Quanto vorrei non fossi mai esistito

di Mikhael98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno di lavoro ***
Capitolo 2: *** Ragazzi pericolosi ***



Capitolo 1
*** Primo giorno di lavoro ***


È risaputo che il primo giorno di lavoro è necessario dare una buona impressione di sé: bisogna arrivare in tempo, vestirsi in modo decoroso, comportarsi adeguatamente, mostrarsi delle persone responsabili e mature… Ecco però che, se già non si soddisfaceva il primo requisito, quelli seguenti non sarebbero importati molto, no? Per questo Charlotte era nei guai.
Si era assicurata di non tardare ed era stata abbastanza sicura di riuscirci, essendo il suo turno di pomeriggio, ma evidentemente non era bastato. Come al solito, con la consapevolezza di avere più tempo a disposizione, se l’era presa comoda- troppo comoda- e si era ritrovata a fare tutto di fretta negli ultimi minuti rimanenti. Perciò alle 13.39 si stava lavando i denti, alle 13:43 si stava vestendo e alle 13:50 usciva di casa per arrivare al luogo di lavoro alle 14:00. Provò a prendere la bicicletta, nella speranza di accorciare i tempi, ma la trovò incastrata dietro la macchina dei suoi adorati genitori, e tirarla fuori le sarebbero costati altri cinque preziosi minuti, che però aveva già sprecato scendendo nel garage. A questo punto non le rimaneva che correre.
Uscì finalmente fuori, dove ad accoglierla c’era un bel sole caldo di cui avrebbe volentieri fatto a meno, e corse. La borsa a tracolla ballonzolava contro il suo fianco, sentiva già le goccioline di sudore bagnarle il viso e i capelli spettinati- che non aveva avuto il tempo di pettinare- mentre le persone sul marciapiede la guardavano, scostandosi quando passava. Charlotte cercava di ignorare l’imbarazzo dell’avere tutti quegli occhi puntati addosso, la sua missione era arrivare puntuale al suo primo giorno del suo primo lavoro.
Nella testa le risuonavano già le parole dei suoi genitori: “Sei una ragazza viziata”, “Ce l’aspettavamo”, “Non imparerai mai”, “”Quando ti prenderai le tue responsabilità?”… Si concentrò su quelle, usandole come carburante per correre ancora più veloce, determinata a non deludere nessuno, soprattutto se stessa.
Estrasse il cellulare dalla tasca, guardando l’ora. Le 13:59. Spostò lo sguardo davanti a sé, notando con piacere che la caffetteria era proprio di fronte a lei, dall’altro lato della strada. Poteva farcela. Sarebbe arrivata sudata marcia, con un’aria impresentabile, il fiatone, ma puntuale. Accelerò ancora, catapultandosi quasi in mezzo alla strada. Il suo obiettivo era sempre più vicino, i suoi occhi si stavano colmando delle tende bianche a righe azzurre, il ficus benjamin posto all’entrata… Era tutto così maledettamente vicino... ! Non badò neanche alla macchina che frenava di colpo per non investirla né alle imprecazioni del conducente. In quel momento c’erano solo  lei e la caffetteria.
Aprì la porta di scatto, tanto che la maggior parte dei clienti si voltò, e oltrepassò la soglia, dirigendosi a passo svelto verso il bancone, dove un uomo di mezz’età la attendeva, guardandola con due assottigliati occhi azzurri e vivaci. Il proprietario le sorrise, salutandola gentilmente.
L’orologio appeso alla parete del locale dava le due in punto. Ce l’aveva fatta.
-Puntualissima.- La elogiò il suo capo. Charlotte non riuscì ad evitare di fare una smorfia imbarazzata, sapendo di non meritare minimamente quel complimento. –Seguimi, ti mostro dove cambiarti.- La invitò lui, sparendo oltre una porta. La ragazza lo seguì, badando a nascondere il tremore delle gambe, dovuto al fatto di essere una scansa fatiche non abituata agli sforzi fisici. Il proprietario la condusse in una stanza non molto grande, dove su una panchinetta stava appoggiata la sua divisa da cameriera, poi si congedò, lasciandola sola a cambiarsi. Appena uscito l’uomo, Charlotte sospirò, accasciandosi sulla panca. Il suo petto si alzava e abbassava velocemente, i suoi polmoni cercavano l’aria come se avesse appena rischiato di affogare, ma un sorriso faceva capolino sulle sue labbra. Al diavolo i suoi genitori: era arrivata puntuale.
E non le importava se il suo aspetto poteva essere quello di una persona sopravvissuta a un cataclisma, nel giro di poco si sarebbe sistemata.
