Tart
– Terra
Uno
scossone lo sveglia di soprassalto. Nonostante abbia passato quasi
tutto il tempo a dormire, si sente esausto.
Si
solleva svogliatamente sui gomiti.
La
prima cosa che registra è il caldo.
Sapeva
che la temperatura sarebbe stata di gran lunga maggiore rispetto ad
Arret, ma non immaginava niente del genere.
Tenta
inutilmente di riprendere fiato. Si slaccia la giacca termica e se la
sfila il più in fretta possibile. Poi fa lo stesso con i
pantaloni.
Sotto ha ancora una tuta pesante. In un attimo si leva anche quella.
«Non
esagerare.» la voce di Pai lo fa sobbalzare.
Si
volta. Anche il fratello
maggiore si è liberato di quasi tutti gli strati di
vestiario.
Tart
si guarda. Ormai gli sono rimasti addosso solo la canottiera rossa e
i calzoncini.
Potersi vedere la pelle bianca delle braccia e delle gambe senza
morire di freddo fa impressione.
Sente
ancora caldo, in realtà, ma quella dev'essere anche
l'emozione. E la
mancata abitudine.
Tanto
improvvisamente quanto si è svegliato, si rende conto di
essere
arrivato. Di trovarsi sulla Terra.
Lo
scossone deve essere dovuto all'atterraggio. E
Ghish deve essere un pessimo pilota.
In
un attimo l'eccitazione cresce e l'adrenalina gli inonda le vene.
Scatta in piedi, ma prima che possa dire qualsiasi cosa, incontra lo
sguardo del fratello.
Il
messaggio è chiaro: silenzio.
Certo.
Devono aspettare che Ghish si allontani per poter lasciare
l'astronave o se ne accorgerebbe.
Per
teletrasportarsi via devono aspettare di essere fuori, le pareti sono
di uno speciale materiale, fatto apposta per impedirlo.
Tart
si risiede e incrocia le gambe. Recupera i vestiti che è
appena
tolto e li infila nel proprio borsone. Ora si sente praticamente
nudo. Il contatto della pelle con l'aria è strano.
Si
ricorda
del soffitto vetrato e solleva di scatto la testa verso l'alto.
Verde.
È
tutto ciò che vede.
Un
cielo uniformemente verde. Qualcosa non va.
Aggrotta
le sopracciglia. «Dove siamo?» chiede
«Credevo che fossimo
atterrati.»
«Infatti.»
risponde Pai «Siamo in uno strato dell'atmosfera
terrestre.»
«Ma
l'atmosfera non dovrebbe essere fatta tutta d'aria?» osserva.
Pai
sospira, rassegnato a dover dare spiegazioni. «È
un ripiegamento
spazio-tempo dell'universo che si trova intorno al pianeta e che lo
protegge. Dubito che dalla Terra si possa notare. I nostri antenati
dovevano averlo trovato, però, perché ci sono i
resti della base di
astronavi
con cui hanno abbandonato il pianeta.»
Tart
si limita a fissarlo. Probabilmente lo ha anche spiegato in parole
semplici, ma lui non ha capito lo stesso. Per Pai sembra non esistere
il concetto di "nozione che altri non comprendono". Tra cui
può facilmente rientrare un "ripiegamento spazio-tempo
dell'universo intorno al pianeta".
Tart
si limita a pensare che debba essere abbastanza sicuro se ci sono
atterrati. Poi gli viene in mente che hai comandi c'è Ghish
e non
suo fratello Pai.
«Da
qui possiamo teletrasportarci sulla Terra?» non resiste a
chiedere,
sperando che non sia una domanda stupida.
«Sì,
e viceversa. Ci sono dei posti sul pianeta da cui è
possibile
accedere comunque a questo luogo, ma al momento non saprei
individuarli.»
Tart
si accontenta della prima parte della risposta e non fa nemmeno finta
da aver capito bene la seconda.
Dei
passi.
Pai
balza in piedi, arriva ai comandi e spegne le luci. Sentono Ghish
avvicinarsi e percorrere i corridoi. Almeno si è ricordato
di fare
un giro di controllo prima di uscire. Probabilmente sta anche
cercando la colonia di parassiti che si sono portati dietro. I
chimeri serviranno a rendere il pianeta pronto ad accogliere
un'intera popolazione.
