problema, le basi me le aveva date e, senza un’anima,
confesso amaramente di
non aver provato neppure nostalgia”.
“Prima
iniziamo e prima starò meglio. Devo tenere la mente
occupata”.
“Come
vuoi ma, se scegli questa strada, sappi che quando ti fermerai il
dolore da cui
fuggi ti raggiungerà. Prima o poi lo dovrai
affrontare”.
“Quando
sarò abbastanza forte da farlo”.
“Mi
piace la tua determinazione”.
Clio
arrivò fra i due con un vassoio, sorridendo.
“Volete
un po’ di tè?” domandò,
sedendosi sull’erbetta verde brillante.
“Ma
guarda chi è arrivata…la galoppina di
Rashnu!” commentò Reahu.
“Non
sono la galoppina di Rashnu!” protestò lei,
versando la bevanda in tre tazze.
Tarhunt,
che fino a quel momento si era tenuto a distanza, vide Clio e si
avvicinò.
Sapeva che Reahu avrebbe dovuto controllarsi in presenza di lei, per
non
rischiare rimproveri da parte di Rashnu. Sedette accanto al nuovo
arrivato.
“Ragazzo…”
parlò “…ci tenevo a farti sapere che ti
stimo. Però non so quanto tempo
riuscirai a sopportarlo, sai? Al tempo, ci riusciva solo quel santo del
tuo
papà!”.
“Smettila!”
sibilò Reahu.
“Scommetto
che fra qualche giorno impazzirete entrambi e la cosa non
andrà in porto. Non
riuscirai a risvegliare questo ragazzo, con il carattere che ti ritrovi
e con
le tue spiccate doti empatiche. Ovviamente sono sarcastico
sull’ultimo punto”.
Reahu
scatto e gli spense la sigaretta sulla mano, praticamente ringhiandogli
in
faccia.
“Bastardo!
Clio, hai visto cosa ha fatto?”.
“Io
non ho visto niente” mentì Clio, dedicandosi al
tè.
“Benissimo.
Sarò io stesso a riferire a Rashnu quanto
accaduto” si alzò Tarhunt,
allontanandosi in fretta, con aria offesa.
“Lagna!”
lo schernì Reahu.
“Basta,
bambini!” zittì entrambi, Clio.
“Perché
c’è tanto odio fra di voi?”
domandò Ihanez.
“Un
tempo eravamo entrambi seguiti da tuo padre ed andavamo
d’accordo. Quando è
arrivato Tate, una decina di anni fa, ci siamo accorti che le sue
capacità
potevano essere simili a quelle che avevamo entrambi. Rashnu lo
affidò a me,
essendo io il più anziano, e questo fece ingelosire Tarhunt,
che fece tutto il
possibile per dimostrare che io non ero il più adatto a fare
l’insegnante, la
guida, di un giovane. Ci è riuscito, e si è
occupato lui di Tate”.
“Come
ci è riuscito?”.
“Facendomi
imbestialire e facendo sì che il mio allievo si spaventasse
a morte”.
“E
in che modo?”.
“Non
farmici pensare, per favore. Tate ci ha messo un sacco prima di
riuscire di
nuovo guardarmi senza tremare”.
“Io
ti ho già visto arrabbiato, perciò non
può fare la stessa cosa”.
“Tu
non hai visto ancora niente, neofita. Ad ogni modo, questa volta Rashnu
è stato
previdente e ci ha affidato una mediatrice d’eccezione. Vero,
Clio?”.
Clio
preferì non rispondere e, finito il tè,
poggiò la tazza sul vassoio.
“Grazie
per la merenda, Clio” ringraziò Ihanez, ripetendo
lo stesso gesto.
“Di
niente, Ihanez”.
Reahu
stava riservando tutte le sue attenzioni ad una farfalla, che trovava
interessanti i fiori dell’albero gigante. Clio sorrise a
quella scena.
“Vi
lascio da soli. Non fate disastri, ok?” parlò lei,
rialzandosi e portando via
vassoi e tazze.
“Non
dimenticarti di guardare fuori questa sera, mia cara” le
disse Reahu,
continuando a seguire la farfalla con lo sguardo.
“La
tua sera, Reahu, non me la perderei per nulla al mondo”.
● ●
●
Il
Sole tramontò in fretta, o perlomeno così parve a
Ihanez. Rimasti l’intero
pomeriggio sotto l’albero a chiacchierare del più
e del meno, d’un tratto
l’allievo vide il maestro alzarsi. Senza dire una parola,
Reahu scattò in piedi
e si stiracchiò.
“Ora
di andare, nuovo arrivo. Vedrai, ti piacerà”.
L’allievo
seguì la sua guida, sollevandosi da terra e raggiungendo il
tetto. Videro
Rashnu rientrare, seguito da altri come Gabija ed il suo compagno.
“Bentornato,
principino” lo salutò Reahu, in piedi e con uno
sguardo fiero, quasi
soddisfatto.
“Buon
lavoro. Divertiti” gli rispose il padrone di casa.
“Cos’ha
di speciale questa sera? Perché tutti sembrano
aspettarla?” domandò Ihanez.
“Mai
guardato la notte delle stelle cadenti, new entry?”.
“Certo”.
“È
stanotte”.
Ihanez
non se n’era accorto. Aveva avuto tanti di quei pensieri in
testa che proprio
gli era sfuggito.
“Oggi
è la serata di massima attività, e quindi mi
è concesso darmi alla pazza gioia.
Stai a guardare” spiegò Reahu, mentre Ihanez
notava il raduno in giardino degli
abitanti della casa.
“Sono
tutti lì a guardare te?” volle sapere.
“A
guardare le stelle”.
“Intendi
dire che sei tu che ogni anno crei lo spettacolo delle stelle cadenti?
Ma è
magnifico!”.
“Adesso
stai calmo, e rilassati. Stando qui, ti concedo il posto
migliore”.
Ihanez
annuì ed andò leggermente indietro, lasciando
spazio al maestro. Reahu attese
ancora un po’ che la luce del tramonto si affievolisse. Poi
respirò
profondamene, chiudendo gli occhi. Lo stregone vide il suo maestro
illuminarsi
ed immagazzinare energia. La Luna era sorta, un piccolo spicchio.
Pareva che la
tensione si stesse accumulando nell’aria, Ihanez lo
percepiva. L’elettricità,
la magia, la forza del suo maestro erano ad un livello tale che gli
pareva
quasi di poterle toccare con mano. Poi Reahu riaprì gli
occhi, ghignando al suo
allievo, e gridò. Un unico suono, un’unica nota,
che vibrò fra i presenti.
Rashnu sorrise.
“Ha
tanti difetti, non si può negare, ma la sua voce
è magnifica” commentò Kama.
La
nota continuò, riempiendo il cielo, e la notte si
illuminò con le scie delle
stelle cadenti. Ihanez rimase senza fiato. Al piano di sotto, in
giardino,
anche tutti gli altri occupanti di quella dimora osservavano la scena,
sorridendo. Chi era in coppia, se ne stava accanto a chi amava. Ognuno
di loro
aveva almeno un desiderio da esprimere.
“Prova
anche tu” parlò Reahu, guardando Ihanez.
“Io?
Come?”.
“Segui
la nota. È ancora nell’aria”.
Lo
stregone si concentrò e cantò. Non avendo la
stessa energia e le stesse
capacità e solo alcune stelle cadenti apparvero a suo
comando. Avevano un
colore leggermente più spento rispetto alle altre, ma erano
le sue stelle
cadenti. Esultò, piuttosto orgoglioso.
“Non
se la cavano male quei due, dopotutto” commentò
Clio.
“Già,
hai ragione” le rispose Rashnu, sorridendole ed esprimendo
chissà quale
desiderio, mentre il maestro e l’allievo si alzavano in volo.
● ●
●
“Guarda
anche tu, vieni” parlò Gudis, invitando la sorella
a guardare dal telescopio.
“Sono
magnifiche” sorrise Veda “E così
luminose”.
“Già.
E ogni anno, pensa, lo stesso giorno si ripresenta questo spettacolo.
La natura
è davvero magnifica, non trovi?”.
“Pensi
mai che ci sia qualcuno dietro a tutto questo?”.
“Qualcuno?”.
“Sì,
che non sia solo una questione di scienza ma che qualcuno crei tutto
questo”.
“Oh,
sorellina, sono solo meteoriti, ce ne sono a migliaia per
l’universo. Nella
giornata odierna si vedono di più per via della posizione
del nostro pianeta,
non c’è nessun’essere fisico vero e
proprio dietro a tutto questo”.
“Nessuno?
Peccato, mi sarebbe piaciuto. Dicono che Ogmios faccia qualsiasi
cosa”.
“Ogmios
è una favola, sorellina”.
“Ogmios
è un Dio! Il signore supremo di questo mondo”.
“La
religione è qualcosa di cui preferisco non
parlare”.
“Io
ci credo, Gudis”.
“Ed
io non ti impedirò di farlo”.
Tornarono
ad osservare le stelle cadenti, incantati, assieme ad altri ragazzi del
paese.
“Credi
che Ihanez stia guardando tutto questo?” domandò
Veda.
“Certo.
Ne sono assolutamente sicuro”.
La
ragazza sorrise, mentre proprio suo fratello sfrecciava per il cielo,
seguendo
il suo maestro, troppo in alto perché qualcuno potesse
riconoscerlo.
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Capitolo 7 *** VII- addestramento ***
VII
ADDESTRAMENTO
“Principessa,
fuori dal letto!” si sentì dire Ihanez.
Lo
stregone aprì gli occhi pigramente. Era ancora piuttosto
buio fuori, l’alba o
forse ancora l’aurora. Borbottò chiedendosi che
ore fossero e, quando riuscì a
mettere a fuoco l’orologio alla parete, sprofondò
la testa nel cuscino,
gemendo.
“È
prestissimo! Sparisci, torna fra almeno due ore!”
sbottò.
“Vieni
subito fuori dal letto, se non vuoi che mi arrabbi sul
serio!”.
“Ma
tu non dormi mai? Siamo andati a letto molto tardi ieri”.
“No,
io non dormo mai. E comunque me lo hai detto tu che prima iniziavi
l’addestramento e meglio ti saresti sentito”.
“Non
intendevo in questo senso!”.
“Sbrigati.
Devi pure fare colazione tu, signorino anima integra. Quando hai
finito, mi
trovi nella mia stanza. Sai qual è”.
Ihanez
sentì i passi di Reahu allontanarsi per il corridoio.
Sbirciò da sotto il
cuscino e, dopo un po’, si decise ad alzarsi. Si
vestì e scese al piano di
sotto, per fare colazione. Già molte persone della casa
erano sveglie, anche se
poche stavano mangiando.
“Buongiorno.
Che mattiniero!” commentò Thesan.
“Non
per scelta mia” mugugnò Ihanez, ancora mezzo
addormentato.
“Reahu
è fatto così. Và a giornate. Ogni
tanto rompe le balle presto, e a volte non si
fa sentire fino a pomeriggio inoltrato”.
Ihanez,
di tutta risposta, sbadigliò e sedette a tavola, accanto al
vassoio dei
croissant.
“Serviti
pure” sorrise Kama “Ce ne sono altri”.
Lo
stregone veramente aveva ancora lo stomaco addormentato, ma sapeva che
in mano
a Reahu avrebbe avuto bisogno di energia. Iniziò a mangiare,
spalmando
marmellata su un cornetto che ne aveva fin troppa
all’interno, e l’addentò
soddisfatto. Passandosi il bricco del caffè, i commensali
parlavano del più e
del meno, fino a quando Rashnu entrò nella stanza.
“È
tardi!” si limitò a dire, entrando di corsa ed
afferrando al volo qualcosa da
mangiare “Thesan, perché non mi hai
svegliato?!”.
“L’ho
fatto”.
“Non
è vero!”.
“Avete
anche risposto! Con un mugugno…”.
“Un
mugugno non è una risposta! La prossima volta, sii
più insistente”.
“Verrò
con la tromba”.
Il
padrone di casa bevve al volo una tazza di caffè amaro,
trovandolo disgustoso
ma non avendo tempo per il latte e lo zucchero, ed afferrò
un paio di biscotti,
lasciando la sala.
“Non
ti allarmare” parlò Thesan, notando
l’espressione interrogativa di Ihanez
“Quasi ogni mattina qui è così. Non
possiamo farci niente. Se insiti nel
chiamarlo la mattina, poi si arrabbia e dice che ha sentito
benissimo”.
“Capisco…”
sorrise lo stregone, immergendo un’altra merendina in una
grossa tazza colma di
latte.
“Hai
parecchio appetito!” commentò un uomo dagli accesi
capelli rossi, che fin ora
Ihanez aveva solo intravisto a palazzo.
“Non
ho mangiato un granché in questi giorni ma ora, sforzandomi
di ingoiare almeno
un boccone, ho risvegliato lo stomaco. Cambiando argomento, non mi
sembra di
essermi presentato personalmente con voi”.
“Io
sono Kinich Karmo. Sono il marito di Gabija, la donna sempre in rosso,
con i
capelli simili ai miei, e padre di due delle ragazze della casa: Whope
e
Belisama”.
“Le
due ragazze vestite di bianco che luccicano?”.
“Proprio
loro”.
“Buonanotte
a tutti” parlò Omikhle, rimanendo
sull’uscio e poi sparendo sul corridoio, una
volta ricevuto il saluto dei presenti.
“Lei
controlla il buio, me lo hanno detto i suoi figli, e anche i sogni.
Voi,
invece, che fate?”.
“Io
e mia moglie siamo legati al fuoco ed al Sole”
spiegò Kinich Karmo.
“Io
guido l’aurora e, assieme ad Idun, porto la vita. La seconda
mansione è
temporanea” parlò Thesan, sparecchiando la sua
tazza e ripulendo le briciole.
“Momentanea?
In attesa di cosa?”.
“In
attesa che colui che ha per mansione la vita ritorni”.
“È
il padre di Rashnu, vero? E lui che fa? Perché va via tutte
le mattine?”.
“Se
lui non te lo ha detto, non posso farlo io”.
“Perché?”.
“Perché
Rashnu ha una curiosa politica della privacy e non voglio interferire
con essa,
anche perché Rashnu incazzato non è un bello
spettacolo”.
“Siete…delle
divinità!”.
“Divinità?!
No, certo che no. Un Dio non ha bisogno di mangiare e dormire. Il suo
potere
resta forte ed inalterato senza bisogno di nulla”.
“Reahu
è un Dio?”.
“Reahu
è senz’anima, è diverso. Ma in effetti
è uno dei più forti di noi. Divinità,
a
questo mondo, ce n’è una soltanto:
Ogmios”.
“Ma
voi svolgete dei ruoli fondamentali per questo universo!”.
“Sì,
ma nessuno di noi è insostituibile. Se uno di noi muore, un
altro prende il suo
posto. Un Dio è una creatura che, se muore, nessuno
può sostituire, il cui
potere è così immenso da venir perso per sempre
se colui che lo possiede si
spegne”.
“Beh,
siete comunque la cosa più vicina ad un Dio che
conosca”.
“Grazie,
ma non arriviamo a tanto”.
“Sei
ancora qui?!” sbottò Clio, entrando nella stanza e
notando Ihanez ancora
spaparacchiato sulla sedia intento a trangugiare zuccheri in eccesso.
“Buongiorno”
rispose lui, fissandola in modo strano e leggermente infastidito.
“Sbrigati!
Reahu ti aspetta, non farlo aspettare!”.
Ihanez
non rispose, continuando a mangiare. Aveva ancora fame!
“Ti
sconsiglio di provocare Reahu” suggerì Tate,
entrato nel frattempo “Lui non ha
un gran senso del controllo e della misura”.
Lo
stregone lo fissò. Quell’uomo, Tate, sembrava un
ragazzo spaventato. Con grandi
occhi azzurri, l’uomo in questione si accorse si essere
guardato ed inclinò il
capo, con aria interrogativa.
“Che
ti ha fatto di così terribile da averne addirittura
paura?” domandò Ihanez.
“Rimani
qui ad abbuffarti ancora per un po’, e lo scoprirai tu
stesso” fu la risposta.
Lo
stregone rimase in silenzio, osservando i capelli argento di Tate che
si
muovevano da soli, scintillando, come al centro di una corrente di
vento
inesistente.
“Vado
subito. Prima un’ultima merendina. E, se non vi dispiace,
porto qualche
biscotto con me”.
“Sbrigati!”
lo incitò Clio.
“Secondo
me, Reahu è fin troppo capriccioso e voi vi adeguate come se
fosse il vostro
padrone”.
“Lo
conosciamo da molto tempo, e sappiamo di che cosa è
capace” commentò Tate, fra
un sorso di caffè ed un altro.
“Davvero?
E allora perché non è lui il vostro capo, dato
che sembra così terribile?”.
“Perché
Rashnu fa ancora più paura”.
“Io
non ho paura di nessuno dei due”.
“Non
farti ingannare da quei due occhi arancio” mormorò
Clio, riferendosi a Rashnu
“Non credere che sia docile e buono come sembra”.
“Lo
so bene che non è né docile né buono.
L’ho visto combattere. Ma da qui ad
averne paura…”.
“Verrà
il giorno in cui ci dirai che avevamo ragione. Ed adesso
sbrigati” tagliò corto
Thesan, obbligandolo ad ingoiare l’ultimo sorso di
caffè e facendolo alzare.
“Tra
quanto pensate che ce lo ritroveremo qui a piagnucolare
perché Reahu lo ha
trattato male?” si chiese Kinich Karmo.
“Suvvia,
abbiate un po’ di fiducia” parlò Clio,
facendo colazione in fretta per tornare
al suo lavoro di controllo di maestro ed allievo.
● ●
●
Il
primo giorno di addestramento di Veda arrivò in fretta.
Assieme a molte altre
ragazze e ragazzi della sua età fu chiamata in un grande
edificio dove le
reclute della sua regione venivano istruite fino al livello successivo.
In
piedi, uno accanto all’altro, con il borsone delle proprie
cose con sé, i nuovi
arrivati attendevano ordini.
“Benvenuti,
inesperti guerrierucoli” parlò loro un uomo,
massiccio e minaccioso, camminando
avanti e indietro ed osservando per bene le reclute.
I
ragazzi non sapevano che rispondere, e rimasero in silenzio.
“Siete
giunti qui perché forse qualcuno vi ha detto che siete
promettenti come
guerrieri. Ebbene, ve lo dico subito, la maggior parte di voi non lo
è e
lascerà questo addestramento molto prima della sua
conclusione, preferendo
andare a coltivare ravanelli. Altri, invece, quando finirà
questo percorso,
avranno superato la soglia dei vent’anni e
saranno pronti a passare alla fase successiva, se degni di
farlo. Non so
quanti di voi marmocchi arriveranno alla fine. Non ho che da dirvi che
io non
vi aiuterò, non sarò gentile con voi e
perciò che nessuno di voi si aspetti
alcun trattamento di favore da parte mia. Chiaro?”.
“Sissignore”
risposero all’unisono le reclute.
“Benissimo.
Adesso vi spiego come funziona qui. I ragazzi saranno
nell’edificio di destra,
le ragazze in quello di sinistra. Non voglio vedere strani viavai fra
una parte
ed un’altra. All’alba verrete svegliati dalle
trombe. Avrete dieci minuti per
essere pronti, con le divise che vi daremo, per la colazione. Si
svolgerà in
tempi brevi e poi inizieranno gli esercizi del mattino, che vi verranno
spiegati durante il pasto. Rancio di metà giornata e poi
altro addestramento al
pomeriggio. Dopo cena sarete liberi di fare quello che preferite,
tranne vagare
da un accampamento all’altro senza permesso. Potete uscire da
qui, divertirvi e
via dicendo. L’importante è che rientriate per la
mezzanotte, altrimenti i
cancelli si chiuderanno e dormirete fuori, con conseguente punizione la
mattina
seguente. Il primo giorno della settimana è libero, niente
addestramento.
Giorno di visite o di ritorno a casa per chi lo desidera”.
“E
per chi non ha nessuno da cui tornare o che può fargli
visita?” domandò un
ragazzo, dall’aria triste e piuttosto confusa.
“Non
è di certo da solo. Qui molti son rimasti soli. Adesso
andate a prendere posto
in accampamento e preparatevi, dopo pranzo inizieremo. Voglio proprio
vedere di
cosa siete capaci”.
Una
campana segnò le ore. Veda sobbalzò. Era da tanto
che non sentiva quel suono.
“Campane?”
mormorò.
“La
cosa ti disturba, recluta?” sbottò
l’uomo.
“No,
affatto, signore. Amo il suono delle campane, ma da molto non avevo
avuto modo
di udirlo”.
“Come
ti chiami, nuovo arrivo?”.
“Veda
Kami, signore”.
“I
tuoi genitori devono essere stati molto religiosi per darti un nome del
genere”.
“Non
lo so. Mio padre non lo ricordo e mamma l’ho sempre vista
malata ed è morta da
anni”.
“Le
campane sono quelle della nostra cappella, al centro
dell’accampamento, dove vi
consiglio di passare del tempo a volte. Il potente Ogmios veglia su di noi
guerrieri, ed è nostro
compito mostrargli la nostra devozione”.
Veda
non rispose, rimase sull’attenti immobile.
“Molto
bene. Andate. Ci vediamo nel padiglione centrale per il pranzo. Fate in
fretta”.
● ●
●
“Ce
ne hai messo di tempo!” sbottò Reahu, vedendo
entrare Ihanez.
“Avevo
una gran fame. Non ne ho colpa se tu questa sensazione l’hai
persa”.
“Possiamo
smetterla di infierire continuamente sul fatto che non ho mezza
anima?”.
“Certo”.
“Avanti,
vieni con me”.
Ihanez
seguì il suo maestro per i corridoi, raggiungendo il secondo
piano, dove vide
solo porte con i sigilli dorati.
“Rashnu
mi ha detto di non entrare in queste stanze”.
“Rashnu
ha detto di non entrare nelle SUE stanze. A me non dà alcun
fastidio se entri
nelle mie, anche se hanno il sigillo d’oro”.
Si
fermarono davanti alla porta blu scura, colore di Reahu, e lui la
aprì, con una
chiave che portava al collo, nascosta sotto la veste.
“Anche
mio padre aveva una stanza quassù?”
domandò Ihanez.
“Ce
l’ha ancora. E quella laggiù, accanto a quella
nera di Rashnu”.
Lo
stregone la guardò. Brillava di migliaia di colori che
mutavano continuamente.
“Vuoi
entrarci? È tuo padre, non ci vedo niente di male”
domandò Reahu.
“Posso?”.
“Se
riesco a recuperarne la chiave, sì”.
“Mi
piacerebbe. Magari così potrei sapere qualcosa di
più su di lui. Non ricordo
nemmeno il suo viso. Ero così piccolo…”.
“Non
è molto diverso dal tuo”.
“Davvero?”.
“Gli
occhi sono diversi, ed immagino che quelli li hai ereditati dalla
mamma. Ma
quei capelli arancio fluo son proprio i suoi. Stupido io che non li ho
riconosciuti subito, appena li ho visti!”.
“Mi
sono sempre chiesto perché chi è dotato di magia
ha i capelli di colori
strani”.
“Strani?
Non direi”.
“Blu
per te son normali?”.
“Son
nato così. Son normalissimi”.
Ihanez
non disse altro. Reahu si sporse e guardò di sotto, verso il
corridoio al piano
terra.
“Thesan!”
gridò.
La
donna non rispose subito e lui insistette, chiamando il suo nome senza
quasi
più fare pause fra uno ed un altro.
“Che
vuoi? Piantala di gridare”.
“Mi
serve la chiave di Ipalnemoa”.
“Non
se ne parla. Perché dovrei dartela?”.
“Il
ragazzo è suo figlio, non ci vedo nulla di male. Lascialo
entrare nella stanza
del padre”.
“Le
regole sono regole. Rashnu mi ha ordinato di…”
“Che
due coglioni anche Rashnu! Dammi quella chiave e basta, o ti
tormenterò fino a
quando non me la darai!”.
“Dagli
quella dannata chiave!” gemette Kuma “O non
lascerà dormire noi che lavoriamo
di notte”.
Thesan
sospirò e sganciò la chiave dalla collana che
portava al collo.
“Però
con Rashnu te la vedi tu. Son disposta perfino a dirgli che mi hai
aggredita
per averla”.
“Non
c’è problema. Dammi la chiave!”.
“Al
volo”.
Lei
lanciò la chiave e Reahu l’afferrò,
sporgendosi in modo innaturale dalla
balaustra.
“Sicuro
che Rashnu non si arrabbierà?” domandò
Ihanez, mentre entrambi si dirigevano
verso la porta dai molti colori.
“Che
si fotta anche Rashnu ogni tanto. Questa stanza appartiene molto
più a te che a
lui!”.
Girò
la chiave nella serratura, che si mosse a fatica per il molto tempo
d’inattività, fino a farla scattare. La porta si
aprì, ed una gran luce li
avvolse per un momento.
● ●
●
Veda,
la prima a prepararsi del suo gruppo, uscì
all’aperto, diretta verso l’edificio
dove servivano i pasti. Rimaste incantata davanti alla piccola cappella
centrale. Era piccina, ma molto curata nei dettagli. Due colonne chiare
delimitavano l’entrata ed il campanile era attorcigliato,
leggermente storto.
Decise di entrarvi, avendo ancora del tempo. Accolta dal profumo di
incenso e
candele, camminò fino all’altare, dove
un’enorme statua sfiorava il soffitto.
Lei la guardò attentamente. Non era così che si
immaginava Ogmios, lì
rappresentato come una creatura imponente, scura, dalla possente
armatura ed il
volto celato dall’elmo. Lo trovò inquietante.
“Non
farti fuorviare da ciò che l’arte umana ha
forgiato” parlò una voce alle sue
spalle “Ogmios è come lo vedi dentro al tuo
cuore”.
“Tu
chi sei?”.
Era
completamente avvolto in un mantello nero, che però tolse,
mostrando il viso.
“Sono
un amico di Ihanez”.
“Sei
Rashnu? Quello che già da un po’ porta notizie a
Gudis?”.
“Esatto.
Ed è stato lui a dirmi che eri qui”.
“Sei
un guerriero? Come sei entrato?”.
“Sono
un po’ di più di un guerriero, ma non sono qui per
spiegarti questo”.
“Devi
andar via. Se ti trovano…”.
“Stai
tranquilla, non succederà”.
“Ma
ti uccideranno! Sei ricercato, l’ho visto!”.
“Molti
mi cercano, ma in pochi sono in grado di trovarmi”.
Veda
guardò quei suoi occhi arancio e sorrise. Aveva ragione
Gudis. Trasmettevano
tranquillità e pace. Si sentiva tranquilla ed al sicuro, con
lui vicino.
“Sono
venuto a portarti di persona i saluti di Ihanez e per dirti una cosa:
rimani te
stessa, ricorda ciò in cui credi e quello che sei ora. Non
farti plagiare da
altri, ed il tuo animo non smetterà mai di brillare come fa
ora”.
“Grazie.
Salutami tanto Ihanez e mi spiace di aver dubitato di te”.
“Non
sei la prima”.
“Hei,
recluta, ti sei persa?” si sentì chiamare Veda.
Si
voltò. Sulla porta stava un ragazzo, di pochi anni
più grande di lei, che le
sorrideva. Sobbalzò, all’idea che Rashnu fosse
stato visto, ma lui era sparito.
“Non
imbarazzarti. Non dirò a nessuno che stavi parlando da
sola” le disse il
ragazzo.
“Da
sola? Ma io…”.
“Avanti,
vieni. O farai tardi proprio il primo giorno”.
Veda
annuì, piuttosto confusa. Si guardò attorno. Alle
pareti vi erano dei quadri
scuri, dimenticati, senza candele a mostrarli, ma quel bambino dagli
occhi
grandi rappresentati su uno di essi aveva un’aria familiare.
● ●
●
Entrarono
nella stanza di Ipalnemoa. La luce si attenuò e Ihanez
rimase a bocca aperta.
Era una sala enorme, decisamente troppo grande per mantenere le
proporzioni con
il resto della casa.
“Dove
siamo?” domandò.
“Sempre
nello stesso posto, sempre a casa, ma queste stanze rispecchiano le
dimensione
magiche del proprio padrone. Per questo ti dico che non è
morto, perché se lo
fosse questa stanza sarebbe vuota e minuscola. Solo che è
piena di polvere, è
immobile da tempo, segno che tuo padre non usa il suo vero potenziale
da un bel
po’”.
“Anche
il padre di Rashnu ha una stanza così?”.
“Quello
ha un’ala della casa tutta per sé. Hai presente
quella grande porta posta alla
fine del corridoio al piano terra? Quella dà accesso
all’ala di quell’uomo, su
tre piani. Giusto per darti un’idea della devastante energia
di quella
creatura, ora latente, non si sa per quale motivo”.
“Ma
nessuno ora è sulle loro tracce? Nessuno li
cerca?”.
“Rashnu,
quando può. Preferisce non mandare altri di noi verso un
destino che non
comprende. Sembra quasi che le loro capacità
dormano”.
“E
non si possono risvegliare?”.
“Solo
se loro decidono di farlo”.
Ihanez
lasciò perdere l’argomento e si guardò
attorno. Non c’era un granché in quella
stanza, ma la luce scorreva continuamente sulle pareti e sul pavimento,
mutando
di colore. C’erano dei libri, grossi volumi su piccoli
pilastri bianchi, chiusi
ed impolverati. Notò un bastone di colore chiaro, appoggiato
alla parete,
attorcigliato ed anch’esso pieno di polvere e luci che
scorrevano.
“Lui
è mio padre?” indicò un grande quadro.
“Esatto.
Ipalnemoa, uno degli uomini che in questa casa possiedono un potere
maggiore e
che è ancora adesso ricordato con rispetto ed
affetto”.
Lo
stregone lo fissò. Gli assomigliava davvero molto, se non
per lo sguardo, che
pareva molto più luminoso e profondo. Non riusciva proprio a
ricordarlo.
“Andiamo
adesso” gli disse Reahu, dopo avergli concesso qualche altro
minuto
d’esplorazione.
Ihanez
annuì. Insieme lasciarono la stanza, che fu chiusa a chiave.
“Ovviamente
questa piccola gita mi auguro non diventi di dominio
pubblico” parlò il maestro
“Non so se mi spiego…”.
“Spiegato
benissimo. Resterà fra noi”.
La
porta blu con il sigillo di Reahu era aperta, e l’allievo non
vedeva l’ora di
entrarci. Non emetteva luce ma strani disegni di colore blu, che
avvolsero i
due quando entrarono. Il cielo stellato era la volta che componeva la
stanza.
Camminando, pareva affondare in una sorta di nebbia blu scura. Reahu raggiunse un tavolo scuro
a gambe spesse,
quasi unite in un’unica forma, su cui fluttuavano un paio di
guanti. Ihanez li
fissò, incuriosito.
“Quello
chi è?” domandò, puntando una grande
statua scura che si ergeva immersa nella
nebbia.
“Quello
è stato il mio predecessore”.
“Che
gli è successo?”.
“Non
te lo racconterò oggi. Sono storie che ti rovinano la
giornata”.
“Ma
io…”.
“Piantala
di fare i capricci! Non sei un bambino, o mi sbaglio?”.
“Siamo
nello spazio?” domandò ancora Ihanez, capendo che
era meglio cambiare
argomento.
“Ti
sembra che lo spazio possa stare in una stanza?”.
“Ma
è una stanza grande”.
“Molto,
ma non abbastanza. Questa è una ricostruzione, che mi
permette di osservare da
vicino le stelle ed i pianeti senza dovermi muovere troppo”.
“E
i guanti?”.
“Amplificano
il mio potere”.
“E
a che ti serve amplificare il tuo potere? Non è abbastanza
già così?”.
“Può
essere. Ma perché complicarsi
l’esistenza?”.
Muovendo
le mani e le dita, Reahu faceva scorrere l’immagine
dell’universo avanti ed
indietro fino a raggiungere ciò che cercava. Ihanez
guardò in su e vide che
solamente una stella non si muoveva mai e brillava più delle
altre.
“Smettila
di fissarla così, sono geloso” sbottò
Reahu, fermando le stelle e spalancando
la mano accanto ad una di esse, grande più o meno come una
pallina da ping
pong.
Con
quel gesto, la fece ingrandire e mutare di colore.
“Perché
fai così?” si incuriosì lo stregone.
“Perché
così vanno le cose. Le stelle nascono e muoiono come noi.
Questa sta
invecchiando e, di conseguenza, mutando”.
Ad
un’altra stella tolse la luce, segno che era giunta alla fine
della vita.
“Ora
ne farai nascere un’altra per compensare?” propose
Ihanez.
“Idea
romantica, ma non so se mi va”.
“Posso
provarci io!”.
“Divertente.
Impossibile”.
“Eh
dai, ti prego! Fammi vedere una stella che nasce!”.
Reahu
sospirò, iniziando a girare il cielo in cerca di nebulose.
Ne doveva avere una
da qualche parte prossima alla creazione. Tante piccole palline di luce
brillavano in essa e il maestro allungò la mano, toccandone
una. Questa di
illuminò più intensamente, divenendo come molte
altre stelle.
“Tutto
qui? È così semplice?” storse il naso
Ihanez.
“All’interno
della nebulosa si innescano determinati procedimenti che portano alla
creazione
delle masse necessarie ad avere una stella. Quella era pronta,
aspettava solo
una piccola spinta per accendersi. Tutto qui”.
“Io
continuo a dire che siete degli Dèi!”.
“Ed
io continuo a dirti che non è così. Ogmios
è un Dio, non io”.
“Se
ne sei così sicuro…”.
“Credi
che se fossi un Dio me ne starei qui a giocare con le stelline? Se
fossi un Dio
non avrei perso mezza anima e lei sarebbe qui con me, perché
l’avrei riportata
in vita. Non sarebbe una stella”.
“Ma
sapete fare cose straordinarie e…”.
“Ma
non siamo Dèi. Ci prendiamo semplicemente cura
dell’ordine di determinate
cose”.
“Affascinante.
Ma poi come…”.
“Nininsina!”
gridò qualcuno, interrompendo la domanda dello stregone.
“Rashnu?”
riconobbe la voce Reahu “Non dovrebbe essere qui a
quest’ora!”.
Maestro
ed allievo si sporsero, vedendo il padrone di casa entrare, portando in
braccio
una ragazza priva di sensi.
“Un
altro bimbo sperduto” commentò Reahu, mentre
Nininsina si avvicinava correndo
“A quanto pare non sei più l’ultimo
arrivato”.
“Aiutatela!”
ordinò Rashnu, mettendola a terra in modo da farla
soccorrere il più in fretta
possibile dalla guaritrice della casa.
“State
indietro, tutti!” sbottò Nininsina, facendosi
spazio fra i curiosi “Che le è
successo? E tu, Rashnu, stai bene?”.
“Sto
benissimo. È lei quella che non si riprende”.
“Cosa
le è successo?” volle sapere la guaritrice,
tastando il polso alla ragazza.
“Il
suo villaggio è stato attaccato, mi trovavo là
per quello. Lei, signora della
natura, è stata difesa dalle sue bestie. Probabilmente i
soldati avevano in
mente qualcosa di divertente, per loro, da fare con lei ma gli animali
hanno
attaccato quegli uomini. Ovviamente loro, per difendersi, hanno usato
le armi
contro quelle creature ed ho visto questa donna trasformarsi. Una furia
cieca
si è impossessata di lei. Ha iniziato a tirar calci ed usare
la magia, mettendo
in pericolo sé stessa. I soldati se ne sono andati, e
pensavo che fosse tutto
finito. Quindi mi sono allontanato. Dopo un po’ sono stato
richiamato in quel
luogo. La gente del posto l’ha ridotta così,
perché si era mostrata per quello
che è: qualcosa che non sanno comprendere”.
“Ti
sei di nuovo esposto a loro mostrandoti? Rashnu, sai bene che dovresti
evitarlo”.
“Dovevo
forse lasciarla lì a morire? La stavano torturando e lei non
aveva il coraggio
di reagire perché circondata da parenti e persone che
credeva amici”.
“A
molti di noi è successo qualcosa di simile”.
“E
con molti di voi mi sono esposto, intervenendo, ed ora siete vivi ed al
sicuro
qui. Lo rifarò ancora migliaia di volte, se sarà
necessario”.
Ihanez
e Reahu osservarono dall’alto la scena. La guaritrice tentava
ancora di
rianimare la ragazza, che rimaneva immobile e pallida in terra, mentre
Rashnu
le stava accanto, inginocchiato.
“Non
è morta, vero?” domandò, passandole la
mano sinistra sul viso.
Questa
era adornata da un’enorme bracciale oro e bianco, contrario a
quello sul
braccio opposto che era argento e nero, che si illuminò
intensamente.
“È
un’anima buona, non merita di morire
così” continuò.
“Non
è morta” confermò Nininsina
“Ma la fiamma della sua vita è molto debole. Non
so
se ce la farà. Le sue ferite sono gravi”.
“Che
possiamo fare?”.
“Mi
spiace dirlo ma, oltre ad offrirle tutte le cure possibili, non
c’è nulla che
possiamo fare. Solo sperare per lei”.
“Portatela
pure nelle mie stanze” parlò un uomo, che Ihanez
aveva scorto solo di sfuggita
in cortile “Una creatura che compie un simile gesto per degli
animali, merita
tutta la mia protezione ed il mio assoluto rispetto”.
Rashnu
annuì e lasciò che l’uomo prendesse la
ragazza fra le braccia. Era alto, con i
capelli scuri e con un lungo mantello peloso.
“E
quello chi è?” domandò lo stregone,
rivolto al suo maestro.
“Quello
è Akerbeltz, protettore degli animali. Il
fratello di Egres”.
“Non
l’avevo mai visto”.
“Non
ama stare fra gli umani. Passa le giornate nel
bosco che circonda la casa, assieme ai lupi di Rashnu, ben lontano dal
chiassoso mondo civilizzato, se civilizzato lo si può
definire”.
“Rashnu?”
chiamò Clio, preoccupata.
“Sto
bene” sbottò lui, rialzandosi e scuotendosi il
mantello, nero all’esterno e bianco all’interno.
“Non
sei ferito?”.
“No”
rispose, quasi scocciato “E ora devo andare,
sono molto indietro. Stasera voglio avere notizie della ragazza, spero
positive”.
“Spero
anch’io. Ma
non ti fermi nemmeno a mangiare un boccone?”.
“Clio,
non sono un po’ cresciuto per trattarmi come
un bimbo piccolo? L’ho avuta la mamma sai. Non lo ricordo, ma
sono certo che
non fosse così apprensiva nei miei confronti!”.
“Hai
ragione, scusami. Torna pure al tuo lavoro”.
Rashnu
si allontanò in fretta. Ihanez si accorse che
era vestito come quando lo aveva salvato. Sul capo, fra i capelli verde
acceso
e le loro trecce con perle, portava una sorta di corona, argento e oro,
a
spuntoni. Simili a corna, parevano in parte inglobati dalla folta e
gonfia
capigliatura. L’abito verde, senza maniche, era molto
aderente e ricamato in
due colori: oro sulla sinistra e argento sulla destra. Lungo tutto il
verde,
stavano disegni in due colori simili a lingue di fuoco e inserti in
rilievo, di
dubbia utilità. Ai piedi portava gli stivali,
anch’essi con i due colori dei
ricami. In vita, una cintura di stoffa nera, con sempre gli stessi
colori di
ricamo, prendeva la forma di un triangolo e giungeva fino alle sue
ginocchia.
Quel vestito, a detta di Reahu, era l’unico modo per Rashnu
di far capire di
essere un uomo, avendo il viso dolce e ben poco mascolino.
L’alternativa era
girare nudo, ma da tempo gli abitanti di quel luogo avevano perso
quell’abitudine.
Nininsina
non si vide per tutto il giorno, impegnata
a prendersi cura della ragazza, e tutti in casa iniziavano a
preoccuparsi. Non
si era ancora ripresa. Forse, per la prima volta, Rashnu era giunto
tardi.
Ihanez si stupì di questo. Quelle creature sapevano muovere
montagne, accendere
stelle, comandare il vento e fare molte altre cose straordinarie ma non
erano
in grado di salvare la vita ad una ragazza ferita da dei semplici
soldati privi
di ogni potere.
“Purtroppo,
la vita non rientra fra le nostre
capacità straordinarie” spiegò Reahu,
tentando di porre fine all’agitazione
vana del suo allievo, specie perché era alla tavola della
cena “Un tempo, c’era
chi dava la vita semplicemente muovendo un dito ma ora i suoi notevoli
poteri
non sono più al servizio di questa casa”.
“La
vita e la morte vanno oltre le vostre
capacità?”.
“Mai
detto questo. La vita c’è e prosegue ma non
grazie ad una creatura soltanto, come era una volta, la cui energia era
quasi
pari a quella di una divinità creatrice”.
“Mi
piace quando fingi di essere una persona seria e
pragmatica” ghignò Tarhunt.
“Ed
a me piace quando fingi di essere intelligente e
non mi rivolgi la parola” sbottò Reahu.
Tornò
il silenzio nella sala, interrotto solo dal
rumore dei piatti e dei bicchieri della cena. Clio fissò la
sedia di Rashnu.
Solitamente lui c’era per cena.
“Normale
che arrivi tardi” tentò di tranquillizzarla
Tate “Ha fatto una pausa imprevista ed ora dovrà
assentarsi più a lungo per
portare a termine il lavoro giornaliero”.
“Hai
ragione, mi preoccupo per niente. È che lui
pensa sempre a tutti, al mondo intero, all’universo, ma mai
che si fermi un
istante a pensare a sé”.
“Immagino
sia quello che deve fare un buon re. E
lui, essendo principe, è destinato a diventarlo. Ha solo
acquisito i doveri di
suo padre”.
Clio
sorrise, anche se in modo forzato, e invitò la
gente in sala a rivolgere un pensiero alla giovane ragazza che lottava
al piano
di sopra.
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Capitolo 8 *** VIII- il mio mondo ***
VIII
IL
MIO MONDO
Kairòs
scattò in avanti, con atteggiamento di sfida. Era sicuro di
sé, fin troppo. Lui
controllava la fortuna, “l’attimo
favorevole”, e perciò era certo di poter
ottenere tutto ciò che voleva. Anche battere Reahu. Reahu,
dal canto suo,
pensava che quel ragazzetto con i riccioli davanti agli occhi non
avesse alcuna
speranza contro le sue tecniche.
“Sei
forse stanco, Reahu?” lo stuzzicò
Kairòs, notando la piccola pausa del suo
avversario.
“Io
non mi stanco mai”.
“Allora
avanti. Vediamo se riesci a prendermi per il ciuffo!”.
Reahu
schivò agilmente il calcio speditogli dal giovane e si
abbassò, in modo tale da
riuscire a colpirlo sulla gamba poggiata in terra e farlo sbilanciare.
Kairòs
ruotò e tornò stabile, ma non abbastanza in
fretta da schivare il calcio
all’addome che l’avversario gli assestò.
Fu spedito di qualche metro indietro.
“Ti
consiglio di arrenderti” suggerì Reahu.
“Sai
bene che non lo farò mai”.
“Benissimo.
In questo caso mi vedo costretto a darti tante di quelle botte da
costringerti
a strisciare in terra”.
“Non
se prima faccio lo stesso io con te”.
“Sei
fin troppo ottimista”.
“E
tu sei fin troppo stronzo”.
“Mai
detto il contrario”.
Kairòs
gridò e si avventò contro Reahu, che lo
colpì in piena faccia con un calcio e
poi ruotò, poggiandosi sulle mani, per tornare dritto.
“Tu
non sei normale” mugugnò il colpito, sbattuto a
terra.
“Mai
detto nemmeno questo”.
Ripresero
a lottare, senza lasciarsi più il fiato ed il tempo di
insultarsi.
“Che
stanno facendo?!” si allarmò Ihanez, arrivando in
giardino.
“Non
ti spaventare” gli parlò Tork “Stanno
semplicemente facendo allenamento”.
“Allenamento?
A me sembra che si stiano ammazzando!”.
“Ma
che dici?! Stan facendo solo un po’ di sana
attività fisica”.
“E
che cosa sono quei bracciali che hanno ai polsi?”.
“Servono
a bloccare la loro magia, altrimenti Kairòs sarebbe
già stato spedito
nell’iperspazio da tempo. Così, per vincere,
devono usare solo tecniche di
lotta fisica, senza energia magica”.
“Ihanez!”
lo chiamò Reahu, afferrando l’avversario per i
capelli e sbattendogli la faccia
a terra “Come mai qui a quest’ora?”.
“È
quasi ora di pranzo…”.
“Ah
sì? Così tardi? Scusami, non me ne ero accorto.
Mi sono distratto”.
“Ne
ho approfittato per dormire di più”.
Lo
scontro fra i due sfidanti era finito. Kairòs si
rialzò con un sorriso. Era
abbastanza soddisfatto. Colpire Reahu era già di per
sé qualcosa di positivo.
“Vuoi
provare anche tu?” domandò il maestro
all’allievo.
“Io?!
“ si allarmò Ihanez “No,
grazie!”.
“Giuro
che sarò delicato”.
“Non
so quanto possano valere le tue promesse. E, ad ogni modo, non mi
piacciono
certi passatempi. Vanno contro i miei principi”.
“Quali
principi, principessa?”
“Principi,
con l’accento sulla seconda sillaba! Io non attacco la
gente”.
“Non
attacchi? E come sei sopravvissuto fin adesso?”.
“Difendendomi.
Limitandomi a parare i colpi”.
“Non
andrai molto lontano così”.
“Andrò
lontano quanto basta”.
“Perciò,
se ora iniziassi a prenderti a calci, tu ti limiteresti a parare i miei
colpi e
basta, senza tentare un benché minimo
contrattacco?”.
“Esatto.
Contrattaccare dà un motivo in più
all’avversario per attaccare di nuovo,
ancora, e più forte di prima. Inoltre, dare la morte non
è mai rientrato fra i
miei desideri”.
“Capisco.
Va bene. non ti obbligherò a far niente. La scelta
è tua. Adesso lasciami il
tempo di fare la doccia e poi facciamo lezione”.
Ihanez
annuì. Non capiva perché tutti cercassero di
spingerlo ad attaccare, a
distruggere. Non era quello che voleva, non lo era mai stato.
“Credi
che quella ragazza si sveglierà? È da parecchi
giorni priva di sensi” domandò,
mentre Reahu si toglieva i bracciali.
“Nessuno
può saperlo. Se è destino che succeda, allora si
sveglierà. Altrimenti no”.
“Che
ingiustizia. Poteri straordinari e dipendete dal destino!”.
“Credimi,
a volte nemmeno colei che controlla il fato sa bene cosa fare.
C’è qualcuno al
di sopra che stabilisce certe cose”.
“Ma
non è giusto. Perché le cose vanno
così?”.
“Perché
il mondo va così”.
“Il
tuo, forse”.
“Viviamo
in due mondi diversi? Non me ne ero accorto”.
“Ora
no ma, vedrai, le cose cambieranno. Il mio mondo sarà
diverso”
“Ma
certo, padrone del mondo” lo schernì Reahu,
tornando verso casa.
● ●
●
“Gudis!”
gridò, piena d’entusiasmo, Veda.
Corse
in fretta lungo tutto il cortile, a braccia spalancate, e
saltò addosso al
fratello maggiore che non vedeva da quando aveva iniziato
l’addestramento.
“Ciao,
sorellina” sorrise lui, lasciandosi abbracciare.
“Sei
venuto fino a qui a trovarmi! Che bello vederti!”.
“Anche
per me è bello vederti. Che dici, andiamo a fare un
giro?”.
“Prima
vieni con me. Devo mostrarti una cosa, e presentarti delle
persone”.
Dopo
aver fatto conoscere il fratello alle sue compagne
d’addestramento, la ragazza
trascinò Gudis alla cappella centrale.
“Sai
bene cosa penso della religione!” sbottò, di
protesta, il fratello, ma non poté
opporsi alla volontà della sorella.
“La
religione non c’entra, rilassati”.
Una
volta dentro, avvolti dai fumi delle candele e dell’incenso,
Veda accese una
piccola candela sotto il quadro raffigurante un bimbo sorridente in
braccio ad
una bellissima donna.
“Nessuno
sa dirmi chi siano i due raffigurati su questo quadro, ma guarda cosa
succede
adesso”.
Gudis
fissò la sorella con scetticismo, mentre lei congiungeva le
mani e chiamava un
nome, sempre lo stesso: Rashnu.
E
Rashnu apparve, alle spalle dei due. Veda lo percepì e si
voltò,
abbracciandolo.
“Quanto
entusiasmo” si stupì Rashnu “E devo
ancora capire come fai a chiamarmi sempre”.
“Non
lo so nemmeno io. Accendo quella candela e ti chiamo. Ed eccoti
qui”.
Rashnu
guardò il quadro sotto la quale bruciava la piccola candela.
Si leccò la punta
di pollice ed indice e la spense, stringendo lo stoppino fra quelle due
dita.
“Non
ti piace che ti chiami? Ti da fastidio?” ci rimase male Veda.
“Niente
di tutto questo”.
“E
allora perché hai spento la mia candela? Ti stanno
antipatici i due del
quadro?”.
“No,
niente affatto. È che questi luoghi mi inquietano. Usciamo,
per favore”.
Veda
provò a protestare, sapendo che fuori c’erano
molti soldati e che Rashnu
rientrava nella lista dei ricercati. Non servì a niente.
“Ma
cosa fai?! Sei pazzo?!” sibilò, fissandolo dal
basso, essendo lui parecchio più
alto di lei.
“Tranquilla.
Nessuno mi toccherà”.
Appena
i capelli verde intenso di Rashnu si notarono nel cortile, molti
soldati si
mossero per catturarlo ma il capo dell’accampamento li
fermò, camminando a
passo svelto verso il ricercato.
“Qualche
problema? Come mai qui?” domandò, incrociando le
braccia.
“Tutto
a posto. Son solo qui a salutare un paio di amici. Son i fratelli di
Ihanez,
spero tu li stia trattando con riguardo”.
“Lo
scienziato non è compito mio. Per quanto riguarda la
ragazza, per ora non se la
cava male”.
“Bene.
Buono a sapersi”.
“Dovete
andarvene. O sarò costretto a catturarvi. Siete
ricercato”.
“Oh,
io non credo che avrai il coraggio di toccarmi, Saxnot”.
L’addestratore,
signore della guerra, ringhiò con aria minacciosa. Sostenne
lo sguardo di
Rashnu per qualche istante ma poi cedette. Veda si stupì. Il
suo maestro era
molto più grosso ed alto di Rashnu, eppure ora gli cedeva il
passo.
“Andate
pure a parlare in accampamento. Dirò loro che siete un
parente dei ragazzi, che
solamente assomiglia al ricercato. Ma ci vuole più prudenza,
perché sia Voi si
il vostro caro amichetto Ihanez siete sulla lista nera di questo
mondo”.
“Esiste
solo una lista nera, ed è quella della morte. E, credimi, io
non ci sono su di
essa. E poi perché Ihanez è
ricercato?!”.
“Ha
ucciso un nutrito gruppo di soldati”.
“Ihanez?!
Quello neanche schiaccia le zanzare!”.
“È
un assassino”.
“No,
non lo è”.
“Ho
le mie fonti”.
“Ed
io ero là. L’argomento è di mia
competenza. Lui non è un assassino”.
“Non
puoi avere sempre ragione!”.
“Vuoi
scommettere, sottoposto?” parlò con calma, ma
allungò l’arto con il bracciale
argento, che si illuminò e frizzò di piccole
scosse “Non è un buon segno quando
fa così, Saxnot”.
“Andate
pure dove volete” indietreggiò Saxnot, togliendosi
dalla luce del bracciale,
che si spense.
“Venite,
ho ancora qualche minuto per scambiare quattro chiacchiere”
sorrise Rashnu,
d’un tratto di nuovo di buon umore.
Gudis
e Veda lo seguirono fino ad un punto del cortile, apparentemente
tranquillo e
sedettero su piccole seggiole in pietra, sparse un po’ per
tutto
l’accampamento.
● ●
●
Ihanez
attendeva lungo il corridoio, pazientemente, che Reahu fosse pronto.
C’era
silenzio. Poi un grido ed un gran fracasso alla cucina. Si diresse
verso quella
direzione e rimase piuttosto stupito dalla scena che vide. Clio e
Kadesh
stavano litigando, tirandosi ogni cosa che alle due passasse sottomano.
Un
piatto volò e Ihanez lo dovette fermare con la magia, per
ritrovarselo
conficcato in mezzo alla fronte.
“Stai
fuori dalla mia vita!” gridò Clio, parando un
mucchio di forchette con una
padella.
Volo
di cucchiai lungo il pavimento.
“Io
cerco solo di renderti felice” protestò Kadesh.
Rumori
di vetri rotti, le finestre.
“E
come?! Credevo fossimo amiche! Come hai potuto farmi
questo?!”.
Piatto
volante per la stanza.
“Non
ho fatto niente di male!”.
Calice
in frantumi.
“Niente
di male, tu dici?! Devi lasciarmi in pace! Capito?”.
Coltellaccio
conficcato sul muro, dopo aver mancato il bersaglio.
“No,
non capisco. Dovresti essere felice per quello che provi”.
Un’arancia
si spiaccicò contro un mobile.
“Felice?
Felice di essermi innamorata di un uomo che non mi
considererà mai alla sua
altezza, perché non lo sono, e che non
contraccambierà mai? Dimmi in che modo e
perché io dovrei essere felice di questo, brutta stronza
manipolatrice!”.
Una
bottiglia di vetro cessò di esistere.
“Tu
non capisci il mio disegno. In realtà…”.
Un
grosso pesce trovò posto sul lampadario.
“Me
ne sbatto del tuo disegno! Toglimi immediatamente di dosso questo
sentimento
inutile!”.
Volò
una sedia.
“Non
lo posso fare”.
Mezzo
servizio da tè finì fuori dalla finestra.
“Certo
che puoi!”.
Ortaggi
vari fecero il loro ingresso nella mischia.
“Ho
il potere di farlo ma questo non rientrerebbe nei miei piani”.
Il
bancone fu sollevato e scaraventato contro Kadesh, che
schivò solo all’ultimo
secondo.
“Ma
insomma! Basta!” gridò Egres “State
distruggendo la cucina! O meglio…l’avete
già distrutta! Che succede?!”.
“Scusa.
Rimetto io tutto a posto” chinò il capo Clio,
iniziando a raccogliere uova e
vetri rotti.
“Serve
una mano?” si propose Ihanez.
“Da
quanto sei lì?” sobbalzò lei.
“Abbastanza.
Che è successo? Non ti credevo in grado di provare una tale
rabbia”.
Clio
non parlò, mentre Egres trascinava fuori Kadesh per i
capelli rossi,
sgridandola.
Ihanez
si inginocchiò, raccogliendo pezzi di piatto.
“Non
serve. Faccio io” mormorò Clio.
“Ti
aiuto volentieri. Non è un problema”.
Guardandosi
attorno, vide che la confusione era decisamente troppa per usare i
metodi
tradizionali e richiamò la magia.
“Non
la consumare! Come farai dopo con l’addestramento con Reahu
se sei stanco?”.
“Reahu
capirà. E poi anche lui oggi si è
distratto”.
La
luce azzurrina della magia di Ihanez iniziò ad avvolgere gli
oggetti rotti,
ricomponendoli e rimettendoli a posto. Clio fece lo stesso, con energia
di
colore aranciato. Non ci misero molto per rimettere tutto in ordine,
tranne il
pesce sul lampadario che nessuno dei due notò
perché ben nascosto. Lo stregone
si guardò attorno, soddisfatto.
“Direi
che abbiamo fatto un buon lavoro. Nessuno immaginerà mai che
qui c’è stata una
sorta di battaglia fra donne”.
Attese
una risposta da Clio, che non arrivò. Si voltò e
lei era lì, schiena contro il
muro, testa bassa.
“Clio!
Cosa ti succede? Cos’è quell’aria
triste?” le domandò.
“Faresti
meglio ad andare dal tuo maestro, non perdere tempo con me”.
“Siamo
amici io e te, ok? Perciò non me ne andrò
finché non mi dirai cosa c’è che non
va”.
“Niente,
una stupidaggine”.
“Posso
fare qualcosa per te?”.
“No.
Solo lasciarmi in pace”.
Ihanez
stava per seguire il suo consiglio ma poi la vide piangere e si
impuntò,
rimanendo dov’era.
“Chi
ti ha fatto del male?”.
“La
natura mi ha fatto del male, ecco chi! Facendomi nascere e crescere
così”.
“Ma
che stai dicendo?”.
“Nessuno
mi prenderà mai sul serio. Sembro una bambina, e tutti mi
trattano come tale,
mentendomi e sfruttandomi”.
“Io
non faccio così”.
“Perché
non sei da abbastanza tempo qui”.
“Non
è vero! E poi non è vero che qui tutti ti
sfruttano e ti raccontano balle”.
“Mi
prendono solo in giro”.
“Kadesh
ti ha presa in giro? Perché se è così
penso io a lei. Le farò un discorso che
non potrà dimenticare, altro che signora
dell’amore!”.
“Sei
molto gentile, ma non è necessario”.
“Certo
che lo è. Piangi!”.
“Perché
sono una stupida illusa”.
“Adesso
ti prendo a schiaffi, così la smetti”.
“Anche
tu mi tratti come una bambina”.
“No.
Ti tratto come una persona che ha perso momentaneamente il controllo ed
ha
bisogno di una mano per tornare quella di sempre”.
“Vuoi
sapere la verità? Ebbene, quella che credevo una mia amica,
ovvero Kadesh,
colei che controlla l’amore, ha interferito con i miei ormoni
e mi ha fatto un
bel regalo, facendomi innamorare di un uomo che mai e poi mai
vorrà me”.
“Quanto
sei pessimista. Di chi si tratta?”.
“Davvero
non lo hai capito? Lo sanno tutti!”.
“No,
scusa l’ignoranza. Di chi parli?”.
“Se
non lo hai capito, non te lo dirò. Tanto prima o poi ci
arriverai da solo”.
“Ah,
non lo so. Sono piuttosto imbranato in materia”.
“E
allora fatti aiutare dalla tua piccola anima personale. Lei
è, era, una donna.
Ti aiuterà di certo”.
“Lo
farò. Adesso, però, puoi farmi un sorriso? Vedrai
che tutto si risolverà.
Ricordati che non tutti al mondo si fermano solamente alle apparenze.
Sono
certo che più di uno fra noi è in grado di andare
oltre al semplice aspetto
esteriore, che non è nemmeno così terribile come
pensi”.
“Più
di uno? Intendi che oltre a te c’è
qualcun’altro? Che poi, vista la velocità
con cui ti sei affrettato a definirmi come tua amica, non so quanto sia
vero
ciò che dici di te stesso”.
“Io
sono innamorato di Hennay, e la cosa non cambierà. Se non
fosse così, chissà!
Valutare una persona dal viso è come giudicare un libro
dalla copertina.
Un’eresia!”.
Clio
sorrise e poi sospirò, passandosi una mano sul viso per
asciugare le lacrime.
“Oltre
a me ce ne sono altri. Di tre ne sono assolutamente sicuro. E poi,
scusa, non è
anche Rashnu nella stessa situazione? Sembra un ragazzino, a volte
persino una
bambina, eppure non mi sembra se la passi male. Fidati, se qualcuno si
ferma
solo all’esterno, senza tentare di scoprire qualcosa di
più, allora non merita
nemmeno la tua attenzione. Sono persone vuote dentro, che per questo
non
cercano altro al di fuori dell’involucro, negli altri. Loro
non sono altro.
Dentro non hanno niente. Tu vuoi vicino un uomo vuoto? Una buccia? Non
credo. I
tuoi occhi cercano un buon frutto pieno, polposo, ricco di
contenuti”.
“Ma
senza troppo zucchero”.
“Lascia
che le bucce vuote si cerchino fra loro ed aspetta il tuo frutto, ok? E
adesso
andiamo. Io devo fare lezione e tu sei stata incaricata di farmi da
supervisora, se non sbaglio”.
“Supervisora?!”.
“Quel
che è. Andiamo”.
Clio
abbracciò Ihanez, in fretta e senza dare
nell’occhio.
“Peccato
tu sia già impegnato. Sei un gran bel frutto”
mormorò, ghignando.
“Ti
ringrazio”.
Uscirono
dalla cucina sorridendo e salutando con la mano Reahu, che
fissò il suo allievo
con fastidio, indicandogli l’enorme orologio a pendolo del
corridoio.
● ●
●
Rashnu
tornò a casa piuttosto tardi. La maggior parte degli
abitanti della casa aveva
già finito di mangiare. Ihanez, sfinito dalla
quantità eccessiva di magia che
gli aveva fatto usare Reahu, ancora pigramente smangiucchiava qualcosa,
assieme
a Clio. Con loro, nella sala dove si consumavano i pasti, stavano Kama,
Kadesh, Kuma, Aglibol, Tork, Monimos, Pothos e Omikhle. Rashnu, dopo
essere
entrato nella stanza nera con il sigillo d’oro per togliersi
i pesanti
bracciali dai polsi, sedette ed iniziò a servirsi.
“Che
hai fatto ai piatti, Ihanez?” domandò, dopo un
po’, ed i presenti si voltarono
tutti verso lo stregone, che fissò Clio e Kadesh con un
po’ di imbarazzo.
“È
successo un casino in cucina stamattina. Son stato un po’
maldestro, ed ho
rimediato aggiustando tutto con la magia. Scusate. Da cosa si capisce?
Ho
sbagliato qualcosa?”.
“No,
tutt’altro. Solo che l’alone magico rimane per un
po’ ed io l’ho percepito.
Come ho percepito quello di Clio, ma ad una signora non si fanno
domande che
potrebbero metterla in imbarazzo”.
“Clio
mi ha aiutato a risolvere il casino che avevo combinato”.
Ihanez
sapeva che le due litiganti sarebbero state punite severamente, se
Rashnu
avesse saputo del loro diverbio.
“In
stanza troverai un pacchetto” riprese il padrone di casa,
cambiando argomento
“È da parte dei tuoi fratelli. Sono andato a
trovarli”.
“Oh,
grazie mille. Come stanno?”.
“Benissimo.
Ho avuto modo di vedere l’addestramento di tua sorella. Ci
teneva tanto a farmi
vedere qualche tecnica e così ha fatto una piccola
dimostrazione in mia
presenza. Qualche minuto, ma tanto mi è bastato. Quella
ragazza è davvero fuori
dal comune”.
“Non
avevo dubbi al riguardo”.
“Mai
visto una persona mutare così in fretta, parola mia. Un
attimo prima era tutta
tenera che rideva e faceva la ragazzina ed un attimo dopo era una sorta
di
principessa guerriera. Faceva paura. Perfino Gudis si è
spaventato! Ha
sconfitto una riga di reclute più grosse e più
anziane di lei senza nemmeno
sforzarsi più di tanto”.
“Un
giorno piacerebbe anche a me vederla”.
“Ancora
sei molto ricercato, Ihanez. Ma vedrò di riuscire a
combinare un incontro.
Anche loro chiedono di poterti vedere”.
“Meglio
far calmare le acque, non trova?”.
Lo
stregone si alzò, prendendo con sé le sue
stoviglie e portandole in cucina.
Augurò a tutti la buona notte e poi andò in
camera. Era una delle stanze di
Reahu, che però non dormendo mai gli aveva concesso di
dormire lì, lasciando la
stanza degli ospiti alla ragazza ferita. Aprì il pacchetto e
trovò un paio di
lettere, delle foto ed una scatola piena di fermacapelli. Veda aveva
stabilito
che al fratello ne servivano un sacco. Ihanez sorrise ed
iniziò a leggere la
lettera da parte della sorella.
● ●
●
“Mi
passeresti il cesto della frutta, Clio?” domandò
Rashnu.
Lei
sobbalzò, persa in chissà quali pensieri, e poi
lo fece passare lungo il
tavolo.
“Qualcosa
ti turba?” domandò lui, sbucciando una grossa mela.
“Cosa?
A me? No, non mi turba niente”.
“Sei
sicura? Sembri distante, non è da te”.
“Non
è nemmeno da te parlare di una ragazzina mortale con un
simile entusiasmo”
mormorò lei, fra sé, e ripetendo a Rashnu che
andava tutto bene.
“Noto
un certo astio fra te e Kadesh. Non crediate che io certe cose non le
noti.
Nella mia casa nulla può essermi celato”.
“Non
è niente. Solo lei che si impiccia degli affari degli
altri”.
“Ti
senti sola, Clio?” sorrise, in uno strano modo, Rashnu.
“Ma
no, ma che dite?!” sbottò lei, incrociando le
braccia, distogliendo lo sguardo
ed arrossendo “È solo lei che continua a
tormentarmi”.
“Capisco.
Lo fa anche con me. Vero, Kadesh?”.
“Beh,
la deve smettere e lasciarmi vivere la mia vita!”.
“Io
lo faccio solo per il bene di questa casa!” si
giustificò Kadesh.
“E
la felicità secondo te si crea facendo litigare la gente,
fra gelosia e
lacrime? Non credo proprio” commentò Rashnu,
mangiando le ultime fette di mela.
“Faccio
il mio lavoro”.
“Se
la piccola Clio non desidera certe cose, gradirei molto che la
lasciassi in
pace”.
Clio
rizzò le orecchie alla parola “piccola”
e trattenne la rabbia con forza.
“Come
preferite. Però poi non voglio sentirla
lamentarsi” sbottò Kadesh.
“Sono
certo che Clio sa quel che vuole e, se non lo sa ancora, lo
capirà presto. Per
ora, ti prego di lasciarla stare. Già stressi me, non ti
basta?”.
“Io
non la sto stressando!”.
“Oh
sì, che lo stai facendo!”.
Rashnu
sorrise e Kadesh tacque, confusa da quella reazione ma forse intuendo
qualche
cosa. Il padrone di casa decise di dedicare le sue attenzione ad un
altro
frutto, mentre Clio si alzava. Era sceso il silenzio, ma fu interrotto
dalla
porta, che si aprì di colpo. Sull’uscio stava
Ihanez, con l’espressione ben
poco rassicurante.
“Tu!”
esclamò, puntando con l’indice Rashnu, seduto al
capo opposto del lungo tavolo.
“Sì?”
inclinò leggermente la testa il padrone di casa.
“Che
cazzo stai combinando?! Vai a trovare mia sorella ogni
giorno?!”.
“È
lei che mi chiama!”.
“Lei
ti chiama?! E tu rispondi pure?!”.
“Senti,
io non ho idea di come faccia. Si mette lì in quel buco
sporco di chiesa e mi
chiama. Ed io, qualsiasi cosa stia facendo, mi ritrovo catapultato
lì da lei”.
“Mi
prendi per il culo?!”.
“No.
Lo giuro su Fides, signora dei giuramenti e della
fedeltà”.
“E
non puoi dirle che la cosa ti da fastidio e di non farlo
più? Queste lettere
sono piene di frasi su di te, di quanto sei bello, straordinario ed
altro, che
preferisco non approfondire”.
“Lieto
che lei la pensi così. Mi sono sempre trovato piuttosto
carino pure io e,
sinceramente, anche lei mi pare stia crescendo molto bene. Ad ogni
modo, se è
questo che vuoi sapere, non ho mai toccato tua sorella”.
“Lo
spero. Perché, se solo ci provi, ti spacco tutte quelle
dannate dita da
femmina!”.
“Che
hanno le mie dita che non vanno?! E poi, scusa, non sono affari
tuoi!”.
“Lo
sono. Lei è mia sorella! Ed è una
bambina!”.
“Non
l’ho toccata e non intendo farlo, almeno fino a che non
avrà raggiunto un’età
ragionevole”.
Ihanez
ringhiò e strinse i pugni. Rashnu, che fino a quel momento
aveva mantenuto una
certa calma, anche nel tono della voce, si accigliò. Clio
fissò preoccupata
entrambi. I capelli del padrone di casa si stavano gonfiando, pessimo
segno.
“Se
in una di queste lettere troverò mai delle frasi che mi
indicano che soffre o
che le hai fatto del male o, peggio ancora, che ti sei divertito a
giocare con
lei come fosse un passatempo temporaneo, giuro che, capo o no, te la
vedrai con
me”.
“Ti
consiglio vivamente di cambiare atteggiamento, Ihanez, se vuoi restare
incolume
e vivo fra le mura di questa casa”.
“Tu
non mi fai paura, non me ne hai mai fatta e non riuscirai a spaventarmi
di
certo. Lascia in pace mia sorella, chiaro? Il tuo compito è
portarle mie
notizie e basta”.
“Il
mio compito lo conosco solamente io e ti prego di non
interferire”.
“Non
ti riesce di spaventarmi, mi spiace”.
“Vorrà
dire che, se insisti su questa linea, passerò ai
fatti”.
“Io
ti ho avvertito”.
“Pure
io”.
“Vedi
di comportarti di conseguenza. Ti tengo d’occhio”.
“Come
osi?!” tuonò Rashnu, alzandosi in piedi e
sbattendo le mani sul tavolo.
Il
pavimento vibrò. La stanza si fece ad un tratto buia e gli
occhi del padrone di
casa fiammeggiarono d’odio, mentre la sua capigliatura
fluttuava come mossa dal
vento. Ihanez non si mosse, mostrando insensato coraggio e malcelata
stupidità.
“Scusate”
fece capolino dalla porta Nininsina “La ragazza si
è svegliata”.
Questo
fece calmare immediatamente Rashnu, che riportò la sala al
solito aspetto.
“Davvero?
Bene. Come sta?”.
