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di Keep_Running
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo niente ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


3, 2, 1

Tipiche riprese da film degli anni ’30. Nessuno si sorprese quando vide il mitico conto alla rovescia diventato ormai celebre: Ashton era così, moderno ma amante di quelle piccole cose dei decenni precedenti che tuttavia non passeranno mai di moda.
Poi, sullo schermo, una faccia. Una faccia tanto sorridente da aver strappato una risatina ad ognuno di loro, persino alla diretta interessata. Insomma, era troppo ridicola.
“Salve a tutti, mi chiamo Helena Jessica Waston e ho ventidue anni”
Neanche il tempo di prendere in giro la ragazza per il suo strano accento, che subito un altro viso fece la sua entrata. E lì capirono: sarebbe stato molto più divertente del previsto.
“Mi sento così idiota a parlare con una telecamera… Questo pezzo lo taglio magari. No aspettate, come si tagliano i pezzi? Ignoratemi vi prego”
‘Il solito idiota di un Clifford’, pensarono tutti, senza perdersi una sola sfumatura del rosso scarlatto che si era impossessato del suo viso, con fin troppa prepotenza.
“Buooongiorno ragazzi, il mio nome è Ashton Irwin e sono davvero felice di fare questo video!”
Si sentì un ‘Allegrone del cazzo’ dalla fonte non ben identificata, prima dell’ennesimo taglio.
Un’altra faccia ancora
“Sono Sarah Parker e, cara commissione, che dire? Sono solo una ragazza che vuole cambiare il mondo. Chiedo troppo per caso?”
La ragazza guardò il suo spezzone con una certa fierezza: aveva espresso sé stessa con ogni singola parola di quel video, ed era parecchio soddisfatta. Ma fu il suo compagno di banco a rovinare tutto con un terribile verso di scherno con la voce da teenager sovraeccitata.
Si limitò a sbuffare.
Poi eccolo, un altro ragazzo sorridente. Un ragazzo sorridente che, nonostante fossero passati più di trenta secondi dall’inizio delle riprese, non si azzardava a parlare.
E se all’inizio il suo sorriso era tenero e dolce, con l’andare del tempo stava diventando parecchio inquietante. E il ragazzo che ti consegna il giornale tutti i giorni, diventa lo stalker che ti segue il sabato notte.
E finalmente la sua voce.
“Ah ma quindi è partito?”
E ancora, ancora risate. Mentre il ragazzo finto-asiatico imitava il suo amico dai capelli verdi, sperando disperatamente che qualcuno lo sotterrasse all’istante.
Ma successe di meglio, perché tutti furono attirati nuovamente dalle immagini nello schermo. Erano riprese diverse quelle: non c’era semplicemente un ragazzo che parlava alla telecamera. Si sentivano rumori strani, le riprese erano confuse e le immagini correvano veloci. Poi un “cazzo!” urlato a squarciagola, e già da lì un ragazzo in particolare capì di chi si stava parlando.
Anche gli altri fecero in fretta a riconoscerla, dato che per un momento comparì il suo viso. Era addirittura più incazzato del solito, e guardava l’obbiettivo con un odio non indifferente.
“Stai fermo stupido ammasso di ferraglia”, sibilò ancora, stringendo i denti.
Tuttavia la fortuna non l’accompagnò neanche quella volta, e la ragazza si ritrovò ad osservare il suo terrificante cellulare cadere ancora una volta.
“No, no no no no no! Ah, stupida tecnologia”
“Certo, il vero problema è la tecnologia, vero Blek?”
“Stai zitto”
Ed ecco l’ultimo spezzone, quello che in realtà un po’ tutti aspettavano con ansia.
Il biondo, in tutta la sua bellezza, sorrideva ammiccante allo schermo.
“Luke Hemmings”, disse semplicemente, con una fierezza tale da conquistare chiunque. Davvero chiunque.
“E sì, sono nel cesso dei maschi”
Rovinò tutta l’atmosfera di mistero e malizia che aveva creato, facendo ridere tutti.
E a quel punto, nonostante le proteste del gruppo, il video si fermò.
Il regista, ancora più sorridente del solito, fu il primo ad alzarsi. Si pose al centro, davanti a tutti i suoi compagni di viaggio, davanti ai suoi migliori amici in assoluto, e si godette tutti gli applausi che gli arrivarono con un’intensità davvero emozionante.
“Il resto lo vedrete, ma non adesso ragazzi”
Ed Ashton ci godeva, ci godeva davvero troppo a farsi desiderare così tanto. E tutti in quella stanza ne erano consapevoli.
“Stupida tecnologia!”, urlò il biondo, con un falsetto più imbarazzante per lui che per la ragazza bullizzata.
Un ceffone sul braccio non glielo risparmiò di certo.
Calum Hood li osservò con un sorriso sulle labbra di uno che ne sapeva davvero troppe.
Poi passò agli altri.
Li studiò con lo sguardo uno alla volta, con un’attenzione quasi maniacale.
E si unì alle risate, perché diamine, un gruppo così strano non l’aveva visto nemmeno nelle commedie americane.
Ne andava terribilmente fiero.
Angolo autrice

Allora, davvero ragazze, ho tentato in tutti i modi di cancellare questo capitolo, ma efp non ne vuole proprio, sapere.
Teoricamente, anche se nessuno l'ha capito perchè faccio proprio schifo a scrivere, doveva essere una pseudo-introduzione con uno spezzo del "futuro", ovvero quello che succede dopo il ritorno dal viaggio.
Lo so che non si era capito e che è una roba abbastanza inutile, ma ehi, vi giuro che quando l'ho postato sembrava una cosa carina e divertente.
Beh, non lo era.
Fa molto schifo.
E non è neanche un capitolo.
Quindi vi prego non prendetemi sul serio e guardate quello dopo, che è un capitolo vero - spero.

Detto questo, buona lettura.
Bye


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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


“Tutti vorrebbero viaggiare, tutti vorrebbero vistare posti sconosciuti, e tutti vorrebbero mollare tutto e vivere avventure incredibili! Ma più di tutti, i neolaureati vorrebbero trovare un impiego!
Ebbene, perché non unire le due cose? L’università di Londra vi darà questa possibilità, cari ragazzi.
Avete la possibilità di fare il giro dell’Europa in nove mesi, qualsiasi sia la vostra facoltà, e documentare il tutto con video, diari, foto e quant’altro! Una possibilità incredibile per conoscere le culture che studiate nel loro habitat naturale, un’esperienza che vi formerà come studiosi ma soprattutto come persone.
Come avverrà il trasporto?
A voi la scelta, ma aerei e treni non sono autorizzati!
La condizione?
Mille sterline, per ben nove mesi.
Come guadagnarsi il resto?
Sta a voi inventarlo!
I posti in tutto sono sette. Aspettiamo numerose richieste!
- la Direzione”

“Sembra la pubblicità della lotteria, e c’è la ripetizione della parola ‘possibilità’”
Fu questo il primo commento della bionda più bionda di Londra (e tutta rigorosamente naturale, ci teneva a precisare). Quando lesse l’annuncio, storse il naso. Non poteva davvero credere che la direzione avesse offerto una possibilità del genere, così assurda e assolutamente inutile, mentre lei combatteva da ben otto mesi per trovare lavoro.
Le avevano detto tante volte che, nonostante i voti ottimi, le attività extracurriculari e un bel visino da fare invidia a molti, non avrebbe trovato subito lavoro. Ma avere la realtà spiaccicata davanti agli occhi non le era piaciuto per niente.
La seconda volta che lo lesse, le fece un po’ meno schifo, ma solo un po’.
Non era l’avviso a essere cambiato, ma lei. Perché la disperazione la stava facendo uscire di testa, e lei non lo sopportava proprio.
Lei, così razionale, giusta, attenta ai dettagli, precisa e ordinata in ogni cosa facesse.
“Non resisteresti dieci secondi”, le disse la sua amica Amber, la terza volta che lo lesse.
E forse fu quello a convincerla, più della sua stessa disperazione. Perché quella troietta non ha la più pallida idea di quello che Helena Jessica Parker è capace di fare.
E dopo quattro giorni dalla prima lettura dell’avviso, fece il video di presentazione. Domande facili, a cui lei, da giornalista ben competente, rispose con sicurezza e tenacia.
Aveva il posto prenotato ancor prima di essere messa al mondo.
E quella Amber l’avrebbe vista volare in alto, molto più in alto di lei e di tutti gli altri, fino a diventare una delle stelle del firmamento, una di quelle più luminose.
Quella rossiccia senza cervello era solo una delle numerose amiche che aveva. Certo, definirle amiche era coraggioso, ma non le interessava tanto. Lei non aveva bisogno di essere sostenuta, tanto.
Aveva otto anni la prima volta che se ne rese conto, e una treccia ancora più bionda di allora. Suo padre la guardava quasi severo, mentre lei reggeva il suo coniglio Fluffy in una stretta ferrea.
“E’ arrivato il momento che tu impari a dormire da sola” le disse. E lui era suo padre, e lei gli voleva bene, e tutto quello che faceva suo padre era giusto.
E non toccò mai più Fluffy.
Ne aveva nove, quando disse addio alla sua migliore amica Amy.
“Se ti piace, te lo avrei comprato”
“Se ti fosse piaciuto te lo avrei comprato, Amy”
“Ok, ma preferisci quello rosa di quello rosso?”
“Si dice preferisci quello a questo oppure quello o questo, capito?”
“Basta, non ti sopporto più!”

Amy cambiò pure scuola, a quel punto. Non la vide mai più.
Il top, comunque, lo raggiunse a quindici anni. Indossava un vestito lungo e rosa, con talmente tanto tulle da soffocarla quasi. Ma non le importava, perché mai prima di allora si era sentita una principessa. E come ogni principessa che si rispetti, aveva anche lei il suo principe. Il suo magnifico principe, che l’aveva invitata al ballo dei maturandi proprio una settimana prima, facendola sentire la ragazza più bella del mondo.
Lo stesso principe che dopo quindici minuti, non si era ancora fatto vedere al ballo.
E neanche dopo mezz’ora.
Né tantomeno dopo un’ora.
E lei rimase lì, in mezzo alle altre cozze che erano state abbandonate la sera del ballo.
Ma lei non pianse, anzi.
Con una dignità che non sapeva neanche di avere, si alzò dalla sedia che aveva occupato per tutto quel tempo, e uscì.
Non tornò a casa a bordo della Range Rover, ma a piedi.
Non tornò a casa con un sorriso, ma dannatamente seria.
Non tornò innamorata, ma consapevole.
E da quel giorno, nessuno riuscì a scalfirla, nessuno riuscì ad ostacolare la sua corsa verso la vetta.
Perciò grazie papà, grazie Amy, grazie Hugo.
Perché lei non aveva bisogno di nessuno, ormai.
Se lo diceva ogni mattina, se lo ripeteva durante la giornata, e ci ripensava pure la sera, prima di andare a letto. Eppure, il sorriso di Ashton Irwin la faceva impazzire comunque.
Quello stano ragazzo, che aveva più bandane che mutande, lo strano ragazzo conosciuto da tutti e amato da altrettante persone.
Lo incontrava tutte le mattine al bar, e prendeva ogni giorno una cosa diversa.
Lei invece, sempre il solito cappuccino, sempre il solito cornetto, e persino sempre le stesse conversazioni con la cameriera.
Quella mattina non lo guardò neanche.
Perché non ne aveva bisogno.
E perché, tanto, non lo avrebbe visto per nove mesi.
 
***
 
Se qualcuno l’avesse visto camminare per i corridoi, avrebbe pensato che fosse decisamente uno strano. Quelli che avevano il privilegio di conoscerlo davvero, potevano pure dimostrarlo.
Michael Clifford era tra le personalità più conosciute di tutto il college, e rimaneva tale anche dopo i due mesi che seguirono la sua laurea.
Non era un tipo particolarmente estroverso e voglioso di fare amicizia, ma con i suoi capelli dai colori sgargianti era davvero difficile.
Aveva cominciato a tingersi i capelli alla tenera età di quindici anni, quando sua madre gli aveva detto che non si doveva assolutamente tingere i capelli.
Si era limitato alla frangia, la sua magnifica frangia, ma a lungo andare osava sempre di più, fino a diventare il ragazzo arcobaleno.
In realtà, quando aveva iniziato, non gli piacevano neanche i capelli. Ma quando cominciarono a partire le scommesse sul suo prossimo colore, nel suo gruppo di amici, decise di accontentare la richiesta del popolo. Era nato come un semplice passatempo, per quanto strano ed improbabile, ma era finito col diventare una vera e propria droga.
Quando sua madre l’aveva visto, si era incazzata davvero tanto.
Ma mai quanto il suo cinque in francese.
Gli aveva detto ‘Non rimarrai ancora a poltrire con quella materia! Farai economia avanzata d’ora in avanti’.
Così all’università decise di fare lingue.
E sua madre, alla fine, abbandonò pure l’idea di disconoscerlo come figlio.
Sapeva che avrebbe tirato fuori felicità e soddisfazioni persino in quello.
Ma Michael voleva davvero tanto bene a sua madre. In realtà voleva bene a più persone di quanto gli piacesse ammettere, e di quanto sembrasse agli altri.
Voleva dimostrarglielo, voleva davvero dirglielo. Ogni volta che incrociava i suoi occhi verdi, ogni volta che sentiva il profumo dei suoi capelli biondi, ogni volta che la sua dolce risata gli arrivava alle orecchie.
Ma non ci riusciva mai, perché lui era solo il ragazzo arcobaleno per lei, e probabilmente lo sarebbe sempre stato.
Continuava a fissarla, nello stesso bar che aveva visto le sue sventure per tutti gli anni dell’Università.
Stava chiacchierando con Ashton Irwin, il ragazzo sorridente di Cinematografia che conoscevano praticamente tutti per ragioni ancora sconosciute.
Rideva, sorrideva, era felice.
E nonostante le premesse poco convincenti, anche il ragazzo arcobaleno era felice.
Tutti lo credevano un dark strafattone, ma lui era davvero felice.
Perché avrebbe passato nove mesi con lei in giro per l’Europa.
Non sapeva se fosse stato preso, né tantomeno se fosse stata presa lei, Brianne Freeman.
Ma continuava a fissarla, felice.
“Hai deciso cosa ordinare o vuoi continuare a fissare la Freeman, bulbasaur?”
Holly fece la sua trionfale entrata, con una delle sue solite battute sui suoi capelli. Era una ragazza fastidiosa, insolente, menefreghista e talvolta inopportuna; inoltre nessuno in quel dannato posto aveva ancora capito quale fosse il suo cognome.
Tuttavia le sorrise.
Più verso le sue grandi tette messe in bella mostra, che verso il suo viso.
“Un muffin al cioccolato, grazie”
Sì, il cioccolato l’avrebbe aiutato a rimanere felice per un bel po’ di tempo.
Se lo sentiva.
 
***
 
‘Perché hai deciso di diventare medico?’
Era questa la domanda che gli era stata rivolta più spesso in assoluto, durante tutti gli anni di università. Ancora più spesso di ‘come stai’ e addirittura di ‘mi passi gli appunti?’.
Lui ormai aveva la risposta pronta, pensata notti intere per sembrare più convincente possibile.
‘Perché mi piace poter dare speranze concrete alle persone’, diceva infatti.
Ma a lui non interessava davvero quello.
Calum Hood, per quanto di buon cuore, non aveva scelto di intraprendere la tortuosa strada della medicina per dare speranza.
L’aveva scelta perché gli faceva letteralmente schifo il sangue. Appena ne vedeva un po’, usciva fuori di testa. Vomitava addirittura, delle volte.
Calum Hood era uno di quei fifoni terrorizzati e schifati da qualsiasi cosa fosse presente sulla terra. Se poi si muoveva, anche peggio.
Aveva paura del buio, dei ragni, del sangue, dei Clown (‘It ha distrutto una generazione’, diceva), delle api e insetti in generali, delle cose viscide, delle cose appiccicose, delle tavole da surf, dai lampadari particolarmente grandi, e da tante altre cose.
Ma era uno di quei fifoni simpatici, lui.
Perché nonostante le sue assurde e numerosissime paure, lui cercava di affrontarne il più possibile cercando di liberarsene. Non ce l’aveva ancora fatta, certo, ma almeno ci provava.
E fino ad allora era stato un buon medico.
Almeno sui banchi di scuola, quando ancora di specializzazione non se ne sentiva neanche parlare, andava tutto alla grande.
Sapeva di essere senza speranze, sapeva di avere un coraggio parecchio sotto la media.
Ma era davvero fiero di tutto quello che stava facendo, compresa la sua ultima trovata.
Perché viaggiare lo terrorizzava, non dormire nel suo letto lo terrorizzava, non poter controllare la provenienza di ogni singola molecole che ingurgitava lo terrorizzava, e lo terrorizzavano pure le persone che non poteva capire. E per una persona del genere, un viaggio all’insegna dell’avventura in giro per l’Europa, non poteva che essere una lapide.
Una di quelle lapidi in cui non si riesce a leggere neanche il nome completo del morto, tanto per essere precisi.
Temeva più per i suoi compagni di viaggio in realtà, che per lui.
E lo sguardo gli cadde su Holly, che ancora non aveva portato la sua ordinazione. Holly, che mostrava con una certa fierezza le sue tette ad uno strano tizio dai capelli verdi, che aveva visto qualche volta in giardino ad ascoltare musica durante le lezioni.
Holly, che in quel momento non si era neanche accorta dell’enorme ape che le svolazzava attorno, come se quel piccolo insetto non potesse assolutamente ammazzarla nel giro di tre secondi con il suo fottuto culo.
Panico.
Prese un respiro, molto profondo. Poi un altro. E un altro ancora.
‘Ha più paura lei di te’, si diceva.
‘E’ ad almeno dieci metri dal mio tavolo, non può pungermi’, si convinceva.
‘Se scappo adesso, non farebbe in tempo a chiamare tutta la sua famiglia e complottare per uccidermi’
Così si alzò con nonchalance, diede le spalle alla nemica, e camminò.
Si allontanò, lentamente, fino a raggiungere le porte dell’università che ormai non lo ospitavano neanche più.
Ed era incredibilmente orgoglioso di lui.
Niente poteva fermarlo ormai, tantomeno l’Europa e i cessi pubblici.
 
***
 
A Sarah piaceva guardare gli occhi degli innamorati, a costo di sembrare una pervertita. E, anche se poteva suonare vagamente sadico, niente la faceva impazzire più dell’amore non corrisposto. Era assolutamente convinta che fosse l’amore più vero, l’amore più puro. L’amore di una persona che non si aspetta assolutamente niente dal partner, se non che continui ad esistere, per essere felice.
Ed era esattamente quello che leggeva tutti i giorni negli occhi della giornalista bionda più invidiata dal sesso femminile, una certa Helena qualcosa. Sarah le invidiava le belle forme, il fisico perfetto, gli occhi così limpidi, e davvero non riusciva a capire come il famoso regista Ashton Irwin non l’avesse ancora notata.
Lo guardò con un certo fastidio, come a rimproverarlo per una colpa che non ha neanche, e proprio in quel momento incrociò il suo sguardo.
Non lo abbassò comunque.
Era timida, carina, non le piaceva essere al centro dell’attenzione, e arrossiva ogni due secondi in media.
Ma non abbassò lo sguardo comunque. Perché quello sguardo, lui, se lo meritava eccome.
Fu lui a distoglierlo, infatti, piuttosto confuso.
Sbuffò, la ragazza, perché nessuno sembrava capire niente in quel posto.
Le piacevano tanto le persone, le piaceva vedere le differenze tra l’italiana violoncellista del Conservatorio, e l’ipotetico asiatico aspirante medico. E gli austriaci, invece, come si comportavano? E gli spagnoli? Un americano avrebbe avuto comportamenti diversi dai suoi.
Non era una fan delle etichette, né dei pregiudizi, ma le piaceva così tanto catalogare le personalità dei vari paesi. La divertiva, lo trovava interessante, perché mentre l’italiana chiamava casa davvero molto spesso, sempre con il suo accento strano, l’asiatico si limitava a messaggiare.
E messaggiava spesso, lui.
Lei invece, da inglesina pura quale era, si limitava a parlare al telefono il minimo indispensabile, ma senza sprecare un solo secondo della chiamata. Parlava a voce bassa e non attirava l’attenzione.
Come la maggior parte degli inglesi, d’altronde.
E ancora, cosa avrebbe fatto un austriaco? Avrebbe massaggiato anche lui o avrebbe preferito telefonare? E l’americano, invece?
Rifletteva, rifletteva davvero tanto, ma non riusciva mai ad arrivare ad una soluzione.
Aveva studiato i comportamenti dell’uomo, le sue origini, cosa cercava di fare e quali erano i suoi obiettivi, ma non riusciva comunque a rispondere a quelle semplici domande.
Ogni giorno che passava era sempre più sicura della sua scelta: quel viaggio in Europa avrebbe fatto al caso suo.
Con il sorriso che da sempre la caratterizzava, cercò di attirare lo sguardo di Holly.
In realtà, per quanto le costasse ammetterlo, non le stava tanto simpatica.
Innanzitutto, aveva notato che non era una grande fan del riciclaggio. E per Sarah, il riciclaggio è vita.
Inoltre, usava vestire il suo Chiwawa George.
‘Come fa a non capire che soffre con quella robaccia?’, pensava ogni volta che li vedeva. E inconsapevolmente, sperava che un giorno avrebbe avuto il coraggio per dirglielo in faccia.
Allora si limitava a lanciare occhiate eloquenti al cane, sperando che almeno lui capisse che qualcuno al mondo fosse pronto a combattere le sue battaglie.
Il cane la guardava sempre confuso.
Confuso quasi quanto Ashton Irwin, che Sarah continuava a guardare.
‘Quando partirò diventerò più coraggiosa, lo so’
Sorrise ancora, lasciando perdere sia Holly che Ashton Irwin.
Era felice.
 
***
 
Ashton Irwin, nonostante la sua popolarità indiscutibile, non aveva poi tanti amici. Ma gli andava bene comunque, perché nonostante le aspettative di ogni commedia rosa, era felice. Sapeva quello che alcuni pensavano di lui: il ragazzo che si comportava in modo falso davanti a tutti, perché una persona non può essere davvero sempre così sorridente. E questo lo rattristiva un po’, in effetti. Lui era davvero una persona felice.
Gli piaceva ridere, gli piaceva sorridere anche agli sconosciuti, e non aveva paura di mostrare questo suo lato al mondo.
Ma non tutti lo capivano.
Forse anche la rossa che in quel momento lo guardava male, pensava che fosse una maschera.
Ma non ci poteva fare niente: gli piaceva passare il tempo con Brianne, la sua cara cugina, ogni tanto.
“L’hai già inviato il video di presentazione per il concorso?”
La ragazza non stava più nella pelle, e ciò era palese pure ad Ashton che vedeva Brianne davvero troppo poco.
“Certo, mi hai costretto tu psicopatica” e si guadagnò uno scappellotto più che meritato.
Quello che non aveva confessato alla cugina, però, era che lui avrebbe sicuramente fatto l’iscrizione anche senza tutte le sue pressioni. Perché solo l’idea di poter vedere tutti quegli incredibili paesaggi, di conoscere tutte quelle culture di cui aveva solo letto piccole curiosità su wikipedia, la sola idea di poter viaggiare, lo elettrizzava più di ogni altra cosa. Aveva anche l’impressione che avrebbe fatto lo scatto perfetto durante quel viaggio, il nirvana dei fotografi. E sì, lui era anche un fotografo ben dotato, come lo definiva il suo maestro con orgoglio.
La sua passione per la cinematografia e la fotografia era nata quando aveva solo cinque anni, e con suo padre era andato per la prima volta al cinema.
Aveva guardato ‘Il grande Dittatore’, il celebre classico di Charlie Chaplin. Forse poco adatto ad un bambino di soli cinque anni, ma anche lui rise di gusto con tutta la sala. Forse contagiato dalle risate degli altri, o forse perché aveva finalmente capito cosa fare nel suo futuro.
Anche lui voleva creare quei capolavori, anche lui voleva far emozionare tante persone e farle ridere contemporaneamente. Persone diverse fra loro, persone che probabilmente se si conoscessero si odierebbero. Ma persone unite da un film, persone unite da una risata.
Ed era tutto perfetto, in quell’inquadratura, in quel preciso punto. Probabilmente oltre i limiti della telecamera c’era un paesaggio sbagliato, un vaso fuori posto, o semplicemente il buio. Ma non importava niente, perché quell’inquadratura era perfetta, indipendentemente da quello che la circondava.
Ogni singola inquadratura era speciale.
Ed Ashton voleva essere l’artefice di un capolavoro.
E cavolo, quante inquadrature perfette avrebbe trovato nel suo viaggio in Europa.
Quello che non si aspettava di certo, era la presenza di persone, in quelle inquadrature così perfette.
 
***
 
“Secondo me è una bufala”
George Harrison, sessantatrè anni di pigrizia e grasso in eccesso, guardava la sua compagna di noia con una certo interesse. Conosceva Blekking Williams da quando aveva messo piede nel conservatorio di Londra per la prima volta, e da allora non era cambiata molto.
Le erano cresciute le tette, forse, ma rimaneva la strana ragazza italiana di sempre.
“Ma tu non eri morto di cancro?”
Le rispose, con una velata acidità. Se c’era una cosa che non sopportava era assolutamente essere distratta mentre leggeva. Soprattutto mentre leggeva una cosa così importante.
Lui comunque, non se la prese. Era già abbastanza fortunato da poter evitare di lavorare tutto il giorno senza mai essere beccato, sicuramente non aveva la presunzione di poter pretendere una compagna di giochi simpaticona.
E poi Blekking  gli piaceva.
“Quando comincerai a cambiare battute avvisami, eh”
“Sappiamo entrambi che non accadrà mai, amico”
Blek rivolse un sorriso a George, un sorriso davvero sincero. Era in assoluto il bidello più pigro che avesse mai conosciuto nella sua relativamente lunga carriera scolastica: passava tutto il tempo a chiacchierare con tutte le persone che gli capitavano a tiro, e non l’aveva mai visto pulire qualcosa. Qualsiasi cosa. Neanche i suoi occhiali alla Harry Potter, che erano sempre dannatamente sporchi.
Ma gli voleva bene.
Perché quando mangiava le patatine in biblioteca, come in quel momento, i suoi tentativi di non farsi beccare da Francis la bibliotecaria erano davvero divertenti.
A distoglierla dai suoi pensieri fu uno starnuto, proveniente proprio dal ragazzo seduto di fronte a lei, ma in un tavolo diverso. Francis si sprecò pure di lanciargli un’occhiataccia, ma lui non ci fece assolutamente caso, continuando a leggere un libro dalla copertina blu.
Erano mesi che vedeva quel biondino, ormai. Andava in giro per il Conservatorio con tranquillità, come se quello fosse davvero il suo posto.
Ma lei sapeva benissimo che lui non era un musicista, o un direttore d’orchestra, e un cantante o qualsiasi altra cosa lì dentro.
Non lo era e basta.
Perché tra concorsi, saggi, orchestra, materie complementari e amici di amici, tutti conoscevano tutti lì dentro.
E lui non era nessuno.
All’inizio le dava pure fastidio la presenza di un intruso in un posto così sacro a lei.
Le dava fastidio quasi quanto la strana rossa che la fissava ogni volta che parlava con sua nonna al telefono.
Ma poi ci fece l’abitudine, e delle volte si sentiva pure confusa quando non lo trovava in biblioteca.
La maggior parte delle volte era semplicemente in bagno.
“Vorresti davvero passare nove mesi in giro per l’Europa all’avventure?”
La distolse il vecchio nuovamente, ma quella volta non gli diede fastidio.
“Non lo so”, si limitò a rispondere.
E non lo sapeva davvero. Perché partire avrebbe comportato conoscere nuove persone. E lei non era affatto brava a conoscere nuove persone. E ciò avrebbe portato all’ennesima spiegazione del suo nome, perché Blekking in realtà non era neanche un nome.
‘Significa illusione in islandese’, avrebbe detto. E non avrebbe aggiunto altro.
Come avrebbe potuto spiegarlo in altro modo? La generazione passata riteneva che i figli vivessero i decenni d’oro: nessuna crisi importante, nessuna guerra nei loro territori, nessuna rivoluzione violenta. Ma quello che non capivano erano le vere conseguenze d tutto quello. Chi doveva subire l’esuberanza di una madre diventata tale proprio quando la febbre del movimento hippy si riaccendeva nel suo animo? Proprio lei, rappresentante della generazione agiata.
E intanto il nome di merda se lo teneva per tutta la vita.
Di certo, questo piccolo particolare non l’aveva aiutata a fare amicizia. Non doveva solo pensare a non essere considerata strana solo per nome, no, doveva anche stare attenta ai suoi atteggiamenti.
Perché lei davvero non capiva come dovesse reagire con il resto dei suoi coetanei.
Era sempre stata una lotta per la sopravvivenza, la sua.
Aveva sette anni quando capì che qualcosa non andava. Perché la sua amica Meredith le stava piangendo davanti agli occhi e davvero non riusciva a capire come la sua bella bambola, a cui erano stati tagliati i capelli, potesse centrare con tutto quello.
E la storia continuò anche nell’adolescenza, con l’amore, le delusioni e le incertezze. Tutte delle sue amiche chiaramente, perché lei non capiva davvero niente.
A quindici anni, Danielle aveva cominciato a vomitare per dimagrire. Così lei, per tirarle su il morale, le offrì un muffin al cioccolato. Dopo che Danielle smise di rivolgerle la parola, si accontentò dell’amicizia di Joy.
Tuttavia, quando lei fu lasciata dal ragazzo e Blek le sorrise per evitare di fare l’ennesima cazzata, perse anche lei.
E a ventun anni, nonostante i numerosi tentativi, quando qualcuno cercava di aprirsi con lei la ragazza continuava a scappare evitando ogni confronto emotivo col mondo.
Ed effettivamente l’Europa non era un’idea così cattiva come pensava.
Forse avrebbe recuperato l’amicizia con Meredith, dopo quel viaggio.
 
***
 
Quella mattina, sul tavolo della biblioteca, trovò un avviso particolarmente interessante. Un avvenimento che incuriosì non poco Luke Hemmings, che sicuramente non si aspettava qualcosa che potesse interessare proprio lui in un luogo del genere.
Già, perché Luke Hemmings e Conservatorio, non potevano stare nella stessa frase senza fare a botte tra loro.
Eppure, gli piaceva davvero più del dovuto stare lì.
Sarà stato il profumo, o le persone che si salutavano continuamente, o forse lo strano bidello nullafacente che ogni tanto  gli rivolgeva un sorriso. Più probabilmente erano i piccoli pezzi di sonate e scale musicali che si sentivano ad ogni ora e ovunque, da parte di ogni strumento possibile e immaginabile. A quell’ora, le undici di mattina, puntuale come sempre, il trombettista cominciò una scala armonica. Luke gli aveva pure dato un nome, era in assoluto il suo musicista preferito: era Kevin. Preciso e puntuale, non lo aveva mai sentito stonare o steccare. Gli stava davvero simpatico.
E sì, forse andava al Conservatorio anche per la strana ragazza che gironzolava per la sua casa con un outfit davvero poco conservatorio, con più magliette di band punk che altro.
Si era laureata in musicologia una settimana prima, lo sapeva perché la nonna (ambiguo personaggio, oltretutto), le aveva fatto visita.
E il giorno dopo, già era tornata a suonare e leggere, come se la sua avventura non fosse affatto finita.
Strana ragazza.
E anche strana famiglia straniera.
Anche lui aveva lasciato la sua famiglia, e sì, anche lui ogni tanto ne sentiva la mancanza. Tuttavia, non si era mai pentito della sua scelta: l’australia gli stava davvero troppo piccola.
Gli piacevano le spiagge, gli piacevano i canguri e pure il caldo asfissiante, ma cosa c’era oltre a quello?
Lui aveva  voglia di sentire anche il freddo, di passare un natale con la neve come nei film della sua infanzia. Aveva voglia vedere alte vette, aveva voglia di mangiare cibi strani e magari anche disgustosi.
E Londra sembrava davvero un’ottima scelta.
Aveva anche la possibilità di studiare in una delle più importanti accademie d’arte del Regno Unito, e dare piena libertà a tutto quello che gli passava per la testa.
Quando aveva espresso questo desiderio, suo zio David gli aveva riso in faccia.
La nonna Kaile le aveva fatto notare che ‘I veri uomini zappano’, mentre sua madre Liz si era limitata ad un ‘Lo sai che ci saremo sempre per te comunque’. Suo padre era stato il migliore, comunque. Aveva alzato lo sguardo dal giornale, l’aveva guardato di striscio, e poi ‘Basta che ti porti dietro quell’ammasso di peli che osi chiamare cane’.
Così, aveva portato tutta la sua vita a Londra. Lasciando a Sidney solo la sua famiglia e, ovviamente, il suo cane Molly.
Londra gli piaceva, aveva passato anni fantastici nell’accademia fino a laurearsi, e Kevin era davvero un ottimo trombettista.
Ma anche Londra cominciava ad andargli stretta.
L’Europa, l’Europa sembrava essere un’alternativa incredibile.
E Dio solo sapeva tutta l’ispirazione che avrebbe potuto ricavare da un’avventura simile.
Non lo spaventava l’imprevedibilità, non lo spaventava dover mollare tutto.
L’unica cosa che lo terrorizzava era la monotonia, e l’Europa sembrava davvero perfetta sotto ogni punto di vista.
Si chiese se Kevin sarebbe migliorato molto nella sua assenza (così sperava).
Si chiese se la nonna della ragazza strana sarebbe venuta di nuovo a movimentare un po’ il Conservatorio, nonché covo di spocchiosa gente con la puzza sotto il naso, come aveva sempre creduto.
Si chiese se la sua ex ragazza Aleisha si sarebbe rifidanzata, ma non volle comunque darsi una risposta.
Conservò quel foglio, con una certa gelosia.
Gli sarebbe piaciuta l’Europa.
E forse, alla fine di tutto ciò, si sarebbe ripreso Molly.
Forse.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Era passato un giorno dalla fine del concorso, e ogni partecipante continuava la propria vita facendo finta di niente. Così fece anche Helena Waston: quella mattina si vestì in modo impeccabile come sempre, si fece una coda alta fissandola con un elastico nero, ed uscì di casa a testa alta. Il secondo giorno, per Ashton, fu simile al primo. Non era un tipo particolarmente ansioso, e per quanto fosse curioso di conoscere l’esito del provino, il suo sorriso rimaneva sempre lo stesso. Anche se la rossa lo fulminò con lo sguardo anche quella volta.
Il terzo giorno, invece, fu un po’ più diverso. O almeno per Calum Hood: più si guardava attorno, più non riusciva a capire perché nessuno avesse così tanta ansia come lui. Non si parlava di esami, né di prove e neanche di colloqui. Si parlava di viaggiare con sconosciuti, si parlava di mangiare cibo straniero, si parlava di andare in giro per l’Europa senza una casa stabile e sicura in caso di qualche attacco terroristico, o di qualsiasi altro genere.
Quello che Calum non sapeva, ea che in realtà, qualcuno ansioso almeno quanto, c’era eccome. E dopo quattro giorni dalla chiusura delle iscrizioni, Sarah, aveva i capelli rossi un po’ più sbiaditi del solito. Appena l’aveva notato, passando davanti alla vetrina del bar più frequentato del college, per poco non era scoppiata a piangere.
Una reazione un po’ esagerata, secondo il modesto parere di Blekking, che tuttavia si era resa conto del tempo passato solo durante le prove dell’orchestra danese che il Conservatorio di Londra avrebbe ospitato quei due giorni. E cavolo, erano passati già cinque giorni. Cominciava ad avere un po’ d’ansia. Ma solo un po’.
Il sesto giorno, e fanculo la media che andava sempre contro di lui, Michael era davvero tranquillo e rilassato. Aveva preso un caffè, aveva guardato le tette di Holly, e si era goduto un po’ di ombra sotto una delle tante querce del campus. Il tutto lasciando perdere il resto dei suoi coetanei che in quel periodo stavano uscendo letteralmente fuori di testa. Un esempio? Quella mattina una rossa davvero strana per poco non gli rovesciava addosso il caffè bollente che Holly le aveva appena portato. ‘Certa gente è proprio strana’, pensava, mentre già si immaginava la sua nuova tinta.
Già, certa gente.
Ma alla fine, tutto quel trambusto, finì. Esattamente il settimo giorno.
Tutti i partecipanti ricevettero una lettera, e per qualche strana ragione, Luke aveva voluto a tutti i costi aprirla nella biblioteca del Conservatorio. La ragazza italiana quella volta non c’era; in compenso, fedele come sempre, Kevin l’aveva accompagnato inconsapevolmente persino in quell’avventura.
E lesse lentamente, cercando di captare al meglio ogni singola parola.
“Egregio Sign. Hemmings,
la contattiamo per informarla che sarà uno dei fortunati sette che parteciperanno al viaggio in Europa. Un incontro informativo dettagliato avverrà il diciassette Giugno del mese corrente.
La aspettiamo con ansia.
I nostri complimenti,
la Direzione”

E sì, era felice. Era soddisfatto, fiero di sé stesso, e il suo ego stava raggiungendo le stelle (come faceva fin troppo spesso), ma non fece a meno di guardare la lettera stranito.
Perché no, non si aspettava di essere informato di ogni singolo dettaglio subito (troppi spoiler), ma qualcosina in più gli avrebbe fatto piacere.
E lì arrivò il primo vero dubbio: ‘Ma almeno loro, sanno che diavolo stanno organizzando?’.
Non ci pensò più di tanto però, alla fine.
Perché quel giorno era il sedici giugno.
Cominciava a dubitare seriamente dell’organizzazione inglese.

