Senza paura

di Elly J
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Giorno 1, Cornucopia


 
Un silenzio terrificante incombe sulla radura. La Cornucopia, posta al centro del cerchio formato dalle nostre pedane di partenza, scintilla minacciosa alla luce sbiadita del sole.
Non si sente alcun rumore. Nessun respiro, nessun fruscio, nessun alito di vento. Sembra di stare rinchiusi all’interno di una stanza soffocante. Ma noi, Tributi dei ventiduesimi Hunger Games, non siamo all’interno di una stanza. Certo che no. Siamo all’interno dell’Arena, luogo di grande divertimento per gli abitanti di Panem, luogo dove si combattono grandi battaglie, dove si dà prova delle proprie capacità, dove ci si spinge al limite dell’umanità.
 
“Felici Hunger Games, e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore.”
 
La frase che ogni anno accompagna la Mietitura mi guizza nella mente all’improvviso. Quanta falsità, crudeltà e cattiveria in così poche parole.
Il conto alla rovescia inizia.
 
Dieci
Nove
Otto
 
Mi guardo in giro, cercando di cogliere le espressioni degli altri Tributi. Osservo i loro volti, alcuni pietrificati dalla paura, altri intrisi d’odio.
 
Sette
Sei
Cinque
 
Cosa è che mi ha detto il mio Mentore?
 
“Cerca di procurarti un’arma al più presto. Senza armi non sopravvivi nell’Arena. E ricorda: corri, corri più che puoi.”
 
Io odio il mio Mentore
 
Quattro
 
Sento le gambe diventare molli all’improvviso. Il mio sguardo guizza verso la Cornucopia, alla ricerca di qualche possibile arma da prendere.
 
Tre
 
Pugnali, spade, coltelli da lancio, arco e frecce, zaini gonfi di chissà quali oggetti preziosi. Dalla mia postazione vedo di tutto.
 
Due
 
Inizio anche a vedere la morte. Morirò qui, al massacro della Cornucopia? La maggior parte dei Tributi muore proprio qui, in un disperato tentativo di arraffare qualsiasi cosa possa aiutarli a rimanere in vita.
 
Uno
 
Un unico e disperato singhiozzo mi esce dalle labbra, accompagnato da una lacrima solitaria che mi solca la guancia sinistra.
Noi, Tributi dei ventiduesimi Hunger Games, siamo all’interno dell’Arena… Luogo che si trasformerà nella nostra tomba. Solo uno di noi riuscirà a sopravvivere e di certo non sarò io.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Giorno 1, Cornucopia
 


