Cuore di sale

di Mania
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** O1 • Il prezzo della fedeltà ***
Capitolo 2: *** O2 • È sempre stata inaspettata ***
Capitolo 3: *** O3 • Non vi è condanna più grande dell'oblio ***
Capitolo 4: *** O4 • Nomi impronunciabili ***
Capitolo 5: *** O5 • Nelle rovine di un passato perduto ***
Capitolo 6: *** O6 • Pagare pegno ***
Capitolo 7: *** O7 • Un'altra reliquia ***
Capitolo 8: *** O8 • Quanto si è disposti a rischiare ***
Capitolo 9: *** O9 • Verità sospese e promesse fluttuanti ***
Capitolo 10: *** 1O • Vite parallele ***



Capitolo 1
*** O1 • Il prezzo della fedeltà ***


PROLOGO

▬ P R E M E S S A ▬
Questa storia è il seguito di “L’amore che non salva, danna, corrode e rende fedeli”, una raccolta di one-shot in cui ho analizzato i vari momenti cruciali del rapporto tra Loki e la mia Sigyn, partendo dal loro primo incontro fino all’evoluzione completa che li ha portati ad essere amanti. Non credo che per leggere questo seguito sia assolutamente necessario aver letto la precedente, perché tutto quello che riprenderò lo spiegherò, tuttavia ovviamente per una maggior comprensione del personaggio di Sigyn sarebbe meglio averla letta. Infatti le tracce del suo carattere e della sua evoluzione sono contenute nella precedente storia, che ho adoperato proprio per intessere l'intero scorrere del rapporto tra Loki e Sigyn, ma anche della stessa nel corso dei secoli.
L'unica cosa da tener conto, è nel punto in cui questa storia comincia, i due sono già amanti. Se volete scoprire come è nata tale relazione, c'è la precedente raccolta, ma per seguire questa non è necessaria.

A V V E R T E N Z A: Questo primo capitolo è tragicamente lungo, scusatemi. E lo sono anche le note autrice - ma leggetele!

A V V E R T E N Z A N° 2: La storia inizia precedentemente al primo film, per poi ricollegarsi almeno in parte a tali vicende - e da lì prende una piega diversa, che motiva l'avviso What if?.




C A P I T O L O O 1 ▬
“ Il prezzo della fedeltà

{ Vivere.
Fosse stato più semplice
fare un accordo con gli angeli
e risultarci simpatici. }
Vivere – Cristiano De Andrè



Il tempo era un inganno, o almeno era in tale modo che appariva in quel momento in cui rifletteva su quanto cinque minuti riuscissero a sembrare incredibilmente abnormi e insieme maledettamente scarni. Sorrideva per inerzia, sorrideva perché non aveva più pianto da prima di entrare nell’Accademia e non aveva intenzione di sprecare in quel modo quegli attimi concessi.
«Non mi hai ancora risposto» asserì semplicemente l’uomo, scrutandola con le iridi melliflue, attentamente, solo una linea a intessersi tra le sopracciglia leggermente corrugate dava mostra del disappunto per la situazione che le sue azioni avevano creato. Loki avrebbe potuto dirle una quantità di verità nascoste sotto bugie e dilatazioni incredibilmente vaste, tra le quali si sarebbero forse scorte anche delle scuse per ciò che l’aveva portata a compiere, ma sarebbero state del tutto inutili perché ora come ora non aveva la forza per cancellare i propri sbagli e commutare la pena che Sigyn doveva pagare al suo posto. Tuttavia, cosa più impellente, bramava di ricevere il districamento di una domanda che le aveva fatto qualche ora addietro e che lei ancora non aveva avuto modo di concedergli.
L’increspatura delle scarlatte labbra della donna fu meno tesa e falsa nel sentire tale richiesta. Non si era attesa alcunché di similare ad ammissioni di colpa, anche perché lei era la prima a non appesantirlo con responsabilità che non gli riconosceva e ciò che aveva compiuto era stata una propria libera scelta di cui avrebbe pagato il pegno volentieri. Tuttavia, nemmeno una simile affermazione si era immaginata, perché quelli dovevano essere i loro ultimi minuti assieme e non aveva alcun senso rispondere ora a qualcosa che non avrebbe avuto un seguito – o magari lo avrebbe anche avuto, ma tra troppo tempo e troppi se nei quali si sentiva ora affondare.
«È ovviamente necessario saperlo assolutamente ora», Loki non era certo che fosse sarcasmo quello con cui Sigyn pronunciò tale chiarificazione, ma vi scovava nei suoi reflussi una tristezza di cui stava provando a sedare i miasmi. Era certo che almeno in quel contesto, almeno quel giorno, l’avrebbe vista con le guance rigate da lacrime amare e uno sguardo di rimprovero ad accusarlo di averla voluta portare negli abissi insieme a lui, ma una tale recriminazione intrisa a un gesto troppo platealmente ostentato per un’attrice di classe come lei, era fuori luogo. Non avrebbe versato una sola goccia, si sarebbe cucita nell’anima il pianto di amarezza, e mai, nemmeno alla fine dei giorni, gli avrebbe mosso alcuna accusa perché lui mai le aveva comandato di seguirlo – era sempre stata una sua libera scelta, una scelta che aveva compiuto secoli prima e che aveva onorato ogni giorno da allora.
«Potrei chiedertelo quando ci vedremo di nuovo, ma temo suonerebbe assai strano per te» osservò intessendo le proprie parole con un sorriso scevro da riccioli melliflui, quasi candido come avrebbe potuto compierlo Sigyn, epurato da un’ironia cattiva del quale non poteva farsi portatore in tale contesto. Voleva essere semplicemente sincero, almeno in quel tempo e almeno con lei, perché non c’era più spazio per i giochi nei quali lui dissimulava la verità per spronarla a cercare – era l’ultimo momento che possedeva in sua compagnia e avrebbe cercato, al massimo delle sue blande possibilità, di mostrare il meglio di sé, perché d’altronde era sempre stata la sola a cui era importato farle conoscere quel lato del proprio essere.
«Non ha senso che vi risponda» sussurrò appena, trattenendo le parole tremanti sulle labbra per paura di renderle più intense di quanto avrebbe potuto sopportare. Lady Sigyn preferiva non dare una simile risposta, perché aveva sempre desiderato dargliela e ora che finalmente lui la domandava, era destinata a essiccarsi senza concedere al futuro i frutti dei quali avrebbe voluto scoprire il sapore. E il rammarico per avvertire la decomposizione di ciò di cui si era immaginata la forme, di cui si era regalata l’intreccio nella propria mente durante le ore notturne, era un peso troppo arduo anche per lei. Lo sforzo per mantenere alzati le iridi di pece le stava rodendo le energie, dover compiere quell’ulteriore sforzo era un dolore che non voleva infliggere alla sua anima.
Però, sapeva ancora prima di sentire le sue parole riempire l’aria, che Loki non le avrebbe concesso di andarsene senza conoscere ciò che desiderava. In fondo, da quando lo aveva incrociato quando era poco più di una bambina, lui aveva sempre ottenuto in un modo o nell’altro quello che bramava – e quel giorno stava già per perdere qualcosa, non le avrebbe permesso di espropriarlo ulteriormente dei propri beni. «Lo sai meglio di me che ti sbagli, quindi rispondi e basta.»
La osservò irrigidire le labbra in una piega che avrebbe voluto essere un sorriso di compassione per se stessa, ma morì a metà, passando per il dolore della consapevolezza di non avere il tempo di togliere la concentrazione dal suo essere in errore – era condannata a rimanere nello sbaglio perpetuo, nell’essere ricordata per essere rimasta fino alla fine cocciuta, inamovibilmente arroccata sulle proprie posizioni, dandogli torto per il gusto del capriccio e per non dover scoprire il proprio orgoglio ferito insieme a un cuore imprigionato nell’agonia di quei minuti.
E mentre rifletteva su quanta forza possedesse ancora per poter rispondere come Loki le chiedeva, ripensava a come quel suo silenzio assomigliasse a quello dello stesso rivolto verso il fratello poco prima. Una velleità nei riguardi di Thor, che si era dilungato forse troppo a riprenderlo con troppo divertimento tinto da vene di scherno acceso, per quell’azione inopportuna che Loki aveva condotto per riappropriarsi della reliquia sottratta dal principe dei nani contro il quale si erano a lungo scontrati.
«Credo che tu l’abbia combinata grossa questa volta, fratello», continuò Thor ridendo appena perché ancora non aveva compreso la gravità delle conseguenze per l'atto di disubbidienza di Loki. Per ora il dio del tuono trovava semplicemente interessante un’operazione tanto spericolata, seppur non andata a buon fine, e approvava la scelta autonomamente assunta dall’altro per potersi riappropriare di reliquie appartenenti ad Asgard e a nessun altro. A vedere l’espressione contratta in un fastidio indisponente di Loki, deciso a ignorare deliberatamente tutti i tentativi di dialogare che Thor aveva imbastito per scoprire come e dove avesse fallito il piano del dio degli inganni – ovviamente sottolineando che nemmeno lui era infallibile come invece amava ripetere e ostentare –, a Sigyn venne quasi da sorridere nel vederli bisticciare come se fossero ancora dei bambini. E in quel contesto quasi si dimenticò che erano stati convocati dal Padre degli Dei per chiarire la situazione – e nel momento in cui era avvenuta la convocazione, le era affiorata nello stomaco un blocco di cattivo presentimento ora sciolto dai bisticci tra i due principi. «Sigyn, dovresti spiegargli che è inutile che se la prenda con me quando è lui a mettersi nei guai da solo.»
«Ma non se la sta prendendo con te, Thor, ti sta solo ignorando» chiosò Sigyn ridacchiando, mentre si sistemava la treccia di fili di luce condensata, di un biondo scolorito fino a scivolare in un’opacità singolare, per farla ricadere con maggior compostezza sul petto.
«Ah, allora tutto a posto» replicò il dio del tuono, assecondando la battuta della guerriera e unendosi ai risolini dei Tre Guerrieri e di Lady Sif.
«Sigyn!» la richiamò Loki, sempre più irritato dalla situazione e dall’essere praticamente l’unico ad avvertire il peso della gravità – e non semplicemente per via dello smascheramento del suo inganno ai danni del principe avversario, ma per il tono imperioso e stranamente minaccioso con il quale Odino si era rivolto a lui prima di ritirarsi nella sua sala del trono, dove li aveva invitati – con inesistenti margini di scelta – a presentarsi da lì a breve.
La discussione che nacque dall’inizio rancoroso del Padre degli Dei per la mancata obbedienza, più che l’esito dell'operato di Loki, indispettirono quest’ultimo maggiormente di quanto già non fosse, portandolo a un atteggiamento di tracimante dissenso per l’essere trattato come un bambino disubbidiente. Sotto l’occhio trafiggente di Odino si sentiva come quando da piccolo lo rimproverava per aver usato in modi poco consoni le proprie abilità magiche o quando per ogni inezia gli ricordava quale fosse il comportamento che ci si attendeva da un principe – ma solo da lui, non certo da Thor, il quale riusciva a scampargli, anche se non del tutto e non impunemente, almeno maggiormente alle rimostranze per i suoi atteggiamenti non appropriati.
Fece fatica a non stringere la mascella in una presa che avrebbe rivelato troppo facilmente quanta furia provasse lui stesso per sorbirsi quella paterna, e cercò di tramutarla in una calma apparente nella quale condensare le spiegazioni delle proprie gesta – che avevano comunque portato all’ottenimento delle reliquie concesse, e poco importava agli occhi di Loki se ciò avrebbe riaperto i conflitti, perché Asgard aveva le forze necessarie per vincerla una guerra del genere.
L’intransigenza con cui Loki perseverava a difendere la propria linea di condotta era protratta con la stessa lamentosa calma di chi era stato solo infastidito per un’inezia, incapace di assumere l’atteggiamento almeno fasullamente contrito per aver disubbidito. La serenità ostentata delle proprie parole era strascicata nei risvolti finali, acuta all’inizio, sottolineando come la situazione creatasi risultasse del tutto superflua ai suoi occhi.
Fu solo quando Odino sbatté Gungnir[1] sul pavimento producendo il fracasso assordante di un tuono lacerante, scuotendo i presenti inaspettatamente, che calò l’immobilità. Non un solo suono, neppure i respiri dei presenti, interruppe il silenzio che ne seguì, quasi il tempo fosse stato bloccato dall’ira del Padre degli Dei e all’universo non fosse concesso continuare a spostarsi fino a suo nuovo ordine. Sigyn tratteneva a stento il terrore che avvertiva crescerle nel petto nel notare la crepa inasprirsi tra le sopracciglia di Odino osservando suo figlio minore, sempre più furioso con lui per la sua incapacità di ammettere lo sbaglio, e con il respiro ancora trattenuto per quel colpo sordo con il quale aveva infranto il fluire normale dell’aria – e i cui riverberi continuavano a rimbombarle all’interno del corpo, in vibrazioni senza fine. Lasciò scorrere il proprio sguardo lateralmente, per scorgere le espressioni degli altri e scoprire se anche loro avevano abbandonato la frivolezza con cui prima avevano vissuto la convocazione, ritrovandosi davanti al volto teso di Thor. Poche volte aveva scorto tale tensione nei lineamenti del principe maggiore, improvvisamente spogliato dell’allegria spensierata quanto consuetudinaria con cui viveva.
Infine, Odino riprese a parlare quando il silenzio era divenuta una presenza eccessivamente ingombrante tra tutti loro. «Tu commetti l’errore di pensare che gli avversari non abbiano onore, non debbano godere del tuo rispetto sempre e comunque, che siano inferiori a te. Ma ci sono nemici che è un privilegio avere, che rendono te e tutti noi degni di poterci fregiare di titoli altisonanti, nemici che non meritano di essere ingannati e umiliati.»
Per quanto la risposta di Loki non si fece attendere, i pochi secondi che trascorsero prima che la sua voce riempisse lo spazio tra loro, parvero dilatati in un tempo eterno, una goccia di infinito nel quale gli sguardi del Padre degli Dei e del dio degli inganni si scontrarono in una prova di forza in cui alcuno uscì vincitore.
«L’unico vostro cruccio, Padre, è aver perso un possibile futuro alleato, perché voi meglio di me sapete come la guerra richieda scelte che non hanno nulla a che fare con dignità, rispetto e onore. Non c’è nulla di tutto ciò nella morte, nella conquista e nella prevaricazione, non è vero?», vi era astio frammisto a derisione nelle sue parole, talmente tanto marcate da essere più pungenti di quanto mai era stata apertamente una sua replica al proprio padre e Re, suscitando non poco sgomento tra gli auditori.
Thor serrò i pugni, perché avrebbe desiderato interrompere tale scambio di battute che si stava trasformando pericolosamente in una battaglia di frasi acide atte a ferire nell’anima, ma sfidare tanto apertamente entrambi era qualcosa che poteva rivelarsi una mossa così apertamente stupida da farlo desistere. Persino lui comprendeva quanto un’azione del genere potesse essere unicamente deleteria, al contrario Lady Sigyn dubitava che avrebbe potuto mantenere ancora a lungo a freno la propria necessità di schierarsi al fianco del più giovane dei principi. Più osservava Odino, più le era chiaro che la punizione che avrebbe inferto a Loki cresceva di intensità ad ogni replica e lei non aveva alcuna intenzione di dover assistere ad alcunché di spiacevole nei suoi riguardi se poteva impedirlo. Era cresciuta, d’altronde, con un esclusiva ragione datasi da sé e non avrebbe potuto mutare – né tanto meno avrebbe voluto farlo – l’unico gesto di egoismo che aveva compiuto nella propria esistenza.
«Ora basta, ho ascoltato i tuoi destreggi dialettici troppo a lungo. Se non riesci a comprendere quando rimanere al tuo posto con le buone maniere, lo capirai con le cattive» asserì con voce risonante, provocando più che semplici echeggi nella sala, nei cui meandri perdurarono le decisioni minacciose nel quale si erano tramutate le parole di Odino, più che mai desideroso di riportare un po’ di senno nella mente del figlio a qualsiasi costo.
«Mio Re», si mosse di scatto Lady Sigyn, ricoprendo quei pochi passi che la separavano da Loki. «Mio Re, se posso, vorrei parlare.»
«A difesa di Loki, suppongo» scioccò la lingua contro il palato con disappunto evidente per l’interruzione che la giovane aveva osato produrre nel suo discorso con il figlio. Ma Lady Sigyn, dietro la sua aria pacata e i modi gentili, era forse la maggiore arma di distrazione, persuasione e manipolazione al servizio di Loki oltre le sue illusioni, una donna dalle doti di recita e strategia tanto sviluppate da non essere per nulla oscuro al Padre degli Dei i motivi per i quali i due erano particolarmente in sintonia.
«Prendetevela con me, mio R-»
«Sigyn! Chiudi la bocca» la interruppe bruscamente Loki, ma il suo ordine venne ignorato come se nulla fosse dalla giovane, che nemmeno si disturbò a rivolgergli uno sguardo mentre avanzava oltre di lui per prendere possesso della scena, da vera protagonista.
«Mio Re, sono stata io ad assecondare il piano del principe Loki, sono stata io ad averlo seguito nell’impresa e sempre io a non averglielo impedito anche se andava contro i vostri ordini. È mia responsabilità, per non averlo fermato come avrei dovuto», era una mossa alquanto stupida e che non avrebbe portato a nulla di buona, lo aveva compreso nel momento in cui aveva preso la parola, ma aveva promesso secoli prima che lo avrebbe servito e se si sarebbe dovuta sacrificare, accollandosi i suoi passi falsi, era ciò che avrebbe compiuto.
La forza penetrante dell’occhio azzurro di Odino, per quanto permeato ancora dall’alterazione per la condotta del figlio, aveva assunto onde meno frenetiche. Scrutava negli occhi neri della giovane per scorgere una piega di incertezza, una sola ombra di tentennamento, ma non poté che riscontrare una fermezza ai limiti della sconsideratezza nel mantenere alto lo sguardo con un’ostentazione macchiata dalle tracce di quella nobiltà dalla quale proveniva.
«La vostra fedeltà per mio figlio, Lady Sigyn, è ai limiti della follia.»
«Punite la mia follia, allora.»
La pausa che ne seguì non fu pesante come la precedente, perché nonostante il mezzo ghigno di Odino non preannunciasse alcunché di positivo, vi era quasi una sfumatura di soddisfazione nel constatare quanto riuscisse a mantenersi ferma nelle proprie posizioni di essere utile a Loki sino a tali livelli. E fu per la seguente costatazione che deliberò di accontentarla. «Così farò, perché mio figlio tiene a te e magari, se sarai tu a pagare il prezzo delle sue azioni insensate, capirà a non tessere più le proprie fila nell’ombra. Uscite, vi farò chiamare appena avrò pensato a quale sarà la tua punizione.»
E mentre osservava i suoi figli e i migliori guerrieri del suo esercito obbedire al proprio ordine, scorse il movimento flebile alle proprie spalle avvicinarsi a lui con passo lieve, appena udibile e l’espressione seppur mesta, condita di una dolcezza incapace di svanire davanti a lui. La sua sposa, la Regina, aveva seguito il discorso da un punto nascosto agli occhi di tutti, ma solo Odino aveva avuto la consapevolezza della sua presenza celata nelle ombre. L’aveva chiamata perché solo lei avrebbe potuto portargli il giusto consiglio di cui sapeva di aver necessità, e ora che aveva deciso di riversare le responsabilità di Loki su Lady Sigyn aveva maggiormente bisogno delle sue sagge parole.
Frigga aveva sempre avuto una maggior attenzione ai dettagli di chiunque, ed era tanto delicatamente accorta in tale sua predisposizione da non vantarsene mai, in modo da lasciare in crepacci di penombra perpetua ciò che gli altri desideravano tenere trattenuto tra le proprie dita. Forse, un simile dono, le era conferito anche dall’altra sua innata capacità di scorgere tra i rami dell’albero cosmico[2], scrutando brandelli di un futuro non ancora del tutto scritto ma il cui percorso aveva tasselli indelebili.
Per questo aveva saputo, già molti anni prima, che tale giorno sarebbe avvenuto e per tale ragione aveva elargito un particolare regalo[3] alla giovane che tanto stava a cuore al più giovane dei suoi figli. Frigga conosceva bene i sentimenti che Loki provava per la guerriera, anche se lui era un’abile teatrante e sapeva rivestire il proprio ruolo al massimo delle proprie capacità illusorie, una madre era in grado di scorgere più di quanto si potesse pensare e tendeva a sorridere segretamente dell’ingenuità dei figli che si beavano della riuscita dei propri piani. Proprio perché Lady Sigyn possedeva un posto tanto privilegiato ed unico nel cuore di suo figlio, aveva predisposto le pedine in modo da poter almeno in parte aiutarli – perché i sentimenti che lo legavano a lei erano l’unica cosa che potessero sempre ricordargli ciò che non doveva perdere, ciò che un giorno avrebbe rischiato seriamente di distruggere sotto il peso di un rancore che ancora si stava lentamente formando.
Anche per alleviare e rallentare l’accumulo pericoloso di un sentimento incendiario di tale portata – in grado di ridurre a poco più che cenere tutto ciò che d’altro poteva scorrere nel cuore delle persone -, Frigga avrebbe interceduto per loro presso suo marito che già richiedeva il suo aiuto per una simile decisione. Odino, che di verdetti tanti ne aveva emessi e di punizione inflitte a migliaia, non aveva intenzione di sgretolare l’affetto di suo figlio, ma non poteva nemmeno impedire che continuasse a disubbidire ai suoi ordini con la fallace illusione di poterla sempre far franca unicamente perché era figlio di re.
«Non credo sia una buona idea punire Lady Sigyn troppo duramente» cominciò Frigga, passando le proprie dita sulle spalle del marito, aggirando il trono per potersi portare infine davanti all’uomo che innumerevoli anni prima aveva sposato.
«Quale dovrebbe essere, secondo voi, la giusta misura, mia Regina?» domandò Odino prendendo nella propria mano, quella libera dalla stretta sul Gungnir, quella affusolata della propria moglie, stringendola quel tanto che gli consentisse di avvertire la presenza benefica della stessa su di sé. Era sempre stata in grado, fin da quando l’aveva incontrata quando entrambi avevano pochi secoli sulle spalle, di rendergli la mente rischiarata delle doti che a lui mancavano e di cui lei era invece ricolma – benevolenza, saggezza, temperanza, giustizia e prudenza.[4]
Mai come in quella circostanza abbisognava dei consigli che lei sola aveva il diritto di elargirgli e che chiedeva senza ordinarglieli, perché mai aveva deposto su di lei il velo di un solo comando come Re.
«Qualcosa che non ti attiri le ire di Loki per avergli strappato la sua adorata guerriera» sorrise con la dolcezza di cui unicamente lei era in grado, lasciando intendere ciò che Odino sospettava senza avere la stessa certezza che solo una madre poteva avere.
«In realtà, preferirei non riversare su Lady Sigyn gli sbagli di Loki, ma lui è così tremendamente incapace di comprendere i propri errori da non concedermi altra scelta.»
«Potrebbe anche essere un bene.»
«In quale modo potrebbe esserlo?» chiese con scetticismo palpabile, non comprendendo quale beneficio – ma solo quali ripercussioni negative – avrebbe ottenuto quando la sua decisione sarebbe stata annunciata. Lady Sigyn era una guerriera assai capace, a comando in un gruppo di soldati addestrati dalla stessa con grandi abilità e che in guerra erano sempre stati capaci di eccellere; e oltre all’incredibile danno che avrebbe avuto nelle vesti di Re, come aveva giustamente lasciato capire sua moglie, il suo rapporto con Loki andava al di là di una semplice unione di forze, per questo non aveva alcuna fatica ad immaginare quale odio avrebbe causato la pronunzia della propria sentenza. Invece nemmeno adoperando completamente il proprio intelletto, non riusciva a scoprire quale potesse essere quel bene di cui parlava Frigga e che se solo vi fosse stato, avrebbe causato meno peso nel perpetrare quella strada.
«Per spingere certe cose a uscire alla luce del sole» rispose semplicemente la Regina, tirando gli angoli delle labbra ricoperte di rossetto in un caldo sorriso. Sperava che una simile situazione avrebbe spronato suo figlio a smetterla di tenere nelle pieghe della notte sentimenti che avrebbero potuto evolversi, sperava che mettendolo di fronte alla ferocia della perdita – almeno momentanea – di Lady Sigyn, egli ne avrebbe compreso quale fosse il reale peso nella sua vita e avrebbe agito di conseguenza quando fosse tornata nell’unico posto a cui apparteneva – quello al suo fianco.
«Temo che Loki non la vedrà sotto quest’ottica, ma non avrà altra scelta che accettare il contrappasso per le sue decisioni supponenti e contrarie alle mie.»
«Penserò io a farglielo presente» assicurò al marito, depositando un tenue bacio sulla sua fronte prima di scomparire nuovamente nel passaggio dal quale era affiorata furtiva, lasciando da solo il Padre degli Dei a intessere la propria sentenza prima della formulazione.
E nel mentre Odino si accaparrava gli ultimi momenti prima di infliggere la propria punizione, suo figlio minore era intento a riprendere con iraconda malcelata la giovane guerriera al suo servizio.
«Un giorno, Sigyn, avrai la decenza di spiegarmi perché non ce la fai a tenere a freno la lingua quando te lo ordino» sibilò Loki, scandendo le proprie parole in modo che ognuna risuonasse dell’alterazione che lei gli provocava ogni qual volta si permetteva di fuoriuscire da ciò che lui stabiliva. Ma ancora di più, era furibondo perché si era accollata una responsabilità che non le era dato sopportare e che nemmeno lui avrebbe dovuto portare – perché le sue erano state macchinazioni soltanto inclini a riprendersi ciò che già a loro spettava, e che Odino aveva concesso unicamente per evitare di protrarre una guerra che si poteva vincere anche se con qualche necessaria morte. Se solo avesse messo le briglie al suo impeto, mantenuto la calma davanti alla strigliata eccessiva che suo padre aveva voluto impartirgli, avrebbe perfettamente potuto impedire che qualsiasi tipo di ripercussione si abbattesse su di loro con l’uso della sua eccellente dialettica – o almeno era ciò di cui voleva convincersi, ignorando la furia malcelata con il quale Odino si era scagliato contro le sue decisioni dissonanti dai comandi impartiti.
«Perché sono molto brava a usarla» replicò maliziosa, con una calma tale da portare dopo di sé un silenzio totale a sottolineare come si era calamitata improvvisamente l’attenzione addosso. Anche se le iridi d’inchiostro della donna erano fisse sul volto del dio degli inganni – intendo a profondersi in un ghigno intriso di altrettanti sottointesi bagnati dalla perdurante irritazione per le azioni avventate della propria fedele compagna –, li sentiva cuciti sulla propria pelle quelle degli altri saturi di interrogativi, per le insinuazioni comprese nella sua frase. Per quanto fosse sufficientemente intuibile quale forma di rapporto intercorresse tra Loki e Sigyn, nessuno dei due ne aveva mai voluto parlare con gli altri, che avevano assecondato il loro desiderio di riserbo – anche perché, pure nel caso contrario, sapevano bene che non sarebbero riusciti a ottenere alcuna risposta alle proprie curiosità, capaci com’erano entrambi di manipolare le conversazioni ai propri interessi.
«Non so se chiederti se e quanti doppi sensi intendi o congratularmi per aver messo a tacere Loki» interruppe il silenzio Fandral, cercando di ammorbidire la tensione fin troppo rigida nel quale erano sprofondati.
«È il momento sbagliato per scherzare» lo rimproverò Lady Sif, avvicinandosi all’amica posandole una mano sulla spalla per costringerla a voltarsi verso di lei, catturando finalmente la sua attenzione. I lineamenti della dea della guerra erano carichi di preoccupazione per la giovane, troppo testarda e asservita al proprio scopo di mettersi a completa disposizione di Loki per comprendere in quale spiacevole situazione si fosse infilata – o forse l’afferrava perfettamente, e ciò rendeva ancora più drammatico e ostico provare a farle recepire la gravità della situazione da lei stessa creata. «Sigyn, Loki ha ragione, dovevi tacere. A lui Odino non avrebbe fatto nulla di terribile, mentre-»
«Il Re, Odino, Padre degli Dei, vi chiama al suo cospetto», le parole di Lady Sif vennero interrotte bruscamente dall’annuncio degli araldi e la guerriera poté solo rivolgerle un ultimo sguardo di mestizia intrisa di disappunto a Lady Sigyn prima che questa si incamminasse verso la sala del trono. Fece scivolare i propri occhi sulla figura del più giovane dei principi, sul cui viso si disperdevano ombre di disapprovazione per la mossa compiuta dalla donna che con tanta sicurezza camminava davanti a lui per recarsi al cospetto di Odino. Anche se non vi erano crepe di preoccupazione, Lady Sif era assolutamente convinta che Loki avrebbe di gran lunga preferito evitare che i contrappassi per le proprie azioni si riversassero su Sigyn. Il controllo che ostentava, il quasi disinteresse verso la pronunzia del padre erano coperture, perché se in molte cose si faticava a capire cosa la mente del dio degli inganni complottasse, l’affetto per Sigyn era sincero – una delle poche cose che possedeva ancora intonse da menzogne.
Avrebbe voluto schiaffeggiarlo, Lady Sif, per quel suo autocontrollo imperturbabile e per la mancanza di difese prese verso la propria devota guerriera. Non comprendeva se avesse mancato di proteggerla per evitare di rendere ancora più chiaro il proprio attaccamento a lei, in modo magari da rendere meno dura una punizione che si sarebbe potuta acutizzare davanti a un sentimento ampio e manifestato per rendere più incisivo l’insegnamento che il Re desiderava impartirgli, o se fosse semplicemente orgoglio. In qualsiasi circostanza, Lady Sif trovava inconcepibile le sue ragioni, tant’è più che non vi erano motivazioni nel voler nascondere qualcosa di cui i più vicini a lui e a Sigyn erano perfettamente a conoscenza – o almeno coì credevano di essere.
Lo aveva appreso quando era ancora una bambina, prima della morte del padre e della conseguente rovina della propria carata, che era soltanto imparando ad ammaestrare i propri sentimenti e il proprio cuore che si poteva sopravvivere al mondo. Lady Sigyn aveva tanto strenuamente voluto entrare nella Guardia Reale per dimostrare a se stessa che era in grado di conquistare una fermezza d’animo che era mancata ai componenti della sua famiglia – tuttavia, poi era scivolata nei risvolti delle parole ammaliatrici di Loki e la propria risolutezza era stata messa al suo servizio, finendo diritta in una forma di degenerazione simile a quella che si era abbattuta sui propri parenti. Non se ne pentiva, non avrebbe mai potuto compiere un simile atto e ringraziava il caso che li aveva guidati a incontrarsi, ma nonostante la sicurezza con cui aveva percorso l’intera navata principale per poi inchinarsi al cospetto di Odino, sentiva chiaramente i nodi dell’intestino tendersi, strapparsi, straziarsi in rocamboleschi scombussolamenti di posizioni nell’attesa di una punizione per cui non aveva alcun buon presentimento.
Aveva provato a dissimulare, ci era riuscita davanti a tutti i suoi spettatori tranne che agli occhi di Loki, perché lui la conosceva per ciò che era oltre le proprie bugie con cui si mostrava in un contegno regale, sfacciatamente tranquillo e cordiale per ingannare i propri spettatori. Sentiva la pesantezza dell’attenzione di lui scrutarla con un’avidità ossessiva, nel tentativo di scovare ogni segno che la tradiva nella sua recita e sapeva altrettanto bene che lui li avrebbe trovati tutti.
Sollevò con tracotante pacatezza il capo, tirando il collo in una piega di silente sfida, per poter osservare il volto di Odino mentre proclamava la propria decisione.
«Lady Sigyn, come da te chiesto, pagherai al posto degli errori di mio figlio», l’autorevolezza della voce di Odino si riproduceva in echi per tutta la sala, rimanendo in vita negli spigoli alti delle volte e riproducendo il proprio volere come per effetto di un incantesimo. La tratteneva incatenata alla fermezza dell’occhio cerulo, un azzurro fitto a tal punto da essere fastidiosamente accecante, ma sotto il quale Lady Sigyn non dava segni di scomponimento ricoperta dall’aria di nobildonna qual era – e d’altronde, mai, nemmeno sotto quello dotato di altrettanta silente prepotenza di Loki si era mai arresa. «In quanto dea della fedeltà devota a Loki, ti verrà addormentata la memoria, portata in un luogo conosciuto solo a me e lì vi rimarrai fino a quando non giungerà il momento propizio, o fino a quando non sarai ritrovata. Avete cinque minuti da soli
Avrebbe preferito non sentire la sensazione di vuoto propagarsi con una tale devastante onda d’urto nel suo essere. In realtà avrebbe maggiormente apprezzato se non le fossero stati concessi nemmeno quell’elemosina di tempo e tutto si fosse risolto tanto velocemente da lasciarla ancora troppo sbigottita davanti a una tale decisione da impedirle di prendere coscienza di quanto lacerante fosse.
Con le palpebre calate sugli occhi, percepì a stento gli spostamenti di chi le era attorno. Ovattato, le appariva così il mondo circostante mentre la veemenza del colpo psicologico le stava rendendo difficoltoso ricordarsi come si respirava, bloccandole l’automaticità di contrazioni di muscoli dei quali non possedeva del tutto il controllo. Alla consapevolezza nel petto del cuore a protrarsi nella sconcertante attività di battere anche in quella circostanza, si sovrapponeva la illusoria percezione che si fosse bloccato a metà per un ingranaggio guasto o una crepa improvvisamente comparsa lungo un’arteria, fermando l’afflusso di sangue.
Fu la mano di Loki nel toccarle la spalla con una delicatezza che era stata elargita con una sporadicità tale da rendere ogni volta stridente tale sfumatura, che si riscosse, alzandosi dal pavimento sul quale continuava a tenere le ginocchia davanti a un trono vuoto.
Era stato solo per l’egoismo misto a orgoglio di sembrare la donna ricoperta di fermezza testarda, di incomprensibile devozione verso di lui, che si rialzò per sostenere a distanza inferiore l’analisi dei suoi occhi verdi.
Non aveva cercato nemmeno per un attimo di apparire meno ferita di quanto lo fosse per tale destino al quale stava per andare incontro, né aveva tentato di trattenere il profondo sconforto che le causava pensare a come tra qualche minuto avrebbe smesso di essere la donna che era, né di sminuire il dolore viscerale che le bruciava l’anima nel sapere che avrebbe perduto ogni ricordo dei giorni trascorsi servendolo – combattendo, mentendo, rubando, uccidendo per lui. E tutto quel grumo di strazianti sentimenti non le sarebbe stato concesso di portarli con sé, non avrebbe potuto cruciarsi per la propria sventura, e mai avrebbe potuto ricordare l’amore per il quale era vissuta fino a quel giorno.
Una tortura più brutale di quei cinque minuti, Lady Sigyn non riusciva a immaginarsela e sotto la richiesta di rispondere a una domanda che ora era solo un pugnale piantato all’altezza del cuore, le parole le si incastravano come schegge nella gola.
«Vuoi veramente rimanere in silenzio per gli ultimi minuti e non rispondermi? Disubbidiente fino alla fine», Loki riusciva a scherzare almeno in parte, sdrammatizzando una situazione nel quale come non mai era in grado di mantenere una facciata di normalità solo per non concedere soddisfazioni a suo padre e ulteriore dolore a Sigyn.
«Sono la dea della fedeltà, non dell’obbedienza» asserì alzando un sopracciglio per sottolineare l’ovvietà delle proprie parole, in una naturalezza quasi spoglia dalla drammaticità del contesto. Lady Sigyn era sempre riuscita ad affrontare la propria vita con la serenità delle buone maniere, l’equilibrio dei sentimenti e la parlantina facile, le proprie pulsioni e bramosie non erano mai stati asserviti a capricci egoistici, se non il suo unico desiderio di rimanere al fianco di Loki per servirlo senza chiedere qualcosa in più – che aveva avuto, ma mai domandato, mai cercato e mai reclamato come proprio diritto. La pacatezza del suo essere, la contraddizione di alcuni suoi modi d’essere – tanto tranquilla quando priva di pietà, poco avvezza alla sete di sangue ma decisa ad eccellere come guerriera, refrattaria alla violenza ma portatrice di emblemi di guerra, testarda nonostante l’aria da fanciulla educata alla remissione agli altri, e molto altro ancora – e la discrepanza dalla maggioranza degli asgardiani di una morale già distorta dalla nascita e corrotta da una famiglia nobile in decadenza, l’avevano portata ad essere una splendida attrice nel suo mostrarsi composta in qualsiasi circostanza. Ma sotto lo sguardo severo di Loki, di un verde ardente di fiamme trattenute a rendere pressante il proprio magnetismo, si ritrovò a tremare lievemente davanti all’idea di essere giunta alla fine di un percorso che aveva costruito per secoli. Più che l’impossibilità di continuare ad amarlo come da sempre aveva fatto, seppur con forme e modalità diverse a seconda del periodo della propria vita, si ritrovava a rammaricarsi per non poterlo ricordare neppure, spogliata dall’unica cosa che sapeva di renderla veramente unica nell’intero universo – la sua fedeltà a lui.
La ragione stava dalla parte di Loki per quella volta, e per quanto in altra circostanza Sigyn si sarebbe comunque ribellata all’evidenza e impuntata in un gioco di forza, si lasciò andare all’evidenza che una risposta era giusto che lui l’avesse – perché lei non l’avrebbe più conosciuta e quel peso qualcuno doveva portarlo. «Comunque, ovviamente è un sì, vi avrei sposato
«Non usare il condizionale, perché non ci metterò troppo» la corresse Loki, sfiorando con le proprie dita la treccia che le ricadeva lateralmente prima di spostarle sul suo voto, accarezzando lievemente i lineamenti marcati da sconforto vanamente trattenuta.
«A far cosa, mio principe?»
Si piegò su di lei con le labbra piegate in un ghigno in cui vi erano contenute più promesse e minacce di quante lei riuscisse a leggerne, ma non chiese il conto di ciò che non era in grado di afferrare, perché sapeva che non ve n’era necessità e se mai si fossero rincontrati davvero, allora avrebbe saputo ciò che c’era di ancora oscuro. «A ritrovarti, naturalmente» asserì modulando le parole lentamente, quasi a spargerle come un unguento sulle ferite che quella separazione le avevano procurato e sulle proprie che non voleva mostrarle, perché non doveva avere come ultima immagine di lui quella di un uomo piegato a un dolore che non avrebbe mostrato ad alcuno – l’avrebbe coltivato, trattenuto ed usato per forgiare la propria determinazione a mantenere la parola datale. «Hai promesso di servirmi, non ti libererai tanto facilmente di un simile peso.»
«È un peso non poterlo più fare». Le sue parole morirono sulla bocca del dio degli inganni, che le lasciò appena l'attimo di formulare la propria dichiarazione prima di prendersi l’ultimo bacio che gli era concesso prima dello scadere dei cinque minuti loro elemosinati. Le graffiò il collo nel tirarla verso di sé, formando solchi scarlatti e tirandole le ciocche di capelli nei quali si erano intrecciate le proprie dita, strappandole lamenti di flebile sofferenza mentre le mordeva le labbra. Non c’era calma, non c’era dolcezza e n’è tanto meno gentilezza nella voracità con cui la stava baciando – e non riusciva a pensare, ad ogni secondo che si sgretolava sotto il contatto dei propri corpi, che prima di poterla riavere sarebbe trascorso più tempo di quello voluto.
«Non per molto, Sigyn. Non per molto» le sussurrò all’orecchio quando sentì riaprire le porte della sala, staccandosi da lei per osservarla prima di vederla scomparire insieme alla scorta che Odino aveva mandato a prenderla.
«Non per molto» ripeté lei – un voto a cui avrebbe dovuto mantenere fede, un voto che prima o poi avrebbe dovuto trovare un suo compimento.



