Fiori tra Foglie Cadute

di PuccaChan_Traduce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Una visita inaspettata ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Tè e chiacchiere ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: La strada per Gran Burrone ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Il cuore è una cosa curiosa ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Tauriel di Imladris ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: È stato un sogno e basta... giusto? ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Abiti e Pugnali ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Nani alla porta ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Il consiglio dei parenti acquisiti ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: La partenza da Gran Burrone ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Il prigioniero ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: Sogni e Rivelazioni ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: La fuga ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: Di cavoli e di principi ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15: Attraverso le montagne ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16: Il Re Orso ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17: Cuori di calcedonio ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18: In rotta di collisione ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19: Al Crepuscolo ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20: All'ombra della Montagna ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21: Il sentiero tra le ombre ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22: Il Labirinto ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Una visita inaspettata ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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(Nota dell’autrice): ho scritto questa storia prendendo spunto sia dal libro che dai film e la maggior parte è stata ideata prima dell’uscita di BOTFA (La Battaglia delle Cinque Armate); molte delle vicende narrate sono perciò da considerarsi AU e non-canon.
A dispetto di quel che potrà sembrare dai primi capitoli, questa storia è in realtà una fix-it; ci vorrà solo un pò per arrivare a quel punto. E aggiungo anche che il personaggio di Dàin Piediferro non sarà così malvagio come potrà sembrare a prima vista.
Desidero infine ringraziare Runakvaed e Irrel per aver creato delle bellissime cover art ispirate alla mia storia!
 
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Bilbo Baggins fece ritorno a Casa Baggins all’incirca dieci mesi dopo essere uscito correndo dalla porta di casa per seguire il canto di un re della montagna.
Alla gente della Contea egli non parve eccessivamente cambiato da quell’avventura, semmai era un pò più ricco di quando era partito (si favoleggiava che i corridoi del suo smial fossero pieni d’oro) e meno socievole di com’era stato un tempo. La gente chiacchierò della faccenda per tre giorni buoni fino a che la novità non venne rimpiazzata dallo stupore per la prolificità della scrofa del fattore Cotton.
Bilbo cercò di riadattarsi ai ritmi di vita della Contea, ma era come voler indossare un paio di guanti troppo stretti. Sentiva che quella vita non faceva più per lui. Il suo cuore avrebbe sempre recato il danno irreparabile inflittogli dalla perdita di qualcosa che in fondo, e non faceva che ripeterselo, non aveva mai avuto.
C’erano voci che non avrebbe mai più sentito risuonare per i corridoi della sua casa, voci che la battaglia aveva messo a tacere per sempre. Nelle prime settimane cercò di riempire il silenzio parlando da solo, raccontando nel dettaglio le sue avventure ad un pubblico inesistente; ma nessuno giunse mai a bussare alla sua porta, e col passare del tempo il ricordo delle risate e di quella canzone iniziò lentamente a sbiadire.
Mentre i giorni trascorrevano in una primavera fredda e piovigginosa, che sembrava ammantare tutto di fango e noia, cominciò a sentirsi come se non avesse più parole del tutto. Attendeva alle proprie faccende dall’alba al tramonto senza mai sprecare più di un “Come va” o un “Buongiorno” rivolti ora al fruttivendolo ora al garzone del macellaio. Alla sera si preparava una cena fredda e mangiava in silenzio, ritirandosi a letto presto solo per restare desto fino a poco prima dell’alba, nelle ore più buie e più fredde, quando sembrava quasi che non potesse più esserci luce nè speranza al mondo.
Fu durante una di queste cene tristi e solitarie, oltre un mese dopo il suo ritorno nella Contea, che Bilbo udì inaspettatamente bussare alla sua porta proprio mentre si chiedeva se fosse il caso di finire il suo piatto di prosciutto e formaggio.
Rimase immobile col cuore che gli batteva forte; ma no, si disse poi. Quella non somigliava affatto ad una forte ed esigente bussata nanica. Era stata una bussata sommessa, quasi esitante – forse uno dei vicini aveva bisogno di qualcosa e si sentiva in colpa a disturbarlo a quell’ora.
“Solo un momento,” esclamò alzandosi e rassettandosi la cintura della vestaglia, un indumento a colori vivaci, dono della sua prozia Pansy, che ora gli stava molto più larga rispetto a quando era partito; non riusciva proprio a recuperare il peso perso durante il suo lungo viaggio.
All’inizio non riconobbe l’alta figura in piedi davanti alla sua porta; era girata a mezzo rispetto a lui e tutto ciò che si vedeva era una ciocca di capelli rossi sulla spalla coperta da un mantello. Una persona della Gente Alta alla sua porta, e a quell’ora di notte?
“Ehm... posso aiutarvi?” chiese Bilbo.
La persona lo sbirciò da sopra la spalla e un sorriso luminoso si diffuse sul suo volto. “Mae g’ovannen, mellon nin.”
La sua presenza nella Contea sembrava talmente incongrua, come un cigno bianco nel bel mezzo di uno stormo di oche scure, che per un bel pò Bilbo non potè far altro che rimanere a fissarla. “Tauriel?”
Girandosi del tutto verso di lui, ella inclinò la testa. “Ti trovo bene.”
Bilbo cercò di trattenere un gridolino di sorpresa. Il bel viso dell’Elfa recava una livida cicatrice che dalla tempia destra scendeva fino alla mandibola, intersecandosi anche con la linea dei capelli. Ricordava bene quella ferita – il viso di lei sfregiato fino all’osso mentre cercava disperatamente di raggiungere Kìli, che ancora resisteva a difendere il corpo di Thorin dagli assalti della terribile mazza ferrata di Azog. Bilbo sussultò visibilmente al ricordo e sperò che lei non pensasse che era dovuto alla vista della cicatrice.
“A–anche tu,” balbettò. “Ma entra, entra! È una serata troppo fredda per restare all’esterno.”
Lei chinò la testa prima di oltrepassare la porta. “Ti ringrazio per l’ospitalità, Bilbo Baggins della Contea.”
“Posso prendere il tuo mantello?”
Tauriel esitò e fece una strana espressione; Bilbo l’avrebbe quasi definita di paura, anche se era inverosimile che la guerriera che si era strenuamente battuta contro Azog il Profanatore, e che aveva messo l’enorme Orco nella posizione giusta perchè un Hobbit pieno di rabbia e in possesso di quello che era poco più che un tagliacarte elfico lo trafiggesse dritto nel petto, provasse paura.
Di nuovo Bilbo si riscosse dai ricordi e si accorse che Tauriel non si era ancora tolta il mantello; ella si morse un labbro e poi, lentamente, lo slacciò e se lo tolse dalle spalle.
Era noto a tutti che gli Hobbit erano un popolo prolifico. Infatti, ‘figliare come un Hobbit’ era un detto abbastanza comune tra gli Uomini di Brea. Durante la sua vita Bilbo aveva visto più donne Hobbit incinte di quante si potessero contarne; non ebbe dubbi quindi circa il significato dell’evidente rotondità della pancia di Tauriel.
“Oh cielo,” fu tutto ciò che fu in grado di dire prima di cadere a terra svenuto.
Tauriel, ex Capitano della Guardia di Bosco Atro, lo osservò con sorpreso sgomento. “E io che pensavo che Kìli mi prendesse in giro quando mi ha raccontato dello svenimento di Bilbo.”

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(glossario) Smial –> ‘casa’ nella lingua degli Hobbit
Mae g’ovannen, mellon nin –> ben ritrovato, amico mio

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(Note della traduttrice) Mae g'ovannen anche da parte mia, amici miei! ^o^
Vi avevo detto che mi sarei presto rifatta viva con un'altra traduzione, e quindi eccomi qua! Questa è un'altra delle mie storie preferite e spero di riuscire a farla piacere anche a voi, perchè merita davvero. Come avrete notato, è presente un tema che personalmente mi appassiona sempre un sacco nelle storie ispirate a questa coppia: l'attesa di un bambino! *o*
Un'altra cosa: come avrete letto dalle note in cima, oltre alla coppia Kiliel sarà presente anche la Thilbo – o Bagginshield che dir si voglia. Per quanto mi riguarda, ammetto di non essere una fan di quest'ultima coppia (quel che vedo io tra Thorin e Bilbo è solo una bella amicizia), ma questa storia mi ha colpita al punto che ho deciso di passarci sopra.
Bene, la smetto di sproloquiare. Fatemi sapere cosa ne pensate! ;)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Tè e chiacchiere ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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“Sto benissimo. Mi dispiace per tutto questo disturbo.” Bilbo strinse le dita intorno alla sua tazza di tè e ne inspirò l’aroma in un tentativo di calmare i propri nervi.
Seduta davanti a lui all’altro lato del caminetto su una sedia della misura giusta per la Gente Alta, Tauriel scosse il capo. “Non c’è bisogno di scusarti. Mi rendo conto che per te dev’essere stato uno shock notevole vedermi... così.”
“Piuttosto notevole, sì.” Bilbo bevve un sorso di tè. “Ma che ci fai nella Contea? Perchè non sei con la tua gente? Non che tu non sia la benvenuta qui, perchè lo sei, sei più che benvenuta.”
Tauriel trasse un respiro profondo e lo rilasciò lentamente. “Sono stata bandita da Re Thranduil subito dopo la battaglia.”
“Cosa? Non puoi dire sul serio! Perbacco, dovrei proprio dirgliene quattro a questo Re. Bandirti, dopo tutto quello che hai fatto per noi!”
“Ho commesso un tradimento disobbedendo agli ordini diretti del mio Re e del mio Principe. Non posso negare che avesse tutte le ragioni per bandirmi.” Tauriel tacque brevemente e gli rivolse un lieve sorriso. “Anche se devo ammettere che mi piacerebbe molto vederti dirgliene quattro.”
“Ma come ha potuto bandirti dalla tua stessa casa?”
“È il Re,” rispose lei allargando un pò le braccia. “La parola di Re Thranduil è legge nel Reame Boscoso. Voi non avete un Re nella Contea?”
“Che sciocchezze! Vorrei proprio vedere qualcuno di quegli esaltati Serracinta autoproclamarsi Re. Verrebbe deriso da qui ai confini della Contea.” Bilbo agitò una mano con impazienza. “Ma sto divagando. Mia cara, sono passati cinque mesi dalla battaglia. Cos’hai fatto durante tutto questo tempo?”
“Ho viaggiato a nordovest rispetto a Erebor, costeggiando il confine settentrionale di Bosco Atro, e ho attraversato le Montagne Nebbiose passando dal Monte Gundabad. È stato un viaggio... difficoltoso.”
Bilbo rimase a bocca aperta. Se un Elfo descriveva un viaggio come ‘difficoltoso’ significava che vi era quasi morto parecchie volte. “Gundabad... ma non è da dove è venuto l’esercito di Azog?”
“Proprio così.” Ella inclinò la testa con un piccolo sorriso. “Era grandemente spopolato dopo la battaglia, e anche di più dopo che ebbi finito io.”
“Elfi. Sul serio... siete matti quasi quanto i Nani.” Il sorriso di Bilbo si spense alle sue stesse parole e si schiarì la gola. “Ma perchè non hai preso l’Alto Passo? Gandalf e io siamo passati da lì durante il viaggio di ritorno e, anche se non è stata certo una passeggiata, non è stato nemmeno scomodo come all’andata. In più, grazie al cielo, non abbiamo incontrato nessun Gigante di Pietra.”
“Ho pensato fosse meglio evitare le strade più trafficate.”
Bilbo scosse la testa. “Perchè?”
Tauriel tacque e il suo sguardo cadde sulla mano con cui si era accarezzata il ventre per tutto il tempo. Ah. L’olifante nella stanza, per così dire.
“Non vorrei sembrare impertinente, ma il padre di tuo figlio... voglio dire... Presumo che tu... e Kìli...?”
 Le orecchie dell’Elfa divennero di un colore rosso acceso fino alle punte. “Due notti prima della battaglia, io e Kìli ci siamo uniti in matrimonio sotto le stelle alla maniera del mio popolo.”
“In matrimonio? Perbacco... non c’era tempo di pensare prima alle pubblicazioni, eh?” Lei lo guardò come se non avesse idea di cosa stesse parlando. “Lascia stare. Devo ammettere però che non credevo che Elfi e Nani potessero, ecco... procreare assieme.”
Gli occhi di Tauriel si fecero più luminosi e la sua voce divenne enfaticamente più bassa. “Non possono, infatti. È impossibile.”
Bilbo accennò alla sua pancia con la tazza. “Odio contraddirti, ma a giudicare da quel che vedo io è più che possibile.”
“È vero che ne porto la prova dentro di me, ma... mi riesce ancora difficile credere che sia davvero possibile. Non avevo mai sentito parlare di un’unione tra un Nano e un Elfo prima d’ora.” Tauriel si tirò indietro una ciocca di capelli dalla fronte con aria assente. Bilbo notò che i suoi capelli rosso fuoco sbiadivano in un bianco candido nel punto da cui partiva la cicatrice.
“Forse nessuno crede sia possibile perchè tutte le storie sono rimaste taciute. C’è un buon numero di fanciulle Hobbit che si allontanano dalla Contea per circa un anno e quando tornano – guarda un pò – sono sia vedove che neo mamme. E nessuno si chiede che fine abbiano fatto i loro presunti mariti perchè tutti sanno che non ci sono mai stati.”
“O forse nessuno crede sia possibile perchè nessuna gravidanza generata dall’unione tra un Nano e un Elfo è mai stata portata a termine con successo.”
“Anche questa è una possibilità,” ammise Bilbo riluttante. “Ma ora devo chiedertelo di nuovo, Tauriel: perchè sei venuta qui? Voglio dire specificatamente qui, nella Contea e alla mia porta nel cuore della notte?”
Tauriel tacque ancora a lungo, versandosi dell’altro tè e del miele e iniziando poi a girare il cucchiaino con tale vigore che Bilbo temette per le ceramiche del Decumano Ovest lasciategli da sua madre. “Sei l’unica persona cui ho pensato di potermi rivolgere per chiedere aiuto, Bilbo Baggins. So fare molte cose da sola, ma perfino io devo ammettere di non poter dare alla luce questo bambino da sola. Ho sperato che i guaritori della Contea potessero aiutarmi quando giungerà il momento.”
“E quanto tempo abbiamo prima che questo momento giunga? Se tu fossi una Hobbit, direi altri quattro mesi.”
“Per gli Elfi la gravidanza dura in genere dodici mesi. Ma nel caso di un bambino con sangue di Nano e di Elfo... non ne ho proprio idea. Non so quanto duri la gravidanza per i Nani.”
“Capisco,” disse Bilbo bevendo un altro lungo sorso di tè. “Non per sminuire le abilità delle nostre levatrici, ma credo che, trattandosi dell’unica progenie conosciuta di un Elfo e un Nano, sia necessario un guaritore più esperto. Hai pensato di rivolgerti a Lord Elrond? È il guaritore più abile di tutta la Terra di Mezzo, dicono.”
Tauriel aggrottò la fronte perplessa. “Perchè dovrebbe aiutarmi? I miei problemi non sono affar suo.”
Bilbo sgranò gli occhi. “Perchè... ma perchè è Lord Elrond! È ovvio che ti aiuterà!”
“Hai una grande fiducia nel mondo, mellon nin. Lord Elron non ha alcun motivo di aiutarmi, ma ne ha invece due ottimi per non farlo: sono stata bandita dal Reame Boscoso per tradimento e se mi aiutasse in qualsiasi modo potrebbero verificarsi tensioni con Re Thranduil, e in più aspetto un bambino che sia Elfi sia Nani considererebbero un abominio.”
“Prima di tutto, Lord Elrond è egli stesso un mezz’Elfo – o per tre quarti, non l’ho mai capito – perciò non credo proprio che avrebbe dei pregiudizi contro il tuo bambino, il quale sarebbe anch’esso un mezz’Elfo. In secondo luogo, penso che tu sopravvaluti il grado in cui arrecare un torto a Re Thranduil sarebbe per lui di qualsiasi interesse. Di fatto, io credo che infastidirlo potrebbe addirittura essere un incentivo per Lord Elrond.”
“Non mi presenterò a Imladris come una mendicante alla sua porta,” disse risolutamente Tauriel.
L’ostinatezza era un’altra delle cose per cui Elfi e Nani non erano poi tanto diversi gli uni dagli altri. A volte Bilbo si domandava se gli Hobbit fossero le uniche creature ragionevoli al mondo – anche se l’uomo di Pontelagolungo, Bard, era stato abbastanza ragionevole, quindi forse gli Elfi e i Nani erano i soli con cui fosse quasi impossibile avere a che fare.
“Sai,” le disse dopo un pò, “è davvero una bella coincidenza che tu sia venuta a trovarmi proprio in questo periodo. Da un pò stavo pensando di recarmi di nuovo a Gran Burrone, ma il viaggio è veramente troppo pericoloso per me solo. Gradirei quindi moltissimo se tu volessi accompagnarmi.”
“Bilbo, so bene che non avevi programmato alcun viaggio fino a Imlradis. Non posso accettare la tua carità.”
“Per favore,” disse Bilbo posando la tazza e sporgendosi verso di lei con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani unite. “Per favore, lascia che faccia questo per te, se non altro per l’amore che entrambi nutriamo verso la stirpe di Durin.”
Tauriel lo fissò negli occhi per un lungo momento, poi annuì con riluttanza. “Molto bene. Ma teniamo le tue levatrici Hobbit come piano di riserva, in caso Lord Elrond mi butti fuori da Imlradis.”
“Ti assicuro che non lo farà.” Bilbo battè le mani con allegria. “Ora che tutto è deciso, che ne diresti di una cena tardiva? Non so tu, ma io sto morendo di fame.”
E così, dopo una cena a base di uova sode, pollo, prosciutto, formaggio, pane tostato e un barattolo di conserva di fragole che chissà come era sfuggito al saccheggio della sua dispensa ad opera dei Nani, Bilbo sistemò Tauriel nella stanza con il letto più grande. Il letto era sempre un pò piccolo per lei, ma l’Elfa lo rassicurò dicendo che di solito dormiva rannicchiata e che sarebbe stata benissimo.
La stanza in questione era appartenuta ai suoi genitori. Dopo la morte di sua madre a Bilbo non era sembrato giusto appropriarsene, anche se era la stanza più grande della casa. Restò per qualche istante al di fuori, ad ascoltarla muoversi all’interno, e pensò con un pizzico di tristezza che a sua madre sarebbe piaciuta molto Tauriel: avevano entrambe lo stesso spirito avventuroso, per non dire spericolato.
La colazione fu relativamente frugale: uova fritte, pancetta, biscotti d’avena e l’ultimo barattolo restante di conserva.
“Spero non ti dispiaccia questa magra colazione,” disse Bilbo servendo a Tauriel una seconda porzione di pancetta. “Da quando sono tornato ho mantenuto la dispensa abbastanza leggera. Mi sono abituato al regime dei Nani durante la nostra missione, e adesso faccio solo tre pasti al giorno. Ma non dirlo alla signora Manoverde, pensa già che sia troppo magro.”
“Quante volte al giorno mangiano gli Hobbit, di norma?”
“In genere sei. Perchè?”
Lei lo fissò. “Ci serviranno parecchie provviste.”
“E suppongo che a me servirà un pony,” sospirò Bilbo. “Stavolta dovrò ricordarmi di portare il fazzoletto.”
Chiese quindi a Tauriel dove fosse il suo cavallo e venne fuori che l’Elfa aveva attraversato mezza Terra di Mezzo a piedi. “Elfi,” sospirò ancora Bilbo scuotendo la testa.
Non potevano partire per Gran Burrone senza prima aver ultimato molti di più dei preparativi cui si era limitato Bilbo prima della sua partenza l’anno precedente. Al suo ritorno dall’impresa i suoi affari personali erano uno sfacelo e i suoi orribili parenti Sackville-Baggins gli avevano quasi portato via Casa Baggins; ci volle quindi una settimana perchè si disponesse di tutti i suoi averi, in caso di morte, in favore dei suoi parenti Tuc (“Solo in caso venga provocata da Orchi o Mannari, oh e suppongo anche Troll,” disse all’inorridito notaio).
Tauriel sembrava irrequieta a restare nei confini di Casa Baggins e perciò lo accompagnò dal notaio e al mercato. Bilbo si aspettava che gli abitanti di Hobbiville rifuggissero da lei, che la trovassero troppo esotica con i suoi capelli rossi e le sue orecchie a punta, per non parlare dei pugnali che insisteva a portarsi appresso ovunque – anche se aveva accettato di lasciare a casa almeno l’arco e la faretra; ma aveva sottovalutato il fascino magnetico che una giovane donna in evidente stato interessante avrebbe esercitato sulle comari della Contea. L’Elfa venne travolta da una marea di consigli benevoli, da babbucce e cappellini (“Cos’è un uncinetto?” gli chiese più tardi rigirando da tutte le parti un pezzo di carta – un modello da cucito – come se così facendo quegli strani simboli scritti sopra acquistassero più senso) e storie. Oh sì, le donne di Hobbiville avevano parecchie storie da raccontarle.
“È spaventoso,” sibilò Tauriel dopo essere riuscita a districarsi dall’ennesimo sciame vociante. “Dovunque io vada le donne Hobbit insistono a volermi raccontare le loro gravidanze nei dettagli. Dettagli intimi,” sottolineò quando vide che Bilbo non restava abbastanza inorridito.
“Sono certo che le loro intenzioni sono buone,” cercò di placarla lui.
“La signora Cotton mi ha appena raccontato di aver avuto un travaglio di venti ore col suo primogenito e che è stato più doloroso della volta in cui è stata incornata da un toro.”
“Se può farti stare meglio, è stata un’incornata davvero insignificante. Si potrebbe quasi dire che non sia stata incornata affatto.”
Tauriel gli rivolse un’occhiata incredula; intanto risalivano la collina che conduceva a Casa Baggins.
“In ogni caso, credo che siamo pronti per la partenza di domani. Ho preso anche l’ultima cosa che mi serviva.” E Bilbo agitò il pacchetto di tela cerata che teneva sotto un braccio. “Vecchio Tobia.”
“Per me hanno tutti l’odore di foglie bruciate. Non ho mai capito perchè Kìli–” Tauriel smise di parlare di colpo e strinse i denti; continuarono per un pò a camminare in silenzio.
“Una volta, quando ero tornato da poco nella Contea, ho provato a fumare l’erba pipa che mi aveva dato Bofur: aveva un sapore davvero tremendo, ma l’odore... era come se mi trovassi di nuovo là fuori, con loro, diretti a compiere la nostra impresa. Fìli e Kìli non facevano che scherzare e combinare guai; Thorin invece se ne stava in disparte, a fumare e a guardare in lontananza come se potesse scorgere la Montagna Solitaria.” Bilbo aprì il cancelletto e si fermò brevemente. “Dopo quella sera l’ho messa da parte e non l’ho più toccata.”
“Credi che diventerà mai più sopportabile?” chiese Tauriel con un filo di voce; sembrava così giovane, molto più dei suoi seicento anni.
“Lo spero,” rispose Bilbo con un sorriso triste. “Lo spero davvero.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: La strada per Gran Burrone ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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Partirono per Gran Burrone in una chiara e luminosa, quantunque ancora un pò fredda, mattina di metà Aprile. Tauriel montava un piccolo cavallo dal carattere indisponente al punto che Bilbo l’aveva battezzato subito Lobelia; quanto a lui, si era procurato un pony grasso e dall’indole docile chiamato Marmellata che gli ricordava la sua cara – e probabilmente defunta – Myrtle.
Anche se non avevano annunciato pubblicamente il loro viaggio, una piccola folla si era raccolta ai confini di Hobbiville per salutarli e consegnare loro piccoli regali; quando riuscirono a districarsene, si erano fatte le nove e mezza e Bilbo stava pensando se non fosse il caso di fermarsi per la seconda colazione, già che c’erano. Alla fine decisero di fare tappa intorno alle undici per un pranzo anticipato e si sedettero su una panchina da cui si godeva un piacevole panorama. Bilbo sapeva che ben presto avrebbe sentito la mancanza dei sentieri comodi e ben tracciati della Contea.
Terminò la sua fetta di pane fresco e fragrante con un gran sospiro. Anche quella sarebbe stata una cosa che gli sarebbe presto mancata. Naturalmente era possibile cuocere una sorta di basso pane su una pietra piatta e larga posta su di un fuoco da campo, ma non era la stessa cosa del pane appena sfornato, con la sua crosta croccante ed il suo profumo delizioso.
Seduta accanto a lui sulla panchina, Tauriel sollevò tra le mani un paio di scarpini lavorati all’uncinetto con un’aria sconcertata. “Mi hanno fatto dono dell’ennesimo paio di calzini da neonato...”
“Sono scarpine,” la corresse Bilbo con aria assente.
“Ma me ne hanno già regalate almeno una dozzina. Di quante scarpine può mai aver bisogno un neonato?”
“Non ne ho la minima idea. Non ho fratelli e non sono mai stato troppo amichevole con i miei cugini. E tu?”
“Sì?”
“Hai fratelli? O cugini più giovani?”
“Solo se conti Legolas. Anche se era già quasi adulto quando Re Thranduil mi prese con sè. Quelli del mio clan – la mia famiglia, per usare il termine Hobbit – sono tutti morti.”
“Mi dispiace molto.” Bilbo non le chiese altri dettagli. Gliene avrebbe parlato lei spontaneamente, se avrebbe voluto. Sapeva bene, da che i suoi genitori erano morti, quanto fosse fastidioso ricevere domande inappropriate ed invadenti.
“Non sono mai stata molto a contatto con dei bambini. Gli Elfi del Reame Boscoso non fanno molti figli di questi tempi.” Tauriel chinò il capo nascondendo la cicatrice sotto una cascata di capelli ramati. “Non so nulla di bambini, di come crescerli, di cosa hanno bisogno... in tutta onestà, non ho proprio idea di quel che sto facendo,” ammise quietamente.
“Nemmeno io. Sono scapolo e non ho mai pensato che un giorno avrei avuto bisogno di sapere certe cose. Dovremo scoprirle insieme, temo.”
“Sì, suppongo di sì.” Tauriel si accarezzò la pancia con aria assente; Bilbo si era accorto che era diventata un’abitudine per lei.
“Insieme abbiamo sconfitto Azog il Profanatore, no? Di certo sapremo anche prenderci cura di un bambino.” Bilbo si ficcò i pollici nei taschini del gilet e le rivolse un sorriso; il suo pollice destro sfiorò l’anello nella tasca. Ma che strano, si era quasi dimenticato che fosse lì.
Tauriel gli restituì uno dei suoi bei sorrisi. “Davvero i Valar mi hanno guardata con benevolenza il giorno in cui hai fatto evadere tredici Nani da sotto il mio naso. Ti sono così grata per essere qui con me in questo viaggio.”
“Sì, beh... non c’è bisogno di farla tanto lunga,” rispose Bilbo schiarendosi la gola. “E in caso non fosse ancora abbastanza chiaro, tu e il tuo bambino sarete i benvenuti a Casa Baggins per tutto il tempo che vi piacerà.”
“Sei davvero il migliore amico che potessi mai sperare di trovare, Bilbo Baggins.”
“Spero te lo ricorderai quando scoprirai quanto so essere scontroso dopo una notte passata a dormire sui sassi.”
Tauriel annuì con aria grave, ma i suoi occhi brillavano divertiti. “Ne prendo atto.”
Il terreno cominciò a farsi lentamente più selvaggio man mano che lasciavano i campi ben curati della Contea. Su richiesta di Tauriel si tennero alla larga da Brea, trascorrendo la giornata a costeggiarla per poi ritrovare la Grande Via Est ben oltre i confini della città.
Quella sera, mentre si rilassavano intorno ad un piccolo focherello, Bilbo fece notare il fatto che non erano entrati a Brea. “Non è il caso di essere così paranoici, ti pare? Voglio dire, non è che qualcuno solo guardandoti possa indovinare che, ehm...”
“Che porto in grembo l’unica progenie finora conosciuta di sangue nanico ed elfico?” completò la frase Tauriel, guardandolo di sottecchi con un’aria divertita.
“Un... Nanelfo?”
“Non chiamerei mai il mio bambino così,” obiettò lei con una smorfia. “È un termine davvero inqualificabile. In tutta onestà, però, ho buone ragioni per voler tenere la cosa segreta. Alcuni già sapevano che tra Kìli e me c’era del tenero e se dovessi essere vista così, evidentemente incinta a meno di un anno dopo... Tale notizia potrebbe facilmente arrivare alle orecchie sbagliate.”
“Orecchie sbagliate? Che vuoi dire?”
Tauriel inclinò il capo da un lato. “Il bambino che aspetto è il legittimo erede al trono di Erebor, Bilbo. Non ci avevi pensato?”
“Ma... Dàin Piediferro è il Re di Erebor, non è così?”
“Da quel che ho capito, è un cugino della famiglia reale ed avrebbe il diritto al trono nel caso non vi fossero altri discendenti maschi nella linea di successione diretta. Se il mio bambino è un maschio, sarà l’erede al trono; se è una femmina, diventerà merce di scambio.”
Bilbo cominciava a sentirsi girare la testa. “Ecco perchè non ci sono reali tra noi Hobbit. Si comincia con re e regine e poi...”
“...E poi si finisce con le guerre per la successione.” Tauriel scosse la testa. “Senza contare tutti quelli che probabilmente vorrebbero uccidere mio figlio solo perchè è un abominio.”
“Non riesco ad immaginarlo... è tutto così strano per me. Noi non abbiamo mai avuto guerre per la successione nella Contea. I miei parenti Sackville-Baggins hanno provato a togliermi Casa Baggins, ma questa è la cosa più vicina ad una ‘guerra’ che mi viene in mente.”
“Li hai sfidati a duello?”
“Certo che no! Si è svolto tutto per vie legali. Solo che non mi hanno mai restituito i miei cucchiai d’argento. Sfidarli a duello, non essere ridicola! Oh.” Bilbo si bloccò quando si accorse che Tauriel cercava di nascondere un sorriso. “Ma tu mi stai prendendo in giro.”
“Un pò.” L’Elfa sospirò e alzò gli occhi alle stelle. “Mi piacerebbe molto crescere questo bambino nella tua Contea. Una vita tranquilla, semplice, lontana dagli strepiti del mondo esterno; questo è quello che vorrei più di tutto. Ma... temo che nessuno di noi due sia destinato ad avere una vita tranquilla, Bilbo Baggins.”
Il fuoco tra loro crepitò sommessamente, piccola isola luminosa in un mondo che improvvisamente parve a Bilbo ben più oscuro e pericoloso di com’era stato durante il suo primo viaggio verso Gran Burrone, un anno prima.

~
 
Ormai si trovavano abbastanza vicini alla loro destinazione perchè Bilbo iniziasse a pensare che vi sarebbero giunti senza incontrare problemi di sorta; sfortunatamente per lui si sbagliava di grosso.
C’erano stati due giorni di pioggia costante e insistente, di quella che s’infiltra in ogni più piccola fessura degli abiti dando l’impressione che il mondo sia stranamente ovattato. Rannicchiato nel suo mantello e cullato dalla pigra andatura sonnolenta di Marmellata, Bilbo non si rese conto di quel che stava accadendo fino a che non sentì il rumore metallico del pugnale di Tauriel che cozzava contro un altro.
Guardandosi intorno freneticamente scoprì che stavano venendo attaccati da una mezza dozzina di Orchi, tutti a cavallo di altrettanti Mannari; Bilbo si gettò indietro il mantello e sguainò Pungolo con un urlo selvaggio.
Con la coda dell’occhio vide Tauriel affettare un Orco dopo l’altro con le sue lunghe lame elfiche, agile come se non fosse stata incinta di cinque mesi. Decise dunque di concentrarsi sui propri assalitori, poichè non era certo sopravvissuto alla Battaglia delle Cinque Armate per perire in un’imboscata tesa da qualche misero Orco.
Si prese un appunto mentale di ringraziare Dwalin, se mai l’avesse rivisto, per aver insistito tanto nell’insegnargli l’arte del combattimento a cavallo. Marmellata non era sicuramente un pony da guerra, ma non si fece prendere dalla paura quando Bilbo la fece girare per affrontare direttamente un Orco a cavallo di un Mannaro. Riuscì a sferrare alla creatura un colpo mortale al ventre e la vide cadere dalla sua cavalcatura, ma altri due Orchi sopraggiunsero ad intrappolarlo in mezzo ai loro Mannari; una di quelle vili bestie fece per azzannare Marmellata al collo e il cavallo s’impennò, gettandolo sul terreno fangoso.
Disorientato, Bilbo sbattè le palpebre e riuscì a malapena a scansarsi dalla traiettoria di una delle loro spade. Si rimise in piedi e studiò la situazione: una rapida occhiata laterale gli rivelò che anche Tauriel era scesa da cavallo e stava affrontando altri due Orchi. Non c’era quindi da sperare di ricevere aiuto da quella parte.
Ebbene, se proprio doveva morire sul fondo di un fossato fangoso, non avrebbe lasciato che prendessero la sua vita tanto facilmente. Bilbo indietreggiò lentamente, gli occhi fissi sui Mannari che avanzavano verso di lui con le zanne snudate e si preparò ad affondare Pungolo nella pancia del più vicino.
All’improvviso entrambi gli Orchi che li cavalcavano s’irrigidirono e gettarono la testa all’indietro: due frecce nere avevano trafitto loro le gole. Mentre cadevano mollemente di schiena, Bilbo osservò stupito altre due frecce conficcarsi nello stesso momento in un occhio di ciascun Mannaro.
Si girò rapidamente e vide Tauriel, coperta di fango e con i pugnali insanguinati tra le mani, in piedi sopra una pila di Orchi morti; nello stesso momento, dietro di lei, due Elfi dai capelli scuri si issarono su di un affioramento roccioso.
Bilbo sbattè le palpebre più volte e scosse la testa: non credeva di averla picchiata troppo forte quando Marmellata l’aveva disarcionato, ma a quanto pareva ci vedeva doppio. I due Elfi erano perfettamente identici, stessi volti, stessi capelli, perfino l’abbigliamento e le armi erano uguali tra loro.
“Ehilà, viaggiatori,” disse uno dei due facendo un passo avanti mentre l’altro restava al suo posto con l’arco ben stretto in pugno. Nessuna allucinazione dunque; erano gemelli. “Cosa vi porta in queste terre?”
Bilbo si fece avanti rivolgendo loro quel che sperava fosse un sorriso amichevole. “Siamo qui per chiedere gentilmente a Lord Elrond i servigi della sua ospitalità a Gran Burrone. Io sono Bilbo Baggins, della Contea.”
“Il tuo nome mi è noto,” rispose l’Elfo. “Il tuo qual è, guerriera dai capelli di fiamma?”
Tauriel ripulì con cura i suoi pugnali da sangue e altri liquami e li rinfoderò diligentemente prima di voltarsi verso i nuovi arrivati. “Mi chiamo Tauriel.”
Bilbo notò un guizzo di stupore attraversare il viso altrimenti impassibile dell’Elfo, che aveva evidentemente preso nota dello stato di Tauriel. “Queste sono terre pericolose in cui viaggiare senza protezione.”
“Ecco perchè il signor Baggins mi ha presa come sua guardia del corpo.” L’espressione del viso di Tauriel era del tutto amichevole e il suo tono di voce normale, ma Bilbo capì benissimo che era irritata dall’implicazione che lei stessa potesse aver bisogno di protezione. “Vi ringrazio per l’aiuto nell’uccisione degli ultimi Orchi rimasti.”
I due Elfi guerrieri si scambiarono un’occhiata e quello che non aveva ancora parlato si decise finalmente ad abbassare l’arco; Bilbo emise un cauto sospiro di sollievo.
“Salute a voi, Bilbo Baggins della Contea e Tauriel. Noi siamo Elladan ed Elrohir, figli di Lord Elrond.”
Elladan era quello ciarliero tra i due; Elrohir si limitò a rivolger loro uno sguardo sospettoso con i suoi occhi grigio scuro e poi andò a controllare tutti gli Orchi per accertarsi che fossero morti.
“Mio padre non ha fatto menzione alcuna di una vostra visita,” disse ancora Elladan.
Bilbo gli sorrise con allegria forse un pò esagerata, ma durante i suoi viaggi aveva avuto modo di constatare che mostrarsi molto allegri e disponibili faceva sì che la Gente Alta tendesse poi a sottovalutare la sua vera intelligenza. “Oh, è stata una decisione dell’ultimo minuto. Perbacco, sarà davvero meraviglioso rivedere Lord Elrond dopo tutto questo tempo! Vogliamo avviarci?”
Fu allora che scoprirono che il cavallo di Tauriel era stato ucciso nell’imboscata. Bilbo si sentì un pò in colpa per averla chiamata Lobelia, ma in fondo la sua omonima non sarebbe mai venuta a saperlo. Marmellata invece era sopravvissuta senza danno e la ritrovarono all’estremità del fossato, dove si era portata per masticare placidamente un pò d’erba. Caricarono quindi su di lei i bagagli di Lobelia.
Elladan chinò brevemente il capo davanti a Tauriel. “Temo dovrai cavalcare con me, poichè il mio cavallo non obbedisce al comando di alcuno eccetto il mio.”
Tauriel era chiaramente restìa, ma Marmellata non poteva proprio portare il peso di Bilbo e di tutti i bagagli più il suo; si adattò quindi a montare davanti ad Elladan, pur apparendo grandemente a disagio.
Mentre cavalcavano, Bilbo sentì Elladan chiederle qualcosa in Sindarin. La sua comprensione della lingua era appena sufficiente a fargli capire che si trattava di una domanda riguardo un luogo.
“Mio signore, non sarebbe più cortese parlare una lingua che tutti i presenti possono comprendere?” disse Tauriel per tutta risposta.
Elladan annuì e disse con fluidità, come se avesse parlato nella lingua corrente per tutta la vita: “Il tuo accento non mi è familiare. Da dove vieni?”
“Sono nata sulle sponde del Lago Lungo, al di là delle Montagne Nebbiose.”
“Ah, il Reame Boscoso dunque.”
“Non ho più nulla a che fare con Re Thranduil,” replicò Tauriel con un tono che scoraggiava qualunque altra conversazione.
Bilbo si affrettò a dissipare l’imbarazzante silenzio che seguì. “Buon cielo, non sapevo proprio che Lord Elrond avesse due figli gemelli. Dovete essere stati assenti durante le mie due precedenti visite.”
 “Trascorriamo gran parte del nostro tempo a caccia,” disse Elladan scambiando un’occhiata con Elrohir. “L’ultima volta che sei stato a Imladris noi stavamo tornando da Lothlòrien, dopo una visita ai nostri parenti,” chiarì, anche se Bilbo non gliel’aveva chiesto.
“Capisco. Ditemi, quanto ci vorrà per raggiungere la valle?”
“Circa tre ore.”
“Oh, magnifico, giusto in tempo per la cena! Sapete, l’ultima volta che sono stato a Gran Burrone ho avuto il piacere di gustare l’insalata più buona che avessi mai mangiato in vita mia. Dovrò ricordarmi di chiedere la ricetta.”
Bilbo continuò a chiacchierare per tutto il resto del viaggio. Quando si trattava di creare un’impenetrabile cortina di vuote ciance nessuno poteva battere un Hobbit. In questo modo al figlio di Lord Elrond fu cortesemente impedito di porre altre domande potenzialmente imbarazzanti riguardo a Tauriel.
Mentre oltrepassavano le alte colonne di pietra ai margini della valle nascosta, Bilbo udì il suono di un corno in lontananza; quando poi entrarono nella valle si rilassò immediatamente, come se tutte le sue preoccupazioni e le sue ansie fossero state spazzate via sotto l’incantesimo della quieta bellezza di Gran Burrone.
“I Guardiani delle frontiere avranno notificato il nostro arrivo a mio padre,” disse Elladan. “Le sentinelle nascoste nelle vicinanze di Imladris.”
“Io li avevo notati già tre quarti d’ora fa,” disse Tauriel con tutta tranquillità . “I vostri Guardiani delle frontiere dovrebbero lavorare di più sulle loro abilità nel restare nascosti.”
Elladan non rispose nulla, ma Bilbo notò che sembrava mortificato.
Gli zoccoli dei cavalli risuonarono sulle pietre del ponte sospeso e Bilbo evitò accuratamente di guardare ai lati. Seriamente, cos’avevano mai Elfi e Nani contro i corrimano?
Si fermarono nello stesso cortile in cui Bilbo si era ritrovato insieme alla Compagnia quasi un anno prima. Tredici Nani, un Hobbit e uno Stregone impiccione diretti alla riconquista di Erebor, senza avere la benchè minima idea dei pericoli che avrebbero fronteggiato lungo la strada; il cuore gli si strinse al ricordo della spensieratezza di Fìli e Kìli e di come Thorin  gli era sembrato forte e sicuro di sè.
Lord Elrond in persona apparve in cima alla scalinata. “Mae g’ovannen, Bilbo Baggins. Non speravo di rivederti così presto,” disse iniziando a scendere graziosamente con Lindir al seguito come un’ombra fedele.
“Lord Elrond, è un piacere come sempre. Posso presentarti la mia compagna di viaggio, Tauriel?”
Allontanandosi dal cavallo di Elladan, che la copriva in parte alla vista di Elrond, Tauriel s’inchinò. “Mio signore.”
Una delle sopracciglia dell’Elfo s’innalzò leggermente e quella fu la sua sola reazione visibile all’ovvia gravidanza di Tauriel. “Gì nathlam hì. Tutti gli amici di Bilbo sono i benvenuti a Imladris. Venite, Lindir vi mostrerà le stanze in cui potrete ristorarvi prima di cena.
“Sei sempre tu che porti la compagnia più interessante alla mia tavola, Bilbo Baggins,” aggiunse poi Lord Elrond rivolgendogli una lunga occhiata mentre risalivano la scalinata.
Trotterellando per stare al passo con lui, Bilbo gli fece un sorriso incerto. “Spero sia un interesse positivo, il tuo.”
“Hmmm,” fu tutto ciò che Lord Elrond disse, ma Bilbo credette di vederlo anche sorridere, seppur molto lievemente.

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(glossario) Mae g’ovannen –> ben ritrovato
Gì nathlam hì –> sei la benvenuta qui

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Il cuore è una cosa curiosa ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

Dopo che si furono ristorati nelle stanze mostrate loro da Lindir, Tauriel e Bilbo vennero condotti da un paggio a raggiungere Lord Elrond e i suoi figli per la cena. Con gran sollievo di Bilbo anche Lindir si sedette alla loro tavola, senza dover essere costretto a restare in piedi alle spalle del suo signore per servirlo all’occorrenza; dopotutto quella non era una cena di chissà quale rilevanza.
La conversazione venne condotta per lo più da Elladan e Bilbo, poichè il resto del tavolo non sembrava molto in vena di parlare.
“Come ti sembra Eriador finora?” Elladan rivolse la domanda direttamente a Tauriel, che fino a quel momento aveva parlato molto poco.
“Relativamente senza Orchi,” rispose lei con un sorriso tirato che scoraggiava qualunque altro tentativo di conversazione.
Scese per un pò il silenzio e così Bilbo si lanciò nel tentativo di vivacizzare l’atmosfera. “Elladan, hai detto di aver visitato Lothlòrien. È davvero così bella come dicono le leggende?”
Quando si trattava di rispondere a domande sulla loro terra, gli Elfi si lasciavano andare volentieri. La conversazione si spostò sulla bellezza degli alberi Mallorn e Bilbo tirò un sospiro di sollievo.
“Arwen dice che sono molto più belli in primavera, naturalmente,” concluse Elladan.
“Arwen?” ripetè Bilbo drizzando le orecchie; quel nome non gli era familiare.
“Mia figlia,” spiegò Lord Elrond. “Da qualche tempo soggiorna presso i suoi nonni.”
“Ah, quindi vivono a Lothlòrien?”
La bocca di Lord Elrond si sollevò leggermente agli angoli. “Sono i signori di Lothlòrien. I genitori di mia moglie sono Lord Celeborn e Lady Galadriel.”
“Ah. Oh, cielo.” Bilbo si chiedeva perchè mai continuasse ad imbattersi in nobiltà dovunque andasse per la Terra di Mezzo. D’altra parte aveva viaggiato con la Compagnia per diversi mesi prima di scoprire che praticamente tutti, eccetto Bofur, Bifur e Bombur, erano di nobile retaggio – anche se c’erano delle controversie riguardo la parentela di Dori, Nori e Ori con la stirpe di Durin.
“Se resterete a Imladris abbastanza a lungo, conoscerai Arwen. Sta pensando di fare ritorno la prossima primavera, quando l’Alto Passo sarà libero dalla neve.”
“Quanto tempo pensate di restare?” chiese ancora Elladan. “È una fortunata coincidenza che siate giunti in primavera, perchè una volta caduta la neve viaggiare per il Rhudaur può essere rischioso. E nelle tue... condizioni...”
“Certo, hai ragione: viaggiare per terre piatte e agevoli quando c’è la neve sarebbe troppo pericoloso per me,” disse Tauriel.
Bilbo si agitò un pò sulla sedia, allarmato dal tono dolce e suadente della voce di Tauriel; aveva già imparato che, quando adattava quel tono, era in procinto di far rotolare qualche testa, spesso letteralmente.
“Molto più pericoloso che attraversare le Montagne Nebbiose attraverso le gallerie scavate dagli Orchi nel Monte Gundabad. Quale stoltezza da parte mia!”
“Nessuno potrebbe mai attraversare quelle gallerie da solo e sopravvivere,” ribattè Elladan beffardo. “Non senza almeno un centinaio di guerrieri a guardarti le spalle.”
Tauriel si limitò a sorridergli con un’espressione quasi felina e Bilbo dovette trattenersi dal levare gli occhi al cielo. Elfi, pensò esasperato per l’ennesima volta.
Lord Elrond prese quindi a condurre la conversazione che si spostò su argomenti più insignificanti.
Dopo cena, Bilbo e Tauriel fecero una passeggiata nei giardini. I versi degli uccelli notturni risuonavano tra gli alberi e il mormorio musicale della cascata riempiva l’atmosfera di serenità. Vagarono per un pò in silenzio fino a che Bilbo non si fermò, guardandosi intorno sorpreso.
“Ah, credo di essere già stato qui prima. È dove Thorin e io abbiamo parlato prima di far leggere a Lord Elrond le rune lunari.” Il ricordo gli strinse il cuore nella consueta maniera familiare. “Mi sembrava così forte e sicuro di sè allora... sai, penso sia qui che ho iniziato ad innamorarmi di lui.”
“È un bel posto per innamorarsi,” disse Tauriel mentre riprendevano a camminare.
“Sì, lo è... ma ammetto che sto solo manipolando la realtà per sentirmi meglio. La verità è che ho iniziato ad innamorarmi di Thorin dalla prima sera in cui l’ho visto, anche se lui mi trattava sempre come uno sciocco ragazzino viziato.” Bilbo ridacchiò. “Non dimostro di aver avuto molto giudizio, suppongo.”
“Non giudicarti troppo severamente,” disse Tauriel con un mesto sorriso. “La prima volta che ho incontrato Kìli, mi ha suggerito di perquisirlo nei pantaloni.”
Bilbo restò a bocca aperta. “No. Dimmi che scherzi.”
“Purtroppo no. Eppure mi sono lo stesso innamorata di lui. Il cuore è una cosa curiosa, non è vero?”
Continuarono giù per la scalinata fino a che trovarono un terrazino nascosto con una panchina da cui si godeva una splendida vista delle cascate illuminate dal chiaro di luna. Bilbo dovette compiere un salto ben poco dignitoso per sedersi sulla panchina, ma in qualche modo ci riuscì.
“Tauriel... posso farti una domanda personale?”
Lei rise coprendosi la bocca con una mano, e Bilbo arrossì e prese a scusarsi.
“No, mi dispiace, non scusarti! Bilbo, tu sei l’unico amico che mi è rimasto nella Terra di Mezzo. Puoi farmi tutte le domande personali che desideri.”
Distratto dalla sua domanda originale, lui le chiese: “Ma, e il Principe Legolas?”
Tauriel sospirò. “Legolas... è arrabbiato con me per aver disobbedito a Re Thranduil e aver lasciato il Reame Boscoso. Crede che ho tradito la fiducia di suo padre e che mi sono allontanata dal mio popolo soltanto per inseguire un’infatuazione per un Nano. Non capisce perchè ho voluto aiutare i Nani di Erebor, e non sono sicura che lo capirà mai.”
“Mi dispiace per questo. So che non è la stessa cosa, ma capisco cosa vuol dire non avere nessuno che comprenda il desiderio di lasciare la propria casa. Non riuscirei mai a spiegarlo a qualcuno che non lo prova quanto me.”
Tauriel annuì con aria pensosa. “Hai detto di avere una domanda personale per me.”
“È così. Riguarda la tua decisione di attraversare le Montagne Nebbiose lungo le gallerie degli Orchi. Elladan sembrava sicurissimo che nessuno possa farcela da solo e sopravvivere. Tauriel, stavi... stavi forse cercando di toglierti la vita?”
“No,” rispose subito l’Elfa. Ci fu una pausa e il suo viso assunse un’espressione di estremo turbamento; poi annuì. “Non esattamente. Non cercavo la morte, ma non mentirò dicendo che una parte di me non avrebbe accolto volentieri una morte onorata in battaglia.”
Bilbo non sapeva cosa dire. Nani ed Elfi avevano una concezione del morire in battaglia che gli era del tutto estranea. La maggior parte degli Hobbit aveva gran cura di evitare qualsiasi battaglia – cose brutte e scomode, come aveva detto una volta a Gandalf riguardo le avventure.
“Mi ci sono volute settimane per attraversare quei tunnel. Sono quasi morta parecchie volte,” aggiunse piano lei. “Era sempre buio pesto, tranne che per una flebile luminescenza data da alcuni funghi che crescevano all’interno.”

~
 
L’Orco cadde con un rantolo sibilante dovuto ai polmoni perforati. Tauriel volse lo sguardo in giro alla ricerca di altri nemici, ma quello sembrava essere l’ultimo del gruppetto che aveva inaspettatamente incontrato in una delle gallerie laterali.
Era stata una lotta breve, ma cruenta. Era già stanca e malconcia da una battaglia precedente, e stavolta uno degli Orchi era riuscito a sferrarle un colpo abbastanza serio al fianco, trapassando il cuoio dell’armatura.
Tauriel barcollò stringendosi il fianco con la mano sinistra. Sentiva il sangue filtrarle attraverso le dita; rinfoderò il pugnale e cercò il suo gemello, trovandolo conficcato nel cranio di un Orco che si era rivelato particolarmente tenace. S’inginocchiò per recuperarlo, ma perse l’equilibrio e cadde in avanti su entrambe le mani.
“Non ha per niente un bell’aspetto,” disse in quel momento una voce familiare. “Tauriel, mia bavonursinh, stai bene?”
Girando la testa e battendo più volte le palpebre per schiarirsi la vista dal sangue, che le colava negli occhi da un taglio sulla fronte, Tauriel vide Kìli in piedi accanto a lei che la osservava con aria preoccupata.
“Sto morendo, dunque,” disse debolmente. “Di certo i Valar sono generosi a concedermi di vedere un’ultima volta il mio amato prima di lasciare per sempre questo mondo mortale.”
“Tu non stai morendo!” esclamò la sua allucinazione di Kìli.
“Beh, il fatto che tu sia qui dimostra il contrario.” Con attenzione ella recuperò il pugnale e lo ripulì prima di rinfoderarlo. “Tradizionalmente parlando, le allucinazioni di coloro che si è amati e perduti appaiono solo a chi si trova in punto di morte.”
Tauriel si raddrizzò accovacciandosi sui talloni; il sangue continuava a sgorgare dalla ferita al fianco. Doveva fasciarla subito, ma in quel momento persino stare in piedi le sembrava un’impresa al di là delle sue forze. Le si annebbiò la vista e cominciò a scivolare di lato.
“Tauriel? Tauriel! Devi alzarti.” L’allucinazione di Kìli cercò di prenderla per le spalle, ma le sue mani le passarono attraverso. “Gimlinh, ti prego. Ti prego, alzati.”
“Fulmini e saette,” imprecò lei. “Sai bene che non so resisterti quando mi guardi così... d’accordo, meleth nin, mi alzo.”
Per tutto il resto della giornata, mentre avanzava con incedere lento e zoppicante, Kìli le rimase vicino, tenendo il passo con il suo e incoraggiandola quando vacillava. Svanì non appena lei trovò un riparo difendibile abbastanza facilmente in un piccolo tunnel laterale, dissolvendosi bruscamente così com’era apparso.
“Addio, mio amato,” sussurrò Tauriel. Le doleva il cuore, ma si asciugò le lacrime e si dedicò con determinazione al compito di pulirsi e fasciarsi la ferita.
Presumeva che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe visto, ma si sbagliava.
Nei giorni seguenti, mentre proseguiva nel suo viaggio, Kìli continuò ad apparirle a intermittenza. Secondo Tauriel quell’allucinazione era dovuta al buio informe e claustrofobico delle gallerie; non c’era niente da vedere, a parte rocce e qualche sporadico fungo luminescente. Niente cielo, niente sole, nessuna voce amica tranne quella del Kìli allucinatorio. Non si era mai sentita tanto sola in tutta la sua vita.
La montagna sembrava schiacciarla e cominciò a temere di non riuscire più a trovare una via d’uscita. Eppure, frammento della sua immaginazione o no, Kìli la spronò a continuare a muoversi quando tutto ciò che avrebbe voluto era stendersi e dormire per sempre.

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“Finalmente, dopo settimane di lotte e vagabondaggio nel buio, sono uscita all’esterno sul fianco occidentale delle Montagne Nebbiose. Il sole era appena sorto sulle montagne e la sua luce illuminava le rocce scoscese e le vallate coperte di neve. E lì ho realizzato di non voler più cadere in battaglia.”

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Dopo tanto tempo trascorso nell’oscurità, la luce del sole era quasi accecante. Tauriel si schermò gli occhi dal riverbero e guardò giù lungo il pendio coperto di ghiaia. Il limite del bosco iniziava forse mezzo miglio oltre l’uscita del tunnel. Sotto di lei si apriva un panorama di valli innevate e folte macchie di pini; in lontananza scorgeva un accenno di pianure aperte.
Per la prima volta da che le era giunta voce dall’accampamento nanico che Kìli, Fìli e Thorin erano stati restituiti alla pietra, Tauriel sentì l’animo farsi più leggero.
Avrebbe voluto che Kìli fosse stato lì per vedere tutto questo insieme a lei; senza dubbio le avrebbe chiesto perchè restava immobile quando avrebbe potuto lanciarsi nell’esplorazione di quelle terre sconosciute.
“A volte la pazienza è una virtù,” disse al Kìli allucinatorio che le era comparso accanto saltellando quasi sul posto per l’entusiasmo; lui le rivolse un’espressione che la diceva lunga sulla sua opinione riguardo la pazienza. “E va bene, amore mio, andiamo.”
“A chi arriva prima!” Kìli si lanciò giù dal pendio in una corsa senza paura, lasciando sventolare il mantello alle sue spalle. Sorridendo tra sè, Tauriel lo seguì lungo le insidiose rocce scoscese ad un ritmo più prudente.
Kìli rimase con lei per gran parte del resto della giornata, abbandonandosi ad esclamazioni meravigliate come quando scorsero una trota brillante che nuotava nel torrente semighiacciato che costeggiava il fianco della montagna.
Tauriel sapeva che il fatto che continuasse ad avere allucinazioni del suo amato defunto in pieno giorno non era un buon segno circa la propria sanità mentale; però non era del tutto certa che le importasse. In fondo quell’innocua allucinazione era pur sempre preferibile al lasciarsi consumare dal dolore.
Era rimasta vedova appena due giorni dopo che lei e Kìli si erano uniti al cospetto delle stelle; se riusciva a trarre conforto dal vedere il proprio marito scomparso che le camminava accanto, commentando il colore del cielo e le tracce di un cervo sul sentiero... beh, che c’era di male?
Quella notte si accampò in un piccolo cerchio formato da un gruppo di pini. Il Kìli allucinatorio parve piuttosto dispiaciuto di non poter assaggiare la grassa trota che lei aveva cotto dopo averla avvolta in foglie umide e posta su di una larga pietra sopra il fuoco.
“Non credevo che sapessi cucinare,” le disse mentre se ne stava comodamente seduto con le mani poggiate dietro di sè e le gambe stese davanti alle fiamme.
“Di cosa pensavi che vivessi quando ero di pattuglia per Bosco Atro? Solo di pan di via?”
“Beh, sì. Del resto non potevi mica mangiare gli scoiattoli. Ci abbiamo provato una volta, ma erano disgustosi. Nemmeno Bombur è riuscito a mangiarli.”
Lei rise. “E perchè mai avete provato a mangiare i ratti degli alberi? Nessuno li mangia quelli, nemmeno i ragni giganti.”
Lui ghignò e si strinse nelle spalle. “Avremmo proprio dovuto procurarci una guida del posto. Tu ad esempio avresti potuto mostrarci la via più sicura attraverso–”
Senza alcun preavviso, Kìli scomparve. Tauriel sapeva che prima o poi lo avrebbe rivisto, ma vederlo svanire in quel modo era sempre doloroso.
Terminò di mangiare il pesce ma, chissà perchè, non era neanche lontanamente delizioso senza più il suo compagno vicino.

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“E poi? Tutto qui? Hai semplicemente... realizzato di non voler più... morire in battaglia?”
“Sì.” Tauriel gli rivolse il sorriso circoscritto solo alla bocca che Bilbo aveva già imparato a riconoscere. “Bilbo, sarai pure un Amico degli Elfi, ma temo ci sia ancora molto che non comprendi di noi.”
Bilbo si limitò a ridacchiare e a stringersi nelle spalle, fingendo di lasciar cadere l’argomento. Sapeva che c’era qualcosa di importante che lei non gli stava dicendo, ma era sicuro che alla fine avrebbe scoperto di che si trattava.
Mai sottovalutare la tenacia di un Hobbit quando c’era qualche segreto da scoprire.

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(glossario)
Khuzdul: Bavonursinh –> signora coronata di fuoco / Gimlinh –> signora tra le stelle
Sindarin: Meleth nin –> amore mio

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Tauriel di Imladris ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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Dopo la loro conversazione sul terrazzino, Bilbo e una Tauriel molto più sottomessa ritornarono alle stanze che erano state loro assegnate per la permanenza. Erano splendide, naturalmente, come lo era ogni cosa di Gran Burrone, con alti soffitti e ampie finestre che davano su una delle bellissime cascate della valle. Bilbo apprezzava il panorama anche se l’altezza del soffitto lo faceva sentire un pò a disagio – niente a che vedere con i bassi e rotondi soffitti di casa sua.
Si aspettava di cadere in un sonno profondo dopo il lungo viaggio, la lotta contro gli Orchi e il succulento pasto alla tavola di Lord Elrond; invece, il ritorno a Gran Burrone sembrava aver risvegliato in lui i ricordi del tempo che vi aveva trascorso con la Compagnia. Ricordi che riguardavano principalmente Thorin, a volerla dire tutta.
Bilbo giacque sveglio a lungo nella notte, ripensando alla voce intrisa di nostalgia di Thorin che gli raccontava della loro casa perduta, e di come gli era sembrato triste e nobile al chiaro di luna. Alla fine si abbandonò ad un sonno inquieto e sognò di trovarsi di nuovo nei bui e desolati saloni di Erebor. Sentiva Thorin cantare in lontananza, un canto sommesso e malinconico; lui lo cercava tra i meandri della città per quelle che gli parevano ore, ma senza riuscire a trovarlo.
Si svegliò sentendosi quasi più stanco di quando si era addormentato.
Dopo colazione s’incontrarono con Lord Elrond nel suo studio, una grande sala ben arredata con una vasta collezione di libri rilegati di pelle su scaffali di bellissime librerie di legno intagliato.
Seduto dietro una scrivania riccamente scolpita di fronte a una distesa di alte finestre, il signore elfico si alzò in piedi per accoglierli. “Mae g’ovannen. Entrate, sedetevi.”
Accennò loro ad un gruppo di sedie dall’aria comoda poste vicino al camino spento. Anche se le terre circostanti risentivano ancora gli effetti di una piovosa e fredda primavera, Bilbo aveva notato che il clima di Gran Burrone era di gran lunga più temperato.
“Mio signore, desidero porgerti i miei ringraziamenti per la tua gentilezza e ospitalità,” disse Tauriel.
“Proprio così! La tua ospitalità è leggendaria,” aggiunse Bilbo mentre spiccava uno sgraziato saltello per potersi sedere sulla sedia di misura elfica. Dopo un’abbondante colazione (abbondante quasi quanto quella standard degli Hobbit) e una bella teiera di tè, si sentiva rinfrancato nonostante la nottata quasi insonne. Niente che qualche fettina di pancetta non potesse sistemare, come soleva dire sua nonna Baggins.
“Il piacere è mio, in particolare quando si tratta di ospiti così cortesi,” rispose Lord Elrond con un sorriso.
Bilbo cercò di non scoppiare a ridere al ricordo del comportamento tenuto dalla Compagnia un anno prima. Li adorava, per carità, e parecchi di loro erano diventati per lui i fratelli che non aveva avuto, però... bruciare i mobili, quale vergogna!
“Ma ora basta sorvolare sullo scopo della vostra visita. Considerate le tue condizioni, presumo che il motivo per cui siate giunti a Imladris sia chiedermi di intercedere per te presso Re Thranduil.” Lord Elrond si rivolse a Tauriel, la quale apparve un pò sconcertata.
“È vero che Re Thranduil mi ha bandita dal Reame Boscoso, ma non sono certa che questo abbia qualcosa a che fare con la mia... condizione.”
“So che la situazione politica nel Reame Boscoso è complessa,” disse Lord Elrond, “tuttavia non mi sembra una buona ragione per separare una coppia, in particolare quando vi è coinvolto un bambino.”
Tauriel e Bilbo si scambiarono un’occhiata egualmente confusa; subito dopo però Bilbo esclamò con consapevolezza crescente: “Oh! Tu credi che il padre del bambino sia Legolas!”
Le sopracciglia sottili di Lord Elrond s’incurvarono leggermente. “Devo supporre che non lo sia, dunque?”
“No!” esclamò Tauriel con un’aria inorridita. “Sono cresciuta con Legolas. Egli è come un fratello per me.” Tacque per un momento, poi proseguì: “E comunque, pur se Re Thranduil obiettasse all’idea, politicamente parlando sarebbe un problema di gran lunga meno complicato di quello che ci troviamo a fronteggiare adesso.”
“E allora, se posso chiederlo, chi è il padre?”
Tauriel trasse un respiro profondo e lo rilasciò lentamente. “Due notti prima della grande battaglia che si è svolta alle porte di Erebor, il Principe Kìli di Erebor ed io ci siamo uniti in matrimonio sotto le stelle alla maniera del mio popolo.”
Lord Elrond era un politico troppo esperto per lasciar trapelare dall’espressione del suo viso nulla più che una lieve sorpresa. “Capisco. Dunque tuo figlio è il frutto dell’unione tra un Elfo e un Nano.”
“Sì.” La facciata di compostezza di Tauriel s’incrinò, rivelando quella paura che Bilbo sapeva attanagliarle il cuore. “Mio signore, tu sei ritenuto l’Elfo più saggio e più sapiente che rimanga in tutta la Terra di Mezzo. Hai mai sentito parlare di un figlio di lignaggio elfico e nanico?”
“No.”
Le spalle dell’Elfa s’incurvarono visibilmente. “È quel che temevo.”
“Ma ciò non vuol dire che tale evento non si sia mai verificato. Anche se adesso i rapporti tra i nostri due popoli sono guidati da animosità e diffidenza, in passato Elfi e Nani erano intimi amici nonchè partner commerciali. Mi riesce difficile credere che, in centinaia d’anni di pacifica convivenza, tu e il Principe Kìli siate gli unici ad aver provato interesse per un individuo della razza opposta.” Elrond rivolse loro uno dei suoi sorrisi appena visibili. “Certamente però il fatto che non vi sia grande differenza di statura tra voi ha avuto il suo peso.”
“Sono sempre stata piuttosto bassa come Elfo Silvano,” ammise Tauriel stringendosi mestamente nelle spalle. “E Kìli era molto alto come Nano.”
Elrond sorrise di nuovo, poi tornò serio. “È probabile che le informazioni siano nascoste o riportate in maniera inconsueta, ma confido che, se esistono, sono qui nella biblioteca di Imladris e il mio bibliotecario, Erestor, le troverà.”
“Ti ringrazio con tutto il cuore per la tua generosità, mio signore. So che non avevi alcun obbligo di aiutare un ex Capitano della Guardia di un altro reame.” Tauriel si morse brevemente un labbro, poi aggiunse: “Vorrei chiederti un altro favore, se posso... che venga mantenuto il più stretto riserbo sui motivi di questa ricerca. Almeno per il momento, desidero che l’identità del padre di mio figlio rimanga segreta.”
“Certamente, se è questo che desideri. Ma posso chiedertene la ragione?”
“In molti considererebbero il bambino che aspetto un abominio.”
“Tali parole non saranno pronunciate nelle mie sale. Nelle mie vene scorre il sangue di Beren e Tuor e sono fiero di dichiararmi uno dei Peredhil,” disse Lord Elrond socchiudendo ferocemente gli occhi. “Anche il tuo bambino è Peredhel, non importa che l’altro suo genitore sia un Nano invece che un Uomo. Imladris sarà un santuario per te e per tuo figlio.”
“Non so come ringraziarti di tanta gentilezza, mio signore. Tuttavia, devo puntualizzare che non puoi controllare ciò che penseranno le genti al di fuori di Imladris.”
“Ciò è sfortunatamente vero, ma posso estendere la mia protezione a te, se me lo concederai. E questo potrà essere fatto mantenendo al contempo segreta l’identità del padre di tuo figlio,” egli aggiunse, interpretando correttamente l’esitazione sul viso di lei. “Ti sembra una proposta accettabile?”
“Certamente, mio signore, ma non è necessario che tu ti spinga a tanto solo per il mio benessere.”
“Necessario? Forse no, ma scoprirai che di rado faccio cose verso cui non provo un interesse davvero profondo.” Lord Elrond si alzò e porse la mano a Tauriel, che la accettò e si alzò con fare esitante; poi chiamò il suo assistente a voce considerevolmente più alta. “Lindir.”
L’Elfo apparve subito da una porta quasi invisibile, celata com’era in un angolo della stanza. “Sì, mio signore?”
“Trascrivi un proclama. Da questo momento in avanti, Tauriel, precedentemente di Bosco  Atro, sarà conosciuta come Tauriel di Imladris. Lei e tutti i suoi discendenti saranno sotto la protezione del Signore di Imladris fino a che queste mura resteranno erette.”
Le sopracciglia di Lindir scattarono all’insù, ma egli trascrisse ciò che il suo signore diceva senza fare commenti. “Vuoi che apponga il proclama sul Muro di Fuoco, mio signore?”
“Sì, e assicurati di diffondere la notizia tra tutti i pettegoli che riesci a trovare, dai cuochi agli arpisti.”
Lindir annuì senza lasciarsi scappare neppure un sorriso. “Molto bene, mio signore.” Dopodichè s’inchinò e se ne andò.
“Lindir è un pò guardingo, ma posso assicurarvi che, ora che gli ho ordinato di diffondere la notizia, prima che il sole tramonti tutta la valle saprà che Tauriel gode del mio favore.” Elrond sembrava soddisfatto.
“Lasciare che una notizia viaggi attraverso i pettegolezzi... devo dire che è molto ‘da Hobbit’ da parte tua,” disse Bilbo prima di rendersi conto che forse un Elfo non avrebbe considerato tali parole come un complimento.
“Davvero? E allora gli Hobbit, mio caro signor Baggins, tengono un comportamento molto ‘da Elfi’ nei loro discorsi,” disse Elrond sollevando un sopracciglio.
Bilbo farfugliò qualche parola incoerente, non sapendo proprio cosa rispondere.
“Mio signore, tutto questo è ben oltre ciò che avrei mai osato sperare. Non potrò mai ringraziarti abbastanza.” La voce di Tauriel era incrinata dall’emozione. “Ti devo–”
“Non mi devi niente. Era la cosa giusta da fare, perciò non voglio sentir parlare di debiti.”
Ella chinò il capo gravemente. “Ma non desidero portare guai alla tua porta, mio signore.”
“I guai sono già giunti alla mia porta diverse volte e in diverse forme, e ogni volta ho saputo fronteggiarli. Ora vieni: sono sicuro che avrai pensato di avvalerti delle arti di un guaritore durante la tua permanenza. Vorrei esaminarti io stesso, se me lo consenti.”
“Ne sarei onorata.”
“E io aspetterò qui, se non vi dispiace,” Bilbo si affrettò a dire quando Elrond lo guardò con aria interrogativa. “Le faccende di bambini non sono proprio il mio forte. A meno che, ovviamente, tu non abbia bisogno di me, Tauriel.”
L’Elfa lo guardò divertita. “Verrò a cercarti più tardi, mellon nin, una volta sbrigate le ‘faccende di bambini’.”
Rimasto solo nello studio di Lord Elrond, Bilbo non perse altro tempo e si lanciò nell’esplorazione di quelle affascinanti librerie.
Stava leggendo solo da un momento o due (o forse di più) quando il bibliotecario Erestor, un Elfo dall’aspetto severo e vestito da un abito scuro, lo trovò seduto sul pavimento e lo informò che, se continuava ad essere così tranquillo e diligente, avrebbe potuto continuare la sua ricerca direttamente nella biblioteca.
Un pò imbarazzato per essere stato sorpreso a leggere laddove, strettamente parlando, non gli era stato consentito, Bilbo seguì docilmente l’Elfo fino alla biblioteca. Qui restò meravigliato a fissare a bocca aperta i libri; dovevano essercene migliaia. Pensò, senza esagerazione, che se avesse potuto trascorrere il resto della sua vita in quell’ambiente sarebbe stato un Hobbit felice. Calcolando delle pause per i pasti, naturalmente. Bilbo poteva pure diventare un bibliofilo furioso in una delle più grandi biblioteche della Terra di Mezzo, ma restava pur sempre un Hobbit. E nessuno poteva leggere di continuo senza soccombere prima o poi alla fame.
Erestor annuì con serietà e si dichiarò d’accordo con lui su tutti i punti. Aveva proprio trovato un compagno d’armi, per così dire. Senza por tempo in mezzo, Bilbo s’immerse – quasi letteralmente – nelle pile di tomi.
“Bilbo,” lo chiamò Tauriel a bassa voce dopo un certo tempo. Bilbo ebbe l’impressione che fosse rimasta in piedi davanti a lui per diversi minuti.
“Oh, mia cara! Com’è andata la visita?” esclamò senza rendersi conto del luogo in cui si trovavano. Ci fu un leggero colpo di tosse proveniente dalla scrivania di Erestor e Bilbo aggiunse, abbassando il tono: “Sarà meglio spostarci in terrazza.”
Una volta che furono al sicuro sulla vasta distesa di marmo assolata e tra le piante ben curate, egli tornò a ripetere: “Com’è andata la visita?”
“Lord Elrond dice che il bambino è in salute,” rispose Tauriel poggiandosi una mano sulla pancia. “A quel che ha potuto determinare, lo sviluppo del bambino sembra coincidere con quello di una normale gravidanza elfica. Naturalmente non abbiamo idea di come questo si paragoni ad una gravidanza nanica, ma secondo lui la mia procederà verosimilmente come quella di un qualsiasi altro Elfo.”
“È una notizia meravigliosa!” esclamò Bilbo, felice come tutti gli Hobbit alla prospettiva dell’arrivo di una nuova vita in una famiglia.
Tauriel ricambiò il suo sorriso con una certa esitazione. “Lo è, vero? Per tutto il viaggio fino a Imladris ho temuto che mi venisse detto che questo bambino... non sarebbe sopravvissuto. E invece non è così. Il mio bambino sta benissimo.” La voce le si infranse e due lacrime le rotolarono giù per le guance; con un’esclamazione di orrore ella se le asciugò più in fretta che potè.
“Cosa c’è che non va, mellon nin?” Bilbo pronunciò le parole elfiche con cura e venne gratificato da un sorriso tremante.
“Non so proprio perchè piango... oh, sto mentendo a me stessa. Lo so, eccome.” Tauriel iniziò a torcersi le mani. “Quanto vorrei che Kìli fosse qui... Non so pensare ad altro che a come sorriderebbe – voglio dire, a come avrebbe sorriso se avesse appreso questa notizia.”
Quel suo lapsus fece finalmente trovare a Bilbo il coraggio per porle una domanda che gli frullava in testa da un certo tempo. “Tauriel, quando hai scoperto di essere incinta?”
“Non prima di aver attraversato gli Erenbrulli. All’inizio non ci credevo, pensavo fosse unicamente frutto della mia immaginazione. Quasi non ci credo neanche adesso, nonostante tutte le rassicurazioni di Lord Elrond...”