Iniziò a spogliarsi, utilizzando i suoi abiti umidicci per asciugarsi il sudore, grata di dover indossare una divisa pulita e fresca; abbottonò la camicia a righe sottili, tirò su la gonna nera e allacciò il grembiulino rosso. Solo una volta vestita prese coraggio e si guardò allo specchio. Come si aspettava, i capelli corti erano una zazzera scompigliata in cui i ciuffi lisci andavano ovunque volessero, ognuno dalla parte opposta all’altro, quasi si stessero antipatici. Cercò di riaggiustarli con le mani, abbassando giusto i più ribelli. Alla fine si guardò soddisfatta, convinta di essere presentabile.
Fuori il proprietario la attendeva per darle le indicazioni. Le spiegò come usare la cassa, come comportarsi, come fare un buon caffè, anche se a quello poi ci avrebbe pensato la sua collega, che sfortunatamente quel giorno era assente. Charlotte imparò piuttosto in fretta, tutta presa da quella nuova esperienza e ancora eccitata per il fatto di avercela fatta, pronta a rinfacciare ai suoi genitori quanto si sbagliassero sul suo conto.
Era gentile con i clienti, sorrideva sempre, non rompeva niente, e i sorrisi che le rivolgeva il capo erano rassicuranti, perciò sentiva che quella giornata sarebbe passata liscia come l’olio. L’aroma del caffè la rilassava, donandole quel giusto tepore che la faceva sentire a casa, ricordandole quando da piccola voleva a tutti i costi aiutare sua nonna a prepararlo. A dire la verità, non le era mai piaciuto berlo, ma il suo profumo la estasiava sempre, catturandola. Forse, in fondo, era ancora una bambina.
Quell’estate avrebbe compiuto diciotto anni, come spesso le ricordavano i suoi parenti e amici, e ciò non la rassicurava. Più si avvicinava all’età delle responsabilità più sentiva una stretta allo stomaco; per questo aveva accettato di iniziare un lavoretto estivo. Charlotte era perfettamente cosciente del fatto di essere una ragazza viziata e irresponsabile quando si trattava di certe cose, ancora troppo chiusa nel suo mondo, decisamente non pronta a entrare in quello degli adulti, anzi, a volte pareva l’unica ad accorgersene. Per quanto sua madre e suo padre le rinfacciassero di vivere su un altro pianeta erano pienamente convinti che, come tutti gli altri, prima o poi si sarebbe svegliata, ma la verità era che lei non riusciva a trovare le forze per farlo. Insomma, il suo mondo era così bello, anche se stava cominciando a farsi troppo piccolo… Aveva pensato di cogliere l’occasione di quel lavoro per svegliarsi finalmente da quel sonno perenne che la prendeva, anche letteralmente, anche perché la attendeva l’università e lei non si sentiva per niente pronta ad affrontare quella nuova realtà in cui l’avrebbero trattata come un’adulta.
Sospirò, asciugando un bicchiere, mentre la porta del locale si apriva. Un ragazzo entrò con un sorrisetto in volto, andando a sedersi al bancone. Immediatamente tutti gli individui femminili del luogo si voltarono a guardarlo; c’era chi sbirciava, chi bisbigliava quanto fosse carino, chi ridacchiava prendendo in giro l’amica fulminata… Charlotte osservò divertita le reazioni delle sue clienti- il solo pensiero che fossero sue clienti la faceva sentire in paradiso- mentre posava con cura il bicchiere appena asciugato. Il proprietario le fece cenno col capo di occuparsi del ragazzo, probabilmente ritenendo di farle un favore, senza sapere di star solo mettendo in difficoltà la cameriera, la quale smarrì l’espressione divertita e prese a fissare il ragazzo seduto al bancone.  Aveva i capelli biondi legati in un codino e indossava una camicia bianca i cui primi bottoni erano sbottonati, scoprendo lembi di pelle rosea. Gli occhi erano di un blu profondo, dalle tonalità violastre, e il volto aveva lineamenti quasi infantili, molto delicati. A giudicare dal sorrisetto stampato in volto, era pienamente cosciente dell’effetto che suscitava nelle donne, ne pareva quasi divertito. A Charlotte intanto era bastata un’occhiata per provare un’immensa antipatia nei confronti di quello spaccone dall’aria calma e compiaciuta, però sfoggiò uno dei suoi sorrisi migliori quando gli si avvicinò da dietro il bancone. –Buongiorno.- Lo accolse con tutta la gentilezza che aveva in corpo, senza esagerare per paura di sembrare falsa. Lui posò il suo sguardo su di lei quasi pigramente. –Buon pomeriggio.- Rispose, tenendo una guancia poggiata al palmo di una mano, sorridendole. –Desidera?- Domandò, sentendosi quasi a disagio per quella precisazione fatta dal cliente, il quale parve quasi fiutarlo, allargando il sorriso. –Un frappé alla fragola.- Charlotte si allontanò con un allegro: -Glielo porto subito!- Per poi fuggire a preparare ciò che aveva ordinato il ragazzo. Non si sentiva intimidita, quella presenza era semplicemente sgradevole, quasi come una fabbrica fatiscente in mezzo a un bellissimo campo di papaveri. Scosse la testa, dicendosi di essere troppo dura con una persona che neanche conosceva, per poi tornare dal cliente a portargli il suo frappé. Il biondo le rivolse un sorriso quasi felino, ringraziandola con voce vellutata, per poi bere tranquillo succhiando dalla cannuccia.
