Cuore di sale di Mania (/viewuser.php?uid=588696)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** O1 • Il prezzo della fedeltà ***
Capitolo 2: *** O2 • È sempre stata inaspettata ***
Capitolo 3: *** O3 • Non vi è condanna più grande dell'oblio ***
Capitolo 4: *** O4 • Nomi impronunciabili ***
Capitolo 5: *** O5 • Nelle rovine di un passato perduto ***
Capitolo 6: *** O6 • Pagare pegno ***
Capitolo 7: *** O7 • Un'altra reliquia ***
Capitolo 8: *** O8 • Quanto si è disposti a rischiare ***
Capitolo 9: *** O9 • Verità sospese e promesse fluttuanti ***
Capitolo 10: *** 1O • Vite parallele ***
Capitolo 1 *** O1 • Il prezzo della fedeltà ***
PROLOGO
▬ P R E M E S S A ▬
Questa
storia è il seguito di “L’amore
che non salva, danna, corrode e rende
fedeli”, una raccolta di one-shot in
cui ho analizzato i vari momenti
cruciali del rapporto tra Loki e la mia Sigyn, partendo
dal loro primo
incontro fino all’evoluzione completa che li ha portati ad
essere
amanti. Non
credo che per leggere questo seguito sia assolutamente
necessario aver letto la precedente,
perché tutto quello che riprenderò
lo spiegherò, tuttavia ovviamente per una maggior
comprensione
del
personaggio di Sigyn sarebbe meglio averla letta. Infatti le tracce del
suo carattere e della sua evoluzione sono contenute nella precedente
storia, che ho adoperato proprio per intessere l'intero scorrere del
rapporto tra Loki e Sigyn, ma anche della stessa nel corso dei secoli.
L'unica cosa da tener conto, è nel punto in cui questa
storia
comincia, i due sono già amanti. Se volete scoprire come
è nata tale relazione, c'è la precedente
raccolta, ma per
seguire questa non è necessaria.
A V V E R T
E N Z A: Questo primo capitolo è tragicamente lungo,
scusatemi. E lo sono anche le note autrice - ma leggetele!
A V V E R T
E N Z A N° 2: La storia inizia precedentemente al
primo film, per poi ricollegarsi almeno in parte a tali vicende - e da
lì prende una piega diversa, che motiva l'avviso What if?.
▬
C A P I T O
L O O
1
▬
“ Il prezzo della fedeltà
„
{ Vivere.
Fosse
stato più semplice
fare un
accordo con gli angeli
e
risultarci simpatici. }
Vivere –
Cristiano De Andrè
Il tempo era un inganno,
o almeno era in tale modo che appariva in quel momento in cui
rifletteva su quanto cinque minuti riuscissero a sembrare
incredibilmente abnormi e insieme maledettamente scarni. Sorrideva per
inerzia, sorrideva perché non aveva più pianto da
prima
di entrare nell’Accademia e non aveva intenzione di sprecare
in
quel modo quegli attimi concessi.
«Non mi hai ancora risposto» asserì
semplicemente
l’uomo, scrutandola con le iridi melliflue, attentamente,
solo
una linea a intessersi tra le sopracciglia leggermente corrugate dava
mostra del disappunto per la situazione che le sue azioni avevano
creato. Loki avrebbe potuto dirle una quantità di
verità
nascoste sotto bugie e dilatazioni incredibilmente vaste, tra le quali
si sarebbero forse scorte anche delle scuse per ciò che
l’aveva portata a compiere, ma sarebbero state del tutto
inutili
perché ora come ora non aveva la forza per cancellare i
propri
sbagli e commutare la pena che Sigyn doveva pagare al suo posto.
Tuttavia, cosa più impellente, bramava di ricevere il
districamento di una domanda che le aveva fatto qualche ora addietro e
che lei ancora non aveva avuto modo di concedergli.
L’increspatura delle scarlatte labbra della donna fu meno
tesa e
falsa nel sentire tale richiesta. Non si era attesa alcunché
di
similare ad ammissioni di colpa, anche perché lei era la
prima a
non appesantirlo con responsabilità che non gli riconosceva
e
ciò che aveva compiuto era stata una propria libera scelta
di
cui avrebbe pagato il pegno volentieri. Tuttavia, nemmeno una simile
affermazione si era immaginata, perché quelli dovevano
essere i
loro ultimi minuti assieme e non aveva alcun senso rispondere ora a
qualcosa che non avrebbe avuto un seguito – o magari lo
avrebbe
anche avuto, ma tra troppo tempo e troppi se nei quali si sentiva ora
affondare.
«È ovviamente necessario saperlo assolutamente
ora»,
Loki non era certo che fosse sarcasmo quello con cui Sigyn
pronunciò tale chiarificazione, ma vi scovava nei suoi
reflussi
una tristezza di cui stava provando a sedare i miasmi. Era certo che
almeno in quel contesto, almeno quel giorno, l’avrebbe vista
con
le guance rigate da lacrime amare e uno sguardo di rimprovero ad
accusarlo di averla voluta portare negli abissi insieme a lui, ma una
tale recriminazione intrisa a un gesto troppo platealmente ostentato
per un’attrice di classe come lei, era fuori luogo. Non
avrebbe
versato una sola goccia, si sarebbe cucita nell’anima il
pianto
di amarezza, e mai, nemmeno alla fine dei giorni, gli avrebbe mosso
alcuna accusa perché lui mai le aveva comandato di seguirlo
– era sempre stata una sua libera scelta, una scelta che
aveva
compiuto secoli prima e che aveva onorato ogni giorno da allora.
«Potrei chiedertelo quando ci vedremo di nuovo, ma temo
suonerebbe assai strano per te» osservò intessendo
le
proprie parole con un sorriso scevro da riccioli melliflui, quasi
candido come avrebbe potuto compierlo Sigyn, epurato da
un’ironia
cattiva del quale non poteva farsi portatore in tale contesto. Voleva
essere semplicemente sincero, almeno in quel tempo e almeno con lei,
perché non c’era più spazio per i
giochi nei quali
lui dissimulava la verità per spronarla a cercare
– era
l’ultimo momento che possedeva in sua compagnia e avrebbe
cercato, al massimo delle sue blande possibilità, di
mostrare il
meglio di sé, perché d’altronde era
sempre stata la
sola a cui era importato farle conoscere quel lato del proprio essere.
«Non ha senso che vi risponda» sussurrò
appena,
trattenendo le parole tremanti sulle labbra per paura di renderle
più intense di quanto avrebbe potuto sopportare. Lady Sigyn
preferiva non dare una simile risposta, perché aveva sempre
desiderato dargliela e ora che finalmente lui la domandava, era
destinata a essiccarsi senza concedere al futuro i frutti dei quali
avrebbe voluto scoprire il sapore. E il rammarico per avvertire la
decomposizione di ciò di cui si era immaginata la forme, di
cui
si era regalata l’intreccio nella propria mente durante le
ore
notturne, era un peso troppo arduo anche per lei. Lo sforzo per
mantenere alzati le iridi di pece le stava rodendo le energie, dover
compiere quell’ulteriore sforzo era un dolore che non voleva
infliggere alla sua anima.
Però, sapeva ancora prima di sentire le sue parole riempire
l’aria, che Loki non le avrebbe concesso di andarsene senza
conoscere ciò che desiderava. In fondo, da quando lo aveva
incrociato quando era poco più di una bambina, lui aveva
sempre
ottenuto in un modo o nell’altro quello che bramava
– e
quel giorno stava già per perdere qualcosa, non le avrebbe
permesso di espropriarlo ulteriormente dei propri beni. «Lo
sai
meglio di me che ti sbagli, quindi rispondi e basta.»
La osservò irrigidire le labbra in una piega che avrebbe
voluto
essere un sorriso di compassione per se stessa, ma morì a
metà, passando per il dolore della consapevolezza di non
avere
il tempo di togliere la concentrazione dal suo essere in errore
–
era condannata a rimanere nello sbaglio perpetuo, nell’essere
ricordata per essere rimasta fino alla fine cocciuta, inamovibilmente
arroccata sulle proprie posizioni, dandogli torto per il gusto del
capriccio e per non dover scoprire il proprio orgoglio ferito insieme a
un cuore imprigionato nell’agonia di quei minuti.
E mentre rifletteva su quanta forza possedesse ancora per poter
rispondere come Loki le chiedeva, ripensava a come quel suo silenzio
assomigliasse a quello dello stesso rivolto verso il fratello poco
prima. Una velleità nei riguardi di Thor, che si era
dilungato
forse troppo a riprenderlo con troppo divertimento tinto da vene di
scherno acceso, per quell’azione inopportuna che Loki aveva
condotto per riappropriarsi della reliquia sottratta dal principe dei
nani contro il quale si erano a lungo scontrati.
«Credo che tu l’abbia combinata grossa questa
volta,
fratello», continuò Thor ridendo appena
perché
ancora non aveva compreso la gravità delle conseguenze per
l'atto di disubbidienza di Loki. Per ora il dio del tuono trovava
semplicemente interessante un’operazione tanto spericolata,
seppur non andata a buon fine, e approvava la scelta autonomamente
assunta dall’altro per potersi riappropriare di reliquie
appartenenti ad Asgard e a nessun altro. A vedere
l’espressione
contratta in un fastidio indisponente di Loki, deciso a ignorare
deliberatamente tutti i tentativi di dialogare che Thor aveva imbastito
per scoprire come e dove avesse fallito il piano del dio degli inganni
– ovviamente sottolineando che nemmeno lui era infallibile
come
invece amava ripetere e ostentare –, a Sigyn venne quasi da
sorridere nel vederli bisticciare come se fossero ancora dei bambini. E
in quel contesto quasi si dimenticò che erano stati
convocati
dal Padre degli Dei per chiarire la situazione – e nel
momento in
cui era avvenuta la convocazione, le era affiorata nello stomaco un
blocco di cattivo presentimento ora sciolto dai bisticci tra i due
principi. «Sigyn, dovresti spiegargli che è
inutile che se
la prenda con me quando è lui a mettersi nei guai da
solo.»
«Ma non se la sta prendendo con te, Thor, ti sta solo
ignorando» chiosò Sigyn ridacchiando, mentre si
sistemava
la treccia di fili di luce condensata, di un biondo scolorito fino a
scivolare in un’opacità singolare, per farla
ricadere con
maggior compostezza sul petto.
«Ah, allora tutto a posto» replicò il
dio del tuono,
assecondando la battuta della guerriera e unendosi ai risolini dei Tre
Guerrieri e di Lady Sif.
«Sigyn!» la richiamò Loki, sempre
più
irritato dalla situazione e dall’essere praticamente
l’unico ad avvertire il peso della gravità
– e non
semplicemente per via dello smascheramento del suo inganno ai danni del
principe avversario, ma per il tono imperioso e stranamente minaccioso
con il quale Odino si era rivolto a lui prima di ritirarsi nella sua
sala del trono, dove li aveva invitati – con inesistenti
margini
di scelta – a presentarsi da lì a breve.
La discussione che nacque dall’inizio rancoroso del Padre
degli
Dei per la mancata obbedienza, più che l’esito
dell'operato di Loki, indispettirono quest’ultimo
maggiormente di
quanto già non fosse, portandolo a un atteggiamento di
tracimante dissenso per l’essere trattato come un bambino
disubbidiente. Sotto l’occhio trafiggente di Odino si sentiva
come quando da piccolo lo rimproverava per aver usato in modi poco
consoni le proprie abilità magiche o quando per ogni inezia
gli
ricordava quale fosse il comportamento che ci si attendeva da un
principe – ma solo da lui, non certo da Thor, il quale
riusciva a
scampargli, anche se non del tutto e non impunemente, almeno
maggiormente alle rimostranze per i suoi atteggiamenti non appropriati.
Fece fatica a non stringere la mascella in una presa che avrebbe
rivelato troppo facilmente quanta furia provasse lui stesso per
sorbirsi quella paterna, e cercò di tramutarla in una calma
apparente nella quale condensare le spiegazioni delle proprie gesta
– che avevano comunque portato all’ottenimento
delle
reliquie concesse, e poco importava agli occhi di Loki se
ciò
avrebbe riaperto i conflitti, perché Asgard aveva le forze
necessarie per vincerla una guerra del genere.
L’intransigenza con cui Loki perseverava a difendere la
propria
linea di condotta era protratta con la stessa lamentosa calma di chi
era stato solo infastidito per un’inezia, incapace di
assumere
l’atteggiamento almeno fasullamente contrito per aver
disubbidito. La serenità ostentata delle proprie parole era
strascicata nei risvolti finali, acuta all’inizio,
sottolineando
come la situazione creatasi risultasse del tutto superflua ai suoi
occhi.
Fu solo quando Odino sbatté Gungnir[1] sul pavimento
producendo
il fracasso assordante di un tuono lacerante, scuotendo i presenti
inaspettatamente, che calò
l’immobilità. Non un
solo suono, neppure i respiri dei presenti, interruppe il silenzio che
ne seguì, quasi il tempo fosse stato bloccato
dall’ira del
Padre degli Dei e all’universo non fosse concesso continuare
a
spostarsi fino a suo nuovo ordine. Sigyn tratteneva a stento il terrore
che avvertiva crescerle nel petto nel notare la crepa
inasprirsi
tra le sopracciglia di Odino osservando suo figlio minore, sempre
più furioso con lui per la sua incapacità di
ammettere lo
sbaglio, e con il respiro ancora trattenuto per quel colpo sordo con il
quale aveva infranto il fluire normale dell’aria –
e i cui
riverberi continuavano a rimbombarle all’interno del corpo,
in
vibrazioni senza fine. Lasciò scorrere il proprio sguardo
lateralmente, per scorgere le espressioni degli altri e scoprire se
anche loro avevano abbandonato la frivolezza con cui prima avevano
vissuto la convocazione, ritrovandosi davanti al volto teso di Thor.
Poche volte aveva scorto tale tensione nei lineamenti del principe
maggiore, improvvisamente spogliato dell’allegria spensierata
quanto consuetudinaria con cui viveva.
Infine, Odino riprese a parlare quando il silenzio era divenuta una
presenza eccessivamente ingombrante tra tutti loro. «Tu
commetti
l’errore di pensare che gli avversari non abbiano onore, non
debbano godere del tuo rispetto sempre e comunque, che siano inferiori
a te. Ma ci sono nemici che è un privilegio avere, che
rendono
te e tutti noi degni di poterci fregiare di titoli altisonanti, nemici
che non meritano di essere ingannati e umiliati.»
Per quanto la risposta di Loki non si fece attendere, i pochi secondi
che trascorsero prima che la sua voce riempisse lo spazio tra loro,
parvero dilatati in un tempo eterno, una goccia di infinito nel quale
gli sguardi del Padre degli Dei e del dio degli inganni si scontrarono
in una prova di forza in cui alcuno uscì vincitore.
«L’unico vostro cruccio, Padre, è aver
perso un
possibile futuro alleato, perché voi meglio di me sapete
come la
guerra richieda scelte che non hanno nulla a che fare con
dignità, rispetto e onore. Non c’è
nulla di tutto
ciò nella morte, nella conquista e nella prevaricazione, non
è vero?», vi era astio frammisto a derisione nelle
sue
parole, talmente tanto marcate da essere più pungenti di
quanto
mai era stata apertamente una sua replica al proprio padre e Re,
suscitando non poco sgomento tra gli auditori.
Thor serrò i pugni, perché avrebbe desiderato
interrompere tale scambio di battute che si stava trasformando
pericolosamente in una battaglia di frasi acide atte a ferire
nell’anima, ma sfidare tanto apertamente entrambi era
qualcosa
che poteva rivelarsi una mossa così apertamente stupida da
farlo
desistere. Persino lui comprendeva quanto un’azione del
genere
potesse essere unicamente deleteria, al contrario Lady Sigyn dubitava
che avrebbe potuto mantenere ancora a lungo a freno la propria
necessità di schierarsi al fianco del più giovane
dei
principi. Più osservava Odino, più le era chiaro
che la
punizione che avrebbe inferto a Loki cresceva di intensità
ad
ogni replica e lei non aveva alcuna intenzione di dover assistere ad
alcunché di spiacevole nei suoi riguardi se poteva
impedirlo.
Era cresciuta, d’altronde, con un esclusiva ragione datasi da
sé e non avrebbe potuto mutare – né
tanto meno
avrebbe voluto farlo – l’unico gesto di egoismo che
aveva
compiuto nella propria esistenza.
«Ora basta, ho ascoltato i tuoi destreggi dialettici troppo a
lungo. Se non riesci a comprendere quando rimanere al tuo posto con le
buone maniere, lo capirai con le cattive» asserì
con voce
risonante, provocando più che semplici echeggi nella sala,
nei
cui meandri perdurarono le decisioni minacciose nel quale si erano
tramutate le parole di Odino, più che mai desideroso di
riportare un po’ di senno nella mente del figlio a qualsiasi
costo.
«Mio Re», si mosse di scatto Lady Sigyn, ricoprendo
quei
pochi passi che la separavano da Loki. «Mio Re, se posso,
vorrei
parlare.»
«A difesa di Loki, suppongo» scioccò la
lingua
contro il palato con disappunto evidente per l’interruzione
che
la giovane aveva osato produrre nel suo discorso con il figlio. Ma Lady
Sigyn, dietro la sua aria pacata e i modi gentili, era forse la
maggiore arma di distrazione, persuasione e manipolazione al servizio
di Loki oltre le sue illusioni, una donna dalle doti di recita e
strategia tanto sviluppate da non essere per nulla oscuro al Padre
degli Dei i motivi per i quali i due erano particolarmente in
sintonia.
«Prendetevela con me, mio R-»
«Sigyn! Chiudi la bocca» la interruppe bruscamente
Loki, ma
il suo ordine venne ignorato come se nulla fosse dalla giovane, che
nemmeno si disturbò a rivolgergli uno sguardo mentre
avanzava
oltre di lui per prendere possesso della scena, da vera protagonista.
«Mio Re, sono stata io ad assecondare il piano del principe
Loki,
sono stata io ad averlo seguito nell’impresa e sempre io a
non
averglielo impedito anche se andava contro i vostri ordini.
È
mia responsabilità, per non averlo fermato come avrei
dovuto», era una mossa alquanto stupida e che non avrebbe
portato
a nulla di buona, lo aveva compreso nel momento in cui aveva preso la
parola, ma aveva promesso secoli prima che lo avrebbe servito e se si
sarebbe dovuta sacrificare, accollandosi i suoi passi falsi, era
ciò che avrebbe compiuto.
La forza penetrante dell’occhio azzurro di Odino, per quanto
permeato ancora dall’alterazione per la condotta del figlio,
aveva assunto onde meno frenetiche. Scrutava negli occhi neri della
giovane per scorgere una piega di incertezza, una sola ombra di
tentennamento, ma non poté che riscontrare una fermezza ai
limiti della sconsideratezza nel mantenere alto lo sguardo con
un’ostentazione macchiata dalle tracce di quella
nobiltà
dalla quale proveniva.
«La vostra fedeltà per mio figlio, Lady Sigyn,
è ai limiti della follia.»
«Punite la mia
follia, allora.»
La pausa che ne seguì non fu pesante come la precedente,
perché nonostante il mezzo ghigno di Odino non
preannunciasse
alcunché di positivo, vi era quasi una sfumatura di
soddisfazione nel constatare quanto riuscisse a mantenersi ferma nelle
proprie posizioni di essere utile a Loki sino a tali livelli. E fu per
la seguente costatazione che deliberò di accontentarla.
«Così farò, perché mio
figlio tiene a te e
magari, se sarai tu a pagare il prezzo delle sue azioni insensate,
capirà a non tessere più le proprie fila
nell’ombra. Uscite, vi farò chiamare appena
avrò
pensato a quale sarà la tua punizione.»
E mentre osservava i suoi figli e i migliori guerrieri del suo esercito
obbedire al proprio ordine, scorse il movimento flebile alle proprie
spalle avvicinarsi a lui con passo lieve, appena udibile e
l’espressione seppur mesta, condita di una dolcezza incapace
di
svanire davanti a lui. La sua sposa, la Regina, aveva seguito il
discorso da un punto nascosto agli occhi di tutti, ma solo Odino aveva
avuto la consapevolezza della sua presenza celata nelle ombre.
L’aveva chiamata perché solo lei avrebbe potuto
portargli
il giusto consiglio di cui sapeva di aver necessità, e ora
che
aveva deciso di riversare le responsabilità di Loki su Lady
Sigyn aveva maggiormente bisogno delle sue sagge parole.
Frigga aveva sempre avuto una maggior attenzione ai dettagli di
chiunque, ed era tanto delicatamente accorta in tale sua
predisposizione da non vantarsene mai, in modo da lasciare in crepacci
di penombra perpetua ciò che gli altri desideravano tenere
trattenuto tra le proprie dita. Forse, un simile dono, le era conferito
anche dall’altra sua innata capacità di scorgere
tra i
rami dell’albero cosmico[2], scrutando brandelli di un futuro
non
ancora del tutto scritto ma il cui percorso aveva tasselli indelebili.
Per questo aveva saputo, già molti anni prima, che tale
giorno
sarebbe avvenuto e per tale ragione aveva elargito un particolare
regalo[3] alla giovane che tanto stava a cuore al più
giovane
dei suoi figli. Frigga conosceva bene i sentimenti che Loki provava per
la guerriera, anche se lui era un’abile teatrante e sapeva
rivestire il proprio ruolo al massimo delle proprie capacità
illusorie, una madre era in grado di scorgere più di quanto
si
potesse pensare e tendeva a sorridere segretamente
dell’ingenuità dei figli che si beavano della
riuscita dei
propri piani. Proprio perché Lady Sigyn possedeva un posto
tanto
privilegiato ed unico nel cuore di suo figlio, aveva predisposto le
pedine in modo da poter almeno in parte aiutarli –
perché
i sentimenti che lo legavano a lei erano l’unica cosa che
potessero sempre ricordargli ciò che non doveva perdere,
ciò che un giorno avrebbe rischiato seriamente di
distruggere
sotto il peso di un rancore che ancora si stava lentamente formando.
Anche per alleviare e rallentare l’accumulo pericoloso di un
sentimento incendiario di tale portata – in grado di ridurre
a
poco più che cenere tutto ciò che
d’altro poteva
scorrere nel cuore delle persone -, Frigga avrebbe interceduto per loro
presso suo marito che già richiedeva il suo aiuto per una
simile
decisione. Odino, che di verdetti tanti ne aveva emessi e di punizione
inflitte a migliaia, non aveva intenzione di sgretolare
l’affetto
di suo figlio, ma non poteva nemmeno impedire che continuasse a
disubbidire ai suoi ordini con la fallace illusione di poterla sempre
far franca unicamente perché era figlio di re.
«Non credo sia una buona idea punire Lady Sigyn troppo
duramente» cominciò Frigga, passando le proprie
dita sulle
spalle del marito, aggirando il trono per potersi portare infine
davanti all’uomo che innumerevoli anni prima aveva sposato.
«Quale dovrebbe essere, secondo voi, la giusta misura, mia
Regina?» domandò Odino prendendo nella propria
mano,
quella libera dalla stretta sul Gungnir, quella affusolata della
propria moglie, stringendola quel tanto che gli consentisse di
avvertire la presenza benefica della stessa su di sé. Era
sempre
stata in grado, fin da quando l’aveva incontrata quando
entrambi
avevano pochi secoli sulle spalle, di rendergli la mente rischiarata
delle doti che a lui mancavano e di cui lei era invece ricolma
–
benevolenza, saggezza, temperanza, giustizia e prudenza.[4]
Mai come in quella circostanza abbisognava dei consigli che lei sola
aveva il diritto di elargirgli e che chiedeva senza ordinarglieli,
perché mai aveva deposto su di lei il velo di un solo
comando
come Re.
«Qualcosa che non ti attiri le ire di Loki per avergli
strappato la sua adorata
guerriera» sorrise con la dolcezza di cui unicamente lei era
in
grado, lasciando intendere ciò che Odino sospettava senza
avere
la stessa certezza che solo una madre poteva avere.
«In realtà, preferirei non riversare su Lady Sigyn
gli
sbagli di Loki, ma lui è così tremendamente
incapace di
comprendere i propri errori da non concedermi altra scelta.»
«Potrebbe anche essere un bene.»
«In quale modo potrebbe esserlo?» chiese con
scetticismo
palpabile, non comprendendo quale beneficio – ma solo quali
ripercussioni negative – avrebbe ottenuto quando la sua
decisione
sarebbe stata annunciata. Lady Sigyn era una guerriera assai capace, a
comando in un gruppo di soldati addestrati dalla stessa con grandi
abilità e che in guerra erano sempre stati capaci di
eccellere;
e oltre all’incredibile danno che avrebbe avuto nelle vesti
di
Re, come aveva giustamente lasciato capire sua moglie, il suo rapporto
con Loki andava al di là di una semplice unione di forze,
per
questo non aveva alcuna fatica ad immaginare quale odio avrebbe causato
la pronunzia della propria sentenza. Invece nemmeno adoperando
completamente il proprio intelletto, non riusciva a scoprire quale
potesse essere quel bene di cui parlava Frigga e che se solo vi fosse
stato, avrebbe causato meno peso nel perpetrare quella strada.
«Per spingere certe cose a uscire alla luce del
sole»
rispose semplicemente la Regina, tirando gli angoli delle labbra
ricoperte di rossetto in un caldo sorriso. Sperava che una simile
situazione avrebbe spronato suo figlio a smetterla di tenere nelle
pieghe della notte sentimenti che avrebbero potuto evolversi, sperava
che mettendolo di fronte alla ferocia della perdita – almeno
momentanea – di Lady Sigyn, egli ne avrebbe compreso quale
fosse
il reale peso nella sua vita e avrebbe agito di conseguenza quando
fosse tornata nell’unico posto a cui apparteneva –
quello
al suo fianco.
«Temo che Loki non la vedrà sotto
quest’ottica, ma
non avrà altra scelta che accettare il contrappasso per le
sue
decisioni supponenti e contrarie alle mie.»
«Penserò io a farglielo presente»
assicurò al
marito, depositando un tenue bacio sulla sua fronte prima di scomparire
nuovamente nel passaggio dal quale era affiorata furtiva, lasciando da
solo il Padre degli Dei a intessere la propria sentenza prima della
formulazione.
E nel mentre Odino si accaparrava gli ultimi momenti prima di
infliggere la propria punizione, suo figlio minore era intento a
riprendere con iraconda malcelata la giovane guerriera al suo servizio.
«Un giorno, Sigyn, avrai la decenza di spiegarmi
perché
non ce la fai a tenere a freno la lingua quando te lo ordino»
sibilò Loki, scandendo le proprie parole in modo che ognuna
risuonasse dell’alterazione che lei gli provocava ogni qual
volta
si permetteva di fuoriuscire da ciò che lui stabiliva. Ma
ancora
di più, era furibondo perché si era accollata una
responsabilità che non le era dato sopportare e che nemmeno
lui
avrebbe dovuto portare – perché le sue erano state
macchinazioni soltanto inclini a riprendersi ciò che
già
a loro spettava, e che Odino aveva concesso unicamente per evitare di
protrarre una guerra che si poteva vincere anche se con qualche
necessaria morte. Se solo avesse messo le briglie al suo impeto,
mantenuto la calma davanti alla strigliata eccessiva che suo padre
aveva voluto impartirgli, avrebbe perfettamente potuto
impedire
che qualsiasi tipo di ripercussione si abbattesse su di loro con
l’uso della sua eccellente dialettica – o almeno
era
ciò di cui voleva convincersi, ignorando la furia malcelata
con
il quale Odino si era scagliato contro le sue decisioni dissonanti dai
comandi impartiti.
«Perché sono molto brava a usarla»
replicò
maliziosa, con una calma tale da portare dopo di sé un
silenzio
totale a sottolineare come si era calamitata improvvisamente
l’attenzione addosso. Anche se le iridi
d’inchiostro della
donna erano fisse sul volto del dio degli inganni – intendo a
profondersi in un ghigno intriso di altrettanti sottointesi bagnati
dalla perdurante irritazione per le azioni avventate della propria
fedele compagna –, li sentiva cuciti sulla propria pelle
quelle
degli altri saturi di interrogativi, per le insinuazioni comprese nella
sua frase. Per quanto fosse sufficientemente intuibile quale forma di
rapporto intercorresse tra Loki e Sigyn, nessuno dei due ne aveva mai
voluto parlare con gli altri, che avevano assecondato il loro desiderio
di riserbo – anche perché, pure nel caso
contrario,
sapevano bene che non sarebbero riusciti a ottenere alcuna risposta
alle proprie curiosità, capaci com’erano entrambi
di
manipolare le conversazioni ai propri interessi.
«Non so se chiederti se e quanti doppi sensi intendi o
congratularmi per aver messo a tacere Loki» interruppe il
silenzio Fandral, cercando di ammorbidire la tensione fin troppo rigida
nel quale erano sprofondati.
«È il momento sbagliato per scherzare»
lo
rimproverò Lady Sif, avvicinandosi all’amica
posandole una
mano sulla spalla per costringerla a voltarsi verso di lei, catturando
finalmente la sua attenzione. I lineamenti della dea della guerra erano
carichi di preoccupazione per la giovane, troppo testarda e asservita
al proprio scopo di mettersi a completa disposizione di Loki per
comprendere in quale spiacevole situazione si fosse infilata
– o
forse l’afferrava perfettamente, e ciò rendeva
ancora
più drammatico e ostico provare a farle recepire la
gravità della situazione da lei stessa creata.
«Sigyn,
Loki ha ragione, dovevi tacere. A lui Odino non avrebbe fatto nulla di
terribile, mentre-»
«Il Re, Odino, Padre degli Dei, vi chiama al suo
cospetto»,
le parole di Lady Sif vennero interrotte bruscamente
dall’annuncio degli araldi e la guerriera poté
solo
rivolgerle un ultimo sguardo di mestizia intrisa di disappunto a Lady
Sigyn prima che questa si incamminasse verso la sala del trono. Fece
scivolare i propri occhi sulla figura del più giovane dei
principi, sul cui viso si disperdevano ombre di disapprovazione per la
mossa compiuta dalla donna che con tanta sicurezza camminava davanti a
lui per recarsi al cospetto di Odino. Anche se non vi erano crepe di
preoccupazione, Lady Sif era assolutamente convinta che Loki avrebbe di
gran lunga preferito evitare che i contrappassi per le proprie azioni
si riversassero su Sigyn. Il controllo che ostentava, il quasi
disinteresse verso la pronunzia del padre erano coperture,
perché se in molte cose si faticava a capire cosa la mente
del
dio degli inganni complottasse, l’affetto per Sigyn era
sincero
– una delle poche cose che possedeva ancora intonse da
menzogne.
Avrebbe voluto schiaffeggiarlo, Lady Sif, per quel suo autocontrollo
imperturbabile e per la mancanza di difese prese verso la propria
devota guerriera. Non comprendeva se avesse mancato di proteggerla per
evitare di rendere ancora più chiaro il proprio attaccamento
a
lei, in modo magari da rendere meno dura una punizione che si sarebbe
potuta acutizzare davanti a un sentimento ampio e manifestato per
rendere più incisivo l’insegnamento che il Re
desiderava
impartirgli, o se fosse semplicemente orgoglio. In qualsiasi
circostanza, Lady Sif trovava inconcepibile le sue ragioni,
tant’è più che non vi erano motivazioni
nel voler
nascondere qualcosa di cui i più vicini a lui e a Sigyn
erano
perfettamente a conoscenza – o almeno coì
credevano di
essere.
Lo aveva appreso quando era ancora una bambina, prima della morte del
padre e della conseguente rovina della propria carata, che era soltanto
imparando ad ammaestrare i propri sentimenti e il proprio cuore che si
poteva sopravvivere al mondo. Lady Sigyn aveva tanto strenuamente
voluto entrare nella Guardia Reale per dimostrare a se stessa che era
in grado di conquistare una fermezza d’animo che era mancata
ai
componenti della sua famiglia – tuttavia, poi era scivolata
nei
risvolti delle parole ammaliatrici di Loki e la propria risolutezza era
stata messa al suo servizio, finendo diritta in una forma di
degenerazione simile a quella che si era abbattuta sui propri parenti.
Non se ne pentiva, non avrebbe mai potuto compiere un simile atto e
ringraziava il caso che li aveva guidati a incontrarsi, ma nonostante
la sicurezza con cui aveva percorso l’intera navata
principale
per poi inchinarsi al cospetto di Odino, sentiva chiaramente i nodi
dell’intestino tendersi, strapparsi, straziarsi in
rocamboleschi
scombussolamenti di posizioni nell’attesa di una punizione
per
cui non aveva alcun buon presentimento.
Aveva provato a dissimulare, ci era riuscita davanti a tutti i suoi
spettatori tranne che agli occhi di Loki, perché lui la
conosceva per ciò che era oltre le proprie bugie con cui si
mostrava in un contegno regale, sfacciatamente tranquillo e cordiale
per ingannare i propri spettatori. Sentiva la pesantezza
dell’attenzione di lui scrutarla con
un’avidità
ossessiva, nel tentativo di scovare ogni segno che la tradiva nella sua
recita e sapeva altrettanto bene che lui li avrebbe trovati tutti.
Sollevò con tracotante pacatezza il capo, tirando il collo
in
una piega di silente sfida, per poter osservare il volto di Odino
mentre proclamava la propria decisione.
«Lady Sigyn, come da te chiesto, pagherai al posto degli
errori
di mio figlio», l’autorevolezza della voce di Odino
si
riproduceva in echi per tutta la sala, rimanendo in vita negli spigoli
alti delle volte e riproducendo il proprio volere come per effetto di
un incantesimo. La tratteneva incatenata alla fermezza
dell’occhio cerulo, un azzurro fitto a tal punto da essere
fastidiosamente accecante, ma sotto il quale Lady Sigyn non dava segni
di scomponimento ricoperta dall’aria di nobildonna qual era
– e d’altronde, mai, nemmeno sotto quello dotato di
altrettanta silente prepotenza di Loki si era mai arresa. «In
quanto dea della fedeltà devota a Loki, ti verrà
addormentata la memoria, portata in un luogo conosciuto solo a me e
lì vi rimarrai fino a quando non giungerà il
momento
propizio, o fino a quando non sarai ritrovata. Avete cinque minuti da soli.»
Avrebbe preferito non sentire la sensazione di vuoto propagarsi con una
tale devastante onda d’urto nel suo essere. In
realtà
avrebbe maggiormente apprezzato se non le fossero stati concessi
nemmeno quell’elemosina di tempo e tutto si fosse risolto
tanto
velocemente da lasciarla ancora troppo sbigottita davanti a una tale
decisione da impedirle di prendere coscienza di quanto lacerante fosse.
Con le palpebre calate sugli occhi, percepì a stento gli
spostamenti di chi le era attorno. Ovattato, le appariva
così il
mondo circostante mentre la veemenza del colpo psicologico le stava
rendendo difficoltoso ricordarsi come si respirava, bloccandole
l’automaticità di contrazioni di muscoli dei quali
non
possedeva del tutto il controllo. Alla consapevolezza nel petto del
cuore a protrarsi nella sconcertante attività di battere
anche
in quella circostanza, si sovrapponeva la illusoria percezione che si
fosse bloccato a metà per un ingranaggio guasto o una crepa
improvvisamente comparsa lungo un’arteria, fermando
l’afflusso di sangue.
Fu la mano di Loki nel toccarle la spalla con una delicatezza che era
stata elargita con una sporadicità tale da rendere ogni
volta
stridente tale sfumatura, che si riscosse, alzandosi dal pavimento sul
quale continuava a tenere le ginocchia davanti a un trono vuoto.
Era stato solo per l’egoismo misto a orgoglio di sembrare la
donna ricoperta di fermezza testarda, di incomprensibile devozione
verso di lui, che si rialzò per sostenere a distanza
inferiore
l’analisi dei suoi occhi verdi.
Non aveva cercato nemmeno per un attimo di apparire meno ferita di
quanto lo fosse per tale destino al quale stava per andare incontro,
né aveva tentato di trattenere il profondo sconforto che le
causava pensare a come tra qualche minuto avrebbe smesso di essere la
donna che era, né di sminuire il dolore viscerale che le
bruciava l’anima nel sapere che avrebbe perduto ogni ricordo
dei
giorni trascorsi servendolo – combattendo, mentendo, rubando,
uccidendo per lui. E tutto quel grumo di strazianti sentimenti non le
sarebbe stato concesso di portarli con sé, non avrebbe
potuto
cruciarsi per la propria sventura, e mai avrebbe potuto ricordare
l’amore per il quale era vissuta fino a quel giorno.
Una tortura più brutale di quei cinque minuti, Lady Sigyn
non
riusciva a immaginarsela e sotto la richiesta di rispondere a una
domanda che ora era solo un pugnale piantato all’altezza del
cuore, le parole le si incastravano come schegge nella gola.
«Vuoi veramente rimanere in silenzio per gli ultimi minuti e
non
rispondermi? Disubbidiente fino alla fine», Loki riusciva a
scherzare almeno in parte, sdrammatizzando una situazione nel quale
come non mai era in grado di mantenere una facciata di
normalità
solo per non concedere soddisfazioni a suo padre e ulteriore dolore a
Sigyn.
«Sono la dea della fedeltà, non
dell’obbedienza» asserì alzando un
sopracciglio per
sottolineare l’ovvietà delle proprie parole, in
una
naturalezza quasi spoglia dalla drammaticità del contesto.
Lady
Sigyn era sempre riuscita ad affrontare la propria vita con la
serenità delle buone maniere, l’equilibrio dei
sentimenti
e la parlantina facile, le proprie pulsioni e bramosie non erano mai
stati asserviti a capricci egoistici, se non il suo unico desiderio di
rimanere al fianco di Loki per servirlo senza chiedere qualcosa in
più – che aveva avuto, ma mai domandato, mai
cercato e mai
reclamato come proprio diritto. La pacatezza del suo essere, la
contraddizione di alcuni suoi modi d’essere – tanto
tranquilla quando priva di pietà, poco avvezza alla sete di
sangue ma decisa ad eccellere come guerriera, refrattaria alla violenza
ma portatrice di emblemi di guerra, testarda nonostante
l’aria da
fanciulla educata alla remissione agli altri, e molto altro ancora
– e la discrepanza dalla maggioranza degli asgardiani di una
morale già distorta dalla nascita e corrotta da una famiglia
nobile in decadenza, l’avevano portata ad essere una
splendida
attrice nel suo mostrarsi composta in qualsiasi circostanza. Ma sotto
lo sguardo severo di Loki, di un verde ardente di fiamme trattenute a
rendere pressante il proprio magnetismo, si ritrovò a
tremare
lievemente davanti all’idea di essere giunta alla fine di un
percorso che aveva costruito per secoli. Più che
l’impossibilità di continuare ad amarlo come da
sempre
aveva fatto, seppur con forme e modalità diverse a seconda
del
periodo della propria vita, si ritrovava a rammaricarsi per non poterlo
ricordare neppure, spogliata dall’unica cosa che sapeva di
renderla veramente unica nell’intero universo – la
sua
fedeltà a lui.
La ragione stava dalla parte di Loki per quella volta, e per quanto in
altra circostanza Sigyn si sarebbe comunque ribellata
all’evidenza e impuntata in un gioco di forza, si
lasciò
andare all’evidenza che una risposta era giusto che lui
l’avesse – perché lei non
l’avrebbe più
conosciuta e quel peso qualcuno doveva portarlo. «Comunque, ovviamente è un
sì, vi avrei sposato.»
«Non usare il condizionale, perché non ci
metterò
troppo» la corresse Loki, sfiorando con le proprie dita la
treccia che le ricadeva lateralmente prima di spostarle sul suo voto,
accarezzando lievemente i lineamenti marcati da sconforto vanamente
trattenuta.
«A far cosa, mio principe?»
Si piegò su di lei con le labbra piegate in un ghigno in cui
vi
erano contenute più promesse e minacce di quante lei
riuscisse a
leggerne, ma non chiese il conto di ciò che non era in grado
di
afferrare, perché sapeva che non ve n’era
necessità
e se mai si fossero rincontrati davvero, allora avrebbe saputo
ciò che c’era di ancora oscuro. «A ritrovarti,
naturalmente» asserì modulando le parole
lentamente, quasi
a spargerle come un unguento sulle ferite che quella separazione le
avevano procurato e sulle proprie che non voleva mostrarle,
perché non doveva avere come ultima immagine di lui quella
di un
uomo piegato a un dolore che non avrebbe mostrato ad alcuno –
l’avrebbe coltivato, trattenuto ed usato per forgiare la
propria
determinazione a mantenere la parola datale. «Hai promesso di
servirmi, non ti libererai tanto facilmente di un simile
peso.»
«È un peso non poterlo più
fare». Le sue
parole morirono sulla bocca del dio degli inganni, che le
lasciò
appena l'attimo di formulare la propria dichiarazione prima di
prendersi l’ultimo bacio che gli era concesso prima dello
scadere
dei cinque minuti loro elemosinati. Le graffiò il collo nel
tirarla verso di sé, formando solchi scarlatti e tirandole
le
ciocche di capelli nei quali si erano intrecciate le proprie dita,
strappandole lamenti di flebile sofferenza mentre le mordeva le labbra.
Non c’era calma, non c’era dolcezza e
n’è
tanto meno gentilezza nella voracità con cui la stava
baciando
– e non riusciva a pensare, ad ogni secondo che si sgretolava
sotto il contatto dei propri corpi, che prima di poterla riavere
sarebbe trascorso più tempo di quello voluto.
«Non per molto, Sigyn. Non per molto» le
sussurrò
all’orecchio quando sentì riaprire le porte della
sala,
staccandosi da lei per osservarla prima di vederla scomparire insieme
alla scorta che Odino aveva mandato a prenderla.
«Non per molto»
ripeté lei – un voto a cui avrebbe dovuto
mantenere fede,
un voto che prima o poi avrebbe dovuto trovare un suo compimento.
M A N I
A’ s W
O R D S
Allora, come avevo annunciato, poi disannunciato e poi riannunciato
nuovamente, ecco il seguito della mia precedente raccolta, «L’amore
che non salva, danna, corrode e rende fedeli».
Ora, non uccidetemi per l’inizio, ecco. E no, ovviamente non
mi
riferisco solo alla lunghezza di questo capitolo - e pure delle note
che mi accingo a scrivere -, ma anche a quando io
ami bistrattare i personaggi. È solo l’inizio
quindi
chissà come sarà la fine e io vi assicuro che se
non
avessi cambiato in corso la mia precedente idea per la long che avevo
cominciato prima di questa, tutto sarebbe molto più tragico
e
angst, quindi c’è stato un notevole passo avanti.