~
 
Il sole del mattino spuntava timidamente attraverso la fitta cortina di nubi che preannunciavano almeno una giornata di neve, se non di più. Era stata davvero fortunata a trovare quella grotta disabitata la sera precedente, e ventilata abbastanza da permetterle di accendere un fuoco.
Adesso guardava giù nella valle illuminata da quel sole riottoso ponderando i pro e i contro di una giornata senza progressi contro una trascorsa a viaggiare nella neve alta; lì aveva un riparo sicuro e all’asciutto e in più aveva diversi rammendi da fare, tra cui uno strappo nella sua sacca da viaggio, perciò Tauriel concluse che valeva la pena fermarsi.
“Un pò cupo, non è vero?” disse Kìli dopo che lei era stata impegnata a cucire per almeno un quarto d’ora.
Tauriel aveva per lo più smesso di sorprendersi alle sue spontanee apparizioni. Kìli d’altra parte non pareva trovarci niente di strano. Non sembrava rendersi conto di essere morto, nè era curioso di sapere come fosse giunto fin lì. Sembrava agire come nella logica di un sogno, dove tutto sembra normale e ovvio a dispetto di quanto possa apparire insolito nel mondo reale.
“È asciutto e sicuro; l’aspetto non conta.”
Egli si portò all’imboccatura della grotta e sbirciò all’esterno, nella cupa luce del giorno. “Dove siamo, comunque? Sembra ancor più desolato che nel Dunland.”
Tauriel eliminò il filo tagliandolo con i denti ed esaminò il suo lavoro con soddisfazione: quello strappo non si sarebbe scucito per un bel pezzo. “Credo di essere quasi fuori dagli Erenbrulli.”
Kìli la guardò allarmato. “Gli Erenbrulli? Tauriel, ci sono i Troll in questa zona.”
“Lo so. Ho visto le loro tracce ieri sera. Sono lenti e stupidi, posso evitarli facilmente.”
Lui sospirò e si portò vicino al fuocherello per sedersi accanto a lei. “È che mi preoccupo per te, tutta sola qui senza nessuno a guardarti le spalle.”
Era strano che un frammento della sua immaginazione si preoccupasse per il suo benessere più di quanto non facesse lei stessa; ma Kìli era sempre stato un tipo protettivo, perciò aveva senso che la sua versione allucinatoria si comportasse allo stesso modo. “Me la caverò, meleth nin.”
Lui le sorrise. “Ricordo la prima volta che mi hai chiamato così, amore mio.”
“Dovresti, considerate le circostanze.”
“Non riesco ancora a credere che tutto ciò che occorra per sposarsi sia dire ‘ti amo’ sotto le stelle. Agli Elfi capita di ritrovarsi sposati per sbaglio?”
“No, certo che no. Che sciocco,” rispose lei con affetto, scuotendo il capo. “E non occorre solo dire ‘ti amo’ sotto le stelle. Bisogna anche informare del matrimonio gli altri membri della famiglia.”
“Credevo che Legolas ci restasse secco per lo shock. È stata una delusione che non sia almeno svenuto.”
“Non essere crudele. Si preoccupa per me. Siamo cresciuti insieme.”
“È innamorato di te.”
“Non è vero. Legolas è come un fratello per me.” Dopo una lunga pausa, punteggiata dal fischio del vento al di là dell’ingresso della grotta, ella sospirò e aggiunse: “Probabilmente sarà fuori di sè dalla preoccupazione adesso, a sapermi vagare da sola per la Terra di Mezzo.”
“Tu non sei sola. Hai me. Anche se non posso esserti di alcun aiuto in un’ipotetica lotta visto che non posso toccare niente.” Sembrò frustrato all’idea, ma come al solito il suo atteggiamento verso il proprio stato incorporeo era di una sconcertante serenità.
Tauriel gli rivolse un amaro sorriso. “Non pensavo che lo spirito di mio marito morto fosse disposto a rassicurare Legolas sul mio benessere.”
Non lo aveva mai detto ad alta voce – che lui era morto. Quelle parole le caddero di bocca come macigni.
Kìli la fissò. “Cosa? Io non sono morto! Sono solo... non del tutto presente.”
“Sei un fantasma, o un frammento della mia immaginazione. In ogni caso, non sei più nel mondo dei vivi.”
“No. Non sono morto,” ripetè lui, scuotendo la testa con ostinazione.
“I tuoi compagni ci hanno detto dov’eri, Kìli. Perchè avrebbero dovuto mentire?”
“I miei compagni? Quali? E cosa ti hanno detto di preciso?”
“Che importanza ha? Non ti renderà di certo meno morto.” Tauriel aveva l’impressione che il suo cuore stesse per spaccarsi in due. “Se davvero vuoi dimostrarmi di essere reale, dimmi qualcosa che non sappia già.”
“Del tipo?”
“Non importa. Qualsiasi cosa che un frammento della mia immaginazione non possa già sapere.”
“Ma, se davvero sono un frammento della tua immaginazione, qualsiasi cosa io dica tu penserai di averla immaginata,” puntualizzò lui. “Ti dirò qualcosa su di te che tu non possa già sapere.” In qualche modo Kìli sembrava più presente quel giorno, più consapevole di quanto accadeva.
“Ad esempio?”
“I tuoi capelli stanno diventando bianchi nel punto da cui inizia la tua cicatrice.”
Tauriel scosse la testa. “Questo già lo so. Ho visto il mio riflesso mentre pulivo i pugnali, l’altro giorno.”
“E va bene, allora... il tuo girovita sta aumentando.” Subito dopo Kìli fece una smorfia e si diede una manata sonora sul capo. “Che idiota. Era proprio una delle cose che Fìli mi aveva raccomandato di non dire mai a una donna.”
Lei ridacchiò. “Tuo fratello si ritiene un donnaiolo.” Si morse le labbra a quel lapsus, ma Kìli sembrò non farci caso. Era così facile, quando parlava con lui, dimenticarsi che anche suo fratello era morto. “Ora che ci penso, però, ho avuto ben poco cibo mentre attraversavo le gallerie degli Orchi. Semmai dovrei essere dimagrita. Perchè invece dovrei essere più–oh.” Tauriel tornò a scuotere la testa. “Ma no, è impossibile.”
“Cosa? Tauriel, cosa c’è?”
Non poteva ancora rispondergli. La riteneva un’ipotesi ridicola e impossibile, ma doveva accertarsene.
Si sdraiò sul pavimento della grotta usando la sacca come cuscino. Ponendosi poi le mani sul ventre, chiuse gli occhi e si concentrò, ricordando le istruzioni del guaritore che aveva addestrato tutti i membri novizi del corpo di Guardia sull’arte di incanalare il potere della guarigione. Prima di poter curare una ferita, dovete acquisire intimità e familiarità con il flusso di energia di un corpo sano, aveva detto l’anziano guaritore durante la prima lezione.
Sentì l’energia scaturirle dalla testa e dal petto e confluire fino al suo ombelico; seguì poi un’altra linea di energia pulsante e luminosa dall’ombelico fino al suo grembo, e lì trovò qualcosa di totalmente inaspettato.
Tauriel riaprì gli occhi di colpo. “Benedetta Signora dei Fiori,” sussurrò, fissando il soffitto buio della grotta senza vederlo. Sentiva una scossa attraversarla da capo a piedi, come l’eco di un fulmine caduto troppo vicino.
“Tauriel? Amore mio, cosa ti turba?” Kìli si chinò su di lei e il suo viso capovolto le apparve nella visuale, ma anche così vide benissimo che era in ansia.
Tauriel aveva l’impressione che il mondo girasse intorno a lei e quindi pensò di restare distesa per qualche altro minuto. Kìli però appariva sempre più preoccupato e perciò si mise seduta; alzarsi in piedi le sembrava in quel momento un’impresa troppo ardua.
Gimlinh?” Kìli s’inginocchiò davanti a lei con gli occhi sgranati.
E per un attimo Tauriel non riuscì a credere che si trattasse semplicemente del frutto della sua immaginazione; per un attimo, ebbe l’impressione che Kìli fosse davvero lì con lei. Riportandosi le mani sul ventre ancora piatto, quantunque un pò appesantito, fece un respiro profondo e disse: “Sono incinta.”
Kìli rimase per un istante a bocca aperta; poi un sorriso enorme e gioioso gli illuminò il volto. “Avremo un bambino?”
“Sì. Avremo un bambino.” Tauriel allungò una mano per toccarlo, ma si ricordò troppo tardi che non poteva e la vide passargli attraverso. Un’ondata di gelida delusione la travolse e si rammentò che, per quanto le fosse apparso reale, Kìli era sempre morto e non stava parlando ad altro che a un’ombra.
“Il nostro bambino.” Egli non sembrò notare il suo turbamento e il suo sorriso non vacillò nemmeno per un attimo. “Come vorresti chiamarlo? O chiamarla? Ci hai già pensato?” Sembrava più vivo che mai, perciò fu per Tauriel uno shock quando iniziò a vedere la parete di roccia alle sue spalle: stava svanendo.
Meleth nin... stai svanendo.”
“Cosa?” Kìli sbattè le palpebre confuso e si guardò le mani, che stavano anch’esse svanendo alla vista. Era la prima volta che scompariva in quel modo: di solito, un momento c’era e un momento dopo non c’era più. “”No! Tauriel!”
“Kìli!” Tauriel si portò le mani alla bocca e, impotente, lo vide svanire sempre più rapidamente. Le sembrò che gridasse, ma ormai poteva a malapena udire la sua voce.
“Cosa ti hanno detto quando hai saputo che ero morto? Cosa di preciso?”
“Hanno detto che sei tornato alla pietra, insieme con tuo zio e tuo fratello.”
Adesso era quasi invisibile e lei dovette sforzarsi per sentire cosa diceva. “–iel! Questo non –!” La sua voce tacque per un attimo anche se le sue labbra ancora si muovevano. “–morto!”
Dopodichè, egli svanì del tutto.
Le sembrò una cosa più definitiva di tutte le altre volte. Tauriel si portò le ginocchia al petto e se le circondò con le braccia, nascondendovi poi il viso dentro così da non dover ammettere che, anche se non c’era nessuno a vederla, stava piangendo incontrollabilmente come una bambina.

~
 
“–questo non significa che sono morto!”
Kìli si destò precipitosamente al suono del suo stesso grido.
La sua voce riecheggiò nell’oscurità. Solo un momento prima si trovava con Tauriel, la sua amata, la sua signora di fuoco e di luce stellare. La madre di suo figlio.
Adesso non c’erano altro che vuote pareti di pietra, solitudine, e silenzio.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: È stato un sogno e basta... giusto? ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

Kìli sognava.
Nel suo sogno, lui e Tauriel esploravano le gallerie degli Orchi nelle Montagne Nebbiose. A volte lei non riusciva a vederlo e lui non poteva mai toccare niente, ma in fondo era solo un sogno, giusto? Tutto ha senso in un sogno.
Sognava di camminare accanto a Tauriel giù per una montagna fino a raggiungere una terra selvaggia e disabitata. Provava un vago senso di inquietudine, come se ci fosse stato qualcosa che avrebbe dovuto ricordare, che presto veniva spazzato via dalla strana tranquillità di quel sogno.
Ogni tanto svaniva nell’oscurità, ma sempre tornava da Tauriel, come fosse trascinato verso di lei dal legame puro e luminoso che li univa. Lei sorrideva ogni volta che lo vedeva, ma lui capiva che al di là di quel sorriso era terribilmente triste. Nella logica del suo sogno non riusciva a capire perchè lo fosse, visto che erano insieme.
Non aveva alcun sentore del trascorrere del tempo, ma a volte aveva la sensazione di stare per svegliarsi: si sentiva più presente e il mondo intorno a lui sembrava meno onirico, anche se doveva stare ancora sognando perchè non riusciva ancora a toccare nulla. Avrebbe voluto stringere Tauriel tra le sue braccia e scacciare la tristezza dal suo volto con un bacio, ma non poteva fare niente di tutto ciò.
A volte nel sogno lei dormiva, tutta raggomitolata su sè stessa; aveva sempre saputo che gli Elfi non dormono mai, ma in fondo Tauriel aveva dormito tra le sue braccia quando avevano giaciuto insieme nella cantina di Bard, due notti prima della grande battaglia. Evidentemente si trattava solo di un mito.
Molte cose riguardo quel sogno non avevano senso, ma c’era una domanda in particolare che lo disturbava: se stava sognando, perchè non ricordava di essersi addormentato?
A volte credeva quasi di ricordare la battaglia, il clangore delle armi, le grida dei guerrieri; quei ricordi lo conducevano sempre ad altri cui non voleva ripensare, e così cercava di smettere di pensarci...
Thorin steso a terra come una marionetta disarticolata, il ghigno soddisfatto dell’Orco Pallido che fa roteare la sua mazza ferrata scagliando via Fìli, Kìli che continua a resistere malgrado il suo braccio sinistro sia ormai insensibile e gli penda inerte al fianco. E poi un lampo di capelli rossi nella sua visuale periferica – no, no, Tauriel non può essere qui. Dovrebbe essere al sicuro sul crinale insieme agli altri arcieri di Bosco Atro, non quaggiù nel bel mezzo della battaglia...

~
 
Kìli si svegliò gridando il nome di Tauriel. Un Nano che non conosceva lo costrinse a ridistendersi; lui cercò di resistere, ma i suoi muscoli erano terribilmente indeboliti.
A giudicare dallo stile delle trecce, quel Nano doveva essere un guaritore. Kìli non riusciva a riconoscerlo, ma aveva l’impressione di averlo già visto da qualche parte.
“Non ti agitare,” disse il guaritore distrattamente. “Ti farai saltare i punti. È l’ora di un’altra dose di elisir. Credo che stavolta proveremo la nuova formula.”
Kìli aveva la gola completamente secca e la sua voce risuonò debole e incerta mentre chiedeva: “Cosa? Chi sei? Dov’è mio fratello? Dov’è Tauriel?”
Senza rispondere il guaritore gli afferrò il mento, lo forzò ad aprire la bocca e vi versò una fiala di liquido; Kìli era troppo debole per opporsi. Cercò di non inghiottire, ma il guaritore lo costrinse a tenere la bocca chiusa fino a che dovette arrendersi. Immediatamente fu invaso da una sensazione di freschezza e pace, e tutto il suo corpo si rilassò.
L’ultima cosa che vide prima di cadere nell’incoscienza fu il sorriso soddisfatto del guaritore.

~
 
Kìli stava sognando di nuovo. Sognava che Tauriel si era accampata in una piccola grotta mentre all’esterno scendeva la neve. Si sentiva molto sveglio e presente, il che era strano visto che stava sognando. Tauriel sembrava di nuovo triste, perciò lui cercava di distrarla scherzando a proposito Legolas.
Poi lei aveva detto una cosa che lo aveva sconvolto nel profondo: che lui era morto.
Tutto il suo essere si ribellava a quell’idea. Se fosse morto, si sarebbe trovato nelle Aule di Mandos con i suoi antenati. Non si sentiva morto, anche se in tutta onestà cominciava a chiedersi che cosa fosse diventato; non era più tanto sicuro di stare semplicemente sognando.
E poi Tauriel aveva detto le parole che avevano capovolto tutto il suo mondo e l’avevano riempito di gioia: era incinta. Avrebbero avuto un bambino.
La notizia lo aveva fatto sentire più sveglio e più presente che mai. Vedeva chiaramente la sua amata: la cicatrice che le attraversava un lato del viso, testimonianza della sua fierezza e del suo coraggio in battaglia; la lunga marea dei capelli rossi, come una cascata di fuoco; la tenerezza con cui tendeva una mano verso di lui.
Ma poi gli occhi di lei si erano dilatati con orrore. “Meleth nin... stai svanendo.”
Dalla sua prospettiva, era lei che cominciava a svanire dalla sua vista. Vedeva le pareti rocciose alle sue spalle e non si trattava delle pareti di quella grotta, ma di solide mura naniche. Poi gli tornò in mente una cosa detta da lei poco prima. Cosa le avevano detto di preciso i Nani, la sua famiglia, per farle credere che lui era morto?
Riusciva a malapena a sentire la sua voce. “Hanno detto che sei tornato alla pietra, insieme con tuo fratello...” La voce di lei era svanita.
Kìli si era sentito riempire da shock e felicità al tempo stesso. ‘Tornare alla pietra’ non significava essere morti, ma soltanto feriti così gravemente da poter essere curati solo nelle sacre camere di pietra poste nel cuore di ogni montagna abitata da Nani per richiedere l’intervento divino di Mahal. Lui stava sognando, dunque Mahal doveva essere intervenuto – e dunque non era morto.
“–questo non significa che sono morto!”
Kìli si destò precipitosamente al suono del suo stesso grido.
La sua voce riecheggiò nell’oscurità. Solo un momento prima si trovava con Tauriel, la sua amata, la sua signora di fuoco e di luce stellare. La madre di suo figlio.
Adesso non c’erano altro che vuote pareti di pietra, solitudine e silenzio.
Una stanza per la guarigione, pensò. Aveva senso. Dopotutto era stato ferito, no?
Si sentiva ancora debole a tal punto che per mettersi a sedere dovette raccogliere tutte le proprie forze. Sedette sul bordo del giaciglio e cercò di mettersi in piedi.
In quel momento si accorse delle cicatrici che gli solcavano il braccio sinistro, vaste e frastagliate. Ricordava vagamente la mazza ferrata dell’Orco Pallido che gli si abbatteva sul braccio come un qualcosa visto in un sogno – anche se i sogni che aveva avuto di Tauriel erano stati molto più vividi. Riuscì a flettere le dita e a stringere il pugno, il che, dopo un breve momento di terrore in cui aveva temuto di non poter più tenere un arco in mano, fu per lui un enorme sollievo.
La cicatrice butterata sulla coscia destra, dove lo aveva colpito la freccia Morgul, era pallida e di un colore argenteo, ma Tauriel aveva guarito quella ferita con la sua magia elfica; le cicatrici sul braccio invece erano rosse ma sembravano anch’esse guarite, come se le ferite risalissero a mesi prima. Quanto tempo era trascorso dalla battaglia? Dov’era Fìli? Davvero Tauriel vagava da sola per gli Erenbrulli come aveva sognato?
Sempre che si fosse trattato di un sogno, cosa di cui iniziava seriamente a dubitare. Gli ultimi momenti con lei gli erano sembrati così reali. Non poteva credere che fosse stato solo un sogno, anche se non riusciva a trovare nessun’altra spiegazione logica.
Lei era reale, però. Ne era certo. Così come il loro bambino. Forse sarebbe stata una femminuccia, con i bei capelli rossi di Tauriel e delle morbide e sottili basette lungo la mandibola come sua madre; o magari un maschietto con i suoi stessi capelli scuri e ribelli e le orecchie a punta...
Kìli si accorse di essersi perso completamente in quelle fantasie a occhi aperti e scosse la testa. Si costrinse a mettersi in piedi e si diresse alla porta; prima usciva da lì e trovava Fìli, prima sarebbero potuto andare insieme alla ricerca di Tauriel.
La porta era chiusa dall’esterno.
All’inizio non capì. Perchè era chiusa a chiave se si trattava di una semplice stanza per la guarigione? Prese a strattonarla e a gridare. “Ehi! Aprite questa porta! Che vi salta in mente di chiudermi dentro?”
Ma nessun suono giunse all’esterno, nemmeno di qualcuno che si avvicinasse di soppiatto per controllarlo.
Kìli si appoggiò con la schiena alla porta e si lasciò scivolare sul pavimento. Le nude mura di pietra e la porta chiusa a chiave lo portarono finalmente a comprendere la realtà della situazione. Quella non era una stanza per la guarigione, era una cella. E lui era prigioniero.
Anche Fìli e zio Thorin erano prigionieri? Si sentì in colpa per non aver pensato prima a Thorin. Era sopravvissuto alla battaglia? Lui stesso era rimasto gravemente ferito. Aveva visto Fìli venire scagliato via dalla mazza ferrata di Azog e non rialzarsi più, ma forse era semplicemente stato messo fuori combattimento; Thorin però aveva riportato quel genere di ferite da cui molti guerrieri non si riprendono. Forse il loro zio era sopravvissuto, se gli altri Nani erano stati lesti a condurlo nella pietra, in tempo perchè la misericordia di Mahal intercedesse per lui. Kìli lo sperava.
Fìli però doveva stare bene. Kìli non riusciva nemmeno a pensare di vivere in un mondo in cui suo fratello non ci fosse più. Impossibile, concluse. Fìli doveva stare bene, punto e basta.
Non appena gli tornarono le energie per muoversi, si rialzò ed esaminò la stanza. Era completamente vuota, eccezion fatta per un pagliericcio posto su di una piattaforma scavata nella roccia. C’era uno scarico nel pavimento per i bisogni indispensabili, e questo era tutto. Niente con cui poter attaccare qualcuno – a meno che non volesse lanciargli contro il pagliericcio, tattica utile nel caso altamente improbabile in cui i suoi carcerieri fossero bambini.
Anche la porta era di solida roccia, tranne che per una fessura per guardare dentro posta all’altezza degli occhi, che si apriva solo dall’esterno. Le cerniere erano dall’altro lato: non c’era modo di far leva su di esse per aprirla, e in più la porta si apriva verso l’esterno, in modo da impedirgli di nascondersi dietro di essa se qualcuno entrava. Nessun aiuto nemmeno da quella parte.
Kìli provò a gridare ancora. Continuò fino ad avere la voce roca, ma non venne nessuno.

~
 
Alla fine qualcuno venne, ma questo non fece che portare altre domande senza avere nel frattempo alcuna risposta. I suoi visitatori, se così si poteva chiamarli, erano tre Nani che lui non conosceva. Due di loro erano chiaramente delle guardie, perchè indossavano delle armature e restavano sull’attenti vicino alla porta; l’altro sembrava un guaritore, almeno a giudicare dalle trecce. Gli sembrò avere un’aria vagamente familiare. Lo aveva forse già visto prima?
Il guaritore rifiutò di rispondere alle sue domande e poi, quando vide che non aveva alcuna intenzione di lasciarsi esaminare, chiamò una delle guardie perchè lo convincesse a suon di minacce. Egli sembrava particolarmente interessato ai suoi occhi e al modo in cui reagivano alla luce, e gli chiese se per caso avesse fatto – o stesse facendo – degli strani sogni.
Ovviamente non esisteva al mondo che Kìli parlasse a quei farabutti dei suoi sogni su Tauriel.
Il guaritore strinse le labbra, evidentemente insoddisfatto dalla sua riluttanza. “Guardia, rendilo più collaborativo.”
Ricordando le lezioni di Dwalin sulla resistenza alla tortura, Kìli resistette abbastanza a lungo contro i pugni della guardia perchè sia lui sia il guaritore fossero sufficientemente soddisfatti della loro opera; quindi disse di aver sognato di vagare per la Terra di Mezzo, aggiungendo dettagli tratti dai vagabondaggi di Tauriel ma senza mai nominare la presenza di lei.
Finalmente il guaritore, picchiettandosi il mento con un dito, sembrò appagato. “Interessante, anche se questo non è l’effetto che avevo sperato. Guardia, tienilo fermo. Ho bisogno di fornire al nostro ospite una dose del nuovo elisir.”
Kìli si ribellò, ma era ancora troppo debole per impedire che il guaritore gli rovesciasse l’ennesima fiala in gola e, mentre le nebbie dell’incoscienza iniziavano ad avvolgerlo, sperò ardentemente di rivedere Tauriel.

~
 
La sognò di nuovo, infatti.
Questa volta lei non poteva nè vederlo nè sentirlo, nonostante lui le si mettesse proprio davanti implorandola di ascoltarlo. A quanto pareva, la stava seguendo per tutta la Terra di Mezzo. Per un certo tempo lei si accampò all’interno di alcune rovine di cui Kìli non si curò affatto – avevano un aspetto che non gli piaceva per niente. Proseguendo nel suo viaggio, Tauriel costeggiò un lago ed entrò in un paesaggio collinare che Kìli alla fine riconobbe: si trattava dei Colli di Vesproscuro. Era vicina alle Montagne Blu.
Stava forse cercando sua madre? Ma come avrebbe fatto a trovarla? Kìli era certo di non averle mai raccontato niente di specifico su di lei, se non che sua mamma viveva sugli Ered Luin... il che limitava il tutto ad una sola, grande catena montuosa. Ebbe voglia di prendersi a schiaffi. Non le aveva mai neanche detto se si trattava degli Ered Luin settentrionali o meridionali!
Tauriel però non si stava dirigendo verso le familiari piste al nord, e neanche verso il meno popolato sud; seguì invece il sentiero fino al mare, laddove sorgeva la città elfica dei costruttori di navi, lungo le sponde del Golfo di Luhun. Kìli non era mai stato uno studente particolarmente diligente, ma perfino lui sapeva che gli Elfi si recavano ai Porti Grigi per un unico scopo: salpare oltre i confini del mondo verso le loro Terre Immortali. Ed era pressochè certo che nessuno di loro faceva mai ritorno.
Tauriel oltrepassò la città senza entrarvi e si fermò sul bordo di un dirupo che dava direttamente sul mare. Lì sedette, sul tappeto erboso frustato dal vento dell’inverno che le faceva sventolare i lunghi capelli rossi come una bandiera.
“Non andare, amore mio,” la implorò Kìli inginocchiandosi accanto a lei. “Ti prego, non andare dove io non posso seguirti.”
Con le mani poggiate sulla curva della sua pancia, che cominciava a farsi sempre più visibile, Tauriel fissò lo sguardo in lontananza sul mare grigio e agitato. “Credevo che lo avrei udito chiamarmi,” mormorò.
Kìli sentì il cuore riempirsi di speranza. “Tauriel? Tauriel, puoi sentirmi?”
Ma lei gli parlò sopra, infrangendo le sue speranze. “Dicono che i Sindar sentono il richiamo del mare anche se le loro genti non sono mai andate a Valinor. Pensavo che forse, se avessi visto il mare, l’avrei sentito anch’io, pur essendo un umile Elfo Silvano, e avrei saputo che i Valar ci avrebbero accolti entrambi a Valinor... ma non c’è niente. Non sento alcun richiamo. Il mare è solo un’infinita distesa di acqua fredda. Non siamo i benvenuti nelle Terre Immortali. Non c’è posto per noi laggiù.”
Chinò il capo accarezzandosi il ventre con una mano; Kìli avrebbe tanto voluto porvi sopra la propria per sentire il loro bambino sotto le loro mani unite.
Ci fu un lungo momento di silenzio, intervallato solo dallo scrosciare delle onde e dal richiamo dei gabbiani.
“Una parte di me è sollevata, pîn elloth,” sussurrò Tauriel. Chiuse gli occhi e sollevò la testa, e le sue guance erano solcate da lacrime che il vento prontamente asciugava. “Se andassimo a Valinor, non vedremmo mai più il tuo ada. Devo credere che in qualche modo il suo spirito sia ancora qui, legato a questo mondo. A volte ho l’impressione che ci osservi. Vorrei soltanto poterlo vedere e sentire la sua voce ancora una volta.”
“Sono qui, gimlinh, sono qui.” Kìli tracciò i contorni del viso di lei senza sfiorarlo, perchè sapeva che se l’avesse fatto le sue dita vi sarebbero passate attraverso.
“Cosa farò se non posso salpare per le Terre Immortali?” disse ancora Tauriel con voce tremante. “Non posso affrontare tutto questo da sola. Non posso fare ritorno presso la mia gente, nè posso andare dalla gente di Kìli.”
“Perchè no?” domandò lui, vagamente offeso.
“Non so cosa fare, piccolino. Sei il figlio di due mondi, la foresta e la montagna, ma temo che non sarai bene accolto in nessuno dei due.”
“Mia madre ti accoglierebbe! E sei così vicina agli Ered Luin, potresti raggiungerli in poco più di una settimana. Argh! Perchè, tra tanti momenti, proprio adesso non puoi sentirmi?” Kìli ricordò le parole del malvagio guaritore, che aveva menzionato un ‘nuovo elisir’; era questo lo scopo per cui glielo aveva somministrato, per rimandarlo dalla sua amata ma privandolo della possibilità di essere visto o sentito? Se doveva essere una forma di tortura, stava avendo pieno successo.
“Bilbo!” esclamò Tauriel in quel momento, e Kìli si guardò intorno alla ricerca dello Hobbit per un minuto buono prima di rendersi conto, con un certo disappunto, che lei stava solamente pensando ad alta voce.
“Caro, coraggioso Bilbo Baggins... Se c’è qualcuno in tutta la Terra di Mezzo che può aiutarmi, quello è lui.” Tauriel si alzò in piedi con un’aria molto più speranzosa dell’ultima volta in cui Kìli l’aveva vista, che risaliva a... non ricordava neanche più quando. Poi la vide recuperare la sacca e il mantello, che sembravano molto più consumati da che l’aveva vista per la prima volta nelle gallerie degli Orchi, e si voltò per andarsene.
Tauriel si fermò ancora per un momento a fissare il mare. “Quale che sia il motivo per cui i Valar non hanno voluto chiamarmi a Valinor, devo credere che non sia perchè ci hanno voltato le spalle. Anche tu sei parte di questo Canto, pîn elloth, per quanto inaspettato tu sia.” Prendendo un respiro profondo, voltò le spalle al mare e s’incamminò risoluta verso Est.
Quasi aspettandosi che le acque afferrassero Tauriel per trascinarla dove lui non poteva seguirla, Kìli lanciò al mare un’occhiata sospettosa prima di seguire la sua amata sul sentiero che conduceva lontano dalle sponde.

~
 
Kìli si svegliò.
Era buio pesto nella cella, a parte il debole chiarore proveniente da sotto la porta. Doveva esser rimasto alla deriva in quell’oscurità per un pò, egli pensò, immerso nel sonno naturale anzichè in quello artificioso causatogli dalle droghe del guaritore. Ma qualcosa lo aveva indotto a destarsi.
La luce sul lato inferiore della porta recava delle interruzioni, come se ci fosse qualcuno in piedi al di là di essa. Kìli scivolò fuori dal suo giaciglio il più silenziosamente possibile e si avvicinò senza fare rumore. In quel momento la botola all’altezza degli occhi si aprì rivelando la bizzarra acconciatura del suo visitatore.
Iniziarono a parlare simultaneamente.
“Kìli?”
“Nori?”
“Per il martello di Mahal, come sono contento di vederti,” sussurrò Nori.
“Dov’è mio fratello? Che sta succedendo? Dove mi trovo?” chiese Kìli.
“Abbassa la voce, non abbiamo molto tempo. Non so dove sia Fìli, e nemmeno Thorin. Sinceramente, non so neanche se siano ancora vivi. Siamo riusciti a trovare te solo perchè Ori si è accorto di una discrepanza nei libri mastri–” Distolse lo sguardo e si mise in allerta, teso come la corda di un arco, poi si rilassò e tornò a guardare Kìli. “I guaritori stanno spendendo molto più oro di quel che sarebbe normale, tutto per degli ingredienti davvero insoliti.”
“Ma dove mi trovo?”
“Erebor. Nelle Sale della Guarigione. Dàin ha portato dei loschi guaritori dai Colli Ferrosi e ha buttato fuori Oin.”
“Fammi uscire da qui!”
Nori scosse il capo. “Vorrei poterlo fare, ma ci restano più o meno due minuti prima che torni la guardia. La sorveglianza è molto stretta e persino io sono riuscito a malapena a non essere visto.”
Kìli sentì il morale precipitargli sotto i piedi. “Devo fuggire da questa prigione. La mia signora ha bisogno di me.”
“La tua signora?” Nori strizzò gli occhi. “Oh, vuoi dire la ragazza Elfo. Non l’ho più vista dopo la battaglia. È sparita non appena i guaritori ti hanno portato via. In tutta onestà non posso dire di avere un’opinione molto buona di lei, visto che se l’è filata mentre tu eri ridotto così malamente.”
“Tu non capisci, Tauriel pensava che fossi morto. È un Elfo, non ha idea di cosa significhi ‘tornare alla pietra’.”
Nori sollevò le sopracciglia. “Beh, questo pone tutto su un altro piano. Ad ogni modo, non abbiamo ancora trovato un modo per tirarti fuori da qui e Dàin ha fatto credere a tutti che tu, tuo fratello e Re Thorin siete morti.”
“Cosa? E come?”
“I guaritori vi hanno presi per riportarvi alla pietra e tre ore dopo hanno annunciato che eravate tutti morti. E Dàin si è autoproclamato Re di Erebor.” Nori sputò a terra. “Abbiamo un piano, però. Dwalin, Balin, Oin e Gloin sono sorvegliati a vista, ma nessuno presta molta attenzione ai plebei come me e i miei fratelli, o come Bofur e i suoi parenti.”
“Sorvegliati? Da chi?”
“Dagli uomini di Dàin. Sono in tutta la città. Stà a sentire, non ho tempo per raccontarti tutto quello che succede, ma credimi che non è niente di buono. Io e Bofur faremo finta di condurre una carovana fino agli Ered Luin per andare a prendere il resto delle nostre famiglie.” Si guardò intorno ansiosamente prima di aggiungere a voce bassissima: “Invece troveremo tua madre, la Principessa Dìs, e la porteremo qui.”
“Mamma? E perchè? Non sarà pericoloso per lei con Dàin al comando?”
“Secondo Balin, l’unico motivo per cui Dàin è al comando è perchè tua madre si è fatta rimuovere dalla linea di successione cosicchè Thorin potesse dichiarare suo erede diretto Fìli. Ha molto più diritto lei di sedere sul trono di Erebor che quel saltafossi dei Colli Ferrosi. E ci sono ancora parecchi Nani fedeli a Erebor che non ci penserebbero due volte a cacciare via Dàin in favore della Principessa Dìs.” Nori si voltò di scatto. “Arriva la guardia, devo andare. Cerca di avere pazienza. Ti tireremo fuori di qui, lo giuro.”
“Nori, aspetta! Dovete fermarvi a casa di Bilbo prima di raggiungere–” La botola si chiuse in quel momento, tagliandogli le parole in bocca. Nori se n’era andato.
Kìli emise un verso di frustrazione e picchiò leggermente la testa contro la porta prima di lasciarsi scivolare di nuovo sul freddo pavimento.
Doveva credere che Nori e Bofur si sarebbero fermati da Bilbo prima di raggiungere gli Ered Luin, che avrebbero trovato Tauriel e le avrebbero detto che lui era vivo. Poi sua madre sarebbe arrivata a Erebor e lo avrebbe fatto uscire da quella cella e insieme avrebbero salvato Fìli e Thorin, perchè neanche loro erano morti. Poi Kìli sarebbe andato fino alla Contea e avrebbe rivisto Tauriel, e avrebbe stretto tra le sue braccia lei e il loro bambino e non li avrebbe lasciati mai più.
Si strofinò gli occhi umidi di lacrime.
Sarebbe andato tutto bene. Doveva crederci.

~
 
(glossario)
Pîn elloth –> piccolo fiore
Ada –> papà
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Abiti e Pugnali ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

Dopo la loro conversazione sul terrazzo, subito dopo che Lord Elrond aveva esaminato Tauriel, lei e Bilbo fecero ritorno nelle loro stanze. Raggomitolata su una sedia a fissare amaramente la vallata sottostante il balcone, l’Elfa sembrava persa in pensieri spiacevoli.
Bilbo accolse l’arrivo di Lindir recante un vassoio di cibo con sincero entusiasmo, un pò per la teiera di tè che vi scorse sopra e un pò perchè sperava così di scuotere Tauriel dalla sua apatia. Guidò perciò Lindir fino al tavolino sul balcone, che sembrava fatto apposta per un pasto all’aperto, e l’Elfo vi poggiò il vassoio rotondo.
“Non c’è bisogno che tu ci serva, Lindir,” protestò Tauriel. “Così come non abbiamo bisogno di stanze tanto lussuose. Non siamo nè reali nè ambasciatori, ma persone comuni proprio come te. Bilbo ed io possiamo provvedere a noi stessi da soli.”
Portandosi le mani dietro la schiena, Lindir rispose: “Siete ospiti onorevoli di Lord Elrond, Lady Tauriel. Per me è un piacere assicurarmi che abbiate tutto ciò che vi occorre per sentirvi a vostro agio.”
“Non sono una lady nè nessuno di importante; sono solo un ex Capitano della Guardia.”
Bilbo, sapendo che la discussione poteva andare avanti così all’infinito, decise di intervenire. “Lindir, siediti e mangia con noi, per favore.”
“Oh, non potrei,” si schermì l’Elfo sgranando gli occhi.
“Sciocchezze. Insisto perchè tu ti unisca a noi, a meno che non abbia affari più urgenti da sbrigare. C’è cibo a sufficienza per tre.”
“Anche se uno dei tre è un Hobbit?” chiese Tauriel con un sorriso educatamente divertito.
“Il tè pomeridiano è un pasto leggero in ogni caso,” rispose Bilbo giudiziosamente. “Forza, Lindir, unisciti a noi.”
Inizialmente Lindir sembrò rigido e fuori posto, ma Bilbo aveva una lunga esperienza nel far sentire gli ospiti a proprio agio, e quando ebbero terminato di mangiare l’Elfo si era rilassato abbastanza da sorridere con genuino divertimento ai racconti di Bilbo sulle proprie avventure di gioventù; addirittura si abbandonò ad un’autentica risata quando venne narrata la storia della misteriosa sparizione della crostata di comare Brown.
Mentre terminavano il tè, Lindir domandò: “Lady Tauriel, potrei parlarti di una questione di una certa delicatezza?”
“Se accetti di chiamarmi solo Tauriel lasciando da parte queste sciocchezze sulla ‘Lady’, allora sì, puoi.”
Lindir esitò. “Sarebbe irrispettoso da parte mia non rivolgermi a te nella maniera dovuta in pubblico.”
“D’accordo, ma almeno in privato chiamami Tauriel, per favore.”
“Se è questo che desideri,” acconsentì finalmente Lindir annuendo. “Tauriel, le lady della corte hanno raccolto i loro abiti da maternità e mi hanno incaricato di consegnarteli come dono di benvenuto.”
“Oh! Oh no, non posso accettare.”
“Sentono che sia il minimo da parte loro, dato che sei stata così crudelmente esiliata dalla tua casa. E il vestito che indossi in questo momento...” Lindir fece una pausa come cercando un modo per continuare quella conversazione in maniera diplomatica. “Spero non lo riterrai troppo presuntuoso da parte mia, ma è chiaramente inappropriato per la tua figura.”
“Il mio vestito?” Tauriel abbassò lo sguardo sul capo in questione con aria perplessa.
Bilbo non aveva mai fatto gran caso all’abbigliamento di Tauriel. Anche se lui stesso non era considerato un genio del buongusto (specialmente per quanto riguardava l’accostamento dei colori) tendeva a non curarsi mai troppo degli abiti indossati da altri – o, per essere più precisi, di quelli indossati dalle signore. Un tight elegante abbinato ad un paio di pantaloni ben disegnati indossati da un bel gentiluomo Hobbit erano più che sufficienti a farlo girare per strada – oppure, ad esempio, un cappotto di velluto blu scuro con i bordi in pelliccia indossato da un affascinante Principe Nano.
Ad ogni modo, non aveva notato granchè di inappropriato riguardo l’abbigliamento di Tauriel prima che giungessero a Gran Burrone, a parte forse il fatto che il colore era davvero poco attraente; ma adesso che guardava meglio, gli saltarono all’occhio tutti i difetti. Era vero che l’abito si adattava facilmente al pancione di Tauriel, ma di contro cadeva da tutte le altre parti con un effetto tipo tenda. Era chiaro che era stato confezionato per qualcuno molto più robusto di lei. Come se non bastasse le maniche sembravano tagliate al gomito con un coltello, e c’era qualcosa di sospettosamente simile ad una macchia di sangue sull’orlo.
“Ho scambiato due oche con due vestiti in un villaggio di Uomini quando non sono stata più in grado di entrare nei miei vecchi abiti. Questi mi coprono e mi tengono al caldo, il che è tutto ciò che mi interessa,” rispose Tauriel stringendosi nelle spalle.
A quel commento, Lindir sussultò come se lo avesse punto un’ape. “Le lady della corte avrebbero piacere di fare tutto quanto è loro possibile per aiutarti in questo momento così delicato. Se tu volessi almeno provare qualcuno degli abiti...?”
Venne fuori che Lindir era capace di assumere un’espressione da cucciolo supplichevole cui nemmeno Tauriel si rivelò immune.
Dopo che l’Elfo se ne fu andato, un giovane paggio venne a consegnare loro un involto di abiti accuratamente piegati. Deponendolo sul basso divano Tauriel lo occhieggiò con circospezione, come se si fosse trattato di un paio di ragni giganti.
Bilbo cercò di nascondere un sorriso. “Andiamo, non possono essere tanto male.”
“Ho visto che tipo di abiti indossano le lady della corte,” rispose Tauriel cupamente. “Hanno tutti delle lunghe maniche svolazzanti e... poco pratiche.”
“Magari c’è qualcosa sullo stile che indossavi a Bosco Atro. Quello era un bel vestito.” L’unico motivo per cui Bilbo lo aveva notato era perchè aveva pensato di farsi un panciotto della stessa tonalità di verde. Questo poco prima di rubare un tesoro sotto al naso di un drago sputafuoco, perchè a quanto pareva innamorarsi di un Principe Nano conduceva a compiere ogni tipo di imprese terribilmente pericolose solo per fargli una buona impressione. E alla fine non si era neanche più fatto fare quel panciotto, adesso che ci pensava.
Tauriel iniziò a svolgere ordinatamente l’involto di abiti. Ad ogni capo che tirava fuori scuoteva la testa e li ammucchiava sul divano con un sospiro insoddisfatto.
“Proprio non ce n’è nessuno di tuo gradimento?”
“Non riuscirei mai a maneggiare un arco con maniche come queste.” Ella tirò su un abito le cui maniche si ampliavano alle estremità in un’aggraziata forma a campana. “Questo con lo strascico mi si aggroviglierebbe intorno ai piedi nel momento in cui tenterei una mossa qualsiasi. E quest’altro,” concluse tirandone fuori uno con una lunga serie di bottoncini sulla schiena, “non riuscirei nemmeno a indossarlo da sola.”
I due contemplarono silenziosamente la pila di bei vestiti, Tauriel con disprezzo e Bilbo con preoccupazione. Non era giusto che la sua amica vestisse come una vagabonda. La gente avrebbe parlato e, anche se a lui non importava un fico secco dei chiacchieroni della Contea, lo infastidiva pensare agli Elfi di Gran Burrone che guardavano Tauriel storcendo il naso. Aveva l’impressione che già lo facessero a sufficienza per il solo fatto che veniva da Bosco Atro, e il mistero sulle origini di suo figlio certo non aiutava.
Su richiesta di Tauriel, infatti, l’identità del padre del bambino era rimasta ignota e nessuno a Imladris, con la sola eccezione di Lord Elrond, sapeva che in realtà era la vedova di un Principe.
Lindir non era incline al pettegolezzo e uno dei suoi doveri verso Lord Elron era appunto quello di prestare attento orecchio alle voci di corridoio, che aveva accettato di riportare anche a Bilbo. Secondo Lindir, le voci su Tauriel si stavano già diffondendo a macchia d’olio a Gran Burrone, e una delle teorie più accreditate era che avesse sposato un Uomo che poi era stato ucciso durante la grande battaglia di Dale; il fatto poi che il Mezzelfo Elrond avesse esteso la sua protezione su di lei e sui suoi discendenti aveva solo alimentato tale speculazione.
Bilbo era certo che quelle malelingue avrebbero avuto un’opinione anche più bassa di Tauriel se avessero saputo la verità, ossia che aveva amato e sposato un Nano. Avrebbe tanto voluto acchiappare quei pettegoli per un orecchio come avrebbe fatto sua nonna Baggins, a costo di doversi arrampicare su uno sgabello per arrivarci.
Si riscosse da quei pensieri e si costrinse ad assumere un tono allegro. “Beh, allora non dobbiamo fare altro che spiegare a Lindir perchè questi abiti non vanno bene. Sono certo che qualcuna delle signore della corte riuscirà a scovare un abito più adatto nel suo guardaroba.”
“Grazie, mellon nin.”
“Ma prima che li restituisca, sei proprio sicura che non ce n’è neppure uno che possa andare?” Bilbo si era infatti accorto che Tauriel aveva indugiato su un abito in particolare.
L’Elfa si morse un labbro. “Ovviamente è del tutto impraticabile, ma... mi piace il colore di questo.” E così dicendo si appoggiò sul corpo il capo in questione, un abito color verde pallido dallo scollo rotondo e le maniche larghe che si allungavano all’indietro come nastri di seta, dando l’effettiva impressione che non esistessero.
“Queste maniche mi sarebbero d’intralcio in caso di combattimento,” ella aggiunse guardandole in cagnesco.
Bilbo sospirò. “Immagino ci convenga sperare che Gran Burrone non venga invasa dagli Orchi proprio oggi.”
Lindir apparve alla loro porta poco dopo che gli abiti scartati furono portati via dal paggio, e levò una mano alle scuse di Tauriel. “Quegli abiti erano solo in prestito, tanto per farci un’idea prima di confezionarne altri apposta per te. Il Maestro dell’Associazione dei Sarti sarà qui tra poco per prenderti le misure e parlare delle tue preferenze.”
Tauriel impallidì. “Ma io non voglio arrecare tanto disturbo.”
“Nessun disturbo. Sei sotto la protezione di Lord Elrond.” Lindir inclinò il capo da un lato. “Ancora non comprendi la grandezza di quanto egli ha fatto per te, vero? Ha dichiarato te e i tuoi discendenti membri della Casa di Elrond. Non è solo per gentilezza che insisto a volerti chiamare Lady Tauriel.”
Tauriel parve essere rimasta senza parole, perciò Bilbo scortò Lindir alla porta ringraziandolo ancora per il suo aiuto.
“Non serve ringraziarmi. Non mi costa nulla richiedere i servigi del Maestro dei Sarti: dopotutto, si tratta di mia nonna.”
“Tua nonna?” Bilbo si rese conto che era sciocco da parte sua sconvolgersi per qualcosa di tanto normale come una nonna. Gli Elfi non spuntavano mica dal terreno come funghi, in fin dei conti. Nonostante tutto, però, quella parola gli evocò alla mente immagini di sua nonna Tuc che dominava sul suo impero di figli e nipoti col pugno di ferro infilato in un guanto da forno intessuto con un motivo di rose.
“Sì. Il Titolo di Maestro dei Sarti è usato al maschile indipendentemente dal genere del Maestro,” rispose Lindir, chiaramente fraintendendo lo stupore di Bilbo. “Ha detto che non vede l’ora di cominciare questa sfida.”
“Vestire me sarebbe una sfida?” chiese Tauriel con una certa ansia dopo che Lindir se ne fu andato, promettendo di tornare presto con sua nonna.
Bilbo le diede dei colpetti su una mano. “Nel senso che è un incarico diverso dal solito, tutto qui,” la consolò.
Quando Lindir tornò con sua nonna, Bilbo rimase sconvolto una volta di più al ritrovarsi davanti un’Elfa a malapena più anziana del proprio nipote. Aveva lunghi capelli scuri e dei lineamenti tanto simili a quelli di Lindir che Bilbo, non fosse stato a conoscenza della loro parentela, l’avrebbe presa per sua sorella, altro che sua nonna.
L’Elfa si presentò vivacemente come Lainiel. “Sei di circa sei mesi, giusto?” ella chiese a Tauriel.
“Più o meno,” rispose Tauriel, anche se Bilbo sapeva che era in grado di dire il giorno esatto del concepimento.
“Ah, mi ricordo quel periodo. Goditi la vista dei tuoi piedi finchè puoi,” disse l’Elfa più anziana con un sorriso sorprendentemente malizioso. “Mio nipote mi ha informata che hai bisogno di un abito che ti permetta di maneggiare un arco e dei pugnali, è vero?”
“Sì.” Tauriel, un pò sulla difensiva, sollevò il mento.
“Ed è tutto qui? Lindir, pensavo avessi detto che questa sarebbe stata una sfida,” ella disse con aria di finto rimprovero. “In ogni caso, vorrei vederti con l’arco e i pugnali per farmi un’idea più precisa del tipo di abbigliamento di cui hai bisogno. Prendili e andiamo al campo per il tiro con l’arco.”
Tauriel scosse il capo. “Non serve che io prenda alcun pugnale.” E sollevò l’orlo della gonna, rivelando delle fodere fissate agli stivali alti fino alle ginocchia in cui teneva riposte le lame. Perfino a Gran Burrone ella si rifiutava di andare in giro completamente disarmata.
“Intelligente!” approvò Lainiel. “Dovrò tenere le fodere a mente quando disegnerò la gonna. Andiamo, su.”
“Non dovresti prima prendermi le misure?” interloquì ancora Tauriel.
“Non ce n’è bisogno. Me ne sono già fatta un’idea abbastanza precisa, credimi.”
Bilbo non dubitò neanche per un momento delle sue parole. Il suo viso era quello di una ragazza di non più di trent’anni, ma i suoi occhi erano molto più anziani. Inoltre, era altamente improbabile che qualcuno potesse venire eletto Maestro dei Sarti senza averne le dovute competenze.
I quattro s’incamminarono all’aperto fino a raggiungere il campo dove le guardie e gli esploratori di Gran Burrone si allenavano nel tiro con l’arco. Gli Elfi li fissarono, alcuni con discrezione e altri apertamente mentre Tauriel prendeva posto sul campo e tirava fuori l’arco. Bilbo non era un esperto di quell’arma, ma l’arco di Tauriel sembrava essere più corto e incurvato diversamente rispetto a quelli degli altri Elfi.
Tauriel scoccò diverse frecce in rapida successione e ciascuna centrò il bersaglio.
“Ho visto tutto ciò che mi serviva sul tuo arco,” disse Lainiel con vivacità. “Ora però dovrei vederti all’opera con le lame, perchè immagino sia con esse che avrai bisogno della gamma più ampia di movimento.”
Tauriel annuì. “L’ideale sarebbe se mi vedessi nel vivo dell’azione, ma non so a chi potrei chiedere di farmi da sparring partner.”
“Sarebbe mio privilegio assisterti, mia signora,” disse in quel momento Elladan, apparentemente sbucato fuori dal nulla. Era seguito da suo fratello gemello, silenzioso come sempre – Bilbo era certo di non aver udito più di due frasi in tutto pronunciate da Elrohir.
“Ti ringrazio, mio signore.” Tauriel gli rivolse un inchino un pò meccanico.
“Per favore, chiamami Elladan.” L’Elfo le sorrise e ricambiò l’inchino, in apparenza niente affatto turbato dal cipiglio di Tauriel.
“Oh, ma mio signore, sarebbe irrispettoso da parte mia non riferirmi a te nella maniera dovuta,” ribattè Tauriel con aria divertita mentre ripeteva a pappagallo le parole di Lindir.
Bilbo vide un luccichio di ammirazione balenare negli occhi di Elladan e pensò che dovesse aver completamente frainteso la risposta di lei. Oh cielo, non avrà mica pensato che stava flirtando con lui? Era proprio così, si rese conto lo Hobbit con un certo disappunto vedendo Elladan portarsi sul campo senza mai togliere gli occhi di dosso a Tauriel. Oh cielo.
Bilbo rivolse quindi lo sguardo su Lindir, aspettandosi di trovarvi il suo stesso scontento; invece si accorse che il segretario era occupato a lanciare occhiate furtive in direzione di Elrohir, il quale sembrava ignaro delle sue attenzioni. Oh, ma andiamo, possibile che tutti a Gran Burrone fossero interessati a qualcuno che non li ricambiava?
Ricordando la propria ammirazione senza speranza per il nobile portamento di Thorin e la sua voce profonda al chiaro di luna (ammalianti al punto da distrarlo quasi dalla faccenda delle rune lunari), Bilbo giunse alla conclusione che nell’acqua di Gran Burrone ci fosse qualcosa che induceva la gente a perdere completamente la tramontana.
I due Elfi intanto avevano scelto una porzione di campo spaziosa per il loro combattimento dimostrativo. Lindir era stato chiamato a fare da giudice e a dichiarare il vincitore con uno scarto di due toccate su tre. Elladan e Tauriel, l’uno di fronte all’altra, chinarono il capo in segno di rispetto verso l’avversario, e l’incontro ebbe inizio.
Elladan brandiva una spada lunga quasi il doppio dei pugnali gemelli di Tauriel. Lei non sembrava affatto preoccupata; Bilbo invece sentì il cuore balzargli in gola al pensiero delle lame che s’incrociavano. Si studiarono intensamente per alcuni istanti, girando l’uno intorno all’altra. A Bilbo ricordavano due gatti alla ricerca del minimo spiraglio per partire all’attacco dell’avversario.
Una piccola folla si era riunita per assistere alla lotta e gli Elfi mormoravano tra loro nel proprio linguaggio musicale.
Elladan fece una finta ma Tauriel lo prevenne facilmente, muovendosi di lato e toccandogli il petto con una delle sue lame.
“Toccata!” dichiarò Lindir.
“Credevo che intendessi offrire una vera dimostrazione, non uno spettacolino per dilettanti che prendono in mano una lama per la prima volta,” disse Tauriel con una certa asprezza.
Le guance di Elladan si colorarono. “Le mie scuse, Lady Tauriel. Avrei dovuto ricordare la tua impressionante abilità contro gli Orchi.”
“Sì, avresti dovuto,” ribattè lei; poi scese il silenzio, interrotto solo dal sibilare delle lame. Bilbo notò che Tauriel teneva quasi tutto il corpo fuori dalla portata della spada dell’avversario, angolandosi di modo che il braccio destro restava esteso mentre il sinistro brandiva il pugnale in posizione di difesa.
Dopo uno scambio troppo rapido perchè Bilbo riuscisse a seguirlo, Lindir dichiarò di nuovo: “Toccata!”
Stavolta il colpo andava a Elladan, ma Bilbo non se ne rese conto fino a che non vide una striscia sottile di sangue sull’avambraccio di Tauriel; atterrito, si rivolse a Lainiel. “Ma non dovrebbero indossare un qualche tipo di armatura?”
“Non temere. Di rado i guerrieri si feriscono durante un combattimento dimostrativo.”
“Di rado... ma di rado non vuol dire mai! Siete tutti matti?”
“Niente paura, la tua amica vincerà questo incontro. Elladan è il terzo migliore spadaccino di tutta Imladris, ma credo che perfino per il secondo sarebbe arduo sconfiggerla. Parlo di Lord Elrond,” aggiunse con un sorriso birichino.
“E il primo chi è?” chiese Bilbo, sorpreso che non si trattasse dello stesso Lord Elrond.
“Glorfindel, naturalmente,” rispose Lainiel con tono casuale, come stesse parlando di un lontano parente e non di una vera e propria leggenda – e per quel che ne sapeva Bilbo, forse era proprio così. In quel momento la folla rumoreggiò più forte e Lainiel battè le mani. “Oh, ma che bella mossa! Molto aggraziata.”
Bilbo girò la testa di scatto e vide che Tauriel era in qualche modo riuscita ad atterrare Elladan, nonostante lui la sovrastasse di quasi tutta la testa, e puntandogli un ginocchio sul petto teneva entrambi i pugnali incrociati sul suo collo. Aveva un sorriso ferino stampato sul volto e il petto le si alzava e le si abbassava ad ogni respiro. Le maniche del suo abito svolazzavano come bandiere nella brezza leggera. Elladan, pietrificato, non le staccava gli occhi di dosso.
“Seconda toccata e l’incontro va a Lady Tauriel,” annunciò Lindir.
Bilbo pensò che, se fosse stato proprio degli Elfi compiere gesti poco decorosi come applaudire, un bel pò di loro starebbe applaudendo Tauriel fino a spellarsi le mani in quel momento.
Tauriel si alzò in piedi con eleganza malgrado il pancione e, una volta che anche Elladan si fu rialzato, entrambi chinarono il capo all’avversario. Poi ella si allontanò, mancando in questo modo di notare lo sguardo di ammirazione con cui gli occhi del signore elfico la seguivano.
Oh cielo, pensò di nuovo Bilbo.
Tauriel lo raggiunse con un sorriso – il suo autentico sorriso aperto, quello che Bilbo aveva caro più di tutti gli altri proprio per la sua rarità. Si allontanarono dal campo di addestramento con Lainiel e voltandosi Bilbo vide Lindir, le guance rosee, che si affrettava per restare al loro passo.
“È stato un combattimento eccellente, Tauriel. Penso di aver visto tutto ciò che mi occorre per poter lavorare al tuo abito.”
“Ti ringrazio per la tua gentilezza. Però... avrei una domanda.” Le orecchie di Tauriel divennero tutte rosse e lei parve dolorosamente imbarazzata. “Si tratta del pagamento. Non ho denaro con me, ma potrei barattare qualcosa. Anche se immagino che un abito fabbricato dal Maestro dei Sarti di Imladris costi molto più che due oche.”
Lainiel scoppiò a ridere e levò una mano. “E cosa diamine me ne farei di un branco di oche? No, bambina, non preoccuparti di questo. Ci penserà Lord Elrond al pagamento. Ora, quale colore preferiresti? Ti piace il verde o avevi scelto questo vestito solo perchè era l’opzione meno discutibile?”
“Oh, non ha importanza. Qualunque colore sceglierai andrà bene.”
Bilbo tossì e borbottò: “Il verde è il suo preferito,” senza curarsi dell’occhiata che gli scoccò Tauriel.
“Meraviglioso! Ho un rotolo di seta verde scuro che tenevo da parte per una simile opportunità. Mi metterò subito al lavoro. Lindir, caro, se non hai altri impegni urgenti per Lord Elrond ti chiederei di renderti utile andando a prendere i rotoli di stoffa, le scatole da lavoro e quant’altro abbisogni alla tua nonna, che oramai ha una certa età.” E con un luccichio divertito negli occhi, Lainiel rivolse loro un piccolo inchino prima di allontanarsi con suo nipote.
Una volta tornati nelle loro stanze, Bilbo disse: “Dovresti lasciarmi dare un’occhiata al tuo braccio. Non sono certo Oin, ma posso bendare un taglio superficiale.”
Tauriel scosse il capo. “Non è nulla di cui preoccuparsi.” Si diresse quindi alla toeletta, bagnò un pezzo di stoffa nella bacinella d’acqua e se lo passò sul braccio, rivelando al di sotto la pelle liscia e senza la minima traccia del taglio ricevuto in precedenza.
“Ma è stupefacente! Io avrei problemi a non riportare una cicatrice e tu invece sei già guarita.”
“Noi Elfi guariamo in fretta e senza cicatrici, a meno che la ferita non sia profonda abbastanza da ucciderci. Di solito,” aggiunse lei quietamente tracciando con il dito la cicatrice che le attraversava un lato del viso.
Il buonumore abbandonò i suoi occhi ed ella fissò con aria assente il pezzo di stoffa insanguinato che ancora stringeva in mano. Bilbo si sarebbe giocato perfino Casa Baggins pur di sapere a cosa pensasse Tauriel in quei momenti, perchè anche lui era tornato con la mente alla grande Battaglia e alle persone che avevano perso.
Anche se cercava di non pensarci, Bilbo non poteva fare a meno di ricordare le vaste ferite coperte da bende insanguinate che segnavano l’ampio petto di Thorin. Se fosse vissuto, avrebbe riportato di certo delle orrende cicatrici; eppure Bilbo le avrebbe avute care come tesori, come una prova che egli era ancora vivo.
Se non altro i Valar gli avevano concesso almeno una misericordia, quella di poter parlare a Thorin un’ultima volta prima che morisse. Gli occhi chiari e lucidi, liberi dall’ombra della follia per la prima volta dopo molti giorni, Thorin si era scusato con lui per le sue azioni sconsiderate implorando il suo perdono. È già tutto perdonato. Quella follia non eri tu, amore mio, aveva singhiozzato Bilbo, non sapendo se il Nano potesse ancora sentirlo; però aveva creduto di vedere l’ombra di un sorriso sul volto di Thorin prima che i suoi occhi si chiudessero e la sua mano allentasse la presa nella sua.
Riscuotendosi da quei cupi ricordi, Bilbo cercò di ricomporsi; Tauriel fissava sempre il pezzo di stoffa che teneva tra le mani, e il dolore pareva scavare solchi nel suo volto senza età.
“Credevo che non ci fosse cosa peggiore del non avere più alcuna speranza,” ella mormorò. “Invece ho scoperto che conservare anche una piccola, esile speranza, nonostante la parte più razionale di te cerchi di convincerti del contrario, è anche peggio.”
“Cosa vuoi dire, Tauriel? ...Tauriel?” ripetè Bilbo quando lei non rispose.
Con un sorriso molto poco convincente, ella scosse il capo. “No, non badare a me, mellon nin. Non è niente.”
Invece qualcosa c’era, di questo ormai Bilbo era certo. Sarebbe stato il più paziente possibile, nella speranza che un giorno Tauriel si sarebbe fidata abbastanza per condividere con lui i pensieri che la turbavano, quali che fossero.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Nani alla porta ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

Per come la vedeva Nori, il primo segnale dei guai era stato proprio il fatto che Dàin fosse giunto in soccorso di Erebor con tutto il suo esercito. Prima non era stato disposto a rischiare il suo denaro – nè i suoi parenti – per sostenerli nell’impresa e all’improvviso adesso cambiava idea? E per aiutarli non contro uno, ma ben due eserciti assedianti?
“Qui gatta ci cova, ve lo dico io,” aveva detto agli altri, ma qualcuno lo aveva ascoltato? Ovviamente no. Proprio come quando aveva detto, “È uno stramaledetto drago sputafuoco, ci servirà un piano migliore di un semplice ‘mandiamo avanti lo Hobbit e speriamo per il meglio’, compagni”.
Solo che mai nessuno dava ascolto a un ladro. Nori ci era abituato ormai, anche se il fatto che la Compagnia non avesse prestato la minima intesa ai suoi suggerimenti professionali circa il furto dell’Archengemma era stato parecchio frustrante.
“Comunque, sto divagando. Come dicevo, il primo indizio che Dàin stesse tramando qualcosa era il fatto che fosse disposto a schierare il suo esercito contro ben altri due, uno dei quali consistente in una caterva di Elfi di Bosco Atro. Ma nessuno ha dato retta al ladro, ovviamente. Dovrei farlo mettere come epitaffio sulla mia tomba, ora che ci penso. ‘Nessuno dà mai retta al ladro’. Sarebbe carino. Sono certo che Dori ne sarà fiero.”
Il suo pubblico, composto da due pony e dalla parte posteriore del cappello di Bofur, rimase indifferente.
Nori spronò il pony perchè raggiungesse quello di Bofur e trovò il minatore con gli occhi chiusi e la bocca spalancata in un leggero russare. Dormiva.
“Lo Hobbit era un ascoltatore migliore,” protestò. “E stai pure tu alla guida! Meno male che non siamo più nel bel mezzo delle Terre Selvagge. Ci avresti fatti precipitare in una buca di Troll, senza dubbio.”
In effetti il sentiero che stavano seguendo era molto ben delineato e difficile da mancare. Avevano oltrepassato Brea il giorno prima (a malincuore erano stati entrambi d’accordo che la loro missione era troppo urgente per potersi fermare per un giro di bevute o due – o magari una dozzina – al ‘Puledro Impennato’) e adesso stavano attraversando i campi che conducevano alla Contea.
In quel momento si trovavano ad una biforcazione del sentiero: prendendo da una parte avrebbero costeggiato gran parte della Contea, mentre prendendo l’altra sarebbero passati proprio per il villaggio in cui viveva Bilbo Baggins. “Bilbo!” esclamò Nori.
“Cosa? Dove?” Bofur si destò di soprassalto e si guardò intorno assonnato.
“No, è una cosa che ha detto Kìli. Mi ha chiesto di fermarci da Bilbo quando saremmo passati di qua.” A Nori venne quasi l’acquolina in bocca al pensiero della dispensa del loro amico: polli arrosto, salsicce, prosciutto... “Dovremmo proprio fare come vuole il Principe Kìli e andare a vedere come sta lo Hobbit,” aggiunse, annuendo con decisione.
“Ma dobbiamo trovare la Principessa Dìs il prima possibile,” obiettò Bofur.
“È praticamente di strada! E dovremmo pur informare Bilbo di quanto sta accadendo a Erebor. Metti che a quel caro ragazzo salti in mente di venirci a fare una visita, allora sì che sarebbe un bel pasticcio.”
E lo sarebbe stato davvero, adesso che Nori ci rifletteva meglio. Bofur si lasciò convincere facilmente e i due si addentrarono nelle strade della Contea fino a ritrovarsi davanti alla familiare porta verde. Francamente, Nori non capiva proprio come avesse fatto Thorin a smarrire la via per due volte.
Casa Baggins sembrava deserta, le imposte erano chiuse e non si vedeva fumo uscire dal camino. Nori provò a bussare comunque, ma non venne nessuno ad aprire.
“E adesso?” chiese Bofur; Nori si strinse nelle spalle, dicendo mentalmente addio ai piccoli e deliziosi pasticci di carne di Bilbo.
“Voi laggiù!” ingiunse in quel momento una stridula voce femminile. “Cosa credete di fare a gironzolare furtivamente intorno Casa Baggins?"
Nori si girò e vide una donna Hobbit che avanzava con decisione alla loro volta. Indossava più strati di vestiario di quanti ne avesse mai visti indosso a una persona sola; il suo vestito e il suo cappotto erano un violento mix di colori lavanda, arancione e verde, e in più portava un ombrello – color rosa acceso – che sembrava a malapena in grado di sopportare il bagno di luce primaverile; i volant che orlavano il suo vestito erano intrisi di acqua e fango.
“Permettete una domanda, signora,” disse Bofur togliendosi rispettosamente il cappello. “Non è che voi conoscete il nostro buon amico Bilbo Baggins, per caso?”
“Voi siete amici suoi?” rispose la donna tirando su col naso. “Beh, questo sì che spiega tante cose. Comunque sì, conosco Bilbo Baggins, anche se mio malgrado. Sono sua cugina per matrimonio, Lobelia Sackville-Baggins.”
“Bofur al vostro servizio, signora Sackville-Baggins,” disse il Nano con un profondo inchino elaborato. “Sapete quando tornerà Bilbo? A quanto pare non è in casa.”
La donna esitò per un attimo, ma poi il desiderio di spettegolare un pò ebbe la meglio sui suoi sospetti verso quegli estranei. “Ah, e chi può dirlo? Se n’è andato con quell’Elfa dai capelli rossi che per un paio di giorni è rimasta con lui a Casa Baggins. E senza nessuna accompagnatrice, badate bene, ma del resto cos’altro ci si poteva aspettare da un tipo come lei?”
Bofur si sporse in avanti con gli occhi sgranati. “Un tipo come lei?”
“La ragazza era incinta, non c’era possibilità di sbagliarsi. Piuttosto carina, devo dire; peccato per quella cicatrice, poveretta. E in quanto alla sua storia... ma forse non dovrei parlarne,” si schermì la Hobbit, dando però l’impressione di volerne parlare eccome.
“Povero me, non potete lasciarci così a mezza strada, signora Sackville-Baggins. Ci raccontate il resto della storia? Per favore?” E Bofur spalancò gli occhi ancora di più, riuscendo ad imbastire una perfetta espressione da cucciolo supplichevole nonostante torreggiasse sulla donna Hobbit. Nori ebbe voglia di roteare gli occhi ma sapeva che non stava bene interrompere una trattativa, soprattutto quando se ne stava traendo profitto – anche se si trattava solo di un pettegolezzo.
La donna intanto si scostò i capelli dal viso e tirò fuori un piccolo ventaglio a righe verdi e arancioni con cui iniziò a sventolarsi per nascondere un sorrisetto compiaciuto. “Beh, io odio spettegolare ma, che resti tra noi, la storia su suo marito secondo me è una panzana. Sposata ad un nobiluomo morto in battaglia? Ma per favore! Non ci sono state battaglie nei pressi della Contea in centinaia d’anni. Quanto al fatto che sia un nobile, per me è una panzana come la storia della morte in battaglia. O come l’esistenza stessa di un marito, oserei dire,” aggiunse sollevando le sopracciglia.
Alla menzione sul fatto che il marito dell’Elfa fosse un nobile morto in battaglia, Bofur era rimasto a bocca aperta; Nori invece aveva cominciato a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle non appena la Hobbit aveva nominato un’Elfa dai capelli rossi e incinta, dettaglio che aveva reso il tutto più chiaro: Kìli aveva ingravidato la sua Elfa – e l’aveva persino sposata, stando al racconto della donna.
Dato che Bofur sembrava essere rimasto senza parole, Nori rivolse alla Hobbit il suo sorriso più accattivante. “Beh, è proprio una storia interessante! E dite, voi non avete un’idea di dove siano andati Bilbo e questa Elfa, per caso?”
Ma la donna lo guardò con sospetto, evidentemente senza lasciarsi ingannare dal suo fascino come era successo con Bofur. “Temo di non potervelo dire. Mio cugino acquisito è una persona molto riservata e sono certa che non gradirebbe che io rivelassi tali informazioni a chicchessia. Perciò vi auguro una buona giornata, signori.”
A quanto pareva non sarebbero riusciti a scoprire altro da lei, e comunque Nori era sicuro che in realtà non sapesse proprio dove fosse Bilbo; ci voleva un bugiardo per scoprire un altro bugiardo, come diceva sempre la sua cara e vecchia mamma.
Così le restituirono il saluto e se ne andarono; Nori ebbe l’impressione di sentire gli occhi della Hobbit fissi sulle loro schiene per tutto il tragitto fino alla strada principale.
“Per la mia barba, ma che gli è saltato in testa a quel ragazzo?” sibilò Bofur. “Nani ed Elfi non dovrebbero mischiarsi tra loro in questo modo. Non credevo nemmeno che fosse possibile! E ora la ragazza Elfo ha la pagnotta in forno e Kìli non ne sa assolutamente niente.”
“Senza contare che l’ha pure sposata. Non ci avrei mai scommesso,” aggiunse Nori accarezzandosi la barba con aria pensosa. “Ti rendi conto che la ragazza aspetta l’erede al trono di Erebor, vero?”
Bofur sgranò gli occhi. “Non ci avevo pensato! Che cosa dirà Re Thorin?”
“Se Re Thorin è ancora vivo, mi sa che questa notizia lo ucciderà sul serio.” Nori sbuffò con aria divertita, immaginando Thorin tutto-di-un-pezzo Scudodiquercia con il suo eterno odio per gli Elfi alle prese con l’eventualità che l’erede al trono di Erebor fosse un mezzo-Elfo. “Beh, magari il bambino non è di Kìli. Voglio dire, come ci sarebbero riusciti?”
“Li ho visti sgattaiolare via insieme un paio di sere prima dell’attacco di Smaug su Pontelagolungo. Io sarò un pò tonto per certi versi, ma un paio di cose le so e una di queste è l’espressione che hanno due persone innamorate.” Bofur sospirò con aria sognante. “Quei due avevano perso la testa l’uno per l’altra, credi a me.”
“Allora non ci sono dubbi. Gli Elfi saranno pure dei giganti fastidiosi con un senso esagerato di superiorità, ma perfino io devo ammettere che nelle questioni di cuore fanno sul serio almeno quanto noi Nani. Il bambino deve essere di Kìli.”
Bofur strattonò ansiosamente le lunghe orecchie del suo cappello. “Povero me! Ho appena realizzato che toccherà a noi dirlo alla Principessa Dìs.”
“Che suo figlio ha messo incinta un’Elfa, vuoi dire? E che non abbiamo idea di dove sia finita?” Nori rabbrividì. “Per lo meno abbiamo dalla nostra il fatto che il Principe Kìli è ancora vivo. Guardiamo il lato positivo, eh? Forse sarà troppo contenta di questo per staccarci la testa.”

~
 
Nori si era fatto dire da Dwalin – che l’aveva occhieggiato con aria torva per tutto il tempo – come trovare la Principessa Dìs nel grande insediamento nanico delle Montagne Blu, ma anche senza le sue indicazioni avrebbe saputo riconoscerla a colpo sicuro: stesso naso importante di Thorin, stessa fronte alta, stesso qualcos’altro... l’aura del comando, egli pensò. O, per dirla in parole povere, la Principessa Dìs era intimidatoria da far paura.
Restò in disparte lasciando a Bofur il compito di raccontarle la storia del tradimento di Dàin, di come le cose a Erebor andassero di male in peggio e per finire della scoperta di Ori circa le discrepanze nelle casse delle Sale di Guarigione, che avevano a loro volta condotto alla scoperta che il guaritore personale di Dàin teneva in quell’ala un prigioniero.
Dìs era rimasta impassibile per tutto il racconto; solo quando Bofur le disse che Kìli era vivo la sua facciata di compostezza s’incrinò. “Vivo? Kìli è ancora vivo? Oh, Mahal sia ringraziato.” Si volse brevemente per ricomporsi. “E che mi dite di Fìli e Thorin? Nessun segno del fatto che siano vivi anche loro?”
Bofur scosse il capo. “Purtroppo no, vostra Altezza, nessun segno. Ma ci sono alcune aree di Erebor in cui non possiamo andare per via degli uomini di Dàin. Potrebbero essere tenuti prigionieri lì.”
“Allora cercheremo in ogni angolo e in ogni fessura di Erebor fino a che non troveremo Fìli e Thorin.” La Principessa Dìs tamburellò con le dita sul tavolo. “Dunque il piano di Balin, se così posso chiamarlo, è che io mi diriga alle porte di Erebor e mi dichiari come Regina legittima?”
Nori e Bofur si scambiarono un’occhiata. “Sembra essere questo il nocciolo della questione, Altezza.”
“Sospetto che Balin stia sopravvalutando la lealtà del popolo di Erebor nei confronti della stirpe di Durin. Forse potrebbero essere tanto leali a mio fratello, il leggendario Thorin Scudodiquercia, ma a sua sorella minore...?” Ella sbuffò piano. “No, non credo che il confronto diretto sia l’opzione migliore. Ci infiltreremo in Erebor e salveremo Kìli, dopodichè troveremo Fìli e Thorin, se... se saranno ancora vivi,” concluse con voce un pò tremante.
Nori annuì con approvazione. Fino a quel momento la Principessa Dìs stava dimostrando di possedere molto più buonsenso del suo regale fratello.
Lei notò il gesto e sollevò le sopracciglia. “Sì? Hai forse dei ripensamenti su questo piano? Qual è il tuo ruolo in tutto questo, mastro Nori?”
“Solo Nori, vostra Altezza. Sono una sorta di specialista in ricognizioni, per così dire. Sono stato io ad introdurmi nelle Sale di Guarigione e a parlare col Principe Kìli. A questo proposito, ci sarebbe un altro inghippo.”
“Vale a dire?”
“Il Principe Kìli voleva che trovassi una ragazza per la quale aveva un debole prima di tutta questa faccenda della Battaglia e di Dàin. Mi ha detto di cercarla a casa di un certo Bilbo Baggins, lo Hobbit che ci ha aiutati a riconquistare Erebor.”
Gli occhi della Principessa si ridussero a due fessure. “E che ha rubato l’Archengemma, stando a quanto mi hanno riferito.”
“Beh, tecnicamente l’ha fatto, ma forse le voci non vi hanno riferito il perchè l’ha fatto. Bilbo ha rubato la gemma con le migliori intenzioni: pensava così facendo di evitare la guerra tra la Compagnia, gli Elfi e gli Uomini di Pontelagolungo. Alla fine la guerra c’è stata lo stesso, ma se non altro siamo riusciti a combattere tutti uniti contro gli Orchi.”
Nori s’interruppe per un momento e ripensò alla grande Battaglia, all’odore del sangue che impregnava l’aria, alle grida dei feriti... scosse il capo per riscuotersi dai ricordi. “Ma sto divagando. Insomma Kìli – cioè, il Principe Kìli – mi ha detto di cercare questa ragazza a casa di Bilbo. Ma loro due non c’erano. Ed è qui che la cosa si fa interessante. Ci siamo imbattuti in una matrona un pò pettegola che conosce Bilbo e ci ha detto che la ragazza era incinta, e che ha raccontato una storia sul marito che era un nobile morto in una grande battaglia.”
La Principessa Dìs trattenne brevemente il respiro. “Incinta? Ma questo significa che aspetta il figlio di Kìli.” E sorrise con un misto di gioia e tristezza. “Mio nipote.”
“Sì,” disse lentamente Nori. “Solo che ci sarebbe un altro inghippo nel, ehm, nell’inghippo.”
“E sarebbe?”
“La ragazza in questione è un Elfo.”
Dìs scosse il capo. “Temo di non aver capito bene. Hai detto ‘Elfo’?”
“Eh sì, con le orecchie a punta e tutto il resto come ce l’hanno loro,” intervenne Bofur con la pipa stretta fra i denti. “Non male per essere un Elfo, devo dire. E ha pure salvato la vita a Kìli, sissignora.”
“Nonostante tutto, Nani ed Elfi non possono avere figli tra loro. Per lo meno, io non ho mai sentito parlare di un evento simile prima d’ora.” Dìs fece una pausa, accigliata. “Ma se prendiamo in considerazione che ciò sia possibile... allora le cose si fanno ancor più complicate.”
“Il punto è che non sappiamo dove si trovino Bilbo e la ragazza Elfo in questo momento,” disse Nori allargando le braccia. “Potrebbero essere ovunque. La donna con cui abbiamo parlato era una parente di Bilbo e perfino lei non ne sapeva niente.”
Dìs annuì con aria pensosa. “La nostra priorità al momento deve essere il salvataggio di Kìli, Fìli e Thorin. Cercheremo la ragazza dopo. Niente è più importante della salvezza dei miei figli e di mio fratello. Nori, hai detto che tuo fratello ha notato l’acquisto di parecchi ingredienti costosi da parte dei guaritori. Di cosa si trattava?”
Nori le porse la lista e lei la studiò con le sopracciglia aggrottate. “Non ho le competenze necessarie per capire quali sostanze questi elementi combinati insieme vadano a creare. Temo che dovremo ricorrere a qualcuno con conoscenze chimiche e alchemiche ben più grandi di chiunque viva sulle Montagne Blu.” E fece una pausa, con l’aria di aver assaggiato un cibo dal pessimo sapore. “Andremo a Gran Burrone e consulteremo Lord Elrond.”
Bofur tossì e quasi ingoiò la sua pipa. “Oh, penso che gli Elfi si ricorderanno di noi due. Me per le mie canzoni e Nori per aver–”
Nori lo fissò con aria minacciosa e Bofur si affrettò a cambiare la versione di quanto stava per dire. “Per il suo talento con il flauto.”
“Hmmm,” si limitò a mugugnare Dìs osservandoli intenta.
Si fermarono sulle Montagne Blu alcuni giorni per permettere alla Principessa di approntare la sua partenza; ella decise che si sarebbe presentata come una parente di Bofur.
“Chiamatemi solo Dìs per il momento. Dovete togliervi l’abitudine di riferirvi a me come ‘Principessa’ o ‘Altezza’ se non volete che la lingua vi si imbrogli nel momento meno opportuno.”
Bofur trascorse quel tempo a bere e rivedere dei vecchi amici; Nori invece ci andò più piano col bere, e gli unici ‘amici’ che avrebbero voluto rivederlo erano di quelli che gli avrebbero volentieri rifilato una coltellata nella schiena se ne avessero avuta l’occasione. Nonostante tutto però riuscì a raccogliere alcune informazioni interessanti dai pochi espatriati dei Colli Ferrosi.
“Questo guaritore di Dàin è famoso per un paio di cose: è affascinato dall’alchimia e a quanto pare non gli interessa affatto se i soggetti che usa per i suoi esperimenti conservino o meno le facoltà mentali – sempre che sopravvivano, beninteso.” Nori non scese troppo nei dettagli; in fondo era del figlio di Dìs che stava parlando. Kìli gli era sembrato in salute, ma molte cose potevano succedere nel tragitto da Erebor alle Montagne Blu e ritorno.
Dìs sollevò il mento: i suoi occhi erano due pezzi di ghiaccio puro. “Se oserà anche solo torcere un capello a mio figlio, gli converrà pregare che Mahal lo prenda prima di me.”
Nori si fece un appunto mentale di non far mai infuriare la Principessa Dìs se gli era possibile.