I
due fratelli rimangono assolutamente immobili.
Dopo
interminabili minuti sentono finalmente Ghish teletrasportarsi via.
Tart
scatta in piedi per primo. Guarda i borsoni. «Li lasciamo
qui?»
«Sì,
li nascondiamo in un vano, dovrebbe essere qui.» Pai si
avvicina ai
comandi.
«Vuol
dire che rimarremo nell'astronave? Non è troppo
rischioso?» osserva
Tart.
Pai
scuote distrattamente la testa. «Sono sicuro che Ghish
tornerà qui
solo per dormire. E in ogni caso, questa parte dell'astronave
è
l'ultima a cui penserà ora che siamo atterrati.»
commenta mentre
sistema i loro borsoni in un vano che poi si richiude ermeticamente.
«Bene.» fa guardandosi intorno «Vado a
fare i primi accertamenti,
rimani qui.»
«COSA?»
esclama Tart risentito «Spero che tu stia scherzando! Non
posso
rimanere chiuso qua dentro, che cosa sarei venuto a fare?»
«Uscirai
quando sarò certo che è sicuro.»
sentenzia il fratello prima di
scomparire.
Tart
rimane a fissare il punto in cui era fino ad attimo fa. Punta i pugni
sui fianchi. «“Uscirai quando sarò certo
che è sicuro”.» fa
il verso «Col cavolo che rimango qua dentro!»
protesta contro il
nulla «La Terra non me la perdo.» fa su e
giù per la stanza «Sai
che figura: uno dei primi atterrati sulla Terra che rimane dentro a
fare il bravo bambino.»
Camminare
gli ha surriscaldato i piedi. Come si può vivere in un
pianeta così
caldo? Dovranno cominciare ad andare in giro nudi.
Scalcia
le scarpe e rimane qualche istante a guardarle. Alla fine decide di
lasciarle così, in mezzo al pavimento, alla faccia della
meticolosità di Pai.
Si
teletrasporta via, non sa dove di preciso, ma qualunque posto va
bene.
I
suoi piedi atterrano su qualcosa di relativamente fresco, fatto di
tante specie di striscioline. La sua pelle registra calore, non
maggiore di prima, ma più diretto. I suoi occhi sono
costretti a
chiudersi, accecati. La luce continua ad essere troppo forte anche
dietro le palpebre chiuse. Si scherma con una mano, prova a sollevare
le palpebre di pochissimo. Gli occorrono numerosi tentativi prima di
riuscirci.
E
deve chiuderli di nuovo. Ad essere accecante non è solo la
luce, ma
i colori stessi. Non ne ha mai visti di così accesi,
così forti.
La
luce si attenua improvvisamente. Finalmente riesce a tenere gli occhi
aperti.
È
circondato dal verde. In tutte le sue sfumature. In tutte le sue
dimensioni. Ci sono fili verde chiaro sotto di lui che si susseguono
per metri e metri. C'è del verde più scuro in
alto, sopra a colonne
di vari marroni e diverse dimensioni.
Che
razza di posto è?
Guarda
in alto. E subito deve riabbassare lo sguardo. Qualcosa di bianco e
morbido, una specie di grosso cuscino informe, copre parzialmente la
sorgente di luce. E poi... qualcos'altro. Sbircia di nuovo. Azzurro.
Un
cielo azzurro.
Non
lo aveva mai visto. Il cielo di Arret – le uniche due volte
in cui
ha potuto guardarlo – è costantemente grigio e
pieno di grandine,
neve e, se va bene, grandine; di solito, però, la roccia
gelida del
sottosuolo è l'unico cielo che si può scorgere.
Questo
azzurro, un colore freddo, è caldo. Il verde, a terra,
è così
brillante da ferire. Il marrone è accogliente.
Qualcosa
di rotondo e arancione fende l'aria davanti a lui e si ferma sul
verde scuro in cima ad una colonna marrone.
Era
un animale?
«Dovediavololoailanciato?»
Per
poco non urla. Sobbalza, il suo cuore perde parecchi battiti. Salta
all'indietro.
Chi
ha parlato?
«Nonècolpamia!
Meloaipassatotroppoforte.»
Due
ragazzini sbucano fuori praticamente dal nulla, spintonandosi a
vicenda.