“Ha
bisogno di mangiare ed è molto spaventata. Per il resto, si
ristabilirà
presto”.
“Ottimo.
Ihanez, porta alla nuova ospite qualcosa da mangiare”.
“Perché
io?”.
“Perché
sei l’ultimo arrivato, perciò sei il
più vicino alla sua situazione. E poi
gradirei molto che tu sparissi per un po’ dalla mia
vista”.
Ihanez
obbedì, uscendo dalla sala con il piatto pieno ed il dito
medio alzato. Tutti
chiusero gli occhi, aspettandosi una reazione esplosiva da parte di
Rashnu, che
però non avvenne. Si limitò a grattare le unghie
sui braccioli della grossa
sedia simile ad un trono. Nessuno parlò, preferendo
sparecchiare il più
silenziosamente possibile. Il padrone di casa addentò il
frutto che stringeva
fra le mani, affondandovi i denti a punta, e poi si rilassò
di colpo.
“Scusate”
disse, pur non mutando del tutto il suo viso accigliato “Do
ordine a voialtri
di non litigare e poi sono io quello che perde il
controllo…”.
“Diciamo
che quel Ihanez è parecchio fastidioso quando
vuole” lo giustificò Aglibol, il
marito di Kuma, anche lui vestito tutto in grigio e, come la moglie,
legato
alla Luna.
“Certo.
Ma lo sono anch’io”.
“Mangiate
una buona fetta di dolce, e vedrà che passerà
tutto” sorrise Kama, porgendogli
un piatto con un pezzo enorme di torta.
● ●
●
Entrò
nella camera della nuova arrivata lentamente, vedendola seduta sul
letto, al
buio. Era spaventata, e lo fissava terrorizzata.
“Non
voglio farti del male. Stai calma. Ti ho portato un po’ da
mangiare”.
“Non
ho fame” mormorò lei, nascondendosi in parte
dietro al cuscino e
rannicchiandosi.
“Devi
recuperare le forze. Mangia”.
“Chi
sei? Dove mi trovo?”.
“Sei
al sicuro. Andrà tutto bene. Io mi chiamo Ihanez”.
“Sei
stato tu a salvarmi?”.
“No,
è stato il padrone di casa, nonché mio capo.
Rashnu”.
“Non
ti avvicinare!” esclamò lei, vedendo lo stregone
avanzare di qualche passo.
“Va
bene. Mi dici almeno come ti chiami?”.
“Lahar”.
Lui
le sorrise. Era molto bella, nonostante le bende e l’aria di
chi si è appena
svegliato.
“Ora
sei al sicuro. Qui nessuno ti farà alcun male”.
“Intendi
dire che posso restare qui?”.
“Certo.
Qui siamo in tanti, che hanno avuto esperienze simili alla
tua”.
“Hanno
cercato di ucciderti?”.
“Sì,
e cercano tutt’ora di farlo”.
“Perché?”.
“Perché
sono diverso. Ma qui non lo sono. Siamo una specie di famiglia
allargata, con
ognuno un’abilità speciale”.
“E
Rashnu comanda?”.
“Rashnu?
Beh, ci prova. Ma non è sempre semplice con gente come noi.
È un brav’uomo,
dopotutto, anche se a volte sa come farti incazzare per
davvero”.
“Bene.
A quanto pare abbiamo delle cose in comune. Mi hanno sempre detto di
avere un
pessimo carattere. Sono cattiva”.
“Non
credo. Hai salvato quelle persone e quegli animali, mi è
stata raccontata la
storia. Una persona cattiva non lo avrebbe mai fatto”.
“Non
avrei dovuto farlo. Non avrei mai dovuto mostrare loro i miei
poteri”.
“Ma
lo hai fatto, ed ora sei qui. Dicono che nulla accada senza una
ragione”.
“Può
darsi, ma non mi è rimasto più niente. Amici,
parenti, vicini…erano tutti lì a
fissarmi mentre mi torturavano. Nessuno di loro ha anche solo provato
ad
aiutarmi. Non ci posso credere”.
“Non
ci pensare”.
“Ed
io ho salvato loro la vita! Perché l’ho
fatto?!”.
“Perché
altrimenti non saresti stata salvata e non saresti qui. Vedrai che non
ti
troverai male”.
“Tu
ti trovi bene?”.
“Salvo
qualche diverbio ogni tanto, direi di sì. Queste persone
possono insegnarti
molto”.
Lahar
allungò la mano verso il piatto di cibo che Ihanez le aveva
lasciato accanto al
letto mentre parlava, a mosse lente come se lei avesse in mano una
pistola.
“Grazie
per il pasto” mormorò, affondando la forchetta.
“Di
niente. Quando te la sentirai, potrai venire giù,
così ti presenterò gli altri.
Sono qui da poco pure io, ma sarò lieto di mostrarti la
casa”.
“Grazie.
E ringrazia anche Rashnu” parlò lei, una volta
svuotato il piatto “Ora, però,
vorrei riposare. Sono molto stanca”.
“Lo
capisco. Se domani mattina te la senti, vieni pure giù a far
colazione con
noi”.
“Vediamo.
Sono ancora molto tesa, non vorrei creare disagio”.
“Tranquilla.
Nessuno ti obbliga a far niente. Riposa e riprenditi”.
Ihanez
prese piatto e posate ed uscì dalla camera, chiudendola
silenziosamente dietro
di sé. Neanche ebbe finito di voltarsi, che si
trovò davanti il viso incazzato
di Reahu.
“Che
hai combinato oggi a cena?” sibilò.
“Niente”.
“Niente?!
Stai scherzando?!”.
“Solo
una piccola discussione”.
“Piccola
discussione?! Rashnu aveva i capelli praticamente a sfera! Era
furioso”.
“Affari
suoi”.
“Affari
miei! Sei sotto il mio controllo, recluta! Se combini disastri
è colpa mia! Ed
oggi prima è venuto fuori che hai fatto danni in cucina e
poi che ti sei messo
ad insultare Rashnu. Ma che ti dice il cervello, sempre se ne hai uno
da
qualche parte?!”.
“La
faccenda della cucina è qualcosa di lungo e complicato e per
quel riguarda
Rashnu…”.
“Smettila!
Smettila subito! Non mi farò cacciare fuori di qui da te!
Impara a
controllarti!”.
“E
me lo dici proprio tu?!”.
“Reahu!
Ihanez!” gridò Rashnu, dalla sua camera.
“Ecco,
lo sapevo! Contento? Ora son cazzi acidi per entrambi!”.
“Quante
storie…”.
Il
maestro trascinò l’allievo per il corridoio ed
entrò nella stanza da letto di
Rashnu. Reahu era piuttosto agitato. Era stanco di prediche e
rimproveri.
“Non
litigate per colpa mia” disse, inaspettatamente, il padrone
di casa.
“Io
ci provo a tenere il mio allievo al giusto posto,
ma…” parlò Reahu.
“Ma
non è semplice. Ihanez ha un carattere forte, come suo
padre”.
“Sì,
ed è un grandissimo idiota, cosa che suo padre non
è, o non era”.
“Non
è. Ma nemmeno Ihanez è un idiota, o
sbaglio?”.
“Non
mi ritengo tale” borbottò lo stregone.
“Semplicemente
difende ciò che ama, cosa di certo positiva. Non avrei
dovuto reagire in quel
modo, Ihanez. Tu cerchi solo di proteggere la tua sorellina,
com’è giusto che
sia”.
“Ed
io non dovevo arrabbiarmi subito. È solo una lettera, che
rileggendo non
contiene poi nulla di strano se non un’adolescente che
evidentemente si è presa
una cotta colossale”.
“Ha
un potere che va oltre quello di una semplice guerriera”.
“Pensate
sia una di noi anche lei?”.
“Può
essere. Non sarebbe il primo caso di fratelli risvegliatasi in momenti
diversi.
Kuma e Kama, per esempio. O Egres ed Akerbeltz. Senza contare il tuo
stesso padre
e Mantus”.
“Come
intendete procedere?”.
“Intanto
voglio esserne sicuro. Non so ancora cosa faccia sì che io
appaia a lei, quando
mi chiama. Potrebbe essere un suo potere o l’interferenza di
qualcun altro.
Poi, per ora, lei non ha problemi fra i guerrieri e gli altri abitanti
del
mondo. È ben accettata e, finché sarà
così, non ha senso allarmarla o spostarla
da dov’è. Meglio farle procedere
l’addestramento”.
“E
se dovesse mostrare dei poteri strani e gli altri soldati la
attaccassero?”.
“In
quel caso, interverrò e la porterò qui”.
“E
nel frattempo le farai notare che non è il caso che ti
chiami ogni volta che ha
volta di farlo”.
“Ti
dirò, preferisco non impedirle del tutto di farlo
perché così facendo non
potrebbe usare il suo potere e questo sarebbe un male, se di potere si
tratta.
Certo, la pregherò di ridurre le chiamate”.
“E
tieni le mani a posto!”.
“Le
terrò in tasca tutto il tempo”.
“Tu
non hai le tasche nel vestito!”.
“Ok,
adesso è tempo di andare!” intervenne Reahu,
afferrando l’allievo per il braccio
e trascinandolo fuori dalla camera.
“Lasciami!”
protestò Ihanez, ma non servì a nulla
perché Reahu lo tenne stretto e lo chiuse
in stanza, dandogli l’ordine tassativo di dormire e calmarsi.
Poi
si voltò verso Rashnu, rimasto sull’uscio della
sua sala per osservare ciò che
accadeva.
“È
davvero difficile tenerlo buono” borbottò il
maestro.
“Colpa
mia. Mi diverte stuzzicarlo” ammise Rashnu.
“Ma
Voi e sua sorella non avrete mica…?”.
“Cosa?”.
“Fatto…beh,
lo sapete!”.
“No,
non lo so”.
“Sesso.
Ihanez teme che Voi abbiate fatto o vogliate fare sesso con sua
sorella”.
“Che?!
Cosa?! Ma come vi vengono in mente certe cose a voialtri?!”.
“Dite
che sta crescendo bene…”.
“Sì,
è vero, è molto carina ma…”.
“Vi
piacciono gli uomini, come a Tate ed Azizos?”.
“Ma
no!”.
“Ah
bene, perché le manie principesche di Kama e consorte non
sarebbero
realizzabili, se fosse così, e sarebbe un
problema”.
“Non
lo sarebbe. Ad ogni modo, puoi tranquillizzare il tuo
allievo”.
“Lo
farò”.
Reahu
fece per voltarsi e fissò Rashnu, rimasto fermo a guardare
il corridoio, di
profilo. Sembrava davvero un ragazzino, quasi un bambino. E ad un
tratto aveva
quella strana espressione sul viso che aveva a volte, misto fra
smarrimento e
tristezza.
“Rashnu”
lo chiamò “Tutto bene?”.
“Sì.
Davvero. È che tutta questa faccenda di Kama, Kadesh e la
storia del
principino, dell’erede e del trovarmi una compagna, mi manda
in confusione. Ho
ben altro per la testa”.
“Lo
so. Lo immagino. Ma dovresti prenderti del tempo per te”.
“Non
lo posso fare. Sono io che porto avanti la baracca qua!”.
“Lo
so. Anche Vostro padre faceva lo stesso, eppure siete nato”.
“Credo
di essere un evidente errore di percorso”.
“Non
credo. Vostro padre non fa errori di percorso”.
“Ad
ogni modo, è diverso! Mio padre è molto
differente da me”.
“Intendete
dire che non sembra un ragazzino?”.
“Esattamente!”.
“E
qual è il problema?”.
“Prima
che Kama and co. ci mettessero lo zampino, non c’era proprio
alcun problema. Ma
ora quei due si son messi in testa strane idee ed ho la mente
bombardata da
mille cose a cui non voglio pensare. Cercano di farmi vedere le donne
di questa
casa in modo diverso da come le ho sempre viste e
considerate”.
“Non
capisco”.
“Mi
distraggono”.
“Provare
desiderio per una donna non è una cosa negativa,
né strana, né sbagliata”.
“Io
non voglio diventare come evidentemente sono Kama e consorte, che
pensano al
sesso praticamente tutto il giorno. Non voglio! Non ho tempo e non mi
interessa”.
“Quasi
tutti gli uomini sono come Kama e consorte, da quel che mi
risulta”.
“Pure
tu?”.
“No,
io son senza parte di anima. I giochetti di Kama non mi
tangono”.
“Beato
te”.
“Non
direi. Ma avete ordinato loro di lasciarvi in pace?”.
“L’ho
fatto. Più volte. Ma niente. Non capiscono”.
“Picchiateli”.
“Sarò
costretto a farlo. Insomma, io voglio continuare la mia vita di sempre.
Non
vedo tutta questa urgenza nel trovare una compagna e farmi fare dei
figli. Ci
sono cose più importanti”.
“Gli
istinti si controllano, anche se durante l’adolescenza
è difficile”.
“Adolescenza?!
Ho passato gli anni dell’adolescenza da molto prima della tua
nascita!”.
“Lo
so bene”.
“Ho
quasi duemila anni!”.
“Lo
so anche questo. Ma ciononostante avete paura dei cambiamenti che
provate. E vi
dico che è normale. Credo, tuttavia, che
l’atteggiamento di Kama a compagnia
bella sia del tutto sbagliato. Sovraccaricarvi di sensazioni non
è saggio”.
“E
di ormoni, in un corpo come il mio da sbarbatello eterno. Capisci?
Offuscano il
mio giudizio. Per esempio: la sorella di Ihanez non riesco a
catalogarla. Non
so se effettivamente è lei con dei poteri particolari, se
è la compagnia degli
spaccaballe che mi fa finire in quella chiesa ogni volta o se sono io
che mi
sono reso particolarmente ricettivo nei suoi confronti. Non lo
capisco!”.
“Beh,
questo sarà il tempo a stabilirlo. Se ha dei poteri, questi
si mostreranno
sempre più forti. Se è altro, prima o poi si
capirà lo stesso”.
“E
Clio? L’hai vista Clio? Le stanno riservando lo stesso
trattamento”.
“Già.
L’ho notato”.
“Beato
te, davvero”.
“Dite?
Farei cambio volentieri”.
“Sarebbe
meglio per tutti. Io farei meglio il capo, se non altro. Ma purtroppo
non mi è
concesso giocherellare con le anime, specie la mia!”.
“Meno
male. Dormiteci su, è l’unico consiglio che vi do,
e non cercate di lottare
contro l’unica forza più grande della
magia”.
“Più
pericolosa, intendi dire”.
“Anche.
Ma purtroppo non ci si può sottrarre da certe cose.
Capitano”.
“Odio
le cose che capitano senza il mio permesso. Come questa
guerra”.
“Amore
e guerra hanno parecchie cose in comune, in effetti”.
“Fin
troppe. Ora è meglio vada a dormire. Grazie per la
chiacchierata e non parlarne
con Ihanez. Quello poi si fa strane idee”.
“Tranquillo”.
Rashnu
chiuse la porta della sua stanza ed andò a dormire. Reahu,
non avendo bisogno
di alcuna ora di sonno, andò in giardino. Si
stupì di trovarvi Thesan,
parecchio tempo prima dell’aurora di cui era la signora. La
guardò e non parlò,
preferendo allontanarsi. A quanto pare in quella casa c’era
sempre più gente
che soffriva d’insonnia!
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Capitolo 9 *** IX- Custode ***
IX
CUSTODE
Ihanez
era decisamente stupito di quanto il tempo stesse trascorrendo in
fretta. Era
steso sull’erba del giardino e guardava le nuvole,
immaginandosi forme e volti.
Era piuttosto distratto, ma un violento scossone lo riportò
alla realtà.
“A
cosa pensi?” esclamò l’ultima arrivata,
Lahar.
“A
niente” sobbalzò Ihanez, non aspettandosi il suo
arrivo.
“Niente
lezione oggi?”.
“E
tu?”.
In
lontananza, videro i loro due maestri parlottare fra loro. Akerbeltz
ridacchiava, segno che almeno in quel momento non si stavano dicendo
nulla di
male.
“Meglio”
sorrise lei, distendendosi a sua volta sull’erba
“Si riposa un pochino”.
“Che
scansafatiche che sei” la derise lui, ghignando.
“Ihanez!”
lo chiamò Reahu “Smettila di
bighellonare!”.
“Non
sto bighellonando!”.
“Ah
no? Alza il culo dall’erba e vieni qui, oggi cambiamo
registro”.
Lo
stregone fissò Lahar con aria interrogativa e poi si
alzò, stiracchiandosi.
Andò lentamente verso il suo maestro e colse gli ultimi
istanti della sua
conversazione con Akerbeltz.
“Te
lo giuro” stava dicendo “Era rosso in viso come il
colore della sua veste. Era
incazzato come una bestia. Gridava che non era possibile in quegli anni
non
essere riuscito nel suo intento e che Rashnu non capiva
l’importanza di questo
e di quest’altro. Parola mia: quell’uomo non ci sta
con la testa. Ed è
isterico. Dovrebbe concentrarsi sulla sua vita sentimentale, piuttosto
che
menarla tanto per quella degli altri!”.
“Povero
Kama” ridacchiò Akerbeltz
“Dev’essere frustrante cercare di svolgere il
proprio
ruolo con Rashnu. Già i suoi lupi sono creature impossibili
da gestire,
figurati lui…”.
“Ma
allora lascia perdere! Sforzare le cose non fa che
peggiorarle”.
“Su
questo ti do ragione”.
“Allora,
pigrone, hai finito di perdere tempo?” sbottò
Reahu, ora che Ihanez era
arrivato.
“Ma
non mi avete detto di fare niente!” protestò
l’allievo.
“E
per questo non fai un cazzo?! Ci vuole dedizione, disciplina,
determinazione!”.
“Quante
D…”.
“Vuoi
che ti picchi?”.
“No,
grazie”.
“Bene.
Scelta saggia. Il cambio di registro che ti dicevo consiste in un
insegnamento
più distribuito fra noi abitanti della casa. In questi anni
ti ho insegnato a
controllare la magia, ad usare anche altre capacità, ma non
posso insegnarti
ogni cosa, questo è ovvio. Così, dato che il tuo
potere latente a quanto pare
può essere usato in molti campi, meglio che sia gente anche
di altri ambiti a
spiegarti delle cose”.
“Io
non ho ancora capito quale sarebbe il mio potere latente”.
“Quando
si risveglierà si vedrà, ma fin ora hai mostrato
buone capacità in varie cose e
questo significa che il tuo potere non è circoscritto ad un
solo ambito, come
ad esempio quello di Lahar, legato perlopiù a natura ed
animali”.
“Non
so se preoccuparmi o esserne orgoglioso”.
“Entrambe
le cose andranno benissimo. Adesso andiamo, vieni con me. Egres si
è offerto di
seguirti quest’oggi, dato che ancora si sogna di notte la
fioritura dell’albero
grande da te compiuta. Apparentemente lui è un uomo
più tranquillo e
diplomatico di me, e probabilmente lo è, ma ti consiglio di
non fare lo scemo”.
“Ed
il tuo ruolo in tutto questo sarà di…?”.
“Di
supervisionarti e prenderti a scappellotti quando il tuo lato stupido
emergerà”.
Ihanez
non disse altro. Si limitò a seguire il suo maestro lungo il
giardino, fino a
raggiungere l’albero più grande. Sopra di esso,
fra i rami, se ne stava seduto
Egres, con aria assorta e felice.
“Ciao,
Ihanez” lo salutò, appena lo vide.
“Ciao”
salutò lo stregone.
Reahu
sospirò e scosse il capo, chiedendo perdono ad Egres per la
totale mancanza di
disciplina del suo allievo, incapace di usare la forma di cortesia
nelle
conversazioni.
“Non
importa” sorrise Egres, saltando ed atterrando davanti a
Ihanez “Questo è
l’albero grande che hai fatto fiorire poco dopo il tuo arrivo
qui. Immagino che
te lo ricordi”.
“Eccome”.
“Ebbene,
io ora voglio vedere a che punto sei, i tuoi progressi. Usando la
stessa
formula che hai usato quella volta, che non so quale sia, voglio vedere
cosa
sei in grado di fare”.
“Ma
io non so bene che ho fatto quel giorno. Era un gioco, con Aer ed Aura.
Non
avevo in mente qualcosa di preciso, se non far sbocciare un
fiore”.
“Rifai
la stessa cosa. Fiori da far sbocciare qui ce ne sono quanti ne vuoi.
Scegline
uno. Usa la magia. Poi vedremo che succede se ti impedisco di
farlo”.
Ihanez
non capì del tutto ciò che intendesse Egres ma
seguì il suo ordine. Scelse un
fiore, piuttosto grande ma ancora chiuso, e gli si avvicinò.
Si schiarì la voce
e si concentrò. Chiudendo gli occhi, lasciò che
la sua mente si perdesse in
pensieri lontani, prima di richiamarla interamente su
quell’unico fiore.
Spalancò gli occhi e cantò. Immediatamente i
petali si dischiusero, mostrando i
loro colori e spargendo nell’aria il profumo che custodivano.
Ma la magia di
Ihanez non si fermò a quell’unica pianta e si
espanse, in luce azzurra, lungo
tutto il giardino. Gli alberi fiorirono, tutti assieme, e
l’erba si riempì di
petali arcobaleno.
“Vedo
che il tuo maestro ti ha insegnato per bene come espandere
l’energia. E non sei
nemmeno stanco” si compiacque Egres.
Poi
alzò un braccio, mostrando che ai polsi portava i bracciali
per il blocco della
magia, e chiuse la mano a pugno. Quel semplice gesto, fece serrare di
nuovo
tutti i petali.
“Senza
la magia?! Come hai fatto?!” esclamò Ihanez.
“Questo
è il mio potere. Non pretendo certo che tu riesca a fare
altrettanto,
altrimenti vorrebbe dire che sei in lizza per prendere il mio posto e,
lo
ammetto, non mi piacerebbe tanto. Non sono ancora pronto per andare in
pensione. Ma tua madre era una signora della natura e questo significa
che
dentro di te c’è parte di questo potere e voglio
che me lo mostri, per spiegarti
come migliorarlo”.
“Intendi
far aprire un fiore senza magia? E come credi ci possa
riuscire?”.
“Prova.
Mettiti questi”.
Egres
sfilò i bracciali e li porse a Ihanez, che li prese con una
certa titubanza.
“All’inizio
non sarà piacevole” gli parlò Reahu,
spiegandogli come indossarli, essendo essi
degli strani marchingegni pieni di tasti e protuberanze “Ma
ci si abitua”.
Ihanez
provò un senso assoluto di smarrimento quando ebbe entrambi
i bracciali ai
polsi. Un capogiro violento lo costrinse a scattare di lato per non
perdere
l’equilibrio. Gli ci volle qualche minuto prima di essere di
nuovo se stesso.
Era una sensazione spiacevole e quegli affari pesavano un sacco.
“Ora
concentrati su quell’unico fiore che prima hai fatto aprire e
sfrutta la parte
latente di te” parlò, lentamente, Egres.
Lo
stregone, per nulla convinto, fissò quel fiore.
Perché avrebbe dovuto
riuscirci? Lui era nato e cresciuto stregone, aveva sempre usato la
magia fin
da bambino. Come poteva pretendere che ora qualcosa cambiasse? Aveva
più di
trent’anni ormai, se c’era dell’altro si
sarebbe visto.
“Smettila
di arrovellarti in mille pensieri, Ihanez. Pensa al fiore ed al fatto
che deve
fiorire”.
“Deve
per forza?”.
“Concentrati”.
Ihanez
tornò a fissare il fiore e, inaspettatamente,
ricordò le parole di sua madre.
Era da talmente tanto che non pensava a lei… Quasi aveva
scordato la sua voce
ed il suo viso, cancellati dall’odio per averlo abbandonato.
Nel poco tempo
trascorso assieme a lei, aveva avuto modo di vederla mentre si occupava
di
piante ed animali. Ricordò di aver colto un fiore per lei e
di essere stato
rimproverato, velatamente.
“I
fiori sono come te” gli aveva detto “Crescono,
vivono, respirano. Quando
sbocciano, aprono gli occhi verso il mondo che fino a quel momento era
stato
loro celato. Come bambini curiosi, alzano la testa e si guardano
attorno,
regalandoci profumo e colori. Dopo di loro verranno i frutti, che
daranno vita
ad altre piante, ad altri fiori, con i loro semi. Strappare un fiore ed
impedire che esso fiorisca è come uccidere. Non lo devi fare
mai. Uccidere è
sbagliato. Sempre”.
Quelle
parole, così inaspettate e fino a quel momento dimenticate,
risvegliarono una
luce negli occhi di Ihanez, che si trasmise alla sua mano tesa.
Lentamente,
quasi timidamente, il fiore si aprì.
“Al
primo tentativo. Sei un bravo maestro” commentò
Reahu, rivolto ad Egres.
“Hai
un bravo allievo”.
Ihanez
fissò quasi incredulo il fiore sbocciato. Tolse i bracciali,
percependo la
magia di nuovo scorrere libera nel suo corpo, e non disse nulla.
“Cosa
c’è?” domandò Egres, notando
il suo sguardo.
“Niente.
È che mi son venute in mente delle cose che credevo
dimenticate per sempre”.
“Nulla
è perso per sempre, Ihanez. Se ho imparato una cosa
lavorando come signore
supremo della natura, è che la vita e la morte sono
così strettamente legate da
sembrare quasi uguali, a volte. Ma ti dirò una cosa: a mio
parere, la vita
vince sempre. Anche dove è stato tutto distrutto, prima o
poi qualcosa
riemerge. Una pianta, un fiore, un sogno, un ricordo… Anche
quando crediamo che
qualcosa sia persa per sempre, non sappiamo mai quando questa posso
tornare, in
qualche modo. Forse in un’altra forma, forse dopo tanto di
quel tempo che non
riusciamo più a collegare le cose, ma accade”.
“Io
non ho mai creduto nei miracoli” lo fissò,
scettico, Ihanez.
“Non
sono miracoli. La vita non è un miracolo. È un
dono, una possibilità, un
cammino, una sfida. La vita è tante cose”.
“Ma
termina sempre con la morte”.
“Non
è quello che pensi per Hennay, giusto? La morte è
solo un passaggio in un grande
cerchio. Quando io morirò, altri prenderanno il mio posto ed
io diverrò
qualcos’altro. Non svanirò. Pensa a tua madre.
È morta, eppure è dentro di te,
e ti ha parlato”.
“La
smettiamo di parlare di queste cose?” interruppe Reahu “Per oggi
direi che hai faticato
abbastanza. Puoi tornare a bighellonare in santa pace”.
Ihanez
annuì e si allontanò.
“Cosa
ne pensi, Egres?” domandò Reahu, rivolto al
collega della natura.
“Non
saprei dirti, signore del cielo. Ma un potere simile non ancora del
tutto
risvegliatasi potrebbe avere un’enorme influenza in
futuro”.
“In
positivo o in negativo?”.
“Questo
lo stabilirà lui. L’ho detto: vita e morte,
così come il bene ed il male, a
volte sono così simili da essere facilmente
confusi”.
● ●
●
Sentendosi
chiamare con una certa insistenza, Rashnu apparve nella piccola
cappella
dell’accampamento. Si guardò attorno. Erano le
prime luci dell’alba e tutto
taceva in un modo quasi inquietante. Veda era lì, nascosta
nell’ombra.
“Perdonami”
mormorò “So che non dovrei chiamarti. Ma dovevo
farlo”.
Rashnu
la guardò. Era spaventata.
“Cos’è
successo?” domandò lui, allarmato.
“Ho
visto una cosa, prima, quando mi sono svegliata, ed ho dovuto
chiamarti”.
“Raccontami
tutto”.
“Io
mi sveglio prima del sorgere del Sole, sempre. Anche oggi ho fatto lo
stesso.
Prima delle mie compagne, mi sono cambiata e lavata. Mi stavo
sistemando i
capelli, guardandomi allo specchio, quando questo è
mutato”.
“Lo
specchio?”.
“Sì.
Ha cambiato colore e non mostrava più me stessa riflessa ma
una grande stanza
cilindrica, a piani sovrapposti, che dava su un corridoio circolare.
C’era
tanta gente che guardava nello stesso punto, ma non ti so dire cosa
guardasse.
So solo che un attimo dopo erano in terra. Morti, feriti, corpi in
pezzi e
grida di terrore, fra fiamme e crolli. Ed una voce. Una voce
così profonda da
sembrare provenire da ogni luogo, che parlava in una lingua che non
capivo. È
stato spaventoso”.
Veda
si fermò e rimase immobile, lanciando brevi occhiate a
Rashnu ma ricordando le
parole che aveva pronunciato tempo fa, quando l’aveva pregata
di non chiamarlo
se non per necessità. Questo lei lo aveva interpretato come
un chiaro rifiuto e
quindi ora era piuttosto imbarazzata. Non sapeva come avrebbe potuto
reagire
Rashnu.
“Sicura
che non sia stato tutto un sogno?” le domandò lui.
“Sicurissima.
Era reale. L’ ho visto davvero. E mi sono tanto
spaventata”.
“Lo
credo bene. Vieni qui, sta tranquilla”.
Rashnu
spalancò le braccia e lasciò che lei lo
abbracciasse, scoppiando in lacrime.
“Chi
erano quelle persone? Che cosa ho visto?” parlò
Veda.
“Non
mi è dato saperlo, Kami. Il tempo renderà tutto
più chiaro”.
“Ma
quelle persone moriranno! Oppure sono già morte?”.
“Solitamente,
le immagine mostrate si riferiscono ad eventi futuri”.
“Ma
è terribile!”.
“No,
tutt’altro. Avendo visto questo, hai la
possibilità di cambiarlo. Il futuro non
è scritto e prestabilito. Puoi evitare che accada
ciò che hai visto. È un
dono”.
“Un
dono che spaventa”.
“Già.
Un dono spaventoso ma sacro. Potrai salvare quelle vite. Insieme,
riusciremo a
capire di che luogo si tratta”.
“Quando
avverrà quello che ho visto?”.
“Non
si può sapere. Domani, stasera, fra
vent’anni…non si sa! Ma noi faremo tutto il
possibile per impedire che accada e vedrai che andrà tutto
bene”.
Veda,
che fino a quel momento era rimasta abbracciata a Rashnu, si
scostò leggermente
e gli sorrise, asciugandosi le lacrime.
“Grazie
per queste parole” disse “Non sapevo a chi
rivolgermi. Temevo di sentirmi dare
della pazza o della drogata”.
“Non
parlare a nessun guerriero di questo tuo dono, intesi? Finiresti nei
guai”.
“Intesi.
Ed ora è meglio che vada. Fra poco chiameranno a raduno ed
io dovrò essere là,
pronta per un’altra giornata
d’addestramento”.
“Spero
di averti aiutata”.
“Sì,
molto. Sono molto più calma adesso. Non avrei potuto
affrontare la giornata in
quello stato”.
Rashnu
mosse il capo, annuendo e facendole segno di andare. Veda si
voltò e si
incamminò verso la porta. In lei si era risvegliato un
potere nuovo, una
capacità inaspettata, senza nessuna connessione con il fatto
che lui, Rashnu,
venisse a trovarla. Allora quella ragazza aveva davvero delle
capacità, non
erano solo riflessi di un suo desiderio a chiamarlo lì.
“Veda”
la chiamò, prima che sparisse dietro al colonnato.
“Sì?”
rispose lei, indietreggiando.
“Posso
venirti a prendere questa sera?” furono le parole di Rashnu,
dette in fretta,
di getto.
“Questa
sera? Ok, a me sta bene. Ma perché?”.
“Beh,
per parlarne, no? Parlare di questo tuo potere e fare un giro, senza
doversi
sempre incontrare in questo postaccio che puzza di fumo”.
“Va
bene. Dove mi porti?”.
“Ammetto
di non conoscere molto bene i dintorni. Scegli tu. Un bel posto dove
mangiare
un boccone e fare quattro chiacchiere”.
“Ho
già in mente un posto. Ricordati, però, che ho il
coprifuoco a mezzanotte”.
“Non
ti farò far tardi, tranquilla. Ti va bene per le
otto?”.
“Perfetto.
A dopo, e non far tardi! Odio i ritardatari”.
Veda
corse via, sentendo le trombe del mattino risuonare
nell’aria, e Rashnu svanì,
tornando al suo lavoro, più distratto del solito.
● ●
●
Ihanez
era bravo a bighellonare. Con una spiga di traverso in bocca, rimase
steso al
Sole per un bel po’. Reahu non lo importunò per
tutto il pomeriggio, perso in
chissà quali pensieri. La casa era tranquilla, silenziosa, e
prima del tramonto
il padrone di essa fece ritorno.
“In
anticipo?” mormorò Ihanez, intravedendo gli
stivali a pochi passi da lui.
“Che
fai li per terra?” alzò un sopracciglio Rashnu.
“Niente.
Sonnecchio”.
“Temevo
che Reahu ti avesse picchiato fino a farti cadere di faccia
sull’erba”.
“No,
niente di simile. Adesso che ti vedo, posso chiedere una
cosa?”.
“Se
è una cosa rapida, ok. Altrimenti rimanda, che ho una certa
fretta”.
“Mi
chiedevo se mi era concesso tornare alla mia vecchia casa, quella del
mio
maestro, per vedere come è ridotta e se
c’è ancora. Potrei recuperare delle
cose mie e…”.
“Fatti
accompagnare da Reahu, e tornate qui prima del tramonto. Siate prudenti
e
cercate di non dare troppo nell’occhio.
Divertitevi!”.
Ihanez
non si aspettava una risposta del genere e non si aspettava di vederlo
sorridere. Sorrise a sua volta. Meglio approfittare del buon umore!
Rashnu
rientrò velocemente in casa e, passando da una stanza
all’altra, lanciando
occhiate continue all’orologio, si preparò per la
serata. Tutti gli altri lo
fissavano con aria interrogativa, senza però avere il
coraggio di chiedere
nulla. Aveva tirato i capelli all’indietro, in modo da non
farli più sembrare
una palma verde, ed indossava un abito bianco, sempre con i tratti a
due
colori, argento ed oro, tipico di tutto ciò che indossava.
Camminando di corsa
per i corridoi, Rashnu intravide Clio, seduta con un libro fra le mani.
“Posso
parlarti?” le domandò, facendola sobbalzare.
“Certo”
rispose lei, stupita nel vederlo vestito elegante.
Lui
chiuse la porta dietro di sé e sedette accanto a lei.
“Devi
promettermi che ciò che ti dirò adesso
rimarrà fra noi, ok?” le disse.
“Ok”.
“Bene.
Ho bisogno di un consiglio, e credo tu sia la persona più
adatta in questa casa
per darmelo”.
“Io?
E perché?”.
“Perché
sei una brava ragazza e sei una mia cara amica”.
“Ah,
va bene”.
Clio
si sentiva parecchio a disagio. Perché il suo capo era nella
sua stanza,
conciato in quel modo, con quello sguardo da cucciolo smarrito e quel
sorriso
idiota?
“Questa
sera mi vedo con una persona, e voglio che la serata sia perfetta. Io
non sono
molto pratico di queste cose”.
“Per
persona intendete una ragazza?”.
“Esatto.
Una ragazza. Una ragazza molto speciale, che non voglio né
spaventare né
aggiungere alla lista di amiche, non so se mi spiego”.
“Vi
spiegate perfettamente” sospirò Clio, non capendo
perché venisse proprio da lei
a chiedere consigli in una materia di cui di certo non era ferrata.
“Vi
assomigliate, tu e lei, sotto molti aspetti. Per questo sono qui da te.
Fingi
che io voglia uscire con te. Cosa ti piacerebbe? Come dovrei
comportarmi?”.
“Questa
è la domanda più strana che qualcuno mi abbia mai
rivolto!”.
“Lo
so, è strano. Ma non saprei a chi altro rivolgermi. Kama e
Kadesh non parlano
altro di sesso ed io non voglio questo. Intendo, non mi sembra il caso
di
pensare ad una cosa del genere”.
“Alla
prima uscita? Direi di no”.
“Chiedere
agli uomini è inutile, perché nessuno di loro ci
capisce niente di donne, e le
altre femmine della casa non sono così in confidenza con me
da potermi dare
veri consigli”.
“Io
posso parlare per me, ma non posso assicurare che per la "femmina" in
questione valga lo stesso. Per quel che mi riguarda, come prima serata
vorrei
andare in un bel posto dove poter parlare liberamente, senza troppa
folla o
musica alta, per intenderci”.
“Soli,
in due?”.
“No,
non da soli. Non alla prima uscita, perché mi sentirei a
disagio. Potresti fare
di me quel che vuoi, in un luogo isolato, senza che io possa sottrarmi
e questo
non mi farebbe stare troppo bene. Luoghi del genere vanno bene
più avanti”.
“Il
posto lo sceglie lei”.
“Una
fatica in meno. Fate, però, che non capiti troppo spesso.
Non so come la pensi
questa ragazza, ma a me piace avere accanto una persona che prende le
sue
decisioni e che propone delle cose. Che ascolta, ovviamente, anche il
mio
parere ma che non si aspetta che sia sempre io a decidere”.
“Vedrò
di ricordarmelo. Qualche altro suggerimento?”.
“Siate
sincero. Non fingete di essere qualcosa che non siete e non sparate
complimenti
a vanvera. Meglio un commento mirato, come ad esempio dirle che ha una
bella
pettinatura, piuttosto che il banale "sei bellissima". Lei lo
gradirà
di più, perché le mostrate che la guardate, che
notate il fatto che si è fatta
bella per voi”.
“Sento
che questa conversazione potrebbe aggiungere una marea di clausole se
la
lasciassi proseguire. Siete complicate”.
“Forse
siete voi troppo semplici”.
“Forse.
Un fiore può andare bene?”.
“Certo.
Ma attento al colore che scegliete”.
“Conosco
i suoi gusti”.
“Come
volete”.
L’orologio
a pendolo rintoccò le ore. Era tempo di andare. Rashnu si
alzò in fretta, non
volendo arrivare in ritardo, ed uscì dalla stanza. Clio
uscì a sua volta per
andare a cena. Molti la fissarono, chiedendosi cosa si fossero detti, e
lei
rispose con una specie di ringhio a pugni chiusi, allontanando tutti
quanti.
Reahu fissò con aria interrogativa il suo capo allontanarsi
in groppa ad uno
dei suoi grossi lupi, stupito da questo e dal fatto che avesse il
permesso di
accompagnare Ihanez fuori da lì.
● ●
●
“Clio,
piantala di guardarmi con odio. Io non ti ho fatto proprio
niente” commentò
Reahu, notando lo sguardo terribile di lei.
“Mi
serve qualcuno da fissare così, e tu al momento sei
l’unico disponibile”.
“Vai
a cena e troverai molti altri sguardi da incrociare”.
“Non
ho fame”.
“Tu
che non hai fame? Oh, su, che è successo di così
grave?”.
“Ho
promesso di non dirlo”.
“Come
preferisci. Ma tenendo tutte le cose dove stanno, non le risolverai
mai”.
“Fottiti”.
“Grazie”.
Clio
rimase in silenzio, fissando l’orizzonte dall’alto
della terrazza che dava
sull’ingresso. Tutt’attorno, alberi e cielo
notturno.
“Ti
serve uno sfogo, Clio. Te lo consiglio, o impazzirai”.
“E
che sfogo credi dovrei trovarmi?”.
“Picchiare
la gente per me è sempre stato d’aiuto”.
“Io
non ne sono capace. Mi hai vista?”.
“Ti
vedo. E sento la tua rabbia. Prova ad esprimerla, non solo fissando
l’aria
minacciosamente, spaventando le mosche”.
“Stai
cercando di farti prendere a pugni?”.
“Sarebbe
un buon inizio”.
Clio
si guardò le mani. Lei era così piccola,
così poco considerata, che non credeva
minimamente in alcuna delle sue capacità. Reahu era tornato
a girarsi e
guardava in alto, ignorandola. Questo la fece scattare in avanti. lo
colpì, con
tutta la forza che aveva. Con un calcio, ben assestato, lo
colpì dietro al
ginocchio, e glielo fece piegare in avanti.
“Hei!”
protestò lui.
“Prima
mi sfidi e poi mi ignori? Non si fa così”
sbottò lei, chiudendo i pugni e
tenendoli sollevati a mezz’aria “E poi non dire a
me di sfogarmi ed altre cose
del genere dopo quasi due secoli che fissi sempre la stessa
stella”.
Reahu
si voltò appena in tempo per riuscire a fermare un potente
colpo che gli era
stato rivolto. Quella piccoletta sapeva il fatto suo, lo doveva
ammettere.
“Così
mi piaci, signora della storia. Tira fuori la grinta”.
Clio
gridò ed iniziò uno strano combattimento fra i
due, con lei che pareva quasi
spaventata all’idea di colpire l’avversario.
“Non
trattenerti, o non risolverai mai niente. Colpiscimi! Rashnu ti ha
trattata
male? Fingi che io sia Rashnu e picchiami! Avanti!”.
“Siete
tutti uguali! Vi odio! Tutti quanti!” rispose Clio, colpendo
con più decisione.
Lo
scontro durò una decina di minuti, con gli altri abitanti
della casa che
fissavano il tutto con curiosità e divertimento, fino a
quando lei non si
bloccò, sfinita. Scoppiò in lacrime e cadde in
ginocchio, vergognandosi di se
stessa.
“Ma
che sto facendo?” disse “Non serve a niente. Sono
solo una stupida”.
“Alzati”
si sentì dire e, alzando lo sguardo, Reahu le stava porgendo
la mano per rimetterla
in piedi.
“Grazie”
sussurrò Clio, chinando la testa.
“Hei,
sono senza parte dell’anima, non senza cuore. Vieni con me,
certi ficcanaso è
meglio tenerli lontani” suggerì Reahu, riferendosi
alla folla di curiosi della
casa che li fissava.
Insieme
si addentrarono per la foresta. Scostando dei rami, si
mostrò un piccolo
spiazzo immerso nel verde, scintillante delle luci riflesse dalla Luna
di fiori
e piante. Clio si ritrovò in uno dei luoghi più
belli che avesse mai visto.
Rimase senza parole.
“Io
mi rifugio qui, quando a casa rompono troppo le palle e quando non ho
voglia di
farmi trovare. Puoi rimanerci per un po’, se ti fa
piacere” parlò lui.
“Grazie,
ma…perché fai questo per me?”.
“Mi
hai aiutato più volte, con il mio pessimo carattere, ed
aiuti anche il mio
allievo Ihanez. Non saprei in che altro modo ricambiare. Mi hai parato
il culo
tante di quelle volte con Rashnu che quasi non tengo il conto. Sarei
stato
cacciato già da tempo, se non fosse per te e per il
neofita”.
“Posso
venire qui quando voglio?”.
“Ogni
volta che vuoi. Non è molto distante da casa, non ti
perderai. Rientro, ti
lascio da sola”.
“No,
resta qui! Ho tanto bisogno di parlare con qualcuno”.
“Non
sono la persona più adatta. Mi manca un pezzo,
ricordi?”.
“Ma
non ti manca il cuore. E nemmeno le orecchie”.
“Come
preferisci. Ma non aspettarti grandi gesti empatici”.
● ●
●
Sul
dorso del lupo, Rashnu e Veda raggiunsero un piccolo locale, nel
villaggio dove
la ragazza era nata. Un posto piccino, accogliente e senza troppi
ficcanaso.
“Che
hai fatto ai capelli?” domandò la ragazza.
“Sono
ricercato, ricordi? Mi farei notare troppo con i capelli a
palma”.
“Son
più belli a palma, però”.
“Me
ne ricorderò” sorrise lui, aprendole la porta del
locale e dando ordine al lupo
di non allontanarsi troppo.
“Questa
è la prima volta che ci vediamo al di fuori
dell’accampamento, giusto?”.
“Giusto.
Prima volta che, finalmente, ti vedo senza quell’orrendo
vestito da guerriera
mimetica”.
“Hai
ragione. Quel vestito fa proprio schifo. Tu, invece, sei sempre bello,
qualsiasi cosa ti metta!”.
“Oh,
ma anche tu sei sempre bella. Solo che così, con quel
vestito, stai molto
meglio”.
L’abito
di Veda era rosso, piuttosto scollato, lungo fino ai piedi. Aveva
lasciato
sciolti i capelli, che si mostravano piuttosto voluminosi, rossicci e
ciuffi
più scuri. Al collo, un gioiello dono di sua madre che
brillava intensamente.
Con la rosa donatale da Rashnu fra le mani, si accomodò al
tavolo e sorrise.
Era da tempo che non tornava in quel luogo e probabilmente quasi
nessuno la riconosceva
più, cresciuta com’era.
“Hai
scelto un posto davvero molto carino. Ci sei già
venuta?”.
“Casa
mia era qua vicino” spiegò lei, dopo aver ordinato
da bere.
“Era?”.
“Sì.
Adesso è stata buttata giù per far spazio ad un
altro palazzo militare”.
“Mi
spiace”.
“Era
disabitata da anni”.
“Basta
parlare di cose tristi, ok? Voglio vederti sorridere stasera. Hai un
sorriso
splendido, come una notte stellata”.
Veda
arrossì. Quella sera, lì con Rashnu, era un sogno
che si avverava. Non notò la
forte differenza di reazione fra chi incrociava lo sguardo del suo
accompagnatore. Alcuni di loro ne erano così spaventati da
rimanere immobili.
Rashnu ignorò la cosa, abituato, e fu lieto che per lei non
fosse un problema.
Non era totalmente a suo agio, da troppo tempo non si prendeva una sera
di
divertimento.
“Posso
farti una domanda?” parlò lei, quando arrivarono
gli antipasti.
“Prego”
rispose lui, guardandola dritta negli occhi.
“Perché
proprio oggi hai deciso di invitarmi ad uscire? Intendo
dire…è da anni che ci
conosciamo, ormai non ci speravo più. Ho, forse, equivocato
le tue intenzioni e
questa è una sorta di cena di lavoro?”.
“Nessun
equivoco. Erano anni che ti volevo invitare ma, per motivi legati al
mio ruolo,
finora avevo preferito non farlo. Prima volevo davvero capire se il tuo
potere
esisteva, era tuo, reale, oppure se indotto dalla mia vicinanza. Per
questo mi
sono un pochino allontanato, impedendoti di chiamarmi di continuo. Il
tempo è
passato, tu sei cresciuta, ed entrambi abbiamo capito meglio
ciò che vogliamo e
ciò che ci aspetta. Non trovi?”.
“Ora
ricomincerai a venirmi a trovare come un tempo?”.
“Se
lo desideri, sarò da te tutti i giorni”.
Veda
trovava un po’ esagerata una tale frequenza di visite ma
l’idea di vederlo ogni
giorno non le dispiaceva per niente. Fecero un brindisi e si gustarono
la cena,
accompagnati dalla musica.
● ●
●
“Cioè,
fammi capire…” borbottò Reahu, con la
schiena contro un albero e la sigaretta
accesa “Quello stupido è venuto veramente a
chiederti consigli su una
ragazza?!”.
“Sì,
ma non dire che te l’ho detto. Avevo promesso di mantenere il
segreto”.
“Quell’idiota
di Rashnu! Tutti sanno cosa provi tu per lui, come ha potuto venire a
fare
discorsi del genere proprio a te?!”.
“Dice
che siamo buoni amici”.
“Stupido”.
“Gli
piace un’altra, che c’è di
male?”.
“C’è
di male che se ne andrà in giro piagnucolando, chiedendosi
perché la sua grande
amica Clio d’un tratto ha iniziato a trattarlo male.
Perché è quello che farai,
giusto?”.
“Trattarlo
male? In che senso?”.
“Possibile
che dentro di te non sia nato il desiderio di picchiarlo?”.
“Certo,
ma non lo farò. Siamo amici, giusto?”.
“Io
le donne proprio non le capisco”.
“Che
altro dovrei fare, scusa? Abitiamo assieme, ci vediamo ogni giorno,
è il mio
capo. Non posso serbargli rancore per
l’eternità”.
“Ma
neppure farti sfruttare. Metti le cose in chiaro e mantieni le giuste
distanze”.
“Non
so se ci riuscirò. Sento che Rashnu mi piacerà
per sempre”.
“Per
sempre? Nulla dura per sempre. Specie se io adesso vado da Kama e
Kadesh e
riempirli di botte, così da sistemarli per bene”.
“Anche
Ihanez aveva proposto la stessa cosa”.
“Bene.
Impara in fretta. È un mio degno allievo”.
“Davvero
picchieresti Kama per me?”.
“Io
picchierei quei due per chiunque. Li ammazzerei di botte per tutti i
casini che
combinano”.
Clio
scoppiò a ridere, leggermente alterata dall’alcol
che stava trangugiando. Come
ogni nascondiglio che si rispetti, Reahu vi aveva portato cibo e
bevande,
perlopiù merendine ed alcolici, che ora la sua
“ospite” stava gradendo molto.
“Vacci
piano” le disse.
“Non
ne ho nessuna intenzione!”.
● ●
●
Camminando,
seguiti dal lupo, Rashnu e Veda lentamente presero la via
dell’accampamento di
lei. La mezzanotte si avvicinava, rapidamente, e lei non voleva
rischiare
punizioni.
“Grazie
per la serata” mormorò, una volta giunti davanti
ai cancelli.
“Grazie
a te” le rispose lui, sorridendo “Solo ti chiedo di
non farne, per ora, parola
con tuo fratello, nelle tue lettere. Vorrei parlarne con calma, sia con
lui che
con gli altri che vivono con me”.
“Capisco.
Meglio verificare come va la cosa, prima di prendersi un pugno
inutilmente,
giusto?”.
“Giusto”.
“Non
ne farò parola. Custodirò il nostro segreto. Ora
è meglio che vada, però, o mi
chiudono fuori”.
Con
la rosa fra le mani, rimase ferma a guardarlo, come a non volerlo veder
andar
via mai.
“Buonanotte”
mormorò lui.
Lei
si voltò ma poi cambiò idea. Si girò
di scatto e, in punta di piedi, diede un
bacio al suo cavaliere dei lupi. Rashnu rimase immobile, confuso. In
una notte
così bella, così magica, aveva ricevuto il suo
primo bacio.
● ●
●
Reahu
sentì rintoccare la mezzanotte quando stese Clio a letto. Si
era addormentata
di botto, dopo aver bevuto troppo e biascicato parole senza senso per
una buona
mezzora. Crollata, a Reahu non era rimasto altro che prenderla in
braccio e
riportarla a casa, mettendola a dormire e levandole a forza dalle mani
l’ultima
bottiglia di liquore. La coprì con una leggera stoffa beige
ed uscì dalla
camera, tutta dipinta più o meno degli stessi toni fra il
bianco ed il
marroncino. Guardò l’orologio del piano di sotto.
Che noia le notti da quelle
parti. Era l’unico che non dormiva mai e lì, a
quell’ora, gli altri erano a
letto, o fuori a svolgere i loro compiti.
“Dovrei
prendermi un cucciolo” mormorò, chiudendo la porta
della camera di Ihanez,
addormentato e vegliato dall’anima di Hennay, in piedi
accanto al letto come
una statua semitrasparente.
Scendendo
le scale e raggiungendo il corridoio, vide Rashnu rientrare. Pareva di
buon
umore. Canticchiava. Rimase fermo a fissarlo e solo dopo qualche minuto
il
padrone di casa si accorse della sua presenza. Sorrise e, continuando a
canticchiare, gli si avvicinò. Fu molto rapido e
schioccò un bacio a stampo
sulla guancia di Reahu, che indietreggiò protestando.
“Oh,
Reahu! Sono così felice che…ti darei un altro
bacio!” esclamò Rashnu.
“Provaci
e ti spacco la faccia” ringhiò Reahu, pulendosi il
viso con l’ampia manica blu
dell’abito.
“Quanto
sei permaloso! Divertiti ogni tanto, fatti una risata!”.
Reahu
non ribatté, preferendo evitare rogne nel cuore della notte.
“Sei
solo tu sveglio, Reahu?” domandò Rashnu, non
percependo la scarsa voglia del
suo interlocutore di aprir bocca.
“No,
lo sei anche tu”.
“Spiritoso!
Oltre a me, intendo!”.
“Come
sempre a quest’ora, ci sono solo io in piedi ed in
casa”.
“Che
noia dev’essere la tua vita, Reahu”.
Lo
sguardo di Reahu si spalancò, misto fra
l’incredulo ed il furioso.
“Perché
non vai a farti un giro come fanno gli altri notturni?”
ripartì Rashnu.
“Perché
qualcuno deve rimanere alzato a vegliare la casa e, dato che gli altri
notturni
son tutti in coppia e se ne vanno in giro per conto loro, tocca a
me”.
“Che
stress. Non fa un granché bene alla salute, sai?”.
“Per
caso, tanto per sapere, questo è un test per verificare fino
a che punto regge
la mia pazienza? Perché non credo possa durare ancora a
lungo”.
“Sei
proprio permaloso! Dai, vieni, ti offro da bere”.
“No,
grazie. Stasera ho già bevuto a sufficienza. E poi
è tardi, per uno che si deve
svegliare all’alba domattina. Non credo che darsi ancora al
cazzeggio sia una
cosa saggia”.
“Parli
come se fossi mio padre”.
“Il
mio è un suggerimento. Poi fai quello che ti pare”.
“Andrò
a dormire quando mi andrà di farlo, chiaro? Così
come l’ora del mio rientro non
sono affari che riguardano altri al di fuori di me”.
“Mai
detto niente di diverso. Arrangiati”.
“E
smettila di darmi del tu!”.
“Fottiti”.
“Sparisci
dalla mia vista, e ringrazia che son di buon umore. Ricordati che
domani devi
accompagnare Ihanez a casa del suo vecchio maestro. Portatevi anche
Clio con
voi, così sarò certo che non farete
casino”.
Reahu
non disse nulla. Si voltò ed uscì in giardino,
dicendosi che un giorno ci
sarebbe stato uno scontro diretto fra lui e quell’essere dai
capelli a palma.
Avrebbe perso, sapendo bene di quanto il livello di energia di Rashnu
superasse
il proprio, ma almeno si sarebbe tolto qualche soddisfazione.
● ●
●
Il
risveglio del mattino fu relativamente tranquillo. Rashnu
lasciò la casa in
ritardo, sbadigliando e muovendosi lento. Molte voci della casa
parlavano della
sua serata, chiedendosi con chi l’avesse trascorsa ed in che
modo. Ihanez,
piuttosto assonnato, smangiucchiava biscotti ed ignorava ogni voce,
anche
quando parlò di Clio ed il suo maestro. Rise. Quei due
assieme proprio non era
una cosa possibile! Guardandosi attorno, però, si accorse
che lei non c’era a
far colazione, cosa strana perché era sempre piuttosto
mattiniera.
“Clio!”
bussò di nuovo Reahu alla porta della collega “Mi
spiace, non vorrei darti
fastidio, ma Rashnu ha dato l’ordine che tu venga con me e
Ihanez stamattina”.
“Fanculo
anche Rashnu!” sbottò lei, gemendo e ficcando la
testa sotto uno dei cuscini
“Digli che vada ad impiccarsi!”.
“Lieto
di riferire una frase del genere, ma dovrai comunque venire con noi o
mi
spaccherà il cazzo per giorni, pensando che faccia fare
chissà cosa a quel
ragazzo”.
“Mi
vien da vomitare e mi scoppia la testa”.
“Eh,
Cliuccia cara, è il dopo sbornia.
Passerà”.
“Quando?”.
“Dal
quantitativo di alcolici che hai tracannato, non saprei
dirti”.
Clio
gemette.
“Dai,
esci da lì. Vieni a far colazione, vado a farti una cosa che
ti farà sentire
meglio”.
“Così
oggi rivedrai la casa del tuo vecchio maestro”
parlò Lahar.
“Già,
sempre se i miei accompagnatori si fanno vedere”.
“Sei
emozionato? È passato del tempo…”.
“È
solo una casa, un castello”.
“Allora
perché ci tieni tanto a rivederlo?”.
Ihanez
non rispose, notando Reahu passare rapido per il salone, diretto in
cucina.
Gesto inconsueto. Poco dopo, Clio aprì la porta e si mise a
sedere. Era pallida
e frastornata.
“Ecco.
Fa schifo, ma se bevi tutta questa roba vedrai che poi starai
bene” le disse
Reahu, porgendole un bicchiere colmo di liquido verdastro.
“Caspita,
Clio” ridacchiò Kadesh “Hai
l’aria di una che ieri sera è stata sbattuta come
un uovo!”.
Clio
allungo il braccio, sfiorando Reahu con la mano prima che si
allontanasse.
“Che
c’è?” chiese lui.
“Hai
presente quello che mi hai detto ieri sera? Che li ammazzeresti di
botte? Bene,
non dico di ammazzarli proprio, ma se allungassi un paio di pugni ben
assestati
sui faccini fastidiosi di Kama e Kadesh mi faresti sentire davvero
molto
meglio”.
“Non
qui, non ora. Troppi testimoni” ghignò Reahu, ed i
due interessati si fissarono
impauriti.
“Chiamami
quando accadrà, che voglio assistere”
sussurrò lei.
“Sarà
fatto. Ora andiamo, dobbiamo far ritorno prima del tramonto”.
I
tre, assieme all’anima di Hennay, raggiunsero il castello
dello stregone in
poco tempo, grazie ai loro poteri. Appena Ihanez vi mise piede, la
torre a
quattordici porte di illuminò, attivandosi di nuovo dopo
tanto tempo. Si stupì
lui stesso di questo. Non pensava di aver tanta energia.
Guardò la sua vecchia
casa, provando una fortissima nostalgia. L’edera aveva
conquistato lentamente
buona parte della facciata e della torre, dandole un tocco in
più di mistero.
La porta, rimasta senza serratura, si aprì cigolando,
mostrando le sale buie.
Con un gesto della mano, Ihanez accese tutte le candele, rimaste al
loro posto
in attesa. In terra, polvere e pezzi di quelle che un tempo erano delle
statue.
Qualcuno le aveva distrutte, portandone via le pietre preziose
incastonate su
di esse. I quadri erano stracciati ed ovunque si percepiva un forte
odore di
bruciato. Probabilmente ad alcune stanze era stato dato fuoco.
Camminando
cautamente fra vetri rotti e calcinacci, Ihanez guidava il gruppo.
Nessuno
parlava, trovando rivoltante ciò che era stato fatto a
quella dimora, solo
perché appartenente ad uno stregone. Ihanez soffriva,
ricordando d’un tratto
molte cose a cui si era sforzato di non pensare. Immagini, voci,
profumi e
sensazioni tornarono prepotentemente ad occupare la sua testa, come un
potente
schiaffo. Si stupì dell’impassibilità
di Hennay, non potendo credere per
davvero che un’anima senza un corpo non potesse provare
nulla.
“Ihanez…”
mormorò Clio, facendo un passo e sfiorandogli la mano.
“Lì
è dove il mio maestro è morto”
spiegò lui, mostrando un punto ancora macchiato
di sangue “Questa casa è la sua tomba e guardate
in che stati è ridotta…”.
“Vuoi
sistemarla un po’? Ti diamo una mano”.
“A
che serve? Tanto poi la polvere ed il tempo avrà la meglio.
Io non posso
tornare a vivere qui, non finché sarò ricercato
da mezzo pianeta. Ma non posso
permettere che altri, sconosciuti e privi di rispetto, entrino qui a
profanare
questo luogo. Porterò via ciò che è
mio, ciò che han lasciato, e poi questo
castello svanirà in una nuvoletta di polvere, come
è accaduto al suo proprietario”.
Reahu
e Clio annuirono. Hennay non si mosse, galleggiando
nell’aria. Iniziarono a
girare per le stanze, raccogliendo oggetti, ricordi e foto. Quello che
era
rimasto e che valeva la pena di salvare. Continuarono fino
all’ora di pranzo,
quando si fermarono per mangiare ciò che Clio
previdentemente si era portata
dietro. Seduti in terra, in cerchio, si rifocillarono.
“Gran
bella casa, bisogna ammetterlo” commentò Reahu,
felice che, per una volta, non
era il solo a non mangiare avendo Hennay accanto.
“Grazie.
La tua com’è? Quella in cui stavi prima di abitare
con Rashnu e compagnia
bella”.
“Immagino
non ci sia più. Fisicamente, temo che il tempo non le abbia
dato grandi
alternative”.
“Oh,
suvvia! Dove vivevi?! In una capanna sugli alberi?!”.
“In
una bella casetta in un bel villaggio, ma sono passati moltissimi
anni”.
“Moltissimi?
Quanti esattamente, se mi è dato saperlo?”.
“Quasi
due secoli. L’attacco che ha portato via la mia sposa
è stato uno dei primi di
questa eterna guerra. Fra bombardamenti ed eventi atmosferici, credo
che di lei
non resti che polvere ormai”.
“Due
secoli?! Scherzi?!”.
“Non
scherzo. Non è poi molto, se ci rifletti”.
“Non
riflettevo per l’età, ma dagli anni di guerra. Due
secoli che le tre classi si
tormentano?!”.
“Esatto.
A quel tempo c’era ancora il padre di Rashnu, ma è
scomparso poco dopo”.
“Anche
tu, Clio, hai un’età del genere?” volle
sapere Ihanez, ignorando il fatto che
ad una signora non andrebbero chiesti gli anni.
“No,
io son arrivata molto dopo in quella casa. Sfioro il secolo, e non ho
mai
conosciuto il padre di Rashnu. Il tuo l’ho visto un paio di
volte soltanto”.
“Così
tanti anni e quel viso giovane. È così
strano”.
“Non
così tanto, dopotutto” si intromise Reahu
“Funziona allo stesso modo dell’esame
finale degli stregoni. Si fermano all’età in cui
lo superano, come aspetto. Noi
abbiamo il volto di quando siamo giunti per la prima volta alla casa di
Rashnu
e famiglia. Perfino tu non sei invecchiato di un solo giorno, dal tuo
arrivo”.
“L’età
media della casa qual è?”.
“La
maggior parte rientra fra la mia e quella di Clio.
C’è qualche giovane, come
Tate ed i vari figli degli abitanti. Poi ci sono quelli con molti
più anni come
Rashnu, tuo padre e tuo zio Mantus”.
“Quelli
quanti anni hanno?”.
“Troppi,
credimi. Per quanto riguarda il tuo parentado, non saprei nemmeno
dirtelo con
esattezza”.
“Caspita.
Così sì che mi fate sentire piccolo ed
inutile!”.
“Figurati
come mi sono sentita io!” ridacchiò Clio
“Quando mi sono risvegliata in piena
notte in preda agli incubi e mi son trovata lui davanti, incazzato per
chissà
quale motivo, che mi ha guardato malissimo e mi ha ordinato di sparire.
Proprio
una bella accoglienza”.
“Sono
il maestro assoluto delle belle accoglienze”
mormorò Reahu.
“Ma
prima di voi chi controllava tutte le cose che avete sotto
dominio?” domandò
Ihanez.
“Il
padre di Rashnu mi ha detto che, nel caso mi venisse in mente di
raccontarlo a
qualcuno, mi strapperà la metà d’anima
che mi è rimasta”.
“Ed
io non so che sia successo a chi ci precedeva” concluse Clio,
alzandosi una
volta finito di consumare il pranzo.
“Torniamo
al lavoro” si stiracchiò Reahu.
Una
forte luce ed un rumore dal piano superiore mise in allarme tutti
quanti.
Ihanez si trasformò in uccello rapace, istintivamente, e
volò sul grosso
pendolo. Reahu, non potendo trasformarsi in alcun essere vivente a
causa della
parte d’anima mancante, divenne una statua. Clio si fece
piccola, un topolino,
e sparì fra le pieghe del grosso tappeto impolverato che
copriva il pavimento.
Hennay non capì che stesse accadendo e seguì gli
ordini di Ihanez, rimanendo
immobile. Passi svelti percorsero le scale. Un giovane le percorse fino
alla
fine. Vestito di bianco, con un blocco fra le mani su cui annotava
chissà
cosa, si
fermò di colpo, notando
qualcosa di strano. Alzò lo sguardo.
“Bubo
bubo” esclamò, fissando il grosso gufo in cui si
era trasformato Ihanez “Che
meraviglia di animale sei”.
Avanzò
ancora di qualche passo ed il topolino Clio dovette scappare fuori per
non
finire schiacciato. Corse rapidamente. Il ragazzo fissò
prima il topo e poi il
gufo e si accigliò.
“Tu
non sei un gufo” disse “Altrimenti avresti
acchiappato il roditore senza
esitare. Ti ho beccato, stregone. Mostrati per quello che
sei”.
Hennay
apparve di colpo, decisa a difendere il gruppo. Il giovane fece cadere
in terra
la cartelletta ed indietreggiò, spaventato dal volto
terribile che quel
fantasma mostrava. Quasi cadde
inciampando sulle scale, quando deglutì e,
spalancando gli occhi, la
chiamò per nome.
“Hennay”
disse.
L’anima
si calmò, guardandosi attorno senza capire.
“Come
conosci il mio nome?” domandò.
“Perché
lui è mio fratello” parlò il gufo,
scendendo da dove stava appollaiato e
mutando forma.
Tornando
umano, scuotendosi dalle piume, si fermò accanto ad Hennay,
di fronte a Gudis.
“Ihanez!”
esclamò lo scienziato, mentre Reahu e Clio riprendevano la
loro vera forma.
“Cosa
ci fai qui?” domandò Ihanez.
“Cosa
ci fai tu qui! E chi sono loro? E come mai Hennay è
così? Credevo fosse morta”.
“Lo
è. Quella è la sua anima. Sono qui solo di
passaggio e loro sono abitanti della
casa dove sto ora. Lui è il mio maestro, Reahu, e lei
è un’amica: Clio”.
“Ciao”
mormorò Reahu, muovendo il collo scricchiolante.
“Piacere
di conoscerti” salutò Clio.
“E
tu cosa fai qui, fratellino?” sorrise Ihanez.
“Ho
appena finito l’addestramento con il mio maestro e da quel
momento vengo spesso
qui a fare ricerca, fra libri e materiali vari”.
“Uno
scienziato che studia libri e materiali da stregoni? Per quale
motivo?”.
“Che
c’è di male?”.
“Niente.
Ma è strano”.
“Sono
il custode del sapere di questo castello. Non ci vedo niente di strano.
Sono
uno scienziato di quarto livello ed il mio compito e fare
ricerca”.
“Ma
gli altri scienziati non ti fanno storie? Così vicino al
nemico…”.
“Fin
ora non mi è stato detto nulla di male”.
“Beh,
allora sono davvero felice che sia tu ad occuparti di questa casa. La
lascerò
sotto il tuo controllo allora, e potremmo anche vederci qui”.
“Ottimo.
Con il tuo aiuto, la mia ricerca andrà avanti molto
meglio”.
Ihanez
guardò Gudis. Era cresciuto in altezza ed il suo volto ormai
aveva fattezze da
uomo, non più da ragazzino. Aveva la barba, i capelli
raccolti e molto più
lunghi dell’ultima volta in cui si erano visti. Magrolino e
vestito in bianco,
era una spanna più basso di Ihanez ed in comune avevano solo
gli occhi. Si
misero d’accordo per una ricerca in comune. Insieme, i due
fratelli esplorarono
la casa. Hennay seguiva Ihanez senza parlare, mentre Reahu e Clio
sbirciavano
qua e là.
“Tu
eri uno stregone, giusto? Alcuni oggetti dovrebbero risultarti molto
familiari”
parlò Clio.
“Già”
ammise Reahu “Ma di molti sto dimenticando lo
scopo”.
“Chiedi
al tuo allievo. Ripassare non fa mai male”
sghignazzò lei.
“Me
lo ricorderò” le mostrò la lingua Reahu.
“Lo
sai? Non sei poi così stronzo come sembri” rise
Clio.
“Lo
sono, ma con chi lo merita, spia di Rashnu”.
“Spia?!
Io per quello non farò mai più niente. Lo
odio”.
“Che
esagerazione!”.
“L’amore
e l’odio occupano lo stesso posto nel cervello, si sta un
attimo a passare da
una sensazione ad un’altra”.
“Me
ne sono accorto. Beh, meglio così. Prima ti liberi dalla
sensazione che ti fa
soffrire e prima potrai proseguire con la tua vita”.
“Sì,
ma Kama e Kadesh li picchierai per davvero, giusto?”.
“Al
momento giusto”.
Clio
ghignò di gusto, mostrando un certo lato malvagio che fin
ora aveva tentato in
ogni modo di tener celato.
“Anch’io
voglio volare!” esclamò Gudis, vedendo il fratello
librarsi in aria fra gli
scaffali dell’enorme biblioteca.
Ihanez
non si girò ma mosse la mano, rivolgendola verso Gudis, e
questi si sollevò.
“Come
ci riesci?” esclamò lo scienziato, dimenandosi.
“Sono
migliorato parecchio in questi anni. Vuoi tornare a terra?”.
“Sì,
grazie. Pensavo fosse una sensazione migliore”.
Ridendo,
Ihanez suggerì molti libri interessanti al fratello, che
decise di portarli con
sé.
“Come
sei venuto qui, adesso che ci penso?”.
“Con
la torre. C’è ancora lo specchio che lo collega al
laboratorio del mio maestro
scienziato. Da lì passo. Sfrutto la porta lasciata
aperta”.
“Non
pensavo fosse rimasta aperta”.
“Nemmeno
io. Poi un giorno ho provato e mi son trovato qui”.
“Hai
corso dei rischi”.
Gudis
ignorò quell’ultima frase, perso com’era
nella lettura di un volume enorme e
polveroso. Con le tende tirate, per mantenere al buio i libri e non
rovinarli,
non si accorsero del tempo che passava. Reahu e Clio si misero a
giocare a
carte, con un mazzo trovato in un cassetto, ed ignorarono del tutto i
rintocchi
dell’orologio, inaspettatamente ancora carico. Solo dopo
parecchie ore, Reahu
si alzò per sbirciare fuori e si accorse che era
già il tramonto.