Quando gli altri Tributi scendono dalle loro pedane e iniziano a correre verso la Cornucopia, io li seguo a ruota senza nemmeno pensare. E’ come se le mie gambe agissero da sole, per inerzia. Come se non fossero collegate al resto del mio corpo e agissero senza l’impulso del cervello.
Inizio a piangere, senza smettere di correre. Le lacrime mi offuscano la vista e continuo a passarmi la manica della giacca sul viso, cercando di vedere meglio.
Tutta Panem, tutti i Distretti mi stanno vedendo in quello stato. Spaventata, piena di paura, piagnucolante… cosa penseranno nel Distretto 3, il mio Distretto? Io dovrei rappresentare la mia gente, i miei amici, la mia famiglia… e invece sto piangendo come una bambina piccola.
Qualcosa sibila vicino al mio orecchio destro e subito dopo sento un forte bruciore accompagnato da qualcosa di caldo che inizia a colarmi lungo il collo. Con un ultimo e brusco gesto mi asciugo tutte le lacrime dal viso e alzo di scatto la testa. Uno spettacolo terrificante si apre davanti ai miei occhi. La maggior parte dei Tributi ha già raggiunto la Cornucopia, appropriandosi di coltelli, spade, archi e lance. I Tributi Favoriti, ovvero quelli dei Distretti 1 e 2, hanno già eliminato diversi avversari e non hanno alcuna intenzione di fermarsi. Con orrore vedo la ragazza dell’1 piantare con cattiveria un pugnale nella schiena della ragazza dell’8. Urla di dolore, paura, e disperazione iniziano a mischiarsi nell’aria piatta dell’Arena, impregnandosi poi dell’odore acre del sangue. Attorno alla Cornucopia giacciono già diversi corpi immobili; ne conto almeno sei o sette.
Completamente impietrita di fronte a tutta quella violenza, mi sono dimenticata della mia situazione. Non faccio nemmeno in tempo a sfiorarmi l’orecchio ferito e a sentire sulle dita il sangue caldo, che un altro pugnale mi sibila vicino al viso. Con un urlo di terrore faccio un giro su me stessa abbassando la schiena, cercando di evitare altri possibili attacchi. Quando alzo nuovamente il viso, vedo il ragazzo del Distretto 12 corrermi incontro con ferocia. Ha gli occhi iniettati di sangue, le labbra piegate in un ghigno malefico. Nella mano sinistra stringe altri tre pugnali da lancio.
Mi rendo subito conto che la mia situazione è critica. Quando sono scesa dalla mia pedana, non ho corso abbastanza veloce e di conseguenza non sono riuscita a raggiungere la Cornucopia per cercare di arraffare qualche arma. Ero troppo occupata a piangere e a cercare di asciugarmi le lacrime dal viso, oltre che pensare a come mi avrebbe giudicata Panem.
Sono una stupida. Stupida e poco furba. Mi sembra di sentire la voce del mio Mentore: “Ma che hai in quella testa bacata? Non hai nemmeno un minimo di furbizia? Nell’Arena si muore senza furbizia!”
E’ proprio mentre il ragazzo del 12 si passa il pugnale nella mano destra pronto a lanciarlo che decido di reagire. Qualcosa in me inizia a crescere finché non esplode, dandomi l’impulso necessario per muovere le gambe, ma soprattutto per iniziare a pensare… e in fretta.
Inizio a correre nella direzione opposta del Tributo del 12 proprio mentre sento il suo pugnale sferzare l’aria vicino al mio braccio sinistro. Questa volta non riesco a spostarmi abbastanza in fretta e la lama dell’arma mi squarcia la giacca sull’avambraccio. Un dolore acuto inizia a pervadermi il punto in cui sono stata ferita, per poi spostarsi lungo tutto il braccio fino a raggiungere la spalla.
“Cazzo!”
Continuo a correre senza fermarmi, avvicinandomi sempre di più alla Cornucopia. Lì il massacro è ancora in corso. I corpi a terra sono aumentati e il clangore delle armi è sempre più forte man mano che raggiungo il centro del campo di battaglia. Senza pensarci, mi butto in mezzo a quel disastro. Corro, continuo a correre a perdifiato, senza fermarmi. Scavalco corpi di Tributi morti e cerco di evitare di avvicinarmi troppo agli altri che stanno combattendo. Sento che il ragazzo del 12 mi sta ancora inseguendo. Non mi giro per vedere se è effettivamente vero, perché so già che è vero. Sento la sua presenza opprimente dietro di me.
Ho quasi raggiunto la Cornucopia quando la vedo. Una lunga lancia di un color argento scintillante, appoggiata ad un grande cubo nero. Ce ne sono diversi sulla radura di quei cosi neri, ma non capisco esattamente a cosa servano.
Devio bruscamente in direzione dell’arma, ma con al coda dell’occhio vedo che qualcuno alla mia sinistra ha adocchiato a sua volta la lancia.  Accelero con decisione fino a che non mi fanno male le gambe. La lancia è sempre più vicina, vicinissima.
Arriviamo insieme. Il Tributo cerca di spingermi a terra per prendere la lancia, ma io sono più veloce. Afferro con decisione la lunga asta e con un movimento fulmineo la faccio roteare sopra la mia testa. L’impatto è violentissimo. Il Tributo, trovandosi nel raggio d’azione del mio attacco, vola letteralmente all’indietro, colpito alla testa dalla mia lancia. Senza nemmeno rendermene conto mi avvicino con rabbia al ragazzo e avvicino la punta della lancia al suo collo. Ora che riesco a guardarlo bene in faccia, lo riconosco. E’ il ragazzo del Distretto 7, quello biondo con la faccia da ebete. Nonostante sia mezzo intontito, riesce a mormorare due parole.
- Forza, uccidimi. - mi dice con gli occhi socchiusi.
Lo guardo, respirando affannosamente. Sento una strana forza dentro di me, come se mi fossi svegliata da un lungo sonno. Ho i muscoli contratti, gli occhi sbarrati… cosa mi sta succedendo?
La punta della lancia che stringo tra le mani è a pochi centimetri dal collo di lui. Però all’improvviso la punta inizia a tremare, e con lei tutta la lancia. Le mie mani, le mie braccia, iniziano a tremare convulsamente. Sento le lacrime iniziare a pungermi gli occhi.
Non riesco… non posso ucciderlo.
- Cosa stai aspettando? - mi dice lui con voce flebile.
Trattengo a sento un singhiozzo e faccio un passo indietro, sempre però con la lancia spianata.
Il ragazzo si sta riprendendo dalla botta e cerca di alzare il busto. - Se non mi uccidi ora, io ti cercherò. E quando ti avrò trovata ti ammazzerò senza pietà, Distretto 3. - mi dice con voce piatta. Non scorgo cattiveria nella sua voce, e forse è proprio per quello che decido di lasciarlo andare. Mi giro velocemente e scappo. Scappo dalla paura, dal terrore di uccidere qualcuno. Scappo da una grande responsabilità, una responsabilità che mai e poi mai avrei pensato che un giorno sarei stata obbligata ad accollarmi. Sono una codarda.
Continuo a correre senza fermarmi. Il ragazzo del Distretto 7 mi ha promesso la morte e io, non uccidendolo, ho firmato la mia condanna. Cosa ho fatto? Perché non sono riuscita ad ucciderlo? Perché, perché lo ho lasciato andare?
Mentre corro scorgo a terra il cadavere immobile del ragazzo del 12, quello che fino a pochi minuti prima stava tentando di uccidermi con uno dei suoi pugnali da lancio… e ci era quasi riuscito. Ora invece giace lì, immobile, con gli occhi spalancati e una freccia piantata nel collo.
Il massacro alla Cornucopia sta volgendo ormai al termine. Scorgo alcuni Tributi fuggire verso la foresta; alcuni hanno zaini e armi, altri sono a mani vuote. I Tributi Favoriti si stanno accanendo sugli ultimi sopravvissuti vicino alla Cornucopia.
Penso in fretta, decido in fretta. In men che non si dica mi dirigo a mia volta verso il verde della foresta, con la lancia stretta nella mano destra.  Corro a rotta di collo, pensando alla morte, al sangue, al ragazzo del Distretto 7, alla mia codardia.
Ed è proprio quando raggiungo la foresta che il cannone inizia a sparare. Sono sopravvissuta al massacro della Cornucopia.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Giorno 1, Nella foresta 