La cameriera intanto ne approfittò per guardare oltre le vetrate del locale, stando appoggiata al bancone con il mento fra i palmi delle mani. Il cielo si stava pian piano tingendo di rosso, segno che la sua giornata lavorativa stava già giungendo a termine. Si sorprese a pensare che avrebbe voluto fosse durata di più, forse aveva bisogno di fare più esperienza, ma era anche vero che bisognava avanzare a piccoli passi, andare di fretta non l’avrebbe di certo aiutata come quel pomeriggio. Sospirò, osservando le nuvole all’orizzonte; guardare il cielo la rilassava, era un suo vizio.
-Bello, vero?- Chiese una voce che non si aspettava di sentire. Posò lo sguardo sul biondo, che la stava guardando con un sorriso molto più gentile rispetto a quelli di prima. –Il cielo al tramonto è molto bello.- Specificò lui, notando la sua perplessità. –Ah, sì.- Tagliò corto lei, tornando a rivolgere l’attenzione proprio all’oggetto della loro conversazione, quasi distrattamente. –Il sole diventa un cerchio arancione, tingendo di rosso e viola il cielo, mentre le nuvole si colorano di rosa… Diventa tutto più caldo al crepuscolo.- Continuò lui. Charlotte lo guardò con la coda dell’occhio, ma  pareva assorto nella contemplazione del tramonto come lei. –A me piace in ogni momento della giornata.- Disse piano, tornando anche lei a colmare gli occhi di quei colori caldi. –Ah, è indubbiamente sempre bello, ma sono particolarmente legato al tramonto.- Il sorriso del ragazzo si allargò, come fosse perso in un ricordo molto bello. –Mi piace vederlo quando il sole affonda nel mare, sembra che il suo riflesso sull’acqua tracci un sentiero…- Anche la ragazza stava ormai andando al largo, trasportata da una corrente di pensieri, dimenticandosi del lavoro. -È vero…- Commentò il cliente, meravigliato da quell’osservazione. Stavolta sfuggì un sorriso, sincero, anche a lei.
-Charlotte, il tuo turno è finito, puoi andare.- La richiamò una voce gentile. Ancora una volta, Charlotte dovette cascare giù dal suo mondo. –Ah, sì, la ringrazio.- Sbottò intontita, tirandosi su.
Il ragazzo la stava guardando. –Be’, ci si vede.- La salutò sorridendo, poggiando una banconota sul bancone. –Tieni il resto, è una mancia.- Aggiunse facendole l’occhiolino, per poi uscire dal locale.
Rimase un attimo imbambolata, poi prese i soldi e andò svelta a cambiarsi, rammentandosi di non dover giudicare una persona dopo averla appena vista.
I suoi vestiti si erano asciugati, fortunatamente, anche se aveva bisogno di una doccia urgente e loro di una bella lavata; quindi si incamminò, stavolta con calma. Salutò il proprietario e uscì, godendosi la brezza estiva di quella sera. Camminare era molto meglio che correre, poteva stare ad osservare con attenzione ciò che la circondava, perdersi a guardare il cielo senza rischiare troppo di andare a sbattere contro qualcosa o qualcuno, prendersi tutto il suo tempo e non affaticarsi, nonostante il suo passo fosse piuttosto veloce. Il suo sguardo vagava tra le persone che incontrava: bambini, giovani coppie, adulti che rientravano dal lavoro… Le piaceva osservarli, chiedersi chi li aspettava a casa, esaminare le loro personalità, cercando di inquadrare chi si ritrovava di fronte. Ad esempio, su una panchina c’era una bambina dai lunghi capelli castani, di cui probabilmente andava fiera, visto come se li accarezzava maniacalmente, con indosso un delizioso vestitino giallo canarino; dondolava le gambine, in attesa di qualcuno. In un attimo nella mente di Charlotte prese forma l’idea di una bambina piuttosto vanitosa, trattata come una principessina. Ma, se le si esaminavano gli occhioni color nocciola, dietro quella vanità si poteva scorgere della malinconia. Chissà da quanto tempo era lì, ad aspettare i suoi genitori, ostentando spensieratezza, mentre nella sua testa si chiedeva quando sarebbero tornati. Si sentiva così sola…
Charlotte la superò, sentendosi un peso al petto, domandandosi quando sarebbero mai tornati i genitori di quella bambina, probabilmente l’uomo e la donna in abito elegante che scorgeva dietro al vetro di un ristorante di lusso, sui quali gli occhi della bimba erano ormai fissi da tempo. Scosse la testa, mettendosi gli auricolari alle orecchie, nella speranza che quel peso svanisse, ma le canzoni rockettare della sua playlist non aiutavano molto. Perciò entrò in casa con ancora quel pensiero a tormentarla. Tolse le scarpe da tennis, lasciandole accanto alla porta, e salutò, annunciando il suo arrivo. Si tolse gli auricolari e sentì un: -Ciao!- urlato dall’altra stanza. Si incamminò nel corridoio fino alla cucina. Sua madre era impegnata a occuparsi di più pentole ai fornelli, riuscendo contemporaneamente a lamentarsi con suo padre delle colleghe di lavoro.