“Dobbiamo
andare” esclamò, girandosi di scatto
“È tardissimo!”.
“Ma
non abbiamo ancora finito!” protestò Ihanez.
“Torneremo
un altro giorno. Ora andiamo”.
● ●
●
Tornarono
a casa in fretta e furia, dopo aver salutato alla bene e meglio Gudis,
fra le
grida di Reahu che incitava il gruppo ad accelerare. La più
restia a muoversi
era Clio, che a braccia incrociate camminava lentamente e
canticchiando. Quando
arrivarono a casa, Rashnu era già rientrato e li aspettava,
con aria di
rimprovero.
“Ti
avevo dato un ordine, Reahu” esclamò, fermo
immobile al centro del corridoio.
“Chiedo
perdono. Abbiamo incontrato il fratello di Ihanez
e…”.
“E
per questo siete rimasti fuori ben oltre l’ora stabilita? Non
vi do ordini per
gioco, dovreste saperlo ormai. Eppure continuate a
disobbedirmi”.
“Non
siamo dei bambini. Il buio non ci uccide mica!”
sbottò Reahu.
“Io
parlo per la vostra incolumità, non perché mi
piace dare fiato alla bocca! È
fondamentale rispettare gli orari in questa casa!”.
“E
allora dovresti dare l’esempio” si intromise Clio
“Sei tu quello che ieri ha
fatto tardi e che oggi è partito tardi la mattina. Smettila
di incazzarti per
niente”.
Rashnu
si stupì di quella reazione. Non era da Clio, non dalla Clio
che conosceva lui
perlomeno.
“Vuoi
punirci tutti per non essere stati puntuali per cena? Sei
ridicolo!” continuò
lei.
“Clio,
ti prego!” tentò di calmarla Ihanez ma lei non
volle sentire ragioni, specie
perché Rashnu continuò a rimproverare Reahu,
responsabile del gruppo.
Reahu
ascoltava senza ribattere, vedendo chiaramente in Rashnu anni di stress
represso, che a quanto pare solo una bella fanciulla ormai riuscivano a
placare. Clio scattò e, senza dare il tempo a nessuno di
intervenire o reagire,
tirò un poderoso schiaffo a Rashnu. Che di colpo si
ammutolì.
“Non
è così che ci proteggi”
gridò Clio “Non è nascondendoci qui che
ci dai la
possibilità di vivere felici e non è
costringendoci a sottostare alle tue
regole che rendi migliore la nostra esistenza. È facendo
finire questa stupida
guerra che otterrai tutto questo. È portando la pace e
permettendo ad ognuno di
noi di poter camminare per strada fra le persone che potrai rendere la
nostra
vita felice. Io non so cosa tu sia aspettando. Tuo padre è
un vigliacco. È
scappato appena la situazione si è fatta un po’
complicata ed ha lasciato a te
tutti i problemi. Non tornerà, se non forse quando tutto
sarà di nuovo tutto
bello e perfetto come vuole lui. Non arriverà a salvarci, a
cambiare la
situazione. Tocca a te. Tocca a noi, e finché rimarremo qui
fermi a fare
niente, nulla cambierà! Tu vai pure in giro a giocare con la
tua nuova
amichetta, divertiti, ma io non rimarrò ancora qui con le
mani in tasca,
chiaro? Io credevo in te, ma comincio a chiedermi se è
davvero giusto che lo
faccia. Probabilmente non otterrò nulla da sola, ma sono
stufa di vedere le
presone accanto a me soffrire mentre coloro che possono far qualcosa se
ne
stanno a dormire”.
Con
queste ultime parole, rivolse il suo sguardo a molti di loro che nel
frattempo
si erano accalcati lungo il corridoio per vedere cosa accadeva. Poi si
voltò e
se ne andò, a passi decisi, verso la sua stanza, senza
girarsi nemmeno per un
istante.
“Clio
ha parlato” commentò Reahu “Ah, e a me
ha detto di dirti che devi andare ad
impiccarti” aggiunse, girandosi
e
raggiungendo pure lui le sue stanze.
Rashnu
fissò Ihanez, l’unico rimasto fermo
dov’era.
“Non
guardare me” alzò le mani lo stregone.
Il
padrone di casa non parlò. Rivolse lo sguardo verso il
grande portone che
portava all’ala dell’edificio di suo padre. Che
fossero vere e giuste le parole
di Clio? Si chiese, mentre una goccia di sangue, provocata dallo
schiaffo, gli
bagnava la guancia come una lacrima.
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Capitolo 10 *** X- cospiratore ***
X
COSPIRATORE
“Reahu!”
si sentì chiamare nel cuore della notte.
Era
strano che accadesse. Solitamente a quell’ora la casa era
tranquilla, senza
voci. Fissò con aria interrogativa Rashnu, che lo stava
raggiungendo camminando
lentamente.
“Qualche
problema?” domandò, non vedendo altra ragione per
cui il padrone di casa
dovesse chiamarlo in quel momento.
“No,
nessun problema. Vieni con me”.
“Non
mi piace la tua faccia. Troppo seria. Cosa vuoi?”.
“Vieni
con me e non discutere!”.
Reahu
sospirò, capendo di non avere alternative, e
lasciò che Rashnu lo facesse
apparire in un luogo diverso rispetto a dove stava ora. Era isolato,
lontano da
ogni luce, sopraelevato.
“Che
hai in mente di fare?” si allarmò Reahu,
guardandosi attorno e notando
l’altezza notevole dello spiazzo di roccia piatta su cui
stava.
“Niente
di grave. Solo divertirmi un po’, lontano da sguardi
indiscreti”.
“Così
sì che mi spaventi!”.
“Voglio
fare un po’ di allenamento. È da tanto che non
combatto”.
“Ah,
combattere! Meno male, mi era sembrato…”.
“Tu
pensi sempre alle cose sbagliate al momento sbagliato”.
“Hei,
un momento…hai detto "combattere"?! Io contro di te?! Sei
pazzo?!”.
“Cosa
c’è? Qual è il problema? Hai paura che
ti faccia del male?”.
“Io
ho l’assoluta certezza che mi farai del male”.
“Ucciderti
non rientra nei miei piani”.
“Ma
potrebbe accadere accidentalmente”.
“Io
non faccio mai niente accidentalmente”.
“Bene,
allora potreste uccidermi fingendo accidentalità!”.
“Suvvia,
Reahu. Nessuno nella nostra casa è sufficientemente potente
da poter prendere
il tuo posto. Ucciderti mi complicherebbe la vita non poco”.
“Voleva
essere un complimento?”.
“Smettila
di cianciare e datti una mossa. Prometto di essere delicato”.
“Per
quel che valgono le tue promesse…”.
Rashnu
si mosse rapidamente in avanti e, senza usare la magia,
tentò di colpire Reahu,
che però saltò all’indietro.
“Non
scappare” mormorò Rashnu, con il viso
incredibilmente serio e rimanendo sospeso
a mezz’aria, avvolto da una lieve luce.
“Resta
fermo a farti picchiare” sbottò Reahu.
Rashnu
ghignò e volò verso il suo avversario,
cominciando a colpirlo molto
rapidamente. Reahu reagì e lo allontanò con
un’ondata di magia.
“Avanti,
principino. Stai solo giocando” notò Reahu,
percependo chiaramente quanto bassa
fosse l’energia usata da Rashnu.
“Anche
tu stai solo giocando. Cosa c’è? Ti serve il
permesso scritto della mamma per
combattere seriamente? Avanti, fammi vedere ciò che sai
fare”.
Reahu
alzò le braccia al cielo, richiamando alcuni lampi che
illuminarono la notte,
iniziando a formare una sfera fra i palmi delle mani.
“Adoro
quando mi mandi contro le stelline” sorrise Rashnu,
preparandosi a ricevere il
colpo.
“Brutto
masochista” parlò a voce bassa Reahu, prima di
espandere in un instante la
piccola pallina di luce, facendola diventare enorme ed infuocata.
La
lanciò contro l’avversario, che si
concentrò per parare senza però considerare
la contromossa del signore del cielo, che mosse rapidamente le mani
verso il
basso, aprendo un varco circolare nero ai piedi di Rashnu. Questi
inevitabilmente vi cadde dentro, lottando con tutte le sue forze per
uscirne.
Reahu non oppose resistenza, invece, al risucchio che quella voragine
nera
stava provocando e seguì il suo capo, spingendolo sempre
più all’interno del
buio assoluto.
“Un
buco nero? E questo quando lo hai imparato a fare?” si
stupì Rashnu,
sforzandosi di sfuggire dal fulcro di quella emanazione oscura che lo
stava
chiamando a sé.
Reahu
non rispose a quella domanda e lanciò un forte raggio di
luce dalla mano
destra, diretto verso l’avversario, che incrociò
le braccia davanti al viso per
schivarlo e pararlo. Approfittando di quell’attimo di
concentrazione deviata,
il signore del cielo balzò all’indietro, chiudendo
dietro di sé la voragine ed
imprigionandovi all’interno Rashnu. Riapparso da solo sul
picco di roccia,
poggiò le mani sulle ginocchia, ansimando per la fatica.
“Dannato
ragazzino” sbottò, cercando di riprendersi.
Non
ne ebbe il tempo, perché il suo collega riapparve alle sue
spalle, in un balzo,
cogliendolo di sorpresa e mandandolo a terra, dopo parecchia strada
trascinando
la schiena.
“Credevi
di potermi battere così facilmente?”
esclamò Rashnu, stringendo i pugni.
“No,
nemmeno per un momento” ammise Reahu, fissando preoccupato il
precipizio a
pochi centimetri dalla sua testa.
“Però
devo ammetterlo che sei davvero bravo. Dall’ultima volta, sei
migliorato
parecchio”.
“Vaffanculo”.
Gemendo,
Reahu si rialzò e fissò con odio quei due occhi
arancio, così irritanti in quel
momento da essere quasi insopportabili. Rashnu allungò il
braccio destro verso
colui che aveva di fronte e, a mano aperta, immobilizzò
l’avversario. Reahu
gridò, percependo qualcosa di freddo e pungente
attraversargli il corpo. Stava
richiamando la parte rimastagli di anima, tormentandola. Il signore del
cielo
reagì, se pur con enorme fatica, e si liberò da
quella stretta.
“Solo
perché hai solo mezza anima. Con lei completa, saresti stato
del tutto in mio
potere”.
“Almeno
qualcosa a mio vantaggio”.
Rashnu
sollevò le mani e portò i due bracciali che aveva
ai polsi così vicini da far
produrre scintille l’uno sull’altro. Sorrise e
Reahu indietreggiò. Conosceva
quel colpo, e non voleva averci niente a che fare.
“Preparati.
Adesso faccio sul serio pure io” commentò il capo.
“Ma
che state facendo voi due?!” li interruppe una voce di donna.
Rashnu
fu costretto ad abbassare le braccia e rinunciare al colpo. Era Thesan,
signora
dell’aurora, che fissò entrambi con un certo
fastidio.
“Non
vedete che è l’alba? Soprattutto tu, Rashnu! Sei
in ritardo. Piantatela di
starvene qui a far niente ed andate a lavorare”.
“Hai
ragione. Mi scuso per il ritardo” sorrise il capo,
stiracchiandosi come se
nulla fosse “Mi sono divertito tanto Reahu, spero di poterti
affrontare presto
di nuovo”.
Reahu
non rispose, un po’ perché non ne aveva voglia e
un po’ perché non ne aveva il
fiato. Guardò il suo capo allontanarsi e fu lieto di notare
che non era poi
stato così privo di conseguenze il suo attacco,
perché si mostrava pure lui
dolorante. Ghignò e tornò lentamente verso casa.
● ●
●
Gudis
sentì bussare alla porta di prima mattina. Ancora mezzo
addormentato, andò ad
aprire. Chi mai poteva essere così presto?
“Arrivo”
disse, senza però lasciare il blocco degli appunti che stava
rileggendo.
Aprì
e di trovò di fronte un paio di soldati. Uno era grande
grosso, dal volto in
parte celato da un elmo di colore scuro, mentre l’altro era
più basso e
grassoccio, capelli radi e abito elegante da ufficiale in carica.
“Desiderate?”
domandò il giovane scienziato.
“Siete
lo scienziato di quarto livello di nome Gudis?”.
“Sì,
sono io. Voi chi siete?”.
“Possiamo
farvi qualche domanda?”.
“Certo.
A che proposito?”.
“Preferiremmo
parlarne dentro, se non vi dispiace”.
“Come
preferite. Prego, entrate”.
Una
volta che i tre ebbero raggiunto la saletta da tè, sedettero
e, con davanti
pasticcini e liquore, iniziarono a parlare. Una sorta di strano
interrogatorio.
“Voi,
Gudis, siete il fratello di uno stregone, da quel che ci
risulta”.
“Sì,
non l’ho mai negato”.
“Ed
avete contatti frequenti con questo vostro fratello?”.
“No”.
“No?”.
“No!”.
“Sapete
perché lo chiediamo? Vostro fratello è ricercato,
questo immagino lo sappiate
già”.
“Lo
so bene. Pensate che io lo nasconda?”.
“No.
Pensiamo che non sia molto fedele alla sua classe ed
all’alleanza creatasi fra
noi guerrieri e voialtri scienziati”.
“In
che senso?”.
“Sappiamo
da fonti certe che, oltre ad intrattenere sporadiche conversazioni con
suo
fratello di razza maledetta, ha frequenti contatti con
quest’uomo”.
Quella
frase fu accompagnata dalla comparsa di una foto. Gudis la
osservò. Era Rashnu.
Gudis non sapeva cosa dire, e preferì far parlare ancora i
soldati.
“Questo
individuo è estremamente pericoloso, molto più di
quanto già non sia vostro
fratello. Forse voi non ve ne rendete conto, parlandoci”.
“Non
ha l’aria pericolosa” commentò Gudis,
osservando la foto.
“Non
fatevi ingannare dalle apparenze. Ha annientato in pochi secondi
un’intera
squadra d’assalto, equipaggiata con armi progettate da
scienziati. E senza
nemmeno fare fatica”.
“Io
cosa ho a che fare con tutto questo?”.
“Sappiamo
che voi conoscete questo mostro criminale. Vogliamo informazioni su di
lui. Se
ce le fornirete, non subirete alcuna conseguenza”.
“E
se io non collaborassi?”.
“Non
si rende contro della pericolosità di questa
creatura?”.
“Sinceramente,
reputo molto più pericolose le navi che sorvolano il cielo e
che con le loro
bombe sfiorano continuamente la mia casa”.
“Forse
non ci siamo spiegati: voi non avete scelta. Nella vostra posizione, o
collaborate e ci aiutate a catturare i due ricercati oppure passerete
grossi
guai”.
“Guai
più grossi del farmi nemici uno stregone di quinto livello
ed una creatura
tanto forte da annientare i vostri eserciti?”.
“Cercate
di usare la logica, scienziato. Collaborate, o saremo costretti ad
arrestarla”.
“Fate
pure. Io non muoverò lingua contro mio fratello. E nemmeno
contro colui che voi
definite un mostro criminale”.
“In
questo caso…” si alzò in piedi il
soldato più grosso “…vi dichiaro in
arresto,
scienziato Gudis. Per cospirazione e collaborazione con individui che
minano
l’alleanza fra classi che porterà alla vittoria
contro gli stregoni”.
“Siete
solo spaventati” mormorò Gudis, mentre gli
venivano legati i polsi “Perché non
capite come facciano certe creature ad essere molto più
potenti di voi”.
“Spero
di vederla presto da vicino una creatura come tu dici. La aspetteremo a
braccia
aperte”.
Trascinato
fuori da casa propria, usando appunti e libri sugli stregoni come
prova, il
giovane scienziato camminò a testa alta fra la gente del
villaggio che lo
fissava incredula. Mai si darebbero aspettati che quel apparentemente
così
bravo ragazzo in realtà fosse un terrorista.
● ●
●
Ihanez
aveva appena finito la colazione ed attendeva ordini da parte del suo
maestro,
che però non arrivavano. Trovò la cosa piuttosto
strana, e si chiese dove
fosse. Si guardò attorno, convinto di trovarlo in giardino a
far niente, ma non
fu così.
“Il
tuo maestro oggi non credo sarà disponibile” gli
sorrise Akerbeltz, signore
degli animali.
“Perché?
Che sta facendo di così importante?”.
“Dorme”.
“Come
dorme?! Ma a lui non serve dormire!”.
“A
tutti serve dormire dopo un allenamento con Rashnu”.
Ihanez
preferì non approfondire, anche se era proprio curioso di
vedere il terribile
Reahu addormentato come un bimbo fra le lenzuola scure.
“Oggi
ti darò io dei compiti” proseguì
Akerbeltz “Se ti va bene”.
“Mi
va benissimo” sorrise lo stregone, impaziente di imparare
cose nuove e felice
all’idea di fare addestramento con Lahar.
“Ottimo”.
La
nuova arrivata era a braccia aperte, poco distante, circondata da
piccoli
uccellini variopinti. Li faceva volare in formazione, in cerchio,
attorno al
giardino.
“Wow”
commentò Ihanez “Che brava”.
“Puoi
dirlo. Quelli sono piccoli delle nuove covate e presto darà
loro l’ordine di
volar via dal giardino, raggiungendo il resto del mondo”.
“Ed
io cosa vuoi che faccia?”.
“Prova
a convincerne anche solo uno di loro ad andarsene da qui ed avrei
ottenuto un
gran risultato”.
Ihanez
si avvicinò a Lahar, che non gradì molto
l’intrusione perché gli uccellini non
reagirono in modo positivo davanti a quell’intruso e lei
dovette raddoppiare gli
sforzi per controllarli.
“Su
quel nido lassù…” iniziò a
parlare lei, indicando uno degli alberi più alti
“…c’è ancora un pulcino che
non vuole saperne di uscire di casa, mentre le uova
della nuova covata son già state deposte. Fra qualche giorno
si schiuderanno e
lui deve essere già partito per la migrazione”.
“Ma
vola?”.
“Vola
benissimo. Ma non ha voglia di lasciare la mamma. Dagli una
spinta”.
“Va
bene”.
“E
vedi di non spaventarlo”.
Lo
stregone salì cautamente lungo i rami dell’albero,
attento a non fare troppo
rumore. Si affacciò fra i rami e vide il nido. Sul bordo di
esso, un grasso e
paffuto uccellino dai molti colori se ne stava fermo, a palla, son le
ali
serrate lungo il corpo. Nel nido, tre piccole uova rosate brillavano,
momentaneamente lasciate senza custodia dalla madre.
L’uccellino fissò Ihanez e
non si mosse.
“Ciao”
salutò lo stregone “Pelandrone. Sai che
è tempo di migrare? Tempo di trovarsi
una nuova casa, altro che scroccare cibo e letto ai tuoi. Dai, su, vola
dagli
altri”.
L’uccellino
ciccione spalancò la bocca, probabilmente chiedendo cibo.
“Dai.
So che sai volare, e pure bene”.
Ihanez
provò a muovere le mani, non troppo rapidamente, in modo da
far unire il
volatile obeso al resto dello stormo, ma questi non si mosse di un solo
centimetro, se non per provare a beccargli la mano. Lo stregone
sospirò,
indeciso sul da farsi.
“Hai
paura? Vedila così: se rimarrai qui con mamma per sempre,
nessuna uccellina ti
vorrà mai. Sei maschio, giusto? Non ti interessano le
uccelline?”.
Lo
scansafatiche ignorò quella frase e si mise più
comodo sul nido, muovendo il
sedere.
“Sei
irritante. Parecchio irritante” commentò Ihanez.
Pensò
che forse un incantesimo avrebbe potuto aiutare e, reggendosi alla bene
e
meglio ad un grosso ramo, allungò la mano verso il nido. Si
concentrò ed una
luce verde lo avvolse. Chiuse gli occhi e li riaprì quando
udì uno
scricchiolio. Proveniva dalle uova.
“Hei!
Io non ho detto proprio niente a voi tre!” esclamò.
“Che
combini?!” si allarmò Lahar “Non avrai
mica rotto le uova?!”.
“Beh…ecco…io…”.
Lei
raggiunse in fretta il nido e rimase senza parole. Le uova si erano
schiuse,
con giorni d’anticipo, e mostravano dei pulcini perfettamente
formati.
“Forse
sono errati i calcoli di nascita” provò a dire lei.
“Che
succede?” domandò Akerbeltz, ai piedi
dell’albero.
“Le
tre uova si sono schiuse” spiegò Lahar.
“Impossibile.
Manca quasi una settimana al completamento della cova”.
“Sicuro?”.
“Assolutamente”.
“Però
qui ci sono tre pulcini affamati”.
Akerbeltz
raggiunse i due apprendisti e rimase piuttosto sconcertato.
“Sei
stato tu?” domandò, rivolto a Ihanez.
“Temo
di sì. Mi spiace”.
“Come
hai fatto?”.
“Io
volevo dare un po’ di energia a quel ciccione scansafatiche
mammone ma devo
aver sbagliato qualche cosa e…”.
“Quando
lo saprà Rashnu…”.
Ihanez
guardò Akerbeltz allarmato e solo in quel momento il signore
degli animali notò
che lo stregone temeva di aver commesso un atto punibile.
“Stai
tranquillo! Ciò che hai fatto è buono, non avrei
conseguenze negative per
questo”.
“Davvero?”.
“Certo.
È straordinario”.
“Dite
sul serio? Non ho sbagliato?”.
“No”.
“Però
quel dannato uccello mangione non si è
mosso…”.
“Lascia
che ci pensi la mia giovane allieva a lui”.
Lahar
mosse un dito, e l’uccellino la raggiunse volando, andando
poi ad unirsi allo
stormo in partenza. Il tutto senza alcuna titubanza.
“Ma
come hai fatto?! Quel maledetto ha provato solo a mangiarmi le dita
prima!”.
“Ad
ognuno il suo campo. Io non so far schiudere le uova prima del
tempo” ridacchiò
lei.
Tutti
e tre tornarono a terra ad Akerbeltz, con movimenti precisi, diede agli
uccelli
l’ordine di lasciare il giardino e sparpagliarsi per il
mondo. Tutti i volatili
della foresta attorno alla casa seguirono lo stesso ordine e si
unirono,
formando una nube di ali colorate. Ihanez fissò il tutto con
incanto, volendo
per un istante trovarsi fra di essi. Invidiò Lahar. Lei
aveva capito qual’era
la sua capacità e la stava allenando al massimo, divenendo
sempre più brava.
Anche se non capiva il perché dell’esistenza di
due persone dalle abilità quasi
identiche, com’erano lei ed Akerbeltz.
“A
che pensi?” sorrise lei.
“A
niente in particolare” mentì lui.
“Il
tuo potere è dunque per davvero la vita”
parlò Egres, silenzioso spettatore di
tutta la scena.
“Il
mio potere? La vita? Ma che state dicendo?”
inclinò la testa Ihanez.
“Solo
chi possiede il dono della vita può compiere certi
cambiamenti nell’ordine
delle cose”.
“Ma
io credevo che il padre di Rashnu possedesse la capacità
legata alla vita”.
“No.
Tuo padre possiede quel potere. Ed il fatto che tu lo possieda a tua
volta può
voler dire due cose: le vostre forze si equipareranno, e governerete un
giorno
la stessa capacità assieme, come sta succedendo ad Akerbeltz
e Lahar, oppure
lui si sta spegnendo, trasferendo così l’intero
potenziale e controllo a te”.
“E
come si fa a capire quale delle due cose sta accadendo?”.
“Per
ora puoi stare tranquillo. Il tuo risveglio non è ancora
completo. Poi immagino
si vedrà in base al potere che acquisirai. La vita
è una forza spaventosa, più
forte di quella della maggior parte di noi. Se risiederà
solo in te, lo
noteremo”.
Ihanez
non sapeva se esserne spaventato o lusingato.
“Non
vedo l’ora di vedere la faccia del tuo maestro quando la
saprà. Addestrare la
vita non è affatto semplice, anche perché, come
tale, deve per forza incontrare
anche la morte”.
“Chi
deve incontrare la morte?” borbottò Reahu,
spuntato pigramente alle spalle del
suo allievo, che sobbalzò per la sorpresa.
“Hai
per allievo il futuro signore della vita” spiegò
Egres.
“Questo
è tutto da vedere. Finché non si
risveglierà del tutto, non potremmo mai
saperlo con certezza e, sinceramente, preferirei non lo fosse.
È una gran bella
rogna governare la vita, soprattutto in quest’era di eterna
guerra”.
“Non
poteva, però, scegliersi maestro migliore. Tu sei stato
addestrato da
Ipalnemoa” commentò Akerbeltz, ricordando
vagamente il padre di Ihanez.
“Me
lo ricordo. Come ricordo la disperazione negli occhi del mio mentore,
dopo che
ogni giorno si sforzava di combattere contro un destino già
stabilito. Ogni
giorno vedeva la morte prendere sempre più il sopravvento su
ciò che lui
rappresentava, per colpa della guerra. Non auguro a nessuno un percorso
simile”.
“La
guerra finirà. Non può durare in
eterno” parlò Egres.
“La
stessa cosa me la sono sentita dire non so quante volte negli ultimi
duecento
anni”.
“Devi
cercare di essere più ottimista”.
“Ti
auguro di avere sempre accanto a te qualcosa o qualcuno a cui
aggrapparti per
alimentare continuamente il tuo ottimismo, amico mio. E adesso, se non
vi
dispiace, credo che al mio allievo non faccia male fare qualche
esercizio in
più”.
● ●
●
“Io
ve lo ripeto: non vi dirò niente”
ripeté, per l’ennesima volta, Gudis.
Con
le mani legate dietro alla schiena, veniva interrogato da ore da un
gruppo di
soldati.
“Vedo
che hai proprio intenzione di farci passare alle maniere
forti!” borbottò uno
dei guerrieri, non vedendo altre alternative.
Quel
ragazzo doveva parlare, ne andava della sopravvivenza della loro
classe, ma non
voleva collaborare. Perciò, non vi era altro modo se non
quello usare metodi
non troppo gentili.
“Passare
un po’ di tempo in cella ti aiuterà. Sarai in
buona compagnia” sbottò,
facendolo trascinare via lungo i corridoi grigi e umidi della prigione.
Giunti
in fondo al corridoio, davanti alla cella più buia ed
inquietante, Gudis vi
venne buttato dentro, con i polsi ben stretti e senza molta cortesia.
“Non
vi dirò nulla lo stesso” gridò,
convinto.
Non
si accorse subito che, con quel grido, aveva risvegliato il suo
compagno di
cella, un energumeno grande e grosso condannato per omicidio plurimo.
Quando lo
vide, lo scienziato tentò di farsi il più piccolo
possibile, per non
disturbare, ma quell’uomo aveva decisamente bisogno di
sfogarsi e quel giovane
ragazzino biondo pareva proprio far al caso suo.
● ●
●
Al
tramonto, Rashnu tornò a casa con l’aria
più stanca del solito, probabilmente a
causa dell’allenamento extra che aveva voluto fare prima
dell’alba. Si guardò
attorno. Quante facce allegre! Che cosa strana…
“Dove
sono Ihanez, Reahu e Clio? Devo parlare con loro”
parlò, rivolto ad Egres.
“Li
vado a chiamare. Credo che anche loro avranno qualcosa da
dirvi”.
Maestro
ed allievo arrivarono assieme e Clio subito dietro.
“Devo
parlarvi” esordì Rashnu “Ma mi
è stato detto che anche voi avete qualcosa da
dirmi”.
“Sì”
sospirò Reahu “A quanto pare il signorino qui
presente ha in sé il dono della
vita”.
Il
padrone di casa fissò Ihanez negli occhi e sorrise,
congiungendo le mani
davanti al viso.
“Futuro
signore della vita? Oh, Ihanez, non sai quanto io sia felice e non puoi
immaginare quanto io abbia sperato in questo. Ti sei
risvegliato?”.
“Non
del tutto, ma ho fatto schiudere delle uova prima del tempo con bei
pulcini
paffuti”.
“Sembri
scettico. Qualcosa non va?”.
“Bah,
non mi sembra di aver fatto poi una gran cosa. Tutti qui a dirmi che
è stato
straordinario ma io non vedo questa gran
straordinarietà”.
“Credi
che dar energia vitale ad una creatura in modo da farla crescere e
nascere non
sia una cosa straordinaria? Pensi che ognuno di noi ci
riesca?”.
“Non
è così?”.
“No,
certo che no. Non ne sei convinto, lo vedo dalla tua faccia. Vedrai che
con il
tempo te ne convincerai. Ora, veniamo a noi. Seguitemi in stanza,
vorrei
parlarvi in privato”.
I
tre si fissarono e poi seguirono il padrone di casa lungo il corridoio,
fino a
giungere nella camera di lui, chiudendosi la porta alle spalle. Furono
fatti
sedere ed accomodare.
“Che
succede? Che abbiamo combinato?” domandò Reahu.
“Voi
niente. Si tratta di Gudis, il fratello di Ihanez”.
“Che
gli è successo?” si allarmò lo stregone.
“È
stato arrestato”.
“Arrestato?!
E per cosa?!”.
“Per
cospirazione. A quanto pare, qualcuno lo ha visto parlare con te e con
me,
considerati dei criminali, e quindi pensano che sia una sorta di
protettore di
terroristi. Lo hanno imprigionato per avere informazioni a riguardo.
Per ora
non ha parlato, ma mi darebbe parecchio fastidio se lo facesse. Non so
se mi
spiego…”.
“Che
problema c’è? Andiamo là e lo
liberiamo, non sarà difficile” parlò
Reahu.
“Mi
aspetto discrezione. Non agitiamo ulteriormente le acque. Sono certo
che
saprete usare la giusta persuasione affinché la cosa non si
ripeta, ma lascio a
voi la libera scelta di quale quantità usarne”.
“Giusta
persuasione?” ripeté Ihanez, inclinando la testa,
notando il ghigno sul viso
del maestro e lo sguardo serio di Rashnu.
“Sì,
persuasione” gli sorrise Reahu “In pratica ci ha
appena dato il permesso di
spaccare culi”.
“Detto
volgarmente” annuì Rashnu, sempre con espressione
seria “Non voglio che vengano
trapelate informazioni su di noi non necessarie fra i monoclasse. E
ovviamente
non voglio che Gudis venga ulteriormente importunato solo
perché possiede parte
del sangue di Ihanez. Qui sopra vi ho scritto il luogo esatto e sono
riuscito
ad ottenere una piantina del posto. Mi aspetto un pieno successo ed un
ritorno
in tempi brevi”.
“Fidatevi
di noi” si alzò Reahu “Quando abbiamo il
permesso di partire?”.
“Quando
lo riterrete necessario. Non vi do limiti di orari o obblighi di
sorta”.
I
tre annuirono ed uscirono dalla stanza, parlando fra di loro per
decidere il da
farsi. Un gruppo di soldati teneva prigioniero Gudis, probabilmente
torturandolo. Dovevano agire il prima possibile.
“Ihanez,
se sei pronto, possiamo partire già ora. La notte
sarà nostra alleata” parlò
Reahu, battendo il pungo contro il palmo della mano opposta, mostrando
di avere
una gran voglia di passare all’azione.
“Ma
non sei stanco? L’allenamento con
Rashnu…” iniziò Clio, ma il signore del
cielo
la zittì, dicendole che andava tutto bene.
“Io
sono pronto” annuì Ihanez, pieno di rabbia al solo
pensiero che qualcuno
potesse far male al suo adorato fratellino.
● ●
●
Nel
buio della notte, quella cella pareva ancora più tetra. La
lieve luce della
Luna filtrava fra le sbarre, proiettando ombre sinistre sulle pareti.
Gli era
stato detto che sarebbe uscito di prigione in qualsiasi momento, gli
bastava
collaborare. In caso contrario, sarebbe morto lì dentro.
Sospirò. Forse suo
fratello e Rashnu potevano cavarsela benissimo anche in caso di
informazioni in
più fornite ai soldati, si ritrovò a pensare. Un
topo gigante si stava
mangiando la sua cena, con soddisfazione. Gudis si limitò a
fissarlo, sapendo
che quello schifo non lo avrebbe mai mangiato. Forse doveva davvero
iniziare a
parlare…
“Penso
possiate rimanere qui” parlò Ihanez, a pochi passi
dalla prigione “Me la cavo
da solo contro questi quattro soldatini”.
“Come
preferisci” annuì Reahu “Noi saremo qua
fuori, nel caso ti servisse aiuto. Non
fare troppo casino, mi raccomando”.
“Tranquillo,
non lascerò testimoni”.
Detto
questo, lo stregone si materializzò all’interno
dell’edificio, ignorando le
guardie all’ingresso e gli
spessi muri
che separavano i detenuti dal resto del mondo. Apparve lungo il
corridoio, di
fronte alla cella del fratello. Avrebbe potuto afferrargli la mano e
portarlo
fuori, senza lasciare traccia, e sparire, ma c’era una cosa
che quelle persone
lì dentro dovevano imparare: nessuno poteva far del male
alle persone a lui
vicine.
“Chi
sei tu?” esclamò una guardia, vedendoselo apparire
a pochissima distanza.
“La
tua fata madrina” mormorò Ihanez, allungando un
dito verso quell’uomo, che
venne scaraventato contro la pesante porta in metallo pesante, che gli
fracassò
il cranio e buona parte delle ossa in un istante.
“Ihanez?”
si stupì Gudis “Come sei entrato?”.
“Importa
davvero? Dai, andiamo”.
“Io…ho
detto loro delle cose, Ihanez. Non tutto, ma…”.
“Non
importa. Saprò rimediare, prendi la mia mano”.
Gudis
annuì e fece per allungare la mano verso il fratello ma
questi si ritrasse,
vedendo altri soldati correre verso di loro.
“Stai
indietro” suggerì e si preparò a
colpire di nuovo.
Poggiò
una mano lungo la parete e questa si mosse. Le sbarre delle varie celle
si
piegarono in avanti, rapidamente, trafiggendo quegli uomini che ora
sapevano
troppo. Se era vero che Gudis aveva parlato, allora nessuno doveva
uscire vivo,
o con una memoria decente, da lì. I detenuti iniziarono ad
uscire. Anche loro
avevano visto e sentito troppo. Mosse entrambe le mani e le sbarre si
storsero
in forma opposta, colpendo coloro che stavano dall’altro
lato. Ora il corridoio
era deserto, costellato di cadaveri e dipinto del color rosso vivo del
sangue.
Aprì la cella di Gudis, che lo fissò piuttosto
spaventato.
“Andiamo.
Esci di lì. Io controllo chi altro è rimasto qui
dentro”.
Gudis
non si mosse ed osservò il fratello correre via lungo il
corridoio,
accartocciando le porte di metallo come fossero di carta velina.
Reahu
e Clio, rimasti fuori, notarono immediatamente il gran movimento che si
stava
creando all’interno. Le guardie all’ingresso
raggiunsero i loro compagni per
difendere quella fortezza e qualcuno provò a scappare via.
Sfortunatamente per
loro, all’uscita c’era Reahu ad aspettarli, che li
ricacciò dentro facendoli
volare oltre l’alto muro a suon di cazzotti. Era quasi del
tutto nero, segno
che quegli esseri lo stavano davvero irritando. Ihanez uscì
non molto dopo,
seguito dal fratello, con abiti da soldato, che ormai non ragionava
più da
quanto era spaventato.
“Clio,
pensa tu a lui” parlò Ihanez “Reahu,
dammi una mano e buttar giù questo
abominio dell’architettura”.
“Vuoi
farlo passare per un crollo accidentale?”.
“Se
sono così stupidi da crederlo…ad ogni modo, no.
Voglio semplicemente coprire le
tracce. All’interno ho vestito una guardia con gli abiti di
mio fratello, così
da far credere che sia morto in quel luogo. Dopo il crollo, i corpi non
saranno
un granché identificabili se non dopo lungo tempo e
parecchio lavoro da parte
degli scienziati più bravi. Così Gudis
avrà modo di riorganizzarsi l’esistenza
e sarà al sicuro, almeno per un po’. Che ne
dici?”.
“Dico
che mi piace abbattere gli edifici. Diamoci da fare”.
Per
amplificare ancora di più la difficoltà
d’identificazione dei corpi, Reahu creò
una piccola stella e la lanciò per i corridoi, dando fuoco
ad ogni cosa. I
pochi sopravvissuti gridarono, bruciando vivi. Ihanez non si era mai
sentito
così pieno di energia. Luci bianche ed azzurre lo
circondavano, divenendo parte
integrante della sua magia, e questo lo facilitò nel suo
compito di
abbattimento dell’edificio. La stella creata da Reahu lo
sfiorò e sfrecciò dal
suo padrone, per ruotargli attorno acquistando velocità. Poi
volo veloce verso
uno dei muri principali, distruggendolo. Ihanez toccò le
pareti e sciolse i
legami che tenevano unite le pietre di cui erano composte, facendole
crollare.
Con una reazione a catena, l’edifico si accasciò
su se stesso, lasciando in
piedi solo un piccolo muro, che i due distruttori decisero di mantenere
intatto
per puro gusto estetico. Fatto questo, raggiunsero Clio e Gudis. Lei
teneva il
viso del ragazzo fra le mani e, fronte contro fronte, ad occhi chiusi,
lo aveva
circondato di luce. Questo faceva sì che i ricordi di Gudis
si attenuassero, si
facessero meno dolorosi e spaventosi.
“Hai
fatto la stessa cosa quando sono arrivato in casa, giusto?”
domandò Ihanez e
lei annuì.
“Certi
ricordi ti avrebbero schiacciato, impedendo il risveglio di certe
capacità.
Posso sciogliere quella barriera, se lo desideri”.
“No.
Non credo che lo sopporterei”.
Solo
in quel momento, Ihanez si accorse che il suo maestro si era steso in
terra.
“Che
hai?” domandò.
“Forse
aveva ragione Clio: dovevo riposare ancora un pochino”
ghignò Reahu, sfinito.
Lo
stregone si fissò le mani. Ancora brillavano di luce ed
energia.
Istintivamente, la diresse verso il suo mentore, che luccicò
per qualche
istante e poi si mise a sedere di scatto.
“Che
mi hai fatto?!” volle sapere.
“Non
lo so. C’è questa energia attorno a me adesso, e
ne ho data una parte a te”.
Reahu
si rialzò. L’energia che sentiva dentro di
sé era strana, scorreva rapida a
riempire dei vuoti, solleticando e provocando una sorta di corrente che
leniva
un dolore che da troppo teneva dentro di sé. Era come se
quel flusso aiutasse a
far star meglio anche la parte di anima che gli era rimasta.
“Vi
ringrazio. E mi dispiace di aver parlato” mormorò
Gudis.
“Eri
spaventato. Volevi di nuovo la tua libertà e la tua vita.
È l’istinto” lo
accarezzò Clio dolcemente, risvegliando in lui bei ricordi
che lo fecero stare
meglio.
“Qualcuno
è uscito di qui dopo che hai parlato, che tu
sappia?” volle sapere Ihanez.
“No.
Il comandante doveva partire la mattina seguente a riferire ogni cosa
ma
immagino che ora non lo possa più fare”.
“Mmm…no,
con la testa conficcata su per una sbarra di ferro lo dubito
fortemente”.
“Ed
ora cosa farò? Mi verranno a cercare ancora”.
“Finché
ti crederanno morto, no. E lo penseranno per un sacco di tempo, sempre
che tu
non compia gesti affrettati o stupidi”.
“Bene.
Nel frattempo troverò un buon posto dove rimanere nascosto e
continuare le mie
ricerche”.
“Posso
schermare il castello del mio antico maestro. Creare
un’illusione in cui gli
intrusi cammineranno mentre tu solo ci vivrai davvero, fra le sue
stanze ed i
suoi archivi, e nessuno ti vedrà. Così non
correrai rischi”.
“Puoi
fare una cosa del genere?!”.
“Certo.
Ed in modo permanente. E se Reahu mi aiuterà, la cosa
funzionerà ancora di
più”.
“Ti
aiuterò” rispose Reahu “Certe cose non
mi capita di farle tanto spesso ed una
distorsione dello spazio è una di queste”.
“Ma
gli strumenti degli scienziati non lo riveleranno?”.
“Siete
anni luci indietro come tecnologia per poter rilevare cose del genere,
tranquillo” commentò il maestro, tornato
gradatamente al suo solito colore di
pelle.
“Bene.
Allora andiamo” sorrise Clio.
“Ma
sì, chissenefrega! Abbiamo appena fatto una strage e via, ce
ne andiamo trullallando
felici!” rise Reahu, facendo immobilizzare Clio e Ihanez.
“Reahu!
Ridi!” esclamò Clio.
Il
signore del cielo si fermò a sua volta, riflettendoci.
Com’era possibile? Parte
della sua anima ancora mancava, lo sentiva chiaramente, eppure aveva
appena riso.
“Si
vede che uccidere mi mette di buon umore”
commentò, mascherando il suo stupore
“Andiamo”.
“Fermi
dove siete!” li intimò una voce femminile alle
loro spalle.
“Che
altro c’è adesso?! Che palle!!”
sbuffò Reahu, voltandosi.
Un
gruppo di stregoni li stava fissando. La donna al centro di esso
sollevò il
bracciò e spedì legami di luce rossa verso gli
intrusi che però Ihanez
intercettò e riuscì a disperdere con un solo
gesto della mano, lanciando
occhiate di sfida. Si era messo davanti a tutti gli altri, pronto a
reagire.
“Randoeku”
parlò la donna, piuttosto stupita.
Da
quanto tempo Ihanez non udiva il suo nome da stregone! Quella donna era
una di
quelle presenti all’ultimo esame che aveva affrontato
“Ti
credevamo morto” continuò la donna.
“Pare
sia piuttosto difficile eliminarmi”.
“Vogliamo
quel ragazzo, consegnacelo”.
“Mai”.
“Sappiamo
che è tuo fratello. Non gli verrà fatto alcun
male”.
“Perché
lo volete?”.
“Per
metterlo al sicuro”.
Ihanez
non ci credeva, nemmeno un po’. Evidentemente pure loro
volevano informazioni
su Rashnu e su altre creature con cui suo fratello poteva essere venuto
in
contatto.
“Se
non vuoi collaborare, allora saremo costretti ad attaccarti, Randoeku.
E ti
ricordo che tutti noi abbiamo sperato l’esame finale e, di
conseguenza, i
nostri poteri superano di molto i tuoi”.
“Questo
è tutto da vedere” ghignò Ihanez, in
realtà piuttosto intimorito all’idea di
affrontare un intero gruppo di stregoni di livello massimo.
“Te
la cavi da solo? Ti lasciamo divertire?” domandò
Reahu.
“Non
ci credo!” esclamò uno degli stregoni, quello
dall’aria più anziana
“Garihan!”
parlò indicando Reahu con dita tremanti.
Il
signore del cielo lo fissò con aria interrogativa.
“Ero
solo un bambino l’ultima volta che ti ho visto. Sei venuto
spesso alla
biblioteca di mio padre, prima di sparire”.
“Vagamente
ricordo. Il mio nome da stregone dubito lo sappia qualcun altro al di
fuori di
te”.
“Ti
osservavo con ammirazione. È grazie a te che son diventato
quel che sono”.
“Uno
stregone sanguinario, pronto ad uccidere un ragazzo pur di avere le
informazioni che gli servono? Non credo di aver mai suggerito
questo”.
“Come
sei rimasto così? L’esame finale non lo hai mai
affrontato”.
“Non
ne ho mai avuto bisogno”.
“E
la tua capigliatura è ancora blu. Tutti noi stregoni, con il
passare del tempo,
diventiamo bianchi di capelli. Tu no. E son passati quasi due
secoli”.
“Questo
perché voi umani di classe singola siete destinati a
consumarvi. Invecchiate
lentamente dall’interno, finché anche
all’esterno se ne mostrano i segni, come
capelli bianchi e dita tremanti. Poi, un giorno, non siete
più in grado di
sostenere gli anni trascorsi e vi spegnete. È
così che vanno le cose”.
“E
per te non vanno così? Sei anche tu come noi”.
“Io
non ho nulla da spartire con voialtri”.
Il
colore della pelle di Reahu stava mutando in fretta, e lo stregone
indietreggiò. Il cielo si annuvolò ed un paio di
fulmini illuminarono la notte.
“Divertiti,
Ihanez” mormorò Reahu “Fai vedere loro
quanto misera è la magia che governano”.
L’allievo
annuì al maestro e si concentro per qualche istante, troppo
in fretta per
permettere agli stregoni avversari di reagire. Furono avvolti da
un’onda di
magia luminosa che iniziò a bruciarli dall’interno.
“Vi
consiglio di sparire. Quello è il mio colpo più
debole” parlò Ihanez, stupendosi
della differenza di energia fra lui e loro.
La
donna al centro non si fece sopraffare così in fretta e
reagì, gridando, e
scagliando a sua volta contro Ihanez un’onda di magia. Lo
stregone la respinse
muovendo semplicemente un dito. Contrattaccò subito, con un
colpo che mandò gli
avversari a terra.
“Ma
tu chi sei?” mormorò la donna, spaventata, mentre
Ihanez le andava accanto e la
fissava con aria minacciosa.
“Io?
Sono l’essere più rassomigliante ad un Dio che hai
mai incontrato” fu la
risposta dello stregone, che le puntò il dito contro.
Lei
gridò ed un’intensa luce le uscì dagli
occhi, avvolgendosi attorno alla mano di
Ihanez. Era morta, così come erano morti tutti gli altri.
“Bene.
Possiamo andare” parlò l’allievo, mentre
il maestro lo fissava con orgoglio.
Dopo
pochi passi, Ihanez si fermò di nuovo e si voltò.
Le essenze, le anime, dei
morti se ne stavano lì, ferme, in attesa.
“Non
è compito nostro, ragazzo” lo richiamò
Reahu, sfiorandogli la spalla “Andiamo”.
● ●
●
Quella
mattina, all’alba, Reahu attese paziente il risveglio di
Rashnu.
“Mi
avete lasciato del lavoro da fare, immagino”
mormorò il padrone di casa, appena
lo vide.
“Sono
successe delle cose piuttosto singolari”.
“Racconta.
Ho ancora un po’ di tempo”.
“Ihanez
sta aumentando le sue capacità, e la sua energia, in
fretta”.
“Gudis
è salvo? È al sicuro?”.
“Al
sicuro. In una distorsione spaziale del castello dove un tempo Ihanez
viveva”.
“Ottimo.
Tutto a posto?”.
“Tutto
a posto. Però sono un po’ perplesso”.
“Perplesso?
Tu? E per quale motivo?”.
“Ero
sfinito e Ihanez mi ha trasmesso parte della luce che aveva addosso,
rinvigorendomi”.
“Luce?
Che tipo di luce?”.
“Bianca
ed azzurra, molto intensa ed in continuo movimento. E questo, oltre a
farmi
stare meglio…mi ha fatto ridere”.
“Ridere?
Senza parte dell’anima?”.
“È
stato proprio questo a lasciarmi perplesso”.
“È
stato un episodio isolato?”.
“Isolato.
Ma è successo”.
Rashnu
allungò il braccio e poggiò la mano sul petto di
Reahu. Si illuminò ed il
padrone di casa rimase in silenzio, immobile in quella posizione per
alcuni
secondi.
“Vita.
Energia vitale pura e pulsante. Ecco cosa ti ha donato. Questo deve
aver
interagito con l’anima tua martoriata, provocando quella
risata. Le ha donato
sollievo, per qualche istante, e per questo sei riuscito a
ridere”.
“Sembra
una cosa buona, eppure la tua faccia non indica niente di
bello”.
“Sono
preoccupato. Se un tale potere si sta risvegliando in Ihanez, potrebbe
significare che Ipalnemoa ci ha lasciati, o si sta gradatamente
spegnendo in
modo definitivo”.
“Intendete
dire che Ipalnemoa potrebbe essere morto?”.
“Non
mi è dato saperlo, ma se il tuo allievo ha acquisito
così in fretta una tale
energia, devo dedurre che il custode del potere della vita non
è più in grado
di governarlo come un tempo”.
“Capisco”.
“Non
farne parola con il ragazzo. Potrebbe portarlo a reprimersi in qualche
modo,
per non togliere potere al padre. Si deve risvegliare, e prima lo
farà meglio
sarà”.
“Non
ne parlerò”.
“E
tienilo d’occhio. Non vorrei che ci trovasse troppo gusto nel
dare la morte,
dimenticando che il suo potere è la vita”.
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Capitolo 11 *** XI- intrusi ***
XI
INTRUSI
“Ma
che fai?! Dormi in piedi?! Datti una mossa!” gridò
Akerbeltz.
“Passa
qui!” esclamò Lahar, correndo, e le
arrivò la palla.
Stringendola
forte a sé, continuò a correre verso il lato
opposto del prato.
“Ihanez!
Non fare il carino solo perché è una donna!
Fermala!” ordinò Reahu, notando che
il suo allievo le era molto vicino.
Lo
stregone scattò in avanti e cercò di afferrare la
ragazza, che si dimostrò
parecchio veloce. Egres intervenne, riuscendo a sottrarre la palla
all’allieva
e passarla a Reahu, abbastanza vicino alla linea avversaria per sperare
di fare
un punto. Già questi si preparava a lanciare, che si
sentì afferrare per la
gambe e, sbilanciato, cadde in avanti, tenendo la palla sotto la pancia.
“Molla
la palla!” si sentì dire da Clio, colei che lo
aveva ribaltato e che ora sedeva
sulla sua schiena.
“Non
credo sia molto regolare” borbottò Fides, che
faceva da arbitro.
Reahu
si dimenò fino a riuscire a rialzarsi, con Clio che gli
teneva un braccio
attorno al collo, mentre con l’altro tentava di recuperare la
palla.
“Tork!”
gridò Reahu, calciandogli la sfera colorata.
“No!”
esclamò Clio.
“Forza,
ragazze!” le incitò Tate, guardiano della
postazione della squadra di Lahar e
Clio.
“Muovete
il culo!” fu la frase, molto meno incoraggiante, di Kama.
Tork
corse, braccato dalle donne. Si guardò attorno e
lanciò verso Ihanez.
“Non
passerai!” lo indicò Nininsina, pronta ad usare
qualsiasi mezzo pur di fermare
l’avanzata avversaria e recuperare la palla.
L’unica
regola di quel gioco era di non usare la magia ed i propri poteri. Per
il resto
valeva tutto. Per questo, quando partì in scivolata a gamba
tesa verso il
futuro signore della vita, nessuno ebbe alcunché da ridire.
Ihanez saltò, per
evitare quell’attacco indesiderato, ma facendo questo si
distrasse e permise a
Lahar di rubargli la preziosa sfera.
“Qui!
Passala a me!” gridò Clio, ancora arrotolata
attorno al collo di Reahu.
“Lasciami!
Scendi da lì!” si dimenò lui, mentre
lei tentava di coprirgli gli occhi per non
fargli intercettare la palla.
All’ultimo
secondo, si rizzò tutta ed afferrò la sfera,
muovendosi poi velocissima e,
senza lasciare il tempo a Kama di capire cosa stesse succedendo,
segnò il
punto.
“Sì!”
alzò le braccia al cielo Lahar.
Clio
scese dal suo trespolo umano e corse ad abbracciare la sua squadra.
“Abbiamo
vinto!” canticchiò Lahar, sfottendo gli avversari,
che si fissarono fra loro
cercando qualcuno a cui dare la colpa.
“Reahu”
chiamò Rashnu, appena tornato dal suo solito giro alle prime
ombre del tramonto
“Puoi venire con me un secondo, ora che hai finito di perder
tempo?”.
“Sì,
vostra maestà” ghignò il signore del
cielo, evidentemente sarcastico.
“Vi
abbiamo stracciato!” mostrò la lingua Clio, mentre
Reahu si allontanava dietro
al padrone di casa, rispondendo alla provocazione con una smorfia.
“Cosa
c’è che non va adesso?”
mormorò Reahu, una volta che lui e Rashnu rimasero soli
in stanza, soffermandosi a pensare che una cosa del genere accadeva
sempre più
spesso.
“Domani
porta il tuo allievo da Beher” si limitò a dire
Rashnu, togliendo il mantello
nero.
“Alla baia? Ok, è uno
dei percorsi che deve
affrontare”.
“Vorrei
consegnassi una cosa al signore del mare” riprese Rashnu,
aprendo un cassetto.
“Cos’è?”.
“Un
piccolo promemoria su quali sono i suoi doveri. Da troppo tempo non ho
sue
notizie, e non mi risulta che fosse questo il nostro accordo”.
“E
se si arrabbia e poi non fa fare niente al mio allievo?”.
“Trova
il momento giusto per consegnarglielo”.
“Capito”.
“Ora
va pure, giocherellone. Fatti una doccia prima di venire a
cena”.
“Certamente,
mamma”.
“E
domani portati anche Clio e la nuova arrivata”.
“E
perché?”.
“Clio
controllerà che non facciate casino ed Akerbeltz, il maestro
di Lahar, mi serve
domani. Ho un po’ di cose da sistemare fra i miei
cuccioli”.
“Ok.
Basta che non inizino a darmi problemi, perché altrimenti li
riporto tutti a
casa”.
“Sei
tu il più vecchio, prenderai le decisioni che riterrai
più adatte. E lascia
Hennay qui”.
“Ihanez
non sarà d’accordo”.
“Sinceramente,
Ihanez ancora non è in grado di capire cosa è
meglio per lui. Nel caso vi
dovesse capitare di incontrare gente esterna agli abitanti della casa,
un’anima
libera che vi passeggia a fianco sarebbe qualcosa di problematico da
spiegare.
Meglio resti qui”.
“Tutto
ok? Non sarà mica incazzato perché stavamo
giocando?” mormorò Ihanez,
asciugandosi i capelli una volta uscito dalla doccia.
“No,
tranquillo. Preparati. Domani mattina presto partiamo per il
mare” rispose
Reahu, cercando in un armadio blu un asciugamano.
“Il
mare?!”.
“Sì,
hai presente? Grande, blu, bagnato…”.
“So
cos’è il mare!”.
“Dalla
faccia che avevi, non sembrava”.
“Perché
andiamo al mare?”.
“Perché
così farai il tuo piccolo addestramento anche con il signore
di quel luogo”.
“Oh.
Bello”.
“Non
sembri convinto”.
“L’acqua
non è il mio elemento”.
“A
me lo dici?”.
Maestro
ed allievo si fissarono e Ihanez sorrise. Era da tanto di quel tempo
che non
andava in spiaggia che aveva del tutto dimenticato la sensazione che
dava la
sabbia e l’aria salmastra.
“Ed
avvisa anche Clio e Lahar. Verranno con noi”.
“Perché
Lahar?”.
“Il
capo ha parlato”.
Ihanez
non insistette. Gli ordini di Rashnu quasi mai li capiva,
perciò era inutile
chiedere spiegazioni. Uscì dalla stanza, lasciando che il
suo maestro si
lavasse, ed attese Clio e Lahar, per avvisarle dei programmi.
● ●
●
L’espressione
di Clio, di fronte alla distesa d’acqua, non era per nulla
felice. Al
contrario, si mostrava accigliata e contrariata. Zaino in spalla,
rimase
immobile a fissare l’orizzonte, togliendo solo i sandali per
non riempirli di
sabbia.
“Clio!
Vieni in acqua! È meravigliosa!” la
chiamò Lahar, già in costume da bagno e a
mollo fino alla vita.
Lei
non rispose, si limitò a sospirare. Lahar era magnifica con
quel costume verde
smeraldo, che metteva in risalto le sue forme prosperose ed il suo
fisico slanciato.
Ihanez seguì la collega in mare poco dopo, facendosi
schizzare e ridendo come
un idiota.
“Qualcosa
non va, Clio?” si sentì domandare.
Voltò solo
leggermente la testa e la riportò
immediatamente alla posizione di partenza. Reahu era accanto a lei,
ovviamente
in costume, e la fissava in modo interrogativo.
“No.
Tutto ok” esclamò, tutto d’un fiato.
“Allora
posa lo zaino, togli quella veste e vieni con noi”.
Clio
strinse forte la spallina dello zaino. Ora Reahu era davanti a lei e le
dava le
spalle, con il braccio allungato verso la sua direzione per incitarla a
seguirlo. Clio deglutì. Abituata com’era a vederlo
con le vesti larghissime che
indossava di solito, non aveva mai neppure provato ad immaginare come
fosse
fatto il suo collega sotto di esse. Ed ora era lì, a pochi
passi da lei, con
quegli occhi d’oro che la fissavano e tutto il resto messo
nel posto giusto e
nel modo giusto.
“Clio!”
la riportò alla realtà Lahar “Dai,
vieni qui. Hai dimenticato il costume a
casa?”.
“Ce
l’ho su il costume” mormorò lei,
chinando la testa.
“Allora
ho capito” commentò Reahu “Mia moglie
aveva lo stesso complesso”.
Clio
spalancò gli occhi. Non poteva credere ad una cosa del
genere. La moglie di
Reahu di certo non era come lei.
“Ti
racconterò una storia, Clio. Ho conosciuto mia moglie
proprio in riva al mare,
in una gita fra amici. Era una spiaggia molto più affollata
di questa, dove
siamo solo noi, e lei si vergognava da morire. Si era fatta convincere
da suo
fratello a venire lì ma se ne era pentita e rimaneva
immobile, seduta a fissare
gli altri che giocavamo in acqua. Guardando le altre ragazze del
gruppo,
provava tantissima invidia perché erano alte, con grandi
seni e decisamente
meno impacciate di lei. L’ho buttata in acqua per convincerla
ad unirsi a noi,
e probabilmente mi ha odiato per buona parte della giornata, ma alla
fine era
felice. Sei molto carina Clio, non dovresti sentirti inferiore a
nessuno. E poi
qui siamo solo noi”.
“Lo
dici solo per convincermi. Non lo pensi sul serio”.
“Posa
lo zaino, subito”.
Clio
obbedì, controvoglia, e poggiò lo zaino sulla
spiaggia.
“E
ora togliti la veste. Andiamo”.
Clio
scosse la testa ed indietreggiò.
“Toglila
subito ed entra in acqua”.
“Solo
se non guardate”.
“Non
essere ridicola! Dai, coraggio!”.
Lei
tornò di nuovo a scuotere la testa ed
indietreggiò. Si vergognava così tanto di
quel suo corpo piccino che non aveva alcuna intenzione di mostrarlo.
“Muoviti!
Non fare tante storie, sei solo tu complessata qui”.
“Non
sei molto gentile e, poi, la fai facile tu! Tu sei perfetto!”.
Si
tappò la bocca dopo quella frase, arrossendo e provando il
fortissimo desiderio
di svanire nel nulla in quel preciso istante.
“Perfetto?
Non esageriamo. Nessuno lo è. Mi hai guardato?
Hai visto quante cicatrici ho sul corpo? Ti sembra
perfezione questa? Vieni
in acqua”.
“Reahu!”
gridò Ihanez “Strappale i vestiti e buttala
dentro”.
“Zitto,
animale!” lo rimproverò il maestro.
Clio
scattò per riprendere lo zaino, biascicando che voleva
tornare a casa, ma Reahu
fu più veloce di lei e fu lui a prendere
l’oggetto.
“Ridammelo,
subito” parlò lei, lentamente.
“No.
O vieni in acqua o questo lo butto in mare!”.
“C’è
il pranzo dentro!”.
“Pazienza.
Ci compreremo un panino in paese”.
Girò
attorno a Clio, prendendole ciò a cui anelava veramente: il
fermacapelli. Con quello
fra le mani, depose lo zaino ed andò verso
l’acqua. Lei si mise immediatamente
le mani fra i capelli, tentando di tenerli fermi senza troppo successo.
Corse
verso Reahu, furiosa, saltando nel tentativo di recuperare la sua
proprietà.
Non si accorse di aver messo entrambi i piedi in acqua. Al suo fianco,
approfittando della sua distrazione, Ihanez e Lahar la schizzarono,
bagnandola
completamente. Clio rimase immobile, ormai con la veste del tutto
trasparente
ed i capelli sciolti in ciuffi scomposti.
“Siete
dei bastardi” biascicò, arrendendosi e togliendo
il vestito.
Fu
Lahar a riportarlo a riva, evitando che l’amica uscisse dal
mare.
“E
adesso rilassati e divertiti” le sorrise Reahu, cosa che
faceva molto
raramente.
Clio
gli mostrò la lingua, immergendosi fino alla punta del naso,
ignorando il fatto
che l’acqua era limpida e quindi non serviva a nulla tentare
di nascondersi.
“Quando
arriverà il signore del mare?” domandò
Ihanez, desideroso di iniziare le
lezioni.
“Presto”
assicurò Reahu, muovendo le braccia e spostando il vento,
creando una corrente
contraria, diretta verso il largo.
“Questo
lo richiamerà?”.
“Questo
lo infastidirà”.
Non
passò molto tempo prima che le increspature tornassero
indietro, in un’onda che
investì il gruppo e mostrò loro il padrone di
quel elemento, seguito dalla
moglie e dalla figlia.
“Reahu”
sbottò “Sei tu che ti diverti in cose che non ti
competono?” domandò,
soddisfatto di averlo bagnato del tutto con l’onda.
“Ihanez,
Lahar” parlò il maestro “Questo
è Beher, signore del mare. Al suo fianco, Ran
detta la predatrice marina e dietro di loro Nechtan, loro figlia,
signora di
acqua e fiumi”.
“Piacere
di conoscervi” alzò una mano Lahar.
“Signori”
continuò le presentazioni Reahu “Questi sono gli
ultimi arrivi nella nostra
casa: Ihanez, figlio di Ipalnemoa e futuro signore della vita, accanto
a Lahar
che governa gli animali”.
“Due
nuovi arrivi. Bene” si protese in avanti Beher.
Era
un uomo imponente, completamente blu, con grossi muscoli e sguardo
sospettoso,
nascosto in parte dalle folte sopracciglia. La moglie, Ran, aveva
pur’essa uno
sguardo poco rassicurante e la pelle verde. La figlia non sembrava
poter
discendere da loro due. Era molto magra, aggraziata e dal volto
gentile. La sua
pelle ed i suoi capelli erano a metà fra i colori dei due
genitori. Ihanez la
fissò ed arrossì, notando che era nuda, e lei lo
salutò.
“Vuoi
che faccia lezione oggi a questi due?” domandò
Beher.
“Se
non ti è di troppo disturbo” incrociò
le braccia Reahu.
“Non
lo è. Mi diverte torturare i ragazzetti appena
risvegliati”.
“Io
non mi sono ancora risvegliato” si affrettò a dire
Ihanez.
“Ancora
meglio” sogghignò l’uomo, facendogli
segno di seguirlo al largo.
I
due nuovi arrivati non avevano scelta, ed iniziarono a seguirlo,
trovandosi
presto nell’acqua alta.
“Li
seguiamo, Clio?” suggerì Reahu, vedendo anche le
due donne legate al mare
allontanarsi.
“Io…”
mormorò Clio, avendo già l’acqua alla
gola “Reahu?” lo chiamò, non vedendolo
più.
Che
l’avesse lasciata da sola? Sospirò, avvilita,
quando qualcosa si mosse sotto di
se e si ritrovò a cavalcioni del signore del cielo.
“Credevi
ti lascassi qui? Ma che razza di miscredente!” sbotto lui,
ghignando “Adesso
andiamo”.
Lei
si poggio contro i capelli di lui e si lasciò trasportare,
notando che
probabilmente Reahu aveva sfruttato le sue doti da stregone ad aveva
modificato
il suo copro per poter nuotare circondato da quel mondo azzurro molto
più a
lungo. Andarono al
largo, raggiungendo
la famiglia del mare ed i due allievi.
“Mi
è stato detto che tu sarai il futuro signore della
vita” iniziò Beher, girando
attorno allo stregone come una specie di grosso squalo blu.
“Così
sembra” borbottò Ihanez, piuttosto inquietato da
quel modo di fare.
“In
questo caso, mi occuperò io di te. Mentre la mia consorte,
Ran, farà in modo
che questa giovane signora degli animali riceva il giusto addestramento
con
essi, dico bene?”.
Ran
annuì, facendo segno alla ragazza di seguirla.
“Devi
sentire la vita nell’acqua” parlò Beher
“Acqua e vita sono collegati
strettamente. Tutti noi veniamo dall’acqua ed essa
è l’essenza stessa
dell’esistenza. Se riesci a controllarla ed a sentirla dentro
di te, allora avrai
in mano il principio dell’eternità”.
“Ok.
Come devo fare?” rispose Ihanez.
“Hai
mai sentito l’anima? La forza vitale? Prova a fare lo stesso.
Concentrati.
Trova la linfa della nascita fra queste onde. Controllala. Ogni cosa
è viva a
questo mondo, Ihanez”.
L’allievo
annuì, facendo segno di aver capito, o di pensare di aver
capito, e si
concentrò. Dopotutto, si disse, il flusso
dell’acqua era molto simile a quello
della magia, che scorreva forte nel suo sangue. Chiuse gli occhi.
Sentiva il
rumore delle onde, lo scorrere delle correnti ed un rumore lontano,
regolare e
profondo. Non capì cosa fosse, all’inizio, ma poi
spalancò gli occhi. Erano
completamente colorati e luminosi. Aveva percepito il battito del cuore
del
mondo, del mare e della vita. Lo sentiva, sempre più forte,
mentre si
sintonizzava con il suo.
“Clio,
reggiti” suggerì Reahu.
Ihanez
mosse le braccia e l’acqua lo avvolse, seguendo i suoi
ordini. Creò un vortice,
che poi si divise in due grosse onde distinte che si sollevarono in
aria. Reahu
volò e lasciò il mare, ricacciando indietro
l’acqua che veniva verso lui e
Clio.
“Questo
è il mio allievo!” gridò, con orgoglio
“Non si scherza con il giovane Ihanez!”.
Scese
lentamente e rimase in piedi, sul pelo dell’acqua,
d’un tratto calma.
“Hei,
tu!” lo apostrofò Beher “Smettila di
intrometterti con i poteri degli altri”.
“Solo
invidia” ghignò Reahu “Smettila di
lamentarti. Sai bene che posso sconfiggerti
in un istante, se solo volessi”.
“Non
lo faresti”.
“Chi
può dirlo? Io sono pazzo, non lo sai?”.
Ihanez,
rimasto sospeso e sostenuto dall’acqua del mare sollevata,
tornò lentamente ad
immergersi. Tornò a sollevarsi quando vide un gruppo di
pinne sfrecciare verso
di loro, non volendo farsi mangiare proprio in quel momento. Clio
sobbalzò e
strinse più forte Reahu, che non si mosse. Si
limitò a fare un passo indietro.
E proprio dove stava prima, un grosso squalo saltò, mostrano
la pancia al
gruppo e rientrando in acqua. Comportamento molto poco da squalo,
rifletté
Ihanez. Poco dopo, un intero altro gruppo di squali fece lo stesso, per
poi
iniziare a girare attorno a loro.
“Bravissima,
Lahar” capì Clio, prima di vederla arrivare a
dorso di una grossa bestia marina
che raramente si mostrava in superficie.
“Avete
visto?” sorrise l’allieva, soddisfatta, facendo
cenno agli squali di
disperdersi.
“Brava!”
ripeté Clio, scendendo dalle spalle di Reahu e raggiungendo
la ragazza.
Solo
dopo si accorse che aveva camminato sull’acqua, e
ringraziò Reahu per
averglielo fatto fare.
“Questi
due ragazzi promettono molto bene” commentò Beher
“Una nuova generazione di
notevoli capacità, direi”.
“Concordo”
annuì Ran.
“Ora
torniamo a riva? Vorrei prendere un po’ di Sole”
sorrise Lahar, facendosi
condurre in acqua dalla creatura che ancora cavalcava.
“Facciamo
a chi arriva prima?” sfidò Reahu, guardano Ihanez
che si accorse di poter
camminare sul mare come il suo maestro “Vieni. Clio, fai una
corsetta pure tu”.
“Sicuro
che non cadrò in mare?”.
“Non
cadrai, te l’assicuro”.
Ridendo,
Ihanez iniziò a correre. Clio seguì
l’esempio, mostrando un’inaspettata
velocità.
“Devo
parlare con te, Beher” parlò Reahu, prima di
seguirli.
“Arrivo.
Immaginavo che questa non fosse una semplice visita di
piacere”.
“Rashnu
non si rende conto dell’immenso lavoro che ho io da
fare” protestò Beher, dopo
che Reahu gli ebbe riferito le parole e la lettera del suo capo.
“Se
ne rende conto, ma credo voglia tirare un po’ le lunghe
redini che ha concesso
ad ognuno di noi e per farlo deve capire chi è disposto ad
obbedirgli”.
“Credi
che finalmente si stia rendendo conto che suo padre non ha molta voglia
di
tornare?”.
“O
forse che qualcuno di noi non è più disposto a
fare ciò che gli viene ordinato,
pur essendo l’unica cosa possibile”.
“Tu
sei fra questi?”.
“No.
Pur sembrandolo, non sono un anarchico. Mi fido delle decisioni di
Rashnu,
anche perché è a questo mondo da tanto di quel
tempo che immagino sappia che
fare, giusto?”.
“Beh,
se ti sottometti tu a lui, che sei il più potente signore a
suo comando…”.
“Il
più potente è Mantus” si
affrettò a dire Reahu.
“Sei
sicuro?”.
“Fidati”.
“Però
tu sei molto forte, questo non lo si può negare. Puoi fare
qualsiasi cosa!” si
intromise Ihanez.
“Lascia
parlare i grandi, vai a giocare con la sabbia!”
sbottò Reahu.