Mentre il cannone spara, io continuo a correre attraverso il fogliame senza fermarmi. La lancia che stringo nella mano destra continua ad impigliarsi tra i rami rallentando la mia andatura. Ogni volta che si impiglia in qualche fronda mi scappa un gemito di rabbia dalle labbra. I muscoli delle mie braccia tremano quando strattono forte la lancia per liberarla dai rami che si parano sulla mia strada.
BUM BUM BUM
Il cannone continua a sparare e io ho completamente perso il conto dei colpi. Rivoli di sudore mi colano lungo la fronte fino a raggiungere il naso e gli zigomi. Alcuni capelli sono sfuggiti dalla alta coda di cavallo che porto sulla nuca, appiccicandosi con ostinazione al il mio collo sudato e procurandomi così un forte fastidio.
Vedo all’ultimo quel maledetto ramo sospeso a mezz’aria. Anzi, più che vederlo lo sento, forte, sulla fronte. Cado all’indietro, atterrando con violenza sulla schiena. Il colpo mi mozza il fiato in gola, tanto che mi sembra di morire soffocata. Inizio ad ansimare  e cerco di fare dei respiri profondi per cercare di riprendere fiato, ma ad ogni respiro è come se il mio petto si spezzasse a metà. Mi giro su un fianco cercando di aiutare la respirazione, ma sento che va sempre peggio. Senza rendermene conto, inizio a piangere. Sento le lacrime calde iniziare a scendere lungo le mie guance, procurandomi una sorta di formicolio sulla pelle. Non riesco a respirare, piango e inizio anche a singhiozzare. Mi rendo subito conto che ho un attacco di panico. Un pensiero fugace e velocissimo mi attraversa la mente.
“Morirò qui, soffocata, per colpa di un cazzo di ramo che mi sono beccata in fronte.”
Messa così potrebbe anche far ridere.
Non riesco a riprendere fiato. E’ come se il mio respiro fosse intrappolato nei polmoni e non potesse uscire. No, non posso morire così. Senza combattere, senza reagire… non posso. Sarebbe una morte assurda, senza senso. Oltre il fatto che in quel momento sono una facile preda per qualunque dei Tributi.
Con uno sforzo immane mi giro a pancia in giù e cerco di alzarmi sulle ginocchia, facendo leva con le braccia. Le mie mani affondano nel terriccio morbido della foresta e un odore a me poco familiare mi pervade le narici. Nel mio Distretto c’è pochissima natura, pochissimo verde… quindi per me quell’profumo è del tutto nuovo. Dopo alcuni interminabili minuti riesco finalmente ad issarmi sulle ginocchia. Mi ritrovo a carponi, con la testa a penzoloni e lo sguardo rivolto a terra. Il mio respiro sta tornando normale a poco a poco.
La foresta attorno a me è silenziosa. Non sento alcun rumore, alcun alito di vento, alcun urlo di terrore o di paura. Solamente quando mi alzo in piedi a fatica, reggendomi alla lancia, mi rendo conto che sono appena scampata alla morte. Rivedo davanti ai miei occhi tutti i corpi immobili riversi a terra vicino alla Cornucopia. Rivedo gli occhi vitrei, spalancati delle vittime. Rivedo il sangue e lo percepisco, colare lento e caldo lungo il mio avambraccio. E’ in quel preciso momento che mi rendo conto di essere ferita, o meglio, me ne ricordo. Con la mano mi sfioro il punto dove il pugnale del Tributo del Distretto 12 mi ha ferita, ovvero all’avanbraccio sinistro. La giacca squarciata mi offre uno spettacolo non proprio rassicurante.
- Cazzo… - mormoro in un sussurro allarmato.
Il pugnale mi ha colpita di striscio, ma nonostante questo mi ha lasciato un profondo taglio nella pelle. Il sangue continua a colare lentamente fuori dalla ferita e, ora che me ne rendo conto, mi provoca anche un dolore notevole. Come un fulmine a ciel sereno, mi ricordo che sono anche stata colpita all’orecchio, ma dopo aver tastato il punto dove sono stata colpita mi accorgo che li il sangue si è già fermato, seccandosi attorno alla ferita e nelle parti dove è colato lungo il collo.
Faccio alcuni passi avanti traballando leggermente e poi mi fermo ancora, alzando lo sguardo sul verde della foresta. Se non fossi nell’Arena, questo posto potrebbe anche risultare bello, fiabesco. Ma se non fossi lì in quelle circostanze, ovvio.
“Basta fantasticare.” penso tra me e me. Devo assolutamente muovermi, reagire, fare qualcosa… Innanzitutto devo trovare qualcosa per curarmi e fasciare la ferita sull’avambraccio. Dopodiché devo trovare qualcosa da bere e da mangiare. Faccio ancora un paio di passi avanti guardandomi attorno, dopodiché mi appoggio di peso contro la lancia.
E poi? Poi cosa farò? Domanda interessante dato che conosco fin troppo bene la risposta.
Poi dovrò uccidere.
 