                                                                                             ***

Helena


Entusiasmo e parte – era certa che l’avrebbero presa – la prima cosa che fece il giorno del giudizio (soprannominato così con forse fin troppa esagerazione) fu mettersi un tailleur. In realtà voleva indossare il suo preferito, ma l’aveva già messo per il video di presentazione e non voleva assolutamente ripetersi.
Ne mise uno nero, abbinato ad una magliettina Armani verde acqua, ed uscì di casa facendo grandi respiri ad ogni passo. Sperò che nessuno la beccasse in quello stato: aveva una reputazione da difendere, lei, e certo non si poteva far vedere così ansiosa agli occhi dei suoi nemici (che non erano altri se non il mondo, alla fin fine).
Quando però arrivò davanti alla porta dell’ufficio del Direttore, una signora bassina e con degli occhiali fluorescenti davvero inguardabili, la fermò.
“Il Direttore è occupato adesso, si può accomodare insieme agli altri dietro di lei”
Si girò di scatto, curiosa di vedere chi l’avrebbe accompagnata in quel viaggio, quelli che probabilmente le avrebbero potuto portare via il lavoro. Solo altri nemici, insomma.
Ma quando vide di chi si trattava, per poco non le venne un infarto: erano solo un branco di incapaci idioti. Guardò con disgusto i capelli verdi del primo, poi i pantaloni strappati del secondo, la maglietta di qualche strano gruppo musicale totalmente inadatta al contesto della terza, e infine lo sguardo smarrito del quarto.
Dei falliti, insomma.
Ed ecco il secondo dubbio insinuarsi nelle menti dei ragazzi: e se in realtà stessero raccogliendo i rifiuti della società per cacciarli mandandoli in giro per l’Europa ad elemosinare fette di pane?
‘No’, si disse una prima volta: lei era una studentessa modello, impeccabile in tutto e amata da ogni singolo professore. Non era sicuramente come quelli.
‘No’,
si ripetè: perché era appena entrato Ashton Irwin dalla porta d’ingresso, e lui non era sicuramente un rifiuto umano.
Aveva il sorriso anche in quelle circostanze, e persino una bandana.
“Ehi ragazzi!”, salutò felice. Incredibilmente, sembrava piuttosto soddisfatto dei suoi compagni di viaggio. Compagni che, per altro, non si stavano cagando a vicenda neanche più di tanto. Ma ehi, era arrivato niente di meno che Ashton irwin a dare brio alla comitiva.
“Ciao”, disse il biondo. Fu l’unico a parlare: l’unica ragazza fece un cenno con la mano, il tinto non sembrò neanche sentirlo, e il timorato di Dio era troppo occupato a non avere un attacco di panico ancor prima di partire.
Helena sbuffò, preferendo ignorare completamente l’esistenza del ragazzo.
Non era possibile che la seguisse ovunque.
“Buongiorno!”
Per lo meno, l’entusiasmo di Ashton non era stato lasciato solo soletto: era arrivata un’allegra rossa a smuovere le acque insieme al riccio.
Quella volta tutti i ragazzi risposero al richiamo: il richiamo della figa.
Helena, avendo ormai notato che probabilmente fosse l’unica sua possibile alleata femminile (l’altra sembrava davvero troppo strana), imitò il sorriso della rossa con una falsità tanto velata quanto potente.
“Piacere di conoscerti, sono Helena”, disse.
E la rossa sembrava parecchio soddisfatta della sua presentazione, tanto da allargare ulteriormente il suo già enorme sorriso.
“Io sono Sarah, e sono così felice di essere qui con tutti voi”
‘Perfetto, pure la sovraeccitata mi becco adesso’, pensò.
Si guardò intorno: un tossico dai capelli verdi, un biondo fin troppo sicuro di sé pur essendo fastidiosamente anonimo, una ragazzina fuori dal mondo, un asiatico terrorizzato dalla sua stessa ombra, e Ashton Irwin, che già sembrava adorare la nuova arrivata.
Grandioso.
“Ragazzi, potete entrare”, li riscosse la stessa vecchietta di poco prima.
Lei annuì, entrando per prima. Non volva essere testimone delle inutili chiacchierate di Romeo e Giulietta su quanto fosse bella la vita.
 
“Bene”
Non li salutò, né fece loro i complimenti. Non li lodò, non li insultò e non offrì loro nemmeno una caramella dalla sua scorta messa in bella vista sulla sua scrivania.
Non fece niente di tutto questo, ma in compenso sorrise.
Non che fosse chissà quale spettacolo con quei terribili denti storti, ma faceva dimenticare ai ragazzi di essere davanti a quello che, molto probabilmente, era all’apice della piramide sociale universitaria.
Il preside Johnson quella mattina indossava una cravatta verde pisello con una fantasia floreale sul bordo, la sua preferita. Ci voleva un capolavoro della moda per quelle situazioni, no?
‘Dove diavolo sono capitata’, pensò la ragazza.
“Beh?”
Il biondino, di cui neanche sapeva il nome, rovinò la suspance che il vecchio si era tanto impegnato a creare. Per poco non lo cacciò dalla stanza.
“Allora signorino…”
“Hemmings. Signor  Hemmings”
“Non tirartela tanto, Luke”, lo beffò il ragazzo dai capelli ricci.
Helena sorrise: quel ragazzo si rivelava meglio delle aspettative.
“Ne riparliamo quando ti sarai tolto quel telo da mare dalla fronte, che ne dici?”
“Non so, posso parlare adesso?”
Le manie di grandezza del Direttore erano note a tutti: l’Università di Londra era composta da tutte le facoltà possibili e immaginabili, compresa l’Accademia d’Arte e il Conservatorio, non negava ci volessero le palle per gestire tutto quello. Ma che quella persona col potere assoluto fosse davvero lo strano omino grasso senza il minimo senso della moda seduto di fronte a lei, non se lo aspettava proprio
“Come ben sapete, siete qui per essere stati i fortunati prescelti nel concorso più partecipato di tutti i tempi. Quindi forse dei complimenti ve li meritate pure. Ma non ve li farò”
La ragazza perse il sorriso che le prime parole le avevano provocato.
Era tanto scioccata da ignorare persino il biondo che cercava di fissarle le tette il più possibile.
“Come, scusi?”, si lasciò sfuggire. Si era resa conto si sembrare un po’ spocchiosa (ma sì, limitiamoci a ‘spocchiosa’), ma proprio non riusciva a capire quell’uomo.
“Signorina Parker, mi sembra una ragazza molto sicura di sé”
“Lo sono”, rispose subito.
“Ebbene – cominciò – pensa che la sua disciplina, il giornalismo, sia più importante della disciplina del signor Clifford?”
Ma che razza di domande sono?
“Certo”, rispose comunque. Non aveva ben afferrato il senso di quella domanda, e non sapeva nemmeno chi fosse il signor Clifford, né tantomeno di cosa si occupasse.
Tuttavia, cominciò a rispondere a qualche quesito quando sentì lo sguardo pesante del tossico su di sé.
“Non sai neanche che faccio!”, le fece notare quest’ultimo.
“Non è importante. Il giornalismo è comunque più importante”
Lo sapeva, lo sapeva perfettamente di avere ragione. Perché se quella materia non fosse stata superiore a tutte le altre, lei non sarebbe sicuramente andata in quella facoltà.
Sentì uno sbuffo, ma non seppe con precisione da chi provenisse.
“Perché?” le chiese il Direttore, ancora con uno strano sorriso sulle labbra.
“Perché? L’informazione è tutto, l’attualità è tutto. Senza l’informazione, una persona non è assolutamente niente all’interno della società, non ha nessunissima utilità. L’informazione ci rende forti, l’informazione ci rende invincibili”
Si sorprese, perché in effetti non aveva mai pensato davvero a tutto quello prima d’allora. E per aver improvvisato, se l’era cavata piuttosto bene. Tuttavia, il ragazzo non sembrava per niente turbato da tutto quelle argomentazioni così forti. Lui non sembrava mai turbato da niente.
E quasi lo odiava per quello.
“Per tua informazione – cominciò il ragazzo – io sono un linguista. So parlare il tedesco, il francese, lo spagnolo, il norvegese e pure il finlandese. Tu vivi in un grande mondo, e neanche te ne rendi conto. Puoi parlare di tanta gente, dire quello che succede in Africa, in Asia, anche sulla luna se volessi. Io invece potrei far interagire senza nessuna barriera di alcun tipo persone che provengono da realtà completamente differenti. Tu parli, ma io capisco”
Si sentì una risatina soddisfatta, e quella volta capì da chi provenisse: quella troia fuori dal mondo doveva aprire le orecchie proprio in quel momento?
Tuttavia, non rispose.
Doveva riconoscere quando il nemico faceva centro, e nonostante avesse detto più cazzate che altro, il ragazzo aveva combattuto la sua battaglia con dignità.
“Volevo esattamente questo”, si complimentò il Direttore.
‘Beh, almeno lui è felice’, si consolò.
“Helena”, si rivolse, quella volta verso la rossa. Per poco non scoppiava a piangere dall’emozione: più che un colloquio con un superiore, per lei sembrava l’incontro con Papa Francesco.
“Sì?”
“Cosa faresti per diventare amica di queste persone prima di passare ben nove mesi con loro?”
‘Non so, potremmo anche discutere della nuova serie di Game of Thrones adesso, no?’
“Organizzerei una serata tutti insieme, chiaramente. Magari a casa mia a vedere un film di Angelina Jolie, sarebbe davvero carino! Che ne dite ragaz…”
“NO!”
L’urlo del vecchio si fece sentire persino in Danimarca dagli amichetti del tossico, e per poco la rossa non scoppiava a piangere. Nuovamente.
Ma che razza di condotti lacrimali aveva quella ragazza?
“Non avete capito niente eh?”
Tutti fecero cenno di no.
Il Direttore sospirò.
“Siete ancora più tardi di quanto pensassi”
La ragazza si fece rossa dalla rabbia. Tuttavia rimase in silenzio: era la soluzione migliore, lo sapeva.
“Non voglio che troviate quella piccolissima cosa in comune che avete per andare d’accordo. Non voglio che vi conosciate come semplici amichetti che si salutano con un sorriso per strada, voglio che vi conosciate come compagni di vita. Tu di che cosa ti occupi, Blekking?”
Si rivolse alla mora, che non aveva ancora aperto bocca.
Che poi, che razza di nome era Blekking?
“Sono musicista e musicologa”, disse con fierezza.
‘Ah ma quindi pensi pure? Wow’
“E tu Calum? Di che ti occupi?”
Lo sventurato rispose.
“Io s-sono un medico”
‘Non mi farei operare da lui nemmeno se mi rimanessero dieci secondi di vita’.
“Ora dimmi Blekking: cosa hanno in comune queste due discipline?”
“Niente?”, rispose la ragazza con sarcasmo.
Già le stava sulle palle.
“Esatto Blekking, esatto. E cosa pensi di ciò?”
Blekking, dato il sorriso che gli rivolse, sembrò capire.
“Penso che sia la parte più divertente, Direttore”
“Ci hai beccato in pieno, ragazza”
Il Direttore era di nuovo soddisfatto. Meglio così.
“Ognuno si occupa di cose diverse, ma ognuno in questo viaggio è indispensabile. E non mi serve che andiate d’accordo, affatto: ho solo bisogno che guardiate negli occhi il compagno al vostro fianco e pensiate ‘cavolo, meno male che c’è lui’. Luke, qual è il tuo cibo preferito?”
Era incredibile come quell’uomo fosse capace di cambiare discorso con una facilità simile.
“I nachos”,e riusciva ad essere sicuro di sé persino nel dire cazzate del genere.
Era scioccata da come le vicende si stessero evolvendo.
“Anche il mio, grande amico!”
Ashton si sporse verso il biondo, e gli diede il cinque soddisfatto.
Il Direttore perse l’entusiasmo, nuovamente.
“Questo era esattamente quello che volevo evitare – Ashton perse il sorriso – Luke per voi non deve essere l’amante dei nachos: Luke deve essere solo l’artista. Ma attenzione, non c’è nessuna sfumatura negativa in ciò. Vi spiego: tutti potrebbero sapere che Luke ama i nachos…”
“Possiamo cambiare esempio per favore?”
“No. Dicevo, tutti potrebbero sapere che Luke ama i nachos, ma in quanti capiscono la sua passione per l’arte? In quanti possono immaginare, anche solo lontanamente, cosa prova quando disegna? Davvero pochi, mi sbaglio Luke?”
“No”, sospirò il ragazzo.
Sembravano tutti capire. Ma non Helena.
Tutto quello la faceva letteralmente incazzare.
“Luke ama il disegno, Ashton la cinematografia, Calum aiutare le persone. Cosa hanno in comune loro?”
“L’amore”, disse con tono sognante la rossa. E sembrava averci beccato in pieno.
Perché lei continuava a non capire, invece?
“Esatto”
Il sorriso del vecchio era talmente grande che per un momento Helena temette stesse per avere un infarto dalla troppa gioia.
“Voglio che capiate gli amori degli altri, non fermatevi al vostro. Non me ne frega niente che sappiate tutta la classifica dei vostro colori preferiti. È questa la differenza tra un semplice amico e un compagno di vita. Capite?”
Annuirono.
E anche Helena si unì agli altri.
“Bene. Ora ci dice qualcosa sul viaggio?”
Fu lei ad interrompere il silenzio religioso che si era creato. Certo, in quella stanza evidentemente erano tutti poeti tranne lei, eh? Forse era davvero così, ma le prove concrete erano comunque necessarie, fanculo tutta quella filosofia.
“Le avrete, a tempo debito”
Per poco non lo schiaffeggiò.
“Voglio che ognuno di voi porti tutti gli altri nel luogo che esprime al meglio il vostro amore personale per la vostra disciplina. Ad ogni passo avanti, vi darò un’informazione. Ok?”
No, non era okay. Non lo sarebbe mai stato con quelle inutili persone, con quel Direttore fuori di testa, con quelle frasette fatte che si divertivano tanto a metterle in testa.
Niente era okay.
“Okay”, rispose.
Fu la prima a lasciare la stanza. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Sarah

 

Aveva chiesto informazioni ovunque, ed effettivamente ci aveva messo meno tempo del previsto: li osservava ancor prima che diventassero i suoi compagni di vita (ma sì dai, usiamo il nuovo lessico), non le fu difficile contattarli tutti. L’aveva sentito bene, il Direttore: ognuno in quel gruppo aveva un ruolo preciso, e forse il suo era proprio quello di riunire la compagnia.
Dopo l’uscita di scena di Helena, il gruppo aveva cominciato ad ignorarsi a vicenda. Ed in effetti Sarah li capiva un po’: ad una precisina come Hel, il menefreghismo di Michael non poteva che dare fastidio; ad una forte e dipendente dal sarcasmo come Blekking, l’instabilità emotiva di Calum poteva solo ispirare tante botte. Luke invece… Luke non l’aveva ancora capito, e questo la infastidiva parecchio. Sembrava un bambinetto dispettoso col fascino di un gran figo, e quell’accostamento così insensato la destabilizzava. Inoltre, si era permessa di vedere qualche sua opera; e potevano essere tutto, davvero tutto, ma non frutto di una mente da bambinetto.
Ashton invece era semplice: si era trovata subito in sintonia con lui, così spensierato e felice. Il ruolo di ‘collante del gruppo’ se lo giocava con lui, infatti.
Tuttavia aveva notato che Ash, per quanto di buon cuore, non aveva proprio voglia di combattere contro i pronostici: ‘siamo un gruppo sfasciato dalla nascita’ le aveva detto. Ma lei non ci credeva.
Così, mettendo in pratica tutto quello che aveva imparato nei cinque lunghi anni di liceo, attuò il suo piano da stalker. Tempo due giorni e aveva ottenuto tutti i numeri di cellulare.
Tra una sega mentale e l’altra, aveva finalmente deciso di darsi un appuntamento nel luogo noto a tutti: il bar dove lavorava Holly.
Arrivò ben cinque minuti prima, come suo solito, e aspettò con ansia l’arrivo di tutti i suoi compagni di vita (le piaceva un sacco ripeterlo).
Il primo ad arrivare fu Ashton, che la salutò con un dolce bacio sulla guancia. Inutile dire che diventò dello stesso colore dei suoi capelli.
La realtà era venuta a galla ancora una volta: era irrimediabilmente timida. Le piaceva fare la ragazza intraprendente, colei che riunirà il gruppo, ma proprio non riusciva a rinnegare la sua natura.
Il ragazzo di fronte a lei, rendendosene conto, rise.
Già, rise di lei, ma la ragazza non se la prese più di tanto. Lo guardava mentre, con una nonchalance incredibile, spostava dei tavolini per unirli al suo.
‘Ah… giusto.”, pensò la ragazza, quasi maledicendosi per non averci pensato prima.
Tutti i ragazzi presenti nel bar guardavano Ashton confusi, e la ragazza arrossì. Nuovamente.
‘Se hanno questa reazione così esagerata adesso, posso solo immaginare quando ci vedranno tutti riuniti: ci chiederanno l’autografo o direttamente una foto?’
“Wow Ashton, che bicipiti”
Il secondo ad arrivare fu Luke Hemmings, un metro e novantatrè di capelli biondi e accento australiano.
Cavolo quanto era marcato.
“Goditi lo spettacolo Hemmings, è solo per te”, stette al gioco Ashton. E quel piccolo sprizzo di tranquillità tra i due del gruppo spiazzò Sarah, e non poco.
Per un momento le erano sembrati amici per la pelle (tanto amici che Luke non si era neanche offerto di aiutarlo), poi il biondo si stabilì nell’estremo polo opposto del tavolo.
‘Oh ma andiamo!’, sgridò Luke mentalmente.
“Che costruzione elaborata! Dovevate proprio attirare l’attenzione di tutto il bar, eh? Non so, se volete altro pubblico possiamo avvisare anche quelli dell’indirizzo sportivo: lo sapete che si muovono in branco, quelli”
A fare la sua trionfale entrata fu la bionda, munita della sua solita acidità.
Le piaceva Helena, in realtà. Era esattamente quello che la rossa avrebbe sempre voluto essere: forte, determinata, sicura di sé e senza scrupoli. Eppure, quando aveva quell’atteggiamento così da stronzetta, perdeva tutto il fascino della sua figura autoritaria.
‘Glielo devo dire proprio io che così non conquisterà mai Ashton?’
Eh sì, forse quella con le manie di grandezza alla fine era lei. Ma non poteva farne a meno: doveva fare il Cupido della situazione. Ne aveva il bisogno fisico e mentale.
“Oh, siediti e basta”, la riprese il biondo. Lui, al contrario di Ashton che aveva preferito stare zitto per non sembrare scortese, non si era fatto tanti problemi a far trasparire il suo fastidio.
‘Un punto per Hemmings, se lo merita dai’

“Torna a giocare con le matite colorate tu”
“Ok basta”, intervenne Ashton, quella volta. Non conosceva né Luke, né Helena, e a dir la verità non sembrava neanche tanto voglioso di farlo. Tuttavia, proprio come Sarah, aveva intuito che se non li avesse fermati, una rissa non se la sarebbe persa nessuno.
Helena gli lanciò un’occhiataccia, mentre prendeva posto a metà strada tra lei e Luke.
Voleva restare il più lontana possibile da entrambi.
‘Quasi quasi lascio perdere tutto: questi non avranno mai il coraggio di aprirsi li uni con gli altri’
Quella consapevolezza la rattristò.
“Ehm… ciao ragazzi”
Arrivò anche Calum, che a mala pena aveva alzato lo sguardo. Quell’atteggiamento fece sorridere la ragazza: era così dolce. In mezzo a quelle belve, serviva una persona del genere.
Fissò per un po’ la sedia al fianco della rossa, poi prese coraggio e si sedette.
Sarah il giorno prima aveva da un amico in comune che Calum aveva da poco superato la sua germofobia: era forte, quel ragazzo.
E sì, aveva effettuato delle ricerche su ognuno di loro. Sperava con tutto il cuore che non lo scoprissero: non avrebbe potuto reggere troppi sguardi contrariati tutti insieme.
“Ehi”, il saluto minimalista di Clifford attirò tutti gli sguardi. Il ragazzo non si fece tanti problemi, invece, nel prendere il posto che più gli garbava: affianco al biondo, davanti all’unico posto vuoto. Nel suo fianco sinistro aveva la bionda: quest’ultima appariva parecchio infastidita dalla scomoda posizione.
Ma oltre ad una faccia schifata, non disse niente.
E lei che si aspettava la terza guerra mondiale, strano
L’unica a mancare ancora, fece due calcoli Sarah, era la strana Blekking. Tutti sembravano seccati dal suo ritardo: l’avrebbero sbranata di sicuro, quelle belve.
Sì, le piaceva definirli belve. Al diavolo i ‘compagni di vita’.
“Buongiorno ragazzi”. Nonostante l’evidente ritardo e le evidenti occhiatacce da parte dell’intero gruppo (tranne di Michael chiaramente: a lui non fregava niente), sorrise a tutti e prese posto affianco a Luke.
Rivolse un sorriso a Michael.
In realtà, la rossa sapeva il motivo del ritardo (sì, ancora attività indecenti da stalker): quel giorno era arrivata un’orchestra danese per un gemellaggio, e tutto il Conservatorio era su di giri.
Doveva essere sicuramente quello il motivo dei suoi sorrisi.
“Fai con comodo, mi raccomando”, si rivolse acida la bionda.
“Oh, non pensavo fossi così in ansia di vedermi di nuovo”
E lì capì: al diavolo la sensibilità d’artista, al diavolo il grande cuore di chi ha grandi passioni, al diavolo l’educazione e la disciplina da Conservatorio: Blekking non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno. Tantomeno dalla prima biondina giornalista della situazione.
Quello strano mix di persone, per poco non fece scoppiare a piangere la ragazza: ce l’avrebbe fatta a domare le belve?
Rivolse uno sguardo ad Ashton, ma sorrideva ancora.
Uomini, pff. Lui sperava solo in una rissa tra donne, di sicuro.
“Okay”, le interruppe, prima che qualcun altro si unisse alla discussione (e sarebbe successo ben presto) “Dato che, volenti o nolenti, passeremo ben nove mesi a stretto contatto li uni con gli altri, dobbiamo conoscerci e soprattutto accettarci. Siete disposti a farlo?”
Le risposte arrivarono simultaneamente: “Ma se siete tutti degli idioti”, “No”, “Non guardatemi vi prego”, “Fate come volete”, “Posso ordinare qualcosa da mangiare?”, “Questi tavolini sono maledettamente bassi”
La ragazza sospirò.
“Le cose stanno così: ognuno di noi deve portare gli altri nel posto che più rappresenta la propria passione. Ebbene, dato che non sembrate molto propensi a fare il primo passo, ci penserò io”
Li guardò negli occhi, e quella volta nessuno osò contestare.
Esultò dentro.
“Bene, seguitemi”
Nonostante un’iniziale riluttanza, la seguirono.
Si diressero verso la fermata del bus.


 
 
Il viaggio era stato troppo silenzioso.
E lei odiava il silenzio.
Ad un certo punto Blekking aveva canticchiato un motivetto che, con ogni probabilità, era stato estratto da una hit famosa degli Oasis.
E lei odiava gli Oasis.
Erano pure passati sotto una galleria, e a quel punto Calum aveva incominciato ad ansimare pesantemente.
E lei odiava l’ansia.
Era sorpresa e terrorizzata dal fatto che persino lei, una ragazza che vantava di un autocontrollo coi fiocchi, avesse trovato così tante cose da odiare in così poco tempo.
Allora capì: lei non era altro che una delle belve.
Arrivarono nel luogo che lei guardava con tanta fierezza e anche un pizzico di malinconia.
Non era altro che la sua vecchia casa.
Era vicina all’università, ma aveva preferito comunque andare a vivere nei dormitori per poter avere più libertà e per non gravare economicamente sui genitori con i trasporti.
Grazie alle sue borse di studio, il dormitorio era assolutamente gratuito.
Ma la sua vecchia casa le mancava terribilmente.
“Seguitemi”, si rivolse al gruppo, piuttosto confuso.
“Non stiamo andando a rapinare una casa, vero?”
“No Calum, rilassati”
Entrarono, e si accomodarono tutti nell’enorme divano del salotto.
Aspettavano tutti le sue parole, eppure Sarah non aveva proprio voglia di parlare.
Voleva solo godersi il profumo di casa sua e rimanere su quel divano per sempre.
“Allora?”
Ad interrompere la magia di casa sua fu Luke, che giocava col suo piercing al labbro con una certa noia.
Così, si decise a spiegare.
“Questa è la casa dei miei genitori”, cominciò.
“E loro dove sono?”
“In Belgio, viaggio di piacere”
“E perché noi siamo qui?”
“Perché questo è il mio luogo”, spiegò ovvia “Sono un’antropologa, e sono fiera di esserlo. Sono assolutamente convinta che per capire e apprezzare meglio il presente, bisogna andare indietro. Scoprire le proprie origini, e accettarle. Qualunque esse siano. Queste sono le mie origini”.
Lei, fortunatamente, non doveva impegnarsi tanto per accettarle: era felice di ciò che era ed era felice di tutto quello che i suoi genitori le avevano insegnato.
“Dai forza”, abbandonò ogni velo di malinconia, sopraffatta dalla curiosità “Tocca a voi: quali sono le vostre origini?”
Lei aveva fatto il primo passo cavolo, e sicuramente non si sarebbe accontentata della città d’origine e della sua collocazione geografica.
Sorprendentemente, il primo a parlare fu Mickey.
“Questo divano assomiglia tantissimo al mio, cavolo – ‘ha sorriso gente, ha sorriso’ – Vengo da Manchester, le mie origini sono i Clash e i Sex Pistols, e sì dai, anche una madre un po’ strana”
Si lasciò sfuggire, e Sarah per poco non scoppiava a piangere dalla felicità.
“Liverpool, Regno Unito chiaramente. Cresciuta nel lusso, amante della moda, e un futuro ancora più di lusso. Non provate neanche a mettermi i bastoni fra le ruote, voi”
C’è davvero bisogno di specificare l’oratore?
“Rilassati principessina – la riprese Ashton – Io sono di Glasgow, ma come potete notare mi posso vantare di un accento fantastico. Le mie origini? Il verde, non credo che il concetto possa essere espresso meglio. Un’infanzia tra insetti e pioggia: grandioso no?”
Qualcuno si fece scappare una risatina.
“La mia infanzia invece è stata grandiosa” ad intervenire fu Blekking “Sono italiana, e sono cresciuta a Viareggio in Toscana. Le mie origini sono blu: non so se più per il cielo sempre soleggiato o per il mare cristallino”
Lo disse con uno sguardo sognante e un sorriso così spontaneo, che per poco Sarah non l’abbracciò.
“Non ti manca l’Italia?”, le chiese invece.
“Sì”
Non disse altro.
“Io invece tutta questa nostalgia di casa non la sento – ‘Luke Hemmings dirà qualcosa di serio, gente’ – Vengo da Sidney, in Australia, e l’unica cosa che rimpiango davvero è il caldo. Forse anche un po’ la cucina di mia madre, ma solo un po’”
“Io la cucina di mia madre la rimpiango tantissimo!”
Una tale enfasi nelle parole proprio di Calum Hood signori e signore non se l’aspettava nessuno.
“Vengo dalla Nuova Zelanda e ok, la cucina non sarà incredibile come quella italiana, ma mi manca un pasto caldo cucinato a casa, ecco”
“STAI DICENDO CHE NON SEI ASIATICO?!”
Ashton urlò talmente tanto che per poco Sarah non lo schiaffeggiò, e fanculo le buone maniere nei confronti degli ospiti.
Calum sembrò infastidito: doveva essere almeno la milionesima volta che sentiva quelle parole.
“No, sono kiwi”
Non seppe se almeno provò a trattenersi, ma Sarah quel giorno scoprì una cosa nuova: Blekking rideva più spesso di quanto si aspettasse, e quando lo faceva, non guardava in faccia nessuno.
Né tantomeno il ragazzo direttamente interessato e anche preso per il culo.
“Ok”, si riprese la ragazza, asciugandosi le lacrime “Scusatemi”.
In realtà anche gli altri stavano ridacchiando, ma almeno loro si erano trattenuti.
Michael guardava Blekking divertito.
Luke aveva una voglia matta di imitarla.
Helena voleva solo picchiarla.
“Andiamo avanti: tocca a me portarvi nel mio posto”
Ashton salvò la situazione.
Grazie al cielo, perché Calum era diventato talmente tanto rosso da essere davvero vicino all’esplosione.
Almeno non doveva pulire casa dai suoi resti.


 
 
 “Sei serio?”
“Non può essere serio”
“Dio, sto soffocando”
“Posso abbassare il finestrino?”
“Sono quasi sicuro che questa macchina esploderà tra meno di tre minuti”
“SILENZIO!”, li zittì tutti Ashton.
Il suo luogo, abbastanza originale secondo i canoni di Sarah, era una macchina grigia approssimativamente dell’era della pietra che Irwin guardava come se fosse la sua ragazza.
Duro colpo per Helena.
Inoltre, era a cinque posti. E loro erano in sette.
A voi le conclusioni.
“Puoi spiegare il senso di tutto questo?”
A parlare fu Mickey, che con tutto quel contatto umano aveva effettivamente perso un pizzico della sua indifferenza: stava morendo dentro, lo sapeva.
Al contrari Sarah, seduta nei posti anteriori al fianco di Ashton, stava alla grande.
Si sentiva un po’ in colpa, però.
“Questa, amici miei, è una Mercedes del 1977 – chiaro – ed è qui che mi sono venute le idee migliori. Ed è sempre qui che ho vissuto che avventure migliori”
“Ad esempio?”, chiese curioso Luke.
Lui si godeva la permanenza in macchina, seduto schiacciato tra Blek ed Hel.
Aveva un sorriso da ebete osceno.
“Ho quattro punti nella patente mica per niente”, e ridacchiò di un qualcosa che evidente solo lui sapeva. Dopo la notiziona dei quattro punti, però, tutti preferirono non indagare ulteriormente.
Bastava e avanzava quella novella.
“Seriamente questo è il tuo luogo?”
Blekking era appiccicata al finestrino, non doveva essere una grande sensazione.
“Beh, sì. In coda per il traffico ho un sacco di tempo per pensare alle sceneggiature dei miei cortometraggi, inoltre il tettuccio si può aprire e quando il paesaggio è cazzuto, faccio delle foto grandiose”
“E qui si spiegano i quattro punti”, sussurrò qualcuno.
Sarah, ancora lucida in quanto usufruiva di una quantità d’ossigeno legale, voleva assolutamente sapere di più.
“Dai, dicci altro”, lo spronò.
“Beh – non sapeva cosa dire in realtà – tu sei seduta su una macchia di frullato alla banana: avevo frenato all’improvviso e Brianne l’aveva fatto cadere. Il ferro a mano è più andato persino dei freni e della ruota posteriore destra, il che è tutto dire. Ah, e ho scopato più qui dentro che nel mio letto, sappiatelo”
Con quell’ultima rivelazione, tutti cominciarono ad urlare frasi schifate.
Per poco la macchina non si ribaltava per i movimenti dei ragazzi in crisi.
Ashton rideva, mentre tutti finalmente riuscirono ad uscire con scatti felini piuttosto confusi e improvvisati.
“Sono abbastanza scioccata da offrirmi volontaria per il prossimo luogo”, disse Helena.
Tutti annuirono: niente sarebbe stato peggio di Ashton, tanto.


 
 
“Non toccate niente, non guardate in faccia nessuno, non date confidenza al ragazzo di colore che porta la posta e soprattutto non occupate la macchinetta del caffè”
Quando erano entrati in quella che sembrava a tutti gli effetti la sede di un giornale, Sarah sperava di trovare un magico mondo di carta e inchiostro. Ma evidentemente si sbagliava di grosso: l’atmosfera era decisamente più simile a quella di un qualche film americano in cui la protagonista cerca di farsi strada nel mondo del lavoro ma tutti la intralciano con bastardate.
Doveva smetterla di guardare film.
“Questa è la sede del giornale in cui ho fatto il tirocinio, ed è questo il mio mondo”
Il loro povero gruppo, in quelle quattro mura, sembravano delle gazzelle ferite in mezzo a un branco di leoni. Ma non Helena, affatto.
Lei sembrava la leonessa più rispettata: strana storia per una novellina bionda.
“Lavorerai qui?”, le chiese Calum. Aveva avuto il coraggio di parlare, ma si vedeva lontano un miglio che era terrorizzato da ogni cosa in quel posto.
Non che fuori cambiasse qualcosa, ma lì era ancora più evidente.
“No”
Una semplice sillaba, che bastò ad attirare gli sguardi confusi di tutti.
Eppure era il suo luogo. Perché non avrebbe dovuto lavorarci?, pensò Sarah.
“Ho passato sei mesi a leccare il culo ad ogni cazzone presente, ho passato sei mesi a farmi il mazzo e non ho mai fatto meno del mio meglio. E il mio meglio è il meglio in assoluto” modestia a parte “Alla fine di tutto questo mi hanno detto che ‘il mio culo e i miei capelli biondi avrebbero distratto tutto il genere maschile’. Che maschilisti di merda”
Disse tutte quelle parole con un fastidio tale da far sembrare il suo atteggiamento nei loro confronti quasi simpatico. Ma cazzo se aveva ragione.
“Che cazzata” cominciò Luke “Sono il tuo culo e le tue tette a distrarre la gente, i capelli biondi passano in secondo piano”
La ragazza lo guardò malissimo, mentre persino il suo principe azzurro si fece scappare un gesto fin troppo confidente dei confronti dell’australiano: i due si scambiarono un cinque con tanta forza da attirare gli sguardi di tutti.
Ogni singolo dipendente aveva incredibilmente smesso di lavorare per fissare sette disadattati sociali che sicuramente non dovevano e non potevano essere lì.
Sarah si spaventò, e non poco. Soprattutto quando vide Helena sbuffare infastidita.
“Non possiamo restare qui – aveva detto, guardandosi intorno – ora chiameranno la sicurezza. Sono degli animali quelli là, ci conviene andare adesso”
Ma Sarah non lo accettava: per lei non era abbastanza quello.
“Aspetta”, la fermò un momento la rossa “Se lo odi così tanto, perché è il tuo luogo?”
La bionda sorrise, e “Perché quando cammino nei miei tacchi 15 in questo corridoio, mi sento un Dio”
E quella spiegazione bastò eccome.
“Omoni grandi e grossi a ore dodici: vi porto nel mio posto ragazzi”
La faccia tranquilla e spensierata di Michael stonava davvero tanto con le facce incazzose degli uomini della sicurezza.
Seguirono il ragazzo dai capelli verdi senza replicare.
Sarah si stava ricredendo: stava andando molto meglio del previsto.


