Dentro me due anime

di MiyakoAkasawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO: La Divina Commedia ***
Capitolo 2: *** CAP I: Sogni ***
Capitolo 3: *** CAP II: Il male sta arrivando ***
Capitolo 4: *** CAP III: Ciò che si nasconde dentro di me ***
Capitolo 5: *** CAP IV: Occhi verdi ***
Capitolo 6: *** CAP V: Ciò che è ombra viene alla luce ***
Capitolo 7: *** CAP VI: Arrivano i demoni ***
Capitolo 8: *** CAP VII: Anima d'argento ***



Capitolo 1
*** PROLOGO: La Divina Commedia ***


Prologo
La Divina Commedia
 

1313 d.C. Ravenna.
Dante Alighieri, esiliato da ormai due mesi, era in piedi, appoggiato alla finestra della casa in cui si era rifugiato, intento a contemplare quel che per lui è ciò di più meraviglioso si possa ammirare nella vita. Alla sua destra, molto in lontananza, si innalzavano monti enormi, dalla maestosità celestiale, alti e verdi, con le vette un poco innevate come se la neve non fosse solo neve, ma qualcosa di più. Qualcosa di profondo ed etereo come i sogni dell'infanzia, luminosi ed incantevoli. Dall'altro lato invece si scorgeva qualcosa di altrettanto magico, blu come la calda coperta del mondo, il cielo, ma opposto ad essa, come se uno non fosse niente meno che il riflesso dell'altro. Era il mare, splendida distesa d'acqua profonda centinaia di leghe, in cui vivono creature ancora ignote al genere umano e che mai verranno scoperte, altri mondi sommersi, misteriosi e introvabili. La distesa che si disperdeva oltre la linea nell'orizzonte era piatta, cristallina, e il sole che rifletteva sulla sua superficie creava un magnifico arcobaleno di luce.
         Dante amava quei luoghi, peccato che doveva restare nascosto. Una volta discolpato avrebbe vedere quei luoghi più da vicino, ma prima di questo successe qualcosa che lo cambiò radicalmente, che gli fece dimenticare qual era il suo posto, la sua natura, la sua vita e che gli fece dimenticare la reale bellezza dei luoghi della sua terra amata.
 
Era la tarda sera di un giorno qualunque, le stelle erano totalmente coperte dalle nuvole scure che minacciavano tempesta e nemmeno la luna riusciva a trovare uno spiazzo di cielo dove poter essere ammirata. A quell'ora Dante se ne stava disteso sul suo letto a pensare a Beatrice ma in realtà voleva sognare, dimenticare tutto quanto e perdersi nelle profondità del sogno etereo.  Quella notte, però, non poté fare sogni tranquilli di notti stellate e della donna che amava: quella notte ebbe un incubo. Il demone Eurynomos gli apparve, lo vide, lo sentì quasi tangibile. E non fu una visione.
         Una nebbia grigia, densa e odorante di zolfo gli avvolse i piedi, salì sinuosamente fino alle sue ginocchia, ai fianchi, salì sempre di più finché non gli entrò nel naso, nei polmoni, e si sentì ardere dall'interno. Gli sembrò di diventare cenere che, vibrando a causa delle folate di vento bollenti, si librò nell'aria fino a raggiungere la voragine. Il suo corpo rimase inerme nel letto in uno stato di morte apparente ma la sua anima e la sua mente erano altrove, nel regno ultraterreno sconosciuto che a breve sarebbe diventato il regno temuto da tutti gli uomini.
         Eurynomos attraversò due cancelli di ferro e  condusse Dante da Virgilio, il demone arcano dalla forma umana, che lo stava attendendo appoggiato ad un enorme e pregiato dipinto di un uomo. Lo sguardo di quest'uomo era profondo e penetrante, capace di trascinarti nelle profondità degli abissi. Dante contemplò quel dipinto e, poco prima di cadere nelle profondità oscure di quello sguardo, Virgilio gli afferrò la mano e glie la strinse con decisione e vigore come se i due fossero vecchi amici che si conoscevano da una vita intera.
         I due varcarono altri cancelli e Virgilio cominciò a parlare:
         -Caro amico e fratello...-
         La sua voce era tranquilla e soave, troppo leggera per apparire normale nell'aria pesante di quel luogo.
         -...presto capirai tutto quanto, non temere, tu sei il primo tra tutti tenuto a sapere, ne hai il pieno diritto grazie alle tue origini. Ora non capisci ma presto comprenderai qual è il destino per cui sei nato, qual   è il compito che ti è stato assegnato...-.
         Virgilio, detto ciò, si trascinò dietro Dante fino ad uscire completamente dallo spiazzo in cui era stato con quella creatura chiamata Eurynomos e con quel dipinto spaventoso e al contempo affascinante. Dante, mentre seguiva Virgilio lungo luoghi incredibili, non poté far altro che chiedere che posto fosse mai quello.
         -Sta bene attento a quello che vedi caro fratello, tu ti trovi nel luogo chiamato Inferno. La storia di questo luogo è molto lunga, lunga millenni, dovrai avere molta pazienza-.
         Dante nel frattempo guardava in giro da tutti i lati e si meravigliò di non vedere il cielo.
         -Molti eoni fa, durante la Creazione, non esisteva il bene o il male, esisteva solo la fratellanza, la pace e l'amore... il Signore creò il Paradiso, dimora di tutti gli angeli; la Superficie che a breve avrebbe ospitato gli esseri umani; il Purgatorio, una scala che avrebbe permesso ai futuri umani di tornare al Creatore quando sarebbero morti-.
         Dante si concentrò su quello che Virgilio gli stava dicendo, ad ogni parola era sempre più meravigliato.
         -Nel Paradiso però non tutti condividevano quei pensieri di pace e fratellanza. Gli angeli ribelli erano molti e i più forti di questi furono nove, uno tra cui Lucifero. Tutti gli angeli credevano che, una volta giunta, la razza umana avrebbe vissuto bene, come gli avrebbe insegnato il Signore, rispettando la Superficie, ma quei pochi angeli erano convinti che invece sarebbe nata anche l'ingiustizia, la crudeltà e la guerra e mi permetto di dire che avevano pienamente ragione-.
         Dante rifletté su quelle parole. Quante volte ho sentito parlare di guerre, dal passato ai nostri giorni? Gli esseri umani non facevano altro che uccidersi e odiarsi fin da sempre. E così sarebbe per sempre stato. Non aveva niente in contrario da dire ma parve turbato. Ogni parola che Virgilio diceva era una rivelazione. Continuò:
         -I ribelli avrebbero allora curato le anime dei peccatori facendogli scontare pene che avrebbe permesso loro di tornare puri al Paradiso. Credendo ciò, furono cacciati dal Signore ma invece di restare sulla Superficie crearono questo luogo sotto di essa: diedero vita all'Inferno. Nove gli angeli più forti, nove i diavoli e nove i cerchi in cui è stato diviso l'Inferno per curare le anime degli uomini. Tutto sarebbe trascorso nel tempo fino alla resurrezione ma quando il Paradiso seppe dell'impresa dei diavoli, esso mosse guerra contro di loro: la Guerra Antica. La prima guerra mai registrata nella storia-.
         Continuando a raccontare, ormai Virgilio e Dante erano giunti dinnanzi ad un grosso burrone, ma all'improvviso si sentì l'ululato di una bestia.
         -Santo Dio Virgilio, cos'è stato quel lamento?-
         -Non temere caro fratello, non c'è di che preoccuparsi-
         Poi continuò il racconto e Dante passò presto dall'essere sorpreso all'essere inorridito:
         -Scoppiò la guerra tra angeli e demoni: se avessero vinto gli angeli, la Superficie sarebbe rimasta intatta e l'Inferno sarebbe stato distrutto, se al contrario avessero vinto i diavoli, loro avrebbero continuato il loro progetto. Ci furono molte perdite da entrambe le parti e alla fine decisero di stipulare una tregua. Tutti accettarono, tutti tranne uno, il nono diavolo, Lucifero, il "portatore di luce". Forgiò una spada col sangue dei suoi morti e con le penne delle ali degli angeli caduti, e la battezzò Lama Dei Diavoli. E sai perché?-
         Dante aveva sentito parlare di Lucifero, era un angelo che si ribellò al volere di Dio, voleva donare la sapienza e l'intelletto agli esseri umani per questo venne chiamato 'Portatore di Luce' cioè colui che porta il lume della ragione. Venne cacciato dal Paradiso e cadde sulla terra insieme a coloro che seguivano i suoi ideali. Ma la vera storia a quanto pare non era quella. Non era quello il motivo della caduta e la creazione dell'Inferno.
          -Sai perché venne chiamata così?-
         Dante non voleva saperlo.
         -Perché con quella spada commise un atto terribile. Uccise tutti e otto i suoi fratelli che regnavano con lui all'Inferno. I diavoli non morirono realmente, i loro corpi entrarono nel sonno eterno, ma le loro anime furono intrappolate all'interno della spada così che Lucifero potesse usare i loro doni, enormi poteri che solo i demoni hanno. Divenne invincibile. Fatto ciò, ritirò la tregua e la seconda fase della guerra cominciò. Lucifero mandò il suo esercito di demoni contro il Purgatorio e questo lo distrusse. Gli angeli rimasti a combattere sulla Superficie non poterono più fare ritorno al Paradiso e continuarono a combattere fino alla morte. Nessun angelo sopravvisse ma ce ne fu uno, il suo nome era Lelarihell, un serafino, un angelo appartenente ad uno dei livelli più alti nella gerarchia angelica e con doni incredibili, che riuscì a trovarsi faccia a faccia con Lucifero in un luogo sconosciuto e a colpirlo al cuore con la propria spada. Questo non morì perché troppo potente ma, poco dopo aver ucciso l'angelo, entrò anch'egli nel sonno eterno come i suoi fratelli. Questo luogo è ricordato da angeli e da demoni come il Luogo Senza Nome: fu il luogo dove entrambe le razze prevalsero ed entrambe perirono-
         -Sono mortificato ma mi trovi dubbioso riguardo a quello che mi stai dicendo, io conosco un altra storia-
         -Ciò che racconta la religione non ha niente a che vedere con quello che sto dicendo. Le persone comuni non sono in grado di capire la verità. La reale storia è questa-
         -E io come posso essere certo che quello che mi stai dicendo sia la verità? Non so nemmeno dove mi trovo e come sia potuto arrivare fin qui-
         -Presto capirai amico mio, tutto quello che ti è permesso sapere giace sepolto dentro di te e aspetta solo che tu lo riporti in superficie-
         Dante non sapeva più cosa pensare, se credere alle parole di Virgilio oppure fingere di ascoltarlo e sperare di andarsene da quel luogo immondo il prima possibile.
         -Continua il tuo racconto. Cosa accadde a Lucifero una volta che scivolò nel sonno eterno?-
         -Ora il corpo di Lucifero riposa all'Inferno, e proprio come hai avuto modo di vedere tu stesso, il dipinto lo raffigura, e attende la venuta di colui o colei che lo risveglierà. Il nostro compito qui all'Inferno è quello di estrarre un frammento dell'anima di Lucifero e di mandarlo sulla Superficie, così che entri nel corpo di una donna, nasca e cresca insieme ad una nuova vita fino a raggiungere la forza necessaria perché la sua anima si risvegli per riprendere a regnare-
         -Ma perché mai dovreste fare una cosa del genere? Lucifero è un essere crudele, ha ucciso i suoi fratelli e si è ribellato contro Dio combattendo le creature del Paradiso-
          -Siamo tutti figli del diavolo Dante, ricordatelo. Siamo tutti figli di quella guerra e noi demoni più che mai. Abbiamo il dovere di portare a termine il suo piano. Ora il tuo compito è questo: portare il genere umano alla conoscenza di questi luoghi, raccogli tutto quanto tra le pagine di un libro, racconta agli uomini del Paradiso e dell'Inferno, ma ti consiglio una cosa…-
         -Quale sarebbe questo consiglio?-
         -Racconta che alla morte gli uomini potranno tornare al Creatore-
         -Perché dovrei mentire? Non esiste più la possibilità di tornarci. Lo hai detto tu stesso che il Purgatorio è stato distrutto-
         -Sì, lo so bene, ma un motivo reale ci sarebbe-
         Dante lo guardò incuriosito ma nel suo inconscio provò paura. Virgilio poi disse:
         -Se c'è una cosa che ho imparato stando qui, e vedendo i volti dei dannati scontare le pene dei propri peccati, è che loro hanno bisogno di speranze, hanno bisogno di credere che ci sarà la salvezza-
         Avrebbe dovuto mentire e dare false speranze all'intera umanità. Gli sembrò inconcepibile ma cercava ancora la risposta ad una domanda e presto l'avrebbe avuta. L'avrebbe avuta per poi perdersi per sempre e smettere di essere l'uomo che pensava che fosse.
         -Poco fa mi hai detto che le mie origini mi consentono di venire qui e mi affidano questo compito-
         Esitò un istante poi prese fiato e disse:
         -Quali sono le mie origini?-
         -Tu sei figlio di una donna e di un diavolo, sei per metà uomo e per metà demone, il primo mezzosangue della storia-.

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Capitolo 2
*** CAP I: Sogni ***


Capitolo I
Sogni

 
         Evangeline era seduta sul divano del suo salotto con le gambe rannicchiate di fianco a leggere un libro. La tv era spenta e in quel lato dell’appartamento regnava il silenzio. Fuori nevicava da ore e si era ormai formata una distesa compatta e bianca di neve. Era la prima nevicata dell'anno, arrivata forse un po' in ritardo siccome era gennaio inoltrato, ma i suoi effetti non tardarono ad arrivare: in strada non c'era anima viva. Tutto era silenzioso e bianco.
         Dalla stanza di fianco Evangeline sentì la voce di sua madre mentre apriva la porta e suo padre rispose: -Stai d'incanto, vedrai che farai un figurone stasera-.
         I suoi genitori dovevano uscire quella sera, andare ad una cena tra colleghi di lavoro. Evangeline odiava come sua madre si mettesse sempre in tiro ogni volta che doveva uscire. A parte quello era un bene che uscissero: sarebbe rimasta a casa da sola per un po' come le piaceva.
         Evangeline, per questo, poteva sembrare una ragazza tranquilla, semplice, ma in realtà nascondeva qualcosa nel profondo del suo animo che nessuno sapeva spiegarsi, lei compresa. Per essere una diciassettenne era molto sveglia e spigliata, sapeva sempre cosa dire e cosa fare in ogni situazione, anche nelle più scomode. Il problema era il suo atteggiamento menefreghista ed enigmatico per il quale molti ragazzi la evitavano e la giudicavano; gli amici li aveva ma nessuno di loro la conosceva realmente. I pochi amici più intimi si confidavano con lei appunto perché sapevano che potevano contare sul suo silenzio; in quanto a lei, invece, non parlava mai di nulla che avesse a che fare con la propria vita privata con nessuno. Nessuno sapeva con certezza che tipo di ragazza fosse nel profondo dell'animo, come i vampiri ti affascinava e ti spaventava al tempo stesso.
         I genitori di Evangeline, Curtis e Sarah Goodchild, entrarono in salotto entrambi vestiti eleganti parlottando tra di loro:
         -Curtis, tesoro, hai sentito la novità? Pare che Helen, la nostra vicina al piano di sopra, abbia tradito il marito con il suo capo ufficio-
         -Povero il marito allora Sarah-
         Evangeline vide suo padre lanciarle un occhiata in cerca di aiuto: certo che a volte sua madre diventava davvero una pettegola insopportabile. Lei lo ricambiò con un sorrisino appena accennato e ritornò al suo libro dicendo a mente: cavatela da solo sei tu che l'hai sposata, non io.
         -Evangeline, tesoro- ricominciò sua madre -noi adesso andiamo. Non andare a letto tardi, domani riprendi la scuola-
         -Lo so mamma, non me lo ricordare ogni volta-
         -Ci vediamo domani mattina. Buona notte Eve-
         -Buona serata-.
         Li vide infilarsi i cappotti e avvolgersi le sciarpe intorno al collo, presero le chiavi dell'auto e uscirono prima sul pianerottolo e poi dal condominio, nella tormenta di neve, diretti ad un lussuoso ristorante in centro.
         In casa regnava il silenzio ora. Non c'era anima viva se non lei. Gli unici rumori che si sentivano erano il suo respiro, i passi degli inquilini al piano di sopra, lo sfregare delle pagine del libro sul suo grembo e il rintocco di un grande orologio a pendolo appoggiato alla parete di fronte a lei. Perfino dalla strada non si udiva nulla. A quell'ora e in quella parte della città era difficile incontrare qualcuno per strada, ogni tanto passava una macchina ma nient'altro di più.
         La famiglia Goodchild abitava nella periferia di una piccola città d'Italia, pericolosa soprattutto la notte quando ad ogni angolo c'era almeno un extracomunitario che spacciava ad un gruppetto di tossici pronti a qualsiasi cosa per rimediare una dose.
         Evangeline passava le serate a casa, di norma, ma a volte aveva bisogno di stare anche all'aperto e l'unico posto dove si potesse respirare aria “pulita” era ai giardini a pochi chilometri da casa sua. Ci andava di rado. Da sola. Da sola perché gli amici che frequentava alla sera si ritrovavano in qualche locale del centro e a lei non andava, mentre di quella zona di città conosceva tutti i giovani ma non le importava di parlare con nessuno di loro.
         Le stava salendo l'ansia, senza un motivo apparente. Forse era l'atmosfera che si era creata, il silenzio. Chiuse il libro e lo posò su un tavolino di vetro davanti al divano e solo allora si accorse dei giochi di ombre disegnati sulle pareti dalla luce dei lampioni in strada che filtrava dalla finestra. Andò in corridoio e si chiuse in camera da letto, nel suo rifugio. Non si vedeva niente a parte la strada attraverso la finestra. Cercò a tentoni il letto finché non lo trovò e si infilò sotto le coperte sperando che almeno quella notte sarebbe riuscita a dormire. 
 
         Un odore pungente di zolfo invadeva l'aria e fiumi di lava incandescente scorrevano in enormi crepacci del terreno arido e morto. Si vedevano in lontananza bagliori rossi e gialli, accecanti, e la temperatura che si percepiva sulla pelle era altissima.
         Evangeline era lì, sperduta in quella valle di desolazione. Seguì con lo sguardo uno di quei crepacci fino ad arrivare all'orizzonte, là dove vide imponenti montagne con vette alte fino al cielo. Non aveva ancora fatto caso al cielo ma quello non aveva l'aspetto di essere un cielo qualunque. Anch'esso era rosso e pareva bruciare in ogni punto. Enormi squarci neri lunghi chilometri lo attraversavano come se fossero ferite aperte e in ognuno di essi entrava un raggio di luce  che nasceva dal suolo e si perdeva al suo interno diretta chissà dove. Uno di quei raggi partiva proprio dai piedi di quelle montagne in lontananza e, se concentrava lo sguardo in un punto ancora più lontano, si potevano scorgere altre montagne simili a quelle, ce ne erano a centinaia.
         La ragazza, che cominciò a provare paura quando si rese davvero conto di dove si trovasse, continuò a fissare il cielo rosso finché non vide che, proprio sopra di lei, c'era un enorme palla di fuoco sospesa, come un sole troppo vicino al suo pianeta. La sua superficie sembrava bollire perché si gonfiavano enormi bolle che poi scoppiavano emettendo una forte luce accecante. Sembrava un sole che stesse sorgendo ma allora stesso tempo anche morendo.
         Evangeline sentiva di non essere al suo posto in quel luogo, aveva le gambe pesanti e sapeva che fino a quel momento si era sentita troppo poco spaventata per essere stato normale. Voleva avere più paura, avere l'impulso di scappare, ma non provava niente. Si limitava solo a fissare il paesaggio intorno a lei senza battere ciglio, poi, una nuova sensazione la invase. Era un odore diverso da quello di zolfo. Era odore di bruciato.
         Ecco che la paura le salì subito nelle gambe, in quella fornace un brivido freddo le risalì la schiena e le penetrò nelle ossa, il cuore cominciò a batterle come mai avrebbe pensato di poter fare. Fece un passo indietro e avvertì il rumore di qualcosa che si rompeva sotto al suo piede, come di un rametto quando viene spezzato dalla forza del vento.
         Si girò di scatto spaventata e vide l'orrore che era sempre stato dietro di lei. Era davanti ad un oceano di ossa e cadaveri. Evangeline gridò. Un grido isterico che le uscì dalla gola così forte che sentì le corde vocali irrigidirsi e ardere.
         Un urlo e poi il nulla.
 
         Evangeline si svegliò di colpo e si mise a sedere sul suo letto, avvolta dalle coperte e da una sensazione di paura folle. Sentì una goccia di sudore scenderle dalla tempia alla guancia e poi sparire nel suo pigiama. La sveglia segnava le quattro di notte, la stessa ora in cui si svegliava tutte le notti da tre settimane prima a quel giorno.
         Tutto era buio intorno a lei a parte la debole luce che arrivava dalla strada attraverso la finestra.
         È stato solo un sogno, solo il solito sogno si disse cercando di calmarsi. Va tutto bene, era solo un sogno. Ora sei sveglia e sei a casa.
         Ma non riusciva a rilassarsi; il cuore le batteva ancora nelle tempie e il respiro non si regolarizzava. Era stato diverso quella notte. Tutte le altre volte non si era mai girata alle sue spalle al sentire quel rumore di ossa che si rompeva. Non aveva mai assistito a quello spettacolo macabro di corpi privi di vita; avrebbe tanto voluto non averlo mai visto.
         Che significato può avere? Non lo sapeva e di certo non lo avrebbe chiesto a nessuno. Se lo sarebbe tenuto per sé come tutti i suoi problemi del resto. L'unica cosa di cui ormai era certa era che quel sogno non lo faceva per puro caso. Chi mai fa lo stesso sogno tutte le notti per settimane? L'unico modo per capirne il significato era continuarlo senza svegliarsi e un passo avanti quella notte lo aveva fatto. Ma come posso ora abituarmi a vedere quel campo pieno di morti e a quell'odore nauseabondo? Se lo sentiva nelle narici ancora adesso.
         Prese coraggio e si alzò. Il tepore del sonno che aveva sulla pelle scomparve in pochi istanti. Faceva davvero freddo in quei giorni, quasi si creava una nuvoletta di condensa a ritmo del suo respiro.
         Infilò pantofole e vestaglia. Fuori aveva smesso di nevicare ma il livello della neve era ancora più alto della sera. Fece attenzione a non fare rumore e a non andare contro i mobili della sua stanza, non voleva svegliare i genitori. Una volta le era successo e non la smettevano più di lamentarsi.
         Evangeline percorse il corridoio fino al bagno, quando accese la luce si accecò ma poté guardare lo specchio che rifletteva un volto pallido e assonnato. La sua pelle era sempre stata molto chiara e il volto allungato e scarno le davano un aria cadaverica. I capelli lunghi e neri corvini le incorniciavano il viso e mettevano in risalto i suoi occhi, grigi e freddi nascosti sotto lunghe ciglia nere e sopracciglia fini. La pelle del viso, di norma vellutata, era sudata e le labbra rosa e minute erano screpolate.
         Non era di bell'aspetto. Era una ragazza semplice, di quelle che nei corridoio della scuola passano inosservate, che poteva piacere come amica ma mai come la fidanzata di qualcuno.          
         Evangeline, dopo essersi guardata allo specchio, intontita dal sonno, si lavò la faccia con l'acqua talmente fredda che si svegliò di colpo. Sapeva che non avrebbe ripreso sonno prima di un ora e se si doveva alzare presto tanto valeva stare svegli.
 