M A N I A’ s W O R D S
Allora, come avevo annunciato, poi disannunciato e poi riannunciato nuovamente, ecco il seguito della mia precedente raccolta, «L’amore che non salva, danna, corrode e rende fedeli».
Ora, non uccidetemi per l’inizio, ecco. E no, ovviamente non mi riferisco solo alla lunghezza di questo capitolo - e pure delle note che mi accingo a scrivere -, ma anche a quando io ami bistrattare i personaggi. È solo l’inizio quindi chissà come sarà la fine e io vi assicuro che se non avessi cambiato in corso la mia precedente idea per la long che avevo cominciato prima di questa, tutto sarebbe molto più tragico e angst, quindi c’è stato un notevole passo avanti.
L’idea della perdita di memoria di Sigyn – che comprende tutto quanto, non solo Loki – era contemplata già nella stesura originale della long di cui parlavo da dicembre. Devo ammettere che come trovata in sé è assai poco originale - ma spero di aver reso i risvolti tali, sarete voi a giudicare - e per di più mi è venuta in modo stupido, ma dato che si tratta di ispirazione a una serie tv mi sembra giusto creditare tale implicito merito (?) a «Once Upon a Time» e a Emma che nella terza stagione, scusate lo spoiler, ma devo spiegare, si dimentica di tutta la sua famiglia e del tempo trascorso con essa. Vedendo Emma e la sua condizione, avendomi colpito parecchio, mi ha fatto ritrovare a chiedermi quali conseguenze potesse avere un evento simile su Sigyn. Nella long originale, tale parte era verso la fine, mentre qui ho capovolto gli eventi – non ve ne frega niente, probabilmente, ma io ve lo dico comunque e tanto queste note sono già chilometriche.
Voglio anche specificare che l'idea della punizione mi deriva dal desiderio di creare un parallelismo tra i modi di reazione di Loki nel subirla e quelli che avrà Thor quando capiterà a lui di incorrere nell'ira del padre.
Ci tengo a specificare che non è mia intenzione dipingere Odino come spesso avviene come un padre cattivissimo nei confronti di Loki. Ha punito Thor privandolo dei suoi poteri e spedendolo sulla terra per aver disubbedito, direi che a Sigyn non è andata poi così tanto male, e come punizione mi sembrava sensata - spero lo sia davvero.
La narrazione, come spesso mi adopero – e come ho già ripetuto altre volte –, è quella ad immagini e non prettamente cronologica, per questo i temi verbali sono allineati – insomma, un giorno Marquez verrà e mi ucciderà per provare a mettermi a tentare di rielaborare il suo stile con tali disastrosi risultati, ma io ci provo comunque perché lo amo immensamente.
Ah, sì, per chi se lo stesse chiedendo, la proposta di matrimonio di Loki a Sigyn ve la mostrerò, ma un tantinello più avanti – comunque il romanticismo è proprio ai massimi livelli, come da sua consuetudine, eh /sarcasmo a palate/.
Questa sarà comunque una raccolta di one-shot, anche se a differenza della precedente, oltre il rapporto Loki/Sigyn, come potete intuire già da adesso, vi sarà una trama vera e propria, non solo spaccati di momenti tra i due. Per alcuni fatti, riprenderò gli avvenimenti del primo film di Thor, ma solo per alcune cose – per tale motivo ho inserito l’avvertimento What if? –, mentre non terrò in considerazione Thor The Dark World – e nemmeno The Avengers, in realtà, o almeno non proprio (?). L’aver optato per una raccolta di one-shot e non per una vera e propria long è sostanzialmente una scelta per l’ottimizzazione del mio tempo: una long richiede un lavoro molto più complesso, e io non ho tutta questa disposizione di tempo.
Venendo alle note segnate invece nel corso del capitolo:
[1] • Tale è il nome della lancia/scettro di Odino.
[2] • L’albero cosmico è Yggdrasill, che regge i Nove Mondi secondo la mitologia norrena e le cui radici si immergono in due fondi: quella della saggezza e quella del destino, presso cui vivono le Norme che tessono l’arazzo del destino, per questo si pensa che chi riesce a leggere tra le sue biforcazioni possa anche scovarvi pezzi del futuro.
[3] • Nel capitolo O9 della mia precedente raccolta – secondo la mia numerazione –, Frigga regalava a Lady Sigyn un ciondolo. Mi riferisco a questo in tale punto della storia.
[4] • Mi sono rifatta ad alcune delle virtù aristoteliche, dove al posto di mansuetudine ho preferito il sostantivo benevolenza. E sì, ho messo alcune di quelle etiche e altre dianoetiche – se non capite, no problem, c’è la pagina della Wiki, basta cercare “virtù” –, perché non volendo inserirle tutte quante, ho preferito dividerle.
Ultima cosa, la storia è divisa in due grandi blocchi - e per la cronaca sono 19 capitoli totali, di cui 11 già scritti almeno in brutta. Nei primi 9 si avrà una prevalente – e quasi totale – concentrazione su Loki, e per questo tali primi capitoli hanno come colonna sonora “Vivere” di Cristiano De André. Ad ogni capitolo inserirò una strofa della suddetta canzone – che manco a farlo apposta sono nove, le coincidenze, eh?! Io vi lascio anche il link, così se volete sentirvela potete farlo comodamente: QUI.
Credo di aver finito di dare spiegazioni/avvertenze e ciò che dovevo dire, quindi vi saluto. Ah, no, il banner: l'ho fatto io. Lei è Natalie Dormer ♥
Come sempre vi chiedo di lasciarmi una recensione, un parere, un qualcosa, così, tanto per farmi sapere cosa ve ne pare e farmi una ragazza felice, ma proprio tanto – tantissimo – felice. Grazie, a chiunque anche solo sia giunto fino a qui, in realtà, credo di aver sclerato parecchio. Gli aggiornamenti saranno irregolari, ma almeno una/due volta/e al mese aggiorno – forse (?), dipende dalla disponibilità di tempo per editare i capitoli –, quindi a presto ♥

Mania▬


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Capitolo 2
*** O2 • È sempre stata inaspettata ***


PROLOGO



C A P I T O L O O 2 ▬
“ È sempre stata inaspettata

{ Vivere.
Fosse stato più facile
dire che gli anni non contano
perché siamo demoni e angeli. }
Vivere – Cristiano De André



I polpastrelli definivano la forma del ciondolo con la lentezza straziante con cui soleva ripetere tale rito più volte al giorno. Avrebbe voluto poter asserire che la conta fin anche dei minuti da quell’infausto giorno, era dovuta alla sua mente particolarmente propensa a non dimenticare mai nulla e a tenere sotto controllo ogni mutamento potesse governare e modellare; la realtà era che per quanto avesse deciso di non far più parola e negato a chiunque di parlare di Lady Sigyn, la sua mente e la sua anima era totalmente inginocchiata dalla tale perdita.
Sapeva bene quanto i suoi comportamenti fossero stati limati talmente alla perfezione da non far risultare alcun cambiamento esteriore, né nella voce né tanto meno dai gesti. Aveva finto – e continuava a farlo – che nulla fosse mutato, per non concedere la soddisfazione a suo padre di scorgerlo ferito dall’essergli stata strappata la sua fedele compagna, ma anche per non lasciare trapelare il dolore di un’assenza che non aveva mai messo nel conto. Quando l’avrebbe riavuta – e non vi era da dubitare su un simile evento –, anche lei avrebbe dovuto pagare pegno per averlo costretto a subire una simile tortura, segregandolo nella solitudine che sapeva unicamente di mancanza.
Lo smeraldo che teneva tra le mani era la collana, unico gioiello posseduto da Lady Sigyn, che per molti secoli aveva abbellito il suo collo. Glielo avevano tolto prima dell’inflizione della perdita della memoria, su ordine della regina Frigga e in tale modo era venuto finalmente a conoscenza della storia dietro tale monile – cimelio di famiglia, ma non di quella di Sigyn come quest’ultima si era premurata di non sottolineare. Sua madre si era rifiutata di rivelargli le ragioni per le quali aveva elargito a Sigyn un simile dono, ma glielo aveva lasciato in custodia pregandolo di conservarlo fino a quando lei non fosse tornata – e se Frigga asseriva che si sarebbero rincontrati, nessuno poteva diffidare dal ritenere che il destino avesse già intessuto le trame per un simile accadimento[1].
Infilò nella tasca dei pantaloni il prezioso, alzando lo sguardo verso l’alba e ciò che quella giornata avrebbe portato con sé. Se tutto fosse andato secondo i piani, avrebbe avuto occasioni più che mai propizie per il raggiungimento di parte dei suoi scopi e una volta conquistato ciò che desiderava, anche premurarsi di Lady Sigyn sarebbe risultato meno difficoltoso di quanto non si fosse rivelato nel trascorrere di quei decenni.
Un ghigno mellifluo solcò le labbra sottili quando l’allarme della sala delle reliquie svegliò di soprassalto il palazzo, e con la teatralità di cui solo lui era in possesso, si precipitò fuori dalle proprie stanze nascondendo l’eccitazione che l’inizio delle sue macchinazioni portava con sé.
Ritrovò suo fratello già sul luogo dell’intrusione, intento a strillare ordini sconnessi fino a quando non giunsero anche i Tre Guerrieri dietro Lady Sif, come sempre pronta a lanciarsi ciecamente in qualsiasi scontro se era per volere di Thor – anche se era un volere arrogante, sconsiderato e stupido. Nonostante tra il gruppo fosse la più dotata di intelligenza, la sprecava bruciandola dietro a un amore che ormai non sarebbe mai stato corrisposto, in un’insensatezza pigra – non era la stessa forma di asservimento che aveva offerto Sigyn a Loki, perché mai lei aveva rinunciato alla propria volontà per rimettersi blandamente alla sua.
«Com’è possibile che nessuno li abbia scorti entrare nella sale delle reliquie di nostro padre?», la voce adirata di Thor rimbombava per le camere scure in cui erano costuditi tutti i monili e oggetti rari che fino a quel giorno aveva recuperato Odino. Brandiva con somma rabbia Mjöllnir nella propria mano, pronto a sventolarla in faccia al primo malcapitato che fosse stato a tiro – e Loki trattenne un sospiro di compassione nell’osservarlo tanto incapace di contenersi anche per un’inezia del genere, in fondo di furti ne erano capitati più d’uno e ogni volta finivano come se nemmeno fossero avvenuti. E anche se magari quello non era un caso come i precedenti, rifletté il dio degli inganni tra sé e sé, era comunque un atteggiamento inappropriato quello tenuto dal fratello per un principe che presto sarebbe stato incoronato re.
«Probabilmente si sono procurati incantesimi di protezione, o avevano qualcuno all’interno» osservò quasi con pigrizia Loki, stanco di dover essere lui a sottolineare l’ovvio a cui gli altri non giungevano nemmeno se li avesse pagati con sacchi d’oro – o belle donne, nel caso di Fandral.
«Se così è, bisogna scoprirlo. Non possiamo permetterci che nella Guardia Reale vi siano tali elementi» ringhiò Thor, più che mai scosso da quello che considerava un vero e proprio affronto personale, non potendo accettare che tra chi aveva giurato di servire la casa reale e Asgard si annidassero esseri tanto subdoli. «Mentre noi li inseguiamo, potresti occuparti tu, fratello, di indagare? Siamo già fin troppi per una banda di ladruncoli, non mi pare il caso di giocare con una squadra così eccessivamente in vantaggio.»
«Andate, qui me ne occupo io. E cercate di recuperare il bottino, se non è chiedere troppo», una caccia al fuggiasco che a Loki non interessava minimamente, soprattutto se condotta senza alcun criterio come avrebbe fatto Thor, quindi non ebbe alcunché da ridire e ringraziò silenziosamente i Numi per avergli risparmiato un viaggio futile come quello – e anche la scusa che avrebbe elargito in caso di invito.
E sotto lo sguardo impassibile del dio degli inganni, ebbe inizio un inseguimento che cominciò come normale e sfociò nell’inaspettato più completo. La piccola astronave, forma ovale e allungata nel quale potevano comodamente stare tutti e cinque, era un modello decisamente rapido, ma non sufficientemente da riuscire a bruciare via la distanza che avevano messo su i ladri. Sfrecciare tra i palazzi della città fu abbastanza semplice grazie alle capacità di comando di Lady Sif, che per quanto si mettesse a fare percorsi spericolati e tendesse a schivare all’ultimo gli ostacoli, era un’eccellente pilota.
Il vero problema arrivò solo in seguito, quando la piccola combriccola – da lontano potevano essere tre o quattro al massimo – si spostò nei campi sterminati della prateria fuori le mura di Asgard, immergendosi nella natura verso mete sconosciute a chi cercava di acciuffarli. Dovevano aver studiato il percorso di fuga molto più a fondo di quanto potesse sembrare a primo avviso, perché nonostante all’inizio del loro gioco a guardie e ladri potesse sembrare un’incidente di percorso, una divergente dall’iniziale progetto, la precisione delle loro manovre indicava l’esatto contrario.
Si erano allontanati sfrecciando su prati immacolati, campi coltivati e laghi dalle acque limpide a far da specchio al mondo circostante, bruciando via ore senza nemmeno accorgersene sotto l’agitazione frenetica di non smarrire la propria preda, tra battute tirate e imprecazioni quando dalla loro vista sfumava via il mezzo nemico. Molte miglia li distanziavano d Asgard, tanto che quando trovarono la navicella usata dai ladri ai bordi di un bosco i cui alberi si innalzavano per metri, quasi a voler toccare il cielo da quanto avevano deciso di far crescere i loro tronchi scuri, ci misero un po’ a riprendere le fila dell’orientamento e comprendere di essere ai confini dello stregato Myrkviðr[2].
«Non proprio il miglior posto nel quale cercare rifugio e nel quale continuare un inseguimento», commentò Lady Sif avanzando per prima all’interno delle ombre create dalle foglie fitte – di un verde talmente annerito da poter essere scambiato per catrame nel loro riluccicare appena sotto i pochi raggi di sole che filtravano. L’umidità era soffocante per chi vi metteva piede per la prima volta, dopo aver potuto respirare la cristallina aria esterna, ora avvertita appesantita sotto le fronte abbondanti accompagnata da una lieve brezza gelida – da lontano, era svicolata tra i tronchi per provocare lievi brividi agli avventurieri.
Solo quando si addentrarono maggiormente negli antri di Myrkviðr compresero quale fosse l’origine di quegli spiragli di freddi refoli, ma giunti a un tale momento fu troppo tardi per poter prendere provvedimenti, perché già si trovavano nel mezzo del cuore opprimente del bosco oscuro, tartassato da una tempesta di neve e ghiaccio perpetuo. I fendenti del vento erano talmente affilati da dare l’impressione di riuscire a dilaniare la carne con maggior semplicità di qualsiasi lama in loro possesso, e nell’indeterminatezza del bianco accecante, ritrovarono le figure dei ladri solo quando compresero che li avevano attirati fino a quel punto per avere un vantaggio che a loro era negato.
Quando cominciarono ad attaccarli con l’uso di dardi a lungo raggio, avendoli accerchiati in precedenza e spostandosi con la sicurezza di chi aveva avuto il tempo di studiare il terreno con minuziosa preparazione, Thor insieme ai suoi compagni si ritrovarono nel bel mezzo di un punto di fuoco tutt’altro che semplice da gestire.
«Ho l’impressione che siamo finiti in una trappola, Thor» osservò con ovvietà lamentosa Hogun, parando un colpo a sé rivolto con l’uso della propria mazza. Non vi erano sporgenze dietro le quali trovare un pur minimo rifugio, solo tronchi che per quanto robusti, non avrebbero potuto reggere molto sotto il peso di attacchi talmente precisi, sparati in rapida successione.
«Non credevo che questa foresta fosse così dannatamente pericolosa», Volstagg avrebbe di gran lunga privilegiato andare a prendere i nemici uno alla volta, ma la pioggia di vento glaciale era a loro sfavore e muoversi era un azzardo incalcolabile perché la neve rendeva ogni passo lento - pesante. Le sferzate giungevano con forza, abbattendosi su di loro, offuscando lo sguardo dei cinque eroi di Asgard, bloccandoli sui loro stessi piedi, in attesa di un’occasione propizia non ancora giunta.
«Questa tempesta di ghiaccio… Chissà da dove viene?! Non dovrebbe esistere, è impossibile!»
«Myrkviðr merita tutte le sue leggende.»
«Discuteremo di questo interessantissimo argomento una volta usciti vivi da qui», Thor zittì le chiacchiere di Lady Sif e Fandral riguardo ai misteri del bosco, decisamente poco adatti alla situazione nella quale si trovavano.
«Se ci riusciremo.»
«Oh, non mi sembra il caso di essere tanto pessimisti, mio caro Hogun, ce la siamo cavata in situazioni peggiori.»
Prima che Hogun potesse ribattere qualsiasi cosa riguardo a come in realtà non rimembrava nessuna circostanza con lo stesso livello di elementi a loro sfavore, il solo urlo della tempesta tornò a regnare senza che fosse interrotto dalla brutalità dei colpi rozzi delle armi nemiche. Si sporsero con i volti oltre i confini degli alberi usati come scudi di fortuna precaria per poter scoprire a cosa fosse dovuto tale inattesa ritirata, ma si ritrovarono a osservare una nuova figura dalle fattezze esili celate sotto vesti femminili e il capo bendato dietro una sciarpa per proteggersi dal vento terribile, a combattere con la spada contro due dei ladri. Si destreggiava nell’uso della scherma in maniera abile, abbastanza da superare le avversità climatiche e lo svantaggio numerico, tanto che dopo qualche minuto in cui le sue qualità di combattente furono chiaramente rinfacciate ai due criminali, essi decisero di ritirarsi – probabilmente per raggiungere i compagni che già avevano intrapreso una via lontana, portandosi con sé la refurtiva sottratta ad Odino.
Una volta rimasta da sola, scivolò con le gambe lievemente piegate per rimanere in equilibrio lungo il crinale sul cui fondo si ritrovavano i Tre Guerrieri, Lady Sif e Thor. La tempesta li aveva colti alla sprovvista in una posizione infelice, sarebbe stato arduo per loro riuscire a venirne fuori, ma indubbiamente con un po’ d’astuzia e l’irruenza di cui erano ricolmi se la sarebbero cavata. Solo il dio del tuono pareva aver riportato una lieve ferita al braccio, probabilmente mentre rimaneva indietro per permettere ai suoi compagni di cercare riparo dietro ai trochi, per attendere il momento propizio di un contrattacco che non era stato necessario.
«Cercate di seguirmi velocemente» la voce della donna era perentoria, come il gesto con il quale indicò la direzione da intraprendere nel più breve lasso di tempo possibile. Non era una decisione saggia quella di rimanere sotto le sferzate di un vento tanto imperiosamente rigido, né sotto la bufera di neve che da quando se ne aveva memoria martoriava il cuore di Myrkviðr – si narrava che fosse un incantesimo lanciato da un’incantatrice il cui cuore era stato spezzato; o che fosse colpa dei Giganti del Ghiaccio la cui furia giungeva sino a lì, condensandosi in un solo punto; o ancora che fosse responsabilità di uno stregone la cui amata era morta in una tempesta e l’aveva ricreata per raggiungerla. «Non dovreste inoltrarvi in questo bosco con tanta leggerezza, non conoscete la fama di Myrkviðr?»
«Sì, ma stavamo inseguendo dei ladri» chiarì la voce ferma di Thor, provando a sovrastare gli schiocchi creati dal vento che lacerava l’aria. I passi affondavano nel ghiaccio, e la fatica per avanzare era più di quanta ne avessero fatta precedentemente – o forse la stanchezza accumulata nel contrastare un simile clima si faceva sentire anche su di loro.
Gli occhi scuri della donna tornarono a incrociare quelli del dio del tuono, ma non gli concesse ulteriore riposta per tutti i minuti di eternità che servirono a raggiungere la fine di quel perpetuo inverno tempestoso. Avrebbero potuto essere intere ore per quanto apparve pesante compiere quei metri, ma in realtà ci impiegarono molto meno della percezione che ne ebbero e sotto la guida sicura della misteriosa donna, si ritrovarono nuovamente nella parte del bosco tranquilla mentre i loro occhi potevano osservare i reflussi del maltempo continuare a sferzare gli alberi a pochi passi da loro.
«È un piacere fare la vostra conoscenza, vi siamo debitori per averci salvato la vita» asserì Thor dopo aver dato uno sguardo alla ferita sul braccio, costatando che non era niente di particolarmente allarmante. La giovane donna teneva il velo di lana ancora ammantato attorno alla propria testa per ripararsi dal gelo che aveva affrontato per venirli a soccorrere, e si stava piegando a raccogliere un cesto di vimini nei quali erano sistemati con ordine funghi ed erbe probabilmente raccolti in altri meandri di Myrkviðr. «Come vi chiamate?»
«Sono certa che il principe Thor, dio del tuono, e i suoi fedeli compagni se la sarebbero cavata ugualmente anche senza il mio modesto contributo. Il mio nome è Sefa, possiedo le terre a qualche chilometro di distanza da qui», non era difficile sapere chi fosse il possessore di Mjöllnir, più complesso era capire perché si trovasse in quel luogo e con tanta sprovvedutezza nell’insinuarsi nel cuore di un bosco maledetto, anche se era per inseguire dei ladri – ma si trattenne dal fare qualsiasi specificazione, perché in fondo non erano affari suoi e li aveva aiutati unicamente per assenza di meglio d’altro da compiere. Si levò lo scialle arrotolato attorno al proprio visto con un sospiro liberatorio, lasciando finalmente scorrere nuovamente i lunghi capelli di un biondo scolorito lungo la schiena, sistemandoseli in modo da mettere a tacere le ciocche ribelli.
Non diede troppo peso al silenzio mentre rifoderava la spada, appendendola nuovamente al proprio fianco; fu solo quando sollevò nuovamente lo sguardo verso i cinque che si rese conto delle loro espressioni sconcertate. La osservavano con le iridi incredule, fronti aggrottate tanto da sembrare quelle di vecchi e labbra semichiuse in parole sfiorite già nella mente, prima ancora di essere pensate. Le sembrò talmente assurda come reazione, che si voltò per assicurarsi che nulla vi fosse alle proprie spalle e dopo aver considerato che effettivamente poteva essere solo lei l’oggetto di tanto turbamento, provò a chiederne conto. «Ho qualcosa sulla faccia?!»
«No», era più un balbettio quello di Thor che una vera e propria risposta. Non era certo di stare davanti davvero a Lady Sigyn fino a quando non fu in grado di spostare la propria attenzione su Lady Sif e scorgere anche in lei la medesima sorpresa fulminante, un tale quantitativo di imprevedibilità da aver annichilito qualsiasi loro capacità di reazione davanti all’apparizione della loro amica perduta. Loki l’aveva cercata tanto a lungo, ancora continuava a perdurare nei suoi tentativi di scovarla in qualsiasi antro del mondo l’avesse nascosta loro padre – nonostante li avesse perpetrati segretamente, nell’illusione che alcuno si fosse mai accorto di quanto in realtà fosse stato segnato dal vuoto che aveva lasciato la scomparsa di Sigyn, e così Thor lo aveva assecondato per rispetto a sentimenti di cui non desiderava rendere conto. E ora gli era capitata davanti con così tanta mancanza di preavviso da farlo irrigidire sul posto.
Sapeva perfettamente che stava dando un’impressione sbagliata, che gettava su di lei troppi interrogativi ed era talmente lampante che non possedesse il benché minimo ricordo di chi loro fossero da far apparire del tutto insensata l’intera vicenda, ma gli era del tutto impossibile reagire in differente modo. «È solo che lascia intontiti la tempesta che scuote il cuore del bosco», infine trovò la forza per riprendersi dalla situazione di stallo nel quale la sua mente era crollata nell’avere davanti il volto di Lady Sigyn, con le sopracciglia inarcate e le labbra arricciate in un’espressione di perplessità diffidente come la ricordava nei momenti in cui qualcosa non la convinceva. Era indubbiamente lei, con le mani segnate dai calli degli allenamenti, i capelli incredibilmente chiari, le labbra carnose e le iridi di un nero da confondersi con la pupilla.
Finse di credere a quella scusa, Thor e gli altri lo sapevano bene, e li invitò a casa sua unicamente per rispetto a chi si trovava di fronte, ma tutti avevano il sospetto che avrebbe preferito di gran lunga liberarsi di quegli stranieri che tanto singolarmente erano incapaci di non fissarla con un’insistenza allarmante. Fece loro strada tra i tronchi del bosco, su sentieri non segnati di cui conosceva l’esistenza, fino a giungere nuovamente alla luce calda dell’estate che abbracciava le pianure di cui Lady Sefa era proprietaria. Dal punto in cui erano fuoriusciti erano vicini alla navicella su cui erano giunti i ladri, ed era anche visibile la villa in cui risiedeva la loro salvatrice, giusto a qualche chilometro di distanza – metri ricoperti rapidamente grazie all’uso del velivolo.
«Hilda, sono tornata» annunciò morbidamente la voce di Lady Sefa mentre rientrava in casa dopo aver salutato gli altri dipendenti al suo servizio, intenti ad occuparsi del buon funzionamento delle macchine della fucina e dei campi. La donna chiamata dalla padrona doveva avere presumibilmente un’età simile a quella di Lady Sefa, o quanto meno prossima, e si affacciò all’ampia arcata che dava sul salotto con l’espressione incuriosita nei confronti della schiera di persone al seguito della sua signora. «Abbiamo ospiti importanti, cortesemente potresti portarmi il contenitore medico? Molto gentile, mia cara.»
Li condusse nell’ampia cucina arredata in uno stile antico, nonostante la modernità delle sue funzionalità, rendendo così accogliente l’ambiente. Bicchieri e tazze erano posate su vari ripiani in un disordine unicamente apparente, e qualsiasi cosa si trovasse esposto aveva una collocazione studiata per arricchire la vita di una casa altrimenti spoglia. La lunghezza del tavolo poteva accogliere una quindicina di persone, lavorato da un lego pregiato, possedeva gambe i cui intagli dovevano essere stati ottenuti da un falegname dall’abilità notevole per quanto precise e arzigogolati erano.
«Così siete la signora di queste terre, eh? E ve ne prendete cura con le vostre mani?», la domanda del principe maggiore di Asgard suscitò un sollevamento delle sopracciglia sottili della sua interlocutrice, una sottile forma di risposta basita a un quesito di tale ovvietà da risultare superflua. Mentre sistemava le bende, insieme ai medicinali prodotti dalle erbe che avrebbero rapidamente curato le ferite, poggiandole ordinatamente sul ripiano di legno scuro del tavolo, li osservava con crescente sconcerto misto a una curiosità dubbiosa.
Lady Sefa non comprendeva l’atteggiamento solo apparentemente normale con il quale la stavano trattando. La scrutavano con un’attenzione che avrebbe voluto essere discreta, ma si insinuava nelle pieghe di ogni suo più minimo gesto, sviscerandolo alla ricerca di qualcosa di imprecisato. Erano in perpetua attesa, stavano sulle punte dei piedi e trattenevano il respiro irrazionalmente, spaventati quanto allarmanti da qualcosa di cui lei non riusciva ad afferrare il senso.
«Solitamente è così che si fa quando si tiene a qualcosa, ci si sporca le mani» replicò la donna, appoggiando davanti al dio del tuono il necessario per curare i profondi graffi sul suo braccio. La sua risposta suscitò un risolino da parte di Thor e uno scambio di occhiate di intesa tra i Tre Guerrieri e Lady Sif, cosa che ulteriormente andrò a incrementare il sospetto crescente che qualcosa uscisse dalla sua comprensione. Ma non domandò alcunché, preferendo che fossero le mutazioni degli avvenimenti a portarle i frammenti del quadro che le mancava, perché aveva imparato che si ottenevano molte più informazioni quando si fingeva di non desiderarle.
«E non le avete mai lasciate?» continuò a chiedere Thor, spalmandosi un unguento curativo sugli sfregi, ottenuto da erbe mediche dai poteri rigenerativi impressionanti. Ci avrebbe messo poco a far rimarginare i lembi della pelle lacerata, e sulla guarigione accelerata dei tessuti si persero le iridi scure della padrona di casa, per distrarsi e fingere di non avvertire la pressione sotto cui era schiacciata dai presenti.
Cominciava a rimpiangere di averli aiutati, nonostante perdurasse a mostrare un sorriso gentile – la sua maschera più usata e mai logora –, sotto il quale segregava il desiderio di buttarli fuori dai propri possedimenti il più in fretta possibile. Si sedette davanti a Thor, accavallando le gambe e appoggiando le mani sul tavolo ricalcando con i polpastrelli le venature per occupare il tempo, poco impegnato dalla semplicità di sostenere lo sguardo del principe – erano chiazze cristalline di laghi dalle acque quiete, talmente pure da lasciare il fondo completamente scoperto a chi vi si rifletteva.
«Da quando le posseggo, no.»
«E da quanto tempo è?» domandò questa volta Lady Sif, inserendosi nell’interrogatorio – o quello che almeno appariva tale alla giovane dama -, allungando il braccio verso la brocca di vino che Lady Sefa aveva messo a loro disposizione per riprendersi dal gelo nel quale si erano perduti. Sentiva ancora la pelle d’oca, come se la tempesta invernale nella quale si erano smarriti fosse rimasta incollata a lei, incapace di sciogliersi nonostante il calore che si respirava al di fuori del cuore maledetto della foresta.
«Sono sotto inquisizione?» scherzò sarcasticamente Lady Sefa.
«Assolutamente no. Sia mai, mia signora, siamo solo curiosi per la vita che conduce la meravigliosa donna che ci ha soccorso. Avete mai visitato Asgard?» si intromise Fandral, sciorinando la migliore dei suoi sguardi ammiccanti e rivolgendole un sorriso il cui splendore avrebbe conquistato innumerevoli donne – ma che lasciò impassibile Lady Sefa, semplicemente blandamente divertita dai modi da grande conquistatore dell’uomo. Indubbiamente era pieno di un fascino sfacciato, carico di sicurezza e di un tepore ammantato sotto la certezza delle proprie doti, e per quanto potesse millantare con estrema bravura, Sefa era abbastanza incline a dargli il beneficio del dubbio, ma qualsiasi ampiezza avessero potuto avere le sue doti d’amatore, ne aveva osservati intere schiere di uomini rivestiti di quel medesimo potere seduttivo del quale si sfregiava ostentatamente.
«Non ne ho mai avuto il piacere», trattenne a stento una risata nell’osservare la gomitata poco celata che Volstagg assetò alle costole dell’amico.
Per quanto i loro atteggiamenti sottintendessero qualcosa di cui ancora non afferrava il contenuto, nascosto tanto malamente da rendere la situazione comica allo sguardo attento della donna, continuò a fingere di non accorgersi della sottile patina di stranezza che li avvolgeva. Lo sguardo che Thor le aveva rivolto dopo essersi levata la sciarpa dal volto era di quel particolare tipo di stupore che Lady Sefa immaginava si potesse rivolgere unicamente a fantasmi sfuggiti al regno di Hel, misto a una contentezza di cui era incapace a imbrigliare i risvolti. Continuava a depositare su di lei i suoi occhi nitidi con l’entusiasmo felice di chi pregusta qualcosa di magnifico, e non vi era nessun reflusso malevolo nei suoi modi, cosa che le rendeva arduo comprendere quale mai potesse essere la ragione di tanta allegria nell’averla incontrata.
«Vorrei ricambiare il favore che mi avete fatto, salvando me e i miei fedeli compagni, invitandovi a palazzo in vista della mia incoronazione tra poco più di un mese» riprese a parlare Thor, riponendo il contenitore con l’unguento nella scatola dal quale l’aveva estratto.
«Sono lusingatissima, ma rifiuto l’offerta dato che devo, per l’appunto, occuparmi dei miei possedimenti», ma già pronunciando quel rifiuto aveva avuto la netta impressione che a niente sarebbero valse le proprie parole e alla corte di Odino ci sarebbe stata condotta comunque. Non avrebbe potuto quantificare quante volte venne rettificata la medesima proposta da ciascuno dei presenti, quanti assicurazioni Thor le diete riguardo a come le sue terre sarebbero state supervisionate in modo che nulla e nessuno potesse minacciarle, quante promesse di divertimenti le vennero sottoposte. Rifiutò tutto quanto, in continuazione, ma non ebbe in ogni caso la meglio sull’insistenza e davanti alla costatazione folgorante che si trattava del principe – nonché futuro Re –, si ritrovò costretta a ingoiare l’indisposizione per un tale abuso di potere, piegandosi all’evidenza di dover accontentare i desideri dei suoi fastidiosi quanto regali ospiti di ripagarla.
«Non faccia così, mia signora, potrebbe beneficiarne molto» cercò di consolarla Hilda, mentre l’aiutava a preparare un comodo bagaglio da portare con sé durante il viaggio. Dall’armadio estrasse i migliori abiti che possedeva, scrutando la propria padrona con sguardo delicato, cercando di alleviare il malumore che la scuoteva in quel determinato momento. Gli occhi scuri di Lady Sefa erano rivolti oltre gli infissi della finestra, perduti in ragionamenti che non erano captabili dall’esterno – enigmatica ed ermetica come lo era sempre stata, perdurava anche in quella circostanza a trattenere dentro sé l’inquietudine che la scuoteva. Hilda avrebbe voluto affidarle parole di maggior conforto, ma sapeva bene quanto la propria signora non potesse essere scossa semplicemente e si intestardisse ostinatamente nelle proprie convinzioni. Eppure, provò comunque a renderle meno gravosa tale scelta imposta. «Magari le concederanno molti benefici e le vostre terre non potranno che accrescersi nella loro ricchezza.»
«Mia buona Hilda, non ho bisogno di alcun aiuto né per accrescere i miei possedimenti né per difenderli. Tuttavia, potrebbe comunque tornarmi utile farmi conoscenze tanto altolocate, per quanto fastidioso sia dovermi abbassare all’altrui desiderio» rispose Lady Sefa piegando i propri vestiti con rapida destrezza, mentre passava in rassegna i lati positivi di un invito talmente tanto sentito, cercando di evidenziare mentalmente che qualche vantaggio lo avrebbe tratto. Non aveva particolari problemi economici, la rendita era alta e il suo grado di prosperità le aveva reso una certa influenza nella zona – tutt’altro che scarsa, ma Lady Sefa era conosciuta per la sua mansuetudine, non amava ostentare il proprio potere e quasi lo usava controvoglia, o almeno tale era l’impressione.
Aveva ereditato le terre dalla donna che decenni prima l’aveva trovata riversa sulla riva del fiume presso il villaggio a cui vendeva i propri prodotti. L’aveva fatta curare, nutrire, vestire e messo a disposizione qualsiasi cosa che potesse esserle d’aiuto in quel primo momento che ricordava da sempre – quelle prime ore, giorni, in cui il vuoto lacerante della completa assenza del più flebile ricordo le era parso un peso opprimente. L’aveva seguita per ripagarla della gentilezza e perché qualcuno l’aveva convinta a desistere dall’impulso scellerato di andare alla ricerca di ciottoli di se stessa sparsi per i Nove Regni. Dunque non avrebbe mai permesso che tali possedimenti potessero in qualche modo deturparsi, tenendo lontana la rovina alla quale avrebbe condotto piuttosto i confinanti, privandoli di qualsiasi cosa potesse impedire il deperimento delle proprie proprietà.
Era donna sensata, ritenuta quieta e gentile, ma Lady Sefa per quanto odiasse far sfoggio di brutalità non aveva così tanti scrupoli quanti se ne raccontasse in giro, semplicemente era abile nel lasciare nell’ombra le cattive azioni delle quali si macchiava. Era un’abilità naturale che accudiva come se fosse l’unica parte essenziale del proprio essere che non desiderava perdere, perché le bugie e le macchinazioni le davano il conforto e la sicurezza irrazionale di affondare in quel passato del quale non riusciva a liberare dalle nebbie fitte in cui era avvolto.
Infine, c’era la curiosità. Negare di essere attirata da quell’insolito comportamento che avevano tenuto nei suoi riguardi era pura follia, e se quel viaggio poteva garantirle di scoprirne la ragione, ne avrebbe approfittato – perché, senza razionalità alcuna, era certa vi fosse qualcosa di essenziale e che l’invito stesso fosse in qualche modo collegato a ciò.
La comoda astronave[3] su cui erano giunti fino ai confini del bosco di Myrkviðr era già stata preparata e sistemata per intraprendere il viaggio di ritorno quando Lady Sefa uscì dal porticato della sua villa, salutando con un cenno del capo la sua fidata Hilda e il resto dei braccianti assunti che vivevano con lei. L’aria era intrisa di un calore soffuso ampliato dalla lucentezza dei raggi del sole che si estendevano per le praterie attorno alla meravigliosa dimora, rifinita con antichi basamenti di secoli prima restaurati in modo da renderli imperituri, regalando un paesaggio bagnato dell’estate dolce.
La mano di Frandal si protese verso di lei per tenderle un aiuto, ma con un sogghigno morbidamente macchiato di sfida, Lady Sefa sollevò i risvolti della propria gonna quel tanto che le occorreva per poter scavalcare il lato dell’astronave, senza alcuna difficoltà e senza neppure badare ai gradini disponibili. Aveva affrontato pericoli e avventure di tutti i tipi negli anni, sempre dimostrando di poter badare a sé e le cicatrici di cui non ricordava le origini le suggerivano che molti più pericoli aveva sconfitto in quel pezzo di vita di cui non ricordava i risvolti. Certamente non necessitava del supporto di un uomo per poter salire su di una navicella, né tanto meno avrebbe finto il contrario per rendere più saturo di sfacciata arroganza da donnaiolo il guerriero.
Prese posto tra Thor e Lady Sif, acconsentendo all’invito del primo. «Sapete, ho un fratello minore», riprese la conversazione da dove l’aveva interrotta, questa volta liberandola dal peso dei quesiti. Il dio del tuono continuava a provare una fibrillazione di eccitazione nell’aver trovato la sua vecchia amica e amata di Loki, dunque non desiderava altro che riportarla al palazzo per potergliela presentare, sicuro di alleviare quel tormento al quale nemmeno una volta aveva voluto dar voce o mostrare. Ma Thor era certo vi fosse, con la sicurezza testarda di chi conosce i segreti senza che nessuno glieli avesse svelati, e avvalorata dall’aver scorto più di una volta la collana che un tempo aveva indossato ogni giorno Lady Sigyn, rigirata tra le lunghe dita del dio degli inganni.
Non aveva il minimo indizio su come riportarle indietro i ricordi che li legavano, ma era altrettanto fermamente convinto che Loki avrebbe trovato il modo – per lei, lo avrebbe sicuramente fatto, perché solo Lady Sigyn era riuscita a indurlo a provare sentimenti scevri dalla più piccola traccia di risvolti negativi. E proprio la decisione immutabile di Loki di non voler più parlare di lei o udirne il nome, aveva convinto Thor che la voragine lasciata dalla donna dentro di lui era più ampia di quanto potesse solo immaginare. Per tali ragioni era impaziente di far ritorno a palazzo e altrettanto di provare a scoprire se in qualche modo Lady Sefa conservasse resti della sua vita andata perduta.
«Abito anch’io su Goðheimr[4], principe Thor, sapete?» replicò sarcastica, sollevando appena un sopracciglio in un arco ben definito di ironia.
«Loki, mio fratello, sono certo che sarà molto felice di conoscervi. Sapete, molti pensano che non sia molto propenso per essere socievole, in realtà ha solo gusti molto difficili, ma credo che voi rientrate nei suoi.»
«E quali sono i gusti di vostro fratello?», Lady Sefa non sapeva se prendere le parole di Thor come un complimento o altro, ma decise di non comportarsi da risentita senza fondate ragioni. In fondo, pareva che l’uomo cercasse unicamente di metterla a suo agio nonostante l’inadeguatezza dei suoi sforzi, era gentile per quanto i suoi modi fossero grezzi e poco affinati nei loro risvolti – un’eleganza da coltivare.
Alla sua domanda, Lady Sif si ritrovò a ridacchiare sommessamente. Non riuscì a captare, invece, i commenti di Volstagg al riguardo, ma gli scoppi di ilarità da parte di Fandral e la comparsa di un divertito sorriso sul volto fino a quel momento serio di Hogun, le suggerivano che doveva essere una battuta che probabilmente il soggetto in questione non avrebbe apprezzato in egual misura.
«Sono piuttosto complessi, possiamo dire così, ma di sicuro vi rientra l’impertinenza» rispose Thor, alludendo ai comportamenti tinti delle stesse sfumature di Sefa. Quest’ultima non replicò ulteriormente, preferendo poggiare un braccio sul bordo della navicella intenta a solcare l’aria a moderata velocità, gustandosi lo spettacolo dello scorrere delle terre sotto i suoi occhi.
Improvvisamente avvertiva un nodo di malinconia appesantirle il petto, una quantità tale che mai ne aveva avvertita fino ad allora, e si chiese fino a quale punto potesse trarre origine dall’abbandonare quei luoghi che per tanti decenni erano stati la sua unica e conoscibile casa. Avvertiva l’incombenza di qualcosa di indefinito, una sensazione strana della quale non riusciva a scacciare la persistenza nemmeno sotto il peso della costatazione della sua irrazionalità. Si annidavano ombre tumultuose all’orizzonte, nonostante il cielo fosse ancora saturo di un azzurro lacerante, ma ne avvertiva i fermenti batterle nel petto per avvisarla della loro incombenza.
Presto, le tempeste avrebbero lasciato il cuore di Myrkviðr e si chiedeva lei dove sarebbe stata per quel tempo, ma le risposte rimanevano incastrate nell’inconoscibile in cui avrebbe voluto affondare le mani, abbeverandosi nella Fonte di Urðr[5] per scoprire quale destino le era riservato. Forse, si disse, ad Asgard lo avrebbe potuto scoprire, e allora la malinconia sarebbe stata per la perdita della tranquillità serena nel quale era vissuta fino ad ora – o forse altro ancora di cui non riusciva a immaginare la sostanza.