 
 
“Se avevi fame potevi anche dirlo”, disse Ashton, col suo solito sorrisetto.
Si erano appena seduti in un ristorante messicano, e davvero Sarah non riusciva a capire il senso di tutto quello. Anche se effettivamente l’ora di pranzo era già arrivata da un pezzo.
Era un bel locale, certo: bella atmosfera, bella gente, e un profumino davvero invitante. Non era una grande fan del piccante, ma doveva ammettere che in quel posto avrebbe osato più del solito nell’ordinazione.
Anche gli altri, comunque, sembravano spaesati proprio come lei. Si sapeva che Michael non fosse particolarmente nella media, ma di sicuro non si aspettava che li portasse in un ristorante.
“A me va’ più che bene” commentò Luke. Sembrava davvero felice di essere lì, forse persino più di Michael.
Anzi, decisamente più di Michael. Michael era ok.
Tutto in Michael era ok, e tutto per Michael era ok. Solamente ok.
“Sembra tutto così anti igienico”, disse invece Calum. Guardava con un certo timore il burrito che il loro vicino di tavolo stava mangiando. Non che ci fossero strani insetti incriminanti, ma effettivamente non sembrava un piatto sicuro. O almeno per quelli che sembravano i strani canoni del kiwi.
‘Che poi, chissà da dove se lo sono tirati fuori questo kiwi’

“Questo è il mio posto”, spiegò Michael con semplicità. In effetti sembrava avere una certa complicità con tutto quello, persino con tutti i camerieri. Non a caso, appena avevano messo piede nel ristorante, uno strano tizio con dei baffi grandiosi l’aveva accolto come se fosse un figlio. Il tutto accompagnato da un forte accento spagnolo che Sarah trovava fantastico.
“Un ristorante classe C? Devi essere davvero una persona disperata”
Helena, con la sua lingua biforcuta, aveva ancora una volta rovinato la piccola pace ed armonia che erano riusciti a creare con tanta fatica.
‘Sarà dannatamente difficile gestirla, cavolo’
Michael, tuttavia, non disse niente. Dio, non gli fregava davvero niente di niente a quello.
Ad incazzarsi fu invece Blekking. E cazzo quanto era arrabbiata.
“Senti un po’, biondina dal futuro di lusso – cominciò – Non so cosa ti piaccia fare, non so se tu sia brava in quello che fai, non so che risultati abbia raggiunto con la tua ‘facoltà perfetta’, ma i tuoi tailleur non ti renderanno mai migliore di nessuno di noi. Ricordatelo prima di dare aria alla bocca, si sente l’odore di merda a chilometri di distanza”
Sarah trattenne il respiro, per un momento. Blekking sembrava una tipa a posto: forse un po’ troppo nel suo mondo, ma non cattiva. O almeno così pensava.
Quelle parole erano state una coltellata per la bionda. E Blekking sembrava andarne terribilmente fiera.
Qui finisce male, finisce maledettamente male.
“Non parlarle in questo modo!”
A sorprendere tutti, persino l’oratore stesso, fu appunto chi disse quelle parole: a difendere la ragazza, infatti, non era stata lei stessa; bensì Ashton. Un Ashton che aveva addirittura abbandonato il suo solito sorriso: evidentemente non gli piaceva che certe persone trattassero male altre persone.
Qui gatta ci cova, pensò. E si sentì anche inopportuna dato che non era assolutamente il momento per pensare a quelle cose.
No, decisamente no.
“Oh andiamo, pur qualcuno glielo doveva dire”, alzò la voce persino Luke.
Quelle prese di posizioni non se le aspettava assolutamente: Ashton ed Helena contro Luke e Blekking? Non avrebbe mai potuto prevederlo, neanche dopo tutte le ricerche che aveva fatto.
Guardò Michael: osservava il menù tranquillo.
Guardò Calum: li fissava tutti terrorizzato.
E infatti fu lui ad intervenire.
“Vi prego, potete non urlare?”
“Oh, e ora che c’è? Le persone che urlano ti mettono a disagio? O hai paura che ti infettino il sangue con le onde sonore? Sei un fottuto medico, dovresti capire che tutte le tue paranoie sono solo cazzate”
Calum abbassò ulteriormente lo sguardo.
Stava per scoppiare a piangere, porca miseria.
E lì si arrabbiò persino lei.
“Smettetela immediatamente”
Tutti distolsero gli sguardi li uni dagli altri, e rilassarono i muscoli che fino ad allora erano rimasti contratti.
Non si erano messi l’anima in pace comunque: era ben evidente che fossero ancora incazzati.
Cercò aiuto nell’unica persona che era rimasta lucida, ma Michael si limitò ad un ‘Ronaldo!’, per richiamare il cameriere.
L’interpellato li raggiunse sorridente, e tutti furono costretti a fingere un sorriso col cameriere per pura educazioni.
Tutti ordinarono, e Clifford prese finalmente parola.
“Non avete litigato rinchiusi in una macchina di merda seduti sui sedili che hanno visto più culi nudi di un cesso pubblico, e ci riuscite in un ristorante messicano. Se sono io a farvi questo effetto, ne sono più che onorato”
Tutti guardarono il ragazzo scioccati, mentre Michael giocava tranquillo con le sue posate.
“Non è una macchina di merda”, si sentì in un sussurro.
Sarah cominciava ad apprezzare davvero Michael.
‘Chissà cosa pensa invece lui’
 
“Non hai ancora detto perché questo è il tuo posto”
Sarah, ancora vogliosa di eliminare la tensione che si era venuta a creare, cercava di migliorare la situazione da almeno mezz’ora. Ma erano tutti troppo occupati a fissare il loro piatto che a guardarsi negli occhi.
Calum stava guardando la sua carne da altrettanti tempo, ma non l’aveva ancora toccata.
Non credeva neanche che l’avrebbe fatto.
Luke invece mangiava come un maiale senza mai fermarsi, e la mora al suo fianco lo guardava in un misto tra disgusto e ammirazione.
Helena riusciva a mangiare con raffinatezza l’insalata che aveva ordinato, facendo sentire Sarah una grassona senza classe. Ashton, per lo meno, mangiava come una persona normale. Ma aveva evidentemente meno esperienza di Clifford, che mangiava con naturalezza e tranquillità.
Come se non fosse successo niente.
Ma interruppe la sua attività mascellare per poterle rispondere.
‘Oh, quindi si è deciso a cagarmi’
“Sono venuto qui per la prima volta con la mia famiglia, quando ero in seconda superiore. Tutti si urlavano cose a vicenda, e ridevano. Dio, se ridevano. Ridevano un sacco! E allora mi son detto: quanto sarebbe bello poterli capire e ridere con loro. Così ho fatto quel che ho fatto e… beh, fine della storia”
Era una vicenda tanto semplice quanto assurda, che fece scappare un sorrisino un po’ a tutti.
Sì, Clifford le piaceva proprio come persona.
“Se siete d’accordo – Calum si schiarì la voce, timoroso – Vi vorrei portare nel mio posto. Vi prego, sento che più sto qui, più sono vicino alla lebbra”
Lo accontentarono più per pena che per curiosità.
Così, si incamminarono.


 
 
“Oh mio Dio”
Paradossalmente, l’unica che ebbe il coraggio di dire qualcosa fu proprio lei.
E ancora più paradossalmente, il posto più assurdo in cui erano stati portati, nonché quello più inquietante, era proprio il luogo di Calum Hood, lo stesso ragazzo terrorizzato dal buio e dal cibo messicano.
Tutti lo guardavano in modo strano, ma Calum era tranquillo.
Anzi, più che tranquillo, quasi incazzato, e ‘oh mio Dio, Calum incazzato?’
Che giornata strana.
“Calum” cominciò Ashton, quasi timoroso della reazione del ragazzo “perché siamo in un cimitero?”
Beh, tutti sapevano che Caulm fosse un medico. Ma non che fosse uno di quei medici strani fanatici della morte e con una teoria tutta loro sulla vita. E tantomeno uno di quelli che si sentivano Dio avendo nelle proprie mani la vita delle persone.
Caulm era una continua scoperta.
E a Sarah tutto quello faceva paura.
“Perché questo è il mio posto”
Era terrorizzato da tante cose, Calum. Sarah lo sapeva bene. Eppure, in quel cimitero sembrava stesse davvero bene. Sperava di non dover sentire nessuna storia strappalacrime su parenti stretti morti in condizioni terribili: non voleva piangere di fronte a tutti, dimostrando fin da subito il suo problema di empatia.
Già, perché Sarah non era solo quella che seguiva i ragazzi carini della scuola.
Sarah era anche quella che piangeva per le pubblicità dell’otto per mille.
“Vuoi spiegare?” chiese Hel, decisamente meno cauta del riccio.
Che fosse scossa, comunque, era palese. Così come tutti i suoi compagni di vita (belve, pardon).
“Voi non avete idea di come ci si senta, non ne avete proprio idea”
‘Ora parte la storia strappalacrime, me lo sento’
Stava già cercando i fazzolettini nella borsa.
“Sapete cosa significa alzarsi ogni giorno dal letto e avere il terrore di scivolare e spaccarsi la testa morendo all’istante? Io sì. Io mi alzo dal letto e ho paura che dalla finestra un cecchino sia pronto a spararmi. Io respiro la mattina e ho paura di prendermi qualche malattia incurabile. Io faccio due scalini e ho paura di cadere e rompermi l’osso del collo. Io mi lavo i denti e ho paura che la fabbrica produttrice delle setole dello spazzolino abbia messo per sbaglio qualche sostanza tossica nel processo. Io mi sveglio e ho paura”
Tutti lo ascoltavano in un religioso silenzio. Il che era abbastanza divertente dato che si trovavano in un cimitero. Sorprendentemente, neanche Luke aveva fatto una delle sue battute oscene. Ed Helena non l’aveva ancora insultato per la sua debolezza.
‘Ed ecco, signore e signori, come Calum Hood cambia le cose’
“Guardatevi intorno – nessuno lo fece, comunque – qui ci sono solo morti. E cazzo, loro sono così tranquilli e felici! Non devono niente a nessuno, si fanno i cazzi loro, non hanno nessuna responsabilità e nessuna pressione. Loro sì che stanno alla grande, porca miseria!”
“Ora si suicida davanti a noi, ci scommetto”, quello di Luke fu appena un sussurro, nell’orecchio di Blek. Solo lei e Sarah, infatti, riuscirono a sentirlo.
Ma bastò per rendere palese un semplice fatto: Luke Hemmings non si sarebbe mai smentito.
E neanche Blekking Williams, dato che gli diede un cazzotto sulla nuca.
Sarah li ignorò, e “Quindi?”, chiese tranquillamente.
“Quindi curo la gente perché non è giusto che loro raggiungano la pace e io devo rimanere qui a cagarmi sotto per la mia stessa ombra”
Calum Hood gente: il medico più strano della storia.
‘Uhm, certo, non fa una piega. Ma il suicidio?’
Ci stava pensando, ma sicuramente non l’avrebbe mai detto a voce alta.
Fortunatamente ci pensò qualcun altro. ‘Cavolo, è vero che qui ognuno ha u ruolo’
“E perché non ti suicidi, allora?”
Le parole potevano essere interpretate davvero male, ma era chiaro che Blekking non volesse essere cattiva. Fortunatamente lo capirono tutti e si evitò l’ennesima litigata.
“L’obbiettivo è combattere le mie paure, non cederle ad esse”
In un moto di pura stima, Sarah, che capiva il kiwi più di quanto si aspettasse, si lasciò andare ad un piccolo ma terribilmente convinto applauso.
Una volta accortasi della gaffe, lasciò che il rosso delle sue guance prendesse il posto del coraggio.
“Wow”, commentò Ash.
“Sei un’anima così in pensa che saresti un artista cento volte meglio di Blek”, disse invece Luke.
La ragazza lo guardò male “Ehi! Come osi?!”
“Oh andiamo, non puoi competere con lui. Quando ti vedo in giro per il Conservatorio sei sempre sorridente e spensierata, ti metti pure a chiacchierare col bidello! Lui invece ha la sofferenza dell’artista che regala emozioni anche mentre respira”
“Primo: l’arte non deve essere per forza depressa. Secondo: non credo che George sia effettivamente un bidello. E ora muovi il culo, australiano spilungone che ‘solo io so cos’è l’arte’, vi porto nel mio luogo”
E forse non aveva l’animo distrutto di uno che avrebbe potuto scrivere tragedie con la T maiuscola, ma Sarah era convinta che anche Blek, col suo strano modo di fare, fosse una grandissima artista.


 
 
“Che originalità”
“Blekking mi deludi”
“Aveva ragione Luke sulla questione ‘artista’
Erano al Conservatorio, semplice e prevedibile. E si stupiva che Blek avesse fatto quella scelta, perché lei di semplice e prevedibile non aveva proprio niente.
Blekking non sembrava minimamente toccata da tutti i comenti iniziali, e la motivazione sembrava semplice: lei era nel suo luogo.
“Questo è il Conservatorio?”, chiese stupidamente Calum.
“Questo è l’Auditorium del Conservatorio, sì. È qui che si fanno i più grandi spettacoli”
Aveva talmente tanta fierezza nella voce che, al diavolo le parole di Luke, lei sì che era una vera artista.
“Come fai ad avere le chiavi?”, le chiese invece Ashton, affascinato da quella grande ed imponente struttura, proprio come tutti gli altri. L’atmosfera era… magica. E persino lei, che di musica ne capiva ben poco, aveva quasi voglia di imparare a suonare qualcosa per potersi esibire in un posto del genere.
Il soffitto, inoltre, aveva un murales incredibile, fatto con una minuziosità e capacità invidiabilissime.
Sarebbe restata lì per sempre.
“Ho le mie conoscenze” ridacchiò “Forza, seguitemi”
In effetti, su una cosa Luke aveva ragione: in quel posto Blekking sorrideva un sacco.
Percorsero tutti i posti a sedere, fino ad arrivare al grande palco di legno. Lo sfondo nero, le tende rosse… tutto in quel posto, persino il particolare più semplice, aveva dell’incredibile. Sull’estrema destra c’era un pianoforte nero a mezza coda (o a coda intera? Non lo sapeva). Tuttavia, Blek non si fermò al palco, no.
Andarono dietro le quinte, e tutti si lasciarono sfuggire un sospiro sorpreso. Perché sì, l’auditorium era grande, enorme. Ma il dietro le quinte era incredibile.
Chi se lo aspettava che il dietro le quinte fosse quasi grande quanto tutto il resto?
Era completamente nero, e dava una sensazione quasi di sicurezza ,le ricordava tanto la calma prima della tempesta . Era pieno di leggii, qualche carrello, funi e quant’altro. Sembravano più vissute le quinte del palco stesso.
E Sarah cominciava a capire: ecco tutto quello che la gente si perde degli spettacoli.
“Perché ci sono tutti questi buchi per terra? Termiti?”
“Violoncellisti con i puntali”
Lo disse quasi come se fosse una cosa ovvia. In effetti, si ricordò Sarah, lei era proprio una violoncellista: doveva vivere una vita pazzesca cavolo.
“Questo è il mio posto”
Respirò a fondo “Sentite questo? Questo è l’odore migliore di tutti. E non lo sentirete mai da nessuna altra parte”
Tutti presero un respiro profondo, e la scena vista dall’esterno doveva essere addirittura comica.
“Cos’è il Conservatorio? Il conservatorio è quello che succede dietro le quinte. Sono le prove silenziose prima dell’esibizione, sono le battute idiote con i compagni, sono i vestiti neri, sono le foto stupide per combattere l’ansia, sono gli sguardi terrorizzati che si scambiano tra amici che ‘io so quello che provi e stai tranquillo: se te la fai sotto tu, me la faccio sotto anche io’. Il Conservatorio è ansia. Sì, direi che sia principalmente quello. E sono anche le risate dopo lo spettacolo, quelle di chi ha finito ma vuole restare ancora perché è semplicemente troppo bello stare qui”
A Sarah non sorpresero solo le parole, affatto: ma la luce negli occhi di Blekking. Era andata nei posti di quasi tutti, i luoghi che avrebbero dovuto significare tutto, di loro.
Eppure, quello sguardo ce l’aveva solo Blekking. La strana, prevedibile e mille altre cose, ma che si era rivelata essere la più vera, alla fin fine.
“Il Conservatorio è ansia. Mi piace questa”, ridacchiò Luke, guardandola quasi soddisfatto.
“Ed è esattamente questo quello che vi voglio far capire”
Un ghigno malvagio occupò il suo viso. Nessuno sembrava capire in realtà.
E quando si spiegò… si scatenò il putiferio.
 
“Possiamo fare qualsiasi cosa?”
“Qualsiasi”
“Grandioso”
L’idea di Blekking, per quanto geniale, non era stata votata da molti. In particolare, a detestarla, furono Helena e Calum. Tuttavia, neanche loro si erano sottratti.
L’idea che ognuno dovesse esibirsi davanti agli altri, era davvero divertente. Blekking diceva che per capire davvero cosa significasse tutto quello che lei viveva, anche loro dovevano esibirsi davanti ad un pubblico (sei persone sono un pubblico, vero?), passando così tutti i processi d’ansia che lei si beccava continuamente. Ed in effetti, tutti avevano avuto ansia.
Forse, quel palco stesso faceva quell’effetto: da noncrederci.
Sarah, ricordandosi dei dieci anni di danza classica, aveva ballato sotto Chindler list, improvvisata al pianoforte da Blekking. Calum aveva recitato un passo di Shakespeare cercando di darsi un tono, senza riuscirci particolarmente bene.
Avevano comunque apprezzato lo sforzo.
Luke, invece, sempre con l’accompagnamento di Blekking, aveva cantato una canzone di qualche gruppo.
Doveva ammettere che aveva davvero una voce pazzesca, però.
Dopo la sorprendente performance del ragazzo, toccò ad Helena: fece un piccolo motivetto al pianoforte, per poi tornare a sedersi. Non sembrava apprezzare tanto quel palco.
Michael aveva fatto l’imitazione di un qualche membro di una qualche band (doveva ripetere ancora di non saperne assolutamente musica), ma doveva essere stato convincente dato che Luke, Ashton e Blek gli fecero pure i complimenti.
Toccava ad Ashton, e a giudicare dalla posizione di Blek, doveva suonare di nuovo.
Quando partì una melodia ben conosciuta, i ragazzi non fecero a meno di ridere guardando Ashton atteggiarsi da grande cantante lirico.
“Largo al factorum della città”, cominciò. E da lì in avanti, fu un susseguirsi di risate, acuti di Ashton, e smorfie facciali oscene.
Una grandissima esibizione.
Anche da parte di Blekking che, con quel piano, improvvisando, aveva fatto magie.
“Ashton, sei il mio nuovo idolo”, si lasciò sfuggire lei.
Ancora risate.


 
 
“Perché siamo nella tua stanza?”
L’ultimo rimasto, il misterioso Luke Hemmings, aveva fato raccogliere l’intero gruppo nella sua camera del dormitorio. Nonostante avesse finito gli studi, ce l’aveva ancora.
Quel ragazzo era illegale fino al midollo.
Poi si ricordò che anche lei viveva ancora nel dormitorio, e volle sparire all’istante.
“Io non ho un luogo”
Lo disse con semplicità, quasi fosse normale. Tutti loro avevano dato la loro parte, e lui, lui il grande artista, non aveva uno straccio di luogo? Non lo accettava.
“Sì invece”
“No invece”, ribattè.
“Mi hai fatto tante storie e alla fine non hai neanche un luogo speciale?”, gli fece notare Blekking.
“Già”
La stanza era semplice, ma talmente disordinata da sembrare un campo rom. Aveva le pareti blu e più disegni e colori messi in giro che… qualsiasi altra cosa. Era la stanza di un artista, si vedeva.
Un artista molto disordinato, certo.
“Sentite, io non ho un luogo”  riprese, forse messo in soggezione da tutte le occhiate incazzate dei suoi compagni di vita. “Il mio luogo è ovunque ci sia odore di tempere”
Doveva esserci qualcosa di profondamente poetico nelle sue parole, eppure la ragazza non faceva altro che pensare che li avesse fottutamente presi per il culo.
Ecco quindi, la vera indole di Hemmings: lui viveva per prendere per il culo. Altro che artista.
Era la camera di uno stronzo, quella.
“Inizi ad odorarli… poi li assaggi… e la finisci senza un orecchio”, lo prese in giro Blek, forse per vendicarsi. Eppure, ottenne molto meglio di quello: una grande risata di gruppo, ed era solo lei la causa.
Le piaceva davvero tanto, Blek. E anche a Mike, forse, dato che le rivolse una proposta di matrimonio con tanto di posizione in ginocchio.
“Simpatica come la macchina di Ashton, Blek – le rivolse un sorriso sarcastico – Ok va bene, diciamo che il mio posto non l’ho ancora trovato. Non mi soddisfava l’Australia, non mi soddisfa Londra, e spero di ottenere qualche gioia in Europa. Niente di più niente di meno”
“Mai ‘na gioia”
Anche Ashton si unì al club di coloro che prendono per il culo Hemmings.
Avrebbero fatto una comunità su facebook a breve.
Ma sì, la loro convivenza poteva funzionare.
“Oh, andate tutti a fanculo”
Forse. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo Quattro
 
 
Michael
 
Quando Michael aveva visto i suoi compagni di viaggio la prima cosa a cui pensò fu ‘dove diavolo è Brianne?!’.
Dopo un secondo di smarrimento poi capì che Brianne non sarebbe partita.
Così la seconda cosa che pensò fu ‘E ora che faccio?’
Aveva osservato il resto del gruppo, e gli bastò quello per poterli catalogare.
Non che fosse uno di quegli idioti che giudicavano le persone dal niente, ma loro erano persone… semplici, al contrario di ciò che credevano.
Perché sì, tutti i suoi coetanei avevano la presunzione di considerarsi persone complicate, strane, fuori dal comune.
La verità era pura e semplice: tutti erano normali, tutti erano come gli altri, tutti erano ok.
Perché non bastava sicuramente un paio di jeans attillati e capelli tinti per diventare magicamente trasgressivi, così come le matricole osavano definirsi.
E anche i suoi compagni, alla fine, non erano altro che persone normali. Forse con qualche mania in più, certo, ma la loro diversità era così evidente solo quando erano tutti insieme.
Perché un Calum che cammina per l’ospedale, è solo un medico dell’ospedale. Ma in mezzo a loro, lo stesso Calum dell’ospedale, diventava improvvisamente il ragazzo strano che si autodefinisce un frutto che ha paura di tutto ma paradossalmente cerca di combattere il mondo per dimostrare qualcosa a sé stesso.
Calum era solo il fifone.
Blekking la sarcastica.
Ashton l’allegrone.
Helena la perfettina.
Luke l’artista disadattato.
Sarah la ragazzina dolce.
E lui… boh, forse lui era l’apatico.
Non erano niente di più niente di meno.
Sembrava tanto una stupida commedia americana da come gli altri dipingevano il viaggio tragicamente, ma erano solo persone come le altre.
Più che compagni di vita, sembravano la Gang del Bosco – triste verità.
Michael pensava davvero che tutte le persone, alla fin fine, fossero speciali.
Che poi la finissero sopra un palco o sotto un ponte, era tutta un’altra storia.
Anche se forse, gli veniva così facile catalogarli solo perché da allora non si erano sentiti tanto.
Anzi, praticamente non parlava con nessuno di loro da quasi un mese.
Un grandioso mese di nullafacenza per Mike che forse, ma solo forse, era un passivo dentro.
E per carità, nessun doppio senso in tutto ciò vi prego.
Se Ashton avesse potuto leggergli nel pensiero, probabilmente l’avrebbe preso in giro a vita. E quasi si stupì di aver pensato non solo ad Irwin, ma addirittura a quello che avrebbe detto.
Quasi gli fece impressione, vederlo in quel momento. Era esattamente nel posto dove si sono rivolti la parola per la prima volta. Lo stesso dove aveva visto tutti i magnifici sei per la prima volta.
E quasi si meravigliò (quasi, sottolineo): era passato poco meno di un mese, eppure sembravano anni.
Ashton, con una bandana rossa sulla fronte, allargò il suo solito sorriso per salutarlo.
E Dio, quei due mega fossi che di trovava in mezzo alle guance non gli facevano male?
Faceva impressione.
“Ciao Michael!”, lo salutò felice la rossa al fianco del riccio. Dietro il suo sorriso si nascondeva qualcosa, ma non si sprecò di indagare. Sarà stato sicuramente l’allontanamento dei compagni di vita, che secondo la rossa dopo la cagata dei luoghi erano diventati migliori amici per sempre.
La salutò con un gesto della mano.
Prese posto proprio affianco a lei (avrebbe cominciato a farsi mille filmini mentali se si fosse seduto da un'altra parte, lo sapeva), e cominciò a pensare a tutte le cose che avrebbe potuto fare se non avesse ricevuto una lettera minatoria dal Direttore – diceva che dovevano assolutamente vedersi quel giorno, a quell’ora, in quel luogo.
Sarebbe potuto rimanere a letto a dormire.
Avrebbe potuto guardare i cartoni alla tv.
Avrebbe potuto ordinare la colazione del McDonald direttamente da casa.
E avrebbe anche potuto ordinare su Amazon il nuovo cd dei The Killers, chissà.
Già, sarebbe stata una giornata grandiosa. Ma era lì.
“Buongiorno”, li salutò Blek. Lui ricambiò lo sguardo, nient’altro. La ragazza sembrava quasi fiera di non essere ancora una volta l’ultima arrivata, il che lo fece sorridere. Certo, Blekking Williams era solo la sarcastica, ma gli stava simpatica.
Prese posto al suo fianco, e la vide lanciare strane occhiate alla segretaria. Sapeva si chiamasse Molly, sapeva avesse sui trecento anni, e sapeva anche che non cagava i ragazzi se non per estrema necessità.
Non fece più caso agli altri, né a quelli già presenti né a quelli che arrivarono di lì a poco.
Fatto stava che osò muovere un muscolo solo quando vide tutti gli altri alzarsi ed entrare nel mitico ufficio del Direttore.
Profumato come sempre, ordinato come sempre, e infantile come sempre.
Già, non era cambiato proprio niente dal mese prima. C’erano persino ancora le stesse caramelle, ma non lo sorprese più di tanto: quel vecchio bastardo non le offriva a nessuno comunque.
“Come ben sapete…”, data la premessa Michael non si sprecò neanche di ascoltare quello che il Direttore aveva da dire. Non gli aveva neanche salutati, e la cosa era piuttosto maleducata.
Più guardava quel vecchio muovere la bocca rugosa, più era convinto del fatto che avesse scelto tutti loro senza nessunissimo criterio. Per lui era facile fare grandi discorsi da filosofo, con tanto di frasi su cui – ne era certo – persone come la rossa non ci avevano dormito la notte per pensarci.
Lui, la notte, spesso la passava ad ascoltare musica.
Quella sera, per esempio, aveva scelto un The Best Of dei grandi Smiths.
So please, please, please
Let me, let me, let me
Let me get what I want, this time.

Canticchiò nella sua mente, e per fortuna evitò di seguire il ritmo della canzone con un movimento della testa che, delle volte, non riusciva proprio a controllare – era più forte di lui.
Paradossalmente, cantando quella canzone fissò con non poco interesse le caramelle sulla scrivania.
Ridacchiò, a quel pensiero.
“Oh bene” e grandioso, una volta che ride e il Direttore lo beccava pure “Carissimo Michael, trovi davvero tanto divertente il fatto che non potrete usufruire né di treni né di aerei? Mi fa piacere, perché tra macchine a noleggio, biciclette e talvolta cavalli, è un bene che ami la vita spericolata”
‘Già, davvero una vita da ricercati’
Scrollò le spalle: non gli interessava tanto, e quelle cose le sapeva già.
Perché non poteva semplicemente assaggiare quelle caramelle.
“Oh, non vede direttore? Lui si tinge i capelli, è un cattivo ragazzo di natura”
Ashton scaturì qualche risata, e persino un suo sorriso. Dopotutto, era bravo ad alleggerire la tensione. Dopo aver preso le parti della bionda gli era un po’ sceso, in realtà. Ma forse era tutta colpa dei grandi occhi azzurri da cucciolo della ragazza o forse… Cazzo, non ne aveva idea.
Lui non era bravo in quelle cose e basta.
“Oh sì, avevo notato quel particolare, Signor Irwin. Grazie per averlo precisato – Ashton gli fece il saluto militare, beffardo – Mi sembra arrivato il momento di rivelarvi le tappe”
Tutti presero carta e penna, lui rubò un foglio di nascosto a Sarah.
“Chiaramente sono in ordine: Regno Unito, Francia, Svizzera, Italia, Austria, Repubblica Ceca, Germania, Belgio, Paesi Bassi, di nuovo Germania, Danimarca, Norvegia, Svezia, e infine Finlandia. Un totale di 5925 chilometri, da percorrere in nove mesi. Ma ehi, ragazzi, ho l’itinerario proprio qui. Non c’era bisogno di prendere appunti con cotanto furore” e a quelle parole, aggiunse persino un sorrisetto bastardello. Uno di quei sorrisi che solo un professore dall’esperienza sudata poteva avere.
‘Oh meno male, mi sono fermato a Svizzera, io’
Gli altri invece erano scocciati. Quanto erano stressati delle volte, davvero non riusciva a capire come potessero vivere in pace con loro stessi se avevano tutto quel nervosismo in corpo.
Vabbè.
“Tutti i trasporti, alloggi, cibo e qualsiasi altre cose, dovranno essere pagati con le famose mille sterline che daremo ad ognuno di voi prima della partenza”
“Vorrei intervenire”, non fece fatica a riconoscere la voce: chi poteva avere con una presunzione incredibile persino nel tono di voce? “Come faremo a sopravvivere? Mi dica lei, davvero
La bionda sarebbe diventata rugosa ben prima della media femminile, se lo sentiva: teneva la fronte aggrottata talmente spesso e con tanta intensità da rendere quel triste destino inevitabile.
“Avete degli artisti, no? – lanciò un’occhiata al biondo e alla mora, ma sembravano più confusi di lui – Saranno loro a provvedere”
Per una volta in tutta la sua vita, ringraziò Madre Natura per non avergli dato nessun tipo di talento artistico. Davvero non se la sentiva di esibirsi in pubblico (elemosinare?) per portare a casa pagnotta – come si suol dire. E in realtà, neanche i due diretti interessati sembravano particolarmente soddisfatti.
“Quindi vi dovrete portare dietro violoncello e album da disegno”
Dopo il primo urlo disperato di Blekking (era quasi sicuro che avesse detto qualcosa tipo ‘già facciamo i barboni, questi animali sfasciano il mio bambino’), smise di ascoltare, nuovamente.
In realtà, era felice.
Da quello che aveva sentito erano tutte davvero delle mete grandiose, e in nove mesi avrebbe finalmente messo alla prova tutto quello che aveva studiato fino ad allora.
Per quanto incredibili potessero essere, non erano sicuramente i paesaggi pazzeschi dell’Europa ad interessare Michael. Il giovane Clifford, infatti, progettava di fare grandi conoscenze con persone completamente diverse da quello che era abituato a vedere e sentire.
Voleva sentire nuove storie, nuovi accenti, nuove pelli e persino nuovi vestiti.
Voleva tante cose, in realtà.
“Propongo di ignorare la Williams e di passare avanti”, il Direttore attirò nuovamente la sua attenzione.
Ispezionò un attimo i visi degli altri per capire, almeno molto superficialmente, cosa fosse successo: Blekking era rossa dal furore così come Helena (avevano litigato nuovamente di sicuro), Ashton e Luke sorridevano (il secondo forse un po’ più inquieto del primo), e Calum guardava le ragazze terrorizzato.
Sarah stava semplicemente passando un braccio sulle spalle del kiwi tanto per consolarlo.
“Era questo che intendevo per ‘ognuno ha un ruolo qui’, non lo avevate capito? Gli artisti per guadagnare soldi, il medico per qualsiasi evenienza di tipo salutare, il linguista per parlare, l’antropologa per una tesi a tutto tondo sulle culture europee, la giornalista per aggiornare sempre ogni movimento ed avventura del gruppo, e il cinematografo/fotografo per creare un corto sulla vostra storia, foto comprese. Ashton, su questo hai carta bianca: puoi fare un film sull’amore, sull’amicizia, più probabilmente sull’odio. Non mi interessa, ma stupiscimi”
Il riccio annuì, seppur confuso.
Quella rivelazione aveva effettivamente deluso un po’ tutti: il loro gruppo non era stato formato col cuore, ma con la testa.
Mike guardò Sarah, al suo fianco. Era terribilmente delusa: essere solo l’antropologa e non il collante del gruppo, evidentemente, non la soddisfaceva per niente.
Quasi gli fece ridere la sua espressione.
“Per il resto… Partite fra una settimana, ma queste cose le trovate sull’itinerario. Qualche domanda?”
Tutti alzarono la mano, simultaneamente. Tutti tranne Mike.
Si sentì un po’ in soggezione, però: alzò così anche lui la mano, sperando che nessuno avesse notato il suo ritardo. Fu fortunato.
“Ashton”, cominciò a chiamare.
Il riccio si schiarì la voce e “Ma per quanto riguarda gli alloggi, potremmo anche essere ospitati?”
Era una bella domanda. Ashton aveva proprio la faccia di uno che aveva agganci anche in Alaska, avrebbe potuto aiutare parecchio da quel punto di vista.
“Sì, sarebbe anche un modo per immergervi meglio nella cultura. Helena, vai”
“Le evoluzioni del viaggio e ulteriori impressioni delle varie usanze straniere posso aggiornarle in tempo reale in un blog apposito? Posso crearlo in tre giorni”
Figurati se non parlava del lavoro.
“Sì, sarebbe ottimo. Le foto ed eventuali video di Ashton, poi, darebbero brio al tutto. Calum, tocca a te”
Il ragazzo non sembrava tanto convinto di voler davvero parlare (insomma, c’erano addirittura persone), ma fortunatamente si decise e prese coraggio.
“P-posso portarmi il mio kit personale, vero?”
E che domanda del cazzo, ma nessuno commentò per evitare che scoppiasse a piangere.
“Sì Calum, sì. Blekking?”
“Devo per forza portare il violoncello?”
Non demorde la ragazza, eh.
“Smettila ragazzina. Luke dimmi che hai una domanda più intelligente”
“Certamente signore. È necessario il passaporto?”
Che deficiente, pensò bonariamente. Già, bonariamente: non pensava certo di essere più sveglio di lui.
Conosceva i propri limiti, Mike. Ma gli piaceva far credere di averli ben più larghi, a volte.
“Sei stupido, Luke” gli disse il Direttore, al posto di rispondere davvero alla domanda.
Gli scappò un sorriso anche quella volta.
Forse non era tanto male ascoltare quelle conversazioni.
“Sarah, dimmi”
“Come faremo a riciclare se viaggiamo in queste condizioni?”
L’espressione ferita e disperata della ragazza lo fece quasi intenerire.
Quasi.
“Ho deciso di non rispondere alla tua domanda” anche il Direttore la pensava come lui “Tu Michael? Dimmi dai, tanto peggio di così”
Non si sprecò nemmeno di trovare una scusa o una qualsiasi domanda da fare.
Non ne aveva proprio voglia.
“Hanno chiesto tutto loro”
Grande uscita di scena Clifford, davvero da maestro.
Il Direttore lo guardò in modo strano, ma lui non cedette di sicuro allo sguardo.
Passò anche alla rossa al suo fianco squadrando tutti uno ad uno, senza cambiare mai espressione.
Sembrava quasi sofferente.
Come dargli torto, d’altronde.
“Me ne pentirò per tutta la vita”, sussurrò.
E Michael era quasi sicuro che si stesse riferendo a loro e al loro viaggio.
Con quelle incoraggianti parole, si alzarono tutti dalle sedie.
Almeno quella volta non c’era stata nessuna tragedia particolare.
“No, aspetti”
Tutti si girarono verso Blekking (la quale non sembrava neanche apprezzare affatto le attenzioni su di sé), che guardava il Direttore confusa.
“Che c’è?”, si aspettava ancora lamentele sul suo violoncello, lo sapeva.
Ma lo sorprese.
Sorprese un po’ tutti.
“Perché sta facendo questo progetto?”
Sembrava una buona domanda. Forse un po’ troppo da filosofa, ma più da ragazzina spaventata dal futuro forse.
Ma il Direttore la accolse di buon grado.
“Lo scoprirete al ritorno”, e le sorrise.
E Dio che faccia di bronzo, perché si vedeva lontano miglia e miglia che aveva sparato la prima minchiata che gli era venuto in mente.
Che bluff cazzo.
“Cazzone”, sussurrò la ragazza prima di uscire.
Michael rise.
 