Tart
si butta a terra, ringraziando che i fili verdi siano abbastanza
alti.
I
due si fermano a pochi passi da una colonna.
«Guarda!
Èfinitasullalbero.»
«Dove?»
«Lì,
traqueirami.»
Tart
non capisce una singola parola di quello che quei due dicono.
Si
alza e corse più che può nella direzione da cui
sono venuti.
Dopo
poco sente altre voci. Vuole allontanarsi, invece si avvicina, pur
mantenendosi a distanza.
Mentre
corre, un alieno orribile gli viene incontro. Avanza veloce sulle
quattro zampe, una coda come un timone dietro di lui. Il muso
allungato punta dritto davanti a sé, la lingua di fuori.
Tart
sta per urlare, poi un fischio.
L'alieno
si ferma. Drizza le orecchie, poi si volta e riprende a correre. Tart
lo segue a distanza.
Si
ferma solo quando vede un altro alieno, diverso, quasi identico a
lui. Se non fosse che la sua pelle è marrone scuro, come la
terra e
non ha orecchie. Ora che ci pensa, neanche i due ragazzini di prima
avevano le orecchie.
Tart
rimane tra i cespugli a fissare i due alieni giocare con un bastone.
Due razze così diverse convivono? Che razza di pianeta
è questo?
La
Terra.
Nel
momento in cui lo realizza si sente male. Questa è la Terra.
È
meravigliosa.
E
già abitata.
Si
siede a terra. Si guarda intorno. E vede l'ennesimo alieno.
È
piccolissimo, rotondo con due sottilissime zampe, la testa con un
muso appuntito e ai lati del corpo due specie di grosse placche. Lo
guarda inclinando la testa di lato.
Tart
allunga una mano e quello vola via.
«Ma
cosa...»
Sente
di nuovo fischiare, ma in modo diverso da prima. Il suono si ripete,
si sovrappone ad altri. Vengono tutti dall'alto.
Tart
si guarda intorno disorientato, spaventato.
Si
alza e riprende a correre.
Un
nuovo alieno, per fortuna uno di quelli simili a lui, gli passa
accanto senza guardarlo. Si direbbe una femmina e cavalca un
marchingegno stranissimo, fatto da due ruote e dei grossi tubi che le
collegano.
Svolta
continuando a guardarsi alle spalle.
In
questo modo inciampa e si sbilancia. Ma non cade.
Allibito,
rimane sospeso per aria.
Ansima,
finché il suo respiro non ritorna regolare.
Solleva
cautamente entrambi i piedi. Non è una sua impressione.
Può davvero
rimanere sollevato da terra. Può fare come il piccolo alieno
rotondo? Può volare come un'astronave.
Guarda
verso l'alto. Abbassa le braccia e le tiene contro il colpo.
Immediatamente comincia a salire verso l'alto. Quando allarga di
nuovo le braccia, si ferma.
«Forte.»
Sale
di quota, quanto basta per non essere notato dal basso.
Vede
qualcosa oltre il verde sotto di lui. Qualcosa fatto di lucidi
blocchi grigi. Da lì vengono molti rumori. Vi si dirige.
Guardare
tutto dall'alto è bellissimo. Fa sentire potenti. Grandi.
Si
avvicina ai blocchi. Sono davvero enormi. Di altezze diverse,
intervallati spesso da sottili spazi vuoti. Cosa diavolo sono? Non
possono essere naturali.
Aguzza
la vista. Qualcosa si muove tra i blocchi. Qualcuno.
Scende
di quota.
I
corpi più grossi sono troppo lucidi per essere esseri
viventi. Sono
chiaramente meccanici. Sono i più veloci.
E
quelli più piccoli?
Scende
ancora, fino a trovarsi su uno dei blocchi più bassi.
Il
suo cuore accelera. Sente il battito nelle tempie.
Sono
di nuovo loro. Gli esseri simili a lui. Quelli senza orecchie.
Il
suo sguardo corre. Da un angolo all'altro, nel dedalo di strade.
Decine.
Centinaia.
Migliaia.
Ora
si sente piccolo e impotente.
Alieni.
Sul
pianeta ci sono alieni ovunque.
«Che
ci fai qui?»
Trasale.
Quasi strilla per lo spavento e si volta con un salto.