M A N I A’ s W O R D S
Ed ecco qui il secondo capitolo/one-shot.
I salti temporali mi piacciono, sìsì. Come dicevo la scorsa volta, amo le raccolte perché mi permettono di prendermi tanta libertà e di evitare di narrare pedissequamente ogni più piccolo fatto, che posso semplicemente raccontarvi sinteticamente invece di mettermi qui a delinearlo per filo e per segno – altrimenti la long non finisce più e io mi rompo prima.
Comunque, venendo al capitolo in sé – che è di nuovo lunghissimo, ahimè -, Sigyn è stata scovata ma non ritrovata dato che le sue memorie non ci sono ancora e no, il bacio del Vero Amore lo lasciamo alle fiabe – specifico dato che l’idea era partita da «Once Upon a Time» -, servirà chissà che cosa – forse niente in particolare o forse bho, spoiler!. In ogni caso, nessun dettaglio è lasciato durante la narrazione per caso e tutto – spero – avrà un suo senso che un giorno scoprirete.
La collana che ha Loki è quella che nel capitolo O9 – secondo la mia numerazione dei capitoli – nella precedente raccolta, Frigga regala a Sigyn – l’ho già detto nello scorso capitolo, io ribadisco per tenere a mente tutto quanto. Sì, non è che gliel’ha regalata a caso, già si capiva in quel dialogo tra le due, quindi posso chiarirlo definitivamente come particolare.
I ladri, ciò che hanno rubato e Myrkviðr sono tutti elementi che verranno spiegati in seguito, non sono solo un’espediente per far trovare a Thor la dea della fedeltà – essì, ho voluto che fosse proprio lui a riportarla al fratello perché desideravo sottolineare l’affetto che il primo prova per il secondo, ma anche l’amicizia che lo lega a Sigyn stessa, e anche altro che scoprirete sempre forse un giorno. L’ho solo accennato, ma c’è un motivo per cui Sefa/Sigyn, appena risvegliatasi senza memorie, non ha provato a scoprire il perché di una tale amnesia – lo spiegherò, se vi dico tutto subito non c’è gusto.
Venendo alle note segnate nel corso del capitolo:
[1] • Mi riferisco al fatto che Frigga nella mitologia norrena abbia il dono della preveggenza.
[2] • Myrkviðr, è nella mitologia norrena il «bosco nero» e fa da confine invalicabile tra mondi/territori. Non ha proprio una buona fama, ma la particolarità della tempesta di ghiaccio al suo interno è frutto della mia fantasia.
[3] • Astronavi/Navicelle – che avrei dovuto inserire prima, ma mi ero scordata e l’ho messo nel primo punto che mi è capitato, perdonatemi –, sì, non gli ho dato dei cavalli per muoversi perché sono un popolo tecnologicamente decisamente più avanti della Terra, e come si nota in Thor 2 le guardie usano astronavi a forma di gondola per muoversi, quindi no, non ho intenzione di dare un’atmosfera medioevale se non esteriormente. Anche gli unguenti che Sefa/Sigyn da a Thor e gli altri sono medicinali decisamente più potenti, per questo la guarigione è accelerata.
[4] • Goðheimr, è il pianeta su cui si trova Asgard, che ne è la capitale, e per la sua importanza la città-capitale spesso la si usa per identificare l’intero pianeta, anche se non è propriamente corretto.
[5] • Fonte di Urðr, si dice che sia alle basi dell’albero cosmico – Yggdrasill – ed è la fonte che contiene il destino di ogni essere vivente nei Nove Regni (nella mitologia e anche nei fumetti se non erro, Odino ha perso l'occhio per poter bere dalle sue fonti e trarne la conoscenza).
Sì, lo so, sentite la mancanza di Loki in questo capitolo che è giusto apparso all’inizio, ma non è che può sempre dominare la scena in modo visibile, altrimenti ci si insospettisce troppo, giusto? Comunque, non temete, tornerà in modo preminente già dal prossimo.
Inoltre ci tengo a precisare che sono andata proprio a fare una ricerca sui nomi vichinghi femminili per trovare quello più consono a Sigyn, e infatti Sefa ha come significato «calma, padrone di sé stesso, rilassato, gentile e tranquillo» - che come descrizione esteriore della dea della fedeltà mi sembra calzante.
Bene, detto ciò ringrazio super-infinitamente - come al solito del resto, sweetes - coloro che si sono soffermati a commentare il capitolo precedente, mi auguro che questo vi abbia soddisfatto. Inoltre, e ovviamente, ringrazio moltissimo anche chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate - e siete tanti per un primo capitolo, quindi tantissimo amore anche a voi, vi spedisco del cioccolato ♥ Come sempre vi invito a lasciare una piccolissima recensione per farmi contenta - così almeno avrò una piccola gioia in un periodo tremendo - e a presto,

Mania ▬



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Capitolo 3
*** O3 • Non vi è condanna più grande dell'oblio ***


PROLOGO



C A P I T O L O O 3 ▬
Non vi è condanna più grande dell'oblio

{ Io voglio sapere il nome che avrai,
voglio vedere con che occhi vedrai,
con quali mani tu mi sfiorerai,
togliendomi il sale dal cuore,
per il fuoco di vivere. }
Vivere – Cristiano De André



Non aveva trovato alcuna traccia delle spie di cui aveva ipotizzato l’esistenza, ma già sapeva che le proprie ricerche non avrebbero condotto a nulla – era premeditato, ovvio esclusivamente ai propri occhi. Tuttavia Loki le aveva eseguite con precisa intransigenza, sottoponendo chiunque fosse stato di guardia alla sala delle reliquie nell’ultimo mese a interrogatori spossanti, con la prepotenza veemente del proprio carattere arrogante e l’innata capacità di sviscerare le anime di chi gli stava di fronte. Loki aveva una predisposizione naturale per comprendere i moti dei cuori altrui, erano rompicapi facilmente risolvibili per il dio degli inganni – poche, d'altronde, erano state le persone ad uscire dagli schemi delle sue previsioni, tant’è che le avrebbe potute contare usando un’unica mano.
Quando Thor si presentò verso sera nella sala, da poco sgombra dalla lunga fila di persone costrette sotto le domande fin anche eccessivamente personali, giunse praticamente di corsa, con l’ansia di dover comunicare notizie di impellente urgenza.
«Cominciavamo a pensare che ti fossi perso, fratello. Hai catturato i ladri?»
«No, abbiamo avuto qualche distrazione nel frattempo. Ma porto comunque buone nuove, ottime» rispose Thor con tono squillante, ancora misto all’adrenalinica eccitazione che la giornata gli aveva messo addosso. La felicità per aver ritrovato Lady Sigyn era incontenibile, ma non voleva in alcun modo rovinare la sorpresa a Loki – preferiva osservarne la reazione una volta che sarebbe stato messo dinnanzi a lei senza alcun preavviso. Era abbastanza certo che Loki avrebbe confuso la sua frenetica allegria per i residui di febbricitante entusiasmo per lo scontro, che intuiva erroneamente fosse avvenuto con i criminali che aveva provato a catturare.
«Noto una certa fibrillazione e impellenza di parlare, dunque fallo» lo invitò Loki, assecondando il fratello.
Thor si lanciò in un racconto talmente puntuale dell’inseguimento da risultare lungo quanto lo stesso, o probabilmente era Loki che trovava del tutto noioso quello che per il fratello era stata una fucina di adrenalina che ancora gli rendeva lo sguardo luccicante di agitazione. L’unico dettaglio che fino a quel momento lo aveva interessato era la fuga riuscita dei ladri, ma non chiese ulteriori delucidazioni al riguardo perché le avrebbe reperite autonomamente – e sicuramente sarebbero state informazioni più precise di quelle che avrebbero potuto ottenere da Thor.
«Perché faccio fatica a capire quale sia il punto del tuo racconto?» domandò ironicamente Loki, dopo minuti di monologo ininterrotto.
«Ci sto arrivando, pazienta un attimo» lo rassicurò, riprendendo le fila della narrazione con crescente euforia fraintesa nella sua origine dal fratello minore. «Stavo dicendo che nel mezzo della tempesta stavamo per perderci e siamo stati accerchiati dai ladri stessi, probabilmente conoscevano il territorio e ci hanno teso un agguato. E se non fosse stato per l’intervento di una giovane dama sarebbe stato molto più difficile venire fuori da questa situazione.»
«Ah, il punto è una donna. Lady Sif ne sarà contenta» commentò sarcasticamente Loki, continuando a seguire il fratello con la stessa voglia con cui avrebbe accettato di presentarsi al cospetto di Hela. Ma d’altronde Thor era più che entusiasta, lo avrebbe probabilmente trascinato di peso se si fosse rifiutato di seguirlo, spettacolo che preferiva evitare favorendo il capriccio del fratello maggiore per scoprire in quale diavoleria sarebbe incappato questa volta. Se solo avesse avuto un minimo sentore del motivo per il quale il volto del dio del tuono traboccava così infinitamente di felicità febbrile, si sarebbe morso la lingua per poter allungare il passo invece di perdersi nelle proprie frasi pungenti.
«In realtà lo è. E lo sarai anche tu» asserì con prontezza Thor, incapace di sentirsi in alcun modo toccato dall’acidità con cui l’altro aveva pronunziato le proprie parole, affilandole per potersi vendicare dell’essere stato distratto dai propri compiti. Non attendeva altro che studiare la reazione di Loki quando l’avrebbe avuta davanti, quando finalmente Lady Sigyn sarebbe stata nuovamente inglobata dal suo sguardo imperscrutabile, anche se sapeva che avrebbe faticato a scorgere nel fratello la stessa fibrillazione da cui lui stesso si sentiva travolgere – unicamente il dio degli inganni ne avrebbe avuto percezione dei maremoti della propria anima.
Quando entrarono nella sala in cui aveva lasciato Lady Sigyn nelle mani di Sif, l'antica amica dimenticata, in attesa del loro arrivo, lei se ne stava in piedi con la schiena perfettamente retta riuscendo a far apparire tale posizione naturale – forse per merito nei fili di luce condensata a seguire le sue forme come fosse stata una cascata, o forse per l’intrinseca nobiltà con cui ogni suo gesto era dipinto.
«Lady Sefa, lui è mio fratello, Loki», li presentò riuscendo a stento a trattenere i tremiti della voce, sposandosi in dietro di qualche passo per non intralciare un incontro che sfortunatamente avrebbe avuto un’importanza differente per ciascuno dei due.
Fu quasi impercettibile la contrazione che tutti i muscoli del corpo di Loki ebbero. Una scarica elettrica li irrigidì d’un tratto, senza preavviso quando la donna si voltò e si rivelò agli occhi verdi del dio dell’inganno, il quale compì uno dei maggiori sforzi della sua intera esistenza per mantenersi il più possibile impassibile. Ma il tumulto improvviso che aveva creato il ritrovarsi a pochi metri da Lady Sigyn non era esplicabile in alcuna lingua dei Nove Regni, e nemmeno esternabile, perché troppo a lungo aveva atteso di ritrovare quel volto disperso su Goðheimr[1] e ora l’aveva a una distanza tanto irrisoria da dargli le vertigini.
Il suo sguardo pesante, macchiato da condense tutt’altro che semplici da classificare, la scrutavano con l’ansia di scoprire se fosse un’illusione o se veramente suo fratello aveva ritrovato la donna che per lunghi decenni aveva provato a ricondurre al proprio fianco. Non osò pronunciare alcuna parola, restando con la percezione di non aver ancora respirato da quando aveva posato le proprie serafiche iridi sulla sua figura, per evitare che si dissolvesse rivelando di essere vittima di una crudele allucinazione che rivelava il solo desiderio puro – l’unico che per sempre sarebbe rimasto tale – di cui era afflitta la sua anima. E ne studiò rapidamente l’apparenza, per scorgere nelle sue pieghe qualcosa che rivelasse l’inganno, ma ogni più minuscolo dettaglio combaciava con la memoria che custodiva di lei – le labbra carnose; i nei a tappezzare la sua pelle; le spalle lievemente più larghe di quanto il canone comune avrebbe trovato perfetto; gli occhi più scuri di qualsiasi abisso avesse mai scrutato; le mani che nonostante le cure erano abbellite da calli e il sorriso accompagnato all’inclinazione laterale del capo.
Quasi gli venne da ridere nel vederla con i capelli sciolti, perché tanti secoli aveva impiegato per poterli ammirare in tale forma ed era tragicamente ironico che finalmente potesse farlo quando lei non aveva alcuna rimembranza di quella silente guerra, mossa tanto cocciutamente nel corso dei secoli[2].
«Vostro fratello mi ha talmente parlato tanto di voi, ché mi perdonerete la franchezza di domandarvi se almeno voi avete il buon senso di darmi il permesso di tornarmene a casa», fu lei a prendere la parola con la semplicità con cui sarebbe andata a raccogliere funghi nel bosco nonostante il magnetismo esercitato dallo sguardo di Loki, così diverso da quello sereno del fratello, capace di tranquillizzare e mettere a proprio agio chiunque lo incontrasse. Eppure, Lady Sefa non provò alcun fastidio nell’essere tanto esaminata da quelle verdi iridi prepotenti, la cui impetuosità era malcelata sotto sfumature di cui era incapace di cogliere il senso.
«L’ho invitata a rimanere fino alla mia incoronazione» spiegò Thor sorridendo con soddisfazione plateale, sotto la silenziosa domanda dell’altro rivolta con uno sguardo interrogativo. Riusciva a scorgere meramente un flebile sussulto perpetuo in Loki, nemmeno lui riusciva a nascondere completamente la sorpresa fulminante che lo aveva colpito allo stomaco – sopraffacendolo in maggior misura di quanto si riuscisse a carpire dalla superficie esteriore.
Solo quando udì la voce di Sigyn rivolgersi direttamente a lui, riempiendo l’aria e rendendo più reale la sua presenza lì, a pochi centimetri da lui, Loki finalmente riuscì a realizzare completamente l’idea di averla concretamente a una manciata di passi, davanti a sé, com’era stato un tempo – e anche se non rientrava nei propri progetti riaverla ora, per una volta non provava irritazione nel scorgere mutamenti al quadro programmato. La propria immobilità si fece meno rigida, tirando le sottili labbra in un lieve ghigno nel gustarsi il suono fluido delle tonalità con cui Sigyn intingeva le sue parole, e trattenendosi dal compiere un ulteriore passo nella sua direzione per evitare di cedere alla stupida tentazione di prendere ulteriore coscienza della sua esistenza in quel momento, in quel preciso attimo, in modo del tutto inadeguato.
«Mi avete praticamente rapita» chiosò risentita Lady Sefa, rivolgendosi a Thor con rimprovero evidente nei lineamenti, marcato senza eccessi come da sua indole indifferente alle passioni esagerate, prima di ritornare a concentrare i propri occhi sulla figura del principe minore.
«Ovviamente potrei accontentarvi, ma se tale è la decisione del futuro re, non sarò io a contrariarla» rispose infine Loki con una naturalezza che avrebbe ingannato chiunque, soffocando qualsiasi nodo e tensione del quale era afflitto, perché mai si sarebbe perdonato di rivelare i maremoti dei sentimenti che Sigyn smuoveva in lui a chi non era degno di conoscerli.
«Vi affido alle cure di mio fratello, sono certo che non avrà nulla da ridire nell’occuparsi della vostra sistemazione» asserì soddisfatto Thor, facendo un cenno del capo a Lady Sif per indicarle di seguirlo mentre li lasciava da soli.
«Io ce l’avrei una sistemazione» replicò alle spalle del dio del tuono, mentre chiudeva le porte dietro di sé. Trattenne il sospiro che aveva in gola, decidendo di non rimarcare troppo – almeno per il momento – la propria indisposizione nell’essere stata trascinata a palazzo.
Tornò a voltarsi verso il principe minore, cercando di scrutare nelle foschie dei suoi occhi, dello stesso verde misterioso delle foglie cresciute sui rami delle foreste più tetre. Osservare le iridi dell’uomo le aveva portato una sensazione indecifrabile, una rimembranza dissolta non appena l’aveva sfiorata, qualcosa di cui sapeva di essere a conoscenza ma che le sfuggiva nell’inseguirla. Al contrario dello sguardo cristallino di Thor, quello del fratello era tutt’altro che sereno – cupo, si annidavano condense di tumulti e ombre come Sefa non ne aveva mai osservate. Quel groviglio indecifrabile, sommato al fascino arrogante che si espandeva dal sogghigno fino a ricoprire la sua intera figura slanciata, la incantarono per più secondi di quanti avrebbe voluto lasciar trascorrere prima di riprendere la parola. Vi era qualcosa di assolutamente magnetico in lui, una forza attrattrice come mai ne aveva provate nella sua vita, e faticava a non ammettere a gran voce nella propria mente quanto si ritrovasse ad ammirarlo ammaliata – nonostante non conoscesse il benché minimo particolare della sua persona, in un moto irrazionale del suo cuore che faticava a sopprimere a colpi di razionalizzazioni dalla blanda forza.
«Dunque, nemmeno voi sembrate ragionevole», riuscì finalmente a sopperire al silenzio che Loki aveva mantenuto inalterato, lasciandola da sola sotto il proprio sguardo penetrante – e per quanto fosse schiacciante il modo con cui la stava scrutando, Sefa non avvertì il benché minimo disagio, e al contrario quasi provò fastidio nel dover interrompere l’atmosfera di attesa che si era strutturata.
«Non credo di esserlo mai stato. Per di qua, Lady» rispose ironicamente, inclinando appena il capo di lato accompagnando un angolo delle labbra a tirarsi maggiormente, rendendo sghembo il ghigno affisso sul proprio volto. Fece un passo di lato, aprendo il braccio destro per indicarle la via da percorrere, mentre il sinistro si avvicinava alle spalle della donna per sospingerla nella medesima direzione.
Fu unicamente un lieve tocco quello delle loro pelli, ma le bastò tale flebile contatto per avvertire il proprio cuore cedere sotto una pressione interiore sconosciuta, della quale mai prima di quel singolo attimo scolpito nello sciabordio di eoni aveva udito il dirompente abbattersi in se stessa. Avrebbe voluto scuotere il capo per scacciare improvvisi sussurri nati dall’istinto che affondava nell’inconscio, ma si trattenne per mantenere l’imperturbabilità della propria apparenza condita con lieve irritazione, per l’essere stata trascinata via dalla propria casa – ma mentre seguiva i passi di Loki, improvvisamente non la urtava più come in precedenza quel soggiorno inaspettato nella capitale.
Durante il tragitto Loki le rivolse saltuariamente la parola, non perché ancora scosso dalla sua ricomparsa non calcolata nella propria vita, quanto perché desiderava studiare quanto fosse diversa e fino a quale punto. Fortunatamente, escludendo l’acconciatura e gli abiti da dama, appariva rivestita dello stesso carattere fasullamente mansueto che conosceva, macchiato di una sottile impertinenza e quel modo di fare quieto che aveva di affermare qualsiasi cosa ritenesse di dover rivelare al mondo, anche se era inappropriato, con la naturalezza con cui avrebbe asserito qualsiasi altra cosa. E com’era sempre stata capace, sosteneva il peso del proprio sguardo senza compiere alcuno sforzo o avvertire il benché lieve segno di disagio nell’essere sottoposta a una tale insistente ingerenza – perché tale era il suo continuo tentativo di scavare nelle cavità oscure degli occhi della donna alla ricerca di segreti indicibili. La sostanziale differenza, quella che rodeva l’anima del dio degli inganni, era che perdurava a essere unicamente uno sconosciuto per Sigyn, quando in realtà era sempre stata la sola persona in grado di comprenderlo e accettarlo fino all’ultimo grammo di indecenza di cui era ripieno. L’accecante felicità che aveva portato la sua presenza si stava sgretolando sotto la consapevolezza rancorosa che Sigyn non era se stessa – non ancora –, e che la punizione inferta da suo padre perseverava ad esistere, fastidiosamente dolorosa come una spina conficcata precisamente al cento del suo cuore.
Si arrestò di fronte alle porte delle stanze di sua madre, bussando con l’educazione che riservava a Frigga e pochi altri, attendendo che la stessa lo invitasse a entrare. La trovò seduta sul terrazzo in compagnia delle tre dame[3] che da secoli la servivano con adorazione, e quando il suo sguardo si alzò sul figlio e la figura della donna in sua compagnia fu abile nel trattenere per sé la sorpresa sgomentata del ritrovare in quest’ultima Lady Sigyn.
«Madre, mio fratello ha portato a palazzo un’ospite inattesa» spiegò Loki, scostandosi di lato per permettere a Sefa di procedere in avanti in modo da poter far la conoscenza della regale donna di fronte a sé. «Lady Sefa, vi presento mia madre, la Regina Frigga.»
«È un onore fare la vostra conoscenza» asserì Lady Sefa prostrandosi in un inchino dovuto.
«L’onore è mia, Lady Sefa, è un vero piacere incontrarvi» ricambiò Frigga, appoggiandole una mano sulla spalla per invitarla a rialzarsi. Contenne il proprio stupore con abilità d’attrice incredibile, riuscendo a gestire alla perfezione la prepotenza che la sua ricomparsa portava con sé; ma la Regina d’altronde era un’abile maga e illusionista, qualità che non appartenevano ad anime qualunque e che necessitavano del terreno fertile di peculiari capacità recitative per svilupparsi a dovere. E per Loki, che da lei aveva ereditato molto più di quanto si sospettasse, non era affatto strano notare con quanta magistrale interpretazione sua madre non desse alcun segno di sconcerto. «Loro sono le mie ancelle: Fulla, Gná e Hlín. Si prenderanno cura di voi, andate.»
L’invito della Regina fu espresso talmente garbatamente che per quanto Sefa ebbe in un primo momento l’impulso di rifiutare, si piegò sotto lo sguardo dolce e assecondò la sua richiesta seguendo le tre dame – cercando di ignorare gli sguardi sgranati con i quali indugiavano su lei, alla ricerca di qualcosa a lei stessa ignoto –, scortata fino a quando fu possibile dallo sguardo impassibile di Loki.
«Sei venuto a chiedermi come fare per restituirle la memoria, ma non è una risposta che devo darti io», Frigga anticipò il quesito del figlio mentre gli faceva segno di sedersi accanto a lei sulla panchina del terrazzo. Come quando era piccolo e doveva dispensarsi in qualche consiglio, prese tra le mani quelle di lui ora più grandi delle proprie, ma stringendole con lo stesso affetto con cui aveva sempre fatto. Avrebbe voluto essere maggiormente d’aiuto; scorgeva il soffocante dolore di cui era afflitto e di cui non aveva intenzione di dar mostra, ma non spettava a lei risolvere un simile mistero.
«È compreso anche questo nella punizione di mio padre, dunque» asserì serrando la mascella in una morsa di risentimento oscuro, abbeverato da un’ira scarlatta che non poteva essere facilmente riassorbita, nemmeno sotto le carezze delicate della madre.
«Tuo padre ha cercato di renderti chiaro che le tue azioni hanno ripercussioni che vanno oltre te stesso. E io ho acconsentito perché ti fosse chiaro che non tutto può andare secondo i tuoi piani e non possiedi il controllo su tutto, ma che su ciò sopra il quale lo possiedi andrebbe adoperato», gli ricordò con la stessa dolcezza con cui decenni prima aveva provato a spiegargli che non avrebbe dovuto bruciare via tempo come se fosse eterno, pentendosi in minima parte di non aver provato a dissuadere maggiormente il marito da elargire una simile punizione a Lady Sigyn. A distanza di tanto tempo, rimaneva certa che insieme alla sofferenza, ciò avrebbe portato qualcosa di buono per entrambi – occorreva solo la pazienza necessaria a farlo nascere, e pregava che per una volta Loki fosse in possesso della lungimiranza essenziale.
«Cosa cercate di dirmi, madre?»
«Lady Sigyn tornerà chi era, troverai il modo. Posso suggerirti di restituirle la sua collana.»
«La vostra, madre.»
«Non gliela diedi unicamente perché il verde le dona. Ma da sola non sarà comunque sufficiente» spiegò Frigga, sollevando le sopracciglia in modo eloquente. Aveva aiutato il fato fino al punto che le era concesso, ma non avrebbe potuto impiegare maggiormente le proprie doti di preveggenza, il resto era nelle mani di Loki – e trattandosi delle sorti di Lady Sigyn, era sufficientemente certa che non sarebbe incappato in particolari difficoltà.
Avrebbe desiderato ribattere ulteriormente, Loki, ma il ritorno di Lady Sefa bloccò qualsiasi suo tentativo di ricercare indizi che potessero essergli d’aiuto. Osservò propria madre alzarsi per andarle incontro con il sorriso amorevole con cui aveva sempre trattato Sigyn, posando sulle sue spalle le proprie mani per chiederle silenziosamente di girare su se stessa in modo da poterla ammirare nel nuovo abito – verde come il prato primaverile.
«Siete incantevole, Lady Sefa. Non trovi anche tu, figlio mio?»
«La treccia vi dona» asserì, senza confermare completamente l’affermazione della madre, ma apprezzando l’idea delle tre ancelle di tessere nuovamente i capelli scoloriti di Sigyn nell’intreccio che un tempo soleva sempre tenere, per dispetto al desiderio di osservarla con i lunghi capelli sciolti.
Quando si accomiatarono dalla Regina, ritornando a percorrere i labirinti composti dai corridoi, rimasero con l’unico suono dei loro passi ad accompagnarli nell’arzigogolata piantina del palazzo, passando tra sale e lunghi porticati. E ogni volta che incrociavano qualcuno, Lady Sefa non riusciva a evitare di captare anche in loro scorci di inquietante sorpresa a lei rivolta – e a un certo punto, presa dall’incomprensione di una tale situazione, si chiese sarcasticamente se forse non fosse soltanto tutto frutto della sua immaginazione, per quanto insensata era la piega intrapresa dagli eventi. Prima che potesse tornare sull’argomento delle ragioni per cui era stata condotta a corte, Loki interruppe il delicato silenzio.
«Mia madre mi ha chiesto di darvi questa, crede che vi starebbe bene», estrasse dalla tasca dei propri pantaloni la catena d’argento al quale era appeso un ciondolo a goccia in cui uno smeraldo vi era incastonato. Si piegò su di lei per potergliela appendere al collo, ma le sottili dita della donna lo bloccarono prima che potesse completare l’operazione, rimanendo intrappolato a ricambiare lo sguardo saturo di contrastanti sfumature della donna a un'effimera distanza – scorgeva una sottile ansia, mista all’incomprensibilità della situazione nella quale era finita e lo stupore crescente, ma anche schegge ardenti nel scivolare sulle proprie sottili labbra.
Comprese che sua madre aveva ragione, non sarebbe trascorso molto prima di trovare un modo per recuperare le sue memorie, perché esse erano lì, incastrate tra la razionalità dell’evidente e l’irrazionalità della sua anima – doveva semplicemente trovare un modo per farle compiere un passo oltre una sottile barriera, fatta di nebbia a offuscarle chi davvero fosse.
«Non posso accettar-»
«È un prestito fin tanto che starete qui, non un regalo. Non toglietela» le ordinò, sfuggendo alla presa di lei fino a portare le proprie braccia attorno al suo collo per agganciare la catenina, con lentezza, sfiorando di proposito la pelle delle spalle con brucianti carezze accidentali nella loro noncuranza calcolata. Ritrasse le mani da lei, ma perseverò a rimanere con soli alcuni minimi centimetri a separare i loro copri – ne avvertiva il calore, il profumo della pelle, i riflessi dispersi nelle iridi di oscurità liquida.
Il tremito a cui era sottoposta era unicamente interiore. Lady Sefa avvertiva il proprio cuore battere come se si fosse trovato in un roseto selvatico e ogni spostamento lasciasse un nuovo graffio; era un dolore spinoso quello che le causava stargli vicino, eppure non desiderava in alcun modo scostarsi dalla sua presenza.
«A chi apparteneva?» domandò incuriosita – forse perché scorse una nota di amarezza in lui, o forse per evitare di lasciare un silenzio pressante a unirli.
«Non ha avuto una sola proprietaria» rispose criptico, tirandosi finalmente indietro di mezzo passo e lasciandola libera di respirare con maggior semplicità, non più costretta dall’attenzione lacerante con cui ricambiava il suo sguardo – troppo impegnata a cercare di carpire certezze negli occhi smeraldi di lui per potersi concedere il lusso anche di inspirare ed espirare regolarmente.
«Perché sono qui?» chiese infine, scuotendo il capo, perché per quanto sembrasse avere un senso la sua permanenza a palazzo, non riusciva a scollarsi di dosso la sempre più crescente impressione di essere vittima di un raggiro. Qualcosa le sfuggiva, qualcosa che aveva a che fare con i modi con cui Thor e gli altri l’avevano scrutata con stupore raggelato al loro primo incontro, e forse anche con il motivo per cui sentiva quella strisciante sensazione ad avvilupparle l’intestino da quando aveva incontrato Loki.
«Perché partecipare all’incoronazione di mio fratello da una prospettiva privilegiata» asserì con ovvietà teatralmente ostentata, riprendendo a camminare con la certezza che lei lo avrebbe seguito – e così fu.
«No, intendo perché sono qui davvero» perseverò, incapace di rassegnarsi. Era del tutto folle, irrazionale e ai limiti dell’incredibile, ma era convinta di non starsi sbagliando, per quanto Loki fosse del tutto convincente nel mostrarsi divertito davanti alla sua cocciutaggine apparentemente sciocca, essendo basata sull’assenza di fatti concreti che potessero avvalorare la sua tesi.
«Cosa vi fa credere che ci sia un’altra motivazione?»
«Prima di tutto, non sono una provveduta e anche se è puramente istinto a guidare le mie parole, avverto chiaramente che qualcosa non quadra. In secondo modo, mi guardano tutti in modo strano, ad eccezione di voi e di vostra madre.»
«Non mi pare di aver scorto nulla di così stravagante e io sono molto attento.»
«Non abbastanza allora. I loro sono gli sguardi di chi vede uno spettro» replicò intessendo nella calma esteriore una forza di cui Loki ricordava l’esistenza nelle loro passate discussioni. Sigyn non perdeva facilmente la serenità dei suoi gesti e parole, nemmeno quando era lui stesso a gettarla sul precipizio della più profonda irritazione unicamente per scorgerla mossa da passioni che sapeva gestire con più destrezza di qualsiasi altro essere vivente. La sua anima era intessuta di una pacatezza che perdeva solo quando era il ritmo ardente dell’amore a guidarla, ed erano state invece tanto saltuarie le occasioni in cui si era adirata da ricordarle tutte quante.
«Credo che se gli spettri fossero come voi, andrebbero a chiedere a Hela di prenderli subito con sé» asserì con malizia, squadrandola come se avesse potuto toglierle gli abiti esclusivamente con lo sguardo – sogghignò nel vederla sussultare, ma non insistette ulteriormente su quella via, non per quel giorno. Avrebbe avuto modo di attirarla a sé con la calma delle giornate successive, per ora voleva accontentarsi di averla ritrovata prima del tempo. «Non correte troppo con la fantasia, e assecondate i desideri di mio fratello, qui tutti fanno così e non sarete voi a mutare le cose.»
«In realtà, principe, a me pare di essere relegata qui per ragioni che vanno al di là di vostro fratello», e nell’effetto della propria controreplica, a Lady Sefa parve di cogliere una nota di soddisfazione sul volto di Loki – e lo era, perché com’era stato fin dal loro primo incontro, lei pretendeva di avere l’ultima parola e a volte lui gliela concedeva come in tale caso, preferendo continuare a passeggiare in sua compagnia nel silenzio intimo della non necessità di ulteriori chiacchiere.




M A N I A’ s W O R D S
Ed eccomi qui, con l’aggiornamento ~
Dovevo pubblicare ieri, lo so, ma purtroppo ieri dopo lo studio mi sono autodistratta chiudendomi sugli spoiler e poi sulla diretta alle due di notte delle due puntate finale della terza stagione di Once Upon a Time - E OMMIODIO I MIEI FEELS DI FANGIRLS, non so quanto di voi lo seguano, ma io sono così felice per il finale di stagione.
Tornando all'argomento principale, invece, parto con il dire che questo capitolo è stato betato frettolosamente, nel senso che l’ho riletto solo tre volte quando solitamente rileggo almeno otto/nove volte – ma se avessi fatto ciò che faccio solitamente, probabilmente vi sarebbe arrivato tra un mese o due, quindi ho evitato, spero possa andarvi bene comunque.
Ora, in realtà questo capitolo ha poco su cui devo sproloquiare, strano a dirsi. Si sono ritrovati, che volete di più? Le memorie di Sigyn, sì, lo so, con calma, dai. Per di più si sono rivisti prima di quello che Loki aveva previsto, quindi esultiamo, che se avessimo lasciato fare a lui ci sarebbe voluto un po’ di più – o forse no, chissà.
Spero che sia chiaro che all’inizio Loki ha condotto interrogatori unicamente per salvare l’apparenza. Sapeva benissimo che non avrebbero condotto a niente, ma doveva farli – e almeno aveva una scusa per evitarsi l’inseguimento.
Giungendo alle note:
[1] • Io ve lo specifico sempre che questo è il nome del pianeta su cui vivono tutti quanti e che Asgard è unicamente la capitale, con la quale si identifica l’intero Regno visto l’importanza, e giusto che dalla prossima volta non ve lo scrivo più in nota perché penso di avervi rotto sufficientemente le scatole con tale specificazione.
[2] • Per chi non avesse letto la raccolta precedente, Loki ha sempre avuto una certa attrazione per i capelli di Sigyn, che lei prima tagliava e poi si è fatta crescere su suo ordine, ma tenendo sempre la treccia per evitargli di ammirarli sciolti. È una ragazza simpatica.
[3] • Nella mitologia norrena, Frigga ha tre ancelle di compagnia.
Nota del tutto irrilevante, personalmente Thor me lo sono immaginato come un bambino di cinque anni che sta per scartare il regalo più bello della sua intera esistenza, all'inizio quando porta Loki da Sefa/Sigyn, ma voi siete liberi di dargli un contegno migliore - infatti non ho calcato troppo le descrizioni al riguardo per tale motivo x°D
Ah, e anche Loki, per quanto sia profondamento turbato dalla presenza di Sigyn, è unicamente interiore. Esteriormente è veramente impercettibile il suo stato d'animo se non agli occhi attenti di chi ci ha vissuto un'intera vita assieme, ecco. Spero che sia chiaro, ma sapete quanto io sia pignola senza motivo.
Detto questo io come al solito mi prostro davanti a tutti voi che seguite la storia, perché mi date un incredibile supporto e io vi adoro immensamente. Dunque ringrazio tutti coloro che hanno commentato lo scorso capitolo – siete tutte gentilissime, e io vi adoro, per ciò vi costruirò una statua di Loki in casa (?) – e chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Inoltre, una menzione speciale a Loki94 e Yoan Seiyryu per aver recensito anche la one-shot “La neve, lei se ne frega”, che comunque è contemplata nella serie di cui fanno parte sia questa storia sia la raccolta precedente – ovvero “La fedeltà sboccia da un cuore di sale”.
Al prossimo capitolo, che con la sessione d’esame alle porte non so quando arriverà, ma arriverà.
Un abbraccio,


Mania




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Capitolo 4
*** O4 • Nomi impronunciabili ***


PROLOGO



C A P I T O L O O 4 ▬
Nomi impronunciabili

{ Vivere.
Quanto ti costa vivere
con tutti i sogni che scorderai,
con tutti i segni che porterai. }
Vivere – Cristiano De André