L’idea della perdita di memoria di Sigyn – che
comprende
tutto quanto, non solo Loki – era contemplata già
nella
stesura originale della long di cui parlavo da dicembre. Devo ammettere
che come trovata in sé è assai poco originale -
ma spero
di aver reso i risvolti tali, sarete voi a giudicare - e per di
più mi è venuta in modo stupido, ma dato che si
tratta di
ispirazione a una serie tv mi sembra giusto creditare tale implicito
merito (?) a «Once Upon a Time» e a Emma che nella
terza
stagione,
scusate lo spoiler,
ma devo spiegare, si dimentica di tutta la sua
famiglia e del tempo trascorso con essa. Vedendo Emma e la sua
condizione, avendomi colpito parecchio, mi ha fatto ritrovare a
chiedermi
quali conseguenze potesse avere un evento simile su Sigyn. Nella long
originale, tale parte era verso la fine, mentre qui ho capovolto gli
eventi – non ve ne frega niente, probabilmente, ma io ve lo
dico
comunque e tanto queste note sono già chilometriche.
Voglio anche specificare che l'idea della punizione mi deriva dal
desiderio di creare un parallelismo tra i modi di reazione di Loki nel
subirla e quelli che avrà Thor quando capiterà a
lui di
incorrere nell'ira del padre.
Ci tengo a specificare che non è mia intenzione dipingere
Odino
come spesso avviene come un padre cattivissimo nei confronti di Loki.
Ha punito Thor privandolo dei suoi poteri e spedendolo sulla terra per
aver disubbedito, direi che a Sigyn non è andata poi
così
tanto male, e come punizione mi sembrava sensata - spero lo sia davvero.
La narrazione, come spesso mi adopero – e come ho
già
ripetuto altre volte –, è quella ad immagini e non
prettamente cronologica, per questo i temi verbali sono allineati
– insomma, un giorno Marquez verrà e mi
ucciderà
per provare a mettermi a tentare di rielaborare il suo stile con tali
disastrosi risultati, ma io ci provo comunque perché lo amo
immensamente.
Ah, sì, per chi se lo stesse chiedendo, la proposta di
matrimonio di Loki a Sigyn ve la mostrerò, ma un tantinello
più avanti – comunque il romanticismo è
proprio ai
massimi livelli, come da sua consuetudine, eh /sarcasmo a palate/.
Questa sarà comunque una raccolta di one-shot,
anche se a differenza della precedente, oltre il rapporto Loki/Sigyn,
come potete intuire già da adesso, vi sarà una
trama vera
e propria, non solo spaccati di momenti tra i due. Per alcuni fatti,
riprenderò gli avvenimenti del primo film di Thor, ma solo
per
alcune cose – per tale motivo ho inserito
l’avvertimento
What if? –, mentre non terrò in considerazione
Thor The
Dark World – e nemmeno The Avengers, in realtà, o
almeno
non proprio (?). L’aver optato per una raccolta di one-shot e
non
per una vera e propria long è sostanzialmente una scelta per
l’ottimizzazione del mio tempo: una long richiede un lavoro
molto
più complesso, e io non ho tutta questa disposizione di
tempo.
Venendo alle note segnate invece nel corso del capitolo:
[1]
• Tale è il nome della lancia/scettro di Odino.
[2]
• L’albero
cosmico è Yggdrasill, che regge i Nove Mondi secondo la
mitologia norrena e le cui radici si immergono in due fondi: quella
della saggezza e quella del destino, presso cui vivono le Norme che
tessono l’arazzo del destino, per questo si pensa che chi
riesce
a leggere tra le sue biforcazioni possa anche scovarvi pezzi del futuro.
[3]
• Nel capitolo O9
della mia precedente raccolta – secondo la mia numerazione
–, Frigga regalava a Lady Sigyn un ciondolo. Mi riferisco a
questo in tale punto della storia.
[4]
• Mi sono rifatta ad
alcune delle virtù aristoteliche, dove al posto di
mansuetudine
ho preferito il sostantivo benevolenza. E sì, ho messo
alcune di
quelle etiche e altre dianoetiche – se non capite, no
problem,
c’è la pagina della Wiki, basta cercare
“virtù” –, perché
non volendo inserirle
tutte quante, ho preferito dividerle.
Ultima cosa, la storia è divisa in due grandi blocchi - e
per la
cronaca sono 19 capitoli totali, di cui 11 già scritti
almeno in
brutta. Nei primi 9
si avrà una prevalente – e quasi totale
–
concentrazione su Loki, e per questo tali primi capitoli
hanno come colonna sonora “Vivere”
di Cristiano De André. Ad ogni capitolo inserirò
una
strofa della suddetta canzone – che manco a farlo apposta
sono
nove, le coincidenze, eh?! Io vi lascio anche il link, così
se
volete sentirvela potete farlo comodamente: QUI.
Credo di aver finito di dare spiegazioni/avvertenze e ciò
che
dovevo dire, quindi vi saluto. Ah, no, il banner: l'ho fatto io. Lei
è Natalie Dormer ♥
Come sempre vi chiedo di lasciarmi una recensione, un parere, un
qualcosa, così, tanto per farmi sapere cosa ve ne pare e
farmi
una ragazza felice, ma proprio tanto – tantissimo –
felice.
Grazie, a chiunque anche solo sia giunto fino a qui, in
realtà,
credo di aver sclerato parecchio. Gli aggiornamenti saranno irregolari,
ma almeno una/due volta/e al mese aggiorno – forse (?),
dipende
dalla disponibilità di tempo per editare i capitoli
–,
quindi a presto ♥
Mania▬
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Capitolo 2 *** O2 • È sempre stata inaspettata ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O O
2
▬
“ È sempre stata inaspettata
„
{ Vivere.
Fosse
stato più facile
dire che
gli anni non contano
perché
siamo demoni e angeli. }
Vivere –
Cristiano De André
I polpastrelli definivano la forma del ciondolo con la lentezza
straziante con cui soleva ripetere tale rito più volte al
giorno. Avrebbe voluto poter asserire che la conta fin anche dei minuti
da quell’infausto giorno, era dovuta alla sua mente
particolarmente propensa a non dimenticare mai nulla e a tenere sotto
controllo ogni mutamento potesse governare e modellare; la
realtà era che per quanto avesse deciso di non far
più
parola e negato a chiunque di parlare di Lady Sigyn, la sua mente e la
sua anima era totalmente inginocchiata dalla tale perdita.
Sapeva bene quanto i suoi comportamenti fossero stati limati talmente
alla perfezione da non far risultare alcun cambiamento esteriore,
né nella voce né tanto meno dai gesti. Aveva
finto
– e continuava a farlo – che nulla fosse mutato,
per non
concedere la soddisfazione a suo padre di scorgerlo ferito
dall’essergli stata strappata la sua fedele compagna, ma
anche
per non lasciare trapelare il dolore di un’assenza che non
aveva
mai messo nel conto. Quando l’avrebbe riavuta – e
non vi
era da dubitare su un simile evento –, anche lei avrebbe
dovuto
pagare pegno per averlo costretto a subire una simile tortura,
segregandolo nella solitudine che sapeva unicamente di mancanza.
Lo smeraldo che teneva tra le mani era la collana, unico gioiello
posseduto da Lady Sigyn, che per molti secoli aveva abbellito il suo
collo. Glielo avevano tolto prima dell’inflizione della
perdita
della memoria, su ordine della regina Frigga e in tale modo era venuto
finalmente a conoscenza della storia dietro tale monile –
cimelio
di famiglia, ma non di quella di Sigyn come quest’ultima si
era
premurata di non sottolineare. Sua madre si era rifiutata di rivelargli
le ragioni per le quali aveva elargito a Sigyn un simile dono, ma
glielo aveva lasciato in custodia pregandolo di conservarlo fino a
quando lei non fosse tornata – e se Frigga asseriva che si
sarebbero rincontrati, nessuno poteva diffidare dal ritenere che il
destino avesse già intessuto le trame per un simile
accadimento[1].
Infilò nella tasca dei pantaloni il prezioso, alzando lo
sguardo
verso l’alba e ciò che quella giornata avrebbe
portato con
sé. Se tutto fosse andato secondo i piani, avrebbe avuto
occasioni più che mai propizie per il raggiungimento di
parte
dei suoi scopi e una volta conquistato ciò che desiderava,
anche
premurarsi di Lady Sigyn sarebbe risultato meno difficoltoso di quanto
non si fosse rivelato nel trascorrere di quei decenni.
Un ghigno mellifluo solcò le labbra sottili quando
l’allarme della sala delle reliquie svegliò di
soprassalto
il palazzo, e con la teatralità di cui solo lui era in
possesso,
si precipitò fuori dalle proprie stanze nascondendo
l’eccitazione che l’inizio delle sue macchinazioni
portava
con sé.
Ritrovò suo fratello già sul luogo
dell’intrusione,
intento a strillare ordini sconnessi fino a quando non giunsero anche i
Tre Guerrieri dietro Lady Sif, come sempre pronta a lanciarsi
ciecamente in qualsiasi scontro se era per volere di Thor –
anche
se era un volere arrogante, sconsiderato e stupido. Nonostante tra il
gruppo fosse la più dotata di intelligenza, la sprecava
bruciandola dietro a un amore che ormai non sarebbe mai stato
corrisposto, in un’insensatezza pigra – non era la
stessa
forma di asservimento che aveva offerto Sigyn a Loki, perché
mai
lei aveva rinunciato alla propria volontà per rimettersi
blandamente alla sua.
«Com’è possibile che nessuno li abbia
scorti entrare
nella sale delle reliquie di nostro padre?», la voce adirata
di
Thor rimbombava per le camere scure in cui erano costuditi tutti i
monili e oggetti rari che fino a quel giorno aveva recuperato Odino.
Brandiva con somma rabbia Mjöllnir nella propria
mano, pronto
a sventolarla in faccia al primo malcapitato che fosse stato a tiro
– e Loki trattenne un sospiro di compassione
nell’osservarlo tanto incapace di contenersi anche per
un’inezia del genere, in fondo di furti ne erano capitati
più d’uno e ogni volta finivano come se nemmeno
fossero
avvenuti. E anche se magari quello non era un caso come i precedenti,
rifletté il dio degli inganni tra sé e
sé, era
comunque un atteggiamento inappropriato quello tenuto dal fratello per
un principe che presto sarebbe stato incoronato re.
«Probabilmente si sono procurati incantesimi di protezione, o
avevano qualcuno all’interno» osservò
quasi con
pigrizia Loki, stanco di dover essere lui a sottolineare
l’ovvio
a cui gli altri non giungevano nemmeno se li avesse pagati con sacchi
d’oro – o belle donne, nel caso di Fandral.
«Se così è, bisogna scoprirlo. Non
possiamo
permetterci che nella Guardia Reale vi siano tali elementi»
ringhiò Thor, più che mai scosso da quello che
considerava un vero e proprio affronto personale, non potendo accettare
che tra chi aveva giurato di servire la casa reale e Asgard si
annidassero esseri tanto subdoli. «Mentre noi li inseguiamo,
potresti occuparti tu, fratello, di indagare? Siamo già fin
troppi per una banda di ladruncoli, non mi pare il caso di giocare con
una squadra così eccessivamente in vantaggio.»
«Andate, qui me ne occupo io. E cercate di recuperare il
bottino,
se non è chiedere troppo», una caccia al fuggiasco
che a
Loki non interessava minimamente, soprattutto se condotta senza alcun
criterio come avrebbe fatto Thor, quindi non ebbe alcunché
da
ridire e ringraziò silenziosamente i Numi per avergli
risparmiato un viaggio futile come quello – e anche la scusa
che
avrebbe elargito in caso di invito.
E sotto lo sguardo impassibile del dio degli inganni, ebbe inizio un
inseguimento che cominciò come normale e sfociò
nell’inaspettato più completo. La piccola
astronave, forma
ovale e allungata nel quale potevano comodamente stare tutti e cinque,
era un modello decisamente rapido, ma non sufficientemente da riuscire
a bruciare via la distanza che avevano messo su i ladri. Sfrecciare tra
i palazzi della città fu abbastanza semplice grazie alle
capacità di comando di Lady Sif, che per quanto si mettesse
a
fare percorsi spericolati e tendesse a schivare all’ultimo
gli
ostacoli, era un’eccellente pilota.
Il vero problema arrivò solo in seguito, quando la piccola
combriccola – da lontano potevano essere tre o quattro al
massimo
– si spostò nei campi sterminati della prateria
fuori le
mura di Asgard, immergendosi nella natura verso mete sconosciute a chi
cercava di acciuffarli. Dovevano aver studiato il percorso di fuga
molto più a fondo di quanto potesse sembrare a primo avviso,
perché nonostante all’inizio del loro gioco a
guardie e
ladri potesse sembrare un’incidente di percorso, una
divergente
dall’iniziale progetto, la precisione delle loro manovre
indicava
l’esatto contrario.
Si erano allontanati sfrecciando su prati immacolati, campi coltivati e
laghi dalle acque limpide a far da specchio al mondo circostante,
bruciando via ore senza nemmeno accorgersene sotto
l’agitazione
frenetica di non smarrire la propria preda, tra battute tirate e
imprecazioni quando dalla loro vista sfumava via il mezzo nemico. Molte
miglia li distanziavano d Asgard, tanto che quando trovarono la
navicella usata dai ladri ai bordi di un bosco i cui alberi si
innalzavano per metri, quasi a voler toccare il cielo da quanto avevano
deciso di far crescere i loro tronchi scuri, ci misero un po’
a
riprendere le fila dell’orientamento e comprendere di essere
ai
confini dello stregato Myrkviðr[2].
«Non proprio il miglior posto nel quale cercare rifugio e nel
quale continuare un inseguimento», commentò Lady
Sif
avanzando per prima all’interno delle ombre create dalle
foglie
fitte – di un verde talmente annerito da poter essere
scambiato
per catrame nel loro riluccicare appena sotto i pochi raggi di sole che
filtravano. L’umidità era soffocante per chi vi
metteva
piede per la prima volta, dopo aver potuto respirare la cristallina
aria esterna, ora avvertita appesantita sotto le fronte abbondanti
accompagnata da una lieve brezza gelida – da lontano, era
svicolata tra i tronchi per provocare lievi brividi agli avventurieri.
Solo quando si addentrarono maggiormente negli antri di
Myrkviðr
compresero quale fosse l’origine di quegli spiragli di freddi
refoli, ma giunti a un tale momento fu troppo tardi per poter prendere
provvedimenti, perché già si trovavano nel mezzo
del
cuore opprimente del bosco oscuro, tartassato da una tempesta di neve e
ghiaccio perpetuo. I fendenti del vento erano talmente affilati da dare
l’impressione di riuscire a dilaniare la carne con maggior
semplicità di qualsiasi lama in loro possesso, e
nell’indeterminatezza del bianco accecante, ritrovarono le
figure
dei ladri solo quando compresero che li avevano attirati fino a quel
punto per avere un vantaggio che a loro era negato.
Quando cominciarono ad attaccarli con l’uso di dardi a lungo
raggio, avendoli accerchiati in precedenza e spostandosi con la
sicurezza di chi aveva avuto il tempo di studiare il terreno con
minuziosa preparazione, Thor insieme ai suoi compagni si ritrovarono
nel bel mezzo di un punto di fuoco tutt’altro che semplice da
gestire.
«Ho l’impressione che siamo finiti in una trappola,
Thor» osservò con ovvietà lamentosa
Hogun, parando
un colpo a sé rivolto con l’uso della propria
mazza. Non
vi erano sporgenze dietro le quali trovare un pur minimo rifugio, solo
tronchi che per quanto robusti, non avrebbero potuto reggere molto
sotto il peso di attacchi talmente precisi, sparati in rapida
successione.
«Non credevo che questa foresta fosse così
dannatamente
pericolosa», Volstagg avrebbe di gran lunga privilegiato
andare a
prendere i nemici uno alla volta, ma la pioggia di vento glaciale era a
loro sfavore e muoversi era un azzardo incalcolabile perché
la
neve rendeva ogni passo lento - pesante. Le sferzate giungevano con
forza, abbattendosi su di loro, offuscando lo sguardo dei cinque eroi
di Asgard, bloccandoli sui loro stessi piedi, in attesa di
un’occasione propizia non ancora giunta.
«Questa tempesta di ghiaccio… Chissà da
dove viene?! Non dovrebbe esistere, è impossibile!»
«Myrkviðr merita tutte le sue leggende.»
«Discuteremo di questo interessantissimo argomento una volta
usciti vivi da qui», Thor zittì le chiacchiere di
Lady Sif
e Fandral riguardo ai misteri del bosco, decisamente poco adatti alla
situazione nella quale si trovavano.
«Se ci riusciremo.»
«Oh, non mi sembra il caso di essere tanto pessimisti, mio
caro Hogun, ce la siamo cavata in situazioni peggiori.»
Prima che Hogun potesse ribattere qualsiasi cosa riguardo a come in
realtà non rimembrava nessuna circostanza con lo stesso
livello
di elementi a loro sfavore, il solo urlo della tempesta
tornò a
regnare senza che fosse interrotto dalla brutalità dei colpi
rozzi delle armi nemiche. Si sporsero con i volti oltre i confini degli
alberi usati come scudi di fortuna precaria per poter scoprire a cosa
fosse dovuto tale inattesa ritirata, ma si ritrovarono a osservare una
nuova figura dalle fattezze esili celate sotto vesti femminili e il
capo bendato dietro una sciarpa per proteggersi dal vento terribile, a
combattere con la spada contro due dei ladri. Si destreggiava
nell’uso della scherma in maniera abile, abbastanza da
superare
le avversità climatiche e lo svantaggio numerico, tanto che
dopo
qualche minuto in cui le sue qualità di combattente furono
chiaramente rinfacciate ai due criminali, essi decisero di ritirarsi
– probabilmente per raggiungere i compagni che già
avevano
intrapreso una via lontana, portandosi con sé la refurtiva
sottratta ad Odino.
Una volta rimasta da sola, scivolò con le gambe lievemente
piegate per rimanere in equilibrio lungo il crinale sul cui fondo si
ritrovavano i Tre Guerrieri, Lady Sif e Thor. La tempesta li aveva
colti alla sprovvista in una posizione infelice, sarebbe stato arduo
per loro riuscire a venirne fuori, ma indubbiamente con un
po’
d’astuzia e l’irruenza di cui erano ricolmi se la
sarebbero
cavata. Solo il dio del tuono pareva aver riportato una lieve ferita al
braccio, probabilmente mentre rimaneva indietro per permettere ai suoi
compagni di cercare riparo dietro ai trochi, per attendere il momento
propizio di un contrattacco che non era stato necessario.
«Cercate di seguirmi velocemente» la voce della
donna era
perentoria, come il gesto con il quale indicò la direzione
da
intraprendere nel più breve lasso di tempo possibile. Non
era
una decisione saggia quella di rimanere sotto le sferzate di un vento
tanto imperiosamente rigido, né sotto la bufera di neve che
da
quando se ne aveva memoria martoriava il cuore di Myrkviðr
–
si narrava che fosse un incantesimo lanciato da
un’incantatrice
il cui cuore era stato spezzato; o che fosse colpa dei Giganti del
Ghiaccio la cui furia giungeva sino a lì, condensandosi in
un
solo punto; o ancora che fosse responsabilità di uno
stregone la
cui amata era morta in una tempesta e l’aveva ricreata per
raggiungerla. «Non dovreste inoltrarvi in questo bosco con
tanta
leggerezza, non conoscete la fama di Myrkviðr?»
«Sì, ma stavamo inseguendo dei ladri»
chiarì
la voce ferma di Thor, provando a sovrastare gli schiocchi creati dal
vento che lacerava l’aria. I passi affondavano nel ghiaccio,
e la
fatica per avanzare era più di quanta ne avessero fatta
precedentemente – o forse la stanchezza accumulata nel
contrastare un simile clima si faceva sentire anche su di loro.
Gli occhi scuri della donna tornarono a incrociare quelli del dio del
tuono, ma non gli concesse ulteriore riposta per tutti i minuti di
eternità che servirono a raggiungere la fine di quel
perpetuo
inverno tempestoso. Avrebbero potuto essere intere ore per quanto
apparve pesante compiere quei metri, ma in realtà ci
impiegarono
molto meno della percezione che ne ebbero e sotto la guida sicura della
misteriosa donna, si ritrovarono nuovamente nella parte del bosco
tranquilla mentre i loro occhi potevano osservare i reflussi del
maltempo continuare a sferzare gli alberi a pochi passi da loro.
«È un piacere fare la vostra conoscenza, vi siamo
debitori
per averci salvato la vita» asserì Thor dopo aver
dato uno
sguardo alla ferita sul braccio, costatando che non era niente di
particolarmente allarmante. La giovane donna teneva il velo di lana
ancora ammantato attorno alla propria testa per ripararsi dal gelo che
aveva affrontato per venirli a soccorrere, e si stava piegando a
raccogliere un cesto di vimini nei quali erano sistemati con ordine
funghi ed erbe probabilmente raccolti in altri meandri di
Myrkviðr.
«Come vi chiamate?»
«Sono certa che il principe Thor, dio del tuono, e i suoi
fedeli
compagni se la sarebbero cavata ugualmente anche senza il mio modesto
contributo. Il mio nome è Sefa, possiedo le terre a qualche
chilometro di distanza da qui», non era difficile sapere chi
fosse il possessore di Mjöllnir, più complesso era
capire
perché si trovasse in quel luogo e con tanta sprovvedutezza
nell’insinuarsi nel cuore di un bosco maledetto, anche se era
per
inseguire dei ladri – ma si trattenne dal fare qualsiasi
specificazione, perché in fondo non erano affari suoi e li
aveva
aiutati unicamente per assenza di meglio d’altro da compiere.
Si
levò lo scialle arrotolato attorno al proprio visto con un
sospiro liberatorio, lasciando finalmente scorrere nuovamente i lunghi
capelli di un biondo scolorito lungo la schiena, sistemandoseli in modo
da mettere a tacere le ciocche ribelli.
Non diede troppo peso al silenzio mentre rifoderava la spada,
appendendola nuovamente al proprio fianco; fu solo quando
sollevò nuovamente lo sguardo verso i cinque che si rese
conto
delle loro espressioni sconcertate. La osservavano con le iridi
incredule, fronti aggrottate tanto da sembrare quelle di vecchi e
labbra semichiuse in parole sfiorite già nella mente, prima
ancora di essere pensate. Le sembrò talmente assurda come
reazione, che si voltò per assicurarsi che nulla vi fosse
alle
proprie spalle e dopo aver considerato che effettivamente poteva essere
solo lei l’oggetto di tanto turbamento, provò a
chiederne
conto. «Ho qualcosa sulla faccia?!»
«No», era più un balbettio quello di
Thor che una
vera e propria risposta. Non era certo di stare davanti davvero a Lady
Sigyn fino a quando non fu in grado di spostare la propria attenzione
su Lady Sif e scorgere anche in lei la medesima sorpresa fulminante, un
tale quantitativo di imprevedibilità da aver annichilito
qualsiasi loro capacità di reazione davanti
all’apparizione della loro amica perduta. Loki
l’aveva
cercata tanto a lungo, ancora continuava a perdurare nei suoi tentativi
di scovarla in qualsiasi antro del mondo l’avesse nascosta
loro
padre – nonostante li avesse perpetrati segretamente,
nell’illusione che alcuno si fosse mai accorto di quanto in
realtà fosse stato segnato dal vuoto che aveva lasciato la
scomparsa di Sigyn, e così Thor lo aveva assecondato per
rispetto a sentimenti di cui non desiderava rendere conto. E ora gli
era capitata davanti con così tanta mancanza di preavviso da
farlo irrigidire sul posto.
Sapeva perfettamente che stava dando un’impressione
sbagliata,
che gettava su di lei troppi interrogativi ed era talmente lampante che
non possedesse il benché minimo ricordo di chi loro fossero
da
far apparire del tutto insensata l’intera vicenda, ma gli era
del
tutto impossibile reagire in differente modo. «È
solo che
lascia intontiti la tempesta che scuote il cuore del bosco»,
infine trovò la forza per riprendersi dalla situazione di
stallo
nel quale la sua mente era crollata nell’avere davanti il
volto
di Lady Sigyn, con le sopracciglia inarcate e le labbra arricciate in
un’espressione di perplessità diffidente come la
ricordava
nei momenti in cui qualcosa non la convinceva. Era indubbiamente lei,
con le mani segnate dai calli degli allenamenti, i capelli
incredibilmente chiari, le labbra carnose e le iridi di un nero da
confondersi con la pupilla.
Finse di credere a quella scusa, Thor e gli altri lo sapevano bene, e
li invitò a casa sua unicamente per rispetto a chi si
trovava di
fronte, ma tutti avevano il sospetto che avrebbe preferito di gran
lunga liberarsi di quegli stranieri che tanto singolarmente erano
incapaci di non fissarla con un’insistenza allarmante. Fece
loro
strada tra i tronchi del bosco, su sentieri non segnati di cui
conosceva l’esistenza, fino a giungere nuovamente alla luce
calda
dell’estate che abbracciava le pianure di cui Lady Sefa era
proprietaria. Dal punto in cui erano fuoriusciti erano vicini alla
navicella su cui erano giunti i ladri, ed era anche visibile la villa
in cui risiedeva la loro salvatrice, giusto a qualche chilometro di
distanza – metri ricoperti rapidamente grazie
all’uso del
velivolo.
«Hilda, sono tornata» annunciò
morbidamente la voce
di Lady Sefa mentre rientrava in casa dopo aver salutato gli altri
dipendenti al suo servizio, intenti ad occuparsi del buon funzionamento
delle macchine della fucina e dei campi. La donna chiamata dalla
padrona doveva avere presumibilmente un’età simile
a
quella di Lady Sefa, o quanto meno prossima, e si affacciò
all’ampia arcata che dava sul salotto con
l’espressione
incuriosita nei confronti della schiera di persone al seguito della sua
signora. «Abbiamo ospiti importanti, cortesemente potresti
portarmi il contenitore medico? Molto gentile, mia cara.»
Li condusse nell’ampia cucina arredata in uno stile antico,
nonostante la modernità delle sue funzionalità,
rendendo
così accogliente l’ambiente. Bicchieri e tazze
erano
posate su vari ripiani in un disordine unicamente apparente, e
qualsiasi cosa si trovasse esposto aveva una collocazione studiata per
arricchire la vita di una casa altrimenti spoglia. La lunghezza del
tavolo poteva accogliere una quindicina di persone, lavorato da un lego
pregiato, possedeva gambe i cui intagli dovevano essere stati ottenuti
da un falegname dall’abilità notevole per quanto
precise e
arzigogolati erano.
«Così siete la signora di queste terre, eh? E ve
ne
prendete cura con le vostre mani?», la domanda del principe
maggiore di Asgard suscitò un sollevamento delle
sopracciglia
sottili della sua interlocutrice, una sottile forma di risposta basita
a un quesito di tale ovvietà da risultare superflua. Mentre
sistemava le bende, insieme ai medicinali prodotti dalle erbe che
avrebbero rapidamente curato le ferite, poggiandole ordinatamente sul
ripiano di legno scuro del tavolo, li osservava con crescente sconcerto
misto a una curiosità dubbiosa.
Lady Sefa non comprendeva l’atteggiamento solo apparentemente
normale con il quale la stavano trattando. La scrutavano con
un’attenzione che avrebbe voluto essere discreta, ma si
insinuava
nelle pieghe di ogni suo più minimo gesto, sviscerandolo
alla
ricerca di qualcosa di imprecisato. Erano in perpetua attesa, stavano
sulle punte dei piedi e trattenevano il respiro irrazionalmente,
spaventati quanto allarmanti da qualcosa di cui lei non riusciva ad
afferrare il senso.
«Solitamente è così che si fa quando si
tiene a qualcosa, ci si
sporca le mani»
replicò la donna, appoggiando davanti al dio del tuono il
necessario per curare i profondi graffi sul suo braccio. La sua
risposta suscitò un risolino da parte di Thor e uno scambio
di
occhiate di intesa tra i Tre Guerrieri e Lady Sif, cosa che
ulteriormente andrò a incrementare il sospetto crescente che
qualcosa uscisse dalla sua comprensione. Ma non domandò
alcunché, preferendo che fossero le mutazioni degli
avvenimenti
a portarle i frammenti del quadro che le mancava, perché
aveva
imparato che si ottenevano molte più informazioni quando si
fingeva di non desiderarle.
«E non le avete mai lasciate?» continuò
a chiedere
Thor, spalmandosi un unguento curativo sugli sfregi, ottenuto da erbe
mediche dai poteri rigenerativi impressionanti. Ci avrebbe messo poco a
far rimarginare i lembi della pelle lacerata, e sulla guarigione
accelerata dei tessuti si persero le iridi scure della padrona di casa,
per distrarsi e fingere di non avvertire la pressione sotto cui era
schiacciata dai presenti.
Cominciava a rimpiangere di averli aiutati, nonostante perdurasse a
mostrare un sorriso gentile – la sua maschera più
usata e
mai logora –, sotto il quale segregava il desiderio di
buttarli
fuori dai propri possedimenti il più in fretta possibile. Si
sedette davanti a Thor, accavallando le gambe e appoggiando le mani sul
tavolo ricalcando con i polpastrelli le venature per occupare il tempo,
poco impegnato dalla semplicità di sostenere lo sguardo del
principe – erano chiazze cristalline di laghi dalle acque
quiete,
talmente pure da lasciare il fondo completamente scoperto a chi vi si
rifletteva.
«Da quando le posseggo, no.»
«E da quanto tempo è?»
domandò questa volta
Lady Sif, inserendosi nell’interrogatorio – o
quello che
almeno appariva tale alla giovane dama -, allungando il braccio verso
la brocca di vino che Lady Sefa aveva messo a loro disposizione per
riprendersi dal gelo nel quale si erano perduti. Sentiva ancora la
pelle d’oca, come se la tempesta invernale nella quale si
erano
smarriti fosse rimasta incollata a lei, incapace di sciogliersi
nonostante il calore che si respirava al di fuori del cuore maledetto
della foresta.
«Sono sotto inquisizione?» scherzò
sarcasticamente Lady Sefa.
«Assolutamente no. Sia mai, mia signora, siamo solo curiosi
per
la vita che conduce la meravigliosa donna che ci ha soccorso. Avete mai
visitato Asgard?» si intromise Fandral, sciorinando la
migliore
dei suoi sguardi ammiccanti e rivolgendole un sorriso il cui splendore
avrebbe conquistato innumerevoli donne – ma che
lasciò
impassibile Lady Sefa, semplicemente blandamente divertita dai modi da
grande conquistatore dell’uomo. Indubbiamente era pieno di un
fascino sfacciato, carico di sicurezza e di un tepore ammantato sotto
la certezza delle proprie doti, e per quanto potesse millantare con
estrema bravura, Sefa era abbastanza incline a dargli il beneficio del
dubbio, ma qualsiasi ampiezza avessero potuto avere le sue doti
d’amatore, ne aveva osservati intere schiere di uomini
rivestiti
di quel medesimo potere seduttivo del quale si sfregiava ostentatamente.
«Non ne ho mai avuto il piacere», trattenne a
stento una
risata nell’osservare la gomitata poco celata che Volstagg
assetò alle costole dell’amico.
Per quanto i loro atteggiamenti sottintendessero qualcosa di cui ancora
non afferrava il contenuto, nascosto tanto malamente da rendere la
situazione comica allo sguardo attento della donna, continuò
a
fingere di non accorgersi della sottile patina di stranezza che li
avvolgeva. Lo sguardo che Thor le aveva rivolto dopo essersi levata la
sciarpa dal volto era di quel particolare tipo di stupore che Lady Sefa
immaginava si potesse rivolgere unicamente a fantasmi sfuggiti al regno
di Hel, misto a una contentezza di cui era incapace a imbrigliare i
risvolti. Continuava a depositare su di lei i suoi occhi nitidi con
l’entusiasmo felice di chi pregusta qualcosa di magnifico, e
non
vi era nessun reflusso malevolo nei suoi modi, cosa che le rendeva
arduo comprendere quale mai potesse essere la ragione di tanta allegria
nell’averla incontrata.
«Vorrei ricambiare il favore che mi avete fatto, salvando me
e i
miei fedeli compagni, invitandovi a palazzo in vista della mia
incoronazione tra poco più di un mese» riprese a
parlare
Thor, riponendo il contenitore con l’unguento nella scatola
dal
quale l’aveva estratto.
«Sono lusingatissima, ma rifiuto l’offerta dato che
devo,
per l’appunto, occuparmi dei miei possedimenti», ma
già pronunciando quel rifiuto aveva avuto la netta
impressione
che a niente sarebbero valse le proprie parole e alla corte di Odino ci
sarebbe stata condotta comunque. Non avrebbe potuto quantificare quante
volte venne rettificata la medesima proposta da ciascuno dei presenti,
quanti assicurazioni Thor le diete riguardo a come le sue terre
sarebbero state supervisionate in modo che nulla e nessuno potesse
minacciarle, quante promesse di divertimenti le vennero sottoposte.
Rifiutò tutto quanto, in continuazione, ma non ebbe in ogni
caso
la meglio sull’insistenza e davanti alla costatazione
folgorante
che si trattava del principe – nonché futuro Re
–,
si ritrovò costretta a ingoiare l’indisposizione
per un
tale abuso di potere, piegandosi all’evidenza di dover
accontentare i desideri dei suoi fastidiosi quanto regali ospiti di
ripagarla.
«Non faccia così, mia signora, potrebbe
beneficiarne
molto» cercò di consolarla Hilda, mentre
l’aiutava a
preparare un comodo bagaglio da portare con sé durante il
viaggio. Dall’armadio estrasse i migliori abiti che
possedeva,
scrutando la propria padrona con sguardo delicato, cercando di
alleviare il malumore che la scuoteva in quel determinato momento. Gli
occhi scuri di Lady Sefa erano rivolti oltre gli infissi della
finestra, perduti in ragionamenti che non erano captabili
dall’esterno – enigmatica ed ermetica come lo era
sempre
stata, perdurava anche in quella circostanza a trattenere dentro
sé l’inquietudine che la scuoteva. Hilda avrebbe
voluto
affidarle parole di maggior conforto, ma sapeva bene quanto la propria
signora non potesse essere scossa semplicemente e si intestardisse
ostinatamente nelle proprie convinzioni. Eppure, provò
comunque
a renderle meno gravosa tale scelta imposta. «Magari le
concederanno molti benefici e le vostre terre non potranno che
accrescersi nella loro ricchezza.»
«Mia buona Hilda, non ho bisogno di alcun aiuto né
per
accrescere i miei possedimenti né per difenderli. Tuttavia,
potrebbe comunque tornarmi utile farmi conoscenze tanto altolocate, per
quanto fastidioso sia dovermi abbassare all’altrui
desiderio» rispose Lady Sefa piegando i propri vestiti con
rapida
destrezza, mentre passava in rassegna i lati positivi di un invito
talmente tanto sentito, cercando di evidenziare mentalmente che qualche
vantaggio lo avrebbe tratto. Non aveva particolari problemi economici,
la rendita era alta e il suo grado di prosperità le aveva
reso
una certa influenza nella zona – tutt’altro che
scarsa, ma
Lady Sefa era conosciuta per la sua mansuetudine, non amava ostentare
il proprio potere e quasi lo usava controvoglia, o almeno tale era
l’impressione.
Aveva ereditato le terre dalla donna che decenni prima
l’aveva
trovata riversa sulla riva del fiume presso il villaggio a cui vendeva
i propri prodotti. L’aveva fatta curare, nutrire, vestire e
messo
a disposizione qualsiasi cosa che potesse esserle d’aiuto in
quel
primo momento che ricordava da sempre – quelle prime ore,
giorni,
in cui il vuoto lacerante della completa assenza del più
flebile
ricordo le era parso un peso opprimente. L’aveva seguita per
ripagarla della gentilezza e perché qualcuno
l’aveva
convinta a desistere dall’impulso scellerato di andare alla
ricerca di ciottoli di se stessa sparsi per i Nove Regni. Dunque non
avrebbe mai permesso che tali possedimenti potessero in qualche modo
deturparsi, tenendo lontana la rovina alla quale avrebbe condotto
piuttosto i confinanti, privandoli di qualsiasi cosa potesse impedire
il deperimento delle proprie proprietà.
Era donna sensata, ritenuta quieta e gentile, ma Lady Sefa per quanto
odiasse far sfoggio di brutalità non aveva così
tanti
scrupoli quanti se ne raccontasse in giro, semplicemente era abile nel
lasciare nell’ombra le cattive azioni delle quali si
macchiava.
Era un’abilità naturale che accudiva come se fosse
l’unica parte essenziale del proprio essere che non
desiderava
perdere, perché le bugie e le macchinazioni le davano il
conforto e la sicurezza irrazionale di affondare in quel passato del
quale non riusciva a liberare dalle nebbie fitte in cui era avvolto.
Infine, c’era la curiosità. Negare di essere
attirata da
quell’insolito comportamento che avevano tenuto nei suoi
riguardi
era pura follia, e se quel viaggio poteva garantirle di scoprirne la
ragione, ne avrebbe approfittato – perché, senza
razionalità alcuna, era certa vi fosse qualcosa di
essenziale e
che l’invito stesso fosse in qualche modo collegato a
ciò.
La comoda astronave[3] su cui erano giunti fino ai confini del bosco di
Myrkviðr era già stata preparata e sistemata per
intraprendere il viaggio di ritorno quando Lady Sefa uscì
dal
porticato della sua villa, salutando con un cenno del capo la sua
fidata Hilda e il resto dei braccianti assunti che vivevano con lei.
L’aria era intrisa di un calore soffuso ampliato dalla
lucentezza
dei raggi del sole che si estendevano per le praterie attorno alla
meravigliosa dimora, rifinita con antichi basamenti di secoli prima
restaurati in modo da renderli imperituri, regalando un paesaggio
bagnato dell’estate dolce.
La mano di Frandal si protese verso di lei per tenderle un aiuto, ma
con un sogghigno morbidamente macchiato di sfida, Lady Sefa
sollevò i risvolti della propria gonna quel tanto che le
occorreva per poter scavalcare il lato dell’astronave, senza
alcuna difficoltà e senza neppure badare ai gradini
disponibili.
Aveva affrontato pericoli e avventure di tutti i tipi negli anni,
sempre dimostrando di poter badare a sé e le cicatrici di
cui
non ricordava le origini le suggerivano che molti più
pericoli
aveva sconfitto in quel pezzo di vita di cui non ricordava i risvolti.
Certamente non necessitava del supporto di un uomo per poter salire su
di una navicella, né tanto meno avrebbe finto il contrario
per
rendere più saturo di sfacciata arroganza da donnaiolo il
guerriero.
Prese posto tra Thor e Lady Sif, acconsentendo all’invito del
primo. «Sapete, ho un fratello minore», riprese la
conversazione da dove l’aveva interrotta, questa volta
liberandola dal peso dei quesiti. Il dio del tuono continuava a provare
una fibrillazione di eccitazione nell’aver trovato la sua
vecchia
amica e amata di Loki, dunque non desiderava altro che riportarla al
palazzo per potergliela presentare, sicuro di alleviare quel tormento
al quale nemmeno una volta aveva voluto dar voce o mostrare. Ma Thor
era certo vi fosse, con la sicurezza testarda di chi conosce i segreti
senza che nessuno glieli avesse svelati, e avvalorata
dall’aver
scorto più di una volta la collana che un tempo aveva
indossato
ogni giorno Lady Sigyn, rigirata tra le lunghe dita del dio degli
inganni.
Non aveva il minimo indizio su come riportarle indietro i ricordi che
li legavano, ma era altrettanto fermamente convinto che Loki avrebbe
trovato il modo – per lei, lo avrebbe sicuramente fatto,
perché solo Lady Sigyn era riuscita a indurlo a provare
sentimenti scevri dalla più piccola traccia di risvolti
negativi. E proprio la decisione immutabile di Loki di non voler
più parlare di lei o udirne il nome, aveva convinto Thor che
la
voragine lasciata dalla donna dentro di lui era più ampia di
quanto potesse solo immaginare. Per tali ragioni era impaziente di far
ritorno a palazzo e altrettanto di provare a scoprire se in qualche
modo Lady Sefa conservasse resti della sua vita andata perduta.
«Abito anch’io su Goðheimr[4], principe
Thor,
sapete?» replicò sarcastica, sollevando appena un
sopracciglio in un arco ben definito di ironia.
«Loki, mio fratello, sono certo che sarà molto
felice di
conoscervi. Sapete, molti pensano che non sia molto propenso per essere
socievole, in realtà ha solo gusti molto difficili, ma
credo che voi rientrate nei suoi.»
«E quali sono i gusti di vostro fratello?», Lady
Sefa non
sapeva se prendere le parole di Thor come un complimento o altro, ma
decise di non comportarsi da risentita senza fondate ragioni. In fondo,
pareva che l’uomo cercasse unicamente di metterla a suo agio
nonostante l’inadeguatezza dei suoi sforzi, era gentile per
quanto i suoi modi fossero grezzi e poco affinati nei loro risvolti
– un’eleganza da coltivare.
Alla sua domanda, Lady Sif si ritrovò a ridacchiare
sommessamente. Non riuscì a captare, invece, i commenti di
Volstagg al riguardo, ma gli scoppi di ilarità da parte di
Fandral e la comparsa di un divertito sorriso sul volto fino a quel
momento serio di Hogun, le suggerivano che doveva essere una battuta
che probabilmente il soggetto in questione non avrebbe apprezzato in
egual misura.
«Sono piuttosto complessi, possiamo dire così, ma
di sicuro vi rientra l’impertinenza»
rispose Thor, alludendo ai comportamenti tinti delle stesse sfumature
di Sefa. Quest’ultima non replicò ulteriormente,
preferendo poggiare un braccio sul bordo della navicella intenta a
solcare l’aria a moderata velocità, gustandosi lo
spettacolo dello scorrere delle terre sotto i suoi occhi.
Improvvisamente avvertiva un nodo di malinconia appesantirle il petto,
una quantità tale che mai ne aveva avvertita fino ad allora,
e
si chiese fino a quale punto potesse trarre origine
dall’abbandonare quei luoghi che per tanti decenni erano
stati la
sua unica e conoscibile casa. Avvertiva l’incombenza di
qualcosa
di indefinito, una sensazione strana della quale non riusciva a
scacciare la persistenza nemmeno sotto il peso della costatazione della
sua irrazionalità. Si annidavano ombre tumultuose
all’orizzonte, nonostante il cielo fosse ancora saturo di un
azzurro lacerante, ma ne avvertiva i fermenti batterle nel petto per
avvisarla della loro incombenza.
Presto, le tempeste avrebbero lasciato il cuore di Myrkviðr e
si
chiedeva lei dove sarebbe stata per quel tempo, ma le risposte
rimanevano incastrate nell’inconoscibile in cui avrebbe
voluto
affondare le mani, abbeverandosi nella Fonte di Urðr[5] per
scoprire quale destino le era riservato. Forse, si disse, ad Asgard lo
avrebbe potuto scoprire, e allora la malinconia sarebbe stata per la
perdita della tranquillità serena nel quale era vissuta fino
ad
ora – o forse altro ancora di cui non riusciva a immaginare
la
sostanza.
M A N I
A’ s W
O R D S
Ed ecco qui il secondo capitolo/one-shot.
I salti temporali mi piacciono, sìsì. Come dicevo
la
scorsa volta, amo le raccolte perché mi permettono di
prendermi
tanta libertà e di evitare di narrare pedissequamente ogni
più piccolo fatto, che posso semplicemente raccontarvi
sinteticamente invece di mettermi qui a delinearlo per filo e per segno
– altrimenti la long non finisce più e io mi rompo
prima.