-Ciao…- Ripetè piano la ragazza, una volta entrata. –Ah, Charlie, apparecchieresti la tavola per favore?- Chiese prontamente sua madre, guardandola da dietro una spalla. –Certo.- Rispose tranquilla la figlia, già in procinto di prendere la tovaglia. –Com’è andata il primo giorno?- Domandò suo padre, sfoderando un sorrisetto. Charlotte sfoderò un sorriso degno di quello del padre, quasi un ghigno. – Molto bene, mi ha anche fatto i complimenti per la puntualità.-
-Brava!- Esclamò contenta sua madre, facendole degustare quei complimenti. –Brava.- Ripetè il padre, con calma. La ragazza assunse un’aria soddisfatta e strafottente, per poi iniziare a raccontare per filo e per segno la sua giornata, costretta dalla donna, che non avrebbe cucinato se non avesse saputo ogni dettaglio di quell’esperienza. Come la figlia parlò del ragazzo biondo entrato nel locale, la madre si fermò, voltandosi a guardarla con i suoi grandi occhi verde salvia, ascoltando con perizia ogni singola parola. -… Un biondo, eh?- Commentò infine, sorridendo. –Uno che se la tirava.- Tagliò corto la ragazza. –Però ti ha parlato. –Sì, mamma.- I due genitori si scambiarono un’occhiata. –Chiedigli il numero, no?!- Sbottò sua madre, presa dall’euforia che la figlia finalmente avesse parlato con un ragazzo dopo tempo. Charlotte roteò gli occhi. –Certo, mamma, vado da un perfetto sconosciuto e gli chiedo il numero. E poi, no. È biondo.- A quel punto furono l’uomo e la donna a roteare gli occhi. Per sfortuna della ragazza, in cucina fece la sua apparizione il fratello. –Ho sentito parlare di biondi.- Disse un biondino sedicenne, con il sorriso in volto. –Non parlavamo di te.- Ribattè la sorella, mettendo i bicchieri sul tavolo. –Tua sorella ha incontrato un ragazzo, e chi ha anche parlato!- Spiegò entusiasta la donna, facendo sgranare gli occhi al ragazzo. –Cosa? Charlotte? Ma dici sul serio?!- Charlotte sospirò. –Non l’ha fulminato con lo sguardo?- Domandò ancora il biondino, guadagnandosi un’occhiata omicida da parte della sorella. –Non potevo, era un cliente. –E sei riuscita a non spaventare i clienti?- Fece sorpreso il fratello. A quel punto, Charlotte mollò tutto. –Ora basta, discorso chiuso.- Sentenziò autoritaria, zittendo tutti. Alzò il mento, altera, e se ne andò in camera sua.
Un coniglietto bianco stava dormicchiando sul letto dalle coperte lilla sul quale la ragazza si lasciò cadere, esausta. Prese l’animaletto e se lo portò al petto, svegliandolo. Lo abbracciò e chiuse gli occhi, godendosi il silenzio della solitudine. Dopo poco, il coniglietto si riaddormentò, cullato dal tepore emanato dal petto della padroncina, la quale invece riaprì gli occhi, fissando il soffitto. Improvvisamente le parole del ragazzo le erano tornate in mente, così come tutto il loro breve dialogo. Fece un respiro profondo, per poi rialzarsi e lasciare in pace il suo animaletto una volta per tutte. Aveva bisogno di una doccia.