 
***
 
 
“Ci vediamo al bar alle sei”


Il messaggio era semplice e coinciso. Non aveva ancora segnato il numero in realtà, ma non fece fatica a capire da chi fosse stato mandato: il collante del gruppo, alias la rossa alla disperata ricerca di amici.
Sorprendentemente, pensò solo in quel momento ad un fatto non indifferente: la rossa aveva il suo numero, così come (supponeva) aveva i numeri del resto del gruppo.
E come cazzo faceva ad avere i numeri di tutti?
Quella ragazzina doveva essere fuori di testa, sicuro.
Tuttavia, nonostante l’organizzatrice chiaramente pazza, si presentò al luogo di ritrovo. Niente di nuovo, per loro: il mitico bar di Holly. Diceva di Holly perché sembrava l’unica cosa da notare nel bar, chiaramente.
I tavoli attaccati c’erano ancora dalla volta precedente (qualcuno non aveva voglia di sistemare), e la cosa lo sorprese un po’ in realtà.
Gli aveva ricordato l’uscita precedente, di come tutti alla fin fine si fossero aperti, e di come invece il giorno dopo sembrassero perfetti sconosciuti. E di come ancora sembrassero sconosciuti. Eppure, il giorno dopo dovevano partire e passare nove mesi a stretto contatto.
Non gli piaceva tanto l’idea, in realtà.
Vedeva grandi casini nel loro futuro, e nessuno di quei casini avrebbe portato a qualcosa di buono. Probabilmente ci sarebbero state delle alleanze, avrebbero creato delle fazioni, e le fazioni sarebbero andate in guerra. Poi anche gli stessi membri delle stesse fazioni avrebbero fatto guerra fra di loro e…
Boom. Sì, Boom sarebbe stata la parola che avrebbe segnato la fine del loro viaggio, se lo sentiva.
In tutto quel tempo, poi, non aveva visto nessuno di loro. Evidentemente avevano preferito passare l’ultima settimana da non-eremiti in tranquillità dalle proprie famiglie.
Persino lui era andato a trovare sua madre – che per altro era rimasta colpita e soddisfatta del viaggio che il figlio avrebbe affrontato a breve – ma non si era certo trattenuto più di due giorni.
Una persona, però, l’aveva vista: Blekking. Sempre col suo violoncello in spalla, sempre col sorriso stampato in faccia, e sempre in compagnia del bidello strambo.
Sì, doveva ammetterlo: da quando Blek l’aveva portato all’Auditorium, lui era andato al Conservatorio più spesso di quanto gli piacerebbe ammettere. E gli piaceva pure, come posto.
Sembrava che tutti gli strani si fossero riuniti lì. Ma non gli strani trasgressivi dell’Accademia d’Arte, no.
I veri strani.
E quasi si sentì a casa, paradossalmente.
Ancora paradossalmente, fu proprio Blekking la prima che vide. L’eterna ritardataria aveva finalmente avuto la sua vendetta dato che fu proprio la prima ad arrivare.
Doveva pensarlo anche lei dato il sorrisetto da ebete che aveva.
Ridacchiò nel vederla, e la raggiunse a grandi falcate. Che poi, cosa ci faceva pure lui ben dieci minuti prima dell’orario stabilito? Non erano neanche arrivati Ash e Sarah, il che la diceva lunga.
“Ehilà messicano mancato, come te la passi?”
Gli parlò come se fossero vecchi amici, e questo lo sorprese.
‘Sarà sicuramente l’euforia per essere arrivata prima di tutti’
“Tutto bene violoncellista. Il bambino l’hai lasciato a casa?” chiese beffardo.
“Oh sì, Aurelio sta dormento. Oggi ha fatto tante cose, sai”
Michael era davvero convinto di essersi perso qualcosa di quella conversazione.
D’altronde, non sarebbe stata sicuramente la prima volta.
“No aspetta… hai chiamato il tuo violoncello Aurelio?”
“Oh sì, Aurelio Manfredi”, e rise da sola.
Sì, al Conservatorio c’erano proprio le persone più strane.
“Perchè?!” chiese, alla fine più divertito che scioccato.
“Era il nome del mio professore di matematica delle elementari. Era un tipo strano: se non sapevamo qualcosa ci minacciava dicendoci che ‘ci avrebbe venduto ai turchi’, poi era un sociopatico incredibile. A volte ci mettevamo d’accordo con tutta la classe e lo fissavamo per ore. Dovevi vedere, per poco non si metteva a piangere. Ci piaceva metterlo in soggezione. Ah, bei tempi”
E Michael, così, preferì dare la colpa semplicemente a tutti gli italiani.
Che bambini strani ci crescevano.
E povero Aurelio Manfredi.
“Wow, non vi rivolgete la parola per tutto questo tempo e adesso siete migliori amici? Come mai così in intimità?”
Sorprendentemente a pronunciare quelle parole così acide non fu la bionda, bensì il biondo.
Che il problema in tutto quello fossero semplicemente i capelli biondi?
Forse.
E prima che Blekking lo picchiasse, il riccio comparì dal nulla avvolgendo un braccio sulle spalle di Luke.
Aveva un sorriso tiratissimo. Orribile su Ashton.
“Scusatelo, ha avuto una giornata dura. Cosa ti prende Luke, quella rossa di stamattina non te l’ha voluta dare, eh?”
Luke lo fulminò con lo sguardo.
Strisciò la sedia rumorosamente, prendendo posto proprio davanti alla ragazza. Ashton sbuffò e si sedette affianco all’amico. Michael proprio non capiva dove fosse il problema: aveva sbagliato?
Cercò certezze nello sguardo di Blek, ma trovò solo più confusione.
‘Grandioso, è una sociopatica del cavolo che non capisce niente delle persone pure lei’
L’avrebbero finita male, quei due.
“Oh, vedo di non essere la sola mestruata oggi, che gioia”
E chi poteva essere se non la mitica Helena Parker?
Ci mancava solo a lei, a quel punto.
Si sorprese però, perché la cosa più interessante che avesse sentito da quando Luke e Ashton avevano fatto la loro trionfale apparizione, era proprio il ciclo della ragazza.
Wow.
“Siediti e basta”, secca e coincisa. Blek ci sapeva fare, che dire.
E sorprendentemente Helena lo fece senza obbiettare. Che la sua permanenza dai genitori l’avesse ammorbidita? Nah, magari era solo un calo di zuccheri improvviso.
“Che cosa sta succedendo?! Siete arrivati tutti prima di me?! Eppure mancano ancora cinque minuti, non capisco…”
Sarah era più sotto pressione del necessario. Gli venne da ridere, perché se lei era così non osava immaginare come sarebbe stato Cal… oh giusto, Calum.
Calum che, vedendoli così, appena arrivato, cominciò ad ansimare pesantemente.
“Non sono in ritardo vero? No, io non sono in ritardo. Non. Sono. In. Ritardo.”
‘Quasi mi mancava il suo sudore’
Ignorò la lunga parte in cui Sarah cercò di calmare Calum pur essendo nervosa quasi quanto lui, e riprese il contatto col mondo esterno solo quando tutti si sedettero intorno al tavolo.
Tragedie a parte, era davvero strano che tutti fossero arrivati prima.
Ma non perse tempo a chiedersi il perché, alla fine.
“Comunque”, ad Helena non interessava tanto l’instabilità emotiva dei compagni “Siamo qui per stabilire delle regole”
Regole, dannate regole persino con dei suoi coetanei che – si sperava – non pretendevano chi sa cosa. Ma c’era sempre quella ragazza di mezzo.
Non gli piacevano le regole. Non ne dubitava l’importanza di sicuro, ma le vedeva come delle catene nelle sue ali (sì, ali). Tanto non volava in alto, perché fermarlo?
E difatti, tanto erano tutti degli allocchi sfigati, perché mettere delle regole?
“Veramente volevo fare amicizia ma sono felice che tu abbia preso parola, Hel”
Sarah le rivolse un sorriso smagliante che tuttavia la bionda non ricambiò.
Di male in peggio.
“Certo. Regola numero u…”
“Ehi no, aspetta”, ad interromperla fu colui che in precedenza le fece addirittura da paladino.
In quel momento però, Helena voleva solo ucciderlo.
“Perché le devi dire tu? Ne diremo una a testa. Nessuna di più”, continuò il ragazzo.
In realtà sembrava quasi una buona idea.
Tanto buona che Michael cominciò subito a pensare alla sua.
‘Non pretendere un mio aiuto in cucina? No, patetico e crudele.
Non giudicare i miei colori di capelli? Ah, inevitabile.
Non costringermi a stare sotto il sole? Ok, questo è stupido’

E sì, forse Michael aveva delle priorità un po’ sfasate. Ma non ci poteva fare niente.
Quasi si odiò per non avere nessuna regola bella.
“Come ti pare”, aveva a mala pena sentito il consenso di Parker. Anche se poco contava, alla fine, dato che tutti sembravano molto presi dalla cosa.
Certo, fin quando si trattava di dare regole, tutti erano felici e pimpanti.
Bah.
“Regola numero uno: ognuno nei suoi spazi. Se io ho un letto, quello è il mio letto. Se io ho una tazza, quella è la mia tazza. Se io devo fare una commissione, nessuno può intromettersi. Chiaro?”
E che bella regola di merda, in che razza di famiglia era cresciuta?
Nessuno obbiettò comunque: temevano che poi non avrebbero accettato la loro, di regola.
Tipico.
“Tu non resisteresti dieci secondi in una famiglia italiana”, la derise Blekking.
Al contrario del biondo, lei, ricordava spesso le sue origini. E con un orgoglio incredibile.
Gli piaceva.
“Certo, io ho un’educazione” e Blek era già pronta all’attacco, ma
“Regola numero due!” urlò praticamente Ashton. Si faceva notare, quello “Io non voglio assolutamente che nessuno rubi/nasconda le mie bandane. Seriamente, sono sacre. E ho bisogno di tutte loro, chiaro?”
Uhm, non fa una piega.
Qualcuno stava per prenderlo per il culo (sicuramente), ma Holly li interruppe. Evidentemente si era ricordata del fatto che lavorasse lì e che dovesse servire dei clienti.
Che incredibile cameriera.
“Bene, ci siete tutti…” che strano inizio.
“In che senso?” chiese infatti Luke, confuso.
“Nel senso che ci siete tutti”, disse ovvia. Ma era chiaro persino a Michael – già, addirittura – che non era finita esattamente là.
“Lo dici come se fossimo un gruppo” gli fece notare Calum. Sembrava un po’ rattristato dalla cosa, ma la soddisfazione di aver detto qualcosa occupava troppo spazio nel suo volto per poter trovare altro.
‘Ah, tanto non capirei un cazzo lo stesso’
“Lo siete. Siete conosciuti in tutta l’Università ormai”
Se avesse avuto dell’acqua, l’avrebbe sputata. Sì, persino lui, il menefreghista del gruppo più per reputazione che di fatto effettivamente.
“Che cosa?!”
Helena non sembrava entusiasta di avere a che fare con loro, men che meno essere collegata a loro tramite immagine pubblica, e quello fece ridere Michael.
“Andiamo, non solo avete rubato il posto del concorso più gettonato e desiderato di sempre, ma siete pure il gruppo più strambo che si sia mai visto sulla faccia della terra”.
Michael si sorprese: in realtà non l’aveva mai vista da quel punto di vista, ma il fatto di essere conosciuto non solo come ‘il ragazzo dai capelli colorati’ ma anche come ‘il mezzo-depresso/apatico del gruppo’, non lo interessava più di tanto.
La gente avrebbe sempre parlato di cazzate, di cose vere, di cose giuste e di cose sbagliate.
E a lui andava bene così: perché preoccuparsi di cazzate del genere quando a casa sua c’erano videogiochi e pizza surgelata ad aspettarlo?
Non valeva la pena arrabbiarsi nella vita.
“Oh bene, grandioso. Ora la gente mi guarderà più del solito. Fantastico. Magnifico. Incredibile. E… no non mi vengono altre parole. Sono diventato pure ignorante, cavolo!”
Non si trattenne neanche, e gli rise in faccia con gran parte della combriccola.
E oddio, combriccola? Sul serio?
“Chiudi la bocca Calum!”
Urlò la bionda, in preda ad una crisi isterica che davvero Michael non si aspettava. La guardava confuso, senza riuscire a capire il motivo di tanto trambusto.
Solo perché erano conosciuti in tutta l’Università? Era davvero così scandaloso?
Da giornalista, però, i drammi se li creava da sola. O forse ci viveva proprio, di drammi. Chissà.
“Un po’ di contegno, Parker”, la riprese Blekking. Una Blekking ancora divertita dalle parola assurde di Calum che, evidentemente, era in cerca di rogna.
Tuttavia Sarah non rispose: sarà stato ancora lo stato di shock in cui si trovava, o più probabilmente il braccio di Ashton che le circondava le spalle – il quale, per altro, cercava disperatamente di non ridere.
“Quindi volete ordinare?”
‘Che carina, ha finalmente imparato che lavoro fa’
“Porta sette caffè al più presto”, le ordinò praticamente Luke.
Lei, notando che effettivamente tutta l’attenzione dei presenti era rivolta a qualsiasi cosa tranne che a lei, si allontanò sbuffando.
Ed effettivamente erano tutti troppo intenti ad osservare il preoccupante rossore che si era impossessato prepotentemente del volto del povero Calum.
Rise a pensarci.
Perché davvero: ogni cosa che Calum facesse, dicesse o semplicemente pensasse, lui non poteva che dire ‘povero Calum’.
Avrebbe potuto avere un’intera conversazione con lui di parecchie ore e rispondere sempre con ‘povero Calum’.
Probabilmente l’avrebbe salvato così sul suo telefono. Anzi, ne era quasi certo.
Povero Calum…
“Cosa dobbiamo fare?”
“E che ne so io, è lui il medico”
“E lui è quello che ‘dovremmo consultare in caso di problemi di salute’?”
“Scommetto dieci sterline che sarà lui il primo a morire”
“Quanto sei tragico, Luke”
“Io scommetto che sarà Helena, invece”
“Ashton, la vuoi smettere?”
Era incominciato un triste battibecco tra i componenti della Gang, e nessuno sembrava davvero fare caso al povero Calum che sembrava essersi ripreso.
In realtà Mike l’aveva notato, ma non voleva davvero interrompere quella magica conversazione.
“Ragazzi!” li interruppe finalmente il ragazzo con urlo davvero poco da povero Calum.
La sua faccia spaventata di poco dopo però eliminò ogni traccia di timore che quell’urlo aveva portato.
‘Vai Cal’, lo incoraggiò mentalmente Mike, sperando stupidamente che potesse leggergli nella mente.
Ma forse era meglio così. Anzi, era decisamente meglio così.
“Ecco la mia regola: non fatemi scherzi strani”, disse un Calum ancora leggermente ansimante.
“Definisci scherzi strani”
“Domani mattina avrete un elenco completo delle mie paure fatto dal mio psicologo, non dovrete fare scherzi su nessuna di esse”
“Ah, quindi ci vai dallo psicologo”. Il tono di Helena non era poi tanto cattivo, ma sicuramente facilmente fraintendibile.
Certo che vado dallo psicologo”
E dopo quella confessione, un silenzio inaspettato calò su di loro.
Michael non sapeva esattamente a cosa stessero pensando gli altri di tanto profondo da renderli addirittura così muti, così decise di parlare lui.
“La mia regola è di non svegliarmi”
Lo disse con una naturalezza tale che per poco i presenti non lo prendevano a schiaffi per la sua stupidità.
Alcuni risero -  i soliti, si sa – ma neanche loro sembravano particolarmente soddisfatti dalla sua risposta.
‘Beh? Che si aspettano questi adesso?’
“Sul serio stai sprecando così la tua regola?!” gli disse un Ashton perplesso.
‘Oh, ne parlano come se fossero i tre desideri del Genio della Lampada’
“Sì”, disse con sicurezza. Talmente sicuro che dopo quella semplice sillaba si preoccupò pure di sbadigliare poco raffinatamente mettendo pure i piedi sopra il tavolo.
I piedi dove avrebbero mangiato.
“Andiamo, Michael!”
Lo riprese Calum, mettendogli giù i piedi con una faccia tra lo schifato e il terrorizzato.
Oh sì, Calum sarebbe stato decisamente il primo a finire male.
“La mia regola è che nessuno deve mai anche solo azzardarsi a toccare il mio violoncello”
‘Ah, prevedibile come sempre’ la beffeggiò mentalmente Mike.
E le rise in faccia, praticamente.
“Figuriamoci se Aurelio non faceva la sua comparsa per dieci minuti di conversazione”
“Ehi, non giudicarmi”
I ragazzi risero insieme senza neanche prendersi la briga di farsi capire dal resto del gruppo.
Si sentì un non ben identificato ‘E mo’ chi è Aurelio’, prima che i ragazzi venissero interrotti.
“La mia regola è che nessuno, e dico nessuno dovrà scopare nei mezzi di trasporto che useremo”
Mike fece una faccia strana: era praticamente ovvio, no? Chi mai avrebbe avuto il coraggio di mettere alla prova l’equilibrio mentale già precario degli altri?
E poi povero Calum.
“Luke, che caduta di stile”, lo rimproverò Ash divertito.
Ma lui non rispose neanche. Continuava a guardare dritto davanti a sé duro, con la mascella contratta.
Era proprio incazzato.
“Ecco la mia regola, allora: ogni mattina uno di noi deve dire qualcosa di carino ad un altro di noi, semplice no? Vi prego ragazzi, ho bisogno di un po’ d’amore”
E sì: quella regola era persino più stupida della sua. Quasi si sentì grato Michael per aver affossato il suo bicchiere di idiozie con l’oceano di minchiate della ragazza.
Si sentiva meno stupido.
Tuttavia, tutti annuirono. Ma al col tempo, tutti sapevano che non avrebbero mai seguito l’iniziativa della rossa.
“Ragazzi, i vostri caffè”
Holly tornò da loro, e quella volta fu ampiamente calcolata. Paradossalmente più per i caffè che aveva portato che per le due gioie messe in bella mostra – aveva tolto la felpa.
“Ah, finalmente”
“Ne ho bisogno fisico”
“Chi mi passa dello zucchero?”
“Amaro è da veri uomini”
“Amaro è da veri coglioni”
“Torna nel tuo mondo zuccheroso e non rompere”
“Amo il caffè cavolo”
“E si vede”
Le strane conversazioni che avvenivano in quel tavolo un po’ troppo spesso, vennero interrotte da un rantolo disperato.
Chiaramente, si girarono verso Calum. Il povero Calum li guardava con sofferenza nel viso.
“Ma ragazzi, io odio il caffè. Solo l’odore mi fa stare male!”
“E ma che cazzo, Cal”, disse qualcuno.
E come un tacito accordo, l’intero gruppo ignorò il ragazzo disperato.
Persino Sara.
Ed era in quei momenti che Michael pensava che , forse quella convivenza avrebbe addirittura potuto funzionare.


***
                                                                                                                      
Avevano passato una bella serata, dopotutto, Mike lo doveva ammettere. Certo, c’erano state parecchie litigate, ma cosa poteva pretendere ancora?
Non avevano fatto grandi discorsi filosofici sul senso della vita e quant’altro, in realtà. E non si erano neanche confessati segreti strambi della loro infanzia. Non si erano conosciuti meglio, non avevano fatto nessun passo in avanti come amici, e avevano passato il 90% del tempo a cazzeggiare.
Eppure, si sentiva più parte di quel gruppo rispetto a quella mattina, Michael.
Potevano parlare di tutto, persino di lutti e paure, ma niente poteva unire le persone quanto il cazzeggio.
Teoria stupida? Forse, ma Michael ne era estremamente convinto.
in quel momento Sarah ed Helena stavano avendo una conversazioni sulle abitudini alimentari di una certa Demi Lovato (che poi, chi era?), mentre Ashton le prendeva palesemente per il culo. Si era pure beccato qualche pappina, il ragazzo.
Calum, invece, stava facendo domande delle volte inquietanti a Luke. Motivo di tanta paura: il suo piercing sul labbro. Che per altro, Michael trovava piuttosto figo.
Lui invece era occupato a giocare a Pollicione con Blek. O meglio, era intento a perdere a Pollicione con la ragazza. Quando gli aveva detto ‘i violoncellisti hanno le mani potenti, sciocco’ non l’aveva cagata più di tanto.
Ma si dovette ricredere quando lo stracciò ben tredici volte di fila. Poi si prese una piccola pausa.
Proprio mentre Blek era intenta a prendersi l’ennesima vittoria (ma non era esausta?), il tintinnio di un bicchiere attirò l’attenzione di tutti.
Ashton, già in piedi, guardava tutti loro con uno dei suoi soliti mega-sorrisi.
“Bene, propongo un brindisi!”, urlò.
“Ash, non abbiamo i bicchieri”, gli fece notare Luke, più divertito dalla stupidità dell’amico che infastidito.
D’altro avviso era la bionda, che invece guardava Ashton quasi schifata.
Michael rise, così come stava facendo un po’ troppo spesso.
“Usiamo le tazzine vuote dei caffè. Non possiamo chiamare di nuovo Holly, Cal ha paura delle sue tette”
“Non è v…”
“Non mentire”
Calum rimase in silenzio.
Tutti presero la tazzina vuota, seppur titubanti.
‘Cosa avrà in mente questo, adesso?’, si chiese Mike.
“Bene ragazzi” prese un grande respiro. Non gli faceva male alla faccia sorridere così tanto? “Propongo un brindisi”
“E che brindisi”, lo prese in giro proprio Mike, riferendosi alle condizioni sfavorevoli delle loro sottospecie di bevande.
“Oh, chiudi il becco Mickey” ‘Come diavolo mi ha chiamato?!’ “Vorrei fare un brindisi a noi, ragazzi. Noi, che ci uccideremo il primo giorno di convivenza. Noi, che non abbiamo una straccio di cosa in comune e litighiamo come se non ci fosse un domani per questo. Noi, che ogni secondo in compagnia reciproca è come un pugno allo stomaco. Noi, che ci odiamo. Ma cavolo, siamo conosciuti in tutta l’Università quindi ora, in nome delle immense fregature protagoniste delle nostre vite, prendiamo per il culo un po’ di gente e fingiamoci amici urlando a gran voce ‘A noi’!”
“A NOI!”, risero.
‘L’abbiamo fatto davvero, Cristo’
“Il peggior discorso di tutti i tempi”
“Puoi dirlo forte”
“Oh smettetela, ho una sorpresa per voi!”
Non avevano neanche finto di bere in effetti, e Ash ci era rimasto piuttosto male. Tuttavia, era pronto ancora all’attacco. Si sarebbe mai fermato, quel ragazzo?
Mike decise: non avrebbe mai fatto nessun tipo di escursione in sua compagnia, durante il viaggio.
“Ho una sorpresa per voi ragazzi”, disse con una faccia che davvero, non prometteva proprio niente di buono. Michael sospirò quasi triste.
“Tutto bene Mike?” gli chiese dolcemente la rossa. Lei sembrava particolarmente felice quel giorno.
Si limitò ad annuire.
“Dai, quale sarebbe questa sorpresa”, chiese Helena, anche lei irrimediabilmente curiosa. Una giornata con Ashton e già stava diventando strana pure lei.
“Il nostro primo mezzo di trasporto, ragazzi”
Tutti si illuminarono e “DOVE?” , gridarono.
Ashton li guardò gongolante: amava tenere sulle spine la gente.
“Seguitemi”
Credeteci o no: nessuno fece storie.
 
Erano le otto di sera, e avevano già mangiato. Proprio Michael aveva deciso di fare una piccola sosta in un market che aveva avvistato durante il cammino, e l’avevano finita col comprare il mondo. Tra schifezze e finti salutari – “la mela caramellata è pur sempre una mela, no?”, aveva stupidamente chiesto Luke – erano arrivati a destinazione.
O almeno era quello che sperava Michael, dato che non ne poteva davvero più di camminare.
Poteva metterli quanto voleva, ma doveva ammettere una cosa: quei skinny jeans non erano affatto comodi.
“Ce l’abbiamo fatta”
Erano in un quartiere di Londra piuttosto tranquillo, lontano dal centro ma facilmente raggiungibile. Tutti e cinque guardavano curiosi la casa davanti a loro, come se si aspettassero un qualche segno divino.
Non arrivò.
“Mi dispiace deludervi ma non è il Castello errante di Howl, ragazzi”
“Oh certo, il Castello è più pulito”, lo riprese Blek.
In effetti non era una casa messa tanto bene, sembrava quasi abbandonata.
“Ma di che diavolo state parlando”, chiese scontrosa Helena.
‘Non ha davvero mai visto il Castello errante di Howl?!’
“Ma che diavolo di cultura cinematografica hai?!”, chiese proprio lui.
“Scusa se mi occupo delle cose davvero importanti della vita”
“Oh, basta così”, li interruppe Sarah. Che poi, come avesse voglia di fermare ogni singola discussione non si sapeva ancora.
“Se mi seguite, vi mostro il mio gioiellino”
E mai l’avessero fatto. Con una piccola chiave, Ash aprì il portone del garage.
Se l’esterno sembrava poco raccomandabile, l’interno non si distava tanto da quella concessione. La polvere era tanta e fastidiosa, ma per il resto era a posto.
Diciamo che il fatto di non aver ancora visto topi aveva soddisfatto Michael.
“Ta-dan!”
Tolse un telo da quella specie di dinosauro che occupava l’intera stanza, e per poco non gli rise in faccia.
Era un camper.
E Mike non aveva mai visto un camper in un garage.
“Ma questa passione per i catorci?” Ashton fulminò con lo sguardo il biondo, che però era troppo occupato a dare il cinque a Blek.
Si era decisamente rilassato dall’inizio della serata.
“E’ il camper più imbarazzane di tutti i tempi”, continuò Helena. E molto probabilmente di riferiva al rosa shokking che dominava l’intero mezzo. Se Michael avesse trovato i sedili pelosi dello stesso colore all’interno, si sarebbe potuto dichiarare l’uomo più felice del mondo.
“Oh ma che cavolo! Sarah, almeno tu luce dei miei occhi, cosa ne pensi?”
La ragazza arrossì per l’appellativo affibbiatole, ma questo particolare non la influenzò nel giudizio.
“Beh… è brutto”
E Ashton allora rise, perché sì, effettivamente la situazione è divertente.
“Forse se fosse di un altro colore…” cominciò Calum.
Che avesse lasciato la parte ‘sicurezza’ da parte? No, forse non voleva semplicemente essere preso ancora in giro per le sue manie.
“Lasciate fare a me”, Luke sorrise a cinquecento denti. Il suo volto era illuminato di un’intraprendenza e voglia di fare che non aveva mai visto sul suo viso – e forse neanche sul viso di qualsiasi alta persona.
Stranamente quell’espressione gli ricordò terribilmente Blek.
“Oh, il grande artista all’opera, sono curioso. Come puoi vedere qui ci sono anche diverse tinte colorate, laggiù ci sono pennelli e quant’altro… Divertiti amico”
Ma venne interrotto da Helena.
“Ma dove siamo?”
“Non è violazione di proprietà privata vero?!”
“Caro Cal, non potrei mai farti correre tale rischio”, lo prese palesemente per il culo “Questa è la vecchia casa dei miei nonni che si sono trasferiti. Questo è il camper che mi hanno regalato per i miei diciotto anni e ne vado piuttosto fiero, quindi sfottete poco” Blek ridacchiò “E’ tutto”
“Quindi posso ritinteggiarlo?”, disse Luke, ignorando alla grande tutto il discorso del riccio.
“Mi fido di te, giovane Skywalker” disse lui, mettendogli una mano sulla spalla.
Blek rise nuovamente.
“Tuttavia ti devo abbandonare: non ho ancora fatto la valigia”
Helena lo guardò scioccata e “Cosa?!”
‘Qui urliamo tutti un po’ troppo’
“Già. Qualcuno può restare a fare compagnia al nostro artista preferito?”
Sperava di attirare qualcuno con quelle dolci parole, ma non ci riuscì più di tanto.
“Io devo telefonare tutti i miei parenti prima di partire”
“Io devo cambiarmi l’assorbente e ho bisogno di casa mia” Grazie dell’informazione, Blek’
“Io devo controllare la lista delle cose che ho portato”
“Io vi voglio semplicemente evitare per le prossime dodici ore”
‘Wow’
“Rimango io. Nessun problema”
Tutti si girarono verso Michael, chi stranito e chi soddisfatto. In realtà gli faceva piacere stare col biondo. Era una bella serata, le stelle si potevano vedere bene, e la temperatura era più che piacevole. Probabilmente avrebbe già passato questa nottata fuori, quindi perché non stare col suo compagno di vita?
“Perfetto allora!” Ashton si sfregò le mani l’una con l’altra “Ragazze, Calum, dove abitate?”
“Io sono ancora al dormitorio” disse una.
“Anche io in realtà”, disse l’altra.
“Oddio, anche io”, aggiunse persino la terza.
“Ma è illegale!” fece notare disperato Calum.
“Ah, nessun problema. Anche io abito ancora nel dormitorio”
Ashton rise ancora e “Alla riscossa donzelle!”
“Puoi evitare di generalizzare?” lo riprese Cal.
“Ah, no”
E si allontanarono così.
Michael si girò verso il biondo, che guardava ancora verso i compagni. Non stava sorridendo, non sembrava arrabbiato. Rilassato forse, o semplicemente apatico.
No, il ruolo dell’apatico era suo.
“Forza, al lavoro”
Il biondo si diresse verso il garage, ma proprio quando Michael lo stava per raggiungere, lo fermò.
“E no, deve essere una sorpresa per tutti, tu resti fuori”
Dicendo questo, gli diede pure una sedia a sdraio arancione.
Forse si sarebbe dovuto offendere, eppure stare fuori gli faceva solo piacere.
Si sedette sulla sdraio incredibilmente comoda, una mano dietro la testa e l’altra a reggere il milkshake che non aveva ancora terminato. Si era posizionato proprio affianco al garage, da cui proveniva la luce forte.
Sentì Luke già alle prese con tinte e pennelli.
Cominciò ad osservare le stelle e paradossalmente la luce del garage gli faceva solo piacere. La presenza stessa di Luke gli faceva piacere.
Era una compagnia silenziosa la loro.
‘Dio, come si sta bene’, pensò Mike, tentando di godersi a pieno il calore di quella serata.
“Allora, cosa ne pensi?” gli chiese un Luke dall’aria tranquilla. Lo sapeva, anche se non poteva vederlo.
“Riguardo a cosa?” prese un sorso della bevanda. Parlarsi senza vedersi era divertente, alla fine.
“Di tutto, credo”
Sentì un rumore sordo: aveva fatto cadere sicuramente qualcosa.
“Ma gli artisti non erano le strambe persone che devono trovare ispirazione e quant’altro e hanno l’estremo bisogno di silenzio?”
‘Che periodo sintattico complicato’
“Rispondi e basta, dannato linguista”
Risero insieme.
“Penso che sia assurdo”, lo disse con sincerità.
Insomma, aveva fatto domanda solo per Brianne, lo avevano preso, e il giorno dopo sarebbe dovuto partire con sei sconosciuti per passare i successivi nove mesi in giro per l’Europa.
Il tutto a bordo di un terrificante camper.
Era decisamente assurdo.
“Concordo con te”
“Perché me l’hai chiesto?”, altro sorso.
“Non so. Forse è successo tutto troppo in fretta…”
“Andiamo Hemmings, parli come una dodicenne che ha appena perso la sua verginità con il capitano di football della scuola di suo fratello maggiore”
“E tu fai battute troppo lunghe, Clifford”
Mike sorrise, continuando a fissare le stelle. Non era uno di quei filosofi che da una semplice occhiata al cielo stellato potevano scrivere poesie emozionanti di pagine e pagine, ma gli piaceva tanto.
“E degli altri, cosa ne pensi?”, questa volta fu lui a parlare.
“Helena la schiaffeggerei dalla mattina alla sera”
“Oh non prendertela più di tanto. Ashton la sta già cambiando”, espose i suoi pensieri.
“Forse. Dai, almeno è carina”
“Sì, decisamente”
Stranamente nessuno dei due fece commenti sulle sue magnifiche tette.
“Calum invece è la persona più stramba che abbia mai conosciuto”
“E se lo dice uno dell’Accademia d’Arte è grave”, ridacchiò.
“Dai, sentiamo che razza di reputazione abbiamo”
Dai rumori sentì che aveva finalmente iniziato a tinteggiare.
Era curioso, ma non volle guardare comunque.
“Ecco… siete un po’ i trasgressivi della situazione. Quelli mezzi esaltati che quando camminano per strada e hanno un’illuminazione devono subito prendere un foglio di carta e scarabocchiare qualche cazzata. E non per essere cattivo, ma la maggior parte di voi recita e basta la parte del grande artista”
Lo sapeva, Mike. Molte persone avevano cercato di fare amicizia con lui – ‘tra capelli colorati bisogna socializzare’ dicevano. Ma erano uno più rincoglionito dell’altro.
Eppure, Luke si discostava da tutti loro.
“Oh, te lo confermo. Ci sono più facciate che stanze, in quel posto. Ma ci si diverte comunque, dai”
“Non ne dubito”
Gli piaceva Luke. Era un ragazzo normale alla fine, eppure un artista. Un grande artista, da quel che aveva sentito.
“Ashton invece mi piace. È una botta di energia, proprio come Sarah. Ma almeno lui non si mette a piangere quando vede un bambino sbucciarsi un ginocchio”
“Quello sicuramente. Anche se quelle bandane non le capisco proprio”
“Credo che non ci sia davvero niente da capire, alla fine”
“Già”
Ci fu un breve silenzio. Un silenzio che entrambi si godettero per bene.
“Ti piace Blekking?”, chiese ad un tratto Luke.
Lo chiese così, all’improvviso. Talmente inaspettatamente che per poco Clifford non sputò tutto il suo amato milkshake per terra.
“Non potrei mai stare con una ragazza che ama più il suo violoncello di me. Sai che gli ha dato pure un nome? Si chiama Aurelio. Coraggio, trova un nome peggiore”
Luke rise dall’interno, e per poco non fece cadere nuovamente il pennello.
“Io lo trovo divertente”, notò.
“Quello sicuramente. Ma penso non potrebbe mai essere più di un’amica. Perché lo chiedi?”
Quella volta il suo tono divenne malizioso e curioso.
Certo, Blekking non aveva forse le tette di Helena, ma era bella pure lei.
Poi aveva quel fascino da musicista che non l’avrebbe mai abbandonata.
“Mi sembrate semplicemente una coppia… affiatata”
‘Affiatata? Seriamente?’
“Lo sai com’è Blek. È semplicemente strana. E io mi diverto con le persone strane”
“Io penso sia più semplice si quel che gli altri pensano”
Mike sorrise. ‘Questi due scopano prima della fine del viaggio’.
Poco fine? Sicuramente.
Con un velo di maschilismo? Probabilmente.
“Sai Michael, mi piacciono i tuoi capelli”
E la capacità di Luke Robert Hemmings di cambiare argomento ogni tre secondi aveva vinto tutto.
“Grazie” rise Michael.
“Anche io stavo pensando di tingerli, sai?”
“E rovinarti quel bellissimo colore biondo naturale? Sarebbe un vero affronto a tutte le bionde ossigenate che popolano il mondo, non credi?”
“Forse hai ragione”
Ancora silenzio. Michael pensò pure di aver visto una stella cadente, ma non ebbe nemmeno voglia di esprimere un desiderio.
“Previsioni per il viaggio?”
Luke aveva bisogno di parlare, forse. E a lui faceva solo piacere, alla fine.
Già, Luke gli piaceva proprio.
“Sarah spera così tanto di fare amicizia che alla fine la faremo pure, penso”
“Quella ragazza riuscirebbe a convertire il Diavolo con quello sguardo da cane bastonato, forse”
“Oh, decisamente. Tu invece?”
Luke sospirò. Forse ci stava pensando.
“Non lo so. Spero soltanto che il nostro medico si sappia curare da solo”
“Credo lo speri più lui di te”
E risero ancora. E poi ancora, ancora, e piacque ad entrambi.
Luke finì davvero tardi, verso l’una di notte. Ma a nessuno dei due scocciò.
Solo allora mandarono un messaggio a tutti dicendo di farsi trovare la mattina dopo alle otto del mattino in quello stesso posto.

L’avventura stava per cominciare.

E ‘Bastardo, mi hai svegliato’ lesse a voce alta Luke.
Tornarono nel dormitorio ancora ridendo.





Angolo autrice

Allora, ammetto che fare l'angolo autrice è piuttosto imbarazzante ma ci tenevo a dare un'opinione anche qui. 
Pensavo di fare un'introduzione molto più sintetica per passare subito all'azione, ma alla fine è uscito l'ennesimo capitolo lunghissimo - perdonatemi pls.
Io odio le persone che non passano al punto in fretta, e ammetto di provare un profondo disprezzo verso la me scrittrice in questo momento.
Coooomunque, sappiate che nel prossimo capitolo finalmente si parte. 
Ebbene sì, l'avventura incomincerà sul serio.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto :)
A presto.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo Cinque
 

‘ Cosa vi aspettate dal viaggio?

“Tanti germi”
- Calum

“Il silenzio stampa vale come risposta?”
- Helena

“Boh”
- Michael

“Una nuova e forte amicizia. C’è poco da scherzare, ne vale la nostra sopravvivenza”
- Sarah

“Bullismo”
- Blekking

“Solo io penso che la finiremo in carcere?”
- Luke

“Una rissa. Una rissa senza precedenti”
- Ashton
 


Calum
 
Ansia.
Avrebbe voluto trovare una parola più tragica, una parola che desse più enfasi alla situazione, ma non la trovava. Quella non era semplice ansia – o forse era lui che abusava di quella parola?
‘Ansia’ non poteva affatto esprimere quello che provava Calum in quel momento.
Si era portato dietro tutto quello che gli era saltato in mente, tanto da poter far fronte addirittura ai suoi scenari peggiori – corde da scalatore e spray al peperoncino anti-stupro compresi.
Una borsa l’aveva dedicata ai suoi due oggetti preferiti: il suo quaderno degli appunti (chiamato gergalmente ‘diario segreto’, ma lui non lo avrebbe mai ammesso) e il suo porta fortuna: una piccola statuetta di legno che ritraeva una triglia intagliata da suo nonno stesso.
Non aveva mai capito perché avesse scelto proprio una triglia, né tantomeno perché gliel’avesse regalata. L’aveva scoperto solo sul letto di morte del vecchio. ‘Sei sfigato come una triglia’, gli aveva detto, prima di esalare il suo ultimo respiro.
Calum ci aveva provato davvero a trovare una qualche sfumatura filosofica in quelle parole, ma ogni suo sforzo sembrava vano.
Così a sua madre, la quale aveva le lacrime agli occhi e una curiosità viscerale di conoscere le ultime parole del padre, disse semplicemente che le ultime parole del nonno erano state ‘ti voglio bene’.
Semplice, carino, ad effetto alla fine.
Ma in quel momento, in mezzo a tutti i suoi compagni, Calum non si sentiva poi così tanto triglia – che poi, perché proprio la triglia?
Non per il fatto che lo facessero sentire amato o accettato, anzi. Semplicemente per il fatto che tutti in quel gruppo erano sfigati. Anche quelli più popolari.