Comunque, venendo al capitolo in sé – che
è di
nuovo lunghissimo, ahimè -, Sigyn è stata scovata
ma non
ritrovata dato che le sue memorie non ci sono ancora e no, il bacio del
Vero Amore lo lasciamo alle fiabe – specifico dato che
l’idea era partita da «Once Upon a Time»
-,
servirà chissà che cosa – forse niente
in
particolare o forse bho, spoiler!.
In ogni caso, nessun dettaglio è lasciato durante la
narrazione
per caso e tutto – spero – avrà un suo
senso che un
giorno scoprirete.
La collana che ha Loki è quella che nel capitolo O9
–
secondo la mia numerazione dei capitoli – nella precedente
raccolta, Frigga regala a Sigyn – l’ho
già detto
nello scorso capitolo, io ribadisco per tenere a mente tutto quanto.
Sì, non è che gliel’ha regalata a caso,
già
si capiva in quel dialogo tra le due, quindi posso chiarirlo
definitivamente come particolare.
I ladri, ciò che hanno rubato e Myrkviðr sono tutti
elementi
che verranno spiegati in seguito, non sono solo un’espediente
per
far trovare a Thor la dea della fedeltà –
essì, ho
voluto che fosse proprio lui a riportarla al fratello perché
desideravo sottolineare l’affetto che il primo prova per il
secondo, ma anche l’amicizia che lo lega a Sigyn stessa, e
anche
altro che scoprirete sempre forse un giorno. L’ho solo
accennato,
ma c’è un motivo per cui Sefa/Sigyn, appena
risvegliatasi
senza memorie, non ha provato a scoprire il perché di una
tale
amnesia – lo spiegherò, se vi dico tutto subito
non
c’è gusto.
Venendo alle note segnate nel corso del capitolo:
[1]
• Mi riferisco al fatto che Frigga nella mitologia norrena
abbia il dono della preveggenza.
[2]
• Myrkviðr,
è nella mitologia norrena il «bosco
nero» e fa da
confine invalicabile tra mondi/territori. Non ha proprio una buona
fama, ma la particolarità della tempesta di ghiaccio al suo
interno è frutto della mia fantasia.
[3] •
Astronavi/Navicelle
– che avrei dovuto inserire prima, ma mi ero scordata e
l’ho messo nel primo punto che mi è capitato,
perdonatemi
–, sì, non gli ho dato dei cavalli per muoversi
perché sono un popolo tecnologicamente decisamente
più
avanti della Terra, e come si nota in Thor 2 le guardie usano astronavi
a forma di gondola per muoversi, quindi no, non ho intenzione di dare
un’atmosfera medioevale se non esteriormente. Anche gli
unguenti
che Sefa/Sigyn da a Thor e gli altri sono medicinali decisamente
più potenti, per questo la guarigione è
accelerata.
[4] •
Goðheimr,
è il pianeta su cui si trova Asgard, che ne è la
capitale, e per la sua importanza la città-capitale spesso
la si
usa per identificare l’intero pianeta, anche se non
è
propriamente corretto.
[5]
• Fonte di Urðr,
si dice che sia alle basi dell’albero cosmico –
Yggdrasill
– ed è la fonte che contiene il destino di ogni
essere
vivente nei Nove Regni (nella mitologia e anche nei fumetti se non
erro,
Odino ha perso l'occhio per poter bere dalle sue fonti e trarne la
conoscenza).
Sì, lo so, sentite la mancanza di Loki in questo capitolo
che
è giusto apparso all’inizio, ma non è
che
può sempre dominare la scena in modo visibile, altrimenti ci
si
insospettisce troppo, giusto? Comunque, non temete, tornerà
in
modo preminente già dal prossimo.
Inoltre ci tengo a precisare che sono andata proprio a fare una ricerca
sui nomi vichinghi femminili per trovare quello più consono
a
Sigyn, e infatti Sefa ha come significato «calma, padrone di
sé stesso, rilassato, gentile e tranquillo» - che
come
descrizione esteriore
della dea della fedeltà mi sembra calzante.
Bene, detto ciò
ringrazio
super-infinitamente - come al solito del resto, sweetes
- coloro che si sono soffermati a commentare il capitolo precedente, mi
auguro che questo vi abbia soddisfatto. Inoltre, e ovviamente,
ringrazio moltissimo
anche chi ha inserito la storia tra le
preferite/seguite/ricordate - e siete tanti per un primo capitolo,
quindi tantissimo amore anche a voi, vi spedisco del cioccolato
♥ Come sempre vi invito a lasciare una piccolissima
recensione
per farmi contenta - così almeno avrò una piccola
gioia
in un periodo tremendo - e a presto,
Mania ▬
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Capitolo 3 *** O3 • Non vi è condanna più grande dell'oblio ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O O
3
▬
“ Non vi è condanna
più grande dell'oblio
„
{ Io voglio sapere il nome che
avrai,
voglio
vedere con che occhi vedrai,
con
quali mani tu mi sfiorerai,
togliendomi
il sale dal cuore,
per il
fuoco di vivere. }
Vivere –
Cristiano De André
Non aveva trovato alcuna traccia delle spie di cui aveva ipotizzato
l’esistenza, ma già sapeva che le proprie ricerche
non
avrebbero condotto a nulla – era premeditato, ovvio
esclusivamente ai propri occhi. Tuttavia Loki le aveva eseguite con
precisa
intransigenza, sottoponendo chiunque fosse stato di guardia alla sala
delle reliquie nell’ultimo mese a interrogatori spossanti,
con la
prepotenza veemente del proprio carattere arrogante e
l’innata
capacità di sviscerare le anime di chi gli stava di fronte.
Loki
aveva una predisposizione naturale per comprendere i moti dei cuori
altrui, erano rompicapi facilmente risolvibili per il dio degli inganni
– poche, d'altronde, erano state le persone ad uscire dagli
schemi delle sue previsioni, tant’è che le avrebbe
potute
contare usando un’unica mano.
Quando Thor si presentò verso sera nella sala, da poco
sgombra
dalla lunga fila di persone costrette sotto le domande fin anche
eccessivamente personali, giunse praticamente di corsa, con
l’ansia di dover comunicare notizie di impellente urgenza.
«Cominciavamo a pensare che ti fossi perso, fratello. Hai
catturato i ladri?»
«No, abbiamo avuto qualche distrazione nel frattempo. Ma
porto comunque buone nuove, ottime»
rispose Thor con tono squillante, ancora misto
all’adrenalinica
eccitazione che la giornata gli aveva messo addosso. La
felicità
per aver ritrovato Lady Sigyn era incontenibile, ma non voleva in alcun
modo rovinare la sorpresa a Loki – preferiva osservarne la
reazione una volta che sarebbe stato messo dinnanzi a lei senza alcun
preavviso. Era abbastanza certo che Loki avrebbe confuso la sua
frenetica allegria per i residui di febbricitante entusiasmo per lo
scontro, che intuiva erroneamente fosse avvenuto con i criminali che
aveva provato a catturare.
«Noto una certa fibrillazione e impellenza di parlare, dunque
fallo» lo invitò Loki, assecondando il fratello.
Thor si lanciò in un racconto talmente puntuale
dell’inseguimento da risultare lungo quanto lo stesso, o
probabilmente era Loki che trovava del tutto noioso quello che per il
fratello era stata una fucina di adrenalina che ancora gli rendeva lo
sguardo luccicante di agitazione. L’unico dettaglio che fino
a
quel momento lo aveva interessato era la fuga riuscita dei ladri, ma
non chiese ulteriori delucidazioni al riguardo perché le
avrebbe
reperite autonomamente – e sicuramente sarebbero state
informazioni più precise di quelle che avrebbero potuto
ottenere
da Thor.
«Perché faccio fatica a capire quale sia il punto
del tuo
racconto?» domandò ironicamente Loki, dopo minuti
di
monologo ininterrotto.
«Ci sto arrivando, pazienta un attimo» lo
rassicurò,
riprendendo le fila della narrazione con crescente euforia fraintesa
nella sua origine dal fratello minore. «Stavo dicendo che nel
mezzo della tempesta stavamo per perderci e siamo stati accerchiati dai
ladri stessi, probabilmente conoscevano il territorio e ci hanno teso
un agguato. E se non fosse stato per l’intervento di una
giovane
dama sarebbe stato molto più difficile venire fuori da
questa
situazione.»
«Ah, il punto è una donna. Lady Sif ne
sarà
contenta» commentò sarcasticamente Loki,
continuando a
seguire il fratello con la stessa voglia con cui avrebbe accettato di
presentarsi al cospetto di Hela. Ma d’altronde Thor era
più che entusiasta, lo avrebbe probabilmente trascinato di
peso
se si fosse rifiutato di seguirlo, spettacolo che preferiva evitare
favorendo il capriccio del fratello maggiore per scoprire in quale
diavoleria sarebbe incappato questa volta. Se solo avesse avuto un
minimo sentore del motivo per il quale il volto del dio del tuono
traboccava così infinitamente di felicità
febbrile, si
sarebbe morso la lingua per poter allungare il passo invece di perdersi
nelle proprie frasi pungenti.
«In realtà lo è. E lo sarai anche
tu»
asserì con prontezza Thor, incapace di sentirsi in alcun
modo
toccato dall’acidità con cui l’altro
aveva
pronunziato le proprie parole, affilandole per potersi vendicare
dell’essere stato distratto dai propri compiti. Non attendeva
altro che studiare la reazione di Loki quando l’avrebbe avuta
davanti, quando finalmente Lady Sigyn sarebbe stata nuovamente
inglobata dal suo sguardo imperscrutabile, anche se sapeva che avrebbe
faticato a scorgere nel fratello la stessa fibrillazione da cui lui
stesso si
sentiva travolgere – unicamente il dio degli inganni ne
avrebbe
avuto percezione dei maremoti della propria anima.
Quando entrarono nella sala in cui aveva lasciato Lady Sigyn nelle mani
di Sif, l'antica amica dimenticata, in attesa del loro arrivo, lei se
ne stava in piedi con la schiena perfettamente retta riuscendo a far
apparire tale posizione naturale – forse per merito nei fili
di
luce condensata a seguire le sue forme come fosse stata una cascata, o
forse per l’intrinseca nobiltà con cui ogni suo
gesto era
dipinto.
«Lady Sefa,
lui è mio fratello, Loki»,
li presentò riuscendo a stento a trattenere i tremiti della
voce, sposandosi in dietro di qualche passo per non intralciare un
incontro che sfortunatamente avrebbe avuto un’importanza
differente per ciascuno dei due.
Fu quasi impercettibile la contrazione che tutti i muscoli del corpo di
Loki ebbero. Una scarica elettrica li irrigidì
d’un
tratto, senza preavviso quando la donna si voltò e si
rivelò agli occhi verdi del dio dell’inganno, il
quale
compì uno dei maggiori sforzi della sua intera esistenza per
mantenersi il più possibile impassibile. Ma il tumulto
improvviso che aveva creato il ritrovarsi a pochi metri da Lady Sigyn
non era esplicabile in alcuna lingua dei Nove Regni, e nemmeno
esternabile, perché troppo a lungo aveva atteso di ritrovare
quel volto disperso su Goðheimr[1] e ora l’aveva a
una
distanza tanto irrisoria da dargli le vertigini.
Il suo sguardo pesante, macchiato da condense tutt’altro che
semplici da classificare, la scrutavano con l’ansia di
scoprire
se fosse un’illusione o se veramente suo fratello aveva
ritrovato
la donna che per lunghi decenni aveva provato a ricondurre al proprio
fianco. Non osò pronunciare alcuna parola, restando con la
percezione di non aver ancora respirato da quando aveva posato le
proprie serafiche iridi sulla sua figura, per evitare che si
dissolvesse rivelando di essere vittima di una crudele allucinazione
che rivelava il solo desiderio puro – l’unico che
per
sempre sarebbe rimasto tale – di cui era afflitta la sua
anima. E
ne studiò rapidamente l’apparenza, per scorgere
nelle sue
pieghe qualcosa che rivelasse l’inganno, ma ogni
più
minuscolo dettaglio combaciava con la memoria che custodiva di lei
– le labbra carnose; i nei a tappezzare la sua pelle; le
spalle
lievemente più larghe di quanto il canone comune avrebbe
trovato
perfetto; gli occhi più scuri di qualsiasi abisso avesse mai
scrutato; le mani che nonostante le cure erano abbellite da calli e il
sorriso accompagnato all’inclinazione laterale del capo.
Quasi gli venne da ridere nel vederla con i capelli sciolti,
perché tanti secoli aveva impiegato per poterli ammirare in
tale
forma ed era tragicamente ironico che finalmente potesse farlo quando
lei non aveva alcuna rimembranza di quella silente guerra, mossa tanto
cocciutamente nel corso dei secoli[2].
«Vostro fratello mi ha talmente parlato tanto di voi,
ché
mi perdonerete la franchezza di domandarvi se almeno voi avete il buon
senso di darmi il permesso di tornarmene a casa», fu lei a
prendere la parola con la semplicità con cui sarebbe andata
a
raccogliere funghi nel bosco nonostante il magnetismo esercitato dallo
sguardo di Loki, così diverso da quello sereno del fratello,
capace di tranquillizzare e mettere a proprio agio chiunque lo
incontrasse. Eppure, Lady Sefa non provò alcun fastidio
nell’essere tanto esaminata da quelle verdi iridi prepotenti,
la
cui impetuosità era malcelata sotto sfumature di cui era
incapace di cogliere il senso.
«L’ho invitata a rimanere fino alla mia
incoronazione» spiegò Thor sorridendo con
soddisfazione
plateale, sotto la silenziosa domanda dell’altro rivolta con
uno
sguardo interrogativo. Riusciva a scorgere meramente un flebile
sussulto perpetuo in Loki, nemmeno lui riusciva a nascondere
completamente la sorpresa fulminante che lo aveva colpito allo stomaco
– sopraffacendolo in maggior misura di quanto si riuscisse a
carpire dalla superficie esteriore.
Solo quando udì la voce di Sigyn rivolgersi direttamente a
lui, riempiendo l’aria e rendendo più reale la sua
presenza lì, a pochi centimetri da lui, Loki finalmente
riuscì a realizzare completamente l’idea di averla
concretamente a una manciata di passi, davanti a sé,
com’era stato un tempo – e anche se non rientrava
nei
propri progetti riaverla ora, per una volta non provava irritazione nel
scorgere mutamenti al quadro programmato. La propria
immobilità si fece meno rigida, tirando le sottili labbra in
un
lieve ghigno nel gustarsi il suono fluido delle tonalità con
cui
Sigyn intingeva le sue parole, e trattenendosi dal compiere un
ulteriore passo nella sua direzione per evitare di cedere alla stupida
tentazione di prendere ulteriore coscienza della sua esistenza in quel
momento, in quel preciso attimo, in modo del tutto inadeguato.
«Mi avete praticamente rapita» chiosò
risentita Lady
Sefa, rivolgendosi a Thor con rimprovero evidente nei lineamenti,
marcato senza eccessi come da sua indole indifferente alle passioni
esagerate, prima di ritornare a concentrare i propri occhi sulla figura
del principe minore.
«Ovviamente potrei accontentarvi, ma se tale è la
decisione del futuro re, non sarò io a
contrariarla»
rispose infine Loki con una naturalezza che avrebbe ingannato chiunque,
soffocando qualsiasi nodo e tensione del quale era afflitto,
perché mai si sarebbe perdonato di rivelare i maremoti dei
sentimenti che Sigyn smuoveva in lui a chi non era degno di conoscerli.
«Vi affido alle cure di mio fratello, sono certo che non
avrà nulla da ridire nell’occuparsi della vostra
sistemazione» asserì soddisfatto Thor, facendo un
cenno
del capo a Lady Sif per indicarle di seguirlo mentre li lasciava da
soli.
«Io ce l’avrei una sistemazione»
replicò alle
spalle del dio del tuono, mentre chiudeva le porte dietro di
sé.
Trattenne il sospiro che aveva in gola, decidendo di non rimarcare
troppo – almeno per il momento – la propria
indisposizione
nell’essere stata trascinata a palazzo.
Tornò a voltarsi verso il principe minore, cercando di
scrutare
nelle foschie dei suoi occhi, dello stesso verde misterioso delle
foglie
cresciute sui rami delle foreste più tetre. Osservare le
iridi
dell’uomo le aveva portato una sensazione indecifrabile, una
rimembranza dissolta non appena l’aveva sfiorata,
qualcosa di cui
sapeva di essere a conoscenza ma che le sfuggiva
nell’inseguirla.
Al contrario dello sguardo cristallino di Thor, quello del fratello era
tutt’altro che sereno – cupo, si annidavano
condense di
tumulti e ombre come Sefa non ne aveva mai osservate. Quel groviglio
indecifrabile, sommato al fascino arrogante che si espandeva dal
sogghigno fino a ricoprire la sua intera figura slanciata, la
incantarono per più secondi di quanti avrebbe voluto lasciar
trascorrere prima di riprendere la parola. Vi era qualcosa di
assolutamente magnetico in lui, una forza attrattrice come mai ne aveva
provate nella sua vita, e faticava a non ammettere a gran voce nella
propria mente quanto si ritrovasse ad ammirarlo ammaliata –
nonostante non conoscesse il benché minimo particolare della
sua
persona, in un moto
irrazionale del suo cuore che faticava a sopprimere
a colpi di razionalizzazioni dalla blanda forza.
«Dunque, nemmeno voi sembrate ragionevole»,
riuscì
finalmente a sopperire al silenzio che Loki aveva mantenuto inalterato,
lasciandola da sola sotto il proprio sguardo penetrante – e
per
quanto fosse schiacciante il modo con cui la stava scrutando, Sefa non
avvertì il benché minimo disagio, e al contrario
quasi
provò fastidio nel dover interrompere l’atmosfera
di
attesa che si era strutturata.
«Non credo di esserlo mai stato. Per di qua, Lady»
rispose
ironicamente, inclinando appena il capo di lato accompagnando un angolo
delle labbra a tirarsi maggiormente, rendendo sghembo il ghigno affisso
sul proprio volto. Fece un passo di lato, aprendo il braccio destro per
indicarle la via da percorrere, mentre il sinistro si avvicinava alle
spalle della donna per sospingerla nella medesima direzione.
Fu unicamente un lieve tocco quello delle loro pelli, ma le
bastò tale flebile contatto per avvertire il proprio cuore
cedere sotto una pressione interiore sconosciuta, della quale mai prima
di quel singolo attimo scolpito nello sciabordio di eoni aveva udito il
dirompente abbattersi in se stessa. Avrebbe voluto scuotere il capo per
scacciare improvvisi sussurri nati dall’istinto che affondava
nell’inconscio, ma si trattenne per mantenere
l’imperturbabilità della propria apparenza condita
con
lieve irritazione, per l’essere stata trascinata via dalla
propria
casa – ma mentre seguiva i passi di Loki, improvvisamente non
la
urtava più come in precedenza quel soggiorno inaspettato
nella
capitale.
Durante il tragitto Loki le rivolse saltuariamente la parola, non
perché ancora scosso dalla sua ricomparsa non calcolata
nella
propria vita, quanto perché desiderava studiare quanto fosse
diversa e fino a quale punto. Fortunatamente, escludendo
l’acconciatura e gli abiti da dama, appariva rivestita dello
stesso carattere fasullamente mansueto che conosceva, macchiato di una
sottile impertinenza e quel modo di fare quieto che aveva di affermare
qualsiasi cosa ritenesse di dover rivelare al mondo, anche se era
inappropriato, con la naturalezza con cui avrebbe asserito qualsiasi
altra cosa. E com’era sempre stata capace, sosteneva il peso
del
proprio sguardo senza compiere alcuno sforzo o avvertire il
benché lieve segno di disagio nell’essere
sottoposta a una
tale insistente ingerenza – perché tale era il suo
continuo tentativo di
scavare nelle cavità oscure degli occhi della donna alla
ricerca
di segreti indicibili. La sostanziale differenza, quella che rodeva
l’anima del dio degli inganni, era che perdurava a essere unicamente
uno sconosciuto per Sigyn,
quando in realtà era sempre stata la sola persona in grado
di
comprenderlo e accettarlo fino all’ultimo grammo di indecenza
di
cui era ripieno. L’accecante felicità che aveva
portato la
sua presenza si stava sgretolando sotto la consapevolezza rancorosa che
Sigyn non era se stessa –
non ancora
–, e che la punizione inferta da suo padre perseverava ad
esistere, fastidiosamente dolorosa come una spina conficcata
precisamente al cento del suo cuore.
Si arrestò di fronte alle porte delle stanze di sua madre,
bussando con l’educazione che riservava a Frigga e pochi
altri,
attendendo che la stessa lo invitasse a entrare. La trovò
seduta
sul terrazzo in compagnia delle tre dame[3] che da secoli la servivano
con adorazione, e quando il suo sguardo si alzò sul figlio e
la
figura della donna in sua compagnia fu abile nel trattenere per
sé la sorpresa sgomentata del ritrovare in
quest’ultima
Lady Sigyn.
«Madre, mio fratello ha portato a palazzo un’ospite
inattesa» spiegò Loki, scostandosi di lato per
permettere
a Sefa di procedere in avanti in modo da poter far la conoscenza della
regale
donna di fronte a sé. «Lady Sefa, vi presento mia
madre,
la Regina Frigga.»
«È un onore fare la vostra conoscenza»
asserì Lady Sefa prostrandosi in un inchino dovuto.
«L’onore è mia, Lady Sefa, è
un vero piacere
incontrarvi» ricambiò Frigga, appoggiandole una
mano sulla
spalla per invitarla a rialzarsi. Contenne il proprio stupore con
abilità d’attrice incredibile, riuscendo a gestire
alla
perfezione la prepotenza che la sua ricomparsa portava con
sé;
ma la Regina d’altronde era un’abile maga e
illusionista,
qualità che non appartenevano ad anime qualunque e che
necessitavano del terreno fertile di peculiari capacità
recitative per svilupparsi a dovere. E per Loki, che da lei aveva
ereditato molto più di quanto si sospettasse, non era
affatto
strano notare con quanta magistrale interpretazione sua madre non desse
alcun segno di sconcerto. «Loro sono le mie ancelle: Fulla,
Gná e Hlín. Si prenderanno cura di voi,
andate.»
L’invito della Regina fu espresso talmente garbatamente che
per
quanto Sefa ebbe in un primo momento l’impulso di rifiutare,
si
piegò sotto lo sguardo dolce e assecondò la sua
richiesta
seguendo le tre dame – cercando di ignorare gli sguardi
sgranati
con i quali indugiavano su lei, alla ricerca di qualcosa a lei stessa
ignoto –, scortata fino a quando fu possibile dallo sguardo
impassibile di Loki.
«Sei venuto a chiedermi come fare per restituirle la memoria,
ma
non è una risposta che devo darti io», Frigga
anticipò il quesito del figlio mentre gli faceva segno di
sedersi accanto a lei sulla panchina del terrazzo. Come quando era
piccolo e doveva dispensarsi in qualche consiglio, prese tra le mani
quelle di lui ora più grandi delle proprie, ma stringendole
con
lo stesso affetto con cui aveva sempre fatto. Avrebbe voluto essere
maggiormente d’aiuto; scorgeva il soffocante dolore di cui
era
afflitto e di cui non aveva intenzione di dar mostra, ma non spettava a
lei risolvere un simile mistero.
«È compreso anche questo nella punizione di mio
padre,
dunque» asserì serrando la mascella in una morsa
di
risentimento oscuro, abbeverato da un’ira scarlatta che non
poteva essere facilmente riassorbita, nemmeno sotto le carezze delicate
della madre.
«Tuo padre ha cercato di renderti chiaro che le tue azioni
hanno
ripercussioni che vanno oltre te stesso. E io ho acconsentito
perché ti fosse chiaro che non tutto può andare
secondo i
tuoi piani e non possiedi il controllo su tutto, ma che su
ciò sopra il quale lo possiedi andrebbe
adoperato», gli ricordò con la
stessa dolcezza con cui decenni prima aveva provato a spiegargli che
non avrebbe dovuto bruciare via tempo come se fosse eterno, pentendosi
in minima parte di non aver provato a dissuadere maggiormente il marito
da elargire una simile punizione a Lady Sigyn. A distanza di tanto
tempo, rimaneva certa
che insieme alla sofferenza, ciò avrebbe portato qualcosa di
buono per entrambi – occorreva solo la pazienza necessaria a
farlo nascere, e pregava che per una volta Loki fosse in possesso della
lungimiranza essenziale.
«Cosa cercate di dirmi, madre?»
«Lady Sigyn tornerà chi era, troverai il modo.
Posso suggerirti di restituirle la sua collana.»
«La vostra,
madre.»
«Non gliela diedi unicamente perché il verde le dona.
Ma da sola non sarà comunque sufficiente»
spiegò
Frigga, sollevando le sopracciglia in modo eloquente. Aveva aiutato il
fato fino al punto che le era concesso, ma non avrebbe potuto impiegare
maggiormente le proprie doti di preveggenza, il resto era nelle mani di
Loki – e trattandosi delle sorti di Lady Sigyn, era
sufficientemente certa che non sarebbe incappato in particolari
difficoltà.
Avrebbe desiderato ribattere ulteriormente, Loki, ma il ritorno di Lady
Sefa bloccò qualsiasi suo tentativo di ricercare indizi che
potessero essergli d’aiuto. Osservò propria madre
alzarsi
per andarle incontro con il sorriso amorevole con cui aveva sempre
trattato Sigyn, posando sulle sue spalle le proprie mani per
chiederle silenziosamente di girare su se stessa in modo da poterla
ammirare nel nuovo abito – verde come il prato primaverile.
«Siete incantevole, Lady Sefa. Non trovi anche tu, figlio
mio?»
«La treccia vi dona» asserì, senza
confermare
completamente l’affermazione della madre, ma apprezzando
l’idea delle tre ancelle di tessere nuovamente i capelli
scoloriti di Sigyn nell’intreccio che un tempo soleva sempre
tenere, per dispetto al desiderio di osservarla con i lunghi
capelli sciolti.
Quando si accomiatarono dalla Regina, ritornando a percorrere i
labirinti composti dai corridoi, rimasero con l’unico suono
dei
loro passi ad accompagnarli nell’arzigogolata piantina del
palazzo, passando tra sale e lunghi porticati. E ogni volta che
incrociavano qualcuno, Lady Sefa non riusciva a evitare di captare
anche in loro scorci di inquietante sorpresa a lei rivolta –
e a
un certo punto, presa dall’incomprensione di una tale
situazione,
si chiese sarcasticamente se forse non fosse soltanto tutto frutto
della sua immaginazione, per quanto insensata era la piega intrapresa
dagli eventi. Prima che potesse tornare sull’argomento delle
ragioni per cui era stata condotta a corte, Loki interruppe il delicato
silenzio.
«Mia madre mi ha chiesto di darvi questa, crede che vi
starebbe
bene», estrasse dalla tasca dei propri pantaloni la catena
d’argento al quale era appeso un ciondolo a goccia in cui uno
smeraldo vi era incastonato. Si piegò su di lei per
potergliela
appendere al collo, ma le sottili dita della donna lo bloccarono prima
che potesse completare l’operazione, rimanendo intrappolato a
ricambiare lo sguardo saturo di contrastanti sfumature della donna a
un'effimera distanza
– scorgeva una sottile ansia, mista
all’incomprensibilità della situazione nella quale
era
finita e lo stupore crescente, ma anche schegge ardenti nel scivolare
sulle proprie sottili labbra.
Comprese che sua madre aveva ragione, non sarebbe trascorso molto prima
di trovare un modo per recuperare le sue memorie, perché
esse
erano lì, incastrate
tra la razionalità dell’evidente e
l’irrazionalità della sua anima
– doveva semplicemente trovare un modo per farle compiere un
passo oltre una sottile barriera, fatta di nebbia a offuscarle chi
davvero fosse.
«Non posso accettar-»
«È
un prestito
fin tanto che starete qui, non un regalo. Non toglietela» le
ordinò, sfuggendo alla presa di lei fino a portare le
proprie
braccia attorno al suo collo per agganciare la catenina, con lentezza,
sfiorando di proposito la pelle delle spalle con brucianti carezze
accidentali nella loro noncuranza calcolata. Ritrasse le mani da lei,
ma perseverò a rimanere con soli alcuni minimi centimetri a
separare i loro copri – ne
avvertiva il calore, il profumo della pelle, i riflessi dispersi nelle
iridi di oscurità liquida.
Il tremito a cui era sottoposta era unicamente interiore. Lady Sefa
avvertiva il proprio cuore battere come se si fosse trovato in un
roseto selvatico e ogni spostamento lasciasse un nuovo graffio; era un
dolore spinoso quello che le causava stargli vicino, eppure non
desiderava in alcun modo scostarsi dalla sua presenza.
«A chi apparteneva?» domandò incuriosita
–
forse perché scorse una nota di amarezza in lui, o forse per
evitare di lasciare un silenzio pressante a unirli.
«Non ha avuto una sola proprietaria» rispose
criptico,
tirandosi finalmente indietro di mezzo passo e lasciandola libera di
respirare con maggior semplicità, non più
costretta
dall’attenzione lacerante con cui ricambiava il suo sguardo
– troppo impegnata a cercare di carpire certezze negli occhi
smeraldi di lui per potersi concedere il lusso anche di inspirare ed
espirare
regolarmente.
«Perché sono qui?» chiese infine,
scuotendo il capo,
perché per quanto sembrasse avere un senso la sua permanenza
a
palazzo, non riusciva a scollarsi di dosso la sempre più
crescente impressione di essere vittima di un raggiro. Qualcosa le
sfuggiva, qualcosa che aveva a che fare con i modi con cui Thor e gli
altri l’avevano scrutata con stupore raggelato al loro primo
incontro, e forse anche con il motivo per cui sentiva quella
strisciante sensazione ad avvilupparle l’intestino da quando
aveva incontrato Loki.
«Perché partecipare all’incoronazione di
mio
fratello da una prospettiva privilegiata» asserì
con
ovvietà teatralmente ostentata, riprendendo a camminare con
la
certezza che lei lo avrebbe seguito – e così fu.
«No, intendo perché sono qui davvero»
perseverò, incapace di rassegnarsi. Era del tutto folle,
irrazionale e ai limiti dell’incredibile, ma era convinta di
non
starsi sbagliando, per quanto Loki fosse del tutto convincente nel
mostrarsi divertito davanti alla sua cocciutaggine apparentemente
sciocca, essendo basata sull’assenza di fatti concreti che
potessero avvalorare la sua tesi.
«Cosa vi fa credere che ci sia un’altra
motivazione?»
«Prima di tutto, non sono una provveduta e anche se
è
puramente istinto a guidare le mie parole, avverto chiaramente che
qualcosa non quadra. In secondo modo, mi guardano tutti in modo strano,
ad eccezione di voi e di vostra madre.»
«Non mi pare di aver scorto nulla di così
stravagante e io sono molto attento.»
«Non abbastanza allora. I loro sono gli sguardi di chi vede
uno
spettro» replicò intessendo nella calma esteriore
una
forza di cui Loki ricordava l’esistenza nelle loro passate
discussioni. Sigyn non perdeva facilmente la serenità dei
suoi
gesti e parole, nemmeno quando era lui stesso a gettarla sul precipizio
della più profonda irritazione unicamente per scorgerla
mossa da
passioni che sapeva gestire con più destrezza di qualsiasi
altro
essere vivente. La sua anima era intessuta di una pacatezza che perdeva
solo quando era il ritmo ardente dell’amore a guidarla, ed
erano
state invece tanto saltuarie le occasioni in cui si era adirata da
ricordarle tutte quante.
«Credo che se gli spettri fossero come voi, andrebbero a
chiedere
a Hela di prenderli subito con sé»
asserì con
malizia, squadrandola come se avesse potuto toglierle gli abiti
esclusivamente con lo sguardo – sogghignò nel
vederla
sussultare, ma non insistette ulteriormente su quella via, non per quel giorno.
Avrebbe avuto modo di attirarla a sé con la calma delle
giornate
successive, per ora voleva accontentarsi di averla ritrovata prima del
tempo. «Non correte troppo con la fantasia, e assecondate i
desideri di mio fratello, qui tutti fanno così e non sarete
voi
a mutare le cose.»
«In realtà, principe, a me pare di essere relegata
qui per
ragioni che vanno al di là di vostro fratello», e
nell’effetto della propria controreplica, a Lady Sefa parve
di
cogliere una nota di soddisfazione sul volto di Loki – e lo
era,
perché com’era stato fin dal loro primo incontro,
lei
pretendeva di avere l’ultima parola e a volte lui gliela
concedeva come in tale caso, preferendo continuare a passeggiare in sua
compagnia nel silenzio intimo della non necessità di
ulteriori
chiacchiere.
M A N I
A’ s W
O R D S
Ed eccomi qui, con l’aggiornamento ~
Dovevo pubblicare ieri, lo so, ma purtroppo ieri dopo lo studio mi sono
autodistratta chiudendomi sugli spoiler e poi sulla diretta alle due di
notte delle due puntate finale della terza stagione di Once Upon a Time
- E OMMIODIO I MIEI FEELS DI FANGIRLS, non so quanto di voi lo seguano,
ma io sono così felice per il finale di stagione.
Tornando all'argomento principale, invece, parto con il dire che questo
capitolo è stato betato
frettolosamente, nel senso che l’ho riletto solo tre volte
quando
solitamente rileggo almeno otto/nove volte – ma se avessi
fatto
ciò che faccio solitamente, probabilmente vi sarebbe
arrivato
tra un mese o due, quindi ho evitato, spero possa andarvi bene comunque.
Ora, in realtà questo capitolo ha poco su cui devo
sproloquiare,
strano a dirsi. Si sono ritrovati, che volete di più? Le
memorie
di Sigyn, sì, lo so, con calma, dai. Per di più
si sono
rivisti prima di quello che Loki aveva previsto, quindi esultiamo, che
se avessimo lasciato fare a lui ci sarebbe voluto un po’ di
più – o forse no, chissà.
Spero che sia chiaro che all’inizio Loki ha condotto
interrogatori unicamente per salvare l’apparenza. Sapeva
benissimo che non avrebbero condotto a niente, ma doveva farli
–
e almeno aveva una scusa per evitarsi l’inseguimento.
Giungendo alle note:
[1]
• Io ve lo specifico
sempre che questo è il nome del pianeta su cui vivono tutti
quanti e che Asgard è unicamente la capitale, con la quale
si
identifica l’intero Regno visto l’importanza, e
giusto che
dalla prossima volta non ve lo scrivo più in nota
perché
penso di avervi rotto sufficientemente le scatole con tale
specificazione.
[2]
• Per chi non avesse
letto la raccolta precedente, Loki ha sempre avuto una certa attrazione
per i capelli di Sigyn, che lei prima tagliava e poi si è
fatta
crescere su suo ordine, ma tenendo sempre la treccia per evitargli di
ammirarli sciolti. È una ragazza simpatica.
[3]
• Nella mitologia norrena, Frigga ha tre ancelle di compagnia.
Nota del tutto irrilevante, personalmente Thor me lo sono immaginato
come un bambino di cinque anni che sta per scartare il regalo
più bello della sua intera esistenza, all'inizio quando
porta
Loki da Sefa/Sigyn, ma voi siete liberi di dargli un contegno migliore
- infatti non ho calcato troppo le descrizioni al riguardo per tale
motivo x°D
Ah, e anche Loki, per quanto sia profondamento turbato dalla presenza
di Sigyn, è unicamente interiore. Esteriormente è
veramente impercettibile il suo stato d'animo se non agli occhi attenti
di chi ci ha vissuto un'intera vita assieme, ecco. Spero che sia
chiaro, ma sapete quanto io sia pignola senza motivo.
Detto questo io come al solito mi prostro davanti a tutti voi che
seguite la storia, perché mi date un incredibile supporto e
io
vi adoro immensamente. Dunque ringrazio tutti coloro che hanno
commentato lo scorso capitolo – siete tutte gentilissime, e
io vi
adoro, per ciò vi costruirò una statua di Loki in
casa
(?) – e chi ha inserito la storia tra le
preferite/seguite/ricordate. Inoltre, una menzione speciale a Loki94 e Yoan Seiyryu per
aver recensito anche la one-shot “La
neve, lei se ne frega”,
che comunque è contemplata nella serie di cui fanno parte
sia
questa storia sia la raccolta precedente – ovvero “La
fedeltà sboccia da un cuore di sale”.
Al prossimo capitolo, che con la sessione d’esame alle porte
non so quando arriverà, ma
arriverà.
Un abbraccio,
Mania
|
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Capitolo 4 *** O4 • Nomi impronunciabili ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O O
4
▬
“ Nomi impronunciabili
„
{ Vivere.
Quanto
ti costa vivere
con
tutti i sogni che scorderai,
con
tutti i segni che porterai. }
Vivere –
Cristiano De André
Era stata una decisione indiscutibile quella presa da Loki nei vuoti
anni precedenti, una di quelle irrazionali e sbagliate persino ai suoi
occhi gelidi, ma nessuno aveva provato in alcun modo a smuoverlo o
discutere una simile presa di posizione. Tutti, nessuno escluso,
avevano ubbidito come se fosse lui il Re almeno in quel frangente,
perché per quanto le scelte importanti non dovessero essere
prese quando si perdeva qualcosa, alcuno avrebbe mai potuto
né avere il coraggio di contraddirlo né si
sarebbe sentito di biasimarlo.
Il nome di Lady Sigyn
era stato bandito, impronunciabile fino a quando
lui non avrebbe decretato il contrario. Il Padre degli Dei aveva quasi
tentennato sotto tale presa di posizione, una parte invisibile a
chiunque – tranne alla propria Regina – si era
quasi avvicinato alla possibilità di tornare a ridiscutere
la punizione inflitta alla donna e a suo figlio. Aveva desistito
unicamente perché continuava a conservare speranze riguardo
alla possibilità che potesse rivelarsi utile, ma soprattutto
era consapevole che non si sarebbe protratta all’infinito una
tale pena. Così anche lui aveva accettato la decisione di
Loki, ratificandola all’intero Regno per renderla legge e tra
i muri del palazzo non venne più sillabato il nome di Lady
Sigyn – se non negli antri, al riparo dalle orecchie del
giovane principe; se non dal principe stesso a sé, nel cuore
della notte in cui poteva coltivare il proprio rancore.
E sarebbe dovuta rimanere inalterata tale situazione anche con
l’arrivo di Lady Sefa, o almeno Loki avrebbe preferito che
ciò non mutasse l’immobilità al quale
aveva incatenato tutti con la sua scelta deleteria. Non era stato
spinto dal dolore, ma dalla rabbia liquida, viscerale, che aveva
provocato non solo Odino con la sua condanna, ma anche Sigyn stessa con
la sua incapacità di tenere a freno la lingua – e
gliela avrebbe fatta pagare anche a lei, in un modo diverso rispetto a
tutti gli altri, ma non le avrebbe permesso di uscire da quella storia
con meno lividi e cicatrici di quanti ne avesse dovuti sorbire lui.
Tuttavia, al momento era più interessato a trovare un modo
per farle recuperare la memoria. Prese in considerazione solo per un
attimo l’idea di mettersi a raccontarle la verità,
e lo fece solo sospinto dalla stupida leggerezza di Lady Sif, ma
accantonò l’idea – perché
appariva del tutto insensata, poco appropriata a se stesso, a loro.
L’idea migliore era farle sorgere dei dubbi, la migliore
tattica era spingerla ad alimentare la sua impressione iniziale sulla
stranezza degli sguardi altrui e in un certo senso, alla fine,
l’intervento inaspettato della dea della guerra non si
rivelò così inadeguato rispetto al suo iniziale
giudizio.
Avvenne due settimane e più dall’arrivo della
donna a palazzo, giorni che erano trascorsi in modo del tutto similare
l’uno all’altro. La banalità degli
stessi però era unicamente apparente, almeno per Loki e per
la protagonista – se non unica, quanto meno principale
– dei suoi pensieri. Erano stati lavati via
dall’incessante scivolare via degli astri, susseguendosi con
il medesimo cerimoniale di incontri fasullamente casuali tra i due,
alla ricerca l’uno dell’altro con
l’accortezza di Sefa di non rivelare
quell’insensato desiderio di avere per sé la
compagnia del principe minore, e con il bruciante sguardo di
quest’ultimo a scrutarla come un predatore famelico
– non aveva alcuna intenzione di nascondere almeno parte
della natura delle sue intenzioni verso di lei, forse per scoprire se
anche ridotta in quelle circostanze si sarebbe rivelata totalmente
priva del raziocinio di chiunque altro, e avrebbe perdurato a rimanere
con lui nonostante il pericolo rappresentato. Ma Lady Sigyn era nata
senza le normali inclinazioni di autoconservazione e con uno spiccato
senso alterato di ciò che potesse davvero risultare
concretamente una fonte di guai, e anche scevra dei ricordi che
l’avevano forgiata come tale, perdurava nell’essere
del tutto insensibile alla nascita di una forma di timore nei riguardi
di Loki.
Dopo il passo falso di Lady Sif, tratta in inganno dalla confidenza che
Loki elargiva a Sigyn e dai sorrisi dell’ultima, il silenzio
era calato tra i passi che condussero nei giardini riservati alla
famiglia reale. Solitamente, anche quando non sprecavano parole, non vi
era alcun genere di tensione o aspettativa, ma in quel caso Loki
scrutava l’irrequietezza negli occhi neri della donna,
cruciati da un quesito che gli sarebbe stato posto a breve –
troppo martellante nel suo petto, accresciuto da una consapevolezza
perduta nelle memorie che non possedeva più, ma di cui
avvertiva il fantasma perdurare sulla propria mente.
«Chi è?» si decise infine a domandare,
con un nodo fissi al cento della trachea da ingoiare e il tentativo di
non mostrare quanto profondo fosse il suo interesse per la risposta.
«A chi vi riferite?» domandò di rimando
Loki, pur sapendo benissimo a cosa alludesse, desideroso di protrarre
la sua agonia ai massimi livelli e rendere tanto assordante quel nome
da provocarle almeno un po’ del tormento che aveva causato a
lui. Ora che ripensava a come Lady Sif fosse stata tanto imprudente e a
quanto avesse desiderato strapparle molto più che i capelli
per punirla per una tale leggerezza, sorrideva quasi con soddisfazione
per quello che era stato l’inizio di uno stillicidio che
avrebbe perseguitato Lady Sefa.
«Sigyn!», Sif si morse la lingua una frazione di
secondo dopo l’aver pronunciato ad alta voce il suo nome. Le
era risultato del tutto impossibile frenarsi, quasi fosse stato un
miraggio davanti al quale le parole risalivano dalla gola con la
naturalezza dello stupore infarcito di speranza.
Lady Sif aveva sempre avuto una cura particolare
nell’intessere la sua amicizia con Lady Sigyn, per via di
molte ragioni banali a occhi inesperti, ma che per lei avevano avuto
– e continuavano ad avere – un grande valore.