«Pai!»
esclama mentre il fratello atterra davanti a lui «Anche tu
voli.»
«Già.
Non avevamo considerato questa possibilità. Qui l'atmosfera
è
diversa, molto più densa e ricca e l'attrazione
gravitazionale
diversa da quella che conosciamo. Forse i nostri antenati terrestri
erano diversi, ma la nostra costituzione fisica è tale da
permetterci di sollevarci.» risponde senza quasi riprendere
fiato
tra una parola e l'altro. Si zittisce così all'improvviso da
fare
quasi impressione. A volte non riesce a tenere a freno le sue
spiegazioni. Ghish non le sopporta. E con lui Pai sa trattenersi.
«Che ci fai qui?» ripete, ricordandosi di cosa
doveva dire.
È
l'ora della scenetta. Del “col cavolo che rimanevo
nell'astronave”.
Lo farebbe. Forse lo fa anche, senza accorgersene.
«Sono...
sono... ci sono... Pai questo pianeta è pieno zeppo di
alieni!»
«Ho
notato.» conferma il fratello con esasperante calma
«Era una
possibilità. Questo conferma che il pianeta è
particolarmente
ospitale, ma il loro numero e la loro varietà è
comunque
sorprendente.» lui non ha la faccia sorpresa.
«Come
facciamo a trasferirci qui se ci sono già loro? Forse non ci
sentiranno arrivare senza orecchie, ma di sicuro ci vedranno.»
«Hanno
tutti l'udito.» contesta quasi distrattamente Pai
«Alcuni persino
un linguaggio sviluppato. Dovrei studiarlo. Credo che la specie
simile a noi sia molto evoluta. Quasi al nostro livello. Forse. Le
loro menti danno l'idea di essere dotate, ma le loro tecnologie sono
ancora arretrate.»
«Pai,
non me ne importa niente di cosa sono le loro teste. Come facciamo ad
abitalo?»
«Credo...»
le sue sopracciglia si aggrottano appena «credo che dovremmo
usare i
chimeri.»
«I
chimeri?» Tart non capisce «Quelli servono per
costruire. Sì,
insomma, spianare, raccogliere, non so, costruire in
generale.»
«Possono
essere usati in altro modo.»
Continua
a non capire. In che altro modo si possono usare i parassiti. Pai li
ha chiamati chimeri, quindi ha già pensato di legarli a
fonti di
energia.
Ma
su questo pianeta non ci sono fonti di energie come quelle di Arret.
Ci sono solo... le forze-vitali degli alieni. Ma questo non voleva
dire ucciderli? Era il motivo per cui il loro utilizzo era stato
inizialmente vietato su Arret, no?
E
Pai vuole...
e
ci arriva.
«Vuoi
sterminarli!»
Pai
avanza fino al bordo rialzato che delimita la superficie su cui si
trovano. Vi posa i pugni e si sporge leggermente in avanti.
Abbracciando con lo sguardo tutto l'insediamento alieno.
«Hanno
già costruito tutto ciò che ci serve,
perciò i chimeri non saranno
strettamente necessari per questo scopo.»
«Ma
sterminarli!»
«Guarda
quei marchingegni.» Pai indica quelli veloci che sfrecciano
al
centro delle strade «Vedi quasi tubi di scarico.»
«No.»
«Siamo
troppo lontani. Mi sono avvicinato, prima. Hanno tutti di tubi di
scarico. In un solo giorno immettono nell'aria una quantità
incredibile di gas tossici. E guarda lì, in lontananza.
Quelle
specie di torri. Vedi i fumi che rilasciano?»
Tart
deve aguzzare la vista per individuare quella che non è
altro che
un'ombra in lontananza. Così lontana che se non sapesse che
c'è, se
non si trovasse così in alto e se ci fosse anche solo un po'
più di
sole non l'avrebbe mai vista.
«È
qualcosa di simile ad una fabbrica, non so come la chiamino. Immette
altri gas di scarico. E sostanze tossiche in un corso d'acqua.
E...»
«E
tu lo hai scoperto nel poco tempo che sei stato qui?» osserva
Tart
interrompendolo.
Pai
esita. «Sono stato attento.»
Nemmeno
conoscendolo, Tart direbbe mai che sta mentendo. Eppure è
così.
