Bloody Magic

di SagaFrirry
(/viewuser.php?uid=819857)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I- Nessuno ***
Capitolo 2: *** II- sogni ***
Capitolo 3: *** III- realtà ***
Capitolo 4: *** IV- verde vigilante ***
Capitolo 5: *** V- Visitatori ***
Capitolo 6: *** VI- Alba ***
Capitolo 7: *** VII- addestramento ***
Capitolo 8: *** VIII- il mio mondo ***
Capitolo 9: *** IX- Custode ***
Capitolo 10: *** X- cospiratore ***
Capitolo 11: *** XI- intrusi ***
Capitolo 12: *** XII- La stanza degli spettri ***
Capitolo 13: *** XIII- figlio unigenito ***
Capitolo 14: *** XIV- Per la Vita e per la Morte ***
Capitolo 15: *** XV- Esami finali ***
Capitolo 16: *** XVI- Inferno e Paradiso ***



Capitolo 1
*** I- Nessuno ***


I

NESSUNO

 

Nessuno bussava mai al portone del castello. Nessuno aveva ormai da tempo il coraggio di affrontare la foresta nel mezzo in cui stava. Nessuno desiderava incontrare di persona il padrone di casa, descritto in paese come un uomo decisamente poco amichevole. Nessuno. Per questo il giovane sobbalzò quando sentì il rumore sordo prodotto dallo sbattere ripetuto contro il massiccio ingresso in legno. Quel suono non gli era per nulla familiare e quindi, quando l’udì, si allarmò chiedendosi cosa fosse. Quando realizzò che qualche pazzo idiota stava chiedendo di entrare al castello bussando, storse il naso. Era notte fonda e dalla finestra, sbirciando fuori, capì che la temperatura esterna non era per niente piacevole. Sperò in qualche scherzo del vento e non si mosse, ma il bussare si fece più insistente. Girò gli occhi al cielo, si sistemò il pesante mantello sulle spalle e, riponendo temporaneamente il volume che leggeva, si alzò. Con un gesto della mano, accese le candele lungo il cammino, da quella stanza fino all’ingresso. Dopo il suo passaggio, queste si spegnevano, riportando l’edificio al buio. Scese le scale lentamente, quasi con noia. Si chiese chi fosse tanto coglione da affrontare una notte come quella per venire fino a lì a disturbarlo. Mosse lentamente le dita, attivandone la magia, pronto al polverizzo di un eventuale venditore di ciarpame o divulgatore di una non si sa quale religione. Non aveva in mente altre possibilità.

“Ti consiglio di sparire prima che apra la porta” sbottò, con voce cavernosa.

Non ricevette risposta, ma solo un bussare più insistente. Odiava le persone testarde. Odiava le persone invadenti. Più in generale, odiava le persone e basta.

Aprì il portone e rimase alquanto perplesso da ciò che vide. Un ragazzetto teneva per mano una bambina. Entrambi vestiti con pochi stracci, sporchi, con l’aria di chi camminava senza sosta da giorni interi, sospirarono di sollievo nel vedersi aprire. Con loro portavano solo una piccola sacca con ben poco dentro. La bambina era visibilmente molto stanca, con i capelli rossicci che le si appiccicavano sul viso fra sporco e pioggia. Tremava ma riuscì  comunque ad alzare gli occhi chiari verso colui che le aveva aperto e sorridergli, timidamente. Guardando più da vicino il ragazzo, l’abitante del castello notò che aveva un accenno di barba, probabilmente non era poi tanto piccolo come sembrava. Era magrolino, con capelli tendenti al biondo legati alla bene e meglio in un codino mezzo disfatto. Aveva gli stessi occhi della sorella, e non sorrise. Lo stupore del castellano nel vedersi davanti un simile spettacolo fu pari allo stupore che provarono i due quando videro chi aprì la porta. Quell’uomo era molto alto, con larghe spalle accentuate dal mantello, lunghissimi capelli aranciati, acconciati in una pettinatura assurda a ciuffi alti, un pizzetto a punta, la barba di alcuni giorni, abiti eleganti anche se molto strani e gli stessi occhi chiari degli “invasori”. In quegli occhi, ognuno di loro rivide la propria madre, per un istante.

“Non so che siate venuti a fare fino a qui, ma questo non è un luogo per bambini. Vi consiglio di andarvene al più presto, e alla svelta” sbottò il giovane uomo, pronto a chiudere la porta.

“Ci manda la mamma” parlò il ragazzo, alzando lo sguardo triste verso quello sconosciuto.

“Non siete figli miei, ve lo assicuro, perciò sparite”.

“Siamo i tuoi fratelli”.

“Io non ho fratelli”.

“Siamo figli di tua madre!”.

“Io non ho una madre”.

“Beh, in effetti, ora non più. È morta”.

Scese il silenzio, per qualche istante.

“Morta?” chiese conferma il maggiore.

“Sì, pensavo lo sapessi. Gli stregoni non sanno tutto?”.

“Gli stregoni sanno quello che desiderano sapere. Era da quasi dieci anni che non allungavo il mio sguardo verso il villaggio in cui sono nato”.

“Non abbiamo nessun’altro a questo mondo, ora che mamma è morta, al di fuori di te”.

“Errato. Non avete nessun’altro a questo mondo e basta. Punto. Io non ho niente a che fare con voi due, e questo non è posto per ragazzini, come già detto”.

“Siamo fratelli, questo non conta per te?”.

“Perché dovrebbe contare? Ho molto di meglio da fare”.

“Ma la mamma…”.

“Mia madre, per me, ha smesso di esistere nel momento stesso in cui non ha esitato ad affidarmi al primo stregone sconosciuto che si è presentato alla sua porta. Spaventata perché avevo manifestato doti magiche, si è sbarazzata di me senza rimorso”.

“Non è quello che ci risulta”.

“Beh, è quello che risulta a me. L’unica famiglia che ho mai avuto è stato il mio maestro, che fortunatamente per voi al momento non è presente”.

“Mamma mi ha detto di darti questa” riprese il ragazzo, mostrando una certa perseveranza, porgendo una lettera leggermente bagnata dalla pioggia all’uomo.

“Che roba è?” borbottò questi, senza muovere un muscolo per riceverla.

“Non sai leggere? Prendila e aprila!” iniziò a spazientirsi il ragazzino.

 “Voi due, ve ne dovete andare” ripeté, con calma, il padrone di casa.

Un potente lampo, seguito immediatamente da un tuono, fece sobbalzare la bambina, che afferrò saldamente la mano del ragazzetto.

“Beh…” sospirò l’uomo “Sono cattivo, lo ammetto, ma non così tanto. Dato il tempo, vi concedo di rimanere qui per la notte. Ma solo per stanotte, intesi? Poi dovrete smammare”.

“E dove andremo?”.

“Perché credi che la cosa mi interessi?”.

“Perché siamo i tuoi fratelli!”.

“Ti ho già spiegato come la penso, sbarbatello”.

“Io non riporterò mia sorella fuori, di nuovo! Hai idea di quanti giorni di cammino ci siamo fatti?”.

“Lo so, e non vi invidio. Ma nemmeno mi fate pena. È stata vostra la brillante idea di venire qui”.

“Ma sei l’unica persona che…”.

“Forse solo un orso incazzato in una grotta umida sarebbe risultata una soluzione peggiore di venire fin qui a chiedere asilo”.

“Quando sarò maggiorenne, potrò andarmene e porterò via mia sorella, ma prima non mi è concesso badare a lei. Me la porterebbero via”.

“Cercatevi un’altra famiglia!”.

“Non si può. In tempo di guerra è già tanto se siamo sopravvissuti fino ad oggi. Mamma se ne è andata il mese scorso e l’unica possibilità che avevamo era venire qui. Da te. Fratello”.

“Non chiamarmi fratello, per favore. La mia decisione è questa, mi spiace. Non più di tanto, lo devo ammettere. Entrate, riposatevi e poi domattina saranno affari vostri”.

“Sei crudele”.

“Sono uno stregone. E tu, ragazzino? Hai passato i quattordici anni? Hai scoperto il tuo ruolo?”.

“Ne ho quindici di anni e lo so bene il mio ruolo, ben diverso dal tuo. Mi chiamo Gudis, ad ogni modo. Fra gentiluomini ci si dovrebbe presentare”.

“Tu non sei un uomo. E io non sono gentile. Vi ho dato il permesso di dormire qui. Approfittatene. Andate a letto e non mettete ancora a dura prova la mia pazienza”.

“Grazie” storse il naso il ragazzo.

“E datevi una lavata, non imbrattatemi la casa”.

“Sì” risposero i due, senza voltarsi e dirigendosi verso il punto della casa indicato dallo stregone.

“E non fate casino. Ho bisogno di concentrazione”.

Non si sentì altro, se non i passi dei giovani che si allontanavano e quelli dell’uomo che tornava alla stanza in cui aveva lasciato il libro, convinto di aver fatto un errore.

 

   

 

“Non devi aver paura, sorellina. Non ci farà del male” le sorrise il fratello, asciugandole in visino.

“Lui è uno stregone…” mormorò lei, ricordando le storie che si narravano al villaggio sulla loro crudeltà ed inumanità.

“Sì, ma ricordi le cose che ci ha raccontato la mamma su di lui? Non devi aver paura”.

“E noi domani cosa faremo?”.

“Non lo so. Per ora riposiamo, ne abbiamo bisogno”.

La piccola sbadigliò e sedette sul letto. La stanza che avevano trovato era pulita, nonostante si vedesse chiaramente che era inutilizzata da tempo. I due fratelli si misero nello stesso, unico, letto, abbracciati l’uno all’altro per il freddo e la paura, del luogo e del temporale esterno. Nemmeno avevano chiuso gli occhi quando un lampo di luce nella camera li spaventò. Sul piccolo tavolino accanto a dove stavano distesi, era apparso un cesto con del pane, con frutta e formaggio, una brocca d’acqua e delle vesti pulite.

“Visto?” sorrise Gudis “Non è cattivo”.

La piccola non parve molto convinta ma allungò la mano verso il cibo, vinta dalla fame. Con la pancia piena e il vestito pulito, si sentì molto più tranquilla. Si addormentò, sfinita, dopo pochi minuti. Il fratello controllò per bene la stanza e poi si addormentò a sua volta, piuttosto preoccupato per la giornata seguente.

 

   

 

I due fratelli furono svegliati di soprassalto dal rumore ormai familiare di un mezzo militare volante che si avvicinava. Erano trappole create solo per portare morte al loro passaggio. Molti villaggi erano caduti e distrutti per causa loro. Terrorizzati, temendo il peggio, tentarono di trovare il luogo migliore della stanza dove riparasi.

“Non abbiate paura” si sentirono dire.

Il maggiore, apparso sull’uscio all’improvviso, li fissava, senza espressione sul volto. Chiuse la porta della camera dietro di sé e si avvicinò.

“Non abbiate paura” ripeté “Questo castello è schermato, protetto dalla magia del mio maestro”.

“Non possono colpirci?” domandò conferma la bambina.

“Esatto. Per loro stanno sorvolando solo un ampio bosco. Alberi. Nessun obbiettivo valido ed interessante. Siamo al sicuro”.

“La copertura vale anche se il maestro non c’è?” si incuriosì Gudis.

“Certo. E molto presto sarò in grado di fare anch’io altrettanto”.

“Sei uno stregone di quinto livello?”.

“Non sono così vecchio! Non ho ancora raggiunto l’età per accedere al quinto livello!”.

“Oh. Pensavo di sì”.

“Insolente”.

Il mezzo volante passò, facendo un gran fracasso, e non si accorse dell’immenso castello, schermato dalla magia.

“Visto? Nessun problema”.

“Grazie di averci avvertiti” parlò il ragazzo “Eravamo parecchio spaventati”.

“Anche se sono uno stregone, non sono senza cuore e senza anima, come a quelli delle altre classi piace dire. Fosse per me, vi farei restare. Ma il mio maestro non tollera distrazioni”.

“E allora noi che faremo?”.

“Andatevene”.

“Ma sarà un suicidio!”.

“Mai peggio di ciò che vi farà il maestro se vi troverà qui!”.

“Non mi fa paura!”.

“Perché sei stupido. Purtroppo maturità e saggezza si manifestano quando si è già fatto un bel pacco di cazzate nella vita”.

“Farò di tutto per mettere in salvo la mia sorellina!”.

“Nobile il tuo sentimento, ma del tutto inutile”.

“La magia non mi spaventa. È solo scienza non ancora del tutto spiegata”.

“Oh, Dèi del cielo! Sei della classe degli scienziati?”.

Gudis guardò il fratello con sguardo pieno di orgoglio, con pomposo entusiasmo.

“Decisamente te ne devi andare, prima che il mio maestro ti appenda per le palle alla torre principale, ragazzino”.

“Mi chiamo Gudis!”.

“Puoi chiamarti anche Mariangela, il concetto è lo stesso. Stregoni, guerrieri e scienziati sono classi in guerra. Anche se sei solo un ragazzino, sei comunque un nemico”.

“Io non capisco il perché della guerra, non voglio averci nulla a che fare”.

“Certe cose non si possono evitare. Ma, se sei uno scienziato, so a chi affidarti”.

“Affidarvi, spero. Non mi separo da lei”.

“Sì, va bene. Cercate di dormire un po’. Domattina, prima che il padrone di casa torni, vi porterò da chi potrà darvi un futuro”.

Gudis sorrise e sorrise alla sorella come a volerle dire “Hai visto?!”.

“Ma davvero la mamma ti ha mandato via? Affidato ad uno stregone sconosciuto?” domandò la piccola, con aria triste.

“Come ti chiami, piccina?” fu la risposta dello stregone.

“Veda Kami”.

“Vedi, Veda Kami, quelli come me son bambini strani. Prima dei sette anni, l’età in cui iniziano a delinearsi le prime caratteristiche per le altre classi, noi stregoni già mostriamo qualche capacità, non sempre facili da controllare. A sette anni era chiaro a tutti che io fossi uno stregone e mamma, essendo da sola, non poteva gestire evidentemente una creatura come me e così, quando colui che poi è divenuto il mio maestro si è presentato al villaggio, mi ha affidato a lui”.

“Non poteva tenerti con lei?”.

“Credo fosse destino. Sono nato per errore, immagino, e mamma voleva una vita normale. Sposarsi, avere dei bambini senza niente di spaventoso e vivere felice. Io ero qualcosa di troppo, nel suo grande progetto”.

“Il tuo papà non è il mio papà?”.

“No. Mamma quando ha avuto me era molto giovane. Immagino sia normale che una della classe dei signori della natura si spaventasse dinnanzi ad un piccolo stregone. Quelli come lei e quelli della casta degli artisti non son coinvolti direttamente nella guerra, e probabilmente temeva di richiamare a sé i nemici con una creatura come me per casa”.

“Non sono coinvolti?” interruppe Gudis “Sono vittime, chiusi nel mezzo delle tre classi che si fan battaglia”.

“Capirai che in guerra son tutte vittime, ragazzo. Ora cercate di dormire un po’, vi farà bene”.

“Come hai scoperto di essere uno stregone?” riprese il ragazzo, ignorando la stanchezza.

“In realtà, è stata una casualità piuttosto singolare. Quando ero piccolo, volevo rendermi utile e cercavo di aiutare la mamma nei lavori di casa. Un pomeriggio, per accontentarmi, mi ha fatto asciugare i piatti. Lei li lavava ed io li asciugavo. Maldestramente, ne feci cadere uno, che ovviamente si ruppe. Mamma cercò di rassicurarmi, dicendo che andava tutto bene, che non importava, ma io sapevo che non era così. Non eravamo ricchi, ogni oggetto in quella casa era stato ottenuto con sacrifici e fatica. Così, non so perché, istinto immagino, ho allungato la mano verso il piatto e questo si è aggiustato. Io ricordo di essermi sentito davvero bene, felice per aver aiutato la mamma, ma poi il suo sguardo ha incrociato il mio. Era terrorizzata, d’improvviso consapevole di aver generato una creatura rara e temuta dal resto del mondo. Da quel giorno ho tenuto nascosto il mio potere a mia madre, evitando di usarlo in sua presenza, anche se non potevo fare a meno di utilizzarlo. Quando lei mi ha affidato a quell’uomo che mi era parso tanto spaventoso, ricordo di averla supplicata di non mandarmi via, promettendo che non avrei mai più usato la magia”.

“Era la tua strada. Non potevi certo reprimere la tua natura” commentò Gudis.

“No di certo, ma un bambino questo non lo può capire. Ora dormite. Sono stanco pure io”.

 

   

 

 

La mattina seguente, furono svegliati dalla luce esterna, segno che non pioveva più. Si alzarono pigramente, mangiarono quel che rimaneva delle cose ricevute la sera prima, si vestirono e si prepararono per partire, come gli era stato detto dal fratello.

“Siete svegli?” domandò una voce femminile.

Stupiti di questo, i due si fissarono con aria interrogativa.

“Venite. Vostro fratello vi aspetta” riprese la voce.

Gudis e Veda uscirono, aprendo lentamente la porta. Si trovarono faccia a faccia con una donna riccamente vestita, con i capelli lunghi sciolti e mori. Sorrideva.

“Venite con me. Seguitemi”.

Iniziarono a camminare fra i corridoi fino a giungere alla base della grande torre principale. la bimba sorrise, paragonandola ad una grossa matita. Aveva quattordici lati, ciascuno chiuso e senza aperture se non praticamente sulla cima, coperta solo in parte da una punta tronca. Salirono, avvolti dal buio, seguendo la donna.

“Eccoli” parlò lei, rivolta allo stregone che stava al centro della stanza, circondata da aperture ad arco che partivano dalle piastrelle scure del pavimento.

“Grazie” rispose lui, senza girarsi a guardarla.

Lei fece un piccolo inchino e se ne andò, facendo segno ai fratelli di raggiungere il centro della stanza. Gudis e Veda obbedirono, avvicinandosi al maggiore.

“Chi era quella?” domandò il giovane scienziato.

“La figlia del mio maestro”.

“La tua ragazza?”.

“Ho il divieto di toccarla”.

“E perché?”.

“Perché queste sono le regole. Fra tre anni passerò al livello successivo e sarò libero di far ciò che mi pare”.

“È molto bella…”.

“La smettiamo di parlare di lei?! Avanti, venite qui”.

Lo stregone pareva molto concentrato. Camminò verso una delle aperture, che si illuminò. Gudis non capì come questo fosse possibile ma non chiese nulla, per non sfigurare.

“Andate” parlò il maggiore.

“Andate dove?” storse il naso Gudis.

“Lì!” indicò l’apertura lo stregone.

“Il suicidio non rientra fra le mie priorità”.

“Macché suicidio! Muovetevi”.

Diede una piccola spinta alla bambina, che sparì avvolta dalla luce.

“Veda!” la chiamò Gudis, senza capire dove fosse andata a finire.

“Queste non sono semplici finestre senza vetri. Sono porte verso il resto del mondo. Muoviti. Se il padrone di casa scopre che sono qui non mi accadrà nulla di bello!”.

I due fratelli attraversarono quasi insieme la luce e riapparvero in una grande stanza bianca, attraverso uno specchio. Piena di tavoli con strani oggetti che facevano fumo e rumori misteriosi, la sala pareva deserta.

“Chi è là?” domandò una voce.

“Uno a cui devi un favore” rispose lo stregone.

“Ihanez! Sei tu?” domandò un uomo, apparendo da dietro una grossa lavagna.

Indossava spessi occhiali con lenti d’ingrandimento e stringeva una strana ampolla attorcigliata fra le mani.

“Da quanto non mi sentivo chiamare così…”.

“Beh, è quello il tuo vero nome, no?”.

“Il mio nome di nascita. Non so quale sia più vero fra il nome di nascita e quello che ho acquisito a quattordici anni divenendo ufficialmente uno stregone”.

“E questi due chi sono?”.

“Gudis e Veda Kami. Sono i miei fratelli”.

“Non sapevo avessi dei fratelli”.

“Nemmeno io, prima di mezza giornata fa”.

“A cosa devo la tua visita, stregone?”.

“Mi devi un favore, spero che te ne ricordi ancora”.

“E come scordarlo? Quella sera, nel bosco, avresti potuto uccidermi e invece mi hai lasciato andare. Che posso fare per te?”.

“Sono orfani. Han bisogno di un posto dove stare e di qualcuno che li guidi. Lui è uno scienziato”.

“Davvero? Ottimo! Un giovane promettente cervellone come il sottoscritto. Fantastico”.

“Siete uno scienziato pure Voi?” domandò, timidamente, Gudis.

“Certo”.

“E come mai siete amici? Stregoni e scienziati non dovrebbero…”.

“Non tutto è bianco o nero, ragazzo. Sarò lieto di prendermi cura di voi. Ho giusto bisogno di un paio di assistenti”.

“Non usarli per strani esperimenti” lo ammonì Ihanez.

“Non lo farò! Staranno benissimo qui e poi avranno sempre una porta verso il tuo mondo”.

“Siate prudenti nell’usare simili porte”.

“Tranquillo. So che succede se ci becca il tuo simpaticissimo maestro”.

“Devo andare adesso. Se torna e non mi trova dovrò inventarmi più di una balla per giustificarmi”.

“Ti auguro di passare presto al quinto livello, così da liberarti da simili presenze”.

“Anche a te auguro di arrivare al quinto livello e di poter diventare uno dei migliori”.

“Grazie. Passa a trovarci”.

Gudis e Veda videro il fratello attivare lo specchio per attraversarlo, senza parlare. Il maggiore notò il loro sguardo e, a disagio, si sforzò di trovare delle parole di congedo.

“Con lui vi troverete bene” borbottò “Meglio che con me, questo è sicuro! Passerò ogni tanto, ci rivedremo. Fate i bravi, vedrete che andrà tutto bene”.

Fece per andarsene ma Gudis lo fermò, porgendogli di nuovo la lettera che la loro madre aveva scritto, ringraziandolo per l’aiuto. Lo stregone la prese e, tornando alla sua solita mancanza d’espressione, salutò con un cenno ed attraversò lo specchio.

 

   

 

 

“Randoeku!” tuonò il maestro, non appena l’allievo mise piede alla torre a quattordici facce.

“Sono qui” rispose Ihanez.

“Lo so che sei lì. E cosa ci fai lì?”.

“Io…io volevo solo fare un giro. Tutto qui”.

Il maestro gli si materializzò davanti. Non sembrava molto anziano, anche se lo era. Questo perché gli stregoni migliori, quelli che superavano la prova finale del quinto livello, non invecchiavano più.

“Tutto qui, tu dici? Fammi un po’ capire. Ti senti forse pronto per poter usare la torre? Sai che con il minimo errore potresti trovarti chissà dove o scomposto in pezzi!”.

“Lo so. Ma sono capace di usare la torre”.

“Davvero?”.

“Sono intero. E sono andato dove volevo andare. Direi di sì”.

“Non fare lo strafottente”.

“E voi non trattatemi come un ragazzino”.

“Sei solo un quarto livello!”.

“Ho venticinque anni!”.

“Sei un pivello. Ti ci vogliono ancora tre anni per passare di livello e dopo di questi altri sette per poter aspirare ad essere ammesso alla prova finale del quinto stadio. Tu vuoi arrivare a quell’esame, vero? O non ti interessa?”.

“Voglio arrivarci!”.

“E allora vedi di smetterla di disobbedirmi, se non vuoi che ti cacci prima della fine dell’addestramento!”.

“Sissignore” si rassegnò Ihanez, sospirando.

“Dammi la mano”.

L’allievo non capì quelle parole ma porse la mano destra al suo maestro, che l’afferrò saldamente, stringendola fra le dita guizzanti di magia. Righe nere si espansero lungo il dorso dell’arto dell’allievo, che gridò per il dolore ma non riuscì a liberarsi da quella presa.

“Questo è per ricordarti qual è il tuo posto” sbottò il maestro, prendendo le scale per scendere dalla torre e ordinando al suo sottoposto di fare altrettanto.

Ihanez si morse il labbro per non lamentarsi ancora. Quei segni neri erano come bruciature profonde e non era in grado di muovere le dita.

“Così per un po’ ti concentrerai sulle magie di ricezione, con la mano sinistra, ignorando temporaneamente quelle di trasmissione. Tranquillo, prima o poi tornerai ad usare tutte le falangi”.

L’allievo non disse sulla. Chinò lo sguardo davanti al viso della figlia del maestro e tornò nella sua stanza. Era stanco, piuttosto confuso e dolorante. Sospirò. Era abituato a quelle manifestazioni di forza del maestro ma ogni volta non sapeva mai esattamente spiegare il perché di certi gesti. Meglio non chiederselo, concluse, estraendo la lettera della madre dall’ampia manica e dedicandosi ad essa.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II- sogni ***


II

 

SOGNI

 

Una risata. Per Ihanez  non c’era modo migliore di svegliarsi, soprattutto se a ridere era lei. Si affacciò alla finestra, ignorando la mano ancora un po’ dolorante, e la vide laggiù, dall’alto di una delle torri del castello, dove stavano le sue stanze. Era nel giardino interno e camminava fra gli alberi. Rideva, probabilmente insensatamente, e probabilmente canticchiava sottovoce fra una risata ed un’altra.

“Buongiorno, Randoeku!” lo salutò, inaspettatamente, lei “Non credere che non mi accorga quando  qualcuno mi osserva. Ho dei poteri anch’io!”.

“Non era mia intenzione spiarti”.

“Vieni giù. Mio padre non c’è e credo che occuparti assieme a me del giardino non rientri fra le attività proibite”.

Ihanez salì sul balcone e saltò, planando fino al giardino. Spostarsi in quel modo era una delle cose che gli riuscivano meglio. Guardò lei, che nel frattempo si era rimessa a curare le piante, e sospirò. Aspettare altri tre anni? Ne valeva pena? E per cosa?

“Hennay, io…” iniziò, chiamandola per il vero nome “Io pensavo di interrompere l’apprendistato”.

“Come?! Sei impazzito?! Ihanez, sei uno stregone fantastico, rinunciare equivarrebbe a buttar via un’esistenza. Perché?”.

“Perché così potremmo andare via, io e te, e potrei prendermi cura dei miei fratelli in modo più diretto”.

“E poi? Quale sarebbe il tuo futuro? Tu potresti divenire uno dei più potenti, passare la prova finale del quinto livello e divenire immortale. Perché gettare tutto al vento?”.

“E se non riuscissi ad arrivare a quel giorno? Tutta la mia vita è stata impostata su questo. Sul fatto che a trentacinque anni avrei affrontato questa prova, ma se fallisco? Se lungo il mio cammino si presentasse qualcosa di imprevisto, in grado di togliermi ogni possibilità? Non voglio che tutto sia basato solo sul fatto che devo diventare uno stregone”.

“Altri tre anni, e sarai passato al quinto livello. Lavorerai da solo, potrai fare ciò che vuoi e, vedrai, arriverai alla prova finale. Solo altri tre anni”.

“Più altri sette per la prova finale. Non credo di poter sopportare tanto”.

“Mollare tutto sarebbe un gravissimo errore”.

“E perché?”.

“Perché il tuo sogno è passare quella prova, e ce la farai. Poi avrai l’eternità davanti per ottenere tutto il resto”.

“Certo. E se non ce la faccio avrò buttato trentacinque anni della mia vita e avrò perso tutto. I miei fratelli saranno cresciuti, non avranno più bisogno di me e tu…tu di certo sarai andata in sposa a qualche amico o collega del maestro, tuo padre, e ti sarai dimenticata di me”.

“Non dire sciocchezze. Come credi che io possa dimenticarmi di te? Io posso aspettare. Posso aspettarti, se lo desideri”.

“Tuo padre non te lo permetterà mai”.

“Credi che non sappia prendere le mie decisioni da sola?”.

“So come può essere convincente tuo padre”.

Lei non nascose la sua preoccupazione ma si sforzò di sorridere.

“Andrà tutto bene” disse “Altri tre anni e sarai libero dall’apprendistato da mio padre e potremmo fare ciò che desideriamo”.

“Tre anni è una specie di eternità”.

“Ma sarai qui, ci vedremo sempre. E i tuoi fratelli sono affidati ad una buona persona, che si prenderà cura di loro. Andandoli a trovare, poi, rimarrai di certo legato a loro”.

“Sono tanto confuso. E a questo punto della mia vita non dovrei esserlo più”.

“Si può essere confusi a tutte le età”.

Un lampo azzurrognolo segnalò il ritorno del maestro. Ihanez si affrettò a raggiungerlo e vide subito dalla sua espressione che era di pessimo umore.

“Successo qualcosa?” domandò l’allievo.

“Questa guerra mi sta decisamente stancando”.

“Credo sia un sentimento comune”.

“Sono così stufo di convocazioni per consulti che poi non servono a un cazzo perché lo stregone capo vuol vedere solo la sua e il suo unico pensiero è stuzzicare i capi di guerrieri e scienziati! Girano voci, tra l’altro, che queste due classi vogliano allearsi. Se ciò avvenisse, per noi sarebbe la disfatta totale. Siamo molti meno di loro”.

“Scienziati e guerrieri uniti in un’unica fazione?”.

“È quello che ho detto”.

“Cervelloni esaltati e scemi del villaggio che combattono fianco a fianco? Sinceramente, non me li ci vedo molto”.

“Hanno paura, Randoeku. Paura della nostra vita senza vecchiaia una volta passato l’ultimo esame. Hanno paura dei nostri poteri, di ciò che non conoscono”.

“Non siamo in tanti a passare quella prova e, comunque, se attaccati e colpiti, anche i grandi stregoni muoiono, aspetto da eterni trentacinquenni o no!”.

“Lo so. Ed è per questo che mi inquieta l’idea di una loro alleanza. Già siamo qualcosa di raro, se le cose peggiorassero non so quanto si potrebbe andare avanti”.

Ihanez notò la preoccupazione sul volto del suo maestro e rimase in silenzio, non trovando parole sufficientemente rassicuranti.

“Dov’è mia figlia?”.

“Credo sia in giardino”.

“Chiamala. Voglio tentare di rendervi più potenti il più presto possibile. Non voglio rischiare di trovarvi impreparati dinnanzi a certe eventualità”.

“Sì, maestro”.

“Venite entrambi nel salone degli incantesimi”.

“Insieme? Volete addestrarci insieme?”.

“Non c’è tempo per concedervi pause e riposini. D’ora in poi, sarà molto più dura. Intesi?”.

“Sì, maestro”.

 

   

 

 

“Bene, bene, mio giovane scienziato, dimmi un po’: a quale ramo della scienza vuoi dedicarti?” domandò l’uomo, sorridendo.

“Non lo so ancora” ammise Gudis “Per ora mi limito a provarne il più possibile”.

“Ti limiti? Questa è la via migliore, mio caro ragazzo. Solo così potrai scoprire per quale il tuo cervello superiore è più portato. E se poi vuoi seguirle tutte e ne sei in grado…vorrà dire che diverrai uno dei migliori di noi”.

“Non credo di arrivare a tanto”.

“Non sottovalutarti. Sei giovane, tutte le porte sono ancora ben aperte davanti a te. E tu, piccolina? A che razza pensi di appartenere?”.

Veda si nascose dietro al fratello, sgranando gli occhi in un insolito attacco di timidezza.

“Non lo sai? Beh, non fa niente. Lo scopriremo. Ora venite con me. Vi mostro la casa, le stanze dove starete e tutto il resto”.

Lo scienziato precedette i due ragazzi lungo una ripida rampa di scale in salita, che fece capire ai nuovi ospiti che il laboratorio dove erano arrivati era una sorta di seminterrato, diviso dal resto della casa da una pesante porta.

“Se deve esplodere qualcosa…” spiegò lo scienziato, come intuendo i loro pensieri “…meglio che esploda il laboratorio, non anche il resto della casa!”.

Chiuse a fatica quella porta e poi riprese il suo cammino. La casa era molto luminosa e geometrica, si capiva subito che era anche dotata di tecnologie e marchingegni vari. Gudis osservava tutto con curiosità crescente, piuttosto soddisfatto dall’idea di passare lì il periodo del suo apprendistato. Si augurò che anche la sorella provasse lo stesso, per non dover pensare ad un’altra soluzione.

“Io creo oggetti, come avrete modo di notare, perciò se vi serve qualche cosa basta chiedere e vedrò di accontentarvi, per quanto possibile” parlò l’uomo, mostrando le stanze perfettamente quadrate ai due fratelli.

“Vivi da solo?” domandò Veda, in uno slancio di coraggio.

“Purtroppo, mia giovane fanciulla, mi sono dedicato interamente agli studi per buona parte della mia vita, tralasciando altri aspetti”.

“È triste”.

“È una scelta”.

“L’hai fatta consapevolmente?” si intromise Gudis.

“Ora che mi ci fai pensare, non proprio. Sta di fatto che un giorno mi son svegliato e mi son accorto che certe cose le avevo ormai perse. Ma non ho rimpianti. Sono felice di essere arrivato dove sono ora e credo di non aver bisogno di altre distrazioni”.

“Noi siamo distrazioni” commentò il ragazzo.

“Lo so. Ma distrazioni interessanti. Ti insegnerò tutto e aiuterò tua sorella a trovare la sua strada. Sarà stimolante. Ma l’idea che non sia nulla di stabile, perché ad una certa età ve ne andrete, mi rassicura alquanto”.

Veda non capì del tutto quelle parole ma non chiese nulla, preferendo concentrarsi sull’arredamento di quella che era stata definita la sua camera. A suo parere, era troppo squadrata, troppo geometrica e troppo triste. Bianca, con al massimo qualche tocco di grigio, non rispecchiava i suoi gusti.

“Posso colorarla?” domandò.

“Certo. È la tua stanza adesso. Puoi farci quello che vuoi”.

La bambina sorrise, già immaginando cose grandiose e colori sgargianti. Gudis non si fece troppo problemi. A lui il bianco ed il grigio, colori ufficiali della classe degli stregoni, non dispiacevano. Anche se la sua attenzione era ormai rivolta al laboratorio al piano interrato.

“Hai quindici anni, giusto?” domandò il padrone di casa.

“Sì, esatto”.

“Dove hai fatto il primo anno di apprendistato?”.

“Da nessuna parte. Mia madre era malata, le son rimasto accanto”.

“Beh, allora dovremmo procedere al doppio della velocità per recuperare. Possiamo iniziare appena ti sentirai in grado di farlo”.

“Hem…adesso?” sorrise Gudis, con entusiasmo trattenuto a stento.

“Se vuoi. Andiamo. Lasciamo pure che tua sorella esplori la casa e faccia alla sua stanza quello che preferisce”.

“Ma per farlo mi servono i colori” affermò la bambina.

“Credo ce ne siano un po’ in soffitta. Va pure a cercarli e usane a tuo piacimento”.

 

   

 

Non era abituato a fare allenamento con la figlia del capo. Non sapeva molto bene come comportarsi. Una cosa era avere a che fare con il maestro e un’altra cosa era combattere, come gli era stato ordinato, con la sua erede. Lei sorrise, probabilmente con l’intento di deriderlo.

“Ihanez, non fare i vigliacco” ghignò, a voce sufficientemente bassa da non farsi sentire dal padre.

“Non lo faccio!”.

“E allora avanti, muoviti!”.

“Randoeku!” lo richiamò il maestro, immobile a braccia incrociate fuori dal cerchio in cui i due allievi si stavano esercitando “Perché usi solo magie di protezione? La mano destra ce l’hai, usa anche quella! Attacca!”.

“Non lo ritengo necessario” commentò Ihanez.

“Come sarebbe a dire?”.

“Se questo addestramento è per la guerra, il mio desiderio è imparare a difendermi, non attaccare. Se qualcuno tenterà di farmi del male, allora parerò”.

“E non contrattaccherai?”.

“No. Credo che la cosa sia controproducente”.

“Tu non hai idea di cosa significhi trovarsi in mezzo ad una battaglia, e prego gli Dèi di non trovartici mai. Mi pare evidente che ancora non abbia imparato a stare al mondo. Vedi di iniziare ad attaccare, se non vuoi che venga io all’interno del cerchio e ti mostri come si fa!”.

“Dai, papà, non esagerare” parlò Hennay, tentando di calmare gli animi.

“Non intrometterti e ricorda che durante l’addestramento sono prima di tutto il tuo maestro, e poi tuo padre”.

“Lo so. Scusi, maestro”.

“Vuoi difenderti, ragazzo? Bene, allora devi difenderti da qualcosa di serio, non dagli attacchi di una tua pari. In guerra troverai molti avversari forti, vengono scelti proprio per questo” mormorò il maestro, senza mostrare alcun sentimento in particolare.

Avanzò di un passo, sfiorando il cerchio di luce che circondava gli allievi, e lo espanse. Ihanez non si mosse. Invidiava la capacità del suo superiore di creare cerchi magici semplicemente con la mente, senza muovere un dito. La luce emessa dal disegno sul pavimento aumentò ed escluse la ragazza, che capì che si sarebbe divertita a guardare uno scontro impari.

“Preparati a parare qualcosa di davvero pericoloso”.

Ihanez si preoccupò a quella frase, non sapendo bene cosa aspettarsi. Era probabilmente il solito modo leggermente violento del suo maestro di impartire una lezione. Guardò in alto. Tutt’attorno al padrone di casa si era creata un’aura di colore azzurro brillante. L’allievo si apprestò a fare lo stesso. Purtroppo la sua era ben più piccola, data la notevole differenza di energia, e molto meno controllata. Lanciava sbuffi e lampi a casaccio. La cosa lo imbarazzo leggermente.

“Non ti preoccupare per la tua luce, sei ancora giovane. Ed hai ancora tre anni prima di passare al quinto livello, che pretende la sua totale padronanza” lo rassicurò il maestro, mostrando come riuscisse a modellare la propria a suo piacimento.

Ihanez si sentiva piuttosto insignificante, e nella mente sempre più si insinuava il dubbio che fosse tempo di mollare. Perfino i draghi dipinti alle pareti parevano deriderlo.

Il primo colpo del maestro partì all’improvviso, senza bisogno di alcuno sforzo da parte del suo lanciatore se non di un lieve movimento degli occhi. L’allievo si concentrò e spalancò la mano sinistra, stendendo il braccio. Pronunciò alcune parole e riuscì a non subire danni. La magia si divise e si dissolse, lasciandolo incolume. Invidiava i rari stregoni che riuscivano a fare tutto questo senza muoversi e senza parlare.

“Bravo” si sentì dire.

La cosa andò avanti per un po’, finché il maestro vide la stanchezza negli occhi del suo allievo, che non l’avrebbe mai ammesso di essere sfinito.

“Continua così, ragazzo. Ma migliora anche nell’attacco” fermò gli esercizi il padrone del castello, facendo segno anche alla figlia che per quel giorno poteva bastare. Ihanez annuì ma in realtà dentro di sé si disse che non avrebbe incentivato la guerra attaccando.

 

   

 

Veda era soddisfatta. Dopo giorni di lavoro, ora la sua stanza rispecchiava i suoi desideri. Aveva ricoperto la parete di scarabocchi, non essendo molto brava con il disegno, molto colorati. Questo dava di certo un tocco di allegria a quella che altrimenti sarebbe stata una sorta di camera d’ospedale, bianca e piatta. I suoi esperimenti per dipingere il soffitto, basati sull’uso di spugnette impregnate di colore e lanci per aria, aveva donato quell’effetto stile esplosione che la soddisfaceva. Ignorando il fatto di aver dipinto finestre, mobilia, lenzuola e quasi tutta se stessa. Sedette in terra, osservando il tutto. Sospirò. Quanto vorrebbe aver avuto la mamma lì accanto, a dirle che aveva fatto un bel lavoro, che era stata brava. Ma era solo un sogno. La mamma non sarebbe mai tornata. A quel pensiero, sentì una così forte rabbia crescerle in corpo che fece davvero fatica a reprimerla. Le era sempre stato detto che certi scatti non si addicevano ad una signorina per bene.

Sentendo dei rumori, uscì e vide due individui sconosciuti aggirarsi per il corridoio. Vestiti in bianco, parlavano tra loro di cose alla bambina incomprensibili. Notandola, i due si girarono. Veda si spaventò e tornò a chiudersi in camera. Gli sconosciuti la seguirono e non le diedero il tempo di chiudersi a chiave.

“E tu chi sei?” domandò uno di loro, con uno strano accento.

“Mi chiamo Veda Kami” mormorò lei, con un piccolo inchino.

“Non sei una scienziata!”.

“No”.

“E cosa sei?”.

“Non ne ho idea”.

“E cosa ci fai qui?”.

“Sono stata affidata al signore di questa casa, assieme a mio fratello Gudis, da mio fratello Ihanez”.

“E chi è tuo fratello Ihanez?”.

“Il mio fratello maggiore”.

“Uno scienziato?”.

“No, uno stregone”.

“La sorella di uno stregone qui? Con il rischio che sia pure lei della stessa specie? Ma è inammissibile! La cosa non può accadere in tempi come questi!”.

“Non vedo dove sia il problema. Io non faccio male a nessuno!”.

“Forse non adesso. Ma un giorno… Questo è un luogo per scienziati, cultori della sapienza, e non per bambinette che non sanno nemmeno a che classe appartengano”.

“Scusi la scortesia, ma credo che questi siano solo affari miei e di chi ha accettato di accudirmi”.

Veda sentiva di nuovo quella rabbia crescere dentro di sé e, quando i due sconosciuti in camice bianco iniziarono ad avvicinarsi, scattò in avanti, seguendo l’istinto. La rabbia divenne energia ed attaccò gli uomini, senza di certo pensarci troppo. A suon di calci, e sfruttando qualche oggetto qua e là sparso per la stanza, come il secchio dei colori e dei libri, mandò al tappeto due esseri molto più grossi di lei.

“Che sta succedendo qui?” domandò il padrone di casa, entrando nella camera allarmato dai rumori.

“Veda! Che hai fatto?” spalancò gli occhi Gudis, senza sapere bene come reagire.

Quando vide che il suo maestro era scoppiato a ridere, un pochino si tranquillizzò, pur non trovandoci niente di divertente.

“A quanto pare qui abbiamo una piccola guerriera” commentò.

Veda lo fissò, piuttosto imbarazzata da quell’evento, e si scusò.

“Non ti devi scusare” si affrettò a dirle il padrone di casa “Certe persone non capiscono ciò che gli viene detto finché non vanno incontro a cose del genere. Ho sempre avvisato i miei colleghi di rimanere al di fuori delle mie faccende, che son del tutto personali. Avrebbero dovuto seguire il tuo consiglio e lasciarti in pace. Non lo hanno fatto…peggio per loro!”.

“Il gran consiglio dovrà sapere che tieni con te una guerriera, sorella di uno stregone” gemette uno dei due attaccati, sforzandosi di rimettersi in piedi dal poderoso colpo al basso ventre che aveva ricevuto qualche istante prima.

“Il gran consiglio deve farsi un mega pacco di affari suoi. Questa bambina è qui con me perché suo fratello è mio allievo e lei è orfana, non ha un altro posto dove stare. Che dovrei fare, secondo voi? Cacciarla via e lasciarla morire da sola in questo mondo di merda? Nossignore, non farò una cosa del genere. Non ad una bimba così adorabile. E così manesca!”.

“Prima o poi pagherei le conseguenze di simili familiarità con le altre classi”.

“Può darsi ma saranno solamente fatti miei. E ora, cortesemente, lasciate questa casa. Se per voi è così fastidioso avere a che fare con una bambina, allora siete pregati di non farvi più vedere da queste parti. Andate a chiedere consulto e aiuto ad altri scienziati, non più a me”.

I due uomini, gemendo e muovendosi in modo piuttosto scomposto, lasciarono la casa, pian piano.

“Li hai conciate per le feste” ridacchiò il maestro, passando una mano fra i capelli della piccola e spettinandoli “Brava”.

“Ma cosa succederà adesso?” domandò Gudis “Non finirete nei guai a causa nostra?”.

“Nei guai?”.

“Sì. E quelle persone non torneranno più”.

“Ragazzo, con gente simile è meglio avere a che fare il meno possibile. Dicono di essere scienziati ma hanno la mente più chiusa e bigotta del peggiore degli ignoranti. E, purtroppo mi duole ammetterlo, i migliori di noi stanno diventando tutti così. Spero di riuscire a fare in modo che tu stia ben lontano da certe idee, perché sono quelle idee che portano alla guerra”.

“La guerra è di certo l’ultima cosa con cui voglio avere a che fare”.

“Ed io ti auguro di riuscire a starci fuori. Anche perché sta andando avanti da troppo tempo. Ma basta pensare a cose tristi. Torniamo a far lezione”.

“Cosa stai imparando?” domandò, incuriosita, Veda.

“Sono ancora alle basi, sorellina. Appena sarò in grado di mostrarti qualcosa, lo farò”.

“Ti insegnerò ad andare a trovare tuo fratello” sghignazzò lo scienziato, alludendo alla possibilità di giungere alla torre a quattordici facce del castello stregonesco.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III- realtà ***


III

 

REALTÀ

 

“Buon compleanno, Gudis” sorrise Ihanez, allo stappare della grossa bottiglia da parte del fratello.

“Grazie. Grazie a tutti” rispose il festeggiato, servendo da bere agli ospiti dopo il botto provocato dallo schizzare in aria del tappo.

Non erano in molti in quella stanza. Oltre ai due fratelli, c’erano Veda Kami, vestita a festa, il maestro scienziato padrone di casa ed alcuni altri giovani, amici del ragazzo che compiva gli anni.

“Hai raggiunto un traguardo importante, Gudis” commentò lo scienziato “Diciotto anni. Quasi non ci credo. Sembra avvenuto ieri il nostro primo incontro e invece… Son passati già tre anni!”.

“Tre anni straordinari. Ho imparato davvero molto e imparerò ancora”.

“Certo. Ne hai ancora di apprendistato da fare!”.

“Apri i regali!” incalzò Veda, porgendo al fratello un pacchetto che aveva realizzato lei stessa “Questo è da parte di tutti noi” aggiunse, indicando gli altri ragazzi della sala.

“Non dovevate” arrossì Gudis, pensando in realtà che dovevano eccome.

Ignorò momentaneamente la torta che stava divorando e aprì il regalo della sorella. Era un set per la scrittura, con il nome del festeggiato.

“Ti servirà di certo per prendere appunti durante le lezioni” sorrise Veda, vedendo che il fratello gradiva molto ciò che aveva fra le mani.

Dopo aver ringraziato la sorella e gli amici, Gudis passò al regalo del suo maestro. Era un grosso pacco, piuttosto pesante. Lo aprì con cautela e trattenne il respiro quando vide ciò che conteneva. Era un telescopio, di quelli che chiunque avrebbe trovato troppo complicato se non appartenente alla classe degli scienziati, che aveva desiderato tanto.

“Se vuoi…” sorrise il padrone di casa “…ti darò una mano a montarlo, ma non credo che necessiterai del mio aiuto”.

Gudis era senza parole. Avere in dono una cosa del genere da parte di un maestro scienziato significava ricevere un tacito consenso nella libera ricerca, cosa che solitamente accadeva solamente parecchi anni dopo. Era un modo magnifico per dimostrare quanto si era orgogliosi e sicuri delle capacità del proprio allievo.

“E tu?” si riprese il ragazzo, fissando il fratello e ghignando“Tu cosa mi hai portato? O sei qui solo come mangiatore di torta?”.

“Per chi mi hai preso?” si difese Ihanez, aprendo la borsa che teneva legata alla cinta e porgendo un pacco al festeggiato.

“Cos’è?” domandò Gudis, tentando di indovinare.

“L’unica cosa di cui ci capisco qualcosa che può avere a che fare con il tuo essere scienziato” si limitò a dire Ihanez, mentre il fratellino scartava.

Era un libro. Un grosso volume, dall’aria piuttosto antica, che parlava in modo dettagliato di piante ed animali.

“Dove l’hai trovato un libro del genere?” domandò Gudis.

“Non è poi così complicato. Noi stregoni ne abbiamo parecchi di volumi così”.

“E che ve ne fate?”.

“Li studiamo. Per mutare la nostra forma, dobbiamo conoscere alla perfezione la creatura, l’oggetto o la pianta in cui ci trasformiamo. Più lo conosciamo e meglio riusciamo a controllarne gli istinti e gli impulsi che rischierebbero di farci rimanere intrappolati in un corpo che non è il nostro o di commettere errori irreparabili, dettati dal cervello animale. Oppure di non ricreare determinati dettagli e rendere inutile il cambio di forma”.

“Intendi dire che tu sapresti trasformarti in qualsiasi cosa contenuta in questo libro?”.

“In linea di massima, direi di sì”.

“Mi faresti vedere?”.

Ihanez rimase in silenzio a fissare il fratello, come a volergli dire che non era un fenomeno da circo.

“Perché piante ed animali in questo libro sono messi in questo ordine così insensato?” riprese il minore, sfogliando le pagine.

“Non è insensato. Seguono l’ordine di difficoltà” spiegò lo stregone “Più vai avanti con i capitoli e più diventa difficile la mutazione in quello che descrivono”.

“E in base a cosa si stabilisce una difficoltà?”.

“In base al tipo di creatura. Gli ultimi lì citati, come avrai modo di vedere, sono grossi esseri selvatici, a volte provvisti di magia a loro volta. Sono intelligenti e potenti, dotati di una forza di volontà ed un istinto molto forte. Per quando riguarda gli animali, si inizia sempre con quelli domestici, perché sono quelli che trovano più familiari gli ambienti in cui viviamo, il fatto di stare fra quattro mura o di sentire voci umane. Il loro istinto di base è molto assopito. Al contrario, le bestie degli ultimi capitoli sono predatori, liberi. Con loro è facile per uno stregone inesperto rimanere preda della creatura in cui ha scelto di mutare”.

“Cosa c’è il rischio che faccia?”.

“Uccida. Fugga. Perda per sempre la capacità di controllo e la consapevolezza come stregone, rimanendo quella creatura per sempre”.

“È successo?”.

“Dicono di sì. Personalmente, non ne conosco di intrappolati ma so cosa significa trovarsi al limite e quindi non mi stupisco se qualcuno di noi non è riuscito a tornare indietro”.

“E quindi…puoi trasformarti in uno di questi?” sorrise Gudis, sfogliando le pagine e cercando l’animale che più lo ispirava.

“Sì”.

“E lo faresti per me? Oggi è il mio compleanno, il diciottesimo per giunta. Fammi questo regalo!”.

“Ma io…”.

“Anch’io voglio vedere come ti trasformi!” si aggiunse Veda.

“In effetti, sarebbe uno spettacolo piuttosto interessante” concordò il maestro scienziato.

“Ma per chi mi avete preso? Per un prestigiatore o un clown?” protestò Ihanez.

“Ti prego!” sorrise Gudis e, guardandosi attorno, lo stregone si accorse che parecchie paia di occhi lo fissavano con aria di supplica e viva curiosità.

“E va bene” si arrese “In cosa vuoi che mi trasformi?”.

“Posso scegliere quello che voglio?”.

“Certo. Io sono ad un livello che va ben oltre quel libro”.

“Ma senti questo esaltato! Ad ogni modo, voglio questo”.

Gudis indicò un grosso uccello, dai molti colori, riportato fra le ultime pagine perché dotato di magia propria e perché di dimensioni notevoli, nonché carico di un animo piuttosto irascibile.

Ihanez sospirò. Si mosse verso il centro della stanza, chiudendo gli occhi. Mormorò qualche parola ed il suo corpo si riempì di scosse di luce. Mutò piuttosto rapidamente, crescendo di dimensioni e ricoprendosi di piume variopinte. Le gambe gli si assottigliarono e divennero quelle di un uccello. Le braccia si allungarono e su di essere crebbero molte piume. Il volto formò un becco ed i capelli si unirono al dorso. Una volta trasformato, spalancò le ali e si girò verso il fratello, che lo fissava con ammirazione e stupore.

“Straordinario! Posso farci un giro su una bestia come te?”.

Ihanez ridivenne umano e sorrise, scuotendosi da qualche piuma rimasta sul mantello blu.

“Un’altra volta” rispose al festeggiato “Oggi sono un po’ stanco”.

“Sei pronto per l’esame dei ventotto anni?” si intromise il maestro scienziato.

“Per questo sono stanco. Il mio maestro mi sta facendo faticare parecchio per quel maledetto esame per il quinto livello”.

“Fra quando sarà?”.

“Due Lune. Continuando così, o ci arrivo preparatissimo, oppure morto per la stanchezza!”.

“Pensa che poi sarai libero dalla supervisione del maestro e potrai andare avanti da solo. Pensi di andar via dal castello?”.

“Molto probabile. Ma non da solo”.

“Ah, giusto. Quella femmina. Come si chiama?”.

“Hennay”.

“Un’inutile distrazione”.

“Pensala come vuoi. Non voglio passare la mia vita come stregone solitario nel suo grande palazzo, covando odio e rancore verso il mondo”.

“Notevole progetto”.

“Possiamo venire a vederti nella prova per il quinto livello?” domandò Veda.

“No, mi spiace. Ci saranno moltissimi stregoni e non tutti sono aperti di mente in modo tale da sopportare la vista di uno scienziato, anche se solo apprendista, e una futura guerriera. Ma quando sarà tutto finito, andremo a festeggiare insieme. Che l’esame sia andato bene oppure no, ok?”.

“Offri da bere?” ghignò Gudis.

“Offro una festa, con tutto il necessario. Cibo, bevande, musica e compagnia”.

“Affare fatto!”.

“E, a questo proposito, ti pregherei di non passare lo specchio per venire a castello per un po’. Il mio maestro mi sta sempre dietro ultimamente e rischi di farti beccare”.

“Resisterò al richiamo della curiosità per un paio di Lune”.

Ihanez sorrise. Guardò con orgoglio quel suo fratello che cresceva e prendeva sempre più il suo posto nel mondo e, girandosi verso la sorella, non poté fare a meno di notare quanto in fretta stesse cambiando. Ormai era un’adolescente, fra un anno avrebbe iniziato il suo apprendistato da guerriera, ed assomigliava sempre più alla madre.

“Devo andare adesso” si congedò lo stregone, notando che il tempo era trascorso rapido e che rischiava di far tardi alle lezioni.

“Vuoi un pezzo di torta da portare alla tua bella?” lo derise il padrone di casa.

“No, lo lascio tutto a te. Che tu possa ingrassare felice” ridacchiò Ihanez e passò lo specchio, comparendo nella torre a quattordici finestre senza bisogno di usare formule magiche o di disegnare il cerchio, che gli comparve ai piedi automaticamente.

“Sì, dopotutto sono abbastanza bravo” si disse e scese le scale.

 

   

 

“Non essere nervoso” lo rimproverò Hennay, notando lo sguardo di Ihanez.

“E come posso non esserlo? All’esame saranno presenti molte persone, sconosciute, per giudicarmi. E se dovessi sbagliare qualche cosa?”.

“Non sarà diverso dall’esame per il quarto livello che hai fatto sette anni fa”.

“Sarà molto diverso. A quello c’era solo il maestro ed un suo collega. A questo invece… Senza contare che in quello sapevi, più o meno, cosa avrebbero potuto chiederti di fare, perché comunque di fronte avevi colui che ti ha addestrato ed un suo amico”.

“Pensa allora al fatto che all’esame finale, quello che affronterai a trentacinque anni, saranno presenti tutti gli stregoni, compreso il capo, e sarà lui stesso ad ordinarti che fare per superarlo”.

“Non so se ci arriverò a quell’esame, sinceramente”.

“Arrivarci è il sogno della tua vita fin da quando hai capito di essere uno stregone!”.

“Lo so, ma forse adesso ho cambiato priorità”.

Lui e lei si fissarono. La lieve brezza del mattino muoveva le foglie del giardino e piccoli fiori volavano fra mille piroette. Ihanez sorrise e sperò che nulla cambiasse da quel momento.

“Randoeku!” lo richiamò alla realtà il maestro “Sbrigati, stanno arrivando”.

L’allievo si irrigidì, visibilmente terrorizzato, ma Hennay lo sfiorò con la mano, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene.

 

   

 

“In che cosa consiste la prova di quinto livello degli stregoni?” domandò Gudis, guardando il cielo con il telescopio, osservano la Luna che lentamente veniva coperta dalle nubi.

“Perché pensi dovrei saperlo?” sorrise lo scienziato.

“Non lo so. Non sai tutto?” ghignò l’allievo.

“Sinceramente, ho sentito solo voci a riguardo. Gli stregoni sono piuttosto rari e tendono a starsene per i fatti loro. Potrai chiederlo a tuo fratello, appena l’avrà superata”.

“Ce la farà?”.

“Ovvio. Così come sono assolutamente certo che supererà l’esame finale fra sette anni”.

“Ma così non sarà più umano. Diverrà uno strano essere che non invecchierà mai”.

“Sarà sempre Ihanez. E poi anche noi scienziati stiamo facendo grandi passi con la ricerca per il prolungamento della vita”.

“Sì, ma non sarà mai la stessa cosa”.

“Ogni classe ha i suoi pro ed i suoi contro”.

“Ed i contro di essere uno stregone qual è?”.

“Hai visto come vanno in giro vestiti?”.

Allievo e maestro si misero a ridere, poi aggiungendo che probabilmente il lato negativo era il fatto che tutti avevano paura degli stregoni e non erano mai liberi di andare per il mondo senza venire additati o schivati. Non doveva essere piacevole.

“Non pensiamoci, ragazzo. Tuo fratello è diverso dagli altri stregoni. Lui non fa paura e sorride alla vita. Vedrai che presto ci inviterà a quella festa che ci ha promesso”.

Gudis annuì, continuando a trafficare con il telescopio, in cerca di qualche cosa che fin ora non aveva mai osservato, anche se dovette smettere da lì a poco perché aveva iniziato a piovere.

 

   

“Fai un passo avanti” ordinò la donna, indicando Ihanez.

Era vestita in blu, come tutti gli stregoni, ed al collo portava la collana simbolo che aveva superato l’esame finale. L’esaminato si chiese, per un attimo, quanti anni avesse in realtà. Si trovavano nella grande sala circolare dove era stato addestrato e, oltre a lui e al maestro, erano presenti altri cinque stregoni, tutti con la stessa collana. La sua, quella di Ihanez, era diversa, più piccola e meno elaborata. Sperava di cambiarla quella sera, avvicinandola come aspetto a quella finale.

“Qual è il tuo nome?” domandò la donna.

“Randoeku” rispose Ihanez, tentando di nascondere il suo nervosismo.

“Bene, Randoeku. Siamo in sette in questa stanza. Numero perfetto per un rituale, non trovi?”.

“Sissignora”.

“Allora, Randoeku, guidaci. Ora noi siamo tutti tuoi allievi, pronti a seguirti per svolgere il rituale che preferisci”.

“Miei allievi?”.

“Sì, guidaci. Dicci cosa dobbiamo fare. Noi siamo tuoi allievi, senza alcuna esperienza, e tu ci devi spiegare come svolgere un rituale. Uno stregone di quinto livello deve saperlo fare. Ti lasciamo qualche istante per riflettere”.

Ihanez non si sarebbe mai aspettato una richiesta del genere. La magia degli stregoni presenti era potente, ben più alta della sua, e si sentiva tutto fuorché un maestro.

Fuori pioveva forte ed il cielo era attraversato da molti lampi. Perfino i tuoni lo innervosivano.

“Bene” iniziò, prendendo un profondo respiro “Mettiamoci in cerchio, non troppo attaccati l’uno dall’altro” ordinò, vincendo la momentanea timidezza.

Diede istruzioni sulla loro sistemazione finché fu soddisfatto. Poi raggiunse il suo posto nel cerchio, al centro, e rimase in silenzio qualche istante. Senza parlare, attivò il meccanismo che sbloccava il tetto. I presenti chiusero gli occhi, aspettandosi di sentire la pioggia cadere su di loro, ma non fu così. Ihanez, tenendo la mano sollevata, impediva che questo accadesse. Quando abbassò il braccio, l’acqua continuò a seguire un percorso alternativo, che non prevedeva l’ingresso in casa. Il maestro annuì, soddisfatto.

“Ora rimanete immobili, per favore” mormorò Ihanez, sollevando lo sguardo verso il cielo con le mani giunte e le braccia abbassate.

Gli esaminatori si lanciarono sguardi interrogativi.

“Immobili” ripeté lentamente Ihanez, ad occhi chiusi.

Allargò le braccia, lentamente, e spalancò gli occhi, divenuti di colore unico e luminosi di magia. Mormorò alcune parole e un lampo corse verso di lui.

“Immobili!” dovette gridare, di nuovo, intuendo le reazioni di panico dei presenti.

Il fulmine raggiunse l’allievo, accompagnato da un boato fortissimo. Lui mosse le braccia e lo guidò. L’elettricità corse tutt’attorno alla parete circolare del palazzo, illuminandola, e poi si concentrò di nuovo su Ihanez, che la indirizzò verso gli esaminatori, creando dei cerchi ai loro piedi. Il cerchio più grande di tutti era il suo, collegato agli altri sei con dei raggi che lo facevano assomigliare ad un Sole.

“Questi sono i vostri cerchi magici” spiegò “Non uscitevi finché il rituale non sarà terminato. Ora, per favore, vi chiedo cortesemente di concentrarvi. Lasciate che io prenda parte della vostra energia, richiamate la magia dentro di voi. Seguite l’istinto, non abbiate paura. Chiudete gli occhi e trasmettete la magia. Se volete, potete aiutarvi allungando il braccio destro e aprendone la mano. Attenti, però, a non uscire dal cerchio”.

I presenti annuirono ed eseguirono gli ordini. Ihanez chiuse gli occhi a sua volta e richiamò a sé l’energia magica degli altri stregoni. Ovviamente, ne ebbe a disposizione solo la minima parte, dato che fingevano di essere allievi alle prime armi. Il cerchio attorno all’esaminato ora brillava intensamente, molto più degli altri. Quando si sentì soddisfatto dell’energia accumulata, riaprì gli occhi e li rivolse al cielo. Mormorò qualche parola e sorrise. La luce che aveva attorno corse verso le nubi e, lentamente, queste iniziarono a diradarsi. Smise di piovere, i presenti videro una splendida notte stellata, con una grande Luna che illuminava la stanza. I suoi raggi colpirono i cerchi creati da Ihanez e mutarono di colore, lasciando che l’elettricità si disperdesse. Argentei, quei raggi risalirono lungo il corpo degli stregoni, restituendo loro l’energia che avevano donato. Fatto questo, tornò il buio. Rimasero tutti in silenzio per qualche istante, poi fu l’esaminato a parlare.

“Vi ringrazio per la collaborazione” disse “Ora potete lasciare pure le vostre postazioni, senza dimenticarvi però di ringraziare la magia e la natura per quanto appena accaduto e concesso”.

Per un po’, rimasero tutti immobili ed in silenzio. La cosa inquietò Ihanez, che attese impaziente in quegli attimi che gli parvero un’eternità di sentirsi dire qualcosa.

“Ottimo lavoro, Randoeku” parlò una delle donne, probabilmente la più anziana “Solo una cosa: guidando un gruppo, raramente il capo usa termini di cortesia come il fatto di chiedere gentilmente di fare determinate cose. Per il resto: fantastico. Riuscire a focalizzare l’energia per creare i cerchi, il controllo perfetto dell’elettricità e l’interazione finale con la Luna in modo da restituire la magia usata è stato qualcosa che non mi sarei mai aspettata. Il mio giudizio non può che essere positivo”.

Ihanez fece un piccolo cenno con il capo, senza sapere che cosa dire.

“Anche per me è positivo” parlò un’altra donna “Il modo in cui hai saputo controllare la pioggia e svolgere il rituale è stato notevole”.

“Sarai un ottimo insegnante, imparando a spiegare ciò che stai facendo invece di spaventare i commensali” sorrise uno stregone dai capelli bianchi “Sono soddisfatto di ciò che ci hai mostrato, sei degno di entrare nel quinto livello”.

“Ci rivedremo all’esame finale, fra sette anni, ne sono sicura” commentò colei che aveva di fronte l’esaminato, che volle stringergli la mano.

“Assolutamente! Ci vedremo fra sette anni! Un talento non si spreca” concluse il giro dei commenti degli ospiti l’unico che ancora non aveva parlato.

“Grazie” mormorò Ihanez.

“Sono fiero di te” gli disse il suo maestro, dandogli una poderosa pacca sulla spalla “Ora sei libero di seguire la tua strada, non hai più bisogno dei miei insegnamenti. E, per quanto riguarda mia figlia…per me sarebbe un vero onore averti come genero. Sempre che rientri nei vostri progetti”.

Hennay, rimasta tutto il tempo nella sua stanza e che era rimasta meravigliosamente deliziata dal cielo stellato, non poté sentire quella frase ma fu fatta entrare nella stanza e capì tutto dal sorriso che i presenti avevano sul volto.

“Congratulazioni. Ci sei riuscito” disse, seguendo i cenni di suo padre che la invitavano ad avvicinarsi tranquillamente “Visto? Non avevi motivo di aver paura”.

“Ora vi lasciamo” commentò la donna a capo degli ospiti “Questa è la tua collana, che ti identifica come uno stregone di quinto livello. Non fermare qui il tuo percorso. Affronta l’esame finale fra sette anni e diventa come noi, mi raccomando”.

Ihanez non rispose, per nulla sicuro di voler fare una cosa del genere. Salutò, con un inchino, e vide gli stregoni allontanarsi in fretta avvolti dalla luce. Indossò la collana con quel medaglione decorato con un certo orgoglio. Ringrazio di nuovo il suo maestro, per tutto il percorso fatto insieme. Poi guardò Hennay, senza sapere bene che cosa dirle. Fortunatamente, lei non si aspettava parole e scattò in avanti, abbracciandolo forte.

“Sei stato bravissimo” gli mormorò.

“Avevi qualche dubbio?” rispose, spavaldo.

Lei incrociò le braccia, storcendo il naso e facendo intuire che aveva afferrato il sarcasmo. La sua civetteria era solo un banale trucco per fare la carina.

“Ti amo, Hennay” parlò, credendo di lasciarla senza parole.

“Non avevo dubbi al riguardo” ghignò lei, lasciando decisamente spiazzato lo stregone.

Non attese che si riprendesse e si spostò di nuovo in avanti, baciandolo.

“Smettiamola di fare i ragazzini” commentò poi “Festeggiamo come si deve. Giusto papà?”.

“Festeggiate come meglio credete” ghignò il maestro, guardando i due allontanarsi per mano fra le stanze del castello.

“Grazie, maestro”.

“Chiamami Araden adesso, non sono più il tuo maestro”.

“Piacere di conoscere il nome dell’uomo che mi ha cresciuto, finalmente”.

“Andate adesso. Buona serata” sorrise lo stregone padrone di casa “Ah, questi giovani” sospirò poi, dicendosi che una volta era stato così anche lui.

 

   

 

Gudis osservò il cielo sereno. Pioveva fino a poco tempo prima. Che meraviglia la natura! E la Luna era così grande e luminosa quella sera… Con il telescopio, osservò le costellazioni della notte, annotando su un quadernetto ogni cosa che riteneva interessante. Una stella cadente! Espresse un desiderio, chiudendo gli occhi. Poi si scosse, trovando stupido che uno scienziato credesse a certe cose. Sperò che nessuno lo avesse visto.

“Cosa hai desiderato?” ovviamente si sentì chiedere, dalla voce squillante della sorella.

“Non te lo posso dire. Altrimenti non si avvera”.

“Hai ragione. Voglio anch’io una stella. Ho molti desideri da esprimere”.

“Davvero? Non sei felice così?”.

“Lo sono. Ma non ho forse il diritto di sognare qualcosa di carino?”.

“Ovviamente. Meriti questo ed altro, sorellina”.

“Gudis, io e te staremo sempre insieme?”.

“Lo sai bene che fra un anno inizierai il periodo di addestramento con i guerrieri. Non potrò essere con te in quel caso”.

“Sì, lo so. Ma ti verrò a trovare. E tu verrai a trovare me. Ci scriveremo e…”.

“Ci conto. Tutto dipenderà da come il tuo maestro guerriero reagirà all’idea di avere uno scienziato che passa a trovare l’allieva”.

“Troverò un maestro perfetto, che mi aiuterà a non stare troppo lontano dal mio fratellone”.

Gudis sorrise e lasciò che lo abbracciasse. Litigava, com’era normale, con quella testarda ragazzina ma, dopo la morte della madre, il loro legame si era rafforzato sempre di più. Sapevano che fuori c’era la guerra, fuori da quella casa protetta dal maestro scienziato. Sapevano che, una volta privi della protezione di quest’ultimo, si sarebbero trovati in mezzo ad una situazione per nulla facile. Non avrebbero potuto nascondersi per sempre da combattimenti e scontri.

“Qualunque cosa accada, Veda, ti prometto che sarò al tuo fianco. Troverò un modo, sempre. Perché sei la mia sorellina ed io ti proteggerò”.

“E Ihanez?”.

“Lui veglia su di noi. Questa casa ed il mio tirocinio sono merito suo”.

“Credi che un giorno potremmo mai stare tutti insieme? Come una famiglia?”.

“Quando la guerra finirà, vedrai”.

“E quando finirà la guerra?”.

Gudis non sapeva cosa rispondere, ma sorrise. Veda rispose a quel sorriso.

“Come si chiama quella stella?” domandò lei, e lui iniziò a farle una rapida lezione di nomenclatura stellare, aiutato dal telescopio.

 

   

 

Risvegliatosi abbracciato alla donna che amava, Ihanez si allarmò percependo un rumore sconosciuto. Come un ronzio.

“Cosa c’è?” biascicò Hennay, aprendo gli occhi lentamente.

“Lo senti anche tu?”.

“Cosa?”.

“Questo rumore”.

“Non sento nulla”.

Ihanez decise di ignorare il ronzio, forse frutto della sua immaginazione. Era ancora notte, anche se mancava probabilmente poco all’alba.

“Ho fame” borbottò lo stregone, alzandosi a fatica dal letto completamente disfatto.

Indossò al volo la tunica semplice che metteva sotto la complicata veste della sua classe quando faceva più freddo, allacciandola in vita con una cintura, e si  avviò verso la cucina.

“Ti vergogni?” ridacchiò lei, senza muoversi dal letto e senza alcun pudore nella sua totale nudità.

“Se tuo padre dovesse vedermi, un pochino mi vergognerei” ghignò Ihanez “Torno subito, non andare via. E non rivestirti”.

Lei ridacchiò. Lui si allontanò in fretta, sentendo un brontolio sommesso provenire dal suo stomaco. Però c’era ancora quel ronzio…

Pensandoci, avrebbe potuto chiamare a sé il cibo con la magia ma c’era qualcosa che lo aveva spinto ad alzarsi. Il formicolio della magia provocata dalle ore precedenti era una sensazione meravigliosa. Prima lo aveva caricato di energia l’esame, grazie alle cariche donatagli dagli esaminatori. Ovviamente l’esito positivo di questo lo aveva ringalluzzito ed ulteriormente colmato di potere magico. Poi Hennay…la notte con Hennay era stata la più bella della sua vita. Due stregoni, uniti, erano in gradi di generare tanta energia da creare lampi. Quasi in sovraccarico, improvvisando balletti imbarazzanti, Ihanez non riusciva a dimenticare il corpo nudo di colei che per anni aveva desiderato e che finalmente aveva modo di toccare, baciare, assaporare, eccitare. Si affrettò a riempirsi la pancia con spuntini veloci, per tornare rapidamente dal centro dei suoi pensieri. Stava bevendo direttamente dalla bottiglia, cosa che il maestro gli aveva vietato da sempre, quando avvertì il rombo degli aggeggi volanti che bombardavano le città. Continuò a bere, sicuro che il castello non sarebbe stato individuato. La terra vibrò, un’esplosione improvvisa lo travolse, trascinandolo lungo il pavimento in pietra. Pochi secondi, in cui il suo udito non funzionò molto bene, e poi percepì di nuovo quel ronzio.

La voce telepatica di quello che un tempo era il suo maestro gli rimbombò in testa: “La torre! Raggiungete la torre! Agli intrusi penserò io, andate lontano da qui”.

“Sì” rispose, sempre con il solo uso della mente, e volò da Hennay.

Fra la polvere alzatosi dall’esplosione, tentò di raggiungerla. La ragazza, nel frattempo, si era rivestita alla bene e meglio e, più vicina alla torre come posizione, si stava muovendo velocemente verso di essa.

“Tre entità. Percepisco chiaramente tre entità magiche” parlò un uomo vestito di bianco, osservando lo schermo di uno strano marchingegno.

“Avete sentito? Sono tre. Scovateli, non lasciateveli scappare” rispose un altro uomo, molto più muscoloso, dando ordini ad un manipolo di individui armati e dall’abito rosso.

“L’alleanza” sobbalzò Ihanez, vedendo scienziati e guerrieri collaborare e capendo che il ronzio che sentiva proveniva da quegli affari che gli scienziati stringevano fra le mani.

Alzò lo sguardo. Hennay aveva raggiunto la torre dai quattordici archi. Stava creando il cerchio per attivarla. Qualcosa non andava, però. La luce di quelle porte era diversa. Un uomo, in bianco, teneva fra le mani un altro strano oggetto,  la cui luce emessa stava circondando l’edificio.

“Hennay!” gridò Ihanez “Non usare il passaggio!”.

Ma era tardi. La ragazza corse verso una delle aperture, spalancando le braccia, sicura di comparire in un altro luogo, al sicuro, certa che il padre e Ihanez l’avrebbero raggiunta presto. Al tocco dell’aria magica fra gli archi, non si sprigionarono le consuete luci azzurrine ma argento e rossicce. Hennay gridò di dolore, oltrepassandole ed iniziando a precipitare dalla torre. Ihanez si concentrò per trasportarsi al suo fianco e fermare la caduta, ma la magia non gli rispose. Quella luce misteriosa doveva avere la capacità di bloccarla. Ma chi aveva conoscenze così avanzate sugli stregoni per creare una cosa del genere? E chi sapeva del castello? Corse, nel vano tentativo di raggiungere Hennay in tempo, ma la vide solamente cadere nel vuoto e schiantarsi al suolo. Evidentemente pure lei priva della magia, non aveva trovato il modo di sfuggire dalla caduta. D’istinto, lui la prese fra le braccia e la strascinò fuori da quella bolla di luce rossa e argento, nonostante in contatto con essa provocasse dolore e ferite sul corpo dello stregone.  Tentò di svegliare la donna che amava, sicuro che la magia potesse fare tutto.

“Non ti permetterò di morire” mormorò “Io e te rimarremo uniti per sempre!” esclamò, baciandola.

Il grido del suo maestro, che dalla finestra doveva aver capito cosa era successo, lo riempì ancora di più di rabbia nei confronti di coloro che erano entrati al castello. Divenne invisibile e risalì la torre, attendo a non rientrare nella zona circondata dalla luce nemica, vedendo maestro ed avversari nel cortile interno.

“Percepisco un’entità” informò l’uomo in bianco, indicando esattamente il punto dove si trovava Ihanez, stupendo parecchio lo stregone.

All’inizio pensò di aver sbagliato incantesimo ma capì subito che non era così. Un gruppo di uomini in rosso iniziò a sparargli contro con quelle strane armi a raggi simili a fulmini. Lui schivò a fatica, continuando a venir indicato costantemente dall’avversario in bianco. Doveva distruggere quell’affare che indicava la sua posizione. E, meglio ancora, spezzare quel fastidioso dito che lo puntava. Si fermò, concentrando la sua energia. Purtroppo per lui, non aveva calcolato la presenza di più dispositivi. Una volta fatto esplodere uno di essi, un altro era pronto a sostituirlo e alle spalle dello stregone, che fu colpito. Sentì la magia abbandonarlo e cadde malamente a terra. Non trovandosi molto in alto, riuscì a non farsi troppo male. Si rialzò a fatica, fra i rovi ed il frizzare del raggio dell’arma. Era circondato.

“Arrenditi, stregone” lo intimò il capo dell’armata in rosso.

Ihanez non gli rispose. Tentò di recuperare le sue capacità, ma capì che quell’arma lo aveva privato dei poteri. Scosse il capo, ancora intontito dalla caduta, iniziando a percepire il dolore provocato da essa. Vedeva tutto fuori fuoco. Gemette e poi…qualcosa lo sollevò da terra. Una luce bianca, fredda, lo sollevò e lo trasportò lontano dagli aggressori molto velocemente.

“Prendetevela con me!” gridò il padrone di casa, con ancora la mano tesa verso il suo allievo.

Aveva usato la poca energia rimastogli per allontanarlo.

“Prendetelo! Non fatevelo scappare” ordinò il capo in rosso, indicando un paio dei suoi soldati ed un individuo in bianco.

“Cose ne facciamo?” domandò uno di questi.

“Stesso trattamento della ragazza. Di lui non deve rimanere nulla, nemmeno cenere. Questi stronzi potrebbero trovare il modo di riportarsi in vita. Gli altri, con me. A quanto pare questo vecchio pazzo non ha ancora capito con chi ha a che fare”.

Araden strinse i pugni. Era in minoranza, sia come numero che come forza. Ed ora aveva anche l’assoluta certezza che della sua bambina non era rimasto altro che un ricordo. O forse no? Gli sembrò di vederla, nel folto del bosco, attraverso lo squarcio provocato dall’esplosione.

“Randoeku! Questo è l’ultimo compito che ti affido come tuo maestro” gridò “Ti proibisco di morire, chiaro? Hai il divieto assoluto di morire, piccolo bastardo, mi hai capito? Devi vivere e divenire il migliore di noi”.

Gli assalitori lo fissarono, convinti ormai che fosse del tutto pazzo.

“Prenditi cura di lui” mormorò alla fine il padrone del castello.

Un’ombra bianca annuì e corse via, nel buio del bosco e della notte, mentre uomini in bianco ed in rosso ormai non lasciavano alcuno scampo allo stregone in blu, che spalancò le braccia mentre veniva trafitto da centinaia di colpi che ne squartarono il corpo centenario senza lasciarne traccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV- verde vigilante ***


IV

 

VERDE VIGILANTE

 

Avvolto dal buio della foresta, Ihanez era ancora piuttosto confuso. Accovacciato contro un albero, guardava il cielo, senza capire molto bene cosa fosse successo. Tutto troppo in fretta, non sapeva cosa fosse realtà e cosa solo un incubo. La voce dei suoi assalitori che si avvicinavano lo riportarono totalmente alla realtà. Si alzò in piedi a fatica, ignorando le molte ferite che sentiva sanguinare e che pulsavano.

“Fatevi sotto, stronzi” mormorò, quando lo ebbero circondato.

Puntandogli contro le armi, erano pronti a distruggerlo in migliaia di particelle.

“Arrenditi, stregone” parlò uno di essi.

Ihanez non si mosse.

“Bravo, vedo che capisci. Vedrai, non sarà una cosa troppo dolorosa”.

Con le dita sul grilletto, già con l’occhio socchiuso per prendere la mira, come un plotone di esecuzione erano tutti pronti a porre fine alla vita di colui che consideravano una sorta di mostro. Ihanez non distolse lo sguardo dai nemici. Non aveva più niente da perdere. La donna che amava era morta, il suo maestro pure e lui era senza poteri. Tutto ciò che aveva sempre sognato era svanito in pochi attimi, a che scopo opporsi alla morte?

“Avanti” sbottò “Che cosa state aspettando?”.

“Fuoco” ordinò il maggiore di grado degli uomini in rosso ma nessuno ebbe modo di sparare, perché una creatura si frappose fra vittima e carnefici.

“E tu chi saresti?” domandò lo scienziato del gruppo “Ti consiglio di toglierti di mezzo!”.

L’essere girò il viso verso colui che aveva parlato, incrociando il suo sguardo, facendogli capire che non si sarebbe mosso.

“Sei vestito in verde. Sei un signore della natura. Cosa pensi di fare contro armi e scienza? Ti consiglio di farti da parte, così forse avrai salva la vita”.

Non ottenne l’effetto sperato. La creatura, vestita effettivamente in verde, con veli che ne lasciavano scoperto solo parte del volto, non si mosse di un centimetro.

“Come vuoi, se ti fa così schifo vivere… Uccidete pure lui” sbottò lo scienziato, con un gesto di stizza rivolto ai guerrieri.

Premettero i grilletti, i raggi partirono dalle armi ed immediatamente furono fermati a mezz’aria, in una sorta di bolla luminescente.

“Ma che…” sbottò uno dei soldati.

I raggi rimasero immobili qualche istante e poi tornarono indietro, rientrando nelle armi e facendole surriscaldare a tal punto da disarmare i guerrieri, facendo loro gettar a terra la loro difesa. Subito dopo, un ringhio sommesso alle loro spalle li fece immobilizzare.

“Sono lupi della zona di Madden” spiegò l’essere in verde, con voce ferma, profonda “Se voialtri avete mai anche solo accennato ad un vago studio della geografia di questo mondo, dovreste sapere che è uno spiazzo roccioso dove vi è ben poco da mangiare. Penso che volentieri si farebbero uno spuntino con un paio di voi”.

“Maledetto stregone” sibilò lo scienziato del gruppo, senza sapere cosa fare.

“Non sono uno stregone” fu la risposta mentre, soltanto alzando lo sguardo, la creatura ricacciò indietro i colpi di alcune armi in lontananza.

Gli altri guerrieri, non vedendo tornare i loro compagni, erano andati a cercarli.

“Ti consiglio di arrenderti, chiunque tu sia” parlò il capo della compagnia vestita di rosso “Siamo più di te e meglio armati”.

“Io non voglio che accidentalmente facciate del male ai miei amici” parlò l’uomo in verde, indicando i lupi “Perciò ordinerò loro di sedersi e stare buoni. Voi, però, in cambio, deponete subito le armi”.

I guerrieri si fissarono, indecisi sul da farsi. Ihanez, nel frattempo, fissava il tutto con stupore. Chi era quell’essere e perché lo stava difendendo in quel modo?

“Va bene, come vuoi tu” annuì il capo guerriero “Ora mettiamo le armi per terra e tu mandi via gli animali. Ok?”.

I lupi smisero di ringhiare ed i guerrieri lentamente si abbassarono, con l’intento di deporre in terra ciò che gelosamente stringevano fra le mani. All’ultimo instante, quando ormai l’erba gli sfiorava le dita, il capo dei rossi scattò e tentò di colpire lo sconosciuto. Non lo colse di sorpresa. Il colpo sparato tornò indietro, esattamente come tutti i precedenti. L’attentatore gridò, con la mano ustionata a causa del gran caldo sprigionato dal raggio, e rimase disarmato. L’essere in verde si accigliò e tutte le armi spararaggi esplosero, in una nuvoletta rossastra.

“Tu mi hai davvero scocciato, bastardo” sibilò il maggiore di grado fra i guerrieri.

“Guarda caso, è la stessa cosa che penso io” mormorò l’uomo in verde.

“Ora te la vedrai con me”.

Il guerriero sguainò una lunga spada che teneva al fianco, stringendola poi con entrambe le mani e sfidando l’avversario. Questi non parve particolarmente intimorito. Sospirò e tolse lo strato di veli che ne coprivano il viso e avvolgevano il corpo. Mostrò ai presenti una cascata di capelli verde acceso, piuttosto voluminosi e dritti, raccolti a volte in piccole trecce con perline e gingilli tintinnanti. Attorno al collo, le caviglie ed i polsi portava anelli in oro, anch’essi piuttosto rumorosi. L’abito che indossava era elaborato, ricco di decori ricamati e dipinti su di esso, ma era piuttosto aderente, e questo gli permetteva di essere molto agile nei movimenti. Scostò leggermente la mano, mostrando di possedere a sua volta una spada.

“Osi sfidarmi, ragazzino?” lo additò il guerriero “Sei così magrolino e giovane, che escludo del tutto tu possa battere me, che come abilità nella spada sono secondo soltanto al nostro capo supremo. Ti consiglio di arrenderti”.

“Ragazzino, tzh!” ridacchiò l’uomo in verde, con quella sua voce profonda e mal combinata con quel corpo gracile “Se posso darti un consiglio, che poi so che non seguirai, credo faresti meglio ad evitare che io sguaini la mia spada”.

“Ma con chi credi di avere a che fare?! Lui è il sommo generale delle forze armate dei guerrieri e tu sei solo un pazzo!” lo apostrofò uno dei soldati in rosso.

“Per quel che mi riguarda, potete anche attaccarmi tutti insieme” sbottò l’essere in verde e portò la mano sull’elsa della spada, facendola scattare leggermente e mostrando l’inizio della sua scintillante lama argentea.

“Ma che fai? Sei pazzo sul serio?” protestò Ihanez, capendo che si sarebbe ritrovato nel mezzo di uno scontro impari “Io sono senza poteri, non ti posso aiutare!”.

“E allora resta immobile e guarda”.

In pochi secondi, ogni guerriero stringeva fra le mani la propria spada ed era pronto ad attaccare. Anche l’uomo in verde era pronto e respinse con abilità i primi tentativi di attacco. Tutto si svolse piuttosto in fretta. I più giovani, i più incoscienti, si lanciarono contro il nemico senza valutarne prima le reali capacità e furono disarmati in un istante, e intimati a rimanere a terra. I guerrieri di un rango un po’ più elevato, sbalorditi da quella scena ma per nulla intimoriti, si fecero dei cenni e lo attaccarono in modo da non lasciargli via di fuga, circondandolo. L’attaccato rimase impassibile. Afferrò la spada e la ruotò, spezzando di netto la lama di due degli assalitori. Poi ordinò a Ihanez di abbassarsi e, con un potente fendente, mandò a terra un altro di loro. Allo stesso tempo, un guerriero tentò di colpirlo alle spalle ma lui fu più rapido, ruotò su se stesso e lo scaraventò lontano con un potente calcio.

Nel frattempo, gli scienziati del gruppo, senza armi, osservavano il tutto senza capire. Come poteva una creatura con simili proporzioni essere in grado di lottare così? Doveva essere per forza una stregoneria. Molto potente, ma pur sempre una stregoneria.

Il capo dei guerrieri si gettò nella mischia, gridando come un pazzo, o un idiota, rimanendo bloccato in una parata e fissando negli occhi l’avversario. Quello sguardo, non capì perché, lo riempì di terrore per alcuni istanti.

“Ma tu chi sei?” esclamò, allontanandosi di qualche passo ed iniziando a girare attorno al suo avversario “E perché difendi questo stregone ormai senza magia?”.

“Chi sono e quel che io faccio non sono cose che ti riguardano. E se hai bisogno di una pausa per riprender fiato, ti consiglio di evitare di parlare”.

“Non ho bisogno di una pausa, insolente creatura!”.

Ripresero a combattere, fra gli sguardi di tutti gli altri, sconfitti e affaticati.

“Dev’essere un feticcio” concluse uno degli scienziati.

“Cioè?” domandò un giovane soldato, ancora ansimante.

“Un essere creato da uno stregone, e quindi dotato di magia, ma carico di altre abilità. Deve averlo generato qualcuno davvero molto potente, forse il loro stesso capo”.

“Intendi dire che quel mostro non è reale?”.

“Lo è, ma è solo un pupazzo vuoto che, una volta svolta la sua missione, scomparirà”.

Lo scontro continuava. Ihanez, intanto, stanco per le ferite, era riuscito ad accoccolarsi accanto ad un albero. Se avesse avuto sufficienti energie, avrebbe aiutato quello straniero, ma la magia lo aveva abbandonato. Non poteva far altro che restare fermo dov’era ed aspettare. Il guerriero rosso sembrava davvero molto forte, i suoi colpi erano velocissimi e precisi, ma l’uomo in verde parava tutto e rispondeva ad ogni attacco con altrettanta precisione. Finché il soldato non avvertì per primo la fatica e rallentò, lasciando spazio alla creatura in verde di gettarlo a terra, puntandogli alla gola la lunga spada. Lo sconfitto alzò le mani.

“Puf” mormorò il vincitore “Non ho voglio di ucciderti adesso. Però credo mi debba delle scuse. Perlomeno a mia madre, per avermi dato del bastardo”.

“Tu sei un mostro”.

“Può essere. E tu sei uno stupido. Vattene ora, andatevene tutti. Sparite, prima che mi venga voglia di uccidere”.

Il gruppetto di soldati si rialzò, più o meno a fatica e si allontanò.

“Ah, dottore…” aggiunse il vincitore, fissando lo scienziato “Non sono un feticcio”.

Detto questo, si voltò e si diresse verso Ihanez, ignorando le domande che gli rivolgevano quelli della classe in bianco, tentando di capirci qualcosa di tutta quella storia. Vedendo che l’uomo non li degnava di uno sguardo, si allontanarono seguendo l’esempio dei soldati.

“Va tutto bene?” domandò a Ihanez il vincitore.

“Più o meno” mormorò lo stregone.

“Le tue ferite non sembrano particolarmente gravi, ma è meglio che ti porti via da qui, in un luogo più sicuro. Riesci ad alzarti?”.

“Penso di sì”.

“Allora alzati”.

Ma Ihanez rimase dove stava, seduto in terra e con lo sguardo rivolto altrove.

“Ragazzo, so  che sei sconvolto per quanto ti è successo ma…”.

“Non sono un ragazzo! Ho quasi trent’anni!”.

“Come vuoi. Però ora alzati, ce ne dobbiamo andare, prima che arrivino altri di loro”.

I lupi, ora mansueti, se ne stavano seduti tranquilli ed osservavano la scena, sperando nella generosità del loro padrone.

“Lui non si mangia” sorrise loro l’uomo in verde, indicando Ihanez “Ma, se avrete un po’ di pazienza, fra poco andiamo a casa e lì vi darò tutto ciò che volete”.

Il capo branco scodinzolò.

“Porta a casa le tue bestiole, e lasciami in pace” sbottò lo stregone “Ti ringrazio per quanto hai fatto, ma ora me la cavo da solo”.