 
***
 
 
La luce del tramonto si riversa quasi con dolcezza tra le fronde degli alberi della foresta. Si è alzata una leggera brezza che inizia a far frusciare il verde che sta tutto intorno a me. Mi sciolgo la coda di cavallo che porto sulla nuca con un movimento leggero e lascio che il vento si insinui tra i miei lunghi capelli biondo cenere.
Sono stanca, dolorante e ferita. Sento le gambe molli, come se dovessero afflosciarsi da un momento all’altro. Mi lascio cadere su un grande masso addossato ad un albero, appoggiando la schiena al tronco e lasciando cadere leggermente la testa all’indietro chiudendo gli occhi. Fra poco farà buio e non ho ancora trovato un riparo, ma soprattutto, cosa ancora più grave, non ho nulla da bere né da mangiare.
Un unico, fugace e rapido pensiero mi attraversa la mente. Apro gli occhi e guardo in alto, tra il fogliame dell’albero a cui sono appoggiata. Potrei semplicemente lasciarmi andare, qui, appoggiata a questo tronco ruvido. Potrei morire disidratata o per la fame… o uccisa da un altro Tributo. In questo momento, se qualcuno mi attaccasse, non riuscirei a reagire. Sono stanca.
Chiudo gli occhi ancora una volta. Tanto non li vincerei comunque questi fottutissimi Hunger Games. Non ho alcuna possibilità di sopravvivere, soprattutto contro i Tributi dei Distretti 1 e 2, ovvero i Tributi Favoriti. L’immagine terribile della ragazza dell’1 che pianta un pugnale nella schiena della ragazza del Distretto 8 mi attraversa la mente, facendomi rabbrividire. Se mi trovassi davanti quella belva io avrei sicuramente la peggio, senza ombra di dubbio.
Giro il volto verso la lancia che tengo stretta nella mano destra. E’ una bella arma, molto efficace… se si sa usare. Me la porto in grembo e la osservo per alcuni secondi. Non ho mai usato una lancia in tutta la mia vita… anzi, non ho mai usato armi di alcun tipo e mai avrei pensato di usarne. Sfioro con le dita la punta della lancia e ritraggo subito la mano con un gemito di sorpresa. Mi guardo il dito e vedo un rivoletto di sangue colare da un piccolo taglietto che si è formato sul polpastrello. E’ più affilata di quel che pensassi.
Ad un certo punto, attraverso il fogliame di fronte a me, sento un rumore. Alzo subito lo sguardo in direzione del fruscio e aguzzo la vista. La luce sta iniziando a scarseggiare visto che sta diventando buio e questo non mi aiuta per niente.
Lo sento ancora. Un fruscio deciso, troppo deciso per essere provocato dal vento. Questa volta lo ho sento più vicino, leggermente spostato alla mia destra. Senza rendermene conto, mi ritrovo in piedi con la lancia spianata di fronte a me. Ho paura, tanta paura. I miei occhi guizzano da una parte all’altra, da un albero all’altro, cercando di cogliere il minimo movimento. Sento ancora il rumore, questa volta dietro di me. Mi giro di scatto, stringendo talmente forte la lancia che mi fanno male le mani. Non vedo nessuno, non c’è un bel niente. Ma sono certa di aver sentito un rumore, più che certa.
E ora lo sento ancora, però questa volta è diverso e, nonostante sia diverso lo riconosco con orrore. Attraverso il silenzio della foresta lo sento ancora più nitido e più spaventoso. Lo percepisco dietro di me e mi basta una frazione di secondo, solo una. Mi giro di scatto e con un movimento fulmineo scaglio la mia lancia. Ed è proprio quando quest’ultima colpisce un tronco con un rumore di corteccia frantumata che il rumore che ho percepito si trasforma in uno ancora più spaventoso. La corda tesa dell’arco è arrivata alla sua massima estensione con quel crepitio fastidioso e ora si scaglia con forza in avanti accompagnata da un fruscio tagliente che attraversa l’aria piatta dell’Arena. La freccia mi si pianta con violenza nella spalla destra e dal colpo cado all’indietro, sbattendo per l’ennesima volta la schiena sul terreno.
Urlo, rimanendo a terra e chiudendo gli occhi. Urlo di dolore, di paura, di disperazione. E’ la mia fine.
- Oh mio dio, Minerva! - quella voce mi fa riaprire di scatto gli occhi.
- Minerva! Oh mio dio, mio dio! Mi dispiace tantissimo!
Un volto terrorizzato e sconcertato di un ragazzo entra nel mio campo visivo. Lo riconosco all’istante.
- Ettore? - mormoro con il respiro mozzato.
Ettore, il Tributo maschio del Distretto 3, ovvero il mio compagno di Distretto, si inginocchia vicino a me.
- Minerva, mi dispiace tantissimo. Io, io non ti ho riconosciuta! Poi avevi quella lancia lunghissima, mi sembravi una dei Tributi Favoriti! Perché non…
- Stai zitto! Zitto! - urlo in preda al dolore e con le lacrime agli occhi.
Ettore si zittisce subito e vedo che sta per piangere. - Mi dispiace, non avrei mai voluto farti del male. - mormora.
Chiudo e apro gli occhi per diverse volte, cercando di scacciare le lacrime. La spalla mi fa un male tremendo e ho paura di perdere conoscenza. Non devo assolutamente svenire, altrimenti morirei di sicuro; devo cercare di rimanere vigile e magari avrò qualche speranza di sopravvivere.
- Ettore! - la mia voce esce rotta e disperata.
Il ragazzo sta piagnucolando, ma nonostante questo mi guarda dritto negli occhi non appena chiamo il suo nome.
- Ettore, ho bisogno del tuo aiuto adesso, è chiaro? - dico, cercando di usare un tono di voce deciso. Non mi riesce troppo bene.
- Cosa devo fare? - mi dice il ragazzo tirando su con il naso.
- Devi estrarre la freccia dalla mia spalla. Non posso tenermela piantata qui, è chiaro? - dico.
Lui strabuzza gli occhi e mi guarda come se fossi pazza. - Non posso farlo! - urla in preda al panico.
- Sì che puoi! Devi, cazzo! Me l’hai piantata tu, pezzo di idiota! - esclamo in un impeto di rabbia - E finiscila di frignare!
Vedo che la mia risposta turba molto Ettore. Mi fissa con gli occhi sbarrati ed ad un certo punto apre e chiude la bocca per un paio di volte, come se volesse dire qualcosa ma non trovasse le parole. In quel preciso momento mi rendo conto che lui potrebbe anche scegliere di lasciarmi lì a morire. Dopotutto, questi sono gli Hunger Games. Se Ettore decidesse di non aiutarmi avrebbe un avversario in meno da affrontare. Perché sì, si devono uccidere anche i propri compagni di Distretto se necessario. All’improvviso ricordo un’edizione passata degli Hunger Games, probabilmente di cinque o sei anni prima. Gli ultimi due Tributi rimasti erano un ragazzo e una ragazza dello stesso Distretto, forse il 6 o il 7. Ricordo come si erano fissati prima di iniziare un’azzuffata spaventosa per cercare di uccidersi l’un l’altro e alla fine il ragazzo aveva avuto la meglio, strangolando la ragazza. Il ragazzo poi si era messo a piangere, fissando il corpo ormai immobile della giovane, sua compagna di Distretto e probabilmente sua amica, sua compagna di scuola.