E lui sapeva davvero di aver portato tutto, di non essersi dimenticato di niente, sapeva di non aver niente di concreto da temere.
Eppure, sentiva che tutto sarebbe andato storto comunque.
Sentiva che c’era comunque qualcosa che non andava.
“Alla buon’ora, Blekking”, sentì dire da qualcuno.
E solo allora capì quale fosse davvero il problema: i suoi compagni di viaggio.
Oggettivamente, erano loro la causa della sua ansia.
Perché seriamente, dover passare tutti quei mesi con persone del genere, faceva venire dei brividi di terrore a Calum.
Lo doveva ammettere, almeno a sé stesso: non sopportava nessuno di loro.
Ce l’avete presente quella sensazione fastidiosa che si prova sulla pelle quando qualcuno che vi sta antipatico parla, e avete il repellente bisogno di picchiare quel qualcuno?
Ecco, era esattamente quello che provava Calum veso ognuno dei suoi compagni.
Togliendo la parte del picchiare, quello era troppo per lui.
Non sopportava il modo in cui Sarah Parker cercava di cambiare l’ordine naturale delle cose tentando in tutti i modi di rendere il loro gruppo compatto e da trasposizione nella realtà di Friends.
Non sopportava  il modo in cui Michael Clifford portava i suoi capelli colorati, indifferente. Come se davvero non sapesse che gli occhi di tutti fossero rivolti verso di lui, come se davvero lui non si nutrisse di quell’attenzione.
Non sopportava Ashton Irwin e le sue esagerate fossette che mostrava anche fin troppo spesso. Non che fosse un hater della felicità, ma era sicuro che sorridere così tanto non fosse ampiamente giustificato.
Non sopportava neanche quando la perfettina Helena Watson portava gli occhi al cielo ogni qualvolta qualcuno aprisse bocca, come se solo lei sapesse dire cose intelligenti.
Non sopportava Luke Hemmings e il fatto che non avesse un luogo. Già, era passato tanto tempo, eppure quella storia non gli era ancora scesa. Se voleva fare il bambino speciale diverso dalla massa, poteva restarsene nella sua amata Accademia d’Arte.
Ma più di tutti, non sopportava Blekking. Quella che sapeva cosa desse fastidio alla gente, e proprio per quello continuava imperterrita a dare fastidio a tutti. Perché lei si divertiva così, e tutto ciò lo faceva uscire fuori di testa. Soprattutto perché, nonostante tutto, tutti continuavano a starle vicino. Cosa diavolo aveva di tanto speciale? Era solo una ragazzina dispettosa.
Non sopportava nessuno di loro, ma solo perché vedeva solo i loro difetti.
Era quello il motivo di tutte le sue paure, no? L’incapacità di vedere altro se non difetti.
In un cielo blu non vedeva serenità, ma solo più possibilità di essere rintracciato da qualche entità aliena con cattive intenzioni proveniente dallo spazio.
In un mare calmo non vedeva tranquillità, ma più possibilità di beccare l’amo di qualche pescatore inesperto attirato dalla bella giornata.
Forse, avrebbe smesso di avere tutte quelle paure solo quando avrebbe cominciato a vedere una buona antropologa in Sarah Parker, un capace traduttore in Michael Clifford, un abile regista in Ashton Irwin, un’intelligente giornalista in Helena Watson, un fantasioso artista in Luke Hemmings e una grandiosa musicista in Blekking Williams.
Fino a quel momento, però, gli sembravano tutti delle triglie pazzesche.
Soprattutto quella maledetta Blekking, che a dispetto dal precedente incontro, era arrivato persino più tardi di Michael e Luke, i quali avevano fatto le ore piccole all’apparenza.
Loro due, continuavano a sbadigliare.
Non lo sapevano che con gli sbadigli di espellevano una quantità di germi incredibili?
Dio, avrebbe dovuto insegnare loro una marea di cose.
“Siete emozionati ragazzi?”, il tono eccitato della rossa distrasse nuovamente Calum dai suoi pensieri – e forse era anche meglio così.
Tutti portarono lo sguardo verso la ragazza: con le sue due valige rosa più grandi di lei e un sombrero apparentemente originale, però, non era facile prenderla sul serio.
Forse fu proprio per quello che tutti le scoppiarono a ridere in faccia, senza nemmeno prendersi la briga di nascondersi da lei. Così le si arrossirono le guance, ancora. Ma sorrise.
‘Ti stanno prendendo in giro, perché sorridi?!’, le chiese mentalmente. Non rispose.
“Vorrei farti tante domande in questo momento ma non me la sento di sentire le risposte, davvero”, riuscì a dire Luke tra le risate.
Perché non la smettevano di ridere?
Non potevano partire e basta lasciando perdere tutte quelle moine da finti amiconi? Tempo due minuti e avrebbero cominciato a litigare nuovamente, tanto.
“Ragazzi, ragazzi”
Ashton tentò di attirare l’attenzione del gruppo, il quale sembrava però meno interessante delle battutine sul cappello di Sarah.
Cal sbuffò, ancora più irritato di Ashton.
“RAGAZZI!” urlò quella volta, e solo allora attirò qualche sguardo curioso.
La consapevolezza di dover urlare per essere calcolato, fece deprimere ancora di più Calum.
Già doveva affrontare un miliardo di paure, non aveva proprio voglia di combattere persino quelli che sarebbero dovuti essere i suoi compagni di vita.
“Sì?”, rispose Helena con nonchalance. Continuava a fissare le sue unghie con disinteresse, reputando la sua manicure molto più interessante di tutti loro.
E non aveva tutti i torti.
“Sono aperte le scommesse!”
Tutti cominciarono a guardarsi intorno ancora più confusi di prima. Come definire Ashton Irwin in una sola parola? Ambiguo.
Probabilmente lui avrebbe preferito termini più eleganti ed intriganti quali ‘misterioso’ e ‘imprevedibile’, ma la realtà era ben diversa: Ashton era solo un tipo ambiguo che giocava con le menti degli altri.
‘E poi, con tutte le pubblicità che il governo ha messo ovunque, non ha ancora capito che le scommesse portano alla dipendenza?’
Il sol pensare di dover viaggiare con dei gioco-dipendenti gli faceva ribrezzo.
Sarebbe mai finita quella tortura?
“Ma che cavolo stai dicendo?”
Blek, fine ed elegante come sempre.
Lui la ignorò “Allora, ci siamo tutti?”
‘Devo rispondere io? Perché se devo rispondere io lo devo sapere adesso. Perché stanno tutti zitti? Allora che faccio, parlo? Qualcuno risponda, vi prego’
E sì, era effettivamente una domanda stupida.
“Sai contare?”
E Calum lo sapeva, avrebbe dovuto parlare lui. Perché se Ashton Irwin fa una domanda, ci sarà sempre una Helena Watson con la rispostina acida.
E lui davvero non aveva voglia di assistere all’ennesimo attacco di stronzaggine della bionda.
Non la sopportava anche per quello.
“Purtroppo mancavo a quella lezione di prima elementare, avevo la febbre. Potresti riempire le mie lacune?”
Grazie Ashton per non essere Blekking Williams.
“Sì, ci siamo tutti”, sbuffò Helena.
Sempre a sbuffare, cavolo. Una locomotiva era più silenziosa di lei.
“Bene, allora chiamo al mio fianco il grande, l’unico e solo Luke Hemmings!”
E pretese pure un applauso, l’idiota. Perché Ashton Irwin poteva non essere polemico come Blekking Williams, ma era pur sempre Ashton Irwin, e con lui la sua megalomania.
Quella, non l’avrebbe mai abbandonato.
Così, mentre Luke prendeva posto al fianco del riccio, Cal cercava solo di non posare lo sguardo sul suo disgustoso piercing e non vomitare tutta la colazione.
C’era tensione, nell’aria. Tutti con le loro valigette, tutti con le loro speranze e tutti con i loro sorrisi. Tutti che ignoravano palesemente la tragicità della situazione.
Ma come facevano?
“Buongiorno” oh, non era affatto un buongiorno “Come state?” una merda.
“Bene!”
“Luke hai una sanguisuga sotto l’occ… Ah no, sono solo le tue occhiaie. Continua pure ti prego”
“Grazie, Blekking
Perché aveva parlato? Non poteva stare zitta? Magari a quel punto sarebbero già in strada e lui avrebbe smesso di avere così tanta ansia.
Perché sì, Calum aveva ansia.
Calum era fatto d’ansia.
Calum era ansia.
Ansia, ancora.
“Non ascoltarlo, zuccherino”, ci rise sopra Ashton. Strano eh? “Sei bellissimo anche così”
Che dichiarazioni.
“No, non è vero”, si intromise Mike, dando il cinque a Blek.
‘E ora perché cazzo si stanno dando un cinque, dai sentiamo’
“PARTIAMO E BASTA”, urlò quella volta, fuori di sé.
E finalmente, tutti sembrarono notarlo. Doveva essere grato di quell’attenzione – forse l’avrebbero finalmente ascoltato. Eppure, vedere tutti quegli occhi puntati su di lui lo fece arrossire. Terribilmente.
‘Smettete di guardarmi vi prego’. Ma nessuno gli lesse nella mente; dannazione.
Sarah, occhi da cucciolo grandi come due case e capelli rossi abilmente raccolti in uno chignon ordinato, gli mise un braccio sulla spalla, come a confortarlo.
Come faceva a non capire che quel braccio gli dava solo fastidio? Che chissà quanti germi aveva? Che la sua compassione lo faceva sentire solo ancora più strano?
E non quella stranezza tanto acclamata da Angelina Jolie nei suoi discorsi agli Oscar, ma quella stranezza da sedativo e camice bianco. Non so se rendo l’idea.
“Rilassati Cal, va tutto bene”, perseverò la rossa. E non capiva nemmeno che non andava affatto tutto bene. Nessuno capiva che sarebbe stato un viaggio di merda? Che si sarebbero solo odiati ancora di più? Che non sarebbero mai riusciti ad arrivare ad Helsinki?
“Senti caramellina, se devi avere uno dei tuoi attacchi da psicopatico puoi anche rimanere a Londra”
E quasi ringraziò la durezza di Helena, perché finalmente Sarah si allontanò da lui per raggiungere la bionda.
Probabilmente per rimproverarla, chissà.
“Okay, ignoriamo tutto questo” come sempre  “Come dicevo, il nostro Luckey stanotte ci ha deliziati delle sue doti artistiche ridipingendo il nostro bolide”
“Bolide? Sei serio?”
“Blek, se non sei d’accordo con la mia definizione puoi anche lasciare la compagnia e rendermi il grembiule”
‘Grembiule? E ora che c’entrano i grembiuli?’
La ragazza tuttavia sembrò capire, dato che alzò le mani in segno di resa.
“Ashton e la sua fissazione per Masterchef….”, sussurrò qualcuno.
E allora capì qualcosa di più, almeno.
“In un’occasione simile non potevo non approfittarne: sono aperte le scommesse ragazzi! Chi indovina cosa ha disegnato Luke, avrà la possibilità di scegliere per primo il proprio giaciglio!”
E non sapeva bene da dove si fosse tirato fuori la parola ‘giaciglio’, ma in quel momento Calum voleva solo partire. Perché tutte quelle inutili parole? Stavano solo perdendo tempo.
E lui odiava perdere tempo.
“La vuoi finire, Ashton?”, ringraziò Helena per la seconda volta in quei cinque minuti.
“Helena eliminata. Cal, tu cosa dici? Che pensi abbia disegnato Luke?”
 ‘Non poteva continuare ad ignorarmi?’
 “Un cucciolo di foca?” ‘Sul serio? Un cucciolo di foca? Sono proprio andato…’
Ashton rise “Fantasioso Cal, mi piace. Sarah?”
“Forse avrà voluto dimostrare la nostra unione in qualche modo. Magari ha disegnato una persona di colore, una macchina da presa, un violoncello, un quadro, uno stetosc…”
“Taglia”, la riprese Blek.
“L’arte non si taglia, Blek” la riprese Luke, portando un braccio sulle sue spalle “Grande idea, Sarah”, e alzò un pollice in sua direzione. Nonostante la stesse palesemente prendendo per il culo, la rossa sorrise.
“Bene. Blekking, tu che mi dici?”
“Data la sua fissazione per Batman, direi che l’ha fatta a immagine e somiglianza della Bat-Mobile”
‘Se l’ha fatto sul serio io non ci salgo, Dio’
“Ottima tesi, Williams”
“Io non sono fissato con Batman”, si lamentò invece il biondo.
“Hai il bracciale di Batman, la maglietta di Batman, e persino la valigia di Batman. Sei imbarazzante, Luke”, disse questa volta Helena, senza neanche alzare lo sguardo dalle sue unghie.
Quanto era vanitosa quella ragazza? Almeno quella mattina li aveva risparmiati dalla vista di uno dei suoi tailleur.
“Ma Spiderman è migliore”, fece notare loro.
‘Come ho potuto non pensarci prima, certo’
“Allora, alla luce di questa nuova consapevolezza, posso ritenermi ancora in gioco”, cominciò Irwin “Secondo me, ha disegnato un planisfero”
“Nah, troppo artistico e intelligente”
“Grazie per la fiducia”
“Figurati”
“Perché nessuno crede nelle mie capacità di artista profondo?”
“Principalmente perché hai una farfalla rosa disegnata sul polso”
“Io ci credo, Luke”
“Grazie Sarah. E vaffanculo Blek”
‘State zitti, state zitti, state zitti, state zitti, porca miseria chiudete quella fogna’
“Ok, basta così” ‘Ah, finalmente’ “E ora…”
“E ora è il mio turno di indovinare”
Tutti si girarono confusi verso Luke. In effetti, dovevano aspettarsi che avrebbe imbrogliato, quel biondino australiano. Sfoggiava un sorriso a 32 denti, mentre teneva ancora il braccio intorno a Blek.
Una Blek che lo guardava divertito, l’unica. Gli altri, come lui, erano semplicemente mezzi-incazzati.
“Scommetto che Luke ha disegnato il bolide stile Mistery Machine, di Scooby-Doo”
‘Non ci salirò mai, Cristo Santo’
“SPOILER!” urlò invece Ashton, puntandogli un dito contro davvero minacciosamente.
Evidentemente non gli faceva piacere che qualcuno barasse ai suoi giochi.
Comprensibile.
“Ashton, rilassati”, gli disse la bionda infastidita.
Ma cos’avevano le sue unghie di così interessante? Nessuno dall’inizio della mattinata aveva ancora avuto la possibilità di incrociare il suo sguardo.
Sospirando, scosse la testa.
Agli occhi di qualsiasi passante poteva sembrare un ragazzino depresso per qualche sciocchezza – magari un brutto voto a scuola.
Ma tralasciando il fatto che lui non prendesse mai brutti voti a scuola, i motivi per essere così depresso ce li aveva eccome, diamine.
“Volevo l’effetto a sorpresa! Vi ricordo che ho sacrificato quattro mie lenzuola per poter coprire interamente questo camper e lui… lui che fa? Rovina tutto
Che la reazione di Ashton fosse esagerata, non c’erano dubbi. Ma del fatto che fosse addirittura serio con quello che avrebbe potuto prendere tranquillamente il nome de ‘Il lamento di Ashton’, non se l’aspettava nessuno.
Né tantomeno il biondo, che dallo shock aveva addirittura lasciato le spalle di Blekking.
Ci fu un attimo di silenzio, in cui tutti stavano riflettendo su cosa fare.
O almeno, quello era ciò che credeva Calum. Lui, d’altro canto, cercava semplicemente di non morire d’ansia.
“Ash…”
E lui, di tutta risposta, con un gesto più che teatrale, levò via le sue lenzuola dal bolide.
E quello che videro, li lasciò a bocca aperta.
Sì, fece quell’effetto persino a Calum, che di viaggiare a bordo della Mistery Machine non ne aveva propria voglia.
Finalmente fu tutto chiaro: Luke era giusto per la su Accademia.
Diavolo, se era giusto.
Non era semplicemente la Mistery Machine, era un vero e proprio capolavoro.
Un capolavoro che fece addirittura sbollire Ashton, la cui rabbia sembrava perenne e inarrestabile – altro che Achille furioso.
“Wow”, sussurrò qualcuno.
Luke, da parte sua, sfoggiava un sorrisone che poteva solo voler dire ‘so di essere appena diventato il vostro Dio’. Rimise il braccio nelle spalle di Blek.
“Che dire… Luckey, hai vinto la scommessa”
Non sapeva chi fu esattamente a mettere in sottofondo i Queen; fatto sta che la sua camminata verso la sua stessa creazione fu davvero trionfante e ad effetto.
Il tutto venne rovinato quando una ragazza a caso – Blekking – gridò nel pieno dell’assolo di Freddy Mercury “Brutto bastardo, non me ne frega niente, hai barato!”
E a quel punto, al diavolo la camminata ad effetto, quello che si presentò davanti agli occhi dell’innocente Claum fu un vero e proprio scenario apocalittico: i suoi compagni che urlavano, si spingevano, e giurò di aver visto pure qualche schiaffo non esattamente innocuo.
Michael, notò, ne stava approfittando per pogare – non credeva gli interessasse molto della sua postazione all’interno del camper.
Quando tentarono di sfidare ogni legge della fisica cercando di entrare in sei nella piccola porticina del mezzo, e ci riuscirono pure, si complimentò mentalmente con loro.
‘Sì però che schifo, chissà quanti germi’
Ebbe il coraggio di raggiungerli solo quando il mezzo smise di traballare vistosamente.
Trovò facce soddisfatte, facce incazzate, facce tristi, facce felici, facce indifferenti (o meglio, trovò Michael).
E a lui cosa rimase?
Un piccolo letto, ma essenziale. Era posto esattamente sotto quello della rossa – se si fosse trovato i suoi piedi a penzoloni, la mattina, sarebbe entrato nel panico.
Tuttavia era soddisfatto del risultato: considerando che non aveva mosso un muscolo e che sarebbe potuto finire vicino a Blekking, non gli era andata poi così male.
Inoltre, era quello più vicino al bagno. La cosa più importante per lui, alla fine.
“Bene”
La bionda, che si era beccata il letto più vicino al conducente, sembrava già pronta a distribuire ordini.
Come se non avesse disubbidito ai suoi principi di ‘niente lotte idiote’ appena prima.
Si schiarì la voce, si sistemò la gonna, e proprio quando era in procinto di parlare…
“Bene ragazzi!”, urlò Ash “Si parte!”
Il resto del gruppo urlò a pieni polmoni, di tutta risposta.
Cos’avevano da urlare, poi?
“Idiota, abbiamo lasciato tutte le valigie fuori”
“Oh”
Ashton, con un’espressione delusa e delle chiavi in mano (con un portachiavi e forma di banana, terrei a precisare), corse fuori.
E con lui, il resto dei suoi compagni.
E con il resto dei suoi compagni, tutte le speranze di Calum: sarebbe andata molto peggio di come si aspettava.
Quando gli altri tornarono, duecento valigie e un violoncello dopo, cominciarono le lotte per gli spazi.
Dopo le lotte per gli spazi, cominciarono le lotte per i turni del bagno.
Dopo e lotte per i turni del bagno, cominciarono le lotte per il potere decisionale sulle tapparelle – mezzo abbassate no? O mezzo alzate?
E dopo le lotte per le tapparelle, finalmente i suoi amiconi si resero conto che, dopo un’ora buona dall’entrata nel bolide, non erano ancora partiti.
Altro che euforia pre-viaggio, Calum vedeva solo facce insoddisfatte di compromessi usciti male.
In tutto quel tempo, non aveva osato aprire bocca: troppo shock.
Per la prima volta, cominciò a dubitare seriamente di sé stesso.
E se non ce l’avesse fatta? E se l’avessero lasciato per strada dimenticandosi di lui? E se l’avessero dimenticato nel deserto? – c’era il deserto in Europa, giusto?
Tanti perché presero posto della sua determinatezza, e la cosa non gli piaceva affatto.
Per niente davvero.
“Ragazzi, diamoci un taglio”
Una Blekking più scazzata che mai, sopra il suo magnifico letto nel culo del bus - esattamente sopra la brandina di Mike - aveva la faccia che soffocava nel cuscino.
E per la prima volta dall’inizio di… beh, tutto, Cal si ritrovò a darle ragione.
“Giusto!”, le diede man forte Ashton “Partiamo e basta!”
E proprio quando stava per infilare quelle dannate chiavi nel quadro, ci fu un’altra interruzione.
L’ennesima.
“Amici miei!” disse infatti Sarah, in piedi sopra quello che doveva sembrare un divanetto “Stiamo per partire in Europa a bordo della Mistery Machine e voi siete così mogi! Permettetemi di leggere una poesia che ho scritto apposta per voi questa notte”
‘No, non permetteteglielo, vi prego’
“Fai pure”, disse annoiata la bionda.
Non che a Sarah servisse il suo effettivo consenso, dato che era già pronta col suo foglietto stropicciato.
Si schiarì la voce, come se stesse per dire qualcosa di vitale importante, poi portò lo sguardo verso il suo manoscritto.
“Due etti di prosciutto crudo, una cipol… NO!”
‘Che urlo agghiacciante. Me ne voglio andare’
Calum cercò di sotterrarsi ancora di più con le sue borse, senza effettivi risultati.
Quelle borse l’avrebbero protetto da quegli strambi?
Ne dubitava, ma ci avrebbe sperato fino alla fine.
“E’ la lista della spesa”, ridacchiò Michael.
Aveva raggiunto Blekking di sopra, nel suo letto, e stavano mangiando caramelle gommose.
Se cominciano così adesso, le nostre risorse cibarie finiranno nel giro di tre secondi’
Almeno poteva contare su Luke: lui, sdraiato per terra, sembrava più morto che vivo.
E non accennava a voler abbandonare il pavimento, poi.
“Panico”, disse la rossa.
E ‘Ti capisco, sorella’ pensò invece Calum.
Ashton riprendeva il tutto con una delle sue telecamere ad alto livello professionale – o almeno così sospettava, non capiva niente di quegli aggeggi.
Sorrideva, mentre guardava la ragazza mettere a soqquadro le sue borse alla ricerca di uno stupido foglio. E non fece a meno di pensare che sì, forse anche Ashton nascondeva un pizzico di sadismo.
“Ok ok, improvviserò”
“Stai facendo tutto da sola, rossa”
“Chiudi il becco, Blekking”
Nessuno si aspettava tanta rabbia nel tono di Sarah, ma Blek di tutta risposta rise.
Quella ragazza lo faceva uscire fuori di testa come poche, cavolo.
“Bene, allora ragazzi”, e si schiarì la voce. Questa mania di schiarirsi la voce prima di ogni discorso, Calum, non l’avrebbe mai capita.
“Un’avventura inaspettata, dei compagni inaspettati.
Una vita senza istruzioni per l’uso, difficile da costruire”
‘Ma sta parlando di persone o di mobili dell’Ikea? Che ansia.’
Ansia, fedele amica che anche dopo tutte quelle ore non l’aveva ancora abbandonato.
“Regole rigide, ma gente imprevedibile.
Cosa succederà, non lo so.
Ma una cosa è certa: amici miei, faremo faville”
E va bene che era improvvisata ma… era una vera poesia, quella?
Almeno una rima sarebbe stata carina. Anche una sola, piccola piccola.
“Che cagata”
“Meno male che fai l’antropologa”
“Se mi avessi avvisato avrei fatto in modo di dormire come Luke, per non sentire questa cosa”
“Coraggioso”
“Sono confuso”, disse invece Cal.
Con una voce tanto irriconoscibile, proprio perché erano le prime parole che diceva dopo quelli che sembravano anni.
‘Che schifo’
“Bene” sussurrò Ashton, ancora leggermente scioccato dall’entrata in scena della ragazza.
Ragazza che, per altro, non la finiva di sorridere.
“Qualcuno vuole aggiungere qualcosa?” silenzio “No?” ancora silenzio “Tu, Calum?”
‘No no, continua ad ignorarmi’
“Dai saggio Calum” gli sorrise “Illuminaci con la tua saggezza da medico. Quali sono le tue ultime parole da ragazzo libero?”
‘Vaffanculo va bene?’
“Buona fortuna”
E Ashton rise, rise tanto.
E scappò qualche sorrisetto anche agli altri.
“Grandi parole, amico. Buona fortuna, ragazzi!”
“Buona fortuna”, rispose qualcuno.
Calum sospirò.
Buona fortuna.
Serviva più a lui che a loro.
Che ansia, poi.
Perché Ashton è appena partito.
“Destinazione, Lille”
Mamma, papà, vi ho sempre voluto bene.
Con affetto, Calum.
 
***
 
 
Erano le 22.06. alla guida c’era ancora Ashton, che in tutte quelle ore non era andato in bagno neanche una volta – che avesse una vescica incredibile?
Aveva cercato in tutte quelle ore un compagno di viaggio, un qualcuno che gli tenesse compagnia nel sedile affianco al suo.
All’inizio era rimasto con Helena, la quale non si fidava affatto delle scelte stradali del riccio.
Dopo l’ora di pranzo, era andato a fargli compagnia un Michael col mal di pancia, il quale per poco non aveva vomitato tutte le caramelle mangiate con Blekking. Non era stato un grande conversatore: le uniche parole da lui pronunciate erano state ‘Stasera cago orsacchiotti gommosi’, per poi passare a lamenti e frasi sconnesse per parecchie ore.
In quel momento, c’era proprio Calum affianco ad Ashton. Il silenzio che gli aveva avvolti, tuttavia, non gli dava affatto fastidio, anzi.
Aveva passato diverse fasi, in tutto quel tempo: il panico si intervallava ad attimi di euforia, depressione, felicità, tristezza, rabbia, paura. L’unica costante era sempre la solita ansia.
Lui sarebbe morto d’ansia, lo sapeva ormai.
Così aveva deciso di fare compagnia ad un Ashton sempre sorridente nonostante la palese stanchezza. E gli piaceva, alla fin fine.
Il grande gruppo non aveva fiatato per tutte quelle ore: tutti si facevano i cavoli propri, restando nei propri spazi e ignorando alla grande il resto dei coinquilini.
E per qualche attimo, Calum aveva sperato che Blekking si mettesse a litigare con Helena, perché davvero: tutto quel silenzio con loro era tanto innaturale quanto inquietante.
Era stato un primo giorno orribile.
Eppure, in quel momento, affiancato da Ashton e con un David Bowie degli anni ’70 più forte che mai, era felice.
Sensazione che aveva provato davvero poche volte nella sua vita.
Quando era stato così spensierato come allora?
Forse solo alla tenera età di sei anni, e probabilmente mentre dormiva.
Abbracciato al suo peluche preferito.
Nel letto dei suoi genitori.
Con kili e kili di coperte sopra di lui.
“Ragazzi, benvenuti in Francia”, sussurrò Ashton.
Cal gli rivolse un sorriso, che il riccio ricambiò.
Cominciava ad apprezzare di più Ashton: anche lui aveva un lato nascosto (molto nascosto) tranquillo e rilassante. Gli piaceva davvero tanto.
Ma all’udire di quelle parole, qualcosa si mosse nei cuori – apparentemente di pietra – dei loro compagni. Infatti, poco a poco, tutti li raggiunsero.
Si era formata una bella folla intorno a Cal ed Ashton, e tutti guardavano fuori dai finestrini. Chi rapito dal panorama, chi stanco, chi indifferente.
Ma tutti erano lì.
E Cal sorrise ancora.
‘Era anche ora, eh’.
“Ammirate, ragazzi” disse Sarah, con voce sognante “Queste sono le strade francesi. E ci sono anche i marciapiedi francesi! Se guardate con attenzione, poi, potete notare persino i lampioni francesi, che…”
“Che sono uguali a quelli inglesi”, completò per lei la frase Luke.
“Grazie per la telecronaca Sà, la queste cose ce le abbiamo anche noi”, gli diede man forte Blekking, la quale aveva poggiato la schiena sulla portina. Sembrava morta di sonno, eppure non aveva fatto davvero niente.
‘Scansafatiche’
“Sapete cosa non abbiamo noi?”
Tutti scossero la testa, alla domanda di Ashton.
“Ragazzi, non si parla sopra David Bowie, per favore”, ma nessuno calcolò Michael.
“Cosa?”, chiese curioso proprio lui, Calum.
Era abbastanza tranquillo per fare domande senza temere la risposta degli altri, già.
“La Torre Eiffel”, rispose, quasi ovvio.
“Ah, la Torre Eiffel… non vedo l’ora di andarci!”
Il respiro felice di Sarah lo fece quasi emozionare. Ma solo quasi, perché evidentemente la ragazza non sapeva che Parigi non era una meta prevista.
Stava proprio per dirglielo quando “E’ da quando sono nata che sogno di andarci. Insomma, la città dell’amore e tutte quelle dicerie… io ci credo, ragazzi”.
Aveva quel luccichio che forse aveva visto solo negli occhi degli atleti che prendono l’oro ai giochi olimpici, o i grandi artisti che sentono le proprie canzoni cantate la diecimila persone negli stadi.
E davvero, non voleva essere colui che le avrebbe rovinato la vita.
“Già. Peccato che nell’itinerario non sia prevista. Ops”
Per fortuna ci pensò qualcun altro a farlo: Helena Watson, acida e bionda come dieci ore prima, non aveva ancora staccato lo sguardo dalla strada, come a controllare le mosse dell’autista.
‘Beh, almeno ha smetto di fissarsi le unghie’
“C-come…”
La tristezza nel tono della ragazza era palese persino agli occhi di un cieco, alle orecchie di un sordo, e alla pancia di Michael.
Ed era frustrante sentirla così.
Poteva una voce farlo sentire in colpa anche se effettivamente Calum non aveva fatto proprio niente?
“Già, triste storia”, continuò, senza preoccuparsi minimamente dell’amica.
“ASHTON DICE NO!”
Quasi stava per mettersi a piangere dalla disperazione, Calum.
Ci aveva sperato davvero nell’equilibrio mentale di Ashton, ma evidentemente non doveva sperare così intensamente. Doveva aspettarsi una delusione epocale.
“Cosa hai intenzione di fare?”
Si sentì la voce di Mike, ancora piena di sofferenza, dal divanetto su cui era sdraiato.
“Ho intenzione di portare questa ragazza a Parigi, ovvio”
‘No. Oh no. No ti prego, porca miseria. Tutto tranne questo, ti prego’
Ma nessuno sentì le sue preghiere. Né Dio, né Gesù, né Allah, né Buddha, né tantomeno Ashton.
“Non ci pensare neanche, grande genio”, fermò la festa Helena.
Fatti valere anche per me, ti prego.
E Wow Calum sei davvero senza palle, si disse da solo.
“Perché?”, si lamentò ancora la rossa.
Questo amore per Parigi le stava facendo compiere atti assurdi quali controbattere Helena e piangere davanti a tutti.
Non capiva che se si rendeva così vulnerabile tutti avrebbero usato le sue debolezze contro di lei?
Povera ragazza.
“Perché non è stato deciso così”
E lì tutti sbuffarono. Non Calum di sicuro: era assolutamente d’accordo con il resto dei suoi compagni, ma era paralizzato dalla paura per parlare.
‘Disubbidire alle regole? Ma sono fuori di testa?’, pensò.
“Ebbene, ho preso la mia decisione. Qualcosa in contrario, voialtri?”
Blekking stava giocando a pollicione con Luke – questa passione per quel gioco?
Michael stava dormendo.
Helena era già andata nel suo letto, arresa alla capacità persuasiva del riccio.
E Calum aveva troppa paura per parlare.
Se Ashton fosse diventato il loro autista non solo nel camper ma anche nella vita, potevano andare direttamente a buttarsi da un burrone.
“Bene”
La ragazza urlò dalla gioia, abbracciando di scatto il ragazzo che per poco non finì fuori strada.
Calum vide tutta la sua vita passargli davanti agli occhi – un neonato impanicato, un bambino impanicato, un adolescente impanicato: un film piuttosto ripetitivo.
Ma nessuno, oltre a lui, sembrò curarsi della sfiorata strage.
“Perfetto, ora mi parcheggio in questa proprietà privata. Luke, stai a fare da guardia tutta la notte per non farci portare in una discarica francese”
Una lacrima solitaria scese sulla guancia del ragazzo kiwi, ancora paralizzato sul suo sedile.
‘Non voglio stare con loro. Non voglio morire. Non voglio stare con loro. Non voglio finire in carcere’
“Perché proprio io?”
“Perché hai dormito per 9\10 del viaggio. E non mentire, il tuo russare si sente a kilometri di distanza”
Il biondo alzò le mani in segno di resa, e prese il posto di Ashton.
Dieci minuti dopo, quando Calum trovò la forza interiore di alzarsi, prese posto nella sua brandina.
C’era silenzio, e gli faceva paura.
Così, si mise le due amate cuffiette e fece partire la sua playlist.
L’aveva chiamata ‘ansia’, proprio per quei momenti.
I suoi pensieri vagarono su tante cose: sui suoi genitori, sulla sua casa lasciata, sul cane che avrebbe sempre voluto, sulla sua ultima ragazza che l’aveva lasciato perché ‘non era abbastanza pericoloso’, e sulla buon’anima di suo nonno.
“Buonanotte!”, urlò qualcuno.
E davvero non si aspettava ben cinque “Buonanotte” di risposta.
Così si unì a loro e “Sogni d’oro”.
Parigi.
Porca puttana, che bordello.






Angolo autrice

Ok, lo ammetto. Questo capitolo fa abbastanza schifo e non aggionro da un po'. Ebbene, la scuola sta ammazzando anche me, mi dispiace.
Spero che vi piaccia comunque. In realtà, nonostante sia il primo giorno di viaggio e bla bla bla è davvero poco epico. E' quasi un capitolo di passaggio, per quello che sarà il bordello del prossimo.
Se avete qualche preferenza da esprimere per il prossimo punto di vista, sono pronta a sentirvi - non ho ancora deciso, lo ammetto.
Beh, a presto :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***



Capitolo Sei




‘ Considerazioni personali sulla Francia?

“Baguette e baschi”
- Michael

“Credono di essere migliori di noi per la loro ‘erre’ moscia? Non scherziamo”
- Helena

“Solo a me sembrano tutti trans?”
- Calum

“Mi odiano perché sono italiana. Tanto li abbiamo vinti noi i mondiali del 2006, sfigati”
- Blekking

“Gnocche”
- Ashton

“Beh, ha tanti formaggi”
- Sarah

“Troppi francesi”
- Luke '
 
 


Blekking
 
La Mistery Machine non aveva passato la dogana per cambiare paese, e lei sembrava davvero l’unica ad essersene accorta. La cosa in realtà la spaventava parecchio: quasi sicuramente sarebbero finiti nella prigione francese entro poche ore – davvero la mensa era pulita come dicevano?
Comunque, era infastidita da tutto ciò. Anche perché sperava in una crisi di nervi di uno dei suoi amichetti, ma evidentemente i francesi erano troppo stupidi per poter notare una Mistery Machine.
Insomma, roba di tutti i giorni no?
La Mistery Machine aveva passato un’intera notte in una proprietà privata.
La Mistery Machine era esattamente il genere di macchina che affitterebbero i pedofili per attirare i bambini.
Niente di strano allora.
E non era solo infastidita, ma anche incazzata.
Perché quella mattina, un certo Luke Hemmings non era proprio riuscito a placare la sua indole canterina.
Così, con un falsetto più inquietante di Saw l’Enigmista, aveva canato tutto il Best Hits dei Queen.
E ‘Davvero sta cercando di imitare gli acuti di Freddie Mercury in quel modo?’
Già odiava la mattina, ci mancava solo un ragazzetto fastidioso.
Come se non bastasse, non era solo infastidita e incazzata, ma persino affamata.
Perché sempre quella mattina, Michael le aveva rubato la colazione cucinata con tanto amore da lei stessa per sé stessa – troppo narcisistico, dite?
E la piccola Sarah, evidentemente troppo entusiasta per captare le emozioni altrui, aveva cercato in tutti i modi di intavolare una conversazione con lei, ignorando il fatto che Blekking non parla la mattina, se non un’ora dopo il risveglio. E ciò la faceva sentire violata.
Perciò, ricapitolando: si sentiva infastidita, incazzata, affamata e violata.
Dimenticato qualcosa?
Ah sì, giusto, in quel momento stava ridendo in faccia ad Ashton.
Perché Blek poteva incazzarsi quanto voleva, odiare col profondo del cuore e pensare pure all’omicidio, ma proprio non ce la faceva a tenere il broncio per più di due ore.
‘Secondo te ho pure voglia di ricordarmi di non parlarti, di ignorarti e di guardarti male tutto il tempo? Ho cose più importanti da fare, tipo niente’, aveva detto.
E ancora una volta, era apparsa come quella strana del gruppo.
Ma poi Michael le aveva dato il cinque, proprio mentre si sedeva al suo fianco nel treno, e lei si era sentita davvero potente.
Forse, a farla sentire così bene, non era solo il ragazzo colorato al suo fianco, ma anche Ashton.
La febbre di Parigi aveva colpito anche lui.
Continuava infatti a cantare strane parole in una lingua sconosciuta (più probabilmente inventata), battendo le mani sui sedili.
E lei davvero non se la sentiva di interrompere quell’esibizione, anche per i commenti ammirati della rossa che fissava Ash quasi rapita. ‘E’ il suo modo di esprimersi’, le aveva detto.
E Blek aveva preferito non rovinare i suoi, di sogni, e non dirle che in realtà Ashton cercava di imitare l’accento francese per fare l’idiota.
Michael all’inizio aveva addirittura cercato di insegnargli qualche parola, tanto per non far sembrare l’amico riccio un terrorista islamico, nel caso si fosse perso – possibilità ben realizzabile.
Ma Ashton era divertente mentre ballava e cantava. Con il suo fervido lessico (ovvero salut, oui, e voulez-vous patè?) aveva creato un motivetto davvero orecchiabile.
Certo, la pronuncia non era delle migliori, ma almeno aveva passato la fase iniziale di ‘alleato dell’isis’ e si era evoluto in ‘turista ignorante’.
Michael andava piuttosto fiero dei miglioramenti dell’allievo.
“Con questo viaggio in treno stiamo spendendo 50£ a testa. Non vi sentite in colpa?”
E ‘Ah giusto, c’è anche lei’
Chi poteva essere se non quella dannata biondina? Sapeva che sarebbe stato difficile sopportarla, fin dalla prima volta in cui la vide. Lei, con i suoi tailleur, riusciva a rendersi odiosa persino solo all’apparenza.
E ce ne voleva, per una senza pregiudizi come Blek.
Se anche quella volta le sue previsioni erano corrette, lei ed Helena si sarebbero sempre odiate.
Al diavolo le grandi dicerie che tanto amavano ripetersi di ‘faremo tutti amicizia’, ‘diventeremo la nuova cricca di Dawson Creek’, citazioni censurate messe nero su bianco solo per voi.
Comunque, alla fine aveva delle previsioni su ognuno di loro.
Michael, l’aveva ormai inquadrato come l’amico con cui andare ai concerti.
Ashton quello con cui cantare.
Sarah quella da chiamare in caso di mestruazioni improvvise.
Calum quello da bullizzare. Ma con affetto, chiaramente.
Luke… non l’aveva ancora ben inquadrato. E per la prima volta in tutta la sua vita, non le interessava neanche.
“Ragazzi, mi faccio un giro”, la rossa era talmente su di giri che proprio non era riuscita a stare ferma per tutto il viaggio. Aveva cercato pure di instaurare una conversazione con Blekking – di nuovo, ‘proprio non capisce questa, eh?’ -  ma la ragazza pur di evitarla si era addirittura unita al canto satanico di Ashton.
Luke le aveva fatto un video incriminante, ovviamente.
E solo allora la ragazza si accorse di avere almeno un milione di motivi per odiarlo.
Perché non lo odiava?
“Non dare confidenza agli sconosciuti”, le disse, tanto per sembrare attenta a quello che le stava succedendo attorno.
Non che fosse chissà che cosa: Michael dormiva praticamente addosso a Luke, il quale era almeno mezz’ora che cercava di spostarlo per andare in bagno – e a Blek piaceva tanto vederlo in quella scomoda situazione.
Ashton sembrava particolarmente ispirato, così come Helena che non la finiva di scrivere al suo note-book.
Come faceva a muovere le dita così velocemente?
Calum invece aveva cambiato vagone perché ‘Questo è troppo sporco’
Che li stesse evitando? Molto probabile, in effetti.
“Ragazzi, stavo pensando…”, cominciò Luke. Dalla prospettiva in Blek e dalla posizione oscena di Mchael, sembrava che i capelli verdi di quest’ultimo costituissero i baffi del biondo.
‘Ah, che cesso’, ridacchiò mentalmente.
“Non ce ne importa niente”, lo interruppe subito Helena, senza neanche guardarlo in faccia.
‘Beh, almeno sembra lei la stronza e non io’.
“Ash…”, richiamò l’attenzione dell’amico, ma il caro e vecchio Ashton era troppo occupato a trovare un ritmo che si addicesse alla sua nuova hit.
“Zitto Luke”, lo riprese.
Continuò a battere sui sedili, andando avanti in una strada davvero interessante.
Però, senso del ritmo niente male’
“Blekking… almeno tu, ti prego”
E davvero, la ragazza avrebbe pagato oro per vedere quello stronzo canterino mattiniero pregare per le sue misere attenzioni. Ebbene, trovarselo davanti proprio in quel momento fu una vera emozione.
Gli lanciò un’occhiata finta disinteressata – come poteva essere davvero disinteressata davanti ad un Luke Hemmings così vulnerabile?
“Non parlo con i castrati”, lo rimbeccò lei.
Sapeva perfettamente che lui avesse capito l’analogia, e sapeva perfettamente che fosse a conoscenza del suo odio verso il suo falsetto.
“Smettila di fare la preziosa e ascoltami, so che non sei più arrabbiata con me”
‘Hai portato tu gli Oreo in treno, come faccio ad essere ancora arrabbiata?’
Ma non l’avrebbe mai ammesso.
“Sì invece”, perseverò.
Così come aveva fatto suo padre, il padre di suo padre, e quello prima di lui ancora.
Ce le avete presente quelle grandi citazioni che i piccoli bambini si ricordano, dei grandi genitori?
Ecco, una volta la sua amichetta Meredith, era riuscita a prendere il suo primo Ottimo in educazione fisica e le aveva detto ‘Come dice sempre mio padre, credi in te stesso e ce la farai!’.
E diamine, quanto aveva desiderato una grande citazione di stile anche per la sua famiglia. Così, cominciò ad ascoltare le cazzate di suo padre.
Cosa ne uscì fuori? Non si ricordava le parole esatte, ma doveva essere una cosa tipo ‘Non importa quanto sia nel torto, nega fino alla morte’.
E sì, che consiglio di merda, in ventun’anni di vita le aveva portato solo problemi più grandi ma cavolo quanto era divertente.
E in onore della sua famiglia, continuò anche quella volta.
“No invece”
“Ti posso assicurare che è proprio così”
“Quanto sei pallosa”
E la finì di parlarle.
Era un consiglio di merda, certo, ma avere sempre l’ultima parola era una vera e propria passione.
Ridacchiò da sola.
‘Datti una rilassata Blek, ti diverti con poco eh?’
Poi un dubbio, che la fece girare nuovamente verso Luke – ci era davvero rimasto male per il fatto di essere stato ignorato dal mondo.
“Ehi ma… - cominciò – non hai lasciato il camper nel campeggio abusivo di stamattina, vero?”
Era una domanda stupida, lo sapeva. E non perché lasciare una macchina del genere in un posto del genere fosse da ritardati, ma perché sapeva che Luke fosse ritardato.
E per onorare le sue nobili origini, aveva lasciato il camper lì.
Il panico nei suoi occhi ne fu la conferma.
E anche la sua bocca spalancata – peni invisibili?
Pure lo scatto improvviso che fece il suo capo, per prestare la sua completa attenzione a Blekking.
Tanto che persino il Michael col sonno di ferro si svegliò, e “Ehi…”, protestò, guardando male Luke.
Ma lui lo ignorò, e parlò nuovamente alla ragazza.
“Tu non dici niente a loro e nessuno saprà mai della sparizione di tutti i succhi di frutta per mano tua”
“Ma io non ho rubato i succhi di frutta”, disse confusa.
‘Questo è strano forte, oh’
“Io lo so, tu lo sai, ma gli altri?”
E allora scoppiò a ridere, perché davvero pensava di poter competere con una come Blekking?
Tesoro, ho più parenti io di tutta la popolazione dell’Irlanda: vuoi davvero giocare ai ricatti?”
‘Principiante’, pensò, quando Luke la principessina la guardò ancora più terrorizzato.
Quel magnifico momento di vittoria fu rovinato dalla portiera del vagone che si aprì di scatto – tutta quella enfasi?
Si ritrovarono davanti tre facce inaspettatamente, tanto che persino Ashton uscì dalla trance in cui era entrato circa tre ore prima.
Due le conoscevano bene: la faccia entusiasta di Sarah e quella terrorizzata di Calum.
La terza era quella che faceva più paura, ma mai quanto la divisa che indossava.
E chi se lo aspettava un controllore in treno?
Non sicuramente una viaggiatrice abusiva come Blekking.
E ‘Oh merda, ora mi butto dal finestrino’
“Biglietti per favore”, che accento inglese di merda.
Era già pronta a sfidare le leggi della fisica quando una Helena più scazzata del solito lanciò ad ognuno di loro un’occhiata di sufficienza.
Poi, come la salvatrice divina, tirò fuori dalla sua borsa ben sette biglietti. Tutti regolari, tutti oblitterati.
‘Quindi diceva sul serio quando parlava delle 50£’
Per un attimo la amò.
Ma solo per un attimo, giuro.
Perché poi lei aprì la bocca. E “Coglioni”, disse.
Così tornò la solita vecchia stronzetta, così come il mondo tornò a girare correttamente.
E la piccola ciurma si ritrovò ad affrontare gli altri due visi ricchi di emozioni.
“Chi ammazza il ragno del binario qui affiano?”, chiese Calum.
Blekking si meravigliò di non aver sentito nessun urlo disumano risalente al momento in cui il ragazzo-fifone aveva trovato il ragno nella sua stessa stanza – che stesse facendo progressi?
Eppure, tutti lo ignorarono. E Sarah si sentì in dovere di parlare.
“Ragazzi, ho conosciuto un vecchio troppo simpatico che vuole portare noi belle ragazze a casa sua! Allora, chi mi segue? È nella periferia di Parigi, non possiamo perderci questa occasione”
Ci fu un attimo di silenzio puro all’interno del vagone, nessuno sentiva neanche più il rumore delle rotaie.
Poi Ashton prese un braccio di Sarah, chiuse di colpo la porta, e si preoccupò pure di fare da guardia.
“Ti avevo detto di non dare confidenza a nessuno”, la sgridò Blek.
Nessuno aggiunse altro.
‘Benvenuti a Parigi, ragazzi’, pensò.
E prima regola infranta.
A quando le altre?
 