“Fuori discussione. Alzati e vieni con me”.

“Ma chi sei? Perché mi dai ordini?”.

Ihanez si alzò di colpo, respingendo la mano del suo salvatore che tentava di dargli una mano. Sfortunatamente per lui, le ferite che aveva su tutto il corpo erano più profonde di quanto credesse e non riuscì a reggersi.

“Lasciami” biascicò, rivolto all’uomo in verde che lo aveva afferrato al volo.

Questi, di tutta risposta, gli schioccò le dita davanti al volto, facendolo addormentare.

“Maghetto testardo” commentò poi, portandolo via da quel luogo pericoloso, seguito a ruota da un branco di lupi affamati.

 

   

 

Fu un ululato a svegliare Ihanez. Ancora nel dormiveglia, sentì le morbide lenzuola sotto le mani ed il cuscino su cui poggiava il viso e pensò fosse stato tutto solo un incubo. Poi arrivò il dolore, delle ferite e dei ricordi, e capì che era tutto vero. Morti, morti per davvero, e la sua magia… tentò di richiamarla a sé e formulare un incantesimo. Nulla. Sparita. Affondò la faccia nel cuscino, sperando ardentemente di potersi addormentare per sempre. Dopo qualche attimo, in cui rimase immobile, sentì di nuovo quell’ululato. Sospirò. Era stato non poco scortese con l’uomo che lo aveva salvato, doveva riconoscerlo. Si sentì in colpa per questo e scese dal letto, piuttosto alto. Le ferite erano quasi del tutto svanite, qualcuno doveva averlo guarito con la magia. Doveva ringraziare per tutto e andarsene. Non gli importava per nulla se possibili pericoli lo attendevano. Non aveva proprio niente da perdere. Con quei pensieri, uscì dalla stanza. Era scalzo, e con solo una vestaglia azzurrina addosso. Si guardò attorno. Si aspettava una dimora decisamente più piccola, invece era immensa. Dall’alto dove si trovava, scorgeva una moltitudine di porte di colore diverso, fra gli archi di un colonnato attorcigliato e statue rappresentati vari soggetti.

“C’è nessuno?” domandò, sentendo la sua voce rimbombare diverse volte.

Camminò un po’, sentendo solo il rumore dei suoi passi, quando ad un tratto il grido di un uomo lo fece arrestare.

“Nininsina!” gridò l’uomo, che vide apparire da una delle porte, coperto solo da un asciugamano “Quante volte te lo devo dire di non toccare le mie cose?!”.

“Cosa vuoi? Cos’hai da gridare?” rispose una voce di donna, che poco dopo apparve dal piano inferiore, lungo il corridoio.

Ihanez osservò entrambi in silenzio. Lui era molto alto, con lunghi capelli blu scuro ed occhi luminosi, quasi d’oro. La sua pelle si stava scurendo gradatamente, divenendo sempre più nera, cosa che inquietò lo stregone. Lei sorrideva, calma, e guardava in su come se fosse la cosa più normale del mondo vedere una cosa del genere. Aveva una lunga treccia di capelli scuri ed uno sguardo limpido, molto chiaro. La sua pelle era abbronzata ed indossava una veste semplice, chiara.

“Ti avevo detto di non toccare la roba mia!” tuonò lui.

“Io non ho toccato proprio niente”.

“Bugiarda”.

“Vuoi che chiami Fides a testimoniare per me? Ero con lei in cortile”.

“Bugiarda, bugiarda, bugiarda! Solo tu ti diverti a girellare per le stanze altrui in cerca di materiale per i tuoi intrugli”.

“Vero, ma non ho toccato la tua roba. Oggi sono stata molto impegnata”.

“A fare cosa?”.

“A…”.

“E tu chi sei?” si sentì chiedere Ihanez, sobbalzando e zittendo i due litiganti.

Alle sue spalle stava un uomo moro, dai brillanti occhi verdi.

“Io…mi chiamo Ihanez” rispose lo stregone, accorgendosi di avere ora accanto anche l’essere dai capelli blu che sbraitava prima.

“E cosa ci fai qui?” domandò proprio lui.

“Mi ha portato qui un tizio, credo”.

“Credi? Come fai a non saperlo?”.

“Ero svenuto, immagino”.

“E questo tizio sapresti descriverlo?”.

“Alto, magrolino, capelli verdi”.

“Gonfi, incrocio fra un salice piangente e una palma?”.

“Immagino che la descrizione calzi”.

“Ah, Rashnu. Chissà quando la smetterà di portarsi casa strani animaletti. Anche se tu non sei un animaletto. Cosa sei?”.

“Uno stregone”.

“Oh, e come mai sei qui?”.

“Non lo so. Lui mi ha salvato la vita e ha detto che mi serviva un posto sicuro dove stare. Immagino che per lui questo sia un luogo sicuro”.

“Il più sicuro del mondo, ma è strano da parte di Rashnu un atto del genere”.

“Perché dite questo?”.

“Perché lo conosco, e sa come essere un grandissimo stronzo”.

“Come te” interruppe l’uomo moro.

“Come tutti noi, Egres. Ma lui ha quel qualcosa in più. Merito di suo padre, immagino”.

“Se lo ha portato qui, un motivo ci sarà”.

“Sei in piedi!” scansò gli uomini la signora che prima stava al piano di sotto “Io sono Nininsina e sono stata incaricata di guarirti. Stai meglio, vero?”.

“Dal punto di vista fisico, sì” annuì Ihanez, ormai arrendendosi all’evidenza che ci avrebbe capito ben poco della situazione per un bel po’ “Avete detto che l’uomo che mi ha salvato si chiama Rashnu. Dov’è adesso? Vorrei parlargli, ringraziarlo”.

“Al momento non è in casa, ma tornerà presto” rispose la donna.

“Nel frattempo, torna nella tua stanza e non girellare in posti che non ti competono, intruso” sbottò l’uomo dai capelli blu.

“Piantala di fare il coglione, Reahu!” lo rimproverò Egres.

“Lui non è come noi!” protestò, di risposta, colui che era stato definito un coglione.

“Nessuno di noi era "come noi" quando è giunto qui, perciò smettila” lo zittì Nininsina “Se Rashnu l’ha portato qui, lo saprà il perché e ce lo dirà a tempo debito”.

Reahu non disse altro, si allontanò stizzito e, gradatamente, la sua pelle si schiarì. Davanti alla sua porta, era ormai quasi bianco latte.

“Non devi avere paura di lui” ridacchiò Egres “Abbaia ma non morde”.

“Come i lupi di Rashnu?” domandò Ihanez.

“Oh no, quelli mordono eccome. Basta che lo voglia il loro padrone. Ma tu non verrai morso da loro, puoi rilassarti”.

“Dove mi trovo? Che posto è questo? È la casa del mio salvatore?”.

“Questa è la casa di tutti noi, e sarà anche la tua se si deciderà in questo modo” ripose la donna.

“La casa di tutti noi? Noi chi?”.

“Ogni cosa a suo tempo. Sarà Rashnu stesso a darti tutte le riposte. È più bravo di noi in queste cose. Ora credo faresti meglio a rientrare in stanza e riposare”.

“Sto bene. Voglio solo ringraziare ed andarmene”.

“Ma ora il tuo salvatore non c’è. Ti consiglio di tornare a letto ed aspettarlo”.

Ihanez sospirò e si arrese. Rientrò e chiuse la porta.

“Ha lo sguardo triste che avevamo in molti, quando siamo giunti qui” mormorò Egres.

“Come molti di noi hanno ancora” concluse Nininsina e ridiscese le scale, lasciando che nella grande casa tornasse il silenzio.

 

   

 

Era notte inoltrata quando Rashnu tornò. Ihanez ne riconobbe la voce. Uscì dalla stanza e lo vide, lungo il corridoio al piano di sotto. Il salvatore dai capelli verdi lo sentì e girò la testa. Lo stregone sobbalzò. Ora quell’uomo era vestito di scuro ed il suo sguardo era molto più duro, freddo, rispetto a quello che gli aveva rivolto quando lo aveva soccorso. Mutò in fretta, però, ridivenendo rassicurante e sufficientemente normale.

“Sarò subito da te” gli disse “Aspettami lì”.

Ihanez annuì, osservandone i capelli verdi. Ora quel rumore che prima, nella foresta, pareva un tintinnio, era molto più simile al suono prodotto da delle catene.

“Il coso dai capelli arancio fluo che sta al piano di sopra, chi cazzo è?” lo apostrofò Reahu.

“E tu da quando ti permetti di rivolgermi la parola in questo modo, Reahu?” si stizzì Rashnu.

“Da sempre. Tuo padre era il mio capo, ma questo non significa automaticamente che ora lo sia tu, mio caro psicopompo”.

“Mio padre È il tuo capo, lo è ancora, fino a prova contraria. E se a qualcuno non sta bene il fatto che momentaneamente comandi io, allora fatevi avanti, proponetevi. Io non sono un dittatore, e non lo voglio essere. Sarò lieto di farvi scegliere fra noi chi crediate sia il più adatto a sostituire il mio genitore fino al suo ritorno”.

“E se non dovesse tornare? Mai considerata questa opzione? Ti accolleresti le sue mansioni fino alla fine dei tuoi giorni?”.

“Lui tornerà. E con questo considero chiusa la questione”.

“Non lo è. E non mi hai ancora detto chi è quell’essere al piano di sopra”.

“Ti ha dato fastidio?”.

“No”.

“E allora non sono affari tuoi, mi sembra”.

“Questa è anche casa mia, o sbaglio? E gradirei sapere chi ci abita”.

“Possiamo rimandare questa discussione a domani? Sono molto stanco”.

“Oh, no! Perché ti conosco. Tu dici così e poi svicoli dalla questione per sempre. Dammi ora tutte le spiegazioni che voglio, oppure ti tormenterò tutta la notte!”.

“Non fare il coglione!”.

“E tu spiegami perché hai portato quello stregone qui!”.

“Piantatela di gridare!” interruppe entrambi una donna vestita di bianco, sporgendosi dal pianerottolo davanti alla sua camera. Aveva lunghi capelli azzurro chiaro e grandi occhi rosa pesca “Magari voi due stronzi vi potete permettere di bighellonare fino a tardi” riprese, decisamente adirata “Ma qui c’è gente che si deve svegliare presto!”.

“Scusaci, Thesan” si affrettò a dire Rashnu.

La donna rientrò in camera, dietro una porta dello stesso colore dei suoi occhi.

“Hai visto? È tardi. Ora me ne vado a dormire, ne riparleremo domattina” sbottò poi lui, rivolto a Reahu, che però non accettò una risposta del genere.

“Sei la creatura più testarda che abbia mai conosciuto!” si stizzì Rashnu, davanti a tale insistenza.

“So che non è così. Lui, lo stregone fluo, non è uno di noi”.

“Nemmeno tu lo eri quando sei giunto qui, o te lo devo ricordare?”.

“Lui non ha mostrato altre capacità particolari”.

“Le ha mostrate”.

“Quali?”.

“Fatti gli stracazzi tuoi porca di quella troia e lasciami andare a dormire! Ho avuto una giornata tremenda, come tutte le altre a questa parte da quando è iniziata sta guerra inutile!”.

“Adesso non ti arrabbiare con me per la guerra, io non ne ho colpa di certo!”.

“La mia è una rabbia in generale. Ad ogni modo, il coso dai capelli fluo è il figlio di Ipalnemoa. Ecco perché è qui. Mi ha mostrato di poter essere come suo padre”.

“Il figlio di Ipal? Sei sicuro?”.

“Sicurissimo”.

“Non sapevo avesse un figlio!”.

“Nemmeno io, altrimenti sarebbe qui già da un pezzo”.

Reahu guardò in su, sapendo probabilmente che Ihanez stava sentendo tutto, sull’uscio della porta della sua stanza.

“Cosa intendi fare con lui?”.

“Intanto l’ho trovato, e l’ho portato qui”.

“Ma sapevi che c’era o lo hai trovato per puro caso?”.

“Non credo molto al caso, ma l’ho capito solo vedendolo chi era per davvero”.

“Quindi tu eri andato da lui per altro…”.

“Per fare il mio lavoro. E ora chiudi la bocca. Ho avvisato Mantus della cosa, dovrebbe arrivare”.

“Mantus?” impallidì Reahu, per quanto possa impallidire uno dalla pelle bianco latte “E perché?”.

“Perché è il fratello di Ipalnemoa. Non trovi sia giusto che veda suo nipote?”.

“Sì, certo, ma non puoi portare il nipote dallo zio? Quell’uomo è inquietante!”.

“Come te. Hai paura di Mantus?”.

“Non sono qui da abbastanza tempo da sopportare l’idea di averlo accanto. Già faccio fatica con te, figuriamoci…”.

“Rilassati. E avvisami se lo vedi arrivare”.

“Non aspettarti che vada ad accoglierlo!”.

“A questo son certo che penseranno altri”.

Detto questo, Rashnu sorrise. Reahu non capì subito il suo entusiasmo, ma poi scosse il capo, arrendendosi al fatto che si doveva fidare di colui che aveva di fronte.

“Andrà tutto bene, amico mio. Ora finalmente vedo la luce in fondo a tutto questo lungo tunnel”.

“Se lo dici tu” mormorò Reahu, camminando lentamente verso l’esterno.

“Non ti fidi delle mie capacità di giudizio?”.

“Oh, no, di quelle mi fido”.

“Bene, ognuno pensi al proprio ruolo, ok? E, a proposito di ruolo, credo che la notte abbia bisogno di un po’ più di luce quest’oggi. Sono le stelle che danno la speranza”.

Reahu alzò un sopracciglio. Sospirò e guadò in alto, verso il cielo stellato. Sull’uscio ad arco che dava sull’enorme giardino, poggiato con la spalla lungo lo stipite e a braccia incrociate, chiuse gli occhi per un istante e li riaprì, luminosi. Le stelle brillarono più intensamente.

“Va bene così, Rashnu?” domandò.

“Benissimo, grazie”.

 

   

 

Ihanez ancora guardava Reahu con ammirazione e stupore, quando Rashnu lo raggiunse.

“Perché quella faccia?” domandò il salvatore, chiudendogli la bocca spalancata con due dita.

“Hai visto cosa ha fatto?” balbettò lo stregone.

“Sì, e allora? Tu non sai cambiare il tempo atmosferico?”.

“Sì, ma non così! Mi ci vuole un rituale e…”.

“Abitudine ed esperienza, Ihanez. E Reahu ha un sacco di esperienza, un sacco di abitudine ed un sacco di anni”.

“Ma tu sei più vecchio di lui, giusto?”.

“Giusto”.

“Non lo sembri affatto”.

“Ne sono consapevole”.

Rashnu stava piegando e rimettendo a posto il mantello nero che portava.

“Conoscevi mio padre?” domandò, dopo un po’, Ihanez.

“Conosco tuo padre, sì”.

“È vivo?”.

“Finché nessuno me ne dà una prova contraria, sì”.

“E dov’è?”.

“Nessuno lo sa”.

“Quindi potrebbe anche essere morto?”.

“Non ho sue notizie da quasi trent’anni, ma non è morto, fidati. Uno come lui non muore tanto facilmente”.

“Mia madre mi ha sempre raccontato che era morto, non che mi avesse abbandonato”.

“Dubito ti abbia abbandonato. Tuo padre è un brav’uomo. Lo conosco molto bene”.

“Mi sembra così strano sentir parlare così uno che ha la faccia di un ragazzino…”.

“Lo so, me lo dicono in tanti” sorrise Rashnu.

“Sei uno di quelli che raggiungono il massimo dell’energia molto precocemente e quindi mantengono l’aspetto di quando la ottengono? Il mio maestro mi aveva parlato di persone del genere, all’inizio del mio addestramento, ma fin ora non ne avevo mai incontrate”.

“Diciamo che io son diventato grande in fretta, ho dovuto. Evidentemente il mio cervello ha risucchiato tutte le energie necessarie ed il mio corpo è rimasto così” ridacchiò il salvatore.

Ihanez lo osservò meglio. Se era possibile, sembrava ancora più giovane rispetto a quando lo aveva visto la prima volta nel bosco.

“Dove mi trovo? E voialtri chi siete? Mio padre era uno di voi?”.

Rashnu sospirò. Sarebbe stata una lunga notte. Invitò lo stregone a sedersi accanto ad un piccolo tavolo circolare che stava sotto alla finestra e si sedette a sua volta, di fronte all’ospite.

“Sei in un luogo sicuro. Qui nessuno potrà farti del male, salvo non ti diverta ad andare a stuzzicare le persone sbagliate. Noi non siamo stregoni, come potresti pensare. Noi non apparteniamo a nessuna classe. Non abbiamo capacità riconducibili ad una categoria soltanto”.

“Ho notato come sai combattere bene. E come sei a tuo agio fra gli animali”.

“La maggior parte di noi, salvo i pochi nati fra queste mura, son venuti al mondo in una classe specifica. Io, per esempio, ero un signore della natura. Ma poi, con il passare del tempo, si risvegliano capacità latenti, e questo fa sì che la classe di nascita non ti accetti più”.

“Ma…è assurdo!”.

“La gente ha paura di ciò che non conosce. Ed un giovane allevatore che usa la magia è una cosa che non conosce”.

“Anche tuo padre è scomparso, mi pare di aver capito…”.

“Già. Mio padre girava per questo mondo in cerca di creature simili a quelle che abitano questa casa. Molti qui son stati salvati da lui. Tuo padre è uno fra questi che, sì, era uno di noi. Un grande stregone che ha sviluppato altre doti. Una sera, però, il capo di questa casa, mio padre, non è tornato. Ipalnemoa è partito alla sua ricerca, mandandoci sempre notizie a riguardo. Questo fino ad una trentina di anni fa. Svanito anch’egli, senza lasciare traccia. Scomparsi entrambi. Nessuno sa dire che fine abbiano fatto. Di sicuro, tuo padre ha avuto te dopo che l’ho visto l’ultima volta, ma di più non mi è dato sapere”.

“Fuori c’è la guerra. Si saranno ritrovati nel mezzo”.

“Tuo padre ha sempre evitato la guerra, fin da giovanissimo”.

“Ipalnemoa. Così si chiamava, giusto?”.

“Ipalnemoa, è così che si chiama. E, a proposito di nomi, so che i miei colleghi ti hanno già detto come ti chiamo ma non ci siamo ancora presentati ufficialmente. Io sono Rashnu”.

“Ihanez” rispose lo stregone, stringendogli la mano.

“Domani ti presenterò gli altri. Piano, piano li conoscerai tutti. Compreso tuo zio Mantus”.

“Ma io non posso restare! Vi ringrazio davvero moltissimo, ma non posso restare qui”.

“E dove pensi di poter andare?”.

“Devo tornare a casa. E devo contattare i miei fratelli”.

“Fratelli?”.

“Fratellastri. Saranno in pensiero, specie se han sentito dell’attacco”.

“Posso portare io un messaggio da parte tua ai tuoi consanguinei, ma è estremamente pericoloso che tu esca di qui”.

“Non puoi tenermi prigioniero!”.

“No, ma fuori ti cercano tutti. Scienziati e guerrieri si chiedono come tu abbia fatto a fuggire”.

“Perché dovrebbero cercare proprio me? Sono solo uno stregone come tanti”.

“Lo hai appena detto il perché! Sei uno stregone, e le due classi rivali si sono alleate per distruggervi tutti. Una volta annientata la tua classe, potranno ricominciare a battibeccare fra di loro. Ma prima vogliono farvi estinguere”.

“Ma perché?!”.

“Perché la gente, le classi al di fuori del conflitto, hanno paura della magia. Non sanno capirla. Mentre la scienza, bene o male, qualcuno gliela può spiegare, la magia resta un mistero. E per questo è meglio per loro che svanisca del tutto”.

Ihanez non trovò parole a delle frasi come quelle e rimase in silenzio.

“Devi fidarti di me, e rimanere qui, Ihanez”.

“Fino a quando?”.

“Fino a quando non sarà più sicuro”.

“E quando sarà più sicuro? Io ho perso i poteri, non potrò più difendermi!”.

“Non hai perso i poteri in modo definitivo. Non si può togliere la magia ad uno stregone in modo permanente. Essa torna sempre. Devi solo avere pazienza. E nel frattempo starai qui”.

“Perché fai questo per me?”.

“Perché Ipalnemoa è un mio grande amico, che mi ha aiutato molto quando mio padre non è tornato ed è toccato a me prendere il suo posto”.

“Ora sei tu quello che cerca le persone da portare qui?”.

“Anche. Ogni cosa a suo tempo”.

“Io non posso restare”.

“Non essere testardo. Tu…”.

“Rashnu, è l’alba” si sentì dire da fuori della porta chiusa.

“Grazie, Thesan. Arrivo”.

Rashnu si alzò, lentamente, stiracchiandosi.

“Dove vai?” domandò Ihanez.

“Al lavoro, se così si può dire”.

“Ti ho tenuto sveglio tutta la notte. Mi spiace”.

“Una notte insonne non porterà danni irreparabili nell’universo, Ihanez”.

“Volevo ringraziarti. Per avermi salvato la vita”.

“Dovere. Ora vado. Nell’armadio ci sono degli abiti per te. Va pure dove vuoi, rimanendo in casa o al massimo in giardino. Le stanze con porte nere sono le mie, lì puoi entrare. Per quando riguarda le altre, dovrai chiedere a chi le possiede. Lo scoprirai pian piano. Solo ti raccomando di non entrare mai nelle camere con il sigillo in oro”.

“Anche se sono nere?”.

“Anche se la porta è nera, se su di essa c’è un sigillo d’oro non puoi entrarci. Vi sono delle cose pericolose al loro interno per uno come te. Va bene?”.

“Va bene, ma io non posso restare qui”.

“Resta qui. Non farmi diventare cattivo”.

Detto questo, Rashnu uscì dalla stanza, chiudendo la porta e sospirando. Sbadigliò. Aveva fatto molto tardi quella notte ed ora era già mattino.

“Clio” chiamò, pigramente “Sei già sveglia?”.

Non si aspettava una risposta, credendo fosse troppo presto, ma una giovane con una lunga veste color crema fece capolino dal piano di sotto.

“Sì, sono qui” rispose, con le mani incrociate dietro la schiena “Stavo per fare colazione”.

“Puoi venire qui un secondo?”.

La ragazza salì in fretta le scale e si presentò al cospetto di Rashnu, in attesa di ordini, sorridendo.

“Non voglio che questo ragazzo vada via da qui” mormorò lui, in modo da non farsi sentire da Ihanez “Andrò io dai suoi fratelli, come lui desidera, ma fai in modo che non se ne vada”.

Clio annuì.

“Mi raccomando. Al mio ritorno, voglio vederlo qui. Ovviamente non legato ad una sedia o cose del genere. Lo voglio tranquillo”.

“Sissignore”.

Rashnu scese le scale, andando verso l’uscita.

“Ti sei portato il lavoro a casa?” domandò Egres, vedendoselo passare accanto.

“Che?!” esclamò Rashnu, fermandosi e girandosi verso il punto indicato dal suo interlocutore.

Là stava una donna, fatta di luce bianca.

“Hennay, giusto?” le domandò.

Lei annuì, e si avvicinò piano.

“Io so chi sei” mormorò lei “E so cosa sono ora io”.

“Sei un’anima, senza più un corpo dove risiedere. Posso porre rimedio a questo”.

“Ihanez mi ha chiamata. Ihanez ha fatto in modo che non scivolassi nel regno dei morti per sempre. Lui ha voluto che gli stessi accanto, ed è quello che farò. Se mi è concesso”.

“Non sono nella posizione di impedirtelo. Se gli scienziati non avessero distrutto completamente il tuo corpo, ora saresti di nuovo in vita grazie a Ihanez. Appartieni a lui, non al regno dei morti”.

“Grazie per averlo risparmiato. Lui forse ora non capisce il perché di essere rimasto in vita, ma lo capirà, lo vedrà. So che tutto accade per una ragione. So che il grande padrone del mondo, Ogmios, signore della conoscenza e del giudizio, non fa accadere le cose senza un motivo”.

“Lieto di sentir dire una cosa del genere. Puoi andare da lui se lo desideri, da Ihanez. Io ora devo proprio andare”.

“Ringrazio ancora, signor Rashnu”.

Hennay, la sua anima, fece un piccolo inchino e lui se ne andò, non abituato a simili gesti di riverenza da parte di essenze luminose.

 

   

 

Clio bussò alla porta ed entrò. Ihanez era immobile, che guardava fuori.

“Ciao” salutò lei, sorridendo, senza ricevere risposta.

“Sotto stiamo per fare colazione. Vieni?” riprese, dopo un po’.

“Non ho fame, grazie” mormorò Ihanez, senza girare il viso.

“Dai, è da ieri che non tocchi cibo. Vieni, così ci presentiamo. Io sono Clio”.

Ihanez sospirò. Non voleva, ma era scortese non presentarsi. Si girò. Colei che si chiamava Clio era giovane, almeno così sembrava, con riccioli castani fino alle spalle e grandi occhi neri.

“Io sono Ihanez”.

“Caspita. Certo che assomigli davvero tanto ad Ipalnemoa!”.

“Anche tu conoscevi mio padre?!”.

“Non l’ho mai visto, lo ammetto, ma ci sono i suoi ritratti in giro e, se è davvero così come è raffigurato, ti assomiglia davvero molto. Gli occhi forse…”.

“Io ho gli occhi di mia madre, che è morta. Dopo avermi abbandonato”.

Sentendo quelle parole, Clio capì che sorrisi ed inviti a colazione non lo avrebbero fatto smuovere.

“Io ero un’apprendista scienziata quando degli stregoni hanno attaccato il laboratorio dove stavo facendo lezione con i miei due fratelli più piccoli ed il mio maestro. Mi sono salvata solo io. Fortunatamente Rashnu mi ha portata qui. Mi ha salvata”.

“Ed i tuoi genitori?”.

“Li avevo persi da tempo”.

“Mi spiace”.

“Tutti noi qui abbiamo una storia triste alle nostre spalle, Ihanez. La guerra ci ha portato via molto, le nostre straordinarie capacità han fatto il resto. Ma qui siamo al sicuro. Ci proteggiamo e ci sosteniamo a vicenda, come in una grande famiglia”.

“Quanti siete?”.

“Quanti siamo? Più o meno una cinquantina, ma non stiamo tutti qui in casa. Alcuni vivono altrove. Come tuo zio, per esempio, che sta per arrivare”.

“Sei qui da molto?”.

“Da una quarantina d’anni circa”.

“Ma sembri una bambina!”.

“Credo che qui la gente mantenga l’aspetto di quando arriva, tranne quelli nati qui, ovviamente. Quelli crescono”.

“Il padre di Rashnu era già scomparso quando sei arrivata?”.

“Sì. Per questo non ho visto tuo padre. Era già partito alla sua ricerca”.

“Credi davvero che siano vivi?”.

“Non lo so. Nessuno può dirlo. Ma mi fido di Rashnu, e se lui dice che sono in vita allora è così. E se dice che tu sei speciale, allora lo sei davvero”.

“Non ho proprio nulla di speciale!”.

“Dai, alzati. Vieni a fare colazione. Vedrai che poi ti sentirai meglio”.

“Non ho fame, davvero”.

“Allora vieni giù e basta. Siediti al tavolo con noi, senza mangiare. Non restare qui da solo”.

“È esattamente quello che intendo fare”.

Clio allungò una mano verso Ihanez e gli sfiorò il braccio. Lo stregone avvertì una strana scossa. Si voltò di nuovo verso di lei.

“Vieni” ripeté di nuovo Clio “Andrà tutto bene. Ai tuoi fratelli parlerà Rashnu, il dolore che senti non dico che passerà ma si attenuerà. Rimanere immobile senza reagire non farà che peggiorare la situazione. Scegli uno dei vestiti che ti sono stati dati, preparati e vieni”.

“Vieni” si unì una seconda voce di donna.

Ihanez alzò lo sguardo. C’era l’essenza di Hennay che lo fissava. Clio parve stupita nel vedere quell’anima, ma non disse nulla, vedendo che stava facendo smuovere lo stregone. Difatti lui si alzò ed andò verso di lei. Clio sorrise e li seguì. Non era proprio del tutto regolare che un’anima vagasse per la casa così, ma l’ospite pareva gradire parecchio quella presenza. Lui non sorrideva, sapeva che la sua amata era morta, ma non l’aveva persa, non del tutto, e forse questo gli bastava.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V- Visitatori ***


V

 

VISITATORI

 

Rashnu era molto indeciso su che tecnica usare per mettersi in contatto con i fratelli di Ihanez. Poteva mostrarsi loro in sogno, o comparire in uno sbuffo di luce all’improvviso. Alla fine scelse il metodo classico. Apparve lungo la strada e raggiunse la porta, bussando e tentando di presentarsi il più normale possibile. Aspettando che qualcuno gli aprisse, notò come molti lo stessero fissando, fra abitanti delle  case accanto e passanti.

“Branco di impiccioni” mormorò, mentre una voce femminile rispondeva dalla casa.

“Sì? Chi è?” si sentì chiedere e una grossa lente scese dalla parete, osservandolo.

“Porto notizie di Ihanez. Devo parlare con i suoi fratelli”.

La porta si aprì. Dall’altro lato c’era una signora vestita di chiaro.

“Io sono la domestica. Accomodatevi in quella stanza, vado a chiamare chi cercate”.

Rashnu fu accompagnato e poi lasciato solo, in una grande stanza bianca. Si sentiva a disagio. Quella casa era troppo artificiale, troppo finta. Si guardò attorno, sfiorando i mobili spogli e lisci, squadrati, pieni di cassetti. Dopo qualche minuto, vide un ragazzo sull’uscio. Vestito di bianco, quasi si confondeva con le pareti.

“Gudis?” domandò Rashnu.

“Chi lo vuole sapere?” rispose il giovane, sospettoso.

“Mi chiamo Rashnu. Sono qui per parlarti di Ihanez”.

“Rashnu? È un nome che non mi è nuovo”.

“Non sono qua per questo”.

“Scusami. Siamo molto diffidenti  ultimamente da queste parti”.

“Fate bene. Ma, dimmi, sei tu Gudis, il fratello minore di Ihanez?”.

“Sì, sono io. Gli è successo qualcosa?”.

“Sì”.

“Oh, per Ogmios! In quell’attacco lui…”.

“È vivo. E sta bene, più o meno”.

“Cosa intendi dire?”.

“Purtroppo il suo maestro e la sua donna sono rimasti uccisi”.

Gudis chinò il capo. Conosceva Hennay e osò solo immaginare cosa potesse provare suo fratello in quel momento. Se al suo maestro fosse successo qualcosa, non si sarebbe dato pace.

“Tu sei uno stregone?” parlò il giovane scienziato, dopo un po’, invitando Rashnu a sedersi.

“Non proprio, ma mi sto prendendo cura di Ihanez”.

“È ferito?”.

“No, ma è in pericolo. Era in pensiero per i suoi fratelli e mi sono proposto di dargli una mano, venendo a parlarvi. Per un po’ è meglio non si faccia vedere in giro”.

“Capisco”.

“Però, posso ospitarvi. Potere raggiungerlo, se volete”.

Gudis rifletté un attimo, poi scosse la testa.

“Ho il mio apprendistato da finire qui” rispose “E Veda inizierà presto il suo cammino fra i guerrieri. Non possiamo allontanarci da questo”.

“Lo supponevo. Sarò lieto di far da tramite fra voi fratelli, se vorrete scrivervi o lasciarvi dei messaggi. Non abbiate timore a chiedere”.

“Non è un problema?”.

“No. Non per me”.

“Siete gentile. Questa guerra mi sta veramente snervando”.

“Vale per tutti”.

Il maestro di Gudis sbirciava da una piccola telecamera e si rassicurò, perché a quanto pare quello sconosciuto non era pericoloso. Mandò la domestica a servire un po’ di tè e si unì alla conversazione. Rashnu lo fissò con un pizzico di dubbio, era comunque uno scienziato.

“Dove si trova adesso Ihanez?” fu la prima cosa che disse il padrone di casa.

“Spiacente, ma non è prudente che lo dica. Molti lo cercano, e non sono sicuro di fin dove arrivino le loro orecchie” rispose Rashnu.

“Giusto. E voi siete?”.

“Un amico di Ihanez”.

“Si chiama Rashnu, non essere sospettoso” ridacchiò Gudis.

“Rashnu?”.

“Non siamo qui per parlare di me! Avete qualche messaggio da mandare allo stregone? Perché io dovrei andare, ho molto da fare”.

“Salutatemelo tanto” parlò Gudis “Veda purtroppo è fuori, ma le riferirò ogni cosa”.

“Perfetto”.

“E se volessimo contattarvi? Insomma, se volessimo dire qualcosa a Ihanez, come possiamo fare?”.

“Purtroppo, finché non è al sicuro, non posso fidarmi. Non è saggio lasciare recapiti o altro”.

“Giusto. Non ci avevo pensato”.

“Non temere, è in buone mani”.

“Lo so. Mio fratello è uno tosto”.

“Anche tu lo sei, ne sono sicuro”.

“Puoi darmi un paio di minuti? Vorrei scrivere una lettera a Ihanez”.

“Certamente”.

Gudis si allontanò in fretta, diretto alla sua stanza dove teneva tutto l’occorrente, e vi si chiuse dentro per scrivere in pace. Il padrone di casa e Rashnu rimasero da soli, fissandosi. L’ospite finì il suo tè in silenzio, a gambe incrociate.

“E così…” iniziò lo scienziato “Siete un amico di Ihanez”.

“Più che amico, sono il suo custode, momentaneamente”.

“Non è abbastanza grande per badare a se stesso?”.

“No, non lo è. Non in questo caso”.

“Sembrate molto più giovane del mio amico stregone”.

“No, non lo sono”.

“Come possiamo fidarci? Vogliamo parlare con Ihanez, sapere dove si trova!”.

“Quando sarà possibile”.

“E quando lo sarà?”.

“Non lo so”.

Lo scienziato trovò piuttosto irritante quello straniero dai capelli verdi. Diceva di non essere uno stregone, ma allora che cos’era? E perché i suoi occhi non gli trasmettevano nulla si buono?

“Eccomi” rientrò Gudis, dopo parecchi minuti di silenzio.

“Gliela consegnerò personalmente” gli disse Rashnu, afferrando la lettera che il ragazzo gli stava porgendo a braccio teso.

“Spero di ricevere presto sue notizie in risposta”.

“Farò tutto il possibile. Ora, però, devo andare. Scusate, e grazie per il tè”.

Rashnu si alzò in piedi, facendo un paio di inchini agli scienziati presenti. Uscì dalla casa senza voltarsi, ignorando gli sguardi interrogativi del circondario.

“Ma tu ti fidi di quello?” sbottò il maestro, quando lo credette sufficientemente lontano.

“Sì. I suoi occhi non mentono” annuì Gudis “Torniamo a lezione”.

L’allievo tentò di nascondere i suoi timori ed il suo dolore. Forse doveva raggiungere il suo fratello maggiore, fu il pensiero che lo tormentò per un po’ ma subito lo mise a tacere. La sua decisione era quella giusta, non poteva mettere in pericolo Ihanez e rinunciare all’addestramento, suo e della sorella. Sospirò. Ma perché era così complicata la vita su quel mondo?

 

   

 

Mantus arrivò senza troppe cerimonie e convenevoli. Completamente vestito in nero, compresi un paio di vistosi occhiali da sole, camminò silenzioso lungo il corridoio. Si sorreggeva con un lungo bastone attorcigliato, anch’esso nero. Pareva scivolare, non emetteva alcun rumore. Dietro di lui venivano due individui, un uomo ed una donna, decisamente di atteggiamento opposto. Facevano una gran confusione. Raggiunsero la sala dove si stava per consumare la colazione e gli altri commensali rimasero in assoluto silenzio. Quell’essere aveva sempre indotto un certo timore in tutti loro. Lo videro accomodarsi, e finsero indifferenza continuando nelle loro faccende. Mantus abbassò il mantello, lasciando che i suoi capelli neri si rialzassero in ciuffi sconnessi, molto lunghi sulla schiena. Più o meno la stessa pettinatura di Ihanez.

“Scusate il ritardo” ruppe il silenzio Clio, entrando nella sala seguita da Ihanez e l’essenza luminosa di Hennay.

Mantus si alzò, vedendo entrare lo stregone, e molti presenti sobbalzarono.

“Sei tu il figlio di Ipalnemoa?” domandò, con un vocione inquietante.

“Sì. E tu sei mio zio?”.

Mantus sorrise, togliendo gli occhiali da sole. Si vedeva che la luce doveva dargli un certo fastidio, ma sotto quelle lenti mostrò un inaspettato bellissimo paio di occhi scuri. Ihanez, guardando quel viso e quegli occhi ebbe come un flash, un'immagine lontana gli si presentò davanti. Forse, tanto tempo fa, quando era bambino, un uomo con lo stesso viso lo aveva fissato allo stesso modo.

“Gli assomigli tanto, lo sai?” parlò lo zio.

“Davvero? Me lo dicono tutti, ma io non posso saperlo. Non me lo ricordo”.

“Come ti chiami?”.

“Ihanez”.

“Io sono Mantus”.

Rimasero qualche istante il silenzio, fissandosi a vicenda. Lo zio era più alto del nipote, anche se non di molto, ed i due non parevano avere una gran differenza di età, anche se era così.

“È un piacere conoscerti, Ihanez. Pensavo di essere rimasto solo, completamente solo. Invece ci sei tu, e non immagini quanto questo mi renda felice”.

“Potrebbe tornare Ipalnemoa”.

“Uno come mio fratello, sparisce solo se ha voglia di farlo. Siamo gemelli, ci siamo sempre capiti al volo. Se fosse morto, lo saprei, ma nemmeno lo percepisco. È come se si nascondesse”.

“E se gli fosse successo qualcosa? Se qualcosa gli impedisse di comunicare?”.

“Il nostro legame va oltre una sorta di sesto senso, Ihanez. Ho tentato di contattarlo tante volte, non ha mai risposto. Non ha mai voluto rispondere. Perché sento che qualcuno c’è a recepire i miei messaggi. Qualcuno c’è…”.

Ihanez non aggiunse altro sull’argomento, ammettendo di non saperne molto.

“Ma ora ci sei tu” riprese Mantus “L’erede legittimo del mio adorato gemello”.

“Sono suo figlio, ma fino a ieri sera non sapevo nemmeno come si chiamasse. Non credo di poter essere definito il suo erede”.

“Lo sei. Il sangue non mente mai. Sono proprio contento di questo. Ti proporrei di venire a vivere con me, ma dubito che ti piacerebbe un granché come posto”.

“Come mai?”.

“Se assomiglio almeno solo vagamente a Ipalnemoa, non apprezzi i luoghi tetri”.

“Dipende dal livello di tetro”.

“La tetraggine? Piuttosto elevata”.

“Allora forse non fa proprio per me”.

Detto questo, Ihanez sedette accanto allo zio, cosa che nessun’altro aveva voluto fare, e lasciò che Hennay gli venisse vicino. solo in quel momento, Mantus la notò. Gli altri dei commensali la vide passare attraverso a parecchi di loro per poi appoggiarsi contro Ihanez, che riuscì a cingerla con la mano. Non capì gli sguardi degli altri, specie quello di Reahu.

“Un’anima? E riesci a toccarla in quel modo?” parlò lo zio.

“È una cosa tanto strana?” si stupì lo stregone.

“Assolutamente. Le anime non possono essere toccate dai viventi, se non da coloro che hanno il compito di accompagnarle agli inferi o coloro che le sorvegliano nell’aldilà. Non mi risulta che tu svolga uno di questi ruoli,e nemmeno che tu sia morto”.

“Inferi?! Morto?! Ma no. Sarà stato Rashnu a fare in modo che possa toccarla”.

“Il potere di Rashnu è immenso, ma non può fare una cosa del genere. L’hai evocata tu?”.

“Evocata?”.

“Sei stato tu a richiamare la sua anima?”.

“No. Non so come si fa!”.

“Ha detto che non mi permetteva di morire” parlò Hennay “E che saremmo rimasti uniti per sempre. Poi mi ha baciata. Quando il mio corpo è stato distrutto, la mia essenza è rimasta accanto a lui e non l’ha più lasciato”.

“Con un bacio? Con un semplice bacio sei riuscito ad evocare un’anima?” si stupì lo zio.

“Io non ho fatto niente! Quelle erano solo parole, non un’evocazione” protestò Ihanez.

“Ma la forza dei tuoi desideri e la tua magia è stata così forte da ottenere ciò che volevi”.

“Può essere. Non lo so. Per me ha molto più senso che sia stato Rashnu”.

“Ihanez, tu lo sai che il posto di un’anima non è qui, vero? Tu lo sai che un’anima deve risiedere in un luogo specifico, e non fra i vivi. E, dato che tu la possiedi, avendola evocata, solo tu puoi fare in modo che sia libera”.

“Io le ridarò il corpo. Lei tornerà in vita”.

“Non si può ridare la vita ad un corpo distrutto in migliaia e migliaia di particelle!”.

“Ci riuscirò. E lei tornerà da me. Non la lascerò andare”.

“Ihanez, è una cosa che non si può fare.  Fidati di me”.

“Mi avete appena detto che ho evocato un’anima con un bacio, perché non dovrei essere in grado di ridarle un corpo? La mia magia tornerà e…”.

“Non puoi!” alzò la voce Mantus “Non si possono fare cose del genere. Le persone non tornano in vita. Seguono il loro destino. E tenere un’essenza imprigionata è…”.

“Non è imprigionata. Lei vuole stare accanto a me, vero Hennay?”.

Hennay annuì, e si lasciò abbracciare più forte.

“Questi discorsi mi han fatto passare la fame, scusate” sbottò Reahu, alzandosi ed uscendo dalla sala a passo svelto.

“Lei vuole stare con me” ripeté Ihanez.

“Lei è un’anima, legata a te. Non ha desideri, se non quelli che hai tu. Non ha sentimenti, se non quelli che provi tu”.

“Menti!”.

“Ragazzo, ne so qualcosa in più delle anime rispetto a te”.

Ihanez fece per aprir bocca, ma Egres interruppe tutti.

“La smettiamo di fare questi discorsi? Adesso mangiamo, poi magari ne riparlerete con calma” disse, mostrando con la mano la tavola imbandita.

Lo stregone si accorse di avere effettivamente una gran fame e, in silenzio, fece colazione.

 

   

 

In quella casa c’era un continuo viavai. Gente che veniva, gente che se ne andava. Ognuno con una sua porta, delle proprie stanze e dei propri compiti. Ad Ihanez non era molto chiaro cosa facessero e dove andassero. Evitò di tornare sull’argomento delle anime fino a pomeriggio inoltrato. Lo zio rimase anche a pranzo e poi decise che era tempo di tornare ai suoi alloggi.

“Un giorno verrai a farmi visita, intesi?” disse Mantus “Mi dispiace di averti fatto arrabbiare. Chi sono io per dirti cosa devi fare? Il mio era solo un suggerimento, poi spetta a te scegliere che strada seguire. Spero farai la cosa giusta, per te e per lei. Ora devo andare”.

Rimise gli occhiali da sole e si voltò.

“Ciao, Reahu” salutò, notando che l’uomo era sul terrazzino che si trovava proprio sopra l’ingresso, rivolto verso ovest.

Lui non rispose. Mantus salutò il nipote, promettendogli di tornare a fargli visita, e si allontanò, seguito dai due casinisti che lo avevano accompagnato fin lì, presentati come suoi “colleghi di lavoro”. Da quel che aveva capito Ihanez, si chiamavano Nirrita e Nirriti.

 

“Ah, sei lì” esclamò lo stregone, raggiungendo Reahu sulla terrazza.

“Posso parlarti un attimo, Ihanez? Da solo” domandò l’uomo, notando l’anima di Hennay.

“Certo” rispose, perplesso, Ihanez, facendo segno all’essenza di tornare in stanza “Di cosa vuoi parlarmi? Adesso siamo soli”.

“Ti piacciono i tramonti, ragazzo?” parlò Reahu, senza voltarsi verso il suo interlocutore.

“Sì” borbottò, sempre più perplesso, Ihanez.

“Quando ero più giovane, guardare i cambiamenti del cielo era un’infinita fonte di estasi. La mia magia brillava in maniera incredibile ed io non mi stancavo mai di osservare l’infinito che sta sopra le nostre teste”.

“E adesso non ti piace più?”.

“Ora, guardando il cielo, non faccio che sognare che girandomi ci sia qualcuno accanto a me, che mi fa capire che, nonostante l’universo sia immenso, io non sono solo un’infinitesima ed inutile particella di esso. Qualcuno che mi faccia sentire importante, utile. Qualcuno per cui essere una delle stelle del cielo, e per cui essere una stella a mia volta. Ma accanto a me non c’è nessuno e nel cielo stanno solo stelle che cadendo non avverano i miei desideri. Non diventare come me, Ihanez”.

“Non ho capito il tuo discorso”.

“Lasciala andare. Non ricoprire il tuo corpo e la tua anima di cicatrici indelebili. Guarda avanti, ora che sei ancora in tempo, senza imbarcarti in una guerra senza speranza”.

“Stai parlando di Hennay e della sua essenza? Del mio desiderio di ridarle un corpo?”.

“Sì. Fermati, ora che ancora puoi”.

“Non ci penso proprio”.

Reahu si voltò e solo in quel momento Ihanez notò quante cicatrici avesse sul viso e sulle mani. Probabilmente la sua pelle bianca ne era piena. Come aveva fatto a non vederlo il giorno prima, quando gli si era presentato davanti con solo un asciugamano? Poi vide che brillavano con gli ultimi raggi del sole.

“Il mio è un consiglio, Ihanez”.

“Vogliono tutti darmi consigli, qui”.

“Non possiamo obbligarti a fare niente. La vita è la tua. Ma chi ci è già passato, vuole evitare che accada lo stesso a qualcun altro”.

“Lo stesso? Ah, ora ho capito la faccenda. Tu ti sei arreso e vuoi che io faccia lo stesso. Non lo farò. Io non sono un debole”.

“Io sono un debole, secondo te, ragazzino?” si stizzì Reahu, iniziando a scurire la pelle, segno che si stava innervosendo.

“Chi si arrende è un debole”.

“Io non mi sono arreso”.

“Ma lei non c’è, o sbaglio? Io la riporterò in vita”.

“Non lo puoi fare!”.

“Sei solo un vigliacco. Un vigliacco ed un debole. Hai paura perfino di mio zio”.

Reahu ringhiò, cosa che inquietò un po’ Ihanez, perché brontolò anche il cielo, ma non lo fece capire a colui che, con uno scatto, lo colpì violentemente al viso con un pugno e lo scagliò contro il muro, senza lasciargli modo di rispondere.

“Ah, così la metti!” sbottò lo stregone, rialzandosi “Non ho paura di te!”.

“Credimi, dovresti!” continuò a ringhiare Reahu, concentrando dei fulmini sulla mano destra.

Ihanez, confondendoli con le scintille della magia e non per fulmini veri e propri, si concentrò. Si sentì piuttosto soddisfatto quando la sua energia si risvegliò a suo comando.

“Fatti sotto, non ho niente da perdere!” esclamò, ricoprendosi di scintille magiche.

“Nemmeno io” fu la risposta di Reahu, che alzò il braccio pieno di fulmini al cielo.

E tutte quelle nuvole da dove venivano? Un lampo ed un tuono. Una luce accecante si diresse verso Ihanez, che reagì in tempo e deviò il fulmine come aveva fatto all’esame, con il movimento di due mani e facendolo correre lungo le pareti fino a scaricarlo del tutto.

“Senza cerchio riesci a fare questo, notevole” commentò “Ma non abbastanza”.

“Ci sono un sacco di cose che so fare senza il cerchio, irriverente stregoncino. Però, te lo riconosco, deviare i miei fulmini non è cosa da tutti”.

Reahu si alzò in aria, richiamando altri fulmini. Poi sollevò Ihanez in aria e ghignò. Ihanez inclinò la testa, non capendo quel momento di calma apparente, prima di venire investito da una moltitudine di piccoli fulmini. Il tutto rimanendo sospeso.

“Mi sto trattenendo, Ihanez. Ti prego, arrenditi” gli disse Reahu atterrando ma lasciando l’avversario a mezz’aria.

“Non farmi ridere!” gridò lo stregone, cominciando a ricacciare indietro alcuni fulmini con la magia e rendendosi conto che quell’essere aveva un’energia spaventosa.

“Come vuoi” furono le parole di Reahu che, ormai con la pelle del tutto nera e gli occhi oro che brillavano come stelle, alzò entrambe le mani al cielo.

Fra di esse iniziò a formarsi una palla di luce, sempre più grande e lucente.

“Che roba è quella?!” esclamò Ihanez, agitandosi nel vano tentativo di tornare con i piedi per terra.

“Una stella” si limitò a dire Reahu.

Aprì la bocca, probabilmente per gridare qualche cosa, ma venne come risucchiato verso il terrazzino di colpo. La palla di luce si dissolse e lui si trovò con i piedi infilati all’interno della roccia di cui era fatto il pavimento.

“Tork! Questa è opera tua!” sibilò Reahu, riuscendo a liberarsi.

“Esattamente” gli rispose colui che, Ihanez dedusse, doveva essere Tork.

Si trovava al piano terra e guardava in su. Non era molto alto e nemmeno particolarmente grosso, ma scintillava di magia aranciata.

“Vieni qui, e battiti da uomo!” gli gridò contro Reahu, minacciandolo con il pugno di fulmini.

Tork non rispose. Camminò e raggiunse la terrazza avanzando lungo i muri in pietra della casa. nel frattempo, Ihanez fu tirato giù dalla sua sospensione volontaria da un uomo dai lunghissimi capelli argento e grandi occhi azzurri.

“Grazie” esclamò lo stregone.

“Prego. Però ora smettetela, ok?” gli rispose il salvatore, con voce quasi femminile.

“Ha iniziato lui!”.

“Stupido e pure bugiardo!” sbottò Reahu, svolazzando.

“Adesso basta, Reahu!” esclamò Tork “Dovremmo stare tutti quanti calmi e…”.

“Zitto, sasso!” si sentì rispondere.

“Adesso basta tutti quanti!” tuonò un altro uomo, giunto sulla terrazza assieme ad altri abitanti della casa, con guizzanti capelli giallo elettrico ed occhi fosforescenti.

Dicendo questo, spalancò le braccia e Reahu cadde in terra, Tork non riuscì a mandare verso il suo avversario il sasso che stringeva fra le mani e tutti si sentirono piuttosto intontiti.

“Che è successo?” si stupì Ihanez.

“Lui controlla la magia” spiegò Clio “In questo momento, sta trattenendo l’energia di tutti, compresa la tua. Perciò ti consiglio di stare calmo ed ascoltarmi”.

Nel frattempo, una coppia di individui, un uomo ed una donna, massicci ed armati, avevano immobilizzato Reahu e lo stavano riportando ai suoi alloggi.

“Sei impazzito?!” esclamò l’uomo dai capelli argento, rivolto a Ihanez “Volevi farti ammazzare?!”.

“Ha davvero iniziato lui!” protestò lo stregone.

“Non è vero!” gridò Reahu, da non si capì bene dove.

“Iniziato lui o meno, non è molto saggio da parte tua attaccare uno come lui. Specie perché sei appena arrivato”.

“Mi ha provocato. Ed io rispondo sempre alle provocazioni”.

“Sei un pazzo, per davvero. Se avesse mostrato appieno il suo potere, saresti morto. E, a proposito, io mi chiamo Tate, specialista nel controllo dei venti”.

“Piacere”.

“Lui e Tork” indicò l’uomo e Tork fece un piccolo inchino.

“Tu sei bravo con le rocce, immagino” commentò Ihanez.

Era più basso dello stregone, ma l’energia che emetteva era nettamente più forte. Portava i lunghi capelli legati ed aveva la pelle grigia, come le pietre.

“E adesso siediti, calmati, e raccontami cosa è successo” intervenne Clio.

 

   

 

“Lasciatemi! Non avete alcun diritto di trattarmi così!” protestò Reahu, ancora momentaneamente privo di poteri e tenuto stretto da due massicce creature, un uomo ed una donna.

Venne buttato a forza dentro la sua stanza e minacciato con la spada, quando tentò di uscirvi.

“Quel ragazzo ha bisogno di una lezione” borbottò il prigioniero.

“Anche tu. Ma aspetterò che sia Rashnu ad ordinarmi di dartela” fu la risposta della donna, con i capelli corti rossicci e lo sguardo accigliato, quasi rosso anch’esso.

“Pensate davvero di riuscire ad avere la meglio su di me? Solo perché ora quel bastardo di Hike mi ha tolto tutti i poteri, altrimenti sarete già fuori dalla finestra!”.

“Reahu, tu…sanguini!” parlò di nuovo la donna, deponendo la spada ed avvicinandosi.

Reahu si toccò il viso e sentì quella strana sensazione vischiosa e calda che lascia il sangue sulla pelle. Si guardò le dita, stupito.

“Deve essere riuscito a colpirmi quando ha respinto i miei fulmini”.

“Ha respinto i tuoi fulmini?!” volle aver conferma l’uomo in armatura, di molto più grosso degli altri due nella stanza e dal volto coperto da un pesante elmo.

“Non tutti, ma parte di essi”.

“Anche se solo una parte, è una cosa straordinaria!”.

“Già. Ha una potenza difensiva spaventosa”.

“E per quanto riguarda l’attacco?”.

“Non lo so. Non mi ha mai attaccato. Si è solo difeso”.

“Credi sia pericoloso?” mormorò la donna, asciugando il viso ferito di Reahu con un fazzoletto bagnato, dopo averlo costretto a sedersi.

“Pericoloso? Per chi?”.

“Per noi. Tu sei uno dei più forti in questa casa, ma se decidesse di attaccare qualcun altro? Qualcuno più debole, non in grado di difendersi?”.

“Non credo sia cattivo” rispose Reahu, scostando il volto dalle cure della donna “Credo solamente che sia confuso. Ha perso tutto ciò che aveva, la sua vita è cambiata completamente, e non c’è da stupirsi che reagisca in modo strano”.

“Come sei saggio all’improvviso” ridacchiò l’uomo.

“Credo…di rivedermi in lui, Saxnot. E devo impedirgli di diventare come me”.

“Cosa c’è di male nell’essere come te?”.

“Nell’essere un irascibile stronzo, senza più un’anima, incapace di amare?”.

“Tu non sei così” protestò la donna, insistendo con il fazzoletto.

“Grazie per l’incoraggiamento, ma so come sono. E piantala con quel coso, sto bene!”.

L’uomo e la donna si guardarono. Ora Reahu pareva sufficientemente calmo da essere lasciato da solo. Lo videro rialzarsi ed andare verso la finestra, alzando lo sguardo verso le stelle.

“Dovrò fare rapporto a Rashnu di quanto successo. È il mio compito” parlò Saxnot.

“Fai pure la spia. Rashnu non mi spaventa” sbottò Reahu, senza girare la testa.

“Come preferisci. Andiamo, Adraste”.

La donna annuì e prese per mano Saxnot, uscendo dalla stanza assieme. Reahu li osservò solo di sfuggita, mentre chiudevano la pesante porta blu alle loro spalle. Allungò il collo, per osservarsi nel grande specchio ovale appeso alla parete. Sulla guancia destra e poco sopra il sopracciglio dello stesso lato aveva dei tagli che sanguinavano ancora un po’. Anche altri punti, dove vedeva la sua veste rovinata, probabilmente erano stati ugualmente colpiti ed ora si cicatrizzavano lentamente. Era una sensazione così strana, per lui, provare dolore fisico di nuovo. Da passato tanto di quel tempo dall’ultima volta in cui qualcuno era stato in grado di colpirlo! E quello stregone inesperto era stato in grado di difendersi e fargli questo. Meglio per lui, perché se non ne fosse stato in grado sarebbe morto fulminato ed incenerito.

“Sei proprio il figlio di Ipalnemoa” commentò Reahu, togliendo la veste, bruciacchiata e strappata.

 

   

 

“Ho capito quel che è successo, ma ora calmati” lo rimproverò velatamente Clio.

“Ha tentato di uccidermi!” sbottò Ihanez.

“E tu lo hai provocato. Non sai molte cose su di lui, Ihanez. Tu non sai perché lui sia qui”.

“E tu lo sai, invece. Raccontamelo”.

Clio guardò gli altri abitanti della casa accorsi sul posto. Più di qualcuno annuì.

“Bisogna conoscere certe cose di Reahu, per poterlo comprendere” parlò Tate.

“E sopportare!” concluse Tork.

“Va bene. Allora siediti, calmati, ed io ti dirò tutto” sospirò Clio.

Ihanez obbedì, liberandosi dalla stretta dei sui salvatori. Allo stesso tempo, la magia tornò a scorrere fra i presenti, perché Hike la rilasciò, una volta compreso che lo scontro era finito.

“Reahu era un potente stregone” iniziò Clio “Potente come non ne nascevano da tempo. Tuttavia, una volta superato l’esame per accedere al quinto livello, quello che hai fatto tu, non mostrò il desiderio di continuare su quella strada. Andò a vivere in un piccolo villaggio fra le montagne, con la donna che amava. Lì era convinto che la guerra non potesse arrivare. Dopo qualche tempo, notò che purtroppo il conflitto rischiava di mettere in pericolo sua moglie, il figlio che aspettava e tutto il paese dove era stato ben accettato. Così decise di riprendere gli studi, per poter celare l’intero villaggio”.

“Celare l’intero villaggio?! Ma richiede tantissima energia!”.

“Non credere che non lo sappia!” sbottò Clio “Lasciami andare avanti!”.

Ihanez si ammutolì, preferendo non irritarla. Le fece segno di continuare.

“Al villaggio, non aveva modo di imparare granché. Era l’unico stregone e nessun libro riportava informazioni sulla magia. Così, partì diretto verso la città più vicina. Con la usa energia si spostava piuttosto agilmente da un luogo all’altro, senza fatica e rapidamente. Doveva esserci qualcuno che controllava il villaggio perché, proprio il giorno in cui si allontanò in cerca di libri e materiali utili, la guerra giunse fino a là. Vi vivevano solo contadini, allevatori, artigiani ed altre creature che mai fino a quel momento avevano combattuto e che non potevano certo rispondere ai bombardamenti o alle armi da fuoco. Reahu volò in fretta ma arrivò tardi. Del paese non rimaneva più nulla, se non scheletri di case ed odore di morte. Con i libri di magia fra le mani, non si diede mai pace. Doveva trovare un modo per farla tornare, per riavere sua moglie ed il figlio che stava per nascere. Per anni cercò una soluzione. Arrivò perfino, alla fine, a varcare le porte degli inferi. Rivoleva l’anima di colei che amava. Rivoleva anche solo una minima parte di lei. E per questo sfidò l’inferno ed il suo oscuro guardiano”.

“Nessuno può attraversare gli inferi” mormorò Ihanez “Non si sopravvive. Dicono che il suo re non permetta l’accesso, se non dopo la morte, e una volta entrati non vi si può più uscire”.

“Ma questo non fermò Reahu. Arrivò alle porte degli inferi, determinato come è sempre stato, e vi entrò. Fu questo a provocare tutte quelle cicatrici sul suo corpo. La vita lentamente scorreva via, mentre cercava la sua amata, ma pareva ignorare la cosa. La chiamava a gran voce, disturbando il sonno dei morti ed infastidendo il padrone di casa, che lo raggiunse per aggiungerlo alla schiera delle sue anime. Reahu, ormai sfinito, lo vide arrivare e non indietreggiò. Era pronto a morire per salvarla o a morire per raggiungerla. Il signore di quel mondo gli spiegò che un’anima da sola, senza un corpo, non ama e perciò se fosse morto non avrebbe ottenuto proprio un bel niente. Ma lui propose la sua vita in cambio di quella di lei. La vita della donna e del bambino in cambio della sua. Il re degli inferi doveva aver capito che colui che aveva davanti era una creatura estremamente potente, perché ancora in vita nonostante tutto quel tempo trascorso fra i morti, ma non poteva permettere uno scambio del genere. Certe regole non possono essere infrante. Nonostante fosse indubbiamente un essere speciale, colui che aveva di fronte, il signore degli inferi sapeva che sarebbe inevitabilmente morto. Fu grazie ad un uomo dalla folta chioma arancione che si salvò”.

“Un uomo dalla chioma arancione? Simile alla mia?”.

“Esattamente come la tua. Era tuo padre, Ipalnemoa. Lui decise che Reahu doveva vivere, probabilmente seguendo qualche ordine superiore, e lo salvò. Mediò lui stesso con il signore degli inferi e lo riportò in superficie. Ma Reahu ormai l’aveva vista, aveva visto colei che amava ed era quasi riuscito a sfiorarla. Una volta fuori, parte della sua anima era perduta”.

“Intendi dire che Reahu ha solo un pezzo di anima?! E che mio padre girava tranquillamente nel regno dei morti, senza riportare alcuna conseguenza?”.

“Tuo padre è una creatura speciale, dalla potenza inimmaginabile. E Reahu…sì, parte della sua anima è perduta. Non è in grado di provare molte sensazioni, come l’amore per esempio. Tuo padre lo portò fuori fra le braccia da quel luogo di morte, mostrandogli la luce della vita. Quella luce che ora Reahu vede nelle stelle, perché all’anima della sua amata è stato concesso di divenire una stella del cielo”.

“E chi può tramutare un’anima in stella?”.

“Ogmios. Il signore supremo di questo mondo, Dio fra gli Dèi, ha concesso questo dono ad una creatura che aveva sfidato l’inferno. Una cosa del genere non capita tutti i giorni”.

Ihanez era meravigliato nel sentire certe cose. Reahu aveva visto l’inferno ed il signore che vi regnava, lo aveva sfidato e non si era arreso. Con la meraviglia, cresceva però anche il suo senso di colpa. Aveva detto delle cose orribile a quella creatura, che già troppe doveva averne passate senza sentirsi insultare da uno stregone appena arrivato. E suo padre? Quanto potere possedeva suo padre per fare quel che aveva fatto? Ne fu quasi spaventato.

“Rifletti su questa storia, Ihanez” lo intimò Clio “E cerca di controllarti, almeno finché ti è concesso rimanere sotto questo tetto”.

Lo stregone annuì. Guardò in su. Chissà quale di quelle stelle era la donna che Reahu aveva amato tanto da sfidare il re degli inferi… Si voltò verso Hennay, che vagava galleggiando lungo la terrazza in attesa di quello che era il suoi padrone. Era giusto quello che stava facendo? Se era vero che lui possedeva capacità simili a quelle di suo padre, allora sarebbe andato tutto in modo diverso. Se suo padre era stato in grado di salvare un vivo dall’inferno, grande tabù e missione impossibile, allora lui sarebbe stato in grado di ridare un corpo ad Hennay. Ci sarebbe riuscito.

 

   

 

Nel cuore della notte, quando tutto era più tranquillo e Ihanez era riuscito ad addormentarsi, la voce profonda di Rashnu fece vibrare la casa. Lo stregone sobbalzò. L’enorme orologio a pendolo della casa segnava un’ora molto tarda. Era tornato solo in quel momento? Il padrone di casa chiamava Reahu, con tono molto duro e di rimprovero. Ihanez si apprestò a vestirsi.

 

“Mi avete chiamato?” mormorò Reahu, trovando opportuno usare la cortesia dinnanzi a Rashnu che pareva ardere di rabbia.

Il padrone di casa non ripose. Si limitò a fissarlo, accigliato e a pugni chiusi. Erano entrambi in una stanza piuttosto tetra, buia. Rashnu sedeva su una sorta di poltrona fin troppo pomposa. Ancora vestito in nero, fissava Reahu, che era in piedi di fronte a lui. Una lieve brezza soffiava dalle finestre che stavano ai lati di quella sorta di trono ed il pavimento rifletteva la luce delle stelle della notte e della Luna. In terra un tappeto rossiccio, con su dipinti complicati simboli che poi si ripetevano sulle pareti.

“Sì, lo so” riprese Reahu, rompendo il lungo silenzio “Siete arrabbiato per la piccola diatriba successa fra me ed il vostro giovane ospite, ma…”.

“Fai silenzio. Ti avevo già avvertito al riguardo, Reahu. O si rispettano le regole di questa casa o

si viene cacciati via. Ihanez non le conosce, mi appresterò a mettergliele bene in chiaro il più presto possibile, ma tu sei qui da molto tempo, da prima che mio padre se ne andasse, quando questa guerra era appena iniziata. Direi che come tempo è sufficiente per infilarsi in zucca i rede fondamentali che reggono questa dimora. Primo fra tutti quello di non usare la propria energia contro gli altri abitanti, se non per allenamento. E tu non solo hai attaccato volutamente Ihanez, che non è assolutamente tuo pari come forza, ma hanno dovuto intervenire altri per fermarti. Altrimenti? Che avresti fatto, Reahu? L’avresti ucciso?”.

Reahu non rispose.

“Sono stanco, Reahu. Stanco di questa guerra, di questo mondo e di tutto il lavoro che mi tocca fare. Non mi serve proprio avere sotto il mio tetto un sovversivo irascibile che lancia stelle contro gli altri senza alcun ritegno”.

“Ma…io non ho un luogo dove andare, se mi cacciate da qui!”.

“Potevi pensarci prima. Non è il primo avvertimento che ti lancio. E per quanto riguarda la tua mansione, può essere facilmente ridistribuita fra Tate, Tarhunt, Omikhle ed la coppia di lunari”.

Reahu non parlò. Venir cacciato da lì, perdendo parte della sua energia, gli avrebbe tolto ogni cosa. Chinò il capo, preferendo non peggiorare ulteriormente la sua posizione.

“È tempo che tu vada, Reahu. Non posso permettere che tu rimanga qui. Il mio compito è far rispettare le regole”.

“Principe, io…”.

“Non chiamarmi principe. Non ora. Non ti servirà. Sei bandito, Reahu”.

“Rispetto la vostra decisione”.

Reahu si inchinò, leggermente, e fece per andarsene, quando la porta alle sue spalle si spalancò ed entrò Ihanez.

“Oggi a tutti piace infrangere le regole” mormorò Rashnu, trovando irrispettosa quell’entrata.

“Non mandatelo via” esclamò Ihanez “E non punitelo. È stata colpa mia. Sono stato io ad iniziare. Se qualcuno qui dev’essere punito, allora spetta a me”.

“Ihanez, ragazzo, queste sono cose che non ti riguardano”.

“Mi riguardano, invece! Lo hai detto tu che ora sono un abitante di questa casa, giusto? Anche io devo sottostare alle regole ed anch’io devo essere punito perché le ho infrante. Ho iniziato io la lite, spetta a me essere giudicato”.

“Una persona non può litigare da sola, Ihanez. E spettava a Reahu avere autocontrollo”.

“Ma io l’ho provocato. È stata colpa mia. E se state punendo lui, allora dovete riserbare lo stesso trattamento anche a me. Non sarebbe giusto il contrario”.

“Non sarebbe giusto?”.

“No. Non sarebbe giusto”.

Rashnu respirò profondamente, lasciandosi leggermente cadere sulla poltrona, rilassandosi e chiudendo gli occhi.

“Sai che parole usare con me, Ihanez. E va bene. sono disposto a concedere ad entrambi un’altra possibilità, una soltanto. Reahu, puoi restare”.

“Grazie” mormorò l’uomo, abbassando la testa.

“Però non voglio venire a sapere, né tantomeno vederlo di persona, che avete combinato altri casini, intesi? Vi lascio la massima libertà, ma distruggere il palazzo di mio padre non rientra fra queste libertà, mi pareva una cosa ovvia!”.

“Penserò personalmente ai danni” si propose Ihanez “Riparerò tutto, entro l’alba non vi sarà alcun segno di quanto successo”.

“Bene. E chiedete alla guaritrice Nininsina di dare un’occhiata a tutte le ferite che vi siete provocati. Non sembrano gravi, ma sono comunque provocate dalla magia”.

Ihanez e Reahu annuirono. Lo stregone si congedò ed andò subito a mettersi al lavoro sulla parete della casa danneggiate.

“Reahu” parlò, di nuovo Rashnu “Chiama tutti gli altri per l’alba, nella sala grande”.

“Tutti? Anche quelli fuori?”.

“No, quelli non sono necessari. Limitati agli abitanti stabili”.

“Sissignore”.

 

“Ti serve una mano?” domandò Reahu, dopo qualche ora.

“Ho quasi finito, no grazie” rispose Ihanez, con le mani rivolte alla casa che stava sistemando.

“Io…volevo ringraziarti per prima, stregone. Se non fosse stato per te, sarei stato bandito”.

“Ed io volevo scusarmi, per prima. Ho parlato a sproposito, senza sapere le cose. Perdonami”.

“Fingiamo che non sia successo niente, ok? Non tenterò più di darti consigli non richiesti”.

“Ok. Ed io non ti insulterò”.

“Ottimo. Ignorarci è la cosa migliore da fare”.

“Solo una cosa…posso?”.

“Parla…”.

“Come si chiamava lei?”.

Reahu rimase in silenzio. Nel buio della notte, brillava leggermente.

“Alinn” rispose, dopo un po’.

“E qual è la sua stella?”.

“Quella lassù. Quella al centro, attorno alla quale ruota il cielo. Il suo perno”.

“Sono certo che lei ti guarda da lassù, Reahu. Ti guardano”.

“Mi guardano?”.

“Sì. Lei e tuo figlio. Ti guardano”.

Reahu non sapeva che rispondere. Guardò lo stregone, domandandosi chi fosse stata la lingua lunga che si era divertita a raccontare gli affari propri a quell’intruso.

“Lo spero” disse, dopo un po’, mentre lo schiarirsi del cielo ed il risveglio di Thesan erano il segno che la notte stava per finire.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI- Alba ***


VI

 

ALBA

 

“Intendi dire che Ihanez è stato qui?” domandò Veda, incuriosita.

“Non lui di persona” spiegò Gudis “Un uomo, un giovane, piuttosto strano, lo devo ammettere, è venuto qui in sua vece e ci farà da intermediario”.

“Ma chi ti assicura che stia bene? Che quest’uomo non sia altro che un impostore?”.

“E perché dovrebbe esserlo?!”.

“Per scoprire cose su di noi”.

“Che genere di cose? Sei paranoica pure tu adesso. Non bastava il maestro, che vede cospirazioni ovunque! Quell’uomo aveva uno sguardo sincero, e quando lo vedrai te ne convincerai”.

“Ma io voglio vedere il mio fratellone di persona!”.

“Non si può. Lo metteremmo in pericolo”.

Veda sospirò. Non era certo così che immaginava il futuro!

Gudis, nel frattempo, continuava a cercare fra i vari libri della biblioteca di casa. Cercava un nome, che era certo di aver già sentito ma non riusciva a ricordare dove! Rashnu. Dove gli era già stato dato modo di sentirlo?

“Anche voi lo avete già udito prima, maestro?” domandò, a risposta dello sguardo interrogativo dello scienziato più anziano.

“Sì, devo ammetterlo. Ma devo anche ammettere che non ricordo dove”.

“Devo scoprirlo! Quel nome mi dà una così strana sensazione…”.

“Rilassati, Gudis. Sarà un nome piuttosto comune di una qualche zona del mondo e quindi lo avrai già sentito, ma non credo ci sia qualcosa di cui preoccuparsi”.

L’allievo annuì. Forse aveva ragione il suo maestro. La sua era solo paranoia, dettata dalla preoccupazione e da una sensazione senza senso. Il maestro guardò l’allievo uscire dalla biblioteca, per tornare in laboratorio a fare lezione.

“Rashnu” mormorò, e rabbrividì.

C’era qualcosa in quelle poche lettere che lo metteva decisamente a disagio!

 

   

 

“Ci siamo tutti?” sbadigliò Rashnu, seduto capotavola.

“Anche stanotte non hai dormito?” domandò Nininsina.

“Colpa dei vostri casini” sbottò lui, notando lo sguardo indifferente di Reahu.

Le sedie attorno al lungo tavolo erano quasi tutte occupate, ma alcune erano riservate a chi di loro viveva al di fuori della casa. due grossi lampadari pendenti illuminavano tutto flebilmente e le prime luci dell’alba entravano dalle finestre ad arco. Colonne attorcigliate e statue riempivano gli spazi e coprivano solo in parte le pareti rosso cupo, piene di simboli ed incisioni. Il soffitto, molto alto, era a cassettoni e decorato a sua volta. Una pesante porta nera divideva quella stanza dal corridoio. Fuori dalla sala, esclusi da quella riunione, vi erano Ihanez e due fratelli gemelli, un maschio ed una femmina, ancora bambini, figli di una coppia abitante della casa.

Si udivano parecchie voci di protesta per l’ora stabilita. Rashnu ignorò la cosa, ben consapevole che fosse l’unica ora possibile in cui erano tutti presenti, pronti a dormire od andarsene. Attese ancora un po’, lasciando ai commensali il tempo di prendere posto e sistemarsi. Li guardò, con i suoi grandi occhi arancio. Sembrava davvero così gracile rispetto alla maggior parte di loro! Eppure la percepiva piuttosto bene la spaventosa differenza di energie fra lui e loro. Quando Thesan, con i suoi dolci occhi color pesca, fece il suo ingresso, Rashnu capì che erano tutti presenti.

“Quest’oggi vorrei discutere con voi di alcune cose. Di tre questioni, per l’esattezza. So che molti di voi sono abituati a riunioni generali capitanate da mio padre, e trovano insolito tutto questo. Per qualcuno, invece, questa è la prima riunione e si sente a disagio. Rilassatevi un po’ tutti quanti. non è una situazione di emergenza. Solo certe piccole questione burocratiche”.

Un soffio di vento entrò dalla finestra, facendo tintinnare tutti i vari gingilli che Rashnu portava su capelli e corpo. Più di qualcuno trovava quel suono inquietante.

“Per prima cosa…” riprese a parlare il capotavola, con la sua voce bassa e profonda “Vorrei porre a voi la stessa domanda che non molto tempo fa ho rivolto a Reahu”.

Sentendosi chiamare per nome, Reahu si guardò attorno piuttosto confuso.

“Voglio sapere se vi sta bene che io stia qui, come vostro capo temporaneo. Sono passati molti anni da quanto mio padre è scomparso, e per ereditarietà mi son accollato tutti i suoi doveri. Pensavo che la cosa fosse solo momentanea, che durasse poco, invece son qui ancora e perciò io vi chiedo: vi sta bene? Non sono un dittatore, e mio padre non mi hai designato come successore, perciò vorrei tanto sapere se ritenete appropriato il mio ruolo. In caso contrario, sarò lieto di sentire chi proponete e scegliere assieme a voi il più adatto a comandare questa casa e tutti voi”.

Seguirono alcuni istanti di silenzio, accompagnati da un brusio sommesso fra i commensali. Rashnu lasciò pure che discutessero fra di loro, senza interromperli. Non osava dire a nessuno di loro che in realtà desiderava tanto che qualcuno si facesse avanti, alleggerendogli le giornate.

“Tu sei l’unico in grado di occupare il posto di tuo padre, fino a quando questi non tornerà” parlò Clio, cercando con lo sguardo l’appoggio di altri.

“Do ragione a Clio” annuì Ninurta, il compagno di Nininsina.

“Pure io” si unì Tate “Nonostante l’apparente giovane età, la maggior parte di noi è nata ben dopo e noi tutti sappiamo benissimo che sotto quell’aspetto apparentemente docile si nasconde una creatura di potenza difficile da eguagliare”.

“Direi che fare ad alzata di mano è più semplice” commentò Hike.

Quasi tutti i presenti alzarono la mano a favore di Rashnu, che sospirò.

“E, a proposito di questo…” parlò un uomo dal fondo del tavolo, vestito di rosso “…non credete sia giunto il tempo che questa casa abbia un principe?”.

“Tecnicamente, sono io il principe, Kama” rispose Rashnu, senza capire.

“Un piccolo principe. Un erede del capo che ci governa, a cui passare il testimone un giorno” riprese Kama, accompagnando la frase con un mezzo ghigno.

“Stai scherzando?”.

“E tu hai capito di cosa parlo? O vuoi un disegnino? Rashnu, non sei più un bambino. Non pensi sia ora per te di prender moglie e far proseguire il tuo sangue? In tempo di guerra, non si sa mai cosa può succedere e non possiamo correre il rischio di veder estinguersi la tua famiglia”.

Rashnu rimase in silenzio, sconcertato. Certi discorsi non glieli aveva mai fatti nemmeno suo padre!

“Sono d’accordo con Kama” annuì Thesan.

“Pure io” si aggiunse la donna che stava accanto proprio a Kama, la sua compagna Kadesh.

“Che ventata di felicità darebbe un bambino in questa casa!” rise Idun, una giovane dallo sguardo molto luminoso ed i capelli indaco.

“Scusate, qui stiamo andando fuori tema” borbottò Rashnu “E fateli voi, i figli, se tanto ci tenete. Dopotutto siete quasi tutti sposati”.

“Lo sappiamo” sorrise Bragi, il marito di Idun, con la lunga veste grigio perla che svolazzava mossa dal vento e con i capelli bruni raccolti in una coda “Ma il figlio di Rashnu avrebbe di certo un valore simbolico più alto, rispetto a quello di chicchessia. Darebbe una certa ventata di speranza”.

“Non voglio parlare di questo, finitela!” sbottò Rashnu.

“Dovresti sceglierti una femmina e…” riprese Thesan.

“Non sarai sempre giovane e pieno di energia come adesso!” interruppe Idun.

“Basta!” tuonò il capotavola e qualcuno giurò di aver sentito il terreno vibrare sotto si sé “Non siamo qui per questo”.

 Calò il silenzio, totale, e Rashnu ghignò.

“Il secondo punto della riunione…” riprese a parlare, come se nulla fosse successo “…riguarda la guerra in corso. Sta diventando piuttosto disequilibrata”.

“Esiste come termine?” alzò un sopracciglio Bragi.

“Fottiti, Bragi. Non è questo il punto” lo zittì Reahu.

“Grazie” disse Rashnu, sentendo distintamente il “lecchino” rivolto al collega.

“Quel che voglio dire…” ricominciò il capotavola “…è che ora si è formata un’alleanza fra scienziati e guerrieri, mettendo gli stregoni in posizione di svantaggio. La cosa mi preoccupa”.

“Perché? Lo sappiamo tutti che è un’alleanza solo temporanea. Una volta sconfitti gli stregoni, torneranno a battibeccare fra loro” commentò Adraste, e suo marito Saxnot annuì.

“Ormai non sanno nemmeno perché si fan la guerra” si unì il figlio della coppia, Petbe, un ragazzo molto alto dai lunghi capelli neri “Tutto è diventata solo una questione di vendetta”.

“Appunto. I capi stessi di queste classi non sanno perché stanno combattendo, essendo iniziato tutto questo prima della loro venuta. Non credete sia ora di metterci un freno?” riprese Rashnu.

“Intendi intervenire? Interferire in queste faccende che non ci riguardano?” drizzò le orecchie Tate.

“Non ci riguardano?! Siete o no stati stregoni, scienziati, guerrieri o quant’altro pure voi, prima di giungere qui?”.

“Sì, certo” parlò Reahu “Ma quasi tutti noi siamo stati rinnegati dalle stesse famiglie. Perché difendere gente che non ci ha mai voluto? Che senso ha?”.

“Ha ragione Reahu! Quelli hanno tentato di uccidermi perché usavo la magia!” annuì Egres.

“Non credo meritino il nostro sostegno” convenne Tork.

“Ma così gli stregoni finiranno per essere sterminati. Lo volete davvero?” si alzò Hike.

“Sì” annuì Tarhunt, l’uomo il cui colore mutava a seconda del tempo atmosferico.

“Come sarebbe a dire?!” si stupì Thesan.

“Credo sia ora per loro di porre un punto a tutto questo” aggiunse Nebu, che portava la barba lunga e riccia, piuttosto disordinata.

“Nebu! Mi stupisco di te!” esclamò Kama.

“Io mi stupisco di tutti quanti voi!” sbottò Whope, una ragazza vestita di chiaro “Dovremmo aver posto un freno a tutta questa guerra al suo nascere, altro che starcene qui in panciolle a dormire!”.

“Ma stai zitta, ragazzina pacifista. Sei l’ultima arrivata qui!” la minacciò Saxnot.

“Non voglio sentirvi litigare” esclamò Rashnu “Quello che vi chiedo è semplice: pensate sia giusto intervenire, oppure facciamo come abbiamo fatto fin ora?”.

“Io son per la seconda opzione” annuì Ilmarinen, un uomo che pareva piuttosto anziano.

“Ma così tutto questo non si fermerà mai!” protestò Whope.

“Così sia. Devi imparare a guardare al di sopra di certe cose” commentò Adraste.

“Ma noi non siamo al di sopra. Facciamo parte di questo mondo esattamente come tutte le altre classi, quasi tutti noi ne facevamo parte!”.

“Propongo di verificare come procede questa alleanza” parlò Nabu “Ed intervenire solo se ci rendiamo conto che la situazione sta precipitando. È inutile esporci, anche perché non sappiamo come potrebbero reagire nell’apprendere dell’esistenza di creature come noi”.

“Potrebbero allearsi tutti contro di noi” notò Clio.

“Che facciano. Li schiaccerò come tante mosche lagnose” fu il commento di Reahu.

“Reahu!” lo ammonì Rashnu, senza però alzare la voce “Controllati!”.

“Come può controllarsi? Lui non ha un’anima” lo prese in giro Tarhunt, ridacchiando.

Reahu non gli spaccò la faccia solo per il poco tempo trascorso dall’ultima ramanzina di Rashnu. In compenso mutò di colore, facendo intendere che non era affatto felice di ciò che gli era stato detto.

“Nabu ha ragione” disse, sforzandosi di tornare gradatamente al suo colore chiaro “Inutile  esporsi. Non ancora, perlomeno. Meglio evitare di cercar rogne di nostra spontanea volontà”.

“La maggior parte di voi è d’accordo con queste parole?” volle sapere Rashnu, contando rapidamente tutte le teste che annuivano.

La maggioranza. Perfetto. Qualcuno protestò vivacemente ma poi si zittì, capendo che non sarebbe stato ascoltato.

“Interverremo quando e se la situazione sarà critica. Se si dovesse verificare qualche cambiamento, ci riuniremo di nuovo, questa volta con anche gli altri di noi, non solo quelli che vivono qui, e decideremo il da farsi” concluse il padrone di quel luogo, spostando l’attenzione sull’ultimo argomento, che più di qualcuno pareva aver capito.

Non parlò subito, distratto da una voce dal giardino che cantava.

“Il terzo punto…” riprese, scendendo dalle nuvole “…è, ovviamente, il nuovo arrivato. A qualcuno non piace stia qui ma, ve lo dico subito, non lo caccerò via”.

“E quale sarebbe la questione allora?” incrociò le braccia Saxnot “Quello è qui da pochi giorni ed ha già fatto danni!”.

“Quello, come piace chiamarlo a te, è il figlio di Ipalnemoa ed ha ereditato il suo potere, ne sono più che certo”.

“E come puoi esserlo? Hai qualche prova?”.

“L’anima che porta appresso. L’ha evocata lui, da solo, senza nemmeno rendersene conto”.

“Credevo fossi stato tu a concedergliela”.

“Al contrario. La sua determinazione è stata così grande da portarmela via ed appropriarsene”.

“Non lo so, non mi convince. È comunque un mezzosangue che ha passato tutta la vita a fare lo stregone soltanto, senza alcun segno di risvegli di altri poteri. Potrebbe anche essere soltanto uno stregone molto, molto forte”.

“Pure io ho passato molti anni fra i signori della natura, ignorando completamente chi fossi in realtà, Saxnot. Mi stai forse dicendo che non sono degno di stare qui?”.

Le dita di Rashnu si mossero lentamente sul bracciolo della poltrona dove sedeva e si udì un forte ululato, seguito da molti altri.

“Mai detto questo, principe” si allarmò Saxnot, conoscendo il caratterino dei lupi di Rashnu.

“Molto bene. Direi che abbiamo stabilito che lo stregone può restare”.

“Sì, va bene, ok. Ma ha comunque bisogno di un freno!”.

“Questo è il terzo punto di cui vorrei parlarvi. Gli serve una guida, un aiuto, un maestro, per poter risvegliare pianamente tutto il suo potere in sicurezza e controllo. Ha moltissime cose da imparare, che non può apprendere di certo da solo. Io non posso occuparmi direttamente di lui, perché sapete bene che passo la maggior parte del tempo fuori da casa, perciò vorrei sapere chi fra di voi se la sente di fargli da insegnante”.

“Da babysitter, vorrai dire!” ghignò Tarhunt.

“Da quello che volete. Scegliete voi il temine, ma qualcuno deve occuparsene, come qualcuno si è preso cura di voi quando siete arrivati qui”.

“Direi che la cosa migliore è far scegliere l’allievo” parlò Nabu, con fare solenne.

“Far scegliere Ihanez? Perché?”.

“Perché di certo avrà avuto modo di conoscere qualcuno di noi ed avrà provato delle simpatie. Non possiamo obbligare due persone che non vanno d’accordo a passare quasi tutta la giornata insieme. La cosa migliore, è che sia lui stesso ad indicare una sua preferenza”.

“Benissimo. In questo caso: fate entrare Ihanez. Egres, puoi pensarci tu, per favore?”.

“Io? Va bene, ma posso sapere perché proprio io?”.

“Credo ci sia una cosa che devi vedere, fuori in giardino”

 

   

 

“E così, tu sei il nuovo arrivato” domandò una bimba, spiando Ihanez.

“Sì. Mi chiamo Ihanez. E tu come ti chiami?”.

“Io sono Aura. E lui è mio fratello Aer”.

“Piacere di conoscere entrambi”.

“Tu che cosa fai?”.

“In che senso?”.

“La mia mamma fa scendere la notte e può farti fare gli incubi. Anche i bei sogni. Mentre il mio papà fa i desideri e dà forza”.

Ihanez non capì del tutto quel discorso, ma sorrise a quei due bambini. Erano piccoli, non dovevano avere più di sei anni. Anche se erano gemelli, il loro aspetto non aveva punti in comune. Lei era chiara di capelli e di pelle, vestita in tonalità pastello. Lui, invece, era piuttosto scuro e vestiva di colori accesi.

“Come si chiamano la tua mamma ed il tuo papà?” domandò lo stregone, sforzandosi di imparare nomi e facce il più in fretta possibile.

“Papà è Pothos e mamma è Omikhle”.

“Li riconosci perché mamma è sempre in nero e papà è grande, grande” si intromise il bambino.

“Oh, ho capito chi sono!”.

“Quindi tu non sai ancora qual è il tuo potere speciale?” riprese la bimba.

“No, non ancora. E non so se lo avrò mai, sinceramente”.

“Se sei qui, allora lo avrai. Rashnu non sbaglia mai”.

“Bene. Mi fido, allora”.

“Nemmeno noi sappiamo qual è il nostro potere speciale, ma lo scopriremo”.

“E quando si risveglierà, saremo ammessi alla riunione dei grandi” quasi gridò il bambino.

Erano tutti e tre in giardino. Ihanez aveva finito di sistemare i danni che erano stati provocati dalla lite fra lui e Reahu ed era piuttosto stanco. Ma non se la sentiva di lasciare due bambini da soli, senza nessuna supervisione. Dopo alcuni momenti di gioco, si sentì l’ululato di un lupo. I piccoli parvero non farci nemmeno caso. Lo stregone girò le orecchie a punta, piuttosto preoccupato.

“Tu hai le magie? Sei uno stregone?” domandò Aer, distogliendolo dai suoi pensieri..

“Sì, esatto”.

“Anch’io faccio le magie! Tu come le fai?”.

“Come faccio che cosa?”.

“Le magie. Usi le parole? Fai disegni?”.

“Dipende da quel che devo fare”.

“Hai mai provato a cantare?” si intromise Aura.

“Cantare che cosa?”.

“Le parole magiche! Se le canti, sono più forti”.

“Non ho mai provato, sinceramente”.

“Prova adesso! Guarda cosa faccio io!”.

La piccola si avvicinò ad un grosso fiore ancora in bocciolo, posto all’ombra di un albero enorme. Iniziò a cantare, Ihanez rimase incantando sentendone la bellissima voce, ed il fiore si schiuse.

“Ecco. Visto? Ricordi le parole che ho detto? Prova tu”.

“Io non credo di essere particolarmente dotato nel canto, non sono della classe degli artisti e non ho mai cantato in vita mia!”.

“Non ti sente nessuno! Tranne noi, ma giuriamo di non raccontarlo a nessuno se sei stonato. Prova. Papà dice sempre che bisogna fare sempre almeno un tentativo”.

Ihanez sorrise. Dopotutto era vero, non ci vedeva niente di male nel cantare ad un fiore! Accanto a quello appena sbocciato, ce n’era un altro ancora chiuso.

“Promettete di non ridere” disse ai due bambini, ed i piccoli annuirono.

Gli veniva un po’ da ridere, ma alla fine raggiunse il grado di concentrazione necessaria. Respirò a fondo ed iniziò a cantare le parole che Aura aveva usato. Si stupì del fatto che la sua voce non fosse affatto male, anzi la trovò piuttosto piacevole. Il fiore iniziò a brillare e si aprì, ma quella luce non cessò e si arrampicò lungo il tronco del grosso albero sotto cui stavano. La pianta fiorì immediatamente, riempiendo l’aria di un profumo magnifico.

“Wow” commentò la bambina, dopo qualche istante di silenzio, senza però mostrare emozione nella voce “Ora capisco perché sei qui”.

“Forte. Chissà che dirà Egres” sorrise Aer.

“Perché?” domandò Ihanez.