- Minerva! - la voce terrorizzata di Ettore mi riporta alla realtà. Guardo il ragazzo negli occhi e non appena incontro le sue iridi scure so per certo che non mi abbandonerà lì in quello stato.
- Ok, adesso ascoltami bene. - gli dico, senza staccare il mio sguardo dai suoi occhi - Prima di tutto devi controllare fino a che profondità si è conficcata la freccia.
- Come faccio? - mi chiede in preda al terrore. Vedo che le sue mani tremano in maniera convulsa.
- Stai calmo, chiaro? Fai un bel respiro e calmati! - gli dico con rabbia.
Lui chiude per un attimo gli occhi e si appoggia le mani in grembo. Poi inizia a fare alcuni respiri sconnessi e infine torna con il suo sguardo verso di me.
- Devo vedere se la freccia ti ha trapassato la spalla? - mi chiede balbettando.
- Esatto, devi controllare. Passa una mano dietro la mia spalla, fai piano.
Vedo la mano di Ettore avvicinarsi tremante a me. Io sono ancora stesa a terra a pancia in su, con lo sguardo tra le foglie degli alberi. La luce è ormai agli sgoccioli e tra poco farà buio… dobbiamo muoverci ad ogni costo.
Un dolore acuto mi trapassa la spalla fino al gomito quando la mano di Ettore mi sfiora leggermente sul punto dove gli ho indicato.
- Fai piano! - urlo. E alcune lacrime iniziano a solcarmi le guance.
- Sento la punta, ma non è fuoriuscita del tutto. - mi informa lui con un piagnucolio.
Chiudo gli occhi per diversi secondi, cercando di fare dei respiri profondi. E’ peggio di quel che pensassi.
- Va bene, adesso dobbiamo estrarla. - dico, sempre tenendo gli occhi chiusi.
- Cosa? Ma, m-ma…
- Ettore, finiscila di balbettare, di frignare e di fare stronzate! E’ chiaro? Ne hai già fatte troppe per oggi! - la mia voce rimbomba tra gli alberi e spero con tutto il cuore che nessun Tributo sia nei paraggi. Se qualcuno ci trovasse ora ci trasformeremo all’istante in carne da macello.
- Devo tirarla fuori? - singhiozza Ettore senza avermi minimamente ascoltato.
- No! Non devi tirare! Devi spingerla dentro finché la punta non esce del tutto! - esclamo.
- Cosa?
- Non farmelo ripetere, hai capito benissimo cosa devi fare!
Ettore mi fissa sempre più sconcertato. - Ma facendo così rischi di…
- Zitto! Taci! - urlo - Non possiamo tirare, la punta mi strapperebbe via tutta la carne se tiriamo in fuori! Devi spingerla dentro quel tanto da riuscire a spezzarla, fatto questo tirerai in fuori.
Ettore mi guarda fisso negli occhi. - Sai quello che stai facendo? - mi chiede in un sussurro - Potresti morire dissanguata.
“E’ vero, ma non posso saperlo finché non estraggo quella maledetta freccia dalla mia spalla.” penso.
- Non posso andarmene in giro per l’Arena con una freccia piantata in una spalla, non credi? - gli rispondo furiosa.
- Mi dispiace Minerva, ti giuro che non avrei mai voluto uccidere te.
- Non mi hai ancora uccisa. Ora muoviti. - gli rispondo tagliando corto.
Ettore sposta il suo sguardo verso la freccia piantata nella mia spalla. La scruta con espressione spaventata per alcuni secondi, finché finalmente si decide ad afferrarne l’asta con una mano.
- Devi alzarmi leggermente il busto, altrimenti non vedi se la punta esce dalla altra parte. Alzami piano con l’altra mano. - gli dico, sentendo già una punta di dolore.
Lui obbedisce e con delicatezza mi alza leggermente. Ma, nonostante il suo tocco delicato, un dolore insopportabile inizia a pulsarmi nella spalla.
- Spingi! - gli urlo.
Sento la freccia muoversi all’interno della carne viva e subito un urlo mi esce dalle labbra con prepotenza. La vista mi si offusca all’istante dal dolore e non mi rendo nemmeno conto di iniziare a piangere. Sento che anche Ettore piange, ma nonostante questo continua a spingere la freccia sempre più in profondità nella mia spalla. Cerco di non concentrarmi sull’orribile rumore della carne che si lacera, cosa che mi riesce molto bene dato che il dolore che provo è disumano.
Non so quanto tempo passa. Secondi, minuti, ore. Non distinguo più nulla. In quei interminabili minuti l’unica cosa che riesco a provare è dolore, solo dolore, null’altro. Quando sento finalmente la voce di Ettore, mi sembra di essere tornata dall’inferno. Apro piano gli occhi.
- La punta, la vedo! E’ fuoriuscita del tutto! - esclama. Sembra un bambino piccolo che ha appena svolto qualcosa di importante. Quasi mi fa tenerezza.
- Ora devi spezzarla. Un movimento unico, secco. Chiaro? - dico con voce mozzata dal dolore. Non voglio assolutamente perdere altro tempo. Se devo morire, morirò… ma non senza aver prima provato a rimanere viva.
Ettore mi guarda con sguardo grave e annuisce leggermente. - Scusa.
- Fallo.
Sento la mano del ragazzo sfiorarmi dietro la spalla, finché altro dolore non mi pervade, accompagnato da un rumore deciso di qualcosa che si spezza.
Ora sto piangendo. Piango, singhiozzando, senza cercare di trattenermi. Le lacrime mi bagnano le guance e scorrono veloci fino al collo. Sento che Ettore ha afferrato nuovamente l’asta della freccia. Il ragazzo inizia a tirare verso di lui, senza che io gli dica nulla.
Urlo, fortissimo. E poi urlo ancora, ancora e ancora. Non ho mai provato un dolore simile e mai avrei pensato di provarlo. Arrivo ad un punto che non so nemmeno se quello sia davvero dolore o qualcosa di più terribile.
- C’è quasi! - sento la voce di Ettore tra le mie urla e spero che quello che dice sia vero.
All’improvviso sento un rumore che non riesco minimamente a descrivere. Il dolore è fortissimo, ma sento che un po’ va diminuendo.
- Ettore? - mormoro.
Tutto intorno a me inizia a prendere delle forme strane. Alzando lo sguardo, vedo le foglie degli alberi allungarsi e poi incurvarsi, formando delle strane geometrie. I tronchi degli alberi si trasformano in vortici senza fondo.
- Minerva! Minerva! Resta con me, ti prego!
Il volto di Ettore diventa ad un tratto luminoso e dopo pochi secondo si allunga verso l’alto per poi allargarsi in orizzontale. Poi la luminosità della sua pelle inizia a calare, sempre più veloce. Dopo pochi secondi non vedo più nulla.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Giorno 3, La squadra