***
 
 
Parigi.
La città dell’amore.
Ma anche la città dell’acqua più costosa dell’oro, delle commesse fastidiose e dei barboni.
Più di tutto il resto, però, era la città della Torre Eiffel.
In tutti i film dalla trama apocalittica, infatti, c’era almeno uno spezzone dedicato alla distruzione della famosa Torre, come se fosse un bene inestimabile.
Ebbene, averla davanti agli occhi faceva un certo effetto.
Ma non a Blek.
Lei continuava a guardarla confusa, e ‘Ma è solo una massa di ferraglia’, pensò.
Tuttavia non disse niente, perché di uno scontro frontale all’ultimo sangue con la rossa per aver insultato la sua città preferita, non ne aveva proprio voglia.
“Allora, che ne pensate?” chiese sempre lei, con le lacrime agli occhi.
Letteralmente con le lacrime agli occhi.
Aveva passato i primi cinque minuti a piangere come un’idiota davanti alla Torre, perché ‘E’ davvero troppo emozionante’, diceva.
I suoi compagni si erano limitati ad allontanarsi leggermente da lei per evitare di essere associati all’unica pazza in lacrime nel centro di parigi.
Certo, non si erano fatti un’ottima reputazione. Ed erano in Francia da quanto tempo? Meno di ventiquattr’ore sicuramente, comunque.
“E’ tipo fantastica! Ce, insomma, è tipo enorme! Cioè, guardatela!”
Sì, Ashton era felice. E i movimenti delle sue braccia avevano rischiato di fare un occhio nero a tutti loro un paio di volte, circa.
“Boh”, rispose Luke. E che apatia.
“E’ okay”, cercò di sistemare la situazione Michael. Senza impegnarsi più di tanto.
“Un altro po’ di vento e l’antenna si stacca ammazzandoci tutti”, le constatazioni scientifiche di Calum erano sempre una dolcezza per le orecchie.
E poiché Helena sembrava troppo occupata a cercare campo col cellulare, Blekking si sentì in dovere di sistemare la situazione.
Si schiarì la voce “Mh… sì.”
Non ci riuscì.
‘Faccio schifo, Cristo’
“Saliamoci, ragazzi!”, urlò Ashton.
In mancanza di un leader decente, si trovarono costretti a seguirlo, tutti.
La disperazione gioca brutti scherzi.
Ma mai quanto l’evidente ritardo mentale di Ashton Irwin.
 

Primo Piano.
“Non c’è nessuno perché è giovedì”, spiegò loro il riccio, come se davvero qualcuno avesse chiesto qualcosa.
Ma era mercoledì.
Secondo piano.
“Seguitemi, conosco una scorciatoia”, continuò.
Ma non era vero.
Terzo piano.
“Se passiamo di qui possiamo ammirare meglio il tramonto”
Altra cazzata. Che poi, era mezzogiorno.
Quarto piano.
“Come potete ammirar… oh cazzo
Fu quella la prima cosa intelligente che disse.
Era la seconda volta che si trovavano davanti delle guardie francesi, e se possibile erano ancora più terrorizzati della prima volta – altro che sviluppo di anticorpi.
E sì, forse qualche domanda se la sarebbero dovuti fare.
Anche un semplice ‘Perché cazzo stiamo seguendo Ashton’ sarebbe bastato.
E invece… erano un branco di idioti.
E trovarsi davanti ben cinque guardie francesi armate, faceva un certo effetto certo.
Sapeva che un viaggio in giro per l’Europa sarebbe stato pieno di sorprese, ma non si aspettava sicuramente una cosa del genere.
“Li abbiamo trovati”, disse uno di loro, con una radio della polizia in mano.
‘Porca troia’, pensò.
Ed era quasi sicura di non essere l’unica ad averlo pensato.
Michael aveva salvato Calum dal suo suicidio in preda al panico – era sempre il più lucido anche in quelle situazioni.
Sarah aveva ricominciato a piangere – la Torre Eiffel doveva piacerle proprio tanto.
Helena era disperata. Non lo faceva trasparire, certo, ma i suoi occhi urlavano il panico che annebbiava il suo animo in quanto avrebbe rovinato la sua perfetta fedina penale.
Luke, invece, era pietrificato.
Letteralmente.
‘Ma respira almeno?’
Stava per andare a controllare quando “Ehi! Non ti muovere!”, urlò sempre la stessa guardia.
Blekking sbuffò, alzando le mani – perché sì, era l’unica che poteva scazzarsi persino in quelle situazioni.
L’unica idiota che si divertiva a guardare le reazioni dei suoi compagni davanti a delle guardie straniere armate, al posto di pensare alla sua incolumità.
“Stupidi inglesi…” disse con disprezzo il moro al fianco del capo.
E allora si sentì davvero in dovere di replicare, perché lei non sarebbe mai stata una stupida inglese.
“Ehi! Sono italiana!”, replicò. Forse non era esattamente nella posizione giusta per replicare, ma il suo onore italiano si faceva sentire sempre nei momenti meno opportuni. E nei mondiali di calcio.
“Stupidi italiani!” la beffeggiò ancora lui, quella volta con più cattiveria.
“Lurido bast…”
“Dio, noi non siamo italiani! Vi prego, non fate di tutta un’erba un fascio!”, la fermò Helena, più spinta dalla sua dignità di pura inglese che dal desiderio di salvare Blek.
“Sono confuso”, disse una guardia.
“Un italiano, un asiatico… ma quanti siete?”, chiese un’altra ancora.
“E nessuno si caga mai l’australiano”, sussurrò Luke.
“Io non sono asiatico!”, urlò Calum, i preda al panico.
E all’improvviso tutti lo fissarono in silenzio. Calum si voleva solo sotterrare, ma “Sono kiwi”, spiegò loro.
Così, tutte le guardie scoppiarono in una fragorosa risata.
E anche Blekking.
Anche se forse non avrebbe dovuto.
“No Calum, non sei un kiwi. Sei una persona. Ripeti insieme a me, per-so-na”
“Vaffanculo Bl…”
“Sono confuso”, ripetette sempre la stessa guardia.
E allora che ritardato, dai.
“Mi sembra evidente – intervenne Ashton, riprendendosi di colpo dallo shock iniziale – che ne dite se scendiamo tutti a mangiarci un gelato?”
‘Scappa Ashton. Scappa dalla mia ira funesta, perché non arriverai mai vivo ad Helsinki dopo questa’
“Certo! A che gusto lo volete?”
Il capo, di nuovo, si divertiva a fare ironia su di lui.
“Credo che vaniglia e cioccolato vada bene a tutti”, quella volta fu Luke a dire cazzate.
‘Avrà mai fine tutto questo?’
“Bene, ve li portiamo in cella”
‘Cazzo. Cazzo cazzo cazzo cazzo cazzo. Cazzo? Cazzo. Forse cazzo sarà il nostro per sempr… concentrazione, Blek!’
“COSA”, urlò Calum. E ‘oddio, ha parlato’, avrebbe pensato in una situazione diversa.
Ma non lo era, quindi non disse niente.
“Avete sentito bene. Prendeteli”
Come se fossero intenzionati a scappare, poi.
Blekking era quasi sicura che l’avesse detto solo per poter pronunciare la parola ‘prendeteli’.
Effettivamente faceva un certo effetto.
‘Stupidi francesi’.
Poi sentì il freddo metallo delle manette serrarle i polsi.
E si sentì molto Calum, in quel momento.
 
 
***
 
 
1, 2, 3…
Un sospiro di Sarah.
Uno sbuffo di Michael.
Un calcio alla sbarre di Luke.
Calum fa un verso strano.
E poi ancora.
1, 2, 3…
Un sospiro di Sarah.
Uno sbuffo di Michael.
Un calcio alla sbarre di Luke.
Calum fa un verso strano.
I suoi amici – amici? Sul serio? – continuavano così da tutte e quattro le ore in cui erano rimasti chiusi in quella sporca cella. Non avevano pranzato, e Blek sentiva un certo languorino.
Oh, al diavolo il languorino, stava per mangiare uno di loro.
E se la legge del più forte era vera, Calum sarebbe stata la sua prima vittima.
Anche perché i versi strani che continuava a fare davano a Blekking un certo senso di inquietudine.
Blekking si sdraiò nell’unica brandina presente.
1, 2, 3…
Un sospiro di Sarah.
Uno sbuffo di Michael.
Un calcio alla sbarre di Luke.
Calum fa un verso strano.
‘Che noia’
E forse non era quello che si doveva pensare nella propria prima giornata in carcere, ma Blek non poteva fare a meno di annoiarsi a morte.
E nessuno sembrava essere in vena di giocare a pollicione.
“Mettete la depressione, inglesini”
Finalmente una voce. Finalmente, anche se apparteneva sempre a quel capo stronzo.
Di colpo, tutti i suoi compagni si alzarono. Simultaneamente.
Il che visto da un occhio estraneo come il suo, era stato piuttosto divertente.
Ma non rise.
Poteva essere divertita e terrorizzata allo stesso tempo? Perché era esattamente come si sentiva da quattro ore a quella parte. Togliendo la parte della noia, chiaramente.
Cercando di non far notare il suo ritardo, si alzò anche lei.
L’uomo, grosso e alto, li guardava con un certo schifo.
Li squadrava dall’alto al basso, come a volerli psicanalizzare.
Quando arrivò a Blekking, la ragazza si sentì morire.
Non che temesse un giudizio negativo, per carità, ma per il semplice fatto che un’occhiata così gelante non l’aveva mai vista da nessuno, figuriamoci riceverla.
Per un secondo, il suo cuore smise di battere.
Poi Luke le calpestò il piede.
“Aia, coglione!”, gli disse.
E allora fanculo la paura, Luke riusciva sempre a farla incazzare.
“Coglione io? Ma se continui a battere il piede come un’ossessa?”
E merda, era vero. E tutti gli occhi erano puntati verso di lei.
Ancora merda.
Il suo piede non voleva proprio stare fermo.
Tripla merda.
“Sei l’italiana, vero?”, commentò l’uomo, senza abbandonare la sua espressione schifata.
‘Oh ma andiamo, almeno fai finta di non odiarmi’
Annuì.
“Ci avrei scommesso”
Cosa volesse dire con quello, preferì non chiederlo.
“Allora ragazzi, ricapitoliamo: siete entrati nella Torre Eiffel con lavori in corso, oltrepassando tutti gli avvertimenti, avete evitato sapientemente la dogana, avete parcheggiato in una proprietà privata e uno di voi è italiano. Cosa avete da dire a vostra discolpa?”
C’erano delle cose da specificare, però: di avvertimenti, nella torre Eiffel, non ce n’erano; la dogana chissà dov’era, altro che organizzazione francese; e poi avevano parcheggiato in una proprietà privata perché, andiamo, davvero non c’era nessuna agevolazione per le Mistery Machine? Che ingiustizia!
“Uno di noi è italiano”, replicò Blekking, con un tono di voce più minaccioso del voluto.
E sì, in quella situazione era piuttosto ironico.
Ashton le tappò la bocca bloccandola da dietro – che poi, lui poteva avere voce in capitolo? – e parlò al posto suo.
“Ehm… sì insomma, ci dispiace”
Wow, che discorso incredibile.
Si sarebbe beccato gli insulti peggiori da ognuno dei suoi compagni, ma sembravano tutti troppo occupati a morire dentro. Peccato.
La guardia, al contrario, gli rise in faccia.
Una risata vera, grassa come un obeso, con tanto di lacrime incontrollabili.
Se le asciugò con la mano destra circa due minuti buoni dopo, cercando di calmarsi.
Beh, almeno erano simpatici.
“Che ragazzini”, li prese in giro. Ancora una volta. “Una signora ha pagato la cauzione. Seguitemi, siete liberi. Potrete ritirare il mezzo fra due giorni. E ora fuori di qui”
Qui, bisogna aprire una piccola parentesi.
C’è un momento, nella vita di una persona in cui le circostanze esterne la portano a pensare al passato. E non si parla della prima caduta in bicicletta o del primo pesce rosso. Si parla di tutti i rimpianti, tutti gli errori, tutte le paure della vita di una persona.
E solitamente, quando si arriva ad un livello tale di pressione psicologica, si decide di cambiare tutto della propria vita, diventando migliori.
E dato che la vita le aveva dato una seconda chance – stava parlando come uno de ‘Le ali della libertà’ – forse quello sarebbe stato il suo momento speciale della vita.
Eppure, quando uscì di prigione insieme ai suoi amici – ancora stranamente in silenzio – non pensò affatto di cambiare vita, anzi.
Si mise a ballare, mettendo in mostra le sue incredibili capacità di ballerina.
Poi si accorse di non avere la musica.
Così cominciò a cantare il motivetto inventato da Ashton quella mattina in treno.
E dio, erano passate poche ore ma sembravano anni e anni lì dentro.
Si unì anche Ashton, non potette farne a meno.
E poi anche Sarah e Luke. E Calum, Michael, persino Helena, seppur con più contenimento.
Ne avevano di tempo nella vita per pentirsi delle loro cazzate.
“Che ritardati”, disse il Grande Capo.
Ma stava sorridendo, Blekking l’aveva visto, e l’avrebbe ricordato sempre in quel modo.
Almeno era meno inquietante.
“Uh sì! Balliamo tutti insieme, così vi voglio”
Il party improvvisato finì al suono di quella nuova voce. Non si conoscevano da così tanto bene, certo, ma certo sapevano distinguere le loro voci da quelle di sconosciuti.
E sicuramente quella voce roca, vecchia, poco femminile ma sicuramente appartenente ad una donna, non era di nessuno di loro.
E allora seguirono la fonte, senza più nessuna musichetta originale in sottofondo – che brutto silenzio.
Per Blekking fu un attimo, e davvero temette un infarto – non poteva permetterselo, sapeva che Calum sarebbe finito peggio di lei se fosse accaduto ciò.
Ebbene, proprio dietro di lei, una vecchia grassa con delle trecce più grigie di un cadavere, fissava tutti loro con un grande sorriso.
Ok, avrà avuto circa sessant’anni, ma gliene avrebbe dato almeno ottanta.
Poi, con il suo lungo abito marrone chiaro sembrava più una contadina che altro.
‘Deve essere la nostra salvatrice’, ragionò Blekking.
Perché davvero, non riusciva a spiegarsi in altri modi la sua presenza.
Sicuramente non era una della gang del Grande Capo, troppo bizzarra per degli omoni come loro.
Aveva un sorriso enorme, poi.
Non che le persone con un grande sorriso non potessero essere amici di poliziotti ma… sì insomma, avete capito.
Aveva un sorriso enorme e basta.
E Blekking urlò.
Perché era davvero, ma davvero inquietante.
“Sei una ragazza intraprendente”, rise la vecchia.
E ‘Che cazzo c’entra?’, pensò. Ma non si azzardò a chiedere spiegazioni.
Pensò che non doveva essere francese: parlava l’inglese perfettamente in un accento perfettamente londinese.
Ma perché li aveva liberati?
Helena, per la prima volta in tutto il viaggio, decise di farsi avanti.
Forse anche lei si era arresa davanti alla totale incompetenza dei suoi compagni sui rapporti umani.
Si schiarì la voce “Salve signora”, la salutò.
La donna le sorrise, e Blekking si allontanò ancora un pochino, raggiungendo il fianco di Luke.
Voleva allontanarsi dalla vecchia il più possibile.
“Al mio tre scappiamo”, le sussurrò il ragazzo all’orecchio.
E lei lo stava per mandare a fanculo, quando Helena continuò.
“Io sono Helena. Loro sono, rispettivamente, Ashton, Sarah, Calum, Luke e Blekking”
“Helena, Ashton, Sarah, Calum, Luke e Blekking, chiaro”, ripetette, senza abbandonare il suo sorriso sereno.
‘Come cavolo fa a ricordarsi tutti i nomi al primo colpo?’
Quasi la odiò per quello. Perché lei impiegava ere a ricordarsi anche solo due nomi di persone che vedeva tutti i giorni, e anche i nomi dei suoi compagni di viaggio erano stati una sfida.
Lei invece li sapeva dopo dieci secondi.
Che ingiustizie.
“Ecco signora, ha pagato lei la cauzione?”, chiese ancora Helena.
Vista da un occhio esterno, poteva sembrare pure una cara ragazza. E Blekking non dubitava che senza di loro lo fosse davvero. Doveva sentirsi forse fortunata a vedere il vero animo della ragazza? La vera stronzetta che c’era in lei?
“Sì, l’ho pagata io”
‘Se non la smette di sorridere la picchio’
Ma Blekking era troppo pigra per farlo.
“Perché?”, disse quella volta Ashton. Certo, era stato zitto per troppo tempo.
“Perché dovete trovare l’equilibrio all’interno del vostro gruppo, e io sono qui per aiutarvi
‘Ah.’
“Giusto”, le diede ragione Sarah. Ed ebbe pure il coraggio di metterle una mano sulle spalle, guardando il resto del gruppo soddisfatta.
Sarebbero diventate migliori amiche e avrebbero avuto quella vecchia tra i piedi per molto tempo, Blekking se lo sentiva.
“Ora seguitemi”, la seguirono.
“Ti prego non seguiamola”, le sussurrò Luke, trattenendola per il braccio destro.
Lei lo guardò sofferente. Era difficile, ma sapevano quello che dovevano fare.
“Dobbiamo andare, Luke”, la lasciò andare.
“Hai ragione, Blekking”
Non si dissero altro, si limitarono a seguire il resto del gruppo.
“Voglio morire”, sentì Calum dire, prima che svenisse proprio davanti ai loro occhi.
Effettivamente, aveva resistito anche troppo.
“Chi lo raccoglie?”, chiese allora.
Perché a cercare un medico, si sarebbero solo messi a ridere per il colmo.
“Ci penso io”, lo trascinò Ashton.
Erano ufficialmente nella merda.
 
***
 
 
La casa della Vecchia, che poi si è rivelata chiamarsi Clara, era nella periferia di Parigi. Ma non la periferia di Parigi di tossici stupratori dove abitava l’amico nel treno di Sarah, ma una periferia carina.
Diciamo pure periferia di merda, tanto per rendere le cose ben chiare.
Sembrava un paesino a parte, e la casa seguiva alla perfezione lo stile rustico del paesaggio.
C’era più legno lì dentro che nella foresta amazzonica, inoltre era pieno di quadri di Picasso.
“Porca vacca”, aveva detto Luke che, a quanto pareva, apprezzava parecchio Picasso – lei lo odiava.
Dopo essersi beccato le prese in giro di Michael perché  ‘Amico, porca vacca non lo dicono più neanche i seienni’, cominciò ad osservare con interesse ogni quadro.
Nel mentre, la donna era occupata in cucina per preparare loro del thè, Blekking non l’avrebbe bevuto – e se fosse avvelenato?
D’altronde non aveva voluto aiuto in cucina, e Blek faceva fatica a fidarsi delle vecchie che pagavano persone senza conoscerle.
Come faceva poi a sapere che erano un gruppo con qualche incomprensione?
“Vi avevo osservati, alla Torre Eiffel”, aveva confessato loro durante il viaggio “Vi avevamo notati tutti: gli unici pazzi che avevano osato salire sulla Torre”, ma non disse altro.
Calum aveva impiegato un po’ a svegliarsi, anche perché nessuno l’aveva calcolato più di tanto. ‘Si riprenderà presto’, si erano detti. Poi finirono la loro partita a Monopoli e capirono che qualcosa non andava proprio.
Il vero problema arrivò quando si svegliò e cominciò ad urlare come una femminuccia frasi tipo ‘Aiutatemi, sono stato rapito!’ e altre cose imbarazzanti che lo avrebbero perseguitato fino alla fine del viaggio.
E in quel momento, erano seduti tutti per terra nell’enorme tappeto del salotto.
Proprio dietro di loro, un divano ad L di pelle che ispirava tante cose a Blekking.
Ma gli ordini della vecchia erano stati ben chiari: ‘Mettevi in cerchio, per terra’.
Nessuna spiegazione, solo parole.
E già si trovavano a casa sua, non volevano sicuramente stuzzicare ulteriormente la sua buon’anima.
“Bene ragazzi”
Tutti avevano le loro tazze di thè ai loro piedi, compresa Blekking. Dopo il primo sorso però, aveva già deciso che le faceva schifo e che non l’avrebbe toccato mai più. Così fece.
“Sarah, cara, mettiti al centro del cerchio”
Lei ubbidì immediatamente, lasciando la tazza al suo posto.
‘Se sono tipo riti satanici scappo, giuro’, si disse Blek.
Era ormai sera, il tramonto era passato da poco e Clara non aveva acceso la luce.
Sembrava lo scenario perfetto per quel genere di cose.
“Ora ognuno di voi, uno alla volta, dirà cosa non sopporta di Sarah”
A quelle parole, se prima nessuno stava cagando più di tanto la vecchia, tutta l’attenzione fu puntata su di lei. Insulti gratis, c’era forse qualcosa di meglio?
“Che idiozia”, commentò Helena. Aveva forse già abbandonato il profilo di brava ragazza?
“E’ molto costruttivo”, spiegò pazientemente la vecchia. Poi puntò il suo sguardo rugoso – poteva uno sguardo essere rugoso? – verso Blek, e le fece segno di iniziare.
‘Oh bene, la bastardata iniziale a me. Che bellezza’
“Ehm, sì – vai così Blekking – insomma…”, come faceva a non distruggere il cuore di quella ragazza?
“Blekking è confusa”
“Sì, talmente confusa da colpirsi da sola. Luke, se vuoi giocare ai pokemon puoi raggiungere l’asilo qui a fianco”
Non avrebbe mai ammesso il fato che anche lei giocasse ancora i Pokemon.
E si accorse troppo tardi di essere sembrata fin troppo acida, tanto che per un attimo se ne pentì pure.
Ma durò poco, perché Luke Hemmings forniva sempre milioni di motivi per essere odiato.
“Disse quella con le mutande della Superchicche”
E come cazzo faceva a sap…
“Secondo me Sarah è troppo sensibile”, li interruppe Calum.
E sì, li ignorò alla grande, cosa che fece ridacchiare Blek.
E ancora una volta si dimenticò di dover rimanere incazzata con Luke – pazienza.
“Oh… uhm… va bene”
Nonostante il tono calmo della rossa, sapeva che non l’aveva presa tanto bene. Non che fosse un genio della psicologia sempre consapevole del vero stato d’animo delle persone, ma il fatto che Sarah fosse diventata tutto d’un tratto più triste e distaccata la fece riflettere.
‘E così la dolce ragazza è anche una permalosa coi fiocchi?’
“Sei permalosa”, disse allora, senza pensarci un secondo di più.
La ragazza, quella volta, non disse niente. Che non volesse essere tradita col suo tono di voce vacante?
Ashton, forse intuendo la situazione, prese parola.
“No, non è vero, sei solo molto sensibile”
“SENSIBILE. Sì, è chiaro, va bene?!”
‘E’ molto meglio di quando mi immaginassi’, ridacchiò mentalmente Blek.
“Luke, se le dici che è sensibile ti rendo gli Oreo”, sussurrò allora all’orecchio dell’amico.
“Tu mi hai preso cosa?!”
“Sei iper… iper- qualcosa. Sì insomma, avete capito?”
‘No Michael. Non abbiamo capito’
Ma Blekking annuì. Helena, invece, sbuffò infastidita.
“Il tuo lessico è emozionante Cliffordsi sistemò un ciuffo dietro l’orecchio, e – Sei tanto appiccicosa da risultare quasi irreale”, disse senza paura.
E sì, Blekking un po’ la ammirava per quello. Sempre che fosse un pregio: delle volte stare zitti e far finta di niente era molto più difficile.
Wow Helena. Sei una vera e propria stronzetta”, si espresse Luke.
A quanto pareva lui non sembrava apprezzare tanto questo lato sincero della bionda, tanto che le lanciò pure un’occhiataccia “Perché non vai tu in mezzo al cerchio a beccarti i nostri insulti, allora?”
Detto fatto.
Helena, sentendosi minacciata dal biondo, non ci pensò più di tanto e prese immediatamente il posto della rossa. Sarah, da parte sua, cercò di non farsi beccare mentre piangeva.
‘Oh ma andiamo…’
“Qui ci si diverte”, e Blekking si sfrego le mani, come una vera mosca.
O un genio del male, stava ancora decidendo.
“Sei una stronza”, le disse Luke.
“Talmente detestabile da non essere nemmeno considerabile una persona”, continuò Blek.
“E la tua fissazione con il lavoro è maniacale”, riprese Ashton.
“Ogni volta che ti vedo mi viene voglia di vomitare. Non so se mi spiego” sì Calum, ti spieghi.
“Sei troppo sincera”, Sarah.
Lo so che i tuoi capelli sono tinti”
‘Che Gran Finale, Clifford’, ridacchiò.
La finta bionda, che si era sentita dire tutte quelle brutte cose senza battere ciglio, fissava tutti i suoi compagni con un odio tale da mettere inquietudine persino a Blekking, che di sguardi d’odio di nutriva.
Eppure non disse niente. Non espresse con una sola parola la sua rabbia, e la cosa sembrò infastidire un po’ tutti. Non che fosse una patita delle polemiche – solo un po’, dai – ma le sarebbe piaciuto litigare.
“Bene. È il tuo turno, Blekking”
‘Oh merda’
Non era tanto spaventata, okay.
Non le interessava più di tanto quello che pensavano di lei, okay.
Ma stare in mezzo ad un cerchio circondata da persone che la avrebbero insultata di lì a poco, non la rasserenava tanto.
Ok, non la rasserenava per niente.
E stare in mezzo a quel cerchio era una vera e propria merda.
Così, guardò la vecchietta, e lei ricambiò.
Sorrise a Blekking.
Ma Blekking aveva capito che dietro quel sorriso si nascondeva un sadismo inarrestabile.
Perché far fare e dei ragazzini di merda quella pratica abominevole, era da sadici.
Mosse la testa, senza fare un segno a qualcuno in particolare, tanto per indicare loro che fosse pronta alle bombe.
‘Non ti insulteranno mai peggio di tua nonna quando non finisci la pasta’, si consolò.
“La tua presenza è fastidiosa” cominciò Helena. Prevedibile “Sei fastidiosa per quello che dici, quello che fai, per la tua brutta faccia e per la tua presunzione. Detesto vederti fare qualsiasi cosa. E poi sei una rompi-coglioni che neanche Calum ti raggiunge, delle volte”
L’insulto in più dedicato a Calum la fece distrarre da tutto il resto dedicato solo ed esclusivamente a lei.
Ma tanto era Helena. Nessuno ascoltava Helena.
“Sei davvero troppo polemica – la riprese Ashton – delle volte devi semplicemente capire che devi stare zitta. Ma no, non lo capisci”
E ouch, detto da Ashton sì, faceva un certo effetto.
E sembrò capire l’atteggiamento di Helena prima, perché neanche lei se la sentiva di dire qualcosa.
Faceva proprio schifo.
E poi Luke la stava fissando in modo strano, e lei odiava essere fissata in quel modo.
Fu proprio lui a prendere parola, e “Sei una grandissima esibizionista. Ma pensi di essere una ragazzetta normale qualunque, recitando da tale. Ma sei un’egocentrica di merda”
E Blekking lo sapeva, nel profondo.
Anche se odiava essere fissata, odiava attirare l’attenzione vestendosi in modo provocante, e odiava pure le grandi dichiarazioni di fronte ad un pubblico, lei viveva di attenzioni.
L’aveva capitola prima volta che aveva fatto un saggio di violoncello.
Certo, aveva solo sei anni, ma il fatto che tutti fossero zitti e stessero fissando solo lei, la faceva sentire più importante di loro.
Sbagliato? Forse.
Ma le era piaciuto talmente tanto.
E le piaceva anche essere ascoltata da tante persone, e farle ridere tutte.
Le piaceva un sacco.
Ma non pensava di essere un’egocentrica di merda.
“Odi davvero troppe cose”, Sarah interruppe il suo flusso di pensieri.
Grazie al cielo. “Ogni volta che apri bocca stai sempre a dire ‘odio quello’, ‘odio quell’altro’, e dieci secondi dopo ti metti a ridere per qualche cazzata. Rilassati”
‘Detto da te, rossa, fa solo ridere’
Ridacchiò.
E oh, aveva ragione Sarah, okay.
“Sei menefreghista quasi quanto me. Quasi, eh, quindi non montarti la testa”
Ridacchiò alle parole di Mike, ma non fece a meno di pensare ‘Ne manca solo uno Blek, uno solo e poi potrai tornare nel cerchio’.
Quanto faceva schifo.
Era quasi tentata di chiedere pure a quella vecchiaccia di partecipare.
La li aveva tipo salvati, e non le sembrava opportuno. Già.
“Tratti tutti di merda”, disse semplicemente Calum.
E ancora una volta, Blekking si sorprese.
Per cosa si sorprese?
Non ci volle pensare neanche lei. Perché aveva finito il giro e perché voleva solo tornare nel cerchio.
E che merda, allora.
“Vado io”, disse subito Luke. Aveva ancora gli occhi fissi sulla figura di Blekking, e la cosa le dava parecchio fastidio.
“Oh, grandioso Hemmings” disse subito Michael, ridacchiando “Sei un barone del cazzo
“Ancora?”, ridacchiò lui. Quella storia non era stata dimenticata proprio da nessuno, in realtà.
“Sei completamente inutile. La persona più inutile di tutti i tempi”, disse Helena, senza scrupoli.
Era persino diventata più stronza di prima – possibile?
Anche il biondo scelse il silenzio, per quella pratica.
“Ti comporti come un bambino di cinque anni, ma sei persino più fastidioso”, rincarò la dose proprio Blekking. In realtà voleva fargliela pagare per prima. Perché sentirsi dire quelle cose da lui, l’aveva fatta davvero incazzare.
Ma non ci sarebbe riuscita, lei.
Perché sì, i divertiva a prendere in giro le debolezze altrui, ma in modo stupido ed innocuo.
Lei non era affatto cattiva, e non sarebbe mai riuscita ad esserlo.  
“Il tuo piercing fa schifo”, disse invece Calum.
“Sul serio Cal? Ancora? Perché non insulti mai quello di Mike?”
“Wo, uno alla volta Hemmings, uno alla volta. Non immischiarmi nei tuoi loschi affari”
Uno alla volta, uno alla volta, uno alla volta per carità…”, canticchiò Ashton.
E la sua fissazione per Il Barbiere di Siviglia era imbarazzante.
“Comunque sei un coglione”, disse a spettacolino finito.
“Cosa?”, chiese spiegazioni Helena “Devi motivare”
“Non ci sono altre parole per definirlo”, si giustificò.
“Però è vero – gli diede ragione Mike – a volte ho una voglia inarrestabile di prenderlo a schiaffi e…”
“Ragazzi, un insulto a testa. Uno solo. Dateci un taglio”, cercò di proteggersi il biondo.
“La principessina ha detto basta, ragazzi”, ridacchiò Ashton.
E allora andarono avanti.
“Sei troppo alto”
‘No Sarah, devi distruggere i suoi sentimenti, non aumentare il suo ego’
“Uhm, ok. Ashton, tocca a te”
Il riccio prese il suo posto, sorridendo davvero troppo.
Come faceva a sorridere anche in quelle situazioni?
“Sei inopportuno”, dissi allora.
“Rumoroso”
“Fastidioso in ogni azione e parola”
“Urli troppo”
“Non ti pettini mai”
“Canti di merda”
Ashton li guardò ammirato e “Wow, è stato veloce”
Ridacchiò e riprese il suo posto. Era proprio inattaccabile quel ragazzo.
“Ok, vado io”
Calum si alzò, prima che Michael potesse prendere il suo posto.
Blekking ci sarebbe andata piano, con lui.
Davvero non le andava che svenisse di nuovo.
“Okay”, gli sorrise Mike, che evidentemente non aveva proprio voglia di alzarsi.
“Metti ansia solo a guardarti, Calum”, incominciò subito lei.
Aveva paura che qualcuno gliela rubasse.
“Ehm… scusa?”, tentò. Ma provocò solo le loro risate.
“Sei talmente sociopatico da fare concorrenza a tutti gli sfigati qui”, rise ancora Luke.
“Passerei la giornata a schiaffeggiarti”, disse invece Helena.
Calum aveva chiuso gli occhi, e non sembrava neanche ascoltarli. Davvero li temeva così tanto?
Dio Santo.
“Sicuro di non essere as…”
Sì, Sarah. Sicuro”
‘Cal tira fuori gli artigli, wow’
“Sei il medico più inutile della storia”
E lì, tutti capirono che Luke avesse proprio esagerato. Anche perché lo sguardo di Cal esprimeva così tanto dolore che quasi a Blekking venne voglia di consolarlo.
E allora se ne andò, senza dire niente.
Nessuno si azzardò a fermarlo, ma neanche a seguirlo.
Un silenzio imbarazzante, davvero molto imbarazzante, scese su di loro.
E a Mike non piacevano quei silenzi, ormai era noto a tutti.
Soprattutto se lui non aveva ancora avuto il suo momento di gloria.
Così si mise al centro del cerchio, sorridendo – più per mettere allegria al gruppo che per la sua sete di insulti.
“Sei menefreghista”, fu sempre Blekking la prima a parlare.
Michael rise “Originale, Williams”, la ragazza sbuffò.
“Sei indifferente”, continuò Ashton.
“E sei pure incurante”
“La finite di trovare sinonimi di ‘menefreghismo’ per favore?”, rise ancora Michael.
“Io ne ho uno carino, indolente!”, disse Luke con una certa fierezza nel tono di voce.
‘Che idiota’, ma ridacchiò anche lei.
Perché lui era Luke Hemmings, e lei Blekking Williams, e le cose sarebbero sempre andate in quel modo.
“Qualcuno ha mangiato un dizionario?”, lo prese in giro Ash.
“Qualcuno ha guardato sul dizionario”, spiegò Helena.
“Dovevi stare zitta Helena!”
Mike li guardò sorridendo.
“Dai forza, vediamo cosa tirerà fuori Helena dal suo incredibile lessico da giornalista”
Lo guardò di striscio, e “Hai dei capelli di merda”
Tutti risero.
Anche la vecchia.
“Bene, ora a letto”, disse proprio lei.
Non avevano mangiato, ma nessuno se ne accorse.
Era stata davvero una lunga giornata, e allora “Buonanotte”, dissero tutti.
Andarono a letto.
 