“Lui cura le piante del giardino. Le mette nella terra, le fa crescere, controlla i fiori, i frutti eccetera. Chissà cosa dirà”.

“Credi che si arrabbierà? Perché ho già fatto arrabbiare abbastanza persone in pochi giorni”.

“No. Egres non è cattivo. Credo sarà felice. Lui è sempre felice quando un albero fa i fiori”.

“Ihanez” chiamò proprio Egres, che fece per continuare la frase ma rimase senza parole, vedendo come l’albero più grande del giardino fosse fiorito così, tutto ad un tratto.

“Ihanez lo ha fatto fiorire!” sorrise Aura “Grazie a me che l’ho fatto cantare!”.

“Davvero, Ihanez?  Tu davvero lo hai fatto fiorire da solo?” si stupì Egres, col naso all’insù.

“Sì, è così strano?”.

“Strano non direi. Ma non è cosa da tutti”.

“Spero che la cosa non ti infastidisca”.

“Infastidirmi?! Ragazzo, perché dovrebbe? È un segno del tuo potere, è grandioso! Ad ogni modo, ero venuto qui per chiamarti. Ti vogliono alla riunione”.

“Perché lui sì e noi no?” protestò Aer.

“Perché tu sei ancora piccolo. Non ci vorrà molto, ve lo riporto subito il vostro compagno di giochi” sorrise Egres, trascinando Ihanez per il giardino.

 

   

 

“Mi volevate?” mormorò Ihanez, rimanendo in piedi sulla porta, mentre Egres riprendeva il suo posto a tavola.

“Che è successo?” domandò una donna dagli accesi capelli rossi di nome Gabija, notando lo sguardo un po’ strano di Egres.

“Ha fatto fiorire l’albero grande” si limitò a dire l’interpellato, lasciando che i commensali si stupissero quanto lui.

“La fortuna del principiante” commentò, acido, Tarhunt.

“L’invidia del vecchio” lo zittì, sorridendo beffardo, un ragazzo vestito dei colori della sera.

“Monimos!” lo rimproverò velatamente la madre, Kuma, una donna intermente grigia, sia nel vestire che nel colore della pelle.

“Ragazzo” interruppe le questioni Rashnu “Ti abbiamo chiamato per dirti che abbiamo stabilito definitivamente che puoi restare. Scegli, fra noi, chi sarà il tuo maestro. Colui, o colei, che ti guiderà nel cammino che porterà al totale risveglio delle tue reali capacità”.

“Io? Lo devo scegliere io?”.

“Nessuno meglio di te conosce se stesso, Ihanez. Devi trovare fra noi la persona che senti più vicina, quella che secondo te saprà illuminarti la strada, quella di cui fidarti e obbedire. Non c’è fretta. Non devi scegliere oggi, ora. Prenditi il tempo che ti serve, conoscici meglio. Sei qui da poco, ti ci vorrà del tempo per poter apprendere gli aspetti fondamentali di ognuno di noi, come per noi ci vorrà del tempo per imparare delle cose su di te che poi…”.

“Mi scuso per l’interruzione, ma non credo che mi servirà tempo per decidere”.

“Davvero? Hai già preso la tua decisione?”.

“Sì. Ma prima volevo ringraziare tutti quanti voi per avermi accolto qui. E mi scuso per i casini che ho combinato e che combinerò. Il mio maestro diceva sempre che ero un pasticcione dotato di grande talento”.

“A fare pasticci?” domandò Hike.

“Anche” annuì Ihanez, mostrano ora un certo controllo nei confronti delle volute provocazioni.

“Se credi di essere già in grado di scegliere, allora avanti, dicci chi sarà la tua guida” riprese Rashnu, facendo cenno ad Hike di fare silenzio.

“Reahu” rispose lo stregone, come se fosse qualcosa di scontato.

La sala si ammutolì, trovando quasi tutti quell’uomo un pazzo dal pessimo carattere.

“Divertente, Ihanez” commentò Reahu “Scusa se non rido ma, sai, senza parte dell’anima non mi è concesso farlo”.

“Non sto scherzando!” continuò il nuovo arrivato “Io sento che puoi comprendermi, sento che puoi capire il mio modo di agire e di pensare. Ti ho visto illuminare il cielo e creare una stella da lanciarmi contro. E poi i fulmini. Io non conosco le capacità della maggior parte dei presenti, ma conosco le tue e le trovo straordinarie”.

“Grazie” non trovò altro da dire Reahu.

“Sarei onorato se fossi tu ad aprirmi la strada in quello che stando a voi è il mio futuro certo”.

“Se è quello che desideri, accetto. Però, ti avviso fin da subito, che non sono una persona buona. Non ti sarà facile sopportarmi”.

“Sono pronto. Non ho mai avuto insegnanti facili”.

“Io non provo pietà, gioia, stanchezza, speranza ed altre piccole cose che tu, anima integra, puoi provare. La comprensione dei sentimenti non rientra fra le mie doti più spiccate. Questo mi rende più simile ad una statua di pietra piuttosto che ad una creatura come te, come loro. Sei pronto ad affrontare anche questo?”.

“Certo”.

“Veramente la cosa non ti spaventa?”.

“No”.

“Ammiro il tuo coraggio” ridacchiò Pothos.

“Buona fortuna, pivello. Ti sei scelto proprio un bel bastardo con cui avere a che fare!” incrociò le braccia Tarhunt, chiudendo gli occhi, divertito.

Un lampo seguito da un potente tuono squarciò il cielo sereno e, riaprendo le palpebre, l’uomo notò lo sguardo furioso e dorato di Reahu, divenuto d’improvviso con la pelle del tutto nera.

“Calma” sorrise Rashnu, scuotendo la testa.

A volte aveva l’impressione di stare in un grande asilo, o un manicomio.

“Hai fatto la tua scelta, Ihanez” riprese, quando le acque si furono calmate “Dato che Reahu ha accettato l’incarico, sei ufficialmente suo allievo. Puoi andare adesso”.

Ihanez lasciò la stanza, con un inchino. Molti non nascosero la propria perplessità, Reahu compreso, ma Rashnu li zittì, sciogliendo la riunione e lasciando liberi i presenti di andare dove meglio preferissero. Era mattino ormai inoltrato, e molti erano indietro con le proprie mansioni, compreso lui stesso, che fissò l’orologio a pendolo con un certo disappunto.

“Clio” fermò la ragazza, prima che se ne andasse “Posso parlarti?”.

“Sì, principe” rispose lei, imbarazzata.

“Tu sei una persona molto dolce, lo so per certo. Sei brava ad entrare in armonia con le persone, dare loro consigli, sostenerle e guidarle”.

“Sul serio?” arrossì lei.

“Per questo vorrei affidarti un compito. Il nuovo arrivato ha bisogno di sostegno, di appoggio. Si è scelto un ottimo maestro. Credo che nessuno meglio di Reahu possa capirlo e guidarlo. Ma tu sai bene che in quanto a rapporti interpersonali quell’uomo non è ferratissimo e penso che Ihanez avrà bisogno anche di qualche aiuto psicologico, soprattutto adesso che si deve ambientare, che soffre per un lutto ed è spaesato. So che tu saprai essere di grande aiuto e, inoltre, confido nella tua capacità di saper porre un freno agli eccessi di Reahu”.

“Se è questo che desiderate, signore, lo farò”.

“Niente signore, per favore! Sono Rashnu, e basta. Confido poi che potrò ricevere molti più aggiornamenti sui progressi dello stregone da te, piuttosto che da Reahu e da Ihanez stesso. La tua capacità di osservazione è notevole e la tua memoria è di certo migliore rispetto a quella di chiunque altro qua dentro. Non ti perderai nemmeno un dettaglio”.

“Li devo spiare?”.

“Assistere”.

“Lo farò”.

“Grazie”.

Rashnu uscì dalla stanza e Clio lo seguì con lo sguardo, senza capire bene a che gioco stesse giocando. Lo vide allontanarsi in fretta, in groppa ad uno dei suoi lupi ora divenuto enorme e circondato dagli altri, di dimensioni normali. Avvolto da un pesante mantello nero che ne copriva il viso, riuscì a scorgere la luminosità degli occhi arancio di lui, e poi il bianco del suo sorriso. Le aveva sorriso? Le aveva sorriso veramente.

Kama e Kadesh si fissarono, compiaciuti, sfiorando con la mano la spalla di Clio, e tornarono alle loro stanze.

“Straordinario” commentò Ihanez, avendo visto anche lui andar via di corsa Rashnu “Deve possedere un’energia inimmaginabile”.

“È il nostro capo” commentò Clio “Ti consiglio di raggiungere Reahu al più presto. Non è la persona più paziente del mondo”.

“Grazie per l’aiuto”.

“Son sempre qui per darti una mano”.

“Sento che io e te saremo ottimi amici, Clio”.

“Bene. Gli amici vanno sempre comodo”.

 

   

 

“E così…” commentò Reahu, guardando in su “…hai fatto fiorire questo bestione cantando”.

Allievo e maestro stavano seduti, a gambe incrociate, all’ombra dell’albero grande del giardino. Era pomeriggio inoltrato e fino a quel momento Reahu aveva volutamente ignorato il nuovo arrivato, probabilmente per riordinarsi un po’ le idee e decidere sul da farsi. Era da davvero troppo tempo che non aveva un allievo.

“A quanto pare…” mormorò Ihanez, che aveva seguito pazientemente Reahu per l’intera giornata, in silenzio, come consigliato da Clio, in attesa di un suo ordine o cenno.

“Sei stato bravo”.

“Grazie”.

Nel silenzio che seguì, l’allievo osservò il maestro mentre trafficava con l’accendino e si accendeva una sigaretta.

“Non oso immaginare cosa sia in grado di fare tu, cantando” parlò, dopo un po’.

“Scusa? Una domanda” borbottò Reahu “Al tuo maestro dai del Tu?”.

“No, in effetti no. Domando scusa”.

“Meglio. Ad ogni modo, vedrai stasera cosa sono in grado di fare”.

“Davvero?! Non vedo l’ora” spalancò gli occhi Ihanez, sporgendosi in avanti, in un attacco d’entusiasmo che fece indietreggiare Reahu con il busto.

Tornò calmo, un po’ in imbarazzo, e scese di nuovo il silenzio.

“A cosa pensavi?” parlò Reahu, dopo un po’.

“Quando?”.

“Quando hai cantato”.

“Alle persone che ho perso”.

L’allievo chinò il capo, con gli occhi lucidi. Erano cambiate moltissime cose, ma erano trascorsi solo pochi giorni da quando aveva visto morire il suo maestro e la donna che amava. Reahu lo osservò e poi guardò i fiori.

“Io non sono più in grado di provare molte cose, Ihanez, ma ricordo il dolore lancinante che resta dentro quando perdi ogni cosa. Per questo credo che, al momento, sia meglio per te un periodo di tranquillità. Ambientati, prendi il tuo tempo e, quando sarai pronto, inizieremo le lezioni”.

“Credo che aspettare complicherebbe solo le cose”.

“Interessante. È la stessa risposta che ho detto io a tuo padre. Ma nel mio caso era diverso”.

“Non soffrivi più?”.

“Soffrivo. Molto. Ma lo sguardo di tuo padre aveva qualcosa che non riesco a spiegarti, che mi ha dato forza. Io so di non avere quello sguardo”.

“Mio padre era il tuo maestro? Era bravo?”.

“Lo era, prima di sparire. Poi ho dovuto arrangiarmi da solo. Non è stato un problema, le basi me le aveva date e, senza un’anima, confesso amaramente di non aver provato neppure nostalgia”.

“Prima iniziamo e prima starò meglio. Devo tenere la mente occupata”.

“Come vuoi ma, se scegli questa strada, sappi che quando ti fermerai il dolore da cui fuggi ti raggiungerà. Prima o poi lo dovrai affrontare”.

“Quando sarò abbastanza forte da farlo”.

“Mi piace la tua determinazione”.

Clio arrivò fra i due con un vassoio, sorridendo.

“Volete un po’ di tè?” domandò, sedendosi sull’erbetta verde brillante.

“Ma guarda chi è arrivata…la galoppina di Rashnu!” commentò Reahu.

“Non sono la galoppina di Rashnu!” protestò lei, versando la bevanda in tre tazze.

Tarhunt, che fino a quel momento si era tenuto a distanza, vide Clio e si avvicinò. Sapeva che Reahu avrebbe dovuto controllarsi in presenza di lei, per non rischiare rimproveri da parte di Rashnu. Sedette accanto al nuovo arrivato.

“Ragazzo…” parlò “…ci tenevo a farti sapere che ti stimo. Però non so quanto tempo riuscirai a sopportarlo, sai? Al tempo, ci riusciva solo quel santo del tuo papà!”.

“Smettila!” sibilò Reahu.

“Scommetto che fra qualche giorno impazzirete entrambi e la cosa non andrà in porto. Non riuscirai a risvegliare questo ragazzo, con il carattere che ti ritrovi e con le tue spiccate doti empatiche. Ovviamente sono sarcastico sull’ultimo punto”.

Reahu scatto e gli spense la sigaretta sulla mano, praticamente ringhiandogli in faccia.

“Bastardo! Clio, hai visto cosa ha fatto?”.

“Io non ho visto niente” mentì Clio, dedicandosi al tè.

“Benissimo. Sarò io stesso a riferire a Rashnu quanto accaduto” si alzò Tarhunt, allontanandosi in fretta, con aria offesa.

“Lagna!” lo schernì Reahu.

“Basta, bambini!” zittì entrambi, Clio.

“Perché c’è tanto odio fra di voi?” domandò Ihanez.

“Un tempo eravamo entrambi seguiti da tuo padre ed andavamo d’accordo. Quando è arrivato Tate, una decina di anni fa, ci siamo accorti che le sue capacità potevano essere simili a quelle che avevamo entrambi. Rashnu lo affidò a me, essendo io il più anziano, e questo fece ingelosire Tarhunt, che fece tutto il possibile per dimostrare che io non ero il più adatto a fare l’insegnante, la guida, di un giovane. Ci è riuscito, e si è occupato lui di Tate”.

“Come ci è riuscito?”.

“Facendomi imbestialire e facendo sì che il mio allievo si spaventasse a morte”.

“E in che modo?”.

“Non farmici pensare, per favore. Tate ci ha messo un sacco prima di riuscire di nuovo guardarmi senza tremare”.

“Io ti ho già visto arrabbiato, perciò non può fare la stessa cosa”.

“Tu non hai visto ancora niente, neofita. Ad ogni modo, questa volta Rashnu è stato previdente e ci ha affidato una mediatrice d’eccezione. Vero, Clio?”.

Clio preferì non rispondere e, finito il tè, poggiò la tazza sul vassoio.

“Grazie per la merenda, Clio” ringraziò Ihanez, ripetendo lo stesso gesto.

“Di niente, Ihanez”.

Reahu stava riservando tutte le sue attenzioni ad una farfalla, che trovava interessanti i fiori dell’albero gigante. Clio sorrise a quella scena.

“Vi lascio da soli. Non fate disastri, ok?” parlò lei, rialzandosi e portando via vassoi e tazze.

“Non dimenticarti di guardare fuori questa sera, mia cara” le disse Reahu, continuando a seguire la farfalla con lo sguardo.

“La tua sera, Reahu, non me la perderei per nulla al mondo”.

 

   

 

Il Sole tramontò in fretta, o perlomeno così parve a Ihanez. Rimasti l’intero pomeriggio sotto l’albero a chiacchierare del più e del meno, d’un tratto l’allievo vide il maestro alzarsi. Senza dire una parola, Reahu scattò in piedi e si stiracchiò.

“Ora di andare, nuovo arrivo. Vedrai, ti piacerà”.

L’allievo seguì la sua guida, sollevandosi da terra e raggiungendo il tetto. Videro Rashnu rientrare, seguito da altri come Gabija ed il suo compagno.

“Bentornato, principino” lo salutò Reahu, in piedi e con uno sguardo fiero, quasi soddisfatto.

“Buon lavoro. Divertiti” gli rispose il padrone di casa.

“Cos’ha di speciale questa sera? Perché tutti sembrano aspettarla?” domandò Ihanez.

“Mai guardato la notte delle stelle cadenti, new entry?”.

“Certo”.

“È stanotte”.

Ihanez non se n’era accorto. Aveva avuto tanti di quei pensieri in testa che proprio gli era sfuggito.

“Oggi è la serata di massima attività, e quindi mi è concesso darmi alla pazza gioia. Stai a guardare” spiegò Reahu, mentre Ihanez notava il raduno in giardino degli abitanti della casa.

“Sono tutti lì a guardare te?” volle sapere.

“A guardare le stelle”.

“Intendi dire che sei tu che ogni anno crei lo spettacolo delle stelle cadenti? Ma è magnifico!”.

“Adesso stai calmo, e rilassati. Stando qui, ti concedo il posto migliore”.

Ihanez annuì ed andò leggermente indietro, lasciando spazio al maestro. Reahu attese ancora un po’ che la luce del tramonto si affievolisse. Poi respirò profondamene, chiudendo gli occhi. Lo stregone vide il suo maestro illuminarsi ed immagazzinare energia. La Luna era sorta, un piccolo spicchio. Pareva che la tensione si stesse accumulando nell’aria, Ihanez lo percepiva. L’elettricità, la magia, la forza del suo maestro erano ad un livello tale che gli pareva quasi di poterle toccare con mano. Poi Reahu riaprì gli occhi, ghignando al suo allievo, e gridò. Un unico suono, un’unica nota, che vibrò fra i presenti. Rashnu sorrise.

“Ha tanti difetti, non si può negare, ma la sua voce è magnifica” commentò Kama.

La nota continuò, riempiendo il cielo, e la notte si illuminò con le scie delle stelle cadenti. Ihanez rimase senza fiato. Al piano di sotto, in giardino, anche tutti gli altri occupanti di quella dimora osservavano la scena, sorridendo. Chi era in coppia, se ne stava accanto a chi amava. Ognuno di loro aveva almeno un desiderio da esprimere.

“Prova anche tu” parlò Reahu, guardando Ihanez.

“Io? Come?”.

“Segui la nota. È ancora nell’aria”.

Lo stregone si concentrò e cantò. Non avendo la stessa energia e le stesse capacità e solo alcune stelle cadenti apparvero a suo comando. Avevano un colore leggermente più spento rispetto alle altre, ma erano le sue stelle cadenti. Esultò, piuttosto orgoglioso.

“Non se la cavano male quei due, dopotutto” commentò Clio.

“Già, hai ragione” le rispose Rashnu, sorridendole ed esprimendo chissà quale desiderio, mentre il maestro e l’allievo si alzavano in volo.

 

   

 

“Guarda anche tu, vieni” parlò Gudis, invitando la sorella a guardare dal telescopio.

“Sono magnifiche” sorrise Veda “E così luminose”.

“Già. E ogni anno, pensa, lo stesso giorno si ripresenta questo spettacolo. La natura è davvero magnifica, non trovi?”.

“Pensi mai che ci sia qualcuno dietro a tutto questo?”.

“Qualcuno?”.

“Sì, che non sia solo una questione di scienza ma che qualcuno crei tutto questo”.

“Oh, sorellina, sono solo meteoriti, ce ne sono a migliaia per l’universo. Nella giornata odierna si vedono di più per via della posizione del nostro pianeta, non c’è nessun’essere fisico vero e proprio dietro a tutto questo”.

“Nessuno? Peccato, mi sarebbe piaciuto. Dicono che Ogmios faccia qualsiasi cosa”.

“Ogmios è una favola, sorellina”.

“Ogmios è un Dio! Il signore supremo di questo mondo”.

“La religione è qualcosa di cui preferisco non parlare”.

“Io ci credo, Gudis”.

“Ed io non ti impedirò di farlo”.

Tornarono ad osservare le stelle cadenti, incantati, assieme ad altri ragazzi del paese.

“Credi che Ihanez stia guardando tutto questo?” domandò Veda.

“Certo. Ne sono assolutamente sicuro”.

La ragazza sorrise, mentre proprio suo fratello sfrecciava per il cielo, seguendo il suo maestro, troppo in alto perché qualcuno potesse riconoscerlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII- addestramento ***


VII

 

ADDESTRAMENTO

 

“Principessa, fuori dal letto!” si sentì dire Ihanez.

Lo stregone aprì gli occhi pigramente. Era ancora piuttosto buio fuori, l’alba o forse ancora l’aurora. Borbottò chiedendosi che ore fossero e, quando riuscì a mettere a fuoco l’orologio alla parete, sprofondò la testa nel cuscino, gemendo.

“È prestissimo! Sparisci, torna fra almeno due ore!” sbottò.

“Vieni subito fuori dal letto, se non vuoi che mi arrabbi sul serio!”.

“Ma tu non dormi mai? Siamo andati a letto molto tardi ieri”.

“No, io non dormo mai. E comunque me lo hai detto tu che prima iniziavi l’addestramento e meglio ti saresti sentito”.

“Non intendevo in questo senso!”.

“Sbrigati. Devi pure fare colazione tu, signorino anima integra. Quando hai finito, mi trovi nella mia stanza. Sai qual è”.

Ihanez sentì i passi di Reahu allontanarsi per il corridoio. Sbirciò da sotto il cuscino e, dopo un po’, si decise ad alzarsi. Si vestì e scese al piano di sotto, per fare colazione. Già molte persone della casa erano sveglie, anche se poche stavano mangiando.

“Buongiorno. Che mattiniero!” commentò Thesan.

“Non per scelta mia” mugugnò Ihanez, ancora mezzo addormentato.

“Reahu è fatto così. Và a giornate. Ogni tanto rompe le balle presto, e a volte non si fa sentire fino a pomeriggio inoltrato”.

Ihanez, di tutta risposta, sbadigliò e sedette a tavola, accanto al vassoio dei croissant.

“Serviti pure” sorrise Kama “Ce ne sono altri”.

Lo stregone veramente aveva ancora lo stomaco addormentato, ma sapeva che in mano a Reahu avrebbe avuto bisogno di energia. Iniziò a mangiare, spalmando marmellata su un cornetto che ne aveva fin troppa all’interno, e l’addentò soddisfatto. Passandosi il bricco del caffè, i commensali parlavano del più e del meno, fino a quando Rashnu entrò nella stanza.

“È tardi!” si limitò a dire, entrando di corsa ed afferrando al volo qualcosa da mangiare “Thesan, perché non mi hai svegliato?!”.

“L’ho fatto”.

“Non è vero!”.

“Avete anche risposto! Con un mugugno…”.

“Un mugugno non è una risposta! La prossima volta, sii più insistente”.

“Verrò con la tromba”.

Il padrone di casa bevve al volo una tazza di caffè amaro, trovandolo disgustoso ma non avendo tempo per il latte e lo zucchero, ed afferrò un paio di biscotti, lasciando la sala.

“Non ti allarmare” parlò Thesan, notando l’espressione interrogativa di Ihanez “Quasi ogni mattina qui è così. Non possiamo farci niente. Se insiti nel chiamarlo la mattina, poi si arrabbia e dice che ha sentito benissimo”.

“Capisco…” sorrise lo stregone, immergendo un’altra merendina in una grossa tazza colma di latte.

“Hai parecchio appetito!” commentò un uomo dagli accesi capelli rossi, che fin ora Ihanez aveva solo intravisto a palazzo.

“Non ho mangiato un granché in questi giorni ma ora, sforzandomi di ingoiare almeno un boccone, ho risvegliato lo stomaco. Cambiando argomento, non mi sembra di essermi presentato personalmente con voi”.

“Io sono Kinich Karmo. Sono il marito di Gabija, la donna sempre in rosso, con i capelli simili ai miei, e padre di due delle ragazze della casa: Whope e Belisama”.

“Le due ragazze vestite di bianco che luccicano?”.

“Proprio loro”.

“Buonanotte a tutti” parlò Omikhle, rimanendo sull’uscio e poi sparendo sul corridoio, una volta ricevuto il saluto dei presenti.

“Lei controlla il buio, me lo hanno detto i suoi figli, e anche i sogni. Voi, invece, che fate?”.

“Io e mia moglie siamo legati al fuoco ed al Sole” spiegò Kinich Karmo.

“Io guido l’aurora e, assieme ad Idun, porto la vita. La seconda mansione è temporanea” parlò Thesan, sparecchiando la sua tazza e ripulendo le briciole.

“Momentanea? In attesa di cosa?”.

“In attesa che colui che ha per mansione la vita ritorni”.

“È il padre di Rashnu, vero? E lui che fa? Perché va via tutte le mattine?”.

“Se lui non te lo ha detto, non posso farlo io”.

“Perché?”.

“Perché Rashnu ha una curiosa politica della privacy e non voglio interferire con essa, anche perché Rashnu incazzato non è un bello spettacolo”.

“Siete…delle divinità!”.

“Divinità?! No, certo che no. Un Dio non ha bisogno di mangiare e dormire. Il suo potere resta forte ed inalterato senza bisogno di nulla”.

“Reahu è un Dio?”.

“Reahu è senz’anima, è diverso. Ma in effetti è uno dei più forti di noi. Divinità, a questo mondo, ce n’è una soltanto: Ogmios”.

“Ma voi svolgete dei ruoli fondamentali per questo universo!”.

“Sì, ma nessuno di noi è insostituibile. Se uno di noi muore, un altro prende il suo posto. Un Dio è una creatura che, se muore, nessuno può sostituire, il cui potere è così immenso da venir perso per sempre se colui che lo possiede si spegne”.

“Beh, siete comunque la cosa più vicina ad un Dio che conosca”.

“Grazie, ma non arriviamo a tanto”.

“Sei ancora qui?!” sbottò Clio, entrando nella stanza e notando Ihanez ancora spaparacchiato sulla sedia intento a trangugiare zuccheri in eccesso.

“Buongiorno” rispose lui, fissandola in modo strano e leggermente infastidito.

“Sbrigati! Reahu ti aspetta, non farlo aspettare!”.

Ihanez non rispose, continuando a mangiare. Aveva ancora fame!

“Ti sconsiglio di provocare Reahu” suggerì Tate, entrato nel frattempo “Lui non ha un gran senso del controllo e della misura”.

Lo stregone lo fissò. Quell’uomo, Tate, sembrava un ragazzo spaventato. Con grandi occhi azzurri, l’uomo in questione si accorse si essere guardato ed inclinò il capo, con aria interrogativa.

“Che ti ha fatto di così terribile da averne addirittura paura?” domandò Ihanez.

“Rimani qui ad abbuffarti ancora per un po’, e lo scoprirai tu stesso” fu la risposta.

Lo stregone rimase in silenzio, osservando i capelli argento di Tate che si muovevano da soli, scintillando, come al centro di una corrente di vento inesistente.

“Vado subito. Prima un’ultima merendina. E, se non vi dispiace, porto qualche biscotto con me”.

“Sbrigati!” lo incitò Clio.

“Secondo me, Reahu è fin troppo capriccioso e voi vi adeguate come se fosse il vostro padrone”.

“Lo conosciamo da molto tempo, e sappiamo di che cosa è capace” commentò Tate, fra un sorso di caffè ed un altro.

“Davvero? E allora perché non è lui il vostro capo, dato che sembra così terribile?”.

“Perché Rashnu fa ancora più paura”.

“Io non ho paura di nessuno dei due”.

“Non farti ingannare da quei due occhi arancio” mormorò Clio, riferendosi a Rashnu “Non credere che sia docile e buono come sembra”.

“Lo so bene che non è né docile né buono. L’ho visto combattere. Ma da qui ad averne paura…”.

“Verrà il giorno in cui ci dirai che avevamo ragione. Ed adesso sbrigati” tagliò corto Thesan, obbligandolo ad ingoiare l’ultimo sorso di caffè e facendolo alzare.

“Tra quanto pensate che ce lo ritroveremo qui a piagnucolare perché Reahu lo ha trattato male?” si chiese Kinich Karmo.

“Suvvia, abbiate un po’ di fiducia” parlò Clio, facendo colazione in fretta per tornare al suo lavoro di controllo di maestro ed allievo.

 

   

 

Il primo giorno di addestramento di Veda arrivò in fretta. Assieme a molte altre ragazze e ragazzi della sua età fu chiamata in un grande edificio dove le reclute della sua regione venivano istruite fino al livello successivo. In piedi, uno accanto all’altro, con il borsone delle proprie cose con sé, i nuovi arrivati attendevano ordini.

“Benvenuti, inesperti guerrierucoli” parlò loro un uomo, massiccio e minaccioso, camminando avanti e indietro ed osservando per bene le reclute.

I ragazzi non sapevano che rispondere, e rimasero in silenzio.

“Siete giunti qui perché forse qualcuno vi ha detto che siete promettenti come guerrieri. Ebbene, ve lo dico subito, la maggior parte di voi non lo è e lascerà questo addestramento molto prima della sua conclusione, preferendo andare a coltivare ravanelli. Altri, invece, quando finirà questo percorso, avranno superato la soglia dei vent’anni e  saranno pronti a passare alla fase successiva, se degni di farlo. Non so quanti di voi marmocchi arriveranno alla fine. Non ho che da dirvi che io non vi aiuterò, non sarò gentile con voi e perciò che nessuno di voi si aspetti alcun trattamento di favore da parte mia. Chiaro?”.

“Sissignore” risposero all’unisono le reclute.

“Benissimo. Adesso vi spiego come funziona qui. I ragazzi saranno nell’edificio di destra, le ragazze in quello di sinistra. Non voglio vedere strani viavai fra una parte ed un’altra. All’alba verrete svegliati dalle trombe. Avrete dieci minuti per essere pronti, con le divise che vi daremo, per la colazione. Si svolgerà in tempi brevi e poi inizieranno gli esercizi del mattino, che vi verranno spiegati durante il pasto. Rancio di metà giornata e poi altro addestramento al pomeriggio. Dopo cena sarete liberi di fare quello che preferite, tranne vagare da un accampamento all’altro senza permesso. Potete uscire da qui, divertirvi e via dicendo. L’importante è che rientriate per la mezzanotte, altrimenti i cancelli si chiuderanno e dormirete fuori, con conseguente punizione la mattina seguente. Il primo giorno della settimana è libero, niente addestramento. Giorno di visite o di ritorno a casa per chi lo desidera”.

“E per chi non ha nessuno da cui tornare o che può fargli visita?” domandò un ragazzo, dall’aria triste e piuttosto confusa.

“Non è di certo da solo. Qui molti son rimasti soli. Adesso andate a prendere posto in accampamento e preparatevi, dopo pranzo inizieremo. Voglio proprio vedere di cosa siete capaci”.

Una campana segnò le ore. Veda sobbalzò. Era da tanto che non sentiva quel suono.

“Campane?” mormorò.

“La cosa ti disturba, recluta?” sbottò l’uomo.

“No, affatto, signore. Amo il suono delle campane, ma da molto non avevo avuto modo di udirlo”.

“Come ti chiami, nuovo arrivo?”.

“Veda Kami, signore”.

“I tuoi genitori devono essere stati molto religiosi per darti un nome del genere”.

“Non lo so. Mio padre non lo ricordo e mamma l’ho sempre vista malata ed è morta da anni”.

“Le campane sono quelle della nostra cappella, al centro dell’accampamento, dove vi consiglio di passare del tempo a volte. Il potente Ogmios  veglia su di noi guerrieri, ed è nostro compito mostrargli la nostra devozione”.

Veda non rispose, rimase sull’attenti immobile.

“Molto bene. Andate. Ci vediamo nel padiglione centrale per il pranzo. Fate in fretta”.

 

   

 

“Ce ne hai messo di tempo!” sbottò Reahu, vedendo entrare Ihanez.

“Avevo una gran fame. Non ne ho colpa se tu questa sensazione l’hai persa”.

“Possiamo smetterla di infierire continuamente sul fatto che non ho mezza anima?”.

“Certo”.

“Avanti, vieni con me”.

Ihanez seguì il suo maestro per i corridoi, raggiungendo il secondo piano, dove vide solo porte con i sigilli dorati.

“Rashnu mi ha detto di non entrare in queste stanze”.

“Rashnu ha detto di non entrare nelle SUE stanze. A me non dà alcun fastidio se entri nelle mie, anche se hanno il sigillo d’oro”.

Si fermarono davanti alla porta blu scura, colore di Reahu, e lui la aprì, con una chiave che portava al collo, nascosta sotto la veste.

“Anche mio padre aveva una stanza quassù?” domandò Ihanez.

“Ce l’ha ancora. E quella laggiù, accanto a quella nera di Rashnu”.

Lo stregone la guardò. Brillava di migliaia di colori che mutavano continuamente.

“Vuoi entrarci? È tuo padre, non ci vedo niente di male” domandò Reahu.

“Posso?”.

“Se riesco a recuperarne la chiave, sì”.

“Mi piacerebbe. Magari così potrei sapere qualcosa di più su di lui. Non ricordo nemmeno il suo viso. Ero così piccolo…”.

“Non è molto diverso dal tuo”.

“Davvero?”.

“Gli occhi sono diversi, ed immagino che quelli li hai ereditati dalla mamma. Ma quei capelli arancio fluo son proprio i suoi. Stupido io che non li ho riconosciuti subito, appena li ho visti!”.

“Mi sono sempre chiesto perché chi è dotato di magia ha i capelli di colori strani”.

“Strani? Non direi”.

“Blu per te son normali?”.

“Son nato così. Son normalissimi”.

Ihanez non disse altro. Reahu si sporse e guardò di sotto, verso il corridoio al piano terra.

“Thesan!” gridò.

La donna non rispose subito e lui insistette, chiamando il suo nome senza quasi più fare pause fra uno ed un altro.

“Che vuoi? Piantala di gridare”.

“Mi serve la chiave di Ipalnemoa”.

“Non se ne parla. Perché dovrei dartela?”.

“Il ragazzo è suo figlio, non ci vedo nulla di male. Lascialo entrare nella stanza del padre”.

“Le regole sono regole. Rashnu mi ha ordinato di…”

“Che due coglioni anche Rashnu! Dammi quella chiave e basta, o ti tormenterò fino a quando non me la darai!”.

“Dagli quella dannata chiave!” gemette Kuma “O non lascerà dormire noi che lavoriamo di notte”.

Thesan sospirò e sganciò la chiave dalla collana che portava al collo.

“Però con Rashnu te la vedi tu. Son disposta perfino a dirgli che mi hai aggredita per averla”.

“Non c’è problema. Dammi la chiave!”.

“Al volo”.

Lei lanciò la chiave e Reahu l’afferrò, sporgendosi in modo innaturale dalla balaustra.

“Sicuro che Rashnu non si arrabbierà?” domandò Ihanez, mentre entrambi si dirigevano verso la porta dai molti colori.

“Che si fotta anche Rashnu ogni tanto. Questa stanza appartiene molto più a te che a lui!”.

Girò la chiave nella serratura, che si mosse a fatica per il molto tempo d’inattività, fino a farla scattare. La porta si aprì, ed una gran luce li avvolse per un momento.

 

   

 

Veda, la prima a prepararsi del suo gruppo, uscì all’aperto, diretta verso l’edificio dove servivano i pasti. Rimaste incantata davanti alla piccola cappella centrale. Era piccina, ma molto curata nei dettagli. Due colonne chiare delimitavano l’entrata ed il campanile era attorcigliato, leggermente storto. Decise di entrarvi, avendo ancora del tempo. Accolta dal profumo di incenso e candele, camminò fino all’altare, dove un’enorme statua sfiorava il soffitto. Lei la guardò attentamente. Non era così che si immaginava Ogmios, lì rappresentato come una creatura imponente, scura, dalla possente armatura ed il volto celato dall’elmo. Lo trovò inquietante.

“Non farti fuorviare da ciò che l’arte umana ha forgiato” parlò una voce alle sue spalle “Ogmios è come lo vedi dentro al tuo cuore”.

“Tu chi sei?”.

Era completamente avvolto in un mantello nero, che però tolse, mostrando il viso.

“Sono un amico di Ihanez”.

“Sei Rashnu? Quello che già da un po’ porta notizie a Gudis?”.

“Esatto. Ed è stato lui a dirmi che eri qui”.

“Sei un guerriero? Come sei entrato?”.

“Sono un po’ di più di un guerriero, ma non sono qui per spiegarti questo”.

“Devi andar via. Se ti trovano…”.

“Stai tranquilla, non succederà”.

“Ma ti uccideranno! Sei ricercato, l’ho visto!”.

“Molti mi cercano, ma in pochi sono in grado di trovarmi”.

Veda guardò quei suoi occhi arancio e sorrise. Aveva ragione Gudis. Trasmettevano tranquillità e pace. Si sentiva tranquilla ed al sicuro, con lui vicino.

“Sono venuto a portarti di persona i saluti di Ihanez e per dirti una cosa: rimani te stessa, ricorda ciò in cui credi e quello che sei ora. Non farti plagiare da altri, ed il tuo animo non smetterà mai di brillare come fa ora”.

“Grazie. Salutami tanto Ihanez e mi spiace di aver dubitato di te”.

“Non sei la prima”.

“Hei, recluta, ti sei persa?” si sentì chiamare Veda.

Si voltò. Sulla porta stava un ragazzo, di pochi anni più grande di lei, che le sorrideva. Sobbalzò, all’idea che Rashnu fosse stato visto, ma lui era sparito.

“Non imbarazzarti. Non dirò a nessuno che stavi parlando da sola” le disse il ragazzo.

“Da sola? Ma io…”.

“Avanti, vieni. O farai tardi proprio il primo giorno”.

Veda annuì, piuttosto confusa. Si guardò attorno. Alle pareti vi erano dei quadri scuri, dimenticati, senza candele a mostrarli, ma quel bambino dagli occhi grandi rappresentati su uno di essi aveva un’aria familiare.

 

   

 

Entrarono nella stanza di Ipalnemoa. La luce si attenuò e Ihanez rimase a bocca aperta. Era una sala enorme, decisamente troppo grande per mantenere le proporzioni con il resto della casa.

“Dove siamo?” domandò.

“Sempre nello stesso posto, sempre a casa, ma queste stanze rispecchiano le dimensione magiche del proprio padrone. Per questo ti dico che non è morto, perché se lo fosse questa stanza sarebbe vuota e minuscola. Solo che è piena di polvere, è immobile da tempo, segno che tuo padre non usa il suo vero potenziale da un bel po’”.

“Anche il padre di Rashnu ha una stanza così?”.

“Quello ha un’ala della casa tutta per sé. Hai presente quella grande porta posta alla fine del corridoio al piano terra? Quella dà accesso all’ala di quell’uomo, su tre piani. Giusto per darti un’idea della devastante energia di quella creatura, ora latente, non si sa per quale motivo”.

“Ma nessuno ora è sulle loro tracce? Nessuno li cerca?”.

“Rashnu, quando può. Preferisce non mandare altri di noi verso un destino che non comprende. Sembra quasi che le loro capacità dormano”.

“E non si possono risvegliare?”.

“Solo se loro decidono di farlo”.

Ihanez lasciò perdere l’argomento e si guardò attorno. Non c’era un granché in quella stanza, ma la luce scorreva continuamente sulle pareti e sul pavimento, mutando di colore. C’erano dei libri, grossi volumi su piccoli pilastri bianchi, chiusi ed impolverati. Notò un bastone di colore chiaro, appoggiato alla parete, attorcigliato ed anch’esso pieno di polvere e luci che scorrevano.

“Lui è mio padre?” indicò un grande quadro.

“Esatto. Ipalnemoa, uno degli uomini che in questa casa possiedono un potere maggiore e che è ancora adesso ricordato con rispetto ed affetto”.

Lo stregone lo fissò. Gli assomigliava davvero molto, se non per lo sguardo, che pareva molto più luminoso e profondo. Non riusciva proprio a ricordarlo.

“Andiamo adesso” gli disse Reahu, dopo avergli concesso qualche altro minuto d’esplorazione.

Ihanez annuì. Insieme lasciarono la stanza, che fu chiusa a chiave.

“Ovviamente questa piccola gita mi auguro non diventi di dominio pubblico” parlò il maestro “Non so se mi spiego…”.

“Spiegato benissimo. Resterà fra noi”.

 

La porta blu con il sigillo di Reahu era aperta, e l’allievo non vedeva l’ora di entrarci. Non emetteva luce ma strani disegni di colore blu, che avvolsero i due quando entrarono. Il cielo stellato era la volta che componeva la stanza. Camminando, pareva affondare in una sorta di nebbia blu scura. Reahu  raggiunse un tavolo scuro a gambe spesse, quasi unite in un’unica forma, su cui fluttuavano un paio di guanti. Ihanez li fissò, incuriosito.

“Quello chi è?” domandò, puntando una grande statua scura che si ergeva immersa nella nebbia.

“Quello è stato il mio predecessore”.

“Che gli è successo?”.

“Non te lo racconterò oggi. Sono storie che ti rovinano la giornata”.

“Ma io…”.

“Piantala di fare i capricci! Non sei un bambino, o mi sbaglio?”.

“Siamo nello spazio?” domandò ancora Ihanez, capendo che era meglio cambiare argomento.

“Ti sembra che lo spazio possa stare in una stanza?”.

“Ma è una stanza grande”.

“Molto, ma non abbastanza. Questa è una ricostruzione, che mi permette di osservare da vicino le stelle ed i pianeti senza dovermi muovere troppo”.

“E i guanti?”.

“Amplificano il mio potere”.

“E a che ti serve amplificare il tuo potere? Non è abbastanza già così?”.

“Può essere. Ma perché complicarsi l’esistenza?”.

Muovendo le mani e le dita, Reahu faceva scorrere l’immagine dell’universo avanti ed indietro fino a raggiungere ciò che cercava. Ihanez guardò in su e vide che solamente una stella non si muoveva mai e brillava più delle altre.

“Smettila di fissarla così, sono geloso” sbottò Reahu, fermando le stelle e spalancando la mano accanto ad una di esse, grande più o meno come una pallina da ping pong.

Con quel gesto, la fece ingrandire e mutare di colore.

“Perché fai così?” si incuriosì lo stregone.

“Perché così vanno le cose. Le stelle nascono e muoiono come noi. Questa sta invecchiando e, di conseguenza, mutando”.

Ad un’altra stella tolse la luce, segno che era giunta alla fine della vita.

“Ora ne farai nascere un’altra per compensare?” propose Ihanez.

“Idea romantica, ma non so se mi va”.

“Posso provarci io!”.

“Divertente. Impossibile”.

“Eh dai, ti prego! Fammi vedere una stella che nasce!”.

Reahu sospirò, iniziando a girare il cielo in cerca di nebulose. Ne doveva avere una da qualche parte prossima alla creazione. Tante piccole palline di luce brillavano in essa e il maestro allungò la mano, toccandone una. Questa di illuminò più intensamente, divenendo come molte altre stelle.

“Tutto qui? È così semplice?” storse il naso Ihanez.

“All’interno della nebulosa si innescano determinati procedimenti che portano alla creazione delle masse necessarie ad avere una stella. Quella era pronta, aspettava solo una piccola spinta per accendersi. Tutto qui”.

“Io continuo a dire che siete degli Dèi!”.

“Ed io continuo a dirti che non è così. Ogmios è un Dio, non io”.

“Se ne sei così sicuro…”.

“Credi che se fossi un Dio me ne starei qui a giocare con le stelline? Se fossi un Dio non avrei perso mezza anima e lei sarebbe qui con me, perché l’avrei riportata in vita. Non sarebbe una stella”.

“Ma sapete fare cose straordinarie e…”.

“Ma non siamo Dèi. Ci prendiamo semplicemente cura dell’ordine di determinate cose”.

“Affascinante. Ma poi come…”.

“Nininsina!” gridò qualcuno, interrompendo la domanda dello stregone.

“Rashnu?” riconobbe la voce Reahu “Non dovrebbe essere qui a quest’ora!”.

Maestro ed allievo si sporsero, vedendo il padrone di casa entrare, portando in braccio una ragazza priva di sensi.

“Un altro bimbo sperduto” commentò Reahu, mentre Nininsina si avvicinava correndo “A quanto pare non sei più l’ultimo arrivato”.

“Aiutatela!” ordinò Rashnu, mettendola a terra in modo da farla soccorrere il più in fretta possibile dalla guaritrice della casa.

“State indietro, tutti!” sbottò Nininsina, facendosi spazio fra i curiosi “Che le è successo? E tu, Rashnu, stai bene?”.

“Sto benissimo. È lei quella che non si riprende”.

“Cosa le è successo?” volle sapere la guaritrice, tastando il polso alla ragazza.

“Il suo villaggio è stato attaccato, mi trovavo là per quello. Lei, signora della natura, è stata difesa dalle sue bestie. Probabilmente i soldati avevano in mente qualcosa di divertente, per loro, da fare con lei ma gli animali hanno attaccato quegli uomini. Ovviamente loro, per difendersi, hanno usato le armi contro quelle creature ed ho visto questa donna trasformarsi. Una furia cieca si è impossessata di lei. Ha iniziato a tirar calci ed usare la magia, mettendo in pericolo sé stessa. I soldati se ne sono andati, e pensavo che fosse tutto finito. Quindi mi sono allontanato. Dopo un po’ sono stato richiamato in quel luogo. La gente del posto l’ha ridotta così, perché si era mostrata per quello che è: qualcosa che non sanno comprendere”.

“Ti sei di nuovo esposto a loro mostrandoti? Rashnu, sai bene che dovresti evitarlo”.

“Dovevo forse lasciarla lì a morire? La stavano torturando e lei non aveva il coraggio di reagire perché circondata da parenti e persone che credeva amici”.

“A molti di noi è successo qualcosa di simile”.

“E con molti di voi mi sono esposto, intervenendo, ed ora siete vivi ed al sicuro qui. Lo rifarò ancora migliaia di volte, se sarà necessario”.

Ihanez e Reahu osservarono dall’alto la scena. La guaritrice tentava ancora di rianimare la ragazza, che rimaneva immobile e pallida in terra, mentre Rashnu le stava accanto, inginocchiato.

“Non è morta, vero?” domandò, passandole la mano sinistra sul viso.

Questa era adornata da un’enorme bracciale oro e bianco, contrario a quello sul braccio opposto che era argento e nero, che si illuminò intensamente.

“È un’anima buona, non merita di morire così” continuò.

“Non è morta” confermò Nininsina “Ma la fiamma della sua vita è molto debole. Non so se ce la farà. Le sue ferite sono gravi”.

“Che possiamo fare?”.

“Mi spiace dirlo ma, oltre ad offrirle tutte le cure possibili, non c’è nulla che possiamo fare. Solo sperare per lei”.

“Portatela pure nelle mie stanze” parlò un uomo, che Ihanez aveva scorto solo di sfuggita in cortile “Una creatura che compie un simile gesto per degli animali, merita tutta la mia protezione ed il mio assoluto rispetto”.

Rashnu annuì e lasciò che l’uomo prendesse la ragazza fra le braccia. Era alto, con i capelli scuri e con un lungo mantello peloso.

“E quello chi è?” domandò lo stregone, rivolto al suo maestro.

“Quello è Akerbeltz, protettore degli animali. Il fratello di Egres”.

“Non l’avevo mai visto”.

“Non ama stare fra gli umani. Passa le giornate nel bosco che circonda la casa, assieme ai lupi di Rashnu, ben lontano dal chiassoso mondo civilizzato, se civilizzato lo si può definire”.

“Rashnu?” chiamò Clio, preoccupata.

“Sto bene” sbottò lui, rialzandosi e scuotendosi il mantello, nero all’esterno e bianco all’interno.

“Non sei ferito?”.

“No” rispose, quasi scocciato “E ora devo andare, sono molto indietro. Stasera voglio avere notizie della ragazza, spero positive”.

“Spero anch’io. Ma  non ti fermi nemmeno a mangiare un boccone?”.

“Clio, non sono un po’ cresciuto per trattarmi come un bimbo piccolo? L’ho avuta la mamma sai. Non lo ricordo, ma sono certo che non fosse così apprensiva nei miei confronti!”.

“Hai ragione, scusami. Torna pure al tuo lavoro”.

Rashnu si allontanò in fretta. Ihanez si accorse che era vestito come quando lo aveva salvato. Sul capo, fra i capelli verde acceso e le loro trecce con perle, portava una sorta di corona, argento e oro, a spuntoni. Simili a corna, parevano in parte inglobati dalla folta e gonfia capigliatura. L’abito verde, senza maniche, era molto aderente e ricamato in due colori: oro sulla sinistra e argento sulla destra. Lungo tutto il verde, stavano disegni in due colori simili a lingue di fuoco e inserti in rilievo, di dubbia utilità. Ai piedi portava gli stivali, anch’essi con i due colori dei ricami. In vita, una cintura di stoffa nera, con sempre gli stessi colori di ricamo, prendeva la forma di un triangolo e giungeva fino alle sue ginocchia. Quel vestito, a detta di Reahu, era l’unico modo per Rashnu di far capire di essere un uomo, avendo il viso dolce e ben poco mascolino. L’alternativa era girare nudo, ma da tempo gli abitanti di quel luogo avevano perso quell’abitudine.

 

Nininsina non si vide per tutto il giorno, impegnata a prendersi cura della ragazza, e tutti in casa iniziavano a preoccuparsi. Non si era ancora ripresa. Forse, per la prima volta, Rashnu era giunto tardi. Ihanez si stupì di questo. Quelle creature sapevano muovere montagne, accendere stelle, comandare il vento e fare molte altre cose straordinarie ma non erano in grado di salvare la vita ad una ragazza ferita da dei semplici soldati privi di ogni potere.

“Purtroppo, la vita non rientra fra le nostre capacità straordinarie” spiegò Reahu, tentando di porre fine all’agitazione vana del suo allievo, specie perché era alla tavola della cena “Un tempo, c’era chi dava la vita semplicemente muovendo un dito ma ora i suoi notevoli poteri non sono più al servizio di questa casa”.

“La vita e la morte vanno oltre le vostre capacità?”.

“Mai detto questo. La vita c’è e prosegue ma non grazie ad una creatura soltanto, come era una volta, la cui energia era quasi pari a quella di una divinità creatrice”.

“Mi piace quando fingi di essere una persona seria e pragmatica” ghignò Tarhunt.

“Ed a me piace quando fingi di essere intelligente e non mi rivolgi la parola” sbottò Reahu.

Tornò il silenzio nella sala, interrotto solo dal rumore dei piatti e dei bicchieri della cena. Clio fissò la sedia di Rashnu. Solitamente lui c’era per cena.

“Normale che arrivi tardi” tentò di tranquillizzarla Tate “Ha fatto una pausa imprevista ed ora dovrà assentarsi più a lungo per portare a termine il lavoro giornaliero”.

“Hai ragione, mi preoccupo per niente. È che lui pensa sempre a tutti, al mondo intero, all’universo, ma mai che si fermi un istante a pensare a sé”.

“Immagino sia quello che deve fare un buon re. E lui, essendo principe, è destinato a diventarlo. Ha solo acquisito i doveri di suo padre”.

Clio sorrise, anche se in modo forzato, e invitò la gente in sala a rivolgere un pensiero alla giovane ragazza che lottava al piano di sopra.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII- il mio mondo ***


VIII

 

IL MIO MONDO

 

Kairòs scattò in avanti, con atteggiamento di sfida. Era sicuro di sé, fin troppo. Lui controllava la fortuna, “l’attimo favorevole”, e perciò era certo di poter ottenere tutto ciò che voleva. Anche battere Reahu. Reahu, dal canto suo, pensava che quel ragazzetto con i riccioli davanti agli occhi non avesse alcuna speranza contro le sue tecniche.

“Sei forse stanco, Reahu?” lo stuzzicò Kairòs, notando la piccola pausa del suo avversario.

“Io non mi stanco mai”.

“Allora avanti. Vediamo se riesci a prendermi per il ciuffo!”.

Reahu schivò agilmente il calcio speditogli dal giovane e si abbassò, in modo tale da riuscire a colpirlo sulla gamba poggiata in terra e farlo sbilanciare. Kairòs ruotò e tornò stabile, ma non abbastanza in fretta da schivare il calcio all’addome che l’avversario gli assestò. Fu spedito di qualche metro indietro.

“Ti consiglio di arrenderti” suggerì Reahu.

“Sai bene che non lo farò mai”.

“Benissimo. In questo caso mi vedo costretto a darti tante di quelle botte da costringerti a strisciare in terra”.

“Non se prima faccio lo stesso io con te”.

“Sei fin troppo ottimista”.

“E tu sei fin troppo stronzo”.

“Mai detto il contrario”.

Kairòs gridò e si avventò contro Reahu, che lo colpì in piena faccia con un calcio e poi ruotò, poggiandosi sulle mani, per tornare dritto.

“Tu non sei normale” mugugnò il colpito, sbattuto a terra.

“Mai detto nemmeno questo”.

Ripresero a lottare, senza lasciarsi più il fiato ed il tempo di insultarsi.

 

“Che stanno facendo?!” si allarmò Ihanez, arrivando in giardino.

“Non ti spaventare” gli parlò Tork “Stanno semplicemente facendo allenamento”.

“Allenamento? A me sembra che si stiano ammazzando!”.

“Ma che dici?! Stan facendo solo un po’ di sana attività fisica”.

“E che cosa sono quei bracciali che hanno ai polsi?”.

“Servono a bloccare la loro magia, altrimenti Kairòs sarebbe già stato spedito nell’iperspazio da tempo. Così, per vincere, devono usare solo tecniche di lotta fisica, senza energia magica”.

“Ihanez!” lo chiamò Reahu, afferrando l’avversario per i capelli e sbattendogli la faccia a terra “Come mai qui a quest’ora?”.

“È quasi ora di pranzo…”.

“Ah sì? Così tardi? Scusami, non me ne ero accorto. Mi sono distratto”.

“Ne ho approfittato per dormire di più”.

Lo scontro fra i due sfidanti era finito. Kairòs si rialzò con un sorriso. Era abbastanza soddisfatto. Colpire Reahu era già di per sé qualcosa di positivo.

“Vuoi provare anche tu?” domandò il maestro all’allievo.

“Io?! “ si allarmò Ihanez “No, grazie!”.

“Giuro che sarò delicato”.

“Non so quanto possano valere le tue promesse. E, ad ogni modo, non mi piacciono certi passatempi. Vanno contro i miei principi”.

“Quali principi, principessa?”

“Principi, con l’accento sulla seconda sillaba! Io non attacco la gente”.

“Non attacchi? E come sei sopravvissuto fin adesso?”.

“Difendendomi. Limitandomi a parare i colpi”.

“Non andrai molto lontano così”.

“Andrò lontano quanto basta”.

“Perciò, se ora iniziassi a prenderti a calci, tu ti limiteresti a parare i miei colpi e basta, senza tentare un benché minimo contrattacco?”.

“Esatto. Contrattaccare dà un motivo in più all’avversario per attaccare di nuovo, ancora, e più forte di prima. Inoltre, dare la morte non è mai rientrato fra i miei desideri”.

“Capisco. Va bene. non ti obbligherò a far niente. La scelta è tua. Adesso lasciami il tempo di fare la doccia e poi facciamo lezione”.

Ihanez annuì. Non capiva perché tutti cercassero di spingerlo ad attaccare, a distruggere. Non era quello che voleva, non lo era mai stato.

“Credi che quella ragazza si sveglierà? È da parecchi giorni priva di sensi” domandò, mentre Reahu si toglieva i bracciali.

“Nessuno può saperlo. Se è destino che succeda, allora si sveglierà. Altrimenti no”.

“Che ingiustizia. Poteri straordinari e dipendete dal destino!”.

“Credimi, a volte nemmeno colei che controlla il fato sa bene cosa fare. C’è qualcuno al di sopra che stabilisce certe cose”.

“Ma non è giusto. Perché le cose vanno così?”.

“Perché il mondo va così”.

“Il tuo, forse”.

“Viviamo in due mondi diversi? Non me ne ero accorto”.

“Ora no ma, vedrai, le cose cambieranno. Il mio mondo sarà diverso”

“Ma certo, padrone del mondo” lo schernì Reahu, tornando verso casa.

 

   

 

“Gudis!” gridò, piena d’entusiasmo, Veda.

Corse in fretta lungo tutto il cortile, a braccia spalancate, e saltò addosso al fratello maggiore che non vedeva da quando aveva iniziato l’addestramento.

“Ciao, sorellina” sorrise lui, lasciandosi abbracciare.

“Sei venuto fino a qui a trovarmi! Che bello vederti!”.

“Anche per me è bello vederti. Che dici, andiamo a fare un giro?”.

“Prima vieni con me. Devo mostrarti una cosa, e presentarti delle persone”.

Dopo aver fatto conoscere il fratello alle sue compagne d’addestramento, la ragazza trascinò Gudis alla cappella centrale.

“Sai bene cosa penso della religione!” sbottò, di protesta, il fratello, ma non poté opporsi alla volontà della sorella.

“La religione non c’entra, rilassati”.

Una volta dentro, avvolti dai fumi delle candele e dell’incenso, Veda accese una piccola candela sotto il quadro raffigurante un bimbo sorridente in braccio ad una bellissima donna.

“Nessuno sa dirmi chi siano i due raffigurati su questo quadro, ma guarda cosa succede adesso”.

Gudis fissò la sorella con scetticismo, mentre lei congiungeva le mani e chiamava un nome, sempre lo stesso: Rashnu.

E Rashnu apparve, alle spalle dei due. Veda lo percepì e si voltò, abbracciandolo.

“Quanto entusiasmo” si stupì Rashnu “E devo ancora capire come fai a chiamarmi sempre”.

“Non lo so nemmeno io. Accendo quella candela e ti chiamo. Ed eccoti qui”.

Rashnu guardò il quadro sotto la quale bruciava la piccola candela. Si leccò la punta di pollice ed indice e la spense, stringendo lo stoppino fra quelle due dita.

“Non ti piace che ti chiami? Ti da fastidio?” ci rimase male Veda.

“Niente di tutto questo”.

“E allora perché hai spento la mia candela? Ti stanno antipatici i due del quadro?”.

“No, niente affatto. È che questi luoghi mi inquietano. Usciamo, per favore”.

Veda provò a protestare, sapendo che fuori c’erano molti soldati e che Rashnu rientrava nella lista dei ricercati. Non servì a niente.

“Ma cosa fai?! Sei pazzo?!” sibilò, fissandolo dal basso, essendo lui parecchio più alto di lei.

“Tranquilla. Nessuno mi toccherà”.

Appena i capelli verde intenso di Rashnu si notarono nel cortile, molti soldati si mossero per catturarlo ma il capo dell’accampamento li fermò, camminando a passo svelto verso il ricercato.

“Qualche problema? Come mai qui?” domandò, incrociando le braccia.

“Tutto a posto. Son solo qui a salutare un paio di amici. Son i fratelli di Ihanez, spero tu li stia trattando con riguardo”.

“Lo scienziato non è compito mio. Per quanto riguarda la ragazza, per ora non se la cava male”.

“Bene. Buono a sapersi”.

“Dovete andarvene. O sarò costretto a catturarvi. Siete ricercato”.

“Oh, io non credo che avrai il coraggio di toccarmi, Saxnot”.

L’addestratore, signore della guerra, ringhiò con aria minacciosa. Sostenne lo sguardo di Rashnu per qualche istante ma poi cedette. Veda si stupì. Il suo maestro era molto più grosso ed alto di Rashnu, eppure ora gli cedeva il passo.

“Andate pure a parlare in accampamento. Dirò loro che siete un parente dei ragazzi, che solamente assomiglia al ricercato. Ma ci vuole più prudenza, perché sia Voi si il vostro caro amichetto Ihanez siete sulla lista nera di questo mondo”.

“Esiste solo una lista nera, ed è quella della morte. E, credimi, io non ci sono su di essa. E poi perché Ihanez è ricercato?!”.

“Ha ucciso un nutrito gruppo di soldati”.

“Ihanez?! Quello neanche schiaccia le zanzare!”.

“È un assassino”.

“No, non lo è”.

“Ho le mie fonti”.

“Ed io ero là. L’argomento è di mia competenza. Lui non è un assassino”.

“Non puoi avere sempre ragione!”.

“Vuoi scommettere, sottoposto?” parlò con calma, ma allungò l’arto con il bracciale argento, che si illuminò e frizzò di piccole scosse “Non è un buon segno quando fa così, Saxnot”.

“Andate pure dove volete” indietreggiò Saxnot, togliendosi dalla luce del bracciale, che si spense.

“Venite, ho ancora qualche minuto per scambiare quattro chiacchiere” sorrise Rashnu, d’un tratto di nuovo di buon umore.

Gudis e Veda lo seguirono fino ad un punto del cortile, apparentemente tranquillo e sedettero su piccole seggiole in pietra, sparse un po’ per tutto l’accampamento.

 

   

 

Ihanez attendeva lungo il corridoio, pazientemente, che Reahu fosse pronto. C’era silenzio. Poi un grido ed un gran fracasso alla cucina. Si diresse verso quella direzione e rimase piuttosto stupito dalla scena che vide. Clio e Kadesh stavano litigando, tirandosi ogni cosa che alle due passasse sottomano. Un piatto volò e Ihanez lo dovette fermare con la magia, per ritrovarselo conficcato in mezzo alla fronte.

“Stai fuori dalla mia vita!” gridò Clio, parando un mucchio di forchette con una padella.

Volo di cucchiai lungo il pavimento.

“Io cerco solo di renderti felice” protestò Kadesh.

Rumori di vetri rotti, le finestre.

“E come?! Credevo fossimo amiche! Come hai potuto farmi questo?!”.

Piatto volante per la stanza.

“Non ho fatto niente di male!”.

Calice in frantumi.

“Niente di male, tu dici?! Devi lasciarmi in pace! Capito?”.

Coltellaccio conficcato sul muro, dopo aver mancato il bersaglio.

“No, non capisco. Dovresti essere felice per quello che provi”.

Un’arancia si spiaccicò contro un mobile.

“Felice? Felice di essermi innamorata di un uomo che non mi considererà mai alla sua altezza, perché non lo sono, e che non contraccambierà mai? Dimmi in che modo e perché io dovrei essere felice di questo, brutta stronza manipolatrice!”.

Una bottiglia di vetro cessò di esistere.

“Tu non capisci il mio disegno. In realtà…”.

Un grosso pesce trovò posto sul lampadario.

“Me ne sbatto del tuo disegno! Toglimi immediatamente di dosso questo sentimento inutile!”.

Volò una sedia.

“Non lo posso fare”.

Mezzo servizio da tè finì fuori dalla finestra.

“Certo che puoi!”.

Ortaggi vari fecero il loro ingresso nella mischia.

“Ho il potere di farlo ma questo non rientrerebbe nei miei piani”.

Il bancone fu sollevato e scaraventato contro Kadesh, che schivò solo all’ultimo secondo.

“Ma insomma! Basta!” gridò Egres “State distruggendo la cucina! O meglio…l’avete già distrutta! Che succede?!”.

“Scusa. Rimetto io tutto a posto” chinò il capo Clio, iniziando a raccogliere uova e vetri rotti.

“Serve una mano?” si propose Ihanez.

“Da quanto sei lì?” sobbalzò lei.

“Abbastanza. Che è successo? Non ti credevo in grado di provare una tale rabbia”.

Clio non parlò, mentre Egres trascinava fuori Kadesh per i capelli rossi, sgridandola.

Ihanez si inginocchiò, raccogliendo pezzi di piatto.

“Non serve. Faccio io” mormorò Clio.

“Ti aiuto volentieri. Non è un problema”.

Guardandosi attorno, vide che la confusione era decisamente troppa per usare i metodi tradizionali e richiamò la magia.

“Non la consumare! Come farai dopo con l’addestramento con Reahu se sei stanco?”.

“Reahu capirà. E poi anche lui oggi si è distratto”.

La luce azzurrina della magia di Ihanez iniziò ad avvolgere gli oggetti rotti, ricomponendoli e rimettendoli a posto. Clio fece lo stesso, con energia di colore aranciato. Non ci misero molto per rimettere tutto in ordine, tranne il pesce sul lampadario che nessuno dei due notò perché ben nascosto. Lo stregone si guardò attorno, soddisfatto.

“Direi che abbiamo fatto un buon lavoro. Nessuno immaginerà mai che qui c’è stata una sorta di battaglia fra donne”.

Attese una risposta da Clio, che non arrivò. Si voltò e lei era lì, schiena contro il muro, testa bassa.

“Clio! Cosa ti succede? Cos’è quell’aria triste?” le domandò.

“Faresti meglio ad andare dal tuo maestro, non perdere tempo con me”.

“Siamo amici io e te, ok? Perciò non me ne andrò finché non mi dirai cosa c’è che non va”.

“Niente, una stupidaggine”.

“Posso fare qualcosa per te?”.

“No. Solo lasciarmi in pace”.

Ihanez stava per seguire il suo consiglio ma poi la vide piangere e si impuntò, rimanendo dov’era.

“Chi ti ha fatto del male?”.

“La natura mi ha fatto del male, ecco chi! Facendomi nascere e crescere così”.

“Ma che stai dicendo?”.

“Nessuno mi prenderà mai sul serio. Sembro una bambina, e tutti mi trattano come tale, mentendomi e sfruttandomi”.

“Io non faccio così”.

“Perché non sei da abbastanza tempo qui”.

“Non è vero! E poi non è vero che qui tutti ti sfruttano e ti raccontano balle”.

“Mi prendono solo in giro”.

“Kadesh ti ha presa in giro? Perché se è così penso io a lei. Le farò un discorso che non potrà dimenticare, altro che signora dell’amore!”.

“Sei molto gentile, ma non è necessario”.

“Certo che lo è. Piangi!”.

“Perché sono una stupida illusa”.

“Adesso ti prendo a schiaffi, così la smetti”.

“Anche tu mi tratti come una bambina”.

“No. Ti tratto come una persona che ha perso momentaneamente il controllo ed ha bisogno di una mano per tornare quella di sempre”.

“Vuoi sapere la verità? Ebbene, quella che credevo una mia amica, ovvero Kadesh, colei che controlla l’amore, ha interferito con i miei ormoni e mi ha fatto un bel regalo, facendomi innamorare di un uomo che mai e poi mai vorrà me”.

“Quanto sei pessimista. Di chi si tratta?”.

“Davvero non lo hai capito? Lo sanno tutti!”.

“No, scusa l’ignoranza. Di chi parli?”.

“Se non lo hai capito, non te lo dirò. Tanto prima o poi ci arriverai da solo”.

“Ah, non lo so. Sono piuttosto imbranato in materia”.

“E allora fatti aiutare dalla tua piccola anima personale. Lei è, era, una donna. Ti aiuterà di certo”.

“Lo farò. Adesso, però, puoi farmi un sorriso? Vedrai che tutto si risolverà. Ricordati che non tutti al mondo si fermano solamente alle apparenze. Sono certo che più di uno fra noi è in grado di andare oltre al semplice aspetto esteriore, che non è nemmeno così terribile come pensi”.

“Più di uno? Intendi che oltre a te c’è qualcun’altro? Che poi, vista la velocità con cui ti sei affrettato a definirmi come tua amica, non so quanto sia vero ciò che dici di te stesso”.

“Io sono innamorato di Hennay, e la cosa non cambierà. Se non fosse così, chissà! Valutare una persona dal viso è come giudicare un libro dalla copertina. Un’eresia!”.

Clio sorrise e poi sospirò, passandosi una mano sul viso per asciugare le lacrime.

“Oltre a me ce ne sono altri. Di tre ne sono assolutamente sicuro. E poi, scusa, non è anche Rashnu nella stessa situazione? Sembra un ragazzino, a volte persino una bambina, eppure non mi sembra se la passi male. Fidati, se qualcuno si ferma solo all’esterno, senza tentare di scoprire qualcosa di più, allora non merita nemmeno la tua attenzione. Sono persone vuote dentro, che per questo non cercano altro al di fuori dell’involucro, negli altri. Loro non sono altro. Dentro non hanno niente. Tu vuoi vicino un uomo vuoto? Una buccia? Non credo. I tuoi occhi cercano un buon frutto pieno, polposo, ricco di contenuti”.

“Ma senza troppo zucchero”.

“Lascia che le bucce vuote si cerchino fra loro ed aspetta il tuo frutto, ok? E adesso andiamo. Io devo fare lezione e tu sei stata incaricata di farmi da supervisora, se non sbaglio”.

“Supervisora?!”.

“Quel che è. Andiamo”.

Clio abbracciò Ihanez, in fretta e senza dare nell’occhio.

“Peccato tu sia già impegnato. Sei un gran bel frutto” mormorò, ghignando.

“Ti ringrazio”.

Uscirono dalla cucina sorridendo e salutando con la mano Reahu, che fissò il suo allievo con fastidio, indicandogli l’enorme orologio a pendolo del corridoio.

 

   

 

Rashnu tornò a casa piuttosto tardi. La maggior parte degli abitanti della casa aveva già finito di mangiare. Ihanez, sfinito dalla quantità eccessiva di magia che gli aveva fatto usare Reahu, ancora pigramente smangiucchiava qualcosa, assieme a Clio. Con loro, nella sala dove si consumavano i pasti, stavano Kama, Kadesh, Kuma, Aglibol, Tork, Monimos, Pothos e Omikhle. Rashnu, dopo essere entrato nella stanza nera con il sigillo d’oro per togliersi i pesanti bracciali dai polsi, sedette ed iniziò a servirsi.

“Che hai fatto ai piatti, Ihanez?” domandò, dopo un po’, ed i presenti si voltarono tutti verso lo stregone, che fissò Clio e Kadesh con un po’ di imbarazzo.

“È successo un casino in cucina stamattina. Son stato un po’ maldestro, ed ho rimediato aggiustando tutto con la magia. Scusate. Da cosa si capisce? Ho sbagliato qualcosa?”.

“No, tutt’altro. Solo che l’alone magico rimane per un po’ ed io l’ho percepito. Come ho percepito quello di Clio, ma ad una signora non si fanno domande che potrebbero metterla in imbarazzo”.

“Clio mi ha aiutato a risolvere il casino che avevo combinato”.

Ihanez sapeva che le due litiganti sarebbero state punite severamente, se Rashnu avesse saputo del loro diverbio.

“In stanza troverai un pacchetto” riprese il padrone di casa, cambiando argomento “È da parte dei tuoi fratelli. Sono andato a trovarli”.

“Oh, grazie mille. Come stanno?”.

“Benissimo. Ho avuto modo di vedere l’addestramento di tua sorella. Ci teneva tanto a farmi vedere qualche tecnica e così ha fatto una piccola dimostrazione in mia presenza. Qualche minuto, ma tanto mi è bastato. Quella ragazza è davvero fuori dal comune”.

“Non avevo dubbi al riguardo”.

“Mai visto una persona mutare così in fretta, parola mia. Un attimo prima era tutta tenera che rideva e faceva la ragazzina ed un attimo dopo era una sorta di principessa guerriera. Faceva paura. Perfino Gudis si è spaventato! Ha sconfitto una riga di reclute più grosse e più anziane di lei senza nemmeno sforzarsi più di tanto”.

“Un giorno piacerebbe anche a me vederla”.

“Ancora sei molto ricercato, Ihanez. Ma vedrò di riuscire a combinare un incontro. Anche loro chiedono di poterti vedere”.

“Meglio far calmare le acque, non trova?”.

Lo stregone si alzò, prendendo con sé le sue stoviglie e portandole in cucina. Augurò a tutti la buona notte e poi andò in camera. Era una delle stanze di Reahu, che però non dormendo mai gli aveva concesso di dormire lì, lasciando la stanza degli ospiti alla ragazza ferita. Aprì il pacchetto e trovò un paio di lettere, delle foto ed una scatola piena di fermacapelli. Veda aveva stabilito che al fratello ne servivano un sacco. Ihanez sorrise ed iniziò a leggere la lettera da parte della sorella.

 

   

 

“Mi passeresti il cesto della frutta, Clio?” domandò Rashnu.

Lei sobbalzò, persa in chissà quali pensieri, e poi lo fece passare lungo il tavolo.

“Qualcosa ti turba?” domandò lui, sbucciando una grossa mela.

“Cosa? A me? No, non mi turba niente”.

“Sei sicura? Sembri distante, non è da te”.

“Non è nemmeno da te parlare di una ragazzina mortale con un simile entusiasmo” mormorò lei, fra sé, e ripetendo a Rashnu che andava tutto bene.

“Noto un certo astio fra te e Kadesh. Non crediate che io certe cose non le noti. Nella mia casa nulla può essermi celato”.

“Non è niente. Solo lei che si impiccia degli affari degli altri”.

“Ti senti sola, Clio?” sorrise, in uno strano modo, Rashnu.

“Ma no, ma che dite?!” sbottò lei, incrociando le braccia, distogliendo lo sguardo ed arrossendo “È solo lei che continua a tormentarmi”.

“Capisco. Lo fa anche con me. Vero, Kadesh?”.

“Beh, la deve smettere e lasciarmi vivere la mia vita!”.

“Io lo faccio solo per il bene di questa casa!” si giustificò Kadesh.

“E la felicità secondo te si crea facendo litigare la gente, fra gelosia e lacrime? Non credo proprio” commentò Rashnu, mangiando le ultime fette di mela.

“Faccio il mio lavoro”.

“Se la piccola Clio non desidera certe cose, gradirei molto che la lasciassi in pace”.

Clio rizzò le orecchie alla parola “piccola” e trattenne la rabbia con forza.

“Come preferite. Però poi non voglio sentirla lamentarsi” sbottò Kadesh.

“Sono certo che Clio sa quel che vuole e, se non lo sa ancora, lo capirà presto. Per ora, ti prego di lasciarla stare. Già stressi me, non ti basta?”.

“Io non la sto stressando!”.

“Oh sì, che lo stai facendo!”.

Rashnu sorrise e Kadesh tacque, confusa da quella reazione ma forse intuendo qualche cosa. Il padrone di casa decise di dedicare le sue attenzione ad un altro frutto, mentre Clio si alzava. Era sceso il silenzio, ma fu interrotto dalla porta, che si aprì di colpo. Sull’uscio stava Ihanez, con l’espressione ben poco rassicurante.

“Tu!” esclamò, puntando con l’indice Rashnu, seduto al capo opposto del lungo tavolo.

“Sì?” inclinò leggermente la testa il padrone di casa.

“Che cazzo stai combinando?! Vai a trovare mia sorella ogni giorno?!”.

“È lei che mi chiama!”.

“Lei ti chiama?! E tu rispondi pure?!”.

“Senti, io non ho idea di come faccia. Si mette lì in quel buco sporco di chiesa e mi chiama. Ed io, qualsiasi cosa stia facendo, mi ritrovo catapultato lì da lei”.

“Mi prendi per il culo?!”.

“No. Lo giuro su Fides, signora dei giuramenti e della fedeltà”.

“E non puoi dirle che la cosa ti da fastidio e di non farlo più? Queste lettere sono piene di frasi su di te, di quanto sei bello, straordinario ed altro, che preferisco non approfondire”.

“Lieto che lei la pensi così. Mi sono sempre trovato piuttosto carino pure io e, sinceramente, anche lei mi pare stia crescendo molto bene. Ad ogni modo, se è questo che vuoi sapere, non ho mai toccato tua sorella”.

“Lo spero. Perché, se solo ci provi, ti spacco tutte quelle dannate dita da femmina!”.

“Che hanno le mie dita che non vanno?! E poi, scusa, non sono affari tuoi!”.

“Lo sono. Lei è mia sorella! Ed è una bambina!”.

“Non l’ho toccata e non intendo farlo, almeno fino a che non avrà raggiunto un’età ragionevole”.

Ihanez ringhiò e strinse i pugni. Rashnu, che fino a quel momento aveva mantenuto una certa calma, anche nel tono della voce, si accigliò. Clio fissò preoccupata entrambi. I capelli del padrone di casa si stavano gonfiando, pessimo segno.

“Se in una di queste lettere troverò mai delle frasi che mi indicano che soffre o che le hai fatto del male o, peggio ancora, che ti sei divertito a giocare con lei come fosse un passatempo temporaneo, giuro che, capo o no, te la vedrai con me”.

“Ti consiglio vivamente di cambiare atteggiamento, Ihanez, se vuoi restare incolume e vivo fra le mura di questa casa”.

“Tu non mi fai paura, non me ne hai mai fatta e non riuscirai a spaventarmi di certo. Lascia in pace mia sorella, chiaro? Il tuo compito è portarle mie notizie e basta”.

“Il mio compito lo conosco solamente io e ti prego di non interferire”.

“Non ti riesce di spaventarmi, mi spiace”.

“Vorrà dire che, se insisti su questa linea, passerò ai fatti”.

“Io ti ho avvertito”.

“Pure io”.

“Vedi di comportarti di conseguenza. Ti tengo d’occhio”.

“Come osi?!” tuonò Rashnu, alzandosi in piedi e sbattendo le mani sul tavolo.

Il pavimento vibrò. La stanza si fece ad un tratto buia e gli occhi del padrone di casa fiammeggiarono d’odio, mentre la sua capigliatura fluttuava come mossa dal vento. Ihanez non si mosse, mostrando insensato coraggio e malcelata stupidità.

“Scusate” fece capolino dalla porta Nininsina “La ragazza si è svegliata”.

Questo fece calmare immediatamente Rashnu, che riportò la sala al solito aspetto.

“Davvero? Bene. Come sta?”.

“Ha bisogno di mangiare ed è molto spaventata. Per il resto, si ristabilirà presto”.

“Ottimo. Ihanez, porta alla nuova ospite qualcosa da mangiare”.

“Perché io?”.

“Perché sei l’ultimo arrivato, perciò sei il più vicino alla sua situazione. E poi gradirei molto che tu sparissi per un po’ dalla mia vista”.

Ihanez obbedì, uscendo dalla sala con il piatto pieno ed il dito medio alzato. Tutti chiusero gli occhi, aspettandosi una reazione esplosiva da parte di Rashnu, che però non avvenne. Si limitò a grattare le unghie sui braccioli della grossa sedia simile ad un trono. Nessuno parlò, preferendo sparecchiare il più silenziosamente possibile. Il padrone di casa addentò il frutto che stringeva fra le mani, affondandovi i denti a punta, e poi si rilassò di colpo.

“Scusate” disse, pur non mutando del tutto il suo viso accigliato “Do ordine a voialtri di non litigare e poi sono io quello che perde il controllo…”.

“Diciamo che quel Ihanez è parecchio fastidioso quando vuole” lo giustificò Aglibol, il marito di Kuma, anche lui vestito tutto in grigio e, come la moglie, legato alla Luna.

“Certo. Ma lo sono anch’io”.

“Mangiate una buona fetta di dolce, e vedrà che passerà tutto” sorrise Kama, porgendogli un piatto con un pezzo enorme di torta.

 

   

 

Entrò nella camera della nuova arrivata lentamente, vedendola seduta sul letto, al buio. Era spaventata, e lo fissava terrorizzata.

“Non voglio farti del male. Stai calma. Ti ho portato un po’ da mangiare”.

“Non ho fame” mormorò lei, nascondendosi in parte dietro al cuscino e rannicchiandosi.

“Devi recuperare le forze. Mangia”.

“Chi sei? Dove mi trovo?”.

“Sei al sicuro. Andrà tutto bene. Io mi chiamo Ihanez”.

“Sei stato tu a salvarmi?”.

“No, è stato il padrone di casa, nonché mio capo. Rashnu”.

“Non ti avvicinare!” esclamò lei, vedendo lo stregone avanzare di qualche passo.

“Va bene. Mi dici almeno come ti chiami?”.

“Lahar”.

Lui le sorrise. Era molto bella, nonostante le bende e l’aria di chi si è appena svegliato.

“Ora sei al sicuro. Qui nessuno ti farà alcun male”.

“Intendi dire che posso restare qui?”.

“Certo. Qui siamo in tanti, che hanno avuto esperienze simili alla tua”.

“Hanno cercato di ucciderti?”.

“Sì, e cercano tutt’ora di farlo”.

“Perché?”.

“Perché sono diverso. Ma qui non lo sono. Siamo una specie di famiglia allargata, con ognuno un’abilità speciale”.

“E Rashnu comanda?”.

“Rashnu? Beh, ci prova. Ma non è sempre semplice con gente come noi. È un brav’uomo, dopotutto, anche se a volte sa come farti incazzare per davvero”.

“Bene. A quanto pare abbiamo delle cose in comune. Mi hanno sempre detto di avere un pessimo carattere. Sono cattiva”.

“Non credo. Hai salvato quelle persone e quegli animali, mi è stata raccontata la storia. Una persona cattiva non lo avrebbe mai fatto”.

“Non avrei dovuto farlo. Non avrei mai dovuto mostrare loro i miei poteri”.

“Ma lo hai fatto, ed ora sei qui. Dicono che nulla accada senza una ragione”.

“Può darsi, ma non mi è rimasto più niente. Amici, parenti, vicini…erano tutti lì a fissarmi mentre mi torturavano. Nessuno di loro ha anche solo provato ad aiutarmi. Non ci posso credere”.

“Non ci pensare”.

“Ed io ho salvato loro la vita! Perché l’ho fatto?!”.

“Perché altrimenti non saresti stata salvata e non saresti qui. Vedrai che non ti troverai male”.

“Tu ti trovi bene?”.

“Salvo qualche diverbio ogni tanto, direi di sì. Queste persone possono insegnarti molto”.

Lahar allungò la mano verso il piatto di cibo che Ihanez le aveva lasciato accanto al letto mentre parlava, a mosse lente come se lei avesse in mano una pistola.

“Grazie per il pasto” mormorò, affondando la forchetta.

“Di niente. Quando te la sentirai, potrai venire giù, così ti presenterò gli altri. Sono qui da poco pure io, ma sarò lieto di mostrarti la casa”.

“Grazie. E ringrazia anche Rashnu” parlò lei, una volta svuotato il piatto “Ora, però, vorrei riposare. Sono molto stanca”.

“Lo capisco. Se domani mattina te la senti, vieni pure giù a far colazione con noi”.

“Vediamo. Sono ancora molto tesa, non vorrei creare disagio”.

“Tranquilla. Nessuno ti obbliga a far niente. Riposa e riprenditi”.

Ihanez prese piatto e posate ed uscì dalla camera, chiudendola silenziosamente dietro di sé. Neanche ebbe finito di voltarsi, che si trovò davanti il viso incazzato di Reahu.

“Che hai combinato oggi a cena?” sibilò.

“Niente”.

“Niente?! Stai scherzando?!”.

“Solo una piccola discussione”.

“Piccola discussione?! Rashnu aveva i capelli praticamente a sfera! Era furioso”.

“Affari suoi”.

“Affari miei! Sei sotto il mio controllo, recluta! Se combini disastri è colpa mia! Ed oggi prima è venuto fuori che hai fatto danni in cucina e poi che ti sei messo ad insultare Rashnu. Ma che ti dice il cervello, sempre se ne hai uno da qualche parte?!”.

“La faccenda della cucina è qualcosa di lungo e complicato e per quel riguarda Rashnu…”.

“Smettila! Smettila subito! Non mi farò cacciare fuori di qui da te! Impara a controllarti!”.

“E me lo dici proprio tu?!”.

“Reahu! Ihanez!” gridò Rashnu, dalla sua camera.

“Ecco, lo sapevo! Contento? Ora son cazzi acidi per entrambi!”.

“Quante storie…”.

Il maestro trascinò l’allievo per il corridoio ed entrò nella stanza da letto di Rashnu. Reahu era piuttosto agitato. Era stanco di prediche e rimproveri.

“Non litigate per colpa mia” disse, inaspettatamente, il padrone di casa.

“Io ci provo a tenere il mio allievo al giusto posto, ma…” parlò Reahu.

“Ma non è semplice. Ihanez ha un carattere forte, come suo padre”.

“Sì, ed è un grandissimo idiota, cosa che suo padre non è, o non era”.

“Non è. Ma nemmeno Ihanez è un idiota, o sbaglio?”.

“Non mi ritengo tale” borbottò lo stregone.

“Semplicemente difende ciò che ama, cosa di certo positiva. Non avrei dovuto reagire in quel modo, Ihanez. Tu cerchi solo di proteggere la tua sorellina, com’è giusto che sia”.

“Ed io non dovevo arrabbiarmi subito. È solo una lettera, che rileggendo non contiene poi nulla di strano se non un’adolescente che evidentemente si è presa una cotta colossale”.

“Ha un potere che va oltre quello di una semplice guerriera”.

“Pensate sia una di noi anche lei?”.

“Può essere. Non sarebbe il primo caso di fratelli risvegliatasi in momenti diversi. Kuma e Kama, per esempio. O Egres ed Akerbeltz. Senza contare il tuo stesso padre e Mantus”.

“Come intendete procedere?”.

“Intanto voglio esserne sicuro. Non so ancora cosa faccia sì che io appaia a lei, quando mi chiama. Potrebbe essere un suo potere o l’interferenza di qualcun altro. Poi, per ora, lei non ha problemi fra i guerrieri e gli altri abitanti del mondo. È ben accettata e, finché sarà così, non ha senso allarmarla o spostarla da dov’è. Meglio farle procedere l’addestramento”.

“E se dovesse mostrare dei poteri strani e gli altri soldati la attaccassero?”.

“In quel caso, interverrò e la porterò qui”.

“E nel frattempo le farai notare che non è il caso che ti chiami ogni volta che ha volta di farlo”.

“Ti dirò, preferisco non impedirle del tutto di farlo perché così facendo non potrebbe usare il suo potere e questo sarebbe un male, se di potere si tratta. Certo, la pregherò di ridurre le chiamate”.

“E tieni le mani a posto!”.

“Le terrò in tasca tutto il tempo”.

“Tu non hai le tasche nel vestito!”.

“Ok, adesso è tempo di andare!” intervenne Reahu, afferrando l’allievo per il braccio e trascinandolo fuori dalla camera.

“Lasciami!” protestò Ihanez, ma non servì a nulla perché Reahu lo tenne stretto e lo chiuse in stanza, dandogli l’ordine tassativo di dormire e calmarsi.

Poi si voltò verso Rashnu, rimasto sull’uscio della sua sala per osservare ciò che accadeva.

“È davvero difficile tenerlo buono” borbottò il maestro.

“Colpa mia. Mi diverte stuzzicarlo” ammise Rashnu.

“Ma Voi e sua sorella non avrete mica…?”.

“Cosa?”.

“Fatto…beh, lo sapete!”.

“No, non lo so”.

“Sesso. Ihanez teme che Voi abbiate fatto o vogliate fare sesso con sua sorella”.

“Che?! Cosa?! Ma come vi vengono in mente certe cose a voialtri?!”.

“Dite che sta crescendo bene…”.

“Sì, è vero, è molto carina ma…”.

“Vi piacciono gli uomini, come a Tate ed Azizos?”.

“Ma no!”.

“Ah bene, perché le manie principesche di Kama e consorte non sarebbero realizzabili, se fosse così, e sarebbe un problema”.

“Non lo sarebbe. Ad ogni modo, puoi tranquillizzare il tuo allievo”.

“Lo farò”.

Reahu fece per voltarsi e fissò Rashnu, rimasto fermo a guardare il corridoio, di profilo. Sembrava davvero un ragazzino, quasi un bambino. E ad un tratto aveva quella strana espressione sul viso che aveva a volte, misto fra smarrimento e tristezza.

“Rashnu” lo chiamò “Tutto bene?”.

“Sì. Davvero. È che tutta questa faccenda di Kama, Kadesh e la storia del principino, dell’erede e del trovarmi una compagna, mi manda in confusione. Ho ben altro per la testa”.

“Lo so. Lo immagino. Ma dovresti prenderti del tempo per te”.

“Non lo posso fare. Sono io che porto avanti la baracca qua!”.

“Lo so. Anche Vostro padre faceva lo stesso, eppure siete nato”.

“Credo di essere un evidente errore di percorso”.

“Non credo. Vostro padre non fa errori di percorso”.

“Ad ogni modo, è diverso! Mio padre è molto differente da me”.

“Intendete dire che non sembra un ragazzino?”.

“Esattamente!”.

“E qual è il problema?”.

“Prima che Kama and co. ci mettessero lo zampino, non c’era proprio alcun problema. Ma ora quei due si son messi in testa strane idee ed ho la mente bombardata da mille cose a cui non voglio pensare. Cercano di farmi vedere le donne di questa casa in modo diverso da come le ho sempre viste e considerate”.

“Non capisco”.

“Mi distraggono”.

“Provare desiderio per una donna non è una cosa negativa, né strana, né sbagliata”.

“Io non voglio diventare come evidentemente sono Kama e consorte, che pensano al sesso praticamente tutto il giorno. Non voglio! Non ho tempo e non mi interessa”.

“Quasi tutti gli uomini sono come Kama e consorte, da quel che mi risulta”.

“Pure tu?”.

“No, io son senza parte di anima. I giochetti di Kama non mi tangono”.

“Beato te”.

“Non direi. Ma avete ordinato loro di lasciarvi in pace?”.

“L’ho fatto. Più volte. Ma niente. Non capiscono”.

“Picchiateli”.

“Sarò costretto a farlo. Insomma, io voglio continuare la mia vita di sempre. Non vedo tutta questa urgenza nel trovare una compagna e farmi fare dei figli. Ci sono cose più importanti”.

“Gli istinti si controllano, anche se durante l’adolescenza è difficile”.

“Adolescenza?! Ho passato gli anni dell’adolescenza da molto prima della tua nascita!”.

“Lo so bene”.

“Ho quasi duemila anni!”.

“Lo so anche questo. Ma ciononostante avete paura dei cambiamenti che provate. E vi dico che è normale. Credo, tuttavia, che l’atteggiamento di Kama a compagnia bella sia del tutto sbagliato. Sovraccaricarvi di sensazioni non è saggio”.

“E di ormoni, in un corpo come il mio da sbarbatello eterno. Capisci? Offuscano il mio giudizio. Per esempio: la sorella di Ihanez non riesco a catalogarla. Non so se effettivamente è lei con dei poteri particolari, se è la compagnia degli spaccaballe che mi fa finire in quella chiesa ogni volta o se sono io che mi sono reso particolarmente ricettivo nei suoi confronti. Non lo capisco!”.