         -Eve tesoro, ti sei addormentata sul divano?-
         La voce mielosa di sua madre la svegliò dolcemente.
         -Ciao mamma- sussurrò appena, ancora mezza addormentata
         -Ti sei svegliata ancora stanotte? Un altro incubo?-
         - Si, sempre lo stesso- si lasciò ricadere sul divano.
         -Curtis, scendi presto, Evangeline ha avuto un altro incubo stanotte-
         -Sto bene mamma. Non ti preoccupare non è niente-
         Forse lei l'odiava il modo in cui la trattavano. L'assillavano per colpa di questi sogni e la trattavano come una bambina che aveva paura. Ma lei non aveva paura. Era cresciuta ormai e sapeva che un sogno non può fare davvero del male. Nemmeno i suoi di sogni. I più strani che avesse mai fatto.
         Poco dopo arrivò anche sua padre: -Evangeline tutto bene?-
         -Si papà. Va tutto bene- si stava alterando.
         Si alzò di scatto e andò dritta in bagno, ancora con le pantofole e la vestaglia addosso dalla notte prima.
         Sono solo sogni per l'amor del cielo, non c'è bisogno di preoccuparsi. Se gli dicessi quello che ho realmente sognato stanotte è la volta buona che mi portano da uno strizzacervelli.
         In effetti ci avevano già provato a convincerla a farsi vedere da qualche specialista ma a lei non importava. Uno psichiatra deve avere più problemi mentali di un matto perché possa capirlo.
         Si lavò faccia e denti. Indossò leggins e felpa e andò all'ingresso a mettersi gli anfibi.
         -Non fai colazione?- gli disse suo padre
         -Non ho fame, ho fatto uno spuntino stanotte-
         Prese lo zaino dalla camera, si infilò cappotto, sciarpa e cappello e uscì di casa senza degnarli di uno sguardo. Un'ondata di aria gelida le sferzò il viso e le bruciò il naso. Le guance le divennero subito rosse man mano che camminava affondando gli anfibi nella neve.
         Il cielo era ancora scuro. I lampioni accesi illuminavano la fermata dell’autobus poco distante da casa sua e la luna, quasi piena, era pronta a scomparire per lasciare il posto al sole nelle ore a seguire. Erano solo le sette di mattina e in quel periodo dell'anno la luce non sarebbe arrivata prima delle otto.
         Non nevicava più e il cielo era sereno e punteggiato da stelle ma il paesaggio che si vedeva intorno era solo bianco per la neve e grigio e spoglio come ogni città.
         Nella sua fermata c'erano già un paio di gruppetti di studenti che andavano a scuola in centro. Li conosceva quasi tutti ma non si salutarono nemmeno. Quando cinque minuti dopo l'autobus arrivò, tutti salirono di fretta per scappare dal freddo dell’inverno.
         -Buongiorno. Posso chiedere che fine ha fatto Dave?-
         -Non lo avete saputo? Tre giorni fa è stato trovato morto in un locale qui in città. Pare che ci sia stato un litigio con un gruppo di ragazzini armati-
         Evangeline non poté evitare di sentire la conversazione tra un ragazzo e il nuovo autista. Il vecchio Dave le stava simpatico, ogni tanto non faceva pagare il biglietto durante una delle sue corse e ora era morto. Non che gli importasse molto ma le circostanze erano strane. Cosa ci faceva un uomo come lui in un locale per giovani? Non era il tipo di persona da uscire alla sera, non con una moglie e un figlio appena nato. Si unì alla conversazione:
         -Ma è strano che una persona come lui sia andata per locali a cacciarsi nei guai-
         Il nuovo autista parlò:
         -Certo ci ho pensato anche io. Eravamo amici, credevo di conoscerlo bene ma a quanto pare non era così. Ho parlato con la moglie, è a pezzi, ma mi ha detto che all'ospedale durante l'autopsia gli hanno trovato strane ferite-
         -Che tipo di ferite?-
         -E’ stato trafitto dritto al cuore con un coltello ma non si capisce che forma abbia avuto questa lama-
         -Accidenti che storia- esclamò l'altro ragazzo. Certo era una storia curiosa. L'autista continuò:
         -Hanno ritrovato anche un altro oggetto: una piuma stretta nella sua mano-
         Evangeline si distrasse per un secondo guardando lo svincolo che prese l’autobus. C'era un uomo all'angolo delle strade, un barbone, che teneva in mano un cartello scritto a pennarello.     
-Una piuma hai detto?- ritornò con la mente sull'autobus.
         -Sì, una piuma. Lunga e nera, ma era troppo grande per essere di un qualche uccello qua in città-.
         Quella conversazione lasciò Evangeline pensierosa. Non si accorse nemmeno di essere davanti al suo liceo. C'erano i ragazzi, i veterani di quinta e i primini; gli insegnanti con le loro valigette e borsette che entravano di corsa diretti agli uffici e i bidelli che parlavano tra di loro e si lamentavano del proprio lavoro.
         Era ancora presto ma faceva freddo così entrò. Nessuno la notò a parte un ragazzo, Cameron, il bulletto più grande che se le prendeva sempre con lei.
         Lo vide appoggiato alla parete circondato da altri tre ragazzi che ridevano alle sue battute:
         -Ma chi si rivede, la mia cara Goodchild, è da tanto che non ci vediamo-.
         La sua voce e il suo atteggiamento le davano sui nervi:
         -Gli stronzi come te non li guardo neanche-
         Le si avvicinò, le mise un braccio intorno alle spalle e la strinse fino quasi farle male.
         -Su non parlare così al tuo amico Cameron, lo sai che non gli piacciono le ragazze scontrose-
         -Adesso cominci anche a parlare in terza persona? Se fossi in te mi farei vedere da qualche psichiatra-
         -Perché non andarci insieme, ci divertiremo-.
         Continuando a stringerla se la trascino dietro fino a percorrere tutto il corridoio.
         -In che classe sei oggi? Ti ci accompagno io-
         -Posso benissimo andarci da sola. Anzi, sarebbe meglio, lo sai che non ti sopporto-.
         Le lanciò un sorrisino idiota e si rivolse agli amici rimasti più indietro: -Oggi è più scorbutica del solito-.
         Loro risero e Evangeline non seppe dire chi di loro quattro era il più idiota.
         Erano davanti alla porta che conduceva in un altro corridoio quando sbatté la ragazza contro all'uscio lasciandola senza la possibilità di divincolarsi. Lei lo fissò dritto negli occhi con tutto il disprezzo che aveva dentro:
         -Non ti vergogni a trattare così una ragazza più piccola di te? Ma è vero che stupida, sei talmente ritardato che queste cose non le capisci, dopotutto sei al quinto anno e hai solamente ventitré anni-
         -Stammi bene a sentire Goodchild. Attenta a come mi parli. Vuoi farmi passare per quello idiota ma non è così facile. Io ho la mia reputazione e i miei amici, tu invece chi hai? Devi sentirti onorata ad essere presa di mira da me-. Faceva tanto il prezioso ma poi tornò serio con il suo sguardo che cominciava ad incuterle un certo timore -dico davvero: tu chi hai Goodchild? Dove sono gli amici, le persone che ti stanno vicino e ti coprono le spalle? Non ne hai, sei da sola-
         -Ho molti più amici di quanti tu creda Cameron e comunque sia di quello che pensi tu non me ne importa niente-.
         Gli tirò un forte strattone e riuscì finalmente a divincolarsi -E vedi di lasciarmi in pace oggi che non sono dell'umore adatto-.
         La guardò divertito -Tranquilla che si nota- i suoi amici ridacchiarono ancora. Tirò loro un occhiataccia, spalancò la porta e se ne andò.
         Intorno a lei c'erano grandi gruppi di ragazzi che si salutavano e parlavano tra di loro. Intere classi riunite e lei era da sola, ma ancora per poco. Salì le scale fino al terzo piano e vide la porta della sua classe, l'ultima del corridoio.
         Appoggiato allo stipite della porta c'era una ragazza dai lunghissimi capelli castani ricci che si muovevano leggeri ad ogni suo movimento, occhi verde smeraldo che spiccavano sulla sua carnagione chiara e un visino così dolce da far innamorare ogni ragazzo. Il suo corpo slanciato era perfetto e al vederla si dimenticò la brutta conversazione appena avuta con Cameron. Quando c'era Hellawe Sullivan, la sua migliore amica, tutto era più divertente.
         -Evangeline, sono qui, muoviti-
         Le gridò attraverso il corridoio.
         -Hella arrivo-
         Le andò incontro e la vide parlare a qualcun altro in classe che lei non poteva vedere. Di sicuro era Nathan Scarlett infatti quando raggiunse Hellawe, vide anche lui: un ragazzo altissimo, sempre abbronzato, un fisico a vedersi perfetto, biondo e con grandi occhi color nocciola. Non poteva essere definito “figo” forse a causa del suo naso un po’ troppo spigoloso, però era abbastanza carino da interessare alle ragazze. Evangeline aveva sempre pensato che i due, lui e Hellawe, sarebbero stati una coppia perfetta ma non le avevano mai dato ragione.
         -Ehi Eve, come stai?-
         I tre amici si abbracciarono
         -Va tutto bene. Ho solo sonno, avevo preso l’abitudine di alzarmi tardi la mattina-
         -Non dirlo a me. Vieni qui-
         Le due amiche si abbracciarono ancora.
         -Voi invece cosa mi raccontate?-
         Nathan parlò per primo -Abbiamo perso la partita l’altro giorno-
         Poi fu il turno di Hellawe: -Io invece ho conosciuto un ragazzo Eve, sabato sera, devi vedere quanto è bello. Viene qui a scuola, è del quinto anno e si chiama Dean. All'intervallo te lo faccio conoscere-
         -Wow, è così carino?-
         -Si devi assolutamente vederlo-
         -Puoi giurarci-
         -Che noia i vostri discorsi da ragazze- intervenne Nathan
         -Sono cose che non puoi capire- le rispose l'amica -Come io mi annoio quando voi ragazzi parlate di auto-
         -Davvero sono così noiosi quei discorsi- disse Evangeline -Non cambiano mai sono sempre uguali-.
         Evangeline entrò in classe e vide che ancora mancavano metà delle persone. Salutò di fretta Jacob, Colin e altri; vide Phiriel e Hope, le due zabette che non riusciva a sopportare che la guardarono con quell'aria da superiore; e poi salutò tutti gli altri che le ricambiarono il saluto con un semplice accenno. Gli unici veri amici che aveva erano quei due ragazzi. Erano gli unici che tenessero realmente a lei; per quanto riguarda gli altri erano solo semplici compagni di classe. Non stava antipatica a nessuno ma non era neanche così in buon rapporto da scambiare qualche chiacchiera in più oltre a quel che centrava con la scuola.
         Appoggiò lo zaino e la giacca sul banco vicino alla finestra che i due suoi amici le avevano tenuto e si affacciò fuori. Gli spazzaneve erano passati ma avrebbe ricominciato a nevicare a breve. I nuvoloni bianchi erano belli carichi. La loro classe offriva una vista giardino sul retro della scuola. Era tutto bianco. Molti ragazzi erano fuori a fare a palle di neve fregandosene che tra pochi minuti sarebbe cominciata la lezione. Tutto avrebbe ripreso il suo corso come era sempre stato, come quando i sogni ancora non tormentavano Evangeline. Ma non ci volle pensare. Con la mente era già seduta sul muretto che confinava il giardino della scuola con la strada dove si sarebbe seduta all'intervallo con i suoi amici, a scherzare senza inutili preoccupazioni.
         Pochi minuti dopo cominciò la lezione.
 
         La campanella delle dieci che preannunciava il primo intervallo finalmente suonò. Ci voleva un momento di pausa dopo due ore di lezione veramente pesanti.
         All'improvviso nel corridoio si sentì la voce di decine di studenti che spezzarono il silenzio che si era creato. Anche Evangeline chiuse i libri e uscì dalla classe infilandosi il giaccone, pronta ad andare finalmente all'esterno a parlare. Si era decisa a raccontare tutto quanto a Nathan e a Hellawe. Forse era la cosa migliore da fare, sapeva di poter contare su di loro, l'avrebbero capita.
         Era già in corridoio quando sentì la voce di Hellawe: -Eve non ricordi cosa ti ho detto prima? Devo farti conoscere quel ragazzo-
         -Ah sì, scusa Hella, me ne ero totalmente dimenticata-
         -Sei sicura di stare bene?- la guardò un po' preoccupata
         -Sì, va tutto bene, ero solo sovrappensiero- Perché tutti si preoccupavano per lei? -Ho un così brutto aspetto?-
         -No, è solo che hai le occhiaie-
         -Sarà perché dormo poco-
         -Dormi poco? Ma eravamo in vacanza-
         -Sono andata a letto tardi, tutto qui-
         Hellawe le lanciò un'occhiata torva -Tu non me la racconti giusta-
         -Hellawe davvero, va tutto bene, non è niente di importante. Basta farmi domande-.
         Le due stettero in silenzio per tutta la strada che mancava alla classe di quel famoso Dean. Hellawe sapeva che quando Evangeline le parlava così non era per cattiveria ma lo faceva perché voleva semplicemente essere lasciata in pace, voleva tenersi i suoi problemi per sé. Dopo quattro anni che si conoscevano, ancora non aveva trovato un modo per farle sputare il rospo. Evangeline era sempre stata strana; ancora ricordava come era stato buffo il loro primo incontro e a quel pensiero rise tra sé e sé e si ricordò quanto volesse bene a quella ragazza dai capelli neri come la notte, la pelle troppo chiara anche in estate e il suo strano modo di vestire.
         La classe era la seconda a destra del secondo piano. Quando le due ragazze arrivarono videro, però, una folla di gente tutta intorno ad un punto al centro del corridoio. C'erano decine e decine di studenti e professori e le due ragazze non riuscirono a vedere niente di ciò che stava succedendo.
         -Hellawe, prova a cercare Dean. Magari sa cosa succede-
         -Sì, certo. Ma dici che c'è da preoccuparsi?-
         -Non ne ho idea-
         Hellawe prese il cellulare e chiamò il ragazzo che poco dopo apparì da dietro la folla e venne loro incontro. Era davvero un bel ragazzo. Altissimo e con due braccia muscolose che sembravano scoppiare dentro alla  maglietta. Capelli cortissimi neri, labbra sottili, occhi marroni e un tatuaggio che spuntava sul collo un po’ visibile e un po' nascosto.
         Fu lui a parlare per primo: -Ciao piccola- salutò Hellawe con un bacio sulla guancia poi si rivolse all'amica con una stretta di mano: -Ciao sono Dean, piacere di conoscerti-
         Il suo era un accento pienamente americano
         -Evangeline, piacere-
         Poi fu il turno di Hellawe: -Dean cosa succede là in mezzo? Non si riesce a vedere niente-
         -Praticamente un ragazzo si è sentito male-
         -Ma è svenuto? Cosa gli è successo?-
         Hellawe era turbata. Prendeva sempre troppo a cuore queste situazioni.
         -Due ragazzi l’hanno visto fissare qualcosa e gridare e poi ha perso i sensi ma ormai si sarà ripreso-
         Quel ragazzo per essere americano, a parte il suo accento che lo tradiva, parlava un italiano perfetto.
         La folla si diradò poco dopo e le ragazze poterono finalmente vedere il poveretto. Si stava rialzando da terra aiutato da un paio di professori per portarlo subito in infermeria. Aveva i muscoli della faccia completamente rigidi, era pallido e camminava trascinandosi come se fosse stato ferito ad una gamba.
         Evangeline andò incontro ad una ragazza lì vicino: -Scusami, sai perché quel ragazzo è svenuto?-
         Ci pensò un attimo: -No, quel ragazzo è in classe con me ma non l’ho mai visto in quello stato. Sembrava scioccato da qualcosa ma io non ho visto niente, magari era solo fatto-
         -D'accordo grazie-
         -Di niente-
         Lasciò quella bionda e tornò da Hellawe e Dean:
         -Cosa le hai chiesto?- fece lei
         -Niente di importante-
         Per ultimo fu Dean a prendere la parola: -Ragazze io devo andare. Piccola ci sentiamo oggi- le diede un altro bacio sulla guancia -Ciao tesoro-
         -Ciao Dean-
         E se ne andò lasciando le due amiche da sole.

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Capitolo 3
*** CAP II: Il male sta arrivando ***


Capitolo II
Il male sta arrivando

 
         Dopo gli strani fatti accaduti in quel corridoio le amiche erano rimaste a scuola per altre quattro ore di lezione e quando suonò anche l'ultima campanella Evangeline se ne andò silenziosa senza salutare nessuno.
         In quelle ore aveva capito che cosa doveva fare: doveva riparlare con il nuovo autista dell'autobus e farsi dire dove esattamente si trovasse quel locale in cui tre giorni prima era morto Dave. Doveva informarsi. Quella storia aveva qualcosa che non andava, le circostanze erano troppo sospette.
         Evangeline prese il primo autobus che avrebbe dovuto riaccompagnarla a casa e vide per fortuna che l'autista aveva rimpiazzato anche quel turno e ora era lì nella sua postazione di guida.
         -Scusi, potrei farle delle domande?- disse Evangeline sicura di sé
         -Tu sei la ragazza di stamattina. Certo, io sono Aaron-
         -Ah piacere, Evangeline-
         -Che nome particolare-.
         L'uomo era molto più giovane del vecchio autista, avrà avuto massimo trentacinque anni. Nonostante la giovane età si notavano già i primi segni di una stempiatura precoce. Probabilmente non si radeva da settimane perché la barba cresceva folta su guance e mento fino a congiungersi con le basette ai capelli color ginger.
         -Già, me lo dicono in molti- ma la ragazza non era lì per una semplice conversazione -Comunque avrei delle domande abbastanza serie riguardo a ciò che ha detto stamattina-
         -Sì, certo, chiedi pure-
         Evangeline raccolte i pensieri e parlò.
         -Stamattina ha detto, se non ricordo male, che Dave è stato ritrovato morto in un locale, forse accoltellato da un gruppo di ragazzini-
         -Sì, la polizia racconta che erano ubriachi e hanno dato il via ad una rissa che purtroppo è finita male-
         -Ed è vero che Dave stringeva in mano una piuma?-
         -Sì. L'hanno raccolta come prova ma secondo me non centra niente con il caso. Ma dimmi, ad una ragazzina come te perché interessano tutte queste cose?-
         Cosa posso dire?
         -Non capitano spesso cose così strane. Non nella nostra città per lo meno-
         -Be questa è una città piuttosto violenta. È piena di rapinatori e altra brutta gente-.
         Non puoi semplicemente rispondere alla mia domanda e basta?
         -Sì, lo so, ma il punto è che non si sente spesso parlare di queste cose. La maggior parte degli omicidi rimane nell'anonimato- continuò: -Ma che tipo di piuma era?-
         -Era una semplice piuma nera, sarà appartenuta a qualche uccello-
         -Sì, senza dubbio- eppure era strano. Non c'era motivo apparente per cui dovesse stringere in mano quella piuma. Poteva avercela addosso incastrata tra le fibre dei suoi abiti, tra i capelli, sulla mano, ma non stretta tra le dita.
         Riprese a parlare: -E in che locale è successo?-
         -Al Record's Pub. Si trova poco fuori dal centro-
         -Ho capito, grazie-
         -Di niente Evangeline-
         La ragazza andò a sedersi in fondo all'autobus che a quell'ora era quasi vuoto. Sapeva esattamente dove si trovasse quel locale. Un altro paio di fermate e sarebbe scesa per proseguire a piedi per circa un chilometro. Sarebbe arrivata sul luogo e avrebbe chiesto informazioni ai passanti, ai gestori, alla polizia, se ancora si trovava lì.
         Doveva mandare un messaggio a sua madre per dirle che faceva tardi: Ciao oggi mi fermo in centro con Hellawe e Nate. Mangio fuori farò un po’ tardi. Ciao
         Di certo non poteva dirle le sue reali intenzioni.
         Dopo alcuni minuti Evangeline chiamò la sua fermata, accennò un saluto ad Aaron e scese. Dietro di lei l'autobus riprese subito la sua corsa e scomparve dietro una curva nel giro di pochi secondi.
         Evangeline si ritrovò sul marciapiede di una lunga strada. Davanti a lei c'era una cancellata che delimitava il perimetro di una scuola e dietro un condominio in stile ottocentesco. Le macchine sfrecciavano veloci e la folla ti impediva di camminare dritto.
         Evangeline andò a destra. Intorno a lei c'erano solo persone dal passo veloce, dai più stravaganti a uomini d'affari in giacca e cravatta.
         Percorse tutta la strada fino ad arrivare ad un incrocio, lo attraversò, continuò dritto e prese la prima a destra. Il Record's Pub sorgeva proprio sulla sinistra, o meglio, quel che rimaneva del locale.
         L'insegna al neon rossa era spenta. Le finestre che davano sulla strada erano esplose verso l'esterno e tutti i frammenti di vetro colorati era sparsi sul marciapiede. Il tetto era in parte crollato all’interno così come i muri del lato destro del locale, tutti anneriti come se fossero stati avvolti dalle fiamme
         Il fumo ancora usciva nero dal soffitto crollato e poco vicino c'era una camionetta dei pompieri con tutti gli uomini in divisa impegnati a risistemare gli idranti usati poco prima. Parlavano tra di loro e con la polizia, impegnata, nel frattempo, a raccogliere prove dell'accaduto e a scrivere i loro rapporti.
         Evangeline era sconcertata. Non sapeva più che cosa pensare. Decine di persone, come lei, osservavano la scena da dietro il nastro giallo piazzato dalla polizia che delimitava la zona dell'accaduto. Fortunatamente il locale a quell'ora era ancora chiuso e nessuno era stato ferito dall'esplosione.
         Evangeline si avvicinò ad un poliziotto a guardia del perimetro. Voleva fargli alcune domande per capire qualcosa di più, ma probabilmente non gli avrebbero detto nulla, non avrebbero divulgato niente di ciò che sapevano.
         Ci tentò lo stesso:
         -Mi scusi, posso farle delle domande?-
         L'uomo la guardò annoiato -Non posso dirti niente su quanto è successo ragazzina-
         -Non le volevo chiedere cosa è successo. È logico pensare che sia scoppiato un incendio-
         -Quindi cosa vuoi?-
         -Volevo chiedere informazioni riguardo a cosa è successo tre giorni fa in questo locale-
         Il poliziotto sembrò spazientito, ma continuò:
         -Ho saputo che un uomo è stato ucciso. È stato accoltellato con un'arma dalla lama piuttosto insolita e che la vittima teneva in mano una piuma quando ne è stato ritrovato il corpo-
         -Non so dove tu abbia ricavato queste informazioni ma sono cose che non ti riguardano-
         -Mi è stato detto da un uomo che conosceva la vittima. Volevo solamente chiedere se poteva darmi qualche informazione in più riguardo a quella piuma. Che significato ha per voi che fate le indagini?-
         -Ti rendi conto ragazzina che queste sono domande a cui noi non possiamo rispondere? Non dovrebbero interessarti affari del genere, tutto ciò che scopriamo non può essere divulgato a terzi-
         Evangeline se lo aspettava.
         -Sì, ma dato che l'incidente è avvenuto in questa città i suoi cittadini hanno il pieno diritto di sapere-
         Forse così ce l'avrebbe fatta ma il poliziotto rispose prontamente:
         -Se proprio vuoi saperne di più, nei prossimi giorni leggi i giornali e guarda i notiziari. E ora è meglio che vai. Torna a casa, una ragazza così giovane non dovrebbe girare da sola in questa parte della città neanche alla luce del giorno-
         L'uomo tagliò corto. Evangeline era sul punto di ribattere quando si sentì afferrare per un braccio. Era un altro poliziotto grande il doppio del suo collega che la stava allontanando dal perimetro.
         -Non hai sentito che ha detto? Fila via-
         Le lasciò il braccio ma rimase in piedi di fronte a lei occupandole tutta la visuale. Non si sarebbe mosso da lì finché la ragazza non se ne fosse andata. Ormai non poteva fare più niente. Aveva tentato ma inutilmente. Non aveva scoperto nulla di nuovo.
         Evangeline si rassegnò e tornò sui suoi passi. Cosa poteva fare ora? Era incredibile quello che era successo. C'era qualcosa sotto, sicuramente l'omicidio e l'incendio erano collegati. Ma tutte queste domande, questi dubbi e questi interessi suscitati in Evangeline erano nati niente meno che da quella strana piuma. Non poteva essere una semplice piuma di uccello. Nascondeva qualcosa di più pericoloso. Se lo sentiva. 
         La ragazza imboccò l'angolo. Ripercorse tutta la strada che aveva fatto prima per arrivare al Record's Pub, ma quando girò sulla strada principale quasi si scontrò con qualcuno.
         Evangeline rimase di stucco.
         Era finita addosso ad un barbone che per poco, debole e gracile com'era, non cadde rovinosamente a terra.
         Aveva un aspetto malato e malridotto. I capelli grigi e sporchi gli arrivavano alle spalle, il mento era coperto da una barba folta anch'essa ormai sbiadita e si riparava dal freddo invernale solo con un vecchio cappotto marrone abbottonato alla bell'e meglio e un cappello di lana blu calato fino alle sopracciglia a nascondere le orecchie.
         -Questi ragazzini di oggi proprio non hanno idea di cosa sia il rispetto-
         Fece una smorfia mostrando i denti marci.
         Si chinò a raccogliere ciò che gli era caduto ma Evangeline, anche se intimorita di fronte a quell'individuo, si prestò a raccoglierlo al posto suo per dimostrarsi gentile verso quel pover'uomo.
         La ragazza notò che era un foglio di cartone malconcio quanto l'uomo e, girandolo, mentre glie lo porgeva, notò che era stato scritto qualcosa a pennarello sulla sua superficie.
         Quello era lo stesso cartello che aveva intravisto alla mattina e ora poté finalmente leggere cosa l'uomo aveva scritto: il male è tra noi.
         La ragazza restò paralizzata di fronte a quelle parole, ma sicuramente il barbone era uno di quei fanatici religiosi che preannunciavano la fine del mondo e altre sciocchezze varie.
         Evangeline fece per voltargli le spalle ma il poveretto le si avvicinò talmente tanto da poter sentire il suo alito che odorava di alcol. A quel punto si spaventò. Poteva accadere di tutto.
         -Tu- gridò lui puntandole il dito al volto -Tu sei maledetta nell'anima!- Bestemmiò e sputò per terra.
         Evangeline non ebbe il coraggio di dire niente. Rimase a bocca aperta incapace di pronunciare alcuna parola.
         -Il male sta arrivando, arriverà da te -.
         Il barbone si immobilizzò, spalancò gli occhi e il suo volto divenne ancora più pallido.
         -Ah ormai sono vecchio e la morte di certo non mi fa paura…-
         Evangeline prese fiato e balbettò:
         -Ma che sta dicendo non capisco-
         -Non puoi negarlo, tu sei qui per uccidermi. Metti fine alle mie sofferenze una volta per tutte-
         -No, davvero io...- Evangeline ebbe l'impulso di scappare. Era spaventatissima. Sentiva il cuore batterle nelle tempie come dopo una corsa e rimbombarle forte nella cassa toracica.
         Fece alcuni passi indietro ma quando il barbone smise di parlare e si rimise dritto in piedi anche Evangeline si fermò, mantenendosi comunque ad una certa distanza. L'uomo puzzava di cassonetti dell'immondizia.
         -Io non sono qui per ucciderti- riprese -Mi dispiace di esserti venuta contro, non ti avevo visto. Non voglio fare nulla di male a nessuno-
         La guardò storto mostrando i denti.
         -Io- fece lui -Io vedo questo mondo con occhi diversi dai tuoi. Vedo le cose come realmente sono, oltre ogni apparenza-
         -E cosa vedi ora?-
         -Vedo te e il male che farai in futuro-
         Evangeline non seppe che dire.
         -Tu non sei chi credi di essere-
         -E allora chi sarei? Vedi anche questo?-
         -Sì, lo vedo, ma va oltre a ogni mia comprensione-
         Evangeline tremava. Le si poteva leggere in faccia la paura che provava. L'uomo se ne accorse ma non ci badò.
         -In qualunque forma esso sia, il male sta arrivando. Sta crescendo, lo sento, e lo sta facendo dentro di te-
         -Cosa intendi dire con “male”?-
         -Quella cosa che ci porterà tutti alla fine. Quella cosa che darà il via all'apocalisse che è stata predetta dal tempo prima che tutti noi nascessimo-
         Evangeline a quelle parole poté permettersi di calmarsi un po'. Quell'uomo la stava spaventando ma alla parola “apocalisse” pensò che si trattasse, come aveva pensato, di uno dei tanti fanatici religiosi che giravano nelle città.
         -Io non credo nell'apocalisse- rispose lei -E tanto meno nel “male” di cui stai parlando. A quante persone racconti queste cazzate?-
         -Solo a te ha senso dirlo. E non sono cazzate come pensi- bestemmiò d nuovo. -Dimmi, non ti succedono mai fatti strani ragazza? Ad esempio...- fece una pausa e la guardò dritta negli occhi così intensamente che lei si sentì smuovere la pancia  -…sogni?-
         Come poteva saperlo? Non era possibile. Poteva essere solo una coincidenza? Quell'uomo non poteva in alcun modo sapere del sogno che faceva tutte le sante notti. E a quel punto le venne un dubbio: se tutto quello che aveva detto riguardo all'apocalisse e all'arrivo del male fosse stato vero? No, non poteva essere, erano solo un mucchio di fesserie.
         -Non te lo aspettavi, vero?- sogghignò l'uomo soddisfatto -E dimmi, da quanto tempo sono cominciati? Una? Due settimane?-
         Evangeline deglutì così forte che anche il barbone ne sentì il suono e a quel punto le rise in faccia.
         -Cominci ad avere davvero paura non è così? Forza dimmi... da quanto tempo?-
         Evangeline era paralizzata -Tre settimane- emise un suono appena percettibile.
         Lui parve sorpreso: -Allora siamo più avanti di quanto mi aspettassi. Non manca molto-
         -Non manca molto a cosa?- Evangeline, però, non era sicura di volerlo sapere.
         -All'arrivo del male- la guardò l'ultima volta per poi girarle le spalle ed andarsene, trascinandosi, lungo il marciapiedi fino a svoltare in una via laterale e sparire dalla sua vista.
         Evangeline non si mosse per almeno cinque minuti. Restò paralizzata con lo sguardo fisso nel punto in cui l'uomo era scomparso e quando ritornò in sé girò i tacchi e se ne andò sulla via di casa senza dire una parola.
 
         Evangeline era sul divano sotto alla coperta. Fuori il cielo era bianco e la neve aveva ripreso a scendere delicatamente sulla città. I suoi genitori erano usciti in macchina e le uniche presenze viventi in quella casa, oltre a lei, erano i due gatti Phobos e Deimos raggomitolati ai suoi piedi al caldo.
         La tv era accesa ma Evangeline non la degnava di uno sguardo. Non le interessava assolutamente niente.
         Le parole del barbone continuavano a tormentarla ronzandogli nella mente: “ il male che sta arrivando”. Ma cosa può significare? E io cosa centro io con tutta questa faccenda?
         Continuava a pensarci. Quell’uomo aveva paura che lei lo uccidesse ma come poteva essere possibile? Non aveva mai fatto del male ad una mosca e se, come aveva detto, quelle storie non le raccontava a chiunque gli passasse davanti ma solo a lei nel particolare allora qualcosa doveva centrare per forza. Ma non riusciva ancora a crederlo reale. Quelle parole non potevano sembrarle una minaccia eppure ripensando a tutti gli strani avvenimenti che erano successi, forse il barbone non aveva tutti i torti dicendo che il male stava arrivando. Ma Evangeline non capiva come potesse centrare lei. Tutto sarebbe nato da lei, dai suoi sogni, ma era qualcosa di impensabile, di irreale.
         Evangeline spense la tv. Cosa posso fare ora? La cosa migliore era accettare che succedesse qualcos'altro prima di decidere realmente il da farsi. L'unica cosa di cui era certa era che doveva assolutamente parlarne con Hellawe e Nathan. Forse potevano suggerirle qualcosa, ma era improbabile. Loro non erano nella sua stessa situazione.
         I suoi genitori sarebbero tornati a momenti ma lei non aveva nessuna voglia di incontrarli. Si tolse la coperta di dosso, i due mici non si mossero di un centimetro, infilò le pantofole e si alzò. Faceva un freddo cane.
         L'orologio a pendolo segnava  mezzanotte meno venti e rintoccava ogni secondo, incessantemente. Era l'unico rumore nella casa e in quel momento rimbombava talmente forte nella testa della ragazza che si sentì stordita. Aveva urgente bisogno di farsi una bella dormita e prendersi una pausa dai proprio pensieri.
         Anche quella notte, però, Evangeline si svegliò alle quattro scossa da enormi brividi di paura e con piccole gocce di sudore sulle tempie. Aveva fatto di nuovo quel sogno orribile, aveva rivisto per la seconda volta quel mare di corpi inerti stesi al suolo in posizioni innaturali. Ma era presente un nuovo elemento, questa volta, che la notte scorsa non aveva fatto in tempo a notare: c'erano corpi, sì, ma erano corpi con delle ali, ali piumate bianche, nere e grigie.
 