“Come
mai hai capacità così elevate? Poteri tanto ampi
non sono necessari per il tuo
ruolo!” insistette l’allievo, non notando il
leggero colorito nerastro che
stava prendendo il maestro per il fastidio.
“Questo
perché, ficcanaso, quando il padre di Rashnu è
scomparso, più di centocinquanta
anni fa, eravamo rimasti ben in pochi a portar avanti la baracca.
Precisamente:
io, tuo padre, quel bastardo di Mantus, Rashnu, Ilmarinen ed i
giovanissimi
Adraste e Tarhunt. Di questi, solo Rashnu, Ipalnemoa ed il fratello
svolgevano
i propri compiti da molto tempo ed avevano il pieno controllo su di
essi. Ci
siamo divisi i compiti. Facevamo un po’ di tutto non
potendoci permettere di
scegliere. Per questo Rashnu è così legato ai
suoi lupi ed io posso controllare
l’acqua. Noi eravamo in grado di fare tutto, anche se
Ilmarinen aveva grossi
problemi, essendo davvero molto giovane. Adraste e Tarhunt, invece, non
sapevano
quale fosse il loro potere e non ci potevano aiutare. Ammetto che
è stato il
periodo più sfiancante della mia vita, anche
perché mi ero appena risvegliato
ed ancora non mi ero ripreso del tutto dalla faccenda del regno dei
morti che
tu conosci. E sono perfettamente consapevole del fatto che il grosso
del lavoro
lo hanno svolto tuo padre, Mantus e Rashnu. Al tempo ero solo una
matricola”.
“Quindi
tu riusciresti a controllare tutte le cose che controllavi un
tempo?”.
“Anche
meglio, il mio potere è aumentato. Considera che,
all’inizio di tutta quella
faccenda, io ero solo un allievo. Potrei eccome controllare tutto
quanto. Ma
meglio che siano altri, come Tate e Tarhunt ad occuparsene. Permette di
fare
meno errori”.
“E
che errori avete commesso?”.
“Uno
fra tutti quello di non accorgersi del totale risveglio di Adraste come
signora
della guerra”.
Ihanez
attese un pochino, prima di ricominciare a parlare.
“Quindi
Rashnu potrebbe controllare tutto quanto?” domandò.
“Potrebbe.
Suo padre ha passato molto tempo agendo semplicemente con il supporto
di
Ipalnemoa e Mantus, ma ti parlo di prima della nascita di Rashnu. Erano
altri
tempi. Ne è in grado, per questo è il
più adatto a guidarci. Perché capisce
ogni nostro singolo potere e sa come gestirlo”.
“Comincio
a capire perché in tanti lo temono”.
“Se
si risvegliasse, potrebbe fare cose ancora più
straordinarie, come suo padre”.
“Non
si è ancora risvegliato?!”.
“No.
Può farlo solo in seguito alla morte del suo genitore, e
questa ancora non è
avvenuta. Oppure nel caso che il suddetto genitore gli ceda il posto,
ed anche
questo ancora non è avvenuto”.
Ihanez,
orgoglioso dei suoi poteri, d’un tratto si sentì
abbastanza inutile da non
aprire bocca.
Stesi
sulla sabbia, il gruppo vide la giornata avanzare, seguendo il corso
del Sole.
Notarono che la pelle di Reahu si tingeva di blu quando questi si
abbronzava,
mentre per gli altri iniziava ad apparire l’alone rossastro
che indicava una
leggera sovraesposizione ai raggi dell’astro che splendeva
nel cielo. Avevano
trascorso, tutto sommato, una piacevole giornata.
“Ci
sarai al compleanno del capo, Beher?” domandò
Reahu, prima che questi si
allontanasse.
“Non
ha mai fatto festa per il suo compleanno! E poi, mancano diversi
mesi!”.
“Lo
sappiamo. Ma quest’anno è una meta importante, se
ci rifletti”.
“Non
ci avevo fatto caso. Hai ragione. Che avete intenzione di
fare?”.
“Gli
faremo una sorpresa. Più avanti avrai dettagli in merito, se
dai la tua
disponibilità”.
“Disponibilità
totale. Certe date bisogna festeggiarle. E, per quanto riguarda la mia
fedeltà
ed altre cose del genere, puoi riferirgli che io sono come sempre al
suo
servizio e mi scuso se non ho modo di riferirglielo. Potete tutti
contare su di
me”.
“Ottimo.
Allora a presto”.
Una
volta rivestiti, i quattro abitanti della casa si prepararono a
rientrare.
“Aspettate!
Possiamo guardare il tramonto sul mare?” domandò
Lahar.
“Non
ci vedo niente di male” annuì Clio, andando a
sedersi accanto a lei.
“Non
qui. Seguitemi” parlò Reahu, guidandoli fino ad
un’altura da cui il paesaggio
era favoloso.
“Da
qui è molto meglio” ammise Ihanez.
Il
cielo si tinse di rosso e le ombre si allungarono. Il Sole lentamente
si fece
inghiottire dal mare e lasciò posto alle prime stelle. Clio
non si accorse di
stare così vicina a Reahu, come Reahu non si accorse che,
per la prima volta da
quando la sua amata era in cielo fra le stelle, non la stava guardando
al suo
apparire nella notte.
● ●
●
Rashnu
quel giorno era molto distratto. Aveva momentaneamente lasciato da
parte i suoi
doveri e si era lasciato avvolgere dalla giornata libera di Veda. Le
aveva
portato un dono. Un cucciolo. Akerbeltz gli era servito a quello.
Convincere
una delle sue lupe a dividersi da un proprio cucciolo non era impresa
da molti.
Ma Akerbeltz sapeva il fatto suo ed ora quel piccolo era
proprietà di Veda, che
lo accarezzava piena di entusiasmo.
“Diventerà
parecchio grosso, immagino” disse.
“Parecchio.
Ma sarà molto obbediente. Non ti darà
problemi” la rassicurò Rashnu.
“Ed
il mio capo cosa dirà? I cani non sono ammessi in
accampamento”.
“Non
è un cane. E ti assicurò che appena lo
vedrà non avrà nulla da dire. Conosce i
miei piccini e cosa sono in grado di fare se li infastidisci”.
“Mi
hai regalato una guardia del corpo? Un piccolo intruso
peloso?” ridacchiò Veda.
“Mi
sento molto più sicuro, sapendo che qualcuno veglia su di te
giorno e notte.
Questo mondo è pieno di uomini malati e pazzi, crudeli e
sanguinari”.
“Non
son tutti così”.
“Ma
buona parte sì”.
“Non
credo. Credo che la guerra renda più dure le persone, per
una questione di
sopravvivenza, ma non sono cattive dentro di loro”.
Rashnu
la guardò. Alla luce del Sole, con il vento fra i capelli,
era ancora più bella.
Non sapeva quanto potesse avere ragione, ma lo sperava. Non poteva
pensare che
il mondo e la sua gente non meritasse alcuna fiducia.
“Smettila
di fare il pensieroso” lo riportò alla
realtà Veda, sfiorandogli la punta del
naso.
Erano
da soli su un campo fiorito, all’ombra di un albero colorato
e profumato.
Faceva caldo, nonostante la brezza, ed entrambi se ne stavano seduti
accanto
alla pianta.
“Hai
ragione. Devo godermi questa bella giornata” sorrise, mentre
lei gli dava un
piccolo bacio.
“Aspettiamo
il tramonto. Poi dovrò rientrare”.
“Pure
io. Ma ammetto di non averne alcuna voglia”.
● ●
●
Non
ricevendo ordini diversi, allievo e maestro avevano stabilito
tacitamente che
quel giorno non si sarebbero allenati. Meritavano un giorno di riposo,
ignorando
il fatto di essere andati al mare meno di ventiquattro ore prima. Si
davano
allegramente alla nullafacenza per il giardino.
“Sei
blu!” ridacchiò Clio, vedendo per la prima volta
Reahu dalla sera prima.
“Sì,
lo so” sbuffò Reahu, stanco di sentirsi dire la
stessa cosa da ore.
“Mi
sono davvero divertita ieri. Spero ci sarà
l’occasione di vivere altri momenti
così, tutti assieme. Mi è piaciuto davvero
tanto”.
“In
effetti, è stato un piacevole diversivo alla routine
quotidiana che mi opprime
da decenni”.
“E
volevo ringraziarti. Sei stato molto gentile con me”.
“Gentile?!
Clio, devi essertelo immaginato”.
“Sei
stato gentile. E non vergognartene”.
Reahu
la fissò. Era vero, faceva molta fatica ad ammettere di
avere degli attacchi di
gentilezza.
“Spero
anch’io che ci aspettino altre giornate
così” disse, dopo un po’.
“E
adesso potremmo…” iniziò Clio, ma la
sua frase fu interrotta da un grido
d’aiuto.
“Akerbeltz?”
rizzò le orecchie Reahu e volò fuori.
Era
il più veloce della casa e vide il suo collega steso a
terra, a pochi passi
dall’ingresso.
“Cosa
è successo?” gli disse, chinandosi su di lui.
Il
signore degli animali non rispose ma lo fissò, con occhi
pieni di terrore. Si
vedeva che si sforzava di parlare e non ci riusciva. Mormorò
qualcosa.
“Non
ti capisco” protestò Reahu, avvicinandosi ancora
di più alla bocca dell’amico,
che finalmente riuscì a farsi sentire.
“Scappate.
Andate via tutti” disse, arrancando ad ogni sillaba.
“Scappare?
E da chi?”.
Una
freccia partì, dal cuore della foresta, e trafisse Reahu al
petto. Akerbeltz lo
fissò, spalancando la bocca senza riuscire a gridare. Il
signore del cielo si
accasciò per un attimo e poi si rialzò.
“Akerbeltz!”
sentì gridare Egres, che nel frattempo era uscito dalla casa
e correva verso il
fratello.
“Fermò!”
ordinò Reahu, bloccandolo con una mano.
Rimase
in silenzio, guardandosi attorno lentamente. Un rumore. Una pioggia di
frecce.
Spostò entrambe le mani in avanti e le deviò,
disperdendole con il vento.
“Ok,
vi copro io. Portatelo dentro, è ferito”
parlò.
Egres,
Lahar, Ihanez e Clio uscirono di corsa, cercando un modo per portare in
casa
Akerbeltz il più in fretta possibile senza fargli del male.
“Portatelo
dentro e restateci. Penso io a questi, chiunque siano”
aggiunse Reahu.
Clio
rimase sull’uscio, mentre gli altri obbedivano.
“Chiudi
la porta! Rientra!” gridò Reahu.
“Hai
una freccia nel petto!” esclamò lei, di rimando.
Il
signore del cielo, di tutta risposta, ne spezzò la punta e
la estrasse, come se
niente fosse.
“Ora
non c’è più”.
Mosse
la mano e cacciò Clio in casa, sbattendo la porta dietro di
lei.
“Avanti!”
gridò Reahu, spalancando le braccia “Chi
è così stupido da sfidare gli abitanti
di questa casa? Che si mostri!”.
Percepiva
moltissime presenze, forse un esercito, ma nessuno di loro manifestava
poteri
particolari. Semplici umani senza potenzialità? Come erano
giunti fino a lì? Il
bosco era schermato da Rashnu. E come avevano ucciso Akerbeltz?
“Intrusi!”
gridò Tarhunt, vedendo una grossa nave argentea nel cielo.
Era
salito sul tetto, assieme al suo allievo Tate, per controllare la
situazione.
“Siamo
circondati” disse a Reahu.
“Lo
so. Tu e Tate pensate alle navi”.
“Ti
serve una mano?”.
“Se
mi servirà te lo dirò. Ora pensa alle
navi”.
Il
signore del tempo atmosferico e quello del vento si alzarono in volo
rapidi e
raggiunsero la nave, accorgendosi che non era l’unica.
Iniziarono a muovere il
vento e l’aria per farle precipitare. Coloro che vi stavano
sopra gli spararono
contro. Protetti dalle correnti, non furono colpiti. Ma si accorsero
subito che
abbatterle tutte avrebbe comportato un notevole sforzo.
“Dove
sono Saxnot ed Adraste quando servono?” sbottò
Reahu, sapendo che il signore
delle armi e la regina della guerra non avrebbero avuto alcun problema
con un
esercito.
Ma
nemmeno io dovrei averne, si disse Reahu, vedendo una schiera di
soldati
avanzare.
“Vi
consiglio di sparire al più presto, o sarò
costretto ad uccidervi tutti” parlò
loro.
Non
accennarono a fermarsi e Reahu sospirò. Rashnu avrebbe di
certo avuto qualcosa
da ridire.
“Tate!
Vai verso quella laggiù e spingila qui. Una contro
l’altra, collasseranno”
ordinò Tarhunt.
“Sissignore”
annuì Tare, schizzando veloce fra le nuvole e raggiungendo
la nave in
questione.
Era
un oggetto molto grosso, pesante. Non era certo uno scherzo riuscire a
farlo
muovere. Concentrò tutte le sue forze e gridò,
lanciando una fortissima
corrente contro il fianco del mezzo, che iniziò a muoversi
verso l’altra nave,
bloccata da Tarhunt. Toccandosi, esplosero, provocando un forte
spostamento
d’aria, che i due signori sfruttarono per bloccare altre navi.
“Sono
tantissimi!” esclamò Tate.
“Dobbiamo
fermarli, ragazzo. Ad ogni costo”.
“Ma
come possono averci trovati? Il bosco e sacro e schermato, non
avrebbero dovuto
vederci”.
“Non
te lo so dire. Ce lo dirà Rashnu al suo ritorno. Ora
concentrati sul vento”.
Tate
ricominciò a spostare le navi, che risposero con altri colpi
e ad alcuni di
loro sfiorarono la casa.
Reahu
fece mente locale di chi fosse in casa. Molti erano fuori e non
sarebbero
rientrati prima del tramonto. Kama e Kadesh in combattimento erano del
tutto
inutili, così come molti altri addetti alla musica, alla
scrittura,
all’artigianato. Lui era lì e doveva stare molto
attento ai colpi che intendeva
usare. Non doveva rovinare gli alberi, ne andava della salute di
Akerbeltz. Senza
contare che Rashnu sarebbe andato su tutte le furie, essendo quegli
alberi
piantati da suo padre per proteggere l’edificio e gli
abitanti. Forse erano
troppo vecchi ormai, pensò il signore del cielo.
“Reahu!”
parlò Tork “Penso io al lato nord.
Proteggerò io quella parte di casa. Tu pensa
all’ingresso. Noi due basteremo”.
Reahu,
sentendo la voce del collega dalla terra stessa, annuì e
ricacciò indietro
un'altra pioggia di colpi provenienti da varie parti. Erano strani. La
maggior
parte delle offensive umane solitamente venivano rimandate indietro
senza
nemmeno muovere un dito. Quelle, invece, quasi lo colpivano. Chi
c’era alle
spalle di tutto questo? E come erano giunti loro fino lì
senza farsi percepire?
Erano ovunque. Arrampicati sugli alberi, nascosti nel bosco, in cielo
sulle
navi.
“Arrendetevi!”
gridò il signore del cielo, ruotando le ampie maniche della
veste e provocando
un’onda d’urto che fece volare indietro molti di
loro.
La
risposta fu un’ulteriore raffica di colpi.
“Mi
costringete ad usare le maniere forti” sbuffò
Reahu, alzando le mani al cielo.
Richiamò
la luce delle stelle e ne formò una fra i palmi. Poi la
indirizzò verso terra,
dividendola in piccoli frammenti luminosi, che volarono rapidi verso
gli
invasori. Chiunque venisse colpito da questi, gridava e moriva
bruciato. Il
tutto senza intaccare gli alberi.
“Mi
spiace, ma non posso farvi toccare questa casa ed i suoi
abitanti” parlò Tork.
Con
i capelli lunghi sciolti al vento, e con per sfondo le esplosioni delle
navi
nel cielo, il signore dei monti e delle rocce si apprestò ad
attaccare. Prima
iniziò in modo “delicato” limitandosi a
lanciare sassi a velocità folle verso i
nemici. Questo non bastò a farli desistere. Mandarono contro
di lui colpi
d’arma da fuoco e frecce. Li respinse alzando davanti a
sé un muro di roccia
che lo protesse. Alcune di loro quasi riuscirono ad oltrepassare lo
scudo
improvvisato, e la cosa lo stupì parecchio.
“Ma
che razza di frecce usate?!” biascicò, lanciando
altre pietre.
Un’altra
esplosione lo fece sobbalzare. Quanta confusione per niente! E quanto
urlavano
quegli esseri che provavano ad attaccarli!
Congiunse
le mani, tenendole ben aperte, e poi le distanziò di colpo,
spalancando le
braccia. Questo provocò uno squarcio nel terreno che
inglobò al suo interno
molti invasori. Poi le riunì e la terra seguì il
suo ordine. Il paesaggio tornò
apparentemente come prima, con qualche omino in meno. Il tutto senza
intaccare
gli alberi.
“Spegni
le fiamme, Ihanez!” gridò Clio.
Alcuni
fuochi, provenienti dalle esplosioni, erano riusciti a raggiungere
l’edificio. Ihanez
e Clio presero l’incarico di spegnerle. Clio correndo avanti
ed indietro per
recuperare acqua dai bagni e Ihanez risucchiandone la
vitalità per poi
disperderla. Lo stregone credeva che lo scontro durasse poco, ma si
protraeva
più del previsto. Doveva aiutare il suo maestro. Appena il
fuoco fu estinto, si
concentrò per creare una barriera temporanea attorno alla
casa, impedendole di
subire altri danni, almeno teoricamente. Poi corse verso
l’ingresso, ignorando
le grida di Clio.
Tate
era esausto. Il suo maestro Tarhunt pareva cavarsela meglio e lui non
aveva il
coraggio di dire d’esser stanco.
“Tutto
bene, Tate?” si sentì domandare.
“Sì”
mentì, riprendendo a volare in fretta.
Non
abbastanza in fretta, perché fu colpito al braccio e perse
la concentrazione.
Questo lo sbilanciò e quasi cadde a terra. Fu Reahu a
tenerlo su, puntando la
mano destra verso di lui, dando un’occhiata quasi di
rimprovero a Tarhunt.
Questi annuì, facendo segno a Tate di rientrare in casa per
farsi medicare e
riprendere fiato. Poi riprese a combattere scagliando fulmini contro le
navi
rimaste. Un sasso sfrecciò a pochi centimetri dal signore
del tempo
atmosferico, che lanciò un grido contro Tork, che si
scusò. Uno dei suoi
proiettili naturali aveva sbagliato il bersaglio. Quelli che andavano a
segno,
invece, colpivano in pieno volto gli avversari, trapassandogli il
cranio in un
colpo solo. Tecnica efficace, anche se i nemici parevano non farci
troppo caso,
continuando ad attaccare.
“Tork!
Torna dentro. Sono testardi e non se ne andranno finché non
saranno uccisi”
parlò Reahu “Ed io so come fare”.
Il
signore del cielo già si preparava a sferrare quel colpo,
quando la porta alle
sue spalle si aprì ed apparve Ihanez, seguito a ruota da
Clio che tentava di
fermarlo.
“Ihanez!”
gridò Clio e questo distrasse Reahu, che non
riuscì a bloccare del tutto
l’ennesima ondata di frecce. Una lo colpi di striscio ed
andò a conficcarsi
sulla porta, a poca distanza da Ihanez. La pesante nave che li
sorvolava perse un
grosso pezzo, che cadde poco distante, fra maestro ed allievo.
L’esplosione che
provocò investì tutti coloro che stavano fuori
dalla casa.
“Clio!
Tutto bene?” gridò il signore del cielo, sbalzato
lontano ma senza riportare
alcun tipo di danno, conoscendo alla perfezione la meccanica delle onde
d’urto.
“Sto
bene” assicurò lei.
“Distraili”
ordinò lui, volando verso Ihanez, che rimaneva in terra.
Clio
obbedì. Si scosse per riprendersi dalla botta e
concentrò i suoi poteri. Iniziò
a mormorare strane parole, continuamente, e fra i nemici si diffuse
l’angoscia.
Vecchi ricordi e terribili paure si stavano risvegliando nelle loro
menti,
facendogli perdere il controllo.
“Adoro
"l’attacco panico" di Clio” mormorò
Reahu, raggiungendo il suo
allievo.
Rimaneva
steso a terra, dopo aver preso una buona botta contro la parete a sud
della
casa, per colpa dell’esplosione. Lo chiamò un paio
di volte, turbato nel non
vederlo muoversi. Ma poi Ihanez tossì e stirò le
dita. Luci azzurre e bianche
corsero verso di lui, ricoprendolo. Questo lo fece riprendere e
riaprire gli
occhi.
“Brutto
stupido!” lo apostrofò il maestro.
“Tutto
bene?” domandò Tork, raggiungendoli.
“Sì,
portalo dentro. Clio, anche tu! Dentro in casa, adesso. E che non vi
esca
nessuno finché non ve lo dirò io”
rispose il signore del cielo.
Dopo
qualche protesta, l’intero gruppo obbedì. Una
volta che fu chiusa la porta,
Reahu si concentrò, prima controllando che effettivamente
nessuno fosse allo
scoperto. Congiunse i palmi, tenendoli davanti al viso. Chiuse gli
occhi. Girò
di scatto le mani verso l’esterno e, pronunciando una parola
che solo a lui era
concesso sapere, le spinse prima verso l’esterno e poi di
nuovo verso di sé,
chiudendole a pugno. Questo provocò una corrente fortissima
che si diresse
verso Reahu. Stava risucchiando l’aria dai polmoni di tutti i
presenti.
“Lasciami!
Lo devo aiutare!” protestò Ihanez.
“Smettila!
Fidati di Reahu, è l’uomo più vicino
alla morte che abbia mai conosciuto. Se la
caverà, molto meglio di quanto non possa fare tu”.
Lo
stregone non vide l’attacco finale del suo maestro. Lui
rientrò, lentamente.
“Li
hai mandati via?” domandò Kama.
“Mi
hanno costretto a non lasciare testimoni” si
limitò a dire Reahu.
“Siete
stato grandioso! Fantastico!” esclamò Ihanez,
correndo in contro al suo maestro.
Questi
si girò di scatto e lo colpì violentemente con un
pungo in faccia, che lo
ribaltò e lo mandò a terra. Senza capire, lo
stregone rimase immobile a
fissarlo.
“Idiota!”
lo apostrofò Reahu “Che cosa credevi di fare, eh?
Piccolo stupido!”.
“Io…volevo
solo aiutarti!” biascicò Ihanez, mentre si
rialzava.
“Facendoti
ammazzare? Hai risucchiato l’energia di coloro che stavano
morendo per poterti
salvare e guarire. Credi sia normale? Saresti potuto rimanere ucciso,
là
fuori”.
“Come
te e come chiunque altro ha combattuto oggi”.
“Noi
sappiamo usare i nostri poteri, tu ancora no. Lo capisci si o no che
non puoi
permetterti il lusso di rischiare la vita? Sei prezioso, Ihanez. Il tuo
potere
significa molto per tutti quanti noi. Smettila di fare il ragazzino
avventato,
che agisce senza pensare. Hai più di
trent’anni!”.
“Tu
alla mia età sei entrato all’inferno, perdendo
parte della tua anima!”.
“E
mai smetterò di ripetermi quanto sono stato stupido! Sei
sotto la mia tutela,
brutto coglione, e tutti si aspettano che mi prenda cura di te e ti
tenga in
salvo. Il tuo potere si è svegliato per puro caso, prima. E
se non fosse
successo? Tu non hai la capacità fisica di noialtri, non ti
saresti potuto
guarire in fretta come ho fatto io”.
In
effetti, di nessuna delle ferite di Reahu era rimasta più
traccia.
“Vorrà
dire che la prossima volta ti lascerò morire da
solo” sbottò Ihanez.
“Fai
come credi. Ti assicuro che ammazzarmi è molto
più difficile di quanto tu
creda”.
Lo
stregone si rabbuiò e girò lo sguardo altrove,
evidentemente offeso. Reahu
tornò gradatamente al blu abbronzato che quel giorno
rappresentava la sua
normalità e si guardò attorno. Sentiva piangere.
“Cosa
succede?” mormorò a Clio, che rimaneva in silenzio.
“Akerbeltz
ha lasciato questa casa per sempre” rispose lei.
“Akerbeltz?”.
“È
morto”.
Reahu
rimase in silenzio, senza sapere cosa dire. Girò lo sguardo
verso le stanze di
Egres e Lahar. Clio non nascose le lacrime, così come la
maggior parte dei
presenti.
“Voialtri
state bene?” riprese il signore del cielo, dopo un
po’.
Tate
annuì.
“Sei
ferito?”.
“Solo
un graffio” confermò il giovane.
“E
voi?” guardò gli altri che avevano combattuto.
“Niente
di serio” rispose Tork.
“Tutto
a posto” furono le parole di Tarhunt “E tu? Tutto a
posto?”.
“Armi
simili non posso farmi del male”.
Non
aggiunse altro. Era calato il silenzio, interrotto solo dalle grida e
dai
lamenti di Egres, che aveva in Akerbeltz l’unico parente, e
Lahar, che aveva
perso il maestro.
“Abbiamo
spento gli incendi che c’erano in casa”
parlò Clio “Così sembra che non abbia
subito grossi danni”.
“Molto
bene”.
“Ihanez
poi ha protetto l’edificio, per evitare altre
fiamme”.
“Bravi.
Riposatevi adesso. Presto Rashnu sarà qui”.
● ●
●
Il
silenzio non era qualcosa a cui era abituato. Solitamente, al suo
ritorno, gli
abitanti della casa erano chiassosi ed allegri, pronti per la cena.
Arrivò
piuttosto di buon umore, evidentemente distratto perché non
notò alcun
cambiamento nell’ambiente esterno o nella barriera
dell’edificio, ma appena
mise piede in casa notò che qualche cosa non andava.
Qualcuno piangeva, il
corridoio era deserto. Vide Reahu, nero, che lo fissava. Non lo aveva
percepito. Non lo aveva visto. Era decisamente troppo distratto.
“Cosa
è successo?” mormorò il padrone di casa.
“Un
attacco”.
“Sento
molte anime di morti qui attorno. Ne sento davvero molte. Una
però…”.
“Una
non è come le altre”.
“Uno
di noi?”.
“Akerbeltz”.
Rashnu
spalancò gli occhi, molto più di quanto
già non facesse normalmente.
“Akerbeltz?
Ma come? Com’è potuto succedere?”.
“Qualcuno
deve avergli detto dove stava la nostra casa. E qualcuno ha fornito
loro i
mezzi per creare qualcosa in grado di uccidere uno come noi”.
“Un
traditore fra noi, intendi?”.
“Non
vedo alternative, purtroppo”.
“Un
traditore nella mia casa? E chi può essere?”.
“Non
lo so. Cosa pensate di fare?”.
“Convocare
tutti qui, all’alba di domani. Li voglio guardare tutti negli
occhi e cavarli
personalmente a chi ha osato tanto”.
“Convocherò
io personalmente coloro che…”.
“No,
tu hai combattuto. Lo percepisco. Manderò Belisama. Lei
è molto veloce, come la
luce che rappresenta. E stasera dedicheremo una cerimonia ad
Akerbeltz”.
“Come
desiderate”.
L’atmosfera,
com’era giusto, era pesante e fin troppo silenziosa. Reahu si
inchinò
leggermente e se ne andò. Ognuno si era rintanato nella
propria stanza,
osservando leggermente preoccupato l’imponente tempesta che
il signore del
cielo stava creando, oscurando il tramonto.
● ●
●
“Mamma,
ho paura” pianse Aura, spaventata dai lampi e dai tuoni,
fortissimi, che
continuavano ormai incessantemente da ore.
Dopo
una cerimonia in cui gli abitanti si erano stretti attorno ad Egres, i
più
avevano tentato di andare a dormire ma il signore del cielo non dava
loro
grandi possibilità. Faceva un gran baccano, e distribuiva i
suoi fulmini
tutt’attorno alla casa, profanando e dilaniando i corpi degli
stolti che
avevano osato tanto.
“Fatelo
smettere, per favore!” biascicò Kinich Kakmo,
signore del Sole.
“Clio”
la chiamò Rashnu “Fallo smettere”.
“Io?!
E perché io?!”.
“Perché
tu sei l’unica in grado di farlo ragionare”.
“Bah,
se lo dite voi”.
Scese
le scale, poco convinta, e raggiunse il giardino. Pioveva a dirotto ed
era
buio, buio pesto. Non vedeva nulla. Un lampo illuminò
l’aria ed intravide il
profilo nero di lui, decorato con quegli occhi d’oro
inconfondibili. Gridava,
chiamando i fulmini
“Reahu!”
urlò, cercando di raggiungerlo, nonostante il vento e
l’acqua.
“Vattene,
Clio. Lasciami in pace”.
“Fare
questo non serve a nulla! Smettila!”.
“Devono
pagare. Pagare tutti quanti per quanto hanno fatto”.
“Hanno
già pagato. Sono morti”.
“Che
colpa aveva Akerbeltz? Perché lo hanno ucciso? La mia rabbia
non cesserà mai
contro quei lombrichi supplicanti e le loro putride famiglie”.
“Finiscila!
Questi discorsi non sono da te!”.
“Vorrei
che queste classi in guerra svanissero per sempre, lasciando il mondo a
chi
merita di possederlo, a creature degne”.
“E
chi sarebbero queste creature secondo te? In base a cosa puoi
stabilirlo?”.
Reahu
non rispose. Un altro fulmine sfiorò la casa.
“Basta!
Reahu, basta!” gridò Clio, convinta.
Ed
il signore del cielo si fermò. Per un attimo,
l’aria parve immobile. Poi lui
gridò, ma non più di rabbia, bensì di
dolore. Cadde in avanti, in ginocchio,
con una mano sul petto. Tossì un fiotto di sangue dalla
bocca e gemette.
Sanguinava copiosamente, e non capiva perché.
“Reahu!”
lo chiamò Clio, correndogli accanto e tentando di capire
cosa stesse
succedendo.
Rashnu
non ebbe il tempo di rallegrarsi del fatto che il temporale era
cessato, perché
udì le grida d’aiuto di Clio. Tutti corsero per il
corridoio, temendo un altro
attacco.
“Cos’hai,
amico mio? Cosa ti prende?” domandò Rashnu,
inginocchiandosi davanti a Reahu.
Vide
il sangue che gli colava dalle labbra e dalla ferita sul petto. Il
signore del
cielo scosse il capo, come a voler dire che non aveva idea di cosa
stesse
succedendo.
“Erano
rimarginate le ferite!” continuò Rashnu.
Reahu
confermò, annuendo a fatica, prima di cadere in avanti,
perdendo i sensi. Fu
portato di corsa in stanza, dove Nininsina si mise subito
all’opera per
curarlo.
“Come
sta?” domandò Ihanez, con un vistoso occhio nero a
causa del pugno ricevuto
prima.
“Ancora
non ha ripreso i sensi. È molto grave”
parlò Nininsina “E anche Tate, altro
ferito dallo scontro di prima, ha la febbre ed ha ripreso a
sanguinare”.
“Sta
male anche Tate?”.
“Sta
già meglio, ma è molto strano quello che sta
succedendo. È come se qualcosa
stesse reagendo con il loro sangue magico”.
“Un
veleno?”.
“Può
essere. Potresti uscire a cercare qualche freccia? Magari su di esse
c’è ancora
la sostanza che ora è in circolo nel sangue dei nostri
colleghi, così potrei
capire come aiutarli a stare meglio”.
Ihanez
annuì e corse fuori, seguito da Clio che voleva aiutare a
tutti i costi.
Rashnu, che aveva sentito quelle frasi, si allontanò
lentamente. La luce degli
astri tremolava in modo molto strano ma decise di non cambiarla. Il
mondo
intero doveva vedere le stelle piangere, e chiedersi il
perché.
“Oh,
padre del mondo” mormorò, congiungendo le mani
“Non portarmi via il cielo, te
ne prego”.
● ●
●
“Rashnu!”
chiamò Ihanez, vedendolo girellare per il corridoio.
“Non
dormi, Ihanez?” sbottò Rashnu, senza voltarsi.
Lo
stregone gli si avvicino. Il padrone di casa, scostando leggermente il
mantello, mostrò di avere addosso i guanti che potenziavano
l’energia di Reahu.
“Voglio
dare una mano” parlò Ihanez.
“Hai
trovato la freccia per Nininsina?”.
“Sì.
E adesso voglio aiutare. So che ci sarà molto da fare, con
alcuni di noi che
non possono usare i propri poteri. Datemi qualcosa da fare”.
“Non
puoi aiutarmi”.
“Certo
che posso! Il mio potere è al servizio di questa
casa!”.
“Ma
non ti sei del tutto risvegliato”.
“Nemmeno
Voi, da quel che mi risulta”.
Rashnu
rimase in silenzio, per qualche istante. Fissò i guanti
metallici color oro e
sospirò.
“Sei
testardo come tuo padre. Va bene. Vieni pure con me, apprendista.
Chiedi ad
Egres le parti di armatura che potenziano la sua magia. Ti
serviranno”.
Ihanez
corse verso la stanza del collega. Sapeva che non stava dormendo, anche
se lo
trovò disteso a letto, che fissava il vuoto.
“Egres”
mormorò lo stregone “Ho bisogno delle tue
cavigliere”.
“Volete
sollevarmi dall’incarico?” biascicò
Egres, senza muoversi.
“No.
Vogliamo aiutarti ed occuparci noi di tutto, finché non te
la sentirai”.
“E
se non me la sentissi mai più?”.
Ihanez
non rispose. Attese che l’amico gli porgesse la chiave per la
stanza con
sigillo d’oro dietro la quale stavano gli oggetti che voleva.
“Questo
mondo è ingiusto, Ihanez. Credi valga davvero la pena
faticare tanto per
esso?”.
“Ingiusto?”.
“Certo.
Non lo hai notato? Akerbeltz
è…era…buono. Quando era piccolo,
veniva preso in
giro da tutti perché ritenuto pazzo. Lui parlava con le
bestie, fin da bambino,
e questo per gli altri era sbagliato. Tornava a casa spesso malconcio
ma non si
arrabbiava mai. Si rintanava in un angolo, in compagnia di qualcuno dei
suoi
cuccioli, e piangeva in silenzio. Ha sempre obbedito ad ogni ordine ed
ogni
richiesta, in silenzio. Non ha mai fatto male a nessuno. E come
è stato
ripagato? Ti sembra giusto questo?”.
“Sinceramente,
non ho le conoscenze necessarie per poter parlare della giustizia del
mondo”.
“Non
capisci? Le persone malvagie, quelle che sfruttano, uccidono e
maltrattano,
vivono la loro vita felice, mentre quelli stupidi come me soffrono. Non
essere
troppo gentile, Ihanez, o questo mondo schifoso ti porterà
via tutto”.
“Posso
solo immaginare come tu ti senta. Se perdessi uno dei miei fratelli,
non so che
farei. Ma devi continuare a combattere per lui. Dubito che il signore
degli
animali volesse un fratellino impaurito, che si arrende. Cerca di
riprenderti.
Per te stesso, per chi ti vuole bene, non per il mondo”.
“Per
chi mi vuole bene?”.
“Sì.
Per Lahar, che ti ammira. Per Thesan, che non fa altro che chiedere
come stai.
Per Tate, che ha difeso questa casa nonostante l’inesperienza
e la giovane età.
Per me, che sarò anche l’ultima ruota del carro ma
credo di contare qualcosa,
anche se poco. Per tutti noi, che crediamo in te. Sei nostro amico, sei
nostro
fratello”.
“Credevo
di aver sofferto a sufficienza. Invece ecco che arriva
un’altra botta in questa
mia vita triste e costellata di lutti. Perché dovrei aiutare
ancora questo
mondo?”.
“Perché
le piante, la natura, la terra, non devono prendersi carico delle colpe
delle
creature di classe che popolano il mondo. La terra, intesa come forza
vivente e
verde, non può essere lasciata morire solo per punire delle
creature
sconsiderate e folli”.
Egres
alzò gli occhi, incrociando quelli di Ihanez.
“Come
sta Reahu?” domandò, dopo un po’.
“Non
si è svegliato. Ma pare sia stabile”.
“Quello
non lo ammazza nessuno”.
“Non
si arrende”.
“Vai
ora” sospirò Egres “Non far aspettare
Rashnu”.
Ihanez
si congedò con un piccolo inchino ed uscì. Lahar
lo aspettava fuori, con fra le
mani gli oggetti di potenziamento di Akerbeltz ed Egres, dicendo che
anche lei
avrebbe dato una mano.
I
tre, Rashnu ed i due allievi, stavano ripercorrendo il perimetro della
foresta
sacra, per ristabilirne la salute e la barriera.
“Devo
ammetterlo, Reahu è stato molto attendo. Ha fatto di tutto
per non rovinare le
piante. È diventato più coscienzioso, meno
impulsivo, ultimamente. Lo hai
notato?” parlò Rashnu, muovendo l’aria
in modo da formare una sorta di muro
invisibile agli occhi dei “normali”.
“Dici
a me?” rispose, distrattamente, Ihanez, impegnato a riparare
ai danni alla
vegetazione provocati dagli intrusi.
“E
a chi? Ai sassi?” sbottò Rashnu.
“C’è
anche Lahar”.
“Non
ha molto a che fare con Reahu, lei”.
Lahar
non alzò nemmeno la testa. Si stava occupando delle bestie
della foresta,
impaurire e ferite.
“Non
sembra poi così diverso dal solito”
borbottò Ihanez, continuando nel suo
lavoro.
“A
me sembra di sì. E anche Clio”.
“Clio?”.
“Certo.
È più forte, più decisa”.
“Sinceramente,
io la vedo solo triste la maggior parte delle volte”.
“Triste?
E perché?”.
“Per
tutta una serie di ragioni. Sembra forte, ma non lo è. Come
Reahu che sembra
uno stronzo, ma non lo è. Tranne alcuni casi”.
“Credo
che questa convivenza forzata fra voi tre stia portando molto
giovamento a
tutti”.
“Non
lo nego”.
“Pensi
che…” riprese Rashnu, dopo qualche istante di
silenzio “Fra Clio e Reahu sia
nato qualcosa?”.
“Qualcosa
del tipo?”.
“Ma
sei rincoglionito o fingi di esserlo?!”.
“Non
sono bravo in certe cose. Non mi accorgo del romanticismo
nell’aria”.
“Eppure
hai una donna”.
“Hennay?
Certo. Praticamente è l’unica donna che abbia mai
conosciuto, prima di venire
qui”.
“E
questo che vuol dire?”.
“Non
sono molto esperto, ecco. E poi, scusate, ma a voi che
importa?”.
“Reahu
non può amare, senza parte d’anima, quindi Clio
sarebbe destinata solo a
soffrire di un amore non corrisposto, se fosse vero”.
“Si
dicono molte cose su Reahu, ma io ho visto come è fatto
veramente e non è come
tutti dicono”.
“Credi
di conoscerlo meglio di me, che lo seguo da quasi due
secoli?”.
“Scusatemi”
interruppe Lahar “Ma non dovreste fare certi discorsi, signor
Rashnu, dopo che
avete ignorato la povera Clio per anni! Non fatevi adesso cogliere da
attacchi
di iperprotettivismo solo perché dimostra interesse nei
confronti di un uomo
che non siete Voi!”.
Rashnu
si zittì, alzando le mani in segno di resa. Aveva imparato a
non discutere con
le donne quando non erano dell’umore adatto.
“Posso
farvi una domanda?” riprese Ihanez, dopo qualche istante.
“Parla”
rispose Rashnu, senza smettere di usare la magia.
“Riguarda
il mio potere. Perché, dato che controllo la vita, allora
recupero forza con la
morte e posso provocarla? Non è un controsenso?”.
“No,
non lo è. Anche la morte trae forza dalla vita,
perché sa che un giorno quelle
anime saranno sue. Non c’è niente di
strano”.
“A
me spaventa un po’. Tutti si aspettano grandi cose da me ma
se non fosse
giusto? Intendo dire, se non fossi io il più adatto ad avere
questo potere? Io
lo possiedo solo perché lo aveva mio padre”.
“No,
non è così. Colui che viene scelto da un potere
è il più adatto a possederlo”.
“E
se io non lo volessi?”.
“Non
hai scelta. È il tuo destino”.
“Il
mio destino me lo scelgo da solo”.
“Bella
convinzione, ma è solo una favola. Quel potere è
nato con te, così come sei
nato stregone. Certe cose non si possono scegliere. Si nasce
così e basta”.
“Ma
mi spaventa l’idea di vivere a lungo come voialtri. Se
riuscissi a riportare
Hennay in vita, poi la perderei di nuovo e vedrei morire i miei
fratelli.
Sarebbe molto triste”.
“Questo
è il tuo compito. Prima lo accetterai e prima ti
risveglierai del tutto, come
sta succedendo a Lahar. Senti come cresce in fretta il suo potere? Ha
accettato
la magia di Akerbeltz ed ora è la nuova signora degli
animali”.
Ihanez
pareva perplesso e fece per aprire la bocca quando una risata lo fece
ammutolire.
“Che
fate lì, di notte, piccoli miei?”
domandò quella voce, ancor più profonda di
quella di Rashnu.
“Zio?”
domandò lo stregone, vedendo una figura nera camminare verso
di loro.
Accompagnato
da una nebbia decisamente scenica, lo seguivano i due giovani che
Ihanez aveva
intravisto in uno dei suoi primi giorni di permanenza nella casa.
“Nipote
mio! Come stai? Che bell’occhio nero! Ti dona. Come procede il tuo
addestramento?” domandò Mantus.
“Bene.
Sei qui per la riunione?”.
“Esatto.
Ora ditemi: che state facendo qui fuori?”.
Rashnu
spiegò a grandi linee l’accaduto. Mantus
spalancò gli occhi.
“Mai
in tutta la mia esistenza ho assistito ad un simile abominio, ad un
tale
sacrilegio! Semplici creature di classe che attaccano noialtri? Spero
che
prenderai provvedimenti”.
“Certo.
Ma non quelli che pensi. C’è un traditore fra di
noi”.
Mantus
digrignò i denti. Non era mai stato famoso per
l’autocontrollo e per la
dolcezza.
“E
Reahu? Il mio caro mezz’anima rimarrà ancora fra
noi, spero”.
“Lo
speriamo tutti”.
“Oppure
qualcuno la pagherà cara”.
“Qualcuno
la pagherà cara comunque”.
“Mi
piace quando mostri il tuo lato crudele, ragazzo. Dovresti farlo
più spesso.
Ora però, ditemi, che state facendo qua fuori?”.
“Ripristiniamo
l’equilibrio della foresta” rispose Ihanez.
“Posso
darvi una mano? Rashnu, ti occupi tu della vita?”.
“No,
tuo nipote”.
“Sei
il signore della vita?!” si stupì Mantus.
“Non
ancora. Mi sono risvegliato solo in parte”.
“Questo
significa che Ipalnemoa è ancora vivo. Vieni, piccolo. Ti
insegno una cosa
nuova”.
Il
nipote lo seguì, piuttosto dubbioso, lanciando occhiate ai
colleghi,
interrogative. Mantus entrò all’interno
dell’area protetta che Rashnu aveva
quasi completato. Chiamò il futuro signore della vita
accanto a sé.
“Ora
fai esattamente quello che faccio io, ok? Ora ti mostro lentamente un
movimento
delle braccia e del
corpo. Devi rifarlo
assieme a me e, quando aprirai le mani, griderai con me le parole che
ti dirò,
intesi?”.
Ihanez
annuì ed osservò attentamente lo zio, mentre si
muoveva e gli mostrava cosa
fare.
“A
questo punto” parlò Mantus
“Spalancheremo le braccia e grideremo "Hieros”.
Pronto?”.
“Hieros?
Sì, ho capito. Sono pronto”.
Uno
a fianco dell’altro, si mossero rapidamente. Spalancando le
braccia ed aprendo
i palmi delle mani, entrambi esclamarono quella parola e
l’energia che
sprigionarono fu immensa. Avvolse la foresta, che tornò a
riempirsi di canti e
voci d’animali. Gli alberi tornarono verdi e perfetti. Pareva
che nulla fosse
successo.
Lahar,
rimasta a bocca aperta, fissò il tutto senza dire nulla.
Rashnu, al suo fianco,
sorrideva.
“Questo
si chiama Hieros, nipote” spiegò Mantus
“Quando due come noi uniscono il loro
potere”.
“Posso
farlo con chiunque?”.
“Con
chiunque di noi, in teoria. Ma certe combinazioni riescono meglio delle
altre.
Poi esiste un altro tipo di unione delle forze, chiamata Hieros Gamos.
Fra due
innamorati. Quella provoca energia ancora maggiore. Ma io e te non
rientriamo
in quella categoria”.
Ihanez
sorrise, debolmente.
“Andiamo
adesso. Il nostro lavoro è finito”
parlò lo zio, indicando la strada che
portava verso casa.
● ●
●
Clio
aiutava Nininsina nelle cure. Le porgeva le cose che la guaritrice
richiedeva e
guardava apprensiva Reahu, che aveva l’aria di soffrire molto.
“Vai
nella sua stanza, Clio, quella con il sigillo, e prendimi un paio di boccette come
questa” parlò Nininsina,
mostrando una piccola fiala di vetro ormai vuota.
“Ma
io non ci sono mai entrata, non so dove poter trovare quelle
cose”.
“Le
troverai. Fatti guidare dall’istinto”.
“E
a che cosa serviranno?”.
“Vengono
da altri pianeti e mondi lontani. Mi aiutano a preparare sostanze
guaritrici.
Fai in fretta, prima che inizi la riunione”.
Clio
si allontanò, piuttosto dubbiosa. Fra le mani stringeva la
chiave, lucente ed
argentea. Davanti alla porta, si fermò qualche istante ma
poi la aprì,
convinta. Fu avvolta dal buio, molto più di quanto non si
aspettasse. Quella
sala pareva respirare. Soffriva, come soffriva il suo proprietario.
“Dove
sono quelle maledette boccette?” si chiese, camminando piano.
La
sala parve udirla e si illuminò, in un punto preciso. Clio
corse verso quella
luce, sperando con tutto il cuore che fosse questo il posto.
Passò accanto alla
statua del predecessore di Reahu, che la fissò con gli occhi
morti di una
statua. Le boccette che cercava erano effettivamente dove indicava la
luce ma erano
in alto, molto più in alto di quanto a lei fosse concesso
andare con la sua
bassa statura. Sbuffò e si guardò attorno, in
cerca di qualcosa da usare. La
colonna bianca che sorreggeva i guanti ora era priva di utilizzo,
perciò decise
di spostarla. Fece una gran fatica ma alla fine ci riuscì.
Con altrettanta
fatica, vi si arrampicò sopra. In bilico, in punta di piedi,
afferrò due
boccette. Sorrise, soddisfatta, ma finì con lo sbilanciarsi.
La colonna si
mosse e lei cadde all’indietro, gridando. Chiuse gli occhi ma
non cadde.
Qualcosa la tenne sospesa.
“Fai
attenzione” gli parlò una voce.
“Reahu?”
domandò lei, riconoscendola.
“Corri
fuori, il tuo compito lo hai svolto qui”.
“Scusa
se ho spostato la colonna. Forse si è rotta
cadendo”.
Una
risata si espanse per la sala. Una risata bella, squillante,
rassicurante.
“Tranquilla.
Vai. Non è successo niente”.
Clio,
senza capire bene cosa fosse successo, lasciò la camere e
corse dalla
guaritrice.
“Tate!”
gridò Tarhunt “Dove credi di andare?”.
Tate
si voltò, lentamente. Aveva il braccio fasciato ed il volto
pallido.
“È
l’alba. Rispondo alla convocazione e partecipo alla
riunione” rispose il
giovane, convinto.
“Non
dire fesserie. Torna subito a letto!”.
“Sto
bene. Sono solo un po’ stanco, ma questo non mi impedisce di
sedere al tavolo
con i miei colleghi e sentire ciò che Rashnu ha da
dirci”.
“Te
lo racconterò io” si propose Azizos, compagno di
Tate “Ogni dettaglio. Ma torna
a letto”.
“No!
Sono abbastanza grande per fare quel che mi pare”
protestò il signore dei
venti, dimenandosi dalla presa delicata del signore del mattino.
La
loro discussione fu interrotta da una voce nuova. Una ragazza, guidata
da
Belisama, era entrata nella casa. Aveva lunghi capelli tendenti al
rosso, corti
davanti a formare una frangia e legati dietro, molto voluminosi.
Vestiva
elegante e pareva spaesata. Si guardava in giro, comminando lentamente,
chiedendo se ci fosse qualcuno. Al suo fianco, un cucciolo dal lungo
pelo nero.
“Vieni
con me” le parlò Belisama “La sala della
riunione è da questa parte, seguimi.
Sono quasi tutti arrivati e ti aspettano”.
“Rashnu!”
esclamò lei, vedendolo al piano di sopra.
“Veda”
le sorrise lui.
Era
appena rientrato e si era preparato per la riunione. Ihanez, Lahar e
Mantus si
trovavano già nella sala ed attendevano.
“Perdonami
lo scarso preavviso” parlò lui, raggiungendola
“Purtroppo si è trattata di
un’emergenza ed ho dovuto far tutto in fretta”.
“Ho
saputo. Mi è stato raccontato”.
“Avrei
voluto presentarti alla casa in un’occasione un po’
più lieta, mi spiace”.
Veda
lo baciò dolcemente, notando il suo sguardo. Era preoccupato
e triste.
“Andiamo”.
Insieme
entrarono nella sala, facendo ammutolire i presenti. Chi era quella
ragazza? E
che ci faceva lì? Ancora intrusi?
“Veda?!”
parlò Ihanez, l’unico fra i presenti, alzando un
sopracciglio.
“Ciao”
lo salutò lei, timidamente.
“E
questa chi è?” sbottò Kairòs.
“Lei
è Veda, ed ha pieno diritto di essere qui” rispose
Rashnu, facendola sedere
accanto a sé.
“Bella
bambolina”.
“Porta
rispetto alla tua futura regina, se non vuoi che ti strappi la
lingua”.
“Futura
regina?” mormorò Veda, divertita, notando solo poi
la corona che Rashnu portava
in testa “Ci sono ancora delle cose che non so di
te” gli disse, a bassa voce.
“Le
cose meno importanti”.
“Essere
principe non è importante?”.
“Non
fondamentale”.
“Futura
cosa?!” sbottò Ihanez.
“Che
palle!” ruotò gli occhi al cielo Rashnu
“Non siamo qui per questo!”.
Tutti
i presenti guardarono quella ragazza, che arrossì
leggermente. Aveva un alone
luminoso tutt’attorno. C’era qualcosa in lei di
straordinario e, quando
sorrise, nessuno ebbe più alcunché da ridire.
Già sembrava una regina. Inoltre,
non provava alcun timore a sedere accanto a Rashnu, nonostante questi
mostrasse
quasi il suo lato più terribile per la rabbia.
“Come
vedete” iniziò il padrone di casa “Vi
sono delle sedie vuote, voi sapete
perché. Dalle informazioni fornitami da Nininsina,
è stato usato contro di noi
un veleno artificiale, che interagisce con il nostro sangue,
realizzabile solo
avendone un campione. Per questo siete qui. Qui, seduto fra noi,
c’è un
traditore ed io voglio che si consegni spontaneamente, evitandomi la
fatica”.
“Un
traditore? Non c’è un’altra
possibilità?” domandò Kuma, la Luna
“Un incidente o
qualcosa del genere? Mi sembra incredibile che davvero qualcuno di noi
possa…”.
“Nessun
incidente, credimi. Informo il colpevole che Fides è qui,
pronta a d
interrogarvi uno per uno. E voi sapete bene che non potete mentire
davanti alla
signora della fedeltà e del giuramento”.
Molti
iniziarono a borbottare, increduli, alcuni iniziando ad accusarsi.
“Io
sono una persona che evita di essere cattiva, se
può” riprese Rashnu, con calma
“Perciò sto offrendo la possibilità
alla creatura che mi ha tradito, ed ha
tradito questa casa, di farsi avanti spontaneamente. Se mi
costringerà a
smascherarla personalmente, la pena che subirà
sarà di molto maggiore. Molto
peggio di quanto il suo piccolo cervello possa immaginare”.
Guardò
i presenti, uno dopo l’altro. Più di qualcuno
chinò la testa, impaurito.
“Voglio
dare la possibilità al traditore di spiegarsi”
insistette il padrone di casa,
iniziando gradatamente a perdere la calma “Perché
non mi è chiaro come si possa
tradire la propria famiglia! Io ho accolto tutti voi qui, vi ho dato la
possibilità di vivere al sicuro, ve l’ho promesso,
e qualcuno fra di voi ha
fatto sì che le mie parole non valessero più. Vi
ho aiutato ed ognuno di voi ha
visto negli altri dei fratelli, dei compagni, degli amici. Ho messo a
vostra
disposizione ogni mezzo in mio possesso per farvi star meglio ed
è così che
vengo ripagato? Tradimento, complotto e sangue versato fra noi. E per
cosa? È
questo che voglio sapere. Cosa ha spinto uno di noi a tradire? Per chi? Per dei vermi guerrafondai
a malapena senzienti
che strisciano su questa terra mangiando merda assieme ai loro
figli?”.
L’ultima
frase lasciò perplessi molti dei presenti.
“Vedo
che nessuno di voi vuole parlare. Benissimo. Mettiamo bene in chiaro le
cose:
io so chi è stato di voi”.
Mutismo
in sala.
“Ma
allora perché ci hai fatto venire qui tutti?”
sbottò Tarhunt.
“Per
non sentire strane lamentele di sorta da parte di
chicchessia”.
“Sei
certo di sapere chi sia?” mormorò Veda.
“Sicurissimo.
Ma voglio vedere se ha il coraggio di muoversi, oppure se
dovrò prendere
personalmente provvedimenti nei confronti suoi e della sua
famiglia”.
Tate
sobbalzò. Non erano molti quelli con dei familiari in quel
luogo. Si guardò
attorno, mentre Rashnu gli diceva di essere libero di tornare in stanza
se
voleva, vedendolo molto stanco.
“Dicci
chi è” parlò Kinich Kakmo
“Così da fargliela pagare per quel che ha
fatto”.
“Concordo.
Facci sapere a chi devo spaccare la faccia”
ringhiò Tarhunt.
Rashnu
fissò un punto preciso del tavolo, con uno strano sogghigno
sul viso.
“Parli,
mio caro?” domandò “O ci penso io?
Guarda i tuoi colleghi come fremano per
darti una lezione con i fiocchi”.
Nessuno,
ancora, si fece avanti.
“Saxnot!”
gridò il padrone di casa, alzandosi di colpo
“Possibile che non capisci quel
che tento di fare? Cerco di pararti il culo ed evitare che questi altri
ti
ammazzino! Cazzo, hai perso la lingua? Ho minacciato perfino la tua
famiglia!
Così poco ti importa di tua moglie e tuo figlio?”.
Tutti
si girarono verso Saxnot, che rimase immobile a braccia incrociate.
“Non
hai prove” sbottò.
“Guardami,
Saxnot” ordinò Rashnu.
Il
signore delle armi voltò la testa e trasalì. Il
braccio destro del suo capo,
quello con il bracciale nero e argento, era allungato verso di lui ed
il
gioiello pulsava di luce scura.
“Sei
sicuro che non abbia prove?” sussurrò il padrone,
con un tono della voce tale
che fece rabbrividire tutti, perfino l’impassibile Mantus.
L’aria
si fece scura, i lupi iniziarono ad ululare e la terra tremò
alla voce di
Rashnu.
“Inizia
a pregare, Saxnot” sibilò Tarhunt
“Sei
fottuto!” confermò Tork.
“Alzati
in piedi, Saxnot, e vieni qui” ordinò il padrone
di casa.
Il
signore delle armi non si mosse, ma Rashnu alzò due dita,
trasportando a forza
l’uomo davanti a sé, costringendolo ad
inginocchiarsi. Si alzò e si fermò a
pochissimi passi dall’indiziato.
“Dammi
una sola ragione per non ucciderti” furono le parole, ben
scandite, del padrone
di casa.
Saxnot
non parlò, tentando in ogni modo di liberarsi da quella
posizione imbarazzante,
ai piedi del suo capo.
“Perché
lo hai fatto? Fammi capire la motivazione del tuo gesto. Come hai
potuto dire
loro dov’era la nostra casa e fornire il modo di farci del
male?”.
“Lascialo
stare!” gridò Adraste, la
moglie di
Saxnot.
“Fa
silenzio. Neppure tu sei del tutto innocente” la
zittì Rashnu e poi tornò a
dedicarsi al sottoposto “Sei qui, di fronte a me, Saxnot, ed
io ti giudico,
com’è mio dovere. Ti ho giudicato e sei colpevole.
Non hai niente da dire?”.
“Io
non chinerò mai la testa di fronte a te”
parlò,quasi ringhiando, il signore
delle armi.
Rashnu
allungò di nuovo un dito ed il colpevole si chinò
ancora di più, andando a
toccare il pavimento con la fronte.
“Dicevi?”
sbottò il capo “E adesso, dimmi un po’,
vedi di aprire la bocca per farne
uscire qualcosa di costruttivo. Esigo sapere il
perché”.
“Scopritelo
da solo”.
“Clio”
chiamò Rashnu.
“Si,
signore?” si alzò lei.
“Cavagli
dalla testa tutto quello che voglio”.
Saxnot
e Clio si fissarono. Lui sapeva che i metodi di lei non erano molto
delicati,
quando un’informazione tentavi di celarla al resto del mondo.
Titubante, la
signora della storia e della memoria sospirò. Non amava
usare le sue capacità
contro i suoi compagni.
“Mostra
ai presenti perché verrà punito”
ordinò ancora Rashnu, lasciando a Clio lo
spazio necessario per agire.
Lei
allungò la mano e, inginocchiandosi, toccò il
capo di Saxnot. Lui combatté
perché lei non evocasse quelle immagini nella testa di tutti
ma non ci riuscì.
Tutti videro Saxnot e la sua alleanza con guerrieri e scienziati.
Forniva loro
informazioni, sangue e materiale adatto per poter sconfiggere le
creature di
quella casa. Perché?
“Io
sono meglio di te” esclamò, rivolto a Rashnu,
prima che gli altri lo vedessero
“Tu non meriti di governare questa casa, non ti sei nemmeno
risvegliato del
tutto”.
“E
per questo hai fatto uccidere Akerbeltz?! Per mettere me in discussione
hai ucciso
un tuo compagno? Un tuo collega?”.
“Volevo
che tutti vedessero quanto sei debole, soprattutto ora che te ne vai in
giro
con quella femmina”.
“Potevi
sfidarmi direttamente. Era questo che dovevi fare, non infierire su
altri”.
Mosse
le dita e Saxnot sollevò la testa, fissandolo. Il padrone di
casa aprì la mano
ed una luce intensa apparve attorno al colpevole. Rashnu pareva
controllarla e
richiamarla a sé. Gradatamente lasciò Saxnot, che
ricadde in avanti
pesantemente.
“Hai
complottato contro i tuoi simili, alleandoti con coloro che un tempo ti
avevano
cacciato e deriso. Io ti avevo accolto, ma mi hai tradito. Non sei
più il
benvenuto qui. Torna ad essere uno di loro: un semplice guerriero. Ti
privo di
ogni potere, Saxnot, e ti bandisco per sempre”.
Saxnot
si rialzò a fatica, trovando ad un tratto immensamente
pesante l’armatura che
indossava.
“Tua
moglie e tuo figlio sono liberi di seguirti, se lo desiderano, per
assistere a
ciò che resta della tua misera vita mortale, di soldato in
guerra”.
Adraste,
la moglie, e Petbe, il figlio, si fissarono. Adraste corse dal marito,
mostrando di voler andare con lui, di volergli stare accanto. Petbe, al
contrario, scosse il capo. Adraste scoppiò a piangere,
supplicandolo, ma il
giovane non cambiò idea. Rimase immobile, mentre padre e
madre si allontanavano
da palazzo. Il bracciale di Rashnu, quello oro, riprese a brillare di
luce
bianca.
“Perché
lo avete lasciato andare?” protestò Tarhunt.
“Perché
non sono un assassino. E perché non rendo orfano un ragazzo
che ancora crede in
me ed in questa casa”.
Petbe
fissò Rashnu, un po’ confuso. Non immaginava che
suo padre potesse complottare
contro di loro, mettendo in pericolo perfino la sua famiglia.
“Ed
ora, dato che siamo tutti qui, decideremo dove spostare la nostra casa
e la foresta
che la ospita, in modo da non farci trovare più da
chicchessia” esclamò Rashnu,
e molti annuirono.
● ●
●
Mentre
Rashnu ultimava lo spostamento ed il rafforzamento della barriera della
casa,
Ihanez ne approfittò per parlare con la sorella.
“Scusa
se non ti ho detto di me e Rashnu” disse lei “Ma
volevamo essere sicuri che fra
di noi tutto funzionasse come ci aspettavamo”.
“Capisco.
Però io sono il tuo fratellone, ed avresti dovuto perlomeno
accennarmelo”.
“Scusa”.
“Ormai.
Non importa”.
“Mi
presenti qualche tuo amico? Il tuo maestro?”.
“Lui
sta molto male, a causa dell’attacco. Vieni, ti presento
altri miei colleghi”.
Girando,
parlò con Clio, Tate, Tork, Lahar e tutti gli altri. Ultimo
lasciò Mantus,
ammettendo di non conoscerlo molto, pur essendo suo zio.
“Io
e lui ci conosciamo già, vero Mantus?” sorrise
Veda.
“E
come mai?”.
“Perché
a volte Rashnu mi porta con sé nei suoi giri e lo incrociamo
molto spesso”.
“Capisco”
storse il naso Ihanez.
Non
conosceva esattamente il ruolo di Rashnu, e non capiva del tutto quanto
potesse
essere rischioso. Nel frattempo, il padrone di casa aveva finito il suo
compito. Gli altri si stavano disperdendo, andando al lavoro o a
dormire.
“Vieni,
Belisama ti accompagnerà a casa” parlò
il padrone di casa, guardando Veda.
“Non
mi accompagni tu?” ci rimase male lei.
“No,
non posso. Mi dispiace, ho molte cose da fare. Vedrò di
tornare da te il più
presto possibile. E stai attenta. Saxnot bazzicherà dalle
tue parti”.
“Starò
attenta”.
“Il
mio piccolo regalo ti difenderà e, se
c’è qualcosa che non va, chiamami ed io
sarò da te in pochi instanti, capito? Ti amo”.
“Oh,
mio principe”.
Con
un piccolo bacio, si separarono, controvoglia.
“Perdonami.
Te l’ho tenuto nascosto” parlò Rashnu a
Ihanez, camminando lungo il corridoio e
prendendo le scale, seguito dallo stregone.
“Ammetto
di essere un po’ contrariato dalla cosa”
sbottò Ihanez.
“Ho
intenzioni più che serie con lei, Ihanez. Te lo giuro.
Diventerà la mia sposa,
quando avrò sistemato un po’ di casini”.
“Diventerò
tuo cognato”.
“Mi
piace. A te no?”.
Ihanez
sorrise. Erano davanti alla porta della camera di Reahu. Entrarono
silenziosamente. C’era Clio accanto a lui, avvolta dal buio,
che lo teneva per
mano. Le tende tirate per non far entrare la luce del giorno ed uno
strano
silenzio, scandito dal ticchettio di un orologio, riempivano la stanza.
Si
avvicinarono al letto dove stava disteso il ferito, cercando di non
fare
rumore. Rashnu gli poggiò una mano sulla fronte, calmando
momentaneamente le
smorfie di dolore sul volto dell’amico, che aprì
lentamente gli occhi oro.
“Sei
venuto a giudicarmi?” mormorò, piano.
“No,
mio caro. Ti tocca rimanere fra noi ancora per un po’, mi
spiace”.
“Se
lo dici tu, mi fido”.
Reahu
sogghignò e Ihanez fu immensamente sollevato nel vederlo
sveglio.
“Vedi
di rimetterti presto, pazzoide. Il tuo allievo ha bisogno di
un’istruzione
decente”.
Uscirono
dalla camera informando la casa che si era svegliato e migliorava
rapidamente.
“Posso
osare una richiesta?” domandò Ihanez, prima che
Rashnu fuggisse via per
lavorare.
“Osa,
ma in fretta”.
“Io
vorrei fare l’esame finale da stregone”.
“Come
mai?”.
“Ha
un valore simbolico per me. Ci terrei”.
“Non
ne vedo il motivo ma, se ci tieni e ti senti pronto, fai pure quel che
credi”.
“Grazie”.
“Quando
si svolgerà?”.
“Ne
fanno uno all’anno. Dovrò aspettare”.
“Perfetto.
Così nel frattempo darai una mano qui”.
Detto
questo, Rashnu si allontanò in fretta. Aveva un sacco di
lavoro arretrato. E
Ihanez rientrò in camera del maestro.
Tarhunt
entrò nella stanza di Reahu senza parlare. Rimase fermo
sulla porta, in attesa.
Lo vide alzarsi, incerto sulle gambe.
“Sei
venuto a sfottermi?” parlò il signore del cielo,
notandolo.
Aveva
molte bende addosso ed il suo volto era scavato, smorto. Clio ed Ihanez
si
fissarono, non capendo del tutto il motivo di quella visita. Tarhunt
camminò
deciso verso il ferito e lo abbracciò, senza dargli modo di
sottrarsi e stando
attento a non stringere troppo.
“Che
fratellone stupido che ho” mormorò
“Mamma non sarebbe contenta, se lo sapesse”.
Reahu
rimase senza parole. Da troppo ormai non pensava al legame di sangue
che aveva
con colui che lo stava abbracciando.
“Mi
hai fatto prendere un bello spavento, sai?” riprese Tarhunt,
lasciandolo andare
“Vedi di non ripetere mai una cosa del genere. Lo hai
promesso, ricordi? Devi
prenderti cura del tuo fratellino”.
“Ormai
sono anni che non hai più bisogno di questo tuo fratello, mi
sembra”.
“Sarò
sempre il tuo fratellino. Grande, grosso, e rompicoglioni, ma sempre il
tuo
fratellino”.
Reahu
tornò a sedersi, sentendosi più stanco di quanto
pensasse.
“Riprenditi
alla svelta, se no chi potrò tormentare?” gli
disse Tarhunt, incrociando le
braccia e sorridendo, in modo abbastanza stupido.
“Farò
del mio meglio”.
Il
signore del tempo atmosferico aveva un aspetto più adulto,
più vecchio, del
signore del cielo. Questo perché si era risvegliato
più tardi ed era stato
accolto nella casa anni dopo. Era solo un bambino quando Reahu aveva
iniziato
l’addestramento con Ipalnemoa. Si guardarono. Solo in quel
momento, Ihanez notò
la rassomiglianza fra i due.
“Puoi
dormire sonni tranquilli, Tarhunt. Non ti libererai tanto facilmente di
me”.
“Lo
spero. Se no io come mi diverto?”.
“Il
tuo adorato fratello bazzicherà per il mondo ancora per un
po’, a quanto pare”.
Sorrise,
cosa rara, mettendo una mano fra i capelli del suo allievo, che gli si
era
seduto accanto, e gonfiandoli molto più del solito,
guardando Clio.
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Capitolo 12 *** XII- La stanza degli spettri ***
XII
LA
STANZA DEGLI SPETTRI
Da
quel giorno terribile, in cui gli abitanti della casa avevano visto
spegnersi
il loro compagno Akerbeltz, il rapporto fra loro ed il mondo esterno
era molto
cambiato. Ne avevano paura. Se Reahu, uno dei più forti,
aveva sfiorato la
morte a causa dei loro colpi, cosa poteva accadere ad altri di loro, il
cui
potere era di certo minore? Li attendeva la fine di Akerbeltz, di
certo. Reahu,
dal canto suo, non aveva un granché modo di provare paura,
con le sensazioni smorzate
dalla sua parte mancante. Per quel che lo riguardava, le cose non erano
poi
così tanto cambiate. Era più di un secolo che
considerava il mondo esterno
qualcosa di malsano. L’unico segno visibile della sua
disavventura era un
ciuffo bianco fra i capelli e niente di più. Nessuna
cicatrice. Uscì in cortile
cautamente, cercando con lo sguardo il suo allievo, che si stava
esercitando
con Tork. Il maestro rimase a fissarli per un po’. Il signore
dei monti e delle
rocce si stava divertendo a tormentare Ihanez, che trovava
particolarmente
difficile trovare della vita nei sassi.
“Non
è una cosa impossibile” lo rimproverò
Reahu “Impegnati!”.
“Scherzi,
vero?” storse il naso Ihanez, prima di beccarsi una pietra in
faccia.
Reahu
ghignò e si appoggiò ad un tronco,
all’ombra degli alberi. Nonostante fossero
trascorsi dei mesi, il suo corpo ancora non si era ripreso del tutto
dal veleno
e la cosa lo innervosiva. Lui, signore del cielo, battuto da degli
omuncoli
privi di potere. Avrebbe trovato il modo di vendicarsi. Nel frattempo
era
tornato il freddo, lo aveva notato, e le notti si erano fatte
più lunghe. Il
giorno che la casa progettava da mesi si stava avvicinando. La fine
dell’anno,
l’inizio di uno nuovo, il compleanno di Rashnu.
“Stai
bene?” domandò Clio, che come sempre stava
seguendo gli allenamenti di Ihanez.
“Benissimo”
borbottò Reahu.
“Sicuro?”.
Il
signore del cielo improvvisò un balletto stupido per
convincerla e poi
ridacchiò. Molti dei presenti sorrisero a quella scena,
Ihanez compreso che,
per colpa di quella distrazione, si ritrovò con i piedi
bloccati nel terreno.
