Tomorrow's Red Fraction

di f9v5
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovo incarico per i mercenari. ***
Capitolo 2: *** La distruzione del liceo Jindai. ***
Capitolo 3: *** Il rapimento della Whispered! ***
Capitolo 4: *** Movimenti nelle retrovie. ***
Capitolo 5: *** Roanapur ***
Capitolo 6: *** Ritrovo allo Yellow Flag. ***
Capitolo 7: *** Colui che brama il Potere! ***
Capitolo 8: *** Lotta e inseguimento. ***
Capitolo 9: *** Missione compiuta: consegna della Whispered ultimata! ***
Capitolo 10: *** Per raggiungere i propri obbiettivi! (Parte 1) ***
Capitolo 11: *** Per raggiungere i propri obbiettivi! (Parte 2) ***
Capitolo 12: *** Oltre la linea: chi va e chi resta. ***



Capitolo 1
*** Nuovo incarico per i mercenari. ***


-Whispered?! Black Technology?! Ci stai prendendo per il culo o cosa?- sbottò furiosa la donna.

Chiunque conoscesse Revy sapeva bene che la ragazza fosse in possesso di una pazienza non molto alta e farla arrabbiare quasi sicuramente avrebbe portato ad un poco piacevole incontro con le sue onnipresenti Sword Cutlass.

L’unica ragione per cui le due armi non erano ancora state sfoderate era la valigia piena di soldi che faceva bella mostra di sé sul tavolino della sede della Lagoon.

Inutile dire che quella motivazione (unità alle occhiatacce di Dutch) fu più che sufficiente per convincere la pistolera a tenere a freno i bollenti spiriti, per quanto la lingua fosse stata lasciata a manetta e libera di dire cosa la sua proprietaria pensasse di quanto aveva sentito.

Rock, seduto sul divano accanto alla collega, ebbe un groppo in gola accompagnato dal crescente desiderio di prendere le distanze da lei.

Dutch manteneva la solita professionalità che lo contraddistingueva e riservò un’occhiata al loro “cliente”.

-Dunque, ricapitolando in breve: lei intende ingaggiarci per il rapimento di una persona, una Whispered, una persona nel cui cervello sono presenti nozioni di tecnologia avanzata che, se studiate, permetterebbero la creazione di armi talmente efficienti da rendere obsoleta persino l’energia nucleare.- riassunse il capo dell’organizzazione mercenaria con serietà.

Benny e Rock si limitavano ad ascoltare, col primo che si sentì particolarmente toccato dall’argomento in questione, in quanto appassionato d’informatica una simile scoperta fece schizzare in alto il suo interesse.

L’interlocutore del gruppo sorrise accomodante, lasciando che un fiotto di fumo uscisse dalle sue labbra mentre reggeva il suo sigaro tra le dita.

-Vedo che il concetto è chiaro.-

L’uomo estrasse una fotografia da una delle tante tasche del lungo cappotto per poggiarla sul tavolino.

-Questo è il soggetto in questione.-

Una ragazza che, a giudicare dall’aspetto, doveva essere adolescente.

Revy sbuffò.

-Accidenti, come se non fosse già capitato di avere a che fare con ragazzini rompicoglioni.- il ricordo del giovane Garcia Lovelace si presentò per un attimo nella mente dei membri della Lagoon, ma a parte Rock nessuno provò quella che dei comuni esseri umani avrebbero chiamato “Nostalgia”.

-Kaname Chidori, 17 anni, studentessa del Liceo Jindai a Tokyo.-

Dutch prese la foto per squadrarla con attenzione colei che avrebbero eventualmente dovuto rapire: apparentemente sembrava una comunissima ragazza, non certo la “Custode di grandi segreti bellici” come era stata presentata.

Non che al possente uomo di colore la cosa importasse; poteva essere una Whispered o una persona come tante altre, quello che importava a lui era che l’incarico venisse ben retribuito.

E a giudicare dal contenuto della valigetta sul tavolino quella condizione era stata ben esaudita.

Il cliente, immaginando di non avere più nulla da dire, si alzò dal divano.

-Molto bene signori, direi che l’affare è fatto. Una volta portato a termine il rapimento, contattatemi a questo numero, a quel punto provvederò a comunicarvi il luogo della “consegna”. lasciò un biglietto sul tavolino e prese la direzione dell'uscita-

L’enorme manona di Dutch bloccò la porta.

-Chiedo perdono per l’irruenza, ma gradirei sapere il nome di chi mi ingaggia.- nessun’educazione nelle parole dell’uomo, condite però di seria professionalità.

Il suo interlocutore si passò una mano sui corti capelli marroni prima di sorridere con falsa condiscenda.

-Cliff. Rowan Cliff.- e con un ultimo sbuffo di fumo uscì.

Dopo pochi secondi il silenzio tornò a regnare nell’appartamento.

Rock percepì tuttavia un’aria diversa, più pesante.

Dutch lanciò un’occhiata complice a Benny; l’esperto di informatica della Lagoon afferrò il messaggio silenzioso del suo capo e si fiondò nella sua stanza per effettuare le dovute ricerche.

Poco dopo il leader del gruppo si stravaccò sul divano con un sorrisetto astuto.

-Quello lì è un fottuto bastardo! Bisogna riconoscere che non è nuovo a questo genere di cose, ma evidentemente non ha ancora capito come funzionano le cose qui a Roanapur.- concluse accendendosi una sigaretta.

-Dunque, che facciamo?- chiese Revy aggrottando le sopracciglia e gettando un’occhiata al gruzzolo che era stato usato per assumerli; di sicuro le sarebbe dispiaciuto perdere tutta quella grana, anche se persino lei giudicava esagerata quella quantità di denaro per un incarico che, apparentemente, per gente come loro equivaleva e bere un bicchier d’acqua.

-Beh, ci ha assunti per rapire una persona ed è quello che faremo. Se poi scopriremo che davvero sta nascondendo qualcosa… si renderà conto di che errore madornale sia stato farci incazzare.- concluse il discorso.

Rock non proferì parola.

Le cose a Roanapur, d’altronde, funzionavano in quella maniera, ormai ci aveva fatto l’abitudine: in quella città dimenticata da Dio dove l’illegalità era di casa non ci si poteva fidare di nessuno.

Sospirò, l’ex impiegato, non era certo il momento per i rimpianti del passato, ormai ci era dentro da troppi mesi per averne.

-Rock, Revy…- la voce autoritaria di Dutch attirò l’attenzione dei due.

-Preparate le valige: partite per Tokyo!-

Un’ultima occhiata alla foto del loro obbiettivo da parte dell’uomo; qualcosa gli diceva che c’era più di quanto sembrasse dietro quella ragazza.

Il suo secondo ritorno in patria avrebbe portato solo guai, se lo sentiva.

 

 

 

Kaname Chidori non era mai stata una ragazza che dava troppo peso alle credenze religiose, ma negli ultimi tempi stava cominciando a considerare l’idea che esse fossero vere… e che fossero delle infami.

Cosa diceva il Karma? Che ciò che ci accadrà in futuro dipende dal nostro comportamento passato.

Cosa diceva la Reincarnazione? Che alla morte del corpo l’anima sarebbe rinata in un corpo nuovo, perdendo i ricordi della vita precedente.

-Tutte sciocchezze.- avrebbe detto in passato.

Ma nel presente si era ormai convinta che entrambe quelle credenze si fossero accanite, e con particolare veemenza anche, su di lei.

Altrimenti non si spiegava come mai “Lui”, quel guerrafondaio che si credeva perennemente coinvolto in un conflitto armato, fosse entrato nella sua vita.

La sua amica Kyoko avrebbe optato piuttosto per un incontro voluto dal destino… tutte balle.

Sosuke Sagara era la punizione inviatale contro dal karma per punirla dei peccati da lei commessi in una sua vita precedente.

E allora perché quel giorno non era ancora successo nulla?

“Che noia oggi.” Pensò distrattamente la ragazza, non riuscendo a prestare attenzione alla lezione.

Gettò un’occhiata alla causa dei suoi attacchi isterici: Sagara era seduto al suo banco che prendeva appunti, sembrava seriamente concentrato sul discorso della professoressa Kagurazaka.

Normale, troppo normale, per questo era sospetto.

O magari, volendo guardare le cose in maniera più semplicistica, quel giorno il ragazzo si stava davvero impegnando a vivere almeno un giorno da studente normale.

Kaname si lasciò scappare un lieve sorriso.

Se ripensava ai primi tempi, quando Sagara scattava sull’attenti a quello che a sua detta era un segnale di pericolo praticamente ogni cinque minuti, le veniva quasi nostalgia.

Apprezzava molto che ci stesse davvero provando.

Poi Sagara chiuse il quaderno di botto e il suo sguardo divenne quasi tagliente e un campanello d’allarme suonò nella mente della ragazza; era entrato in modalità bellica.

Il rimbombo di un’esplosione giunse presto alle orecchie di tutto l’istituto, attirando l’attenzione di tutti.

Tra lo stupore generale, due sole facce sembravano non mostrare alcun cenno di meraviglia: Sosuke Sagara, che manteneva il solito sguardo concentrato, e Kaname Chidori, che sembrava aver preso in prestito le zanne e gli occhi rossi di un demone, che aveva già preso il ventaglio in mano e si stava avvicinando minacciosamente.

 

 

 

-Sei un caso perso!- dichiarò Kaname scuotendo la testa.

-Quel tizio aveva un’aria sospetta, credevo stesse trasportando materiale esplosivo per distruggere l’edificio scolastico.- replicò il ragazzo, massaggiandosi il bernoccolo che faceva capolino sulla sua testa.

-Era solo il fattorino che si occupa del trasporto del materiale. Sei tornato si e no da tre giorni ma non ci hai messo molto a farlo notare.- concluse esasperata la ragazza.

Quello che poi la faceva star peggio era la consapevolezza che per quella giornata le cose potevano anche non aver incontrato l’epilogo.

Sagara continuava a squadrare ogni angolo, ogni persona, ogni oggetto che incrociavano lungo la strada per i rispettivi appartamenti con occhio indagatore, quasi certamente aspettandosi un attacco o roba simile da un momento all’altro.

La ragazza potè solo sospirare, ma aveva sentito davvero molto la mancanza di quel folle e delle sue fissazioni a sfondo bellico.

In quei giorni in cui Sagara non c’era si era sentita dentro ad un incubo nella realtà.

Perseguitata dal sentore costante di essere osservata da uno sguardo che non era quello del sergente della Mithril, la ragazza aveva passato dei giorni infernali che avrebbe fatto di tutto per dimenticare, pur sapendo a priori che tali ricordi sarebbero sempre stati impressi nella sua mente.

Lo sguardo di Sagara puntò un operaio che stava lavorando in un cantiere.

-Quel tipo ha un’espressione sospetta.-

Tentati omicidi e baci rubati vennero presto soppiantati da ventagli e maledizioni, tutti indirizzati nei confronti di un’unica persona.

-Dacci un taglio! Qui nessuno sta tentando di farti fuori.-

-Ma quell’individuo…-

Kaname non gli lasciò completare la frase, lo stese prontamente con un colpo di ventaglio in testa e lo trascinò per una gamba, dopo aver scartato l’iniziale ipotesi di lasciarlo lì in mezzo alla strada.

-Sei solo un fissato un fissato che si crede sempre in guerra.- decretò infine la ragazza, trascinandosi dietro il peso fisico del ragazzo e quello mentale di saperlo di nuovo parte della sua vita.

Dentro di se sorrise felice; se quello era un peso, era il più dolce che avrebbe mai potuto sorreggere.

 

 

Colui che una volta era conosciuto come Rokuro Okajima varco le porte dell’aeroporto di Tokyo con un misto di nostalgia e preoccupazione.

Non poteva negare che gli facesse piacere mettere piede nella sua terra natia (per la seconda volta da quando si era unito alla Lagoon), i ricordi dei suoi trascorsi si facevano sempre vividi, seppur non fossero esattamente felici.

Sbronze per compiacere i superiori e una vita ordinaria, fin troppo, erano ormai argomento del passato su cui poche volte gli capitava di concentrarsi e neanche con una traccia di pentimento.

Si, non rimpiangeva minimamente quel radicale cambio del suo stile di vita che l’aveva visto diventare, da banale impiegato, un qualsiasi signor “Nessuno”, a “Rock”, membro della Lagoon Company.

E non era appunto il caso di lasciarsi andare a inutili rivanghi del tempo ormai trascorso (o come avrebbe detto Revy, cazzate nostalgiche), erano lì per lavoro.

Un lavoro non esattamente pulito, non esattamente in norma con la legge (ma d’altronde, quando mai un incarico svolto dalla Lagoon andava a braccetto con quelli restrizioni raggruppate sotto il nome di “Legge”?), ma era pur sempre un lavoro.

Anche se ci aveva intravisto qualcosa di diverso rispetto ad altri lavori che il gruppo aveva accettato in passato.

Dutch era sempre stato quello più esperto a scovare gli inganni e se l’imponente uomo di colore non ci vedeva chiaro su una faccenda era sempre perché c’erano troppi dettagli celati o troppe informazioni date di proposito.

Ma gli ordini erano stati chiari, attenersi all’accordo stipulato.

Rock avrebbe davvero voluto capire cosa passava per la testa del suo capo, ma i contorti pensieri e i ricordi non proprio felici che albergavano nelle menti dei suoi colleghi, certamente relegati in qualche misterioso anfratto del loro cervello di cui si erano accertati di chiuderlo bene e buttare via la chiave, erano contornati da qualcosa di troppo oscuro perché lui, cresciuto in maniera troppo ordinaria, potesse capirli, o peggio, sopportarli.

Quindi era inutile stare a rimuginare, bisognava solo fare quello che c’era da fare.

-E io che speravo di non metterci più piede in questo schifo di paese, già una volta era stata abbastanza.- commentò Revy al suo fianco.

-Beh, il lavoro è sempre lavoro. E siamo anche stati pagati in anticipo. Quindi non vedo perché lamentarsi.- Rock pregò dentro di sé che la collega non perdesse le staffe.

I due compagni stavano uscendo in quel momento dall’aeroporto di Narita.

Come al solito eludere le frontiere era un gioco da ragazzi, qualche bustarella, opportuni documenti falsi ed eccoli di nuovo a calpestare il suolo del paese del Sol Levante.

-Che palle! Vediamo di non metterci troppi giorni con questa cosa. Sarà una vera rottura!- dichiarò infine la donna accendendosi una sigaretta, presto imitata dal collega.

Si preannunciava, almeno per lei, come una delle missioni più noiose che le fossero mai toccate; rapire, una mocciosa, dov’era il divertimento senza una bella sparatoria piena di coglioni da bucherellare a suon di proiettili e imprecazioni che volavano?

Rock temeva invece che le cose fossero più complicate di quanto l’apparenza lasciasse credere.

In tutta sincerità, sperava di sbagliarsi e che il suo non fosse nulla di più che un presentimento.

Uno sbuffo di fumo e si incamminarono.

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Allora, salve a tutti, qui è F9v5!

Benvenuti nel primo capitolo di questa mia folle idea… folle è il fatto che io abbia una saga da portare avanti e che la metta in pausa per dedicarmi a questo Crossover, ma avevo detto che l’avrei fatto quindi.

Comunque, come avrete capito (e considerando che l’ho detto anche nella presentazione mi sorprenderei del contrario) i personaggi protagonisti  in questione sono quei simpatici folli di “Full Metal Panic” e quegli “innocui” fattorini che ogni tanto hanno problemi con la legge della Lagoon Company.

Diciamo che era da un bel po’ che quest’idea albergava nel mio folle cervello, incredibile ma sono riuscito a non perderla in qualche oscuro anfratto della mia mente dal quale non sarebbe più uscita e ho deciso di cominciare a scrivere. (e pensare che questo pensiero è nato dalla semplice constatazione che, nella versione italiana, Kaname e Revy hanno la stessa doppiatrice)

Ovviamente ci sono molte cose ancora poco chiare, come chi sia il cliente della Lagoon, come conosca gli Whispered e tanto altro, ma tutto avrà risposta.

Tuttavia non penso che la storia si prenderà troppi capitoli, la mia idea è di creare quello che, dal punto di vista degli anime, sarebbe più un film, quindi, sempre parlando per via ipotetica, questa long non dovrebbe prendersi più di 10 capitoli; ribadisco che sto solo ipotizzando.

Beh, chi vivrà vedrà.

Alla prossima.

 

Ps: il titolo della long è un’unione delle opening dei due anime: “Tomorrow” (Full Metal Panic) e “Red Fraction” (Black Lagoon)

 

 

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Capitolo 2
*** La distruzione del liceo Jindai. ***


Rowan Cliff si accomodò sulla poltrona dello studio e si accese un sigaro.

-È certo che sia stata una mossa saggia presentarsi di persona, capo?- dalle ombre che occupavano la stanza uscì un’imponente massa.

Rowan prese il sigaro tra le mani e abbandonò il morbido cuoio della sua postazione avvicinandosi all’unica finestra della stanza, alzando le tapparelle così che un po’ di luce occupasse il suo campo visivo, anche se lo faceva più per scacciare la puzza di fumo che altrimenti avrebbe permeato troppo a lungo li dentro.

Diede solo una rapida occhiata allo squallido paesaggio della città di Roanapur, prima di allontanarsi e tornare alla sua postazione.

-Questa città è un porcile, Nick! Anche attività banali e quotidiane come affacciarsi ad una finestra possono portarti ad un incontro con la morte. Qui si uccide per tutto e per niente.-

-Da quanto mi ha detto, anche nella sua precedente organizzazione vi erano delle leggi molto ferree che non rendevano la situazione idilliaca, se non sbaglio.-

Un altro sbuffo di fumo da parte dell’uomo in cappotto.

-Diciamo solo che… i fallimenti non erano molto graditi.- non c’era rimorso o nostalgia nella sua voce, quanto piuttosto una ben celata rabbia e frustrazione.

-Ma d’altronde non ha alcun senso rimembrare certi fatti. Ho abbandonato quel gruppo per ragioni personali.-

Il possente uomo chiamato Nick assottigliò leggermente gli occhi, la sua domanda non aveva ancora avuto risposta e aveva scalato abbastanza le gerarchie della loro organizzazione da permettersi di farlo notare.

-Non mi ha ancora detto perché ha scelto di presentarsi di persona ai membri della Lagoon per commissionargli l’incarico.-

-In realtà è più semplice di quanto sembri.- l’uomo si passò una mano tra i corti capelli castani e poggiò il sigaro sul posacenere appositamente messo sulla sua scrivania. -In questa fogna vige la tacita regola che non ci si può fidare di nessuno, figurarsi di quelli che, come noi, non si sono mai visti qui intorno. Se mi fossi limitato ad inviare uno dei miei sottoposti avrei creato sospetti. Presentandomi di persona ho fatto si di creare intorno a me un’aura di grande sicurezza, abbastanza da far pensare loro di non aver nulla da nascondere. E anche se alla fine dovessero venirgli dubbi a mio riguardo, a quel punto noi non saremo più qui.-

Nick si limitò ad annuire, un’idea semplice ma efficace.

-Quindi, a conti fatti, tutto quello che dobbiamo fare è aspettare.-

Rowan riprese il suo sigaro, fissando il vuoto con perversa luce negli occhi neri.

-Esattamente.-

 

 

 

In certi momenti Kaname si chiedeva se davvero Sagara fosse un fissato che si credeva sempre in guerra o piuttosto un bambino capriccioso che faceva tutto alla perfezione per soddisfare inconsciamente il suo ego.

Perché nell’osservarlo lì nel cortile a correre al fianco di Tsubaki (una delle loro assurde sfide prive di senso) non riusciva a vederlo come il sergente di un’organizzazione mercenaria inviato lì a Tokyo per proteggerla, quanto piuttosto come un bambino intrappolato in un corpo troppo grande per lui.

D’altronde era quello, che erano soliti fare i bambini: intrattenersi in giochi e discussioni che gli adulti tendevano troppo superficialmente a giudicare puerili e un po’ sciocchi, cose da bambini avrebbero detto.

Eppure Kaname aveva l’impressione che quelle azioni stupide e bambinesche nascondessero ben di più, era attraverso esse, dopo tutto, che tra i bambini si stabilivano quei legami sinceri che, se sinceri lo erano davvero, rimanevano saldi per tutta la vita.

Per questo le venne spontaneo sorridere nell’osservare quella scena; era come se Sagara stesse inconsapevolmente vivendo quell’infanzia che guerre e conflitti gli avevano negato ingiustamente.

Forse lui neanche se ne rendeva conto, ma stava mostrando dei lati di se che probabilmente ignorava d’avere.

-Certo che Sagara è cambiato in questi mesi, non credi anche tu piccola Kana?- fu la domanda di Kyoko.

Solo in quel momento la ragazza si rese conto che anche la sua migliore amica stava osservando la scena in cortile.

-Voglio dire, io non credo che all’inizio lo avremmo mai visto così “intimo” con qualcuno, eppure a vederlo adesso non si può non notare quanto lui e Tsubaki siano diventati amici.-

-Credimi, è lui l’unico che non l’ha capito. Considerate le sue fisse militari, se glielo facessi notare sarebbe perfettamente capace di giustificare la cosa dicendo: “Un bravo soldato deve sempre mantenersi in forma così che i suoi sensi siano pronti a reagire ad ogni stimolo esterno”.- assumendo una postura rigida, con le mani rigorosamente unite dietro la schiena, la ragazza scimmiottò comicamente il bizzarro comportamento del ragazzo.

Le due risero insieme.

-Beh, sarà il caso che vada a richiamare quei due, tra breve cominceranno le lezioni.- e già stringeva l’harisen tra le mani, fremente dal desiderio di calarlo con “gentilezza” sulla testa di Sagara al minimo cenno di rappresaglia.

Uscendo dall’aula urtò leggermente un inserviente, non lo vide bene in faccia ma sembrava fosse nuovo.

-Mi scusi.- si giustificò in fretta prima di ritornare sui suoi passi.

L’uomo si calò il berretto e sospirò.

-Ok, evitiamo di dare nell’occhio.- lanciò un’occhiata alla ragazza che lo aveva appena superato.

Provò sincero dispiacere.

 

 

 

Sigaretta tra le labbra e sguardo annoiato perso tra le poche nubi che passavano  indisturbate per il cielo di Tokyo.

-Che palle!- sbottò Revy.

Se c’era una cosa che proprio odiava quella era la mancanza d’azione e quella missione non prometteva scintille fin dall’inizio.

Quella settimana aveva dato loro solo analisi dettagliate delle informazioni sul soggetto da rapire (fatte pervenir loro da Benny; l’ebreo era senza dubbio il migliore del gruppo quando si trattava di stare con le dita affondate in una tastiera) e pedinamenti a debita distanza per evitare di attirare l’attenzione o destare sospetti (a detta di Revy, Rock non sarebbe stato capace di farsi notare neanche se avesse voluto; ragion per cui se ne occupava lui), così da studiare un piano d’attacco che ben s’addicesse alla situazione.

La donna gettò un’occhiata alle Sword Cutlass lasciate sul letto matrimoniale della camera d’albergo in cui lei e il collega stavano temporaneamente alloggiando (quegli idioti della reception dovevano averli scambiati per una fottuta coppietta; per piacere); rigorosamente dentro al fodero e neanche un’occasione per far fumare le loro volate.

Quasi quasi  rimpiangeva di essersele fatte spedire, ma col cavolo che avrebbe preso parte ad un incarico senza le sue pistole e, se doveva dirla tutta, la donna delle pulizie che era passata poco prima le stava abbastanza sulle scatole, se fosse capitata lì di nuovo avrebbe anche potuto mandare al diavolo il non attirare l’attenzione e scaricarle addosso il caricatore di entrambe.

Una volta finita la sigaretta, la donna si spaparanzò in maniera totalmente sgraziata sul suo lato di letto, ma a giudicare dal fatto che ogni mattina Rock si ritrovava a “baciare” il pavimento si poteva affermare tranquillamente che Revy avesse dichiarato di sua proprietà anche l’altra metà e che, durante la notte, la facesse valere.

Con uno sbuffo esagerato e per nulla femminile (gli unici casi in cui l’aggettivo femminile poteva essere accostato a Revy era quando si trattava del suo corpo, ma se l’argomento erano i suoi modi fare non lo si sarebbe mai potuto sentire) la donna si rimise in piedi ed entrò in bagno, tentata dall’idea di un doccia, non tanto per vero e proprio bisogno igienico quanto piuttosto per placare il suo desiderio di uccidere ammazzando il tempo; non la consolava granché, e doveva ammettere che come battuta faceva anche schifo.

Ragion per cui, quando tornò nella loro stanza d’albergo, Rock sentì lo scrosciare dell’acqua provenire dal bagno.

-Mi sono occupato di piazzare le cariche.- alzò la voce per esser certo che la compagna lo sentisse.

Pochi minuti dopo Revy uscì dal bagno con indosso solo l’intimo, consapevole che tanto Rock non si sarebbe permesso di fare commenti per paura di venire castrato (la minaccia era sempre valida).

Non che per lui fosse facile; tralasciando i modi di fare da scaricatore di porto (per usare un eufemismo), Revy era pur sempre una donna.

Per quanto ci provasse non riusciva, saltuariamente, a trattenersi dal lanciarle occhiate e deglutire per mantenere la calma.

Accidenti a lei, a quel corpo che si ritrovava e al fatto che fosse consapevole che non avrebbe mai fatto o detto niente; certe volte credeva che si lasciasse vedere in quel modo da lui apposta per torturarlo psicologicamente.

-Allora direi che è il caso di fare un po’ di botti. Fammi indovinare…- lanciò un’occhiata all’orologio che segnava le quattro di pomeriggio -sei tornato adesso di proposito. Rock, te l’avrò già detto cento e più volte che il nostro non è un lavoro dove si hanno scrupoli.-

-Beh, non rientra nell’incarico fare vittime, quindi pensavo che non ci fosse nulla di male nell’aspettare la fine delle lezioni.-

Altro sospiro da parte di Revy; dopo tutto Rock stava… dall’altra parte.