Era stata una decisione indiscutibile quella presa da Loki nei vuoti anni precedenti, una di quelle irrazionali e sbagliate persino ai suoi occhi gelidi, ma nessuno aveva provato in alcun modo a smuoverlo o discutere una simile presa di posizione. Tutti, nessuno escluso, avevano ubbidito come se fosse lui il Re almeno in quel frangente, perché per quanto le scelte importanti non dovessero essere prese quando si perdeva qualcosa, alcuno avrebbe mai potuto né avere il coraggio di contraddirlo né si sarebbe sentito di biasimarlo.
Il nome di Lady Sigyn era stato bandito, impronunciabile fino a quando lui non avrebbe decretato il contrario. Il Padre degli Dei aveva quasi tentennato sotto tale presa di posizione, una parte invisibile a chiunque – tranne alla propria Regina – si era quasi avvicinato alla possibilità di tornare a ridiscutere la punizione inflitta alla donna e a suo figlio. Aveva desistito unicamente perché continuava a conservare speranze riguardo alla possibilità che potesse rivelarsi utile, ma soprattutto era consapevole che non si sarebbe protratta all’infinito una tale pena. Così anche lui aveva accettato la decisione di Loki, ratificandola all’intero Regno per renderla legge e tra i muri del palazzo non venne più sillabato il nome di Lady Sigyn – se non negli antri, al riparo dalle orecchie del giovane principe; se non dal principe stesso a sé, nel cuore della notte in cui poteva coltivare il proprio rancore.
E sarebbe dovuta rimanere inalterata tale situazione anche con l’arrivo di Lady Sefa, o almeno Loki avrebbe preferito che ciò non mutasse l’immobilità al quale aveva incatenato tutti con la sua scelta deleteria. Non era stato spinto dal dolore, ma dalla rabbia liquida, viscerale, che aveva provocato non solo Odino con la sua condanna, ma anche Sigyn stessa con la sua incapacità di tenere a freno la lingua – e gliela avrebbe fatta pagare anche a lei, in un modo diverso rispetto a tutti gli altri, ma non le avrebbe permesso di uscire da quella storia con meno lividi e cicatrici di quanti ne avesse dovuti sorbire lui.
Tuttavia, al momento era più interessato a trovare un modo per farle recuperare la memoria. Prese in considerazione solo per un attimo l’idea di mettersi a raccontarle la verità, e lo fece solo sospinto dalla stupida leggerezza di Lady Sif, ma accantonò l’idea – perché appariva del tutto insensata, poco appropriata a se stesso, a loro. L’idea migliore era farle sorgere dei dubbi, la migliore tattica era spingerla ad alimentare la sua impressione iniziale sulla stranezza degli sguardi altrui e in un certo senso, alla fine, l’intervento inaspettato della dea della guerra non si rivelò così inadeguato rispetto al suo iniziale giudizio.
Avvenne due settimane e più dall’arrivo della donna a palazzo, giorni che erano trascorsi in modo del tutto similare l’uno all’altro. La banalità degli stessi però era unicamente apparente, almeno per Loki e per la protagonista – se non unica, quanto meno principale – dei suoi pensieri. Erano stati lavati via dall’incessante scivolare via degli astri, susseguendosi con il medesimo cerimoniale di incontri fasullamente casuali tra i due, alla ricerca l’uno dell’altro con l’accortezza di Sefa di non rivelare quell’insensato desiderio di avere per sé la compagnia del principe minore, e con il bruciante sguardo di quest’ultimo a scrutarla come un predatore famelico – non aveva alcuna intenzione di nascondere almeno parte della natura delle sue intenzioni verso di lei, forse per scoprire se anche ridotta in quelle circostanze si sarebbe rivelata totalmente priva del raziocinio di chiunque altro, e avrebbe perdurato a rimanere con lui nonostante il pericolo rappresentato. Ma Lady Sigyn era nata senza le normali inclinazioni di autoconservazione e con uno spiccato senso alterato di ciò che potesse davvero risultare concretamente una fonte di guai, e anche scevra dei ricordi che l’avevano forgiata come tale, perdurava nell’essere del tutto insensibile alla nascita di una forma di timore nei riguardi di Loki.
Dopo il passo falso di Lady Sif, tratta in inganno dalla confidenza che Loki elargiva a Sigyn e dai sorrisi dell’ultima, il silenzio era calato tra i passi che condussero nei giardini riservati alla famiglia reale. Solitamente, anche quando non sprecavano parole, non vi era alcun genere di tensione o aspettativa, ma in quel caso Loki scrutava l’irrequietezza negli occhi neri della donna, cruciati da un quesito che gli sarebbe stato posto a breve – troppo martellante nel suo petto, accresciuto da una consapevolezza perduta nelle memorie che non possedeva più, ma di cui avvertiva il fantasma perdurare sulla propria mente.
«Chi è?» si decise infine a domandare, con un nodo fissi al cento della trachea da ingoiare e il tentativo di non mostrare quanto profondo fosse il suo interesse per la risposta.
«A chi vi riferite?» domandò di rimando Loki, pur sapendo benissimo a cosa alludesse, desideroso di protrarre la sua agonia ai massimi livelli e rendere tanto assordante quel nome da provocarle almeno un po’ del tormento che aveva causato a lui. Ora che ripensava a come Lady Sif fosse stata tanto imprudente e a quanto avesse desiderato strapparle molto più che i capelli per punirla per una tale leggerezza, sorrideva quasi con soddisfazione per quello che era stato l’inizio di uno stillicidio che avrebbe perseguitato Lady Sefa.
«Sigyn!», Sif si morse la lingua una frazione di secondo dopo l’aver pronunciato ad alta voce il suo nome. Le era risultato del tutto impossibile frenarsi, quasi fosse stato un miraggio davanti al quale le parole risalivano dalla gola con la naturalezza dello stupore infarcito di speranza.
Lady Sif aveva sempre avuto una cura particolare nell’intessere la sua amicizia con Lady Sigyn, per via di molte ragioni banali a occhi inesperti, ma che per lei avevano avuto – e continuavano ad avere – un grande valore. L’incapacità di comprendere fino a fondo Sigyn non era mai stato un problema, solo un enigma che sapeva di non poter risolvere – non lei, almeno –, ma l’affabilità e la signorilità femminile con le quali aveva fuso insieme la grazia di essere donna all’arte della guerra erano un raro spettacolo. Poche persone avrebbero potuto comprenderlo davvero fino in fondo, e forse Sif, dea della guerra, poteva scorgere la magnificenza di un simile spettacolo proprio perché lei sola prima di Sigyn aveva portato un simile miracolo nell’universo.
Quindi, nel vederla passeggiare con Loki come se mai niente fosse avvenuto, come se non avesse sofferto la perdita dell’amica – come se lui non l’avesse patita molto più di quanto Sif potesse solo ipotizzare – e lei fosse da sempre rimasta lì con tutti loro, a trascorrere le sue giornate dividendosi tra la compagnia del dio degli inganni e un allenamento, non riuscì a trattenere le proprie labbra. Comprese il proprio errore ancora prima di ricevere l’occhiata penetrante di ira di Loki, scorgendovi dentro una scintilla che prometteva ripercussioni orrende per quel passo falso, e sapeva precedentemente all’intessere la propria bugiarda scusa, da cucire come pezza, che non avrebbe retto. Non era lei quella brava a muoversi tra le menzogne, era Sigyn a sguazzarci dentro con la stessa maestria innata con cui trafiggeva gli avversari. «Oh, Lady Sefa, scusatemi, da lontano assomigliavate a una mia vecchia amica, perdonatemi. Vi trovate bene a palazzo?»
«Mi troverei meglio a casa mia.»
«Non ne rimarrete lontana per molto, solo fino all’incoronazione» replicò Lady Sif cercando di apparire il più naturale possibile, ignorando per quanto le fu possibile l’insistenza degli occhi di Loki a rimproverarla silenziosamente per aver osato rompere il suo ordine. «Un giorno dovete venire ad allenarvi con me, Lady Sefa, ho notato una certa attitudine allo scontro e sono interessata a mettervi alla prova.»
«È un’idea molto allettante, ci penserò», e anche se la sua risposta venne pronunciata con sicurezza, priva di esitazioni apparenti, vi fu qualcosa di invisibilmente strano nel ricevere un tale invito. Un elemento che non sapeva scorgere concretamente, un altro ad accrescere il senso irrazionale di sbagliato nell’intera vicenda – ed era assurdo pensare a come la proposta di Lady Sif sembrasse un dejà vu smarrito chissà in quale anfratto della memoria, forse un sogno in cui aveva giocato a fare anche lei la guerriera e ora le tornava in effluvi evanescenti. Ma per quanto l’ipotesi potesse sembrare accettabile, semplice e logica, Lady Sefa avvertiva che non erano collocate in quell’ordine le cose – troppo pesante era la percezione di disallineato di cui portava la mole.
E ancora maggiore era tale istinto nei confronti di quel nome e della bugia che ne aveva fatto da contorno – troppo maldestramente gettatagli attorno perché una persona come Sefa, abituata a sguazzare tra le menzogne altrui e le proprie, non se ne accorgesse. E per quanto non avesse mai provato repulsione o giudicato infimo far uso di manipolazioni della realtà, e in egual misura non si fosse mai sentita offesa da un tale utilizzo delle distorsioni prodotte dagli altri, in quel caso aveva provato una fitta al petto immotivata. Quel nome continuava a strattonarle l’anima, avvinghiarsi con lunghi artigli nelle corde del suo cuore e suggerirle che vi era qualcosa di importante da scoprire, qualcosa che lei doveva conoscere – che per quella volta, più delle altre, avrebbe dovuto intestardissi sullo sbucciare le parole menzognere per giungere alla ragione ti tale sensazione.
«Sigyn».
«Ve lo ha detto, si è confusa» asserì Loki, ampliando gli angoli della bocca in un sorriso serafico intriso di frammenti melliflui a rilucere sotto i raggi caldi, sotto i quali passeggiavano con la tranquillità di chi non aveva fretta di veder scorrere via la giornata. Il dio degli inganni scorse chiaramente sul volto della donna l’inesistente convinzione che le sue parole le avevano reso unicamente più forte, e non perché lui non fosse abile nell’apparire sincero quando non lo era, ma perché Sigyn anche come Sefa era abituata a muoversi con incredibile destrezza tra le illusioni create dalle parole.
Istillarle maggiormente il dubbio, accrescere la sua sensazione che qualcosa non andasse era ciò che avrebbe fatto. Voleva vederla struggersi per tale situazione, contorcersi nel cercare di venire a capo di un dilemma irrazionale, spingerla a commettere azioni a catena prive di appoggi razionali, fino a vederla sull’orlo del precipizio su cui si sarebbe dovuta scontrare con le ipotesi impossibili dopo che quelle sensate erano state bruciate via. E nel mentre avrebbe atteso, l’avrebbe osservata e si sarebbe preso qualche pedaggio per quel dolore che era doverla perdere e riavere, senza che ai suoi occhi di liquida notte apparisse come l’uomo di cui lei era innamorata e che aveva amato come mai nessun altro avrebbe mai potuto.
«E chi sarebbe questa Sigyn?» persistette, conscia che mai avrebbe davvero ottenuto una risposta da lui – ma avrebbe insistito, testarda, perché anche Loki doveva avere una fenditura nella quale insinuarsi e Sefa intendeva provarci. Voleva penetrare in quella cortina di fumo di menzogne e illusioni, voleva osservare cosa vi fosse sotto e scoprire se almeno in quel modo avrebbe compreso per quale motivo si sentisse tanto ammaliata – affascinata in modo eccessivamente profondo – da qualcuno che non aveva mai incontrato prima – perché per quanto la sensazione di già vissuto anche con lui si fosse infissa nella corteccia della sua mente, provocandole una martellante sensazione di disagio, non poteva accettare che lui appartenesse a quel periodo dimenticato. E poi, se così fosse stato, perché non avrebbe dovuto farne cenno lui stesso? Ma Sefa conosceva la risposta, era nel titolo di cui si fregiava tanto superbamente – per via di un inganno.
«Una vecchia amica di Lady Sif, come da lei spiegato.»
«Non mi state davvero rispondendo» constatò l’ovvio Sefa, alzando un sopracciglio contrariata.
«Vi aspettavate qualcosa diverso dal dio degli inganni?» domandò ridendo Loki, fermandosi davanti alla marmorea ringhiera che li separava dallo strapiombo oltre il quale si estendeva la città di Asgard.
«Qualcosa di meglio, sì» lo provocò, condendo la propria affermazione con un sorriso sghembo e occhi schiacciati sotto sopracciglia in uno sguardo di sfida.
«Sei sfacciata» asserì divertito, perché anche senza le sue memorie, Sigyn rimaneva incredibilmente incapace di conoscere un limite oltre il quale non sporgersi con lui – e in generale, nella vita. Era incuriosito dal conoscere se tale suo atteggiamento in quel frangente fosse cosciente di quanto lui fosse pericoloso o si protrasse nell’inconsapevolezza di quanto fosse fitto l’abisso in cui dimorava. E qualsiasi circostanza fosse, lo trovava infinitamente divertente e lacerante assieme. «Se ti interessa così tanto, puoi provare a scoprirlo. In fondo, non hai alcunché di meglio da fare.»
Provocare Lady Sigyn era sempre stato rischioso, l’ultima volta che l’aveva incitata a fare qualcosa – a impressionarlo – era finito a ritrovarsela fusa alla propria vita, indissolubilmente avvinghiati al medesimo destino. Non se lo sarebbe fatta chiedere due volte, avrebbe colto le sue parole nei modi più estremi e lui avrebbe solo dovuto attendere come e quando avrebbe compiuto qualcosa di sconsiderato – sperando che lo fosse abbastanza per provocarle altre crepe di insicurezza su una patina di logica, che conduceva lontano dalla verità.
Come previsto da Loki, Lady Sefa trovò unicamente un ulteriore incentivo nelle sue sillabe. Desiderava scoprire fino a che punto avesse ragione sulla sua permanenza a palazzo, fino a quale livello lei fosse lì costretta, e si sarebbe anche occupata di ricostruire il misterioso quadro attorno alla figura di Lady Sigyn – una spina conficcata nelle profondità della carne, per quanto piccola era impossibile allontanare il pulsare della sua presenza. Passò l’intero pomeriggio, dopo aver osservato Loki allontanarsi con un sorriso di elegante provocazione, a parlare con quante più persone riuscisse a trovare in giro per il palazzo – finì addirittura nelle cucine pur di poter trovare nelle espressioni di chiunque ricevesse la sua domanda, la medesima reazione. Più scrutava nei loro lineamenti quella stessa contrattura muscolare, più necessitava di trovare qualche d’un altro che le mostrasse il ripetersi dello stesso meccanismo.
Non era semplice stupore per il quesito, e non vi era solo compassione sul suo fondo. Vi era un mordersi la lingua nel fingere di non sapere di cosa stesse parlando – come se per magia fosse impossibile da pronunciare e parlare di quella misteriosa donna.
Era troppo per una mente razionale, stava affondando in un territorio in cui qualsiasi collegamento dettato da connessioni logiche svaniva. Per inclinazione naturale, Lady Sefa non era mai stata succube di pulsioni e da esse non era mai stata guidata in una scia di azioni insensate, perché il controllo che aveva dei propri sentimenti e del proprio cuore era sempre stato sufficiente a tenerla legata a uno stato di quiete dolce e fredda assieme – non vi era un distacco drastico dal mondo, non vi era apatia per le emozioni, semplicemente le gustava con la pacatezza della serenità. Dunque era assai incredibile che sentisse il proprio petto ricolmo di una frenetica rabbia come in quella notte.
Cercò di scappare da palazzo unicamente per sfogarsi, per provare a se stessa che forse erano tutte sue fantasie e in realtà non vi era nulla di quella situazione che la riguardasse da vicino, che lei si trovava lì davvero unicamente per assistere alla cerimonia di incoronazione di Thor e beneficiava dei servizi di palazzo come ricompensa per averlo aiutato. Ma poi venne fermata dalle guardie, apparse dal nulla, ricondotta in camera e pregata di rimanervi, e così seppe che non stava esagerando, che in fondo a quella matassa di elementi scollegati vi doveva essere qualcosa ad unire il tutto. E quando gridò anche a loro di dirle chi fosse Lady Sigyn e scovò nei loro occhi quella segretezza di cui aveva potuto osservare la presenza anche negli altri, si convinse che doveva essere lei – solo lei, sempre lei – a dare un senso all’incredibile faccenda in cui si era ritrovata.
Almeno, la sua mossa azzardata le aveva fatto placare lo spasmo di ira che l’aveva scossa e la calma era tornata a rilassare le acque della sua anima, lasciando i maremoti sommersi e la determinazione ad affiorare. Avrebbe scoperto chi era Lady Sigyn, lo giurò alla notte e lo avrebbe sbattuto in faccia a Loki, colpevole di non volerla aiutare, di averle voltato le spalle, di tacere e di riempire impunemente il suo cuore con desideri inconfessabili quanto irrazionali.
E nei risvolti delle tenebre ricolme di segreti inconfessabili, in un punto lontano dal palazzo reale e da Asgard, sotto i rivoli di raggi lunari a trapelare tra le foglie del bosco Myrkviðr[1], un uomo incappucciato a sorreggere i propri passi con un bastone nodoso di pregiato mogano, si inoltrava tra i tronchi per un appuntamento che non avrebbe condotto con le proprie sembianze, con la propria presenza e con la propria voce.
Avrebbe mosso la propria pedina, costruita con tanta dedizione per occultare la sua identità, tenendosi segretamente a distanza, grazie all’ausilio delle abilità magiche ormai accresciute oltre le aspettative di chiunque – e tenute nascoste nelle potenzialità da lui sviluppate autonomamente, per poter essere in grado di tessere la propria ragnatela con la lentezza febbricitante, per l’impazienza di vedere insetti finirvi impigliati dentro.
I quattro ladri che erano entrati nella sala delle reliquie di Odino, prima di tentare una simile impresa sconsiderata, si erano recati a cercare consiglio dall’oscuro eremita che viveva tra le montagne a Nord di Asgard. Una figura di cui molti sussurravano e che raramente qualcuno aveva avuto modo anche solo di scorgere, ma nelle diverse dicerie popolari che si insinuavano tra le chiacchiere delle locande, vi era quella che lo dipingeva come conoscitore di qualsiasi nascondiglio, passaggio, crepa e anfratto del Regno. Per tale ragione Loki aveva spinto quei poveri imbecilli, travestendosi da vari popolani, a recarsi da qualcuno che non esisteva e di cui aveva preso il posto, in modo da guidarli verso Myrkviðr senza faticare eccessivamente – e con il bottino nelle loro avide mani.
«Tu! Demone impostore-»
«Impostore?», la voce alterata del primo brigante che aveva inveito venne prontamente interrotta da quella perentoria dell’anziano. L’eremita incappucciato, dalle mani rugose e il passo malfermo, aveva la potenza nelle parole, una capacità di renderle armi nella propria bocca, e gli bastò porgere un simile interrogativo stridulo e gracchiante per riportare al silenzio ovattato Myrkviðr. Solo i lievi sussurri provocati dal vento avvolgevano i cinque uomini – di cui uno piegato in due, ferito a un fianco –, di rado cosparsi dai versi della fauna oscura che abitava in quel bosco – un mondo a parte, dimenticato dai più, in cui pochi valorosi avevano il coraggio di spingervi.
Loki nelle vesti dell’uomo dal volto coperto lanciò a uno degli altri una fiala contenente un unguento, da usare sul malcapitato che aveva incontrato la destrezza della spada di Sigyn, che per quanto monca della propria memoria, rimaneva abile nel destreggiarsi con le lame. Non che gli servissero tutti e quattro vivi, ma doveva mantenere l’apparenza di volerli aiutare come aveva promesso, e per tale ragione, dopo aver calcolato il giusto quantitativo di assenza di parole, riprese. «Vi ho detto come seminare i vostri inseguitori, e li avete seminati. Le mie raccomandazioni vi sono state d’aiuto come avevate richiesto, se siete degli inetti non è mia la colpa.»
«Il nostro piano di fuga era il vostro misterioso passaggio, e non lo abbiamo trovato» obbiettò un altro, con la furia di chi riversa sugli altri i propri errori senza comprendere di aver sbagliato – e se solo non fossero stati a lui utili, Loki li avrebbe immediatamente uccisi, per l’impertinenza ottusa con cui si stavano comportando.
Aveva spinto nei molti mesi precedenti quella piccola banda di briganti a provare un colpo più arduo di quanto le loro menti potessero da sole progettare. Li aveva motivati inconsapevolmente, depredandoli di ogni avere durante le ore più buie e impedendo gli scambi di refurtiva minore con trucchi e imbrogli, in modo da spingerli sull’orlo della disperazione – solo così avrebbero avuto quel tocco di follia che occorreva loro per gettarsi in un’azione sconsiderata, come quella di rubare a Odino stesso. E proprio mentre stavano per affondare nei debiti, mentre ogni speranza di poter riavere una vita dignitosa per sé e le loro famiglie stava per scomparire, aveva fatto in modo che si cominciasse a sussurrare maggiormente dell’eremita delle montagne, a cui si sarebbero poi rivolti per assistenza – ovvero a Loki medesimo.
«Questo perché non siete furbi come pensate. Provate a seguire intelligentemente le miei indicazioni questa volta, perché le Guardie Reali continuano a setacciare ogni palmo del Regno e non ci sarà pace per voi se non nel cuore di Myrkviðr».
Aveva passato la seguente ora a elargire loro nuove indicazioni su come raggiungere la fenditura, attraverso la quale avrebbero scoperto quel rifugio al quale tanto agognavano, e nel quale avrebbero potuto anche trovare un modo per piazzare la refurtiva da loro sottratta tanto abilmente – o tanto facilmente, visto l’aiuto interno ricevuto.
Si chiese per quanto ancora avrebbe dovuto far affidamento su persone tanto insignificanti, e mentre faceva evaporare via la propria illusione, abbandonando lo scenario tetro del bosco per ritornare a passeggiare tra i corridoi del palazzo, con la mente libera dalla fatica di muovere la propria proiezione a una simile distanza, rimpianse una volta in più la perdita di Sigyn – molto più di un’alleata, e l’unica capace di eseguire quel tipo di compito senza sbavature.
La scorse, sorprendentemente, ancora sveglia nonostante persino la luna si stesse decidendo a scivolare via dal cielo, calando per lasciare le tenebre più fitte nelle ore più prossime all’alba. Gli dava inconsapevolmente le spalle con il volto rivolto all’orizzonte, senza davvero prestargli attenzione, con la testa perduta in mondi che non erano quello in cui teneva i piedi.
«Vi aggirate furtivamente di notte per qualche ragione?», la colse alla provvista, con le mani appoggiate alla ringhiera di marmo di uno dei molti terrazzi del palazzo. Fu solo lieve il balzo che la propria domanda improvvisa, posta sbucando fuori dai reflussi di ombre annidate nella notte, le provocò e fu lento il suo voltarsi verso di lui per ricambiare lo sguardo.
«Forse sono le stesse vostre, principe», sorrideva tenuemente, stanca ma decisa a resistere alle ore dominate dalle stelle per godersi una tranquillità nella quale sperava di trovare un modo per giungere al traguardo che si era prefissata. Non vi era in lei più traccia di quella rabbia accecante in cui si era ritrovata catapultata nel pomeriggio, ma come sua abitudine era ammantata dell’irrefrenabile determinazione scevra da istinti indomabili, quieta e per questo maggiormente pericolosa per la capacità di calcolo.
«Oh, per quanto sarebbe assolutamente interessante se così fosse, purtroppo reputo che le vostre motivazioni siamo banali» replicò ridendo appena, portandosi da parte a lei. Era strano vederla con i capelli sciolti, aveva desiderato tanto ardentemente potere ammirare quei capelli tanto chiari da sembrare di luce condensata liberi da vincoli, ma ora che Sigyn li portava senza più intrecci unicamente perché non ricordava di dovergli arrecare dispetto, la cosa lo indisponeva. Avrebbe preferito che tenesse la treccia che le ancelle della madre le avevano intessuto, e avrebbe desiderato maggiormente essere lui stesso a snodarla – ma non si privò di far passare le proprie dita tra di essi.
La sorpresa per l’essersi preso una tale libertà fu rapida a formarsi sulle sue gote in lievi pozze di rossore, così fu altrettanto veloce a scomparire, sotto la determinazione di non mostrarsi in alcun modo una sua vittima. Lady Sefa cercò di mascherare quanto meglio potesse non l’incredulità nel sentire le falangi del principe scorrere tra i lunghi fili lisci della propria chioma, ma quanto trovasse piacevole e naturale un simile gesto – un gesto che avrebbe dovuto invece sembrarle eccessivamente confidenziale, troppo intimo per due che si erano conosciuti da appena due settimane.
«Cerco di seminare le guardie» rispose per ingannare l’emozione, nascondendola con le sue capacità recitative da grande attrice.
«Vi da così fastidio rimanere a palazzo?»
«Mi infastidisce non sapere il perché, quello vero. Mi infastidisce sentirmi praticamente prigioniera. Mi infastidisce che nessuno mi risponda su chi sia Lady Sigyn» asserì senza alcuna recriminazione nei suoi riguardi. Non voleva che prendesse le sue parole per un’accusa personale, concedendogli così la possibilità di usare un rimprovero tanto poco sensato come pretesto per andarsene. «Sapete, ogni volta che lo chiedo a qualcuno ha la medesima reazione: si irrigidisce, mi guarda con compassione e un pizzico di sconcerto prima di scuotere il capo. È stato proibito da qualcuno di parlarne?»
«Siete irrazionalmente ossessionata a un nome.»
«Io sarei quella ossessionata? Non chi si rifiuta di rispondermi?» replicò modulando la voce con attenzione, lasciando trasparire più ilarità ironica che risentimento per il tentativo di farla passare per una visionaria. «E voi? Nemmeno voi mi rispondete?»
«Potrei rispondervi, ma non comprendo la vostra curiosità.»
«Anche voi, dunque, siete come gli altri. Vi sottomettete a questo silente ordine di tacere. Mi avete deluso
Si piegò su di lei fino a ridurre in briciole la distanza tra di loro, con un ghigno a tessere espressione di puro divertimento condito da sfumature minacciose. Era incredibilmente la donna che aveva sempre conosciuto, che tanto profondamente lo aveva servito e amato, anche in quel contesto e non poteva che non esserne soddisfatto. La natura di Sigyn era incancellabile, e per quanto la sua vita fosse sempre stata legata alla propria, ciò non era stato un fattore che aveva modulato la sua personalità – era forte, poderosa, e nemmeno Loki avrebbe potuto piegarla, per tale ragione aveva ricambiato i suoi sentimenti, perché mai avrebbe potuto desiderare tanto una persona senza una simile potenza a riecheggiare nel suo animo.
E per quanta malevole luce ardesse ora nelle iridi verdi dell’uomo, per quanto vi avesse appositamente sciolto in essi intenzioni poco onorabili e pure, non vi fu un solo tremito di paura o di ripensamento nella semplicità con cui sosteneva il suo sguardo. Per tale ragione la baciò, perché era la stessa normalità con cui, da quando l’aveva incontrata al tempo in cui era ancora bambina, aveva non retto, ma ricambiato occhi che in molti non sapevano guardare.
La tirò a sé con la mano che ancora teneva tra i suoi capelli, unendo senza ansia le loro labbra in quella che appariva più come una carezza, accennata appena – si trattenne, perché se solo avesse approfondito quel contatto si sarebbe ritrovato impossibilitato a trattenere l’istinto lussurioso, che lei gli faceva sgorgare tanto semplicemente.
«Allora, non deludete voi me» asserì a fiori di labbra, Loki, sfidandola ulteriormente, prima di tornare a restaurare la precedente distanza. «Scoprite quello che volete, ma senza contare sul mio aiuto, perché non ne riceverete alcuno o non sarebbe divertente»
«Provate a pronunciarlo, per una volta, il mio nome», Sefa si era accorta che l’unica volta in cui Loki aveva sillabato il proprio nome era stato per presentarla alla Regina Frigga, e con ancora il cuore ad assordarle le orecchie gli lanciò quell’ultima provocazione per scrutare una reazione che non colse sotto l’imperscrutabile volto del dio degli inganni.
Loki avrebbe potuto rivelarle quanto a lungo lo avesse fatto, quanto la notte fosse satura e stanca di sentirlo tessere il suo nome fino ai primi bagliori dell’alba, e anche che non desiderava altro se non tornare a poterlo pronunciare come aveva fatto un tempo. Non replicò, invece, limitandosi a macchiarsi di un ghigno subdolo prima di voltarsi per ritirarsi con la sensazione delle sue labbra sulle proprie.





M A N I A’ s W O R D S
Eccomi qui.
Allora, con tutta calma – dato che succedono un po’ di cose. Prima cosa è che spero che il capitolo non risulti troppo pieno di avvenimenti e cose, nel senso che anche se ce ne sono tante, ho provato a renderle al meglio. Come sempre poi ho adoperato lo stile di scrittura con cronologia a immagini, visto che mi vorrei specializzare, continuo ad usarla per prenderci bene la mano – dunque mi auguro che si notino miglioramenti.
Spero – lo spero davvero – che la trovata della decisione di Loki di obbligare tutti a non pronunciare più il nome di Sigyn possa risultare sensata come mi sembrava a me prima di scrivere il capitolo – devo ammettere che non credo di aver reso abbastanza bene le intenzioni e motivazioni che lo hanno portato a una tale scelta, scappiatemi dire dunque. Non credo di riuscire a rendere meglio nelle note ciò che volevo trasmettere, ma in sintesi è sia una sorta di ripercussione su tutti e un tentativo di far pagare a tutti una punizione che era solo sua e di Sigyn, sia perché non ha intenzione di parlarne o sentirne parlare altri – e quindi un modo per nascondere i propri sentimenti.
Per quanto riguarda il bacio – oooh, non ve l’attendavate così presto, eh! –, è sia un modo per aumentare l’instabilità e irrazionalità di ciò che prova e sente Sefa – e quindi aumentarle i dubbi sull’intera faccenda, spingendola a cercare risposte fino al punto di dover cedere davanti al muro della razionalità e andare oltre -, ma è anche un semplicissimo desiderio di baciarla dopo tanto tempo – su, parliamo di Loki, seriamente pensate che aspetta quieto quieto fino a quando non recupera la memoria?! Sempre ammesso che la recuperi.
L’ultima nota è su ciò che sta tramando Loki. Dato che sinceramente nel primo film per me c’è un quantitativo di cose che non reggono, buchi di trama, e cose poco furbe fatte da uno che ha il titolo di dio degli inganni, ho modificato e cercato di ovviare ai problemi che io ho riscontrato – sottolineo l’io, perché sono pareri soggettivi e non voglio entrare in alcuna polemica, eh. E poi anche perché altrimenti sarebbero cose che già conoscete, non avrebbe senso ripercorrerle, no? Quindi un po’ ho cambiato e arricchito, insomma, spero che tutto risulti piacevolmente intrigante.
Sono stata molto tentata di dare nomi e approfondire la psicologia dei quattro briganti, ma ho desistito perché è una raccolta di shot, non una long in cui tutto deve essere spiegate tutto in modo preciso e approfondito, e anche perché per quanto abbiano un loro ruolo, non sono loro che avranno un ruolo di veri antagonisti. Dunque non mi sono soffermata – e la cosa mi urta un po’, tuttavia se lo avessi fatto avrei davvero dovuto fare una long come si deve e non ne ho il tempo.
Quanto all’unica nota:
[1] Myrkviðr, è il nome del bosco del secondo capitolo, non so se ve lo ricordavate, ma ho preferito risegnarvelo così nel caso potete andare a rileggere le note che avevo messo in quella circostanza.
Detto tutto ciò, mi dolgo molto di annunciare che probabilmente il quinto capitolo lo vedrete all’alba di luglio. Lo so, sono pessima, ma gente ho la sessione d’esame per tutto giugno e non credo di poter sopravvivere se devo anche badare a EFP! Comunque, sto pensando di aprire una pagina autrice su Facebook, quindi nel caso metterò il link nella mia pagina autrice qui su EFP con il link e lì troverete aggiornamenti e anticipazioni.
Mi scuso anche perché pure questa volta ho riletto solo tre volte - tornerò a rileggere pure questo capitolo, giuro!
Ovviamente mille grazie a chi ha commentato il capitolo precedente – Zareal e Yoan Seiyryu - e altrettanti a chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite ♥ Siete tutti fantastici, grazie per il sostegno! E ovviamente ringrazio anche chi segue silenziosamente – un commento una volta ogni tanto, vi esorto a farlo per rendermi felice! E ringrazio anche chi la letto, commentato e inserito tra le preferite/seguite/ricordate la shot «Rilfessi di un'altra vita» ♥, che rientra anch'essa nella serie di cui fa parte anche questa raccolta.
Un abbraccio,


Mania


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Capitolo 5
*** O5 • Nelle rovine di un passato perduto ***


PROLOGO



C A P I T O L O O 5 ▬
Nelle rovine di un passato perduto

{ Io voglio sapere il nome che avrai,
voglio vedere con che occhi vedrai,
con quali mani tu mi toccherai,
sciogliendomi il sale dal cuore,
col tuo fuoco di vivere. }
Vivere – Cristiano De André



Il vento smuoveva le foglie dell’edera che si arrampicava sulla facciata della grande – e una volta maestosa – villa, insinuandosi nelle crepe tessute dal tempo impietoso e dall’abbandono. I vetri erano scarsi, gli infissi a sesto acuto erano per di più occhi scuri dentro i quali si scorgevano solo ombre di ciò che le pareti rinchiudevano – ricordi perduti, vite dimenticate, storie a lungo sussurrate ormai spente. Il cancello attraverso cui si giungeva, Loki lo aveva aperto con una chiave estratta da un piccolo borsello appeso alla cintura, e Lady Sefa aveva scorto solo un guizzo rapido verso lo stemma logorato infisso su di esso. Non era riuscita a leggere la scritta nell’emblema, né tanto meno a distinguere le figure che una volta dovevano essere state battute tanto a fondo nella forma d’oro, ma non aveva chiesto alcunché limitandosi a seguirlo silenziosamente.
Era solo altra rovina quella che dimorava nel giardino selvatico, dove le piante avevano preso a combattersi l’una con l’altra per accaparrarsi il maggior spazio. I fiori erano macchie colorate a rendere lo spettacolo della natura meno brutale, a ingannare ciò che si sarebbe visto se essi fossero mancati – rovi, radici nodose a emergere dal terreno, rami a intessersi tra vari alberi alla ricerca di maggiore luce, un sottobosco formato da piante velenose.
«Perché mi avete portata qui?» domandò Lady Sefa, con lo sguardo rivolto a catturare ogni minimo dettaglio di ciò che la circondava. La sensazione di nostalgia poteva essere stata evocata dalla tristezza che instillava una simile vista, una dimora tanto magnifica ora caduta in disgrazia era uno spettacolo che sapeva essere amaro – una metafora della vita resa palese. Eppure, ancora una volta da quando era giunta a palazzo, Lady Sefa intuiva che sotto i propri sentimenti e pensieri vi fosse una traccia invisibile a collegare il tutto – un disegno di cui non scorgeva null’altro che un’offuscata immagine.
«Ad essere precisi, io stavo passeggiando e tu hai deciso di seguirmi» chiosò Loki, voltandosi appena nella sua direzione per studiarne le reazioni. Sapeva bene che lo avrebbe seguito, per questo si era diretto in quella che secoli prima – perduti in una schiuma di eventi ormai evaporati – era la casa nella quale lei aveva dimorato: nascendo, vivendo e traendo i primi insegnamenti che l’avevano portata a forgiare la personalità che Loki aveva imparato ad amare tanto ardentemente. Era stato prima di incontrarsi, era stato prima che gli occhi verdi del dio degli inganni scovassero nelle pieghe del volto di Sigyn qualcosa di più che una servitrice fedele – era stato il suo inizio.
«Allora perché siete venuto in una vila diroccata?» cambiò la domanda, ma non ricevette comunque alcuna risposta. Non che la cosa la stupisse, anche prima di aver passato con lui tutto il tempo speso in quei giorni, avrebbe potuto affermare dai primi due minuti passati in una compagnia che dialogare con Loki era più un rompicapo, un inabissarsi in oceani sconfinati alla ricerca di tesori da conquistare – elargiti spontaneamente con tanta rarità da non essere ipotesi contemplabile. Quindi non si infastidì nel silenzio che seguì il proprio quesito, continuando a percorrere i suoi passi che costeggiavano la villa, cercando di ripetersi che la comprensione che aveva del dio degli Inganni non aveva alcunché di anormale, era empatia e non nascondeva radici in motivazioni irrazionali – e si mentiva sapendo di mentirsi, ma non trovava alcuna altra spiegazione al mondo con cui riusciva a trovarsi tanto a suo agio al suo fianco.
«Chi ci abitava?» provò a cambiare quesito, sperando di aver maggior fortuna.
«Una nobile famiglia andata in disgrazia.»
«La conoscevate?»
«Trovo che il roseto sul retro valga il tempo per giungervi» replicò criptico, aprendo il braccio in direzione del paesaggio che apparve davanti a loro quando voltarono l’angolo. Un groviglio di spine e scarlatti fiori si estendevano davanti a loro, soffocando un prato ormai scarno che lasciava la nuda terra sotto la crudeltà della propria bellezza. Vi era una sola panchina di pietra finemente lavorata, deteriorata dalle intemperie e la non cura, sulla cui superficie solo minime crepe si erano diramate nel bianco sporco. Loki vi si sedette senza chiedere alla donna di seguirlo, perché ancora una volta già conosceva l’esito delle sue azioni e preferiva mantenere immacolato il più possibile il silenzio – che abbeverava le sue domande, i suoi crucci, le tensioni interne e la portava sempre più vicina a quell’orlo sul crepaccio di cui aveva bisogno per poterla spingere oltre, verso i suoi ricordi.
E riuscì nel suo intento, ne fu conscio proprio per il perdurare dell’assenza di nuovi quesiti da parte della donna. Lo sguardo attento non aveva contatto reale con il mondo che la circondava, erano gli occhi di chi si stava perdendo in altri mondi, in intrecci dei quali solo lei poteva aver percezione e percorsi segnati unicamente dalla sua mente. Spesso aveva avuto modo di osservare Sigyn con quella stessa espressione, anche se per ragioni diverse – per amore dell’immaginazione e non della scoperta di verità tenute a giacere su un fondale che intuiva appartenerle.
Sorrise nel ricordare come la prima volta che si era recato lì, i ruoli fossero stati invertiti – lui si era messo a percorrere il suo stesso sentiero senza invito, semplicemente per capire dove si recasse quando spariva per ore. L’aveva baciata su quella stessa panchina, con il profumo delle rose a mischiarsi a quello della sua pelle, e ricordandolo si ripromise che avrebbe fatto altrettanto – e di più, persino – un giorno.
Mentre assaporava l’ambiente circostante, in Lady Sefa continuò a diramarsi la malinconia che l’aveva invasa non appena aveva varcato il cancello. Prepotente, minacciosa financo, si era insinuata in lei fino a procurarle un fine dolore tanto ben intessuto da bruciarle quasi gli occhi per ragioni celate in nebbie troppo fitte. Quella villa le gettava addosso il sapore amaro di aver perduto qualcosa di importante, ed era la seconda volta che una consapevolezza del genere l’affliggeva, perforandole il cuore – la prima era stato quando si era risvegliata sulla riva di un fiume, con la pelle ricoperta da sottili ferite non ancora rimarginate, abiti insanguinati e un vuoto nella memoria.
Voleva scoprire a chi fosse appartenuta quella dimora, chi aveva abitato le sue mura. E come si era ingannata dicendosi che desiderava rivelare l’identità di Lady Sigyn unicamente per tedio, nella costrizione di una permanenza a palazzo che non desiderava – anzi, che non desiderava in quei termini –; altrettanto compì nel raccontarsi la medesima bugia quando prese la decisione di svelare il mistero di quel luogo.
Fu per tale ragione che durante il resto della giornata e quella successiva, in qualsiasi momento non passato mischiando il proprio tempo insieme a quello di Loki, lo impiegò nel cercare qualsiasi informazione riguardo l’antica villa. Avendo già provato con poco proficuo dentro il palazzo, anche se doveva sopportare il fiato sul collo di guardie poco inclini a non passare inosservate nel loro pedinamento irritante, si recò in città per poter porgere nel modo più discreto possibile le proprie domande. E mentre interrogava in modo distratto chi la ispirasse particolarmente, provò a ributtarci dentro la domanda su chi fosse Lady Sigyn – un connubio di quesiti che doveva aver particolare potere viste le reazioni sconcertate che provocavano.
Non vi era un senso, una volta di più, eppure di nuovo Sefa ebbe il sospetto – la certezza irragionevole – che la misteriosa donna fosse collegata al maniero antico. E con altrettanta forza sapeva, con estrema sicurezza, che la medesima aveva a che vedere con Loki, in un modo o nell’altro, e anche lei stessa si insinuava in quel puzzle dai pezzi mancanti – non sapeva ancora come, perché e in quale modo, ma doveva scoprirlo. Più quei frammenti di vuoto sprofondavano negli abissi di quegli anni perduti, nella coltre indistinta della memoria perduta, emergeva un lacerante mal di testa a inchiodarsi nelle tempie, martellando con il vigore insensibile di chi non si cura della sorte altrui. Troppo prepotente era il dolore per rendersi conto anche del lieve peso che la collana aveva mutato, seppur lievemente, il proprio peso – e quel peso sul petto lo ricondusse distrattamente a un affaticamento, piuttosto che indugiare ulteriormente alla ricerca di significati arcani.
Insieme alla frenesia di dipanare il mistero di Lady Sigyn – che tanto abilmente mascherava da passatempo per occupare il tempo che la separava dalla cerimonia –, anche il subbuglio che Loki le procurava la tormentava. Mai, in tutti i decenni che ricordava di aver vissuto, aveva provato sentimenti di tale natura per qualcuno, solo vaghi interessamenti e infatuazioni effimeri; dunque si rifiutava di pensare di essere ora preda di qualcosa di esponenzialmente diverso – non perché fosse il dio degli Inganni, ma più semplicemente per l’insensatezza di essere talmente legata a qualcuno conosciuto in un così breve lasso di tempo.
Per distrarsi anche dalle afflizioni che Loki le procurava, si immerse completamente nel raccogliere grezzi frammenti di notizie sulla dimora. Non fu un bottino sostanzioso, riuscì a strappare poco o nulla dalle bocche degli abitanti – gravati dallo stesso ordine di tacere, divieto intuito più che scoperto, e di qui ancora doveva comprendere la natura –, ma quel poco che le fu rivelato combaciava e le fu sufficiente per avere la conferma dei propri sospetti.
Fu forse per la lacerante emicrania che le era affiorata, martellandole in modo subdolo la testa, estendendosi a grappolo tanto da sembrare di avere una morsa attorno al capo; o forse fu semplicemente perché era arrivata all’apice della sua resistenza a quel mondo fatto di elementi discordanti, che sapeva però essere in realtà perfettamente assonanti – troppa irrazionalità, troppe domande senza risposte, e tutto ad accatastarsi sulle sue spalle gettandola al centro di una situazione del quale non capiva lei che ruolo giocasse. Qualsiasi fosse la motivazione, riuscì a malapena a trattenere il passo nel destreggiarsi tra i corridoi del palazzo, mantenendolo regolare nonostante sentisse l’impeto della corsa tenderle i nervi.
Trovò Loki in biblioteca, intento a sfogliare un volume alla ricerca di qualcosa che a lei ora non interessava conoscere – l’unica cosa che desiderava, in quel frangente, era affrontarlo o provare a costringerlo quanto meno a fare altrettanto con lei. Si cosparse della migliore maschera in suo possesso, comprimendo l’ansia dentro un sorriso quieto, avvicinandosi all’uomo limando via la fretta e dando l’impressione di non aver alcunché di interessante da dire – lo lasciò finire, attese che fosse Loki ad alzare lo sguardo su di lei, prima di cominciare.
«Ho sentito che in quella villa abitava una bambina che poi è diventata una Guardia Reale, una delle più temute», e iniziò con privandosi di qualsivoglia preambolo e pacatezza, piegando appena il collo di lato per scrutarlo con le labbra tirate in una curva lieve – labbra scarlatte come il sangue a far da contorno alla propria affermazione.
«Non pretenderai da me che sappia il passato di ognuno dei componenti dell’esercito?» replicò divertito, scuotendo appena il capo quasi con compassione, alzando appena un sopracciglio. Non lo deludeva mai, nemmeno in quel contesto, era andata a spulciare qualsiasi possibile fonte di informazione come si era aspettato – e se ne avesse avuto accesso, sapeva che si sarebbe intrufolata anche negli archivi anagrafici.
«In realtà, credo che voi la conosciate. Si sono rifiutati di dirmi il nome delle guerriera. E anche se dicevano tutti di non ricordarselo, stavano mentendo. E c’è solo un nome che non viene pronunciato. Un nome proibito
Loki chiuse il libro con un tonfo secco, rimettendolo sullo scaffale come se nulla fosse – come se non fosse, una volta in più, impressionato dalle capacità della dea della Fedeltà senza memoria. Si chiedeva quanto avrebbe retto lei in quella tensione tra le proprie verità e quelle di cui avvertiva l’esistenza, opposte e irrazionali, e anche quanto lui stesso avrebbe resistito a starle attorno senza cedere alle tentazioni che rappresentava – gli pareva di avere ancora incollato su di sé, conficcato a fondo, il sapore della pelle di Sigyn, la sensazione di immergere le mani tra i filamenti dei suoi capelli, e la morbidezza delle sue labbra. E Loki era conscio che il ruolo dell’immacolato non era proprio il suo.
«La tua cocciutaggine è incredibilmente affascinante quanto irritante» asserì tornando a rivolgerle attenzioni, con sguardo macchiato di una cupidigia ardente da mozzarle la replica, dandogli l’ulteriore possibilità di continuare a parlare. «Continua a cercare, se ti interessa tanto, ma smettila di provare a carpirmi informazioni che non ti concederò.»
«Voi siete la ragione per cui sono qui, non è vero? Siete solo voi. Vostro fratello mi ha trascinata a palazzo senza più interessarsi a me, mettendomi nelle vostre mani come se vi stesse facendo un dono. Cosa c’entro io con Lady Sigyn? Che diavolo volete da me?», ogni sillaba venne pronunciata con estrema accortezza, modulando il tono in modo che non risultassero sbalzi acuti a rovinare la qualità della recitazione – tutto desiderava, Lady Sefa, fuorché mostrarsi alterata dalle circostanze. Appoggiata con il fianco sinistro all’alto scaffale, manteneva il contatto visivo con Loki senza alcun timore di venir risucchiata dalle iridi dense di magnetismo ustionante – perforava i pensieri, sgusciava nelle menti, sbucciava le altrui inclinazioni per poter comprendere intimamente chi aveva di fronte, in modo da usarlo e lei non aveva alcuna intenzione di donargli un simile piacere. Poco importava che la stesse osservando come se avesse voluto strapparle gli abiti di dosso in quell’istante, nonostante la presenza di altri attorno a sé, e altrettanta scarsa rilevanza era che parte della sua immaginazione fluisse in scenari simili. Nessun vantaggio gli avrebbe offerto e alcuna sbavatura avrebbe commesso durante la loro chiacchierata.
«Siete testarda o sciocca. Come vi ho detto, è inutile che mi rivolgiate simili domande» ricordò Loki, chinandosi appena verso il volto della donna, dalle raffinati arti d’attrice – magnifica nei suoi modi di recitare, tanto da riuscire a instillare quasi dubbi persino in lui, che del rivestire ruoli ne aveva fatto molto più che un’arte.
«Allora se non avete intenzione di darmi alcuna spiegazione, vi toglierò il vostro divertimento: non voglio più vedervi, così non potrete giocare con me», una decisione drastica, forse anche troppo – non sapeva quanto sarebbe riuscita a mantenerla, e proprio per questo aveva omesso di specificare quanto a lungo. Per quanto volesse ignorare la realtà irrazionale, era molto più che attratta da quell’uomo che non conosceva - anzi, che non avrebbe dovuto conoscere -, e che avvertiva distintamente essere l’artefice di quegli echi nella propria anima a suggerirle verità, dai contorni ancora inafferrabili. Era molto più irritata con se stessa per tale incapacità, che con lui che si divertiva a tenerla sulle spinte – d’altronde era il dio degli Inganni, non avrebbe potuto attendersi null’altro.
«Non sto giocando, non l’ho mai fatto con te» rispose pacatamente, ritirandosi indietro e voltandosi per uscire dalla libreria, se non prima di arrestarsi per un attimo per tornare a osservarla girando appena il collo. «Ma rispetterò la tua decisione fin tanto che riuscirai a tenerla.»
L’indole di Sigyn era indomabile, forte e intessuta per esserlo dalla sua più antica decisione, ovvero di non dover essere vittima delle debolezze che avevano logorato la sua casata. Una nobile di nascita e di spirito, con la mente lucida e la moralità contorta di chi era cresciuto accerchiato da eccessi, vizi e peccati esaltati e mai rinnegati, un intricato groviglio dal quale era uscita una volontà dai risvolti incredibilmente solidi – anche se non ricordava da dove venisse tale marmorea fermezza, era presente in lei indissolubilmente e Loki aveva imparato ad apprezzarne le forme.
Avrebbe desiderato provocarla maggiormente, ma non poteva badare solo a Sigyn – e sapeva che lei avrebbe capito se fosse stata lì presente, sarebbe stata lei stessa a suggerirgli di concentrarsi su ciò che stava architettando. I quattro ladri dovevano essere riusciti a passare attraverso la spaccatura tra i mondi, una delle poche che solo lui conosceva e che si nascondeva nei meandri gelati di Myrkviðr, che conduceva a Jötunheimr – ed era da lì che proveniva l’imperitura tempesta, non da maledizioni di streghe fittizie, ma questo era un segreto del dio del Caos e non l’avrebbe rivelato. I tre stemmi della Guardia Reale, da lui stesso manipolati, che aveva donato ai quattro in veste di vecchio eremita dovevano cadere nelle mani dei Giganti del Ghiaccio, perché com’erano serviti ai furfanti per intrufolarsi nel palazzo di Odino con la presenza occultata, altrettanto servizio avrebbero dovuto prestare ai nemici millenari di Asgard al momento opportuno.
Sorrise al riflesso apparso sul vetro della finestra che conduceva al terrazzo delle proprie stanze. Se tutto fosse filato come aveva previsto, l’incantesimo che aveva creato si sarebbe esaurito al momento adatto, come tanto opportunamente si era eroso durante l’intrusione dei ladri, diminuendo il proprio raggio quel tanto da lasciare scoperto almeno uno del gruppo, facendo sì che l’allarme scattasse. Una prova generale conclusasi secondo i piani di Loki, dandogli una certa sicurezza su come si sarebbe svolta lo spettacolo finale.
Doveva solo pazientare nella luce estiva di Asgard, prepararsi anche lui all’incoronazione di suo fratello come se ne fosse entusiasta, celare il rancore per una scelta tanto infelice – accumulato su quello mai cessato per la punizione imperdonabile inferta a Sigyn. Si sarebbe preso tutto ciò che gli spettava, non avrebbe rinunciato ad alcunché – non mancava che rimanere quieto, osservatore e indifferente.
Abbassò lo sguardo verso l’area della Gendarmeria in cui Lady Sif e i Tre Guerrieri probabilmente si stavano allenando. Non c’erano altri da cui la sua smemorata Sigyn sarebbe potuta andare a salutare ora che aveva deciso di ignorarlo – almeno fino a quando ci sarebbe riuscita. Se non aveva sottovalutato l’amicizia che intercorreva tra lei e la dea della Guerra, avrebbe ricavato anche da quell’allontanamento momentaneo un nuovo tassello di domande che occorreva instillare in lei per tendere al massimo la corda delle sue reminiscenze, fino a costringerla ad accettare l’indeterminato e far scattare il flusso emotivo necessario a liberare le memorie contenute nel ciondolo.
Riusciva a immaginarsela, giungere verso le arene di allenamento con passo controllato anche se avrebbe desiderato correre con quanto più fiato aveva nei polmoni, del tutto insicura sulla scelta appena presa ma marmorea a mantenerla ferma per orgoglio e ripicca verso di lui. E probabilmente, il primo a preoccuparsi per la sua presenza in Gendarmeria, da sola e senza la compagnia di Loki stesso, sarebbe stato niente meno che suo fratello, così disperatamente deciso a concedergli un briciolo di felicità in cambio del trono che si stava per aggiudicare. Si sbagliava Thor, lui avrebbe ottenuto da solo sia il Regno sia Sigyn, non occorreva l’interferenza di nessuno, solo un aiuto prestato a insaputa di molti.
«Non siete in compagnia di Loki oggi, Lady Sefa?» domandò incuriosito Thor – era da quando l’aveva portata a palazzo che ogni giorno la scorgeva in compagnia di suo fratello, solo di tanto in tanto, capitava si perdesse a passeggiare da sola per il giardino o quando era intenta a interrogare chiunque le capitasse a tiro per trovare soddisfazioni alle sue domande. Se solo Loki non avesse proibito loro di pronunciare solo mezza parola in risposta ai suoi interrogativi, Thor si sarebbe pure messo a spiegarle le reali motivazioni che lo avevano spinto a condurla fino a lì, ma tra i due era sicuramente suo fratello a conoscere maggiormente gli ingranaggi delle magie – dunque, avrebbe assecondato le sue decisioni, perché indubbiamente avrebbe compiuto qualsiasi cosa per lei ed era il più incline a sciogliere i nodi di quell’artifizio intessuto da loro padre.
«Credo di aver litigato con lui, anche se penso sia stato unicamente a senso unico tale discussione», era dubbiosa Sefa, senza risentimento apparente – il fastidio lo trattenne per sé, per non concedere ulteriori vittorie al dio degli Inganni.
«Se posso domandare, perché ve la siete presa con lui?» continuò il futuro re di Asgard, preoccupato da quell’affermazione, scambiandosi sguardi della medesima sostanza con i suoi compagni. E Lady Sefa rimase a osservare l’intrecciarsi dei loro occhi, parlandosi attraverso verità che lei continuava a ignorare – e avrebbe continuato a fare, fino a quando quella condanna al mutismo non sarebbe terminata. In quel preciso momento, per un’inspiegabile collegamento mentale nel definire pena quella situazione, le parve che fosse proprio ciò: una punizione per qualcosa di inspiegabile, perché una tale resistenza a concederle conoscenza non poteva avere altra ragione.
Si trattenne dal portare le mani alle tempie quando una fitta più acuta le si piantò nella testa, stringendo solo appena la mascella per cercare di trattenere in tale modo la scarica di dolore.
«Oh, perché nessuno ha intenzione di dirmi la ragione per cui sono davvero qui, Thor. Non sono così stupida da credere ancora che sia per via della vostra incoronazione. Sono stata da voi rimessa alle sue attenzioni. Cosa c’entro io con lui? Cosa c’entra questa Lady Sigyn in tutto questo?», non erano recriminazioni contro di lui, ma contro suo fratello – solo Loki era il responsabile di quello struggimento per domande che non avrebbero dovuto avere tanta importanza, per quel continuo spandersi di frammenti di un quadro squarciato di cui non riusciva a ricomporre il disegno, per quel sentimento di cui era vittima per lui senza riuscire a trovare un buon motivo per assecondarlo, uno che non sprofondasse nell’ignoto. «Queste, in breve, sono state le mie rimostranze nei suoi riguardi e ovviamente non mi ha risposto.»
«Difficilmente mio fratello risponde, se può consolarvi» replicò Thor, provando almeno in quel modo a sdrammatizzare la tensione che sentiva essersi creata attorno a lei. Avrebbe voluto discutere con Loki della situazione, ci avrebbe persino provato se solo non avesse avuto la fin troppo concreta certezza che lui nemmeno si sarebbe sprecato ad ascoltare una sua singola parola al riguardo. Aveva bandito il nome di Lady Sigyn perché voleva evitare discorsi non su di lei, ma su se stesso e i suoi sentimenti per ciò che provava per la donna, e ancora perseverava a insistere in una tale cocciutaggine da non dargli alcun modo di aiutarlo.
«Potreste passeggiare con me, però, Lady Sefa! Anche se purtroppo nemmeno io posso dar soddisfazione ai vostri quesiti» propose Fandral, ricevendo un’occhiata sbieca da parte di Lady Sif.
«Vi è qualcuno che può?»
Sorrise appena, Lady Sif, riscontrando nel volto dell’amica quella nota di teatralità quieta che l’aveva sempre contraddistinta. Una donna la cui anima era un mare privo di increspature fuori norma, onde tenue, lievi, che accarezzavano la spiaggia e anche le scogliere – le tempeste le teneva nella frenesia delle scure correnti sotterranee, impetuose, imperscrutabili, celate agli occhi di chiunque. La dea della Guerra mai era davvero riuscita a scrutare nelle pieghe buie di cui era fatta Sigyn, perché le teneva ammaestrate in maniera differente da quella melliflua di Loki, lei le imbrigliava nei suoi modi accorti e garbati, cosparsi di signorilità, lasciando incantati quanto smarriti.
Non avrebbe disubbidito alla volontà del dio degli Inganni, ma le avrebbe dato l’occasione per rivivere una parte di sé dimenticata – ma lì, presente, pronta per riemergere.
«Mi dispiace non poterti rispondere, Sefa, ma se vi può bastare posso offrirvi un passatempo per distarvi.»