         La mattina dopo Evangeline era di nuovo a scuola e, seduta al suo banco vicino ad Hellawe, guardava fuori fregandosene completamente della lezione. Italiano non era il suo forte.
         La campanella suonò proprio nel momento in cui riuscì a distrarsi dagli oscuri pensieri che la perseguitavano dal giorno prima ed eccoli quindi riaffiorare nella sua mente: era arrivato il tempo di vuotare il sacco ai suoi amici. Per una volta sarebbe stata lei a confessare qualcosa ad altre persone.
         Fuori nevicava troppo per uscire in giardino. Doveva trattenere Hellawe e Nathan lì e sperare che nessuno la interrompesse... o forse si. Aveva i nervi tesi.
         La classe si svuotò in meno di un minuto. Tutti fuori in corridoio erano riuniti in gruppetti a parlare nascosti dentro i loro giacconi pesanti. Anche se i caloriferi erano sempre accesi e funzionanti, in quei corridoi interminabili faceva sempre un gran freddo.
         Evangeline si sedette sul banco più lontano dalla porta vicino ad una finestra da cui entravano spifferi gelidi e chiamò gli amici: come posso cominciare il mio discorso? Mi crederanno? Ci stava ripensando ma non poteva continuare a tormentarsi. Prese coraggio e, quando i due ragazzi si avvicinarono, gli parlò:
         -Hella, Nate, ho una cosa da dirvi-
         -Di cosa si tratta?-.
         I due amici si affrettarono a raggiungerla e si sedettero con lei su quel banco pieno di scritte e bruciature.
         -Si tratta di alcune cose che mi sono successe e che non riesco a togliermi dalla testa-
         Gli amici si guardarono incuriositi e perplessi: da quanto tempo Evangeline non si confidava con loro?
         -Ti ascoltiamo- fece Nathan
         -Praticamente mi succede da tre settimane ormai, dall'inizio dell'anno nuovo, di fare tutte le notti sempre lo stesso sogno e di svegliarmi sempre alla stessa ora-.
         Evangeline andò avanti a raccontare. Spiegò nel dettaglio cosa sognava, cosa provava e sentiva quando si svegliava e di come, due notti prima, il sogno fosse stato diverso.
         Ognuno reagì alla propria maniera: Hellawe, che era la più sensibile, parve un po' turbata e inorridita da quella versione del sogno mentre invece a Nathan sembrava quasi piacere. La ragazza non sapeva dire se le credessero oppure no.
         Hellawe attaccò a parlare: -Eve, non saprei proprio cosa pensare, non mi sono mai trovata nella tua situazione- la guardava intensamente -Forse hai visto o sentito qualcosa che ti è rimasto talmente impresso nell'inconscio da non riuscire più a dimenticarlo e di notte continua a farsi vivo-.
         Certo poteva anche essere ma Evangeline non ricordava nulla che avrebbe potuto far nascere in lei una reazione del genere.
         -E’ per questo che ieri ti ho visto così strana  Eve?-
         -Be sì, può darsi-
         -Lo dicevo che c'era qualcosa ma perché non ce lo hai detto subito?-
         -Non lo so, pensavo che la cosa sarebbe passata da sola ma ho visto che continua ad andare sempre peggio-
         Parlò Nathan: -E’ davvero strano. Non è che hai alzato troppo il gomito a capodanno?- Disse con fare scherzoso
         -Non è il momento di fare battute Nate- lo rimproverò Hellawe. -E’ chiaro che si tratta di qualcosa di serio-
         Evangeline li guardò intimidita da sopra il banco, se ne stava lì con le gambe strette al petto. Le credevano e questo le dava la sicurezza per proseguire il suo discorso.
         -Non sappiamo proprio come poterti aiutare, mi dispiace, ma tienici informati ogni giorno d'accordo?-
         -Va bene- rispose -Però prima devo dirvi dell'altro-
         -C'è qualcos'altro?- esclamò Nathan
         -Sì, ma non riguarda esattamente me-
         -Be meno male- fece sollevata Hellawe -Spiegaci-
         Evangeline racconto: -Ho saputo ieri che l'autista dell'autobus della mia linea è stato ucciso qualche giorno fa in un locale in circostanze parecchio strane e ieri quel locale è stato dato alle fiamme-
         Raccontò tutto quello che aveva scoperto dai poliziotti, da Aaron, e i pensieri che ruotavano tutti intorno a quella piuma.
         Nathan fu il primo a parlare questa volta ma, secondo lui, come anche secondo Hellawe, il caso era un semplice omicidio con conseguente eliminazione di prove da parte degli assassini stessi che avevano pensato che bruciare il locale fosse il modo migliore per far sparire le loro tracce.
         -Secondo me non dovresti pensare a questa cosa. C'è già il problema di cui ci hai parlato prima a cui interessarti- disse Hellawe abbracciandola.
         -D'accordo, cercherò di dimenticarmi questa faccenda-
         -Vedrai che la piuma non significa niente. Lascia alla polizia il compito di investigare- intervenne Nathan
         -Sì, certo. Non sono cose che mi riguardano di persona per cui devo togliermelo dalla testa-.
         Ma come potrei farlo? Questa cosa la ossessionava e senza sapersi spiegare come, Hellawe le lesse nella mente: -Eve, me lo prometti, che non ci penserai più?-
         -Sì, Hella, va bene, promesso-
         -Devi pensare a te stessa prima di pensare ad uno sconosciuto, e per quanto tutto questo ti possa sembrare strano vedrai che si sistemerà ogni cosa-.
         Ma non poteva farlo.
         -E’ solo che mi fa un po' paura-.
         L'amica l'abbracciò.
         -E’ normale, ora sei scossa per i tuoi sogni. Ma se vorrai parlare ancora di qualunque cosa ricordati che noi ci siamo sempre-.
         Nathan le sorrise da dietro le spalle dell'amica. Evangeline allungò le braccia verso di lui che si unì nell'abbraccio. Si strinsero forte e si ricordarono quanto si volessero bene.
         Per un po' Evangeline poteva rimanere tranquilla ma sapeva che, passato un po' di tempo, ogni pensiero sarebbe riaffiorato. Aveva deciso, durante la conversazione, di non raccontare niente riguardo a ciò che era successo in quella strada con il barbone. Avrebbero pensato che quell'uomo era stato solo un pazzo e che non doveva dare retta a quel che diceva. Però lei sentiva che non era così. C'era davvero qualcosa sotto e per capirlo doveva ritrovare quell'uomo e parlarci di nuovo. Chissà come avrebbe reagito nel rivederla. Non le importava. La cosa importante era andare in fondo alla questione.
 
         Evangeline arrivò a casa nel pomeriggio e per il resto della giornata non successe nulla, almeno non da quelle parti. Ma in alcune zone del mondo fatti strani avvenivano già da parecchie ore e in un altro piano di realtà qualcosa si stava muovendo tra le ombre, pronto a risalire e ad imporre la propria presenza su tutto ciò che avrebbe incontrato sul suo cammino.

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Capitolo 4
*** CAP III: Ciò che si nasconde dentro di me ***


Capitolo III
Ciò che si nasconde dentro di me

 
         Passò una settimana da quando Evangeline parlò dei suoi problemi con i suoi amici e così arrivò anche febbraio. In quei sette giorni non aveva combinato niente che le avesse fruttato qualcosa. Non aveva scoperto nulla, non erano capitati altri fatti strani e il barbone con cui aveva tanto bisogno di parlare era come scomparso in qualche vicolo sconosciuto della città.
         L'unica cosa cambiata era la sua età. Due giorni prima aveva festeggiato il suo compleanno in un locale con Hellawe e Nathan: aveva bevuto così tanto che non si ricordava più come raggiungere casa sua e ora, dopo due giorni, sentiva ancora i postumi della sbornia che le fracassavano il cervello.
         Per fortuna che i suoi genitori non l'avevano sentita rientrare e andare in bagno a vomitare tutto quanto altrimenti avrebbero cominciato con i soliti discorsi da genitori: sei maggiorenne ora! Ubriacarti e tornare a casa alle quattro di notte non è il modo migliore per cominciare quella parte della vita in cui dovrai prenderti le tue responsabilità!
         Ora aveva un mal di testa da paura e una così brutta cera da passare per influenzata. Per fortuna si stava riprendendo, doveva cominciare le ricerche il prima possibile perché le sue domande non avevano ancora trovato risposta.
         La cosa positiva era che, mentre stava male, non dormiva mai così profondamente da poter sognare e, tra un ora e l'altra, quando non si svegliava con la sensazione di avere un peso sullo stomaco che la trascinava giù, riusciva a fare sonni tranquilli.
         La mattina si svegliò molto presto con il suono acuto della sveglia che le martellava nei timpani. Si stava così bene sotto il piumone invernale; era ancora avvolta dal tepore del sonno e Phobos ai suoi piedi pareva una stufa.
         Con immensa forza di volontà abbandonò quella piacevole sensazione per alzarsi ed essere subito inondata dal freddo della casa che la pungeva sotto il pigiama e le provocava fastidiosi brividi. Però non faceva più così freddo come alcuni giorni prima. Una volta passato gennaio le temperature cominciavano ad alzarsi, smetteva di nevicare e la neve caduta si congelava ai lati della strada per rimanere lì, sporca per lo smog delle auto, finché, in primavera, si sarebbe completamente sciolta sotto al sole.
         Quella giornata, che cominciava sempre in quel modo, aveva tutta l'aria di essere una giornata normale di una qualunque persona. Chissà se sarebbe successo qualcosa di diverso. Evangeline non sapeva cosa sperare di più: se voler passare un altro giorno nella più semplice monotonia, il solito tram tram, o se preferire che le accadesse qualcosa di nuovo, magari qualcosa che le mostrasse il significato di ciò che aveva visto e sentito la settimana scorsa.
         Per il momento non era in grado di pensare a niente. L'effetto che fa il troppo alcol nel sangue di una persona era quasi svanito e ora poteva, in tutta pace, andare in bagno a vestirsi, truccarsi e fare colazione come una qualunque teenager.
         Mentre camminava per i corridoio di casa come fosse una zombi vide sua madre scorrazzare avanti e indietro per cercare le scarpe giuste da abbinare al tailleur che indossava e suo padre in cucina, sui fornelli, a preparare la colazione.
         -Buongiorno tesoro- la salutò la madre un po' di fretta.
         -Buongiorno- Evangeline sbadigliò.
         Sarah Goodchild ogni mattina si svegliava prima di tutti per avere il tempo di fare la doccia, la piega ai capelli, truccarsi e scegliere come abbinare al meglio i suoi abiti di alta classe. Lavorava per una rivista di moda e di conseguenza la sua uniforme per il lavoro non era altro che stile e capi firmati.
         Suo padre invece faceva il commercialista, un altro lavoro che portava a casa grandi entrate e in cui devi farti rispettare sotto giacca e cravatta.
         Evangeline proprio non capiva cosa lei centrasse tra loro due. In che modo i geni di due persone così si erano combinati per dare vita a lei? Loro in abiti firmati, non un capello fuori posto, non un pelo della barba più lungo degli altri, e lei, felpa e anfibi e un velo di trucco nero sugli occhi.
         Evangeline arrivò in cucina: -Ciao papà-
         -Buongiorno Evangeline dormito bene?-.
         Si sedette al tavolo davanti ad una tazza di latte e cereali: -Si abbastanza. Meglio di ieri notte-
         -La testa ti fa ancora male?-
         -Un po'. Terrò un analgesico nello zaino per sicurezza-
         -Sicura? Ancora non capisco perché non sei voluta stare a casa qualche giorno. Un'altra ragazza al posto tuo avrebbe accettato l'offerta senza farselo dire due volte-
         -Papà, a me stare a casa o andare a scuola non mi cambia niente. Almeno se vado sto con i miei amici-
         -Senti ma...- si avvicinò come per non farsi sentire da nessun altro che da lei -... non è che al tuo compleanno hai fatto troppo festa?-
         Evangeline pensò alla domanda. In effetti non ricordava molto di quello che era successo -No, ho passato la serata normalmente bevendo solo un paio di drink se è questo che intendi-
         la guardò un po' sospettoso ma disse: -Va bene, voglio fidarmi di te. Hai diciott'anni ormai e ti do la mia fiducia-
         - Grazie pa- bevve dalla sua tazza.
         -Sentì...- ricominciò a parlare -Pensavo di fare già la patente-
         -Oh, be si, non è una cattiva idea, insomma, a chi non piacerebbe imparare a guidare-
         -Allora è deciso?-
         Curtis rifletté un istante -Ne parleremo meglio oggi pomeriggio con la mamma. La mattina presto non è il momento migliore per i discorsi più seri-
         -Sì, hai ragione- in effetti non aveva tutti i torni. La stessa ragazza si sentiva ancora rintronata dalla notte mezza insonne.
         Evangeline lasciò la sua tazza nel lavandino, infilò il giaccone, prese lo zaino e si preparò ad uscire quando la intercettò sua madre.
         -Eve tesoro, dormito bene stanotte?-
         -Si, insomma, come la notte scorsa-
         -Sicura? Mi sembri ancora troppo addormentata- finalmente aveva trovato le scarpe.
         -No mamma, tranquilla, sto bene- guardò l'orologio -Ma sono in ritardo, devo andare-
         - D'accordo cara ma quando esci da scuola non stare in giro. Torna a casa subito va bene?-
         -Certo- le disse quando era già sul pianerottolo -Non ho niente da fare oggi dopo la scuola, tornerò al solito orario. Ciao-
         -Ciao Eve, buona giornata- le gridò.
         Evangeline uscì dal cancello della palazzina e diresse alla fermata. Dovette fare una corsa per arrivare in tempo perché l'autobus era già quasi pronto a ripartire. Riuscì a salire quando le porte si stavano per chiudere e la voce di Aaron l'accolse.
         -Ci siamo alzati tardi oggi?-
         -In realtà no- disse seccata.
         Perché tutti gli autisti dovevano ripetere quella frase ad ogni ragazzo che arrivava all'ultimo secondo? Le dava sui nervi.
         Poteva chiedergli qualcosa riguardo all'incendio ma quella mattina non ne aveva le forze. Andò a sedersi al primo posto liberò che trovò, infilò gli auricolari dell'Ipod nelle orecchie e lasciò che quel mezzo rumoroso la portasse a scuola.
 
         La scuola era sempre noiosa. Il tempo non passava mai. Trascorrevi sei ore seduto su una sedia piatta piegato su un banco a prendere appunti e scovare nuovi metodi per evitare di addormentarti quando le ore si facevano ancora più noiose. Avevi solo venti minuti per sgranchirti le gambe e nulla di più.
         Evangeline, prima di entrare in classe, aveva visto ancora quell'antipatico di Cameron ma per fortuna lui non l'aveva notata. Se ne era andata dritta filata mentre lo osservava parlare con un altro ragazzo. Non faceva parte della sua compagnia ma chiunque fosse non le importava.
         Per le prime ore della mattina non accadde nulla finché non arrivò il tremendo momento di fare educazione fisica. Il professore di ginnastica era un tipo tutto muscoli che amava impartire ordini a destra e a sinistra in ogni momento.
         Evangeline entrò in palestra dopo essersi cambiata nello spogliatoio insieme alle altre ragazze e si scaldò i muscoli per prepararsi a giocare a pallavolo. Non le piaceva come sport: lo trovava noioso. Se proprio doveva muoversi e fare attività fisica preferiva divertirsi con qualche sport che richiedeva agilità: con il suo corpo snello e minuto era veloce ed elastica
         Il professore arrivò e mise tutti subito al lavoro.
         -Non capisco come fa a non piacerti la pallavolo Eve-
         -Hellawe non so cosa dirti. Mi annoia da morire-
         -E invece io lo trovo divertentissimo-
         Le ragazze si erano sfidate una contro l'altra in una partita perditempo amichevole. Si passavano la palle di continuo anche se a volte a Evangeline scappava. Hellawe era imbattibile in quello sport.
         -Preferirei andare a giocare con i ragazzi a calcio, almeno lì ti muovi un po'-
         -E sudi tanto-
         -Esistono le docce apposta per questo negli spogliatoi. E poi non capisco perché i ragazzi devono giocare a calcio mentre noi ragazze a questo-
         -Bè diciamo che il nostro prof è un po' maschilista-
         lo guardarono: -Non si nota sotto tutti quei muscoli- lo prese in giro Hellawe
         -Sopra tutto non sotto tutti quegli steroidi. E’ solo un palestrato pompato-
         le due ragazze ridacchiarono alle sue spalle. 
         La partita continuò ma ormai le due ragazze erano sfinite. Evangeline non faceva più caso al movimento intorno a lei tanto è vero che si prese una palla in faccia.
         Sentì dapprima la forte botta appena sotto l'occhio e poi il sedere per terra. Hellawe le corse incontro.
         -Eve tutto bene?- l'aiutò ad alzarsi.
         La ragazza si lasciò aiutare e nel frattempo vide  un suo compagno di classe venire verso di lei.
         -Scusami Evangeline, senti male?-
         La ragazza si massaggiò la guancia -No, Colin, non più di tanto-
         -Colpa mia, ho lanciato male il pallone-
         -Non preoccuparti, non è successo niente-
         Quel ragazzo era sempre un po' troppo apprensivo, si lasciava impressionare in fretta.
         -Eve stai sanguinando-
         -Davvero?- Si toccò la guancia e vide le dita leggermente sporche di sangue.
         Colin ritornò in campo con la palla stretta in mano. Nathan la guardò da lontano ma Hellawe gli fece segno che era tutto ok.  
         -Meglio se vai a sciacquarti la faccia-
         -Si d'accordo-
         -Vuoi che ti accompagni?-
         -No, non preoccuparti, faccio da sola-
         La ragazza chiese il permesso al professore che la lasciò andare. Uscì quindi dalla palestra e salì le scale diretta al corridoio che portava allo spogliatoio femminile.
Le lampade a soffitto erano stranamente spente e non c'erano finestre da cui potesse entrare un po' di luce. Faceva così freddo che a ogni respiro uscivano dal naso piccole nuvolette di condensa. Infatti i termosifoni erano gelidi. La ragazza in pantaloncini e maniche corte si sentì raggelare mentre il sudore le si asciugava istantaneamente sulla pelle.
         Evangeline si girò indietro, poi in avanti e si accorse che non c'era nessuno. Era sola, completamente. Non si sentivano nemmeno i rumori rimbombare dalla palestra; le sembrava di essere immersa in un sogno.
         Si appoggiò al calorifero e stette in ascolto ma non udì nulla; ad un tratto la testa cominciò a farle male. Prima un leggero dolore lontano all'altezza delle tempie, poi sempre più forte in ogni lato e presto ebbe la sensazione di cadere nel vuoto come quando si è a letto influenzati.
         Evangeline cominciò a sentire l’ansia crescerle dentro. Cosa mi sta capitando? Non riusciva a capire a cosa erano dovute tutte quelle brutte sensazioni. Succederà altro?
         Si allontanò dal termosifone ma si sentì la testa girare così tanto forte che dovette appoggiarsi al muro opposto. Si appoggiò ma dopo pochi istanti vide il muro liquefarsi e il proprio braccio entrare in quel liquido vischioso fino ad essere inghiottito completamente, fino alla spalla. Ritrasse il braccio così violentemente che cadde per terra. Il muro emanava una luce argentea e accecante, sembrava mercurio liquido.
         Evangeline sentì la ferita sulla guancia aprirsi ancora di più e bruciare fino a quando un rivolo rosso di sangue non gocciolò fino al mento, raggiungendo il collo e sporcandole i vestiti.
         La ragazza voleva urlare ma i muscoli e i nervi si rifiutavano di muoversi. Era bloccata sul pavimento dalla sua stessa paura o da qualunque cosa stesse animando in quel modo quel corridoio stregato.
         Le pareti tornarono scure e rigide in un secondo, come se non fosse accaduto nulla e le lampade appese al soffitto si accesero tremolando come fossero luci stroboscopiche.
         È tutto finito? L'elettricità stava tornando e presto tutto sarebbe tornato come doveva essere: normale. Evangeline lo sperava. Ancora incollata al pavimento freddo, stava riprendendo il controllo di sé e si rialzò mettendosi carponi quando accadde un altra cosa: le  luci da bianche divennero nere.
         Le luci ormai fisse divennero nere ma allo stesso tempo così accecanti che la ragazza dovette coprirsi gli occhi. Come può una luce nera essere così tanto luminosa?
         Evangeline aveva la vista annebbiata. Due forti flash le arrivarono dalla sua mente accecandola dall'interno. Non era ancora finita. Possibile che io abbia le allucinazioni? Una cosa del genere non poteva accadere realmente. E perché nessun altro si è accorto?
         Evangeline camminò avanti sforzandosi di non cadere, mettendo prima un piede e poi l'altro. Lentamente. Rimase piegata in avanti con le mani sugli occhi per proteggersi. Quei piccoli passi le costarono tanta fatica, tanto che riprese a sudare e ad avere caldo anche in quel corridoio immerso in temperature glaciali. Il fuoco le salì dalle gambe e dalle braccia diretto alla testa che le scoppiava da prima. Non si sarebbe meravigliata se i grossi goccioloni di sudore, che aveva sulla fronte, invece di scivolarle lungo il viso, si fossero trasformati in vapore.
         Ancora non capiva e non riusciva a spiegarsi quelle cose che le stavano succedendo. Non c'era niente di normale e sicuramente non era nemmeno reale. Non poteva esserlo. Il problema era lei, era la sua mente a proiettarle quelle immagini e sensazioni, ma allo stesso tempo sembrava tutto vero.
         Sentiva il dolore pungerle ogni centimetro del corpo, muovendosi sotto la pelle, insidioso come un insetto. Il fuoco che la bruciava dall'interno lasciò presto posto ad un nuovo freddo, ancora più terribile, che la pervase completamente e le provocò profondi brividi che, partendo dalla bassa schiena, arrivarono fino al collo inondando ogni singola vertebra di paura glaciale. La ragazza voleva gridare, gridare forte per chiedere aiuto ma dalla sua gola non usciva un solo sibilo. Le corde vocali erano paralizzate dalla morsa irreale del freddo che le toglieva il respiro.
         Evangeline camminò ancora, a fatica, fino a giungere nello spogliatoio. Si trovava sotto lo stipite della porta aggrappata ai lati come una moribonda, e vide lontano il riflesso di sé nello specchio appeso alla parete di fronte a lei, proprio sopra il lavandino. Doveva raggiungerlo a tutti i costi.
         Con un enorme sforzò si sganciò dalla porta e costrinse le gambe a portare il suo corpo più avanti evitando che cedessero sotto il proprio peso. Voleva poter sentire l'acqua fresca bagnarle il viso per alleviare il bruciore che provava agli occhi anche solo tenendoli aperti, voleva far smettere di sanguinare la ferita che si allargava sempre di più facendole perdere sempre più sangue e, ancora di più, voleva che tutto quello smettesse definitivamente.
         Era a pochi metri dal suo obbiettivo.  Anche se stava male e, in una situazione come quella, la cosa migliore da fare era sedersi, anche per terra, per non sforzarsi ancora di più, Evangeline non voleva cedere perché sapeva che sarebbe rimasta ulteriormente in balia di quella tempesta demoniaca. Era la paura a spingerla ad andare avanti, ma, forse, più di tutte, era l'istinto. Si sentiva come una preda braccata che sperava in un ultima via di fuga.
         Un forte colpo di emicrania la costrinse a serrare gli occhi. Si portò le mani alla testa ma perse l'equilibrio e cadde sulle ginocchia provocandosi un forte dolore. Alzò le palpebre e quando lo fece un lampo, generato dalla sua stessa mente, le accecò la vista. Per un solo istante le sembrò di vedere un’immagine, un singolo fotogramma che poi sparì. Era l'immagine di un'immensa palla di fuoco, sospesa chissà dove ad ardere, che emetteva luce come di cento soli uniti insieme. Era immenso, di proporzioni bibliche.
         Quell'immagine scomparve e Evangeline provò un ulteriore senso di inquietudine: possibile che fosse il sole bruciante del mio sogno? Giunse un altro colpo di emicrania simile al precedente e vide un'altra scena: ora la palla di fuoco era sparita ma al suo posto si vedevano solo un terreno inaridito, lava bollente che scorreva nelle profondità di enormi crepacci emettendo un calore insostenibile e l’odore di cenere e zolfo trasportati dall'aria. Non c'era un solo arbusto, un solo filo di erba secca, niente.         L'immagine svanì improvvisamente così come era arrivata e lasciò Evangeline di nuovo sola in quel bagno con le ginocchia a terra su quelle piastrelle lisce e fredde.
         Tutto questo accadde nella frazione di pochi secondi e ora la ragazza fu certa che stava sognando ad occhi aperti. Ma il fatto che sapeva di essere sveglia e sognare quelle cose la misero ancora più a disagio; stava impazzendo veramente. Sentiva il calore di quella palla di fuoco sulla pelle come se si trovasse a pochi centimetri da una fiamma, la cenere che c'era nell'aria le si appiccicò sul viso e sui vestiti mischiandosi al sudore e quell'odore pungente di zolfo le penetrò le narici bruciandole i polmoni.
         Era tutto così dannatamente innaturale; Evangeline non sarebbe riuscita a sopportare quella situazione ancora per molto.
         Mentre cercava di rimettersi in piedi arrivarono altri frammenti di sogno e ad ogni immagine poteva riconoscere sempre di più l'ambientazione macabra che tormentava le sue notti.
         Evangeline si rialzò e riuscì lentamente a raggiungere lo specchio di fronte a sé. La superficie liscia rifletteva il suo viso pallido e cadaverico come se si fosse appena trovata davanti alla faccia la morte in persona. Sembrava un fantasma.
         Evangeline si aggrappò ai bordi del lavandino davanti a lei con i rubinetti arrugginiti. Piccole gocce d'acqua cadevano dritte nel buco della tubatura che emettevano un suono metallico e ritmico; per i sensi della ragazza quel ticchettio regolare era snervante, se lo sentiva rimbombare nella testa come se fossero spari di cannone.
         Per fortuna quelle visioni era scomparse. Ora c'erano solo lei, quell'immagine riflessa e la paura che le attanagliava le viscere.
         Eccessiva pallidezza a parte, le occhiaie e quel piccolo graffio sulla guancia, la ragazza riflessa era sempre la stessa Evangeline.
         -Eve stai bene? Sto arrivando-.
         Quella voce era di Hellawe. Non doveva in alcun modo farla salire. Doveva risponderle, dirle che andava tutto bene e che presto sarebbe riscesa in campo, ma non aveva la capacità di farlo. Era paralizzata al suo posto, davanti allo specchio, ansimante.
         Se Hellawe mi sta seguendo cosa le capiterà? Temeva che potevano capitarle le stesse cose che erano successe anche a lei poco prima. Sarebbe entrata anche lei in quel vortice maledetto? Doveva salvarla finché era in tempo ma aveva anche un disperato bisogno di aiuto: non voleva rimanere sola un minuto di più.
         -Eve ci sei? Sicura che è tutto apposto?-.
         No, niente andava bene. Tra poco l'avrebbe raggiunta, sentiva i suoi passi rimbombare e la sua voce sempre più vicina.
         Ormai Hellawe doveva essere già al corridoio e allora perché non le stava capitando niente? Forse era solo Evangeline il problema, forse vedeva e provava solo lei quelle cose mentre Hellawe non le percepiva.
         Sentiva ancora più vicina quella voce che la chiamava. Era sempre la voce dolce e acuta dell'amica che la sollevò un po' ma all'improvviso accadde una cosa. Quella voce melodica scomparve e prese il suo posto un'altra voce, tremendamente grave e terrificante.
         Evangeline ebbe un sussulto. Non era più Hellawe, sembrava il lamento di un mostro.
         -E’ ora di destarsi Azrael- quel lamento si mutò in parole che ora Evangeline riusciva a capire.
         -Per lungo tempo sei rimasto dormiente, è arrivato il momento-.
         La ragazza si guardò attorno con gli occhi spalancati -Chi è? Chi sta parlando?-. La sua voce risultava isterica.
         Chiunque fosse a parlare, riprese il suo discorso -E’ giunto il tempo di svegliarsi, devi scoprire la tua vera natura, ciò che sei-
         Evangeline si girò e rigirò in ogni direzione. Guardò il pavimento e il soffitto, ogni angolo della stanza, guardò dentro tutti i bagni e le docce ma non vide nessuno.
         -Abbiamo atteso a lungo la tua venuta ed ora è tempo che tu ci apra la via per insorgere in Superficie-
         -Chi sei? Non mi spaventi sai, mostrati- Evangeline cercò di apparire il più sicura possibile ma la verità è che moriva di paura e sapeva che tutte quelle parole erano inutili. Chiunque fosse a parlare non si sarebbe mostrato ai suoi occhi e lo sperava perché, per avere una voce così, doveva avere un aspetto spaventoso.
         -Azrael, risvegliati- sibilava -Dimentica ciò che sono gli umani, dimentica le debolezze che affliggono la tua esistenza, scopri ciò che sei veramente e aiutaci a insorgere. Verremmo in tuo aiuto nell'ascesa-.
         Quella cosa l'aveva appena chiamata Azrael; ma chi era?
         -Chi è Azrael?-.
         Ma quell'essere non l'ascoltava: -Inferno e Superficie saranno un tutt'uno d'ora in poi-.
         Quella voce non aveva nulla di umano. Era ignoto e terrore puri incatenati ad un suono, una voce infernale.
         -io sono conosciuto con il nome di Dantalian. Ti stiamo tutti aspettando, Azrael, e tuo padre ha bisogno di te-.
         Ci fu un forte fischio e poi la voce, così come era arrivata, scomparve, tramutandosi di nuovo in quella dolce di Hellawe.
         Evangeline non capiva molto di quello che era successo: una creatura di nome Dantalian l'aveva appena chiamata Azrael e probabilmente era stato lui a stregare il corridoio. Facendola impazzire, ma nessuno prima di allora l'aveva chiamata così. Che diavolo significa?
         Non ci mise molto a fare due più due: Dantalian aveva appena detto che Azrael si sta svegliando e quel barbone l'altro giorno che il male sta arrivando. Il male ed Azrael erano la medesima cosa e lei era stata chiamata in quel modo. Ma non era possibile. Come potrei essere io il male? Finché a dirlo era solo un barbone poteva anche non darci troppo peso ma ora, dopo tutto quello che era successo... Evangeline si meravigliò anche solo di riuscire a pensare a tutto questo.
         Inoltre aveva parlato di Superficie e di Inferno: lei non credeva in queste assurdità religiose ma se esistesse davvero un Inferno? E chi avrei dovuto far insorgere? I demoni? I morti?
         Evangeline aveva la testa che le scoppiava ma con la scomparsa della voce tutto stava tornando alla normalità. Non avvertiva più la sensazione di pericolo. Era tutto finito, almeno per ora.
         Ancora davanti allo specchio la ragazza si stava lentamente riprendendo. In quel momento non voleva pensare a niente, voleva solo sapere di trovarsi al sicuro. Si mise dritta in piedi e si asciugò con la maglietta il viso e il collo: era completamente bagnata di sudore.
         Passò alcuni secondi a guardarsi intorno; non c'era nessuno: ma Hellawe dove sei finita? Dal corridoio non proveniva nessun suono, probabilmente l'amica non era mai salita e si trovava ancora in campo ignara di tutto ad aspettarla.
         Decise di dare  un occhiata al graffio e un sorrisino appena percettibile le si creò sulle labbra segno che era felice che tutto fosse finito. Era un sorriso nervoso e tirato ma per ora non poteva aspettarsi di meglio.
         Il taglio non era nulla di grave esattamente come si aspettava. Bruciava un po' ma bastò bagnarsi con l'acqua fresca perché passasse. Si tolse il sangue dai vestiti e dalla pelle dove era colato e si guardò: aveva ripreso un po' di colore e si sentiva bene.
         Ma non appena si toccò di nuovo il taglio giunse un altro colpo di emicrania senza preavviso e più forte di tutti gli altri che aveva provato. Evangeline svenne e si sentì riportata indietro in un tempo lontano e in un luogo ignoto della sua mente, lì dove risiedeva la cosa che si nascondeva dentro di lei da ancora prima che nascesse. Azrael sarebbe sorto dal suo sonno e la semplice Evangeline che lei stessa credeva di essere sarebbe sparita per sempre.