ANGOLO AUTRICE

Bene, ora mi sento soddisfatta. Questa storia la sto scrivendo per svago, perciò ho pensato di metterla qui. Dunque, vi averto che non sarà come vi aspettate, o almeno, lo spero! Ho puntato molto sull'originalità, per quanto l'inizio possa sembrare quello della classica storia dove lui è maledettamente figo e demoniaco (?) e lei la sfigatella di turno che incappa in qualcosa di più grande di lei. No, non sarà così, e avverto che molte cose non le ho ancora decise!
Comunque sia, spero vi sia piaciuto come primo capitolo, che mi è servito più che altro per presentarvi la protagonista, e vi avverto ancora che le cose non sono come sembrano!
Allora, alla prossima miei cari ;)

 

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Capitolo 2
*** Ragazzi pericolosi ***


Charlotte fu svegliata da qualcosa di leggermente umido che le sfiorava la guancia; aprì piano gli occhi, sbattendo un paio di volte le palpebre. Il sole la accecava, per cui ci volle un po’ prima che mettesse a fuoco il musetto candido del coniglio albino che le stava annusando il volto. Sospirò, accarezzandogli la testolina morbida, per poi spostarlo da sopra sé e posarlo accanto, sul cuscino. Il coniglietto stette lì a guardarla, con i suoi occhi rosa. –Lo so, lo so, è tardi.- Brontolò lei, ricambiando lo sguardo. Si tirò su a fatica, ancora insonnolita, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando. Aveva dormito dodici ore eppure non ne aveva ancora abbastanza, come sempre; meno male che era estate e poteva dormire quanto voleva. Infatti, l’orologio dava le 12:30, quasi l’una, e stranamente nessuno era venuto a disturbarla, a parte il coniglio, ma lui poteva.
Allungò per bene gli arti, stiracchiandosi, come se avesse potuto servirle a svegliarla un po’ di più. La finestra accanto al letto faceva entrare tutta la luce, senza risparmiarle neanche un raggio, illuminando appieno la stanza semplice, dalle pareti azzurro pallido, sulle quali era appeso giusto qualche disegno a china. Fissò per un po’ il muro di fronte a sé, dove il volto effeminato di un angelo pareva osservarla, costretto in quella cornice; poi tornò a guardare il coniglio, il quale la stava ancora fissando. –Sì, lo so, devo alzarmi…- Biascicò stancamente, leggendo quasi del rimprovero negli occhietti dell’animale. –È tardi, è tardi ormai!- Canticchiò, mettendosi finalmente in piedi. La testa le vorticò, per un attimo vide tutto a pois, infine si destò completamente, uscendo dalla camera e camminando a passi pesanti verso la cucina. La casa era deserta, allora si ricordò che quel giorno i suoi genitori lavoravano e suo fratello… Suo fratello non aveva idea di dove fosse, probabilmente era uscito.
Frugò nella credenza, poi nel frigo, notando con rammarico che non c’era nulla di decente da mangiare. Possibile che in quella casa i dolci non esistessero? Era immersa in quel piacevole freddo, quando suonarono al campanello. Si bloccò. Chi stava aspettando quella mattina? Cominciò a mettere sotto sopra la sua mente, rimuginando, ma proprio non ricordava. Quindi si diresse titubante verso il citofono, chiedendo di chi si trattasse. Le rispose cordiale la voce allegra della sua migliore amica, quindi aprì. Possibile che si fosse dimenticata del fatto che dovessero vedersi?
Si affacciò sull’uscio, stando appoggiata allo stipite della porta, mentre osservava la sua amica salire le scale del palazzo. Nel giro di poco, una bella ragazza la salutava con un sorriso splendente, portando con sé una busta il cui contenuto era evidentemente del cibo. Entrò, chiedendo cordialmente il permesso. –Alyssa…- La salutò Charlotte, ancora intontita, chiudendo la porta. –Spero tu non abbia ancora fatto colazione.- Le disse l’amica, sventolando la busta, con quel sorriso smagliante. Scosse la testa, sbadigliando. –Dovevamo vederci… ?- Domandò stranita, mentre si incamminava in cucina. –No!- Rispose allegra Alyssa. –… Ah.- Fu tutto ciò che riuscì a commentare; d’altronde, non erano mai stati il suo forte i rapporti umani, ma la sua amica la conosceva da tanto tempo, ci era abituata. –Ti ho preso la brioche che ti piace tanto: croissant ai cereali con ripieno al lampone.- Annunciò dolce, posando il cibo sul tavolo. Bastò questo per far scattare una scintilla negli occhi della ragazza addormentata. –Grazie… !- Esclamò, senza trattenere un sorriso ebete, ammirando la sua agognata colazione. –Siediti, ti va di bere qualcosa?- Si decise infine ad invitare l’ospite, ripresa la vitalità. –Berrò il succo che tirerai fuori per te.- Rispose tranquilla quella, mentre l’altra già iniziava a prendere i bicchieri e la bibita. Fatto questo, si sedette di fronte all’amica, guardandola.