L’incapacità di comprendere fino a fondo Sigyn non
era mai stato un problema, solo un enigma che sapeva di non poter
risolvere – non lei, almeno –, ma
l’affabilità e la signorilità femminile
con le quali aveva fuso insieme la grazia di essere donna
all’arte della guerra erano un raro spettacolo. Poche persone
avrebbero potuto comprenderlo davvero fino in fondo, e forse Sif, dea
della guerra, poteva scorgere la magnificenza di un simile spettacolo
proprio perché lei sola prima di Sigyn aveva portato un
simile miracolo nell’universo.
Quindi, nel vederla passeggiare con Loki come se mai niente fosse
avvenuto, come se non avesse sofferto la perdita dell’amica
– come se lui non l’avesse patita molto
più di quanto Sif potesse solo ipotizzare – e lei
fosse da sempre rimasta lì con tutti loro, a trascorrere le
sue giornate dividendosi tra la compagnia del dio degli inganni e un
allenamento, non riuscì a trattenere le proprie labbra.
Comprese il proprio errore ancora prima di ricevere
l’occhiata penetrante di ira di Loki, scorgendovi dentro una
scintilla che prometteva ripercussioni orrende per quel passo falso, e
sapeva precedentemente all’intessere la propria bugiarda
scusa, da cucire come pezza, che non avrebbe retto. Non era lei quella
brava a muoversi tra le menzogne, era Sigyn a sguazzarci dentro con la
stessa maestria innata con cui trafiggeva gli avversari. «Oh,
Lady Sefa, scusatemi, da lontano assomigliavate a una mia vecchia
amica, perdonatemi. Vi trovate bene a palazzo?»
«Mi troverei meglio a casa mia.»
«Non ne rimarrete lontana per molto, solo fino
all’incoronazione» replicò Lady Sif
cercando di apparire il più naturale possibile, ignorando
per quanto le fu possibile l’insistenza degli occhi di Loki a
rimproverarla silenziosamente per aver osato rompere il suo ordine.
«Un giorno dovete venire ad allenarvi con me, Lady Sefa, ho
notato una certa attitudine allo scontro e sono interessata a mettervi
alla prova.»
«È un’idea molto allettante, ci
penserò», e anche se la sua risposta venne
pronunciata con sicurezza, priva di esitazioni apparenti, vi fu
qualcosa di invisibilmente strano nel ricevere un tale invito. Un
elemento che non sapeva scorgere concretamente, un altro ad accrescere
il senso irrazionale di sbagliato nell’intera vicenda
– ed era assurdo pensare a come la proposta di Lady Sif
sembrasse un dejà vu smarrito chissà in quale
anfratto della memoria, forse un sogno in cui aveva giocato a fare
anche lei la guerriera e ora le tornava in effluvi evanescenti. Ma per
quanto l’ipotesi potesse sembrare accettabile, semplice e
logica, Lady Sefa avvertiva che non erano collocate in
quell’ordine le cose – troppo pesante era la
percezione di disallineato di cui portava la mole.
E ancora maggiore era tale istinto nei confronti di quel nome e della
bugia che ne aveva fatto da contorno – troppo maldestramente
gettatagli attorno perché una persona come Sefa, abituata a
sguazzare tra le menzogne altrui e le proprie, non se ne accorgesse. E
per quanto non avesse mai provato repulsione o giudicato infimo far uso
di manipolazioni della realtà, e in egual misura non si
fosse mai sentita offesa da un tale utilizzo delle distorsioni prodotte
dagli altri, in quel caso aveva provato una fitta al petto immotivata.
Quel nome continuava a strattonarle l’anima, avvinghiarsi con
lunghi artigli nelle corde del suo cuore e suggerirle che vi era
qualcosa di importante da scoprire, qualcosa che lei doveva conoscere
– che per quella volta, più delle altre, avrebbe
dovuto intestardissi sullo sbucciare le parole menzognere per giungere
alla ragione ti tale sensazione.
«Sigyn».
«Ve lo ha detto, si è confusa»
asserì Loki, ampliando gli angoli della bocca in un sorriso
serafico intriso di frammenti melliflui a rilucere sotto i raggi caldi,
sotto i quali passeggiavano con la tranquillità di chi non
aveva fretta di veder scorrere via la giornata. Il dio degli inganni
scorse chiaramente sul volto della donna l’inesistente
convinzione che le sue parole le avevano reso unicamente più
forte, e non perché lui non fosse abile
nell’apparire sincero quando non lo era, ma perché
Sigyn anche come Sefa era abituata a muoversi con incredibile destrezza
tra le illusioni create dalle parole.
Istillarle maggiormente il dubbio, accrescere la sua sensazione che
qualcosa non andasse era ciò che avrebbe fatto. Voleva
vederla struggersi per tale situazione, contorcersi nel cercare di
venire a capo di un dilemma irrazionale, spingerla a commettere azioni
a catena prive di appoggi razionali, fino a vederla sull’orlo
del precipizio su cui si sarebbe dovuta scontrare con le ipotesi
impossibili dopo che quelle sensate erano state bruciate via. E nel
mentre avrebbe atteso, l’avrebbe osservata e si sarebbe preso
qualche pedaggio per quel dolore che era doverla perdere e riavere,
senza che ai suoi occhi di liquida notte apparisse come
l’uomo di cui lei era innamorata e che aveva amato come mai
nessun altro avrebbe mai potuto.
«E chi sarebbe questa Sigyn?» persistette, conscia
che mai avrebbe davvero ottenuto una risposta da lui – ma
avrebbe insistito, testarda, perché anche Loki doveva avere
una fenditura nella quale insinuarsi e Sefa intendeva provarci. Voleva
penetrare in quella cortina di fumo di menzogne e illusioni, voleva
osservare cosa vi fosse sotto e scoprire se almeno in quel modo avrebbe
compreso per quale motivo si sentisse tanto ammaliata –
affascinata in modo eccessivamente profondo – da qualcuno che
non aveva mai incontrato prima – perché per quanto
la sensazione di già vissuto anche con lui si fosse infissa
nella corteccia della sua mente, provocandole una martellante
sensazione di disagio, non poteva accettare che lui appartenesse a quel
periodo dimenticato. E poi, se così fosse stato,
perché non avrebbe dovuto farne cenno lui stesso? Ma Sefa
conosceva la risposta, era nel titolo di cui si fregiava tanto
superbamente – per
via di un inganno.
«Una vecchia amica di Lady Sif, come da lei
spiegato.»
«Non mi state davvero rispondendo»
constatò l’ovvio Sefa, alzando un sopracciglio
contrariata.
«Vi aspettavate qualcosa diverso dal dio degli
inganni?» domandò ridendo Loki, fermandosi davanti
alla marmorea ringhiera che li separava dallo strapiombo oltre il quale
si estendeva la città di Asgard.
«Qualcosa di meglio, sì» lo
provocò, condendo la propria affermazione con un sorriso
sghembo e occhi schiacciati sotto sopracciglia in uno sguardo di sfida.
«Sei sfacciata» asserì divertito,
perché anche senza le sue memorie, Sigyn rimaneva
incredibilmente incapace di conoscere un limite oltre il quale non
sporgersi con lui – e in generale, nella vita. Era
incuriosito dal conoscere se tale suo atteggiamento in quel frangente
fosse cosciente di quanto lui fosse pericoloso o si protrasse
nell’inconsapevolezza di quanto fosse fitto
l’abisso in cui dimorava. E qualsiasi circostanza fosse, lo
trovava infinitamente divertente e lacerante assieme. «Se ti
interessa così tanto, puoi provare a scoprirlo. In fondo,
non hai alcunché di meglio da fare.»
Provocare Lady Sigyn era sempre stato rischioso, l’ultima
volta che l’aveva incitata a fare qualcosa – a
impressionarlo – era finito a ritrovarsela fusa
alla propria
vita, indissolubilmente avvinghiati al medesimo destino. Non se lo
sarebbe fatta chiedere due volte, avrebbe colto le sue parole nei modi
più estremi e lui avrebbe solo dovuto attendere come e
quando avrebbe compiuto qualcosa di sconsiderato – sperando
che lo fosse abbastanza per provocarle altre crepe di insicurezza su
una patina di logica, che conduceva lontano dalla verità.
Come previsto da Loki, Lady Sefa trovò unicamente un
ulteriore incentivo nelle sue sillabe. Desiderava scoprire fino a che
punto avesse ragione sulla sua permanenza a palazzo, fino a quale
livello lei fosse lì costretta, e si sarebbe anche occupata
di ricostruire il misterioso quadro attorno alla figura di Lady Sigyn
– una spina conficcata nelle profondità della
carne, per quanto piccola era impossibile allontanare il pulsare della
sua presenza. Passò l’intero pomeriggio, dopo aver
osservato Loki allontanarsi con un sorriso di elegante provocazione, a
parlare con quante più persone riuscisse a trovare in giro
per il palazzo – finì addirittura nelle cucine pur
di poter trovare nelle espressioni di chiunque ricevesse la sua
domanda, la medesima reazione. Più scrutava nei loro
lineamenti quella stessa contrattura muscolare, più
necessitava di trovare qualche d’un altro che le mostrasse il
ripetersi dello stesso meccanismo.
Non era semplice stupore per il quesito, e non vi era solo compassione
sul suo fondo. Vi era un mordersi la lingua nel fingere di non sapere
di cosa stesse parlando – come se per magia fosse impossibile
da pronunciare e parlare di quella misteriosa donna.
Era troppo per una mente razionale, stava affondando in un territorio
in cui qualsiasi collegamento dettato da connessioni logiche svaniva.
Per inclinazione naturale, Lady Sefa non era mai stata succube di
pulsioni e da esse non era mai stata guidata in una scia di azioni
insensate, perché il controllo che aveva dei propri
sentimenti e del proprio cuore era sempre stato sufficiente a tenerla
legata a uno stato di quiete dolce e fredda assieme – non vi
era un distacco drastico dal mondo, non vi era apatia per le emozioni,
semplicemente le gustava con la pacatezza della serenità.
Dunque era assai incredibile che sentisse il proprio petto ricolmo di
una frenetica rabbia come in quella notte.
Cercò di scappare da palazzo unicamente per sfogarsi, per
provare a se stessa che forse erano tutte sue fantasie e in
realtà non vi era nulla di quella situazione che la
riguardasse da vicino, che lei si trovava lì davvero
unicamente per assistere alla cerimonia di incoronazione di Thor e
beneficiava dei servizi di palazzo come ricompensa per averlo aiutato.
Ma poi venne fermata dalle guardie, apparse dal nulla, ricondotta in
camera e pregata di rimanervi, e così seppe che non stava
esagerando, che in fondo a quella matassa di elementi scollegati vi
doveva essere qualcosa ad unire il tutto. E quando gridò
anche a loro di dirle chi fosse Lady Sigyn e scovò nei loro
occhi quella segretezza di cui aveva potuto osservare la presenza anche
negli altri, si convinse che doveva essere lei – solo lei,
sempre lei – a dare un senso
all’incredibile
faccenda in cui si era ritrovata.
Almeno, la sua mossa azzardata le aveva fatto placare lo spasmo di ira
che l’aveva scossa e la calma era tornata a rilassare le
acque della sua anima, lasciando i maremoti sommersi e la
determinazione ad affiorare. Avrebbe scoperto chi era Lady Sigyn, lo
giurò alla notte e lo avrebbe sbattuto in faccia a Loki,
colpevole di non volerla aiutare, di averle voltato le spalle, di
tacere e di riempire impunemente il suo cuore con desideri
inconfessabili quanto irrazionali.
E nei risvolti delle tenebre ricolme di segreti inconfessabili, in un
punto lontano dal palazzo reale e da Asgard, sotto i rivoli di raggi
lunari a trapelare tra le foglie del bosco Myrkviðr[1], un uomo
incappucciato a sorreggere i propri passi con un bastone nodoso di
pregiato mogano, si inoltrava tra i tronchi per un appuntamento che non
avrebbe condotto con le proprie sembianze, con la propria presenza e
con la propria voce.
Avrebbe mosso la propria pedina, costruita con tanta dedizione per
occultare la sua identità, tenendosi segretamente a
distanza, grazie all’ausilio delle abilità magiche
ormai accresciute oltre le aspettative di chiunque – e tenute
nascoste nelle potenzialità da lui sviluppate autonomamente,
per poter essere in grado di tessere la propria ragnatela con la
lentezza febbricitante, per l’impazienza di vedere insetti
finirvi impigliati dentro.
I quattro ladri che erano entrati nella sala delle reliquie di Odino,
prima di tentare una simile impresa sconsiderata, si erano recati a
cercare consiglio dall’oscuro eremita che viveva tra le
montagne a Nord di Asgard. Una figura di cui molti sussurravano e che
raramente qualcuno aveva avuto modo anche solo di scorgere, ma nelle
diverse dicerie popolari che si insinuavano tra le
chiacchiere delle locande, vi era quella che lo dipingeva
come conoscitore di qualsiasi nascondiglio, passaggio, crepa e anfratto
del Regno. Per tale ragione Loki aveva spinto quei poveri imbecilli,
travestendosi da vari popolani, a recarsi da qualcuno che non esisteva
e di cui aveva preso il posto, in modo da guidarli verso
Myrkviðr senza faticare eccessivamente – e con il
bottino nelle loro avide mani.
«Tu!
Demone impostore-»
«Impostore?», la voce alterata del primo brigante
che aveva inveito venne prontamente interrotta da quella perentoria
dell’anziano. L’eremita incappucciato, dalle mani
rugose e il passo malfermo, aveva la potenza nelle parole, una
capacità di renderle armi nella propria bocca, e gli
bastò porgere un simile interrogativo stridulo e gracchiante
per riportare al silenzio ovattato Myrkviðr. Solo i lievi
sussurri provocati dal vento avvolgevano i cinque uomini – di
cui uno piegato in due, ferito a un fianco –, di rado
cosparsi dai versi della fauna oscura che abitava in quel bosco
– un mondo a parte, dimenticato dai più, in cui
pochi valorosi avevano il coraggio di spingervi.
Loki nelle vesti dell’uomo dal volto coperto
lanciò a uno degli altri una fiala contenente un unguento,
da usare sul malcapitato che aveva incontrato la destrezza della spada
di Sigyn, che per quanto monca della propria memoria, rimaneva abile
nel destreggiarsi con le lame. Non che gli servissero tutti e quattro
vivi, ma doveva mantenere l’apparenza di volerli aiutare come
aveva promesso, e per tale ragione, dopo aver calcolato il giusto
quantitativo di assenza di parole, riprese. «Vi ho detto come
seminare i vostri inseguitori, e li avete seminati. Le mie
raccomandazioni vi sono state d’aiuto come avevate richiesto,
se siete degli inetti non è mia la colpa.»
«Il nostro piano di fuga era il vostro misterioso
passaggio,
e non lo abbiamo trovato» obbiettò un altro, con
la furia di chi riversa sugli altri i propri errori senza comprendere
di aver sbagliato – e se solo non fossero stati a lui utili,
Loki li avrebbe immediatamente uccisi, per l’impertinenza
ottusa con cui si stavano comportando.
Aveva spinto nei molti mesi precedenti quella piccola banda di briganti
a provare un colpo più arduo di quanto le loro menti
potessero da sole progettare. Li aveva motivati inconsapevolmente,
depredandoli di ogni avere durante le ore più buie e
impedendo gli scambi di refurtiva minore con trucchi e imbrogli, in
modo da spingerli sull’orlo della disperazione –
solo così avrebbero avuto quel tocco di follia che occorreva
loro per gettarsi in un’azione sconsiderata, come quella di
rubare a Odino stesso. E proprio mentre stavano per affondare nei
debiti, mentre ogni speranza di poter riavere una vita dignitosa per
sé e le loro famiglie stava per scomparire, aveva fatto in
modo che si cominciasse a sussurrare maggiormente
dell’eremita delle montagne, a cui si sarebbero poi rivolti
per assistenza – ovvero a Loki medesimo.
«Questo perché non siete furbi come pensate.
Provate a seguire intelligentemente le miei indicazioni questa volta,
perché le Guardie Reali continuano a setacciare ogni palmo
del Regno e non ci sarà pace per voi se non nel cuore di
Myrkviðr».
Aveva passato la seguente ora a elargire loro nuove indicazioni su come
raggiungere la fenditura, attraverso la quale avrebbero scoperto quel
rifugio al quale tanto agognavano, e nel quale avrebbero potuto anche
trovare un modo per piazzare la refurtiva da loro sottratta tanto
abilmente – o tanto facilmente, visto l’aiuto
interno ricevuto.
Si chiese per quanto ancora avrebbe dovuto far affidamento su persone
tanto insignificanti, e mentre faceva evaporare via la propria
illusione, abbandonando lo scenario tetro del bosco per ritornare a
passeggiare tra i corridoi del palazzo, con la mente libera dalla
fatica di muovere la propria proiezione a una simile distanza,
rimpianse una volta in più la perdita di Sigyn –
molto più di un’alleata, e l’unica
capace di eseguire quel tipo di compito senza sbavature.
La scorse, sorprendentemente, ancora sveglia nonostante persino la luna
si stesse decidendo a scivolare via dal cielo, calando per lasciare le
tenebre più fitte nelle ore più prossime
all’alba. Gli dava inconsapevolmente le spalle con il volto
rivolto all’orizzonte, senza davvero prestargli attenzione,
con la testa perduta in mondi che non erano quello in cui teneva i
piedi.
«Vi aggirate furtivamente di notte per qualche
ragione?», la colse alla provvista, con le mani appoggiate
alla ringhiera di marmo di uno dei molti terrazzi del palazzo. Fu solo
lieve il balzo che la propria domanda improvvisa, posta sbucando fuori
dai reflussi di ombre annidate nella notte, le provocò e fu
lento il suo voltarsi verso di lui per ricambiare lo sguardo.
«Forse sono le stesse vostre, principe», sorrideva
tenuemente, stanca ma decisa a resistere alle ore dominate dalle stelle
per godersi una tranquillità nella quale sperava di trovare
un modo per giungere al traguardo che si era prefissata. Non vi era in
lei più traccia di quella rabbia accecante in cui si era
ritrovata catapultata nel pomeriggio, ma come sua abitudine era
ammantata dell’irrefrenabile determinazione scevra da istinti
indomabili, quieta e per questo maggiormente pericolosa per la
capacità di calcolo.
«Oh, per quanto sarebbe assolutamente interessante se
così fosse, purtroppo reputo che le vostre motivazioni siamo
banali» replicò ridendo appena, portandosi da
parte a lei. Era strano vederla con i capelli sciolti, aveva desiderato
tanto ardentemente potere ammirare quei capelli tanto chiari da
sembrare di luce condensata liberi da vincoli, ma ora che Sigyn li
portava senza più intrecci unicamente perché non
ricordava di dovergli arrecare dispetto, la cosa lo indisponeva.
Avrebbe preferito che tenesse la treccia che le ancelle della madre le
avevano intessuto, e avrebbe desiderato maggiormente essere lui stesso
a snodarla – ma non si privò di far passare le
proprie dita tra di essi.
La sorpresa per l’essersi preso una tale libertà
fu rapida a formarsi sulle sue gote in lievi pozze di rossore,
così fu altrettanto veloce a scomparire, sotto la
determinazione di non mostrarsi in alcun modo una sua vittima. Lady
Sefa cercò di mascherare quanto meglio potesse non
l’incredulità nel sentire le falangi del principe
scorrere tra i lunghi fili lisci della propria chioma, ma quanto
trovasse piacevole e naturale un simile gesto – un gesto che
avrebbe dovuto invece sembrarle eccessivamente confidenziale, troppo
intimo per due che si erano conosciuti da appena due settimane.
«Cerco di seminare le guardie» rispose per
ingannare l’emozione, nascondendola con le sue
capacità recitative da grande attrice.
«Vi da così fastidio rimanere a palazzo?»
«Mi infastidisce non sapere il perché, quello
vero. Mi infastidisce sentirmi praticamente prigioniera. Mi
infastidisce che nessuno mi risponda su chi sia Lady Sigyn»
asserì senza alcuna recriminazione nei suoi riguardi. Non
voleva che prendesse le sue parole per un’accusa personale,
concedendogli così la possibilità di usare un
rimprovero tanto poco sensato come pretesto per andarsene.
«Sapete, ogni volta che lo chiedo a qualcuno ha la medesima
reazione: si irrigidisce, mi guarda con compassione e un pizzico di
sconcerto prima di scuotere il capo. È stato proibito da
qualcuno di parlarne?»
«Siete irrazionalmente ossessionata a un nome.»
«Io sarei quella ossessionata? Non chi si rifiuta di
rispondermi?» replicò modulando la voce con
attenzione, lasciando trasparire più ilarità
ironica che risentimento per il tentativo di farla passare per una
visionaria. «E voi? Nemmeno voi mi rispondete?»
«Potrei rispondervi, ma non comprendo la vostra
curiosità.»
«Anche voi, dunque, siete come gli altri. Vi sottomettete a
questo silente ordine di tacere. Mi
avete deluso.»
Si piegò su di lei fino a ridurre in briciole la distanza
tra di loro, con un ghigno a tessere espressione di puro divertimento
condito da sfumature minacciose. Era incredibilmente la donna che aveva
sempre conosciuto, che tanto profondamente lo aveva servito e amato,
anche in quel contesto e non poteva che non esserne soddisfatto. La
natura di Sigyn era incancellabile, e per quanto la sua vita fosse
sempre stata legata alla propria, ciò non era stato un
fattore che aveva modulato la sua personalità –
era forte, poderosa, e nemmeno Loki avrebbe potuto piegarla, per tale
ragione aveva ricambiato i suoi sentimenti, perché mai
avrebbe potuto desiderare tanto una persona senza una simile potenza a
riecheggiare nel suo animo.
E per quanta malevole luce ardesse ora nelle iridi verdi
dell’uomo, per quanto vi avesse appositamente sciolto in essi
intenzioni poco onorabili e pure, non vi fu un solo tremito di paura o
di ripensamento nella semplicità con cui sosteneva il suo
sguardo. Per tale ragione la baciò, perché era la
stessa normalità con cui, da quando l’aveva
incontrata al tempo in cui era ancora bambina, aveva non retto, ma
ricambiato occhi che in molti non sapevano guardare.
La tirò a sé con la mano che ancora teneva tra i
suoi capelli, unendo senza ansia le loro labbra in quella che appariva
più come una carezza, accennata appena – si
trattenne, perché se solo avesse approfondito quel contatto
si sarebbe ritrovato impossibilitato a trattenere l’istinto
lussurioso, che lei gli faceva sgorgare tanto semplicemente.
«Allora, non deludete voi me» asserì a
fiori di labbra, Loki, sfidandola ulteriormente, prima di tornare a
restaurare la precedente distanza. «Scoprite quello che
volete, ma senza contare sul mio aiuto, perché non ne
riceverete alcuno o non sarebbe divertente»
«Provate a pronunciarlo, per una volta, il mio
nome», Sefa si era accorta che
l’unica volta
in cui Loki aveva sillabato il proprio nome era stato per presentarla
alla
Regina Frigga, e con ancora il cuore ad assordarle le orecchie gli
lanciò quell’ultima provocazione per scrutare una
reazione che non colse sotto l’imperscrutabile volto del dio
degli inganni.
Loki avrebbe potuto rivelarle quanto a lungo lo avesse fatto, quanto la
notte fosse satura e stanca di sentirlo tessere il suo nome fino ai
primi bagliori dell’alba, e anche che non desiderava altro se
non tornare a poterlo pronunciare come aveva fatto un tempo. Non
replicò, invece, limitandosi a macchiarsi di un ghigno
subdolo prima di voltarsi per ritirarsi con la sensazione delle sue
labbra sulle proprie.
M A N I
A’ s W
O R D S
Eccomi qui.
Allora, con tutta calma – dato che succedono un po’
di cose. Prima cosa è che spero che il capitolo non risulti
troppo pieno di avvenimenti e cose, nel senso che anche se ce ne sono
tante, ho provato a renderle al meglio. Come sempre poi ho adoperato lo
stile di scrittura con cronologia
a immagini, visto che mi vorrei specializzare, continuo ad
usarla per prenderci bene la mano – dunque mi auguro che si
notino miglioramenti.
Spero – lo spero davvero – che la trovata della
decisione di Loki di obbligare tutti a non pronunciare più
il nome di Sigyn possa risultare sensata come mi sembrava a me prima di
scrivere il capitolo – devo ammettere che non credo di aver
reso abbastanza bene le intenzioni e motivazioni che lo hanno portato a
una tale scelta, scappiatemi dire dunque. Non credo di riuscire a
rendere meglio nelle note ciò che volevo trasmettere, ma in
sintesi è sia una sorta di ripercussione su tutti e un
tentativo di far pagare a tutti una punizione che era solo sua e di
Sigyn, sia perché non ha intenzione di parlarne o sentirne
parlare altri – e quindi un modo per nascondere i propri
sentimenti.
Per quanto riguarda il bacio – oooh, non ve
l’attendavate così presto, eh!
–,
è sia un modo per aumentare
l’instabilità e irrazionalità di
ciò che prova e sente Sefa – e quindi aumentarle i
dubbi sull’intera faccenda, spingendola a cercare risposte
fino al punto di dover cedere davanti al muro della
razionalità e andare oltre -, ma è anche un
semplicissimo desiderio di baciarla dopo tanto tempo – su,
parliamo di Loki, seriamente pensate che aspetta quieto quieto fino a
quando non recupera la memoria?! Sempre ammesso che la
recuperi.
L’ultima nota è su ciò che sta tramando
Loki. Dato che sinceramente nel primo film per me
c’è un quantitativo di cose che non reggono, buchi
di trama, e cose poco furbe fatte da uno che ha il titolo di dio degli
inganni, ho modificato e cercato di ovviare ai problemi che io ho
riscontrato – sottolineo l’io, perché
sono pareri soggettivi e non voglio entrare in alcuna polemica, eh. E
poi anche perché altrimenti sarebbero cose che
già conoscete, non avrebbe senso ripercorrerle, no? Quindi
un po’ ho cambiato e arricchito, insomma, spero che tutto
risulti piacevolmente intrigante.
Sono stata molto tentata di dare nomi e approfondire la psicologia dei
quattro briganti, ma ho desistito perché è una
raccolta di shot, non una long in cui tutto deve essere spiegate tutto
in modo preciso e approfondito, e anche perché per quanto
abbiano un loro ruolo, non sono loro che avranno un ruolo di veri
antagonisti. Dunque non mi sono soffermata – e la cosa mi
urta un po’, tuttavia se lo avessi fatto avrei davvero dovuto
fare una long come si deve e non ne ho il tempo.
Quanto all’unica nota:
→ [1]
Myrkviðr, è il nome del bosco del secondo capitolo,
non so se ve lo ricordavate, ma ho preferito risegnarvelo
così nel caso potete andare a rileggere le note che avevo
messo in quella circostanza.
Detto tutto ciò, mi dolgo molto di annunciare che
probabilmente il quinto capitolo lo vedrete all’alba di
luglio. Lo so, sono pessima, ma gente ho la sessione d’esame
per tutto giugno e non credo di poter sopravvivere se devo anche badare
a EFP! Comunque, sto pensando di aprire una pagina autrice su Facebook,
quindi nel caso metterò il link nella mia pagina autrice qui
su EFP con il link e lì troverete aggiornamenti e
anticipazioni.
Mi scuso anche perché pure questa volta ho riletto solo tre
volte - tornerò a rileggere pure questo capitolo, giuro!
Ovviamente mille grazie a chi ha commentato il capitolo precedente
– Zareal e Yoan Seiyryu - e
altrettanti a chi ha inserito la storia tra le
preferite/ricordate/seguite ♥ Siete tutti
fantastici, grazie per il sostegno! E ovviamente ringrazio anche chi
segue silenziosamente – un commento una volta ogni tanto, vi
esorto a farlo per rendermi felice! E ringrazio anche chi la letto,
commentato e inserito tra le preferite/seguite/ricordate la shot
«Rilfessi
di un'altra vita» ♥, che
rientra anch'essa nella serie di cui fa parte anche questa raccolta.
Un abbraccio,
Mania
|
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Capitolo 5 *** O5 • Nelle rovine di un passato perduto ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O O
5
▬
“ Nelle rovine di un passato perduto
„
{ Io voglio sapere il nome che
avrai,
voglio
vedere con che occhi vedrai,
con
quali mani tu mi toccherai,
sciogliendomi
il sale dal cuore,
col tuo
fuoco di vivere. }
Vivere –
Cristiano De André
Il
vento smuoveva le foglie dell’edera che si arrampicava sulla
facciata della grande – e una volta maestosa –
villa, insinuandosi nelle crepe tessute dal tempo impietoso e
dall’abbandono. I vetri erano scarsi, gli infissi a sesto
acuto erano per di più occhi scuri dentro i quali si
scorgevano solo ombre di ciò che le pareti rinchiudevano
– ricordi perduti, vite dimenticate, storie a lungo
sussurrate ormai spente. Il cancello attraverso cui si giungeva, Loki
lo aveva aperto con una chiave estratta da un piccolo borsello appeso
alla cintura, e Lady Sefa aveva scorto solo un guizzo rapido verso lo
stemma logorato infisso su di esso. Non era riuscita a leggere la
scritta nell’emblema, né tanto meno a distinguere
le figure che una volta dovevano essere state battute tanto a fondo
nella forma d’oro, ma non aveva chiesto alcunché
limitandosi a seguirlo silenziosamente.
Era solo altra rovina quella che dimorava nel giardino selvatico, dove
le piante avevano preso a combattersi l’una con
l’altra per accaparrarsi il maggior spazio. I fiori erano
macchie colorate a rendere lo spettacolo della natura meno brutale, a
ingannare ciò che si sarebbe visto se essi fossero mancati
– rovi, radici nodose a emergere dal terreno, rami a
intessersi tra vari alberi alla ricerca di maggiore luce, un sottobosco
formato da piante velenose.
«Perché mi avete portata qui?»
domandò Lady Sefa, con lo sguardo rivolto a catturare ogni
minimo dettaglio di ciò che la circondava. La sensazione di
nostalgia poteva essere stata evocata dalla tristezza che instillava
una simile vista, una dimora tanto magnifica ora caduta in disgrazia
era uno spettacolo che sapeva essere amaro – una metafora
della vita resa palese. Eppure, ancora una volta da quando era giunta a
palazzo, Lady Sefa intuiva che sotto i propri sentimenti e pensieri vi
fosse una traccia invisibile a collegare il tutto – un
disegno di cui non scorgeva null’altro che
un’offuscata immagine.
«Ad essere precisi, io stavo passeggiando e tu hai deciso di
seguirmi» chiosò Loki, voltandosi appena nella sua
direzione per studiarne le reazioni. Sapeva bene che lo avrebbe
seguito, per questo si era diretto in quella che secoli prima
– perduti in una schiuma di eventi ormai evaporati
– era la casa nella quale lei aveva dimorato: nascendo,
vivendo e traendo i primi insegnamenti che l’avevano portata
a forgiare la personalità che Loki aveva imparato ad amare
tanto ardentemente. Era stato prima di incontrarsi, era stato prima che
gli occhi verdi del dio degli inganni scovassero nelle pieghe del volto
di Sigyn qualcosa di più che una servitrice fedele
– era stato il
suo inizio.
«Allora perché siete venuto in una vila
diroccata?» cambiò la domanda, ma non ricevette
comunque alcuna risposta. Non che la cosa la stupisse, anche prima di
aver passato con lui tutto il tempo speso in quei giorni, avrebbe
potuto affermare dai primi due minuti passati in una compagnia che
dialogare con Loki era più un rompicapo, un inabissarsi in
oceani sconfinati alla ricerca di tesori da conquistare –
elargiti spontaneamente con tanta rarità da non essere
ipotesi contemplabile. Quindi non si infastidì nel silenzio
che seguì il proprio quesito, continuando a percorrere i
suoi passi che costeggiavano la villa, cercando di ripetersi che la
comprensione che aveva del dio degli Inganni non aveva
alcunché di anormale, era empatia e non nascondeva radici in
motivazioni irrazionali – e si mentiva sapendo di mentirsi,
ma non trovava alcuna altra spiegazione al mondo con cui riusciva a
trovarsi tanto a suo agio al suo fianco.
«Chi ci abitava?» provò a cambiare
quesito, sperando di aver maggior fortuna.
«Una nobile famiglia andata in disgrazia.»
«La conoscevate?»
«Trovo che il roseto sul retro valga il tempo per
giungervi» replicò criptico, aprendo il braccio in
direzione del paesaggio che apparve davanti a loro quando voltarono
l’angolo. Un groviglio di spine e scarlatti fiori si
estendevano davanti a loro, soffocando un prato ormai scarno che
lasciava la nuda terra sotto la crudeltà della propria
bellezza. Vi era una sola panchina di pietra finemente lavorata,
deteriorata dalle intemperie e la non cura, sulla cui superficie solo
minime crepe si erano diramate nel bianco sporco. Loki vi si sedette
senza chiedere alla donna di seguirlo, perché ancora una
volta già conosceva l’esito delle sue azioni e
preferiva mantenere immacolato il più possibile il silenzio
– che abbeverava le sue domande, i suoi crucci, le tensioni
interne e la portava sempre più vicina a
quell’orlo sul crepaccio di cui aveva bisogno per poterla
spingere oltre, verso i suoi ricordi.
E riuscì nel suo intento, ne fu conscio proprio per il
perdurare dell’assenza di nuovi quesiti da parte della donna.
Lo sguardo attento non aveva contatto reale con il mondo che la
circondava, erano gli occhi di chi si stava perdendo in altri mondi, in
intrecci dei quali solo lei poteva aver percezione e percorsi segnati
unicamente dalla sua mente. Spesso aveva avuto modo di osservare Sigyn
con quella stessa espressione, anche se per ragioni diverse –
per amore dell’immaginazione e non della scoperta di
verità tenute a giacere su un fondale che intuiva
appartenerle.
Sorrise nel ricordare come la prima volta che si era recato
lì, i ruoli fossero stati invertiti – lui si era
messo a percorrere il suo stesso sentiero senza invito, semplicemente
per capire dove si recasse quando spariva per ore. L’aveva
baciata su quella stessa panchina, con il profumo delle rose a
mischiarsi a quello della sua pelle, e ricordandolo si ripromise che
avrebbe fatto altrettanto – e di più, persino
– un giorno.
Mentre assaporava l’ambiente circostante, in Lady Sefa
continuò a diramarsi la malinconia che l’aveva
invasa non appena aveva varcato il cancello. Prepotente, minacciosa
financo, si era insinuata in lei fino a procurarle un fine dolore tanto
ben intessuto da bruciarle quasi gli occhi per ragioni celate in nebbie
troppo fitte. Quella villa le gettava addosso il sapore amaro di aver
perduto qualcosa di importante, ed era la seconda volta che una
consapevolezza del genere l’affliggeva, perforandole il cuore
– la prima era stato quando si era risvegliata sulla riva di
un fiume, con la pelle ricoperta da sottili ferite non ancora
rimarginate, abiti insanguinati e un vuoto nella memoria.
Voleva scoprire a chi fosse appartenuta quella dimora, chi aveva
abitato le sue mura. E come si era ingannata dicendosi che desiderava
rivelare l’identità di Lady Sigyn unicamente per
tedio, nella costrizione di una permanenza a palazzo che non desiderava
– anzi, che non desiderava in quei termini –;
altrettanto compì nel raccontarsi la medesima bugia quando
prese la decisione di svelare il mistero di quel luogo.
Fu per tale ragione che durante il resto della giornata e quella
successiva, in qualsiasi momento non passato mischiando il proprio
tempo insieme a quello di Loki, lo impiegò nel cercare
qualsiasi informazione riguardo l’antica villa. Avendo
già provato con poco proficuo dentro il palazzo, anche se
doveva sopportare il fiato sul collo di guardie poco inclini a non
passare inosservate nel loro pedinamento irritante, si recò
in città per poter porgere nel modo più discreto
possibile le proprie domande. E mentre interrogava in modo distratto
chi la ispirasse particolarmente, provò a ributtarci dentro
la domanda su chi fosse Lady Sigyn – un connubio di quesiti
che doveva aver particolare potere viste le reazioni sconcertate che
provocavano.
Non vi era un senso, una volta di più, eppure di nuovo Sefa
ebbe il sospetto – la certezza irragionevole – che
la misteriosa donna fosse collegata al maniero antico. E con
altrettanta forza sapeva, con estrema sicurezza, che la medesima aveva
a che vedere con Loki, in un modo o nell’altro, e anche lei
stessa si insinuava in quel puzzle dai pezzi mancanti – non
sapeva ancora come, perché e in quale modo, ma doveva
scoprirlo. Più quei frammenti di vuoto sprofondavano negli
abissi di quegli anni perduti, nella coltre indistinta della memoria
perduta, emergeva un lacerante mal di testa a inchiodarsi nelle tempie,
martellando con il vigore insensibile di chi non si cura della sorte
altrui. Troppo prepotente era il dolore per rendersi conto anche del
lieve peso che la collana aveva mutato, seppur lievemente, il proprio
peso – e quel peso sul petto lo ricondusse distrattamente a
un affaticamento, piuttosto che indugiare ulteriormente alla ricerca di
significati arcani.
Insieme alla frenesia di dipanare il mistero di Lady Sigyn –
che tanto abilmente mascherava da passatempo per occupare il tempo che
la separava dalla cerimonia –, anche il subbuglio che Loki le
procurava la tormentava. Mai, in tutti i decenni che ricordava di aver
vissuto, aveva provato sentimenti di tale natura per qualcuno, solo
vaghi interessamenti e infatuazioni effimeri; dunque si rifiutava di
pensare di essere ora preda di qualcosa di esponenzialmente diverso
– non perché fosse il dio degli Inganni, ma
più semplicemente per l’insensatezza di essere
talmente legata a qualcuno conosciuto in un così breve lasso
di tempo.
Per distrarsi anche dalle afflizioni che Loki le procurava, si immerse
completamente nel raccogliere grezzi frammenti di notizie sulla dimora.
Non fu un bottino sostanzioso, riuscì a strappare poco o
nulla dalle bocche degli abitanti – gravati dallo stesso
ordine di tacere, divieto intuito più che scoperto, e di qui
ancora doveva comprendere la natura –, ma quel poco che le fu
rivelato combaciava e le fu sufficiente per avere la conferma dei
propri sospetti.
Fu forse per la lacerante emicrania che le era affiorata, martellandole
in modo subdolo la testa, estendendosi a grappolo tanto da sembrare di
avere una morsa attorno al capo; o forse fu semplicemente
perché era arrivata all’apice della sua resistenza
a quel mondo fatto di elementi discordanti, che sapeva però
essere in realtà perfettamente assonanti – troppa
irrazionalità, troppe domande senza risposte, e tutto ad
accatastarsi sulle sue spalle gettandola al centro di una situazione
del quale non capiva lei che ruolo giocasse. Qualsiasi fosse la
motivazione, riuscì a malapena a trattenere il passo nel
destreggiarsi tra i corridoi del palazzo, mantenendolo regolare
nonostante sentisse l’impeto della corsa tenderle i nervi.
Trovò Loki in biblioteca, intento a sfogliare un volume alla
ricerca di qualcosa che a lei ora non interessava conoscere –
l’unica cosa che desiderava, in quel frangente, era
affrontarlo o provare a costringerlo quanto meno a fare altrettanto con
lei. Si cosparse della migliore maschera in suo possesso, comprimendo
l’ansia dentro un sorriso quieto, avvicinandosi
all’uomo limando via la fretta e dando
l’impressione di non aver alcunché di interessante
da dire – lo lasciò finire, attese che fosse Loki
ad alzare lo sguardo su di lei, prima di cominciare.
«Ho sentito che in quella villa abitava una bambina che poi
è diventata una Guardia Reale, una delle più
temute», e iniziò con privandosi di qualsivoglia
preambolo e pacatezza, piegando appena il collo di lato per scrutarlo
con le labbra tirate in una curva lieve – labbra scarlatte
come il sangue a far da contorno alla propria affermazione.
«Non pretenderai da me che sappia il passato di ognuno dei
componenti dell’esercito?» replicò
divertito, scuotendo appena il capo quasi con compassione, alzando
appena un sopracciglio. Non lo deludeva mai, nemmeno in quel contesto,
era andata a spulciare qualsiasi possibile fonte di informazione come
si era aspettato – e se ne avesse avuto accesso, sapeva che
si sarebbe intrufolata anche negli archivi anagrafici.
«In realtà, credo che voi la conosciate. Si sono
rifiutati di dirmi il nome delle guerriera. E anche se dicevano tutti
di non ricordarselo, stavano mentendo. E c’è solo
un nome che non viene pronunciato. Un
nome proibito.»
Loki chiuse il libro con un tonfo secco, rimettendolo sullo scaffale
come se nulla fosse – come se non fosse, una volta in
più, impressionato
dalle capacità della dea della Fedeltà senza
memoria. Si chiedeva quanto avrebbe retto lei in quella tensione tra le
proprie verità e quelle di cui avvertiva
l’esistenza, opposte e irrazionali, e anche quanto lui stesso
avrebbe resistito a starle attorno senza cedere alle tentazioni che
rappresentava – gli pareva di avere ancora incollato su di
sé, conficcato a fondo, il sapore della pelle di Sigyn, la
sensazione di immergere le mani tra i filamenti dei suoi capelli, e la
morbidezza delle sue labbra.
E Loki era conscio che il ruolo dell’immacolato non era
proprio il suo.
«La tua cocciutaggine è incredibilmente
affascinante quanto irritante» asserì tornando a
rivolgerle attenzioni, con sguardo macchiato di una cupidigia ardente
da mozzarle la replica, dandogli l’ulteriore
possibilità di continuare a parlare. «Continua a
cercare, se ti interessa tanto, ma smettila di provare a carpirmi
informazioni che non ti concederò.»
«Voi siete la ragione per cui sono qui, non è
vero? Siete solo voi.
Vostro fratello mi ha trascinata a palazzo senza più
interessarsi a me, mettendomi nelle vostre mani come se vi stesse
facendo un dono. Cosa c’entro io con Lady Sigyn? Che diavolo
volete da me?», ogni sillaba venne pronunciata con estrema
accortezza, modulando il tono in modo che non risultassero sbalzi acuti
a rovinare la qualità della recitazione – tutto
desiderava, Lady Sefa, fuorché mostrarsi alterata dalle
circostanze. Appoggiata con il fianco sinistro all’alto
scaffale, manteneva il contatto visivo con Loki senza alcun timore di
venir risucchiata dalle iridi dense di magnetismo ustionante
– perforava i pensieri, sgusciava nelle menti, sbucciava le
altrui inclinazioni per poter comprendere intimamente chi aveva di
fronte, in modo da usarlo e lei non aveva alcuna intenzione di donargli
un simile piacere. Poco importava che la stesse osservando come se
avesse voluto strapparle gli abiti di dosso in quell’istante,
nonostante la presenza di altri attorno a sé, e altrettanta
scarsa rilevanza era che parte della sua immaginazione fluisse in
scenari simili. Nessun vantaggio gli avrebbe offerto e alcuna sbavatura
avrebbe commesso durante la loro chiacchierata.