“Ancora
non ti ho ringraziato” parlò, timidamente, Tate.
“Per
cosa?” si stupì Reahu.
“Il
giorno della battaglia. Mi avete salvato la vita. Sarei precipitato,
altrimenti”.
“Sciocchezze.
Ti saresti risollevato, o ti avrebbe salvato Tarhunt”.
“Ad
ogni modo, grazie. Pensavo mi odiasse dopo quella faccenda degli
insegnamenti
che c’è stata fra noi”.
“Figurati.
Sono io che mi dovrei scusare per…”.
Tate,
che già pensava che colui che aveva davanti fosse diventato
un’altra persona,
completamente diversa da quella che lo aveva addestrato per un periodo,
dovette
ricredersi quando lo sentì interrompere la frase per
ricacciare indietro con
rabbia uno dei colpi di Tork.
“Tutto
è pronto per la festa?” cambiò
argomento Clio.
“Direi
di sì” annuì Tate “Veda
è già pronta a tenerlo lontano da casa il tempo
necessario”.
“E
in che modo?” si insospettì Ihanez, beccandosi
l’ennesimo colpo dal signore di
monti e rocce.
“Dici
che lui sospetterà qualcosa?” continuò
Clio.
“Quello
nemmeno ci farà caso ad un anno in più o in
meno!” esclamò Reahu.
● ●
●
“Duemila”
mormorò Rashnu, fissando il tramonto.
“Qualcosa
ti preoccupa, ragazzo?” sogghignò Mantus,
stiracchiandosi ed uscendo di casa.
“Pensavo
al mio compleanno”.
“Un
anno in più, che vuoi che sia?”.
“L’uno
in più, di per sé, non ha nulla di male.
È l’insieme con gli altri che mi fa
riflettere”.
“Sei
ancora molto giovane”.
“Rispetto
a chi? A te, forse, ma non rispetto al resto del mondo”.
“Duemila
anni è una bella cifra, Rashnu. Perché la cosa ti
preoccupa?”.
“Perché
ancora non ho raggiunto appieno il mio ruolo”.
“Questo
perché tuo padre non lo vuole. Non dipende da te”.
“Devo
ammetterlo, mi spaventa questo anno in più. Non so
perché. Ho una sensazione
così strana al riguardo, come se tutto dovesse cambiare di
colpo”.
“Se
tutto deve cambiare, allora tutto cambierà. Non averne
paura”.
“È
bello poter parlare, ogni tanto, con qualcuno che sai bene aver passato
la
maggior parte delle cose che stai per affrontare”.
“Io
credo che le nuove generazioni non debbano aver paura di misurarsi con
quelle
vecchie. Probabilmente rifletti su ciò che aveva ottenuto
tuo padre alla tua
età ma non è corretto per te far un ragionamento
del genere, perché la
situazione è molto diversa. Non devi per forza seguire pari
passo le orme di
tuo padre, sai? Tu non sei lui e lui non è te. Non sentirti
inferiore”.
“Ma
lo sono, se ci rifletti”.
“Se
ci rifletto, vedo te davanti e me e non tuo padre, come dovrebbe
essere. Chi
credi sia superiore dei due? Quello che scappa e sparisce o quello che
resta e
combatte?”.
“Lui
non è scappato!”.
“Lui
non è qui. È questo il suo posto, a svolgere il
suo ruolo, non chissà dove e
fare chissà cosa. Tu sei un uomo, Rashnu, non un ragazzino,
e non devi sentirti
meno importante o meno capace di tuo padre. E non basare la tua vita su
ciò che
lui si aspetta che tu faccia”.
“Adoro
farmi fare la predica da te, Mantus”.
“Spero
di non sprecare fiato”.
Rashnu
e Mantus si fissarono, per qualche istante. L’aria della sera
era fredda e pungente,
forse avrebbe nevicato, ma ad entrambi pareva non dare fastidio.
● ●
●
L’ultimo
giorno dell’anno era giunto in fretta e la sensazione di
Rashnu si era andata
accentuando ora dopo ora. La sala grande ed il corridoio erano stati
addobbati
al meglio, grazie al lavoro di Kinyras, colui che presiedeva
l’artigianato e la
musica. Sua moglie, Laka, era la signora della danza e del canto, e si
stava
concentrando per gli ultimi preparativi. La loro figlia, Shri, era
considerata
la creatura più graziosa della casa, probabilmente
perché controllava bellezza
e felicità. Tutti gli abitanti si erano impegnati al massimo
per rendere quella
sera speciale. A mezzanotte, il loro capo avrebbe compiuto duemila
anni, come
duemila era l’anno che iniziava. Che strana coincidenza, si
diceva Ihanez,
finendo di apparecchiare la lunga tavola del salone.
Rashnu
si aspettava una festa per quella notte, era l’ultimo giorno
dell’anno ed erano
abituati a celebrarlo, ma non credeva di trovarsi al centro
dell’attenzione
come festeggiato. Con Veda al suo fianco, vestita in modo impeccabile,
girava
per la sala assaggiando i vari piatti della sera.
“Pare
che tutto stia andando come previsto”
sorrise Clio.
“Già,
siamo stati bravi” annuì Reahu, porgendole un
bicchiere e brindando con lei.
Erano
eleganti per quella occasione, nessuno faceva eccezione. Kama e Kadesh
osservavano tutti e facevano in modo che i cavalieri notassero le dame
e
viceversa. C’erano ancora delle coppie che volevano sistemare
definitivamente.
Rashnu e Veda danzavano assieme, segno che non avevano bisogno di aiuto
dai
controllori dell’amore per essere felici insieme. Thesan
pareva aver trovato il
coraggio e sedeva accanto ad Egres, sorridendogli. Ihanez
guardò Lahar. Era
bellissima con l’abito lungo ed i capelli acconciati in una
crocchia scura. Le
portò da bere, pur non dimenticando la presenza costante di
Hennay alle sue
spalle. Clio non era abituata a bere ed era piccina, non reggeva molto,
perciò
dopo soli due bicchieri già si sentiva un po’
stordita.
“Basta
liquore per te, Clio” la rimproverò velatamente
Reahu, togliendole il bicchiere
di mano.
Lei
lo fissò, leggermente accigliata, ma non
protestò. Aveva ragione. Non poteva
certo ubriacarsi di nuovo! Fissò l’enorme orologio
a pendolo. Tra poco sarebbe
iniziato il conto alla rovescia.
Rashnu
fissava a sua volta quell’orologio, distraendosi dal ballo di
coppia e
facendosi calpestare i piedi più volte. Veda gli
raccomandò di concentrarsi. I
ballerini si fermarono. Era quasi ora, e gli abitanti della casa erano
tutti
con gli occhi rivolti verso il quadrante decorato che scandiva i
secondi. Rashnu
sorrise e decise di ignorare la sensazione che provava. Cosa poteva
succedere?
Solo un anno in più, nient’alto. Con una grossa
bottiglia fra le mani, iniziò a
contare.
“Dieci!”
gridò Rashnu, trafficando con il tappo, pronto a farlo
saltare.
“Nove!”
risposero tutti gli altri.
“Otto!”
urlarono di nuovo, avvicinandosi al padrone di casa.
“Sette!”
sorrise Veda, osservando il suo amato alle prese con la bottiglia
più grande
che avesse mai visto prima.
“Sei!”
gridò Egres, pronto a lasciarsi quell’anno alle
spalle.
“Cinque!”
esclamò Clio, in uno slancio di coraggio e prendendo a
braccetto Reahu.
“Quattro!”
si fece sentire Ihanez, consapevole che l’esame finale da
stregone lo attendeva
in quel nuovo anno.
“Tre!”
gli rispose Lahar, ancora non del tutto abituata al suo nuovo ruolo.
“Due!”
disse Reahu, alzando il calice pieno al cielo.
“Uno!”
urlò tutta la casa, ed il tappo della bottiglia di Rashnu
schizzò in alto, con
un gran botto.
“Auguri,
amore” gli sussurrò Veda, mentre gli abitanti
mostravano un grosso striscione
che avevano preparato con un “buon compleanno,
Rashnu” scritto in rosso.
Lui
scosse il capo. Non amava festeggiare il suo compleanno e, quando vide
l’enorme
torta rimase a bocca aperta. Aveva tante di quelle candele e tanta di
quella
panna da lasciarlo senza parole.
“Non
dovevate” mormorò.
“Certo
che dovevamo. E adesso spegni tutte le candele, ed esprimi un
desiderio”
rispose Veda.
Rashnu
scosse la testa, divertito.
“Non
so se riesco a spegnerle tutte senza l’aiuto di qualche
evento atmosferico”.
“Tu
inizia a soffiare. Vedrai che pian piano ci riesci”
ghignò Reahu.
Il
padrone di casa ispirò profondamente ed iniziò a
spegnere le piccole fiamme, a
gruppetti. Ci mise qualche minuto e, quando l’ultima candela
cessò di brillare,
scoppiò un applauso da parte di tutti gli abitanti, fra
grida ed auguri. Ora
lui se ne stava lì, con il coltello in mano, pronto a
tagliare il dolce per
distribuirlo ai presenti. Rideva, quando uno strano rumore alle sue
spalle lo
fermò. Con aria interrogativa, si voltò. Dietro
di sé, l’enorme portone che
delimitava l’ala di suo padre era avvolta dal buio ed il
corridoio era deserto.
Da dove veniva il rumore?
“Che
c’è?” domandò Veda,
spingendolo a tagliare la torta.
Lui
obbedì ed iniziò a dividerla in fette ma
sentì di nuovo quel rumore e si voltò.
Una luce, una piccola luce si distingueva dalla porta in legno. Si
avvicinò,
sospettoso. Non poteva essersi aperta da sola. Salì i pochi
gradini che
dividevano il corridoio dall’ingresso e poi si
fermò. L’ingresso alle stanze di
suo padre non era possibile, la chiave non l’aveva nessuno.
Eppure essa era
aperta. Solo leggermente, ma era aperta. Titubante, allungò
la mano e questa lo
chiamò a sé, risucchiandolo. Rashnu
tentò di opporre resistenza ma non ci
riuscì. In un istante, lui era svanito. Il coltello che
stringeva fra le mani
in terra e la porta serrata, liscia, senza più neppure una
maniglia.
“Rashnu!”
gridò Veda, raggiungendo il punto in cui prima
c’era il portone.
Ora
pareva solamente dipinta. Reahu le andò accanto, toccando la
parete. Che cosa
strana.
“Rashnu,
mi senti?” lo chiamò.
Nessuna
risposta. E più di qualcuno iniziò ad avere
attacchi di panico.
“Rashnu”
bisbigliò una voce.
Lui
si scosse, dopo essere caduto a terra in malo modo. Era tutto buio.
Camminava
nella nebbia nera e non sapeva dove fosse finito.
“Padre?”
chiamò, ricordando di essere entrato nella sua ala.
Non
ottenne risposta. C’era un sussurro, continuo, che
però non capiva.
“C’è
nessuno? Come si esce da qui?” parlò ancora Rashnu.
Nel
buio, iniziò a vedere delle luci in lontananza. Forse era
quella l’uscita, si
disse, ed iniziò a camminare verso quella direzione. Non
fece molta strada
prima di capire che quelle luci erano delle anime immobili, ferme come
statue.
Erano di colore bianco-azzurrino, segno che nessuno ancora le aveva
giudicate.
Guardandole, iniziò a riconoscerle. Erano i predecessori di
coloro che ora
servivano la sua casa. Cosa ci facevano lì? Erano molte,
silenti ed incatenate
fra loro.
“Rashnu!”
lo chiamò una voce, flebile e disperata.
Camminò
verso quella voce, seguendo la fila degli incatenati. Alla fine di
tutti loro,
con entrambi i polsi bloccati, stava una creatura molto più
grande delle altre
e tutta azzurra.
“Rashnu”
lo chiamò di nuovo.
“Onyame”
gli rispose lui.
Aveva
di fronte il predecessore di Reahu, quello che Rashnu considerava un
maestro ed
una guida. Di fatto, era suo zio.
“Nipote
mio, sei tu?” parlò Onyame, muovendosi con estrema
fatica.
“Sono
io. Che posto è questo? E come mai siete qui?”.
“Come
stanno i miei figli del cielo? Come stanno le creature del
mondo?”.
“Insomma.
C’è ancora la guerra”.
Rashnu
non sapeva cosa fare. Onyame chinò il capo, stremato ed
abbattuto. Piangeva.
“Reahu
svolge egregiamente il suo ruolo” aggiunse Rashnu, tentando
di risollevarlo.
“Reahu?
Bravo, ne ero certo”.
“Cosa
fate voi qui? Cosa vi è successo?”.
“Ipalnemoa
non è qui, questo significa che è ancora in vita.
Lui non ti ha dato
spiegazioni?”.
“Ipalnemoa
è scomparso da quasi cinquant’anni. Non ho suo
notizie”.
“Allora
è probabile che anche lui ci raggiunga presto”.
“Che
intendi dire?”.
“Ci
sono delle cose che devi sapere, Rashnu. Sei abbastanza grande e forte.
Però
devi avere coraggio, perché le immagini che ti
mostrerò sono spaventose”.
“Dopo
duecento anni di guerra, nulla mi sembra spaventoso”.
“Questo
cambierà le tue prospettive, Rashnu. Spero vorrai
perdonarmi”.
Onyame
allungò la mano verso il nipote, sfiorandogli la fronte.
Rashnu si rilassò. Si
fidava di suo zio, lo aveva sempre fatto. Rabbrividì
leggermente quando la mano
azzurra, avvolta dalle vesti, lo toccò. Era fredda,
pungente. Immagini
iniziarono ad accalcarsi nella sua testa, memorie cancellate e piccole
cose che
non aveva notato me che ora gli erano chiare. Gridò. Era
quella la realtà?
Terribile, angosciante e spaventosa. Rashnu cadde in terra, in
ginocchio. Non
poteva e non voleva crederci ma lo sguardo di suo zio non lasciava
spazio ad
alcun dubbio.
“E
come mai siete qui?” biascicò, sforzandosi di
restare calmo.
“Siamo
imprigionati. Solo io ho sufficiente forza d’animo per
muovermi e sono stato io
a chiamarti qui. Ora che sai la
verità…”.
“Io
posso liberarvi. E posso condurvi nella giusta dimora che spetta alle
anime”.
“Te
ne saremmo grati, ma facendo questo rischieresti la vita,
esponendoti”.
“Sono
già esposto, lo sono sempre stato. Ora vi
liberò”.
Iniziò
a concentrarsi, quando un botto molto forte fece vibrare il terreno ed
una voce
profonda riempì l’aria.
“Il
mondo non ti appartiene!” si sentì dire Rashnu.
Rabbrividì,
riconosceva quella voce.
“Te
ne devi andare” parlò Onyame “Muoviti,
corri!”.
Con
un gesto della mano, mostrò al nipote la via e Rashnu rimase
però fermo,
indeciso sul da farsi.
“Sbrigati!”
lo incitò lo zio.
“Tornerò
a prendervi, è una promessa”.
“Ti
aspetterò. E ricorda che io ti sarò sempre
vicino, qualsiasi cosa tu scelga di
fare”.
Rashnu
iniziò a correre. Subito notò che la luce si
stava affievolendo, qualcosa di
grosso ed oscuro si stava avvicinando, impedendogli di raggiungere
l’uscita.
“Cosa
possiamo fare?” si preoccupò Clio.
L’urlo
che Rashnu aveva emesso poco tempo prima, si era espanso per tutta la
casa,
così come tutto stava divenendo più oscuro,
più cupo. Reahu reagì
illuminandosi, e chiese ai suoi colleghi di fare lo stesso. Chi poteva,
chi ne
era in grado, seguì il suo esempio.
“Rashnu!”
chiamò Veda.
La
ragazza non sapeva cosa fare e si guardava attorno, in cerca di aiuto.
Si
accorse che nessuno dei presenti sapeva come agire. L’ala
pareva si fosse
sigillata, senza lasciare alcuna entrata.
“E
se abbattessimo il muro?” suggerì Petbe.
“Lavoro
per me” si rimboccò le maniche Tork, ordinando
alle pietre del muro di
spostarsi.
Queste
si mossero, mostrano il nero assoluto oltre la parete, per poi
però tornare
nella stessa posizione. La cosa infastidì il signore delle
montagne. Altri
provarono ad ottenere un risultato diverso, ma non ci riuscirono. Veda
poggiò
le mani sulla parete.
“Rashnu!”
chiamò ancora “Dove sei? Torna da me! Torna da
noi. Guarda come il buio ci
avvolge appena sei lontano. Torna a guidarci, torna da chi crede in te.
Amore
mio, non lasciarci da soli”.
Il
brillio che emetteva Veda era fortissimo, più forte di
quello della signora
della luce. Gli abitanti della casa la fissarono, piuttosto stupiti.
Stava
riuscendo ad aprire la porta.
Rashnu
continuava a correre verso la luce, nonostante si sentisse sempre
più stanco e
circondato da quel buio opprimente. L’oscurità lo
stava vincendo quando la luce
magnifica di Veda illuminò il suo cammino. Vide la mano di
lei.
“Veda!”
la chiamò, protendendosi verso la sua amata.
Alle
sue spalle, la nube nera che lo braccava si ingrossò e
scattò in avanti per
afferrarlo. Rashnu si voltò, colpendola con il braccio e
facendola retrocedere
di qualche passo. La mano di Veda stringeva la sua e lo tirò
verso l’esterno.
Scaraventato fuori dalla sala, che si richiuse all’istante,
balzò per un bel
pezzo lungo il corridoio. Lei, abbracciata a colui che amava,
finì a terra a
sua volta ma non smise mai di stringerlo. Seguirono lunghi attimi di
silenzio,
in cui Rashnu e veda rimasero stretti l’uno
all’altro e la sala tornò al suo
solito aspetto, scacciando il buio.
“Tutto
bene?” domandò Reahu, avvicinandosi.
Rashnu
alzò il viso ed incrociò lo sguardo del signore
del cielo. Annuì,
tranquillizzando i presenti.
“Cosa
è successo?” domandò Ihanez.
“Niente.
Sto bene” si alzò, lentamente, il padrone di casa
“Grazie per la festa, ora
però è meglio che vada a letto. Sono molto
stanco”.
Quasi
nessuno si convinse con quelle frasi. Lo sguardo Rashnu era distante,
spaventato, deluso. Qualcosa di terribile doveva essere successo dietro
quella
porta. Lo videro salire le scale, diretto alla sua stanza.
“Vedi
se almeno tu riesci a scoprire qualcosa” parlò
Reahu, rivolto a Veda “Lui è
troppo orgoglioso per chiedere aiuto, ma noi siamo qui per questo.
Facci sapere
se c’è qualcosa che possiamo fare per farlo star
meglio”.
Veda
annuì e seguì il padrone di casa.
“Hai
mandato mia sorella in camera di Rashnu?” si
rabbuiò Ihanez.
“Calmati”
lo zittì il signore del cielo, tappandogli la bocca.
Alcuni
continuarono a festeggiare, mangiando torta e ballando. I
più iniziarono a rientrare
in stanza, stanchi e dubbiosi.
“Va
via, Veda, per favore” mormorò Rashnu, vedendola
entrare lentamente in camera
“Ho bisogno di rimanere un po’ da solo”.
“Beh,
mi spiace ma lasciarti da solo non rientra nei miei piani”.
Lei
camminò verso di lui, steso a letto con lo sguardo distratto
e puntato verso il
soffitto. Così distratto da non notare quanto lei fosse
suadente e bella in
quel momento. Per farsi guardare, lei salì a cavalcioni su
di lui. Si
guardarono. Lei sorrise, leggermente, e si chinò per
baciarlo. Lui parve
calmarsi, i suoi cocchi tornarono a concentrarsi su ciò che
aveva di fronte.
“Oggi
è il tuo compleanno” mormorò lei
“Non lo vuoi il tuo regalo?”.
Dicendo
questo, fece scivolare via la veste, mostrando la pelle nuda al suo
amato per
la prima volta. Rashnu rimase immobile, non avendo il coraggio di
toccarla.
“Buon
compleanno” continuò lei, sapendo bene come
ottenere ciò che voleva.
Clio
anche quella volta era rimasta vittima dell’alcol. Nonostante
avesse bevuto
davvero poco, il suo corpo non era riuscito a reggere ed ora si stava
facendo
portare in camera in braccio.
“Ormai
sono diventato il tuo trasportino” ghignò Reahu,
salendo le scale.
Lei
mugugnò, con le braccia attorno al collo di lui e le gambe a
ciondoloni.
Raggiunsero la stanza ed il signore del cielo, delicatamente, la mise a
letto.
Lei non lo lasciò andare.
“Resta
qui con me” mugugnò Clio.
“A
fare cosa? Ti serve una bella dormita, Clio. Lasciami andare”.
“Sono
certa che non è quello che vuoi”
sussurrò lei, spostando le mani lentamente
verso il basso, scostando la pesante veste blu di lui.
“Sei
ubriaca”.
“Non
mi vuoi, Reahu?”.
“Non
mentre sei sbronza. Non sei in te”.
“Oh,
suvvia. Lo sanno tutti che l’alcol non fa altro che
accentuare ciò che già
vogliamo. Ed io ti voglio, signore del cielo”.
Reahu
la guardò. Per qualche istante, nella sua mente
balenò il pensiero che forse…
“No,
non posso” sbottò, dimenandosi dalla sua presa.
Clio
girò la testa, offesa o forse delusa. Reahu si
rialzò in fretta, senza sapere
che cosa dire. Risistemò ciò che indossava e
sospirò.
“Ne
riparleremo quando non sarai ubriaca, ok?” le disse.
Clio
si rigirò e lo invitò ad andarle vicino, solo per
un istante. Reahu si chinò di
nuovo e la baciò sulla fronte.
“Non
sono una bambina” protestò lei, vedendolo
allontanarsi.
“Lo
so. Sei una donna. E sei ubriaca. Voglio farmi desiderare da te anche
da
sobria, da sbronzi son capaci tutti”.
“Capito”
biascicò Clio.
Era
buffo, pensò, che mai in vita sua si fosse ubriacata tranne
che quelle due
volte in cui lui aveva dovuto portarla in camera in braccio. Buffo,
davvero
buffo.
Reahu,
uscendo, diede una mano a riordinare la sala. Erano pochi quelli
rimasti. La
maggior parte era in stanza, con l’amante o il suo
equivalente per la serata.
Si stupì di vedere Ihanez. Pensava che lui e Lahar
finalmente si fossero decisi
ad andare avanti e fare il passo successivo. Ihanez, a sua volta, si
stupì di
vedere lì il suo maestro. Credeva che finalmente lui e Clio
si decidessero a
combinare qualcosa.
“Che
vuoi?” sbottò Reahu, notando il suo sguardo
interrogativo.
Ihanez
non rispose. Si ignorarono, ricominciando a sparecchiare.
“Pensavo
che tu e Lahar…” iniziò Reahu,
ignorando Hennay che lo pedinava.
“Cosa?”
sbottò Ihanez.
“Come
"cosa"?! Mi pareva foste entrati in sintonia”.
“Sì.
Ma non posso tradire Hennay”.
“Non
puoi tradire una morta?!”.
“Un’anima.
Che riporterò in vita”.
“Non
lo puoi fare. Ne abbiamo già parlato”.
“Non
farti mandare a fanculo già il primo giorno
dell’anno!”.
“Il
mio è solo un consiglio. Credimi, prima te la lascerai alle
spalle ed andrai
avanti, e meglio sarà. Più aspetti, e
più è difficile. Credi ad un esperto”.
“Come
puoi parlare così davanti a lei?”.
Reahu
si girò verso Hennay, che rimase con sempre la stessa
espressione indifferente.
“Per
me equivale a parlare a questa sedia” sbottò
Reahu, accostandola al muro.
“Sei
proprio uno stronzo”.
“Fai
come ti pare”.
“E
tu? Dai l’esempio. Che fai qui? Vai da Clio”.
“Io
non approfitto di fanciulle ubriache”.
“Oh,
che bravo ragazzo”.
Il
tono sarcastico di Ihanez infastidì il maestro, che si tinse
leggermente di
nero. Si fissarono per qualche istante e poi ognuno riprese le sue
faccende, in
silenzio. Reahu ghignò. A quanto pare, dalla luce magica che
si stava
diffondendo per la casa, quella era la notte di Rashnu e Veda.
● ●
●
Al
mattino seguente, gli sguardi di tutti i presenti erano rivolti verso
Rashnu,
che se ne rimaneva tranquillo e beato a far colazione nonostante
l’alba fosse
passata da un pezzo. Tutti lo fissavano, nessuno aveva il coraggio di
dire
qualcosa.
“E
tu che ci fai ancora qui?” sbottò Reahu, entrando
nella stanza scortato da
Clio.
“Come,
scusa?” alzò un sopracciglio Rashnu, imburrando
una grossa fetta di pane.
“Cosa
ci fai ancora qui! Che, sei sordo diventato? Hai un ruolo da svolgere,
dall’alba al tramonto, e l’alba è
passata da ore”.
“E
con ciò?”.
“Come
sarebbe a dire?!”.
“Oggi
è il mio compleanno, non ho voglia di lavorare”.
“Questa
è la più grossa cazzata che ti abbia mai sentito
pronunciare. Credi che quelli
come noi possano andare in ferie?”.
“Sì.
Ovvio. Quelli come noi, quelli come me, possono fare quello che
vogliono”.
“Sai
bene che non è vero”.
“È
verissimo, credimi”.
“Vuoi
che ti prenda a pugni?”.
“Vai
tu al posto mio, se per te è tanto importante”.
Fra
lo stupore generale, Rashnu tolse i due bracciali che portava ai polsi
e li
spinse verso Reahu, addentando poi la specie di panino di burro e
zucchero che
si era fatto.
“Tu
stai scherzando” sbottò il signore del cielo.
“No,
affatto. Io ho preso il tuo posto, non molto tempo fa.
Ricordi?”.
“Certo
che lo ricordo ma ricordo anche che, se non sbaglio, io stavo crepando
in quel
periodo. Direi che la faccenda è leggermente
diversa”.
“Io
oggi non mi muoverò da qui, Reahu. Se ci tieni tanto che il
mio ruolo sia
svolto, allora prendi quei cosi e usali. Altrimenti, vattene
allegramente a
fare in culo e lasciami in pace”.
“Sei
per caso entrato nell’adolescenza, di nuovo?”.
“Tu
non puoi capire”.
“Cosa
dovrei capire?”.
Rashnu
rimase in silenzio, dedicandosi al cibo ed ignorando le proteste di
Reahu, che
dopo un po’ si arrese all’evidenza ed
uscì, prendendo fra le mani i due
bracciali. Fra i presenti si ripeté la frase, stupita e solo
sussurrata: lo fa
per davvero? Il signore del cielo, titubando un po’
sull’uscio, se ne andò
all’aperto, bracciali ai polsi. Rashnu parve non
preoccuparsene troppo e
continuò a mangiare. Mangiava, ma il suo sguardo era
distante, rivolto a chissà
quale ricordo.
Al
ritorno di Reahu, Rashnu era ancora chiuso in camera ad ignorare il
mondo
esterno. Il signore del cielo apparve alla sua porta, restituendogli
gli
oggetti che gli appartenevano. Rashnu li fissò, senza
muoversi per afferrarli.
“Senti,
non so cosa ti passi per la testa ma io non ho alcuna intenzione di
sostituirti
per l’eternità, chiaro?”
sibilò Reahu, poggiando i bracciali su un tavolo e
girandosi per andarsene.
“Aspetta”
lo chiamò Rashnu, senza però poi dire nulla.
Il
signore del cielo lo fissò per qualche istante e
tentò di nuovo di uscire, ma
Rashnu chiuse la porta, muovendo due dita.
“Ti
ringrazio per avermi sostituito oggi” si decise finalmente a
parlare.
“Non
l’ho fatto con gioia, sappilo”.
“Lo
so bene. E so bene quanto possa essere stato difficile per te
affrontare certi
luoghi. Mi spiace di averti chiesto una cosa del genere”.
“A
tutti capita la giornata storta, immagino”.
“Non
si tratta di giornata storta, ma di nuova consapevolezza. Ho scoperto
delle
cose, nella stanza di mio padre, e questo ha compromesso di molto la
mia
volontà”.
“Che
genere di cose?”.
“Terribili.
Io non voglio essere ciò che lui sia aspetta che io
sia”.
“Tu
devi essere ciò che sei nato per essere, non puoi sfuggire
da questo”.
“Vorrei
farlo”.
“Ma
non puoi”.
“Tu
non vuoi proprio capire. Per me non ha più senso stare al
servizio di questa
casa e di questo mondo, proprio alcun senso”.
“Se
ti riferisci a quanto fatto da tuo padre centocinquanta anni fa, sono
cose di
cui sono sempre stato a conoscenza, eppure non ho mai smesso di servire
questa
casa e questa famiglia”.
“Tu
lo sapevi? E perché non me lo hai detto?”.
“Perché
ci tengo alla parte restante della mia anima, anche se non
sembra”.
“Beh,
non è solo quello. Ho visto anche delle altre
cose”.
“Che
ti hanno spaventato? Mio caro, tu oggi mi hai mandato
nell’ultimo luogo al
mondo in cui avrei mai voluto rimettere piede. Non avrei mai voluto
farlo ma,
come vedi, l’ho fatto. Ho affrontato ciò che non
volevo affrontare e sono
tornato. Scappare e nasconderti non ti aiuterà”.
“Tu
sei coraggioso. Io no”.
“Balle”.
“Tu
sei più forte di me”.
“Altra
balla. Lo sai bene che non è così. Io non sono
più forte, più capace, più
coraggioso. È la volontà che a te
manca”.
“Ho
paura”.
“E
di cosa? Tu da solo puoi reggere il mondo e mandarlo avanti! Cosa
dovrebbe
spaventarti? Tuo padre? Quel vigliacco se l’è
svignata quando gli andava comodo
e adesso deve farti paura? Dopo quasi duecento anni che ci facciamo il
culo per
mandare avanti la baracca? Non te lo permetto, sai. E poi, riflettici,
tu hai
noi. Lui chi ha? Noi siamo qui al tuo fianco, non al suo
seguito”.
“Hai
ragione”.
“Però
non ne sei convinto”.
“No.
Perché so cosa lui è in grado di fare”.
“E
quello che siamo in grado di fare noi non conta? Il mondo non ci
è stato dato
in prestito. Il mondo è nostro, e nessuno può
farci paura”.
Rashnu
quasi sorrise a quella frase. Guardò i bracciali. Se colui
che aveva accanto
aveva affrontato le sue paure per il bene del mondo, allora anche lui
doveva
fare lo stesso.
“Hai
ragione” esclamò, rimettendosi ai polsi gli
oggetti di potenziamento “Questa è
la mia casa, la nostra, e non permetterò a qualcun altro di
interferire con ciò
che io ho stabilito per essa”.
“Così
ti voglio”.
Reahu
osservò il padrone di casa scendere le scale con una strana
espressione. Si
piazzò davanti alla porta di suo padre.
“Che
pensi di fare?” si allarmò il signore del cielo
“Non puoi aprirla e, inoltre,
Veda è tornata all’accampamento e non
può tirarti fuori come ha fatto ieri
sera”.
“Fidati
di me” mormorò Rashnu.
Reahu
non capiva cosa avesse in mente di fare. Più volte aveva
tentato di aprire
quella porta e non ci era mai riuscito. E quello che aveva visto la
sera prima
non era stato sufficientemente spaventoso? Che stava facendo?
Il
padrone di casa si stava concentrando, si capiva dalla luce sempre
più forte
che emetteva. Ad occhi chiusi, alzò le braccia al cielo e
congiunse le mani,
poi le puntò verso la porta e le spalancò,
lanciando un grido ed aprendo le
palpebre. L’energia lo avvolse e la luce inondò la
casa. La porta si era
spalancata, lasciandovi entrare Rashnu a passo deciso. Subito si
richiuse, ma
questa volta non si ritrovò avvolto dal buio,
perché la sua luce splendeva
forte. Avanzò sospeso, a pugni chiusi e senza mai guardarsi
indietro. Le anime
immobili nemmeno girarono lo sguardo, imprigionate in quel luogo.
Onyame, ad
occhi chiusi e con il corpo abbandonato in avanti, sorretto dalle
catene, si
destò e per un attimo rimase sconcertato e confuso, non
riconoscendo in colui
che aveva davanti il nipote.
“Sono
qui per liberarvi, come avevo promesso”.
Onyame
sorrise, mentre Rashnu saltava e si apprestava a colpire le pesanti
catene che
tenevano legate le anime alla sala. Balzando in aria, alzò
di nuovo le braccia
al cielo e poi le riabbassò di colpo, creando una scia di
luce che spezzò quei
legami in un solo istante, dissolvendo le catene. Le anime parvero
ridestarsi,
guardandosi attorno piuttosto confuse.
“Io
sono Rashnu, e sono qui per riportarvi a casa”
parlò lui, spalancando le
braccia e guidando quelle essenze verso l’uscita.
Dietro
di loro, lo percepiva, qualcosa, o qualcuno, cercava di interferire.
Mandando
avanti le anime, respinse con tutte le sue forze
quell’entità nel buio.
Spalancando la porta nuovamente, Rashnu permise ai prigionieri di
uscire.
Lentamente, come in una processione silenziosa, le anime camminarono
lungo il
corridoio, fra lo stupore degli abitanti della casa che si erano
radunati nella
speranza di poter aiutare il loro capo. Ultimo, a chiudere le due file
ordinate, stava Onyame, che fu l’unico ad alzare il viso. Con
i capelli e le
vesti azzurre che fluttuavano senza sosta, incrociò lo
sguardo di Reahu e
rimase immobile qualche istante in quella posizione. I due parevano
parlarsi
nella mente, da quanto intensamente si guardavano. Onyame,
però, non disse una
parola ed avanzò di qualche passo quando Rashnu li
raggiunse. Il padrone di
casa guardava fisso davanti a sé, ma con lo sguardo sicuro
ed un ghigno
soddisfatto. Si passò il dorso della mano al lato della
bocca, dove scorreva un
po’ di sangue, e richiuse la porta con un gesto
dell’arto libero, sigillandola.
Poi riaprì le braccia e, come in una sorta di abbraccio,
mostrò alle anime la via.
Appena usciti dalla casa, i lupi li scortarono ai lati, ordinatamente,
facendo
udire i loro ululati.
Ihanez,
incredulo, osservò tutta la scena. Onyame passò
accanto a lui ed al suo
maestro, sfiorando quest’ultimo, che percepì un
brivido e chiuse gli occhi per
un istante.
“Cosa
succede? Chi sono queste persone e dove le sta portando?”
domandò lo stregone.
“Sono
i nostri predecessori. Non chiedermi perché si trovassero
ancora intrappolati
in quella sala. Ora Rashnu sta svolgendo il suo ruolo. Sta
accompagnando le
anime verso la loro ultima dimora, giudicandole ed affidandogli il
giusto
posto. Di notte, esse sono libere di vagare per il mondo e di giorno
lui le
accompagna”.
Ihanez
rimase in silenzio, vedendo il gruppo allontanarsi lentamente.
“E
quello azzurro chi era? Perché era così grosso e
perché ha guardato te?”.
“Onyame,
colui che svolgeva il mio ruolo. È così grosso
perché in vita era estremamente
potente, forse al pari del padre di Rashnu”.
“E
come è morto?”.
“Non
te lo posso dire”.
Lo
stregone non disse altro. Gli abitanti della casa erano confusi e
stupiti. Cosa
ci facevano tante anime nell’ala del loro signore? E come mai
Rashnu le aveva
liberate?
● ●
●
Ancora
mal di testa ed ancora quella voce, che non comprendeva. Che seccatura.
Dal
giorno della liberazione delle anime, Reahu non si sentiva
più se stesso.
Rashnu pure non sembrava lo stesso di sempre. Era divenuto di colpo
più serio e
silenzioso. Il signore del cielo sentiva dentro di sé che
qualcosa non andava.
La sua anima si comportava in modo strano, ultimamente, e
c’era una sola
persona in grado di dargli le spiegazioni che cercava. Dopo aver
informato
l’allievo che quel giorno sarebbe stato via, partì
subito dopo Rashnu da casa.
Non amava di certo andare dove doveva andare, ma era stanco di sentirsi
così
strano.
“Mantus”
chiamò, una volta raggiunto il ponte Cintvat, che delimitava
il confine fra il
regno dei vivi e quello dei morti.
Il
signore nero apparve, dall’altro capo del ponte, e gli fece
cenno di avanzare.
“A
cosa devo questa tua visita? Anche oggi Rashnu non ha voglia di
lavorare?”.
“Sono
qui per una questione del tutto personale” rispose Reahu, non
nascondendo
l’inquietudine che gli provocava seguire il signore dei morti
nella sua dimora.
Mantus
gli fece segno di sedersi ad un tavolino nero e riccamente intagliato,
lucido.
Reahu notò che colui che aveva di fronte si reggeva con un
bastone, cosa che
non aveva mai fatto.
“Cosa
succede?” domandò il signore del cielo.
“Non
sei qui per parlarmi di te?” rispose Mantus, sedendosi a sua
volta.
“Sì,
ma…”.
“Mi
sto indebolendo. I miei poteri, gradatamente, stanno passando ai miei
figli”.
Reahu
li intravide fuori, a spasso per gli inferi. Nirrita e Nirriti erano
gemelli ed
unici figli di Mantus. Erano giovani, ma evidentemente pronti a
lavorare.
“Succede
a tutti noi, prima o poi” sorrise Mantus “Mi auguro
solo che tu sai chi
permetta questo passaggio, e non interrompa il processo prima, come ha
fatto
con Onyame”.
“Ora
lui è qui?”.
“Sì,
assieme a tutti coloro che Rashnu ha condotto in questo luogo.
Ipalnemoa non
c’è. Mi auguro stia bene, e che se ne sia
semplicemente andato per i fatti
suoi”.
“Dubito.
Non è da lui”.
“Le
persone sanno stupirti nei modi più impensati, Reahu. Ed
ora, dimmi, cosa ti
porta qui? Non credo che ti piaccia molto passare da queste
parti”.
Reahu
odiava dover anche solo pensare di passare per gli inferi. Le cicatrici
sul suo
corpo ancora bruciavano e la voce
della
sua amata lo tormentava in quel luogo.
“C’è
qualcosa che non va. Mi sento molto strano, da quando Rashnu ha
liberato quelle
anime. Provo sensazioni che avevo perduto. Ed ho la testa piena di
pensieri non
miei”.
Mantus
inclinò la testa ed allungò le dita, bianche ed
ossute, verso colui che aveva
di fronte. Reahu dovette fare un grosso sforzo per non indietreggiare e
lasciarsi
toccare.
“Come
pensavo. Vieni con me” parlò il signore degli
inferi, dopo qualche istante.
Il
signore del cielo lo seguì controvoglia, fra le sale del
mondo dei morti.
Moltissime anime vagavano per esso, fluttuando ed ignorando i due vivi
che camminavano
fra loro. Raggiunsero una sala, delimitata da un alto arco in pietra.
Al centro
vi era una fontana e tutt’attorno un rigoglioso giardino. In
alto, sul
soffitto, tante piccole luci parevano un cielo stellato. Reahu
guardò il tutto
con stupore e meraviglia.
“Onyame”
chiamò Mantus ed il grosso spirito azzurro apparve,
scendendo dal soffitto.
“Ciao,
Reahu” salutò l’anima, sorridendo e
rimanendo sospesa a mezz’aria.
“Ciao”
rispose lui, alzando una mano.
“Tu
hai toccato questo ragazzo, vero?” domandò Mantus
all’essenza.
“Sì”
parlò Onyame, capovolgendosi.
Reahu
ridacchio. Gli occhi grandi di quella creatura erano quasi buffi ed il
fatto
che si ribaltasse in quel modo non faceva che aumentarne
l’effetto.
“La
sua anima ha reagito con la sua” continuò Mantus
“Lo sai bene che ne ha solo un
pezzo”.
“Lo
so. Conosco il mio erede. Ed il fatto che abbia reagito è
meraviglioso. Vuol
dire che è pronto per intraprendere il suo
cammino”.
“Quale
cammino? Non ho già abbastanza cammini da
percorrere?”.
Onyame
rise.
“Quando
ti arrabbi, assomigli davvero tanto a tua madre” disse.
“Cosa
ne sai tu di mia madre? Parlami un po’ di questo cammino, e
lasciamo perdere i
parenti”.
“Mantus!
In tutti questi anni mai glielo hai detto?”.
“Pensavo
ci avessi già pensato tu” ribatté il
signore degli inferi.
Onyame
mosse di scatto le gambe, facendo una strana piroetta in aria e
tornando in
verticale, dritto.
“Finalmente
la nuova generazione che stavamo attendendo da tempo si sta delineando.
Gli
unigeniti si stanno risvegliando e questo permetterà di
rimettere a posto le
cose. Tu, Reahu, signore del cielo, sei uno di questi”.
“Io
non sono unigenito. Ho un fratello”.
“Fratellastro.
Così come Ihanez”.
“Fratellastro?!”.
Onyame
si rigirò, fluttuando in orizzontale e fissando Reahu a
testa in giù. Sorrise e
mutò di colore, come solo il signore del cielo sapeva fare.
“Che?!
Che state cercando di dirmi voi due?!” esclamò
Reahu, indietreggiando di un
passo.
“Che
sei ufficialmente il cugino di Rashnu. Io sono tuo padre, Reahu, e mi
spiace
non avertelo detto prima. Che tu lo sappia solo ora ed in questo luogo
non è
molto bello, lo ammetto”.
“Ma…mio
fratello Tarhunt…”.
“Come
a Veda, gli è stato trasmesso il potere residuo che ancora
albergava in tua
madre”.
“Che
brutta immagine”.
“L’unica
che mi viene in mente. Rashnu finalmente ha di nuovo consapevolezza di
molte
cose, Ipalnemoa sta, verosimilmente trasmettendo tutti i suoi poteri al
figlio,
tu stai reagendo ed i gemelli di Mantus sono quasi pronti”.
“Loro
non sono unigeniti”.
“Mantus
fa sempre le cose in grande”.
Il
signore degli inferi sorrise.
“Pronti
per cosa?” domandò Reahu.
“Per
combattere. Noi non lo possiamo più fare, ma voi
sì”.
“Combattere?
E contro chi?”.
“Tu
sai perché Rashnu è tanto sconvolto?”.
“Non
mi è del tutto chiaro”.
“Ora
ti mostrerò ciò che ha visto quando per la prima
volta è entrato in quella
stanza”.
Reahu
fu avvolto dalle immagini. C’era un bambino, dai capelli
verdi, stretto in un
mantello pesante. Nevicava forte. Lui era felice. Giocava avvolto dal
bianco e
sorrideva. Poi un grido ed il rosso del fuoco. Il villaggio distrutto,
la gente
uccisa. Quello doveva essere Rashnu da piccolo ma al tempo la guerra
non c’era.
Chi erano dunque coloro che attaccavano? Onyame, in quella visione,
protesse e
celò al mondo quel bambino prezioso, portandolo via da quel
luogo.
“Mamma!”
gridava il bambino in lacrime, mentre lo zio lo salvava.
Uno
sguardo fra i presenti, fra coloro che attaccavano ed uccidevano, e
Reahu vide
un volto familiare. Il padre di Rashnu!
“Questa
è solo una delle scene che gli ho mostrato”
interruppe Onyame.
“Suo
padre ha provato ad ucciderlo?” si stupì Reahu.
“Prima
che quel piccolo venisse al mondo, noi non credevamo potessero nascere
ibridi
fra signori e mortali semplici. Lui è arrivato, e fin da
subito ha mostrato le
sue capacità straordinarie. Suo padre, temendo per
l’equilibrio del mondo, ha
cercato di eliminarlo più di una volta. Ma noi tre, io,
Ipalnemoa e Mantus, lo
abbiamo protetto”.
“E
perché allora poi lo ha ospitato in quella casa?”.
“Perché
gradatamente sono apparse altre creature in grado di svolgere dei
ruoli. Non
forti come noi quattro, ma capaci di cose che andavano
aldilà delle facoltà di
classe. Questo ha lasciato perplessi noialtri, abituati a fare tutto da
soli,
ma è stato un bene per Rashnu. Gli ha permesso di trovare un
luogo sicuro per
dimenticare l’infanzia. Per un periodo piuttosto lungo, padre
e figlio hanno
agito insieme e ci sembrava che tutto fosse andato al giusto posto,
finalmente.
Ma poi tu sai cosa è successo. La guerra e tutto il
resto”.
“La
guerra è colpa sua?”.
“No,
è stata la guerra a destabilizzarlo definitivamente. Non era
mai stato
particolarmente a posto con la testa fin da piccolo e la guerra lo ha
confuso,
caricandolo di un odio che uno come lui non dovrebbe avere. Il resto lo
sai.
Ora credo stia iniziando a rendersi conto che suo figlio sta
richiamando a sé
il potere che gli spetta e questo non gli è gradito. Temiamo
possa intervenire
in modo drastico, di nuovo, contro il suo erede. Se lo facesse, noi non
potremmo aiutarlo”.
“E
cosa credi che possa fare io? O Ihanez? È del padre di
Rashnu che stiamo
parlando, non del signore delle paperelle di gomma”.
“Ma
tu avrai dentro di te tutto il mio potere, e Ihanez spero presto quello
di suo
padre”.
“Tutto
il tuo potere? Ma io credevo…”.
“Che
fosse già in tuo possesso? No, certo che no. Ma presto
sarà tuo”.
“Io
non sono sicuro che sia la cosa migliore. Per donarmelo, che fine
farai?”.
“Mi
dissolverò. Voglio che il tuo risveglio sia totale,
perché solo così potrai
sperare di ottenere qualche cosa. Quando sarà il momento, il
potere che ti sto
per donare si risveglierà. Prima non è prudente
che lo faccia, perché
attirerebbe l’attenzione di colui che vuole distruggervi. Sei
nato per questo,
Reahu. Non devi temerlo il tuo destino”.
Il
signore del cielo non parlò.
“Quando
sarà il momento, saprai cosa fare”
parlò di nuovo Onyame, atterrando e
fermandosi, in piedi, di fronte a colui che aveva appena appreso essere
suo
figlio “Inoltre, devi disfarti degli oggetti che ti tengono
legati al dominio
di un altro signore. I guanti, quelli che aumentano la tua magia,
appartenevano
al padre di Rashnu e solo Rashnu li deve usare”.
“Ma
io li uso per poter svolgere il mio compito. A volte, non saprei come
fare
senza”.
“Avrai
gli oggetti che io ti donerò. Te li indicherò e
tu li avrai. Come mio unico
figlio, ti spettano di diritto. Con quelli in tuo possesso, sarai
libero di
agire come meglio credi”.
“Io
non sono sicuro di poter agire come meglio credo”.
“Inoltre,
voglio affidarti dei libri, la cui stesura risale a tempi lontani.
Narrano
delle vicende del mondo, e la loro scrittura la comprenderai solo ora,
perché
da tempo dimenticata”.
“Dentro
vi troverò scritte altre cose spaventose ed inquietanti,
vero?”.
“Alcune
cosa saranno così. Ma altre ti guideranno nel tuo
compito”.
“Sinceramente,
mi basta ciò che già ho”.
“Non
devi avere alcun timore”.
“Alcun
timore?! Ma vi rendete conto di quello che state dicendo?!”.
“Accoglimi
, Reahu. Prometti di difendere questo mondo e di fare lo stesso, se
sarà
necessario, con i tuoi figli”.
Reahu,
dopo diversi istanti di silenzio assoluto, annuì, non
sapendo nemmeno lui
perché, ed il suo predecessore iniziò a
dissolversi, trasmettendo la luce e la
forza che custodiva dentro
di sé. Parte
di essa era già da tempo sotto il dominio del signore del
cielo ed ora la parte
restante si stava aggiungendo. Sentiva quel brivido strano, che aveva
avvertito
tempo fa, scorrere dentro di sé. Quella forte energia stava
colmando la parte
di lui rimasta vuota, senz’anima. Quell’energia lo
stava mutando. Sarebbe rimasta
latente, ma qualcosa già stava cambiando.
Quell’unico ciuffo bianco fra i suoi
capelli blu era divenuto argento e risplendeva. Il suo sguardo, prima
interamente dorato, ora risplendeva anch’esso di riflessi
argentati. Si
sentiva parecchio scombussolato e si
guardò attorno, confuso, forse convinto di vivere una specie
di sogno, o un
incubo. Guardò Mantus, che gli sorrise.
“È
sempre triste quando perdi un amico per sempre, quando sai che non
potrai
rivederlo più, ma sono felice che sia tu a prendere le
redini”.
“La
cosa mi lascia alquanto perplesso” ammise Reahu.
“Suppongo
sia normale, ma prima lo accetterai e prima ti lascerai alle spalle le
perplessitudini”.
“Perplessitudini?!”.
“Vieni.
È tempo di andare”.
Reahu
lo seguì lungo i corridoi, lasciandosi alle spalle la sala
delle anime dei
predecessori, fluttuando a mezz’aria. Una volta
all’esterno, socchiuse gli
occhi per la differenza di luce. Era ancora giorno, ed era tempo di
rientrare a
casa.
“Troverai
i libri di cui parlava nella sua stanza con il sigillo
d’oro” parlò Mantus.
“Lo
so”.
“Bene.
Per quanto riguarda gli oggetti che ti spettano, ti consiglio di fare
un giro
alla montagna delle statue. Lì sono custodite un sacco di
cose”.
“Lo
immaginavo. E credo sia tempo per il mio allievo di aver chiari alcuni
concetti”.
“Se
ti servirà aiuto, sappi che noialtri siamo qui. Io ed i miei
figli siamo pronti
a fare del nostro meglio per questo mondo”.
“E
siete davvero sicuri che io voglia lo stesso?”.
“Certo.
Altrimenti Onyame non sarebbe mai riuscito a divenire parte di te.
Sento la tua
energia ed è di molto aumentata. Presto la possederai
intermente”.
Reahu
guardò il cielo. La sua perplessità lo rendeva
nuvoloso. Sospirò. La sua vita
era sempre stata fin troppo complicata rispetto a ciò che
aveva fin da piccolo
desiderato. Tornò a casa lentamente, dando mondo a se stesso
di riflettere un
pochino senza la caotica presenza degli altri che chiedevano cosa
avesse e come
mai fosse così pensieroso. I suoi piedi non toccavano terra
e lui non ci faceva
caso. Arrivò a casa qualche ora prima del tramonto e
raggiunse in silenzio la
propria stanza con il sigillo dorato. Vi entrò, schivando
sguardi indiscreti, e
prese i libri che da tempo custodiva, pur non capendone la scrittura
perché
troppo antica. Ora la comprendeva, ed iniziò a leggere.
Parlavano del mondo
prima di Rashnu e del periodo in cui era giovane,
dell’addestramento e dei
secoli successivi. Si interrompevano di colpo un giorno
d’inverno,
probabilmente il giorno in cui Onyame era morto. Reahu prese il primo
volume e
lo iniziò. Una specie di diario del mondo. Fluttuando, si
capovolse, trovando
il mondo molto più interessante da un’altra
prospettiva.
● ●
●
Il
mattino seguente, Rashnu e Ihanez stavano allegramente discutendo del
più e del
meno. Era una bella giornata di Sole, anche se la temperatura esterna
rimaneva
piuttosto fredda.
“Qualcuno
ha visto Reahu?” domandò Clio.
“Non
lo vedo da ieri mattina” scosse la testa Ihanez.
“Da
quel che percepisco, è nella sua stanza”
parlò Rashnu “Ultimamente è davvero
strano”.
“Ha
affrontato una brutta esperienza. Dovrà ancora
riprendersi” lo giustificò lei.
“La
mia voleva essere solo un’osservazione, non un
rimprovero”.
Non
passò molto tempo, prima che Reahu entrasse, sospeso a
mezz’aria, dalla porta,
senza fare rumore. Alle spalle del suo allievo, rubò il
biscotto che lo
stregone teneva fra le mani e, libro davanti a sé
continuando a leggerlo,
indicò Rashnu.
“Io
e te dobbiamo parlare” gli disse, in una lingua che solo il
diretto interessato
comprese.
“Che?!”
si stupì il padrone di casa, inclinando la testa.
Il
signore del cielo abbassò temporaneamente il libro e lo
fissò, quasi annoiato.
“Cosa
ti è successo?” domandò Clio, vedendolo
parecchio diverso dal solito.
“Mi
sono successe un sacco di cose e per questo vorrei scambiare qualche
parole in
privato con Rashnu, se permette”.
Rashnu
lo fissò, senza muoversi. Era davvero Reahu colui che aveva
di fronte? I suoi occhi
erano cambiati, così come il suo viso si era fatto
più giovane. Senza contare
che rimaneva sospeso a mezz’aria e parlava una lingua
dimenticata. E poi…era un
biscotto quello che stava mordendo?
“Muoviti,
stupido!” ridacchiò Reahu “Non ti mangio
mica!”.
Rashnu
lo seguì fuori dalla stanza, dopo aver guardato gli altri
presenti con aria
interrogativa, come a voler chiedere se anche loro avevano visto la
stessa
cosa.
“Voglio
portare il mio allievo alla montagna. Credo che per lui sia giunto il
momento”
parlò Reahu, non appena Rashnu lo ebbe raggiunto.
“Prima
di questo, non sembri sia il caso di spiegarmi cosa ti è
capitato? Sento che il
tuo potere è diverso dal solito”.
“Ho
trovato me stesso. Io ora so chi sono, e dovresti fare lo
stesso”.
“Io
so chi sono”.
“Ne
sei certo?”.
“Ovvio.
E tu? Tu chi sei?”.
“Sono
Reahu, il signore del cielo”.
“E
questo non lo sapeva già da prima?”.
“No.
Io prima era Reahu, il signore del cielo a servizio di Rashnu e di suo
padre,
che deve svolgere il lavoro del suo predecessore. Non sono
più quel Reahu. Io
ora sono il Reahu che si governa da solo, che è in grado di
farlo”.
“Ne
sei assolutamente sicuro?” lo fissò, scettico,
Rashnu.
“Tu
ora ricordi. Sai la verità. Solo accettandola ti
risveglierai”.
“Vaneggi.
Non sai di che stai parlando. Mio padre ha il potere che mi manca, e
lui solo
può possederlo e donarlo”.
“No,
se tu non lo richiedi. Ti spetta, ed è ora di reclamarlo, se
non vuoi lasciare
questo mondo ad un pazzo e sottostare per sempre alle sue
regole”.
“Cosa
ti sei fumato? Non sai che dici né ti è chiaro
fino in fondo chi hai davanti”.
“Io
lo so chi ho davanti, ed è per questo che ti dico di
smetterla di fare il
bambino. Portando Ihanez alla montagna, voglio renderlo consapevole di
quello
che è e di ciò che sarà”.
“Tu
sei solo un sottoposto, che non si deve immischiare in queste
faccende”.
“Stupido!”
lo colpì Reahu alla fronte con il palmo della mano,
dimostrando grande velocità
“Apri gli occhi e ragiona con la tua testa!”.
“Come
osi tu…”.
Reahu
schivò agilmente il colpo che Rashnu voleva infliggergli,
lasciando cadere il
libro che reggeva. Si parò davanti al padrone di casa e lo
afferrò per le
braccia, guardandolo negli occhi.
“Io
sono l’unigenito figlio di Onyame ed ho iniziato il mio
cammino verso il totale
risveglio. Mi auguro che tu, Rashnu, possa fare lo stesso
perché non posso
prendere in mano il mondo da solo”.
Rashnu
lo fissò, mentre lo lasciava e si allontanava leggermente,
prendendo quota.
“Tu
sei…” mormorò, senza crederci del tutto.
“Tuo
cugino. Dai, andiamo, non dirmi che mai ti sei accorto di quanto io sia
speciale” ridacchiò Reahu, incrociando le braccia.
“Dimostramelo.
Per quel che mi riguarda, potresti anche aver battuto la testa o bevuto
troppo”.
Reahu
sospirò.
“Come
vuoi che te lo dimostri?” domandò, mentre Rashnu
gli girava attorno, dubbioso.
“Attaccami.
Vediamo cosa sai fare. Se è davvero come tu dici, i nostri
poteri dovrebbero
equivalersi o, perlomeno, essere molto simili”.
“Come
vuoi. Ma devo avvertirti: non ho mai provato ad usare le mie
capacità in combattimento”.
“Sta
tranquillo. Sarò delicato, come sempre”.
“Non
era quella la mia preoccupazione” storse il naso Reahu,
mentre Rashnu portava
con un solo gesto entrambi nel luogo dove solitamente si allenavano.
Fra
le rocce, isolati da altri viventi, quello era il posto ideale per dare
sfogo
alle loro abilità senza compromettere esistenze altrui. Dopo
essersi osservati
per un po’, i due iniziarono a colpirsi a calci e pugni.
Entrambi abili e
veloci, non riportarono danni. Reahu sapeva che, se voleva avere
qualche
possibilità, doveva agire prima che Rashnu attaccasse con la
magia. Perciò, per
farlo, doveva muoversi immediatamente. Saltò
all’indietro, sottraendosi allo
scontro diretto. Rashnu ghignò, convinto di averlo fatto
scappare. Reahu prese
un profondo respiro. Allungano le braccia verso il braccio e muovendo
le dita,
come per risvegliarle. Rashnu lo fissò incuriosito. Quella
posizione non la
conosceva. Che aveva in mente di fare? Reahu alzò le braccia
al cielo e poi le
spalancò, muovendo le mani. Questo provocò la
comparsa di tante piccole luci,
piccole stelle, che schizzarono veloci verso Rashnu. Lui, non
conoscendo questa
mossa, saltò per schivarle. Le luci, però, lo
seguirono, guidate da Reahu, e
riuscirono a colpirlo. Questo lo fece cadere in terra. Reahu gli
andò vicino,
incredulo.
“Mi
prendi per il culo?” domandò, convinto che mai
Rashnu si potesse far colpire
così.
“Mi
hai preso alla sprovvista ma ciò che mi ha colpito
è stato davvero qualcosa di
forte, di straordinario. Questo mi basta. Sei davvero il figlio di
Onyame”.
Si
rialzò lentamente, pulendosi di dosso la polvere.
“Non
sei ferito, vero?”.
“Passerà
tutto in fretta, cugino”.
Rimasero
a guardarsi per qualche istante, illuminati dalla luce del mattino.
“Una
volta mi era stato raccontato…” iniziò
Rashnu “…che la nuova generazione
avrebbe preso il posto di quella vecchia. Non ci avevo mai creduto,
anche
perché ero convinto che Onyame fosse morto senza eredi e che
perciò il suo
potere integro fosse andato perduto. Ma, ora che so che non
è così, forse
potrei riconsiderare la mia posizione”.
“Non
sei solo il figlio di qualcuno”.
“Hai
ragione. Io sono Rashnu, la giustizia personificata, il signore
dell’ordalia,
custode del ponte di Cintvat, colui che conduce le anime
all’aldilà e le
giudica, dividendole in base alle loro azioni. E lo faccio
perché sono nato per
farlo, non perché qualcuno me lo ordina e non solo
perché sono figlio di colui
che svolgeva questo ruolo”.
“Giusto”.
“Credo
sia giunto il momento per le nuove generazioni di prendere il
controllo”.
“Mi
piace l’idea”.
“Mi
hai sentito?” gridò Rashnu “Non siamo
più i tuoi servi!”.
“Non
ci fai più paura” si unì Reahu.
“Aspettaci,
vecchio bastardo. Non regnerai ancora a lungo!”.
“Dici
ci abbia sentito?” mormorò Reahu, dopo qualche
istante.
“Oh,
sì. Quello non ha niente di meglio da fare”
ghignò Rashnu “Ed ora rientriamo.
Io devo andare al lavoro e tu devi preparare il tuo allievo. Andare fin
lassù
non è cosa semplice. Meglio sappia quello che lo
aspetta”.
Un
forte tuono nel cielo diede segno ai due che effettivamente colui di
cui
parlavano stava ascoltando. Reahu rispose con un tuono più
forte. Meglio
mettere subito ben in chiaro le cose.
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Capitolo 13 *** XIII- figlio unigenito ***
XIII
FIGLIO
UNIGENITO
Reahu
fissò il suo allievo con aria interrogativa. Non era certo
abbigliato in modo
tale da poter affrontare la montagna. E con sé non sembrava
voler portare quasi
nulla.
“Dove
pensi di andare, vestito così?” gli
domandò.
“Perché?
Qual è il problema?”.
“Fa
freddo dove stiamo andando. Ben più freddo di quanto tu non
abbia provato fin
ora. E pensi di arrivarci sano e salvo indossando quattro
straccetti?”.
“Io
non ho mai sofferto il freddo”.
“Nemmeno
Rashnu, come sai, ma non si azzarderebbe mai ad andare da quelle parti
senza
un’adeguata dose di vesti calde”.
“Sei
noioso” sbuffò Ihanez “Come un
vecchio”.
“E
tu sei stupido, come un ragazzino”.
“Lascia
che si vesta come gli pare” interruppe Rashnu
“Sappia, però, che non riceverà
abiti e coperte in prestito da noi. Vero, Reahu?”.
“Da
noi?!” alzò un sopracciglio il signore del cielo.
“Certo.
Da noi. Vengo anch’io. Non vorrete mica divertirti solo
voialtri e poi,
tecnicamente, quella è la mia montagna. Non vi
lascerò gironzolare per essa da
soli”.
“Come
vuoi. Ma credevo che il lavoro e…”.
“Quello
può aspettare. E Mantus concorda con me sul fatto che
è fondamentale
accompagnare Ihanez fino là”.
“Sì,
ma questo lo posso fare io. Non servi tu”.
“Ma
che problema c’è? Volete forse rimanere un
po’ da soli a passare momenti
romantici insieme?”.
“Ma
no! Certo che no!”.
“Allora
vengo anch’io”.
“Se
la cosa ti diverte”.
Ihanez
rimase in silenzio durante quella conversazione, non sapendo
esattamente che
dire. A furia di insistere, il maestro era riuscito a convincerlo nel
portarsi
dietro un mantello. Lo caricò in uno zaino, controvoglia, ed
attese impaziente
di partire. Non capiva il perché di tanta roba appresso. Non
potevano
semplicemente farsi trasportare da Rashnu fino al punto prestabilito,
far ciò
che bisognava fare e poi tornare indietro nello stesso modo?
Perché farsi tutta
la strada a piedi? Rashnu e Reahu non diedero spiegazioni a riguardo ed
iniziarono il cammino parlottando fra loro, in una lingua che Ihanez
non
comprendeva. Avrebbe tanto voluto intromettersi e chiedere che cosa
cazzo
stessero dicendo, ma preferì non stuzzicarli, ora che
sembravano tranquilli. Il
primo tratto di strada, fra foreste e prati spogli, fu semplice. La salita era lieve, per
niente faticosa, e
Ihanez ne approfittò per canticchiare scemenze. La pendenza
mutò di colpo.
Guardando in su, lo stregone rimase immobile. Davvero quei due si
aspettavano
che lui salisse lì sopra, senza usare la magia? Li
fissò e quelli lo
ignorarono, iniziando a salire per il ripido sentiero di rocce come se
fosse
semplice. Ihanez li seguì, arrancando ed incespicando fra i
sassi che
rotolavano a valle. Iniziava a fare freddo. Soffiava un vento gelido,
che lo
fece guardare con fastidio Reahu. Non poteva proprio farne a meno?
Inoltre, la
salita si faceva sempre più impegnativa, con il graduale
diradarsi degli alberi
a cui potersi aggrappare per salire.
“Tu
cosa ne sai di Ogmios, Ihanez?” parlò Rashnu,
d’un tratto.
“Che?!”
ansimò Ihanez, con la testa altrove.
“Ti
ho chiesto cosa ne sai di Ogmios, ragazzo”.
“E
dobbiamo parlarne proprio ora?”.
“Rispondimi”.
“Cosa
ne so? Beh, in realtà non molto. Se devo essere sincero, la
religione non mi è
mai interessata particolarmente. Perché?”.
“Io
voglio sapere quello che sai, poco o tanto che sia”.
“Ma
perché?”.
“Le
domande le faccio io. Rispondi”.
“Dunque,
vediamo…il mio maestro lo chiamava "il lucente" ed "il
giusto". Diceva che la sua magia aveva creato il mondo e che ora lo
stava
mandando avanti. Sinceramente, da quando conosco voi, la mia fiducia in
tale
proposito è alquanto scemata”.
“Ma
come parli bene. E che altro?”.
“Che
altro? Bah, mi è stato detto che è il dio supremo
che ci guida e che scrive il
nostro cammino”.
“Ti
è stato detto? E tu cosa credi?”.
“Intendi
se io credo in un dio che mi governa? Sinceramente, preferisco pensare
che sia
io a decidere della mia vita e non uno sconosciuto, ma non posso sapere
se
davvero esiste oppure no”.
“Ti
reputi neutrale, in tal senso?”.
“No,
mi reputo infastidito. Per quel che ne so, essendo lui un dio
così grande,
giusto, saggio e via dicendo, dovrebbe perlomeno calcolarci ogni tanto.
Dicono
che sia il padre di tutti noi, ma un padre non abbandona i suoi figli.
Un padre
che li ama, perlomeno”.
“Ti
senti abbandonato?” domandò ancora Rashnu,
fermandosi qualche istante.
“Mi
sento ignorato. Se davvero esiste questo possente Ogmios, allora
è un
grandissimo menefreghista. Se ha creato il mondo, dovrebbe rimetterlo
un po’ in
ordine, e non lasciarlo alla guerra per duecento anni”.
“È
la cosa più blasfema che abbia mai sentito al riguardo, ma
mi piace la tua
sincerità”.
“Ogmios
lo scansafatiche, dovrebbero chiamarlo”.
Reahu
ridacchiò. Per il freddo pungente, si erano avvolti nei
mantelli. Fioccava la
neve che, spinta dal vento, li rendevano pressoché inutili.
Ma in che razza di
posto lo stavano portando?
“Non
sai dirmi altro?” riprese Rashnu.
“Ve
l’ho detto. La religione non è mai stata qualcosa
di cui mi son occupato in
modo approfondito. Specie perché, fin da bambino, ho avuto
un’esistenza non
proprio felice e perciò, se avessi modo di vedere questo
fantomatico dio, credo
che gli spaccherei la faccia a pugni”.
“Non
ti hanno insegnato ad essere grato delle piccole cose?”.
“Sì,
ma anche ad incazzarmi quando serve”.
Il
sentiero pareva iniziare ad avere un senso. Lastricato, si trasformava
in
gradini in pietra, dall’aria antica e rovinata. A fianco,
rovine di quello che
sembrava un villaggio. Abbandonato da tempo immemore, stava lasciando
sempre
più strada alla vegetazione. La neve lo copriva e Ihanez
dovette stare attento
a non scivolare in terra. Quelle case, incastrate nella roccia della
montagna,
avevano un’aria spettrale. Sui muri, incise parole che non
riusciva a
comprendere.
“Di
qua” indicò Rashnu, salendo per una scalinata
ripida che conduceva alla casa
posta più in alto.
In
un’insenatura della montagna, si apriva uno spiazzo
circolare. Doveva essere
stata una piccola abitazione. E doveva esserci stato un bambino. Quelli
scarabocchi sui muri o erano di infante o di adulto parecchio impedito
nel
disegno.
“Che
posto è questo?” domandò Ihanez, dopo
aver ripreso un po’ di fiato.
“Casa
mia” rispose Rashnu, scuotendosi via la neve dal mantello e
scostando una pila
di legna e sassi, mostrando un piccolo corridoio buio che dava verso
chissà
dove.
“Casa
tua?”.
“Sono
nato qui. La bellezza di duemila anni fa”.
Ihanez
seguì Reahu e Rashnu lungo il cunicolo. Dovevano camminarci
leggermente chini e
nel buio totale. Solo dopo qualche minuto una luce apparve in fondo al
tunnel e
fecero capolino in una sala molto grande, illuminata da fessure sul
soffitto e
specchi. Al centro di essa, in cerchio, vi stavano quattro statue,
altissime,
che si guardavano fra loro. Ihanez si avvicinò, mentre Reahu
e Rashnu
toglievano i mantelli. In quel luogo faceva più caldo. Lo
stregone osservò le
statue. Quella posta ad est la riconobbe subito. Rappresentava suo
padre. In
una mano stringeva un lungo bastone, mentre l’altra era
aperta e rivolta verso
l’esterno. Di fronte a lui stava Mantus. Teneva una falce,
mentre a pungo
chiuso fissava con aria seria il centro della sala. Quello posto a nord
aveva
un’aria familiare. Ricordò. Era lo spirito azzurro
che aveva visto in casa non
molto tempo prima, il predecessore di Reahu. Non poggiava i piedi in
terra, ma
era sorretto dalla veste e, a braccia spalancate e rivolte verso
l’alto, pareva
voler spiccare il volto, guardando in alto. Dal lato opposto, un uomo
dalle
braccia incrociate fissava con severità chi lo osservava.
Incuteva un certo
timore, forse più di Mantus che, come signore della morte,
non poteva essere un
granché rassicurante. Ciò che riportavano scritto
sotto i piedi, sui basamenti
delle statue, Ihanez non lo capiva.
“Li
riconosci?” domandò Rashnu, raggiungendolo.
“Non
tutti”.
Alla
parete sud, fra gli specchi, un ritratto di donna che teneva in braccio
un
bambino. Anche sugli altri muri vi era spazio per dei quadri, ma erano
spogli,
vuoti.