Alyssa era molto bella, numerosi ragazzi le si erano già dichiarati, altri invece nutrivano sentimenti nei suoi confronti in segreto. Forse erano i lunghi e morbidi capelli color caramello, che le arrivavano fino ai fianchi, o forse i suoi splendenti occhi beige, così luminosi. Aveva un volto dalla forma dolce, le labbra carnose e la pelle rosea e perfetta, liscia, come fosse fatta di porcellana. I più superficiali forse notavano il fisico atletico, la sua statura alta e le curve femminili. Ma la vera bellezza era quella che custodiva dentro. Riusciva ad essere sempre gentili con tutti, e al contempo a farsi valere, anche se talvolta era un po’ ingenua, addirittura tonta. Era una persona splendida, insomma, poteva essere considerata perfetta. Charlotte non aveva idea di come una ragazza tanto magnifica avesse potuto avvicinarsi a lei, non aveva mai fatto nulla per meritarsela, e invece eccola lì: a portarle la colazione di mattina.
-Com’è andato il primo giorno di lavoro?- Le domandò premurosa Alyssa, guardandola mangiare contenta. Charlie dovette interrompersi nel bel mezzo di un morso, scostando il pezzo di brioche dalla bocca. –Bene, mi è piaciuto molto.- “Il ragazzo o il lavoro?” Fece eco una vocina irritante nella sua testa, che venne zittita subito. –Meno male.- Commentò l’altra, sorridendo. –Già… Il capo mi pareva simpatico, poi mi piace preparare il caffè!- Disse allegra, con tono infantile, nuovamente persa nei ricordi. –Te la sei cavata bene con i clienti?- Per quanto Alyssa fosse sua amica, non poteva non lasciarsi sfuggire quel dubbio, ma proprio perché conosceva bene Charlotte. –Sì… Cioè… Sono stata persino gentile con un biondo…- Mugugnò la cameriera, vagando con lo sguardo per la stanza, in cui rimbombò l’eco del sospiro dell’interlocutrice. –Charlie, devo ricordarti che sei bionda anche tu… ?- Charlotte alzò il mento. –Guarda che era davvero odioso.- Ignorò l’osservazione della sua ospite, la quale scosse la testa. –Tra l’altro, hai i capelli tutti scompigliati…- Commentò quella, facendo un sorriso divertito. –Lo so, non li ho ancora pettinati.- Borbottò l’altra, sistemandosi le ciocche corte e ribelli. –Ho avuto una strana conversazione…- Mormorò poi, quasi si vergognasse a parlarne. Alyssa la guardò, attenta. –Con chi? –Il biondo.- Disse, appoggiando il volto alla mano. –Non sapevo avessi parlato con un ragazzo!- Fece sorpresa l’amica, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della cameriera. –E di cosa avete parlato?- La incitò ancora, ignorando lo sguardo omicida. Charlotte scosse a testa. -… Del tramonto, e poi del cielo…- Rispose infine. –Ma che romantico!- Esclamò Alyssa. –Non è strano?- Chiese invece la bionda, voltando il capo a guardare con aria interrogativa la castana. –Insomma, uno sconosciuto dal nulla si mette a parlare di cose… Di cui gli altri di solito non parlano, qualcosa che ti appassiona.-  Mormorò piano, ancora immersa in quella conversazione. Alyssa ridacchiò. –Non ti sarai mica innamorata?- Scherzò. Ci fu un’altra occhiata fulminante da parte della cameriera. –Ti stai facendo troppi problemi, non preoccuparti, l’importante è che sia stato piacevole, no?- Disse divertita l’amica. –Certo, ma…- -Lo sai che c’è un mucchio di gente strana… è normale.- Sentenziò alzandosi, sorridendole. –Te ne vai già?- Chiese Charlotte, dispiaciuta. –Devi prepararti signorina, hai un aspetto spaventoso, non vorrai andare dal biondo conciata così?- La rimbeccò Alyssa, allegra. Charlie sfoderò l’espressione più minacciosa che avesse, facendo ridere la migliore amica. –Su, lo sai che scherzo, Fallo almeno per gli altri clienti!- Scherzò ancora, guardandola con i suoi occhi dolci. Sospirò. –Va bene…Lo farò… !- Ribattè, già scocciata.  Alyssa sorrise, quasi maliziosa. –Ah, e  ti conviene muoverti, non vorrai tardare a lavoro?-  Charlotte rabbrividì a quella frase. No, aveva rischiato il giorno prima, non avrebbe fatto altrettanto quel pomeriggio.