La donna decise che era meglio lasciar perdere; allungò la mano in direzione del collega che recepì all’istante il segnale e le passò un piccolo telecomando rettangolare dove svettava un unico e grande pulsante rosso circolare.

Rock deglutì, Revy non battè ciglio e non provò niente, aveva fatto di peggio.

-Boom!-

 

 

 

Kaname spense la televisione con sguardo scioccato.

I suoi occhi, seri e impazienti, puntarono Sagara, che aveva chiamato di corsa a casa sua non appena aveva scoperto la cosa.

-Te lo chiederò solo una volta e ti prego di essere sincero: è opera tua ma ti è sfuggito il controllo della situazione?-

Il telegiornale aveva dato la notizia pochi minuti primi: quel pomeriggio un’intera sezione del liceo Jindai era saltata in aria a causa di una forte esplosione.

La polizia, entrata in azione il più in fretta possibile, brancolava nel buio; per fortuna quella sezione dell’istituto era completamente vuota, nessun morto e nessun ferito.

Ma nessuno sapeva come interpretare la cosa: dai tragici ottimisti che la vedevano solo come una burla di qualche delinquente di poco conto (ma era ovvio che un esplosivo del genere non potesse essere in possesso di qualcuno con le tasche vuote o di qualcuno “esperto” nel settore che sapesse dove procurarselo)a chi temeva fosse l’avviso di un futuro attacco terroristico su vasta scala.

Per varie ragioni personali, Kaname in fondo pregava che Sagara le rispondesse positivamente; avrebbe preferito di gran lunga che si trattasse semplicemente di un “incidente di percorso” del ragazzo dove nessuno ci aveva rimesso la pelle che la prefazione di qualcosa di ben più grosso e temibile.

-No, giuro che io non sono coinvolto in questa faccenda!- e il tono non era quello di chi raccontava bugie.

-Avrei preferito il contrario, almeno lì la questione si sarebbe risolta con una sventagliata sulla tua testa e fine dei giochi.- disse la ragazza con triste umorismo.

Volendo vedere la cosa positiva, nessuno si era fatto male, ci sarebbero volute settimane (per non dire anche mesi) per riparare la sezione distrutta dell’edificio, ma nessuna vita innocente era rimasta coinvolta.

La ragazza squadrò il proprio appartamento con leggera esitazione; in un istante tutte quelle sensazioni che aveva provato quando Sagara era stato costretto ad andarsene tornarono a pizzicarla a fior di pelle gettandole addosso una quantità incalcolabile di dubbi e paure.

Non sapeva neanche perché, eppure sentiva che quella faccenda la coinvolgesse.

Un bussare improvviso alla porta, un fremito da parte di entrambi.

Sagara si appostò dietro la porta, intimando alla ragazza di restare dietro di lui.

Qualunque cosa sarebbe successa, chiunque fosse dall’altro lato, avrebbe dovuto passare prima su di lui.

Ma persino l’esperto soldato avvertiva una strana sensazione, come se dall’altra parte non vi fosse una persona, ma un predatore in attesa del momento opportuno per sfoderare le zanne e piantarle nel collo della preda.

Per istinto, mise mano alla pistola.

 

 

-Cavoli, non ci era mai capitato di occuparci di un rapimento.- commentò Rock distrattamente.

-Tsk, ricordati che sei l’ultimo arrivato Rock. Ne è passata eccome di gente tra le nostre mani. E poi c’è stato il moccioso Lovelace o sbaglio? Ancora ricordo le sue fottute lagne.-

-Beh sì, però in quel caso noi abbiamo più fatto da corriere, non l’abbiamo effettivamente rapito noi.-

Revy non vide chissà quale differenza, si trattava pur sempre di lavoro e nulla di più.

Mentre salivano le scale del complesso, la mercenaria lanciò un’occhiata distratta al cielo notturno e in attimo la sua espressione mutò.

Se prima ostentava noia e calma, il volto di Revy dava ora mostra di un ghigno sadico e perverso che causò un sussulto nel suo collega.

Conosceva quello sguardo e sapeva bene ormai quali erano le cose che prometteva: proiettili a profusione e sangue che scorre.

In certi momenti Revy sembrava più una belva che una donna, era come se lei percepisse la presenza della sua preda per istinto, come se i sensi li possedesse tanto per essere ritenuta “umana”.

-Sembra che il piano dovrà subire una piccola modifica, potrebbe scorrere sangue stanotte.- e dentro di lei sperava fosse così.

Rock non si volle (o meglio, dovette sforzarsi) chiedere cosa le avesse dato quell’improvvisa convinzione, facendola passare nella sua modalità feroce; non aveva mai capito davvero cosa passasse per la mente della collega e mai ci avrebbe provato.

Poteva solo immaginare che, evidentemente, il loro obiettivo non fosse da solo.

E lo diede per scontato quando, dopo aver “cortesemente” bussato, Revy mise subito mano alle Sword Cutlass.

Si leccò il labbro superiore con gioia perversa, dietro quella porta c’era qualcuno che avrebbe lottato come un demonio, glielo diceva l’istinto.

-È ora di fare bordello, baby!-

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Potreste pensare che abbattere un’intera sezione del liceo Jindai sia stato esagerato, ma chi conosce Black Lagoon sa già che gente come Revy sarebbe capace di cose ben peggiori, è una fortuna che, col passare del tempo, l’influenza di Rock l’abbia resa un po’ meno irruenta, seppur sia rimasta una letale bomba sexy che non si fa problemi ad aprire buchi in fronte.

Ovviamente non hanno abbattuto un liceo tanto per fare, la loro era una mossa strategica.

Quello che è certo è che Revy e Sousuke potrebbero fare parecchio casino, se non subito nei prossimi capitoli.

Ultima annotazione che nel primo capitolo non ho fatto; dal punto di vista cronologico questa long si colloca dopo “The Second Raid” (per Full Metal Panic) e dopo “The Second Barrage” (per Black Lagoon).

Ok, al prossimo capitolo ragazzi.

 

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Capitolo 3
*** Il rapimento della Whispered! ***


Al crollo della porta, dovuto al suo spiacevole incontro con la suola fangosa di uno scarpone, seguirono due rapidi scatti e due braccia tese in avanti.

Due esseri umani si ritrovavano in quel momento con una pistola puntata al centro della fronte, bloccati in posizione di stallo.

Nessuno dei due mostrava emozioni.

-Sarà meno noioso di quanto avessi immaginato!- dichiarò la donna.

Grazie ai numerosi viaggi compiuti per le sue varie missioni Sosuke Sagara poteva dire di possedere una conoscenza standard delle lingue per identificarlo con l’inglese.

Era evidente che quella donna non venisse dal Giappone, lo parlava troppo correttamente per essere qualcuno che adottava temporaneamente una lingua secondaria per non lasciare tracce.

Il ragazzo assottigliò lo sguardo per sostenere quello della sua opponente; gli occhi di quella donna gli incutevano una strana sensazione.

-Dov’è Kaname Chidori?- continuò.

-Cosa volete da lei?- ribattè il ragazzo, facendo sfoggio di quel po’ di inglese che riusciva a padroneggiare per rispondere a tono.

La donna sorrise più apertamente, mettendo in mostra i canini; sembrava davvero una bestia sul punto d’attaccare.

-Affari, ragazzino. Niente che tu possa comprendere.-

Sosuke assottigliò ulteriormente lo sguardo, quella donna lo stava sottovalutando.

E intanto nessuno dei due si era mosso dallo posizione di stallo nella quale si erano fermati alcuni minuti prima; nessuno dei due faceva mosse, i grilletti non venivano schiacciati, le canne delle pistole non fumavano.

Per quanto entrambi lo avrebbero voluto, avevano mantenuto abbastanza senno da capire che il luogo non permetteva lo spreco di proiettili.

Era altrettanto evidente ad entrambi che rimanere in quella posizione di stallo non avrebbe condotto a nessun risultato, come era altrettanto esatto ipotizzare che entrambi non si fidavano di chi avevano dinanzi.

Seppur  ne fossero all’oscuro, i due contendenti avevano una sorta di passato comune: erano quel genere di persona che non aveva mai ricevuto favori dalla vita, che si era dovuta adattare per sopravvivere, che aveva dovuto capire troppo presto come funzionavano le cose in quello sporco mondo in cui vivevano.

Eppure Sosuke trovava lo sguardo di quella donna molto diverso dal suo, sentiva come se a lei mancasse qualcosa, o meglio, avesse perso qualcosa.

-Di questo passo non otterremo niente!- dichiarò ad un certo punto il ragazzo.

Non si fidava affatto di quella donna, ma contava che fosse abbastanza assennata da capire che rimanendo fermi a puntarsi le pistole contro non avrebbero cavato il proverbiale ragno dal buco.

-Al tre getteremo entrambi le pistole, risolveremo la questione fisicamente.-

-E cosa ti dice che puoi fidarti della mia eventuale parola? Non penso tu sia coglione a tal punto da credermi.- dichiarò la donna, passandosi la lingua tra i denti.

Ed era vero, non si sarebbe affatto fidato, ma aveva le sue buone ragioni per non dubitare.

-Ma direi che entrambi non vogliamo attirare l’attenzione.-

 

 

 

Revy cacciò uno sbuffo contrariato, quel fottuto moccioso aveva ragione. Nella buona vecchia Roanapur a quel punto sarebbero già volati proiettili e parolacce a profusione, purtroppo in quel momento si trovavano da tutt’altra parte e il lusso di sparare non era poi così concesso.

Fu seriamente tentata di fregarsene altamente e bucargli la fronte per poi svignarsela dopo aver catturato la mocciosa, ma c’era sempre l’eventualità di attirare eccessivamente l’attenzione del vicinato e avere a che fare con gli sbirri era l’ultima cosa che voleva, li a Tokyo purtroppo non si facevano corrompere.

Ma, di contro, erano pur sempre delle mezze seghe.

Ghignò sadica, certa che Rock, rimasto all’uscio per coprirle le spalle (come se ne avesse davvero avuto bisogno)stesse deglutendo in previsione delle sue prossime azioni.

-Al tre buttiamo le pistole e ci diamo dentro a suon di cazzotti, che ne dici?-

-Affermativo!- dentro di sé si sentì soddisfatta in un certo senso; indipendentemente da chi fosse, quel ragazzino sembrava possedere molto più sangue freddo di certi idioti con cui aveva avuto a che fare… ma non per questo meno credulone.

Alla fine del conto alla rovescia i due lasciarono cadere l’arma che tenevano in mano, Revy riconobbe il momento d’agire.

Portò rapidamente l’altro mano al fodero per estrarre la sua seconda pistola.

Era un trucco piuttosto semplice, ma ci cascavano sempre tutti… purtroppo non quella volta.

Il ragazzo le bloccò lestamente il polso impedendole di sfoderarla.

Con un verso infastidito Revy istintivamente portò in avanti la testa, ma il suo avversario si protesse col braccio libero, ma non riuscì ad evitare la successiva ginocchiata alla bocca dello stomaco che lo sbattè a terra.

Revy fu rapida a posizionarsi sopra di lui e bloccargli i polsi con i piedi, per poi puntargli la pistola alla testa.

Doveva ammetterlo, era stata fortunata, se avesse perso anche solo un secondo l’avrebbe anticipata.

Ma ormai era a suo favore, la situazione.

-Fine dei giochi!-

 

 

 

Ancora si chiedeva come avesse fatto a convincerla.

Perché stava rimanendo nascosta in quell’armadio mentre lui era la fuori a vedersela da solo contro chissà quanti criminali venuti lì per chissà quale ragione?

-Questa non è gente alle prime armi, probabilmente penseranno che io tenterò di distrarli mentre tu scapperai. Per cui resterei chiusa qui dentro, in questo modo dovremo riuscire a depistarli.- così le aveva detto Sagara prima di chiudere le ante e dopo averle raccomandato di non uscire per nessuna ragione.

Ma lei davvero voleva star lì senza far niente? Possibile che fosse completamente inerme e incapace di rendersi utile?

-Kaname Chidori.- una voce maschile quasi titubante giunse alle sue orecchie.

-Ehm, ecco… se sei ancora qui dentro converrebbe che tu uscissi. No perché vedi…-

-Taci e lascia parlare me, Rock, tanto lo capisce l’inglese. Tu non sai proprio un cazzo di come si fa un ricatto!- una seconda voce, da donna, decisamente più violenta e diretta, sorpassò ben presto la prima.

Kaname ringraziò le sue conoscenze di quella lingua straniera, almeno avrebbe capito, seppur il tono forte e quasi animale lasciava già intendere la scarsa pazienza di chi aveva parlato.

-Ora ascolta ragazzina, sarà meglio che tu esca subito fuori e ti consegni senza fare storie se ci tieni al tuo amichetto, altrimenti gli aprirò un buco in fronte e le sue cervella abbelliranno i muri!-

-Se sei ancora qui, per favore ascoltala, è perfettamente capace di farlo!- aggiunse l’altra voce in tono quasi terrorizzato.

E qualcosa scattò all’istante nella mente e nel cuore della ragazza; qualcosa che sapeva bene cosa fosse e che la portò dopo pochi secondi a ritrovarsi di fronte ai due intrusi implorandoli di risparmiare Sagara.

Quasi si sorprese nel vedere lo sguardo scioccato del sergente, in quel momento bloccato con la faccia rivolta a terra: credeva davvero che avrebbe permesso a quella folle donna che in quel momento lo teneva a terra e con una pistola puntata alla testa di ucciderlo solo per restare al sicuro?

-Che bambina collaborativa.- e quelle parole furono le ultime che Sousuke sentì prima che il calcio della pistola venisse sbattuto alla base del suo collo per fargli perdere i sensi.

 

 

 

Dutch si versò il caffè nella tazza per poi accomodarsi sul divano dell’ufficio, il tutto con la solita calma che lo contraddistingueva.

-Allora, Benny Boy, come procedono le ricerche? Trovato qualcosa di interessante?-

La testa dell’informatico della Lagoon sbucò fuori dalla stanza in cui era solito chiudersi per le ricerche che servivano al gruppo per i vari lavori.

-Ben più di qualcosa, Dutch. Dovresti proprio dare un’occhiata a quanto ho appena trovato, abbiamo qualcosa di grosso fra le mani.- asserì l’uomo biondo, prima che il suo imponente capo lo raggiungesse per osservare quanto scoperto.

I suoi occhi passarono rapidamente in rassegna tutto lo schermo del computer, senza lasciare trascurata nessuna parola o immagine, mentre con la mano portò la tazza alla bocca, gustandosi il caffè senza perdere mai la sua compostezza.

-Hai ragione. Ci siamo cacciati in una questione parecchio complessa… ma niente che, di fatto, non si possa risolvere.- chiarì subito.

-Quindi? Avvisiamo l’Hotel Moscow? Dopo tutto sono quelli a cui più tutti interessa mantenere le cose a Roanapur esattamente come stanno.- domandò l’ebreo.

Dutch, tuttavia, fu di un altro avviso.

-Lo faremo sicuramente. Ma al momento opportuno.- si accomodò nuovamente sul divano volgendo lo sguardo al soffitto.

Benny non potè far altro, per l’ennesima volta, che invidiare la sua calma. Nei suoi primi tempi alla Lagoon, l’informatico si era chiesto spesso come Dutch facesse a mantenere un tale sangue freddo in ogni genere di situazione in cui finissero per cacciarsi e quell’ultima in cui si erano appena trovati invischiati era da non sottovalutare assolutamente, dal momento che avrebbe potuto cambiare in maniera sostanziale l’equilibrio del potere nella città di Roanapur.

Ma ogni genere di interrogativo che implicasse la tentata comprensione degli “interni” della mente di Dutch aveva abbandonato i suo pensieri ormai da un lasso di tempo considerevole.

Per quanto affamato di conoscenza, per quanto desideroso di scoprire sempre di più di tutto e tutti, probabilmente per soddisfare il suo bisogno di sentirsi intellettualmente superiore a chiunque, Benny aveva dovuto accettare il fatto e comprendere che nella vita c’era sempre qualcosa che era meglio che certi tipi di persone non sapessero.

A Roanapur qual concetto veniva inoltre amplificato notevolmente e un pacifista come lui non poteva concedersi il lusso di voler ficcar troppo il naso in certi argomenti.

D’altronde, aveva detto a se stesso una volta, uno come lui che aveva “soltanto” fatto arrabbiare in contemporanea la mafia e l’FBI non aveva visto abbastanza del lato “oscuro” dell’umanità per comprendere quanto e cosa uno come Dutch doveva aver vissuto; e se qualcosa non si può comprendere, allora è meglio non saperla.

-Allora come ci comportiamo?-

-Attenderemo che Revy e Rock ci confermino di aver portato a termine la prima parte dell’incarico e poi contatteremo Cliff. Ho ragione di pensare che fisserà il luogo della “consegna” qui a Roanapur, per ragioni che preferirei tenere per me. E a quel punto Balalaika sarà felicissima di sapere dove poter trovare il bastardo che intende minacciare la sua supremazia in questa città.-

L’Hotel Moscow non faceva sconti a nessuno, specie agli stranieri che provavano ad alzare troppo la cresta nel loro territorio.

 

 

 

Sul Tuatha de Danaan stavano avvenendo le solite operazioni di routine.

La comandante Testarossa era, in quel momento, comodamente appostata sulla sue sedia nella sala comandi del sottomarino, col vice-comandante Mardukas sempre accanto  lei in quella rigida posizione che la faceva sembrare una statua.

Era stata una giornata tranquilla: escludendo i classici capitomboli che la sedicenne subiva in maniera praticamente ordinaria (ci si sarebbe dovuti sorprendere in caso contrario), non c’erano state azioni d’attacco da parte dell’organizzazione che avrebbero potuto portare al ferimento di qualche soldato né nessun altro tipo di azione degna di nota.

Non che la giovane Whispered se ne lamentasse, preferiva di gran lunga una giornata ordinaria e tranquilla ad una caotica che includesse azioni di guerra che mettessero a repentaglio la vita dei suoi sottoposti.

“Sembra che questa giornata passerà senza problemi.” pensò, rilassando la schiena sullo schienale, mentre sfogliava con calma i documenti relativi ai vari rapporti del giorno, privi per l’appunto di notizie significative o preoccupanti.

Ma poco dopo accadde qualcosa che avrebbe portato ad una revisione degli eventi giornalieri per il gruppo della Mithril.

Uno degli assistenti sgranò leggermente gli occhi quando uno dei display del sottomarino segnalò l’arrivo di un tentativo di chiamata.

-Comandante Testarossa… c’è una chiamata… da parte del Sergente Sagara.- comunicò con calma, non immaginando la fretta di chi invece stava dall’altro lato.

-Metta pure il vivavoce, sentiamo cosa deve riferirci.- fece il possibile per essere autoritaria, ma dal suo tono di voce fuoriuscì anche una leggera nota di felicità mista ad eccitazione; succedeva quando entrava in questione il ragazzo che le piaceva.

Aveva accettato il fatto che, per il sergente Sagara, non sarebbe mai riuscita ad essere niente di più di una cara amica, ma non per questo aveva deciso di sopprimere i suoi sentimenti per lui.

E comunque credeva fermamente che il sergente e la signorina Chidori fossero fatti per stare insieme, cosa che, seppur avesse fornito solo una lieve consolazione, le aveva permesso di farsi da parte senza ripensamenti e convinta di star facendo la cosa giusta.

-Comandante Testarossa!-

E già dal tono del saluto Tessa capì che c’era qualcosa di strano.

Era abituata a sentire il sergente esprimersi con quel tono serio e calmo, eppure riuscì a notare una sfumatura nella sua voce che sembrava di nervosismo, cosa che fece presto svanire la sua speranza che quella chiamata fosse stata effettuata esclusivamente per fare un rapporto.

-Cos’è successo, sergente?-

-Mi dispiace, ma non porto buone notizie.-

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Maledetta Estate siciliana, ha lo straordinario e aberrante potere di annichilire quasi del tutto la mia voglia di stare davanti al computer e scrivere.

Non mi sto servendo di questo breve sfogo come giustificazione del fatto che è passato più di un mese dall’ultimo aggiornamento, semplicemente mi serviva uno sfogo.

Credetemi, a meno che non ci viviate, non avete idea di cosa voglia dire sentire sul proprio corpo (e sul proprio animo)il peso della calura e del sudore che qui l’Estate getta addosso alla gente, aggiungiamo a ciò che io l’Estate non la sopporto per ragioni varie e che, essendo ancora metà Giugno, il peggio deve ancora venire e capirete che sono in una pessima e non certo invidiabile situazione.

Comunque sempre una situazione sempre migliore di quella in cui è finita la nostra Kaname, rapita da Rock e Revy, con quest’ultima che è riuscita nella non facile impresa di avere la meglio su Sousuke Sagara. Ma state pur certi che il nostro sergente preferito non starà con le mani in mano e farà di tutto per rintracciare la bella Whispered e salvarla.

Bene, con questo vi saluto, deve mettermi un cubetto di ghiaccio in fronte, mi da un fastidio.

Arrivederci.

 

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Capitolo 4
*** Movimenti nelle retrovie. ***


-Ed è così che sono andate le cose.- il sergente Sagara concluse il suo rapporto.

Il Comandante Testarossa si morse distrattamente il labbro inferiore.

Quella che aveva riferito non era affatto una buona notizia; al di là dei rischi che comportava la possibile caduta nelle mani sbagliate dei segreti che la mente di Kaname Chidori celava, vi era anche il nervosismo di sapere un cara amica tra le grinfie di un gruppo di mercenari le cui intenzioni non erano certamente pacifiche.

E le ipotesi cominciarono a susseguirsi nella mente della ragazza: erano uomini dell’Amalgam? O un nuovo gruppo terroristico venuto in qualche modo a conoscenza del fatto che Chidori fosse una Whispered?

Non sapeva quale potesse essere una risposta adatta, ma dava per scontato che bisognasse trovare un modo per agire.

-Non c’è altro che può riferirci, sergente?-

-In realtà sì. Fortunatamente, poco prima che ci attaccassero, sono riuscito a posizionare una cimice su Chidori. Basterà rintracciarne il segnale, sperando che i suoi sequestratori non l’abbiano localizzata.-

Quello bastò per dare a Tessa un briciolo di speranza.

-Molto bene, Sergente. Allora non appena riusciremo a rintracciare il segnale provvederemo a comunicarle come agire. Lei resti in attesa di nuovi ordini.-

-Forse non sono stato chiaro.- ribattè il ragazzo.

Tutti i presenti nella sala di controllo di colpo si sentirono confusi.

 

 

 

-La ragione per cui vi ho informati è dovuta al fatto che, in quanto membro della Mithril, sono tenuto ad aggiornarvi sulla mia situazione corrente ogni volta che avviene un evento di nota durante lo svolgimento del mio incarico. Ma ricordo anche di aver stabilito un certo accordo con i membri del Consiglio Generale, un accordo che mi garantisce una maggior libertà d’azione.-

-E con questo discorso cosa starebbe insinuando, Sergente Sagara?!- diretta e scorbutica giunse improvvisamente la voce del tenente colonnello Mardukas, che evidentemente doveva essersi già fatto un’idea di dove il ragazzo volesse arrivare.

Sousuke chiuse per qualche istante gli occhi per riflettere meglio e organizzare la parole da dire senza sembrare irrispettoso.

D’altronde aveva preso in considerazione l’idea che, quanto stava per riferire, avrebbe potuto generare qualche rimostranza, ma a priori era ben fermo sulla sua decisione, perché sentiva che era quella la cosa giusta da fare.

-Ho compiuto il mio dovere avvisandovi, ma sto già cercando di rintracciare il segnale di Chidori e non appena l’avrò fatto andrò a cercarla. Ma non aspetterò un minuto di più! Non prendetela come una mancanza di rispetto nei vostri confronti, ma non posso e non voglio perdere troppo tempo. Passo e chiudo!- Sagara interruppe la connessione evitandosi così la successiva sfuriata di Mardukas.

Aveva il massimo rispetto per lui come per qualsiasi altro membro della Mithril, ma c’era la vita di Chidori in gioco e non aveva idea se il tempo fosse o meno dalla sua parte, non aveva minimamente il desiderio di correre rischi.

Il ragazzo tornò dunque alle apparecchiature di ricevimento con la speranza di rintracciare presto il segnale della cimice lasciata sulla ragazza.

Sarebbe stato sveglio giorno e notte se necessario.

 

 

 

-Quel ragazzo è irrecuperabile!- biascicò Mardukas poggiandosi una mano sulla fronte.

Ma se sul volto del Tenente Colonnello vi era un’espressione che mostrava contrarietà per quanto aveva appena sentito, ben diversa era quella del Colonnello.

Dopo un iniziale smarrimento, le labbra di Tessa erano in quel momento incurvate verso l’alto ad esprimere la piena soddisfazione della ragazza.

Sembrava proprio che il Sergente Sagara stesse cominciando a ragionare anche attraverso i propri sentimenti.

-Si calmi, Tenente Colonnello. Considerata la situazione, l’azione del Sergente Sagara è sensata, dopo tutto le sue abilità come soldato non si possono discutere.- addusse la ragazza, sperando di rabbonire un po’ il suo vice, era risaputo che non nutrisse una forte simpatia nei confronti del Sergente.

Sospiro da parte di Mardukas; per quanto Sagara non fosse mai entrato nelle sue grazie, doveva comunque ammettere di esservi anche lui tra coloro che mai avrebbero mosso critica alla sua efficienza.

E poi anche il Colonnello Testarossa non mancava di far sapere di essere schierata dalla parte del ragazzo, e Mardukas sapeva anche il “perché” (cosa che non incontrava esattamente il suo favore), ma la cosa malgrado tutto lo aiutò a calmarsi.

-Speriamo per il meglio.- mormorò infine, in segno di tacito assenso.

Tessa annuì fiduciosa.

-Sarà così!-

 

 

 

-Allora, Revy, quali novità ci sono?-

-Quali novità ci sono?! Quali fottute novità ci sono?! C’è che questo grandissimo idiota di Rock non si è accorto che la mocciosa aveva una cazzo di cimice addosso!-

Dutch dovette allontanare leggermente l’orecchio dalla cornetta per evitare che il successivo sbraito di Revy gli facesse perdere l’udito da quel lato.