M A N I A’ s W O R D S
Non aggiorno da più di un mese, vero? Potete prendervela con il calendario dei miei esami, non con me. Non che io li abbia finiti, settimana prossima è l’ultima, estenuante settimana di esami. Ma non potevo aspettare di giungere a venerdì per aggiornare, perché parto subito, quindi avrei lasciato per due mesi questa storia senza aggiornamenti e la cosa non mi andava molto. Fortunatamente, almeno abbozzato, il capitolo era semi-pronto, quindi mi sono concessa la mattinata per rileggerlo un po’ e sistemarlo – probabilmente non è perfetto, perché l’ho riletto meno del solito, spero che ciò non implichi troppe distrazioni.
Comunque, venendo al capitolo in sé, come vedete c’è un piccolo spiraglio sulle intenzioni di Loki – giusto perché nel film non mi hanno spiegato come e quando Loki abbia fatto entrare i Giganti di Ghiaccio, mi sono creata una spiegazione io. Spero che possa soddisfarvi anche a voi.
Quanto a Loki e Sefa/Sigyn, lei è testarda, non si fa incantare da lui solo perché ha una certa presa, anzi, forse proprio per questo resiste tanto. Comunque, non disperate, tutt’altro. Nel prossimo capitolo, anzi, diciamo che vi daranno qualche soddisfazione – il rating arancione a qualcosa serve, dopotutto.
Vorrei anche precisare che su quanto successo a Sefa/Sigyn appena si è risvegliata priva di memorie, è un argomento che ritornerà anche più avanti, a cui è riservato anche un lungo flashback in un capitolo molto più avanti - ed è per questo che non ho inserito ulteriori informazioni ora.
Per chi invece non avesse seguito la precedente raccolta, quando Loki dice di essere impressionato una volta in più da Sigyn, riprende un loro "gioco" che è anche stata la causa del loro avvicinamento, dato che lui l'aveva sfidata a impressionarlo più di una volta.
L’altra volta mi ero dimenticata di linkarvi una meravigliosa one-shot che mi ha scritto la mia deliziosa e carissima amica a u t u m n. È un prequel alla precedente raccolta, quindi se siete così gentili da passare e lasciarle un parere, io e lei ve ne saremo molto grati (ah, la storia se l’è inventata lei, io non le ho detto niente, ma ho amato profondamente la sua idea!). Qui trovate il link: Gli incubi sono fatti di inganni.
Inoltre, forse, molto forse, dovrei postare prossimamente una shot un po’ diversa dal solito che non si ricollega a questa storia, ma che è uno squarcio possibile su una trama futura. Inoltre è una mia personale visione del rapporto tra Loki e Thor, con tanto di ovvia presenza di Sigyn e di Sif. Il punto è che so che non è proprio la versione che piace avere di loro, perché molto più cruda e dura, quindi sono indecisa se postarla o meno. Vedrò che fare comunque.
Per ora vi saluto e come al solito spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio infinitamente chi ha commentato il capitolo precedente - ovvero: Cassandra14, Helen L e Yoan Seiyryu -, e spero come sempre di ricevere vostri pareri – che oltre a rendermi molto felice, sono una carica incredibile per continuare a scrivere con tanta dedizione anche quando dovrei ripassare!
Alla prossima,


Mania


P.S. del 12/07/2014 → Ieri ho creato una pagina FB dedicata alle mie storie. Vi pubblicherò i giorni degli aggiornamenti, qualche anticipazione e anche le idee per i miei lavori futuri. Lascio qui il link, così chi vuole può farci un salto: Mania FB



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Capitolo 6
*** O6 • Pagare pegno ***


PROLOGO



C A P I T O L O   O 6 ▬
Pagare pegno

{ Io voglio sapere il nome che avrai,
quante speranze e incertezze mi dai,
con quali mani tu mi spoglierai,
sciogliendomi il sale dal cuore. }
Vivere – Cristiano De André



Allenarsi con Lady Sif era parsa una buona idea fino a quando non le aveva consigliato dove recuperare una spada. Sefa sapeva maneggiare discretamente bene le armi bianche, anche se le era ignoto dove avesse imparato a farlo, ma da quando aveva memoria non le era mai stato arduo impugnarle per difendersi o attaccare. Il ricorso alla violenza le era piuttosto indifferente; anche se preferiva risolvere i problemi con altri mezzi, era conscia che non sempre fosse possibile. Dunque, mettersi alla prova con la Dea della Guerra le era parsa una buona idea, soprattutto perché non voleva in alcun modo incrociare Loki, e nella Gendarmeria era abbastanza certa di non correre tale pericolo.
Dopo la discussione di qualche sera prima, era decisa a stargli alla larga per quanto in realtà desiderasse l’esatto contrario. Tuttavia non aveva intenzione di mostrarsi debole al suo cospetto, disperatamente bisognosa della sua compagnia – e non lo era, semplicemente lo apprezzava molto maggiormente di quanto solesse sussurrarsi. Il modo con cui lui depositava i suoi verdi occhi sulla sua esile figura era uno spettacolo privato al quale mai prima d’allora aveva assistito, del tutto particolare in quel misto di desiderio, divertimento, arroganza e sbeffeggio – malinconia tal volta, o almeno così le pareva – che lo caratterizzavano tanto profondamente.
«Nothung[1], è una spada che Loki tiene in custodia» asserì Lady Sif osservando di sottecchi la donna, scorgendo i muscoli del collo contrarsi nell’udire il nome del Dio degli Inganni. «So che avete litigato, però è un’ottima lama e potrebbe essere molto più interessante uno scontro con almeno le armi allo stesso livello.»
«Io ho litigato con lui, dubito che valga anche il contrario» specificò Lady Sefa contrariata dall’intero discorso della guerriera – sia dall’insinuazione sulla disparità abissale dei loro livelli, sia per la non troppo celata richiesta di recarsi da Loki a domandargli imprestito Nothung. Evitò di essere plateale nell’insofferenza di tale situazione e tappò dentro di sé anche la gratitudine per averle offerto una scusa plausibile per recarsi dal principe senza rimangiarsi completamente la promessa di evitarlo.
Il passo, con cui si destreggiò tra i labirinti dei corridoi che portavano alle stanze di Loki, fu calmo solo in apparenza. Si concentrò strenuamente per trattenersi, per mantenerlo costante e non sbavare per via dell’impazienza e l’ansia che le procurava l’idea di rivederlo dopo giorni in cui non ne aveva scorto nemmeno l’ombra. Aveva la sensazione che lui in realtà non l’avesse perduta di vista nemmeno per un attimo, la presenza delle sue iridi magnetiche l’aveva impressa addosso e le ustionava l’anima, carbonizzandola in residui di desideri inespressi ad ogni attimo che trascorreva. Riuscire a nascondere smottamenti tanto profondi le era molto più difficoltoso di quanto la pacatezza dei suoi gesti, intrisi dell’aria da nobildonna con cui si poneva nei confronti del mondo, lasciasse intendere. Nonostante l’apparente normalità con il quale conduceva le sue giornate a palazzo, in una monotonia grigiastra, avvertiva gli intagli delle crepe sul proprio spirito accrescere la loro estensione – crepacci oscuri, si immergevano in quel mare nebuloso nel quale nessun ricordo e risposta era recuperabile, in cui tutte le sue irrazionali scelte sapeva avrebbero potuto trovare una loro spiegazione più che sensata, se solo fosse stata in grado di disperdere l’alone in cui erano avvolte.
Sbatté le nocche contro l’ampia porta a sesto acuto per due volte, calcolando la forza in modo da apparire sfrontata nell’irruenza del proprio gesto. Non attese nemmeno l’invito dell’uomo, piegò la maniglia per entrare, e solo quando fece il primo passo verso di lui lo udì ridacchiare mentre le chiedeva di accomodarsi come se fossero state le sue stanze, con tale sarcasmo da risultare quasi velenoso.
«Avevate detto di non desiderare più la mia compagnia, se non ricordo male», non c’era la traccia del benché minimo risentimento nell’affermazione di Loki. Si limitò a scrutarla con supponente arroganza, infilzandola con un senso di vittoria con cui aveva riempito le iridi smeraldine, tanto prepotentemente rivolte su di lei da farle quasi provare l’impulso di arrestarsi sul posto, con ancora la mano sulla maniglia. Ma Sefa aveva deciso che per nessuna ragione nell’intero universo avrebbe concesso una vittoria a quell’uomo, perché per quanto ne fosse ammaliata, la volontà di non piegarsi sotto i suoi tocchi fisici e psichici era superiore. Il capo lo avrebbe tenuto alzato e lo sguardo infisso in quello di lui, come un chiodo ben piantato nel muro – senza cedimenti, o ripensamenti. Anche se il fascino di cui era ricoperto la ammaliava più di quanto osasse ammettere, anche se sapeva che era più pericoloso di quanto le fosse concesso conoscere, anche se avrebbe dovuto stargli alla larga, ogni buon senso era bruciato e l’unica sua fermezza era costituita da un gioco in cui lei non doveva perdere una silente battaglia di posizioni. Non c’era razionalità, qualcosa di indecifrabile le suggeriva che non sarebbe più riuscita a sottrarsi a lui e nemmeno intendeva farlo, e per riuscire a risolvere l’enigma che l’attanagliava si doveva mettere al centro dell’azione. Dunque avanzò verso di lui con passo deciso, sfrontato, con un sorriso che di delicato conservava unicamente l’apparenza.
«Non ho specificato per quanto» chiosò con ovvietà, scrollando appena una spalla. «Comunque, sono venuta a domandarvi una spada che Lady Sif dice essere in vostre mani.»
Gli occhi di Loki si spostarono su una lama contenuta in un fodero di pelle scura appesa a una delle pareti della stanza, l’unico oggetto bellico ad abbellire le pareti della sala privata del principe. E nel seguire l’indicazione silenziosa del Dio degli Inganni, Sefa seppe che era esattamente quella l’arma di cui Sif le aveva parlato brevemente, concedendole poche informazioni e aumentandole una curiosità che la divorava ogni giorno un pezzo della sua mente, della sua anima – e anche del suo cuore. Vi erano sempre più domande che si accatastavano, una risma scomposta di interrogativi ai quali mai aveva fatto seguito un chiarimento soddisfacente, e lei vi si sentiva smarrita nel mezzo – con quella crescente sicurezza di essere invischiata in qualche modo in tutte quelle trame sotterranee che, chissà percorrendo quale via, riconducevano alla misteriosa Lady Sigyn. Aveva lo sgradevole sospetto che anche quel nuovo elemento dovesse ricongiungersi in qualche modo a quella sconosciuta entità, così astratta da sbattere violentemente contro le pareti della sua mente, diventando un’ossessione dalla quale non riusciva a liberarsi.
La scusa che fosse noia per quel soggiorno indesiderato al Palazzo Reale cominciava a sbriciolarsi sotto una consapevolezza irrazionale. Desiderava scoprire chi fosse Lady Sigyn, più di quanto dovesse essere concepibilmente sensato, ma non vi era alcuna motivazione pronunciabile che riuscisse a far risalire dalle mareggiate della propria anima, resa in tumulto da quel nome. E si mischiava, fondendosi, alle insidie create dal principe che la scrutava con crescente famelica cupidigia. Ardevano le verdi iridi, sembravano in grado di trapassarle gli abiti e ustionarle la pelle con la sola invisibile forza dello sguardo; ed il solo pensiero di come sarebbe potuta essere la sensazione delle sue mani congiunte ad esso, bastava ad annodarle lo stomaco in un’eccitazione strisciante della quale non desiderava avvertire la portata.
«Per quale motivo dovrei darvela?»
«Sinceramente? Non ne ho idea, ma Lady Sif mi ha chiesto di venirvela a domandare con talmente tanta insistenza che ho deciso di accontentarla. Dice che le spade in Gendarmeria non sono abbastanza solide per sostenere un allenamento con lei» rispose sinceramente, impregnando unicamente le frasi della Dea della Guerra con un pizzico di colore e ostentando una noncuranza degna della migliore attrice, sottintendendo implicitamente che se fosse dipeso da lei soltanto mai si sarebbe recata da lui – ed era una bugia, una delle più grandi che avesse mai dovuto anche solo pensare.
La sua replica parve divertire molto Loki, e Sefa si trattenne dal chiedergli cosa vi fosse di così esilarante nelle proprie parole per procurargli un tale scoppio di ilarità, ma prima che potesse farlo si era ritrovata l’uomo pericolosamente vicino. Si morse l’interno della guancia pur di trattenersi dal compiere un passo indietro, evitando di concedergli territorio in segno di sottomissione alla sua schiacciante presenza. Preferì perdurare nel sostenere la pesantezza magnetica dei suoi occhi, mentre sentiva le dita dell’uomo chiudersi intorno alle proprie braccia per spingerla all’indietro, fino a quando non si ritrovò con la schiena appiccicata al marmo freddo di una colonna a reggere l’arco dell’ingresso al terrazzo.
«Se la volete, dovete pagare pegno» asserì intingendo ogni sillaba, strascicata da una lentezza calcolata, di pura maliziosa lussuria. Avrebbe preferito che lei ritornasse in possesso delle proprie memorie, avrebbe preferito ancora di più che mai le fossero state strappate via, avrebbe preferito evitare di cadere vittima di un sentimento che non poteva provare se non deturpandolo e che solo Sigyn riusciva a riportare a una purezza di cui lui non era in grado di sostenere da solo. Avrebbe preferito un’infinità di altre possibilità, ma non aveva più la forza di resistere alla tentazione che lei incarnava, né tanto meno aveva altre forze per frenare il desiderio di tornare ad affondare le mani tra i suoi capelli e assaporare la sua pelle.
Le morse il collo con una disperazione che Sefa non era in grado di scorgere, perché continuava a guardare davanti a sé, combattendo con tutte le sue energie per evitare di cedere alla febbricitante voglia di rispondere alle carezze ruvide e ai segni che Loki le stava lasciando sul corpo. Avvertiva la stoffa della gonna sollevarsi sotto l’impazienza delle mani dell’uomo, fino a quando non fu spostata a sufficienza da permettergli di percorrere con le lunghe falangi le sue gambe nude, stringendole in morse prepotenti con cui la trascinava contro il proprio corpo. Serrò i pugni, Sefa, con il respiro affannato e le pupille dilatate, cercando di evitare di pensare a quanto scottassero i baci avidi con cui stava scandagliando il collo prima di finire nella spaccatura dei seni.
«Siete solito far pagare pegno in questo modo a tutti?» riuscì a domandare tra i denti, più per stritolare la fatica che stava compiendo nel mettere in fila parole che dessero forma a una frase di senso compiuto, che per un dispiacere concreto per la situazione – ma non glielo avrebbe detto, non avrebbe concesso che lui la vedesse capitolare ai suoi piedi, non si sarebbe concessa con semplicità. E si maledisse per aver lasciato libera la propria immaginazione, nel cuore della notte, a vagare su scenari simili a quello che si stava svolgendo, e maledisse Loki per non concederle nemmeno la possibilità di recriminargli di essere migliore nell’irrealtà dei propri sogni.
«Volete sapere quante persone scendono a patti con me, o la vostra curiosità ha altri fini?» replicò soffocando gli sbuffi divertiti tra i morsi con cui le stava riempiendo la spalla destra, liberata dall’impiccio di un abito del quale non vedeva l’ora di potersi sbarazzare del tutto. Era arrivato ad affondare le unghie di una mano nella coscia sinistra della donna, sollevandole la gamba e costringendola contro il proprio bacino per renderle chiaro che non le avrebbe strappato unicamente baci.
«Solo sapere quante persone tirate nel vostro letto per capriccio» era sarcastica, con una punta di acidità nel calcare l’ultima parola, cercando di riversare nella discussione tutta la sua concentrazione per non pensare a quanto le costasse trattenersi immobile, sotto le dita lunghe e i baci graffianti di Loki – troppo eccitanti, troppo intrisi di viscerale passione, troppo abili nel procurarle grezzo piacere per poter essere lasciati senza contraccambiarli ancora a lungo. Respirava a fondo, cercando di contenere in quel modo la corsa del proprio cuore nel petto, pompato da scariche di adrenalina ed eccitazione che le risultava arduo frenare – e Loki la osservava di sottecchi combattere una tale futile lotta, sogghignando al pensiero di quanto rimanesse incredibilmente cocciuta nel suo non piegarsi mai completamente a lui.
«Nel mio letto voi non ci verrete, come nessun altro. Sbaglio o siamo contro una colonna?» replicò, mordendole il labbro inferiore, schiacciandola ancora di più con il proprio corpo contro il marmo ghiacciato. Ed era una delle rare volte da quando Sefa era arrivata a palazzo che le confessò la verità – fino a quando non avrebbe ritrovato se stessa, non sarebbe stata quell’unica persona che riusciva a stargli accanto amando ogni sua imperfezione, difetto e ammaccatura.
«Mentite, quel nessuno è stato detto troppo veementemente per poter essere vero. Sa di eccezione. Ancora lei, non è vero? Solo lei», sapeva di aver ragione come altrettanto bene era conscia di aver commesso un errore, rinfacciandogli qualcosa che avrebbe dovuto essere unicamente di proprietà del Dio degli Inganni. Lo sentì affondare maggiormente le unghie nella propria pelle, affondare i denti in essa con la necessità di punirla per le proprie parole mista alla crescente voglia di concludere un patto che Sefa non avrebbe saputo come rifiutare anche se lo avesse voluto.
«Se credete che con le vostre chiacchiere sarete scontata a una minore somma di pedaggio, siete in errore.»
«E se mi opponessi?»
«Oh, una persona come voi, se voleva opporsi lo avrebbe già fatto» ghignò Loki, mentre riportava anche l’altra mano sotto i risvolti della gonna sollevata per far scorrere i propri polpastrelli più in alto di prima, fino ad affondare in mezzo alle sue cosce. «Non fingente che non mi desideriate, perché il vostro corpo dice tutt’altro.»
Contrasse la mascella per mordere il gemito che le dita dell’uomo le avevano provocato, uccidendolo sul nascere prima di udire le sue parole e finire per l’arrendersi all’evidenza che non sarebbe riuscita oltre a rimanere imperturbabile di fronte a lui. Avvertì la sua risata risuonarle nelle orecchie intanto che febbricitante gli slacciava la cintura e sfilava qualsiasi indumento lo rendessero prigioniero di una divisione che non voleva più nemmeno lei, e le parve che essa perdurò per tutto il tempo in cui i graffi vennero scambiati più dei baci. Usò le sue spalle come sporgenze sulle quali appendersi, schiacciando a fondo le proprie unghie per tenersi ad esse nei momenti in cui le spinte intensificavano la loro corsa, susseguendosi con più rapida veemenza.
Vi furono frazioni in cui a Sefa parve quasi di essere trattata con dolcezza, solo piccoli gesti con i quali rendeva ancora più caotica una situazione nella quale non sarebbe mai voluta scivolare con tanta facilità e dalla quale nemmeno era riuscita a scappare – perché non l’aveva voluto, a dispetto di ciò che sarebbe stato sensato. Ma baciarlo, riuscire a sentire il suo fiato condensarsi sulla propria pelle, sentirlo tanto a fondo, erano tutte emozioni delle quali aveva avuto bisogno fin da quanto lo aveva incontrato per la prima volta – poco importava se non vi fosse un solo frammento di sanità in quella relazione, se non era lei che sarebbe finita nel suo letto, se si sarebbe dovuta accontentare della colonna, ciò che le era più chiaro era l’impossibilità di staccarsi da Loki.
E anche se lui ricercava il proprio appagamento, se non dava segni evidenti di pensare seriamente anche al suo piacere, in realtà fu la prima a sprofondare nella beatitudine dell’orgasmo, per quanto le fu impedito di goderselo fino alla fine. Le sue risa continuavano a imbrattarle le orecchie, incatenandola all’inaccessibilità di sapere se erano vere o solo illusioni nelle quali si era confinata, e che non riusciva a smascherare perché schiacciata per tutto il tempo contro il marmo ad assecondare i desideri del Dio degli Inganni. Ma ciò che non si fece mancare era di ledere anche la sua pelle quanto lui, scorticandogli la schiena ad ogni gemito di piacere e dolore che le procurava, cercando in quel capriccioso gesto di arrecargli disturbo alla sua solitaria corsa al compiacimento.
Fu la carezza con la quale le scostò i capelli quando ebbe finito con lei, quando lasciò tornare un margine di distanza tra i loro corpi che apparve simile a una voragine, che Sefa ebbe dei seri dubbi se fosse poi vero che non le avesse prestato attenzioni. Forse era solo incapace di scovarle tra le pieghe dell’anima contorta di Loki, perché non vi era mai stato nulla di più gentile di quel tocco con il quale le portò indietro il ciuffo, scrutandola con quella che avrebbe potuto giurare essere un’infinita malinconia.
Avrebbe voluto dirle qualcosa, ma tutte le parole che gli sgorgavano alla mente erano per Lady Sigyn e lei non era davvero lì con lui, quindi le ricacciò indietro conservandole per il momento in cui finalmente sarebbero stati nuovamente insieme. Si ritrovò a provare quasi una forma di compassione per se stesso nel non avvertire la soddisfazione che aveva pensato di poter ottenere, e ciò che aveva strappato da Sefa arricchiva il dolore che gli procurava l’assenza delle sue memorie – delle loro memorie. Aveva pensato fosse crudele la scelta di suo padre, di allontanarla tanto veementemente dal proprio fianco, ma ancora di più lo era poterla avere accanto senza che fosse conscia di chi davvero fosse – e chi lui rappresentasse per lei stessa. E tale sofferenza sfociava in un rancore crescente, indomabile, che solo la presenza di Sigyn avrebbe potuto contenere quel tanto da concedergli una sosta dalla stanchezza di quel vivere senza riuscire mai ad afferrare alcunché di ciò che bramava.
Le consegnò la spada quando si fu rivestita, guardandola per cercare tracce di odio nei propri confronti e rimanendo deluso dalla loro assenza – persino in quello stato, Sigyn rimaneva capace di stupirlo, avvolta nell’incomprensione di cui sempre era stata formata la sua persona. Fu solo quel particolare ad alleviare la morsa nella quale avvertiva soffocare il proprio cuore, per tale ragione le sorrise appena – senza arroganza, senza tracotanza, senza supponenza, semplicemente sorrise.
Sefa sentiva i solchi scarlatti dei graffi pulsare, così come i segni dei denti che avevano assaggiato la sua pelle, e le gambe le scosse da lievi tremiti, rese fragili, come se dovesse cadere a terra da un momento all’altro per quanto deboli si erano ritrovate dopo essere state manipolate con egoismo dal Dio degli Inganni. Eppure, per quanto non vi fosse stato nulla di gentile o di delicato – o forse c’era stato, ma solo dal particolare punto di vista di Loki –, per quanto percepisse l’indolenzimento di più parti del corpo, non rimpiangeva di avergli dato ragione nel mostrargli quanto quel pagare pegno non fosse un vero pedaggio. Per tali motivi ricambiò il sorriso, aprendo gli angoli della bocca, le cui labbra erano state dipinte di rosso dai denti conficcati in esse al posto dei baci, in una morbida curva.
Con il cuore ancora alla ricerca di mettersi in pari con la frenesia dell’adrenalina, cigolante per l’eccitazione che l’aveva scossa e un sentimento indefinito che la legarla indissolubilmente a Loki, osservò l’impugnatura della spada su cui erano incise rune dall’oscuro significato a dividere gemme preziose. Non avrebbe saputo affermare se era davvero amore, forse una sua mutazione malata, insana e insensata, finiva anch’essa nell’indeterminazione in cui affondavano tutte le domande e le sensazioni di cui era vittima da quando era arrivata a palazzo. E quell’assenza di chiarezza cominciava a procurarle un mal di testa perpetuo, ancora debole quanto persistente; cercò di non badarci mentre delineava i contorni dell’arma nelle proprie mani, provando a riversare la propria concentrazione su di essa per non dover pensare a null’altro – nemmeno all’odore dell’uomo che sentiva incastrato su di sé. Tutti sforzi vani.
«Non me lo avete detto alla fine. Di chi è la spada, intendo.»
«Un cimelio di una nobile casata andata in disgrazia» rispose Loki, voltandole le spalle per decretare la fine della discussione come della sua permanenza nelle proprie stanze, e non seppe se il tonfo che udì fu quello della porta che veniva chiusa o quello dell’ennesima crepa a far staccare un coccio di un’anima logorata da sentimenti amputati.



M A N I A’ s  W O R D S
*Coff coff*
Sì, insomma, eccoci qui.
Ora, ricordate tutto ciò che vi dissi sulle scene di sesso la scorsa volta? Bene, non intendo ripetere, quindi nel caso andate alle note dell’ultimo capitolo della raccolta precedente. La carenza di descrizioni esplicite deriva dalle medesime ragioni.
E probabilmente nessuno se l’attendeva, eh? Dunque: sorpresa!
No, seriamente, io Loki non ce lo vedo proprio come bravo ragazzo che attende che le ritornano le memorie per recuperare il tempo perduto. Non la vede da decenni, le gira sempre intorno, credo che la sua buona volontà abbia retto anche fin troppo a dir il vero. E poi ho messo rating arancione per una ragione, ecco – anche se non è solo per scene del genere.
Quindi, facendo il riassunto delle puntate precedenti: Sigyn ha di nuovo la collana, ha visitato la sua vecchia casa, ha nuovamente la spada appartenuta a suo padre e ha fatto cose felicemente p0rn con Loki. Dunque, quanto tempo manca a ricordarsi di aver già fatto/avuto tutto questo prima? Il piano di Loki di gettarle addosso troppi dubbi avrà successo o peggiorerà solo le cose? Chi lo sa!
Nel frattempo il prossimo capitolo sarà un po’ meno incentrato su Loki e Sigyn, e più su altri aspetti della trama, ma non per questo secondari – l’incoronazione si avvicina, dopotutto.
Ah, non avetecela troppo a male con Sif quando punzecchia Sefa/Sigyn riguardo le differenze delle loro abilità. Sif è comunque la Dea della Guerra e non ho mai voluto fare di Sigyn una guerriera migliore di lei, le differenze di sono, infatti nella precedente raccolta sottolineavo come Sigyn non sia mai riuscita a battere Sif. Inoltre, Sif voleva solo stuzzicarla per spingerla ad andare da Loki.
Note:
[1]
Nothung è nella mitologia norrena, la variante del nome della spada di Sigfrido. Non sapendo come chiamare la spada di Sigyn, che comunque è un cimelio della sua famiglia, quindi importante e di un certo valore, ho ripreso tale nome per nessuna ragione particolare oltre al fatto che mi piacesse. 
Ovviamente, come sempre ringrazio tutti coloro che seguono la storia, sia chi l'ha inserita nelle preferite/seguite/ricordate sia chi legge silenziosamente ogni volta, e soprattutto le anime pie che recensiscono e mi danno la carica necessaria per continuare a scrivere e lavorare con passione ♥ E mi sa che ci risentiamo a fine mese/inizio settembre. Un po’ perché credo che molti siano giustamente in vacanza, un po’ perché lo sono io e vorrei dedicarmi a godermele per bene. Quindi, statemi bene e passate – nonostante il tempo – un buon agosto!