 
Quando riapro gli occhi è mattina. Lo capisco dalla luce leggera che filtra tra le foglie sopra di me e dal canto vivace degli uccelli. Strizzo gli occhi un paio di volte finché non riesco a mettere a fuoco quello che vedo attorno di me. Sono sotto una specie di tetto fatto di foglie, foglie molto grandi di cui ignoro il nome. Faccio guizzare gli occhi qua e la per trovare qualche altro particolare, ma non c’è molto altro da vedere. L’unica cosa che noto è l’entrata di quella specie di tettoia, di fronte a me. Lì la luce è molto più forte, quindi deduco sia una specie di varco per entrare e uscire.
Quando provo a muovermi, provo un dolore lancinante per tutto il corpo che mi costringe a fermarmi.
Voglio alzarmi, voglio uscire di lì.
Riprovo ad alzare il busto, ma questa volta a cedere sono le mie braccia. Torno con la schiena a terra, ansimante. Il dolore che provo è allucinante, come se fossi stata investita da un tir più e più volte. Ma non posso mollare. Devo alzarmi, uscire di lì e soprattutto capire dove sono.
Con uno sforzo disumano riesco ad alzarmi seduta e una volta raggiunta questa posizione noto che qualcuno mi ha fasciato la ferita sull’avambraccio sinistro, quella che mi aveva procurato il Tributo del Distretto 12. Muovendomi scopro anche che la spalla destra, oltre che a farmi un male indescrivibile, è completamente bloccata da un’ampia fasciatura che sento a contatto con la pelle sotto la mia maglietta. Ricordo anche alla perfezione come me la sono procurata quella maledetta ferita… ma evito di pensarci.
Seduta, ferita e dolorante mi guardo intorno nuovamente, questa volta soffermandomi sui particolari di quella strana caverna fatta di foglie. Quest’ultime sono state intrecciate con una maestria incredibile e proprio quel particolare mi fa ben pensare che non è di certo opera di Ettore.
Ettore, il mio tonto compagno di Distretto, quello che ha cercato di uccidermi piantandomi una freccia nella spalla. Certo, a quanto sembra lo ha fatto per sbaglio… Ma dove è ora?
Tutte quelle domande mi spingono ad alzarmi da terra. Inutile dire che faccio una fatica immane… ma ormai non è una novità. L’unica cosa di cui mi rendo conto in quel momento è che fin ora sono scampata alla morte almeno quattro volte… Un bel record per trovarsi nel bel mezzo degli Hunger Games.
Inciampando di tanto in tanto, riesco finalmente ad uscire da quel luogo così strano, quasi inadeguato. Quando esco la luce del sole mi acceca, tanto che sono costretta a portarmi una mano davanti agli occhi. Poi, all’improvviso, sento una voce.
- Ehi, la tua amica si è svegliata.
Quando i miei occhi si abituano alla forte luce del sole, vedo due figure alla mia destra che camminano a passo svelto verso di me.
- Minerva! - riconosco all’istante la voce bambinesca di Ettore. Non so se sono felice o troppo incazzata di sentirla. Sto giusto pensando ad una rispostaccia da dargli, quando riesco a finalmente a vedere con chiarezza il viso della persona che accompagna Ettore. Subito mi si ghiaccia il sangue nelle vene.
- TU! - esclamo con una vena di terrore mista a sorpresa nella voce.
Ettore mi guarda spalancando gli occhi, poi sposta lo sguardo verso il ragazzo di fianco a sé. - Vi conoscete? - chiede.
- Ettore, vieni qui, allontanati da lui. - dico, senza distogliere lo sguardo dal nuovo arrivato. - Dove sono le armi?
Ettore mi guarda senza capire. - Min, cosa stai dicendo? Lo conosci?
- Ho avuto il piacere di conoscere la tua amica qualche giorno fa, alla Cornucopia. - dice il ragazzo fissandomi negli occhi e sorridendo leggermente. Quel suo sorriso mi fa accapponare la pelle e non capisco bene cosa voglia significare.
Con una mano stretta sulla spalla destra, come per attutirne il dolore, inizio a fare qualche passo lateralmente, preparandomi ad un imminente attacco mortale da parte di quel ragazzo.
- Minerva! - Ettore piagnucola il mio nome, come per obbligarmi a dargli una spiegazione su quella stana e allo stesso tempo pesante situazione.
- Cosa ci fai qui? - chiedo al ragazzo mentre lo fisso con aggressività. Ignoro completamente Ettore.
- Ti ho salvato la vita, Distretto 3, a te e al tuo amico qui di fianco. Dovresti provare almeno un po’ di riconoscenza, non credi? - mi risponde il ragazzo con una nota di ironia nella voce.
- No, non credo, Distretto 7. - dico usando il suo stesso tono beffardo - Se non sbaglio mi hai promesso la morte e a prima vista direi che sembri uno che mantiene le promesse, nonostante tu abbia una faccia da ebete.
Il Tributo del Distretto 7 ride, poi si gira verso Ettore - Simpatica la tua amica. - gli dice.
Ettore lo guarda frastornato. - Mi spiegate perché voi due vi conoscete? - insiste.
- Questo simpatico individuo mi ha promesso di uccidermi senza pietà, Ettore. E sai perché? Perché io non sono riuscita ad uccidere lui durante il massacro della Cornucopia. - mi ritrovo a fissare gli occhi chiari del ragazzo del Distretto 7 e inizio ad essere certa di aver fatto un grave errore nel risparmiarlo. Mi ritrovo nel bel mezzo degli Hunger Games, i giochi della morte per eccellenza, e io sono ancora qui che provo pietà per i Tributi che prima o poi uccideranno me… e so per certo che nessuno di loro esiterà, nemmeno lui, il ragazzo del 7.
Ettore sposta il suo sguardo a destra e a sinistra in continuazione, prima guarda me, poi guarda il Tributo del 7 - Min, lui ti ha salvato la vita. - dice poi alzando leggermente le spalle.
- Peccato che poco tempo fa mi abbia promesso la morte. - rispondo in un ringhio.
A questo punto il ragazzo del 7 allarga le braccia - Credo che io e te abbiamo iniziato con il piede sbagliato. - mi dice.
- Ah sì? - replico sfoggiando tutta la mia ironia. Poi proseguo con tono serio - Non credo che negli Hunger Games ci sia un modo per iniziare con il piede giusto.
Il ragazzo inizia a parlare muovendo le braccia, come se stesse facendo un discorso di fronte ad un pubblico importante - Quando ti ho detto che ti avrei ucciso ero spaventato, perché credevo che mi avresti davvero tagliato la gola con quella lancia. Invece non lo hai fatto, mi hai risparmiato. Non so perché, ma per me conta che tu lo abbia fatto. Quindi quando ho trovato te agonizzante con una freccia piantata in una spalla e il tuo amico di fianco a te disperato, ho deciso di aiutarti.
- Quindi vuoi dire che adesso siamo pari e che possiamo nuovamente tentare di ammazzarci l’un altro? - replico.