Riuscì comunque a sentire i continui epiteti con cui la donna continuava ad apostrofare il compagno che cercava vanamente di giustificarsi.

-Dico davvero, Revy, l’ho perquisita per bene, non potevo immaginare la nascondesse nel reggiseno, non mi è venuto in mente di controllare lì.-

-Certo, tanto anche in caso non avresti avuto le palle di farlo!-

Dutch mantenne una calma flemmatica tipica delle persone che sapevano di avere la situazione sotto controllo, anzi, considerando quanto avevano già scoperto, c’erano tutti i modi per trasformare quell’intoppo in un vantaggio per accelerare i tempi.

Era ovvio ormai che la faccenda del rapimento nascondeva molte più trame di quante se ne vedessero.

-Revy, non ha importanza! Tenete la cimice con voi!-

-Vuoi scherzare?! È già tanto che siamo riusciti ad atterrare a Kuala Lumpur senza essere beccati da sbirri o che nessuno notasse che la mocciosa era di fatto un ostaggio. Dutch, io non credo nei miracoli o altre puttanate religiose, ma in caso contrario direi di non sperarci troppo di riceverne ancora. Ora non so se quel ragazzo che c’era con lei era un matto o chissà che altro, ma non era un pivello che maneggiava un’arma per la prima volta, ha sicuramente avuto a che fare con situazioni del genere! Ci verrà dietro non appena localizzerà il segnale!-

In un altro frangente le avrebbe dato ragione, ma se non volevano insospettire Cliff dovevano fargli credere che tutto stesse filando senza sorprese, seppur gradite per lui. Ed era meglio che Revy e Rock continuassero come da programma e tenerli all’oscuro dell’effettiva piega che quella situazione avrebbe preso avrebbe potuto rivelarsi controproducente.

-Fidati, so già come risolvere la cosa. Voi dovete solo limitarvi a procedere come avevamo stabilito fin dall’inizio!-

Benny, che aveva di proposito lasciato aperta la porta della sua stanza e restando con l’orecchio teso, cominciò a pigiare celermente i tasti della tastiera per iniziare ciò che ben presto Dutch gli avrebbe detto di fare.

Pochi minuti dopo, infatti dopo aver riattaccato la cornetta, l’uomo di colore gli rivolse la parola.

-Benny Boy, direi che è il momento di fare il prossimo passo. Sei riuscito a fare come ti avevo chiesto?-

-Senza dubbio, Dutch. Questa mail non verrà intercettata in nessun modo e l’Hotel Moscow la riceverà in un battito di ciglia!- dichiarò sentendosi profondamente fiero delle sue abilità informatiche, in quel campo non lo batteva nessuno.

Dopo che il biondo premette il tasto d’invio, Dutch digitò il prossimo numero.

-Ottimo. Allora direi che è il caso di richiamare il nostro… “datore di lavoro”.- una luce quasi perversa brillò sulle lenti nere degli occhiali del possente uomo.

Se quella parte fosse andata come previsto, quel bastardo di Cliff si sarebbe condannato con le sue stesse mani.

 

 

 

-Splendido! Veramente splendido!-

Nick non fece una piega nel vedere la folle e perversa luce che aveva cominciato a brillare negli occhi del suo capo da quando aveva iniziato quella conversazione telefonica, aveva visto cose ben peggiori, figurarsi quanti sguardi malati aveva incrociato, sia nella sua organizzazione che prima di entrarvi.

-Quindi il pacco giungerà entro pochi giorni… molto bene. Allora al momento opportuno richiamatemi, provvederò a fornirvi le coordinate del luogo della consegna.-

Il possente e massiccio Nick non si smosse minimamente nemmeno dopo, quando, una volta riattaccata la cornetta, Rowan Cliff scoppiò in un’incontrollata risata.

-Sta andando tutto esattamente come avevo pianificato. Quegli idioti non sospettano assolutamente nulla. Tra non molto avremo tutto ciò che ci occorre!-

-È certo che non abbiamo nulla di cui preoccuparci? Lei stesso, signore, mi ha fatto presente di come in una città del genere, si finisca male ad avere troppa sicurezza.-

Cliff si issò teatralmente dalla sua poltrona, tirò fuori un sigaro dalla tasca dell’impermeabile e lo mise tra le labbra per poi accenderlo.

-La tua “fame di previdenza” come al solito non si smentisce, Nick. Ma ammetto che è comprensibile, ancora più facile se consideriamo che sei originario del Bronx, anche lì dopo tutto si finisce dentro una cassa per una disattenzione minima.-

Nick non ebbe il minimo tentennamento al sentire nominare il suo luogo d’origine.

Non avrebbe mai lasciato il Bronx se non fosse stato convinto di poter mantenere inalterato il suo “stile di vita” e quello che Cliff gli aveva proposto quel giorno lontano aveva sempre soddisfatto in pieno le sue particolari esigenze.

-E dunque… signore?-

-Metterò i miei uomini in stato d’allerta da domani stesso, non si può mai sapere che qualcuno tenti un attacco. Meglio che siano pronti.-

Ma Cliff non aveva dubbi; aveva fatto in modo di reclutare uomini ben preparati, uomini che non avevano paura di affrontare le più violente sparatorie o battaglie apposta per quella ragione.

Il suo piano non poteva fallire, non dopo gli anni che aveva dovuto aspettare per avere le disposizioni necessarie per poterlo finalmente applicare.

I vantaggi che la riuscita dell’operazione avrebbe portato erano troppo succulenti per essere condivisi e lui non era mai stato un prodigo.

I segreti del cervello della Whispered Kaname Chidori sarebbero finiti in mano sua e li avrebbe spolpati fino all’ultima goccia, ne avrebbe tratto fino all’ultimo beneficio e nessun altro avrebbe goduto dei frutti di tutto ciò a parte lui.

-Prepariamoci per la prossima fase!-

 

 

 

Quegli ultimi giorni dovevano essere stati davvero stressanti per Sagara e, se il ragazzo non fosse stato rinchiuso tutto il tempo nel suo appartamento per controllare costantemente il ricevitore, in attesa che questi rintracciasse il segnale della cimice lasciata su Chidori, sarebbe stato facile notarlo dalle immense occhiaie sotto i suoi occhi.

Eppure il sergente della Mithril non cedeva ed era determinato a continuare a sorvegliare quel display finchè non gli avesse rivelato la posizione di Chidori, così da fiondarsi sul luogo il prima possibile e portarla in salvo.

Aveva formulato le ipotesi più varie su dove la ragazza da lui sorvegliata potesse essere stata portata, ideando per ciascuna di esse i metodi d’azione più idonei, con le varianti causate da ogni possibile incognita inaspettata.

Non voleva commettere sbagli.

E avrebbe continuato con le sue elucubrazioni belliche ancora per parecchio tempo se qualcuno non avesse bussato alla porta del suo appartamento, strappandogli un verso infastidito.

Quello non era proprio il momento di ricevere visite, sperava non si trattasse di Kyoko Tokiwa venuta a chiedergli di Chidori.

Avrebbe perfettamente compreso se si fosse effettivamente presentata lei davanti all’uscio, d’altronde dopo l’esplosione del liceo Jindai non aveva più sentito la sua migliore amica per ragioni che lui sapeva ma delle quali lei era appunto all’oscuro.

Cerco di approfittare dei pochi secondi che ci volevano per alzarsi e raggiungere la porta così da inventare la storia più plausibile da raccontarle, con la speranza che fosse ritenuta credibile.

Quando aprì sgranò leggermente gli occhi, ma arrivando al contempo alla rapida constatazione che non sarebbe stato necessario raccontare nessuna storia, non a loro.

-Si direbbe che la situazione non sia delle migliori, eh Sousuke?- fu la voce allegra di Kurz Weber, affiancato da Melissa Mao, che rivolse al ragazzo un lieve cenno di saluto con la testa e un sorriso leggero e di comprensione.

-Che ci fate voi due qui?-

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Non mi metterò a cercare giustificazioni di sorta per spiegare più di due mesi di mancati aggiornamenti, anche perché, da quanto avevo detto nel capitolo precedente, potreste anche farvene una motivazione.

Comunque, questa storia riesce finalmente a vedere il suo quarto capitolo, dove possiamo vedere i metodi di organizzazione dei vari schieramenti in capo e, più o meno, quali sono i loro piani.

E mi fermo qui perché non ho voglia di dire altro.

Non faccio promesse sul prossimo aggiornamento come al solito, alla prossima ragazzi.

 

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Capitolo 5
*** Roanapur ***


-Insomma, mi state dicendo che il tenente comandante Kalinin vi ha insignito di un permesso speciale per prestarmi soccorso anticipato?- 

-Si… possiamo dire così. In realtà avrebbe detto che, per via di un mio problema (mia magistrale recita), potevo godere di qualche giorno di pausa per rimettermi in sesto e ha dato alla sorellina Mao il compito di assistermi nella mia guarigione.- spiegò Kurz, senza resistere alla tentazione di vantarsi per quella che, a sua detta, era stata una trovata geniale.

-Certo, ci aveva creduto eccome che avessi contratto il morbo della mucca pazza.- aggiunse Melissa con sarcasmo, facendo crollare comicamente l’aura di possanza che il collega aveva tentato di costruirsi.

In quel momento i tre colleghi e amici erano a bordo di un elicottero che la Mithril aveva fornito ai due colleghi di Sagara per andarlo a prendere.

In quello che era stato a tutti gli effetti  un gran colpo di fortuna, il radar del ragazzo aveva captato il segnale della cimice lasciata addosso a Chidori pochi minuti dopo il loro arrivo.

Sousuke non perse tempo a raccogliere tutte le sue cose e trascinare i due amici dentro il mezzo di trasporto ordinando a Melissa, con calma condita da grande serietà, di mettere in moto e partire subito.

Le ore successive erano trascorse  con Sousuke che spiegò come si fossero svolti i fatti che avevano portato al rapimento di Chidori, seguito appunto da Kurz che illustrò la sua recita per far si che lui e Melissa potessero contravvenire alle regole e recarsi in anticipo in soccorso del compagno. E se Mao poteva essere sincera, era fin troppo ovvio che Kalinin non avesse minimamente abboccato alla sceneggiata di Weber.

Ma era altrettanto ovvio quanto fosse forte il legame che quell’uomo aveva stabilito con Sousuke, abbastanza da permettere a loro due di andargli in soccorso.

Gli dovevano un favore.

-Allora sorellina, le coordinate della cimice dove portano?- chiese Kurz ad un certo punto.

Melissa, in quel momento alla guida, spostò leggermente lo sguardo al radar dell’elicottero.

Si morse il labbro al leggere il nome della destinazione verso cui stavano volgendo.

-Roanapur… Thailandia!- esclamò con disprezzo.

-Direi che questa città non ti è nuova? È un posto pericoloso?- chiese Sousuke con la massima serietà.

La bella donna storse il naso.

-Pericoloso?! Sinceramente non ci sono mai stata e pochissime volte è successo che una missione della Mithril coinvolgesse questa città, ma i pochi membri della nostra organizzazione che ci sono stati l’hanno descritta anche troppo chiaramente!-

Dopo aver ascoltato quel presupposto, persino Kurz perse parte del suo solito buonumore.

-E dunque?-

-Avete presente le favelas brasiliane?! Vi sembreranno un allegro villaggio vacanze a confronto. I nostri colleghi l’hanno definito un luogo dimenticato da Dio dove “Legge” e “Giustizia” non esistono nemmeno sui dizionari. Li sono le varie mafie a comandare e morire sparati alla fronte e la morte più dolce che possiate avere.- concluse la donna.

Non aveva certo pronunciato quelle parole per intimorire i suoi due colleghi (ormai l’esperienza le aveva insegnato che ci voleva ben di più per mettere in allarme quei due incoscienti), quanto piuttosto per far capire loro la pericolosità del posto in cui sarebbero andati a cacciarsi.

-Non vedo dove sia il problema. Se qualcuno tenta di farci qualcosa, un bel calcio nel didietro. Ritroviamo la piccola Kana, la salviamo e c’è ne andiamo di corsa dopo aver dato una bella lezione ai suoi rapitori. Dico bene Sousuke?- concluse il ragazzo biondo, porgendo all’amico quella che, in quel frangente, era la domanda più retorica del mondo.

-Affermativo!-

Pochi minuti dopo Melissa sollevò su una questione su cui non avevano ancora discusso.

-Ora che mi torna in mente: Sousuke, una volta che saremo arrivati lì dovremo ovviamente investigare e chiedere informazioni per scoprire con precisione dove stanno coloro che hanno rapito Chidori.-

-Si, e dunque?-

-Non hai pensato al fatto che, se per caso uno di loro ti vedesse e riuscisse ad avvisare gli altri questi si sposterebbero allungando ulteriormente la faccenda. In base a quanto ci hai detto, sono stati chiaramente assoldati da qualcuno, quindi c’è da presumere che si incontreranno a breve, a quel punto le nostre possibilità di ritrovare Chidori scenderebbero notevolmente.-

Kurz sollevò leggermente un sopracciglio, pensando che effettivamente l’osservazione della “sorellina” era corretta: Sousuke era sicuramente un esperto nel muoversi in incognito, ma se per disgrazia fosse stato notato avrebbero seriamente corso il rischio che l’operazione salvataggio fallisse.

Ma un lieve sorriso di sicurezza spuntò sulle labbra del giovane mercenario.

-Osservazione corretta. Anche io ci avevo riflettuto e ho escogitato uno stratagemma affinché nessuno possa riconoscermi o notare il mio aspetto.-

E quando aprì il suo zaino e ne mostrò il contenuto ai due colleghi, Kurz scoppiò a ridere, Melissa mollò i comandi dell’elicottero giusto il tempo di sbattersi una mano in faccia.

-Mi auguro tu stia scherzando.-

Ma lo conosceva troppo bene ormai… sapeva già che non stava scherzando affatto.

 

 

 

Kaname, da quando era stata portata in quell’appartamento, si sentiva più un ospite, anche se in un senso molto ampio del termine, che un ostaggio.

Nella sua mente immaginava che l’avrebbero ammanettata a qualche struttura ben solida per evitare che scappasse e che l’avrebbero nutrita a stento per stancarla, invece non era successo nulla del genere.

Quel quartetto di sbandati (oltre all’uomo e la donna che l’avevano rapita, aveva avuto modo di “conoscere” gli altri due membri di quel gruppo mercenario) l’aveva trattata nella stessa maniera con cui si sarebbe trattato un coinquilino dell’ultimo minuto.

Era quasi come se per loro lei non esistesse.

-Qui fuori è peggio dell’Inferno! Se hai anche solo un po’ di cervello non uscirai da questo appartamento… ammesso ovviamente che tu non voglia andare incontro ad una morte orrenda.- le aveva detto, sadicamente, l’unica donna del gruppo poco dopo il loro arrivo lì.

In un primo momento non ci aveva creduto, “Le solite cose che dicono i rapitori per tenere buono il loro ostaggio” aveva pensato.

Ma poi quello che vide per quelle strade fece sì che il suo primo tentativo di fuga fosse anche l’ultimo.

Era evidente che in quella città (sempre ammesso che si potesse definire tale) non avrebbe avuto nessuna possibilità di trovare qualcuno che l’aiutasse, era già stato un miracolo che fosse ancora viva.

E, le seccava dirlo, se non fosse stato per quella stessa donna che l’aveva rapita sarebbe morta in quel vicolo.

-Io ti avevo avvisato. E sappi che se adesso ti ho parato il culo e perché ci servi viva. Mi auguro quindi di non doverti più riprendere. Roanapur non è un posto dove i bambini possono scorrazzare liberamente!-

E nell’osservare quel volto annoiato misto ad intimidazione nei suoi confronti, Kaname non ebbe la forza di dire nulla e, a capo chino, la seguì senza fare storie.

-Gli ha sparato e non ha provato la minima emozione. Come si fa ad essere così freddi?- si chiese la ragazza, prendendosi la testa tra le mani per frenare i ricordi.

Aveva bucherellato quell’uomo come se niente fosse, come se per lei fosse stata un’azione abitudinaria e, sinceramente, non faticava a crederlo.

-Sei ancora sconvolta per quanto ti è successo qualche giorno fa, ho ragione?- chiese una voce maschile, distogliendola dai suoi pensieri.

Solo in quel momento Kaname notò l’uomo giapponese sedutosi accanto a lei sul divano.

In un certo senso, poteva dire con quasi assoluta certezza che fosse l’unico a non metterle timore.

Non che gli altri membri di quel gruppo le avessero mai recato problemi, però lui era l’unico nei cui occhi era riuscita a vedere solidarietà e umanità.

-Non hai motivo di crucciarti, è perfettamente comprensibile. Nessuno riesce a restare impassibile quando vede qualcuno venire ucciso davanti ai suoi occhi.-

-Non mi pare che la sua “collega” se ne sia preoccupata. Come si può avere una così bassa considerazione della vita umana?! Dovrei esserle grata perché di fatto mi salvato da uno stupratore, ma come faccio a non provare risentimento verso qualcuno che uccide come se fosse una cosa da nulla?- biascicò la ragazza, quasi con disperazione.

L’uomo, che nei giorni scorsi le si era presentato come Rock, la guardò con sincero dispiacere.

-Anche io ai miei primi tempi me lo chiedevo. Revy ha chiaramente passato un tipo d’infanzia che nei probabilmente avremmo potuto vedere solo nei nostri incubi. E quando la vita ti tratta da schifo, cominci a disprezzarla. E quando disprezzi qualcosa per tanto tempo, alla fine non ti importa più niente di essa. Non ho mai saputo cosa ha passato Revy e non credo di volerlo sapere… dubito riuscirei a sopportarne il peso.- concluse sommessamente Rock.

Kaname sospirò, affranta e spaventata.

-Lei sembra una persona del tutto diversa dai suoi colleghi. Cosa la spinge a restare in questo postaccio?-

Rock rimase in silenzio in un primo momento, dopo di che si accese una sigaretta.

Avevano avuto alcune discussioni anche nei giorni precedenti, le aveva raccontato in linea massima quali furono gli avvenimenti che, da anonimo impiegato di un’azienda, da Rokuro Okajima, lo avevano portato lì, a divenire membro di una banda di mercenari, a divenire Rock.

E Kaname se l’era sinceramente chiesto: ne valeva davvero la pena?

-Sai, la cosa paradossale di questo posto è che, pur dovendo sempre aver paura di uscire, e anzi, anche di restare chiuso in casa, qui vige, in una forma decisamente perversa, ma c’è, l’onestà. Qui non ci sono finti moralisti, che mostrano la faccia di bronzo per nascondere il marcio che hanno dentro. E poi…- durò solo per pochi istanti, Kaname notò gli angoli della bocca dell’uomo piegarsi in un ghigno innaturale, un qualcosa di così istintivo di cui lui sicuramente non si era neanche reso conto.

-… ogni volta che mi ritrovo coinvolto in una delle nostre folli missioni provo qualcosa. Non so di preciso come definirlo, ma mi fa venire i brividi lungo la schiena. Un qualcosa di estremamente piacevole, di cui non si può fare a meno.-

Dopo pochi istanti, quell’orrenda scintilla sparì dagli occhi dell’uomo e Kaname pensò di aver capito: era l’oscurità di quel posto. Roanapur era peggio dell’Inferno in Terra, era l’unione di tutte le cose brutte dell’essere umano, un cancro silenzioso che si sviluppa dentro il corpo per corroderlo lentamente, senza essere notato.

Quell’uomo era buono, lo era davvero, ma anche il suo animo era ormai rimasto macchiato dall’oscurità di quella città, la macchia era ancora molto piccola, ma era impossibile da rimuovere, si sarebbe espansa a poco a poco.

In quel momento, fu lei a provare dispiacere per lui.

Ad un tratto la porta dell’ingresso si aprì ed entrò l’imponente figura di un uomo di colore, che Kaname sapeva (grazie alle brevi discussioni avute con Rock) chiamarsi Dutch e che era il capo del gruppo.

-Ragazzi, ho contattato il nostro datore, la consegna avverrà stasera!- dichiarò, premurandosi di alzare la voce affinché anche tutti i suoi colleghi.

In quel momento la donna di nome Revy uscì da quella che doveva chiaramente essere camera sua con l’aria assonnata tipica di chi è stato appena svegliato.

-E a che scopo romperci le palle adesso, Dutch? Sono le tre di pomeriggio… se non fosse che sei tu a darmi lo stipendio ti avrei già aperto un buco in fronte.-

-Questo lo so, ma avevo intenzione di andare allo Yellow Flag a farmi qualche goccetto e non mi pare che tu abbia mai detto no ad un buon liquore. Ovviamente, Rock, la piccola Kana viene con noi!-

Kaname storse il naso; Rock le aveva parlato anche della curiosa abitudine del suo capo di dare soprannomi a destra e a manca, ma quante cavolo di possibilità c’erano che le affibbiasse proprio quello che già le davano i suoi amici e del quale aveva sempre cercato di liberarsi?!

-Neanche a farlo apposta.- borbottò in giapponese, sperando di non essere capita.

-E Revy, va a tirare Benny Boy fuori dal suo “covo”. Quando e impegnato con i suoi computer è così distratto che non sentirebbe neanche una bomba esplodere.-

Mezzo secondo dopo la donna trascinava l’informatico della Lagoon per la collottola per poi depositarlo al centro del soggiorno.

-Che mi sono perso?- chiese con calma, ormai abituato alle pessime maniere di Revy.

-Smuovi il culo, secchione, andiamo a scolarci qualche bicchiere.-

Mentre i primi tre membri della Lagoon cominciarono a guadagnare la porta, Rock prese un attimo in disparte il loro ostaggio.

-Ehm… ti dico solo di stare calma, non guardare per troppo tempo nessuno e se Revy ti sfida ad una gara di bevute tu rifiuta.- nell’ultimo avvertimento assunse involontariamente un’aria comica.

-Non bevo.- disse solo questo la ragazza prima di uscire.

Era finita proprio in un posto assurdo.

 

 

 

A Roanapur non c’era mai stato spazio per lo stupore.

Tutti coloro che ci vivevano erano consapevoli di se stessi, sapevano di essere, dal primo all’ultimo, dei bastardi figli di puttana di cui persino il Diavolo avrebbe avuto paura di fidarsi.

Perché, di fatto, gli abitanti di Roanapur, per quanto potessero superficialmente sembrare diversi tra loro, dentro volevano tutti la stessa cosa: il proprio tornaconto!

Furti, inganni, raggiri, uccisioni e tradimenti erano il pane quotidiano in quel posto verso cui persino Dio sembrava aver perso ogni speranza.

In quella città che non condivideva nulla con il resto del mondo si respirava un’aria opprimente, marcia come i suoi abitanti ed era cosparsa da quell’aura di follia e depravazione che mai nulla avrebbe potuto lavar via.

Una città dannata.

Ma persino in un posto del genere può capitare un evento fuori dall’ordinario.

-Ragazzi, ci guardano tutti e non sono gli sguardi di chi sta per appendere gli striscioni di benvenuto per darti una calda accoglienza.- borbottò Kurz Weber con una comica espressione terrorizzata.

Melissa Mao, accanto a lui, ricambiò il suo sguardo con uno comicamente rassegnato ed un sorrisetto tirato.

-E ti meravigli?! Anzi che nessuno ci ha ancora puntato armi addosso.-

Eppure nessuno dei due sentiva di aver davvero paura, quelli che lì osservavano erano sì bestie selvagge che non si facevano scrupoli ad uccidere per pochi quattrini, ma considerata la loro esperienza militare, dal loro punto di vista quelli erano pesci piccoli.

Melissa, esasperata, aggiunse un’ultima cosa sottovoce, con quell’aria comica che si stavano portando dietro.

-Ma, sinceramente Sousuke, è davvero così che pensi di non farti riconoscere?!-

-Beh, sai come si dice, sorellina: il modo migliore per nascondersi è stare sotto gli occhi di tutti!-

-Taci Kurz… e smettila di fissarmi le tette!-

Quel giorno, l’aura opprimente di Roanapur venne smorzata da un bizzarro trio di estranei guidati da un orsacchiotto a grandezza umana che guidava il gruppetto col passo cadenzato e il tono cantilenante.

-Fumo Fumo Fumo! Fumo Fumo Fumo! Fumoffu!-

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Ed eccoci con il quinto capitolo, come vedete avete dovuto aspettare molto meno rispetto al precedente, di questo devo ringraziare il tempo che avendo deciso finalmente di concedere un buon fresco mi permette di stare più tempo alla tastiera e scrivere.

E come avete letto, l’azione si è definitivamente spostata a Roanapur, la città del peccato (altro che Las Vegas)dove anche gli animi più buoni come quello di Rock rimangono macchiati a vita.

Parlando di Rock, forse vi sarà sembrato un po’ OOC, ma per chi conosce bene Black Lagoon (e, non per vantarmi, penso di saperne abbastanza)avrà notato che nell’arco narrativo “Roberta’s Blood Trail” Rock sembrava totalmente un’altra persona: oscuro, cospiratore, quasi perverso. Alla fine della saga si è scoperto che alla fine era solo una sua recita messa in atto per far funzionare meglio il suo piano e far si che nessuno restasse ucciso, ma quel suo piano è stato un vero e proprio azzardo, azzardo che il Rock di inizio serie, secondo me, non avrebbe mai tentato appunto perché troppo rischioso e soprattutto non avrebbe mai avuto abbastanza sangue freddo da fingersi un bastardo insensibile. È evidente dunque che, a sua stessa insaputa, Rock abbia involontariamente finito per “Roanapurizzarsi” (ho inventato un nuovo termine… mi aspetto di vederlo sui dizionari tra qualche anno! ^_^).

Questa storia si colloca prima di “Roberta’s Blood Trail”, certo, ma per come la vedo io, ci doveva già essere a questo punto qualche lieve sprazzo di follia di cui lo stesso Rock non si rende conto.

E parlando della fine… non mentitemi dicendo che non vi è scappato almeno un risolino al pensiero, perché non ci crederò!

Sì, gente: Bonta-kun è giunto a Roanapur!