~
 
Malgrado la bellezza del luogo, a Imladris Tauriel cominciava a sentirsi oppressa e fuori posto. L’intera valle era trattata con la stessa cura che si sarebbe trovata in un giardino Hobbit, perfino in quei posti che a un occhio distratto sarebbero apparsi più selvatici. Avevano trascorso già sei settimane in quella tranquilla bellezza e lei si sentiva quasi uscire di testa per la noia.
“Naturalmente è bellissimo qui, ma mi sembra di passeggiare in un giardino, non in una foresta,” disse un giorno a Bilbo. Erano seduti su una panchina in un bel cortile adiacente la biblioteca, che era diventato il loro posto abituale in cui chiacchierare al pomeriggio.
Bilbo annuì gesticolando con la sua pipa. “So cosa intendi! Suppongo sia proprio il motivo per cui invece io mi sento come a casa mia. Ma, dopo il tempo trascorso a Bosco Atro, penso di capire perchè debba sembrarti noioso e insignificante. Niente Orchi nè ragni giganti da cacciare qui.” E con un’aria soddisfatta emise un cerchio di fumo dalla forma pressochè perfetta.
Tauriel fu attenta a trattenere una smorfia all’odore del fumo. Bilbo amava la sua erba pipa e per il bene della loro amicizia lei cercava di sopportare quell’odoraccio di foglie bruciate per quanto possibile. “Non è certo la mancanza dei ragni a turbarmi. Ho considerato però di accompagnare i figli di Lord Elrond nelle loro battute di caccia agli Orchi.”
Bilbo mise via la pipa e sgranò gli occhi allarmato. “Certamente non nelle tue condizioni!”
“E perchè mai? Sono incinta, non invalida. Le donne del mio popolo non limitano i loro doveri per una gravidanza. Se fossi a Bosco Atro–” Tauriel si bloccò, colpita da un’improvvisa nostalgia di casa. A lungo aveva sognato di viaggiare e vedere il mondo oltre i confini della foresta, ma aveva sempre pensato che sarebbe stata in grado di farvi ritorno quando voleva.
“Tauriel.” Bilbo le poggiò una mano sul braccio. “Mi dispiace tanto che Re Thranduil abbia deciso di essere un tale... moccio di Troll.”
L’Elfa scoppiò a ridere e si coprì la bocca con una mano. “Oh, mellon nin, è un vero peccato che probabilmente non avrai mai l’occasione di parlare con Re Thranduil in persona! Sono certa che i bardi canterebbero dell’avvenimento per secoli.”
Bilbo rise con lei. “La Ballata di Bilbo, lo Hobbit che sgridava i Re! Anche se scommetto che i tuoi bardi troverebbero un titolo migliore.” Poi tornò serio e aggiunse: “Comunque, considerata la natura della tua gravidanza, non pensi sarebbe più saggio usare maggior cautela di quella che userebbe un’altra donna del tuo popolo?”
Le sue parole sembrarono colpire negativamente l’Elfa. “Non mi piace essere un’ospite in casa di Lord Elrond senza contribuire affatto per ricambiare la sua cortesia.”
“Lord Elrond non ti butterebbe mai fuori da Gran Burrone solo per non averlo ricambiato. Voglio dire, guarda me: tutto ciò con cui posso contribuire sono le mie canzoni. E alcune di esse fanno proprio pena, a voler essere onesti.”
“A me piacciono le tue canzoni,” protestò Tauriel aggrottando la fronte. “Ma il punto non è che temo che Lord Elrond mi cacci via. È solo che... sono stata Capitano della Guardia per oltre cento anni, e prima ancora un soldato per molti più anni. Non è mia abitudine starmene con le mani in mano. Non mi piace sentirmi inutile.”
Il suono di passi in avvicinamento li fece voltare entrambi e videro Lindir, che rivolse loro un inchino.
Mae g’ovannen, Tauriel e Bilbo.” Finalmente erano riusciti a farlo smettere di chiamarli ‘Lady Tauriel’ e ‘mastro Baggins’. “Il mio signore Elrond vorrebbe vedervi nel suo studio quando più vi aggrada.”
Tauriel e Bilbo si scambiarono un’occhiata. Forse Lord Elrond aveva trovato le informazioni che erano venuti a cercare? “Andremo da lui immediatamente,” rispose Tauriel. “Grazie, Lindir.” Il segretario s’inchinò con un misterioso sorriso e se ne andò.
Lord Elrond li attendeva nello studio. Era vestito semplicemente, con un soprabito blu scuro e un cerchietto d’oro intorno al capo ad indicare il suo rango. Si scambiarono i saluti e il signore elfico li invitò presso il tavolo, su cui era poggiato un rotolo di pergamena molto consunto e scurito dal tempo trattenuto alle estremità da due sottili lastre di vetro.
“Durante la sua ricerca di possibili menzioni di un figlio di lignaggio elfico e nanico, Erestor ha rinvenuto alla luce dei rotoli rimasti sepolti nei meandri della biblioteca per secoli. Gran parte dello scritto è ormai illeggibile, ma il frammento che sono riuscito a decifrare narra una storia molto interessante.”
Tauriel sentì il cuore batterle più velocemente. “Di che si tratta, mio signore?”
“Questa pergamenta narra il racconto degli ultimi giorni di Eregion, il reame elfico che sorgeva appena fuori le mura di Moria – o Hadhodrond, come era nota allora nella nostra lingua. Tra gli Elfi di Eregion e i Nani di Moria c’erano rapporti di amicizia senza precedenti. I cancelli occidentali di Moria, le cosiddette Porte di Durin, furono create dalla collaborazione tra l’Elfo Celebrimbor e l’artigiano nanico Narvi.”
“Oh sì, ricordo di aver letto di questa storia!” esclamò Bilbo. “Celebrimbor era uno dei più grandi fabbri dei Noldor, e nipote di Fëanor. Ma non credo di aver letto granchè su Narvi a parte il suo nome.”
Tauriel rimase in silenzio, non volendo rivelare la propria ignoranza. Non aveva studiato molta Storia, specialmente la storia dei Noldor, popolo che Re Thranduil disprezzava.
“Secondo questo rotolo, durante la distruzione di Eregion ad opera dell’esercito di Sauron, Celebrimbor convinse Narvi a fuggire per trovare rifugio insieme agli altri Nani ad Est. Ed è qui che la storia si fa interessante: le cronache si sono sempre riferite a Narvi al maschile – la pergamena stessa fa uso del pronome ‘lui’ in riferimento al suo nome, ma dice anche che ‘Narvi, recante in grembo il loro figlio, sfuggì alle forze di Sauron e viaggiò nel lontano Est, dove nulla più se ne seppe da quel momento in poi’. La parola usata nella pergamena si riferisce solamente ai figli degli Elfi, non alla progenie di Uomini o di Nani,” spiegò Elrond a Bilbo.
Tauriel lo ascoltava a malapena: aveva subito compreso il significato di quelle parole. “Narvi, recante in grembo il loro figlio... il figlio di Narvi e Celebrimbor? Ma allora vuol dire...”
“Che non sei la prima,” concluse Elrond gentilmente. “Altri hanno amato nella tua stessa maniera, e almeno un figlio è nato da quell’unione.”
Tauriel non capiva bene perchè quella rivelazione, il sapere che migliaia d’anni prima un altro Elfo e un’altra Nana avessero trovato l’amore insieme, la colpisse tanto. Non potè fare a meno di ripensare alla supplica disperata di Kìli che, quando la battaglia stava per scatenarsi in tutto il suo furore, l’aveva pregata di unirsi agli arcieri di Bosco Atro sul crinale, dove pensava che sarebbe stata più al sicuro. Si era trovato nell’identica posizione di Celebrimbor e aveva agito allo stesso modo, implorandola di mettersi in salvo mentre lui sarebbe rimasto a difendere la loro gente. “Che ne è stato di Celebrimbor?”
“È stato catturato e torturato dai servi di Sauron perchè rivelasse loro l’ubicazione dei Tre Anelli del Potere. Ma egli resistette alle torture senza svelare nulla al nemico, anche se questo lo condusse infine alla morte.”
Tauriel sentì il bambino agitarsi lievemente nel suo grembo, forse allarmato dal suo battito accelerato. Accarezzandosi il ventre con una mano per quietarlo cercò di non pensare a Kìli che veniva torturato come Celebrimbor dai suoi nemici fino a lasciarsi morire piuttosto che parlare. Ripensò alle visioni che aveva avuto di lui, a come le era sembrato sicuro di sè sul fatto che non era morto. Forse Kìli veniva tenuto prigioniero da qualche parte e in qualche modo riusciva a parlarle grazie alla connessione tra loro? Era possibile?
“Lord Elrond, c’è qualcosa di cui devo parlarti riguardante Kìli.” Tauriel fece una pausa; aveva ancora la sensazione che quanto stava per dire fosse una sciocchezza. Forse lei stessa era una sciocca a ritenerlo anche solo possibile.
“Sì?”
“Credo sia plausibile che non sia –”
In quel momento la porta dello studio si aprì. “Perdona l’intrusione, mio signore,” disse Lindir: il segretario, normalmente sempre composto, appariva agitato. “Temo che abbiamo dei visitatori inaspettati.”
Elrond sollevò un sopracciglio. “Di chi si tratta?”
Lindir deglutì. Tauriel, a giudicare dal pallore delle sue guance, si aspettava dei personaggi terrificanti; invece il segretario aprì la bocca e pronunciò una sola parola, che riecheggiò in tutta la stanza con un sentore quasi profetico.
“Nani.”

~
 
(Note dell’autrice) Credo sia bene chiarire, a scanso di equivoci, che la gravidanza di Narvi NON appartiene alla categoria mpreg; in questa storia Narvi è una donna, ma tra i non-Nani viene facilmente scambiata per un uomo.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: Il consiglio dei parenti acquisiti ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

La parola ‘Nani’ sembrò risuonare per tutta la stanza.
“Questi Nani ti hanno detto i loro nomi?” chiese Lord Elrond.
“Due di loro sono stati qui in precedenza insieme al gruppo di mastro Bilbo,” rispose Lindir.
Bilbo drizzò le orecchie. Membri della Compagnia? “Chi sono?”
“Il menestrello e il... ricognitore.”
Bilbo ebbe l’impressione che l’Elfo avesse evitato all’ultimo di dire ‘ladro’, se si stava riferendo a Nori. Quanto al ‘menestrello’ doveva trattarsi di Bofur, data la sua memorabile esibizione durante la loro cena a Gran Burrone.
Sarebbe stato meraviglioso rivederli! Da che era tornato nella Contea, Bilbo non aveva realizzato quanto gli erano mancati i membri della Compagnia.
“Sono accompagnati da una donna Nana che si è identificata come Principessa Dìs di Erebor.”
“La Principessa Dìs? La sorella di Thorin?” Bilbo si sentì quasi mancare, ma fu niente rispetto all’allarme che attraversò gli occhi di Tauriel e fece svanire il colorito dalle sue guance.
“Falli entrare e accompagnali nell’ala che abbiamo riservato ai Nani l’ultima volta, per favore,” disse Lord Elrond. “Li incontrerò qui tra un’ora, dopo che si saranno ristorati dalle fatiche del loro viaggio.”
“Ma avevamo appena sostituito i mobili che avevano distrutto...” Ad un’occhiata severa di Lord Elrond, Lindir s’inchinò e aggiunse: “Sì, mio signore,” prima di dileguarsi.
“Stai bene?” chiese Bilbo a Tauriel con preoccupazione.
“Sì, sto bene. Sono solo un pò sorpresa, ecco tutto.” Tauriel si appoggiò una mano sulla pancia e si rivolse a Lord Elrond. “La Principessa Dìs è la madre di Kìli e Fìli, non è vero?”
“Sì. È davvero una strana coincidenza che sia giunta a Imladris proprio ora. Bilbo, hai parlato della tua destinazione con qualcuno prima di lasciare la Contea?”
“Sono certo che i pettegolezzi hanno avuto campo libero, ma ho detto solo che partivo per un’altra avventura. Anche se, considerate le condizioni di Tauriel, non doveva essere difficile supporre che fossimo diretti a Gran Burrone.”
Tauriel prese a camminare avanti e indietro. “Perchè avrebbero dovuto seguirci fin qui se non per il fatto che hanno scoperto che il bambino che porto in grembo è l’erede al trono di Erebor? Non permetterò che mio figlio divenga merce di scambio. Prima me ne andrò nell’Est più remoto per vivere tra gli Avari.”
“Sei sotto la mia protezione e alcun male verrà arrecato a te o al tuo bambino fintanto che resterete qui,” scattò Lord Elrond. Poi, in tono più calmo, aggiunse: “Le nostre possono essere solo speculazioni. È possibile che siano giunti fin qui per motivi che nulla hanno a che vedere con la tua gravidanza.”
“Quanto spesso dei Nani vengono in visita a Gran Burrone?” chiese Bilbo, anche se pensava di conoscere già la risposta.
“Non spesso,” ammise Lord Elrond. “Tauriel, desideri rimanere nascosta alla loro vista? Posso fare in modo che non vengano a sapere della tua presenza.”
“No,” replicò Tauriel sollevando il mento con occhi scintillanti. “Non agirò come se mi vergognassi del mio bambino o avessi paura di loro. Non mi nasconderò.”
“Molto bene. Ma stà pur certa che, se oseranno minacciarti, dovranno vedersela con la mia collera.” Gli occhi del signore elfico lampeggiarono pericolosamente, rammentando a Bilbo che quello era lo stesso Elrond che aveva guidato gli eserciti dell’Alto Re degli Elfi migliaia di anni prima. Subito dopo il luccichio di pericolo svanì e Lord Elrond tornò ad essere il loro cortese anfitrione. “Desideri unirti a noi per l’incontro iniziale tra un’ora?”
Tauriel annuì, sempre con il mento ostinatamente sollevato. “Sì, mio signore. Grazie.”
Bilbo e Tauriel erano quasi alla porta quando Lord Elrond chiese: “Tauriel, c’era qualcosa che stavi per dirmi prima che venissimo interrotti? Qualcosa riguardo Kìli?”
L’Elfa si morse le labbra ed esitò per un attimo, prima di scuotere la testa e rivolgergli un sorriso forzato. “No. Sono sicura che fosse solo una mia sciocca fantasia.”
Fecero ritorno nelle loro stanze per cambiarsi in abiti più adatti all’incontro con una Principessa. Le dita di Bilbo indugiarono sul panciotto che si era fatto fare nello stesso blu scuro che indossava sempre Thorin; ritirò la mano, incerto sul se fosse o meno opportuno indossare quel colore in presenza di sua sorella. E se avesse avuto un significato di cui non era a conoscenza? Alla fine scelse quello in seta damascata marrone che secondo Lainiel s’intonava benissimo con il suo incarnato, lasciando quello blu nel guardaroba.
Entrando nella sala comune, vide che Tauriel aveva indossato quello che preferiva tra gli abiti confezionati per lei da Lainiel (malgrado le sue proteste sul fatto che non aveva bisogno di così tanti vestiti): la stoffa verde scuro creava un drammatico contrasto con i suoi capelli rosso fuoco ed evidenziava ancor di più i riflessi nei suoi mutevoli occhi color nocciola. Fermato sotto il seno, l’abito scendeva a cascata sul pancione sempre più evidente e finiva in un orlo che il Maestro aveva definito ‘a fazzoletto’, con lunghi spacchi su entrambi i lati in modo che Tauriel, all’occorrenza, poteva sfilare facilmente i pugnali dalle fodere fissate agli stivali che indossava sui pantaloni color fulvo.
Pugnali che, come Bilbo non mancò di notare con una certa apprensione, Tauriel stava sfoderando proprio in quel momento per controllarne la facilità di estrazione.
“Bofur e Nori sono nostri amici. Sono certo che non intendono fare alcun male nè a te nè al bambino.”
“Sono amici tuoi, non miei. E la Principessa Dìs mi è del tutto estranea. Devo essere pronta a qualsiasi evenienza.”
Bilbo si passò una mano sulla fronte, sentendo già l’approcciarsi di un mal di testa. Accidenti agli Elfi, ai Nani e alla loro testardaggine nel serbare rancore per faccende occorse chissà quanti secoli prima!
“Non ti viene in mente che forse sei un tantino paranoica?”
Tauriel lasciò perdere i suoi stivali e si raddrizzò per guardarlo in faccia. “Mellon nin, la Contea è davvero un luogo tranquillo e pacifico; come ti ho già detto, mi piacerebbe molto potervi crescere mio figlio. Ma certe lezioni che ho apprese vivendo in una terra selvaggia sono più utili di quanto tu possa immaginare. Paranoia, tu la chiami? E allora io ti dico che la paranoia mi ha salvato la vita molte volte in passato, e continuerà a farlo in futuro.”
Era chiaro che sarebbe stato impossibile farla desistere e Bilbo si rassegnò ad impersonare ancora una volta la voce della ragione tra Elfi e Nani. Se non altro non c’era nessun assedio imminente... almeno per il momento.


~
 

Dìs sembrava la versione al femminile del fratello. Naso dritto, occhi di un azzurro pallido, poche striature grigie nei capelli corvini, portamento fiero; era come vedere un fantasma, tanto che Bilbo restò per un attimo senza fiato.
I Nani entrarono nella stanza con Dìs in testa, seguita da Nori e Bofur ciascuno da un lato, e Bilbo si rammentò dolorosamente di come Balin e Dwalin seguissero sempre Thorin nella stessa identica maniera.
Lord Elrond aveva fatto sistemare alcune sedie in circolo, in un’area spaziosa del suo studio. Bilbo e Tauriel stavano in piedi da una parte ed Elrond un pò discosto da loro, attento a non sembrare troppo vicino a nessuna delle due parti. Bilbo approvava il suo tentativo di mantenere quell’incontro su un piano neutrale. Certo, sarebbe stato più semplice se i Nani non fossero parsi tanto bellicosi.
“Benvenuti. Io sono Lord Elrond di Imladris.”
Dìs annuì con regalità in risposta al suo saluto. “Io sono la Principessa Dìs di Erebor, sorella di Thorin Scudodiquercia.” I suoi freddi occhi azzurri si spostarono su Bilbo e Tauriel e parvero esaminarli con portentosa intensità. “E questi devono essere Bilbo Baggins e Tauriel di Bosco Atro, di cui ho tanto sentito parlare.”
Tauriel sembrava incapace di emettere verbo – o più probabilmente quel che avrebbe voluto dire sarebbe stato disastroso, perciò Bilbo si lanciò nel tentativo di vivacizzare la conversazione. “Solo belle cose, voglio sperare!”
“Mi è stato detto che tu hai rubato l’Archengemma per consegnarla ai nostri nemici.”
“Bard non era nemico di Thorin!” protestò Bilbo. “Per quanto riguarda il resto, sì, l’ho rubata, ma solo nella speranza di evitare la guerra.”
“Così Nori mi ha informata.”
Il ladro gli fece l’occhiolino, sorridendo da sotto la sua intricata barba. Durante l’impresa i due avevano sviluppato una sorta di affiatamento: Nori era determinato a fare di Bilbo un ladro provetto e Bilbo era determinato a non rubare niente. Ed era finita che l’unica cosa che si era mai ritrovato a rubare era stata proprio l’Archengemma, una pietra il cui valore superava probabilmente quello dell’intera Contea.
“Ed io?” chiese Tauriel. “Cosa ti hanno riferito su di me?”
Dìs la squadrò con un’espressione che sembrava scolpita nella roccia. “Mi è stato riferito che mio figlio minore si è scioccamente invaghito di te.”
Scioccamente?” Gli occhi di Tauriel lampeggiarono. “Kìli ed io ci amavamo. Ci siamo uniti in matrimonio sotto le stelle due giorni prima della Battaglia.”
“E ora porti in grembo l’erede al trono di Erebor,” aggiunse Dìs con una veloce occhiata all’addome di Tauriel. “Dimmi, il tuo piano era per caso quello di recarti a Erebor per dichiararti Regina Reggente in vece di tuo figlio?”
“Cosa? No, questo è assurdo,” protestò Tauriel. “Non mi dichiarerei Regina di Erebor più di quanto mi proclamerei Imperatrice di Bosco Atro! Tutto ciò che voglio per il mio bambino è una vita tranquilla e serena.”
“Che consisterebbe nel crescere il figlio di Kìli il più lontano possibile dalla sua famiglia?”
Tauriel esitò e si morse un labbro; gli occhi di Dìs si assottigliarono, dandole l’aria di un lupo che ha fiutato l’odore del sangue.
Lord Elrond si fece avanti attirando su di sè l’attenzione dei presenti. “Cerchiamo di non farci risucchiare dall’antico rancore che intercorre tra i nostri due popoli. Ci siederemo con calma e con mente e cuore aperti, senza accuse nè recriminazioni.”
Sia Tauriel che Dìs annuirono con riluttanza e presero posto nel cerchio di sedie, non senza lanciarsi occhiate circospette e sedendo ben distanti l’una dall’altra. Bilbo si sedette accanto a Tauriel con Lord Elrond dall’altro lato, mentre Bofur e Nori sedettero ciascuno da un lato di Dìs. Bilbo notò che le sedie erano tutte a misura di Nano per cui, anche se i suoi piedi ancora non toccavano terra, perlomeno sedersi non fu imbarazzante come al solito.
Elrond prese la parola. “Principessa Dìs, posso chiederti perchè siete giunti a Imladris? Pur essendo lieto di ospitarvi, questa non è una tappa consueta per i viaggiatori Nani.”
Dìs esitò e occhieggiò cautamente Bilbo e Tauriel. “È vero. C’è una questione urgente che mi ha condotta a Gran Burrone.”
“Ti prego di non esitare a parlare liberamente davanti a Tauriel e a Bilbo. Posso assicurarti che tratteranno qualunque argomento discusso qui con la massima discrezione.”
Bilbo cercò di proiettare un’aura di totale affidabilità; Dìs sospirò a lungo e infine trasse una grande pergamena dalla borsa che portava legata in vita e la porse al signore elfico. “Sai per quale scopo vengono usati questi ingredienti?”
Lord Elrond prese la lista e la esaminò attentamente, aggrottando le sopracciglia. “Oppio, belladonna e Foglia di Re?” domandò guardando Dìs. “Sei certa che sono gli ingredienti esatti?”
Nori intervenne. “Mio fratello minore lavora come scrivano reale. Ha rischiato la vita per raccogliere quelle informazioni, perciò puoi essere dannatamente sicuro che tutto quel che c’è scritto in quel foglio è vero. Copiare documenti con precisione e senza errori è il lavoro di Ori.”
“Cosa ti suggerisce la presenza di questi ingredienti?” chiese Dìs; Bilbo notò che aveva linee di tensione intorno agli occhi e alla bocca.
“La belladonna da sola è usata per recare sollievo dal dolore fisico, anche se in dosi elevate è velenosa. Combinata con l’oppio può provocare uno stato allucinogeno-onirico. La Foglia di Re è usata soprattutto per le sue proprietà curative: tuttavia, in dosi elevate, può causare come effetto collaterale la separazione del fae – dello spirito – dal corpo. Ed è un evento molto pericoloso da sperimentare. Nessun guaritore che si rispetti dovrebbe mai manipolare questi tre elementi insieme.”
“E cosa accadrebbe se qualcuno venisse trattato con una pozione ricavata da questi tre ingredienti?”
“Non posso affermarlo con assoluta certezza, ma sospetto che se usata su un mortale manderebbe il fae a vagare separatamente dal corpo, come una sorta di spirito errante. E sarebbe estremamente pericoloso, sempre ammesso che si possa fare.”
“Come un fantasma?” Tauriel era diventata bianca come un lenzuolo. “Lo spirito della persona apparirebbe come un fantasma?”
“Dubito che qualcuno riuscirebbe a vedere il fae. Ma il pericolo insito sarebbe per la persona il cui spirito vagherebbe senza il corpo, non per altri.”
“Quale pericolo correrebbe?” chiese Dìs sporgendosi in avanti.
Elrond rivolse le mani con i palmi in su. “Dovete comprendere che questa è solo una teoria. Nessuno di mia conoscenza ha mai sperimentato la separazione del fae dal rhaw – dal corpo. Una volta che fae e rhaw vengano separati, non saprei proprio come si possano riunire.”
“Sei certo che nessuno l’ha mai sperimentato prima d’ora?” chiese Tauriel.
“Sono certo, a meno che la Principessa Dìs non sappia dell’altro in merito alla questione,” rispose Lord Elrond fissando attentamente la Nana.
“Solo in via ipotetica,” replicò Dìs, il ritratto della compostezza.
“Credo che questa sia una menzogna,” disse Tauriel.
In un attimo Dìs balzò in piedi con una mano sul coltello che portava alla cintura. “Metti in discussione l’onore di un Nano della stirpe di Durin?”
“Non metto in discussione il tuo onore, solo la tua sincerità su questa particolare faccenda.”
Bilbo fremette. La conversazione non stava proprio andando come aveva sperato.
“Pace,” intervenne Lord Elrond. “Sentiamo cos’ha da dire Tauriel.”
Dìs esitò e tornò a sedersi lanciando un’occhiataccia all’Elfa.
Tauriel disse lentamente, come soppesando ogni parola: “Credo che questa pozione per separare spirito e corpo sia stata usata. Non è solo una teoria.”
“Non essere assurda,” sbuffò Dìs.
“Io ho visto Kìli, ho parlato con lui. Pensavo fosse un fantasma, ma lui mi ha detto di essere vivo. Ero convinta fosse frutto della mia immaginazione, ed ecco che voi venite da Lord Elrond con una lista di ingredienti che trasformano una persona viva in un fantasma.”
La facciata di compostezza di Dìs si sgretolò del tutto. “Hai visto mio figlio? Quando? Quando gli hai parlato?”
“L’ho visto per l’ultima volta quasi sei mesi fa. Mi è apparso un giorno all’improvviso e ho continuato a vederlo per circa tre settimane – non ne sono certa, ho perso il conto dei giorni nelle gallerie degli Orchi. Credevo di avere le allucinazioni, che fossi sull’orlo della pazzia; ma lui sembrava così reale, così vivo... Lo è, vero? Kìli è vivo ed è tenuto prigioniero da qualche parte.”
Dìs rimase in silenzio.
La voce di Tauriel si ridusse ad un sibilo furibondo. “Ho il diritto di sapere se Kìli è ancora vivo.”
“Quale diritto?” sbottò Dìs.
“È mio marito.”
“Così sostieni, ma non ne hai alcuna prova.”
Tauriel si portò la massa di capelli fiammeggianti su una spalla e tirò allo scoperto una treccia nascosta nel mezzo; poi si alzò e, direttasi da Dìs, le mostrò l’estremità della treccia. Dal punto in cui era seduto Bilbo non vedeva altro che un fermaglio metallico. “È una prova sufficiente per te?”
“Il fermaglio matrimoniale di Kìli,” mormorò Dìs con voce sommessa. Poi alzò il tono. “Perchè lo nascondi? Ti vergogni del tuo matrimonio?”
“Mai! L’ho fatto solo perchè non sapevo quale sarebbe stata la reazione della tua gente se mi avessero vista incinta e con indosso un fermaglio nanico.”
“Avrebbero visto il marchio della famiglia reale di Erebor e nessuno avrebbe osato farti del male.”
Tauriel inclinò la testa da un lato e parlò con voce pungente. “Ne sei certa? E intendo assolutamente certa – tanto da scommetterci la vita di tuo nipote non ancora nato?”
Con un’aria scontenta, Dìs le concesse il punto. “Molto bene. Ma non dovresti più nasconderla. Sarebbe come dichiarare che hai vergogna per il tuo matrimonio.”
“Quindi riconosci che Kìli ed io siamo sposati.”
“Non posso negare che ne indossi la prova. Quello è il marchio reale di Erebor e c’è il sigillo personale di Kìli inciso sopra.”
“Allora dimmi...” La voce di Tauriel s’incrinò. “Kìli è vivo, oppure sono impazzita?”
Dìs apparve improvvisamente molto stanca. “È vivo, o almeno lo era quattro mesi fa. Se vive ancora, non lo so.”
Tauriel tornò alla sua sedia e si sedette pesantemente, come una marionetta a cui vengono tagliati i fili. “Allora perchè ci è stato detto che era morto?”
Dìs esitò di nuovo e guardò Elrond con circospezione. “Questo non è argomento per orecchie estranee.”
“Lady Dìs, io ho dato ospitalità a tuo fratello e alla sua Compagnia e ho tradotto le rune lunari per loro. Non ti dico questo perchè tu mi debba qualcosa, ma per puntualizzare che in passato c’è stata amicizia tra i nostri due popoli.”
“E guerra.”
Lord Elrond annuì gravemente. “E guerra, sì, ma un tempo correva grande amicizia tra gli Elfi di Eregion e i Nani di Moria. E io desidero che quell’amicizia torni ancora una volta. Alla luce dei recenti avvenimenti,” e i suoi occhi si posarono brevemente su Tauriel, “in futuro Elfi e Nani saranno uniti molto più strettamente di quanto si sia mai visto dalla Seconda Era.”
Dìs tamburellò le dita sul bracciolo della sua sedia. “Quale interesse hai in questa storia, Lord Elrond? Queste sono questioni delle Terre Selvagge. Il tuo dominio non si estende al di là delle Montagne Nebbiose.”
“Tauriel e tutti i suoi discendenti sono sotto la protezione del signore di Imladris. Vedi bene dunque che ho grande interesse nella questione.”
Gli acuti occhi azzurri della Nana si spostarono da Elrond a Tauriel. “Prendi sotto la tua protezione un Elfo di Bosco Atro? Che ne penserà Re Thranduil di tutto ciò?”
“Re Thranduil mi ha esiliata. La sua opinione non conta affatto,” disse Tauriel con impazienza. “Ora, dimmi la verità: perchè mi è stato detto che Kìli era morto?”
Il viso di Dìs sembrava scolpito nella pietra. “Tradimento. Il più vile dei tradimenti, perpetrato dalla mia stessa stirpe. Tu chiedi solo di Kìli e comprendo che, in quanto tuo marito, il tuo pensiero vada a lui più che a chiunque altro; ma io ho pianto due figli e un fratello per tutto questo tempo e adesso oso a malapena sperare che siano vivi tutti e tre. Se i miei parenti traditori hanno risparmiato Kìli, posso sperare che abbiano fatto lo stesso con Fìli e Thorin? Non lo so, e per questo vivo in terribile incertezza.”
Bilbo ebbe l’impressione di non riuscire più a respirare. Portandosi una mano sul petto, come a voler impedire al cuore di balzargli in gola, bisbigliò: “Thorin potrebbe essere vivo?”
“È possibile. A quanto pare il guaritore di Dàin ha sperimentato i suoi intrugli malefici su Kìli.”
Nori prese la parola. “Ho trovato Kìli in una cella nelle Sale di Guarigione ma, se sono vivi, Fìli e Thorin sono imprigionati da un’altra parte. Ci sono aree nella montagna dove neppure io posso intrufolarmi. Però direi che c’è speranza, mastro Scassinatore.”
La sua visuale passò dal bianco al nero e Bilbo era certo che, non fosse stato già seduto, avrebbe perso i sensi. “Grazie. Grazie.”
“Sembri molto colpito da questa notizia, più di quanto mi aspettassi, mastro Hobbit,” sottolineò Dìs.
“Thorin era... importante per me.”
“Eppure hai rubato l’Archengemma tradendo la sua fiducia.”
“Oh, per tutti i fulmini, basta con questa storia!” sbottò Tauriel. “Bilbo ha pianto la scomparsa di suo marito esattamente come me!”
Bilbo rimase gelato: gli si rivoltò lo stomaco. Non riusciva a credere che Tauriel avesse detto una cosa del genere, e per di più davanti alla sorella di Thorin. Buon cielo, adesso non sarebbe più riuscito a guardarla in faccia.
La voce di Dìs risuonò incolore. “Tu... eri sposato con mio fratello?” domandò.
Bilbo scosse il capo. “No. No, niente affatto.” Che domanda assurda. Forse che due uomini potevano sposarsi fra loro tra i Nani?
“Avete giaciuto insieme?”
Per poco Bilbo non si strozzò. “Come puoi chiedere–?! Oh, buon cielo– non posso rispondere a questa domanda! Non davanti a delle signore!”
“Cosa c’entra il mio genere con il fatto che puoi o non puoi rispondere a una semplice domanda? Non importa. Nori!”
“Sì, vostra Altezza!”
“Mio fratello ha giaciuto con lo Hobbit?”
Nori spalancò gli occhi. “Beh, in una parola... eh, sì. Erano proprio due piccioncini.”
Bilbo si rannicchiò sulla sedia, certo che non avrebbe potuto sentirsi più in imbarazzo di così. Ebbe voglia di infilarsi il suo anello magico e di sparire per non tornare mai più.
Dìs scosse il capo con un’aria vagamente divertita. “Non so proprio spiegarmi cosa sia accaduto durante quell’impresa per indurre mio figlio e mio fratello a cercare l’amore in due esseri di un’altra razza; ma stando così le cose, persino io devo prendere atto che quel che è stato è stato.”
E così dicendo, Dìs andò da Bilbo e gli mise le mani sulle spalle; Bilbo si tirò indietro, non sapendo se intendesse baciarlo (cosa altamente improbabile) o ucciderlo (molto più probabile, a ben pensarci).
Ma Dìs si chinò semplicemente in avanti fino a toccargli la fronte con la propria. “Fratello.”
Bilbo rimase a bocca aperta.
Poi la Principessa andò da Tauriel, la quale parve stordita, e fece la stessa cosa. “Figlia.”
Quindi, sempre con espressione del tutto impassibile, Dìs fece ritorno al suo posto e si sedette sulla semplice sedia quasi fosse stata un trono. “Non so se Fìli, Kìli e Thorin siano ancora vivi, ma vi prometto di mandare dei messaggeri a Gran Burrone non appena avrò notizie in un senso o nell’altro.”
“Io vengo con voi,” disse Tauriel.
“Apprezzo l’offerta, ma–”
“Non hai capito: non è un’offerta. Se non acconsentirai, mi recherò a Erebor per conto mio. Il mio Kìli potrebbe essere ancora vivo: non permetterò a niente e nessuno di frapporsi tra me e lui.”
“Nemmeno io.” Bilbo incrociò le braccia fissando Dìs. “Se non mi porterete con voi, allora semplicemente vi seguirò fino a Erebor. E non riuscirete mai a beccarmi.”
“È molto abile a nascondersi,” intervenne Nori sollecito. “Il più in gamba che abbia mai visto nel mestiere.”
Bilbo non si disturbò a puntualizzare che lui non era affatto del mestiere; Nori avrebbe potuto ribattere che, dopo la storia dell’Archengemma, era una menzogna bella e buona.
“E poi è un diritto delle mogli e dei mariti accorrere in aiuto del coniuge imprigionato ingiustamente.” Bofur tremò quasi quando Dìs gli scoccò un’occhiata inceneritrice e si affrettò ad aggiungere: “Vostra Altezza.”
“È nostro diritto,” ripetè Tauriel cogliendo la palla al balzo. “Non puoi negarcelo.”
“D’accordo,” fece Dìs a denti stretti. “Non nego che sia vostro diritto.”
“So che sarebbe inutile metterti in guardia contro un’impresa altamente rischiosa come questa,” disse Lord Elrond a Tauriel. “Ma accetta almeno la protezione che sono in grado di fornirti.”
“Mio signore, non è necessario che–”
“Fai parte della mia Casa adesso,” la interruppe Lord Elrond con gentilezza, “ed io proteggo sempre quelli della mia Casa.”
Tauriel sembrò restare senza parole.
Dìs socchiuse gli occhi. “Se proprio hai deciso di interferire in una questione nanica... allora delle provviste ci farebbero molto comodo.”
“Vi fornirò di tutte le provviste che vi abbisogneranno insieme a dei pony freschi, e vi farò accompagnare dai miei figli Elladan ed Elrohir.”
“Vuoi che portiamo degli Elfi con noi? Voglio dire, altri Elfi,” si corresse Dìs con una rapida occhiata in direzione di Tauriel. “Questo è assolutamente fuori discussione.”
“Vi accorgerete che sono eccellenti esploratori e cercatori di piste, cose che vi torneranno molto utili quando dovrete attraversare Bosco Atro. È infatti l’unica via possibile da Imladris a Erebor; le altre praticabili vi porterebbero fuori pista di centinaia di miglia.”
Tauriel impallidì. “Io non posso entrare a Bosco Atro. Sono stata esiliata.”
“E allora passeremo non visti, come fecero mio fratello e la sua Compagnia,” ribattè Dìs.
“Certo, e sappiamo tutti com’è andata a finire,” brontolò Nori.
“Credo di avere una soluzione a questo problema.” Elrond si alzò e andò alla libreria per prendere un pesante volume, che aprì sul tavolo iniziando a sfogliarne rapidamente le pagine. “Sì, rammentavo bene. Secondo i trattati firmati da Re Thranduil e dai Nani dei Colli Ferrosi, la Via della Vecchia Foresta è zona neutrale. Egli non potrà impedire a Tauriel di attraversare Bosco Atro se rimarrà sul sentiero.”
“Se le mie reminiscenze geografiche sono corrette, quel sentiero è parecchio vicino ai Monti di Bosco Atro, vero?” Bilbo era sicurissimo di non sbagliarsi; mappe e cartine erano una sua vecchia passione, dopotutto. “È una zona terribilmente pericolosa, anche più di Bosco Atro stesso.”
“Non ti sbagli, infatti.” Dìs lanciò un’occhiata un pò risentita al signore elfico. “E così ottieni ciò che vuoi, Lord Elrond. Siamo costretti ad accettare i tuoi figli con noi, visto che avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile per attraversare il bosco.”
Bilbo si schiarì la gola ansiosamente. “Forse potresti prestarci un’altra dozzina di guerrieri?”
Tauriel scosse il capo. “No. Re Thranduil lo vedrebbe come un tentativo di aggressione da parte di Lord Elrond. Anche con due soli Elfi di Gran Burrone dovremo usare la massima cautela.”
“Dunque è questa la nostra Compagnia,” riassunse Dìs. “Tre Nani, tre Elfi e uno Hobbit che cercheranno di passare sotto il naso di Re Thranduil.”
“E cosa troveremo dall’altra parte della foresta?” chiese Bilbo.
“Dàin Piediferro ha usurpato il trono di Erebor e governa con minacce e sotterfugi. Il suo misterioso guaritore fa strani esperimenti su mio figlio minore, e non sappiamo se mio fratello e mio figlio maggiore siano ancora vivi.” Dìs scosse il capo. “Non c’è modo di sapere con precisione cosa troveremo a Erebor.”
Le facce di tutti i presenti parvero tese e preoccupate.
“Beh, non potrà essere più difficile che sfilare una pietra preziosa dalle grinfie di un drago sputafuoco, no?” disse Bilbo.
Ma a giudicare dalle espressioni degli altri, era evidente che il suo tentativo di risollevare loro il morale era fallito miseramente.


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(glossario)
Fae e Rhaw –> termini Sindarin per Fëa e Hröa (spirito e corpo)

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: La partenza da Gran Burrone ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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A giudicare da quanto era stato teso il primo incontro con la Principessa Dìs, Bilbo si aspettava che lo sarebbe stata anche la cena, e a livelli epici; fortunatamente però Lord Elrond scelse di non ripetere lo scherzo (sempre che si potesse accostare un simile termine ad un personaggio così maestoso) di servire un pasto vegetariano ai Nani, per cui l’effetto soporifero di una cena luculliana combinata con del vino delizioso fu determinante nel dissipare la tensione tra Elfi e Nani.
Elladan ed Elrohir si unirono a loro e sedettero a sinistra di Lord Elrond, mentre il posto d’onore alla sua destra fu riservato alla Principessa Dìs. Il povero Lindir era costretto ancora una volta a restare in piedi dietro al signore elfico, e Bilbo poteva solo presumere che lo facesse unicamente in caso il suo signore avesse avuto urgentemente bisogno di qualcosa durante la cena.
A giudicare dal comportamento tenuto da Elladan, Lord Elrond doveva aver parlato ai suoi figli dello scopo della loro missione. Elladan non disse una parola al di fuori di semplici risposte cortesi e, anche se il suo viso era come sempre privo di emozioni, a Bilbo parve un pò abbattuto. Bene, egli pensò con una certa malizia: ora che il signore elfico sapeva che il marito di Tauriel era ancora vivo, forse l’avrebbe fatta finita con la sua apparente infatuazione per lei.
“Non stiamo però dimenticando una questione di una certa importanza?” disse Bilbo quando la conversazione sulla loro impresa si spostò sul piano più pratico.
“Sì?” lo incoraggiò Lord Elrond.
“A Tauriel non servirà un guaritore che la accompagni durante il viaggio? Voglio dire, in fondo è per questo che siamo venuti a Gran Burrone.”
Dìs si accigliò e si volse verso la sua nuova nuora. “Ti serve un guaritore? Perchè? Il bambino non è in salute?”
“Il bambino sta benissimo. È Bilbo che si comporta da mamma chioccia,” sospirò Tauriel.
“Il bambino sta bene; tuttavia Bilbo non ha torto,” disse Lord Elrond. “A questo punto della gravidanza, non ti farei mai partire per un viaggio così lungo senza un guaritore esperto. È per questo che mando con voi Elladan ed Elrohir. Ho istruito tutti i miei figli nell’arte della guarigione, ma è Elrohir ad aver mostrato il talento più evidente per essa.”
Elrohir lanciò un’occhiata a suo fratello prima di rendersi conto che forse era il caso che dicesse qualcosa di persona. “Sarà un onore per me assisterti in qualunque cosa avrai bisogno, Lady Tauriel.”
Anche se erano gemelli identici, Bilbo pensò che potevano distinguersi facilmente dal modo in cui parlavano: Elrohir parlava in maniera tranquilla e con un tono di voce più misurato rispetto al fratello, che era più impetuoso e sicuro di sè.
Tauriel gli rivolse un grazioso cenno col capo. “Ti ringrazio, Lord Elrohir.”
Bilbo alzò gli occhi e si avvide che Lindir, alla notizia che anche Elrohir sarebbe partito, aveva assunto un’espressione alquanto angosciata. Buon cielo. Eppure erano Elfi: anche se il viaggio avesse richiesto diversi mesi di lontananza, Thranduil una volta aveva detto che cento anni erano un mero battito di ciglia nella vita di un Elfo. E a proposito di questo... “Quanto durerà il viaggio?”
Fu Nori a rispondere. “Dovremmo metterci meno di un mese a dorso di pony, sempre che prima non smarriamo la via nel Bosco Atro. Ho fatto quel percorso da solo altre volte. È la via più veloce per i Colli Ferrosi da Ered Luin.”
“Molte carovane prendono la via a sud attraverso la Breccia di Rohan,” aggiunse Bofur. “È più sicura, anche se più lenta. Perchè hai rischiato prendendo la Via della Vecchia Foresta?”
“Ero di fretta.” Nori fissò Bofur sollevando le sopracciglia e l’altro Nano si limitò a ridacchiare; Bilbo non era sicuro di capire lo scherzo.
“Che probabilità abbiamo di incontrare truppe di pattuglia sulla Via della Vecchia Foresta?” chiese Dìs a Nori; ma fu Tauriel a rispondere.
“Non troppo elevate. Re Thranduil ha ritirato gran parte delle truppe e adesso i confini a sud delle montagne sono sorvegliati molto di rado.”
“E anche se dovessimo incontrare delle pattuglie, di solito si limitano a guardarti male e a dirti di rimanere sul sentiero,” aggiunse Nori strofinandosi la barba. “Sono abbastanza amichevoli... tranne che quando mettono mano agli archi, ovviamente.”

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Mentre, finita la cena, s’incamminavano verso le loro stanze, Bilbo venne quasi travolto da un bambino Elfo che correva sbadatamente giù per le scale.
“Mi dispiace! Goheno nin,” disse il piccolo inchinandosi a più riprese. Ad un esame più attento Bilbo si accorse che non era per niente un Elfo – le sue orecchie erano arrotondate, non a punta. Che ci faceva un figlio degli Uomini tra gli Elfi?
“Oh, è tutto a posto,” lo rassicurò Bilbo. “Ma stai più attento la prossima volta.”
“Lo farò, promesso. Tu sei un Nano?” gli chiese il ragazzino sgranando gli occhi blu. I suoi capelli scuri erano lunghi fino alle spalle, molto più corti degli standard elfici per i quali scendevano lungo la vita; ma i suoi abiti erano quelli semplici e sontuosi al tempo stesso di tutti gli Elfi di Gran Burrone.
“No, sono un Hobbit e vengo dalla Contea. Il mio nome è Bilbo Baggins, e questa è la mia amica Tauriel.”
Mae g’ovannen, Bilbo e Tauriel,” disse il ragazzino senza nemmeno una sfumatura di accento – parlava elfico molto meglio di lui, in effetti. “Io mi chiamo Estel.”
Tauriel sorrise e agitò una mano timidamente. “Mae g’ovannen, Estel.”
“Non avevo mai visto un Elfo con i capelli rossi prima d'ora,” riprese il bambino, fissandola con aperta meraviglia.
“Io sono un Elfo Silvano e vengo dal Reame Boscoso. Il rosso o il marrone dorato sono i colori più comuni tra la mia gente, rispetto agli Elfi Noldor o Sindar.”
Estel sembrava trovarla affascinante. “Il Reame Boscoso? È molto lontano da qui? Io non sono mai stato via da Imladris, tranne che quando ero molto piccolo, però non me lo ricordo. Stai per avere un bambino? Anche lui avrà i capelli rossi?”
Tauriel battè rapidamente le palpebre, frastornata da quella marea di domande. “Sì, il Reame Boscoso è piuttosto lontano. Si trova dall’altra parte delle Montagne Nebbiose. E sì, avrò un bambino, ma non so se avrà i capelli rossi; mio marito ha i capelli neri.”
“Anche lui è del Reame Boscoso? Non ho mai conosciuto nessun Elfo del Reame Boscoso. Lady Galadriel è di Loth... Lothor...”
“Lothlòrien,” lo aiutò Tauriel, sorridendo gentilmente. “No, mio marito viene da Erebor. È vicino al Reame Boscoso.”
“Vorrei visitare il Reame Boscoso e Lothlòrien un giorno,” disse il ragazzino con aria desiderosa. “Mia madre dice che non posso ancora partire per un’avventura perchè sono troppo giovane, ma secondo me avere undici anni non vuol dire essere troppo giovani. Tu che ne pensi?”
“Temo di dover concordare con tua madre su questo, Estel. Ma sono certa che, quando sarai cresciuto, vivrai moltissime avventure,” rispose Tauriel con un altro sorriso.
“Lo spero,” sospirò Estel. “Devo andare, mia madre mi sta aspettando. Sìlo Anor bo men lìn.”
Tauriel e Bilbo risposero al saluto ed Estel s’inchinò ancora una volta prima di trotterellare via. I due ripresero a camminare in un piacevole silenzio.
“Sembravi molto a tuo agio con Estel,” disse Bilbo quando raggiunsero le loro stanze. “So che diventare madre ti preoccupa, ma credo che te la caverai meglio di quanto pensi.”
“Non è molto più giovane degli apprendisti che addestravo. So come comportarmi con i ragazzi di quell’età. È tutto il resto che mi preoccupa.”
“Te la caverai benissimo,” ripetè Bilbo dandole un colpetto gentile sulla mano. “E se proprio dovessi trovarti in difficoltà, puoi sempre chiedere aiuto alla Principessa Dìs. In fondo ha cresciuto due figli.”
Tauriel gli rivolse un’occhiata incredula. “Se non fosse che porto in grembo suo nipote, credo proprio che la Principessa Dìs mi lancerebbe giù da un dirupo prima di darmi consigli materni.”
“Andiamo, penso che tu stia esagerando. So che in passato non è corso esattamente buon sangue tra i vostri due popoli, e che c’è persino stata guerra, ma adesso tu hai un’occasione imperdibile di superare gli antichi rancori e forgiare un’alleanza duratura tra voi.”
L’Elfa gli sorrise con affetto. “Sei un vero ottimista, mellon nin. Spero che tutto si risolverà per il meglio come ti auguri tu.”
“Beh, se riusciamo ad arrivare al Reame Boscoso senza far scoppiare la guerra, sarà un buon inizio. Una cosa per volta, come diceva sempre mia nonna Baggins.”
“Sembra una donna pratica e saggia.”
“Ah sì, lo era. È il lato Baggins della mia famiglia, bada bene. Mia nonna Tuc invece aveva consigli diversi per noi nipoti.”
“E sarebbero?”
“Vai avanti per la tua strada, e cerca di non ammazzare nessuno nè di bruciare la casa.” Bilbo si strinse nelle spalle sorridendo. “Temo di aver vissuto più secondo l’approccio Tuc che quello Baggins, almeno fino a quando Gandalf non ha inviato alla mia porta una dozzina e più di Nani.”
Tauriel si ritirò sul terrazzino privato e Bilbo rimase a gironzolare nella stanza, concendendole qualche minuto da sola. Aveva imparato, da che erano diventati compagni di stanza, che ogni tanto aveva bisogno di un pò di tempo per sè, così come ne aveva bisogno lui. Era un sollievo, dopo una vita spesa ad essere considerato una specie di strana oca dal resto della Contea, aver trovato un’amica che capiva che il tempo trascorso in silenzio a riflettere era appagante tanto quanto una bella chiacchierata.
Mise la testa fuori dalla porta e chiese del tè a uno dei servitori, che sembravano sempre disponibili ogni qual volta gli ospiti desiderassero qualcosa. Presto avrebbe perso la possibilità di ordinare quello che voleva quando lo voleva, pensò Bilbo con un sospiro; adorava vedere posti nuovi, ma viaggiare a dorso di pony per settimane intere ancora non rientrava tra le sue attività preferite.
Il servitore tornò con un vassoio carico, oltre che del tè richiesto, di pasticcini e altri piccoli dolci dall’aspetto delicato. Prendendo il vassoio e ringraziandolo profusamente, Bilbo annusò con gioia il profumo della bevanda e dei dolci: sì, Gran Burrone gli sarebbe mancata proprio tanto.
“Il tè è servito,” anunciò uscendo in terrazza e posando il tutto sul tavolino.
“Non è un pò tardi per il tè?” chiese Tauriel con un sorriso divertito.
Bilbo s’infilò i pollici nei taschini del gilet e ruotò sui talloni. “Non è mai tardi per un buon tè, mia cara! Sia mia nonna Baggins che mia nonna Tuc concordavano sul fatto che bere grandi quantità di tè sia utilissimo contro ogni malanno.”
“Lungi da me contraddire il pensiero di donne entrambe così sagge.”
Bilbo ridacchiò e si diede da fare a versare il tè nelle tazze.
Tauriel rimase quieta per un pò, poi chiese: “Credi davvero che siano ancora vivi?”
“Io credo...” Bilbo si sedette e prese la sua tazza, fingendosi occupatissimo nel compito di girarvi un cucchiaino di miele. “Credo che non posso proprio permettermi di credere che Thorin sia ancora vivo, almeno fino a che non lo vedrò con i miei occhi. Io non... non sopporterei di tornare a sperare solo per vedere quelle speranze infrangersi ancora una volta. Il mio cuore non reggerebbe.”
Tauriel strinse le dita attorno alla sua tazza e alzò gli occhi alle stelle che iniziavano a brillare su di loro. “Ti capisco. Vedere lo spirito di Kìli è stato meraviglioso e terribile al tempo stesso.”
“Hai detto di non averlo più visto da parecchi mesi, vero?”
“Sì. Temo per lui... cosa può aver causato la cessazione delle sue apparizioni dopo che l’ho visto quasi ogni giorno per settimane? Perchè non è più riuscito a farsi vedere?” L’Elfa scosse rapidamente il capo. “Non posso pensarci.”
“Mia cara, vorrei dirti che tutto andrà a finir bene... ma ho paura che, viste le circostanze, ti susciterei solo false speranze.”
“Lo so, eppure... devo credere che Kìli sia vivo. È vivo, e prima o poi ci ritroveremo.”
“Sono sicuro che sarà così,” rispose Bilbo, anche se a quel punto non si sentiva più sicuro di niente; e Tauriel gli rivolse un mesto sorriso, come se sapesse già quello che non riusciva a dirle.

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Ogni volta che si recava alle celle dove erano tenuti i Nani, Tauriel notava che l’arciere dai capelli neri, quello che aveva salvato dai ragni, la fissava.
Continuò la sua ronda cercando di non guardarlo a sua volta. Perchè la fissava? Non aveva mai visto una persona con i capelli rossi? No, non era per quello: uno dei suoi compagni aveva una folta barba rossa come il fuoco e capelli dello stesso colore. Forse non aveva mai visto una donna Elfo prima d’ora? Era possibile, ma in fondo lei non era l’unica donna tra le guardie.
Scosse la testa cercando di smettere di pensarci. In fin dei conti non importava perchè quel Nano la fissasse. Era soltanto un prigioniero.
Comunque era davvero alto per un Nano. Forse le arrivava addirittura alle spalle – anche se non era un altezza così strabiliante, visto che lei era piuttosto bassa come Elfo Silvano.
Ma perchè stava ancora pensando a lui? Tauriel se lo tolse dalla testa con determinazione e si concentrò sul suo compito. Pattugliare il palazzo non era particolarmente avvincente nè interessante come incarico ma, fintanto che Re Thranduil non avesse deciso di mandare un’altra pattuglia in ricognizione, lei doveva rimanere lì.
Più tardi quella stessa sera, quando tornò a transitare davanti alle celle in cui erano detenuti i Nani, l’arciere dai capelli neri le chiese come si chiamasse. Audace da parte sua, ella pensò, divertita ma stando bene attenta a non lasciarlo trasparire. “Capitano,” gli rispose semplicemente.
“Capitano. È un bel nome,” egli disse con un luccichio malizioso negli occhi. “Io sono Kìli.”
Tauriel continuò a camminare senza più dargli corda. Non c’era alcuna ragione di chiamarlo con un nome diverso da ‘prigioniero’.
La sera successiva lui le chiese: “Credi che avremo l’occasione di sgranchirci un pò le gambe, prima o poi?”
“Non sono io preposta alla vostra custodia. Dovrai chiederlo alle guardie incaricate di queste celle.”
La sera seguente le domandò: “Se non sei assegnata alla nostra custodia, perchè vieni qui notte dopo notte?”
“Io sorveglio il palazzo. Queste celle fanno parte del palazzo e dunque sono parte delle mie ronde.”
“Sono sorpreso che tu non sia là fuori ad ammazzare altri ragni giganti. Dopo averti vista in azione contro di loro, penso sia uno spreco farti semplicemente sorvegliare il palazzo.”
Tauriel non rispose niente, insospettita dalla possibilità che egli stesse cercando di estorcerle informazioni circa le loro pattuglie esterne.
La sera successiva però egli continuò il discorso con quel che le parve genuino interesse. “È stato davvero impressionante il modo in cui ti sei sbarazzata di quelle bestiacce. A proposito, grazie per avermi salvato la vita.”
Sarebbe stato scortese non rispondergli. “Stavo solo facendo il mio dovere.”
“Il tuo arco ha una linea molto interessante. Non è come gli archi comuni o quelli con una curva doppia.” E gesticolò per indicare le varie forme. “Non credo di aver mai visto un arco come il tuo prima d’ora.”
Lei esitò e fece per andarsene senza rispondergli; ma che male poteva fare parlare un pò di archi, in fin dei conti? “Si chiama ‘arco lunare’. È tradizionale del mio popolo.”
“E come fate a dargli quella forma? Ci vogliono più parti di legno o una sola?”
Finirono a conversare per circa mezz’ora, ma a Tauriel parve più tempo. Tra i membri della Guardia non mancavano certo gli appassionati di tiro con l’arco, ma la intrigava parlarne con qualcuno che proveniva da un ambiente tanto diverso dal suo. E anche se le piaceva il modo in cui gli occhi di Kìli si illuminavano e il sorriso che gli spuntava sul volto nel poter parlare di un argomento che lo appassionava, beh... questo non aveva niente a che fare con tutto il resto.
La sera successiva parlarono di caccia, e quella dopo ancora lui le raccontò di alcuni dei luoghi che aveva visitato.
Senza quasi che Tauriel se ne accorgesse, divenne un rituale notturno: lei finiva la sua ronda nel palazzo e poi si recava presso la cella di Kìli per parlare di qualsiasi argomento suscitasse il loro comune interesse. Naturalmente si guardava bene dal rivelargli troppe informazioni sul Reame Boscoso, così come era certa che lui censurasse a sua volta i suoi discorsi; ma nonostante questo, stranamente, stavano quasi diventando amici.
Una sera, circa tre settimane dopo l’arrivo dei Nani e mentre lei si apprestava a recarsi alla cella di Kìli, Legolas la chiamò. “Vorrei parlare con te, Tauriel.”
“Certamente, mellon.” Deviò dal suo percorso e camminarono in silenzio per alcuni minuti; era evidente che Legolas era turbato da qualcosa, perciò lei continuò a tacere dandogli il tempo di iniziare a parlare.
“Tauriel, ho notato che ultimamente trascorri molto tempo a conversare con uno dei Nani. Questo mi preoccupa.”
“Perchè mai? Ti assicuro che non gli ho rivelato niente di importante. Parliamo solo di argomenti insignificanti.”
“So bene che non ti lasceresti mai sfuggire qualcosa di significativo durante una semplice conversazione, mellon nin. Tuttavia, mi preoccupa il fatto che tu sia così amichevole con questo Nano.”
“Perchè?”
“I Nani sono egoisti, avidi, indegni di fiducia. Non voglio che uno di loro possa approfittarsi della tua amicizia.”
Tauriel si fermò e attese fino a che lui non si volse verso di lei. “Sono forse una sciocca ragazzina che si fa ingenuamente raggirare da chicchessia? Non mi conosci abbastanza, dunque, per ritenere che concederei la mia amicizia a qualcuno che non ne è degno?”
Egli ebbe la decenza di apparire imbarazzato. “No.”
“Allora fidati del fatto che ho l’abilità di saper riconoscere con chi posso o non posso parlare.”
Queste parole non parvero rassicurare affatto Legolas, che però non insistette oltre.
Tauriel lo osservò mentre si allontanava. Che gli era preso? La conosceva meglio di chiunque altro: da bambina gli stava sempre intorno, implorandolo di prestarle attenzione, ed erano stati inseparabili fino a che lei non era cresciuta abbastanza per unirsi al Corpo di Guardia. Perchè reagiva tanto negativamente al suo tentativo di instaurare un’amicizia con Kìli?
Scosse il capo e cercò di non pensarci. Senza dubbio avrebbero avuto occasione di riparlare della faccenda. Avrebbe avuto pazienza, avrebbe atteso che tornasse da lei: fare pressioni su Legolas perchè facesse qualsiasi cosa di solito conduceva all’effetto contrario.
Quando, più tardi, si fermò presso la cella di Kìli, la conversazione con Legolas indugiava ancora nella sua mente. Kìli giocherellava con una pietra che lei non aveva mai visto, divertendosi a lanciarla per aria e a riprenderla. Gli chiese cosa fosse e lui rispose con una storia così palesemente ridicola che Tauriel fece per andarsene senza dire un’altra parola; ma che gli era preso a tutti e due per comportarsi in modo tanto strano quella sera?
Con voce all’improvviso implorante, Kìli la richiamò e si decise a raccontarle una storia molto più verosimile: la pietra era un dono di sua madre, perchè ricordasse la sua promessa di tornare da lei.
Alle sue parole Tauriel si sentì pervadere dai sensi di colpa. Per quanto ancora Re Thranduil intendeva tenere i Nani prigionieri? Avevano sconfinato nel loro territorio, questo era vero, ma la sua minaccia di tenerli sottochiave per cent’anni le pareva francamente eccessiva. Eppure, Thranduil era un Re saggio e lei non pretendeva di capire le sottigliezze dei suoi pensieri. Di certo doveva avere qualcos’altro in mente.
Il flebile echeggiare dei festeggiamenti dalle sale superiori del palazzo la condusse, una sera, a tentare di spiegare a Kìli il significato profondamente spirituale che la luce delle stelle rivestiva per gli Elfi Silvani, e credette che lui capisse, perchè in cambio le parlò della bellezza di una Luna di Fuoco che una volta gli era capitato di vedere su un passo tra le montagne.
Le era sempre stato detto che tutto ciò che interessava ai Nani erano i metalli e le gemme preziose, che non facevano altro che contare le loro ricchezze chiusi nelle sale buie e cavernose come rospi nelle loro tane; ora sapeva che quelle voci erano false, perchè vedeva che Kìli nutriva per il mondo esterno lo stesso suo rispetto.
Gli occhi scuri del Nano luccicavano e le sue grandi mani gesticolavano ampiamente mentre parlava, e Tauriel ripensò alla volta in cui si era trovata in piedi sulle scogliere del lago Lungo e aveva immaginato di poter salire fino al cielo su un sentiero fatto di stelle; e pensò che, se ne avesse parlato con Kìli, lui avrebbe capito cosa voleva dire.
In quel momento, mentre lo ascoltava descrivere la luna che era sorta sul passo vicino a Dunland, Tauriel ebbe un’improvvisa e inquietante rivelazione. Non sentiva del semplice cameratismo o una provvisoria amicizia nei confronti di Kìli, come continuava a ripetersi: stava correndo il serio pericolo di innamorarsi di lui.

~
 
Partirono alla volta di Erebor tre giorni dopo l’arrivo dei Nani a Imladris. Nonostante il breve preavviso, Lord Elrond li fornì di pony per i Nani e Bilbo, un cavallo per Tauriel, e altri pony carichi di ogni genere di provviste.
Lainiel aveva convocato Bilbo e Tauriel la sera prima della partenza e aveva donato loro delle bellissime armature in pelle decorata, comode e agevoli nonchè a prova di frecce e spade.
Quella di Bilbo somigliava ad un gilet, era senza maniche e poteva essere indossato sotto al cappotto in modo da risultare invisibile. Ricordando che una volta aveva accennato davanti a Lainiel il fatto di essersi sentito ridicolo con l’ingombrante armatura che gli era stata data dal Governatore di Pontelagolungo, Bilbo si sentì commosso dalla generosità del Maestro. La cotta di mithril invece l’aveva lasciata a casa, perchè non riusciva nemmeno più a guardare il dono di Thorin senza ripensare a... a tutto quanto era accaduto.
La giacca di Tauriel era modellata sulla sua divisa di Bosco Atro, era stata realizzata in verde e marrone con un motivo di foglie di viti come decoro. Le piastre dell’armatura sulla parte che le copriva il ventre erano regolabili in modo da potersi facilmente adattare man mano che la sua gravidanza progrediva. Bilbo era sicuro che il Maestro dovesse aver iniziato a lavorare settimane prima, poichè sembrava impossibile che qualcuno fosse in grado di realizzare indumenti così belli e funzionali in soli tre giorni.
Tauriel era arrossita violentemente quando Lainiel le aveva dato l’armatura, ed era parsa quasi sull’orlo delle lacrime. “Non potrò mai ripagarti...”
“È un regalo, bambina. Se proprio vuoi ripagarmi in qualche modo, che ne dici di mantenere in vita il nobiluomo del quale mio nipote si è così scioccamente innamorato?” Dopodichè le aveva battuto un colpetto gentile sulla mano e aveva augurato loro buon viaggio.
In quel momento Bilbo notò Lindir che li sbirciava da dietro un portico, occhieggiando furtivamente Elrohir mentre i viaggiatori ricontrollavano un’ultima volta le rispettive cavalcature. “Lindir, tu non ci auguri buon viaggio?”, lo chiamò, avvertendo un certo malizioso impulso di creare un’occasione favorevole per quei due.
Lindir sembrò inorridito dal fatto che l’attenzione era stata spostata su di lui. “Certamente,” disse lasciando il suo nascondiglio e avvicinandosi al pony di Bilbo. “Solo che non volevo intralciarvi nei preparativi. Silo Anor bo men lìn, mastro Bilbo e Lady Tauriel, Lord Elladan, Lord Elrohir.”
Elladan gli rivolse un cenno superficiale del capo, ma pareva distratto da altri pensieri. E a giudicare dall’occhiata pensosa che lanciava a Tauriel ogni volta che gli dava le spalle, Bilbo credeva di sapere perfettamente che genere di pensieri fossero.
“Ti ringrazio, Lindir,” disse Elrohir con un inchino che sembrò un pò più profondo di quanto la semplice cortesia richiedesse. Ci fu un significativo contatto visivo e i due Elfi parvero sul punto di avere un momento di intimità, perciò Bilbo guidò discretamente Tauriel da un’altra parte prendendola per un gomito. Per fortuna non era tanto più alta di lui, così non dovette alzarsi sulle punte dei piedi per arrivarci.
“Cosa c’è?” gli chiese lei quando furono a distanza di sicurezza.
“Volevo solo concedere a Elrohir e Lindir un pò di privacy.”
L’Elfa lo guardò divertita. “Tu sei un vero ruffiano, mellon nin.”
Bilbo finse di spazzolarsi via della polvere dal cappotto. “Può darsi. E allora?”
“Credo sia molto dolce.”
Lo Hobbit ebbe l’impressione che, se Tauriel fosse stata meno riservata sulle proprie emozioni, in quel momento l’avrebbe abbracciato.
“È bello vedere che trai ancora piacere da cose come questa.”
“Sì, beh...” Bilbo si schiarì la gola. “Ammetto che ero parecchio abbattuto quando sei arrivata a Casa Baggins. Ti ho mai detto quanto mi abbia reso felice il fatto che tu abbia pensato di rivolgerti a me per cercare aiuto, anche se ci eravamo conosciuti solo per una manciata di giorni?”
“Una manciata di giorni nel bel mezzo di una guerra possono creare legami più forti di anni trascorsi in tempo di pace. E poi, tu ci hai coperti quando io e Kìli avevamo bisogno di un pò di tempo da soli. Sapevo che, se c’era qualcuno che potesse capirmi, quello eri proprio tu.”
Bilbo le rivolse un sorriso triste. “Era bello vedere ancora qualcosa di puro e speranzoso, dopo tutto quel che era successo con... con Thorin.”
“Bilbo,” disse piano Tauriel. “Sono certa che, se Thorin è vivo, si pente amaramente di ciò che ti ha fatto quel giorno.”
Lo Hobbit deglutì nel tentativo di sciogliere il groppo che sentiva in gola. “Non posso ripensarci adesso. Mi dispiace.”
“Ma certo.” L’Elfa gli pose una mano sulla spalla. “Se mai sentissi il bisogno di parlarne, sappi che io ti ascolterò.”
“Grazie, mia cara.” Si sorrisero a vicenda con una certa tristezza, una bolla di quiete nell’agitazione che regnava nel cortile, fino a che Tauriel non venne chiamata per qualcosa che abbisognava il suo cavallo.
Rimasto solo, Bilbo si mise una mano nella tasca del gilet e fece scorrere il pollice sulla curva del suo anello. La familiare sensazione che l’oggetto gli trasmise lo aiutò a dissipare l’ansia che provava al pensiero di rivedere Thorin dopo la sua reazione quando gli aveva confessato di aver rubato l’Archengemma.
Cercò di non ripensare a quanto gli era sembrato pericolosamente vicino il terreno mentre spenzolava dai bastioni di Erebor: Thorin l’aveva afferrato per il bavero del cappotto e la sua presa era stata la sola cosa a separarlo da una caduta mortale. Il freddo luccichio di rabbia e di odio nello sguardo del Nano, che lo scuoteva come un gatto che gioca con un topo... era questo che Bilbo non riusciva a dimenticare.
Scosse la testa con fermezza e raddrizzò le spalle. Non era il momento di indugiare su quegli eventi. Ci avrebbe pensato più tardi; per ora, aveva del lavoro da fare.

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(glossario)
Goheno nìn –> mi dispiace
Silo Anor bo men lìn –> possa il sole risplendere sul tuo cammino

(note dell’autrice) Ho deciso di usare l’età canon di Aragorn così come ci viene presentata nei libri piuttosto che nei film; perciò ha 10 anni durante gli eventi narrati ne Lo Hobbit, e non 20 come nei film.
Per quanto riguarda la terminologia degli archi, l’arco di Tauriel sembra essere un arco riflesso invece che un arco ricurvo. Ho usato i termini ‘arco lunare’ per quello riflesso e ‘arco a curva doppia’ per quello ricurvo, perchè le terminologie moderne mi sembravano incongruenti con il tono della storia.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11: Il prigioniero ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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Fìli aprì lentamente gli occhi. Se li sentiva impastati, come pieni di sabbia, e la testa gli doleva come se avesse bevuto troppa birra la sera prima.
Guardò in giro con la vista appannata, cercando di capire dove si trovasse. La superficie su cui era disteso era più soffice di un umile giaciglio da campo; dal punto in cui si trovava vedeva inoltre grigie pareti di pietra senza alcun ornamento, e senza porte nè finestre.
Si sentiva terribilmente debole e gli occorse uno sforzo supremo per girare la testa verso la direzione da cui proveniva una specie di rantolo affannoso: Thorin giaceva su una branda non lontano da lui, la pelle pallida, quasi come di cera, dello stesso colore delle bende che gli fasciavano la testa e il petto.
Zio Thorin era vivo! Ma dov’era Kìli?
Fìli cercò di sollevarsi sui gomiti, ma lo sforzo fu sufficiente a rispedirlo nel mondo dei sogni. Restò sospeso tra la veglia e l’incoscienza per parecchi giorni, forse per settimane; ogni volta che si svegliava non aveva la minima idea di quanto tempo fosse rimasto incosciente. Ogni tanto era presente un guaritore nella stanza ma non era affatto come Oin, tutto premure e consigli benevoli: questo lo osservava come fosse stato un insetto e non rispondeva mai alle sue domande.
Dov’è mio fratello? Che cos’ha zio Thorin? Cos’è successo dopo la battaglia? Chi è al comando? Dov’è mio fratello, dov’è Kìli? Rispondi, maledetto!
Tutte le volte che Fìli diventava troppo esigente con le sue domande o mostrava segni di recupero abbastanza consistenti da potersi alzare dal letto, il guaritore chiamava una guardia e gli ordinava di tenerlo fermo mentre lui lo costringeva a bere una fiala piena di un liquido misterioso: di qualunque sostanza si trattasse lo metteva fuori combattimento e, al risveglio, Fìli si sentiva letargico e confuso.
Per quanto poco etici i suoi modi fossero, il guaritore accudiva Thorin giorno dopo giorno, gli cambiava le fasciature e lo alimentava con del brodo arricchito con corteccia di salice se aveva la febbre alta. Chiunque fosse a tenerli in quella stanza, a quanto pareva li voleva comunque vivi entrambi. Per quale scopo, però? Le guardie parlavano con l’accento dei Colli  Ferrosi, ma ciò non spiegava perchè li tenessero prigionieri – perchè era chiaro che erano loro prigionieri e non semplici pazienti. L’unica porta della stanza era sempre chiusa a chiave e sorvegliata a vista.
Dov’era Kìli? Fìli non voleva nemmeno immaginare perchè suo fratello non fosse con loro.
Cos’era successo dopo la battaglia? Chi era al comando di Erebor? Fìli non credeva che fosse il loro cugino Dàin, nonostante l’accento delle guardie. Daìn era notoriamente un Nano rispettabile, anche se Thorin aveva avuto a che ridire con lui quando si era rifiutato di appoggiare l’impresa della Compagnia; ma di certo non avrebbe mai permesso che venisse riservato loro un simile trattamento, qualora si fosse trovato lui al comando.
E così aveva continuato a credere fino a che Dàin in persona non era entrato nella stanza in cui erano imprigionati. Fìli si stava ancora riprendendo dall’ennesima pozione somministratagli dal guaritore, il che si rivelò una circostanza fortunata perchè il suo primo impulso era stato quello di rizzarsi a sedere e domandare spiegazioni direttamente a Dàin; ma il suo corpo rispondeva con tanta lentezza ai suoi comandi che non riuscì a muovere nemmeno un muscolo. In quel momento si accorse che Daìn, evidentemente pensando che lui non potesse udirli, stava parlando col guaritore.
Fìli sollevò le palpebre appena di pochi millimetri e osservò i due attraverso le ciglia. Notò che Daìn portava qualcosa sul petto che sembrava brillare di luce propria, e rimase sconvolto quanto capì che si trattava nientemeno che dell’Archengemma. Il Gioiello del Re! Nessuno aveva il diritto di portarlo se non il legittimo Re di Erebor. Ed essendo Thorin ancora troppo malandato per governare, la corona sarebbe dovuta passare a Fìli, il suo erede diretto, non a Dàin.
“Le ferite di Thorin Scudodiquercia sono ormai sulla via della guarigione, mio signore,” stava dicendo il guaritore. “Fisicamente, egli si è quasi ristabilito dal cimento.”
Fìli avrebbe voluto chiedergli perchè, se che le cose stavano così, Thorin non si era ancora svegliato; ma tenne la bocca chiusa, volendo raccogliere quante più informazioni possibili fintanto che quei due pensavano che era ancora incosciente.
“Le sue condizioni mentali, tuttavia...” Il guaritore esitò.
“Soffre ancora della malattia dell’oro?” chiese Dàin.
“Mio signore, temo che in un certo senso ne soffrirà sempre. Farò quanto è in mio potere per mitigare gli effetti che la malattia ha avuto su Thorin e sui suoi nipoti. Tuttavia, dobbiamo prepararci all’eventualità che le loro condizioni siano permanenti.”
Dàin pensava che tutti loro soffrissero della malattia dell’oro? Fìli sapeva, anche se era doloroso ammetterlo, che suo zio era stato affetto dalla pazzia indotta dalla malattia prima della battaglia; se Thorin fosse stato sano di mente non avrebbe mai minacciato di gettare Bilbo giù dai bastioni di Erebor, a dispetto dell’apparente tradimento dello Hobbit. Ma era sicuro che nè lui nè Kìli erano rimasti affetti dalla malattia; di certo, se glielo avesse detto, Dàin si sarebbe convinto.
“Cugino Dàin...” La sua voce era così rasposa che stentò a riconoscerla.
“Cugino Fìli.” Dàin gli pose una mano sulla spalla e gli sorrise con sollecitudine. “È bello vederti sveglio, finalmente! Hai finito di fare il dormiglione, eh?”
“Il guaritore–” Fìli s’interruppe per un attacco di tosse; Dàin gli battè delle pacche sulla schiena, il che lo fece tossire ancora di più.
“Skalgar ha lavorato giorno e notte per mantenervi in vita. Senza il suo aiuto ho paura che nessuno di voi ce l’avrebbe fatta, ragazzo.”
Il guaritore guardò Fìli con un caldo sorriso, ma con due occhi da rettile. I suoi capelli candidi come la neve erano intrecciati nel modo proprio dei guaritori e il suo freddo sguardo dava l’idea di una falsa gentilezza. “Era mio dovere nonchè mio piacere, mio signore. Ora però cerca di non stancarti troppo, Fìli: te la sei vista molto, ma molto brutta.”
“Sto bene.” Fìli si issò faticosamente sui gomiti. “Dov’è mio fratello?”
“Le condizioni di tuo fratello erano piuttosto serie,” rispose Skalgar, anche se la domanda era stata rivolta a Dàin. “Lo abbiamo messo in una stanza privata per la sua sicurezza.”
Fìli sospirò sollevato alla notizia che Kìli era ancora vivo. “Posso vederlo?”
“Temo che non sia una buona idea,” rispose ancora il guaritore.
“Cugino Dàin, vedi bene che mi sento meglio. Ti prego, lascia che veda mio fratello.”
Dàin parve momentaneamente in conflitto. Mise una mano sull’Archengemma e la accarezzò come a volerne trarre conforto: il dubbio svanì dal suo sguardo e Fìli avrebbe giurato di aver visto una sfumatura sovrannaturale negli occhi blu del cugino. “Skalgar conosce l’arte della guarigione così come io conosco quella della guerra. Se dice che è necessario per te stare lontano da tuo fratello, confido che sappia quel che sta facendo.”
“Ti supplico, cugino,” lo implorò Fìli mentre l’altro si allontanava verso la porta. “Devi lasciarmi vedere mio fratello!”
“Non finchè Skalgar non dirà che sei pronto. Mi dispiace, ragazzo, ma presto capirai che è per il tuo bene.” La pesante porta di pietra si richiuse e Fìli rimase solo con il guaritore e una delle guardie.
“Non è stata una mossa intelligente,” disse compiaciuto il guaritore. “Devi imparare a collaborare, o sarà peggio per te.”
Ciò detto, ordinò alla guardia di tenerlo fermo e gli rovesciò in gola l’ennesima fiala.
Quando Fìli si destò, scoprì che era stato spostato in una cella vera e propria, con le sbarre alla porta come nelle prigioni di Bosco Atro. Non c’era più traccia di Thorin e la cella davanti alla sua era vuota. Dov’era Thorin? Che stava accadendo a Erebor?
Gridare fino a restare rauco non produsse il minimo risultato: non venne nessuno, neanche per dirgli di tacere. Fìli si sedette sul letto – un semplice sacco di paglia in una rientranza del muro – e studiò la situazione.
Dàin sapeva dove erano imprigionati ed era convinto che lui, Kìli e Thorin fossero tutti affetti dalla malattia dell’oro. Era possibile che si trovasse sotto l’influenza del guaritore, di quello Skalgar? Sembrava la sola ipotesi plausibile.
Dàin aveva detto inoltre che avrebbe potuto vedere suo fratello quando Skalgar lo avrebbe ritenuto pronto, e Fìli si aggrappò a quelle parole come prova che Kìli era ancora vivo. Il fatto che tutti loro fossero vivi gli sembrava inoltre la prova che il controllo di Skalgar su Dàin non era totale. Forse il guaritore poteva convincere Dàin che tutti e tre fossero affetti dalla malattia dell’oro e che dovevano essere imprigionati per la loro sicurezza, ma non avrebbe mai convinto un Nano rispettabile a far del male ai suoi stessi familiari.
Ciò voleva dire che avevano tempo. Quel tanto che bastava perchè Fìli escogitasse un sistema per uscire da quella cella. Con questo pensiero si mise a girare per la stanza alla ricerca di una via di fuga.
L’ispezione fu presto fatta. Le sbarre della porta erano fatte di solido acciaio nanico, non di quella robaccia decorativa di Bosco Atro che certamente stava in piedi solo grazie a qualche incantesimo elfico. Non c’era possibilità di fuga da lì. Il foro preposto ai bisogni corporali nel pavimento era troppo piccolo per infilarcisi dentro. Il giaciglio, infine, era scavato direttamente nella parete di roccia.
Fìli tornò a sedersi, frustrato e preoccupato all’idea di non poter fuggire con i propri mezzi. Non gli restava che aspettare e sperare che la Compagnia sarebbe giunta a salvarlo.
A meno che non fossero stati presi prigionieri anche loro. O peggio, fossero periti in battaglia...
Fìli scosse forte il capo. Doveva scuotersi di dosso quelle paure se non voleva che lo sopraffacessero. No, i membri della Compagnia stavano benissimo e nessuno era caduto in battaglia. Non avrebbe lasciato che la sua mente la pensasse diversamente.
E se tutti credessero che lui, Thorin e Kìli fossero morti? Fìli si prese la testa tra le mani al pensiero che dei corvi dovevano certamente essere stati mandati a Ered Luin con notizie della battaglia. Probabilmente anche la loro madre li riteneva morti.
Doveva uscire da lì, o almeno far sapere in qualche modo a sua madre che erano ancora vivi. Ella aveva già dovuto affrontare abbastanza dolore nella vita, e Fìli non sopportava l’idea che credesse che i suoi figli e l’unico fratello rimastole fossero morti.