“Beh, questo sarà il tempo a stabilirlo. Se ha dei poteri, questi si mostreranno sempre più forti. Se è altro, prima o poi si capirà lo stesso”.

“E Clio? L’hai vista Clio? Le stanno riservando lo stesso trattamento”.

“Già. L’ho notato”.

“Beato te, davvero”.

“Dite? Farei cambio volentieri”.

“Sarebbe meglio per tutti. Io farei meglio il capo, se non altro. Ma purtroppo non mi è concesso giocherellare con le anime, specie la mia!”.

“Meno male. Dormiteci su, è l’unico consiglio che vi do, e non cercate di lottare contro l’unica forza più grande della magia”.

“Più pericolosa, intendi dire”.

“Anche. Ma purtroppo non ci si può sottrarre da certe cose. Capitano”.

“Odio le cose che capitano senza il mio permesso. Come questa guerra”.

“Amore e guerra hanno parecchie cose in comune, in effetti”.

“Fin troppe. Ora è meglio vada a dormire. Grazie per la chiacchierata e non parlarne con Ihanez. Quello poi si fa strane idee”.

“Tranquillo”.

Rashnu chiuse la porta della sua stanza ed andò a dormire. Reahu, non avendo bisogno di alcuna ora di sonno, andò in giardino. Si stupì di trovarvi Thesan, parecchio tempo prima dell’aurora di cui era la signora. La guardò e non parlò, preferendo allontanarsi. A quanto pare in quella casa c’era sempre più gente che soffriva d’insonnia!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX- Custode ***


IX

 

CUSTODE

 

Ihanez era decisamente stupito di quanto il tempo stesse trascorrendo in fretta. Era steso sull’erba del giardino e guardava le nuvole, immaginandosi forme e volti. Era piuttosto distratto, ma un violento scossone lo riportò alla realtà.

“A cosa pensi?” esclamò l’ultima arrivata, Lahar.

“A niente” sobbalzò Ihanez, non aspettandosi il suo arrivo.

“Niente lezione oggi?”.

“E tu?”.

In lontananza, videro i loro due maestri parlottare fra loro. Akerbeltz ridacchiava, segno che almeno in quel momento non si stavano dicendo nulla di male.

“Meglio” sorrise lei, distendendosi a sua volta sull’erba “Si riposa un pochino”.

“Che scansafatiche che sei” la derise lui, ghignando.

“Ihanez!” lo chiamò Reahu “Smettila di bighellonare!”.

“Non sto bighellonando!”.

“Ah no? Alza il culo dall’erba e vieni qui, oggi cambiamo registro”.

Lo stregone fissò Lahar con aria interrogativa e poi si alzò, stiracchiandosi. Andò lentamente verso il suo maestro e colse gli ultimi istanti della sua conversazione con Akerbeltz.

“Te lo giuro” stava dicendo “Era rosso in viso come il colore della sua veste. Era incazzato come una bestia. Gridava che non era possibile in quegli anni non essere riuscito nel suo intento e che Rashnu non capiva l’importanza di questo e di quest’altro. Parola mia: quell’uomo non ci sta con la testa. Ed è isterico. Dovrebbe concentrarsi sulla sua vita sentimentale, piuttosto che menarla tanto per quella degli altri!”.

“Povero Kama” ridacchiò Akerbeltz “Dev’essere frustrante cercare di svolgere il proprio ruolo con Rashnu. Già i suoi lupi sono creature impossibili da gestire, figurati lui…”.

“Ma allora lascia perdere! Sforzare le cose non fa che peggiorarle”.

“Su questo ti do ragione”.

“Allora, pigrone, hai finito di perdere tempo?” sbottò Reahu, ora che Ihanez era arrivato.

“Ma non mi avete detto di fare niente!” protestò l’allievo.

“E per questo non fai un cazzo?! Ci vuole dedizione, disciplina, determinazione!”.

“Quante D…”.

“Vuoi che ti picchi?”.

“No, grazie”.

“Bene. Scelta saggia. Il cambio di registro che ti dicevo consiste in un insegnamento più distribuito fra noi abitanti della casa. In questi anni ti ho insegnato a controllare la magia, ad usare anche altre capacità, ma non posso insegnarti ogni cosa, questo è ovvio. Così, dato che il tuo potere latente a quanto pare può essere usato in molti campi, meglio che sia gente anche di altri ambiti a spiegarti delle cose”.

“Io non ho ancora capito quale sarebbe il mio potere latente”.

“Quando si risveglierà si vedrà, ma fin ora hai mostrato buone capacità in varie cose e questo significa che il tuo potere non è circoscritto ad un solo ambito, come ad esempio quello di Lahar, legato perlopiù a natura ed animali”.

“Non so se preoccuparmi o esserne orgoglioso”.

“Entrambe le cose andranno benissimo. Adesso andiamo, vieni con me. Egres si è offerto di seguirti quest’oggi, dato che ancora si sogna di notte la fioritura dell’albero grande da te compiuta. Apparentemente lui è un uomo più tranquillo e diplomatico di me, e probabilmente lo è, ma ti consiglio di non fare lo scemo”.

“Ed il tuo ruolo in tutto questo sarà di…?”.

“Di supervisionarti e prenderti a scappellotti quando il tuo lato stupido emergerà”.

Ihanez non disse altro. Si limitò a seguire il suo maestro lungo il giardino, fino a raggiungere l’albero più grande. Sopra di esso, fra i rami, se ne stava seduto Egres, con aria assorta e felice.

“Ciao, Ihanez” lo salutò, appena lo vide.

“Ciao” salutò lo stregone.

Reahu sospirò e scosse il capo, chiedendo perdono ad Egres per la totale mancanza di disciplina del suo allievo, incapace di usare la forma di cortesia nelle conversazioni.

“Non importa” sorrise Egres, saltando ed atterrando davanti a Ihanez “Questo è l’albero grande che hai fatto fiorire poco dopo il tuo arrivo qui. Immagino che te lo  ricordi”.

“Eccome”.

“Ebbene, io ora voglio vedere a che punto sei, i tuoi progressi. Usando la stessa formula che hai usato quella volta, che non so quale sia, voglio vedere cosa sei in grado di fare”.

“Ma io non so bene che ho fatto quel giorno. Era un gioco, con Aer ed Aura. Non avevo in mente qualcosa di preciso, se non far sbocciare un fiore”.

“Rifai la stessa cosa. Fiori da far sbocciare qui ce ne sono quanti ne vuoi. Scegline uno. Usa la magia. Poi vedremo che succede se ti impedisco di farlo”.

Ihanez non capì del tutto ciò che intendesse Egres ma seguì il suo ordine. Scelse un fiore, piuttosto grande ma ancora chiuso, e gli si avvicinò. Si schiarì la voce e si concentrò. Chiudendo gli occhi, lasciò che la sua mente si perdesse in pensieri lontani, prima di richiamarla interamente su quell’unico fiore. Spalancò gli occhi e cantò. Immediatamente i petali si dischiusero, mostrando i loro colori e spargendo nell’aria il profumo che custodivano. Ma la magia di Ihanez non si fermò a quell’unica pianta e si espanse, in luce azzurra, lungo tutto il giardino. Gli alberi fiorirono, tutti assieme, e l’erba si riempì di petali arcobaleno.

“Vedo che il tuo maestro ti ha insegnato per bene come espandere l’energia. E non sei nemmeno stanco” si compiacque Egres.

Poi alzò un braccio, mostrando che ai polsi portava i bracciali per il blocco della magia, e chiuse la mano a pugno. Quel semplice gesto, fece serrare di nuovo tutti i petali.

“Senza la magia?! Come hai fatto?!” esclamò Ihanez.

“Questo è il mio potere. Non pretendo certo che tu riesca a fare altrettanto, altrimenti vorrebbe dire che sei in lizza per prendere il mio posto e, lo ammetto, non mi piacerebbe tanto. Non sono ancora pronto per andare in pensione. Ma tua madre era una signora della natura e questo significa che dentro di te c’è parte di questo potere e voglio che me lo mostri, per spiegarti come migliorarlo”.

“Intendi far aprire un fiore senza magia? E come credi ci possa riuscire?”.

“Prova. Mettiti questi”.

Egres sfilò i bracciali e li porse a Ihanez, che li prese con una certa titubanza.

“All’inizio non sarà piacevole” gli parlò Reahu, spiegandogli come indossarli, essendo essi degli strani marchingegni pieni di tasti e protuberanze “Ma ci si abitua”.

Ihanez provò un senso assoluto di smarrimento quando ebbe entrambi i bracciali ai polsi. Un capogiro violento lo costrinse a scattare di lato per non perdere l’equilibrio. Gli ci volle qualche minuto prima di essere di nuovo se stesso. Era una sensazione spiacevole e quegli affari pesavano un sacco.

“Ora concentrati su quell’unico fiore che prima hai fatto aprire e sfrutta la parte latente di te” parlò, lentamente, Egres.

Lo stregone, per nulla convinto, fissò quel fiore. Perché avrebbe dovuto riuscirci? Lui era nato e cresciuto stregone, aveva sempre usato la magia fin da bambino. Come poteva pretendere che ora qualcosa cambiasse? Aveva più di trent’anni ormai, se c’era dell’altro si sarebbe visto.

“Smettila di arrovellarti in mille pensieri, Ihanez. Pensa al fiore ed al fatto che deve fiorire”.

“Deve per forza?”.

“Concentrati”.

Ihanez tornò a fissare il fiore e, inaspettatamente, ricordò le parole di sua madre. Era da talmente tanto che non pensava a lei… Quasi aveva scordato la sua voce ed il suo viso, cancellati dall’odio per averlo abbandonato. Nel poco tempo trascorso assieme a lei, aveva avuto modo di vederla mentre si occupava di piante ed animali. Ricordò di aver colto un fiore per lei e di essere stato rimproverato, velatamente.

“I fiori sono come te” gli aveva detto “Crescono, vivono, respirano. Quando sbocciano, aprono gli occhi verso il mondo che fino a quel momento era stato loro celato. Come bambini curiosi, alzano la testa e si guardano attorno, regalandoci profumo e colori. Dopo di loro verranno i frutti, che daranno vita ad altre piante, ad altri fiori, con i loro semi. Strappare un fiore ed impedire che esso fiorisca è come uccidere. Non lo devi fare mai. Uccidere è sbagliato. Sempre”.

Quelle parole, così inaspettate e fino a quel momento dimenticate, risvegliarono una luce negli occhi di Ihanez, che si trasmise alla sua mano tesa. Lentamente, quasi timidamente, il fiore si aprì.

“Al primo tentativo. Sei un bravo maestro” commentò Reahu, rivolto ad Egres.

“Hai un bravo allievo”.

Ihanez fissò quasi incredulo il fiore sbocciato. Tolse i bracciali, percependo la magia di nuovo scorrere libera nel suo corpo, e non disse nulla.

“Cosa c’è?” domandò Egres, notando il suo sguardo.

“Niente. È che mi son venute in mente delle cose che credevo dimenticate per sempre”.

“Nulla è perso per sempre, Ihanez. Se ho imparato una cosa lavorando come signore supremo della natura, è che la vita e la morte sono così strettamente legate da sembrare quasi uguali, a volte. Ma ti dirò una cosa: a mio parere, la vita vince sempre. Anche dove è stato tutto distrutto, prima o poi qualcosa riemerge. Una pianta, un fiore, un sogno, un ricordo… Anche quando crediamo che qualcosa sia persa per sempre, non sappiamo mai quando questa posso tornare, in qualche modo. Forse in un’altra forma, forse dopo tanto di quel tempo che non riusciamo più a collegare le cose, ma accade”.

“Io non ho mai creduto nei miracoli” lo fissò, scettico, Ihanez.

“Non sono miracoli. La vita non è un miracolo. È un dono, una possibilità, un cammino, una sfida. La vita è tante cose”.

“Ma termina sempre con la morte”.

“Non è quello che pensi per Hennay, giusto? La morte è solo un passaggio in un grande cerchio. Quando io morirò, altri prenderanno il mio posto ed io diverrò qualcos’altro. Non svanirò. Pensa a tua madre. È morta, eppure è dentro di te, e ti ha parlato”.

“La smettiamo di parlare di queste cose?” interruppe  Reahu “Per oggi direi che hai faticato abbastanza. Puoi tornare a bighellonare in santa pace”.

Ihanez annuì e si allontanò.

“Cosa ne pensi, Egres?” domandò Reahu, rivolto al collega della natura.

“Non saprei dirti, signore del cielo. Ma un potere simile non ancora del tutto risvegliatasi potrebbe avere un’enorme influenza in futuro”.

“In positivo o in negativo?”.

“Questo lo stabilirà lui. L’ho detto: vita e morte, così come il bene ed il male, a volte sono così simili da essere facilmente confusi”.

 

   

 

Sentendosi chiamare con una certa insistenza, Rashnu apparve nella piccola cappella dell’accampamento. Si guardò attorno. Erano le prime luci dell’alba e tutto taceva in un modo quasi inquietante. Veda era lì, nascosta nell’ombra.

“Perdonami” mormorò “So che non dovrei chiamarti. Ma dovevo farlo”.

Rashnu la guardò. Era spaventata.

“Cos’è successo?” domandò lui, allarmato.

“Ho visto una cosa, prima, quando mi sono svegliata, ed ho dovuto chiamarti”.

“Raccontami tutto”.

“Io mi sveglio prima del sorgere del Sole, sempre. Anche oggi ho fatto lo stesso. Prima delle mie compagne, mi sono cambiata e lavata. Mi stavo sistemando i capelli, guardandomi allo specchio, quando questo è mutato”.

“Lo specchio?”.

“Sì. Ha cambiato colore e non mostrava più me stessa riflessa ma una grande stanza cilindrica, a piani sovrapposti, che dava su un corridoio circolare. C’era tanta gente che guardava nello stesso punto, ma non ti so dire cosa guardasse. So solo che un attimo dopo erano in terra. Morti, feriti, corpi in pezzi e grida di terrore, fra fiamme e crolli. Ed una voce. Una voce così profonda da sembrare provenire da ogni luogo, che parlava in una lingua che non capivo. È stato spaventoso”.

Veda si fermò e rimase immobile, lanciando brevi occhiate a Rashnu ma ricordando le parole che aveva pronunciato tempo fa, quando l’aveva pregata di non chiamarlo se non per necessità. Questo lei lo aveva interpretato come un chiaro rifiuto e quindi ora era piuttosto imbarazzata. Non sapeva come avrebbe potuto reagire Rashnu.

“Sicura che non sia stato tutto un sogno?” le domandò lui.

“Sicurissima. Era reale. L’ ho visto davvero. E mi sono tanto spaventata”.

“Lo credo bene. Vieni qui, sta tranquilla”.

Rashnu spalancò le braccia e lasciò che lei lo abbracciasse, scoppiando in lacrime.

“Chi erano quelle persone? Che cosa ho visto?” parlò Veda.

“Non mi è dato saperlo, Kami. Il tempo renderà tutto più chiaro”.

“Ma quelle persone moriranno! Oppure sono già morte?”.

“Solitamente, le immagine mostrate si riferiscono ad eventi futuri”.

“Ma è terribile!”.

“No, tutt’altro. Avendo visto questo, hai la possibilità di cambiarlo. Il futuro non è scritto e prestabilito. Puoi evitare che accada ciò che hai visto. È un dono”.

“Un dono che spaventa”.

“Già. Un dono spaventoso ma sacro. Potrai salvare quelle vite. Insieme, riusciremo a capire di che luogo si tratta”.

“Quando avverrà quello che ho visto?”.

“Non si può sapere. Domani, stasera, fra vent’anni…non si sa! Ma noi faremo tutto il possibile per impedire che accada e vedrai che andrà tutto bene”.

Veda, che fino a quel momento era rimasta abbracciata a Rashnu, si scostò leggermente e gli sorrise, asciugandosi le lacrime.

“Grazie per queste parole” disse “Non sapevo a chi rivolgermi. Temevo di sentirmi dare della pazza o della drogata”.

“Non parlare a nessun guerriero di questo tuo dono, intesi? Finiresti nei guai”.

“Intesi. Ed ora è meglio che vada. Fra poco chiameranno a raduno ed io dovrò essere là, pronta per un’altra giornata d’addestramento”.

“Spero di averti aiutata”.

“Sì, molto. Sono molto più calma adesso. Non avrei potuto affrontare la giornata in quello stato”.

Rashnu mosse il capo, annuendo e facendole segno di andare. Veda si voltò e si incamminò verso la porta. In lei si era risvegliato un potere nuovo, una capacità inaspettata, senza nessuna connessione con il fatto che lui, Rashnu, venisse a trovarla. Allora quella ragazza aveva davvero delle capacità, non erano solo riflessi di un suo desiderio a chiamarlo lì.

“Veda” la chiamò, prima che sparisse dietro al colonnato.

“Sì?” rispose lei, indietreggiando.

“Posso venirti a prendere questa sera?” furono le parole di Rashnu, dette in fretta, di getto.

“Questa sera? Ok, a me sta bene. Ma perché?”.

“Beh, per parlarne, no? Parlare di questo tuo potere e fare un giro, senza doversi sempre incontrare in questo postaccio che puzza di fumo”.

“Va bene. Dove mi porti?”.

“Ammetto di non conoscere molto bene i dintorni. Scegli tu. Un bel posto dove mangiare un boccone e fare quattro chiacchiere”.

“Ho già in mente un posto. Ricordati, però, che ho il coprifuoco a mezzanotte”.

“Non ti farò far tardi, tranquilla. Ti va bene per le otto?”.

“Perfetto. A dopo, e non far tardi! Odio i ritardatari”.

Veda corse via, sentendo le trombe del mattino risuonare nell’aria, e Rashnu svanì, tornando al suo lavoro, più distratto del solito.

 

   

 

Ihanez era bravo a bighellonare. Con una spiga di traverso in bocca, rimase steso al Sole per un bel po’. Reahu non lo importunò per tutto il pomeriggio, perso in chissà quali pensieri. La casa era tranquilla, silenziosa, e prima del tramonto il padrone di essa fece ritorno.

“In anticipo?” mormorò Ihanez, intravedendo gli stivali a pochi passi da lui.

“Che fai li per terra?” alzò un sopracciglio Rashnu.

“Niente. Sonnecchio”.

“Temevo che Reahu ti avesse picchiato fino a farti cadere di faccia sull’erba”.

“No, niente di simile. Adesso che ti vedo, posso chiedere una cosa?”.

“Se è una cosa rapida, ok. Altrimenti rimanda, che ho una certa fretta”.

“Mi chiedevo se mi era concesso tornare alla mia vecchia casa, quella del mio maestro, per vedere come è ridotta e se c’è ancora. Potrei recuperare delle cose mie e…”.

“Fatti accompagnare da Reahu, e tornate qui prima del tramonto. Siate prudenti e cercate di non dare troppo nell’occhio. Divertitevi!”.

Ihanez non si aspettava una risposta del genere e non si aspettava di vederlo sorridere. Sorrise a sua volta. Meglio approfittare del buon umore!

Rashnu rientrò velocemente in casa e, passando da una stanza all’altra, lanciando occhiate continue all’orologio, si preparò per la serata. Tutti gli altri lo fissavano con aria interrogativa, senza però avere il coraggio di chiedere nulla. Aveva tirato i capelli all’indietro, in modo da non farli più sembrare una palma verde, ed indossava un abito bianco, sempre con i tratti a due colori, argento ed oro, tipico di tutto ciò che indossava. Camminando di corsa per i corridoi, Rashnu intravide Clio, seduta con un libro fra le mani.

“Posso parlarti?” le domandò, facendola sobbalzare.

“Certo” rispose lei, stupita nel vederlo vestito elegante.

Lui chiuse la porta dietro di sé e sedette accanto a lei.

“Devi promettermi che ciò che ti dirò adesso rimarrà fra noi, ok?” le disse.

“Ok”.

“Bene. Ho bisogno di un consiglio, e credo tu sia la persona più adatta in questa casa per darmelo”.

“Io? E perché?”.

“Perché sei una brava ragazza e sei una mia cara amica”.

“Ah, va bene”.

Clio si sentiva parecchio a disagio. Perché il suo capo era nella sua stanza, conciato in quel modo, con quello sguardo da cucciolo smarrito e quel sorriso idiota?

“Questa sera mi vedo con una persona, e voglio che la serata sia perfetta. Io non sono molto pratico di queste cose”.

“Per persona intendete una ragazza?”.

“Esatto. Una ragazza. Una ragazza molto speciale, che non voglio né spaventare né aggiungere alla lista di amiche, non so se mi spiego”.

“Vi spiegate perfettamente” sospirò Clio, non capendo perché venisse proprio da lei a chiedere consigli in una materia di cui di certo non era ferrata.

“Vi assomigliate, tu e lei, sotto molti aspetti. Per questo sono qui da te. Fingi che io voglia uscire con te. Cosa ti piacerebbe? Come dovrei comportarmi?”.

“Questa è la domanda più strana che qualcuno mi abbia mai rivolto!”.

“Lo so, è strano. Ma non saprei a chi altro rivolgermi. Kama e Kadesh non parlano altro di sesso ed io non voglio questo. Intendo, non mi sembra il caso di pensare ad una cosa del genere”.

“Alla prima uscita? Direi di no”.

“Chiedere agli uomini è inutile, perché nessuno di loro ci capisce niente di donne, e le altre femmine della casa non sono così in confidenza con me da potermi dare veri consigli”.

“Io posso parlare per me, ma non posso assicurare che per la "femmina" in questione valga lo stesso. Per quel che mi riguarda, come prima serata vorrei andare in un bel posto dove poter parlare liberamente, senza troppa folla o musica alta, per intenderci”.

“Soli, in due?”.

“No, non da soli. Non alla prima uscita, perché mi sentirei a disagio. Potresti fare di me quel che vuoi, in un luogo isolato, senza che io possa sottrarmi e questo non mi farebbe stare troppo bene. Luoghi del genere vanno bene più avanti”.

“Il posto lo sceglie lei”.

“Una fatica in meno. Fate, però, che non capiti troppo spesso. Non so come la pensi questa ragazza, ma a me piace avere accanto una persona che prende le sue decisioni e che propone delle cose. Che ascolta, ovviamente, anche il mio parere ma che non si aspetta che sia sempre io a decidere”.

“Vedrò di ricordarmelo. Qualche altro suggerimento?”.

“Siate sincero. Non fingete di essere qualcosa che non siete e non sparate complimenti a vanvera. Meglio un commento mirato, come ad esempio dirle che ha una bella pettinatura, piuttosto che il banale "sei bellissima". Lei lo gradirà di più, perché le mostrate che la guardate, che notate il fatto che si è fatta bella per voi”.

“Sento che questa conversazione potrebbe aggiungere una marea di clausole se la lasciassi proseguire. Siete complicate”.

“Forse siete voi troppo semplici”.

“Forse. Un fiore può andare bene?”.

“Certo. Ma attento al colore che scegliete”.

“Conosco i suoi gusti”.

“Come volete”.

L’orologio a pendolo rintoccò le ore. Era tempo di andare. Rashnu si alzò in fretta, non volendo arrivare in ritardo, ed uscì dalla stanza. Clio uscì a sua volta per andare a cena. Molti la fissarono, chiedendosi cosa si fossero detti, e lei rispose con una specie di ringhio a pugni chiusi, allontanando tutti quanti. Reahu fissò con aria interrogativa il suo capo allontanarsi in groppa ad uno dei suoi grossi lupi, stupito da questo e dal fatto che avesse il permesso di accompagnare Ihanez fuori da lì.

 

   

 

“Clio, piantala di guardarmi con odio. Io non ti ho fatto proprio niente” commentò Reahu, notando lo sguardo terribile di lei.

“Mi serve qualcuno da fissare così, e tu al momento sei l’unico disponibile”.

“Vai a cena e troverai molti altri sguardi da incrociare”.

“Non ho fame”.

“Tu che non hai fame? Oh, su, che è successo di così grave?”.

“Ho promesso di non dirlo”.

“Come preferisci. Ma tenendo tutte le cose dove stanno, non le risolverai mai”.

“Fottiti”.

“Grazie”.

Clio rimase in silenzio, fissando l’orizzonte dall’alto della terrazza che dava sull’ingresso. Tutt’attorno, alberi e cielo notturno.

“Ti serve uno sfogo, Clio. Te lo consiglio, o impazzirai”.

“E che sfogo credi dovrei trovarmi?”.

“Picchiare la gente per me è sempre stato d’aiuto”.

“Io non ne sono capace. Mi hai vista?”.

“Ti vedo. E sento la tua rabbia. Prova ad esprimerla, non solo fissando l’aria minacciosamente, spaventando le mosche”.

“Stai cercando di farti prendere a pugni?”.

“Sarebbe un buon inizio”.

Clio si guardò le mani. Lei era così piccola, così poco considerata, che non credeva minimamente in alcuna delle sue capacità. Reahu era tornato a girarsi e guardava in alto, ignorandola. Questo la fece scattare in avanti. lo colpì, con tutta la forza che aveva. Con un calcio, ben assestato, lo colpì dietro al ginocchio, e glielo fece piegare in avanti.

“Hei!” protestò lui.

“Prima mi sfidi e poi mi ignori? Non si fa così” sbottò lei, chiudendo i pugni e tenendoli sollevati a mezz’aria “E poi non dire a me di sfogarmi ed altre cose del genere dopo quasi due secoli che fissi sempre la stessa stella”.

Reahu si voltò appena in tempo per riuscire a fermare un potente colpo che gli era stato rivolto. Quella piccoletta sapeva il fatto suo, lo doveva ammettere.

“Così mi piaci, signora della storia. Tira fuori la grinta”.

Clio gridò ed iniziò uno strano combattimento fra i due, con lei che pareva quasi spaventata all’idea di colpire l’avversario.

“Non trattenerti, o non risolverai mai niente. Colpiscimi! Rashnu ti ha trattata male? Fingi che io sia Rashnu e picchiami! Avanti!”.

“Siete tutti uguali! Vi odio! Tutti quanti!” rispose Clio, colpendo con più decisione.

Lo scontro durò una decina di minuti, con gli altri abitanti della casa che fissavano il tutto con curiosità e divertimento, fino a quando lei non si bloccò, sfinita. Scoppiò in lacrime e cadde in ginocchio, vergognandosi di se stessa.

“Ma che sto facendo?” disse “Non serve a niente. Sono solo una stupida”.

“Alzati” si sentì dire e, alzando lo sguardo, Reahu le stava porgendo la mano per rimetterla in piedi.

“Grazie” sussurrò Clio, chinando la testa.

“Hei, sono senza parte dell’anima, non senza cuore. Vieni con me, certi ficcanaso è meglio tenerli lontani” suggerì Reahu, riferendosi alla folla di curiosi della casa che li fissava.

Insieme si addentrarono per la foresta. Scostando dei rami, si mostrò un piccolo spiazzo immerso nel verde, scintillante delle luci riflesse dalla Luna di fiori e piante. Clio si ritrovò in uno dei luoghi più belli che avesse mai visto. Rimase senza parole.

“Io mi rifugio qui, quando a casa rompono troppo le palle e quando non ho voglia di farmi trovare. Puoi rimanerci per un po’, se ti fa piacere” parlò lui.

“Grazie, ma…perché fai questo per me?”.

“Mi hai aiutato più volte, con il mio pessimo carattere, ed aiuti anche il mio allievo Ihanez. Non saprei in che altro modo ricambiare. Mi hai parato il culo tante di quelle volte con Rashnu che quasi non tengo il conto. Sarei stato cacciato già da tempo, se non fosse per te e per il neofita”.

“Posso venire qui quando voglio?”.

“Ogni volta che vuoi. Non è molto distante da casa, non ti perderai. Rientro, ti lascio da sola”.

“No, resta qui! Ho tanto bisogno di parlare con qualcuno”.

“Non sono la persona più adatta. Mi manca un pezzo, ricordi?”.

“Ma non ti manca il cuore. E nemmeno le orecchie”.

“Come preferisci. Ma non aspettarti grandi gesti empatici”.

 

   

 

Sul dorso del lupo, Rashnu e Veda raggiunsero un piccolo locale, nel villaggio dove la ragazza era nata. Un posto piccino, accogliente e senza troppi ficcanaso.

“Che hai fatto ai capelli?” domandò la ragazza.

“Sono ricercato, ricordi? Mi farei notare troppo con i capelli a palma”.

“Son più belli a palma, però”.

“Me ne ricorderò” sorrise lui, aprendole la porta del locale e dando ordine al lupo di non allontanarsi troppo.

“Questa è la prima volta che ci vediamo al di fuori dell’accampamento, giusto?”.

“Giusto. Prima volta che, finalmente, ti vedo senza quell’orrendo vestito da guerriera mimetica”.

“Hai ragione. Quel vestito fa proprio schifo. Tu, invece, sei sempre bello, qualsiasi cosa ti metta!”.

“Oh, ma anche tu sei sempre bella. Solo che così, con quel vestito, stai molto meglio”.

L’abito di Veda era rosso, piuttosto scollato, lungo fino ai piedi. Aveva lasciato sciolti i capelli, che si mostravano piuttosto voluminosi, rossicci e ciuffi più scuri. Al collo, un gioiello dono di sua madre che brillava intensamente. Con la rosa donatale da Rashnu fra le mani, si accomodò al tavolo e sorrise. Era da tempo che non tornava in quel luogo e probabilmente quasi nessuno la riconosceva più, cresciuta com’era.

“Hai scelto un posto davvero molto carino. Ci sei già venuta?”.

“Casa mia era qua vicino” spiegò lei, dopo aver ordinato da bere.

“Era?”.

“Sì. Adesso è stata buttata giù per far spazio ad un altro palazzo militare”.

“Mi spiace”.

“Era disabitata da anni”.

“Basta parlare di cose tristi, ok? Voglio vederti sorridere stasera. Hai un sorriso splendido, come una notte stellata”.

Veda arrossì. Quella sera, lì con Rashnu, era un sogno che si avverava. Non notò la forte differenza di reazione fra chi incrociava lo sguardo del suo accompagnatore. Alcuni di loro ne erano così spaventati da rimanere immobili. Rashnu ignorò la cosa, abituato, e fu lieto che per lei non fosse un problema. Non era totalmente a suo agio, da troppo tempo non si prendeva una sera di divertimento.

“Posso farti una domanda?” parlò lei, quando arrivarono gli antipasti.

“Prego” rispose lui, guardandola dritta negli occhi.

“Perché proprio oggi hai deciso di invitarmi ad uscire? Intendo dire…è da anni che ci conosciamo, ormai non ci speravo più. Ho, forse, equivocato le tue intenzioni e questa è una sorta di cena di lavoro?”.

“Nessun equivoco. Erano anni che ti volevo invitare ma, per motivi legati al mio ruolo, finora avevo preferito non farlo. Prima volevo davvero capire se il tuo potere esisteva, era tuo, reale, oppure se indotto dalla mia vicinanza. Per questo mi sono un pochino allontanato, impedendoti di chiamarmi di continuo. Il tempo è passato, tu sei cresciuta, ed entrambi abbiamo capito meglio ciò che vogliamo e ciò che ci aspetta. Non trovi?”.

“Ora ricomincerai a venirmi a trovare come un tempo?”.

“Se lo desideri, sarò da te tutti i giorni”.

Veda trovava un po’ esagerata una tale frequenza di visite ma l’idea di vederlo ogni giorno non le dispiaceva per niente. Fecero un brindisi e si gustarono la cena, accompagnati dalla musica.

 

   

 

“Cioè, fammi capire…” borbottò Reahu, con la schiena contro un albero e la sigaretta accesa “Quello stupido è venuto veramente a chiederti consigli su una ragazza?!”.

“Sì, ma non dire che te l’ho detto. Avevo promesso di mantenere il segreto”.

“Quell’idiota di Rashnu! Tutti sanno cosa provi tu per lui, come ha potuto venire a fare discorsi del genere proprio a te?!”.

“Dice che siamo buoni amici”.

“Stupido”.

“Gli piace un’altra, che c’è di male?”.

“C’è di male che se ne andrà in giro piagnucolando, chiedendosi perché la sua grande amica Clio d’un tratto ha iniziato a trattarlo male. Perché è quello che farai, giusto?”.

“Trattarlo male? In che senso?”.

“Possibile che dentro di te non sia nato il desiderio di picchiarlo?”.

“Certo, ma non lo farò. Siamo amici, giusto?”.

“Io le donne proprio non le capisco”.

“Che altro dovrei fare, scusa? Abitiamo assieme, ci vediamo ogni giorno, è il mio capo. Non posso serbargli rancore per l’eternità”.

“Ma neppure farti sfruttare. Metti le cose in chiaro e mantieni le giuste distanze”.

“Non so se ci riuscirò. Sento che Rashnu mi piacerà per sempre”.

“Per sempre? Nulla dura per sempre. Specie se io adesso vado da Kama e Kadesh e riempirli di botte, così da sistemarli per bene”.

“Anche Ihanez aveva proposto la stessa cosa”.

“Bene. Impara in fretta. È un mio degno allievo”.

“Davvero picchieresti Kama per me?”.

“Io picchierei quei due per chiunque. Li ammazzerei di botte per tutti i casini che combinano”.

Clio scoppiò a ridere, leggermente alterata dall’alcol che stava trangugiando. Come ogni nascondiglio che si rispetti, Reahu vi aveva portato cibo e bevande, perlopiù merendine ed alcolici, che ora la sua “ospite” stava gradendo molto.

“Vacci piano” le disse.

“Non ne ho nessuna intenzione!”.

 

   

 

Camminando, seguiti dal lupo, Rashnu e Veda lentamente presero la via dell’accampamento di lei. La mezzanotte si avvicinava, rapidamente, e lei non voleva rischiare punizioni.

“Grazie per la serata” mormorò, una volta giunti davanti ai cancelli.

“Grazie a te” le rispose lui, sorridendo “Solo ti chiedo di non farne, per ora, parola con tuo fratello, nelle tue lettere. Vorrei parlarne con calma, sia con lui che con gli altri che vivono con me”.

“Capisco. Meglio verificare come va la cosa, prima di prendersi un pugno inutilmente, giusto?”.

“Giusto”.

“Non ne farò parola. Custodirò il nostro segreto. Ora è meglio che vada, però, o mi chiudono fuori”.

Con la rosa fra le mani, rimase ferma a guardarlo, come a non volerlo veder andar via mai.

“Buonanotte” mormorò lui.

Lei si voltò ma poi cambiò idea. Si girò di scatto e, in punta di piedi, diede un bacio al suo cavaliere dei lupi. Rashnu rimase immobile, confuso. In una notte così bella, così magica, aveva ricevuto il suo primo bacio.

 

   

 

Reahu sentì rintoccare la mezzanotte quando stese Clio a letto. Si era addormentata di botto, dopo aver bevuto troppo e biascicato parole senza senso per una buona mezzora. Crollata, a Reahu non era rimasto altro che prenderla in braccio e riportarla a casa, mettendola a dormire e levandole a forza dalle mani l’ultima bottiglia di liquore. La coprì con una leggera stoffa beige ed uscì dalla camera, tutta dipinta più o meno degli stessi toni fra il bianco ed il marroncino. Guardò l’orologio del piano di sotto. Che noia le notti da quelle parti. Era l’unico che non dormiva mai e lì, a quell’ora, gli altri erano a letto, o fuori a svolgere i loro compiti.

“Dovrei prendermi un cucciolo” mormorò, chiudendo la porta della camera di Ihanez, addormentato e vegliato dall’anima di Hennay, in piedi accanto al letto come una statua semitrasparente.

Scendendo le scale e raggiungendo il corridoio, vide Rashnu rientrare. Pareva di buon umore. Canticchiava. Rimase fermo a fissarlo e solo dopo qualche minuto il padrone di casa si accorse della sua presenza. Sorrise e, continuando a canticchiare, gli si avvicinò. Fu molto rapido e schioccò un bacio a stampo sulla guancia di Reahu, che indietreggiò protestando.

“Oh, Reahu! Sono così felice che…ti darei un altro bacio!” esclamò Rashnu.

“Provaci e ti spacco la faccia” ringhiò Reahu, pulendosi il viso con l’ampia manica blu dell’abito.

“Quanto sei permaloso! Divertiti ogni tanto, fatti una risata!”.

Reahu non ribatté, preferendo evitare rogne nel cuore della notte.

“Sei solo tu sveglio, Reahu?” domandò Rashnu, non percependo la scarsa voglia del suo interlocutore di aprir bocca.

“No, lo sei anche tu”.

“Spiritoso! Oltre a me, intendo!”.

“Come sempre a quest’ora, ci sono solo io in piedi ed in casa”.

“Che noia dev’essere la tua vita, Reahu”.

Lo sguardo di Reahu si spalancò, misto fra l’incredulo ed il furioso.

“Perché non vai a farti un giro come fanno gli altri notturni?” ripartì Rashnu.

“Perché qualcuno deve rimanere alzato a vegliare la casa e, dato che gli altri notturni son tutti in coppia e se ne vanno in giro per conto loro, tocca a me”.

“Che stress. Non fa un granché bene alla salute, sai?”.

“Per caso, tanto per sapere, questo è un test per verificare fino a che punto regge la mia pazienza? Perché non credo possa durare ancora a lungo”.

“Sei proprio permaloso! Dai, vieni, ti offro da bere”.

“No, grazie. Stasera ho già bevuto a sufficienza. E poi è tardi, per uno che si deve svegliare all’alba domattina. Non credo che darsi ancora al cazzeggio sia una cosa saggia”.

“Parli come se fossi mio padre”.

“Il mio è un suggerimento. Poi fai quello che ti pare”.

“Andrò a dormire quando mi andrà di farlo, chiaro? Così come l’ora del mio rientro non sono affari che riguardano altri al di fuori di me”.

“Mai detto niente di diverso. Arrangiati”.

“E smettila di darmi del tu!”.

“Fottiti”.

“Sparisci dalla mia vista, e ringrazia che son di buon umore. Ricordati che domani devi accompagnare Ihanez a casa del suo vecchio maestro. Portatevi anche Clio con voi, così sarò certo che non farete casino”.

Reahu non disse nulla. Si voltò ed uscì in giardino, dicendosi che un giorno ci sarebbe stato uno scontro diretto fra lui e quell’essere dai capelli a palma. Avrebbe perso, sapendo bene di quanto il livello di energia di Rashnu superasse il proprio, ma almeno si sarebbe tolto qualche soddisfazione.

 

   

 

Il risveglio del mattino fu relativamente tranquillo. Rashnu lasciò la casa in ritardo, sbadigliando e muovendosi lento. Molte voci della casa parlavano della sua serata, chiedendosi con chi l’avesse trascorsa ed in che modo. Ihanez, piuttosto assonnato, smangiucchiava biscotti ed ignorava ogni voce, anche quando parlò di Clio ed il suo maestro. Rise. Quei due assieme proprio non era una cosa possibile! Guardandosi attorno, però, si accorse che lei non c’era a far colazione, cosa strana perché era sempre piuttosto mattiniera.

 

“Clio!” bussò di nuovo Reahu alla porta della collega “Mi spiace, non vorrei darti fastidio, ma Rashnu ha dato l’ordine che tu venga con me e Ihanez stamattina”.

“Fanculo anche Rashnu!” sbottò lei, gemendo e ficcando la testa sotto uno dei cuscini “Digli che vada ad impiccarsi!”.

“Lieto di riferire una frase del genere, ma dovrai comunque venire con noi o mi spaccherà il cazzo per giorni, pensando che faccia fare chissà cosa a quel ragazzo”.

“Mi vien da vomitare e mi scoppia la testa”.

“Eh, Cliuccia cara, è il dopo sbornia. Passerà”.

“Quando?”.

“Dal quantitativo di alcolici che hai tracannato, non saprei dirti”.

Clio gemette.

“Dai, esci da lì. Vieni a far colazione, vado a farti una cosa che ti farà sentire meglio”.

 

“Così oggi rivedrai la casa del tuo vecchio maestro” parlò Lahar.

“Già, sempre se i miei accompagnatori si fanno vedere”.

“Sei emozionato? È passato del tempo…”.

“È solo una casa, un castello”.

“Allora perché ci tieni tanto a rivederlo?”.

Ihanez non rispose, notando Reahu passare rapido per il salone, diretto in cucina. Gesto inconsueto. Poco dopo, Clio aprì la porta e si mise a sedere. Era pallida e frastornata.

“Ecco. Fa schifo, ma se bevi tutta questa roba vedrai che poi starai bene” le disse Reahu, porgendole un bicchiere colmo di liquido verdastro.

“Caspita, Clio” ridacchiò Kadesh “Hai l’aria di una che ieri sera è stata sbattuta come un uovo!”.

Clio allungo il braccio, sfiorando Reahu con la mano prima che si allontanasse.

“Che c’è?” chiese lui.

“Hai presente quello che mi hai detto ieri sera? Che li ammazzeresti di botte? Bene, non dico di ammazzarli proprio, ma se allungassi un paio di pugni ben assestati sui faccini fastidiosi di Kama e Kadesh mi faresti sentire davvero molto meglio”.

“Non qui, non ora. Troppi testimoni” ghignò Reahu, ed i due interessati si fissarono impauriti.

“Chiamami quando accadrà, che voglio assistere” sussurrò lei.

“Sarà fatto. Ora andiamo, dobbiamo far ritorno prima del tramonto”.

 

I tre, assieme all’anima di Hennay, raggiunsero il castello dello stregone in poco tempo, grazie ai loro poteri. Appena Ihanez vi mise piede, la torre a quattordici porte di illuminò, attivandosi di nuovo dopo tanto tempo. Si stupì lui stesso di questo. Non pensava di aver tanta energia. Guardò la sua vecchia casa, provando una fortissima nostalgia. L’edera aveva conquistato lentamente buona parte della facciata e della torre, dandole un tocco in più di mistero. La porta, rimasta senza serratura, si aprì cigolando, mostrando le sale buie. Con un gesto della mano, Ihanez accese tutte le candele, rimaste al loro posto in attesa. In terra, polvere e pezzi di quelle che un tempo erano delle statue. Qualcuno le aveva distrutte, portandone via le pietre preziose incastonate su di esse. I quadri erano stracciati ed ovunque si percepiva un forte odore di bruciato. Probabilmente ad alcune stanze era stato dato fuoco. Camminando cautamente fra vetri rotti e calcinacci, Ihanez guidava il gruppo. Nessuno parlava, trovando rivoltante ciò che era stato fatto a quella dimora, solo perché appartenente ad uno stregone. Ihanez soffriva, ricordando d’un tratto molte cose a cui si era sforzato di non pensare. Immagini, voci, profumi e sensazioni tornarono prepotentemente ad occupare la sua testa, come un potente schiaffo. Si stupì dell’impassibilità di Hennay, non potendo credere per davvero che un’anima senza un corpo non potesse provare nulla.

“Ihanez…” mormorò Clio, facendo un passo e sfiorandogli la mano.

“Lì è dove il mio maestro è morto” spiegò lui, mostrando un punto ancora macchiato di sangue “Questa casa è la sua tomba e guardate in che stati è ridotta…”.

“Vuoi sistemarla un po’? Ti diamo una mano”.

“A che serve? Tanto poi la polvere ed il tempo avrà la meglio. Io non posso tornare a vivere qui, non finché sarò ricercato da mezzo pianeta. Ma non posso permettere che altri, sconosciuti e privi di rispetto, entrino qui a profanare questo luogo. Porterò via ciò che è mio, ciò che han lasciato, e poi questo castello svanirà in una nuvoletta di polvere, come è accaduto al suo proprietario”.

Reahu e Clio annuirono. Hennay non si mosse, galleggiando nell’aria. Iniziarono a girare per le stanze, raccogliendo oggetti, ricordi e foto. Quello che era rimasto e che valeva la pena di salvare. Continuarono fino all’ora di pranzo, quando si fermarono per mangiare ciò che Clio previdentemente si era portata dietro. Seduti in terra, in cerchio, si rifocillarono.

“Gran bella casa, bisogna ammetterlo” commentò Reahu, felice che, per una volta, non era il solo a non mangiare avendo Hennay accanto.

“Grazie. La tua com’è? Quella in cui stavi prima di abitare con Rashnu e compagnia bella”.

“Immagino non ci sia più. Fisicamente, temo che il tempo non le abbia dato grandi alternative”.

“Oh, suvvia! Dove vivevi?! In una capanna sugli alberi?!”.

“In una bella casetta in un bel villaggio, ma sono passati moltissimi anni”.

“Moltissimi? Quanti esattamente, se mi è dato saperlo?”.

“Quasi due secoli. L’attacco che ha portato via la mia sposa è stato uno dei primi di questa eterna guerra. Fra bombardamenti ed eventi atmosferici, credo che di lei non resti che polvere ormai”.

“Due secoli?! Scherzi?!”.

“Non scherzo. Non è poi molto, se ci rifletti”.

“Non riflettevo per l’età, ma dagli anni di guerra. Due secoli che le tre classi si tormentano?!”.

“Esatto. A quel tempo c’era ancora il padre di Rashnu, ma è scomparso poco dopo”.

“Anche tu, Clio, hai un’età del genere?” volle sapere Ihanez, ignorando il fatto che ad una signora non andrebbero chiesti gli anni.

“No, io son arrivata molto dopo in quella casa. Sfioro il secolo, e non ho mai conosciuto il padre di Rashnu. Il tuo l’ho visto un paio di volte soltanto”.

“Così tanti anni e quel viso giovane. È così strano”.

“Non così tanto, dopotutto” si intromise Reahu “Funziona allo stesso modo dell’esame finale degli stregoni. Si fermano all’età in cui lo superano, come aspetto. Noi abbiamo il volto di quando siamo giunti per la prima volta alla casa di Rashnu e famiglia. Perfino tu non sei invecchiato di un solo giorno, dal tuo arrivo”.

“L’età media della casa qual è?”.

“La maggior parte rientra fra la mia e quella di Clio. C’è qualche giovane, come Tate ed i vari figli degli abitanti. Poi ci sono quelli con molti più anni come Rashnu, tuo padre e tuo zio Mantus”.

“Quelli quanti anni hanno?”.

“Troppi, credimi. Per quanto riguarda il tuo parentado, non saprei nemmeno dirtelo con esattezza”.

“Caspita. Così sì che mi fate sentire piccolo ed inutile!”.

“Figurati come mi sono sentita io!” ridacchiò Clio “Quando mi sono risvegliata in piena notte in preda agli incubi e mi son trovata lui davanti, incazzato per chissà quale motivo, che mi ha guardato malissimo e mi ha ordinato di sparire. Proprio una bella accoglienza”.

“Sono il maestro assoluto delle belle accoglienze” mormorò Reahu.

“Ma prima di voi chi controllava tutte le cose che avete sotto dominio?” domandò Ihanez.

“Il padre di Rashnu mi ha detto che, nel caso mi venisse in mente di raccontarlo a qualcuno, mi strapperà la metà d’anima che mi è rimasta”.

“Ed io non so che sia successo a chi ci precedeva” concluse Clio, alzandosi una volta finito di consumare il pranzo.

“Torniamo al lavoro” si stiracchiò Reahu.

 

Una forte luce ed un rumore dal piano superiore mise in allarme tutti quanti. Ihanez si trasformò in uccello rapace, istintivamente, e volò sul grosso pendolo. Reahu, non potendo trasformarsi in alcun essere vivente a causa della parte d’anima mancante, divenne una statua. Clio si fece piccola, un topolino, e sparì fra le pieghe del grosso tappeto impolverato che copriva il pavimento. Hennay non capì che stesse accadendo e seguì gli ordini di Ihanez, rimanendo immobile. Passi svelti percorsero le scale. Un giovane le percorse fino alla fine. Vestito di bianco, con un blocco fra le mani su cui annotava chissà cosa,  si fermò di colpo, notando qualcosa di strano. Alzò lo sguardo.

“Bubo bubo” esclamò, fissando il grosso gufo in cui si era trasformato Ihanez “Che meraviglia di animale sei”.

Avanzò ancora di qualche passo ed il topolino Clio dovette scappare fuori per non finire schiacciato. Corse rapidamente. Il ragazzo fissò prima il topo e poi il gufo e si accigliò.

“Tu non sei un gufo” disse “Altrimenti avresti acchiappato il roditore senza esitare. Ti ho beccato, stregone. Mostrati per quello che sei”.

Hennay apparve di colpo, decisa a difendere il gruppo. Il giovane fece cadere in terra la cartelletta ed indietreggiò, spaventato dal volto terribile che quel fantasma mostrava. Quasi cadde  inciampando sulle scale, quando deglutì e, spalancando gli occhi, la chiamò per nome.

“Hennay” disse.

L’anima si calmò, guardandosi attorno senza capire.

“Come conosci il mio nome?” domandò.

“Perché lui è mio fratello” parlò il gufo, scendendo da dove stava appollaiato e mutando forma.

Tornando umano, scuotendosi dalle piume, si fermò accanto ad Hennay, di fronte a Gudis.

“Ihanez!” esclamò lo scienziato, mentre Reahu e Clio riprendevano la loro vera forma.

“Cosa ci fai qui?” domandò Ihanez.

“Cosa ci fai tu qui! E chi sono loro? E come mai Hennay è così? Credevo fosse morta”.

“Lo è. Quella è la sua anima. Sono qui solo di passaggio e loro sono abitanti della casa dove sto ora. Lui è il mio maestro, Reahu, e lei è un’amica: Clio”.

“Ciao” mormorò Reahu, muovendo il collo scricchiolante.

“Piacere di conoscerti” salutò Clio.

“E tu cosa fai qui, fratellino?” sorrise Ihanez.

“Ho appena finito l’addestramento con il mio maestro e da quel momento vengo spesso qui a fare ricerca, fra libri e materiali vari”.

“Uno scienziato che studia libri e materiali da stregoni? Per quale motivo?”.

“Che c’è di male?”.

“Niente. Ma è strano”.

“Sono il custode del sapere di questo castello. Non ci vedo niente di strano. Sono uno scienziato di quarto livello ed il mio compito e fare ricerca”.

“Ma gli altri scienziati non ti fanno storie? Così vicino al nemico…”.

“Fin ora non mi è stato detto nulla di male”.

“Beh, allora sono davvero felice che sia tu ad occuparti di questa casa. La lascerò sotto il tuo controllo allora, e potremmo anche vederci qui”.

“Ottimo. Con il tuo aiuto, la mia ricerca andrà avanti molto meglio”.

Ihanez guardò Gudis. Era cresciuto in altezza ed il suo volto ormai aveva fattezze da uomo, non più da ragazzino. Aveva la barba, i capelli raccolti e molto più lunghi dell’ultima volta in cui si erano visti. Magrolino e vestito in bianco, era una spanna più basso di Ihanez ed in comune avevano solo gli occhi. Si misero d’accordo per una ricerca in comune. Insieme, i due fratelli esplorarono la casa. Hennay seguiva Ihanez senza parlare, mentre Reahu e Clio sbirciavano qua e là.

“Tu eri uno stregone, giusto? Alcuni oggetti dovrebbero risultarti molto familiari” parlò Clio.

“Già” ammise Reahu “Ma di molti sto dimenticando lo scopo”.

“Chiedi al tuo allievo. Ripassare non fa mai male” sghignazzò lei.

“Me lo ricorderò” le mostrò la lingua Reahu.

“Lo sai? Non sei poi così stronzo come sembri” rise Clio.

“Lo sono, ma con chi lo merita, spia di Rashnu”.

“Spia?! Io per quello non farò mai più niente. Lo odio”.

“Che esagerazione!”.

“L’amore e l’odio occupano lo stesso posto nel cervello, si sta un attimo a passare da una sensazione ad un’altra”.

“Me ne sono accorto. Beh, meglio così. Prima ti liberi dalla sensazione che ti fa soffrire e prima potrai proseguire con la tua vita”.

“Sì, ma Kama e Kadesh li picchierai per davvero, giusto?”.

“Al momento giusto”.

Clio ghignò di gusto, mostrando un certo lato malvagio che fin ora aveva tentato in ogni modo di tener celato.

“Anch’io voglio volare!” esclamò Gudis, vedendo il fratello librarsi in aria fra gli scaffali dell’enorme biblioteca.

Ihanez non si girò ma mosse la mano, rivolgendola verso Gudis, e questi si sollevò.

“Come ci riesci?” esclamò lo scienziato, dimenandosi.

“Sono migliorato parecchio in questi anni. Vuoi tornare a terra?”.

“Sì, grazie. Pensavo fosse una sensazione migliore”.

Ridendo, Ihanez suggerì molti libri interessanti al fratello, che decise di portarli con sé.

“Come sei venuto qui, adesso che ci penso?”.

“Con la torre. C’è ancora lo specchio che lo collega al laboratorio del mio maestro scienziato. Da lì passo. Sfrutto la porta lasciata aperta”.

“Non pensavo fosse rimasta aperta”.

“Nemmeno io. Poi un giorno ho provato e mi son trovato qui”.

“Hai corso dei rischi”.

Gudis ignorò quell’ultima frase, perso com’era nella lettura di un volume enorme e polveroso. Con le tende tirate, per mantenere al buio i libri e non rovinarli, non si accorsero del tempo che passava. Reahu e Clio si misero a giocare a carte, con un mazzo trovato in un cassetto, ed ignorarono del tutto i rintocchi dell’orologio, inaspettatamente ancora carico. Solo dopo parecchie ore, Reahu si alzò per sbirciare fuori e si accorse che era già il tramonto.

“Dobbiamo andare” esclamò, girandosi di scatto “È tardissimo!”.

“Ma non abbiamo ancora finito!” protestò Ihanez.

“Torneremo un altro giorno. Ora andiamo”.

 

   

 

Tornarono a casa in fretta e furia, dopo aver salutato alla bene e meglio Gudis, fra le grida di Reahu che incitava il gruppo ad accelerare. La più restia a muoversi era Clio, che a braccia incrociate camminava lentamente e canticchiando. Quando arrivarono a casa, Rashnu era già rientrato e li aspettava, con aria di rimprovero.

“Ti avevo dato un ordine, Reahu” esclamò, fermo immobile al centro del corridoio.

“Chiedo perdono. Abbiamo incontrato il fratello di Ihanez e…”.

“E per questo siete rimasti fuori ben oltre l’ora stabilita? Non vi do ordini per gioco, dovreste saperlo ormai. Eppure continuate a disobbedirmi”.

“Non siamo dei bambini. Il buio non ci uccide mica!” sbottò Reahu.

“Io parlo per la vostra incolumità, non perché mi piace dare fiato alla bocca! È fondamentale rispettare gli orari in questa casa!”.

“E allora dovresti dare l’esempio” si intromise Clio “Sei tu quello che ieri ha fatto tardi e che oggi è partito tardi la mattina. Smettila di incazzarti per niente”.

Rashnu si stupì di quella reazione. Non era da Clio, non dalla Clio che conosceva lui perlomeno.

“Vuoi punirci tutti per non essere stati puntuali per cena? Sei ridicolo!” continuò lei.

“Clio, ti prego!” tentò di calmarla Ihanez ma lei non volle sentire ragioni, specie perché Rashnu continuò a rimproverare Reahu, responsabile del gruppo.

Reahu ascoltava senza ribattere, vedendo chiaramente in Rashnu anni di stress represso, che a quanto pare solo una bella fanciulla ormai riuscivano a placare. Clio scattò e, senza dare il tempo a nessuno di intervenire o reagire, tirò un poderoso schiaffo a Rashnu. Che di colpo si ammutolì.

“Non è così che ci proteggi” gridò Clio “Non è nascondendoci qui che ci dai la possibilità di vivere felici e non è costringendoci a sottostare alle tue regole che rendi migliore la nostra esistenza. È facendo finire questa stupida guerra che otterrai tutto questo. È portando la pace e permettendo ad ognuno di noi di poter camminare per strada fra le persone che potrai rendere la nostra vita felice. Io non so cosa tu sia aspettando. Tuo padre è un vigliacco. È scappato appena la situazione si è fatta un po’ complicata ed ha lasciato a te tutti i problemi. Non tornerà, se non forse quando tutto sarà di nuovo tutto bello e perfetto come vuole lui. Non arriverà a salvarci, a cambiare la situazione. Tocca a te. Tocca a noi, e finché rimarremo qui fermi a fare niente, nulla cambierà! Tu vai pure in giro a giocare con la tua nuova amichetta, divertiti, ma io non rimarrò ancora qui con le mani in tasca, chiaro? Io credevo in te, ma comincio a chiedermi se è davvero giusto che lo faccia. Probabilmente non otterrò nulla da sola, ma sono stufa di vedere le presone accanto a me soffrire mentre coloro che possono far qualcosa se ne stanno a dormire”.

Con queste ultime parole, rivolse il suo sguardo a molti di loro che nel frattempo si erano accalcati lungo il corridoio per vedere cosa accadeva. Poi si voltò e se ne andò, a passi decisi, verso la sua stanza, senza girarsi nemmeno per un istante.

“Clio ha parlato” commentò Reahu “Ah, e a me ha detto di dirti che devi andare ad impiccarti” aggiunse,  girandosi e raggiungendo pure lui le sue stanze.

Rashnu fissò Ihanez, l’unico rimasto fermo dov’era.

“Non guardare me” alzò le mani lo stregone.

Il padrone di casa non parlò. Rivolse lo sguardo verso il grande portone che portava all’ala dell’edificio di suo padre. Che fossero vere e giuste le parole di Clio? Si chiese, mentre una goccia di sangue, provocata dallo schiaffo, gli bagnava la guancia come una lacrima.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** X- cospiratore ***


X

 

COSPIRATORE

 

“Reahu!” si sentì chiamare nel cuore della notte.

Era strano che accadesse. Solitamente a quell’ora la casa era tranquilla, senza voci. Fissò con aria interrogativa Rashnu, che lo stava raggiungendo camminando lentamente.

“Qualche problema?” domandò, non vedendo altra ragione per cui il padrone di casa dovesse chiamarlo in quel momento.

“No, nessun problema. Vieni con me”.

“Non mi piace la tua faccia. Troppo seria. Cosa vuoi?”.

“Vieni con me e non discutere!”.

Reahu sospirò, capendo di non avere alternative, e lasciò che Rashnu lo facesse apparire in un luogo diverso rispetto a dove stava ora. Era isolato, lontano da ogni luce, sopraelevato.

“Che hai in mente di fare?” si allarmò Reahu, guardandosi attorno e notando l’altezza notevole dello spiazzo di roccia piatta su cui stava.

“Niente di grave. Solo divertirmi un po’, lontano da sguardi indiscreti”.

“Così sì che mi spaventi!”.

“Voglio fare un po’ di allenamento. È da tanto che non combatto”.

“Ah, combattere! Meno male, mi era sembrato…”.

“Tu pensi sempre alle cose sbagliate al momento sbagliato”.

“Hei, un momento…hai detto "combattere"?! Io contro di te?! Sei pazzo?!”.

“Cosa c’è? Qual è il problema? Hai paura che ti faccia del male?”.

“Io ho l’assoluta certezza che mi farai del male”.

“Ucciderti non rientra nei miei piani”.

“Ma potrebbe accadere accidentalmente”.

“Io non faccio mai niente accidentalmente”.

“Bene, allora potreste uccidermi fingendo accidentalità!”.

“Suvvia, Reahu. Nessuno nella nostra casa è sufficientemente potente da poter prendere il tuo posto. Ucciderti mi complicherebbe la vita non poco”.

“Voleva essere un complimento?”.

“Smettila di cianciare e datti una mossa. Prometto di essere delicato”.

“Per quel che valgono le tue promesse…”.

Rashnu si mosse rapidamente in avanti e, senza usare la magia, tentò di colpire Reahu, che però saltò all’indietro.

“Non scappare” mormorò Rashnu, con il viso incredibilmente serio e rimanendo sospeso a mezz’aria, avvolto da una lieve luce.

“Resta fermo a farti picchiare” sbottò Reahu.

Rashnu ghignò e volò verso il suo avversario, cominciando a colpirlo molto rapidamente. Reahu reagì e lo allontanò con un’ondata di magia.

“Avanti, principino. Stai solo giocando” notò Reahu, percependo chiaramente quanto bassa fosse l’energia usata da Rashnu.

“Anche tu stai solo giocando. Cosa c’è? Ti serve il permesso scritto della mamma per combattere seriamente? Avanti, fammi vedere ciò che sai fare”.

Reahu alzò le braccia al cielo, richiamando alcuni lampi che illuminarono la notte, iniziando a formare una sfera fra i palmi delle mani.

“Adoro quando mi mandi contro le stelline” sorrise Rashnu, preparandosi a ricevere il colpo.

“Brutto masochista” parlò a voce bassa Reahu, prima di espandere in un instante la piccola pallina di luce, facendola diventare enorme ed infuocata.

La lanciò contro l’avversario, che si concentrò per parare senza però considerare la contromossa del signore del cielo, che mosse rapidamente le mani verso il basso, aprendo un varco circolare nero ai piedi di Rashnu. Questi inevitabilmente vi cadde dentro, lottando con tutte le sue forze per uscirne. Reahu non oppose resistenza, invece, al risucchio che quella voragine nera stava provocando e seguì il suo capo, spingendolo sempre più all’interno del buio assoluto.

“Un buco nero? E questo quando lo hai imparato a fare?” si stupì Rashnu, sforzandosi di sfuggire dal fulcro di quella emanazione oscura che lo stava chiamando a sé.

Reahu non rispose a quella domanda e lanciò un forte raggio di luce dalla mano destra, diretto verso l’avversario, che incrociò le braccia davanti al viso per schivarlo e pararlo. Approfittando di quell’attimo di concentrazione deviata, il signore del cielo balzò all’indietro, chiudendo dietro di sé la voragine ed imprigionandovi all’interno Rashnu. Riapparso da solo sul picco di roccia, poggiò le mani sulle ginocchia, ansimando per la fatica.

“Dannato ragazzino” sbottò, cercando di riprendersi.

Non ne ebbe il tempo, perché il suo collega riapparve alle sue spalle, in un balzo, cogliendolo di sorpresa e mandandolo a terra, dopo parecchia strada trascinando la schiena.

“Credevi di potermi battere così facilmente?” esclamò Rashnu, stringendo i pugni.

“No, nemmeno per un momento” ammise Reahu, fissando preoccupato il precipizio a pochi centimetri dalla sua testa.

“Però devo ammetterlo che sei davvero bravo. Dall’ultima volta, sei migliorato parecchio”.

“Vaffanculo”.

Gemendo, Reahu si rialzò e fissò con odio quei due occhi arancio, così irritanti in quel momento da essere quasi insopportabili. Rashnu allungò il braccio destro verso colui che aveva di fronte e, a mano aperta, immobilizzò l’avversario. Reahu gridò, percependo qualcosa di freddo e pungente attraversargli il corpo. Stava richiamando la parte rimastagli di anima, tormentandola. Il signore del cielo reagì, se pur con enorme fatica, e si liberò da quella stretta.

“Solo perché hai solo mezza anima. Con lei completa, saresti stato del tutto in mio potere”.

“Almeno qualcosa a mio vantaggio”.

Rashnu sollevò le mani e portò i due bracciali che aveva ai polsi così vicini da far produrre scintille l’uno sull’altro. Sorrise e Reahu indietreggiò. Conosceva quel colpo, e non voleva averci niente a che fare.

“Preparati. Adesso faccio sul serio pure io” commentò il capo.

“Ma che state facendo voi due?!” li interruppe una voce di donna.

Rashnu fu costretto ad abbassare le braccia e rinunciare al colpo. Era Thesan, signora dell’aurora, che fissò entrambi con un certo fastidio.

“Non vedete che è l’alba? Soprattutto tu, Rashnu! Sei in ritardo. Piantatela di starvene qui a far niente ed andate a lavorare”.

“Hai ragione. Mi scuso per il ritardo” sorrise il capo, stiracchiandosi come se nulla fosse “Mi sono divertito tanto Reahu, spero di poterti affrontare presto di nuovo”.

Reahu non rispose, un po’ perché non ne aveva voglia e un po’ perché non ne aveva il fiato. Guardò il suo capo allontanarsi e fu lieto di notare che non era poi stato così privo di conseguenze il suo attacco, perché si mostrava pure lui dolorante. Ghignò e tornò lentamente verso casa.

 

   

 

Gudis sentì bussare alla porta di prima mattina. Ancora mezzo addormentato, andò ad aprire. Chi mai poteva essere così presto?

“Arrivo” disse, senza però lasciare il blocco degli appunti che stava rileggendo.

Aprì e di trovò di fronte un paio di soldati. Uno era grande grosso, dal volto in parte celato da un elmo di colore scuro, mentre l’altro era più basso e grassoccio, capelli radi e abito elegante da ufficiale in carica.

“Desiderate?” domandò il giovane scienziato.

“Siete lo scienziato di quarto livello di nome Gudis?”.

“Sì, sono io. Voi chi siete?”.

“Possiamo farvi qualche domanda?”.

“Certo. A che proposito?”.

“Preferiremmo parlarne dentro, se non vi dispiace”.

“Come preferite. Prego, entrate”.

Una volta che i tre ebbero raggiunto la saletta da tè, sedettero e, con davanti pasticcini e liquore, iniziarono a parlare. Una sorta di strano interrogatorio.

“Voi, Gudis, siete il fratello di uno stregone, da quel che ci risulta”.

“Sì, non l’ho mai negato”.

“Ed avete contatti frequenti con questo vostro fratello?”.

“No”.

“No?”.

“No!”.

“Sapete perché lo chiediamo? Vostro fratello è ricercato, questo immagino lo sappiate già”.

“Lo so bene. Pensate che io lo nasconda?”.

“No. Pensiamo che non sia molto fedele alla sua classe ed all’alleanza creatasi fra noi guerrieri e voialtri scienziati”.

“In che senso?”.

“Sappiamo da fonti certe che, oltre ad intrattenere sporadiche conversazioni con suo fratello di razza maledetta, ha frequenti contatti con quest’uomo”.

Quella frase fu accompagnata dalla comparsa di una foto. Gudis la osservò. Era Rashnu. Gudis non sapeva cosa dire, e preferì far parlare ancora i soldati.

“Questo individuo è estremamente pericoloso, molto più di quanto già non sia vostro fratello. Forse voi non ve ne rendete conto, parlandoci”.

“Non ha l’aria pericolosa” commentò Gudis, osservando la foto.

“Non fatevi ingannare dalle apparenze. Ha annientato in pochi secondi un’intera squadra d’assalto, equipaggiata con armi progettate da scienziati. E senza nemmeno fare fatica”.

“Io cosa ho a che fare con tutto questo?”.

“Sappiamo che voi conoscete questo mostro criminale. Vogliamo informazioni su di lui. Se ce le fornirete, non subirete alcuna conseguenza”.

“E se io non collaborassi?”.

“Non si rende contro della pericolosità di questa creatura?”.

“Sinceramente, reputo molto più pericolose le navi che sorvolano il cielo e che con le loro bombe sfiorano continuamente la mia casa”.

“Forse non ci siamo spiegati: voi non avete scelta. Nella vostra posizione, o collaborate e ci aiutate a catturare i due ricercati oppure passerete grossi guai”.

“Guai più grossi del farmi nemici uno stregone di quinto livello ed una creatura tanto forte da annientare i vostri eserciti?”.

“Cercate di usare la logica, scienziato. Collaborate, o saremo costretti ad arrestarla”.

“Fate pure. Io non muoverò lingua contro mio fratello. E nemmeno contro colui che voi definite un mostro criminale”.

“In questo caso…” si alzò in piedi il soldato più grosso “…vi dichiaro in arresto, scienziato Gudis. Per cospirazione e collaborazione con individui che minano l’alleanza fra classi che porterà alla vittoria contro gli stregoni”.

“Siete solo spaventati” mormorò Gudis, mentre gli venivano legati i polsi “Perché non capite come facciano certe creature ad essere molto più potenti di voi”.

“Spero di vederla presto da vicino una creatura come tu dici. La aspetteremo a braccia aperte”.

Trascinato fuori da casa propria, usando appunti e libri sugli stregoni come prova, il giovane scienziato camminò a testa alta fra la gente del villaggio che lo fissava incredula. Mai si darebbero aspettati che quel apparentemente così bravo ragazzo in realtà fosse un terrorista.

 

   

 

Ihanez aveva appena finito la colazione ed attendeva ordini da parte del suo maestro, che però non arrivavano. Trovò la cosa piuttosto strana, e si chiese dove fosse. Si guardò attorno, convinto di trovarlo in giardino a far niente, ma non fu così.

“Il tuo maestro oggi non credo sarà disponibile” gli sorrise Akerbeltz, signore degli animali.

“Perché? Che sta facendo di così importante?”.

“Dorme”.

“Come dorme?! Ma a lui non serve dormire!”.

“A tutti serve dormire dopo un allenamento con Rashnu”.

Ihanez preferì non approfondire, anche se era proprio curioso di vedere il terribile Reahu addormentato come un bimbo fra le lenzuola scure.

“Oggi ti darò io dei compiti” proseguì Akerbeltz “Se ti va bene”.

“Mi va benissimo” sorrise lo stregone, impaziente di imparare cose nuove e felice all’idea di fare addestramento con Lahar.

“Ottimo”.

La nuova arrivata era a braccia aperte, poco distante, circondata da piccoli uccellini variopinti. Li faceva volare in formazione, in cerchio, attorno al giardino.

“Wow” commentò Ihanez “Che brava”.

“Puoi dirlo. Quelli sono piccoli delle nuove covate e presto darà loro l’ordine di volar via dal giardino, raggiungendo il resto del mondo”.

“Ed io cosa vuoi che faccia?”.

“Prova a convincerne anche solo uno di loro ad andarsene da qui ed avrei ottenuto un gran risultato”.

Ihanez si avvicinò a Lahar, che non gradì molto l’intrusione perché gli uccellini non reagirono in modo positivo davanti a quell’intruso e lei dovette raddoppiare gli sforzi per controllarli.

“Su quel nido lassù…” iniziò a parlare lei, indicando uno degli alberi più alti “…c’è ancora un pulcino che non vuole saperne di uscire di casa, mentre le uova della nuova covata son già state deposte. Fra qualche giorno si schiuderanno e lui deve essere già partito per la migrazione”.

“Ma vola?”.

“Vola benissimo. Ma non ha voglia di lasciare la mamma. Dagli una spinta”.

“Va bene”.

“E vedi di non spaventarlo”.

Lo stregone salì cautamente lungo i rami dell’albero, attento a non fare troppo rumore. Si affacciò fra i rami e vide il nido. Sul bordo di esso, un grasso e paffuto uccellino dai molti colori se ne stava fermo, a palla, son le ali serrate lungo il corpo. Nel nido, tre piccole uova rosate brillavano, momentaneamente lasciate senza custodia dalla madre. L’uccellino fissò Ihanez e non si mosse.

“Ciao” salutò lo stregone “Pelandrone. Sai che è tempo di migrare? Tempo di trovarsi una nuova casa, altro che scroccare cibo e letto ai tuoi. Dai, su, vola dagli altri”.

L’uccellino ciccione spalancò la bocca, probabilmente chiedendo cibo.

“Dai. So che sai volare, e pure bene”.

Ihanez provò a muovere le mani, non troppo rapidamente, in modo da far unire il volatile obeso al resto dello stormo, ma questi non si mosse di un solo centimetro, se non per provare a beccargli la mano. Lo stregone sospirò, indeciso sul da farsi.

“Hai paura? Vedila così: se rimarrai qui con mamma per sempre, nessuna uccellina ti vorrà mai. Sei maschio, giusto? Non ti interessano le uccelline?”.

Lo scansafatiche ignorò quella frase e si mise più comodo sul nido, muovendo il sedere.

“Sei irritante. Parecchio irritante” commentò Ihanez.

Pensò che forse un incantesimo avrebbe potuto aiutare e, reggendosi alla bene e meglio ad un grosso ramo, allungò la mano verso il nido. Si concentrò ed una luce verde lo avvolse. Chiuse gli occhi e li riaprì quando udì uno scricchiolio. Proveniva dalle uova.

“Hei! Io non ho detto proprio niente a voi tre!” esclamò.

“Che combini?!” si allarmò Lahar “Non avrai mica rotto le uova?!”.

“Beh…ecco…io…”.

Lei raggiunse in fretta il nido e rimase senza parole. Le uova si erano schiuse, con giorni d’anticipo, e mostravano dei pulcini perfettamente formati.

“Forse sono errati i calcoli di nascita” provò a dire lei.

“Che succede?” domandò Akerbeltz, ai piedi dell’albero.

“Le tre uova si sono schiuse” spiegò Lahar.

“Impossibile. Manca quasi una settimana al completamento della cova”.

“Sicuro?”.

“Assolutamente”.

“Però qui ci sono tre pulcini affamati”.

Akerbeltz raggiunse i due apprendisti e rimase piuttosto sconcertato.

“Sei stato tu?” domandò, rivolto a Ihanez.

“Temo di sì. Mi spiace”.

“Come hai fatto?”.

“Io volevo dare un po’ di energia a quel ciccione scansafatiche mammone ma devo aver sbagliato qualche cosa e…”.

“Quando lo saprà Rashnu…”.

Ihanez guardò Akerbeltz allarmato e solo in quel momento il signore degli animali notò che lo stregone temeva di aver commesso un atto punibile.

“Stai tranquillo! Ciò che hai fatto è buono, non avrei conseguenze negative per questo”.

“Davvero?”.

“Certo. È straordinario”.

“Dite sul serio? Non ho sbagliato?”.

“No”.

“Però quel dannato uccello mangione non si è mosso…”.

“Lascia che ci pensi la mia giovane allieva a lui”.

Lahar mosse un dito, e l’uccellino la raggiunse volando, andando poi ad unirsi allo stormo in partenza. Il tutto senza alcuna titubanza.

“Ma come hai fatto?! Quel maledetto ha provato solo a mangiarmi le dita prima!”.

“Ad ognuno il suo campo. Io non so far schiudere le uova prima del tempo” ridacchiò lei.

Tutti e tre tornarono a terra ad Akerbeltz, con movimenti precisi, diede agli uccelli l’ordine di lasciare il giardino e sparpagliarsi per il mondo. Tutti i volatili della foresta attorno alla casa seguirono lo stesso ordine e si unirono, formando una nube di ali colorate. Ihanez fissò il tutto con incanto, volendo per un istante trovarsi fra di essi. Invidiò Lahar. Lei aveva capito qual’era la sua capacità e la stava allenando al massimo, divenendo sempre più brava. Anche se non capiva il perché dell’esistenza di due persone dalle abilità quasi identiche, com’erano lei ed Akerbeltz.

“A che pensi?” sorrise lei.

“A niente in particolare” mentì lui.

“Il tuo potere è dunque per davvero la vita” parlò Egres, silenzioso spettatore di tutta la scena.

“Il mio potere? La vita? Ma che state dicendo?” inclinò la testa Ihanez.

“Solo chi possiede il dono della vita può compiere certi cambiamenti nell’ordine delle cose”.

“Ma io credevo che il padre di Rashnu possedesse la capacità legata alla vita”.

“No. Tuo padre possiede quel potere. Ed il fatto che tu lo possieda a tua volta può voler dire due cose: le vostre forze si equipareranno, e governerete un giorno la stessa capacità assieme, come sta succedendo ad Akerbeltz e Lahar, oppure lui si sta spegnendo, trasferendo così l’intero potenziale e controllo a te”.

“E come si fa a capire quale delle due cose sta accadendo?”.

“Per ora puoi stare tranquillo. Il tuo risveglio non è ancora completo. Poi immagino si vedrà in base al potere che acquisirai. La vita è una forza spaventosa, più forte di quella della maggior parte di noi. Se risiederà solo in te, lo noteremo”.

Ihanez non sapeva se esserne spaventato o lusingato.

“Non vedo l’ora di vedere la faccia del tuo maestro quando la saprà. Addestrare la vita non è affatto semplice, anche perché, come tale, deve per forza incontrare anche la morte”.

“Chi deve incontrare la morte?” borbottò Reahu, spuntato pigramente alle spalle del suo allievo, che sobbalzò per la sorpresa.

“Hai per allievo il futuro signore della vita” spiegò Egres.

“Questo è tutto da vedere. Finché non si risveglierà del tutto, non potremmo mai saperlo con certezza e, sinceramente, preferirei non lo fosse. È una gran bella rogna governare la vita, soprattutto in quest’era di eterna guerra”.

“Non poteva, però, scegliersi maestro migliore. Tu sei stato addestrato da Ipalnemoa” commentò Akerbeltz, ricordando vagamente il padre di Ihanez.

“Me lo ricordo. Come ricordo la disperazione negli occhi del mio mentore, dopo che ogni giorno si sforzava di combattere contro un destino già stabilito. Ogni giorno vedeva la morte prendere sempre più il sopravvento su ciò che lui rappresentava, per colpa della guerra. Non auguro a nessuno un percorso simile”.

“La guerra finirà. Non può durare in eterno” parlò Egres.

“La stessa cosa me la sono sentita dire non so quante volte negli ultimi duecento anni”.

“Devi cercare di essere più ottimista”.

“Ti auguro di avere sempre accanto a te qualcosa o qualcuno a cui aggrapparti per alimentare continuamente il tuo ottimismo, amico mio. E adesso, se non vi dispiace, credo che al mio allievo non faccia male fare qualche esercizio in più”.

 

   

 

“Io ve lo ripeto: non vi dirò niente” ripeté, per l’ennesima volta, Gudis.

Con le mani legate dietro alla schiena, veniva interrogato da ore da un gruppo di soldati.

“Vedo che hai proprio intenzione di farci passare alle maniere forti!” borbottò uno dei guerrieri, non vedendo altre alternative.

Quel ragazzo doveva parlare, ne andava della sopravvivenza della loro classe, ma non voleva collaborare. Perciò, non vi era altro modo se non quello usare metodi non troppo gentili.

“Passare un po’ di tempo in cella ti aiuterà. Sarai in buona compagnia” sbottò, facendolo trascinare via lungo i corridoi grigi e umidi della prigione.

Giunti in fondo al corridoio, davanti alla cella più buia ed inquietante, Gudis vi venne buttato dentro, con i polsi ben stretti e senza molta cortesia.

“Non vi dirò nulla lo stesso” gridò, convinto.

Non si accorse subito che, con quel grido, aveva risvegliato il suo compagno di cella, un energumeno grande e grosso condannato per omicidio plurimo. Quando lo vide, lo scienziato tentò di farsi il più piccolo possibile, per non disturbare, ma quell’uomo aveva decisamente bisogno di sfogarsi e quel giovane ragazzino biondo pareva proprio far al caso suo.

 

   

 

Al tramonto, Rashnu tornò a casa con l’aria più stanca del solito, probabilmente a causa dell’allenamento extra che aveva voluto fare prima dell’alba. Si guardò attorno. Quante facce allegre! Che cosa strana…

“Dove sono Ihanez, Reahu e Clio? Devo parlare con loro” parlò, rivolto ad Egres.

“Li vado a chiamare. Credo che anche loro avranno qualcosa da dirvi”.

Maestro ed allievo arrivarono assieme e Clio subito dietro.

“Devo parlarvi” esordì Rashnu “Ma mi è stato detto che anche voi avete qualcosa da dirmi”.

“Sì” sospirò Reahu “A quanto pare il signorino qui presente ha in sé il dono della vita”.

Il padrone di casa fissò Ihanez negli occhi e sorrise, congiungendo le mani davanti al viso.

“Futuro signore della vita? Oh, Ihanez, non sai quanto io sia felice e non puoi immaginare quanto io abbia sperato in questo. Ti sei risvegliato?”.

“Non del tutto, ma ho fatto schiudere delle uova prima del tempo con bei pulcini paffuti”.

“Sembri scettico. Qualcosa non va?”.

“Bah, non mi sembra di aver fatto poi una gran cosa. Tutti qui a dirmi che è stato straordinario ma io non vedo questa gran straordinarietà”.

“Credi che dar energia vitale ad una creatura in modo da farla crescere e nascere non sia una cosa straordinaria? Pensi che ognuno di noi ci riesca?”.

“Non è così?”.

“No, certo che no. Non ne sei convinto, lo vedo dalla tua faccia. Vedrai che con il tempo te ne convincerai. Ora, veniamo a noi. Seguitemi in stanza, vorrei parlarvi in privato”.

I tre si fissarono e poi seguirono il padrone di casa lungo il corridoio, fino a giungere nella camera di lui, chiudendosi la porta alle spalle. Furono fatti sedere ed accomodare.

“Che succede? Che abbiamo combinato?” domandò Reahu.

“Voi niente. Si tratta di Gudis, il fratello di Ihanez”.

“Che gli è successo?” si allarmò lo stregone.

“È stato arrestato”.

“Arrestato?! E per cosa?!”.

“Per cospirazione. A quanto pare, qualcuno lo ha visto parlare con te e con me, considerati dei criminali, e quindi pensano che sia una sorta di protettore di terroristi. Lo hanno imprigionato per avere informazioni a riguardo. Per ora non ha parlato, ma mi darebbe parecchio fastidio se lo facesse. Non so se mi spiego…”.

“Che problema c’è? Andiamo là e lo liberiamo, non sarà difficile” parlò Reahu.

“Mi aspetto discrezione. Non agitiamo ulteriormente le acque. Sono certo che saprete usare la giusta persuasione affinché la cosa non si ripeta, ma lascio a voi la libera scelta di quale quantità usarne”.

“Giusta persuasione?” ripeté Ihanez, inclinando la testa, notando il ghigno sul viso del maestro e lo sguardo serio di Rashnu.

“Sì, persuasione” gli sorrise Reahu “In pratica ci ha appena dato il permesso di spaccare culi”.

“Detto volgarmente” annuì Rashnu, sempre con espressione seria “Non voglio che vengano trapelate informazioni su di noi non necessarie fra i monoclasse. E ovviamente non voglio che Gudis venga ulteriormente importunato solo perché possiede parte del sangue di Ihanez. Qui sopra vi ho scritto il luogo esatto e sono riuscito ad ottenere una piantina del posto. Mi aspetto un pieno successo ed un ritorno in tempi brevi”.

“Fidatevi di noi” si alzò Reahu “Quando abbiamo il permesso di partire?”.

“Quando lo riterrete necessario. Non vi do limiti di orari o obblighi di sorta”.

I tre annuirono ed uscirono dalla stanza, parlando fra di loro per decidere il da farsi. Un gruppo di soldati teneva prigioniero Gudis, probabilmente torturandolo. Dovevano agire il prima possibile.

“Ihanez, se sei pronto, possiamo partire già ora. La notte sarà nostra alleata” parlò Reahu, battendo il pungo contro il palmo della mano opposta, mostrando di avere una gran voglia di passare all’azione.

“Ma non sei stanco? L’allenamento con Rashnu…” iniziò Clio, ma il signore del cielo la zittì, dicendole che andava tutto bene.

“Io sono pronto” annuì Ihanez, pieno di rabbia al solo pensiero che qualcuno potesse far male al suo adorato fratellino.

 

   

 

Nel buio della notte, quella cella pareva ancora più tetra. La lieve luce della Luna filtrava fra le sbarre, proiettando ombre sinistre sulle pareti. Gli era stato detto che sarebbe uscito di prigione in qualsiasi momento, gli bastava collaborare. In caso contrario, sarebbe morto lì dentro. Sospirò. Forse suo fratello e Rashnu potevano cavarsela benissimo anche in caso di informazioni in più fornite ai soldati, si ritrovò a pensare. Un topo gigante si stava mangiando la sua cena, con soddisfazione. Gudis si limitò a fissarlo, sapendo che quello schifo non lo avrebbe mai mangiato. Forse doveva davvero iniziare a parlare…

 

“Penso possiate rimanere qui” parlò Ihanez, a pochi passi dalla prigione “Me la cavo da solo contro questi quattro soldatini”.

“Come preferisci” annuì Reahu “Noi saremo qua fuori, nel caso ti servisse aiuto. Non fare troppo casino, mi raccomando”.

“Tranquillo, non lascerò testimoni”.

Detto questo, lo stregone si materializzò all’interno dell’edificio, ignorando le guardie all’ingresso e  gli spessi muri che separavano i detenuti dal resto del mondo. Apparve lungo il corridoio, di fronte alla cella del fratello. Avrebbe potuto afferrargli la mano e portarlo fuori, senza lasciare traccia, e sparire, ma c’era una cosa che quelle persone lì dentro dovevano imparare: nessuno poteva far del male alle persone a lui vicine.

“Chi sei tu?” esclamò una guardia, vedendoselo apparire a pochissima distanza.

“La tua fata madrina” mormorò Ihanez, allungando un dito verso quell’uomo, che venne scaraventato contro la pesante porta in metallo pesante, che gli fracassò il cranio e buona parte delle ossa in un istante.

“Ihanez?” si stupì Gudis “Come sei entrato?”.

“Importa davvero? Dai, andiamo”.

“Io…ho detto loro delle cose, Ihanez. Non tutto, ma…”.

“Non importa. Saprò rimediare, prendi la mia mano”.

Gudis annuì e fece per allungare la mano verso il fratello ma questi si ritrasse, vedendo altri soldati correre verso di loro.

“Stai indietro” suggerì e si preparò a colpire di nuovo.

Poggiò una mano lungo la parete e questa si mosse. Le sbarre delle varie celle si piegarono in avanti, rapidamente, trafiggendo quegli uomini che ora sapevano troppo. Se era vero che Gudis aveva parlato, allora nessuno doveva uscire vivo, o con una memoria decente, da lì. I detenuti iniziarono ad uscire. Anche loro avevano visto e sentito troppo. Mosse entrambe le mani e le sbarre si storsero in forma opposta, colpendo coloro che stavano dall’altro lato. Ora il corridoio era deserto, costellato di cadaveri e dipinto del color rosso vivo del sangue. Aprì la cella di Gudis, che lo fissò piuttosto spaventato.

“Andiamo. Esci di lì. Io controllo chi altro è rimasto qui dentro”.

Gudis non si mosse ed osservò il fratello correre via lungo il corridoio, accartocciando le porte di metallo come fossero di carta velina.

 

Reahu e Clio, rimasti fuori, notarono immediatamente il gran movimento che si stava creando all’interno. Le guardie all’ingresso raggiunsero i loro compagni per difendere quella fortezza e qualcuno provò a scappare via. Sfortunatamente per loro, all’uscita c’era Reahu ad aspettarli, che li ricacciò dentro facendoli volare oltre l’alto muro a suon di cazzotti. Era quasi del tutto nero, segno che quegli esseri lo stavano davvero irritando. Ihanez uscì non molto dopo, seguito dal fratello, con abiti da soldato, che ormai non ragionava più da quanto era spaventato.

“Clio, pensa tu a lui” parlò Ihanez “Reahu, dammi una mano e buttar giù questo abominio dell’architettura”.

“Vuoi farlo passare per un crollo accidentale?”.

“Se sono così stupidi da crederlo…ad ogni modo, no. Voglio semplicemente coprire le tracce. All’interno ho vestito una guardia con gli abiti di mio fratello, così da far credere che sia morto in quel luogo. Dopo il crollo, i corpi non saranno un granché identificabili se non dopo lungo tempo e parecchio lavoro da parte degli scienziati più bravi. Così Gudis avrà modo di riorganizzarsi l’esistenza e sarà al sicuro, almeno per un po’. Che ne dici?”.

“Dico che mi piace abbattere gli edifici. Diamoci da fare”.

Per amplificare ancora di più la difficoltà d’identificazione dei corpi, Reahu creò una piccola stella e la lanciò per i corridoi, dando fuoco ad ogni cosa. I pochi sopravvissuti gridarono, bruciando vivi. Ihanez non si era mai sentito così pieno di energia. Luci bianche ed azzurre lo circondavano, divenendo parte integrante della sua magia, e questo lo facilitò nel suo compito di abbattimento dell’edificio. La stella creata da Reahu lo sfiorò e sfrecciò dal suo padrone, per ruotargli attorno acquistando velocità. Poi volo veloce verso uno dei muri principali, distruggendolo. Ihanez toccò le pareti e sciolse i legami che tenevano unite le pietre di cui erano composte, facendole crollare. Con una reazione a catena, l’edifico si accasciò su se stesso, lasciando in piedi solo un piccolo muro, che i due distruttori decisero di mantenere intatto per puro gusto estetico. Fatto questo, raggiunsero Clio e Gudis. Lei teneva il viso del ragazzo fra le mani e, fronte contro fronte, ad occhi chiusi, lo aveva circondato di luce. Questo faceva sì che i ricordi di Gudis si attenuassero, si facessero meno dolorosi e spaventosi.

“Hai fatto la stessa cosa quando sono arrivato in casa, giusto?” domandò Ihanez e lei annuì.

“Certi ricordi ti avrebbero schiacciato, impedendo il risveglio di certe capacità. Posso sciogliere quella barriera, se lo desideri”.

“No. Non credo che lo sopporterei”.

Solo in quel momento, Ihanez si accorse che il suo maestro si era steso in terra.

“Che hai?” domandò.

“Forse aveva ragione Clio: dovevo riposare ancora un pochino” ghignò Reahu, sfinito.

Lo stregone si fissò le mani. Ancora brillavano di luce ed energia. Istintivamente, la diresse verso il suo mentore, che luccicò per qualche istante e poi si mise a sedere di scatto.

“Che mi hai fatto?!” volle sapere.

“Non lo so. C’è questa energia attorno a me adesso, e ne ho data una parte a te”.

Reahu si rialzò. L’energia che sentiva dentro di sé era strana, scorreva rapida a riempire dei vuoti, solleticando e provocando una sorta di corrente che leniva un dolore che da troppo teneva dentro di sé. Era come se quel flusso aiutasse a far star meglio anche la parte di anima che gli era rimasta.