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Capitolo 5
*** CAP IV: Occhi verdi ***


Avviso ai lettori: ecco pubblicato il nuovo capitolo della storia. Ne ho già pronti altri ma siccome la scrittura della continuazione sta andando molto a rilento (o per mancanza di ispirazione o di tempo, tra lo studio per l'università e tutto il resto) penso che pubblicherò i prossimi capitoli pronti molto più lentamente rispetto a come ho fatto fin ora. Mi spiace per chi l'ha seguita con interesse fino adesso, non uccidetemi D: Spero comunque di riuscire a stare dietro a questo lavoro, ormai mi ha appassionata e ci tengo a portarlo a termire. Fatemi sapere però se preferite questo ritmo di pubblicazione finchè avrò capitoli già pronti o se vi va bene anche avere aggiornamenti più distanziati nel tempo. Nel frattempo buona lettura :) sono sempre apprezzate recensioni.
MiyakoAkasawa (ho cambiato nome da pochi giorni) 




Capitolo IV
Occhi verdi

 
         -Evangeline? Sembra che si sta svegliando!-
         Evangeline sentì la coscienza risvegliarsi dentro di sé. Riuscì pian piano a muovere le dita e girò la testa in direzione di quella voce.
         Aprì lentamente gli occhi e la luce la inondò: -Cosa…?-
         -Sei in infermeria-.
         La ragazza non rispose, era ancora troppo intontita.
         -Eve sono io, Hellawe, cerca di riprenderti-
         -Hella…-.
         L'amica sorrise contenta di vedere che si stava riprendendo. Si era spaventata a morte quando, pochi minuti prima, l'aveva trovata svenuta sul pavimento del bagno. Allora aveva avvertito il professore di ginnastica: tutte le ragazze si erano riunite intorno a lei per vedere cosa stava succedendo mentre l'insegnante palestrato la prendeva di peso e la portava dall'altra parte della scuola.
         Hellawe, spiegando che era la sua migliore amica, era potuta restare, almeno finché non si fosse svegliata, mentre tutti gli altri era tornati in palestra a cambiarsi e poi in classe siccome la lezione era finita.
         -Come ti senti?-
         -Meglio- sussurrò Evangeline
         -Riesci a spiegarmi cosa è successo?-.
         Evangeline stava per rispondere quando una donna anziana e grassottella entrò dalla porta. Era l'infermiera, la signora Jackson.
         Cercò di alzarsi ma le venne un capogiro che la costrinse a lasciarsi ricadere sul lettino dalle lenzuola bianche e ruvide.
         -Meglio se resti sdraiata ancora per un po', negli ultimi dieci minuti non hai fatto altro che perdere i sensi e risvegliarti-
         -Non so cosa sia successo-
         -Non ricordi nulla?- intervenne Hellawe
         -Sullivan, è meglio se ritorni in classe, il tuo professore è stato molto chiaro-.
         Hellawe guardò l'amica un po' preoccupata: -D'accordo vado, dopo mi racconti tutto, va bene?- e uscì dalla porta lasciando l'infermeria con i suoi lunghissimi capelli svolazzanti.
         -Signora Jackson, quando potrò rialzarmi?-
         -Non avere fretta Evangeline, aspetta ancora qualche minuto-.
         L'anziana donna andò nel suo ufficio e lasciò la ragazza da sola. Si sentiva stanchissima. Ancora non riusciva a mettere ben a fuoco l'ambiente: distingueva solamente le sagome
         Attese. Dopo pochi minuti riprese il pieno controllo di sé e si mise a sedere. Dall'ufficio provenivano rumori di fogli che venivano spostati e  poco dopo l’infermiera tornò rivolgendola una domanda: - Stai meglio?-
         -Sì- rispose
         -Non ricordi cosa è successo prima di che svenissi?-     
         Cosa posso rispondere? -No, mi sono fatta male in palestra e sono andata in bagno-.
         La donna esaminò il graffio: -Come te lo sei procurato?-
         -Mi è arrivata una pallonata in faccia e sono caduta-
         -Forse sei svenuta per la botta che hai preso-
         -Sì, può darsi-.
         Si guardarono un istante: -Puoi andare se vuoi-
         -Ok-.
         La ragazza si cambiò dalla tuta da ginnastica, salutò l’infermiera e lasciò la stanza. Camminava con calma perché la testa le girava ancora un po', ancora scossa per i fatti accaduti. Non so proprio cosa pensare, a chi altri è mai successo?
         Camminava per i corridoi della scuola ma sembrava non facesse caso a dove stesse andando, i suoi piedi la stavano portando chissà dove. Possibile che tutti questi fatti accaduti nei giorni precedenti sono collegati? L'omicidio, il locale bruciato e ora questo. A che gioco stai giocando, Dio? Perché se non centrava Dio quelle cose non sapeva come altro spiegarsele. E forse era collegato anche il ragazzo che si era sentito male.
Per ora avrebbe lasciato perdere la storia dell'omicidio: erano sorte domande ben più importanti a cui dare risposta. A Nathan e ad Hellawe aveva detto già fin troppo, era fuori discussione raccontargli anche questa vicenda.
         Evangeline riuscì ad evadere dai suoi pensieri  per un minuto e guardò l'ora sul cellulare che aveva in tasca che segnava l'una e dieci. All’ultima ora aveva chimica e si avviò verso la sua classe quando si rese conto di avvertire una strana sensazione. Il mal di testa le offuscava i sensi ma le sembrò che ci fosse qualcuno a seguirla. Forse era solo la sua immaginazione.
         Si girò di centottanta gradi ma quello che vide fu solo due gruppetti di studenti ritardatari che andavano in due direzioni diverse.
         Si rigirò di nuovo per prendere un corridoio alla sua destra quando si sentì sfiorare appena il braccio e, nello stesso istante, qualcuno le sussurrò all’orecchio tre parole che la fecero sussultare: so cosa sei.
         Le vennero i brividi: chi è stato? Forse erano ancora le voci nella sua mente ma le sembrava diverso; questa volta qualcuno aveva parlato davvero perché il suono proveniva da un punto preciso.
Si girò a guardare in ogni direzione e lo trovò: quando l’aveva toccata, l’elettricità trasmessa da quel toccò attraversò la maglietta e le solleticò la pelle. Era una sensazione piacevole. Da quel punto, poi, un calore puro si diffuse velocemente dal braccio ad ogni singola cellula del suo corpo facendola sentire leggera e inebriata. Sembrava fuoco, una fiamma che le scottò la pelle al punto da farle venire i brividi: non si sarebbe mai dimenticata di quella meravigliosa sensazione. Si aggrappò a quella sensazione e riuscì a seguire la traccia di quel calore con lo sguardo: chiunque l’avesse toccata lasciava dietro di sé una sottile striscia luminosa e argentata che probabilmente solo lei era in grado di vedere perché le altre persone proseguivano non curanti il loro percorso.
         Quella traccia riluceva e rifletteva qualunque cosa trovasse sul suo cammino, come il mare riflette la luce del sole, attraversava oggetti e corpi vibrando nell'aria.
         Evangeline seguì quella traccia con stupore fino a che il suo sguardo non ricadde su un ragazzo in particolare rivolto di spalle. La sua figura emanava la stessa luce, ma ancora più potente, tanto che sentiva quel calore bruciarle negli occhi e nel petto anche solo a guardarlo. Possibile che sia lui?
         Ebbe la conferma quando da lontano lo vide girarsi e guardarla negli occhi. Evangeline sentì l'intensità di quello sguardo addosso, penetrante, fin troppo per essere umano. La ragazza lo fissò a sua volta. L'aura che emanava si dissolse ma la ragazza acuì così tanto la vista che riuscì a vederlo come se si trovasse ad un passo da lei: quello sguardo veniva da due bellissimi occhi verdi e misteriosi, con le loro screziature più scure e marroni. Il profilo del suo volto era severo e squadrato, il naso aquilino e labbra sottili e rosee. Aveva i capelli biondo cenere che gli arrivavano alle spalle disordinatamente; le sopracciglia erano dello stesso colore dei capelli, folte ma non in maniera eccessiva, e davano allo sguardo maggiore durezza. La carnagione era chiara e si scorgeva un sottilissimo strato di barba sul mento e sotto le guance.
         Hellawe probabilmente avrebbe pensato che quel tipo non era poi così bello, e infatti non aveva niente a che vedere con Dean, ma a Evangeline, con quegli occhi luminosi e con la stravolgente sensazione che le aveva infuso, quel ragazzo era qualcosa di magnifico.
         Non poteva essere umano. E se anche lui fosse immischiato in ciò che mi sta capitando? Forse voleva solo ingannarla. Inoltre sapeva cosa le era successo, sapeva che Dantalian l'aveva chiama Azrael, altrimenti non avrebbe detto quelle parole: so cosa sei
         La ragazza rimase con lo sguardo fisso sul suo volto finché il ragazzo, senza preavviso e senza lasciar trapelare alcuna emozione, le voltò le spalle e se ne andò. Evangeline continuò a guardare la sua schiena finché non fu troppo lontano e sparì dalla sua vista.
         Non seppe che cosa fare, se continuare a stare lì come un ebete o se rincorrerlo. Ormai quel viso ce lo aveva stampato nella mente tanto da poterlo riconoscere tra altri cento volti.
         La ragazza si riscosse e lo inseguì. Corse nella direzione in cui era sparito guardandosi in giro ossessionata dal fatto di volerlo trovare a tutti i costi, ma non lo trovò. Arrivò in fondo al corridoio dove c'erano le scale, non aveva la più pallida idea se andare su o giù e presa dallo sconforto lasciò perdere, almeno per il momento, tornando indietro a malincuore.
         Evangeline non seppe dire perché si era comportato così; aveva scatenato in lei mille pensieri, cupi e misteriosi, non troppo positivi. Doveva assolutamente scoprire qualcosa in più su di lui. Non lo aveva mai visto prima di allora e adesso era di vitale importanza capire chi fosse. E l'avrebbe scoperto presto. Ne era sicura.
 
         Evangeline era davanti alla porta della sua classe. Già chiusa. Lo sapeva che avrebbe fatto tardi ma non poteva farci niente. Bussò ed entrò.
         -Buongiorno, scusi il ritardo- disse un po' intimidita.
         Il professore di chimica era sempre gentile.
         -Oh figurati Goodchild. Come stai? I tuoi compagni mi hanno detto che ti sei sentita male-
         -Sì, ma adesso sto bene-
         -Meno male- l'uomo sorrise -Va pure al tuo posto-.
         Come sempre Hellawe e Nathan le avevano tenuto il posto vicino a loro. Con tutta la calma del mondo Evangeline li raggiunse e si sedette, con gli sguardi dei suoi amici puntati addosso.
         -Mi sono persa qualcosa?-
         Nathan parlò: -No proprio niente. Oggi finisce di interrogare ha detto, ma noi siamo già apposto-
         -Ah, è vero- sorrise
         -Dai, allora puoi raccontarci cosa è successo?- disse Hellawe -Siamo curiosi di saperlo-.
         I due amici la guardavano con occhi spalancati. Cosa si aspettano che dica? Non sapeva cosa dire nemmeno lei, doveva inventarsi qualcosa.
         -Non è successo proprio niente ragazzi. Sai, Hella, quando ti ho detto che andavo in bagno? Ecco, ci sono andata per lavarmi la faccia e stavo bene poi non so come, sono svenuta- gli amici la guardarono dubbiosi -Dico davvero-
         -Sicura che sia andata proprio così?-
         -Sì, sarò scivolata e avrò picchiato la testa-
         -Mi sembra un po' improbabile- dichiarò Nathan
         -E secondo te come è andata sentiamo? Avevo preso una botta poco prima-.
         Evangeline cominciava ad essere seccata. Le capitava ogni volta che qualcuno le rivolgeva troppe domandi insistenti. Se diceva una cosa era così. Punto. In quel momento stava mentendo ma non lo faceva per cattiveria contro i suoi amici, lo faceva perché era necessario.
         -Io non saprei dire- fece Nathan
         -E’ andata proprio come vi ho detto-
         -Va bene, ti crediamo- Hellawe le sorrise -L'importante è che ora stai bene-     
         -Sto benissimo, non dovete preoccuparvi- forse si comportava sempre un po' duramente con loro ma non poteva farci niente, era fatta così.
         -Oggi ti va se ci fermiamo in centro dopo la scuola? Io e Nate ci siamo-
         -Ah, dici di uscire?- non aveva nessuna voglia di girare per negozi quel giorno, aveva troppi pensieri per la testa -Mi dispiace ma oggi proprio non posso-
         -Possibile che non trovi mai un po' di tempo? Cosa devi fare di così urgente?-
         Cosa posso dire?
         -Niente, è una cosa mia, devo cercare una persona-
         -E chi sarebbe? Un ragazzo?- Hellawe sembrò rinvigorita. Quando c'erano i ragazzi in mezzo, lei era sempre così.
         -Possibile che non pensi ad altro?- la sancì Nathan
         -Fatti i cavoli tuoi, non l'hai detto tu stesso che questi discorsi non ti interessano?-.
         Questo bastò ad azzittirlo ma Evangeline prese subito la parola prima che le rivolgessero altre domande: -A proposito Hella come sta andando con Dean? Non mi hai raccontato niente sul vostro ultimo appuntamento-
         -Oh, con Dean? Sta andando alla grande Eve. Tu non hai idea, ci sentiamo tutti i giorni, usciamo insieme tutti i sabato sera e mi piace sempre di più!- Hellawe sembrava contentissima, le si vedeva la gioia negli occhi.
         -Pensi che sia il tipo giusto? Non è che poi finisce come l'ultima volta?-
         -No, assolutamente no, Eve. Questo ragazzo è diverso, non è uno stronzo come Isaac-
         Isaac era un ragazzo più grande di tre anni di loro che Hellawe aveva conosciuto in un locale qualche mese prima. I due si erano subito piaciuti e dopo pochi giorni già stavano insieme. A lei piaceva davvero Isaac, ma purtroppo non aveva capito che invece lui stava con Hellawe solo per usarla. Lo scoprì troppo tardi quando ormai si era totalmente innamorata, sorprendendolo per caso con un'altra ragazza in un locale. Quello che vide le spezzò il cuore e, dopo avergliene dette e date quattro, lei se ne era andata piangendo. Aveva raccontato tutto ai suoi amici che l'avevano confortata come meglio potevano, ma quello di cui aveva bisogno era solo un po' di tempo.
         Ora si era completamente ripresa. Hellawe era un po' così, carina, allegra e sportiva piaceva sempre almeno ad un ragazzo e anche lei andava matta per loro. E se Dean era quello giusto tanto meglio, se lo meritava.
         -Lo spero per te Hella, tutti avrebbero bisogno di un ragazzo al proprio fianco che ti fa stare bene e sentire al sicuro-.
         Era proprio vero, e più ci pensava più si rendeva conto che anche lei ne aveva bisogno. Al contrario dell'amica, Evangeline non aveva mai avuto un appuntamento e tanto meno un ragazzo. Aspettava ancora di dare il suo primo bacio, il che era un po' deprimente.
         -Ma tornando a te Eve, chi è questa persona che devi cercare? È davvero un ragazzo, non è vero?-
         -Sì, è vero, è un ragazzo-
         Hellawe andò su tutti i giri: -Allora racconta, chi è? Come si chiama?-
         -In realtà non so chi sia ma non è come pensi tu. Non lo sto cercando perché mi piace ma perché devo parlargli, e poi la storia finirà lì-
         Hellawe parve delusa: -Come no? Pensavo che avessi trovato un ragazzo anche tu-
         -Prima o poi troverò anche io qualcuno, non ti preoccupare- ridacchiò lei
         -Certo- rispose Hellawe -E se non ce la fai da sola te lo trovo io un tipo perfetto per te- Sorrise
         -Avete finito di parlare di queste cose?- intervenne Nathan
         -Che noioso Nate, se non ti importa non ascoltare-
         -A voi ragazze non vi capirò mai. Pensò che oggi andrò in biblioteca a cercare il vostro libretto di istruzioni- disse sarcasticamente
         -Idiota- ed Hellawe gli fece la linguaccia.
         I tre ragazzi risero ma Evangeline tornò subito seria. Era incredibile come una persona si potesse sentire sola anche in mezzo ai migliori amici. Stava aspettando che capitasse qualcosa, qualsiasi cosa che le rivelasse la verità o almeno rispondesse a qualcuna delle sue domande senza giri di parole e indovinelli, ma le risposte non sarebbero arrivate da sole dal nulla: era ora di fare qualcosa.
 
         Dopo due giorni ancora non era successo niente. Evangeline era furiosa perché i suoi genitori le avevano appena detto che, secondo loro, per la patente era meglio cominciare i corsi dopo l'anno scolastico. Lei si era rintanata in camera sua, aveva chiuso la porta e acceso la musica al massimo volume non curante delle lamentele e dei vicini.
         -Perché non posso farla?- gli aveva chiesto quando ormai si stava già arrendendo -Datemi un motivo valido-
         -Secondo noi è meglio che per ora ti impegni per la scuola. Quando finirai l'anno, se andrà tutto bene, potrai cominciare i corsi- la risposta di sua madre fu questa
         -Se andrà tutto bene?! Certo che andrà tutto bene. Sono mai tornata a casa con un insufficienza? Forse solo una volta- era adirata -Sono una delle migliori nella mia classe e nemmeno studio tanto perché non ne ho bisogno, tutto il lavoro lo faccio direttamente a scuola ascoltando le lezioni-
         -Secondo noi diventerebbe una distrazione- ribatté il padre
         -Distrazione da cosa? Almeno avrò qualcosa da fare durante il pomeriggio. Studierò per l'esame teorico e farò le guide-
         -Evangeline è fuori discussione. Io e tuo padre ne abbiamo parlato e il risultato è questo. Mi dispiace ma non cambieremo idea-
         -Che palle!-
         Curtis le rivolse un’occhiataccia e continuò: -E poi a cosa ti serve la macchina se non esci mai?-
         -Eì una questione personale, mi permette di avere un diverso tipo di libertà. Chiunque non vede l'ora di fare la patente ad una certa età-
         -Evangeline è inutile, non discutere-.
         La discussione finì così. La ragazza voltò le spalle e andò in camera sua.
         Non aveva senso quello che le avevano detto. I corsi non l'avrebbero distratta proprio da niente, anzi, l'avrebbero tenuta un po' impegnata siccome per la scuola non doveva fare mai nulla.  Aveva bisogno di pensare ad altro e distrarsi.
         E ora Evangeline era lì, chiusa in camera sua a decidere cosa fare. Del ragazzo misterioso non c'era più traccia, non aveva avvertito nessun'altra voce e non era accaduto niente di strano.
         Si annoiava affacciata alla finestra a vedere qualche passante in strada. Forse avrebbe dovuto cominciare le ricerche più seriamente: cercare prima di tutto il ragazzo che era svenuto, non sapeva perché ma aveva la sensazione che centrasse davvero qualcosa con quello che le stava capitando e, ancora più importante, era trovare a tutti i costi il ragazzo dagli occhi verdi. Lui sicuramente sapeva qualcosa, sempre che non fosse da considerare come un nemico.
         Evangeline era appena tornata a casa da una commissione che le aveva chiesto sua madre ma decise di uscire di nuovo. Si infilò il giaccone e andò verso la strada con il forte vento che si era alzato dalla mattina che rallentava i suoi movimenti.
Non sapeva da dove cominciare. Avrebbe camminato per la città ma era consapevole che così non avrebbe avuto nessuna chance di trovare le persone che cercava.
         Evangeline imboccò la strada principale che l'avrebbe portata nel centro della città. In confronto ai giorni prima ora c'erano un po' più di persone fuori dalle loro case. Il livello della neve si era abbassato, finalmente erano passati gli spazzaneve e anche le auto ora non facevano più fatica a muoversi.
         Il vento gelido si insinuava al di sotto del cappellino di lana gelandole orecchie e fronte ma ben presto  si sarebbe attenuato grazie alla comparsa di alti palazzoni alti che lo avrebbero bloccato.
         Passò un'ora. La ragazza continuò a camminare senza trovare nulla e ormai si trovava in piena città. Ai lati delle strade c'erano negozi e vetrine di marche famosissime e costose, supermercati, poste, condomini, scuole. L'odore di smog era pungente, sui marciapiedi sostavano barboni rannicchiati su vecchi scatoloni che chiedevano l'elemosina, i bar erano pieni di gente per un caffè o una cioccolata e molti pedoni camminavano in tutte le direzioni urtandoti con le loro borse.
         La ragazza, sconfortata, passò di fianco ai cancelli del parco. Ci era stata molte volte in passato con gli amici, la famiglia, ma soprattutto da sola. I cancelli erano in ferro battuto, grandi aste lisce e argentate si ergevano perfettamente dritte dalla terra e terminavano a sei metri d’altezza, con delle grosse lance acuminate. Altre aste in orizzontale tagliavano in tre parti le aste verticali. L'edera si intrecciava ormai morta nelle barre di ferro nascendo da alcune fessure nella roccia del muretto ai lati. Era magnifico. Le aveva sempre dato l'impressione che fosse la porta per entrare in un giardino magico.
         Una stradina di ghiaia conduceva dal quell’ingresso al centro del parco dove poi si diramava in ogni direzione. La ghiaia era semisepolta dalla neve mentre tutto intorno, il prato, gli abeti, il parco giochi e le canne di un piccolo stagno, erano completamente bianchi. Il sole si rifletteva su quella superficie candida così come fa un diamante. Tutto intorno a lei emetteva luce; era uno scenario magnifico.
         Evangeline fece un passo in avanti e la ghiaia sotto i suoi piedi gracchiò. L'aria fresca le invase i polmoni mentre camminava lentamente per godersi il panorama. Quella era una delle rare volte che aprivano il parco con così tanta neve e ora che era al suo interno non sarebbe uscita prima di averlo girato in lungo e in largo, in ogni angolo, in ogni zona nascosta dagli alberi.
         Sotto ad alcuni pini c'era un gruppo di ragazzini a fumare canne su una panchina, si poteva sentire l'odore di erba nell'aria. Dalla parte opposta c'erano un uomo e una donna con i loro due figli che giocavano a palle di neve e, poco vicino, una coppietta davanti al laghetto.
         Evangeline avanzò verso una direzione casuale. Prese una diramazione fino ad arrivare in una delle zone più lontane del parco dove non c'era nessuno, dove regnava il silenzio assoluto. Lì si sentì in pace, estremamente, ma presto si rese conto che, battendo le palpebre, nel momento in cui la sua vista era immersa nell’oscurità una piccola e fioca luce si accendeva nel buio come quando, fissando il sole, si resta abbagliati da esso e lo si vede anche a occhi chiusi.
Quando si rese conto di ciò, chiuse gli occhi e osservò quella piccola lucina gialla tremolante; si concentrò sulla sua fonte ma davanti a lei niente luccicava a quel modo, nemmeno il riflesso del sole sullo strato di ghiaccio del laghetto. Spostando lo sguardo a destra e a sinistra la luce non la seguiva, ma rimaneva ferma come l’ago di una bussola che segna sempre il nord. Incuriosita da quel fenomeno, Evangeline aprì gli occhi e camminò verso la direzione della luce. Più avanzava e più la luce cresceva di intensità finché, abbastanza vicina, non provò un’emozione in netto contrasto al suo reale stato d’animo. In quel momento la ragazza era calma e serena ma un’ondata di paura e dolore fisico le cozzò contro; la sentì avvolgerle il corpo.
In un primo momento Evangeline fu sorpresa: percepiva quelle emozioni negative pungerle la pelle ma lei era al sicuro, forte abbastanza da schermarle completamente ed evitare che la intaccassero. Preso coraggio controllò la direzione della luce chiudendo per un secondo di nuovo gli occhi e poi continuò a camminare finché non scorse il tetto dello scivolo del parco giochi. In quel momento era deserto, non c'era nessuno eccetto una persona. Era un ragazzo e stava seduto su un muretto ripulito dalla neve con la testa china e i gomiti appoggiati alle ginocchia a darle le spalle. Le emozioni che aveva percepito erano le emozioni che provava lui e, senza capire come, Evangeline le aveva intercettate. Da quando posso fare una cosa del genere? Sentiva la paura avvolgerla come se fosse intessuta nell’aria che aveva intorno.
         La ragazza non sapeva se avvicinarsi ulteriormente o andarsene, se incontrare la fonte di quella luce gialla o scappare.
         Il ragazzo si fece attento e si girò verso di lei: troppo tardi, l'aveva sentita.
         -Cosa c'è?- la sua voce lasciava trasparire che non aveva alcuna voglia di parlare. Era arrogante e presuntuosa anche se era pura finzione.
         -Posso sedermi?-
         Il ragazzo non le rispose ma le fece cenno del muretto di fianco. Evangeline gli si avvicinò; la sensazione diventava più prepotente a ogni passo ma quando fu abbastanza vicina, sparì in un instante
         Scavalcò il muretto e si sedette. Era veramente freddo; si sarebbe bagnata i pantaloni ma la curiosità era più forte. Cosa posso dire ora? Per un momento non si scambiarono una sola parola ma un istante prima che Evangeline aprisse bocca il ragazzo parlò con lo stesso tono di prima: -Allora? Cosa vuoi?-
         Evangeline lo guardò intensamente, poi disse: -Perché hai paura?-.
         Il ragazzo sembrò sorpreso. Era la domanda più inaspettata che potesse fargli.
         -Io non ho paura-
         -Sì, invece-.
         Il ragazzo non rispose ma poi Evangeline si accorse di una cosa: quel viso pallido e malaticcio lo aveva già visto. Più precisamente a scuola, circondato da una folla di gente mentre veniva aiutato dall'infermiera a tirarsi su da terra. Era il ragazzo svenuto in corridoio.
         -Perché mi guardi così?- era seccato. E questa volta sul serio.
         -Io ti ho già visto, ma non so chi sei. Ti sei sentito male alcuni giorni fa-
         -Non ho idea di cosa stai dicendo- ma sembrava turbato.
         -Te lo si legge in faccia che stai mentendo. Eri a scuola-
         -E se anche fosse?-
         -Non credo che ti fossi solamente fatto una canna come racconta qualcuno- Evangeline era divertita.
         -Cosa si dice in giro?- il ragazzo acquistò un’espressione di pura incredulità e lei scoppiò a ridere.
         -Sono Evangeline, piacere-
         -Io sono Owen-.
         Il ragazzo parve rilassarsi un poco ma poi Evangeline riattaccò seria: -Allora Owen, non puoi nascondermi il fatto che hai paura. Se questa sensazione nasce dall’episodio di cui abbiamo appena parlato, allora, ti prego, raccontami cosa è successo esattamente, ma se così non fosse, allora ti chiedo di scusarmi per la mia impertinenza-.
         Il ragazzo rimase sorpreso da quelle parole tanto serie, ma non bastarono a farlo aprire: -Non so nemmeno chi sei, perché dovrei raccontartelo?-
         -Quindi ho ragione nel pensare che c’è sotto altro-
         -No, ti sbagli- si stava alterando
         -Eppure mi hai appena rivelato il contrario senza rendertene conto- gli rispose la ragazza sicura di sé
-E allora te lo richiedo: perché dovrei raccontartelo?-.
A Evangeline non importava di spazientirlo, nemmeno se fosse arrivato al punto di cacciarla via. Lei avrebbe insistito ancora finché non avesse scoperto la verità. Aveva provato un labile dubbio il giorno in cui vide quel ragazzo per la prima volta, dovuto a cosa non lo sapeva, ma ora che era apparsa quella luce e quella capacità di captare i sentimenti estranei, sapeva che doveva investigare per trovare la verità sui fenomeni inspiegabili che le stavano capitando.
-Informazioni- rispose la ragazza
-Informazioni?- ripeté lui
-Sì, forse ho delle risposte alle tue domande- il ragazzo si incuriosì.
-Terrò la bocca cucita; non rivelerò a nessuno nemmeno una parola di quello che mi dirai-.
Dopo un lungo minuto di profondo silenzio, Owen cominciò a raccontare.
         I due ragazzi parlarono per almeno mezz'ora. Quello che le disse lasciò Evangeline di sasso: ogni parola le entrava nelle orecchie facendole male; non sapeva spiegarsi come tutto quello fosse possibile.
         -Se mi sono sentito male è perché ho visto qualcosa-
         -Cosa era, Owen?-
         -Non so esattamente cosa fosse ma è stato orribile. Qualcosa mi è passato di fianco, mi ha sfiorato, solo sfiorato, e nel preciso momento in cui l'ha fatto ha acquistato fisicità. Scommetto che era lì già da tempo, ma non potevo vederlo-.
         -Cosa era?- la storia non le piaceva affatto.
         -Ma, non lo so. Era una figura alta, molto più di me. Era come se un ombra si fosse staccata da una persona e fosse libera si andare ovunque voleva-
         -Altri dettagli?-
         -Era informe. Cioè, poteva avere l'aspetto di una persona ma i contorni erano indefiniti e si disperdevano nell'aria come vapore-.
         Il ragazzo cominciò a tremare.
         -Ti ha spaventato così tanto?-
         -Sì, non so cosa mi è preso ma a quella vista ho perso il controllo di me-
         -Non ricordi nient'altro?-
         -Per un attimo mi ha guardato dritto negli occhi e poi ho sentito rovesciare nella mia mente ogni genere di sentimento; ero nel caos. Per un attimo mi sono sentito felice, poi dubbioso, pieno di rancore, e dopo è arrivato il panico. Paura come non ne ho mai provata prima-.
         Evangeline non sapeva spiegarsi niente di tutto ciò che le stava dicendo ma la situazione peggiorava di giorno in giorno. Fino a che punto sarebbe arrivata?
         -Mi ricordo un’altra cosa- ci fu un momento di pausa in cui il ragazzo raccolse le ultime parole. Per lui doveva essere molto difficile dire tutto ciò. Evangeline non fiatò un secondo -Ho scorto delle ali dietro alla figura, oppure credo fossero ali, alte fino al soffitto e ricoperte di piume nere-.
         Evangeline si sentì le gambe tremare. Qualsiasi cosa avesse spaventato in quel modo Owen era la stessa che aveva ucciso Dave.
         -Oh mio Dio- disse sconcertata.
         -Che ti prende?-
         Evangeline si alzò di scatto -E’ assurdo. Non ci posso credere!-
         -Non mi credi? Lo sapevo, ma guarda, ho la prova che dimostra che quel che ho detto è reale-.
         L'attenzione della ragazza si rivolse ancora su di lui. Owen aprì la lampo della giacca che indossava e tirò su il maglione fino a scoprire il fianco destro.
         -E’ proprio qui che quella cosa mi ha toccato-.
         Evangeline sgranò gli occhi. Si avvicinò con cautela a lui per vedere meglio la ferita che gli era stata inferta. Lungo tutto il fianco, posto in orizzontale, aveva un taglio profondo almeno un centimetro e i lembi di pelle sembravano bruciati. Intorno crescevano alcune vesciche gonfie e piene di pus.
         -E’ stata quella cosa?- ma sapeva già la risposta
         -Esatto. Per fortuna non fa più molto male-
         -Ma te lo sei fatto curare?-.
         Il ragazzo rimase zitto.
         -Al posto tuo io lo avrei fatto subito-
         -E cosa avresti raccontato?-
         -Non lo so, qualunque cosa. Rischi un infezione-
         -Mi sono curato da solo-.
         Calò un silenzio tombale. I due non sapevano più cosa dirsi.
         -Mi sono fidato e ti ho raccontato tutto, ora tocca a te parlare- azzardò lui
         -Va bene-.
         Evangeline gli raccontò alcuni dettagli su ciò che aveva scoperto, ma non gli disse proprio tutto. Si limitò soltanto a ciò che aveva saputo sulla morte di Dave al locale e della piuma. L'incontro con Dantalian, il ragazzo con gli occhi verdi e il barbone non lo riguardavano.
C’era qualcosa di nascosto nell’aria che poteva essere visto solo se toccato, ma con un solo tocco poteva ferire e addirittura uccidere.