La sistemazione di Blekking era davvero orribile. La vecchia aveva deciso di tenere i suoi cuccioli tutti nella stessa stanza, probabilmente per non farli sentire soli.
Ebbene, erano in quattro in un letto matrimoniale. E lei stava per cadere.
Quell’immagine esprimeva perfettamente la storia della sua vita, riflettè.
Troppe persone, troppo poco spazio, e lei in bilico.
‘Che pensieri filosofici’, pensò.
Ma davvero non riusciva a dormire.
Non con un Luke Hemmings spiaccicato sulla sua schiena che continuava a fissarla. Perché poi, se nonostante fossero davvero gli unici svegli, non le aveva ancora rivolto la parola?
Il fatto che non riuscisse a capire le dava parecchio fastidio.
Ma non sarebbe di sicura stata lei a parlare per prima.
Perché poi, avrebbe dovuto?
Ma perché no?
E la vera domanda era: perché ce l’aveva con lui?
Sì, ce l’aveva con lui.
Tutti le avevano detto brutte cose, davvero tutti.
Ma solo la sua l’aveva fatta incazzare così tanto.
E avercelo attaccato al culo non era proprio una meraviglia.
“Scusami”
Quasi saltò dal letto, quando sentì quelle parole – quasi eh, non poteva permettersi di perdere il posto.
Eppure, non si girò.
L’aveva sussurrato talmente piano che temeva se lo fosse immaginato.
Anche perché Luke Hemmings non aveva proprio niente di cui scusarsi, giusto?
Eppure, il braccio che le cinse la vita era il suo, e anche il respiro sul suo collo era suo.
E persino la sua bocca sul suo orecchio, era il suo.
Il cuore di Blekking fece un piccolo salto – non le piaceva stare così in intimità con le persone, in realtà.
Ma non si azzardò a spostarlo. E ancora, perché?
“Scusami”, ripetette.
Quella volta il suo tono fu ben più chiaro, per la sua vicinanza.
“Perché?”, chiese allora Blekking.
Lui, forse, aveva capito più Blekking di Blekking stessa.
“Blek…”, le sussurrò ancora. E il suo nome pronunciato da lui, in quella situazione, era quasi una droga.
‘Ripetilo, ti prego’
“Blek…” sembrò leggerle la mente “Lo sai vero che sei la mia persona preferita?”
‘Persona preferita eh, Hemmings?’
Sorrise, Blekking.
Perché si era sentita dire insulti, belle parole, ‘ti odio’ e persino ‘ti amo’.
Ma quello…
Quello era wow.
Così accarezzò il braccio di Luke, ancora attaccato a lei.
E riuscì finalmente a prendere sonno, con il battito di lui a scacciare i suoi incubi.
“Buonanotte, Blekking”
Ma lei non sentì niente.
Neanche il bacio sulla tempia che ne seguì.





Angolo autrice

Ehm, sì beh, sono tonrata. Un po' in ritardo certo, ma ehi, sono tornata. Scusatemi vi prego, ma mi sto ammazzando di studio ((((non è vero))) e boh.
Cooomunque, scrivere su Blekking è stato davvero divertente, e sì, è stato pure facile.
In questo capitolo incominciano i veri casini, con Clara, prigioni e altre brutte cose.
Chiaramente, è solo l'inizio.
Progetto tanti casini che neanche vi immaginate - troppo cattiva?
Grazie mille per la lettura, spero lasciate un commento per dire cosa ne pensate della storia.
Grazie ancora, a presto :)

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo Sette

 


‘ Com’è la prigione francese?

“Come quella inglese, penso”
- Calum

“Ma davvero nessuno si è accorto del topo che ci ha fissato tutto il tempo?”
- Michael

“La guardia mi ha palpato il culo. Disgustoso”
- Helena

“Odore di fallimenti e soldi pubblici sprecati in ogni angolo della cella”
- Blekking

“Fresca”
- Luke

“Ho sperato fino all’ultimo che le sbarre fossero fatte di baguette”
- Ashton
 
 


Luke
 




La notte prima, Luke si era immaginato diversi scenari di quella stessa mattina. Sicuramente, si aspettava un risveglio fiabesco con tanto di fuochi d’artificio e ballerini professionisti – ok, forse stava un po’ esagerando. Si aspettava Blekking ancora al suo fianco – e magari una mano di lui accidentalmente nel suo seno, ‘chè ‘Scusa, proprio non volevo’ – si aspettava che qualche buon’anima ancora speranzosa di unire il gruppo gli portasse la colazione a letto, e sì, si aspettava anche qualcuno che lo svegliasse dolcemente con una qualche serenata francese degli anni ’30.
Sarebbe stato carino, suvvia.
Ma più ci pensava, più si rendeva conto che quelle non erano affatto aspettative: erano solo vane speranze.
Perché sì, lui sapeva che il suo risveglio sarebbe stato caratterizzato da una tragicità unica, tipica di quel gruppo che più si andava avanti, più diventava ingestibile.
Come cavolo avrebbe detto a sua madre che era finito in prigione?
Gli avrebbe lanciato talmente tante scarpe da tennis da comprare tutte le azioni della Nike.
E poi cosa avrebbe detto quando lo avrebbero condannato all’ergastolo per omicidio colposo?
Quella, alla fine, fu la prima cosa a cui pensò quando si svegliò. Non si chiese perché Blekking non ci fosse, non si chiese perché nessuno (nonostante l’orario) non li avesse svegliati, e non si chiede neanche perché tutti quei cazzo di francesi  la mattina andassero in giro per le strade a chiacchierare rumorosamente.
Semplicemente, sperò con tutto il suo cuore che quella sul suo collo non fosse bava e che quello stesso liquido possibilmente non corporeo appartenesse a tutti fuorchè Michael.
Ebbene, non fu fortunato in niente di ciò.
Non si sorprese quando trovò il corpo di Michael ad occupare quasi tutto il letto, non si sorprese quando lo vide russare vistosamente, non si sorprese quando vide che fossero gli unici ancora a letto e non si sorprese neanche quando notò Calum per terra – dormiva nel loro stesso letto, nel bordo, affianco a Michael: prevedibile.
Ci fu un devastante momento in Luke fu tentato di picchiare a sangue il caro e vecchio Mike: nessuno sbavava sul collo di Luke Hemmings.
Poi si ricordò che nessuno di loro capiva il francese, e sarebbe stata davvero dura recuperare la Mistery Machine senza poter contare sulla conoscenza del francese – e lui ci aveva messo anima e cuore per quell’opera, non se la sarebbe fatta sfuggire così stupidamente.
Che poi, se solo erano a Parigi, come avevano fatti a ritracciarli se il camper si trovava ancora a Lille?
‘Evidentemente i francesi non sono così sprovveduti’, pensò.
E fu proprio con quelle constatazioni che decise di svegliare Michael senza l’utilizzo di nessuna arma contundente.
Sbuffò e “Svegliati”, gli disse brusco, scuotendogli leggermente la spalla.
Mike lo ignorò.
“Ho detto svegliati”, riprese, quella volta un po’ più alterato.
Poi si ricordò di essere il più piccolo di tre fratelli.
Si ricordò di essere figlio di un avvocato – quanto era difficile dimostrare di non aver rubato le caramelle, da piccolo?
Si ricordò che Luke Hemmings era la persona più fastidiosa di sempre, e lo sarebbe sempre stato.
Quindi sorrise, sicuro di sé.
Prese la prima cosa che gli capitò in mano – una banana? Sul serio? – e cominciò a colpirlo con quella.
“Ti stressa la banana? Ti stressa la banana? Ti stressa la banana?”, e la sua parlantina era quasi più fastidiosa dei continui colpi di banana che gli stava dando.
A quel punto Clifford si svegliò e cominciò a cercare di fermare la banana – sì, sembrava una dodicenne al suo primo ciclo.
“Stai fermo, razza di un Hemmings”, gli urlò contro, mentre cercava di liberarsi dalla presa ferrea del biondo.
‘Non ce la farai mai, stolto’
“E smettila!”, di tutta risposta Luke aumentò la frequenza dei colpi.
Michael sbuffò, continuando ad emettere dei strani versi infastiditi.
“Ma perché mi stai picchiando con una banana?!” urlò ancora, allo stremo delle forze.
Ma il biondo era talmente preso dalla vendetta che nemmeno sembrò accorgersi delle suppliche di lui.
“Fanculo Hemmings!”
Uno scatto improvviso.
Una banana volata via.
Una mossa da ninja che ‘Non è da ninja’ ‘Sì invece
I due ragazzi erano entrambi in piedi, sul letto, faccia a faccia.
“Non picchiatevi vicino a me, vi prego
Ma nessuno calcolò il povero Calum nemmeno quella volta.
“E’ la resa dei conti, Hemmings”, sussurrò Michael, senza staccare gli occhi da quelli del biondo.
Per rendere il tutto più minaccioso, finse di sputare per terra.
‘Oddio, spero abbia fatto solo finta’
“Fatti sotto, Clifford”
L’urlo di battaglia che ne seguì, terrorizzò Calum più del dovuto.
‘Sarà divertente, sì!’ pensò gloriosamente Luke.
E quando si trovarono a prendersi a colpi con i loro stessi cuscini, capirono di aver davvero toccato il fondo.
Michael tentò addirittura di soffocare Luke, ma quest’ultimo riuscì a liberarsi in tempo.
“Non dovevi provarci, Clifford”
Senza nessun rimorso, il biondo atterrò l’amico e cominciò a saltare sopra la sua schiena.
Forse stava esagerando – forse – ma si stava divertendo come se non ci fosse un domani.
“Hemmings, figlio della merda!”, gli urlò contro Michael, ma a quel punto anche lui stava ridendo proprio come il biondo – solo più rumorosamente, era pur sempre un Clifford.
“Questa cosa non fatela mai con me, vi prego”
Calum li guardava ancora scioccato, tanto che Luke rise anche per la sua espressione.
Lo divertiva terribilmente, quel ragazzo. Poi vederlo così inorridito e terrorizzato per ogni cosa facesse, lo rendeva ancora più fiero di sé.
Che poi, cosa aveva contro il suo povero piercing?
“L’hai voluto tu Hemmings!”
‘Cosa…’
E senza che neanche se ne rendesse conto, Luke si ritrovò nuovamente steso sul letto con un Michael Clifford più spaventoso del solito sopra di sé.
“PER NARNIA!”, urlò.
E sì, Mike era davvero rumoroso. Tanto che Calum riprese a lamentarsi – gli ricordava tanto Bambi alla morte della madre, in realtà – ma nessuno gli diede corda.
Doveva essere dura la vita di un Calum, in effetti.
‘Questo bastardo mi vuole soffocare di nuovo’, pensò.
Ma quando se ne accorse era troppo tardi e boom, ecco di nuovo quel fottuto cuscino spiaccicato in faccia.
Quella passione per i soffocamenti non la capiva proprio.
Michael delle volte lo inquietava parecchio, gli ricordava vagamente il suo vecchio compagno del liceo, un certo Brian Lee. Era uno strano ragazzo adottato che una volta aveva sgozzato una gallina nel bagno dei maschi perché Luke aveva accidentalmente rotto uno specchio. ‘E’ per allontanare la sfiga!’, gli aveva detto convinto. Ma Luke era scappato.
Così come avrebbe tanto voluto fare in quel momento.
“Scfiagfura af tfe e af tfutta la fta sfamifglia!”, gli urlò allora.
Ma il ragazzo in tutta risposta gli rise in faccia, letteralmente.
“Stai sperimentando il francese anche tu o ti diverti ad inventare parole nuove nel tempo libero?”
‘Idiota di un Clifford’
E seriamente, era pronto per il colpo finale. Per la mossa in grande stile. Per la sua grandiosa vittoria, ma la porta si spalancò all’improvviso.
E prima che potessero muoversi anche di solo un millimetro – prima che potessero sembrare meno gay – la faccia scandalizzata della piccola Sarah occupò prepotentemente  la loro vista.
E ‘Oh cazzo’.
“R-ragazzi”, disse in un sussurro. E dato che Mike, probabilmente pietrificato dallo shock, non si era ancora spostato da lui, ci pensò lui a scansarlo.
Forse ci mise troppa forza, poiché il ragazzo tinto si ritrovò improvvisamente per terra.
‘Scusa Clif’, pensò. Ma rideva dentro.
Perché un Michael Clifford confuso in mutande sopra il pavimento di una vecchia casa nella capitale francese era davvero divertente.
E fanculo le buone maniere.
Gli rise letteralmente in faccia.
“Ho interrotto qualcosa?”, chiese ancora la rossa, sempre più rossa.
‘Oddio no. Non pensarlo neanche, ti prego. Ti scongiuro’
Ma Luke sapeva fosse troppo tardi per le preghiere.
Ormai il danno era fatto e fanculo lui e la sua sete di vendetta.
E fanculo anche Michael, perché si era divertito davvero troppo con quel disadattato sociale che non era altro.
“Ehm… no”, sussurrò, un po’ in ritardo.
“Sicuri? Guardate che se siete, diciamo diversi, non…”
‘O no, ti prego non la predica da Gandhi ti prego’
Stava pregando un po’ troppo, per i suoi gusti.
Sbuffò: si sentiva davvero un idiota.
“Puoi andare, per favore?”, disse allora. Perché sostenere ancora lo sguardo curioso e quasi accusatore della ragazza era troppo faticoso per lui.
E poi che diamine, si era appena svegliato.
Avrebbe dovuto controllare le notifiche sul cellulare, poi avrebbe dovuto fissare il soffitto per un po’ di tempo, e infine avrebbe dovuto cantare qualche singolo di grande successo sotto la doccia.
Poi avrebbe potuto affrontare la giornata. Ma solo poi.
La ragazza si schiarì la voce estremamente imbarazzata e “Oh sì. Raggiungeteci quando… potete
Li lasciò immediatamente.
Bastò uno sguardo, allora, uno solo. E scoppiarono a ridere senza freni.
Luke non aveva idea di quale fosse il colore preferito di Michael, né cosa mangiasse a colazione e tantomeno che nome darebbe ai suoi figli, ma in quel momento lo sentì tanto vicino da fargli quasi paura.
‘Che la storia delle amicizie non sia solo una stronzata?’
Poi notò lo sguardo spaventato di Calum e capì che no, le cose non sarebbero cambiate così facilmente.
“Che tutto questo rimanga fra me e te, Hemmings
“Te lo stavo proprio per dire, Clifford
E quando stavano per lasciare la stanza, un sussurro “Ehi ma c’ero anche io…”
Luke ridacchiò.
‘Povero Calum…’, pensò.
 
 


***
 
 


La colazione era assolutamente il suo pasto preferito. Certo, avrebbe voluto farla nella serenità della sua casetta, dopo una bella doccia rilassante, e magari con dei vestiti puliti addosso – avevano lasciato tutte le valigie nel camper e stava per impazzire.
Ma non poteva pretendere tanto, almeno non erano ancora in gatta buia.
‘Che poi, perché si chiama gatta buia?’
Preso dalla curiosità, cercò su google il termine.
E oh, avrebbe voluto qualche criptico significato ma in realtà ‘E’ un termine che deriva dal greco katagheìon, che significa sotterraneo (ghé, infatti, è la terra)’, lesse.
Che delusione.
‘Che poi si scrive tutto attaccato, che ignorante’, si sgridò da solo.
Comunque, nonostante non si adattasse affatto ai suoi soliti standard, la colazione stava andando proprio bene. Aveva sempre guardato le pubblicità delle merendine con un sorriso sulle labbra, osservando con attenzione le famiglie felici che consumavano il primo pasto della giornata tutti insieme estremamente felici nonostante fosse mattina.
E sì, anche se era solo pura e semplice finzione, lui ne era sempre stato geloso.
Fare colazione in compagnia era sempre stato il suo sogno, ma non era mai riuscito a convincere il resto della famiglia a prendere un po’ più di tempo la mattina da passare tutti insieme: ma il padre ‘Devo lavorare, tesoro’, la madre ‘Non c’è tempo di preparare la colazione a tutti, tesoro’ e i fratelli ‘Non ci sveglieremo prima per un tuo capriccio, ragazzino’.
Aveva avuto un infanzia difficile, lui.
E gli altri non immaginavano neanche quanto fosse felice di fare colazione con tutti loro, anche se erano nella casa di una potenziale psicopatica di trecento anni.
E anche se in effetti si odiavano tutti quanti.
Quella mattina, però, si respirava una certa calma.
Sarah parlava animatamente con Helena, la quale sembrava più interessata alle sue unghie che alle parole della rossa – sì, ancora quelle benedette unghie. Un giorno le avrebbe volute fissare anche lui, così, solo per sapere cosa si provasse.
Michael, da quando erano scesi, non aveva smesso per un secondo di mangiare. Come biasimarlo? La marmellata francese era deliziosa. E no Luke, non hai davvero pensato la parola ‘deliziosa’.
Blekking invece cercava di convincere Calum che le uova offerte da Clara provenissero da galline allevate a terra. Lo stava facendo più per divertirsi che per consolare il ragazzo, Luke lo sapeva.
Sospirò, perché Blekking quella mattina lo aveva a mala pena cagato e la cosa gli dava un po’ di fastidio.
Ma giusto un po’.
E allora spostò lo sguardo da lei per poi posarlo su Ashton che… lo stava fissando.
Lo stava fissando con quel sorriso da Ashton che in altre situazione avrebbe significato ‘Ehi amico, me la passi una mela?’, ma in quel momento significava solo ‘Non puoi nasconderti da me, Hemmings’.
E lui, a cui proprio non piaceva aprirsi, non apprezzava affatto tutto ciò.
“Allora, Luke…” incominciò Ashton, senza abbandonare quello strano sorriso.
‘Se scappassi adesso desterei sospetti?’, si chiese. Ma quando si rispose che sì, avrebbe destato anche troppi sospetti, abbandonò quell’idea.
“Mh…”, rispose, cercando di evitare il ragazzo riprendendo a mangiare.
Ma non ce la fece.
“Come va, amico mio?”, riprese.
E allora Luke fu costretto ad alzare nuovamente lo sguardo, per trovare quello di Ashton.
Avrebbe pagato oro pur di sapere cosa passasse per la testa del riccio. Era una delle persone più imprevedibili che avesse mai conosciuto, e gli piaceva tutto ciò.
Stando all’accademia aveva parlato con tante persone, ne aveva conosciuto meglio altrettanto e aveva scoperto tante cose interessanti. Ma uno come Ashton, cavolo, era davvero difficile da trovare.
Così come era difficile da trovare una Sarah, una Helena, un Michael, una Blekking, per non parlare di un Calum.
E Luke sorrideva ogni volta che ci pensava.
Così come successe quella volta.
“A cosa pensi Luke? Perché sorridi così?”
‘Perché non ti fai i cazzi tuoi, Ashton?’, pensò ridacchiando.
“Starà pensando a Michael, lascialo stare”, intervenne Blekking con un sorrisetto bastardo.
‘No, tutti tranne lei’
I suoi occhi si rivolsero immediatamente a Sarah, che guardava nella sua direzione quasi mortificata.
Aveva detto tutto, la rossa.
Luke sbuffò sconsolato: la felicità da pubblicità era destinata a finire presto, il tempo di uno spot.
Doveva aspettarselo.
‘Luke Hemmings: una vita, mille delusioni’
“Fsmetffteftela fdi fdrire sfquefste sfcofse!”, li rimproverò Michael.
O almeno pensò li stesse rimproverando. Per quel che aveva capito, avrebbe anche potuto chiedere in prestito una mazza da baseball.
“Ha detto di smetterla di dire queste cose”, tradusse Helena, quasi scocciata.
‘E lei come diavolo l’ha capito?’
“Ho tre fratelli più piccoli, o parlano con la bocca piena o stanno zitti”, spiegò, come a leggergli nella mente.
In effetti non ci voleva un genio per capire cosa passasse loro per la testa: avevano tutti degli sguardi smarriti e curiosi. Doveva tuttavia ammettere che la bionda, per quanto fastidiosa e distaccata, era davvero molto intelligente. Non si sarebbe sorpreso se l’avesse vista in tv un giorno; e anche se rimaneva una stronza di prima categoria, glielo augurava proprio.
“Disgustoso” sussurrò invece Calum, guardandosi intorno quasi spaventato.
‘Ah, il caro e vecchio Calum’
Non sapeva se fosse brutto da dire, ma lui si divertiva un sacco a vedere Calum in quelle situazione. Che poi, poteva avere un numero di paure ben oltre la media mondiale, poteva addirittura sembrare più debole di tutti loro, ma la verità era ben altra: Calum Hood, il non-asiatico più asiatico di tutti i tempi, aveva i coglioni più grandi delle loro teste.
E Luke faceva il tifo per lui, nonostante le parole della notte prima.
In realtà cercava una reazione talmente forte da scuotere qualcosa, ma la sua uscita di scena non l’aveva soddisfatto per niente. Ma non sarebbe andato a scusarsi, no.
Magari la reazione sarebbe stata ritardata.
Sperava che a furia di stuzzicarlo, qualcosa ne sarebbe uscito fuori. E ehi, avevano parecchi mesi e lui era Luke Hemmings, quel Hood sarebbe diventato il nuovo Terminatori, se lo sentiva.
“Comunque – riprese Ashton, ignorando il commento del moro – Stavo pensando di andare tipo a…”
“A fanculo?”, lo interruppe Blekking.
“Se vuoi ti ci mando io”, continuò Helena.
‘Una coalizione fra loro due? Cosa sta succedendo?’, pensò Luke, con un sorriso talmente sorpreso quanto terrorizzato. Perché già una Blek e una Helena facevano paura, una Blek e una Helena insieme avrebbero potuto scatenare una rivoluzione.
Tanto non sarebbero durate niente, lo sapeva.
“Grazie ragazze, ma…”
“Oh, stai zitto! – disse ancora Hel, quella volta ancora più rude – Davvero pensi che dopo la cazzata di Parigi ti seguiremo di nuovo? Ma per favore”
‘Uh, colpo basso’
Luke passò lo sguardo divertito su Ashton: se quel ragazzo fosse riuscito a rispondere persino a quell’attacco, l’avrebbe adorato per sempre. Perché andiamo, Ashton aveva il mondo contro di lui; cosa si poteva pretendere con una cazzata così colossale?
Eppure, Luke lo farebbe altre mille e mille volte. Per la prima volta in tutta la sua vita, si era sentito finalmente vivo e libero – paradossale, no, dato che era stato persino dietro le sbarre.
Sembrava che tutto quello che aveva cercato in tutta la sua vita l’avesse trovato in due giorni di viaggio.
La cosa che lo spaventava di più era un’altra, però: tutto ciò era dovuto alla Francia o alle persone?
Forse si faceva troppi problemi, o forse la sindrome da filosofo mancato aveva beccato pure lui, ma proprio non poteva fare a meno di pensarci.
‘Davvero sono così patetico da sentirmi così in mezzo ad un branco di psicopatici come questo?’, si chiedeva sempre.
Ma la risposta era sempre la stessa: sì.
“Non puoi condannarmi per questo! – le urlò contro, nonostante avesse l’ombra di un sorriso – non c’era nessun avvertimento!”
E allora Luke ridacchiò.
Davvero era stato l’unico a vedere tutti quei cartelli?
Che pessimi osservatori.
“Cosa ridi, Hemmings?”, Blekking aveva un sorriso incredulo.
Un sorriso di una che aveva capito tutto.
E oh cazzo, lei non doveva capire assolutamente niente.
‘Andiamo, contrattacca Hemmings!’, si spronò.
E allora puntò sul punto debole della ragazza: i complimenti.
“Sei particolarmente carina stamattina, crostatina
E ‘Che cazzo hai appena detto’, si chiese da solo.
“Sono così dolci!”, commentò invece Helena, neanche tanto a voce bassa.
“Cosa cazz…”
Ad interromperla fu l’ultima persone che nessuno si sarebbe mai immaginato.
“Avete rotto le palle!”, urlò Calum.
Ebbene sì, urlò. E il colorito della sua faccia era più preoccupante del solito.
Davvero esisteva una tonalità del genere di rosso?
‘Cavolo, serve un medico’
Poi ridacchiò per i suoi stessi pensieri.
“Ti sembra il momento di ridere?!”, gli sussurrò Ashton all’orecchio.
Luke sbuffò e ‘se solo sapessero quanto sono simpatico’
“Abbiamo infranto le regole del giro di dieci minuti, andiamo in giro a bordo di una macchina da disadattati sociali, siamo andati alla torre Eiffel quando potevamo tranquillamente stare a Lille. E siamo finiti in prigione, diamine, in prigione!”, continuò, preso dalla collera.
Preso da molta collera.
Non si sarebbe trasformato in Super-sayan, vero?
“E come se non bastasse – ‘Non ha ancora finito? Perché nessuno lo interrompe?’ – siamo nella casa di una tizia sconosciuta che ci ha pagato la cauzione! E sono passati solo due maledettissimi giorni!
‘Oh…’
“E vi mettete a discutere di crostatine, come se davvero quella vecchia non stesse cercando di avvelenarci con delle uova coltivate chissà dove!”
‘Sono quasi sicuro che le uova non si coltivino’
“Calum ti ho già spiegato che le galline sono allevate a te…”
“Non mentirmi, Bleking!”
E Luke dovette ammettere che il dito che le puntò contro fu proprio ad effetto, tanto da rendere quella esclamazione ancora più teatrale di quanto già facesse la sua voce.
Le cose stavano diventando più divertenti del previsto.
‘Davvero Hemmings? Anni di viaggi e depressione per poi ritenerti soddisfatto con questo?’
“E tutto questo per colpa di Ashton!”, si intromise Helena.
“Potete smetterla di urlare?”, nessuno calcolò la piccola Sarah.
“Ehi! – si lamentò Ashton, quella volta più arrabbiato (Ashton arrabbiato, possibile?) – io non vi ho costretti a fare niente, è colpa di tutti
“Oh certo, ma chi vogliamo prendere in giro! Tu ci hai soggiogano, prendendo il posto ancora libero di leader del gruppo. Ma sai che ti dico? Ora dirigo io i giochi
Perché a Luke ricordò tanto un certo discorso fatto in una certa Germania da un certo tizio chiamato Hitler?
“E chi l’ha deciso, scusa?”, si lamentò Blekking.
Già, la loro pseudo-coalizione aveva avuto vita davvero breve.
Luke si sentì in dovere di intervenire.
“Ehi ragazzi, calmiamoci un attimo”
Che potesse essere lui il leader? Che potesse portare proprio lui la pace.
E quando era in procinto di fare il famoso discorso che l’avrebbe portato al potere, si accorse di non sapere che cazzo dire.
‘Ok, ho capito, non sono io il maschio alfa’, si arrese all’evidenza.
Forse, se avesse comprato una colonia di pesci rossi, sarebbe stato lui il capo.
A meno che non ci fosse stato un pesce rosso particolarmente robusto: allora non avrebbe avuto voce in capitolo nemmeno quella volta.
“Luke ha ragione! – Helena gli poggiò una mano sulla spalla – non ha senso combattere tra di noi!”
“Giusto! Coalizziamoci tutti contro Michael!”
Il ragazzo, che non aveva calcolato assolutamente nessuno, alzò finalmente lo sguardo dal piatto.
Ma era troppo tardi.
E come un fulmine a ciel sereno, ecco che una mela gli colpì la faccia.
Luke rise, rise tanto. Perché tra tutte le ragazze del mondo, proprio di una del genere si doveva interessare.
La sua prima ragazza aveva diciotto cani.
La sua seconda ragazza aveva solo rossetti blu e smalti arancioni.
La sua terza ragazza faceva le scale all’indietro perché, a detta sua, stimolava la mente.
La sua quarta ragazza, invece, aveva un’ambigua fobia per le sedie con le rotelle.
Eppure, una strana come Blekking non l’aveva mai conosciuta.
“Guerra!”, l’assecondò Ashton.
Ma prima che potesse lanciare il suo muffin al cioccolato, qualcuno lo interruppe.
‘Peccato, sarebbe stato divertente’
“In quanto vostra leader…”
“Ma chi ti vuole”
“Ritirati, Helena”
“Non parlatele così”
“Me ne voglio andare”
“Potete fare silenzio?”
“Mi diverto così tanto”, disse invece Luke, mettendosi più comodo sulla sedia. Si premurò pure di stendere le gambe sulla sedia al suo fianco, occupata da Ashton.
“In quanto vostra leader – Helena non demorse – mi sento in dovere di farvi notare quale sia il vero problema di fondo: l’assenza di regole”
‘Oh ma andiamo, e poi io come mi diverto?’
Calum sbatté il pungo sul tavolo e “Quoto Helena!”, disse convinto.
“Non lo accetto!”, si lamentò invece Ashton.
“E io quoto Ashton”, gli diede man forte Blekking.
E oh cazzo, non doveva mica schierarsi pure lui, vero?
“Beh – Sarah lo distolse dalla sua disperazione improvvisa – abbiamo dato ascolto ad Ashton, ieri. Tocca ad Helena, adesso”
Luke sospirò, sollevato; ringraziò mentalmente la rossa.
Michael lo guardò ridacchiando e gli sussurrò “Te la sei vista male amico”
E allora ridacchiò anche Luke.
“Perfetto”, festeggiò Helena. E sì, si lasciò scappare pure un sorrisino.
Poi, da chissà dove, tirò fuori il suo piccolo computer.
Tutti restarono un po’ scioccati da quella improvvisa apparizione, ‘Ma ci dorme con quel coso?’
Poi lei si schiarì la voce, e ci fu ben altro per cui rimanere scioccati.
“Ora scriverò, poi farò una copia per ognuno di noi. Ne attaccheremo una anche nella portina del camper, una sul cucinino, e uno sul bagno, chiaro?”
Nessuno osò parlare: Helena in quelle vesti faceva davvero paura.
E forse lui non aveva la stoffa del maschio alfa, ma lei non aveva sicuramente quella di capo amorevole.
Chissà se il suo regime basato sul terrore avrebbe retto – basandosi sulla storia, il popolo prima o poi si sarebbe ribellato.
A meno che lei non avesse dato inizio a delle persecuzioni su cristiani e ebrei, allora…
Ok, stava divagando troppo.
“Prima regola…”
“E le altre regole?”
Ashton non poteva proprio stare zitto. Che fosse lui il maschio alfa?
Maschio alfa contro femmina alfa: come sarebbe finita?
“Quali altre regole?”
“Quelle che ognuno di noi aveva stabilito”
“Una di quelle consisteva nel non scopare nel camper. Erano deficienti, le molliamo”
‘Ok, ora mi sento toccato’
Stavo dicendo – riprese, ancora più scocciata – Prima regola: ci sarà una cassa comune. Ognuno metterà metà del proprio patrimonio, ovvero 500£, e con essi si andrà avanti”
Quella volta fu Blekking ad intervenire “Ma io e la crostatina portiamo la pagnotta a casa, vi ricordo”
Luke sorrise smagliante. Crostatina.
“E va bene! Voi ne metterete solo 300”, cedette Helena, senza nascondere il suo disappunto con un sonoro sbuffo.
“Seconda regola…”
“Calum, mi passi le uova?”, chiese candidamente Mike.
Il fatto che non stesse seguendo affatto il discorso, nonostante la mela assassina di poco prima, era ben palese.
E Luke rise di gusto, perché adorava davvero tanto Michael.
Tuttavia Hood si rifiutò.
“Stupido Clifford!”, lo rimproverò Helena.
Sembrò uscire da uno stato di trance, tanto che guardò la bionda confuso.
“Perché?”, le chiese confuso.
Luke rise ancora più forte.
“E tu perché ridi?!”, continuò, sempre più smarrito.
“Oh, fai silenzio Clifford”
“Non ci sto capendo niente, ragazzi”
“Seconda regola! – urlò Helena – Per ogni cazzata che qualcuno farà, dovrà pagare. Letteralmente”, specificò.
“Potremmo chiamarla la cassa dei cazzoni!” propose ancora Ashton, con un sorriso più grande di una casa.
‘Dio amico, sei completamente fuori’
“No – distrusse i suoi sogni molto velocemente – Il cibo verrà comprato con i soldi della cassa, così come i prodotti per l’igiene. In caso di particolari necessità, l’individuo provvederà a sue spese.”
Ad ogni parola, le sue mani si muovevano velocemente sulla tastiera. Sembrava che ormai nessuno avesse più voglia di contestarla; inoltre quella sua estrema professionalità le dava un’aria superiore non indifferente: chi avrebbe osato andarle contro?
“Quarta regola: chiaramente non possiamo vivere in un camper per ragioni… fisiologiche”
“Puoi dire ‘cacca’, non è una parolaccia”, rise Blekking.
Ecco, parlando di chi sarebbe mai potuto andarle contro…
“Sì, cacca. Qualche idea?”
Fu sempre la mora a rispondere “Ho degli amici un po’ ovunque – ‘Blekking ha che cosa dove?’ – posso farmi ospitare ovunque, non ci saranno problemi”
E Luke non era sicuramente l’unico sorpreso da quella rivelazione.
Ogni volta che andava al conservatorio la trovava in compagnia di pochi amici al massimo, ma più che altro del bidello ambiguo.
“Davvero?”, e chiese Sarah. Poi si portò subito una mano alla bocca, quasi mortificata delle sue stesse parole forse troppo invadenti.
Ma Blek non ci fece neanche caso, o meglio, non sembrava particolarmente interessata.
“Faccio parte dell’orchestra del conservatorio di Londra, andiamo – ridacchiò – Viaggio, gli altri vengono, conosco persone da tutto il mondo. E noi strumentisti ci sosteniamo molto fra di noi. Una volta ho ospitato le due nonne di un trombettista tedesco perché volevano tanto vedere Londra”, spiegò loro, con un sorriso sognante sulle labbra.
Luke non aveva parole.
Così come il resto del gruppo, in effetti.
Perché si sapeva che al Conservatorio fossero tutti abbastanza strani – e lo diceva uno dell’Accademia d’arte – ma fino a questi livelli… chi l’avrebbe mai detto.
“Bene – Helena deglutì – penso” scosse la testa, come a cacciare qualche pensiero “Una volta ogni due settimane ci sarà un dibattito, dove ognuno presenterà i problemi riscontrati nella convivenza. In caso di emergenze, si può richiedere un’assemblea straordinaria. Ovviamente c’è l’obbligo di frequenza”
‘Dio, mi sembra di essere tornato al liceo’, ma ridacchiò.
Poteva sembrare un idiota in effetti – era circa la decima volta che rideva senza nessuna ragione precisa – ma gli piaceva il clima che si era creato.
Nonostante le litigate, i compromessi mal riusciti, la prigione, le cazzate, i problemi…
E ok, era un po’ un clima di merda, ma lui era felice comunque.
Poi ripensò alla giornata passata, e una strana consapevolezza si fece largo nella sua mente: erano nella casa di una strana vecchietta che li aveva liberati senza nessuna ragione.
E lui aveva una paura terribile per quella donna.
Si alzò di scatto, togliendo immediatamente le gambe dal grembo del riccio e strisciando rumorosamente la sedia. Senza neanche farlo apposta, si ritrovò gli occhi di tutti addosso.
“Dobbiamo andare”, disse allora.
Tuttavia nessuno lo seguì.
‘Oh giusto, il problemino del maschio alfa’
“Potete almeno fare finta di ascoltarmi? Dobbiamo andare, vi dico!”
Non avrebbe passato un solo secondo in più in quella casa. Non era uno di quelli particolarmente aperti, ok, e faceva anche abbastanza schifo a fidarsi delle persone, ok, ma aveva uno strano presentimento su quella vecchia.
Come se in realtà li stesse fottendo tutti.
“Ma che stai dicendo, Luke?”, Sarah espresse la sua perplessità.
‘Come fanno a non capire?!”
“Siamo nella casa di una psicopatica che libera avanzi di galera come noi! – faceva un certo effetto definirli così, in effetti – scappiamo prima che ci dia in pasto ai suoi cani!”
E forse la seconda parte se l’era inventata alla grande, ma non era importante dopotutto.
Dovevano scappare e basta, tanto.
“Idiota, non urlare!”, lo rimproverò Helena.
Ma ormai era troppo tardi: una vecchia donna, con un sorriso triste e degli occhi più lucidi del normale, li fissava senza dire una parola.
A Luke si gelò il sangue, e quasi si pentì di aver detto tutte quelle cose.
Poi scorse una certa aria approfittatrice nell’espressione della donna, e tutti i sensi di colpa sparirono tanto velocemente quanto arrivarono.
Lui non ci sarebbe cascato.
“Calum, tesoro, fai attenzione alla tazza che stai usando: è un’originale pezzo dei Maya, vale una fortuna”
‘Ma che diavolo… è plastica’, notò.
E poi ammettiamolo: avrebbe potuto usare anche una scusa più credibile. Solo leggermente.
Calum, tuttavia, annuì. Era spaventato, ma annuì.
“E tu, dolce Sarah, attenta a dove siedi: in origine, in quella stessa sedia, si ea seduto niente popo’ di meno che Luigi XIV”, continuò.
E ‘Oh, sul serio? Vogliamo mettere in mezzo anche la Grecia del III secolo o basta così?’
La donna guardò negli occhi ognuno di loro, soffermandosi di più su Luke. Il ragazzo non abbassò lo sguardo.
C’era silenzio, nella stanza. Sembrava che nessuno volesse parlare: stavano tutti aspettando che fosse Clara a fare il primo passo. E magari anche il secondo, pure il terzo, e tutti quelli a seguire.
Parlandoci chiaro: nessuno aveva più le palle di dire qualcosa.
“Sembra sia arrivato il momento di parlarvi”, sospirò.
‘Oh, trattenga i sospiri teatrali’
“Vi ho liberati perché ho sentito parlare del vostro progetto, grazie al blog di Helena – maledetta Helena – perché anche io andavo all’Università di Londra – maledetta Londra – e ho deciso di darvi una mano: siete giovani, sbagliando s’impara – maledette frasi fatte – e vorrei farvi unire. Perché solo voi sapete quello che state vivendo, e sarà proprio questa grande cosa in comune ad unirvi per il resto della vostra vita”
Luke giurò di aver visto una lacrima solcare il viso della rossa, emozionata.
Davvero bastava così poco per soggiogarli?
Effettivamente no: era così solo per la piccola Sarah. Perché tutti gli altri (persino il povero Calum, signore e signori!), erano piuttosto scettici.
L’aveva detto: erano stati i Maya a fregarla.
“Perciò – la donna riprese – vi aspetto in salotto. Avete un’altra seduta di gruppo da affrontare”, e li lasciò soli.
‘Sul serio? Un’altra seduta?’, sbuffò. Perché davvero non riusciva a capire la mania della gente di unirli come gruppo. Cosa volevano ottenere, così facendo? Non potevano semplicemente lasciare che il corso della natura di compisse?
Quelle forzature, per uno come lui, erano davvero insostenibili.
E poi non gli interessava sapere i loro animali preferiti o la loro top 10 di iTunes.
Voleva solo divertirsi con loro, e le cose andavano alla grande senza quelle sedute da psichiatri mancati – molto mancati, direi quasi falliti miseramente.
“Ok”, ma tutti acconsentirono.
E solo quando la donna se ne andò con un sorriso stampato in faccia, anche gli altri suoi compagni espressero finalmente i loro sentimenti con le loro espressioni.
E sembravano essere tutti d’accordo con lui.
“E’ pazza”, confermò Ashton.
“Completamente”
“Dalla testa ai piedi”
“Mi fa paura”
“E’ piuttosto inquietante in effetti”
“Ma smettetela! – li rimproverò la rossa – E’ così dolce e gentile!”
Luke sbuffò: quella ragazza non sarebbe mai cambiata.
“Vabbè – lasciò perdere – io ora vado a farmi una doccia. Con permesso…”
Ne aveva decisamente bisogno, come ogni mattina.
Così si alzò, si stiracchiò leggermente, e si diresse verso il bagno del secondo piano – l’unico che conosceva.
E prima che potesse entrare “Non ti azzardare a cantare!”
“Ti dedico la mia intera playlist, crostatina
Luke sorrise.
 