~
 
I giorni passavano e Fìli non aveva ancora escogitato nessun piano di fuga. Le sbarre erano solide e non c’era modo di scavare tunnel attraverso le mura naniche. Vi erano in tutto sei celle in quell’area, tre per ciascun lato del corridoio, alla cui estremità stava un portone chiuso a chiave. Fìli non sapeva esattamente in quale parte di Erebor si trovasse, ma era sicuro che lo avessero posto il più in profondità possibile nel ventre della montagna.
Le guardie gli portavano cibo e acqua due volte al giorno – niente di raffinato ma se non altro era nutriente. Probabilmente doveva essere grato per il fatto che non lo nutrivano con gli avanzi di cucina. Dàin li voleva vivi e a quanto pareva gli stavano a cuore le condizioni in cui venivano tenuti: forse, la prossima volta che fosse tornato da lui, avrebbe potuto parlargli di nuovo facendo leva sulla sua lealtà per la famiglia.
Ma Dàin non tornò più.
Sembravano esserci due guardie assegnate alla sua sorveglianza, o per lo meno erano sempre i soliti due a portargli il cibo. Quello di giorno parlava con accento dei Colli Ferrosi e aveva un’aria violenta e ostile: Fìli lo trattava con cautela, perchè non sembrava aspettare altro che una scusa qualsiasi per rifilargli una scarica di legnate.
La guardia di notte era una donna, con la pelle scura e i capelli castani legati in una moltitudine di trecce sottili. Aveva un residuo di accento nella parlata e Fìli presumeva venisse da Haradrim: forse apparteneva ai clan stabilitisi tempo prima nelle montagne più a sud. Gli parlava con vivacità ed efficiente cortesia e aveva l’atteggiamento del guerriero che ha visto molte battaglie.
Era chiaro che, se voleva farsene amica una, la guardia di Haradrim era la sua opzione migliore. Non sembrava nutrire particolare fedeltà per il guaritore, nè lo guardava come se cercasse solo una scusa per ammazzarlo; e poi Fìli ci aveva sempre saputo fare con le donne, modestamente parlando.
I suoi primi tentativi di abbordaggio furono accolti con un sopracciglio alzato e una piega divertita a un angolo della bocca: è un inizio, pensò Fìli, e raddoppiò i suoi sforzi come meglio poteva ogni volta che lei era di turno.
Dopo alcuni giorni di queste manovre, lei gli disse: “Sono molto lusingata dai tuoi tentativi di conquistarmi, ma purtroppo devo dirti che sono destinati al fallimento. Non mi sollazzerei con te più di quanto non lo farei con una capra.” Malgrado la durezza delle sue parole, la sua voce non era scortese.
“Perchè no? Penso di essere un pò più attraente di una capra. E sono anche un conversatore migliore,” rispose Fìli con un sorriso accattivante.
“Perchè preferisco l’amore delle donne. Pensi davvero che ai piani alti siano tanto fessi da metterti come guardiano una persona troppo sensibile al tuo fascino?”
Fìli era quasi certo di aver ricevuto un complimento. “Quindi, se io fossi una donna, ci staresti?”
“Forse... in mancanza d’altro.” E la Nana ridacchiò al vedere il suo sorriso lusingato spegnersi.
“Ehi – per tua informazione, le donne non riescono a resistermi! Tu sei l’eccezione che conferma la regola, suppongo.”
“Certo, pensala pure così se ti fa stare meglio,” ribattè lei allontanandosi.
“Se fossi stato una donna nemmeno tu mi avresti resistito, te l’assicuro!” replicò Fìli, sorridendo quando udì la sua risata.
D’accordo, forse non sarebbe riuscito a conquistarla nel modo più convenzionale, ma il solo fatto che lei gli parlasse e ridesse ai suoi scherzi era un buon segno. Significava che lo vedeva come una persona e non come un prigioniero qualsiasi. Si poteva lavorarci su.
“Come ti chiami?” le chiese la sera seguente.
“Che importanza ha?”
“Beh, se vuoi posso inventarmi un nome, ma non penso che ti piacerebbe.”
Sembrando divertita suo malgrado, la donna rispose: “Tofa.”
“Io sono Fìli, figlio di Dìs della stirpe di Durin e nipote di Thorin Scudodiquercia, al tuo servizio,” disse Fìli con un inchino.
La guardia cambiò espressione. “Disonori i morti con le tue menzogne. Perfino una straniera come me sa che i nipoti di Thorin Scudodiquercia sono caduti con lui durante la grande battaglia.”
“Non sto mentendo. Ti giuro che sono Fìli, figlio di Dìs e Vìli, imprigionato qui ingiustamente. Dàin è un usurpatore. Ha preso il trono di Erebor con l’inganno e in qualche modo ha convinto tutti che siamo morti.”
Tofa sembrava ancora scettica. “Chiunque può proclamarsi principe...”
“Giuro sul martello di Mahal e sulla sua incudine che dico il vero. Possa il pavimento crollarmi sotto ai piedi se mento. Devi aiutarmi a fuggire e a salvare mio zio Thorin e mio fratello Kìli.”
Gli occhi della donna si spalancarono e il suo sguardo corse ai piedi di Fìli, come se si aspettase di vedere veramente il pavimento aprirsi sotto di lui. “Beh,” disse dopo un momento, “anche se sei davvero chi dici di essere, la cosa non mi riguarda. Il denaro di Re Dàin riempie la mia bisaccia e perciò è a lui che va la mia lealtà.”
Fìli s’irritò alle sue parole. “Il denaro è l’unica cosa che ti interessa? Non hai dunque onore, visto che la tua lealtà può essere comprata così facilmente?”
“Io ho onore, principino,” replicò Tofa incrociando le braccia e scoccandogli una dura occhiata. “Tu forse pensi che un mercenario non abbia lealtà per niente e nessuno, ma ti sbagli. Un buon mercenario è leale al suo contratto e a chi lo ha stipulato; senza questi due elementi, non siamo altro che i briganti e i ladri che tu ci ritieni.”
Detto questo, se ne andò sbattendosi la porta alle spalle.
Fìli si strofinò il viso con le mani. Mahal, che idiota era stato. Desiderò che Balin fosse lì: lui sarebbe riuscito a portare la guardia dalla loro parte in un batter d’occhio. Sarebbe stato fortunato se lei gli avrebbe parlato ancora. Poteva già dire addio alla sua unica possibilità di fuggire da quel posto.
Cercò per l’ennesima volta di scacciare le persistenti preoccupazioni su suo zio e suo fratello. Se ci pensava troppo rischiava di impazzire. Dàin lo aveva tenuto in vita per tutto quel tempo: doveva esserci ancora del buono in lui se non si arrischiava a far del male ai suoi stessi familiari. Thorin e Kìli stavano bene, doveva essere così.
“Tieni duro, fratellino,” sussurrò Fìli. “Ci tirerò fuori da qui, lo giuro.” In qualche modo...

~
 
La sera seguente Tofa gli portò da mangiare e si voltò per andarsene senza dire una parola.
Fìli balzò in piedi e disse precipitosamente: “Tofa, ti chiedo scusa. Non avrei dovuto dire che la tua lealtà può essere comprata.”
Lei incrociò le braccia sul petto e si girò verso di lui, e a Fìli parve che non fosse più arrabbiata come la sera prima. “Sono una mercenaria: tecnicamente parlando, la mia lealtà può essere comprata. Solo... non quando sono già sotto contratto.”
C’era un lieve sorriso sulle sue labbra quando finì di parlare e Fìli si sentì enormemente sollevato. A quanto pareva non si era bruciato tutte le sue possibilità con lei. “Parlerai ancora con me? Per favore? L’altra guardia non mi dice mai una parola – e in tutta onestà ho paura di lui – e non ho altro da fare a parte dormire e fissare il soffitto.”
La Nana lo osservò con gli occhi socchiusi, poi annuì brevemente. “Sta bene.”
“Ricominciamo da capo. Io sono Fìli delle Montagne Blu, al tuo servizio.”
“Tofa di nessun posto in particolare. Al tuo servizio, purchè ciò non violi il mio contratto.” E sollevò un sopracciglio con un’aria divertita.
Fìli rise apertamente. “Mi spiace aver messo in discussione il tuo onore prima,” ripetè con un’espressione di rammarico. “Capisco che tu sia leale al tuo contraente.”
“Sento che è in arrivo un ‘però’.”
Fìli tacque, riflettendo se fosse il caso di riprovare a portarla dalla sua parte così presto; lei gli fece un gesto impaziente con la mano.
“Tofa, questa cosa è molto più importante di quanto tu pensi. Dàin sta tenendo prigioniero il legittimo erede di Durin e si è impadronito dell’Archengemma. Se recuperasse la pietra, Thorin potrebbe comandare le sette armate dei Re dei Nani e riunire il nostro popolo...” Si interruppe quando vide che lei iniziava a ridacchiare. “Che c’è?”
“Le sette armate dei Re dei Nani,” disse Tofa tra una risata e l’altra. “Come se quei regni esistessero ancora! Voi gente del nord non avete proprio idea di cosa accade al di fuori del vostro piccolo mondo.”
“Che vuoi dire?”
“Non c’è alcun regno nanico al di fuori di quelli del nord, non più. I Nani del sud si sono dispersi come foglie al vento, e quanto a quelli dell’est... nessuno sa cosa ne sia stato di loro.”
Non poteva essere vero. Esistevano sette regni dei Nani, questo lo sapevano tutti. Ma se non era così... allora i Colli Ferrosi, Erebor e gli altri clan insediati sulle Montagne Blu erano tutto ciò che restava dei loro antichi regni. Fìli sentì una scossa gelida lungo la spina dorsale e rabbrividì a quel pensiero. “Cos’è successo alla tua gente?”
“Guerra, per lo più. Contro gli Orchi, gli Uomini, tra di noi...” La Nana sospirò. “Non importa. Io sarò fedele a Dàin almeno fino alla scadenza del mio contratto, e tu non sfuggirai alla mia sorveglianza. Tra l’altro, anche se riuscissi a fuggire, gli uomini di Skalgar ti darebbero la caccia.”
“Gli uomini di Skalgar.” Fìli aggrottò la fronte a quelle parole. “Non gli uomini di Dàin?”
Lei si strinse nelle spalle. “Tutti quelli al di fuori dei saloni reali pensano che sia Dàin al comando, ma noi che stiamo all’interno sappiamo come stanno le cose: è Skalgar ad avere il potere in mano.”
“Ma chi è? Da dove è venuto? Come ha fatto a prendere il potere?”
“Non lo so e non sono tanto fessa da chiederlo. Nè lo sarai tu, se ci tieni alla pelle.”
E questo fu tutto ciò che Tofa ebbe da dire sulla materia.
Nelle sere successive Fìli apprese che era giunta a Erebor seguendo le voci che favoleggiavano dell’oro che scorreva a fiumi nella montagna; invece, aveva trovato una città schiacciata dal peso delle tasse mentre i pochi arricchitisi vivevano da re. Fu un altro tassello a sostegno del fatto che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato in Dàin: Fìli aveva sempre sentito dire che era un pò uno sbruffone, ma di certo non un tiranno.
La Nana scosse il capo con un sospiro. “Speravo di potermi sistemare qui per qualche anno, ma adesso penso che me ne andrò non appena la neve si sarà sciolta sui passi in montagna. Forse andrò a ovest, verso le Montagne Blu.”
“È da lì che veniamo noi. Io e mio fratello Kìli. È un bel posto, anche se non c’è attività mineraria di cui valga la pena parlare. Ma la gente è amichevole, almeno per la maggior parte.” Fìli si morse un labbro, soppesando i rischi sul chiederle o meno notizie di Kìli. “Hai visto per caso mio fratello? Come sta? Voglio solo sapere se sta bene, solo questo.”
“Mi dispiace, ma non lo so.”
“Come puoi non saperlo? Non è qui anche lui?”
“Forse non dovrei dirtelo, ma... non c’è nessun altro prigioniero in questa sezione.”
Fìli si aggrappò alle sbarre, desiderando avere la forza necessaria per divergerle dal suolo. “Devi scoprire dove si trova.”
“Ti ho già detto che non ti aiuterò a scappare. Non m’importa se tuo zio è l’erede al trono di Erebor–”
“No, non... non si tratta di questo. Tofa, ti prego. Se tu avessi un fratello, riusciresti a startene in disparte senza sapere almeno se sta bene?”
Un lampo di emozione attraversò il viso della donna, che distolse lo sguardo. “No,” rispose piano. Quando tornò a guardarlo, si era ricomposta. “Vedrò di scoprire se sta bene. Solo questo però, niente di più.”
“È tutto ciò che ti chiedo. Solo di farmi sapere come sta. Grazie.”
“Darò un’occhiata in giro dopo il mio turno, all’alba, e domani sera ti farò sapere cosa ho scoperto.”
Fìli attese con impazienza fino alla sera seguente: le ore sembravano non passare mai. Quando lei tornò, balzò subito in piedi. “L’hai trovato?”
“Non ancora. Devi essere paziente.” Fu la stessa risposta che gli diede per molte sere di seguito. “Non posso essere troppo ovvia in questa cosa o finirò nella cella accanto alla tua, se non peggio.”
Fìli cercò di reprimere la frustrazione. Notte dopo notte aspettava il ritorno di Tofa; i giorni si trascinavano tutti uguali.
Finalmente, una sera in cui aveva quasi deciso di non chiederle nulla, lei disse: “Tuo fratello è vivo.”
Il cuore di Fìli si mise a battere più forte a quella notizia, ma notò una certa durezza negli occhi di lei che mitigò di molto la sua gioia. “Però? C’è dell’altro, lo vedo. Cosa?”
“Si trova nelle Sale di Guarigione. La guardia con cui ho parlato dice che è incosciente per gran parte del tempo, e quando non lo è sembra...”
“Sembra come? Tofa, come sembra?”
“...Non proprio in sè.” Ella parve riluttante ad aggiungere altro.
“Che vuoi dire? Spiegami.”
“Parla con persone che non sono lì presenti e non sembra rendersi conto del mondo che lo circonda. Mi dispiace, ma a quel che ho sentito pare che tuo fratello abbia perso la ragione.”
“No.” Fìli scosse il capo e prese a tremare. “No. Kìli ha sempre la testa tra le nuvole, è vero, ma non ha mai dato segno di follia.”
La vode di lei risuonò soprendentemente piena di gentilezza. “Se ci fossero stati segnali, pensi che avresti saputo riconoscerli?”
“Sì. Mio nonno e il mio bisnonno, loro...” Fìli chiuse gli occhi e delgutì per sciogliere il groppo che gli serrava la gola. “Loro sono impazziti entrambi. Credimi, non avrei mai ignorato i segnali, soprattutto in mio fratello. No, dev’esserci un’altra spiegazione per il suo comportamento. Il guaritore mi drogava per tenermi tranquillo, forse sta drogando anche lui.”
“È possibile,” disse lei lentamente.
“Tofa, so che hai detto che non mi avresti aiutato a scappare, ma vedi bene anche tu che Kìli ha bisogno di aiuto. E se fosse tuo fratello ad essere prigioniero?”
Quel lampo di emozione attraversò di nuovo i lineamenti di lei, seguito però dalla collera. “Non cercare di giocarti la carta dei sentimenti. Ti ho portato le notizie che volevi ed è anche più di quel che avrei dovuto fare.” Cercando poi di controllarsi, aggiunse: “Mi dispiace per tuo fratello, Fìli. Per quello che vale, la guardia dice che almeno fisicamente è in salute.” E se ne andò, chiudendosi piano la porta alle spalle.
Fìli si gettò sul letto coprendosi gli occhi con le mani. Kìli, che parlava da solo come un folle...
Fìli era stato un bambino tranquillo e buon osservatore, abilissimo nel trovare posti in cui nascondersi. Origliava spesso le conversazioni tra sua madre e suo zio: nelle sere buone parlavano dei vecchi tempi e della loro gioventù, di Erebor, del loro fratello Frerin quando era ancora vivo.
Nelle sere cattive invece, quando l’inverno stringeva la morsa sulla loro casetta, Thorin e Dìs ricordavano la follia di Thror, preda della malattia dell’oro, e la disastrosa ostinatezza di Thrain nel rifiutarsi di accettare la realtà. Il loro timore più grande, mentre parlavano nelle buie ore che precedevano l’alba, era che la stirpe di Durin fosse maledetta.
Forse lo siamo davvero, pensò Fìli.
No. No, la colpa era dei dannati intrugli di quel guaritore. Se fosse riuscito a portarlo fuori da lì, Kìli sarebbe stato bene in men che non si dica.

~
 
Il rumore del portone che conduceva al blocco delle celle svegliò Fìli da un sonno agitato.
Battè le palpebre al buio, ma anche per un Nano la totale assenza di luce era impenetrabile. Chiunque avesse aperto la porta non aveva una lampada con sè, come di solito l’avevano le guardie: ciò era un fatto abbastanza fuori dall’ordinario da scacciare ogni residuo di stordimento dalla sua mente.
Si udì il flebile rumore della porta che veniva richiusa piano piano e poi qualcuno sussurrò: “Fìli?”
Dopo settimane di prigionia, Fìli era talmente abituato alla cella da non inciampare da nessuna parte quando si precipitò alle sbarre. “Sì! Sì, sono io! Chi c’è?”
“Ori.” Si udì un altro rumore metallico e poi Fìli venne quasi accecato dalla luce di una lanterna puntata su di lui. “Sei tu! Oh, ero così preoccupato all’idea che il prigioniero tenuto qui fosse qualcun altro, un volgare assassino o qualcosa del genere...”
“Ori! Piantala di blaterare e dimmi cosa sta succedendo! Dov’è il resto della Compagnia? Avete trovato anche Kìli? Siete venuti a liberarci?”
Ori trasalì e si strinse nelle spalle. “Ehm, no, mi dispiace, questo non è un salvataggio. Sono solo io, mi spiace. Il mio scopo era scoprire dove ti trovassi esattamente cosicchè Balin e Dwalin possano preparare un piano. Non eravamo nemmeno sicuri che tu fossi in quest’ala, ci sembrava semplicemente il posto più probabile.”
“Va bene, Ori, ho capito,” rispose Fìli anche se la delusione gli faceva quasi male fisicamente. “Ma perchè non hanno mandato tuo fratello? È Nori il ricognitore.”
“È in viaggio verso le Montagne Blu con Bofur.”
“Cosa? Perchè?”
“Abbiamo scoperto che Kìli si trova nelle Sale di Guarigione e Balin ha mandato Nori e Bofur a prendere la Principessa Dìs per portarla qui.”
“Che cosa? Ma perchè– oh, lasciamo stare. Avete trovato Thorin? Non l’ho più visto da quando mi hanno spostato qui.”
“No, non ancora.” Ori si guardò alle spalle con una certa apprensione. “Farei meglio ad andarmene adesso. Ho pronto un diversivo che mi ha insegnato Nori, ma non si può dire quando tornerà la guardia.”
Fìli si accigliò e cercò di capire che ora fosse. Aveva l’impressione che fosse all’incirca l’alba, il che voleva dire che la guardia di turno era Tofa o l’altra, quella che aveva sempre l’aria di volerlo ammazzare a bastonate. Era certo che Tofa non avrebbe fatto niente di peggio che arrestare il suo amico, ma sicuramente non era il caso che s’imbattesse nell’altro. “Sì, dovresti andare. Fai attenzione.”
Ori annuì con aria eccitata nonostante la situazione. “Non preoccuparti, ti tireremo fuori da qui in men che non si di–”
In quel momento si udirono delle voci nel corridoio esterno; il cuore di Fìli saltò un battito. “Ori, nasconditi!”
Ma non c’era nessuno posto a parte le celle in cui nascondersi. Ori rimase immobile come un coniglio in trappola mentre la porta si apriva, e Tofa e l’altra guardia entrarono discutendo tra loro.
“Ti dico che quegli scudi erano stati sistemati giusto oggi pomeriggio. È impossibile che siano caduti da soli. Qualcuno–” Tofa smise bruscamente di parlare e sia lei che l’altro Nano si accorsero di Ori.
“Cos’è questo? Un tentativo di fuga?” L’altra guardia sguainò la spada e avanzò con aria minacciosa verso Ori. “Skalgar non sarà felice di sapere che qualcuno è riuscito a entrare nelle prigioni; ma forse, se gli porto la tua testa, sarà più amichevole.” E così dicendo gli puntò la spada appena sotto il mento; Ori si lasciò sfuggire un verso terrorizzato.
“Grimròl, aspetta.” Tofa gli mise una mano sul braccio. “Skalgar vorrà interrogarlo. Non puoi ucciderlo così.”
“Non ho paura di voi!” sbraitò Ori. “Tenete prigioniero il legittimo Re di Erebor come la feccia che siete!”
Grimròl ringhiò e rafforzò la presa sull’elsa della sua spada, anche se Tofa continuava a cercare di fermarlo.
“Ori, stà sitto!” sibilò Fìli.
Ma Ori non sembrava voler sentire ragioni. “Vigliacchi traditori!”
Grimròl si preparò a spiccare la testa dal collo del giovane Nano: allora Tofa si fece avanti agganciandogli la caviglia intorno al ginocchio ed entrambi ruzzolarono a terra, lottando disperatamente per il controllo della spada.
Fìli vedeva che Tofa era un’abile combattente e cercava di non ferire Grimròl, che però aveva dalla sua il vantaggio del peso e una non particolare preoccupazione nel non voler fare del male all’avversario. Rotolarono una volta, poi due, fino a che Grimròl non fu a cavalcioni di Tofa con un braccio sul suo collo a strangolarla, mentre con l’altro tastava il terreno per recuperare la spada.
Fìli si lanciò contro le sbarre anche se non poteva fare nulla: Grimròl stava per ucciderla, lo capiva dalla smorfia ferina che gli stavolgeva i lineamenti.
Allora Ori si gettò sulla schiena del Nano: ci fu un lampo argentato e un gorgoglio e la guardia trasalì violentemente prima di affloscarsi al suolo, mentre una macchia scura si allargava sul cuoio della sua divisa.
“Ori! Che cos’hai fatto?” sibilò Fìli.
Ori si rimise in piedi, bianco come un cadavere. Deglutì a vuoto e mormorò: “Nori mi ha insegnato come pugnalare un uomo alla schiena. Non sapevo cosa si provasse... penso che darò di stomaco.” Barcollò di lato e si sedette pesantemente a terra, con un’aria nauseata.
Tofa si tolse di dosso il corpo di Grimròl con un verso di fatica. Filì, raggelato, la vide rialzarsi e recuperare la spada, lanciando continue occhiate tra il cadavere e Ori. La sua espressione era indecifrabile.
“Ori l’ha fatto solo per salvarti la vita. Grimròl stava per ucciderti, lo sai,” disse precipitosamente.
Tofa si passò una mano sul viso e borbottò qualcosa in una lingua che Fìli non riconobbe, e che aveva tutta l’aria di essere un’imprecazione.
“Lascialo andare. È solo un ragazzo,” la implorò.
La donna imprecò ancora. “Ho firmato un contratto per sorvegliare prigionieri, non per uccidere ragazzi innocenti. Se lo consegno a Skalgar, lo ucciderà; se lo lascio andare, lui ucciderà sicuramente me.” Si voltò per un momento passandosi una mano tra i capelli. “Questo è proprio un maledetto pasticcio.”
“Oppure potremmo fuggire insieme. Tofa, si risolverà tutto se ti fiderai di me.”
Lei rise piano, sentendosi ormai con le spalle al muro. “Moriremo tutti, matto di un principe. Gli uomini di Skalgar ci daranno la caccia come lupi con gli agnelli.”
“Non è detto,” replicò lui con un sorriso vittorioso.
“In ogni caso, il mio contratto è stato reso nullo.” Tofa fissò la spada nella sua mano per un lungo momento, poi la porse a Fìli e prese le chiavi dalla cintura per aprire la porta della cella. “Andiamocene da qui. E presto, abbiamo all’incirca un’ora prima che sorga il sole.”
Fìli aiutò Ori a rimettersi in piedi e si dedicò all’ingrato compito di spogliare Grimròl della divisa: indossandola, avrebbe avuto meno probabilità di venire scoperto. “Dobbiamo prima trovare Kìli.”
“Non c’è tempo! Le nostre probabilità si riducono a zero se ci mettiamo anche a girovagare per la città.”
“Non ce ne andremo senza mio fratello.” Fìli si abbottonò l’armatura e si girò verso Tofa con le braccia incrociate sul petto. “O salviamo Kìli o moriamo nel tentativo.”
Tofa levò le mani in aria esasperata. “E va bene, va bene! Andiamo pure nel covo di Skalgar e sgraffignamogli un principe da sotto il naso. Sono certa che non potrà che andare a buon fine!”
Fìli le rivolse un ghigno divertito. “Questo è lo spirito. Andiamo.”
“Moriremo tutti,” ripetè lei, ma stava sorridendo, per cui Fìli lo prese come un buon segno. Aveva trovato armi, alleati, e aveva riconquistato la sua libertà: niente e nessuno gli avrebbe impedito di salvare suo fratello adesso.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12: Sogni e Rivelazioni ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

Alla fine del primo giorno di viaggio attraverso la parte boscosa a est di Gran Burrone, Tauriel scoprì con sua sorpresa di sentirsi piuttosto stanca per quella che in altre circostanze avrebbe considerato una semplice giornata di cammino. Fu attenta a non mostrarne segno alcuno in presenza di Bilbo, che già le stava intorno abbastanza peggio di una mamma chioccia; non voleva dargli altri motivi per preoccuparsi di lei, e sicuramente non voleva dare a Lady Dìs ulteriori argomentazioni sul perchè la sua decisione di accompagnarli fino a Erebor fosse una pessima idea.
La cena venne preparata da Bofur con l’assistenza di Bilbo – e distrazioni continue da parte di Nori. C’erano verdure e frutta fresca in abbondanza, piccoli lussi che Tauriel sapeva non avrebbero avuto ancora per molto. Dovevano consumare il cibo che si sarebbe deteriorato prima, dopodichè avrebbero dovuto arrangiarsi solo con cereali, legumi secchi, cacciagione e qualunque frutto o verdura fossero riusciti a reperire lungo la strada.
Nonostante sapesse che quello era appena il primo giorno del loro viaggio, si sentiva di ottimo umore. Stavano andando a salvare il suo amato: Kìli era vivo, e niente e nessuno le avrebbe impedito di raggiungerlo.
Dopo cena, fece alcuni passi al di là del cerchio di luce gettato dal loro focolare e alzò lo sguardo verso le stelle. Avevano brillato luminose anche nella fredda sera invernale in cui lei e Kìli si erano uniti in matrimonio sulle sponde del lago Lungo. Lui aveva ripetuto le parole del rituale elfico che lei gli aveva insegnato e poi le aveva fatto una treccia chiudendola con un fermaglio d’argento; lei invece non aveva niente per fermare la sua, ma lui aveva riso e aveva detto che poteva benissimo usare una striscia di stoffa del suo mantello, aggiungendo che probabilmente, essendo lei una sposa elfica, era più adatto di un elaborato fermaglio nanico.
Tauriel si rigirò tra le dita il fermaglio posto all’estremità della sua treccia matrimoniale e ripensò con un sorriso alle dita di Kìli, sorprendentemente agili, che gliela intrecciavano. “Bavonursinh,” aveva sussurrato una volta finito: gli aveva chiesto cosa significasse e lui aveva risposto che lei era la sua signora coronata di fuoco, e poi si erano baciati sotto le stelle. Ma, nonostante la felicità di quel momento, il cuore di Tauriel fremeva di paura per la battaglia imminente.
Un suono di passi sulle foglie secche la riportò alla realtà e, quando si girò, vide che il Principe Elladan le si stava avvicinando. Di solito sia lui che il fratello erano silenziosi come tutti gli Elfi nei movimenti, perciò doveva aver fatto rumore di proposito per avvertirla del suo avvicinamento.
“Tauriel, potrei parlarti in privato?” C’era un che di malinconico sul suo viso.
“Certo, Lord Elladan,” gli rispose, chiedendosi cosa potesse aver privato il signore elfico della sua consueta aura di sicurezza. Forse aveva cambiato idea sull’accompagnarli nella loro impresa? In tal caso si sarebbe stupita molto, visto che lo riteneva uno che si buttava all’avventura sprezzante del pericolo.
Camminarono per alcuni minuti tra i radi alberi e gli arbusti che circondavano il loro accampamento e si fermarono in una piccola radura, abbastanza lontani da essere fuor di portata d’orecchio ma ancora tanto vicini da poter chiamare aiuto in caso di bisogno.
Elladan fece due passi avanti a lei, si voltò e piegò un ginocchio a terra chinando il capo; quindi sguainò la propria spada e la posò sul prato con l’elsa rivolta verso di lei. “Lady Tauriel, ti chiedo perdono per le mie attenzioni verso di te. Ti prego di volermi concedere la possibilità di fare ammenda per aver insultato il tuo onore.”
“Che cosa...?” Tauriel lo fissò a bocca aperta, ma Elladan continuò a restare inginocchiato e col capo chino, senza guardarla. “Lord Elladan, per favore, alzati!”
Le spalle dell’Elfo s’incurvarono ulteriormente. “Ho capito. Non hai motivo di preoccuparti. Tornerò a Gran Burrone e chiederò a Glorfindel di prendere il mio posto nella vostra compagnia. Non gli occorrerà molto per raggiungervi.”
“Ma di cosa stai parlando? Lord Elladan, guardami.”
Con riluttanza, egli la guardò.
“Ti prego di comprendermi: sono un Elfo Silvano, non sono mai stata fuori dal Reame Boscoso in vita mia. Non conosco i costumi di Gran Burrone e non so perchè t’inginocchi davanti a me o perchè dovresti lasciarci. Perciò spiegami, per favore.”
“Confido che tu non voglia essere deliberatamente crudele,” rispose l’Elfo con un lungo sospiro. Poi proseguì: “Io, mia signora, ho sviluppato un interesse per te e, credendoti vedova, ho insultato il tuo onore con le mie fantasie.”
Sbalordita, Tauriel battè le palpebre in rapida successione. “Interesse? Cioè, in senso romantico?”
In qualche modo, Elladan riuscì ad apparire pentito e irritato al tempo stesso. “Non hai notato le mie attenzioni?”
Rendendosi conto che per il momento egli non aveva nessuna intenzione di rialzarsi, Tauriel si sedette sull’erba davanti a lui, sfiorando la spada con le ginocchia. “Tra la mia gente si inizia a corteggiare qualcuno recandogli in dono un oggetto creato o conquistato personalmente: se tu mi avessi donato una preda cacciata da te, una canzone o un poema composti da te, un oggetto qualsiasi creato da te, allora avrei capito che eri interessato a me. In tutta onestà, pensavo che mi odiassi.”
Elladan rimase a bocca aperta: era l’espressione meno elegante e più spontanea che lei gli avesse mai visto in viso. “Tu... pensavi che ti odiassi?”
“È vero che non facevi che fissarmi, ma credevo che stessi aspettando che facessi qualcosa di assolutamente barbaro così da potermi buttare fuori da Gran Burrone.” Tauriel ridacchiò e si scostò i capelli dal viso. “Io sono un umile soldato del Reame Boscoso, bandita dalla mia terra e incinta; perchè il figlio di Lord Elrond dovrebbe volermi?”
“Perchè sei forte, fiera, e bellissima.”
“Non c’è bisogno di adularmi. Sarò molte cose, ma di certo non bellissima,” si strinse nelle spalle lei, consapevole dei suoi capelli rossi – un colore comunissimo a Bosco Atro, ma che sembrava in qualche modo disturbante a Gran Burrone – e dell’orrenda cicatrice che le sfigurava il viso.
“Sei molto più bella di quanto immagini, ma non voglio discutere con te su questo punto. Posso solo dire che... ti ho guardata, e ho visto una donna che non si sarebbe lasciata piegare dalle avversità di questo mondo.”
La tristezza nello sguardo di lui le diceva che doveva esserci una storia dietro quelle parole, ma non voleva essere troppo curiosa.
“Comunque non voglio più sentir parlare di disonore, Lord Elladan. Sei colpevole al più di aver sviluppato un’interesse per una persona che non sapevi essere già impegnata, tutto qui.” Tacque per un momento, colpita da un pensiero. “Ma la nostra gente non si sposa più di una volta. I costumi tra voi Elfi di Gran Burrone non possono essere molto diversi, no?”
“Non lo sono, infatti. Ma, per mia sventura, ho scoperto che il cuore non sempre è razionale.” Egli fece un respiro profondo e chinò il capo per un momento prima di rialzare gli occhi su di lei. “Io ti avrei aspettata per tutto il tempo di cui avresti avuto bisogno, e avrei amato tuo figlio come fosse stato il mio. Questo posso giurartelo.”
A quelle parole di devozione e allo sguardo intenso di lui, Tauriel si sentì stringere il cuore. Pregò che non si fosse innamorato di lei, perchè un tale amore poteva essere fatale per un Elfo. “Promettimi... promettimi che non ti lascerai consumare da questo.”
“No,” sospirò Elladan con un amaro sorriso. “Non lo farò. Nè vagherò per il mondo cantando le mie pene. Sarò pure uno sciocco, ma non sono così sciocco.”
“Oh,” rispose piano Tauriel; non sapeva cos’altro dire. “Ti ringrazio per la tua onestà. Penso... penso di voler restare un pò sola, adesso.”
“Mia signora.” Elladan chinò il capo un’ultima volta e si rialzò in piedi. “Sei certa che starai bene qui da sola?”
“Sono un’esploratrice di Bosco Atro, mio signore. Questa tranquilla foresta non ospita orrori per me.”
E lo osservò allontanarsi con la fronte aggrottata, cercando di mettere in ordine i propri pensieri. “Adesso puoi venire fuori, Bilbo.”
Non si udì neppure un fruscio di foglie mentre lo Hobbit veniva fuori dal suo riparo dietro un cespuglio di biancospino. “Come sapevi che ero qui?”
“L’ho indovinato,” sorrise lei.
“Ti spiace se fumo? È una bella serata per una fumatina. Mi siederò sottovento, naturalmente,” disse lui raggiungendola.
Gli Hobbit e i Nani con la loro ossessione del bruciare foglie e inalarne il fumo; non li avrebbe mai capiti. “Certo. Fai pure.”
Bilbo fumò in silenzio per alcuni minuti mentre Tauriel continuava a riflettere. Come aveva potuto non accorgersi dell’interesse del signore elfico? Era dunque a tal punto accecata dall’ansia per la sorte del suo amato? D’impulso, chiese al suo amico: “Tu sapevi che Lord Elladan aveva sviluppato un certo sentimento per me, vero?”
“L’avevo notato, ma... speravo che la cosa si dissolvesse col tempo. Faccenda imbarazzante quella di provare interesse per una persona al di fuori della tua portata.” Bilbo distolse lo sguardo e aggiunse: “Io lo so bene, dopotutto.”
Tauriel colse l’occasione per allontanare la conversazione dai suoi problemi. “Ti riferisci ai tuoi sentimenti per Thorin Scudodiquercia? Non credo che sia poi tanto al di fuori della tua portata. La Principessa Dìs ti ha pubblicamente riconosciuto come suo marito, non è così?”
Bilbo fumò furiosamente per alcuni istanti, sbuffando come un piccolo drago educato. “Beh, però non è che la cosa sia ufficialmente vincolante.”
“Ma lei è la leggittima reggente del trono di Erebor fino a che Thorin non sarà salvo. Ammetto di non conoscere i costumi dei Nani, ma nel Reame Boscoso la parola del Re è legge; non vedo perchè debba essere tanto diverso per i Nani.”
“Sì, certo, ma quel che viene detto durante un’impresa quasi disperata e quel che verrà detto una volta che le cose saranno sistemate sono due faccende molto diverse.” C’era un che di burbero nella voce di Bilbo e la sua bocca aveva assunto una piega amara.
“Si tratta della malattia dell’oro di cui soffre Thorin? Bilbo, sono certa che esiste una cura.”
“No, non esattamente. O meglio, sì, anche, ma soprattutto c’è un’altra cosa: Thorin, se è ancora vivo e se riusciremo a salvarlo – fatti che al momento non sono assolutamente garantiti – sarà Re di Erebor nonchè il possessore dell’Archengemma, e questa sarà una cosa d’importanza rilevante. Mentre io sarò sempre Bilbo Baggins, un perfetto signor nessuno della Contea.”
“Tu sei molto più importante di quanto pensi,” disse Tauriel; ma Bilbo la sorprese mettendosi a ridacchiare. “Di certo avrete parlato di questo argomento. Cosa ti ha detto lui?”
“Oh, belle promesse, sai, di quelle che si sussurrano al chiarore del fuoco e che svaniscono alla luce del giorno.” Bilbo sospirò. “Ma non preoccupartene troppo. Vi aiuterò a salvarlo se posso, e poi me ne tornerò a casa mia. So qual è il mio posto.”
Lei scosse il capo, irritata dal tono rassegnato di lui. “No, Bilbo. Sei la persona più gentile e coraggiosa che conosca; meriti la felicità.”
“Ciò che meritiamo e ciò che otteniamo sono spesso cose molto diverse, mia cara.”
Tauriel non potè controbattere a quelle parole, anche se avrebbe voluto. Tacquero per alcuni minuti, poi Bilbo disse: “Tauriel, posso chiederti una cosa... piuttosto personale?”
L’Elfa sentì un moto di affetto per quello strano Hobbit, che non si faceva scrupoli ad affrontare Re scontrosi o draghi sputafuoco per salvare i suoi amici, eppure esitava nel porre domande personali. “Ma certo, mellon nin.”
“Hai detto di aver pensato di avere allucinazioni di Kìli, ma adesso abbiamo ragione di credere che la sua anima sia stata separata dal suo corpo a causa di certe pozioni somministrategli. Ma come funziona questa cosa, di preciso? Posso immaginare che Kìli riuscisse a vagare per Erebor sotto forma di fantasma, per così dire, ma come ha potuto venire da te percorrendo leghe e leghe di distanza? È stato solo perchè vi amate? Forse sto cercando una spiegazione troppo logica, ma quelle degli altri non mi sembrano sufficienti.”
“Presumo sia stato grazie al nostro faelif.”
“Il vostro cosa?”
Tauriel riflettè brevemente alla ricerca di un termine adatto a tradurre la parola elfica in Ovestron. “Un faelif è... suppongo che la traduzione più corretta sia ‘connessione di anime’. Due Elfi profondamente legati tra loro in qualsiasi modo – coppie sposate, fratelli, figli e genitori, a volte anche amici intimi – riescono a percepirsi a distanza e addirittura sentono se l’altro si trova in pericolo. Alcuni hanno persino l’abilità di comunicare tra loro anche a grande distanza, pur se questa è una cosa rara. Più che altro si tratta di una sensazione generica sullo stato emotivo dell’altra persona. Credo sia questo il motivo per cui io e Kìli siamo riusciti a comunicare e il suo spirito sia venuto da me. Però sono sorpresa...”
“Sorpresa da cosa?”
“Dal fatto che sia stato in grado di comunicare con me a livello spirituale.” Le orecchie dell’Elfa divennero rosse per l’imbarazzo e aggiunse: “Presumevo che fosse impossibile, dato che lui è un Nano.”
Bilbo scosse il capo. “Non capisco. Cosa c’entra, scusa?”
“La mia gente ha sempre creduto che il motivo per cui gli Elfi sono in grado di formare un faelif mentre le altre razze, per quanto ne sappiamo, no, è perchè gli Elfi sono fatti più di spirito che di corpo. Ma se anche i Nani possono farlo, allora... allora non siamo poi così diversi tra noi come ci è sempre stato insegnato.” Non ci aveva mai riflettuto prima. Aveva sempre accettato come un dato di fatto che gli Elfi, i Primogeniti tra i popoli della Terra di Mezzo, fossero gli unici a poter formare un legame così profondo con un’altra creatura. Quanto siamo arroganti e corti di mente, pensò Tauriel con un pungente senso di vergogna.
“Ma questo non metterà un bel pò di pepe sul, ehm... sulla coda di Re Thranduil?” domandò Bilbo masticando l’imboccatura della sua pipa; Tauriel ebbe l’impressione che con ‘coda’ avesse sostituito all’ultimo un termine molto più rude.
“Come minimo. Bilbo, le cose che abbiamo imparato negli ultimi giorni – che Narvi e Celebrimbor concepirono un figlio insieme, che i Nani possono formare faelif con gli Elfi – potrebbero far arrabbiare molte persone.”
“Cosa importa se un Elfo e un Nano hanno fatto un figlio migliaia di anni fa? Buon cielo, voi Elfi non siete così tanto diversi dal resto di noi!”
“Importa eccome. Il mio popolo non accetta i cambiamenti tanto facilmente. Li ignora il più a lungo possibile fino a che accettarli diventa letteralmente una questione di vita o di morte. I Nani non ne sono certo meno resistenti; e questa cosa ci sta uccidendo, Bilbo.”
“È davvero così grave?”
“Il popolo dei Nani si è ridotto a una mera frazione del numero che era un tempo; i Sindar e i Noldor lasciano le nostre sponde per le Terre Immortali mentre gli Elfi Silvani – e suppongo anche gli Avari – soccombono sempre più all’oscurità che avanza. I nostri popoli stanno scomparendo entrambi, e adesso io mi scopro incinta del primo figlio di lignaggio elfico e nanico conosciuto in migliaia di anni. Non so quali cambiamenti il mio pîn elloth apporterà, ma una cosa la so.”
“E sarebbe?”
“Nel bene o nel male, la gente teme i cambiamenti.”

~
 
Quella notte, il sonno di Tauriel fu disturbato da inquietanti visioni di abbandono e rifiuto.
Nel sogno Re Thranduil la bandiva per sempre e in mezzo al consesso stavano anche, con suo grande sgomento, i suoi defunti genitori, che le voltavano le spalle insieme a tutta l’assemblea mentre il sovrano pronunciava il suo verdetto. Solo Legolas non si girava dall’altra parte, ma in compenso la fissava con occhi colmi di rabbia e di odio: in lui non vi era più traccia del Legolas che aveva cercato di intercedere per lei gettandosi ai piedi di suo padre e implorandolo inutilmente di rivedere la sua decisione.
Nel suo sogno il volto serio ma gentile di Lord Elrond era adesso freddo e sprezzante: anche lui la allontanava da Imladris. Gli occhi di Lady Dìs sembravano due pezzi di ghiaccio mentre le diceva che non c’era posto per lei a Erebor e che suo figlio non avrebbe mai conosciuto il suo bastardo mezz’elfo. Persino Bilbo la abbandonava, dicendo che doveva tornare alla sua Contea e che anzi non avrebbe mai dovuto lasciarla per dar retta a quelle ‘sciocchezze elfiche e naniche’.
Nella strana logica di tutti i sogni, all’improvviso si allontanò da Bilbo che cavalcava via da lei per ritrovarsi in una delle celle di Re Thranduil. Allora si aggrappò alle sbarre e chiamò le guardie, ma non venne nessuno. Non c’era traccia dei rumori familiari di casa sua: niente suono di arpe o di canti, niente risa nè conversazioni, mancava persino il rumore dei passi elfici sulle scalinate. Il palazzo sembrava abbandonato, un semplice guscio vuoto privo dei suoi abitanti.
Era intrappolata e completamente sola. Non sarebbe giunto alcuno scassinatore Hobbit a liberarla con le chiavi sottratte dalla guardiola.
Tauriel si appoggiò una mano sulla pancia, un gesto divenuto ormai abituale, ma l’arto continuò a scendere senza incontrare alcuna familiare rotondità. Il cuore le balzò in gola: guardò giù e si accorse di indossare la sua vecchia uniforme della Guardia, la cui pettorina di cuoio aderiva perfettamente al suo stomaco, piatto come se non fosse mai stata incinta.
Non riusciva a respirare. Era una sensazione molto simile a quando lei e Legolas, sotto l’impulso della stupidità giovanile, avevano deciso di andare in barca lungo le rapide del fiume Selva, e lei era caduta in acqua ed era quasi annegata prima che Legolas la traesse in salvo. Adesso non c’era nessuna mano amica a tirarla fuori dal gorgo oscuro in cui sembrava essere precipitata, con il cuore che le rimbombava nelle orecchie. Stringendosi le mani sullo stomaco, Tauriel cadde in ginocchio cercando inutilmente di tirare il fiato.
Sentì la voce di Kìli che giungeva a lei come da una grande distanza. “Tauriel... Tauriel... Parlami, amore mio...”
Poi, con la repentinità tipica di un sogno, le nere correnti sparirono e lei si ritrovò a fluttuare in una nebbia grigia. Era come se si stesse incamminando verso il cielo, come spesso aveva desiderato fare – ma invece della luce brillante delle stelle trovò solo nubi plumbee e pesanti di pioggia che non sarebbe mai caduta. Mormorò il nome di Kìli a fior di labbra ma non lo pronunciò ad alta voce, perchè aveva paura di come sarebbe risuonato in quel vasto, desolante nulla.
E se quel sogno l’avesse tormentata con la visione di Kìli che a sua volta la respingeva, come tutti gli altri? Non riusciva a sopportare quell’idea.
Gimlinh... Per favore, non piangere.”
Sentì il suo odore di muschio, metallo e aria fresca, come se fosse stato nella foresta appena un momento prima. Sentì la sua mano che le carezzava una guancia teneramente, e fu troppo: aveva sopportato molte cose fino a quel momento – la morte apparente di suo marito, la perdita della sua casa, la scoperta di essere incinta in una terra sconosciuta – ma quello fu troppo. Tauriel si rannicchiò su quello strano pavimento informe e spugnoso e si prese la testa tra le mani per nascondere le lacrime.
“Cosa c’è che non va? Coraggio, dimmelo.”
Cercò di parlare, ma la voce le si bloccò in gola; scosse forte il capo.
Sentì che Kìli cambiava posizione fino a distendersi rivolto verso di lei, anche se ancora lei non osava aprire gli occhi per timore che egli svanisse. Lo sentì deporre baci sulla sua fronte e passare una mano tra i suoi capelli e poi sussurrarle parole nella propria lingua, stranamente confortanti anche se non riusciva a capire cosa dicesse.
“Questo è un sogno,” disse finalmente quando le sue lacrime si furono in parte asciugate.
“Tu dici?” Kìli le premette con dolcezza le dita sulla mandibola per farle alzare la testa: Tauriel aprì lentamente gli occhi e vide che lui la osservava con i suoi grandi occhi scuri, le labbra piegate di lato in modo riflessivo. “Suppongo che lo sia. Ma se è così, di chi è questo sogno? Secondo me è il tuo, perchè se fosse il mio ci sarebbe un soffice letto con te sopra che non indossi altro che oro e diamanti.”
“Cosa?”
“Non ti piacciono l’oro e i diamanti? Hmmm, forse hai ragione. La mia bavonursinh merita solo mithril e smeraldi per accompagnare i suoi occhi.” Con voce allegra, egli aggiunse: “Allora, visto che questo è il tuo sogno, che ne diresti di cambiare la location?”
Tauriel si raddrizzò un pò e volse lo sguardo al grigiore che li circondava. “Credi che possa... cambiare il posto in cui siamo?”
“Perchè no?”
Ella chiuse gli occhi e cercò di pensare ad un posto più comodo in cui dormire: forse la sua camera da letto nel palazzo di Thranduil, o magari la bella stanza di Grand Burrone. Quando riaprì gli occhi, però, vide che si trovavano nel magazzino semi crollato tra le rovine di Dale dove lei e Kìli avevano trovato un pò di privacy nei giorni precedenti la battaglia.
Giacevano in un nido di coperte che ancora odoravano della stalla da cui erano state recuperate. Kìli indossava gli abiti più grandi della sua misura che gli erano stati dati a Pontelagolungo, mentre lei... Tauriel rimase a bocca aperta. Anzichè la sua vecchia uniforme della Guardia indossava ora l’abito che le aveva confezionato Lainiel, quello verde con lo scollo rotondo e fermato sotto il seno che le si drappeggiava delicatamente sul ventre arrotondato. Vi poggiò sopra una mano e sospirò sollevata quando sentì il bambino spostarsi lievemente.
“Tauriel,” disse Kìli con voce colma di meraviglia, “ma allora è vero che...”
“Sì. Aspetto un bambino. Il nostro bambino.”
“Il nostro bambino...” Gli occhi di lui brillarono di gioia e le mise una mano sulla pancia, rivolgendole un sorriso raggiante. “Tauriel, gimlinh, amore mio...”
“Sto venendo a salvarti, meleth nin. Ti troverò e ti salverò.”
Lui sorrise ancora e le scostò una ciocca di capelli dal viso. “Lo so, mia coraggiosa guerriera. Non ne ho mai dubitato.”
“Mi sei mancato tanto, Kìli. Perchè sei sparito per tutto questo tempo? Temevo che fossi... che fossi...”
“È stato per così tanto tempo? Non ricordo proprio. Penso di essere andato come alla deriva per un pò...” La sua voce si affievolì mentre egli aggrottava la fronte, per poi scuotere la testa e tornare a sorridere. “Ma che importa? Adesso siamo qui, tu, io e...”
“Ho iniziato a chiamare il bambino pîn elloth; significa ‘piccolo fiore’.”
“Il nostro piccolo fiore.” Kìli sorrise a tal punto che i suoi occhi parvero quasi chiudersi. Le loro fronti si toccarono e, con le mani sempre unite sul ventre di Tauriel, giacquero in quel confortevole nido fatto di coperte sussurrandosi gioiose parole d’amore.
Lei aveva la vaga sensazione che avrebbe dovuto fargli delle domande, cercare di programmare piani, ma la tranquillità di quel sogno rendeva tutte quelle cose insignificanti. Era insieme al suo amato e lì, in quella bolla di pace e appagamento, nessuna delle preoccupazioni del mondo vigile li poteva toccare.
Tauriel non sapeva quando fosse scivolata fuori da quel sogno in un sonno profondo e naturale ma, quando si svegliò, si sentì riposata e felice come non le accadeva da mesi, con il vago ricordo di aver sognato Kìli.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13: La fuga ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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Malgrado l’ora mattutina, parecchi servitori e guardie si aggiravano per i corridoi di Erebor. Tofa, Fìli e Ori furono attenti a non farsi notare e avanzarono verso le Sale di Guarigione prendendo i corridoi meno frequentati.
Ovunque Fìli guardasse, vedeva prove dei danni causati dall’occupazione di Smaug: sembrava però che fino a quel momento i Nani si fossero limitati a ripulire i pavimenti dai detriti e a puntellare le colonne più instabili. Zio Thorin si sarebbe infuriato parecchio se avesse visto quanto poco era stato fatto per riportare Erebor al suo antico splendore.
“Hai un piano qualsiasi?” chiese Tofa con voce appena udibile mentre si nascondevano in una nicchia nell’attesa che sorgesse il sole.
“Non esattamente,” ammise lui; al sibilo frustrato della Nana, improvvisò: “Diremo alle guardie di Kìli che il guaritore vuole trasferirlo nel blocco sorvegliato da te.”
“Non male come idea. Potrebbe addirittura funzionare. Ma poi come faremo per il ragazzo? Potremmo doverlo nascondere da qualche parte fino al nostro ritorno... no, non mi piace. Troppe cose potrebbero andare storte.”
“Ma io sono un portatore, se così si può dire. Se il Principe Kìli è incosciente, posso trasportarlo io,” si offrì Ori con fermezza.
“Tu?” Tofa sollevò un sopracciglio con aria scettica. “Senza offesa, ragazzo, ma sembri a malapena in grado di sollevare un martello, figuriamoci un Nano adulto.”
“Beh, suo fratello è il più forte della nostra Compagnia e sicuramente non ne ha l’aria, perciò io non liquiderei la sua proposta tanto in fretta,” disse Fìli. “Ori, pensi davvero di potercela fare?”
“Ho riportato Nori a casa dalle taverne un paio di volte,” si strinse nelle spalle il giovane Nano. “Tuo fratello non può essere tanto più pesante di lui.”
Fìli guardò Tofa con aria interrogativa, e alla fine la donna annuì. “Però lasciate parlare me,” disse loro. “Le guardie mi conoscono già e saranno meno sospettose se parlerò io.”
“Fai strada, mia signora,” disse Fìli con un galante inchino; Tofa roteò gli occhi, divertita a dispetto della situazione.
Come gli era stato ordinato, Fìli tenne la bocca chiusa e rimase dietro di lei mentre la Nana avanzava verso le Sale di Guarigione; quando raggiunsero un’anonima porta chiusa, ella fece un allegro saluto all’uomo di guardia.
“Tofa! Mia bellezza del sud, sei finalmente rinsavita e hai deciso di fuggire con me?”
“Ah! Promesse, nient’altro che promesse. Lo so che sei tutto chiacchiere, o incantatore dalla lingua d’argento.” Tofa ridacchiò con fare civettuolo; il suo contegno era cambiato al punto che sembrava una persona completamente diversa, e Fìli dovette resistere all’impulso di fissarla. “Ascolta, ho ricevuto ordine di trasferire il prigioniero da queste Sale nel blocco sorvegliato da me e Grimròl.”
La guardia si accigliò. “Io non ho ricevuto alcun ordine di trasferimento.”
Lei sospirò con ostentata esasperazione. “Tipico. D’accordo, in tal caso io e le mie reclute saremo gli sfortunati bastardi che dovranno svegliare il guaritore quando non è ancora l’alba. Oppure... potresti lasciarmi prendere il prigioniero subito saltando tutte queste seccature.”
“Non saprei...”
“Senti, facciamo così. Tu mi aiuti adesso e io ti aiuterò a vincere la nostra prossima partita a carte al Cinghiale Furioso: so che quel vecchio con un occhio solo bara sempre e so anche come lo fa. In cambio dovrai solo pagarmi da bere con le tue vincite.” Tofa sembrava del tutto rilassata, il suo linguaggio del corpo era perfetto per una guardia annoiata che pensava più a una serata in taverna che al lavoro.
La guardia ridacchiò. “Molto bene. Se mi aiuti a vincere, ti offrirò tutti i boccali che vuoi.”
Tofa strizzò un occhio. “Non cercherai di farmi ubriacare, vero?”
“Te? Per il martello di Mahal, no. Non sono mica stupido,” disse l’uomo con una smorfia aprendo la porta della stanza.
“Ragazzo, renditi utile e prendi il prigioniero,” ordinò Tofa ad Ori; dopodichè tornò a chiacchierare tranquillamente con l’altro Nano. Fìli li udiva appena, concentrato com’era sulla vista di Ori che usciva dalla cella con Kìli in braccio.
Suo fratello aveva un’aria malata, le guance scavate e la pelle di un insano colorito grigiastro. I capelli, senza nessuno che se ne curasse, erano unti e opachi: gli si erano allungati ulteriormente ed erano più arruffati che mai. Sembrava incosciente oppure addormentato e giaceva inerte tra le braccia di Ori. Fìli si sforzò di distogliere lo sguardo prima di fare qualcosa di irrimediabile come abbracciare suo fratello o prendere a bastonate chiunque ritenesse responsabile delle sue condizioni.
“Allora ci vediamo stasera alle otto al Cinghiale Furioso.” Tofa e la guardia si diedero un cinque con le mani guantate di pelle, in un saluto da guerrieri. “Muovi quei piedi, ragazzo, non abbiamo tempo da perdere,” disse poi ad Ori.
“Dì un pò, Tofa, che ha la tua recluta sulla schiena?” domandò la guardia mentre si allontanavano.
Il cuore di Fìli saltò un battito. Avevano fatto del loro meglio per ripulire la divisa del sangue del Nano morto, ma sulla casacca di pelle era comunque rimasta una macchia più scura. S’irrigidì e si preparò a sguainare la spada.
“Ah, conosci le reclute – sono come cagnolini. Probabilmente sarà scivolato su una merda o qualcosa del genere,” rispose Tofa in un perfetto tono esasperato.
L’altro Nano rise e lasciò perdere la questione. Fìli non osò respirare fino a che non ebbero girato l’angolo.
“Ce l’abbiamo fatta per davvero?” chiese Ori.
Fìli e Tofa si scambiarono un’occhiata. “Non è il momento di rilassarsi,” rispose lei. “Dobbiamo ancora uscire dal palazzo senza farci notare. C’è voluto più tempo di quanto sperassi.”
In quel momento Fìli si rammentò di certe storie che sua madre raccontava a lui e a Kìli sulla sua infanzia a Erebor; ce n’era una in particolare su un passaggio segreto che lui e suo fratello non si stancavano mai di ascoltare. “Ci troviamo per caso vicino agli appartamenti reali?” domandò.
“Non siamo troppo lontani,” rispose Tofa con un’alzata di spalle. “Ma pensavo che gli appartamenti reali fossero l’ultimo posto in cui volessimo andare.”
“No, stammi a sentire: mia madre è cresciuta nel palazzo. Mi raccontava sempre di questo passaggio segreto vicino agli appartamenti che conduceva fuori dalla montagna, in caso la famiglia reale fosse costretta a fuggire. Non so se sia collegato con quello che la Compagnia usò per entrare, ma penso che sia la nostra opzione migliore per uscire da qui.”
Tofa aggrottò la fronte. “Sicuro di riuscire a trovarlo?”
“Assolutamente,” mentì Fìli. In realtà, basandosi sui racconti di sua madre, ne era solo quasi sicuro, ma gli sembrava comunque meglio che attraversare tutta la montagna trasportando Kìli nella speranza di non essere visti. Ogni minuto trascorso nei corridoi aumentava la probabilità che venissero scoperti.
“Aspetta: prima mettiamoci le braccia di tuo fratello sulle spalle e trasportiamolo in mezzo a noi. Se incontriamo qualcuno, gli diremo che stiamo riportando a casa dalla taverna un collega ubriaco,” disse Tofa. “Non è un granchè come scusa, ma speriamo che le nostre uniformi scoraggino eventuali domande.”
“Io che devo fare?” chiese Ori.
“Cammina dietro di noi e cerca di avere un’aria preoccupata,” rispose Fìli distrattamente mentre sistemavano Kìli, sempre svenuto. Quando lo spostarono, la testa di suo fratello ciondolò di lato e Fìli ebbe la terrificante impressione che il suo corpo fosse praticamente un involucro vuoto, senza più nessuno in casa. Scosse il capo per scuotersi da quel pensiero: Kìli era drogato, tutto qui. Suo fratello sarebbe stato benissimo una volta che lo avessero allontanato dagli intrugli di quel maledetto guaritore.
“Non sarà difficile,” mormorò Ori; Tofa sbuffò piano.
Avvicinandosi agli appartamenti reali, i corridoi si fecero più ampi e meglio illuminati. Il cervello di Fìli lavorava a pieno regime, cercando di ricordare il punto esatto in cui sua madre aveva detto si trovasse il passaggio segreto. “Cercate un bassorilievo delle Sette Stelle che si specchiano sulla superficie del Kheled-zâram.”
“Io so dov’è! Sono venuto a consegnare messaggi da queste parti un paio di volte e lo vedevo sempre.” Ori sfrecciò accanto a loro su per una stretta scalinata dove si fermò, facendo cenno con impazienza perchè lo seguissero. “È su per queste scale e poi a sinistra.”
Trovarono il bassorilievo con relativa facilità. Ori e Tofa sostennero Kìli mentre Fìli lo esaminava. Vi erano raffigurate quattordici stelle in tutto: sette sospese sul lago ad unirsi in un circolo con le altre sette del riflesso. Come sua madre gli aveva spiegato, le stelle dovevano essere premute leggermente una dopo l’altra. C’era un trucco, però: perchè il passaggio segreto si aprisse, bisognava premerle nel giusto ordine.
E qual era l’ordine? Aveva qualcosa a che fare con un numero particolare... Pensa, stupido, pensa!
“Qualcuno sta venendo su dalle scale. Più di una persona, forse parecchie,” disse in quel momento Tofa in un bisbiglio appena udibile. “Qualunque cosa tu stia facendo, falla in fretta.”
Il numero aveva qualcosa a che fare con la corona sulla stella posta nel centro del cielo. Corona, regalità... il Re. Fìli sospirò di sollievo ricordando quel particolare. I numeri del Re, ecco come li chiamava sua madre: numeri divisibili per nessun altro se non per sè stessi. Adesso era abbastanza sicuro di ricordare correttamente la sequenza – o almeno lo sperava.
Le mani gli tremavano come quelle di un ragazzo alla sua prima battaglia mentre premeva attentamente le stelle, contando quella con la corona come numero uno. Dopo che ebbe premuto anche l’ultima, ci fu un terribile istante di silenzio in cui non successe niente. E se si fosse sbagliato? E se la porta si fosse inceppata dopo tutti quegli anni?
Poi, con un clic praticamente silenzioso, il pannello si schiuse.
Ori e Tofa introdussero Kìli nel passaggio e Fìli li seguì appena in tempo: proprio mentre si chinava per entrare, i passi dietro di loro risuonarono sempre più vicini. Una volta dentro si tirò dietro la porta, che si richiuse. Era di spessa roccia e si adattava perfettamente al resto della parete: chiudendosi, tagliò fuori tutti i rumori esterni lasciandoli nell’oscurità più totale.
Tofa sbuffò rumorosamente. “Speriamo che ci sia un altro modo per uscire da qui, perchè sono quasi certa che ci hai chiusi dentro.”
“Beh, che avrei dovuto fare? Lasciare aperto?”
“Immagino di no,” rispose lei burbera. “Qualcuno di voi ha della luce?”
“Io ho ancora la mia lanterna,” disse Ori. “Dovrò mettere giù il Principe Kìli per prenderla, però.”
Ci fu un rumore di sfregamento e Fìli si schermò gli occhi con un braccio per ripararli dalla luce improvvisa della lanterna. Quando la vista gli si fu abituata, vide che si trovavano all’inizio di uno stretto budello di pietra che si allungava nel buio. Le pareti erano scure e non marcate, con resti di ragnatele svolazzanti ad una debole brezza. Fìli rabbrividì al ricordo delle sue disavventure con ben altri tipi di ragni: fortunatamente quelli erano di dimensioni normali, non mostruosi come quelli di Bosco Atro.
Kìli giaceva sul pavimento come una bambola disarticolata, gli occhi chiusi e il corpo inerte. Fìli s’inginocchiò accanto a lui. “Fratellino, mi senti?”
Non ci fu risposta; Fìli si sentì vagamente nauseato quando notò che gli occhi di Kìli erano semiaperti, lasciando intravedere la linea bianca della sclera.
Tofa si chinò a sbirciare da oltre la sua spalla. “Non ha un bell’aspetto.”
Fìli prese tra le mani il viso di suo fratello e quasi trasalì a quanto cerea e fredda era la sua pelle. “Dobbiamo portarlo da un guaritore. Ori, possiamo portarlo da Oin?”
“I nobili sono sotto sorveglianza. Ma forse riusciamo a intrufolarci nella sua clinica,” suggerì il giovane Nano.
“Non essere stupido. Quello è il primo posto in cui gli uomini di Skalgar vi cercheranno,” intervenne Tofa, ricambiando l’occhiataccia di Fìli con una delle sue. “Dovrai farti più furbo di così.”
“Beh, e allora cosa dovremmo fare?” ringhiò frustrato Fìli.
“Non lo so. Non hai alleati al di fuori di Erebor? Qualcuno a cui poter chiedere aiuto?”
“Nostra madre, ma si trova sulle Montagne Blu.”
“Qualcun altro che non sia a mezzo mondo da qui?”
“Gandalf. Ma prima che tu me lo chieda, no, non so dove sia.”
“Non so nemmeno chi sia.”
“Ma come? Gandalf, lo Stregone Grigio?”
Tofa si strinse nelle spalle, interdetta.
“Come fai a non conoscerlo? Lasciamo perdere. A parte Gandalf... beh, ci sarebbe Bard, ma l’ultima volta che l’ho visto eravamo tipo in guerra tra di noi.”
“Non più,” disse Ori. “Bard ha stretto un’alleanza con Dàin.”
“Allora non possiamo fidarci di lui.”
Fìli si cacciò le mani nei capelli cercando di ragionare. Non potevano rivolgersi agli altri membri della Compagnia (a proposito, che sollievo per lui apprendere che erano tutti sopravvissuti!); Lord Elrond era stato loro di aiuto ma Gran Burrone era troppo lontana, e poi Fìli non si fidava del tutto delle sue motivazioni; Thranduil... ah! Come no! Restava solo... Beorn? Ma per poter raggiungere la sua casa avrebbero dovuto attraversare Bosco Atro, e non potevano certo avventurarvisi con Kìli in quelle condizioni.
“Penso che ti sbagli su questo punto,” disse in quel momento Tofa. “Bard ha stretto un’alleanza con Dàin, è vero, ma non credere che gli stia tanto simpatico. E Skalgar gli piace ancor meno.”
“Tu come lo sai?”
“Pettegolezzi tra guardie. Ho giocato a carte con le guardie di mezzo palazzo per settimane prima di scoprire dove fosse tuo fratello, e nel frattempo ho scoperto parecchie altre cose interessanti.”
“È così che sei venuta a sapere dove tenevano Kìli? Giocando a carte?”
Fìli sentì il sorriso nella voce di Tofa anche se il suo volto restava nella penombra. “Alle guardie piace chiacchierare proprio come ai minatori dopo un boccale di troppo. Basta solo dirottare la conversazione sui binari giusti.”
“Ho capito.” Fìli esitava ancora, ma non avevano nessun’altra scelta; in fondo Bard li aveva aiutati prima che il drago si scatenasse su Pontelagolungo e tutto andasse in malora. “Molto bene. Vedremo se Bard vorrà offrirci riparo. Ma prima dobbiamo scoprire se questo tunnel porta da qualche parte. Se c’è un crollo o un blocco, siamo al punto di partenza.”
Trasportarono Kìli a turno, il quale non si mosse neppure se lo sballottavano; venne fuori che Ori non aveva esagerato sulla propria forza, prodigiosa quasi come quella di suo fratello Dori, perciò i turni più lunghi toccarono a lui.
Fu un viaggio lento attraverso quel cunicolo apparentemente interminabile. Non c’erano altre gallerie nè porte che Fìli riuscisse a vedere. Alla fine il corridoio li condusse a una stretta scala a chiocciola che scendeva; si fermarono un momento, il tempo necessario perchè Ori prendesse Kìli, e iniziarono a scendere.
Dopo essere scesi tanto da allontanarsi di un bel pò dai livelli più popolati, sempre se ci si poteva fidare del senso della posizione di Fìli, finalmente la scala s’interruppe davanti a una porta: l’aprirono con cautela, rivelando un altro corridoio vuoto.
Tofa li fermò con una mano prima che vi entrassero. “Ci sono tracce sul pavimento. Vecchie di diversi mesi, a giudicare dalla polvere che le copre.”
“È il passaggio segreto che la Compagnia ha usato per entrare nella montagna, ne sono sicuro!” esclamò Ori cercando di non gridare troppo. “Ma non ricordo che ci fosse una porta.”
Fìli sospirò sollevato, poichè iniziava a credere che non avrebbero mai trovato una via per uscire dalla montagna. “Probabilmente la porta è invisibile quando è chiusa. Dobbiamo metterci qualcosa sotto perchè non si chiuda. Avremo bisogno di un passaggio per rientrare quando Kìli si sarà ripreso, per salvare Thorin.”
“Fìli... ho sentito molte storie giocando a carte con le guardie, ma nessuno ha mai nominato l’eventualità che tuo zio sia ancora vivo. Mi dispiace.” Tofa sembrava sinceramente rammaricata, ma Fìli scosse il capo rifiutandosi di accettare la sua compassione.
“È vivo, ne sono certo. Torneremo qui dopo aver messo Kìli al sicuro e salveremo anche Thorin.” Alzò una mano per bloccare le proteste. “Non ha importanza adesso. Per prima cosa dobbiamo portare in salvo mio fratello.”
Tofa annuì lentamente. “Molto bene. Aiutami a mettere un cuneo nelle cerniere.”
Poi seguirono le impronte polverose lungo un corridoio stretto e lungo fino ad una porta, posta sotto un bassorilievo raffigurante il trono e l’Archengemma.
“Ecco l’uscita!” bisbigliò Ori.
“Speriamo non ci siano guardie dall’altra parte,” disse Fìli.
“Dàin non sa delle porte segrete. Nessuno di noi gliene ha mai parlato. All’inizio siamo stati tanto impegnati che non ci è sembrato importante, ma poi.. quando abbiamo iniziato a sospettarlo di tradimento, ci siamo guardati bene dal farglielo sapere.”
“Spero che tu abbia ragione.” Fìli e Tofa sguainarono le spade e aprirono la porta con cautela: sbirciarono fuori e videro che non c’erano uomini di guardia, e allora Fìli tirò un altro sospiro di sollievo. “Sembra che la fortuna sia dalla nostra.”
“La fortuna dei pazzi e dei ragazzini,” borbottò Tofa guardando il pendio roccioso sotto di loro. “Dovremo attendere la notte per introdurci a Dale.”
Fìli si sforzò di non trasalire quando realizzò che non aveva la più pallida idea di dove avrebbero dovuto dirigersi una volta in città. “Ori, tu sai come trovare Bard?”
“Sì, ho portato messaggi presso la sua corte parecchie volte.”
“Bravo ragazzo.” Gli battè una mano sulla schiena ed Ori sembrò sorpreso e compiaciuto.
Si ritirarono all’interno per attendere la notte. Non avevano molto per far stare comodo Kìli, ma Ori si tolse la casacca e la appallottolò in una specie di cuscino che gli pose sotto la testa. Suo fratello era ancora immerso nell’incoscienza, ma a Fìli parve che la sua pelle fosse arida e tirata, forse per la sete.
“Kìli ha bisogno di acqua.”
“Vado a vedere se trovo un ruscello,” si offrì Tofa. “Tra noi tre, io sono quella che è meno probabile che notino, anche se non sono al mio posto.”
Fìli esitò. “Forse Ori dovrebbe venire con te.”
Lei sollevò un sopracciglio. “Pensi ancora che potrei venderti? E cosa ci guadagnerei, poi? Se Skalgar non ha ancora scoperto che ti ho volontariamente aiutato a fuggire, lo farà presto – e non è il tipo da perdonare un tradimento.”
“Ti chiedo scusa. So che stai rischiando molto per noi. È solo che in questo momento trovo difficile fidarmi di chiunque.”
“Lo capisco.” La donna lo fissò per un lungo istante. “Hai la mia parola che ti aiuterò fino a che tuo fratello non sarà al sicuro.”
“E dopo?”
“Un momento dubiti della mia lealtà e quello dopo mi chiedi dell’altro? Certo che hai del fegato, principino.” La Nana scosse il capo. “Ti aiuterò a portare tuo fratello in salvo, ma dopo avremo finito. Questa non è la mia battaglia.”
“Se questa non lo è, quale lo è stata?”
“Per cosa ho combattuto, mi chiedi? È stato molto tempo fa e in un luogo molto lontano da qui.” Tofa si voltò dall’altra parte e aggiunse con voce appena udibile: “E comunque, abbiamo perso.”
Dal momento che la porta segreta non poteva essere aperta dall’esterno senza una chiave, dovettero correre il rischio di bloccarla con un sasso e lasciarla semiaperta mentre Tofa andava in cerca di acqua. Fìli si sedette vicino a suo fratello con una mano sul suo petto per sentirlo respirare; Ori si sistemò nelle vicinanze e prese a mangiarsi le unghie.
“Stai bene, Ori?”
Il giovane Nano trasalì e parve sorpreso di essere stato interpellato. “Io? Benissimo.” Tacque per un lungo momento, poi aggiunse: “È solo che... non mi aspettavo che fosse così. Nori mi ha mostrato come fare... ma non avevo mai ucciso nessuno così. A meno che non mi trovassi nel mezzo di una battaglia, capisci?”
Fìli annuì. “Trovarsi in una battaglia fa sembrare più sopportabili molte cose.” Scese di nuovo il silenzio; poi, incuriosito, chiese al suo amico: “Nori ti ha mostrato come accoltellare qualcuno alla schiena? Non mi spiego come Dori possa avere approvato.”
“No,” rispose Ori arricciando il naso. “Sicuramente Dori non avrebbe approvato se l’avesse saputo. Ho chiesto io a Nori di insegnarmi qualcuno dei suoi trucchi, in caso ne avessi avuto bisogno. Sai, è proprio per questo che...”
“Che cosa?”
“Che Nori fa quello che fa. Non è bravo a gestire la noia. Diventa impaziente, si agita, e finisce col fare ciò che non dovrebbe fare.” Ori si strinse nelle spalle. “Quando eravamo ancora sulle Montagne Blu, prima di partire per la nostra impresa, mi ero accorto che stava iniziando a prendere una brutta strada. E sapevo che il signor Dwalin stava solo aspettando che combinasse qualcosa di abbastanza grave da buttarlo fuori dalla Compagnia. Per questo gli ho chiesto di addestrarmi, per dargli qualcosa su cui concentrarsi.”
“Hai fatto bene.”
“Grazie.” Ori parve rilassarsi un pò. “Dori non capisce perchè Nori fa certe stupidaggini quando si annoia, lui si arrabbia e gli urla contro. Ma io sono un pò come Nori, in un certo senso. Non vado a giocare alle carte con chissà quale gentaglia e non rubo al mercato se mi annoio, ma la mia mente si mette a pensare in circolo e certe volte ho l’impressione di trovarmi fuori posto nella mia stessa pelle.” Lanciò un’occhiata a Fìli, sorridendo con fare timido. “Perchè credi che legga tanto? Voglio dire, a parte che trovo quelle storie affascinanti e che mi piace imparare cose nuove, naturalmente, ma c’è anche il fatto che... che è dannoso per me non tenere la mente occupata.”
“Anche per Kìli è così, più o meno. Non per quel che riguarda leggere – nè per rubare – ma anche lui è sempre in movimento, sempre a fabbricare qualcosa...” La voce di Fìli si spense e guardò suo fratello, ancora completamente immobile. Era sbagliato, era innaturale per lui. Solo il movimento del petto che si alzava e si abbassava ad ogni respiro dava prova del fatto che fosse ancora vivo. Persino nel delirio dato dalla freccia Morghul, Kìli era sembrato più vivace. Fìli sentì improvviso e prepotente il desiderio della presenza rassicurante della loro madre e ricacciò indietro alcune lacrime infantili, sperando che fossero passate inosservate.
“Mi manca Nori,” disse Ori chinando il capo. “Spero che sia sano e salvo.”
“Hai detto che è andato a Ered Luin con Bofur per prendere mia madre?”
“È stata un’idea di Lord Balin. Ha detto che, con Re Thorin e i suoi eredi dispersi, la Principessa Dìs può reclamare il suo posto come successore della stirpe di Durin e buttare fuori Dàin a calci nel sedere.”
Fìli si morse un labbro riflettendo. Se la loro madre fosse giunta a Erebor dichiarandosi reggente, i nobili l’avrebbero seguita? Stando a quanto diceva Tofa, alcuni di loro si stavano arricchendo sulle miserie della gente comune ed era quindi improbabile che desiderassero un cambiamento. Ma Balin era un politico di lunga esperienza: se secondo lui quel piano poteva funzionare, allora dovevano esserci buone probabilità di riuscita. La maggioranza dei nobili poteva essere più propensa a seguire Dìs, il cui diritto nel condurre gli esuli di Ered Luin in assenza di Thorin veniva rispettato, che il suo giovane e inesperto figliolo.
In un mondo perfetto, avrebbero salvato zio Thorin ed egli sarebbe asceso al trono di Erebor così come avevano sempre sognato; ma se non fossero riusciti a salvarlo (e qui Fìli si segnò col gesto del martello di Mahal per scaramanzia), allora la seconda opzione era che Dìs governasse come Regina Reggente fino a che Fìli non fosse stato pronto a regnare – il che sarebbe stato un sollievo per lui, a dirla tutta. Fìli era certo che sarebbe stato un buon Re per Erebor, un giorno; solo, non avrebbe voluto che quel giorno giungesse così presto.
In quella la porta segreta si spalancò, accecandolo temporaneamente, e apparve Tofa con una borraccia piena d’acqua e degli abiti arrotolati sotto un braccio. “Ho incontrato una pattuglia. Mettiti questa divisa, Ori, non possiamo restare qui ancora a lungo.”
Non era ancora scesa la notte, ma Fìli dovette concordare con lei; se Tofa aveva messo fuori combattimento un pattugliatore, prima o poi la cosa sarebbe stata notata. Cercò di far bere un pò d’acqua a Kìli mentre Ori si infilava la divisa: suo fratello sembrava vicino a riacquistare conoscenza perchè bevve avidamente, anche se i suoi occhi continuavano ad essere chiusi. A Fìli dispiacque allontanare la borraccia, ma non voleva che bevesse troppo per poi vomitare.
Ori si caricò di nuovo Kìli sulla schiena e si diressero all’uscita. Fìli odiava dover lasciare la porta socchiusa, ma in caso contrario non avrebbero avuto altro modo per rientrare nella montagna. Non sapeva, infatti, cosa ne fosse stato della chiave di Thorin.
Fu una discesa infida lungo la parte più impervia della pista. Fìli ebbe il cuore in gola per tutto il tempo, ma in qualche modo ce la fecero. Trovarono il piccolo ruscello dove evidentemente Tofa si era rifornita di acqua e sostarono per qualche minuto per dissetarsi e darsi una sciacquata. L’acqua era tanto gelida da fargli formicolare la pelle, ma fu una bella sensazione per Fìli riuscire a tergersi almeno il viso e le braccia dalla sporcizia; erano settimane che sognava un bagno caldo.
Discesero il resto del pendio fino a Dale senza incidenti, ma qui la loro fortuna si esaurì: si tuffarono precipitosamente in un fosso per nascondersi da una pattuglia in ricognizione e trattennero il fiato fino a che non udirono più il suono dei loro passi.
“Hanno incrementato la sorveglianza,” mormorò Tofa. “Devono aver scoperto che tu e tuo fratello siete fuggiti. Vi aspetteranno ai cancelli.”
“Non va bene,” ringhiò Fìli. “Anche con le uniformi, è impossibile che riusciamo a entrare a Dale senza venire scoperti.”
“Io posso andare,” disse Ori quasi rattrappendosi, per poi squadrare le spalle e sollevare il mento quando gli altri lo fissarono. “Sono solo uno scrivano e nessuno fa mai caso a me, a meno che non abbiano un messaggio da farmi consegnare. Non devo fare altro che togliermi questa,” aggiunse indicando la propria divisa da guardia, “e camminare dritto fino a Dale. Se qualcuno mi ferma, dirò che ho un messaggio per Re Bard.”
Tofa e Fìli si scambiarono un’occhiata ed egli vide che la donna era scettica almeno quanto lui su quel piano. Ori però aveva ragione: era l’unico tra loro che potesse introdursi a Dale senza essere notato. “Molto bene. Ma stai attento, Ori. Se ti faccio uccidere, i tuoi fratelli mi scuoieranno vivo.”
Ori ridacchiò, seppure nervosamente. “E non vogliamo che succeda. Farò attenzione.”
“Noi non possiamo restare qui, è troppo vicino alla strada. Ricordi quell’affioramento roccioso, a circa mezzo miglio più indietro? Sembrava ci fosse una grotta sotto. Ti aspetterremo là.”
“D’accordo. Vi porterò gli aiuti più in fretta che posso.” E dopo essersi tolto la divisa, Ori rivolse loro un breve sorriso e si avviò verso la città.
Sotto l’affioramento c’era proprio una grotta, grande abbastanza per potervisi riparare. Sistemarono Kìli meglio che poterono e gli misero sopra l’uniforme lasciata da Ori come una sorta di coperta. Dopo avergli fatto bere ancora un pò d’acqua, Fìli e Tofa sedettero vicini con le schiene poggiate contro la parete rocciosa, e aspettarono.
Fìli posò di nuovo una mano sul petto di suo fratello, confortato dal movimento della sua respirazione; sospirò rumorosamente e disse: “Odio questo piano. So che è il migliore che abbiamo, ma... Ori è ancora così giovane.”
“È sveglio e coraggioso,” rispose Tofa dandogli amichevolmente un colpetto con la spalla. “Sarà giovane ma di certo sa rendersi utile.”
“Sì, hai ragione.” Eppure Fìli non riusciva a rilassarsi. Era dura mettere qualcun altro in pericolo mentre lui se ne stava al sicuro.
Non che fossero poi tanto al sicuro, tra l’altro. Erano abbastanza lontani dalla strada da non essere visti, questo sì, ma erano ancora tanto vicini da sentire i pesanti passi delle guardie che la pattugliavano.
“Certo che ci sono molte più pattuglie del solito. Skalgar deve essere fuori di sè dalla rabbia per la vostra fuga.” Tofa aveva l’aria di trarre un certo piacere da quel pensiero.
“Spero che si  mangi la barba, quel disgraziato.” Si scambiarono un’occhiata divertita, poi Fìli tornò a rabbuiarsi. “Quante probabilità abbiamo di superare le pattuglie di Dale, anche se Ori riesce a contattare Bard?”
Tofa rimase in silenzio tanto a lungo che lui pensò dovesse avere le sue stesse preoccupazioni. “Se trovare rifugio a Dale risulterà impossibile, troveremo un altro modo. Sperando che non sia necessario viaggiare fino a Ered Luin, però.”
“Grazie, Tofa. So che questa non è la tua battaglia e ti sono davvero grato per il tuo aiuto.”
“Vorrei vedere.” La donna sollevò le sopracciglia e gli lanciò un’occhiata di sbieco. “Questo è il massimo del rischio che sono disposta a prendermi senza essere pagata per i miei servigi.”
Fìli era sul punto di risponderle con una battuta che o l’avrebbe fatta ridere o l’avrebbe indotta a pugnalarlo, quando udirono un lieve fruscio proveniente dall’ingresso della grotta. Entrambi balzarono in piedi con le spade sguainate mentre un Elfo biondo dall’aria familiare faceva la sua entrata.
“Aspettate, aspettate!” esclamò Ori, frapponendosi tra l’Elfo e le loro armi. “Il Principe Legolas è qui per aiutarci!”
“Aiutarci? Lui?” chiese Fìli incredulo.
“Sfortunatamente sì,” disse Legolas con aria cupa. “Anche se mi sto già pentendo di aver accettato.”