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Capitolo 6
*** CAP V: Ciò che è ombra viene alla luce ***


Capitolo V
Ciò che è ombra viene alla luce

 
         Evangeline era di nuovo a casa. Dopo aver parlato con quel ragazzo lui se ne era andato senza più rivolgerle una parola e lei era rimasta lì da sola: le ci vollero dieci minuti buoni per rendersi conto di tutto ciò che era uscito dalla bocca di Owen.
         Malgrado avesse fatto tutti i ragionamenti possibili ancora non capiva cosa potevano mai essere quelle ombre alate che attaccavano le persone, pericolose tanto da poterle uccidere.
         Dantalian doveva avere un aspetto simile ma non era riuscita a vederlo perché le sarebbe apparso solo se toccato. Erano inoltre capaci di farti impazzire e vivere sensazioni mostruose come le era capitato nel corridoio.
         Doveva saperne di più, sapere con esattezza chi o cosa fossero quelle ombre e scoprire perché si comportavano in quel modo.  Inoltre doveva assolutamente saperne di più anche a riguardo di quella sua nuova capacità di captare le emozioni altrui; proprio per questo di affrettò a tornare a casa, così avrebbe provato sui suoi genitori.
         -Sono a casa-.
         Evangeline girò la chiave nella serratura dell’ingresso ed entrò. In casa regnava il silenzio.
         -Dove sei stata fino adesso?- la voce di suo padre arrivò dal salotto
         -In giro-
         -Non hai visto che ore sono?-.    
         Evangeline si tolse gli stivali e il giaccone e trovò suo padre seduto al tavolo che lavorava al suo pc. Non le diede nemmeno uno sguardo.
         -Credevo fosse più presto-.
         Erano le sette meno un quarto di sera. Con tutta la strada che aveva fatto e il tempo che aveva perso al parco si meravigliò di aver fatto così presto invece.
         -Mamma dov'è?-
         -E’ dovuta correre in ufficio-
         -A quest'ora?-
         -Sì. Ho ordinato le pizze per stasera-.
         Suo padre continuava a non guardarla.
         -Va bene-.
         Evangeline andò in camera sua, chiuse la porta dietro di sé e si stese sul letto con la faccia rivolta verso il soffitto come ad aspettare chissà che cosa. Fissava il lampadario, le pareti, ogni oggetto che le capitava sotto lo sguardo, senza farci caso.
         Prese il telefono e chiamò Hellawe. Di solito rispondeva sempre ma non quella volta. Di sicuro era da qualche parte a baciarsi con il suo nuovo ragazzo Dean. Nathan, invece, sapeva già che aveva gli allenamenti di calcio a quell'ora e quindi era anche inutile tentare di contattarlo. Voleva sentire la voce dei suoi amici ma in quel momento non ne aveva la possibilità: cosa devo fare?
 
         All'ora di cena sua madre non era ancora tornata e suo padre continuava a comportarsi come prima e come ogni altra volta che sua figlia tornava a casa tardi o faceva qualcosa di sbagliato. Domani la smetterà come fa sempre pensò Evangeline.
         La pizza era buona ma la sua mente era completamente concentrata su suo padre. Voleva riuscire a entrarci e captare qualsiasi sentimento provasse ma non ci riusciva. Con il ragazzo era stato facile, senza volerlo l'aveva trovato da sola. Forse era proprio in quello che stava sbagliando. Non doveva sforzarsi ma semplicemente tenere la mente aperta.
         -Come mai sei così lenta?- suo padre aveva già finito la sua pizza mentre lei era appena a metà. La sua voce la sorprese.
         -Non ho molta fame- mentì. In realtà ne aveva eccome.
         In quel momento a Evangeline sembrò di provare una sensazione estranea pizzicarle la pelle e un attimo dopo sentì sua madre entrare in casa.
         -Ciao ragazzi!- gridò entusiasta -Finalmente sono a casa, non resistevo più fuori con tutto quel freddo-.
         Suo padre si alzò e le andò incontro.
         -Ciao amore, bentornata- si salutarono con un bacio.
         Cosa aveva sentito Evangeline? Le emozioni di sua madre?
         Forse se l’era immaginato.
         -Ciao mamma-
         -Ciao Evangeline, tutto bene?-.
         Evangeline annuì. Sarah entrò in cucina dopo essersi tolta la giacca e si avventò sulla pizza. Evangeline non percepiva già più niente. Avrebbe voluto poter avere un po' più di controllo.
         Da bambina sarebbe stata felice per avere certe capacità ma ora non ne era molto entusiasta: avendo una certa età, sapeva che i superpoteri non esistono e quindi queste sue abilità non indicavano nulla di buono.
         Evangeline finì la pizza che aveva davanti, toccò a lei pulire la cucina e dopo tornò in camera sua. Accese il computer e pensò di fare qualche ricerca on line. Cercò quelle strane creature nere, creature d'ombra, creature alate, ma non trovò nulla che potesse interessarle. Poi fu il turno di cercare i nomi: digitò “Azrael” e visitò alcuni siti, ce ne erano a decine su questo nome. Quando si accorse cosa indicava si sentì un peso allo stomaco e il cuore nella cassa toracica che palpitava incessantemente. “Azrael” o “Azrail”  è il nome tradizionalmente attribuito nell'islam all'angelo della morte.
         Evangeline sbiancò o così si immaginò perché cominciò a sentirsi male. Quel nome doveva per forza avere un altro significato. L'immagine di fianco al testo raffigurava un uomo che guardava in faccia una creatura vestita di nero, il volto era un semplice teschio, due ali piumate e nere gli crescevano dalla schiena e teneva in mano una falce: tipica immagine del tristo mietitore.
         Proseguendo nel testo Evangeline lesse che Azrael aveva il compito di scrivere su un grande libro il nome di tutti gli esseri umani, quando nascevano e quando morivano, dall'inizio della vita alla fine.
         Io non posso essere l'angelo della morte pensò Evangeline non posso esserlo e basta, non potrei mai uccide un altro essere umano.
         Evangeline aveva due genitori che le volevano bene, degli amici, era nata umana, cresciuta come una normale ragazza, e ora un certo Dantalian le veniva a dire che in realtà era Azrael. Forse non intendeva l'Azrael del sito ma un altro Azrael. Eppure non trovò nessun riferimento se non all'angelo della morte.
         Si rimise a cercare e questa volte digitò 'Dantalian'. La ricerca però non la portò a nulla, non c'era nessun riferimento interessante.
         Alla sera tardi Evangeline andò a letto ma non riuscì mai a prendere sonno se non un paio di volte in cui si svegliò dopo nemmeno un'ora con la mente invasa da incubi. Non fu il solito sogno che si ripeteva ogni notte ma sognò le strane figure nere e alate, nascoste nelle ombre degli uomini e nelle ombre della sua stanza, inosservabili ma letali, che aspettavano il momento giusto per apparire ai tuoi occhi e ucciderti di paura.
         Anche se si coricò sotto le coperte all'una di notte, la ragazza continuò a girarsi e rigirarsi nel letto fino alle sette di mattina e a quel punto si dovette alzare per forza. Aveva gli occhi gonfi di sonno e più se li stropicciava per cercare di svegliarsi e più le bruciavano. Era certa che si sarebbe addormentata sui banchi, alla luce del sole quando aveva intorno a sé più persone possibili.
 
         Durante le ore di scuola Evangeline non raccontò nulla ai suoi amici e quando Hellawe le chiese perché l'avesse chiamata a quell'ora lei rispose -Senza un motivo, mi annoiavo. Ti ho chiamato per fare due chiacchiere-.
         L'amica se la bevette e intanto Evangeline pensava a quello che aveva scoperto di nuovo. Intanto cercava di fare pratica con la sua nuova abilità prendendo di mira persone a caso che camminavano davanti a lei nei corridoi. Poco a poco, ogni tanto, sentiva le emozioni di qualcuno: le bastava guardarle per alcuni secondi per scorgere alcuni piccoli dettagli di come si sentivano. Una volta dovette lottare per non lasciarsi sopraffare dalle emozioni estranee perché le arrivarono da più persone contemporaneamente e troppo violentemente, e tutte quelle emozioni contrastanti le fecero venire il mal di testa e sentire male; dovette correre a rinchiudersi in un bagno dove poteva restare un attimo sola e riprendere il controllo di sé.
         Provò anche a cercare quella luce che la aveva condotta da Owen ma non ne vide altre
         Le ore trascorsero lentamente, troppo lentamente. Incontrò per caso il ragazzo del parco. Owen, appoggiato alla colonna portante di un muro, vicino alla finestra, teneva una mano stretta sulla ferita che le aveva mostrato il giorno prima: era chiaro che gli facesse ancora male. Evangeline gli passò di fianco e Owen si limitò a fissarla per un secondo, per poi rimettersi dritto e andarsene nella direzione opposta.
         Probabilmente il ragazzo non voleva avere più niente a che fare con lei ma non ci badò per molto perché lo sguardo di Evangeline fu rapito da uno luccichio che poi scomparve in un decimo di secondo. Forse era una specie di miraggio o il flash di un cellulare di qualcuno ma era successo troppo lontano per capire esattamente cosa fosse stato. Evangeline corse fino alla fine del corridoio dove poi c'erano le scale che salivano o scendevano dirette verso altri piani. Cosa doveva fare? Seguì l'istinto che le disse di scendere e fece di corsa tutti i gradini. C'era una tale ressa che ad un certo punto dovette quasi fermarsi mentre tutti gli altri procedevano su e giù di fianco a lei. Fu in quel momento che lo rivide, lo stesso luccichio argentato che le fece venire voglia di sbatterci contro, una sensazione di calore che la avvolse sempre di più ogni passo che faceva verso la sua direzione: il ragazzo con gli occhi verdi? Faceva caldo in quel momento, davvero caldo, ma Evangeline non sapeva dire se fosse dovuto alla calca di gente che le toglieva l'aria o se fosse quella cosa.
         Cercò di farsi strada attraverso i corpi immobili sui gradini, non poteva aspettare ancora o l'avrebbe perso di nuovo. Ne spintonò un paio più piccoli di lei, sgusciò veloce attraverso quelli più grossi e robusti e arrivò ai piedi delle scale. Dove sei andato? pensò non posso averti perso di vista un'altra volta. Evangeline seguì il calore; era come giocare ad acqua o fuoco: più si avvicinava più sentiva quella piacevole sensazione e più si allontanava più si sentiva gelare.
         Continuò fino all'atrio ma ormai si era allontanato già molto. Doveva prendere la giusta direzione al primo colpo o sarebbe stato troppo tardi. Le opzioni erano andare verso la palestra, uscire fuori, prendere le scale per scendere o per salire o se entrare in segreteria o in un paio di classi lì vicino. Le ultime ipotesi poteva scartarle altrimenti l'avrebbe sentito più vicino, l'intervallo era quasi finito e non c'era motivo di uscire fuori senza contare che faceva molto freddo. In palestra non poteva andare se non aveva lezione lì e così decise di prendere le scale e scendere. Dopotutto era insensato salire di nuovo.
         Scese di corsa le scale che erano molto più scorrevoli delle altre e scese. Per fortuna il seminterrato era l'ultimo piano più in basso. Evangeline corse verso quella sensazione inebriante che si faceva ad ogni passo più intensa. Presto l'avrebbe trovato e avrebbe potuto parlarci. Doveva sapere tutto di lui e farsi spiegare cosa stava accadendo in quei giorni perché di sicuro sapeva qualcosa. Evangeline corse ancora più veloce quando lo vide: la luce argentata che avvolgeva il suo corpo era scomparsa ma il ragazzo dai capelli biondo cenere era lì, a pochi metri da lei. Doveva raggiungerlo a tutti i costi. Lui la notò, fu certa che la guardo negli occhi. Il suo sguardo profondo le gelò lo stomaco e abbozzò un sorriso malizioso ma poi ed entrò nella sua classe e chiuse la porta. -Merda!- esclamò Evangeline. Era lì, a pochi metri da lei, e lo aveva perso. Se solo fosse stata più veloce, se solo avesse indugiato meno sul percorso da fare per raggiungerlo... Si ritrovò con un pugno di mosche in mano.
 
         Evangeline camminava per le vie del centro diretta alla fermata dell'autobus che l'avrebbe portata a casa. Oggi doveva tornare a casa in orario o i suoi genitori non le avrebbero abbonato anche questo ritardo.
         Lo zaino sulle spalle cominciava ad essere pesante e la stanchezza causata dalla notte insonne tornò a farle visita lasciandole il corpo intorpidito e lento. Aveva bisogno di dormire.
         Evangeline salì sull’autobus che arrivò dopo cinque minuti di attesa e si sedette al primo posto che trovò libero. Chiuse gli occhi e si riposò un po’ finché non fu ora di scendere. Imboccò la strada verso sinistra costeggiando alcune villette con tetti e giardini bianchi diretta a casa sua poco distante da lì. All’angolo di un incrocio stavano in piedi una coppia di ragazzi che distribuivano volantini. Evangeline passò di lì e si sentì dire:
         -Ciao! Alle 21:00 di questa sera ci sarà l’apertura del nuovo Luna Park nella zona ovest della città- la sua voce era leggermente rauca -solo per oggi è possibile provare un’attrazione omaggio portando questo volantino in biglietteria-
         -Ah grazie- Evangeline prese il volantino.
         -Dillo anche agli amici, tutti sono invitati-
         Evangeline si affrettò a riprendere a camminare e lesse il foglio che aveva tra le mani: Grande inaugurazione stasera! Venite tutti al nuovo Luna Park e potrete divertirvi come non mai! E solo per voi il divertimento è gratuito! Sul retro si potevano leggere tutte le attrazioni del parco: c’erano le sezioni “divertimento per i bambini”, “divertimento mozzafiato”, “siti di ristoro”. Non era una cattiva idea andarci con Hellawe e Nathan: si sarebbe distratta dalla sua situazione ma prima doveva sperare nel permesso dei suoi genitori.
         Evangeline arrivò a casa e trovò suo padre seduto sul divano a riposarsi dopo la mattinata di lavoro.
         -Ciao papà-
         -Ciao Eve. Come è andata a scuola?- ecco, suo papà l’aveva già perdonata per il giorno prima.
         -Tutto bene- Evangeline gli pose il volantino in mano -stavo pensando di andarci con Hellawe e Nate stasera-.
         Suo papà diede una rapida lettura al foglio -Si, certo. Se vuoi andarci… non c’è nessun problema-
         -Ok-
         -Ma possibile che esci solo con loro due?-.
Evangeline non si aspettava la domanda e rimase accigliata: -E con chi altri dovrei andarci?-
-Hai tanti altri compagni di classe>.
         -Papà lo sai già dai. Non mi sono mai trovata bene con loro già dal primo anno-
         -Va bene, non insisto più- finalmente -Esci con chi vuoi-.
 