«Siete testarda o sciocca. Come vi ho detto, è
inutile che mi rivolgiate simili domande» ricordò
Loki, chinandosi appena verso il volto della donna, dalle raffinati
arti d’attrice – magnifica nei suoi modi di
recitare, tanto da riuscire a instillare quasi dubbi persino
in lui, che del rivestire ruoli ne aveva fatto molto più che
un’arte.
«Allora se non avete intenzione di darmi alcuna spiegazione,
vi toglierò il vostro divertimento: non voglio più
vedervi, così non potrete giocare con
me», una decisione drastica, forse anche troppo –
non sapeva quanto sarebbe riuscita a mantenerla, e proprio per questo
aveva omesso di specificare quanto a lungo. Per quanto volesse ignorare
la realtà irrazionale, era molto più che attratta
da quell’uomo che non conosceva - anzi, che non avrebbe
dovuto conoscere -, e che avvertiva distintamente essere
l’artefice di quegli echi nella propria anima a suggerirle
verità, dai contorni ancora inafferrabili. Era molto
più irritata con se stessa per tale incapacità,
che con lui che si divertiva a tenerla sulle spinte –
d’altronde era il dio degli Inganni, non avrebbe potuto
attendersi null’altro.
«Non sto giocando, non l’ho mai fatto con
te» rispose pacatamente, ritirandosi indietro e voltandosi
per uscire dalla libreria, se non prima di arrestarsi per un attimo per
tornare a osservarla girando appena il collo. «Ma
rispetterò la tua decisione fin tanto che riuscirai a
tenerla.»
L’indole di Sigyn era indomabile, forte e intessuta per
esserlo dalla sua più antica decisione, ovvero di non dover
essere vittima delle debolezze che avevano logorato la sua casata. Una
nobile di nascita e di spirito, con la mente lucida e la
moralità contorta di chi era cresciuto accerchiato da
eccessi, vizi e peccati esaltati e mai rinnegati, un intricato
groviglio dal quale era uscita una volontà dai risvolti
incredibilmente solidi – anche se non ricordava da dove
venisse tale marmorea fermezza, era presente in lei indissolubilmente e
Loki aveva imparato ad apprezzarne le forme.
Avrebbe desiderato provocarla maggiormente, ma non poteva badare solo a
Sigyn – e sapeva che lei avrebbe capito se fosse stata
lì presente, sarebbe stata lei stessa a suggerirgli di
concentrarsi su ciò che stava architettando. I quattro ladri
dovevano essere riusciti a passare attraverso la spaccatura tra i
mondi, una delle poche che solo lui conosceva e che si nascondeva nei
meandri gelati di Myrkviðr, che conduceva a Jötunheimr
– ed era da lì che proveniva
l’imperitura tempesta, non da maledizioni di streghe
fittizie, ma questo era un segreto del dio del Caos e non
l’avrebbe rivelato. I tre stemmi della Guardia Reale, da lui
stesso manipolati, che aveva donato ai quattro in veste di vecchio
eremita dovevano cadere nelle mani dei Giganti del Ghiaccio,
perché com’erano serviti ai furfanti per
intrufolarsi nel palazzo di Odino con la presenza occultata,
altrettanto servizio avrebbero dovuto prestare ai nemici millenari di
Asgard al momento opportuno.
Sorrise al riflesso apparso sul vetro della finestra che conduceva al
terrazzo delle proprie stanze. Se tutto fosse filato come aveva
previsto, l’incantesimo che aveva creato si sarebbe esaurito
al momento adatto, come tanto opportunamente si era eroso durante
l’intrusione dei ladri, diminuendo il proprio raggio quel
tanto da lasciare scoperto almeno uno del gruppo, facendo sì
che l’allarme scattasse. Una prova generale conclusasi
secondo i piani di Loki, dandogli una certa sicurezza su come si
sarebbe svolta lo spettacolo finale.
Doveva solo pazientare nella luce estiva di Asgard, prepararsi anche
lui all’incoronazione di suo fratello come se ne fosse
entusiasta, celare il rancore per una scelta tanto infelice –
accumulato su quello mai cessato per la punizione imperdonabile inferta
a Sigyn. Si sarebbe preso tutto ciò che gli spettava, non
avrebbe rinunciato ad alcunché – non mancava che
rimanere quieto, osservatore e indifferente.
Abbassò lo sguardo verso l’area della Gendarmeria
in cui Lady Sif e i Tre Guerrieri probabilmente si stavano allenando.
Non c’erano altri da cui la sua smemorata Sigyn sarebbe
potuta andare a salutare ora che aveva deciso di ignorarlo –
almeno fino a quando ci sarebbe riuscita. Se non aveva sottovalutato
l’amicizia che intercorreva tra lei e la dea della Guerra,
avrebbe ricavato anche da quell’allontanamento momentaneo un
nuovo tassello di domande che occorreva instillare in lei per tendere
al massimo la corda delle sue reminiscenze, fino a costringerla ad
accettare l’indeterminato e far scattare il flusso emotivo
necessario a liberare le memorie contenute nel ciondolo.
Riusciva a immaginarsela, giungere verso le arene di allenamento con
passo controllato anche se avrebbe desiderato correre con quanto
più fiato aveva nei polmoni, del tutto insicura sulla scelta
appena presa ma marmorea a mantenerla ferma per orgoglio e ripicca
verso di lui. E probabilmente, il primo a preoccuparsi per la sua
presenza in Gendarmeria, da sola e senza la compagnia di Loki stesso,
sarebbe stato niente meno che suo fratello, così
disperatamente deciso a concedergli un briciolo di felicità
in cambio del trono che si stava per aggiudicare. Si sbagliava Thor,
lui avrebbe ottenuto da solo sia il Regno sia Sigyn, non occorreva
l’interferenza di nessuno, solo un aiuto prestato a insaputa
di molti.
«Non siete in compagnia di Loki oggi, Lady Sefa?»
domandò incuriosito Thor – era da quando
l’aveva portata a palazzo che ogni giorno la scorgeva in
compagnia di suo fratello, solo di tanto in tanto, capitava si perdesse
a passeggiare da sola per il giardino o quando era intenta a
interrogare chiunque le capitasse a tiro per trovare soddisfazioni alle
sue domande. Se solo Loki non avesse proibito loro di pronunciare solo
mezza parola in risposta ai suoi interrogativi, Thor si sarebbe pure
messo a spiegarle le reali motivazioni che lo avevano spinto a condurla
fino a lì, ma tra i due era sicuramente suo fratello a
conoscere maggiormente gli ingranaggi delle magie – dunque,
avrebbe assecondato le sue decisioni, perché indubbiamente
avrebbe compiuto qualsiasi cosa per lei ed era il più
incline a sciogliere i nodi di quell’artifizio intessuto da
loro padre.
«Credo di aver litigato con lui, anche se penso sia stato
unicamente a senso unico tale discussione», era dubbiosa
Sefa, senza risentimento apparente – il fastidio lo trattenne
per sé, per non concedere ulteriori vittorie al dio degli
Inganni.
«Se posso domandare, perché ve la siete presa con
lui?» continuò il futuro re di Asgard, preoccupato
da quell’affermazione, scambiandosi sguardi della medesima
sostanza con i suoi compagni. E Lady Sefa rimase a osservare
l’intrecciarsi dei loro occhi, parlandosi attraverso
verità che lei continuava a ignorare – e avrebbe
continuato a fare, fino a quando quella condanna al mutismo non sarebbe
terminata. In quel preciso momento, per un’inspiegabile
collegamento mentale nel definire pena quella situazione, le parve che
fosse proprio ciò: una punizione per qualcosa di
inspiegabile, perché una tale resistenza a concederle
conoscenza non poteva avere altra ragione.
Si trattenne dal portare le mani alle tempie quando una fitta
più acuta le si piantò nella testa, stringendo
solo appena la mascella per cercare di trattenere in tale modo la
scarica di dolore.
«Oh, perché nessuno ha intenzione di dirmi la
ragione per cui sono davvero qui, Thor. Non sono così
stupida da credere ancora che sia per via della vostra incoronazione.
Sono stata da voi rimessa alle sue attenzioni. Cosa c’entro
io con lui? Cosa c’entra questa Lady Sigyn in tutto
questo?», non erano recriminazioni contro di lui, ma contro
suo fratello – solo Loki era il responsabile di quello
struggimento per domande che non avrebbero dovuto avere tanta
importanza, per quel continuo spandersi di frammenti di un quadro
squarciato di cui non riusciva a ricomporre il disegno, per quel
sentimento di cui era vittima per lui senza riuscire a trovare un buon
motivo per assecondarlo, uno che non sprofondasse
nell’ignoto. «Queste, in breve, sono state le mie
rimostranze nei suoi riguardi e ovviamente non mi ha
risposto.»
«Difficilmente mio fratello risponde, se può
consolarvi» replicò Thor, provando almeno in quel
modo a sdrammatizzare la tensione che sentiva essersi creata attorno a
lei. Avrebbe voluto discutere con Loki della situazione, ci avrebbe
persino provato se solo non avesse avuto la fin troppo concreta
certezza che lui nemmeno si sarebbe sprecato ad ascoltare una sua
singola parola al riguardo. Aveva bandito il nome di Lady Sigyn
perché voleva evitare discorsi non su di lei, ma su se
stesso e i suoi sentimenti per ciò che provava per la donna,
e ancora perseverava a insistere in una tale cocciutaggine da non
dargli alcun modo di aiutarlo.
«Potreste passeggiare con me, però, Lady Sefa!
Anche se purtroppo nemmeno io posso dar soddisfazione ai vostri
quesiti» propose Fandral, ricevendo un’occhiata
sbieca da parte di Lady Sif.
«Vi è qualcuno che può?»
Sorrise appena, Lady Sif, riscontrando nel volto dell’amica
quella nota di teatralità quieta che l’aveva
sempre contraddistinta. Una donna la cui anima era un mare privo di
increspature fuori norma, onde tenue, lievi, che accarezzavano la
spiaggia e anche le scogliere – le tempeste le teneva nella
frenesia delle scure correnti sotterranee, impetuose, imperscrutabili,
celate agli occhi di chiunque. La dea della Guerra mai era davvero
riuscita a scrutare nelle pieghe buie di cui era fatta Sigyn,
perché le teneva ammaestrate in maniera differente da quella
melliflua di Loki, lei le imbrigliava nei suoi modi accorti e garbati,
cosparsi di signorilità, lasciando incantati quanto smarriti.
Non avrebbe disubbidito alla volontà del dio degli Inganni,
ma le avrebbe dato l’occasione per rivivere una parte di
sé dimenticata – ma lì, presente,
pronta per riemergere.
«Mi dispiace non poterti rispondere, Sefa, ma se vi
può bastare posso offrirvi un passatempo per
distarvi.»
M A N I
A’ s W
O R D S
Non aggiorno da più di un mese, vero? Potete prendervela con
il calendario dei miei esami, non con me. Non che io li abbia finiti,
settimana prossima è l’ultima, estenuante
settimana di esami. Ma non potevo aspettare di giungere a
venerdì per aggiornare, perché parto subito,
quindi avrei lasciato per due mesi questa storia senza aggiornamenti e
la cosa non mi andava molto. Fortunatamente, almeno abbozzato, il
capitolo era semi-pronto, quindi mi sono concessa la mattinata per
rileggerlo un po’ e sistemarlo – probabilmente non
è perfetto, perché l’ho riletto meno
del solito, spero che ciò non implichi troppe distrazioni.
Comunque, venendo al capitolo in sé, come vedete
c’è un piccolo spiraglio sulle intenzioni di Loki
– giusto perché nel film non mi hanno spiegato
come e quando Loki abbia fatto entrare i Giganti di Ghiaccio, mi sono
creata una spiegazione io. Spero che possa soddisfarvi anche a voi.
Quanto a Loki e Sefa/Sigyn, lei è testarda, non si fa
incantare da lui solo perché ha una certa presa, anzi, forse
proprio per questo resiste tanto. Comunque, non disperate,
tutt’altro. Nel prossimo capitolo, anzi, diciamo che vi
daranno qualche soddisfazione – il rating arancione a
qualcosa serve, dopotutto.
Vorrei anche precisare che su quanto successo a Sefa/Sigyn appena si
è risvegliata priva di memorie, è un argomento
che ritornerà anche più avanti, a cui
è riservato anche un lungo flashback in un capitolo molto
più avanti - ed è per questo che non ho inserito
ulteriori informazioni ora.
Per chi invece non avesse seguito la precedente raccolta, quando Loki
dice di essere impressionato una volta in più da Sigyn,
riprende un loro "gioco" che è anche stata la causa del loro
avvicinamento, dato che lui l'aveva sfidata a impressionarlo
più di una volta.
L’altra volta mi ero dimenticata di linkarvi una meravigliosa
one-shot che mi ha scritto la mia deliziosa e carissima amica a u t u m n.
È un prequel alla precedente raccolta, quindi se siete
così gentili da passare e lasciarle un parere, io e lei ve
ne saremo molto grati (ah, la storia se l’è
inventata lei, io non le ho detto niente, ma ho amato profondamente la
sua idea!). Qui trovate il link: Gli incubi sono fatti di inganni.
Inoltre, forse, molto forse, dovrei postare prossimamente una shot un
po’ diversa dal solito che non si ricollega a questa storia,
ma che è uno squarcio possibile su una trama futura. Inoltre
è una mia personale visione del rapporto tra Loki e Thor,
con tanto di ovvia presenza di Sigyn e di Sif. Il punto è
che so che non è proprio la versione che piace avere di
loro, perché molto più cruda e dura, quindi sono
indecisa se postarla o meno. Vedrò che fare comunque.
Per ora vi saluto e come al solito spero che il capitolo vi sia
piaciuto. Ringrazio infinitamente chi ha commentato il capitolo
precedente - ovvero: Cassandra14, Helen L e Yoan Seiyryu -, e
spero come sempre di ricevere vostri pareri – che oltre a
rendermi molto felice, sono una carica incredibile per continuare a
scrivere con tanta dedizione anche quando dovrei ripassare!
Alla prossima,
Mania
P.S. del 12/07/2014
→ Ieri ho creato una pagina FB dedicata alle mie storie. Vi
pubblicherò i giorni degli aggiornamenti, qualche
anticipazione e anche le idee per i miei lavori futuri. Lascio qui il
link, così chi vuole può farci un salto: Mania FB
|
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Capitolo 6 *** O6 • Pagare pegno ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O O
6
▬
“ Pagare pegno
„
{ Io voglio sapere il nome che
avrai,
quante
speranze e incertezze mi dai,
con
quali mani tu mi spoglierai,
sciogliendomi
il sale dal cuore. }
Vivere –
Cristiano De André
Allenarsi
con Lady Sif era parsa una buona idea fino a quando non le aveva
consigliato dove recuperare una spada. Sefa sapeva maneggiare
discretamente bene le armi bianche, anche se le era ignoto dove avesse
imparato a farlo, ma da quando aveva memoria non le era mai stato arduo
impugnarle per difendersi o attaccare. Il ricorso alla violenza le era
piuttosto indifferente; anche se preferiva risolvere i problemi con
altri mezzi, era conscia che non sempre fosse possibile. Dunque,
mettersi alla prova con la Dea della Guerra le era parsa una buona
idea, soprattutto perché non voleva in alcun modo incrociare
Loki, e nella Gendarmeria era abbastanza certa di non correre tale
pericolo.
Dopo la discussione di qualche sera prima, era decisa a stargli alla
larga per quanto in realtà desiderasse l’esatto
contrario. Tuttavia non aveva intenzione di mostrarsi debole al suo
cospetto, disperatamente bisognosa della sua compagnia – e
non lo era, semplicemente lo apprezzava molto maggiormente di quanto
solesse sussurrarsi. Il modo con cui lui depositava i suoi verdi occhi
sulla sua esile figura era uno spettacolo privato al quale mai prima
d’allora aveva assistito, del tutto particolare in quel misto
di desiderio, divertimento, arroganza e sbeffeggio – malinconia tal
volta, o almeno così le pareva – che lo
caratterizzavano tanto profondamente.
«Nothung[1], è una spada che Loki tiene in
custodia» asserì Lady Sif osservando di sottecchi
la donna, scorgendo i muscoli del collo contrarsi nell’udire
il nome del Dio degli Inganni. «So che avete litigato,
però è un’ottima lama e potrebbe essere
molto più interessante uno scontro con almeno le armi allo
stesso livello.»
«Io ho
litigato con lui, dubito che valga anche il
contrario» specificò Lady Sefa contrariata
dall’intero discorso della guerriera – sia
dall’insinuazione sulla disparità abissale dei
loro livelli, sia per la non troppo celata richiesta di recarsi da Loki
a domandargli imprestito Nothung. Evitò di essere plateale
nell’insofferenza di tale situazione e tappò
dentro di sé anche la gratitudine per averle offerto una
scusa plausibile per recarsi dal principe senza rimangiarsi
completamente la promessa di evitarlo.
Il passo, con cui si destreggiò tra i labirinti dei corridoi
che portavano alle stanze di Loki, fu calmo solo in apparenza. Si
concentrò strenuamente per trattenersi, per mantenerlo
costante e non sbavare per via dell’impazienza e
l’ansia che le procurava l’idea di rivederlo dopo
giorni in cui non ne aveva scorto nemmeno l’ombra. Aveva la
sensazione che lui in realtà non l’avesse perduta
di vista nemmeno per un attimo, la presenza delle sue iridi magnetiche
l’aveva impressa addosso e le ustionava l’anima,
carbonizzandola in residui di desideri inespressi ad ogni attimo che
trascorreva. Riuscire a nascondere smottamenti tanto profondi le era
molto più difficoltoso di quanto la pacatezza dei suoi
gesti, intrisi dell’aria da nobildonna con cui si poneva nei
confronti del mondo, lasciasse intendere. Nonostante
l’apparente normalità con il quale conduceva le
sue giornate a palazzo, in una monotonia grigiastra, avvertiva gli
intagli delle crepe sul proprio spirito accrescere la loro estensione
– crepacci oscuri, si immergevano in quel mare nebuloso nel
quale nessun ricordo e risposta era recuperabile, in cui tutte le sue
irrazionali scelte sapeva avrebbero potuto trovare una loro spiegazione
più che sensata, se solo fosse stata in grado di disperdere
l’alone in cui erano avvolte.
Sbatté le nocche contro l’ampia porta a sesto
acuto per due volte, calcolando la forza in modo da apparire sfrontata
nell’irruenza del proprio gesto. Non attese nemmeno
l’invito dell’uomo, piegò la maniglia
per entrare, e solo quando fece il primo passo verso di lui lo
udì ridacchiare mentre le chiedeva di accomodarsi come se
fossero state le sue stanze, con tale sarcasmo da risultare quasi
velenoso.
«Avevate detto di non desiderare più la mia
compagnia, se non ricordo male», non c’era la
traccia del benché minimo risentimento
nell’affermazione di Loki. Si limitò a scrutarla
con supponente arroganza, infilzandola con un senso di vittoria con cui
aveva riempito le iridi smeraldine, tanto prepotentemente rivolte su di
lei da farle quasi provare l’impulso di arrestarsi sul posto,
con ancora la mano sulla maniglia. Ma Sefa aveva deciso che per nessuna
ragione nell’intero universo avrebbe concesso una vittoria a
quell’uomo, perché per quanto ne fosse ammaliata,
la volontà di non piegarsi sotto i suoi tocchi fisici e
psichici era superiore. Il capo lo avrebbe tenuto alzato e lo sguardo
infisso in quello di lui, come un chiodo ben piantato nel muro
– senza cedimenti, o ripensamenti. Anche se il fascino di cui
era ricoperto la ammaliava più di quanto osasse ammettere,
anche se sapeva che era più pericoloso di quanto le fosse
concesso conoscere, anche se avrebbe dovuto stargli alla larga, ogni
buon senso era bruciato e l’unica sua fermezza era costituita
da un gioco in cui lei non doveva perdere una silente battaglia di
posizioni. Non c’era razionalità, qualcosa di
indecifrabile le suggeriva che non sarebbe più riuscita a
sottrarsi a lui e nemmeno intendeva farlo, e per riuscire a risolvere
l’enigma che l’attanagliava si doveva mettere al
centro dell’azione. Dunque avanzò verso di lui con
passo deciso, sfrontato, con un sorriso che di delicato conservava
unicamente l’apparenza.
«Non ho specificato per quanto» chiosò
con ovvietà, scrollando appena una spalla.
«Comunque, sono venuta a domandarvi una spada che Lady Sif
dice essere in vostre mani.»
Gli occhi di Loki si spostarono su una lama contenuta in un fodero di
pelle scura appesa a una delle pareti della stanza, l’unico
oggetto bellico ad abbellire le pareti della sala privata del principe.
E nel seguire l’indicazione silenziosa del Dio degli Inganni,
Sefa seppe che era esattamente quella l’arma di cui Sif le
aveva parlato brevemente, concedendole poche informazioni e
aumentandole una curiosità che la divorava ogni giorno un
pezzo della sua mente, della sua anima – e anche del suo
cuore. Vi erano sempre più domande che si accatastavano, una
risma scomposta di interrogativi ai quali mai aveva fatto seguito un
chiarimento soddisfacente, e lei vi si sentiva smarrita nel mezzo
– con quella crescente sicurezza di essere invischiata in
qualche modo in tutte quelle trame sotterranee che, chissà
percorrendo quale via, riconducevano alla misteriosa Lady Sigyn. Aveva
lo sgradevole sospetto che anche quel nuovo elemento dovesse
ricongiungersi in qualche modo a quella sconosciuta entità,
così astratta da sbattere violentemente contro le pareti
della sua mente, diventando un’ossessione dalla quale non
riusciva a liberarsi.
La scusa che fosse noia per quel soggiorno indesiderato al Palazzo
Reale cominciava a sbriciolarsi sotto una consapevolezza irrazionale.
Desiderava scoprire chi fosse Lady Sigyn, più di quanto
dovesse essere concepibilmente sensato, ma non vi era alcuna
motivazione pronunciabile che riuscisse a far risalire dalle mareggiate
della propria anima, resa in tumulto da quel nome. E si mischiava,
fondendosi, alle insidie create dal principe che la scrutava con
crescente famelica cupidigia. Ardevano le verdi iridi, sembravano in
grado di trapassarle gli abiti e ustionarle la pelle con la sola
invisibile forza dello sguardo; ed il solo pensiero di come sarebbe
potuta essere la sensazione delle sue mani congiunte ad esso, bastava
ad annodarle lo stomaco in un’eccitazione strisciante della
quale non desiderava avvertire la portata.
«Per quale motivo dovrei darvela?»
«Sinceramente? Non ne ho idea, ma Lady Sif mi ha chiesto di
venirvela a domandare con talmente tanta insistenza che ho deciso di
accontentarla. Dice che le spade in Gendarmeria non sono abbastanza
solide per sostenere un allenamento con lei» rispose
sinceramente, impregnando unicamente le frasi della Dea della Guerra
con un pizzico di colore e ostentando una noncuranza degna della
migliore attrice, sottintendendo implicitamente che se fosse dipeso da
lei soltanto mai si sarebbe recata da lui – ed era una bugia,
una delle più grandi che avesse mai dovuto anche solo
pensare.
La sua replica parve divertire molto Loki, e Sefa si trattenne dal
chiedergli cosa vi fosse di così esilarante nelle proprie
parole per procurargli un tale scoppio di ilarità, ma prima
che potesse farlo si era ritrovata l’uomo pericolosamente
vicino. Si morse l’interno della guancia pur di trattenersi
dal compiere un passo indietro, evitando di concedergli territorio in
segno di sottomissione alla sua schiacciante presenza.
Preferì perdurare nel sostenere la pesantezza magnetica dei
suoi occhi, mentre sentiva le dita dell’uomo chiudersi
intorno alle proprie braccia per spingerla all’indietro, fino
a quando non si ritrovò con la schiena appiccicata al marmo
freddo di una colonna a reggere l’arco
dell’ingresso al terrazzo.
«Se la volete, dovete pagare pegno»
asserì intingendo ogni sillaba, strascicata da una lentezza
calcolata, di pura maliziosa lussuria. Avrebbe preferito che lei
ritornasse in possesso delle proprie memorie, avrebbe preferito ancora
di più che mai le fossero state strappate via, avrebbe
preferito evitare di cadere vittima di un sentimento che non poteva
provare se non deturpandolo e che solo Sigyn riusciva a riportare a una
purezza di cui lui non era in grado di sostenere da solo. Avrebbe
preferito un’infinità di altre
possibilità, ma non aveva più la forza di
resistere alla tentazione che lei incarnava, né tanto meno
aveva altre forze per frenare il desiderio di tornare ad affondare le
mani tra i suoi capelli e assaporare la sua pelle.
Le morse il collo con una disperazione che Sefa non era in grado di
scorgere, perché continuava a guardare davanti a
sé, combattendo con tutte le sue energie per evitare di
cedere alla febbricitante voglia di rispondere alle carezze ruvide e ai
segni che Loki le stava lasciando sul corpo. Avvertiva la stoffa della
gonna sollevarsi sotto l’impazienza delle mani
dell’uomo, fino a quando non fu spostata a sufficienza da
permettergli di percorrere con le lunghe falangi le sue gambe nude,
stringendole in morse prepotenti con cui la trascinava contro il
proprio corpo. Serrò i pugni, Sefa, con il respiro affannato
e le pupille dilatate, cercando di evitare di pensare a quanto
scottassero i baci avidi con cui stava scandagliando il collo prima di
finire nella spaccatura dei seni.
«Siete solito far pagare pegno in questo modo a
tutti?» riuscì a domandare tra i denti,
più per stritolare la fatica che stava compiendo nel mettere
in fila parole che dessero forma a una frase di senso compiuto, che per
un dispiacere concreto per la situazione – ma non glielo
avrebbe detto, non avrebbe concesso che lui la vedesse capitolare ai
suoi piedi, non si sarebbe concessa con semplicità. E si
maledisse per aver lasciato libera la propria immaginazione, nel cuore
della notte, a vagare su scenari simili a quello che si stava
svolgendo, e maledisse Loki per non concederle nemmeno la
possibilità di recriminargli di essere migliore
nell’irrealtà dei propri sogni.
«Volete sapere quante persone scendono a patti con me, o la
vostra curiosità ha altri fini?»
replicò soffocando gli sbuffi divertiti tra i morsi con cui
le stava riempiendo la spalla destra, liberata dall’impiccio
di un abito del quale non vedeva l’ora di potersi sbarazzare
del tutto. Era arrivato ad affondare le unghie di una mano nella coscia
sinistra della donna, sollevandole la gamba e costringendola contro il
proprio bacino per renderle chiaro che non le avrebbe strappato
unicamente baci.
«Solo sapere quante persone tirate nel vostro letto per
capriccio» era sarcastica, con una punta di
acidità nel calcare l’ultima parola, cercando di
riversare nella discussione tutta la sua concentrazione per non pensare
a quanto le costasse trattenersi immobile, sotto le dita lunghe e i
baci graffianti di Loki – troppo eccitanti, troppo intrisi di
viscerale passione, troppo abili nel procurarle grezzo piacere per
poter essere lasciati senza contraccambiarli ancora a lungo. Respirava
a fondo, cercando di contenere in quel modo la corsa del proprio cuore
nel petto, pompato da scariche di adrenalina ed eccitazione che le
risultava arduo frenare – e Loki la osservava di sottecchi
combattere una tale futile lotta, sogghignando al pensiero di quanto
rimanesse incredibilmente cocciuta nel suo non piegarsi mai
completamente a lui.
«Nel mio letto voi non ci verrete, come nessun altro. Sbaglio
o siamo contro una colonna?» replicò, mordendole
il labbro inferiore, schiacciandola ancora di più con il
proprio corpo contro il marmo ghiacciato. Ed era una delle rare volte
da quando Sefa era arrivata a palazzo che le confessò la
verità – fino a quando non avrebbe ritrovato se
stessa, non sarebbe stata quell’unica persona che riusciva a
stargli accanto amando ogni sua imperfezione, difetto e ammaccatura.
«Mentite, quel nessuno è stato detto troppo
veementemente per poter essere vero. Sa di eccezione. Ancora lei, non
è vero? Solo
lei», sapeva di aver ragione come altrettanto
bene era conscia di aver commesso un errore, rinfacciandogli qualcosa
che avrebbe dovuto essere unicamente di proprietà del Dio
degli Inganni. Lo sentì affondare maggiormente le unghie
nella propria pelle, affondare i denti in essa con la
necessità di punirla per le proprie parole mista alla
crescente voglia di concludere un patto che Sefa non avrebbe saputo
come rifiutare anche se lo avesse voluto.
«Se credete che con le vostre chiacchiere sarete scontata a
una minore somma di pedaggio, siete in errore.»
«E se mi opponessi?»
«Oh, una persona come voi, se voleva opporsi lo avrebbe
già fatto» ghignò Loki, mentre
riportava anche l’altra mano sotto i risvolti della gonna
sollevata per far scorrere i propri polpastrelli più in alto
di prima, fino ad affondare in mezzo alle sue cosce. «Non
fingente che non mi desideriate, perché il vostro corpo dice
tutt’altro.»
Contrasse la mascella per mordere il gemito che le dita
dell’uomo le avevano provocato, uccidendolo sul nascere prima
di udire le sue parole e finire per l’arrendersi
all’evidenza che non sarebbe riuscita oltre a rimanere
imperturbabile di fronte a lui. Avvertì la sua risata
risuonarle nelle orecchie intanto che febbricitante gli slacciava la
cintura e sfilava qualsiasi indumento lo rendessero prigioniero di una
divisione che non voleva più nemmeno lei, e le parve che
essa perdurò per tutto il tempo in cui i graffi vennero
scambiati più dei baci. Usò le sue spalle come
sporgenze sulle quali appendersi, schiacciando a fondo le proprie
unghie per tenersi ad esse nei momenti in cui le spinte intensificavano
la loro corsa, susseguendosi con più rapida veemenza.
Vi furono frazioni in cui a Sefa parve quasi di essere trattata con
dolcezza, solo piccoli gesti con i quali rendeva ancora più
caotica una situazione nella quale non sarebbe mai voluta scivolare con
tanta facilità e dalla quale nemmeno era riuscita a scappare
– perché non l’aveva voluto, a dispetto
di ciò che sarebbe stato sensato. Ma baciarlo, riuscire a
sentire il suo fiato condensarsi sulla propria pelle, sentirlo tanto a
fondo, erano tutte emozioni delle quali aveva avuto bisogno fin da
quanto lo aveva incontrato per la prima volta – poco
importava se non vi fosse un solo frammento di sanità in
quella relazione, se non era lei che sarebbe finita nel suo letto, se
si sarebbe dovuta accontentare della colonna, ciò che le era
più chiaro era l’impossibilità di
staccarsi da Loki.
E anche se lui ricercava il proprio appagamento, se non dava segni
evidenti di pensare seriamente anche al suo piacere, in
realtà fu la prima a sprofondare nella beatitudine
dell’orgasmo, per quanto le fu impedito di goderselo fino
alla fine. Le sue risa continuavano a imbrattarle le orecchie,
incatenandola all’inaccessibilità di sapere se
erano vere o solo illusioni nelle quali si era confinata, e che non
riusciva a smascherare perché schiacciata per tutto il tempo
contro il marmo ad assecondare i desideri del Dio degli Inganni. Ma
ciò che non si fece mancare era di ledere anche la sua pelle
quanto lui, scorticandogli la schiena ad ogni gemito di piacere e
dolore che le procurava, cercando in quel capriccioso gesto di
arrecargli disturbo alla sua solitaria corsa al compiacimento.
Fu la carezza con la quale le scostò i capelli quando ebbe
finito con lei, quando lasciò tornare un margine di distanza
tra i loro corpi che apparve simile a una voragine, che Sefa ebbe dei
seri dubbi se fosse poi vero che non le avesse prestato attenzioni.
Forse era solo incapace di scovarle tra le pieghe dell’anima
contorta di Loki, perché non vi era mai stato nulla di
più gentile di quel tocco con il quale le portò
indietro il ciuffo, scrutandola con quella che avrebbe potuto giurare
essere un’infinita malinconia.
Avrebbe voluto dirle qualcosa, ma tutte le parole che gli sgorgavano
alla mente erano per Lady Sigyn e lei non era davvero lì con
lui, quindi le ricacciò indietro conservandole per il
momento in cui finalmente sarebbero stati nuovamente insieme. Si
ritrovò a provare quasi una forma di compassione per se
stesso nel non avvertire la soddisfazione che aveva pensato di poter
ottenere, e ciò che aveva strappato da Sefa arricchiva il
dolore che gli procurava l’assenza delle sue memorie
– delle loro
memorie. Aveva pensato fosse crudele la scelta di suo
padre, di allontanarla tanto veementemente dal proprio fianco, ma
ancora di più lo era poterla avere accanto senza che fosse
conscia di chi davvero fosse – e chi lui rappresentasse per
lei stessa. E tale sofferenza sfociava in un rancore crescente,
indomabile, che solo la presenza di Sigyn avrebbe potuto contenere quel
tanto da concedergli una sosta dalla stanchezza di quel vivere senza
riuscire mai ad afferrare alcunché di ciò che
bramava.
Le consegnò la spada quando si fu rivestita, guardandola per
cercare tracce di odio nei propri confronti e rimanendo deluso dalla
loro assenza – persino in quello stato, Sigyn rimaneva capace
di stupirlo, avvolta nell’incomprensione di cui sempre era
stata formata la sua persona. Fu solo quel particolare ad alleviare la
morsa nella quale avvertiva soffocare il proprio cuore, per tale
ragione le sorrise appena – senza arroganza, senza
tracotanza, senza supponenza, semplicemente sorrise.
Sefa sentiva i solchi scarlatti dei graffi pulsare, così
come i segni dei denti che avevano assaggiato la sua pelle, e le gambe
le scosse da lievi tremiti, rese fragili, come se dovesse cadere a
terra da un momento all’altro per quanto deboli si erano
ritrovate dopo essere state manipolate con egoismo dal Dio degli
Inganni. Eppure, per quanto non vi fosse stato nulla di gentile o di
delicato – o forse c’era stato, ma solo dal
particolare punto di vista di Loki –, per quanto percepisse
l’indolenzimento di più parti del corpo, non
rimpiangeva di avergli dato ragione nel mostrargli quanto quel pagare
pegno non fosse un vero pedaggio. Per tali motivi ricambiò
il sorriso, aprendo gli angoli della bocca, le cui labbra erano state
dipinte di rosso dai denti conficcati in esse al posto dei baci, in una
morbida curva.
Con il cuore ancora alla ricerca di mettersi in pari con la frenesia
dell’adrenalina, cigolante per l’eccitazione che
l’aveva scossa e un sentimento indefinito che la legarla
indissolubilmente a Loki, osservò l’impugnatura
della spada su cui erano incise rune dall’oscuro significato
a dividere gemme preziose. Non avrebbe saputo affermare se era davvero
amore, forse una sua mutazione malata, insana e insensata, finiva
anch’essa nell’indeterminazione in cui affondavano
tutte le domande e le sensazioni di cui era vittima da quando era
arrivata a palazzo. E quell’assenza di chiarezza cominciava a
procurarle un mal di testa perpetuo, ancora debole quanto persistente;
cercò di non badarci mentre delineava i contorni
dell’arma nelle proprie mani, provando a riversare la propria
concentrazione su di essa per non dover pensare a null’altro
– nemmeno all’odore dell’uomo che sentiva
incastrato su di sé. Tutti sforzi vani.
«Non me lo avete detto alla fine. Di chi è la
spada, intendo.»
«Un cimelio di una nobile casata andata in
disgrazia» rispose Loki, voltandole le spalle per decretare
la fine della discussione come della sua permanenza nelle proprie
stanze, e non seppe se il tonfo che udì fu quello della
porta che veniva chiusa o quello dell’ennesima crepa a far
staccare un coccio di un’anima logorata da sentimenti
amputati.
M A N I
A’ s W
O R D S
*Coff coff*
Sì, insomma, eccoci qui.
Ora, ricordate tutto ciò che vi dissi sulle scene di sesso
la scorsa volta? Bene, non intendo ripetere, quindi nel caso andate
alle note dell’ultimo capitolo della raccolta precedente. La
carenza di descrizioni esplicite deriva dalle medesime ragioni.
E probabilmente nessuno se l’attendeva, eh? Dunque: sorpresa!
No, seriamente, io Loki non ce lo vedo proprio come bravo ragazzo che
attende che le ritornano le memorie per recuperare il tempo perduto.
Non la vede da decenni, le gira sempre intorno, credo che la sua buona
volontà abbia retto anche fin troppo a dir il vero. E poi ho
messo rating arancione per una ragione, ecco – anche se non
è solo per scene del genere.
Quindi, facendo il riassunto delle puntate precedenti: Sigyn ha di
nuovo la collana, ha visitato la sua vecchia casa, ha nuovamente la
spada appartenuta a suo padre e ha fatto cose felicemente p0rn con
Loki. Dunque, quanto tempo manca a ricordarsi di aver già
fatto/avuto tutto questo prima? Il piano di Loki di gettarle addosso
troppi dubbi avrà successo o peggiorerà solo le
cose? Chi lo sa!
Nel frattempo il prossimo capitolo sarà un po’
meno incentrato su Loki e Sigyn, e più su altri aspetti
della trama, ma non per questo secondari –
l’incoronazione si avvicina, dopotutto.
Ah, non avetecela troppo a male con Sif quando punzecchia Sefa/Sigyn
riguardo le differenze delle loro abilità. Sif è
comunque la Dea della Guerra e non ho mai voluto fare di Sigyn una
guerriera migliore di lei, le differenze di sono, infatti nella
precedente raccolta sottolineavo come Sigyn non sia mai riuscita a
battere Sif. Inoltre, Sif voleva solo stuzzicarla per spingerla ad
andare da Loki.
Note:
[1]
→ Nothung è nella mitologia
norrena, la variante del nome della spada di Sigfrido. Non sapendo come
chiamare la spada di Sigyn, che comunque è un cimelio della
sua famiglia, quindi importante e di un certo valore, ho ripreso tale
nome per nessuna ragione particolare oltre al fatto che mi
piacesse.
Ovviamente, come sempre ringrazio tutti coloro che seguono la storia, sia chi l'ha inserita nelle preferite/seguite/ricordate sia chi legge silenziosamente ogni volta, e soprattutto le anime pie che recensiscono e mi danno la carica necessaria per continuare a scrivere e lavorare con passione ♥
E mi sa che ci risentiamo a fine mese/inizio settembre. Un
po’ perché credo che molti siano giustamente in
vacanza, un po’ perché lo sono io e vorrei
dedicarmi a godermele per bene. Quindi, statemi bene e passate
– nonostante il tempo – un buon agosto!
Vi lascio il link alla mia pagina Facebook: M
A N I A
E qui un’edit che feci tempo fa, Loki/Sigyn: E D I T L O K I S I G Y N
Mania
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Capitolo 7 *** O7 • Un'altra reliquia ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O O
7
▬
“ Un'altra reliquia
„
{ Io voglio sapere il nome che
avrai,
quante
speranze e incertezze ti dai,
con
quali mani tu mi scalderai,
sciogliendomi
il sale dal cuore,
col tuo
fuoco di vivere. }
Vivere –
Cristiano De André
Aveva
consumato la maggior parte delle ore notturne ad accarezzare
l’elsa di Nothung con movimenti lenti, scorrendo i
polpastrelli sulla sua superficie con attenzione, nutrendo la
sensazione di aver già visto e persino impugnato
l’arma ora in suo possesso. Con l’altra mano a
chiudersi sul pesante ciondolo legato al collo, lo stringeva
prepotentemente, tanto da far divenire bianche le nocche, in una
disperata richiesta d’aiuto che sperava illogicamente potesse
provenire dalle smeraldine pietre; e nel mentre, l’emicrania
si intensificava con un vigore vorace – desideroso di
divorare i suoi pensieri, annichilirli, avvolgere tutta la sua mente in
un torpore di sofferenza. In mezzo ai vari tormenti, vi era Loki ad
accrescere lo stato di insicurezze nelle quali era scivolata troppo
rapidamente – ancora avvertiva le dita del dio degli Inganni
sul proprio corpo, il suo respiro spargersi sulla propria pelle, la sua
risata invaderle le orecchie, il sapore del sesso appiccicarsi tanto da
non essere possibile lavarlo via.
Strinse i denti fino a causarsi male da sé, alzandosi dal
letto su cui era seduta di scatto, esasperata. All’alba
sarebbe iniziata la grande giornata dell’incoronazione e lei
non aveva ottenuto ancora nulla. Arrivata a tale punto di frustrazione,
non desiderava allontanarsi da palazzo senza le proprie risposte
– senza sapere perché Loki era così
importante, nonostante il manto di indefinitezza ad avvolgerlo.
Provava la bruciante necessità di gridare e insieme
ritornare a quella colonna, ma più di tutto bramava di porre
fine a quell’intensa tortura protratta silenziosamente nei
suoi riguardi. Era una punizione – inspiegabilmente era
conscia che tutto quello a cui era sottoposta, era lo sconto per un
errore. Avvertiva il tumulto di consapevolezze da sempre stese sotto il
ghiaccio dell’oblio farsi più intenso, fino a
produrre scricchiolii e crepe sulla superficie bianca che ricopriva
quel pezzo enorme della sua vita di cui non ricordava
alcunché. Lì erano le sue risposte, lo sapeva e
più quella certezza si faceva intensa, più la
testa era perforata da invisibili chiodi, scosse di puro dolore a
costringerla quasi in ginocchio da quanta veemenza possedevano.
Arrivò al terrazzo con penosa difficoltà,
appoggiando le mani sul davanzale freddo e respirando affannosamente,
ingurgitando bocconi di aria fresca con avidità, sperando di
trovare in essi un tenue conforto. Se solo non fosse stata
così cocciuta da impedirsi di andare da Loki a chiedere
aiuto, si sarebbe precipitata nelle sue stanze anche solo per ottenere
una distrazione da un male implacabile.
Perdurò a lungo l’agonia, fino a sfinirla
completamente quando le stelle erano le uniche padrone
dell’abisso oscuro sopra i tetti di Asgard, con la luna
già tramontata e la notte talmente fitta da aver risucchiato
qualsiasi rumore; e in quel tempo buio Lady Sefa scivolò nel
proprio letto in un sonno senza risposo, sogni o dolcezza –
solo immagini sconclusionate, ricordi offuscati, incompleti e
indecifrabili, incapaci di concederle la liberazione della conoscenza
che cercava.
Il tormento al capo si era flebilmente acquietato al suo risveglio, ma
solo per via della pausa ancora fresca dalla spossatezza –
sarebbe riemerso brutale come poche ore addietro, portando con
sé un mantice di rinnovati quesiti a perforarle la mente.
La sua preparazione per assistere all’incoronazione fu di una
lentezza opprimente, movimenti meccanici a susseguirsi stancamente, con
la testa pesante affollata di pensieri troppo rallentati
dall'estenuazione e dal riaffiorare dell’emicrania. Il
respiro strascicato le sollevava con fatica il petto, oppresso dalla
sensazione di crescente colore proveniente dalla collana –
sensazione che mai sarebbe potuta essere corretta, perché come poteva un
ciondolo scottare improvvisamente?