“Vi ringrazio. E mi dispiace di aver parlato” mormorò Gudis.

“Eri spaventato. Volevi di nuovo la tua libertà e la tua vita. È l’istinto” lo accarezzò Clio dolcemente, risvegliando in lui bei ricordi che lo fecero stare meglio.

“Qualcuno è uscito di qui dopo che hai parlato, che tu sappia?” volle sapere Ihanez.

“No. Il comandante doveva partire la mattina seguente a riferire ogni cosa ma immagino che ora non lo possa più fare”.

“Mmm…no, con la testa conficcata su per una sbarra di ferro lo dubito fortemente”.

“Ed ora cosa farò? Mi verranno a cercare ancora”.

“Finché ti crederanno morto, no. E lo penseranno per un sacco di tempo, sempre che tu non compia gesti affrettati o stupidi”.

“Bene. Nel frattempo troverò un buon posto dove rimanere nascosto e continuare le mie ricerche”.

“Posso schermare il castello del mio antico maestro. Creare un’illusione in cui gli intrusi cammineranno mentre tu solo ci vivrai davvero, fra le sue stanze ed i suoi archivi, e nessuno ti vedrà. Così non correrai rischi”.

“Puoi fare una cosa del genere?!”.

“Certo. Ed in modo permanente. E se Reahu mi aiuterà, la cosa funzionerà ancora di più”.

“Ti aiuterò” rispose Reahu “Certe cose non mi capita di farle tanto spesso ed una distorsione dello spazio è una di queste”.

“Ma gli strumenti degli scienziati non lo riveleranno?”.

“Siete anni luci indietro come tecnologia per poter rilevare cose del genere, tranquillo” commentò il maestro, tornato gradatamente al suo solito colore di pelle.

“Bene. Allora andiamo” sorrise Clio.

“Ma sì, chissenefrega! Abbiamo appena fatto una strage e via, ce ne andiamo trullallando felici!” rise Reahu, facendo immobilizzare Clio e Ihanez.

“Reahu! Ridi!” esclamò Clio.

Il signore del cielo si fermò a sua volta, riflettendoci. Com’era possibile? Parte della sua anima ancora mancava, lo sentiva chiaramente, eppure aveva appena riso.

“Si vede che uccidere mi mette di buon umore” commentò, mascherando il suo stupore “Andiamo”.

“Fermi dove siete!” li intimò una voce femminile alle loro spalle.

“Che altro c’è adesso?! Che palle!!” sbuffò Reahu, voltandosi.

Un gruppo di stregoni li stava fissando. La donna al centro di esso sollevò il bracciò e spedì legami di luce rossa verso gli intrusi che però Ihanez intercettò e riuscì a disperdere con un solo gesto della mano, lanciando occhiate di sfida. Si era messo davanti a tutti gli altri, pronto a reagire.

“Randoeku” parlò la donna, piuttosto stupita.

Da quanto tempo Ihanez non udiva il suo nome da stregone! Quella donna era una di quelle presenti all’ultimo esame che aveva affrontato

“Ti credevamo morto” continuò la donna.

“Pare sia piuttosto difficile eliminarmi”.

“Vogliamo quel ragazzo, consegnacelo”.

“Mai”.

“Sappiamo che è tuo fratello. Non gli verrà fatto alcun male”.

“Perché lo volete?”.

“Per metterlo al sicuro”.

Ihanez non ci credeva, nemmeno un po’. Evidentemente pure loro volevano informazioni su Rashnu e su altre creature con cui suo fratello poteva essere venuto in contatto.

“Se non vuoi collaborare, allora saremo costretti ad attaccarti, Randoeku. E ti ricordo che tutti noi abbiamo sperato l’esame finale e, di conseguenza, i nostri poteri superano di molto i tuoi”.

“Questo è tutto da vedere” ghignò Ihanez, in realtà piuttosto intimorito all’idea di affrontare un intero gruppo di stregoni di livello massimo.

“Te la cavi da solo? Ti lasciamo divertire?” domandò Reahu.

“Non ci credo!” esclamò uno degli stregoni, quello dall’aria più anziana “Garihan!” parlò indicando Reahu con dita tremanti.

Il signore del cielo lo fissò con aria interrogativa.

“Ero solo un bambino l’ultima volta che ti ho visto. Sei venuto spesso alla biblioteca di mio padre, prima di sparire”.

“Vagamente ricordo. Il mio nome da stregone dubito lo sappia qualcun altro al di fuori di te”.

“Ti osservavo con ammirazione. È grazie a te che son diventato quel che sono”.

“Uno stregone sanguinario, pronto ad uccidere un ragazzo pur di avere le informazioni che gli servono? Non credo di aver mai suggerito questo”.

“Come sei rimasto così? L’esame finale non lo hai mai affrontato”.

“Non ne ho mai avuto bisogno”.

“E la tua capigliatura è ancora blu. Tutti noi stregoni, con il passare del tempo, diventiamo bianchi di capelli. Tu no. E son passati quasi due secoli”.

“Questo perché voi umani di classe singola siete destinati a consumarvi. Invecchiate lentamente dall’interno, finché anche all’esterno se ne mostrano i segni, come capelli bianchi e dita tremanti. Poi, un giorno, non siete più in grado di sostenere gli anni trascorsi e vi spegnete. È così che vanno le cose”.

“E per te non vanno così? Sei anche tu come noi”.

“Io non ho nulla da spartire con voialtri”.

Il colore della pelle di Reahu stava mutando in fretta, e lo stregone indietreggiò. Il cielo si annuvolò ed un paio di fulmini illuminarono la notte.

“Divertiti, Ihanez” mormorò Reahu “Fai vedere loro quanto misera è la magia che governano”.

L’allievo annuì al maestro e si concentro per qualche istante, troppo in fretta per permettere agli stregoni avversari di reagire. Furono avvolti da un’onda di magia luminosa che iniziò a bruciarli dall’interno.

“Vi consiglio di sparire. Quello è il mio colpo più debole” parlò Ihanez, stupendosi della differenza di energia fra lui e loro.

La donna al centro non si fece sopraffare così in fretta e reagì, gridando, e scagliando a sua volta contro Ihanez un’onda di magia. Lo stregone la respinse muovendo semplicemente un dito. Contrattaccò subito, con un colpo che mandò gli avversari a terra.

“Ma tu chi sei?” mormorò la donna, spaventata, mentre Ihanez le andava accanto e la fissava con aria minacciosa.

“Io? Sono l’essere più rassomigliante ad un Dio che hai mai incontrato” fu la risposta dello stregone, che le puntò il dito contro.

Lei gridò ed un’intensa luce le uscì dagli occhi, avvolgendosi attorno alla mano di Ihanez. Era morta, così come erano morti tutti gli altri.

“Bene. Possiamo andare” parlò l’allievo, mentre il maestro lo fissava con orgoglio.

Dopo pochi passi, Ihanez si fermò di nuovo e si voltò. Le essenze, le anime, dei morti se ne stavano lì, ferme, in attesa.

“Non è compito nostro, ragazzo” lo richiamò Reahu, sfiorandogli la spalla “Andiamo”.

 

   

 

Quella mattina, all’alba, Reahu attese paziente il risveglio di Rashnu.

“Mi avete lasciato del lavoro da fare, immagino” mormorò il padrone di casa, appena lo vide.

“Sono successe delle cose piuttosto singolari”.

“Racconta. Ho ancora un po’ di tempo”.

“Ihanez sta aumentando le sue capacità, e la sua energia, in fretta”.

“Gudis è salvo? È al sicuro?”.

“Al sicuro. In una distorsione spaziale del castello dove un tempo Ihanez viveva”.

“Ottimo. Tutto a posto?”.

“Tutto a posto. Però sono un po’ perplesso”.

“Perplesso? Tu? E per quale motivo?”.

“Ero sfinito e Ihanez mi ha trasmesso parte della luce che aveva addosso, rinvigorendomi”.

“Luce? Che tipo di luce?”.

“Bianca ed azzurra, molto intensa ed in continuo movimento. E questo, oltre a farmi stare meglio…mi ha fatto ridere”.

“Ridere? Senza parte dell’anima?”.

“È stato proprio questo a lasciarmi perplesso”.

“È stato un episodio isolato?”.

“Isolato. Ma è successo”.

Rashnu allungò il braccio e poggiò la mano sul petto di Reahu. Si illuminò ed il padrone di casa rimase in silenzio, immobile in quella posizione per alcuni secondi.

“Vita. Energia vitale pura e pulsante. Ecco cosa ti ha donato. Questo deve aver interagito con l’anima tua martoriata, provocando quella risata. Le ha donato sollievo, per qualche istante, e per questo sei riuscito a ridere”.

“Sembra una cosa buona, eppure la tua faccia non indica niente di bello”.

“Sono preoccupato. Se un tale potere si sta risvegliando in Ihanez, potrebbe significare che Ipalnemoa ci ha lasciati, o si sta gradatamente spegnendo in modo definitivo”.

“Intendete dire che Ipalnemoa potrebbe essere morto?”.

“Non mi è dato saperlo, ma se il tuo allievo ha acquisito così in fretta una tale energia, devo dedurre che il custode del potere della vita non è più in grado di governarlo come un tempo”.

“Capisco”.

“Non farne parola con il ragazzo. Potrebbe portarlo a reprimersi in qualche modo, per non togliere potere al padre. Si deve risvegliare, e prima lo farà meglio sarà”.

“Non ne parlerò”.

“E tienilo d’occhio. Non vorrei che ci trovasse troppo gusto nel dare la morte, dimenticando che il suo potere è la vita”.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** XI- intrusi ***


XI

 

INTRUSI

 

“Ma che fai?! Dormi in piedi?! Datti una mossa!” gridò Akerbeltz.

“Passa qui!” esclamò Lahar, correndo, e le arrivò la palla.

Stringendola forte a sé, continuò a correre verso il lato opposto del prato.

“Ihanez! Non fare il carino solo perché è una donna! Fermala!” ordinò Reahu, notando che il suo allievo le era molto vicino.

Lo stregone scattò in avanti e cercò di afferrare la ragazza, che si dimostrò parecchio veloce. Egres intervenne, riuscendo a sottrarre la palla all’allieva e passarla a Reahu, abbastanza vicino alla linea avversaria per sperare di fare un punto. Già questi si preparava a lanciare, che si sentì afferrare per la gambe e, sbilanciato, cadde in avanti, tenendo la palla sotto la pancia.

“Molla la palla!” si sentì dire da Clio, colei che lo aveva ribaltato e che ora sedeva sulla sua schiena.

“Non credo sia molto regolare” borbottò Fides, che faceva da arbitro.

Reahu si dimenò fino a riuscire a rialzarsi, con Clio che gli teneva un braccio attorno al collo, mentre con l’altro tentava di recuperare la palla.

“Tork!” gridò Reahu, calciandogli la sfera colorata.

“No!” esclamò Clio.

“Forza, ragazze!” le incitò Tate, guardiano della postazione della squadra di Lahar e Clio.

“Muovete il culo!” fu la frase, molto meno incoraggiante, di Kama.

Tork corse, braccato dalle donne. Si guardò attorno e lanciò verso Ihanez.

“Non passerai!” lo indicò Nininsina, pronta ad usare qualsiasi mezzo pur di fermare l’avanzata avversaria e recuperare la palla.

L’unica regola di quel gioco era di non usare la magia ed i propri poteri. Per il resto valeva tutto. Per questo, quando partì in scivolata a gamba tesa verso il futuro signore della vita, nessuno ebbe alcunché da ridire. Ihanez saltò, per evitare quell’attacco indesiderato, ma facendo questo si distrasse e permise a Lahar di rubargli la preziosa sfera.

“Qui! Passala a me!” gridò Clio, ancora arrotolata attorno al collo di Reahu.

“Lasciami! Scendi da lì!” si dimenò lui, mentre lei tentava di coprirgli gli occhi per non fargli intercettare la palla.

All’ultimo secondo, si rizzò tutta ed afferrò la sfera, muovendosi poi velocissima e, senza lasciare il tempo a Kama di capire cosa stesse succedendo, segnò il punto.

“Sì!” alzò le braccia al cielo Lahar.

Clio scese dal suo trespolo umano e corse ad abbracciare la sua squadra.

“Abbiamo vinto!” canticchiò Lahar, sfottendo gli avversari, che si fissarono fra loro cercando qualcuno a cui dare la colpa.

“Reahu” chiamò Rashnu, appena tornato dal suo solito giro alle prime ombre del tramonto “Puoi venire con me un secondo, ora che hai finito di perder tempo?”.

“Sì, vostra maestà” ghignò il signore del cielo, evidentemente sarcastico.

“Vi abbiamo stracciato!” mostrò la lingua Clio, mentre Reahu si allontanava dietro al padrone di casa, rispondendo alla provocazione con una smorfia.

 

“Cosa c’è che non va adesso?” mormorò Reahu, una volta che lui e Rashnu rimasero soli in stanza, soffermandosi a pensare che una cosa del genere accadeva sempre più spesso.

“Domani porta il tuo allievo da Beher” si limitò a dire Rashnu, togliendo il mantello nero.

“Alla  baia? Ok, è uno dei percorsi che deve affrontare”.

“Vorrei consegnassi una cosa al signore del mare” riprese Rashnu, aprendo un cassetto.

“Cos’è?”.

“Un piccolo promemoria su quali sono i suoi doveri. Da troppo tempo non ho sue notizie, e non mi risulta che fosse questo il nostro accordo”.

“E se si arrabbia e poi non fa fare niente al mio allievo?”.

“Trova il momento giusto per consegnarglielo”.

“Capito”.

“Ora va pure, giocherellone. Fatti una doccia prima di venire a cena”.

“Certamente, mamma”.

“E domani portati anche Clio e la nuova arrivata”.

“E perché?”.

“Clio controllerà che non facciate casino ed Akerbeltz, il maestro di Lahar, mi serve domani. Ho un po’ di cose da sistemare fra i miei cuccioli”.

“Ok. Basta che non inizino a darmi problemi, perché altrimenti li riporto tutti a casa”.

“Sei tu il più vecchio, prenderai le decisioni che riterrai più adatte. E lascia Hennay qui”.

“Ihanez non sarà d’accordo”.

“Sinceramente, Ihanez ancora non è in grado di capire cosa è meglio per lui. Nel caso vi dovesse capitare di incontrare gente esterna agli abitanti della casa, un’anima libera che vi passeggia a fianco sarebbe qualcosa di problematico da spiegare. Meglio resti qui”.

 

“Tutto ok? Non sarà mica incazzato perché stavamo giocando?” mormorò Ihanez, asciugandosi i capelli una volta uscito dalla doccia.

“No, tranquillo. Preparati. Domani mattina presto partiamo per il mare” rispose Reahu, cercando in un armadio blu un asciugamano.

“Il mare?!”.

“Sì, hai presente? Grande, blu, bagnato…”.

“So cos’è il mare!”.

“Dalla faccia che avevi, non sembrava”.

“Perché andiamo al mare?”.

“Perché così farai il tuo piccolo addestramento anche con il signore di quel luogo”.

“Oh. Bello”.

“Non sembri convinto”.

“L’acqua non è il mio elemento”.

“A me lo dici?”.

Maestro ed allievo si fissarono e Ihanez sorrise. Era da tanto di quel tempo che non andava in spiaggia che aveva del tutto dimenticato la sensazione che dava la sabbia e l’aria salmastra.

“Ed avvisa anche Clio e Lahar. Verranno con noi”.

“Perché Lahar?”.

“Il capo ha parlato”.

Ihanez non insistette. Gli ordini di Rashnu quasi mai li capiva, perciò era inutile chiedere spiegazioni. Uscì dalla stanza, lasciando che il suo maestro si lavasse, ed attese Clio e Lahar, per avvisarle dei programmi.

 

   

 

L’espressione di Clio, di fronte alla distesa d’acqua, non era per nulla felice. Al contrario, si mostrava accigliata e contrariata. Zaino in spalla, rimase immobile a fissare l’orizzonte, togliendo solo i sandali per non riempirli di sabbia.

“Clio! Vieni in acqua! È meravigliosa!” la chiamò Lahar, già in costume da bagno e a mollo fino alla vita.

Lei non rispose, si limitò a sospirare. Lahar era magnifica con quel costume verde smeraldo, che metteva in risalto le sue forme prosperose ed il suo fisico slanciato. Ihanez seguì la collega in mare poco dopo, facendosi schizzare e ridendo come un idiota.

“Qualcosa non va, Clio?” si sentì domandare.

 Voltò solo leggermente la testa e la riportò immediatamente alla posizione di partenza. Reahu era accanto a lei, ovviamente in costume, e la fissava in modo interrogativo.

“No. Tutto ok” esclamò, tutto d’un fiato.

“Allora posa lo zaino, togli quella veste e vieni con noi”.

Clio strinse forte la spallina dello zaino. Ora Reahu era davanti a lei e le dava le spalle, con il braccio allungato verso la sua direzione per incitarla a seguirlo. Clio deglutì. Abituata com’era a vederlo con le vesti larghissime che indossava di solito, non aveva mai neppure provato ad immaginare come fosse fatto il suo collega sotto di esse. Ed ora era lì, a pochi passi da lei, con quegli occhi d’oro che la fissavano e tutto il resto messo nel posto giusto e nel modo giusto.

“Clio!” la riportò alla realtà Lahar “Dai, vieni qui. Hai dimenticato il costume a casa?”.

“Ce l’ho su il costume” mormorò lei, chinando la testa.

“Allora ho capito” commentò Reahu “Mia moglie aveva lo stesso complesso”.

Clio spalancò gli occhi. Non poteva credere ad una cosa del genere. La moglie di Reahu di certo non era come lei.

“Ti racconterò una storia, Clio. Ho conosciuto mia moglie proprio in riva al mare, in una gita fra amici. Era una spiaggia molto più affollata di questa, dove siamo solo noi, e lei si vergognava da morire. Si era fatta convincere da suo fratello a venire lì ma se ne era pentita e rimaneva immobile, seduta a fissare gli altri che giocavamo in acqua. Guardando le altre ragazze del gruppo, provava tantissima invidia perché erano alte, con grandi seni e decisamente meno impacciate di lei. L’ho buttata in acqua per convincerla ad unirsi a noi, e probabilmente mi ha odiato per buona parte della giornata, ma alla fine era felice. Sei molto carina Clio, non dovresti sentirti inferiore a nessuno. E poi qui siamo solo noi”.

“Lo dici solo per convincermi. Non lo pensi sul serio”.

“Posa lo zaino, subito”.

Clio obbedì, controvoglia, e poggiò lo zaino sulla spiaggia.

“E ora togliti la veste. Andiamo”.

Clio scosse la testa ed indietreggiò.

“Toglila subito ed entra in acqua”.

“Solo se non guardate”.

“Non essere ridicola! Dai, coraggio!”.

Lei tornò di nuovo a scuotere la testa ed indietreggiò. Si vergognava così tanto di quel suo corpo piccino che non aveva alcuna intenzione di mostrarlo.

“Muoviti! Non fare tante storie, sei solo tu complessata qui”.

“Non sei molto gentile e, poi, la fai facile tu! Tu sei perfetto!”.

Si tappò la bocca dopo quella frase, arrossendo e provando il fortissimo desiderio di svanire nel nulla in quel preciso istante.

“Perfetto? Non esageriamo. Nessuno lo è. Mi hai guardato?  Hai visto quante cicatrici ho sul corpo? Ti sembra perfezione questa? Vieni in acqua”.

“Reahu!” gridò Ihanez “Strappale i vestiti e buttala dentro”.

“Zitto, animale!” lo rimproverò il maestro.

Clio scattò per riprendere lo zaino, biascicando che voleva tornare a casa, ma Reahu fu più veloce di lei e fu lui a prendere l’oggetto.

“Ridammelo, subito” parlò lei, lentamente.

“No. O vieni in acqua o questo lo butto in mare!”.

“C’è il pranzo dentro!”.

“Pazienza. Ci compreremo un panino in paese”.

Girò attorno a Clio, prendendole ciò a cui anelava veramente: il fermacapelli. Con quello fra le mani, depose lo zaino ed andò verso l’acqua. Lei si mise immediatamente le mani fra i capelli, tentando di tenerli fermi senza troppo successo. Corse verso Reahu, furiosa, saltando nel tentativo di recuperare la sua proprietà. Non si accorse di aver messo entrambi i piedi in acqua. Al suo fianco, approfittando della sua distrazione, Ihanez e Lahar la schizzarono, bagnandola completamente. Clio rimase immobile, ormai con la veste del tutto trasparente ed i capelli sciolti in ciuffi scomposti.

“Siete dei bastardi” biascicò, arrendendosi e togliendo il vestito.

Fu Lahar a riportarlo a riva, evitando che l’amica uscisse dal mare.

“E adesso rilassati e divertiti” le sorrise Reahu, cosa che faceva molto raramente.

Clio gli mostrò la lingua, immergendosi fino alla punta del naso, ignorando il fatto che l’acqua era limpida e quindi non serviva a nulla tentare di nascondersi.

“Quando arriverà il signore del mare?” domandò Ihanez, desideroso di iniziare le lezioni.

“Presto” assicurò Reahu, muovendo le braccia e spostando il vento, creando una corrente contraria, diretta verso il largo.

“Questo lo richiamerà?”.

“Questo lo infastidirà”.

Non passò molto tempo prima che le increspature tornassero indietro, in un’onda che investì il gruppo e mostrò loro il padrone di quel elemento, seguito dalla moglie e dalla figlia.

“Reahu” sbottò “Sei tu che ti diverti in cose che non ti competono?” domandò, soddisfatto di averlo bagnato del tutto con l’onda.

“Ihanez, Lahar” parlò il maestro “Questo è Beher, signore del mare. Al suo fianco, Ran detta la predatrice marina e dietro di loro Nechtan, loro figlia, signora di acqua e fiumi”.

“Piacere di conoscervi” alzò una mano Lahar.

“Signori” continuò le presentazioni Reahu “Questi sono gli ultimi arrivi nella nostra casa: Ihanez, figlio di Ipalnemoa e futuro signore della vita, accanto a Lahar che governa gli animali”.

“Due nuovi arrivi. Bene” si protese in avanti Beher.

Era un uomo imponente, completamente blu, con grossi muscoli e sguardo sospettoso, nascosto in parte dalle folte sopracciglia. La moglie, Ran, aveva pur’essa uno sguardo poco rassicurante e la pelle verde. La figlia non sembrava poter discendere da loro due. Era molto magra, aggraziata e dal volto gentile. La sua pelle ed i suoi capelli erano a metà fra i colori dei due genitori. Ihanez la fissò ed arrossì, notando che era nuda, e lei lo salutò.

“Vuoi che faccia lezione oggi a questi due?” domandò Beher.

“Se non ti è di troppo disturbo” incrociò le braccia Reahu.

“Non lo è. Mi diverte torturare i ragazzetti appena risvegliati”.

“Io non mi sono ancora risvegliato” si affrettò a dire Ihanez.

“Ancora meglio” sogghignò l’uomo, facendogli segno di seguirlo al largo.

I due nuovi arrivati non avevano scelta, ed iniziarono a seguirlo, trovandosi presto nell’acqua alta.

“Li seguiamo, Clio?” suggerì Reahu, vedendo anche le due donne legate al mare allontanarsi.

“Io…” mormorò Clio, avendo già l’acqua alla gola “Reahu?” lo chiamò, non vedendolo più.

Che l’avesse lasciata da sola? Sospirò, avvilita, quando qualcosa si mosse sotto di se e si ritrovò a cavalcioni del signore del cielo.

“Credevi ti lascassi qui? Ma che razza di miscredente!” sbotto lui, ghignando “Adesso andiamo”.

Lei si poggio contro i capelli di lui e si lasciò trasportare, notando che probabilmente Reahu aveva sfruttato le sue doti da stregone ad aveva modificato il suo copro per poter nuotare circondato da quel mondo azzurro molto più a lungo.  Andarono al largo, raggiungendo la famiglia del mare ed i due allievi.

“Mi è stato detto che tu sarai il futuro signore della vita” iniziò Beher, girando attorno allo stregone come una specie di grosso squalo blu.

“Così sembra” borbottò Ihanez, piuttosto inquietato da quel modo di fare.

“In questo caso, mi occuperò io di te. Mentre la mia consorte, Ran, farà in modo che questa giovane signora degli animali riceva il giusto addestramento con essi, dico bene?”.

Ran annuì, facendo segno alla ragazza di seguirla.

 

“Devi sentire la vita nell’acqua” parlò Beher “Acqua e vita sono collegati strettamente. Tutti noi veniamo dall’acqua ed essa è l’essenza stessa dell’esistenza. Se riesci a controllarla ed a sentirla dentro di te, allora avrai in mano il principio dell’eternità”.

“Ok. Come devo fare?” rispose Ihanez.

“Hai mai sentito l’anima? La forza vitale? Prova a fare lo stesso. Concentrati. Trova la linfa della nascita fra queste onde. Controllala. Ogni cosa è viva a questo mondo, Ihanez”.

L’allievo annuì, facendo segno di aver capito, o di pensare di aver capito, e si concentrò. Dopotutto, si disse, il flusso dell’acqua era molto simile a quello della magia, che scorreva forte nel suo sangue. Chiuse gli occhi. Sentiva il rumore delle onde, lo scorrere delle correnti ed un rumore lontano, regolare e profondo. Non capì cosa fosse, all’inizio, ma poi spalancò gli occhi. Erano completamente colorati e luminosi. Aveva percepito il battito del cuore del mondo, del mare e della vita. Lo sentiva, sempre più forte, mentre si sintonizzava con il suo.

“Clio, reggiti” suggerì Reahu.

Ihanez mosse le braccia e l’acqua lo avvolse, seguendo i suoi ordini. Creò un vortice, che poi si divise in due grosse onde distinte che si sollevarono in aria. Reahu volò e lasciò il mare, ricacciando indietro l’acqua che veniva verso lui e Clio.

“Questo è il mio allievo!” gridò, con orgoglio “Non si scherza con il giovane Ihanez!”.

Scese lentamente e rimase in piedi, sul pelo dell’acqua, d’un tratto calma.

“Hei, tu!” lo apostrofò Beher “Smettila di intrometterti con i poteri degli altri”.

“Solo invidia” ghignò Reahu “Smettila di lamentarti. Sai bene che posso sconfiggerti in un istante, se solo volessi”.

“Non lo faresti”.

“Chi può dirlo? Io sono pazzo, non lo sai?”.

Ihanez, rimasto sospeso e sostenuto dall’acqua del mare sollevata, tornò lentamente ad immergersi. Tornò a sollevarsi quando vide un gruppo di pinne sfrecciare verso di loro, non volendo farsi mangiare proprio in quel momento. Clio sobbalzò e strinse più forte Reahu, che non si mosse. Si limitò a fare un passo indietro. E proprio dove stava prima, un grosso squalo saltò, mostrano la pancia al gruppo e rientrando in acqua. Comportamento molto poco da squalo, rifletté Ihanez. Poco dopo, un intero altro gruppo di squali fece lo stesso, per poi iniziare a girare attorno a loro.

“Bravissima, Lahar” capì Clio, prima di vederla arrivare a dorso di una grossa bestia marina che raramente si mostrava in superficie.

“Avete visto?” sorrise l’allieva, soddisfatta, facendo cenno agli squali di disperdersi.

“Brava!” ripeté Clio, scendendo dalle spalle di Reahu e raggiungendo la ragazza.

Solo dopo si accorse che aveva camminato sull’acqua, e ringraziò Reahu per averglielo fatto fare.

“Questi due ragazzi promettono molto bene” commentò Beher “Una nuova generazione di notevoli capacità, direi”.

“Concordo” annuì Ran.

“Ora torniamo a riva? Vorrei prendere un po’ di Sole” sorrise Lahar, facendosi condurre in acqua dalla creatura che ancora cavalcava.

“Facciamo a chi arriva prima?” sfidò Reahu, guardano Ihanez che si accorse di poter camminare sul mare come il suo maestro “Vieni. Clio, fai una corsetta pure tu”.

“Sicuro che non cadrò in mare?”.

“Non cadrai, te l’assicuro”.

Ridendo, Ihanez iniziò a correre. Clio seguì l’esempio, mostrando un’inaspettata velocità.

“Devo parlare con te, Beher” parlò Reahu, prima di seguirli.

“Arrivo. Immaginavo che questa non fosse una semplice visita di piacere”.

 

“Rashnu non si rende conto dell’immenso lavoro che ho io da fare” protestò Beher, dopo che Reahu gli ebbe riferito le parole e la lettera del suo capo.

“Se ne rende conto, ma credo voglia tirare un po’ le lunghe redini che ha concesso ad ognuno di noi e per farlo deve capire chi è disposto ad obbedirgli”.

“Credi che finalmente si stia rendendo conto che suo padre non ha molta voglia di tornare?”.

“O forse che qualcuno di noi non è più disposto a fare ciò che gli viene ordinato, pur essendo l’unica cosa possibile”.

“Tu sei fra questi?”.

“No. Pur sembrandolo, non sono un anarchico. Mi fido delle decisioni di Rashnu, anche perché è a questo mondo da tanto di quel tempo che immagino sappia che fare, giusto?”.

“Beh, se ti sottometti tu a lui, che sei il più potente signore a suo comando…”.

“Il più potente è Mantus” si affrettò a dire Reahu.

“Sei sicuro?”.

“Fidati”.

“Però tu sei molto forte, questo non lo si può negare. Puoi fare qualsiasi cosa!” si intromise Ihanez.

“Lascia parlare i grandi, vai a giocare con la sabbia!” sbottò Reahu.

“Come mai hai capacità così elevate? Poteri tanto ampi non sono necessari per il tuo ruolo!” insistette l’allievo, non notando il leggero colorito nerastro che stava prendendo il maestro per il fastidio.

“Questo perché, ficcanaso, quando il padre di Rashnu è scomparso, più di centocinquanta anni fa, eravamo rimasti ben in pochi a portar avanti la baracca. Precisamente: io, tuo padre, quel bastardo di Mantus, Rashnu, Ilmarinen ed i giovanissimi Adraste e Tarhunt. Di questi, solo Rashnu, Ipalnemoa ed il fratello svolgevano i propri compiti da molto tempo ed avevano il pieno controllo su di essi. Ci siamo divisi i compiti. Facevamo un po’ di tutto non potendoci permettere di scegliere. Per questo Rashnu è così legato ai suoi lupi ed io posso controllare l’acqua. Noi eravamo in grado di fare tutto, anche se Ilmarinen aveva grossi problemi, essendo davvero molto giovane. Adraste e Tarhunt, invece, non sapevano quale fosse il loro potere e non ci potevano aiutare. Ammetto che è stato il periodo più sfiancante della mia vita, anche perché mi ero appena risvegliato ed ancora non mi ero ripreso del tutto dalla faccenda del regno dei morti che tu conosci. E sono perfettamente consapevole del fatto che il grosso del lavoro lo hanno svolto tuo padre, Mantus e Rashnu. Al tempo ero solo una matricola”.

“Quindi tu riusciresti a controllare tutte le cose che controllavi un tempo?”.

“Anche meglio, il mio potere è aumentato. Considera che, all’inizio di tutta quella faccenda, io ero solo un allievo. Potrei eccome controllare tutto quanto. Ma meglio che siano altri, come Tate e Tarhunt ad occuparsene. Permette di fare meno errori”.

“E che errori avete commesso?”.

“Uno fra tutti quello di non accorgersi del totale risveglio di Adraste come signora della guerra”.

Ihanez attese un pochino, prima di ricominciare a parlare.

“Quindi Rashnu potrebbe controllare tutto quanto?” domandò.

“Potrebbe. Suo padre ha passato molto tempo agendo semplicemente con il supporto di Ipalnemoa e Mantus, ma ti parlo di prima della nascita di Rashnu. Erano altri tempi. Ne è in grado, per questo è il più adatto a guidarci. Perché capisce ogni nostro singolo potere e sa come gestirlo”.

“Comincio a capire perché in tanti lo temono”.

“Se si risvegliasse, potrebbe fare cose ancora più straordinarie, come suo padre”.

“Non si è ancora risvegliato?!”.

“No. Può farlo solo in seguito alla morte del suo genitore, e questa ancora non è avvenuta. Oppure nel caso che il suddetto genitore gli ceda il posto, ed anche questo ancora non è avvenuto”.

Ihanez, orgoglioso dei suoi poteri, d’un tratto si sentì abbastanza inutile da non aprire bocca.

Stesi sulla sabbia, il gruppo vide la giornata avanzare, seguendo il corso del Sole. Notarono che la pelle di Reahu si tingeva di blu quando questi si abbronzava, mentre per gli altri iniziava ad apparire l’alone rossastro che indicava una leggera sovraesposizione ai raggi dell’astro che splendeva nel cielo. Avevano trascorso, tutto sommato, una piacevole giornata.

“Ci sarai al compleanno del capo, Beher?” domandò Reahu, prima che questi si allontanasse.

“Non ha mai fatto festa per il suo compleanno! E poi, mancano diversi mesi!”.

“Lo sappiamo. Ma quest’anno è una meta importante, se ci rifletti”.

“Non ci avevo fatto caso. Hai ragione. Che avete intenzione di fare?”.

“Gli faremo una sorpresa. Più avanti avrai dettagli in merito, se dai la tua disponibilità”.

“Disponibilità totale. Certe date bisogna festeggiarle. E, per quanto riguarda la mia fedeltà ed altre cose del genere, puoi riferirgli che io sono come sempre al suo servizio e mi scuso se non ho modo di riferirglielo. Potete tutti contare su di me”.

“Ottimo. Allora a presto”.

Una volta rivestiti, i quattro abitanti della casa si prepararono a rientrare.

“Aspettate! Possiamo guardare il tramonto sul mare?” domandò Lahar.

“Non ci vedo niente di male” annuì Clio, andando a sedersi accanto a lei.

“Non qui. Seguitemi” parlò Reahu, guidandoli fino ad un’altura da cui il paesaggio era favoloso.

“Da qui è molto meglio” ammise Ihanez.

Il cielo si tinse di rosso e le ombre si allungarono. Il Sole lentamente si fece inghiottire dal mare e lasciò posto alle prime stelle. Clio non si accorse di stare così vicina a Reahu, come Reahu non si accorse che, per la prima volta da quando la sua amata era in cielo fra le stelle, non la stava guardando al suo apparire nella notte.

 

   

 

Rashnu quel giorno era molto distratto. Aveva momentaneamente lasciato da parte i suoi doveri e si era lasciato avvolgere dalla giornata libera di Veda. Le aveva portato un dono. Un cucciolo. Akerbeltz gli era servito a quello. Convincere una delle sue lupe a dividersi da un proprio cucciolo non era impresa da molti. Ma Akerbeltz sapeva il fatto suo ed ora quel piccolo era proprietà di Veda, che lo accarezzava piena di entusiasmo.

“Diventerà parecchio grosso, immagino” disse.

“Parecchio. Ma sarà molto obbediente. Non ti darà problemi” la rassicurò Rashnu.

“Ed il mio capo cosa dirà? I cani non sono ammessi in accampamento”.

“Non è un cane. E ti assicurò che appena lo vedrà non avrà nulla da dire. Conosce i miei piccini e cosa sono in grado di fare se li infastidisci”.

“Mi hai regalato una guardia del corpo? Un piccolo intruso peloso?” ridacchiò Veda.

“Mi sento molto più sicuro, sapendo che qualcuno veglia su di te giorno e notte. Questo mondo è pieno di uomini malati e pazzi, crudeli e sanguinari”.

“Non son tutti così”.

“Ma buona parte sì”.

“Non credo. Credo che la guerra renda più dure le persone, per una questione di sopravvivenza, ma non sono cattive dentro di loro”.

Rashnu la guardò. Alla luce del Sole, con il vento fra i capelli, era ancora più bella. Non sapeva quanto potesse avere ragione, ma lo sperava. Non poteva pensare che il mondo e la sua gente non meritasse alcuna fiducia.

“Smettila di fare il pensieroso” lo riportò alla realtà Veda, sfiorandogli la punta del naso.

Erano da soli su un campo fiorito, all’ombra di un albero colorato e profumato. Faceva caldo, nonostante la brezza, ed entrambi se ne stavano seduti accanto alla pianta.

“Hai ragione. Devo godermi questa bella giornata” sorrise, mentre lei gli dava un piccolo bacio.

“Aspettiamo il tramonto. Poi dovrò rientrare”.

“Pure io. Ma ammetto di non averne alcuna voglia”.

 

   

 

Non ricevendo ordini diversi, allievo e maestro avevano stabilito tacitamente che quel giorno non si sarebbero allenati. Meritavano un giorno di riposo, ignorando il fatto di essere andati al mare meno di ventiquattro ore prima. Si davano allegramente alla nullafacenza per il giardino.

“Sei blu!” ridacchiò Clio, vedendo per la prima volta Reahu dalla sera prima.

“Sì, lo so” sbuffò Reahu, stanco di sentirsi dire la stessa cosa da ore.

“Mi sono davvero divertita ieri. Spero ci sarà l’occasione di vivere altri momenti così, tutti assieme. Mi è piaciuto davvero tanto”.

“In effetti, è stato un piacevole diversivo alla routine quotidiana che mi opprime da decenni”.

“E volevo ringraziarti. Sei stato molto gentile con me”.

“Gentile?! Clio, devi essertelo immaginato”.

“Sei stato gentile. E non vergognartene”.

Reahu la fissò. Era vero, faceva molta fatica ad ammettere di avere degli attacchi di gentilezza.

“Spero anch’io che ci aspettino altre giornate così” disse, dopo un po’.

“E adesso potremmo…” iniziò Clio, ma la sua frase fu interrotta da un grido d’aiuto.

“Akerbeltz?” rizzò le orecchie Reahu e volò fuori.

Era il più veloce della casa e vide il suo collega steso a terra, a pochi passi dall’ingresso.

“Cosa è successo?” gli disse, chinandosi su di lui.

Il signore degli animali non rispose ma lo fissò, con occhi pieni di terrore. Si vedeva che si sforzava di parlare e non ci riusciva. Mormorò qualcosa.

“Non ti capisco” protestò Reahu, avvicinandosi ancora di più alla bocca dell’amico, che finalmente riuscì a farsi sentire.

“Scappate. Andate via tutti” disse, arrancando ad ogni sillaba.

“Scappare? E da chi?”.

Una freccia partì, dal cuore della foresta, e trafisse Reahu al petto. Akerbeltz lo fissò, spalancando la bocca senza riuscire a gridare. Il signore del cielo si accasciò per un attimo e poi si rialzò.

“Akerbeltz!” sentì gridare Egres, che nel frattempo era uscito dalla casa e correva verso il fratello.

“Fermò!” ordinò Reahu, bloccandolo con una mano.

Rimase in silenzio, guardandosi attorno lentamente. Un rumore. Una pioggia di frecce. Spostò entrambe le mani in avanti e le deviò, disperdendole con il vento.

“Ok, vi copro io. Portatelo dentro, è ferito” parlò.

Egres, Lahar, Ihanez e Clio uscirono di corsa, cercando un modo per portare in casa Akerbeltz il più in fretta possibile senza fargli del male.

“Portatelo dentro e restateci. Penso io a questi, chiunque siano” aggiunse Reahu.

Clio rimase sull’uscio, mentre gli altri obbedivano.

“Chiudi la porta! Rientra!” gridò Reahu.

“Hai una freccia nel petto!” esclamò lei, di rimando.

Il signore del cielo, di tutta risposta, ne spezzò la punta e la estrasse, come se niente fosse.

“Ora non c’è più”.

Mosse la mano e cacciò Clio in casa, sbattendo la porta dietro di lei.

 

“Avanti!” gridò Reahu, spalancando le braccia “Chi è così stupido da sfidare gli abitanti di questa casa? Che si mostri!”.

Percepiva moltissime presenze, forse un esercito, ma nessuno di loro manifestava poteri particolari. Semplici umani senza potenzialità? Come erano giunti fino a lì? Il bosco era schermato da Rashnu. E come avevano ucciso Akerbeltz?

“Intrusi!” gridò Tarhunt, vedendo una grossa nave argentea nel cielo.

Era salito sul tetto, assieme al suo allievo Tate, per controllare la situazione.

“Siamo circondati” disse a Reahu.

“Lo so. Tu e Tate pensate alle navi”.

“Ti serve una mano?”.

“Se mi servirà te lo dirò. Ora pensa alle navi”.

Il signore del tempo atmosferico e quello del vento si alzarono in volo rapidi e raggiunsero la nave, accorgendosi che non era l’unica. Iniziarono a muovere il vento e l’aria per farle precipitare. Coloro che vi stavano sopra gli spararono contro. Protetti dalle correnti, non furono colpiti. Ma si accorsero subito che abbatterle tutte avrebbe comportato un notevole sforzo.

“Dove sono Saxnot ed Adraste quando servono?” sbottò Reahu, sapendo che il signore delle armi e la regina della guerra non avrebbero avuto alcun problema con un esercito.

Ma nemmeno io dovrei averne, si disse Reahu, vedendo una schiera di soldati avanzare.

“Vi consiglio di sparire al più presto, o sarò costretto ad uccidervi tutti” parlò loro.

Non accennarono a fermarsi e Reahu sospirò. Rashnu avrebbe di certo avuto qualcosa da ridire.

 

“Tate! Vai verso quella laggiù e spingila qui. Una contro l’altra, collasseranno” ordinò Tarhunt.

“Sissignore” annuì Tare, schizzando veloce fra le nuvole e raggiungendo la nave in questione.

Era un oggetto molto grosso, pesante. Non era certo uno scherzo riuscire a farlo muovere. Concentrò tutte le sue forze e gridò, lanciando una fortissima corrente contro il fianco del mezzo, che iniziò a muoversi verso l’altra nave, bloccata da Tarhunt. Toccandosi, esplosero, provocando un forte spostamento d’aria, che i due signori sfruttarono per bloccare altre navi.

“Sono tantissimi!” esclamò Tate.

“Dobbiamo fermarli, ragazzo. Ad ogni costo”.

“Ma come possono averci trovati? Il bosco e sacro e schermato, non avrebbero dovuto vederci”.

“Non te lo so dire. Ce lo dirà Rashnu al suo ritorno. Ora concentrati sul vento”.

Tate ricominciò a spostare le navi, che risposero con altri colpi e ad alcuni di loro sfiorarono la casa.

 

Reahu fece mente locale di chi fosse in casa. Molti erano fuori e non sarebbero rientrati prima del tramonto. Kama e Kadesh in combattimento erano del tutto inutili, così come molti altri addetti alla musica, alla scrittura, all’artigianato. Lui era lì e doveva stare molto attento ai colpi che intendeva usare. Non doveva rovinare gli alberi, ne andava della salute di Akerbeltz. Senza contare che Rashnu sarebbe andato su tutte le furie, essendo quegli alberi piantati da suo padre per proteggere l’edificio e gli abitanti. Forse erano troppo vecchi ormai, pensò il signore del cielo.

“Reahu!” parlò Tork “Penso io al lato nord. Proteggerò io quella parte di casa. Tu pensa all’ingresso. Noi due basteremo”.

Reahu, sentendo la voce del collega dalla terra stessa, annuì e ricacciò indietro un'altra pioggia di colpi provenienti da varie parti. Erano strani. La maggior parte delle offensive umane solitamente venivano rimandate indietro senza nemmeno muovere un dito. Quelle, invece, quasi lo colpivano. Chi c’era alle spalle di tutto questo? E come erano giunti loro fino lì senza farsi percepire? Erano ovunque. Arrampicati sugli alberi, nascosti nel bosco, in cielo sulle navi.

“Arrendetevi!” gridò il signore del cielo, ruotando le ampie maniche della veste e provocando un’onda d’urto che fece volare indietro molti di loro.

La risposta fu un’ulteriore raffica di colpi.

“Mi costringete ad usare le maniere forti” sbuffò Reahu, alzando le mani al cielo.

Richiamò la luce delle stelle e ne formò una fra i palmi. Poi la indirizzò verso terra, dividendola in piccoli frammenti luminosi, che volarono rapidi verso gli invasori. Chiunque venisse colpito da questi, gridava e moriva bruciato. Il tutto senza intaccare gli alberi.

 

“Mi spiace, ma non posso farvi toccare questa casa ed i suoi abitanti” parlò Tork.

Con i capelli lunghi sciolti al vento, e con per sfondo le esplosioni delle navi nel cielo, il signore dei monti e delle rocce si apprestò ad attaccare. Prima iniziò in modo “delicato” limitandosi a lanciare sassi a velocità folle verso i nemici. Questo non bastò a farli desistere. Mandarono contro di lui colpi d’arma da fuoco e frecce. Li respinse alzando davanti a sé un muro di roccia che lo protesse. Alcune di loro quasi riuscirono ad oltrepassare lo scudo improvvisato, e la cosa lo stupì parecchio.

“Ma che razza di frecce usate?!” biascicò, lanciando altre pietre.

Un’altra esplosione lo fece sobbalzare. Quanta confusione per niente! E quanto urlavano quegli esseri che provavano ad attaccarli!

Congiunse le mani, tenendole ben aperte, e poi le distanziò di colpo, spalancando le braccia. Questo provocò uno squarcio nel terreno che inglobò al suo interno molti invasori. Poi le riunì e la terra seguì il suo ordine. Il paesaggio tornò apparentemente come prima, con qualche omino in meno. Il tutto senza intaccare gli alberi.

 

“Spegni le fiamme, Ihanez!” gridò Clio.

Alcuni fuochi, provenienti dalle esplosioni, erano riusciti a raggiungere l’edificio. Ihanez e Clio presero l’incarico di spegnerle. Clio correndo avanti ed indietro per recuperare acqua dai bagni e Ihanez risucchiandone la vitalità per poi disperderla. Lo stregone credeva che lo scontro durasse poco, ma si protraeva più del previsto. Doveva aiutare il suo maestro. Appena il fuoco fu estinto, si concentrò per creare una barriera temporanea attorno alla casa, impedendole di subire altri danni, almeno teoricamente. Poi corse verso l’ingresso, ignorando le grida di Clio.

 

Tate era esausto. Il suo maestro Tarhunt pareva cavarsela meglio e lui non aveva il coraggio di dire d’esser stanco.

“Tutto bene, Tate?” si sentì domandare.

“Sì” mentì, riprendendo a volare in fretta.

Non abbastanza in fretta, perché fu colpito al braccio e perse la concentrazione. Questo lo sbilanciò e quasi cadde a terra. Fu Reahu a tenerlo su, puntando la mano destra verso di lui, dando un’occhiata quasi di rimprovero a Tarhunt. Questi annuì, facendo segno a Tate di rientrare in casa per farsi medicare e riprendere fiato. Poi riprese a combattere scagliando fulmini contro le navi rimaste. Un sasso sfrecciò a pochi centimetri dal signore del tempo atmosferico, che lanciò un grido contro Tork, che si scusò. Uno dei suoi proiettili naturali aveva sbagliato il bersaglio. Quelli che andavano a segno, invece, colpivano in pieno volto gli avversari, trapassandogli il cranio in un colpo solo. Tecnica efficace, anche se i nemici parevano non farci troppo caso, continuando ad attaccare.

“Tork! Torna dentro. Sono testardi e non se ne andranno finché non saranno uccisi” parlò Reahu “Ed io so come fare”.

Il signore del cielo già si preparava a sferrare quel colpo, quando la porta alle sue spalle si aprì ed apparve Ihanez, seguito a ruota da Clio che tentava di fermarlo.

“Ihanez!” gridò Clio e questo distrasse Reahu, che non riuscì a bloccare del tutto l’ennesima ondata di frecce. Una lo colpi di striscio ed andò a conficcarsi sulla porta, a poca distanza da Ihanez. La pesante nave che li sorvolava perse un grosso pezzo, che cadde poco distante, fra maestro ed allievo. L’esplosione che provocò investì tutti coloro che stavano fuori dalla casa.

“Clio! Tutto bene?” gridò il signore del cielo, sbalzato lontano ma senza riportare alcun tipo di danno, conoscendo alla perfezione la meccanica delle onde d’urto.

“Sto bene” assicurò lei.

“Distraili” ordinò lui, volando verso Ihanez, che rimaneva in terra.

Clio obbedì. Si scosse per riprendersi dalla botta e concentrò i suoi poteri. Iniziò a mormorare strane parole, continuamente, e fra i nemici si diffuse l’angoscia. Vecchi ricordi e terribili paure si stavano risvegliando nelle loro menti, facendogli perdere il controllo.

“Adoro "l’attacco panico" di Clio” mormorò Reahu, raggiungendo il suo allievo.

Rimaneva steso a terra, dopo aver preso una buona botta contro la parete a sud della casa, per colpa dell’esplosione. Lo chiamò un paio di volte, turbato nel non vederlo muoversi. Ma poi Ihanez tossì e stirò le dita. Luci azzurre e bianche corsero verso di lui, ricoprendolo. Questo lo fece riprendere e riaprire gli occhi.

“Brutto stupido!” lo apostrofò il maestro.

“Tutto bene?” domandò Tork, raggiungendoli.

“Sì, portalo dentro. Clio, anche tu! Dentro in casa, adesso. E che non vi esca nessuno finché non ve lo dirò io” rispose il signore del cielo.

Dopo qualche protesta, l’intero gruppo obbedì. Una volta che fu chiusa la porta, Reahu si concentrò, prima controllando che effettivamente nessuno fosse allo scoperto. Congiunse i palmi, tenendoli davanti al viso. Chiuse gli occhi. Girò di scatto le mani verso l’esterno e, pronunciando una parola che solo a lui era concesso sapere, le spinse prima verso l’esterno e poi di nuovo verso di sé, chiudendole a pugno. Questo provocò una corrente fortissima che si diresse verso Reahu. Stava risucchiando l’aria dai polmoni di tutti i presenti.

 

“Lasciami! Lo devo aiutare!” protestò Ihanez.

“Smettila! Fidati di Reahu, è l’uomo più vicino alla morte che abbia mai conosciuto. Se la caverà, molto meglio di quanto non possa fare tu”.

Lo stregone non vide l’attacco finale del suo maestro. Lui rientrò, lentamente.

“Li hai mandati via?” domandò Kama.

“Mi hanno costretto a non lasciare testimoni” si limitò a dire Reahu.

“Siete stato grandioso! Fantastico!” esclamò Ihanez, correndo in contro al suo maestro.

Questi si girò di scatto e lo colpì violentemente con un pungo in faccia, che lo ribaltò e lo mandò a terra. Senza capire, lo stregone rimase immobile a fissarlo.

“Idiota!” lo apostrofò Reahu “Che cosa credevi di fare, eh? Piccolo stupido!”.

“Io…volevo solo aiutarti!” biascicò Ihanez, mentre si rialzava.

“Facendoti ammazzare? Hai risucchiato l’energia di coloro che stavano morendo per poterti salvare e guarire. Credi sia normale? Saresti potuto rimanere ucciso, là fuori”.

“Come te e come chiunque altro ha combattuto oggi”.

“Noi sappiamo usare i nostri poteri, tu ancora no. Lo capisci si o no che non puoi permetterti il lusso di rischiare la vita? Sei prezioso, Ihanez. Il tuo potere significa molto per tutti quanti noi. Smettila di fare il ragazzino avventato, che agisce senza pensare. Hai più di trent’anni!”.

“Tu alla mia età sei entrato all’inferno, perdendo parte della tua anima!”.

“E mai smetterò di ripetermi quanto sono stato stupido! Sei sotto la mia tutela, brutto coglione, e tutti si aspettano che mi prenda cura di te e ti tenga in salvo. Il tuo potere si è svegliato per puro caso, prima. E se non fosse successo? Tu non hai la capacità fisica di noialtri, non ti saresti potuto guarire in fretta come ho fatto io”.

In effetti, di nessuna delle ferite di Reahu era rimasta più traccia.

“Vorrà dire che la prossima volta ti lascerò morire da solo” sbottò Ihanez.

“Fai come credi. Ti assicuro che ammazzarmi è molto più difficile di quanto tu creda”.

Lo stregone si rabbuiò e girò lo sguardo altrove, evidentemente offeso. Reahu tornò gradatamente al blu abbronzato che quel giorno rappresentava la sua normalità e si guardò attorno. Sentiva piangere.

“Cosa succede?” mormorò a Clio, che rimaneva in silenzio.

“Akerbeltz ha lasciato questa casa per sempre” rispose lei.

“Akerbeltz?”.

“È morto”.

Reahu rimase in silenzio, senza sapere cosa dire. Girò lo sguardo verso le stanze di Egres e Lahar. Clio non nascose le lacrime, così come la maggior parte dei presenti.

“Voialtri state bene?” riprese il signore del cielo, dopo un po’.

Tate annuì.

“Sei ferito?”.

“Solo un graffio” confermò il giovane.

“E voi?” guardò gli altri che avevano combattuto.

“Niente di serio” rispose Tork.

“Tutto a posto” furono le parole di Tarhunt “E tu? Tutto a posto?”.

“Armi simili non posso farmi del male”.

Non aggiunse altro. Era calato il silenzio, interrotto solo dalle grida e dai lamenti di Egres, che aveva in Akerbeltz l’unico parente, e Lahar, che aveva perso il maestro.

“Abbiamo spento gli incendi che c’erano in casa” parlò Clio “Così sembra che non abbia subito grossi danni”.

“Molto bene”.

“Ihanez poi ha protetto l’edificio, per evitare altre fiamme”.

“Bravi. Riposatevi adesso. Presto Rashnu sarà qui”.

 

   

 

Il silenzio non era qualcosa a cui era abituato. Solitamente, al suo ritorno, gli abitanti della casa erano chiassosi ed allegri, pronti per la cena. Arrivò piuttosto di buon umore, evidentemente distratto perché non notò alcun cambiamento nell’ambiente esterno o nella barriera dell’edificio, ma appena mise piede in casa notò che qualche cosa non andava. Qualcuno piangeva, il corridoio era deserto. Vide Reahu, nero, che lo fissava. Non lo aveva percepito. Non lo aveva visto. Era decisamente troppo distratto.

“Cosa è successo?” mormorò il padrone di casa.

“Un attacco”.

“Sento molte anime di morti qui attorno. Ne sento davvero molte. Una però…”.

“Una non è come le altre”.

“Uno di noi?”.

“Akerbeltz”.

Rashnu spalancò gli occhi, molto più di quanto già non facesse normalmente.

“Akerbeltz? Ma come? Com’è potuto succedere?”.

“Qualcuno deve avergli detto dove stava la nostra casa. E qualcuno ha fornito loro i mezzi per creare qualcosa in grado di uccidere uno come noi”.

“Un traditore fra noi, intendi?”.

“Non vedo alternative, purtroppo”.

“Un traditore nella mia casa? E chi può essere?”.

“Non lo so. Cosa pensate di fare?”.

“Convocare tutti qui, all’alba di domani. Li voglio guardare tutti negli occhi e cavarli personalmente a chi ha osato tanto”.

“Convocherò io personalmente coloro che…”.

“No, tu hai combattuto. Lo percepisco. Manderò Belisama. Lei è molto veloce, come la luce che rappresenta. E stasera dedicheremo una cerimonia ad Akerbeltz”.

“Come desiderate”.

L’atmosfera, com’era giusto, era pesante e fin troppo silenziosa. Reahu si inchinò leggermente e se ne andò. Ognuno si era rintanato nella propria stanza, osservando leggermente preoccupato l’imponente tempesta che il signore del cielo stava creando, oscurando il tramonto.

 

   

 

“Mamma, ho paura” pianse Aura, spaventata dai lampi e dai tuoni, fortissimi, che continuavano ormai incessantemente da ore.

Dopo una cerimonia in cui gli abitanti si erano stretti attorno ad Egres, i più avevano tentato di andare a dormire ma il signore del cielo non dava loro grandi possibilità. Faceva un gran baccano, e distribuiva i suoi fulmini tutt’attorno alla casa, profanando e dilaniando i corpi degli stolti che avevano osato tanto.

“Fatelo smettere, per favore!” biascicò Kinich Kakmo, signore del Sole.

“Clio” la chiamò Rashnu “Fallo smettere”.

“Io?! E perché io?!”.

“Perché tu sei l’unica in grado di farlo ragionare”.

“Bah, se lo dite voi”.

Scese le scale, poco convinta, e raggiunse il giardino. Pioveva a dirotto ed era buio, buio pesto. Non vedeva nulla. Un lampo illuminò l’aria ed intravide il profilo nero di lui, decorato con quegli occhi d’oro inconfondibili. Gridava, chiamando i fulmini

“Reahu!” urlò, cercando di raggiungerlo, nonostante il vento e l’acqua.

“Vattene, Clio. Lasciami in pace”.

“Fare questo non serve a nulla! Smettila!”.

“Devono pagare. Pagare tutti quanti per quanto hanno fatto”.

“Hanno già pagato. Sono morti”.

“Che colpa aveva Akerbeltz? Perché lo hanno ucciso? La mia rabbia non cesserà mai contro quei lombrichi supplicanti e le loro putride famiglie”.

“Finiscila! Questi discorsi non sono da te!”.

“Vorrei che queste classi in guerra svanissero per sempre, lasciando il mondo a chi merita di possederlo, a creature degne”.

“E chi sarebbero queste creature secondo te? In base a cosa puoi stabilirlo?”.

Reahu non rispose. Un altro fulmine sfiorò la casa.

“Basta! Reahu, basta!” gridò Clio, convinta.

Ed il signore del cielo si fermò. Per un attimo, l’aria parve immobile. Poi lui gridò, ma non più di rabbia, bensì di dolore. Cadde in avanti, in ginocchio, con una mano sul petto. Tossì un fiotto di sangue dalla bocca e gemette. Sanguinava copiosamente, e non capiva perché.

“Reahu!” lo chiamò Clio, correndogli accanto e tentando di capire cosa stesse succedendo.

Rashnu non ebbe il tempo di rallegrarsi del fatto che il temporale era cessato, perché udì le grida d’aiuto di Clio. Tutti corsero per il corridoio, temendo un altro attacco.

“Cos’hai, amico mio? Cosa ti prende?” domandò Rashnu, inginocchiandosi davanti a Reahu.

Vide il sangue che gli colava dalle labbra e dalla ferita sul petto. Il signore del cielo scosse il capo, come a voler dire che non aveva idea di cosa stesse succedendo.

“Erano rimarginate le ferite!” continuò Rashnu.

Reahu confermò, annuendo a fatica, prima di cadere in avanti, perdendo i sensi. Fu portato di corsa in stanza, dove Nininsina si mise subito all’opera per curarlo.

 

“Come sta?” domandò Ihanez, con un vistoso occhio nero a causa del pugno ricevuto prima.

“Ancora non ha ripreso i sensi. È molto grave” parlò Nininsina “E anche Tate, altro ferito dallo scontro di prima, ha la febbre ed ha ripreso a sanguinare”.

“Sta male anche Tate?”.

“Sta già meglio, ma è molto strano quello che sta succedendo. È come se qualcosa stesse reagendo con il loro sangue magico”.

“Un veleno?”.

“Può essere. Potresti uscire a cercare qualche freccia? Magari su di esse c’è ancora la sostanza che ora è in circolo nel sangue dei nostri colleghi, così potrei capire come aiutarli a stare meglio”.

Ihanez annuì e corse fuori, seguito da Clio che voleva aiutare a tutti i costi. Rashnu, che aveva sentito quelle frasi, si allontanò lentamente. La luce degli astri tremolava in modo molto strano ma decise di non cambiarla. Il mondo intero doveva vedere le stelle piangere, e chiedersi il perché.

“Oh, padre del mondo” mormorò, congiungendo le mani “Non portarmi via il cielo, te ne prego”.

 

   

 

“Rashnu!” chiamò Ihanez, vedendolo girellare per il corridoio.

“Non dormi, Ihanez?” sbottò Rashnu, senza voltarsi.

Lo stregone gli si avvicino. Il padrone di casa, scostando leggermente il mantello, mostrò di avere addosso i guanti che potenziavano l’energia di Reahu.

“Voglio dare una mano” parlò Ihanez.

“Hai trovato la freccia per Nininsina?”.

“Sì. E adesso voglio aiutare. So che ci sarà molto da fare, con alcuni di noi che non possono usare i propri poteri. Datemi qualcosa da fare”.

“Non puoi aiutarmi”.

“Certo che posso! Il mio potere è al servizio di questa casa!”.

“Ma non ti sei del tutto risvegliato”.

“Nemmeno Voi, da quel che mi risulta”.

Rashnu rimase in silenzio, per qualche istante. Fissò i guanti metallici color oro e sospirò.

“Sei testardo come tuo padre. Va bene. Vieni pure con me, apprendista. Chiedi ad Egres le parti di armatura che potenziano la sua magia. Ti serviranno”.

Ihanez corse verso la stanza del collega. Sapeva che non stava dormendo, anche se lo trovò disteso a letto, che fissava il vuoto.

“Egres” mormorò lo stregone “Ho bisogno delle tue cavigliere”.

“Volete sollevarmi dall’incarico?” biascicò Egres, senza muoversi.

“No. Vogliamo aiutarti ed occuparci noi di tutto, finché non te la sentirai”.

“E se non me la sentissi mai più?”.

Ihanez non rispose. Attese che l’amico gli porgesse la chiave per la stanza con sigillo d’oro dietro la quale stavano gli oggetti che voleva.

“Questo mondo è ingiusto, Ihanez. Credi valga davvero la pena faticare tanto per esso?”.

“Ingiusto?”.

“Certo. Non lo hai notato? Akerbeltz è…era…buono. Quando era piccolo, veniva preso in giro da tutti perché ritenuto pazzo. Lui parlava con le bestie, fin da bambino, e questo per gli altri era sbagliato. Tornava a casa spesso malconcio ma non si arrabbiava mai. Si rintanava in un angolo, in compagnia di qualcuno dei suoi cuccioli, e piangeva in silenzio. Ha sempre obbedito ad ogni ordine ed ogni richiesta, in silenzio. Non ha mai fatto male a nessuno. E come è stato ripagato? Ti sembra giusto questo?”.

“Sinceramente, non ho le conoscenze necessarie per poter parlare della giustizia del mondo”.

“Non capisci? Le persone malvagie, quelle che sfruttano, uccidono e maltrattano, vivono la loro vita felice, mentre quelli stupidi come me soffrono. Non essere troppo gentile, Ihanez, o questo mondo schifoso ti porterà via tutto”.

“Posso solo immaginare come tu ti senta. Se perdessi uno dei miei fratelli, non so che farei. Ma devi continuare a combattere per lui. Dubito che il signore degli animali volesse un fratellino impaurito, che si arrende. Cerca di riprenderti. Per te stesso, per chi ti vuole bene, non per il mondo”.

“Per chi mi vuole bene?”.

“Sì. Per Lahar, che ti ammira. Per Thesan, che non fa altro che chiedere come stai. Per Tate, che ha difeso questa casa nonostante l’inesperienza e la giovane età. Per me, che sarò anche l’ultima ruota del carro ma credo di contare qualcosa, anche se poco. Per tutti noi, che crediamo in te. Sei nostro amico, sei nostro fratello”.

“Credevo di aver sofferto a sufficienza. Invece ecco che arriva un’altra botta in questa mia vita triste e costellata di lutti. Perché dovrei aiutare ancora questo mondo?”.

“Perché le piante, la natura, la terra, non devono prendersi carico delle colpe delle creature di classe che popolano il mondo. La terra, intesa come forza vivente e verde, non può essere lasciata morire solo per punire delle creature sconsiderate e folli”.

Egres alzò gli occhi, incrociando quelli di Ihanez.

“Come sta Reahu?” domandò, dopo un po’.

“Non si è svegliato. Ma pare sia stabile”.

“Quello non lo ammazza nessuno”.

“Non si arrende”.

“Vai ora” sospirò Egres “Non far aspettare Rashnu”.

Ihanez si congedò con un piccolo inchino ed uscì. Lahar lo aspettava fuori, con fra le mani gli oggetti di potenziamento di Akerbeltz ed Egres, dicendo che anche lei avrebbe dato una mano.

 

I tre, Rashnu ed i due allievi, stavano ripercorrendo il perimetro della foresta sacra, per ristabilirne la salute e la barriera.

“Devo ammetterlo, Reahu è stato molto attendo. Ha fatto di tutto per non rovinare le piante. È diventato più coscienzioso, meno impulsivo, ultimamente. Lo hai notato?” parlò Rashnu, muovendo l’aria in modo da formare una sorta di muro invisibile agli occhi dei “normali”.

“Dici a me?” rispose, distrattamente, Ihanez, impegnato a riparare ai danni alla vegetazione provocati dagli intrusi.

“E a chi? Ai sassi?” sbottò Rashnu.

“C’è anche Lahar”.

“Non ha molto a che fare con Reahu, lei”.

Lahar non alzò nemmeno la testa. Si stava occupando delle bestie della foresta, impaurire e ferite.

“Non sembra poi così diverso dal solito” borbottò Ihanez, continuando nel suo lavoro.

“A me sembra di sì. E anche Clio”.

“Clio?”.

“Certo. È più forte, più decisa”.

“Sinceramente, io la vedo solo triste la maggior parte delle volte”.

“Triste? E perché?”.

“Per tutta una serie di ragioni. Sembra forte, ma non lo è. Come Reahu che sembra uno stronzo, ma non lo è. Tranne alcuni casi”.

“Credo che questa convivenza forzata fra voi tre stia portando molto giovamento a tutti”.

“Non lo nego”.

“Pensi che…” riprese Rashnu, dopo qualche istante di silenzio “Fra Clio e Reahu sia nato qualcosa?”.

“Qualcosa del tipo?”.

“Ma sei rincoglionito o fingi di esserlo?!”.

“Non sono bravo in certe cose. Non mi accorgo del romanticismo nell’aria”.

“Eppure hai una donna”.

“Hennay? Certo. Praticamente è l’unica donna che abbia mai conosciuto, prima di venire qui”.

“E questo che vuol dire?”.

“Non sono molto esperto, ecco. E poi, scusate, ma a voi che importa?”.

“Reahu non può amare, senza parte d’anima, quindi Clio sarebbe destinata solo a soffrire di un amore non corrisposto, se fosse vero”.

“Si dicono molte cose su Reahu, ma io ho visto come è fatto veramente e non è come tutti dicono”.

“Credi di conoscerlo meglio di me, che lo seguo da quasi due secoli?”.

“Scusatemi” interruppe Lahar “Ma non dovreste fare certi discorsi, signor Rashnu, dopo che avete ignorato la povera Clio per anni! Non fatevi adesso cogliere da attacchi di iperprotettivismo solo perché dimostra interesse nei confronti di un uomo che non siete Voi!”.

Rashnu si zittì, alzando le mani in segno di resa. Aveva imparato a non discutere con le donne quando non erano dell’umore adatto.

“Posso farvi una domanda?” riprese Ihanez, dopo qualche istante.

“Parla” rispose Rashnu, senza smettere di usare la magia.

“Riguarda il mio potere. Perché, dato che controllo la vita, allora recupero forza con la morte e posso provocarla? Non è un controsenso?”.

“No, non lo è. Anche la morte trae forza dalla vita, perché sa che un giorno quelle anime saranno sue. Non c’è niente di strano”.

“A me spaventa un po’. Tutti si aspettano grandi cose da me ma se non fosse giusto? Intendo dire, se non fossi io il più adatto ad avere questo potere? Io lo possiedo solo perché lo aveva mio padre”.

“No, non è così. Colui che viene scelto da un potere è il più adatto a possederlo”.

“E se io non lo volessi?”.

“Non hai scelta. È il tuo destino”.

“Il mio destino me lo scelgo da solo”.

“Bella convinzione, ma è solo una favola. Quel potere è nato con te, così come sei nato stregone. Certe cose non si possono scegliere. Si nasce così e basta”.

“Ma mi spaventa l’idea di vivere a lungo come voialtri. Se riuscissi a riportare Hennay in vita, poi la perderei di nuovo e vedrei morire i miei fratelli. Sarebbe molto triste”.

“Questo è il tuo compito. Prima lo accetterai e prima ti risveglierai del tutto, come sta succedendo a Lahar. Senti come cresce in fretta il suo potere? Ha accettato la magia di Akerbeltz ed ora è la nuova signora degli animali”.

Ihanez pareva perplesso e fece per aprire la bocca quando una risata lo fece ammutolire.

“Che fate lì, di notte, piccoli miei?” domandò quella voce, ancor più profonda di quella di Rashnu.

“Zio?” domandò lo stregone, vedendo una figura nera camminare verso di loro.

Accompagnato da una nebbia decisamente scenica, lo seguivano i due giovani che Ihanez aveva intravisto in uno dei suoi primi giorni di permanenza nella casa.

“Nipote mio! Come stai? Che bell’occhio nero! Ti dona. Come procede  il tuo addestramento?” domandò Mantus.

“Bene. Sei qui per la riunione?”.

“Esatto. Ora ditemi: che state facendo qui fuori?”.

Rashnu spiegò a grandi linee l’accaduto. Mantus spalancò gli occhi.

“Mai in tutta la mia esistenza ho assistito ad un simile abominio, ad un tale sacrilegio! Semplici creature di classe che attaccano noialtri? Spero che prenderai provvedimenti”.

“Certo. Ma non quelli che pensi. C’è un traditore fra di noi”.

Mantus digrignò i denti. Non era mai stato famoso per l’autocontrollo e per la dolcezza.

“E Reahu? Il mio caro mezz’anima rimarrà ancora fra noi, spero”.

“Lo speriamo tutti”.

“Oppure qualcuno la pagherà cara”.

“Qualcuno la pagherà cara comunque”.

“Mi piace quando mostri il tuo lato crudele, ragazzo. Dovresti farlo più spesso. Ora però, ditemi, che state facendo qua fuori?”.

“Ripristiniamo l’equilibrio della foresta” rispose Ihanez.

“Posso darvi una mano? Rashnu, ti occupi tu della vita?”.

“No, tuo nipote”.

“Sei il signore della vita?!” si stupì Mantus.

“Non ancora. Mi sono risvegliato solo in parte”.

“Questo significa che Ipalnemoa è ancora vivo. Vieni, piccolo. Ti insegno una cosa nuova”.

Il nipote lo seguì, piuttosto dubbioso, lanciando occhiate ai colleghi, interrogative. Mantus entrò all’interno dell’area protetta che Rashnu aveva quasi completato. Chiamò il futuro signore della vita accanto a sé.

“Ora fai esattamente quello che faccio io, ok? Ora ti mostro lentamente un movimento delle  braccia e del corpo. Devi rifarlo assieme a me e, quando aprirai le mani, griderai con me le parole che ti dirò, intesi?”.

Ihanez annuì ed osservò attentamente lo zio, mentre si muoveva e gli mostrava cosa fare.

“A questo punto” parlò Mantus “Spalancheremo le braccia e grideremo "Hieros”. Pronto?”.

“Hieros? Sì, ho capito. Sono pronto”.

Uno a fianco dell’altro, si mossero rapidamente. Spalancando le braccia ed aprendo i palmi delle mani, entrambi esclamarono quella parola e l’energia che sprigionarono fu immensa. Avvolse la foresta, che tornò a riempirsi di canti e voci d’animali. Gli alberi tornarono verdi e perfetti. Pareva che nulla fosse successo.

Lahar, rimasta a bocca aperta, fissò il tutto senza dire nulla. Rashnu, al suo fianco, sorrideva.

“Questo si chiama Hieros, nipote” spiegò Mantus “Quando due come noi uniscono il loro potere”.

“Posso farlo con chiunque?”.

“Con chiunque di noi, in teoria. Ma certe combinazioni riescono meglio delle altre. Poi esiste un altro tipo di unione delle forze, chiamata Hieros Gamos. Fra due innamorati. Quella provoca energia ancora maggiore. Ma io e te non rientriamo in quella categoria”.

Ihanez sorrise, debolmente.

“Andiamo adesso. Il nostro lavoro è finito” parlò lo zio, indicando la strada che portava verso casa.

 

   

 

Clio aiutava Nininsina nelle cure. Le porgeva le cose che la guaritrice richiedeva e guardava apprensiva Reahu, che aveva l’aria di soffrire molto.

“Vai nella sua stanza, Clio, quella con il sigillo, e prendimi un paio di  boccette come questa” parlò Nininsina, mostrando una piccola fiala di vetro ormai vuota.

“Ma io non ci sono mai entrata, non so dove poter trovare quelle cose”.

“Le troverai. Fatti guidare dall’istinto”.

“E a che cosa serviranno?”.

“Vengono da altri pianeti e mondi lontani. Mi aiutano a preparare sostanze guaritrici. Fai in fretta, prima che inizi la riunione”.

Clio si allontanò, piuttosto dubbiosa. Fra le mani stringeva la chiave, lucente ed argentea. Davanti alla porta, si fermò qualche istante ma poi la aprì, convinta. Fu avvolta dal buio, molto più di quanto non si aspettasse. Quella sala pareva respirare. Soffriva, come soffriva il suo proprietario.

“Dove sono quelle maledette boccette?” si chiese, camminando piano.

La sala parve udirla e si illuminò, in un punto preciso. Clio corse verso quella luce, sperando con tutto il cuore che fosse questo il posto. Passò accanto alla statua del predecessore di Reahu, che la fissò con gli occhi morti di una statua. Le boccette che cercava erano effettivamente dove indicava la luce ma erano in alto, molto più in alto di quanto a lei fosse concesso andare con la sua bassa statura. Sbuffò e si guardò attorno, in cerca di qualcosa da usare. La colonna bianca che sorreggeva i guanti ora era priva di utilizzo, perciò decise di spostarla. Fece una gran fatica ma alla fine ci riuscì. Con altrettanta fatica, vi si arrampicò sopra. In bilico, in punta di piedi, afferrò due boccette. Sorrise, soddisfatta, ma finì con lo sbilanciarsi. La colonna si mosse e lei cadde all’indietro, gridando. Chiuse gli occhi ma non cadde. Qualcosa la tenne sospesa.

“Fai attenzione” gli parlò una voce.

“Reahu?” domandò lei, riconoscendola.

“Corri fuori, il tuo compito lo hai svolto qui”.

“Scusa se ho spostato la colonna. Forse si è rotta cadendo”.

Una risata si espanse per la sala. Una risata bella, squillante, rassicurante.

“Tranquilla. Vai. Non è successo niente”.

Clio, senza capire bene cosa fosse successo, lasciò la camere e corse dalla guaritrice.

 

“Tate!” gridò Tarhunt “Dove credi di andare?”.

Tate si voltò, lentamente. Aveva il braccio fasciato ed il volto pallido.

“È l’alba. Rispondo alla convocazione e partecipo alla riunione” rispose il giovane, convinto.

“Non dire fesserie. Torna subito a letto!”.

“Sto bene. Sono solo un po’ stanco, ma questo non mi impedisce di sedere al tavolo con i miei colleghi e sentire ciò che Rashnu ha da dirci”.

“Te lo racconterò io” si propose Azizos, compagno di Tate “Ogni dettaglio. Ma torna a letto”.

“No! Sono abbastanza grande per fare quel che mi pare” protestò il signore dei venti, dimenandosi dalla presa delicata del signore del mattino.

La loro discussione fu interrotta da una voce nuova. Una ragazza, guidata da Belisama, era entrata nella casa. Aveva lunghi capelli tendenti al rosso, corti davanti a formare una frangia e legati dietro, molto voluminosi. Vestiva elegante e pareva spaesata. Si guardava in giro, comminando lentamente, chiedendo se ci fosse qualcuno. Al suo fianco, un cucciolo dal lungo pelo nero.

“Vieni con me” le parlò Belisama “La sala della riunione è da questa parte, seguimi. Sono quasi tutti arrivati e ti aspettano”.

“Rashnu!” esclamò lei, vedendolo al piano di sopra.

“Veda” le sorrise lui.

Era appena rientrato e si era preparato per la riunione. Ihanez, Lahar e Mantus si trovavano già nella sala ed attendevano.

“Perdonami lo scarso preavviso” parlò lui, raggiungendola “Purtroppo si è trattata di un’emergenza ed ho dovuto far tutto in fretta”.

“Ho saputo. Mi è stato raccontato”.

“Avrei voluto presentarti alla casa in un’occasione un po’ più lieta, mi spiace”.

Veda lo baciò dolcemente, notando il suo sguardo. Era preoccupato e triste.

“Andiamo”.

Insieme entrarono nella sala, facendo ammutolire i presenti. Chi era quella ragazza? E che ci faceva lì? Ancora intrusi?

“Veda?!” parlò Ihanez, l’unico fra i presenti, alzando un sopracciglio.

“Ciao” lo salutò lei, timidamente.

“E questa chi è?” sbottò Kairòs.

“Lei è Veda, ed ha pieno diritto di essere qui” rispose Rashnu, facendola sedere accanto a sé.

“Bella bambolina”.

“Porta rispetto alla tua futura regina, se non vuoi che ti strappi la lingua”.

“Futura regina?” mormorò Veda, divertita, notando solo poi la corona che Rashnu portava in testa “Ci sono ancora delle cose che non so di te” gli disse, a bassa voce.

“Le cose meno importanti”.

“Essere principe non è importante?”.

“Non fondamentale”.

“Futura cosa?!” sbottò Ihanez.

“Che palle!” ruotò gli occhi al cielo Rashnu “Non siamo qui per questo!”.

Tutti i presenti guardarono quella ragazza, che arrossì leggermente. Aveva un alone luminoso tutt’attorno. C’era qualcosa in lei di straordinario e, quando sorrise, nessuno ebbe più alcunché da ridire. Già sembrava una regina. Inoltre, non provava alcun timore a sedere accanto a Rashnu, nonostante questi mostrasse quasi il suo lato più terribile per la rabbia.

“Come vedete” iniziò il padrone di casa “Vi sono delle sedie vuote, voi sapete perché. Dalle informazioni fornitami da Nininsina, è stato usato contro di noi un veleno artificiale, che interagisce con il nostro sangue, realizzabile solo avendone un campione. Per questo siete qui. Qui, seduto fra noi, c’è un traditore ed io voglio che si consegni spontaneamente, evitandomi la fatica”.

“Un traditore? Non c’è un’altra possibilità?” domandò Kuma, la Luna “Un incidente o qualcosa del genere? Mi sembra incredibile che davvero qualcuno di noi possa…”.

“Nessun incidente, credimi. Informo il colpevole che Fides è qui, pronta a d interrogarvi uno per uno. E voi sapete bene che non potete mentire davanti alla signora della fedeltà e del giuramento”.

Molti iniziarono a borbottare, increduli, alcuni iniziando ad accusarsi.

“Io sono una persona che evita di essere cattiva, se può” riprese Rashnu, con calma “Perciò sto offrendo la possibilità alla creatura che mi ha tradito, ed ha tradito questa casa, di farsi avanti spontaneamente. Se mi costringerà a smascherarla personalmente, la pena che subirà sarà di molto maggiore. Molto peggio di quanto il suo piccolo cervello possa immaginare”.

Guardò i presenti, uno dopo l’altro. Più di qualcuno chinò la testa, impaurito.

“Voglio dare la possibilità al traditore di spiegarsi” insistette il padrone di casa, iniziando gradatamente a perdere la calma “Perché non mi è chiaro come si possa tradire la propria famiglia! Io ho accolto tutti voi qui, vi ho dato la possibilità di vivere al sicuro, ve l’ho promesso, e qualcuno fra di voi ha fatto sì che le mie parole non valessero più. Vi ho aiutato ed ognuno di voi ha visto negli altri dei fratelli, dei compagni, degli amici. Ho messo a vostra disposizione ogni mezzo in mio possesso per farvi star meglio ed è così che vengo ripagato? Tradimento, complotto e sangue versato fra noi. E per cosa? È questo che voglio sapere. Cosa ha spinto uno di noi a tradire? Per chi?  Per dei vermi guerrafondai a malapena senzienti che strisciano su questa terra mangiando merda assieme ai loro figli?”.

L’ultima frase lasciò perplessi molti dei presenti.

“Vedo che nessuno di voi vuole parlare. Benissimo. Mettiamo bene in chiaro le cose: io so chi è stato di voi”.

Mutismo in sala.

“Ma allora perché ci hai fatto venire qui tutti?” sbottò Tarhunt.

“Per non sentire strane lamentele di sorta da parte di chicchessia”.

“Sei certo di sapere chi sia?” mormorò Veda.

“Sicurissimo. Ma voglio vedere se ha il coraggio di muoversi, oppure se dovrò prendere personalmente provvedimenti nei confronti suoi e della sua famiglia”.

Tate sobbalzò. Non erano molti quelli con dei familiari in quel luogo. Si guardò attorno, mentre Rashnu gli diceva di essere libero di tornare in stanza se voleva, vedendolo molto stanco.

“Dicci chi è” parlò Kinich Kakmo “Così da fargliela pagare per quel che ha fatto”.

“Concordo. Facci sapere a chi devo spaccare la faccia” ringhiò Tarhunt.

Rashnu fissò un punto preciso del tavolo, con uno strano sogghigno sul viso.

“Parli, mio caro?” domandò “O ci penso io? Guarda i tuoi colleghi come fremano per darti una lezione con i fiocchi”.

Nessuno, ancora, si fece avanti.

“Saxnot!” gridò il padrone di casa, alzandosi di colpo “Possibile che non capisci quel che tento di fare? Cerco di pararti il culo ed evitare che questi altri ti ammazzino! Cazzo, hai perso la lingua? Ho minacciato perfino la tua famiglia! Così poco ti importa di tua moglie e tuo figlio?”.

Tutti si girarono verso Saxnot, che rimase immobile a braccia incrociate.

“Non hai prove” sbottò.

“Guardami, Saxnot” ordinò Rashnu.

Il signore delle armi voltò la testa e trasalì. Il braccio destro del suo capo, quello con il bracciale nero e argento, era allungato verso di lui ed il gioiello pulsava di luce scura.

“Sei sicuro che non abbia prove?” sussurrò il padrone, con un tono della voce tale che fece rabbrividire tutti, perfino l’impassibile Mantus.

L’aria si fece scura, i lupi iniziarono ad ululare e la terra tremò alla voce di Rashnu.

“Inizia a pregare, Saxnot” sibilò Tarhunt

“Sei fottuto!” confermò Tork.

“Alzati in piedi, Saxnot, e vieni qui” ordinò il padrone di casa.

Il signore delle armi non si mosse, ma Rashnu alzò due dita, trasportando a forza l’uomo davanti a sé, costringendolo ad inginocchiarsi. Si alzò e si fermò a pochissimi passi dall’indiziato.

“Dammi una sola ragione per non ucciderti” furono le parole, ben scandite, del padrone di casa.

Saxnot non parlò, tentando in ogni modo di liberarsi da quella posizione imbarazzante, ai piedi del suo capo.

“Perché lo hai fatto? Fammi capire la motivazione del tuo gesto. Come hai potuto dire loro dov’era la nostra casa e fornire il modo di farci del male?”.

“Lascialo stare!” gridò Adraste, la  moglie di Saxnot.

“Fa silenzio. Neppure tu sei del tutto innocente” la zittì Rashnu e poi tornò a dedicarsi al sottoposto “Sei qui, di fronte a me, Saxnot, ed io ti giudico, com’è mio dovere. Ti ho giudicato e sei colpevole. Non hai niente da dire?”.

“Io non chinerò mai la testa di fronte a te” parlò,quasi ringhiando, il signore delle armi.

Rashnu allungò di nuovo un dito ed il colpevole si chinò ancora di più, andando a toccare il pavimento con la fronte.

“Dicevi?” sbottò il capo “E adesso, dimmi un po’, vedi di aprire la bocca per farne uscire qualcosa di costruttivo. Esigo sapere il perché”.

“Scopritelo da solo”.

“Clio” chiamò Rashnu.

“Si, signore?” si alzò lei.

“Cavagli dalla testa tutto quello che voglio”.

Saxnot e Clio si fissarono. Lui sapeva che i metodi di lei non erano molto delicati, quando un’informazione tentavi di celarla al resto del mondo. Titubante, la signora della storia e della memoria sospirò. Non amava usare le sue capacità contro i suoi compagni.

“Mostra ai presenti perché verrà punito” ordinò ancora Rashnu, lasciando a Clio lo spazio necessario per agire.

Lei allungò la mano e, inginocchiandosi, toccò il capo di Saxnot. Lui combatté perché lei non evocasse quelle immagini nella testa di tutti ma non ci riuscì. Tutti videro Saxnot e la sua alleanza con guerrieri e scienziati. Forniva loro informazioni, sangue e materiale adatto per poter sconfiggere le creature di quella casa. Perché?

“Io sono meglio di te” esclamò, rivolto a Rashnu, prima che gli altri lo vedessero “Tu non meriti di governare questa casa, non ti sei nemmeno risvegliato del tutto”.

“E per questo hai fatto uccidere Akerbeltz?! Per mettere me in discussione hai ucciso un tuo compagno? Un tuo collega?”.

“Volevo che tutti vedessero quanto sei debole, soprattutto ora che te ne vai in giro con quella femmina”.

“Potevi sfidarmi direttamente. Era questo che dovevi fare, non infierire su altri”.

Mosse le dita e Saxnot sollevò la testa, fissandolo. Il padrone di casa aprì la mano ed una luce intensa apparve attorno al colpevole. Rashnu pareva controllarla e richiamarla a sé. Gradatamente lasciò Saxnot, che ricadde in avanti pesantemente.

“Hai complottato contro i tuoi simili, alleandoti con coloro che un tempo ti avevano cacciato e deriso. Io ti avevo accolto, ma mi hai tradito. Non sei più il benvenuto qui. Torna ad essere uno di loro: un semplice guerriero. Ti privo di ogni potere, Saxnot, e ti bandisco per sempre”.

Saxnot si rialzò a fatica, trovando ad un tratto immensamente pesante l’armatura che indossava.

“Tua moglie e tuo figlio sono liberi di seguirti, se lo desiderano, per assistere a ciò che resta della tua misera vita mortale, di soldato in guerra”.

Adraste, la moglie, e Petbe, il figlio, si fissarono. Adraste corse dal marito, mostrando di voler andare con lui, di volergli stare accanto. Petbe, al contrario, scosse il capo. Adraste scoppiò a piangere, supplicandolo, ma il giovane non cambiò idea. Rimase immobile, mentre padre e madre si allontanavano da palazzo. Il bracciale di Rashnu, quello oro, riprese a brillare di luce bianca.

“Perché lo avete lasciato andare?” protestò Tarhunt.

“Perché non sono un assassino. E perché non rendo orfano un ragazzo che ancora crede in me ed in questa casa”.

Petbe fissò Rashnu, un po’ confuso. Non immaginava che suo padre potesse complottare contro di loro, mettendo in pericolo perfino la sua famiglia.

“Ed ora, dato che siamo tutti qui, decideremo dove spostare la nostra casa e la foresta che la ospita, in modo da non farci trovare più da chicchessia” esclamò Rashnu, e molti annuirono.

 

   

 

Mentre Rashnu ultimava lo spostamento ed il rafforzamento della barriera della casa, Ihanez ne approfittò per parlare con la sorella.

“Scusa se non ti ho detto di me e Rashnu” disse lei “Ma volevamo essere sicuri che fra di noi tutto funzionasse come ci aspettavamo”.

“Capisco. Però io sono il tuo fratellone, ed avresti dovuto perlomeno accennarmelo”.

“Scusa”.

“Ormai. Non importa”.

“Mi presenti qualche tuo amico? Il tuo maestro?”.

“Lui sta molto male, a causa dell’attacco. Vieni, ti presento altri miei colleghi”.

Girando, parlò con Clio, Tate, Tork, Lahar e tutti gli altri. Ultimo lasciò Mantus, ammettendo di non conoscerlo molto, pur essendo suo zio.

“Io e lui ci conosciamo già, vero Mantus?” sorrise Veda.

“E come mai?”.

“Perché a volte Rashnu mi porta con sé nei suoi giri e lo incrociamo molto spesso”.

“Capisco” storse il naso Ihanez.

Non conosceva esattamente il ruolo di Rashnu, e non capiva del tutto quanto potesse essere rischioso. Nel frattempo, il padrone di casa aveva finito il suo compito. Gli altri si stavano disperdendo, andando al lavoro o a dormire.

“Vieni, Belisama ti accompagnerà a casa” parlò il padrone di casa, guardando Veda.

“Non mi accompagni tu?” ci rimase male lei.

“No, non posso. Mi dispiace, ho molte cose da fare. Vedrò di tornare da te il più presto possibile. E stai attenta. Saxnot bazzicherà dalle tue parti”.

“Starò attenta”.

“Il mio piccolo regalo ti difenderà e, se c’è qualcosa che non va, chiamami ed io sarò da te in pochi instanti, capito? Ti amo”.

“Oh, mio principe”.

Con un piccolo bacio, si separarono, controvoglia.

“Perdonami. Te l’ho tenuto nascosto” parlò Rashnu a Ihanez, camminando lungo il corridoio e prendendo le scale, seguito dallo stregone.

“Ammetto di essere un po’ contrariato dalla cosa” sbottò Ihanez.

“Ho intenzioni più che serie con lei, Ihanez. Te lo giuro. Diventerà la mia sposa, quando avrò sistemato un po’ di casini”.

“Diventerò tuo cognato”.

“Mi piace. A te no?”.

Ihanez sorrise. Erano davanti alla porta della camera di Reahu. Entrarono silenziosamente. C’era Clio accanto a lui, avvolta dal buio, che lo teneva per mano. Le tende tirate per non far entrare la luce del giorno ed uno strano silenzio, scandito dal ticchettio di un orologio, riempivano la stanza. Si avvicinarono al letto dove stava disteso il ferito, cercando di non fare rumore. Rashnu gli poggiò una mano sulla fronte, calmando momentaneamente le smorfie di dolore sul volto dell’amico, che aprì lentamente gli occhi oro.