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(glossario)
Kheled-zâram: il Mirolago, sulla cui superficie Durin il Senzamorte vide riflesse le Sette Stelle in pieno giorno. Lo prese come segno di buon auspicio per la fondazione di Khazad-Dûm (Moria) nelle montagne vicine.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14: Di cavoli e di principi ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

“Perchè mai vorresti aiutarci?” domandò Fìli. “O è solo un trucco per catturarci di nuovo?”
Un muscolo guizzò sulla guancia di Legolas. “Non ho alcun interesse a catturarvi per conto di mio padre. L’unica ragione per cui sono qui è che il tuo servitore – (a queste parole Ori emise un sibilo furibondo) – mi ha riferito che tuo fratello è sulla soglia della morte.”
“E che te ne importa? Tuo padre era pronto ad ammazzarci tutti, almeno fino a che non sono arrivate le orde degli Orchi e dei Mannari.” Contrariamente al suo istinto Fìli abbassò la spada imitato da Tofa, che sembrava rapita dalla loro conversazione.
“Non ho bisogno di spiegarti le mie motivazioni,” sibilò l’Elfo.
“No, io credo proprio che dovresti.”
Legolas lo ignorò e continuò: “Ciò che devi comprendere è che posso portarvi a Dale, ma questo non basterà a salvare tuo fratello.”
“Che vuoi dire?” Fìli lo squadrò con sospetto.
“È andato troppo oltre. Gli occorre una cura elfica, o non durerà una settimana. Lo curerò io una volta raggiunta Dale.”
Fìli incrociò le braccia e gli rivolse un’occhiata malevola per dissimulare il brivido di paura che lo scosse. “Se credi che ti farò avvicinare a mio fratello e somministrargli qualsiasi diavoleria elfica tu abbia in mente senza che mi spieghi perché dovrei credere che lo fai a fin di bene, ti sbagli di grosso.”
“Perchè Tauriel lo ha sposato!” sbottò allora Legolas.
Seguì qualche istante di silenzio e Fìli lo fissò stupito. Lui lo sapeva già, naturalmente, ma non pensava che anche Legolas sapesse che quello sciocco di suo fratello si era unito in matrimonio con l’Elfa poco prima della battaglia.
“Quindi te ne importa solo perchè adesso siamo parenti acquisiti, per così dire?”
Legolas parve frustrato, un’espressione in qualche modo divenutagli abituale quando parlava con o di Nani. “Me ne importa perchè è molto difficile per un Elfo sopravvivere alla perdita del proprio coniuge. Se Tauriel è ancora viva, la morte vera di Kìli potrebbe ucciderla. Questa è l’unica ragione per cui mi interessa se lui vive o muore.”
Fìli deglutì. “Beh, questo... ha senso.” Se Tauriel era ancora viva? Avrebbe dovuto chiedergli una spiegazione più tardi. Si schiarì la gola. “D’accordo. Cosa proponi per farci entrare a Dale?”
“Mio padre invia regolarmente carri di provviste in città: ne useremo uno per contrabbandarvi all’interno.”
Fantastico. Contrabbandati un’altra volta. Fìli sperava solo che stavolta non venisse costretto a ricoprirsi di pesci e altre schifezze cui non voleva nemmeno ripensare.
Venne fuori invece che avrebbe odorato di cavoli e sarebbe stato coperto di fieno, il che era di certo un miglioramento considerevole rispetto all’ultima esperienza a Pontelagolungo.
Legolas guidò dunque il carro mentre i quattro Nani si sistemarono nella parte posteriore, camuffati tra balle di fieno e casse di cavoli e altri ortaggi. Kìli era sempre incosciente e Ori si era rannicchiato in un angolo per schiacciare un pisolino, lasciando a Fìli e Tofa un pò di privacy.
Fìli era a conoscenza dell’estrema sensibilità dell’udito elfico e sapeva che qualunque loro conversazione, per quanto basso mantenessero il tono di voce, sarebbe stata udita; perciò battè con un dito sul polso di Tofa per richiamare la sua attenzione e gesticolò la parola ‘Opinioni?’ nel suo alquanto arrugginito Iglishmêk. Non aveva mai utilizzato molto il linguaggio dei segni nanico – i membri della Compagnia che avevano lavorato come fabbri o minatori erano molto più abili di lui, dal momento che era un linguaggio sviluppato per poter comunicare in ambienti troppo rumorosi per usare la voce.
Un lampo di sorpresa attraversò il viso di lei e gli rispose gesticolando con tanta rapidità che Fìli riuscì a capire solo la parola ‘Elfo’.
Ripeti,’ gesticolò.
Più lentamente, lei ripetè: ‘Chi è l’Elfo?
Fìli si diede una manata in fronte. Aveva dimenticato che Tofa non poteva in alcun modo conoscere Legolas. ‘Il figlio del Re di Bosco Atro.
‘Possiamo fidarci?
‘Non so. Non c’è scelta.
Lei fece una smorfia. ‘Chi è...’ e sillabò il nome Tauriel.
Ma Fìli scosse il capo. ‘Ti spiego dopo.’ Non sarebbe mai riuscito a spiegarle la situazione sentimentale di Kìli nel suo lento e laborioso Iglishmêk. E sinceramente, non aveva voglia di farlo in nessuna lingua. Voleva bene a suo fratello e non si sarebbe mai frapposto tra lui e la sua felicità, ma doveva proprio trovare l’amore in un Elfo?
‘Non possiamo fare altro per ora. Teniamo gli occhi aperti,’ concluse Tofa stringendosi nelle spalle.
Fìli sospirò. Già, non c’era altro da fare.
Quando si avvicinarono alla città dovettero interrompere ogni comunicazione. Sepolto nel fieno, Fìli cercò di non starnutire mentre attraversavano lentamente i cancelli. Nessuno chiese di perquisire il carro, forse perchè alla guida c’era nientemeno che il Principe del Reame Boscoso. Una volta entrati il carro acquistò velocità, ma fu comunque un lungo viaggio attraverso la città, con nient’altro da fare se non cercare di non inalare troppa polvere del fieno. E rimuginare.
Legolas sembrava sincero nel suo proposito di volerli aiutare, ma fino a che punto potevano fidarsi di un Elfo? Fìli si sentiva meglio all’idea che comunque aveva un interesse personale nell’aiutarli: era più verosimile che Legolas volesse salvare la vita alla sua amica piuttosto che volerli aiutare per semplice buon cuore e generosità. Fìli fece una smorfia a quel pensiero.
Era strano, però, ciò che aveva detto sulla difficoltà di un Elfo di sopravvivere alla morte del proprio coniuge. Il loro padre era morto quando Kìli era ancora un poppante e la loro madre non si era lasciata consumare dal dolore come un delicato fiorellino: no, era andata avanti, forte e determinata come sempre, non soltanto per i suoi figli, ma anche per gli altri. Tipico degli Elfi, pensò Fìli, essere così melodrammatici. I Nani erano molto più sensibili in materia d’amore – come in qualsiasi altra cosa, del resto.
Il carro rallentò di nuovo e fece una curva; a giudicare dall’eco degli zoccoli del cavallo sull’acciottolato, dovevano essere entrati in un qualche cortile interno. Fìli aspettò un segnale che indicasse loro che potevano emergere dal nido di fieno.
Ci fu un rumore come di portoni che venivano chiusi e poi Legolas bussò con le nocche sui lati del carro. “Ora potete uscire.”
Fìli sgusciò fuori dal fieno e con l’aiuto di Ori recuperò Kìli dallo spazio tra le due casse in cui l’avevano posto per sicurezza. Dopo essersi occupato di suo fratello, studiò la situazione: si trovavano proprio in un cortile, con un massiccio portone di legno che era stato richiuso. Alte mura senza finestre si ergevano intorno a loro, la cui continuità era interrotta solo da una porta; a giudicare dalla sua modestia, immaginò che fosse l’ingresso riservato ai servitori della casa.
La figlia di Bard, Sigrid, emerse dalla porta che dava sul cortile e corse verso di loro. “Bene, siete riusciti a superare i cancelli. Ci siete tutti? Chissà perchè mi aspettavo un’altra dozzina di Nani... oh, no!” esclamò quando scorse Kìli. “Sembra stare peggio che a Pontelagolungo. E io che non lo credevo possibile!”
“Grazie per l’aiuto che di nuovo sei disposta a darci,” le disse Fìli con un inchino. “So che non dobbiamo averti lasciato una buona impressione sui Nani l’ultima volta, per cui ti sono davvero grato per... per tutto.”
“Voi ci avete aiutati quando è arrivato Smaug. E so che quanto è accaduto dopo è stato per responsabilità di tuo zio, non vostra.” Fìli si accigliò un pò, ma non poteva proprio contestare le parole della ragazza. “Su, vediamo di sistemare tuo fratello.”
La porta da cui era uscita conduceva in una cucina vuota e abbastanza polverosa, collegata ad una serie di stanze probabilmente altrettanto in disuso. Era chiaro che l’ambiente era stato ripulito dopo la riconquista di Dale ma non molto era stato fatto, salvo spazzare via i detriti accumulatisi in decenni di abbandono e assicurarsi che non ci fossero animali che dimoravano nei mobili.
Sigrid li condusse in un’altra stanza accanto alla cucina: Fìli immaginò che un tempo venisse usata come dispensa ma ora era stata riconvertita in camera da letto, con un materasso di paglia fresca e profumata e diverse coperte, un pò tarlate ma ancora utilizzabili.
Sistemarono dunque Kìli sul letto: si mosse leggermente, ma non aprì gli occhi.
“Cosa gli è successo?” I grandi occhi di Sigrid erano colmi di apprensione.
Fìli scosse il capo, non volendo angustiarla maggiormente con i dettagli. “Non lo so di preciso.”
“Sigrid, puoi preparare del brodo leggero?” chiese Legolas. “E tu, quello giovane. Renditi utile e metti un pò d’acqua a bollire.”
Nella stanza rimasero solo Tofa e Fìli con Legolas e l’ancora incosciente Kìli. L’Elfo alzò su Fìli i suoi gelidi occhi azzurri. “Spiegami cosa gli è accaduto.”
Fìli si chinò a scostare i capelli dalla fronte di suo fratello. La sua pelle era ancora grigiastra e cerea, il suo petto si alzava e si abbassava lentamente. “È stato drogato,” rispose senza preamboli. “Dàin ha portato a Erebor un misterioso guaritore che sembra avere una grande influenza su di lui. Ci ha tenuti prigionieri entrambi. Me, mi drogava solo se facevo troppa confusione, ma Kìli... non so proprio perchè lo facesse, ma a quanto pare questa droga o lo rendeva incosciente o lo induceva a parlare con persone che non erano lì presenti.”
L’Elfo annuì, sempre con un’espressione fredda e controllata. “Sapevo che c’era qualcosa di strano in Dàin fin dalla battaglia, ma non avevo capito che la situazione fosse così grave. Bisognerà fare qualcosa al riguardo.”
“Chi, voi Elfi? Potete anche tenere il naso fuori dai nostri affari, grazie tante.”
“Ciò che turba la stabilità di Erebor o di Dale turba anche quella del Reame Boscoso. Ma ne discuteremo dopo. Ora, per favore, lasciami un pò di spazio cosicchè io possa concentrarmi su tuo fratello.”
Fìli si fece indietro e si appoggiò al muro, accanto a Tofa.
“Non posso concentrarmi se mi state così addosso,” insistette l’Elfo. “Cortesemente, uscite dalla stanza.”
Fìli fece una smorfia, ma decise di non mettersi a discutere con chi poteva guarire suo fratello. “Andiamo, Tofa.”
Uscirono in cucina e si sedettero al lungo tavolo di legno. Ori era occupato ad appendere una pentola piena d’acqua sul fuoco di un caminetto annerito, dall’altra parte della stanza; Sigrid non era ancora rientrata, perciò i due avevano un pò di privacy per parlare.
Fìli si sedette pesantemente prendendosi la testa tra le mani. “Mahal, spero proprio che l’Elfo riesca a guarire Kìli.”
Tofa si sedette davanti a lui. “Sembra sapere quello che fa.”
“Sì, è solo che...”
“Lo so.” La donna si strinse nelle spalle. “Se non altro non siamo dovuti andare fino a Ered Luin per trovare aiuto.”
Lui sbuffò piano. “Saresti davvero venuta con noi fin laggiù?”
Lei parve offesa. “Ti ho dato la mia parola che ti avrei aiutato a salvare tuo fratello, principino.”
“Mi dispiace.” Fìli sospirò. “Non intendevo insultarti di nuovo. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi. Dove andrai adesso?”
Tofa aggrottò la fronte e si guardò le mani incrociate sul tavolo. “Intendi ancora tornare alla montagna e salvare Thorin Scudodiquercia, anche se è quasi certamente morto?”
“Mio zio non è morto. E io lo salverò.”
“I tuoi unici sostenitori sono Ori, che ha fegato ma nessuna esperienza di combattimento, e tuo fratello, che potrebbe anche non riprendersi.”
“Si riprenderà.”
Lei annuì, forse perchè non voleva discutere con lui su quel punto. “In ogni caso, non hai quasi nessuno al tuo fianco mentre Dàin ha un intero esercito a disposizione, per non parlare di Skalgar. Le probabilità non sono a tuo favore.”
“Devo almeno tentare. Se moriremo, sarà facendo la cosa giusta.”
“Fallirai, non lo capisci?” Gli occhi scuri di Tofa erano quasi imploranti.
Fìli scosse il capo. “Non posso crederlo. Non voglio crederlo.”
Lei disse qualcosa in una lingua che a lui parve Haradrim; non aveva bisogno di conoscerla per sapere che si trattava di un’imprecazione. “Un altro idiota idealista. Giuro che la vostra gente sarà causa della mia morte.”
“Non sei costretta ad aiutarci,” rispose Fìli, anche se ormai sperava nel contrario. “Come hai detto tu stessa, questa non è la tua battaglia.”
Tofa sospirò: chiuse gli occhi per un momento e, quando li riaprì, erano colmi di determinazione. “Resterò e combatterò per voi.”
“Ma tu sei una mercenaria. Perchè rischi il collo per noi?”
“Tempo fa ho fatto un giuramento e ho intenzione di onorarlo.” Alzò una mano per impedirgli di ribattere. “Non dirò altro per il momento. Ma ti do la mia parola che, se posso, ti aiuterò a riprenderti Erebor.”
Fìli notò che Tofa non aveva detto niente sul salvataggio di Thorin. Ma andava bene anche se lo credeva morto. Lui avrebbe creduto nel contrario per tutti e due.
“Ti ringrazio.” Fìli stese la mano e le strinse l’avambraccio; lei parve sorpresa per un attimo, poi gli strinse il suo a sua volta, in una stretta di mano da guerrieri. “Apprezzo il tuo aiuto più di quanto non riesca a dire.”
“Forse sono idiota quanto te, perchè inizio a pensare che potremmo non essere destinati al fallimento...” Gli occhi della donna si concentrarono su un punto alle spalle di Fìli e improvvisamente sorrise, lasciandogli il braccio e alzandosi in piedi. “Mia signora, lascia che ti aiuti con quella.”
“Oh!” Sigrid, rientrata con una pentola dall’aria pesante, parve rimanere interdetta dall’offerta della Nana. “Non ce n’è bisogno...”
“Nessun problema,” rispose la mercenaria togliendogliela di mano e rivolgendole un sorriso un pò troppo accattivante. “Devo metterla sul fuoco?”
Fìli ridacchiò tra sè a quel palese tentativo di conquista. Dubitava che sarebbe andato a segno, però: a giudicare dai fili grigi sulle tempie e dalle rughe d’espressione intorno agli occhi, Tofa doveva avere come minimo l’età di sua madre, se non di più.
In quel momento Legolas aprì la porta della camera, appoggiandovisi come se avesse bisogno di un sostegno. “Per il momento ho fatto quanto ho potuto. Tuo fratello avrà bisogno di riposo e di quanto più nutrimento riuscirete a fargli ingerire.”
Fìli era balzato in piedi ed era entrato nella stanza prima ancora che l’altro finisse di parlare. “Kì?” sussurrò sedendosi sul bordo del letto.
Kìli non rispose al nomignolo infantile. Sembrava ancora immerso nell’incoscienza, ma il suo colorito era migliorato e la respirazione appariva più evidente e sicura. Fìli gli pose una mano sulla fronte e sospirò sollevato: non era più freddo e cereo.
“Gli darò un pò di brodo,” disse piano Sigrid.
Fìli alzò lo sguardo sorpreso e vide che la ragazza reggeva tra le mani una ciotola fumante. Non l’aveva neppure sentita entrare. “Posso pensarci io.”
“Non c’è problema.” Sigrid accennò col capo alla cucina. “Dovresti andare a parlare col Principe Legolas. Mi occuperò io di tuo fratello.”
Fìli odiava l’idea di lasciare Kìli, ma lei aveva ragione; e così, pur se controvoglia, tornò in cucina.
Legolas sedeva al tavolo e beveva una tazza di tè; era strano vedere un Elfo fare qualcosa di così normale. Ori e Tofa erano spariti da qualche parte.
Fìli si sedette davanti a lui e gli chiese: “Come sta mio fratello?”
“Nel corpo, è sulla via della guarigione. Nello spirito, tuttavia... è difficile da dire.” Legolas pareva preoccupato.
“Che vuol dire ‘nello spirito’?”
“Io non sono un guaritore. Posso solo fare supposizioni su un concetto che qualcuno con più esperienza saprebbe determinare con certezza. Ma sembra che il fae di tuo fratello, il suo spirito, sia stato in qualche modo separato dal suo corpo.”
Fìli ebbe l'impressione di aver ricevuto una martellata. “Morirà?”
“Tutti i mortali debbono morire. Ma no, tuo fratello non morirà per questo. Credo addirittura che col tempo si ristabilirà completamente, il che è molto strano davvero. Se questa cosa va avanti dalla fine della battaglia, a quest’ora dovrebbe essere morto o trasformato in un guscio senza cervello e vivo a malapena.”
“Grazie per questa bella immagine mentale,” borbottò Fìli.
“C’è una sola spiegazione cui riesco a pensare per il fatto che tuo fratello sia ancora vivo, e ciò mi fa ben sperare per la sorte di Tauriel.”
“Non capisco. Perchè non sai cosa ne sia stato di lei? Non è a Bosco Atro?”
“Tauriel è stata bandita dal Reame Boscoso per aver aiutato te e la tua gente ed essere andata contro gli ordini di mio padre. E tu non sapevi nemmeno che si era sacrificata per voi, vero? Tipico.”
Fìli gli lanciò un’occhiataccia. “Sai com’è, ero un tantino occupato a sanguinare a morte prima e a farmi imprigionare dopo.”
Con un’aria scontenta, Legolas rispose: “Bene, ammetto che non avevi modo di saperlo. Tuttavia sono certo che il resto della tua gente non abbia la minima idea di quanto lei abbia fatto per voi, e non hanno scuse. Ad un certo punto, dopo la battaglia, Tauriel è sparita prima che io riuscissi a raggiungerla. Ho seguito le sue tracce fino al monte Gundabad e dentro le gallerie degli Orchi, dove le ho perse completamente. Anche se il grosso della loro armata era stato distrutto a Erebor, quelle gallerie ancora brulicavano di Orchi. Non avevo modo di sapere se fosse viva o morta.”
“Ma adesso credi che sia viva e che questo abbia qualcosa a che fare con mio fratello?”
“Credo ci sia una connessione tra i loro spiriti che abbia consentito a tuo fratello di restare in vita.”
Questo per Fìli non aveva alcun senso. “Perchè, solo perchè sono sposati?”
“Per metterla in termini più semplici possibili, sì – il che vuol dire che Tauriel è quasi certamente viva.” L’Elfo parve sul punto di sorridere, ma poi si ricordò che stava parlando con un Nano e tornò ad accigliarsi. “Se Tauriel muore a causa di tuo fratello, sappi che sarà vendicata.”
“Ne prendo nota.” Perchè Fìli doveva sempre aver a che fare con Elfi fuori di testa? Questo però implicava che ci fossero anche Elfi con la testa a posto, e non ne era affatto certo.
Legolas inclinò graziosamente il capo da un lato. “Tornerò a controllare tuo fratello più tardi. Fà che io non venga disturbato nelle prossime ore.”
Vedendolo incamminarsi verso una delle due porte che conducevano nelle altre stanze, Fìli gli chiese: “Ma come, resti qui?”
Credette che se ne sarebbe andato senza rispondergli, ma all’ultimo Legolas si volse verso di lui e annuì. “Per il momento, sì.”
Fìli scosse il capo interdetto. Elfi.
Tornò nella stanza da letto e vide che Sigrid aveva tirato fuori una sedia dall’aria sgangherata; sul basso tavolino accanto al letto aveva appoggiato la ciotola col brodo, ancora quasi piena.
“È ancora addormentato,” gli disse, “ma sono riuscita a fargli bere un pò di brodo.”
“Grazie,” rispose Fìli. “Siamo in debito con te.”
“Avete salvato me e i miei fratelli dal drago. Non mi dovete niente.”
“Ti sono comunque molto grato. Tuo padre sa che siamo qui?” Lei annuì. “Possiamo incontrarlo?”
“Temo di no. Devi capire, questo mette mio padre in una situazione molto complicata,” disse Sigrid in risposta al ringhio frustrato di Fìli. “Dàin ha scelto di onorare l’accordo che Thorin Scudodiquercia aveva preso con la gente di Pontelagolungo. Avrebbe potuto rifiutare, ma non l’ha fatto. Gli dobbiamo molto, perciò mio padre non può agire contro di lui apertamente. È necessario che la vostra presenza a Dale rimanga segreta.”
“Certo,” sbuffò Fìli.
“Ma questo non vuol dire che mio padre non vi appoggi. Solo, non può farlo apertamente.” Sigrid si accigliò e la sua voce si fece più dura. “Credi davvero che avrei potuto sistemare qui tuo fratello e garantire la vostra privacy senza il supporto di mio padre? Lui vuole che riusciate a estromettere Dàin da Erebor.”
“E così, se falliamo, lui non perderà niente.” Fìli pensava di aver parlato senza troppa durezza ma, a giudicare dalla reazione di Sigrid, si sbagliava.
La ragazza si alzò in piedi sistemandosi il mantello sulle spalle con un’aria di dignità offesa. “Mio padre sta rischiando l’alleanza del nostro popolo con Dàin per aiutare voi. I Nani sono dunque usi a sputare in faccia a coloro che gli offrono aiuto?”
“No, non lo siamo. Ti chiedo scusa, Sigrid. Capisco che Bard deve fare tutto ciò che può per proteggere il suo popolo.” Fìli le tese una mano con un’espressione sinceramente rammaricata e, dopo qualche istante, lei la accettò. “Grazie per l’aiuto che state dando a me e a mio fratello. Avete la gratitudine di tutta la stirpe di Durin.”
Sigrid arrossì e sorrise timidamente. “Scuse accettate.”
In quel momento si udì un gemito provenire dal letto. Fìli si precipitò al capezzale e si chinò su suo fratello, osservando le palpebre dischiudersi. “Kìli?”
“Fì,” biascicò Kìli. Battè le palpebre parecchie volte, come se non riuscisse a metterlo bene a fuoco. “Sei vivo.”
“Certo che sono vivo.” Fìli sedette sul bordo del letto e scostò le ciocche sudate dalla fronte di suo fratello. “Come ti senti, nanadith?”
Kìli si passò la lingua sulle labbra e fece una faccia disgustata. “Come se qualcosa mi fosse morto in bocca.”
Fìli si voltò verso Sigrid. “Dell’acqua?”
La ragazza riempì un bicchiere e tra tutti e due riuscirono a farne bere a Kìli una buona sorsata.
“Dove siamo?” chiese poi loro con voce roca. “Pontelagolungo?”
“No, siamo a Dale.” Fìli scambiò un’occhiata incerta con Sigrid e allora capì perchè suo fratello fosse confuso. “Bard è il signore di Dale adesso, ricordi?”
“Oh.” Kìli richiuse gli occhi e per un breve momento sembrò andarsene di nuovo alla deriva. “Tauriel sta arrivando.”
Fìli si morse un labbro, incerto sul lasciarlo alle sue false speranze o dirgli la verità, ossia che non sapevano dove la sua amata Elfa si trovasse. “Tauriel non è qui,” decise infine di dirgli come compromesso.
“Lo so.” Gli occhi di Kìli erano ancora chiusi, ma sorrideva. “Sta venendo qui, e anche Bilbo... e anche amad...” mormorò prima di riaddormentarsi.
Fìli strizzò gli occhi e si premette due dita sulla radice del naso. “Le guardie dicevano che aveva le allucinazioni, che parlava con persone che non erano davvero lì,” borbottò. Poi sentì una mano che gli si posava gentilmente sulla spalla: aprì gli occhi e vide Sigrid che gli sorrideva con aria incoraggiante.
“È solo un pò confuso. Non è una cosa insolita in persone che si riprendono dopo una lunga malattia. Vedrai che presto starà meglio.”
“Spero che tu abbia ragione.” Non poteva spiegare a una non-Nana i suoi timori circa la follia che sembrava perseguitare la stirpe di Durin. Si costrinse a sorridere anche se, a giudicare dallo sguardo preoccupato della ragazza, non doveva essere stato molto convincente. “Sono certo che migliorerà.”
“Ora vai a riposarti. Ho preparato un letto e dei vestiti puliti, anche se probabilmente non saranno proprio della tua taglia.” Sigrid si strinse nelle spalle con aria di scusa. “Ori ha riscaldato dell’acqua, puoi usarla per lavarti.”
Fìli esitò: odiava dover lasciare Kìli proprio adesso che l’aveva ritrovato.
“Mi occuperò io di tuo fratello,” aggiunse Sigrid. I suoi occhi erano gentili e molto azzurri, notò Fìli.
Improvvisamente si rese conto di essere esausto. “D’accordo. Svegliami se c’è qualsiasi cambiamento.”
“Lo farò. Ora vai a dormire un pò.”
Fìli avrebbe ricordato a malapena di essersi lavato e cambiato in una camicia da notte troppo grande per lui; nell’istante in cui poggiò la testa sul cuscino, cadde in un sonno profondo e senza sogni.

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(glossario)
Amad –> madre
Nanadith –> fratellino

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Capitolo 15
*** Capitolo 15: Attraverso le montagne ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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“Non penso che stia dormendo.”
Nori lanciò un’occhiata all’Elfa dai capelli rossi, ancora raggomitolata sul suo giaciglio nonostante il resto dell’accampamento iniziasse già a destarsi alle prime luci dell’alba. “Cosa credi che faccia, meditazione? Con gli occhi chiusi?”
Bofur assunse un’aria ostinata. “Potrebbe essere.”
“Bene, quando si sveglia le chiederò se stava dormendo. Anche se non ce ne sarebbe bisogno, perchè è proprio così.” Nori fece cenno a Bofur di spostarsi e sedette in un punto in cui poteva tenere d’occhio la ragazza Elfo. Gli altri due, non aveva idea di dove fossero finiti; per quanto ne sapeva potevano anche essersi appollaiati sugli alberi.
Senza nient’altro da fare per il momento, il Nano cercò di capire cosa Kìli potesse averci mai trovato in quell’Elfa. Il suo viso era del tutto nudo, ovviamente, ma anche alcune Nane avevano meno barba di altre e Nori non era uno che giudicava. Era alta, ma non più di tanto – un Nano alto come Kìli poteva tranquillamente arrivarle alle spalle. La cicatrice a lato del suo viso spiccava a riprova del suo valore in battaglia e aggiungeva quel qualcosa in più alla monotonia tipica delle facce elfiche. I capelli erano la cosa più attraente in lei: molto lunghi, folti, con una vivida sfumatura di rosso che Nori ammetteva senza problemi di invidiare (se doveva essere onesto, il che non sempre era la norma).
Se si ignorava il fatto che fosse un Elfo, supponeva che non fosse troppo brutta; era dunque probabile che i figli suoi e di Kìli non sarebbero stati del tutto ripugnanti, o perlomeno si sperava.
In quel momento l’Elfa si mosse un pò e aprì lentamente gli occhi. “Buongiorno,” disse mettendosi a sedere e assumendo un’espressione un pò confusa quando si accorse che Nori la fissava.
“Dormito bene?”
“Sì.” Tauriel alzò le braccia sulla testa e si stiracchiò con un sorriso. “Molto bene, in effetti.”
“Quindi voi Elfi dormite. Bofur mi deve cinque monete.” Nori ghignò. Soldi facili.
“Chiedo scusa?”
“Abbiamo fatto una scommessa. Avevo sentito dire che gli Elfi non dormono mai.”
“Possiamo restare parecchio tempo senza dormire, se ce n’è bisogno. Per me, la situazione attuale non richiedeva una tale vigilanza. Comunque sì, ogni tanto dormiamo anche noi.”
“È tutto ciò che volevo sapere. Ora, se vuoi scusarmi, devo andare a riscuotere la mia scommessa.” Nori si alzò in piedi e le rivolse un inchino.
Tauriel annuì con un altro sorriso divertito. “Buona fortuna.”
Nori trotterellò via fischiettando. Non del tutto orrenda e con un certo senso dell’umorismo; se proprio il Principe Kìli doveva innamorarsi di un Elfo, avrebbe potuto certamente scegliere di peggio.
“Paga, Bofur. L’hai sentita, stava dormendo e non meditando con gli occhi chiusi o qualcosa del genere.” Vedendo che l’amico sembrava riluttante a mollare il suo sacchetto, Nori agitò le dita della mano che aveva teso verso di lui. “Avanti, una scommessa è una scommessa. E farai meglio a non rifilarmi nessuna moneta di Dunland. Sono fatte più di metallo di base che d’argento.”
“E chi è che ha cercato di pagarmi con una moneta di Rohan forgiata così male che aveva la forma di un ovale?” Bofur tenne il sacchetto sospeso sulla mano di Nori fino a che l’altro non glielo strappò dalle dita.
“Te l’ho detto, quella moneta era di Gloin.”
Rannicchiata lì vicino a rimpacchettare le sue cose, Dìs disse distrattamente: “Non essere ridicolo. Gloin sa forgiare le monete molto meglio di così.”
Bofur scoppiò a ridere. “Ben detto, vostra maestà!”
Lei si raddrizzò con la fronte aggrottata. “Vi ho detto di non chiamarmi così. Andava bene a Gran Burrone, ma qui dovete abituarvi a chiamarmi solo Dìs.”
Bofur si tirò le orecchie del cappello. “È solo che non mi sembra giusto non rivolgermi a te nella maniera più appropriata.”
Nori si limitò a stringersi nelle spalle; per lui non c’era alcun problema nel non rivolgersi nella ‘maniera più appropriata’ a chicchessia, Re e Principesse incluse.
Dìs sollevò le sopracciglia. “È in gioco la vita dei miei figli e di mio fratello, perciò mi chiamerete Dìs.”
“Sissignora,” borbottò Bofur.
“Sì, Dìs,” replicò allegramente Nori.
Lei li osservò attentamente con l’ombra di un sorriso. “Meglio.”
Quando si allontanò, Bofur emise un gran sospiro. “Vuoi ricordarmi ancora una volta perchè non c’è stata lei al comando della Compagnia?”
“Non essere stupido. Sfilare l’Archengemma dalle grinfie di un drago sputafuoco era un piano da pazzi.” Nori accennò con la testa in direzione di Dìs. “Lei ti sembra una pazza, per caso?”
Bofur si grattò la nuca. “Ho afferrato il concetto.”

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Dopo parecchi giorni di viaggio in un clima perfettamente estivo raggiunsero i sentieri rocciosi dell’Alto Passo. Fortunatamente le montagne erano tranquille: nessuna battaglia tra Giganti di Pietra stavolta, anche se cominciava a piovere.
Al termine del loro primo giorno attraverso il passo, Elladan ed Elrohir suggerirono di fare tappa in una grotta che poteva contenere l’intera compagnia più i pony e i cavalli; dire che Bilbo storse il naso a quell’idea sarebbe un eufemismo.
“Avete controllato che non ci siano Goblin e altre cose così, giusto? E nemmeno trabocchetti nascosti? L’ultima volta che ho soggiornato in una grotta non è finita bene nè per me nè per quelli che erano con me.” Lo Hobbit rabbrividì al ricordo dei Goblin e più ancora di quella disgraziata creatura che lo aveva sfidato a una gara di indovinelli quando era precipitato nel ventre della montagna, con la minaccia di mangiarselo in caso avesse perso.
Elrohir annuì pazientemente. “Non c’è pericolo, mastro Bilbo. Vedi questi simboli scavati nella roccia?”
Bilbo strizzò gli occhi a quelle che gli parvero sgraffiature a caso. “Sì? Cosa significano?”
“Sono stati fatti dai Raminghi. Questa è una delle grotte che usano come rifugio quando attraversano il passo. È sicura, te lo garantisco.”
Beh, su questo non poteva proprio controbattere. I Raminghi erano strana gente, ma di certo sapevano come sopravvivere nelle Terre Selvagge. Rilassandosi un pò, Bilbo si avviò per dare una mano a Bofur con la cena quando scorse la Principessa Dìs che avanzava decisa verso di lui. Si fermò e deglutì rumorosamente. Sperava di avere perlomeno i capelli in ordine e incrociò le braccia sul petto, per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi quando gli venne in mente che era una posizione troppo difensiva.
“Mastro Baggins,” esordì la Nana con un grave cenno del capo.
“Principessa Dìs.”
“Puoi concedermi un momento del tuo tempo?”
“Ma certo.” Sentendosi come un condannato, Bilbo le permise di scortarlo in una zona relativamente isolata della grotta.
“D’ora in poi devi ricordarti di non chiamarmi col mio titolo. Sarebbe troppo pericoloso se ti sfuggisse davanti a qualcuno che non vogliamo mi riconosca.” Rimase ad osservarlo per un minuto buono con aria neutra, e Bilbo cercò di non sembrare troppo a disagio. “E quando questo viaggio sarà concluso, potrai chiamarmi solo per nome. Dopotutto siamo parenti, ormai.”
“Ehm... ah. Sì.” Egli tossicchiò un poco. “Allora insisto che tu mi chiami Bilbo.”
“Bilbo, dunque.”
“E io ti chiamerò Dìs.” Bilbo tornò a rilassarsi, pensando che quell’incontro tremendo fosse finito e che sarebbero tornati a uno stato di cose in cui lei era a malapena consapevole della sua esistenza; sfortunatamente però le sue fragili speranze vennero infrante quando Dìs gli pose la domanda che temeva più di ogni altra.
“Perchè hai rubato l’Archengemma?”
Bilbo si guardò intorno sperando in una via di fuga, ma, a meno di non volersi infilare il suo anello e sparire davanti ai suoi occhi, non ce n’era alcuna. “Nori e Bofur non te ne hanno parlato? L’ho consegnata a Bard di Pontelagolungo cosicchè lui potesse scambiarla con la mia parte del tesoro, sperando che in questo modo non ci sarebbe stata la guerra.”
“Sì, ma perchè hai sentito la necessità di rubarla a mio fratello? Avevi già guadagnato la tua parte del tesoro, o no?”
“Beh, sì, ma Thorin non era... non era più sè stesso. Rifiutava di cedere anche una sola moneta ed era piuttosto determinato in questo.”
Dìs lo fissò con i suoi occhi azzurri, occhi dolorosamente familiari. “Dimmi la verità, senza cercare d’indorare la pillola: Thorin era impazzito?”
Bilbo esitò, ficcandosi i pollici in tasca e ancora una volta pensando seriamente di infilarsi l’anello e sparire. “Lui... ecco... mi dispiace, ma... sì. Era caduto preda della malattia dell’oro.”
Con aria addolorata, lei annuì. “Grazie per la tua onestà.”
In genere Bilbo cercava di non pensare mai al comportamento che Thorin aveva assunto quando avevano raggiunto Erebor, anche se non poteva fare niente per gli incubi che lo tormentavano; ma Dìs meritava di sapere che suo fratello aveva riacquistato la ragione, anche se per breve tempo. “Credo però che fosse migliorato verso la... la fine. Prima di essere portato via dagli uomini di Dàin, Thorin si è scusato per tutto quello che aveva detto e fatto.”
“Cos’ha fatto sotto l’influenza della malattia?” chiese Dìs, andando dritta al punto di ciò cui Bilbo non voleva ripensare.
“Diciamo che... ecco, la prima volta che sono uscito dalla stanza del tesoro dicendogli di non aver trovato l’Archengemma, mi ha minacciato con la spada. E anche dopo che il drago era morto, quella era l’unica cosa a cui riusciva a pensare. Dov’era l’Archengemma, dovevamo trovare l’Archengemma... Poi ha iniziato a sospettare che qualcuno di noi l’avesse rubata, il che è stato un tantino spaventoso visto che proprio io gliela tenevo nascosta per il suo bene.”
‘Un tantino spaventoso’, come no. Più che altro era stata l’esperienza più terrificante di tutta la sua vita, includendo persino l’essere scampato a un drago sputafuoco.
“Eravamo esausti, il cibo stava per finire, e non sapevamo se Fìli, Kìli, Oin e Bofur fossero sopravvissuti all’attacco del drago su Pontelagolungo. E nel frattempo Thorin ci faceva setacciare la stanza del tesoro notte e giorno alla ricerca di quella dannata pietra.” Bilbo si accorse troppo tardi di ciò che aveva appena detto in presenza di una signora e divenne rosso come un pomodoro. “Oh, mi dispiace, chiedo scusa–”
“Per cosa? Per aver detto ‘dannata’? Posso assicurarti che ho sentito di peggio.” Il leggero sorriso svanì quasi subito dal volto di Dìs. “Cos’altro ha fatto? Sento che c’è dell’altro che non mi stai dicendo.” Quando si concentrava in quel modo su qualcuno era intimidatoria quasi quanto Thorin, pensò Bilbo.
“Uhm, ecco...” Lo Hobbit incrociò le braccia avvertendo un brivido lungo la schiena. “Dopo che gli ho detto che avevo trovato l’Archengemma e l’avevo consegnata a Bard, lui... si è messo a urlare e poi... poi...” Si schiarì la gola, che sembrava esserglisi chiusa, e si costrinse a continuare. “Mi ha afferrato e ha... ha minacciato di gettarmi giù dalle mura di Erebor.”
E quella, quella era stata la cosa più terrificante di tutte. Il terreno sembrava così lontano e Thorin lo sovrastava nella sua furia. E poi quell’espressione di amaro tradimento e odio nei suoi occhi... Bilbo temeva che non sarebbe mai più riuscito a dimenticarla.
“Capisco.” Dìs scosse il capo con aria mesta. “Mio fratello doveva davvero aver perso il lume della ragione per fare una cosa simile al suo sposo.”
Imbarazzato, Bilbo si strofinò un piede su una caviglia. Era ancora strano il fatto che i Nani lo dichiarassero sposo di Thorin solo perchè avevano giaciuto insieme. Durante il tempo trascorso con lui, Thorin gli aveva rivolto parole d’amore che Bilbo avrebbe sempre custodito nel suo cuore come il più prezioso dei tesori, ma non aveva mai parlato di matrimonio. Ad essere sincero, si sentiva un impostore a viaggiare con sua sorella sulla base di quel supposto matrimonio quando lui e Thorin non ne avevano mai discusso. Ma, dato che c’era anche solo una piccola speranza di salvarlo, avrebbe fatto di tutto per essere della partita.
Quasi sicuramente però Thorin si sarebbe infuriato quando avrebbe saputo che Bilbo si era finto suo sposo. Era vero che aveva ritrattato tutto ciò che aveva detto e fatto sulle mura, ma un conto era concedere il perdono sul letto di morte, un altro era vivere con quella concessione giorno dopo giorno.
Beh, non aveva senso andarsi a cercare un altro guaio, come diceva sempre sua madre. Tanto i guai vengono da te comunque.
Dìs tacque per qualche minuto, accigliata e come profondamente assorta nei suoi pensieri. Poi gli chiese: “Cosa intendevi quando hai detto che hai rubato l’Archengemma per il bene di mio fratello?”
“Prima che Smaug venisse sconfitto, mi disse che l’Archengemma avrebbe corrotto Thorin conducendolo alla pazzia.”
Smaug ti ha detto questo? Ma avrebbe potuto mentire.”
“A quale scopo? Il drago intendeva comunque arrostirmi vivo.” Bilbo allargò le braccia, come a voler mostrare la propria totale inoffensività. “Voleva semplicemente divertirsi un pò con il suo pranzo prima. Non aveva ragione di mentire.”
“Se ciò che il drago ha detto è vero... potrebbe essere un altro pezzo d’informazione molto importante.” Dìs cominciò a camminare avanti e indietro, riflettendo. “L’archengemma, maledetta... potrebbe essere. Io ero molto giovane quando fuggimmo da Erebor, ma ricordo le voci secondo cui l’umore di mio nonno iniziò a cambiare drasticamente dopo che ebbe posto la gemma sul trono. Anche se questo non spiega il comportamento di mio padre –” S’interruppe e lanciò un’occhiata a Bilbo. “Beh, non c’è modo di esserne certi. Ma di certo possiamo nascondere la gemma nelle profondità più remote di Erebor e vedere se così avrà altri effetti su mio fratello.”
“O lanciarla in mare. Seppellirla dove nessuno la troverà mai.” Bilbo rabbrividì al ricordo del minaccioso canto che sembrava emanare dall’Archengemma. “C’è qualcosa di veramente sbagliato in quella pietra.”
“Grazie, Bilbo. Mi hai dato molto su cui riflettere.” Dìs lo guardò negli occhi per un lungo istante, poi gli battè un colpetto sulla spalla e si allontanò.
Bilbo rimase a fissarla mentre se ne andava. Pensava che fosse andata... bene? Non troppo orribilmente, in ogni caso. Se non altro era sopravvissuto. Sorridendo tra sè, tornò ad aiutare Bofur con la cena.

~
 
Dopo essersi lasciati alle spalle l’Alto Passo, iniziarono la lenta discesa attraverso i fianchi orientali delle Montagne Nebbiose.
Tauriel e Bilbo viaggiavano fianco a fianco in mezzo alla cordata di pony e cavalli; consapevole di essere stata posta in quella posizione perchè più facilmente difendibile, l’Elfa cercava di non sentirsi troppo a disagio con l’idea di poter avere bisogno di protezione.
“Beh, non è stato poi malaccio come la mia prima volta attraverso le Montagne Nebbiose!” disse Bilbo con un sorriso allegro. “A dir la verità, temevo che l’unico motivo per cui non siamo stati attaccati sulla via del ritorno da goblin e giganti di pietra era che viaggiavo con uno stregone.”
“È stato più semplice del mio viaggio attraverso le montagne,” concordò Tauriel con aria assente. Dopo una lunga pausa si accorse che Bilbo la fissava con silenziosa incredulità. “Che c’è?”
“Certo che è stato più semplice: l’altra volta eri a piedi! Non ti è venuto in mente che, per poter attraversare la Terra di Mezzo, avresti dovuto procurarti un cavallo?”
Lei si strinse nelle spalle, sulla difensiva. “Quando sono partita non avevo intenzione di spingermi così lontano. Tutto ciò che volevo era ridurre ulteriormente la popolazione degli Orchi e dei goblin dopo la battaglia di Erebor, e poi... semplicemente è capitato.”
“Mi spieghi come viaggiare dalle Montagne Nebbiose fino alla Contea possa ‘semplicemente capitare’?”
“A voler essere precisi, ho prima viaggiato dalle Montagne Nebbiose a Mithlond, e da lì fino alla Contea.” Tauriel si pentì di aver pronunciato quelle parole non appena vide lo sguardo consapevole negli occhi di Bilbo.
“Mithlond... intendi i Porti Grigi.”
“È il nome con cui la città è conosciuta nella lingua corrente, sì.”
Bilbo abbassò la voce, anche se Tauriel sapeva che probabilmente gli Elfi lo avrebbero udito comunque. “Non mi avevi detto di aver considerato di salpare per Valinor.”
L’Elfa trasalì, sicura che Elladan ed Elrohir l’avrebbero ritenuta una sciocca per quella decisione tanto impulsiva. “Non importa, mellon. Non sono salpata.”
I suoi occhi incontrarono quello di Bilbo e cercò di comunicargli silenziosamente di lasciar perdere l’argomento, e con suo sollievo lo Hobbit colse il suggerimento; non aveva dubbi però che le avrebbe rivolto altre domande più tardi.
Era stato un piano idiota, adesso lo capiva. Gli Elfi Silvani non salpano per le Terre Immortali, ma scelgono, quando inizia il tempo del loro decadimento, di diventare un tutt’uno con la foresta. I costruttori di navi non erano il suo popolo: non c’era motivo per cui dovessero offrirle un posto su una delle loro bianche navi. In quel momento lei non era in grado di ragionare con lucidità e, ottenebrata dal dolore, cercava solo una via di fuga – prima con l’autodistruttiva traversata del Monte Gundabad, poi con il progetto scellerato di cercare un passaggio per Valinor.
Re Thranduil le aveva sempre detto che era troppo impulsiva, che doveva pensare prima di agire. Chissà come sarebbe rimasto compiaciuto nel vederla finalmente ammettere che aveva sempre avuto ragione lui.
Scosse il capo, tornando alla realtà. Come se a Re Thranduil importasse più di lei. Per quanto ne sapeva lui, poteva essere morta nel momento stesso in cui l’aveva bandita dal Reame Boscoso.
Il dolore del bando ancora le faceva male al cuore, una ferita che temeva non sarebbe mai più guarita. Molto tempo prima, quando Tauriel era stata portata per la prima volta nel palazzo reale dopo che la sua famiglia e tutto il suo clan erano stati uccisi dagli Orchi, Thranduil era stato gentile con l’orfanella silvana. Molto gentile, anzi. Era stato prima che la Regina lasciasse definitivamente il palazzo e il gelo dell’inverno s’installasse nel cuore di lui; ma anche dopo, lei aveva sempre continuato a cercare la sua approvazione, il breve luccichio di calore nei suoi occhi mentre le diceva che aveva agito bene. Lo aveva amato, forse non come un padre, ma con molta più devozione di quanta se ne riservasse ad un semplice sovrano.
Il giorno in cui avevano catturato la compagnia di Thorin Scudodiquercia, egli l’aveva avvertita di non dare mai a suo figlio speranze di affetto. Anche se lei era certa che Legolas non provasse nei suoi confronti altro che una forte amicizia, la parte più sciocca del suo cuore si era stretta dolorosamente al pensiero di appartenere di nuovo a qualcuno. Di essere finalmente parte della loro famiglia, piuttosto che un ibrido tra quasi-famiglia e semplice soldato.
 E adesso ella non era più niente per il Reame Boscoso. Re Thranduil le aveva voltato le spalle. Legolas, il suo più caro amico e fratello – se non di sangue, di certo nel suo cuore – si era rifiutato di seguire il suo esempio, ma lo sguardo che le aveva rivolto ancora la tormentava. L’aveva supplicata di lasciar perdere la sua sciocca infatuazione per un Nano e di implorare il perdono del Re. Tauriel temeva che non l’avrebbe mai perdonata per quello che ai suoi occhi era un tradimento.
Si era tenuta tutte le sue paure per sè, non volendo preoccupare ulteriormente Bilbo, ma paventava ciò che poteva accadere quando avrebbero dovuto attraversare Bosco Atro. Lord Elrond aveva assicurato loro che sarebbero stati perfettamente al sicuro restando sull’antica via costruita dai Nani nei lontani giorni che avevano preceduto la caduta di Eregion, ma, nonostante le sue rassicurazioni, Tauriel temeva che se Re Thranduil avesse scoperto che aveva osato rimettere piede nel bosco, l’avrebbe gettata nelle segrete più remote del regno e avrebbe buttato via la chiave.
Sentì la strana e ondeggiante sensazione del bambino che le si spostava nel ventre e vi poggiò sopra una mano, mormorando a bassa voce fino a che non si calmò.
“Il bambino è agitato?” domandò Bilbo.
“Solo un pò. Stavo pensando a qualcosa di... spiacevole e credo che questo abbia disturbato il mio pîn elloth.” Tauriel scosse il capo. “Non è nulla, Bilbo.”
“Se lo dici tu, mia cara.” Gli occhi dello Hobbit erano acuti, ma gentili. “Quando ci fermeremo per la cena ti preparerò il famoso tè alla menta di mia nonna, cosa te ne pare?”
“Di quale nonna si tratta, Tuc o Baggins?”
“Ah, questa è proprio una buona domanda...” e Bilbo cominciò ad elencare tutte le differenze esistenti tra i vari clan degli Hobbit.
Tauriel sapeva che chiacchierava per distrarla, per distoglierle la mente dai cupi pensieri che la affliggevano. Sentì sbocciarle in cuore una profonda gratitudine perchè, nonostante tutto quel che aveva perso, sapeva di aver trovato un vero amico nella più inaspettata delle creature.

~
 
Bilbo non pensava di rivedere Beorn dopo il suo viaggio di ritorno nella Contea al termine della battaglia. Il mutatore di pelle aveva accompagnato lui e Gandalf fino ai confini occidentali del Reame Boscoso e li aveva ospitati in casa sua per parecchi giorni prima che continuassero il viaggio; mostrando poi molta più discrezione e più tatto di quanto Bilbo si aspettasse da lui, Beorn aveva conversato a lungo con Gandalf sulla storia e sulla situazione corrente del loro mondo, lasciandogli la privacy necessaria per elaborare il suo dolore.
Prima che se ne andassero, l’uomo aveva chiesto allo stregone di liberarlo dalle manette che ancora gli costringevano i polsi.
“Perchè non te le sei fatte togliere prima?” La curiosità aveva avuto la meglio sulla tetraggine di Bilbo, scesa su di lui come una fitta e impenetrabile cortina sin da quando Dàin Piediferro era uscito dalla Montagna Solitaria annunciando che, malgrado i loro sforzi, Thorin Scudodiquercia e i suoi nipoti non ce l’avevano fatta.
Beorn aveva stretto le mani a pugno prima di rispondere. “Per ricordarmi che Azog il Profanatore ancora camminava su questa terra. Ho giurato che non me le sarei tolte fino a che quel dannato mostro e la sua feccia non fossero stati distrutti, come loro hanno distrutto la mia gente.” Sollevando il braccio destro, fece ruotare il polso e lo osservò pensoso. “Le ho da tanto tempo che non riesco proprio ad immaginare come starò senza.”
“È tempo ormai che tu ti liberi da questi ultimi resti di malvagità,” aveva detto Gandalf con espressione molto seria. “Appoggia i polsi sul tavolo e stà fermo.”
Pronunciano poi alcune parole oscure con voce tonante, lo stregone aveva levato il suo bastone al cielo e l’aveva lasciato cadere con forza sui polsi di Beorn. C’erano stati un rumore di schianto e una luce accecante: quando la visuale di Bilbo si era schiarita, aveva visto che le manette erano state ridotte in mille pezzi. E nonostante la violenza del colpo i polsi di Beorn non avevano riportato alcun danno, eccetto per i segni lasciategli dalle manette stesse.
L’uomo aveva sollevato le braccia e si era guardato i polsi con un’espressione meravigliata; una grande tensione era parsa scivolargli via dalle spalle e, per la prima volta, Bilbo l'aveva visto sorridere sinceramente. “Hai la mia gratitudine, stregone. Da questo giorno in avanti, tu sarai mio amico.”
Con un’aria estremamente compiaciuta, Gandalf si era acceso la pipa con una fiammella scaturita dal suo bastone. “Grazie a te, Beorn mutatore di pelle. So che dono raro sia un’amicizia con quelli della tua stirpe.”
“E sarai mio amico anche tu, mastro Hobbit!” aveva aggiunto l’uomo con un sorriso raggiante. Poi aveva cercato di prendere Bilbo in braccio e, all’espressione terrorizzata di quest’ultimo, era scoppiato a ridere di cuore e si era inginocchiato posandogli una mano sulla spalla. “Devi perdonare la mia esuberanza. Ma tu mi ricordi uno dei miei conigli! Piccolo e adorabile, ma che detesta essere preso in braccio, proprio come loro.”
Bilbo gli aveva lanciato un’occhiataccia. “Io non sono un coniglio,” aveva risposto con grande dignità.
Ma Beorn era sembrato trovare la sua risposta estremamente divertente e da quel momento aveva preso a chiamarlo ‘Coniglietto’.
Adesso, mentre finivano di guadare il grande fiume e si fermavano per riposarsi un pò, un enorme orso salì su una china non lontano da loro. L’animale annusò l’aria, colse il loro odore e prese a scendere la china a velocità piuttosto sostenuta.
Tutti e tre gli Elfi estrassero i loro archi in sincrono e li puntarono sull’orso.
A Bilbo, inorridito, occorse un momento per ritrovare la voce. “No! No, non colpitelo!”
Tauriel abbassò l’arco e si girò a guardarlo con la fronte aggrottata. “Bilbo? Conosci questa creatura?”
“Sì! È Beorn!” Bilbo passò in mezzo a Elladan ed Elrohir, che tenevano sempre gli archi spianati, e si affrettò in direzione dell’orso. “È un amico di Gandalf. Mettete via le armi.”
L’animale rallentò e si fermò a pochi passi da lui, rizzandosi sulle zampe posteriori e stagliandosi enorme contro il cielo. Bilbo si sentì tremare le ginocchia per la paura quando si rese conto che, senza più le manette alle zampe anteriori, non aveva modo di sapere se quello fosse realmente il mutatore di pelle e non un orso vero. “...Beorn?”
Quell’attimo si dilatò e gli Elfi tesero ancora di più le corde degli archi, facendole scricchiolare. In quel momento però l’orso emise un verso a metà tra l’abbaiare di un cane e una risata, e iniziò a cambiare davanti ai loro occhi.
Il processo risultò tanto affascinante quanto orribile: muscoli che si contorcevano, arti che si allungavano, il tronco che si riduceva, la pelliccia che veniva via a ondate. Si udì un rumore secco, come di centinaia di fratture ossee, prima che l’orso acquisisse le sembianze familiari di Beorn.
Purtroppo si scoprì anche che i vestiti del mutatore di pelle non si erano trasformati insieme a lui: conclusa la mutazione l’uomo restò in piedi davanti a loro, gigantesco, peloso e indubitabilmente nudo.
“Coniglietto! Hai portato degli amici!”
Bilbo si coprì gli occhi nella mortificazione più assoluta. Dietro di lui, Nori e Bofur si misero a sghignazzare senza ritegno, seguiti subito dopo dal suono raro e melodioso della risata di Tauriel.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16: Il Re Orso ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

“Beorn, è magnifico rivederti! Però, ecco, se potessimo vedere un pò meno della tua persona...” Bilbo si concentrò a guardare il cielo, ben oltre il gigantesco e sempre nudo mutatore di pelle.
La risata di Beorn risuonò massiccia come il suo corpo. “Non posso tenere i pantaloni quando assumo la forma dell’orso! E poi, che importa se indosso una pelliccia o la mia pelle?”
“Ci sono delle signore presenti!”
L’uomo lo oltrepassò e alzò il mento, schiudendo le labbra come se stesse annusando l’aria. “Sì, è vero. L’Elfo femmina con il cucciolo.”
“Bambino. Non cucciolo,” lo corresse Bilbo, preparandosi a delle vibranti proteste da parte di Tauriel (restava da vedere se per averla chiamata ‘Elfo femmina’ o per aver definito il suo bambino ‘cucciolo’); ma con sua sorpresa la sua amica restò in silenzio.
“Cucciolo, bambino, cosa importa?” si strinse nelle spalle Beorn.
Bilbo aprì la bocca per ribattere, ma poi pensò che effettivamente per una razza che poteva cambiare forma da uomo a orso e viceversa non doveva esserci una grande differenza.
“Prendi questa, credo che possa coprirti decentemente,” disse in quel momento Nori porgendo al mutatore di pelle una coperta. Quindi si ritirò vicino a Bilbo e mormorò: “Non che mi curi troppo del decoro, ma la faccia che farà Dori quando gli dirò che la sua coperta è stata usata per coprire la mazza e le prugne di Beorn sarà imperdibile.” Lo Hobbit gli lanciò un’occhiata di rimprovero, ma il ladro gli sorrise impertinente.
Beorn si drappeggiò la coperta intorno alla vita come una sorta di kilt improvvisato. “Meglio?” chiese.
“Molto,” rispose Bilbo sinceramente.
Il gruppo si raccolse intorno all’uomo, tanto alto che sovrastava persino i figli di Lord Elrond. Bilbo tenne gli occhi aperti nell’eventualità che Beorn cercasse di nuovo di prenderlo in braccio; non ci sarebbero state sciocchezze del genere con questo Hobbit, grazie tante.
Dopo che le presentazioni di rito furono terminate, Beorn gli disse: “Non mi aspettavo di rivederti così presto, mio piccolo amico! Credevo che volessi tornare alla tua verde terra e non riattraversare mai più le montagne.”
“Il programma era quello ma poi, beh, ho ricevuto notizie inaspettate da Erebor.”
Il mutatore di pelle cambiò espressione. “Fà attenzione se sei diretto a Erebor. I Corvi mi hanno portato notizie preoccupanti.”
Tu parli la lingua dei Corvi?” chiese Dìs; Bilbo non riuscì a capire dal suo tono se fosse sorpresa o indignata.
“Tutte le creature hanno un loro linguaggio. Molti però non si curano di ascoltare.” La risposta di Beorn implicava chiaramente che secondo lui i Nani erano tra coloro che non ascoltavano.
“La famiglia reale di Erebor conosce la lingua dei Corvi. Prima della venuta di Smaug, i Corvi della Montagna Solitaria erano nostri alleati. Che notizie ti hanno portato da Erebor?”
“Notizie oscure,” disse lentamente Beorn. “I Nani non onorano gli antichi trattati. Cercano di scacciare i Corvi con pietre e persino frecce.”
“Dàin.” Gli occhi di Dìs si ridussero a due fessure. “Mio cugino avrà molte domande a cui rispondere prima che gli metta le mani addosso.”
“Non si tratta solo di un meschino Re Nano. C’è del marcio nella Montagna. I Corvi lo avvertono.” Beorn guardò accigliato Bilbo. “Non credo sia saggio che tu e la femmina con il bambino andiate lì.”
Bilbo potè praticamente sentire Tauriel fremere indignata all’implicazione che avesse bisogno di altra protezione per via del suo stato. “Eppure dobbiamo andarci,” rispose con fermezza. “Grazie per l’avvertimento, Beorn.”
“Non posso lasciare la mia terra troppo a lungo, ma vi accompagnerò fino ai confini della foresta, Coniglietto.”
All’udire le risate soffocate di Nori e Bofur, Bilbo sospirò. Adesso non l’avrebbero mai più lasciato in pace con quel soprannome. “Lo apprezzeremmo molto, Beorn.”
Raccolsero le loro cose e tornarono tutti in sella, con Beorn che prese a camminare affiancando il pony di Bilbo; persino in forma umana riusciva facilmente a tenere il passo dei cavalli.
Chiacchierarono piacevolmente degli animali di Beorn per un pò. Egli aveva dato a tutti un nome e sosteneva di parlare con loro, affermazione che Bilbo avrebbe trovato esagerata prima della sua conversazione con Dìs a proposito dei Corvi. Poi Elladan, seguito dal fratello, spronò il cavallo per avanzare accanto a Beorn.
Elladan e Tauriel si trattavano con la stessa attenta e distante cortesia che avevano usato da quando il signore elfico aveva ammesso i suoi sentimenti per lei. Bilbo supponeva che non ci fosse modo di aggirare quella situazione imbarazzante, per quanto egli avesse giurato di non turbare più Tauriel con le sue dichiarazioni.
Elladan chiese a Beorn: “Non ho mai incontrato uno della tua razza prima d’ora. Come viene chiamata la tua gente?”
“Non ci sono altri come me, non più. Ma una volta eravamo chiamati Mutapelle.”
“Non ce ne sono altri? Mio fratello ed io abbiamo sentito storie di Uomini in grado di cambiare forma nei nostri viaggi per il Rhudaur.”
“Bah!” fece Beorn sprezzante. “Licantropi e streghe, non certo veri Mutapelle. Grazie ad Azog e al resto della sua sporca razza, io sono l’ultimo della mia gente.”
“Quando torneremo a Imladris chiederemo a nostro padre se ha mai sentito di altri Mutapelle.”
“Fà come vuoi,” rispose Beorn indifferente. “Scoprirai che non ce ne sono, eccetto me.”
Bilbo non riusciva a immaginare cosa volesse dire essere così soli. Il pensiero della Contea completamente vuota e desolata gli fece venire i brividi. Scosse la testa per allontanare quell’idea e cercò un argomento meno disturbante. “Hai avuto problemi con gli Orchi dopo la battaglia?”
“No. Si sono ritirati nelle loro tane sulle montagne. Avrei potuto inseguirli e cacciarli, ma era un compito al di là delle mie possibilità.”
Elladan ed Elrohir si mostrarono molto interessati e subito la conversazione si spostò sui metodi più efficaci di combattere gli Orchi. Tauriel si unì a loro riportando le proprie esperienze nella Guardia di Bosco Atro, e ben presto il discorso divenne più truculento di quanto a Bilbo facesse piacere ascoltare. Si allontanò con una scusa e si unì a Nori, che cavalcava poco più indietro.
“Non sei dell’umore per ascoltare una conversazione sull’uccisione di Orchi?” gli chiese il Nano con un ghigno.
“Non è tra i miei passatempi, no.”
“Credo sia più una vocazione. Non fraintendermi, io odio gli Orchi come qualsiasi altro Nano ma, come hai detto tu stesso, ho altri passatempi.” E così dicendo il ladro tirò fuori una moneta dal nulla, lanciandola in aria e facendosela poi ruotare sulle dita.
“È davvero solo un passatempo per te? Pensavo fosse proprio una vocazione.”
“Derubare? Lo conto più come passatempo che altro.”
Bilbo gli lanciò un’occhiata scettica. “Davvero?”
Nori si strinse nelle spalle. “Non mentirò: può essere molto divertente, e io adoro gli oggetti luccicanti. Ma adesso che Dori e Ori si sono sistemati e che siamo eroi di Erebor, non ho più bisogno di rubare per tenere a galla la barca. Perciò ho sviluppato... altri interessi.”
“E sarebbero?”
Ma Nori si limitò a rivolgergli un sorrisetto enigmatico.
“Bene, tieniti pure i tuoi segreti. So che hai appena detto che i tuoi fratelli se la passano bene, ma che mi dici del resto della compagnia?”
“Bifur e Bombur stanno bene. Bifur ha una sua bottega di giocattolaio e la taverna di Bombur va a gonfie vele. I nobili invece sono sorvegliati dagli uomini di Dàin, perciò non li vedo spesso. Ho sentito che Oin e Gloin se la cavano bene: Oin dirige una sua clinica, fondata da Gloin. Balin è sempre lì a fare complotti, che del resto è quel che gli riesce meglio.” Nori fece una pausa; il suo tono si era fatto molto più serio di quanto Bilbo non fosse abituato a sentire dall’impertinente Nano. “Quanto a Dwalin... non penso che se la passi molto bene. A quel che ho sentito, è quasi sempre ubriaco.”
“Thorin era suo cugino, vero?” Bilbo si sentì in colpa per non aver pensato molto al dolore degli altri membri della compagnia. Negli anni aveva imparato che il dolore poteva contrarre il mondo intorno a te fino a che non riuscivi a vedere altro che ciò che avevi perso, senza accorgerti che gli altri intorno a te avevano perso esattamente lo stesso.
“Già, suo cugino e migliore amico. La morte di Thorin – la sua morte presunta, per meglio dire – è stata un duro colpo per Dwalin.”
Bilbo rimase sorpreso alla nota di preoccupazione nella sua voce. “Credevo che tu e Dwalin non andaste d’accordo.”
Ma Nori rise e la sua voce riassunse il tono sarcastico abituale. “Oh, io non la metterei proprio così,” rispose strizzando un occhio.
Lo Hobbit non ebbe la possibilità di indagare a fondo quell’intrigante argomento, perchè in quella Beorn lo chiamò per porgergli una domanda riguardo la loro fuga dai Goblin nelle Montagne Nebbiose, e quando Bilbo ebbe finito di rispondere si era completamente dimenticato dell’altra questione.