Magari ad una prima analisi sembrerà del tutto fuori luogo (e, sinceramente, era quello che volevo: spezzare un po’ l’aria truce di Roanapur con qualcosa che, persino in un posto del genere, avrebbe destato stupore)eppure, ragionandoci un po’, vedrete che in fondo calza: voi sospettereste mai che il soldato che vi da la caccia sia dentro un pupazzo semovente che se ne va in giro senza preoccuparsi di essere visto?

Però, se nel precedente “Angolo dell’autore” sono stato molto sbrigativo stavolta ho parlato anche troppo.

Scusate, sarà l’euforia per aver finalmente detto Arrivederci a quell’Estate che tanto odio… che razza di siciliano sono?

Alla prossima gente!

 

 

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Capitolo 6
*** Ritrovo allo Yellow Flag. ***


-Kurz, ti dico che è una pessima idea, non lo fare!-

-Ma andiamo, sorellina, dobbiamo pur chiedere informazioni se vogliamo trovare la piccola Kana, no?-

-Non sto dicendo che non sia così, ma detto elegantemente mi sembra stupido lasciare che sia tu a parlare con uno di questi avanzi di galera.-

-Tranquilla, me la caverò alla grande, sarò discreto e professionale!-

Melissa Mao sospirò sconsolata e si sbattè una mano in faccia; niente, se Kurz si intestardiva su qualcosa, non c’era verso di farlo desistere.

Ma sinceramente, quante possibilità c’erano che lui, Kurz Weber, fosse discreto e professionale?!

Mentre osservava il ragazzo avvicinarsi ad un malvivente in un vicolo pensò che non fossero molte.

-Salve amico, un’informazione: qualcuno qui rapisce belle ragazze per soldi?-

-Fanculo.- mormorò la bella donna; discreto e professionale un corno.

L’interpellato rivolse un’occhiataccia a quello straniero che non ricordava di aver mai visto bazzicare lì intorno, stesso dicasi della donna e del tizio mascherato da orso o procione o quel cavolo che era che lo accompagnavano.

-Senti un po’ idiota, se stai cercando un bordello lo puoi trovare sopra al bar Yellow Flag. Ora fuori dalle palle!-

“Che esperti di galateo abbiamo da queste parti.” Pensò sarcasticamente il biondo facendo un rapido dietrofront per evitare complicazioni.

E poi si beccò un pugno in testa da Melissa.

-Dunque è così che fai il professionale?! Ringrazia che ti ha solo mandato a quel paese.- mentre la ragazza eseguiva il suo comico sfogo, Kurz si massaggiava l’enorme bernoccolo apparsogli sul capo.

-Visto che su di te non si può proprio contare, dovrò occuparmene io!-

Un “Fumoffu” serio uscì dalla bocca di Bonta-kun, come a volerle chiedere se fosse sicura di voler fare un tentativo.

-Tranquillo Sousuke, con questa gente ci vuole il giusto linguaggio e soprattutto polso. Vedrai, lo farò cantare come un canarino!- il ghigno malefico che svettava sul volto della bella donna lasciava intendere che fosse entrata in modalità “Addestramento reclute”.

L’omaccione di prima, sentendosi di nuovo fissato, scoccò un’ennesima occhiataccia nei confronti del trio.

-E ora cosa vuoi anche tu, troietta?- mezzo secondo dopo si ritrovò sbattuto al muro e afferrato per la collottola.

-Ora ascoltami bene, merdaccia! Non chiederò cazzate tipo “C’è qualcuno qui che si occupa di affari illeciti?” perché so già la risposta. La mia domanda è semplice: tra tutti voi fottuti figli di buona donna chi è che svolge meglio gli incarichi che gli vengono commissionati? Sarà meglio per te che la risposta mi piaccia, perché potrei staccarti le palle e fartele mangiare.-

Nel vedere quella scena Kurz ebbe un comico fremito lungo la schiena.

-Cavolo, amico, fortuna che non abbiamo dovuto farla con lei la gavetta, avrei potuto finire per farmela addosso a causa degli incubi ogni sera altrimenti.- commentò all’indirizzo dell’amico, che risposte con il solito verso del costume che indossava.

E sembrava che anche il malvivente non fosse riuscito a restare indifferente alle minacce della donna.

Strinse e tentò di fulminarla con lo sguardo, guadagnandoci solo una maggior pressione di lei sul suo collo.

-La Lagoon Company! Sono una banda di mercenari che lavora su commissione, svolgono lavori di ogni genere. Non sono affiliati a nessuna delle mafie che comandano qui, accettano incarichi dal miglio offerente.-

-Questo non mi interessa. Dimmi dove posso trovarli! Subito!- Melissa fece ulteriore pressione sul collo dell’uomo, un monito che non accettava prese in giro.

-Non lo… so di preciso. È la verità! Potreste… potreste chiedere allo Yellow Flag… passano un sacco di tempo lì… quando non lavorano.-

E dopo avergli estorto le informazioni su dove fosse il bar e che aspetto avesse il capo della banda così da riconoscerlo, Melissa mollò la presa sul collo del malvivente che prese a boccheggiare.

-Molto bene.-

La ragazza fece per tornare dai suoi colleghi…

-MUORI, MALEDETTA PUTTANA!-

… non prima di sferrare un calcio laterale al criminale che, offeso per l’affronto arrecatogli, aveva estratto un coltello per colpirla alle spalle, disarmandolo.

Proseguì poi con un potente calciò all’inguine (Kurz emise un verso di dolore al vedere la scena) e infine lo stese con un montante sul mento.

-Voi di Roanapur sarete anche i criminali più pericolosi del mondo, ma come tutti gli altri siete scontati nelle vostre reazioni.- biascicò annoiata.

A quel punto potè “disattivare la modalità Addestramento” e tornare dai colleghi con un lieve sorriso.

-Bene, ragazzi. Abbiamo una pista adesso!-

Kurz e Sousuke si fissarono un attimo negli occhi per poi seguirla una volta incamminatasi.

-Ricordami di non farle mai perdere la pazienza.- disse il biondo al ragazzo/pupazzo che lo affiancava.

-Fumo Fumoffu!- replicò Bonta-kun.

-Come sarebbe “Lo hai già fatto tante volte”?... Ok, è vero. Ehy, sorellina, prima quel tizio ha detto che sopra il bar in cui stiamo andando c’è un bordello, non è che potremo passare a farci un…-

-Non giocare con la mia pazienza Kurz!- lo zittì subito la collega, con calma e soddisfazione nella voce.

 

 

 

Kaname dovette trattenere per l’ennesima volta il respiro per alcuni secondi, quando la puzza d’alcool si fece nuovamente troppo forte in prossimità del suo naso.

Era veramente nauseabonda.

Quella specie di bar, che, se aveva letto giusto l’insegna, prendeva il nome di Yellow Flag, era il punto d’incontro dei peggior tra i peggiori.

Già il ritrovarsi nella città dove regnava l’illegalità era un disastro, il fatto che poi i suoi sequestratori l’avessero portata con loro in quello che era di fatto un accozzaglia di alcool, fumo e criminali della peggior specie non la faceva stare sicura per niente.

Ricordava anche che certi avventori del locali, chiaramente ubriachi fradici, avevano mosso certi apprezzamenti non esattamente educati su di lei quando gli era passata affianco.

In una situazione normale non avrebbe esitato un attimo ad estrarre l’harisen per calarlo con forza sulla testa del malcapitato, ma il cervello le portò subito alla mente i precedenti suggerimenti di Rock, portandola subito a decidere che in quel genere di situazione non poteva permettersi le sue reazioni solite, a meno che non volesse andare incontro ad una fine orrenda.

Il giapponese, in quel momento seduto alla sua destra, lanciò un timido ragguaglio alla sua collega Revy, seduta alla sua sinistra (il loro capo, Dutch, aveva espresso il chiaro ordine che lei venisse coperta da entrambi i lati), affinché non esagerasse con il liquore.

In quel momento la banda dei mercenari e lei occupavano il bancone principale, seduti su degli scomodi sgabelli, ai quali Kaname non potè non lanciare un silenzioso “accidenti”.

Revy poggiò sul banco il suo terzo bicchiere di scotch, vuotato tutto d’un fiato, rivolgendo un’occhiata scettica al collega.

-Rock, la prima volta che sei venuto qui con noi ci siamo scolati tante di quelle bottiglie che abbiamo perso il conto e sono rimasta sobria e ora mi viene a dire dopo solo tre bicchierini di non esagerare?! Non prendermi per il culo.-

-Non dubito della tua resistenza agli alcolici, ma abbiamo pur sempre un incarico da ultimare tra alcune ore.-

-Certo, siamo nella città dove tutti badano all’apparenza.- dichiarò sarcastica.

Kaname non potè non stringere i denti al sentirsi chiamata in causa, dopo tutto era pur sempre lei il “pacco” da consegnare.

-E a quel punto…- disse con voce flebile, quel tanto che bastava affinché Rock la sentisse -… che ne sarà di me?-

Un sospiro da parte dell’uomo.

-Te lo direi se lo sapessi, ma colui che ci ha ingaggiati non ci ha fornito dettagli su cosa intende farsene di te. Insomma, ci ha spiegato che sei una Whispered, dandoci una vaga spiegazione su cosa significhi di preciso, ma non è sceso nei dettagli, almeno non abbastanza da far intendere le sue intenzioni.-

La ragazza assottigliò gli occhi e passò i successivi minuti a pensare e pensare.

Insomma, che il suo rapimento fosse dovuto al fatto che era una Whispered era stata l’unica certezza che aveva avuto fin dall’inizio, si sarebbe sorpresa del contrario, quello che le premeva capire era se colui che aveva di fatto organizzato tutto fosse o meno un membro dell’Amalgam.

Le pareva, in effetti, ovvio: quello degli Whispered era un segreto di importanza nazionale che i governi di tutto il mondo cercavano di tenere oscuro alla gente comune e la Mithril era stata creata anche con lo scopo di proteggerli.

Un lieve sorriso le sorse spontaneo al pensiero di Sagara, dentro di lei non aveva ancora abbandonato la speranza, lo conosceva troppo bene per pensare che non la stesse ancora cercando, non era certo il tipo che si arrendeva una volta che si era prefissato un obbiettivo.

Fu a quel punto che le sorse un dubbio e il suo cervello cominciò ad elaborare una lunga catena di pensieri che alla fine la portarono ad elaborare un’ipotesi.

E a quel punto tanto valeva provare a verificarla.

-Rock… vorrei parlare col suo capo. Lei sa parlare l’inglese molto meglio di me, potrebbe farmi da mediatore?-

Solo il tempo di ricevere un’occhiata incuriosita da parte dell’uomo che le porte del locale si aprirono di scatto, mostrando in controluce una figura umanoide la cui forma ricordava una specie di orso.

Tanto bastò perché Kaname assottigliasse gli occhi in una comica espressione delusa.

-Sul serio?- mormorò sarcasticamente prima di gettarsi a terra.

 

 

 

-Beh, si direbbe proprio che quel tizio non ci abbia rifilato un bidone. Questo qua davanti è davvero lo Yellow Flag!- esclamò Kurz soddisfatto.

-Ma d’altronde non dovrei sorprendermi. I metodi di persuasione della sorellina non falliscono mai!- aggiunse poi, lanciando un’occhiatina languida delle sue verso la donna, che ancora si chiedeva se fosse il caso di mollargli un pugno in testa o un calcio nei gioielli di famiglia, optando infine di tenersi ogni tortura per dopo.

-Bene, adesso direi che è il caso di entrare. Se la fortuna è dalla nostra, lì dentro ci sarà Chidori.-

La teoria elaborata dal trio di amici era semplice e al contempo ovvia: chiunque vi fosse dietro il rapimento della ragazza voleva esser certo che l’operazione riuscisse e ovviamente quando si vuole che qualcosa sia fatto bene ci si affida ai più esperti del settore. E in base a quanto avevano scoperto a Roanapur non c’era gruppo mercenario migliore della Lagoon Company, era quindi molto probabile che, chiunque volesse i segreti celati nella mente di Kaname, si fosse rivolto a loro.

Se il ragionamento filava, trovati quelli della Lagoon avrebbero trovato anche la giovane Whispered.

Per ogni evenienza prepararono in anticipo le armi.

In un’altra situazione sarebbe stato alquanto comico, a detta di Kurz, vendere un orsacchiotto gigante di peluche imbracciare uno shotgun, ma la determinazione di Sagara, che sembrava veramente trasparire dallo sguardo del suo dolce AS, non lasciava spazio ad alcuna comicità.

-Fumo. Fumoffu!- esclamò, dopo aver caricato le munizioni.

Melissa imbracciò le proprie mitragliette e spese i successivi cinque minuti a consolare Kurz deluso per il fatto che non gli avrebbero lasciato usare il suo fucile di precisione (dicevano di conservarlo in caso avessero dovuto colpire obbiettivi dalla lunga distanza)ma solo un “semplice” fucile d’assalto.

Bonta-kun si avvicinò di soppiatto ad una finestra, giusto per controllare che chi stavano cercando fosse effettivamente dentro il locale.

Dopo aver esaminato ogni angolo del posto notò infine, seduti al bancone, cinque individui; uno di essi era una ragazza girata di spalle dai lunghi capelli blu e, soprattutto, l’uniforme femminile del liceo Jindai. L’avrebbe riconosciuta fra mille, che indossasse quell’uniforme o meno.

E considerando che, tra i quattro in mezzo ai quali si trovava, vi erano i due tizi che, lo ricordava perfettamente, erano venuti a Tokyo quella sera per rapire Chidori e l’omaccione di colore che gli era stato descritto come il leader della Lagoon, a quel punto non vi era più alcun dubbio di sorta.

-Fumoffu!-

Senza neanche aspettare i suoi compagni, Bonta-kun sferrò un pugno alle porte del locale ed entrò.

Non badò neanche per un istante agli sguardi stupiti degli avventori del posto, notò solo il barista sbattersi una mano in faccia e mormorare qualcosa che, a giudicare dal labiale, suonava come un      -No, un’altra volta.- e Chidori che, accortasi tempestivamente di lui, si abbassò per non restare coinvolta nel fuoco incrociato che stava per scatenarsi.

Puntò subito l’arma verso i membri della Lagoon… e fece fuoco.

 

 

 

Revy odiava pensare.

I pensieri erano per i deboli, roba da falsi perbenisti che volevano darsi una giustificazione, una scusa per dire che ci sarebbe sempre stato qualcuno peggiore di loro e che le loro azioni avevano uno scopo nobile.

E poi riportavano a galla i ricordi.

E sapeva che, se ci si fosse soffermata troppo a lungo, avrebbe anche potuto finire per annegare in quel grumo limaccioso e putrido che i suoi andavano a formare.

A Roanapur cose del genere ti portavano alla morte e lei non intendeva incontrare quella bastarda tanto presto.

Revy aveva sempre preferito seguire il suo istinto; più spericolato del pensiero? Certo. Più imprevedibile? Sì. Più appagante? Ovviamente.

Era perché aveva ubbidito più al suo istinto che al suo cervello che era ancora viva, che faceva ancora parte di quel marcio mondo che tanto disprezzava.

E se i ricordi tentavano di riemergere, lei li rigettava nel grumo, nel profondo del suo animo, a marcire.

Era solo grazie all’istinto se si riusciva a vivere.

Ed ebbe un motivo in più per non rimpiangere la sua scelta quando capì, dopo aver sentito il rumore della porta aprirsi, qual’era la cosa migliore da fare.

-Giù la testa o ci rimettiamo il culo!-

E dopo essersi buttata dietro il bancone e aver sentito il rumore dei proiettili scontrarsi contro il rinforzo che Bao aveva preventivamente fatto applicare anni addietro, ringraziò mentalmente il suo istinto per l’ennesima volta.

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Ed eccoci arrivati alla fine del sesto capitolo e, come potete intuire, nel prossimo ci sarà decisamente un bel po’ d’azione fra sparatorie e inseguimenti. E, come avviene in ogni saga di Black Lagoon che si rispetti, il bar di quel povero disgraziato di Bao resta coinvolto in una sparatoria; ci scommetto quello che volete che, da quando vive a Roanapur, li rimpiange eccome i tempi della Guerra del Vietnam.

Scherzi a parte, ci stiamo avvicinando di un ulteriore tassello all’incontro decisivo con Rowan Cliff, l’uomo che ha commissionato il rapimento di Kaname, i cui intenti sono ancora avvolti nel mistero, ma tranquilli, saprete quali sono le sue motivazioni, molto presto.

Detto questo, alla prossima gente.

 

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Capitolo 7
*** Colui che brama il Potere! ***


-Revy!-

La donna alzò gli occhi al cielo annoiata, ignorando il rumore delle pallottole che si scontravano contro il rivestimento del bancone dietro al quale si era rifugiata per prestare attenzione a Bao, quel poco di attenzione per fargli capire di tagliare corto.

-Possibile che, tutte le volte che sei qui, puntualmente arriva qualcuno che tira fuori i ferri pesanti. Uno di questi giorni giuro che…-

-Sì, sì, finiamola qui! Ormai la conosco la tiritera. E tanto per dirtelo, neanche la conosco questa gente.-

Anche se quel breve brivido di perverso piacere che aveva provato le ricordava molto quello avuto alcune sere prima. Non si sarebbe sorpresa in effetti se, sotto quell’assurdo costume da orso, vi fosse stato quel ragazzo che aveva dovuto affrontare per poter rapire Chidori. E dire che gliel’aveva detto a Dutch che dovevano sbarazzarsi della cimice che la ragazzina aveva addosso il più presto possibile. E invece lui aveva insistito affinché la lasciassero dov’era per toglierla quando ormai erano tornati a Roanapur, dando a quel ragazzo il tempo di localizzarli.

-Stavolta Dutch ha fatto una gran bella stronzata!- se la missione fosse in qualche modo andata in malora, gliel’avrebbe fatto pesare fino alla morte.

Finì di caricare le Sword Cutlass e cominciò a rispondere al fuoco avversario.

 

 

 

Rowan Cliff sbattè frustrato le mani sul suo tavolo da lavoro.

La scritta sul computer dinanzi a lui recitava a lettere cubitali “ESITO NEGATIVO!”

-Dannazione, dannazione, porca puttana!- mormorò, alterato per l’ennesimo tentativo fallito.

Erano ormai mesi che ci provava, ma ogni prova aveva visto avverarsi il medesimo risultato: un fallimento su tutti i fronti!

Se solo quei dannati delle “Alte sfere” avessero accettato la sua richiesta sarebbe stato tutto più semplice.

Se fossero stati abbastanza intelligenti da capire la genialità della sua idea non avrebbero perso il minimo tempo a procurargli ciò di cui necessitava per le sue ricerche.

Era certo, anzi, più che certo, che con quelle informazioni in più il suo progetto avrebbe imboccato la strada giusta verso l’esito positivo, ma senza ciò di cui aveva bisogno non c’è l’avrebbe mai fatta.

Per quanto sicuro di sé e arrogante, era conscio che anche i geni più brillanti non potessero raggiungere i loro obbiettivi senza i mezzi giusti a disposizione.

Fu soprattutto quella motivazione a spingerlo ad unirsi a loro.

In quell’organizzazione era certo che non avrebbe incontrato ostacoli di nessun tipo, una volta esposta la sua idea sarebbe stato acclamato ed elogiato per la brillantezza del suo pensiero, invece si era sentito sbattere in faccia un “Buon lavoro” del tutto disinteressato, detto più per levarselo di torno. Gli avevano fornito tanto di quel denaro da rendere felice chiunque, ma fintanto che non gli avessero procurato l’elemento chiave non gli sarebbe servito a nulla.

A suo dire quei bastardi non avevano fatto altro che metterlo in un angolo a prendere polvere e, al contempo, nella situazione che, nell’improbabile caso vi fossero stati risultati incoraggianti, loro sarebbero stati lì, pronti ad approfittarsene e impadronirsi dei suoi studi per gioirne immeritatamente.

No, c’era un limite a tutto!

Quando si alzò dalla sedia e uscì dal suo studio prese una drastica scelta: avrebbe fatto un ultimo tentativo, ma se quei maledetti non avessero mostrato un serio interesse, se ne sarebbe andato. Avrebbe simulato la sua morte (d’altronde in quell’organizzazione i traditori non erano ben visti e nessuno di loro aveva mai fatto una bella fine; era bene che lo credessero morto) e se ne sarebbe andato definitivamente, con i soldi fornitigli avrebbe provveduto da sé a realizzare il suo obbiettivo.

 

 

 

-E le cose andarono da schifo. Quei bastardi non avevano guadagnato il minimo straccio di interesse per il mio piano geniale.- mormorò disgustato Rowan Cliff, prendendo il suo immancabile sigaro tra le mani e soffiando fumo.

Lo rimirò per alcuni istanti, prima di riprenderlo tra le labbra, per poi aggiungere, con un misto di frustrazione e sarcasmo.

-E dire che avevo ciò che mi occorreva lì, ad un palmo di naso, ma no, lui era intoccabile!-

 

 

 

-Un altro buco nell’acqua, dico bene Mr. Chrome?-

Già, Mr Chrome, era così che lo chiamavano lì dentro.

Non che gli desse fastidio avere un nome in codice, funzionava in quel modo in quell’organizzazione ed era una scelta che condivideva, quell’odio viscerale gli era causato da quel tono di voce così altezzoso e supponente della persona che in quel momento stava camminando al suo fianco per i bui corridoi di una delle loro tante basi segrete.

-Tsk, quando la genialità non viene riconosciuta non ci si può far niente Mr. Silver.- borbottò, passandosi una mano tra i corti capelli castani, all’indirizzo del giovane che gli camminava accanto, affiancato dall’altro lato da un alto individuo incappucciato, la sua guardia del corpo.

“Già, perché il signorino merita tutti i privilegi. Se avessi anche io le informazioni che possiedi tu, moccioso arrogante, otterrei risultati nettamente superiori. E visto che quegli idioti non vogliono capirlo, dovrò provvedere da me!” pensò con iniziale sarcasmo, che andò progressivamente a trasformarsi in malizia.

Era un’idea rischiosa, se fossero riusciti a scoprirlo troppo presto per lui sarebbe stata la fine, ma era certo di riuscire a far tutto nei tempi prestabiliti, quel fottuto damerino avrebbe avuto ben poco da ridere a breve.

-Se non si riesce a far valere la propria opinione, si vede che non merita di essere presa in considerazione.- commentò il ragazzo dai lunghi capelli argentati, suscitando ulteriormente le ire dello scienziato, seppur questi fosse molto bravo a mascherarle.

Approfittando di quello che ritenne un momento di distrazione, infilò la mano destra nella tasca del lungo cappotto e tirò fuori una siringa che, con una reattività che il suo fisico non più giovanissimo non avrebbe lasciato presumere, la conficcò di getto nel braccio della guardia, per poi estrarla di colpo e tentare di fare lo stesso col ragazzo.

Era già estasiato al pensiero che non si accorse dell’imponente figura che, con rapidità, lo afferrò per il polso, lasciandolo basito.

Perse la presa sulla siringa, fissò scioccato la figura incappucciata, non comprendendo come il sonnifero non avesse potuto funzionare.

-Bel tentativo, Mr Chrome, se si fosse trattato di un comune essere umano la sua idea, semplice ma efficace, avrebbe anche potuto funzionare.- arrivò, odiosa e arrogante com’era sempre stata, la voce del ragazzo.

Non potè fare altro che lanciargli uno sguardo fulminante, mentre l’incappucciato continuava a stringergli il polso, non sentiva più la mano.

-Credeva davvero che non avessi mai notato le occhiate che mi riservava? Avevo capito da tempo che prima o poi avrebbe tentato di usarmi per i suoi esperimenti, dal momento che l’Organizzazione non era disposta a fornirle di persona le cellule del cervello di un Whispered.-

Rowan Cliff sgranò gli occhi.

Quel moccioso arrogante già sapeva?! Fu la rabbia per l’ennesima umiliazione a permettergli di ignorare la presa sul polso che si faceva sempre più ferrea.

-Dannato bastardo.- riuscì a mormorare.

-Vede, per quanto geniale, lei è troppo concentrato sul suo obbiettivo da non essersi mai soffermato a riflettere se ne valga davvero la pena seguirlo, o se gestirlo sia facile o meno. Glielo dico io: le informazioni contenute nei cervelli degli Whispered sono come giocattoli, vanno maneggiate con la giusta cura e con la giusta moderazione, un uso eccessivo o inconsapevole porterebbe alla loro distruzione. E mi creda, cercare di replicare le cellule degli Whispered è qualcosa di troppo complesso, anche nel caso riuscisse, non vuol dire che chiunque potrebbe gestirle.- conclusa la sua arringa, il ragazzo fece un cenno alla sua guardia che mollò la presa sul polso di Cliff, finalmente sentì il sangue tornare a scorrergli nella mano.

Lanciò un’occhiataccia a colui che a momenti lo avrebbe lasciato con una mano in meno, notando finalmente il suo aspetto sotto il cappuccio dell’impermeabile.

Un AS?! Di quelle dimensioni?! Aveva sentito che quel moccioso aveva una grande conoscenza della struttura degli AS e di come adattare la Black Technology per migliorarli, ma era già riuscito a raggiungere quei risultati?!

-Fossi in lei non ne parlerei con nessuno, di quanto è appena successo. Le auguro una buona giornata.- e giunse anche l’ultima beffa.

Non solo non era riuscito a prendere ciò che voleva, ma dovette pure subire l’ulteriore smacco di non essere ritenuto come un pericolo.

-Testarossa Leonard… che tu sia dannato!-

E mentre lo vide dargli le spalle per riprendere il suo cammino, prese la sua decisione.

Pochi minuti dopo un’esplosione di piccole proporzione riecheggiò per i corridoi. I database dell’Organizzazione avrebbero riportato sul suo fascicolo “Mr Chrome: deceduto in un’esplosione causata da un suo composto nel suo laboratorio. Nessun resto del corpo è stato ritrovato!”.

Se solo avessero saputo quanto quell’evento fosse premeditato.

Quel giorno Mr Chrome era morto, ma Rowan Cliff lasciò l’Amalgam.

 

 

 

E adesso era lì.