“Perdonami
se il tuo bel visino non campeggia alle spalle di quello di tuo
padre” sorrise
Rashnu.
“La
statua a sud rappresenta tuo padre? E quindi il bambino in quel quadro
sei
tu?”.
“Esatto”.
Ihanez
si avvicinò per fissare meglio quella rappresentazione.
Aveva qualcosa di
familiare, qualcosa che aveva visto e che aveva dimenticato. E quella
luce che
il piccolo aveva attorno alla testa…
“Perché
sono qui?” domandò, girando attorno alla statua
del padre di Rashnu.
Ai
suoi piedi, sul pavimento, lo notò solo in quel momento, un
mosaico raffigurava
una figura femminile. Rassomigliava a sua madre, ma non poteva esserne
sicuro.
Del resto, anche la madre di Rashnu ci assomigliava, a guardarla
meglio.
“Le
nostre madri sono le stesse, sì” parlò
Rashnu.
“Mi
prendi in giro? Mia madre non aveva mica duemila anni”.
“No.
Era la rincarnazione di colei che è stata madre mia, di
Reahu, dei gemelli di
Mantus e poi tua”.
“Che?!”
si stupì Reahu, non essendo a conoscenza di certe cose.
“Credevi
forse che a tutte le donne fosse concesso concepire figli come noi? Gli
unigeniti non nascono da chiunque”.
“Gli
unigeniti?” domandò Ihanez.
“Reahu,
unigenito figlio di Onyame” iniziò Rashnu,
indicandone la statua “Nirriti e
Nirrita, unici figli di Mantus. Tu, Ihanez, unigenito figlio di
Ipalnemoa ed
infine io, Rashnu”.
“Unigenito
figlio di…?”.
“Unigenito
figlio di Ogmios”.
Ihanez
rimase immobile, qualche istante, non sapendo se mettersi a ridere o
meno.
“Ogmios
non ha figli” iniziò, cercando di capire se colui
che aveva di fronte fosse
serio.
“Così
han sempre creduto. Questo villaggio è stato distrutto per
questo. Per impedire
che una voce si
diffondesse. Una voce
che poteva turbare il monoteismo istaurato dal mio genitore. Monoteismo
che,
fra l’altro, non c’è mai
stato”.
“Sei
il figlio di dio?!”.
“Sono
il figlio di UN dio”.
“Gli
anni si contano dalla tua nascita?”.
“Sì,
anche se tutti lo hanno dimenticato”.
“Perciò,
sei un dio pure tu!”.
“Non
direi. Cosa distingue, secondo te, un essere mortale da una
divinità?”.
“Il
suo potere. La sua forza”.
“Non
è proprio così. La differenza sta nella
capacità di creare e distruggere. Solo
un dio può far nascere dal nulla qualcosa o distruggerla
completamente. Agli
altri è solo concesso modificare ciò che
già esiste”.
“Come
facciamo noi?”.
“Esatto.
Noi modifichiamo e plasmiamo la materia che già
c’è, non siamo in grado di
crearne di altra. Questo è ciò che ci distingue
dagli dèi”.
“E
tuo padre è in grado di creare?”.
“Lo
era. Non so se possiede ancora questo potere. Mantus lo ha perduto da
tempo,
così come non lo possedeva più Onyame”.
“Come
si può perdere un potere del genere?!”.
“Si
può, se si decide di trasmetterlo alla generazione
successiva e qualcuno
impedisce questo passaggio, impossessandosi di parte di questo
potere”.
“È
questo ciò che ha fatto tuo padre?”.
“Questo,
e altro. Per gli scienziati, lui è "il saggio", "il
sapiente". Per i guerrieri è "il sanguinario", "lo
spietato". Per gli stregoni "il lucente", "il giusto".
Ognuno di loro, ognuno di queste classi, è convinto che mio
padre agisca solo
per loro, di essere i preferiti. Per questo è scoppiata la
guerra. Perché
nessuno poteva permettere a qualcun altro di sentirsi il preferito di
un dio
che ritenevano di loro esclusiva proprietà”.
“Si
stan facendo la guerra da due secoli per questo?!”.
“Esattamente”.
“E
tuo padre non ha mosso un dito per fermarli?”.
“Mio
padre non è più lo stesso da quando è
iniziata la guerra. Non so dirti
esattamente perché. So solo che io, come suo unico figlio,
ho il compito di
prendere il suo posto. Per questo ti ho portato fino qui”.
“Che
c’entro io?!”.
“Tu
sei figlio di Ipalnemoa, uno dei quattro pilastri del mondo. Solo
grazie al tuo
aiuto potrò prendere il giusto posto e diventare
ciò che sono nato per essere”.
“Un
dio?”.
“Il
signore di questo mondo, assieme a voi, unigeniti, ed ai sottoposti che
ospito
nella mia casa. Non il vostro capo, ma vostro fratello”.
“Insieme
a noi? Ma io non ne ho la capacità”.
“Le
avrai. Voglio tu sappia la verità. Quando mio padre
è scomparso, abbiamo usato
gli oggetti che lui possedeva per aiutarci a controllare ed aumentare i
nostri
poteri, ma così facendo non abbiamo fatto altro che dargli
modo di
controllarci. Gli altri tre che tu vedi, hanno le stesse identiche
capacità di
controllo di mio padre ed i loro oggetti donano le stesse
potenzialità. Mio
padre non è, come erroneamente tutti pensano, il
più forte ed è ora che le
energie vengano di nuovo equamente ridistribuite fra
i quattro regnanti”.
“Cinque”
si intromise Reahu “Quell’esagerato di Mantus ha
fatto due gemelli”.
“Cinque,
va bene. Non facciamo troppo i precisini” si
stizzì Rashnu.
“Ma
se bastano loro quattro, perché sono nati altri con
potenzialità di controllo?”
domandò Ihanez.
“Bella
domanda. Non ce lo siamo mai spiegati del tutto. La motivazione
più sensata
crediamo dipenda dal fatto che, con lo scombinarsi delle varie energie,
si
siano create queste creature di supporto, se mi permetti il
termine”.
“La
cosa non ha senso”.
“Non
so dirti altro al riguardo. Non sono onnisciente”.
“Ed
io cosa dovrei fare?”.
“Lentamente,
tutta l’energia di tuo padre si sta trasmettendo a te. Ti
renderà forte, tanto
quanto me e Reahu. La stessa cosa accadrà a Nirriti e
Nirrita”.
“Bene.
E poi?”.
“Poi
ci riprenderemo il mondo. Ci stai?”.
“Sembra
una cosa alquanto pericolosa. Sfidare tuo padre, intendi?”.
“Intendo
prendere in mano le redini del mondo, staccandoci dal controllo di
qualcuno che
ci ha abbandonato. Noi ce la possiamo fare, insieme”.
Ihanez
non sembrava molto convinto, pensando ad uno scherzo, ma
notò che anche il suo
maestro sembrava sicuro e serio. Questo poteva voler dire due cose: che
entrambi erano certi di ciò che facevano oppure che entrambi
avevano ecceduto
nelle sostanze stupefacenti.
“Quindi
io che dovrei fare? Starmene fermo ad aspettare che arrivi il mio
potere? Non
mi pare che la situazione cambi di molto rispetto a prima, salvo per il
fatto
che ora so che il mio capo è figlio di quello che
consideravo un dio”.
“Ci
disferemo degli oggetti di mio padre e ti addestreremo in modo
più intensivo,
per permetterti di potenziarti in fretta. Per farlo, però,
ho bisogno della tua
totale collaborazione. Solo se saremo uniti potremmo farcela. Uno, da
solo, non
può sperare di governare il creato”.
“Sai
che mi stai chiedendo parecchio, vero? Insomma, sono solo uno
stregone!”.
“Sei
il signore della vita”.
“Non
ancora”.
“Lo
sarai. Non posso obbligarti. Se per te la situazione va bene
così, non posso
obbligarti a cambiarla. Potrei, ma non lo farò”.
“Se
davvero riuscissimo in ciò che dici, la guerra
finirebbe?”.
“Non
te lo so dire. Ma non resteremmo con le mani in mano ad aspettare che
finisca da
sola, questo è certo”.
“Beh,
se davvero siamo fratelli come dici, allora non posso lasciare che
facciate
tutto da soli. Anche perché mi perderei tutto il
divertimento”.
Rashnu
sorrise. Reahu era distratto, invece. Era svolazzato fino ad una delle
aperture
del muro e stava sgusciando fuori. Rashnu e Ihanez decisero di
seguirlo.
All’esterno, vi era una cascata le cui acque si perdevano nel
vuoto e nella
nebbia. In bilico su una sporgenza, Reahu guardava giù.
“Che
fai?” domandò Rashnu, con capelli e veste mossi
dallo spostamento d’aria
provocato dalla cascata e dalle pessime condizioni atmosferiche.
Il
signore del cielo non ripose. L’aria gli sollevava i capelli
in alto quasi
completamente. C’era una luce laggiù, nella
nebbia, che attirava la sua
attenzione. Gli altri due che stavano alle sue spalle parevano non
vederla.
Rashnu non parlava, aspettando di vedere cosa il suo collega stesse
combinando.
Quell’uomo era sempre più strano. Senza dire una
parola, Reahu saltò. Rashnu
scattò per afferrarlo, ma non ci riuscì. Voleva
suicidarsi? Voleva tanto andare
alla montagna per fare una cosa così stupida? Saltare da
lì era una vera
follia.
“Reahu!”
gridò, un po’ arrabbiato ed un po’
preoccupato.
Il
signore del cielo scese per diversi metri, diretto verso quella luce.
Cadde in
acqua, gelida e dalla forte corrente, e per un istante si disse che
aveva fatto
una grossa stronzata. Avvolto dai flutti, aprì gli occhi,
circondato
dall’azzurro.
“Reahu!
Vieni fuori da lì. Lo dirò alla mamma”
piagnucolava un piccolo Tarhunt sul
bordo del lago limpido, rabbrividendo per il freddo.
“Smettila
di fare la bambina!” lo rimproverò il fratello
Reahu, allontanandosi ancora di
più dalla riva, in uno sciocco gesto adolescenziale.
“Non
lasciarmi da solo qui. Ho paura” si lamentò ancora
Tarhunt.
Non
aveva più di cinque anni e fissava il fratello maggiore che
nuotava.
“Paura
di cosa? Smettila, codardo!” lo derise Reahu, con i capelli
blu non ancora
sufficientemente lunghi per poter avere un ordine logico.
Tarhunt,
trattenendo le lacrime, prese coraggio e camminò deciso
verso l’acqua. Voleva
raggiungere il fratello, e dimostrargli di essere coraggioso come lui.
“Che
stai facendo? Torna indietro!” ordinò Reahu
“Non sei capace! Torna a riva!”.
Il
fratello maggiore andò nel panico. Non sarebbe riuscito a
raggiungere il
fratellino per tempo. Si apprestò a raggiungerlo, mentre lo
vedeva arrancare in
acqua, non riuscendo a trovare un appoggio.
“Tarhunt!”
lo chiamò, evocando tutte le forze che aveva per nuotare
più rapidamente.
Fortunatamente
per il bambino, un uomo aveva assistito alla scena ed era intervenuto,
ripescando Tarhunt prima che affogasse. Reahu raggiunse la riva. Il
fratellino
era stato messo all’asciutto. Tossiva ed era avvolto nel
mantello che l’uomo
gli aveva porto.
“Tarhunt!”
saltò fuori dall’acqua Reahu, raggiungendolo
“Stai bene?”.
Il
fratellino annuì. Girandosi, il fratello maggiore
ringraziò il salvatore del
parente. Era un uomo altissimo, che gli sorrise.
“Vostro
padre non vi ha insegnato ad essere un po’ più
prudenti?” parlò.
“Nostro
padre è morto” rispose Reahu, chinando il capo.
“Allora
spetta a te insegnare a questo piccolo il valore
dell’esistenza. Morire avvolti
dall’acqua, che per prima ci ha dato la vita, è
atroce e crudele”.
“Credo
ci siano modi peggiori per morire. L’acqua non fa
paura” storse il naso il
ragazzino.
“L’acqua
non fa paura, finché è simbolo di vita. Ma in un
istante essa può portarti alla
morte e divenire terribile. Come l’aria che respiri. In pochi
istanti può
essere talmente forte da spazzarti via da questo mondo, così
come il cielo da
azzurro può divenire tempestoso. Tutte le cose
dell’universo hanno un lato di
vita ed uno di morte”.
“Tu
sei strano”.
“Meglio
torniate a casa adesso, se non volete prendervi un malanno”.
L’uomo
era affiancato da una creatura incappucciata, di cui Reahu vide solo
gli occhi.
Erano arancio. Ma chi erano? Non vollero dire il loro nome, e si
allontanarono.
Reahu,
avvolto dalle acque gelide, non capì in principio
perché stesse ricordando
proprio ora quell’episodio. Quando realizzò che le
due creature erano Onyame e
Rashnu, sobbalzò. La vita e la morte, il cielo e
l’acqua. Nella confusione
dovuta dal tuffo, dalla corrente e dal freddo, tutto pareva mescolarsi.
Tranne
quella luce, che pulsava sempre più forte laggiù.
Si mosse, nuotando, verso
quella direzione, vedendo che essa si accentuava fino ad avvolgerlo.
“Che
facciamo?” domandò Ihanez, guardando
giù.
“Inizia
indietreggiando da lì. Non cascare di sotto. Lui controlla
l’aria e svolazza
agilmente, nonostante le correnti, tu no”.
Lo
stregone fece un passo indietro, senza riuscire a valutare
l’altezza di quella
cascata. Era fradicio per colpa degli schizzi e con il vento stava
prendendo
decisamente troppo freddo.
“Dobbiamo
andare a riprenderlo?” propose l’allievo.
“Non
avrebbe senso. Se la sa cavare meglio di noi due, lì in
mezzo”.
“Ma
perché si è buttato?”.
“Credi
che lo sappia?”.
Rashnu
pareva infastidito, ed allungò il collo per vedere se
riusciva ad intravedere
il collega. Ciò che vide, fu una fortissima luce argentea
che correva rapida
verso di loro. D’istinto, spinse indietro Ihanez e lo
protesse, preparandosi
allo stesso tempo a reagire.
● ●
●
Clio
era tranquilla quel pomeriggio. Senza nessuno da dover controllare, si
stava
rilassando in stanza, leggendo un bel libro fantasy. Tutto era calmo e
silenzioso, come non era da tempo. Era pure una bella giornata di Sole.
Il
primo piccolo boato non la preoccupò. Pensò a
qualcosa che cadeva dai piani
inferiori o ad i giochi dei bambini. Poi tutto iniziò a
tremare. Allarmata,
poggiò immediatamente il libro e corse fuori dalla camera.
“Tork”
chiamò “Che fai?”.
“Io
niente” si difese il signore delle montagne e delle rocce, a
cui solitamente
era affidato il compito di provocare terremoti “Niente eventi
simili previsti
da queste parti oggi”.
“Fuori!
Tutti fuori!” urlò Omikhle, cercando i suoi figli.
Gli
scossoni facevano cadere in terra i decori alle pareti ed alcuni
mobili. Clio,
senza pensarci, scese le scale. Afferrò al volo Aer, che non
capiva bene cosa
stesse succedendo, e guadagnò la porta.
“Ci
siamo tutti?” domandò, dopo un po’.
Pareva
di sì, ma la terra non smetteva di tremare ed a nulla
servivano gli sforzi di
Tork per farla fermare.
“La
nostra casa!” esclamò Kadesh, indicando
l’ala del padre di Rashnu.
Agli
angoli di essa, stavano crescendo quattro torri, che lentamente la
sovrastavano. Parevano alberi le cui radici piano piano affondavano nel
tetto,
e crescevano. Una in particolare, quella blu e argento, crebbe
più delle altre,
completandosi. Era attorcigliata, piegata come un tornado e leggermente
inclinata in avanti, con la punta finale rivolta verso
l’interno. Brillava così
intensamente, con piccoli punti argento, da sembrare un cielo stellato.
La
torre bianca, che cresceva al suo fianco, non si completò,
come non si completò
la torre oro, a cui
però mancava solo la
parte finale. Quella nera, l’ultima a sbucare dal terreno,
era formata da due
parti distinte, che iniziarono ad intersecarsi, ma neppure questa di
completò.
La terra si fermò e tutto tornò tranquillo. Gli
abitanti si fissarono con aria
interrogativa. Perché quando non c’era Rashnu
accadevano sempre cose strane?
● ●
●
Rashnu
si coprì il viso. Quella luce era molto forte ma, lo doveva
ammettere, non
trasmetteva alcuna sensazione negativa. Riaprì le palpebre e
colui che vide,
avvolto dalla luce, lo fece imbronciare. Reahu, signore del cielo, li
aveva
raggiunti, avvolto dall’inconfondibile luce argento
dell’armatura di Onyame.
L’aveva trovata.
“Cos’è
quella faccia?” storse il naso Reahu, divertito.
“Tu
ti sei risvegliato del tutto. Io, dopo duemila anni, ancora
no” incrociò le
braccia Rashnu.
“Io
sono orfano, tu no” alzò le spalle
l’avvolto di luce.
Il
figlio di Ogmios non disse altro. Lasciò che il collega lo
aiutasse ad alzarsi,
seguito da Ihanez. Guardò il signore del cielo, che
rispondeva a quello sguardo
interrogativamente, come se non capisse cosa avesse di diverso. Sul
capo,
portava una sorta di corona argento con un diadema blu al centro,
tondo. Fra di
esso, i suoi capelli svolazzavano sospinti da correnti un po’
reali ed un po’
indotte dal proprietario. Lungo le braccia, diversi ornamenti sempre
argento, dai
quali stoffe blu ed azzurre partivano e si incrociavano,
anch’esse sospese
dalla corrente che circondava Reahu. Sulle spalle ed attorno al collo,
piccole
catenine e fili argentei sostenevano le spalline dello stesso colore,
che a
loro volta reggevano il lungo mantello blu che seguiva il movimento del
resto
della stoffa, trascinandosi per un bel pezzo dietro al suo padrone.
Scalzo,
attorno alle caviglie intricati sistemi di fili e catenine ne coprivano
in
parte i piedi. Cosa molto simile si vedeva fra le mani, che stringevano
il
mantello che altrimenti lo avrebbe avvolto completamente. La cinta si
ingrossava al centro e riprendeva lo stile di tutto il resto. Reahu non
pareva
essersi accorto del tutto del cambiamento.
“Andiamo?”
parlò “Ho una certa fame”.
Rashnu
sorrise ed annuì. Ihanez preferì non parlare. Le
cose si stavano facendo troppo
complicate.
● ●
●
“Eccoli!”
gridò Tarhunt “Percepisco Rashnu. Stanno
tornando”.
Volando,
scrutava l’orizzonte. Fra gli alberi, gli era impossibile
vedere chiaramente il
padrone di casa rientrare ma la sua energia la sentiva. Assieme a
quella di
Ihanez e quella di…qualcuno di familiare ma non troppo
chiaro. Che fosse un
altro intruso? Era stufo di tutte quelle invasioni e quei cambiamenti.
Sperava
che, almeno in quel caso, Rashnu sapesse che stesse accadendo. La
maggior parte
degli abitanti era rimasta fuori, ancora intimorita dalle scosse, che
però
parevano aver lasciato senza danni la casa. Rashnu, il primo della
fila, guardò
tutti quanti senza capire perché fossero davanti
all’ingresso o in giardino. E
loro a loro volta fissarono i tre, senza capire del tutto chi fosse
quell’altissimo essere alle spalle di Ihanez e Rashnu.
“Reahu!”
esclamò Clio e, fra la perplessità generale,
corse a raggiungerlo.
Lo
abbracciò forte, facendosi avvolgere dalla stoffa. Lui le
sorrise e le poggiò
una mano dietro alla nuca, percependo che doveva essere spaventata da
qualche
cosa.
“Che
succede, Clio?” domandò “Temevi non
tornassimo?” ridacchiò.
“C’è
stato un terremoto. E…”.
Reahu
spalancò gli occhi notando la casa. Quelle torri, che si
vedevano dietro
all’ingresso sull’ala di Ogmios, erano una strana
novità. Sulla torre blu e
argento, lo vedeva, in caratteri antichi era scolpito il suo nome.
“Che
significa?” domandò, guardando Rashnu.
“Hei,
il nome sopra è il tuo, mica il mio!”
ghignò il padrone di casa, entrando per
vedere in che stato fosse.
Come
radici, parti delle torri si intravedevano sul soffitto. Quella blu si
era
impossessata della stanza di Reahu, come le altre iniziavano a
diramarsi verso
le camere di Rashnu e Ihanez. Un angolo a se stante si era creato per
Nirriti e
Nirrita, che non possedevano una sala in quell’edificio.
“La
mia è la torre più bassa ed incompleta”
notò Ihanez.
“Perché
tu sei un novellino. Vedrai come crescerà”
ridacchiò Reahu, avvicinandosi alla
porta della propria torre, spalancando con disinvoltura il portone
dell’ala di
Ogmios.
Al
contrario di quanto si aspettavano gli altri, essa era del tutto
normale. Non
era più nera, oscura e misteriosa. Come se il suo
proprietario se ne fosse
andato.
“Cosa
è successo?” domandò, intimorita,
Kadesh.
“Ci
siamo ripresi le nostre vite. Ora comandiamo noi” rispose
Rashnu, seguendo il
suo collega del cielo, curioso.
La
torre oro, quella che un giorno avrebbe portato il suo nome, non era
ancora
completa. Quella di Reahu, invece, era perfetta e pronta ad ospitare il
suo
padrone. Questi la fissò con orgoglio e poi fissò
con leggera strafottenza
Rashnu, che fece una smorfia.
“Sfigato”
ridacchiò Reahu.
“Ma
vaffanculo!”.
“Vacci
tu. Sono sicuro che tu conosci la strada meglio di me”.
Per
qualche istante rimasero in silenzio, poi scoppiarono a ridere insieme.
“Hei,
ma…è tutto a posto?” chiese timidamente
Clio, alle loro spalle “Intendo dire:
le torri sono normali? Non c’è niente di
strano?”.
“No,
tutto a posto. Potete stare tranquilli” sorrise Rashnu.
“Ed
è normale che lui sia così?”
domandò Tarhunt, indicando il fratello.
“Sì.
Vi spiegheremo tutto, questa sera a cena. Abbiate un po’ di
pazienza” continuò
il padrone di casa, ancora un po’ confuso da ciò
che vedeva ed aveva visto.
● ●
●
“E
così ci dite di non usare più gli oggetti di
potenziamento provenienti
dall’armatura di Vostro padre?” domandò,
dubbioso, Kama durante la cena.
“Esattamente.
Così facendo, finalmente ci distaccheremo dalla sua
volontà” annuì Rashnu.
“Scusi
ma obbedire alla sua volontà non è ciò
che dobbiamo fare?” chiese Lahar.
“Non
necessariamente. La sua volontà è stata quella di
non intervenire, lasciando il
mondo alla guerra, di svanire nel nulla e lasciarci da soli. Siete
certi di
voler continuare a seguire una volontà del
genere?”.
“No,
ma che alternativa abbiamo?” piegò il capo Pothos.
“L’avete.
Ovviamente non vi possiamo obbligare, ma la nostra idea è
instaurare nuovamente
il regno dei quattro pilastri. Siete liberi di scegliere. Se restare
qui, a
combattere al nostro fianco, oppure se andarvene. Nel secondo caso,
però, mi
vedo costretto a riprendermi i vostri poteri”.
“Ci
stai chiedendo di abbandonare il volere di Ogmios, uscendo dalle sue
grazie,
per seguire un gruppo di svegliati a metà?” si
stupì Hike.
“Quali
"grazie"?! Io sono con voi, Rashnu” parlò Petbe,
convinto.
“Prendetevi
il tempo che vi serve. Noi non torneremo sui nostri passi”
terminò Rashnu,
ritenendo conclusa la conversazione.
Una
volta finita la cena, Petbe si avvicinò al padrone di casa,
porgendogli la
parte di armatura di Ogmios che gli spettava: la cinta, la cui fibbia
brillava
intensamente. Rashnu la prese e sorrise. Con quel gesto, il giovane
figlio di
Saxnot ed Adraste indicava una totale fiducia in colui che aveva di
fronte e la
sua volontà di staccarsi dal passato. Vedendo questo, anche
altri seguirono
quell’esempio. Egres e Lahar furono i successivi, assieme a
Clio, Tate e
Nininsina. Tork attese un po’, poi raggiunse i gruppi con i
suoi grossi
spallacci. Reahu osservava il tutto, attendendo soprattutto la scelta
del
fratello minore, che finora non si era espresso.
“E
adesso?” domandò Ihanez, non potendo riconsegnare
l’oggetto che ancora
ufficialmente era proprietà di suo padre.
“Adesso
ne sottrarremo il controllo di Ogmios” rispose Rashnu.
“Sì
può fare?”.
“Con
Reahu sì”.
“Davvero
priverai dei poteri chi non è disposto a
seguirci?”.
“Non
possiamo permettere a chi ci domina di continuare a farlo e per questo
ci vuole
un’azione drastica. Non lo farei, se non fosse assolutamente
necessario”.
Ihanez
non rispose. Nessuna delle opzioni possibili lo convinceva del tutto.
L’armatura aveva sempre più componenti, ed era
ormai chiaro chi voleva
rinunciare. Rashnu non li biasimava. Dopotutto si trattava di
disobbedire a
colui che ritenevano un dio. Avevano portato tutti i pezzi
all’esterno, per
dare modo a Reahu di esprimere a pieno il proprio potenziale. Non era
ancora
buio, le giornate si erano allungate molto ed il rosso del tramonto non
li
aveva ancora lasciati, ma ben presto furono avvolti da
un’oscurità fitta e
minacciosa.
“Ogmios”
sussurrò più di qualcuno, piuttosto spaventato.
Reahu
guardò in alto. Un vortice nero turbinava e copriva il
cielo, celando le
stelle. Strinse i pugni. Senza dire una parola, mosse le mani e fra
esse
apparve un arco, riccamente decorato e luminoso. Fece comparire anche
una
freccia e si apprestò a scagliarla. Rashnu, nel frattempo,
intimava tutti di
stare indietro e non fare sciocchezze. Scoccando la freccia, il signore
del cielo
fece sì che essa si aprisse un varco fra le tenebre,
modificando l’andare di
quei vortici oscuri. Il buio non si dissolse ma si ramificò,
creando spirali ad
ogni colpo di freccia.
“Non
riesce ad allontanare quella nebbia nera” si
spaventò Ihanez, che non aveva
alcuna intenzione di obbedire all’ordine di Rashnu di
rientrare in casa.
Uno
di quei rami si sporse pericolosamente verso gli abitanti. Rashnu
prontamente
lo respinse, richiamando uno scudo d’oro circolare davanti a
sé. Il colpo lo
fece indietreggiare di quasi un metro, ma riuscì a
ricacciarlo in aria.
“Rashnu,
riesci a tenerlo a bada?” domandò Reahu,
sollevandosi da terra.
“Sì,
per un po’. Che hai in mente?”.
“Fidati”.
Guardando
in alto, Reahu alzò una mano al cielo.
“Vajra!”
urlò, provocando un fortissimo lampo e la luce avvolse
l’arto che protendeva
verso le stelle, creando uno scettro fatto di fulmini.
Il
cielo oscuro rispose con tuoni e lampi più forti, ma Reahu
ignorò la cosa.
“Hipostas!”
gridò di nuovo, alzando lo scettro che sparse i suoi fulmini
tutt’attorno.
A
quel richiamo, le stelle del cielo parvero ingrandirsi. Tante piccole
scie
argentee corsero veloci verso Reahu, prendendo forma. La prima ad
arrivar al
suo fianco era una bellissima donna tutta d’argento e luce.
Altre la seguirono.
Uomini e donne, luminosi ed al servizio di Reahu, stavano riempiendo il
cielo.
Anche i componenti dell’armatura oro di Ogmios, lasciati
all’aperto, si
mossero, liberando figure più o meno note ai presenti, che
fissarono il tutto
con incredulità.
“Cosa
sono? Anime?” domandò Ihanez.
“Non
credo. Sono immagini dei predecessori di coloro che vivono qui ora.
Direi più
che altro Ipostasi, manifestazioni e personificazioni di una
capacità divina”
rispose Rashnu.
“E
quelle creature argento?”.
“Sono…stelle!”
parlò il padrone di casa, incredulo e felice.
Una
tale dimostrazione di potere non se la sarebbe mai aspettata. Ora il
suo scudo
d’oro non serviva più, perché
l’oscurità si stava ritirando, vinta dalla luce
emessa da quelle creature.
Reahu
mosse le braccia, cosa che fecero anche tutte le presenze che lo
circondavano.
Stavano concentrando la loro luminosità. Gridando, tutti
loro espansero quella
luce, creando un’enorme sfera che li circondò e
scacciò la nebbia nera.
“Il
cielo è roba mia!” esclamò Reahu,
quando il cielo stellato si mostrò
interamente e quella presenza oscura si dileguò del tutto.
Alzò
di nuovo la mano al cielo e le frecce che aveva scagliato tornarono fra
le sue
dita. Le rigirò e queste scomparvero, così
com’erano apparse. Lo scettro si
dissolse in polvere sottile. Le ipostasi tornarono al loro posto,
all’interno
dell’armatura. Le personificazioni delle stelle iniziarono a
volar via.
L’ultima ad andare fu colei che per prima era apparsa. Reahu
la guardava e lei
rimaneva sospesa, guardandolo a sua volta.
“Alinn”
la chiamò il signore del cielo.
Era
colei che tanto aveva amato e che ora occupava un posto al centro
dell’universo. Gli bastava così poco, solo un
gesto, per farla restare, per
riaverla accanto. Ma come? Come luce senz’anima e senza
sentimenti. Le dedicò
un ultimo sorriso e poi la lasciò andare.
Girandosi,
vide che molti dei presenti lo fissavano come fosse una specie di
strana
bestia. Reahu ignorò quegli sguardi. Fece svanire
l’arco in un soffio e poi
indicò le parti d’armatura.
“Hanno
obbedito e me” parlò “Sono libere dal
dominio di Ogmios”.
Rashnu
annuì. Il signore del cielo sembrava stanco, ma non era
ferito, così come
nessuno degli abitanti aveva subito alcun danno. Chinò la
testa leggermente.
“Che
fai?” lo apostrofò Reahu.
“Mi
inchino dinnanzi a colui che ritengo mio superiore, almeno per
ora”.
“Non
fare lo scemo. Avanti, rientriamo”.
La
gente si scostò al passaggio di Reahu e Rashnu, che si
diressero verso la torre
del cielo. Il padrone di casa vi andò diretto ma Reahu si
fermò. Clio lo osservava,
in mezzo ad altri abitanti, senza sapere che cosa dire. Lui gli porse
la mano e
lei la afferrò, avvicinandosi. Le vesti ed i capelli di lui
continuavano a
muoversi e parte di essi la sfiorarono, facendola sorridere.
“Sono
sempre io, sai?” le parlò lui.
“Lo
so”.
“Allora
non avere paura di me, per favore”.
“Non
ne avrò”.
Reahu
le sorrise a sua volta e le baciò la mano, facendola
arrossire.
“Vestito
nuovo anche tu, noto” riprese lui, scherzando sul fatto che
nelle ultime
ventiquattro ore era cambiato parecchio, doveva ammetterlo.
“Sì,
e vero” ammise lei “Volevo farmi un regalo. Ti
piace?”.
Il
signore del cielo non le rispose ma la attirò a
sé, prendendola fra le braccia
e baciandola. Dopo un lungo istante, i due si divisero. Clio non sapeva
bene
cosa dire e quindi si limitò a sorridere. Lui la
lasciò andare, con un piccolo
inchino. Doveva scambiare quattro parole con Rashnu prima di andare a
dormire.
“Ihanez!”
parlò, camminando verso la torre “Vai a dormire.
Domani ti farò faticare”.
L’allievo
si preoccupò un po’ e si guardò
attorno. Tutti coloro che avevano riposto
fiducia nel suo maestro e in Rashnu la stavano riponendo anche in lui,
futuro
signore della vita e, forse, pilastro del mondo. Non poteva deluderli.
“Sarò
pronto” rispose, convinto.
“Perché
ci hai messo tanto?” sbottò Rashnu, vedendolo
entrare nella torre.
“Ti
ho forse chiesto di aspettarmi?” replicò Reahu,
salendo le scale ed ignorando
il collera all’ingresso.
Raggiunse
la sua nuova camera e si stese di botto sul letto matrimoniale,
scostando i
veli del baldacchino e chiudendo gli occhi.
“Stanco?”
domandò Rashnu, sedendosi sullo stesso letto.
Reahu
lo fissò, incorporando in un solo sguardo le frasi
“Che cazzo fai?!” e “Stati
scherzando?!”.
“È
di tuo padre che stiamo parlando” disse, invece
“Non è che sia un gioco
respingerlo”.
“Eppure
ai più è parso che per te fosse stato
semplice”.
“Non
lo è stato. E quello era solo una manifestazione del suo
potere, non Ogmios in
persona. La cosa mi preoccupa”.
“Che
intendi dire?”.
“Intendo
dire che non dovremmo essere troppo sicuri di noi stessi”.
“Scherzi?!
Ma hai visto cosa hai fatto oggi?! Ciò che è
successo è straordinario, va ben
oltre la capacità di un semplice controllore di un potere.
È stato…un
miracolo!”.
“Eh?!”.
“Un
miracolo. Un evento oltre l’umano”.
“Quanto
hai bevuto a cena, Rashnu?”.
“Come
puoi negarlo? Tu sei stato…un dio”.
“Io
non sono un dio. Non sono un creatore”.
“Come
puoi esserne sicuro?”.
“Ma
dai! Scendi dal mio letto, sembriamo due liceali ad un pigiama
party”.
“Vuoi
che ti metta lo smalto?” ridacchiò Rashnu, e si
beccò una cuscinata in faccia
che lo ribaltò all’indietro.
“Non
sono un dio, e smettila di dirlo” sbottò Reahu,
poi sbadigliando.
“Ma
ci vai vicino”.
“Anche
tu”.
“Ma
non COSÌ vicino”.
“Sicuro?
Gli anni si contano da quanto sei nato tu, mica da quando sono nato
io!”.
“Questo
non conta. Ad ogni modo, che pensi di fare adesso? Mettere sotto
Ihanez, in
modo da farlo migliorare in fretta?”.
“L’idea
è quella, ma non vorrei torturarlo. E devo finire di leggere
tutti i libri che
ha lasciato mio padre. Me ne mancano un paio”.
“Giusto.
Lì dentro potrebbero essere riportate informazioni
fondamentali per noi”.
“Esatto.
E adesso vattene che voglio dormire”.
Rashnu
si alzò lentamente dal letto, stiracchiandosi. Faceva meglio
ad andare a riposare
pure lui, peccato non poterlo fare nella torre oro, perché
ancora incompleta!
“Buonanotte,
tesoro!” ridacchiò, beccandosi un altro cuscino,
questa volta dietro la testa.
“Fuori
di qui, palma!” lo minacciò, ghignando, Reahu.
Rimasto
solo, fissò il soffitto, dove vi era dipinto il cielo
stellato.
“Io,
un dio?” si disse.
L’idea
era spaventosa, troppe responsabilità, ma nemmeno troppo
malvagia. Ci si poteva
anche abituare, dopotutto, concluse prima di chiudere gli occhi ed
addormentarsi.
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Capitolo 14 *** XIV- Per la Vita e per la Morte ***
XIV
PER
LA VITA E PER LA MORTE
Rashnu
come sempre si era svegliato presto e si preparava a partire. Era
piuttosto
assonnato, data l’ora tarda in cui si era addormentato la
notte precedente, ma
si sforzò di sbadigliare una volta soltanto. Come spesso
capitava, trovò Clio
già in piedi, che puliva per terra.
“Che
fai in giro a quest’ora? Non puoi dormire un pochino di
più, ogni tanto?” le
domandò.
“Sto
pulendo la polvere provocata dal terremoto di ieri”
spiegò lei.
“E
non puoi farlo ad un orario normale? Quando anche il resto del mondo
è in
piedi?”.
“No,
perché adesso lavoro tranquilla, senza nessuno che corre su
e giù e mi sposta
la polvere ovunque. Meno fatica”.
“Ah,
capisco”.
In
realtà Rashnu non capiva. Se avesse potuto, avrebbe dormito
per ore e ore in
più. Uscendo in giardino, vide che anche Ihanez era sveglio
e stava girellando
fra gli alberi.
“Ragazzo”
lo chiamò, e lo stregone gli andò vicino.
“Ragazzo,
oggi vieni con me. Preparati”.
“Con
Voi? Perché e dove?” domandò
l’apprendista.
“Hai
fatto lezione con la maggior parte di noi, con me ancora no.
Perciò vieni”.
“Ma
Reahu ha detto…”.
“Reahu
oggi avrà molto da fare, credimi. Non preoccuparti di
questo”.
“Che
devo portare con me?”.
“Niente
in particolare. Vieni e basta”.
Ihanez
annuì.
“Clio”
riprese Rashnu “Avvisa tu Reahu che il suo allievo
quest’oggi viene con me”.
“Sì
ma…nessuno fra noi ha mai fatto lezione con Voi!”
si stupì lei.
“Lui
è speciale. E assicurati che il signore del cielo faccia i
compiti. Ha dei
libri da leggere”.
Clio
sorrise ed annuì. Vide Rashnu e Ihanez allontanarsi, fra gli
alberi della
foresta che circondava la casa, e tornò alle sue faccende.
Ihanez
non si era mai trovato a disagio fra i boschi. Fin da bambino, vi era
cresciuto
nel mezzo. Perciò non trovò inquietante quel
paesaggio, che molti consideravano
tale. Seguì Rashnu senza problemi e senza fatica, anche
perché il mantello di
chi aveva davanti era bianco all’interno e, svolazzando, si
vedeva chiaramente
nonostante il buio della foresta. Non parlò, non sapendo
bene cosa dire. L’idea
di andare a caccia di anime lo allettava ben poco. Raggiunsero una
grotta buia,
che si apriva alla sinistra del sentiero. Rashnu vi entrò,
senza dare
spiegazioni, e Ihanez lo seguì. Solo un ringhio minaccioso
lo fece fermare. Era
circondato dai lupi che, non capendo perché il loro padrone
lo avesse portato
lì, lo trattarono come un intruso.
“State
calmi” li ammonì Rashnu, camminando verso il fondo
della grotta, dove una lupa
enorme se ne stava stesa con accanto i suoi cuccioli.
Ihanez
non sapeva bene che fare, fino a quando Rashnu non gli fece segno di
avvicinarsi.
“Lei
è buona” gli disse, prendendo fra le braccia uno
dei grassi cuccioli neri “Mi è
sempre stata vicino, fin da bambino. Ed ha avuto di nuovo i piccoli. La
prima
cucciolata dell’anno”.
Ihanez
allungò la mano verso uno dei nuovi nati, che doveva avere
un mesetto circa.
“Sono
molto vivaci, devo stare attento che non escano e si allontanino
troppo. Lei
resterà qui, a badare a loro. Gli altri verranno con
noi” spiegò Rashnu.
Una
volta nutriti e coccolati gli animali, Ihanez lo vide salire in groppa
al lupo
più grosso di tutti.
“Vieni”
gli disse i bimillenario, allungando una mano verso lo stregone, che
l’afferrò
e salì a sua volta sulla grossa bestia dal pelo lunghissimo
e nero.
“Non
ho mai cavalcato un lupo” ridacchiò.
“Son
ben in pochi a poter dire di averlo fatto” sorrise Rashnu,
incitando la
creatura ad andare.
Tutto
il branco lo seguì, tranne la madre con i piccoli ed un paio
di maschi il cui
compito era sorvegliare i dintorni. Ihanez si guardò
attorno. Quel lupo enorme
sovrastava di parecchie spanne tutti gli altri, che li seguivano.
“Tranquillo.
Nessuno, oltre alle anime defunte, può vederci”
spiegò Rashnu, alzando il
colletto del mantello, coprendosi buona parte del viso ed i capelli,
come con
un cappuccio.
Accelerarono
per qualche istante, poi si fermarono, in mezzo ad un ampio prato
verde.
Facendo un gesto con le braccia ed impartendo degli ordini, Rashnu
sparpagliò i
lupi, che iniziarono a correre ognuno in direzione diversa.
“Dove
vanno?” domandò Ihanez.
“A
radunare le anime che ci sono qua attorno, facendole arrivare tutte
qui”.
Lo
stregone osservò affascinato come effettivamente ognuna di
quelle creature
tornasse, dopo un po’, recando avanti a sé un
gruppetto di essenze biancastre.
Rashnu le attese e le guardò. Loro, confuse, guardarono a
loro volta il figlio
di Ogmios, con timore o con gioia.
“Ora
le giudicherò, Ihanez” spiegò, Rashnu,
scendendo dal lupo “Coloro che mi
guardano con timore, vedono il mio lato malvagio e quindi,
presumibilmente, per
loro si illuminerà il bracciale argento, che segnala
un’anima impura. Coloro
che, al contrario, scorgono il mio lato buono, allora faran risplendere
il
bracciale oro e saran anime innocenti e sante”.
Ihanez
non vedeva l’ora di vederne il procedimento, quando una voce
famigliare chiamò
per nome Rashnu. Era Hennay, che raggiungeva il gruppo scortata da un
lupo.
“Hennay?
Cosa fai qui?” si stupì lo stregone.
“Signor
Rashnu” si inchinò lei.
“Per
sbaglio uno dei miei lupi ti ha presa, chiedo perdono”
parlò il figlio di
Ogmios.
“No,
non per sbaglio. Io volontariamente sono giunta fino a qui”.
“Volontariamente?”.
“Io
chiedo di essere liberata” alzò il viso e le mani
giunte l’essenza.
“Liberata?
Da cosa, amore mio?” domandò Ihanez.
“Dal
legame che mi tiene a questo mondo” continuò
Hennay “Io sono una morta, ed è
giusto che raggiunga il mondo dei morti, lasciando quello dei
vivi”.
“Ma
che stai dicendo?! Io ti ridarò un corpo, Hennay, e potremmo
tornare insieme”.
“Sai
bene che non è possibile. Io ti vedo, Ihanez. Ti vedo
soffrire, gioire, ridere,
piangere, sognare, provare timore e rabbia. Tutte cose che io non provo
più.
Vedo ancora nei tuoi occhi l’amore chi ci ha legati, ma nel
mio sguardo non c’è
più nulla di simile, e non ci sarà mai
più. Io non sono nient’altro che
un’immagine
di ciò che ero, senza più sentimenti, e non
è giusto che tu rimanga legato a
quest’involucro freddo. Ho visto come Reahu ha lasciato
andare la sua stella. È
tempo che tu faccia lo stesso con me”.
“Ma
io non voglio!”.
“Ti
prego, Ihanez! Non tenermi imprigionata qui, in mezzo ai vivi, io che
son morta
e viva non sarò mai più”.
“Perché
non ti fidi di me? Perché non credi che io ti possa ridare
un corpo?”.
“Perché
non è possibile”.
“E
perché? Cosa ti serve? Solo un cuore, un cuore che ti ama.
Ecco ciò che ti
manca. Prendi il mio. Se tu non ci sei, per me è inutile
averlo”.
Ihanez,
spalancò le braccia, come ad incitare l’anima ad
ucciderlo ed estrarne il
cuore.
“Signor
Rashnu, la prego, mi porti via. Mi porti dove è giusto che
le anime stiano”
riprese Hennay, ignorando il gesto di Ihanez e rimanendo con la solita
espressione neutrale.
“Ihanez,
la decisione spetta a te” gli parlò Rashnu
“Non mi è concesso separarti da lei,
se tu non lo desideri”.
“Dimmi
la verità, sii sincerò” lo
fissò lo stregone “Quante possibilità
ci sono che
possa ridarle un corpo? Lo potrò mai fare?”.
“Un’anima
separata dal proprio corpo può rientrare solo in
ciò che ha lasciato, ed il suo
corpo è stato distrutto. Non è
possibile”.
“Nemmeno
se mi risvegliassi del tutto?”.
“No.
Resterebbe per sempre un’anima senza dimora di
carne”.
“Aveva
ragione Reahu, dunque, il primo giorno in cui l’ho visto e mi
ha parlato”.
“Reahu
ha spesso ragione, se ci rifletti”.
Ihanez
rimase in silenzio, guardando prima Hennay e poi Rashnu.
“E
sia” disse, dopo un po’ “Se è
questo ciò che desideri, amor mio, non ti posso
trattenere”.
“Voglio
che tu sia libero di andare avanti, Ihanez. Non essere
triste” lo sfiorò
Hennay.
Lo
stregone si scostò e non la guardò
più. Rashnu non parlò. Allungò una
mano
verso l’anima di Hennay e la toccò.
Immediatamente, il bracciale oro si
illuminò intensamente.
“Andiamo
a casa, anima buona” le sussurrò, mentre questa si
illuminava d’oro a sua
volta.
Tutte
le altre essenze, riunite dai lupi e rimaste immobili, attesero lo
stesso trattamento
e poi si divisero in due gruppi: quello argento e quello oro. Quando
ognuna di
esse ebbe un colore, Rashnu risalì in groppa al lupo ed
attese che Ihanez
facesse lo stesso. Con un gesto del figlio di Ogmios, tutte le anime si
mossero, seguendoli. I lupi le circondavano, impedendo che alcune di
esse si
perdessero o si allontanassero. Lo stregone non parlò.
Hennay rimase accanto al
lupo gigante che cavalcava, guardando fissa davanti a sé.
● ●
●
“Dov’è
quello scansafatiche di Ihanez?” sbottò Reahu,
vagando per casa.
Clio
ridacchiò. Senza armatura e vesti strane, era lo stesso
Reahu di sempre, quello
a cui era abituata, e si divertiva vederlo cambiare colore.
“Non
c’è” gli disse, dopo un po’
“Rashnu l’ha portato via con
sé”.
“Davvero?
E perché?”.
“A
far lezione immagino. E mi ha detto di controllare che tu faccia i
compiti”.
Il
signore del cielo parve stupito dal gesto del padrone di casa, ma non
commentò.
L’idea di passare un’intera giornata senza
l’allievo gli piaceva. Un po’ di
relax, anche se aveva una montagna di libri da leggere. Ma forse poteva
rendere
la cosa divertente.
“Clio”
la chiamò “Vieni a leggere con me?”.
“Ma
io non la capisco la lingua antica”.
“Te
la leggo io. Sei la signora della memoria e della storia, certe cose le
DEVI
sapere, anche se il padre di Rashnu le ha rimosse dal cervello del
mondo”.
“Beh,
se mi date il permesso di farlo…”.
“Ovvio.
Vieni con me”.
Clio
lasciò perdere le pulizie e seguì con gioia
Reahu, curiosa di vedere la torre
del cielo dall’interno. Era così bella
dall’esterno! Poteva solo immaginare
cosa ci fosse dentro. Appena Reahu le aprì
l’ingresso, rimase meravigliata.
Tutte le pareti ed i soffitti erano dipinti in modo da ricordare un
cielo
stellato e brillavano allo stesso modo. Seguì il suo
proprietario per la scala
a chiocciola fino a raggiungere la prima porta. La stanza
all’interno era
enorme, seguendo le sproporzioni che la casa manteneva fra un occupante
ed un
altro in base al proprio potere, e magnifica. Cambiava, così
come cambiava il
cielo. Reahu invitò la sua ospite a sedersi sul divano scuro
e, dopo aver preso
uno dei libri che aveva impilato alla rinfusa sul tavolo, le
andò accanto. Non
appena iniziò a leggere, ad alta voce traducendo la lingua
antica, Clio
spalancò gli occhi ed esclamò
“Wow”. Reahu si fermò e la
fissò, con aria
interrogativa.
“Vedo
tutte le immagini di quello che racconti” spiegò
lei “Come se io mi trovassi
fra coloro di cui parli. È così
strano…”.
“Sarà
una delle manifestazioni del tuo potere”.
“Dici?
Non mi è mai successo prima”.
“Forse
anche il tuo sta aumentando, non trovi?”.
“Può
essere? È da tanto che è stazionario”.
“Anche
il mio lo era. Chissà”.
“Continua
a leggere”.
Onyame
camminava per quel piccolo
paesino lentamente, fra gli sguardi curiosi della gente. Gli stranieri
provocavano
sempre un certo effetto in quella comunità ristretta. E lei
era là, magnifica,
in un abito blu brillante come le stelle ed una cascata di capelli
color rame.
Onyame era sicuro che fosse lei. Che fosse la Madre e che questa volta
fosse
rinata per lui. Nonostante tutti i dubbi che gli attraversavano il
cervello,
quei due occhi oro gli toglievano ogni dubbio.
“Che
facciamo qui?” domandò Rashnu,
guardano con aria interrogativa il suo maestro.
“Non
ti ho obbligato a seguirmi,
sai?” rispose Onyame, quasi infastidito.
“Ma
come tuo allievo devo starti
vicino”.
“Non
in certi casi”.
“E
che dovrei fare?”.
“Torna
a casa ed aspettami. Non
starò via molto”.
In
realtà, Onyame rientrò solo
molto tardi e trovò Ipalnemoa in piedi, a braccia
incrociate, che lo fissava con
aria di velato rimprovero.
“Che
vuoi?” sbottò il signore del
cielo, irritato.
“Che
combini?” rispose, a tono, il
signore della vita “Chi è quella donna?”.
“Quale
donna?”.
“Rashnu
me ne ha parlato”.
“Dannato
ragazzino spione”.
“Cosa
hai in mente di fare?”.
“Lei
è la Madre, ne sono certo”.
“Davvero?”.
“Sì,
ed è qui per me. È qui per il
mio unigenito”.
“Credi
a quelle storie? Sul
serio?”.
“Rashnu
è nato”.
“Rashnu
è stato un incidente, e tu
lo sai. Pensi davvero che, un giorno, i nostri figli prenderanno il
nostro
posto?”.
“Assolutamente.
E sono certo che
saranno più sani di mente di mio fratello Ogmios, che pare
essersi dimenticato
il suo ruolo”.
“Vuoi
metterla in pericolo,
dunque?”.
“Metterla
in pericolo? No, certo
che no”.
“Rifletti:
se Ogmios ha fatto uccidere
la donna che amava ed ha tentato in tutti i modi di far fuori suo
figlio, come
reagirà davanti al figlio di uno di noi? Lo sai bene che non
apprezza il
diffondersi del potere di noi quattro”.
“Non
sono lo schiavo di mio
fratello”.
“No,
ma non hai neppure una grande
scelta. E poi, cos’è tutto sto desiderio di
paternità e amore? Te ne sei stato
buono per millenni, perché non continuare?”.
“Facevo
lo stesso ragionamento. Poi
l’ho conosciuta”.
“Sei
assolutamente certo che sia la
Madre?”.
“Sì,
ne sono sicuro”.
Ipalnemoa
parve riflettere qualche
istante. Una riduzione del potere di chi aveva di fronte, conseguenza
del
graduale passaggio delle capacità all’eventuale
figlio che avrebbe avuto, non
sembrava una buona idea.
“Non
mi fido troppo di tuo
fratello, lo devo ammettere” disse, dopo un po’
“E mi sentirei con le
spalle scoperte se il tuo potere
diminuisse, se tu lo cedessi al figlio che desideri”.
“Ci
vorrà del tempo. Guarda Rashnu.
Ha mille e ottocento anni, eppure il potere di suo padre è
pressoché intatto”.
“Questo
perché suo padre non lo
cede, se non in minima parte”.
“Farò
lo stesso. Saprò scegliere il
momento giusto e, fino al quel momento, avrai le spalle coperte. Di
certo non
posso passare il fardello mio ad un bambino! Dovrà crescere
ed imparare”.
Il
signore della vita sospirò,
passandosi una mano fra i capelli arancio.
“E
va bene” sospirò, dopo qualche
istante “Io, signore della vita, ti concederò
questa cosa, se tanto lo
desideri. E farò in modo che LUI non lo sappia”.
“Grazie”
si inchinò Onyame, sorridendo.
“Non
ringraziarmi. E ora va, la
Luna piena non dura in eterno”.
Il
signore del cielo osservò la
notte. Aveva ragione il suo collega. Era quella la notte, e non poteva
aspettare oltre. Inchinandosi di nuovo, si allontanò rapido.
Poco dopo, una nube
scura e dei passi pesanti si diffusero per la stanza.
“Ogmios”
salutò Ipalnemoa, con un
cenno del capo, mentre Rashnu correva dal padre con entusiasmo, felice
di
vederlo.
“Novità,
Ipal?” domandò il padrone
di casa.
“No,
niente di nuovo” mentì il
signore della vita, allontanandosi.
● ●
●
Il
regno dei morti si mostrò davanti al gruppo di lupi ed
anime. Ihanez
rabbrividì. Non aveva l’aria di un posto molto
carino dove passare del tempo.
“Quello
è il ponte Cintvat” spiegò Rashnu,
indicando il sottile collegamento in pietra
fra una riva ed un’altra di un profondissimo burrone
“Il confine fra il regno
dei morti e quello
dei vivi”.
Mantus
ed i figli aspettavano dall’altro capo.
“Quello
che vedi laggiù” continuò Rashnu
“È un fiume, sì, ma non di acqua. Esso
è
composto dalle anime considerate malvagie, che son condannate a girare
per
l’eternità spinte dalla corrente”.
“E
le altre, invece?” domandò Ihanez, guardando
Hennay.
“Le
altre possono entrare agli inferi, dove potranno trascorrere
l’infinito in
luoghi a loro familiari”.
“Vuoi
dire che dentro è un bel posto?”.
“Non
sai quanto”.
Ihanez
non era convinto. All’esterno, era decisamente spettrale,
nero, cupo,
inquietante. Le pareti sembravano fatte di lava nera e, ad ogni soffio
di
vento, producevano gemiti e sospiri. Come aveva fatto Reahu ad entrarci?
“Ben
arrivato, Rashnu” lo salutò Mantus “E
ciao, Ihanez. Che piacere vederti”.
Lo
stregone si limitò a muovere la testa.
“Cominciamo.
Ragazzi, fatte vedere a papà di che siete capaci”.
Rashnu
si stupì della cosa. Mai prima d’ora era stato
affidato un compito a Nirriti e
Nirrita, se non quello di osservare in silenzio ed imparare.
“Andiamo”
esclamò Nirriti e Nirrita la seguì.
I
due gemelli, un maschio ed una femmina, si assomigliavano molto ed il
loro
aspetto era molto giovane. In realtà, avevano
all’incirca un centinaio di anni.
Camminarono svelti lungo il ponte e vi si fermarono nel mezzo,
osservando il
gruppo di anime che avevano di fronte. Nirrita, il cui nome significava
“sventura”, si concentrò su quelle di
colore argento mentre la sorella Nirriti
allungò la mano verso quelle oro. Nirriti si alzò
in volo e spalancò le
braccia. Subito un vortice avvolse le essenze argento, che iniziarono a
precipitare lungo il burrone, divenendo parte di quel vortice di anime
tormentate.
“Voi,
che in vita avete provocato morte, distruzione, dolore, paura e
sofferenza…”
parlò Nirrita, con voce solenne “…la
cui esistenza è stata costellata da azioni
malvagie e crudeli, anime impure, siete condannate a girare per il
tempo a
venire, senza più sapere cosa sia la pace e la gioia e senza
rivedere mai più i
vostri cari”.
“E
voi, invece, anime buone” iniziò Nirriti,
spalancando le braccia “Siate le
benvenute in un luogo di pace e serenità. Venite avanti, non
abbiate timore”.
Al
principio le essenze non si mossero. Fu Rashnu, con un gesto della
mano, a
convincerle. Hennay si voltò, per un istante, e
salutò Ihanez, prima di seguire
la folla verso l’ingresso della sua nuova dimora. Lo stregone
non rispose a
quel saluto.
“Direi
che la sono cavata piuttosto bene, no?” parlò loro
Mantus, raggiungendo Rashnu
ed il nipote, che erano scesi dalla groppa del grosso lupo.
“I
gemelli? Direi di sì” annuì il figlio
di Ogmios “Sono quasi pronti”.
“Lo
hai notato? Non vedo l’ora” parlò il
loro genitore, con orgoglio.
“Possiamo
entrare, Mantus? Ci sono delle cose di cui ti vorrei parlare”
domandò Rashnu.
“Certo.
Venite”.
Rashnu
si mosse, ma Ihanez non cambiò posizione.
“Non
vieni?” chiese il figlio di Ogmios e lo stregone scosse il
capo.
“Resti
qui?” insistette Rashnu e poi non aggiunse altro.
Nonostante
i capelli arancio che ne coprivano il viso, capì che il
figlio di Ipalnemoa
stava piangendo. Non trovò che parole rivolgergli e quindi
preferì tacere.
“La
tratterò con il massimo riguardo”
mormorò Mantus, allungando una mano verso il
nipote, che però si scostò.
Senza
proferir altra parola, Rashnu ed il signore della morte attraversarono
Cintvat,
diretti all’interno degli inferi, lasciando Ihanez da solo,
assieme ai lupi,
che iniziarono ad ululare.
● ●
●
“Vorrei
trovare il modo di
alleviare le tue pene, figlio mio” mormorò Onyame,
guardando il cielo.
Era
triste, lo percepiva, ma non
sapeva come aiutarlo. Quella guerra aveva lasciato tutti spiazzati,
abituati
com’erano ad un mondo di pace fra classi. Ed anche il suo
unigenito aveva
subito delle conseguenze. Lo sentiva piangere e gridare di rabbia. Che
fare?
Mai gli aveva svelato di essere suo padre, avendo fatto togliere dalla
madre il
suo ricordo per proteggerla da Ogmios. Che fosse giunto il momento? Ed
a che
scopo? Quello non era più un bambino. Era un uomo ed aveva
perso la donna che
amava.
“Signore!”
gridò Maia, la signora
della memoria “Devo mostrarvi qualcosa”.
Era
entrata di colpo nella stanza
di Onyame, che sobbalzò e la guardò.
“Cosa?
Cosa devi mostrarmi?”
domandò.
Lei
si concentrò e creò una piccola
sfera trasparente davanti a sé.
“Suo
figlio…” mormorò.
“Ma…quello
è Cintvat! Cosa ci fa
mio figlio lì?” si allarmò il signore
del cielo, vedendo in quella sfera Reahu
che camminava convinto verso il ponte di confine.
“Torna
a casa, mortale” sentì dire
da Mantus “Questo luogo non ti riguarda”.
“Sono
venuto a riprendermi ciò che
è mio” rispose Reahu.
“Non
uscirai da qui. Entra, e non
rivedrai più il mondo dei vivi. A te la scelta”.
Reahu
di fermò un istante poi
avanzò, poggiando il primo passo sul ponte. A pugni chiusi,
continuò ad
avanzare, incurante delle minacce del padrone di casa.
“Reahu!
Ma che combini?!” esclamò
Onyame, gridando come se potesse sentirlo.
Vedendo
quanto fosse convinto e quanto
in fretta si dirigesse verso gli inferi, il signore del cielo
saltò fuori dalla
sua camera, chiamando Ipalnemoa.
“Ma
che hai da urlare?” sbottò il
signore della vita, che se ne stava tranquillo in giardino, leggendo e
contando
le farfalle.
“Reahu.
Reahu sta andando
all’inferno”.
“Reahu
è morto? Non lo sapevo”.
“Non
è morto. Ci sta andando da
vivo!”.
“Reahu
si sta suicidando?! Che
ragazzo strano”.
“Ti
prego, vallo a riprendere! Tu
sei l’unico che può farlo uscire vivo da
lì”.
“No,
sbagliato. Nessuno può far
uscire vivo qualcuno dagli inferi. Una volta che ci è
entrato, non lo si può
più far uscire. Son queste le regole, e tu lo sai”.
“Ti
supplico. Ignora le regole, fai
un’eccezione”.
“Non
posso! Non essere ridicolo!”.
“Ma
lui è la cosa più importante che
ho”.
“Sai
quanti dicono la stessa cosa?
Con la guerra, poi, nemmeno immagini quanti innocenti muoiano. Lui se
lo è
scelto da solo quel destino. Non posso fare nulla”.
“Lui
ha già parte del mio potere.
Vuoi che venga perso per sempre?”.
“Tu
hai già iniziato a
trasmettergli il potere? Pazzo con la testa a stelline! Che ti
è saltato in
mente?!”.
“Ho
fatto ciò che ritenevo giusto.
Ed ora gliene donerò altra di mia forza, per permettergli di
sopravvivere il
più a lungo possibile in quel luogo. Tu però lo
devi salvare”.
“Stronzate,
perché sono circondato
da persone che fanno stronzate?! Non era così che dovevano
andare le cose,
Onyame!”.
“Salvalo.
Te lo chiedo in
ginocchio”.
“Non
so se ci riuscirò. Ma farò
tutto il possibile” di arrese Ipalnemoa.
Il
vento dell’inferno tagliava la
pelle di Reahu come una lama metallica, ma questo non lo fermava. Quel
luogo lo
stava respingendo, uccidendolo lentamente.
“Alinn!”
chiamava la sua amata,
camminando svelto fra le anime, che lo ignoravano.
“Sei
la creatura più testarda che
io abbia mai visto e, credimi, di creature ne ho viste
parecchie” parlò Mantus,
apparendo di fronte a Reahu.
“Rivoglio
mia moglie”.
“Tua
moglie è morta. Ma non ti
preoccupare, la raggiungerai presto, assieme al figlio che aspettavate.
Nessuno
può uscire da qui, ed il tuo sangue sta già
macchiando questo luogo”.
“La
mia vita per la sua. Prendi me,
e lascia andare lei”.
“Lei
non ha un corpo. Dovrei darle
il tuo? Non sarebbe bello, credimi. Sei giunto fino qui per niente.
Lei, anche
se ti vedesse, non proverebbe nulla per te. Le anime non amano, e parte
della
tua già ti ha lasciato”.
“Non
ha importanza. Se non posso
vivere con lei, allora morirò per lei. E le
rimarrò accanto”.
“Che
pensiero romantico. Ed
irrazionale. Io, voialtri mortali, non vi capisco mica!”.
“Non
ho interesse che tu mi
capisca. Dov’è lei? Se devo rimanere qui, almeno
che sia vicino all’unica cosa
che mi resta”.
Mantus
gli fece segno di seguirlo.
Reahu lo seguì, sempre più a fatica. Con i
numerosi tagli lungo il corpo e
l’anima che lentamente lo abbandonava, si era rassegnato
all’idea di non
rivedere il Sole.
“Eccola”
la indicò Mantus,
mostrando una donna che sedeva accanto ad un corso d’acqua
limpido ed azzurro.
Forse si stava specchiando.
“Alinn!”
la chiamò Reahu.
Lei
si voltò, riconoscendo il suo
nome e lo fissò, con aria interrogativa, senza mostrare
alcun sentimento. Lui
sorrise.
“Alinn,
amore mio” mormorò,
avvicinandosi lentamente.
Ormai
le forze lo stavano
abbandonando, tutto si stava oscurando. Ogni respiro bruciava, ogni
passo era un’agonia,
ma doveva raggiungerla.
“Fermati,
Reahu!” gridò una voce,
che non aveva mai sentito prima.
Fu
l’ultima cosa che sentì, prima
di cadere steso in terra, privo di sensi.
“Ipal?”
si stupì Mantus, non
abituato a vedere il fratello nel suo regno.
“Quel
giovane viene con me. Non è
il suo posto qui” parlò il signore della vita.
“Come
sarebbe a dire? Va contro
ogni regolamento!”.
“Lo
so bene. Ma lui non è un
semplice mortale”.
Mantus
si girò. Effettivamente,
attorno a Reahu, aleggiava un’aura diversa,
un’anima di colore differente,
azzurro vivo.
“Che
significa?”.
“Lui
è il figlio di Onyame”.
Mantus
lo osservò meglio. In
effetti, la somiglianza c’era. Però
quell’anima aveva già lasciato il corpo.
Non respirava più. Ipalnemoa era giunto tardi.
“No!”
gridò Onyame, osservando il
tutto dalla sfera che aveva di fronte “Non puoi arrenderti!
Tu sei forte, tu
sei unico. Tu devi vivere!”.
Concentrandosi,
il signore del
cielo raccolse parte del suo potere fra le mani.
“Tu
devi vivere!” gridò ancora,
lanciando quel potere lontano.
Quel
gesto lo face cadere
all’indietro, lungo il muro, sfinito.
Una
fortissima luce azzurra
raggiunse Reahu, fra lo stupore dei presenti, e questi si mosse. Parte
della
sua anima era tornata al suo posto.
“Ma
che…” mormorò Ipalnemoa “Io
giuro
che lo picchio quello, appena torno a casa, fratello o no di
Ogmios!”.
“Presto,
porta fuori di qui quel
giovane, prima che ricominci il processo che lo porterà a
morire” lo interruppe
Mantus “A quanto pare a Onyame va di far miracoli
quest’oggi”.
Ipalnemoa
prese fra le braccia
Reahu e lo portò fuori. Sanguinava, tremava e non riapriva
gli occhi.
“Sei
proprio testardo. Ma che ti è
venuto in mente di andare là dentro?! A nessuno dovrebbe
passar per la testa
un’idea così stupida!” sbottò
il signore della vita, non sapendo bene cosa
fare.
Quell’essere
doveva trovare la
forza di reagire, di riaprire gli occhi. Un’ombra lo
coprì in parte. Alzò gli
occhi. Ogmios fissava entrambi. Reahu steso a terra ed Ipalnemoa
inginocchiatoglisi accanto, nella speranza di vederlo svegliare.
D’istinto, il
signore della vita spostò un braccio, in modo da coprire in
parte il ferito.
“Mi
credi così crudele, Ipal? Così
crudele da uccidere il figlio di mio fratello?”
parlò Ogmios.
“Non
lo so. Vi ho visto tentare di uccidere
il vostro di figlio, perciò…”.
“Quei
tempi sono lontani”.
Con
un gesto della mano, avvolse
Reahu di luce e gli fece spalancare gli occhi. Il ferito si
guardò attorno,
confuso e dolorante, ruotando solamente lo sguardo.
“Stai
tranquillo. Sei in salvo” gli
parlò Ipalnemoa.
“Alza
gli occhi al cielo, Reahu”
ordinò Ogmios “Verso quello che sarà il
tuo regno e guardane il centro. Guarda
come ora brilla di luce nuova. Alla tua amata non posso donare un corpo
umano,
ma posso donarle la luce per sempre. Essa sarà la stella
più luminosa del
cielo”.
Reahu
allungò un braccio,
nonostante il dolore, verso quella nuova stella. Era magnifica.
“Portalo
a casa nostra” continuò
Ogmios “È quello l’unico posto
suo”.
“Si,
Ogmios”.
“E
occupati tu di lui, del suo
addestramento. Mio fratello non sarebbe obbiettivo”.
Ipalnemoa
sorrise, riprendendo in
braccio Reahu. Forse Ogmios era davvero cambiato, e non c’era
più nulla di cui
preoccuparsi. Tutto si sarebbe risolto. Tutto avrebbe riavuto un senso.
● ●
●
“Se
sei qui per parlarmi del futuro, ragazzo, so già che
risponderti” parlò Mantus,
prima ancora che Rashnu potesse aprir bocca.
“Come
sempre, tu sai tutto” ghignò Rashnu, accettando un
bicchiere di vino rosso.
“Non
dico di sapere tutto, ma molte cose so prevederle ormai”.
“Quindi
già sai di cosa ti devo parlare”.
“Ovvio.
Della faccenda degli unigeniti, e di cose simili. Ed io ti rispondo che
non è
compito mio. Parla con i miei figli, spetta a loro”.
“Nirrita
e Nirriti? Non sono troppo giovani?”.
“Meno
giovani di Ihanez, ed in lui mi pare tu stia riponendo massima
fiducia”.
“Ho
forse alternative? Ad ogni modo, se vuoi proprio saperlo, sono molto
preoccupato per quel che lo riguarda. Le cose stanno accelerando e non
so se
lui sarà pronto in tempo, così come non so se lo
sarò io”.
“Tu?
Tu non ti senti pronto?”.
“Non
mi sono ancora risvegliato del tutto”.
“Questo
perché non hai strappato dalle mani di tuo padre il potere
che ti spetta. Ma lo
farai, ne sono certo. Per quel che riguarda voi unigeniti, siete tutti
molto
giovani ma non impreparati. In ognuno di voi risiede un enorme
potenziale, come
è giusto che sia”.
“Specie
in Reahu. Quello si è svegliato”.
“Del
tutto?”.
“Assolutamente.
Ha l’arma e l’armatura di suo padre e, credimi, sa
usare entrambe molto bene”.
“Lo
sapevo. Fin dal primo sguardo che mi ha dato, quel giorno di due secoli
fa, mi
aveva convinto che dentro di lui ci fosse qualcosa che andava oltre il
semplice
mortale. Una determinazione ed un coraggio come quelli da lui
dimostrati non si
trovano ovunque”.
“Determinazione
e coraggio?! L’impulsività non gli
manca” sbottò, scettico, Rashnu “Ma il
suo
potere è enorme ed al momento è l’unico
con simili capacità. Se non commetterà
altre sciocchezze…”.
“Tutti
fanno sciocchezze, Rashnu, ed alcune di esse non si rivelano tali, poi.
Per
noi, quando eravamo giovani, mettere al mondo voialtri era parsa una
sciocchezza. Ti senti tale?”.
“A
volte, lo ammetto. Ad ogni modo, sono qui per chiederti cosa pensi di
fare”.
“Il
sigillo di mio fratello perde forza, ma io non posso intervenire a
riguardo”.