~
 
Riusciva quasi a sentire l’odore del bosco nella brezza della sera, quando si fermarono per la notte a meno di un’ora di viaggio dai confini di Bosco Atro. Tauriel trovò strano poter ascoltare di nuovo le melodie della foresta, anche se sapeva che erano ancora troppo lontani perchè persino le sue sensibili orecchie di Elfo potessero cogliere in pieno il fruscio delle zampe delle volpi tra le foglie cadute e il canto serale degli uccelli.
Per anni aveva sognato di fuggire dai vincoli della foresta, di scalare montagne e attraversare vaste pianure, forse poter addirittura vedere il mare un giorno – e adesso che aveva fatto tutte queste cose, non desiderava altro che tornare a casa. Ma il Reame Boscoso non sarebbe mai più stato la sua casa, non era così?
Non volendo riversare la propria malinconia sugli altri, tirò fuori l’arco e annunciò che sarebbe andata a caccia – giusto per divertimento – nella zona leggermente boschiva che sorgeva attorno al loro accampamento.
“Certo non da sola!” obiettò Bilbo.
Tauriel respinse l’ondata di irritazione che la colse e cercò di rispondergli nel modo più gentile possibile. “Ho cacciato da sola nelle profondità di Bosco Atro per centinaia d’anni. Non ho bisogno di una balia che mi accudisca nelle Terre Selvagge.” Nonostante i suoi sforzi, si accorse che il suo tono di voce si era indurito man mano che parlava.
“Posso venire con te? Non che voglia farti da balia,” chiarì Beorn, con un guizzo di divertimento negli occhi dorati. “Ma mi sento irrequieto e non mi dispiacerebbe sgranchirmi le gambe come orso per un pò.”
Bilbo parve sollevato al pensiero che Tauriel non sarebbe andata sola. Lei esitò per un attimo, ma c’era qualcosa nel mutatore di pelle che le risultava familiare e confortante, malgrado si fossero incontrati appena quel giorno; era strano, ma aveva come la sensazione che si trattasse di uno spirito a lei affine. Annuì dunque e fece cenno a Beorn di seguirla.
Si udì il tonfo di un tessuto pesante che cadeva a terra e poi un gridolino orripilato da parte di Bilbo, al che Tauriel dedusse che Beorn si era di nuovo liberato della coperta.
Lo Hobbit pareva oltremodo scandalizzato dall’idea di essere nudo di fronte ad altre persone; lei aveva pensato che il suo imbarazzo sarebbe scemato dopo che la compagnia si era fermata per lavarsi in un piccolo lago di montagna, ma non era andata così. Sorridendo con affetto alle stranezze del suo piccolo amico, Tauriel si lasciò rapidamente alle spalle il piccolo cerchio di luce proiettato dal fuoco.
Una luna crescente stava sorgendo sugli alberi di Bosco Atro, in lontananza, fornendo luce a sufficienza. L’Elfa vide tracce di cervo in abbondanza e avvertì la presenza di un nido di conigli in un vicino cespuglio di lamponi, ma non si preoccupò di incoccare l’arco: la caccia era stata solo un pretesto per allontanarsi un pò dalla claustrofobica sensazione di ritrovarsi sempre insieme alle stesse persone per tutti quei giorni di fila. Si fermò in uno spiazzo e attese che Beorn la raggiungesse. Per essere una creatura così grande si muoveva con un silenzio sorprendente: le erbacce non frusciavano quasi al suo passaggio.
Le stelle richiamarono la sua attenzione e si perse per qualche minuto nella loro contemplazione. Di solito, quando guardava il cielo notturno, si sentiva più vicina a Kìli; le era più facile richiamare alla mente i ricordi che avevano condiviso durante la Festa della Luce  Stellare, e i nomignoli affettuosi con cui la chiamava. Gimlinh in particolare era il suo preferito, e quando gli aveva chiesto cosa significasse lui le aveva fatto giurare di non dire a nessuno ciò che le avrebbe insegnato prima di rivelarle che significava ‘Signora delle Stelle’.
Quella sera però gli astri le parvero freddi e indifferenti ed ella non riuscì a richiamare a sè il calore dell’amore di Kìli.
Un rumore di ossa scricchiolanti e arti che si riposizionavano la distrasse da quei pensieri cupi: Beorn si stava ritrasformando in uomo.
“Sai di dolore.”
“Il dolore ha un odore?” chiese lei, sempre fissando il cielo.
“Tutte le emozioni hanno un loro odore. Tu odori di dolore e desiderio, Piccola Madre.” Lo udì trarre un respiro profondo. “E adesso di rabbia. Perchè ti fa rabbia quando ti dicono che diventerai madre? Non sei felice di diventarlo?”
Colpita da quelle parole, lei si girò di scatto a guardarlo. “No! Amo il mio pîn elloth. È solo che... io...” Tauriel si bloccò e si morse le labbra, distogliendo brevemente gli occhi da lui. “Comincio a sentirmi soffocare dal peso della preoccupazione degli altri. Sono così stanca di essere trattata come un’invalida solo perchè sono incinta.”
“È anche per questo, sì, ma io credo che ci sia dell’altro.”
Beorn la guardava con semplice curiosità; non c’era alcun giudizio nei suoi occhi e questo le diede la forza di rispondergli onestamente. “Odio che mi si creda meno capace solo perchè aspetto un bambino. Posso ancora cavarmela da sola. Non ho bisogno della loro protezione.”
“È così terribile aver bisogno degli altri?”
“Sì. Lo è.” Quelle parole la lasciarono scossa e vuota. “Ciò che è utile è tenuto in gran conto. Ciò che non lo è... è solo un peso.”
“Il valore di un bambino si misura sull’utilità, o sull’amore?”
Tauriel rimase senza fiato. Aprì la bocca, ma non riuscì a parlare.
Beorn annuì lentamente, i suoi occhi erano colmi di un dolore antico. “Vedo che chiunque ti ha cresciuta non ha saputo insegnarti la risposta a questa domanda.”
Lei si strinse le braccia intorno al corpo. “No. Ti sbagli. La Regina mi amava. Mi ha presa con sè e mi ha allevata, anche se ero solo un umile Elfo Silvano.” Ricordava ancora il dolore nello sguardo della Regina mentre le diceva con voce roca di rimpianto: Ho fallito con te, Tauriel. Mi dispiace per questo.
Scosse il capo scuotendosi dai quei ricordi. “Lei non ha fallito con me.”
Beorn attese che continuasse, paziente e immoto come le querce che li circondavano.
“Quando ero piccola il Re era gentile con me, ma io ho sempre saputo di non far parte della famiglia reale.” Si fermò, non volendo svelare troppo di sè stessa, ma le parole fuoriuscivano come l’acqua del disgelo che irrompe attraverso la cortina di ghiaccio. “Così, quando sono cresciuta, ho cercato di rendermi utile. L’ho servito, ho combattuto per lui. Ho fatto tutto nel modo giusto... eccetto che quando mi sono innamorata. E quando ho osato sfidarlo per questo amore, lui mi ha esiliata.”
“Re o non Re, se me lo trovassi davanti lo sventrerei in un colpo solo.” Tauriel trasalì e fissò Beorn, sconcertata dalla rabbia con cui le aveva risposto. “Questo non è il modo di trattare un figlio.”
“Il Re non è mio padre,” chiarì, pensando che avesse frainteso la loro relazione. “Sua moglie si è presa cura di me alla morte dei miei genitori, ecco tutto.”
L’uomo-orso scosse decisamente il capo. “Non è una scusa. La famiglia è la famiglia, che vi siano o meno vincoli di sangue.” Trasse un altro respiro profondo, espandendo il torace come un mantice, e lo rilasciò. “Puoi non credere a queste parole adesso, ma ascolta e ricorda: non hai bisogno di renderti utile per essere amata. Coloro che ti amano continuerebbero ad amarti anche se non ti dimostrassi sempre forte.”
Tauriel deglutì e distolse lo sguardo, battendo le palpebre per frenare le lacrime.
“Mi trafiggeresti con una delle tue lame affilate se adesso ti abbracciassi, Piccola Madre?”
E lei, malgrado la situazione, rise e scosse il capo.
Si abbracciarono dunque sotto le stelle, l’Elfa esule ed incinta e il Mutapelle che forse era l’ultimo della sua razza, e dentro di sè Tauriel sentiva che una ferita che non si era mai resa conto di avere iniziava a guarire.

~
 
Il mattino seguente Beorn si congedò da loro con mille raccomandazioni circa il loro viaggio a Erebor e sul fare attenzione a Coniglietto e alla Piccola Madre. Bilbo, disperato, quasi si nascose il volto tra le mani ma, con sua sorpresa, notò che Tauriel sembrava divertita più che offesa da quel soprannome – anche se in effetti, dopo ciò che aveva origliato della loro conversazione la notte precedente, non avrebbe dovuto esserne troppo sorpreso.
Lo Hobbit si rifiutava ancora di essere preso in braccio e simili, ma in compenso acconsentì volentieri a lasciarsi abbracciare dal Mutapelle.
“Stà attento, Coniglietto,” gli disse Beorn, sempre sovrastandolo malgrado si fosse messo in ginocchio. “C’è qualcosa di malvagio in quella montagna.”
“Non preoccuparti, starò più attento che posso.”
Poi, con voce sorprendentemente attutita per una creatura della sua taglia, l’uomo mormorò: “Sei bravo a nasconderti, ma il mio olfatto è molto sviluppato. Confido che ricorderai ciò che è stato detto e avrai cura di lei.”
Bilbo si sentì avvampare; era sicuro che la sua intrusione fosse passata inosservata, ma a quanto pareva si era sbagliato. “Lo farò, Beorn. Te lo prometto.”
Il Mutapelle lo guardò negli occhi con fare solenne e annuì. Poi si alzò in piedi, si tolse la coperta che ancora gli serviva da kilt improvvisato e la lanciò a Nori. “Fate buon viaggio,” li salutò con un inchino, del tutto noncurante della propria nudità; quindi si allontanò, mutando l’andatura fino a che non si mise a quattro zampe e tornò ad essere il grande orso dal manto bruno.
La mattinata parve di colpo più tranquilla senza la presenza quasi soverchiante di Beorn. Bilbo si scosse dai propri pensieri e raddrizzò le spalle: era tempo di tornare a Bosco Atro, che gli piacesse o no.
Elladan ed Elrohir conducevano il gruppo verso la foresta; quando giunsero alle prime propaggini, senza dire una parola, rallentarono i cavalli fino a fermarsi sotto la screziata ombra gettata dai primi rami.
“Che succede?” domandò Dìs.
I due fratelli si scambiarono un’occhiata. “La foresta sembra... malata,” disse lentamente Elrohir.
Bilbo saltò giù dal suo pony con malagrazia. Mosse alcuni passi verso gli alberi, poi si fermò tastando l’erba con i piedi e annusando l’aria: avvertì odore di foglie muffite, muschio, felci, umidità e su tutti un lieve miasma di marciume. “In realtà è molto migliorata. La scorsa estate ho creduto di rimettere la colazione appena messo piede qui dentro; adesso invece sento solo una vaga nausea.”
“Bilbo! Non ci avevi detto che la foresta ti faceva stare male,” esclamò Bofur indignato.
“Dovevamo pur passare. E poi c’era rimasto così poco cibo, quando gli Elfi ci hanno trovati, che non è stato un gran male che avessi perso l’appetito.” Ormai il tempo in cui erano quasi morti di fame in quel bosco infernale era abbastanza lontano perchè Bilbo potesse riderci su.
Beh, no. Forse anche adesso non era granchè divertente, a pensarci meglio.
Tauriel lo stava osservando attentamente. “Puoi sentire i cambiamenti nella foresta? Non sapevo che gli Hobbit avessero una tale sensibilità.”
“Non è nulla di impressionante come quello di cui siete capaci voi Elfi. Semplicemente, noi... sentiamo la terra.” Bilbo si strinse nelle spalle strofinando un piede sulla caviglia opposta e desiderò non aver tirato fuori l’argomento. Non era proprio niente di che, per lo più voleva solo dire che gli Hobbit erano bravi giardinieri e contadini.
Tauriel annuì, come se capisse che lui preferiva lasciar perdere la cosa. “Comunque dici bene, mellon. L’oscurità che così a lungo ha piagato la mia– la foresta,” si corresse all’ultimo con una smorfia, “ha iniziato a ritirarsi. Forse un giorno Bosco Atro tornerà ad essere Boscoverde il Grande.”
Questo è un miglioramento?” Elladan parve afflitto. “Se prima era peggio, mi chiedo come poteste sopportarlo.”
“Io sono nata qui, mio signore. Fino a poco tempo fa, questa foresta era tutto ciò che conoscevo del mondo.”
Bilbo colse uno sguardo di rassegnazione mista a malinconia da parte di Elladan mentre Tauriel alzava il viso verso l’ombra degli alberi incombenti, come se stesse crogiolandosi al sole.
“Benissimo!” esclamò lo Hobbit battendo le mani. “Abbiamo ancora qualche miglio da percorrere, quindi direi di rimetterci in marcia, eh?”
“Qualche miglio? Io direi piuttosto qualche centinaio,” borbottò Nori alzando le cespugliose sopracciglia.
“Una ragione di più per non star qui a bighellonare.”
La Via della Vecchia Foresta era stata un tempo usata dalle carovane naniche che trasportavano merci dai Colli Ferrosi a Moria. Foglie e altra sporcizia coprivano gli enormi blocchi di pietra qua e là, ma non una singola erbaccia era riuscita a farsi strada tra essi.
“Solide costruzioni naniche,” disse Bofur annuendo con soddisfazione. “Altro che quelle strade scadenti che si trovano nelle terre degli Uomini. Lo sapete che le strade a Gondor durano al massimo cinquant’anni? Cinquant’anni,” ripetà con profondo malcontento.
Bilbo, che proveniva da una terra le cui strade non erano pavimentate nè tantomeno pulite, tenne saggiamente la bocca chiusa.
Non riuscì a reprimere un brivido quando la cortina di alberi si chiuse sopra le loro teste e s’inoltrarono nell’eterna penombra di Bosco Atro. Incapace di dimenticare gli orrori grossi come cavalli che avevano assalito la Compagnia, guardava ansiosamente da tutte le parti in cerca di ragnatele.
Accanto a lui, Tauriel gli sorrise con fare rassicurante. “La foresta è molto più sicura adesso, mellon nin. Lord Elrond mi ha assicurato che qualunque potere oscuro avesse messo radici a Dol Guldur è stato sconfitto.”
“Certo... Beh, posso ripetermelo quanto voglio, ma il mio cervello non si convincerà tanto facilmente che non diventerò la seconda colazione di qualche ragno gigante.”
“Cos’è questa storia di ragni giganti”? chiese Dìs, e naturalmente Bofur si lanciò in un esaustivo racconto delle loro disavventure nel bosco.
Bilbo tenne la mano sull’impugnatura di Pungolo e cercò di rassicurarsi che, in caso quei mostri li avessero attaccati per davvero, stavolta sarebbe stato più pronto. Bosco Atro non sarebbe mai stato il suo luogo di villeggiatura preferito, ma se non altro quel viaggio era iniziato in maniera molto più promettente di quello con la Compagnia.
Avrebbe dovuto saperlo che non poteva durare ancora per molto.
Camminavano solo da poche ore quando Tauriel levò in aria una mano e sibilò: “Silenzio!”
Bilbo fece fermare il pony e mise automaticamente mano a Pungolo; prima che potesse sguainarla, però, una mezza dozzina di Elfi saltò fuori dagli alberi con gli archi spianati contro di loro. Bilbo s’irrigidì e sollevò le mani vuote in aria: dietro di lui sentì gli altri fare lo stesso, con reazioni che andavano dalla cautela ad una furia impotente.
“Tauriel!” esclamò uno degli Elfi facendo un passo avanti. Le rivolse alcune parole in quello che gli parve essere Sindarin, ma parlava così in fretta e con un accento così marcato che Bilbo non riuscì a capire nulla. Solo la voce e la scarsa altezza (era perfino più bassa di Tauriel) gli rivelò che si trattava di una donna, poichè anche lei, come tutti i suoi compagni, portava un cappuccio che le nascondeva i capelli e parte del viso.
“I trattati firmati da Re Thranduil consentono ai viaggiatori di attraversare la foresta sull’antica Via dei Nani,” replicò Tauriel in Ovestron. “Io sono stata bandita dal Reame Boscoso, è vero, ma la Via della Vecchia Foresta è territorio neutrale.”
Anche l’altra Elfa passò alla lingua corrente. Il suo accento era quasi musicale e pronunciava le parole in un modo che Bilbo riconobbe dalle sue conversazioni notturne con Tauriel. “Chi sono questi che viaggiano con te?”
“Viaggio con tre Nani che stanno facendo ritorno a Erebor, due Elfi di Imladris, e un Hobbit della Contea.”
“Una ben strana compagnia.”
“Qualcuno potrebbe pensarlo. Tuttavia i nostri affari non hanno niente a che vedere con il Reame Boscoso. Vi chiedo di onorare gli antichi accordi e di lasciarci passare senza danno.”
“Il resto del gruppo può proseguire il viaggio ma Re Thranduil ha ordinato che tu, qualora avessi osato rimettere piede nella foresta, venga condotta al suo cospetto.”
Con la coda dell’occhio Bilbo vide Nori irrigidirsi, e alle sue spalle sentì praticamente Elladan ed Elrohir vibrare di rabbia impotente.
La guardia elfica abbassò l’arco e si tirò indietro il cappuccio, rivelando un viso dai delicati lineamenti e occhi e capelli molto scuri. “Tauriel, ciascun membro della Guardia ha ricevuto istruzioni di portarti da Re Thranduil. Qualcuno potrebbe non essere così gentile nei tuoi confronti,” disse con voce molto meno severa.
Gi suilon, Rhemyrn. Grazie per l’avvertimento.” Tauriel smontò da cavallo e si voltò dai suoi compagni. “Devo lasciarvi qui, amici miei. Continuerete verso Erebor senza di me. Le guardie non vi impediranno di passare, purchè restiate sull’antica via nanica. Corretto?” domandò rivolta all’altra Elfa, che annuì.
“Aspetta un momento–” iniziò a protestare Bilbo, imitato dal resto del gruppo.
Ma Tauriel alzò una mano mettendoli a tacere. “Amici miei, non c’è altro modo. Devo andare a parlare con Re Thranduil.”
“Allora verremo con te,” replicò Bilbo, suscitando un coro di approvazione.
“Non è necessario...”
“Sì, lo è.”
La guardia, Rhemyrn, scosse il capo con decisione. “Il Re non ha detto di portare da lui anche i tuoi compagni.”
“Oh, ma noi insistiamo,” disse Elladan con tono minacciosamente cortese. “Come rappresentanti ufficiali di Imladris, è nostro dovere accompagnare Lady Tauriel e assicurarci che non corra pericoli di sorta.”
La guardia parve scettica. “Rappresentanti ufficiali?”
“Lord Elrond di Imladris mi ha concesso la sua protezione,” spiegò Tauriel.
Rhemyrn sollevò le sopracciglia e Bilbo la vide fare un rapido gesto a Tauriel. Doveva essere un qualche tipo di messaggio, poichè la sua amica rispose allo stesso modo. Inclinando poi il capo nella maniera tipica degli Elfi, la guardia disse: “Molto bene, i rappresentanti di Imladris possono accompagnarti a palazzo. Tuttavia i Nani dovranno andar–”
“È mia nuora quella che state cercando di trattenere.” Stringendo i denti e assumendo un’aria irremovibile, Dìs scoccò una dura occhiata in direzione degli Elfi. “Se credete che vi permetteremo di sparire con lei, vi sbagliate di grosso.”
Rhemyrn guardò di nuovo Tauriel in cerca di conferme, ma non ce ne fu bisogno, perchè in quella prese finalmente nota della sua gravidanza e sgranò ulteriormente gli occhi. “Ah... naturalmente non ti separeremmo mai dalla tua famiglia, Tauriel. D’accordo, possono venire anche loro.” A quanto pareva aveva incluso anche Bilbo nella famiglia dei Nani, il che, dato il suo legame con Thorin, non era poi del tutto errato.
“Molto bene. Ci affidiamo alla vostra protezione,” disse Tauriel. “E vi prometto sul mio onore che nè io nè i miei compagni tenteremo di farvi del male, se non per legittima difesa.”
Ad un altro cenno del loro capo, anche gli altri Elfi si rilassarono e misero via le armi. La metà di loro si ritirò tra gli alberi, scomparendo pochi istanti dopo; gli altri tre si misero gli archi in spalla e presero posizione intorno al gruppo. Come una scorta d’onore, cercò di rassicurarsi Bilbo; ma era tutto inutile – la sua mente continuava a riandare al giorno in cui gli Elfi avevano trascinato la Compagnia nelle segrete di Re Thranduil.
Ma stavolta abbiamo i figli di Lord Elrond con noi, pensò. Di certo nemmeno Re Thranduil oserebbe imprigionare i figli di un altro signore elfico, vero?
Mentre il gruppo riprendeva a muoversi, Bilbo affiancò il suo pony al cavallo di Tauriel, come era diventata loro abitudine da che era iniziato il viaggio. Lei gli sorrise, anche se lui la conosceva abbastanza bene ormai da capire che con quel sorriso cercava di nascondere l’ansia. “Andrà tutto bene, mellon.”
Bilbo aggrottò la fronte e sollevò il mento. “Certamente. Se non altro, avrò finalmente la possibilità di dare a Re Thranduil quella famosa lavata di capo che si merita da così tanto tempo.”

~
 
(glossario)
Gi suilon –> ti saluto (informale)

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Capitolo 17
*** Capitolo 17: Cuori di calcedonio ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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L’intera vita di Dìs era stata costellata di lutti e tragedie. Prima la distruzione di Erebor ad opera di Smaug, in cui aveva perso sua madre e la sua terra natìa; poi il tentativo di riconquistare Moria agli Orchi, in cui aveva perso suo nonno, suo padre e suo fratello; infine la battaglia sotto le mura di Erebor, che le aveva portato via tutto ciò che le era rimasto di più caro al mondo. La perdita del marito, al confronto, era stata ben poca cosa: un semplice incidente in miniera. Così tipico di Vìli, ella pensava sempre, andarsene con tanta rapidità e semplicità: lui si faceva sempre beffe, con quel suo fare bonario, della tendenza dei Lungobarbi al dramma.
Non aveva permesso che le infauste notizie giunte da Erebor la distruggessero ma, oh Mahal, quanto ci era andata vicina. I suoi figli, i suoi bellissimi ragazzi, morti. Fìli, sempre così responsabile, da bravo erede, nonostante la tendenza naturale alle birichinate; Kìli, il suo piccolo ottimista scherzoso, così entusiasta e pieno di vita; e Thorin, suo fratello maggiore, sua roccia e sua guida. Aveva avuto l’impressione che il petto le venisse squarciato e il cuore estratto e fatto a pezzi, ma non era crollata. Non poteva. Troppa gente ancora dipendeva da lei.
E perciò Dìs, figlia di Thrain e Lìs, ultimo membro superstite della sua famiglia, aveva seppellito il dolore nel più profondo della sua anima, perchè potesse fossilizzarsi sotto ai cocci del suo cuore spezzato.
I Corvi avevano portato altre notizie oltre alla morte dei suoi figli e di suo fratello. Strane notizie, a dire il vero: che Kìli si fosse infatuato di un Elfo appartenente alla Guardia Reale di Re Thranduil, che Thorin fosse stato tradito da un Hobbit che non si sa come era entrato nella sua Compagnia... e forse non solo. Il termine che Balin aveva usato nel suo messaggio in riferimento allo Hobbit era stato ‘fratello di scudo’, il che poteva significare una relazione di natura sessuale o non sessuale. In ogni caso implicava un rapporto di fiducia che Dìs non aveva ritenuto possibile da una persona riservata e sospettosa come suo fratello. Tantomeno nei confronti di un Hobbit. Aveva sempre considerato i Mezz’uomini creature inoffensive ma in fondo inutili, privi di ambizione e contenti di starsene relegati nei cancelli dei loro giardini.
L’inverno successivo alla Battaglia delle Cinque Armate era stato duro e brutalmente freddo. La sua piccola casa a Ered Luin era piena di porte che lei non riusciva più ad aprire, stanze che mai più sarebbero state piene di calore e di amore. C’era stata una settimana, nel colmo dell’inverno, in cui ella non era mai riuscita a trovare in sè la forza di muoversi dalla sua sedia accanto al camino; ma alla fine la primavera era tornata, prova spietata di come la vita continuasse anche se lei sentiva di aver perso ogni ragione di vivere.
E con la primavera era giunta una notizia tanto straordinaria che a volte Dìs aveva ancora paura di aver solo immaginato Nori e Bofur alla sua porta.
Kìli era vivo.
Suo figlio era vivo.
Il suo cuore aveva palpitato di speranza al pensiero che, se era vivo Kìli, forse lo erano anche Fìli e Thorin. Era quasi troppo in cui sperare, ma Dìs avrebbe fatto molto più che attraversare la Terra di Mezzo se c’era anche solo una possibilità di ritrovarli in vita. Avrebbe navigato per i Mari Separanti, avrebbe sfidato i Valar in persona se così facendo avesse potuto ricongiungersi con i suoi figli e suo fratello. A paragone di ciò, andare a chiedere l’aiuto di Lord Elrond per decifrare la lista di ingredienti alchemici era stata una cosa da niente.
Malgrado le congetture di Bofur e Nori, Dìs non aveva creduto che Kìli avesse concepito un figlio con un Elfo fino a che non aveva visto la ragazza con i suoi occhi. Perchè di una ragazza si trattava, per quanto la sua età potesse venir calcolata in secoli piuttosto che in anni.
Anche se l’aveva sfidata a mostrare le prove del suo matrimonio con Kìli, Dìs se l’era sentito nelle ossa. Kìli, il suo ragazzo a malapena maturo abbastanza per poter partire con Thorin, aveva commesso l’impensabile: aveva sposato un’Elfa. E nonostante i racconti di Nori e Bofur più l’evidente rotondità del pancione della ragazza, Dìs non era riuscita ad accettare la verità finchè non aveva visto il fermaglio con il sigillo personale di suo figlio nei capelli fiammeggianti dell’Elfa.
Dopodichè non aveva avuto la forza di contrastare il legame dello Hobbit con suo fratello, nonostante non ci fossero fermagli di sorta nei suoi capelli e lo Hobbit stesso avesse decisamente negato di essere sposato con Thorin; ma, considerando le spiacevoli notizie solo brevemente accennate nella missiva di Balin, forse suo fratello non si trovava in uno stato tale da poter creare un fermaglio matrimoniale per suo marito.
Dìs non era sopravvissuta ad un secolo e mezzo di tragedie inveendo contro il destino o negando la verità dei fatti. Così, mettendo da parte i suoi sentimenti in materia, aveva accettato quella nuora e quel cognato così insoliti e dichiarato che la ragazza Elfo e lo Hobbit potevano viaggiare con loro; più a malincuore aveva accettato gli altri due Elfi, ma non era stata così sciocca da non pensare che, se Re Thranduil si fosse dimostrato ostile nei loro confronti, poteva far comodo avere i signori elfici con loro.
Dei tre fratelli, Thorin era sempre stato colui che ispirava gli altri mentre Frerin, morto da così tanto tempo che ormai riusciva a malapena a ricordare il suo viso, era quello che li affascinava. Dìs, tuttavia – Dìs era colei che comprendeva sempre tutti. Perciò si dispose ad un’attenta osservazione dei nuovi membri della sua famiglia.
La relazione tra lo Hobbit e la ragazza Elfo l’aveva inizialmente confusa fino a che non aveva capito che Bilbo non amava Tauriel come una figlia e nemmeno come una sorella, ma piuttosto come una vera nipote. Era possibile che si fosse preso cura dei suoi figli con lo stesso atteggiamento iperprotettivo e lo stesso affetto indulgente? Una rapida conversazione con Nori aveva soddisfatto la curiosità di Dìs in merito e fatto nascere in lei una certa affezione nei confronti dello Hobbit, anche se parte dei suoi sospetti permaneva.
La sua conversazione con Bilbo era andata generalmente bene, nonostante le dolorose rivelazioni circa il comportamento di Thorin e la sua discesa nella follia causata dall’oro. Era quasi impensabile che egli avesse cercato di usare violenza al suo sposo, ma la paura ancora latente negli occhi dello Hobbit l’aveva rassicurata che diceva proprio il vero, per quanto difficile fosse crederlo.
Dìs trascorreva il resto del tempo ad osservare Tauriel. La moglie di Kìli e la madre del suo bambino... questo era ancor più difficile da credere per lei, visto che ancora le accadeva di pensare al suo figlio più giovane come ad un bambino. Eppure, come stava avendo modo di constatare, i figli crescono all’improvviso, quando meno te lo aspetti.
Le Montagne Nebbiose diminuivano in lontananza, Bosco Atro era sempre più vicino, e ancora non aveva trovato il modo di parlare con la ragazza Elfo. Non che Dìs disapprovasse... beh, questo non era del tutto vero; in realtà, lei disapprovava eccome. Ma, come diceva quel vecchio detto, una volta che il geode è rotto non si può rimetterlo insieme.
Tutto si poteva dire di Dìs tranne che non fosse una donna tenace e pragmatica. Si era già rassegnata ad avere una nuora strana, alta e dalle orecchie a punta (però, Mahal onnipotente, che aspetto avrebbe avuto il bambino?), per cui questo non rappresentava più un problema. Ciò che davvero la tratteneva dal parlare con la ragazza era che proprio non sapeva da che parte cominciare. Si era quasi convinta ad iniziare una conversazione quando le guardie elfiche li avevano fermati, non appena messo piede a Bosco Atro.
Re Thranduil si sbagliava di grosso se pensava che Dìs gli avrebbe permesso di rapire sua nuora e suo nipote senza combattere.
Prima avrebbe affrontato il Re elfico e poi, forse quando sarebbero giunti in vista di Erebor, avrebbe trovato un sistema per rivolgere la parola a Tauriel.

~
 
L’ultima volta che Bilbo era stato nelle sale del reame elfico aveva trascorso giorni interi intrappolato nello strano mondo ovattato dell’anello, per paura che le guardie lo scoprissero; per lo più era rimasto nascosto in angoli vuoti rubacchiando, quando possibile, cibo da piatti incustoditi e perciò adesso, mentre attraversavano il ponte sospeso e superavano le enormi porte del regno di Thranduil, gli sembrava di mettervi piede per la prima volta. In effetti, l’altra volta aveva dovuto attraversarle tanto in fretta – altrimenti sarebbe rimasto chiuso fuori – che non aveva avuto il tempo di cogliere neppure un minimo dettaglio.
Una guardia dall’aspetto vagamente familiare e dai capelli castano-rossastri li incontrò alle porte. Parlò brevemente con Rhemyrn, sempre con tanta rapidità da rendere impossibile capire cosa si dicessero, e poi si allontanò; ad ogni modo nè Tauriel nè i figli di Lord Elrond parvero troppo preoccupati, così Bilbo cercò di calmarsi mentre attendevano il ritorno della guardia.
L’Elfo tornò dopo un’attesa che gli sembrò lunga di secoli quando invece doveva essersi assentato per meno di mezz’ora, e fece loro cenno di seguirlo.
Bilbo non sapeva bene cosa aspettarsi – forse li avrebbe condotti dritti alle celle in cui erano stati imprigionati i Nani? – e fu perciò sorpreso quando la guardia li scortò in un’area del palazzo che non aveva visitato durante il suo soggiorno precedente.
Doveva trattarsi di una zona riservata alla nobiltà poichè, per quanto bello fosse tutto il resto, quella surclassava le altre. Acqua scorreva melodiosa da fontane poste in ogni angolo, accompagnate da statue di pietra scolpite in maniera tanto delicata da sembrare vive, e splendidi arazzi decoravano i muri; i loro passi erano smorzati da tappeti dalla trama talmente ricca e fitta che Bilbo si sentiva in colpa a calpestarli con i piedi coperti dalla polvere della strada.
L’ultima volta che era stato nel palazzo di Thranduil... era doloroso ricordare l’ingenua speranza e l’eccitazione che aveva provato quando aveva trovato l’uscita nascosta nelle cantine. Allora tutto gli era sembrato molto facile: avrebbe rubato le chiavi, fatto uscire una dozzina di Nani nascondendoli nelle botti, poi sarebbero arrivati a Erebor e avrebbero sgraffignato l’Archengemma da sotto il naso di Smaug. Bilbo si era addirittura detto: Beh, il peggio è passato!
Appena una settimana dopo, si era ritrovato inginocchiato nel fango a stringere la mano di Thorin e a supplicarlo di non morire. Lottando per respirare e troppo debole per ricambiare la sua stretta, l’ostinato Nano aveva insistito nel dire che lo perdonava per aver rubato l’Archengemma e che si pentiva amaramente delle sue azioni sulle mura, desiderando poter tornare indietro per cambiare le cose.
Verso la fine, la voce di Thorin si era fatta così flebile che Bilbo aveva dovuto praticamente appoggiargli un orecchio sulle labbra per sentire cosa diceva. L’ultima parola che gli aveva detto era stato un termine nanico che Bilbo non aveva mai sentito prima; l’aveva ripetuta, con l’intento di farsi spiegare cosa significava, e Thorin aveva emesso un sospiro che pareva non voler finire mai, e poi...
Aveva smesso di respirare.
Bilbo inspirò a fondo, cercando di allontanare quei ricordi dalla mente. Dopotutto non ci avrebbe guadagnato niente a comparire davanti a Re Thranduil con un’aria abbattuta. Tirati su, Bilbo, ragazzo mio!, si disse. Sapevano per certo che Kìli era vivo e anche lui era sembrato morto come Thorin quando i guaritori dei Colli Ferrosi lo avevano portato nella montagna; se Kìli era vivo, allora dovevano esserlo anche Fìli e Thorin. Non avrebbe permesso a sè stesso di pensarla diversamente.
Alzando gli occhi su Tauriel e cogliendo il suo sguardo, Bilbo cercò di rivolgerle un sorriso incoraggiante. L'Elfa appariva pallida ma risoluta, la mascella decisamente stretta. Non riusciva a immaginare quanto dovesse essere difficile per lei fare ritorno tra le mura che erano state la sua casa. Avrebbe voluto trovare un modo per rassicurarla che non venisse subito udito da almeno una dozzina di orecchie elfiche. In quel momento Tauriel gli pose una mano sulla spalla e la strinse leggermente, come se fosse Bilbo ad aver bisogno di incoraggiamento; in ogni caso, era abbastanza sicuro che la cosa potesse funzionare in entrambe le direzioni.
Dopo che serpeggiavano per le aree superiori del palazzo già da diversi minuti, la guardia li condusse per un breve corridoio fino a quattro porte che si aprivano al di là di esso, e disse loro che lì avrebbero potuto riposarsi e rinfrescarsi prima di cena.
“E quando sarà questa cena?” chiese Bilbo rivolgendogli il suo più perfetto e gradevole sorriso da Hobbit. “Non per dire, ma è stato un lungo viaggio per noi.”
“Al tramonto. Verrà un messo che vi accompagnerà nel salone. Tu no, Tauriel,” disse poi la guardia mentre il gruppo iniziava a spartirsi le stanze. “Re Thranduil desidera incontrarti prima di cena.”
“Cosa? No!” Bilbo incrociò le braccia sul petto e dal gruppo si levò un coro di proteste.
Ma Tauriel fece loro un gesto rassicurante. “Amici miei, se il Re desidera vedermi io devo obbedire.”
“Ne sei certa, Lady Tauriel?” disse Elladan ponendo una certa enfasi sul suo titolo.
“Sono sicura che andrà tutto bene, Lord Elladan. Ci vedremo a cena.”
Alle spalle di Tauriel, Bilbo vide Nori lanciargli uno sguardo significativo e capì che gli stava chiedendo di seguirla di nascosto; arricciò il naso in risposta e il ladro parve compiaciuto. Anche se non lo aveva mai visto indossare l’anello, Bilbo sapeva che Nori era del parere che c’entrasse un qualche tipo di magia Hobbit nella sua sorprendente capacità di rendersi invisibile; ed era tutta colpa di Gandalf e delle sue ridicole esagerazioni sulle sue abilità di ‘scassinatore’.
Naturalmente aveva già pensato di infilarsi l’anello e seguirli di nascosto. E naturalmente non poteva farsi vedere troppo tranquillo, perciò cercò di apparire il più indignato possibile prima che le guardie portassero via Tauriel.

~
 
Dopo un pò Bilbo ebbe finalmente la conferma che le guardie non avrebbero condotto la sua amica direttamente in cella e li lasciò andare un pò avanti, sempre senza perderli di vista.
Tauriel non fu molto sorpresa quando Rhemyrn congedò le altre guardie, dicendo che avrebbe finito di scortarla da sola. Anche se l’Elfa poteva sembrare altezzosa e impassibile ad una prima occhiata, Tauriel la conosceva fin dai tempi del loro tirocinio e seppe perciò cogliere al volo la piega divertita del sopracciglio di lei. “Lo Hobbit è molto protettivo nei tuoi confronti.”
“Bilbo è...” Tauriel s’interruppe, cercando un modo per spiegarsi. “È mio zio acquisito per matrimonio e prende questo ruolo molto sul serio.”
Dopo essersi guardata intorno per accertarsi che nessuno le osservasse, Rhemyrn gesticolò: Davvero sei sposata con un Nano?
Il corpo di Guardia della foresta aveva ampliato e sviluppato la ridotta gamma di gesti che gli Elfi Silvani usavano per comunicare tra loro durante la caccia e i pattugliamenti; dopo centinaia di anni, quei semplici gesti si erano evoluti in un linguaggio vero e proprio con cui i membri della Guardia comunicavano proprio come con la lingua parlata.
Tauriel osservò la guardia più giovane con cautela, ma non lesse alcun giudizio nei suoi occhi. Sì. Siamo sposati nel corpo e nell'anima.
Che il Signore della Caccia e la Signora dei Fiori benedicano tuo figlio. Possa la luce delle stelle vegliare su di te, e il sole e la luna guidare i tuoi passi, gesticolò Rhemyrn in risposta.
Tauriel fu tanto sorpresa che passò al linguaggio parlato senza accorgersene. “Io... non so cosa dire.”
Rhemyrn sorrise e scosse il capo. Non essere così stupita. Mio padre era un Avari.
Tauriel non sapeva delle origini miste di Rhemyrn, ma non era insolito per i clan Silvani mescolarsi con quelli Avari, in special modo quei clan che avevano resistito all’invasione della cultura Sindar. Ti ringrazio con tutto il cuore per le tue benedizioni. Non vedo però come questo sia pertinente.
Tra gli Avari e i Nani non c’è la storia di antagonismo che sussiste con gli altri popoli elfici. Essi, anzi, tendono ad essere alleati. “Ah, ecco la tua stanza,” aggiunse Rhemyrn ad alta voce. “Farai meglio a rinfrescarti rapidamente. Il messaggio del Re diceva che egli desidera vederti il prima possibile.”
“Grazie, Rhemyrn.” Tauriel aggiunse poi nel linguaggio dei segni: E grazie per non aver pensato male del mio bambino solo perchè suo padre è un Nano.
Rhemyrn annuì graziosamente. So che c’è chi lo penserebbe. Ma sappi che hai un’alleata in me come in molti altri membri della Guardia. Strizzò un occhio divertita. “Soprattutto tra gli Elfi Silvani, ovviamente.”
La suite in cui Rhemyrn l’aveva condotta era di quelle riservate ai dignitari in visita, se Tauriel non si sbagliava. Si chiese cosa mai stesse pensando Re Thranduil per concedere al suo ex Capitano della Guardia una stanza così opulenta. Forse Rhemyrn aveva interpretato i suoi ordini a modo suo; sperava solo che la giovane guardia non finisse nei guai.
Incerta su quanto tempo avesse prima che il Re la mandasse a chiamare, Tauriel si lavò rapidamente della polvere del viaggio usando la brocca di acqua calda che era stata preparata per lei. La piscina posta nel salone principale della suite era riservata ai bagni collettivi, una consuetudine che Bilbo, quando gliene aveva parlato, aveva trovato scioccante.
Si era persa nella contemplazione delle magnifiche orchidee che fiorivano intorno alla piscina quando il passaggio pressochè silenzioso di un piede elfico la strappò bruscamente ai suoi pensieri; Tauriel si girò e s’inchinò profondamente. “Vostra Maestà,” disse, aspettando il permesso del Re per risollevarsi.
Senza neanche guardarla, Thranduil levò una mano con fare languido; nell’altra reggeva un calice di vino. “Alzati. Non sei più una mia suddita, Tauriel. In effetti, se ben ricordo non eri così rispettosa nei miei confronti neanche quando eri ancora un Capitano della mia Guardia.”
Le orecchie di Tauriel divennero rosse d’imbarazzo. “Mio signore...”
Ma Thranduil si era già spostato, raggiungendo il bordo della piscina e facendo scorrere un dito sui delicati fiori. “Erano i preferiti di mia moglie, sai? Li ho comprati da un mercante che giurava arrivassero direttamente dall’Ithilien. Lei li adorava. Ma non abbastanza per restare, a quanto sembra.”
Tauriel conosceva quel suo atteggiamento noncurante e un pò fuori dalla realtà, sapeva cosa lo aveva provocato e cosa poteva peggiorarlo: Thranduil non parlava mai della moglie quando era sobrio. “Sei ubriaco.”
“Hmm... può darsi.” Egli inclinò il capo di lato. “Non abbastanza, però.”
Ora che lo osservava meglio, ella vedeva che il Re non stava bene. I suoi capelli non erano stati pettinati e le sue guance erano incavate in un modo che non le piacque. “Ti stai nutrendo di nuovo solo con formaggio e vino?”
Thranduil gesticolò come per scacciare un moscerino. “Quanta preoccupazione da una traditrice.”
Questo le fece male, anche se sapeva che non era vero. “Non sono una traditrice.”
“No? Hai o non hai lasciato il mio regno per seguire il tuo amante Nano?” Egli attraversò la stanza per andare a versarsi dell’altro vino da una bottiglia posta su un piccolo tavolo.
Tauriel trasse un respiro profondo. Thranduil la stava colpendo laddove era più vulnerabile. Lo faceva sempre quando si metteva sulla difensiva. “Me ne sono andata per salvare la vita dell’uomo che amo. Il tuo cuore è diventato così gelido che hai dimenticato cosa vuol dire amare?”
“Tu scambi un’infatuazione per amore.”
“Il mio sentimento per Kìli è reale, non importa cosa ne pensi tu. Abbiamo un faelif. Non è questa una prova dell’autenticità del nostro legame?”
Egli sorrise beffardo. “Le razze inferiori non possono formare faelif.”
“Il suo fae è venuto da me mentre mi trovavo sugli Erenbrulli, coprendo una distanza di oltre trecento miglia. Spiegami, per favore, come sarebbe stato possibile senza un legame tra i nostri spiriti.”
“Il Nano è morto; le tue non erano che allucinazioni.”
“Kìli non è morto. Sappiamo per certo che è tenuto prigioniero da Re Dàin. Uno dei miei compagni lo ha trovato e gli ha parlato. È ancora vivo.”
La mano di Thranduil tremò leggeremente quando prese in mano il calice. Cercò di non darlo a vedere, ma c’erano linee di tensione vicino ai suoi occhi. “Questa è un’accusa piuttosto seria da sollevare contro Re Dàin.”
“È la verità. Abbiamo intenzione di recarci a Erebor per salvare Kìli.”
“Hmmm. Non credo proprio che il Nano sarà felice quando vedrà le prove della tua condotta licenziosa. E dimmi, Legolas lo sa?”
Tauriel scosse il capo, confusa e sbalordita al tempo stesso. “Io... la mia cosa? Cos’ha a che fare Legolas con tutto ciò?” Poi trattenne il fiato, capendo finalmente dove lui voleva arrivare. “Tu credi che il bambino sia suo.”
“Quale altra spiegazione ci sarebbe? A meno che tu non sia stata ancor più licenziosa di quanto credo. Immagino che anche l’arciere Bard avrebbe potuto catturare i tuoi sguardi–”
Basta! Non insultare il mio matrimonio!” Dopo quella sfuriata, nella stanza scese il silenzio. Tauriel ebbe l’impressione di cogliere un movimento alla sua destra ma, quando guardò, non vide che un angolo vuoto.
Deglutì rumorosamente, inorridita da quanto aveva appena fatto. Aveva alzato la voce contro il Re. Ma poi si raddrizzò e si ricordò che Thranduil non era più il suo Re. “Il bambino è di Kìli. Perchè mai pensi tutto questo?”
“L’ultima volta che ti ho vista, su Collecorvo, ho notato che eri...” Thranduil gesticolò verso la sua pancia con il calice e bevve un lungo sorso di vino.
“L’hai notato? Io non l’ho capito prima di altre sei settimane dopo quegli eventi! Come hai fatto?”
Thranduil parve vagamente offeso. “Non sarò il tuo prezioso Lord Elrond, ma so riconoscere un’Elfa incinta quando ne vedo una.”
“E quindi hai pensato, cosa? Che avessi tradito Kìli con Legolas? O il contrario? E che ero sparita nella battaglia–” Un’altra intuizione. “Mi hai fatta seguire, vero?”
Un muscolo guizzò nella guancia di Thranduil. “Le tue tracce si sono perse sul Monte Gundabad.”
“Perciò hai supposto che il fatto di avermi esiliata avesse condannato tuo nipote non ancora nato.” Non c’era da stupirsi che avesse trascorso gli ultimi otto mesi a bere. E naturalmente l’unica ragione per cui gli importava di lei era che credeva fosse incinta del figlio di suo figlio. “Dov’è Legolas?” Era possibile che fosse di pattuglia ma di solito, quando suo padre era in quello stato, faceva in modo di rimanere nei pressi del palazzo per poterlo tenere d’occhio.
“Se n’è andato,” rispose Thranduil con voce fredda e priva d’inflessione.
“Se n’è andato? Che vuoi dire?”
Egli sbattè il calice sul tavolo: una miriade di gocce rosse schizzò sul ripiano ligneo. “Voglio dire che mi ha lasciato!” Si girò a guardarla con un risolino crudele. “Come sua madre mi ha lasciato. Come tu mi hai lasciato...”
“Tu mi hai esiliata!”
“Tu mi hai tradito.” Thranduil le voltò le spalle e si versò dell’altro vino, come se per lui la conversazione fosse conclusa.
“Non ho fatto niente più che innamorarmi.” Gli occhi di Tauriel si velarono di lacrime. “Ho sempre fatto tutto ciò che mi hai chiesto. Ti ho servito, ho combattuto per il tuo regno; ho fatto tutto nel modo giusto, e la sola volta che ho osato fare qualcosa per me stessa tu mi hai bandita!”
Thranduil si voltò di scatto e lanciò il calice ai piedi di lei, schizzando gocce di vino e schegge di vetro dappertutto. “Io ti ho presa con me quando sei rimasta orfana! Ti ho dato tutto–”
“Non mi hai dato niente! Mi hai cresciuta come una figlia e poi mi hai detto che non ero più niente per te!” Tauriel iniziò a piangere e questo la fece infuriare ancora di più.
Thranduil arricciò le labbra. “Infatti non sei niente. Nient’altro che una traditrice e una sciocca.”
Tauriel fece un respiro profondo e si asciugò le guance. “Allora, se non sono niente, lascia andare me e i miei compagni e giuro che non ti disturberò mai più.”
“Oh, loro possono andare,” gesticolò Thranduil con noncuranza. “Non mi curo di quel che faranno i Nani nè i Peredhil.”
“Ci lascerai andare, dunque?” Per un attimo, Tauriel osò credere che egli sarebbe stato di nuovo gentile.
“I tuoi compagni possono andare, sì. Ma tu resterai qui.”
Lei rimase senza fiato.
“Come mia prigioniera.”

~
 
Il prigioniero si svegliò.
Qualcosa l’aveva destato dal suo sonno inquieto e pieno di sogni che svanirono come fantasmi al suo risveglio. Fuori, nel corridoio, si udiva rumore di passi e di parecchie voci. Sembrava che qualcosa avesse messo in agitazione le guardie.
Tese le orecchie cercando di capire cosa dicessero, ma le parole giungevano attutite dalla pesante porta di legno. Forse avrebbe avuto maggior fortuna se vi avesse posto contro un orecchio, pensò.
Il prigioniero trasse un respiro profondo e si preparò all’immenso sforzo di alzarsi. Era certo che un tempo era stato un compito molto più facile per lui. Le cicatrici sul suo corpo indicavano che doveva aver visto molte battaglie. Forse era stato un guerriero, una volta.
Riuscì a sollevarsi e girò le gambe di lato, poggiando i piedi a terra e mettendosi cautamente in piedi. Gli tremarono le ginocchia e temette per un attimo di cadere, ma si tenne aggrappato al bordo del suo giaciglio fino a che non riacquistò l’equilibrio.
Sarebbe stato molto più semplice attraversare la stanza per raggiungere la porta, ma non si fidava a camminare senza un sostegno qualsiasi. Così camminò appoggiandosi al muro; lentamente e faticosamente, fermandosi di tanto in tanto per riprendere fiato, attraversò tutto il perimetro della stanza.
Ci mise tanto tempo a raggiungere la porta che temette che le guardie avessero già concluso la loro conversazione. Ma fu fortunato: stavano ancora parlando. Del resto non dovevano esserci molti modi di intrattenersi quando si era di guardia per parecchie ore ad una porta chiusa.
“–Strano che siano spariti entrambi e nella stessa notte. Dicono che una dei mercenari è passata dalla loro parte e li ha aiutati. Quella tizia del sud, hai presente?”
“Ecco che si guadagna con tipi come loro. Non hanno lealtà. Però non capisco come siano riusciti a superare le guardie alle porte. Devono essersi nascosti in qualche buco nella montagna.”
“Forse. Ho sentito dire che potrebbero essersi rifugiati presso gli Elfi Silvani.”
“Non farti sentire dal guaritore. Sta già schiumando di rabbia. Ho saputo che ha fatto uccidere la guardia che l’ha lasciata passare con quello più giovane.”
“Se l’è meritato, quell’idiota. Lasciar uscire dei prigionieri!”
L’altra guardia borbottò qualcosa in accordo col compagno e la conversazione s’interruppe.
Il prigioniero ebbe voglia di mettersi a urlare per la frustrazione. Quello era peggio che non avere affatto notizie. A quanto pareva c’erano altri due prigionieri che erano stati fatti evadere da una delle guardie: ma chi erano? Li conosceva? Avrebbero salvato anche lui se ne avessero avuta la possibilità?
Oppure la verità stava nelle oscure visioni che così spesso lo tormentavano? Erano forse la prova – occhi color nocciola spalancati dal terrore sotto un ciuffo di capelli biondo scuro, i suoi pugni stretti sulla giacca della persona più piccola mentre la scuote e la minaccia di buttarla giù da un alto muro – che non era altro che un volgare assassino?
E c’era poi la domanda più importante di tutte.
Chi era lui?
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18: In rotta di collisione ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

“Come tua prigioniera?”
“Per essere entrata nel Reame Boscoso infrangendo il mio ordine di messa al bando.”
“Mi trovavo sulla Vecchia Via dei Nani. Secondo i trattati, quella è zona neutrale per i viaggiatori. Non stavo infrangendo niente.”
La rabbia per la condotta irragionevole di Thranduil, l’incredulità per la sua esplicita violazione degli antichi trattati e lo sgomento al pensiero di averlo sfidato ancora una volta torsero dolorosamente le viscere di Tauriel. Sentì che il bambino le si spostava nel ventre, forse infastidito dalla sua agitazione, e si massaggiò la pancia per cercare di tranquillizzare il suo pîn elloth.
Gli occhi di Thranduil seguirono il gesto e l’ombra di un’emozione – tristezza, o forse dolore – gli attraversò il volto. “Di certo capisci anche tu che è per il tuo stesso bene. Se davvero Re Dàin tiene prigionieri i suoi parenti e ha usurpato il trono, non è sicuro per te andare a Erebor nelle tue condizioni.”
“Sono incinta, non invalida.” La prossima volta che qualcuno avesse insinuato che non era in grado di badare a sè stessa solo perchè era incinta, Tauriel gli avrebbe lanciato qualcosa addosso. Possibilmente un coltello.
“Sì, questo è ovvio. E se dici il vero, il bambino che aspetti è il legittimo erede al trono di Erebor. Non capisci che entrare nella montagna sarebbe–?”
Se dico il vero? Come puoi ancora pensare che mento?” Tauriel prese a camminare su e giù per la stanza, addolorata dal fatto che lui la ritenesse tanto indegna di fiducia. Dov’era finito il saggio e delicato sovrano che aveva conosciuto per tutta la vita? Anche nei suoi momenti più autorevoli, Thranduil aveva sempre avuto qualche stratagemma in mente... ma certo, uno stratagemma. Tauriel prese un respiro profondo e lo rilasciò lentamente per calmarsi prima di replicare: “Questo è tutto un piano per far tornare Legolas da te.”
Thranduil sospirò, sollevando con attenzione le lunghe vesti per non calpestare la pozza di vino e schegge di vetro sul pavimento. “È dunque così difficile per te immaginare che potrei preoccuparmi per il tuo benessere?”
“Considerato che mi hai bandita senza minimamente curarti a quale sorte andassi incontro, sì, lo è.”
“Non ho mai voluto che morissi.” Il viso di Thranduil era impassibile come sempre, ma Tauriel credette di notare una leggera nota di rammarico nella sua voce; non abbastanza, però.
“Queste non sono scuse.”
“Non mi scuserò per aver bandito una traditrice.”
Lei chiuse di nuovo gli occhi e trasse un altro respiro profondo. “Stiamo discutendo a vuoto. Puoi anche ritenermi una traditrice, ma sai che non sono una bugiarda. Perchè ti è così difficile credere che non sono stata infedele a Kìli?”
“Elfi e Nani non possono procreare figli insieme. Questo è un semplice dato di fatto. Perciò, il padre del tuo bambino deve essere un Elfo o un Uomo.”
“Invece è possibile. Lord Elrond ha trovato un antico resoconto secondo cui uno degli Elfi di Eregion e una Nana di Moria concepirono un figlio insieme. È già successo.”
Il Re tacque, aggrottando la fronte per un momento prima di ricomporsi. “Eregion? La città fu saccheggiata quasi quattromilacinquecento anni fa. Qualunque rottame di carta Elrond abbia riesumato dalla sua biblioteca, è improbabile che si tratti di una cronaca accurata.”
“Nella pergamena è scritto che la Nana Narvi ebbe un figlio da Celebrimbor. Quando le forze di Sauron attaccarono la città, Narvi fuggì verso est e nulla più si seppe di lei nè di suo figlio.”
“Celebrimbor Curfirion?” ripetè Thranduil; Tauriel non riuscì a decifrare il suo tono di voce. Poco dopo, il sovrano scosse il capo come per scacciare un pensiero impossibile. “Una storia di dubbia provenienza risalente a oltre quattromila anni fa non prova assolutamente niente.”
“Allora, visto che sono una bugiarda, una traditrice e una sconfinatrice, mi permetterai almeno di parlare un’ultima volta con i miei compagni prima di gettarmi in cella?” Tauriel tese verso di lui le mani con i polsi uniti, sollevando le sopracciglia in un gesto di sfida.
Ma Thranduil si accigliò come se gli avesse detto una ridicolaggine. “Sei un ex Capitano della mia Guardia. Non ti insulterò trattandoti come una comune criminale.”
“Perchè no? È stato un trattamento buono abbastanza per il Re di Erebor, non è così? Ed io non sono altro che un umile Elfo Silvano.” Era stranamente liberatorio per lei farsi beffe in quel modo del Re, dopo aver cercato per tanti anni la sua approvazione.
“Considerati un’ospite onorata.”
“Gli ospiti onorati possono andarsene quando vogliono.”
“Basta così. Mi sono stancato di questa conversazione. Ti rivedrò a cena.” Con queste parole, Thranduil se ne andò.
Tauriel sospirò, le spalle incurvate. Era stato liberatorio poter finalmente dire al Re tutto ciò che pensava, ma l’esperienza l’aveva lasciata esausta e svuotata.
“Tauriel.”
Ella trasalì al suono di quella voce inaspettata, per poi rilassarsi quando vide a chi apparteneva. “Bilbo. Avrei dovuto immaginarlo che avresti trovato un modo per essere presente.” Si mosse verso di lui, stando bene attenta a dove poggiava i piedi nudi.
Lo Hobbit sbucò fuori dall’angolo buio in cui apparentemente si era nascosto e le prese una mano, rigirandola tra le sue più minute e scrutandola ansiosamente. “Tutto bene?”
Ancora una volta Tauriel rimase stupita dalla sua quasi magica abilità nel rimanere celato alla vista, perfino a quella più acuta degli Elfi. “Sto bene, mellon,” rispose automaticamente.
“Sul serio, sono sempre più intenzionato a fare a quel Re una bella schiusa di orecchi! È una vergogna, ecco cos’è.”
“Devo ammettere che sono sorpresa che non sei venuto allo scoperto per sbraitargli addosso,” rispose Tauriel divertita suo malgrado.
Bilbo lanciò un’occhiataccia nella direzione in cui Thranduil era sparito. “Non credere che non ne sia stato grandemente tentato. Ma, come ho scoperto dall’ultima volta in cui i miei amici sono stati imprigionati qui, è utile mantenere un pò di segretezza.”
“Bilbo... come hai fatto a rimanere nascosto? Non c’è niente in cui nascondersi in quell’angolo.”
“Ah.” Egli arricciò il naso e distolse lo sguardo, poi sollevò il mento e rispose: “Noi Hobbit abbiamo il passo notevolmente leggero, lo sai.”
Questo non rispondeva alla sua domanda e lei fu sul punto di insistere, quando si udì alla porta un bussare leggero; Rhemyrn non attese risposta prima di entrare nella stanza. “Tauriel?”
Raggelata, Tauriel rivolse a Bilbo uno sguardo terrorizzato; ma non c’era niente che potesse celarlo alla vista di Rhemyrn.
La giovane guardia parve sorpresa nel vederlo, ma si limitò a scuotere il capo prima di affiancare Tauriel. “Il Re ha dato ordine a tutte le guardie che tu venga trattata come un’ospite onorata, ma non hai il permesso di lasciare il palazzo.”
“Ha fatto presto.” Un’ondata di risentimento la travolse. Chissà se il Re aveva avuto una pur minima esitazione prima di dichiararla sua prigioniera?
Bilbo squadrò Rhemyrn con sospetto. “E sarai tu la carceriera di Tauriel?”
Rhemyrn incrociò le braccia sul petto e bisbigliò: “Io sono stata assegnata alla tua custodia, Tauriel.” Poi, con sua grande sorpresa, aggiunse a voce ancora più bassa: “Questo è sbagliato. Ti aiuterò a fuggire.”
Accigliata, Tauriel rispose con lo stesso mormorio: “Rischi l’esilio o anche di peggio se mi aiuti.”
“Non m’importa. Non servirò un Re ingiusto. A dire il vero, è dallo scorso autunno che sto pensando di lasciare il Reame Boscoso.” La guardia lanciò una rapida occhiata a Bilbo e inclinò il capo. “Non tutti approvano l’operato del Re, in particolare i membri della Guardia. Abbiamo perso commilitoni, amici e...” La sua voce si affievolì per un attimo. “...e familiari durante la Battaglia delle Cinque Armate. Anche se alla fine è stata una fortuna che ci trovassimo lì, l’origine della nostra presenza a Dale non fa onore al Re.”
“Hai perduto...?” Ma Tauriel l’aveva già capito, ricordando due teste scure sempre vicine e un sorriso birichino condiviso tra fratelli. “Nae! E uipada mintaur, Rhemyrn.”
La giovane guardia chinò il capo e si portò una mano al cuore. “Le fael.”
Dopo un momento di silenzio, Bilbo si schiarì la gola. “Suppongo che il passaggio nascosto nelle cantine non sia più una possibilità fattibile?”
Rhemyrn prese un respiro profondo e battè le palpebre, cancellando l’aria di vulnerabilità che le era comparsa sul viso. “No, il Re l’ha fatto sigillare subito dopo la fuga dei Nani.”
“Peccato. Immagino sarebbe stato troppo bello per essere vero.”
Lei annuì mestamente. “Conosco almeno una dozzina di guardie disposte a girarsi dall’altra parte mentre voi ve ne andate, Tauriel, ma questo non basterà ad assicurarvi di poter fuggire senza essere visti.”
Bilbo si picchiettò il mento con un dito. “Ciò che ci serve è un diversivo. Qualcosa che distolga l’attenzione degli altri da noi. Oh, cosa non darei per uno dei fuochi artificiali di Gandalf!”
Tauriel lo fissò. “I suoi cosa?”
“Esplosioni di luce che creano forme colorate in cielo, mia cara – li vedremo insieme un giorno, te lo prometto. Ma, a parte tutto, di sicuro Thranduil non può sperare di tenerti imprigionata a lungo, no? Dopotutto sei sotto la protezione di Lord Elrond.”
Questa riflessione era venuta in mente anche a lei, ma il pensiero di essere causa di un conflitto tra Lord Elrond e Thranduil... non riusciva nemmeno a prenderlo in considerazione. “Non vorrei diventare fonte di conflitti tra Bosco Atro e Gran Burrone. No, dobbiamo trovare il modo di risolvere la cosa senza chiamare in causa Lord Elrond. Hai detto di aver bisogno di un diversivo, Bilbo?”
E nonostante la gravità della situazione, sulle labbra di Tauriel spuntò un sorriso. “Penso di avere un’idea.”

~
 
I periodi di lucidità di Kìli si facevano sempre più sporadici. A volte riconosceva Ori o Sigrid e sembrava dar retta a Fìli quando gli spiegava che si trovavano a Dale; molto più spesso però non riconosceva altri che il fratello e pareva convinto di trovarsi ancora in una delle città degli Uomini presso cui si erano fermati durante i loro vagabondaggi. Preoccupato dalla possibilità che non riconoscesse chi gli stava accanto, Fìli trascorreva molto tempo al suo capezzale, cercando di fargli bere del brodo ogni volta che si svegliava.
Kìli aprì lentamente gli occhi e sorrise a suo fratello in maniera confusa. “Fì.”
“Kì. Bevi questo, d’accordo? Ti farà stare meglio.”
Fìli lo osservò sorseggiare il brodo tiepido. Non era ancora chiaro se Kìli si trovasse sotto un incantesimo buono o cattivo. Mentre beveva guardava in giro per la stanza, ma secondo Fìli non si rendeva davvero conto dell’ambiente che lo circondava.
Kìli bevve solo pochi sorsi prima di allontanare la ciotola. “Dov’è Tauriel?”
Anche questo era un ritornello ricorrente. Fìli represse un sospiro e gli rispose, forse per la centesima volta: “Tauriel non è qui.”
Kìli chiuse gli occhi e li riaprì pochi istanti dopo. “Non la sento più. Se n’è andata, Fì.”
Questa era nuova. Fìli aggrottò la fronte cercando di capire cosa stesse dicendo suo fratello. “Che vuol dire che non la senti più?”
“Calore, sicurezza, amore... riuscivo sempre a sentirla... ora non più. Se n’è andata.” Le braccia di Kìli tremarono mentre cercava di mettersi seduto.
Fìli gli mise una mano sul petto per tenerlo giù e rimase sconvolto da quanta poca forza dovette esercitare. Kìli tornò ad affondare tra i cuscini, chiuse di nuovo gli occhi e parve precipitare in un sonno inquieto.
Fìli si portò i palmi sugli occhi, traendo respiri lenti e profondi. Lasciarsi prendere dal panico non avrebbe cambiato niente. Suo fratello aveva bisogno che restasse lucido e trovasse il modo di risolvere quella situazione.
Ci fu un lieve bussare alla porta e subito dopo la testa di Sigrid fece capolino; la ragazza gli sorrise. “Come va?”
Fìli le sorrise in risposta e gli parve che il peso sul suo petto si alleggerisse un poco. “È un’altra di quelle serate.”
Lei entrò nella stanza. “Mi dispiace. Posso badare io a lui per un pò, se vuoi.”
Il Nano esitò. Sigrid lo aveva già aiutato tanto, si sentiva in colpa a chiederle di più.
“Quand’è stata l’ultima volta che ti sei riposato? Non potrai aiutare tuo fratello se collassi per la stanchezza.” La ragazza aggrottò la fronte e incrociò le braccia sul petto; Fìli si sentì ancora più in colpa quando notò che quella posa le metteva in risalto il seno.
“E va bene, farò una breve pausa.” Si passò le mani tra i capelli e sul viso, strofinandosi gli occhi. “Vieni a chiamarmi se dice qualsiasi cosa, o se ti sembra che stia per svegliarsi, o se gli torna la febbre...”
“Fìli.” Ponendogli una mano sulla spalla, Sigrid gli sorrise con i suoi begli occhi azzurri. “Verrò a chiamarti nel momento stesso in cui si verifica un cambiamento. D’accordo?”
“D’accordo.”
Il Nano uscì dalla stanza con riluttanza, tenendo la mano sul pomello della porta anche dopo averla chiusa e cercando di convincersi che non c’era davvero bisogno che rientrasse subito.
“Come sta tuo fratello?”
Fìli trasalì leggermente al suono di quella voce e si rimproverò per non aver notato che Tofa era seduta al tavolo. “Non peggio, ma neanche meglio.”
“Mi dispiace. Che dice il Principe Legolas? Ho provato a chiederglielo prima, ma mi ha ringhiato contro e ha detto che usciva a cercare certe erbe.”
“Non sa perchè Kìli non migliora. O almeno è questo che dice.”
“Non ti fidi di lui?”
Fìli si lasciò cadere su una sedia e si passò una mano sul collo. “È difficile fidarsi di un Elfo per qualcosa di così importante.”
“Ah. Hai qualche ragione di sospettare di lui?”
“No, è solo che... è un Elfo.”
Tofa parve perplessa. “Non capisco.”
“Non ci sono Elfi nel posto da cui provieni?”
“Non proprio. Ho sentito che ce ne sono alcuni nascosti nell’alto deserto. Harad non è il luogo ideale per gli Elfi. Troppo vicino a Mordor.” La Nana fece un gesto di scongiuro a quel nome, simile a quello per il Martello di Mahal che Fìli conosceva, ma con un gesto esterno in più alla fine.
“Immagino ci siano vicini peggiori da avere oltre agli Elfi.”
Lei gli rivolse un’espressione divertita che Fìli contraccambiò; la preoccupazione e l’ansia che gravavano sulle sue spalle parvero alleggerirsi un poco.
“A parte gli scherzi, pensi che possiamo fidarci di lui? Sto cercando di escogitare un piano per quando torneremo a Erebor e tutti gli scenari che sto contemplando prevedono il Principe Legolas.”
“Non ci serve quell’Elfo.”
Senza scomporsi, Tofa alzò una mano e prese a contare sulle dita. “Ci servono tre fattori perchè la cosa funzioni: numero, lottatori esperti, e l’elemento sorpresa. Siamo scarsi di numero, perciò dovremo compensare questo fattore con gli altri due. Tu ed io siamo entrambi lottatori esperti ma ammetto tranquillamente di non sapere niente di ricognizioni, e neanche tu. Quanto al ragazzo, non ha la minima esperienza in combattimento. A questo punto, non so proprio come potremmo entrare a Erebor senza il Principe Legolas.”
Aveva ragione lei, Fìli lo capiva. Non per questo era facile ammetterlo, però. “Lo so. Hai ragione. Parlerò con lui.” Ad un sopracciglio alzato della donna, aggiunse: “Cercherò persino di essere gentile.”
“Bravo.”
Rimasero seduti in un piacevole silenzio mentre Tofa affilava con una pietra una delle spade che avevano sottratto alle guardie durante la fuga. Fìli era quasi sul punto di appisolarsi quando la porta che dava sul cortile si aprì e un’alta figura incappucciata entrò nella stanza; Legolas si tirò indietro il cappuccio e rispose ai loro saluti con un civile cenno del capo.
“Trovato quel che cercavi, Principe?” gli chiese Tofa.
L’Elfo appese il mantello alla porta e si girò, rivelando un gran fascio di piante. “L’Athelas non è difficile da trovare a Dale, considerato che gli Uomini la adoperano per nutrire il bestiame.”
Con questo parve considerare conclusa la conversazione, perchè attraversò la stanza ed entrò senza bussare laddove giaceva l’infermo. Pochi istanti dopo Sigrid uscì con una faccia imbronciata e mormorò loro un ‘buonanotte’ prima di ritirarsi.
Tofa gli rivolse un’espressione significativa e Fìli, con un sospiro, si alzò e si recò a parlare con l’Elfo.
Nella stanza del malato, Legolas stava strappando le foglie alle piantine: un gesto pressochè identico a quello compiuto da Tauriel quando aveva curato Kìli, a Pontelagolungo.
“Tuo fratello non sta migliorando,” disse il Principe di punto in bianco, senza guardarlo.
“Ma neanche peggiorando. Gli ci vorrà solo un pò di più per guarire... non è così?”
“Tu non capisci.” Legolas mise via le foglie e si voltò verso di lui. “Se le sue condizioni non migliorano, il suo corpo avvizzirà fino alla morte. Un corpo mortale non può restare separato dall’anima per tanto a lungo senza subirne le conseguenze.”
No. La parola urlata nella sua mente scosse Fìli da capo a piedi mentre pensava al suo fratellino che gli moriva davanti agli occhi. “Cosa possiamo fare? Non c’è modo di aiutarlo? Proprio nessuno?”
“Il tuo servitore mi ha consegnato la lista di ingredienti alchemici che ha trovato nelle stanze del guaritore Nano. Sono riuscito a mettermi in contatto con una guaritrice della Guardia e a chiedere la sua opinione in merito: lei ritiene che quegli ingredienti servano a creare una pozione che separi l’anima dal corpo, come anch’io avevo sospettato esaminando tuo fratello. Speravamo che, smettendo di assumerla, le sue condizioni sarebbero migliorate, ma è chiaro che così non è stato.”
“E quindi? Di certo avrai un’altra idea. O ti farai semplicemente da parte e lo lascerai morire? In fondo non siamo altro che dei semplici mortali.”
“Non presumere di sapere cosa farò o non farò. Il destino di tuo fratello non riguarda lui solo. O forse hai già dimenticato della connessione tra lui e Tauriel?”
“L’hai già detto, che c’è un legame tra le loro anime perchè sono sposati. Confido che tu sappia di cosa stai parlando, ma devi capire che tutto questo per un Nano è a dir poco strano. Un legame tra anime... e come diamine funziona?”
L’Elfo lo occhieggiò in silenzio, poi si volse verso la credenza, prese una bacinella, la portò sul tavolo e vi mise dentro le foglie.
“Come faccio a capirci qualcosa se non mi dici niente?” Fìli allargò le braccia. “La vita di mio fratello potrebbe dipendere da questo.”
“Non potrebbe. Dipende da questo.”
“Che significa?”
Senza rispondere, Legolas prese il bollitore dal focolare e versò con attenzione l’acqua bollente sulle foglie; subito si diffuse nella stanza un aroma che Fìli poteva descrivere solo come ‘verde’. Quel profumo gli fece tornare in mente le prime giornate di primavera della sua giovinezza, quando i fiori cominciavano a farsi strada nel terreno del piccolo giardino dietro la loro casa a Dunland. Si rilassò suo malgrado e, a giudicare dalla distensione nelle spalle dell’Elfo, non era l’unico a subire gli effetti di quel profumo.
Legolas tolse le foglie dall’acqua e le mise in un mortaio, dopodichè cominciò a pestarle. Mentre lavorava, disse quietamente: “Elfi che hanno un profondo legame tra loro possono formare un faelif, una connessione tra le rispettive anime. Alcuni lo usano per comunicare a grande distanza, ma per lo più si tratta di una sensazione generica sullo stato d’animo dell’altro. Quegli Elfi che riescono a stabilire tale connessione non sono mai davvero soli, non importa quante miglia li separino l’uno dall’altro.”
Fìli fece schioccare le dita. “Ecco perchè Kìli continuava a dire di aver visto Tauriel.”
“L’ha vista? Perchè non me lo hai detto?”
“Credevo che avesse le allucinazioni. E comunque la vedeva prima; ora dice di non riuscirci più.”
Legolas strinse i denti e per un attimo sembrò molto giovane e spaventato. “Non la vede più?”
“È ciò che mi ha detto stasera. Perchè? Cosa significa?”
“Condividere un faelif è una benedizione, ma ti rende anche estremamente vulnerabile. Si tratta di parte della tua anima che si estende nella distanza tra due corpi mortali. E se tale legame viene infranto, può portare conseguenze devastanti. Se tuo fratello non riesce più a vedere Tauriel, potrebbe voler dire che ha perso la capacità di percepirla perchè non è più sottoposto al trattamento del guaritore.” Legolas chiuse gli occhi per un momento. “Oppure che Tauriel è morta.”
Nonostante la propria antipatia per l’Elfo, Fìli non rimase indifferente alla sua angoscia. “Mi dispiace. So che è tua amica.”
“So che era inevitabile, ma speravo trascorresse almeno qualche altro secolo prima che...”
“Prima che?”
“Ancora non capisci? Innamorarsi di un mortale è una condanna per il destino di Tauriel.”
“Per via del legame tra le loro anime?”
“In parte sì. È possibile innamorarsi profondamente senza sviluppare un faelif, e anche in caso di morte di uno dei coniugi l’altro può sopravvivere se il suo fae è forte abbastanza. Ma io conosco Tauriel meglio di quanto conosca me stesso: quando tuo fratello morirà, che sia tra un mese o tra cento anni, si lascerà morire anche lei.”
“Sei innamorato di Tauriel?” Fìli pose la domanda quasi senza pensarci.
Ma invece di andarsene via infuriato, come il Nano si aspettava, Legolas posò con calma il pestello vicino al mortaio, si alzò in piedi, poggiò le mani sul tavolo e rispose: “La amo come una sorella, con tutto il mio cuore. C’è stato un tempo in cui ho creduto di esserne innamorato, ma lei non mi ha mai considerato altro che un fratello.”
“Fratello?” fece Fìli sbalordito.
“Non di sangue. Mia madre adottò Tauriel quando il suo clan venne spazzato via dagli Orchi.”
“Tu hai una madre?” E in quella a Fìli venne in mente un valido motivo per cui non aveva notato tracce di una Regina elfica nel palazzo di Thranduil. “Mi dispiace, non intendevo sollevare l’argomento...”
“Mia madre non è morta. Vive nella foresta, a circa un giorno di viaggio verso nord rispetto al palazzo di mio padre. Loro... hanno avuto un diverbio alcuni anni fa riguardo... beh, non importa. Comunque sì, mia madre è viva e prese Tauriel con sè quando rimase orfana. Tauriel è quel che di più simile ad una sorella io possa avere.”
“Hai detto che tuo padre l’ha esiliata.”
“È così.” Legolas gli rivolse un sorriso tirato. “Avrai notato che non risiedo più nel regno di mio padre.”
“Ah.” In effetti Fìli si era posto delle domande in merito.
“Ora, quale sarà il piano quando noi rientreremo ad Erebor?”
“Noi?” Fìli scosse il capo, certo di aver capito male.
“Se Tauriel è ancora viva, per salvarla dovremo salvare Kìli; e per salvare lui, dobbiamo scoprire cosa gli ha fatto di preciso il cosiddetto guaritore di Dàin.” Legolas si portò una mano sul cuore e chinò graziosamente il capo. “Fino a che non avremo successo o moriremo nel tentativo, considerami ai tuoi comandi.”

~
 
I piani erano stati approntati, le trame erano state intessute, i cospiratori erano stati radunati. Mentre la compagnia si preparava a declinare l’invito di Re Thranduil ad essere suoi ‘ospiti onorati’, Bilbo aveva colto l’occasione per scrivere due lettere. La prima era stata affidata a Elladan, che si era recato in ricognizione a Bosco Atro in compagnia di una guardia che Rhemyrn aveva portato dalla loro parte.
La seconda sarebbe stata consegnata la mattina della loro partenza. Quando fu soddisfatto della stesura, Bilbo la mise in una busta che sigillò con una goccia di cera fusa in cui impresse il simbolo della ghianda inciso sui bottoni del suo panciotto, quanto di più simile ad un sigillo ufficiale Baggins che si potesse trovare.
La missiva era indirizzata a ‘Re Thranduil Oropherion, presso le sale di Bosco Atro, Terre Selvagge, Rhovanion’, e vi era scritto quanto segue:

Vostra Maestà,
vi scrivo questa lettera in qualità di amico di Tauriel di Imladris, un tempo di Bosco Atro e presto (si spera) di Erebor. Conosco Tauriel da circa quattro mesi, senza contare il tempo da lei impiegato per recarsi da Erebor a Mithlond e da lì nella Contea. Un viaggio della disperazione, intrapreso a causa della vostra crudele decisione di bandirla dall’unica casa che lei abbia mai conosciuto – nonchè della vostra totale mancanza di interesse per il suo benessere.
Non discuteremo qui se la sua messa al bando sia o meno giustificata, poichè sono certo che non ammetterete mai che non avreste dovuto condannare Tauriel solo per aver voluto salvare la vita dell’uomo che ama, così come sono certo che vi rifiuterete di riconoscere che lei e Kìli sono sinceramente innamorati. Eppure io sono stato testimone della nascita del loro amore e raramente ho osservato due persone più devote l’una all’altra, per quanto tutto il resto del mondo sembrasse contrastarli.

Ma sto divagando. Non scrivo questa lettera con lo scopo di convincere il vostro freddo e arido cuore della sincerità dell’amore tra Kìli e Tauriel; so che sarebbe un tentativo vano da parte mia. E in fin dei conti, il fatto che le azioni di Tauriel e il suo allontanamento da Bosco Atro possano essere scusabili o passabili di tradimento non conta. Ciò che conta è che voi, dopo aver accolto ed allevato questa giovane fin dalla sua infanzia, le avete voltato le spalle alla prima occasione in cui ha osato ribellarsi al vostro volere.
Voi, Maestà, siete veramente un pessimo padre.
Non dubito che abbiate parecchie giustificazioni sul perchè non possiate considerarvi il vero padre di Tauriel; ma io rispondo che queste sono sciocchezze e bazzecole, e aggiungo che dovreste vergognarvi. Forse non sarete il suo padre biologico, ma vi siete assunto delle responsabilità nei suoi confronti quando l’avete adottata, e in questo avete fallito in ogni minimo aspetto.
È del tutto possibile che a questo punto abbiate smesso di leggere questa lettera. Probabilmente l’avrete gettata nel fuoco e vi sarete versato un altro bicchiere di vino. Tuttavia ritengo sarebbe negligente da parte mia non cogliere quest’occasione per porgere i miei ossequi alla Regina Meriliel. Spero un giorno, presto, di poter fare la vostra conoscenza di persona, mia signora.
Sinceramente,
Bilbo Baggins

~
 
Thranduil aveva realmente interrotto la lettura a metà per versarsi un altro bicchiere di vino ma, contrariamente alle previsioni dello Hobbit, non aveva gettato la missiva nel fuoco. Aveva terminato di leggerla camminando avanti e indietro nella sala del trono, all’inizio con un certo divertimento per poi passare ad una collera crescente. Di fatto aveva già iniziato a comporre mentalmente una graffiante risposta prima di arrivare all’ultimo paragrafo.
Rimase un attimo perplesso prima di stabilire che forse lo Hobbit non sapeva della lunga assenza di Meriliel; o forse aveva inteso quei saluti come insulto finale ai suoi danni, sia come padre che come marito.
Thranduil gettò le pagine, dopo averle accartocciate leggermente, sulla seduta del trono. “Fà venire uno scrivano,” ordinò alla guardia più vicina, “desidero dettare una lettera.”
Aveva appena finito di trasmettere l’ordine quando si udirono dei passi e un messaggero attraversò rapidamente il ponte prima di inginocchiarsi davanti a lui. “Vostra maestà.”
“Parla,” ordinò Thranduil levando una mano con fare indifferente. “Che notizie porti?”
“Vostra maestà, si tratta della Regina.”
Una fanfara risuonò dai cancelli principali, segno che la Regina stava per entrare; quella musica non era più stata udita nelle sale del regno di Thranduil da più di centocinquant’anni.
Meleth nin...” egli sussurrò.
Sopraffatto dall’emozione, Thranduil si lasciò cadere sul trono più pesantemente di quanto avesse voluto; le carte sotto di lui crepitarono quasi con un suono d’accusa.
“La Regina Meriliel è tornata!”