         Nel pomeriggio Evangeline chiamò Hellawe e Nathan mentre sceglieva cosa avrebbe indossato alla sera ma, purtroppo, nessuno dei due era libero. Nathan era in punizione per aver fatto a botte (il solito idiota) con un altro ragazzo, suo vicino, che odiava a morte e per questo dovette rimanere chiuso in casa per quella sera e per tutta la settimana successiva mente Hellawe si trovava in centro città con Dean e avrebbero passato la sera a casa di lui, a fare chissà cosa. Perfetto, Evangeline si sarebbe trovata in un Luna Park da sola mentre intorno a lei ci sarebbero state compagnie di amici che si divertivano. La cosa le fece passare la voglia di andarci ma alla fine decise che sarebbe uscita lo stesso per passare un po’ di tempo all’aperto.
         Evangeline fece la doccia, si preparò concedendosi di essere un po’ più carina e femminile e, alle otto e trenta, dopo aver cenato e dopo aver ascoltato i giudizi di sua madre riguardo al suo nuovo look, uscì di casa e prese l’ennesimo autobus. Evangeline si muoveva solamente in quel modo: ormai conosceva tutti gli orari e tutte le linee, sapeva addirittura dove e quando sarebbero passati i controllori così poteva evitare di fare il biglietto ogni volta.
         Dopo venti minuti di corsa, la ragazza scese e già vedeva che, al di sopra di due palazzi proprio di fronte a lei, salivano verso il cielo le luci rosse, gialle e blu del parco. Era stato costruito nella periferia della zona ovest sui resti del vecchio Luna Park che qualche anno prima era stato completamente smantellato a causa delle strutture troppo vecchie e pericolose.
         Evangeline prese la strada verso destra, attraversò un incrocio, andò a sinistra e poco più avanti cominciò già a vedere la fiumana di gente che si prestava ad entrare. C’erano due file all’entrata: a destra entrava chi era in possesso del volantino così che ti davano un biglietto omaggio per provare l’attrazione che volevi gratuitamente, mentre a sinistra c’era il normale ingresso.
         La ragazza si avvicinò all’entrata. Poco oltre poteva vedere una piccola montagna russa e una ruota panoramica che si stagliavano a venti metri di altezza e una fiumana di gente camminare tenendo per mano i proprio figli che tenevano stretti dei palloncini a elio coloratissimi o enormi pupazzi vinti al tiro al bersaglio. Poco più lontano si vedeva un chiosco che vendeva cioccolata calda, zucchero filato e mele caramellate.
         L’atmosfera era magnifica: se ci fossero stati i suoi amici Evangeline si sarebbe e divertita ma, ora come ora, da sola, era impossibile.
         Camminando Evangeline notò un uomo vicino ai cancelli d’entrata e, appena lo riconobbe, sentì un pesò sullo stomaco. Un poveraccio con indosso un vecchio cappotto e la barba incolta faceva l’elemosina seduto per terra tenendo ai suoi piedi un cappello rovesciato per la raccolta delle offerte. Al suo interno c’erano solo pochi centesimi. Proprio in quel momento un uomo e una donna passarono di fronte a lui e si prestarono a lasciargli l’ennesima monetina. Quell’uomo non era un semplice barbone ma era “Il barbone”, colui che Evangeline stava cercando.
         Gli si avvicinò con passo spedito e quando l’uomo malconcio la notò, una nota di allarme passò sul suo volto. Cominciò a farfugliare qualcosa tra sé e sé, raccolse le monete all’interno del cappello e se le mise velocemente in tasca, alcune le scivolarono dalle mani ma sembrava non importargliene. I suoi muscoli erano tesi, lo si vedeva chiaramente dalla rigidità dei suoi movimenti sconnessi. Si alzò in piedi e corse. Evangeline lo seguì correndo a tutta velocità alle sue spalle:
-Fermati! Voglio solo parlare!-
         -Stai lontano da me. Non ho intenzione di morire stasera!-.
         Il barbone le rispose gridando senza voltarsi. Continuò a correre imboccando un vicolo stretto che collegava due strade secondarie tra due palazzi. Non era molto in forze e quindi bastarono pochi secondi affinché si stancasse. Evangeline lo raggiuse subito dopo e gli si mise davanti. Teneva le mani aperte davanti a sé per dimostrargli che non possedeva armi.
         -Non ho intenzione di farti del male. Cosa devo fare perché tu lo capisca?-
         -Stai indietro, non ti avvicinare di un altro passo o sarò costretto a contrattaccare!-
         -Io non voglio attaccarti. Per favore, credimi, ho delle domande da farti e penso che solo tu sappia le risposte-.
         Evangeline aveva il fiato corto e si appoggiò con le mani sulle ginocchia per riprendersi. Il barbone aveva ancora un’espressione allarmata disegnata sul volto ma si stava riprendendo dalla corsa. Evangeline sperò che non sarebbe scappato un’altra volta.
         -Allontanati da me, sporca creatura delle tenebre!- ringhiò e sputò per terra. I suoi modi di fare erano sempre gli stessi.
         Evangeline indietreggiò di qualche passo e riprese a parlare: -Per favore, non scappare di nuovo. Te l’ho detto prima e anche l’altra volta, io non voglio fare del male a nessuno. Voglio solo parlare-
         -Non vuoi fare del male a nessuno dici? Beh, per ora, forse, ma più il tempo passa e più la tua vita cambierà-
         -E’ proprio di questo che voglio parlare. Non capisco cosa intendi con questo. Tu sai delle cose e siccome mi riguardano personalmente, voglio saperle-.
         I due si fissarono intensamente.
         -Cosa vuoi sapere?- chiese il barbone. Evangeline non sapeva da dove cominciare. In effetti non aveva mai pensato a cosa poteva chiedergli una volta incontrato perché aveva negato la possibilità che questo sarebbe accaduto così presto. Rammentò l’incontro precedente che avvenne tra loro due, a cosa l’uomo le aveva detto riguardo il male, i sogni e tutto il resto e allora cominciò proprio da questo: dai sogni.
         -La scorsa volta mi parlasti dei miei sogni che si ripetono ogni notte da settimane. Sono sempre uguali anche se solo ultimamente si sono… prolungati. E siccome li faccio da così tanto tempo, siamo più avanti del previsto, tue testuali parole. Non manca molto a cosa? Qual è il significato di questi sogni?-. Evangeline stette in attesa. L’uomo prese fiato e parlò.
         -Quei sogni indicano un episodio avvenuto molte e molte ere fa, nemmeno io so quando o cosa esattamente sia successo. Il fatto che tu lo veda significa che ti stai svegliando, o meglio, si sta svegliando quel lato di te rimasto sepolto nella tua anima per tutto questo tempo-
         -Come una specie di doppia personalità?-
         -No, questa è una parte della tua anima che ha vita propria e che non fa parte della tua vera natura, la natura umana, ma è qualcosa che va oltre. È difficile da spiegare come concetto siccome non ne so molto, ma questa parte di te è rimasta in attesa per tutti questi anni che tu diventassi abbastanza forte e matura per essere capace di sopportarla-
         -Cosa significa che va oltre la mia natura umana?-.
         Il barbone rimase in silenzio e Evangeline si stava alterando. Alzò la voce.
         -Cosa significa questo? Rispondimi!-
         -Sei molto forte, ragazza, se a questo punto ancora resisti. Non sei ancora caduta ma succederà presto-. Sembrò parlare tra sé e sé.
         -Cosa intendi?-
         -Dimmi, ragazzina, hai mai sentito parlare di…- ci mise dell’enfasi prima di terminare la domanda. Sembrò quasi divertito - …demoni, prima d’ora?-.
         Evangeline si sentì paralizzata. Demoni? Che assurdità stava blaterando? Eppure una parte di lei ci credeva.
         Il barbone riprese a parlare interrompendo il filo dei pensieri della ragazza, che ora era lì, incapace di muoversi, con gli occhi sgranati mentre sudava freddo.
         -Proprio così, demoni, esseri superiori a tutti noi esseri umani. Ma tu non sei come tutti noi, e non sei nemmeno come tutti loro, sei una via di mezzo, una mezzosangue. Non so chi ti abbia fatto questo e nemmeno come, ma leggo che dentro di te si nasconde qualcosa di oscuro che può appartenere solamente al loro mondo. Vedrai, ti useranno molto presto per i loro scopi e sarà così che porterai il male sul nostro mondo-
         -Non è vero!- gridò Evangeline -stai mentendo! Sono tutte stronzate-.
         Eppure alle sue parole credeva poco. Le gambe cominciarono a tremarle incontrollatamente. Una vampata di calore le salì lungo tutto il corpo fino ad arrivare al volto che divenne paonazzo e teso. Sentiva la schiena espellere sudore che, riunendosi in goccioline, le infradiciavano la maglietta già sudata.
         -Non puoi negare ciò che ti sta accadendo. Vedrai, quella maledizione che ti porti dentro si risveglierà, a tempo debito, e per tutti noi non ci sarà più niente da fare-
         -E allora vorrà dire che troverò il modo per impedire che accada-
         -E come pensi di farlo? Sentiamo. Non si può combattere contro i demoni e anche solo sperare di vincerli-.
         Evangeline, ovviamente non sapeva che dire. Non voleva credere a nulla.
         -Quindi, secondo te, dentro di me si nasconderebbe qualcosa che appartiene al mondo dei demoni. Ho capito bene? Per un motivo che non ti è chiaro. Questo basandoti solamente sul fatto che faccio quei sogni assurdi. Non voglio sentire un’altra sola parola da te-.
         Evangeline si asciugò le tempie e si legò i capelli con un codino per far respirare meglio la pelle scottante.
         -Allora, quando sarà arrivato il tempo, lo vedrai con i tuoi occhi che quello che ti ho detto è la verità. Ti sembrerà d impazzire, ti renderai conto di poter fare cose che nessun altro sa fare, sentirai i demoni entrare nella tua vita con violenza per mostrarti qual è il tuo scopo nel nostro mondo. Non manca molto a quel giorno-
         -Ma tu come fai a sapere tutto questo?-.
         Erano troppe le informazioni da elaborare. Sperava che quello fosse solo un incubo ma sapeva bene che era la realtà. Alcune delle sue domande avevano trovato risposta ma ne erano sorte altrettante nuove, ancora più terribili e confuse. Nemmeno lei sapeva più di cosa ancora voleva venire a conoscenza. Se le risposte erano tutte così terribili non voleva sapere più niente. Non aveva mai creduto ad angeli, demoni, religione e quelle cazzate là, e ora, tutto ad un tratto, un poveraccio era stato in grado di collegare gli strani fatti che le accadevano con il fatto che, dentro di lei si nascondesse qualcosa di superiore, di non umano ma demoniaco. Dentro di se, ospitava da anni, come un parassita, l’anima di un demone che presto si sarebbe svegliata per portare il male nel mondo. Era tutto assurdo. Elaborando bene tutto ciò che le era stato detto, si sentì terrorizzata.
         -Capisco che non mi credi ma ti sto mettendo in guardia. Qualsiasi cosa succederà non sarà affatto piacevole-
         -Ma perché proprio tu sai queste cose?-
         -Mi è capitata una cosa quando ancora ero giovane e in carriera. Ho provato a rimuoverla dalla mia memoria molte volte ma inutilmente. Ho avuto un incontro molto spiacevole con chissà quale creatura.-
L’uomo cominciò a tremare nel ricordare quel fatto. Le sue parole erano confuse: -Avvenne diciotto anni fa, mese più mese meno. Ricordo che qualcosa, come un’ombra, mi trapassò da parte a parte, ma non mi ferì fisicamente, anzi, rimasi totalmente illeso, eppure dentro di me sapevo che era cambiato qualcosa. Da quel giorno cominciai a vedere le cose sotto al loro reale aspetto, cose per lo più spaventose, e così impazzii. Persi il lavoro e divorziai, abbandonai i miei figli, che nemmeno più ricordo come si chiamano. Il tempo mi prese tutto ciò che avevo e tentai di uccidermi ma scoprii che mi era impossibile. Qualcosa mi impediva di morire, e me lo impedisce anche ora, e alla fine non potei fare altro che arrendermi alla pazzia-.
         Si creò il silenzio più assoluto. Questo era davvero troppo per Evangeline. Senza aprire bocca prese a camminare per tornare indietro al luna park. In quell’istante pensò a come l’uomo dovesse chiamarsi ma in fin dei conti non le importava granché.
         -Ehi- l’uomo la chiamò urlando -dove stai andando?-.
         Evangeline si arrestò e si girò nella sua direzione.
         -Non mi credi, vero? Ti offro le mie conoscenze, rispondo alle tue domande e nemmeno mi ringrazi- ora aveva l’aria del solito barbone scocciato dalla maleducazione della gente. -Tu li hai visti, non è così?-
         -Visto cosa?-
         -I demoni-
         Evangeline non rispose.
         -O comunque, indirettamente, hai già avuto a che fare con loro e con le loro opere. Sto parlando delle ombre nere-.
         Se lo doveva aspettare
         -E’ così che si manifestano agli esseri umani, come ombre nere e alate. Sono capaci di uccidere con un tocco. Ma se tu ti dovessi imbattere in uno di loro, dovresti essere in grado di vederlo sotto il suo reale aspetto-
         -Ho sentito dell’omicidio che è avvenuto al Record’s Pub e conosco un ragazzo che ha visto un ombra ed è stato ferito da questa-
         -Quelli sono demoni, ragazza, e se sono già arrivati tra di noi significa che la tua anima si è quasi completamente svegliata-
         -Quanti ce ne sono?-
         -Non lo so, ma l’Inferno è vasto ed esiste da sempre-
         -Perché a me?- Evangeline era furibonda.
         -Che cosa?-
         -Perché doveva accadere proprio a me?-
         -Non so nemmeno questo-.
         Evangeline si sentì invadere dall’isteria. Cominciò a urlare in mezzo al vicolo verso i palazzi che aveva intorno, verso gli uccelli appesi ai loro nidi che, sentendo quel grido, volarono via. Piangeva, preda della paura più folle che avesse mai provato e per la rabbia che provava nei confronti di nemmeno lei sapeva chi o cosa.
         -Non ho intenzione di credere a niente di ciò che mi hai detto fin ora! I demoni non esistono. Sono solo una ragazza normale che si è trovata in spiacevoli situazioni e che ha ficcato il naso dove non doveva- singhiozzava e si asciugava le lacrime con movimenti nervosi e ripetitivi che le rovinarono il trucco sugli occhi.
         Ricominciò ad urlare istericamente verso il mondo e verso l’uomo che non sapeva se avere paura per il demone o sentirsi in pena per quell’essere umano che le stavano di fronte, intrappolati entrambi nel corpo di una adolescente. 
         Evangeline cercò di calmarsi. Si asciugò gli occhi e il naso. Si rimise diritta e composta per quanto le era fattibile, prese fiato e parlò, senza avere il coraggio di guardare il faccia il barbone, che nel frattempo si era allontanato da lei di parecchi metri.
         -Cosa mi succederà quando quest’anima si sveglierà completamente? Cosa accadrà a tutte le altre persone?-
         -Non so esattamente cosa succederà a te, alla tua persona e alla tua mente, ma gli altri esseri umani probabilmente non sopravvivranno. Dipenderà esclusivamente da te ma, come ti ho già detto, non ho idea di come reagirai al suo risveglio-.
         Mentre diceva ciò, accadde l’impensabile, improvvisamente, nel tempo di un battito di ciglia. Appena il barbone finì la sua frase qualcosa di tagliente lo trapassò da parte a parte. Evangeline vide solo la lama uscire insanguinata dal suo stomaco, proprio di fronte a lei. La lama venne estratta velocemente, allo stesso modo in cui era penetrata nel corpo dell’uomo, e il sangue cominciò a sgorgare copiosamente dalla ferita. Altro sangue gli uscì dalla bocca. La sua espressione, in un primo momento, era di completa incredulità, dopo, quando si rese conto di ciò che era accaduto, un sorriso si abbozzò sul suo volto e poi ci fu solo dolore, fino all’oscurità.
         L’uomo cadde in ginocchio, poi lungo disteso sull’asfalto e, dopo aver esalato l’ultimo respiro, finalmente morì.
         Solo a quel punto la creatura, o meglio, il demone, apparve, brandendo la spada che gocciolava il sangue di quel corpo privo di vita.

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Capitolo 7
*** CAP VI: Arrivano i demoni ***


Capitolo VI
Arrivano i demoni

 
         Evangeline rimase impietrita di fronte a quella scena, il suo corpo rigido e la mente offuscata. Quell’uomo le stava parlando pochi secondi prima e poi, tutto ad un tratto, era stato infilzato come uno spiedino da una spada, e ora era morto.
         La spada, lunga e con una lama spessa e ben dritta, ora rossa almeno fino a metà, dall’elsa di oro puro e accuratamente lavorata, vibrava sospesa a mezz’aria finché il demone che la impugnava cominciò a prendere forma. Fu come se le ombre che oscuravano il vicolo si addensarono in un punto preciso di fronte al cadavere unendosi come fanno fasci di corde che si annodano insieme per formare un reticolo complesso. Si strinsero e si allargarono, raggiunsero un certo spessore e densità, presero forma e si mutarono in demone. L’essere era spaventoso; non aveva niente a che vedere con l’ombra descritta da Owen.
         La prima cosa che Evangeline notò fu l’altezza. Il demone, di forma umana, raggiungeva almeno i due metri e mezzo, la pelle era grigia, marmorea, o almeno così sembrava perché quasi ogni centimetro era ricoperto di simboli contorti e intricati, parole scritte in chissà quale lingua, linee curve che si arricciavano tra di loro e che, partendo dalle braccia, si arrampicavano nell’incavo del collo, poi ancora sulla mascella fino al volto. Toccavano le tempie, si snodavano su tutta la fronte per ricadere sul naso e sotto gli zigomi. Più che tatuaggi sembravano vere e proprie incisioni. I muscoli sulle braccia e le spalle sembravano dovessero scoppiare da un momento all’altro, le arterie pulsavano sulla superficie dell’avambraccio che brandiva la spada, le mani erano mostruosamente grandi e le dita terminavano con lunghi artigli acuminati e sporchi. Il petto nudo era gonfio ma immobile, come se non avesse bisogno di respirare. Le ali massicce e ricoperte di piume nere e lucide erano spalancate e tirate verso l’alto in tutta la loro maestosità. Erano perfette, bellissime: Evangeline sarebbe rimasta ad ammirarle per ore se non fosse stato per il fatto che crescevano, attraverso la carne, come prolungamenti delle scapole della schiena di quell’orrore. E il suo volto: la mascella era squadrata, il naso aquilino con le narici dilatate; le iridi erano gialle screziate d’oro e le pupille due semplici fessure nere. Palpebre e occhiaie avevano una sfumatura violacea e i capillari erano superficiali e visibili: si estendevano su tutto lo zigomo sotto ai simboli incisi. I capelli erano neri e lunghi, tirati all’indietro sulla nuca. Due grandi corna di osso crescevano oltre le tempie, si piegavano e annodavano attorno a due lastre di metallo che salivano verso l’alto dove avrebbero dovuto esserci le orecchie. Le labbra erano bianche e sottilissime come quelle dei serpenti. Indossava solo dei pantaloni in un materiale che assomigliava a pelle e nel resto del corpo la pelle era nuda.
         Il demone guardò dritto in volto la ragazza che inciampò sui suoi stessi piedi e cadde all’indietro sul cemento. Rimase ferma in quella posizione incapace di muoversi mentre sentiva il cuore che batteva così forte da farle male alle costole, come se volesse uscire. Il respiro era affannato in cerca di ossigeno che sembrava non bastarle mai e muscoli e nervi tremavano come l’occhio, colpito da un tic nervoso.
         Lo sguardo del demone era tremendo: non disse una parola ma fece un passo avanti scavalcando il corpo del barbone sotto cui si estendeva un fiume di sangue che macchiava la poca neve che era rimasta attaccata sulla strada.
         Evangeline si mosse a sua volta e indietreggiò strisciando col sedere ma per equiparare la distanza di un passo del demone lei doveva fare almeno quattro passi. Cercò di rimettersi in piedi senza togliere gli occhi di dosso alla figura: ora poteva succedere qualunque cosa, sarebbe potuta anche morire esattamente come era successo al barbone. Voleva provare a parlare ma non le usciva aria dalla bocca secca, voleva girarsi di spalle e correre via da quel posto ma dubitava che sarebbe stata in grado di farlo. Non poteva fare nulla, era in trappola.
         Ma accadde l’ennesima cosa che Evangeline non si aspettava: il demone, dopo averla intensamente guardata con il solo scopo di spaventarla per divertimento, fece un salto in alto e spiccò il volo battendo con potenza le ali che lo sollevarono e lo portarono lontano, nel cielo, proprio come un angelo. Per lo spostamento d’aria causato dalle ali Evangeline cadde di nuovo all’indietro e si riparò il volto con le braccia. Perse momentaneamente di vista la creatura ma poi, trovando la forza di risollevarsi e correre verso la strada principale i cui palazzi non nascondevano troppo il cielo, riuscì a rintracciarlo seguendo la scia luminosa che si lasciava dietro. Assomigliava molto alla scia dispersa dal ragazzo dagli occhi verdi ma non era calda, anzi, era gelida come la morte e dorata.
         Evangeline seguì con lo sguardo il demone in cielo: non aveva tempo per pensare, doveva solo seguirlo. Si sentiva una idiota per aver scelto di andargli dietro dopo che l’aveva graziata senza farle del male ma non poteva lasciarlo andare, semplicemente, doveva raggiungerlo perché l’istinto le diceva di farlo.
         La ragazza corse come una dannata con passi lunghi e slanciati cercando di non investire nessuno che si trovasse lungo il suo percorso e non mollava lo sguardo dal mostro sopra alla sua testa che guadagnava sempre più distanza. Ogni persona che aveva intorno era ignara di ciò che stava accadendo in quel momento. Agli occhi degli esseri umani il demone sarebbe stato solo un’ombra, invisibile nelle ombre della sera che si era trasformata in notte.
         Evangeline prese una scorciatoia girando in un altro vicolo stretto che separava due palazzi, questo le avrebbe evitato un paio di semafori pedonali e la calca di gente impegnata a guardare le vetrine dei negozi. Il demone era troppo veloce, distava ormai di almeno duecento metri, ma il fatto che volasse così in alto lo rendeva comunque visibile agli occhi della ragazza.
         Poi smise di battere le ali e planò fino ad atterrare.
         Evangeline aumentò il passo altrimenti lo avrebbe perso. Si allontanò presto dalle vie trafficate del centro finché non sbucò davanti ad un viale alberato. Al lato di questo viale c’era un area delimitata da una rete arancione, tipica dei cantieri. Non si vedevano ingressi e tutto il perimetro era illuminato da lampioni elettrici: se Evangeline voleva entrare doveva scavalcare o sfondare la rete e avrebbe corso il rischio di essere scoperta da qualcuno.
         Era sicura che il demone si fosse fermato proprio lì, al centro del cantiere che invece era immerso nel buio. Era il posto più ovvio.
         La corsa le aveva consumato parecchia energia e altrettanta era stata bruciata per mantenersi calda, nell’aria gelida della notte, e se avesse avuto bisogno di correre ancora, questa volta per scappare, non avrebbe avuto alcuna possibilità di salvarsi. Non che cambiasse molto dato che il mostro era decisamente più veloce di lei. Eppure qualcosa doveva pur fare, non aveva tempo per pensare di avere paura. Doveva stare attenta, essere furtiva, silenziosa e mantenere il sangue freddo per essere in grado di fare la cosa che, probabilmente, nasceva dalla più stupida delle idee.
         La ragazza si avvicinò lentamente alla rete guardandosi intorno. In quella zona non c’era anima viva oltre lei e dalle finestre dei palazzi intorno non proveniva nessuna luce. Era impossibile che nessuno la stesse osservando ma doveva correre il rischio. Osservò il perimetro. Lo percorse a destra e a sinistra ma i lampioni non permettevano di vedere molto oltre. In un punto la rete si piegava a formare un angolo di novanta gradi. Forse era un rettangolo o un quadrato, ma per percorrere tutto il perimetro in quel modo ci sarebbero voluti troppi minuti.
         Evangeline scelse la zona da dove sarebbe entrata approfittando dell’ombra che si era creata a causa di un lampione bruciato. Alzò la rete per cercare di passarci sotto ma si creava una fessura troppo stretta perfino per lei; a saltare poteva scordarselo perché era troppo alta e intorno a lei non c’era niente che potesse usare come gradino. Allora tentò di arrampicarsi su uno dei sostegni: saltò più in alto che poté e rimase appesa al palo di metallo in maniera abbastanza goffa mentre litigava con la cintura della giacca che indossava che, essendo troppo lunga, si era legata alla manica. Si diede un altro slancio verso l’alto e guadagnò pochi centimetri, lo fece ancora e ancora. Per un momento rimpianse di non avere le ali: si sarebbe risparmiata una grossa fatica, una terribile figuraccia se qualcuno la stava osservando e non avrebbe perso tempo.
         Raggiunse la cima della rete e la scavalcò, poi si lanciò di sotto, all’interno del cantiere.
         Una volta addentrata oltre la zona illuminata Evangeline non vedeva assolutamente niente. Intorno a lei c’era il buio più totale. Doveva prestare la  massima attenzione ai macchinari che incontrava man mano, stare lontano dai cumuli di materiali come montagne di sabbia o terra e blocchi di cemento; incontrò addirittura uno scavo profondo un paio di metri da cui non sarebbe più stata in grado di uscire una volta caduta dentro e, cosa più pericolosa, non doveva farsi scoprire dal demone.
         Il suolo era terroso e compattato e i suoi passi non emettevano alcun rumore ma chiunque sarebbe stato capace di sentire i battiti del suo cuore enormemente accelerati e forti.
         Evangeline, ad un tratto, sentì qualcuno parlare. La voce proveniva da un centinaio di metri davanti a lei così decise di nascondersi subito dietro ad un ammasso di tubi in cemento per non farsi scoprire. La voce era gutturale e profonda, sovrumana. Qualcun altro gli rispose con una voce altrettanto grave, dello stesso timbro di quella di Dantalian, nello spogliatoio.
         -Astaroth, il suo risveglio è quasi completo e l’umana è forte abbastanza-
         -Tutto gioca a nostro favore quindi, ma che bravo il mio fratellino, sempre a fare di testa sua per arrivare prima degli altri-.
         La seconda voce aveva una nota di sarcasmo assolutamente evidente.     
         -Intanto, senza le mie azioni, l’umana non avrebbe avuto la possibilità di incontrarmi prima di molto altro tempo, e ora che lei è qui potrà già vedere di cosa è capace. Vedi, tu mi incolpi sempre di tutto ciò che va storto, ma se invece di fare di testa mia avessi seguito il tuo esempio, ci troveremmo ancora nell’Inferno ad aspettare che il niente accadesse, come sempre-.
         Evangeline cadde nel panico. Il demone, anzi, i demoni siccome erano almeno due, sapevano della sua presenza, sapevano che li stava spiando. La ragazza si voltò indietro e percorse di fretta tutta la strada che aveva fatto per arrivare a quel punto ma fu in grado di captare l’ultima frase, la risposta.
         -Alastor, valla a prendere prima che scappi. Approfitta anche tu del buio, nessuno noterà niente-.
         Evangeline cominciò a correre forsennatamente. Ora non le importava più se i suoi passi facessero rumore o meno, le importava solamente di correre e mettere più distanza che poteva tra lei e i demoni. Ma non bastò.
         La figura che prima aveva ucciso il barbone apparve improvvisamente davanti a lei, a pochi metri, e quasi ci sbatté contro. Indietreggiò e cadde per lo spavento sporcandosi tutte le mani di terra. Evangeline lo guardò in volto e per farlo dovette alzare gli occhi quasi verso il cielo. Indietreggiò ancora d’istinto e si rialzò. Il demone non si mosse. Quell’attesa la stava uccidendo, anzi, in quella situazione sentiva di essere già morta. Poi il demone parlò.
         -Hai del fegato se hai deciso di seguirmi fino a qui-.
         La voce apparteneva al primo demone che aveva parlato ed era stato chiamato Alastor.    
         -Voi esseri umani siete davvero stupidi. Davvero credevi che sarebbe filato tutto liscio? Che non me ne sarei accorto?-.
         Evangeline era immobile, impietrita, incapace di parlare.
         -Proprio tu che ospiti l’anima di Azrael. Pensavi che non l’avrei captata?-.
         Alastor sembrava divertito dalla situazione. Nutriva un certo gusto a torturare in quel modo le persone.
         -Perché l’hai ucciso?- Evangeline balbettò e a stento riuscì a farsi capire.
         -Perché non avrei dovuto?-
         -Non aveva fatto niente di male-. Evangeline non riusciva a sopportare lo sguardo del demone e cominciò a girare lo sguardo verso ogni direzione, tranne che verso la sua faccia.
         -Nessuno gli aveva dato il permesso di raccontarti certe cose e quindi l’ho punito-
         -Ma glie le avevo chieste io-
         -Allora diciamo che mi andava di farlo. L’ ho ucciso per noia. Per vedere la tua reazione-.
         Evangeline deglutì rumorosamente.
         -Perché non hai ucciso anche me?-. Era già nei guai e parlando così non avrebbe fatto altro che aggravare la situazione.
         -Tu non hai lontanamente idea dell’importanza che hai per noi, non è vero?-
         -Voi cosa sareste allora? Demoni?-
         -Sì, proprio così-. Alastor cominciò a girarle intorno. -e tu sai cosa sei?-
         -Io… sono solo Evangeline, una ragazza-
         -Qui già ti sbagli. Non sei solo umana, non lo sei mai stata, anche se cominci a rendertene conto solo adesso-
         -E allora cos’altro sono?-
         -Ma tu questo dovresti già saperlo. Tu sei Azrael-.
         Nonostante glie lo avessero ripetuto fino alla nausea ancora non riusciva a capire appieno il significato che questo poteva avere.
         -Non posso capirlo solo da un nome-
         -Tu sai già che dentro di te giace un frammento dell’anima di Azrael, giusto? Azrael è un demone, proprio come me, e ha uno scopo ben preciso in tutto questo. Ma non spetta a me dirti di cosa si tratta-
         -Allora è inutile che stiamo a parlare-.
         Lo sguardo di Evangeline si indurì leggermente.
         -Forse non hai ancora capitò la gravità della situazione in cui ti sei cacciata. Non sei per niente furba, al posto tuo me ne starei zitto in silenzio a pregare di non venire ucciso-.
         Lo disse con un certo disprezzo.
         -Perché arrivate sulla Terra e fare del male alle persone?-
         -Prima di tutto devi sapere che noi demoni siamo antichi quanto l’intero mondo e ne facciamo parte molto più di quanto ne facciate parte voi. Siamo sempre stati confinati all’Inferno mentre voi conducevate le vostre miserabili vite sulla Superficie-
         -Quindi esiste davvero un Inferno?-
         -E anche un Paradiso, se te lo stai chiedendo-
         -E gli angeli? Esistono?-
         -Ovviamente- Alastor si interruppe seccato dalle innumerevoli domande -ma siamo stanchi di non poter usufruire della Superficie per cui duramente abbiamo lottato, quindi abbiamo intenzione di riprendercela con la forza-
         -Ma questa si potrebbe cons…-
         -Troppe domande!-.
         Evangeline cadde all’indietro nuovamente. La furia delle parole di Alastor la colpì profondamente, facendole tremare l’anima e il corpo. Quella vampata di energia la scosse come una scarica elettrica e le scottò la pelle.
         -Noi demoni vogliamo indietro ciò che è nostro e per fare questo abbiamo necessità di un tramite tra Inferno e Superficie. Azrael ci darà la possibilità di riaprire i varchi che permetteranno a tutti noi di arrivare quassù. Quando si sarà svegliato completamente dentro di te, oltre a prendere il sopravvento sulla tua natura umana, permetterà di dare inizio alla nostra ascesa per riscattarci-.
         -No… non è possibile-
         -I demoni insorgeranno sugli umani, spazzeremo via le vostre città insieme alle vostre vite e tu contribuirai a tutto questo-.
         Evangeline voleva scappare via. Correre. Fuggire da quella creatura mostruosa e fuggire dalla propria vita ma oramai ci era dentro fino al collo
         La ragazza indietreggiò sempre di più senza togliere gli occhi di dosso ad Alastor: non era nelle condizioni di pensare ad una soluzione migliore così si voltò e corse.
         Un passo dopo l’altro vedeva la rete arancione del perimetro avvicinarsi sempre di più ma voltandosi indietro si accorse che Alastor non si era mosso di un centimetro. Era rimasto nello stesso punto per tutto il tempo limitandosi soltanto a seguirla con lo sguardo ma appena Evangeline si rigirò verso la sua via di fuga il demone apparve davanti a lei, di nuovo. Gli bastò un semplice balzo per raggiungerla e superarla e ora le bloccava la strada.
         Quasi lei non gli andò a sbattere contro ma il demone la afferrò velocemente alla gola, la sollevò di almeno un metro e lanciò il suo corpo lontano, come se fosse una bambola di pezza.
         Evangeline sentì quella stretta intorno alla gola che le bloccò il respiro, sentì la terra mancarle sotto i piedi e ad un tratto quella stessa terra le colpì violentemente l’intero fianco destro. Sentì l’impatto col terreno vibrarle in tutto il corpo, rotolò su se stessa di almeno altri tre metri e poi si arrestò, distesa di schiena. Appena fu in grado di capire ciò che le era accaduto si rialzò di scatto e guardò il demone. Immobile.
         -Non penserai di scappare così-.
         Tutto quello che Evangeline desiderava era di poter tornare a casa nel suo letto e dormire profondamente come quando non esistevano sogni, problemi e demoni, ma non poteva anche se era stanca tanto da poter crollare nel sonno anche lì.
         -E’ tempo che tu affronta il suo destino-.
         -Ma non l’ho scelto io il mio destino. Mi è stato imposto-
         -Certe cose accadono e basta-
         -Perché è successo proprio a me?-
         -Non sempre riesco a comprendere fino in fondo le opere del mio Signore, e non mi è permesso chiedere-.
         Evangeline lo guardò con aria perplessa.
         -Il tuo Signore?-.
         Il demone ridacchiò.
         -Non hai paura, ragazza?-
         -Certo che ho paura. Ho una paura fottuta ma questo non mi impedirà di affrontarti, se devo. Se cercherai di uccidermi lotterò-
         -Allora non hai capito proprio niente! Tu ci servi. Sei il contenitore dell’anima che sarà in grado di portarci all’ascesa sulla Superficie-
         -Resisterò!-.
         Evangeline lo disse con sicurezza ma sapeva che aveva poche probabilità di farcela.
         -Ne sei così sicura? Ora dimmi, saresti pronta  ad uccidere altri esseri umani se ti verrebbe ordinato di farlo? L’hai mai fatto prima d’ora?-
         -No e non ho nessuna intenzione di farlo-
         - Scoprirai che per te uccidere non è così difficile. Sei forte ma sei molto più vicina alla caduta di quanto tu creda e ora te lo dimostrerò-.
         Sotto le due figure tutto cominciò a tremare e una luce rossastra crebbe in mezzo a loro mutando la terra in cenere. La luce si contorse e assunse la forma di un cerchio cavo all’interno, si affievolì e intorno ad esso comparvero dei strani simboli che si disposero a raggera come settori di un orologio, allungandosi sul terreno. Evangeline poté sentire il calore che le ustionava la pelle sotto i vestiti. Quei simboli erano simili a quelli tracciati sul corpo di Alastor ma non servivano prove per capire che quello strano cerchio appartenesse al mondo demoniaco. Il cerchio di luce rimase sospeso ad alcuni centimetri da terra e cominciò a ruotare su se stesso espandendosi. Sul lato esterno si svilupparono diversi raggi luminosi che assunsero la forma di punte acuminate. Poi, dal centro del cerchio, un’altra luce azzurrina si espanse elevandosi fino al cielo. Si mosse creando una serie di linee dritte che composero tre triangoli uniti insieme per tre vertici i cui punti di incontro spezzarono il cerchio in tre parti e, dal centro di quest’ultimo triangolo che si era venuto a formare all’interno delle forme, scariche elettriche si allungarono in ogni direzione scalfendo il terreno e sollevando cenere e polvere.
         Delle creature nacquero, molto piccole in confronto ad Alastor, materializzandosi nell’aria. Si lamentarono e piansero esattamente come fa un bambino quando viene al mondo, mentre le ossa, i muscoli, i nervi e i tendini si allacciavano insieme come pezzi di corda fino a tendersi e gli spazi vuoti venivano riempiti dalla carne. Tutta la massa informe fu ricoperta di pelle, rossastra e ricoperta di vesciche per le bruciature dovute alle fiamme dell’Inferno da cui tutto quello arrivava. Quella pelle a tratti diventava incandescente: brillava come cenere infuocata al vento.
         Avevano tre zampe, due appoggiate a terra e la terza sulla schiena, ripiegata come un’ala. Le teste erano due, una dritta e la seconda rovesciata: probabilmente avrebbero potuto appoggiarsi sulla terza zampa e restare comunque dritti. Il muso era canino, gli occhi allungati verso le orecchie a punta, cavi, entro cui scorrevano le fiamme dell’Inferno. Dietro le orecchie crescevano delle specie di corna: crescevano te piccoli arti di ossa, come rametti secchi, tenuti insieme da una membrana spessa che dava loro l’aspetto della zampa di un’oca. La cosa più spaventosa era la dentatura: numerosi denti seghettati crescevano dalle gengive verso l’interno delle bocche o anche ripiegati verso l’esterno e altri bucavano le labbra e la pelle intorno. Le bocche erano sembravano due ma ce n’era una terza che si apriva sulla gola dove i denti formavano una corona circolare che si chiudeva al centro: avrebbero triturato la carne peggio di una sega elettrica. Infine una cosa, o meglio, un tentacolo ricoperto di una sostanza vischiosa cresceva dalla parte terminale della schiena. Erano completamente nudi, senza un singolo pelo.
         Evangeline non riuscì a distinguere altri dettagli a causa dell’oscurità della notte e ne fu grata. Ne nacquero una dozzina: il loro lamento sembrava spaccarle la mente e metà.
         Le sembrava che l’Inferno fosse salito direttamente sulla Superficie, come l’aveva chiamata Alastor, e a quel punto scappò via più veloce che poteva per allontanarsi da quelle cose il prima possibile.
         -Dove scappi Azrael?- le gridò dietro Alastor -Non hai scampo-.
         Sogghignò: -Inseguitela- ordinò ai demonietti, che si apprestarono a rincorrere la ragazza attraverso il cantiere raggiungendola in pochi secondi, pronti a combattere per il loro padrone anche fino alla morte.
 