Dopo la sua finta morte si sentì come rinato per davvero. Finalmente avrebbe potuto realizzare il suo obbiettivo senza limiti e costrizioni di nessuna sorta, senza nessuno a impedirglielo.

Ci volle un anno intero per mettere su la sua di Organizzazione, ma ne era valsa la pena. Aveva assoldato tutti i migliori mercenari di cui avesse ricevuto notizia, aveva conquistato la loro fiducia con promesse e ricchezza che, se i piani fossero andati come previsto, avrebbe anche potuto mantenere… se avesse voluto.

E a quel punto mancava solo un ultimo pezzo per dare il via al suo progetto… e una volta che Kaname Chidori sarebbe stata nelle sue mani avrebbe avuto tutto. Analizzando le cellule del cervello di quella Whispered avrebbe capito come replicarle e usare il risultato sui suoi uomini più fidati; a quel punto, col suo esercito di Whispered “artificiali”, la Black Technology non avrebbe più costituito un mistero per lui. Avrebbe creato gli AS più potenti che fossero mai esistiti, tutto il mondo sarebbe caduto nelle sue mani.

-E a quel punto vedremo chi riderà per ultimo!- annunciò estasiato nel buio della sua stanza.

Avrebbe pagato oro per vedere le face delle “Alte Sfere” dell’Amalgam a quel punto, già li immaginava, e dall’alto della sua superiorità, avrebbe goduto fino all’ultimo della loro paura verso di lui e della consapevolezza di aver fatto uno sbaglio madornale.

Si, già pregustava tutto quanto.

Poco dopo, qualcuno bussò.

-Signore.- era Nick, il suo braccio destro, il primo che avesse voluto al suo fianco.

 

 

 

New York, quartiere del Bronx, per coloro che vivevano per le sue strade era come essere all’Inferno.

Nick aveva raggiunto quella consapevolezza fin da piccolo. “Nessuno ti regala niente, ma tutti pretendono qualcosa da te!” questo aveva imparato. E la vita lì era davvero esigente con chiunque, se non eri abbastanza forte veniva da te a reclamare la tua anima, a strappartela via senza remore.

E per un orfano come lui quante possibilità c’erano di riuscire a cavarsela? Sarebbe mai stato capace di saldare il debito quotidiano con la vita senza dover rinunciare alla propria anima? Nei suoi primi anni non potè mai farlo, fuggiva. Non poteva saldare il suo debito, dunque, cercava di evitare di incrociare la sua “creditrice”. Ma con gli anni aveva capito che, se non volevi saldare il tuo debito con la tua anima, potevi farlo con quella degli altri.

E fu così che divenne uno spietato assassino. Nel Bronx o uccidevi o venivi ucciso, e lui si era guadagnato un posto tra i primi, lui uccideva.

-Si direbbe che la fama che ti sei fatto da queste parti non fosse immeritata.- gli disse un giorno un uomo, che l’aveva raggiunto in un vicolo buio mentre era intento a “portare a termine un incarico”.

Impermeabile, vestiti impeccabilmente tenuti a lucido  e sigaro tra le labbra il nuovo arrivato, stracci tipici di chi viveva nei bassifondi, aspetto trasandato e machete ancora macchiato di sangue fresco lui.

Due esseri così apparentemente diversi, che quel giorno cominciarono a venirsi incontro.

Nick non disse nulla, si limitò a osservare quell’uomo giunto come dal nulla, voleva proprio sentire cosa aveva da dirgli.

-Non mi sprecherò in presentazioni, per quelle ci sarà il tempo. Sono qui per farti una proposta.-

-Chi devo uccidere?-

-Questo dipenderà dai casi. Il mio è… un accordo a lungo termine, possiamo dire. Sto mettendo su un’Organizzazione ed è gente come te che mi serve. Vedi, io voglio ottenere ciò che so spettarmi di diritto e che delle capre ignoranti mi hanno negato. Tu non ti sei mai aspettato qualcosa in più dalla tua vita?-

Nick non perse nemmeno il tempo di storcere il naso e la sua aria seria e indifferente non venne scalfita.

-La mia non è esattamente il tipo di vita in cui ci si chiedono certe cose.-

-Già.- aggiunse l’uomo col cappotto, per poi riprendere il discorso.

-Uccidere per vivere. Da queste parti funziona così. Ma un assassino abile come te merita altro. Davvero vuoi continuare questa… “vita”? Uccidere semplicemente per non morire, per guadagnarti quei miseri spiccioli che ti permettono di andare avanti, pur sapendo che le tue capacità meritino molto di più? Io ti sto offrendo… uno scopo.-

Per la prima volta, negli azzurri occhi spenti di Nick sembrò brillare qualcosa.

In effetti era vero. Ormai uccidere era divenuta un’azione così abitudinaria da non impressionarlo minimamente, non come quando era ancora un ragazzino alle prime armi che ammazzava per paura di non vedere l’alba del giorno dopo.

Senza rendersene conto, lui era morto! Le sue giornate passavano nell’illusione di “uccidere per vivere” quando invece lo stavano trascinando in un baratro vuoto, un processo lento e graduale che lo avrebbe visto perire miseramente e senza aver mai avuto aspirazioni.

La Vita stava riscuotendo il suo debito con lui a pezzi molto piccoli… al punto che non l’aveva capito.

Ma se uccidere fosse tornata ad essere per lui una ragione essenziale, se fosse tornato ad esserci un perché dietro le sue azioni, sarebbe stato tutto diverso.

-Mi dica… quale sarebbe questo scopo?-

 

 

 

-Entra pure.-

-Mancano due ore all’orario di incontro con la Lagoon Company per la consegna della “merce”. Penso sia meglio cominciare ad avviarci.- consigliò, mentre rafforzava la presa sul bazooka che portava in spalla, una delle sue solite “precauzioni”.

Rowan sorrise, con quell’affabilità e complicità che riservava soltanto al suo collaboratore più stretto, uno dei pochi ad essergli sempre rimasto fedele.

Un perfetto burattino, avrebbe detto tra se, uno di quelli che, accettata fino in fondo la sua causa, gli aveva giurato eterna fedeltà.

Conquistarsi la sua fiducia era stato difficile, ma ne era valsa la pena, bastava dire che non avesse mai fallito una missione assegnatagli per dimostrarlo.

-Hai ragione, direi che è proprio il caso di andare.- spento il sigaro, si alzò dalla sua poltrona e raggiunse il suo braccio destro alla porta.

-Una volta che avremo la Whispered nelle nostre mani, sarà tutto in discesa e “Il Potere” sarà nostro!-

-Certamente, signore.- asserì Nick.

La porta dell’appartamento venne chiusa per l’ultima volta.

Era il momento di recarsi al luogo dell’incontro.

 

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Salve a tutti, allora, piaciuta questa introspezione sull’antagonista principale di questa fanfic?

Ebbene sì, Rowan Cliff faceva parte dell’Amalgam!

Insomma, se ci riflettete, la cosa doveva essere ovvia, dopotutto non è che gli Whispered sono noti a cani e porci, quindi era evidente che chi voleva Kaname, doveva in qualche modo essere venuto a conoscenza della Black Technology da qualcuno che di informazioni ne avesse.

E avete anche assistito al breve cameo di Leonard Testarossa nella mia fanfic, per mia immensa gioia non intendo farlo apparire più.

Mi serviva un escamotage che avesse dato a Cliff l’input decisivo per abbandonare i panni di Mr Chrome e darsi in proprio al raggiungimento del suo scopo, e chi meglio del “caro” fratello di Tessa per far salire l’incazzatura?

Detto questo, dal prossimo capitolo torneremo a concentrarci sul gruppo di spostati che, ad inizio capitolo, hanno cominciato a spararsi addosso, anche perché vi sarà uno scontro (nonché rivincita)che non vedo l’ora di trattare.

Questo capitolo è servito per dare maggior spessore psicologico al personaggio di Cliff (e anche al suo braccio destro Nick, in fondo), che prima in effetti poteva sembrare un cattivo messo lì tanto per creare la situazione d’incontro tra le due parti.

Ok, allora alla prossima ragazzi.

 

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Capitolo 8
*** Lotta e inseguimento. ***


-Accidenti, accidenti.- mormorò Rock a denti stretti, mentre il rumore degli spari continuava a rimbombare nelle sue orecchie.

Ormai avrebbe dovuto esserci abituato, non era certo la prima sparatoria in cui finiva per trovarsi nel mezzo e nemmeno la prima a verificarsi allo Yellow Flag, anzi, faticava a ricordare una volta in cui non fosse successo, ma la paura di restarci secco per un proiettile vagante non se ne andava mai del tutto.

Accucciato dietro ad un tavolo di legno si limitava ad ascoltare i rumori delle armi che buttavano fuoco e piombo in tutto il locale, mentre i pochi avventori ancora rimasti tentavano di guadagnare l’uscita senza farsi bucare qualche parte del corpo.

-Merda.- biascicò quando un proiettile gli fischiò sopra la testa; non aveva il coraggio di sporgersi per osservare la situazione.

Ad un certo punto ogni rumore cessò, paradossalmente la paura di alzare di poco il capo aumentò notevolmente; probabilmente era un istante di calma prima della ripresa.

Trovando un briciolo di fegato, quel tanto che bastava per farlo, decise di rischiare e si issò leggermente oltre la sua improvvisata protezione.

Ancora vicini all’entrata vi erano i tre individui che erano entrati nel locale per poi cominciare a sparare a tutto spiano e il fatto che li avesse visti abbastanza chiaramente puntare verso di loro prima di far fuoco non gli diede da pensare altro che fossero venuti lì per Kaname Chidori.

E probabilmente il tizio al centro del trio, quello mascherato da orso (o forse era un procione), era quel ragazzo che avevano incontrato la sera stessa in cui avevano catturato il loro obbiettivo.

Aveva visto abbastanza da quando era giunto a Roanapur, che non si sarebbe sorpreso se avesse indovinato.

I tre cominciarono a muovere qualche passo verso l’interno del locale per controllare meglio la situazione, fu a quel punto che accadde qualcosa che, conoscendo ormai bene Revy, Rock avrebbe dovuto aspettarsi: la donna, approfittando di quel breve momento di pausa, aveva scavalcato il bancone e si era lanciata addosso all’individuo travestito con una tale rapidità da non dare ai tre il tempo di riprendere il fuoco.

La mercenaria si scontrò contro il pupazzo a grandezza umana e di forza lo spinse fuori dal locale, sfondando le porte.

-Prendete la mocciosa e andate avanti! Vi raggiungo dopo aver fatto il culo a questo stronzo!- giunse altisonante il suo urlo dall’esterno del locale, da cui poco dopo non arrivò più alcun suono, almeno non di proiettili sparati.

Dutch fu il più reattivo ad approfittare di quell’insperata occasione; dopo aver afferrato Kaname Chidori, che aveva cercato di approfittare del precedente trambusto per sgattaiolare via, diede il repentino ordine di correre fuori dall’ingresso posteriore e di recarsi subito all’auto, seguito a ruota da Benny e subito dopo dallo stesso Rock.

Quest’ultimo non potè non pensare che, a conti fatti, il pessimo presentimento che lo accompagnava praticamente da quando lui e Revy avevano preso il volo per Tokyo era fondato.

Con la coda dell’occhio vide che gli altri due membri del trio avevano subito messo in moto le gambe per corrergli dietro; sembrava proprio che la situazione non fosse ancora destinata a migliorare.

-Dannazione, dannazione!-

 

 

 

Revy solitamente preferiva risolvere le questioni in cui si ritrovava coinvolta con le armi.

D’altronde, se qualcuno ti stava sulle palle, cosa poteva esserci di meglio se non bucarlo ripetutamente con le Sword Cutlass fino a ridurlo ad uno scolapasta grondante sangue?!

Eppure con quel tipo era diverso; non tanto perché non moriva dalla voglia di piantargli la canna di una delle sue pistole in bocca e premere il grilletto, quanto piuttosto per la ridicola maschera che indossava. Era pronta a scommettere che sotto quel costume idiota vi fosse il moccioso di quella sera, e se proprio voleva vedersela con lei, doveva avere il coraggio di farsi vedere di faccia.

-Togliti quella fottuta maschera, abbi le palle di mostrare la tua faccia prima che ti ammazzi!- ordinò categoricamente, squadrandolo con un’occhiataccia al veleno.

-Fumoffu!-

E poi che cazzo voleva dire quel “Fumoffu”? Cercava droghe?

Fu seriamente tentata di alzare il terzo dito, poi vide che l’individuo di fronte a lei portò le mani sulla faccia del costume da orso per poi sfilarla via, era proprio il ragazzo di alcune sere prima.

-Ora cominciamo a ragionare.- ma il terzo dito glielo mostrò lo stesso.

-Un soldato non viene mai meno al codice d’onore.-

Tsk, glielo avrebbe fatto vedere lei cosa ne pensava del suo “codice d’onore”; simili cavolate a Roanapur non esistevano!

-Non contarci tanto, moccioso. Avrai capito ormai che io me ne frego delle regole.- ghignò sadica, portando le mani sui calci delle pistole.

Il ragazzo finì di sfilarsi il travestimento, a quel punto tanto valeva lasciargli prendere le armi e finirla in fretta.

Lo aveva messo col culo per terra già una volta, niente le avrebbe impedito di farlo ancora.

E poco dopo si rese conto che forse era stata troppo sicura di se, aveva confidato troppo sul fatto che il suo avversario non  avrebbe ricorso a tattiche poco ortodosse, come si soleva dire.

Il giovane infatti, con un rapido movimento che, le costava ammetterlo, non si era minimamente aspettata, le lanciò contro la testa del suo pupazzo gigante per poi, dopo aver tirato fuori un telecomando da una delle tasche dei suoi pantaloni militari, farla esplodere a pochi centimetri da lei.

Revy dovette ringraziare nuovamente il suo istinto animale, frutto di anni passati in mezzo ai peggiori sobborghi, che la spinse a fare un salto indietro che si rivelò necessario.

La piccola esplosione generatasi ottenne solo l’effetto di spingerla indietro e farla ritrovare distesa a terra di schiena, era riuscita a cavarsela solo con qualche graffio di poco conto.

-Figlio di puttana!- biascicò a denti stretti, per poi alzarsi con un colpo di reni al sentire il suono dei passi del suo avversario in rapido avvicinamento.

Evidentemente quel tipo aveva preso in considerazione l’eventualità di non riuscire a ferirla seriamente con quella mossa inaspettata, prova ne era che le era già addosso.

Il tempo di realizzarlo e sentì il pugno del suo avversario colpirla allo zigomo sinistro, tanto bastò ad accendere ulteriormente la sua furia.

Vuoi il gioco pesante?! Ora te lo do io il gioco pesante!” le Sword Cutlass avrebbero aspettato nei foderi ancora un po’; voleva prendersi la soddisfazione di pestarlo a dovere prima del colpo di grazia.

 

 

 

Sosuke realizzò appena in tempo che il pugno appena assestato non sarebbe stato sufficiente a mettere la sua avversaria al tappeto, lo sguardo feroce che si vide rivolgere bastò a metterlo sulla difensiva e alzare le braccia per parare il destro che altrimenti avrebbe minacciato di spaccargli il naso.

Per sua fortuna gli anni di pellegrinaggio nel deserto e i duri allenamenti della Mithril fecero valere una volta di più i loro frutti, permettendogli di restare illeso, malgrado il formicolio che la potenza del pugno gli fece venire alle braccia.

Tentò di sferrare una ginocchiata al busto della su nemica che, chiaramente non meno esperta di lui, riuscì a bloccarlo col braccio sinistro, prima di rifilargli una testata che lo spinse indietro.

La donna in seguito lo travolse con una spallata furiosa che lo buttò a terra, costringendolo poi a rotolare via per non farsi colpire al volto dal suo calcio.

A quel punto entrambi i contendenti decisero di aumentare il ritmo e giocare più pesante.

Ancora prima di rialzarsi il giovane sergente aveva già estratto la sua pistola dal fodero e cominciato a sparare verso le gambe della sua avversaria; l’intento era catturarla viva, l’avrebbe interrogata per capire dove i suoi compagni appena scappati avessero intenzione di portare Chidori.

 

 

 

Revy eseguì un salto laterale per evitare di ritrovarsi le ginocchia bucate.

Era ormai chiaro, nella sua mente, che non poteva conservare le Sword Cutlass solo per il colpo finale, quel piccolo bastardo era maledettamente bravo, era il momento di fare sul serio.

Tirate fuori le sue fedeli armi cominciò a rispondere al fuoco avversario, con entrambi i contendenti in frenetico movimento per schivare i proiettili nemici e al contempo avvicinarsi sempre più al rispettivo opponente nel tentativo di disarmarlo.

Revy sentì un ghigno salirle istintivo, quella battaglia si stava rivelando eccitante e soddisfacente.

Avrebbe reso ancora più appagante il momento in cui avrebbe macchiato il terreno del suo sangue.

Ridotte le distanze con il ragazzo con una combinazione di velocità e rapide schivate, la mercenaria lo colpì con un’altra spallata anticipandolo.

Il suo nemico non crollò a terra e sfruttando la mano libera le sferrò un pugno sul polso destro, facendole perdere la presa sulla rispettiva arma che cadde a terra.

Il primo istinto di Revy fu quello di portare la pistola ancora in mano verso la fronte del suo avversario e premere all’istante il grilletto, e fu esattamente quello che fece.

Non riuscì nel suo intento in quanto il ragazzo la colpi con inaspettata rapidità al braccio sinistro deviando così la traiettoria del proiettile.

Fottuto bastardo!” fu l’unico pensiero di Revy prima di ricevere una gomitata al mento che ottenne l’effetto desiderato dal suo avversario stordendola per qualche secondo.

Qualche secondo magistralmente sfruttato dal suo avversario per toglierle di mano anche l’altra pistola, farle un rapido sgambetto e inginocchiarsi sopra di lei puntandole la sua stessa arma alla fronte.

-Le cose sono andate diversamente stavolta!- sentenziò il ragazzo.

Revy gli lanciò lo sguardo più velenoso del suo repertorio.

 

 

 

-Forza Kurz, non fai che vantarti della tua leggendaria precisione e non riesci a bucare una benedetta ruota?!-

Il ragazzo, leggermente irritato per il tipo di situazione in cui si trovavano, pensò fosse il caso di difendere la sua nomea.

-Sorellina, solitamente quando devo sparare sto fermo e posso calibrare tutto al modo giusto, ma non è così facile quando ti trovi in un’auto lanciata a razzo per le vie di una città dai vicoli stretti.- sbottò il biondo, mentre portava nuovamente la testa fuori dal finestrino dell’auto che lui e Melissa avevano “preso in prestito” (tanto in una città come quella non sarebbe fregato niente a nessuno) per inseguire quella su cui erano saliti i membri della Lagoon, con Chidori ancora come loro ostaggio.

L’iniziale felicità di Weber per poter finalmente mettere mano al fucile di precisione venne presto smorzata nel constatare le pessime condizioni in cui versava; non erano esattamente le condizioni ideali per un cecchino, le sue.

Melissa si lasciò sfuggire un’imprecazione quando vide l’altra auto eseguire l’ennesima svolta per gli stretti vicoli di Roanapur, maledicendo il fatto che quei bastardi conoscessero già quelle strade e avessero dunque il vantaggio di conoscere già il modo giusto per affrontarle.

-Porca miseria, se non riusciamo a salvare Kaname chi lo sente poi Sosuke?- mormorò a denti stretti prima di svoltare.

L’inseguimento andò avanti ancora per alcuni minuti fino a giungere nella zona del porto, fu a quel punto che l’auto dei membri della Lagoon si fermò quasi di colpo, costringendo Mao a schiacciare di colpo il freno per evitare una pericolosa collisione.

-E ora che altro c’è?-

E la sorpresa crebbe quando poco dopo fu proprio Chidori la prima ad uscire affermando di non usare le armi.

Ma che accidenti stava succedendo?

 

 

 

Kaname si era convinta che vi fosse qualcosa di strano in quella situazione già da un pò e quando il possente uomo di colore chiamato Dutch fece sì che la cimice piazzatale addosso da Sosuke giorni addietro (e che loro non le avevano sospettosamente tolto prima di giungere a Roanapur)gli scivolasse “accidentalmente” dalla mano finendo tra le pieghe della sua gonna non ebbe più dubbi: volevano che la sua posizione fosse rintracciabile.

Ignorando i sobbalzi dell’auto quando prendevano troppo di fretta una curva o una malformazione stradale (quel tipo di nome Benny era più spericolato del previsto alla guida), prese coraggio e glielo chiese.

-Ora lei deve spiegarmi cosa sta succedendo!-

Rock le rivolse uno sguardo quasi scioccato, come a volerle chiedere cosa le fosse saltato in testa per usare quel tono imperativo con Dutch; ok che il capo della Lagoon era fondamentalmente un tipo tranquillo e controllato, ma si trattava pur sempre di un gigante di quasi due metri con la muscolatura di un culturista, chiunque c’avrebbe pensato due volte a meno prima di fare mosse azzardate.

La giovane ebbe un lieve tentennamento quando le lenti degli occhiali dell’uomo la puntarono, quasi come a volerla avvisare di non dire niente che lui avrebbe giudicato inappropriato.

Ma non bastarono a frenare l’impeto di quella ragazza che pretendeva risposte.

-Rock, per favore, traduca queste mie parole: ci sono troppi elementi in questa storia che non mi convincono! Per primo il fatto che, malgrado i suoi colleghi avessero scoperto la cimice che avevo addosso molto prima che giungessimo qui, le non gliela fatta togliere, quasi come a volere che i miei amici riuscissero ad arrivare qui. Già solo questo è un buon motivo per avere sospetti, e ora per giunta lei mi ha rimesso la cimice addosso, a questo punto direi che non ci sono dubbi: lei vuole che sappiano dove sono! Le opzioni sono dunque due: o ha organizzato una trappola o sta tramando contro colui che vi ha ingaggiati. E potendo dire la mia, opto per la prima, d’altronde che senso avrebbe avuto sprecare tempo per preparare una trappola quando, sbarazzandosi in tempo della cimice, avrebbe avuto la certezza che non ci avrebbero mai trovati?- e Kaname disse tutto col tono fermo e determinato di chi era pronte ad affrontare le conseguenze.

In quel momento la ragazza sentiva solo a pelle i sobbalzi dell’auto per le strada, Rock che traduceva le sue parole suonava come un bisbiglio lontano, in quel momento era focalizzata soltanto sulla risposta che avrebbe ricevuto.

E fu quando Rock terminò di tradurre le sue parole che Dutch cacciò fuori un sorrisetto sardonico.

-I miei complimenti, piccola Kana, sei molo sveglia! Hai solo fatto un piccolo sbaglio dovuto al fatto che non conosci una piccola incognita: è vero, vogliamo che la tua posizione sia rintracciabile, ma non da coloro che vogliono salvarti.-

Mentre Rock riprese il suo lavoro di intermediario, l’uomo di colore fece cenno a Benny di fermare la macchina.

-Vuoi affrontarli direttamente?- il biondo dubbioso, per quanto non dubitasse della forza del suo capo, i loro inseguitori davano l’ara di essere gente che sapeva eccome il fatto loro.

-Niente di tutto questo, Benny Boy. Avere degli alleati fa sempre comodo.- bastò questo a convincere l’ebreo a fermare l’auto.

Una rinnovata speranza fece capolino negli occhi di Rock; forse era possibile risparmiare la vita della ragazza.

-Credo proprio che Dutch abbia un piano nascosto. Sembra proprio che non dovremo portarti da quel tizio.-

-Sul serio?!- ma il neonato entusiasmo di Kaname fu presto smorzato dal dubbio -Ma come faccio a fidarmi?-

Fu il sorriso incoraggiante di Rock a darle quella fiducia che cercava.

-Dutch non è certo un Buon Samaritano, ma agisce sempre per far si che la situazione sia la più vantaggiosa per noi. Evidentemente sa qualcosa che non sappiamo noi per voler agire così.- lo sguardo tranquillo e pacato del leader della Lagoon non sembrava lascia spazio a dubbi.

D’altronde, si ritrovò a pensare Kaname, a Roanapur non c’era spazio per l’altruismo, questo l’aveva capito ormai, ognuno agiva per il proprio interesse. La fortuna aveva semplicemente voluto che l’interesse di quel Dutch prevedesse che lei non finisse in mano a chi voleva le cellule del suo cervello.

Era inutile aspettarsi di più, tanto valeva approfittarne.

Fu lei la prima scendere dall’auto. Si accorse che Sosuke non c’era, probabilmente era ancora impegnato con la donna di nome Revy, sperò solo che stesse bene.

-Non sparate ragazzi!-

 

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Ed ecco che la situazione sembra essere giunta ad una svolta inaspettata: cosa starà tramando davvero Dutch? Kaname può davvero ritenersi fuori pericolo? E ora che Sosuke ha catturato Revy, cosa pensate le farà per estorcerle informazioni?

Beh, sicuramente io so già le risposte, ma voi no, quindi dovrete aspettare i prossimi capitoli per saperlo.

Ma non preoccupatevi, non manca chissà quanto alla fine, quindi le risposte che attendete arriveranno a breve.

Alla prossima ragazzi.

 

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Capitolo 9
*** Missione compiuta: consegna della Whispered ultimata! ***


Revy negli ultimi dieci minuti aveva scaricato addosso a quel ragazzo tutto il suo repertorio di insulti, da più leggeri (secondo il suo punto di vista) a più pesanti.

-Te lo chiedo un’altra volta: dov’è che i tuoi complici hanno condotto Kaname Chidori?-

-Fottiti!- il pugno partì quasi immediato centrandola alla bocca dello stomaco.

Un verso di rabbia e dolore uscì roco dalla bocca della donna, seguito da uno sguardo di puro astio verso il suo interrogatore; se solo non avesse avuto le mani e le gambe letteralmente legate a quel fottuto albero lo avrebbe già fatto pentire di ogni singolo colpo.

-Rassegnati ragazzino, da me non saprai niente!- aggiunse poi, con un misto di provocazione e rabbia.

Ciò non ebbe l’effetto desiderato di scalfire lo sguardo freddo e concentrato del ragazzo.