Tart lo sente. In qualche modo sa la verità.
Una
verità che ha un nome.
Profondo
Blu. Lui deve aver guidato Pai.
Come?
Difficile dirlo. Sa solo che è così.
Vuol
dire che è già stato sulla Terra? Che non sono i
primi? Assurdo.
«Il
pianeta è enorme, probabilmente tutto questo non ha un
grande
impatto.» è tutto ciò che trova da dire
«Se sono sopravvissuti
fin'ora...» lascia la frase in sospeso.
Pai
scuote leggermente la testa. «Ci sono migliaia di loro su
tutto il
pianeta. E sono i primi a sapere ciò che stanno
facendo.»
«Pai.»
Si
guardano.
E
chiaramente non è uno scontro ad armi pari.
«Abbiamo
bisogno di questo pianeta. Non sopravviveremo ancora a lungo su
Arret.»
Come
può rispondere?
«Dovremmo
almeno aspettare un po'.» non basta «Raccogliere
più
informazioni.» ecco, ora va meglio «E lasciare la
prima mossa a
Ghish.» ora un po' meno.
Pai
si limita a distogliere lo sguardo, tenendo però la testa
alta. «Ci
vediamo dopo.» scompare.
Bel
modo di affrontare la situazione.
«Sono
perché solo più piccolo!» strilla Tart
parlando di nuovo al vuoto
«E solo perché ti credi più
intelligente.» aggiunge, riflettendo
su come sarebbe andata se lui fosse stato più grande.
Guarda
verso gli alieni in basso.
Se
è vero ciò che ha detto Pai, comunque lo abbia
saputo, devono
essere una specie di pazzi.
«Ehi!»
osserva all'improvviso «Non mi ha detto di stare
attento.»
Sorride,
divertito.
Finché
Ghish se la saprà cavare da solo, sarà uno spasso
stare a guardare.
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Angolo me
eccomi qua, finalmente ho trovato
il tempo di finire questa mini-long
Ghish è l'alieno che
amo, ma Tart è il mio preferito. E, purtroppo, temo che sia
anche quello che mi è venuto peggio. Ho però un
paio di scusanti. Non volevo mostrare il solito bambino vivace,
sipatico e allegro. Doveva essere più inquadrato nel
contesto. Tart è un bambino, certo, ma un bambino cresciuto
in un pianeta ostile, più che cosciente di cosa succede.
E il più "umano".
Sì, questo l'ho sempre
pensato. Perché Pai, fino all'ultimo, è stato
fedele a Profondo Blu. E Ghish ha tentato di ucciderlo, direte voi.
Vero. Ma solo e soltanto per Strawberry, rispondo io. Adoro la loro
coppia, anche se non è la mia preferita, ma devo ricordarvi
che a Ghish non importava molto del resto degli umani. Tart invece si
è reso conto che non voleva fare ciò che gli era
ordinato. Si è frapposto al fratello maggiore. Si
è persino fatto uccidere.
Ecco, era questo il Tart che
volevo tirare fuori, o almeno un introduzione a quel Tart.
Temo che non sia venuto bene in
ogni caso.
Faccio solo altre due
precisazioni e poi, tranquilli, taccio.
Primo. Quando parlano gli umani
(i due ragazzini del parco in particolare) ho scritto appositamente le
parole tutte attaccate. Sì, perché gli alieni non
possono avere la nostra stessa lingua, quindi appena arrivati non
potevano comprenderla. In seguito, avranno avuto tutto il tempo di
apprenderla. Ho anche eliminato le "h" del verbo avere per trascrivere
solo i suoni, lasciando però gli intervalli della
punteggiatura.
Secondo. Non volevo che le
conclusioni sugli umani nascessero in modo così affrettato,
ma volevo anche metterle in questo capitolo conclusivo. In
più Pai è abbastanza spesso da poterci arrivare
in fretta. In questo modo credo di non aver reso abbastanza bene quella
parte. Pazienza.
Okay, finito, scusate se ho
scritto un poema.
Grazie mille per aver letto la
storia e un bacio a mobo per aver recensito i primi due capitoli.
Ovviamente anche a tutti quelli che recensiranno questo ma, ehi, non
posso vedere nel futuro.
Ancora. Ci sto lavorando. ;)
Artemide
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