 
Stavolta non aveva dovuto correre per arrivare in tempo, si era goduta la sua passeggiata, seppur sotto il sole cocente, ascoltando i Black Veil Brides, giusto per darsi un po’ di carica. Le piaceva camminare andando a tempo con la musica e, se fosse stata da sola, si sarebbe data a un leggero canto, con la tentazione di dilettarsi in un’imitazione magistrale nel suonare la chitarra elettrica, ma questo era già troppo. Invece, camminò come una persona normale, limitandosi a seguire il ritmo con le dita delle mani, come se stesse suonando un pianoforte. Arrivò alla caffetteria fresca come una rosa, salutando allegra il suo capo. Si cambiò in un attimo e fu subito dietro al bancone, pronta a servire i suoi clienti. La sua collega a quanto pareva non sarebbe ancora tornata, era ancora malata a quanto detto dal suo capo, e continuava a chiedersi che tipo di persona sarebbe stata. Magari una persona di modo? Una ragazza di quelle fissate con i vestiti? Oppure una maschiaccio? E se fosse stata un’emo? Se la immaginava già tutta vestita di nero, pallida, con dei piercing magari… Avrebbe potuto essere una persona interessante e, sotto sotto, sperò che lo fosse.
Quel pomeriggio il locale era molto tranquillo, l’atmosfera la rilassava particolarmente, assieme all’aroma del caffè, quindi passò liscio come l’olio. Il capo la aiutava in ciò che era inesperta, essendo solo il suo secondo giorno, i clienti erano quasi tutti gentili, l’aria che si respirava serena. Molte persone andavano lì per leggere il giornale, altri per immergersi nella lettura di un libro, c’era addirittura chi scriveva. Per un attimo si perse in un sogno ad occhi aperti nel quale c’era lei seduta a uno di quei tavoli, intenta a scrivere un articolo per il giornale più popolare della città. Ah, si gustava già la soddisfazione di vedere il titolo del proprio articolo in prima pagina, con il suo nome scritto piccolo piccolo là sotto. Oppure, poteva assaporare, anche solo nella sua immaginazione, i sapori e i profumi di paesi lontani, i cui segreti, ingiustizie e qualsiasi altro fatto sarebbero stati messi nero su bianco da lei.
Si lasciò sfuggire un sospiro, intenta a mettere due palline di gelato alla fragola in una coppa, con della candida panna, per poi posarvi sopra una bella fragola matura. A vedere tutto quel cibo le stava venendo fame. Fortunatamente, dopo quell’ordine il suo turno sarebbe finito, e avrebbe potuto mangiarsi qualcosa mentre tornava a casa. Servì il gelato e si congedò dal suo lavoro, infilandosi i suoi pantaloncini di jeans e la t-shirt verde acqua. Prese la borsa, salutò il capo, e se ne andò.
Fuori spirava una piacevole brezza, che si intrufolava piacevolmente sotto la stoffa dei vestiti, spostando le nuvole rosate nel cielo arancione, al cui orizzonte v’era una linea rossa. I raggi del sole non erano più prepotenti, ma sfioravano delicatamente la pelle, come le carezze dolci del vento. Di solito Charlotte preferiva l’inverno all’estate, ma doveva ammettere che quei momenti della giornata li apprezzava molto e, anzi, li conservava accuratamente come bei ricordi. In quel momento, si ritrovò a desiderare che le sue giornate di lavoro andassero tutte così, seppur sapesse che era una cosa impossibile, pur se avesse dovuto dipendere da lei. Esistevano anche le brutte giornate, era proprio così che si distinguevano quelle belle, no? Questo pensiero la rasserenò; era talmente rilassata da aver persino rifiutato di mettersi gli auricolari alle orecchie, perché voleva godersi quella giornata appieno, ascoltando anche i suoni. Forse, era destino, o, forse, semplice sfortuna, ma fu proprio a causa di ciò che riuscì a sentire il boato di uno sparo.
Nel giro di un attimo, tutto il suo mondo rosa e fiori e la sua pace interiore si infransero.
Charlotte si bloccò di colpo, sbigottita. Nella sua mente si era cancellato ogni pensiero, così che ora è come un foglio bianco. Cosa fare? Dove andare? Doveva scappare? Ma a chi avevano sparato? Forse la persona aveva bisogno di aiuto! Dopo lo smarrimento, prese a correre nella presunta direzione da cui aveva sentito provenire il suono. Era la cosa giusta da fare? Non ne aveva idea. Non sapeva se la sua fosse semplice curiosità o un vero istinto eroico, ma se qualcuno aveva sparato a qualcun altro bisognava subito accorrere.