“Quale
sigillo?”.
“Quello
che Ipalnemoa ha messo attorno a tuo padre, per evitare che commettesse
altre
stronzate come quelle di quella famosa sera di cui da poco ti sei
ricordato”.
“Per
questo non si manifesta fisicamente? Per questo il suo attacco
è stato solo
energetico, e non fisico? Non può farlo?”.
“Ora
no. Ma non so per quanto ancora reggerà e, quando si
spezzerà, mi auguro tu sia
pronto”.
“E
tu cosa farai quando si spezzerà?”.
“Io?
Niente. Sono vecchio per queste cose, Rashnu”.
“Vecchio?
Ma no, che dici? Hai solo…”.
“Molte
migliaia di anni. Troppi, per immischiarmi in queste faccende. Ma i
miei figli
ormai sono giunti praticamente alla fine del loro addestramento e, se
lo
vorranno, ti saranno d’aiuto”.
Nirriti
e Nirrita non avevano mai considerato seriamente l’idea di
prendere del tutto
il posto del padre, ma ormai era chiaro che quello era ciò
che li attendeva.
“Se
sarà necessario, noi interverremo”
parlò Nirriti e Nirrita annuì “Saremo
al
vostro fianco”.
“Ne
sono felice” rispose Rashnu, vedendo nei loro occhi la stessa
determinazione di
Reahu.
Dovevano
essere davvero prossimi al risveglio totale. E questo significava che
Mantus
era destinato presto a perdere tutti
i
poteri, divenire mortale. Rashnu lo guardò con un filo di
tristezza. Una volta
mortale, le diverse migliaia di anni vissuti non gliene avrebbero
concessi
molti altri.
“Hai
imboccato la strada giusta, Rashnu. Non averne paura” gli
parlò Mantus.
“Lo
so di aver preso la strada corretta. Ma non posso fare a meno di averne
paura”.
“Vedila
così: una volta risvegliati, voi primogeniti sarete la forza
più grande al
mondo. Una forza mai vista, che nessun Hieros potrà mai
eguagliare”.
“E
se non riuscissimo a svegliarci in tempo? Se il piano di Ogmios si
compisse?”.
“Non
accadrà. Mio fratello me lo ha promesso, ed io ho piena
fiducia in lui”.
● ●
●
Ipalnemoa
intravide Reahu. Era la
prima volta che usciva dalla sua stanza. Ancora malfermo sulle gambe e
con
molte bende, probabilmente si stava chiedendo dove era finito.
“Buongiorno”
lo allarmò una voce,
squillante, alle sue spalle.
Reahu
si voltò e non parlò,
rimanendo piuttosto perplesso a fissare Rashnu, colui che lo aveva
salutato,
senza capire chi fosse. Forse stava sognando. Quel ragazzino dai
capelli a
palma non poteva essere reale!
“Io
mi chiamo Rashnu, e sono il
figlio del padrone di casa. Tu?”.
“Io
sono Reahu”.
“Anche
tu hai il nome che inizia
per R? Che buffo. Fratelli entrambi con la O, figli entrambi con la R.
Sì, sì.
Proprio buffo”.
Dicendo
questo, Rashnu si allontanò
saltellando. Reahu voleva chiedergli delle cose ma, credendolo del
tutto
svitato, lasciò perdere. In lontananza, lungo il corridoio
là in basso,
intravide una chioma arancione familiare. Ipalnemoa alzò la
testa e lo salutò
con un cenno del capo. lo raggiunse, evitandogli di fare le scale.
“Lieto
di vederti in piedi” esordì.
“Dove
sono? Cosa è successo?”
domandò Reahu, con le idee parecchio confuse.
“Sei
al sicuro, nella tua nuova
casa”.
“Nuova
casa? Non ne ho bisogno”.
“Tutti
hanno bisogno di un tetto
sopra la testa. Ad ogni modo, che scortese, io sono Ipalnemoa, piacere
di
conoscerti”.
“Ipalnemoa?
Io sono Reahu, ma il
mio nome lo conosci già. Te l’ho sentito
dire”.
“Come
ti senti, Reahu? Sei
stanco?”.
“No,
a dir la verità no. Non sono
stanco, non ho fame, non provo nulla. Sono morto?”.
“Non
direi. Gli zombie non girano da
queste parti” cercò di ironizzare Ipalnemoa.
“Allora
perché non riesco a
piangere? Vorrei tanto farlo, ma non ci riesco. Non riesco a ridere e,
nonostante mi trovi in un posto sconosciuto, la cosa non mi spaventa.
Come
mai?”.
“Credo
dipenda dal fatto che ora
hai solo metà anima, Reahu”.
“Metà
anima?! Ma non è possibile!”.
“Non
è possibile neppure uscire
vivi dagli inferi, eppure tu sei qui con me ed il tuo cuore
batte”.
“Chi
sei tu? Sei stato tu a
portarmi fuori da lì”.
“Lo
so. Ci sono molte cose che capirai,
pian piano. Non starò a spiegarti tutto ora,
perché ti confonderei solamente di
più le idee. Pensa solo a riprenderti”.
“E
poi? Poi che accadrà?”.
“Poi
provvederò io stesso ad
addestrarti”.
“Addestrarmi?!
Ma tu sai chi sono
io?! Io sono Reahu della regione di Thainat! Sono uno degli stregoni
più
potenti del mondo, non lo sai? Non ho bisogno di
addestramento”.
Ipalnemoa
lo fissò con scetticismo.
“Ma
davvero?!” mormorò.
“Assolutamente”.
“Dimostramelo”.
Reahu
si accigliò ed allungò una
mano verso Ipalnemoa, richiamando energia in essa. Lanciò
una sfera e ritirò la
mano immediatamente. C’era qualcosa di diverso in quel colpo,
diverso dal
solito. Ipalnemoa non si mosse. Distrusse la sfera semplicemente
fissandola.
“Ma
che roba sei tu? E perché il
mio colpo è così?” sbottò
Reahu.
“Guardati
allo specchio, e ti farai
altre domande” si limitò a dire il signore della
vita.
Reahu
obbedì e si fissò. La sua
pelle si era scurita per la rabbia. Non lo aveva mai fatto prima e,
continuando
a guardarsi, vide che gradatamente tornava chiara. Doveva essere
terrorizzato
per questo ma anche quella sensazione era smorzata dalla mancanza di
mezza
anima.
“Che
mi è successo?”.
“Ogni
cosa a suo tempo. Sarò lieto
di spiegarti ogni cosa. Sarò il tuo maestro, d’ora
in poi”.
Il
nuovo arrivato tornò a guardare
la propria immagine, perplesso. Ipalnemoa nel frattempo era uscito.
Reahu lo
notò e si voltò, cercando di seguirlo.
“Aspetta!”
lo chiamò.
“Vieni,
Reahu. Fammi vedere ciò che
sai fare”.
Reahu
gli camminò dietro. Molta
gente lo fissava, senza parlare. Lui non ci fece caso. Solo uno di loro
lo fece
girare. Si fermò e lo guardò. Era un uomo molto
alto, con un’aria familiare.
“Benvenuto
nella nostra casa”
parlò, con voce profonda “Io sono il suo
proprietario, Ogmios”.
“Ogmios?!
Ma Ogmios non è…”.
“È
quello che credi dentro di te
che sia. In te c’è qualcosa di speciale, ed io lo
vedo. È di famiglia”.
“Di
famiglia?”.
“A
questo proposito” interruppe
Onyame “Fratello, posso parlarti un attimo?”.
Reahu,
vedendo i due allontanarsi,
riprese la strada verso Ipalnemoa, che era uscito in giardino,
riprendendosi
dal fatto che negli occhi di quell’uomo aveva visto il mondo
intero.
“Qual
è il problema?” ghignò
Ogmios.
“Non
voglio che lui sappia che io
sono suo padre”.
“E
perché?”.
“Perché
non voglio che abbia
problemi con gli altri e poi voglio dirglielo io, quando
sentirò che è il
momento adatto”.
“Come
preferisci”.
Ogmios
sorrise e tornò alle sue
faccende. Onyame trovò strana la cosa. Non riusciva a
fidarsi di suo fratello,
nonostante avesse salvato suo figlio e si dimostrasse piuttosto
disponibile nei
suoi confronti. Sospirò. non riuscire a capire il proprio
gemello era
frustrante.
“Vieni
qui vicino a me, Reahu” lo
invitò Ipalnemoa, seduto sotto un grosso albero.
Reahu
obbedì.
“Te
la senti di mostrarmi ciò che
sai fare? O preferisci riposare ancora un po’?”
riprese Ipal.
“Prontissimo.
Sono sempre pronto”.
“Bene.
Questa cosa mi piace”.
“E
tu? Se davvero ti senti adatto a
fare il mio maestro, me lo devi dimostrare”.
Ipalnemoa
sorrise. Era sera, il Sole
stava tramontando.
“Va
bene, ragazzo”.
“E
non chiamarmi ragazzo. Non lo
sono”.
“Va
bene”.
Ipalnemoa
ghignò, divertito. Mosse prima
leggermente le dita e poi le braccia, velocemente, creando
un’onda di luce che
travolse cielo e terra. Le stelle si accesero, tutte assieme, ed i
fiori
dell’intero giardino si schiusero, brillando. Reahu rimase
immobile, a bocca
aperta, senza parole.
“Sono
sufficientemente bravo?”
sorrise Ipalnemoa.
“Sì.
Direi di sì”.
“E
ora tocca a te”.
“A
me? E che potrei fare, rispetto
a ciò che hai appena fatto tu?”.
“Provaci.
E se non mi dai del Tu,
mi sentirei più a mio agio”.
“Io…non
so…”.
“Reahu,
dentro di te c’è tantissima
rabbia, e lo capisco, ma c’è anche tantissima vita
ed energia. Cerca di
combinarle, queste cose”.
“Combinare
vita ed energia?”.
“Esatto.
Tu ora sei arrabbiato e
triste, per tutto ciò che ti è successo, e non
riesci a far brillare la vita
che c’è in te. Ti serve una ragione”.
“Già.
È vero. Ho perso ogni cosa.
Per quale motivo dovrei continuare a vivere?”.
“Perché?
Lo chiedi a me o te lo
stai chiedendo da solo?”.
Reahu
rimase in silenzio. Non lo
capiva più di tanto.
“Sai
perché io credo che tu debba
vivere, Reahu? Per combattere”.
“Combattere?”.
“Sì.
Perché chi non combatte è un
vigliacco, e tu non lo sei. Non lo sei perché se lo fossi
non avresti
affrontato l’inferno. Inoltre, se lo fossi, non saresti
così sfacciato”.
Reahu
non sembrava convinto, ma
guardò il cielo. Alinn lo guardava, la stella più
luminosa della notte. Lei non
avrebbe mai voluto vederlo arrendersi.
“Chissà
come se la passa Tarhunt”
mormorò.
“Chi?”
domandò Ipalnemoa.
“Il
mio fratello minore. Al momento
sta facendo addestramento con uno stregone. Sarà preoccupato
per me, immagino”.
“Visto?
Hai un motivo per vivere.
Non voglio più sentirti dire che non è
così. Domani mattina andiamo da lui. Ora
mostrami le tue capacità. Cosa pensi di fare? Arrenderti,
fingere che tutto sia
finito, o far sentire la tua voce?”.
Reahu
guardò di nuovo in alto.
Sentiva qualcosa, dentro di sé, di spaventoso e freddo. Una
parte di lui era
morta, e l’altra metà aveva smarrito la strada.
Combattere? E per chi? Strinse
i pugni. E gridò. Gridò forte, rompendo il
silenzio della casa. Ad occhi
chiusi, non si accorse che le stelle gli stavano rispondendo,
illuminandosi ad
intermittenza.
Il
giorno seguente, Ipalnemoa e
Reahu lasciarono la casa e raggiunsero un villaggio nella vicina
regione di
Thainat, dove Reahu era cresciuto e dove Tarhunt stava svolgendo
l’addestramento. Era un paese di stregoni, che riconobbero
subito chi camminava
fra loro. Mormorarono il suo nome, vedendolo passare.
“Sei
famoso” commentò Ipalnemoa e
Reahu non rispose, camminando a passo deciso verso la dimora del
maestro che
aveva in custodia il suo fratellino.
Tarhunt
lo vide e lo riconobbe da
lontano. ignorò gli addestramenti e, scavalcando la
staccionata che delimitava
il giardino dove si stava allenando, corse verso il fratello. Era un
ragazzino,
dai capelli color del cielo ed ancora buona parte
dell’adolescenza da
affrontare.
“Reahu!”
gridò, abbracciandolo per
pochi secondi e poi guardandolo con rabbia “Dov’eri
finito?! Mi hai fatto
venire un colpo, sai? Qui tutti dicevano che eri morto. E cosa sono
quei segni
sul viso? Che hai combinato? Stai bene?”.
“Quante
domande” lo zittì Reahu
“Sto bene. Anche tu, spero”.
“Ho
saputo cosa è successo ad
Alinn. Mi spiace. Mi spiace tanto”.
“Come
procede l’addestramento?”
cambiò immediatamente argomento Reahu.
“Bene.
Anche se credevo che un
giorno saresti stato tu ad addestrarmi, come voleva nostra
madre”.
“Ho
scelto una strada diversa”.
“Quale?”.
“Non
mi è ancora chiara. E, a
questo proposito, me ne andrò via per un po’. Ci
tenevo a fartelo sapere. Ti
verrò a trovare, però, non
preoccuparti”.
“Te
ne andrai via? E dove?”.
“Mi
sto allenando di nuovo e per
farlo ho bisogno di passare ad un livello che uno stregone normale non
può
fornirmi”.
“Non
capisco”.
“Non
serve che capisca”.
“Comunque
sono felice che tu voglia
di nuovo usare la magia ed aumentare la tua forza. Se già
adesso sei famoso per
le tue capacità, non oso immaginare come diventerai. Forse
diverrai il più
forte fra gli stregoni! Non sarebbe fantastico?”.
“Non
so se è quello il mio destino.
Ad ogni modo, volevo solo farti sapere che sto bene”.
“Ti
credevo morto, vecchio
stupido”.
“Vecchio?!”.
“Sì,
sei vecchio. E sei stupido”.
“Va
bene. Ne prendo nota. Ora devo
andare”.
“Lui
è il tuo maestro?” chiese
Tarhunt, indicando Ipalnemoa.
“Già.
Proprio lui”.
Ipalnemoa
salutò con un cenno e
Tarhunt rispose in modo simile. Quell’uomo sembrava davvero
molto forte, più
forte del fratello che fin ora aveva considerato il migliore.
“Ora
è meglio che vada” riprese
Reahu.
“Meglio
vada anch’io. O il mio
maestro si arrabbierà. Verrai a trovarmi, vero?”.
“Certo.
Perché non dovrei?”.
“Perché
con la guerra se ne stanno
andando tutti. Tu non mi abbandonerai, vero?”.
“No,
non lo farò. L’ho promesso,
ricordi? Ho promesso a mamma che ti sarei stato sempre vicino, e
sarà così”.
Tarhunt
sorrise, anche se in modo
un po’ forzato. Le cose cambiavano e non poteva farci niente,
ma l’idea di
avere il fratello che vegliava su di lui lo faceva sentire
più tranquillo.
“Allora
a presto, fratellone.
Meglio che torni a far lezione”.
“Bravo.
Ci sentiamo presto”.
“Questa
è una promessa. Non
sparire!”.
Reahu
lo vide allontanarsi e
rientrare. Sospirò. a quanto pare, doveva vivere per forza.
Lo aveva appena
promesso al fratello minore.
● ●
●
“Clio?”
la chiamò Reahu.
Avevano
appena finito di leggere l’ultimo capitolo, quello in cui vi
era riportata la
morte di Onyame. Lei era scoppiata a piangere, ed ora non riusciva a
smettere.
“Dovevo
fermarmi prima, mi dispiace” si scusò il signore
del cielo e lei scosse la
testa.
“Dovevo
sapere tutto” parlò, fra i singhiozzi
“Lo so, quel che è successo è terribile
e
queste immagini mi tormenteranno a lungo, ma dovevo sapere”.
“Adesso
calmati. Son cambiate molte cose da quell’ultimo giorno
descritto qui, in
questo libro”.
“Sì,
hai ragione. Ma ho paura”.
“Non
devi averne. Ci sono qua io a proteggerti”.
“Ma
io ho paura per te. Non voglio perderti”.
“Non
accadrà”.
“Come
puoi esserne sicuro?”.
“Lo
sono”.
Reahu
le si avvicinò, per consolarla, ma lei parve non gradire.
“Che
succede?” le domandò.
“Tu
per lei ha affrontato l’inferno. Ho visto il tuo sguardo.
Quello di un
sentimento che non muore mai. Come sei riuscito a lasciarla andare,
quando ti è
apparsa come stella e l’avevi così
vicina?”.
“Clio,
se vuoi sentirti dire che io per lei non provo più nulla
devo deluderti.
Mentirei, se te lo dicessi. Ma le cose sono cambiate, come sono
cambiato io. Ho
deciso di non rimanere ancorato a ciò che è
stato, per quanto doloroso e
magnifico sia stato. Ora sono qui, accanto a te, e non conta
ciò che c’era
prima. Conta solo il presente, contiamo solo noi. E ti giuro che per te
attraverserai non solo l’universo, ma anche
l’universo intero. Anche se lei è
la stella più bella e importante del cielo, tu per me sei la
stella più
importante, bella e luminosa del mondo. E mi spiace di essermene
accorto solo
dopo tanto tempo”.
Clio
lo guardò, con grandi occhi spalancati.
“Oh,
Reahu! Questa è la cosa più bella che mi sia mai
sentita dire”.
“Eh,
oggi mi sento poetico”.
Clio
sorrise, con ancora lo sguardo lucido per le lacrime, e si fece
baciare. Quanto
voleva che quel momento non finisse mai, che tutto rimanesse
così per sempre,
ma c’era sempre qualche cosa in quella casa che interferiva.
In quel caso, fu
Rashnu ad intervenire, chiamando Reahu a gran voce.
“Sono
occupato, vattene” gli urlò di risposta il signore
del cielo.
“Potrebbe
essere importante!” lo rimproverò Clio.
“Tutto
può aspettare un paio d’ore”
sbottò Reahu, baciandola ancora.
“Reahu!”
lo chiamò, di nuovo, Rashnu, salendo le scale della torre.
“Ho
detto che sono occupato! Trovati un hobby e lasciami in
pace!”.
“Dai,
che stai facendo di così importante? Vengo su”.
“Rompicoglioni”
sibilò Reahu.
Clio
rise.
“Meglio
che vada” disse, sempre ridendo “Dovrà
dirti qualcosa di urgente”.
“Non
vai da nessuna parte tu”.
Reahu
allungò la mano verso la porta della stanza, chiudendola a
chiave. Quel dannato
marmocchio non poteva continuamente tormentarlo in ogni momento, specie
in QUEL
momento. Ma possibile che non sentisse le risate di Clio e non facesse
un paio
di collegamenti? Ignorò le sue proteste e riprese a baciare
Clio, stendendola
sul divanetto. In un lampo, Rashnu apparve al centro della stanza. E
rimase
immobile a fissare entrambi.
“Ti
hanno mai detto che rompi le palle?” quasi ringhiò
Reahu, rialzandosi a sedere
ed incrociando le braccia.
Clio
si alzò in piedi, risistemandosi. Sorrise, lievemente
imbarazzata.
“Vi
lascio soli” disse “A dopo” aggiunse,
dolcemente.
“Ho
interrotto qualcosa?” domandò Rashnu.
Reahu
non rispose, limitandosi a lanciargli le peggiori occhiatacce.
“Mi
spiace” riprese Rashnu “Immagino che, dopo la
faccenda di Alinn, sia passato un
sacco di tempo dall’ultima volta in cui
tu…”.
“Cambiamo
argomento?! Cosa vuoi?”.
“Hennay
se n’è andata”.
“Hennay?
L’anima legata a Ihanez?”.
“Ha
scelto di raggiungere il regno dei morti”.
“E
Ihanez come l’ha presa?”.
“Non
molto bene. Per questo sono qui. Tu sei la persona che più
è in grado di
capirlo e vorrei che gli parlassi. Senza rabbia, però.
Insomma, usa un po’ di
tatto!”.
“E
che pensi gli debba dire?”.
“Non
lo so. Io non so che fare. Ma non voglio lasciarlo così.
È come se avesse perso
ogni speranza, e per il suo ruolo questo non va bene. Il signore della
vita deve
conoscere la morte, ma non può esserne soggiogato”.
“Ti
preoccupi per lui solo per il tuo fine ultimo dei quattro pilasti del
mondo?
Non perché è tuo amico, tuo collega?”.
“Per
entrambe le cose, ma più per la questione di maggior
spessore, se mi concedi il
termine”.
“Gli
parlerò. Ma non sono certo di ottenere un
granché”.
“Provaci.
Io non so davvero che dirgli. Parlaci e, mi raccomando: il
tatto!”.
“Vedrò
che posso fare. Sarò tattoso. E poi? Che
c’è? Sento che c’è
dell’altro”.
“Sì.
Mantus mi ha parlato di un certo sigillo che…”.
Rashnu
si zittì di colpo. I suoi lupi stavano ululato in modo
piuttosto insistente.
Gli abitanti erano abituati a sentire il loro verso, ma questa volta
era
diverso. Era spaventoso.
“Che
hanno i tuoi cuccioli?” domandò Reahu.
“Non
ne ho idea. Meglio vada a controllare”.
Clio
si era soffermata al centro dell’ala di Ogmios, dove stava
un’enorme campana
oro. Splendeva ed era sospesa nel nulla. Grande ben più di
lei, non ebbe il
coraggio di toccarla. Lassù, in cima alla torre blu, sapeva
che anche Reahu
possedeva una campana di pari dimensioni, ma di diverso colore. Si
chiese a
cosa potessero servire. Stava per sfiorarla, quando vide Rashnu correre
alle
sue spalle, diretto verso l’esterno. Solo in quel momento, la
signora delle
memoria aveva fatto caso all’ululare insistente dei lupi.
Parevano tristi. Ed
arrabbiati.
“Ihanez”
lo chiamò Lahar, andandogli vicino.
Lui
era in piedi, immobile, con lo sguardo perso verso un punto imprecisato.
“Cosa
succede, Ihanez?” domandò lei, avvicinandosi.
Lui
non rispose ed allora Lahar allungò un braccio, cercando di
prendergli la mano.
Ihanez si scostò e serrò il pugno, come a volerle
dire che doveva stargli
lontano.
“Parla
con me, Ihanez. Cosa succede?”.
“Niente”
mentì lui.
“Cosa
succede?” domandò Rashnu, rivolto al
più grosso dei suoi lupi, che girava
inquieto davanti alla casa.
Il
padrone gli salì in groppa, facendosi condurre lungo la
foresta. Non aveva mai
sentito fin ora le sue creature così. Uscirono dal perimetro
protetto di pochi
metri e subito Rashnu capì l’accaduto. In terra,
nascosta solo in parte dalla
vegetazione, stava la sua lupa preferita, colei che non lo aveva mai
lasciato
fin dall’infanzia. Quasi duemila anni assieme, ed ora giaceva
lì, con una
profonda ferita che sanguinava copiosamente. Forse uno dei cuccioli si
era
allontanato, e lei era caduta preda di qualche cacciatore. Un cucciolo
le stava
accanto, cercando di svegliarla con piccole leccate. Come appartenente
alla
classe dei signori della natura, uno spettacolo del genere Rashnu non
poteva
sopportarlo. Si avvicinò, chiamandola. Respirava ancora, gli
era parso di
sentire. Doveva salvarla, a tutti i costi! Prese fra le braccia la
madre e salì
sul lupo gigante, incitando il cucciolo a salire in groppa a sua volta.
Doveva
portare tutti al sicuro. Corse veloce verso casa, dove
chiamò Nininsina a gran
voce. Se c’era qualcuno in grado di salvarla, quella era la
signora guaritrice.
“Non
posso fare nulla per questa creatura, Rashnu”
parlò lei, dopo averla toccata
“Se non porre fine definitivamente alle sue sofferenze.
Queste ferite sono
troppo profonde”.
“Chi
è stato a farle questo? Che tipo di ferite sono?”.
“Armi
di fuoco, ma non tradizionali. Hanno reagito alla magia della lupa.
Credo siano
come quelle che hanno uccido Akerbeltz”.
“Sempre
mortali, dunque. Spregevoli, irriconoscenti e crudeli umani”.
Clio,
che nel frattempo aveva raggiunto il corridoio incuriosita,
notò il cambio di
sguardo di Rashnu e ne fu spaventata. Tentò di chiamarlo per
nome, ma lui la
ignorò. Era furioso, per l’affronto subito. E
disperato, per la perdita di
colei che le era stata vicina come una madre quando era bambino. Lo
vide
allontanarsi, diretto chissà dove, ma Ihanez lo
bloccò. Il loro sguardo era
molto simile.
“Spostati,
stregone” lo ammonì Rashnu.
“Non
ci penso proprio. So cosa ti passa per la testa, e la cosa mi fa
incazzare più
di quanto immagini”.
“Davvero?
E come pensi di saperlo?”.
“Pensi
che questi umani non meritino di essere salvati, che la loro
crudeltà non
necessiti protezione, che meritino di morire tutti quanti, per mano
della
guerra o per mano tua”.
Rashnu
non parlò.
“E
io ti dico…” riprese Ihanez
“…che pure io l’ho pensato, lo ammetto.
Ma poi mi
sono soffermato su alcune persone, ed ho capito che non è
così”.
“Su
alcune persone? Su chi, per esempio?”.
“Sui
miei fratelli. Veda, tanto per iniziare”.
“Veda”
spalancò gli occhi Rashnu “Veda non è
una semplice umana, è una di noi. Nessuno
di loro merita la protezione che mi ero ripromesso di
fornire”.
“Si
sono smarriti. Ed il tuo compito non è punirli, ma guidarli
verso la strada
giusta”.
“Tu
stai delirando”.
“Sei
tu quello che delira!”.
Ihanez
cercò di afferrarlo per un braccio, per impedirgli di uscire
dalla casa. Rashnu
schivò quella presa e fissò lo stregone con
profondo fastidio. Ihanez, notando
quello sguardo, rispose con altrettanto fastidio e saltò,
buttandolo a terra.
“Riprenditi,
brutto idiota! Mi fai venire voglia di prenderti a cazzotti!”
gridò Ihanez.
“Lasciami
andare! Chi ti credi di essere?”.
“Io
sono Ihanez e voglio diventare signore della vita, cazzo! E tu non puoi
perdere
la bussola del tutto per un lupo! Dov’è finito il
Rashnu che mi ha condotto da
Mantus riempiendomi di frasi filosofiche e che mi ha convinto a
rinunciare ad
Hennay? Sei debole, così come lo sono io, se reagisci
così. Per quanto tu possa
voler bene a quella creatura, mi spiace dirlo, ma è solo un
animale. Sai quante
persone care abbiamo perso tutti noi? E anche tu? Non puoi rinunciare a
tutti i
tuoi propositi per un mammifero quadrupede!”.
“Ti
senti forse superiore a lei? La mia lupa?”.
“Io
non mi sento superiore a nessuno ma, nonostante ciò che ho
perso, sono pronto a
combattere e non mi voglio arrendere perché sono convinto
che al mondo ci siano
creature che meritano di essere salvate. Bambini e ragazzi che ancora
non hanno
dentro di loro il germe dell’odio. Uomini e donne che sperano
in un futuro
migliore, di pace e giustizia. Forse è solo
un’utopia, ma questo era ciò in cui
anche Hennay credeva ed io non lascerò spegnere questo
sogno”.
Rashnu
parve tornare in sé. Lo sguardo di Ihanez era disperato,
desideroso come non
mai d’aiuto. Ma, nonostante tutto, colui che lo possedeva era
pronto a
combattere. Rialzatosi in piedi, lo stregone allungò la mano
verso Rashnu. Il
padrone di casa si fece aiutare a rimettersi in piedi.
“Io
non credo che un dio sia un creatore, come tu dici” riprese
Ihanez “Io credo
che un dio sia colui che ha persone disposte a credere in lui. Io credo
in te,
Rashnu, e se è una vita quello che ti serve per farti
ottenere ciò che vuoi,
allora credo di potertela concedere”.
Rashnu
non capì quella frase. Rimase fermo ad osservare Ihanez che
si avvicinava alla
lupa, stesa in terra. Era morta, non ancora fredda. Lo stregone si
fermò a
pochi passi da lui, allungando un braccio e tenendolo sollevato sopra
di lei.
“Percepisco
la tua vita” mormorò, mentre l’aria
tutt’attorno si tingeva di riflessi
colorati e luci “La percepisco, e non la farò
andar via”.
Agendo
d’istinto, in un modo che non aveva mai fatto prima,
spalancò le braccia,
alzandole al arco e creando un cilindro di luce bianca. Come un
cristallo,
aveva unito tutti i colori apparsi per la casa e li aveva indirizzati
in un
unico punto, dirigendoli verso il corpo della creatura morta. In aria
si creò
un disegno: una lupa che alzava il muso al cielo ed ululava. Questi
scese
lentamente fino ad avvolgere del tutto l’animale,
assorbendolo. Quando fu di
nuovo tutto buio, la lupa si mosse e Ihanez tirò il primo
respiro assieme a
lei. La ferita era svanita e la pelliccia della bestia si era tinta di
bianco.
La terra tremò. La torre di Ihanez crebbe, anche se non si
completò.
Lahar
gridò di gioia, spezzando il silenzio che si era creato.
“Vita!
Il signore della vita” esclamò.
La
lupa si alzò e si diresse verso Rashnu, che la
abbracciò, senza sapere che cosa
dire.
“Io…”
mormorò, rivolto a Ihanez “…non so come
ringraziarti”.
“Sei
stato tu a permettermi di fare questo. Devi ringraziarti da
solo”.
“Io?
Io non ho fatto niente, te lo posso assicurare”.
“Mi
hai fatto capire quanto vicine si trovano la vita e la morte e solo
vedendo
questo mi hai dato la possibilità di ridare la vita a questa
creatura, la cui
anima ancora aleggiava accanto al corpo”.
Rashnu
sorrise. Ora pure chi aveva di fronte aveva addosso qualche pezzo
dell’armatura
da signore della vita. Un’armatura incompleta, ma che oramai
aveva scelto il
suo proprietario. Reahu, sentendo tutto quel baccano, si
affacciò sul corridoio
e subito notò su Ihanez alcuni dettagli posseduti da suo
padre. I polsini
bianchi con le piume colorate li riconobbe immediatamente,
probabilmente perché
furono la prima cosa che vide di Ipalnemoa, quando allungò
le braccia verso di
lui per uscire dall’inferno.
“Reahu!”
lo chiamò Rashnu “Il tuo allievo ha appena
compiuto una rinascita. Ha riportato
in vita la mia lupa”.
“Lo
vedo. Sono felice per te, Ihanez” rispose Reahu, con un tono
inaspettatamente
piatto “Tuttavia non dovresti giocare con certe cose. Una
creatura morta
dovrebbe restare tale nella maggior parte dei casi”.
“Lo
so” annuì Ihanez “Ma questo era
ciò che mi sentivo di fare”.
“E
chi sono io per impedirtelo? Solamente vedi di non strafare”.
“Non
lo farò, bacchettone”.
Reahu
sorrise. Quel gesto, quella rinascita, aveva messo di buon umore tutti
quanti.
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Capitolo 15 *** XV- Esami finali ***
XV
ESAMI
FINALI
“Torna
un po’ a spiegarmi perché lo fai”
parlò Reahu, osservando in silenzio il suo
allievo.
Ihanez
si stava preparando a partire. Il giorno del suo esame da stregone era
giunto.
Il signore del cielo, seduto al tavolo e reggendosi la testa con la
mano,
sigaretta di sbieco in bocca, attendeva una risposta.
L’allievo ci mise un po’.
“In
che senso? Che ti dovrei spiegare? Sono uno stregone, e mi sento in
grado di
affrontare l’ultimo esame della mia classe”.
“Sì,
ma perché? A che ti serve?”.
“Tu
perché non lo hai fatto?”.
“Perché
è anche per colpa degli stregoni se c’è
la guerra. Io non mi sento uno di
loro”.
“Io
sì, invece. L’ho promesso, al mio maestro e ad
Hennay. Ed ora lo farò”.
“E
cosa pensi di fare?”.
“Cosa
penso di fare?!”.
“Sì,
apprendista. L’esame finale del quinto livello non
è come quello di quarto. Lo
sai, o come sempre ti butti nelle cose senza rifletterci?”.
“Lo
so”.
“Ebbene:
cosa intendi fare? All’esame ti chiederanno di dimostrare le
tue capacità e
convincere i giudici presenti che sei degno di passare quella
prova”.
“Ho
qualche idea”.
“E
non mi spii niente?”.
“No,
ficcanaso”.
“Come
vuoi. Potevo darti qualche suggerimento”.
“Hei,
tu non lo hai fatto quell’esame! Non rompere!”.
“E
tu non esaltarti per niente. Quello è solo uno stupido
esamuccio per
stregoncini. Siamo noi la serie A, l’importante è
ciò che farai qui”.
“Lo
so. Quanto sei stressante!”.
Ihanez
era pronto a partire. Da tempo non indossava le vesti da stregone ed in
parte
gli erano mancate. Si osservò. Ai polsi gli si erano creati
strani disegni, lì
dove aveva visto apparire i pezzi dell’armatura di suo padre.
“Vai
da solo?” riprese Reahu.
“Ovvio,
ho passato l’età in cui devo andare in giro
accompagnato da un adulto”.
Il
signore del cielo non si mosse, mentre il suo allievo usciva dalla
stanza e si
incamminava per il corridoio. Scosse il capo e si alzò,
uscendo a sua volta
dalla camera del futuro signore della vita.
“Perché
disapprovi la sua scelta?” gli domandò Rashnu.
“Perché
è solo un’inutile perdita di tempo. Potrebbe
rimanere qui ad addestrarsi,
invece di buttare la giornata in simili cazzate”.
“Ma
lui ci tiene tanti. Dovresti pensare ai desideri del tuo
allievo”.
“Bah.
Fate quello che volete”.
Il
padrone di casa andò vicino a Ihanez, che era stato
circondato dai colleghi.
Volevano augurargli buona fortuna.
“Dove
si terrà l’esame?” volle sapere Rashnu.
“Alla
torre degli astri. Non è molto lontana da qui”.
“La
torre degli astri? Ci sono stato, tempo fa. Non è quella
grossa e cilindrica?”.
“Proprio
quella. Fin’ora l’ho vista solo da fuori.
Chissà com’è dentro. Lo
scoprirò
presto”.
“Affrettati.
È ora”.
Ihanez
rispose con un cenno del capo e si allontanò a passo svelto.
● ●
●
“Ricordate:
questo attacco sarà molto importante. Voglio vedere tutti
voi combattere con il
massimo delle forze. Sono stato chiaro?” parlò un
grosso soldato dall’aria
minacciosa.
“Sissignore”
risposero tutti.
Fra
loro, vi era Veda, poco convinta dall’idea di prendere parte
a quella guerra ma
non vedendovi alternative. A quanto pare, quello era il suo destino.
“Ad
ogni squadra di soldati, verrà assegnato un gruppo di
scienziati, che con i
loro strumenti e le loro tecnologie ci permetteranno di avere la meglio
con
ogni tipo di magia. Vostro è il compito di garantir loro
l’incolumità, per
quanto possibile. Mi avete capito?”.
“Sissignore”
gridarono di nuovo.
“Veda,
tu sarai a capo della squadra principale, con il maggior numero di
scienziati.
Te la senti?”.
“Certo,
signore”.
“Bene.
Dividetevi in base alle disposizioni che vi ho dato e state
pronti”.
Veda
sorrise, quando vide che fra gli scienziati assegnatale vi era Gudis,
che
sorrise a sua volta. Lui, divenuto uno dei massimi studiosi della magia
fra i
membri della sua classe, era stato scelto per quella missione speciale.
Non
aveva avuto scelta. O collaborava, o diveniva sacrificabile.
“Per
il grandioso Ogmios, state pronti!” incitò le
truppe il generale, sentendosi
rispondere con un grido altrettanto forte.
● ●
●
Reahu
fissò con curiosità Rashnu. Come mai era ancora
lì? E perché stava indossando i
pezzi rimastagli dell’armatura di suo padre?
“Che
succede?” volle sapere il signore del cielo.
“Niente.
Non ti preoccupare” mentì Rashnu.
“Non
mi imbrogli. Che stai facendo?”.
Rashnu
sospirò, capendo che non si sarebbe liberato facilmente di
quello scocciatore.
“Una
volta, anni fa, Veda aveva avuto una visione. Molte persone morivano,
in un
edificio cilindrico. Ne era molto spaventata”.
“Credi
che il luogo dell’esame finale sia il posto visto da
Veda?”.
“Sì”.
“Ed
hai intenzione di andarci da solo?”.
“Potrebbe
essere solo un falso allarme”.
“Potrebbe.
E se non lo fosse?”.
“Me
la saprò cavare”.
“Rashnu”
iniziò Reahu, inchinandosi leggermente “Forse non
consideri il mio potere
all’altezza, o forse senti di dover dimostrare
chissà cosa a chissà chi, ma
permettimi di farti da scorta. Se davvero accadrà qualcosa,
voglio combattere
al tuo fianco”.
Rashnu
lo fissò. Non se lo sarebbe mai aspettato.
“Come
vuoi” si limitò a dire, non trovando altre parole.
Reahu
salì nella sua stanza e, aprendo un piccolo cassetto, ne
estrasse due collane.
Due ciondoli, che ogni stregone aveva, diverso per ogni livello. Uno
era il suo
ed uno era quello di Alinn. Sapeva che solo con quelli al collo
sarebbero
potuti entrare nel luogo d’esame. Coperti da pesanti mantelli
per celarne i
tratti del viso, forse ancora ricercati, i due uscirono dalla casa, con
le
collane ben in vista. Reahu si voltò verso
l’uscio. Che strana sensazione
provava addosso…
● ●
●
Ihanez
era entrato nell’edificio circolare e si guardava attorno.
Gli uomini e le
donne che dovevano essere esaminati erano radunati nello spiazzo
circolare che
seguiva l’ingresso. Alzando la testa, mezzelune sporgenti
disposte tutt’attorno
contenevano gli stregoni che già avevano affrontato la prova
e che erano lì per
giudicarli. Quella più in alto di tutti ospitava il capo
supremo di quella
classe. Ihanez lo fissò. Lo vide alzarsi in piedi, sorretto
da un lungo
bastone. Aveva lunghissimi capelli bianchi ed uno strano sguardo,
assente.
Vestiva di blu scuro, come tutti gli altri, e fu il primo a parlare.
Indicò
Ihanez con il dito ossuto e gli fece segno di venire avanti, ponendosi
al
centro del cerchio formato dalla parete dell’edificio.
L’interpellato obbedì.
“Come
ti chiami, ragazzo?” domandò il capo degli
stregoni.
“Randoeku”.
“Quello
è il tuo nome da stregone. Pronuncia il tuo vero
nome”.
“Ihanez,
signore” rispose lui, chinando la testa in segno di rispetto.
“Ihanez”
ripeté, in modo quasi meccanico, l’anziano
“Non hai trentacinque anni, o
sbaglio?”.
“No,
signore. Non ho ancora l’età ritenuta giusta per
affrontare questo esame, ma mi
ritengo pronto. Per questo sono qui”.
“Ti
ritieni pronto? Chi ti ha addestrato?”.
“Sono
stati molti i miei maestri. Sarebbe ingiusto citarne solo qualcuno e
fare
l’intero elenco porterebbe via troppo tempo”.
“Sembri
molto sicuro di sé. Questa è una buona cosa. Ma
sai, spero, che questo esame si
può affrontare una volta soltanto, vero? Se fallirai, non
avrai una seconda
possibilità”.
“Lo
so. Non fallirò”.
“Bene,
ragazzo. Vediamo fin dove la tua determinazione è in grado
di portarti. In che
modo vuoi dimostrarci di essere degno del livello massimo?”.
“Lo
voglio dimostrare con una sfida”.
“Vuoi
sfidare uno di noi?”.
“Sì,
esatto. Non è contro le regole, mi sembra”.
“Non
lo è. Ma è un suicidio”.
“Beh,
in questo caso, se dev’essere un suicidio, voglio che sia il
più grandioso
della mia categoria. Sfido Voi, capo degli stregoni, se non
è un problema”.
La
torre si riempì di voci, di disapprovazione e rimprovero nei
confronti di quel
ragazzo sfacciato.
“Silenzio!”
li zittì lo stregone supremo “Ammiro il coraggio
di questo ragazzo, o la sua
follia, ed accetto la sua sfida”.
● ●
●
“Tarhunt!”
chiamò Clio, bussando leggermente alla porta del signore
degli eventi
atmosferici.
“Ciao,
Clio” la salutò lui, non aspettandosi di vederla
“Non sei con mio fratello?”.
“Per
questo sono qui. Lui e Rashnu sono andati via ed i loro sguardi non mi
han
trasmesso nulla di buono. Ti dispiacerebbe venire con me? Vorrei
raggiungerli”.
“Dove
sono andati?”.
“Credo
dove Ihanez farà l’esame finale, alla torre degli
astri. Li ho sentiti parlare
di persone in pericolo e cose simili e sotto i mantelli portavano le
armature”.
“Alla
torre degli astri? So dov’è. Credi gli possa
accadere qualcosa?”.
“Credo
di sì. Ho una brutta sensazione. Forse non è
niente…”.
“Beh,
io qui non ho molto da fare. Andar fin là non ci
costerà nulla”.
Anche
Tarhunt possedeva la collana degli stregoni, lui più grande
e complessa di
quella del fratello perché aveva affrontato
l’esame finale. La indossò ed uscì
dalla stanza. Clio sarebbe passata facilmente come sua allieva, non
ancora
graduata.
“Dove
andate?” volle sapere Tate.
“A
fare un giretto. Torna pure alle tue faccende”
tagliò corto Tarhunt.
“Ma,
maestro…”.
“Torneremo
per il tramonto, Tate. Fai il bravo”.
Tate
annuì e li vide andar via. Li accompagnò con una
lieve brezza e poi tornò ai
suoi compiti.
● ●
●
Il
più forte degli stregoni stava ora davanti a Ihanez. Aveva
tolto il mantello,
per facilitarsi i movimenti e, a quanto pare, non aveva bisogno del
bastone che
lo sorreggeva prima.
“Percepisco
in te una grande energia, Ihanez” disse.
Lo
stregone più giovane lo fissò. Quello sguardo
vuoto era molto strano. Che fosse
cieco? Non aveva importanza. Se era a capo degli stregoni, allora
doveva essere
molto forte, cieco o no.
“Prima
di iniziare, spiegami. Perché hai scelto di sfidare proprio
me?”.
“Perché
sono stanco di questa guerra e voglio prendermela con qualcuno. Voi,
come capo
di una categoria, di certo avete in qualche modo colpa in
ciò che sta
succedendo”.
“Ottima
motivazione. Sappi che non sarò delicato”.
“Nessuno
lo è mai stato con me”.
Lo
stregone capo ghignò e scattò in avanti,
mostrando un’incredibile velocità,
nonostante l’aspetto da anziano stanco. Ihanez non si fece
intimorire e schivò
quella mossa, contrattaccando subito e riuscendo a colpire il suo
obbiettivo,
che indietreggiò. Gli altri stregoni si ammutolirono. Il
capo provò un altro
attacco diretto ma pure quello non gli riuscì, e
subì un altro colpo. Sorrise,
come soddisfatto dal fatto che colui che aveva di fronte lo facesse
divertire
in quel modo. Si piegò in avanti, raccogliendo energia su
entrambe le mani, e
poi la liberò. Questa, luminosa, corse lungo le pareti e si
diresse verso
Ihanez, che non si fece cogliere di sorpresa. Schivò e
deviò entrambe le sfere
di magia, impedendo loro di colpire gli spettatori.
“Dovrai
fare meglio di così, vecchio, o non mi
sconfiggerai” parlò Ihanez, senza
mostrare alcun segno di stanchezza.
Provava
un tale odio nei confronti del suo avversario, che quasi era tentavo ad
agire
in modo impulsivo, uccidendolo all’istante.
Quell’essere permetteva la guerra,
non apriva in alcun modo trattative di pace con le altre classi. Colpa
sua e
degli altri capi se c’era la guerra e se tante persone erano
morte. Passò
all’attacco e, saltando, circondò lo stregone
anziano di sottili fili di magia,
che toccandolo gli trasmisero una potente scossa.
L’avversario cadde sulle
ginocchia, rialzandosi a fatica. Ora il suo sguardo era furioso.
Alzò entrambe
le braccia al cielo, creando fra di esse una grossa sfera fiammeggiante.
“Il
colpo di Reahu?” si stupì Ihanez, non sapendo bene
come schivarlo.
Si
concentrò. Non poteva permettere a quella fonte di magia di
colpire i presenti.
Gridando, richiamò a sé l’energia e,
alzando di colpo entrambe le braccia al
cielo, formò una barriera. La sfera si dissolse, colpendola,
anche se fece indietreggiare
Ihanez di parecchi metri prima di perdere forza. Il capo, nel
frattempo, era
già pronto a sferrare un altro colpo. L’esaminato
saltò, credendo di schivarlo.
In realtà, la magia deviò e lo colpì,
scaraventandolo contro la parete della
torre, che si sbriciolò. Ancora scosso, e volando a
mezz’aria, Ihanez ridiscese
rapido, senza accorgersi che il cielo stava acquisendo un inquietante
colore
scuro. Colpi violentemente il capo degli stregoni, riservandogli lo
stesso
trattamento che aveva subito in precedenza. Tossendo per la polvere
sollevata,
l’anziano non parlò. Rimase immobile a fissare lo
sfidante. I suoi occhi, così
inquietanti, sembravano biglie vuote. Una nube nera lo stava
avvolgendo,
sollevandone i capelli e rendendolo ancora più spaventoso.
Un lampo squarciò il
cielo, fino a qualche istante prima sereno.
● ●
●
“Sei
stato tu?” domandò Rashnu.
“A
far cosa?” lo fissò Reahu.
“Quel
lampo laggiù”.
“No,
io non ho colpa”.
“Allora
credo sia il caso di accelerare il passo”.
Reahu
capì ed imitò il figlio di Ogmios, alzandosi in
volo, dimostrandosi come sempre
il più veloce dei due.
● ●
●
“Noi
dobbiamo andare là? Ma dico, siamo pazzi?!”
esclamò Gudis, dopo aver udito un
tuono potente ed aver visto il lampo abbattersi sulla torre.
“Questi
sono gli ordini” tagliò corto la sorella.
“Suicidarsi
sono gli ordini? Lì ci sono i migliori stregoni del pianeta,
e noi li
attacchiamo?”.
“Questo
è il piano. Se riesce, la guerra sarà finita
perché sarà stata sconfitta la
razza nemica” rispose un soldato.
Veda
non pareva convinta di questo. Alzò gli occhi al cielo.
“Rashnu!”
esclamò, vedendolo passare.
● ●
●
Il
capo degli stregoni rise, in modo inquietante, facendo tremare le
pareti.
“Cos’hai
da ridere?” ringhiò Ihanez.
“Da
tempo non mi divertivo così” rispose lo stregone,
scattando in avanti per
colpire ancora.
Il
futuro signore della vita parò a fatica e saltò
all’indietro, sollevandosi.
Quella magia non era da semplice stregone. Chi aveva davanti, in
realtà? Decise
che era decisamente il momento di usare le maniere forti. Si
concentrò e
circondò l’avversario con luci colorate, che si
strinsero tutt’attorno fino a
divenire bianche. Il capo gridò.
“Ho
in mano la tua vita” esclamò Ihanez, richiamando a
sé quella luce, cambiando
posizione delle braccia ed illuminandosi a sua volta.
Si
stupì della cosa. Perché lui si stava
illuminando? Doveva farlo solo il suo
avversario! Con una mossa di scatto, tolse parte di quella luce bianca
al capo,
che finì sbalzato all’indietro, contro il muro.
Ihanez si fissò le mani.
stavano sanguinando. Cosa era successo? Era sceso di nuovo il silenzio.
L’anziano stregone giaceva immobile. Poi respirò,
profondamente, ed aprì gli
occhi. Non erano più come biglie vuote, ma profondi e scuri.
Ihanez gli si
avvicinò, non sentendosi in grado di colpire un uomo in
quello stato.
“Ihanez?”
lo chiamò il capo.
“Sì,
sono sempre io il Vostro avversario”.
“Vieni
vicino”.
Ihanez
obbedì, dubbioso. L’anziano lo afferrò
per la mano e lo fece abbassare, in modo
da potergli parlare all’orecchio.
“Sono
fiero di ciò che sei diventato, ma quello che
arriverà non è un avversario per
te. Vattene finché puoi, figlio mio”.
“Figlio?”.
“Maestro?”
esclamò Reahu, fermo a mezz’aria davanti al buco
provocato da Ihanez alla
parete della torre “Ipalnemoa?”.
Ipalnemoa
sorrise al suo allievo. Poi portò Ihanez ancora
più vicino, mettendogli un
braccio attorno al collo e guardandolo negli occhi.
“Prendi
il mio potere” disse, chiudendo gli occhi.
Il
futuro signore della vita, ancora confuso, sentì una forte
magia iniziare a
scorrere in lui.
“Attenti!”
gridò Reahu.
Un
velocissimo raggio di magia aveva attraversato il cielo. Neppure il
signore del
cielo era riuscito ad intercettarlo e fermarlo ed ora si dirigeva
veloce verso
padre e figlio. Ipalnemoa reagì e scostò Ihanez,
che ne fu ferito solo di
striscio. Il passato signore della vita, però, ne fu colpito
in pieno.
“Ti
faccio i miei vivi complimenti” parlò una voce, la
più profonda che Ihanez
avesse mai sentito.
Reahu
la riconobbe e sobbalzò.
“Rashnu!”
lo chiamò “Siamo nella…”.
“Taci!”
lo zittì Rashnu, fissando con rabbia l’uomo che
lentamente stava prendendo
forma al centro dello spiazzo circolare, fra la nebbia scura.
“I
complimenti per cosa? E tu chi sei?” ringhiò
Ihanez, toccandosi il braccio
ferito e cercando di far rinvenire il padre.
“Con
quel tuo colpo, sei riuscito a risvegliare tuo padre, la cui mente era
soggiogata
da me. E, allo stesso tempo, lo hai reso sufficientemente debole da
permettermi
di colpirlo mortalmente. Congratulazione Ihanez, figlio di Ipalnemoa,
signore
della vita, in pratica hai appena ucciso il tuo stesso padre”.
● ●
●
Mantus
sentì un forte tuono e lo riconobbe. Qualcosa stava
accadendo.
“Fratello”
mormorò, percependo l’energia di Ipalnemoa.
Chiamò
i suoi figli, che lo raggiunsero incuriositi. Che stava succedendo? Lo
sguardo
di Mantus era severo, preoccupato.
“Il
vostro momento è giusto, figli miei”
parlò, con tono solenne.
Nirriti
e Nirrita si fissarono, in silenzio, piuttosto stupiti. Mantus
camminò lento
fino ad un angolo della sua stanza, dove una lunga falce stava
appoggiata al
muro. Aveva una doppia lama, sui due lati del lungo bastone nero. I
gemelli lo
osservarono mentre l’afferrava.
“Non
c’è tempo per permettermi di trasmettere
gradatamente i miei poteri. Servite
voi, adesso, e con energia massima”.
“In
che senso?” domandò Nirrita.
“La
vostra battaglia è iniziata e voi dovete prendervene parte.
Ma non così. Devo
donarvi il mio intero potere”.
Senza
aggiungere altro, e muovendosi in modo talmente rapido da impedire ai
figli di
intervenire, Mantus si trafisse mortalmente con la falce.
“Padre!”
gridarono i gemelli.
Il
potere di colore scuro di Mantus lasciò il corpo del signore
della morte.
Lentamente, questi cadde in avanti, mentre la sua magia raggiungeva i
due
gemelli e li avvolgeva, divenendo parte di loro.
“La
torre degli astri. Andate a difendere il vostro destino” si
sentì la voce del
genitore per gli inferi.
I
gemelli, udendo quelle parole, si guardarono. Sentivano il potere della
morte
dentro di loro. Dovevano andare, in fretta, rimandando a più
tardi le lacrime
per il padre appena sacrificatosi per loro.
● ●
●
Io
ho ucciso mio padre? Pareva chiedersi Ihanez, rimanendo immobile,
fissando
quell’uomo che ormai si era quasi del tutto materializzato.
Era imponente e con
uno sguardo severo, aranciato.
“Hai
spezzato il sigillo che il signore della vita aveva creato attorno a
me. Devo
proprio ringraziarti. Ma non avrai il tuo premio. Il potere della vita
tornerà
nelle mie mani”.
Ihanez,
ferito ed ancora in terra, vide quell’uomo allungare la mano
verso di lui. Non
sapeva come reagire. Si sentiva debole e colui che aveva di fronte
aveva
attorno a sé un potere immenso. La luce che circondava
Ipalnemoa si stava
dirigendo verso la mano protesa.
“No!”
gridò Rashnu, intervenendo e colpendo l’uomo di
spalle, scoprendone il viso.
La
magia di Rashnu aveva scostato il cappuccio, mostrando ai presenti che i loro sguardi erano
uguali. I capelli
bianchi dell’uomo si liberarono e lui si voltò,
guardando con odio chi lo aveva
colpito. Poi gli sorrise, riconoscendolo.
“Credi
davvero di potermi fermare, Junior?” domandò.
“Lo
credo e lo farò. Il potere della vita spetta a Ihanez, non a
te”.
Reahu
scese e si fermò, in piedi, davanti al suo allievo.
“Stai
bene?” gli domandò, senza guardarlo.
“Più
o meno” rispose lo stregone.
“Tranquillo.
Rashnu farà in modo che il potere di tuo padre ti
appartenga”.
“Quell’uomo…è
Ogmios, vero?”.
Reahu
annuì. Era pronto a combatterlo ma Rashnu lo
fermò.
“Penso
io a lui” gli disse “Se non lo sconfiggo
personalmente, non riuscirò mai a
risvegliarmi del tutto. Fidati di me, Reahu”.
“Tranquillo”
sorrise Ogmios “Pure il tuo amico avrà qualcosa da
fare, mentre ti dimostro che
non sei in grado di prendere il mio posto”.
“Chiudi
la bocca!” ringhiò Rashnu “So cosa hai
fatto, e mi prenderò tutto il tuo potere
per questo”.
“Sei
melodrammatico. Ma se è uno scontro con me quello che vuoi,
lo avrai”.
Reahu,
a fatica, lasciò lo scontro al collega. Si girò
verso Ihanez, chinandosi.
“La
ferita non sembra troppo grave” lo tranquillizzò.
“Lo
so, ma è come se stesse assorbendo tutta la mia
energia”.
“Andiamocene
da qui. Rashnu non vuole il nostro intervento, e tu hai bisogno di
cure”.
Un’ombra
alle loro spalle fece capire subito al signore del cielo che non
sarebbe stato
facile. Si girò e spalancò gli occhi.
“Saxnot?”
disse “Tu sei senza poteri!”.
“Sbagliato,
figlio di Onyame. Ogmios mi ha ridato ogni capacità, con
anche qualcosa in più.
Sarò io il tuo avversario. Non vi farò uscire da
qui, come il mio signore ha
ordinato”.
“Levati
dai piedi, se non vuoi che te ne dia tante come mai ne hai prese in
vita tua!”
sbottò Reahu, preoccupato per le condizioni
dell’allievo.
“Io
non credo tu sia in grado di farlo. Ogmios mi ha concesso molta
più energia”.
Reahu
strinse i pugni e digrignò i denti.
“Ti
ridurrò in briciole, traditore. Alla fine sarai diviso in
talmente tanti pezzi
che l’unica cosa che ti resterà da fare
sarà gettarti nell’umido!” gli disse,
richiamando a sé tutta la sua energia.
Ogmios
non sembrava cattivo, osservandolo meglio. Semplicemente indifferente.
Fissava
suo figlio senza alcun entusiasmo, mentre questi gli girava attorno per
studiarlo.
“Sei
ancora in tempo, ragazzo. Puoi andartene”
sogghignò, notando lo sguardo non
proprio convinto di Rashnu.
“Non
mi tirerò indietro. Ti sconfiggerò”.
Ogmios
parve divertito dalla cosa ma palesemente distratto. L’unica
cosa che gli
interessava era il potere della vita, rimasto sospeso sul corpo di
Ipalnemoa,
essendo Ihanez troppo debole per raccoglierlo. Ogmios lo voleva quel
potere ed
allungò una mano per possederlo.
“No!”
sbottò Rashnu, tentando di fare la stessa cosa.
In
una strana lotta impari, padre e figlio si contendevano quella forza
con rabbia
e determinazione. Rashnu era consapevole che, se il padre fosse
riuscito ad
ottenere la vita, sarebbe stato impossibile batterlo. Viceversa, Ogmios
doveva
intuire che le forze del figlio erano notevolmente aumentate in quegli
anni e
non poteva permettergli di incrementarle ancora.
“Fatti
da parte!” gridò, spalancando gli occhi e
scaraventando Rashnu verso l’alto.
Questi
riuscì a fermarsi prima di impattare contro il soffitto e
tornò giù,
frapponendosi fra il padre e la luce bianca della vita.
“Non
l’avrai! Non te lo permetterò!”
esclamò.
“Vuoi
proprio che ti uccida? Perché è questo
ciò che accadrà. Sei troppo debole per
battermi”.
“E
sia. Se il mio destino è questo, lo affronterò.
Ma non senza combattere”.
“Pft.
Siete proprio una generazione senza cervello”.
“Vorrà
dire che difenderò ciò in cui credo senza
disturbare i miei pochi neuroni!”.
“Avanti,
Reahu. Fatti sotto” sfidò Saxnot.
“Tu
credi davvero di battermi?” si stupì il signore
del cielo.
Rialzandosi
lentamente, aveva richiamato a sé l’armatura del
padre ed ora brillava
intensamente, pulsando energia come mai prima d’ora. I veli
che la componevano
si muovevano mossi da un vortice inarrestabile.
“Tu,
misero essere dalla forza pressoché inesistente credi di
poter sconfiggere me,
fra le cui mani scorre tutta la potenza dell’universo? Ti
consiglio di sparire,
prima che sia troppo tardi”.
Saxnot
rimase un attimo indeciso sul da farsi. Gli occhi oro di Reahu lo
fissavano
minacciosi, circondati da capelli blu che si muovevano senza sosta ed
incastonati in quel viso sempre più nero e spaventoso,
furioso.
“Io
non mi tiro mai indietro, davanti ad una sfida” disse, dopo
un po’.
“Allora
verrai spazzato via!” esclamò Reahu, muovendo
solamente due dita e lanciando
Saxnot contro la parete che aveva di fronte.
“Sei
disarmato!” tossì l’avversario,
rialzandosi a fatica “Non mi fai paura”.
Scattò
in avanti, spada alla mano, e tentò un affondo. I veli
dell’armatura si
chiusero, respingendo la lama come se fossero fatti di un materiale
più duro di
essa. Saxnot non capì come questo fosse possibile ma non
ebbe il tempo di
pensarci troppo, perché si ritrovò di nuovo
contro il muro.
“Moscerino
fastidioso, finiscila di tormentarmi e sparisci dalla mia
vista” sbottò Reahu.
“Amor
mio!” chiamò Adraste, correndo a soccorrere il
marito ferito.
Assieme
a lei, una nube nera avvolse Saxnot, che si rialzò.
Guardò la compagna, che
parve intuire il suo pensiero.
“Hieros!”
gridarono in coro i due, fondendosi assieme.
Reahu
fissò la cosa, senza però provare particolare
timore. La nube nera che li
circondava lo preoccupava di certo più di quei due fusi
assieme.
“Ora
te la vedrai con noi!” parlò l’ibrido
Saxnot-Adraste, con voce mista.
“Se
la cosa vi diverte” fu la risposta, con espressione neutra.
Lo
Hieros li aveva resi più veloci e più forti, ma
Reahu riusciva comunque a
schivarne i colpi. I veli della sua armatura si chiudevano a
proteggerlo e si
riaprivano per permettergli di attaccare. Aveva fretta di togliersi di
dosso
quello scontro, per poter portare in salvo il suo allievo. La creatura
fusa
doveva aver capito che da sola non poteva riuscire nel suo intento,
perciò
comandò la nube nera che gli stava accanto e la
indirizzò verso l’esterno, dove
l’esercito di scienziati e guerrieri attendeva il momento
buono per attaccare.
Subito i combattenti si mossero ed irruppero nella torre.
“Che
fate? Fermi!” gridò Veda, mantenendo il controllo
di se stessa.
“E
questi chi sono?!” esclamò Reahu, costretto ad
atterrare per difendere Ihanez.
Veda
notò la cosa e corse verso quella direzione.
“Ci
penso io” parlò, sguainando la spada
“Fidati di me”.
Il
signore del cielo annuì. Doveva disfarsi al più
presto del suo avversario, che
nel frattempo si era caricato di energia ed era pronto ad attaccare.
Mosse le
braccia verso Reahu, indirizzandogli contro una pioggia di lame
affilate.
Questi se ne accorse appena in tempo. I veli dell’armatura si
serrarono,
lasciandolo incolume, ma facendolo gemere. Quell’essere
ibrido aveva in sé
parte del potere di Ogmios e lo stava usando sempre di più.
Doveva
sconfiggerlo, prima che aumentasse ulteriormente.
“Ora
ti mostrerò so che sa fare il signore del cielo”
gridò, spalancando le braccia.
“Clio!”
gridò Tarhunt difendendola dall’orda
di creature armate che aveva fatto il suo ingresso nella torre.
“Cosa
sta succedendo?” domandò la signora della memoria,
guardandosi attorno,
confusa.
“Non
ne ho idea. Queste persone sono come possedute da qualcosa”.
“Se
solo riuscissimo a farle smettere di combattere, liberandole da questa
possessione…”.
“Hai
qualche idea? Io no, sinceramente”.
Tarhunt
respinse un altro attacco e sollevò Clio da terra,
appollaiandosi su una delle
mezzelune in pietra. Vide suo fratello e, alle sue spalle, Veda che
difendeva
Ihanez ferito.
“Grazie”
mormorò Clio.
“E
di cosa? Il minimo che possa fare è salvare mia
cognata”.
“Non
sono tua cognata!”.
“Ma
lo sarai”.
La
signora della memoria arrossì. Si alzò in piedi,
accanto a Tarhunt. Che gran
confusione c’era in quella torre! Lanciò uno dei
suoi colpi, quelli che
simpaticamente Reahu definiva “attacchi di panico”,
creando un certo timore fra
i monoclasse. Non durò molto, perché la nube nera
che li possedeva diede
immediatamente ordine di ricominciare a combattere.
“Onyame?”
si stupì Ogmios, notando l’armatura su Reahu.
“Ti
sei distratto!” esclamò Rashnu, attaccando con una
raffica di scariche magiche.
Il
padre subì il colpo, e non parve gradire per niente.
“Adesso
mi hai davvero stancato!” esclamò “Ti
distruggerò!”.
“Al
mondo, nulla si crea e nulla si distrugge”.
“Vuoi
che ti dimostri il contrario?”.
Una
luce fortissima investì Rashnu, che non riuscì a
schivarla e venne colpito in
pieno. Volò in aria. Si aggrappò ad una delle
mezzelune, evitando di ricadere
di peso. Tossì, sputando sangue. Doveva contrattaccare, ma
in che modo? Era
evidente che il suo avversario possedeva ben più forza di
lui. Ma non si poteva
arrendere. Nonostante tutte quelle voci che continuavano a ripetere che
era
sbagliato attaccare l’unico dio, prese coraggio e si
issò sulla mezzaluna. Da
lì avrebbe potuto sferrare un attacco perfetto.
“Scusate
il ritardo!” esclamarono, in coro, Nirrita e Nirriti.
Entrambi,
fra le mani, stringevano una falce, ottenuta dalla divisione
dell’arma unica
del padre. Subito compresero la situazione. Roteando la propria arma,
riuscivano a spazzare via la nube dai mortali, anche se solo
temporaneamente.
“Clio!”
gridarono “Noi li liberiamo, tu li spaventi. Questo li
farà fuggire, e saranno
al sicuro”.
Clio
obbedì, mettendosi in piedi sulla mezzaluna e guardando
giù. Si concentrò.
Avrebbe dovuto usare un sacco di energia.
“Io
mi sforzerò di controllare la loro sete di
vendetta” parlò una voce giovane.
“Petbe?”
si stupì Tarhunt.
“Che
c’è? Dovevo lasciare tutto il divertimento a
voialtri? Io sono il signore della
vendetta, ruolo infame, ma quest’oggi lo userò a
nostro vantaggio. Senza sete
di vendetta, combatteranno con meno energia e voglia”.
Detto
questo, il giovane figlio di Saxnot ed Adraste si appropriò
di una mezzaluna ed
iniziò a diffondere il suo potere.
“Pensate
di scacciare così facilmente la mia forza?”
parlò la nube, acquisendo una
curiosa forma antropomorfa, che sarebbe risultata comica in un contesto
diverso.
“Sei
solo una palla di fumo!” ringhiò Nirrita
“Hieros!” gridò poi, fondendosi con il
gemello.
Uniti,
i due portavano l’armatura del genitore, segno che si erano
risvegliati
completamente. Era nera, composta da ossa avorio che spiccavano sulla
base
scura. La falce era tornata ad essere a doppia lama, riunendosi. Lo
spaventoso
sguardo del signore della morte fissò i presenti. Era tempo
di farsi notare!
Ihanez
non aveva mai assistito a quel tipo di unione. Non immaginava che due
creature
potessero unirsi in quel modo. Si sentiva inutile, in quel momento. La
sua
sorellina lo stava difendendo, che vergogna. E sopra la sua testa
vedeva
Rashnu, che combatteva per difendere il potere dalla vita. Se solo
avessi un
solo briciolo di energia in corpo, pensò, potrei reclamare
il potere che mi
spetta. Ma di energia non ne aveva, nemmeno un soffio.
“Morirete
tutti per mano del nostro signore Ogmios” parlò
l’ibrido Saxnot-Adraste.
“Hai
finito con le minchiate? Combatti e chiudi quella bocca!” lo
zittì Reahu,
muovendo un braccio ed investendo l’avversario con una
raffica di piccole
stelle brucianti.
“Tutto
qui quel che sai fare? Qualche bruciatura non ci
fermerà”.
“Oh,
madre terra, quanto sei stupido. Io mi trattengo perché non
voglio ucciderti,
essere fuso. E non ti consiglio di continuare a provocarmi”.
“Non
ho paura di te. So di poterti sconfiggere”.
“Solitamente
apprezzo le persone sicure di sé, ma non in questo
caso”.
L’unione
fra Saxnot ed Adraste si preparò ad attaccare, di nuovo, e
Reahu sospirò. Che
seccatura!
Rashnu
fissò il suo genitore, che pareva quasi divertito da quello
scontro.
“Ti
farò sparire quel ghigno dal viso”
mormorò, preparando la sua mossa.
Congiunse
i due bracciali, creando una luce fortissima e oro, che avvolse colui
che la
stava evocando. Lanciò un grido. Quello era il colpo
più forte che aveva.
Reahu
conosceva quella tecnica e sapeva quel che provocava.
Ribaltò le braccia
indietro, senza atterrare, scoprendosi in parte ma lasciando che i veli
dell’armatura proteggessero Veda e Ihanez.
“Ti
sei scoperto!” ghignò il suo avversario, che ne
approfittò per cercare di
colpirlo.
Il
signore del cielo nemmeno gli rispose. Si limitò ad alzare
le gambe e, sempre
mantenendo le braccia aperte a difesa di coloro che aveva dietro di
sé,
ricacciò indietro il nemico. Poi ignorò tutto il
resto. Il colpo di Rashnu
stava arrivando.
Tarhunt
notò la reazione del fratello e ordinò a Clio di
stare giù. Riuscì giusto in
tempo a farla abbassare, proteggendosi entrambi all’interno
della mezzaluna di
pietra. Il calore dell’energia li avvolse, così
come la sua luce. Serrarono gli
occhi, sperando che il loro rifugio non cedesse.
Rashnu
gridò, separando di colpo i bracciali ed aprendo le braccia.
Poi le protese in
avanti con uno scatto e da esse partirono due scariche di energia
potentissima,
che assunsero la forma di due piatti. I piatti della bilancia, la
giustizia che
Rashnu rappresentava. Ruotando velocemente, investirono di scariche
lucenti
l’intero edificio, per poi concentrarsi vero il loro
bersaglio. Ogmios
conosceva quella tecnica, era la stessa che usava lui, ma non
immaginava di
vedersela usare contro. Credeva che il figlio non fosse in grado di
padroneggiarla. I due dischi lo colpirono, uno per lato. Rimase in
piedi, ma
indietreggiò di parecchi metri. Convinto di essere stato
protetto
dall’armatura, notò con disgusto che in
realtà sanguinava. Parte di essa ora la
vedeva addosso al figlio. Doveva riuscire assolutamente ad
impossessarsi del
potere della vita! Quel moccioso non poteva comprendere le leggi del
mondo per
governarlo! Restò a fissare il suo erede per un lungo tempo.
“Ora
ti mostrerò come si usa davvero quel colpo”
commentò, dopo diversi minuti.
“Oh,
merda” non trovò altre parole Rashnu, e
probabilmente anche altri pensarono la
stessa cosa.