~
 
Tauriel non potè fare a meno di notare che quella mattina Bilbo sembrava estremamente soddisfatto di sè stesso.
La compagnia era sgusciata fuori dal palazzo usando un’uscita posteriore che, come Rhemyrn li aveva rassicurati, era pattugliata da guardie disposte a chiudere un occhio alla partenza dei loro ‘ospiti onorati’. Speravano che il trambusto causato dal ritorno della Regina Meriliel avrebbe distratto tutte quelle fedeli al Re abbastanza da permettere loro di allontanarsi a sufficienza. Era un piano ardito che dipendeva in gran parte dalla fortuna; eppure, ben prima che potessero ritenessero al sicuro, Bilbo pareva quasi scoppiare dalla soddisfazione.
Tauriel aveva i suoi sospetti sull’origine di quella sua espressione così compiaciuta.
Una volta che si furono allontanati abbastanza da potersi fermare per abbeverare i cavalli, lo prese in disparte e gli chiese: “Rhemyrn mi ha detto che hai consegnato a Elladan una lettera per la Regina. Cosa le hai scritto?”
“Oh, conosci noi Hobbit. Raramente parliamo di cose davvero importanti,” si limitò a rispondere Bilbo con un sorriso raggiante. “Fosse per noi, trascorreremmo tutto il giorno a spettegolare sulle nostre famiglie!”
 
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(glossario)
Nae! E uipada mintaur --> Ahimè! Possa egli camminare per sempre nella foresta
Le fael --> ti ringrazio (letteralmente, "Sei generosa")

Tolkien non ha mai scritto niente sulla moglie di Thranduil e madre di Legolas; le informazioni contenute in questa storia sono state totalmente inventate dall'autrice (QUI potete leggere la os relativa, se vi interessa).

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Capitolo 19
*** Capitolo 19: Al Crepuscolo ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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(note della traduttrice) Perdonate il ritardo nell'aggiornamento, ma con il caldo di questi giorni tutto avevo voglia di fare tranne che mettermi al computer >< comunque non mi sono dimenticata di questa storia, non vi preoccupate! Tra l'altro mi manca poco per finire tutti i capitoli finora disponibili - l'autrice la sta ancora scrivendo, anche se con lentezza - quindi il rallentamento è un bene, così non ci ritroveremo a bocca asciutta troppo a lungo. ^^

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Prima che fuggissero dal palazzo, Tauriel aveva trovato un momento per prendere da parte Rhemyrn e dirle: “Dovresti lasciare Bosco Atro con noi. Se Re Thranduil scopre che ci hai aiutati a fuggire, temo per ciò che potrebbe farti nella sua ira.”
“Il peggio che potrebbe fare è esiliarmi. E nel caso...” La giovane guardia si strinse nelle spalle. “Ho sempre voluto viaggiare. Mi recherei a est e cercherei di trovare il popolo di mio padre. A meno che il Re non decida di imprigionarmi, naturalmente.”
Tauriel scosse il capo ma sapeva che, quando Rhemyrn prendeva una decisione, era impossibile farle cambiare idea. “Se il Re dovesse imprigionarti, tornerò e ti libererò io stessa.”
Rhemyrn rise forte, attirandosi occhiate circospette dai Nani radunati lì vicino. “E non dubito che avresti successo. Fà buon viaggio, Capitano.”
Tauriel sapeva che le avrebbe risposto in quel modo e perciò, senza disturbarsi a puntualizzare che non era più Capitano, la salutò dicendo: “Possano le stelle guidare i tuoi passi.”
“Se la caverà?” chiese Bilbo mentre osservavano Rhemyrn correre via per occuparsi dei dettagli finali.
“Io credo di sì. Ci penserà la Regina Meriliel.” Aveva parlato per rassicurare lo Hobbit, ma il solo accenno alla Regina tranquillizzò la stessa Tauriel. Con il suo ritorno, di certo adesso sarebbe andato tutto bene nel Reame Boscoso.
Bilbo pareva scettico. “Saprà davvero tenere Re Thranduil in riga?”
Mellon, se tu conoscessi la Regina Meriliel non mi faresti questa domanda.”
“Ma perchè lo ha lasciato?”
Tauriel ricordava bene il freddo e amaro confronto che Thranduil e Meriliel avevano avuto circa il rifiuto del Re di soccorrere le vittime dell’attacco di Smaug. All’epoca lei sapeva già che la loro unione non era più solida come un tempo, ma non aveva potuto fare nulla eccetto restare in disparte per non costituire un altro elemento di dissenso tra il Re e la Regina. Alla fine, però, questo non aveva fatto la differenza: Tauriel si era allontanata da Meriliel inutilmente ed era questa considerazione, forse, a farle male più di tutto.
Thranduil non era stato sempre il tiranno che la Compagnia aveva conosciuto. Era vero che non era mai stato particolarmente buono o gentile, ma era comunque stato un Re saggio e molto amato, almeno finchè il male non aveva messo radici nel cuore del Reame Boscoso. Tauriel era troppo giovane per ricordare Boscoverde il Grande, ma persino Bosco Atro non era sempre stato tanto corrotto. A volte aveva l’impressione che la foresta si fosse oscurata, così come il cuore del Re.
Ma non sapeva come spiegare tutto ciò a qualcuno che non era stato presente durante quegli eventi, perciò rispose con un semplice: “Non saprei dirlo.”
Capì che Bilbo non le credeva, ma egli fu tanto gentile da non insistere oltre.
Rhemyrn aveva fatto in modo che cibo e rifornimenti fossero lasciati per loro presso alcune postazioni di guardia, dislocate lungo il percorso tra il Palazzo e Dale. Alla fine del primo giorno di viaggio si fermarono per un pò presso la prima di queste postazioni, che erano camuffate tra i rami più alti degli alberi.
“Presto dovremo accamparci,” disse Elladan.
Tauriel aveva già considerato la questione, segnandosi il punto in cui si trovavano nella propria mappa mentale della foresta. “Concordo. C’è un villaggio abbandonato, non lontano da qui, che dovrebbe essere facilmente difendibile come accampamento.”
Bilbo parve allarmarsi. “C’è proprio bisogno di preoccuparci di una difesa contro le forze di Re Thranduil? Credevo che lo scopo di convincere la Regina Meriliel a tornare fosse proprio quello di evitare che il Re mandasse le sue guardie a cercarci.”
“È così, e sono certa che se il nostro statagemma non avesse avuto successo ci avrebbero già ripresi,” disse Tauriel, facendo andare il proprio cavallo al passo. “Ma non sono le forze di Re Thranduil il pericolo maggiore in questa foresta. O hai già dimenticato i ragni giganti?”
“Orride creature.” Lanciando un’occhiataccia agli alberi, Bilbo posò una mano sull’elsa della corta spada elfica che portava appesa al fianco. “Se ci attaccano di nuovo, Pungolo qui sarà pronta a riceverli.”
Il villaggio era proprio dove Tauriel ricordava, un agglomerato di piccole case di pietra in forma circolare posto tra le radici di grandi alberi. La maggior parte delle case era ancora in buone condizioni, anche se parecchi dei tetti in ardesia avevano ceduto.
Si sistemarono in quella più grande, che Tauriel ritenne essere stata l’abitazione della Madre del Clan quando il villaggio era ancora abitato. Una volta stabilito che l’alloggiamento centrale per il fuoco era in buone condizioni, si diedero da fare ad accenderne uno; più tardi, riscaldati dalle fiamme e al riparo dai pericoli della foresta, la casa abbandonata apparve sorprendentemente confortevole.
“Questo villaggio non sarebbe fuori posto nella Contea,” disse Bilbo. “Non è proprio come me l’aspettavo!”
“E come ti aspettavi che fosse?” chiese Tauriel.
“Beh, supponevo che voi Elfi viveste sugli alberi.”
“Gli accampamenti arborei sono solo temporanei, non sono difendibili abbastanza a lungo. Una dozzina di ragni giganti ne distruggerebbe uno nel giro di pochi minuti.”
“La tua gente... vive costantemente in guerra, vero?” domandò Bilbo con un’espressione che Tauriel non riuscì a decifrare.
“Questa è un pò un’esagerazione, mellon. Bosco Atro è un posto pericoloso: abbiamo semplicemente imparato ad adattarci ad esso.”
“E cos’è successo alle persone che vivevano in questo villaggio? Sono state...?” Lo Hobbit, turbato, non completò la frase.
“No, credo si siano unite a qualche clan a nord del palazzo.” Tauriel non sapeva bene perchè evitasse di divulgare quell’informazione. Di certo gli abitanti del villaggio si erano uniti ad un clan più grande per avere maggiore protezione contro i ragni e gli Orchi. Forse, ora che la corruzione della foresta sembrava diminuita, avrebbero potuto far ritorno nelle loro case.
“E io che pensavo fossero stati rapiti dai ragni giganti... sciocco da parte mia, suppongo.” Con una risatina, Bilbo si scusò e raggiunse Bofur per una buona fumata.
Tauriel si era accorta che Dìs si era seduta nei suoi pressi, ma fino a quel momento la madre di Kìli aveva evitato di rivolgerle la parola se non per le necessità basiche del viaggio; perciò fu con grande sorpresa che la sentì commentare: “Sembrava che sapessi bene di cosa parlavi, a proposito della difesa contro i ragni giganti.”
Era la prima volta che Dìs iniziava una conversazione con lei in tutte quelle settimane di viaggio, e Tauriel fu attenta a mantenere una facciata neutrale malgrado il proprio stupore. “Sono stata Capitano della Guardia di Bosco Atro per oltre cento anni. Se non sapessi prevedere le tattiche dei nostri più grandi nemici, sarei un Capitano molto scarso.”
“Vero, vero.” Dìs distolse lo sguardo come se non fosse più interessata a quel discorso; Tauriel però sapeva che fingeva. “Oltre cento anni, hai detto. Posso chiederti quanti anni hai, allora?”
“Ho appena passato i seicento anni. Non sono una bambina tra la mia gente, ma sono comunque considerata molto giovane.”
“È impressionante che tu abbia raggiunto una posizione tanto prestigiosa ad una così giovane età.”
“Grazie,” rispose Tauriel, rilassandosi poichè la conversazione sembrava dirottare dagli argomenti più spinosi.
“Giovane, dici... eppure sei più anziana di mio figlio di oltre cinquecento anni, e ancora oltre gli sopravvivrai una volta che egli sarà tornato alla pietra da cui è venuto.”
Il pensiero causò a Tauriel un dolore fisico, come se una mano di ghiaccio le serrasse il cuore. Prese un respiro profondo e rispose: “In questo ti sbagli. Quando Kìli passerà da questo mondo, io non gli sopravvivrò a lungo.”
“No?” Dìs le rivolse una lunga occhiata valutativa. “Gli Elfi, a meno che non stia sbagliando di grosso, sono immortali.”
Tauriel sostenne il suo sguardo. “Il tempo non reca pericoli di sorta per me, ma non ho mai pensato di vivere per sempre. Sono un soldato, Lady Dìs: mi aspetto di perire un giorno sul campo di battaglia. Se Kìli dovesse morire prima di me, saprò che quel giorno giungerà presto. Il più presto possibile.”
La dura espressione della Nana parve addolcirsi un poco. “Non serve che mi chiami con il mio titolo. In fondo adesso siamo parenti: chiamami Dìs.”
L’Elfa annuì, sentendosi cautamente compiaciuta. “Dìs, allora. E tu, per favore, chiamami Tauriel.”
“Dunque, Tauriel... hai già pensato ad un nome per mio nipote?”
Tauriel sgranò gli occhi. “No...?”
Dìs emise un suono disapprovatorio. “Mettiamo in chiaro una cosa: un figlio della stirpe di Durin non avrà uno di quei nomi elfici eccessivamente lunghi e complicati. L’erede al trono di Erebor avrà un solido e appropriato nome nanico.”
Fissando la suocera con costernazione, Tauriel desiderò una volta di più che Kìli fosse lì con lei.

~
 
Bosco Atro non era esattamente il posto meno preferito di Bilbo al mondo (quel dubbio onore spettava alle grotte sotto le Montagne Nebbiose), ma ci andava molto vicino.
Alla notte trascorsa al villaggio abbandonato seguirono parecchi altri giorni di viaggio, ma non trovarono più un posto così confortevole in cui accamparsi. Se non altro, almeno questa volta non si erano irrimediabilmente persi nè soffrivano di strane allucinazioni.
Bilbo ne parlò con Tauriel, che lo interrogò a fondo su cosa fosse accaduto esattamente alla Compagnia prima che si imbattessero nella pattuglia guidata da lei e Legolas.
“Per caso, prima che iniziassero le allucinazioni, avete raccolto alcuni rami caduti e li avete usati per accendere il fuoco?” domandò l’Elfa.
“Sì, per quello che è valso. Il fuoco emanava più fumo puzzolente che luce o calore.”
Lei annuì, soddisfatta della sua risposta. “Questo spiega tutto. Ritengo che vi siate imbattuti nelle spore di certi funghi che crescono sulla corteccia di alcuni alberi di questa foresta. Possono causare allucinazioni e comportamento irrazionale in coloro che vi sono esposti.”
Bilbo si sentì un pò sciocco, ma ammise: “Credevamo si trattasse di magia elfica.”
Tauriel incurvò le labbra in un piccolo sorriso. “Non esattamente. Bosco Atro ha un proprio sistema di autodifesa, in un certo senso. Ti ho detto che la residenza della Regina Meriliel a nord è circondata da mura di rose?”
“Rose? Splendidi fiori, ma non vedo come possano costituire un sistema di difesa.”
“E se ti dicessi che le mura sono alte più di nove metri e ricoperte di spine lunghe quasi mezzo metro e affilate come pugnali?”
Bilbo sbuffò, esasperato e vagamente divertito al tempo stesso. “Trasformare qualcosa di innocuo come le rose in un’arma micidiale... tipico di Bosco Atro.”
“E non ti ho ancora detto che le spine si muovono a loro piacimento e sono in grado di infilzare qualunque orco o ragno gigante osi scalare le mura.”
Bilbo la fissò a bocca aperta. “Non mi prendi in giro, vero?”
Tauriel scosse il capo. “Ti assicuro di no.”
“Sul serio! Bosco Atro,” concluse lo Hobbit scuotendo la testa.
Tauriel rise. Il suono della sua risata non somigliava a rintocchi di campane, come Bilbo aveva udito tante volte descrivere l’allegria degli Elfi: c’era una nota predominante di selvatico in essa, come il suono del verso di un falco trasportato dal vento. Bilbo vide che tutti e tre i Nani si giravano a guardarla; bene, pensò. Era un bene che vedessero che non tutti gli Elfi erano come Re Thranduil o come Lord Elrond.
Beorn aveva avuto ragione, in un certo senso, quando aveva detto che gli Elfi Silvani erano meno saggi e più pericolosi dei loro parenti di Gran Burrone; la differenza principale, secondo Bilbo, era che gli Elfi Silvani erano più simili ai mortali di qualunque altro Elfo egli avesse mai incontrato. Thranduil ed Elrond erano al di fuori del tempo, quasi come statue perfette ed immutabili; ma Tauriel, lei... era cambiamento.
Non c’è da stupirsi che Re Thranduil abbia cercato di imprigionarla, riflettè Bilbo. Se c’era una cosa che il Re degli Elfi temeva, era il cambiamento.
I suoi timori, comunque, non si materializzarono e nessuno li inseguì. Prima che trascorressero troppi altri giorni, stavano doppiando il margine settentrionale del Lago Lungo e si avvicinavano alla periferia di Dale. Si accamparono presto quella sera, tenendosi al di fuori dalla vista di eventuali pattuglie di Erebor o Dale, e si radunarono in una sorta di consiglio di guerra.
“Dobbiamo scoprire come vanno le cose a Erebor prima di entrare,” esordì Dìs. “Andrò a Dale da sola. Nessuno dei Colli Ferrosi saprebbe riconoscermi, a parte mio cugino.”
“Di certo non andrai da sola,” obiettò Bilbo. “È troppo pericoloso.”
“Mio fratello ed io possiamo entrare in città,” disse Elladan. “Nessuno collegherà i figli di Lord Elrond ad un complotto per liberare Thorin Scudodiquercia e i suoi nipoti.”
Nori ghignò. “Questo sarà pure vero, ma voi due spicchereste come diamanti nella ghiaia. Nessuno parlerebbe con un paio di signori elfici. E lo stesso vale per te,” egli aggiunse, puntando un dito verso Tauriel prima ancora che lei aprisse bocca. “Direi anzi che non dovresti entrare affatto a Dale, considerato che il bambino che aspetti è il legittimo erede al trono di Erebor e che sei una fuggiasca di Bosco Atro.”
“Quando si tratta di dove dovresti o non dovresti andare, Nori è un vero esperto,” intervenne Bofur. “Io lo ascolterei se fossi in te.”
Con gran sorpresa di Bilbo, Tauriel cedette senza protestare. “Hai ragione, mastro Nori. Anche se mi pesa enormemente non poter essere d’aiuto, non posso contestare le tue affermazioni.”
“Finalmente qualcuno si decide ad ascoltare il ladro,” disse Nori con grande soddisfazione.
“Posso intrufolarmi io in città. No, statemi a sentire,” disse Bilbo mentre gli altri iniziavano a protestare. “Vi assicuro che posso entrare e uscire da Dale senza che nessuno mi veda.”
“Magia Hobbit,” esclamò Bofur. “Bilbo, è geniale!”
Bilbo aprì la bocca e subito la richiuse, non sapendo come spiegare la faccenda senza tirare in ballo nessuna ‘magia Hobbit’ nè tantomeno il suo anello. Una parte di lui si ribellava ferocemente alla sola idea di mostrarlo agli altri. A quanto pareva, la migliore tra le due opzioni era proprio lasciare che i suoi amici continuassero a credere che gli Hobbit avessero poteri magici.
“Ssssì,” rispose dopo una pausa durata forse un pò troppo. “Entrerò a Dale usando la mia... magia Hobbit.”
“Allora siamo d’accordo: Bilbo, Nori ed io andremo in città,” riassunse brevemente Dìs. “Partiremo prima dell’alba, così ci sarà meno gente per le strade.”
Ci fu qualche altra discussione sui come e sui perchè, ma in realtà il piano era molto semplice: Bilbo, Nori e Dìs si sarebbero introdotti a Dale e avrebbero raccolto quante più informazioni possibili sulla città, possibilmente senza attirare l’attenzione di nessuno. Bilbo approvava il tutto: nella sua esperienza, erano sempre i piani più complicati che alla fine ti portavano a penzolare sull’orlo di un burrone – qualche volta letteralmente.
Terminate le discussioni e una volta che il gruppo si fu disperso, Bilbo andò in cerca di Tauriel. La trovò seduta contro il tronco di un albero, appena fuori del cerchio di luce dato dal falò. Sembrava profondamente assorta nei suoi pensieri, così lo Hobbit rimase ancora qualche istante in silenzio prima di parlare. “Sembri di cattivo umore, mellon.”
Un muscolo guizzò sulla mandibola dell’Elfa e sulle prime Bilbo pensò che non gli avrebbe risposto. “Credevo... credevo che avvicinandomi a Erebor avrei ricominciato a vedere lo spirito di Kìli. Sono trascorsi mesi, Bilbo – mesi – senza che abbia più avuto segno alcuno del mio amato. C’è una connessione tra le nostre anime, e di certo l’avrei saputo se fosse... I–io ho fiducia nel fatto che viva ancora, ma perchè non riesco a sentirlo?” Gli occhi di lei erano colmi di angoscia.
“Oh, mia cara ragazza.” Bilbo pose una mano sulla sua più grande e strinse delicatamente le dita. “Sono sicuro che sta bene. Non dico di aver capito perfettamente come funziona questa connessione tra anime, ma forse è un bene che Kìli non sia più in grado di andarsene in giro sotto forma di spirito. Voglio dire, questa non può essere una cosa buona per il corpo, no?”
Tauriel aggrottò la fronte. “Già, suppongo di no. Prego affinchè tu abbia ragione.” Dopo una lunga pausa, si girò a guardarlo e stavolta sul suo viso era dipinta un’espressione colpevole. “Perdonami, Bilbo. So che anche tu sei molto preoccupato per la sorte di Thorin Scudodiquercia, ed io me ne sto qui a chiederti di rassicurarmi ancora una volta.”
“Sciocchezze, mia cara. Sai che sono sempre disposto ad offrirti una spalla su cui piangere.”
“Ma sai come si dice? Gli alberi che si appoggiano l’uno all’altro hanno più probabilità di resistere contro i venti del nord... ah, perdonami, non credo che questa sia la traduzione esatta.” E Tauriel scosse il capo, frustrata. “Ciò di cui parla questo detto è che i veri amici si sostengono a vicenda. Sarei davvero una pessima amica se condividessi solo le mie paure con te senza ascoltare mai le tue. Mellon nin, so che sei in ansia per Thorin Scudodiquercia: permettimi di essere la tua spalla, per una volta.”
Borbottando tra sè, Bilbo si accese la pipa con meticolosa e studiata lentezza, sperando che lei si arrendesse; ma Tauriel continuava ad osservarlo in silenzio e con occhi pazienti.
Alla fine egli ammise: “Beh, sì. Certo che sono in ansia. Come potrei non esserlo, quando le ultime voci su Thorin lo davano morto per le ferite e in tutti i mesi successivi alla battaglia non vi è stato segno alcuno di lui? Se davvero Dàin Piediferro ha usurpato il trono di Erebor terrà i ragazzi come ostaggi, ma è improbabile che sia stato tanto sciocco da non uccidere il Re legittimo avendone avuta l’occasione...”
Gli tornò in mente l’ultima volta che aveva visto Thorin. Sembrava così in pace in quegli ultimi momenti, perfettamente immobile sul ghiaccio; si sarebbe quasi potuto credere che stesse dormendo, non fosse stato per il sangue e la sporcizia che gli imbrattavano l’armatura e il viso.
“Mi dispiace, Bilbo.” Stavolta fu Tauriel a poggiare una mano sulla sua e a stringerla; era straordinario come un gesto così semplice potesse arrecare tanto conforto. “Prego il Cacciatore e la sua Signora affinchè li ritroviamo tutti e tre sani e salvi.”
Bilbo trasse un respiro profondo e si schiarì la gola. “Sì, beh... lo scopriremo presto, in un modo o nell’altro.”

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Fin da quando, in tenera età, aveva scoperto che suo padre discendeva nientepopodimeno che da Lord Girion in persona, Bain sognava come fosse essere un Principe di Dale. Si perdeva continuamente nelle sue fantasticherie, anche mentre era intento a rammendare una rete da pesca, sognando di poter mangiare tutto il cibo che voleva quando lo voleva e di non dover mai più eviscerare un pesce – e se c’era una cosa che Bain odiava era proprio eviscerare i pesci.
Ma non aveva mai immaginato il gran numero di noiosi e inutili incontri riguardanti il governo di una città. Suo padre voleva che vi assistesse perchè fosse pronto a diventare Re dopo di lui, e perciò Bain era costretto a partecipare a riunioni interminabili con Elfi impassibili e Nani esagitati. Perlomeno i Nani erano divertenti, anche se a volte non riusciva a capire cosa dicessero; gli Elfi invece erano solo noiosi, per nulla eccitanti nè eroici come il Principe Legolas o il Capitano Tauriel. Ma c’era una cosa persino peggiore di quelle riunioni, ed erano le lezioni di storia che Pà insisteva che prendesse.
Quella mattina, incapace di sopportare il pensiero di assistere all’ennesima lezione sulla storia antica di Gondor, Bain si era alzato prima dell’alba ed era sgattaiolato via dal maniero prima che chiunque altro, a parte i servi, si svegliasse. Pà gli avrebbe riservato una sonora lavata di capo più tardi, ma mentre s’incamminava per le vie del paese masticando un involtino di salsiccia comprato presso il banchetto di un mercante, Bain pensò che ne sarebbe valsa la pena. Perchè poi solo Sigrid poteva saltare le lezioni? Non era giusto.
Non che Bain fosse ansioso di ritrovarsi chiuso in una stanza tutto il giorno, ma almeno avrebbero potuto chiederglielo. Magari avrebbe potuto aiutare il Principe Legolas e il Principe Fìli per qualcosa – anche se non aveva idea in che cosa consistesse questo ‘qualcosa’, ma era certo che fosse eccitante e avventuroso, con un sacco di fughe sul filo del rasoio. Oh sì, lui sapeva tutto dei Nani e dell’Elfo che stavano nei vecchi alloggi della servitù. Con Sigrid avevano parlato di tutto... beh, quasi tutto. E quindi Bain era stato adeguatamente informato sull’intera saga dei visitatori nascosti nei vecchi alloggi della servitù – anche se avrebbe volentieri fatto a meno di tutte quelle informazioni su uno dei principi Nani in particolare...
E così, mentre ripensava agli avvenimenti dello scorso novembre, Bain osservava pigramente la piazza del mercato illuminata dalla tenue luce della pre-alba (e già affollata malgrado l’ora) quando vide una figura dall’aspetto familiare sparire dietro un angolo lì vicino. Era più bassa e aveva il passo più leggero rispetto a un Nano: poteva essere un bambino o persino un piccolo Elfo, ma il ragazzo era certo che non era nessuna di queste cose.
Si ficcò in bocca il resto dell’involtino e si affrettò verso l’altro lato della piazza per raggiungere la figura, ora completamente scomparsa nel dedalo di stradine, scalinate e vicoli che costituivano la parte vecchia di Dale.
Girato l’angolo e scorta di nuovo la persona che svoltava in un altro vicolo, Bain si mise a correre; proprio mentre raggiungeva il vicolo, però, qualcuno lo prese per un braccio, glielo torse e lo sbattè di malagrazia contro il muro di un edificio.
Il giovane gridò di dolore e si fece istintivamente indietro, il che si rivelò un errore perchè il braccio gli si torse ancora di più; capita l’antifona Bain si arrese e si afflosciò al suolo, sperando che il suo assalitore si accontentasse di prendergli il portamonete e lo lasciasse andare.
“Se non ci dici subito chi ti ha mandato ti infilzo da parte a parte, che te ne pare?” ringhiò la persona, puntandogli qualcosa di affilato all’altezza dei reni. Oh merda, pensò Bain – un coltello, è sicuramente un coltello!
“Non mi manda nessuno! Ho solo pensato di aver visto qualcuno che conosco e stavo cercando di raggiungerlo...”
“Non sei bravo a mentire.” Il coltello lo pungolò più forte e Bain si lasciò sfuggire un imbarazzante gridolino, certo di stare per morire.
In quel momento una voce familiare sbottò: “Oh, per tutti i fulmini! Questo è Bain, il figlio di Bard. Lascialo andare, Nori. Tsk, Nani!” aggiunse in un borbottio irritato.
Il braccio di Bain venne finalmente rilasciato e il suo aggressore indietreggiò. Massaggiandosi il gomito dolorante, il ragazzo si volse e si ritrovò faccia a faccia con lo Hobbit, Bilbo, un Nano dai capelli rossicci e l’aria vagamente familiare e una donna Nana che non riconobbe.
“Buongiorno, Bain. E scusa per la mancanza di educazione di Nori,” lo salutò Bilbo.
“Mastro Bilbo!” rispose Bain, sinceramente contento. Non aveva trascorso molto tempo con lo Hobbit, ma lo ricordava come uno dei membri più amichevoli della pittoresca compagnia che suo padre aveva fatto entrare a Pontelagolungo grazie a dei barili. “Mi chiedevo se ti saresti fatto rivedere.”
Bilbo parve confuso. “Mi stavi aspettando?”
“Non proprio, ma visto che il Principe Legolas è qui ho pensato che avrei rivisto anche voialtri. Anche se devo dire che mi aspettavo di vedere prima il Capitano Tauriel.”
“Il Principe Legolas... il figlio di Re Thranduil è qui?”
“Ma certo. È venuto a Dale dopo la battaglia e ci sta aiutando nella ricostruzione.”
“Il Principe Legolas potrebbe essere molto utile come contatto,” disse Bilbo ai Nani stringendosi nelle spalle. “Dopotutto è più o meno il fratello acquisito di Tauriel.”
La donna Nana scosse il capo. “Non c’è nessunissima ragione di coinvolgere un altro Elfo in questa faccenda.”
“Potrebbe avere altre informazioni su Erebor da quando Nori e Bofur se ne sono andati,” puntualizzò Bilbo.
Il Nano dalla curiosa capigliatura rossiccia fece roteare con noncuranza un piccolo coltello. “Datemi un paio d’ore e vi saprò dire persino cos’ha mangiato  Dàin a colazione.”
“Ma potreste chiederlo a Ori. O anche ai Principi, suppongo, anche se Sigrid dice che quello con i capelli scuri non è proprio in forma al momento.”
Tutti e tre si girarono a guardarlo; Bain deglutì e cercò di raddrizzarsi. Poi scoppiò un vero pandemonio e tutti cominciarono a sommergerlo di domande senza dargli il tempo di rispondere. Bain indietreggiò fino a trovarsi con la schiena contro il muro.
“Bain,” disse allora Bilbo in un tono di voce deliberatamente calmo, “stai dicendo che Fìli e Kìli si trovano a Dale? In questo momento?”
“Beh... sì. Mia sorella Sigrid è con loro. Perchè, non lo sapevate?”
Bain non riusciva proprio a capire perchè tutti e tre lo fissassero come se gli fosse spuntata una seconda testa.

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L’attesa per il ritorno di Dìs, Bilbo e Nori da Dale sembrava infinita.
Inizialmente Tauriel non fece altro che andare avanti e indietro per l’accampamento, ma dopo un pò si accorse che cominciava ad infastidire persino il sempre gioviale Bofur. Andò quindi a sedersi a una certa distanza dal gruppo e provò ad eseguire alcuni degli esercizi di meditazione che aveva appreso durante l’addestramento nella Guardia: poco dopo riuscì ad entrare in una leggera trance, ma era troppo nervosa e preoccupata perchè durasse a lungo.
Aprì gli occhi e sospirò, irritata con sè stessa. Anche una recluta avrebbe saputo fare di meglio. Come fosse stato d’accordo con lei, sentì il lieve agitarsi del bambino nel proprio grembo. Andrà tutto bene, pensò cercando di rassicurare sè stessa oltre che il suo piccolo fiore. Troveremo presto il tuo papà.
“Tauriel,” disse in quel momento Elrohir raggiungendola e chinando rispettosamente il capo. “Posso esserti d’aiuto? Non ho potuto fare a meno di notare che stavi avendo qualche difficoltà con la tua meditazione.”
Nonostante i timori di Bilbo, fino a quel momento Tauriel non aveva avuto alcun problema con la gravidanza. Tutto ciò che Elrohir aveva dovuto fare era stato esaminarla di quando in quando per accertarsi che tutto procedesse normalmente – o perlomeno il più normalmente possibile, trattandosi di una gravidanza metà elfica e metà nanica. Malgrado questo, i due Elfi si erano avvicinati sempre più durante il viaggio al punto che secondo Tauriel erano quasi sul punto di stringere una vera amicizia.
Tauriel annuì e si spostò per consentirgli di sedersi davanti a lei, con le gambe ripiegate sotto il corpo. La voce tenorile di Elrohir era come un balsamo lenitivo per il suo spirito: riuscì a condurla attraverso una profonda analisi interiore e poi in una luminosa trance meditativa.
“Ti ringrazio,” gli disse quando ebbero terminato, aprendo gli occhi e sentendosi rilassata e molto alleggerita dalla tensione che l’aveva afflitta.
“È stato un piacere. Il bambino è sempre in salute,” aggiunse lui prima che lei lo chiedesse. “Credo anzi che avresti potuto tranquillamente fare a meno della mia assistenza durante questo viaggio. Non che mi sia dispiaciuto accompagnarti, naturalmente.”
“Sì, ma sono certa che in molti sentono la tua mancanza a Gran Burrone. Tuo padre sicuramente... e forse anche Lindir,” aggiunse lei con voce affettuosamente scherzosa.
Elrohir chinò il capo, mantenendo una facciata composta ma senza riuscire a nascondere il sorriso nello sguardo. “Potresti aver ragione. Anche se mio padre dice sempre che l’assenza può aiutare un cuore incerto a trovare la sua strada.”
“E chi siamo noi per controbattere alla saggezza di Lord Elrond?”
I loro sguardi si incontrarono ed entrambi sorrisero. Tauriel sperò che la lunga separazione aiutasse davvero Lindir a fare chiarezza su qualunque riserva potesse avere riguardo Elrohir.
Gli occhi di Tauriel vagarono da quelli dell’altro Elfo e soppresse un sospiro al vedere il suo gemello che svaniva nel bosco con il proprio arco. “Come sta tuo fratello?” gli chiese di punto in bianco; non aveva la pazienza necessaria per rispettare l’etichetta in casi come quello.
Elrohir si strinse elegantemente nelle spalle. “Si sta riprendendo. Il suo cuore è stato solo scalfito, non infranto.”
“Sono lieta di sentirlo.” Anche se non ricambiava i suoi sentimenti, Tauriel era stata molto preoccupata per Elladan; un amore non corrisposto poteva uccidere un Elfo tanto quanto una freccia avvelenata, se si trattava di vero amore e non di una semplice infatuazione.
“Lo stesso vale per me. Anche se... per quanto ami mio fratello, ti dirò in confidenza che ritengo il suo orgoglio sia stato ferito più del suo cuore. Non è abituato ad essere il cacciatore e non la preda nelle questioni amorose, men che meno a venire respinto.”
Lei sollevò un sopracciglio. “Le dame di Gran Burrone sono dunque così prese da lui?” In effetti però non faceva fatica a crederlo. I figli di Lord Elrond avevano ereditato il suo aspetto affascinante e l’intelletto acuto, anche se entrambi recavano una dolcezza nei tratti che dovevano sicuramente aver preso dalla loro madre.
“Gran Burrone, Lothlorien, Mithlon... invero, fino a che non abbiamo incontrato gli Elfi di Bosco Atro mio fratello non aveva mai conosciuto delle signore che non lo trovassero attraente.”
“Signore? Quindi ci sono state altre donne oltre me?”
Elrohir emise un colpo di tosse per nascondere il divertimento. “Mi ha detto parecchie volte di trovare la guardia Rhemyrn ostinata, testarda ed incredibilmente fastidiosa. Comincio a notare un modello ricorrente nell’attrazione che mio fratello sembra sviluppare verso donne che assolutamente non paiono interessate a lui.”
“Davvero?” Il pensiero di Elladan, tanto sicuro di sè da rasentare l’arroganza, che cercava di conquistare il cuore di Rhemyrn – la quale, malgrado la giovane età e la relativa inesperienza, era realmente uno degli Elfi più testardi che Tauriel avesse mai conosciuto – era forse fin troppo divertente per essere appropriato.
“Non mi ha parlato dei suoi sentimenti, ma io conosco troppo bene mio fratello. Vorrei chiederti... che tu sappia, Rhemyrn è già innamorata di qualcuno? O magari la compagnia degli uomini non le aggrada?”
“Nè l’una nè l’altra cosa, che io sappia.”
“Hmmm. Allora forse mio fratello ha una possibilità. Se riesce a non infastidirla per qualche minuto almeno, s’intende.”
Stavano ancora ridacchiando sommessamente quando udirono il segnale che li avvertiva che qualcuno si stava avvicinando all’accampamento; entrambi si zittirono immediatamente e si mossero tra gli alberi nella direzione da cui aveva avuto origine il segnale.
Raggiungendo l’altura su cui Bofur stava di vedetta, si sdraiarono a terra e strisciarono in avanti per guardare oltre il bordo senza essere notati. “Un cavaliere sulla pista,” mormorò Bofur quasi senza muovere le labbra.
Tauriel lo riconobbe all’istante. “È il Principe Legolas.”
“Peste e corna!” sibilò il Nano. “Alla fine il re elfico ci ha trovati.”
“No, non credo,” rispose lei. “Legolas ha lasciato il regno, non agisce più per conto di suo padre. Andrò a parlare con lui, da sola, e scoprirò cosa lo porta qui.”
“Sei certa che sia una cosa saggia da fare?” domandò Elrohir.
“Io mi fido di lui. Legolas non mi tradirebbe mai.”
L’Elfo annuì, lasciando ricadere la mano che aveva alzato per trattenerla. Tauriel si allontanò sempre strisciando quel tanto che bastava per non rivelare la posizione degli altri prima di alzarsi in piedi. Non dovevano rinunciare a tutti i loro vantaggi solo perchè si fidava di Legolas, specialmente se gli eventi avessero preso una piega ben diversa da quella che lei si augurava.
“Principe Legolas, devo parlare con te,” esordì in Sindarin mentre il suo cavallo si avvicinava.
Legolas fermò l’animale e saltò con grazia a terra. “Tauriel! Grande è stato il mio timore per te durante questi mesi, amica mia,” rispose nella stessa lingua, avvicinandosi a lei. “È una grande gioia per il mio cuore ritrovarti sana e salva.”
Tauriel si sentì mancare il fiato. Aveva sperato che egli la considerasse ancora sua amica, ma sentirlo rivolgersi a lei con tanto affetto, come aveva sempre fatto, le sembrava quasi troppo bello per essere vero. “Anche per me, amico mio,” riuscì a rispondere dopo un momento.
Lui le venne vicino, scostandole una ciocca di capelli dal viso. “Mi sei mancata molto. Sembri...” In quel momento lo sguardo di lui scese sul suo ventre arrotondato: i suoi occhi chiari si spalancarono di sorpresa, così come la sua bocca. Tauriel non lo aveva mai visto tanto sconcertato.
“...Incinta. E lo sono,” concluse per lui.
“Sono stato testimone del tuo matrimonio con il Principe Nano e so che sei fedele e costante come la stella del vespro; ma com’è possibile che aspetti un bambino?”
“Anche se siamo un Elfo e un Nano, Kìli è il padre del mio bambino,” rispose lei sollevando il mento con fierezza, ma ansiosa per la reazione di lui.
“Per quanto la notizia mi abbia sorpreso, ti credo.” Legolas fece un respiro profondo e lo rilasciò, sollevando finalmente gli occhi su di lei. “Il mio cuore gioisce per entrambi.”
“Davvero?” chiese lei con voce incerta suo malgrado.
Legolas le prese delicatamente le mani e se le portò sul petto. “Possano le stelle vegliare sempre su di voi e possa il tuo bambino essere benedetto da Eru Ilùvatar.”
Tauriel battè le palpebre più volte per frenare le lacrime. “Legolas...”
“Non piangere, sorella mia. O se proprio devi, fà che siano lacrime di gioia, poichè ti porto notizie di tuo marito. Egli vive ed è al sicuro nella città di Dale, per grazia di Re Bard l’Uccisore del Drago.”
Anche se a Bilbo non l’avrebbe mai confessato (per timore di esser presa in giro esattamente come aveva fatto lei con il suo svenimento), fu solo con uno sforzo supremo che Tauriel riuscì a restare in piedi dopo quella notizia, a dispetto del ronzio nelle orecchie e della leggerezza alla testa che minacciavano di sopraffarla.
Le ore successive trascorsero come in un sogno. Non avrebbe avuto memoria del racconto di Legolas circa l’introduzione dei Nani a Dale, e avrebbe solo vagamente rammentato il suo accenno ad un carro puzzolente di cavoli. Tornò in sè stessa solo quando furono in un piccolo cortile, celato alla vista da alte mura e chiuso da un solido portone in legno. C’era una sola porta nella parete interna del cortile: alla bussata di Legolas, il fratello di Kìli – Fìli – venne ad aprire e, sorridendo, fece loro cenno di entrare.
Questo è certamente un sogno, pensò Tauriel. Che Kìli si trovasse a Dale, assistito da Legolas e da suo fratello, invece che in una delle prigioni di Erebor le sembrava davvero troppo bello per essere vero.
I suoi occhi registrarono a malapena una piccola cucina e le persone presenti, passando in rassegna i volti con frustrazione alla ricerca dell’unico che mancava. “Dov’è Kìli?”
“Il Principe Kìli è da questa parte,” disse la figlia di Bard, Sigrid. Furono le prime parole veramente in grado di perforare la foschia che sembrava aver avvolto la mente di Tauriel. Oltrepassò la ragazza senza rispondere, troppo concentrata sulla porta alle sue spalle per prestarle attenzione.
La porta si aprì su una piccola camera da letto, fiocamente illuminata da un focherello nel camino e da un paio di lampade a olio, calda in maniera quasi soffocante. Una figura giaceva immobile in un grande letto al centro della stanza, sotto uno spesso strato di coperte. Dìs, la testa china, era seduta su una sedia presso il letto.
Tauriel vacillò sulla porta, stringendo il pomello tanto forte da farsi sbiancare le nocche. “Kìli?”
La figura nel letto non si mosse al suono della sua voce.
Sigrid apparve al suo fianco. “Capitano Tauriel, era questo che volevo dirti prima: il Principe Kìli è incosciente da oltre un giorno. Non siamo più riusciti a svegliarlo...” C’era dell’altro che le stava dicendo, ma Tauriel aveva nuovamente smesso di ascoltare.
Il mondo cadde nel silenzio e aveva la sensazione di fluttare mentre si avvicinava al capezzale di Kìli. Sembrava esserci qualcosa, come una fune tesa dal centro del suo petto, che la attraeva inesorabilmente verso di lui.
Si fermò accanto al letto e stese una mano, lasciandola vagare sul viso di lui ma senza osare toccarlo, timorosa di scoprire che era davvero solo frutto della sua immaginazione. “Kìli...”
Lui si mosse piano, aggrottando la fronte nel sonno, prima di tornare ad immobilizzarsi. Fu strano e sconvolgente per lei vederlo così immobile: di solito il suo amato era sempre in movimento, sempre indaffarato con le mani, a smontare cose per vedere com’erano fatte e poi cercare di rimetterle insieme. Essere completamente immobile era sbagliato per lui.
Tauriel si sedette sul bordo del letto e si chinò su di lui, sussurrando di nuovo: “Kìli?”
“Non risponde, qualunque cosa diciamo,” disse Dìs con voce roca. Trasse un respiro profondo e continuò: “Ma continua a parlargli. Quell’Elfo, Legolas, dice che può aiutare. Se solo fosse vero...”
Nae, meleth nin! Gûrin nallon!” Finalmente osando toccarlo, Tauriel fece scorrere un dito sulla tenera pelle della sua tempia fino alla curva dello zigomo.
Le palpebre di Kìli tremolarono fino ad aprirsi, poi le battè più volte prima di fissare lo sguardo su di lei. “Tauriel...”
“Kìli?”
Il suo sorriso fu come il sole che sorge, e quando stese una mano tremante per intrecciare le dita alle sue Tauriel sentì l’anima di lui protendersi verso la propria, come un faro sfolgorante di luce che la  guidava verso casa.
Amrâlimê.”

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(glossario)
 Nae, meleth nin! Gûrin nallon –> Ahimè, amore mio! Il mio cuore sanguina

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Capitolo 20
*** Capitolo 20: All'ombra della Montagna ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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Fu con molta riluttanza che Dìs uscì dalla stanza del malato chiudendosi la porta alle spalle, ma in fondo anche lei una volta era stata giovane e innamorata. Suo figlio si meritava almeno qualche minuto di privacy con la sua amata, ora che si erano finalmente ritrovati.
Perchè Kìli amava davvero la ragazza Elfo, su questo non aveva più dubbi. Più tardi avrebbe potuto rimproverarlo per aver parlato nel loro linguaggio sacro in presenza di un Elfo, ma avrebbe dovuto avere un cuore veramente di pietra per non commuoversi alla scena cui era stata testimone.
“Si è...?” cominciò Fìli alzandosi in piedi.
Le gli fece cenno di tornare a sedere. “Tuo fratello è sveglio e sta parlando con Tauriel. Hanno bisogno di un pò di privacy prima che cominci l’invasione, e questo vale per tutti voi,” aggiunse rivolta all’intero gruppo, la cui maggioranza sembrava in effetti pronta a fare irruzione nella piccola stanza. “Dategli almeno cinque minuti per conto loro. È da quasi un anno che non si vedono.”
Accettando una tazza di tè da Bofur con uno stanco cenno del capo, Dìs sedette vicino a Fìli. Suo figlio si appoggiò leggermente contro la sua spalla, come a cercare rassicurazione da quel tocco, anche se forse non se ne rendeva pienamente conto. Fìli era sempre stato uno che si assumeva le proprie responsabilità, forse fin troppo, sin da quando suo padre era morto e lui era ancora solo un bimbetto.
Dìs volse lo sguardo sul gruppo radunato intorno al tavolo: tre Elfi, uno Hobbit, due giovani Uomini e sei Nani, tutti uniti nella preoccupazione per la sorte del giovane Principe di Erebor e della sua elfica moglie incinta. Nascose un sorriso divertito dietro la tazza, poichè quello era davvero l’assembramento più strano di cui avesse mai fatto parte.
C’erano alcune facce sconosciute nel gruppetto. Il giovane Nano seduto accanto a Nori si era presentato come suo fratello minore – Ori. Bain e Sigrid, a quanto pareva, erano i figli del Re di Dale, il quale aveva ufficiosamente chiuso un occhio riguardo i fuggitivi di Erebor nascosti nei vecchi alloggi della sua servitù. Dìs era grata al sovrano per la difficile posizione in cui si era messo ma si rendeva anche conto che, non accogliendoli in via ufficiale, aveva voluto lasciarsi aperta una scappatoia in caso la situazione fosse volta al peggio.
All’altro lato del tavolo sedeva una donna Nana dall’aria a lei stranamente familiare, con la pelle scura e i capelli raccolti in una miriade di trecce sottili, senza nemmeno una ciocca libera. Dìs ricordava che una delle guardie della loro carovana, durante il lungo viaggio che da Dunland li aveva condotti sulle Montagne Blu, portava i capelli in quel modo. Si erano ritrovate spesso a conversare insieme al tramonto mentre Thorin badava ai bambini, e Dìs si era affezionata molto a lei; ricordava bene però anche lo scontro che aveva messo fine a quella neonata amicizia.
Ma non poteva trattarsi della stessa donna, riflettè ancora. Sarebbe stata una coincidenza troppo clamorosa. E poi si parlava di fatti risalenti ad almeno settant’anni prima e occorsi sull’altro lato delle Montagne Nebbiose.
“Il Principe Legolas, Tofa, Ori ed io eravamo in procinto di partire per Erebor,” stava dicendo intanto Fìli ai nuovi arrivati, “quando il giovane Bain ha portato mia madre, Bilbo e Nori alla nostra porta. Un’altra mezz’ora e non avreste trovato nessuno eccetto Kìli, che avevamo deciso di lasciare qui alle cure di Sigrid.”
Anche la guardia di quella carovana si chiamava Tofa. Dis scrutò di nuovo i suoi lineamenti, ma la donna da lei conosciuta indossava sempre una sciarpa che le nascondeva quasi tutto il viso tranne gli occhi, ed erano passati così tanti anni che i suoi ricordi erano nebulosi. Non sarebbe mai riuscita ad accertarsi della sua identità, a meno di chiedere direttamente a lei.
Fìli emise un lungo sospiro e si passò stancamente le mani sul viso. “Se non altro adesso sarà un pò più semplice vedercela con gli uomini di Skalgar, dato che abbiamo più guerrieri dalla nostra parte.”
“Gli uomini di Skalgar?” Quelle parole attrassero l’attenzione di Dìs, che poggiò la tazza sul tavolo. “Chi è Skalgar? Il cagnolino di Dàin?”
“Al contrario, è il suo padrone,” rispose Tofa. “Tutti a Erebor sanno che è Skalgar a comandare.”
Se Skalgar, e non Dàin, era al comando, ciò significava che forse il loro cugino non era quel serpente traditore che avevano pensato. Il cuore di Dìs battè speranzoso per un attimo, ma poi il suo naturale pragmatismo ebbe di nuovo il sopravvento. “Vorrei crederlo. Non avete idea di quanto mi piacerebbe credere che esista un’altra spiegazione per il tradimento di mio cugino. Ma conosco Dàin Piediferro e so che non si lascerebbe mai comandare da nessuno.”
Fìli poggiò i gomiti sul tavolo e si chinò in avanti. “Io invece penso che Tofa potrebbe aver ragione. Ho parlato con Dàin una volta, mentre ero ancora prigioniero, e... non so bene come spiegarlo, ma non sembrava del tutto in sè.” Tacque per un momento, poi aggiunse: “So che sembra pazzesco, ma mentre parlavamo giurerei di aver visto uno strano bagliore azzurro nei suoi occhi.”
“Un bagliore azzurro, dici?” chiese Elladan, scambiando un’occhiata significativa con suo fratello; Elrohir parve pensieroso, ma non disse nulla.
“È possibile che Dàin sia sotto una qualche forma di incantesimo?” domandò Bilbo. “Ad ogni modo, cosa sappiamo di questo guaritore?”
“Non è originario dei Colli Ferrosi.” Ori deglutì rumorosamente quando gli occhi di tutti i presenti si puntarono su di lui. “Una volta ho sentito due Nani dire che le cose da quelle parti andavano molto meglio prima che arrivasse Skalgar. Hanno smesso di parlare non appena si sono accorti di me ma, a quel che ho sentito, pare che Skalgar sia presso la corte di Dàin solo da una decina di anni.”
“Bravo ragazzo,” borbottò Nori a mezza bocca; Ori s’illuminò visibilmente alla lode del fratello.
“Molti dei Nani dei Colli Ferrosi non apprezzano Skalgar,” disse Tofa. “Sono leali a Dàin e vedono Skalgar come un intruso. Per questo è costretto ad assumere dei mercenari come sue guardie.”
“Ed è così che tu sei entrata in questa storia?” chiese Dìs alquanto bruscamente. Anche se era quasi certa che non era la stessa donna e sapeva di non essere giusta, non poteva fare a meno di sentirsi bellicosa con lei sulla semplice base del ricordo che conservava della Tofa che aveva conosciuto tempo prima.
La donna, comunque, incrociò tranquillamente il suo sguardo. “Sì. Sono stata assunta come sorvegliante dei prigionieri di Erebor.”
“Eri una dei sorveglianti? E come sei finita con i miei figli a Dale?”
“Questa è davvero una lunga storia.”
“Non è poi così lunga. Tofa ci ha aiutati a far uscire Kìli da Erebor.” Fìli rivolse alla donna un sorrisetto divertito in risposta alla sua occhiataccia, probabilmente perchè aveva liquidato la sua ‘lunga storia’ con una semplice frase.
“Perchè ci stai aiutando?” chiese ancora Dìs. “Dopotutto eri una dei mercenari di Dàin. Come possiamo fidarci di una rinnegata?”
Gli occhi di Tofa si oscurarono, ma rispose in tono controllato: “Non sono una rinnegata. Ho fatto un giuramento precedente al contratto che ho firmato con Dàin, e che l’ha reso nullo.”
“Quale giuramento? Fatto a chi?”
“Mamma, lascia perdere. Io mi fido di Tofa,” intervenne Fìli; in quel momento, con quello sguardo di tranquilla determinazione negli occhi, era identico a suo padre. “Non ho bisogno di conoscere la natura del suo giuramento. Tutto ciò che mi serve sapere è che ci ha aiutati correndo un grande rischio personale.”
Dìs annuì e si appoggiò all’indietro sulla sedia, incrociando le mani a significare che per lei la questione era chiusa. Fìli stava entrando molto bene nel ruolo di Principe della Corona in assenza di Thorin e lei non avrebbe contestato le sue decisioni in presenza di altri; in privato, naturalmente, era tutta un’altra faccenda.
“Senza l’aiuto di Tofa, probabilmente io sarei stato ucciso dalla guardia che ci ha scoperti,” disse Ori.
“Già, e io starei ancora marcendo in cella mentre Kìli...” Fìli deglutì pesantemente prima di proseguire. “Secondo Legolas, Kìli non sarebbe durato un’altra settimana.”
“Infatti. Il suo spirito era talmente disancorato dal corpo che temevo non si risvegliasse più,” confermò il Principe Legolas.
Dìs si sentì stringere il cuore al ricordo di quanto terribilmente malato era stato il suo figlio più giovane. Aveva trascorso l’ultima ora pregando Mahal che risparmiasse la sua vita quel tanto che bastava per fargli almeno conoscere suo figlio o figlia; se Tauriel poteva riportarlo indietro dal baratro della morte, non solo Dìs avrebbe benedetto la loro unione, ma avrebbe personalmente preso a pugni chiunque avesse osato criticarli o contrastarli.
“Odio doverli disturbare, ma credo sia inevitabile. Lord Elrohir, vorresti accompagnarmi?” chiese Legolas. “Mi è stato riferito che sei molto esperto nell’arte della guarigione.”
“Ho ricevuto alcune nozioni da mio padre,” rispose modestamente Elrohir alzandosi in piedi.
Legolas bussò alla porta e attese brevemente prima di aprirla. “Questo è un gran sollievo per me. Ho cercato di trattare il Principe Kìli al meglio delle mie capacità, ma ammetto tranquillamente di non avere molta esperienza come guaritore.” La porta si richiuse alle loro spalle, tagliando il resto della conversazione.
Dìs tentò di celare la preoccupazione che di nuovo l’aveva colta ma capì subito che non era riuscita ad ingannare Fìli, poichè lui le fece scivolare un braccio intorno alla vita e l’attirò un pò a sè. All’inizio cercò di opporsi – lei era la madre e lui il figlio, semmai spettava a lei consolare lui – ma non potè fare a meno di emettere un lungo sospiro e rilassarsi nel suo abbraccio. I suoi figli erano insieme a lei e al sicuro, almeno per il momento; qualunque cosa fosse accaduta dopo, se non altro li aveva ritrovati.

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Amrâlimê,” sussurrò Kìli fissando la bellissima visione china su di lui che gli sorrideva con occhi lucidi di lacrime. “Tauriel.”
“Kìli,” mormorò lei, passandogli una mano tra i capelli.
Kìli cercò di parlare ancora ma iniziò a tossire penosamente: aveva l’impressione di avere la bocca e la gola foderate di cotone. Qualcuno passò a Tauriel una ciotola piena d’acqua e lei gliel’accostò alle labbra, aiutandolo a bere a piccoli sorsi. Il processo gli parve vagamente familiare, come fosse stato ripetuto più e più volte. “Sto di nuovo sognando?”
“Questo non è un sogno,” rispose lei sedendosi sulla sponda del letto e prendendogli una mano per portarsela sulla guancia. “È tutto vero, meleth nin. Sono davvero qui.”
Kìli chiuse brevemente gli occhi: mentre lei lo toccava iniziò a sentirla di nuovo, non soltanto in senso fisico, ma anche con una sensazione straripante di amore e felicità che scaturiva da un’altra parte di sè e che non riusciva a spiegarsi. Era come stare in piedi davanti ad un fuoco con gli occhi chiusi: non potevi vederlo, ma ne avvertivi il calore sulla pelle.
Lei era il suo fuoco.
“Tauriel. Amore mio,” mormorò riaprendo gli occhi; registrò appena il suono della porta che si chiudeva.
Era proprio come nelle visioni che aveva avuto di lei. Fece scorrere un dito sulla cicatrice che scendeva al lato destro del suo viso e osservò la bianca ciocca di capelli che partiva dal punto di origine sulla fronte. “Era tutto vero, allora, anche le altre volte in cui ti ho vista. Eri proprio così...” Un pensiero improvviso lo colse e abbassò istintivamente gli occhi sul suo ventre arrotondato; allora, con gioia rinnovata, aggiunse: “E aspetti davvero un bambino. Il nostro bambino.” Aveva cominciato di nuovo a temere che fosse solo un sogno, perchè era troppo bello per essere vero.
Sorridendo, Tauriel guidò la sua mano sulla propria pancia. “Senti.”
Dopo circa un minuto, Kìli sentì come un ondeggiamento sotto il palmo e spalancò la bocca meravigliato. “Era...?”
“Sì. Sembra che il nostro pîn elloth abbia ereditato il tuo spirito spericolato.” Gli occhi di lei brillavano di lacrime a dispetto del suo sorriso.
Esaltato com’era, Kìli cercò di mettersi seduto e solo allora si rese conto di quant’era debole: le braccia gli tremavano per lo sforzo. “Che diamine mi prende?”
Lei gli pose una mano sulla spalla. “Sei stato malato, amore mio. Non affaticarti.”
“Ma quanto posso esser stato malato?” Con un borbottio seccato, egli si arrese e tornò a sdraiarsi tra i cuscini. “Giuro che quando mi ha colpito la freccia Morgul mi sentivo meglio!”
“Ho avuto tanta paura... che morissi, meleth–” La voce di Tauriel s’infranse e le lacrime che aveva tentato di frenare iniziarono a scorrerle sulle guance.
Gimlinh, non piangere. Non morirò, te lo prometto. Vieni qui.” Kìli tese le braccia verso di lei e Tauriel si sdraiò al suo fianco: gli poggiò la testa sulla spalla e lui la strinse al meglio che potè.
Per un attimo si sentì nel panico: la sua amata stava piangendo e lui non sapeva come consolarla! Anzi, no, c’era una cosa che poteva fare e che sapeva l’avrebbe consolata: stringerla tra le braccia e mormorarle all’orecchio in Khuzdul. Così, sebbene un pò confuso, Kìli fece esattamente questo e di nuovo sentì in cuore come un bagliore caldo e luminoso, mentre le lacrime di Tauriel rallentavano fino a fermarsi del tutto. Ebbe comunque il fugace pensiero che sua madre non avrebbe mai dovuto sapere quanto Khuzdul lui parlasse in presenza di un Elfo, anche se l’Elfo in questione era sua moglie nonchè madre del suo bambino.
Il loro bambino. Kìli provò un misto di gioia e terrore quando realizzò che non aveva la più pallida idea di come ci si prendeva cura di un bambino. Il loro cugino Gimli non era tanto più giovane di lui e, anche se aveva alcuni ricordi di Gimli neonato, era anche vero che a quell’età non gli aveva mai prestato molta attenzione. Sicuramente sua madre li avrebbe aiutati, però. All’inizio forse avrebbe avuto qualche... riserva per il fatto che la sua amata era un Elfo, ma di certo col tempo anche Dìs avrebbe imparato ad amare Tauriel. Come avrebbe potuto essere altrimenti?
Questo pensiero gliene fece tornare in mente un altro. “Era mia mamma quella seduta vicino al mio letto quando mi sono svegliato?”
“Oh, sì.” Tauriel si guardò intorno e parve sorpresa nello scoprire che Dìs non era più nella stanza. “Dev’essere uscita mentre parlavamo.”
“E com’è che tu e mia madre siete entrambe... dove siamo, a proposito?” L’ultima cosa che Kìli ricordava era la vuota stanza di pietra in cui lo tenevano imprigionato e le pozioni che il guaritore gli somministrava e che lo inducevano a sognare della sua amata. Di recente quei sogni si erano fatti via via più confusi e nebulosi, e non era più sicuro di dove finisse il sogno e cominciasse la realtà.
“Dale,” rispose Tauriel, iniziando a spiegargli come fossero giunti fin lì; Kìli ascoltò il suo racconto con crescente meraviglia. Il fatto che Tauriel e Bilbo si trovassero a Gran Burrone proprio nel momento in cui Dìs, Nori e Bofur avevano deciso di incontrare Lord Elrond era una coincidenza tanto improbabile che era certo fosse stato il destino a guidare i passi di tutti loro.
Il che lo condusse ad un altro pensiero. “Che ci facevate tu e Bilbo a Gran Burrone?”
“Siamo andati lì per consultare Lord Elrond, che è noto per essere il più grande guaritore di tutta la Terra di Mezzo.”
“Perchè volevi consultare un guaritore? Sei malata?” Preoccupato, Kìli poggiò il dorso della mano sulla fronte di Tauriel, ma la sentì fresca come al solito. Gli Elfi sembravano avere il corpo più freddo rispetto ai Nani – perlomeno, questo era quel che lui aveva osservato in Tauriel.
“No, affatto. È che Bilbo si preoccupa troppo. Ha pensato che dovessi vedere Lord Elrond in caso ci fossero... difficoltà con il bambino.”
“E ce ne sono?”
“No,” disse ancora lei, sorridendogli con fare rassicurante. “Il figlio di Lord Elrond, Elrohir, ha acconsentito ad accompagnarmi ad Erebor insieme a suo fratello per assistermi come guaritore, e dice che il bambino sta bene.”
“E tu? Tu stai bene?” insistette Kìli; Tauriel annuì e si sollevò su un gomito per dargli un bacio leggero a fior di labbra. Kìli non sapeva chi di loro si fosse mosso prima verso l’altro, ma ben presto il bacio si approfondì in un più languido incrociarsi di labbra e lingue che, quando si separarono, lo lasciò senza fiato.
Aprì gli occhi e vide la sua amata china su di lui che gli sorrideva con un’espressione dolcissima. “Tauriel...” mormorò.
In quel momento bussarono alla porta e Kìli imprecò a mezza bocca. Avrebbe giurato di aver sentito Tauriel ridere alla sua reazione, ma non era una sensazione fisica – ancora una volta proveniva da una parte di sè che sembrava in grado di avvertire le emozioni di lei come fossero le proprie, anche se non aveva idea di come fosse possibile.
Tauriel si sollevò a sedere sul bordo del letto e gli prese una mano: la porta si aprì ed entrò una delle persone che Kìli meno preferiva al mondo. Il Principe Legolas sembrava meno ombroso del solito quel giorno, ma Kìli lo guardò male giusto per principio. Insieme a lui c’era un Elfo dai capelli scuri che doveva essere quell’Elrohir menzionato da Tauriel.
“Sono molto sollevato dal vedere che hai riacquistato conoscenza. Sono Elrohir Elrondion,” si presentò l’Elfo dai capelli scuri chinando il capo.
“Kìli, figlio di Vìli, al tuo servizio.” Nessuno parve far caso al fatto che Kìli non era mai stato ufficialmente presentato al figlio di Re Thranduil, ma di certo non sarebbe stato lui a farlo presente.
“Posso esaminarti?” chiese Elrohir; poi, al cauto assenso di Kìli, aggiunse: “Lady Tauriel, sarebbe più semplice per me esaminare il Principe Kìli se non foste fisicamente in contatto.”
Tauriel gli strinse brevemente la mano prima di alzarsi e allontanarsi un pò dal letto; ma andava tutto bene, perchè lui riusciva ancora a sentire l’amore e l’ansia di lei anche se non lo stava più toccando. In realtà era tutto molto strano, ma probabilmente aveva a che fare con la magia elfica. In fondo Tauriel gli aveva curato la gamba, chi poteva dire cos’altro fosse in grado di fare?
Non era certo di cosa aspettarsi, ma Elrohir non fece altro che restare in piedi accanto al suo letto con gli occhi chiusi; alcuni istanti dopo, senza aprirli, disse: “Tauriel, potresti spostarti in fondo alla stanza?”
Kìli avvertì la preoccupazione e la curiosità di lei, che però si limitò ad annuire e a fare quanto le veniva chiesto.
Elrohir tornò a concentrarsi; dopo un pò però aprì gli occhi e disse: “Non riesco a separare il vostro flusso di energia abbastanza da esaminare individualmente il fea del Principe Kìli. Dev’essere un effetto del vostro fealif.”
Kìli non aveva idea di cosa stesse parlando ma tenne la bocca chiusa, non volendo apparire sciocco agli occhi del Principe Musone.
“Sarebbe d’aiuto se uscissi dalla stanza?” suggerì Tauriel, anche se Kìli avvertì la sua grande riluttanza.
Elrohir annuì. “Sì, questo potrebbe aiutare.”
Prima di uscire, Tauriel gli rivolse un rapido sorriso e Kìli si sentì quasi travolgere da un’ondata di amore tale che era come se l’avesse baciato. Non aveva più dubbi, era tutta opera della magia elfica.
Elrohir stette immobile come una statua per diversi minuti, con un’espressione di profonda concentrazione in viso. Kìli iniziò ad agitarsi mentre il silenzio si propagava, e sentì il calore di Tauriel che iniziava a svanire.
“Ci vorrà ancora molto? Perchè nell’attesa potrei schiacciare un pisolino o qualcosa...” La sua voce risuonò vuota persino alle sue stesse orecchie, gli riecheggiò stranamente in testa; la vista gli si oscurò e cominciò a perdere la concentrazione. Avvertì una sensazione stranissima, come se qualcosa dentro di sè si allungasse disperatamente per mantenere il contatto con Tauriel, ma senza riuscirci.
Udì una voce chiamarlo debolmente per nome e poi non fu più consapevole di nulla eccetto buio e silenzio.

~
 
“Come ti senti, mia cara?” chiese Bilbo non appena Tauriel uscì dalla stanza del malato. Non sembrava pronta ad affrontare il gruppo riunito intorno al tavolo, perciò lo Hobbit scese dalla sedia con uno sgraziato saltello e le andò incontro.
“Io... non ne sono sicura,” rispose lei, girando la testa verso la pesante porta per cercare di sentire cosa  veniva detto all’interno.
“Su, vieni con me. Andiamo a fare una passeggiata in quel graziosissimo cortiletto,” disse lui, sperando di strapparle un sorriso per quella spropositata definizione dello spiazzo lastricato di pietre e nascosto dalle alte mura del maniero.
Ma Tauriel non sembrò notare il suo tentativo di risollevarle l’umore e si limitò ad annuire e a lasciarsi condurre alla porta che dava sull’esterno.
“Cercate di non farvi vedere da nessuno. Non è sicuro,” disse Bofur.
Bilbo borbottò e sventolò una mano per aria, infastidito per quell’ovvio (ed ennesimo) avvertimento. Scusate tanto, ma chi era stato a trascorrere settimane intere nelle sale del Reame elfico senza farsi beccare da nessuno? Bilbo Baggins, ecco chi. E per questo Bilbo riteneva di sapere benissimo come muoversi per le strade di Dale senza farsi scoprire – magari con l’aiuto del suo anello, beninteso.
“Qualcosa non va?” egli chiese a Tauriel quando furono usciti.
L’Elfa scosse il capo; sembrava però distratta e non esattamente felice come Bilbo si aspettava da qualcuno che ha appena ritrovato l’amore della sua vita. “No, è solo che... ho creduto di sentire una voce che mi chiamava.”
“Io non ho sentito niente.”
“Sarà stata la mia immaginazione, allora.”
“Lady Dìs non ha detto che Kìli ha riacquistato conoscenza?”
“È così. Oh, Bilbo,” aggiunse poi Tauriel illuminandosi di gioia, così come Bilbo si aspettava di vederla. “Non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che hai fatto per me. Senza il tuo aiuto non sarei mai riuscita ad arrivare fin qui, e non avrei mai saputo che il mio Kìli era ancora vivo.”
Bilbo tossicchiò e finse di concentrarsi sulla pulizia della sua pipa. “Non serve ringraziarmi, mia cara ragazza. E comunque anch’io devo tanto a te, sul serio. Se non fossi venuta da me, non avrei avuto nient’altro da fare se non ammuffire in Casa Baggins e azzuffarmi con i miei odiosi parenti.”
Tauriel era sempre bella, ma quel suo sorriso felice e autentico dava l’impressione di illuminarla fin dall’interno. “Allora siamo d’accordo che ciascuno di noi è in debito con l’altro fino alla fine dei suoi giorni.”
“Mi sembra giusto.” Infilandosi i pollici nei taschini del gilet, Bilbo ricambiò il sorriso di lei. In quel momento però l’espressione gioiosa svanì dal viso di Tauriel, che girò di scatto la testa come se avesse udito un rumore impercettibile ad un orecchio ‘normale’.
“Cosa c’è, Tauriel?”
“Non senti? Kìli mi sta chiamando.”
Cercando di reggere il passo con le gambe più lunghe di lei, Bilbo le trotterellò dietro e di nuovo in cucina; Tauriel corse direttamente alla porta dietro cui stava Kìli senza degnare di un’occhiata il gruppetto ancora seduto al tavolo ed entrò senza bussare. Rivolgendo uno sguardo di scuse agli altri, Bilbo la seguì all’interno.
La scena non sembrava di molto cambiata dalla sua visita precedente, quando aveva portato una tazza di tè a Dìs che vegliava Kìli: gli ci volle un momento per capire cosa c’era che non andava. Tauriel gli aveva detto che Kìli era sveglio, eppure il giovane Nano bruno giaceva pallido e immobile com’era stato prima del loro arrivo a Dale.
Tauriel gli sedette accanto e gli prese il viso tra le mani, chiamandolo per nome; Bilbo, che guardava da vicino, ebbe la certezza che gli occhi di Kìli si fossero aperti nel momento esatto in cui lei lo aveva toccato.
Tauriel si chinò su di lui parlandogli in Sindarin. Bilbo ringraziò che la sua comprensione della lingua fosse piuttosto scarsa, poichè era sicuro che non si trattava di parole dette per essere udite da chicchessia. Sentendosi un pò in imbarazzo, distolse lo sguardo dalla coppia e colse l’ombra di un sorriso dolceamaro sul viso di Legolas, che però tornò serio subito dopo.
“Sto bene, gimlinh, te l’assicuro,” protestava intanto Kìli. “Non è niente. Ho solo avuto un piccolo mancamento.”
“Non è stato affatto ‘piccolo’.” Stringendogli forte una mano, Tauriel volse lo sguardo ansioso su Elrohir. “Cos’è accaduto? Che cos’ha Kìli?”
L’Elfo sembrava preoccupato. “Non lo so. All’inizio sembrava star bene, poi all’improvviso è svenuto. Il suo flusso di energia è... strano.”
“Tu sapevi che qualcosa non andava,” disse Legolas a Tauriel. “Eri già preoccupata quando sei entrata qui. Come facevi a saperlo?”
Lei parve confusa dalla domanda. “Ho sentito Kìli chiamarmi, naturalmente.”
“Tauriel,” disse con calma Legolas, “Kìli non ha detto nulla prima di svenire. Se davvero l’hai sentito chiamare il tuo nome, non è stato con le tue orecchie.”
“Che vuoi dire? Come altro avrebbe dovuto sentirlo?” intervenne Bilbo.
“Il loro fealif,” rispose Elrohir. “L’ha sentito grazie alla connessione tra le loro anime.”
“Ma non capisco,” disse Bilbo. “Perchè il fealif dovrebbe far svenire Kìli quando Tauriel non è fisicamente in contatto con lui? Credevo che questa connessione fosse una buona cosa...”
Elrohir sollevò un sopracciglio in un modo che a Bilbo ricordò fortemente Lord Elrond. “Ed è così, mastro Bilbo. In effetti, sono persuaso che il fealif sia l’unico motivo per cui il Principe Kìli è ancora vivo – nonchè sano di mente.”

~
 
Ancora una volta si riunirono tutti intorno al tavolo di cucina, talmente stretti l’uno all’altro che i gomiti si urtavano quando cercavano di bere il tè. Al momento però solo Bilbo e Tauriel stavano bevendo tè: i Nani erano passati alla birra mentre gli altri Elfi sembravano voler bere solo acqua.
I figli di Bard erano stati rimandati dal padre malgrado le loro proteste – per essere precisi, anzi, aveva protestato solo Bain; Sigrid se n’era andata senza fiatare, limitandosi a scambiare una lunga occhiata con Fìli. Benissimo, pensò rassegnato Bilbo, altri guai in arrivo. In effetti, però, Dìs pareva esser più o meno scesa a patti con la sua nuora elfica; superato quello scoglio, forse una figlia degli Uomini non sarebbe stata poi una novità troppo sgradita.
Tauriel e Kìli li avevano raggiunti in cucina nonostante il parere contrario di Elrohir, poichè Kìli sosteneva di sentirsi benissimo purchè continuasse a mantenere il contatto fisico con Tauriel. Perciò sedettero tenendosi per mano, dal momento che Tauriel aveva bocciato il suggerimento di Kìli secondo cui sedergli in grembo era il modo migliore per raggiungere il loro scopo. Bilbo li osservò con discrezione ma anche con grande piacere: vide la tenerezza con cui si trattavano, Kìli che snocciolava suggerimenti uno più scandaloso dell’altro e Tauriel che li respingeva al mittente con fermezza ma senza smettere di sorridergli. Lo Hobbit aveva sempre saputo che i due si amavano ma, anche se poteva sembrare strano, era un gran sollievo per lui constatare che andavano anche tanto d’accordo.
Da giovane, sua madre non faceva che ripetergli che l’amore in una coppia dura solo fino a un certo punto; ciò che realmente conta, diceva sempre, sono amicizia e rispetto reciproco (“Come credi che siamo durati tanto a lungo io e tuo padre, quando tutti nella Contea dicono che siamo diversi come il gesso dal formaggio? Io amo tuo padre, Bilbo, ma la cosa più importante è che sia anche il mio migliore amico”). Nelle settimane di viaggio della Compagnia tra la Carroccia ed Erebor, Bilbo aveva osato credere che lui e Thorin avessero trovato proprio la magica combinazione di cui gli aveva tanto parlato sua madre: amore e amicizia, in parti uguali e indissolubili.
Con un certo sforzo, si riscosse da quei pensieri rimproverandosi per la propria stupidità. Quello non era il momento di struggersi su ciò che avrebbe potuto essere: avevano un salvataggio da programmare.
“Come facciamo a entrare ad Erebor?” chiese Dìs. “Non possiamo sperare che il trucco del carro funzioni con gli uomini di Dàin.”
“Entrare nella montagna è la parte più facile,” disse Fìli. “Possiamo servirci del passaggio segreto usato dalla Compagnia.”
“Ma di certo ormai sarà stato chiuso, no?” domandò Tauriel.
Nori mise via la sua pipa per rispondere. “Nessuno della Compagnia ne ha mai parlato con Dàin. All’inizio ci è parso irrilevante, con tutto quello che era successo ma poi, quando abbiamo iniziato a sospettare di lui, ci è sembrato giusto mantenere il segreto, in caso ne avessimo avuto bisogno.”
 “Quando siamo fuggiti da Erebor abbiamo preso il passaggio segreto che collega gli appartamenti reali con il passaggio principale. Quello di cui ci raccontavi sempre tu, mamma, ricordi?” chiese Fìli.
L’espressione di Dìs si addolcì. “Sono stupita che te ne sia ricordato dopo tutto questo tempo. Non ve ne ho più parlato sin da quando eravate due marmocchi.”
Bilbo immaginava bene quanto dovesse esser parsa eccitante l’idea di un passaggio segreto ad un bambino Nano – proprio come lo sarebbe stata per uno Hobbit, in fondo.
“Ma una volta entrati in Erebor, quale sarebbe poi il piano?” domandò Elladan, causando un borbottio generale di assenso.
Tranquillamente, Fìli rispose: “Cattureremo Dàin.”
Il pandemonio scoppiò all’istante: i Nani balzarono in piedi urlando e cercando di stabilire se l’idea fosse buona o una totale follia.
Fìli battè con forza un pugno sul tavolo e gridò: “Ascoltatemi!” Calmatisi gli schiamazzi, proseguì: “Quale altra scelta abbiamo? Setacciare ogni angolo di Erebor sperando di trovare Thorin prima che ci scoprano? È il momento di farci avanti adesso che meno se lo aspettano. Sono certo che il nostro gruppo può riuscire a catturare Dàin, se usiamo i passaggi segreti per entrare negli appartamenti reali.”
Dìs scosse il capo con aria frustrata. “Non funzionerà. I passaggi segreti che portano agli appartamenti reali si richiudono da soli una volta entrati. È una procedura di sicurezza, proprio perchè nessun estraneo possa arrivarvi.”
Ma Fìli non si scompose. “Funzionerà. Metteremo dei cunei nelle cerniere delle porte, come abbiamo fatto quando siamo usciti, così non si chiuderanno.”
“Beh, di certo non si aspetteranno che rientramo così presto dopo essere appena fuggiti. Io dico di farlo, a meno che qualcuno abbia un’idea migliore,” disse Kìli.
Ma nessuno ne aveva.
“È passato molto tempo, ma credo di ricordare ancora la planimetria degli appartamenti reali,” disse Dìs.
Ori alzò una mano. “Mi mandavano spesso a consegnare messaggi, perciò so dove stazionano alcune delle guardie.”
“Io conosco l’andamento generale dei turni di guardia,” intervenne Tofa. Bilbo notò che Dìs le lanciava un’occhiata diffidente. Non riusciva a capire il suo atteggiamento: era vero che la mercenaria era stata al servizio di Dàin ma, come puntualizzato da Fìli, aveva corso un grande rischio aiutando lui e Kìli a fuggire. Tutto sommato, Bilbo era incline a fidarsi di lei.
“Bene, ora non ci resta che scoprire come sono andate le cose a Erebor da che noi ce ne siamo andati. E per questo ci vuole qualcuno in grado di ravanare nella feccia di Dale alla ricerca di informazioni.” E così dicendo, Nori si alzò in piedi e rivolse al gruppo uno smagliante sorriso. “Potrei far tardi, non mi aspettate.”
“Stà attento,” gli disse Bilbo.
“Mastro scassinatore, ormai dovresti aver imparato che io sono sempre attentissimo,” rispose Nori strizzando un occhio.
Bilbo si limitò a sbuffare divertito, ma in effetti non aveva alcun dubbio che, a dispetto della sua professione (o forse proprio grazie ad essa), Nori fosse uno dei membri più cauti della Compagnia – per quanto un Nano potesse esser cauto, s’intende.
“C’è ancora una cosa che non capisco, però,” disse Bilbo più tardi, quando ebbero rivisto il piano così tante volte da averlo imparato a memoria e la birra e le candele stavano per esaurirsi. “Qual è lo scopo di Skalgar in tutto ciò?”
“Forse è semplicemente matto da legare,” suggerì timidamente Ori.
Dìs strinse le mani a pugno. “È un essere disonesto e malvagio. Non m’interessano i suoi scopi: voglio vederlo morto il prima possibile.”
“Seecondo me mira al denaro e al potere,” disse Bofur stringendosi nelle spalle. “Non avrà altro in mente.”
“Sì, ma... a meno che non sia davvero matto da legare deve avere un piano, un qualche obiettivo,” riflettè Bilbo. “Perchè ha fatto tutto questo a Kìli? A quale scopo separare l’anima dal corpo di una persona?”
Bilbo notò che Kìli aveva abbassato il capo sulle mani sue e di Tauriel, sempre intrecciate, e si sentì un pò in colpa per aver riportato a galla l’argomento.
Con un’aria esausta, Fìli emise un gran sospiro. “Vorrei proprio saperlo, mastro Baggins. Vorrei proprio saperlo.”