“Sei venuto a giudicarmi?” mormorò, piano.

“No, mio caro. Ti tocca rimanere fra noi ancora per un po’, mi spiace”.

“Se lo dici tu, mi fido”.

Reahu sogghignò e Ihanez fu immensamente sollevato nel vederlo sveglio.

“Vedi di rimetterti presto, pazzoide. Il tuo allievo ha bisogno di un’istruzione decente”.

Uscirono dalla camera informando la casa che si era svegliato e migliorava rapidamente.

“Posso osare una richiesta?” domandò Ihanez, prima che Rashnu fuggisse via per lavorare.

“Osa, ma in fretta”.

“Io vorrei fare l’esame finale da stregone”.

“Come mai?”.

“Ha un valore simbolico per me. Ci terrei”.

“Non ne vedo il motivo ma, se ci tieni e ti senti pronto, fai pure quel che credi”.

“Grazie”.

“Quando si svolgerà?”.

“Ne fanno uno all’anno. Dovrò aspettare”.

“Perfetto. Così nel frattempo darai una mano qui”.

Detto questo, Rashnu si allontanò in fretta. Aveva un sacco di lavoro arretrato. E Ihanez rientrò in camera del maestro.

 

Tarhunt entrò nella stanza di Reahu senza parlare. Rimase fermo sulla porta, in attesa. Lo vide alzarsi, incerto sulle gambe.

“Sei venuto a sfottermi?” parlò il signore del cielo, notandolo.

Aveva molte bende addosso ed il suo volto era scavato, smorto. Clio ed Ihanez si fissarono, non capendo del tutto il motivo di quella visita. Tarhunt camminò deciso verso il ferito e lo abbracciò, senza dargli modo di sottrarsi e stando attento a non stringere troppo.

“Che fratellone stupido che ho” mormorò “Mamma non sarebbe contenta, se lo sapesse”.

Reahu rimase senza parole. Da troppo ormai non pensava al legame di sangue che aveva con colui che lo stava abbracciando.

“Mi hai fatto prendere un bello spavento, sai?” riprese Tarhunt, lasciandolo andare “Vedi di non ripetere mai una cosa del genere. Lo hai promesso, ricordi? Devi prenderti cura del tuo fratellino”.

“Ormai sono anni che non hai più bisogno di questo tuo fratello, mi sembra”.

“Sarò sempre il tuo fratellino. Grande, grosso, e rompicoglioni, ma sempre il tuo fratellino”.

Reahu tornò a sedersi, sentendosi più stanco di quanto pensasse.

“Riprenditi alla svelta, se no chi potrò tormentare?” gli disse Tarhunt, incrociando le braccia e sorridendo, in modo abbastanza stupido.

“Farò del mio meglio”.

Il signore del tempo atmosferico aveva un aspetto più adulto, più vecchio, del signore del cielo. Questo perché si era risvegliato più tardi ed era stato accolto nella casa anni dopo. Era solo un bambino quando Reahu aveva iniziato l’addestramento con Ipalnemoa. Si guardarono. Solo in quel momento, Ihanez notò la rassomiglianza fra i due.

“Puoi dormire sonni tranquilli, Tarhunt. Non ti libererai tanto facilmente di me”.

“Lo spero. Se no io come mi diverto?”.

“Il tuo adorato fratello bazzicherà per il mondo ancora per un po’, a quanto pare”.

Sorrise, cosa rara, mettendo una mano fra i capelli del suo allievo, che gli si era seduto accanto, e gonfiandoli molto più del solito, guardando Clio.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** XII- La stanza degli spettri ***


XII

 

LA STANZA DEGLI SPETTRI

 

Da quel giorno terribile, in cui gli abitanti della casa avevano visto spegnersi il loro compagno Akerbeltz, il rapporto fra loro ed il mondo esterno era molto cambiato. Ne avevano paura. Se Reahu, uno dei più forti, aveva sfiorato la morte a causa dei loro colpi, cosa poteva accadere ad altri di loro, il cui potere era di certo minore? Li attendeva la fine di Akerbeltz, di certo. Reahu, dal canto suo, non aveva un granché modo di provare paura, con le sensazioni smorzate dalla sua parte mancante. Per quel che lo riguardava, le cose non erano poi così tanto cambiate. Era più di un secolo che considerava il mondo esterno qualcosa di malsano. L’unico segno visibile della sua disavventura era un ciuffo bianco fra i capelli e niente di più. Nessuna cicatrice. Uscì in cortile cautamente, cercando con lo sguardo il suo allievo, che si stava esercitando con Tork. Il maestro rimase a fissarli per un po’. Il signore dei monti e delle rocce si stava divertendo a tormentare Ihanez, che trovava particolarmente difficile trovare della vita nei sassi.

“Non è una cosa impossibile” lo rimproverò Reahu “Impegnati!”.

“Scherzi, vero?” storse il naso Ihanez, prima di beccarsi una pietra in faccia.

Reahu ghignò e si appoggiò ad un tronco, all’ombra degli alberi. Nonostante fossero trascorsi dei mesi, il suo corpo ancora non si era ripreso del tutto dal veleno e la cosa lo innervosiva. Lui, signore del cielo, battuto da degli omuncoli privi di potere. Avrebbe trovato il modo di vendicarsi. Nel frattempo era tornato il freddo, lo aveva notato, e le notti si erano fatte più lunghe. Il giorno che la casa progettava da mesi si stava avvicinando. La fine dell’anno, l’inizio di uno nuovo, il compleanno di Rashnu.

“Stai bene?” domandò Clio, che come sempre stava seguendo gli allenamenti di Ihanez.

“Benissimo” borbottò Reahu.

“Sicuro?”.

Il signore del cielo improvvisò un balletto stupido per convincerla e poi ridacchiò. Molti dei presenti sorrisero a quella scena, Ihanez compreso che, per colpa di quella distrazione, si ritrovò con i piedi bloccati nel terreno.

“Ancora non ti ho ringraziato” parlò, timidamente, Tate.

“Per cosa?” si stupì Reahu.

“Il giorno della battaglia. Mi avete salvato la vita. Sarei precipitato, altrimenti”.

“Sciocchezze. Ti saresti risollevato, o ti avrebbe salvato Tarhunt”.

“Ad ogni modo, grazie. Pensavo mi odiasse dopo quella faccenda degli insegnamenti che c’è stata fra noi”.

“Figurati. Sono io che mi dovrei scusare per…”.

Tate, che già pensava che colui che aveva davanti fosse diventato un’altra persona, completamente diversa da quella che lo aveva addestrato per un periodo, dovette ricredersi quando lo sentì interrompere la frase per ricacciare indietro con rabbia uno dei colpi di Tork.

“Tutto è pronto per la festa?” cambiò argomento Clio.

“Direi di sì” annuì Tate “Veda è già pronta a tenerlo lontano da casa il tempo necessario”.

“E in che modo?” si insospettì Ihanez, beccandosi l’ennesimo colpo dal signore di monti e rocce.

“Dici che lui sospetterà qualcosa?” continuò Clio.

“Quello nemmeno ci farà caso ad un anno in più o in meno!” esclamò Reahu.

 

   

 

“Duemila” mormorò Rashnu, fissando il tramonto.

“Qualcosa ti preoccupa, ragazzo?” sogghignò Mantus, stiracchiandosi ed uscendo di casa.

“Pensavo al mio compleanno”.

“Un anno in più, che vuoi che sia?”.

“L’uno in più, di per sé, non ha nulla di male. È l’insieme con gli altri che mi fa riflettere”.

“Sei ancora molto giovane”.

“Rispetto a chi? A te, forse, ma non rispetto al resto del mondo”.

“Duemila anni è una bella cifra, Rashnu. Perché la cosa ti preoccupa?”.

“Perché ancora non ho raggiunto appieno il mio ruolo”.

“Questo perché tuo padre non lo vuole. Non dipende da te”.

“Devo ammetterlo, mi spaventa questo anno in più. Non so perché. Ho una sensazione così strana al riguardo, come se tutto dovesse cambiare di colpo”.

“Se tutto deve cambiare, allora tutto cambierà. Non averne paura”.

“È bello poter parlare, ogni tanto, con qualcuno che sai bene aver passato la maggior parte delle cose che stai per affrontare”.

“Io credo che le nuove generazioni non debbano aver paura di misurarsi con quelle vecchie. Probabilmente rifletti su ciò che aveva ottenuto tuo padre alla tua età ma non è corretto per te far un ragionamento del genere, perché la situazione è molto diversa. Non devi per forza seguire pari passo le orme di tuo padre, sai? Tu non sei lui e lui non è te. Non sentirti inferiore”.

“Ma lo sono, se ci rifletti”.

“Se ci rifletto, vedo te davanti e me e non tuo padre, come dovrebbe essere. Chi credi sia superiore dei due? Quello che scappa e sparisce o quello che resta e combatte?”.

“Lui non è scappato!”.

“Lui non è qui. È questo il suo posto, a svolgere il suo ruolo, non chissà dove e fare chissà cosa. Tu sei un uomo, Rashnu, non un ragazzino, e non devi sentirti meno importante o meno capace di tuo padre. E non basare la tua vita su ciò che lui si aspetta che tu faccia”.

“Adoro farmi fare la predica da te, Mantus”.

“Spero di non sprecare fiato”.

Rashnu e Mantus si fissarono, per qualche istante. L’aria della sera era fredda e pungente, forse avrebbe nevicato, ma ad entrambi pareva non dare fastidio.

 

   

 

L’ultimo giorno dell’anno era giunto in fretta e la sensazione di Rashnu si era andata accentuando ora dopo ora. La sala grande ed il corridoio erano stati addobbati al meglio, grazie al lavoro di Kinyras, colui che presiedeva l’artigianato e la musica. Sua moglie, Laka, era la signora della danza e del canto, e si stava concentrando per gli ultimi preparativi. La loro figlia, Shri, era considerata la creatura più graziosa della casa, probabilmente perché controllava bellezza e felicità. Tutti gli abitanti si erano impegnati al massimo per rendere quella sera speciale. A mezzanotte, il loro capo avrebbe compiuto duemila anni, come duemila era l’anno che iniziava. Che strana coincidenza, si diceva Ihanez, finendo di apparecchiare la lunga tavola del salone.

Rashnu si aspettava una festa per quella notte, era l’ultimo giorno dell’anno ed erano abituati a celebrarlo, ma non credeva di trovarsi al centro dell’attenzione come festeggiato. Con Veda al suo fianco, vestita in modo impeccabile, girava per la sala assaggiando i vari piatti della sera.

“Pare che tutto stia andando come previsto”  sorrise Clio.

“Già, siamo stati bravi” annuì Reahu, porgendole un bicchiere e brindando con lei.

Erano eleganti per quella occasione, nessuno faceva eccezione. Kama e Kadesh osservavano tutti e facevano in modo che i cavalieri notassero le dame e viceversa. C’erano ancora delle coppie che volevano sistemare definitivamente. Rashnu e Veda danzavano assieme, segno che non avevano bisogno di aiuto dai controllori dell’amore per essere felici insieme. Thesan pareva aver trovato il coraggio e sedeva accanto ad Egres, sorridendogli. Ihanez guardò Lahar. Era bellissima con l’abito lungo ed i capelli acconciati in una crocchia scura. Le portò da bere, pur non dimenticando la presenza costante di Hennay alle sue spalle. Clio non era abituata a bere ed era piccina, non reggeva molto, perciò dopo soli due bicchieri già si sentiva un po’ stordita.

“Basta liquore per te, Clio” la rimproverò velatamente Reahu, togliendole il bicchiere di mano.

Lei lo fissò, leggermente accigliata, ma non protestò. Aveva ragione. Non poteva certo ubriacarsi di nuovo! Fissò l’enorme orologio a pendolo. Tra poco sarebbe iniziato il conto alla rovescia.

Rashnu fissava a sua volta quell’orologio, distraendosi dal ballo di coppia e facendosi calpestare i piedi più volte. Veda gli raccomandò di concentrarsi. I ballerini si fermarono. Era quasi ora, e gli abitanti della casa erano tutti con gli occhi rivolti verso il quadrante decorato che scandiva i secondi. Rashnu sorrise e decise di ignorare la sensazione che provava. Cosa poteva succedere? Solo un anno in più, nient’alto. Con una grossa bottiglia fra le mani, iniziò a contare.

“Dieci!” gridò Rashnu, trafficando con il tappo, pronto a farlo saltare.

“Nove!” risposero tutti gli altri.

“Otto!” urlarono di nuovo, avvicinandosi al padrone di casa.

“Sette!” sorrise Veda, osservando il suo amato alle prese con la bottiglia più grande che avesse mai visto prima.

“Sei!” gridò Egres, pronto a lasciarsi quell’anno alle spalle.

“Cinque!” esclamò Clio, in uno slancio di coraggio e prendendo a braccetto Reahu.

“Quattro!” si fece sentire Ihanez, consapevole che l’esame finale da stregone lo attendeva in quel nuovo anno.

“Tre!” gli rispose Lahar, ancora non del tutto abituata al suo nuovo ruolo.

“Due!” disse Reahu, alzando il calice pieno al cielo.

“Uno!” urlò tutta la casa, ed il tappo della bottiglia di Rashnu schizzò in alto, con un gran botto.

“Auguri, amore” gli sussurrò Veda, mentre gli abitanti mostravano un grosso striscione che avevano preparato con un “buon compleanno, Rashnu” scritto in rosso.

Lui scosse il capo. Non amava festeggiare il suo compleanno e, quando vide l’enorme torta rimase a bocca aperta. Aveva tante di quelle candele e tanta di quella panna da lasciarlo senza parole.

“Non dovevate” mormorò.

“Certo che dovevamo. E adesso spegni tutte le candele, ed esprimi un desiderio” rispose Veda.

Rashnu scosse la testa, divertito.

“Non so se riesco a spegnerle tutte senza l’aiuto di qualche evento atmosferico”.

“Tu inizia a soffiare. Vedrai che pian piano ci riesci” ghignò Reahu.

Il padrone di casa ispirò profondamente ed iniziò a spegnere le piccole fiamme, a gruppetti. Ci mise qualche minuto e, quando l’ultima candela cessò di brillare, scoppiò un applauso da parte di tutti gli abitanti, fra grida ed auguri. Ora lui se ne stava lì, con il coltello in mano, pronto a tagliare il dolce per distribuirlo ai presenti. Rideva, quando uno strano rumore alle sue spalle lo fermò. Con aria interrogativa, si voltò. Dietro di sé, l’enorme portone che delimitava l’ala di suo padre era avvolta dal buio ed il corridoio era deserto. Da dove veniva il rumore?

“Che c’è?” domandò Veda, spingendolo a tagliare la torta.

Lui obbedì ed iniziò a dividerla in fette ma sentì di nuovo quel rumore e si voltò. Una luce, una piccola luce si distingueva dalla porta in legno. Si avvicinò, sospettoso. Non poteva essersi aperta da sola. Salì i pochi gradini che dividevano il corridoio dall’ingresso e poi si fermò. L’ingresso alle stanze di suo padre non era possibile, la chiave non l’aveva nessuno. Eppure essa era aperta. Solo leggermente, ma era aperta. Titubante, allungò la mano e questa lo chiamò a sé, risucchiandolo. Rashnu tentò di opporre resistenza ma non ci riuscì. In un istante, lui era svanito. Il coltello che stringeva fra le mani in terra e la porta serrata, liscia, senza più neppure una maniglia.

 

“Rashnu!” gridò Veda, raggiungendo il punto in cui prima c’era il portone.

Ora pareva solamente dipinta. Reahu le andò accanto, toccando la parete. Che cosa strana.

“Rashnu, mi senti?” lo chiamò.

Nessuna risposta. E più di qualcuno iniziò ad avere attacchi di panico.

 

“Rashnu” bisbigliò una voce.

Lui si scosse, dopo essere caduto a terra in malo modo. Era tutto buio. Camminava nella nebbia nera e non sapeva dove fosse finito.

“Padre?” chiamò, ricordando di essere entrato nella sua ala.

Non ottenne risposta. C’era un sussurro, continuo, che però non capiva.

“C’è nessuno? Come si esce da qui?” parlò ancora Rashnu.

Nel buio, iniziò a vedere delle luci in lontananza. Forse era quella l’uscita, si disse, ed iniziò a camminare verso quella direzione. Non fece molta strada prima di capire che quelle luci erano delle anime immobili, ferme come statue. Erano di colore bianco-azzurrino, segno che nessuno ancora le aveva giudicate. Guardandole, iniziò a riconoscerle. Erano i predecessori di coloro che ora servivano la sua casa. Cosa ci facevano lì? Erano molte, silenti ed incatenate fra loro.

“Rashnu!” lo chiamò una voce, flebile e disperata.

Camminò verso quella voce, seguendo la fila degli incatenati. Alla fine di tutti loro, con entrambi i polsi bloccati, stava una creatura molto più grande delle altre e tutta azzurra.

“Rashnu” lo chiamò di nuovo.

“Onyame” gli rispose lui.

Aveva di fronte il predecessore di Reahu, quello che Rashnu considerava un maestro ed una guida. Di fatto, era suo zio.

“Nipote mio, sei tu?” parlò Onyame, muovendosi con estrema fatica.

“Sono io. Che posto è questo? E come mai siete qui?”.

“Come stanno i miei figli del cielo? Come stanno le creature del mondo?”.

“Insomma. C’è ancora la guerra”.

Rashnu non sapeva cosa fare. Onyame chinò il capo, stremato ed abbattuto. Piangeva.

“Reahu svolge egregiamente il suo ruolo” aggiunse Rashnu, tentando di risollevarlo.

“Reahu? Bravo, ne ero certo”.

“Cosa fate voi qui? Cosa vi è successo?”.

“Ipalnemoa non è qui, questo significa che è ancora in vita. Lui non ti ha dato spiegazioni?”.

“Ipalnemoa è scomparso da quasi cinquant’anni. Non ho suo notizie”.

“Allora è probabile che anche lui ci raggiunga presto”.

“Che intendi dire?”.

“Ci sono delle cose che devi sapere, Rashnu. Sei abbastanza grande e forte. Però devi avere coraggio, perché le immagini che ti mostrerò sono spaventose”.

“Dopo duecento anni di guerra, nulla mi sembra spaventoso”.

“Questo cambierà le tue prospettive, Rashnu. Spero vorrai perdonarmi”.

Onyame allungò la mano verso il nipote, sfiorandogli la fronte. Rashnu si rilassò. Si fidava di suo zio, lo aveva sempre fatto. Rabbrividì leggermente quando la mano azzurra, avvolta dalle vesti, lo toccò. Era fredda, pungente. Immagini iniziarono ad accalcarsi nella sua testa, memorie cancellate e piccole cose che non aveva notato me che ora gli erano chiare. Gridò. Era quella la realtà? Terribile, angosciante e spaventosa. Rashnu cadde in terra, in ginocchio. Non poteva e non voleva crederci ma lo sguardo di suo zio non lasciava spazio ad alcun dubbio.

“E come mai siete qui?” biascicò, sforzandosi di restare calmo.

“Siamo imprigionati. Solo io ho sufficiente forza d’animo per muovermi e sono stato io a chiamarti qui. Ora che sai la verità…”.

“Io posso liberarvi. E posso condurvi nella giusta dimora che spetta alle anime”.

“Te ne saremmo grati, ma facendo questo rischieresti la vita, esponendoti”.

“Sono già esposto, lo sono sempre stato. Ora vi liberò”.

Iniziò a concentrarsi, quando un botto molto forte fece vibrare il terreno ed una voce profonda riempì l’aria.

“Il mondo non ti appartiene!” si sentì dire Rashnu.

Rabbrividì, riconosceva quella voce.

“Te ne devi andare” parlò Onyame “Muoviti, corri!”.

Con un gesto della mano, mostrò al nipote la via e Rashnu rimase però fermo, indeciso sul da farsi.

“Sbrigati!” lo incitò lo zio.

“Tornerò a prendervi, è una promessa”.

“Ti aspetterò. E ricorda che io ti sarò sempre vicino, qualsiasi cosa tu scelga di fare”.

Rashnu iniziò a correre. Subito notò che la luce si stava affievolendo, qualcosa di grosso ed oscuro si stava avvicinando, impedendogli di raggiungere l’uscita.

 

“Cosa possiamo fare?” si preoccupò Clio.

L’urlo che Rashnu aveva emesso poco tempo prima, si era espanso per tutta la casa, così come tutto stava divenendo più oscuro, più cupo. Reahu reagì illuminandosi, e chiese ai suoi colleghi di fare lo stesso. Chi poteva, chi ne era in grado, seguì il suo esempio.

“Rashnu!” chiamò Veda.

La ragazza non sapeva cosa fare e si guardava attorno, in cerca di aiuto. Si accorse che nessuno dei presenti sapeva come agire. L’ala pareva si fosse sigillata, senza lasciare alcuna entrata.

“E se abbattessimo il muro?” suggerì Petbe.

“Lavoro per me” si rimboccò le maniche Tork, ordinando alle pietre del muro di spostarsi.

Queste si mossero, mostrano il nero assoluto oltre la parete, per poi però tornare nella stessa posizione. La cosa infastidì il signore delle montagne. Altri provarono ad ottenere un risultato diverso, ma non ci riuscirono. Veda poggiò le mani sulla parete.

“Rashnu!” chiamò ancora “Dove sei? Torna da me! Torna da noi. Guarda come il buio ci avvolge appena sei lontano. Torna a guidarci, torna da chi crede in te. Amore mio, non lasciarci da soli”.

Il brillio che emetteva Veda era fortissimo, più forte di quello della signora della luce. Gli abitanti della casa la fissarono, piuttosto stupiti. Stava riuscendo ad aprire la porta.

 

Rashnu continuava a correre verso la luce, nonostante si sentisse sempre più stanco e circondato da quel buio opprimente. L’oscurità lo stava vincendo quando la luce magnifica di Veda illuminò il suo cammino. Vide la mano di lei.

“Veda!” la chiamò, protendendosi verso la sua amata.

Alle sue spalle, la nube nera che lo braccava si ingrossò e scattò in avanti per afferrarlo. Rashnu si voltò, colpendola con il braccio e facendola retrocedere di qualche passo. La mano di Veda stringeva la sua e lo tirò verso l’esterno. Scaraventato fuori dalla sala, che si richiuse all’istante, balzò per un bel pezzo lungo il corridoio. Lei, abbracciata a colui che amava, finì a terra a sua volta ma non smise mai di stringerlo. Seguirono lunghi attimi di silenzio, in cui Rashnu e veda rimasero stretti l’uno all’altro e la sala tornò al suo solito aspetto, scacciando il buio.

“Tutto bene?” domandò Reahu, avvicinandosi.

Rashnu alzò il viso ed incrociò lo sguardo del signore del cielo. Annuì, tranquillizzando i presenti.

“Cosa è successo?” domandò Ihanez.

“Niente. Sto bene” si alzò, lentamente, il padrone di casa “Grazie per la festa, ora però è meglio che vada a letto. Sono molto stanco”.

Quasi nessuno si convinse con quelle frasi. Lo sguardo Rashnu era distante, spaventato, deluso. Qualcosa di terribile doveva essere successo dietro quella porta. Lo videro salire le scale, diretto alla sua stanza.

“Vedi se almeno tu riesci a scoprire qualcosa” parlò Reahu, rivolto a Veda “Lui è troppo orgoglioso per chiedere aiuto, ma noi siamo qui per questo. Facci sapere se c’è qualcosa che possiamo fare per farlo star meglio”.

Veda annuì e seguì il padrone di casa.

“Hai mandato mia sorella in camera di Rashnu?” si rabbuiò Ihanez.

“Calmati” lo zittì il signore del cielo, tappandogli la bocca.

Alcuni continuarono a festeggiare, mangiando torta e ballando. I più iniziarono a rientrare in stanza, stanchi e dubbiosi.

 

“Va via, Veda, per favore” mormorò Rashnu, vedendola entrare lentamente in camera “Ho bisogno di rimanere un po’ da solo”.

“Beh, mi spiace ma lasciarti da solo non rientra nei miei piani”.

Lei camminò verso di lui, steso a letto con lo sguardo distratto e puntato verso il soffitto. Così distratto da non notare quanto lei fosse suadente e bella in quel momento. Per farsi guardare, lei salì a cavalcioni su di lui. Si guardarono. Lei sorrise, leggermente, e si chinò per baciarlo. Lui parve calmarsi, i suoi cocchi tornarono a concentrarsi su ciò che aveva di fronte.

“Oggi è il tuo compleanno” mormorò lei “Non lo vuoi il tuo regalo?”.

Dicendo questo, fece scivolare via la veste, mostrando la pelle nuda al suo amato per la prima volta. Rashnu rimase immobile, non avendo il coraggio di toccarla.

“Buon compleanno” continuò lei, sapendo bene come ottenere ciò che voleva.

 

Clio anche quella volta era rimasta vittima dell’alcol. Nonostante avesse bevuto davvero poco, il suo corpo non era riuscito a reggere ed ora si stava facendo portare in camera in braccio.

“Ormai sono diventato il tuo trasportino” ghignò Reahu, salendo le scale.

Lei mugugnò, con le braccia attorno al collo di lui e le gambe a ciondoloni. Raggiunsero la stanza ed il signore del cielo, delicatamente, la mise a letto. Lei non lo lasciò andare.

“Resta qui con me” mugugnò Clio.

“A fare cosa? Ti serve una bella dormita, Clio. Lasciami andare”.

“Sono certa che non è quello che vuoi” sussurrò lei, spostando le mani lentamente verso il basso, scostando la pesante veste blu di lui.

“Sei ubriaca”.

“Non mi vuoi, Reahu?”.

“Non mentre sei sbronza. Non sei in te”.

“Oh, suvvia. Lo sanno tutti che l’alcol non fa altro che accentuare ciò che già vogliamo. Ed io ti voglio, signore del cielo”.

Reahu la guardò. Per qualche istante, nella sua mente balenò il pensiero che forse…

“No, non posso” sbottò, dimenandosi dalla sua presa.

Clio girò la testa, offesa o forse delusa. Reahu si rialzò in fretta, senza sapere che cosa dire. Risistemò ciò che indossava e sospirò.

“Ne riparleremo quando non sarai ubriaca, ok?” le disse.

Clio si rigirò e lo invitò ad andarle vicino, solo per un istante. Reahu si chinò di nuovo e la baciò sulla fronte.

“Non sono una bambina” protestò lei, vedendolo allontanarsi.

“Lo so. Sei una donna. E sei ubriaca. Voglio farmi desiderare da te anche da sobria, da sbronzi son capaci tutti”.

“Capito” biascicò Clio.

Era buffo, pensò, che mai in vita sua si fosse ubriacata tranne che quelle due volte in cui lui aveva dovuto portarla in camera in braccio. Buffo, davvero buffo.

 

Reahu, uscendo, diede una mano a riordinare la sala. Erano pochi quelli rimasti. La maggior parte era in stanza, con l’amante o il suo equivalente per la serata. Si stupì di vedere Ihanez. Pensava che lui e Lahar finalmente si fossero decisi ad andare avanti e fare il passo successivo. Ihanez, a sua volta, si stupì di vedere lì il suo maestro. Credeva che finalmente lui e Clio si decidessero a combinare qualcosa.

“Che vuoi?” sbottò Reahu, notando il suo sguardo interrogativo.

Ihanez non rispose. Si ignorarono, ricominciando a sparecchiare.

“Pensavo che tu e Lahar…” iniziò Reahu, ignorando Hennay che lo pedinava.

“Cosa?” sbottò Ihanez.

“Come "cosa"?! Mi pareva foste entrati in sintonia”.

“Sì. Ma non posso tradire Hennay”.

“Non puoi tradire una morta?!”.

“Un’anima. Che riporterò in vita”.

“Non lo puoi fare. Ne abbiamo già parlato”.

“Non farti mandare a fanculo già il primo giorno dell’anno!”.

“Il mio è solo un consiglio. Credimi, prima te la lascerai alle spalle ed andrai avanti, e meglio sarà. Più aspetti, e più è difficile. Credi ad un esperto”.

“Come puoi parlare così davanti a lei?”.

Reahu si girò verso Hennay, che rimase con sempre la stessa espressione indifferente.

“Per me equivale a parlare a questa sedia” sbottò Reahu, accostandola al muro.

“Sei proprio uno stronzo”.

“Fai come ti pare”.

“E tu? Dai l’esempio. Che fai qui? Vai da Clio”.

“Io non approfitto di fanciulle ubriache”.

“Oh, che bravo ragazzo”.

Il tono sarcastico di Ihanez infastidì il maestro, che si tinse leggermente di nero. Si fissarono per qualche istante e poi ognuno riprese le sue faccende, in silenzio. Reahu ghignò. A quanto pare, dalla luce magica che si stava diffondendo per la casa, quella era la notte di Rashnu e Veda.

 

   

 

Al mattino seguente, gli sguardi di tutti i presenti erano rivolti verso Rashnu, che se ne rimaneva tranquillo e beato a far colazione nonostante l’alba fosse passata da un pezzo. Tutti lo fissavano, nessuno aveva il coraggio di dire qualcosa.

“E tu che ci fai ancora qui?” sbottò Reahu, entrando nella stanza scortato da Clio.

“Come, scusa?” alzò un sopracciglio Rashnu, imburrando una grossa fetta di pane.

“Cosa ci fai ancora qui! Che, sei sordo diventato? Hai un ruolo da svolgere, dall’alba al tramonto, e l’alba è passata da ore”.

“E con ciò?”.

“Come sarebbe a dire?!”.

“Oggi è il mio compleanno, non ho voglia di lavorare”.

“Questa è la più grossa cazzata che ti abbia mai sentito pronunciare. Credi che quelli come noi possano andare in ferie?”.

“Sì. Ovvio. Quelli come noi, quelli come me, possono fare quello che vogliono”.

“Sai bene che non è vero”.

“È verissimo, credimi”.

“Vuoi che ti prenda a pugni?”.

“Vai tu al posto mio, se per te è tanto importante”.

Fra lo stupore generale, Rashnu tolse i due bracciali che portava ai polsi e li spinse verso Reahu, addentando poi la specie di panino di burro e zucchero che si era fatto.

“Tu stai scherzando” sbottò il signore del cielo.

“No, affatto. Io ho preso il tuo posto, non molto tempo fa. Ricordi?”.

“Certo che lo ricordo ma ricordo anche che, se non sbaglio, io stavo crepando in quel periodo. Direi che la faccenda è leggermente diversa”.

“Io oggi non mi muoverò da qui, Reahu. Se ci tieni tanto che il mio ruolo sia svolto, allora prendi quei cosi e usali. Altrimenti, vattene allegramente a fare in culo e lasciami in pace”.

“Sei per caso entrato nell’adolescenza, di nuovo?”.

“Tu non puoi capire”.

“Cosa dovrei capire?”.

Rashnu rimase in silenzio, dedicandosi al cibo ed ignorando le proteste di Reahu, che dopo un po’ si arrese all’evidenza ed uscì, prendendo fra le mani i due bracciali. Fra i presenti si ripeté la frase, stupita e solo sussurrata: lo fa per davvero? Il signore del cielo, titubando un po’ sull’uscio, se ne andò all’aperto, bracciali ai polsi. Rashnu parve non preoccuparsene troppo e continuò a mangiare. Mangiava, ma il suo sguardo era distante, rivolto a chissà quale ricordo.

 

Al ritorno di Reahu, Rashnu era ancora chiuso in camera ad ignorare il mondo esterno. Il signore del cielo apparve alla sua porta, restituendogli gli oggetti che gli appartenevano. Rashnu li fissò, senza muoversi per afferrarli.

“Senti, non so cosa ti passi per la testa ma io non ho alcuna intenzione di sostituirti per l’eternità, chiaro?” sibilò Reahu, poggiando i bracciali su un tavolo e girandosi per andarsene.

“Aspetta” lo chiamò Rashnu, senza però poi dire nulla.

Il signore del cielo lo fissò per qualche istante e tentò di nuovo di uscire, ma Rashnu chiuse la porta, muovendo due dita.

“Ti ringrazio per avermi sostituito oggi” si decise finalmente a parlare.

“Non l’ho fatto con gioia, sappilo”.

“Lo so bene. E so bene quanto possa essere stato difficile per te affrontare certi luoghi. Mi spiace di averti chiesto una cosa del genere”.

“A tutti capita la giornata storta, immagino”.

“Non si tratta di giornata storta, ma di nuova consapevolezza. Ho scoperto delle cose, nella stanza di mio padre, e questo ha compromesso di molto la mia volontà”.

“Che genere di cose?”.

“Terribili. Io non voglio essere ciò che lui sia aspetta che io sia”.

“Tu devi essere ciò che sei nato per essere, non puoi sfuggire da questo”.

“Vorrei farlo”.

“Ma non puoi”.

“Tu non vuoi proprio capire. Per me non ha più senso stare al servizio di questa casa e di questo mondo, proprio alcun senso”.

“Se ti riferisci a quanto fatto da tuo padre centocinquanta anni fa, sono cose di cui sono sempre stato a conoscenza, eppure non ho mai smesso di servire questa casa e questa famiglia”.

“Tu lo sapevi? E perché non me lo hai detto?”.

“Perché ci tengo alla parte restante della mia anima, anche se non sembra”.

“Beh, non è solo quello. Ho visto anche delle altre cose”.

“Che ti hanno spaventato? Mio caro, tu oggi mi hai mandato nell’ultimo luogo al mondo in cui avrei mai voluto rimettere piede. Non avrei mai voluto farlo ma, come vedi, l’ho fatto. Ho affrontato ciò che non volevo affrontare e sono tornato. Scappare e nasconderti non ti aiuterà”.

“Tu sei coraggioso. Io no”.

“Balle”.

“Tu sei più forte di me”.

“Altra balla. Lo sai bene che non è così. Io non sono più forte, più capace, più coraggioso. È la volontà che a te manca”.

“Ho paura”.

“E di cosa? Tu da solo puoi reggere il mondo e mandarlo avanti! Cosa dovrebbe spaventarti? Tuo padre? Quel vigliacco se l’è svignata quando gli andava comodo e adesso deve farti paura? Dopo quasi duecento anni che ci facciamo il culo per mandare avanti la baracca? Non te lo permetto, sai. E poi, riflettici, tu hai noi. Lui chi ha? Noi siamo qui al tuo fianco, non al suo seguito”.

“Hai ragione”.

“Però non ne sei convinto”.

“No. Perché so cosa lui è in grado di fare”.

“E quello che siamo in grado di fare noi non conta? Il mondo non ci è stato dato in prestito. Il mondo è nostro, e nessuno può farci paura”.

Rashnu quasi sorrise a quella frase. Guardò i bracciali. Se colui che aveva accanto aveva affrontato le sue paure per il bene del mondo, allora anche lui doveva fare lo stesso.

“Hai ragione” esclamò, rimettendosi ai polsi gli oggetti di potenziamento “Questa è la mia casa, la nostra, e non permetterò a qualcun altro di interferire con ciò che io ho stabilito per essa”.

“Così ti voglio”.

Reahu osservò il padrone di casa scendere le scale con una strana espressione. Si piazzò davanti alla porta di suo padre.

“Che pensi di fare?” si allarmò il signore del cielo “Non puoi aprirla e, inoltre, Veda è tornata all’accampamento e non può tirarti fuori come ha fatto ieri sera”.

“Fidati di me” mormorò Rashnu.

Reahu non capiva cosa avesse in mente di fare. Più volte aveva tentato di aprire quella porta e non ci era mai riuscito. E quello che aveva visto la sera prima non era stato sufficientemente spaventoso? Che stava facendo?

Il padrone di casa si stava concentrando, si capiva dalla luce sempre più forte che emetteva. Ad occhi chiusi, alzò le braccia al cielo e congiunse le mani, poi le puntò verso la porta e le spalancò, lanciando un grido ed aprendo le palpebre. L’energia lo avvolse e la luce inondò la casa. La porta si era spalancata, lasciandovi entrare Rashnu a passo deciso. Subito si richiuse, ma questa volta non si ritrovò avvolto dal buio, perché la sua luce splendeva forte. Avanzò sospeso, a pugni chiusi e senza mai guardarsi indietro. Le anime immobili nemmeno girarono lo sguardo, imprigionate in quel luogo. Onyame, ad occhi chiusi e con il corpo abbandonato in avanti, sorretto dalle catene, si destò e per un attimo rimase sconcertato e confuso, non riconoscendo in colui che aveva davanti il nipote.

“Sono qui per liberarvi, come avevo promesso”.

Onyame sorrise, mentre Rashnu saltava e si apprestava a colpire le pesanti catene che tenevano legate le anime alla sala. Balzando in aria, alzò di nuovo le braccia al cielo e poi le riabbassò di colpo, creando una scia di luce che spezzò quei legami in un solo istante, dissolvendo le catene. Le anime parvero ridestarsi, guardandosi attorno piuttosto confuse.

“Io sono Rashnu, e sono qui per riportarvi a casa” parlò lui, spalancando le braccia e guidando quelle essenze verso l’uscita.

Dietro di loro, lo percepiva, qualcosa, o qualcuno, cercava di interferire. Mandando avanti le anime, respinse con tutte le sue forze quell’entità nel buio. Spalancando la porta nuovamente, Rashnu permise ai prigionieri di uscire. Lentamente, come in una processione silenziosa, le anime camminarono lungo il corridoio, fra lo stupore degli abitanti della casa che si erano radunati nella speranza di poter aiutare il loro capo. Ultimo, a chiudere le due file ordinate, stava Onyame, che fu l’unico ad alzare il viso. Con i capelli e le vesti azzurre che fluttuavano senza sosta, incrociò lo sguardo di Reahu e rimase immobile qualche istante in quella posizione. I due parevano parlarsi nella mente, da quanto intensamente si guardavano. Onyame, però, non disse una parola ed avanzò di qualche passo quando Rashnu li raggiunse. Il padrone di casa guardava fisso davanti a sé, ma con lo sguardo sicuro ed un ghigno soddisfatto. Si passò il dorso della mano al lato della bocca, dove scorreva un po’ di sangue, e richiuse la porta con un gesto dell’arto libero, sigillandola. Poi riaprì le braccia e, come in una sorta di abbraccio, mostrò alle anime la via. Appena usciti dalla casa, i lupi li scortarono ai lati, ordinatamente, facendo udire i loro ululati.

Ihanez, incredulo, osservò tutta la scena. Onyame passò accanto a lui ed al suo maestro, sfiorando quest’ultimo, che percepì un brivido e chiuse gli occhi per un istante.

“Cosa succede? Chi sono queste persone e dove le sta portando?” domandò lo stregone.

“Sono i nostri predecessori. Non chiedermi perché si trovassero ancora intrappolati in quella sala. Ora Rashnu sta svolgendo il suo ruolo. Sta accompagnando le anime verso la loro ultima dimora, giudicandole ed affidandogli il giusto posto. Di notte, esse sono libere di vagare per il mondo e di giorno lui le accompagna”.

Ihanez rimase in silenzio, vedendo il gruppo allontanarsi lentamente.

“E quello azzurro chi era? Perché era così grosso e perché ha guardato te?”.

“Onyame, colui che svolgeva il mio ruolo. È così grosso perché in vita era estremamente potente, forse al pari del padre di Rashnu”.

“E come è morto?”.

“Non te lo posso dire”.

Lo stregone non disse altro. Gli abitanti della casa erano confusi e stupiti. Cosa ci facevano tante anime nell’ala del loro signore? E come mai Rashnu le aveva liberate?

 

   

 

Ancora mal di testa ed ancora quella voce, che non comprendeva. Che seccatura. Dal giorno della liberazione delle anime, Reahu non si sentiva più se stesso. Rashnu pure non sembrava lo stesso di sempre. Era divenuto di colpo più serio e silenzioso. Il signore del cielo sentiva dentro di sé che qualcosa non andava. La sua anima si comportava in modo strano, ultimamente, e c’era una sola persona in grado di dargli le spiegazioni che cercava. Dopo aver informato l’allievo che quel giorno sarebbe stato via, partì subito dopo Rashnu da casa. Non amava di certo andare dove doveva andare, ma era stanco di sentirsi così strano.

“Mantus” chiamò, una volta raggiunto il ponte Cintvat, che delimitava il confine fra il regno dei vivi e quello dei morti.

Il signore nero apparve, dall’altro capo del ponte, e gli fece cenno di avanzare.

“A cosa devo questa tua visita? Anche oggi Rashnu non ha voglia di lavorare?”.

“Sono qui per una questione del tutto personale” rispose Reahu, non nascondendo l’inquietudine che gli provocava seguire il signore dei morti nella sua dimora.

Mantus gli fece segno di sedersi ad un tavolino nero e riccamente intagliato, lucido. Reahu notò che colui che aveva di fronte si reggeva con un bastone, cosa che non aveva mai fatto.

“Cosa succede?” domandò il signore del cielo.

“Non sei qui per parlarmi di te?” rispose Mantus, sedendosi a sua volta.

“Sì, ma…”.

“Mi sto indebolendo. I miei poteri, gradatamente, stanno passando ai miei figli”.

Reahu li intravide fuori, a spasso per gli inferi. Nirrita e Nirriti erano gemelli ed unici figli di Mantus. Erano giovani, ma evidentemente pronti a lavorare.

“Succede a tutti noi, prima o poi” sorrise Mantus “Mi auguro solo che tu sai chi permetta questo passaggio, e non interrompa il processo prima, come ha fatto con Onyame”.

“Ora lui è qui?”.

“Sì, assieme a tutti coloro che Rashnu ha condotto in questo luogo. Ipalnemoa non c’è. Mi auguro stia bene, e che se ne sia semplicemente andato per i fatti suoi”.

“Dubito. Non è da lui”.

“Le persone sanno stupirti nei modi più impensati, Reahu. Ed ora, dimmi, cosa ti porta qui? Non credo che ti piaccia molto passare da queste parti”.

Reahu odiava dover anche solo pensare di passare per gli inferi. Le cicatrici sul suo corpo ancora bruciavano e la  voce della sua amata lo tormentava in quel luogo.

“C’è qualcosa che non va. Mi sento molto strano, da quando Rashnu ha liberato quelle anime. Provo sensazioni che avevo perduto. Ed ho la testa piena di pensieri non miei”.

Mantus inclinò la testa ed allungò le dita, bianche ed ossute, verso colui che aveva di fronte. Reahu dovette fare un grosso sforzo per non indietreggiare e lasciarsi toccare.

“Come pensavo. Vieni con me” parlò il signore degli inferi, dopo qualche istante.

Il signore del cielo lo seguì controvoglia, fra le sale del mondo dei morti. Moltissime anime vagavano per esso, fluttuando ed ignorando i due vivi che camminavano fra loro. Raggiunsero una sala, delimitata da un alto arco in pietra. Al centro vi era una fontana e tutt’attorno un rigoglioso giardino. In alto, sul soffitto, tante piccole luci parevano un cielo stellato. Reahu guardò il tutto con stupore e meraviglia.

“Onyame” chiamò Mantus ed il grosso spirito azzurro apparve, scendendo dal soffitto.

“Ciao, Reahu” salutò l’anima, sorridendo e rimanendo sospesa a mezz’aria.

“Ciao” rispose lui, alzando una mano.

“Tu hai toccato questo ragazzo, vero?” domandò Mantus all’essenza.

“Sì” parlò Onyame, capovolgendosi.

Reahu ridacchio. Gli occhi grandi di quella creatura erano quasi buffi ed il fatto che si ribaltasse in quel modo non faceva che aumentarne l’effetto.

“La sua anima ha reagito con la sua” continuò Mantus “Lo sai bene che ne ha solo un pezzo”.

“Lo so. Conosco il mio erede. Ed il fatto che abbia reagito è meraviglioso. Vuol dire che è pronto per intraprendere il suo cammino”.

“Quale cammino? Non ho già abbastanza cammini da percorrere?”.

Onyame rise.

“Quando ti arrabbi, assomigli davvero tanto a tua madre” disse.

“Cosa ne sai tu di mia madre? Parlami un po’ di questo cammino, e lasciamo perdere i parenti”.

“Mantus! In tutti questi anni mai glielo hai detto?”.

“Pensavo ci avessi già pensato tu” ribatté il signore degli inferi.

Onyame mosse di scatto le gambe, facendo una strana piroetta in aria e tornando in verticale, dritto.

“Finalmente la nuova generazione che stavamo attendendo da tempo si sta delineando. Gli unigeniti si stanno risvegliando e questo permetterà di rimettere a posto le cose. Tu, Reahu, signore del cielo, sei uno di questi”.

“Io non sono unigenito. Ho un fratello”.

“Fratellastro. Così come Ihanez”.

“Fratellastro?!”.

Onyame si rigirò, fluttuando in orizzontale e fissando Reahu a testa in giù. Sorrise e mutò di colore, come solo il signore del cielo sapeva fare.

“Che?! Che state cercando di dirmi voi due?!” esclamò Reahu, indietreggiando di un passo.

“Che sei ufficialmente il cugino di Rashnu. Io sono tuo padre, Reahu, e mi spiace non avertelo detto prima. Che tu lo sappia solo ora ed in questo luogo non è molto bello, lo ammetto”.

“Ma…mio fratello Tarhunt…”.

“Come a Veda, gli è stato trasmesso il potere residuo che ancora albergava in tua madre”.

“Che brutta immagine”.

“L’unica che mi viene in mente. Rashnu finalmente ha di nuovo consapevolezza di molte cose, Ipalnemoa sta, verosimilmente trasmettendo tutti i suoi poteri al figlio, tu stai reagendo ed i gemelli di Mantus sono quasi pronti”.

“Loro non sono unigeniti”.

“Mantus fa sempre le cose in grande”.

Il signore degli inferi sorrise.

“Pronti per cosa?” domandò Reahu.

“Per combattere. Noi non lo possiamo più fare, ma voi sì”.

“Combattere? E contro chi?”.

“Tu sai perché Rashnu è tanto sconvolto?”.

“Non mi è del tutto chiaro”.

“Ora ti mostrerò ciò che ha visto quando per la prima volta è entrato in quella stanza”.

Reahu fu avvolto dalle immagini. C’era un bambino, dai capelli verdi, stretto in un mantello pesante. Nevicava forte. Lui era felice. Giocava avvolto dal bianco e sorrideva. Poi un grido ed il rosso del fuoco. Il villaggio distrutto, la gente uccisa. Quello doveva essere Rashnu da piccolo ma al tempo la guerra non c’era. Chi erano dunque coloro che attaccavano? Onyame, in quella visione, protesse e celò al mondo quel bambino prezioso, portandolo via da quel luogo.

“Mamma!” gridava il bambino in lacrime, mentre lo zio lo salvava.

Uno sguardo fra i presenti, fra coloro che attaccavano ed uccidevano, e Reahu vide un volto familiare. Il padre di Rashnu!

“Questa è solo una delle scene che gli ho mostrato” interruppe Onyame.

“Suo padre ha provato ad ucciderlo?” si stupì Reahu.

“Prima che quel piccolo venisse al mondo, noi non credevamo potessero nascere ibridi fra signori e mortali semplici. Lui è arrivato, e fin da subito ha mostrato le sue capacità straordinarie. Suo padre, temendo per l’equilibrio del mondo, ha cercato di eliminarlo più di una volta. Ma noi tre, io, Ipalnemoa e Mantus, lo abbiamo protetto”.

“E perché allora poi lo ha ospitato in quella casa?”.

“Perché gradatamente sono apparse altre creature in grado di svolgere dei ruoli. Non forti come noi quattro, ma capaci di cose che andavano aldilà delle facoltà di classe. Questo ha lasciato perplessi noialtri, abituati a fare tutto da soli, ma è stato un bene per Rashnu. Gli ha permesso di trovare un luogo sicuro per dimenticare l’infanzia. Per un periodo piuttosto lungo, padre e figlio hanno agito insieme e ci sembrava che tutto fosse andato al giusto posto, finalmente. Ma poi tu sai cosa è successo. La guerra e tutto il resto”.

“La guerra è colpa sua?”.

“No, è stata la guerra a destabilizzarlo definitivamente. Non era mai stato particolarmente a posto con la testa fin da piccolo e la guerra lo ha confuso, caricandolo di un odio che uno come lui non dovrebbe avere. Il resto lo sai. Ora credo stia iniziando a rendersi conto che suo figlio sta richiamando a sé il potere che gli spetta e questo non gli è gradito. Temiamo possa intervenire in modo drastico, di nuovo, contro il suo erede. Se lo facesse, noi non potremmo aiutarlo”.

“E cosa credi che possa fare io? O Ihanez? È del padre di Rashnu che stiamo parlando, non del signore delle paperelle di gomma”.

“Ma tu avrai dentro di te tutto il mio potere, e Ihanez spero presto quello di suo padre”.

“Tutto il tuo potere? Ma io credevo…”.

“Che fosse già in tuo possesso? No, certo che no. Ma presto sarà tuo”.

“Io non sono sicuro che sia la cosa migliore. Per donarmelo, che fine farai?”.

“Mi dissolverò. Voglio che il tuo risveglio sia totale, perché solo così potrai sperare di ottenere qualche cosa. Quando sarà il momento, il potere che ti sto per donare si risveglierà. Prima non è prudente che lo faccia, perché attirerebbe l’attenzione di colui che vuole distruggervi. Sei nato per questo, Reahu. Non devi temerlo il tuo destino”.

Il signore del cielo non parlò.

“Quando sarà il momento, saprai cosa fare” parlò di nuovo Onyame, atterrando e fermandosi, in piedi, di fronte a colui che aveva appena appreso essere suo figlio “Inoltre, devi disfarti degli oggetti che ti tengono legati al dominio di un altro signore. I guanti, quelli che aumentano la tua magia, appartenevano al padre di Rashnu e solo Rashnu li deve usare”.

“Ma io li uso per poter svolgere il mio compito. A volte, non saprei come fare senza”.

“Avrai gli oggetti che io ti donerò. Te li indicherò e tu li avrai. Come mio unico figlio, ti spettano di diritto. Con quelli in tuo possesso, sarai libero di agire come meglio credi”.

“Io non sono sicuro di poter agire come meglio credo”.

“Inoltre, voglio affidarti dei libri, la cui stesura risale a tempi lontani. Narrano delle vicende del mondo, e la loro scrittura la comprenderai solo ora, perché da tempo dimenticata”.

“Dentro vi troverò scritte altre cose spaventose ed inquietanti, vero?”.

“Alcune cosa saranno così. Ma altre ti guideranno nel tuo compito”.

“Sinceramente, mi basta ciò che già ho”.

“Non devi avere alcun timore”.

“Alcun timore?! Ma vi rendete conto di quello che state dicendo?!”.

“Accoglimi , Reahu. Prometti di difendere questo mondo e di fare lo stesso, se sarà necessario, con i tuoi figli”.

Reahu, dopo diversi istanti di silenzio assoluto, annuì, non sapendo nemmeno lui perché, ed il suo predecessore iniziò a dissolversi, trasmettendo la luce e la forza che custodiva  dentro di sé. Parte di essa era già da tempo sotto il dominio del signore del cielo ed ora la parte restante si stava aggiungendo. Sentiva quel brivido strano, che aveva avvertito tempo fa, scorrere dentro di sé. Quella forte energia stava colmando la parte di lui rimasta vuota, senz’anima. Quell’energia lo stava mutando. Sarebbe rimasta latente, ma qualcosa già stava cambiando. Quell’unico ciuffo bianco fra i suoi capelli blu era divenuto argento e risplendeva. Il suo sguardo, prima interamente dorato, ora risplendeva anch’esso di riflessi argentati.  Si sentiva parecchio scombussolato e si guardò attorno, confuso, forse convinto di vivere una specie di sogno, o un incubo. Guardò Mantus, che gli sorrise.

“È sempre triste quando perdi un amico per sempre, quando sai che non potrai rivederlo più, ma sono felice che sia tu a prendere le redini”.

“La cosa mi lascia alquanto perplesso” ammise Reahu.

“Suppongo sia normale, ma prima lo accetterai e prima ti lascerai alle spalle le perplessitudini”.

“Perplessitudini?!”.

“Vieni. È tempo di andare”.

Reahu lo seguì lungo i corridoi, lasciandosi alle spalle la sala delle anime dei predecessori, fluttuando a mezz’aria. Una volta all’esterno, socchiuse gli occhi per la differenza di luce. Era ancora giorno, ed era tempo di rientrare a casa.

“Troverai i libri di cui parlava nella sua stanza con il sigillo d’oro” parlò Mantus.

“Lo so”.

“Bene. Per quanto riguarda gli oggetti che ti spettano, ti consiglio di fare un giro alla montagna delle statue. Lì sono custodite un sacco di cose”.

“Lo immaginavo. E credo sia tempo per il mio allievo di aver chiari alcuni concetti”.

“Se ti servirà aiuto, sappi che noialtri siamo qui. Io ed i miei figli siamo pronti a fare del nostro meglio per questo mondo”.

“E siete davvero sicuri che io voglia lo stesso?”.

“Certo. Altrimenti Onyame non sarebbe mai riuscito a divenire parte di te. Sento la tua energia ed è di molto aumentata. Presto la possederai intermente”.

Reahu guardò il cielo. La sua perplessità lo rendeva nuvoloso. Sospirò. La sua vita era sempre stata fin troppo complicata rispetto a ciò che aveva fin da piccolo desiderato. Tornò a casa lentamente, dando mondo a se stesso di riflettere un pochino senza la caotica presenza degli altri che chiedevano cosa avesse e come mai fosse così pensieroso. I suoi piedi non toccavano terra e lui non ci faceva caso. Arrivò a casa qualche ora prima del tramonto e raggiunse in silenzio la propria stanza con il sigillo dorato. Vi entrò, schivando sguardi indiscreti, e prese i libri che da tempo custodiva, pur non capendone la scrittura perché troppo antica. Ora la comprendeva, ed iniziò a leggere. Parlavano del mondo prima di Rashnu e del periodo in cui era giovane, dell’addestramento e dei secoli successivi. Si interrompevano di colpo un giorno d’inverno, probabilmente il giorno in cui Onyame era morto. Reahu prese il primo volume e lo iniziò. Una specie di diario del mondo. Fluttuando, si capovolse, trovando il mondo molto più interessante da un’altra prospettiva.

 

   

 

Il mattino seguente, Rashnu e Ihanez stavano allegramente discutendo del più e del meno. Era una bella giornata di Sole, anche se la temperatura esterna rimaneva piuttosto fredda.

“Qualcuno ha visto Reahu?” domandò Clio.

“Non lo vedo da ieri mattina” scosse la testa Ihanez.

“Da quel che percepisco, è nella sua stanza” parlò Rashnu “Ultimamente è davvero strano”.

“Ha affrontato una brutta esperienza. Dovrà ancora riprendersi” lo giustificò lei.

“La mia voleva essere solo un’osservazione, non un rimprovero”.

Non passò molto tempo, prima che Reahu entrasse, sospeso a mezz’aria, dalla porta, senza fare rumore. Alle spalle del suo allievo, rubò il biscotto che lo stregone teneva fra le mani e, libro davanti a sé continuando a leggerlo, indicò Rashnu.

“Io e te dobbiamo parlare” gli disse, in una lingua che solo il diretto interessato comprese.

“Che?!” si stupì il padrone di casa, inclinando la testa.

Il signore del cielo abbassò temporaneamente il libro e lo fissò, quasi annoiato.

“Cosa ti è successo?” domandò Clio, vedendolo parecchio diverso dal solito.

“Mi sono successe un sacco di cose e per questo vorrei scambiare qualche parole in privato con Rashnu, se permette”.

Rashnu lo fissò, senza muoversi. Era davvero Reahu colui che aveva di fronte? I suoi occhi erano cambiati, così come il suo viso si era fatto più giovane. Senza contare che rimaneva sospeso a mezz’aria e parlava una lingua dimenticata. E poi…era un biscotto quello che stava mordendo?

“Muoviti, stupido!” ridacchiò Reahu “Non ti mangio mica!”.

Rashnu lo seguì fuori dalla stanza, dopo aver guardato gli altri presenti con aria interrogativa, come a voler chiedere se anche loro avevano visto la stessa cosa.

“Voglio portare il mio allievo alla montagna. Credo che per lui sia giunto il momento” parlò Reahu, non appena Rashnu lo ebbe raggiunto.

“Prima di questo, non sembri sia il caso di spiegarmi cosa ti è capitato? Sento che il tuo potere è diverso dal solito”.

“Ho trovato me stesso. Io ora so chi sono, e dovresti fare lo stesso”.

“Io so chi sono”.

“Ne sei certo?”.

“Ovvio. E tu? Tu chi sei?”.

“Sono Reahu, il signore del cielo”.

“E questo non lo sapeva già da prima?”.

“No. Io prima era Reahu, il signore del cielo a servizio di Rashnu e di suo padre, che deve svolgere il lavoro del suo predecessore. Non sono più quel Reahu. Io ora sono il Reahu che si governa da solo, che è in grado di farlo”.

“Ne sei assolutamente sicuro?” lo fissò, scettico, Rashnu.

“Tu ora ricordi. Sai la verità. Solo accettandola ti risveglierai”.

“Vaneggi. Non sai di che stai parlando. Mio padre ha il potere che mi manca, e lui solo può possederlo e donarlo”.

“No, se tu non lo richiedi. Ti spetta, ed è ora di reclamarlo, se non vuoi lasciare questo mondo ad un pazzo e sottostare per sempre alle sue regole”.

“Cosa ti sei fumato? Non sai che dici né ti è chiaro fino in fondo chi hai davanti”.

“Io lo so chi ho davanti, ed è per questo che ti dico di smetterla di fare il bambino. Portando Ihanez alla montagna, voglio renderlo consapevole di quello che è e di ciò che sarà”.

“Tu sei solo un sottoposto, che non si deve immischiare in queste faccende”.

“Stupido!” lo colpì Reahu alla fronte con il palmo della mano, dimostrando grande velocità “Apri gli occhi e ragiona con la tua testa!”.

“Come osi tu…”.

Reahu schivò agilmente il colpo che Rashnu voleva infliggergli, lasciando cadere il libro che reggeva. Si parò davanti al padrone di casa e lo afferrò per le braccia, guardandolo negli occhi.

“Io sono l’unigenito figlio di Onyame ed ho iniziato il mio cammino verso il totale risveglio. Mi auguro che tu, Rashnu, possa fare lo stesso perché non posso prendere in mano il mondo da solo”.

Rashnu lo fissò, mentre lo lasciava e si allontanava leggermente, prendendo quota.

“Tu sei…” mormorò, senza crederci del tutto.

“Tuo cugino. Dai, andiamo, non dirmi che mai ti sei accorto di quanto io sia speciale” ridacchiò Reahu, incrociando le braccia.

“Dimostramelo. Per quel che mi riguarda, potresti anche aver battuto la testa o bevuto troppo”.

Reahu sospirò.

“Come vuoi che te lo dimostri?” domandò, mentre Rashnu gli girava attorno, dubbioso.

“Attaccami. Vediamo cosa sai fare. Se è davvero come tu dici, i nostri poteri dovrebbero equivalersi o, perlomeno, essere molto simili”.

“Come vuoi. Ma devo avvertirti: non ho mai provato ad usare le mie capacità in combattimento”.

“Sta tranquillo. Sarò delicato, come sempre”.

“Non era quella la mia preoccupazione” storse il naso Reahu, mentre Rashnu portava con un solo gesto entrambi nel luogo dove solitamente si allenavano.

Fra le rocce, isolati da altri viventi, quello era il posto ideale per dare sfogo alle loro abilità senza compromettere esistenze altrui. Dopo essersi osservati per un po’, i due iniziarono a colpirsi a calci e pugni. Entrambi abili e veloci, non riportarono danni. Reahu sapeva che, se voleva avere qualche possibilità, doveva agire prima che Rashnu attaccasse con la magia. Perciò, per farlo, doveva muoversi immediatamente. Saltò all’indietro, sottraendosi allo scontro diretto. Rashnu ghignò, convinto di averlo fatto scappare. Reahu prese un profondo respiro. Allungano le braccia verso il braccio e muovendo le dita, come per risvegliarle. Rashnu lo fissò incuriosito. Quella posizione non la conosceva. Che aveva in mente di fare? Reahu alzò le braccia al cielo e poi le spalancò, muovendo le mani. Questo provocò la comparsa di tante piccole luci, piccole stelle, che schizzarono veloci verso Rashnu. Lui, non conoscendo questa mossa, saltò per schivarle. Le luci, però, lo seguirono, guidate da Reahu, e riuscirono a colpirlo. Questo lo fece cadere in terra. Reahu gli andò vicino, incredulo.

“Mi prendi per il culo?” domandò, convinto che mai Rashnu si potesse far colpire così.

“Mi hai preso alla sprovvista ma ciò che mi ha colpito è stato davvero qualcosa di forte, di straordinario. Questo mi basta. Sei davvero il figlio di Onyame”.

Si rialzò lentamente, pulendosi di dosso la polvere.

“Non sei ferito, vero?”.

“Passerà tutto in fretta, cugino”.

Rimasero a guardarsi per qualche istante, illuminati dalla luce del mattino.

“Una volta mi era stato raccontato…” iniziò Rashnu “…che la nuova generazione avrebbe preso il posto di quella vecchia. Non ci avevo mai creduto, anche perché ero convinto che Onyame fosse morto senza eredi e che perciò il suo potere integro fosse andato perduto. Ma, ora che so che non è così, forse potrei riconsiderare la mia posizione”.

“Non sei solo il figlio di qualcuno”.

“Hai ragione. Io sono Rashnu, la giustizia personificata, il signore dell’ordalia, custode del ponte di Cintvat, colui che conduce le anime all’aldilà e le giudica, dividendole in base alle loro azioni. E lo faccio perché sono nato per farlo, non perché qualcuno me lo ordina e non solo perché sono figlio di colui che svolgeva questo ruolo”.

“Giusto”.

“Credo sia giunto il momento per le nuove generazioni di prendere il controllo”.

“Mi piace l’idea”.

“Mi hai sentito?” gridò Rashnu “Non siamo più i tuoi servi!”.

“Non ci fai più paura” si unì Reahu.

“Aspettaci, vecchio bastardo. Non regnerai ancora a lungo!”.

“Dici ci abbia sentito?” mormorò Reahu, dopo qualche istante.

“Oh, sì. Quello non ha niente di meglio da fare” ghignò Rashnu “Ed ora rientriamo. Io devo andare al lavoro e tu devi preparare il tuo allievo. Andare fin lassù non è cosa semplice. Meglio sappia quello che lo aspetta”.

Un forte tuono nel cielo diede segno ai due che effettivamente colui di cui parlavano stava ascoltando. Reahu rispose con un tuono più forte. Meglio mettere subito ben in chiaro le cose.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** XIII- figlio unigenito ***


XIII

 

FIGLIO UNIGENITO

 

Reahu fissò il suo allievo con aria interrogativa. Non era certo abbigliato in modo tale da poter affrontare la montagna. E con sé non sembrava voler portare quasi nulla.

“Dove pensi di andare, vestito così?” gli domandò.

“Perché? Qual è il problema?”.

“Fa freddo dove stiamo andando. Ben più freddo di quanto tu non abbia provato fin ora. E pensi di arrivarci sano e salvo indossando quattro straccetti?”.

“Io non ho mai sofferto il freddo”.

“Nemmeno Rashnu, come sai, ma non si azzarderebbe mai ad andare da quelle parti senza un’adeguata dose di vesti calde”.

“Sei noioso” sbuffò Ihanez “Come un vecchio”.

“E tu sei stupido, come un ragazzino”.

“Lascia che si vesta come gli pare” interruppe Rashnu “Sappia, però, che non riceverà abiti e coperte in prestito da noi. Vero, Reahu?”.

“Da noi?!” alzò un sopracciglio il signore del cielo.

“Certo. Da noi. Vengo anch’io. Non vorrete mica divertirti solo voialtri e poi, tecnicamente, quella è la mia montagna. Non vi lascerò gironzolare per essa da soli”.

“Come vuoi. Ma credevo che il lavoro e…”.

“Quello può aspettare. E Mantus concorda con me sul fatto che è fondamentale accompagnare Ihanez fino là”.

“Sì, ma questo lo posso fare io. Non servi tu”.

“Ma che problema c’è? Volete forse rimanere un po’ da soli a passare momenti romantici insieme?”.

“Ma no! Certo che no!”.

“Allora vengo anch’io”.

“Se la cosa ti diverte”.

Ihanez rimase in silenzio durante quella conversazione, non sapendo esattamente che dire. A furia di insistere, il maestro era riuscito a convincerlo nel portarsi dietro un mantello. Lo caricò in uno zaino, controvoglia, ed attese impaziente di partire. Non capiva il perché di tanta roba appresso. Non potevano semplicemente farsi trasportare da Rashnu fino al punto prestabilito, far ciò che bisognava fare e poi tornare indietro nello stesso modo? Perché farsi tutta la strada a piedi? Rashnu e Reahu non diedero spiegazioni a riguardo ed iniziarono il cammino parlottando fra loro, in una lingua che Ihanez non comprendeva. Avrebbe tanto voluto intromettersi e chiedere che cosa cazzo stessero dicendo, ma preferì non stuzzicarli, ora che sembravano tranquilli. Il primo tratto di strada, fra foreste e prati spogli, fu semplice. La  salita era lieve, per niente faticosa, e Ihanez ne approfittò per canticchiare scemenze. La pendenza mutò di colpo. Guardando in su, lo stregone rimase immobile. Davvero quei due si aspettavano che lui salisse lì sopra, senza usare la magia? Li fissò e quelli lo ignorarono, iniziando a salire per il ripido sentiero di rocce come se fosse semplice. Ihanez li seguì, arrancando ed incespicando fra i sassi che rotolavano a valle. Iniziava a fare freddo. Soffiava un vento gelido, che lo fece guardare con fastidio Reahu. Non poteva proprio farne a meno? Inoltre, la salita si faceva sempre più impegnativa, con il graduale diradarsi degli alberi a cui potersi aggrappare per salire.

“Tu cosa ne sai di Ogmios, Ihanez?” parlò Rashnu, d’un tratto.

“Che?!” ansimò Ihanez, con la testa altrove.

“Ti ho chiesto cosa ne sai di Ogmios, ragazzo”.

“E dobbiamo parlarne proprio ora?”.

“Rispondimi”.

“Cosa ne so? Beh, in realtà non molto. Se devo essere sincero, la religione non mi è mai interessata particolarmente. Perché?”.

“Io voglio sapere quello che sai, poco o tanto che sia”.

“Ma perché?”.

“Le domande le faccio io. Rispondi”.

“Dunque, vediamo…il mio maestro lo chiamava "il lucente" ed "il giusto". Diceva che la sua magia aveva creato il mondo e che ora lo stava mandando avanti. Sinceramente, da quando conosco voi, la mia fiducia in tale proposito è alquanto scemata”.

“Ma come parli bene. E che altro?”.

“Che altro? Bah, mi è stato detto che è il dio supremo che ci guida e che scrive il nostro cammino”.

“Ti è stato detto? E tu cosa credi?”.

“Intendi se io credo in un dio che mi governa? Sinceramente, preferisco pensare che sia io a decidere della mia vita e non uno sconosciuto, ma non posso sapere se davvero esiste oppure no”.

“Ti reputi neutrale, in tal senso?”.

“No, mi reputo infastidito. Per quel che ne so, essendo lui un dio così grande, giusto, saggio e via dicendo, dovrebbe perlomeno calcolarci ogni tanto. Dicono che sia il padre di tutti noi, ma un padre non abbandona i suoi figli. Un padre che li ama, perlomeno”.

“Ti senti abbandonato?” domandò ancora Rashnu, fermandosi qualche istante.

“Mi sento ignorato. Se davvero esiste questo possente Ogmios, allora è un grandissimo menefreghista. Se ha creato il mondo, dovrebbe rimetterlo un po’ in ordine, e non lasciarlo alla guerra per duecento anni”.

“È la cosa più blasfema che abbia mai sentito al riguardo, ma mi piace la tua sincerità”.

“Ogmios lo scansafatiche, dovrebbero chiamarlo”.

Reahu ridacchiò. Per il freddo pungente, si erano avvolti nei mantelli. Fioccava la neve che, spinta dal vento, li rendevano pressoché inutili. Ma in che razza di posto lo stavano portando?

“Non sai dirmi altro?” riprese Rashnu.

“Ve l’ho detto. La religione non è mai stata qualcosa di cui mi son occupato in modo approfondito. Specie perché, fin da bambino, ho avuto un’esistenza non proprio felice e perciò, se avessi modo di vedere questo fantomatico dio, credo che gli spaccherei la faccia a pugni”.

“Non ti hanno insegnato ad essere grato delle piccole cose?”.

“Sì, ma anche ad incazzarmi quando serve”.

Il sentiero pareva iniziare ad avere un senso. Lastricato, si trasformava in gradini in pietra, dall’aria antica e rovinata. A fianco, rovine di quello che sembrava un villaggio. Abbandonato da tempo immemore, stava lasciando sempre più strada alla vegetazione. La neve lo copriva e Ihanez dovette stare attento a non scivolare in terra. Quelle case, incastrate nella roccia della montagna, avevano un’aria spettrale. Sui muri, incise parole che non riusciva a comprendere.

“Di qua” indicò Rashnu, salendo per una scalinata ripida che conduceva alla casa posta più in alto.

In un’insenatura della montagna, si apriva uno spiazzo circolare. Doveva essere stata una piccola abitazione. E doveva esserci stato un bambino. Quelli scarabocchi sui muri o erano di infante o di adulto parecchio impedito nel disegno.

“Che posto è questo?” domandò Ihanez, dopo aver ripreso un po’ di fiato.

“Casa mia” rispose Rashnu, scuotendosi via la neve dal mantello e scostando una pila di legna e sassi, mostrando un piccolo corridoio buio che dava verso chissà dove.

“Casa tua?”.

“Sono nato qui. La bellezza di duemila anni fa”.

Ihanez seguì Reahu e Rashnu lungo il cunicolo. Dovevano camminarci leggermente chini e nel buio totale. Solo dopo qualche minuto una luce apparve in fondo al tunnel e fecero capolino in una sala molto grande, illuminata da fessure sul soffitto e specchi. Al centro di essa, in cerchio, vi stavano quattro statue, altissime, che si guardavano fra loro. Ihanez si avvicinò, mentre Reahu e Rashnu toglievano i mantelli. In quel luogo faceva più caldo. Lo stregone osservò le statue. Quella posta ad est la riconobbe subito. Rappresentava suo padre. In una mano stringeva un lungo bastone, mentre l’altra era aperta e rivolta verso l’esterno. Di fronte a lui stava Mantus. Teneva una falce, mentre a pungo chiuso fissava con aria seria il centro della sala. Quello posto a nord aveva un’aria familiare. Ricordò. Era lo spirito azzurro che aveva visto in casa non molto tempo prima, il predecessore di Reahu. Non poggiava i piedi in terra, ma era sorretto dalla veste e, a braccia spalancate e rivolte verso l’alto, pareva voler spiccare il volto, guardando in alto. Dal lato opposto, un uomo dalle braccia incrociate fissava con severità chi lo osservava. Incuteva un certo timore, forse più di Mantus che, come signore della morte, non poteva essere un granché rassicurante. Ciò che riportavano scritto sotto i piedi, sui basamenti delle statue, Ihanez non lo capiva.

“Li riconosci?” domandò Rashnu, raggiungendolo.

“Non tutti”.

Alla parete sud, fra gli specchi, un ritratto di donna che teneva in braccio un bambino. Anche sugli altri muri vi era spazio per dei quadri, ma erano spogli, vuoti.

“Perdonami se il tuo bel visino non campeggia alle spalle di quello di tuo padre” sorrise Rashnu.

“La statua a sud rappresenta tuo padre? E quindi il bambino in quel quadro sei tu?”.

“Esatto”.

Ihanez si avvicinò per fissare meglio quella rappresentazione. Aveva qualcosa di familiare, qualcosa che aveva visto e che aveva dimenticato. E quella luce che il piccolo aveva attorno alla testa…

“Perché sono qui?” domandò, girando attorno alla statua del padre di Rashnu.

Ai suoi piedi, sul pavimento, lo notò solo in quel momento, un mosaico raffigurava una figura femminile. Rassomigliava a sua madre, ma non poteva esserne sicuro. Del resto, anche la madre di Rashnu ci assomigliava, a guardarla meglio.

“Le nostre madri sono le stesse, sì” parlò Rashnu.

“Mi prendi in giro? Mia madre non aveva mica duemila anni”.

“No. Era la rincarnazione di colei che è stata madre mia, di Reahu, dei gemelli di Mantus e poi tua”.

“Che?!” si stupì Reahu, non essendo a conoscenza di certe cose.

“Credevi forse che a tutte le donne fosse concesso concepire figli come noi? Gli unigeniti non nascono da chiunque”.

“Gli unigeniti?” domandò Ihanez.

“Reahu, unigenito figlio di Onyame” iniziò Rashnu, indicandone la statua “Nirriti e Nirrita, unici figli di Mantus. Tu, Ihanez, unigenito figlio di Ipalnemoa ed infine io, Rashnu”.

“Unigenito figlio di…?”.

“Unigenito figlio di Ogmios”.

Ihanez rimase immobile, qualche istante, non sapendo se mettersi a ridere o meno.

“Ogmios non ha figli” iniziò, cercando di capire se colui che aveva di fronte fosse serio.

“Così han sempre creduto. Questo villaggio è stato distrutto per questo. Per impedire che una voce  si diffondesse. Una voce che poteva turbare il monoteismo istaurato dal mio genitore. Monoteismo che, fra l’altro, non c’è mai stato”.

“Sei il figlio di dio?!”.

“Sono il figlio di UN dio”.

“Gli anni si contano dalla tua nascita?”.

“Sì, anche se tutti lo hanno dimenticato”.

“Perciò, sei un dio pure tu!”.

“Non direi. Cosa distingue, secondo te, un essere mortale da una divinità?”.

“Il suo potere. La sua forza”.

“Non è proprio così. La differenza sta nella capacità di creare e distruggere. Solo un dio può far nascere dal nulla qualcosa o distruggerla completamente. Agli altri è solo concesso modificare ciò che già esiste”.

“Come facciamo noi?”.

“Esatto. Noi modifichiamo e plasmiamo la materia che già c’è, non siamo in grado di crearne di altra. Questo è ciò che ci distingue dagli dèi”.

“E tuo padre è in grado di creare?”.

“Lo era. Non so se possiede ancora questo potere. Mantus lo ha perduto da tempo, così come non lo possedeva più Onyame”.

“Come si può perdere un potere del genere?!”.

“Si può, se si decide di trasmetterlo alla generazione successiva e qualcuno impedisce questo passaggio, impossessandosi di parte di questo potere”.

“È questo ciò che ha fatto tuo padre?”.

“Questo, e altro. Per gli scienziati, lui è "il saggio", "il sapiente". Per i guerrieri è "il sanguinario", "lo spietato". Per gli stregoni "il lucente", "il giusto". Ognuno di loro, ognuno di queste classi, è convinto che mio padre agisca solo per loro, di essere i preferiti. Per questo è scoppiata la guerra. Perché nessuno poteva permettere a qualcun altro di sentirsi il preferito di un dio che ritenevano di loro esclusiva proprietà”.

“Si stan facendo la guerra da due secoli per questo?!”.

“Esattamente”.

“E tuo padre non ha mosso un dito per fermarli?”.

“Mio padre non è più lo stesso da quando è iniziata la guerra. Non so dirti esattamente perché. So solo che io, come suo unico figlio, ho il compito di prendere il suo posto. Per questo ti ho portato fino qui”.

“Che c’entro io?!”.

“Tu sei figlio di Ipalnemoa, uno dei quattro pilastri del mondo. Solo grazie al tuo aiuto potrò prendere il giusto posto e diventare ciò che sono nato per essere”.

“Un dio?”.

“Il signore di questo mondo, assieme a voi, unigeniti, ed ai sottoposti che ospito nella mia casa. Non il vostro capo, ma vostro fratello”.

“Insieme a noi? Ma io non ne ho la capacità”.

“Le avrai. Voglio tu sappia la verità. Quando mio padre è scomparso, abbiamo usato gli oggetti che lui possedeva per aiutarci a controllare ed aumentare i nostri poteri, ma così facendo non abbiamo fatto altro che dargli modo di controllarci. Gli altri tre che tu vedi, hanno le stesse identiche capacità di controllo di mio padre ed i loro oggetti donano le stesse potenzialità. Mio padre non è, come erroneamente tutti pensano, il più forte ed è ora che le energie vengano di nuovo equamente ridistribuite fra  i quattro regnanti”.

“Cinque” si intromise Reahu “Quell’esagerato di Mantus ha fatto due gemelli”.

“Cinque, va bene. Non facciamo troppo i precisini” si stizzì Rashnu.

“Ma se bastano loro quattro, perché sono nati altri con potenzialità di controllo?” domandò Ihanez.

“Bella domanda. Non ce lo siamo mai spiegati del tutto. La motivazione più sensata crediamo dipenda dal fatto che, con lo scombinarsi delle varie energie, si siano create queste creature di supporto, se mi permetti il termine”.

“La cosa non ha senso”.

“Non so dirti altro al riguardo. Non sono onnisciente”.

“Ed io cosa dovrei fare?”.

“Lentamente, tutta l’energia di tuo padre si sta trasmettendo a te. Ti renderà forte, tanto quanto me e Reahu. La stessa cosa accadrà a Nirriti e Nirrita”.

“Bene. E poi?”.

“Poi ci riprenderemo il mondo. Ci stai?”.

“Sembra una cosa alquanto pericolosa. Sfidare tuo padre, intendi?”.

“Intendo prendere in mano le redini del mondo, staccandoci dal controllo di qualcuno che ci ha abbandonato. Noi ce la possiamo fare, insieme”.

Ihanez non sembrava molto convinto, pensando ad uno scherzo, ma notò che anche il suo maestro sembrava sicuro e serio. Questo poteva voler dire due cose: che entrambi erano certi di ciò che facevano oppure che entrambi avevano ecceduto nelle sostanze stupefacenti.

“Quindi io che dovrei fare? Starmene fermo ad aspettare che arrivi il mio potere? Non mi pare che la situazione cambi di molto rispetto a prima, salvo per il fatto che ora so che il mio capo è figlio di quello che consideravo un dio”.

“Ci disferemo degli oggetti di mio padre e ti addestreremo in modo più intensivo, per permetterti di potenziarti in fretta. Per farlo, però, ho bisogno della tua totale collaborazione. Solo se saremo uniti potremmo farcela. Uno, da solo, non può sperare di governare il creato”.

“Sai che mi stai chiedendo parecchio, vero? Insomma, sono solo uno stregone!”.

“Sei il signore della vita”.

“Non ancora”.

“Lo sarai. Non posso obbligarti. Se per te la situazione va bene così, non posso obbligarti a cambiarla. Potrei, ma non lo farò”.

“Se davvero riuscissimo in ciò che dici, la guerra finirebbe?”.

“Non te lo so dire. Ma non resteremmo con le mani in mano ad aspettare che finisca da sola, questo è certo”.

“Beh, se davvero siamo fratelli come dici, allora non posso lasciare che facciate tutto da soli. Anche perché mi perderei tutto il divertimento”.

Rashnu sorrise. Reahu era distratto, invece. Era svolazzato fino ad una delle aperture del muro e stava sgusciando fuori. Rashnu e Ihanez decisero di seguirlo. All’esterno, vi era una cascata le cui acque si perdevano nel vuoto e nella nebbia. In bilico su una sporgenza, Reahu guardava giù.

“Che fai?” domandò Rashnu, con capelli e veste mossi dallo spostamento d’aria provocato dalla cascata e dalle pessime condizioni atmosferiche.

Il signore del cielo non ripose. L’aria gli sollevava i capelli in alto quasi completamente. C’era una luce laggiù, nella nebbia, che attirava la sua attenzione. Gli altri due che stavano alle sue spalle parevano non vederla. Rashnu non parlava, aspettando di vedere cosa il suo collega stesse combinando. Quell’uomo era sempre più strano. Senza dire una parola, Reahu saltò. Rashnu scattò per afferrarlo, ma non ci riuscì. Voleva suicidarsi? Voleva tanto andare alla montagna per fare una cosa così stupida? Saltare da lì era una vera follia.

“Reahu!” gridò, un po’ arrabbiato ed un po’ preoccupato.

Il signore del cielo scese per diversi metri, diretto verso quella luce. Cadde in acqua, gelida e dalla forte corrente, e per un istante si disse che aveva fatto una grossa stronzata. Avvolto dai flutti, aprì gli occhi, circondato dall’azzurro.

 

“Reahu! Vieni fuori da lì. Lo dirò alla mamma” piagnucolava un piccolo Tarhunt sul bordo del lago limpido, rabbrividendo per il freddo.

“Smettila di fare la bambina!” lo rimproverò il fratello Reahu, allontanandosi ancora di più dalla riva, in uno sciocco gesto adolescenziale.

“Non lasciarmi da solo qui. Ho paura” si lamentò ancora Tarhunt.

Non aveva più di cinque anni e fissava il fratello maggiore che nuotava.

“Paura di cosa? Smettila, codardo!” lo derise Reahu, con i capelli blu non ancora sufficientemente lunghi per poter avere un ordine logico.

Tarhunt, trattenendo le lacrime, prese coraggio e camminò deciso verso l’acqua. Voleva raggiungere il fratello, e dimostrargli di essere coraggioso come lui.

“Che stai facendo? Torna indietro!” ordinò Reahu “Non sei capace! Torna a riva!”.

Il fratello maggiore andò nel panico. Non sarebbe riuscito a raggiungere il fratellino per tempo. Si apprestò a raggiungerlo, mentre lo vedeva arrancare in acqua, non riuscendo a trovare un appoggio.

“Tarhunt!” lo chiamò, evocando tutte le forze che aveva per nuotare più rapidamente.

Fortunatamente per il bambino, un uomo aveva assistito alla scena ed era intervenuto, ripescando Tarhunt prima che affogasse. Reahu raggiunse la riva. Il fratellino era stato messo all’asciutto. Tossiva ed era avvolto nel mantello che l’uomo gli aveva porto.

“Tarhunt!” saltò fuori dall’acqua Reahu, raggiungendolo “Stai bene?”.

Il fratellino annuì. Girandosi, il fratello maggiore ringraziò il salvatore del parente. Era un uomo altissimo, che gli sorrise.

“Vostro padre non vi ha insegnato ad essere un po’ più prudenti?” parlò.

“Nostro padre è morto” rispose Reahu, chinando il capo.

“Allora spetta a te insegnare a questo piccolo il valore dell’esistenza. Morire avvolti dall’acqua, che per prima ci ha dato la vita, è atroce e crudele”.

“Credo ci siano modi peggiori per morire. L’acqua non fa paura” storse il naso il ragazzino.

“L’acqua non fa paura, finché è simbolo di vita. Ma in un istante essa può portarti alla morte e divenire terribile. Come l’aria che respiri. In pochi istanti può essere talmente forte da spazzarti via da questo mondo, così come il cielo da azzurro può divenire tempestoso. Tutte le cose dell’universo hanno un lato di vita ed uno di morte”.

“Tu sei strano”.

“Meglio torniate a casa adesso, se non volete prendervi un malanno”.

L’uomo era affiancato da una creatura incappucciata, di cui Reahu vide solo gli occhi. Erano arancio. Ma chi erano? Non vollero dire il loro nome, e si allontanarono.

 

Reahu, avvolto dalle acque gelide, non capì in principio perché stesse ricordando proprio ora quell’episodio. Quando realizzò che le due creature erano Onyame e Rashnu, sobbalzò. La vita e la morte, il cielo e l’acqua. Nella confusione dovuta dal tuffo, dalla corrente e dal freddo, tutto pareva mescolarsi. Tranne quella luce, che pulsava sempre più forte laggiù. Si mosse, nuotando, verso quella direzione, vedendo che essa si accentuava fino ad avvolgerlo.

 

“Che facciamo?” domandò Ihanez, guardando giù.

“Inizia indietreggiando da lì. Non cascare di sotto. Lui controlla l’aria e svolazza agilmente, nonostante le correnti, tu no”.

Lo stregone fece un passo indietro, senza riuscire a valutare l’altezza di quella cascata. Era fradicio per colpa degli schizzi e con il vento stava prendendo decisamente troppo freddo.

“Dobbiamo andare a riprenderlo?” propose l’allievo.

“Non avrebbe senso. Se la sa cavare meglio di noi due, lì in mezzo”.

“Ma perché si è buttato?”.

“Credi che lo sappia?”.

Rashnu pareva infastidito, ed allungò il collo per vedere se riusciva ad intravedere il collega. Ciò che vide, fu una fortissima luce argentea che correva rapida verso di loro. D’istinto, spinse indietro Ihanez e lo protesse, preparandosi allo stesso tempo a reagire.

 

   

 

Clio era tranquilla quel pomeriggio. Senza nessuno da dover controllare, si stava rilassando in stanza, leggendo un bel libro fantasy. Tutto era calmo e silenzioso, come non era da tempo. Era pure una bella giornata di Sole. Il primo piccolo boato non la preoccupò. Pensò a qualcosa che cadeva dai piani inferiori o ad i giochi dei bambini. Poi tutto iniziò a tremare. Allarmata, poggiò immediatamente il libro e corse fuori dalla camera.

“Tork” chiamò “Che fai?”.

“Io niente” si difese il signore delle montagne e delle rocce, a cui solitamente era affidato il compito di provocare terremoti “Niente eventi simili previsti da queste parti oggi”.

“Fuori! Tutti fuori!” urlò Omikhle, cercando i suoi figli.

Gli scossoni facevano cadere in terra i decori alle pareti ed alcuni mobili. Clio, senza pensarci, scese le scale. Afferrò al volo Aer, che non capiva bene cosa stesse succedendo, e guadagnò la porta.

“Ci siamo tutti?” domandò, dopo un po’.

Pareva di sì, ma la terra non smetteva di tremare ed a nulla servivano gli sforzi di Tork per farla fermare.

“La nostra casa!” esclamò Kadesh, indicando l’ala del padre di Rashnu.

Agli angoli di essa, stavano crescendo quattro torri, che lentamente la sovrastavano. Parevano alberi le cui radici piano piano affondavano nel tetto, e crescevano. Una in particolare, quella blu e argento, crebbe più delle altre, completandosi. Era attorcigliata, piegata come un tornado e leggermente inclinata in avanti, con la punta finale rivolta verso l’interno. Brillava così intensamente, con piccoli punti argento, da sembrare un cielo stellato. La torre bianca, che cresceva al suo fianco, non si completò, come non si completò la torre oro,  a cui però mancava solo la parte finale. Quella nera, l’ultima a sbucare dal terreno, era formata da due parti distinte, che iniziarono ad intersecarsi, ma neppure questa di completò. La terra si fermò e tutto tornò tranquillo. Gli abitanti si fissarono con aria interrogativa. Perché quando non c’era Rashnu accadevano sempre cose strane?

 

   

 

Rashnu si coprì il viso. Quella luce era molto forte ma, lo doveva ammettere, non trasmetteva alcuna sensazione negativa. Riaprì le palpebre e colui che vide, avvolto dalla luce, lo fece imbronciare. Reahu, signore del cielo, li aveva raggiunti, avvolto dall’inconfondibile luce argento dell’armatura di Onyame. L’aveva trovata.

“Cos’è quella faccia?” storse il naso Reahu, divertito.

“Tu ti sei risvegliato del tutto. Io, dopo duemila anni, ancora no” incrociò le braccia Rashnu.

“Io sono orfano, tu no” alzò le spalle l’avvolto di luce.

Il figlio di Ogmios non disse altro. Lasciò che il collega lo aiutasse ad alzarsi, seguito da Ihanez. Guardò il signore del cielo, che rispondeva a quello sguardo interrogativamente, come se non capisse cosa avesse di diverso. Sul capo, portava una sorta di corona argento con un diadema blu al centro, tondo. Fra di esso, i suoi capelli svolazzavano sospinti da correnti un po’ reali ed un po’ indotte dal proprietario. Lungo le braccia, diversi ornamenti sempre argento, dai quali stoffe blu ed azzurre partivano e si incrociavano, anch’esse sospese dalla corrente che circondava Reahu. Sulle spalle ed attorno al collo, piccole catenine e fili argentei sostenevano le spalline dello stesso colore, che a loro volta reggevano il lungo mantello blu che seguiva il movimento del resto della stoffa, trascinandosi per un bel pezzo dietro al suo padrone. Scalzo, attorno alle caviglie intricati sistemi di fili e catenine ne coprivano in parte i piedi. Cosa molto simile si vedeva fra le mani, che stringevano il mantello che altrimenti lo avrebbe avvolto completamente. La cinta si ingrossava al centro e riprendeva lo stile di tutto il resto. Reahu non pareva essersi accorto del tutto del cambiamento.

“Andiamo?” parlò “Ho una certa fame”.

Rashnu sorrise ed annuì. Ihanez preferì non parlare. Le cose si stavano facendo troppo complicate.

 

   

 

“Eccoli!” gridò Tarhunt “Percepisco Rashnu. Stanno tornando”.

Volando, scrutava l’orizzonte. Fra gli alberi, gli era impossibile vedere chiaramente il padrone di casa rientrare ma la sua energia la sentiva. Assieme a quella di Ihanez e quella di…qualcuno di familiare ma non troppo chiaro. Che fosse un altro intruso? Era stufo di tutte quelle invasioni e quei cambiamenti. Sperava che, almeno in quel caso, Rashnu sapesse che stesse accadendo. La maggior parte degli abitanti era rimasta fuori, ancora intimorita dalle scosse, che però parevano aver lasciato senza danni la casa. Rashnu, il primo della fila, guardò tutti quanti senza capire perché fossero davanti all’ingresso o in giardino. E loro a loro volta fissarono i tre, senza capire del tutto chi fosse quell’altissimo essere alle spalle di Ihanez e Rashnu.