Seppe di non essere riuscita a nascondere il grado di malessere quando
persino l’espressione di Loki – venuto a prenderla
per accompagnarla fino alla sala del trono, prima di raggiungere suo
fratello – si contrasse, sollevando un sopracciglio in un
interrogativo che non ebbe una risposta quando le chiese delucidazioni
riguardo il suo aspetto sciupato. Non aveva alcuna intenzione di
discutere in quel frangente, non perché trovasse la
situazione inadatta, ma più semplicemente per mancanza di
energia da impiegare in un dialogo con il dio degli Inganni –
e non appena le avrebbe riacquistate, sarebbe tornata a impiegarle per
districarsi in quel pantano nel quale si sentiva affondare, trascinata
giù da una forza ineffabile.
Nonostante tutti i suoi desideri di chiarezza, per quanto fino a quel
momento i suoi dilemmi le fossero sembrati le faccende più
importanti dell’intero Regno, quando
l’incoronazione venne interrotta brutalmente
dall’allarme che risuonò per l’intero
palazzo, lacerando il giuramento di Thor e scatenando le furie di
quest’ultimo, improvvisamente avvertì una strana
lucidità farsi largo in se stessa. Le venne quasi istintivo
cercare la spada al proprio fianco, senza trovarne alcuna con un senso
di sorpresa e smarrimento, prima di ricordarsi che non era affatto una
guerriera e non spettava lei scoprire a cosa fosse dovuto il trambusto,
né tanto meno come mai tanto sgomento era sorto sui volti
della famiglia reale. Non era il suo posto quello al centro
dell’azione – o almeno quella era
l’apparenza alla quale abituata.
Si ritrovò, dunque, a passare le ore successive cercando di
raccimolare quante più notizie possibile su ciò
che era accaduto a palazzo, senza riuscire incontrare nessuno della
famiglia reale e dei più vicini a loro, troppo indaffarati a
risolvere problemi gravosi per occuparsi di lei. Quel che
scoprì non erano che informazioni generiche, poco adatte a
soddisfarla pienamente – venne, comunque, a conoscenza
dell’insolito particolare di come l’intrusione del
piccolo manipolo di Giganti del Ghiaccio, atavici nemici di Asgard con
i quali perdurava una pace precaria, fosse avvenuta senza lasciar
tracce della breccia nella sicurezza che li aveva condotti nel loro
maldestro tentativo di recuperare l’antica reliquia, lo
Scrigno degli Antichi Inverni. Non ebbe, invece, la minima notizia di
dove si fossero cacciati Loki e tutti gli altri se non quando ormai
erano già stati ricondotti ad Asgard dall’ira di
Odino per l’aver infranto l’ordine severo di non
attaccare Jötunheimr; e insieme alla sua collera,
seguì la punizione furente nei riguardi del maggiore dei
suoi figli, responsabile di un’azione tanto sconsiderata.
In tutto quel che accadde, Lady Sefa rimase ai margini nonostante
l’istinto la guidasse al cento della scena e un pessimo
presentimento le invadesse l’animo – un dettaglio
inafferrabile la infastidiva, le suggeriva della presenza di molto
altro dietro gli avvenimenti a catena delle ultime ore. Il tempismo
degli intrusi era stato talmente tanto perfetto ed eccezionale da
suscitarle interrogativi inattesi – le venne strano osservare
come quella coincidenza fosse tanto incredibile unicamente per lei,
perché nessun altro si ritrovava a supporre quanto fosse
comoda per Loki.
Nuovamente, si stava ritrovando ad avere in mano conclusioni mentre le
sfuggivano tutti gli elementi della sequenza logica che le precedevano.
Arrivare a insinuare, anche solo a se stessa, che dietro una tale
infausta azione nemica si nascondessero macchinazioni del fratello
minore del futuro Re era insensato, stupido, avventato e immotivato
– a ben vedere, non conosceva abbastanza Loki e tale
circostanza rendeva già ridicolo il suo sentimento per lui,
giungere a tessere una simile accura era notevolmente più
inconcepibile.
Camminava forsennatamente nei corridoi adiacenti alle stanze del
principe minore, attendendolo con ansia per scoprire dove fosse finito
– e se, soprattutto, stesse bene. Il presentimento che
affollava il suo petto, soffocava anche i dubbi e quesiti su se stessa,
accompagnandosi a un grumo di timore a concentrarsi nel suo stomaco in
fitte di agitazione riguardo alle condizioni di Loki. Non le
interessava della veridicità delle sue congetture assurde
– fondate sul nulla, o almeno su alcunché che lei
davvero conoscesse, a
meno di non accettare scenari improbabili dei quali non voleva sentire
parlare, non in quel frangente –, nemmeno di
quanto lui fosse realmente coinvolto in quell’assurda storia,
ma solo che ne uscisse indenne.
Per tale ragione sentì il proprio cuore ritornare a battere
senza produrre onde d’urto di spilli, quando scorse Loki
sbucare da dietro l’angolo per raggiungere la propria camera.
Gli abiti sgualciti erano i residui della battagli alla quale aveva
preso parte, ma apparentemente, per quanto cercasse, gli occhi scuri
della donna non scorsero alcuna ferita, ma in compenso notarono come la
calma a intessersi sul suo volto era unicamente una facciata fallace.
Troppe crepe si affacciavano su una maschera che solitamente Loki
sapeva rivestire con la classe cinica di cui unicamente lui era capace;
dunque seppe per certo, Sefa, che qualcosa era capitato –
qualcosa di terribile per gettare su di lui un simile stato di
preoccupazione.
«Siete ferito?» domandò con vivo
interessamento al suo stato.
«No. Spostatevi ora» replicò secco,
irritato dalla presenza della donna che stava venendo meno alla propria
promessa di servirlo proprio quando ne avvertiva la massina
necessità – o forse no, forse persino in quello
stato, al massimo delle sue capacità attuali, Sigyn tentava
di stargli accanto come meglio le era consentito. Ma Loki era troppo
offuscato da una rabbia urticante, provocata da dubbi tremendi,
rinvenuti nelle nevi e nel gelo di un mondo che aveva imparato a
conoscere attraverso le fiabe della buona notte, intessute
appositamente per spaventare i bambini asgardiani. Riusciva ancora a
sentire sul proprio braccio la morsa del Gigante del Ghiaccio, ed era
incresciosamente famigliare, formata da una sensazione di freddo
siderale che non lo infastidiva minimamente né sinistramente.
«Voi non state bene, c’è qualcosa che vi
affligge e sono certa che non sia per la punizione a vostro
fratello», una parola di troppo, Sefa ne fu sicura quando il
dio degli Inganni si voltò gettandole addosso uno sguardo di
furia oscura, riversandole addosso una dose di rabbia di cui non
comprendeva l’origine. Non era unicamente lei il motivo di
tale collera, ma Sefa non poteva ignorare quanta irritazione per lei vi
fosse – personale, bruciante e persino dolorosa. Era
risentimento, una ricusazione per una colpa di cui lei non trovava le
fila, ma che era talmente potente da mozzarle via il fiato per quanto
la avvertisse meritevole – irrazionalmente, per una volta in
più.
«Come fate ad esserne così certa, eh? Da dove
deriva tutta questa vostra sicurezza, sapete dirmelo? La vostra
conoscenza di me è scarsa, eppure vi arrogate
così impunemente la capacità di comprendermi. O non siete chi dite di essere,
o siete una sciocca. A voi la scelta, e ora
spostatevi», sbottò scostandola con un gesto rude,
deciso a non proseguire una conversazione infruttuosa con lei e
cambiando la sua iniziale idea di procedere verso le proprie stanze
– per non indugiare oltre e disvelare i segreti che
Jötunheimr aveva evocato. Solo Sigyn avrebbe potuto
concedergli un attimo di respiro, un sorso di riposo e di
soddisfazione, ma suo padre lo aveva privato anche di un tale conforto
– e di tutto ciò che gli spettava: la sua fedele
compagna, il trono e anche una verità sgradita.
I passi rimbombavano in echi gravi mentre procedeva trattenendo a
stento la necessità di giungere alla meta, stendendo le
falangi lunghe della mano per evitare di affondare le unghie nel palmo,
rivelando la forza della matassa dei propri pensieri. Nemmeno
l’idea di aver ferito Sigyn riusciva ad aver un qualche peso
su di lui in quel frangente, solo le incertezze da dipanare avevano la
priorità nella propria mente – per questo non si
rese conto di quanto le sue parole l’avessero ferita,
riportando in primo piano le afflizioni con cui stava disperatamente
tentando di lottare per non soffocare nel dolore delle nebbie
dell’ignoto.
Il dubbio era la
più insana di tutte le malattie. Non vi era
alcuna cura se non nella certezza, e spesso, quando la si otteneva, ci
si ritrovava a voler ritornare nelle brume fitte dell’assenza
di risposta, perché non era affatto vero che la
verità ripaga delle sofferenze. La libertà non
era donata dalla conoscenza, essa, al contrario, relegava in una
prigionia dura, incontrastabile, perché niente avrebbe
potuto limare le sbarre della gabbia, forgiate da regole non opinabili,
che rendevano le proprie azioni solo conseguenze e non decisioni
svincolate.
Per tale ragione Loki indugiò a lungo sul scendere del
reparto della tesoreria in cui erano racchiusi i cimeli di Odino, e per
la medesima restò ad osservare lo Scrigno dei Giganti del
Ghiaccio a lungo prima di toccarne la superficie.
Parole vecchie e sentimenti d’invidia stavano acquisendo
sempre maggior volume, mettendo da parte le risate e la
felicità fallace con cui aveva convissuto per anni. Davanti
a lui poteva esserci il motivo per cui non era stato scelto per
ascendere al trono; davanti a lui, racchiuso in un cubo, risiedevano
forse le risposte di cui non era certo di anelare a conoscerne le
forme; e le molteplici ragioni per cui, tra tutti, si era sempre
sentito non semplicemente diverso, ma estraneo
– nonostante l’accettazione, nonostante gli onori,
nonostante i successi, quella percezione di sé a dividerlo
dal mondo non era mai diminuita, ma solo appannata sotto la luce
concessa fino a quel momento alla sua vita. E se questa fosse stata
solo il frutto malevolo di una bugia, una menzogna in cui era stato
cresciuto, non era sicuro di volerlo scoprire, ma le sue dita
scorrevano più rapidamente dei pensieri e non
poté impedirsi di provare per sé il disgusto che
era stato abituato a provare per i Giganti del Ghiaccio –
perché lui era quel nemico, quel mostro, di cui
raccontavano le madri per farsi ubbidire dai bambini, era
ciò che il suo popolo aveva combattuto tanto aspramente.
I passi alle sue spalle non lo riscossero pienamente dalla neve
rancorosa che si stava formando attorno al suo cuore, gettato
improvvisamente in mezzo a un fermento di rimorsi, abnegazioni,
reinterpretazioni, amarezze sopite e forse mai esistite, ma che in quel
momento riuscirono a diventare tanto reali, potenti, da combattere
contro i rari sentimenti puri con i quali era cresciuto. E questi
ultimi apparvero tanto deboli, effimeri, davanti alla prepotenza vile
di quegli inganni che si stava sussurrando da solo alla mente, da
stravolgere una vita intera per una sola ipocrisia, la quale valeva
tutto quanto nella follia dell’attimo.
C’era del ridicolo nell’essere lui, dio
dell’Inganno, vittima di un raggiro tanto profondo, tanto
smisurato e desolante – e forse, tra tutto, era
ciò a indignarlo più profondamente, il ritrovarsi
succube di quelle macchinazioni sofisticate che solitamente era lui a
costruire. Se persino la sua presunta famiglia era arrivata a giocargli
un simile scherzo di cattivo gusto, non aveva più dubbi su
come avrebbe utilizzato le sue doti e magie per infliggere la stessa
sofferenza dilaniante, che ora era costretto a provare –
alcun conforto, alcun parola, alcun gesto avrebbe potuto soffocare quel
ustione interiore, solo una persona sarebbe stata in grado di
comprendere e le era stata strappata via dall’uomo che aveva
finto di essere suo padre.
Il rancore si estendeva, si diramava in una pozzanghera di oscuri
sussurri di vendetta, rivalsa e distruzione. Più di prima,
aveva intenzione di portare avanti il proprio piano, e con qualche
ritocco sarebbe persino riuscito a causare un dolore almeno
lontanamente giusto
a coloro che erano artefici di tale grottesco teatrino. Dato che mai
aveva davvero avuto la possibilità di guadagnarsi
ciò che gli spettava di diritto, e avevano finto di metterlo
al loro livello, come anche di concedergli realmente la
possibilità di conquistarsi il trono – una
proposta insincera nella sua origine, una gara iniqua,
perché mai Odino avrebbe concesso a un suo nemico il proprio
titolo –, allora non solo se lo sarebbe arrogato con la forza
come aveva già pianificato, ma si sarebbe preso una
rivincita su chi aveva osato costruirgli false aspettative.
«Chi sono davvero io, padre?»,
marcò così tanto l’ultima parola,
intingendola di una furia traboccante, da far frenare
l’avanzata del grande Re. Le unghie affondavano nella carne
dei palmi, in una presa stretta, tremante per via di un argine
abbattuto da quel rancore di cui non aveva mai provato il pieno vigore
e che pareva da sempre essere stato in lui per quanto naturalmente lo
avvertiva scorrergli dentro – nelle vene, mischiandosi con il
sangue e avvelenandogli definitivamente l’anima.
«Sei mio figlio, Loki» rispose con una calma
dolorosa Odino, cercando di far comprendere in modo tanto semplice la
realtà che non poteva essere modificata da
un’origine di cui nessuno era responsabile. Aveva
già perso un figlio in quella nefasta giornata, e per quanto
percepisse il peso della propria decisone gravargli sul cuore, non
aveva potuto negare tale punizione unicamente per un amore paterno,
quando la legge doveva essere ugualmente rispettata da chiunque. E ora
si ritrovava, a distanza di poche ore, a dover discutere anche con
l’altro suo figlio, non suo di nascita, ma tale per un
affetto che non era cancellabile da alcunché – o
almeno, in quel momento, pensava fosse così.
«No, questa non è la verità. Questa
è la menzogna nella quale avete voluto farmi
crescere» replicò con astio crescente Loki, tanto
che gli occhi verdi brillarono non di disperazione, ma di rabbia
incontrollabile – troppo fresca e immensa per essere gestita
con la dovizia fredda con la quale avrebbe fatto dimestichezza in
seguito.
«Solo per proteggerti» asserì Odino,
ritornando a muoversi verso di lui, scendendo le scale, per poterlo
guardare più da vicino, come se bastasse colmare una
distanza spaziale per colmarne una spirituale in espansione,
«L’affetto con il quale ti abbiamo cresciuto io e
Frigga sono reali, sono veri, più delle tue
origini.»
«Se così è, perché non mi
avete detto nulla? Sono
solo un’altra delle vostre reliquie?!»
«Chiamala paura, ma non credere che sia nei tuoi confronti,
ma in ciò che tale rivelazione avrebbe potuto mutare nei
nostri rapporti» cercò di spiegare, malamente e
con le parole rotte da una sofferenza palpabile, ma di cui Loki non
riusciva a rendersi conto, reso maggiormente immune ai sentimenti
altrui, egoisticamente concentrato unicamente sulla concretizzazione di
quell’elemento di distorsione che per tutta una vita aveva
avvertito – un fantasma, una presenza indesiderata, la
ragione della sua mancata nomina a Re nonostante le fasulle promesse.
«Dovevate pensarci prima!»
«Loki, per favore, cerca di comprendere-»
«Che cosa?!» urlò con veemenza,
minacciosamente avanzando verso il padre e cercando di incanalare in
quell’unica parola non solo l’ira rancorosa di quel
frangente, ma anche le promesse di rivalsa progettate da tempo e rese
più forti per l’essere stato reso succube di un
inganno tanto profondo.
Ed Odino parve accorgersene, ma la distanza che gli occhi verdi di Loki
riuscivano a creare tra il mondo e se stesso era troppo immensa per
poter essere concepita pienamente; eppure, l’abbraccio che
gli diede parve almeno esteriormente calmare quel cambiamento repentino
dello spirito – un cambiamento solo esteriore,
perché la vera essenza di Loki era sempre stata nascosta
fino a quel giorno.
Lo avvertì acquietarsi contro il proprio petto, come quando
da bambino piangeva tanto da non riuscire più a respirare, e
si ritrovava a doverlo stringere con più forza di quanto lo
fossero i suoi stessi singhiozzi. E nel mentre credeva di aver sedato
ciò che invece aveva risvegliato completamente, gli
sussurrò all’orecchio una verità che fu
tale solo in quel momento, ma che sarebbe andata perduta – e
forse, mai più ritrovata -: «Che ciò
non cambia niente.»
Per quanto la discussione fosse stata breve, con suo padre, Loki non
poté cancellare dalla propria mente le verità
manipolate che la scoperta avevano creato. Non avrebbe, nuovamente,
concesso ulteriori spaccature sulla propria maschera attraverso le
quali scorgere il rancore bruciante ad animarlo, avrebbe trattenuto e
modificato quel sentimento in un cruccio indistinto che avrebbe potuto
confondersi tra i tanti. E nel mentre, avrebbe arricchito la propria
tela di nuovi dettagli, di particolari che prima non aveva considerato
per aggiudicarsi una vittoria completa, una vendetta per quel torto che
non sarebbe mai più potuto essere dimenticato, alleviato o
modificato.
Da Lady Sif e i Tre Guerrieri venne scambiata per comune preoccupazione
per le sorti di Thor, perché era ciò che
desideravano scorgere e non posero particolari attenzioni alle rughe a
marcare la sua fronte, né tanto meno diedero peso al suo
rifiuto di provare a scendere a patti con Odino per ripotare indietro
il fratello – in fondo, nemmeno per Lady Sigyn si era
spogliato del proprio orgoglio, e avrebbe mantenuto tale decisione
anche in quel contesto.
«Dov’è?», non dovette
specificare a chi si riferisse, era perfettamente chiaro ai quattro che
fosse Lady Sigyn l’oggetto del quesito.
«Credo si sia recata alla sua vecchia casa. Non sembrava
stesse bene… Loki, credo abbia bisogno d’aiuto,
ma…» rispose Lady Sif, che aveva intravisto la
figura dell’amica a distanza – i lineamenti non
erano mai stati tanto intrisi di liquida sofferenza e i suoi passi
tanto concitati, troppo presi a dirigersi nella sua antica dimora per
rispondere ai richiami della dea della Guerra.
«Ne ha decisamente
bisogno», e sembrò quasi una minaccia per quanto
freddamente pronunciò tale frase, stringendola tra i bianchi
denti e sputandola. Era stanco di quel gioco, aveva
necessità che Sigyn ritrovasse se stessa e non avrebbe
più aspettato ulteriormente, quindi sperava vivamente per
lei che fosse ormai vicina a spezzare quel muro invisibile che la
divideva della sue stesse memorie. Abbisognava dell’unica
persona che da sempre aveva visto oltre le sue menzogne, oltre le sue
bugie, oltre i suoi inganni e illusioni, scorgendo la sostanza della
sua anima e del suo cuore distaccati e distorti più di
qualsiasi altri tra i Nove Regni – la sola che aveva accettato la
sua vera natura ancora prima di scoprirla.
M A N I
A’ s W
O R D S
Per l'occhio di Odino, questo
capitolo!
LA FATICA. No, seriamente, ho penato su questo capitolo
perché personalmente fare introspezione su tale scena del
film, la trovo una cosa estremamente complicata.
Ma andiamo con calma.
Come notate l'avvertimento "What
if?" ora diveiene motivato. Il discorso tra Odino e Loki
l'ho cambiato - primo perché non c'avevo voglia di rivedermi
il film apposta, secondo perché come notate va a finire in
modo diverso. Dato che io non ho mai capito perché Odino
svenisse - e poi si ripigliasse - così, ho cambiato un po'
la scena. E poi non mi serve Odino svenuto per quel che
verrà dopo.
Comunque, spero che sia chiaro quel che volevo comunicare sui pensieri
di Loki in quel frangente. Per me non è che si sia sentito
offeso dalla bugia nel suo contenuto, ma perché essa
è la ragione per cui non è potuto diventare Re -
e anche perché è lui solitamente a ingannare gli
altri, ed essere raggirato dalla propria famiglia rende la menzogna
ancora più detestabile. Quel che mi è stato di
maggiore difficoltà è stato in un qualche modo
riallacciare la versione cinematografica a una più vicina ai
miti - che personalmente apprezzo maggiormente. Spero di esserci almeno
in parte riuscita, ecco.
Ho ripetuto rancore e derivati un po' di volte perché
è questo il sentimento che secondo me caratterizza
maggiormente Loki - ma spero di non averlo ripetuto troppe volte da
farlo diventare eccessivamente ridondante.
Quanto a Sigyn, attendete il prossimo capitolo. Ci sarà
anche una scena che so che almeno un paio di voi aspettano dall'inizio
di questa storia - spero che vi piacerà.
Ah, sì, io non è che sia stata lì a
descrivere Thor che viene cacciato e bla bla bla, perché
ahimé questa è una raccolta di one-shot e
comunque ne parlerò più avanti. Sì,
anche Thor avrà un ruolo più centrale non appena
passano i prossimi due capitoli - mica me ne sbarazzo così
senza dire altro.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, io non ne sono soddisfatta
pienamente. Sarà che è proprio complicato
descrivere psicologicamente la scena di Loki e Odino - tra parentesi,
Odino so che solitamente è dipinto come se fosse il
responsabile di tutto quanto, il vero stronzo della situazione, ma per me quest'uomo
è fin troppo paziente con i suoi figli considerando che ha
dei doveri di Re prima di tutto -, ma sono stata indecisa fino
all'ultimo se cancellare tutto e riscrivere da capo facendovi aspettare
un altro mese e mezzo o meno.
Potrebbero perdurare qualche piccolo errore perché devo
tornare a studiare e ho ricontrollato un po' meno di quanto dovrei
fare, spero comunque che non ci siano strafalcioni immensi - comunque
ricontrollo appena la sessione finisce.
Io come al solito mi metto in ginocchio e ringrazio tantissimo le
persone che continuano a seguire la storia - nonostante gli
aggiornamenti rari, perdono ;v; -, chi ha inserito la storia tra le
preferite/seguite/ricordate e soprattutto chi commenta rendendomi
veramente felicissima. In particolare, questa volta i miei mille e
più grazie vanno a
Yoan Seiyryu, Helen L e queenofoto
♥
Alla prossima,
Vi lascio il link alla mia pagina Facebook: M
A N I A
Mania
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Capitolo 8 *** O8 • Quanto si è disposti a rischiare ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O O
8
▬
“ Quanto si è disposti a
rischiare
„
{ Sarebbe stato meglio vivere,
con le
certezze degli illusi,
con le
bellezze dei sognatori. }
Vivere –
Cristiano De André
L’aria
all’interno dell’antica villa era impregnata di
polvere e umidità, filtrava tra le pareti insieme alle crepe
attraverso cui si insinuavano le edere. Lo sporco opacizzava tutto:
pavimenti, specchi, mobili e qualsiasi superfice. La donna aveva
provato ad accendere le luci, ma come si era aspettata
l’impianto non funzionava da tempo ed era rimasta ad avanzare
nell’eterno crepuscolo delle sale.
Doveva essere stata una dimora sfarzosa, ricca di quadri di cui
rimanevano solo aloni sulle pareti, di lampadari dai scintillanti
diamanti a ricadere a pioggia di cui nulla restava se non uno scheletro
spoglio, di oggetti a riempire le credenze e libri ad arricchire le
librerie vuote. Riusciva a immaginarsi come doveva essere stata, con
tanti particolari da sembrare una reminiscenza – ma era assurdo, lei non era mai
stata in quel luogo, o meglio, non ricordava di averci mai
messo piede se non la settimana passata con Loki.
Ma le crepe ormai non erano più unicamente a scorrere lungo
i muri, ora erano anche dentro lei stessa, lasciando intravedere
verità di cui desiderava afferrare i contorni, senza sapere
come fare. L’emicrania era tornata ad essere lacerante,
pulsava con insistenza come a volerla esortare a trovare un modo per
conquistare ciò che le sfuggiva –
perché erano appena oltre la coltre di nebbia che sentiva
dentro se stessa, vicine e maledettamente lontane allo stesso tempo.
Probabilmente era frutto della sua immaginazione in quel momento di
confusione mentale, nonostante il ciondolo al collo improvvisamente le
apparisse pesante, avvolto da un calore che avvertiva filtrarle
attraverso la pelle – irradiando dentro di lei ciò
che lo aveva reso d’un tratto tanto gravoso da portare, come se fosse stato pieno di
qualcosa.
Si avvicinò a una finestra unicamente per cercare il
filtrare di una lieve brezza, un tentativo troppo blando per trovare
conforto, e appoggiando le mani sulle inferiate prive di vetri, rivolse
lo sguardo verso il palazzo reale cosparso di riflessi scarlatti
gettati dal crepuscolo.
Era il tramonto anche quel giorno lontano, quello in cui la sua vita
aveva avuto un brusco cambiamento, prima di profondare
nell’abisso. Serrò gli occhi con disperazione, il
cuore a batterle nel petto con prepotenza, quasi fosse il motore per
rievocare quel momento perduto e in frantumi – ma che poteva
essere aggiustato con filamenti di oro fuso a renderlo prezioso[1].
Tra le montagne spoglie, tanto aride da non aver vegetazione a
ricoprirle, i raggi caldi del sole morente lasciavano scivolare maree
di sangue sulle loro pareti rocciose, sotto le quali affondavano le
radici della più importante città dei nani. E
dalla residenza reale sarebbe preso giunta la delegazione per siglare
l’accordo, in modo da porre fine alle ostilità che
per mesi avevano insanguinato le colline alle pendici della catena
montuosa.
Nella propria tenda personale, Lady Sigyn era ancora intenta a
spogliarsi degli abiti pregni del fluido cremesi dei nemici, gettando
nell’angolo le stoffe sgualcite per scivolare sotto il getto
dell’acqua calda della doccia. Il vapore saliva lentamente,
avvolgendo il corpo della donna, mente la corrente che percorreva la
sua pelle portava via con sé le incrostazioni di sangue e
terra, corrose dal sapone a lasciarla nuovamente pulita. Nonostante la
rapidità con cui il gorgo risucchiava il fluire
dell’acqua macchiata da scie scarlatte, rimanere sotto la
bruciante acqua le rallentava la percezione del tempo, ovattandola in
una dimensione nel quale si sentiva estranea a ciò che
continuava ad accadere nel mondo.
Fu quando spense il getto e la tenue cortina si disperse, che si
accorse di non essere sola. Non sprecò nemmeno tempo a
domandargli da quanto tempo fosse lì in piedi, a scrutarla
lavarsi, o come fosse entrato e perché non si prendesse il
disturbo di chiedere il permesso – non che gli occorresse, ma
a Sigyn piaceva puntualizzare il superfluo talvolta unicamente per
stuzzicarlo. Appoggiato alla scrivania posta al centro della tenda,
teneva le verdi iridi puntate sul quadrato di mattonelle differenti sul
quale era stata montata la doccia, alzato un sopracciglio e ampliando
il sorriso malizioso quando la donna si avvicinò a lui per
prendere l’asciugamano lasciato sulla sedia, cospargendo
briccole d’acqua dietro i propri pasi.
«Tra poco giungerà il principe nemico per firmare
il contratto di pace», Sigyn sapeva quando tale avvenimento
indisponesse il principe asgardiano, che tanto aveva tramato alle
spalle di tutti per scatenare quel conflitto in modo da allungare le
mani su un manufatto di cui voleva impadronirsi – e che
grazie a tale accordo non avrebbe ottenuto.
«Che penosa perdita di tempo e dignità. Non ho
alcuna intenzione di assistere a un simile spreco, soprattutto quando
in suo possesso risiedono reliquie tanto interessanti», una
contrazione rapida dell’occhio fece presente il profondo
disappunto che la circostanza gli provocava, ma fortunatamente aveva in
serbo ancora qualche trucco prima di darsi per vinto e la presenza di
Sigyn gli allentava il fastidio pressante dei suoi piani sgretolarsi
lentamente.
«Siete venuto a darmi disposizioni al riguardo?»
chiese incuriosita, mentre le mani di Loki raggiungevano i suoi fianchi
per portarla vicino al proprio corpo. Continuò ad
asciugarsi, nonostante avvertisse permanere su di sé scie
infuocate lasciate dal passaggio delle mani dell’uomo lungo
la propria schiena – lente, risalivano intrufolandosi tra i
capelli bagnati appiccicati alla pelle, rivelando desideri ricolmi di
lussuria famelica e di una dolcezza lieve che riservava unicamente a
lei.
«Me ne occuperò da solo, la tua presenza
è richiesta al tavolo delle trattative in quanto Generale di
uno dei reggimenti che ha ottenuto maggiori risultati»
osservò prima di piegarsi verso le labbra carnose della
donna a prendersi un bacio. «Io posso essere in
più posti contemporaneamente» chiosò
con ovvietà, dando vita a una propria proiezione alle spalle
di Sigyn, che non fu notata immediatamente.
«Quindi è solo una visita di piacere»
constatò, sorridendo ammiccante, prima di sentire le stesse
dita affusolate di Loki intente a percorrerle i fianchi, insinuarsi
anche sotto l’asciugamano per farlo cadere a terra.
Inclinando appena il capo indietro, si accorse a quel punto della
proiezione dell’uomo alle sue spalle. «Oh, solo
un’altra illusione? Perché non di
più?»
«Non tentarmi» rispose ridacchiando, mentre la sua
illusione le baciava il collo.
«Sono io quella tentata» replicò
avvicinando le labbra all’orecchio destro del dio,
sussurrando provocatoriamente mentre faceva scorrere le proprie mani
verso le cinture di cuoio attorno alla vita dell’uomo. Lo
sentì ridere divertito, avvertendo le falangi di lui
percorrerla, senza soffermarsi a pensare quali fossero quelle reali e
quali delle dell’illusione, perché lo aveva
appreso molto tempo addietro che a volte le ultime sapevano donare
più sensazioni di quanto le prime potessero mai sperare di
fare – e con il dio che le manovrava, simili sottigliezze non
sarebbero mai potute essere districate, rendendo ogni tentativo uno
spreco di tempo.
Con le mani ad affondare nei capelli d’inchiostro e le labbra
incollate alle sue, annaspando per cercare un po’
d’aria di tanto in tanto tra un bacio e un gemito,
lasciò che le mani del medesimo dio alle sue spalle la
guidassero a inarcare la schiena per osservarla divaricare le gambe con
ghigno soddisfatto. E dai suoi fianchi, fece scorrere le lunghe dita
fino ai seni, stringendoli mentre si piegava su di lei, assaporando il
gusto della sua pelle tra una spinta e l’altra, avvertendo il
suono dei baci brucianti e dei morsi che lasciava sulle labbra del se
stesso davanti a lei.
Ed erano per lei tutte le attenzioni, ed era unicamente per sentirla e
farsi sentire che le impedì di insorgere nel cercare di
prendere un comando che mai avrebbe potuto avere in così
netto svantaggio numerico – non che bastasse ciò a
frenarla dal far scendere le sue mani lungo il ventre
dell’uomo o a dettare lei un ritmo differente. La
udì ridere divertita tra un respiro mozzato e la tensione
dei muscoli a intrappolare un piacere strisciante, tra un incastro di
corpi e quello successivo, nel quale lasciarsi profondare dentro di lei
non solo con il corpo, ma nella sua anima – un rifugio sicuro
in cui riusciva a trovare un luogo privo di quella foga angosciante
corrosa da un rancore e una sete di potere implacabili, e in essa
scoprire la tranquillità di loro due soli.
E quando Sigyn raggiunge l’orgasmo glielo lasciò
assaporare, osservandola cercare di arruffare pezzi d’aria
per abbeverare i propri polmoni a secco di ossigeno, alzando e
abbassando freneticamente il torace bagnato dal sudore, con la pelle
intrisa del profumo di entrambi. Si prese baci delicati prima di
riprendere per soddisfare anche se stesso, frenandola
dall’ansia che lei provava di non lasciarlo senza la sua
parte, per suggerirle che poteva prendersi più spazi per
sé di quanti se ne concedesse per amore suo. E rispose al
suo sorriso complice con un ghigno quando una gamba la portò
attorno al ventre del Loki che aveva di fonte, mentre rimanendo su un
piede teneva la schiena schiacciata contro il corpo di quello alle sue
spalle, intento a morderle il collo con le mani a vagare sotto il
ventre della donna. Era un invito per il finale che non poteva essere
rifiutato e che entrambi cercarono di protrarre il più a
lungo possibile.
«Le vostre visite di piacere sono sempre molto
interessanti» osservò divertita Sigyn, con il
fiato corto e più stanca di quanto la battaglia potesse
privarla di energie. Si sedette sul bordo del letto, combattuta tra
l’intento di vestirsi in vista della cerimonia per redire il
contratto di pace e il desiderio di sprofondare sotto le lenzuola per
riposarsi. Osservò di striscio lo sguardo altrettanto
divertito di Loki misto al lieve riso, con già
metà dei suoi indumenti indosso e straordinariamente capace
di riordinarsi come niente fosse. Inarcò
all’indietro il collo, per far scricchiolare la cervicale
prima di rialzarsi con uno sforzo di volontà inaudito in
modo da riprendere la propria preparazione da dove l’aveva
interrotta decine di minuti prima.
«Non ero venuto qui per questo. Volevo sapere una
data» rivelò cripticamente Loki, sedendosi nella
poltrona vicino al letto accavallando le gambe con le mani congiunte in
grembo.
«Una data per cosa?» chiese incuriosita la donna,
cercando di sistemare il groviglio di capelli – nodi su nodi
creati dal passaggio delle dita vogliose di Loki – per
poterli poi rinchiudere nella solita treccia laterale.
«Per il matrimonio.»
«Scusi?» incredula, si voltò
completamente a fissarlo lasciando perdere il proprio riflesso nello
specchio davanti al quale tentava di domare la propria chioma.
«Il nostro, per la precisione» chiosò
Loki con la stessa naturalezza con la quale aveva iniziato il discorso,
come se stesse parlando di libri, di strategie militari o di qualcuno
dei suoi sotterfugi. Era più che altro tale
tranquillità a lasciare Sigyn sbigottita, con le
sopracciglia inarate in archi di pura sorpresa e occhi sgranati alla
ricerca di ogni dettaglio catturabile che potesse confermarle o
smentirle di aver udito correttamente.
«Mi state chiedendo di sposarvi?» cercò
di mettere in chiaro la situazione, nascondendo il più
possibile il tremore della propria voce davanti a una simile
prospettiva. Arrossiva raramente Lady Sigyn e sempre a causa di Loki,
nonostante lei provasse a impedirselo con tutte le proprie energie per
non mostrare crepe di vulnerabilità nemmeno
all’uomo che amava, ma in quel frangente si
dimenticò completamente di resistere ai moti del proprio
corpo, ritrovandosi con le guance impregnate di rossore e il petto a
dover sopportare battiti mai così pressanti.
«Non è una domanda in realtà. Ma il tuo
consenso è ovviamente indispensabile»
constatò con ovvietà Loki, ridendo appena per la
reazione della donna – non come presa in giro, quasi con
dolcezza per quanto lei stessa appariva adorabilmente priva di
capacità recitative sotto le quali intrufolarsi almeno in
quel frangente.
«Quindi me lo state chiedendo» osservò
Sigyn, provando a concentrarsi su quel punto per riprendere il
controllo delle reazioni del proprio organismo – e anche
perché credeva fosse sensato che almeno vi fosse una
proposta in tal senso, anche se, non appena un tale pensiero si
strutturò nella sua mente, quello successivo le
suggerì che Loki e lei stessa avevano poco a che vedere con
l’assennatezza.
«Non è l’elemento essenziale della
questione scoprire se sia una richiesta o meno»
sottolineò Loki tirando gli angoli delle sottili labbra in
un ghigno – conscio che la donna stesse semplicemente
racimolando tempo per ritornare al consueto stato di
serenità pacata.
«Lo è, invece. Sarebbe un ottimo indicatore di
quanto siete disposto a scoprirvi per me.»
«Ti sto dicendo che voglio che tu sia moglie, Sigyn, cosa
devo fare di più per dare un’idea chiara a
chiunque di quello che sei per me?»
«Avete ragione» asserì piegando il capo
in segno di assenso, per una volta non contrariata dal dover ammettere
di essere in torto. E fu il sorriso immerso di una felicità
scintillante, satura di fibrillazione per la prospettiva che Loki le
stava offrendo, che lui scorse in quel solo gesto
all’apparenza quotidiano la sua risposta – era
sempre stata capace di condensare nelle pieghe delle labbra scarlatte
una quantità di entusiastica contentezza rivolta a lui solo,
da cercare più volte e più modi per poter
ammirare silenziosamente, nascosto dietro all’aria
imperscrutabile, un simile spettacolo. Ma prima che Sigyn potesse
tradurre in parole ciò che era appieno visibile sul suo
volto, le trombe annunciarono l’arrivo della delegazione
nemica. «È arrivato il nostro ospite, dobbiamo
andare.»
«Una risposta, Sigyn» la incitò Loki,
senza schiodarsi dal suo posto con gli occhi incollati alla figura
della donna, deciso a non uscire e non farla muovere da lì
se non quando avesse ottenuto ciò che desiderava –
sapere se avrebbe acconsentito a smetterla di giocare a fare gli amanti
nelle pieghe della notte, di preferire l’indeterminatezza a
una definizione netta. Era strano che proprio lui bramasse una chiara
delimitazione, eppure voleva che fosse palese ciò che lei
rappresentava – non solo la più fedele, la sua
arma più pericolosa, ma anche l’unica persona in
grado di spingere a far nascere nel suo cuore ricoperto di sale un
sentimento scevro da tornaconti personali, puro nel loro modo di
viverlo. Avevano trascorso sufficienti secoli a fingere di nascondersi
unicamente per provare il brivido della segretezza, ma ora era giunto
il momento di porre le demarcazioni necessare a rendere palese a
chiunque a chi Sigyn appartenesse – e anche il contrario.
«La conoscete già, ma l’avrete comunque.
Al termine di questa cerimonia inutile» asserì
lei, alzandosi per cercare una maglia da indossare nel minor tempo
possibile, accontentando almeno per quel momento Loki. Ma a differenza
di quanto avevano entrambi programmato, non vi fu
l’opportunità per alcunché di
più che un sì superfluo, in realtà
già sussurrato innumerevoli volte e che invece di avere il
sapore fresco della felicità, era stato avvolto di una
lacerante mestizia.
La bocca dischiusa cercava di andare in contro alla
necessità di ossigeno pulito, inspirando ed espirando con
rapidità famelica per ingurgitare aria disperatamente,
faticando a rimanere in piedi con le gambe tremanti. Era un gorgogliare
di frasi, immagini, sentimenti e pensieri confusi che le rendevano
quanto mai difficile riuscire anche solo provare
l’incredibile tentativo di tirare le fila di quanto pulsava
nella sua mente e nella sua anima. Sarebbe scivolata a terra,
abbandonandosi alla polvere a decorare il pavimento, se le braccia di
Loki non l’avessero raggiunta prima, tenendola su con forza,
girandola verso di sé come fosse una bambola per quanto
debole. Pallida tanto da sembrare trasparente da come le vene si
scorgevano intrecciarsi in serpeggiati bluastri; la pelle era tirata in
una smorfia di dolore e smarrimento, una matassa di interrogativi
l’avvolgevano provocando l’emicrania di cui era
vittima. Il fuoco che avvertiva propagarsi dalla gamma al collo era
pesante, caldo in maniera angosciante, l’affaticava
ulteriormente creando più scompiglio in una mente
già frustrata – aggiungendo nuovi ricordi,
anzi, perdute immagini.
«Non me ne hai lasciata una, alla fine»
asserì con voce solo fasullamente controllata, ma nel
sostrato si scorgevano onde rabbiose – attendevano di
abbattersi, rompere e travolgere, per riprendersi una rivincita sul
dolore che era stato costretto a patire anche a causa della
cocciutaggine di Sigyn stessa.
«Di cosa state parlando?» mormorò in un
rantolo, sorprendendosi di avere ancora la capacità di
parlare nonostante percepisse il proprio corpo sul punto di collassare
e la propria mente offuscata da fin troppe cose da poterle distinguere.
«Della data,
Sigyn. Della data del matrimonio, almeno questo dovresti
cominciare a ricordarlo» sibilò con veemenza,
mentre avvertiva le dita della donna aggrapparsi alla stoffa di suoi
indumenti per provare a tenersi su, ma era troppo spossata e a fatica
riusciva a stare dietro al proprio respiro affannoso, cosparso di ansie
e difficoltà a lasciar scorrere nuovamente le proprie
memorie in se stessa.
«Io non-»
«Sì, invece, lo sai a cosa mi sto riferendo. Sono
stanco di questo gioco, Sigyn,
smettila di scappare da ciò che sai o comincerò a
pensare che tu non voglia più mantenere la tua promessa. E
smettila di aver paura», la sentiva fremere per brividi
causati dal suo stesso corpo, intento ad assorbire un colpo
psicologicamente stordente, enorme nella sua potenza, ma Loki confidava
come sempre nelle capacità di lei – era sempre
stata forte, una mente dinamica, entrata nelle Guardie Reali unicamente
per lo sfizio dimostrare alla bambina che aveva patito la sofferenza
della disillusione che era molto più di ciò che
ci si immaginava. Rantolava, chiudendo gli occhi appoggiandoli al petto
dell’uomo, cercando di sopportare il fluire dei momenti
intrappolati nel gioiello che portava al petto, sbloccato da
quell’essere stata portata sull’orlo delle
irrazionalità oltre le quali si nascondevano le risposte
cercate.
«Sono insensate le vostre parole.»
«Noi
non abbiamo mai avuto a che vedere con la sensatezza, Sigyn»
osservò il dio degli inganni, costringendola a rialzare il
volto verso di sé per sopportare i suoi occhi smeraldini, in
cui tizzoni ardenti di ira si fondevano a recriminazioni nei suoi
riguardi.
«Mi riferivo al fatto che io non voglia mantenere la mia
parola e che abbia paura, Loki.
Ho solo bisogno di aria», fu nel mondo in cui
pronunciò il suo nome – una delle rare volte in
cui non vi appose prima titoli ed onorificenze – che seppe
che era tornata pienamente lei. Se solo non fosse stato sopraffatto dai
nervi impegnati in un odio profondo, portato a largo dalla collera per
un mondo che lo aveva privato impunemente della verità su se
stesso e dell’unica persona sulla quale aveva sempre potuto
fare affidamento, e se Sigyn non fosse stata complice indiretta di un
simile crimine grazie suo desiderio ostentato di voler essere a lui
utile anche quando non ve n’era necessità,
l’avrebbe trascinata fuori con maggior grazia e avrebbe perso
tempo a far affondare le proprie labbra tra i capelli di un biondo
lavato via dei suoi riflessi d’oro acceso.