Il ragazzo scuote la testa - Non ti voglio uccidere, ne te ne il tuo amico.
- Ti ricordo che siamo negli Hunger Games, 7. Dovrai farlo se vuoi sopravvivere.
- Ora non è necessario.
Fisso negli occhi il ragazzo per alcuni secondi, poi guardo Ettore. Quest’ultimo, per tutta risposta, si stringe nelle spalle. Non avrei mai pensato di trovarmi in una situazione simile. Durante la mia preparazione ai Giochi, mi sono sempre immaginata da sola contro tutti una volta arrivata nell’Arena… e invece ora mi ritrovo con una specie di squadra, di cui uno dei due membri è un fifone piagnucoloso, mentre l’altro ha minacciato di uccidermi e ora ritira le sue minacce. Bella storia.
- Mi chiamo Elia. - dice il Tributo del 7 avvicinandosi di qualche passo a me - Da quanto mi ha detto il tuo amico… come ti chiami?
- Ettore.
- Giusto, Ettore. Da quanto mi ha detto il tuo amico Ettore, tu sei Minerva. - Elia mi porge la sua mano destra con un  mezzo sorriso.
Prima fisso la sua mano per alcuni secondi, poi sposto lo sguardo verso il suo viso - Molto non piacere. - rispondo con voce acida - Perdonami se non ti stringo la mano. - quella situazione è una cosa tanto incredibile quanto assurda. Credo che nella storia degli Hunger Games non si sia mai vista una presentazione del genere tra Tributi, i quali dovrebbero uccidersi l’un altro senza pietà. Chissà come si starà divertendo la gente di Capitol City in questo momento.
Elia fa un passo indietro, ridendo fragorosamente. Poi si gira verso Ettore - Sono tutte così nel tuo Distretto, amico?
Ettore ride di rimando, ma si vede lontano un miglio che non ha capito il senso della domanda.
Tutta quella situazione assurda mi ha fatto dimenticare il dolore delle mie ferite, le armi, ma soprattutto le conseguenze che questa unione di squadra implica. Cosa farò adesso? Un’alleanza non era nei miei piani iniziali per questi Hunger Games… o meglio, non avevo nessun piano. Ma di certo l’idea di portarmi dietro Elia non mi alletta per nulla.
- Ettore, prendi il tuo arco e la mia lancia. Ce ne andiamo. - dico con un cenno del capo verso il mio compagno di Distretto.
Lui mi guarda con gli occhi sbarrati - Cosa? Vuoi andartene così?
Lo fisso con uno sguardo di rimprovero - Certo che voglio andarmene, e subito anche. Ti ricordo che non siamo ad un pic-nic, Ettore. Il ragazzo qui presente potrebbe ucciderci da un momento all’altro.
Elia fa una piccola risata e scuote la testa - Credi davvero che ti ucciderei così, su due piedi, ora? - dice.
- Sì, lo credo. - replico, marcando bene le parole.
Vedo Ettore in difficoltà. Continua a guardare prima me, poi Elia, nell’attesa che qualcuno dei due cambi idea… o meglio, che io cambi idea.
- Min, ti prego, cerca di ragionare. Sei ferita, dove credi di poter arrivare con quelle ferite?
A sentire quella frase non ci vedo più. Sento il sangue iniziare a ribollirmi nelle vene, i muscoli tesi che iniziano a tremare.
- Se tu, maledetta testa di cavolo, non mi avessi colpito con il tuo fottutissimo arco ora non saremo di certo qui! E ti ricordo che siamo nell’Arena, A R E N A, ok? Non al parco dei divertimenti. Potrebbero ucciderci da un momento all’altro e se vuoi evitare che questo accada devi muovere il culo e imparare anche tu ad uccidere in fretta, magari mirando al bersaglio giusto! - la mia voce esce con violenza e cattiveria… ma la verità è che ho una paura incredibile. Vorrei dire a Ettore che non deve provare pietà per niente e per nessuno, ma mi rendo conto che la prima che prova pietà in quella squadra mal messa sono io. Quando ne ho avuto la possibilità non sono riuscita ad uccidere un Tributo, e ora la situazione mi si sta rivoltando contro. Avrei dovuto uccidere Elia alla Cornucopia, tanto comunque sono certa che dovrò farlo a breve.
Ettore è diventato una statua di pietra. Se non fosse per il suo respiro affannoso, potrei dire che sembra morto. Questa situazione sta prendendo una brutta piega, ne sono consapevole. E voglio evitare che finisca in un bagno di sangue, anche perché non so se io ne uscirei vincitrice conciata come sono. Ad un certo punto è Elia a parlare, come se anche lui avesse avuto quel brutto presentimento.
- Direi che è il caso di calmarci. Siamo in una brutta situazione, ma vi ricordo che qui fuori, da qualche parte nell’Arena, ci sono ancora circa una quindicina di Tributi che non vedono l’ora di ammazzarci brutalmente. - Elia si gira verso di me e mi guarda di sbieco - Non credi che sia il caso di preoccuparci di loro, prima? E poi tu sei anche ferita e ti assicuro che sola non andresti tanto lontano.
Fisso Elia negli occhi e mi duole ammettere che ha perfettamente ragione. Per qualche oscuro motivo mi sono completamente dimenticata dell’esistenza degli altri Tributi, come se tutta quella situazione avesse contribuito a rimuoverli dalla mia mente.
- Quindi stai proponendo una specie di alleanza? - chiedo, piegando leggermente la testa di lato. Anche se Elia aveva ragione, volevo comunque mantenere un atteggiamento scettico.
- Esatto, un’alleanza. Che ne dite? - replica il ragazzo con un cenno di assenso. Poi sposta il suo sguardo anche su Ettore.
- Io ci sto. - dice Ettore con fermezza. Non mettevo in dubbio che accettasse, spaventato com’era. Per lui una squadra è tutto dato che non è per nulla in grado di badare a se stesso da solo. Ancora mi chiedo come abbia fatto a sopravvivere al massacro della Cornucopia.
- Minerva? - mi incalza Elia.
Lo guardo fisso negli occhi per alcuni lunghi secondi, senza dire nulla. - E quando finirà questa alleanza? Quando rimarremo solo noi tre in vita, cosa che dubito fortemente?
- Non credo che ora sia il momento per deciderlo. Quando questa alleanza sarà sul punto di finire, lo capiremo tutti e tre.
Rimango in silenzio ancora per qualche secondo, senza però distogliere gli occhi da Elia. Mi sento come intrappolata in un a rete, senza alcuna possibilità di liberarmi. L’unica certezza che ho è che non sopravvivrò mai a questi Hunger Games. Non ho alcuna possibilità contro i Tributi Favoriti, oltre al fatto che non so usare nessun tipo di arma in modo decente. Nonostante questo però sento qualcosa dentro di me, qualcosa che mi spinge a non mollare, a tentare di tornare a casa sana e salva… sento che mi opprime il petto, che mi costringe a riconoscerla: la volontà di sopravvivere.
- Va bene. - dico infine.
Non posso fare altro che attenermi a queste circostanze, dato che non ho altra scelta… almeno momentaneamente.
 