-Pretendo una risposta soddisfacente, o le conseguenze per te saranno spiacevoli!- proseguì lui.

Revy non ricordava d’ aver mai visto qualcuno usare quello sguardo con lei, ma sapeva bene cosa esso esprimesse, perché, se era vero che aveva visto ben pochi rivolgerlo a lei, d’altro canto era stata lei ad adoperarlo molte volte: lo sguardo freddo e senz’anima di chi in quel momento ha in mano la tua vita. Quel ragazzo doveva davvero aver vissuto esperienze dello stesso peso psicologico delle sue, uno sguardo del genere non si imparava a farlo, era qualcosa di naturale.

Ma non sarebbe bastato ad impensierirla.

-Credi davvero che me ne importi di cosa mi farai?! Qui a Roanapur non siamo altro che cadaveri che camminano, conviviamo con la morte ogni giorno. Non saranno certo le tue minacce a farmi paura!-

All’improvviso un segnale acustico giunse dalle tasche dei pantaloni del ragazzo.

Senza smuovere minimamente lo sguardo da lei, infilò una mano in tasca e tirò fuori la ricetrasmittente portandola all’orecchio, ma il vuoto del suo sguardo era sempre puntato su di lei, trafiggendola.

-Cosa c’è?- stava parlando in giapponese, notò Revy, erano sicuramente i suoi compari.

Di giapponese lei non ne capiva granché ma intese che dovevano avergli riferito qualcosa che, almeno per lui, dovesse avere una grande importanza a giudicare dalla scintilla che brillò nei suoi occhi, strappandoli via dall’oscurità che fino a poco prima la stava minacciando.

“Non l’ha persa, lui.” Pensò con disgusto e, forse, con un briciolo di invidia.

Ma quell’attimo di debolezza durò appunto ben poco prima che ghignasse sotto i baffi: quel povero coglione evidentemente si illudeva ancora che la vita potesse riservare sorprese piacevoli.

Se non ti ammazzerò prima, un giorno qualcosa ti farà capire come stanno davvero le cose.” Pensò sfacciatamente.

Poi lo vide mettere su un’espressione incerta.

-Cosa?! Siete sicuri? Avete analizzato bene quanto vi è stato riferito? Avete garanzie che non vi stiano ingannando?-

-HO DETTO DI SÌ, FISSATO CON LE ARMI CHE SI CREDE SEMPRE IN GUERRA, PASSALO ALLA DONNA CHE È  LÌ CON TE!- anche a distanza, Revy potè sentire l’urlo che giunse dall’altro lato dello strumento di comunicazione e fu a quel punto che drignò i denti infastidita.

Era proprio la voce di Kaname Chidori?! Che cazzo voleva dire, Dutch, Benny e quel pappamolle di Rock si erano fatti fregare?

Alcuni minuti dopo fu ancora più confusa dal gesto del ragazzo: le portò la trasmittente all’orecchio, facendole cenno di essere richiesta dall’altro lato.

-Revy.- stavolta vi era la voce di Dutch dall’altro capo.

-Dutch, a questo punto è ovvio che c’è qualcosa che mi sfugge, mi spiegheresti in che merda di situazione ci hai fatti finire?- sbottò la donna, con fredda rabbia.

Da quando si mettevano a negoziare con i loro avversari? A meno che quei tizi non gli avessero offerto, per liberare Chidori, una cifra ancor più alta di quella offertagli da Cliff per rapirla, allora non vedeva nessun motivo per non averli ancora freddati e lasciato i loro cadaveri a marcire in qualche fogna.

Sgranò gli occhi quando sentì quello che le riferì il suo capo.

-Mi auguro sia una presa per il culo, perché te lo puoi scordare che lo faccia! Questo stronzo qua davanti a me non si merita altro che una morte dolorosa e straziante e sarò io a dargliela. Puoi scordarti che io deponga l’ascia di guerra!- continuò a lamentarsi con tragicomica rabbia.

Sembrò calmarsi al sentire il resto del discorso.

Alla fine sospirò.

-E va bene, se vogliamo metterla su questo piano.- fece cenno al ragazzo di aver terminato la discussione, questi, senza mostrarsi minimamente preoccupato per li minacce da lei perpetrategli, si limitò a scambiare alcune ultime informazioni prima di riagganciare.

-Mi sembra quasi paradossale, questa situazione.- commentò distrattamente mentre con un coltello recideva la fune con cui l’aveva legata all’albero.

-Lo dici a me?! E comunque…- fulmineo, fu il pugno di Revy che si abbatté sul volto del suo ormai ex-avversario buttandolo a terra.

-… questo me lo devi. E ti assicuro che prima o poi regoleremo i conti.- aggiunse lei, prima di incamminarsi verso il porto di Roanapur senza degnarsi di aspettarlo, sapendo che tanto questi non avrebbe mosso critiche verso il suo atteggiamento.

“Dunque le cose stanno così. Tsk, lo ripeto: ci siamo cacciati in una situazione di merda!” pensò Revy distrattamente, accendendosi una sigaretta e riflettendo, con cruenta soddisfazione, a ciò che, a breve, sarebbe accaduto.

-Quel Rowan Cliff ha sottovalutato Roanapur. Ora ne saggerà la vera consistenza!- dichiarò malignamente, più a se stessa che al ragazzo che in quel momento le camminava di fianco.

Questi sì limito a guardarla di sottecchi per un attimo, non aggiunse nulla.

 

 

 

-Manca mezz’ora all’ora dell’incontro dei membri della Lagoon, capitano. Presumo sia il caso di muoverci.-

-La squadra ha ultimato i preparativi, compagno sergente?- chiese una voce di donna con un forte accento russo.

-Siamo pronti. Aspettiamo solo i suoi ordini.- confermò il suo braccio destro.

-Molto bene. È il momento che questo Rowan Cliff capisca chi detiene il comando qui a Roanapur!- le ustioni cicatrizzate sul lato sinistro del volto della donna sembravano bruciare di fuoco vivo quando le luci del tramonto si posavano su di esse mentre lei percorreva i corridoi del suo quartier generale, affiancata dal suo soldato più fedele.

Avrebbe dovuto ricordarsi di dire a Dutch di dovergli un favore, ma prima era il caso di occuparsi di quella faccenda prima che divenisse spinosa e rimarcare una volta di più quali fossero le gerarchie in quella città dimenticata da Dio.

 

 

 

Rowan Cliff era conscio del fatto che, per molto tempo, nella sua vita, fosse stato costretto a masticare amaro. Erano stati non pochi i bocconi indigesti che aveva dovuto tollerare, ma sarebbe valsa la pena di sopportarne anche il doppio per quel momento tanto atteso.

Perché lì, ad uno  dei moli del porto di Roanapur, lì, in mezzo a quei container vuoti e abbandonati, stava finalmente per avere ciò che bramava ormai da troppo tempo.

Nick, al suo fianco, strinse i pugni con tale forza da far sbiancare le sue nocche; ogni tanto lanciava anche degli sguardi dietro di sé per accertarsi di avere il suo bazooka ancora legato alla schiena, oppure tutto intorno alla zona, sempre con quello sguardo freddo e serio che sembrava non abbandonarlo mai, come a voler eseguire una scansione a raggi X di ogni singolo centimetro di quel posto per accertarsi che non vi fossero sorprese sgradite.

In un certo senso poteva capirlo, ma ormai era ovvio che non vi fossero rischi. I suoi hacker avevano tenuto sotto osservazione il telefono della Lagoon per tutto il tempo, nel caso in cui avessero deciso di “avere ripensamenti” o cominciassero ad avere sospetti e con i loro computer non erano stati da meno.

Quegli idioti non sospettavano niente e avevano svolto perfettamente il lavoro da lui commissionatogli.

E per ogni evenienza si sarebbe anche sbarazzato di loro, meglio essere prudenti fino in fondo.

Dovette trattenere un fremito di eccitazione quando i membri della Lagoon cominciarono ad entrare nel suo campo visivo; il loro capo, Dutch, teneva stretta a sé la figura di Kaname Chidori in modo che non scappasse.

Vi erano anche due tizi che non conosceva, anch’essi legati e trattenuti dagli altri due membri del gruppo, ma immaginava si trattasse di uomini della Mithril, quei bastardi erano stati una spina nel fianco già ai tempi dell’Amalgam e sembrava proprio che non avessero perso il vizio di impicciarsi.

I tre ostaggi non tentavano neanche di dibattersi, sembravano proprio rassegnati al loro destino.

Beh, poco importava cosa sarebbe successo a quei due intrusi, era solo la giovane Whispered che gli interessava.

Fece un cenno al suo assistente di seguirlo e gli andarono incontro;  i due schieramenti si fermarono a pochi metri l’uno dall’altro.

Rowan tirò fuori dal suo impermeabile uno dei suoi sigari e se lo accese, come a voler sottolineare la sua calma e sicurezza.

-Vedo che avete svolto con successo l’incarico. Sono soddisfatto.-

-Aveva forse dei dubbi al riguardo?- fu Dutch a porre la domanda, con un tono altrettanto sicuro e smaliziato che sembrava quasi volerlo sfidare.

-Certo che no, non mi sarei rivolto a voi se non fossi stato certo della vostra professionalità.-

-Oh, mi fa davvero piacere sapere che si fida ciecamente di noi, tuttavia…- con un movimento rapido Dutch estrasse la sua pistola e la portò alla tempia della giovane Whispered, la quale deglutì nervosamente.

Per un attimo Rowan rischiò seriamente di perdere il fiato e il sigaro di bocca, ma seppe metter su la miglior faccia di bronzo che possedeva e mostrare un’espressione solo vagamente confusa.

Che diavolo stava macchinando quel bastardo?

Il suo assistente Nick scelse saggiamente di non fare neanche il minimo cenno di voler afferrare il suo bazooka, aveva compreso che quel Dutch non avrebbe esitato un attimo a sparare alla ragazza e se la Whispered fosse morta tutto il loro lavoro sarebbe andato in fumo.

-… noi non possiamo dire di fidarci ciecamente di lei.-

-In che senso?-

Gli altri due uomini al fianco del leader della Lagoon sembravano non riuscire a condividere la sicurezza del loro capo, probabilmente temevano un esito negativo.

-Semplice. Lei ci ha pagato metà del compenso pattuito in anticipo, ora noi pretendiamo di ricevere l’altra parte  prima di lasciarle la signorina qui presente. Sa come funziona qui, no? Non si è mai abbastanza tranquilli a concedere piena fiducia.-

Rowan avrebbe voluto sospirare, riuscì a trattenersi solo per non far capire loro che per un attimo aveva seriamente avuto paura.

Dunque si trattava solo di quello, allora la situazione non era variata minimamente.

-Tutto qui? Bastava dirlo, signori. Volete l’altra parte del vostro compenso? Bene, seguitemi.-

A quel punto era importante giocare di intelligenza, non doveva far capire loro le sue intenzioni o addio Whispered.

-La mia base operativa è qui nelle vicinanze.- asserì prima di cominciare a far strada; i membri della Lagoon con i loro rassegnati ostaggi gli furono presto dietro.

-È sicuro di volerli condurre alla base, signore?- gli chiese il suo braccio destro affiancandolo.

I due cominciarono una breve discussione sottovoce onde evitare di essere sentiti.

-Siamo arrivati ad un passo dal traguardo Nick, non possiamo rischiare di inciampare proprio adesso! Vedranno ciò come un ulteriore segno di fiducia e abbasseranno la guardia. Una volta dentro la base ci penseranno i nostri uomini ad occuparsene. Andrà tutto secondo i piani.-

Sì, sarebbe andato tutto a posto, doveva andare tutto a posto.

Non dovettero camminare molto prima di giungere ad un container color giallo incrostato che faceva parte, come molti altri, dello squallido panorama che offriva quella zona del porto.

Rowan aprì il lato corto di esso rivelando al suo interno una rampa di scale.

-Ingegnoso.- commentò Dutch, Cliff provò un sincero senso di soddisfazione.

Sembrava proprio che tutto stesse filando liscio.

-Signore, se permette, io resterei qui a fare da guardia.- annunciò Nick.

L’uomo biondo non badò agli sguardi incerti dei membri della Lagoon e si affrettò a spiegarsi.

-Non sono mai stato bravo nelle contrattazioni o in faccende simili. Mi sentirei più utile qui a fare la guardia. E inoltre… presumo che i nostri ospiti si sentirebbero più a loro agio senza qualcuno che potrebbe puntargli un bazooka contro all’improvviso.-

Sul volto di Rowan spuntò un sorriso soddisfatto, sembrava proprio che Nick avesse deciso di reggergli il gioco del dar loro l’illusione di potersi fidare.

-Nessun problema. Presumo che per voi sia altrettanto, vero?-

-Oh, ma certamente.- rispose Dutch con un ghignò che, molto lontanamente, poteva ritenersi affabile.

Lasciando Nick all’entrata e dopo aver richiuso il container, Rowan condusse i membri della Lagoon e i loro ostaggi giù per quella buia scalinata che prometteva di condurre loro, a loro insaputa, verso la morte e a lui verso il suo trionfo.

 

 

 

A Rowan Cliff non importava di lui, lo riteneva solo una pedina come tutti gli altri, se mai fosse stato necessario lo avrebbe sacrificato senza remore.

Non che a Nick la cosa desse fastidio; non si poteva dire neanche che quella consapevolezza l’avesse raggiunta, dal momento che l’accompagnava fin dal giorno in cui era stato “assunto”.

Nick, fin da piccolo, per sopravvivere, aveva imparato a dare poco credito alle parole e ad affidarsi più agli occhi (Gli occhi sono lo specchio dell’anima, non ricordava chi l’avesse detto), in essi aveva imparato a leggervi anche le più nascoste sfaccettature dell’animo dei suoi interlocutori; lo sguardo di Cliff lasciava trasparire troppo spesso le sue emozioni e vi si leggeva fin troppo facilmente la perversa e spasmodica brama di potere al di là del rispetto della vita.

Rowan Cliff desiderava smaniosamente raggiungere il suo scopo e chi presentava quella luce di follia negli occhi difficilmente provava rispetto per gli altri.

Ma, sinceramente, non gliene importava, se la cosa avesse avuto anche la minima rilevanza per lui avrebbe categoricamente rifiutato di unirsi a lui, probabilmente l’avrebbe anche ucciso quel giorno remoto, in quel vicolo, con quello stesso machete che ancora portava legato alla cintura dei suoi pantaloni militari, sporco di quel sangue secco, un miscuglio ricordo delle sue vittime, che non aveva mai lavato via.

Che per Rowan Cliff lui fosse il suo irrinunciabile braccio destro o un pezzente da sostituire non appena avesse trovato qualcuno più bravo di lui era irrilevante.

Nick sapeva solo che in quel folle progetto aveva di nuovo trovato un perché.

Da giovane lo chiamava “Sopravvivenza”, poi era divenuto “Niente”, un vuoto apparentemente incolmabile condito da sangue versato senza ragione, Rowan Cliff lo aveva fatto divenire “Vendetta”, su quegli ex-superiori dai quali si era sentito preso in giro (gliene aveva parlato distrattamente e non molte volte, ma aveva lasciato intendere che non lasciato la sua vecchia organizzazione in buoni rapporti) e per la quale gli serviva anche il suo supporto.

Avrebbe anche potuto essere un altro il nome del “perché” (Soldi, Politica, Sequestro, uno qualunque), a Nick importava solo che ci fosse.

Lui sentiva solo quello: il bisogno di seguire una strada con una motivazione, per sentirsi vivo.

E per sentirsi vivo avrebbe seguito il suo “Perché” fino alla fine.

-Vi stavo aspettando!- dichiarò, senza modificare il suo tono freddo e quasi meccanico.

Una cosa che aveva sempre rimproverato al su capo? Era troppo sicuro dei suoi mezzi e troppe volte quella sicurezza aveva finito per trasformarsi in arroganza.

Nick aveva la certezza che, prima o poi, tanta superbia avrebbe finito per rovinare tutto, quel giorno sembrava essere arrivato.

Perché non aveva mai fatto presente a Rowan quel suo pensiero? Sapeva già che non sarebbe stato ascoltato.

-Il braccio destro di quel bastardo.- disse la donna della Lagoon, affiancata da un ragazzo più giovane ma dallo sguardo da soldato esperto.

-Presumo siate qui per riprendere Kaname Chidori.-

-Affermativo!- dichiarò il ragazzo senza la minima esitazione e calcando bene la sua affermazione.

-Tsk, parla per te, moccioso. Io intendo solamente fare il culo a questi stronzi che pensavano veramente di fotterci e venire qui a Roanapur a fare i capetti.- aggiunse la donna, ghignando sinistramente e sgranchendosi le nocche.

Nick strinse la presa sul bazooka legato alla schiena; era il momento di lottare per il suo “Perché”.

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Per il prossimo capitolo, signore e signori, si prospetta un bell’handicap match 2 vs 1!

Sosuke e Revy da un lato, Nick dall’altro e non date per scontato nulla!

E preparatevi perché il prossimo capitolo sarà un concentrato di spari, imprecazioni, mani che picchiano e rivelazioni.

Detto questo, preferisco non aggiungere altro per evitare di farvi anticipazioni che potreste non gradire.

Alla prossima gente.

 

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Capitolo 10
*** Per raggiungere i propri obbiettivi! (Parte 1) ***


Sto per vincere, sto per vincere, sto per vincere!” la mente di Rowan Cliff era come imbambolata, fissata su quel pensiero. Dentro di essa non vi era altro in quel momento.

Quell’unica, piccola scintilla che brillava nella sua testa trasudava di tutta l’emozione che in quel momento l’uomo stava provando.

Portò le mani nelle tasche del suo cappotto per poterle stringere convulsamente senza essere notato e calmare in minima parte il suo desiderio di esplodere dalla gioia. Finalmente stava per raggiungere il suo tanto agognato scopo, dopo tante umiliazioni sarebbe giunta per lui l’ora della rivalsa, contro Leonard Testarossa, contro l’Amalgam, contro il mondo.

Non vedeva neanche i suoi stessi uomini mentre li incrociava per i corridoi, vedeva soltanto la porta che conduceva al suo ufficio, alla fine di quel corridoio che, mai come in quel momento, gli stava sembrando fastidiosamente lungo da percorrere.

Ma ogni passo che riduceva le distanze da essa era un battito in più per il suo cuore, batteva così forte che sembrava volesse minacciare di scoppiare all’improvviso.

“Col cazzo, bello. Non ora che siamo arrivati fin qui.” disse lui nella sua testa.

Doveva solo varcare quella porta una volta raggiunta, nient’altro.

A quel punto tutto sarebbe venuto da sé: la Whispered sarebbe stata finalmente sua!

E i membri della Lagoon avrebbero incontrato la morte poco dopo, trivellati dai colpi dei suoi uomini, che li avrebbero aspettati giusto fuori dal suo studio e i due scagnozzi della Mithril li avrebbero seguiti; anche mettendo che la Mithril, insospettita dal fatto che non avrebbe ricevuto notizie per giorni, avesse preso la decisione di inviare altri soldati, a quel punto loro sarebbero già andati via da lì, ormai irrintracciabili.

Non doveva far altro che varcare quella soglia che, progressivamente, era sempre più vicina.

Mancava sempre meno, ancora pochi passi.

Quasi senza rendersene conto varcò la soglia del suo studio, fece entrare i membri della Lagoon e i loro ostaggi (la Whispered era praticamente sua), chiuse la porta.

-Ho vinto!- esclamò a bassa voce

Cominciarono i suoni degli spari; qualcosa nella mente di Rowan Cliff si incrinò, il ghigno di Dutch crebbe (lo aveva sentito) e la sua sentenza fu ben diversa.

-Hai perso!-

 

 

 

-È stato illogico, perché lo hai fatto?-

-Non che me ne freghi qualcosa, ma il moccioso qui accanto a me ha ragione. Li hai lasciati passare senza batter ciglio pur sapendoli nostri alleati, cazzo ti è preso, ti è saltata qualche rotella?- aggiunse Revy, unendosi alla domanda fatta dal suo temporaneo alleato, lo stesso con cui, poche ore prima, si stava prendendo a mazzate come se non ci fosse stato un domani.

-Ho sempre pensato che il mio capo fosse un tipo troppo sicuro di sé, non ho aggiungo altro. Ma con voi ho intrapreso una sfida ed è diverso. Dimostratemi che le vostre convinzioni sono più forti delle mie!-

Revy sbuffò contrariata; convinzioni, ideali, era davvero di simili stronzate che stava blaterando?! A Roanapur?!

-Tsk, le ho proprio sentite tutte. Senti un po’, mocciosetto…- si rivolse al giovane soldato di fianco a lei -… vedi di non starmi tra le scatole. A questo coglione ci penso io!-

-Negativo!- Revy lo fulminò all’istante con lo sguardo. -Non è un avversario da sottovalutare, è al di fuori della nostra portata se lo affrontiamo in singolo! Pertanto suggerisco di stipulare un metaforico accordo di reciproca collaborazione per sconfiggerlo.-

Aveva ragione, dannazione se aveva ragione, ma col cazzo che avrebbe ammesso di pensarla come lui e dargli il suo assenso; Revy era sempre stata molto orgogliosa.

Quell’omaccione dinanzi a loro non era il classico “tutto muscoli e niente cervello”, con lui non sarebbe bastato agire con un briciolo di inventiva per averla vinta, bisognava proprio metterlo sotto torchio pesantemente, senza dargli fiato e tempo per pensare.

Lo si leggeva nel suo sguardo, era uno come “Loro”.

Ma l’orgoglio in certi casi sa rivelarsi controproducente.

-Fanculo, non intralciarmi!- inaspettatamente Revy si gettò alla carica verso il suo avversario, mirando al volto con un destro ben calibrato, che il suo nemico parò senza fatica.

La donna tentò di colpirlo sul fianco opposto con un calcio laterale, quello che non immaginava era che questi non avrebbe tentato di pararsi, incassandolo in pieno.

-Era molto forte, lo ammetto. Ma ho subito colpi peggiori.- con la mano destra rimasta libera colpì Revy in piena faccia, gettandola al tappeto.

La donna sentì come se il volto le fosse andato a fuoco.

“Cazzo, che male!” pensò, non ricordava di aver mai provato tanto dolore per un pugno in pieno volto (l’altra volta che qualcuno era riuscito a strapparle un gemito di sofferenza per un colpo fisico era stato durante lo scontro contro quella bastarda cameriera sudamericana).

Vide la minacciosa figura del suo nemico incombere su di lei e lì giunse un ulteriore smacco al suo orgoglio.

Sosuke, a cui aveva intimato di non intromettersi, si frappose fra lei e il pugno destro che altrimenti il loro nemico avrebbe sferrato al suo stomaco, bloccandolo con entrambe le braccia.

Con uno sforzo fisico enorme (lo si poteva intuire da come strinse i denti) proiettò l’altro uomo verso un container facendocelo sbattere di schiena.

E, come se non bastasse, poi l’aiutò a rialzarsi e la portò a distanza di sicurezza, mentre l’uomo biondo si rialzava senza aver subito apparentemente nessuno danno.

 

 

 

-Te l’avevo detto che in singolo non abbiamo possibilità!-

Sosuke non si rendeva ancora conto del fatto che rinfacciava troppo spesso le cose agli altri. Non era qualcosa di premeditato, per lui le sue non erano altro che constatazioni dette senza il minimo intento provocatorio.

Per questo non comprese l’ennesimo “Fanculo” cha la sua temporanea alleata gli aveva riservato a denti stretti mentre si rialzava.

Decise comunque di sorvolare sulla questione e concentrarsi su quella in quel momento prioritaria.

L’assistente di Cliff si era di nuovo piazzato davanti al container che fungeva da ingresso alla base del suo capo, non li avrebbe mai lasciati passare con le buone… almeno non loro due.

-Come vuoi tu, idiota. Se è l’unico modo che abbiamo per fare a pezzi questo armadio, per stavolta farò un eccezione. Revy!-

-Sosuke!- presentazione di circostanza, nulla di più.

Notò come la donna avesse stretto gli occhi prima di accettare a collaborare, segno che doveva aver fatto un immenso sforzo per sopperire temporaneamente il suo orgoglio; a suo modo, le era riconoscente di questo.

-E allora, visto che ci tieni tanto a collaborare, hai qualche idea, Sosuke?- il sarcasmo nel tono della donna era così pesante da essere quasi tangibile.

-Basterà sfiancarlo. Adesso!-

Scattarono praticamente all’unisono e lo presero dai lati, entrambi cercarono di assestare un pugno sinistro.

L’uomo incrociò le braccia e bloccò entrambi i colpi, si intesero all’istante.

Entrambi eseguirono un attacco con il braccio destro, Sosuke lo colpì violentemente alle gambe, sbilanciandolo, Revy lo prese in pieno volto.

La combinazione portò il loro avversario ad una rovinosa caduta.

Quando entrambi tentarono di colpirlo in pieno petto con un gancio, questi si sfilò il bazooka usandolo come scudo per parare i loro colpi e spingerli indietro.

Sosuke si scambiò una rapida occhiata con Revy, la quale, seppur di malavoglia, annuì seria e convinta.

Sembrava quasi paradossale che tra di loro fosse nata subito quell’intesa combattiva, specie considerando che giusto fino a poche ore prima erano occupati a menarsi come bestie.

Evidentemente l’aver condiviso la stesso passato, fatto di morte e sangue, doveva aver in qualche modo influito sul loro modo d’agire, per quanto entrambi non lo avessero affrontato nella stessa maniera.

Entrambi scattarono nuovamente, ciascuno da un lato diverso, Sosuke colpì per primo, provando ad eseguire un affondo di sinistro; come previsto, venne schivato, ma ottenne l’effetto di coprire temporaneamente la vista all’avversario, quel tanto che bastò affinché Revy lo colpisse con una gomitata al fianco.

Sembrò funzionare, per la prima volta lo videro piegare il volto in una smorfia infastidita.

Revy proseguì con una ginocchiata indirizzata al petto che il suo avversario bloccò col braccio sinistro, Sosuke lo colpì con un colpo di taglio a quello destro prevedendo che avrebbe tentato di attaccarlo, per poi sferrargliene un altro alla base del collo per sbilanciarlo.