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Capitolo 21
*** Capitolo 21: Il sentiero tra le ombre ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

Quella notte il riposo di Bilbo fu turbato da una serie di brutti sogni che lo vedevano vagare per i corridoi in rovina di Erebor seguendo la voce di Thorin, che cantava di draghi e di antichi tesori. A volte la sua voce gli sembrava meravigliosamente vicina ma, ad ogni angolo che girava, si trovava davanti l’ennesimo corridoio deserto e disseminato di detriti e cadaveri mummificati.
Dopo aver camminato per quelle che gli parvero settimane, si ritrovò nello stesso salone in cui, assieme alla Compagnia, si erano rifugiati per sfuggire all’ira di Smaug. La stanza era piena di cadaveri, proprio come era stata nella realtà, solo che in quel sogno i morti gli erano tutti tremendamente familiari. Niente Nani sconosciuti lì: si trattava dei suoi amici, gli stessi con i quali aveva viaggiato in lungo e in largo nella Terra di Mezzo.
Bilbo iniziò a singhiozzare e a correre da un corpo all’altro, alla disperata ricerca di un segno qualsiasi di vita; ma trovò solo morte. Ad ogni corpo che scopriva si aspettava di trovare quello di Thorin, orrendamente sfregiato dalle ferite infertegli dalla mazza ferrata di Azog; ma, pur trovando tutti gli altri membri della Compagnia – inclusi, con suo profondo orrore, Fìli e Kìli – non riuscì a vedere Thorin da nessuna parte.
Un suono di voci che bisbigliavano forte lo strappò a quell’incubo. Bilbo si girò sulla schiena battendo le palpebre per scacciare gli ultimi residui di sonno, e vide Ori e Fìli che discutevano tra loro vicino all’entrata della stanza in cui si erano radunati per cercare di riposare, sul polveroso pavimento.
“Che succede?” domandò Dìs mettendosi a sedere. In qualche modo, riusciva ad essere intimidatoria anche appena sveglia e con i capelli in disordine.
“Nori non è ancora tornato.” Ori aveva preso a masticare l’estremità di una delle sue trecce, un’abitudine in cui indugiava sempre quando era nervoso e per cui Bilbo aveva visto più volte Dori rimproverarlo. “Aveva detto che avrebbe fatto tardi, ma ormai è giorno e non si è ancora visto. Dev’essergli successo qualcosa. Dobbiamo andare a cercarlo.”
“Mi dispiace, Ori, ma non possiamo,” disse Fìli.
“Cosa? Perchè no?”
“Tuo fratello conosce il mondo del crimine meglio di chiunque altro di noi,” rispose Fìli gentilmente, ma con fermezza. “Ammettendo che sia finito in qualche guaio, se ci intromettessimo in faccende che non capiamo peggioreremmo solo le cose. Nori è sveglio e sa quello che fa. Sono sicuro che ha tutto sotto controllo.”
“Ma... e se davvero si trovasse nei guai?” Ori sembrava prossimo alle lacrime.
“Niente paura, ragazzo,” disse Bofur piazzandogli un braccio intorno alle spalle. “Nori è più tosto dei pony delle miniere e ha la pelle più dura di quella di un Mannaro. Si farà vivo presto, vedrai. E scommetto che riderà di noi per esserci preoccupati per lui.”
Ori non parve affatto rassicurato, ma sospirò e rispose: “Immagino tu abbia ragione.”
Servendosi di quanto lasciato in cucina per loro dai figli di Bard, il gruppo riuscì ad imbastire una ricca colazione a base di porridge, pancetta e frittelle d’avena. Alla vista di queste ultime a Bilbo si rivoltò quasi lo stomaco: ne aveva mangiate a iosa durante il suo viaggio con i Nani e ne era sinceramente stufo, ma dovette ammettere che erano molto più gustose con l’aggiunta di burro fresco e conserva di more. Una bella teiera di tè, infine, riuscì a farlo di nuovo sentire ben disposto verso i suoi simili, a dispetto della notte agitata. Davvero il tè era in grado di curare qualsiasi malanno, come dicevano entrambe le sue nonne Tuc e Baggins, riflettè lo Hobbit sorseggiando la seconda tazza.
In quel momento un coro di voci all’altro lato del tavolo attrasse la sua attenzione.
“Come sarebbe che vuoi lasciarci qui?” chiese Kìli imperiosamente.
“Kìli, persino tu devi ammettere che non sei in condizione di affrontare una missione così pericolosa,” gli rispose Fìli. “L’unico motivo per cui sei ancora cosciente è che Tauriel ti sta tenendo per mano. Cosa accadrebbe se vi separaste?”
“Non sei stato tu a dire a zio Thorin che il tuo posto era con tuo fratello? Adesso che stai per diventare Re vuoi rimangiarti la parola?”
Fu un colpo basso; Fìli impallidì, poi diventò rosso di rabbia.
Ma prima che la disputa tra i due degenerasse sul serio, intervenne Tauriel. “Kìli, tuo fratello ha ragione. Noi dovremmo restare a Dale.” Malgrado le sue stesse parole, si vedeva che era combattuta. Bilbo sapeva quanto fosse penoso per lei ammettere di non essere in grado di partecipare allo scontro.
“Cosa?” Kìli la guardò incredulo, con gli occhi spalancati.
Ma Tauriel fissò quegli occhioni da cucciolo supplichevole senza scomporsi. “Considerate le condizioni in cui ci troviamo, non faremmo che mettere gli altri in pericolo,” gli disse in tono conciliante. “Io non voglio avere un tale peso sulla coscienza. E tu?”
Kìli aprì e richiuse la bocca più volte, poi sospirò e disse con aria scontrosa: “No, certo che no.” Ma si vedeva benissimo che era lungi dall’aver accettato la decisione del fratello.
Fìli raddrizzò le spalle e annunciò: “Partiremo per Erebor domani, non appena farà buio.”

~
 
Fu solo nel pomeriggio, quando la maggior parte del gruppo si fu sparso per le stanze della servitù al fine di riposare il più possibile prima della partenza, fissata di lì a qualche ora, che Dìs riuscì a trovare Tofa da sola. Sembrava che la mercenaria fosse diventata il braccio destro di Fìli, poichè aveva trascorso gran parte della mattinata china insieme a lui sulla rudimentale mappa che avevano disegnato, a rivedere i dettagli del piano da cima a fondo.
Finalmente però era riuscita a scovarla da sola. Fìli era andato a far pace con suo fratello, dopo la discussione di quella mattina, e Tofa era uscita in cortile per conto suo; Dìs uscì dalla stessa porta e la vide in piedi con il viso rivolto alla debole luce del sole che tramontava.
Non succedeva spesso che Dìs restasse a corto di parole, ma in quel momento non sapeva proprio come iniziare una conversazione con la donna che poteva o non poteva essere la stessa che aveva conosciuto più di mezzo secolo prima.
“Se continui a fissarmi in quel modo, mi scaverai un buco in faccia,” disse Tofa mentre Dìs stava ancora cercando qualcosa da dire. Le sue labbra si incurvarono in un piccolo sorriso, ma continuò a parlare rivolta al pallido cielo blu sopra di loro. “Non so se lo fai perchè stai cercando di ricordare dove mi hai già vista prima, o perchè te lo sei ricordato e vorresti incenerirmi con il potere del tuo sguardo.”
Dìs incrociò le braccia sul petto. “E dovrei avere un motivo per volerti incenerire?”
“Forse.” La mercenaria le lanciò un’occhiata laterale, sempre con quel sorriso ironico. “Dipende se mi hai o meno perdonata per ciò che ho fatto sessantotto anni fa.”
Dunque era proprio la stessa donna che aveva conosciuto durante il lungo viaggio verso le Montagne Blu. Che strano andamento aveva preso il mondo per farle reincontrare Tofa proprio lì, dopo tutti quegli anni. Dìs era convinta che, dopo la loro aspra separazione a Ered Luin, non l’avrebbe mai più rivista.
Sollevò orgogliosamente il mento, incurante che l’altra fosse più alta di lei di quasi mezza testa. “Dipende se sei o meno disposta a chiedere perdono per quello che hai fatto.”
Tofa si girò completamente dalla sua parte e sollevò le mani vuote, come a volerle dimostrare che non era armata. “Se ben ricordo, ti ho chiesto perdono in quello stesso momento. Sei tu che ti sei rifiutata di accettare le mie scuse.”
“Perchè non hai voluto ammettere di aver sbagliato anche solo a pensarlo!” sbottò Dìs, un pò più forte di quanto avesse voluto. Sperava che le pareti fossero troppo spesse perchè qualcuno degli altri sentisse la loro conversazione. L’ultima cosa che voleva era dover spiegare ai suoi figli di cosa stavano discutendo lei e Tofa.
“Ah. Quello.” Tofa si passò una mano tra i capelli finemente intrecciati, socchiudendo gli occhi al ricordo. “Bene, riconosco che aver tentato di baciarti senza il tuo permesso sia stato uno sbaglio.”
Dìs aprì la bocca per rispondere, ma Tofa la precedette. “Questo comunque non significa che anche aver voluto baciarti lo fosse.”
“Come sarebbe a dire? Io sono vedova,” sibilò Dìs.
“Sì, lo so.” Tofa le rivolse un caldo sorriso e aggiunse: “I tuoi ragazzi sono diventati proprio due bei giovanotti.”
Era quasi come voler discutere con Thorin. Anzi, era peggio, perchè perlomeno suo fratello poteva essere sconfitto a suon di urla. Dìs sospirò e voltò le spalle alla mercenaria. “Fammi sapere quando sarai diventata più ragionevole.”
La voce di Tofa risuonò bassa e dolce come il miele. “Se volerti baciare è irragionevole, mia signora, allora la verità è che non c’è fibra in me che possa essere considerata ragionevole.”
Dìs non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma a quelle parole un brivido traditore le corse lungo la schiena. “Argh, sei impossibile!” ringhiò incamminandosi a passi pesanti verso la porta, e quasi travolgendo uno degli Elfi quando la spalancò.
Ignorando gli sguardi del gruppetto raccolto intorno al tavolo di cucina, Dìs corse quasi nella più piccola delle stanze che avevano eletto a zona notte: dentro c’era il solo Ori, il quale, non appena la vide, balzò in piedi e raccolse le coperte, inchinandosi a più riprese e borbottando che se ne sarebbe andato all’istante.
Dopo aver trascorso un pò di tempo a camminare avanti e indietro e a trarre respiri profondi, Dìs si sentì più calma, ma anche un pò stupida per essersi lasciata trascinare dagli eventi in quel modo. Lei era sempre stata quella più costante nella loro famiglia, quella che riusciva a tenere sotto controllo le emozioni e che impediva a Thorin di prendere decisioni azzardate; ma c’era qualcosa in Tofa che le faceva proprio perdere la bussola.
Qualcuno bussò alla porta. “Posso entrare?” Era Fìli.
Sorridendo, Dìs rispose: “Sì, certo. Entra pure, mia piccola gemma.”
“Mà,” fece il figlio lamentosamente entrando nella stanza; Dìs però notò che sembrava più compiaciuto che seccato dal nomignolo.
“Sai che sarai sempre la mia piccola gemma,” gli disse stringendolo in un abbraccio; Fìli borbottò un poco, ma poi ricambiò con forza sufficiente a farle scricchiolare le ossa. “Ti ho già detto quanto sono fiera di te per essere riuscito a fuggire e a mettere in salvo sia te che tuo fratello?”
“Una volta o due, mi pare. Ma posso sopportare di sentirlo ancora,” rispose lui contro la sua spalla.
Lei ridacchiò. “Allora credo che te lo dirò ancora una dozzina di volte. Sono fiera di te, Fìli.”
Quando infine si separarono, Fìli continuò a tenerle le mani sulle spalle e la scrutò bene in viso. “Va tutto bene?” chiese poi.
“Considerando che stiamo per infiltrarci a Erebor e catturare mio cugino, che potrebbe o non potrebbe essere cosciente delle sue azioni, e nella speranza che mio fratello sia ancora vivo... no, non direi che va tutto bene.”
“Mamma,” disse Fìli con un tono di rimprovero.
“Sì?”
“Di cosa avete parlato tu e Tofa prima? Mi è sembrato di capire che ci sia un passato in comune tra voi.”
“Cosa? Come potremmo mai avere qualcosa in comune io e quella tua mercenaria?”
Ma il figlio non si lasciò ingannare dal suo tentativo di sviare la questione. “Mà, so riconoscere quando ce l’hai con qualcuno. Tu hai qualcosa contro Tofa e non si tratta solo del fatto che è una mercenaria.”
Dìs era certa che Fìli avesse ereditato quella sua tranquilla ostinatezza dal lato paterno della famiglia. Anche la sua tendeva ad essere ostinata, questo era vero, ma di certo non restava tranquilla al riguardo.
“Non voglio parlarne. Ma ti giuro che non influenzerà la nostra missione.” E, vedendo che lui apriva la bocca per ribattere, sollevò una mano. “Sono ancora tua madre, anche se sei il Principe Ereditario.”
Fìli inclinò la testa di lato. “D’accordo, non ti chiederò altro. Per ora.”
Dìs annuì concorde. Era sicura che Tofa, una volta che loro avessero riconquistato Erebor, se ne sarebbe andata per la sua strada portando via con sè i suoi sguardi malandrini e le sue parole zuccherose. E lei non l’avrebbe vista mai più.
E sarebbe stato molto meglio così, ovviamente.

~
 
Elrohir fissò sbalordito la porta che lo aveva quasi colpito in faccia. Girandosi, vide la Principessa Dìs che attraversava la cucina come un fulmine per andare a rifugiarsi nella stanza che apparentemente un tempo era stata una dispensa; pochi istanti dopo uno dei Nani più giovani uscì dalla stessa stanza, stringendosi una coperta al petto e con un’aria preoccupata.
Qualsiasi cosa stesse accadendo, Elrohir era certo che ai Nani non sarebbe piaciuto se lui avesse ficcato il naso nei loro affari. Perciò si richiuse la porta alle spalle con molta più delicatezza di quando era stata aperta e si avventurò nel cortile esterno: qui trovò Tofa, che camminava avanti e indietro con un’aria chiaramente frustrata.
Elrohir si fermò e chiese: “Preferisci restare sola?”
“Cosa? No, non fa niente. Stavo comunque per rientrare e riposarmi un pò prima della partenza.” Ma nonostante queste parole la Nana continuò a indugiare all’esterno, come se non avesse voglia di rientrare. Considerata la furia dipinta sul volto di Dìs poco prima, Elrohir trovava la sua esitazione più che comprensibile.
“Beh, possiamo sicuramente condividere questo cortile,” le disse.
Lei parve trovare le sue parole divertenti. “Certo. Io resterò nel mio angolo e tu nel tuo, e saremo amichevoli l’uno con l’altro per quanto Elfi e Nani lo siano in questa parte di mondo.”
“Questa parte di mondo?”
“Il Nord. Io vengo da una regione più a sud, se non l’avevi notato.”
“Temo di avere poca familiarità con i vari regni dei Nani.”
Lei rise, anche se lui non era certo di cosa ci trovasse di così divertente nella sua risposta. “Beh, comunque non ne rimangono molti.” Dopo una pausa, gli chiese in tono diverso: “Allora, mi pare di aver capito che tu sei un Mezz’Elfo?”
“Un Peredhel,” la corresse lui. “Anche se nelle mie vene scorre il sangue degli Uomini, definirmi ‘Mezz’Elfo’ indicherebbe un minore retaggio elfico di quello che possiedo realmente.”
“Peredhel, allora. Anche tu hai la scelta concessa a coloro di retaggio mezzo elfico, vero? La possibilità di scegliere tra immortalità e mortalità?”
“Sì, è esatto,” rispose Elrohir, tentando di celare il disagio. Il fratello gemello di suo padre aveva scelto di vivere e morire come un comune mortale, ma lui non capiva proprio come si potesse compiere una simile scelta a sfavore dell’immortalità. Decidere di abbandonare volontariamente la famiglia e le persone care, sapendo che quella separazione sarebbe durata per sempre... non riusciva ad immaginare di compiere una scelta simile.
“Che roba,” mormorò Tofa; Elrohir non riuscì a capire dal suo tono che cosa intendesse con quelle parole. Dopo un pò, lei gli chiese: “Credo che a quest’ora Dìs si sarà calmata, tu che dici?”
Ricordando l’espressione tempestosa sul volto dell’altra Nana, Elrohir temporeggiò: “Non saprei proprio.”
“Hai ragione, dovrei darle più tempo. Penseresti che una vecchia guerriera come me abbia imparato l’arte della pazienza ormai, e invece...”
“È difficile avere pazienza quando si tratta di questioni che riguardano il cuore,” rispose Elrohir, pensando con nostalgia a Lindir.
“E chi ha detto niente di questioni di cuore?” Lui la osservò scettico e lei distolse lo sguardo. “Beh, suppongo fosse abbastanza ovvio. Forse anche per tutti quelli là dentro.”
Elrohir non riuscì a trovare una risposta diplomatica e perciò rimase in silenzio.
Tofa sospirò a lungo. “Bene, penso di aver atteso abbastanza perchè Dìs non mi uccida sul posto. Il cortile è tutto tuo,” gli disse con uno strano inchino elaborato che lui si ritrovò automaticamente a ricambiare.
Dopo che Tofa fu rientrata, Elladan lo raggiunse con tale rapidità che Elrohir sospettò il fratello fosse rimasto dietro la porta in impaziente attesa che lei se ne andasse.
“Per Arda, ma di cosa avete mai parlato tu e la mercenaria così a lungo?” gli chiese Elladan in Sindarin.
“Oh, sai: vita e morte, pazienza, amore... quel genere di cose.”
“Capisco.” Elladan gli rivolse un’occhiata scettica, ma sembrava avere a cuore argomenti ben più urgenti, perchè subito dopo disse: “Cosa ne pensi di questo piano scellerato di entrare a Erebor? Ho assicurato ai Nani il mio aiuto, ma in tutta onestà ritengo che saremo destinati a fallire.”
“Forse è così, ma non si lasceranno dissuadere. Pensi di andare lo stesso?”
“Intendo fare tutto ciò che è in mio potere per tenere in vita i parenti acquisiti di Tauriel.”
Elrohir annuì. “Io resterò qui a vegliare su di lei e accertarmi che sia al sicuro.”
Elladan lo fissò con i suoi occhi acuti. “C’è qualcosa che non mi stai dicendo. Riguardo Tauriel.”
Era ovvio che non sarebbe mai riuscito a tenere dei segreti con suo fratello gemello, men che meno se si trattava di Tauriel. “Non sono neppure certo che ci sia qualcosa.”
“Parlamene, fratello.”
“Sono preoccupato per la sua connessione con il Nano,” confessò Elrohir. “Il modo in cui lo spirito del Principe Kìli sembri disancorarsi dal corpo se Tauriel non è in contatto fisico con lui mi preoccupa molto. Ho osservato il flusso di energia che intercorre tra i loro spiriti e comincio a temere che il legame possa risucchiare le energie di Tauriel per tenere suo marito in vita.”
Elladan s’immobilizzò del tutto. “Ne sei certo?”
“Non sono certo di nulla, ma il modo in cui i loro spiriti interagiscono con la connessione mi preoccupa. Non so cosa fare.”
“Dovresti chiedere consiglio alla Nonna,” disse suo fratello con uno sguardo duro. “Non possiamo chiedere a nostro padre, ci vorrebbero settimane per mandare un corvo a Imladris e ricevere una risposta.”
Elrohir annuì. Tauriel poteva non avere le settimane di tempo che richiedeva mandare un messaggio al loro padre. Il fatto però che fosse straordinariamente difficile per entrambi mettersi in contatto con la nonna era sottinteso.
“Vai, fratello,” disse Elladan. “Io ti veglierò.”
Elrohir si sedette a gambe incrociate sul duro pavimento in pietra e rilassò il corpo e la mente, entrando in trance con la rapidità derivata da un lunga pratica. Immaginò il suo spirito assumere la forma di un falco dalle grandi ali, che cavalcava il vento sempre più in alto lasciandosi alle spalle la sporca città affollata di Uomini.
Volò a lungo sopra le alte cime degli alberi di Bosco Atro, cercando le tremolanti luci di Lothlòrien nel mondo degli spiriti; le sue ali erano esauste quando attraversò l’ampia foresta buia e la distesa desolata delle praterie e raggiunse finalmente le familiari spirali luminose della città alberata di sua nonna.
Non venne accolto alla periferia di Lothlòrien dallo spirito di lei, com’era sempre stato, e il falco dovette volare fin quasi sulla cima della sua pergola alberata prima di sentire la ricca e calda voce di Galadriel nella mente.
Uccellino mio, lo salutò lei. Sembrava stanca, la voce mentale era stranamente sommessa. Perchè hai volato così lontano e così in fretta?
Elrohir era quasi allo stremo delle forze, perciò, invece di rispondere, preferì aprire del tutto la mente al potere di sua nonna.
Ci fu una lunga pausa mentre lui rimaneva sospeso nello spazio, le sue ali battevano con tanta lentezza che non avrebbero mai sostenuto un falco vero. Quando lei parlò di nuovo, la preoccupazione nella sua voce era soffusa di divertimento. In cosa vi siete cacciati tu e tuo fratello questa volta?
Fosse stato nel suo corpo reale, Elrohir sapeva che sarebbe arrossito fino alla punta delle orecchie.
Ebbe la vaga impressione che lei lo baciasse sulla fronte. Non temere, mio caro. Vi manderò aiuto. Non siete soli.
Ma cosa dobbiamo fare nel frattempo?, le chiese, ma non era certo che la domanda le fosse arrivata. Stava iniziando a perdere la presa sulla forma del falco, il suo spirito era quasi al limite; e prima che lei rispondesse, l’invio perse tutta la coesione e lo spirito fece un brusco balzo all’indietro di centinaia di miglia, come una corda tesa che si spezza all’improvviso, atterrando nel corpo con una scossa portentosa.
Elrohir si mise a sedere ansimando in cerca d’aria; Elladan gli si accucciò accanto, posandogli una mano rassicurante sulla spalla. “Stai bene, fratello?”
Elrohir si prese la testa tra le mani e trasse dei respiri profondi fino a che il suo cuore non si fu calmato; una volta fatto ciò, rispose con voce flebile: “Nonna ha detto che manderà aiuto.”
Elladan scosse il capo. “Quale aiuto? E come? Lothlòrien dista settimane di viaggio da qui.”
“Non lo so. Non ha detto altro.”
“Bene, ma ti ha detto cosa dobbiamo fare nel frattempo?”
Elrohir si strinse nelle spalle. “Io cercherò di far sì che la connessione non danneggi irreparabilmente Tauriel mentre tu ti infiltrerai in una cittadella nemica con una manciata di Nani, uno Hobbit, l’unico figlio ed erede di Re Thranduil e tenterai di mantenerli tutti in vita fronteggiando al contempo un nemico oscuro e potente?” suggerì.
Elladan gli rivolse un’occhiata che ai tempi della loro lontana gioventù sarebbe stata foriera di una dolorosa manata alla testa o di un viaggio inaspettato fino alla pozza di fango più vicina. “Davvero di grande aiuto, fratello.”

~
 
Era scesa la notte e il gruppo che avrebbe tentato di introdursi a Erebor si raccolse nelle vecchie stanze della servitù.
Fìli e Kìli stavano avendo un’intensa, ma tranquilla conversazione in Khuzdul mentre Bilbo salutava Tauriel; nel corso del pomeriggio i due fratelli erano riusciti ad appianare le loro divergenze, con gran sollievo di Bilbo. Odiava l’idea di saperli ai ferri corti, in particolare adesso che uno dei due stava per avventurarsi in un probabile pericolo.
Cercando di ignorare la lingua che sapeva non avrebbero dovuto imparare – anche se in verità si chiedeva come potessero evitarlo, visto che i Nani insistevano a parlarla davanti a loro – lo Hobbit disse a Tauriel: “Non preoccuparti, mia cara. Saremo di ritorno prima che tu te ne accorga.”
Lei non parve rassicurata. “Fai attenzione, mellon. Non mi piace doverti mandare nel periglio senza di me. Sei troppo impaziente di gettarti in esso, Bilbo Baggins.”
Bilbo ridacchiò. “È molto gentile da parte tua, mia cara. Ma chi tra i due è davvero il più impaziente, mi chiedo?”
“Ammetterò solo che siamo entrambi egualmente spericolati.”
“E invece io penso che questa gara l’abbia vinta tu quando hai deciso di attraversare metà Terra di Mezzo da sola e a piedi.”
“Ti ho già spiegato che all’epoca mi sembrava un progetto ragionevole,” disse Tauriel. Era difficile dirlo a quella fioca luce, ma gli parve che le orecchie dell’Elfa fossero diventate più rosse.
“Ragionevole? Elfi,” sospirò Bilbo roteando gli occhi.
Tauriel s’inginocchiò con attenzione, apparendo un pò impacciata per via della gravidanza e della necessità di continuare a tenere Kìli per mano; senza smettere di parlare con il fratello, Kìli riaggiustò automaticamente la presa per aiutarla a mantenere l’equilibrio.
Tauriel abbracciò Bilbo con il braccio libero. “Qualunque cosa accada con Thorin,” bisbigliò, “ricorda che tu sei importante per tutti noi. E se il Re Sotto la Montagna dovesse maltrattarti in qualsiasi modo, dovrà scambiare due parole con me.”
Bilbo ricambiò l’abbraccio con impeto, per nascondere il fatto di avere gli occhi lucidi – ma giusto un pochettino. Poi si separò da lei e si riassettò la giacca con fare scenografico. “Molto bene! Tu pensa solo a riposare e ad impedire a quel tuo sciocco ragazzo di seguirci.”
“Ehi! Passi lo ‘sciocco’, ma il ‘ragazzo’ no,” protestò Kìli con un gran sorriso. Nonostante la differenza di statura, non fece una piega quando Tauriel gli si aggrappò per risollevarsi. Tornando serio, il Nano disse poi a Bilbo: “Quando vedrai zio Thorin, digli che il suo sciocco nipote lo considererà un vero idiota se non s’inginocchierà ai tuoi piedi implorando perdono.”
“Ah, beh... a questo penseremo una volta arrivati a destinazione,” rispose Bilbo schiarendosi la gola. Con suo ulteriore imbarazzo, anche Kìli volle abbracciarlo prima di consentirgli di raggiungere il resto del gruppo.
E così, dopo un ultimo giro di saluti, la compagnia fu in marcia.
Durante la loro fuga da Erebor, il gruppo di Fìli aveva preso due armature da guardie unite a quella che Tofa indossava quando aveva scelto di disobbedire agli ordini di Skalgar. Fìli ne indossò una dicendo che già sapeva gli sarebbe stata bene, e Dìs l’altra, con un’espressione talmente feroce che nemmeno suo figlio osò obiettare; e considerato che le uniche altre opzioni disponibili erano Bofur e Ori, nessuno dei quali particolarmente tagliato per quel compito, perfino Bilbo dovette ammettere che Dìs era la scelta migliore.
I tre Nani più Bilbo avrebbero costituito la guardia avanzata, per così dire, dato che grazie alle armature erano più difficili da individuare; il gruppo restante, composto da Bofur, Ori, Elladan e Legolas, li avrebbero seguiti non appena gli altri si fossero accertati che la via era libera.
Otto guerrieri (Bilbo presumeva di potersi considerare tale dopo tutte le sue peripezie) che si accingevano a penetrare nel cuore del covo nemico per cercare di salvare il  legittimo Re; era forse il piano meno organizzato cui lo Hobbit avesse mai preso parte, incluso quello in cui lui avrebbe dovuto sottrarre una gemma dalle grinfie di un drago. Ma, nonostante la gravità della situazione, Bilbo si ritrovò a ridacchiare tra sè e sè: eccolo lì, che stava per sottrarre un Re. Difficilmente adesso avrebbe potuto continuare a sostenere di non essere uno scassinatore.
Si ficcò i pollici nei taschini del gilet per accertarsi che il suo anello fosse ancora dove doveva essere: la sua freschezza e il peso familiari lo fecero sentire subito più rilassato.
Presero una strada attraverso Dale che era chiaramente sgombra da qualsiasi sentinella. Bard poteva anche non sostenerli apertamente, ma aveva fatto quel che poteva per sgombrare loro la via. Quando raggiunsero il cancello che avevano usato per uscire dalla città, corsero rapidamente attraverso il terreno aperto punteggiato da ruvidi arbusti che avevano caratterizzato il territorio conquistato da Smaug; dopodichè non dovevano far altro che salire un pendio roccioso al buio, evitare le sentinelle, e trovare la strada che conduceva alla porta segreta.
La combinazione della abilità elfiche e naniche si rivelò cruciale per la riuscita dell’impresa. I Nani avevano una vista notturna sorprendentemente acuta mentre gli Elfi, anche se non erano altrettanto abili a vedere al buio, avevano un udito sopraffino. Una volta che Nani ed Elfi ebbero smesso di guardarsi in cagnesco e iniziarono a collaborare, la scalata del pendio verso la porta segreta fu effettuata con facilità e sicurezza.
Fuggendo da Erebor, Fìli, Ori e Tofa avevano bloccato la porta con una roccia; ora scivolarono silenziosamente all’interno per la seconda volta nella vita di Bilbo, il quale sperò ardentemente di non doverlo più rifare.
Fìli fece per calciare via la roccia e chiudere la porta, ma Ori lo bloccò.
“No, fermo!” esclamò. “Dobbiamo lasciarla aperta per Nori!”
Bilbo vide benissimo che Fìli non credeva che Nori li avrebbe raggiunti, ma non voleva dirlo all’amico.
“Concordo che dovremmo lasciarla aperta,” intervenne Dìs. “Se qualcosa a Dale dovesse andare terribilmente storto, Kìli potrebbe dover fuggire a Erebor e la porta gli servirà per entrare.”
Deciso questo, proseguirono lungo il corridoio verso la seconda porta. Durante la fuga, Fìli e Tofa l’avevano bloccata mettendo un cuneo nella cerniera, e lì lo lasciarono per impedirle di chiudersi. Quando terminarono la scalata degli apparentemente infiniti gradini che conducevano agli appartamenti reali, a Bilbo dolevano le gambe.
Elladan restò accucciato presso la porta che sigillava il passaggio per diversi minuti, in ascolto di qualunque suono provenisse dall’altra parte; alla fine fece un breve cenno col capo e Fìli la aprì.
Nel corridoio non si udiva alcun rumore. Fìli si arrischiò a sbirciare da una parte e dall’altra, e finalmente fece un cenno con la mano che Tofa tradusse per i non-Nani: “Via libera.”
Scivolarono tutti al di qua della porta e la lasciarono chiudersi. Fìli e Dìs rivelarono agli altri la sequenza in cui dovevano essere premute le stelle del bassorilievo per riaprirla, dato che non potevano rischiare di lasciarla aperta come avevano fatto con le altre due.
Dìs si mise in testa al gruppo, poichè era quella che aveva l’idea più chiara della topografia degli appartamenti reali. Li condusse lungo uno stretto corridoio il cui ingresso era seminascosto da una colonna scolpita, e Bilbo pensò che doveva essere un passaggio utilizzato a suo tempo dalla servitù. Al termine del corridoio Dìs fece cenno agli altri di restare lì, parzialmente nascosti da un pilastro, mentre lei, Fìli, Bilbo e Tofa andavano avanti.
Gli appartamenti reali consistevano in un vasto labirinto con camere comunicanti riccamente decorate, dove la famiglia reale risiedeva quotidianamente e gli affari minori del regno venivano trattati dal Re e dai suoi più stretti collaboratori. Sapevano che il figlio di Dàin era rimasto a governare i Colli Ferrosi in assenza del padre, perciò l’unica persona che era più probabile vivesse lì, a parte lo stesso Dàin, era Skalgar.
In precedenza avevano discusso su quali stanze avessero più possibilità di trovare Dàin di notte e alla fine si erano accordati su tre: la stanza che Thrain aveva usato come studio personale, la Camera di Consiglio, o la camera reale vera e propria. Dopo un’altra piccola discussione, decisero di ispezionare per prima la camera da letto. Prevedevano di trovarla presidiata, ma invece non si vedeva alcuna guardia fuori dalla doppia porta incrostata d’oro.
“È arrivata l’ora della tua magia Hobbit,” disse Fìli in un bisbiglio appena udibile.
Bilbo trasse un respiro profondo, si mise una mano in tasca e s’infilò l’anello il più segretamente che potè: subito si ritrovò immerso nella strana atmosfera grigia e ovattata che vedeva ogni volta che lo indossava.
Pensò brevemente che, se mai qualcuno della Compagnia incontrasse un altro Hobbit e pretendesse di veder svanire anche lui per effetto della sua supposta ‘magia’, sarebbe stato difficile spiegare come stavano realmente le cose. Ma supponeva di potersene preoccupare un’altra volta... sempre che fossero riusciti ad uscire vivi da quella situazione.
Bilbo aprì la porta quel tanto che bastava per poter scivolare all’interno, sentendosi terribilmente esposto nonostante l’invisibilità. La stanza era illuminata da un singola lampada a olio: lo stoppino era molto consumato e l’ambiente appariva enorme e indistinto. Cominciò a dare un’occhiata in giro, aspettandosi in ogni momento di urtare qualcosa e attirare così le guardie.
Riuscì a malapena a trattenere un’esclamazione di sorpresa quando il suo piede trovò qualcosa di grande e solido celato dalla penombra. Si chinò a guardare da vicino e si accorse che si trattava di un Nano: indossava l’armatura delle guardie di Dàin e giaceva sul pavimento ad occhi chiusi. Non si era mosso neanche dopo la sua pedata, che pure era stata piuttosto forte.
Bilbo doveva essersi lasciato sfuggire un verso di qualche tipo, perchè subito la porta si spalancò e il resto del gruppo irruppe nella stanza con le armi spianate.
“Bilbo, stai bene?” sibilò Bofur.
“Sì, io sì, ma questo tipo mi sa di no. È... è morto?”
Elladan s’inginocchiò accanto al corpo, lasciando sospesa una mano a pochi centimetri dal petto e chiudendo gli occhi per concentrarsi meglio; Bilbo trattenne il respiro.
Finalmente, l’Elfo si risollevò a guardarli con occhi cupi. “Il Nano è vivo, ma temo non lo sarà ancora per molto. Il suo fae è stato completamente separato dal corpo e le sue condizioni sono gravemente compromesse.”
“Questo è ciò che hanno tentato di fare a mio figlio, vero?” mormorò Dìs con un’espressione orripilata.
“Credo di sì,” confermò Elladan. “Sospetto che questo è proprio ciò che sarebbe accaduto al Principe Kìli se il suo faelif non avesse continuato a tenere lo spirito legato a questa esistenza. Il corpo di questo Nano ormai è solo un guscio vuoto. Senza il fae, egli avvizzirà e morrà entro pochi giorni.”
Inginocchiandosi presso il corpo, Fìli accennò a Tofa di avvicinarsi. “Non è la guardia che stava davanti alla porta della cella di Kìli?”
Dall’espressione pentita e nauseata che le attraversò i lineamenti, Bilbò capì che la donna lo aveva riconosciuto. “Sì, è proprio lui. Giocavamo a carte insieme. Sapevo che sarebbe stato punito per la vostra fuga, ma non credevo che...” Guardando poi Elladan, gli chiese: “Non c’è proprio niente che puoi fare per lui?”
“È una cosa che va oltre le mie possibilità.” Rialzatosi, il signore elfico aggiunse lentamente: “Non sono neppure certo che mio padre potrebbe curarlo. Qui vi è qualcosa all’opera di ben più potente per poter essere giustificato da una semplice pozione.”
“Come può Skalgar avere il potere di fare questo?” domandò Fìli. “Chi è?”
Bilbo lo guardò. “Credo che la domanda che dovremmo porci a questo punto sia piuttosto: che cosa è?”

~
 
La porta dell’ala della servitù si richiuse dietro al gruppo di Nani, Elfi e dello Hobbit che partivano, e all’improvviso sembrò molto silenzioso con solo loro tre rimasti.
Elrohir s’inchinò cortesemente e si scusò, dicendo che aveva bisogno di meditare. Tauriel apprezzò la sua discrezione: le sembrava fossero trascorsi secoli da che era potuta restare da sola con il suo amato.
Rimasti soli, avvicinarono le fronti fino a toccarsi nella maniera nanica e restarono così per un pò, ciascuno respirando l’aria dell’altro; alla fine, Kìli sospirò e disse: “Odio essere lasciato indietro.”
Tauriel sentì un moto di tenerezza per lui. “Lo so. Pesa anche a me, meleth nin.”
Lui le diede un rapido bacio prima che si separassero. “C’è qualcosa che vuoi mostrarmi, vero?”
“Sì, infatti. Come l’hai indovinato?” chiese Tauriel guidandolo verso il tavolo della cucina e tenendolo per entrambe le mani.
Lui ghignò. “Ti ho letto nel pensiero.”
Lei roteò gli occhi al suo scherzo. “Però è vero, c’è qualcosa che voglio mostrarti. Ho chiesto a tua madre degli usi matrimoniali presso il vostro popolo.”
“E lei te ne ha parlato? Devi piacerle davvero molto.” Kìli deviò il loro percorso verso il tappeto davanti al camino, dove la aiutò a sedersi con tanta scioltezza che sembrava avessero compiuto quel gesto migliaia di altre volte. Si sedettero dunque a gambe incrociate, con le ginocchia unite e le mani – sempre allacciate – poggiate su una gamba di Tauriel.
“Lo spero. Non sembra odiarmi, ad ogni buon conto.” Con un moto di apprensione Tauriel s’infilò una mano in tasca, cercando con le dita la superficie di un fermaglio scolpito. Lei non aveva mai scolpito niente in vita sua e temeva che il risultato sarebbe parso grezzo e dilettantesco agli occhi di un Nano.
“Sono sicuro che è perfetto,” disse Kìli passandole la mano libera tra i capelli; le sue dita trovarono la treccia che le partiva dalla tempia e ne seguirono il contorno fino all’estremità, dov’era chiusa dal fermaglio matrimoniale che vi aveva apposto lui.
“Ma come fai a sapere che si tratta– ah, eccolo qui,” disse Tauriel, distraendosi quando ebbe localizzato il fermaglio sul fondo della tasca. “Spero sia accettabile. Tua madre mi ha spiegato ciò che i simboli dovevano indicare e come realizzarli.”
E tese una mano, nel cui palmo brillava il piccolo fermaglio di pietra verde. Kìli lo prese con sorprendente delicatezza, rigirandolo da tutte le parti per vedere gli intagli. “Oh, gimlinh,” mormorò.
“Va bene?” chiese lei, mordendosi nervosamente un labbro.
Un gran sorriso gioioso si dipinse sul volto di Kìli. “Se va bene? È perfetto.” Si sporse su di lei e si baciarono a lungo. “Assolutamente perfetto,” sussurrò poi, senza quasi separare le labbra dalle sue. “Mettimelo tu.”
Tauriel s’immobilizzò per un istante quando si rese conto che le servivano entrambe le mani per fargli la treccia. Kìli ridacchiò e le lasciò andare la mano, posando la propria sul ginocchio di lei per continuare a restare in contatto. Quando lei iniziò ad intrecciargli una ciocca di capelli, vicino all’orecchio, Kìli sollevò il fermaglio nella mano destra e lo guardò ancora per bene. “Cosa significano i simboli che hai scelto?”
“L’agrifoglio simboleggia il mio clan e la foglia di quercia la foresta in cui sono nata. E sull’altro lato, dove ci sono un arco e una freccia sotto una stella, quello è il simbolo che ho scelto come mio personale. So che hai detto che non importava se non avevo un fermaglio da apporre sui tuoi capelli, ma, dopo aver visto quanto era importante per tua madre, ho capito che aveva un significato più profondo di quanto pensassi.” Terminò la treccia e prese il fermaglio per chiuderla, incespicando un pò con le dita finchè non si fu assicurata che tenesse bene.
Quando ebbe finito, Kìli lo toccò con un’espressione di meraviglia. “Amrâlimê,” sussurrò, immergendo le dita tra i suoi capelli e tirandola a sè per baciarla. Tauriel chiuse gli occhi e ricambiò teneramente il bacio, avvertendo crescere in sé una passione bruciante che la lasciava senza fiato.
In quel momento la porta della cucina si aprì quasi senza rumore; i due si voltarono e videro Nori che entrava e richiudeva la porta.
“Dov’è la Principessa Dìs?” chiese il Nano. I suoi capelli non erano più acconciati nei soliti tre rigonfiamenti, ma in tre semplici trecce e spalmati di una qualche misteriosa sostanza marrone scuro.
“Sono andati tutti a Erebor,” rispose Tauriel.
“E voi due piccioncini siete rimasti qui da soli?”
“No, Lord Elrohir è rimasto con noi.”
La smorfia che apparve sul volto di Nori la diceva lunga sul suo pensiero in proposito. “Da quanto tempo se ne sono andati?”
“Ormai sarà quasi un’ora. Che succede, Nori?” chiese Kìli.
“Che il resto della Compagnia è finito in prigione, ecco che succede.”
“Cosa? Com’è potuto accadere?”
“Grazie a tuo cugino Dàin, ovviamente.” Nori prese a camminare avanti e indietro con un’espressione frustrata. “Sono andato a Erebor – sì, ho mentito sull’investigare a Dale, sono certo che tua madre mi metterà sui carboni ardenti quando lo saprà – e sono riuscito a mettermi in contatto con certi miei conoscenti, che si guadagnano da vivere scovando tutti quei segreti che gli altri vorrebbero restassero segreti. È così che ho scoperto che i membri restanti della Compagnia sono stati arrestati ieri con l’accusa di tradimento.”
“Tradimento?!” esclamò Kìli. “Come ha potuto permetterlo Dàin?”
“È il Re. O almeno lo è per il momento,” aggiunse Nori minacciosamente e toccando l’elsa del suo unico coltello visibile (Tauriel aveva avuto modo di imparare, durante il loro viaggio, che il Nano teneva un gran numero di coltelli nascosti sulla propria persona). “Il mio contatto dice che la sentenza di morte sarà eseguita all’alba.”
“Cosa? Sentenza di morte?” esclamò Tauriel. Si sentiva male alla sola idea.
“Dobbiamo salvarli,” affermò Kìli balzando in piedi e porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
“Puoi scommetterci che dobbiamo,” ringhiò Nori.
Dopo aver rapidamente spiegato la situazione ad Elrohir, si radunarono intorno al tavolo per organizzare un piano.
“So dove li tengono e so come raggiungerli senza farci scoprire dalle guardie,” cominciò Nori. “Una volta liberata la Compagnia, dovremo fuggire da Erebor usando il passaggio segreto.”
“E come facciamo ad arrivarci?” chiese Kìli. “Non penso che le prigioni siano facilmente raggiungibili dagli appartamenti reali o dalla tesoreria, che sono gli unici posti in cui sappiamo conduce il passaggio segreto.”
“Ah, ma quelli non sono gli unici posti. Mentre Thorin era occupato a contare il suo tesoro e a cercare l’Archengemma – nonchè a struggersi per il suo Hobbit – io mi sono preso un pò di tempo per esplorare. Posso portarvi a un tiro di schioppo dalle prigioni, non dubitare.”
“Sto cominciando a chiedermi quanti passaggi segreti il mio bisnonno abbia fatto costruire,” disse Kìli. “L’intera montagna sembra esserne lastricata.”
“Io ne ho scoperti solo una manciata. Finora,” aggiunse Nori strizzando un occhio.
“Oh, questo è molto rassicurante.”
“Allora il piano è chiaro,” riassunse Tauriel. “Partiremo per Erebor tutti insieme, non appena le guardie mandate da Bard torneranno alle loro postazioni.”
“Concordo,” disse Elrohir.
Puntando un dito verso Kìli, Nori domandò: “Non è che cascherai in terra come una pera matura non appena voi piccioncini smetterete di tenervi per mano?”
“A quanto pare abbiamo un margine di cinque minuti,” rispose Tauriel dopo aver rivolto un’occhiata ansiosa a suo marito. “Più o meno.”
“Non preoccuparti, gimlinh,” disse lui. “Basterà che rimaniamo insieme e andrà tutto bene. Mi assicurerò che non ti succeda niente.”
“Io mi assicurerò che non succeda niente a te,” rispose lei con fermezza.
Nori roteò gli occhi. “E io mi assicurerò che non succeda niente a me. Benissimo,” aggiunse poi con entusiasmo palesemente finto. “Andiamo a salvare la Compagnia prima che la Principessa Dìs mi uccida per avervi messo in pericolo!”

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Capitolo 22
*** Capitolo 22: Il Labirinto ***


Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

Il prigioniero sognava.
Nel sogno, sapeva che il suo nome era Thorin e che era gravemente ferito, forse addirittura in punto di morte. Tuttavia il pensiero di raggiungere i suoi antenati lo faceva sentire in pace, poichè aveva già avuto modo di scusarsi con colui che aveva così terribilmente offeso, e Bilbo aveva accettato le sue richieste di perdono, anche se ciò era più di quanto Thorin meritasse.
Sentendo di essere sul punto di perdere di nuovo conoscenza e non sapendo se si sarebbe mai risvegliato, Thorin si era concesso un ultimo atto di estremo egoismo e, raccogliendo le ultime forze, aveva pronunciato i voti matrimoniali nei confronti di Bilbo. Anche se sapeva che il suo amato non poteva comprendere le parole in Khuzdul, aveva provato una grande gioia allorchè lo aveva sentito ripeterle. Indubbiamente lo Hobbit si sarebbe infuriato se avesse saputo cosa aveva fatto Thorin, ma per lo meno avrebbe raggiunto i suoi antenati con la consapevolezza di aver finalmente onorato il suo amato così come egli meritava.
Thorin fluttuò a più riprese nell’incoscienza mentre veniva trasportato su una barella attraverso lunghi corridoi polverosi. I Nani che erano con lui gli erano del tutto estranei, ma riconobbe l’accento dei Colli Ferrosi nella loro parlata e presumette che fossero uomini di suo cugino Dàin. Da alcuni frammenti della loro conversazione indovinò che lo stavano portando nel cuore della montagna, nelle stanze sacre che ogni montagna scavata da Nani recava. A volte, narrava la leggenda, un Nano in punto di morte poteva essere riportato in vita, purchè venisse condotto nelle sacre camere di Mahal e Mahal stesso lo giudicasse degno.
Fu in quel momento che Thorin apprese che i figli di sua sorella erano caduti nel tentativo di proteggerlo dalla furia di Azog.
Oh Dìs, sorellina, mi dispiace tanto di averti deluso, pensò. Il senso di colpa al pensiero che le sue azioni scellerate avevano condotto Fìli e Kìli alla morte pesava su di lui come un macigno. Aveva promesso a Dìs che avrebbe tenuto i suoi figli al sicuro e aveva fallito, come del resto in qualsiasi altra cosa.
Bilbo era vivo, però; vivo e incolume, anche se non certo grazie a lui. Nonostante le parole di perdono che il suo amato aveva pronunciato, Thorin sapeva che il senso di colpa per ciò che aveva detto e fatto a Bilbo lo avrebbe accompagnato fino alla tomba. Ossia, certamente ancora per un breve tratto, egli pensò con amaro umorismo.
I portatori poggiarono la lettiga a terra e la fitta dolorosa che lo scosse fu quasi sufficiente a rispedirlo nell’incoscienza, ma con uno sforzo di volontà egli riuscì ad evitare che le tenebre lo avvolgessero. Se Mahal fosse davvero venuto da lui come raccontava la leggenda, Thorin sapeva che avrebbe avuto una sola cosa da fare: implorarlo per la vita dei suoi nipoti in cambio della propria.
Il sogno poi fece un balzo in avanti, lasciandolo senza alcuna reminiscenza di ciò che era successo dal momento in cui i portatori lo avevano poggiato a terra, nel buio più completo della grotta, fino a quando aveva aperto gli occhi vedendo un guaritore sconosciuto chino su di lui.
“È vivo, mio signore.”
Thorin avrebbe voluto chiedergli perchè sembrasse tanto deluso da quella notizia, ma aveva la gola talmente secca che quando aprì bocca non riuscì ad emettere altro che un rauco gemito.
“Cugino! Sei vivo!” Dàin spinse da parte il guaritore e lo guardò con fare raggiante. “Sapevo che non potevi esser morto, brutto imbroglione che non sei altro!”
Thorin provò ancora a parlare ma riuscì soltanto a tossire, cosa che gli spedì delle fitte talmente dolorose in tutto il corpo che per poco non perse di nuovo i sensi; poteva non essere più in punto di morte, ma certo era ben lungi dall’essere guarito.
“Non temere, anche i ragazzi di tua sorella ce l’hanno fatta. Se non li avessi visti respirare con i miei occhi non ci avrei mai creduto. Si vede che Mahal non era ancora pronto ad avere tre teste calde come voi nelle sue Sale!” Dàin ridacchiò alla sua stessa battuta.
“Mio signore, mi duole informarti che è proprio come temevo: tutti e tre soffrono della malattia dell’oro,” disse il guaritore.
No, questo era sbagliato... Thorin sapeva benissimo che fìli e Kìli non avevano mai sofferto della malattia dell’oro. Cercò di spiegarlo, ma non riusciva ad emettere suono senza cadere preda di dolorosissimi spasmi causati dalla tosse. Evidentemente Azog e la sua mazza ferrata dovevano avergli rotto un bel pò di costole.
“Dannazione, questa è proprio una pessima notizia. Fa male ammetterlo, ma l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una ripetizione del regno di Thror,” borbottò Dàin pensieroso. La sua armatura e i suoi capelli erano ancora schizzati di sangue di Orco, e si appoggiava al suo martello come se senza quel sostegno non riuscisse a stare in piedi.
“Posso suggerire che sarebbe meglio per tutti se Thorin e i suoi nipoti restassero morti?”
Le dita di Dàin si flessero minacciosamente sul manico del suo martello. “Confido che non intendevi metterla nel modo in cui l’ho recepita io?”
“Mio signore, mi scuso per non essermi spiegato bene,” replicò il guaritore. Thorin notò che armeggiava con qualcosa tenendo le mani dietro la schiena; poi uno strano odore dolciastro si diffuse nell’aria, ma con una nota talmente amara che lui quasi diede di stomaco. “Volevo semplicemente dire che sarebbe meglio restassero presunti morti fino a che non sarò in grado di curare la loro malattia. Non credi che sarebbe preferibile all’avere un altro re folle sul trono di Erebor?”
Thorin cominciava a sentirsi insopportabilmente assonnato. Restare cosciente era diventata un’impresa, ma perseverò, certo che la reazione di Dàin alle parole infide di quel verme sarebbe stata memorabile; con suo grande stupore, invece, suo cugino restò in silenzio per lunghi istanti prima di rispondere, con voce stranamente impastata: “Forse hai ragione, Skalgar.”
L’ultima cosa che Thorin vide prima di perdere la sua lotta contro l’incoscienza fu il sorriso compiaciuto e sinistro di quel cosiddetto guaritore.
 
~

 
Il prigioniero si svegliò– no, non ‘il prigioniero’. Thorin. Il suo nome era Thorin.
I ricordi del suo sogno svanivano man mano che i secondi passavano, ma egli si aggrappò con forza al suo nome. Poteva essere l’ultima cosa rimastagli.
Erano trascorse settimane da quando aveva udito le guardie parlare dei prigionieri evasi, ma ancora non aveva trovato il modo di fuggire a sua volta. Spronato da quella possibilità, per quanto nebulosa, si era allenato ogni notte fino all’esaurimento nel tentativo di rafforzare i muscoli atrofizzati; era stato difficile e frustrante, ma adesso poteva dire che i suoi sforzi cominciavano a dare i loro frutti. Camminare intorno alla cella non era più una fatica gravosa, però, man mano che la sua salute migliorava, crescevano anche la noia e la sua frustrazione.
Origliava qualsiasi discorso udisse al di là della porta; sfortunatamente, le guardie dicevano di rado qualcosa di interessante. Per lo più riempivano quelle ore tediose parlando di giochi con le carte e spettegolando sulle altre guardie. Riuscì tuttavia a raccogliere qualche informazione: quel regno si chiamava Erebor ed era governato da un re di nome Dàin. Le guardie inoltre sembravano nutrire grande timore verso una persona che chiamavano ‘il guaritore’, o più raramente Skalgar.
Thorin si rigirò quei nomi nel cervello senza sosta, sperando che lo aiutassero a ricordare; ma non gli tornò nulla in mente, neanche un barlume di ricordo.
Non c’erano specchi perchè potesse guardare com’era fatto, perciò dovette ricorrere alle proprie mani. Scoprì di avere un viso scarno e allungato, con un naso piuttosto aquilino. Aveva i capelli neri con alcuni fili argentati. La sua barba era molto corta: sicuramente doveva averla tagliata, in passato, a causa di un grande dolore o di un’altrettanto grande vergogna. I tatuaggi che aveva sulle braccia e sul petto e le numerose cicatrici gli dicevano che era un guerriero, e che doveva aver visto molte battaglie.
Aveva la sensazione che il simbolo ricorrente del corvo nei suoi tatuaggi fosse significativo; forse il corvo era l’emblema del suo casato, il che poteva voler dire che era un nobile. L’idea, per qualche motivo, gli sembrava giusta, ma non riusciva a ricordare nulla che la supportasse. Non capiva perchè ricordava questioni di poco conto, come il possibile significato dei suoi tatuaggi, e non riusciva invece a ricordare niente del suo passato.
Oltre ai nomi aveva dei brandelli di ricordi, impossibili però da decifrare senza contesto. Ricordava due bambini Nani, uno dai capelli scuri e l’altro biondi, che ridevano con espressioni birichine sui visetti sporchi di terra; erano forse i suoi figli? Poi ricordava una mappa spiegata su un tavolo di legno. La mappa poteva essere significativa, ma dove conduceva? E poi ricordava una montagna che si stagliava contro il cielo, dai pendii scoscesi e la cima coperta di neve; una spada con un’incisione elfica lungo la lama; una ghianda sorretta da una mano tremante.
Spesso, in quei frammenti di memoria, vedeva lo stesso uomo, da un’angolazione che rendeva evidente che venisse osservato a sua insaputa. Aveva i capelli castani e leggermente ricciuti, due intelligenti occhi color nocciola e un viso espressivo. Era più basso di un Nano e aveva le orecchie a punta come gli Elfi, ma di certo non era un Elfo, non con quei grossi piedi pelosi.
Perchè aveva così tanti ricordi di quella piccola creatura dall’aria puntigliosa? Cosa rappresentava per Thorin, e cosa Thorin per lui?
Aveva tempo in abbondanza per riflettere su quelle domande, poichè, a parte il momento dei pasti in cui il cibo gli veniva regolarmente passato attraverso una botola sul fondo della porta, non aveva altro modo di spezzare la noia della sua prigionia. I giorni si susseguivano tutti uguali, uno dopo l’altro, fino a che tre guardie vennero ad aprire la porta della sua cella ordinandogli di uscire.
Nonostante il tempo trascorso ad allenarsi, Thorin sapeva di non avere possibilità contro tre uomini robusti e ben addestrati, e perciò non oppose resistenza. Tenne la testa china ma gli occhi spalancati, pronto a cogliere qualunque occasione di fuga. Le guardie però stavano all’erta e i suoi riflessi erano rallentati dalla prigionia; in più, non aveva idea di dove si trovasse. Presumeva di essere in una prigione, ma i corridoi lungo i quali lo stavano conducendo erano finemente decorati. No, quella non era una prigione; piuttosto sembrava un palazzo residenziale.
“Skalgar vuole che lo portiamo nella Camera di Consiglio, giusto?” chiese una delle guardie a quella che sembrava il capo.
“No, lo portiamo nella tribuna sopra la Camera; immagino che Skalgar voglia che osservi qualcosa.” Gli altri risero come se il compagno avesse detto qualcosa di esilarante. “Ora chiudete il–”
Uno sguardo colmo di meraviglia passò sul viso della guardia mentre fissava la lama che gli spuntava, come per magia, dal petto.
Piombò a terra in un lago di sangue. Le altre due guardie non ebbero quasi il tempo di sguainare le spade poichè altri tre Nani, che indossavano armature da guardia, li sopraffarono rapidamente senza che loro riuscissero ad emettere neppure un gridolino.
Sperando si trattasse di un salvataggio e non, ad esempio, di un colpo di stato in cui un prigioniero come lui aveva pari possibilità sia di essere ucciso che di esser lasciato libero, Thorin sollevò le mani incatenate in segno di resa. “Non sono armato!”
Uno dei nuovi arrivati, una donna, lasciò cadere la spada e lo fissò con evidente turbamento. “Thorin?”
“...Tu mi conosci?”

~
 
Dwalin era pessimista di natura. Cercava di non aspettarsi ogni volta il peggio dal prossimo, ma la sua negatività si era dimostrata nel giusto così tante volte che era difficile aspettarsi qualcosa di diverso.
Non era rimasto sorpreso quando Nori si era offerto di andare a prendere Dìs a Ered Luin. Per essere precisi, si fidava del fatto che il ladro l’avrebbe avvertita, ma quanto al tornare... no, Dwalin era sicuro che oramai Nori si fosse stabilito sulle Montagne Blu e vivesse felice e contento lontano dai casini di Erebor.
Onestamente, però, quel pensiero non l’aveva deluso più di tanto. Dwalin era un pessimista, ma sotto la sua scorza spinosa batteva il cuore di un vero romantico. Era stato abbastanza stupido da innamorarsi di un ladro, questo sì, ma perlomeno la vocazione di Nori gli assicurava un forte senso di autoconservazione. Nori era al sicuro, e così Dwalin poteva andare incontro al boia con quel pensiero a sostenerlo.
O almeno era a questo che pensava quando Nori fece capolino alla grata della porta della sua cella a Erebor.
“Oh, bene, temevo che avremmo dovuto perlustrare un altro paio di ale,” disse il ladro con tutta tranquillità, come se non fosse appena sbucato lì dal nulla quando avrebbe dovuto trovarsi dall’altra parte della Terra di Mezzo.
Dwalin attraversò la cella con due falcate e si aggrappò alle sbarre con tanta forza da farsi sbiancare le nocche. “Nori? Cosa ci fai qui?”
Nori gli rivolse un’occhiata che diceva chiaramente che dubitava della sua intelligenza. “Sono venuto a tirarti fuori da questa cella. Cos’altro dovrei farci?”
“Ma non dovresti essere qui. Dovresti essere a Ered Luin.”
Il ladro tirò fuori dalla manica un paio di ferri appuntiti e iniziò a darsi da fare con la serratura. “Beh, sono terribilmente spiacente di deluderti, ma sono già stato a Ered Luin e sono tornato.” Socchiuse gli occhi. “Credevi che non l’avrei fatto, vero? Credevi che ti avrei lasciato– cioè, che avrei lasciato la Compagnia e i miei fratelli e avrei pensato solo a salvarmi la pelle.”
“Non è questo che–”
“Mi spiace deluderti,” ripetè Nori mentre la serratura mandava un clangore decisivo e la porta si spalancava, “ma sono qui, e tu sei qui, e anche il Principe Kìli con la sua moglie-Elfo incinta e no, non intendo spiegare quest’ultimo punto.”
“Cosa?!” Dwalin, uscito di cella, lo fissava a bocca aperta.
“Quale parte di ‘non intendo spiegare quest’ultimo punto’ non ti è chiara?”
Dwalin trasse un respiro profondo. Ritorno miracoloso o no, anche se era scioccamente innamorato di quel ladro ci erano voluti solo cinque minuti perchè Nori riuscisse, come sempre, a dargli sui nervi. Mahal doveva proprio divertirsi molto con lui. “Bene. Non ti chiederò niente. Posso almeno sapere qual è il piano, adesso che mi hai tirato fuori di cella?”
Nori distolse lo sguardo. “Ah. Sì. Il piano...”
“Non c’è alcun piano, vero?” sospirò Dwalin.
Nori emise un verso esasperato. “Ce l’avevo, eccome! Il mio piano era salvare voi ragazzi e fuggire il più lontano possibile da Erebor prima che la Principessa Dìs mi facesse la pelle per aver esposto Kìli a un pericolo mortale proprio adesso che è appena scampato alla morte, e questo senza neanche nominare il coinvolgimento di sua moglie – Elfa e incinta. Anzi, sarò fortunato se Dìs si limiterà ad uccidermi. Comunque, gli altri erano di parere diverso e purtroppo, anche che io sembro essere il solo sano di mente in questa combriccola, il mio piano è stato scartato.”
“Ti spiace spiegarmelo di nuovo in un modo che abbia il benchè minimo senso?”
“Il piano è che cattureremo Dàin.” Nori sollevò il mento e gli sorrise mostrando tutti i denti, dopodichè si voltò e iniziò ad allontanarsi.
Che cosa?”
Il ladro agitò una mano nella sua direzione senza rallentare il passo. “Non prendertela con me, non è il mio piano.”
Dwalin si affrettò a tenere il passo, notando lungo la strada i corpi di alcune guardie riversi al suolo. Dopo aver girato un paio di corridoi scorse Kìli, l’Elfa dai capelli rossi capitano delle guardie, e un altro Elfo dai capelli scuri che non aveva mai visto. Erano insieme a Bombur, Bifur e Dori davanti a una cella, al cui interno stavano ancora prigionieri Balin, Oin e Gloin. Nori s’inginocchiò davanti alla serratura e prese a lavorare coi suoi ferri.
“Signor Dwalin!” Kìli gli rivolse un largo sorriso, saltellando come un cagnolino eccitato e trascinandosi dietro l’Elfa, che lo teneva per mano. Gli occhi di Dwalin si posarono su di lei per un momento, con disinteresse, poi ripensò a quello che gli aveva detto Nori e la osservò per bene: incinta, aveva detto il ladro. Eh sì, decisamente lo era.
Cercò di immaginare la reazione di Dìs a quella notizia. Da una parte, una nuora elfica; dall’altra, il suo primo nipote. Mahal onnipotente, non riusciva davvero ad immaginarlo. E rifiutò decisamente di immaginare quale sarebbe stata la reazione di Thorin.
Poi il suo cervello registrò il fatto che Kìli era là, che non era morto; Dwalin lo raggiunse rapidamente e lo stritolò in un forte abbraccio. “È bello rivederti, ragazzo.”
“È bello anche per me,” rispose Kìli con voce soffocata.
“Tuo fratello? Thorin?”
“Fìli è vivo. Thorin... non ne siamo sicuri. Dàin – o meglio, il suo guaritore – lo tiene prigioniero, pensiamo. Speriamo.”
Nori riuscì ad aprire la porta della cella e gli ultimi prigionieri vennero fuori, borbottando (Gloin), lagnandosi di tutto (Oin) e sorridendo come se il salvataggio fosse stata solo opera sua (Balin, ovviamente).
“Fratello!” Dwalin poggiò la fronte contro quella di Balin e si sentì molto meglio; non c’era avversità grande abbastanza che lui e suo fratello non potessero fronteggiare insieme, ne era certo.
Dopo un affollarsi di domande da parte degli ultimi liberati, fu chiarito che Nori e Bofur erano tornati da Ered Luin con Dìs e che in qualche modo, lungo la strada, avevano reclutato anche i figli di Lord Elrond e il figlio di Thranduil. Dwalin decise di incolpare l’Elfa di Kìli per tutti quegli Elfi che ficcavano il naso nelle loro faccende.
Kìli annunciò che progettavano di unirsi a Fìli Dìs, Ori e Bofur nel salvataggio di Thorin, e tutti approvarono. Nori roteò gli occhi e lanciò un’occhiata a Dwalin come per dirgli, ‘Vedi con cosa ho a che fare?’; Dwalin emise uno sbuffo divertito.
Dopo aver spogliato delle armi i cadaveri delle guardie, s’incamminarono rapidamente attraverso il passaggio segreto, diretti all’ingresso. Seguirono il corridoio che faceva diverse svolte, tornarono nel passaggio segreto principale, attraverso la stessa porta nascosta che la Compagnia aveva trovato la prima volta, fino ad un tunnel che conduceva, come Nori disse loro, agli appartamenti reali.
“Non avevo idea dell’esistenza di questo passaggio.” Balin sembrava disapprovare profondamente la cosa.
“Mamma dice che l’ha fatto costruire il nostro bisnonno,” disse Kìli.
“Dove andiamo una volta raggiunti gli appartamenti reali?” chiese Dwalin.
Kìli si grattò il mento con aria perplessa. “Beh, sai, non ne sono del tutto certo.”
Dwalin si trovò a considerare, e non per la prima volta, se non avesse fatto meglio a diventare un venditore di spade lasciando che la stirpe di Durin si arrangiasse da sè. Alla fine decisero di cercare prima nelle camere da letto; se non avessero trovato niente lì, sarebbero passati alla Camera di Consiglio.
Anni dopo, Dwalin avrebbe ancora sudato freddo al pensiero di cosa sarebbe successo se avessero smarrito la strada per le camere da letto e avessero cercato prima nella Camera di Consiglio.

~
 
“Di che stai parlando? Certo che ti conosco.” La donna si tolse l’elmo, rivelando capelli neri striati di grigio, occhi azzurri e un volto regolare dal naso allungato. “Sono io, Dìs. Tua sorella!”
Basandosi su quanto sapeva del proprio aspetto, Thorin pensò che poteva esserci una certa somiglianza tra loro due; tuttavia, con suo grande disappunto, il vedere quella donna non gli riportò alla mente il minimo ricordo. “Mi dispiace, ma non mi ricordo di te. Non mi ricordo di niente, in realtà.”
Un altro dei nuovi arrivati, un Nano piuttosto giovane dai capelli biondi e gli occhi blu, dopo essersi tolto a sua volta l’elmo gli chiese: “Non ricordi proprio nulla?”
Thorin scosse il capo. “Solo immagini sfocate, facce, oggetti, luoghi... niente di definito. Però ricordo un bambino con i capelli biondi. Si tratta di te?”
“Sì, esatto. Io sono Fìli, il figlio di tua sorella.” Il giovane parve esitare, poi si fece avanti. Thorin si irrigidì al pensiero che quello sconosciuto, per quanto suo parente, volesse abbracciarlo; invece, l’altro si limitò a porgli una mano sulla spalla e a dargli una strizzatina, rivolgendogli al contempo un sorriso luminoso. “È un gran sollievo averti ritrovato, zio Thorin.”
Lui tossicchiò, imbarazzato. “Ah. Grazie.”
“Thorin...” La donna, Dìs, stese una mano verso di lui, ma poi la lasciò ricadere; aveva ancora un’aria profondamente turbata.
Vennero rapidamente raggiunti da altri due Nani in abiti civili e, per quanto a Thorin paresse incredibile, da due Elfi. Tutti lo fissavano e Thorin cominciava a sentirsi francamente a disagio: non sapeva come comportarsi con quegli estranei che dicevano di essere suoi amici e familiari (anche se non capiva come questi termini potessero applicarsi a due Elfi), la testa gli girava per tutti quei nomi nuovi ed era sicuro che non sarebbe mai riuscito a tenerli a mente.
La donna Nana che non aveva ancora parlato si schiarì la gola. “Odio disturbare questa riunione dopo la vostra lunga separazione, ma vi ricordo che le guardie stavano dicendo che lo avrebbero portato ad osservare qualcosa per conto di Skalgar.”
“Tofa ha ragione. Le guardie dicevano che stavano portando zio Thorin alla tribuna sopra la Camera di Consiglio. Dovremmo cogliere questa opportunità per scoprire cosa intende fare Skalgar,” disse Fìli.
Lei annuì. “Se i tre di noi vestiti con le armature fingeranno di scortare Thorin, penso che riusciremo a raggiungere la tribuna senza destare troppa attenzione.”
“Una volta che avremo avuto ragione delle guardie nella tribuna, dovremo scendere al piano terra,” disse Fìli.
“Ricordo di aver osservato il Consiglio da lì. La balconata deve essere ad almeno otto metri di altezza dal pavimento sottostante,” fece notare Dìs.
L’Elfo biondo tirò fuori una corda sottile da una tasca della sua cintura. “Potrete usare questa per calarvi giù.”
“Sei certo che reggerà?” Fìli pareva dubbioso.
“Ti assicuro che non si spezzerà. È fatta con tela di ragno, più resistente del più puro acciaio.”
Uno dei Nani, il cui nome Thorin aveva già dimenticato, si grattò la testa al di sotto dello strano cappello provvisto di orecchie che indossava e disse: “E mentre voi sarete sulla tribuna a far finta di essere guardie, noialtri che faremo?”
“Bofur, Ori, Legolas ed Elladan, ho bisogno che voi siate pronti ad irrompere nella Camera di Consiglio dopo che noi avremo fatto la nostra mossa. Ori, sai come aprire le porte?” Uno dei Nani più giovani annuì. Quindi Fìli rivolse un cenno col mento agli Elfi dicendo: “So quant’è buono il vostro udito, perciò state all’erta per ogni minimo rumore che provenga dall’interno e poi correte alle porte.”
I due Elfi assentirono.
“E poi cosa facciamo?” chiese Dìs.
“E poi... ci regoleremo in base alla situazione,” rispose Fìli. “Abbiamo dalla nostra l’elemento sorpresa e abbiamo ottime probabilità di riuscire ad acciuffare Dàin o Skalgar. Muoviamoci. Mamma, vai avanti tu: le guardie potrebbero riconoscere me o Tofa se ci vengono troppo vicino. Bilbo, tu vieni con noi.”
Thorin non sapeva quale di loro fosse Bilbo, ma non ci fu il tempo di chiederlo poichè ripresero a trascinarlo lungo il corridoio, mentre il resto del gruppo restava a nascondere i corpi delle guardie.
Non aveva molta fiducia nella riuscita di quel piano, ma in fondo che altra scelta aveva? Aveva creduto di essere solo al mondo e adesso saltava fuori che aveva non soltanto una sorella, ma persino un nipote. Di quali altri familiari non ricordava l’esistenza? Nonni? Genitori? Figli suoi? Moriva dalla voglia di sapere tutto, ma allo stesso tempo aveva paura di fare domande. Non che ce ne fosse il tempo, in ogni caso.
“Bilbo, una volta arrivati, dovresti legare le corde alla ringhiera della balconata,” disse piano Fìli. “Continua a restare invisibile e non credo che le guardie si accorgeranno di nulla.”
“Beh, spero davvero che tu abbia ragione.”
La risposta era sembrata giungere dal nulla, da qualche parte alla sua destra. Thorin guardò, ma non vide nessuno. “Uno di voi è invisibile?” Anche con la sua poca memoria, aveva la sensazione che si trattasse di un fatto fuori dal comune.
“Proprio così. Quando questa storia sarà finita, dovrai conoscere il nostro scassinatore. Sono proprio curioso di sentire cosa ne pensi.”
Thorin ebbe la sensazione che le parole di Fìli avessero un qualche significato recondito, ma non c’era tempo di indagare: svoltarono l’angolo e videro due guardie davanti a una porta dall’aspetto anonimo.
“Eccovi qua. Skalgar vuole che il prigioniero sia imbavagliato,” disse uno dei due. “E tenetelo ben stretto anche quando sarete là fuori. Non vogliamo che inizi a creare scompiglio e rovini l’annuncio.”
Un’aura di minaccia accompagnò quelle parole. Thorin avvertì un improvviso sollievo al pensiero che il gruppo di Fìli lo aveva trovato prima di quel fantomatico ‘annuncio’. Cercò di mostrarsi debole e inerme mentre gli altri lo imbavagliavano con rapidità ed efficienza.
La tribuna consisteva in un’ampia balconata che correva lungo tre lati della stanza, e che Thorin stimò essere larga nove metri e lunga diciotto. Il lato più corto, da cui erano entrati, era schermato da un muro di pietre traforate in luogo di una ringhiera, così che chiunque stesse al di sotto non poteva vedere chi c’era lassù. Gli altri due lati avevano ringhiere normali. All’estremità del lato più corto stava una guardia, che fece loro cenno di restare al di là della parete traforata.
Attraverso i fori del muro, Thorin potè vedere che la Camera di Consiglio si trovava a una decina di metri al di sotto del livello della tribuna. Al centro della stanza stava un enorme tavolo di legno rettangolare, con una piattaforma a una estremità di modo che il Re avrebbe potuto, stando seduto, ergersi più in alto degli altri. Una rumorosa riunione era già in corso quando entrarono. A quel che Thorin potè capire, stavano discutendo di un’imposta sui beni commerciali, ma c’erano anche velati riferimenti ad una ‘eccessiva influenza’ che una certa persona sembrava avere, e della quale i membri del Consiglio sembravano riluttanti a parlare direttamente.
“Vai, Bilbo,” sussurrò Fìli. “È la tua occasione, ora che le guardie non sono del tutto all’erta.”
“Giusto,” rispose la voce senza corpo, altrettanto piano. “Allora vado.”
“Ancora nessun segno di Dàin o di Skalgar.”
“Probabilmente aspettano di poter fare un’entrata a effetto,” fece Dìs. “È quel che usava fare anche il tuo bisnonno. Lasciamo che continuino a discutere tra loro e scivoliamo nella stanza mentre sono distratti dalle rimostranze contro di voi.”
Come Dìs aveva predetto, dopo alcuni minuti un Nano che indossava una grande corona nera e dorata sui capelli rossicci fece il suo ingresso nella stanza, seguito da un altro Nano di aspetto più anonimo – le trecce nella sua barba bianca indicavano che si trattava di un guaritore – e da una dozzina di guardie. I membri del Consiglio continuarono a discutere anche dopo che il Re si fu seduto sul trono; dopo aver osservato la scena per qualche istante, egli calò un pugno sul bracciolo con fragore clamoroso.
Il brusio nella stanza cessò di colpo. Dàin rivolse ai membri un sorriso gelido. “Allora, se avete finito di blaterare come minatori in una cava, ho un lieto annuncio da fare prima di addentrarci nel Consiglio vero e proprio. Come voi tutti sapete, il nostro fedele amico Skalgar ha servito come Guaritore Reale per parecchi anni; il bastardo, anzi, ha tanta umiltà da essersi praticamente logorato per il bene del nostro regno senza mai ottenere uno straccio di riconoscimento!”
Dàin fece una pausa fino a che alcuni membri si lasciarono sfuggire una poco convincente risatina.
“Ebbene, dopo molte insistenze, sono finalmente riuscito a convincerlo ad accettare gli onori che tanto merita. Skalgar, il nostro fedele guaritore, sarà d’ora in poi il nostro Ciambellano Reale nonchè Custode delle Volte.”
A queste parole scoppiò un altro trambusto, ma nessuno sembrava poter contrastare direttamente il decreto del Re. Dàin sorrise affabilmente e ordinò un brindisi per celebrare la nomina del nuovo Ciambellano.
Mentre alcuni servitori cominciavano a girare per la stanza e a versare del vino rosso nelle coppe, Fìli emise un soffocato verso di allarme. “Skalgar deve aver versato la sua malefica pozione nel vino,” sibilò. “Non possiamo lasciare che i membri del Consiglio lo bevano!”
 

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