Vi lascio il link alla mia pagina Facebook: M A N I A
E qui un’edit che feci tempo fa, Loki/Sigyn: E D I T  L O K I S I G Y N


Mania



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Capitolo 7
*** O7 • Un'altra reliquia ***


PROLOGO



C A P I T O L O   O 7 ▬
Un'altra reliquia

{ Io voglio sapere il nome che avrai,
quante speranze e incertezze ti dai,
con quali mani tu mi scalderai,
sciogliendomi il sale dal cuore,
col tuo fuoco di vivere. }
Vivere – Cristiano De André



Aveva consumato la maggior parte delle ore notturne ad accarezzare l’elsa di Nothung con movimenti lenti, scorrendo i polpastrelli sulla sua superficie con attenzione, nutrendo la sensazione di aver già visto e persino impugnato l’arma ora in suo possesso. Con l’altra mano a chiudersi sul pesante ciondolo legato al collo, lo stringeva prepotentemente, tanto da far divenire bianche le nocche, in una disperata richiesta d’aiuto che sperava illogicamente potesse provenire dalle smeraldine pietre; e nel mentre, l’emicrania si intensificava con un vigore vorace – desideroso di divorare i suoi pensieri, annichilirli, avvolgere tutta la sua mente in un torpore di sofferenza. In mezzo ai vari tormenti, vi era Loki ad accrescere lo stato di insicurezze nelle quali era scivolata troppo rapidamente – ancora avvertiva le dita del dio degli Inganni sul proprio corpo, il suo respiro spargersi sulla propria pelle, la sua risata invaderle le orecchie, il sapore del sesso appiccicarsi tanto da non essere possibile lavarlo via.
Strinse i denti fino a causarsi male da sé, alzandosi dal letto su cui era seduta di scatto, esasperata. All’alba sarebbe iniziata la grande giornata dell’incoronazione e lei non aveva ottenuto ancora nulla. Arrivata a tale punto di frustrazione, non desiderava allontanarsi da palazzo senza le proprie risposte – senza sapere perché Loki era così importante, nonostante il manto di indefinitezza ad avvolgerlo.
Provava la bruciante necessità di gridare e insieme ritornare a quella colonna, ma più di tutto bramava di porre fine a quell’intensa tortura protratta silenziosamente nei suoi riguardi. Era una punizione – inspiegabilmente era conscia che tutto quello a cui era sottoposta, era lo sconto per un errore. Avvertiva il tumulto di consapevolezze da sempre stese sotto il ghiaccio dell’oblio farsi più intenso, fino a produrre scricchiolii e crepe sulla superficie bianca che ricopriva quel pezzo enorme della sua vita di cui non ricordava alcunché. Lì erano le sue risposte, lo sapeva e più quella certezza si faceva intensa, più la testa era perforata da invisibili chiodi, scosse di puro dolore a costringerla quasi in ginocchio da quanta veemenza possedevano.
Arrivò al terrazzo con penosa difficoltà, appoggiando le mani sul davanzale freddo e respirando affannosamente, ingurgitando bocconi di aria fresca con avidità, sperando di trovare in essi un tenue conforto. Se solo non fosse stata così cocciuta da impedirsi di andare da Loki a chiedere aiuto, si sarebbe precipitata nelle sue stanze anche solo per ottenere una distrazione da un male implacabile.
Perdurò a lungo l’agonia, fino a sfinirla completamente quando le stelle erano le uniche padrone dell’abisso oscuro sopra i tetti di Asgard, con la luna già tramontata e la notte talmente fitta da aver risucchiato qualsiasi rumore; e in quel tempo buio Lady Sefa scivolò nel proprio letto in un sonno senza risposo, sogni o dolcezza – solo immagini sconclusionate, ricordi offuscati, incompleti e indecifrabili, incapaci di concederle la liberazione della conoscenza che cercava.
Il tormento al capo si era flebilmente acquietato al suo risveglio, ma solo per via della pausa ancora fresca dalla spossatezza – sarebbe riemerso brutale come poche ore addietro, portando con sé un mantice di rinnovati quesiti a perforarle la mente.
La sua preparazione per assistere all’incoronazione fu di una lentezza opprimente, movimenti meccanici a susseguirsi stancamente, con la testa pesante affollata di pensieri troppo rallentati dall'estenuazione e dal riaffiorare dell’emicrania. Il respiro strascicato le sollevava con fatica il petto, oppresso dalla sensazione di crescente colore proveniente dalla collana – sensazione che mai sarebbe potuta essere corretta, perché come poteva un ciondolo scottare improvvisamente?
Seppe di non essere riuscita a nascondere il grado di malessere quando persino l’espressione di Loki – venuto a prenderla per accompagnarla fino alla sala del trono, prima di raggiungere suo fratello – si contrasse, sollevando un sopracciglio in un interrogativo che non ebbe una risposta quando le chiese delucidazioni riguardo il suo aspetto sciupato. Non aveva alcuna intenzione di discutere in quel frangente, non perché trovasse la situazione inadatta, ma più semplicemente per mancanza di energia da impiegare in un dialogo con il dio degli Inganni – e non appena le avrebbe riacquistate, sarebbe tornata a impiegarle per districarsi in quel pantano nel quale si sentiva affondare, trascinata giù da una forza ineffabile.
Nonostante tutti i suoi desideri di chiarezza, per quanto fino a quel momento i suoi dilemmi le fossero sembrati le faccende più importanti dell’intero Regno, quando l’incoronazione venne interrotta brutalmente dall’allarme che risuonò per l’intero palazzo, lacerando il giuramento di Thor e scatenando le furie di quest’ultimo, improvvisamente avvertì una strana lucidità farsi largo in se stessa. Le venne quasi istintivo cercare la spada al proprio fianco, senza trovarne alcuna con un senso di sorpresa e smarrimento, prima di ricordarsi che non era affatto una guerriera e non spettava lei scoprire a cosa fosse dovuto il trambusto, né tanto meno come mai tanto sgomento era sorto sui volti della famiglia reale. Non era il suo posto quello al centro dell’azione – o almeno quella era l’apparenza alla quale abituata.
Si ritrovò, dunque, a passare le ore successive cercando di raccimolare quante più notizie possibile su ciò che era accaduto a palazzo, senza riuscire incontrare nessuno della famiglia reale e dei più vicini a loro, troppo indaffarati a risolvere problemi gravosi per occuparsi di lei. Quel che scoprì non erano che informazioni generiche, poco adatte a soddisfarla pienamente – venne, comunque, a conoscenza dell’insolito particolare di come l’intrusione del piccolo manipolo di Giganti del Ghiaccio, atavici nemici di Asgard con i quali perdurava una pace precaria, fosse avvenuta senza lasciar tracce della breccia nella sicurezza che li aveva condotti nel loro maldestro tentativo di recuperare l’antica reliquia, lo Scrigno degli Antichi Inverni. Non ebbe, invece, la minima notizia di dove si fossero cacciati Loki e tutti gli altri se non quando ormai erano già stati ricondotti ad Asgard dall’ira di Odino per l’aver infranto l’ordine severo di non attaccare Jötunheimr; e insieme alla sua collera, seguì la punizione furente nei riguardi del maggiore dei suoi figli, responsabile di un’azione tanto sconsiderata.
In tutto quel che accadde, Lady Sefa rimase ai margini nonostante l’istinto la guidasse al cento della scena e un pessimo presentimento le invadesse l’animo – un dettaglio inafferrabile la infastidiva, le suggeriva della presenza di molto altro dietro gli avvenimenti a catena delle ultime ore. Il tempismo degli intrusi era stato talmente tanto perfetto ed eccezionale da suscitarle interrogativi inattesi – le venne strano osservare come quella coincidenza fosse tanto incredibile unicamente per lei, perché nessun altro si ritrovava a supporre quanto fosse comoda per Loki.
Nuovamente, si stava ritrovando ad avere in mano conclusioni mentre le sfuggivano tutti gli elementi della sequenza logica che le precedevano. Arrivare a insinuare, anche solo a se stessa, che dietro una tale infausta azione nemica si nascondessero macchinazioni del fratello minore del futuro Re era insensato, stupido, avventato e immotivato – a ben vedere, non conosceva abbastanza Loki e tale circostanza rendeva già ridicolo il suo sentimento per lui, giungere a tessere una simile accura era notevolmente più inconcepibile.
Camminava forsennatamente nei corridoi adiacenti alle stanze del principe minore, attendendolo con ansia per scoprire dove fosse finito – e se, soprattutto, stesse bene. Il presentimento che affollava il suo petto, soffocava anche i dubbi e quesiti su se stessa, accompagnandosi a un grumo di timore a concentrarsi nel suo stomaco in fitte di agitazione riguardo alle condizioni di Loki. Non le interessava della veridicità delle sue congetture assurde – fondate sul nulla, o almeno su alcunché che lei davvero conoscesse, a meno di non accettare scenari improbabili dei quali non voleva sentire parlare, non in quel frangente –, nemmeno di quanto lui fosse realmente coinvolto in quell’assurda storia, ma solo che ne uscisse indenne.
Per tale ragione sentì il proprio cuore ritornare a battere senza produrre onde d’urto di spilli, quando scorse Loki sbucare da dietro l’angolo per raggiungere la propria camera. Gli abiti sgualciti erano i residui della battagli alla quale aveva preso parte, ma apparentemente, per quanto cercasse, gli occhi scuri della donna non scorsero alcuna ferita, ma in compenso notarono come la calma a intessersi sul suo volto era unicamente una facciata fallace. Troppe crepe si affacciavano su una maschera che solitamente Loki sapeva rivestire con la classe cinica di cui unicamente lui era capace; dunque seppe per certo, Sefa, che qualcosa era capitato – qualcosa di terribile per gettare su di lui un simile stato di preoccupazione.
«Siete ferito?» domandò con vivo interessamento al suo stato.
«No. Spostatevi ora» replicò secco, irritato dalla presenza della donna che stava venendo meno alla propria promessa di servirlo proprio quando ne avvertiva la massina necessità – o forse no, forse persino in quello stato, al massimo delle sue capacità attuali, Sigyn tentava di stargli accanto come meglio le era consentito. Ma Loki era troppo offuscato da una rabbia urticante, provocata da dubbi tremendi, rinvenuti nelle nevi e nel gelo di un mondo che aveva imparato a conoscere attraverso le fiabe della buona notte, intessute appositamente per spaventare i bambini asgardiani. Riusciva ancora a sentire sul proprio braccio la morsa del Gigante del Ghiaccio, ed era incresciosamente famigliare, formata da una sensazione di freddo siderale che non lo infastidiva minimamente né sinistramente.
«Voi non state bene, c’è qualcosa che vi affligge e sono certa che non sia per la punizione a vostro fratello», una parola di troppo, Sefa ne fu sicura quando il dio degli Inganni si voltò gettandole addosso uno sguardo di furia oscura, riversandole addosso una dose di rabbia di cui non comprendeva l’origine. Non era unicamente lei il motivo di tale collera, ma Sefa non poteva ignorare quanta irritazione per lei vi fosse – personale, bruciante e persino dolorosa. Era risentimento, una ricusazione per una colpa di cui lei non trovava le fila, ma che era talmente potente da mozzarle via il fiato per quanto la avvertisse meritevole – irrazionalmente, per una volta in più.
«Come fate ad esserne così certa, eh? Da dove deriva tutta questa vostra sicurezza, sapete dirmelo? La vostra conoscenza di me è scarsa, eppure vi arrogate così impunemente la capacità di comprendermi. O non siete chi dite di essere, o siete una sciocca. A voi la scelta, e ora spostatevi», sbottò scostandola con un gesto rude, deciso a non proseguire una conversazione infruttuosa con lei e cambiando la sua iniziale idea di procedere verso le proprie stanze – per non indugiare oltre e disvelare i segreti che Jötunheimr aveva evocato. Solo Sigyn avrebbe potuto concedergli un attimo di respiro, un sorso di riposo e di soddisfazione, ma suo padre lo aveva privato anche di un tale conforto – e di tutto ciò che gli spettava: la sua fedele compagna, il trono e anche una verità sgradita.
I passi rimbombavano in echi gravi mentre procedeva trattenendo a stento la necessità di giungere alla meta, stendendo le falangi lunghe della mano per evitare di affondare le unghie nel palmo, rivelando la forza della matassa dei propri pensieri. Nemmeno l’idea di aver ferito Sigyn riusciva ad aver un qualche peso su di lui in quel frangente, solo le incertezze da dipanare avevano la priorità nella propria mente – per questo non si rese conto di quanto le sue parole l’avessero ferita, riportando in primo piano le afflizioni con cui stava disperatamente tentando di lottare per non soffocare nel dolore delle nebbie dell’ignoto.
Il dubbio era la più insana di tutte le malattie. Non vi era alcuna cura se non nella certezza, e spesso, quando la si otteneva, ci si ritrovava a voler ritornare nelle brume fitte dell’assenza di risposta, perché non era affatto vero che la verità ripaga delle sofferenze. La libertà non era donata dalla conoscenza, essa, al contrario, relegava in una prigionia dura, incontrastabile, perché niente avrebbe potuto limare le sbarre della gabbia, forgiate da regole non opinabili, che rendevano le proprie azioni solo conseguenze e non decisioni svincolate.
Per tale ragione Loki indugiò a lungo sul scendere del reparto della tesoreria in cui erano racchiusi i cimeli di Odino, e per la medesima restò ad osservare lo Scrigno dei Giganti del Ghiaccio a lungo prima di toccarne la superficie.
Parole vecchie e sentimenti d’invidia stavano acquisendo sempre maggior volume, mettendo da parte le risate e la felicità fallace con cui aveva convissuto per anni. Davanti a lui poteva esserci il motivo per cui non era stato scelto per ascendere al trono; davanti a lui, racchiuso in un cubo, risiedevano forse le risposte di cui non era certo di anelare a conoscerne le forme; e le molteplici ragioni per cui, tra tutti, si era sempre sentito non semplicemente diverso, ma estraneo – nonostante l’accettazione, nonostante gli onori, nonostante i successi, quella percezione di sé a dividerlo dal mondo non era mai diminuita, ma solo appannata sotto la luce concessa fino a quel momento alla sua vita. E se questa fosse stata solo il frutto malevolo di una bugia, una menzogna in cui era stato cresciuto, non era sicuro di volerlo scoprire, ma le sue dita scorrevano più rapidamente dei pensieri e non poté impedirsi di provare per sé il disgusto che era stato abituato a provare per i Giganti del Ghiaccio – perché lui era quel nemico, quel mostro, di cui raccontavano le madri per farsi ubbidire dai bambini, era ciò che il suo popolo aveva combattuto tanto aspramente.
I passi alle sue spalle non lo riscossero pienamente dalla neve rancorosa che si stava formando attorno al suo cuore, gettato improvvisamente in mezzo a un fermento di rimorsi, abnegazioni, reinterpretazioni, amarezze sopite e forse mai esistite, ma che in quel momento riuscirono a diventare tanto reali, potenti, da combattere contro i rari sentimenti puri con i quali era cresciuto. E questi ultimi apparvero tanto deboli, effimeri, davanti alla prepotenza vile di quegli inganni che si stava sussurrando da solo alla mente, da stravolgere una vita intera per una sola ipocrisia, la quale valeva tutto quanto nella follia dell’attimo.
C’era del ridicolo nell’essere lui, dio dell’Inganno, vittima di un raggiro tanto profondo, tanto smisurato e desolante – e forse, tra tutto, era ciò a indignarlo più profondamente, il ritrovarsi succube di quelle macchinazioni sofisticate che solitamente era lui a costruire. Se persino la sua presunta famiglia era arrivata a giocargli un simile scherzo di cattivo gusto, non aveva più dubbi su come avrebbe utilizzato le sue doti e magie per infliggere la stessa sofferenza dilaniante, che ora era costretto a provare – alcun conforto, alcun parola, alcun gesto avrebbe potuto soffocare quel ustione interiore, solo una persona sarebbe stata in grado di comprendere e le era stata strappata via dall’uomo che aveva finto di essere suo padre.
Il rancore si estendeva, si diramava in una pozzanghera di oscuri sussurri di vendetta, rivalsa e distruzione. Più di prima, aveva intenzione di portare avanti il proprio piano, e con qualche ritocco sarebbe persino riuscito a causare un dolore almeno lontanamente giusto a coloro che erano artefici di tale grottesco teatrino. Dato che mai aveva davvero avuto la possibilità di guadagnarsi ciò che gli spettava di diritto, e avevano finto di metterlo al loro livello, come anche di concedergli realmente la possibilità di conquistarsi il trono – una proposta insincera nella sua origine, una gara iniqua, perché mai Odino avrebbe concesso a un suo nemico il proprio titolo –, allora non solo se lo sarebbe arrogato con la forza come aveva già pianificato, ma si sarebbe preso una rivincita su chi aveva osato costruirgli false aspettative.
«Chi sono davvero io, padre?», marcò così tanto l’ultima parola, intingendola di una furia traboccante, da far frenare l’avanzata del grande Re. Le unghie affondavano nella carne dei palmi, in una presa stretta, tremante per via di un argine abbattuto da quel rancore di cui non aveva mai provato il pieno vigore e che pareva da sempre essere stato in lui per quanto naturalmente lo avvertiva scorrergli dentro – nelle vene, mischiandosi con il sangue e avvelenandogli definitivamente l’anima.
«Sei mio figlio, Loki» rispose con una calma dolorosa Odino, cercando di far comprendere in modo tanto semplice la realtà che non poteva essere modificata da un’origine di cui nessuno era responsabile. Aveva già perso un figlio in quella nefasta giornata, e per quanto percepisse il peso della propria decisone gravargli sul cuore, non aveva potuto negare tale punizione unicamente per un amore paterno, quando la legge doveva essere ugualmente rispettata da chiunque. E ora si ritrovava, a distanza di poche ore, a dover discutere anche con l’altro suo figlio, non suo di nascita, ma tale per un affetto che non era cancellabile da alcunché – o almeno, in quel momento, pensava fosse così.
«No, questa non è la verità. Questa è la menzogna nella quale avete voluto farmi crescere» replicò con astio crescente Loki, tanto che gli occhi verdi brillarono non di disperazione, ma di rabbia incontrollabile – troppo fresca e immensa per essere gestita con la dovizia fredda con la quale avrebbe fatto dimestichezza in seguito.
«Solo per proteggerti» asserì Odino, ritornando a muoversi verso di lui, scendendo le scale, per poterlo guardare più da vicino, come se bastasse colmare una distanza spaziale per colmarne una spirituale in espansione, «L’affetto con il quale ti abbiamo cresciuto io e Frigga sono reali, sono veri, più delle tue origini.»
«Se così è, perché non mi avete detto nulla? Sono solo un’altra delle vostre reliquie?!»
«Chiamala paura, ma non credere che sia nei tuoi confronti, ma in ciò che tale rivelazione avrebbe potuto mutare nei nostri rapporti» cercò di spiegare, malamente e con le parole rotte da una sofferenza palpabile, ma di cui Loki non riusciva a rendersi conto, reso maggiormente immune ai sentimenti altrui, egoisticamente concentrato unicamente sulla concretizzazione di quell’elemento di distorsione che per tutta una vita aveva avvertito – un fantasma, una presenza indesiderata, la ragione della sua mancata nomina a Re nonostante le fasulle promesse.
«Dovevate pensarci prima!»
«Loki, per favore, cerca di comprendere-»
«Che cosa?!» urlò con veemenza, minacciosamente avanzando verso il padre e cercando di incanalare in quell’unica parola non solo l’ira rancorosa di quel frangente, ma anche le promesse di rivalsa progettate da tempo e rese più forti per l’essere stato reso succube di un inganno tanto profondo.
Ed Odino parve accorgersene, ma la distanza che gli occhi verdi di Loki riuscivano a creare tra il mondo e se stesso era troppo immensa per poter essere concepita pienamente; eppure, l’abbraccio che gli diede parve almeno esteriormente calmare quel cambiamento repentino dello spirito – un cambiamento solo esteriore, perché la vera essenza di Loki era sempre stata nascosta fino a quel giorno.
Lo avvertì acquietarsi contro il proprio petto, come quando da bambino piangeva tanto da non riuscire più a respirare, e si ritrovava a doverlo stringere con più forza di quanto lo fossero i suoi stessi singhiozzi. E nel mentre credeva di aver sedato ciò che invece aveva risvegliato completamente, gli sussurrò all’orecchio una verità che fu tale solo in quel momento, ma che sarebbe andata perduta – e forse, mai più ritrovata -: «Che ciò non cambia niente.»
Per quanto la discussione fosse stata breve, con suo padre, Loki non poté cancellare dalla propria mente le verità manipolate che la scoperta avevano creato. Non avrebbe, nuovamente, concesso ulteriori spaccature sulla propria maschera attraverso le quali scorgere il rancore bruciante ad animarlo, avrebbe trattenuto e modificato quel sentimento in un cruccio indistinto che avrebbe potuto confondersi tra i tanti. E nel mentre, avrebbe arricchito la propria tela di nuovi dettagli, di particolari che prima non aveva considerato per aggiudicarsi una vittoria completa, una vendetta per quel torto che non sarebbe mai più potuto essere dimenticato, alleviato o modificato.
Da Lady Sif e i Tre Guerrieri venne scambiata per comune preoccupazione per le sorti di Thor, perché era ciò che desideravano scorgere e non posero particolari attenzioni alle rughe a marcare la sua fronte, né tanto meno diedero peso al suo rifiuto di provare a scendere a patti con Odino per ripotare indietro il fratello – in fondo, nemmeno per Lady Sigyn si era spogliato del proprio orgoglio, e avrebbe mantenuto tale decisione anche in quel contesto.
«Dov’è?», non dovette specificare a chi si riferisse, era perfettamente chiaro ai quattro che fosse Lady Sigyn l’oggetto del quesito.
«Credo si sia recata alla sua vecchia casa. Non sembrava stesse bene… Loki, credo abbia bisogno d’aiuto, ma…» rispose Lady Sif, che aveva intravisto la figura dell’amica a distanza – i lineamenti non erano mai stati tanto intrisi di liquida sofferenza e i suoi passi tanto concitati, troppo presi a dirigersi nella sua antica dimora per rispondere ai richiami della dea della Guerra.
«Ne ha decisamente bisogno», e sembrò quasi una minaccia per quanto freddamente pronunciò tale frase, stringendola tra i bianchi denti e sputandola. Era stanco di quel gioco, aveva necessità che Sigyn ritrovasse se stessa e non avrebbe più aspettato ulteriormente, quindi sperava vivamente per lei che fosse ormai vicina a spezzare quel muro invisibile che la divideva della sue stesse memorie. Abbisognava dell’unica persona che da sempre aveva visto oltre le sue menzogne, oltre le sue bugie, oltre i suoi inganni e illusioni, scorgendo la sostanza della sua anima e del suo cuore distaccati e distorti più di qualsiasi altri tra i Nove Regni – la sola che aveva accettato la sua vera natura ancora prima di scoprirla.
 



M A N I A’ s  W O R D S
Per l'occhio di Odino, questo capitolo!
LA FATICA. No, seriamente, ho penato su questo capitolo perché personalmente fare introspezione su tale scena del film, la trovo una cosa estremamente complicata.
Ma andiamo con calma.
Come notate l'avvertimento "What if?" ora diveiene motivato. Il discorso tra Odino e Loki l'ho cambiato - primo perché non c'avevo voglia di rivedermi il film apposta, secondo perché come notate va a finire in modo diverso. Dato che io non ho mai capito perché Odino svenisse - e poi si ripigliasse - così, ho cambiato un po' la scena. E poi non mi serve Odino svenuto per quel che verrà dopo.
Comunque, spero che sia chiaro quel che volevo comunicare sui pensieri di Loki in quel frangente. Per me non è che si sia sentito offeso dalla bugia nel suo contenuto, ma perché essa è la ragione per cui non è potuto diventare Re - e anche perché è lui solitamente a ingannare gli altri, ed essere raggirato dalla propria famiglia rende la menzogna ancora più detestabile. Quel che mi è stato di maggiore difficoltà è stato in un qualche modo riallacciare la versione cinematografica a una più vicina ai miti - che personalmente apprezzo maggiormente. Spero di esserci almeno in parte riuscita, ecco. 
Ho ripetuto rancore e derivati un po' di volte perché è questo il sentimento che secondo me caratterizza maggiormente Loki - ma spero di non averlo ripetuto troppe volte da farlo diventare eccessivamente ridondante.
Quanto a Sigyn, attendete il prossimo capitolo. Ci sarà anche una scena che so che almeno un paio di voi aspettano dall'inizio di questa storia - spero che vi piacerà.
Ah, sì, io non è che sia stata lì a descrivere Thor che viene cacciato e bla bla bla, perché ahimé questa è una raccolta di one-shot e comunque ne parlerò più avanti. Sì, anche Thor avrà un ruolo più centrale non appena passano i prossimi due capitoli - mica me ne sbarazzo così senza dire altro.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, io non ne sono soddisfatta pienamente. Sarà che è proprio complicato descrivere psicologicamente la scena di Loki e Odino - tra parentesi, Odino so che solitamente è dipinto come se fosse il responsabile di tutto quanto, il vero stronzo della situazione, ma per me quest'uomo è fin troppo paziente con i suoi figli considerando che ha dei doveri di Re prima di tutto -, ma sono stata indecisa fino all'ultimo se cancellare tutto e riscrivere da capo facendovi aspettare un altro mese e mezzo o meno.
Potrebbero perdurare qualche piccolo errore perché devo tornare a studiare e ho ricontrollato un po' meno di quanto dovrei fare, spero comunque che non ci siano strafalcioni immensi - comunque ricontrollo appena la sessione finisce.
Io come al solito mi metto in ginocchio e ringrazio tantissimo le persone che continuano a seguire la storia - nonostante gli aggiornamenti rari, perdono ;v; -, chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e soprattutto chi commenta rendendomi veramente felicissima. In particolare, questa volta i miei mille e più grazie vanno a Yoan Seiyryu, Helen L e queenofoto
Alla prossima,

Vi lascio il link alla mia pagina Facebook: M A N I A


Mania



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Capitolo 8
*** O8 • Quanto si è disposti a rischiare ***


PROLOGO



C A P I T O L O   O 8 ▬
“ Quanto si è disposti a rischiare

{ Sarebbe stato meglio vivere,
con le certezze degli illusi,
con le bellezze dei sognatori. }
Vivere – Cristiano De André



L’aria all’interno dell’antica villa era impregnata di polvere e umidità, filtrava tra le pareti insieme alle crepe attraverso cui si insinuavano le edere. Lo sporco opacizzava tutto: pavimenti, specchi, mobili e qualsiasi superfice. La donna aveva provato ad accendere le luci, ma come si era aspettata l’impianto non funzionava da tempo ed era rimasta ad avanzare nell’eterno crepuscolo delle sale.
Doveva essere stata una dimora sfarzosa, ricca di quadri di cui rimanevano solo aloni sulle pareti, di lampadari dai scintillanti diamanti a ricadere a pioggia di cui nulla restava se non uno scheletro spoglio, di oggetti a riempire le credenze e libri ad arricchire le librerie vuote. Riusciva a immaginarsi come doveva essere stata, con tanti particolari da sembrare una reminiscenza – ma era assurdo, lei non era mai stata in quel luogo, o meglio, non ricordava di averci mai messo piede se non la settimana passata con Loki.
Ma le crepe ormai non erano più unicamente a scorrere lungo i muri, ora erano anche dentro lei stessa, lasciando intravedere verità di cui desiderava afferrare i contorni, senza sapere come fare. L’emicrania era tornata ad essere lacerante, pulsava con insistenza come a volerla esortare a trovare un modo per conquistare ciò che le sfuggiva – perché erano appena oltre la coltre di nebbia che sentiva dentro se stessa, vicine e maledettamente lontane allo stesso tempo. Probabilmente era frutto della sua immaginazione in quel momento di confusione mentale, nonostante il ciondolo al collo improvvisamente le apparisse pesante, avvolto da un calore che avvertiva filtrarle attraverso la pelle – irradiando dentro di lei ciò che lo aveva reso d’un tratto tanto gravoso da portare, come se fosse stato pieno di qualcosa.
Si avvicinò a una finestra unicamente per cercare il filtrare di una lieve brezza, un tentativo troppo blando per trovare conforto, e appoggiando le mani sulle inferiate prive di vetri, rivolse lo sguardo verso il palazzo reale cosparso di riflessi scarlatti gettati dal crepuscolo.
Era il tramonto anche quel giorno lontano, quello in cui la sua vita aveva avuto un brusco cambiamento, prima di profondare nell’abisso. Serrò gli occhi con disperazione, il cuore a batterle nel petto con prepotenza, quasi fosse il motore per rievocare quel momento perduto e in frantumi – ma che poteva essere aggiustato con filamenti di oro fuso a renderlo prezioso[1].
Tra le montagne spoglie, tanto aride da non aver vegetazione a ricoprirle, i raggi caldi del sole morente lasciavano scivolare maree di sangue sulle loro pareti rocciose, sotto le quali affondavano le radici della più importante città dei nani. E dalla residenza reale sarebbe preso giunta la delegazione per siglare l’accordo, in modo da porre fine alle ostilità che per mesi avevano insanguinato le colline alle pendici della catena montuosa.
Nella propria tenda personale, Lady Sigyn era ancora intenta a spogliarsi degli abiti pregni del fluido cremesi dei nemici, gettando nell’angolo le stoffe sgualcite per scivolare sotto il getto dell’acqua calda della doccia. Il vapore saliva lentamente, avvolgendo il corpo della donna, mente la corrente che percorreva la sua pelle portava via con sé le incrostazioni di sangue e terra, corrose dal sapone a lasciarla nuovamente pulita. Nonostante la rapidità con cui il gorgo risucchiava il fluire dell’acqua macchiata da scie scarlatte, rimanere sotto la bruciante acqua le rallentava la percezione del tempo, ovattandola in una dimensione nel quale si sentiva estranea a ciò che continuava ad accadere nel mondo.
Fu quando spense il getto e la tenue cortina si disperse, che si accorse di non essere sola. Non sprecò nemmeno tempo a domandargli da quanto tempo fosse lì in piedi, a scrutarla lavarsi, o come fosse entrato e perché non si prendesse il disturbo di chiedere il permesso – non che gli occorresse, ma a Sigyn piaceva puntualizzare il superfluo talvolta unicamente per stuzzicarlo. Appoggiato alla scrivania posta al centro della tenda, teneva le verdi iridi puntate sul quadrato di mattonelle differenti sul quale era stata montata la doccia, alzato un sopracciglio e ampliando il sorriso malizioso quando la donna si avvicinò a lui per prendere l’asciugamano lasciato sulla sedia, cospargendo briccole d’acqua dietro i propri pasi.
«Tra poco giungerà il principe nemico per firmare il contratto di pace», Sigyn sapeva quando tale avvenimento indisponesse il principe asgardiano, che tanto aveva tramato alle spalle di tutti per scatenare quel conflitto in modo da allungare le mani su un manufatto di cui voleva impadronirsi – e che grazie a tale accordo non avrebbe ottenuto.
«Che penosa perdita di tempo e dignità. Non ho alcuna intenzione di assistere a un simile spreco, soprattutto quando in suo possesso risiedono reliquie tanto interessanti», una contrazione rapida dell’occhio fece presente il profondo disappunto che la circostanza gli provocava, ma fortunatamente aveva in serbo ancora qualche trucco prima di darsi per vinto e la presenza di Sigyn gli allentava il fastidio pressante dei suoi piani sgretolarsi lentamente.
«Siete venuto a darmi disposizioni al riguardo?» chiese incuriosita, mentre le mani di Loki raggiungevano i suoi fianchi per portarla vicino al proprio corpo. Continuò ad asciugarsi, nonostante avvertisse permanere su di sé scie infuocate lasciate dal passaggio delle mani dell’uomo lungo la propria schiena – lente, risalivano intrufolandosi tra i capelli bagnati appiccicati alla pelle, rivelando desideri ricolmi di lussuria famelica e di una dolcezza lieve che riservava unicamente a lei.
«Me ne occuperò da solo, la tua presenza è richiesta al tavolo delle trattative in quanto Generale di uno dei reggimenti che ha ottenuto maggiori risultati» osservò prima di piegarsi verso le labbra carnose della donna a prendersi un bacio. «Io posso essere in più posti contemporaneamente» chiosò con ovvietà, dando vita a una propria proiezione alle spalle di Sigyn, che non fu notata immediatamente.
«Quindi è solo una visita di piacere» constatò, sorridendo ammiccante, prima di sentire le stesse dita affusolate di Loki intente a percorrerle i fianchi, insinuarsi anche sotto l’asciugamano per farlo cadere a terra. Inclinando appena il capo indietro, si accorse a quel punto della proiezione dell’uomo alle sue spalle. «Oh, solo un’altra illusione? Perché non di più?»
«Non tentarmi» rispose ridacchiando, mentre la sua illusione le baciava il collo.
«Sono io quella tentata» replicò avvicinando le labbra all’orecchio destro del dio, sussurrando provocatoriamente mentre faceva scorrere le proprie mani verso le cinture di cuoio attorno alla vita dell’uomo. Lo sentì ridere divertito, avvertendo le falangi di lui percorrerla, senza soffermarsi a pensare quali fossero quelle reali e quali delle dell’illusione, perché lo aveva appreso molto tempo addietro che a volte le ultime sapevano donare più sensazioni di quanto le prime potessero mai sperare di fare – e con il dio che le manovrava, simili sottigliezze non sarebbero mai potute essere districate, rendendo ogni tentativo uno spreco di tempo.
Con le mani ad affondare nei capelli d’inchiostro e le labbra incollate alle sue, annaspando per cercare un po’ d’aria di tanto in tanto tra un bacio e un gemito, lasciò che le mani del medesimo dio alle sue spalle la guidassero a inarcare la schiena per osservarla divaricare le gambe con ghigno soddisfatto. E dai suoi fianchi, fece scorrere le lunghe dita fino ai seni, stringendoli mentre si piegava su di lei, assaporando il gusto della sua pelle tra una spinta e l’altra, avvertendo il suono dei baci brucianti e dei morsi che lasciava sulle labbra del se stesso davanti a lei.
Ed erano per lei tutte le attenzioni, ed era unicamente per sentirla e farsi sentire che le impedì di insorgere nel cercare di prendere un comando che mai avrebbe potuto avere in così netto svantaggio numerico – non che bastasse ciò a frenarla dal far scendere le sue mani lungo il ventre dell’uomo o a dettare lei un ritmo differente. La udì ridere divertita tra un respiro mozzato e la tensione dei muscoli a intrappolare un piacere strisciante, tra un incastro di corpi e quello successivo, nel quale lasciarsi profondare dentro di lei non solo con il corpo, ma nella sua anima – un rifugio sicuro in cui riusciva a trovare un luogo privo di quella foga angosciante corrosa da un rancore e una sete di potere implacabili, e in essa scoprire la tranquillità di loro due soli.
E quando Sigyn raggiunge l’orgasmo glielo lasciò assaporare, osservandola cercare di arruffare pezzi d’aria per abbeverare i propri polmoni a secco di ossigeno, alzando e abbassando freneticamente il torace bagnato dal sudore, con la pelle intrisa del profumo di entrambi. Si prese baci delicati prima di riprendere per soddisfare anche se stesso, frenandola dall’ansia che lei provava di non lasciarlo senza la sua parte, per suggerirle che poteva prendersi più spazi per sé di quanti se ne concedesse per amore suo. E rispose al suo sorriso complice con un ghigno quando una gamba la portò attorno al ventre del Loki che aveva di fonte, mentre rimanendo su un piede teneva la schiena schiacciata contro il corpo di quello alle sue spalle, intento a morderle il collo con le mani a vagare sotto il ventre della donna. Era un invito per il finale che non poteva essere rifiutato e che entrambi cercarono di protrarre il più a lungo possibile.
«Le vostre visite di piacere sono sempre molto interessanti» osservò divertita Sigyn, con il fiato corto e più stanca di quanto la battaglia potesse privarla di energie. Si sedette sul bordo del letto, combattuta tra l’intento di vestirsi in vista della cerimonia per redire il contratto di pace e il desiderio di sprofondare sotto le lenzuola per riposarsi. Osservò di striscio lo sguardo altrettanto divertito di Loki misto al lieve riso, con già metà dei suoi indumenti indosso e straordinariamente capace di riordinarsi come niente fosse. Inarcò all’indietro il collo, per far scricchiolare la cervicale prima di rialzarsi con uno sforzo di volontà inaudito in modo da riprendere la propria preparazione da dove l’aveva interrotta decine di minuti prima.
«Non ero venuto qui per questo. Volevo sapere una data» rivelò cripticamente Loki, sedendosi nella poltrona vicino al letto accavallando le gambe con le mani congiunte in grembo.
«Una data per cosa?» chiese incuriosita la donna, cercando di sistemare il groviglio di capelli – nodi su nodi creati dal passaggio delle dita vogliose di Loki – per poterli poi rinchiudere nella solita treccia laterale.
«Per il matrimonio.»
«Scusi?» incredula, si voltò completamente a fissarlo lasciando perdere il proprio riflesso nello specchio davanti al quale tentava di domare la propria chioma.
«Il nostro, per la precisione» chiosò Loki con la stessa naturalezza con la quale aveva iniziato il discorso, come se stesse parlando di libri, di strategie militari o di qualcuno dei suoi sotterfugi. Era più che altro tale tranquillità a lasciare Sigyn sbigottita, con le sopracciglia inarate in archi di pura sorpresa e occhi sgranati alla ricerca di ogni dettaglio catturabile che potesse confermarle o smentirle di aver udito correttamente.
«Mi state chiedendo di sposarvi?» cercò di mettere in chiaro la situazione, nascondendo il più possibile il tremore della propria voce davanti a una simile prospettiva. Arrossiva raramente Lady Sigyn e sempre a causa di Loki, nonostante lei provasse a impedirselo con tutte le proprie energie per non mostrare crepe di vulnerabilità nemmeno all’uomo che amava, ma in quel frangente si dimenticò completamente di resistere ai moti del proprio corpo, ritrovandosi con le guance impregnate di rossore e il petto a dover sopportare battiti mai così pressanti.
«Non è una domanda in realtà. Ma il tuo consenso è ovviamente indispensabile» constatò con ovvietà Loki, ridendo appena per la reazione della donna – non come presa in giro, quasi con dolcezza per quanto lei stessa appariva adorabilmente priva di capacità recitative sotto le quali intrufolarsi almeno in quel frangente.
«Quindi me lo state chiedendo» osservò Sigyn, provando a concentrarsi su quel punto per riprendere il controllo delle reazioni del proprio organismo – e anche perché credeva fosse sensato che almeno vi fosse una proposta in tal senso, anche se, non appena un tale pensiero si strutturò nella sua mente, quello successivo le suggerì che Loki e lei stessa avevano poco a che vedere con l’assennatezza.
«Non è l’elemento essenziale della questione scoprire se sia una richiesta o meno» sottolineò Loki tirando gli angoli delle sottili labbra in un ghigno – conscio che la donna stesse semplicemente racimolando tempo per ritornare al consueto stato di serenità pacata.
«Lo è, invece. Sarebbe un ottimo indicatore di quanto siete disposto a scoprirvi per me.»
«Ti sto dicendo che voglio che tu sia moglie, Sigyn, cosa devo fare di più per dare un’idea chiara a chiunque di quello che sei per me?»
«Avete ragione» asserì piegando il capo in segno di assenso, per una volta non contrariata dal dover ammettere di essere in torto. E fu il sorriso immerso di una felicità scintillante, satura di fibrillazione per la prospettiva che Loki le stava offrendo, che lui scorse in quel solo gesto all’apparenza quotidiano la sua risposta – era sempre stata capace di condensare nelle pieghe delle labbra scarlatte una quantità di entusiastica contentezza rivolta a lui solo, da cercare più volte e più modi per poter ammirare silenziosamente, nascosto dietro all’aria imperscrutabile, un simile spettacolo. Ma prima che Sigyn potesse tradurre in parole ciò che era appieno visibile sul suo volto, le trombe annunciarono l’arrivo della delegazione nemica. «È arrivato il nostro ospite, dobbiamo andare.»
«Una risposta, Sigyn» la incitò Loki, senza schiodarsi dal suo posto con gli occhi incollati alla figura della donna, deciso a non uscire e non farla muovere da lì se non quando avesse ottenuto ciò che desiderava – sapere se avrebbe acconsentito a smetterla di giocare a fare gli amanti nelle pieghe della notte, di preferire l’indeterminatezza a una definizione netta. Era strano che proprio lui bramasse una chiara delimitazione, eppure voleva che fosse palese ciò che lei rappresentava – non solo la più fedele, la sua arma più pericolosa, ma anche l’unica persona in grado di spingere a far nascere nel suo cuore ricoperto di sale un sentimento scevro da tornaconti personali, puro nel loro modo di viverlo. Avevano trascorso sufficienti secoli a fingere di nascondersi unicamente per provare il brivido della segretezza, ma ora era giunto il momento di porre le demarcazioni necessare a rendere palese a chiunque a chi Sigyn appartenesse – e anche il contrario.
«La conoscete già, ma l’avrete comunque. Al termine di questa cerimonia inutile» asserì lei, alzandosi per cercare una maglia da indossare nel minor tempo possibile, accontentando almeno per quel momento Loki. Ma a differenza di quanto avevano entrambi programmato, non vi fu l’opportunità per alcunché di più che un sì superfluo, in realtà già sussurrato innumerevoli volte e che invece di avere il sapore fresco della felicità, era stato avvolto di una lacerante mestizia.
La bocca dischiusa cercava di andare in contro alla necessità di ossigeno pulito, inspirando ed espirando con rapidità famelica per ingurgitare aria disperatamente, faticando a rimanere in piedi con le gambe tremanti. Era un gorgogliare di frasi, immagini, sentimenti e pensieri confusi che le rendevano quanto mai difficile riuscire anche solo provare l’incredibile tentativo di tirare le fila di quanto pulsava nella sua mente e nella sua anima. Sarebbe scivolata a terra, abbandonandosi alla polvere a decorare il pavimento, se le braccia di Loki non l’avessero raggiunta prima, tenendola su con forza, girandola verso di sé come fosse una bambola per quanto debole. Pallida tanto da sembrare trasparente da come le vene si scorgevano intrecciarsi in serpeggiati bluastri; la pelle era tirata in una smorfia di dolore e smarrimento, una matassa di interrogativi l’avvolgevano provocando l’emicrania di cui era vittima. Il fuoco che avvertiva propagarsi dalla gamma al collo era pesante, caldo in maniera angosciante, l’affaticava ulteriormente creando più scompiglio in una mente già frustrata – aggiungendo nuovi ricordi, anzi, perdute immagini.
«Non me ne hai lasciata una, alla fine» asserì con voce solo fasullamente controllata, ma nel sostrato si scorgevano onde rabbiose – attendevano di abbattersi, rompere e travolgere, per riprendersi una rivincita sul dolore che era stato costretto a patire anche a causa della cocciutaggine di Sigyn stessa.
«Di cosa state parlando?» mormorò in un rantolo, sorprendendosi di avere ancora la capacità di parlare nonostante percepisse il proprio corpo sul punto di collassare e la propria mente offuscata da fin troppe cose da poterle distinguere.
«Della data, Sigyn. Della data del matrimonio, almeno questo dovresti cominciare a ricordarlo» sibilò con veemenza, mentre avvertiva le dita della donna aggrapparsi alla stoffa di suoi indumenti per provare a tenersi su, ma era troppo spossata e a fatica riusciva a stare dietro al proprio respiro affannoso, cosparso di ansie e difficoltà a lasciar scorrere nuovamente le proprie memorie in se stessa.
«Io non-»
«Sì, invece, lo sai a cosa mi sto riferendo. Sono stanco di questo gioco, Sigyn, smettila di scappare da ciò che sai o comincerò a pensare che tu non voglia più mantenere la tua promessa. E smettila di aver paura», la sentiva fremere per brividi causati dal suo stesso corpo, intento ad assorbire un colpo psicologicamente stordente, enorme nella sua potenza, ma Loki confidava come sempre nelle capacità di lei – era sempre stata forte, una mente dinamica, entrata nelle Guardie Reali unicamente per lo sfizio dimostrare alla bambina che aveva patito la sofferenza della disillusione che era molto più di ciò che ci si immaginava. Rantolava, chiudendo gli occhi appoggiandoli al petto dell’uomo, cercando di sopportare il fluire dei momenti intrappolati nel gioiello che portava al petto, sbloccato da quell’essere stata portata sull’orlo delle irrazionalità oltre le quali si nascondevano le risposte cercate.
«Sono insensate le vostre parole.»
«Noi non abbiamo mai avuto a che vedere con la sensatezza, Sigyn» osservò il dio degli inganni, costringendola a rialzare il volto verso di sé per sopportare i suoi occhi smeraldini, in cui tizzoni ardenti di ira si fondevano a recriminazioni nei suoi riguardi.
«Mi riferivo al fatto che io non voglia mantenere la mia parola e che abbia paura, Loki. Ho solo bisogno di aria», fu nel mondo in cui pronunciò il suo nome – una delle rare volte in cui non vi appose prima titoli ed onorificenze – che seppe che era tornata pienamente lei. Se solo non fosse stato sopraffatto dai nervi impegnati in un odio profondo, portato a largo dalla collera per un mondo che lo aveva privato impunemente della verità su se stesso e dell’unica persona sulla quale aveva sempre potuto fare affidamento, e se Sigyn non fosse stata complice indiretta di un simile crimine grazie suo desiderio ostentato di voler essere a lui utile anche quando non ve n’era necessità, l’avrebbe trascinata fuori con maggior grazia e avrebbe perso tempo a far affondare le proprie labbra tra i capelli di un biondo lavato via dei suoi riflessi d’oro acceso.
Aveva dovuto affrontare un realtà sulle proprie origini da solo, senza il sostegno che Sigyn aveva promesso avrebbe sempre concesso lui – ed era assurdo, perché nonostante fosse stata privata delle sue memorie, persino in quello stato aveva intuito quanto il suo animo fosse afflitto dall’essere stato tanto a lungo preso in giro dalla propria famiglia, dall’essersi fatto ingannare tanto scioccamente.
Era rabbia quella con cui la lasciò appoggiarsi al tronco di un albero, scrutandola con lo sguardo diviso tra il sollievo di riaverla completamente e la possibilità di poter finalmente riversarle addosso tutte le ricusazioni che si era portato dentro per decenni infiniti.
«Ce ne avete messo di tempo per trovarmi», curvata in avanti, con un fianco a contatto con il ruvido tronco e le dita di una mano a cercare un appiglio nel quale conficcarsi per tenersi in piedi, ora riusciva infine ad assaporare con meno angoscia il defluire dei propri ricordi – di quella parte di sé che le avevano tolto.
E arrivò un moto di sofferenza diversa da quella dell’oblio – perché nell’oblio vi era dolcezza, una culla di malinconia di non sapere nel quale non vi era alcuna verità a ferire definitivamente l’anima –, quella della consapevolezza di quanto avrebbe voluto piangere in quegli anni una perdita di cui solo in quel momento poteva afferrare il devastante cratere che aveva scavato in lei. Per distrarsi, per provare a non sfogare le proprie lacrime come aveva fatto quando aveva assistito al funerale di suo padre, quando aveva visto le fortune della sua famiglia dissiparsi, quando aveva assistito allo spettacolo degradante di sua madre cambiare letto uno di seguito all’altro per riconquistare posizioni sociali, quando aveva osservato in silenzio alla vittoria dei vizi sui suoi cugini e il rinchiudersi in un silenzio di rassegnamento delle zie date in sposa per evitare di avere ulteriori persone a carico. Ma non era più il dolore dello sgretolarsi della famiglia in cui era cresciuta che le conficcava pezzi di vetro invisibili nel cuore, ma quello di essere stata lei stessa artefice della dimenticanza dell’uomo che amava – l’unico che avrebbe mai potuto amare, servire e desiderare.
«Non provocarmi, Sigyn, non ora» freddamente asserì Loki, prima che da sola riuscisse a rialzarsi, afferrandole con un colpo secco la gola costringendola a tendere i nervi del collo e inarcare la schiena contro l’albero. «Mi sei mancata», più che una confessione suonò come un urlo trattenuto tra i denti, intriso di nera rabbia.
Fu la prima e ultima volta che la baciò con tale veemenza da soffocarle quasi il respiro, con smania di risentirla sotto di sé ora che era nuovamente la Sigyn che aveva dovuto abbandonare in decenni trascorsi come eoni. Perseverò a tenere la presa attorno alla sua gola per mordere fino a sentirla mozzare urla di dolore, stritolandole tra le labbra, mentre tentava di allungare le proprie mani verso di lui, ma Loki non glielo permise – non le avrebbe permesso di far alcunché in quel frangente, era sua e in suo potere per scontare la disperazione che gli aveva causato.
Strappò con foga la stoffa del suo abito, riducendolo a stracci per spogliarla più rapidamente, e con la stessa assenza di grazia si avventò su tutto il suo corpo, affondando le unghie in ogni punto che più desiderasse sentire, strattonandola contro di sé al ritmo che meglio si asservisse unicamente ai propri scopi, ignorandola completamente per poter soddisfare decenni passati a ricordarla unicamente – a riviverla troppo poco nella propria mente. Lasciò percorsi cremisi a partire dalle sue natiche fino alle cosce, prodotti mentre la tratteneva contro il proprio ventre per poter muoversi in lei senza accortezza, avvertendola tenersi attorno al proprio collo rompendo respiri in cui erano i gemiti di sofferenza a sovrastare in numero quelli di piacere. Li stritolava nei propri denti bianchi con la stessa determinazione con cui cercava di non chiudere gli occhi, ma era difficile resistere all’istinto della contrazione dei muscoli, che tentavano di acquietare la piaga che era sentire la pelle scorticassi contro il tronco ruvido contro il quale le spinte di Loki la inchiodavano.
Non provò nemmeno lontanamente a resistergli, non per servilismo, ma perché non le serviva immaginare quanta pena gli avesse fatto patire, le era bastato poggiare le proprie nere iridi su di lui, scivolare nelle pieghe dei risvolti verdi dei suoi occhi per affogare nella sua anima per comprenderlo. Le era sempre stato naturale capirlo, per tale ragione riusciva ad afferrare la desolazione nel quale l’aveva legato, come se fosse stato costretto da invisibili catene massicce a rimanere prigioniero dello stillicidio di un veleno serpentesco per tutti i giorni fino a quello odierno[2].
Erano gemiti di sofferenza dell’anima più di quelli fisici a esserle strappati, tempestandole la mente con tutta l’angoscia di cui non aveva potuto avvertire il peso per tanti decenni e riportandole addosso la valanga di sentimenti dimenticati – e nella corrente nella quale si ritrovò, desiderava infossare le proprie unghie più in profondità nella carne di Loki e avvertire quelle di lui stringerla con più possessività soltanto per scacciare via, esorcizzare almeno in parte, le lacerazioni di un dolore che le era stato precluso provare. Se solo avesse avuto più energia, avrebbe dipinto la schiena dell’uomo con scie di sangue, avrebbe lasciato conficcare i propri denti nella sua carne e nella risonanza dei loro respiri infranti, mugolii straziati e tensioni insoddisfatte, avrebbe potuto trovare maggiore spazio per perdere consapevolezza – per qualche manciata di secondo – del tormento al quale le proprie parole avevano sottoposto entrambi.
E nonostante le prese rudi, nonostante i denti si insinuassero a fondo con poco riguardo nella sua pelle, nonostante le sue dita si chiudessero attorno alla sua gola con rabbia e ogni sua spinta fosse feroce, in tutto Sigyn scorgeva un groviglio di disperazione per un dolore che non aveva mai mostrato a nessuno e ora riversava su di lei per renderla edotta di come la punizione inferta fosse stata subita maggiormente da lui. Per tale ragione gli depose baci tra i capelli di notte condensata quando rimase con il capo appoggiato alla sua spalla, nascondendo il volto nell’incavo di lei una volta che ebbe liberato frustrazione e trovato una soddisfazione monca nell’aver così brutalmente abbattuto su Sigyn i rovi di sentimenti rappresi – grumi di rancore e lacerante agonia tenuta compressa sotto maschere di indifferenza, per occultare quanto gli artigli di un simile evento fossero riusciti a perforare le sue carni, e a ciò si aggiungeva la realtà sulle proprie origini a renderlo incapace di sopraffare spire tanto rabbiose.
Rimase piegato su di lei per lasciare che insieme allo scorrere delle dita tra i propri capelli, Sigyn allentasse il fervore di sentimenti logori con quel gesto d’amore delicato, accompagnandolo dalle labbra a deporsi tra le ciocche d’ebano, senza sussurrare alcunché fino a quando non fu Loki a decidere di potersi finalmente staccare. Si voltò per recuperare i propri vestiti, provando ad evitare di pensare a quanto fosse poco adatto a darle il bentornato ogni volta[3] e che prima o poi avrebbe dovuto imparare ad essere meno rude almeno con lei, che riusciva al di là di ogni situazione a scoprire le ragioni di cui erano formate le sue azioni.
«Prendi il mio mantello», lo riprese per porgerglielo, conscio che Sigyn non avesse alcunché con cui coprirsi dopo che le aveva malamente strappato l’abito, ma si bloccò con il braccio a metà quando si girò nuovamente verso lei. Mai l’aveva vista con il volto rigato dalle lacrime, gocce grosse a percorrere lentamente il contorno dei suoi zigomi per poi scendere sulle guance e fermarsi a tremare sul bordo della mandibola, indecise se precipitare subito o rimandare di qualche secondo.
«Non è per prima» si affrettò a specificare Sigyn, con voce stranamente calma, lisciata da ogni possibile increspatura. Nessun rimprovero o sottile tentativo di instillare in lui sensi di colpa, sembrò dire la semplice verità mentre si avvicinava per prendere il mantello e nascondersi sotto di esso, sprofondando nel verde scuro della stoffa a strisciare sulla terra da quanto piccola era il suo corpo in confronto. «È… Io non ho potuto provare davvero tutto il dolore che avrei dovuto per questi infiniti decenni, e ora arriva tutto in una volta.»
«Sei sempre una magnifica bugiarda, ma la punizione a te inferta non è stato niente in confronto alla mia», le avrebbe voluto spiegare come la condanna non fosse il suo oblio, ma il dover averla vista vivere accanto a sé senza che ricordasse di loro, ma le parole si fermarono nel pensato della sua mente, senza nemmeno cercare una strada attraverso le corde vocali. Si limitò a passare le proprie dita sulle sue guance, asciugandole con la dolcezza che aveva dimenticato di usare in precedenza, provando a ignorare i contorni che da rossi stavano tendendo al violaceo sul suo collo – impronte della sua mano e dei suoi denti. Si promise che un modo lo avrebbe trovato per rimediare, non perché Sigyn glielo chiedesse, ma proprio per l’assenza di qualsiasi logica protesta per i suoi modi grezzi – era nata per sorprenderlo, per ammaliarlo con la sua capacità di impressionarlo in qualsiasi modo.
«Non stavo mentendo e non dovete giustificarvi» chiosò sorridendo sinceramente, troppo agli occhi di Loki – incapace di comprendere come davvero potesse non provare nessun tipo di malessere per i suoi modi, per come l’aveva trattata pur di sfogarsi, mostrando come forse la sua vera natura fosse la principale, quella di un mostro.
«Non stai nemmeno dicendo tutta la verità» perseverò nella sua convinzione, setacciando ogni più piccolo scorcio di Sigyn alla ricerca del minimo segno di repulsione per lui senza trovarlo.
«Siete sicuro che non sia ciò che vi risulta più facile credere?» domandò inarcando un sopracciglio, tornando a far scorrere le proprie mani sul petto dell’uomo e stringendo la stoffa a ricoprirlo per ritrovare un contatto di cui necessitava – non solo per reggersi in piedi, oramai completamente sfinita, ma anche per tornare a riassaporare la sostanza di ciò che era stata costretta a dimenticare.
«La data, mia Sigyn, ho bisogno di una data» mormorò a bassa voce, mentre le passava un braccio attorno alla vita per sorreggerla con attenzione, ritrovando la pacatezza elegante dei suoi gesti anche nel far scorrere l’altra mano tra i suoi capelli mentre la baciava con rinnovata lentezza delicata, soffermandosi ad assaporare le sue labbra.
«Non so, i giorni che occorrono per organizzare un matrimonio sommati ad oggi.»