 
***
 
 
Il sole è quasi alto nel cielo, segno che si sta avvicinando mezzogiorno. Ettore, Elia e io ci sediamo sotto quella specie di capannina di foglie intrecciate che Elia ha costruito per ripararmi dal sole quando ero svenuta. Stando ai racconti dei due ragazzi, dopo che Elia ha trovato me agonizzante in mezzo al bosco con Ettore vicino che piangeva come un bambino piccolo, ho dormito un giorno e mezzo. Mi sono svegliata solamente un paio di volte farfugliando parole incomprensibili e poi sono caduta nuovamente in uno stato di incoscienza.
Elia, con l’aiuto di Ettore, ha curato tutte le mie ferite con delle bende che ha trovato all’interno di uno zaino recuperato alla Cornucopia. A sentire il ragazzo del 7 la ferita sull’avambraccio non è grave, ma quella alla spalla potrebbe avere delle complicazioni se non mi riguardo.
Ettore continua a scusarsi con me per avermi colpita, tanto che ho dovuto ripetergli più volte di stare tranquillo. Non so se lo ho proprio perdonato, ma per ora non ce l'ho con lui. Solamente mi da fastidio quando piagnucola.
Dopo che ci siamo seduti sotto la capannina di foglie, Elia estrae dal suo zaino un po’ di cibo: carne secca, un paio di frutti mezzi marci e mezza borraccia d’acqua. - E’ tutto quello che ho. - dice mostrandoci il cibo - Non prevedevo compagnia e in ogni caso non è che ho avuto molta fortuna con questo zaino.
Ora che ci penso, Elia è stato più furbo di Ettore e me. Lui per prima cosa ha pensato a sfamarsi, invece noi abbiamo pensato per prima cosa alle armi. In verità non so bene quale sia tra le due la cosa migliore, ma in quel momento opto per il cibo.
Ci dividiamo la carne secca in parti uguali e dopo che io rifiuto una delle due mele mezze marce, i due ragazzi se ne mangiano una a testa senza troppi complimenti. Infine passiamo all’acqua, qualche piccolo sorso a testa. Decidiamo di non berla tutta subito, anche se la sete è tanta. Ma non possiamo rischiare di rimanere senza acqua proprio ora, messi male come ci ritroviamo… soprattutto io.
- Quanti altri Tributi saranno rimasti circa? - chiede ad un certo punto Ettore mentre si pulisce la bocca con la manica della giacca a vento.
- Una quindicina? - azzardo.
- Penso meno. Direi una decina. - interviene Elia, masticando il suo ultimo pezzo di carne secca.
Mi sembra impossibile che siano rimasti così pochi Tributi nell’Arena. D’accordo che il massacro della Cornucopia si chiama così per un motivo, ma dieci Tributi sopravvissuti oltre noi mi sembravano veramente troppo pochi.
- Non penso ne siano rimasti così pochi. - commento - Ho sentito i colpi di cannone, non mi sembravano così numerosi.
Elia si gira verso di me - Fidati che non ne sono rimasti più di dieci o undici.
- Come mai ne sei così sicuro? - chiede Ettore.
- Perché molti li ho uccisi io.
La risposta di Elia lascia Ettore e me spiazzati. Ci scambiamo uno sguardo interrogativo, dentro al quale si cela però anche un brivido di paura. Non so per quale motivo, ma non faccio molta fatica a credere alle parole di quel ragazzo biondo con la faccia da ebete. Sento che dietro quella maschera da imbranato si cela qualcuno di molto diverso da come appare.
- Quanti ne hai uccisi? - chiedo con voce completamente piatta. Non voglio di certo far credere a quel presunto assassino di avere paura di lui.
Elia ci pensa un attimo su, volgendo lo sguardo verso l’alto. - Sei.
- Sei?! - la voce di Ettore esce come se qualcuno li avesse dato una pacca sulla schiena - Come hai fatto? Con che arma? Quando ci hai trovato non avevi alcuna arma con te.
- Infatti non ho usato armi.
Fisso Elia, cercando di non far trasparire alcuna emozione. Sono completamente inorridita da con che tranquillità lui ci abbia rivelato quanti Tributi ha ucciso, ma poi mi ricordo che siamo agli Hunger Games e non tutti i Tributi provano pietà come me o come Ettore.
- Hai rotto loro il collo? - chiedo.
Elia si gira verso di me, come se fosse sorpreso da quel mio intervento. - Esatto. Non si sono accorti praticamente di niente. - dice poi.
Ci fissiamo per diversi secondi, senza dire nulla, sostenendo l’uno lo sguardo dell’altro. Sento che mi pentirò molto presto di aver accettato di fare squadra con lui.

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