I demonietti le furono alle calcagna, la afferrarono per le caviglie facendola cadere di faccia e poi la bloccarono a terra. Le erano tutti quanti addosso. Poté sentire il calore che emanavano incendiarle i polmoni e il loro odore arricciarle il naso. I loro artigli le si impiantarono nella carne degli avanbracci e le ferite inferte bruciavano come se fossero dovute all’acido.
         -Se non ti sbrighi a contrastarli perirai, lo sai questo, vero?- disse Alastor -il tuo odore mi dice che hai paura eppure sono sicuro che non vuoi morire. La tua vita è nelle tue mani-.
         Evangeline gridò tentando di divincolarsi ma il peso dei demonietti continuava a tenerla a terra. Doveva reagire, lo sapeva eccome, non poteva morire in quel modo. Aveva trascorso la vita intera aspettando che qualcosa cambiasse e ora il cambiamento era avvenuto. Non poteva arrendersi ma doveva combattere, contro i demoni che aveva intorno e soprattutto contro il demone che era dentro di lei perché sapeva benissimo chi era: non Azrael ma solo Evangeline Goodchild, un semplice ragazza che desiderava vivere. Era arrivato il momento di credere in sé stessa, combattere e sconfiggere la minaccia che ora colpiva il mondo intero. Forse non ce l’avrebbe mai fatta, non da sola, ma non poteva accettare semplicemente il destino che le era stato imposto, doveva scegliere per sé stessa e mettercela tutta per sopravvivere.
         Ormai lo sapeva, sapeva cosa doveva fare.
         Capì tutto questo quando ormai credeva di essere spacciata ma non poteva permettere di morire. Lei era importante ora, persino per il mondo.
         La sua guancia sinistra era premuta contro il terreno con otto demonietti che le tenevano polsi e caviglie. Gli altri quattro, o quelli che erano rimasti, non sapeva dove fossero. Non riusciva a vederli ma sentiva il peso della loro anima nel cuore. Era come se li captasse, esattamente come era successo con sua madre e con Owen, e sentiva il dolore, la rabbia, il desiderio di vendetta che provavano verso il loro padrone, Alastor.
         Lo sentiva chiaramente ma erano folli e ossessionati dal desiderio di sfogarsi verso di lei
         -Non so cosa quel mostro vi abbia fatto- cominciò a dire sottovoce Evangeline -e mi dispiace davvero tanto per voi che provate così tanto dolore. So anche che è inutile che io cerchi di farvi ragionare…-.
         Alastor si incuriosì e stette a vedere come la ragazza avrebbe reagito: trepidava in attesa di vederla riaffiorare dall’orda di demonietti per poi farli fuori uno a uno brutalmente. Sperava che lo facesse, ormai stava cadendo sotto il controllo di Azrael.
         -…ma non vi permetterò di farmi uccidere-.
         Evangeline si sentiva forte ora, una nuova energia la percorreva da capo a piedi con intensità sempre maggiore. Mai si era sentita così.
         La ragazza riuscì a vincolarsi dalle strette dei demonietti e a risollevarsi lentamente superando la forza di quelle zampe mostruose che la bloccavano. Cominciò a lottare e a farsi strada verso l’aria della notte sopra di lei e sentì rabbia crescerle dentro. Stava riuscendo a liberarsi ma sapeva che quella forza non apparteneva a lei: veniva da un lato oscuro della sua mente che non sapeva di avere e che ora sentiva chiaramente, Azrael. Non avrebbe mai voluto dover evocare la sua energia ma era l’unico modo per combattere i demonietti.
         Poi sentì che il mondo veniva inondato di luce. O meglio, una luce, calda e pungente, accecò i suoi occhi che cominciarono a brillare del colore del rame e poi tutto intorno a lei esplose.
         Evangeline liberò tutta quell’energia che sentiva crescerle dentro sotto forma di luce incandescente. La sentì scorrere fuori dal suo corpo passando da ogni poro della pelle e quella luce colpì ogni demonietto che aveva intorno scagliandoli lontani. Anche Alastor parve sorpreso ma fu più felice che mai: con quella ragazza raggiungere gli scopi del suo Signore sarebbe stato più facile del previsto.
         La luce si spense così come si era creata e Evangeline ricadde in ginocchio ansimando.
         Cosa è successo?
         I demonietti ora si trovavano a parecchi metri da lei, gemendo a terra lambiti ancora da strascichi di quella luce che era penetrata dentro ai loro corpi e che li stava fondendo a poco a poco dall’interno. Evangeline si sentiva stanca e sfinita ancora più di prima e cercava di dare una spiegazione a ciò che era appena successo. Era convinta che la paura di morire avesse risvegliato il potere di Azrael e che quell’energia fosse fluita dall’anima demoniaca fino a quella umana liberandola: non avrebbe dovuto farlo.  
-Stento a credere a ciò che ho appena visto- disse Alastor improvvisamente.
         Evangeline si girò verso di lui mentre, ancora a terra, respirava a fatica.
         -Che cos’era quello?-
         -Quella, ragazza, non era altro che pura energia. Leggo nei tuoi occhi che hai paura di te stessa ora, non è vero?-.
         Evangeline quasi tremò a dover pronunciare quelle parole, quel nome -Era davvero Azrael, non è così?- era disperata.
         -Esattamente- il demone ghignò mostrando i denti -è stato quasi emozionante-
         -Mettiti pure il cuore in pace, sempre che tu ne abbia uno, non farò mai più una cosa del genere-.
         Evangeline rivolse lo sguardo per terra e solo allora si accorse che la terra intorno a lei era bruciata: divenne cenere dopo essere stata colpita da quell’onda di energia esattamente come era successo con la luce del cerchio di evocazione dei demonietti.
         -Te l’ho detto anche prima. Sei più vicina alla caduta di quanto pensi-
         -Preferirei morire se servisse a salvare questo modo-
         -Ogni sforzo sarà inutile-.
         Evangeline lo guardò sfidandolo -Allora staremo a vedere-.
         -Non vedo l’ora di giocare-.
         Alastor guardò verso i demonietti e questi si rimisero in piedi ancora sofferenti. Evangeline fu costretta a rialzarsi a sua volta conscia del fatto che lo scontro non era ancora terminato e cercò di pensare ad una soluzione, però senza successo.  I demonietti avanzavano.
         -Trovo inutile sprecare così tanta energia in una volta sola. Non lo pensi anche tu?- Alastor rivolse di nuovo lo sguardo su di lei -così non fai altro che accorciare il tempo che ti resta da vivere-.
         Evangeline doveva lottare ancora perché sapeva che scappare sarebbe stato completamente inutile; i demonietti le erano quasi addosso.
         -Maledizione! Cosa devo fare?-
         -Sarebbe troppo facile se te lo dicessi-
         -Grazie tante- disse lei sarcastica.
         Evangeline guardava un momento Alastor, un momento i demoni, incapace di prendere una decisione sul da farsi. Poi cominciò a correre verso un punto impreciso del cantiere maggiormente illuminato quando sentì un colpo d’ali di Alastor, segno che la stava seguendo per non perderla di vista.
         -Avresti bisogno di un’arma- disse -o due… Dei pugnali magari-
         -Peccato che non li ho- gli gridò lei di rimando
         -Ne sei così certa? Azrael è pieno di risorse-
         -Non voglio utilizzare le capacità di Azrael-
         -Se non ti è chiaro te lo ripeto: a meno che tu non voglia morire stanotte, non hai altra scelta-.
         Evangeline non rispose. Sapeva bene che il demone aveva ragione. O moriva rifiutandosi di utilizzare l’energia del demone oppure sopravviveva avvicinandolo al totale risveglio.
         Grandissimo figlio di…
         -Se davvero non ho altra scelta combatterò-
         -E’ proprio ciò che volevo sentirti- le rispose Alastor soddisfatto.
         La ragazza allargò le braccia tenendo i pugni semichiusi a sentire lo scorrere di quella calda e potente energia sotto la pelle. La sentì fluire dalle spalle alle braccia, verso le mani e poi fuoriuscirle dai palmi e passare alla forma solida: come prolungamento degli arti due pugnali presero forma in mezzo ai pugni che ora li stringevano saldamente, leggeri e dalle lame sottili che tagliavano l’aria sibilando. Erano stati forgiati per essere utilizzati esclusivamente da lei, si adattavano perfettamente alla sua impugnatura, perfetti come se fossero altre due mani. Quello nella destra aveva la lama dritta e piatta in una lega resistente e flessibile; la guardia era in argento e assunse una forma simile a due ali di pipistrello; tre pietre di smeraldo al centro circondavano un rubino centrale rosso come sangue e l’impugnatura era di osso levigato, fatta eccezione per la parte terminale in cui l’osso era stato spezzato. Il pugnale della mano sinistra invece, aveva la lama molto fine e ondulata, della stessa lunghezza della prima; la guardia, sempre in argento, raffigurava un volto demoniaco nei cui occhi erano incastonati due smeraldi e nel naso uno zaffiro blu come la notte. L’impugnatura era composta principalmente anch’essa di un osso levigato al cui pomolo a tre punte era incastonato un altro smeraldo. L’impugnatura era avvolta da uno specie di nastro di pura energia controllata che rimandava sfumature ramate, rosse e oro. Quel nastro di luce andava poi ad allacciarsi direttamente alle vene sotto la pelle del polso diventando un tutt’uno con l’anima di chi lo brandiva. Dapprima erano roventi come appena forgiati ed emanavano luce, poi questa si affievolì fino a dissolversi e rimase solo un lieve fumo odorante di zolfo che si disperse presto nell’aria.
         Evangeline in un primo momento rimase sorpresa, dopo si sentì di nuovo forte con l’adrenalina che veniva pompata nelle vene ad ogni battito: nulla le avrebbe impedito di lottare.
         Dopo si scontrarono.
         I demoni le furono addosso in un batter d’occhio ma il suo corpo minuto riuscì ad evitare ogni loro tentativo di bloccarla. Li scartò a destra e a sinistra ritrovandosi le loro fauci a un palmo dal viso con i loro occhi che si incendiavano quando, da vicino, potevano sentire il suo odore; ma riuscirono a malapena a sfiorarla. Evangeline impugnò saldamente i pugnali e colpì: nel momento in cui ne evitò uno facendo un mezzo giro su sé stessa, alzò il pugnale e affondò la sua lama nella schiena della creatura, fino all’elsa, e la girò nella ferita mentre icore demoniaco schizzava e imbrattava la terra sopra la quale avveniva lo scontro. I movimenti erano goffi e imprecisi ma non per questo meno letali. Due demoni la assalirono dai lati e la ragazza rotolò in avanti lasciando che quei due si scontrassero tra di loro; si girò velocemente e afferrò uno di loro dalla zampa superiore tirandola e colpendogli ripetutamente il fianco destro squarciandolo ma l’altro riuscì a sovrastarla e la bloccò a terra. Gli artigli laceravano la pelle delle braccia e del petto strappandole grida di dolore mentre cercava di respingere quel muso spaventoso che voleva azzannarla al collo. Piegò le gambe e gli tirò un calcio allontanandolo quel tanto che bastava per saltargli addosso a sua volta e infilargli il pugnale ondulato nel collo. Evangeline si rialzò, ne mancavano ben nove.
Fortunatamente erano stupidi abbastanza da non attaccarla tutti insieme o non sarebbe sopravvissuta nemmeno a quei tre. Ogni suo muscolo era teso come corde, il sudore si appiccicava alla fronte insieme alla polvere che si sollevava e il desiderio di continuare a vivere era più forte della paura di morire. Tre demoni la attaccarono contemporaneamente e lei fendette a volte l’aria, a volte carne. Riuscirono a colpirla svariate volte lacerandole la giaccia sulla schiena e all’altezza dell’addome insieme alla pelle sottostante e sentì il calore del proprio sangue imbrattarle i vestiti e un dolore pungente che le strappò via le forze e la indebolì pian piano, ad ogni goccia che ne fuoriusciva. Altri affondi colpirono quei mostri alla schiena, in mezzo agli occhi, al collo, ai fianchi. Ogni colpo li avvicinava alla morte.
Alla fine di interminabili minuti anche l’ultimo di loro cadde al suolo e fece ritorno all’Inferno passando attraverso uno di quei cerchi di fuoco che allo stesso modo lo aveva portato in Superficie.
Evangeline cadde in ginocchio ansimando. I pugnali le scivolarono dalle mani atrofizzate e ferite e quello dalla lama ondulata si slacciò automaticamente dalle vene del suo polso lasciando un piccolo taglio sanguinante che si richiuse subito e poi entrambi sparirono. Era sfinita, senza più un briciolo dell’energia che aveva prelevato dallo spirito di Azrael.
L‘ombra di Alastor si proiettò sulla sua e la figura in carne ed ossa sopraggiunse subito dopo fermandosi ad un solo passo da lei.
         -Era questo quello a cui mi riferivo-.
         Evangeline non rispose e si limitò a fissare il terreno.
         -Hai usato bene la tua energia, è stato uno spettacolo grandioso-.
         Evangeline chiuse gli occhi per evitare che le lacrime le scendessero ma fu inutile.
         A quel punto Alastor l’afferrò per i capelli obbligandola a guardarlo negli occhi ma il suo sguardo andava oltre come se non lo vedesse. Niente a parte lei e Azrael avevano importanza.
         -Guardami quando ti parlo- le ordinò Alastor.
         Tutto ciò che era stata la sua vita era andata perduta anzi, non era mai esistita
         -Basta lamentarti! Voi essere umani siete così fragili. Come fai a non renderti conto della tua potenzialità? Come pensi che sia arrivato io fino a qui, sulla Superficie?-
         Evangeline lo fissò negli occhi trasmettendogli tutto il disprezzo che aveva in corpo e Alastor, captandolo, si sentì compiaciuto finche lei non gli sputò in volto. Lui si infuriò e con un solo strattone la mandò a terra. Lei non reagì più, non aveva più la forza per muovere un solo muscolo.
         -E’ stato merito tuo. Hai aperto uno spiraglio tra Superficie e Inferno che sono stato in grado di tramutare in varco e ora il numero di varchi apribili aumenterà-.
         Se voleva difendersi non aveva scelta ma più combatteva e più Azrael si svegliava: fino a che punto si poteva arrivare?
         -E’ proprio grazie a te che noi possiamo fare ritorno tra queste genti e riprenderci ciò che è nostro. Devi esserne consapevole-.
         Non c’erano dubbi.
         Il demone continuò: -Mi farò presto vivo Azrael. Tu non immagini quanto poco tempo manchi alla nostra ascesa-.
         Alastor si alzò in volo, raggiunse Astaroth che era rimasto a guardare la scena fino a quel momento da lontano e insieme aprirono un altro varco che avrebbe permesso loro di ritornare all’Inferno.
         Evangeline rimase lì a terra rannicchiata per scacciare il freddo che ora le pungeva la pelle e il dolore che scaturiva da ogni ferita sanguinante, sorprendentemente già in via di guarigione, nella più totale vuotezza. Improvvisamente riprese a nevicare. Allungò una mano verso l’alto e sentì un fiocco di neve sciogliersi sulla superficie del suo palmo e si mise a sedere. Con enormi sforzi si rialzò barcollando come quando alcune settimane prima si era felicemente ubriacata insieme ai suo amici. Ora quella vita non esisteva più, tutto era stato spazzato via.
         Recuperò da terra la sua giacca, la indossò avvolgendosela intorno al corpo il più stretta possibile e uscì dal cantiere, avviandosi verso casa. Era in uno stato pietoso.
Percorse a piedi tutta la strada e intanto vide tre pattuglie della polizia dirigersi dove prima di trovava lei. A quanto pare qualcuno, sentendo i rumori e le urla, li aveva chiamati per intervenire.
Arrivò a casa sua dopo un estenuante ora di cammino. Per miracolo i suoi genitori non la sentirono rientrare così si fece una doccia, si disinfettò le ferite per evitare qualche infezione e buttò nei cassonetti dell’immondizia in strada i vestiti che aveva indossato quella sera, ormai ridotti a stracci, e andò a letto. Si addormentò esausta subito dopo, con il pensiero dei demoni a farle  compagnia.
 
Il sole salì nel cielo facendosi strada tra le nuvole ancora cariche di neve che inondavano il paesaggio di luce fioca e grigia. Il signore e la signora Goodchild erano usciti di casa come ogni domenica pomeriggio e fuori si sentiva il cane dei vicini abbaiare a un pettirosso appollaiato su un ramo del salice piangente del giardino.
Fu a quel punto che Evangeline, dopo quindici ore di tremendo sonno abitato da mostri che le strappavano la carne di dosso e dalle urla che nascevano dalla sua anima che la spaccavano dall’interno, aprì gli occhi.
         Le pareti e i mobili della camera da letto acquisirono forma e si misero a fuoco e l’oscurità fu spazzata via dalla luce che filtrava dalla finestra: la notte era passata. Evangeline divenne cosciente del suo stato fisico  man mano che ricordava i terribili momenti passati durante la notte. Ogni centimetro del suo corpo le doleva, la pelle rivelava bruciature qua e là, abrasioni e sfregi, i muscoli ancora tesi sembravano fossero strappati nelle gambe stanche e il dolore alle ossa per tutti i colpi subiti pulsava come le faceva il sangue nelle vene. Con grande forza di volontà, la ragazza uscì fuori dalle coperte, si avvolse il lenzuolo intorno al corpo nudo e andò in bagno mente alcune ferite di riaprivano macchiando il tessuto di sangue.
         Si imbottì di antidolorifici, disinfettò le ferite brucianti e le avvolse nelle bende alla bell’e meglio. In cucina tracannò affamata il latte dal cartone aperto nel frigo poi tornò a letto e si riaddormentò.

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Capitolo 8
*** CAP VII: Anima d'argento ***


Capitolo VII
Anima d’argento
 

         La spada fendeva l’aria da destra verso sinistra, affondava e colpiva con forza, le mani ben salde sull’impugnatura e i muscoli tesi. Declan si allenava da ore contro nemici immaginari nell’aria o nei tronchi degli alberi che lo circondavano. Stava spuntando il sole e presto sarebbe comparso nel cerchio vuoto sopra di lui che delimitava la radura in cui andava ogni giorno nell’ultimo anno.
         Indossava jeans e una semplice maglietta nera a maniche corte eppure non aveva freddo perché riscaldato dall’energia che gli scorreva dentro, nell’anima. Lasciava che quell’energia non umana scorresse dalle sue mani verso la spada e che si fondesse con essa tanto da poterla sentire vibrare ed emettere un suono cristallino. Tagliò l’aria che prese fuoco in un vampa d’argento che si dissolse pian piano.
         Il ragazzo crollò a terra ansimando. Con quell’ultimo colpo aveva raggiunto il suo limite: solo ora cominciava il vero allenamento. Sollevò di nuovo la spada che sembrava più pesante e si tirò su con le gambe che bruciavano. Continuò a combattere da solo e ad ogni movimento i muscoli si lamentavano, in fiamme, mentre vi si accumulava acido lattico che gli procurava dolorosi crampi. Alla fine, del tutto esausto, la spada gli cadde di mano e si smaterializzò da sola lasciando una scia argentata: non poteva continuare oltre quel punto. Declan, dopo essersi un minimo ripreso, infilò la giacca e se ne tornò in auto al suo appartamento in centro dove fece una doccia e si preparò per una giornata di scuola.
Era lunedì ed era un giorno speciale. Quel giorno avrebbe finalmente incontrato e parlato con la ragazza dagli occhi di ghiaccio: ci aveva pensato su negli ultimi giorni ed era arrivato alla conclusione che, non essendo troppo pericolosa, o così pareva, non ci sarebbe stato niente di male nel conoscere meglio il nemico per cui tanto duramente si era preparato. L’avrebbe messa in guardia, le avrebbe mostrato cosa era in grado di fare, l’avrebbe sfidata e vinta, in modo che sapesse che l’avrebbe ostacolata duramente nel raggiungere i suoi obbiettivi demoniaci, in ogni modo.
Eppure era accaduto qualcosa due sere prima: mentre lui cercava di addormentarsi nel suo appartamento, sentì scoppiare nell’etere un’ondata di energia che lo fece alzare di colpo, mostruosamente potente e oscura, che non aveva saputo riconoscere. Stava accadendo qualcosa a pochi chilometri da lì; uno scontro, magari, o peggio, l’apertura di un varco e la nascita di un demone. E un umano era morto di morte violenta tanto che la sua anima era stata strappata via e dannata nel momento stesso in cui aveva lasciato il corpo. Per questo motivo non c’era più tempo per aspettare: era giunto il momento di combattere la guerra predettagli dagli angeli l’anno prima nei sogni.
         Ora Declan camminava per i corridoi del liceo prima dell’inizio delle lezioni, aspettando di sentire da qualche parte l’aura ramata di quella ragazza per poterle andare a parlare. Era da diverse settimana che la teneva d’occhio a vista ma non ci sapeva fare molto con il captare le anime a distanza: aveva bisogno di toccarla, o anche solo sfiorarla, e solo allora le sarebbe rimasta impressa tanto da poterla sentire a distanze maggiori e riconoscerla tra tante altre. Quando le aveva sfiorato il braccio aveva percepito quell’energia entrargli sotto al pelle e scorrergli dalla mano su per le ossa, fino al cuore, e lo scaldò. Doveva ammettere che non si aspettava una sensazione così piacevole: gli solleticò la pelle e gli procurò un brivido che si trasmise lungo tutta la spina dorsale. Se la aspettava fredda e dolorosa, tutt’altro rispetto alla realtà: è normale, per un demone, avere un’aura così calda?
         Ripensò a quella sensazione e vagò mentalmente nei corridoi setacciando una ad una le anime di studenti e professori finché non la trovò, due piani più sopra. Si fiondò là salendo le scale due gradini alla volta, sempre più calda, sempre più potente, e la vide.
         La ragazza era appoggiata alla porta di una classe con altre due persone, probabilmente amici, e parlava con loro. Aveva un’aria stanca: le occhiaie incupivano il grigio dei suoi occhi e una mano appoggiata al fianco piegato indicava il ricordo di una ferita infertale di recente; solo chi ha provato sulla propria pelle una ferita grave come quella se ne sarebbe accorto: Declan lo fece. Lui restò li in attesa che lo notasse e non dovette aspettare molto infatti la ragazza, pochi secondi dopo, girò lo sguardo e lo vide.
         Che divertente l’espressione dipinta sul suo volto. Declan tra sé e sé rise: come può un mostro simile andare in giro e intraprendere rapporti sociali con degli umani? Gli farò passare questa voglia, può starne certo.
         Provava un forte disprezzo nei confronti di quel demone nel corpo di un essere umano: doveva ucciderlo ma prima doveva soffrire, tanto da rimpiangere le fiamme dell’Inferno da cui era venuto. Attese pochi istanti e se ne andò sapendo che la ragazza l’avrebbe seguito di nuovo. L’aspettò sul pianerottolo delle scale lontano dai rumori e dalle altre persone e lo raggiunse: era più bassa di lui di almeno una testa, esile e troppo magra, senza muscoli, ma il suo sguardo era duro e lo stava guardando dritto negli occhi, occhi grigi contro occhi verdi.
         Un’ondata di emozioni sue lo travolse ma non si sbilanciò nemmeno quando percepì la rabbia che provava mista a qualcosa come timore. Declan se ne compiacque e sogghignò.
         -Si può sapere chi sei e cosa vuoi da me?- gli urlò lei contro.
         La sua voce era femminile e decisa, non fece vibrare una sola sillaba, ma presto avrebbe chiuso la bocca.
         Lui si mosse fulmineo verso il suo obbiettivo afferrandola per il collo, sbattendola con forza contro il muro e ponendosi a pochi centimetri dal suo volto, quasi naso contro naso, fissandola negli occhi grigi pagliuzzati di bianco argenteo e nero.
         -C’è un bosco fuori città, vicino ai ripetitori della linea telefonica. Ti aspetto lì al tramonto-.
         La lasciò andare e la sentì riprendere fiato mentre si voltava e scendeva le scale lasciandola sola. Le aveva stillato nel cuore un pizzico di timore in più e per questo si sentì soddisfatto.
 