M A N I A’ a  W O R D S
Ok.
C’è troppa roba in questo capitolo, un attimo che riordino le idee.
Facciamo che parto dalle scuse per il terribile ritardo. Volevo aggiornare due settimane fa, ma ho trascorso un periodo poco sereno, diciamo così, che non mi hanno permesso di avere la serenità adeguata per poter solo pensare di aggiornare. So che non è che abbia spiegato granché, ma essendo questioni “private” non mi va proprio di sbandierarle e quindi m affido alla vostra comprensione.
Come spero che capirete se non ho risposto alle recensioni, anche se ovviamente ringrazio tutti quanti – Zarael, Yoan Seiyryu, per la super pazienza che ha sempre con me e per aver letto il capitolo per prima, e adhamico, la quale riceverà preso la mail che dovevo mandarle un mese fa e che forse finalmente riesco a scriverle! – e tutte le altre persone che continuano a seguire la storia! Grazie infinitamente a tutti quanti, davvero, non sapete quanto mi faccia felice ♥
Ok, partiamo dalla scena che tutti voi stavate aspettando, ovvero la threesome con due Loki – no, lo so che non la stavate davvero aspettando, ma dopo esservela immaginata magari a ripensarci la stavate aspettando, no? Non so esattamente come commentare un’idea del genere, posso solo dire che è un peccato avere la possibilità di creare tante proiezioni di un sé tanto figo e non usarla in più campi oltre quello della distruzione e/o conquista – e dopo aver visto una fanart in cui Loki fa sesso con se stesso (il massimo nel narcisismo, che credo sia uno dei pochi difetti che non abbia quest’uomo, ma vabbé) mi sono detta che poi non sono così pazza a pensare ciò, quindi ecco tutto.
Poi, lo so che è particolarmente pieno di scene rosse e scritto da una che non le ama poi così tanto è alquanto bizzarro, ma lasciatemi spiegare – perché c’è una ragione, o almeno credo. Volevo creare un parallelismo tra l’ultima volta in cui avevano fatto l’amore e ora che Sigyn ha recuperato la memoria – e lo so che Loki non è stato il massimo della gentilezza, non che l’abbia violentata, eh, semplicemente è stato molto più egoista e brusco di quanto non lo sia mai stato con lei. Ci tengo a precisarlo, primo perché Loki-violentatore non ce lo vedo proprio, secondo perché Sigyn se non avesse voluto fare sesso con lui un modo lo trovava per farglielo capire (inoltre lui non l’avrebbe comunque costretta se l’avesse vista riluttante, ma è la stessa Sigyn che vuole che lui si sfoghi e vuole anche lei somatizzare in qualche modo il recupero di tutte le memorie in un colpo solo), e terzo ma di massima priorità è che non sopporto simili temi di violenza sessuale inseriti tanto leggermente nelle fanfiction, quindi non oserei mai addentrarmi io per prima in simili meandri.
Bene, comunque, non dal prossimo, ma da quello dopo – alla fine della prima parte della storia – rivedremo il nostro caro Thor e come se la passa sulla Terra. E tra qualche capitolo il rating rosso verrà giustificato anche da altro – le scene creepy mi vengono meglio, se può consolarvi!
Ah, sì, ovviamente spero che vi sia piaciuta la non-proposta-di-matrimonio. Davvero, se qualcuno pensava che avrei fatto pronunciare a Loki una qualche proposta era totalmente fuori strada, perché Loki fare una cosa del genere è totalmente OOC secondo il mio punto di vista. E avevo pensato infatti di farla fare a Sigyn, ma nemmeno la mia Sigyn la farebbe mai, dunque questa era l’unica strada da percorrere. Comunque, secondo voi ce la faranno a sposarsi o avranno altri intoppi, eh? /apre il banco delle scommesse/
Venendo alle note:
→ [1] Quella di ricomporre oggetti rotti con filature d’oro fuso è un’usanza giapponese e si crede che in tale modo gli oggetti assumano una sfumatura di preziosità maggiore.
→ [2] Questa figura metaforica del serpente che fa colare veleno su un Loki incatenato, è ripresa dal mito norreno (penso sia il più famoso che riguardi lui e Sigyn, dato che lei ha le palle di rimanergli accanto mezza eternità a raccogliere in un catino tale veleno).
→ [3] Nella raccolta precedente, la shot O4 Loki va a recuperare Sigyn in una prigione nemica. Quando lei si sveglia dopo essersi ripresa dalle ferite, il bentornata è una sequenza di rimproveri invece che di assicurazioni sulla sua salute.

Alla prossima,
Vi lascio come sempre il link alla mia pagina Facebook: M A N I A


Mania



PS: Sono una brutta persona e ho riletto solo tre volte, perché se mi attenevo al protocollo delle sette riletture il capitolo lo avrei aggiornato tra altre due settimane. Spero che non ci siano sviste, ho fatto del mio meglio!



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Capitolo 9
*** O9 • Verità sospese e promesse fluttuanti ***


PROLOGO



C A P I T O L O   O 9 ▬
“ Verità sospese e promesse fluttuanti

{ Vivere.
In fondo è un gioco complice
essere demoni ed angeli
per la febbre di essere liberi. }
Vivere – Cristiano De André



I raggi caldi del sole che filtravano nella sala del trono rendevano le superfici dorate particolarmente lucenti, creando un’ovattata quantità di luce a permeare l’ambiente – una dimensione appartata, silenziosa, in cui l’occhio azzurro del Padre degli Dei appariva una nota di colore discordante a catalizzare l’attenzione di chi era al suo cospetto. Poche erano le persone in grado di sostenere la pesantezza di un simile sguardo, ma Lady Sigyn non aveva mai percepito nessuna difficoltà in passato né tanto meno in quel momento – lei era sempre stata in grado di ricambiare quello di chiunque, forse perché da bambina aveva sostenuto quello di una madre fedifraga, di zii corrotti, di cugine dissolute e di un padre morente per la febbre di non disperdere la propria dignità. Sotto il mantello scuro di Loki, rimaneva a sostenere il silenzio con cui era vagliata da Odino, senza distogliere da lui l’attenzione per rivolgerla al principe minore al proprio fianco.
Furono i passi sulla scala che mantenevano in alto il suo trono, a rompere l’immobilità dell’aria. Vi era sempre stata grandezza nella figura del Re, vibrante e poderosa, quella di un guerriero crudele – a dispetto di quanto la storia potesse essere riscritta dai vincitori – e di un custode delle leggi come non vi sarebbe mai potuto essere. Lady Sigyn aveva provato rispetto per la fermezza di cui era cosparso, per la capacità di apparire anche con i capelli stinti dai millenni, intessuto di una forza maestosa – deterrente senza necessità di essere sfoggiata. E anche dopo la punizione che le era stata inflitta, la sua opinione non mutava, rimaneva fedele ad essa e proprio per l’assenza di un risentimento per ciò che le aveva causato forse Odino la scrutava con sorpreso interesse – solo Loki non poteva essere impressionato da quell’incapacità di Sigyn di odiare, al di sopra dei moti del cuore, rivolti eccezionalmente a lui. Se il Dio degli Inganni non avesse saputo che la donna avrebbe eternamente tenuto fede ad un unico giuramento – quello pronunciato a lui e non ad Asgard -, avrebbe quasi potuto pensare che era Sigyn la guerriera più pericolosa tra le fila del Padre degli Dei, quando in realtà era la sua di arma più temibile.
«A dispetto di quanto tu possa pensare, Loki, sono contento che Lady Sigyn abbia riavuto le sue memorie» disse infine, rivolgendosi al figlio con il tono meno duro di cui disponesse – ancora notava le onde d’ira che le iridi smeraldine di lui gli rivolgevano, un risentimento per quella verità che gli aveva taciuto per paura e codardia. Conosceva abbastanza bene la natura di Loki da sapere che non avrebbe dimenticato presto – forse mai – quello che considerava un affronto, non un tradimento, ma la causa del non essere stato lui la scelta per succedergli. Tuttavia, ora che Sigyn era finalmente ritornata in possesso delle sue memorie, poteva sperare che la presenza della donna alleviasse quel livore – almeno in parte, quel tanto che bastasse per avere l’occasione di tentare di parlare nuovamente con lui, senza che si ponesse con già le proprie conclusioni affrettate a sbarrargli la via di una riconciliazione. «Fate un favore a un vecchio re, accompagnatemi», chiese porgendo il braccio libero a Sigyn, invitandola a passeggiare verso il lato della navata che conduceva all’esterno – archi alti che costeggiavano a metri di altezza il giardino sottostante.
«Siete contento di riavere una guerriera al vostro servizio, padre, o perché è tornata ad essere se stessa?» domandò velenoso Loki, rimanendo di un passo dietro di due.
«Perché ora è di nuovo dove dovrebbe stare. Non basteranno mille tentativi per farti comprendere la ragione della mia decisione, ma l’importante è che tu abbia imparato, come mi auguro faccia tuo fratello» rispose serafico Odino, ormai rassegnato all’idea che mai Loki avrebbe potuto comprendere che non era stato un gesto di odio nei suoi riguardi, ma un tentativo estremo di portarlo alla comprensione di come le sue azioni, sature di tornaconti personali e di macchinazioni egoistici, potessero ricadere negativamente su chiunque attorno a lui. Abbassò lievemente il capo per tornare a sbirciare la figura ammantata di Lady Sigyn al suo fianco, più che mai scomposta nella sua figura solitamente perennemente impeccabile. «A proposito del posto in cui dovreste essere, siete sfuggita dalle mie previsioni, lo sapete, Lady Sigyn? Vi avevo posto in un luogo pensando che vi sareste rimasta, e siete andata a infilarti in uno dei luoghi più remoti e oscuri del nostro Regno.»
«Vi riferite alla vicinanza con Myrkviðr[1]? Quel luogo è saturo di magia, sarà stata quella ad attrarmi indirettamente» osservò Sigyn ragionando più con se stessa, incuriosita da come i suoi movimenti fossero stati guidati inconsapevolmente da quel vuoto di memorie – l’ombra che per tutta quella vita da dama smarrita l’aveva cruciata, perseguitandola e ricordandole incessantemente che qualcosa di importante era andato smarrito.
«La vostra fedeltà per mio figlio non è cancellabile come le vostre memorie. Ora andate a riposare, ho fatto preparare le vostre vecchie stanze» asserì con dolcezza inaspettata Odino, fermandosi a prendere la mano che Sigyn aveva deposto sul suo braccio per sfiorarla delicatamente con le labbra.
«Non ce ne sarà bisogno, Lady Sigyn ha già stanze più adeguate dove risiedere» intervenne Loki, perentorio quanto incolore nelle proprie parole.
«Molto bene, farò spostare i vostri averi nelle stanze di mio figlio allora.»
«Ed è giunta l'ora che si diano inizio ai preparativi per il nostro matrimonio. Vieni, Sigyn, hai davvero necessità di riposo», mantenne il contatto visivo con Odino solo per qualche secondo, per chiosare quanto le sue parole non fossero una richiesta e non vi fosse necessità di discuterne. Non aveva ulteriormente desiderato affrontare l’argomento sulle proprie origini non perché potesse o volesse perdonare l’uomo che aveva erroneamente chiamato padre, ma più semplicemente per la futilità di qualsiasi ulteriore parola. Avrebbe potuto continuare a riversargli addosso veleno per ore, giorni e forse mesi interi, senza terminare epiteti e costruirne di nuovi unicamente per un suo vezzo, ma a nulla avrebbe condotto un simile atteggiamento infantile quanto infruttuoso. Non avrebbe strepitato come un bambino, preferiva barricarsi in uno sdegno silenzioso, in un sentirsi disgustato che non necessitava di alcuna condensa in sillabe, rimanendo sospeso. Avrebbe trovato altri modi per potersi accaparrare la propria vendetta, infliggendo a lui e a chiunque si sarebbe frapposto al trono che gli spettava di diritto punizioni, e sarebbero state talmente crudeli da non essere paragonabili nemmeno lontanamente a quelle di Odino.
Per ora, tuttavia, preferiva dedicarsi alle cure di Sigyn e lasciare trascorrere il tempo di cui abbisognava il suo piano, in modo che nel mentre si sarebbero potute celebrare le nozze.
La sorresse lungo il tragitto, sogghignando ad ogni suo tentativo di rimanere in piedi priva del suo aiuto – cocciuta lo sarebbe rimasta per l’eternità, come troppo orgogliosa per ammettere di non essere nelle condizioni adatte per compiere gesti semplici a causa di quella spossatezza che la pervadeva.
«Non mi avete ancora detto cosa vi è capitato. Ora non potete più nascondermi che c’è qualcosa che non va» asserì alzando lo sguardo verso di lui, puntandogli addosso le iridi scure – condense di vuoto – per cercare di captare cosa avesse provocato il rancore di cui vedeva bruciare le braci sul fondo dei suoi verdi occhi.
«La mia intenzione non era di nascondertelo, ma di rimandare a domani la discussione. Sei stanca, hai bisogno di riposare» mentì Loki, in realtà non aveva alcuna idea di come raccontarle la verità scoperta su se stesso – ingombrante, fin anche dolorosa per quell’essere stato cresciuto con le storie di quei mostri di cui ora si ritrovava a essere parte.
«Ho bisogno di sapere che cosa vi turba così tanto» obbiettò Sigyn, imperterrita. Avrebbero potuto continuare la discussione fino al giorno seguente, e Loki sapeva che era inutile provare a dissuaderla dal scoprire l’origine della crepa che aveva scorto in lui, perché nulla la preoccupava di più di ciò che lo affliggeva e non avrebbe mai rinunciato a estorcergli tale verità. La sua testardaggine era pari unicamente alla dedizione a lui, era impossibile per chiunque provare a condurla su sentieri logici, perché vagava in una dimensione in cui era stata forgiata da una razionalità appartenente esclusivamente a lei e al suo mondo di nobili decaduti – persino Loki stesso aveva difficoltà a combattere contro la sua cocciutaggine, e per questo cedette alla sua richiesta.
Cambiarono percorso; invece di far rimbombare i passi tra i corridoi che portavano verso le loro stanze, riecheggiarono tra i muri stretti che conducevano alla sala delle reliquie, in mezzo alla costante presenza della semioscurità a dimorare negli angoli. Non vi erano altri suoni a parte quelli prodotti da loro e un ronzio incessante a rendere presente a chiunque vi accedesse l’incessante funzionare del sistema di sicurezza.
Non era un vero interrogativo quello che solcava il volto diafano della donna quando si arrestarono davanti allo Scrigno degli Antichi Inverni, era più una sorta di attesa calma per concedergli tutto il tempo di cui necessitasse. Sigyn era sempre stata brava a scorgere tra le illusioni dell’uomo, un’abilità innata, cresciuta con lei, per questo non le risultava eccessivamente difficoltoso captare tra le fila della sua maschera un’ansietà mista a lieve preoccupazione – o forse non era proprio ciò, più una sorta di trepidazione macchiata da angoscia.
Lo osservò allungare il braccio, tendendolo verso lo Scrigno con lentezza esasperante – teatrale come di consueto, incorniciando il tutto con un ghigno malevolo, dalle pieghe oscure. Non ebbe alcuna reazione Sigyn quando le dita della mano di Loki sfiorarono la superficie del manufatto, perdendo il colorito rosato per essere soppiantato da un dilagante blu pallido ad espandersi sulla sua pelle, fino a raggiungere il volto e imbrigliarlo nella forma della sua vera natura, ora palesata dinnanzi a lei.
Spostò i propri occhi non più verdi, ma scarlatti come una promessa di sangue ancora da versare, cercando tracce di disgusto o terrore permeare i suoi lineamenti, ma non vi trovò alcunché – non solo nulla di quello che gli sembrava sensato emergere davanti al tremendo spettacolo che le stava offrendo, ma la totale assenza di qualsivoglia reazione evidente. Rimaneva attaccata a lui, con ancora le dita di una mano stretti nella stoffa della maglia scura, mentre l’altra si alzò ad accarezzargli con morbidezza i contorni del volto – passò le sottili falangi dalla fronte fino allo zigomo, prima di solcare la guancia giungendo al mento, per poi farle scivolare dietro al suo collo in modo da costringerlo ad abbassarsi alla propria altezza, per baciarlo. Fu delicata la pressione con la quale poggiò le proprie carnose labbra su quelle gelide di Loki, e ve le lasciò fino a quando non avvertì il braccio di quest’ultimo ancora teso verso lo Scrigno abbassarsi, per avvolgerlo attorno alla vita della donna, ricambiando il bacio.
«Come ci riesci, Sigyn? Come riesci a non vedermi come un mostro nemmeno ora? a non guardarmi con orrore? a non provare nemmeno un briciolo di paura?», glielo domandò con le parole a infrangersi sulla bocca di lei, quasi sussurrando tali interrogativi non saturi di rancore, ma di stupore per quanto Sigyn fosse sempre in grado di dare importanza ai dettagli ignorati da chiunque altro – persino da lui talvolta, soprattutto quando si trattava di se stesso.
«Io vi amo per quello che siete, non per le vostre origini. E avrò paura di voi solo quando darete a me, personalmente, una motivazione valida per doverne provare», lo disse sorridendo con dolcezza e i polpastrelli a filare tra le ciocche d’ossidiana del suo principe, stringendosi maggiormente a lui accompagnando le carezze delle proprie mani a quelle silenziose dello sguardo.
«Non sono stato molto buono con te ultimamente» nascose l’amarezza dell’affermazione, riversandola in parole incolori per non lasciar trasparire alcunché. Nonostante cercasse di far emergere la più piccola incertezza in Sigyn con le proprie affermazioni, l’unica cosa che riusciva a scorgere nella donna era la sicurezza nella propria scelta di essergli fedele, di amarlo, di non abbandonare il suo fianco – ed era balsamo sui tagli profondi che sentiva pulsare dentro di sé.
«Vi sbagliate, lo siete stato. Magari non sempre delicato, ma a me donate la parte migliore di voi» ribatté senza incertezze Sigyn, con una lieve strafottenza per il sentirti assolutamente nella parte della ragione.
«Avevi ragione, Sigyn, tu sei la mia sola eccezione[2]. L’unica che valga la pena avere» asserì depositando altri baci sulle labbra della donna, conscio che fosse lei la singola anima a poter avere la passionale forza di rimanergli accanto, di accettare ogni pezzo di lui – anche il più oscuro e terribile – senza chiedergli alcun cambiamento o desiderare pegni per i propri servigi. E proprio per la sua devozione assoluta con il quale lo ricopriva, per l’amore puro scevro da tornaconti, che all’inizio era stato spinto ad avvicinarsi sempre di più a lei, fino a rimanere lui stesso vinto dal medesimo sentimento. «Ora sarebbe bene andare nelle nostre stanze», cambiò discorso per ritornare a sottolineare la debolezza di cui era ora cosparsa la donna, guidandola senza fatica verso la strada precedentemente percorsa, per dirigersi verso le camere.
Tra le colline di seta delle lenzuola, Sigyn si addormentò con la schiena a sfiorare il petto dell’uomo che rimase a coprire gli ematomi che lui stesso le aveva provocato con unguenti curativi, osservandola sprofondare nel sonno inesorabilmente. Nonostante le giornata tutt’altro che leggera, non provava alcun desiderio di seguire l’esempio della compagna, preferendo scappare dall’ignoto dei sogni rimanendo a guardarla, scorrendo appena le proprie dita tra i capelli chiari di Sigyn.
Non amava mostrare delicatezza, ma nel buio del proprio letto e coperto dalla propria magia ad occultarli persino dallo sguardo di Heimdall, poteva concedersi il lusso di continuare a ricoprirla di carezze per non farla sentire sola – come lo era stata per tutti quei tremendi anni –, e riprendere il sentore della sua presenza nuovamente dove sarebbe sempre dovuta essere. La osservò con una lieve piega delle labbra, divertito, nell’osservarla cercarlo nonostante fosse a vivere in altri mondi, muovendo le gambe per intrecciarsi nelle sue mentre si spostava maggiormente contro Loki – e nel rimanere a prendere per sé quei pezzi di momenti, si chiese se persino nell’onirico fosse nuovamente lui la sostanza dei pensieri di Sigyn.
Fu la forza della stanchezza a far cedere il gomito sul quale faceva leva, fino a costringerlo ad abbandonare il capo sullo stesso cuscino su cui le ciocche incredibilmente candide di Sigyn giacevano, immergendosi nel profumo delle stesse nel lasciarsi andare alla spossatezza – tornando, finalmente, a potersi addormentare tenendola tra le braccia senza più doversi accontentare dell’amaro sapore dei ricordi.
Nonostante fosse stato Loki a prendere sonno per ultimo, quando persino la luna aveva cominciato a cadere dalla posizione più alta del manto notturno, quando l’orizzonte si intinse delle prime venature d’oro ad annunciare l’imminente sopraggiungere di un’alba calda nata nel cielo terso, furono i suoi occhi per primi ad aprirsi. Il respiro di Sigyn era lento, appena percettibile nel muovere il diaframma e le labbra dischiuse lievemente a renderla una visione eterea – anche se in realtà non era essa la sua maggiore qualità, o come aveva specificato Loki secoli addietro, lo era in un modo reinventato da lei stessa, l’ennesima maschera sotto la quale celare l’intransigenza illogica di cui era composta.
Le dita sottili corsero senza fretta sul suo collo per spostarle i capelli, liberando la pelle per poterla baciare. Percepì sotto il proprio corpo quello di Sigyn risvegliarsi lentamente, costretta a tornare alla realtà dalle persistenti attenzioni posate senza frenesia da lui, desideroso di concederle ciò di cui entrambi erano stati privati ingiustamente – una punizione insensatamente crudele di cui mai avrebbe dimenticato l’affronto e per la quale avrebbe inferto a sua volta altrettanti pene a chi aveva osato troppo. Ma almeno lì, in quell’alba ancora a sopraggiungere, non avrebbe pensato alla vendetta né tanto meno si sarebbe lasciato intaccare quell’attimo di serenità, donato dalla presenza di Sigyn, dal proprio rancore. Trovò le sue labbra carnose disarmate, arrancanti nel risponderle per ancora le scorie dei sogni a rallentarle le percezioni, ma non tardò a ricambiare il bacio infilando le proprie dita sottili tra i capelli di tenebra del principe.
Non le strappò la vestaglia come aveva fatto con l’abito il giorno precedente, si limitò a far scivolare le proprie falangi con malizia sotto le pieghe semitrasparenti del tessuto, alzandolo per sfilarglielo via con la dolcezza di cui si era dimenticato di ricoprirla qualche ora prima. Ogni suo gesto fu rivolto a Sigyn, per servirla silenziosamente al chiuso di quella camera che era diventata finalmente loro, e regalarle quelle attenzioni che meritava di ricevere quanto lui – perché se Loki aveva potuto sopportare il dolore della separazione, Sigyn era stata privata anche del tormento della perdita per essere soppiantata dal vuoto perenne.
Le accarezzò con le labbra le ombre dei segni che le aveva provocato, sentendola inarcare la schiena e puntare i piedi tra le lenzuola per assecondare i movimenti dell’uomo. Erano sospiri misti a gemiti scevri da qualsivoglia macchia di tensione, liberi di essere unicamente di piacere e con la consapevolezza di avere tutto il tempo desiderato a loro disposizione.
Fu Sigyn ad appiattirsi contro il suo fianco quando le cure d’amore di Loki terminarono, allungando una mano sul petto dell’uomo rimanendo con la testa appoggiata alla sua spalla. Sorrideva appena, con la dolcezza di cui era sempre stata detentrice, disposta ad elargirla a lui fino all’ultima goccia – fino alla fine dei giorni.
«Non dovete scusarvi di nulla, ve l’ho già detto. Ero seria ieri quando dicevo che non mi avete fatto male», perché anche se non era stato detto nulla, Sigyn possedeva la facoltà di comprendere le intenzioni del Dio degli Inganni ancora prima che gliele chiarisse, e proprio per tale sua attitudine era – e sempre sarebbe stata – la sola persona in grado di rimanergli accanto senza credere che avesse necessità di redenzione, perdono o salvezza – amandolo per tutte le ombre e le rare pozzanghere di luce di cui era fatto.
«I segni sul tuo collo dicono altro, Sigyn. Ma non era una scusa, era una promessa, una delle poche che intendo mantenere e come sempre questo insolito tipo sono rivolte prevalentemente a te» rispose Loki, elargendole un altro bacio tra i capelli – e non c’era bisogno di specificare la natura di tale giuramento, perché Sigyn meritava tutte le premute di cui la ricopriva quando erano da soli e tutto il rispetto che le mostrava in pubblico, e tale realtà era talmente cristallina da non abbisognare di alcuna superflua parola per renderla palese alla stessa donna.
«Dovreste raccontarmi i vostri piani, sapete? O almeno le parti che non ho capito da sola», asserì inclinando il capo verso l’alto per poter sbirciare i lineamenti di Loki, sollevando le sopracciglia in una piega di ovvietà. Non le occorreva la conferma che ciò che era accaduto a Thor non fosse stato semplicemente un caso, in fondo poteva intuire più che bene il risentimento di Loki verso la scelta di Odino di preferire il primogenito – da sempre il Dio degli Inganni aveva mirato al trono, da sempre aveva cercato di ottenerlo e non si sarebbe frenato unicamente perché la decisione del Padre degli Dei non era ricaduta su di lui. Si sarebbe, in realtà, stupida del contrario e ora che aveva finalmente riottenuto le proprie memorie riusciva a scorgere le fila di un piano a lungo termine, qualcosa che affondava a prima che lei fosse stata portata a palazzo, ma insieme alla buona conclusione di parte delle azioni programmate, Sigyn intuiva già che qualcosa fosse sfuggito alla predeterminazione voluta da Loki.
«Prova a impressionarmi una volta in più, Sigyn, dimmi quello che sai e ti dirò il resto», non vi era alcuna traccia di sorpresa per le parole della donna, al contrario era conscio che lei prima di chiunque altro sarebbe stata in grado di mettere insieme intuizioni a ciò che solo Sigyn conosceva di lui, arrivando all’unica conclusione possibile. E non era nemmeno scosso dall’assenza di recriminazione, sdegno od orrore per le azioni contro il fratello, perché per quanto fosse dall’inizio della sua infanzia in grado di confondersi anche lei nella massa degli altri asgardiani, la sua morale era distorta quanto quella di Loki – in modo difforme, si allargavano in macchie e crepacci divergenti, ma in quel loro perdurare scollati dalla così detta normalità, si facevano compagnia comprendendosi.
Con le proprie dita a passare tra i lunghi capelli quasi di neve della donna, la ascoltò intessere l’intricato quadro degli inganni da lui messi in atto e fu quasi stupefacente essere messo di fronte una volta in più alla sua abilità di notare i minimi dettagli come alcun. Per tutto il tempo mantenne un ghigno di liquida soddisfazione irosa, sotto il fluire delle spiegazioni in cui si inabissò Sigyn su come avesse lui stesso ingaggiato i quattro ladri, sicuramente sotto altre sembianze, per intrufolarsi nella sala delle reliquie, così da sottrarre qualcosa suggerito direttamente da Loki – quel qualcosa di cui già un tempo aveva tentato di impossessarsi, fallendo –, e grazie alla protezione di amuleti costruiti attraverso la sua magia; come fosse sempre stato lui a indicare il luogo dove trovare un rifugio che straordinariamente ma ovviamente guidava in un altro mondo, quello di Jötunheimr, così da concedere su un piatto d’argento ai Giganti di Ghiaccio un modo di penetrare le difese di Asgard per riprendersi lo Scrigno degli Antichi Inverni, e mai avrebbero potuto avere occasione migliore che quella del giorno dell'incoronazione di Thor, quando tutti sarebbero stati distratti dall’evento.
«Ai dettagli di come si svolgeranno le nostre prossime azioni, ci penseremo più avanti. Fortunatamente non richiedono la nostra immediata attenzione, mentre tu necessiti di recuperare appieno le energie» asserì con soddisfazione carica di ammirazione per la propria compagna, degna di essere lei sola a possedere il suo cuore, reso arido a chiunque altro dal sale di cui il desiderio di potere lo aveva cosparso.
Nella sua ricostruzione tutto filava liscio, se non fosse stato che l’incursione dei Giganti del Ghiaccio si sarebbe dovuta concludere diversamente, con maggiori difficoltà doveva essere sedata la loro intrusione, perché nel suo progetto erano in possesso di quella reliquia che aveva suggerito ai ladri di rubare – e di cui aveva pensato di sottrarre non visto durante lo scontro che non vi stata a palazzo. E se non ne avevano fatto uso significava che si era perduta prima di giungere a loro – dunque avrebbe dovuto scoprire quale fine fosse toccata ad essa e impossessarsene. Se ne sarebbe occupato durante i mesi di preparativi per il matrimonio, discretamente.
Il tentativo di Loki di convincere Sigyn a rimanere a riposare durò molto brevemente e fu proposta con molta poca convinzione, conoscendo la donna era del tutto impensabile che avrebbe acconsentito a rimanersene tranquillamente distesa nel letto senza alcunché da fare. L’unica promessa che riuscì a strapparle fu quella di evitare allenamenti per almeno un paio di giorni: il suo organismo ancora debole doveva ritrovare le forze prima di poter essere sottoposto agli sforzi di combattimenti nelle arene della Gendarmeria – soprattutto se erano condotti insieme a Lady Sif.
La collezione di cicatrici sul corpo di Lady Sigyn era rimasta per la maggior parte inalterata, i solchi di vecchie ferite erano quelli di cui Loki aveva serbato memoria, come lo erano i calli sulle sue mani da guerriera e i nei a cospargere la sua pelle in una pioggia di costellazioni personali di cui lui solo conosceva l’ubicazione. In realtà, non era certo di aver avuto per sé quel privilegio, perché quando glielo aveva domandato mentre la osservava asciugarsi via le gocce d’acqua rimaste su di lei dopo la doccia mattutina, aveva glissato il quesito per evitare di confidare quale tipo di vita sentimentale avesse condotto durante l’amnesia indotta.
«Non mi hai ancora risposto.»
«Non vi rispondo a un sacco di domande, quale in particolare?» chiese Sigyn allacciandosi gli stivali di cuoio, facendo attenzione a non creare risvolti nei pantaloni neri che potessero procurarle fastidio. Aveva passato la maggior parte della sua vita senza memorie con indosso unicamente abiti da dama, e per quanto li trovasse raffinati quanto belli, la comodità della tenuta personale da guerriera era decisamente un ritrovo delizioso.
«Su quanto ti sei divertita in mia assenza» spiegò Loki, inclinando appena il capo nel rimanere seduto sulla propria poltrona per osservarla come se fosse stato seduto già sul trono – mani giunte davanti a sé, con i gomiti puntati sui braccioli e un sorriso mellifluo dalle inclinazioni poco rassicuranti.
«Ovvero con quanti uomini sono stata senza ricordarmi di voi» tradusse Sigyn ridacchiando, rivolgendogli un’occhiata fugace prima di tornare a intessere gli intrecci dei lacci. «Qualsiasi numero sia, io ho la scusante di essere stata privata della mia memoria» constatò con la semplicità scevra da alcun genere di sottointesi sentimentali, solo il fatto di conoscere quanto Loki fosse capace di usare qualsiasi arma a sua disposizione pur di conquistare le proprie mete.
«Sei forse gelosa?»
«Sto sottolineando l’inutilità del vostro quesito, in realtà. Non vi ho mai chiesto di rendermi conto delle persone oltre a me con cui decidete di dividere il letto, e non lo farò neppure quando sarò vostra moglie, dunque non temete» ribatté con sorriso serafico, raddrizzando la schiena dopo aver concluso la propria vestizione e tornando a posare su di lui le iridi in cui mari neri si estendevano infinitamente.
«Il mio letto è stato diviso solo con te, e lo sai» asserì alzandosi dalla poltrona con lentezza, riferendosi a quando, persino quando Sigyn era in quella stessa stanza ma priva dei suoi ricordi, Loki si era rifiutato di disfare le lenzuola. Unicamente Sigyn – lei in tutta la sua essenza – deteneva il privilegio esclusivo di avere quel posto, a nessun altro lo avrebbe mai ceduto. «Qualsiasi mia relazione ha sempre avuto un scopo per ottenere qualcosa, tranne una
«In realtà anche la nostra, volevate una fedele servitrice» chiosò Sigyn, decisa a non rimanere senza l’ultima parola nonostante quell’ultima affermazione le avesse reso particolarmente arduo riuscire a scovare una replica rapida – tra tutto ciò che Loki le avesse mai detto, era l’affermazione più vicina a una dichiarazione che le avesse mai rivolto. Impiegò tutta la compostezza di cui era in grado, nascondendo e acquietando come suo solito le onde della propria anima, spodestando il dominio delle passioni per piegarlo a un autocontrollo che si era imposta da quando era bambina e che raramente perdeva.
«E mi sarei potuto accontentare di quello» le fece notare Loki con ovvietà, alzando un sopracciglio maggiormente per dare enfasi alle proprie sillabe e affondando il proprio sguardo ardente in lei, accompagnando il tutto al gesto di porgerle Nothung[3] per potersela legare al fianco. La osservò ruotare gli occhi al soffitto, in segno di sconfitta davanti a tale costatazione che non poteva essere confutata, sbuffando appena per il fastidio di non essersi accaparrata la battuta conclusiva.
«Non sono stati molti, e non vi rivelerò i loro nomi perché voi, al contrario di me, lo siete. Geloso, intendo», si prese quella piccola rivincita, giusto per uscirsene con almeno una tiepida conquista.
«La definizione corretta è possessivo» la corresse ridacchiando.