“Reahu!” esclamò Clio e, fra la perplessità generale, corse a raggiungerlo.

Lo abbracciò forte, facendosi avvolgere dalla stoffa. Lui le sorrise e le poggiò una mano dietro alla nuca, percependo che doveva essere spaventata da qualche cosa.

“Che succede, Clio?” domandò “Temevi non tornassimo?” ridacchiò.

“C’è stato un terremoto. E…”.

Reahu spalancò gli occhi notando la casa. Quelle torri, che si vedevano dietro all’ingresso sull’ala di Ogmios, erano una strana novità. Sulla torre blu e argento, lo vedeva, in caratteri antichi era scolpito il suo nome.

“Che significa?” domandò, guardando Rashnu.

“Hei, il nome sopra è il tuo, mica il mio!” ghignò il padrone di casa, entrando per vedere in che stato fosse.

Come radici, parti delle torri si intravedevano sul soffitto. Quella blu si era impossessata della stanza di Reahu, come le altre iniziavano a diramarsi verso le camere di Rashnu e Ihanez. Un angolo a se stante si era creato per Nirriti e Nirrita, che non possedevano una sala in quell’edificio.

“La mia è la torre più bassa ed incompleta” notò Ihanez.

“Perché tu sei un novellino. Vedrai come crescerà” ridacchiò Reahu, avvicinandosi alla porta della propria torre, spalancando con disinvoltura il portone dell’ala di Ogmios.

Al contrario di quanto si aspettavano gli altri, essa era del tutto normale. Non era più nera, oscura e misteriosa. Come se il suo proprietario se ne fosse andato.

“Cosa è successo?” domandò, intimorita, Kadesh.

“Ci siamo ripresi le nostre vite. Ora comandiamo noi” rispose Rashnu, seguendo il suo collega del cielo, curioso.

La torre oro, quella che un giorno avrebbe portato il suo nome, non era ancora completa. Quella di Reahu, invece, era perfetta e pronta ad ospitare il suo padrone. Questi la fissò con orgoglio e poi fissò con leggera strafottenza Rashnu, che fece una smorfia.

“Sfigato” ridacchiò Reahu.

“Ma vaffanculo!”.

“Vacci tu. Sono sicuro che tu conosci la strada meglio di me”.

Per qualche istante rimasero in silenzio, poi scoppiarono a ridere insieme.

“Hei, ma…è tutto a posto?” chiese timidamente Clio, alle loro spalle “Intendo dire: le torri sono normali? Non c’è niente di strano?”.

“No, tutto a posto. Potete stare tranquilli” sorrise Rashnu.

“Ed è normale che lui sia così?” domandò Tarhunt, indicando il fratello.

“Sì. Vi spiegheremo tutto, questa sera a cena. Abbiate un po’ di pazienza” continuò il padrone di casa, ancora un po’ confuso da ciò che vedeva ed aveva visto.

 

   

 

“E così ci dite di non usare più gli oggetti di potenziamento provenienti dall’armatura di Vostro padre?” domandò, dubbioso, Kama durante la cena.

“Esattamente. Così facendo, finalmente ci distaccheremo dalla sua volontà” annuì Rashnu.

“Scusi ma obbedire alla sua volontà non è ciò che dobbiamo fare?” chiese Lahar.

“Non necessariamente. La sua volontà è stata quella di non intervenire, lasciando il mondo alla guerra, di svanire nel nulla e lasciarci da soli. Siete certi di voler continuare a seguire una volontà del genere?”.

“No, ma che alternativa abbiamo?” piegò il capo Pothos.

“L’avete. Ovviamente non vi possiamo obbligare, ma la nostra idea è instaurare nuovamente il regno dei quattro pilastri. Siete liberi di scegliere. Se restare qui, a combattere al nostro fianco, oppure se andarvene. Nel secondo caso, però, mi vedo costretto a riprendermi i vostri poteri”.

“Ci stai chiedendo di abbandonare il volere di Ogmios, uscendo dalle sue grazie, per seguire un gruppo di svegliati a metà?” si stupì Hike.

“Quali "grazie"?! Io sono con voi, Rashnu” parlò Petbe, convinto.

“Prendetevi il tempo che vi serve. Noi non torneremo sui nostri passi” terminò Rashnu, ritenendo conclusa la conversazione.

 

Una volta finita la cena, Petbe si avvicinò al padrone di casa, porgendogli la parte di armatura di Ogmios che gli spettava: la cinta, la cui fibbia brillava intensamente. Rashnu la prese e sorrise. Con quel gesto, il giovane figlio di Saxnot ed Adraste indicava una totale fiducia in colui che aveva di fronte e la sua volontà di staccarsi dal passato. Vedendo questo, anche altri seguirono quell’esempio. Egres e Lahar furono i successivi, assieme a Clio, Tate e Nininsina. Tork attese un po’, poi raggiunse i gruppi con i suoi grossi spallacci. Reahu osservava il tutto, attendendo soprattutto la scelta del fratello minore, che finora non si era espresso.

“E adesso?” domandò Ihanez, non potendo riconsegnare l’oggetto che ancora ufficialmente era proprietà di suo padre.

“Adesso ne sottrarremo il controllo di Ogmios” rispose Rashnu.

“Sì può fare?”.

“Con Reahu sì”.

“Davvero priverai dei poteri chi non è disposto a seguirci?”.

“Non possiamo permettere a chi ci domina di continuare a farlo e per questo ci vuole un’azione drastica. Non lo farei, se non fosse assolutamente necessario”.

Ihanez non rispose. Nessuna delle opzioni possibili lo convinceva del tutto. L’armatura aveva sempre più componenti, ed era ormai chiaro chi voleva rinunciare. Rashnu non li biasimava. Dopotutto si trattava di disobbedire a colui che ritenevano un dio. Avevano portato tutti i pezzi all’esterno, per dare modo a Reahu di esprimere a pieno il proprio potenziale. Non era ancora buio, le giornate si erano allungate molto ed il rosso del tramonto non li aveva ancora lasciati, ma ben presto furono avvolti da un’oscurità fitta e minacciosa.

“Ogmios” sussurrò più di qualcuno, piuttosto spaventato.

Reahu guardò in alto. Un vortice nero turbinava e copriva il cielo, celando le stelle. Strinse i pugni. Senza dire una parola, mosse le mani e fra esse apparve un arco, riccamente decorato e luminoso. Fece comparire anche una freccia e si apprestò a scagliarla. Rashnu, nel frattempo, intimava tutti di stare indietro e non fare sciocchezze. Scoccando la freccia, il signore del cielo fece sì che essa si aprisse un varco fra le tenebre, modificando l’andare di quei vortici oscuri. Il buio non si dissolse ma si ramificò, creando spirali ad ogni colpo di freccia.

“Non riesce ad allontanare quella nebbia nera” si spaventò Ihanez, che non aveva alcuna intenzione di obbedire all’ordine di Rashnu di rientrare in casa.

Uno di quei rami si sporse pericolosamente verso gli abitanti. Rashnu prontamente lo respinse, richiamando uno scudo d’oro circolare davanti a sé. Il colpo lo fece indietreggiare di quasi un metro, ma riuscì a ricacciarlo in aria.

“Rashnu, riesci a tenerlo a bada?” domandò Reahu, sollevandosi da terra.

“Sì, per un po’. Che hai in mente?”.

“Fidati”.

Guardando in alto, Reahu alzò una mano al cielo.

“Vajra!” urlò, provocando un fortissimo lampo e la luce avvolse l’arto che protendeva verso le stelle, creando uno scettro fatto di fulmini.

Il cielo oscuro rispose con tuoni e lampi più forti, ma Reahu ignorò la cosa.

“Hipostas!” gridò di nuovo, alzando lo scettro che sparse i suoi fulmini tutt’attorno.

A quel richiamo, le stelle del cielo parvero ingrandirsi. Tante piccole scie argentee corsero veloci verso Reahu, prendendo forma. La prima ad arrivar al suo fianco era una bellissima donna tutta d’argento e luce. Altre la seguirono. Uomini e donne, luminosi ed al servizio di Reahu, stavano riempiendo il cielo. Anche i componenti dell’armatura oro di Ogmios, lasciati all’aperto, si mossero, liberando figure più o meno note ai presenti, che fissarono il tutto con incredulità.

“Cosa sono? Anime?” domandò Ihanez.

“Non credo. Sono immagini dei predecessori di coloro che vivono qui ora. Direi più che altro Ipostasi, manifestazioni e personificazioni di una capacità divina” rispose Rashnu.

“E quelle creature argento?”.

“Sono…stelle!” parlò il padrone di casa, incredulo e felice.

Una tale dimostrazione di potere non se la sarebbe mai aspettata. Ora il suo scudo d’oro non serviva più, perché l’oscurità si stava ritirando, vinta dalla luce emessa da quelle creature.

Reahu mosse le braccia, cosa che fecero anche tutte le presenze che lo circondavano. Stavano concentrando la loro luminosità. Gridando, tutti loro espansero quella luce, creando un’enorme sfera che li circondò e scacciò la nebbia nera.

“Il cielo è roba mia!” esclamò Reahu, quando il cielo stellato si mostrò interamente e quella presenza oscura si dileguò del tutto.

Alzò di nuovo la mano al cielo e le frecce che aveva scagliato tornarono fra le sue dita. Le rigirò e queste scomparvero, così com’erano apparse. Lo scettro si dissolse in polvere sottile. Le ipostasi tornarono al loro posto, all’interno dell’armatura. Le personificazioni delle stelle iniziarono a volar via. L’ultima ad andare fu colei che per prima era apparsa. Reahu la guardava e lei rimaneva sospesa, guardandolo a sua volta.

“Alinn” la chiamò il signore del cielo.

Era colei che tanto aveva amato e che ora occupava un posto al centro dell’universo. Gli bastava così poco, solo un gesto, per farla restare, per riaverla accanto. Ma come? Come luce senz’anima e senza sentimenti. Le dedicò un ultimo sorriso e poi la lasciò andare.

 

Girandosi, vide che molti dei presenti lo fissavano come fosse una specie di strana bestia. Reahu ignorò quegli sguardi. Fece svanire l’arco in un soffio e poi indicò le parti d’armatura.

“Hanno obbedito e me” parlò “Sono libere dal dominio di Ogmios”.

Rashnu annuì. Il signore del cielo sembrava stanco, ma non era ferito, così come nessuno degli abitanti aveva subito alcun danno. Chinò la testa leggermente.

“Che fai?” lo apostrofò Reahu.

“Mi inchino dinnanzi a colui che ritengo mio superiore, almeno per ora”.

“Non fare lo scemo. Avanti, rientriamo”.

La gente si scostò al passaggio di Reahu e Rashnu, che si diressero verso la torre del cielo. Il padrone di casa vi andò diretto ma Reahu si fermò. Clio lo osservava, in mezzo ad altri abitanti, senza sapere che cosa dire. Lui gli porse la mano e lei la afferrò, avvicinandosi. Le vesti ed i capelli di lui continuavano a muoversi e parte di essi la sfiorarono, facendola sorridere.

“Sono sempre io, sai?” le parlò lui.

“Lo so”.

“Allora non avere paura di me, per favore”.

“Non ne avrò”.

Reahu le sorrise a sua volta e le baciò la mano, facendola arrossire.

“Vestito nuovo anche tu, noto” riprese lui, scherzando sul fatto che nelle ultime ventiquattro ore era cambiato parecchio, doveva ammetterlo.

“Sì, e vero” ammise lei “Volevo farmi un regalo. Ti piace?”.

Il signore del cielo non le rispose ma la attirò a sé, prendendola fra le braccia e baciandola. Dopo un lungo istante, i due si divisero. Clio non sapeva bene cosa dire e quindi si limitò a sorridere. Lui la lasciò andare, con un piccolo inchino. Doveva scambiare quattro parole con Rashnu prima di andare a dormire.

“Ihanez!” parlò, camminando verso la torre “Vai a dormire. Domani ti farò faticare”.

L’allievo si preoccupò un po’ e si guardò attorno. Tutti coloro che avevano riposto fiducia nel suo maestro e in Rashnu la stavano riponendo anche in lui, futuro signore della vita e, forse, pilastro del mondo. Non poteva deluderli.

“Sarò pronto” rispose, convinto.

 

“Perché ci hai messo tanto?” sbottò Rashnu, vedendolo entrare nella torre.

“Ti ho forse chiesto di aspettarmi?” replicò Reahu, salendo le scale ed ignorando il collera all’ingresso.

Raggiunse la sua nuova camera e si stese di botto sul letto matrimoniale, scostando i veli del baldacchino e chiudendo gli occhi.

“Stanco?” domandò Rashnu, sedendosi sullo stesso letto.

Reahu lo fissò, incorporando in un solo sguardo le frasi “Che cazzo fai?!” e “Stati scherzando?!”.

“È di tuo padre che stiamo parlando” disse, invece “Non è che sia un gioco respingerlo”.

“Eppure ai più è parso che per te fosse stato semplice”.

“Non lo è stato. E quello era solo una manifestazione del suo potere, non Ogmios in persona. La cosa mi preoccupa”.

“Che intendi dire?”.

“Intendo dire che non dovremmo essere troppo sicuri di noi stessi”.

“Scherzi?! Ma hai visto cosa hai fatto oggi?! Ciò che è successo è straordinario, va ben oltre la capacità di un semplice controllore di un potere. È stato…un miracolo!”.

“Eh?!”.

“Un miracolo. Un evento oltre l’umano”.

“Quanto hai bevuto a cena, Rashnu?”.

“Come puoi negarlo? Tu sei stato…un dio”.

“Io non sono un dio. Non sono un creatore”.

“Come puoi esserne sicuro?”.

“Ma dai! Scendi dal mio letto, sembriamo due liceali ad un pigiama party”.

“Vuoi che ti metta lo smalto?” ridacchiò Rashnu, e si beccò una cuscinata in faccia che lo ribaltò all’indietro.

“Non sono un dio, e smettila di dirlo” sbottò Reahu, poi sbadigliando.

“Ma ci vai vicino”.

“Anche tu”.

“Ma non COSÌ vicino”.

“Sicuro? Gli anni si contano da quanto sei nato tu, mica da quando sono nato io!”.

“Questo non conta. Ad ogni modo, che pensi di fare adesso? Mettere sotto Ihanez, in modo da farlo migliorare in fretta?”.

“L’idea è quella, ma non vorrei torturarlo. E devo finire di leggere tutti i libri che ha lasciato mio padre. Me ne mancano un paio”.

“Giusto. Lì dentro potrebbero essere riportate informazioni fondamentali per noi”.

“Esatto. E adesso vattene che voglio dormire”.

Rashnu si alzò lentamente dal letto, stiracchiandosi. Faceva meglio ad andare a riposare pure lui, peccato non poterlo fare nella torre oro, perché ancora incompleta!

“Buonanotte, tesoro!” ridacchiò, beccandosi un altro cuscino, questa volta dietro la testa.

“Fuori di qui, palma!” lo minacciò, ghignando, Reahu.

Rimasto solo, fissò il soffitto, dove vi era dipinto il cielo stellato.

“Io, un dio?” si disse.

L’idea era spaventosa, troppe responsabilità, ma nemmeno troppo malvagia. Ci si poteva anche abituare, dopotutto, concluse prima di chiudere gli occhi ed addormentarsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** XIV- Per la Vita e per la Morte ***


XIV

 

PER LA VITA E PER LA MORTE

 

Rashnu come sempre si era svegliato presto e si preparava a partire. Era piuttosto assonnato, data l’ora tarda in cui si era addormentato la notte precedente, ma si sforzò di sbadigliare una volta soltanto. Come spesso capitava, trovò Clio già in piedi, che puliva per terra.

“Che fai in giro a quest’ora? Non puoi dormire un pochino di più, ogni tanto?” le domandò.

“Sto pulendo la polvere provocata dal terremoto di ieri” spiegò lei.

“E non puoi farlo ad un orario normale? Quando anche il resto del mondo è in piedi?”.

“No, perché adesso lavoro tranquilla, senza nessuno che corre su e giù e mi sposta la polvere ovunque. Meno fatica”.

“Ah, capisco”.

In realtà Rashnu non capiva. Se avesse potuto, avrebbe dormito per ore e ore in più. Uscendo in giardino, vide che anche Ihanez era sveglio e stava girellando fra gli alberi.

“Ragazzo” lo chiamò, e lo stregone gli andò vicino.

“Ragazzo, oggi vieni con me. Preparati”.

“Con Voi? Perché e dove?” domandò l’apprendista.

“Hai fatto lezione con la maggior parte di noi, con me ancora no. Perciò vieni”.

“Ma Reahu ha detto…”.

“Reahu oggi avrà molto da fare, credimi. Non preoccuparti di questo”.

“Che devo portare con me?”.

“Niente in particolare. Vieni e basta”.

Ihanez annuì.

“Clio” riprese Rashnu “Avvisa tu Reahu che il suo allievo quest’oggi viene con me”.

“Sì ma…nessuno fra noi ha mai fatto lezione con Voi!” si stupì lei.

“Lui è speciale. E assicurati che il signore del cielo faccia i compiti. Ha dei libri da leggere”.

Clio sorrise ed annuì. Vide Rashnu e Ihanez allontanarsi, fra gli alberi della foresta che circondava la casa, e tornò alle sue faccende.

 

Ihanez non si era mai trovato a disagio fra i boschi. Fin da bambino, vi era cresciuto nel mezzo. Perciò non trovò inquietante quel paesaggio, che molti consideravano tale. Seguì Rashnu senza problemi e senza fatica, anche perché il mantello di chi aveva davanti era bianco all’interno e, svolazzando, si vedeva chiaramente nonostante il buio della foresta. Non parlò, non sapendo bene cosa dire. L’idea di andare a caccia di anime lo allettava ben poco. Raggiunsero una grotta buia, che si apriva alla sinistra del sentiero. Rashnu vi entrò, senza dare spiegazioni, e Ihanez lo seguì. Solo un ringhio minaccioso lo fece fermare. Era circondato dai lupi che, non capendo perché il loro padrone lo avesse portato lì, lo trattarono come un intruso.

“State calmi” li ammonì Rashnu, camminando verso il fondo della grotta, dove una lupa enorme se ne stava stesa con accanto i suoi cuccioli.

Ihanez non sapeva bene che fare, fino a quando Rashnu non gli fece segno di avvicinarsi.

“Lei è buona” gli disse, prendendo fra le braccia uno dei grassi cuccioli neri “Mi è sempre stata vicino, fin da bambino. Ed ha avuto di nuovo i piccoli. La prima cucciolata dell’anno”.

Ihanez allungò la mano verso uno dei nuovi nati, che doveva avere un mesetto circa.

“Sono molto vivaci, devo stare attento che non escano e si allontanino troppo. Lei resterà qui, a badare a loro. Gli altri verranno con noi” spiegò Rashnu.

Una volta nutriti e coccolati gli animali, Ihanez lo vide salire in groppa al lupo più grosso di tutti.

“Vieni” gli disse i bimillenario, allungando una mano verso lo stregone, che l’afferrò e salì a sua volta sulla grossa bestia dal pelo lunghissimo e nero.

“Non ho mai cavalcato un lupo” ridacchiò.

“Son ben in pochi a poter dire di averlo fatto” sorrise Rashnu, incitando la creatura ad andare.

Tutto il branco lo seguì, tranne la madre con i piccoli ed un paio di maschi il cui compito era sorvegliare i dintorni. Ihanez si guardò attorno. Quel lupo enorme sovrastava di parecchie spanne tutti gli altri, che li seguivano.

“Tranquillo. Nessuno, oltre alle anime defunte, può vederci” spiegò Rashnu, alzando il colletto del mantello, coprendosi buona parte del viso ed i capelli, come con un cappuccio.

Accelerarono per qualche istante, poi si fermarono, in mezzo ad un ampio prato verde. Facendo un gesto con le braccia ed impartendo degli ordini, Rashnu sparpagliò i lupi, che iniziarono a correre ognuno in direzione diversa.

“Dove vanno?” domandò Ihanez.

“A radunare le anime che ci sono qua attorno, facendole arrivare tutte qui”.

Lo stregone osservò affascinato come effettivamente ognuna di quelle creature tornasse, dopo un po’, recando avanti a sé un gruppetto di essenze biancastre. Rashnu le attese e le guardò. Loro, confuse, guardarono a loro volta il figlio di Ogmios, con timore o con gioia.

“Ora le giudicherò, Ihanez” spiegò, Rashnu, scendendo dal lupo “Coloro che mi guardano con timore, vedono il mio lato malvagio e quindi, presumibilmente, per loro si illuminerà il bracciale argento, che segnala un’anima impura. Coloro che, al contrario, scorgono il mio lato buono, allora faran risplendere il bracciale oro e saran anime innocenti e sante”.

Ihanez non vedeva l’ora di vederne il procedimento, quando una voce famigliare chiamò per nome Rashnu. Era Hennay, che raggiungeva il gruppo scortata da un lupo.

“Hennay? Cosa fai qui?” si stupì lo stregone.

“Signor Rashnu” si inchinò lei.

“Per sbaglio uno dei miei lupi ti ha presa, chiedo perdono” parlò il figlio di Ogmios.

“No, non per sbaglio. Io volontariamente sono giunta fino a qui”.

“Volontariamente?”.

“Io chiedo di essere liberata” alzò il viso e le mani giunte l’essenza.

“Liberata? Da cosa, amore mio?” domandò Ihanez.

“Dal legame che mi tiene a questo mondo” continuò Hennay “Io sono una morta, ed è giusto che raggiunga il mondo dei morti, lasciando quello dei vivi”.

“Ma che stai dicendo?! Io ti ridarò un corpo, Hennay, e potremmo tornare insieme”.

“Sai bene che non è possibile. Io ti vedo, Ihanez. Ti vedo soffrire, gioire, ridere, piangere, sognare, provare timore e rabbia. Tutte cose che io non provo più. Vedo ancora nei tuoi occhi l’amore chi ci ha legati, ma nel mio sguardo non c’è più nulla di simile, e non ci sarà mai più. Io non sono nient’altro che un’immagine di ciò che ero, senza più sentimenti, e non è giusto che tu rimanga legato a quest’involucro freddo. Ho visto come Reahu ha lasciato andare la sua stella. È tempo che tu faccia lo stesso con me”.

“Ma io non voglio!”.

“Ti prego, Ihanez! Non tenermi imprigionata qui, in mezzo ai vivi, io che son morta e viva non sarò mai più”.

“Perché non ti fidi di me? Perché non credi che io ti possa ridare un corpo?”.

“Perché non è possibile”.

“E perché? Cosa ti serve? Solo un cuore, un cuore che ti ama. Ecco ciò che ti manca. Prendi il mio. Se tu non ci sei, per me è inutile averlo”.

Ihanez, spalancò le braccia, come ad incitare l’anima ad ucciderlo ed estrarne il cuore.

“Signor Rashnu, la prego, mi porti via. Mi porti dove è giusto che le anime stiano” riprese Hennay, ignorando il gesto di Ihanez e rimanendo con la solita espressione neutrale.

“Ihanez, la decisione spetta a te” gli parlò Rashnu “Non mi è concesso separarti da lei, se tu non lo desideri”.

“Dimmi la verità, sii sincerò” lo fissò lo stregone “Quante possibilità ci sono che possa ridarle un corpo? Lo potrò mai fare?”.

“Un’anima separata dal proprio corpo può rientrare solo in ciò che ha lasciato, ed il suo corpo è stato distrutto. Non è possibile”.

“Nemmeno se mi risvegliassi del tutto?”.

“No. Resterebbe per sempre un’anima senza dimora di carne”.

“Aveva ragione Reahu, dunque, il primo giorno in cui l’ho visto e mi ha parlato”.

“Reahu ha spesso ragione, se ci rifletti”.

Ihanez rimase in silenzio, guardando prima Hennay e poi Rashnu.

“E sia” disse, dopo un po’ “Se è questo ciò che desideri, amor mio, non ti posso trattenere”.

“Voglio che tu sia libero di andare avanti, Ihanez. Non essere triste” lo sfiorò Hennay.

Lo stregone si scostò e non la guardò più. Rashnu non parlò. Allungò una mano verso l’anima di Hennay e la toccò. Immediatamente, il bracciale oro si illuminò intensamente.

“Andiamo a casa, anima buona” le sussurrò, mentre questa si illuminava d’oro a sua volta.

Tutte le altre essenze, riunite dai lupi e rimaste immobili, attesero lo stesso trattamento e poi si divisero in due gruppi: quello argento e quello oro. Quando ognuna di esse ebbe un colore, Rashnu risalì in groppa al lupo ed attese che Ihanez facesse lo stesso. Con un gesto del figlio di Ogmios, tutte le anime si mossero, seguendoli. I lupi le circondavano, impedendo che alcune di esse si perdessero o si allontanassero. Lo stregone non parlò. Hennay rimase accanto al lupo gigante che cavalcava, guardando fissa davanti a sé.

 

   

 

“Dov’è quello scansafatiche di Ihanez?” sbottò Reahu, vagando per casa.

Clio ridacchiò. Senza armatura e vesti strane, era lo stesso Reahu di sempre, quello a cui era abituata, e si divertiva vederlo cambiare colore.

“Non c’è” gli disse, dopo un po’ “Rashnu l’ha portato via con sé”.

“Davvero? E perché?”.

“A far lezione immagino. E mi ha detto di controllare che tu faccia i compiti”.

Il signore del cielo parve stupito dal gesto del padrone di casa, ma non commentò. L’idea di passare un’intera giornata senza l’allievo gli piaceva. Un po’ di relax, anche se aveva una montagna di libri da leggere. Ma forse poteva rendere la cosa divertente.

“Clio” la chiamò “Vieni a leggere con me?”.

“Ma io non la capisco la lingua antica”.

“Te la leggo io. Sei la signora della memoria e della storia, certe cose le DEVI sapere, anche se il padre di Rashnu le ha rimosse dal cervello del mondo”.

“Beh, se mi date il permesso di farlo…”.

“Ovvio. Vieni con me”.

Clio lasciò perdere le pulizie e seguì con gioia Reahu, curiosa di vedere la torre del cielo dall’interno. Era così bella dall’esterno! Poteva solo immaginare cosa ci fosse dentro. Appena Reahu le aprì l’ingresso, rimase meravigliata. Tutte le pareti ed i soffitti erano dipinti in modo da ricordare un cielo stellato e brillavano allo stesso modo. Seguì il suo proprietario per la scala a chiocciola fino a raggiungere la prima porta. La stanza all’interno era enorme, seguendo le sproporzioni che la casa manteneva fra un occupante ed un altro in base al proprio potere, e magnifica. Cambiava, così come cambiava il cielo. Reahu invitò la sua ospite a sedersi sul divano scuro e, dopo aver preso uno dei libri che aveva impilato alla rinfusa sul tavolo, le andò accanto. Non appena iniziò a leggere, ad alta voce traducendo la lingua antica, Clio spalancò gli occhi ed esclamò “Wow”. Reahu si fermò e la fissò, con aria interrogativa.

“Vedo tutte le immagini di quello che racconti” spiegò lei “Come se io mi trovassi fra coloro di cui parli. È così strano…”.

“Sarà una delle manifestazioni del tuo potere”.

“Dici? Non mi è mai successo prima”.

“Forse anche il tuo sta aumentando, non trovi?”.

“Può essere? È da tanto che è stazionario”.

“Anche il mio lo era. Chissà”.

“Continua a leggere”.

 

Onyame camminava per quel piccolo paesino lentamente, fra gli sguardi curiosi della gente. Gli stranieri provocavano sempre un certo effetto in quella comunità ristretta. E lei era là, magnifica, in un abito blu brillante come le stelle ed una cascata di capelli color rame. Onyame era sicuro che fosse lei. Che fosse la Madre e che questa volta fosse rinata per lui. Nonostante tutti i dubbi che gli attraversavano il cervello, quei due occhi oro gli toglievano ogni dubbio.

“Che facciamo qui?” domandò Rashnu, guardano con aria interrogativa il suo maestro.

“Non ti ho obbligato a seguirmi, sai?” rispose Onyame, quasi infastidito.

“Ma come tuo allievo devo starti vicino”.

“Non in certi casi”.

“E che dovrei fare?”.

“Torna a casa ed aspettami. Non starò via molto”.

In realtà, Onyame rientrò solo molto tardi e trovò Ipalnemoa in piedi, a braccia incrociate, che lo fissava con aria di velato rimprovero.

“Che vuoi?” sbottò il signore del cielo, irritato.

“Che combini?” rispose, a tono, il signore della vita “Chi è quella donna?”.

“Quale donna?”.

“Rashnu me ne ha parlato”.

“Dannato ragazzino spione”.

“Cosa hai in mente di fare?”.

“Lei è la Madre, ne sono certo”.

“Davvero?”.

“Sì, ed è qui per me. È qui per il mio unigenito”.

“Credi a quelle storie? Sul serio?”.

“Rashnu è nato”.

“Rashnu è stato un incidente, e tu lo sai. Pensi davvero che, un giorno, i nostri figli prenderanno il nostro posto?”.

“Assolutamente. E sono certo che saranno più sani di mente di mio fratello Ogmios, che pare essersi dimenticato il suo ruolo”.

“Vuoi metterla in pericolo, dunque?”.

“Metterla in pericolo? No, certo che no”.

“Rifletti: se Ogmios ha fatto uccidere la donna che amava ed ha tentato in tutti i modi di far fuori suo figlio, come reagirà davanti al figlio di uno di noi? Lo sai bene che non apprezza il diffondersi del potere di noi quattro”.

“Non sono lo schiavo di mio fratello”.

“No, ma non hai neppure una grande scelta. E poi, cos’è tutto sto desiderio di paternità e amore? Te ne sei stato buono per millenni, perché non continuare?”.

“Facevo lo stesso ragionamento. Poi l’ho conosciuta”.

“Sei assolutamente certo che sia la Madre?”.

“Sì, ne sono sicuro”.

Ipalnemoa parve riflettere qualche istante. Una riduzione del potere di chi aveva di fronte, conseguenza del graduale passaggio delle capacità all’eventuale figlio che avrebbe avuto, non sembrava una buona idea.

“Non mi fido troppo di tuo fratello, lo devo ammettere” disse, dopo un po’ “E mi sentirei con le spalle scoperte se il tuo potere diminuisse, se tu lo cedessi al figlio che desideri”.

“Ci vorrà del tempo. Guarda Rashnu. Ha mille e ottocento anni, eppure il potere di suo padre è pressoché intatto”.

“Questo perché suo padre non lo cede, se non in minima parte”.

“Farò lo stesso. Saprò scegliere il momento giusto e, fino al quel momento, avrai le spalle coperte. Di certo non posso passare il fardello mio ad un bambino! Dovrà crescere ed imparare”.

Il signore della vita sospirò, passandosi una mano fra i capelli arancio.

“E va bene” sospirò, dopo qualche istante “Io, signore della vita, ti concederò questa cosa, se tanto lo desideri. E farò in modo che LUI non lo sappia”.

“Grazie” si inchinò Onyame, sorridendo.

“Non ringraziarmi. E ora va, la Luna piena non dura in eterno”.

Il signore del cielo osservò la notte. Aveva ragione il suo collega. Era quella la notte, e non poteva aspettare oltre. Inchinandosi di nuovo, si allontanò rapido. Poco dopo, una nube scura e dei passi pesanti si diffusero per la stanza.

“Ogmios” salutò Ipalnemoa, con un cenno del capo, mentre Rashnu correva dal padre con entusiasmo, felice di vederlo.

“Novità, Ipal?” domandò il padrone di casa.

“No, niente di nuovo” mentì il signore della vita, allontanandosi.

 

   

 

Il regno dei morti si mostrò davanti al gruppo di lupi ed anime. Ihanez rabbrividì. Non aveva l’aria di un posto molto carino dove passare del tempo.

“Quello è il ponte Cintvat” spiegò Rashnu, indicando il sottile collegamento in pietra fra una riva ed un’altra di un profondissimo burrone “Il confine fra il regno dei morti e  quello dei vivi”.

Mantus ed i figli aspettavano dall’altro capo.

“Quello che vedi laggiù” continuò Rashnu “È un fiume, sì, ma non di acqua. Esso è composto dalle anime considerate malvagie, che son condannate a girare per l’eternità spinte dalla corrente”.

“E le altre, invece?” domandò Ihanez, guardando Hennay.

“Le altre possono entrare agli inferi, dove potranno trascorrere l’infinito in luoghi a loro familiari”.

“Vuoi dire che dentro è un bel posto?”.

“Non sai quanto”.

Ihanez non era convinto. All’esterno, era decisamente spettrale, nero, cupo, inquietante. Le pareti sembravano fatte di lava nera e, ad ogni soffio di vento, producevano gemiti e sospiri. Come aveva fatto Reahu ad entrarci?

“Ben arrivato, Rashnu” lo salutò Mantus “E ciao, Ihanez. Che piacere vederti”.

Lo stregone si limitò a muovere la testa.

“Cominciamo. Ragazzi, fatte vedere a papà di che siete capaci”.

Rashnu si stupì della cosa. Mai prima d’ora era stato affidato un compito a Nirriti e Nirrita, se non quello di osservare in silenzio ed imparare.

“Andiamo” esclamò Nirriti e Nirrita la seguì.

I due gemelli, un maschio ed una femmina, si assomigliavano molto ed il loro aspetto era molto giovane. In realtà, avevano all’incirca un centinaio di anni. Camminarono svelti lungo il ponte e vi si fermarono nel mezzo, osservando il gruppo di anime che avevano di fronte. Nirrita, il cui nome significava “sventura”, si concentrò su quelle di colore argento mentre la sorella Nirriti allungò la mano verso quelle oro. Nirriti si alzò in volo e spalancò le braccia. Subito un vortice avvolse le essenze argento, che iniziarono a precipitare lungo il burrone, divenendo parte di quel vortice di anime tormentate.

“Voi, che in vita avete provocato morte, distruzione, dolore, paura e sofferenza…” parlò Nirrita, con voce solenne “…la cui esistenza è stata costellata da azioni malvagie e crudeli, anime impure, siete condannate a girare per il tempo a venire, senza più sapere cosa sia la pace e la gioia e senza rivedere mai più i vostri cari”.

“E voi, invece, anime buone” iniziò Nirriti, spalancando le braccia “Siate le benvenute in un luogo di pace e serenità. Venite avanti, non abbiate timore”.

Al principio le essenze non si mossero. Fu Rashnu, con un gesto della mano, a convincerle. Hennay si voltò, per un istante, e salutò Ihanez, prima di seguire la folla verso l’ingresso della sua nuova dimora. Lo stregone non rispose a quel saluto.

 

“Direi che la sono cavata piuttosto bene, no?” parlò loro Mantus, raggiungendo Rashnu ed il nipote, che erano scesi dalla groppa del grosso lupo.

“I gemelli? Direi di sì” annuì il figlio di Ogmios “Sono quasi pronti”.

“Lo hai notato? Non vedo l’ora” parlò il loro genitore, con orgoglio.

“Possiamo entrare, Mantus? Ci sono delle cose di cui ti vorrei parlare” domandò Rashnu.

“Certo. Venite”.

Rashnu si mosse, ma Ihanez non cambiò posizione.

“Non vieni?” chiese il figlio di Ogmios e lo stregone scosse il capo.

“Resti qui?” insistette Rashnu e poi non aggiunse altro.

Nonostante i capelli arancio che ne coprivano il viso, capì che il figlio di Ipalnemoa stava piangendo. Non trovò che parole rivolgergli e quindi preferì tacere.

“La tratterò con il massimo riguardo” mormorò Mantus, allungando una mano verso il nipote, che però si scostò.

Senza proferir altra parola, Rashnu ed il signore della morte attraversarono Cintvat, diretti all’interno degli inferi, lasciando Ihanez da solo, assieme ai lupi, che iniziarono ad ululare.

 

   

 

“Vorrei trovare il modo di alleviare le tue pene, figlio mio” mormorò Onyame, guardando il cielo.

Era triste, lo percepiva, ma non sapeva come aiutarlo. Quella guerra aveva lasciato tutti spiazzati, abituati com’erano ad un mondo di pace fra classi. Ed anche il suo unigenito aveva subito delle conseguenze. Lo sentiva piangere e gridare di rabbia. Che fare? Mai gli aveva svelato di essere suo padre, avendo fatto togliere dalla madre il suo ricordo per proteggerla da Ogmios. Che fosse giunto il momento? Ed a che scopo? Quello non era più un bambino. Era un uomo ed aveva perso la donna che amava.

“Signore!” gridò Maia, la signora della memoria “Devo mostrarvi qualcosa”.

Era entrata di colpo nella stanza di Onyame, che sobbalzò e la guardò.

“Cosa? Cosa devi mostrarmi?” domandò.

Lei si concentrò e creò una piccola sfera trasparente davanti a sé.

“Suo figlio…” mormorò.

“Ma…quello è Cintvat! Cosa ci fa mio figlio lì?” si allarmò il signore del cielo, vedendo in quella sfera Reahu che camminava convinto verso il ponte di confine.

 

“Torna a casa, mortale” sentì dire da Mantus “Questo luogo non ti riguarda”.

“Sono venuto a riprendermi ciò che è mio” rispose Reahu.

“Non uscirai da qui. Entra, e non rivedrai più il mondo dei vivi. A te la scelta”.

Reahu di fermò un istante poi avanzò, poggiando il primo passo sul ponte. A pugni chiusi, continuò ad avanzare, incurante delle minacce del padrone di casa.

 

“Reahu! Ma che combini?!” esclamò Onyame, gridando come se potesse sentirlo.

Vedendo quanto fosse convinto e quanto in fretta si dirigesse verso gli inferi, il signore del cielo saltò fuori dalla sua camera, chiamando Ipalnemoa.

“Ma che hai da urlare?” sbottò il signore della vita, che se ne stava tranquillo in giardino, leggendo e contando le farfalle.

“Reahu. Reahu sta andando all’inferno”.

“Reahu è morto? Non lo sapevo”.

“Non è morto. Ci sta andando da vivo!”.

“Reahu si sta suicidando?! Che ragazzo strano”.

“Ti prego, vallo a riprendere! Tu sei l’unico che può farlo uscire vivo da lì”.

“No, sbagliato. Nessuno può far uscire vivo qualcuno dagli inferi. Una volta che ci è entrato, non lo si può più far uscire. Son queste le regole, e tu lo sai”.

“Ti supplico. Ignora le regole, fai un’eccezione”.

“Non posso! Non essere ridicolo!”.

“Ma lui è la cosa più importante che ho”.

“Sai quanti dicono la stessa cosa? Con la guerra, poi, nemmeno immagini quanti innocenti muoiano. Lui se lo è scelto da solo quel destino. Non posso fare nulla”.

“Lui ha già parte del mio potere. Vuoi che venga perso per sempre?”.

“Tu hai già iniziato a trasmettergli il potere? Pazzo con la testa a stelline! Che ti è saltato in mente?!”.

“Ho fatto ciò che ritenevo giusto. Ed ora gliene donerò altra di mia forza, per permettergli di sopravvivere il più a lungo possibile in quel luogo. Tu però lo devi salvare”.

“Stronzate, perché sono circondato da persone che fanno stronzate?! Non era così che dovevano andare le cose, Onyame!”.

“Salvalo. Te lo chiedo in ginocchio”.

“Non so se ci riuscirò. Ma farò tutto il possibile” di arrese Ipalnemoa.

 

Il vento dell’inferno tagliava la pelle di Reahu come una lama metallica, ma questo non lo fermava. Quel luogo lo stava respingendo, uccidendolo lentamente.

“Alinn!” chiamava la sua amata, camminando svelto fra le anime, che lo ignoravano.

“Sei la creatura più testarda che io abbia mai visto e, credimi, di creature ne ho viste parecchie” parlò Mantus, apparendo di fronte a Reahu.

“Rivoglio mia moglie”.

“Tua moglie è morta. Ma non ti preoccupare, la raggiungerai presto, assieme al figlio che aspettavate. Nessuno può uscire da qui, ed il tuo sangue sta già macchiando questo luogo”.

“La mia vita per la sua. Prendi me, e lascia andare lei”.

“Lei non ha un corpo. Dovrei darle il tuo? Non sarebbe bello, credimi. Sei giunto fino qui per niente. Lei, anche se ti vedesse, non proverebbe nulla per te. Le anime non amano, e parte della tua già ti ha lasciato”.

“Non ha importanza. Se non posso vivere con lei, allora morirò per lei. E le rimarrò accanto”.

“Che pensiero romantico. Ed irrazionale. Io, voialtri mortali, non vi capisco mica!”.

“Non ho interesse che tu mi capisca. Dov’è lei? Se devo rimanere qui, almeno che sia vicino all’unica cosa che mi resta”.

Mantus gli fece segno di seguirlo. Reahu lo seguì, sempre più a fatica. Con i numerosi tagli lungo il corpo e l’anima che lentamente lo abbandonava, si era rassegnato all’idea di non rivedere il Sole.

“Eccola” la indicò Mantus, mostrando una donna che sedeva accanto ad un corso d’acqua limpido ed azzurro. Forse si stava specchiando.

“Alinn!” la chiamò Reahu.

Lei si voltò, riconoscendo il suo nome e lo fissò, con aria interrogativa, senza mostrare alcun sentimento. Lui sorrise.

“Alinn, amore mio” mormorò, avvicinandosi lentamente.

Ormai le forze lo stavano abbandonando, tutto si stava oscurando. Ogni respiro bruciava, ogni passo era un’agonia, ma doveva raggiungerla.

“Fermati, Reahu!” gridò una voce, che non aveva mai sentito prima.

Fu l’ultima cosa che sentì, prima di cadere steso in terra, privo di sensi.

“Ipal?” si stupì Mantus, non abituato a vedere il fratello nel suo regno.

“Quel giovane viene con me. Non è il suo posto qui” parlò il signore della vita.

“Come sarebbe a dire? Va contro ogni regolamento!”.

“Lo so bene. Ma lui non è un semplice mortale”.

Mantus si girò. Effettivamente, attorno a Reahu, aleggiava un’aura diversa, un’anima di colore differente, azzurro vivo.

“Che significa?”.

“Lui è il figlio di Onyame”.

Mantus lo osservò meglio. In effetti, la somiglianza c’era. Però quell’anima aveva già lasciato il corpo. Non respirava più. Ipalnemoa era giunto tardi.

 

“No!” gridò Onyame, osservando il tutto dalla sfera che aveva di fronte “Non puoi arrenderti! Tu sei forte, tu sei unico. Tu devi vivere!”.

Concentrandosi, il signore del cielo raccolse parte del suo potere fra le mani.

“Tu devi vivere!” gridò ancora, lanciando quel potere lontano.

Quel gesto lo face cadere all’indietro, lungo il muro, sfinito.

 

Una fortissima luce azzurra raggiunse Reahu, fra lo stupore dei presenti, e questi si mosse. Parte della sua anima era tornata al suo posto.

“Ma che…” mormorò Ipalnemoa “Io giuro che lo picchio quello, appena torno a casa, fratello o no di Ogmios!”.

“Presto, porta fuori di qui quel giovane, prima che ricominci il processo che lo porterà a morire” lo interruppe Mantus “A quanto pare a Onyame va di far miracoli quest’oggi”.

Ipalnemoa prese fra le braccia Reahu e lo portò fuori. Sanguinava, tremava e non riapriva gli occhi.

“Sei proprio testardo. Ma che ti è venuto in mente di andare là dentro?! A nessuno dovrebbe passar per la testa un’idea così stupida!” sbottò il signore della vita, non sapendo bene cosa fare.

Quell’essere doveva trovare la forza di reagire, di riaprire gli occhi. Un’ombra lo coprì in parte. Alzò gli occhi. Ogmios fissava entrambi. Reahu steso a terra ed Ipalnemoa inginocchiatoglisi accanto, nella speranza di vederlo svegliare. D’istinto, il signore della vita spostò un braccio, in modo da coprire in parte il ferito.

“Mi credi così crudele, Ipal? Così crudele da uccidere il figlio di mio fratello?” parlò Ogmios.

“Non lo so. Vi ho visto tentare di uccidere il vostro di figlio, perciò…”.

“Quei tempi sono lontani”.

Con un gesto della mano, avvolse Reahu di luce e gli fece spalancare gli occhi. Il ferito si guardò attorno, confuso e dolorante, ruotando solamente lo sguardo.

“Stai tranquillo. Sei in salvo” gli parlò Ipalnemoa.

“Alza gli occhi al cielo, Reahu” ordinò Ogmios “Verso quello che sarà il tuo regno e guardane il centro. Guarda come ora brilla di luce nuova. Alla tua amata non posso donare un corpo umano, ma posso donarle la luce per sempre. Essa sarà la stella più luminosa del cielo”.

Reahu allungò un braccio, nonostante il dolore, verso quella nuova stella. Era magnifica.

“Portalo a casa nostra” continuò Ogmios “È quello l’unico posto suo”.

“Si, Ogmios”.

“E occupati tu di lui, del suo addestramento. Mio fratello non sarebbe obbiettivo”.

Ipalnemoa sorrise, riprendendo in braccio Reahu. Forse Ogmios era davvero cambiato, e non c’era più nulla di cui preoccuparsi. Tutto si sarebbe risolto. Tutto avrebbe riavuto un senso.

 

 

 

   

 

“Se sei qui per parlarmi del futuro, ragazzo, so già che risponderti” parlò Mantus, prima ancora che Rashnu potesse aprir bocca.

“Come sempre, tu sai tutto” ghignò Rashnu, accettando un bicchiere di vino rosso.

“Non dico di sapere tutto, ma molte cose so prevederle ormai”.

“Quindi già sai di cosa ti devo parlare”.

“Ovvio. Della faccenda degli unigeniti, e di cose simili. Ed io ti rispondo che non è compito mio. Parla con i miei figli, spetta a loro”.

“Nirrita e Nirriti? Non sono troppo giovani?”.

“Meno giovani di Ihanez, ed in lui mi pare tu stia riponendo massima fiducia”.

“Ho forse alternative? Ad ogni modo, se vuoi proprio saperlo, sono molto preoccupato per quel che lo riguarda. Le cose stanno accelerando e non so se lui sarà pronto in tempo, così come non so se lo sarò io”.

“Tu? Tu non ti senti pronto?”.

“Non mi sono ancora risvegliato del tutto”.

“Questo perché non hai strappato dalle mani di tuo padre il potere che ti spetta. Ma lo farai, ne sono certo. Per quel che riguarda voi unigeniti, siete tutti molto giovani ma non impreparati. In ognuno di voi risiede un enorme potenziale, come è giusto che sia”.

“Specie in Reahu. Quello si è svegliato”.

“Del tutto?”.

“Assolutamente. Ha l’arma e l’armatura di suo padre e, credimi, sa usare entrambe molto bene”.

“Lo sapevo. Fin dal primo sguardo che mi ha dato, quel giorno di due secoli fa, mi aveva convinto che dentro di lui ci fosse qualcosa che andava oltre il semplice mortale. Una determinazione ed un coraggio come quelli da lui dimostrati non si trovano ovunque”.

“Determinazione e coraggio?! L’impulsività non gli manca” sbottò, scettico, Rashnu “Ma il suo potere è enorme ed al momento è l’unico con simili capacità. Se non commetterà altre sciocchezze…”.

“Tutti fanno sciocchezze, Rashnu, ed alcune di esse non si rivelano tali, poi. Per noi, quando eravamo giovani, mettere al mondo voialtri era parsa una sciocchezza. Ti senti tale?”.

“A volte, lo ammetto. Ad ogni modo, sono qui per chiederti cosa pensi di fare”.

“Il sigillo di mio fratello perde forza, ma io non posso intervenire a riguardo”.

“Quale sigillo?”.

“Quello che Ipalnemoa ha messo attorno a tuo padre, per evitare che commettesse altre stronzate come quelle di quella famosa sera di cui da poco ti sei ricordato”.

“Per questo non si manifesta fisicamente? Per questo il suo attacco è stato solo energetico, e non fisico? Non può farlo?”.

“Ora no. Ma non so per quanto ancora reggerà e, quando si spezzerà, mi auguro tu sia pronto”.

“E tu cosa farai quando si spezzerà?”.

“Io? Niente. Sono vecchio per queste cose, Rashnu”.

“Vecchio? Ma no, che dici? Hai solo…”.

“Molte migliaia di anni. Troppi, per immischiarmi in queste faccende. Ma i miei figli ormai sono giunti praticamente alla fine del loro addestramento e, se lo vorranno, ti saranno d’aiuto”.

Nirriti e Nirrita non avevano mai considerato seriamente l’idea di prendere del tutto il posto del padre, ma ormai era chiaro che quello era ciò che li attendeva.

“Se sarà necessario, noi interverremo” parlò Nirriti e Nirrita annuì “Saremo al vostro fianco”.

“Ne sono felice” rispose Rashnu, vedendo nei loro occhi la stessa determinazione di Reahu.

Dovevano essere davvero prossimi al risveglio totale. E questo significava che Mantus era destinato presto a perdere tutti  i poteri, divenire mortale. Rashnu lo guardò con un filo di tristezza. Una volta mortale, le diverse migliaia di anni vissuti non gliene avrebbero concessi molti altri.

“Hai imboccato la strada giusta, Rashnu. Non averne paura” gli parlò Mantus.

“Lo so di aver preso la strada corretta. Ma non posso fare a meno di averne paura”.

“Vedila così: una volta risvegliati, voi primogeniti sarete la forza più grande al mondo. Una forza mai vista, che nessun Hieros potrà mai eguagliare”.

“E se non riuscissimo a svegliarci in tempo? Se il piano di Ogmios si compisse?”.

“Non accadrà. Mio fratello me lo ha promesso, ed io ho piena fiducia in lui”.

 

   

 

Ipalnemoa intravide Reahu. Era la prima volta che usciva dalla sua stanza. Ancora malfermo sulle gambe e con molte bende, probabilmente si stava chiedendo dove era finito.

“Buongiorno” lo allarmò una voce, squillante, alle sue spalle.

Reahu si voltò e non parlò, rimanendo piuttosto perplesso a fissare Rashnu, colui che lo aveva salutato, senza capire chi fosse. Forse stava sognando. Quel ragazzino dai capelli a palma non poteva essere reale!

“Io mi chiamo Rashnu, e sono il figlio del padrone di casa. Tu?”.

“Io sono Reahu”.

“Anche tu hai il nome che inizia per R? Che buffo. Fratelli entrambi con la O, figli entrambi con la R. Sì, sì. Proprio buffo”.

Dicendo questo, Rashnu si allontanò saltellando. Reahu voleva chiedergli delle cose ma, credendolo del tutto svitato, lasciò perdere. In lontananza, lungo il corridoio là in basso, intravide una chioma arancione familiare. Ipalnemoa alzò la testa e lo salutò con un cenno del capo. lo raggiunse, evitandogli di fare le scale.

“Lieto di vederti in piedi” esordì.

“Dove sono? Cosa è successo?” domandò Reahu, con le idee parecchio confuse.

“Sei al sicuro, nella tua nuova casa”.

“Nuova casa? Non ne ho bisogno”.

“Tutti hanno bisogno di un tetto sopra la testa. Ad ogni modo, che scortese, io sono Ipalnemoa, piacere di conoscerti”.

“Ipalnemoa? Io sono Reahu, ma il mio nome lo conosci già. Te l’ho sentito dire”.

“Come ti senti, Reahu? Sei stanco?”.

“No, a dir la verità no. Non sono stanco, non ho fame, non provo nulla. Sono morto?”.

“Non direi. Gli zombie non girano da queste parti” cercò di ironizzare Ipalnemoa.

“Allora perché non riesco a piangere? Vorrei tanto farlo, ma non ci riesco. Non riesco a ridere e, nonostante mi trovi in un posto sconosciuto, la cosa non mi spaventa. Come mai?”.

“Credo dipenda dal fatto che ora hai solo metà anima, Reahu”.

“Metà anima?! Ma non è possibile!”.

“Non è possibile neppure uscire vivi dagli inferi, eppure tu sei qui con me ed il tuo cuore batte”.

“Chi sei tu? Sei stato tu a portarmi fuori da lì”.

“Lo so. Ci sono molte cose che capirai, pian piano. Non starò a spiegarti tutto ora, perché ti confonderei solamente di più le idee. Pensa solo a riprenderti”.

“E poi? Poi che accadrà?”.

“Poi provvederò io stesso ad addestrarti”.

“Addestrarmi?! Ma tu sai chi sono io?! Io sono Reahu della regione di Thainat! Sono uno degli stregoni più potenti del mondo, non lo sai? Non ho bisogno di addestramento”.

Ipalnemoa lo fissò con scetticismo.

“Ma davvero?!” mormorò.

“Assolutamente”.

“Dimostramelo”.

Reahu si accigliò ed allungò una mano verso Ipalnemoa, richiamando energia in essa. Lanciò una sfera e ritirò la mano immediatamente. C’era qualcosa di diverso in quel colpo, diverso dal solito. Ipalnemoa non si mosse. Distrusse la sfera semplicemente fissandola.

“Ma che roba sei tu? E perché il mio colpo è così?” sbottò Reahu.

“Guardati allo specchio, e ti farai altre domande” si limitò a dire il signore della vita.

Reahu obbedì e si fissò. La sua pelle si era scurita per la rabbia. Non lo aveva mai fatto prima e, continuando a guardarsi, vide che gradatamente tornava chiara. Doveva essere terrorizzato per questo ma anche quella sensazione era smorzata dalla mancanza di mezza anima.

“Che mi è successo?”.

“Ogni cosa a suo tempo. Sarò lieto di spiegarti ogni cosa. Sarò il tuo maestro, d’ora in poi”.

Il nuovo arrivato tornò a guardare la propria immagine, perplesso. Ipalnemoa nel frattempo era uscito. Reahu lo notò e si voltò, cercando di seguirlo.

“Aspetta!” lo chiamò.

“Vieni, Reahu. Fammi vedere ciò che sai fare”.

Reahu gli camminò dietro. Molta gente lo fissava, senza parlare. Lui non ci fece caso. Solo uno di loro lo fece girare. Si fermò e lo guardò. Era un uomo molto alto, con un’aria familiare.

“Benvenuto nella nostra casa” parlò, con voce profonda “Io sono il suo proprietario, Ogmios”.

“Ogmios?! Ma Ogmios non è…”.

“È quello che credi dentro di te che sia. In te c’è qualcosa di speciale, ed io lo vedo. È di famiglia”.

“Di famiglia?”.

“A questo proposito” interruppe Onyame “Fratello, posso parlarti un attimo?”.

Reahu, vedendo i due allontanarsi, riprese la strada verso Ipalnemoa, che era uscito in giardino, riprendendosi dal fatto che negli occhi di quell’uomo aveva visto il mondo intero.

 

“Qual è il problema?” ghignò Ogmios.

“Non voglio che lui sappia che io sono suo padre”.

“E perché?”.

“Perché non voglio che abbia problemi con gli altri e poi voglio dirglielo io, quando sentirò che è il momento adatto”.

“Come preferisci”.

Ogmios sorrise e tornò alle sue faccende. Onyame trovò strana la cosa. Non riusciva a fidarsi di suo fratello, nonostante avesse salvato suo figlio e si dimostrasse piuttosto disponibile nei suoi confronti. Sospirò. non riuscire a capire il proprio gemello era frustrante.

 

“Vieni qui vicino a me, Reahu” lo invitò Ipalnemoa, seduto sotto un grosso albero.

Reahu obbedì.

“Te la senti di mostrarmi ciò che sai fare? O preferisci riposare ancora un po’?” riprese Ipal.

“Prontissimo. Sono sempre pronto”.

“Bene. Questa cosa mi piace”.

“E tu? Se davvero ti senti adatto a fare il mio maestro, me lo devi dimostrare”.

Ipalnemoa sorrise. Era sera, il Sole stava tramontando.

“Va bene, ragazzo”.

“E non chiamarmi ragazzo. Non lo sono”.

“Va bene”.

Ipalnemoa ghignò, divertito. Mosse prima leggermente le dita e poi le braccia, velocemente, creando un’onda di luce che travolse cielo e terra. Le stelle si accesero, tutte assieme, ed i fiori dell’intero giardino si schiusero, brillando. Reahu rimase immobile, a bocca aperta, senza parole.

“Sono sufficientemente bravo?” sorrise Ipalnemoa.

“Sì. Direi di sì”.

“E ora tocca a te”.

“A me? E che potrei fare, rispetto a ciò che hai appena fatto tu?”.

“Provaci. E se non mi dai del Tu, mi sentirei più a mio agio”.

“Io…non so…”.

“Reahu, dentro di te c’è tantissima rabbia, e lo capisco, ma c’è anche tantissima vita ed energia. Cerca di combinarle, queste cose”.

“Combinare vita ed energia?”.

“Esatto. Tu ora sei arrabbiato e triste, per tutto ciò che ti è successo, e non riesci a far brillare la vita che c’è in te. Ti serve una ragione”.

“Già. È vero. Ho perso ogni cosa. Per quale motivo dovrei continuare a vivere?”.

“Perché? Lo chiedi a me o te lo stai chiedendo da solo?”.

Reahu rimase in silenzio. Non lo capiva più di tanto.

“Sai perché io credo che tu debba vivere, Reahu? Per combattere”.

“Combattere?”.

“Sì. Perché chi non combatte è un vigliacco, e tu non lo sei. Non lo sei perché se lo fossi non avresti affrontato l’inferno. Inoltre, se lo fossi, non saresti così sfacciato”.

Reahu non sembrava convinto, ma guardò il cielo. Alinn lo guardava, la stella più luminosa della notte. Lei non avrebbe mai voluto vederlo arrendersi.

“Chissà come se la passa Tarhunt” mormorò.

“Chi?” domandò Ipalnemoa.

“Il mio fratello minore. Al momento sta facendo addestramento con uno stregone. Sarà preoccupato per me, immagino”.

“Visto? Hai un motivo per vivere. Non voglio più sentirti dire che non è così. Domani mattina andiamo da lui. Ora mostrami le tue capacità. Cosa pensi di fare? Arrenderti, fingere che tutto sia finito, o far sentire la tua voce?”.

Reahu guardò di nuovo in alto. Sentiva qualcosa, dentro di sé, di spaventoso e freddo. Una parte di lui era morta, e l’altra metà aveva smarrito la strada. Combattere? E per chi? Strinse i pugni. E gridò. Gridò forte, rompendo il silenzio della casa. Ad occhi chiusi, non si accorse che le stelle gli stavano rispondendo, illuminandosi ad intermittenza.

 

Il giorno seguente, Ipalnemoa e Reahu lasciarono la casa e raggiunsero un villaggio nella vicina regione di Thainat, dove Reahu era cresciuto e dove Tarhunt stava svolgendo l’addestramento. Era un paese di stregoni, che riconobbero subito chi camminava fra loro. Mormorarono il suo nome, vedendolo passare.

“Sei famoso” commentò Ipalnemoa e Reahu non rispose, camminando a passo deciso verso la dimora del maestro che aveva in custodia il suo fratellino.

Tarhunt lo vide e lo riconobbe da lontano. ignorò gli addestramenti e, scavalcando la staccionata che delimitava il giardino dove si stava allenando, corse verso il fratello. Era un ragazzino, dai capelli color del cielo ed ancora buona parte dell’adolescenza da affrontare.

“Reahu!” gridò, abbracciandolo per pochi secondi e poi guardandolo con rabbia “Dov’eri finito?! Mi hai fatto venire un colpo, sai? Qui tutti dicevano che eri morto. E cosa sono quei segni sul viso? Che hai combinato? Stai bene?”.

“Quante domande” lo zittì Reahu “Sto bene. Anche tu, spero”.

“Ho saputo cosa è successo ad Alinn. Mi spiace. Mi spiace tanto”.

“Come procede l’addestramento?” cambiò immediatamente argomento Reahu.

“Bene. Anche se credevo che un giorno saresti stato tu ad addestrarmi, come voleva nostra madre”.

“Ho scelto una strada diversa”.

“Quale?”.

“Non mi è ancora chiara. E, a questo proposito, me ne andrò via per un po’. Ci tenevo a fartelo sapere. Ti verrò a trovare, però, non preoccuparti”.

“Te ne andrai via? E dove?”.

“Mi sto allenando di nuovo e per farlo ho bisogno di passare ad un livello che uno stregone normale non può fornirmi”.

“Non capisco”.

“Non serve che capisca”.

“Comunque sono felice che tu voglia di nuovo usare la magia ed aumentare la tua forza. Se già adesso sei famoso per le tue capacità, non oso immaginare come diventerai. Forse diverrai il più forte fra gli stregoni! Non sarebbe fantastico?”.

“Non so se è quello il mio destino. Ad ogni modo, volevo solo farti sapere che sto bene”.

“Ti credevo morto, vecchio stupido”.

“Vecchio?!”.

“Sì, sei vecchio. E sei stupido”.

“Va bene. Ne prendo nota. Ora devo andare”.

“Lui è il tuo maestro?” chiese Tarhunt, indicando Ipalnemoa.

“Già. Proprio lui”.

Ipalnemoa salutò con un cenno e Tarhunt rispose in modo simile. Quell’uomo sembrava davvero molto forte, più forte del fratello che fin ora aveva considerato il migliore.

“Ora è meglio che vada” riprese Reahu.

“Meglio vada anch’io. O il mio maestro si arrabbierà. Verrai a trovarmi, vero?”.

“Certo. Perché non dovrei?”.

“Perché con la guerra se ne stanno andando tutti. Tu non mi abbandonerai, vero?”.

“No, non lo farò. L’ho promesso, ricordi? Ho promesso a mamma che ti sarei stato sempre vicino, e sarà così”.

Tarhunt sorrise, anche se in modo un po’ forzato. Le cose cambiavano e non poteva farci niente, ma l’idea di avere il fratello che vegliava su di lui lo faceva sentire più tranquillo.

“Allora a presto, fratellone. Meglio che torni a far lezione”.

“Bravo. Ci sentiamo presto”.

“Questa è una promessa. Non sparire!”.

Reahu lo vide allontanarsi e rientrare. Sospirò. a quanto pare, doveva vivere per forza. Lo aveva appena promesso al fratello minore.

 

   

 

“Clio?” la chiamò Reahu.

Avevano appena finito di leggere l’ultimo capitolo, quello in cui vi era riportata la morte di Onyame. Lei era scoppiata a piangere, ed ora non riusciva a smettere.

“Dovevo fermarmi prima, mi dispiace” si scusò il signore del cielo e lei scosse la testa.

“Dovevo sapere tutto” parlò, fra i singhiozzi “Lo so, quel che è successo è terribile e queste immagini mi tormenteranno a lungo, ma dovevo sapere”.

“Adesso calmati. Son cambiate molte cose da quell’ultimo giorno descritto qui, in questo libro”.

“Sì, hai ragione. Ma ho paura”.

“Non devi averne. Ci sono qua io a proteggerti”.

“Ma io ho paura per te. Non voglio perderti”.

“Non accadrà”.

“Come puoi esserne sicuro?”.

“Lo sono”.

Reahu le si avvicinò, per consolarla, ma lei parve non gradire.

“Che succede?” le domandò.

“Tu per lei ha affrontato l’inferno. Ho visto il tuo sguardo. Quello di un sentimento che non muore mai. Come sei riuscito a lasciarla andare, quando ti è apparsa come stella e l’avevi così vicina?”.

“Clio, se vuoi sentirti dire che io per lei non provo più nulla devo deluderti. Mentirei, se te lo dicessi. Ma le cose sono cambiate, come sono cambiato io. Ho deciso di non rimanere ancorato a ciò che è stato, per quanto doloroso e magnifico sia stato. Ora sono qui, accanto a te, e non conta ciò che c’era prima. Conta solo il presente, contiamo solo noi. E ti giuro che per te attraverserai non solo l’universo, ma anche l’universo intero. Anche se lei è la stella più bella e importante del cielo, tu per me sei la stella più importante, bella e luminosa del mondo. E mi spiace di essermene accorto solo dopo tanto tempo”.

Clio lo guardò, con grandi occhi spalancati.

“Oh, Reahu! Questa è la cosa più bella che mi sia mai sentita dire”.

“Eh, oggi mi sento poetico”.

Clio sorrise, con ancora lo sguardo lucido per le lacrime, e si fece baciare. Quanto voleva che quel momento non finisse mai, che tutto rimanesse così per sempre, ma c’era sempre qualche cosa in quella casa che interferiva. In quel caso, fu Rashnu ad intervenire, chiamando Reahu a gran voce.

“Sono occupato, vattene” gli urlò di risposta il signore del cielo.

“Potrebbe essere importante!” lo rimproverò Clio.

“Tutto può aspettare un paio d’ore” sbottò Reahu, baciandola ancora.

“Reahu!” lo chiamò, di nuovo, Rashnu, salendo le scale della torre.

“Ho detto che sono occupato! Trovati un hobby e lasciami in pace!”.

“Dai, che stai facendo di così importante? Vengo su”.

“Rompicoglioni” sibilò Reahu.

Clio rise.

“Meglio che vada” disse, sempre ridendo “Dovrà dirti qualcosa di urgente”.

“Non vai da nessuna parte tu”.

Reahu allungò la mano verso la porta della stanza, chiudendola a chiave. Quel dannato marmocchio non poteva continuamente tormentarlo in ogni momento, specie in QUEL momento. Ma possibile che non sentisse le risate di Clio e non facesse un paio di collegamenti? Ignorò le sue proteste e riprese a baciare Clio, stendendola sul divanetto. In un lampo, Rashnu apparve al centro della stanza. E rimase immobile a fissare entrambi.

“Ti hanno mai detto che rompi le palle?” quasi ringhiò Reahu, rialzandosi a sedere ed incrociando le braccia.

Clio si alzò in piedi, risistemandosi. Sorrise, lievemente imbarazzata.

“Vi lascio soli” disse “A dopo” aggiunse, dolcemente.

“Ho interrotto qualcosa?” domandò Rashnu.

Reahu non rispose, limitandosi a lanciargli le peggiori occhiatacce.

“Mi spiace” riprese Rashnu “Immagino che, dopo la faccenda di Alinn, sia passato un sacco di tempo dall’ultima volta in cui tu…”.

“Cambiamo argomento?! Cosa vuoi?”.

“Hennay se n’è andata”.

“Hennay? L’anima legata a Ihanez?”.

“Ha scelto di raggiungere il regno dei morti”.

“E Ihanez come l’ha presa?”.

“Non molto bene. Per questo sono qui. Tu sei la persona che più è in grado di capirlo e vorrei che gli parlassi. Senza rabbia, però. Insomma, usa un po’ di tatto!”.

“E che pensi gli debba dire?”.

“Non lo so. Io non so che fare. Ma non voglio lasciarlo così. È come se avesse perso ogni speranza, e per il suo ruolo questo non va bene. Il signore della vita deve conoscere la morte, ma non può esserne soggiogato”.

“Ti preoccupi per lui solo per il tuo fine ultimo dei quattro pilasti del mondo? Non perché è tuo amico, tuo collega?”.

“Per entrambe le cose, ma più per la questione di maggior spessore, se mi concedi il termine”.

“Gli parlerò. Ma non sono certo di ottenere un granché”.

“Provaci. Io non so davvero che dirgli. Parlaci e, mi raccomando: il tatto!”.

“Vedrò che posso fare. Sarò tattoso. E poi? Che c’è? Sento che c’è dell’altro”.

“Sì. Mantus mi ha parlato di un certo sigillo che…”.

Rashnu si zittì di colpo. I suoi lupi stavano ululato in modo piuttosto insistente. Gli abitanti erano abituati a sentire il loro verso, ma questa volta era diverso. Era spaventoso.

“Che hanno i tuoi cuccioli?” domandò Reahu.

“Non ne ho idea. Meglio vada a controllare”.

 

Clio si era soffermata al centro dell’ala di Ogmios, dove stava un’enorme campana oro. Splendeva ed era sospesa nel nulla. Grande ben più di lei, non ebbe il coraggio di toccarla. Lassù, in cima alla torre blu, sapeva che anche Reahu possedeva una campana di pari dimensioni, ma di diverso colore. Si chiese a cosa potessero servire. Stava per sfiorarla, quando vide Rashnu correre alle sue spalle, diretto verso l’esterno. Solo in quel momento, la signora delle memoria aveva fatto caso all’ululare insistente dei lupi. Parevano tristi. Ed arrabbiati.

 

“Ihanez” lo chiamò Lahar, andandogli vicino.

Lui era in piedi, immobile, con lo sguardo perso verso un punto imprecisato.

“Cosa succede, Ihanez?” domandò lei, avvicinandosi.

Lui non rispose ed allora Lahar allungò un braccio, cercando di prendergli la mano. Ihanez si scostò e serrò il pugno, come a volerle dire che doveva stargli lontano.

“Parla con me, Ihanez. Cosa succede?”.

“Niente” mentì lui.

 

“Cosa succede?” domandò Rashnu, rivolto al più grosso dei suoi lupi, che girava inquieto davanti alla casa.

Il padrone gli salì in groppa, facendosi condurre lungo la foresta. Non aveva mai sentito fin ora le sue creature così. Uscirono dal perimetro protetto di pochi metri e subito Rashnu capì l’accaduto. In terra, nascosta solo in parte dalla vegetazione, stava la sua lupa preferita, colei che non lo aveva mai lasciato fin dall’infanzia. Quasi duemila anni assieme, ed ora giaceva lì, con una profonda ferita che sanguinava copiosamente. Forse uno dei cuccioli si era allontanato, e lei era caduta preda di qualche cacciatore. Un cucciolo le stava accanto, cercando di svegliarla con piccole leccate. Come appartenente alla classe dei signori della natura, uno spettacolo del genere Rashnu non poteva sopportarlo. Si avvicinò, chiamandola. Respirava ancora, gli era parso di sentire. Doveva salvarla, a tutti i costi! Prese fra le braccia la madre e salì sul lupo gigante, incitando il cucciolo a salire in groppa a sua volta. Doveva portare tutti al sicuro. Corse veloce verso casa, dove chiamò Nininsina a gran voce. Se c’era qualcuno in grado di salvarla, quella era la signora guaritrice.

“Non posso fare nulla per questa creatura, Rashnu” parlò lei, dopo averla toccata “Se non porre fine definitivamente alle sue sofferenze. Queste ferite sono troppo profonde”.

“Chi è stato a farle questo? Che tipo di ferite sono?”.

“Armi di fuoco, ma non tradizionali. Hanno reagito alla magia della lupa. Credo siano come quelle che hanno uccido Akerbeltz”.

“Sempre mortali, dunque. Spregevoli, irriconoscenti e crudeli umani”.

Clio, che nel frattempo aveva raggiunto il corridoio incuriosita, notò il cambio di sguardo di Rashnu e ne fu spaventata. Tentò di chiamarlo per nome, ma lui la ignorò. Era furioso, per l’affronto subito. E disperato, per la perdita di colei che le era stata vicina come una madre quando era bambino. Lo vide allontanarsi, diretto chissà dove, ma Ihanez lo bloccò. Il loro sguardo era molto simile.

“Spostati, stregone” lo ammonì Rashnu.

“Non ci penso proprio. So cosa ti passa per la testa, e la cosa mi fa incazzare più di quanto immagini”.

“Davvero? E come pensi di saperlo?”.

“Pensi che questi umani non meritino di essere salvati, che la loro crudeltà non necessiti protezione, che meritino di morire tutti quanti, per mano della guerra o per mano tua”.

Rashnu non parlò.

“E io ti dico…” riprese Ihanez “…che pure io l’ho pensato, lo ammetto. Ma poi mi sono soffermato su alcune persone, ed ho capito che non è così”.

“Su alcune persone? Su chi, per esempio?”.

“Sui miei fratelli. Veda, tanto per iniziare”.

“Veda” spalancò gli occhi Rashnu “Veda non è una semplice umana, è una di noi. Nessuno di loro merita la protezione che mi ero ripromesso di fornire”.

“Si sono smarriti. Ed il tuo compito non è punirli, ma guidarli verso la strada giusta”.

“Tu stai delirando”.

“Sei tu quello che delira!”.

Ihanez cercò di afferrarlo per un braccio, per impedirgli di uscire dalla casa. Rashnu schivò quella presa e fissò lo stregone con profondo fastidio. Ihanez, notando quello sguardo, rispose con altrettanto fastidio e saltò, buttandolo a terra.

“Riprenditi, brutto idiota! Mi fai venire voglia di prenderti a cazzotti!” gridò Ihanez.

“Lasciami andare! Chi ti credi di essere?”.

“Io sono Ihanez e voglio diventare signore della vita, cazzo! E tu non puoi perdere la bussola del tutto per un lupo! Dov’è finito il Rashnu che mi ha condotto da Mantus riempiendomi di frasi filosofiche e che mi ha convinto a rinunciare ad Hennay? Sei debole, così come lo sono io, se reagisci così. Per quanto tu possa voler bene a quella creatura, mi spiace dirlo, ma è solo un animale. Sai quante persone care abbiamo perso tutti noi? E anche tu? Non puoi rinunciare a tutti i tuoi propositi per un mammifero quadrupede!”.

“Ti senti forse superiore a lei? La mia lupa?”.

“Io non mi sento superiore a nessuno ma, nonostante ciò che ho perso, sono pronto a combattere e non mi voglio arrendere perché sono convinto che al mondo ci siano creature che meritano di essere salvate. Bambini e ragazzi che ancora non hanno dentro di loro il germe dell’odio. Uomini e donne che sperano in un futuro migliore, di pace e giustizia. Forse è solo un’utopia, ma questo era ciò in cui anche Hennay credeva ed io non lascerò spegnere questo sogno”.

Rashnu parve tornare in sé. Lo sguardo di Ihanez era disperato, desideroso come non mai d’aiuto. Ma, nonostante tutto, colui che lo possedeva era pronto a combattere. Rialzatosi in piedi, lo stregone allungò la mano verso Rashnu. Il padrone di casa si fece aiutare a rimettersi in piedi.

“Io non credo che un dio sia un creatore, come tu dici” riprese Ihanez “Io credo che un dio sia colui che ha persone disposte a credere in lui. Io credo in te, Rashnu, e se è una vita quello che ti serve per farti ottenere ciò che vuoi, allora credo di potertela concedere”.

Rashnu non capì quella frase. Rimase fermo ad osservare Ihanez che si avvicinava alla lupa, stesa in terra. Era morta, non ancora fredda. Lo stregone si fermò a pochi passi da lui, allungando un braccio e tenendolo sollevato sopra di lei.

“Percepisco la tua vita” mormorò, mentre l’aria tutt’attorno si tingeva di riflessi colorati e luci “La percepisco, e non la farò andar via”.

Agendo d’istinto, in un modo che non aveva mai fatto prima, spalancò le braccia, alzandole al arco e creando un cilindro di luce bianca. Come un cristallo, aveva unito tutti i colori apparsi per la casa e li aveva indirizzati in un unico punto, dirigendoli verso il corpo della creatura morta. In aria si creò un disegno: una lupa che alzava il muso al cielo ed ululava. Questi scese lentamente fino ad avvolgere del tutto l’animale, assorbendolo. Quando fu di nuovo tutto buio, la lupa si mosse e Ihanez tirò il primo respiro assieme a lei. La ferita era svanita e la pelliccia della bestia si era tinta di bianco. La terra tremò. La torre di Ihanez crebbe, anche se non si completò.

Lahar gridò di gioia, spezzando il silenzio che si era creato.

“Vita! Il signore della vita” esclamò.

La lupa si alzò e si diresse verso Rashnu, che la abbracciò, senza sapere che cosa dire.

“Io…” mormorò, rivolto a Ihanez “…non so come ringraziarti”.

“Sei stato tu a permettermi di fare questo. Devi ringraziarti da solo”.

“Io? Io non ho fatto niente, te lo posso assicurare”.

“Mi hai fatto capire quanto vicine si trovano la vita e la morte e solo vedendo questo mi hai dato la possibilità di ridare la vita a questa creatura, la cui anima ancora aleggiava accanto al corpo”.

Rashnu sorrise. Ora pure chi aveva di fronte aveva addosso qualche pezzo dell’armatura da signore della vita. Un’armatura incompleta, ma che oramai aveva scelto il suo proprietario. Reahu, sentendo tutto quel baccano, si affacciò sul corridoio e subito notò su Ihanez alcuni dettagli posseduti da suo padre. I polsini bianchi con le piume colorate li riconobbe immediatamente, probabilmente perché furono la prima cosa che vide di Ipalnemoa, quando allungò le braccia verso di lui per uscire dall’inferno.

“Reahu!” lo chiamò Rashnu “Il tuo allievo ha appena compiuto una rinascita. Ha riportato in vita la mia lupa”.

“Lo vedo. Sono felice per te, Ihanez” rispose Reahu, con un tono inaspettatamente piatto “Tuttavia non dovresti giocare con certe cose. Una creatura morta dovrebbe restare tale nella maggior parte dei casi”.

“Lo so” annuì Ihanez “Ma questo era ciò che mi sentivo di fare”.

“E chi sono io per impedirtelo? Solamente vedi di non strafare”.

“Non lo farò, bacchettone”.

Reahu sorrise. Quel gesto, quella rinascita, aveva messo di buon umore tutti quanti.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** XV- Esami finali ***


XV

 

ESAMI FINALI

 

“Torna un po’ a spiegarmi perché lo fai” parlò Reahu, osservando in silenzio il suo allievo.

Ihanez si stava preparando a partire. Il giorno del suo esame da stregone era giunto. Il signore del cielo, seduto al tavolo e reggendosi la testa con la mano, sigaretta di sbieco in bocca, attendeva una risposta. L’allievo ci mise un po’.

“In che senso? Che ti dovrei spiegare? Sono uno stregone, e mi sento in grado di affrontare l’ultimo esame della mia classe”.

“Sì, ma perché? A che ti serve?”.

“Tu perché non lo hai fatto?”.

“Perché è anche per colpa degli stregoni se c’è la guerra. Io non mi sento uno di loro”.

“Io sì, invece. L’ho promesso, al mio maestro e ad Hennay. Ed ora lo farò”.

“E cosa pensi di fare?”.

“Cosa penso di fare?!”.

“Sì, apprendista. L’esame finale del quinto livello non è come quello di quarto. Lo sai, o come sempre ti butti nelle cose senza rifletterci?”.

“Lo so”.

“Ebbene: cosa intendi fare? All’esame ti chiederanno di dimostrare le tue capacità e convincere i giudici presenti che sei degno di passare quella prova”.

“Ho qualche idea”.

“E non mi spii niente?”.

“No, ficcanaso”.

“Come vuoi. Potevo darti qualche suggerimento”.

“Hei, tu non lo hai fatto quell’esame! Non rompere!”.

“E tu non esaltarti per niente. Quello è solo uno stupido esamuccio per stregoncini. Siamo noi la serie A, l’importante è ciò che farai qui”.

“Lo so. Quanto sei stressante!”.

Ihanez era pronto a partire. Da tempo non indossava le vesti da stregone ed in parte gli erano mancate. Si osservò. Ai polsi gli si erano creati strani disegni, lì dove aveva visto apparire i pezzi dell’armatura di suo padre.

“Vai da solo?” riprese Reahu.

“Ovvio, ho passato l’età in cui devo andare in giro accompagnato da un adulto”.

Il signore del cielo non si mosse, mentre il suo allievo usciva dalla stanza e si incamminava per il corridoio. Scosse il capo e si alzò, uscendo a sua volta dalla camera del futuro signore della vita.

“Perché disapprovi la sua scelta?” gli domandò Rashnu.

“Perché è solo un’inutile perdita di tempo. Potrebbe rimanere qui ad addestrarsi, invece di buttare la giornata in simili cazzate”.

“Ma lui ci tiene tanti. Dovresti pensare ai desideri del tuo allievo”.

“Bah. Fate quello che volete”.

Il padrone di casa andò vicino a Ihanez, che era stato circondato dai colleghi. Volevano augurargli buona fortuna.

“Dove si terrà l’esame?” volle sapere Rashnu.

“Alla torre degli astri. Non è molto lontana da qui”.

“La torre degli astri? Ci sono stato, tempo fa. Non è quella grossa e cilindrica?”.

“Proprio quella. Fin’ora l’ho vista solo da fuori. Chissà com’è dentro. Lo scoprirò presto”.

“Affrettati. È ora”.

Ihanez rispose con un cenno del capo e si allontanò a passo svelto.

 

   

 

“Ricordate: questo attacco sarà molto importante. Voglio vedere tutti voi combattere con il massimo delle forze. Sono stato chiaro?” parlò un grosso soldato dall’aria minacciosa.

“Sissignore” risposero tutti.

Fra loro, vi era Veda, poco convinta dall’idea di prendere parte a quella guerra ma non vedendovi alternative. A quanto pare, quello era il suo destino.

“Ad ogni squadra di soldati, verrà assegnato un gruppo di scienziati, che con i loro strumenti e le loro tecnologie ci permetteranno di avere la meglio con ogni tipo di magia. Vostro è il compito di garantir loro l’incolumità, per quanto possibile. Mi avete capito?”.

“Sissignore” gridarono di nuovo.

“Veda, tu sarai a capo della squadra principale, con il maggior numero di scienziati. Te la senti?”.

“Certo, signore”.

“Bene. Dividetevi in base alle disposizioni che vi ho dato e state pronti”.

Veda sorrise, quando vide che fra gli scienziati assegnatale vi era Gudis, che sorrise a sua volta. Lui, divenuto uno dei massimi studiosi della magia fra i membri della sua classe, era stato scelto per quella missione speciale. Non aveva avuto scelta. O collaborava, o diveniva sacrificabile.

“Per il grandioso Ogmios, state pronti!” incitò le truppe il generale, sentendosi rispondere con un grido altrettanto forte.

 

   

 

Reahu fissò con curiosità Rashnu. Come mai era ancora lì? E perché stava indossando i pezzi rimastagli dell’armatura di suo padre?

“Che succede?” volle sapere il signore del cielo.

“Niente. Non ti preoccupare” mentì Rashnu.

“Non mi imbrogli. Che stai facendo?”.

Rashnu sospirò, capendo che non si sarebbe liberato facilmente di quello scocciatore.

“Una volta, anni fa, Veda aveva avuto una visione. Molte persone morivano, in un edificio cilindrico. Ne era molto spaventata”.

“Credi che il luogo dell’esame finale sia il posto visto da Veda?”.

“Sì”.

“Ed hai intenzione di andarci da solo?”.

“Potrebbe essere solo un falso allarme”.

“Potrebbe. E se non lo fosse?”.

“Me la saprò cavare”.

“Rashnu” iniziò Reahu, inchinandosi leggermente “Forse non consideri il mio potere all’altezza, o forse senti di dover dimostrare chissà cosa a chissà chi, ma permettimi di farti da scorta. Se davvero accadrà qualcosa, voglio combattere al tuo fianco”.

Rashnu lo fissò. Non se lo sarebbe mai aspettato.

“Come vuoi” si limitò a dire, non trovando altre parole.

Reahu salì nella sua stanza e, aprendo un piccolo cassetto, ne estrasse due collane. Due ciondoli, che ogni stregone aveva, diverso per ogni livello. Uno era il suo ed uno era quello di Alinn. Sapeva che solo con quelli al collo sarebbero potuti entrare nel luogo d’esame. Coperti da pesanti mantelli per celarne i tratti del viso, forse ancora ricercati, i due uscirono dalla casa, con le collane ben in vista. Reahu si voltò verso l’uscio. Che strana sensazione provava addosso…

 

   

 

Ihanez era entrato nell’edificio circolare e si guardava attorno. Gli uomini e le donne che dovevano essere esaminati erano radunati nello spiazzo circolare che seguiva l’ingresso. Alzando la testa, mezzelune sporgenti disposte tutt’attorno contenevano gli stregoni che già avevano affrontato la prova e che erano lì per giudicarli. Quella più in alto di tutti ospitava il capo supremo di quella classe. Ihanez lo fissò. Lo vide alzarsi in piedi, sorretto da un lungo bastone. Aveva lunghissimi capelli bianchi ed uno strano sguardo, assente. Vestiva di blu scuro, come tutti gli altri, e fu il primo a parlare. Indicò Ihanez con il dito ossuto e gli fece segno di venire avanti, ponendosi al centro del cerchio formato dalla parete dell’edificio. L’interpellato obbedì.

“Come ti chiami, ragazzo?” domandò il capo degli stregoni.

“Randoeku”.

“Quello è il tuo nome da stregone. Pronuncia il tuo vero nome”.

“Ihanez, signore” rispose lui, chinando la testa in segno di rispetto.

“Ihanez” ripeté, in modo quasi meccanico, l’anziano “Non hai trentacinque anni, o sbaglio?”.

“No, signore. Non ho ancora l’età ritenuta giusta per affrontare questo esame, ma mi ritengo pronto. Per questo sono qui”.

“Ti ritieni pronto? Chi ti ha addestrato?”.

“Sono stati molti i miei maestri. Sarebbe ingiusto citarne solo qualcuno e fare l’intero elenco porterebbe via troppo tempo”.

“Sembri molto sicuro di sé. Questa è una buona cosa. Ma sai, spero, che questo esame si può affrontare una volta soltanto, vero? Se fallirai, non avrai una seconda possibilità”.

“Lo so. Non fallirò”.

“Bene, ragazzo. Vediamo fin dove la tua determinazione è in grado di portarti. In che modo vuoi dimostrarci di essere degno del livello massimo?”.

“Lo voglio dimostrare con una sfida”.

“Vuoi sfidare uno di noi?”.

“Sì, esatto. Non è contro le regole, mi sembra”.

“Non lo è. Ma è un suicidio”.

“Beh, in questo caso, se dev’essere un suicidio, voglio che sia il più grandioso della mia categoria. Sfido Voi, capo degli stregoni, se non è un problema”.

La torre si riempì di voci, di disapprovazione e rimprovero nei confronti di quel ragazzo sfacciato.

“Silenzio!” li zittì lo stregone supremo “Ammiro il coraggio di questo ragazzo, o la sua follia, ed accetto la sua sfida”.

 

   

 

“Tarhunt!” chiamò Clio, bussando leggermente alla porta del signore degli eventi atmosferici.

“Ciao, Clio” la salutò lui, non aspettandosi di vederla “Non sei con mio fratello?”.

“Per questo sono qui. Lui e Rashnu sono andati via ed i loro sguardi non mi han trasmesso nulla di buono. Ti dispiacerebbe venire con me? Vorrei raggiungerli”.

“Dove sono andati?”.

“Credo dove Ihanez farà l’esame finale, alla torre degli astri. Li ho sentiti parlare di persone in pericolo e cose simili e sotto i mantelli portavano le armature”.

“Alla torre degli astri? So dov’è. Credi gli possa accadere qualcosa?”.

“Credo di sì. Ho una brutta sensazione. Forse non è niente…”.

“Beh, io qui non ho molto da fare. Andar fin là non ci costerà nulla”.

Anche Tarhunt possedeva la collana degli stregoni, lui più grande e complessa di quella del fratello perché aveva affrontato l’esame finale. La indossò ed uscì dalla stanza. Clio sarebbe passata facilmente come sua allieva, non ancora graduata.

“Dove andate?” volle sapere Tate.

“A fare un giretto. Torna pure alle tue faccende” tagliò corto Tarhunt.

“Ma, maestro…”.

“Torneremo per il tramonto, Tate. Fai il bravo”.

Tate annuì e li vide andar via. Li accompagnò con una lieve brezza e poi tornò ai suoi compiti.

 

   

 

Il più forte degli stregoni stava ora davanti a Ihanez. Aveva tolto il mantello, per facilitarsi i movimenti e, a quanto pare, non aveva bisogno del bastone che lo sorreggeva prima.

“Percepisco in te una grande energia, Ihanez” disse.

Lo stregone più giovane lo fissò. Quello sguardo vuoto era molto strano. Che fosse cieco? Non aveva importanza. Se era a capo degli stregoni, allora doveva essere molto forte, cieco o no.

“Prima di iniziare, spiegami. Perché hai scelto di sfidare proprio me?”.

“Perché sono stanco di questa guerra e voglio prendermela con qualcuno. Voi, come capo di una categoria, di certo avete in qualche modo colpa in ciò che sta succedendo”.

“Ottima motivazione. Sappi che non sarò delicato”.

“Nessuno lo è mai stato con me”.

Lo stregone capo ghignò e scattò in avanti, mostrando un’incredibile velocità, nonostante l’aspetto da anziano stanco. Ihanez non si fece intimorire e schivò quella mossa, contrattaccando subito e riuscendo a colpire il suo obbiettivo, che indietreggiò. Gli altri stregoni si ammutolirono. Il capo provò un altro attacco diretto ma pure quello non gli riuscì, e subì un altro colpo. Sorrise, come soddisfatto dal fatto che colui che aveva di fronte lo facesse divertire in quel modo. Si piegò in avanti, raccogliendo energia su entrambe le mani, e poi la liberò. Questa, luminosa, corse lungo le pareti e si diresse verso Ihanez, che non si fece cogliere di sorpresa. Schivò e deviò entrambe le sfere di magia, impedendo loro di colpire gli spettatori.

“Dovrai fare meglio di così, vecchio, o non mi sconfiggerai” parlò Ihanez, senza mostrare alcun segno di stanchezza.

Provava un tale odio nei confronti del suo avversario, che quasi era tentavo ad agire in modo impulsivo, uccidendolo all’istante. Quell’essere permetteva la guerra, non apriva in alcun modo trattative di pace con le altre classi. Colpa sua e degli altri capi se c’era la guerra e se tante persone erano morte. Passò all’attacco e, saltando, circondò lo stregone anziano di sottili fili di magia, che toccandolo gli trasmisero una potente scossa. L’avversario cadde sulle ginocchia, rialzandosi a fatica. Ora il suo sguardo era furioso. Alzò entrambe le braccia al cielo, creando fra di esse una grossa sfera fiammeggiante.