Aveva dovuto affrontare un realtà sulle proprie origini da
solo, senza il sostegno che Sigyn aveva promesso avrebbe sempre
concesso lui – ed era assurdo, perché nonostante
fosse stata privata delle sue memorie, persino in quello stato aveva
intuito quanto il suo animo fosse afflitto dall’essere stato
tanto a lungo preso in giro dalla propria famiglia,
dall’essersi fatto ingannare tanto scioccamente.
Era rabbia quella con cui la lasciò appoggiarsi al tronco di
un albero, scrutandola con lo sguardo diviso tra il sollievo di
riaverla completamente e la possibilità di poter finalmente
riversarle addosso tutte le ricusazioni che si era portato dentro per
decenni infiniti.
«Ce ne avete messo di tempo per trovarmi», curvata
in avanti, con un fianco a contatto con il ruvido tronco e le dita di
una mano a cercare un appiglio nel quale conficcarsi per tenersi in
piedi, ora riusciva infine ad assaporare con meno angoscia il defluire
dei propri ricordi – di quella parte di sé che le
avevano tolto.
E arrivò un moto di sofferenza diversa da quella
dell’oblio – perché nell’oblio
vi era dolcezza, una culla di malinconia di non sapere nel quale non vi
era alcuna verità a ferire definitivamente l’anima
–, quella della consapevolezza di quanto avrebbe voluto
piangere in quegli anni una perdita di cui solo in quel momento poteva
afferrare il devastante cratere che aveva scavato in lei. Per
distrarsi, per provare a non sfogare le proprie lacrime come aveva
fatto quando aveva assistito al funerale di suo padre, quando aveva
visto le fortune della sua famiglia dissiparsi, quando aveva assistito
allo spettacolo degradante di sua madre cambiare letto uno di seguito
all’altro per riconquistare posizioni sociali, quando aveva
osservato in silenzio alla vittoria dei vizi sui suoi cugini e il
rinchiudersi in un silenzio di rassegnamento delle zie date in sposa
per evitare di avere ulteriori persone a carico. Ma non era
più il dolore dello sgretolarsi della famiglia in cui era
cresciuta che le conficcava pezzi di vetro invisibili nel cuore, ma
quello di essere stata lei stessa artefice della dimenticanza
dell’uomo che amava – l’unico che avrebbe
mai potuto amare, servire e desiderare.
«Non provocarmi, Sigyn, non
ora» freddamente asserì Loki, prima
che da sola riuscisse a rialzarsi, afferrandole con un colpo secco la
gola costringendola a tendere i nervi del collo e inarcare la schiena
contro l’albero. «Mi sei mancata»,
più che una confessione suonò come un urlo
trattenuto tra i denti, intriso di nera rabbia.
Fu la prima e ultima volta che la baciò con tale veemenza da
soffocarle quasi il respiro, con smania di risentirla sotto di
sé ora che era nuovamente la Sigyn che aveva dovuto
abbandonare in decenni trascorsi come eoni. Perseverò a
tenere la presa attorno alla sua gola per mordere fino a sentirla
mozzare urla di dolore, stritolandole tra le labbra, mentre tentava di
allungare le proprie mani verso di lui, ma Loki non glielo permise
– non le avrebbe permesso di far alcunché in quel
frangente, era sua e in suo potere per scontare la disperazione che gli
aveva causato.
Strappò con foga la stoffa del suo abito, riducendolo a
stracci per spogliarla più rapidamente, e con la stessa
assenza di grazia si avventò su tutto il suo corpo,
affondando le unghie in ogni punto che più desiderasse
sentire, strattonandola contro di sé al ritmo che meglio si
asservisse unicamente ai propri scopi, ignorandola completamente per
poter soddisfare decenni passati a ricordarla unicamente – a
riviverla troppo poco nella propria mente. Lasciò percorsi
cremisi a partire dalle sue natiche fino alle cosce, prodotti mentre la
tratteneva contro il proprio ventre per poter muoversi in lei senza
accortezza, avvertendola tenersi attorno al proprio collo rompendo
respiri in cui erano i gemiti di sofferenza a sovrastare in numero
quelli di piacere. Li stritolava nei propri denti bianchi con la stessa
determinazione con cui cercava di non chiudere gli occhi, ma era
difficile resistere all’istinto della contrazione dei
muscoli, che tentavano di acquietare la piaga che era sentire la pelle
scorticassi contro il tronco ruvido contro il quale le spinte di Loki
la inchiodavano.
Non provò nemmeno lontanamente a resistergli, non per
servilismo, ma perché non le serviva immaginare quanta pena
gli avesse fatto patire, le era bastato poggiare le proprie nere iridi
su di lui, scivolare nelle pieghe dei risvolti verdi dei suoi occhi per
affogare nella sua anima per comprenderlo. Le era sempre stato naturale
capirlo, per tale ragione riusciva ad afferrare la desolazione nel
quale l’aveva legato, come se fosse stato costretto da
invisibili catene massicce a rimanere prigioniero dello stillicidio di
un veleno serpentesco per tutti i giorni fino a quello odierno[2].
Erano gemiti di sofferenza dell’anima più di
quelli fisici a esserle strappati, tempestandole la mente con tutta
l’angoscia di cui non aveva potuto avvertire il peso per
tanti decenni e riportandole addosso la valanga di sentimenti
dimenticati – e nella corrente nella quale si
ritrovò, desiderava infossare le proprie unghie
più in profondità nella carne di Loki e avvertire
quelle di lui stringerla con più possessività
soltanto per scacciare via, esorcizzare almeno in parte, le lacerazioni
di un dolore che le era stato precluso provare. Se solo avesse avuto
più energia, avrebbe dipinto la schiena dell’uomo
con scie di sangue, avrebbe lasciato conficcare i propri denti nella
sua carne e nella risonanza dei loro respiri infranti, mugolii
straziati e tensioni insoddisfatte, avrebbe potuto trovare maggiore
spazio per perdere consapevolezza – per qualche manciata di
secondo – del tormento al quale le proprie parole avevano
sottoposto entrambi.
E nonostante le prese rudi, nonostante i denti si insinuassero a fondo
con poco riguardo nella sua pelle, nonostante le sue dita si
chiudessero attorno alla sua gola con rabbia e ogni sua spinta fosse
feroce, in tutto Sigyn scorgeva un groviglio di disperazione per un
dolore che non aveva mai mostrato a nessuno e ora riversava su di lei
per renderla edotta di come la punizione inferta fosse stata subita
maggiormente da lui. Per tale ragione gli depose baci tra i capelli di
notte condensata quando rimase con il capo appoggiato alla sua spalla,
nascondendo il volto nell’incavo di lei una volta che ebbe
liberato frustrazione e trovato una soddisfazione monca
nell’aver così brutalmente abbattuto su Sigyn i
rovi di sentimenti rappresi – grumi di rancore e lacerante
agonia tenuta compressa sotto maschere di indifferenza, per occultare
quanto gli artigli di un simile evento fossero riusciti a perforare le
sue carni, e a ciò si aggiungeva la realtà sulle
proprie origini a renderlo incapace di sopraffare spire tanto rabbiose.
Rimase piegato su di lei per lasciare che insieme allo scorrere delle
dita tra i propri capelli, Sigyn allentasse il fervore di sentimenti
logori con quel gesto d’amore delicato, accompagnandolo dalle
labbra a deporsi tra le ciocche d’ebano, senza sussurrare
alcunché fino a quando non fu Loki a decidere di potersi
finalmente staccare. Si voltò per recuperare i propri
vestiti, provando ad evitare di pensare a quanto fosse poco adatto a
darle il bentornato ogni volta[3] e che prima o poi avrebbe dovuto
imparare ad essere meno rude almeno con lei, che riusciva al di
là di ogni situazione a scoprire le ragioni di cui erano
formate le sue azioni.
«Prendi il mio mantello», lo riprese per
porgerglielo, conscio che Sigyn non avesse alcunché con cui
coprirsi dopo che le aveva malamente strappato l’abito, ma si
bloccò con il braccio a metà quando si
girò nuovamente verso lei. Mai l’aveva vista con
il volto rigato dalle lacrime, gocce grosse a percorrere lentamente il
contorno dei suoi zigomi per poi scendere sulle guance e fermarsi a
tremare sul bordo della mandibola, indecise se precipitare subito o
rimandare di qualche secondo.
«Non è per prima» si affrettò
a specificare Sigyn, con voce stranamente calma, lisciata da ogni
possibile increspatura. Nessun rimprovero o sottile tentativo di
instillare in lui sensi di colpa, sembrò dire la semplice
verità mentre si avvicinava per prendere il mantello e
nascondersi sotto di esso, sprofondando nel verde scuro della stoffa a
strisciare sulla terra da quanto piccola era il suo corpo in confronto.
«È… Io non ho potuto provare davvero
tutto il dolore che avrei dovuto per questi infiniti decenni, e ora
arriva tutto in una volta.»
«Sei sempre una magnifica bugiarda, ma la punizione a te
inferta non è stato niente in confronto alla mia»,
le avrebbe voluto spiegare come la condanna non fosse il suo oblio, ma
il dover averla vista vivere accanto a sé senza che
ricordasse di loro, ma le parole si fermarono nel pensato della sua
mente, senza nemmeno cercare una strada attraverso le corde vocali. Si
limitò a passare le proprie dita sulle sue guance,
asciugandole con la dolcezza che aveva dimenticato di usare in
precedenza, provando a ignorare i contorni che da rossi stavano
tendendo al violaceo sul suo collo – impronte della sua mano
e dei suoi denti. Si promise che un modo lo avrebbe trovato per
rimediare, non perché Sigyn glielo chiedesse, ma proprio per
l’assenza di qualsiasi logica protesta per i suoi modi grezzi
– era nata per sorprenderlo, per ammaliarlo con la sua
capacità di impressionarlo in qualsiasi modo.
«Non stavo mentendo e non dovete giustificarvi»
chiosò sorridendo sinceramente, troppo agli occhi di Loki
– incapace di comprendere come davvero potesse non provare
nessun tipo di malessere per i suoi modi, per come l’aveva
trattata pur di sfogarsi, mostrando come forse la sua vera natura fosse
la principale, quella di un mostro.
«Non stai nemmeno dicendo tutta la
verità» perseverò nella sua
convinzione, setacciando ogni più piccolo scorcio di Sigyn
alla ricerca del minimo segno di repulsione per lui senza trovarlo.
«Siete sicuro che non sia ciò che vi risulta
più facile credere?» domandò inarcando
un sopracciglio, tornando a far scorrere le proprie mani sul petto
dell’uomo e stringendo la stoffa a ricoprirlo per ritrovare
un contatto di cui necessitava – non solo per reggersi in
piedi, oramai completamente sfinita, ma anche per tornare a
riassaporare la sostanza di ciò che era stata costretta a
dimenticare.
«La data, mia Sigyn, ho
bisogno di una data» mormorò a bassa
voce, mentre le passava un braccio attorno alla vita per sorreggerla
con attenzione, ritrovando la pacatezza elegante dei suoi gesti anche
nel far scorrere l’altra mano tra i suoi capelli mentre la
baciava con rinnovata lentezza delicata, soffermandosi ad assaporare le
sue labbra.
«Non so, i giorni che occorrono per organizzare un matrimonio
sommati ad oggi.»
M A N I
A’ a W
O R D S
Ok.
C’è troppa roba in questo capitolo, un attimo che
riordino le idee.
Facciamo che parto dalle scuse per il terribile ritardo. Volevo
aggiornare due settimane fa, ma ho trascorso un periodo poco sereno,
diciamo così, che non mi hanno permesso di avere la
serenità adeguata per poter solo pensare di aggiornare. So
che non è che abbia spiegato granché, ma essendo
questioni “private” non mi va proprio di
sbandierarle e quindi m affido alla vostra comprensione.
Come spero che capirete se non ho risposto alle recensioni, anche se
ovviamente ringrazio tutti quanti – Zarael, Yoan Seiyryu, per la
super pazienza che ha sempre con me e per aver letto il capitolo per
prima, e adhamico,
la quale riceverà preso la mail che dovevo mandarle un mese
fa e che forse finalmente riesco a scriverle! – e tutte le
altre persone che continuano a seguire la storia! Grazie infinitamente
a tutti quanti, davvero, non sapete quanto mi faccia felice ♥
Ok, partiamo dalla scena che tutti voi stavate aspettando, ovvero la
threesome con due Loki – no, lo so che non la stavate davvero
aspettando, ma dopo esservela immaginata magari a ripensarci la stavate
aspettando, no? Non so esattamente come commentare un’idea
del genere, posso solo dire che è un peccato avere la
possibilità di creare tante proiezioni di un sé
tanto figo e non usarla in più campi oltre quello della
distruzione e/o conquista – e dopo aver visto una fanart in
cui Loki fa sesso con se stesso (il massimo nel narcisismo, che credo
sia uno dei pochi difetti che non abbia quest’uomo, ma
vabbé) mi sono detta che poi non sono così pazza
a pensare ciò, quindi ecco tutto.
Poi, lo so che è particolarmente pieno di scene rosse e
scritto da una che non le ama poi così tanto è
alquanto bizzarro, ma lasciatemi spiegare – perché
c’è una ragione, o almeno credo. Volevo creare un
parallelismo tra l’ultima volta in cui avevano fatto
l’amore e ora che Sigyn ha recuperato la memoria –
e lo so che Loki non è stato il massimo della gentilezza, non
che l’abbia violentata, eh, semplicemente
è stato molto più egoista e brusco di quanto non
lo sia mai stato con lei. Ci tengo a precisarlo, primo
perché Loki-violentatore non ce lo vedo proprio, secondo
perché Sigyn se non avesse voluto fare sesso con lui un modo
lo trovava per farglielo capire (inoltre lui non l’avrebbe
comunque costretta se l’avesse vista riluttante, ma
è la stessa Sigyn che vuole che lui si sfoghi e vuole anche
lei somatizzare in qualche modo il recupero di tutte le memorie in un
colpo solo), e terzo ma di massima priorità è che
non sopporto simili temi di violenza sessuale inseriti tanto
leggermente nelle fanfiction, quindi non oserei mai addentrarmi io per
prima in simili meandri.
Bene, comunque, non dal prossimo, ma da quello dopo – alla
fine della prima parte della storia – rivedremo il nostro
caro Thor e come se la passa sulla Terra. E tra qualche capitolo il
rating rosso verrà giustificato anche da altro –
le scene creepy mi vengono meglio, se può consolarvi!
Ah, sì, ovviamente spero che vi sia piaciuta la non-proposta-di-matrimonio.
Davvero, se qualcuno pensava che avrei fatto pronunciare a Loki una
qualche proposta era totalmente fuori strada, perché Loki
fare una cosa del genere è totalmente OOC secondo il mio
punto di vista. E avevo pensato infatti di farla fare a Sigyn, ma
nemmeno la mia Sigyn la farebbe mai, dunque questa era
l’unica strada da percorrere. Comunque, secondo voi ce la
faranno a sposarsi o avranno altri intoppi, eh? /apre il banco delle scommesse/
Venendo alle note:
→ [1] Quella di ricomporre oggetti rotti con filature
d’oro fuso è un’usanza giapponese e si
crede che in tale modo gli oggetti assumano una sfumatura di
preziosità maggiore.
→ [2] Questa figura metaforica del serpente che fa colare
veleno su un Loki incatenato, è ripresa dal mito norreno
(penso sia il più famoso che riguardi lui e Sigyn, dato che
lei ha le palle di rimanergli accanto mezza eternità a
raccogliere in un catino tale veleno).
→ [3] Nella raccolta precedente, la shot O4 Loki va a
recuperare Sigyn in una prigione nemica. Quando lei si sveglia dopo
essersi ripresa dalle ferite, il bentornata è una sequenza
di rimproveri invece che di assicurazioni sulla sua salute.
Alla prossima,
Vi lascio come sempre il link alla mia pagina Facebook: M
A N I A
Mania
PS: Sono una brutta persona e ho riletto solo tre volte,
perché se mi attenevo al protocollo delle sette riletture il
capitolo lo avrei aggiornato tra altre due settimane. Spero che non ci
siano sviste, ho fatto del mio meglio!
|
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Capitolo 9 *** O9 • Verità sospese e promesse fluttuanti ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O O
9
▬
“ Verità sospese e
promesse fluttuanti
„
{ Vivere.
In fondo
è un gioco complice
essere
demoni ed angeli
per la
febbre di essere liberi. }
Vivere –
Cristiano De André
I
raggi
caldi del sole che filtravano nella sala del trono rendevano le
superfici dorate particolarmente lucenti, creando un’ovattata
quantità di luce a permeare l’ambiente –
una
dimensione appartata, silenziosa, in cui l’occhio azzurro del
Padre degli Dei appariva una nota di colore discordante a catalizzare
l’attenzione di chi era al suo cospetto. Poche erano le
persone
in grado di sostenere la pesantezza di un simile sguardo, ma Lady Sigyn
non aveva mai percepito nessuna difficoltà in passato
né
tanto meno in quel momento – lei era sempre stata in grado di
ricambiare quello di chiunque, forse perché da bambina aveva
sostenuto quello di una madre fedifraga, di zii corrotti, di cugine
dissolute e di un padre morente per la febbre di non disperdere la
propria dignità. Sotto il mantello scuro di Loki, rimaneva a
sostenere il silenzio con cui era vagliata da Odino, senza distogliere
da lui l’attenzione per rivolgerla al principe minore al
proprio
fianco.
Furono i passi sulla scala che mantenevano in alto il suo trono, a
rompere l’immobilità dell’aria. Vi era
sempre stata
grandezza nella figura del Re, vibrante e poderosa, quella di un
guerriero crudele – a dispetto di quanto la storia potesse
essere
riscritta dai vincitori – e di un custode delle leggi come
non vi
sarebbe mai potuto essere. Lady Sigyn aveva provato rispetto per la
fermezza di cui era cosparso, per la capacità di apparire
anche
con i capelli stinti dai millenni, intessuto di una forza maestosa
– deterrente senza necessità di essere sfoggiata.
E anche
dopo la punizione che le era stata inflitta, la sua opinione non
mutava, rimaneva fedele ad essa e proprio per l’assenza di un
risentimento per ciò che le aveva causato forse Odino la
scrutava con sorpreso interesse – solo Loki non poteva essere
impressionato da quell’incapacità di Sigyn di
odiare, al
di sopra dei moti del cuore, rivolti eccezionalmente a lui. Se il Dio
degli Inganni non avesse saputo che la donna avrebbe eternamente tenuto
fede ad un unico giuramento – quello pronunciato a lui e non
ad
Asgard -, avrebbe quasi potuto pensare che era Sigyn la guerriera
più pericolosa tra le fila del Padre degli Dei, quando in
realtà era la sua di arma più temibile.
«A dispetto di quanto tu possa pensare, Loki, sono contento
che
Lady Sigyn abbia riavuto le sue memorie» disse infine,
rivolgendosi al figlio con il tono meno duro di cui disponesse
–
ancora notava le onde d’ira che le iridi smeraldine di lui
gli
rivolgevano, un risentimento per quella verità che gli aveva
taciuto per paura e codardia. Conosceva abbastanza bene la natura di
Loki da sapere che non avrebbe dimenticato presto – forse mai
– quello che considerava un affronto, non un tradimento, ma
la
causa del non essere stato lui la scelta per succedergli. Tuttavia, ora
che
Sigyn era finalmente ritornata in possesso delle sue memorie, poteva
sperare che la presenza della donna alleviasse quel livore
– almeno in parte, quel tanto che bastasse per avere
l’occasione di tentare di parlare nuovamente con lui, senza
che
si ponesse con già le proprie conclusioni affrettate a
sbarrargli la via di una riconciliazione. «Fate un favore a
un
vecchio re, accompagnatemi», chiese porgendo il braccio
libero a
Sigyn, invitandola a passeggiare verso il lato della navata che
conduceva all’esterno – archi alti che
costeggiavano a
metri di altezza il giardino sottostante.
«Siete contento di riavere una guerriera al vostro servizio,
padre, o perché è tornata ad essere se
stessa?»
domandò velenoso Loki, rimanendo di un passo dietro di due.
«Perché ora è di nuovo dove dovrebbe
stare. Non
basteranno mille tentativi per farti comprendere la ragione della mia
decisione, ma l’importante è che tu abbia
imparato, come
mi auguro faccia tuo fratello» rispose serafico Odino, ormai
rassegnato all’idea che mai Loki avrebbe potuto comprendere
che
non era stato un gesto di odio nei suoi riguardi, ma un tentativo
estremo di portarlo alla comprensione di come le sue azioni, sature di
tornaconti personali e di macchinazioni egoistici, potessero ricadere
negativamente su chiunque attorno a lui. Abbassò lievemente
il
capo per tornare a sbirciare la figura ammantata di Lady Sigyn al suo
fianco, più che mai scomposta nella sua figura solitamente
perennemente impeccabile. «A proposito del posto in cui
dovreste
essere, siete sfuggita dalle mie previsioni, lo sapete, Lady Sigyn? Vi
avevo
posto in un luogo pensando che vi sareste rimasta, e siete andata a
infilarti in uno dei luoghi più remoti e oscuri del nostro
Regno.»
«Vi riferite alla vicinanza con Myrkviðr[1]? Quel
luogo
è saturo di magia, sarà stata quella ad attrarmi
indirettamente» osservò Sigyn ragionando
più con se
stessa, incuriosita da come i suoi movimenti fossero stati guidati
inconsapevolmente da quel vuoto di memorie –
l’ombra
che per tutta quella vita da dama smarrita l’aveva cruciata,
perseguitandola e ricordandole incessantemente che qualcosa di
importante era andato smarrito.
«La vostra fedeltà per mio figlio non è
cancellabile come le vostre memorie. Ora andate a riposare, ho fatto
preparare le vostre vecchie stanze» asserì con
dolcezza
inaspettata Odino, fermandosi a prendere la mano che Sigyn aveva
deposto sul suo braccio per sfiorarla delicatamente con le labbra.
«Non ce ne sarà bisogno, Lady Sigyn ha
già stanze
più adeguate dove risiedere» intervenne Loki,
perentorio
quanto incolore nelle proprie parole.
«Molto bene, farò spostare i vostri averi nelle
stanze di mio figlio allora.»
«Ed è giunta l'ora che si diano inizio ai
preparativi per
il nostro matrimonio. Vieni, Sigyn, hai davvero necessità di
riposo», mantenne il contatto visivo con Odino solo per
qualche
secondo, per chiosare quanto le sue parole non fossero una richiesta e
non vi fosse necessità di discuterne. Non aveva
ulteriormente
desiderato affrontare l’argomento sulle proprie origini non
perché potesse o volesse perdonare l’uomo che
aveva
erroneamente chiamato padre, ma più semplicemente per la
futilità di qualsiasi ulteriore parola. Avrebbe potuto
continuare a riversargli addosso veleno per ore, giorni e forse mesi
interi, senza terminare epiteti e costruirne di nuovi unicamente per un
suo vezzo, ma a nulla avrebbe condotto un simile atteggiamento
infantile quanto infruttuoso. Non avrebbe strepitato come un bambino,
preferiva barricarsi in uno sdegno silenzioso, in un sentirsi
disgustato che non necessitava di alcuna condensa in sillabe, rimanendo
sospeso. Avrebbe trovato altri modi per potersi accaparrare la propria
vendetta, infliggendo a lui e a chiunque si sarebbe frapposto al trono
che gli spettava di diritto punizioni, e sarebbero state talmente
crudeli da non essere
paragonabili nemmeno lontanamente a quelle di Odino.
Per ora, tuttavia, preferiva dedicarsi alle cure di Sigyn e lasciare
trascorrere il tempo di cui abbisognava il suo piano, in modo che nel
mentre si sarebbero potute celebrare le nozze.
La sorresse lungo il tragitto, sogghignando ad ogni suo tentativo
di rimanere in piedi priva del suo aiuto – cocciuta lo
sarebbe
rimasta per l’eternità, come troppo orgogliosa per
ammettere di non essere nelle condizioni adatte per compiere gesti
semplici a causa di quella spossatezza che la pervadeva.
«Non mi avete ancora detto cosa vi è capitato. Ora
non
potete più nascondermi che c’è qualcosa
che non
va» asserì alzando lo sguardo verso di lui,
puntandogli
addosso le iridi scure – condense di vuoto – per
cercare di
captare cosa avesse provocato il rancore di cui vedeva bruciare le
braci sul fondo dei suoi verdi occhi.
«La mia intenzione non era di nascondertelo, ma di rimandare
a
domani la discussione. Sei stanca, hai bisogno di riposare»
mentì Loki, in realtà non aveva alcuna idea di
come
raccontarle la verità scoperta su se stesso –
ingombrante,
fin anche dolorosa per quell’essere stato cresciuto con le
storie
di quei mostri di cui ora si ritrovava a essere parte.
«Ho bisogno di sapere che cosa vi turba così
tanto»
obbiettò Sigyn, imperterrita. Avrebbero potuto continuare la
discussione fino al giorno seguente, e Loki sapeva che era inutile
provare a dissuaderla dal scoprire l’origine della crepa che
aveva scorto in lui, perché nulla la preoccupava di
più
di ciò che lo affliggeva e non avrebbe mai rinunciato a
estorcergli tale verità. La sua testardaggine era pari
unicamente alla dedizione a lui, era impossibile per chiunque provare a
condurla su sentieri logici, perché vagava in una dimensione
in
cui era stata forgiata da una razionalità appartenente
esclusivamente a lei e al suo mondo di nobili decaduti –
persino
Loki stesso aveva difficoltà a combattere contro la sua
cocciutaggine, e per questo cedette alla sua richiesta.
Cambiarono percorso; invece di far rimbombare i passi tra i
corridoi che portavano verso le loro stanze, riecheggiarono tra i muri
stretti
che conducevano alla sala delle reliquie, in mezzo alla
costante presenza della semioscurità a dimorare negli
angoli.
Non vi erano altri suoni a parte quelli prodotti da loro e un ronzio
incessante a rendere presente a chiunque vi accedesse
l’incessante funzionare del sistema di sicurezza.
Non era un vero interrogativo quello che solcava il volto diafano della
donna quando si arrestarono davanti allo Scrigno degli Antichi Inverni,
era più una sorta di attesa calma per concedergli tutto il
tempo
di cui necessitasse. Sigyn era sempre stata brava a scorgere tra le
illusioni dell’uomo, un’abilità innata,
cresciuta
con lei, per questo non le risultava eccessivamente difficoltoso
captare tra le fila della sua maschera un’ansietà
mista a
lieve preoccupazione – o forse non era proprio
ciò,
più una sorta di trepidazione macchiata da angoscia.
Lo osservò allungare il braccio, tendendolo verso lo Scrigno
con
lentezza esasperante – teatrale come di consueto,
incorniciando
il tutto con un ghigno malevolo, dalle pieghe oscure. Non ebbe alcuna
reazione Sigyn quando le dita della mano di Loki sfiorarono la
superficie del manufatto, perdendo il colorito rosato per essere
soppiantato da un dilagante blu pallido ad espandersi sulla sua pelle,
fino a raggiungere il volto e imbrigliarlo nella forma della sua vera
natura, ora palesata dinnanzi a lei.
Spostò i propri occhi non più verdi, ma scarlatti
come
una promessa di sangue ancora da versare, cercando tracce di disgusto o
terrore permeare i suoi lineamenti, ma non vi trovò
alcunché – non solo nulla di quello che gli
sembrava
sensato emergere davanti al tremendo spettacolo che le stava offrendo,
ma la totale assenza di qualsivoglia reazione evidente. Rimaneva
attaccata a lui, con ancora le dita di una mano stretti nella stoffa
della maglia scura, mentre l’altra si alzò ad
accarezzargli con morbidezza i contorni del volto –
passò
le sottili falangi dalla fronte fino allo zigomo, prima di solcare la
guancia giungendo al mento, per poi farle scivolare dietro al suo collo
in modo da costringerlo ad abbassarsi alla propria altezza, per
baciarlo. Fu delicata la pressione con la quale poggiò le
proprie carnose labbra su quelle gelide di Loki, e ve le
lasciò
fino a quando non avvertì il braccio di
quest’ultimo
ancora teso verso lo Scrigno abbassarsi, per avvolgerlo attorno alla
vita della donna, ricambiando il bacio.
«Come ci riesci, Sigyn? Come riesci a non vedermi come un
mostro
nemmeno ora? a non guardarmi con orrore? a non provare nemmeno un
briciolo di paura?», glielo domandò con le parole
a
infrangersi sulla bocca di lei, quasi sussurrando tali interrogativi
non saturi di rancore, ma di stupore per quanto Sigyn fosse sempre in
grado di dare importanza ai dettagli ignorati da chiunque altro
–
persino da lui talvolta, soprattutto quando si trattava di se stesso.
«Io vi amo per quello che siete, non per le vostre origini. E
avrò paura di voi solo quando darete a me,
personalmente, una motivazione valida per doverne provare»,
lo
disse sorridendo con dolcezza e i polpastrelli a filare tra le ciocche
d’ossidiana del suo principe, stringendosi maggiormente a lui
accompagnando le carezze delle proprie mani a quelle silenziose dello
sguardo.
«Non sono stato molto buono con te ultimamente»
nascose
l’amarezza dell’affermazione, riversandola in
parole
incolori per non lasciar trasparire alcunché. Nonostante
cercasse di far emergere la più piccola incertezza in Sigyn
con
le proprie affermazioni, l’unica cosa che riusciva a scorgere
nella donna era la sicurezza nella propria scelta di essergli fedele,
di amarlo, di non abbandonare il suo fianco – ed era balsamo
sui
tagli profondi che sentiva pulsare dentro di sé.
«Vi sbagliate, lo siete stato. Magari non sempre delicato, ma a me donate la parte migliore
di voi»
ribatté senza incertezze Sigyn, con una lieve strafottenza
per
il sentirti assolutamente nella parte della ragione.
«Avevi ragione, Sigyn, tu
sei la mia sola eccezione[2].
L’unica che valga la pena avere» asserì
depositando
altri baci sulle labbra della donna, conscio che fosse lei la singola
anima a poter avere la passionale forza di rimanergli accanto, di
accettare ogni pezzo di lui – anche il più oscuro
e
terribile – senza chiedergli alcun cambiamento o desiderare
pegni
per i propri servigi. E proprio per la sua devozione assoluta con il
quale lo ricopriva, per l’amore puro scevro da tornaconti,
che
all’inizio era stato spinto ad avvicinarsi sempre di
più a
lei, fino a rimanere lui stesso vinto dal medesimo sentimento.
«Ora sarebbe bene andare nelle nostre stanze»,
cambiò discorso per ritornare a sottolineare la debolezza di
cui
era ora cosparsa la donna, guidandola senza fatica verso la strada
precedentemente percorsa, per dirigersi verso le camere.
Tra le colline di seta delle lenzuola, Sigyn si addormentò
con
la schiena a sfiorare il petto dell’uomo che rimase a coprire
gli
ematomi che lui stesso le aveva provocato con unguenti curativi,
osservandola sprofondare nel sonno inesorabilmente. Nonostante le
giornata tutt’altro che leggera, non provava alcun desiderio
di
seguire l’esempio della compagna, preferendo scappare
dall’ignoto dei sogni rimanendo a guardarla, scorrendo appena
le
proprie dita tra i capelli chiari di Sigyn.
Non amava mostrare delicatezza, ma nel buio del proprio letto e coperto
dalla propria magia ad occultarli persino dallo sguardo di Heimdall,
poteva concedersi il lusso di continuare a ricoprirla di carezze per
non farla sentire sola – come lo era stata per tutti quei
tremendi anni –, e riprendere il sentore della sua presenza
nuovamente dove sarebbe sempre dovuta essere. La osservò con
una
lieve piega delle labbra, divertito, nell’osservarla cercarlo
nonostante fosse a vivere in altri mondi, muovendo le gambe per
intrecciarsi nelle sue mentre si spostava maggiormente contro
Loki
– e nel rimanere a prendere per sé quei pezzi di
momenti,
si chiese se persino nell’onirico fosse nuovamente lui la
sostanza dei pensieri di Sigyn.
Fu la forza della stanchezza a far cedere il gomito sul quale faceva
leva, fino a costringerlo ad abbandonare il capo sullo stesso cuscino
su cui le ciocche incredibilmente candide di Sigyn giacevano,
immergendosi nel profumo delle stesse nel lasciarsi andare alla
spossatezza – tornando, finalmente, a potersi addormentare
tenendola tra le braccia senza più doversi accontentare
dell’amaro sapore dei ricordi.
Nonostante fosse stato Loki a prendere sonno per ultimo, quando persino
la luna aveva cominciato a cadere dalla posizione più alta
del
manto notturno, quando l’orizzonte si intinse delle prime
venature d’oro ad annunciare l’imminente
sopraggiungere di
un’alba calda nata nel cielo terso, furono i suoi occhi per
primi
ad aprirsi. Il respiro di Sigyn era lento, appena percettibile nel
muovere il diaframma e le labbra dischiuse lievemente a renderla una
visione eterea – anche se in realtà non era essa
la sua
maggiore qualità, o come aveva specificato Loki secoli
addietro,
lo era in un modo reinventato da lei stessa, l’ennesima
maschera
sotto la quale celare l’intransigenza illogica di cui era
composta.
Le dita sottili corsero senza fretta sul suo collo per spostarle i
capelli, liberando la pelle per poterla baciare. Percepì
sotto
il proprio corpo quello di Sigyn risvegliarsi lentamente, costretta a
tornare alla realtà dalle persistenti attenzioni posate
senza
frenesia da lui, desideroso di concederle ciò di cui
entrambi
erano stati privati ingiustamente – una punizione
insensatamente
crudele di cui mai avrebbe dimenticato l’affronto e per la
quale
avrebbe inferto a sua volta altrettanti pene a chi aveva osato troppo.
Ma almeno lì, in quell’alba ancora a
sopraggiungere, non
avrebbe pensato alla vendetta né tanto meno si sarebbe
lasciato
intaccare quell’attimo di serenità, donato dalla
presenza
di Sigyn, dal proprio rancore. Trovò le sue labbra carnose
disarmate, arrancanti nel risponderle per ancora le scorie dei sogni a
rallentarle le percezioni, ma non tardò a ricambiare il
bacio
infilando le proprie dita sottili tra i capelli di tenebra del
principe.
Non le strappò la vestaglia come aveva fatto con
l’abito
il giorno precedente, si limitò a far scivolare le proprie
falangi con malizia sotto le pieghe semitrasparenti del tessuto,
alzandolo per sfilarglielo via con la dolcezza di cui si era
dimenticato di ricoprirla qualche ora prima. Ogni suo gesto fu rivolto
a Sigyn, per servirla silenziosamente al chiuso di quella camera che
era diventata finalmente loro,
e regalarle quelle attenzioni che meritava di ricevere quanto lui
– perché se Loki aveva potuto sopportare il dolore
della
separazione, Sigyn era stata privata anche del tormento della perdita
per essere soppiantata dal vuoto perenne.
Le accarezzò con le labbra le ombre dei segni che le aveva
provocato, sentendola inarcare la schiena e puntare i piedi tra le
lenzuola per assecondare i movimenti dell’uomo. Erano sospiri
misti a gemiti scevri da qualsivoglia macchia di tensione, liberi di
essere unicamente di piacere e con la consapevolezza di avere tutto il
tempo desiderato a loro disposizione.
Fu Sigyn ad appiattirsi contro il suo fianco quando le cure
d’amore di Loki terminarono, allungando una mano sul petto
dell’uomo rimanendo con la testa appoggiata alla sua spalla.
Sorrideva appena, con la dolcezza di cui era sempre stata detentrice,
disposta ad elargirla a lui fino all’ultima goccia
– fino
alla fine dei giorni.
«Non dovete scusarvi di nulla, ve l’ho
già detto.
Ero seria ieri quando dicevo che non mi avete fatto male»,
perché anche se non era stato detto nulla, Sigyn possedeva
la
facoltà di comprendere le intenzioni del Dio degli Inganni
ancora prima che gliele chiarisse, e proprio per tale sua attitudine
era – e sempre sarebbe stata – la sola persona in
grado di
rimanergli accanto senza credere che avesse necessità di
redenzione, perdono o salvezza – amandolo per tutte le ombre
e le
rare pozzanghere di luce di cui era fatto.
«I segni sul tuo collo dicono altro, Sigyn. Ma non era una
scusa,
era una promessa, una delle poche che intendo mantenere e come sempre
questo insolito tipo sono rivolte prevalentemente a te»
rispose
Loki, elargendole un altro bacio tra i capelli – e non
c’era bisogno di specificare la natura di tale giuramento,
perché Sigyn meritava tutte le premute di cui la
ricopriva
quando erano da soli e tutto il rispetto che le mostrava in pubblico, e
tale realtà era talmente cristallina da non abbisognare di
alcuna superflua parola per renderla palese alla stessa donna.
«Dovreste raccontarmi i vostri piani, sapete? O almeno le
parti
che non ho capito da sola», asserì inclinando il
capo
verso l’alto per poter sbirciare i lineamenti di Loki,
sollevando
le sopracciglia in una piega di ovvietà. Non le occorreva la
conferma che ciò che era accaduto a Thor non fosse stato
semplicemente un caso, in fondo poteva intuire più che bene
il
risentimento di Loki verso la scelta di Odino di preferire il
primogenito – da sempre il Dio degli Inganni aveva mirato al
trono, da sempre aveva cercato di ottenerlo e non si sarebbe frenato
unicamente perché la decisione del Padre degli Dei non era
ricaduta su di lui. Si sarebbe, in realtà, stupida del
contrario
e ora che aveva finalmente riottenuto le proprie memorie riusciva a
scorgere le fila di un piano a lungo termine, qualcosa che affondava a
prima che lei fosse stata portata a palazzo, ma insieme alla buona
conclusione di parte delle azioni programmate, Sigyn intuiva
già
che qualcosa fosse sfuggito alla predeterminazione voluta da Loki.
«Prova a impressionarmi una volta in più, Sigyn,
dimmi
quello che sai e ti dirò il resto», non vi era
alcuna
traccia di sorpresa per le parole della donna, al contrario era conscio
che lei prima di chiunque altro sarebbe stata in grado di mettere
insieme intuizioni a ciò che solo Sigyn conosceva di lui,
arrivando all’unica conclusione possibile. E non era nemmeno
scosso dall’assenza di recriminazione, sdegno od orrore per
le
azioni contro il fratello, perché per quanto fosse
dall’inizio della sua infanzia in grado di confondersi anche
lei
nella massa degli altri asgardiani, la sua morale era distorta quanto
quella di Loki – in modo difforme, si allargavano in macchie
e
crepacci divergenti, ma in quel loro perdurare scollati dalla
così detta normalità, si facevano compagnia
comprendendosi.
Con le proprie dita a passare tra i lunghi capelli quasi di neve della
donna, la ascoltò intessere l’intricato quadro
degli
inganni da lui messi in atto e fu quasi stupefacente essere messo di
fronte una volta in più alla sua abilità di
notare i
minimi dettagli come alcun. Per tutto il tempo mantenne un ghigno di
liquida soddisfazione irosa, sotto il fluire delle spiegazioni in cui
si inabissò Sigyn su come avesse lui stesso ingaggiato i
quattro
ladri, sicuramente sotto altre sembianze, per intrufolarsi nella sala
delle reliquie, così da sottrarre qualcosa
suggerito direttamente da Loki – quel qualcosa di cui
già un tempo aveva
tentato di impossessarsi, fallendo –, e grazie alla
protezione di
amuleti costruiti attraverso la sua magia; come fosse sempre stato lui
a indicare il luogo dove trovare un rifugio che straordinariamente ma
ovviamente guidava in un altro mondo, quello di Jötunheimr,
così da concedere su un piatto d’argento ai
Giganti di
Ghiaccio un modo di penetrare le difese di Asgard per riprendersi lo
Scrigno degli Antichi Inverni, e mai avrebbero potuto avere occasione
migliore che quella del giorno dell'incoronazione di Thor, quando tutti
sarebbero stati distratti dall’evento.
«Ai dettagli di come si svolgeranno le nostre prossime
azioni, ci
penseremo più avanti. Fortunatamente non richiedono la
nostra
immediata attenzione, mentre tu necessiti di recuperare appieno le
energie» asserì con soddisfazione carica di
ammirazione
per la propria compagna, degna di essere lei sola a possedere il suo
cuore, reso arido a chiunque altro dal sale di cui il desiderio di
potere lo aveva cosparso.
Nella sua ricostruzione tutto filava liscio, se non fosse stato che
l’incursione dei Giganti del Ghiaccio si sarebbe dovuta
concludere diversamente, con maggiori difficoltà doveva
essere
sedata la loro intrusione, perché nel suo progetto erano in
possesso di quella reliquia che aveva suggerito ai ladri di rubare
– e di cui aveva pensato di sottrarre non visto durante lo
scontro che non vi stata a palazzo. E se non ne avevano fatto uso
significava che si era perduta prima di giungere a loro –
dunque
avrebbe dovuto scoprire quale fine fosse toccata ad essa e
impossessarsene. Se ne sarebbe occupato durante i mesi di preparativi
per il matrimonio, discretamente.
Il tentativo di Loki di convincere Sigyn a rimanere a riposare
durò molto brevemente e fu proposta con molta poca
convinzione,
conoscendo la donna era del tutto impensabile che avrebbe acconsentito
a rimanersene tranquillamente distesa nel letto senza
alcunché
da fare. L’unica promessa che riuscì a strapparle
fu
quella di evitare allenamenti per almeno un paio di giorni: il suo
organismo ancora debole doveva ritrovare le forze prima di poter essere
sottoposto agli sforzi di combattimenti nelle arene della Gendarmeria
– soprattutto se erano condotti insieme a Lady Sif.
La collezione di cicatrici sul corpo di Lady Sigyn era rimasta per la
maggior parte inalterata, i solchi di vecchie ferite erano quelli di
cui Loki aveva serbato memoria, come lo erano i calli sulle sue mani da
guerriera e i nei a cospargere la sua pelle in una pioggia di
costellazioni personali di cui lui solo conosceva
l’ubicazione.
In realtà, non era certo di aver avuto per sé
quel
privilegio, perché quando glielo aveva domandato mentre la
osservava asciugarsi via le gocce d’acqua rimaste su di lei
dopo
la doccia mattutina, aveva glissato il quesito per evitare di confidare
quale tipo di vita sentimentale avesse condotto durante
l’amnesia
indotta.
«Non mi hai ancora risposto.»
«Non vi rispondo a un sacco di domande, quale in
particolare?» chiese Sigyn allacciandosi gli stivali di
cuoio,
facendo attenzione a non creare risvolti nei pantaloni neri che
potessero procurarle fastidio. Aveva passato la maggior parte della sua
vita senza memorie con indosso unicamente abiti da dama, e per quanto
li trovasse raffinati quanto belli, la comodità della tenuta
personale da guerriera era decisamente un ritrovo delizioso.
«Su quanto ti sei divertita in mia assenza»
spiegò
Loki, inclinando appena il capo nel rimanere seduto sulla propria
poltrona per osservarla come se fosse stato seduto già sul
trono
– mani giunte davanti a sé, con i gomiti puntati
sui
braccioli e un sorriso mellifluo dalle inclinazioni poco rassicuranti.