Quando l’assistente di Cliff crollò per la prima volta in ginocchio, i due pensarono sinceramente di averlo finalmente messo alle strette, quando invece questi reagì con una rapidità sorprendente colpendoli entrambi al volto con due montanti sferrati in contemporanea, potenti al punto da spingerli alcuni metri più indietro, compresero che la battaglia non era ancora prossima al termine.

-Porca puttana.- Revy sputò e si asciugò un rivolo di sangue che le colava dal labbro inferiore, notando che Sosuke stava facendo lo stesso col naso.

Quel bastardo di Cliff se l’era scelto bene, il suo braccio destro.

 

 

 

Nella mente di Cliff gli spari che giungevano dai corridoi della sua base sotterranea fuori dal suo studio suonavano come echi lontani.

Non poteva essere vero!

Doveva essere tutto uno scherzo, magari stava solo vivendo un incubo, a breve si sarebbe risvegliato e avrebbe scoperto che la Whispered era già nelle sue mani mentre lui ed i suoi uomini era già andati via da quel letamaio che era Roanapur.

-Sei stato troppo arrogante, amico mio, ora vedrai cosa accade a chi fa il galletto in un posto come questo.- odiosa e indesiderata, giunse alle sue orecchie la voce del leader della Lagoon.

Accadde in un attimo.

I due “ostaggi” della Mithril sciolsero i nodi che gli bloccavano le braccia (era stato troppo facile per pensare che fossero davvero legati, stupido lui che non se n’era accertato) e scattarono verso di lui bloccandogli e braccia e spingendolo contro un armadio, dove la sua schiena cozzò duramente.

“È troppo reale questo incubo, dannazione!”

Si ritrovò la possente figura di Dutch a pochi centimetri dal volto, lo fissava con uno sguardo da predatore.

-Non dico che tu non abbia giocato bene le tue carte, anzi, riconosco che hai preso tutti i provvedimenti necessari, se solo non fossi stato a Roanapur avrebbero anche potuto funzionare.-

Ma proprio come gli spari che giungevano dall’esterno, anche quelle parole giungevano ovattate alle orecchie di Cliff.

“Perché?” continuava a chiedersi; dove aveva sbagliato per ritrovarsi in quella situazione?

Osservò Kaname Chidori, in quel momento libera al fianco dell’uomo della Lagoon in camicia e cravatta; era così vicina, e paradossalmente non era mai stata così lontana.

“Perché?” se lo chiedeva.

-Dal momento che non c’è più nessuna fretta, non vedo perché non darti una spiegazione. Sarà l’ultima cosa che sentirai!- sentenziò Dutch, anche se, osservando lo sguardo vacuo di Cliff, neanche lui ci avrebbe giurato, che lo stesse sentendo davvero.

Intanto gli spari continuavano ad echeggiare, eppure nessuno sembrava preoccupato da essi, come se avessero già saputo come sarebbe andata a finire, a parte Rock, che ogni tanto lanciava qualche occhiata apprensiva verso la porta che portava fuori dallo studio, come temendo che qualcuno dei loro nemici potesse entrare all’improvviso.

-Bisogna partire dall’inizio ovviamente, dal giorno in cui ci ingaggiasti per il rapimento della piccola Kana qui presente.- la ragazza in questione storse il naso al sentire il suo soprannome.

-Bisogna dire che è stata una mossa azzardata e al contempo intelligente, la tua: raramente chi ci ingaggia ha le palle di venire personalmente, solitamente mandano i loro sgherri. Ma venire personalmente è stato un modo efficace di non farci sorgere sospetti, almeno all’inizio. Perché c’è un elemento che hai dimenticato di considerare: a modo suo, noi abbiamo già avuto a che fare gli uni con gli altri. Prego, Benny Boy, continua tu! Dopo tutto, le questioni informatiche sono il tuo pane.- il capo della Lagoon lasciò il posto al suo collega biondo.

Dopo essersi schiarito la voce, Benny prese la parola.

-Allora, dopo che te ne sei andato e dopo aver mandato Revy e Rock in missione, Dutch mi ha detto di controllare certi dati relativi ad una nostra missione passata poiché aveva il sospetto di averti già visto, pertanto sono entrato nei server di controllo dell’Hotel Moscow, l’organizzazione della mafia russa che detiene la maggior parte dei poteri qui a Roanapur, considerate le grandi collaborazioni che abbiamo sempre avuto con loro non è stato un problema, per i controllare le informazioni relative  ad un incarico svolto qualche tempo fa. La cosa che più ha attirato la nostra attenzione fu che quella missione ci venne si commissionata dall’Hotel Moscow, ma in accordo con un’altra organizzazione per lo scambio tra le due di un grosso carico d’armi che noi avremmo appunto dovuto rubare.-

Rock restò leggermente confuso, evidentemente doveva essere accaduto prima che lui entrasse nel gruppo.

-L’organizzazione in questione si chiamava… Amalgam!-

Amalgam… Amalgam… AMALGAM?!

“Perché? Perché deve sempre tormentare la mia esistenza?” il sentire il nome della sua ex-organizzazione fece scattare in Cliff un moto di rabbia e disgusto, ora si che stava davvero prestando attenzione.

-Vedi, prima di cominciare quell’incarico, le due organizzazioni si scambiarono un fascicolo contenente ciascuno informazioni riguardanti tutti coloro che facevano parte dei due gruppi a quell’epoca, una dimostrazione di fiducia e promessa di non intralciarsi mai in futuro, possiamo dire. Ho controllato il fascicolo dei membri dell’Amalgam: c’eri anche tu!- disse l’informatico della Lagoon.

Il rumore degli spari cessò all’improvviso.

La porta dello studio; Dutch sorrise sardonico, Benny e Rock sospirarono sollevati, solo Kaname e i due soldati della Mithril mantennero la guardia alta, come a temere un ripensamento dell’ultimo.

Sull’uscio, fiera e terrificante nel suo volto sfregiato, stava Balalaika, leader dell’Hotel Moscow.

-Se permettete, ora continuo io!- e lo sguardo che riservò a Rowan, almeno fu quello che pensò Kaname, fu dei più gelidi e violenti che avesse mai visto.

 

 

 

Sosuke venne letteralmente sollevato di peso e scagliato contro Revy; la donna dovette fare una bella faticata per prendere al volo il suo alleato, la forza della spinta fece cadere sul didietro anche lei.

-Non è stata esattamente una delle mie migliori prestazioni.- commentò a denti stretti il ragazzo, ancora tra le braccia della donna.

-Levati di dosso!-

I due si rialzarono, avevano entrambi il fiato corto, l’assistente di Cliff aveva cominciato a boccheggiare.

Non si sarebbero mai aspettati che fosse tanto resistente, era davvero “uno di loro” ed evidentemente aveva anche più esperienza di loro.

Come se quella consapevolezza sarebbe potuta bastare a fermarli.

Revy ignorò il dolore al labbro inferiore e ghignò lievemente.

-Ehy, Sosuke, direi che a questo punto non è il caso di trattenersi. Tiriamo fuori i ferri del mestiere e mettiamo a posto questo stronzo!- con un impeto di quella che poteva essere definita gioia, Revy mise finalmente mano alla cintura, le Sword Cutlass erano impazienti di sputare ferro e fuoco.

-Concordo.- anche Sosuke tirò fuori la sua fidata pistola.

Avevano il serio presentimento che anche l’assistente di Cliff avrebbe messo mano alle armi, sicuramente avrebbe smesso di usare il suo bazooka solo come scudo o oggetto contundente.

-Questo è il turno decisivo!- esclamarono i tre all’unisono, un’intesa istintiva che solo chi aveva vissuto l’Inferno poteva avere.

Era ora di chiudere la questione!

 

 

 

Angolo dell’autore:

Ed ecco che siamo giunti al rush finale, ormai la banda di Cliff è stata sgominata, Revy e Sosuke hanno deciso di giocarsi il tutto per tutto contro Nick e Balalaika, leader dell’Hotel Moscow è finalmente entrata in scena, anche se, come vedrete, si può dire che sia stata in gioco fin dall'inizio.

Mi fermo qui, al prossimo capitolo per le ultime spiegazioni e retroscena e la fine delle ostilità.

Alla prossima ragazzi.

 

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Capitolo 11
*** Per raggiungere i propri obbiettivi! (Parte 2) ***


-Merda!- biascicò Revy nascondendosi dietro un container.
Mossa inutile, mezzo secondo dopo esso esplose colpito da uno dei colpi di bazooka dell’assistente di Cliff, l’onda d’urto la spinse di alcuni metri per poi lasciarla a terra.
Imprecò di nuovo; quel bastardo ci sapeva fare.
-Scappare è del tutto inutile!-sentenziò quest’ultimo.
Tsk, come se lei stesse scappando, si ritrovò a pensare la donna mentre lo osservava avvicinarsi.
Ad un certo punto, al momento da lui ritenuto opportuno, Sosuke sbucò da sopra un container e spiccò un salto che lo portò a ritrovarsi temporaneamente sopra la testa del loro avversario.
Puntò la pistola al centro del cranio e fece fuoco, ma questi usò il suo bazooka come scudo con una tale rapidità da sembrare che lo avesse addirittura previsto con largo anticipo.
Doveva avere ben più esperienza di loro nell’ambito di strategie di battaglia se sapeva difendersi così bene.
Sosuke ebbe solo il tempo di poggiare i piedi a terra che se lo ritrovò a pochi centimetri di distanza, venne colpito dal bazooka all’altezza dello stomaco e scagliato a terra di forza.
L’assistente di Cliff non proseguì l’attacco, preferendo scansarsi di lato con un salto, azione che di fatto lo salvò dai proiettili sparati da Revy che aveva cercato di colpirlo lateralmente.
La donna imprecò di nuovo, Sosuke approfittò di quel breve lasso di tempo per rialzarsi.
Entrambi fecero fuoco ma le loro pallottole incontrarono solo il freddo metallo dietro al quale il loro avversario andò a ripararsi.
Nel breve attimo che intercorreva tra il mettere mano alle tasche per prendere le pallottole e ricaricare le armi, questi sbucò fuori e sparò un altro colpo.
Sosuke e Revy si salvarono solo perché riuscirono a spiccare un balzo all’indietro all’ultimo secondo, rimediandoci soltanto un’ulteriore caduta di schiena sul pavimento.
Servendosi del polverone i due temporanei alleati corsero lontano da dove il loro nemico si trovava (o dove presumevano si trovasse, la polvere celava del tutto la sua figura), raggiungendo l’estremo lato della zona container.
-Di questo passo non otterremo un cazzo! Quel bastardo riesce a prevedere ogni nostra mossa e ogni volta riesce a fotterci. Un attimo di ritardo e saremmo diventati scheletri!- imprecò a voce bassa la donna, quel tanto che bastava per esprimere a parole la sua frustrazione, neanche le importava se il ragazzo l’avesse sentita o meno.
-Riconosco che non siamo in una situazione edificante.- l’aveva sentita -Sfiancarlo evidentemente non basterà, dovremo ricorrere a metodi meno convenzionali.-
Entrambi, realizzata la cosa, cominciarono a guardarsi spasmodicamente intorno, alla ricerca di qualcosa che potesse tornar loro utile e al contempo per perlustrare la zona nel caso l’assistente di Cliff fosse riuscito a localizzarli.
Fu quasi per distrazione che Revy ebbe un’illuminazione; stava alzando lo sguardo per lanciare l’ennesima imprecazione al vento quando l’occhio le cadde come per sbaglio sui container sovrastanti, quelli che poggiavano sopra gli altri.
Ghignò quasi con perversa eccitazione.
-Ehy, Sosuke…-
Sosuke non era mai stato un esperto nel cogliere i toni maliziosi delle donne, ma qualcosa lo mise sull’attenti nel sentire quello della sua alleata.
-Sì?!-
-Hai detto di voler salvare la tua “amichetta”, saresti disposto a tutto?-
-Affermativo! Farei tutto ciò che in mio potere per salvare Chidori!-
-Anche una mossa così folle da costarti probabilmente la vita? Te lo dico sinceramente adesso, anche perché se poi ti cagherai addosso e ti tirerai indietro sarà stato tutto inutile.-
-Ripeto: per Chidori farei di tutto!- era una convinzione troppo forte per essere mossa solo dal suo dovere militare; lui era troppo sciocco per capirlo e a Revy, che paradossalmente l’aveva capito, non gliene sarebbe potuto fregare di meno.
Revy non seppe cosa la convinse, ma per una volta volle concedere fiducia a qualcuno che non fosse Rock.
-Le tue motivazioni sono da coglione! Non che mi importi. Ecco cosa faremo.-
 
 
 
Cliff sentì il gelo nelle ossa mentre gli occhi penetranti di Balalaika lo squadravano.
La leader dell’Hotel Moscow, aveva sentito più e più volte di cosa fosse capace quella donna, cose raccapriccianti e dettagli scabrosi che fecero nascere in lui il desiderio di non averci mai nulla a che fare.
E invece era lì, nel suo studio, insieme a tutti quei bastardi che lo avevano fottuto.
Tremava, Rowan, e sudava freddo, tra le braccia dei due agenti della Mithril che lo bloccavano.
-Mi par di capire che te la stai facendo sotto, vero?- chiese sarcasticamente la donna, il suo forte accento russo le conferiva un’aria ancor più minacciosa.
-E ti garantisco che ne hai tutti i motivi. Vuoi sapere perché sono qui, direi di ricominciare con le spiegazioni, ma tranquillo, sarò breve, non mi piace dilungarmi.-
La donna cominciò a camminare per la stanza, il suo occhio indagatore e freddo gelava tutti i presenti, Dutch sembrava l’unico immune, sapeva cosa aspettarsi da lei.
-Dutch, appena accertatosi di chi tu fossi, ha provveduto a contattarmi, ovviamente facendo in modo che la nostra comunicazione fosse schermata da possibili interventi esterni.- fece un cenno del capo verso Benny, lasciando intendere come l’informatico della Lagoon avesse avuto la sua parte nella faccenda -Nei giorni successivi Dutch ha continuato a tenermi aggiornata sulla situazione, confermandomi inoltre che avrei capito da me quando agire.-
Si fermò di colpo, di fronte a lei Kaname Chidori.
Infilò una mano tra le pieghe della gonna della ragazza, senza che questa facesse nulla per impedirlo, conscia che non le conveniva ribattere; la donna trovò ciò che stava cercando, un piccolo oggetto metallico, la Whispered lo riconobbe, i suoi sospetti erano fondati, volevano fosse rintracciabile.
-Grazie ad una cimice, nascosta addosso a questa ragazza. Con le opportune modifiche, è stata resa anche un trasmittente così che potessimo ascoltare le vostre conversazioni e sapere così quando muoverci.-
La giovane restava ferma, sudava freddo di fronte allo sguardo della donna dal volto sfregiato, cicatrici che dovevano essere state regali di chissà quale conflitto armato o incendio.
Certo, tecnicamente era un’alleata, ma Kaname era ben lontana dal potersi definire tranquilla e sicura; notò che Melissa e Kurz allentarono leggermente la presa su Cliff evidentemente pronti a scattare se fosse accaduto qualche imprevisto, ma neanche ciò l’aiuto a calmarsi.
E Balalaika continuava a fissarla con quegli occhi fulminanti e scuri.
Si sentì molto più leggera quando quei due pezzi di ghiaccio si allontanarono dalla sua figura per tornare a puntare quella di un Rowan Cliff che ormai non ci stava neanche più provando a dimenarsi, intrappolato in un limbo di disperazione ed incredulità, o almeno questo sembrava suggerire il suo sguardo sul suo volto pallido.
-Con le dovute precauzioni, abbiamo sempre schermato le nostre telefonate ai vostri hacker e, attraverso le telecamere di sicurezza adeguatamente piazzate, Dutch si assicurava che non avvenissero nei momenti in cui i tuoi uomini facevano la ronda fuori dalla loro base. Sei stato previdente, ma non abbastanza per Roanapur.-
Lanciò un’occhiataccia ai due agenti della Mithril, ordine chiaro e preciso.
Melissa e Kurz sentirono una scarica fredda percorrergli la schiena, quella donna non andava fatta arrabbiare; lasciarono la presa su Cliff, era questo che lei voleva.
Ma non ebbero nulla da ridire quando questa sferrò un calcio in pieno volto a Rowan, buttandolo a terra col naso sanguinante.
-Vedi, la ragione per cui quella degli AS è una pratica praticamente sconosciuta qui è che qui non ci facciamo problemi a sporcarci le mani, il sangue è il nostro nettare, un povero bastardo come te non doveva nemmeno pensare di cambiare le cose. Roanapur odia i cambiamenti, gioca secondo le sue regole; tu hai tentato di modificarle, ora saggerai la punizione che viene inflitta agli stronzi come te.- non un cambiamento nel tono vocale, nessuna sfumatura di emozione, una voce fredda, perentoria, possente, così era Balalaika quando si cercava di ostacolarla, di cambiare le carte in tavola, quelle carte che ponevano lei e l’Hotel Moscow in cima.
 
 
 
Negli ultimi istanti c’era stato troppo silenzio unito all’oscurità della sera ormai vicina a lasciare il posto alla notte, Nick trovava ciò tremendamente seccante.
Mentre camminava in mezzo a due file di container si chiedeva dove fossero finiti quei due; non gli avevano dato minimamente l’aria di essere due codardi, di certo non erano scappati.
Era dunque più logico pensare che fossero nascosti da qualche parte, probabilmente occupati ad escogitare una qualche strategia per avere la meglio su di lui.
Insomma, doveva tenere la guardia alta.
Il bazooka era già posizionato sulla spalla in posizione da lancio, era convinto che ne avrebbe avuto bisogno.
Un rumore sordo, di qualcosa che calpestava una superficie metallica, giunse alle sue orecchie.
Spostando leggermente lo sguardo alla sua destra, vide la donna di nome Revy in cima ad un container, acquattata per prendere la mira.
Saltò leggermente di lato per evitare lo sparo; la vide muovere la bocca, parlò a voce bassissima, ma, a giudicare dal labiale, doveva trattarsi di un’imprecazione; poco dopo si ritirò, probabilmente alla ricerca di una nuova postazione.
Tutta qui dunque la loro strategia, aspettare nascosti e approfittare di una sua eventuale distrazione per colpirlo? Sinceramente si era aspettato qualcosa di meglio.
Meglio non dare giudizi affrettati, pensò subito dopo, poteva sempre trattarsi di un trucco per fargli abbassare la guardia.
Decise comunque di dargli temporaneamente corda e far credere loro di esserci cascato, prima o poi si sarebbero scoperti troppo e non avrebbero avuto il tempo di difendersi dal suo bazooka, anche se avessero schivato il colpo, esso gli sarebbe esploso abbastanza vicino da, se non ucciderli, quantomeno ferirli parecchio.
Decise dunque di continuare a camminare, prendendo una strada in que labirinto che andasse nella stessa direzione dalla quale era sbucata lei.
Durò pochi secondi, la situazione di relativa calma: dietro ad uno dei container in alto si profilò una figura, stavolta era il ragazzo.
Prese bene la mira e cercò di colpirlo alla testa, era troppo prevedibile, lo schivò con largo anticipo per poi osservare il giovane battere in ritirata.
Una strategia segno di incapacità mentale, la loro, o forse dettata da un’insita arroganza, l’illusione che bastasse davvero un’idea così misera a sbarazzarsi di lui.
Li avrebbe fatti pentire di tale superbia.
Quell’assurda tattica del “Mordi e fuggi!” si protrasse ancora per alcuni minuti.
Quei due passarono il tempo che trascorse così come avevano cominciato, alternandosi nel tentare di colpirlo dalla distanza, mancandolo oppure perdendo troppo tempo rendendogli facile schivare o difendersi.
Stavano giocando col fuoco.
Quando, ad un certo punto, la via che seguì lo portò su una strada che sarebbe terminata in un vicolo cieco bloccato dai container, ebbe un ripensamento.
Nick aveva troppa esperienza alle spalle per cascare in trucco del genere.
“Dunque era questo che tramavano.” Pensò distrattamente, osservando il container che, alla fine di quella via, svettava in cime agli altri.
Era leggermente sporto in avanti, con una buona spinta sarebbe stato possibile farlo cadere e la spinta gravitazionale unita al suo peso sarebbero stati un biglietto di sola andata per l’altro mondo.
Beh, era un’idea leggermente più complessa di quanto avesse pensato all’inizio, lo riconosceva, ma non era ancora nulla di eccezionale.
Strinse ancor più saldamente il suo bazooka; tanto valeva continuare a reggere il gioco; avrebbe fatto saltare il container a mezz’aria, il rimbombo dell’esplosione li avrebbe sbilanciati (perché non avrebbero avuto il tempo sufficiente per scendere dall’alta “torre” da cui gliel’avrebbero lanciato) e a quel punto li avrebbe presi in pieno.
Meglio continuare il loro assurdo gioco fino alla fine, il piacere di toglier loro di bocca il gusto della vittoria proprio quando avrebbero pensato i esserci vicini avrebbe reso ancor più significativo ucciderli e ancor più sostanzioso il suo tributo alla vita.
Percorse con studiata calma i metri che portavano alla fine del vicolo, schivando o parando col bazooka i colpi che gli sparavano contro (sì, continuavano ancora, evidentemente non credevano avesse intuito il loro gioco).
Nel mentre, continuava a pensare a tutto ciò che era accaduto, a ciò che stava accadendo, a cosa sarebbe accaduto dopo.
Una sua eventuale vittoria a cosa avrebbe portato? Addirittura lui dava per scontato che gli uomini di Cliff (non li aveva mai considerati compagni) stessero soccombendo pateticamente sotto i proiettili degli uomini dell’Hotel Moscow.
Non li aveva mai ritenuti all’altezza di uno scontro armato, o meglio, non contro avversari del genere… ma il capo era Cliff.
Troppo accecato dal suo desiderio di potere da aver messo in secondo piano il tempo, che certo non era eterno per nessuno, ma per lui era ancora abbastanza da garantirgli un’organizzazione più precisa e sicura.
Ma i rancori del passato, la rabbia e il desiderio di rivalsa avevano annebbiato il pensiero di Rowan.
Allo sbaraglio, erano andati, con un piano efficace, ma in un posto come Roanapur anche i piani efficaci andavano a puttane come niente, travolti dalla brama di sangue e carne morta.
Insomma, avevano perso!
Ma lui non aveva interessi del genere.
Il suo capo aveva perso, lui, uccidendo quei avrebbe dato il suo ultimo tributo a quella vita che in passato lo aveva torturato, lui poteva ancora vincere, poi avrebbe accolto la morte per mano dei loro nemici… ma se ne sarebbe andato da vincente, l suo debito del tutto pagato.
Arrivò in fondo al vicolo.
Il silenzio sembrò divenire più pesante, l’oscurità più opprimente, a suo giudizio; chissà se quei due pensavano lo stesso o se non provassero il minimo nervosismo.
Cominciò a sentire un lieve clangore, alla fine ci aveva azzeccato.
Il rumore divenne sempre più forte, sempre più fastidioso; alzò, lo sguardo, il container cominciò a cadere, era ora di “Pagare”!
Puntò il bazooka, fece fuoco, il container esplose in un turbinio di fumo e fuoco.
Doveva solo ricaricare, puntare più in basso e ucciderli, la fine dei giochi sarebbe giunta a breve.
E giunse davvero… con un finale diverso da quello da lui previsto.
Fu una questione di istanti, troppo poco per realizzare chiaramente, troppo poco per pensare ad un’efficace difesa.
I suoi due avversari uscirono fuori in caduta libera dalla nube, si erano buttati insieme al container, lo avevano colto di sorpresa; era feriti e sanguinanti in numerose parti del corpo, avevano messo a rischio le loro vite.
La soluzione estrema avevano tentato.
Avevano le armi puntate verso di lui, sapevano che sarebbero riusciti a sopravvivere alla caduta, ma la forza dell’impatto, unita alle pesanti ferite causate dall’esplosione, li avrebbe potuti paralizzare anche per ore, stanchi e distrutti. O sarebbero andati a segno in quel momento o sarebbero morti per mano sua.
Ma il corpo di Nick fu trapassato da parte a parte, il suo busto ormai sarebbe sembrato più uno colapasta, i buchi sanguinanti non si riuscivano a contare.
Cadde al suolo insieme a loro, in una pozza di liquido rosso.
Davanti ai suoi occhi il manto stellato del cielo notturno, l’unica cosa pura che si poteva vedere a Roanapur.
Poi il buio.
 