M A N I A’ s  W O R D S

……
Facciamo che evito la parte in cui mi scuso immensamente per questo buco di mesi, e passiamo direttamente alle note? No, perché sinceramente non saprei bene nemmeno come scusarmi a dovere. Quindi spero che sia il capitolo in sé a rimediare alle mie mancanze e che vi sia piaciuto – io comunque ci tengo a ringraziare tutte le persone che hanno continuato a sperare in un aggiornamento, e continueranno a seguire le vicende di Loki e Sigyn nonostante me.
Un grazie in particolare a chi ha mantenuto la storia tra le preferite/seguite/ricordate e alle gentilissime recenistrici dello scorso capitolo, ovvero Helen L e Yoan Seiyruy!
Detto questo, passiamo ai dati tecnici.
Prima le note:
→ [1] Non so se vi ricordate, ma è il nome del bosco vicino al quale viveva Sigyn durante la sua perdita di memoria e dove ha incontrato Thor e tutti gli altri.
[2] Mi riferisco al capitolo O6, quando Sefa/Sigyn dice a Loki che le sue parole nell'escludere categoricamente qualcuno, fanno pensare che vi sia un'eccezione.
[3] Mi pare che il nome della spada di Sigyn l'avessi nominata nella raccolta precedente, comunque era un nome di una spada effettivamente presente nella mitologia, anche se non vi sono riferimenti a quella in particolare - anche per questo avevo preso una variante secondaria del nome, in modo da non creare confusione.
Con questo nono capitolo la prima parte della storia è conclusa, ora si apriranno scenari più movimentati – non subito, vi saranno quegli odiosi capitoli di passaggio, che cercherò di rendervi il più possibile godibili, pieni di momenti divertenti e di indizi che potrebbero tornarvi utili.
La misteriosa reliquia a cui faccio più volte riferimento è un oggetto della mitologia norrena, vi posso solo dare questo come indizio, e qui l’ho riadattata per i miei fini – che notiziona proprio, eh. Comunque, già dal prossimo capitolo, credo, faranno la comparsa in maniera più centrale anche altri personaggi – e temo che ciò porterà il prossimo capitolo ad essere lunghissimo, me ne scuso in anticipo.
Vorrei chiarire anche che io Odino non lo voglio dipingere, come spesso avviene, come un re insensibile nei confronti di Loki, che non lo capisce e non gli vuole bene. Per quanto le sue punizioni siano sempre lievemente eccessive, sia quella nei confronti di Sigyn – e Loki, indirettamente – sia quella nei riguardi di Thor, sono sempre state fatte negli interessi dei suoi figli – che non hanno disubbidito semplicemente a loro padre, ma a un re, e non un re qualsiasi! E ci terrei a precisare che per me Odino vuole davvero bene a Loki e quando in « Thor The Dark World » vi è l’udienza tra i due, secondo me Odino soffre terribilmente nel vedere quello che è diventato Loki, per questo lo tiene lontano da sé, per evitare di vedere ciò che è un suo fallimento prima di tutto – e ciò lo dimostra anche il discorso nel primo film quando Loki scopre le proprie origini e Odino conferma tutto il suo affetto nei suoi confronti. Quindi, all’inizio di questo capitolo, per quanto Odino non sia uno che mostra particolarmente le proprie emozioni, è davvero contento che Sigyn sia tornata e spera che la sua presenza possa alleviare il risentimento che Loki prova nei suoi riguardi dopo la scoperta nella sala delle reliquie. In sintesi: nelle mie storie non troverete mai “Loki è cattivo solo perché non ha avuto una famiglia che gli abbia voluto bene”, perché no, non è così. Loki è quel che è perché è Loki, il dio del Caos e del Male – e nel tempo libero degli Inganni.
Detto questo, ci vediamo verso Pasqua con il prossimo aggiornamento – ho bisogno di un po’ di tempo perché il prossimo capitolo, per l’appunto, è lungo, dunque mi serve un po’ più per sistemarlo adeguatamente.
Come sempre vi lascio la mia pagina Facebook, dove qualche anticipazione la metterò
: M A N I A

Alla prossima,
Mania




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Capitolo 10
*** 1O • Vite parallele ***


PROLOGO



C A P I T O L O   1 O ▬
“ Vite parallele

{ Now you’re adrift in the sea of lies
A foolish villain in an endless chapter
The demons running behind your eyes
A simple shadow
We can fight together }
UnbrokenBlack Veil Brides



Tamburellavano ritmicamente dando vita a una melodia scrosciante, ricca di tonalità diverse a seconda di dove le gocce d’acqua battevano con insistenza. Sulla sabbia dell’arena, sul marmo che la circondava, sui vetri delle finestre e sul metallo delle armature dei soldati rimessi in fila nello spazio circolare, schiena dritta e braccia tese lungo i fianchi nel silenzio forzato davanti allo sguardo esaminatore di Lady Sigyn. Erano perle nere gli occhi neri della donna, il Capitano della squadra che stava assemblando in quel momento, cercando tra le fila dei cadetti coloro che fossero dotati della tempra adatta per essere suo sottoposto.
Le due settimane trascorse dal ritorno delle memorie, Sigyn le aveva sfruttate per riconquistare la famigliarità nell’arte del combattimento persa in quegli anni in cui, per quanto non avesse scordato le fondamenta e mantenuto una forma di base, non aveva sostenuto gli allenamenti quotidiani. Prima degli anni di lontananza forzata, con Loki non aveva mai avuto troppe occasioni di confrontarsi, tutt’altro, erano stati rari momenti rubati alla notte e mai lasciati a sciogliersi sotto le onde del sole caldo di Asgard. Al contrario, era stato il principe stesso in quei rinnovati giorni di convivenza a occuparsi personalmente di farle da avversario, soppiantando la prima fissa presenza di Lady Sif. E sotto gli sguardi lievemente sbarrati e mascelle tirate per evitare di lasciar trapelare lo stupore, si erano affrontati nel cuore dell’arena fino a quando Loki non ebbe decretato che era pronta a riprendere le redini di un proprio manipolo di uomini come in passato. Il Padre degli Dei aveva concesso a Lady Sigyn di decidere in tutta autonomia le modalità della selezione, così la donna aveva optato per intessere una prova poco convenzionale – o almeno lo era agli occhi degli spettatori appostati a osservare la scena dalla piazzola poco distante.
«Certo che ha un modo innovativo per creare il suo reggimento, eh?» domandò retoricamente Volstagg, osservando la scena di una Lady Sigyn che aveva affrontato uno ad uno i possibili suoi sottoposti, senza concedere nemmeno l’anfratto di un attimo ai giovani cadetti per difendersi. Li aveva messi al tappeto tutti in meno di una ventina di secondi, arrivando alla fine di quella che prima era stata una lunga coda di sfidanti, sfoltita di volta in volta da un giudizio rapido - un approvato fugace quanto un respinto altrettanto tagliente.
«Un test psicologico rapido perché non ha il tempo di selezionare chi le aggrada come aveva fatto, con tutta la calma possibile» chiosò Fandral, appoggiandosi alla balaustra di bianco marmo con gli occhi fissi sulla loro giovane amica, intenta a camminare avanti indietro scrutando le file dei guerrieri rimasti. Li aveva selezionati a seconda di quanto il loro sguardo, nel rialzarsi, fosse pregno di una qual certa determinazione: fuoco ad ardere di un’insana bramosia di vendetta per l’affronto ricevuto nell’essere stati ridicolizzati tanto impunemente. E Fandral non riusciva a non sentire un fremito negativo nell’assistere a una tale risoluzione – premiare l’impeto di rancore, la sete rovente di rivalsa, era un segnale nel quale non riusciva a non avvertire una lieve misura di minaccia. Sigyn era pacata, priva di qualsiasi onda d’urto prepotente, un oceano imperituramente calmo da cui fluiva una condensa di serenità serafica, ma che insieme celava i propri segreti fondali, relegandoli unicamente ad un uomo; e proprio per tale sua caratteristica era impossibile classificare in un modo preciso la volontà di tenere ai propri servizi uomini facilmente inclini all’animosità del rancore a lei estranea, ma di cui aveva sondato gli abissi, imparando a conoscerne i meccanismi per controllarli.
Il passo meccanico non si era minimamente intaccato con l’intensificarsi dell’acquazzone, tracciando un solco con i propri passi a posarsi su altri mentre lasciava incrementare il silenzio passando in rassegna con i propri occhi – puri abissi d’ossidiana – le sagome dei cadetti. A qualche metro di distanza, al riparo, il Dio degli Inganni assisteva sornione al susseguirsi dello spettacolo, senza interferire, incollando alla donna il proprio sguardo, incatramato da maschere con le quale teneva lontani i tentativi altrui di sondarlo. Piegò le labbra in una crepa soddisfatta quando la voce di Sigyn prese a porre interrogativi alle giovane reclute, decretando a seconda delle risposte chi poteva rimanere e chi avrebbe seguito coloro che precedentemente non aveva superato la prima prova.
«Le sue domande sono sotto un certo punto di vista preoccupanti» osservò Fandral scambiandosi un’occhiata d’intesa con Lady Sif, la quale fino ad allora si era rinchiusa in un silenzio scuro. Con diligenza, aveva tenuto d’occhio la giovane amica, studiandone ogni più piccolo gesto e movenza, provando invano – come sempre – a scoprire cosa vi fosse sotto la superficie di luce ovattata di cui era composta. Non erano solo i suoi capelli ad essere di condense di raggi freddi, svuotati di qualsiasi traccia di calore, ma anche il suo intero essere, tanto da rendere impossibile poter comprendere quello che si muoveva al di là – impenetrabile. Erano diventate confidenti, alleate, amiche, ma non avrebbe saputo dire nulla di più di quello che Sigyn mostrava, non una sola sillaba su ciò che si celava nel suo cuore – nemmeno il suo amore per Loki le era stato chiaro nella sua definizione prettamente romantica, fino a quando loro avevano deciso di dichiararlo, solo supposizioni relegate all’indeterminatezza.
«È sempre stata preoccupante la sua fedeltà a Loki. Mi chiedo a volte quando la conosciamo davvero» sussurrò muovendo appena le labbra, indecisa se potesse davvero pronunciare a voce alta una simile constatazione. Non aveva mai compreso l’attaccamento verso il Dio degli Inganni, e per quando Sigyn avesse sempre risposto che avrebbe potuto dire la stessa di quello di lei verso Thor, entrambe sapevano che si trattava di due modi di star accanto a qualcuno assai divergenti. Era una crepatura di differenza appena visibile, soprattutto all’inizio, ma più si evolveva il rapporto tra Loki e Sigyn, più era chiaro fino a quale punto di follia fosse stata spinta la sua devozione nei confronti del dio – una fedeltà cieca, testarda, ferrea, e che forse non aveva alcun limite, nemmeno quello della nefandezza. Ed era ciò a preoccupare Lady Sif, la possibilità che la sua cara amica non avesse mai davvero scelto di servire la giustizia che Asgard incarnava, ma unicamente Loki – l’Inganno, il Caos.
«Dai, Sif, non fare così. È tornata la solita Sigyn di sempre, e per di più finalmente hanno deciso di sposarsi, dovremmo essere più che contenti» asserì scoppiando in una rauca risata, Volstagg, battendo una mano sulla spalla della guerriera con fare bonario.
«E infatti lo sono, davvero. Probabilmente sono solo preoccupata per Thor.»
«Puoi provare a chiedere a Sigyn se intercede lei verso Loki, per andare a parlare con Odino» propose nuovamente il Leone di Asgard[1], non accorgendosi delle espressioni assai poco convinte di Fandral e Hogun – entrambi ritenevano l’idea non tanto malevola, quanto del tutto uno spreco di tempo, visto che nemmeno per Sigyn stessa aveva mosso una sola piccola lieve recriminazione o supplica. Non avrebbe compiuto tale sforzo anche se si trattava di suo fratello, perché Loki non si sarebbe mai abbassato a pregare alcuno – e suo padre, Odino, non rientrava in alcuna eccezione a quella dura presa di posizione nei confronti del mondo.
La voce d’un tratto potente di Sigyn li distolse dalla conversazione. Tuonò come avrebbero fatto le scariche d’elettricità a squarciare il cielo plumbeo, accompagnando una tempesta dalla prepotenza cieca – tamburi di battaglia racchiusi nelle gocce d’acqua a cozzare contro qualsiasi cosa, con furiosa perseveranza. Le sue parole si ersero vibranti nell’aria, sovrastando i tumulti del vento a sferzare tra corridoi, cunicoli naturali, rami e pareti d’oro, innalzandosi al di sopra dell’ululato che risuonava nella giornata resa crepuscolare dall’assenza di sole, carica di sfumature decise, impresse di un autocontrollo freddo che rivelava il carattere incline alla leadership.
«Avete giurato di servire Asgard e il vostre Re sopra ogni altra cosa. Ora giurerete a me, la Dea della Fedeltà, di servirmi con lealtà, e chiunque di voi sa a chi va la mia. Se pensiate che siano due giuramenti equivalenti, potete andarvene
Non fu grida o urla, fu costatazione espressa con timbro perentorio a monito per chiunque, non solo i cadetti ad ascoltarli muti come se mai avessero avuto una lingua, ma chiunque potesse udirla. Era una sfida, una dichiarazione, era un invito a non provocarla, perché non vi era una scelta ardua se da un lato vi era Loki e dall’altra qualsiasi altra cosa.
Fu solo Fandral a scuotere lievemente il capo, senza riuscire a dar forma ai pensieri informi che invadevano la sua mente nell’udire una simile affermazione. Si alzò dando una lieve gomitata a Volstagg, indicandogli con il capo di tornare dentro, perché ormai non vi era più nulla da dover osservare – non importava quante reclute rimanessero o se lo sfoltimento delle loro fila sarebbe durato ancora, ciò che andava visto lo era stato. Provò a cercare lo sguardo di Lady Sif, ma la malsana idea di Volstagg l’aveva ormai catturata e non si sarebbe mossa di lì fino a quando non fosse stata in grado di poter scambiare qualche chiacchiera, condita con preghiere nei riguardi di Thor, all’amica.
Ebbe appena il tempo di scorgere Sigyn lasciar andare i cadetti rimasti fino all’ultimo, ora facenti parti del suo reggimento, e intuire lo spostamento scuro di Loki verso di lei, prima di rientrare all’interno del palazzo, accompagnato dai due compagni e dal pessimo presentimento che molto presto avrebbero scoperto parti della Dea della Fedeltà che avrebbero preferito ignorare per sempre.
«Che ne dici, Sigyn, un po’ di vero allenamento?», con gli imperiosi refoli di vento ad alzare la polvere dell’arena e il ghigno meno rassicurante di cui fosse in possesso ad accompagnarlo, Loki si avvicinò infine alla sua devota guerriera ammantato dalla soddisfazione recata ogni volta dalle sue gesta. Sigyn sapeva cosa lui desiderasse senza necessità di pronunciarsi al riguardo, non vi era alcuna necessità per lui di spiegarle quale ruolo dovesse ricoprire nelle sue macchinazioni e né tanto meno ordini da parte sua, perché la donna non era un suo sottoposto, un servo ammaestrato o una marionetta da spostare. Prendeva la parte che definiva per se stessa, arricchendola e costruendola in modo da poter essere più adeguata a lei – sceglieva ogni giorno, ogni attimo di camminare al suo fianco e non le interessava quale fosse la direzione. Non per disinteresse verso la meta, ma per maggior concentrazione sul presente, sul momento che poteva trascorrere insieme a lui.
«Come desiderate, mio principe» rispose pacatamente, estraendo la propria lama dal fodero, prendendo posizione.
Ferma dove era stata lasciata dai Tre Guerrieri, Sif rimase a osservarli combattere senza posa. Nonostante l’uso della magia per trarla in inganno, Sigyn era sempre stata in possesso di una naturale capacità di sguazzare nelle sue menzogne come nessun altro e con il tempo tale abilità si era affinata a tal punto da renderla in grado di potersi confrontare con lui in uno scontro emozionante. La Dea della Guerra dubitava persino che si trattenessero, se c’era da ferirsi non si ritraevano, martoriavano e colpivano la pelle dell’altro non mostrando alcun frammento di incertezza. Era incomprensibile la sostanza del loro rapporto, era qualcosa formato da elementi di degenerazione che a tratti spaventavano Sif per le ripercussioni a cui avrebbe potuto assistere. Trattenne un brivido di orrore al nascere di un pensiero su possibili risvolti futuri, troppo mesti e tremendi per consentirle di abbracciarli anche solo come sua propria fantasia – combattere contro Sigyn, invece che al suo fianco, era bestialità a cui non voleva porgere orecchio.
Fu quando un pugnale di Loki sfiorò la guancia della sua promessa sposa, lasciando impressa su di essa una scia rossa dalla quale affiorarono piccole lacrime di sangue scarlatte, che il gioco si concluse. Li osservò riprendere posizioni rilassate, rifoderare le armi e scambiarsi sorrisi compiaciuti, divertiti persino, nonostante le ammaccature che i loro corpi avevano provocato – una forma di rispetto che Sif non comprendeva, quello di non concedere sconti alla persona amata perché ci si fidava delle sue potenzialità a sufficienza da non doverla schernirla con lo smacco di limitarsi. Distolse le iridi scure – non abissi insondabili come quelli di Sigyn, ma cristalli trasparenti dai quali affioravano i pensieri ramisti ad emozioni con estrema semplicità – solo quando Loki portò alle proprie labbra la mano della Dea della Fedeltà, sporca di terra e sangue di entrambi, per depositarvi sopra un flebile bacio.
Li attese dov’era, alzandosi in piedi unicamente per prepararsi all’arrivo dei due in modo da rendere maggiormente palese ad entrambi il suo desiderio di poter parlare per un po’ con Sigyn. Con i vestiti zuppi, lasciavano scie d’acqua macchiate di altre cremisi ad ogni passo, producendo un lieve suono metallico per via delle armi appese ai fianchi, e una naturale stanchezza che non deturpava i loro volti, vi era serenità serafica su quello di lei e sogghigno dai melliflui risvolti su quello del compagno.
«Non fare tardi, Sigyn, mia madre ti vuole vedere dopo» asserì semplicemente Loki, quando giunsero in prossimità della Dea della Guerra, limitandosi a un coinciso saluto verso la stessa accompagnato da un cenno del capo. «Lady Sif.»
Sigyn si limitò a tirare il sorriso annuendo appena, aspettando che le spalle dell’uomo sparissero dietro le porte dell’ingresso, prima di riprendere a camminare, facendo segno a Sif di seguirla, dirigendosi verso i giardini più vicini alle arene. I portici che li circondavano erano ampi, archi a sesto acuto possenti, a rendere edotto a chiunque, anche in quell’anfratto di palazzo in cui in pochi si recavano, della magnificenza su cui Asgard era fondata, anche quando le tempeste perduravano e il vento graffiava qualsiasi superficie con cattiveria.
«Dimmi, amica mia, come mai hai l’aria tanto cruciata? Non credo sia più io a provocarti tale tensione» domandò con pacatezza Sigyn, dopo aver lasciato consumarsi vari minuti nel silenzio. Con i capelli bagnati tra le dita, tentava di riportare ordine tra di essi in modo da riprendere a intrecciarli nella consueta treccia, la cui bellezza era stata disfatta dai combattimenti e dalle intemperie. Li strizzava, con i soliti gesti tranquilli intrisi di una nobiltà palese, una regalità che non le era derivata unicamente per via di nascita, ma di cui era cosparsa nelle profondità dell’anima – grazia, una forma di delicatezza tutta sua, come a volte le ricordava Loki.
«Sono veramente contenta che tu sia tornata in te, amica mia, non immagini quanto tu ci sia mancata. Non posso che rinnovare anche la mia felicità per quanto riguarda le nozze» prese a parlare mantenendo l’aria ferma della guerriera, ma con la morbidezza che le provocava naturalmente Sigyn. Da quando l’aveva incontrata secoli prima, si era lasciata prendere dalla ragazzina che era stata, impregnata di una strana dedizione incomprensibile, e aveva desiderato conoscerla, sin anco allenarla personalmente, pur di comprenderla. E da quel tempo erano diventate amiche, dunque non vi poteva essere sincera felicità più grande nel poterla riavere al proprio fianco e soprattutto nel poter assistere alla realizzazione del suo amore per Loki. Ma a macchiarle tali considerazioni vi erano le riflessioni su primogenito di Odino, perduto in una terra lontana. «Tuttavia, sono preoccupata per Thor. Credo che la punizione del Padre degli Dei sia stata troppo severa, ma Loki non ha intenzione di protestare in alcun modo e la mia parola non ha alcun peso, quindi-»
«Quindi vuoi che lo convinca a discuterne con Odino» concluse da sé Sigyn, poggiando una mano sulla spalla di Sif. Per quanto vederla con le sopracciglia ad affossarsi, le rughe di preoccupazione a cospargere la sua fronte e gli occhi adombrati le procurasse non poco dispiacere, Sigyn non poteva accogliere la sua richiesta. «Loki non ha in alcun modo mosso mezza parola per me, e a quanto mi risulta né tu né Thor né i Tre Guerrieri avete fatto altrettanto, dunque non capisco perché dovrebbe essere ora diverso.»
«Perché lui-»
«Per i tuoi sentimenti, certo» la interruppe nuovamente Sigyn, con parole fluenti cariche di compassione empatica per i suoi crucci personali, ma riversando in esse anche la sua ferra decisione a non accontentarla. Anche se non ci fosse stato di mezzo Loki, non avrebbe mai supplicato alcuno per concederle qualcosa in cambio. «Ma la decisione del Re è la decisione del Re. Se è per via di essi, dovresti essere solo tu a prendere posizione, non altri al tuo posto, come io feci per Loki.»
La lasciò dopo aver stretto tra le propria dita affusolate, cosparse di calli macchiati di grumi scarlatti, quelle di Sif. Non aveva altro da aggiungere e l’altra sapeva che non sarebbe occorso un eone di vita a convincerla del contrario di ciò che affermava – e per quanto avvertisse una quantità non indifferente di verità in quelle sue parole, per quanto sapesse che vi era del giusto e che non si sarebbe dovuta prendere la libertà di contraddire Odino unicamente per amore di suo figlio, non riuscì a non sentire un fremito di insoddisfazione nervosa. Rassegnarsi alla lontananza di Thor, come aveva fatto con quella di Sigyn, era ben diversa cosa per quanto vi fosse uno fondo di similitudine non trascurabile e non riusciva a non pensare a quanto pericoloso fosse tenere il più valoroso guerriero di Asgard lontano – per quanto arrogante, tal volta ottuso e pieno di sé, Thor rimaneva un deterrente formidabile per i nemici di tutti i Nove Regni.
Rimase a passeggiare in solitudine, uscendo dal riparo dei portici per cercare un conforto delle carezze veementi della pioggia, cercando in quel sanguinamento del cielo un posto nel quale potersi sentire al sicuro. Strinse i pugni, nella speranza di trarre da quel piccolo gesto una forza della quale si era sempre reputata detentrice, ma di cui si sentiva prosciugare – e si chiese come avesse fatto Loki a nascondere tanto egregiamente lo struggimento per la lontananza di Sigyn, tanto da far pensare talvolta che nemmeno si ricordasse di lei. Ma d’altronde lui era il Dio degli Inganni, mentre Sif prendeva il titolo dalla sua abilità nelle guerre condotte con spade ed altri armi, non ne aveva mai conosciute altre ed ora era condannata a provare a resistere a un attacco invisibile.
Sapeva che non sarebbero bastati il trascorrere dei mesi successivi, per quanto i preparativi del matrimonio di Loki e Sigyn avrebbe potuto impegnarla, per quanto sempre possibili disordini potessero distrarla, per quanto gli allenamenti riempire i vuoti di tempo, a nulla sarebbe valso. Anche quando il sole sarebbe tornato a sgorgare come nuova fonte di cristallina luce tra le nubi, nel suo cuore sarebbe imperversata la tempesta nei giorni a venire, ignorando di come invece sulla piccola Midgard l’oggetto del suo cruccio fosse molto meno intento a rivolgere i suoi pensieri ad Asgard.
Non era stato semplice, d’altronde gli inizi non potevano mai esserlo per intrinseco senso. Tuttavia Thor poteva affermare di aver avuto più che un colpo di fortuna, una stella doveva aver guidato il gesto di suo padre nel depredarlo dei poteri prima di gettarlo nel New Mexico. Solo la sorte intrecciata tra i rami dell’Albero Cosmico poteva spiegare il suo incontro con Jane Foster e ciò che da esso ne era conseguito nei mesi a venire.
Abituarsi a una normalità diversa di quella di Asgard e comprendere le usanze differenti era stata la parte meno difficile di quell’inaspettato viaggio non richiesto. E mentre guardava fuori dal veicolo volante sul quale viaggiava di ritorno alla base principale dello S.H.I.E.L.D., gli venne naturale domandarsi se mai la punizione di suo padre avrebbe avuto un termine ultimo. Aveva ormai accettato tale condizione, per quanto arduo fosse stato, grazie all’aiuto della brillante astrofisica Jane Foster e di Eric Selvig che lo avevano accolto su Midgard con più domande che risposte, ma concedendogli un posto nel quale restare; doveva molto anche al direttore Fury e alla sua divisione speciale che non aveva impiegato troppo tempo ad accorgersi degli strani eventi che la caduta di un dio provocava. Aveva trovato tra le fila di quell’esercito segreto di Midgard un luogo nel quale forse riuscire ad ottenere la sua occasione per mostrare di essere ancora degno, non del trono al quale aveva tanto anelato per la maggior parte della sua vita, ma di essere figlio del grande Odino.
Combatteva ora al servizio di un popolo che aveva sempre ritenuto inferiore unicamente perché non dotato di abilità fisiche eccezionali come gli asgardiani, rimettendosi al di sopra di loro solamente perché in possesso di qualità che dalla nascita aveva avuto per meriti non propri, senza rendersi conto, fino a quando non era stato costretto ad unirsi ai mortali, di come fossero altre le qualità a determinare la grandezza di un popolo – e delle persone. Forse, aiutando chi aveva classificato tanto inferiore a tal punto da doverlo venerare, avrebbe trovato una via per riscattarsi – e anche se così non fosse stato, qualcosa di buono la sua vita avrebbe creato.
La mano del Capitano Rogers poggiata sulla spalla lo riscosse dallo scivolare dei pensieri rivolti al futuro, indicandogli nel silenzioso gesto del capo lo stagliarsi all’orizzonte di Washington ad accoglierli. Molti mesi erano trascorsi e ancora trovava strana la vista dell’imponente metropoli profilarsi nel tramonto sereno, e nelle sue pieghe aveva scovato una vita differente da quella quotidianità nella quale era cresciuto – niente guerre sanguinarie, niente banchetti sfarzosi, niente risse. Nel suo abituarsi a Midgard aveva scoperto il piacere di una ricchezza diversa, di una pace composta di piccoli gesti, in cui Jane ricopriva il centro di quel nuovo equilibrio in cui bastava un suo sorriso a calmare giornate difficili.
Non solo la sua vita era mutata drasticamente, ma anche quella di Jane Foster con l’arrivo di Thor aveva subito non pochi scombussolamenti – per quanto di ovvie minori dimensioni. Prima tutto il materiale contenente le ricerche condotte durante l’intera sua carriera accademica le erano state sottratte da sconosciuti uomini in nero, di evidente stampo governativo; poi aveva scoperto che l’uomo che aveva accidentalmente investito in mezzo a una tempesta prodotta da inspiegabili fattori, era un visitatore di un altro mondo appartenente a miti norreni; ancora un po’ più avanti erano riusciti a trovare un modo per riottenere un po’ di normalità dopo qualche colpo di testa di Thor; e infine erano stati tutti assunti in blocco dallo S.H.I.E.L.D che trovava decisamente più proficuo avere tra le sue fila un decaduto dio e due astrofisici dalle indubbie capacità, le cui ricerche si erano dimostrate capaci di prevedere l’arrivo del lontano visitatore.
Sicuramente Jane aveva guadagnato uno studio decisamente più amplio, ben fornito di attrezzature di cui prima si sarebbe solo sognata di entrare in possesso e a disposizione di qualsiasi cosa chiedesse per poter costruirsi da sola ciò di cui abbisognava. Un notevole passo in avanti nella sua carriera, anche se con cambiamenti che qualsiasi altra persona avrebbe ritenuto drastici, ma non lei, che d’altronde di vita sociale esterna a quella dei numeri, pianeti e particelle non aveva condotto nemmeno precedentemente. In un certo senso, quasi per ironia della sorte, aveva qualcos’altro oltre il lavoro a cui badare, per quanto continuasse a sostenere orari del tutto personali e spesso si ritrovasse a cenare a notte tarda senza rendersi conto che il letto era ancora intonso. Ma quando Thor era lontano, in qualche missione dalle quali ritornava sempre vivo e sempre ammaccato, Jane perdeva totalmente di vista lo scorrere sano della vita, si smarriva tra numeri ed equazioni e giusto la sua assistente riusciva talvolta a ricordarle dell’esistenza di un mondo al di là della porta dello studio.
«Seriamente, Jane, ma non senti la necessità di uscire da queste segrete?» le domandò Darcy, avvicinandosi all’amica con l’aria annoiata, alzando e abbassando i fogli per cercare di comprendere a cosa stesse lavorando in quel momento la giovane astrofisica – senza successo. Non aveva ancora ben chiaro se avesse veramente accettato liberamente di continuare a fare l’assistente di Jane Foster e di Eric Selvig, o se lo SHIELD l’avrebbe costretta anche nel caso si fosse rifiutata di trasferirsi insieme a loro. Tuttavia a Darcy non importava eccessivamente di quel dettaglio, sicuramente non avrebbe lasciato sola Jane, che già si dimenticava di mangiare se non glielo si ricordava, figuriamoci se la si portava in un laboratorio super accessoriato in cui aveva a disposizione giocattoli ultratecnologici per i suoi esperimenti. Qualcuno doveva pur badarle e lei non aveva niente di meglio da fare – o forse, lo aveva, ma la salute della sua amica aveva sicuramente la precedenza.
«Si chiama ufficio, Darcy. Dovresti avere una certa famigliarità con tale luogo, dato che è qui che dovresti essermi d’aiuto» chiosò Jane rivolgendole uno sguardo eloquente.
«Sto cercando di essere d’aiuto, facendoti notare che fuori c’è un mondo! E c’è mister dio-decaduto-tutto-muscoli. Insomma, non avrete intenzione di seppellirvi insieme qui sotto?»
«Dammi una mano a spostare queste cartelle» svicolò la studiosa, posandogli tra le braccia una pila di cartelle nel tentativo di metterla a tacere in quel modo – ma era eccessivamente semplice spegnere l’interruttore di Darcy, lo sapeva fin troppo bene.
«Non mi hai ancora detto come procede la vostra... Relazione, perché è una relazione, giusto?»
«Sì. Sì, Darcy, lo è. Ora puoi cercare di essermi di una pur vaga utilità?»
«E come va?»
«Bene. Direi» si rassegnò all’evidenza di doverle dare una risposta, perché Darcy non si schiodava dalla piastrella sualla quale si era collocata, tenendo fermamente tra le braccia le carte, oltre le quali spuntavano giusto gli occhi dietro la montatura scura. Non le avrebbe dato alcuna tregua e Jane era sfinita dopo le ore di lavoro – delle quali aveva perduto il conto, accorgendosi solo in quel momento che il tramonto era ormai scemato per far spazio alla notte rischiarata dalle insegne al neon, luci di appartamento e lampioni della capitale. «Insomma, per due che hanno parecchio da fare, riusciamo comunque a vederci e a... Voglio dire, abbiamo un rapporto stabile.»
«I dettagli li devo cavare con un reattore nucleare?»
«Di qualsiasi dettagli stia parlando, signorina Lewis, dovrà attendere. Il direttore Fury vi attende», prima che Jane Foster potesse aggiungere parole alle sopracciglia tese verso l’alto in archi marcati e agli occhi nocciola in cui era chiara tutta la sua volontà di chiudere in quel momento il discorso, l’agente Phil Coulson le interruppe con il candore educato di chi non ammetteva repliche di alcun tipo.
Felice di potersi liberare rapidamente della torre di scartoffie tra le mani, Darcy le mollò sulla sedia per avviarsi insieme a Jane nell’ufficio del direttore, seguendo Coulson. Con i passi a rimbombare tra i corridoi semideserti della struttura governativa, lo sguardo della donna era rivolta alle enormi finestre attraverso cui la città continuava a vivere anche sotto la coltre scura delle nubi oltre le quali stelle e mondi distanti si muovevano in punta di piedi. Da quando Thor era entrato nulla sua vita, le sue percezioni e concezioni avevano subito più di un terremoto, aveva dovuto rivedere e ampliare il significato di impossibile per ridurlo a un improbabile, fino a trasformarlo a possibile. Era merito di quell’uomo se era andata avanti così tanto nelle sue ricerche – e non solo perché aveva negoziato per il suo ingresso nello S.H.I.E.L.D. un lavoro anche per lei, ma per averle regalato ciò che più abbisognava uno scienziato, ovvero non avere preclusioni mentali.
Sotto la cascata di luci artificiali dell’ufficio, voltato verso i lontani scintillii della città, il direttore Fury rimaneva in piedi permeato dal silenzio colmo di attesa in compagnia di Steve Rogers e Thor. Dovette ricorrere a buona parte del proprio autocontrollo, Jane, per evitarsi di fiondarsi vicino al decaduto Dio del Tuono per potersi assicurare delle sue condizioni. Si limitò a scrutarlo con viscerale preoccupazione, passando in rassegna ogni centimetro del suo corpo alla ricerca di ogni più piccolo dettaglio che potesse rivelare quali infortuni si fosse procurato quella volta. Per quanto conoscesse la sua incredibile forza e preparazione fisica, per il momento rimaneva un essere umano dotato di abilità incredibili, ma non inconcepibili – fino a quando Mjolnir fosse rimasta incastrata nel pezzo di roccia sulla quale era precipitata, spostata interamente per essere trasportata lì a Washington in modo che fosse tenuta vicino al suo proprietario, tali sarebbero rimaste le sue condizioni.
Il sorriso di Thor era un infuso di calma, quiete scintillante d’oro colato, una cura efficace contro ogni ansia di cui Jane fosse afflitta ed era più che sufficiente a rilassarle i muscoli tesi del corpo, nel momento stesso in cui lo poteva finalmente rivedere. Il respiro profondo che trasse finalmente la donna fu di sollievo, mentre ricambiava silenziosamente il saluto di benvenuto di Thor, senza proferire parola per non rompere l’attesa a cui Fury li stava incatenando.
Quando la porta dell’ufficio fu chiusa dall’agente Coulson, Fury si voltò verso il piccolo gruppo azionando con un microscopico telecomando lo schermo enorme appeso alla parete. Immagini di riprese ad alta quota di un edificio collocato in mezzo alla boscaglia in un pezzo di terra non classificato, si affiancavano dati che sottolineavano come tra quelle mura si fossero registrati strani fenomeni inconciliabili con quello che appariva un cantiere abbandonato, a poco tempo dal completamento.
«C’è un tasso di attività di energia dalla dubbia fonte. I dati riscontrati sono sospetti e diciamo che non mi fanno dormire sonni tranquilli» cominciò a spiegare con voce atona Fury, illustrando il susseguirsi delle riprese. «Si tratta di una nostra base dismessa da qualche tempo, ormai abbandonata. Non sembra ci sia alcuno nei dintorni, quindi pensavo di mandare voi, signorina Foster e Thor in caso di visite inaspettate. Pensate di potercela fare?»



M A N I A’ s  W O R D S
Ed eccoci all’inizio della seconda parte della storia.
E Thor è tornato tra noi – e con un cameo anche del nostro Steve Rogers. Anche se non gli ho fatto spiccicare mezza parola, perdonatemi, ma mi sembrava più utile concentrarmi sui suoi pensieri. Come dissi all’inizio di questa storia-raccolta, essendo strutturata come varie one-shot, mi concentro su alcuni punti importanti delle vicende, lasciando in secondo piano ciò che ha portato ad esse. Per questo i mesi precedenti di Thor sulla Terra, il suo arrivo e tutti gli eventi ai quali ho accennato, non sono stati descritti – nella long, mi ero messa a raccontare tutto quanto per filo e per segno, ma sinceramente in questa struttura a raccolta sarebbe del tutto insensato, perché altrimenti diventerebbe una vera e propria long.
Sulla parte di Loki, Sigyn e Sif, invece non ho molto da dire. Anche lì ho fatto trascorrere un po’ di tempo, ma le vicende sono collocate anteriormente a quelle riprese nell’ultimo pezzo del capitolo, ovvero quelle che si svolgono sulla Terra. Dalla mia modesta esperienza in fatto di organizzazione di matrimoni, so che ci vuole il suo bel tempo, e Loki è un principe, dunque credo che i tempi siano ancora più dilatati – dunque no, non sono ancora sposati. Thor tornerà su Asgard prima del lieto evento? Chissà.
Bene, vorrei dire di aver trovato una canzone che possa assolvere allo stesso compito della prima parte, ma no, non è così. Nel senso che non sarà una sola probabilmente, perché temo che sarà di poco più lunga questa seconda parte e niente, quindi probabilmente ne userò due.
E le canzoni saranno: “Unbroken” dei Black Veil Brides - che con sommo colpo di inventiva, è nella colonna sonora di “The Avengers” - e “Redemption Song” di Bob Marley.
Vi prego di non leggere come un suggerimento per una “redenzione” di Loki – o di qualche altro personaggio. Credo che nemmeno sotto tortura potrei mai scrivere del Dio degli Inganni che si vuole redimere. Va inteso in senso “distorto”, una redenzione non classica nel termine e verrà spiegata più avanti nel corso della storia – che poi credo si sia capito che io Loki non posso proprio vederlo come uno che è cattivo perché ha ricevuto poco amore e quindi è possibile che torni ad essere buono, quando non lo è mai stato. Su, è ispirato al Dio del Male e del Caos, per Odino!
Come sempre io ringrazio tutti coloro che seguono la storia, chi l'ha aggiunta ai preferiti/ricordate/seguite e soprattutto chi l'ha commentata l'ultima volta, ovvero: Lakky, Yoan Siyryu, Kikka_67 e Chiocciola! Grazie, mille volte grazie♥
Come sempre vi lascio la mia pagina Facebook, dove qualche anticipazione la metterò
: M A N I A
(Chiedo venia, che ho riletto il capitolo meno del solito, penso di aver correto tutti gli errori più macroscopici, ma se continuavo ad aspettare di aver tempo per rileggere ancora, non pubblicavo più!)


Alla prossima,
Mania




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