«Ovvero con quanti uomini sono stata senza ricordarmi di
voi» tradusse Sigyn ridacchiando, rivolgendogli
un’occhiata
fugace prima di tornare a intessere gli intrecci dei lacci.
«Qualsiasi numero sia,
io
ho la scusante di essere stata privata della mia memoria»
constatò con la semplicità scevra da alcun genere
di
sottointesi sentimentali, solo il fatto di conoscere quanto Loki fosse
capace di usare qualsiasi arma a sua disposizione pur di conquistare le
proprie mete.
«Sei forse gelosa?»
«Sto sottolineando l’inutilità del
vostro quesito,
in realtà. Non vi ho mai chiesto di rendermi conto delle
persone
oltre a me con cui decidete di dividere il letto, e non lo
farò
neppure quando sarò vostra moglie, dunque non
temete»
ribatté con sorriso serafico, raddrizzando la schiena dopo
aver
concluso la propria vestizione e tornando a posare su di lui le iridi
in cui mari neri si estendevano infinitamente.
«Il mio letto è stato diviso solo con te, e lo sai»
asserì alzandosi dalla poltrona con lentezza, riferendosi a
quando, persino quando Sigyn era in quella stessa stanza ma priva dei
suoi ricordi, Loki si era rifiutato di disfare le lenzuola. Unicamente
Sigyn – lei in tutta la sua essenza – deteneva il
privilegio esclusivo di avere quel posto, a nessun altro lo avrebbe mai
ceduto. «Qualsiasi mia relazione ha sempre avuto un scopo per
ottenere qualcosa,
tranne una.»
«In realtà anche la nostra, volevate una fedele
servitrice» chiosò Sigyn, decisa a non rimanere
senza
l’ultima parola nonostante quell’ultima
affermazione le
avesse reso particolarmente arduo riuscire a scovare una replica rapida
– tra tutto ciò che Loki le avesse mai detto, era
l’affermazione più vicina a una dichiarazione che
le
avesse mai rivolto. Impiegò tutta la compostezza di cui era
in
grado, nascondendo e acquietando come suo solito le onde della propria
anima, spodestando il dominio delle passioni per piegarlo a un
autocontrollo che si era imposta da quando era bambina e che raramente
perdeva.
«E mi sarei potuto accontentare di quello» le fece
notare
Loki con ovvietà, alzando un sopracciglio maggiormente per
dare
enfasi alle proprie sillabe e affondando il proprio sguardo ardente in
lei, accompagnando il tutto al gesto di porgerle Nothung[3] per
potersela legare al fianco. La osservò ruotare gli occhi al
soffitto, in segno di sconfitta davanti a tale costatazione che non
poteva essere confutata, sbuffando appena per il fastidio di non
essersi accaparrata la battuta conclusiva.
«Non sono stati molti, e non vi rivelerò i loro
nomi
perché voi, al contrario di me, lo siete. Geloso,
intendo», si prese quella piccola rivincita, giusto per
uscirsene
con almeno una tiepida conquista.
«La definizione corretta è possessivo»
la corresse ridacchiando.
M A N I
A’ s W
O R D S
…
……
Facciamo che evito la parte in cui mi scuso immensamente per questo
buco di mesi, e passiamo direttamente alle note? No, perché
sinceramente non saprei bene nemmeno come scusarmi a dovere. Quindi
spero che sia il capitolo in sé a rimediare alle mie
mancanze e che vi
sia piaciuto – io comunque ci tengo a ringraziare tutte le
persone che hanno continuato a sperare in un aggiornamento, e
continueranno a seguire le vicende di Loki e Sigyn nonostante me.
Un grazie in particolare a chi ha mantenuto la storia tra le
preferite/seguite/ricordate e alle gentilissime recenistrici dello
scorso capitolo, ovvero Helen L e Yoan Seiyruy!
Detto questo, passiamo ai dati tecnici.
Prima le note:
→ [1] Non
so se vi ricordate, ma è il nome del bosco vicino al quale
viveva Sigyn durante la sua perdita di memoria e dove ha incontrato
Thor e tutti gli altri.
→ [2]
Mi riferisco al capitolo O6, quando Sefa/Sigyn dice a Loki che le sue
parole nell'escludere categoricamente qualcuno, fanno pensare che vi
sia un'eccezione.
→ [3]
Mi pare che il nome della spada di Sigyn l'avessi nominata nella
raccolta precedente, comunque era un nome di una spada effettivamente
presente nella mitologia, anche se non vi sono riferimenti a quella in
particolare - anche per questo avevo preso una variante secondaria del
nome, in modo da non creare confusione.
Con questo nono capitolo la prima parte della storia è
conclusa,
ora si apriranno scenari più movimentati – non
subito, vi
saranno quegli odiosi capitoli di passaggio, che cercherò di
rendervi il più possibile godibili, pieni di momenti
divertenti
e di indizi che potrebbero tornarvi utili.
La misteriosa reliquia a cui faccio più volte riferimento
è un oggetto della mitologia norrena, vi posso solo dare
questo
come indizio, e qui l’ho riadattata per i miei fini
– che
notiziona proprio, eh. Comunque, già dal prossimo capitolo,
credo, faranno la comparsa in maniera più centrale anche
altri
personaggi – e temo che ciò porterà il
prossimo
capitolo ad essere lunghissimo, me ne scuso in anticipo.
Vorrei chiarire anche che io Odino non lo voglio dipingere, come spesso
avviene, come un re insensibile nei confronti di Loki, che non lo
capisce e non gli vuole bene. Per quanto le sue punizioni siano sempre
lievemente eccessive, sia quella nei confronti di Sigyn – e
Loki,
indirettamente – sia quella nei riguardi di Thor, sono sempre
state fatte negli interessi dei suoi figli – che non hanno
disubbidito semplicemente a loro padre, ma a un re, e non un re
qualsiasi! E ci terrei a precisare che per me Odino vuole davvero
bene a Loki e quando in « Thor The Dark World » vi
è
l’udienza tra i due, secondo me Odino soffre terribilmente
nel
vedere quello che è diventato Loki, per questo lo tiene
lontano
da sé, per evitare di vedere ciò che è
un suo
fallimento prima di tutto – e ciò lo dimostra
anche il
discorso nel primo film quando Loki scopre le proprie origini e Odino
conferma tutto il suo affetto nei suoi confronti. Quindi,
all’inizio di questo capitolo, per quanto Odino non sia uno
che
mostra particolarmente le proprie emozioni, è davvero
contento che Sigyn sia tornata e spera che la sua presenza possa
alleviare il risentimento che Loki prova nei suoi riguardi dopo la
scoperta nella sala delle reliquie. In sintesi:
nelle mie storie non troverete mai “Loki è cattivo
solo
perché non ha avuto una famiglia che gli abbia voluto
bene”, perché no, non è
così. Loki è
quel che è perché è Loki, il dio del
Caos e del
Male – e nel tempo libero degli Inganni.
Detto questo, ci vediamo verso Pasqua con il prossimo aggiornamento
– ho bisogno di un po’ di tempo perché
il prossimo
capitolo, per l’appunto, è lungo, dunque mi serve
un
po’ più per sistemarlo adeguatamente.
Come sempre vi lascio la mia pagina Facebook, dove qualche
anticipazione la metterò: M
A N I A
Alla prossima,
Mania
|
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Capitolo 10 *** 1O • Vite parallele ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O 1
O
▬
“ Vite parallele
„
{ Now you’re adrift
in the sea of lies
A
foolish villain in an endless chapter
The
demons running behind your eyes
A simple
shadow
We can
fight together }
Unbroken –
Black Veil Brides
Tamburellavano
ritmicamente dando vita a una melodia scrosciante, ricca di
tonalità diverse a seconda di dove le gocce
d’acqua battevano con insistenza. Sulla sabbia
dell’arena, sul marmo che la circondava, sui vetri delle
finestre e sul metallo delle armature dei soldati rimessi in fila nello
spazio circolare, schiena dritta e braccia tese lungo i fianchi nel
silenzio forzato davanti allo sguardo esaminatore di Lady Sigyn. Erano
perle nere gli occhi neri della donna, il Capitano della squadra che
stava assemblando in quel momento, cercando tra le fila dei cadetti
coloro che fossero dotati della tempra adatta per essere suo sottoposto.
Le due settimane trascorse dal ritorno delle memorie, Sigyn le aveva
sfruttate per riconquistare la famigliarità
nell’arte del combattimento persa in quegli anni in cui, per
quanto non avesse scordato le fondamenta e mantenuto una forma di base,
non aveva sostenuto gli allenamenti quotidiani. Prima degli anni di
lontananza forzata, con Loki non aveva mai avuto troppe occasioni di
confrontarsi, tutt’altro, erano stati rari momenti rubati
alla notte e mai lasciati a sciogliersi sotto le onde del sole caldo di
Asgard. Al contrario, era stato il principe stesso in quei rinnovati
giorni di convivenza a occuparsi personalmente di farle da avversario,
soppiantando la prima fissa presenza di Lady Sif. E sotto gli sguardi
lievemente sbarrati e mascelle tirate per evitare di lasciar trapelare
lo stupore, si erano affrontati nel cuore dell’arena fino a
quando Loki non ebbe decretato che era pronta a riprendere le redini di
un proprio manipolo di uomini come in passato. Il Padre degli Dei aveva
concesso a Lady Sigyn di decidere in tutta autonomia le
modalità della selezione, così la donna aveva
optato per intessere una prova poco convenzionale – o almeno
lo era agli occhi degli spettatori appostati a osservare la scena dalla
piazzola poco distante.
«Certo che ha un modo innovativo per creare il suo
reggimento, eh?» domandò retoricamente Volstagg,
osservando la scena di una Lady Sigyn che aveva affrontato uno ad uno i
possibili suoi sottoposti, senza concedere nemmeno l’anfratto
di un attimo ai giovani cadetti per difendersi. Li aveva messi al
tappeto tutti in meno di una ventina di secondi, arrivando alla fine di
quella che prima era stata una lunga coda di sfidanti, sfoltita di
volta in volta da un giudizio rapido - un approvato fugace quanto un
respinto altrettanto tagliente.
«Un test psicologico rapido perché non ha il tempo
di selezionare chi le aggrada come aveva fatto, con tutta la calma
possibile» chiosò Fandral, appoggiandosi alla
balaustra di bianco marmo con gli occhi fissi sulla loro giovane amica,
intenta a camminare avanti indietro scrutando le file dei guerrieri
rimasti. Li aveva selezionati a seconda di quanto il loro sguardo, nel
rialzarsi, fosse pregno di una qual certa determinazione: fuoco ad
ardere di un’insana bramosia di vendetta per
l’affronto ricevuto nell’essere stati ridicolizzati
tanto impunemente. E Fandral non riusciva a non sentire un fremito
negativo nell’assistere a una tale risoluzione –
premiare l’impeto di rancore, la sete rovente di rivalsa, era
un segnale nel quale non riusciva a non avvertire una lieve misura di
minaccia. Sigyn era pacata, priva di qualsiasi onda d’urto
prepotente, un oceano imperituramente calmo da cui fluiva una condensa
di serenità serafica, ma che insieme celava i propri segreti
fondali, relegandoli unicamente ad un uomo; e proprio per tale sua
caratteristica era impossibile classificare in un modo preciso la
volontà di tenere ai propri servizi uomini facilmente
inclini all’animosità del rancore a lei estranea,
ma di cui aveva sondato gli abissi, imparando a conoscerne i meccanismi
per controllarli.
Il passo meccanico non si era minimamente intaccato con
l’intensificarsi dell’acquazzone, tracciando un
solco con i propri passi a posarsi su altri mentre lasciava
incrementare il silenzio passando in rassegna con i propri occhi
– puri abissi d’ossidiana – le sagome dei
cadetti. A qualche metro di distanza, al riparo, il Dio degli Inganni
assisteva sornione al susseguirsi dello spettacolo, senza interferire,
incollando alla donna il proprio sguardo, incatramato da maschere con
le quale teneva lontani i tentativi altrui di sondarlo.
Piegò le labbra in una crepa soddisfatta quando la voce di
Sigyn prese a porre interrogativi alle giovane reclute, decretando a
seconda delle risposte chi poteva rimanere e chi avrebbe seguito coloro
che precedentemente non aveva superato la prima prova.
«Le sue domande sono sotto un certo punto di vista
preoccupanti» osservò Fandral scambiandosi
un’occhiata d’intesa con Lady Sif, la quale fino ad
allora si era rinchiusa in un silenzio scuro. Con diligenza, aveva
tenuto d’occhio la giovane amica, studiandone ogni
più piccolo gesto e movenza, provando invano –
come sempre – a scoprire cosa vi fosse sotto la superficie di
luce ovattata di cui era composta. Non erano solo i suoi capelli ad
essere di condense di raggi freddi, svuotati di qualsiasi traccia di
calore, ma anche il suo intero essere, tanto da rendere impossibile
poter comprendere quello che si muoveva al di là –
impenetrabile. Erano diventate confidenti, alleate, amiche, ma non
avrebbe saputo dire nulla di più di quello che Sigyn
mostrava, non una sola sillaba su ciò che si celava nel suo
cuore – nemmeno il suo amore per Loki le era stato chiaro
nella sua definizione prettamente romantica, fino a quando loro avevano
deciso di dichiararlo, solo supposizioni relegate
all’indeterminatezza.
«È sempre stata preoccupante la sua
fedeltà a Loki. Mi chiedo a volte quando la conosciamo
davvero» sussurrò muovendo appena le labbra,
indecisa se potesse davvero pronunciare a voce alta una simile
constatazione. Non aveva mai compreso l’attaccamento verso il
Dio degli Inganni, e per quando Sigyn avesse sempre risposto che
avrebbe potuto dire la stessa di quello di lei verso Thor, entrambe
sapevano che si trattava di due modi di star accanto a qualcuno assai
divergenti. Era una crepatura di differenza appena visibile,
soprattutto all’inizio, ma più si evolveva il
rapporto tra Loki e Sigyn, più era chiaro fino a quale punto
di follia fosse stata spinta la sua devozione nei confronti del dio
– una
fedeltà cieca, testarda, ferrea, e che forse
non aveva alcun limite, nemmeno quello della nefandezza. Ed era
ciò a preoccupare Lady Sif, la possibilità che la
sua cara amica non avesse mai davvero scelto di servire la giustizia
che Asgard incarnava, ma unicamente Loki –
l’Inganno, il
Caos.
«Dai, Sif, non fare così. È tornata la
solita Sigyn di sempre, e per di più finalmente hanno deciso
di sposarsi, dovremmo essere più che contenti»
asserì scoppiando in una rauca risata, Volstagg, battendo
una mano sulla spalla della guerriera con fare bonario.
«E infatti lo sono, davvero.
Probabilmente sono solo preoccupata per Thor.»
«Puoi provare a chiedere a Sigyn se intercede lei verso Loki,
per andare a parlare con Odino» propose nuovamente il Leone
di Asgard[1], non accorgendosi delle espressioni assai poco convinte di
Fandral e Hogun – entrambi ritenevano l’idea non
tanto malevola, quanto del tutto uno spreco di tempo, visto che nemmeno
per Sigyn stessa aveva mosso una sola piccola lieve recriminazione o
supplica. Non avrebbe compiuto tale sforzo anche se si trattava di suo
fratello, perché Loki non si sarebbe mai abbassato a pregare
alcuno – e suo padre, Odino, non rientrava in alcuna
eccezione a quella dura presa di posizione nei confronti del mondo.
La voce d’un tratto potente di Sigyn li distolse dalla
conversazione. Tuonò come avrebbero fatto le scariche
d’elettricità a squarciare il cielo plumbeo,
accompagnando una tempesta dalla prepotenza cieca – tamburi
di battaglia racchiusi nelle gocce d’acqua a cozzare contro
qualsiasi cosa, con furiosa perseveranza. Le sue parole si ersero
vibranti nell’aria, sovrastando i tumulti del vento a
sferzare tra corridoi, cunicoli naturali, rami e pareti
d’oro, innalzandosi al di sopra dell’ululato che
risuonava nella giornata resa crepuscolare dall’assenza di
sole, carica di sfumature decise, impresse di un autocontrollo freddo
che rivelava il carattere incline alla leadership.
«Avete giurato di servire Asgard e il vostre Re sopra ogni
altra cosa. Ora giurerete a
me, la Dea della Fedeltà, di servirmi con
lealtà, e chiunque di voi sa a chi va la mia. Se pensiate
che siano due giuramenti equivalenti, potete andarvene.»
Non fu grida o urla, fu costatazione espressa con timbro perentorio a
monito per chiunque, non solo i cadetti ad ascoltarli muti come se mai
avessero avuto una lingua, ma chiunque potesse udirla. Era una sfida,
una dichiarazione, era un invito a non provocarla, perché
non vi era una scelta ardua se da un lato vi era Loki e
dall’altra qualsiasi altra cosa.
Fu solo Fandral a scuotere lievemente il capo, senza riuscire a dar
forma ai pensieri informi che invadevano la sua mente
nell’udire una simile affermazione. Si alzò dando
una lieve gomitata a Volstagg, indicandogli con il capo di tornare
dentro, perché ormai non vi era più nulla da
dover osservare – non importava quante reclute rimanessero o
se lo sfoltimento delle loro fila sarebbe durato ancora, ciò
che andava visto lo era stato. Provò a cercare lo sguardo di
Lady Sif, ma la malsana idea di Volstagg l’aveva ormai
catturata e non si sarebbe mossa di lì fino a quando non
fosse stata in grado di poter scambiare qualche chiacchiera, condita
con preghiere nei riguardi di Thor, all’amica.
Ebbe appena il tempo di scorgere Sigyn lasciar andare i cadetti rimasti
fino all’ultimo, ora facenti parti del suo reggimento, e
intuire lo spostamento scuro di Loki verso di lei, prima di rientrare
all’interno del palazzo, accompagnato dai due compagni e dal
pessimo presentimento che molto presto avrebbero scoperto parti della
Dea della Fedeltà che avrebbero preferito ignorare per
sempre.
«Che ne dici, Sigyn, un po’ di vero
allenamento?», con gli imperiosi refoli di vento ad alzare la
polvere dell’arena e il ghigno meno rassicurante di cui fosse
in possesso ad accompagnarlo, Loki si avvicinò infine alla
sua devota guerriera ammantato dalla soddisfazione recata ogni volta
dalle sue gesta. Sigyn sapeva cosa lui desiderasse senza
necessità di pronunciarsi al riguardo, non vi era alcuna
necessità per lui di spiegarle quale ruolo dovesse ricoprire
nelle sue macchinazioni e né tanto meno ordini da parte sua,
perché la donna non era un suo sottoposto, un servo
ammaestrato o una marionetta da spostare. Prendeva la parte che
definiva per se stessa, arricchendola e costruendola in modo da poter
essere più adeguata a lei – sceglieva ogni giorno,
ogni attimo di camminare al suo fianco e non le interessava quale fosse
la direzione. Non per disinteresse verso la meta, ma per maggior
concentrazione sul presente, sul momento che poteva trascorrere insieme
a lui.
«Come desiderate, mio principe» rispose
pacatamente, estraendo la propria lama dal fodero, prendendo posizione.
Ferma dove era stata lasciata dai Tre Guerrieri, Sif rimase a
osservarli combattere senza posa. Nonostante l’uso della
magia per trarla in inganno, Sigyn era sempre stata in possesso di una
naturale capacità di sguazzare nelle sue menzogne come
nessun altro e con il tempo tale abilità si era affinata a
tal punto da renderla in grado di potersi confrontare con lui in uno
scontro emozionante. La Dea della Guerra dubitava persino che si
trattenessero, se c’era da ferirsi non si ritraevano,
martoriavano e colpivano la pelle dell’altro non mostrando
alcun frammento di incertezza. Era incomprensibile la sostanza del loro
rapporto, era qualcosa formato da elementi di degenerazione che a
tratti spaventavano Sif per le ripercussioni a cui avrebbe potuto
assistere. Trattenne un brivido di orrore al nascere di un pensiero su
possibili risvolti futuri, troppo mesti e tremendi per consentirle di
abbracciarli anche solo come sua propria fantasia –
combattere contro Sigyn, invece che al suo fianco, era
bestialità a cui non voleva porgere orecchio.
Fu quando un pugnale di Loki sfiorò la guancia della sua
promessa sposa, lasciando impressa su di essa una scia rossa dalla
quale affiorarono piccole lacrime di sangue scarlatte, che il gioco si
concluse. Li osservò riprendere posizioni rilassate,
rifoderare le armi e scambiarsi sorrisi compiaciuti, divertiti persino,
nonostante le ammaccature che i loro corpi avevano provocato
– una forma di rispetto che Sif non comprendeva, quello di
non concedere sconti alla persona amata perché ci si fidava
delle sue potenzialità a sufficienza da non doverla
schernirla con lo smacco di limitarsi. Distolse le iridi scure
– non abissi insondabili come quelli di Sigyn, ma cristalli
trasparenti dai quali affioravano i pensieri ramisti ad emozioni con
estrema semplicità – solo quando Loki
portò alle proprie labbra la mano della Dea della
Fedeltà, sporca di terra e sangue di entrambi, per
depositarvi sopra un flebile bacio.
Li attese dov’era, alzandosi in piedi unicamente per
prepararsi all’arrivo dei due in modo da rendere maggiormente
palese ad entrambi il suo desiderio di poter parlare per un
po’ con Sigyn. Con i vestiti zuppi, lasciavano scie
d’acqua macchiate di altre cremisi ad ogni passo, producendo
un lieve suono metallico per via delle armi appese ai fianchi, e una
naturale stanchezza che non deturpava i loro volti, vi era
serenità serafica su quello di lei e sogghigno dai melliflui
risvolti su quello del compagno.
«Non fare tardi, Sigyn, mia madre ti vuole vedere
dopo» asserì semplicemente Loki, quando giunsero
in prossimità della Dea della Guerra, limitandosi a un
coinciso saluto verso la stessa accompagnato da un cenno del capo.
«Lady Sif.»
Sigyn si limitò a tirare il sorriso annuendo appena,
aspettando che le spalle dell’uomo sparissero dietro le porte
dell’ingresso, prima di riprendere a camminare, facendo segno
a Sif di seguirla, dirigendosi verso i giardini più vicini
alle arene. I portici che li circondavano erano ampi, archi a sesto
acuto possenti, a rendere edotto a chiunque, anche in
quell’anfratto di palazzo in cui in pochi si recavano, della
magnificenza su cui Asgard era fondata, anche quando le tempeste
perduravano e il vento graffiava qualsiasi superficie con cattiveria.
«Dimmi, amica mia, come mai hai l’aria tanto
cruciata? Non credo sia più io a provocarti tale
tensione» domandò con pacatezza Sigyn, dopo aver
lasciato consumarsi vari minuti nel silenzio. Con i capelli bagnati tra
le dita, tentava di riportare ordine tra di essi in modo da riprendere
a intrecciarli nella consueta treccia, la cui bellezza era stata
disfatta dai combattimenti e dalle intemperie. Li strizzava, con i
soliti gesti tranquilli intrisi di una nobiltà palese, una
regalità che non le era derivata unicamente per via di
nascita, ma di cui era cosparsa nelle profondità
dell’anima – grazia, una forma di delicatezza tutta
sua, come a volte le ricordava Loki.
«Sono veramente contenta che tu sia tornata in te, amica mia,
non immagini quanto tu ci sia mancata. Non posso che rinnovare anche la
mia felicità per quanto riguarda le nozze» prese a
parlare mantenendo l’aria ferma della guerriera, ma con la
morbidezza che le provocava naturalmente Sigyn. Da quando
l’aveva incontrata secoli prima, si era lasciata prendere
dalla ragazzina che era stata, impregnata di una strana dedizione
incomprensibile, e aveva desiderato conoscerla, sin anco allenarla
personalmente, pur di comprenderla. E da quel tempo erano diventate
amiche, dunque non vi poteva essere sincera felicità
più grande nel poterla riavere al proprio fianco e
soprattutto nel poter assistere alla realizzazione del suo amore per
Loki. Ma a macchiarle tali considerazioni vi erano le riflessioni su
primogenito di Odino, perduto in una terra lontana.
«Tuttavia, sono preoccupata per Thor. Credo che la punizione
del Padre degli Dei sia stata troppo severa, ma Loki non ha intenzione
di protestare in alcun modo e la mia parola non ha alcun peso,
quindi-»
«Quindi vuoi che lo convinca a discuterne con
Odino» concluse da sé Sigyn, poggiando una mano
sulla spalla di Sif. Per quanto vederla con le sopracciglia ad
affossarsi, le rughe di preoccupazione a cospargere la sua fronte e gli
occhi adombrati le procurasse non poco dispiacere, Sigyn non poteva
accogliere la sua richiesta. «Loki non ha in alcun modo mosso
mezza parola per me, e a quanto mi risulta né tu
né Thor né i Tre Guerrieri avete fatto
altrettanto, dunque non capisco perché dovrebbe essere ora
diverso.»
«Perché lui-»
«Per i tuoi sentimenti, certo» la interruppe
nuovamente Sigyn, con parole fluenti cariche di compassione empatica
per i suoi crucci personali, ma riversando in esse anche la sua ferra
decisione a non accontentarla. Anche se non ci fosse stato di mezzo
Loki, non avrebbe mai supplicato alcuno per concederle qualcosa in
cambio. «Ma la decisione del Re è la decisione del
Re. Se è per via di essi, dovresti essere solo tu a prendere
posizione, non altri al tuo posto, come io feci per Loki.»
La lasciò dopo aver stretto tra le propria dita affusolate,
cosparse di calli macchiati di grumi scarlatti, quelle di Sif. Non
aveva altro da aggiungere e l’altra sapeva che non sarebbe
occorso un eone di vita a convincerla del contrario di ciò
che affermava – e per quanto avvertisse una
quantità non indifferente di verità in quelle sue
parole, per quanto sapesse che vi era del giusto e che non si sarebbe
dovuta prendere la libertà di contraddire Odino unicamente
per amore di suo figlio, non riuscì a non sentire un fremito
di insoddisfazione nervosa. Rassegnarsi alla lontananza di Thor, come
aveva fatto con quella di Sigyn, era ben diversa cosa per quanto vi
fosse uno fondo di similitudine non trascurabile e non riusciva a non
pensare a quanto pericoloso fosse tenere il più valoroso
guerriero di Asgard lontano – per quanto arrogante, tal volta
ottuso e pieno di sé, Thor rimaneva un deterrente
formidabile per i nemici di tutti i Nove Regni.
Rimase a passeggiare in solitudine, uscendo dal riparo dei portici per
cercare un conforto delle carezze veementi della pioggia, cercando in
quel sanguinamento del cielo un posto nel quale potersi sentire al
sicuro. Strinse i pugni, nella speranza di trarre da quel piccolo gesto
una forza della quale si era sempre reputata detentrice, ma di cui si
sentiva prosciugare – e si chiese come avesse fatto Loki a
nascondere tanto egregiamente lo struggimento per la lontananza di
Sigyn, tanto da far pensare talvolta che nemmeno si ricordasse di lei.
Ma d’altronde lui era il Dio degli Inganni, mentre Sif
prendeva il titolo dalla sua abilità nelle guerre condotte
con spade ed altri armi, non ne aveva mai conosciute altre ed ora era
condannata a provare a resistere a un attacco invisibile.
Sapeva che non sarebbero bastati il trascorrere dei mesi successivi,
per quanto i preparativi del matrimonio di Loki e Sigyn avrebbe potuto
impegnarla, per quanto sempre possibili disordini potessero distrarla,
per quanto gli allenamenti riempire i vuoti di tempo, a nulla sarebbe
valso. Anche quando il sole sarebbe tornato a sgorgare come nuova fonte
di cristallina luce tra le nubi, nel suo cuore sarebbe imperversata la
tempesta nei giorni a venire, ignorando di come invece sulla piccola
Midgard l’oggetto del suo cruccio fosse molto meno intento a
rivolgere i suoi pensieri ad Asgard.
Non era stato semplice, d’altronde gli inizi non potevano mai
esserlo per intrinseco senso. Tuttavia Thor poteva affermare di aver
avuto più che un colpo di fortuna, una stella doveva aver
guidato il gesto di suo padre nel depredarlo dei poteri prima di
gettarlo nel New Mexico. Solo la sorte intrecciata tra i rami
dell’Albero Cosmico poteva spiegare il suo incontro con Jane
Foster e ciò che da esso ne era conseguito nei mesi a
venire.
Abituarsi a una normalità diversa di quella di Asgard e
comprendere le usanze differenti era stata la parte meno difficile di
quell’inaspettato viaggio non richiesto. E mentre guardava
fuori dal veicolo volante sul quale viaggiava di ritorno alla base
principale dello S.H.I.E.L.D., gli venne naturale domandarsi se mai la
punizione di suo padre avrebbe avuto un termine ultimo. Aveva ormai
accettato tale condizione, per quanto arduo fosse stato, grazie
all’aiuto della brillante astrofisica Jane Foster e di Eric
Selvig che lo avevano accolto su Midgard con più domande che
risposte, ma concedendogli un posto nel quale restare; doveva molto
anche al direttore Fury e alla sua divisione speciale che non aveva
impiegato troppo tempo ad accorgersi degli strani eventi che la caduta
di un dio provocava. Aveva trovato tra le fila di
quell’esercito segreto di Midgard un luogo nel quale forse
riuscire ad ottenere la sua occasione per mostrare di essere ancora
degno, non del trono al quale aveva tanto anelato per la maggior parte
della sua vita, ma di essere figlio del grande Odino.
Combatteva ora al servizio di un popolo che aveva sempre ritenuto
inferiore unicamente perché non dotato di abilità
fisiche eccezionali come gli asgardiani, rimettendosi al di sopra di
loro solamente perché in possesso di qualità che
dalla nascita aveva avuto per meriti non propri, senza rendersi conto,
fino a quando non era stato costretto ad unirsi ai mortali, di come
fossero altre le qualità a determinare la grandezza di un
popolo – e delle persone. Forse, aiutando chi aveva
classificato tanto inferiore a tal punto da doverlo venerare, avrebbe
trovato una via per riscattarsi – e anche se così
non fosse stato, qualcosa di buono la sua vita avrebbe creato.
La mano del Capitano Rogers poggiata sulla spalla lo riscosse dallo
scivolare dei pensieri rivolti al futuro, indicandogli nel silenzioso
gesto del capo lo stagliarsi all’orizzonte di Washington ad
accoglierli. Molti mesi erano trascorsi e ancora trovava strana la
vista dell’imponente metropoli profilarsi nel tramonto
sereno, e nelle sue pieghe aveva scovato una vita differente da quella
quotidianità nella quale era cresciuto – niente
guerre sanguinarie, niente banchetti sfarzosi, niente risse. Nel suo
abituarsi a Midgard aveva scoperto il piacere di una ricchezza diversa,
di una pace composta di piccoli gesti, in cui Jane ricopriva il centro
di quel nuovo equilibrio in cui bastava un suo sorriso a calmare
giornate difficili.
Non solo la sua vita era mutata drasticamente, ma anche quella di Jane
Foster con l’arrivo di Thor aveva subito non pochi
scombussolamenti – per quanto di ovvie minori dimensioni.
Prima tutto il materiale contenente le ricerche condotte durante
l’intera sua carriera accademica le erano state sottratte da
sconosciuti uomini in nero, di evidente stampo governativo; poi aveva
scoperto che l’uomo che aveva accidentalmente investito in
mezzo a una tempesta prodotta da inspiegabili fattori, era un
visitatore di un altro mondo appartenente a miti norreni; ancora un
po’ più avanti erano riusciti a trovare un modo
per riottenere un po’ di normalità dopo qualche
colpo di testa di Thor; e infine erano stati tutti assunti in blocco
dallo S.H.I.E.L.D che trovava decisamente più proficuo avere
tra le sue fila un decaduto dio e due astrofisici dalle indubbie
capacità, le cui ricerche si erano dimostrate capaci di
prevedere l’arrivo del lontano visitatore.
Sicuramente Jane aveva guadagnato uno studio decisamente più
amplio, ben fornito di attrezzature di cui prima si sarebbe solo
sognata di entrare in possesso e a disposizione di qualsiasi cosa
chiedesse per poter costruirsi da sola ciò di cui
abbisognava. Un notevole passo in avanti nella sua carriera, anche se
con cambiamenti che qualsiasi altra persona avrebbe ritenuto drastici,
ma non lei, che d’altronde di vita sociale esterna a quella
dei numeri, pianeti e particelle non aveva condotto nemmeno
precedentemente. In un certo senso, quasi per ironia della sorte, aveva
qualcos’altro oltre il lavoro a cui badare, per quanto
continuasse a sostenere orari del tutto personali e spesso si
ritrovasse a cenare a notte tarda senza rendersi conto che il letto era
ancora intonso. Ma quando Thor era lontano, in qualche missione dalle
quali ritornava sempre vivo e sempre ammaccato, Jane perdeva totalmente
di vista lo scorrere sano della vita, si smarriva tra numeri ed
equazioni e giusto la sua assistente riusciva talvolta a ricordarle
dell’esistenza di un mondo al di là della porta
dello studio.
«Seriamente, Jane, ma non senti la necessità di
uscire da queste segrete?» le domandò Darcy,
avvicinandosi all’amica con l’aria annoiata,
alzando e abbassando i fogli per cercare di comprendere a cosa stesse
lavorando in quel momento la giovane astrofisica – senza
successo. Non aveva ancora ben chiaro se avesse veramente accettato
liberamente di continuare a fare l’assistente di Jane Foster
e di Eric Selvig, o se lo SHIELD l’avrebbe costretta anche
nel caso si fosse rifiutata di trasferirsi insieme a loro. Tuttavia a
Darcy non importava eccessivamente di quel dettaglio, sicuramente non
avrebbe lasciato sola Jane, che già si dimenticava di
mangiare se non glielo si ricordava, figuriamoci se la si portava in un
laboratorio super accessoriato in cui aveva a disposizione giocattoli
ultratecnologici per i suoi esperimenti. Qualcuno doveva pur badarle e
lei non aveva niente di meglio da fare – o forse, lo aveva,
ma la salute della sua amica aveva sicuramente la precedenza.
«Si chiama ufficio,
Darcy. Dovresti avere una certa famigliarità con tale luogo,
dato che è qui che dovresti essermi
d’aiuto» chiosò Jane rivolgendole uno
sguardo eloquente.
«Sto cercando di essere d’aiuto, facendoti notare
che fuori c’è un mondo! E c’è
mister dio-decaduto-tutto-muscoli.
Insomma, non avrete intenzione di seppellirvi insieme qui
sotto?»
«Dammi una mano a spostare queste cartelle»
svicolò la studiosa, posandogli tra le braccia una pila di
cartelle nel tentativo di metterla a tacere in quel modo – ma
era eccessivamente semplice spegnere l’interruttore di Darcy,
lo sapeva fin troppo bene.
«Non mi hai ancora detto come procede la vostra... Relazione,
perché è una relazione, giusto?»
«Sì. Sì, Darcy, lo è. Ora
puoi cercare di essermi di una pur vaga utilità?»
«E come va?»
«Bene. Direi» si rassegnò
all’evidenza di doverle dare una risposta, perché
Darcy non si schiodava dalla piastrella sualla quale si era collocata,
tenendo fermamente tra le braccia le carte, oltre le quali spuntavano
giusto gli occhi dietro la montatura scura. Non le avrebbe dato alcuna
tregua e Jane era sfinita dopo le ore di lavoro – delle quali
aveva perduto il conto, accorgendosi solo in quel momento che il
tramonto era ormai scemato per far spazio alla notte rischiarata dalle
insegne al neon, luci di appartamento e lampioni della capitale.
«Insomma, per due che hanno parecchio da fare, riusciamo
comunque a vederci e a... Voglio dire, abbiamo un rapporto
stabile.»
«I dettagli li devo cavare con un reattore
nucleare?»
«Di qualsiasi dettagli stia parlando, signorina Lewis,
dovrà attendere. Il direttore Fury vi attende»,
prima che Jane Foster potesse aggiungere parole alle sopracciglia tese
verso l’alto in archi marcati e agli occhi nocciola in cui
era chiara tutta la sua volontà di chiudere in quel momento
il discorso, l’agente Phil Coulson le interruppe con il
candore educato di chi non ammetteva repliche di alcun tipo.
Felice di potersi liberare rapidamente della torre di scartoffie tra le
mani, Darcy le mollò sulla sedia per avviarsi insieme a Jane
nell’ufficio del direttore, seguendo Coulson. Con i passi a
rimbombare tra i corridoi semideserti della struttura governativa, lo
sguardo della donna era rivolta alle enormi finestre attraverso cui la
città continuava a vivere anche sotto la coltre scura delle
nubi oltre le quali stelle e mondi distanti si muovevano in punta di
piedi. Da quando Thor era entrato nulla sua vita, le sue percezioni e
concezioni avevano subito più di un terremoto, aveva dovuto
rivedere e ampliare il significato di impossibile per ridurlo a un
improbabile, fino a trasformarlo a possibile. Era merito di
quell’uomo se era andata avanti così tanto nelle
sue ricerche – e non solo perché aveva negoziato
per il suo ingresso nello S.H.I.E.L.D. un lavoro anche per lei, ma per
averle regalato ciò che più abbisognava uno
scienziato, ovvero non avere preclusioni mentali.
Sotto la cascata di luci artificiali dell’ufficio, voltato
verso i lontani scintillii della città, il direttore Fury
rimaneva in piedi permeato dal silenzio colmo di attesa in compagnia di
Steve Rogers e Thor. Dovette ricorrere a buona parte del proprio
autocontrollo, Jane, per evitarsi di fiondarsi vicino al decaduto Dio
del Tuono per potersi assicurare delle sue condizioni. Si
limitò a scrutarlo con viscerale preoccupazione, passando in
rassegna ogni centimetro del suo corpo alla ricerca di ogni
più piccolo dettaglio che potesse rivelare quali infortuni
si fosse procurato quella volta. Per quanto conoscesse la sua
incredibile forza e preparazione fisica, per il momento rimaneva un
essere umano dotato di abilità incredibili, ma non
inconcepibili – fino a quando Mjolnir fosse rimasta
incastrata nel pezzo di roccia sulla quale era precipitata, spostata
interamente per essere trasportata lì a Washington in modo
che fosse tenuta vicino al suo proprietario, tali sarebbero rimaste le
sue condizioni.
Il sorriso di Thor era un infuso di calma, quiete scintillante
d’oro colato, una cura efficace contro ogni ansia di cui Jane
fosse afflitta ed era più che sufficiente a rilassarle i
muscoli tesi del corpo, nel momento stesso in cui lo poteva finalmente
rivedere. Il respiro profondo che trasse finalmente la donna fu di
sollievo, mentre ricambiava silenziosamente il saluto di benvenuto di
Thor, senza proferire parola per non rompere l’attesa a cui
Fury li stava incatenando.
Quando la porta dell’ufficio fu chiusa dall’agente
Coulson, Fury si voltò verso il piccolo gruppo azionando con
un microscopico telecomando lo schermo enorme appeso alla parete.
Immagini di riprese ad alta quota di un edificio collocato in mezzo
alla boscaglia in un pezzo di terra non classificato, si affiancavano
dati che sottolineavano come tra quelle mura si fossero registrati
strani fenomeni inconciliabili con quello che appariva un cantiere
abbandonato, a poco tempo dal completamento.
«C’è un tasso di attività di
energia dalla dubbia fonte. I dati riscontrati sono sospetti e diciamo
che non mi fanno dormire sonni tranquilli»
cominciò a spiegare con voce atona Fury, illustrando il
susseguirsi delle riprese. «Si tratta di una nostra base
dismessa da qualche tempo, ormai abbandonata. Non sembra ci sia alcuno
nei dintorni, quindi pensavo di mandare voi, signorina Foster e Thor in
caso di visite inaspettate. Pensate di potercela fare?»
M A N I
A’ s W
O R D S
Ed eccoci all’inizio della seconda parte della storia.
E Thor è tornato tra noi – e con un cameo anche
del nostro Steve Rogers. Anche se non gli ho fatto spiccicare mezza
parola, perdonatemi, ma mi sembrava più utile concentrarmi
sui suoi pensieri. Come dissi all’inizio di questa
storia-raccolta, essendo strutturata come varie one-shot, mi concentro
su alcuni punti importanti delle vicende, lasciando in secondo piano
ciò che ha portato ad esse. Per questo i mesi precedenti di
Thor sulla Terra, il suo arrivo e tutti gli eventi ai quali ho
accennato, non sono stati descritti – nella long, mi ero
messa a raccontare tutto quanto per filo e per segno, ma sinceramente
in questa struttura a raccolta sarebbe del tutto insensato,
perché altrimenti diventerebbe una vera e propria long.
Sulla parte di Loki, Sigyn e Sif, invece non ho molto da dire. Anche
lì ho fatto trascorrere un po’ di tempo, ma le
vicende sono collocate anteriormente a quelle riprese
nell’ultimo pezzo del capitolo, ovvero quelle che si svolgono
sulla Terra. Dalla mia modesta esperienza in fatto di organizzazione di
matrimoni, so che ci vuole il suo bel tempo, e Loki è un
principe, dunque credo che i tempi siano ancora più dilatati
– dunque no, non sono ancora sposati. Thor tornerà
su Asgard prima del lieto evento? Chissà.
Bene, vorrei dire di aver trovato una canzone che possa assolvere allo
stesso compito della prima parte, ma no, non è
così. Nel senso che non sarà una sola
probabilmente, perché temo che sarà di poco
più lunga questa seconda parte e niente, quindi
probabilmente ne userò due.
E le canzoni saranno: “Unbroken”
dei Black Veil Brides
- che con sommo colpo di inventiva, è nella colonna sonora
di “The Avengers” - e “Redemption Song”
di Bob Marley.
Vi prego di non leggere come un suggerimento per una
“redenzione” di Loki – o di qualche altro
personaggio. Credo che nemmeno sotto tortura potrei mai scrivere del
Dio degli Inganni che si vuole redimere. Va inteso in senso
“distorto”, una redenzione non classica nel termine
e verrà spiegata più avanti nel corso della
storia – che poi credo si sia capito che io Loki non posso
proprio vederlo come uno che è cattivo perché ha
ricevuto poco amore e quindi è possibile che torni ad essere
buono, quando non lo è mai stato. Su, è ispirato
al Dio del Male e del Caos, per Odino!
Come sempre io ringrazio tutti coloro che seguono la storia, chi l'ha aggiunta ai preferiti/ricordate/seguite e soprattutto chi l'ha commentata l'ultima volta, ovvero: Lakky, Yoan Siyryu, Kikka_67 e Chiocciola! Grazie, mille volte grazie♥
Come sempre vi lascio la mia pagina Facebook, dove qualche
anticipazione la metterò: M
A N I A
(Chiedo
venia, che ho riletto il capitolo meno del solito, penso di aver
correto tutti gli errori più macroscopici, ma se continuavo
ad aspettare di aver tempo per rileggere ancora, non pubblicavo
più!)
Alla prossima,
Mania
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