 
 
Aveva vissuto l’Inferno da bambino, da ragazzo, da soldato della Mithril.
Poi gli era stata affidata una missione: proteggere una Whispered, Kaname Chidori era il suo nome.
Gli inizi erano stati burrascosi, il carattere determinato e forte di quella ragazza, il suo non volerlo inizialmente nella sua vita erano stati una sfida, una “complicazione” da superare per adempiere fedelmente al proprio incarico.
Poi le cose erano cambiate, il rapporto tra lui e Chidori era nato e si era consolidato, lei gli aveva mostrato cosa volesse dire essere una persona normale.
Doveva salvarla dai pericoli, ma era stata Kaname Chidori a salvarlo, a portarlo fuori dall’Inferno.
Ma in quegli ultimi giorni era successo quello che era successo: Chidori era stata portata all’Inferno!
Non avrebbe permesso che lei venisse contaminata: dal male, dalla corruzione, da tutte le cose brutte che lo avevano segnato.
Per lei stava compiendo quel viaggio di ritorno all’Inferno, per tornare in Paradiso con lei.
Roanapur era un agglomerato di tutto ciò che aveva superato negli anni, qualcosa che non doveva intaccare l’animo candido di Chidori.
E allora come spiegare quel cielo? Limpido, immacolato, tappezzato di stelle.
Non era mai stato un tipo poetico o che provasse interesse per certe cose, eppure doveva riconoscere che quel cielo così puro, in un posto così sporco, aveva quasi del paradossale.
E al contempo la sua presenza sembrava la più giustificata di tutte; era abbastanza vicino da osservare la corruzione che albergava lì e anche così lontano da non rischiare di esserne sporcato.
Sosuke aveva avuto la forza di cambiare, aveva provato ed era riuscito a diventare una persona diversa; ora era lì, disteso di schiena, con lo sguardo rivolto al cielo limpido, segno del mondo verso cui aveva scelto di tendere.
-Ehy, moccioso…- lo chiamò Revy, sdraiata a terra , lo sguardo rivolto al pavimento, sporco e corrotto, di Roanapur; lei, forse per scherzo del destino, non “guardava” al futuro, continuava a fissare verso sotto, verso quella città che si era isolata dal mondo, estraniandosi, crogiolandosi nel suo peccato e nella sua imperfezione.
-… direi che gli abbiamo fatto decisamente il culo, a quello stronzo.- ghignò soddisfatta, ma, come lui, senza riuscire a muoversi.
Sosuke non distolse lo sguardo dal manto stellato.
Era davvero possibile che Roanapur fosse corrotta fin nelle viscere? Non c’era davvero la minima possibilità di provare a far nascere una piccola luce in quel posto? Chidori era stata in grado di illuminare il suo cuore impietrito da guerre e morte, forse…
-C’è un bel cielo stasera, non trovi?-
Magari sarebbe scattato qualcosa.
L’essere umano era una creatura contraddittoria, forse guardare qualcosa del genere avrebbe fatto scattare in Revy quella scintilla che era nata in lui per espandersi col tempo.
-Cavolo vuoi che me ne freghi? Pensa a goderti il fatto che abbiamo spaccato la faccia a quel bastardo. Ritieniti fortunato che non riesca a muovermi, o mi sarei alzata e avrei piantato una pallottola nella tua testa, avrei detto che era opera di quell’idiota poco più in là.- biascicò infastidita.
L’essere umano era contraddittorio, ma evidentemente quello che accadeva a Roanapur non si poteva estirpare.
Era l’apoteosi del male sulla Terra.
Sosuke sospirò, dava per scontato che ormai Chidori fosse al sicuro (l’aveva lasciata in mano a Kurz e Melissa), eppure non vedeva motivi per essere soddisfatto.
Lui continuava a guardare il cielo, Revy fissava ancora terra, restarono fermi per riprendersi, trascorsero il tempo in silenzio; non aveva vinto nessuno!
A parte Roanapur.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autore:
Ebbene? Sì, insomma, cosa ve n’è parso della conclusione dello scontro di Revy e Sosuke con Nick, vi è sembrato un po’ surreale? Forse un po’, ma se conoscete “Full Metal Panic” e Black Lagoon” potrete dire che non è poi così strano che siano riusciti a cavarsela in una situazione del genere.
E per di più, volendo improvvisarmi filosofo, mi metto anche a fare una pseudo-lezione di psicologia antropologa con tanto di situazione che sembri volerla rispecchiare alla fine.
Spero sia venuta bene, però, era il mio modo per rendere chiara quale sia, una volta di più, la differenza tra Sosuke e Revy: entrambi hanno vissuto la loro vita nell’oscurità andando vicino a perdere la loro umanità, Sosuke ha però avuto la fortuna di conoscere Kaname, colei che gli ha fatto scoprire la sua umanità. Revy non è stata altrettanto fortunata, chissà, forse se avesse conosciuto Rock prima sarebbe potuto cambiare qualcosa, sta di fatto che ormai lei di umano c’ha solo la brama di denaro e l’istinto di uccidere.
Detto questo, vi comunico che il prossimo capitolo della storia sarà anche l’ultimo.
Non guardatemi male, avevo detto fin dall’inizio che la storia, se fosse stata in versione animata, sarebbe stata un film, quindi non potevate certo pretendere durasse chissà quanto, anzi, io pensavo di sbrigarmela in 10 capitoli, ma alcune parti hanno richiesto un maggior approfondimento.
Ok, direi che ho finito, al prossimo (e ultimo) capitolo, arrivederci gente.


 

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Capitolo 12
*** Oltre la linea: chi va e chi resta. ***


I suoi uomini stavano ultimando tutte le cose secondo le sue disposizioni.
Rowan Cliff era inerme davanti a lei, seduto per terra, con lo sguardo spento, immobile, sotto shock.
Non si sentiva volare una mosca nei corridoi del rifugio, un silenzio quasi sacrale che nascondeva i propositi infernali che ben presto si sarebbero scatenati lì dentro.
Balalaika continuava a tenere lo sguardo su Rowan, impietosa.
-Per qualcuno che non era mai stato qui, riconosco che c’hai provato. Ma avresti dovuto usare di più il cervello, comprendere che i bastardi come te devono capire qual è il loro posto, prima di… farsi troppo male.- l’accento russo rendeva ancor più pesanti le sue parole.
La Whispered, i due agenti della Mithril e quelli della Lagoon erano già diretti verso l’uscita, anche se Dutch espresse col suo solito sarcasmo il suo dispiacere per non poter assistere allo spettacolo in prima fila.
Pochi minuti dopo il suo braccio destro Boris la raggiunse.
-Capitano, è tutto pronto!-
-Molto bene compagno sergente. Cominciate!-
-Subito.-
Gli uomini dell’Hotel Moscow fecero detonare le piccole bombe che avevano piazzato nei punti indicatogli dal loro Capitano, quella che fino a poche ore prima era la base sotterranea dell’Organizzazione di Rowan Cliff venne progressivamente inghiottita dalle fiamme.
Balalaika si trattenne ancora qualche attimo, mentre il fuoco della distruzione che divorava i suoi nemici cominciava ad arrivare lì.
-Hai tentato di scalare le gerarchie, sovvertire il sistema. Ora… goditi i frutti del tuo lavoro!-
Dopo quelle parole, Balalaika se ne andò, lasciandolo lì, solo, perso, sconfitto.
Rowan non pensava, non vedeva e non sentiva, era come se fosse già morto, nel momento stesso in cui aveva realizzato che il suo piano fosse ormai alla deriva.
Aveva peccato di arroganza, si era convinto che in breve avrebbe ottenuto i risultati che sperava, non aveva pensato che Roanapur non avrebbe mai accettato che qualcuno volesse cambiarla.
Le fiamme cominciarono a espandersi, ancora pochi minuti e sarebbe finito tutto.
Una figura si fece spazio tra i fuochi divampanti, Nick, ferito, sanguinante, prossimo alla morte, fece il suo ingresso.
Per un istante sembrò che Rowan fosse tornato cosciente, forse la sorpresa di vederlo lì, poi quella scintilla, come rapidamente si era accesa, ben presto si spense.
Nick, chiedendosi dove avesse trovato la forza di rialzarsi da terra malgrado il petto martoriato e trivellato dai proiettili e portare la sua massa fin lì, fece un lieve sorriso.
Volse lo sguardo al machete che aveva legato alla cintola, quel machete che teneva con sé fin da quando poteva ricordare.
Si chiese sinceramente cosa sarebbe successo se, quel giorno ormai remoto, lo avesse piantato nel petto di Cliff uccidendolo in quel vicolo, chissà come sarebbero andate le cose in quel caso?
Con la consapevolezza che non avrebbe mai avuto una risposta, lo estrasse e lo piantò con forza nel petto del suo “Capo”.
-Il mio conto è saldato!- furono le sue ultime parole.
Si lasciò cadere a terra, ormai definitivamente stremato, ma soddisfatto.
L’aria divenne sempre più calda, pesante e opprimente; la “Vita” era venuta a reclamare il suo ultimo debito.
Alla fine le fiamme li divorarono.
Di loro non sarebbe rimasto niente, neanche il più tenue ricordo.
Era la punizione di chi si metteva contro Roanapur.
 
 
 
Il sole stava sorgendo, era l’inizio di un nuovo giorno.
I primi raggi della sfera diurna si infrangevano sulle acque del mare per poi arrivare progressivamente fino ai primi segni di “civiltà”, illuminandoli, come a voler dare loro un’aria quasi sacrale, fallendo.
Roanapur corrompeva tutto ciò che cercava di cambiarla, lo rendeva come lei, anche i raggi solari sembravano assumere tonalità inquietanti nel toccare quegli edifici.
Faceva eccezione il Tuatha de Danaan,
Kaname osservava con rinnovata serenità i contorni dell’enorme sottomarino, sentendo crescere dentro al suo cuore la serenità che negli ultimi giorni aveva perso.
Chissà cos’era accaduto a Tokyo in quegli ultimi giorni: il liceo Jindai era stato ricostruito? Kyoko non vedendola per giorni si era preoccupata? Quasi sicuramente avrebbe dovuto inventarsi un qualcosa di plausibile per giustificare la sua assenza, anche se probabilmente, conoscendo la sua migliore amica…
-Tu e Sagara avete approfittato di questi giorni per una fuga romantica, eh?-… le sembrava già di sentirla.
-Alla fine sembra che le cose si siano risolte bene, giusto?- fu la voce di Rock a distrarla dai suoi tragicomici pensieri.
-Così sembrerebbe.-
L’uomo l’affiancò sulla banchina del porto, volgendo lo sguardo al sole che sorgeva.
-Non ci vedo nulla di poetico, non più ormai.-
Kaname volse lo sguardo verso l’uomo incuriosita da quelle parole.
-Nell’alba, intendo. Ai primi tempi, cercavo di darle quasi un sorta di sacralità, un qualcosa di puro, come a voler rendere questo posto meno spaventoso, ma ho capito ormai da tempo che qui non c’è spazio per certe cose.-
La Whispered non capiva, perché continuava a restare lì? Lui era diverso da loro, non era costretto a rimanere in quel posto dove quella macchia di follia e corruzione che aveva visto nei suoi occhi si sarebbe espansa, corrompendo il suo animo.
-Senta, Rock…-
-Apprezzo il pensiero, ma ormai è questo il mio posto.- il tono calmo e rilassato, di chi aveva accettato la propria sorte.
In passato era stato più volte dubbioso; aveva fatto la scelta giusta, valeva pena rischiare la vita ogni giorno per sentirsi vivo? Evidentemente per lui la risposta era sì.
-Ogni volta che ripenso al mio passato vedo un burattino, non un uomo. Una marionetta in mano ad altri, che la controllavano come volevano, a loro piacimento. Venendo qui… ho reciso i fili. Io sto dove sto… forse questa scelta si rivelerà sbagliata in futuro… ma è stata una scelta che ho preso io. Non Rokuro Okajima, l’impiegato che non contava nulla, incapace a tal punto da lasciare che fossero altri a decidere per lui, ma Rock.-
Paradossalmente, era stata Roanapur, la città fuori dal mondo, dove le speranze di tutti si spegnevano, ad accenderla in lui.
Kaname lo poté solo accettare.
-Capisco.-
-Tu sei più forte di me, Chidori Kaname!-
La ragazza fu stupita un’altra volta dalle sue parole.
-Hai una grande forza d’animo, la stessa che ti ha permesso di non crollare malgrado ciò che hai dovuto vedere qui. Credimi, in molti sarebbero impazziti per molto meno. Tu puoi tenere testa al mondo, ti basterà essere sempre te stessa.- concluse, con un sorriso incoraggiante che venne ricambiato.
-Lei sarà l’unica persona di questo Inferno che mi mancherà.-
 
 
 
Dal Tuatha de Danaan scesero le imponenti figure di Andrei Kalinin e Richard Mardukas, in mezzo a loro due la ben più minuta presenza di Teresa Testarossa.
I primi ad andar loro incontro furono i loro agenti, Sagara era ricoperto di tagli e ferite che erano state trattate con cerotti vari, più una fasciatura alquanto vistosa al braccio destro e un bastone usato come stampella tenuto con l’altro per non far poggiare a terra il piede sinistro.
Nessuno per fortuna se ne preoccupò, conoscevano la forte tempra del ragazzo, dopo pochi giorni sarebbe tornato come nuovo.
-Direi che la missione di recupero si è conclusa con successo. Sono soddisfatta.- Tessa cercò di sembrare seria e professionale, ma fece comunque trapelare una nota di felicità bambinesca nel sapere che la sua amica Chidori fosse stata salvata e che Sagara fosse, bene o male, indenne.
-Il fallimento non era un opzione considerabile. L’onta di un’eventuale non riuscita della missione non mi avrebbe permesso di ritenermi degno della Mithril dopo il mio comportamento che, lo riconosco, è stato troppo precipitoso.- e Sagara non mentiva di certo, si era gettato effettivamente allo sbaraglio e probabilmente, se il Maggiore Kalinin non avesse intuito le sue mosse e non gli avesse mandato Melissa e Kurz in supporto, non c’è l’avrebbe fatta da solo.
Sosuke riuscì comunque a vedere una piccola luce di orgoglio nello sguardo del suo padre adottivo, cosa che dentro lo fece sentire meglio.
-Ci auguriamo, comunque, che un tale comportamento sovversivo non si ripeta, sergente.- neanche Mardukas, malgrado tutto, sembrava convinto del suo richiamo, che in quel momento, lo avrebbe ammesso anche lui, faceva più la parte della frase di circostanza.
-Non succederà!- garantì il sergente, prima che l’amico Kurz gli passasse un braccio attorno alle spalle.
-A meno, ovviamente, che non sia coinvolta la piccola Kana, in quel caso ci manderà di nuovo tutti al Diavolo e partirà a razzo.-
-Sei in errore. Indipendentemente dalle circostanze, non commetterò più l’infrazione di essere così avventato.- un lieve rossore sulle guance tradì la sua serietà.
Melissa potè solo scuotere la testa fintamente esasperata e sorridere.
Quell’atmosfera di calma durò ben poco, interrotta quando andarono loro incontro il capo dell’Hotel Moscow e il leader della Lagoon.
Fatto segno di riposo ai soldati, i tre membri più “in alto” della Mithril capirono che toccava a loro intavolare le discussioni di chiusura.
Quando i due schieramenti furono l’uno di fronte a l’altro, il silenzio regnò sovrano per i primi minuti, come se anche la parola più innocua potesse esser fraintesa.
-Kalinin, da quanto tempo.- fu Balalaika a iniziare il discorso, con un tono fin troppo confidenziale a lasciar intendere che non fosse la prima volta che si trovava faccia a faccia col Maggiore.
-Dai tempi dell’Afghanistan, infatti.-
Li ricordavano ancora quei giorni nefasti, conditi dal sangue dei loro compagni morti in battaglia e dal dolore, fisico e mentale, che si dovettero portar dietro per anni.
Nemici a quei tempi, in un certo senso alleati in quel momento.
-Avevo sentito che avevi lasciato l’esercito russo per “metterti in proprio”, ma non immaginavo ci saremmo rivisti in una situazione del genere, per di più qui.-
-Anche io, sinceramente, non lo credevo. Ti immaginavo morto stecchito in qualche buco in uno di quei postacci, sinceramente, sono rimasta sorpresa nel sapere della morte della “Tigre”… immaginavo che prima sareste crepati tu o il mocciosetto che si portava dietro.- mosse un cenno nei confronti di Sosuke, in quel momento minacciato dalla giovane Whispered e dal suo ventaglio.
-Che diavolo ti è saltato in testa di ridurti così, maledetto fissato, perché non riesci a non fare pazzie.- sentirono il suo comico sclero fin lì.
Kalinin assottigliò lo sguardo in segno di sfida, sarebbe stato meglio per lei non insinuare nulla, ma sapeva che anche la sua occhiata più tagliente non avrebbe scalfito minimamente la donna che aveva rinnegato l’Armata Rossa.
-Ad ogni modo, tutta la Mithril vi è infinitamente riconoscente per il vostro supporto ai nostri uomini nel recupero di Kaname Chidori, anche se dobbiamo ammettere che l’improvviso voltafaccia della Lagoon è stata una sorpresa imprevista, in senso positivo comunque.- Tessa fu lesta nell’intervenire nel discorso per sedare gli animi.
Aveva intuito come il Maggiore non fosse esattamente in buoni rapporti con quella donna inquietante (almeno, lei la riteneva tale, decisamente poi), preferì dunque evitare che la situazione degenerasse di colpo.
Ed evidentemente l’avevano intuito, visto lo sguardo di fredda soddisfazione rivoltole da Balalaika.
“Però, arguta la ragazzina. Forse non l’hanno messa a capo della Mithril tanto per fare.”
Fu Dutch a riprendere il discorso.
-Sarà bene che non fraintendiate, signori. Quello che interessa a me è esclusivamente il guadagno mio e della ma agenzia, ergo sono disposto a tutto per far sì che le circostanze restino le più favorevoli per noi. Se Cliff avesse preso possesso dei dati contenuti nel cervello della giovane Whispered tali circostanze sarebbero state sconvolte… non intendevo permetterlo!- chiaro e conciso.
Nessuna bontà d’animo, nessun senso di altruismo improvviso o pietà per quella che, di fatto, era solo una ragazza innocente che era finita contro la sua volontà in qualcosa più grande di lei.
Facendo esclusione per Rock (forse aveva rivisto se stesso in lei e voleva evitarle il suo destino) nessuno di loro aveva aiutato Kaname per puro desiderio di farlo, solo per interessi.
A loro conveniva di più che la ragazza restasse viva, altrimenti l’avrebbero lasciata sicuramente in mano a Cliff.
Dei veri bastardi, pensarono Mardukas e Kalinin, ma almeno lo erano stati in loro favore.
La discussione poteva a tutti gli effetti dirsi conclusa, tutto quello che dovevano loro erano dei ringraziamenti che, sinceramente, non erano neanche meritati, a parte quello non c’era altro che avessero da dirsi.
-Direi che la questione è chiusa! Pregate di non dover mai più avere a che fare con noi!- minaccia e promessa.
Ognuno prese le proprie strade.
 
 
 
Kaname e Rock si scambiarono una stretta di mano che sapeva di addio.
-Malgrado non siano state proprio le circostanze migliori, è stato un piacere conoscerla. A loro non interesserà, ma mi saluti anche i suoi colleghi.-
Rock sorrise con comico abbattimento, effettivamente anche lui pensava che a Revy e resto del gruppo non sarebbe importato granché.
-Ti auguro un felice ritorno alla tua vita, Chidori. Spero non ti capitino più situazioni spiacevoli come questa. Per me… beh, non credo di poter dire altrettanto.-
Kaname volse un attimo lo sguardo a Sosuke; il ragazzo era rimasto poco indietro ad aspettarla, ovvio che sarebbe rimasto guardingo fino all’ultimo.
Sorriso comicamente abbattuto da parte della ragazza.
-Mi creda: non posso dirlo neanche io.-
Un ultimo cenno di saluto, poi ognuno andò per la sua strada.
 
 
 
-Forza, piccioncini, non penso che vogliate restare in questo postaccio, quindi muovetevi o partiamo senza di voi.- li richiamò bonariamente Kurz, mentre insieme a Melissa e ai loro superiori aspettavano i due ritardatari di fronte all’entrata laterale del Tuatha de Danaan.
Il breve tragitto aveva visto anche la povera Tessa protagonista di una delle sue solite tragicomiche cadute, con l’assenza di stupore da parte di tutti e il lieve imbarazzo di Mardukas nell’osservare la giovane rialzarsi massaggiandosi il naso.
-Beh, possiamo interpretarlo come un segno che ormai è tutto finito.-
-Non mancare di rispetto al comandante, idiota.- Melissa prese per un orecchio il collega, seppur fosse anche lei sollevata dal suo commento.
Kaname si fece scappare un risolino nell’assistere alla scena.
Volse poi un ultimo sguardo a Roanapur.
-Sosuke…- il ragazzo percepì un lieve disagio nel tono di lei.
-… dunque, hai sempre dovuto affrontare  tutto questo?-
Forse era un po’ arrogante da parte sua, ma era convinta, dopo quei giorni passati in quel posto dimenticato da Dio, di essere più vicina a Sosuke dal punto di vista mentale.
Quello che lei aveva passato in quei pochi giorni, lui l’aveva vissuto per tutta la vita: ogni giorno poteva essere l’ultimo, vedere le persone attorno a sé morire, il terrore di voltare l’angolo per paura di trovarsi di fronte ad una nuova minaccia.
-No, non tutto questo.-
Il volto del sergente si piegò in un lieve sorriso mentre la guardava.
-Ogni giorno sarebbe potuto essere l’ultimo, questo è vero, tuttavia c’era sempre la speranza, la consapevolezza che fino all’ultimo i tuoi compagni sarebbero stati al tuo fianco, per combattere per i nostri ideali. Chissà, è probabile che qui nessuno abbia mai avuto una persona importante che ha giurato di proteggere!-
La ragazza arrossì vistosamente; era uno sguardo eloquente quello che le stava rivolgendo o se lo era solo immaginato?
-M-Ma… ma taci, fissato che si crede sempre in guerra, non sei proprio tagliato per il ruolo del poeta sopravvissuto.- cercando di nascondere il rossore, Kaname cominciò a dare qualche lieve spinta a ragazzo, cercando di non dargli problemi alle ferite, per mandarlo un po’ più avanti ed evitare che vedesse il sorriso genuino spuntatole in faccia.
Raggiunsero i loro amici ed entrarono nel sottomarino, quello che sentirono nei successivi minuti fu solo il rumore di esso che si inabissava.
Avrebbero portato con loro un pezzo d’Inferno: il ricordo di quel posto infausto e maledetto, rafforzando le loro convinzioni e i loro ideali, perché non diventassero mai come coloro che lì ci vivevano.
Si tornava alla “Vita”!
 
 
 
Rock osservava quasi ammaliato l’imponente mezzo di trasporto della Mithril sparire nelle acque, forse non era ancora troppo tardi per ripensarci… eppure il pensiero non lo sfiorò.
Poco più in la potè vedere Dutch scambiare gli ultimi convenevoli con Balalaika ed i suoi uomini prima che questi andassero via.
Di certo li avrebbero rivisti ancora, con i buoni rapporti che intercorrevano tra la loro organizzazione e la mafia russa non c’erano dubbi in proposito.
Nel mentre il povero Benny era occupato ad ascoltare le lamentele di Revy.
-Che cazzo significa che dovrò camminare con la stampella per una settimana?! Neanche se prometti di tagliarti le palle lo farò, Benny!- sbraitava la donna.
Neanche lei era uscita bene dal suo ultimo scontro: come Sosuke, anche lei era incerottata in più punti, con una fasciatura in testa già macchiata di sangue (doveva aver sbattuto proprio forte, poteva ritenersi fortunata ad essere ancora viva)che tra poche ore sarebbe stato necessario cambiare e un’altra alla gamba destra.
E malgrado ciò si rifiutava di portare la stampella, zoppicando incurante del dolore… fino ad un certo punto in cui non divenne troppo anche per lei.
-Porca puttana, dammi qua! Quel Sosuke… se n’è  andato senza neanche concedermi l’ultima rissa. Se mai lo rincontrerò questa stampella gliela ficcherò su per il culo!- biascicò inacidita strappandola letteralmente di mano all’ebreo; quella col giovane soldato se l’era legata al dito.
-Hai poco di che lamentarti: ci siamo sbarazzati di un concorrente, i nostri traffici futuri sono garantiti e visto che l’idea per ammazzare quello stronzo l’hai avuta tu, ora cogli quello che semini.- la redarguì Dutch con quel ghigno onnipresente che dimostrava come non intendesse avere a che fare con quella storia.
Fu sufficiente a placare la pistolera che sbuffò contrariata e far sospirare di sollievo Benny che potè liberarsi delle sue moine.
Rock notò come tutto fosse tornato alla normalità… la loro particolare normalità.
Sospirò, lanciò un ultimo sguardo verso l’orizzonte, verso quell’alba prossima a finire che illuminava di un tenue rosso.
Chissà, forse il Tuatha de Danaan l’aveva già superata quella linea, quel confine tra Roanapur e il resto del mondo.
-Rock, muovi il culo o ti lasciamo qui!- sentì la voce di Revy richiamarlo col suo solito “garbo”.
Un lieve sorriso sul volto dell’uomo.
-In fondo… va bene così.- si incamminò dietro i suoi colleghi, era ora di tornare alla base.
Loro erano gli abitanti di Roanapur, e Roanapur non lasciava mai andare ciò che le apparteneva.
Loro sarebbero sempre rimasti lì, dall’altra parte della linea… a vivere la loro “Vita”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autore:
Ed eccoci giunti alla fine, signore e signori.
Cavolo, la soddisfazione di portare a termine una long è stupenda, chi ha completato una long sicuramente può capire, e al contempo lascia una strana sensazione di vuoto, o almeno è così che la penso io.
Tralasciando questo, voglio chiedervi: vi è piaciuto il finale?
No perché sinceramente non sono del tutto convinto, riconosco comunque che non era una cosa facile da fare, almeno non in questa situazione.
Voglio dire, qui non è che si presentava la classica situazione “I buoni sconfiggono il cattivo con conseguenti saluti finali tristi ma con la promessa di rivedersi in futuro”, converrete con me dunque che, se avessi fatto una cosa del genere, avrei commesso un’immane cazzata, per questo ho optato per un finale un po’ freddo.
Se ci riflettete non ha tutte le caratteristiche tipiche del finale: mancano appunto i saluti struggenti (ma si trattava di una storia che di fatto vedeva protagonisti gruppi mercenari e mafiosi, quindi non penso proprio di aver sbagliato), il pensare che possa esserci una speranza per tutti (Kaname e Sosuke lo hanno compreso che per Roanapur la speranza non c’è: è un posto troppo oscuro per pensare che davvero le cose possano cambiare in meglio) o il guardare ad un futuro migliore (e sotto quest’aspetto la figura di rock è, a mio parere, la più contorta: lui ha scelto di rimanere a Roanapur pur sapendo che il suo animo sarebbe stato corrotto, perché ha scelto di vivere la sua vita secondo la sua vita e, contemporaneamente, accettando il suo destino; spero di aver reso bene questa sua ambiguità).
Beh, ripensandoci, malgrado tutto, direi che è stato un buon finale.
Spengo subito eventuali speranze: questa storia non avrà un sequel!
Direi proprio che ho finito: mesetto circa di pausa in cui mi dedicherò esclusivamente alle one-shot (se e quando le idee verranno), poi sotto con una nuova long.
Arrivederci a tutti gente!


 

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