“Il colpo di Reahu?” si stupì Ihanez, non sapendo bene come schivarlo.

Si concentrò. Non poteva permettere a quella fonte di magia di colpire i presenti. Gridando, richiamò a sé l’energia e, alzando di colpo entrambe le braccia al cielo, formò una barriera. La sfera si dissolse, colpendola, anche se fece indietreggiare Ihanez di parecchi metri prima di perdere forza. Il capo, nel frattempo, era già pronto a sferrare un altro colpo. L’esaminato saltò, credendo di schivarlo. In realtà, la magia deviò e lo colpì, scaraventandolo contro la parete della torre, che si sbriciolò. Ancora scosso, e volando a mezz’aria, Ihanez ridiscese rapido, senza accorgersi che il cielo stava acquisendo un inquietante colore scuro. Colpi violentemente il capo degli stregoni, riservandogli lo stesso trattamento che aveva subito in precedenza. Tossendo per la polvere sollevata, l’anziano non parlò. Rimase immobile a fissare lo sfidante. I suoi occhi, così inquietanti, sembravano biglie vuote. Una nube nera lo stava avvolgendo, sollevandone i capelli e rendendolo ancora più spaventoso. Un lampo squarciò il cielo, fino a qualche istante prima sereno.

 

   

 

“Sei stato tu?” domandò Rashnu.

“A far cosa?” lo fissò Reahu.

“Quel lampo laggiù”.

“No, io non ho colpa”.

“Allora credo sia il caso di accelerare il passo”.

Reahu capì ed imitò il figlio di Ogmios, alzandosi in volo, dimostrandosi come sempre il più veloce dei due.

 

   

 

“Noi dobbiamo andare là? Ma dico, siamo pazzi?!” esclamò Gudis, dopo aver udito un tuono potente ed aver visto il lampo abbattersi sulla torre.

“Questi sono gli ordini” tagliò corto la sorella.

“Suicidarsi sono gli ordini? Lì ci sono i migliori stregoni del pianeta, e noi li attacchiamo?”.

“Questo è il piano. Se riesce, la guerra sarà finita perché sarà stata sconfitta la razza nemica” rispose un soldato.

Veda non pareva convinta di questo. Alzò gli occhi al cielo.

“Rashnu!” esclamò, vedendolo passare.

 

   

 

Il capo degli stregoni rise, in modo inquietante, facendo tremare le pareti.

“Cos’hai da ridere?” ringhiò Ihanez.

“Da tempo non mi divertivo così” rispose lo stregone, scattando in avanti per colpire ancora.

Il futuro signore della vita parò a fatica e saltò all’indietro, sollevandosi. Quella magia non era da semplice stregone. Chi aveva davanti, in realtà? Decise che era decisamente il momento di usare le maniere forti. Si concentrò e circondò l’avversario con luci colorate, che si strinsero tutt’attorno fino a divenire bianche. Il capo gridò.

“Ho in mano la tua vita” esclamò Ihanez, richiamando a sé quella luce, cambiando posizione delle braccia ed illuminandosi a sua volta.

Si stupì della cosa. Perché lui si stava illuminando? Doveva farlo solo il suo avversario! Con una mossa di scatto, tolse parte di quella luce bianca al capo, che finì sbalzato all’indietro, contro il muro. Ihanez si fissò le mani. stavano sanguinando. Cosa era successo? Era sceso di nuovo il silenzio. L’anziano stregone giaceva immobile. Poi respirò, profondamente, ed aprì gli occhi. Non erano più come biglie vuote, ma profondi e scuri. Ihanez gli si avvicinò, non sentendosi in grado di colpire un uomo in quello stato.

“Ihanez?” lo chiamò il capo.

“Sì, sono sempre io il Vostro avversario”.

“Vieni vicino”.

Ihanez obbedì, dubbioso. L’anziano lo afferrò per la mano e lo fece abbassare, in modo da potergli parlare all’orecchio.

“Sono fiero di ciò che sei diventato, ma quello che arriverà non è un avversario per te. Vattene finché puoi, figlio mio”.

“Figlio?”.

 

“Maestro?” esclamò Reahu, fermo a mezz’aria davanti al buco provocato da Ihanez alla parete della torre “Ipalnemoa?”.

Ipalnemoa sorrise al suo allievo. Poi portò Ihanez ancora più vicino, mettendogli un braccio attorno al collo e guardandolo negli occhi.

“Prendi il mio potere” disse, chiudendo gli occhi.

Il futuro signore della vita, ancora confuso, sentì una forte magia iniziare a scorrere in lui.

“Attenti!” gridò Reahu.

Un velocissimo raggio di magia aveva attraversato il cielo. Neppure il signore del cielo era riuscito ad intercettarlo e fermarlo ed ora si dirigeva veloce verso padre e figlio. Ipalnemoa reagì e scostò Ihanez, che ne fu ferito solo di striscio. Il passato signore della vita, però, ne fu colpito in pieno.

“Ti faccio i miei vivi complimenti” parlò una voce, la più profonda che Ihanez avesse mai sentito.

Reahu la riconobbe e sobbalzò.

“Rashnu!” lo chiamò “Siamo nella…”.

“Taci!” lo zittì Rashnu, fissando con rabbia l’uomo che lentamente stava prendendo forma al centro dello spiazzo circolare, fra la nebbia scura.

“I complimenti per cosa? E tu chi sei?” ringhiò Ihanez, toccandosi il braccio ferito e cercando di far rinvenire il padre.

“Con quel tuo colpo, sei riuscito a risvegliare tuo padre, la cui mente era soggiogata da me. E, allo stesso tempo, lo hai reso sufficientemente debole da permettermi di colpirlo mortalmente. Congratulazione Ihanez, figlio di Ipalnemoa, signore della vita, in pratica hai appena ucciso il tuo stesso padre”.

 

   

 

Mantus sentì un forte tuono e lo riconobbe. Qualcosa stava accadendo.

“Fratello” mormorò, percependo l’energia di Ipalnemoa.

Chiamò i suoi figli, che lo raggiunsero incuriositi. Che stava succedendo? Lo sguardo di Mantus era severo, preoccupato.

“Il vostro momento è giusto, figli miei” parlò, con tono solenne.

Nirriti e Nirrita si fissarono, in silenzio, piuttosto stupiti. Mantus camminò lento fino ad un angolo della sua stanza, dove una lunga falce stava appoggiata al muro. Aveva una doppia lama, sui due lati del lungo bastone nero. I gemelli lo osservarono mentre l’afferrava.

“Non c’è tempo per permettermi di trasmettere gradatamente i miei poteri. Servite voi, adesso, e con energia massima”.

“In che senso?” domandò Nirrita.

“La vostra battaglia è iniziata e voi dovete prendervene parte. Ma non così. Devo donarvi il mio intero potere”.

Senza aggiungere altro, e muovendosi in modo talmente rapido da impedire ai figli di intervenire, Mantus si trafisse mortalmente con la falce.

“Padre!” gridarono i gemelli.

Il potere di colore scuro di Mantus lasciò il corpo del signore della morte. Lentamente, questi cadde in avanti, mentre la sua magia raggiungeva i due gemelli e li avvolgeva, divenendo parte di loro.

“La torre degli astri. Andate a difendere il vostro destino” si sentì la voce del genitore per gli inferi.

I gemelli, udendo quelle parole, si guardarono. Sentivano il potere della morte dentro di loro. Dovevano andare, in fretta, rimandando a più tardi le lacrime per il padre appena sacrificatosi per loro.

 

   

 

Io ho ucciso mio padre? Pareva chiedersi Ihanez, rimanendo immobile, fissando quell’uomo che ormai si era quasi del tutto materializzato. Era imponente e con uno sguardo severo, aranciato.

“Hai spezzato il sigillo che il signore della vita aveva creato attorno a me. Devo proprio ringraziarti. Ma non avrai il tuo premio. Il potere della vita tornerà nelle mie mani”.

Ihanez, ferito ed ancora in terra, vide quell’uomo allungare la mano verso di lui. Non sapeva come reagire. Si sentiva debole e colui che aveva di fronte aveva attorno a sé un potere immenso. La luce che circondava Ipalnemoa si stava dirigendo verso la mano protesa.

“No!” gridò Rashnu, intervenendo e colpendo l’uomo di spalle, scoprendone il viso.

La magia di Rashnu aveva scostato il cappuccio, mostrando ai presenti che  i loro sguardi erano uguali. I capelli bianchi dell’uomo si liberarono e lui si voltò, guardando con odio chi lo aveva colpito. Poi gli sorrise, riconoscendolo.

“Credi davvero di potermi fermare, Junior?” domandò.

“Lo credo e lo farò. Il potere della vita spetta a Ihanez, non a te”.

Reahu scese e si fermò, in piedi, davanti al suo allievo.

“Stai bene?” gli domandò, senza guardarlo.

“Più o meno” rispose lo stregone.

“Tranquillo. Rashnu farà in modo che il potere di tuo padre ti appartenga”.

“Quell’uomo…è Ogmios, vero?”.

Reahu annuì. Era pronto a combatterlo ma Rashnu lo fermò.

“Penso io a lui” gli disse “Se non lo sconfiggo personalmente, non riuscirò mai a risvegliarmi del tutto. Fidati di me, Reahu”.

“Tranquillo” sorrise Ogmios “Pure il tuo amico avrà qualcosa da fare, mentre ti dimostro che non sei in grado di prendere il mio posto”.

“Chiudi la bocca!” ringhiò Rashnu “So cosa hai fatto, e mi prenderò tutto il tuo potere per questo”.

“Sei melodrammatico. Ma se è uno scontro con me quello che vuoi, lo avrai”.

Reahu, a fatica, lasciò lo scontro al collega. Si girò verso Ihanez, chinandosi.

“La ferita non sembra troppo grave” lo tranquillizzò.

“Lo so, ma è come se stesse assorbendo tutta la mia energia”.

“Andiamocene da qui. Rashnu non vuole il nostro intervento, e tu hai bisogno di cure”.

Un’ombra alle loro spalle fece capire subito al signore del cielo che non sarebbe stato facile. Si girò e spalancò gli occhi.

“Saxnot?” disse “Tu sei senza poteri!”.

“Sbagliato, figlio di Onyame. Ogmios mi ha ridato ogni capacità, con anche qualcosa in più. Sarò io il tuo avversario. Non vi farò uscire da qui, come il mio signore ha ordinato”.

“Levati dai piedi, se non vuoi che te ne dia tante come mai ne hai prese in vita tua!” sbottò Reahu, preoccupato per le condizioni dell’allievo.

“Io non credo tu sia in grado di farlo. Ogmios mi ha concesso molta più energia”.

Reahu strinse i pugni e digrignò i denti.

“Ti ridurrò in briciole, traditore. Alla fine sarai diviso in talmente tanti pezzi che l’unica cosa che ti resterà da fare sarà gettarti nell’umido!” gli disse, richiamando a sé tutta la sua energia.

 

Ogmios non sembrava cattivo, osservandolo meglio. Semplicemente indifferente. Fissava suo figlio senza alcun entusiasmo, mentre questi gli girava attorno per studiarlo.

“Sei ancora in tempo, ragazzo. Puoi andartene” sogghignò, notando lo sguardo non proprio convinto di Rashnu.

“Non mi tirerò indietro. Ti sconfiggerò”.

Ogmios parve divertito dalla cosa ma palesemente distratto. L’unica cosa che gli interessava era il potere della vita, rimasto sospeso sul corpo di Ipalnemoa, essendo Ihanez troppo debole per raccoglierlo. Ogmios lo voleva quel potere ed allungò una mano per possederlo.

“No!” sbottò Rashnu, tentando di fare la stessa cosa.

In una strana lotta impari, padre e figlio si contendevano quella forza con rabbia e determinazione. Rashnu era consapevole che, se il padre fosse riuscito ad ottenere la vita, sarebbe stato impossibile batterlo. Viceversa, Ogmios doveva intuire che le forze del figlio erano notevolmente aumentate in quegli anni e non poteva permettergli di incrementarle ancora.

“Fatti da parte!” gridò, spalancando gli occhi e scaraventando Rashnu verso l’alto.

Questi riuscì a fermarsi prima di impattare contro il soffitto e tornò giù, frapponendosi fra il padre e la luce bianca della vita.

“Non l’avrai! Non te lo permetterò!” esclamò.

“Vuoi proprio che ti uccida? Perché è questo ciò che accadrà. Sei troppo debole per battermi”.

“E sia. Se il mio destino è questo, lo affronterò. Ma non senza combattere”.

“Pft. Siete proprio una generazione senza cervello”.

“Vorrà dire che difenderò ciò in cui credo senza disturbare i miei pochi neuroni!”.

 

“Avanti, Reahu. Fatti sotto” sfidò Saxnot.

“Tu credi davvero di battermi?” si stupì il signore del cielo.

Rialzandosi lentamente, aveva richiamato a sé l’armatura del padre ed ora brillava intensamente, pulsando energia come mai prima d’ora. I veli che la componevano si muovevano mossi da un vortice inarrestabile.

“Tu, misero essere dalla forza pressoché inesistente credi di poter sconfiggere me, fra le cui mani scorre tutta la potenza dell’universo? Ti consiglio di sparire, prima che sia troppo tardi”.

Saxnot rimase un attimo indeciso sul da farsi. Gli occhi oro di Reahu lo fissavano minacciosi, circondati da capelli blu che si muovevano senza sosta ed incastonati in quel viso sempre più nero e spaventoso, furioso.

“Io non mi tiro mai indietro, davanti ad una sfida” disse, dopo un po’.

“Allora verrai spazzato via!” esclamò Reahu, muovendo solamente due dita e lanciando Saxnot contro la parete che aveva di fronte.

“Sei disarmato!” tossì l’avversario, rialzandosi a fatica “Non mi fai paura”.

Scattò in avanti, spada alla mano, e tentò un affondo. I veli dell’armatura si chiusero, respingendo la lama come se fossero fatti di un materiale più duro di essa. Saxnot non capì come questo fosse possibile ma non ebbe il tempo di pensarci troppo, perché si ritrovò di nuovo contro il muro.

“Moscerino fastidioso, finiscila di tormentarmi e sparisci dalla mia vista” sbottò Reahu.

“Amor mio!” chiamò Adraste, correndo a soccorrere il marito ferito.

Assieme a lei, una nube nera avvolse Saxnot, che si rialzò. Guardò la compagna, che parve intuire il suo pensiero.

“Hieros!” gridarono in coro i due, fondendosi assieme.

Reahu fissò la cosa, senza però provare particolare timore. La nube nera che li circondava lo preoccupava di certo più di quei due fusi assieme.

“Ora te la vedrai con noi!” parlò l’ibrido Saxnot-Adraste, con voce mista.

“Se la cosa vi diverte” fu la risposta, con espressione neutra.

Lo Hieros li aveva resi più veloci e più forti, ma Reahu riusciva comunque a schivarne i colpi. I veli della sua armatura si chiudevano a proteggerlo e si riaprivano per permettergli di attaccare. Aveva fretta di togliersi di dosso quello scontro, per poter portare in salvo il suo allievo. La creatura fusa doveva aver capito che da sola non poteva riuscire nel suo intento, perciò comandò la nube nera che gli stava accanto e la indirizzò verso l’esterno, dove l’esercito di scienziati e guerrieri attendeva il momento buono per attaccare. Subito i combattenti si mossero ed irruppero nella torre.

“Che fate? Fermi!” gridò Veda, mantenendo il controllo di se stessa.

“E questi chi sono?!” esclamò Reahu, costretto ad atterrare per difendere Ihanez.

Veda notò la cosa e corse verso quella direzione.

“Ci penso io” parlò, sguainando la spada “Fidati di me”.

Il signore del cielo annuì. Doveva disfarsi al più presto del suo avversario, che nel frattempo si era caricato di energia ed era pronto ad attaccare. Mosse le braccia verso Reahu, indirizzandogli contro una pioggia di lame affilate. Questi se ne accorse appena in tempo. I veli dell’armatura si serrarono, lasciandolo incolume, ma facendolo gemere. Quell’essere ibrido aveva in sé parte del potere di Ogmios e lo stava usando sempre di più. Doveva sconfiggerlo, prima che aumentasse ulteriormente.

“Ora ti mostrerò so che sa fare il signore del cielo” gridò, spalancando le braccia.

 

 “Clio!” gridò Tarhunt difendendola dall’orda di creature armate che aveva fatto il suo ingresso nella torre.

“Cosa sta succedendo?” domandò la signora della memoria, guardandosi attorno, confusa.

“Non ne ho idea. Queste persone sono come possedute da qualcosa”.

“Se solo riuscissimo a farle smettere di combattere, liberandole da questa possessione…”.

“Hai qualche idea? Io no, sinceramente”.

Tarhunt respinse un altro attacco e sollevò Clio da terra, appollaiandosi su una delle mezzelune in pietra. Vide suo fratello e, alle sue spalle, Veda che difendeva Ihanez ferito.

“Grazie” mormorò Clio.

“E di cosa? Il minimo che possa fare è salvare mia cognata”.

“Non sono tua cognata!”.

“Ma lo sarai”.

La signora della memoria arrossì. Si alzò in piedi, accanto a Tarhunt. Che gran confusione c’era in quella torre! Lanciò uno dei suoi colpi, quelli che simpaticamente Reahu definiva “attacchi di panico”, creando un certo timore fra i monoclasse. Non durò molto, perché la nube nera che li possedeva diede immediatamente ordine di ricominciare a combattere.

 

“Onyame?” si stupì Ogmios, notando l’armatura su Reahu.

“Ti sei distratto!” esclamò Rashnu, attaccando con una raffica di scariche magiche.

Il padre subì il colpo, e non parve gradire per niente.

“Adesso mi hai davvero stancato!” esclamò “Ti distruggerò!”.

“Al mondo, nulla si crea e nulla si distrugge”.

“Vuoi che ti dimostri il contrario?”.

Una luce fortissima investì Rashnu, che non riuscì a schivarla e venne colpito in pieno. Volò in aria. Si aggrappò ad una delle mezzelune, evitando di ricadere di peso. Tossì, sputando sangue. Doveva contrattaccare, ma in che modo? Era evidente che il suo avversario possedeva ben più forza di lui. Ma non si poteva arrendere. Nonostante tutte quelle voci che continuavano a ripetere che era sbagliato attaccare l’unico dio, prese coraggio e si issò sulla mezzaluna. Da lì avrebbe potuto sferrare un attacco perfetto.

 

“Scusate il ritardo!” esclamarono, in coro, Nirrita e Nirriti.

Entrambi, fra le mani, stringevano una falce, ottenuta dalla divisione dell’arma unica del padre. Subito compresero la situazione. Roteando la propria arma, riuscivano a spazzare via la nube dai mortali, anche se solo temporaneamente.

“Clio!” gridarono “Noi li liberiamo, tu li spaventi. Questo li farà fuggire, e saranno al sicuro”.

Clio obbedì, mettendosi in piedi sulla mezzaluna e guardando giù. Si concentrò. Avrebbe dovuto usare un sacco di energia.

“Io mi sforzerò di controllare la loro sete di vendetta” parlò una voce giovane.

“Petbe?” si stupì Tarhunt.

“Che c’è? Dovevo lasciare tutto il divertimento a voialtri? Io sono il signore della vendetta, ruolo infame, ma quest’oggi lo userò a nostro vantaggio. Senza sete di vendetta, combatteranno con meno energia e voglia”.

Detto questo, il giovane figlio di Saxnot ed Adraste si appropriò di una mezzaluna ed iniziò a diffondere il suo potere.

“Pensate di scacciare così facilmente la mia forza?” parlò la nube, acquisendo una curiosa forma antropomorfa, che sarebbe risultata comica in un contesto diverso.

“Sei solo una palla di fumo!” ringhiò Nirrita “Hieros!” gridò poi, fondendosi con il gemello.

Uniti, i due portavano l’armatura del genitore, segno che si erano risvegliati completamente. Era nera, composta da ossa avorio che spiccavano sulla base scura. La falce era tornata ad essere a doppia lama, riunendosi. Lo spaventoso sguardo del signore della morte fissò i presenti. Era tempo di farsi notare!

 

Ihanez non aveva mai assistito a quel tipo di unione. Non immaginava che due creature potessero unirsi in quel modo. Si sentiva inutile, in quel momento. La sua sorellina lo stava difendendo, che vergogna. E sopra la sua testa vedeva Rashnu, che combatteva per difendere il potere dalla vita. Se solo avessi un solo briciolo di energia in corpo, pensò, potrei reclamare il potere che mi spetta. Ma di energia non ne aveva, nemmeno un soffio.

 

“Morirete tutti per mano del nostro signore Ogmios” parlò l’ibrido Saxnot-Adraste.

“Hai finito con le minchiate? Combatti e chiudi quella bocca!” lo zittì Reahu, muovendo un braccio ed investendo l’avversario con una raffica di piccole stelle brucianti.

“Tutto qui quel che sai fare? Qualche bruciatura non ci fermerà”.

“Oh, madre terra, quanto sei stupido. Io mi trattengo perché non voglio ucciderti, essere fuso. E non ti consiglio di continuare a provocarmi”.

“Non ho paura di te. So di poterti sconfiggere”.

“Solitamente apprezzo le persone sicure di sé, ma non in questo caso”.

L’unione fra Saxnot ed Adraste si preparò ad attaccare, di nuovo, e Reahu sospirò. Che seccatura!

 

Rashnu fissò il suo genitore, che pareva quasi divertito da quello scontro.

“Ti farò sparire quel ghigno dal viso” mormorò, preparando la sua mossa.

Congiunse i due bracciali, creando una luce fortissima e oro, che avvolse colui che la stava evocando. Lanciò un grido. Quello era il colpo più forte che aveva.

 

Reahu conosceva quella tecnica e sapeva quel che provocava. Ribaltò le braccia indietro, senza atterrare, scoprendosi in parte ma lasciando che i veli dell’armatura proteggessero Veda e Ihanez.

“Ti sei scoperto!” ghignò il suo avversario, che ne approfittò per cercare di colpirlo.

Il signore del cielo nemmeno gli rispose. Si limitò ad alzare le gambe e, sempre mantenendo le braccia aperte a difesa di coloro che aveva dietro di sé, ricacciò indietro il nemico. Poi ignorò tutto il resto. Il colpo di Rashnu stava arrivando.

 

Tarhunt notò la reazione del fratello e ordinò a Clio di stare giù. Riuscì giusto in tempo a farla abbassare, proteggendosi entrambi all’interno della mezzaluna di pietra. Il calore dell’energia li avvolse, così come la sua luce. Serrarono gli occhi, sperando che il loro rifugio non cedesse.

 

Rashnu gridò, separando di colpo i bracciali ed aprendo le braccia. Poi le protese in avanti con uno scatto e da esse partirono due scariche di energia potentissima, che assunsero la forma di due piatti. I piatti della bilancia, la giustizia che Rashnu rappresentava. Ruotando velocemente, investirono di scariche lucenti l’intero edificio, per poi concentrarsi vero il loro bersaglio. Ogmios conosceva quella tecnica, era la stessa che usava lui, ma non immaginava di vedersela usare contro. Credeva che il figlio non fosse in grado di padroneggiarla. I due dischi lo colpirono, uno per lato. Rimase in piedi, ma indietreggiò di parecchi metri. Convinto di essere stato protetto dall’armatura, notò con disgusto che in realtà sanguinava. Parte di essa ora la vedeva addosso al figlio. Doveva riuscire assolutamente ad impossessarsi del potere della vita! Quel moccioso non poteva comprendere le leggi del mondo per governarlo! Restò a fissare il suo erede per un lungo tempo.

“Ora ti mostrerò come si usa davvero quel colpo” commentò, dopo diversi minuti.

“Oh, merda” non trovò altre parole Rashnu, e probabilmente anche altri pensarono la stessa cosa.

 

I signori della morte stavano tentando in ogni modo di sconfiggere quella nube nera che portava alla follia i monoclasse. Era una cosa difficile, più di quanto credessero. Strinsero i denti. Non avrebbero deluso il padre, che appositamente era morto per permettergli di partecipare a quella battaglia. Lanciando la falce, che ruotando creava vortici per la sala e poi tornava dai suoi proprietari, impedivano che altre persone fossero soggiogate da essa. Questo però non rendeva meno pericolose le persone già sotto il suo dominio. Nemmeno la luce del colpo di Rashnu fermò quei soldati.

“Ma dove siamo finiti? Nel regno dei pazzi?” sbottarono i signori, ancora uniti assieme in un unico corpo, sentendo che la gente ancora credeva intensamente in Ogmios.

 

“Devo fare qualcosa” esclamò Clio “Se loro ricordassero, se loro sapessero, ciò che è successo ai predecessori, così come lo so io, sono certa che cambierebbero idea”.

“Cosa ti serve?” domandò Tarhunt, respingendo altri nemici con i fulmini.

“Molta più energia”.

“Hai idea di come prenderla?”.

Clio si morse il labbro inferiore. Aveva un’idea, ma non sapeva se potesse davvero funzionare. Il signore del tempo atmosferico si guardò attorno. Ihanez aveva bisogno di vita, per potersi appropriare del tutto del ruolo che gli spettava. Vita. Perché non prendeva quella dei caduti? Tarhunt capì da solo che non lo faceva perché troppo debole. Serviva qualcuno che donasse la propria esistenza.

 

“State bene?” domandò Reahu, rivolto a Ihanez e Veda.

Ihanez non poteva dire di stare benissimo, con quella ferita aperta, ma annuì. Veda, dai calci che tirava agli avversari, pareva proprio non aver subito danni.

“Gudis!” lo riconobbe il signore del cielo.

Lo scienziato, soggiogato dall’ombra, rischiava di finir letteralmente falciato dai signori della morte. Usò la sua energia per proteggerlo, ma facendo questo si distrasse. L’unione fra Saxnot ed Adraste guardò in su. Là, lo vedevano, stavano Clio e Tarhunt, le creature più importanti per il loro avversario. Ghignando, decisero di lanciare contro di loro il prossimo attacco, puntando sulla distruzione psicologica di Reahu. Tarhunt, impegnato a respingere i colpi che ora pure gli stregoni gli lanciavano contro, si accorse tardi degli intenti di Saxnot-Adraste. L’unica cosa che riuscì a fare fu pararsi davanti a Clio, per proteggerla. Era lei la più importante fra i due e, lo sentiva, avrebbe trovato l’energia per trasmettere la memoria ai presenti. Il suo potere non riuscì a proteggerlo dai colpi inferti da una creatura in possesso di parte della magia di Ogmios. Trafitto, gemette e cadde in avanti, precipitando dalla mezzaluna.

“Tarhunt!” lo chiamò Clio, cercando invano di afferrarlo.

Petbe lo vide e scattò, prendendolo al volo. Reahu, sentendo il nome del fratello, si girò e vide quanto accaduto. Ignorando qualsiasi altra cosa, lo raggiunse.

“Tarhunt!” lo chiamò, mentre Petbe lo metteva a terra.

I signori della morte tennero lontane le creature che attaccavano. Saxnot-Adraste rideva divertito, sicuro di aver colpito il punto debole dell’avversario.

Tarhunt aprì lentamente gli occhi chiari.

“Ma che fai?” mormorò al fratello “Torna a combattere!”.

“Ma che dici?!”.

“Ihanez. Dona la mia vita a Ihanez. Tu lo puoi fare, sei uno dei pilastri del mondo. Con la mia vita, avrà di nuovo energia”.

“Tarhunt” mormorò Clio “Non puoi morire per me!”.

“Non muoio per te. Muoio per il mondo. Avrei preferito non farlo, però…”.

Trovò la forza di sorridere, stringendo la mano del fratello maggiore, che lo fissava senza parlare, chino su di lui.

“Dona la mia vita a Ihanez. E non lasciare che Ogmios prenda il mio potere. Io credo in te, anche se non so cosa sia successo quella sera di cui tutti parlate”.

Il respiro di Tarhunt era sempre più affannoso e flebile.

“Io non posso lasciarti morire” disse Reahu.

“Smettila di fare il coglione. Non puoi salvarmi”.

“Ma ho promesso…”.

“Che ti saresti preso cura di me, e lo hai fatto. Ora fai ciò che ti chiedo, per una volta, e smettila di perdere tempo”.

Reahu, sconcertato da queste parole, non sapeva cosa dire.

“Dai, non guardatemi così!” si lagnò Tarhunt, girando la testa “Ci rivedremo, prima o poi”.

“Hai ragione” si sforzo di sorridere Reahu “Ci rivedremo”.

Tarhunt parve soddisfatto da quelle parole. Era come un permesso per potersene andare. Si rilassò. Sperò, come ultima cosa, di non essere morto inutilmente.

Ihanez non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma la luce azzurra che lo stava avvolgendo aveva un’aria familiare.

“Prendi la mia essenza” si sentì dire “Signore della vita”.

“Tarhunt” mormorò Ihanez, venendo sollevato da quella forza, che lentamente entrava in lui.

La ferita infertagli in precedenza smise di sanguinare, rimarginandosi. Sentiva di nuovo la magia scorrere potente nelle proprie vene. Strinse i pugni. Poco più in alto, qualcuno stava cercando di appropriarsi di qualcosa che gli apparteneva e sapeva cosa fare per riprendersela.

Anche Reahu sapeva cosa fare. Ricacciando dentro le prime sue lacrime dopo quasi duecento anni, si voltò pieno di rabbia verso Saxnot-Adraste. Petbe percepì il forte sentimento che provava e rimase titubante  a fissarlo. L’avversario contro cui stava per scagliarsi il signore del cielo era l’unione dei suoi genitori. Sicuramente li avrebbe disintegrati, visto quanta rabbia il desiderio di vendetta gli stava provocando. Guardò quella creatura. Il suo sguardo era spento, vuoto. Quelli non erano più i suoi genitori, ma manichini controllati da qualcun altro. Non c’era più nulla di vero in loro. Non erano più coloro che aveva amato. Chiuse gli occhi e lasciò che la vendetta si impossessasse di Reahu, facendolo praticamente esplodere.

 

Ogmios si accorse che Ihanez era di nuovo in piedi e rimandò il lancio del suo colpo. Doveva impedire che quel ragazzino si prendesse ciò che voleva. Il potere assoluto della vita era lì, a pochi passi, ed era circondato da pidocchi fastidiosi che facevano di tutti per impedirgli di ottenerlo.

“Non osare, moccioso!” gridò, rivolto a Ihanez, che ora guardava il corpo senza vita del padre.

“Oh, ma fottiti!” rispose Ihanez, spalancando le braccia e gridando.

Sapeva che il potere della vita avrebbe scelto lui, sarebbe divenuto parte del suo essere, ignorando Ogmios. O almeno così sperava…

 

Reahu gridò, mentre il cielo si oscurava. Lui, ormai del tutto nero, manteneva lo sguardo dorato fisso verso Saxnot-Adraste, che cominciò ad intuire di non aver fatto una cosa molto intelligente. Il signore del cielo si scagliò contro il suo nemico, urlando. Non richiamò la magia. Lo afferrò e lo scagliò a terra, contro il pavimento che si ruppe. Con quell’impatto, i due uniti si divisero.

“Datemi un solo motivo per non distruggervi in minuscole particelle” ringhiò Reahu, tenendoli fermi entrambi senza fatica.

“Oh, suvvia, siamo colleghi da tempo” mormorò Adraste.

“Prima Akerbeltz ed ora mio fratello. Se fossimo colleghi, non avresti permesso la loro morte”.

“E Petbe? Non pensi a nostro figlio?” si aggiunse Saxnot.

“Che mossa meschina” commentò proprio Petbe, in piedi a pochi passi dalle teste dei suoi genitori “Mio padre non l’avrebbe mai usata. Voi due non avete più nulla dei miei veri genitori, siete solo loro immagini comandate da fuori”.

Petbe fissò Reahu e mosse il capo, come a volergli dire che era libero di agire come meglio credeva. Il signore del cielo lo fissò a suo volta, cercando di cogliere qualche ripensamento. Non ci fu, e Reahu distrusse i loro corpi, in migliaia di piccole luci che gradatamente si spensero, svanendo.

“A quanto pare, sono in grado di distruggere” commentò, rialzandosi.

 

Ogmios allungò un braccio verso Ihanez, con l’intento di prendersi il potere della vita, che brillava attorno al corpo di Ipalnemoa come un’originale sarcofago. Ihanez lo ignorò, immergendo le mani in quella luce bianca, che immediatamente lo riconobbe e reagì, risalendo lungo le braccia di chi la richiamava. Salì in fretta e, quando Ihanez si voltò verso Ogmios che tentava di raggiungerlo, era già sufficientemente forte da creare una barriera che ricacciò indietro l’assalitore. Rialzandosi, Ihanez era interamente avvolto dalla luce bianca. Ogmios ringhiò. Aveva perduto la forza della vita, perciò per vincere non aveva altre alternative: doveva uccidere Rashnu.

Una volta che la luce si attenuò, il signore della vita si mostrò per ciò che era diventato. L’armatura era completa ora. Quattro enormi piume dai magnifici colori partivano dal grosso collare che sorreggeva il mantello candido, così come ne circondavano tutto il bordo. Piume colorate ne decoravano anche la corta veste ed i sandali intrecciati. Sul capo, fra i capelli arancio, una corona a forma di semidisco brillava, come un cristallo. Si era risvegliato del tutto, e la sua torre a casa si era completata, così come quella di Reahu e dei gemelli di Mantus.

 

Rashnu, preso per il collo dal padre, trovò la cosa piuttosto frustrante. Perché lui era l’unico a non aver acquisito a pieno i suoi poteri? Perché era l’unico fra i pilastri che non ci riusciva? Si liberò dalla presa del padre e saltellò sulla mezzaluna più alta. La gente si ostinava a credere nella bontà di quel suo genitore ormai del tutto fuori di senno. E questo faceva sì che la sua energia ne risentisse parecchio. Doveva trovare un modo per far capire le sue ragioni al popolo, che lo considerava un mostro all’attacco del loro unico dio. Lo vide. Stava caricando il suo colpo più forte. Non aveva scampo. Con quello, sarebbe stato sconfitto. Chiuse gli occhi, amareggiato. Non voleva che tutto finisse così, ma era evidente la superiorità di suo padre.

 

“Dobbiamo fare qualcosa” commentò Clio, guardandosi attorno.

Ora che vita e morte agivano assieme, la nube nera stava svanendo ma la gente rimaneva lì a pregare per Ogmios, augurandogli la vittoria. Si concentrò. Doveva provare a trasmettere loro i ricordi di quella sera. Doveva riuscirci! Richiamò tutta la sua energia.

“Clio!” la chiamò Reahu, contribuendo a scacciare la nube nera “Non usare in quel modo il tuo potere. Chiedi troppo da te, ti farai solo del male. Smettila!”.

“Lasciami fare. È il solo modo!” esclamò lei.

“Finirai con il consumarti del tutto e morire!”.

“Se è questo ciò che devo fare, allora lo farò!”.

Lei continuò a concentrarsi, e lentamente assieme al suo potere sentì lasciarla anche l’energia vitale. Reahu reagì e la raggiunse, avvolgendola all’interno dei veli della sua armatura.

“Smettila!” la supplico.

Poi si fissarono negli occhi. Che pazza idea gli era passata per la mente! Si sorrisero.

“Hieros” mormorarono “Gamos”.

Nessuno di loro aveva mai sperimentato gli effetti di quell’unione ne vi aveva assistito, tranne Rashnu che però aveva altro a cui pensare. L’onda d’urto provocata dall’unione di cielo e memoria travolse tutti. Solo vita e morte riuscirono a rimanere in piedi. Clio si sentiva leggera, come se fosse una delle stelle, e Reahu era avvolto dalle immagini di tutti i tempi. Era strano. Il loro potere si espanse ed avvolse i presenti, che iniziarono a  vedere ciò che era successo. Tutto il mondo iniziò a vedere e ricordare quella sera di quasi due secoli prima.

 

L’ora di cena era quasi giunta. Ipalnemoa, già leggermente assonnato, se ne stava tranquillo ad un angolo del tavolo, aspettando che arrivassero gli altri per poter mangiare. Reahu era in camera sua, non dovendo mangiare, perso in pensieri che nemmeno lui poteva comprendere del tutto. Onyame, ancora debole dopo il salvataggio del figlio, era già andato a letto. Rashnu si era trattenuto da Mantus, che gli stava insegnando alcuni passaggi del suo futuro lavoro. Tarhunt, l’ultimo arrivato assieme ad Adraste, ancora non aveva trovato il coraggio di mangiare assieme gli altri, perciò se ne stava per conto suo. La sala lentamente si riempì, in attesa del padrone di casa. Ogmios si fece un po’ attendere ma poi apparve alla porta. Pareva di buon umore e sedette a capo del tavolo con entusiasmo, sorridendo. Ipalnemoa rispose a quel sorriso. Era lieto di vedere il collega senza la solita espressione preoccupata per chissà cosa.

“Vedo che manca un po’ di gente all’appello” parlò, rivolto al signore della vita “O mi sbaglio?”.

“Nessun errore” gli rispose Ipalnemoa “Rashnu è da Mantus, dovrebbe tornare a momenti”.

“Ed Onyame?”.

“Ha preferito restare in stanza questa sera”.

“Capisco. In questo caso, possiamo iniziare a mangiare. Buon appetito”.

I presenti ringraziarono ed iniziarono a cenare. Ogmios si soffermò ad osservarli, uno dopo l’altro. Ipalnemoa notò quello sguardo e lo trovò strano. Che aveva in mente? Lasciò perdere il cibo nel piatto e continuò a prestare attenzione ad Ogmios.

“Tutto bene?” gli domandò, dopo qualche istante.

“Ti pare di no?” fu la risposta del padrone di casa.

“No, mi pare di no. Per niente”.

“E, chissà, forse hai ragione”.

Ogmios si reggeva la testa con le mani e guardava fuori dalla finestra, con aria pensierosa.

“Sai cosa stanno facendo là fuori, adesso, Ipal?”.

“Chi?”.

“Il mondo. Sai che sta facendo? La guerra, Ipal. Si sta facendo al guerra”.

“Ne sono consapevole”.

“È una cosa che non capisco. Perché?”.

“Le ragioni di una guerra possono essere molte”.

“Lo so questo, ma mi chiedo perché rifiutino i miei doni in questo modo. La natura, la forza, l’amore, la vita, il cielo stellato e tutte le altre cose splendide che son state create, rifiutate in questo modo da loro”.

“Non mi sembra che le stiano rifiutando”.

“Se accogliessero i doni che abbiamo fatto loro, non avrebbe senso la guerra perché vivrebbero in pace in un mondo perfetto”.

“Perfetto? Non esageriamo. Ad ogni modo, è nostra facoltà intervenire, lo sai?”.

“Intervenire? E perché? Ho faticato per loro, bruciando tempo ed energia che avrei potuto usare in ben altro modo e come vengo ripagato? Con odio e sangue”.

“Mica odiano noi! Si odiano da soli”.

“Fa lo stesso. Ognuno di loro ha una parte di noi, ed odiandosi fra loro a mio avviso è come se odiassero me. Perciò perché io dovrei continuare a dare loro cose che poi rifiutano?”.

“Loro ti venerano. Sei l’unico di noi pilastri il cui culto è rimasto vivo nel mondo. Non ti odiano, è solo una tua impressione”.

“Mi venerano e per venerarmi si distruggono? Ma che razza di esseri ho creato?”.

“ABBIAMO creato, ti correggo. Te lo ripeto: possiamo intervenire. Una tua parola e sono certo che tornerà tutto in ordine”.

“Ne vale la pena?”.

“Come?!”.

“Rispondi, Ipalnemoa. Vale la pena sprecare ancora tempo su delle creature simili?”.

“Certo che sì. Ogni istante della mia vita sarà dedicato a loro, anche se non credono più in me e le mie parole resteranno inascoltate dai loro cuori. Io sono la vita, Ogmios, è ovvio che il mio desiderio sia quello di farla proseguire”.

Ogmios rimase in silenzio. Si appoggiò allo schienale dell’imponente sedia dove stava seduto e sospirò. Pareva riflettere, o forse era deluso dalla risposta datagli da Ipalnemoa.

“Non è giusto che tutti questi poteri vengano messi al servizio di creature tanto crudeli. Non li meritano e sono stanco di concederglieli” disse, poggiando entrambe le mani sul tavolo.

Subito, a quel tocco, una luce oro iniziò ad espandersi, passando da un commensale ad un altro. Ipalnemoa non capì cosa stesse facendo ma ebbe la prontezza di alzarsi e non farsi sfiorare da quella luce. Gli altri presenti gridavano.

“Che stai facendo?” urlò Ipalnemoa, notando come nessuno riuscisse più a muoversi dal tavolo e come la luce oro li stesse circondando.

“Mi riprendo ciò che è mio” si limitò a dire Ogmios, poi chiudendo entrambi i pugni.

Quel gesto arrestò lo scorrere dell’energia oro e la stanza piombò nel buio. Il signore della vita chiamò per nome alcuni dei suoi colleghi, senza ricevere risposta. Ogmios aveva assorbito le loro capacità, lasciandoli del tutto privi di forze.

“E adesso dove vai?” domandò Ipalnemoa, vedendolo uscire dalla stanza.

“Anche il cielo è roba mia” rispose Ogmios, prendendo la via delle scale.

Prima di far questo, si girò e soffiò sulla mano, che ancora brillava d’oro. La sala iniziò a bruciare, con il signore della vita nel mezzo. Questi si guardò attorno, spaventato. Doveva riuscire a portare in salvo i suoi colleghi, anche se ormai privi di capacità. Ma il fuoco magico di Ogmios non era qualcosa che si poteva spegnere tanto facilmente e le sue scintille oro già toccavano molti dei presenti. Tossendo, spaccò una delle finestre. Le pareti stavano cedendo e percepiva chiaramente le vite attorno a sé spegnersi, una dopo l’altra.

“Che succede?” domandò Tarhunt, sentendo il baccano ed accorrendo in quella direzione.

Ipalnemoa pensò in fretta. I due che aveva di fronte, Tarhunt ed Adraste, avevano dentro di loro un enorme potenziale. Doveva fare una scelta e, se pur a malincuore, scelse di salvare loro due.

“Presto, venite con me” parlò saltando all’esterno.

“Dove? Cosa succede?” domandò Adraste.

“Non c’è tempo per spiegare. Venite con me. Fate presto”.

“Sì, maestro” rispose Tarhunt “Ma mio fratello? È al sicuro, vero?”.

“Reahu” mormorò Ipalnemoa.

Lui, insieme a Rashnu, era il tassello più importante da preservare. Si girò verso la casa. Onyame sarebbe riuscito a cavarsela per il poco tempo che necessitava la vita per salvare i futuri signori. Li afferrò saldamente e guardò verso l’alto. Una gran luce lo avvolse ed apparve davanti al ponte di Cintvat. Chiamò suo fratello, che lo raggiunse in fretta.

“Cosa ci fai qui? E chi sono questi due?” chiese, appena apparve.

“Tieni Rashnu qui, capito? Fino a quando non te lo dirò io. E loro due restano qui”.

“Ma…che c’è? La fine del mondo?” parlò, confuso, Mantus.

“Non lasciare che Rashnu torni a casa, intesi? Per nessuna ragione. Fidati di me. e tieni anche questi due giovani al sicuro. Ora devo andare”.

“Che catastrofe si sta creando, fratello?”.

“Non ho tempo per spiegare”.

Ipalnemoa si dissolse, senza dire altro, tornando a casa.

Nel frattempo, Ogmios aveva raggiunto la stanza di Onyame. Il signore del cielo aveva intuito qualcosa dal gran baccano che aveva sentito. Grida, urla, suppliche, ed ora suo fratello veniva verso di lui, carico di energia e con uno sguardo che mai gli aveva visto in volto prima d’ora. Non poteva scappare, non poteva nascondersi. Che senso aveva? Ogmios governava il mondo, lo avrebbe scovato ovunque. Uscì dalla camera di sua spontanea volontà, sperando che si dimenticasse del suo unigenito Reahu.

“Cosa hai fatto?” domandò Onyame, fingendo di non provare timore per colui che aveva di fronte.

“L’unica cosa giusta. Questo mondo non merita di continuare così”.

“Sono d’accordo. Ma non credi ci siano altri sistemi per riportarlo sulla strada giusta?”.

“Quando qualcosa non funziona, ed hai già tentato più volte di ripararla, allora è tempo di gettarla via. Non trovi, Onyame?”.

“Stai parlando di vite umane, di creature viventi, non di orologi a pendolo!”.

“Lo sapevo che non avreste compreso. Tu ed Ipalnemoa siete legati a questo mondo in un modo innaturale, quasi blasfemo per delle creature come noi”.

“Blasfemo? Ma ti ascolti quando parli?”.

“Tu sei debole, Onyame. Hai dato ascolto a quella stupida leggenda degli unigeniti ed hai dato al tuo successore molta più energia del dovuto, a mio avviso. Ora sei scoperto, e lui non può certo salvarti. Mi hai fatto un favore. Se avessi mantenuto tutta la tua energia, non avrei potuto ucciderti”.

“Uccidermi?! Ogmios! Sono io, tuo fratello! Perché vuoi uccidermi?”.

“Perché voglio mettere fino a tutto questo, e voialtri pilastri mi intralciate”.

“Ma questo è sbagliato!”.

“Io sono Ogmios, quello che faccio è sempre giusto. Io sono la Giustizia”.

“Tu sei pazzo. Pazzo e basta”.

“Appena avrò finito con te, mi occuperò del tuo caro figliolo e poi passerò a Rashnu. Ad Ipalnemoa non resterà un granché da fare e, per quel che mi riguarda, Mantus può anche restare. Quello non interferisce con la mia idea del futuro”.

“Ma che ti è successo?”.

“Cosa mi è successo? Ho visto qualcosa di perfetto divenire meno di niente per colpa dell’odio e della guerra”.

“Ma noi possiamo cambiare tutto questo. Ogmios, noi possiamo…”.

“Non possiamo niente! Sono io la causa della guerra ed io la fermerò, a modo mio. Creature che arrivano ad uccidersi l’uno con l’altro per dimostrarmi di essere gli unici degni del mio amore è la cosa più insensata dell’universo. Io li ho creati, ed io li distruggerò. Tutti quanti”.

“Noi li abbiamo creati, NOI! Non tu da solo!”.

“Il concetto non cambia”.

Stanco di parlare, Ogmios allungò una mano e scaraventò il fratello giù per le scale. Onyame tentò di reagire, ma i suoi poteri non erano sufficienti.

“Dovresti amare ciò che hai creato” mormorò il signore del cielo, rialzandosi a fatica.

“Ed invece non è così. Provo ribrezzo per quanto cammina per questo mondo”.

Senza fare la minima fatica, lanciò un altro attacco contro il fratello, che finì di nuovo a terra.

“Morirai questa notte, Onyame. Rallegrati. Guarda che bella luna c’è nel cielo”.

Onyame la guardò. Si stava tingendo di rosso sangue. Chiuse gli occhi. Era pronto a ricevere il colpo di grazia.

“Fermati!” gridò qualcuno, dall’alto delle scale.

“Reahu!” gemette, cercando in ogni modo la forza per difenderlo.

“Ma guarda un po’ chi c’è” commentò Ogmios, girandosi verso quella direzione.

“Perché fai questo?” domandò il futuro signore del cielo.

“Perché è giusto così, ma non mi aspetto che una pulce come te capisca”.

“Meglio una pulce, piuttosto che un viscido bastardo che tenta di uccidere il suo stesso fratello”.

“Ma quanto sei sfrontato, ragazzo. Qualcuno dovrebbe proprio insegnarti a tenere la bocca chiusa. E quel qualcuno sono io. Te la farò chiudere per sempre”.

Reahu indietreggiò. Quell’uomo, a cui aveva giurato fedeltà, non era più lo stesso. O forse era quella che mostrava ora la sua vera natura? Ogmios sferrò il suo attacco, lanciando un raggio oro verso Reahu. Questi non ebbe altra alternativa se non correre, mentre sotto di sé il corridoio e le scale crollavano, colpite da quella magia. Volò nell’ultimo tratto, schivando per poco quell’energia.

“Sei veloce, ma questo non ti basterà” commentò Ogmios, osservando divertito Reahu, che nel frattempo si era messo con i piedi contro il soffitto e guardava giù.

Era leggermente rannicchiato, pronto a saltare.

“E sei pure testardo. Perché non ti arrendi?” continuò il padrone di casa.

“Se devo crepare, fammelo fare come desidero” si limitò a dire Reahu.

Ogmios caricò un altro colpo ma non riuscì a sferrarlo, perché qualcosa di bianco ne avvolse braccia e collo, facendolo indietreggiare. Infastidito, mosse entrambe le braccia in avanti ed apparve Ipalnemoa all’altro capo di quei lunghi nastri bianchi.

“Maestro” mormorò Reahu, vedendolo.

Indossava l’armatura della vita, cosa che non aveva mai fatto prima. Tirò indietro le braccia, indurendo quel legami che strinsero forte le braccia di Ogmios.

“Che roba è mai questa?!” sbottò il padrone di casa.

“La vita è frutto di un legame, come sono queste mie corde”.

“La vita è soffocante?” domandò ancora Ogmios, notando come pure il suo collo fosse intrappolato.

“A volte” si limitò a dire Ipalnemoa, tirando ancora.

Ogmios reagì ed Ipalnemoa fu sbalzato in aria. Saltò e si rigirò, richiamando a sé i nastri. Li allungava e li stringeva a suo piacimento, ed in quel caso fu costretto a stringerli per non spezzarli.

“Cosa credi di fare, Ipal?”.

“Tutto il possibile per fermarti” fu la risposta, accompagnata dallo schiocco di una frusta bianca.

Reahu non sapeva cosa fare. I due iniziarono ad affrontarsi e subito vide aprirsi ferite su di loro e li sentì gridare di dolore e rabbia. Nel frattempo, Onyame rimaneva immobile, avvolto dall’armatura di veli che lo stava proteggendo. Aveva gli occhi chiusi e la testa reclinata all’indietro. Che fosse morto? Reahu fece per muoversi quando vide, con sollievo, che Mantus era apparso sulla soglia di casa. Il signore della morte guardò con orrore ciò che era successo in quel luogo, percependo le anime di quelli che si erano spenti.

“Onyame!” lo chiamò, chinandosi sul collega ferito.

“Proteggi mio figlio” mormorò il signore del cielo, senza muoversi e senza aprire gli occhi.

Mantus guardò in alto. Reahu era rimasto sul soffitto. Brillava di luce azzurra. Onyame gli stava trasmettendo i poteri, e probabilmente il ragazzo nemmeno se ne accorgeva.

“No!” gridò Ogmios, notando la cosa e scagliando una sfera oro contro Reahu, che fu costretto ad interrompere il processo e saltellare altrove il più in fretta possibile.

“Non preoccuparti, Onyame” parlò Mantus “Non lascerò che sia lui a prendere il tuo potere!”.

Reahu era giovane ed inesperto, troppo per ricevere tutta l’energia del padre, ma Ogmios non doveva averla. L’unico modo che conosceva Mantus per impedirlo era legare il potere all’anima. Onyame sorrise. Il suo sangue scorreva via, così come la sua vita. Guardò per un’ultima volta il suo prezioso figlio e poi si lasciò morire, sicuro che Mantus sapesse cosa fare. Il signore della morte chinò il capo. Per un istante, gli tornarono in mente cose a cui non pensava da tempo. Si ricordò bambino, si ricordò giovane. Guardò Ogmios. Come poteva essere cambiato tanto? Gridò, concentrando tutto il suo potere, permettendo all’anima di Onyame di legarsi al suo ruolo. Così facendo, solo lei avrebbe potuto cedere le sue capacità, a chi voleva, quando riteneva fosse giusto. Un giorno, Reahu sarebbe stato degno di ricevere interamente quel potere ed allora il signore del cielo glielo avrebbe donato. Il padrone di casa non gradì per niente quel gesto. La magia del cielo intrappolata in un’anima azzurra, con nessuna possibilità di recuperarla?

“Mantus!” gridò “Traditore!”.

Ipalnemoa approfittò di quella distrazione e tornò a legarlo stretto, questa volta con ancora più nastri, che si irrigidirono all’istante. Alcuni di essi iniziarono a creare un disegno e Mantus intuì cosa il fratello avesse in mente di fare. Saltò, afferrando Reahu e coprendolo dall’immensa luce che il signore della vita creò. Avvolse ogni cosa, con il suo bianco intenso. Reahu riuscì a guardare. Ogmios lo indicò, minaccioso.

“Se parlerai di questo giorno, ti strapperò con i miei stessi artigli la parte mancante della tua misera anima” ringhiò.

Mantus coprì di più Reahu ed attese che la luce si dissolvesse. Quando ciò avvenne, Ipalnemoa era al centro della stanza. Era stanco, lo si vedeva, e lasciava ricadere i nastri bianchi in terra, senza avere sufficiente forza per irrigidirli di nuovo. Si guardò attorno. La casa era intatta, senza alcun segno di lotta. Il signore della vita ebbe un attimo di confusione. Dovette concentrarsi per recuperare i suoi ricordi. Come ultimo gesto prima di venir sigillato da Ipalnemoa, Ogmios aveva tentato di cancellare quanto successo, riportando la casa all’aspetto originale ed interferendo con le memorie. Con la mente di vita e morte, quel tentativo fallì. E pure con Reahu, che con la sua parte di anima mancante era immune da certe macchinazioni. Si accorsero subito, però, che non era stato per tutti così. Tarhunt ed Adraste, che avevano visto la dimora in fiamme ed i loro colleghi morti, non avevano alcun ricordo di questo e, quando tornarono in quel luogo, si comportarono come se nulla fosse. Rashnu, che aveva udito il racconto dei due superstiti, lo aveva anch’egli dimenticato.

“Dove sono tutti?” domandò, appena arrivato “Dov’è mio padre?”.

Ipalnemoa provò a spiegargli quanto successo, ma qualcosa gli impediva di dire la verità.

“È scomparso” riuscì solo a dire “Siamo rimasti solo noi”.

Del resto, anche se avesse potuto parlare, come avrebbe potuto farsi capire? Come poteva pretendere che Rashnu credesse alle sue parole? Non vi erano corpi e la casa era intatta, perfetta. Perfino le sue ferite si erano rimarginate.

“Sparito?” ripeté Rashnu, con grandi occhi impauriti e tristi.

Reahu provò un grande dolore per quel ragazzo. Si vedeva che provava affetto assoluto per il suo genitore, e pareva smarrito senza di lui.

“Ed Onyame? E gli altri?”.

Ipalnemoa e Mantus scossero il capo, senza sapere cosa dire. La verità erano impossibilitati a raccontarla e non trovavano altre spiegazioni, se non quello di dire che non lo sapevano.

“Siamo rimasti noi” parlò Mantus “Noi soltanto. Ma non preoccuparti. Riusciremo ad occuparci di tutto, insieme”.

“Solo noi? Ce la faremo?”.

“Ma certo, vedrai”.

“Finché loro non torneranno, giusto?”.

“Giusto”.

Rashnu guardò Reahu, che rimaneva impassibile ed apparentemente indifferente.

“A quanto pare a te toccherà occuparti del cielo prima del previsto” commentò Rashnu.

Reahu non parlo. Le stelle ancora piangevano il loro signore e si stupì dell’incapacità di Rashnu di notarlo. Si limitò ad annuire.

“Dove sono le anime?” domandò Mantus al fratello, quando gli altri si furono sufficientemente allontananti.

“In un posto sicuro, tranquillo” rispose Ipalnemoa, senza incrociare il suo sguardo.

“Io mi prenderò cura di questo mondo” parlò Rashnu, rivolto all’ala ora sigillata del padre “E di tutte le sue creature, così come mi è stato insegnato”.

Pareva che il potere di Ogmios rendesse accettabile quella situazione agli occhi del nuovo padrone di casa, ed i pochi consapevoli di ciò che era realmente accaduto non sapevano come cambiare la cosa. Forse era meglio così, conclusero.

“Hai fatto quel che hai fatto credendo alla storia degli unigeniti, vero?” parlò ancora Mantus.

 “Ho fiducia in Rashnu” rispose Ipalnemoa “Così come credo nel potere di Reahu”.

“Perciò immagino che ora tocchi a noi due passare alla generazione successiva”.

“Sapremo quando sarà il momento”.

“Lo credi davvero?”.

“Voglio crederci”.

 

Ipalnemoa se ne andò una sera d’inverno, senza parlare al nuovo, piccolo, gruppo di abitanti della casa. C’era una creatura da cui però non riusciva mai a nascondersi e quella creatura era Reahu.

“Dove ve ne andate con questo freddo e con il buio?”domandò l’allievo.

“Non ho alternative, Reahu” parlò Ipalnemoa.

Con i capelli arancio mossi dal vento, si voltò verso il suo allievo e gli sorrise. Assomigliava sempre di più a Onyame.

“C’è una persona che ha bisogno di essere controllata più da vicino”spiegò.

“Ogmios? È Ogmios, vero, colui che devi controllare da vicino?”.

“Sì, Reahu, e ti consiglio di abbassare la voce”.

“Ma…”.

“Non solo per lui. Per me è ora di trovare la Madre. Un giorno mio figlio abiterà questa casa e tu lo vedrai, mio allievo”.

“Non mi interessano i figli degli altri. E non te ne puoi andare per un motivo del genere!”.

“Fidati di me. Faccio la cosa giusta e tornerò. Vivrò di nuovo in questa casa. E, se non sarò io a farlo, ci sarà qualcun altro che avvererà questa mia promessa per me”.

Reahu non disse altro. Lo vide allontanarsi. Ufficialmente, per il resto della casa, era partito alla ricerca di Ogmios. Non sarebbe mai più tornato.

 

“Eccoti, finalmente” ghignò Ogmios.

Dopo più di un secolo di prigionia, Ipalnemoa era stato costretto a raggiungerlo, per impedirgli di fuggire. Il suo potere era aumentato, a differenza di quello della vita che con la guerra non faceva che affievolirsi.

“Chiudi la bocca” sbottò Ipal.

I due si trovavano in una specie di bolla, lontana dallo spazio e dal tempo, da cui ad Ogmios non aveva modo di uscire. Lo fissò, mantenendosi a distanza di sicurezza.

“In te c’è qualcosa di diverso, Ipalmenuccio. Hai forse donato parte del tuo potere?”.

Il signore della vita storse il naso. Come se n’era accorto? Il processo di passaggio era appena iniziato, su suo figlio che era solo un bambino. Una così lieve variazione, come riusciva a percepirla?

“Ti sbagli” mentì la vita “Sono solo stanco, per colpa di questa guerra di merda”.

“Ma non eri tu quello che doveva porvi fine?”.

“La gente crede in te, pazzo furioso, e modifica i suoi comportamenti solo in base a ciò che dici tu. A me nessuno dà ascolto. Ma, comunque, vedrai che riuscirò nel mio intento. In un modo o in un altro, questa guerra finirà”.

“Buona fortuna”.

Ipalnemoa lo ignorò, quando questi scattò e lo afferrò saldamente per il collo.

“Sono stato il tuo burattino per troppo tempo, Ipal. Ora è giunto il tempo di scambiarci i ruoli”.

Il signore della vita lottò con tutte le sue forze per non farsi soggiogare. La nube nera che avvolgeva Ogmios ora si stava espandendo e lo stava intrappolando. Quando lo lasciò ricadere in terra, Ipalnemoa aveva i capelli completamente bianchi e lo sguardo vuoto. Ogmios, non in grado di uscire da quello spazio, usò Ipalnemoa come suo tramite. Riuscì facilmente a farlo divenire signore degli stregoni, prendendo così fra le mani il futuro della guerra. Il signore della vita, dal canto suo, risparmiò le energie. Non si ribellò, si lasciò soggiogare, mantenendo a tratti quella poca lucidità necessaria a fargli trasmettere gradatamente il potere della vita al suo successore Ihanez, che cresceva ignaro di tutto.

 

Il resto della storia i presenti al conoscevano. Ogmios aveva controllato eserciti e signori della guerra, sperando nello sterminio totale. Una volta che Ipalnemoa si era spento, anche il sigillo si era spezzato ed era riapparso al mondo fisicamente. Reahu e Clio si guardarono, per un attimo con il colore degli occhi invertito l’uno con l’altro. Ora tutti sapevano. Era sceso il silenzio. I monoclasse, risvegliatasi con quelle visioni, erano confusi.

“Dunque è questa la realtà” parlò Veda, interrompendo il mutismo della folla che si era creato “Tutto questo è avvenuto perché ci detesti”.

Si rivolgeva direttamente ad Ogmios, cosa che lasciò sconcertati molti dei presenti.

“Io non vi detesto” parve giustificarsi Ogmios “Ma siete stati creati con la possibilità di essere perfetti, collaborando fra di voi. Ed invece guardatevi! Siete tutti fratelli, eppure vi ammazzate a vicenda. Litigate di continuo”.

“I fratelli litigano, non lo sapete? Quando era piccola, mi capitava spesso di litigare con mio fratello Gudis ma, la sapete una cosa? Colei che ci aveva messi al mondo, che ci aveva creati, interveniva sempre. Ci faceva smettere, rimproverandoci e spiegandoci come risolvere la questione. Può accadere che un figlio smarrisca la strada e commetta degli errori, ma non per questo un genitore può permettersi di abbandonarlo”.

“La questione è completamente diversa”.

“No, non lo è”.

Calò di nuovo il silenzio. Ogmios, dall’alto, guardò tutti, come a chiedere cosa avessero in mente di fare adesso.

“Un dio è colui in cui la gente crede, Ogmios. E ora la gente ha paura” parlò, lentamente, Reahu.

“La paura è un sentimento stupido, che rende deboli. Se provano questo, sono la prova che hanno bisogno di un dio. Hanno bisogno di me” sbottò l’interpellato.

“Giusto” annuì Rashnu “Hanno bisogno di un dio. Ma quel dio non sei più tu”.

Ogmios rise. Ancora quel ragazzo non aveva capito che le loro energie non potevano equipararsi. Protese un braccio verso il figlio e si udì un fortissimo ululato. I lupi più grossi di Rashnu, con quel gesto di Ogmios si stavano preparando ad attaccare il proprio padrone. Rashnu indietreggiò. Non voleva fare male a quelle bestie. Inutile sperare di saltellare fra le mezzelune, perché lo avrebbero seguito. Ed inutile tentare di alzarsi di nuovo in volo, perché suo padre aspettava proprio quell’atto, pronto a colpirlo. Con le spalle al muro, trovò disgustoso che proprio coloro che per secoli lo avevano protetto stessero per sbranarlo. Chiuse gli occhi ma poi, non udendo alcun suono se non un ringhiare minaccioso, li riaprì. La sua magnifica lupa bianca lo stava difendendo. Lei era libera dal controllo di Ogmios, perché dentro di lei risiedeva la forza della vita. Ihanez allungò le braccia, evocando i lunghi nastri bianchi della sua armatura, ed avvinghiò uno dei lupi aggressivi. Rashnu aveva ordinato di non intervenire allo scontro fra lui e suo padre e quindi quegli animali non rientravano in quell’ordine. Reahu capì e si dedicò ad un'altra di quelle bestie, usando allo stesso modo l’armatura e richiamando a sé il lupo prescelto. L’unione fra Nirriti e Nirrita si dedicò all’ultimo lupo rimasto, salendogli in groppa in un gesto decisamente temerario date le notevoli dimensioni della creatura. Una volta catturati, i pilastri usarono i loro poteri per svincolarli dal controllo di Ogmios. Appena ne furono liberi, il loro pelo mutò di colore. Reahu fissò con leggera ilarità il lupo blu che ora lo fissava con affetto. Poi il suo sguardo incrociò quello di Rashnu.

“Non arrenderti” gli disse Ihanez, facendo allontanare il lupo appena divenuto bianco.

“Non lo farò” rispose Rashnu.

Ogmios stava di nuovo caricando il suo colpo migliore. Il figlio lo fissò. Benissimo. Se era questo ciò che voleva, lo avrebbe avuto. Si preparò a far lo stesso. Non importava se suo padre aveva dimostrato di essere il più forte. Non si sarebbe lasciato uccidere tanto facilmente.

 

“Reahu! Sai come trasmettere l’energia da uno di noi ad un altro?” domandò Veda.

“Mentre entrambi sono in vita, intendi?” rispose lui, fissando preoccupato i due sfidanti.

“Sì. Sento una forza straordinaria dentro di me, come mai prima d’ora. Ti prego, trasmettila a Rashnu. Donala all’uomo che amo”.

Il signore del cielo la guardò. In effetti, attorno a Veda, si era creato un alone di luce intensa, che si faceva sempre più forte. Che stava succedendo? Cos’era quella luce? Ad ogni modo, doveva trasmetterla a Rashnu. Da solo, però, non poteva farlo.

“Ihanez! Figli di Mantus! Venite un po’ qua ad aiutarmi” ordinò.

“Ma io non ho mai fatto una cosa del genere!” protestò Ihanez.

“Perché, io sì? Non ti lamentare e datti da fare!”.

In teoria, la cosa era semplice. Bastava prendere la magia di Veda e spedirla a Rashnu. Senza che Ogmios la intercetti, senza toglierne troppa da chi l’aveva dentro di sé per non ucciderla e senza disperderla. Il tutto prima che i due combattenti si scagliassero addosso quel colpo. Semplice.

I tre si mossero all’unisono, così come si mosse Rashnu. Fra i resti della torre si alzò un grido unisono, di Rashnu, Ogmios, Veda, Ihanez, Reahu e l’unione dei figli di Mantus. Le campane dei pilastri suonarono nella loro dimora, come animate dall’energia dei loro padroni. Quella di Ogmios si unì. Il loro suono si udì per il mondo intero.

“La tua campana la farò tacere!” gridò Rashnu, percependo l’enorme energia di Veda che lo avvolgeva, in un mescolarsi di luci e voci.

Era la fede. Il credo di coloro che ora pregavano per l’unigenito figlio di Ogmios, il cui attaccò riuscì a respingere quello del padre. Lo scontro fra i due colpi creò un’onda d’urto gigantesca, che distrusse completamente la torre, lasciandone solo pochi sassi. Rashnu era avvolto da quella luce energetica e, quando si affievolì, mostrò a tutti che indossava l’armatura completa di suo padre.

La terra tremava ancora un po’, la campana di Ogmios era caduta e lui era rimaneva immobile, incredulo, a fissare suo figlio. Entrambi a terra, senza più volare, rimasero fermi in silenzio mentre la polvere sollevata si diradava. Gli altri pilastri si erano concentrati per difendere tutti i presenti da quell’onda magica. Reahu si era alzato in volo, creando un’onda contraria. Ihanez, evocando una barriera di molti colori, aveva protetto chi aveva accanto. L’unione di Nirrita e Nirriti si era riparato dietro il roteare della falce. Ma quell’energia era molta e furono costretti a mandare tutti a terra, per poterli salvare. Ora solo Rashnu e Ogmios erano in piedi e si fissavano. La luce del figlio era accecante e la forza che emanava superava di parecchio quella del padre. Ogmios, incredulo, non trovava le parole. La sua armatura era interamente sul suo erede.

“Largo alla nuova generazione” si limitò a dire Rashnu, allungando le dita verso il genitore.

Questi nemmeno se ne accorse. Era debole, tutto ad un tratto. Cadde in avanti, avvolto dalla notte che ormai era calata. La corona, l’oggetto in oro che lo distingueva da ogni suo sottoposto, scivolò via dalla sua capigliatura bianca e rimbalzò più volte. Reahu, alzandosi, la raccolse e la porse a Rashnu, con un inchino. Questi scosse il capo, rifiutandola. Il signore del cielo non capì e lo fissò, mentre si riprendevano i monoclasse ed i colleghi presenti.

“Non ci saranno re nel mio mondo” spiegò Rashnu “Non sarò il vostro capo. Saremo principi. Insieme, alla pari, saremo i principi di questo universo”.

Era sfinito il figlio di Ogmios, così come erano stanchi tutti gli altri. Nirriti e Nirrita si divisero, ora che la battaglia pareva finita. Ihanez si assicurò che entrambi i suoi fratelli stessero bene. Clio corse ad abbracciare Reahu e Rashnu. Guardandosi attorno, però, si accorsero che i monoclasse si fissavano con odio, forse pronti ad affrontarsi di nuovo.

“Ma che combinate?!” sbraitò Gudis, salendo su delle macerie in pietra “Non posso crederci! Nonostante tutto quello che avete visto e sentito, ancora volete combattervi?! Ma non vi è chiaro che la classe migliore non risiede fra stregoni, scienziati e guerrieri, ma fra coloro che ci hanno appena salvati? Questa guerra è nata per stabilire chi fra di noi fosse il più potente ed il più amato da Ogmios. Non trovate che sia assurdo adesso combattere per questo?”.

Nessuno aveva il coraggio di ribattere a quelle parole.

“Parole sagge le tue, Gudis” concordò Rashnu.

“Ma come possiamo convivere?” protestò uno stregone.

“Lo avete sempre fatto, che mi risulti, fino a duecento anni fa” continuò il figlio di Ogmios “Potete benissimo tornare a vivere come all’ora. Siete stati creati per completarvi a vicenda. Insieme, potete vivere in un mondo splendido. Se ogni classe usasse il massimo delle proprie capacità per il bene comune e non per ottenere la supremazia, allora sareste tutti più felici. Non volete un futuro di pace, per i vostri figli? È insensato combattere per stabilire chi è più forte, perché nessuna delle classi è nata per prevalere sull’altra. Perciò, per favore, smettetela. Noi giuriamo di dare il meglio di noi, come signori del mondo, e vorrei davvero tanto che anche voi classi faceste lo stesso”.

“Voi avete sconfitto il nostro capo” si fece avanti uno stregone anziano, rivolgendosi ad Ihanez, che trattenne il fiato ripensandoci “Perciò di fatto siete voi ora che ci guidate. Che pensate di fare?”.

“Io non posso essere il vostro capo” rispose il signore della vita “Il mio ruolo non è quello. Ma se posso io comandarvi di non fare più la guerra, allora è ciò che farò”.

Il capo dei guerrieri, guida dei soldati entrati in quella torre, fece un passo verso lo stregone anziano, allungando la mano. Lo strano sguardo che si scambiarono, lasciò perplesso Rashnu che intervenne. Prese le mani di entrambi e le fece congiungere. Un lampo di luce le circondò, per qualche secondo, ed i sue rappresentanti di classe si sorrisero. Ora mancava solamente il consenso del capo degli scienziati per avere la pace. Rashnu respirò lentamente e, socchiudendo gli occhi, si rilassò. Sarebbe intervenuto personalmente, nel caso ci fossero stati intoppi nelle trattative.

“Signore” lo chiamò Petbe.

Rashnu quasi si stupì nel vederlo lì.

“Signore, ho un favore da chiedere, se è possibile”.

“Chiedi, Petbe”.

“Io non voglio più essere il signore della vendetta. Voglio rinunciare al mio potere”.

“Rinunciarvi? O preferiresti modificarlo?”.

“Lo posso fare?”.

“Questo mondo ha bisogno di speranza, Petbe. Vuoi tu essere il signore della speranza?”.

Il ragazzo non rispose subito, non aspettandosi una proposta simile. Poi chinò il capo, sorridendo, mentre la sua luce mutava per divenire da grigia a verde.

“Andiamo” riprese Rashnu “C’è ancora una faccenda da sbrigare”.

Tutt’attorno a lui ed ai suoi colleghi, le anime di coloro che erano caduti. Quella di suo padre tentava disperatamente di rimpossessarsi del suo corpo. Rashnu chiamò i suoi lupi.

“Non lasciate traccia di lui” ordinò, sapendo che non c’erano molti altri sistemi per impedire alla volontà di Ogmios di tornare.

Lasciò le creature al loro pasto, e richiamò con un gesto tutte le anime a sé. Quella di suo padre era enorme, argentea, e si dimenava infastidita. Ma Rashnu la tenne stretta. Insieme, circondati dai lupi, il gruppetto di abitanti della casa si diresse verso il regno dei morti. In silenzio, ognuno guardando chi aveva perso nello scontro, camminarono fino al ponte Cintvat. Tarhunt lanciò un’ultima occhiata al fratello, prima di attraversarlo, assieme alle altre anime. L’ultima fu quella di Ogmios, alla quale fu riservata una zona apposita degli inferi, per evitare problemi. Ihanez ed il padre si  sorrisero ed il nuovo signore della vita ebbe un’idea. Si voltò verso Reahu per qualche secondo, dirigendo anche verso di lui un sorriso, e si diresse convinto verso il regno dei morti.

“Che fai?” domandò Veda.

“Torno subito” fu la risposta.

Reahu e Rashnu si fissarono. Erano più avanti rispetto al resto del gruppo. Nirriti e Nirrita si erano congedati e stavano rientrando a casa. Clio, Veda e Petbe stavano più indietro, in silenzio. Ihanez riapparve dalle tenebre con una forte luce fra le mani. Era una sfera, che lentamente prendeva forma e si affievoliva, man mano che il signore della vita avanzava.

“Reahu” chiamò “Più volte mi sono chiesto come ringraziarti di tutto ciò che hai fatto per me in questi anni, come mio maestro, ed ora l’ho capito. Vieni”.

Clio sobbalzò. Che Ihanez avesse… Chinò il capo. Era felice per Reahu, anche se questo significava perderlo. Il signore della vita attese che il signore del cielo lo raggiungesse, sul confine fra i due mondi, per scostare la mano e svelare due enormi occhioni chiari. Reahu ricambiò lo sguardo, perplesso, senza capire del tutto. Quella piccola creaturina chi era? Con un ciuffo blu che ricadeva su quel nasino da neonato, incrociò gli occhi del signore del cielo.

“È una bambina” spiegò Ihanez “È tua”.

“Mia?”.

“La nuova vita che tu ed Alinn aspettavate. Non avendo mai avuto un corpo nel mondo dei vivi, ho potuto crearglielo io”.

Reahu rimase momentaneamente senza fiato e poi sorrise. L’allievo praticamente obbligò il maestro a prendere in braccio la neonata. Nessuno alle loro spalle aveva capito quel che era successo. Il signore del cielo, avvolgendo la piccola nei veli dell’armatura e sempre stringendola a sé, si girò e camminò verso i colleghi. Passò oltre a Rashnu, che sorrise, intuendo l’accaduto, e proseguì verso Petbe, Veda e Clio. Si inginocchiò davanti a quest’ultima, che sobbalzò ed arrossì.

“Un bambino?” mormorò, vedendo ciò che Reahu stringeva fra le braccia.

“Bambina. La mia. Ti piace?” sorrise lui.

“È magnifica”.

“Ma ha bisogno di una madre”.

“Già”.

“Clio, mi faresti l’enorme onore di prenderti cura di noi due? Abbiamo entrambi bisogno di te, e sono certo che lei ti amerà tanto quanto io ora amo te”.

Clio rimase immobile, portandosi le mani alla bocca per lo stupore. Poi si inginocchiò ed abbracciò il signore del cielo, ripetendo “Sì” per almeno una decina di volte.

“Grazie” mormorò Reahu, sentendo il viso rigarsi di lacrime per la prima volta dopo quasi duecento anni, ripensando a tutto ciò che aveva perso ed ottenuto.

Rashnu guardò Ihanez, limitandosi a dargli un colpetto sulla spalla. Era strana quella notte. Non si sapeva se gioire o piangere, soffrire o ridere. Ognuno di loro aveva perso qualcuno, ognuno di loro aveva un motivo per star male. Ma avevano anche posto fine ad una guerra. Si guardarono fra loro. Non sapevano bene come reagire, ma sapevano dove guardare: alle loro spalle, il Sole del nuovo mondo stava sorgendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** XVI- Inferno e Paradiso ***


XVI

 

INFERNO E PARADISO

 

“Papà, alzati!” ordinò la bambina, piombando sul letto del genitore con un salto lanciato e finendogli con i piedi sulla schiena “Sono già tutti di sotto”.

Reahu, il padre in questione, mugugnò e gemette, senza far fuoriuscire il capo dal cuscino in cui era sprofondato. Cosa serviva urlare tanto?

“Dai, sbrigati!” insistette la bimba, tirandolo per un braccio.

Aveva sette anni e, com’era tipico della sua età, non capiva il desiderio del genitore di restare a dormire. Ma capì che tirarlo era inutile. Quel pelandrone non si sarebbe mosso. Sbuffò.

“Manchi solo tu!” urlò.

“Sono certo che non è così” biascicò il signore del cielo, rigirandosi come un tricheco in spiaggia.

Lo sguardo della sua piccola era accigliato. La trovò buffa, e ridacchiò.

“Non c’è niente da ridere!” si offese la bimba “Io e la mamma siamo sveglie da ore”.

Reahu rotolò di lato di nuovo. Effettivamente, Clio non era lì a dormire al suo fianco.

“Muoviti, muoviti, muoviti!” insistette la bimba “O lo dico a zio Ihanez”.

“Tremo di terrore al sol pensiero” ghignò il padre, e la piccola tornò a saltargli sulla schiena.

Il signore del cielo, giunto allo sfinimento, si arrese all’evidenza. Si doveva svegliare e basta. Strisciò giù dal letto, avvolto dalle lenzuola.

“Sei inguardabile” notò la figlia, alzando un sopracciglio.

Con i capelli spettinati e le occhiaie, Reahu non se la sentì di darle torto. Ma del resto non aveva ordinato lui la sveglia ad un orario poco congeniale. Si preparò senza troppa cura ed entusiasmo, lasciando la camera a passi strascicati. Sbadigliando, notò che in effetti molti abitanti della casa erano svegli e fermi in quella che un tempo era l’ala dedicata al padre di Rashnu. Ora quello spazio era una sorta di ampio corridoio che accumunava le quattro torri dei quattro pilastri. Nirrita occupava quella nera, mentre la sorella Nirriti risiedeva agli inferi di sua volontà. Reahu fissò Ihanez, tutto sorridente sulla soglia della sua torre bianca. Al suo fianco, Lahar e la loro bambina Alinn, di qualche anno più giovane dell’unigenita di Reahu, alla quale aveva dato il nome di Hennay. Si salutarono con un gesto della testa, non potendosi parlare da un capo all’altro della piccola folla riunitasi. Erano le campane a festa di Rashnu ad averli richiamati lì, e quasi tutti sapevano il perché. Fra loro, Ihanez notò Gudis, divenuto signore degli scienziati, e si fece strada per raggiungerlo. Ovviamente, gli abitanti si scansarono non appena lo videro muoversi. Gesto che il signore della vita non aveva mai preteso, ma che era sempre accaduto. I due fratelli si abbracciarono, iniziandosi a raccontare varie cose successe e ridendo. Aer ed Aura, risvegliatasi rispettivamente come signori della vittoria e delle armi, stavano accanto a Petbe, il loro maestro. Thesan, signora dell’aurora, era riuscita nel suo intento, divenendo la compagna di Egres e sorrideva felice, salutando l’appena svegliato Reahu.

Che atmosfera strana, si ritrovò a pensare il signore del cielo. Ancora non riusciva ad abituarvici. Era stato così immerso nella guerra fin da giovane, che tutti quei sorrisi lo mettevano a disagio e si chiedeva come mai gli altri non provassero la stessa sensazione. Forse perché lui, nonostante la bambina e Clio, ci aveva messo un po’ per placare quel senso di vuoto che la morte del fratello aveva lasciato nel suo animo. Ihanez si era trovato immerso nel senso di colpa, per aver ucciso il padre, ed era stata Lahar, la sua attuale compagna, a fargli capire che non doveva vedere le cose in quel modo. Rashnu, dal canto suo, era assolutamente certo di aver fatto l’unica cosa possibile, la cosa giusta. Reahu si chiedeva spesso se era davvero solo lui a pensarla diversamente, e si chiedeva il perché lo facesse. Perché avere dubbi? La guerra era finita, la gente era felice, la sua famiglia al sicuro. Ma a volte, ripensando a tutto ciò che era stato costretto a subire, una voce nella mente gli diceva che parte del pensiero di Ogmios non era scorretto. Si scosse. La sua bimba voleva essere presa in braccio, per non perdersi fra la gente. Clio era lì, e lo salutò con un “buongiorno pigrone”.

“Non sono un pigrone” ghignò “Io lavoro, sai?”.

“Lo so, lo so. Scherzavo”.

“Lo so”.

“Allora, stellina, sei pronto?” domandò Ihanez, trullallando allegramente per la sala e facendo spostare gli altri a suo piacimento.

“E per che cosa?” domandò Reahu.

“Oh, lo sai! Sai perché siamo qui”.

“Ovvio, ma non sono io quello che dev’essere pronto. Io ho già dato”.

“Tutto merito mio. La tua bambina, è tutto merito mio”.

“Se non ricordo male, sono stato io a far sì che fosse concepita”.

“Sì, ma poi a tutto il resto ho pensato io”.

“Ma non penso proprio!”.

“Il tuo lavoro è stato minimo, amico”.

“Ma senti questo…”.

“Che intende dire, papà?” domandò la piccola del cielo, sulle spalle del padre e con le mani immerse fra i suoi capelli blu.

“Niente” si affrettò a dire Reahu, trovando inopportuno parlare di concepimento ad una bambina di sette anni.

“Mai pensato di averne un altro?” riprese Ihanez.

“Senti, tizio della vita, una come lei vale per otto. Fa tanto di quel casino, che mi sembra di essere il padre di un esercito, non di una creatura sola”.

“Che esagerato”.

“Fanne tu di altri. La vita la rappresenti tu, non io”.

“Ci stavamo proprio pensando, ma dobbiamo riflettere. Non so se un secondo figlio possa in qualche modo interferire con la faccenda degli unigeniti”.

“Le decidiamo noi le interferenze, no? Decidiamo del destino del mondo e non del nostro?”.

“Ti do ragione”.

“Papà” chiamò Hennay “Dov’è zia Veda? E zio Rashnu?”.

“Arrivano subito, tranquilla. E, Ihanez, a proposito di figli, dovresti andare a rompere le scatole a Nirriti e Nirrita, non a me!”.

“Ma loro sono giovani ancora”.

“Non è vero! Tu sei più giovane di loro”.

“Sì, è vero, ma mamma diceva sempre che ero frettoloso”.

Si guardarono e risero. La porta della torre oro si stava aprendo e Rashnu faceva capolino, quasi timidamente, sovrastando i presenti per pochi scalini. In braccio, stringeva un esagitato mucchietto di stracci che si dimenava come un gattino.

“Vivace, la creatura” mormorò Gudis “Come sua madre”.

Rashnu scostò un po’ quegli stracci, mostrano uno sguardo chiaro ed un ciuffo di capelli verdi che già tentavano di imitare la tipica forma a palma di quelli di Rashnu.

“Una femmina” parlò proprio Rashnu “È una femmina”.

Figlia sua e di Veda, il signore dai capelli verdi la mostrò con orgoglio.

“Veda sta bene” aggiunse, per rassicurare i fratelli della sua sposa, Gudis e Ihanez.

“A quanto pare…” commentò Reahu “…la nuova generazione sarà femmina”.

“Bene, mi piace” sorrise Ihanez, guardando sua figlia.

Quella bambina, dai capelli arancioni e lo sguardo scuro della madre, un giorno avrebbe preso il suo posto. Così come la creatura arrampicata e seminascosta fra i capelli del signore del cielo avrebbe acquisito il potere del padre. Ed ora era arrivata anche l’erede di Rashnu. La figlia di quel dio dallo sguardo da fanciullo, nata in un mondo di pace e sorrisi.

 

   

 

Oltrepassando la cappa di tenebre che avvolgeva alcuni stretti corridoi, si apriva un’immensa sala al cui centro zampillava una fontana d’acqua limpida e scintillante. Dal soffitto e dal pavimento, stalagmiti e stalattiti di cristalli colorati riflettevano le migliaia di luci argentee che rendevano il soffitto simile alla volta del cielo. Fra le volte, sospesa nel buio, una sfera nera conteneva l’animo di Ogmios, che lanciava scintille. Quella era la sala degli inferi riservata agli antichi signori. La musica e le luci rendevano gradevole la permanenza, interrotta però continuamente dai continui lamenti del prigioniero nella bolla.

“Chiudi la bocca, Ogmios!” sbottò Ipalnemoa.

Il passato signore della vita cercava di rilassarsi, in quell’angolo del regno dei morti, ma il borbottio sommesso e continuo del collega rendeva la cosa difficile. Poco più in la, Onyame e Mantus osservavano la nuova arrivata nella famiglia attraverso una sfera azzurra.

“Non dovresti lamentarti tanto” lo rimproverò Onyame, sentendo che Ogmios non accennava a far silenzio “Oggi sei diventato nonno, vedi?”.

Si udì un ringhio, e poi il borbottio riprese. Gli antichi signori sospirarono. Nirriti, la padrona di casa, aveva proposto loro più volte di occupare un luogo diverso degli inferi, tranquillo, ma loro avevano sempre rifiutato. Erano una famiglia e, qualsiasi cosa avesse fatto Ogmios, non se la sentivano di abbandonarlo da solo in un angolo di buio.

“Se la cavano bene i nostri eredi” commentò Mantus.

“Concordo” annuì l’antico signore del cielo.

Lì accanto, Tarhunt ed Akerbeltz stavano giocando a carte. Videro di sfuggita Ipalnemoa alzarsi e dirigersi verso la sfera dove Ogmios era rinchiuso.

“Smettila di borbottare” ordinò “La colpa è tua. Sei lì dentro, perché te la sei cercata”.

“Tu lo sai che io avevo ragione. Questo mondo non meritava di essere salvato”.

“Smettila! Vincendo, tuo figlio ti ha dimostrato il contrario”.

“E credi sarà sempre così? Pensi davvero possa resistere questo periodo di pace e risatine sceme?”.

“Sei il solito menagramo”.

“Ragiona: i nostri figli sono nati migliaia di anni dopo la nostra venuta. Com’è che le loro creature sono già a questo mondo, così presto? Questo per te non è indice che il destino dei tanto acclamati unigeniti non sarà poi così roseo e lungo?”.

“Che intendi dire?”.

“Intendo dire che gli unigeniti nascono non quando lo si decide ma quando è giusto che accada. O almeno così tu mi hai sempre detto”.

“Rashnu ci ha messo duemila anni prima di risvegliarsi. Accadrà lo stesso con queste bambine”.

“Ne sei sicuro? Ti ricordo che io ho combattuto parecchio per mantenere il mio ruolo e non farlo svegliare. Contrariamente a quanto fatto da te. E Ihanez a poco più di trent’anni era pronto”.

“Non esistono regole fisse a riguardo”.

“Te lo dico io. Fidati di me, quei tre, coloro che già hanno un’erede, non dureranno a lungo”.

“Beh, tu non potrai di certo interferire con la loro vita”.

“Non ne ho bisogno. Questo mondo non necessita di un aiuto per distruggersi”.

“Finiscila! Sei noioso!”.

“Sono realista. Io lo sento. Sento che l’odio non è svanito, la paura ed i dubbi si insinuano in ogni mente. Non riusciranno a reprimere in eterno queste voci. Un giorno, vedrai, esploderanno”.

Ipalnemoa lo fissò, accigliato. Certi discorsi non li sopportava. Lui si fidava di suo figlio Ihanez, come credeva nelle capacità di Rashnu, Reahu e dei gemelli di Mantus. Avevano lottato duramente per ottenere ciò che ora possedevano e la nascita delle bambine era un evento lieto, non un motivo di preoccupazione. Su questo non aveva dubbi. Ignorò Ogmios e si diresse verso gli altri suoi colleghi, unendosi al gioco di carte. L’antico signore, dall’interno della sua bolla, rise. Sciocche e patetiche essenze, che credevano nella pace eterna ed in altre stronzate simili! Presto i pilastri si sarebbero indeboliti, con il crescere delle loro figlie con i loro poteri. Ed allora come credevano di mantenere sotto controllo tutto l’odio che serpeggiava nell’animo di quelle creature imperfette e monoclasse? E come potevano pretendere di tenere sotto controllo lui, Ogmios, l’unico e solo vero dio? Rashnu era assolutamente certo di riuscirci, di sapere come prendersi cura dell’universo, con il sostegno degli altri pilastri, ma non aveva idea di ciò che realmente lo attendeva. Presto o tardi, Ogmios ne era certo, si sarebbe ritrovato con l’acqua alla gola. Svanite le certezze, sarebbe anche svanito quel sorrisetto felice che ultimamente aveva sempre stampato in faccia. Il ghigno di Ogmios, al contrario, pure di quello era certo, si sarebbe solamente allargato ulteriormente. Lui aveva ragione, ne era sicuro. E presto tutti lo avrebbero visto. Sfiorò la sfera con le dita ed una potente scossa lo ricacciò indietro. Ringhiò. Il potere di coloro che lo avevano imprigionato era ancora forte, molto forte. Ma non sarebbe stato così per sempre. Già vedeva quella superficie incrinarsi ed il suo animo liberarsi, in cerca di un corpo in grado di ospitare la sua vendetta.

Già lo vedeva.

“Aspettami, Rashnu” mormorò, con la sua voce profonda e spaventosa “Godetevi la vostra felicità, primogeniti. Tornerò, è una promessa”.

 

 

Premetto: questa storia è stata uno spasso da scrivere e ci ho fatto anche un sacco di disegni (sono caricati su fb e devianart, cercate Frirry). Sono affezionata a più di qualche OC di questo racconto e spero che anche fra qualche lettore possa sbocciare “l’amore” per i miei “piccoli”. Fatemi sapere cosa ne pensate. A presto ;)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3100417