Il sole era quasi sulla linea dell’orizzonte e faceva un gran freddo anche sull’autobus che stava portando Evangeline ai confini della città, insieme ad un gruppo di ragazzi che ascoltavano musica rap e ad una donna che teneva per mano una bimba con un cappellino con le orecchie da gatto. Tutti erano inconsciamente in pericolo: perfino quella bambina bionda non avrebbe, probabilmente, avuto un infanzia serena una volta scatenata la furia dei demoni. E quel ragazzo… il suo gesto, spingerla contro il muro con tanta violenza su una schiena già martoriata, l’aveva spaventata ma dopo, ripensandoci, avrebbe voluto seguirlo e prenderlo a sberle per togliergli quel sorriso dalla faccia.
         E ora stava andando di nuovo da lui. Se era la scelta giusta o sbagliata, Evangeline non ne era sicura, ma di certo era una scelta pericolosa. Impossibile che non lo fosse, niente lo era ormai.
         Con il corpo ancora dolorante scese dall’autobus diretta verso il bosco con il vento contro a strapparle via le briciole di calore che aveva recuperato durante il viaggio, e poi lo vide ai margini degli alberi con il sole del tramonto a dorargli i capelli. Una morsa le compresse lo stomaco quando i loro sguardi si incrociarono. La sensazione trasmessale con quel tocco sul braccio, pochi giorni prima, non aveva niente a che vedere con le emozioni che le aveva fatto provare poche ora prima, su quel pianerottolo.
Non si dissero nulla ne si scambiarono un qualche cenno ma il ragazzo, una volta che lei fu abbastanza vicina, si voltò per introdursi nelle ombre del bosco e lei lo seguì mantenendo una certa distanza. I capelli biondi erano spettinati dal vento; il cappotto lo avvolgeva dalle spalle fino a sotto il sedere, le gambe si muovevano in avanti decise ma sciolte. Curava ogni suo movimento: il comportamento da lui tenuto in corridoio non aveva spiegazione ma la voglia di sapere era così forte che avrebbe corso qualsiasi rischio, anche quello di venire di nuovo aggredita da quel ragazzo di cui nemmeno conosceva il nome, pur di sapere chi fosse.
Il ragazzo prese un sentiero secondario che curvava verso destra  e arrivarono, dopo pochi minuti, in una piccola radura: gli alberi formavano un cerchio verde e marrone entro il quale si vedeva il cielo tinto di rosso e oro del tramonto e rifletteva la sua luce su un leggero strato di neve sulle foglie degli alberi e lungo tutta la superficie della radura, intervallato da un gran numero di impronte di scarpe. Lui arrivò al centro e si voltò a guardarla: -Ti starai chiedendo perché ti ho portata qui-.
-Cavolo che arguzia. Cosa te lo ha fatto pensare?-
-Vedi, io per esempio, so bene chi sei tu mentre tu, di me, non sai proprio niente. Risparmiati il sarcasmo, non sei nella posizione adatta-.
Lei si spazientì: -E allora non perdere tempo e dimmi cosa vuoi da me-
Il ragazzo le si avvicinò sovrastandola con la sua altezza e con la sua… presenza. L’aria sembrava essersi appesantita e la morsa allo stomaco strinse più forte.
Lui allungò una mano: -Sono Declan White. Potrei avere l’onore di conoscere il nome della persona che ho davanti? Solo la parte umana; il resto già lo so-
Evangeline non gli staccò lo sguardo dal viso e gli strinse la mano, che le diede una leggera sensazione di formicolio: -Evangeline Goodchild. Davvero, mi hai chiesto di seguirti in mezzo a un bosco al tramonto solo per fare conoscenza? Ci sono modi più semplici- disse con aria di sfida.
-Non è certo solo questo il motivo. Nome appropriato, comunque- rispose con tutta calma con evidenziato sarcasmo
-Illuminami- gli rispose.
         Lui le afferrò una spalla senza mollare la stretta di mano che cominciava a bruciare: -So bene che dentro questo debole corpicino si nasconde l’anima di un demone, e so anche qual è il suo scopo- si chinò al suo orecchio -non te lo lascerò fare Azrael-. Si scostò lasciandola andare.
         I suoi movimenti erano stati così rapidi che lei non aveva nemmeno avuto il tempo di rendersene conto e allontanarsi.
         -Pensi davvero che me ne importi Declan-ho-la-scia-che-luccica?- gli rise in faccia -ne ho abbastanza di voi demoni: vi ho già detto che non ho intenzione di cedere e che invece combatterò finché ne avrò le capacità e farò ti tutto per impedire che Azrael si risvegli-.
         Gli si avvicinò di nuovo tanto da trovarsi il ragazzo ad un palmo dal naso, con lo stesso atteggiamento usato da lui poche ore prima: -Ora, se non hai altre noiosissime stronzate da raccontarmi me ne vado-
         Aveva intuito del legame del ragazzo con il mondo demoniaco dopo lo scontro con Alastor e per il suo pessimo modo di fare, e la sua antipatia le aveva fatto perdere ogni curiosità di vederlo e starlo a sentire dato che anche lui voleva parlarle di Azrael, argomento di cui si era discusso fin troppo. Fece per andarsene ma lui fu più veloce, come un momento prima, e le afferrò una spalla bloccandola in quella posizione.
         -Davvero credi che io sia un demone? Ahahah divertente, ma non osare mai più paragonarmi a uno di loro-
         Evangeline non sopportava il suo tocco: -Vale anche per te- e gli tirò una sberla, una tanto desiderata sberla sul suo viso beffardo. Ma la sua mano non lo raggiunse mai. Fu intercettata e bloccata dalla sinistra di lui che la trascinò alla propria destra facendola voltare. Nel frattempo con l’altra mano le prese il braccio sinistro e poi li tirò entrambi, con forza controllata.
         La ragazza si ritrovò legata dalle sue stesse braccia come se avesse addosso una camicia di forza e un ginocchio al centro della schiena. Imprecò fra sé e sé. Declan si riportò di nuovo al suo orecchio: -Non hai proprio capito niente. Io non sono un demone, sono l’opposto, un angelo, mandato dal Paradiso per fermarti-.
         Un angelo: davvero? Eppure ha l’aspetto di un umano, un umano molto stronzo va aggiunto. Forse non lo è del tutto ma solo metà e metà, come me.
         Tutto sommato non si meravigliò più di tanto ma in quel momento non desiderò altro che farlo innervosire: dopotutto gli angeli sono famosi per il loro orgoglio.
         -Ah ecco, mi chiedevo proprio se voi lassù sareste mai scesi dai vostri troni per venire qui a sporcarvi le mani. Non avete fatto una bella scelta comunque, a mandare te. Non mi sembri all’altezza del compito; non sai nemmeno riconoscere chi hai davvero di fronte. Perché non dai una sbirciatina più profonda alla mia anima? Ti vergogni, forse? È troppo intimo?-
         Declan le lasciò le braccia e le diede un calcio dove prima premeva il ginocchio ma lei, con i riflessi pronti, riuscì a evitare buona parte della spinta e a non perdere l’equilibrio.
Poi gli si avventò contro.
Prese il ragazzo di sorpresa che non fece in tempo a respingerla e cadde a terra con lei sopra. Evangeline si affrettò a richiamare l’energia che sentiva scorrerle sotto pelle che la pizzicava ormai da diversi minuti e la evocò dalla mano destra. Il pugnale con la guardia alata prese rapidamente forma nel suo pugno e tentò di colpire Declan alla spalla, ma lui riuscì a divincolarsi quel tanto che bastava per schivarla e poi rovesciò le parti. Con un forte strattone la spinse di lato e le bloccò il polso sul terreno, mentre teneva premute le ginocchia contro i suoi fianchi e le cosce.
-Non funzionerà. Sono molto più forte di te-.
Eve se ne rese davvero conto solo ora che non riusciva a muoversi più di mezzo centimetro. L’unica cosa che poteva ancora fare era tirargli una testata, ma si sarebbe fatta male più lei di lui.
         Il sole, nel frattempo, era calato del tutto e i contorni delle cose intorno a loro si fece sottile. Anche i contorni dei loro volti si erano fusi con l’ambiente ma gli occhi di Declan erano più luminosi del normale, come se riuscissero a riflettere appieno anche il minimo raggio di luce. Si usa dire che gli occhi sono lo specchio dell’anima e se così davvero era, Declan rifletteva nei propri occhi un’anima d’argento. Evangeline aveva intuito che ogni demone, e dopo quella sera, ogni angelo, avesse un’anima di un colore ben preciso, con diverse sfumature e riflessi, infatti aveva visto anche quella di Alastor, e si chiese di che colore fosse la sua. Il nastro di energia che legava il suo corpo fisico al pugnale dalla lama ondulata era color rame quindi, probabilmente, doveva essere quello il suo colore. Un bel colore.
         -Dovrei ucciderti, te ne rendi conto?-
         -E allora perché non lo fai? Mi sono abituata alle minacce di morte quindi non farti problemi-
         Declan rise: -Hai proprio un bel caratterino-
         -E tu un caratteraccio. Non ti sopporto-
         -Sentimento reciproco- si tirò su allontanandosi di qualche passo da lei.
Evangeline lo imitò. Ora i due, uno di fronte all’altro, si guardavano sfidandosi con gli occhi, poi lui richiamò la spada. Dal suo pugno chiuso si accese una luce abbagliante che filtrava attraverso le dita, che poi cominciò a spostarsi verso l’incavo tra pollice e indice fino a uscire dalla sua stretta. Il cilindro di luce solida si spense lasciando un’elsa dorata con incisi dei motivi a spirale; un pomolo rotondo con incastonata una gemma trasparente si formò poco sotto il mignolo, e più sopra due ali, anch’esse dorate, si spalancarono verso i lati esterni fino a formare la guardia. Poi nell’aria venne forgiata la lama. Dal centro delle ali della guardia si sviluppò una lama lunga e stretta, più spessa al centro e appiattita ai bordi, che terminava, arrotondandosi, con una semplice punta acuminata. Anch’essa in un primo momento brillò, poi la luce si spense lasciando che il metallo riflettesse soltanto i raggi della luna. Era bellissima, leggera e letale.
La tensione tra i due crebbe a dismisura, tanto che fu difficile per la ragazza tenere le gambe ben salde, senza che cominciassero a tremarle. Richiamò altra energia e anche il secondo pugnale comparve nella sua mano sinistra: lui avrà anche avuto una lama più lunga, ma lei ne aveva una in più.
-Voglio proprio vedere di cosa sei capace. E, per rispondere alla tua domanda, non ho intenzione di ucciderti ora perché so che con un avversario così debole non mi divertirei abbastanza-
Evangeline cercò di trattenersi. Le sue parole non dovevano assolutamente innervosirla o gli sarebbe saltato di nuovo contro, gesto pericoloso a vedere l’arma che impugnava.
-Voglio farti un’altra domanda- fece lei –cosa sei in grado di capire su di me leggendo le mie emozioni? So che puoi farlo-
-Perché dovrebbero interessarmi?-
-Perché forse questo scontro potrebbe essere evitato-
Declan la guardò con un sorriso sghembo: -Ma io voglio divertirmi almeno un po’-. Le corse contro.
Non se lo aspettava eppure, nonostante i suoi movimenti fulminei, riuscì a intercettare la stoccata della spada all’altezza del braccio incastrandola con le guardie di entrambi i pugnali. Incassò il colpo che si trasmise lungo le ossa delle mani fino alle spalle e le sentì subito stanche: non aveva nemmeno la forza di respingere un solo attacco.  Declan era veloce, molto veloce, ma Evangeline era abbastanza sicura di riuscire a tenergli testa con i suoi riflessi, almeno finché lui non avesse cominciato a fare sul serio: era certa che non si stava impegnando più di tanto.
La lama si disincastrò e tentò un’altra stoccata al fianco destro di lei che riuscì ad evitarlo per un soffio facendo un balzo indietro. Un altro colpo partì dal basso verso l’alto e Eve ricambiò cozzandoci contro la lama del pugnale dritto; l’aria vibrò cristallina mentre l’impatto di nuovo le riverberava nelle ossa. Poi fu il suo turno. Attaccò il ragazzo tentando diverse stoccate e affondi da ogni angolazione. Non aveva mai combattuto con delle armi prima della volta contro i demonietti, e contro di loro era stato più facile: erano stupidi e non si preoccupavano di parare i colpi che lei gli infliggeva; questa volta invece, Declan non ne lasciava passare nemmeno uno e dopo diversi minuti ancora non era riuscita a sfiorarlo.
Lei si fermò e si allontanò da lui, madida di sudore e senza fiato, appoggiata sulle ginocchia.
-Sei più debole di quello che credevo. Peccato-
-Devi sempre avere qualcosa da dire tu?-.
Lui invece era ancora fresco. Il suo petto si alzava e si abbassava a ritmo quasi regolare, la sua schiena era dritta e le gambe ben ferme. Non lo avrebbe sconfitto nemmeno se avesse richiamato altra energia, cosa che non voleva in qualsiasi caso fare, non più di quel che aveva già fatto.
-Perché vuoi uccidermi?- gli chiese
-Perché sei un demone-
-Convinto della risposta?-. Evangeline si rimise dritta.
-Certo che sì. Dove vorresti arrivare?-
-E allora io sono sempre più convinta che ciò che ti ho detto prima è vero. Non sei all’altezza del compito che ti è stato assegnato visto che nemmeno riconosci chi hai di fronte, se un amico o un nemico-.
Si mosse in fretta. Nel tempo di un battito cardiaco Declan le era già dietro a puntarle la lama alla gola. Lei trattenne un respiro al contatto della pelle con il metallo, ma poi scoppiò a ridere. La paura e la tensione sembravano scomparsi dal suo cuore, mai si era sentita così viva come in quel momento, anche se a un passo dalla morte.
-Ma quanto siamo orgogliosi- lo schernì -non mi spaventi; tu stesso hai detto che non mi avresti ucciso stasera, quindi tutto questo è inutile-
-Chi ti dice che non potrei cambiare idea?- Sentì il suo fiato caldo sul collo.
-Sei o non sei un angelo? Comportati come tale se tanto ci tieni a quel titolo-.
Lui la lasciò andare. -Maledizione!- esclamò.
-Per la terza volta te lo ripeto. Tu credi che io sia Azrael e che voglia aiutare i demoni ad aprire i varchi che gli permetteranno di salire in Superficie. In effetti è così, dentro di me l’anima di Azrael c’è davvero, ma c’è anche un altro fattore che ne i demoni ne i tuoi angeli hanno tenuto in considerazione-
L’espressione di Declan vacillò per un secondo e la ragazza se ne compiacque.
-Certo che se non ti interessa non starò di certo qui a sprecare il fiato. Si sa come sono fatti gli angeli: obbedienti fino alla morte, e se il tuo compito è quello di uccidermi tanto vale farlo ora, o domani, o in qualsiasi momento tu abbia voglia, ma considera il fatto che poi ti ritroverai a dover combattere da solo contro l’Inferno intero dato che molti varchi sono già aperti-
L’aveva colpito nel punto giusto. Un’espressione di profonda indecisione si sostituì al suo sguardo duro e beffardo che tanto ancora avrebbe voluto prendere a  sberle.
-Se invece mi starai a sentire potresti trovare un’alleata. A te la scelta, sempre che tu sia in grado di prendere da solo una decisione, angioletto-
-Lo sanno tutti che i demoni mentono-
Evangeline si limitò a fare spallucce
-E’ un problema tuo crederci, non mio-
-Non ti interessa vivere? Lasceresti davvero che io ti uccida?-
-Di certo sarebbe un peccato, ma dubito di vivere ancora per molto-.
         Parlava in maniera neutra, senza sentimento, come se della sua vita non le importasse davvero niente. Ovviamente non era così; stava ancora combattendo, con le parole e la voce.
         Il ragazzo aveva terminato le risposte, così dopo diversi secondi passati a pensare, si limitò a chiedere:
         -Quale sarebbe questo fattore che non è stato preso in considerazione?-
         Lei dentro di sé tirò un sospiro di sollievo, lo aveva in pugno ormai.
         -Leggimi l’anima-
         Lui la fissò un instante, immobile, poi si concentrò e se lo sentì contro. Stava trascendendo una parte dell’anima fuori da sé verso quella di lei e quando toccò la sua parte fisica sentirono entrambi quel tocco come un manto caldo che elettrizzò la loro pelle. Poi affondò oltre e ne sentì il riverbero. Era una sensazione indescrivibile e piuttosto fastidiosa; era come se una mano le fosse passata attraverso e stesse andando a tastarle tutti gli organi in cerca di qualcosa, ma questa mano era in grado di toccarne ogni cellula contemporaneamente, ed esercitava un pressione leggera qui, una stretta là. Non riuscì a reprimere un brivido e per un istante tremò.
         Quel genere di lettura andava oltre a quelle esercitate da lei su ignari studenti tra una lezione e un’altra a scuola: lei poteva sfiorare le loro emozioni e sentirsele sulla pelle, ma non avrebbe creduto possibile scavare così nelle profondità di una persona. Ora che lei lo stava subendo, se mai avesse imparato a farlo a sua volta, non ci avrebbe mai provato con nessuno. Era davvero fastidioso e si rese conto che, come aveva detto prima per scherzare, era sul serio un gesto intimo; fin troppo.
         Arrivò al limite della sopportazione. Evangeline contrattaccò automaticamente mandandogli contro una vampa di energia e Declan si affrettò a ritirarsi; lei si sentì dapprima svuotata, poi, come un lento flusso d’acqua che scorre, tutto il suo essere andò a riempire gli spazi vuoti che si erano creati e si riprese.
         Si trovarono entrambi col fiato corto.
         -Mi dispiace ma era davvero fastidioso, non farlo più-.
         Mi dispiace, gli aveva detto? Si pentì di quelle parole, non si meritava nessuna scusa.
         -Sei tu che mi hai detto di farlo-
         -Bè, non pensavo che fosse così tremendo. Forse sei tu a non esserne capace-
         -Ecco che torni a starmi antipatica-
         -Credevo di non avere mai smesso-.
         I due ancora tenevano in mano le proprie armi sebbene la maggior parte della tensione era sparita. Eve lo percepiva ora, sentiva meglio che almeno una punta di ostilità era scomparsa dal suo avversario. Forse aveva trovato ciò che lei voleva che trovasse.
         -Non hai niente da dire su di me, quindi?-
         -Sinceramente non lo so, non ha alcun senso…-
         -Si che ha senso invece!- il tono della sua voce si alzò senza volerlo -Come puoi pensare che io sia davvero un demone? Non ho saputo combattere, ne difendermi, nemmeno quando mi hai messa al muro oggi, gesto che mi ha fatto davvero schifo se devo dirla tutta. E quando sabato sera è apparso Alastor? Oh, non ne parliamo! Ha ucciso un uomo davanti ai miei occhi; mi ha aizzato contro almeno una decina di demoni che ho dovuto uccidere da sola per salvarmi la pelle; sono tornata a casa piangendo per tutta la strada e poi, guardandomi allo specchio, non ho visto altro che un corpo informe pieno di lividi e ferite sanguinanti che mi fanno male ancora oggi!-
Evangeline era come un fiume in piena, impossibile da arginare, e Declan teneva lo sguardo basso, incapace si sopportare i suoi occhi.
-Mi è stata sputata in faccia la verità, una verità che non avrei mai immaginato potesse esistere, nel giro di pochi giorni, cancellando tutto quello che credevo di essere e tutto il futuro che sognavo. Sono davvero un demone secondo te? Magari lo sarò tra un po’ di tempo, ma non ora, ed è proprio qui che volevo arrivare prima. Non è stato tenuto in considerazione il fatto che io sono ancora umana!-
Disse tutto ad un solo fiato e poi sulla radura calò il silenzio.
Declan non riusciva a capire: gli era stato assegnato un compito ben preciso; il suo doveva essere un nemico pericoloso e da fermare a tutti i costi, sentiva il peso di quella responsabilità da allora eppure adesso che il momento era arrivato le cose sembravano sbagliate. Di fronte non aveva il demone che si era immaginato, nemmeno lontanamente simile al nemico per cui si preparava da un anno, ma c’era solo una ragazza caduta nelle mani di un destino che mai avrebbe scelto di propria volontà. Leggendole l’anima aveva percepito anche quella demoniaca ma non era come se la aspettava: invece di essere completamente infusa e miscelata a quella umana era confinata in pochi punti ben precisi, tenuta prigioniera e indebolita. La captò e gli sembrò di vederla con gli occhi: bolle di debole luce ramata immiscibili in quella verdina dell’anima umana, come gocce d’olio nell’acqua, una nel petto, una all’altezza del fianco destro e l’ultima al centro degli occhi, e si spostavano lentamente come se galleggiassero lasciandosi dietro deboli scie come fa una goccia di colorante versata in un bicchiere d’acqua. Un sottile filo ramato nasceva dalla bolla nel petto e le percorreva il braccio sinistro uscendole dal polso e collegandosi al pugnale: Evangeline aveva pieno controllo su Azrael.
La ragazza non riuscì a trattenere le lacrime che presero a scorrerle lentamente sul viso e ritirò i pugnali; lo scontro non sarebbe continuato. Declan si sentì di fare lo stesso e anche la sua spada scomparve lasciando per un istante l’eco della sua luce nell’aria.
Mille dubbi colsero Declan di sorpresa. Cosa dovrei fare ora? Non posso ucciderla, non finché esercita quel controllo. Sarebbe come uccidere un essere umano ma d’altronde prima o poi non sarà più in grado di resistere e a quel punto sarò costretto a farlo, se non sarà già troppo tardi.
Non aveva idea di cosa fare. Inoltre lei si era offerta di collaborare con lui in questa guerra, di schierarsi dalla sua parte, ma non poteva contarci completamente. Se fosse solo un inganno? I demoni mentono sempre e sono bravi a farlo. Ma se avesse detto la verità come potrei lasciarla sola?
Evangeline si obbligò a smettere di piangere e gli rivolse di nuovo la parola, questa volta con un tono di voce privo di rabbia:
-Allora cosa intendi fare, angioletto?-
Lui la guardò negli occhi riuscendo di nuovo a sostenere il suo sguardo -Dimmi, da che parte stai?-
All’istante, senza bisogno di pensarci su, lei rispose: -Dalla vostra, non è ovvio?-
La sua voce era stanca e il suo sguardo spento: -Considererò le tue parole ma per il momento ho bisogno di riflettere-
-D’accordo, sai dove trovarmi quando avrai deciso-
-Certo, quando sarà il momento. Un ultima cosa…- la sua voce tradiva turbamento –…se non ho capito male hai detto che Alastor è salito in Superficie-
La ragazza si asciugò il naso: -Già, portandosi dietro un'altra dozzina di demonietti. E anche un certo Astaroth se non ho capito male, li ho sentiti parlare-
Alla ragazza parve di vedere il viso di lui sbiancare: -Ho capito. Beh, arrivederci-.
Detto questo il ragazzo fece per andarsene ma poi sentì di nuovo la voce di lei:
-Aspetta- per porgergli l’ultima domanda –Come ti chiami? Solo la parte angelica, il resto già lo so- gli disse usando le stesse parole che aveva rivolto a lei prima.
Abbozzando un piccolo e sincero sorriso Declan rispose:
-Lelarihell-
 
-Sto già pensando con la mia famiglia dove passare le prossime vacanze estive!- Disse Hellawe con voce squillante -magari in Italia, è stata un’idea di mia sorella e sembra la più favorita per ora-
         -Fossi in te penserei prima a finire l’anno senza debiti- la riprese Nathan -da quando conosci Dean i tuoi voti sono calati e non erano molto buoni nemmeno prima-
         Hellawe controbatté: -Se fossi io in te, invece, penserei a comportarmi meglio; sei stato sospeso tre giorni il mese scorso e hai rischiato un’espulsione dalla tua squadra e per cosa? Per una stupida partita di calcio-.
         L’Intervallo era appena cominciato e il terzetto era affacciato alla finestra che dava sul giardino ricoperto di nuova neve, deserto a parte un piccolo pettirosso appollaiato sul ramo di un albero. Erano seduti sul calorifero appena al di sotto di essa per scaldarsi un po’. Evangeline non aveva raccontato nulla ai suoi amici: la situazione si era fatta fin troppo pericolosa. Prima o poi avrebbero conosciuto la verità a causa dell’ascesa dei demoni ma intendeva ritardare quel momento il più possibile. E ora era lì a godersi un po’ gli amici che ultimamente aveva trascurato.
         -A proposito, dicci come è andata- Disse Evangeline -e poi voglio sapere anche come è andato l’appuntamento con Dean, Hella!-.
         Nathan aprì la bocca per parlare ma fu battuto sul tempo dall’amica: -E’ stata una serata meravigliosa, Eve; volevo proprio raccontartelo-.
         Il ragazzo sbuffò e Evangeline lo prese in girò soprattutto perché Hellawe non si accorse di niente.
         -Siamo andati a mangiare una pizza in centro, che gentile che è stato! E io che pensavo che gli americani avessero perso la galanteria; nient’affatto, o per lo meno, non lui-
         -Perché, cosa ha fatto?-
         -Si è presentato davanti casa mia con una rosa, mi ha offerto una cioccolata calda, perfetta con il freddo che faceva, e poi mi ha riportata a casa-
         -Beh, rosa a parte, tutto il resto lo trovo piuttosto normale- propose Evangeline, ma l’amica nemmeno la sentì e proseguì il discorso:
         -Mi ha fatto molti complimenti; mi trova carina e anche brava a pallavolo. Gli ho fatto vedere un video del campionato dell’anno scorso, quando siamo arrivati in semifinale-.
         -Ma non sono noiosi tutti quei complimenti?-
         Pensandoci su rispose: -No, affatto, non ha esagerato. Mi ha fatto piacere sentirli- parve arrossire.
         Nathan, dopo essersi assorbito il noioso discorso da ragazze, fece il suo intervento seguito da un sorriso malizioso: -E poi cosa avete fatto? A noi interessa il post-cena-
         -Idiota! Non è successo proprio niente. Siamo andati a casa sua a vedere un film, tutto qui-
         -Certo, un film, e intanto le mani andavano in esplorazione dentro ai jeans. Alla scoperta del tesoro perduto!- scoppiò a ridere seguito a ruota da Evangeline che si piegò in due dalle risate.
         -Ma non vi rispondo nemmeno!- disse Hellawe innervosita e imbarazzata -E ora illuminaci con la tua rissa; voglio sapere quante ne hai prese-
         -Secondo te io le avrei prese? Io le ho date! Eravamo pari tre a tre e il secondo tempo stava per finire. La palla era mia, nessun altro a cui poterla passare, e l’area della porta era libera.- La sua voce si stava alzando -Mi avvicino pronto a tirare e poi… è arrivato lui a rovinare la situazione! Quel coglione di Marvin mi arriva in scivolata sullo stinco, un male cane, e cado perdendo la palla. Porca miseria lo avrei ucciso! Lo ha fatto apposta perché c’ero io lì; quello ce l’ha con me-
         -E quindi hai pensato bene di menarlo, complimenti- rispose Hellawe sarcastica -Povero ego ferito. Sei stato così tanto furbo che ora sei sospeso per un mese dalle partite, senza contare che il tuo coach ti massacrerà agli allenamenti-
         -E allora? Sono problemi miei- rispose malamente il ragazzo
         -Sarebbero solo problemi tuoi se tua madre non ti avesse messo in punizione! Ora non puoi più nemmeno uscire con noi-
         -Non mi interessa, lo rifarei di nuovo-.
         Hellawe non si trattenne più e sbottò furibonda: -Sei proprio un grandissimo idiota Nathan Scarlett! Non esiste appellativo migliore per descriverti: idiota! Te la meriti quella punizione-.
         Nathan si alzò e andò a farsi un giro in corridoio arrabbiato, con un espressione rigida in volto.
         Poco dopo Evangeline parlò: -Sei l’unica che riesce a tenergli testa quando fa così- disse all’amica -perché hai ragione e lui lo sa, anche se non vuole ammetterlo-
         -Gli passerà tra poco- si limitò a risponderle.
         Nel silenzio che si creò Evangeline non poté evitare di ripensare alla sera precedente. Declan era lì, nello stesso edificio, magari ad un solo piano di distanza oppure ad una sola aula. Non aveva voglia di vederlo e né di essere vista e per questo si era trattenuta anche dall’andare in bagno: non intendeva mettere un solo piede fuori dalla porta se c’era anche solo il minimo rischio di incontrarlo; chissà, magari si trovava in quella parte della scuola proprio ora, oppure no; non voleva nemmeno saperlo. Non aveva idea di come considerarlo: il suo caratteraccio insopportabile e i suoi modi di fare sprezzanti rendevano Evangeline titubante eppure il semplice fatto che esistesse la faceva sentire meno sola perché, per quanto fosse diverso da lei, era diverso anche da tutti gli altri; per quanto fossero i due poli opposti della stessa realtà, sentiva di avere in comune più cose con lui che con chiunque altro al mondo. Non esiste luce senza tenebra ma è anche vero il contrario: la sua comparsa poteva davvero cambiare le cose.
         -Va tutto bene, Eve? Ti vedo pensierosa-
         -Tutto bene, Hella, tranquilla. Sono solo stanca-
         -È da parecchio che dici di essere stanca e di non dormire bene; fai ancora quel brutto sogno?-.
         Ovviamente lo faceva ancora spesso, quasi ogni volta, ma ogni tanto riusciva a dormire bene tutta la notte. Sembrava che pian piano stesse scomparendo dal suo subconscio. Era vero, però, che gli incubi ora infestavano anche le sue ore di veglia.
         -Mi capita molto meno ora- disse sorridendo
         -Oh meno male, ne sono contenta. Te lo dicevo io che non dovevi preoccupartene e che sarebbero lentamente passati-
         -Già, avevi ragione-.
         Si creò di nuovo il silenzio: nemmeno Hellawe aveva molta voglia di parlare sapendo che Nathan era arrabbiato. Sapeva di avere ragione, lui si era comportato ingiustamente sia con quel ragazzo sia con lei, eppure nessuno dei due era davvero felice se l’altro non era sereno. Evangeline aveva sempre ammirato questa sorta di empatia reciproca anche se non riusciva a comprenderla fino in fondo; il loro era una legame speciale, quasi fraterno, cresciuto a partire dai primi anni d’infanzia.
         La ragazza si risollevò quando avvertì la coscienza di Nathan di nuovo calma e leggermente imbarazzata: l’avvertì contro la pelle come le era già successo i giorni precedenti. Il ragazzo apparve sulla soglia della porta un istante dopo e si diresse verso le amiche per chiedere scusa e abbracciarle; tutto tornò alla normalità, come se niente fosse successo.
Lo avevo fatto di nuovo: senza volerlo lo aveva sentito arrivare e aveva percepito le sue emozioni. Non si sorprese ma ne fu contenta. In quel  momento non poté fare a meno di chiedersi se avesse sentito anche lui a sua volta una coscienza estranea o se la sua abilità si proiettava in un’unica direzione: avrebbe aggiunto la domanda alla già lunga lista di quesiti da rivolgere a Declan, se mai avesse voluto di nuovo parlarle. Non poteva fare altro che aspettare che il mezzo-angelo prendesse una decisione e fortunatamente nel frattempo l’Inferno le lasciò una manciata di giorni di ferie.

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