I
signori della morte stavano tentando in ogni modo di sconfiggere quella
nube
nera che portava alla follia i monoclasse. Era una cosa difficile,
più di
quanto credessero. Strinsero i denti. Non avrebbero deluso il padre,
che
appositamente era morto per permettergli di partecipare a quella
battaglia.
Lanciando la falce, che ruotando creava vortici per la sala e poi
tornava dai
suoi proprietari, impedivano che altre persone fossero soggiogate da
essa.
Questo però non rendeva meno pericolose le persone
già sotto il suo dominio.
Nemmeno la luce del colpo di Rashnu fermò quei soldati.
“Ma
dove siamo finiti? Nel regno dei pazzi?” sbottarono i
signori, ancora uniti
assieme in un unico corpo, sentendo che la gente ancora credeva
intensamente in
Ogmios.
“Devo
fare qualcosa” esclamò Clio “Se loro
ricordassero, se loro sapessero, ciò che è
successo ai predecessori, così come lo so io, sono certa che
cambierebbero
idea”.
“Cosa
ti serve?” domandò Tarhunt, respingendo altri
nemici con i fulmini.
“Molta
più energia”.
“Hai
idea di come prenderla?”.
Clio
si morse il labbro inferiore. Aveva un’idea, ma non sapeva se
potesse davvero
funzionare. Il signore del tempo atmosferico si guardò
attorno. Ihanez aveva
bisogno di vita, per potersi appropriare del tutto del ruolo che gli
spettava.
Vita. Perché non prendeva quella dei caduti? Tarhunt
capì da solo che non lo
faceva perché troppo debole. Serviva qualcuno che donasse la
propria esistenza.
“State
bene?” domandò Reahu, rivolto a Ihanez e Veda.
Ihanez
non poteva dire di stare benissimo, con quella ferita aperta, ma
annuì. Veda,
dai calci che tirava agli avversari, pareva proprio non aver subito
danni.
“Gudis!”
lo riconobbe il signore del cielo.
Lo
scienziato, soggiogato dall’ombra, rischiava di finir
letteralmente falciato
dai signori della morte. Usò la sua energia per proteggerlo,
ma facendo questo
si distrasse. L’unione fra Saxnot ed Adraste
guardò in su. Là, lo vedevano,
stavano Clio e Tarhunt, le creature più importanti per il
loro avversario.
Ghignando, decisero di lanciare contro di loro il prossimo attacco,
puntando
sulla distruzione psicologica di Reahu. Tarhunt, impegnato a respingere
i colpi
che ora pure gli stregoni gli lanciavano contro, si accorse tardi degli
intenti
di Saxnot-Adraste. L’unica cosa che riuscì a fare
fu pararsi davanti a Clio,
per proteggerla. Era lei la più importante fra i due e, lo
sentiva, avrebbe trovato
l’energia per trasmettere la memoria ai presenti. Il suo
potere non riuscì a
proteggerlo dai colpi inferti da una creatura in possesso di parte
della magia
di Ogmios. Trafitto, gemette e cadde in avanti, precipitando dalla
mezzaluna.
“Tarhunt!”
lo chiamò Clio, cercando invano di afferrarlo.
Petbe
lo vide e scattò, prendendolo al volo. Reahu, sentendo il
nome del fratello, si
girò e vide quanto accaduto. Ignorando qualsiasi altra cosa,
lo raggiunse.
“Tarhunt!”
lo chiamò, mentre Petbe lo metteva a terra.
I
signori della morte tennero lontane le creature che attaccavano.
Saxnot-Adraste
rideva divertito, sicuro di aver colpito il punto debole
dell’avversario.
Tarhunt
aprì lentamente gli occhi chiari.
“Ma
che fai?” mormorò al fratello “Torna a
combattere!”.
“Ma
che dici?!”.
“Ihanez.
Dona la mia vita a Ihanez. Tu lo puoi fare, sei uno dei pilastri del
mondo. Con
la mia vita, avrà di nuovo energia”.
“Tarhunt”
mormorò Clio “Non puoi morire per me!”.
“Non
muoio per te. Muoio per il mondo. Avrei preferito non farlo,
però…”.
Trovò
la forza di sorridere, stringendo la mano del fratello maggiore, che lo
fissava
senza parlare, chino su di lui.
“Dona
la mia vita a Ihanez. E non lasciare che Ogmios prenda il mio potere.
Io credo
in te, anche se non so cosa sia successo quella sera di cui tutti
parlate”.
Il
respiro di Tarhunt era sempre più affannoso e flebile.
“Io
non posso lasciarti morire” disse Reahu.
“Smettila
di fare il coglione. Non puoi salvarmi”.
“Ma
ho promesso…”.
“Che
ti saresti preso cura di me, e lo hai fatto. Ora fai ciò che
ti chiedo, per una
volta, e smettila di perdere tempo”.
Reahu,
sconcertato da queste parole, non sapeva cosa dire.
“Dai,
non guardatemi così!” si lagnò Tarhunt,
girando la testa “Ci rivedremo, prima o
poi”.
“Hai
ragione” si sforzo di sorridere Reahu “Ci
rivedremo”.
Tarhunt
parve soddisfatto da quelle parole. Era come un permesso per potersene
andare.
Si rilassò. Sperò, come ultima cosa, di non
essere morto inutilmente.
Ihanez
non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma la luce azzurra che
lo stava
avvolgendo aveva un’aria familiare.
“Prendi
la mia essenza” si sentì dire “Signore
della vita”.
“Tarhunt”
mormorò Ihanez, venendo sollevato da quella forza, che
lentamente entrava in
lui.
La
ferita infertagli in precedenza smise di sanguinare, rimarginandosi.
Sentiva di
nuovo la magia scorrere potente nelle proprie vene. Strinse i pugni.
Poco più
in alto, qualcuno stava cercando di appropriarsi di qualcosa che gli
apparteneva e sapeva cosa fare per riprendersela.
Anche
Reahu sapeva cosa fare. Ricacciando dentro le prime sue lacrime dopo
quasi
duecento anni, si voltò pieno di rabbia verso
Saxnot-Adraste. Petbe percepì il
forte sentimento che provava e rimase titubante
a fissarlo. L’avversario contro cui stava per
scagliarsi il signore del
cielo era l’unione dei suoi genitori. Sicuramente li avrebbe
disintegrati,
visto quanta rabbia il desiderio di vendetta gli stava provocando.
Guardò
quella creatura. Il suo sguardo era spento, vuoto. Quelli non erano
più i suoi
genitori, ma manichini controllati da qualcun altro. Non
c’era più nulla di
vero in loro. Non erano più coloro che aveva amato. Chiuse
gli occhi e lasciò
che la vendetta si impossessasse di Reahu, facendolo praticamente
esplodere.
Ogmios
si accorse che Ihanez era di nuovo in piedi e rimandò il
lancio del suo colpo.
Doveva impedire che quel ragazzino si prendesse ciò che
voleva. Il potere
assoluto della vita era lì, a pochi passi, ed era circondato
da pidocchi
fastidiosi che facevano di tutti per impedirgli di ottenerlo.
“Non
osare, moccioso!” gridò, rivolto a Ihanez, che ora
guardava il corpo senza vita
del padre.
“Oh,
ma fottiti!” rispose Ihanez, spalancando le braccia e
gridando.
Sapeva
che il potere della vita avrebbe scelto lui, sarebbe divenuto parte del
suo
essere, ignorando Ogmios. O almeno così sperava…
Reahu
gridò, mentre il cielo si oscurava. Lui, ormai del tutto
nero, manteneva lo
sguardo dorato fisso verso Saxnot-Adraste, che cominciò ad
intuire di non aver
fatto una cosa molto intelligente. Il signore del cielo si
scagliò contro il
suo nemico, urlando. Non richiamò la magia. Lo
afferrò e lo scagliò a terra,
contro il pavimento che si ruppe. Con quell’impatto, i due
uniti si divisero.
“Datemi
un solo motivo per non distruggervi in minuscole particelle”
ringhiò Reahu,
tenendoli fermi entrambi senza fatica.
“Oh,
suvvia, siamo colleghi da tempo” mormorò Adraste.
“Prima
Akerbeltz ed ora mio fratello. Se fossimo colleghi, non avresti
permesso la
loro morte”.
“E
Petbe? Non pensi a nostro figlio?” si aggiunse Saxnot.
“Che
mossa meschina” commentò proprio Petbe, in piedi a
pochi passi dalle teste dei
suoi genitori “Mio padre non l’avrebbe mai usata.
Voi due non avete più nulla
dei miei veri genitori, siete solo loro immagini comandate da
fuori”.
Petbe
fissò Reahu e mosse il capo, come a volergli dire che era
libero di agire come
meglio credeva. Il signore del cielo lo fissò a suo volta,
cercando di cogliere
qualche ripensamento. Non ci fu, e Reahu distrusse i loro corpi, in
migliaia di
piccole luci che gradatamente si spensero, svanendo.
“A
quanto pare, sono in grado di distruggere”
commentò, rialzandosi.
Ogmios
allungò un braccio verso Ihanez, con l’intento di
prendersi il potere della
vita, che brillava attorno al corpo di Ipalnemoa come
un’originale sarcofago.
Ihanez lo ignorò, immergendo le mani in quella luce bianca,
che immediatamente
lo riconobbe e reagì, risalendo lungo le braccia di chi la
richiamava. Salì in
fretta e, quando Ihanez si voltò verso Ogmios che tentava di
raggiungerlo, era
già sufficientemente forte da creare una barriera che
ricacciò indietro
l’assalitore. Rialzandosi, Ihanez era interamente avvolto
dalla luce bianca.
Ogmios ringhiò. Aveva perduto la forza della vita,
perciò per vincere non aveva
altre alternative: doveva uccidere Rashnu.
Una
volta che la luce si attenuò, il signore della vita si
mostrò per ciò che era
diventato. L’armatura era completa ora. Quattro enormi piume
dai magnifici
colori partivano dal grosso collare che sorreggeva il mantello candido,
così
come ne circondavano tutto il bordo. Piume colorate ne decoravano anche
la
corta veste ed i sandali intrecciati. Sul capo, fra i capelli arancio,
una
corona a forma di semidisco brillava, come un cristallo. Si era
risvegliato del
tutto, e la sua torre a casa si era completata, così come
quella di Reahu e dei
gemelli di Mantus.
Rashnu,
preso per il collo dal padre, trovò la cosa piuttosto
frustrante. Perché lui
era l’unico a non aver acquisito a pieno i suoi poteri?
Perché era l’unico fra
i pilastri che non ci riusciva? Si liberò dalla presa del
padre e saltellò
sulla mezzaluna più alta. La gente si ostinava a credere
nella bontà di quel
suo genitore ormai del tutto fuori di senno. E questo faceva
sì che la sua
energia ne risentisse parecchio. Doveva trovare un modo per far capire
le sue
ragioni al popolo, che lo considerava un mostro all’attacco
del loro unico dio.
Lo vide. Stava caricando il suo colpo più forte. Non aveva
scampo. Con quello,
sarebbe stato sconfitto. Chiuse gli occhi, amareggiato. Non voleva che
tutto
finisse così, ma era evidente la superiorità di
suo padre.
“Dobbiamo
fare qualcosa” commentò Clio, guardandosi attorno.
Ora
che vita e morte agivano assieme, la nube nera stava svanendo ma la
gente
rimaneva lì a pregare per Ogmios, augurandogli la vittoria.
Si concentrò.
Doveva provare a trasmettere loro i ricordi di quella sera. Doveva
riuscirci!
Richiamò tutta la sua energia.
“Clio!”
la chiamò Reahu, contribuendo a scacciare la nube nera
“Non usare in quel modo
il tuo potere. Chiedi troppo da te, ti farai solo del male.
Smettila!”.
“Lasciami
fare. È il solo modo!” esclamò lei.
“Finirai
con il consumarti del tutto e morire!”.
“Se
è questo ciò che devo fare, allora lo
farò!”.
Lei
continuò a concentrarsi, e lentamente assieme al suo potere
sentì lasciarla
anche l’energia vitale. Reahu reagì e la
raggiunse, avvolgendola all’interno
dei veli della sua armatura.
“Smettila!”
la supplico.
Poi
si fissarono negli occhi. Che pazza idea gli era passata per la mente!
Si
sorrisero.
“Hieros”
mormorarono “Gamos”.
Nessuno
di loro aveva mai sperimentato gli effetti di quell’unione ne
vi aveva
assistito, tranne Rashnu che però aveva altro a cui pensare.
L’onda d’urto
provocata dall’unione di cielo e memoria travolse tutti. Solo
vita e morte
riuscirono a rimanere in piedi. Clio si sentiva leggera, come se fosse
una
delle stelle, e Reahu era avvolto dalle immagini di tutti i tempi. Era
strano.
Il loro potere si espanse ed avvolse i presenti, che iniziarono a vedere ciò che
era successo. Tutto il mondo
iniziò a vedere e ricordare quella sera di quasi due secoli
prima.
L’ora
di cena era quasi giunta.
Ipalnemoa, già leggermente assonnato, se ne stava tranquillo
ad un angolo del
tavolo, aspettando che arrivassero gli altri per poter mangiare. Reahu
era in
camera sua, non dovendo mangiare, perso in pensieri che nemmeno lui
poteva
comprendere del tutto. Onyame, ancora debole dopo il salvataggio del
figlio,
era già andato a letto. Rashnu si era trattenuto da Mantus,
che gli stava
insegnando alcuni passaggi del suo futuro lavoro. Tarhunt,
l’ultimo arrivato
assieme ad Adraste, ancora non aveva trovato il coraggio di mangiare
assieme
gli altri, perciò se ne stava per conto suo. La sala
lentamente si riempì, in
attesa del padrone di casa. Ogmios si fece un po’ attendere
ma poi apparve alla
porta. Pareva di buon umore e sedette a capo del tavolo con entusiasmo,
sorridendo. Ipalnemoa rispose a quel sorriso. Era lieto di vedere il
collega
senza la solita espressione preoccupata per chissà cosa.
“Vedo
che manca un po’ di gente
all’appello” parlò, rivolto al signore
della vita “O mi sbaglio?”.
“Nessun
errore” gli rispose
Ipalnemoa “Rashnu è da Mantus, dovrebbe tornare a
momenti”.
“Ed
Onyame?”.
“Ha
preferito restare in stanza
questa sera”.
“Capisco.
In questo caso, possiamo
iniziare a mangiare. Buon appetito”.
I
presenti ringraziarono ed
iniziarono a cenare. Ogmios si soffermò ad osservarli, uno
dopo l’altro.
Ipalnemoa notò quello sguardo e lo trovò strano.
Che aveva in mente? Lasciò
perdere il cibo nel piatto e continuò a prestare attenzione
ad Ogmios.
“Tutto
bene?” gli domandò, dopo qualche
istante.
“Ti
pare di no?” fu la risposta del
padrone di casa.
“No,
mi pare di no. Per niente”.
“E,
chissà, forse hai ragione”.
Ogmios
si reggeva la testa con le
mani e guardava fuori dalla finestra, con aria pensierosa.
“Sai
cosa stanno facendo là fuori,
adesso, Ipal?”.
“Chi?”.
“Il
mondo. Sai che sta facendo? La
guerra, Ipal. Si sta facendo al guerra”.
“Ne
sono consapevole”.
“È
una cosa che non capisco.
Perché?”.
“Le
ragioni di una guerra possono
essere molte”.
“Lo
so questo, ma mi chiedo perché
rifiutino i miei doni in questo modo. La natura, la forza,
l’amore, la vita, il
cielo stellato e tutte le altre cose splendide che son state create,
rifiutate
in questo modo da loro”.
“Non
mi sembra che le stiano
rifiutando”.
“Se
accogliessero i doni che abbiamo
fatto loro, non avrebbe senso la guerra perché vivrebbero in
pace in un mondo
perfetto”.
“Perfetto?
Non esageriamo. Ad ogni
modo, è nostra facoltà intervenire, lo
sai?”.
“Intervenire?
E perché? Ho faticato
per loro, bruciando tempo ed energia che avrei potuto usare in ben
altro modo e
come vengo ripagato? Con odio e sangue”.
“Mica
odiano noi! Si odiano da
soli”.
“Fa
lo stesso. Ognuno di loro ha
una parte di noi, ed odiandosi fra loro a mio avviso è come
se odiassero me.
Perciò perché io dovrei continuare a dare loro
cose che poi rifiutano?”.
“Loro
ti venerano. Sei l’unico di
noi pilastri il cui culto è rimasto vivo nel mondo. Non ti
odiano, è solo una
tua impressione”.
“Mi
venerano e per venerarmi si
distruggono? Ma che razza di esseri ho creato?”.
“ABBIAMO
creato, ti correggo. Te lo
ripeto: possiamo intervenire. Una tua parola e sono certo che
tornerà tutto in
ordine”.
“Ne
vale la pena?”.
“Come?!”.
“Rispondi,
Ipalnemoa. Vale la pena
sprecare ancora tempo su delle creature simili?”.
“Certo
che sì. Ogni istante della
mia vita sarà dedicato a loro, anche se non credono
più in me e le mie parole
resteranno inascoltate dai loro cuori. Io sono la vita, Ogmios,
è ovvio che il
mio desiderio sia quello di farla proseguire”.
Ogmios
rimase in silenzio. Si
appoggiò allo schienale dell’imponente sedia dove
stava seduto e sospirò.
Pareva riflettere, o forse era deluso dalla risposta datagli da
Ipalnemoa.
“Non
è giusto che tutti questi
poteri vengano messi al servizio di creature tanto crudeli. Non li
meritano e
sono stanco di concederglieli” disse, poggiando entrambe le
mani sul tavolo.
Subito,
a quel tocco, una luce oro
iniziò ad espandersi, passando da un commensale ad un altro.
Ipalnemoa non capì
cosa stesse facendo ma ebbe la prontezza di alzarsi e non farsi
sfiorare da
quella luce. Gli altri presenti gridavano.
“Che
stai facendo?” urlò Ipalnemoa,
notando come nessuno riuscisse più a muoversi dal tavolo e
come la luce oro li
stesse circondando.
“Mi
riprendo ciò che è mio” si
limitò a dire Ogmios, poi chiudendo entrambi i pugni.
Quel
gesto arrestò lo scorrere
dell’energia oro e la stanza piombò nel buio. Il
signore della vita chiamò per
nome alcuni dei suoi colleghi, senza ricevere risposta. Ogmios aveva
assorbito
le loro capacità, lasciandoli del tutto privi di forze.
“E
adesso dove vai?” domandò
Ipalnemoa, vedendolo uscire dalla stanza.
“Anche
il cielo è roba mia” rispose
Ogmios, prendendo la via delle scale.
Prima
di far questo, si girò e
soffiò sulla mano, che ancora brillava d’oro. La
sala iniziò a bruciare, con il
signore della vita nel mezzo. Questi si guardò attorno,
spaventato. Doveva
riuscire a portare in salvo i suoi colleghi, anche se ormai privi di
capacità.
Ma il fuoco magico di Ogmios non era qualcosa che si poteva spegnere
tanto
facilmente e le sue scintille oro già toccavano molti dei
presenti. Tossendo,
spaccò una delle finestre. Le pareti stavano cedendo e
percepiva chiaramente le
vite attorno a sé spegnersi, una dopo l’altra.
“Che
succede?” domandò Tarhunt,
sentendo il baccano ed accorrendo in quella direzione.
Ipalnemoa
pensò in fretta. I due
che aveva di fronte, Tarhunt ed Adraste, avevano dentro di loro un
enorme
potenziale. Doveva fare una scelta e, se pur a malincuore, scelse di
salvare
loro due.
“Presto,
venite con me” parlò
saltando all’esterno.
“Dove?
Cosa succede?” domandò
Adraste.
“Non
c’è tempo per spiegare. Venite
con me. Fate presto”.
“Sì,
maestro” rispose Tarhunt “Ma
mio fratello? È al sicuro, vero?”.
“Reahu”
mormorò Ipalnemoa.
Lui,
insieme a Rashnu, era il
tassello più importante da preservare. Si girò
verso la casa. Onyame sarebbe
riuscito a cavarsela per il poco tempo che necessitava la vita per
salvare i
futuri signori. Li afferrò saldamente e guardò
verso l’alto. Una gran luce lo
avvolse ed apparve davanti al ponte di Cintvat. Chiamò suo
fratello, che lo
raggiunse in fretta.
“Cosa
ci fai qui? E chi sono questi
due?” chiese, appena apparve.
“Tieni
Rashnu qui, capito? Fino a
quando non te lo dirò io. E loro due restano qui”.
“Ma…che
c’è? La fine del mondo?”
parlò, confuso, Mantus.
“Non
lasciare che Rashnu torni a
casa, intesi? Per nessuna ragione. Fidati di me. e tieni anche questi
due
giovani al sicuro. Ora devo andare”.
“Che
catastrofe si sta creando,
fratello?”.
“Non
ho tempo per spiegare”.
Ipalnemoa
si dissolse, senza dire
altro, tornando a casa.
Nel
frattempo, Ogmios aveva
raggiunto la stanza di Onyame. Il signore del cielo aveva intuito
qualcosa dal
gran baccano che aveva sentito. Grida, urla, suppliche, ed ora suo
fratello
veniva verso di lui, carico di energia e con uno sguardo che mai gli
aveva
visto in volto prima d’ora. Non poteva scappare, non poteva
nascondersi. Che
senso aveva? Ogmios governava il mondo, lo avrebbe scovato ovunque.
Uscì dalla
camera di sua spontanea volontà, sperando che si
dimenticasse del suo unigenito
Reahu.
“Cosa
hai fatto?” domandò Onyame,
fingendo di non provare timore per colui che aveva di fronte.
“L’unica
cosa giusta. Questo mondo
non merita di continuare così”.
“Sono
d’accordo. Ma non credi ci
siano altri sistemi per riportarlo sulla strada giusta?”.
“Quando
qualcosa non funziona, ed
hai già tentato più volte di ripararla, allora
è tempo di gettarla via. Non
trovi, Onyame?”.
“Stai
parlando di vite umane, di
creature viventi, non di orologi a pendolo!”.
“Lo
sapevo che non avreste
compreso. Tu ed Ipalnemoa siete legati a questo mondo in un modo
innaturale,
quasi blasfemo per delle creature come noi”.
“Blasfemo?
Ma ti ascolti quando
parli?”.
“Tu
sei debole, Onyame. Hai dato
ascolto a quella stupida leggenda degli unigeniti ed hai dato al tuo
successore
molta più energia del dovuto, a mio avviso. Ora sei
scoperto, e lui non può
certo salvarti. Mi hai fatto un favore. Se avessi mantenuto tutta la
tua
energia, non avrei potuto ucciderti”.
“Uccidermi?!
Ogmios! Sono io, tuo
fratello! Perché vuoi uccidermi?”.
“Perché
voglio mettere fino a tutto
questo, e voialtri pilastri mi intralciate”.
“Ma
questo è sbagliato!”.
“Io
sono Ogmios, quello che faccio
è sempre giusto. Io sono la Giustizia”.
“Tu
sei pazzo. Pazzo e basta”.
“Appena
avrò finito con te, mi
occuperò del tuo caro figliolo e poi passerò a
Rashnu. Ad Ipalnemoa non resterà
un granché da fare e, per quel che mi riguarda, Mantus
può anche restare.
Quello non interferisce con la mia idea del futuro”.
“Ma
che ti è successo?”.
“Cosa
mi è successo? Ho visto
qualcosa di perfetto divenire meno di niente per colpa
dell’odio e della
guerra”.
“Ma
noi possiamo cambiare tutto
questo. Ogmios, noi possiamo…”.
“Non
possiamo niente! Sono io la
causa della guerra ed io la fermerò, a modo mio. Creature
che arrivano ad
uccidersi l’uno con l’altro per dimostrarmi di
essere gli unici degni del mio
amore è la cosa più insensata
dell’universo. Io li ho creati, ed io li
distruggerò. Tutti quanti”.
“Noi
li abbiamo creati, NOI! Non tu
da solo!”.
“Il
concetto non cambia”.
Stanco
di parlare, Ogmios allungò
una mano e scaraventò il fratello giù per le
scale. Onyame tentò di reagire, ma
i suoi poteri non erano sufficienti.
“Dovresti
amare ciò che hai creato”
mormorò il signore del cielo, rialzandosi a fatica.
“Ed
invece non è così. Provo
ribrezzo per quanto cammina per questo mondo”.
Senza
fare la minima fatica, lanciò
un altro attacco contro il fratello, che finì di nuovo a
terra.
“Morirai
questa notte, Onyame.
Rallegrati. Guarda che bella luna c’è nel
cielo”.
Onyame
la guardò. Si stava tingendo
di rosso sangue. Chiuse gli occhi. Era pronto a ricevere il colpo di
grazia.
“Fermati!”
gridò qualcuno,
dall’alto delle scale.
“Reahu!”
gemette, cercando in ogni
modo la forza per difenderlo.
“Ma
guarda un po’ chi c’è”
commentò
Ogmios, girandosi verso quella direzione.
“Perché
fai questo?” domandò il
futuro signore del cielo.
“Perché
è giusto così, ma non mi
aspetto che una pulce come te capisca”.
“Meglio
una pulce, piuttosto che un
viscido bastardo che tenta di uccidere il suo stesso
fratello”.
“Ma
quanto sei sfrontato, ragazzo.
Qualcuno dovrebbe proprio insegnarti a tenere la bocca chiusa. E quel
qualcuno
sono io. Te la farò chiudere per sempre”.
Reahu
indietreggiò. Quell’uomo, a
cui aveva giurato fedeltà, non era più lo stesso.
O forse era quella che mostrava
ora la sua vera natura? Ogmios sferrò il suo attacco,
lanciando un raggio oro
verso Reahu. Questi non ebbe altra alternativa se non correre, mentre
sotto di
sé il corridoio e le scale crollavano, colpite da quella
magia. Volò
nell’ultimo tratto, schivando per poco
quell’energia.
“Sei
veloce, ma questo non ti
basterà” commentò Ogmios, osservando
divertito Reahu, che nel frattempo si era
messo con i piedi contro il soffitto e guardava giù.
Era
leggermente rannicchiato,
pronto a saltare.
“E
sei pure testardo. Perché non ti
arrendi?” continuò il padrone di casa.
“Se
devo crepare, fammelo fare come
desidero” si limitò a dire Reahu.
Ogmios
caricò un altro colpo ma non
riuscì a sferrarlo, perché qualcosa di bianco ne
avvolse braccia e collo,
facendolo indietreggiare. Infastidito, mosse entrambe le braccia in
avanti ed
apparve Ipalnemoa all’altro capo di quei lunghi nastri
bianchi.
“Maestro”
mormorò Reahu, vedendolo.
Indossava
l’armatura della vita,
cosa che non aveva mai fatto prima. Tirò indietro le
braccia, indurendo quel
legami che strinsero forte le braccia di Ogmios.
“Che
roba è mai questa?!” sbottò il
padrone di casa.
“La
vita è frutto di un legame,
come sono queste mie corde”.
“La
vita è soffocante?” domandò
ancora Ogmios, notando come pure il suo collo fosse intrappolato.
“A
volte” si limitò a dire
Ipalnemoa, tirando ancora.
Ogmios
reagì ed Ipalnemoa fu
sbalzato in aria. Saltò e si rigirò, richiamando
a sé i nastri. Li allungava e
li stringeva a suo piacimento, ed in quel caso fu costretto a
stringerli per
non spezzarli.
“Cosa
credi di fare, Ipal?”.
“Tutto
il possibile per fermarti”
fu la risposta, accompagnata dallo schiocco di una frusta bianca.
Reahu
non sapeva cosa fare. I due
iniziarono ad affrontarsi e subito vide aprirsi ferite su di loro e li
sentì
gridare di dolore e rabbia. Nel frattempo, Onyame rimaneva immobile,
avvolto
dall’armatura di veli che lo stava proteggendo. Aveva gli
occhi chiusi e la
testa reclinata all’indietro. Che fosse morto? Reahu fece per
muoversi quando
vide, con sollievo, che Mantus era apparso sulla soglia di casa. Il
signore
della morte guardò con orrore ciò che era
successo in quel luogo, percependo le
anime di quelli che si erano spenti.
“Onyame!”
lo chiamò, chinandosi sul
collega ferito.
“Proteggi
mio figlio” mormorò il signore
del cielo, senza muoversi e senza aprire gli occhi.
Mantus
guardò in alto. Reahu era
rimasto sul soffitto. Brillava di luce azzurra. Onyame gli stava
trasmettendo i
poteri, e probabilmente il ragazzo nemmeno se ne accorgeva.
“No!”
gridò Ogmios, notando la cosa
e scagliando una sfera oro contro Reahu, che fu costretto ad
interrompere il
processo e saltellare altrove il più in fretta possibile.
“Non
preoccuparti, Onyame” parlò
Mantus “Non lascerò che sia lui a prendere il tuo
potere!”.
Reahu
era giovane ed inesperto,
troppo per ricevere tutta l’energia del padre, ma Ogmios non
doveva averla.
L’unico modo che conosceva Mantus per impedirlo era legare il
potere all’anima.
Onyame sorrise. Il suo sangue scorreva via, così come la sua
vita. Guardò per
un’ultima volta il suo prezioso figlio e poi si
lasciò morire, sicuro che
Mantus sapesse cosa fare. Il signore della morte chinò il
capo. Per un istante,
gli tornarono in mente cose a cui non pensava da tempo. Si
ricordò bambino, si
ricordò giovane. Guardò Ogmios. Come poteva
essere cambiato tanto? Gridò,
concentrando tutto il suo potere, permettendo all’anima di
Onyame di legarsi al
suo ruolo. Così facendo, solo lei avrebbe potuto cedere le
sue capacità, a chi
voleva, quando riteneva fosse giusto. Un giorno, Reahu sarebbe stato
degno di
ricevere interamente quel potere ed allora il signore del cielo glielo
avrebbe
donato. Il padrone di casa non gradì per niente quel gesto.
La magia del cielo
intrappolata in un’anima azzurra, con nessuna
possibilità di recuperarla?
“Mantus!”
gridò “Traditore!”.
Ipalnemoa
approfittò di quella
distrazione e tornò a legarlo stretto, questa volta con
ancora più nastri, che
si irrigidirono all’istante. Alcuni di essi iniziarono a
creare un disegno e
Mantus intuì cosa il fratello avesse in mente di fare.
Saltò, afferrando Reahu
e coprendolo dall’immensa luce che il signore della vita
creò. Avvolse ogni
cosa, con il suo bianco intenso. Reahu riuscì a guardare.
Ogmios lo indicò,
minaccioso.
“Se
parlerai di questo giorno, ti
strapperò con i miei stessi artigli la parte mancante della
tua misera anima”
ringhiò.
Mantus
coprì di più Reahu ed attese
che la luce si dissolvesse. Quando ciò avvenne, Ipalnemoa
era al centro della
stanza. Era stanco, lo si vedeva, e lasciava ricadere i nastri bianchi
in
terra, senza avere sufficiente forza per irrigidirli di nuovo. Si
guardò
attorno. La casa era intatta, senza alcun segno di lotta. Il signore
della vita
ebbe un attimo di confusione. Dovette concentrarsi per recuperare i
suoi
ricordi. Come ultimo gesto prima di venir sigillato da Ipalnemoa,
Ogmios aveva
tentato di cancellare quanto successo, riportando la casa
all’aspetto originale
ed interferendo con le memorie. Con la mente di vita e morte, quel
tentativo
fallì. E pure con Reahu, che con la sua parte di anima
mancante era immune da
certe macchinazioni. Si accorsero subito, però, che non era
stato per tutti
così. Tarhunt ed Adraste, che avevano visto la dimora in
fiamme ed i loro colleghi
morti, non avevano alcun ricordo di questo e, quando tornarono in quel
luogo,
si comportarono come se nulla fosse. Rashnu, che aveva udito il
racconto dei
due superstiti, lo aveva anch’egli dimenticato.
“Dove
sono tutti?” domandò, appena
arrivato “Dov’è mio padre?”.
Ipalnemoa
provò a spiegargli quanto
successo, ma qualcosa gli impediva di dire la verità.
“È
scomparso” riuscì solo a dire
“Siamo rimasti solo noi”.
Del
resto, anche se avesse potuto
parlare, come avrebbe potuto farsi capire? Come poteva pretendere che
Rashnu
credesse alle sue parole? Non vi erano corpi e la casa era intatta,
perfetta.
Perfino le sue ferite si erano rimarginate.
“Sparito?”
ripeté Rashnu, con
grandi occhi impauriti e tristi.
Reahu
provò un grande dolore per
quel ragazzo. Si vedeva che provava affetto assoluto per il suo
genitore, e
pareva smarrito senza di lui.
“Ed
Onyame? E gli altri?”.
Ipalnemoa
e Mantus scossero il
capo, senza sapere cosa dire. La verità erano
impossibilitati a raccontarla e
non trovavano altre spiegazioni, se non quello di dire che non lo
sapevano.
“Siamo
rimasti noi” parlò Mantus
“Noi soltanto. Ma non preoccuparti. Riusciremo ad occuparci
di tutto, insieme”.
“Solo
noi? Ce la faremo?”.
“Ma
certo, vedrai”.
“Finché
loro non torneranno,
giusto?”.
“Giusto”.
Rashnu
guardò Reahu, che rimaneva
impassibile ed apparentemente indifferente.
“A
quanto pare a te toccherà
occuparti del cielo prima del previsto” commentò
Rashnu.
Reahu
non parlo. Le stelle ancora
piangevano il loro signore e si stupì
dell’incapacità di Rashnu di notarlo. Si
limitò ad annuire.
“Dove
sono le anime?” domandò Mantus
al fratello, quando gli altri si furono sufficientemente allontananti.
“In
un posto sicuro, tranquillo”
rispose Ipalnemoa, senza incrociare il suo sguardo.
“Io
mi prenderò cura di questo
mondo” parlò Rashnu, rivolto all’ala ora
sigillata del padre “E di tutte le sue
creature, così come mi è stato
insegnato”.
Pareva
che il potere di Ogmios
rendesse accettabile quella situazione agli occhi del nuovo padrone di
casa, ed
i pochi consapevoli di ciò che era realmente accaduto non
sapevano come
cambiare la cosa. Forse era meglio così, conclusero.
“Hai
fatto quel che hai fatto
credendo alla storia degli unigeniti, vero?” parlò
ancora Mantus.
“Ho fiducia in
Rashnu” rispose Ipalnemoa “Così
come credo nel potere di Reahu”.
“Perciò
immagino che ora tocchi a
noi due passare alla generazione successiva”.
“Sapremo
quando sarà il momento”.
“Lo
credi davvero?”.
“Voglio
crederci”.
Ipalnemoa
se ne andò una sera
d’inverno, senza parlare al nuovo, piccolo, gruppo di
abitanti della casa.
C’era una creatura da cui però non riusciva mai a
nascondersi e quella creatura
era Reahu.
“Dove
ve ne andate con questo
freddo e con il buio?”domandò l’allievo.
“Non
ho alternative, Reahu” parlò
Ipalnemoa.
Con
i capelli arancio mossi dal
vento, si voltò verso il suo allievo e gli sorrise.
Assomigliava sempre di più
a Onyame.
“C’è
una persona che ha bisogno di
essere controllata più da vicino”spiegò.
“Ogmios?
È Ogmios, vero, colui che
devi controllare da vicino?”.
“Sì,
Reahu, e ti consiglio di
abbassare la voce”.
“Ma…”.
“Non
solo per lui. Per me è ora di
trovare la Madre. Un giorno mio figlio abiterà questa casa e
tu lo vedrai, mio
allievo”.
“Non
mi interessano i figli degli
altri. E non te ne puoi andare per un motivo del genere!”.
“Fidati
di me. Faccio la cosa
giusta e tornerò. Vivrò di nuovo in questa casa.
E, se non sarò io a farlo, ci
sarà qualcun altro che avvererà questa mia
promessa per me”.
Reahu
non disse altro. Lo vide
allontanarsi. Ufficialmente, per il resto della casa, era partito alla
ricerca
di Ogmios. Non sarebbe mai più tornato.
“Eccoti,
finalmente” ghignò Ogmios.
Dopo
più di un secolo di prigionia,
Ipalnemoa era stato costretto a raggiungerlo, per impedirgli di
fuggire. Il suo
potere era aumentato, a differenza di quello della vita che con la
guerra non
faceva che affievolirsi.
“Chiudi
la bocca” sbottò Ipal.
I
due si trovavano in una specie di
bolla, lontana dallo spazio e dal tempo, da cui ad Ogmios non aveva
modo di
uscire. Lo fissò, mantenendosi a distanza di sicurezza.
“In
te c’è qualcosa di diverso,
Ipalmenuccio. Hai forse donato parte del tuo potere?”.
Il
signore della vita storse il
naso. Come se n’era accorto? Il processo di passaggio era
appena iniziato, su
suo figlio che era solo un bambino. Una così lieve
variazione, come riusciva a
percepirla?
“Ti
sbagli” mentì la vita “Sono
solo stanco, per colpa di questa guerra di merda”.
“Ma
non eri tu quello che doveva
porvi fine?”.
“La
gente crede in te, pazzo
furioso, e modifica i suoi comportamenti solo in base a ciò
che dici tu. A me
nessuno dà ascolto. Ma, comunque, vedrai che
riuscirò nel mio intento. In un
modo o in un altro, questa guerra finirà”.
“Buona
fortuna”.
Ipalnemoa
lo ignorò, quando questi
scattò e lo afferrò saldamente per il collo.
“Sono
stato il tuo burattino per
troppo tempo, Ipal. Ora è giunto il tempo di scambiarci i
ruoli”.
Il
signore della vita lottò con
tutte le sue forze per non farsi soggiogare. La nube nera che avvolgeva
Ogmios
ora si stava espandendo e lo stava intrappolando. Quando lo
lasciò ricadere in
terra, Ipalnemoa aveva i capelli completamente bianchi e lo sguardo
vuoto.
Ogmios, non in grado di uscire da quello spazio, usò
Ipalnemoa come suo
tramite. Riuscì facilmente a farlo divenire signore degli
stregoni, prendendo
così fra le mani il futuro della guerra. Il signore della
vita, dal canto suo,
risparmiò le energie. Non si ribellò, si
lasciò soggiogare, mantenendo a tratti
quella poca lucidità necessaria a fargli trasmettere
gradatamente il potere
della vita al suo successore Ihanez, che cresceva ignaro di tutto.
Il
resto della storia i presenti al conoscevano. Ogmios aveva controllato
eserciti
e signori della guerra, sperando nello sterminio totale. Una volta che
Ipalnemoa si era spento, anche il sigillo si era spezzato ed era
riapparso al
mondo fisicamente. Reahu e Clio si guardarono, per un attimo con il
colore
degli occhi invertito l’uno con l’altro. Ora tutti
sapevano. Era sceso il
silenzio. I monoclasse, risvegliatasi con quelle visioni, erano
confusi.
“Dunque
è questa la realtà” parlò
Veda, interrompendo il mutismo della folla che si era
creato “Tutto questo è avvenuto perché
ci detesti”.
Si
rivolgeva direttamente ad Ogmios, cosa che lasciò
sconcertati molti dei
presenti.
“Io
non vi detesto” parve giustificarsi Ogmios “Ma
siete stati creati con la
possibilità di essere perfetti, collaborando fra di voi. Ed
invece guardatevi!
Siete tutti fratelli, eppure vi ammazzate a vicenda. Litigate di
continuo”.
“I
fratelli litigano, non lo sapete? Quando era piccola, mi capitava
spesso di
litigare con mio fratello Gudis ma, la sapete una cosa? Colei che ci
aveva
messi al mondo, che ci aveva creati, interveniva sempre. Ci faceva
smettere,
rimproverandoci e spiegandoci come risolvere la questione.
Può accadere che un
figlio smarrisca la strada e commetta degli errori, ma non per questo
un
genitore può permettersi di abbandonarlo”.
“La
questione è completamente diversa”.
“No,
non lo è”.
Calò
di nuovo il silenzio. Ogmios, dall’alto, guardò
tutti, come a chiedere cosa
avessero in mente di fare adesso.
“Un
dio è colui in cui la gente crede, Ogmios. E ora la gente ha
paura” parlò,
lentamente, Reahu.
“La
paura è un sentimento stupido, che rende deboli. Se provano
questo, sono la
prova che hanno bisogno di un dio. Hanno bisogno di me”
sbottò l’interpellato.
“Giusto”
annuì Rashnu “Hanno bisogno di un dio. Ma quel dio
non sei più tu”.
Ogmios
rise. Ancora quel ragazzo non aveva capito che le loro energie non
potevano
equipararsi. Protese un braccio verso il figlio e si udì un
fortissimo ululato.
I lupi più grossi di Rashnu, con quel gesto di Ogmios si
stavano preparando ad
attaccare il proprio padrone. Rashnu indietreggiò. Non
voleva fare male a
quelle bestie. Inutile sperare di saltellare fra le mezzelune,
perché lo
avrebbero seguito. Ed inutile tentare di alzarsi di nuovo in volo,
perché suo
padre aspettava proprio quell’atto, pronto a colpirlo. Con le
spalle al muro,
trovò disgustoso che proprio coloro che per secoli lo
avevano protetto stessero
per sbranarlo. Chiuse gli occhi ma poi, non udendo alcun suono se non
un
ringhiare minaccioso, li riaprì. La sua magnifica lupa
bianca lo stava
difendendo. Lei era libera dal controllo di Ogmios, perché
dentro di lei
risiedeva la forza della vita. Ihanez allungò le braccia,
evocando i lunghi
nastri bianchi della sua armatura, ed avvinghiò uno dei lupi
aggressivi. Rashnu
aveva ordinato di non intervenire allo scontro fra lui e suo padre e
quindi
quegli animali non rientravano in quell’ordine. Reahu
capì e si dedicò ad
un'altra di quelle bestie, usando allo stesso modo l’armatura
e richiamando a
sé il lupo prescelto. L’unione fra Nirriti e
Nirrita si dedicò all’ultimo lupo
rimasto, salendogli in groppa in un gesto decisamente temerario date le
notevoli dimensioni della creatura. Una volta catturati, i pilastri
usarono i
loro poteri per svincolarli dal controllo di Ogmios. Appena ne furono
liberi,
il loro pelo mutò di colore. Reahu fissò con
leggera ilarità il lupo blu che
ora lo fissava con affetto. Poi il suo sguardo incrociò
quello di Rashnu.
“Non
arrenderti” gli disse Ihanez, facendo allontanare il lupo
appena divenuto bianco.
“Non
lo farò” rispose Rashnu.
Ogmios
stava di nuovo caricando il suo colpo migliore. Il figlio lo
fissò. Benissimo.
Se era questo ciò che voleva, lo avrebbe avuto. Si
preparò a far lo stesso. Non
importava se suo padre aveva dimostrato di essere il più
forte. Non si sarebbe
lasciato uccidere tanto facilmente.
“Reahu!
Sai come trasmettere l’energia da uno di noi ad un
altro?” domandò Veda.
“Mentre
entrambi sono in vita, intendi?” rispose lui, fissando
preoccupato i due
sfidanti.
“Sì.
Sento una forza straordinaria dentro di me, come mai prima
d’ora. Ti prego,
trasmettila a Rashnu. Donala all’uomo che amo”.
Il
signore del cielo la guardò. In effetti, attorno a Veda, si
era creato un alone
di luce intensa, che si faceva sempre più forte. Che stava
succedendo? Cos’era
quella luce? Ad ogni modo, doveva trasmetterla a Rashnu. Da solo,
però, non
poteva farlo.
“Ihanez!
Figli di Mantus! Venite un po’ qua ad aiutarmi”
ordinò.
“Ma
io non ho mai fatto una cosa del genere!” protestò
Ihanez.
“Perché,
io sì? Non ti lamentare e datti da fare!”.
In
teoria, la cosa era semplice. Bastava prendere la magia di Veda e
spedirla a
Rashnu. Senza che Ogmios la intercetti, senza toglierne troppa da chi
l’aveva
dentro di sé per non ucciderla e senza disperderla. Il tutto
prima che i due
combattenti si scagliassero addosso quel colpo. Semplice.
I
tre si mossero all’unisono, così come si mosse
Rashnu. Fra i resti della torre
si alzò un grido unisono, di Rashnu, Ogmios, Veda, Ihanez,
Reahu e l’unione dei
figli di Mantus. Le campane dei pilastri suonarono nella loro dimora,
come
animate dall’energia dei loro padroni. Quella di Ogmios si
unì. Il loro suono
si udì per il mondo intero.
“La
tua campana la farò tacere!” gridò
Rashnu, percependo l’enorme energia di Veda
che lo avvolgeva, in un mescolarsi di luci e voci.
Era
la fede. Il credo di coloro che ora pregavano per l’unigenito
figlio di Ogmios,
il cui attaccò riuscì a respingere quello del
padre. Lo scontro fra i due colpi
creò un’onda d’urto gigantesca, che
distrusse completamente la torre,
lasciandone solo pochi sassi. Rashnu era avvolto da quella luce
energetica e,
quando si affievolì, mostrò a tutti che indossava
l’armatura completa di suo
padre.
La
terra tremava ancora un po’, la campana di Ogmios era caduta
e lui era rimaneva
immobile, incredulo, a fissare suo figlio. Entrambi a terra, senza
più volare,
rimasero fermi in silenzio mentre la polvere sollevata si diradava. Gli
altri
pilastri si erano concentrati per difendere tutti i presenti da
quell’onda
magica. Reahu si era alzato in volo, creando un’onda
contraria. Ihanez,
evocando una barriera di molti colori, aveva protetto chi aveva
accanto.
L’unione di Nirrita e Nirriti si era riparato dietro il
roteare della falce. Ma
quell’energia era molta e furono costretti a mandare tutti a
terra, per poterli
salvare. Ora solo Rashnu e Ogmios erano in piedi e si fissavano. La
luce del
figlio era accecante e la forza che emanava superava di parecchio
quella del
padre. Ogmios, incredulo, non trovava le parole. La sua armatura era
interamente
sul suo erede.
“Largo
alla nuova generazione” si limitò a dire Rashnu,
allungando le dita verso il
genitore.
Questi
nemmeno se ne accorse. Era debole, tutto ad un tratto. Cadde in avanti,
avvolto
dalla notte che ormai era calata. La corona, l’oggetto in oro
che lo
distingueva da ogni suo sottoposto, scivolò via dalla sua
capigliatura bianca e
rimbalzò più volte. Reahu, alzandosi, la raccolse
e la porse a Rashnu, con un
inchino. Questi scosse il capo, rifiutandola. Il signore del cielo non
capì e
lo fissò, mentre si riprendevano i monoclasse ed i colleghi
presenti.
“Non
ci saranno re nel mio mondo” spiegò Rashnu
“Non sarò il vostro capo. Saremo
principi. Insieme, alla pari, saremo i principi di questo
universo”.
Era
sfinito il figlio di Ogmios, così come erano stanchi tutti
gli altri. Nirriti e
Nirrita si divisero, ora che la battaglia pareva finita. Ihanez si
assicurò che
entrambi i suoi fratelli stessero bene. Clio corse ad abbracciare Reahu
e
Rashnu. Guardandosi attorno, però, si accorsero che i
monoclasse si fissavano
con odio, forse pronti ad affrontarsi di nuovo.
“Ma
che combinate?!” sbraitò Gudis, salendo su delle
macerie in pietra “Non posso
crederci! Nonostante tutto quello che avete visto e sentito, ancora
volete
combattervi?! Ma non vi è chiaro che la classe migliore non
risiede fra
stregoni, scienziati e guerrieri, ma fra coloro che ci hanno appena
salvati?
Questa guerra è nata per stabilire chi fra di noi fosse il
più potente ed il
più amato da Ogmios. Non trovate che sia assurdo adesso
combattere per
questo?”.
Nessuno
aveva il coraggio di ribattere a quelle parole.
“Parole
sagge le tue, Gudis” concordò Rashnu.
“Ma
come possiamo convivere?” protestò uno stregone.
“Lo
avete sempre fatto, che mi risulti, fino a duecento anni fa”
continuò il figlio
di Ogmios “Potete benissimo tornare a vivere come
all’ora. Siete stati creati
per completarvi a vicenda. Insieme, potete vivere in un mondo
splendido. Se
ogni classe usasse il massimo delle proprie capacità per il
bene comune e non
per ottenere la supremazia, allora sareste tutti più felici.
Non volete un
futuro di pace, per i vostri figli? È insensato combattere
per stabilire chi è
più forte, perché nessuna delle classi
è nata per prevalere sull’altra.
Perciò,
per favore, smettetela. Noi giuriamo di dare il meglio di noi, come
signori del
mondo, e vorrei davvero tanto che anche voi classi faceste lo
stesso”.
“Voi
avete sconfitto il nostro capo” si fece avanti uno stregone
anziano,
rivolgendosi ad Ihanez, che trattenne il fiato ripensandoci
“Perciò di fatto siete
voi ora che ci guidate. Che pensate di fare?”.
“Io
non posso essere il vostro capo” rispose il signore della
vita “Il mio ruolo
non è quello. Ma se posso io comandarvi di non fare
più la guerra, allora è ciò
che farò”.
Il
capo dei guerrieri, guida dei soldati entrati in quella torre, fece un
passo
verso lo stregone anziano, allungando la mano. Lo strano sguardo che si
scambiarono, lasciò perplesso Rashnu che intervenne. Prese
le mani di entrambi
e le fece congiungere. Un lampo di luce le circondò, per
qualche secondo, ed i
sue rappresentanti di classe si sorrisero. Ora mancava solamente il
consenso
del capo degli scienziati per avere la pace. Rashnu respirò
lentamente e,
socchiudendo gli occhi, si rilassò. Sarebbe intervenuto
personalmente, nel caso
ci fossero stati intoppi nelle trattative.
“Signore”
lo chiamò Petbe.
Rashnu
quasi si stupì nel vederlo lì.
“Signore,
ho un favore da chiedere, se è possibile”.
“Chiedi,
Petbe”.
“Io
non voglio più essere il signore della vendetta. Voglio
rinunciare al mio potere”.
“Rinunciarvi?
O preferiresti modificarlo?”.
“Lo
posso fare?”.
“Questo
mondo ha bisogno di speranza, Petbe. Vuoi tu essere il signore della
speranza?”.
Il
ragazzo non rispose subito, non aspettandosi una proposta simile. Poi
chinò il
capo, sorridendo, mentre la sua luce mutava per divenire da grigia a
verde.
“Andiamo”
riprese Rashnu “C’è ancora una faccenda
da sbrigare”.
Tutt’attorno
a lui ed ai suoi colleghi, le anime di coloro che erano caduti. Quella
di suo
padre tentava disperatamente di rimpossessarsi del suo corpo. Rashnu
chiamò i
suoi lupi.
“Non
lasciate traccia di lui” ordinò, sapendo che non
c’erano molti altri sistemi
per impedire alla volontà di Ogmios di tornare.
Lasciò
le creature al loro pasto, e richiamò con un gesto tutte le
anime a sé. Quella
di suo padre era enorme, argentea, e si dimenava infastidita. Ma Rashnu
la
tenne stretta. Insieme, circondati dai lupi, il gruppetto di abitanti
della
casa si diresse verso il regno dei morti. In silenzio, ognuno guardando
chi
aveva perso nello scontro, camminarono fino al ponte Cintvat. Tarhunt
lanciò
un’ultima occhiata al fratello, prima di attraversarlo,
assieme alle altre
anime. L’ultima fu quella di Ogmios, alla quale fu riservata
una zona apposita
degli inferi, per evitare problemi. Ihanez ed il padre si sorrisero ed il nuovo
signore della vita ebbe
un’idea. Si voltò verso Reahu per qualche secondo,
dirigendo anche verso di lui
un sorriso, e si diresse convinto verso il regno dei morti.
“Che
fai?” domandò Veda.
“Torno
subito” fu la risposta.
Reahu
e Rashnu si fissarono. Erano più avanti rispetto al resto
del gruppo. Nirriti e
Nirrita si erano congedati e stavano rientrando a casa. Clio, Veda e
Petbe
stavano più indietro, in silenzio. Ihanez riapparve dalle
tenebre con una forte
luce fra le mani. Era una sfera, che lentamente prendeva forma e si
affievoliva, man mano che il signore della vita avanzava.
“Reahu”
chiamò “Più volte mi sono chiesto come
ringraziarti di tutto ciò che hai fatto
per me in questi anni, come mio maestro, ed ora l’ho capito.
Vieni”.
Clio
sobbalzò. Che Ihanez avesse… Chinò il
capo. Era felice per Reahu, anche se
questo significava perderlo. Il signore della vita attese che il
signore del
cielo lo raggiungesse, sul confine fra i due mondi, per scostare la
mano e
svelare due enormi occhioni chiari. Reahu ricambiò lo
sguardo, perplesso, senza
capire del tutto. Quella piccola creaturina chi era? Con un ciuffo blu
che
ricadeva su quel nasino da neonato, incrociò gli occhi del
signore del cielo.
“È
una bambina” spiegò Ihanez “È
tua”.
“Mia?”.
“La
nuova vita che tu ed Alinn aspettavate. Non avendo mai avuto un corpo
nel mondo
dei vivi, ho potuto crearglielo io”.
Reahu
rimase momentaneamente senza fiato e poi sorrise. L’allievo
praticamente
obbligò il maestro a prendere in braccio la neonata. Nessuno
alle loro spalle
aveva capito quel che era successo. Il signore del cielo, avvolgendo la
piccola
nei veli dell’armatura e sempre stringendola a sé,
si girò e camminò verso i
colleghi. Passò oltre a Rashnu, che sorrise, intuendo
l’accaduto, e proseguì
verso Petbe, Veda e Clio. Si inginocchiò davanti a
quest’ultima, che sobbalzò
ed arrossì.
“Un
bambino?” mormorò, vedendo ciò che
Reahu stringeva fra le braccia.
“Bambina.
La mia. Ti piace?” sorrise lui.
“È
magnifica”.
“Ma
ha bisogno di una madre”.
“Già”.
“Clio,
mi faresti l’enorme onore di prenderti cura di noi due?
Abbiamo entrambi
bisogno di te, e sono certo che lei ti amerà tanto quanto io
ora amo te”.
Clio
rimase immobile, portandosi le mani alla bocca per lo stupore. Poi si
inginocchiò ed abbracciò il signore del cielo,
ripetendo “Sì” per almeno una
decina di volte.
“Grazie”
mormorò Reahu, sentendo il viso rigarsi di lacrime per la
prima volta dopo
quasi duecento anni, ripensando a tutto ciò che aveva perso
ed ottenuto.
Rashnu
guardò Ihanez, limitandosi a dargli un colpetto sulla
spalla. Era strana quella
notte. Non si sapeva se gioire o piangere, soffrire o ridere. Ognuno di
loro
aveva perso qualcuno, ognuno di loro aveva un motivo per star male. Ma
avevano
anche posto fine ad una guerra. Si guardarono fra loro. Non sapevano
bene come
reagire, ma sapevano dove guardare: alle loro spalle, il Sole del nuovo
mondo
stava sorgendo.
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Capitolo 16 *** XVI- Inferno e Paradiso ***
XVI
INFERNO
E PARADISO
“Papà,
alzati!” ordinò la bambina, piombando sul letto
del genitore con un salto
lanciato e finendogli con i piedi sulla schiena “Sono
già tutti di sotto”.
Reahu,
il padre in questione, mugugnò e gemette, senza far
fuoriuscire il capo dal
cuscino in cui era sprofondato. Cosa serviva urlare tanto?
“Dai,
sbrigati!” insistette la bimba, tirandolo per un braccio.
Aveva
sette anni e, com’era tipico della sua età, non
capiva il desiderio del
genitore di restare a dormire. Ma capì che tirarlo era
inutile. Quel pelandrone
non si sarebbe mosso. Sbuffò.
“Manchi
solo tu!” urlò.
“Sono
certo che non è così”
biascicò il signore del cielo, rigirandosi come un
tricheco in spiaggia.
Lo
sguardo della sua piccola era accigliato. La trovò buffa, e
ridacchiò.
“Non
c’è niente da ridere!” si offese la
bimba “Io e la mamma siamo sveglie da ore”.
Reahu
rotolò di lato di nuovo. Effettivamente, Clio non era
lì a dormire al suo
fianco.
“Muoviti,
muoviti, muoviti!” insistette la bimba “O lo dico a
zio Ihanez”.
“Tremo
di terrore al sol pensiero” ghignò il padre, e la
piccola tornò a saltargli
sulla schiena.
Il
signore del cielo, giunto allo sfinimento, si arrese
all’evidenza. Si doveva
svegliare e basta. Strisciò giù dal letto,
avvolto dalle lenzuola.
“Sei
inguardabile” notò la figlia, alzando un
sopracciglio.
Con
i capelli spettinati e le occhiaie, Reahu non se la sentì di
darle torto. Ma
del resto non aveva ordinato lui la sveglia ad un orario poco
congeniale. Si
preparò senza troppa cura ed entusiasmo, lasciando la camera
a passi
strascicati. Sbadigliando, notò che in effetti molti
abitanti della casa erano
svegli e fermi in quella che un tempo era l’ala dedicata al
padre di Rashnu.
Ora quello spazio era una sorta di ampio corridoio che accumunava le
quattro
torri dei quattro pilastri. Nirrita occupava quella nera, mentre la
sorella
Nirriti risiedeva agli inferi di sua volontà. Reahu
fissò Ihanez, tutto
sorridente sulla soglia della sua torre bianca. Al suo fianco, Lahar e
la loro
bambina Alinn, di qualche anno più giovane
dell’unigenita di Reahu, alla quale
aveva dato il nome di Hennay. Si salutarono con un gesto della testa,
non
potendosi parlare da un capo all’altro della piccola folla
riunitasi. Erano le
campane a festa di Rashnu ad averli richiamati lì, e quasi
tutti sapevano il
perché. Fra loro, Ihanez notò Gudis, divenuto
signore degli scienziati, e si
fece strada per raggiungerlo. Ovviamente, gli abitanti si scansarono
non appena
lo videro muoversi. Gesto che il signore della vita non aveva mai
preteso, ma
che era sempre accaduto. I due fratelli si abbracciarono, iniziandosi a
raccontare varie cose successe e ridendo. Aer ed Aura, risvegliatasi
rispettivamente come signori della vittoria e delle armi, stavano
accanto a
Petbe, il loro maestro. Thesan, signora dell’aurora, era
riuscita nel suo
intento, divenendo la compagna di Egres e sorrideva felice, salutando
l’appena
svegliato Reahu.
Che
atmosfera strana, si ritrovò a pensare il signore del cielo.
Ancora non
riusciva ad abituarvici. Era stato così immerso nella guerra
fin da giovane,
che tutti quei sorrisi lo mettevano a disagio e si chiedeva come mai
gli altri
non provassero la stessa sensazione. Forse perché lui,
nonostante la bambina e
Clio, ci aveva messo un po’ per placare quel senso di vuoto
che la morte del
fratello aveva lasciato nel suo animo. Ihanez si era trovato immerso
nel senso
di colpa, per aver ucciso il padre, ed era stata Lahar, la sua attuale
compagna, a fargli capire che non doveva vedere le cose in quel modo.
Rashnu,
dal canto suo, era assolutamente certo di aver fatto l’unica
cosa possibile, la
cosa giusta. Reahu si chiedeva spesso se era davvero solo lui a
pensarla
diversamente, e si chiedeva il perché lo facesse.
Perché avere dubbi? La guerra
era finita, la gente era felice, la sua famiglia al sicuro. Ma a volte,
ripensando a tutto ciò che era stato costretto a subire, una
voce nella mente
gli diceva che parte del pensiero di Ogmios non era scorretto. Si
scosse. La
sua bimba voleva essere presa in braccio, per non perdersi fra la
gente. Clio
era lì, e lo salutò con un “buongiorno
pigrone”.
“Non
sono un pigrone” ghignò “Io lavoro,
sai?”.
“Lo
so, lo so. Scherzavo”.
“Lo
so”.
“Allora,
stellina, sei pronto?” domandò Ihanez,
trullallando allegramente per la sala e
facendo spostare gli altri a suo piacimento.
“E
per che cosa?” domandò Reahu.
“Oh,
lo sai! Sai perché siamo qui”.
“Ovvio,
ma non sono io quello che dev’essere pronto. Io ho
già dato”.
“Tutto
merito mio. La tua bambina, è tutto merito mio”.
“Se
non ricordo male, sono stato io a far sì che fosse
concepita”.
“Sì,
ma poi a tutto il resto ho pensato io”.
“Ma
non penso proprio!”.
“Il
tuo lavoro è stato minimo, amico”.
“Ma
senti questo…”.
“Che
intende dire, papà?” domandò la piccola
del cielo, sulle spalle del padre e con
le mani immerse fra i suoi capelli blu.
“Niente”
si affrettò a dire Reahu, trovando inopportuno parlare di
concepimento ad una
bambina di sette anni.
“Mai
pensato di averne un altro?” riprese Ihanez.
“Senti,
tizio della vita, una come lei vale per otto. Fa tanto di quel casino,
che mi
sembra di essere il padre di un esercito, non di una creatura
sola”.
“Che
esagerato”.
“Fanne
tu di altri. La vita la rappresenti tu, non io”.
“Ci
stavamo proprio pensando, ma dobbiamo riflettere. Non so se un secondo
figlio
possa in qualche modo interferire con la faccenda degli
unigeniti”.
“Le
decidiamo noi le interferenze, no? Decidiamo del destino del mondo e
non del
nostro?”.
“Ti
do ragione”.
“Papà”
chiamò Hennay “Dov’è zia
Veda? E zio Rashnu?”.
“Arrivano
subito, tranquilla. E, Ihanez, a proposito di figli, dovresti andare a
rompere
le scatole a Nirriti e Nirrita, non a me!”.
“Ma
loro sono giovani ancora”.
“Non
è vero! Tu sei più giovane di loro”.
“Sì,
è vero, ma mamma diceva sempre che ero frettoloso”.
Si
guardarono e risero. La porta della torre oro si stava aprendo e Rashnu
faceva
capolino, quasi timidamente, sovrastando i presenti per pochi scalini.
In
braccio, stringeva un esagitato mucchietto di stracci che si dimenava
come un
gattino.
“Vivace,
la creatura” mormorò Gudis “Come sua
madre”.
Rashnu
scostò un po’ quegli stracci, mostrano uno sguardo
chiaro ed un ciuffo di
capelli verdi che già tentavano di imitare la tipica forma a
palma di quelli di
Rashnu.
“Una
femmina” parlò proprio Rashnu
“È una femmina”.
Figlia
sua e di Veda, il signore dai capelli verdi la mostrò con
orgoglio.
“Veda
sta bene” aggiunse, per rassicurare i fratelli della sua
sposa, Gudis e Ihanez.
“A
quanto pare…” commentò Reahu
“…la nuova generazione sarà
femmina”.
“Bene,
mi piace” sorrise Ihanez, guardando sua figlia.
Quella
bambina, dai capelli arancioni e lo sguardo scuro della madre, un
giorno
avrebbe preso il suo posto. Così come la creatura
arrampicata e seminascosta
fra i capelli del signore del cielo avrebbe acquisito il potere del
padre. Ed
ora era arrivata anche l’erede di Rashnu. La figlia di quel
dio dallo sguardo
da fanciullo, nata in un mondo di pace e sorrisi.
● ●
●
Oltrepassando
la cappa di tenebre che avvolgeva alcuni stretti corridoi, si apriva
un’immensa
sala al cui centro zampillava una fontana d’acqua limpida e
scintillante. Dal
soffitto e dal pavimento, stalagmiti e stalattiti di cristalli colorati
riflettevano le migliaia di luci argentee che rendevano il soffitto
simile alla
volta del cielo. Fra le volte, sospesa nel buio, una sfera nera
conteneva
l’animo di Ogmios, che lanciava scintille. Quella era la sala
degli inferi
riservata agli antichi signori. La musica e le luci rendevano gradevole
la
permanenza, interrotta però continuamente dai continui
lamenti del prigioniero
nella bolla.
“Chiudi
la bocca, Ogmios!” sbottò Ipalnemoa.
Il
passato signore della vita cercava di rilassarsi, in
quell’angolo del regno dei
morti, ma il borbottio sommesso e continuo del collega rendeva la cosa
difficile. Poco più in la, Onyame e Mantus osservavano la
nuova arrivata nella
famiglia attraverso una sfera azzurra.
“Non
dovresti lamentarti tanto” lo rimproverò Onyame,
sentendo che Ogmios non
accennava a far silenzio “Oggi sei diventato nonno,
vedi?”.
Si
udì un ringhio, e poi il borbottio riprese. Gli antichi
signori sospirarono.
Nirriti, la padrona di casa, aveva proposto loro più volte
di occupare un luogo
diverso degli inferi, tranquillo, ma loro avevano sempre rifiutato.
Erano una
famiglia e, qualsiasi cosa avesse fatto Ogmios, non se la sentivano di
abbandonarlo da solo in un angolo di buio.
“Se
la cavano bene i nostri eredi” commentò Mantus.
“Concordo”
annuì l’antico signore del cielo.
Lì
accanto, Tarhunt ed Akerbeltz stavano giocando a carte. Videro di
sfuggita
Ipalnemoa alzarsi e dirigersi verso la sfera dove Ogmios era rinchiuso.
“Smettila
di borbottare” ordinò “La colpa
è tua. Sei lì dentro, perché te la sei
cercata”.
“Tu
lo sai che io avevo ragione. Questo mondo non meritava di essere
salvato”.
“Smettila!
Vincendo, tuo figlio ti ha dimostrato il contrario”.
“E
credi sarà sempre così? Pensi davvero possa
resistere questo periodo di pace e
risatine sceme?”.
“Sei
il solito menagramo”.
“Ragiona:
i nostri figli sono nati migliaia di anni dopo la nostra venuta.
Com’è che le
loro creature sono già a questo mondo, così
presto? Questo per te non è indice
che il destino dei tanto acclamati unigeniti non sarà poi
così roseo e lungo?”.
“Che
intendi dire?”.
“Intendo
dire che gli unigeniti nascono non quando lo si decide ma quando
è giusto che
accada. O almeno così tu mi hai sempre detto”.
“Rashnu
ci ha messo duemila anni prima di risvegliarsi. Accadrà lo
stesso con queste
bambine”.
“Ne
sei sicuro? Ti ricordo che io ho combattuto parecchio per mantenere il
mio
ruolo e non farlo svegliare. Contrariamente a quanto fatto da te. E
Ihanez a
poco più di trent’anni era pronto”.
“Non
esistono regole fisse a riguardo”.
“Te
lo dico io. Fidati di me, quei tre, coloro che già hanno
un’erede, non
dureranno a lungo”.
“Beh,
tu non potrai di certo interferire con la loro vita”.
“Non
ne ho bisogno. Questo mondo non necessita di un aiuto per
distruggersi”.
“Finiscila!
Sei noioso!”.
“Sono
realista. Io lo sento. Sento che l’odio non è
svanito, la paura ed i dubbi si
insinuano in ogni mente. Non riusciranno a reprimere in eterno queste
voci. Un
giorno, vedrai, esploderanno”.
Ipalnemoa
lo fissò, accigliato. Certi discorsi non li sopportava. Lui
si fidava di suo
figlio Ihanez, come credeva nelle capacità di Rashnu, Reahu
e dei gemelli di
Mantus. Avevano lottato duramente per ottenere ciò che ora
possedevano e la
nascita delle bambine era un evento lieto, non un motivo di
preoccupazione. Su
questo non aveva dubbi. Ignorò Ogmios e si diresse verso gli
altri suoi
colleghi, unendosi al gioco di carte. L’antico signore,
dall’interno della sua
bolla, rise. Sciocche e patetiche essenze, che credevano nella pace
eterna ed
in altre stronzate simili! Presto i pilastri si sarebbero indeboliti,
con il
crescere delle loro figlie con i loro poteri. Ed allora come credevano
di
mantenere sotto controllo tutto l’odio che serpeggiava
nell’animo di quelle
creature imperfette e monoclasse? E come potevano pretendere di tenere
sotto
controllo lui, Ogmios, l’unico e solo vero dio? Rashnu era
assolutamente certo
di riuscirci, di sapere come prendersi cura dell’universo,
con il sostegno
degli altri pilastri, ma non aveva idea di ciò che realmente
lo attendeva.
Presto o tardi, Ogmios ne era certo, si sarebbe ritrovato con
l’acqua alla
gola. Svanite le certezze, sarebbe anche svanito quel sorrisetto felice
che
ultimamente aveva sempre stampato in faccia. Il ghigno di Ogmios, al
contrario,
pure di quello era certo, si sarebbe solamente allargato ulteriormente.
Lui
aveva ragione, ne era sicuro. E presto tutti lo avrebbero visto.
Sfiorò la
sfera con le dita ed una potente scossa lo ricacciò
indietro. Ringhiò. Il
potere di coloro che lo avevano imprigionato era ancora forte, molto
forte. Ma
non sarebbe stato così per sempre. Già vedeva
quella superficie incrinarsi ed
il suo animo liberarsi, in cerca di un corpo in grado di ospitare la
sua
vendetta.
Già
lo vedeva.
“Aspettami,
Rashnu” mormorò, con la sua voce profonda e
spaventosa “Godetevi la vostra
felicità, primogeniti. Tornerò, è una
promessa”.
Premetto:
questa storia è stata uno
spasso da scrivere e ci ho fatto anche un sacco di disegni (sono
caricati su fb
e devianart, cercate Frirry). Sono affezionata a più di
qualche OC di questo
racconto e spero che anche fra qualche lettore possa sbocciare
“l’amore” per i
miei “piccoli”. Fatemi sapere cosa ne pensate. A
presto ;)
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