Procedette tra i meandri della città fino a quando non sentì delle voci provenire da dietro un angolo, allora si appiattì contro il muro di un edificio abbandonato, ascoltando attentamente.
−È  un vero peccato tu sia stato così violento, Asmodeus.- Sentì mormorare da una voce suadente. –Come ti permetti di darmi del tu e chiamarmi addirittura con il mio nome, feccia?!- Sputò una voce più grossolana, che Charlotte si immaginò appartenente a un uomo nerboruto. –Sai, di solito preferisco evitare di usare la violenza, sono un gentiluomo; inoltre, mi hai fatto sprecare una pallottola… Sai, queste cosette sono difficili da trovare, quelle normali non vi farebbero niente.- Continuò tranquilla l’altra. Era senz’altro la voce di un ragazzo. Un ruggito, poi dei rumori di colluttazione, infine, un altro sparo. Stavolta si sentì solo un sonoro tonfo. –Sarebbe bastato un no.- Commentò il ragazzo, calmo.
Charlotte si sentì rabbrividire, le tremavano persino le ginocchia, e dire che si era sempre reputata una persona coraggiosa. Ma cosa poteva fare? Doveva nascondersi, e alla svelta. Si guardò freneticamente attorno, alla disperata ricerca di un rifugio, ma non trovò nulla a parte dei cassonetti, che erano troppo lontani. Intanto i passi si avvicinavano. L’adrenalina stava salendo alle stelle. Il muro era troppo alto da scavalcare, i cassonetti troppo lontani, per raggiungere la macchina dall’altra parte avrebbe dovuto passare proprio davanti al vicolo da cui erano provenute le voci. Era in trappola. Forse, poteva optare di fingere di essere solo di passaggio. E così fece. Mise in fretta gli auricolari alle orecchie e si incamminò con le mani in tasca, badando a non avvicinarsi alla via. Tornò indietro, ostentando un passo calmo, per non destare sospetti. Non aveva neanche avuto il tempo di mettere la musica, che tanto non avrebbe sentito, sarebbe sicuramente stata sovrastata dal battito forte del suo cuore. Prese un profondo respiro, nel vano tentativo di calmarsi, ma ciò le fece solo venir timore di aver fatto troppo rumore.
Nella sua mente aleggiavano ancora mille domande, amalgamate dalla paura. Asmodeus? Aveva sentito bene? Che razza di nome era? Sembrava quello… Di un demone. Impossibile, non esistevano i demoni, magari era solo una persona molto eccentrica a cui piaceva farsi chiamare così. Ma le parole del ragazzo… “Quelle normali non vi farebbero niente”… Se aveva una stanza piena di disegni d’angeli era perché l’avevano sempre affascinata quelle storie, perciò aveva già sentito quel nome, ma non aveva mai creduto nella loro esistenza.
Sospirò, avendo bisogno di prendere delle profonde boccate d’aria, vista l’agitazione. Il suo istinto eroico se n’era andato amabilmente a farsi benedire, tanto per restare in tema. Tuttavia, nulla riuscì a sopprimere la sua curiosità. Perciò, mentre stava ancora camminando, nella sua fuga, voltò il capo per guardarsi indietro. E fu così che vide il ragazzo biondo della caffetteria sbucare dalla via maledetta, con l’aria più calma del mondo. Teneva le mani in tasca, indossava la stessa camicia bianca del giorno prima, e portava i capelli legati in un codino basso. Era decisamente lui. In quel momento, la guardò, con due occhi profondi che parevano quasi più viola che blu, e le sorrise. Dopo ciò, si incamminò dalla parte opposta alla sua, accendendosi una sigaretta.
Charlotte sospirò di sollievo da una parte, ma dall’altra sentì un’inquietudine pervaderla. Aspettò che il ragazzo si allontanasse, per poi sgattaiolare di soppiatto nel vicolo cieco dal quale era uscito.
Si fermò. Nessun corpo, nessuna traccia di sangue. Niente. Rimase per un po’ immobile, a fissare il nulla, poi se ne andò, camminando il più velocemente possibile. 


ANGOLO AUTRICE
Salve a tutti! Ah, in questo capitolo le cose si fanno un po' più interessanti! Lo so, l'inizio è un po' noioso, ma amo descrivere gli scorci di vita quotidiana, e poi volevo presentarvi Alyssa, che è un personaggio che adoro ^^
Dunque, spero vi sia piaciuto, avverto ancora di non saltare subito a conclusioni affrettate e che i capitoli che seguiranno più in là, più o meno a partire dal quarto, non saranno più molto alla "slice of life"!
Alla prossima ;)

 

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