 


***
 
 


Luke non parlava molto. O meglio, non sentiva proprio il bisogno di aprirsi agli altri così come la maggior parte dei suoi coetanei.
Una volta, in seconda superiore, stavano parlando dei propri problemi con la professoressa di religione.
Madison aveva un brutto rapporto con il padre, Kyle si sentiva inferiore a suo fratello, Patrick non si sentiva mai abbastanza per nessuno e Clear aveva litigato pesantemente con la sua migliore amica.
Quando era arrivato il suo turno, aveva ridacchiato e “Il mio cane mi ha mangiato la colazione, stamattina”, aveva detto.
Fu l’unico della classe ad avere l’insufficienza in religione.
Così come l’anno dopo, quello successivo, e quello dopo ancora.
Ma a Luke non importava – più che altro era Liz quella un po’ più preoccupata -, Luke non aveva bisogno di parlare, né di ascoltare più di tanto.
La gente poteva mentire, no? E anche lui poteva farlo.
Quello che non mentiva mai, era il corpo. E lui, in tutti quegli anni, aveva imparato a leggerne ogni piccola sfumatura.
Osservando aveva capito tante cose: che Calum, anche se li aveva portati lui stesso al cimitero, se la stava facendo sotto peggio di loro; che Sarah, anche se faceva finta di niente, ci rimaneva davvero male quando Helena non la calcolava; che Ashton, per quanto passasse il tempo a sorridere alla vita, cercasse qualcosa di più ogni volta che incrociava lo sguardo con la bionda.
Aveva anche capito che Helena, la volta che Ashton aveva cantato all’Auditorium, si era divertita davvero tanto; aveva capito che Blekking, cavolo, sarebbe riuscita a fotterlo tutte le volte che voleva.
Tutto questo, senza ascoltare una sola parola dei discorsi inutili che ogni tanto mettevano su per ‘fare amicizia’.
Purtroppo, in quel momento si ritrovavano in quella stessa situazione. Clara aveva chiuso tutte le finestre, abbassato le serrande, spento le luci.
In pratica, anche se era pieno giorno, non riusciva nemmeno a vedersi le mani.
L’unica luce presente era la grande candela nelle mani della vecchia – ma l’aveva rubata da una chiesa, per caso? – che riusciva ad illuminare solo la sua faccia.
E tra il buio e quel viso rugoso, aveva decisamente preferito le tenebre.
“Il gioco è semplice: se ieri avete detto tutti gli insulti, oggi guarite le vostre ferite con i complimenti!”
Sentì un gridolino eccitato: doveva essere sicuramente Sarah.
“Vi passerete la candela, in senso orario, e colui che la tiene in mano dovrà dire un pregio di ognuno dei suoi compagni, chiaro?”
Luke annuì. Poi si rese conto che lei non poteva vederlo, ma non parlò comunque.
‘Peggio per lei’, ghignò.
Tanto avevano risposto tutti gli altri al posto suo, e proprio non gli andava di parlare.
Già era penalizzato: non poteva vedere nessuno, di conseguenza il suo punto forte non valeva niente.
Probabilmente non avrebbe neanche ascoltato.
“Chi comincia?”, continuò la donna, senza abbandonare quello strano sorriso.
“Posso cominciare io? Ho paura del buio, me la sto facendo sotto”
Il tono tremante di Calum avrebbe convinto anche un dinosauro a non mangiare carne per il resto della sua vita. Ma evidentemente non tutti la pensavano come lui.
“Tu hai paura anche della luce, Calum”, sbuffò quella che doveva essere Helena.
La sua voce era inconfondibile, con quella perenne nota di superiorità.
“Oh, e stai zitta”
“Stai zitta tu!”
“Ma non ti accorgi che a nessuno frega niente di quello che dici? Lascialo iniziare e basta!”, la rimproverò ancora Blekking.
“Lurida putt…”
“OK!”, urlò Ashton.
E Luke lo ringraziò mentalmente, perché per quanto sarebbe potuto essere divertente una rissa tra donne, una situazione analoga tra Helena e Blek avrebbe causato l’apocalisse.
“Quindi posso iniziare o…”, sussurrò Calum, ancora più spaventato.
“Inizia, dai”, lo spronò la dolce voce di Sarah.
“Uhm… ok”, non sembrava tanto convinto.
“E parla!”
Si convinse.
Ecco… allora… Un pregio di Sarah è l’essere comprensiva”, cominciò. E wow che originalità. “Quello di Blekking è di saper suonare – di bene in meglio – quello di Ashton è di avere un bel sorriso”
“Grazie amico”, rispose ridendo.
“Quello di Sarah è di… creare blog?”
La ragazza sbuffò.
“Quello di Michael è di essere sereno e quello di Luke… Luke ha delle belle gambe”
Delle belle gambe.
Seriamente?
‘Ma andiamo…’
“Questo gioco fa schifo”, si lamentò Michael “Erano più divertenti gli insulti”, ridacchiò.
Beh, sereno mica tanto, alla fine.
“Oh, Mr. Sono-Nel-Mio-Mondo ci ha degnati della sua parola”, disse acida.
Non riuscì a vederlo, ma sentì chiaramente che Michael stesse per dirgliene quattro.
Ma il buon samaritano intervenne nuovamente “OK!”, urlò di nuovo.
Che poi, perché continuava ad urlare ‘ok’?
Non sarebbero state più efficaci delle frasi di senso compiuto?
Eppure, funzionò anche quella volta, e la candela arrivò proprio a Luke.
Non se ne era neanche accorto.
Quell’improvvisa fonte di luce proprio sotto i suoi occhi chiari lo fece lacrimare per un momento.
Fortunatamente si riprese presto, e pensò ai pregi.
‘Oddio, sarà dura…’
Si schiarì la voce, tanto per prendere ulteriore tempo.
“Sono Luke”, ebbe la geniale idea di dire.
“Ti vediamo, deficiente”
‘Giusto, ok’
Serio o comico? Emozionante o cazzone? Non sapeva proprio che strada prendere.
Ma perché si sarebbe dovuto aprire proprio in quel momento? Non l’aveva mai fatto, e sicuramente quella Clara non sarebbe stata testimone di quel grande passo.
Anche quella volta, scelse la strada più facile.
“Helena, hai delle belle tette”, cominciò. E lo pensava sul serio.
“Ehi!”, protestò lei, ma la ignorò.
“Ashton, hai dei magnifici peli sul petto”
“Che fai, mi spii in bagno?”
Luke rise “Calum, le tue braccia sono la mia musa”
“Non mi sento a mio agio in questo discorso”, commentò invece lui.
Il che lo fece ridere ulteriormente.
E tutta la tensione dov’era finita?
Aveva la strana impressione che si fosse solo nascosta.
“Sarah, sei la mia ginger preferita”
Ok, non sapeva che cazzo dire di lei.
“Grazie Lukey”, le rispose però.
Si accontentava di poco, la ragazza: meglio.
“Blekking tu hai… un bel nome
E ridacchiò ancora prima ch’ella potesse rispondere, perché lui adorava così tanto stuzzicarla.
“Fanculo, Hemmings”, ma rise anche lei. E lui adorava quel suo senso dell’umorismo.
“Perché mi hai lasciato per ultimo?”, si lamentò il ragazzo dai capelli verdi.
Luke sorrise “Il meglio alla fine, Clifford”, rispose, con una voce da scolaretta tanto patetica quanto divertente.
Tra le risate, si sentì anche lo sbuffo di Helena. La quale, si accorse, era proprio al suo fianco.
“Mi aspetto emozioni da te, Hemmings”
“Mi piace la tua barba”, disse allora.
“Sul serio, amico? La mia barba?”, si lamentò.
Gli altri ancora ridevano, per qualche oscura ragione. Ma chi si lamentava: gli piaceva sentire le risate dei suoi compagni.
“Ne voglio un’altra!”, si lamentò allora.
Luke sbuffò divertito e “Mi piacciono i tuoi capelli. Sulla testa. E sulla faccia. Mi piace la tua barba
E allora le risate si intensificarono ulteriormente, tanto che persino a lui sfuggì una lacrima.
Da quando non rideva così tanto? Erano forse anni’
“Mi vendicherò, biondino. Sappilo”
“Già, peccato che adesso tocchi a me
E quasi si sentì strappare dalle mani quella candela.
Non avrebbe mai più sottovalutato la forza fisica femminile: Helena ne aveva proprio da vendere.
“Ma penso che il mio turno finirà presto, perché non riesco proprio a trovare nessun pregio, in voi”
‘Oh no. Porca troia no ti prego, qui finisce male’.
“Potresti cominciare col dire che siamo tutti migliori di te”, iniziò Blekking.
E quasi la odiò per quello – quasi, non avrebbe mai potuto odiare quella ragazza.
Lui, povero ragazzo che cercava sempre di evitare gli scontri, si ritrovava ad affrontare una ragazza sempre pronta a combattere.
“Oh, ma finitela con queste cazzate!”, urlò.
Un silenzio gelante si espanse per tutta la stanza: tutti sapevano a cosa sarebbero andati incontro se avessero parlato, e tutti erano disposti a rischiare.
Tutti tranne Luke, che avrebbe semplicemente fatto finta di niente.
Non sopportava proprio le urla.
‘Preparati psicologicamente, Hemmings’, si disse da solo.
“Nessuno di voi è migliore di me, anzi. Pensate davvero che si possa ferire una persona solo con le parole? Vi comportate come se foste le persone perfette e io la cattivona che rovina tutto. Ma sapete una cosa? Io mi accorgo di tutte le volte che alzate gli occhi al cielo quando parlo, e non è carino. Io mi accorgo di quando cercate di evitarmi, e non è carino. Io mi accorgo di come mi parlate alle spalle, e non è carino nemmeno quello. E osate pensare di essere migliori di me?”
‘Porca puttana me ne voglio andare adesso’
“Sul serio Helena, sul serio?! – Ashton, proprio al fianco della ragazza, intervenne – Tu ci hai sempre evitato, tu hai sempre parlato male di noi e ancora tu esprimi il tuo disappunto in ogni modo ogni volta che parliamo. Come se ti infastidissimo ad ogni fottutissima sillaba!”, urlò.
E Luke, potette giurare, non aveva mai visto un Ashton del genere.
Neanche nei suoi scenari più assurdi, in previsione di quel maledetto viaggio, si era immaginato un Ash… non Ash.
“Vaffanculo, Ashton!”, urlò anche lei.
“No, vaffanculo tu! Non hai neanche mai chiesto scusa, cazzo, mai! Anche se io ti ho dimostrato tante di quelle volte che ci tengo a te. Mai!
E merda, le cose si stavano facendo più scottanti.
Tutti quei casini nei primi tre giorni? Avevano molto materiale su cui lavorare per non uccidersi il quarto giorno.
“Perché, voi l’avete mai fatto, Ashton? Avete mai chiesto scusa?”
‘No…’
“NO!”, continuò lei.
Luke si allontanò leggermente da Helena: essere così vicino all’occhio del ciclone lo faceva sentire vulnerabile.
E il suo cuore, ad ogni nuovo urlo, si appesantiva sempre di più.
Non poteva sopportare tutto quello ancora, doveva porre fine a quella guerra inutile.
Allora, cercando di essere il maschio alfa che non era, si alzò e li raggiunse.
Erano entrambi in piedi, ed Helena aveva ancora quella fottuta candela in mano.
Possibile che fossero arrivati in quella situazione elencando i pregi e non elencando i difetti?
Erano così strani…
“Dammi la candela, non è più il tuo turno di parlare!”, la rimproverò Luke.
E forse non era esattamente la scusa migliore, ma sperava che togliendole il potere conferitole dalla candela potesse sistemare le cose.
Che idiota.
“No! E’ il mio turno e parlo io. Io ho la candela”, continuò.
Luke cercò ancora una volta di strappargliela dalle mani, ma la potenza muscolare di Helena si fece sentire di nuovo.
‘Ti fai battere da una ragazza, Hemmings?’
“Luke ha ragione! Stai solo spargendo merda su tutti noi, non sei degna di tenere la candela dei pregi!”, lo aiutò Ashton.
‘Candela dei pregi… stiamo delirando, Cristo’
Tutto d’un tratto, anche Ashton si unì alla lotta per la candela, tanto che cominciarono a contendersela come dei bambini di cinque anni, tirandola da una parte all’altra.
“Tra i tre litiganti, il quarto gode!”
“Blekking, sono quasi sicuro che il detto non sia così”
“Zitto, Hemmings”, Blek si unì alla guerra.
“Basta, ragazzi!”, anche Helena.
“Me ne voglio andare”
“Io invece mi diverto così tanto”, Michael rise di loro.
E proprio nel mezzo di uno strattone più forte degli altri, ecco un urlo: “CAZZO! Mi sono bruciato!”
C’era fuoco, c’era disprezzo, c’erano strattoni, c’erano persone arrabbiate… dovevano aspettarselo.
Eppure, l’urlo improvviso di Ashton causò in loro una sorpresa tale da mollare la presa sulla candela.
Tutti insieme.
Contemporaneamente.
E la candela accesa rotolò, rotolò, rotolò, fino ad arrivare alla porta finestra.
Coperta da una fottutissima tenda.
Lo spettacolo davanti ai loro occhi suscitò diverse emozioni nei cuori di ognuno di loro: panico, terrore, disperazione, sensi di colpa, e ancora panico.
Nessuno calcolò neanche Calum, che era svenuto nuovamente.
La tenda bruciava davanti ai loro occhi, e il fuoco sembrava quasi inarrestabile.
Fortunatamente l’adrenalina che prese possesso del corpo del biondo gli fece capire che no, quel fuocherello di merda non era inarrestabile.
Così prese la coperta posta sopra il divano, e la stese sull’incendio sbattendo forte i piedi.
I compagni lo seguirono presto – grazie al Cielo.
La fronte imperlata di sudore e l’affanno di Luke lo fecero sentire come in un grandioso film d’azione, ma la sua impresa non era stata chissà che cosa, alla fine.
Ciononostante, Clara li guardava sbigottita. Terrificata, e anche incazzata, a dire il vero.
Aveva finalmente acceso le luci, e finalmente tutti i ragazzi potettero guardarsi negli occhi.
Erano tutti… increduli. ‘Ché era successo tutto talmente in fretta da renderlo quasi irreale.
Era successo tutto quello o se l’era solo immaginato.
‘Cosa sta succedendo’
L’esclamazione dell’anziana lo riportò alla realtà.
“La mia preziosissima tenda – e pianse pure – Era un regalo della vecchia Debby, direttamente dall’Asia, ricavato dall’originale tappeto volante di Aladin
Luke finalmente seppe cosa fare.
Si guardò intorno, cercando di analizzare bene la situazione.
‘Dobbiamo agire in fretta’
Fece segno ad un Ashton più scioccato di lui, ed insieme presero in braccio Calum.
Non fece caso a Sarah che parlava fitta fitta con la vecchia, non fece caso alla bionda che afferrava saldamente il suo computer, non fece caso alle risate di Blekking e alla confusione di Michael.
Semplicemente, gridò.
“SCAPPIAMO RAGAZZI”
Per la prima volta in tutta la sua vita, si sentì il maschio alfa.
Ogni suo compagno lo seguì in quella pazza corsa fuori da quella strana casa, lontani dalla vecchia, da monumenti da museo, e da uova ambigue.
Certo, correre con un peso morto sulle spalle non era piacevole, ma era talmente preso dalla fuga che non ci fece nemmeno caso.
Semplicemente scapparono.
E non si guardarono indietro, nemmeno una volta.





Angolo autrice


Allora, eccomi con un nuovo capitolo. Lo ammetto, ho ritardato nuovamente, per le solite ragioni e bla bla bla, si sa ormai. Ebbene mancano pochi giorni e poi VACANZE, già. Solo davvero felice.
La parte della barba chiaramente l'ho presa da un'intervista bellissima dove ho amato Luke, quindi non potevo non metterla. 
Per il resto, ecco il punto di vista di Luke. Spero abbiate potuto cogliere più sfumature del suo strano carattere.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto; se volete lasciare qualche commento, sarei davvero felice di rispondervi :)
Vi lascio il link della mia one-shot (la prima, che emozione ragazze):
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3140648&i=1
E' su Luke, vi avviso, e sì, ho una certa fissa per questo ragazzo e per il suo magnifico naso.

Grazie per la lettura, a presto :)

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo otto
 


‘ Qual è il più grande problema del vostro gruppo?

“La mancanza di comunicazione”
- Sarah

“Ashton”
- Luke

“Ashton, penso”
- Michael

“Ashton, senza alcun dubbio”
- Blekking

“Ashton?”
- Helena

“Ashton. Ma non ditegli che ve l’ho detto”
- Calum

“Il violoncello di Blek, ovviamente”
- Ashton
 
 

Ashton
 



Erano scappati, letteralmente. Appena abbandonata la casa della vecchia, che per altro non gliela raccontava per niente giusta, avevano preso il primo treno per Lille.
La seconda tappa per il magnifico gruppo, fu recuperare la cara e vecchia Mistery Machine: Luke stava per mettersi a piangere dalla commozione.
Come terza cosa, per finire in bellezza quella strana giornata, Ashton aveva aiutato Helena ad attaccare le regole in giro per il camper – come promesso.
Dopo quelle sconvenienti vicende, avevano spostato il camper in una zona legale e protetta, con tanto di bagno funzionante proprio affianco alla loro postazione – una soddisfazione per tutti loro.
Da quell’insana fuga era passata una settimana.
Erano stati dei giorni strani, quelli: ognuno aveva fatto il suo lavoro. E lui, Ashton, si era annoiato a morte.
Il primo giorno aveva seguito Helena nel suo tour di Lille, ma aveva passato la maggior parte del tempo a fissarla mentre scriveva sul suo pc, le dita che scorrevano veloci e gli occhi di Ashton che le seguivano con difficoltà. La bionda non l’aveva calcolato per niente: ogni suo tentativo di interazione era malamente sospeso dalla ragazza con una scrollata di spalle.
Il secondo giorno, aveva seguito Mikey, ma non fu una grandiosa avventura. Dopo aver passato tutta la mattinata a letto – Michael diceva che la sua mente necessitava di riposo per poter fare scintille – erano andati a fare una passeggiata per la città. Ma era andata pure peggio del previsto: Michael si limitava ad origliare le conversazioni delle persone e rideva alle loro battute, senza mai tradurgliele – ‘Aspetta un attimo’, continuava a dirgli.
Il terzo giorno aveva seguito Luke, ed era stato… strano. Il ragazzo era andato alla ricerca di un luogo particolarmente poetico, trasportando tutti i suoi aggeggi da artista, per poi piazzarsi di fronte al Grand Place – o almeno, questo era quello che aveva capito lui. Con l’occhio sempre attento, aveva cominciato a ricopiare su tela ogni particolare del grande monumento, lasciando di stucco Ashton. E non solo lui: un gruppo di ragazze francesi aveva addirittura cominciato ad accarezzargli le spalle – e nessuna di loro aveva cagato il riccio! Peccato che il biondo non le guardò neanche: che Hemmings fosse asessuato?
Dopo l’estenuante esperienza artistica, aveva saggiamente deciso di seguire la rossa. Eppure, neanche con l’esplosività di Sarah aveva raggiunto l’emozione che aveva provato all’inizio del viaggio. Sarah aveva partecipato ad ogni stupida attività offerta dalla città; o almeno, tutte le cose che comprendessero tradizioni e usanze del luogo. Quella sera l’aveva pure costretto a comprare un costume del 1800 davvero terrificante per andare a ballare con lei – ‘Sarà incredibile!’, gli aveva detto. E lo era stato: incredibilmente noioso.
Il giorno dopo, era stato con Calum. Dopo i primi dieci minuti di euforia pura in cui aveva sperato che il moro svenisse un’altra volta – così, tanto per stuzzicargli l’adrenalina – Ashton realizzò che neanche con il moro avrebbe ottenuto i risultati agognati. Calum aveva infatti passato l’intera giornata nel parco principale della città sotto un albero, a leggere un libro di anatomia. Ergo, rimpianse lo scomodo abito preistorico di Sarah.
Alla fine, non gli rimase che Blekking. O meglio, non Blekking: il suo violoncello.
E a quel punto, l’ha odiata con tutto il cuore. Perché la ragazza aveva passato tutti quei giorni chiusa nel camper, impegnata a fare stupidi esercizi col suo stupido violoncello. Prima aveva fatto circa settecento scale con relativi arpeggi, poi era partita con ‘l’esercizio delle corde vuote’ per ‘Gestire meglio l’arco! E’ ovvio Ashy’. Aveva passato almeno venti minuti a suonare sempre la stessa nota, Ashton ne era certo.
E beh, poteva ammettere senza vergogna né paura che odiasse quel dannato violoncello.
Eppure, quelle terribili esperienze erano servite a qualcosa.
‘Perché con ognuno di loro mi sono annoiato a morte mentre nei primi giorni mi sono dato alla pazza gioia?’
Ed era arrivato ad una conclusione, lui.
Sì, proprio lui, lo stesso che ignorava i problemi fino a fargli pagare l’affitto nella sua testa – a quelli più vecchi faceva lo ‘sconto amici’.
Ed aveva capito una cosa: da soli, facevano davvero cagare. Ma insieme… insieme, cazzo, avrebbero potuto conquistare il mondo.
Più probabilmente, però, l’avrebbero distrutto.
Così, quella mattina, Ashton si svegliò con un nuovo desiderio: un desiderio di casino. Ma la sua mente malata non sarebbe bastata, affatto: tutto ciò che doveva fare lui, era riunire il gruppo, anche solo due ore tutti insieme sarebbero bastate per un disastro epocale.
Ma come fare se tutti continuavano imperterriti a farsi i cazzi propri?
La risposta era una sola: ci voleva un Piashton.
Aveva ideato il Piashton per la prima volta a cinque anni, quando doveva convincere sua madre che no, non era stato assolutamente lui a rompere il vaso della nonna!
Così, aveva pensato ad un piano geniale ideato da lui, Ashton. Mettendo insieme le due parole veniva fuori una strategia d’attacco infallibile, come diceva il ragazzo.
Certo, a cinque anni aveva ancora una tecnica poco levigata, e l’aveva finita col lanciare il gatto Murphy su un altro gatto: aveva dimostrato che la colpa era tutta del gatto, e aveva distratto la madre dalla rottura del vaso più importante.
Ma con gli anni le cose erano cambiate, e in meglio.
Con un Piashton il suo gruppo sarebbe tornato come prima in men che non si dica.
Poi, il Piashton di quella volta, era davvero infallibile. L’aveva chiamato Piashton della vita, tanto per enfatizzarne l’importanza rispetto agli altri Piashton – Piashton Pizza, Piashton Vaso, Piashton armadio…
Tutto ciò che doveva fare, era seguire tre semplici fasi:
- Fase 1 = aspettare che tutti lasciassero il camper per rimanere solo all’interno della vettura.
- Fase 2 = frugare senza inibizioni in ognuna delle postazioni dei suoi compagni, alla ricerca di un qualcosa di estremamente imbarazzante con cui attuare il ricatto.
- Fase 3 = lasciare un bigliettino anonimo in cui si informava la vittima di essere a conoscenza e in possesso dell’oggetto incriminato
- Fase 4 = stabilire un orario e un luogo di incontro in cui lo avrebbero sicuramente picchiato a sangue, ma ne valeva la pena, cazzo.      
Così, quella mattina, con una nuova luce negli occhi, Ashton si svegliò con una voglia di fare più presente del solito.
“Mi passi la nutella o devo darti un altro calcio?”
“Vuoi stare zitta? Sto cercando di scrivere”
“Ragazzi cos’è quella cosa verde che si muove sotto il tavolo?”
“DOVE?!”
“E’ la mia gambe, idiota”
“Se becco il cretino che ha finito il latte lo uccido”
“Smettila di lamentarti e pulisci il casino che hai fatto con i cereali”
“Zitta, donna”
You’re just too good to be true, can’t take my eyes off you…
“Non ti basta cantare sotto la doccia? Devi rompere pure qui?”
Ashton venne accolto così in cucina – o meglio, il metro quadro che dedicavano al cibo.
‘Ah, la cara e vecchia mattina!’
Gli era sempre piaciuta, la mattina. Forse perché era l’inizio, era il momento in cui tutti si chiedevano ‘Ehi, cosa facciamo?’, quando ancora era tutto da scrivere.
E lui adorava quella instabilità e libertà.
Da quando aveva iniziato a viaggiare, poi, la mattina era diventata persino più bella: era infatti l’unico momento in cui stavano tutti insieme, l’unico momento in cui la vera natura psicopatica del loro gruppo si faceva sentire davvero.
E lui amava tutto ciò.
“La finisci di sorridere come un idiota?”
Helena, con un paio di occhiali da lettura che ‘da dove diavolo se li è tirata fuori?’, gli rivolse quelle parole.
Anche quella mattina la bionda si era fatta un thè nella sua tazza rosa con la scritta ‘You can do it!’ a caratteri cubitali. E anche quella mattina non preparò il thè anche per lui, nonostante sapesse perfettamente che lui ne avrebbe voluto.
Ma Ashton rise, ‘Tanto si innamorerà di me, me lo sento’, si diceva sempre.
Si mise ad osservare la colazione di ognuno di loro: erano tutte così… diverse.
Una volta suo nonno gli disse che secondo una vecchia leggenda giapponese, si poteva giudicare una persona in base a quello che mangiava a colazione; in realtà il povero vecchio se lo era inventato solo per zittire un giovane Ashton che proprio non voleva saperne di stare zitto durante il matrimonio della zia – benedetto sia Federick James Irwin.
Comunque, quella teoria era allo stesso modo piuttosto interessante.
Helena, con il suo solito thè alla vaniglia reso più dolce da un cucchiaino di zucchero, era una persona tradizionale, tranquilla e sì, diciamocelo, noiosa. Una definizione piuttosto cattiva e sfalsata della bionda, ma alla fine con un fondo di verità ben presente.
‘Mi dispiace, Hel’ pensò, come se lei avesse potuto sentire il suo pensiero. Di tutta risposta la bionda gli lanciò un’occhiataccia, perché proprio non sopportava quando qualcuno la fissava – Ashton ne era certo.
Sarah invece, cambiava il cibo in base all’umore: quando era felice mangiava cioccolato, quando era triste una tazza di latte, quando era arrabbiata i cereali al miele, quando era pensierosa una semplice mela. Tutto ciò la rendeva una persona dannatamente emotiva, ma lo si poteva notare con una semplice occhiata, quello, quindi non valeva tanto il giudizio colazionistico.
‘Oddio, spero sia una parola vera perché è proprio geniale!’
Sorrise soddisfatto, e passò alla preda successiva: Calum Hood. Lui, la colazione, la preparava in due ore circa. Prima metteva a sterilizzare il latte, per assicurarsi che nessun germe penetrasse il luogo sacro che era il suo corpo. Poi apriva una confezione sigillata di cereali alla frutta – ebbene sì, ne apriva una al giorno – e tra quelli ne sceglieva cinquanta. I criteri di scelta erano semplici: dimensione e pulizia. La pulizia, chiaramente, doveva essere ottimale ma nei limiti concessi (erano pur sempre cereali, suvvia); le dimensioni, invece, dovevano essere medie. Così, una volta scaldato il latte (che anch’esso aveva una temperatura precisa, ma Ashton era troppo spaventato per chiedere quale fosse), metteva solo dieci cereali. Dopo averli mangiati uno alla volta, ne metteva altri dieci, e così via. ‘E’ per non farli rammollire!’, diceva sempre Calum.
‘L’unico rammollito sei tu, Cal’, ridacchiò Ashton.
Blekking, invece, mangiava o un toast o uova e pancetta. Non c’era un vero e proprio criterio con cui sceglieva le cose, semplicemente si svegliava e preparava. Una cosa piuttosto inquietante, era che lasciava la parte più buona alla fine. Certo, cosa piuttosto comune, ma non pensava che potesse rimanere persino dodici minuti d’orologio a fissare il suo toast, cercando di capire quale parte mangiare per prima. Quel particolare l’aveva piuttosto destabilizzato, ma alla fine aveva riso come sempre. Tutto ciò la rendeva… strana. Ma neanche strana, la rendeva semplicemente Blekking.
Luke invece, non preparava mai niente: lui rubava dal piatto di tutti quanti quando si giravano, e non si faceva mai beccare. Stronzo secondo alcuni, geniale secondo altri, una lurida piattola scansafatiche sanguisuga della società secondo Blekking, che lo beccava ogni volta. E Luke… Luke era semplicemente un eterno bambinone, e Ashton lo adorava per quello.
Poi c’era Michael, che con la sua mente brillante aveva bisogno di più ore per dormire – era infatti ancora a letto. Lui sarebbe arrivato verso le dieci e mezza, se ne avesse avuto voglia, e poi avrebbe mangiato quello che rimaneva delle colazioni altrui. Ciò lo rendeva… ‘Oh, non ci voglio neanche pensare’.
Erano tutti così diversi, erano tutti così strani e neanche lo sapevamo
I love you baby, and if it’s quite alright, I need you baby, to warm a lonely night…
“Vuoi stare zitto? E’ mattina, cazzo”
“Io ti dedico una canzone d’amore e tu mi tratti così?”
“Dedicala al cesso qui fuori, vai vai”
“Lo farò dopo: devo ancora decidere se sei più bella tu o il water”
“Non farti sfuggire questa occasione: dove lo trovi un altro che riesca a gestire gli stronzi come te?” 
‘Questi due sono una forza’, pensò, mentre si lasciava andare ad una grassa risata. Luke Hemmings e Blekking Williams erano in assoluto la coppia più bella di tutti i tempi.
‘Se questi due non si mettono insieme entro la fine del viaggio, mi metto a piangere’, troppo da fangirl, dite?
Ashton li osservò con un sorrisetto sognante, mentre i due continuavano a darsi schiaffetti indispettiti, nonostante continuassero a ridacchiare.
‘Fortuna che sto riprendendo tutto, questi video me li riguardo di notte quando sono depresso’, cosa che non succedeva mai, ma li avrebbe riguardati sicuramente.
Ed ecco un piccolo particolare di cui pochissimi si erano accorti – solo l’occhio di lince del biondo: Ashton aveva messo quattro telecamere in giro per il camper: una alla fine del corridoio, una nella portina d’ingresso, una al posto guida e una in cucina. Ed aveva ripreso cose molto divertenti.
“Mi spieghi perché diavolo stai sorridendo da mezz’ora?”, gli chiese ancora una volta Helena.
Era piuttosto sospettosa, la ragazza, ma Ashton lo sapeva: non avrebbe mai neanche potuto immaginare quello che aveva in mente.
‘Puoi fare la giornalista impicciona quanto vuoi, non azzeccherai mai’, ghignò.
“Mi piace sorridere. È bello sorridere”, rispose allora, perfettamente consapevole che con quella risposta l’avrebbe solamente fatta arrabbiare di più. Ma se c’era una cosa che Ashton amava più della mattina, era sicuramente stuzzicare  la bionda.
La quale, per l’appunto, gli lanciò uno sguardo di fuoco: “Vai a morire”, gli disse.
Ashton rise, facendole l’occhiolino, ed Helena distolse lo sguardo: evidentemente si era arresa.
‘Nessuno può battere il grande Ashton’
“Hai ragione, è bello sorridere”, gli diede man forte la piccola Sarah. Ad osservarla, con i suoi capelli rossi vivaci e il suo sguardo dolce, non sembrava neanche una persona vera.
Poteva una ragazza essere così… adorabile?
‘Sarà che ormai siamo abituati all’indifferenza di Helena e al sarcasmo di Blek…’, sì, forse era proprio così.
“Smettila di fare quella faccia da ebete. Sembri fatta” la rimproverò Calum, cercando di allontanarsi leggermente dalla ragazza con la sedia.
Gli faceva un po’ strano ammetterlo, ma Calum era forse il suo personaggio preferito. Dove l’avrebbe mai potuto trovare uno come lui in giro?
Gli voleva bene, ma proprio tanto.
‘Datti una calmata, Ashton’, si prese per il culo da solo.
“Comunque – riprese Hel, con ormai una tazza vuota in mano – ricordatevi che domani dobbiamo cambiare città”
‘Ah, era ora cazzo!’
Per palesare la sua felicità, poi, si lasciò andare ad un urletto di gioia, con tanto d pugno alzato verso il cielo – o meglio, verso il soffitto.
Manco avesse vinto i mondiali di calcio.
“Fanculo, Ashton!”, si sentì dal culo del camper, ma lui pensò solo ‘Ah, che carino, ha riconosciuto la mia voce!’
“Ok, ora basta. Perché sei così euforico oggi?”
Ashton lo vedeva, lo vedeva dai suoi occhi: aveva una voglia incredibile di prenderlo a schiaffi come se non ci fosse un domani.
‘Forza Hel, schiaffeggiami: torniamo i casinisti dell’inizio, scateniamo un pandemonio, forza’
La mano della bionda pizzicava, fremeva di trovare un contatto con la guancia da idiota di Ashton: forte, veloce, potente; ecco come doveva avvenire l’impatto.
Eppure: “E’ Ashton, Helena, è sempre euforico e strano”, le disse con fare saccente Blekking.
‘E’ un complimento o cosa?’
Più osservava la ragazza che cercava in tutti i modi di proteggere il suo cibo da Luke, più si rendeva conto che Blekking non aveva capito proprio un cazzo. Era furba, certo, ma la sua attenzione ai dettagli era pari a quella di Michael mentre dormiva.
E poi c’era la sua anima gemella, Luke Hemmings, che invece aveva capito proprio tutto, e continuava a lanciargli occhiate divertite.
Che lo volesse salvare?
‘Andiamo Hemmings, in nome del codice maschile che tutti citano ma che nessuno conosce, aiuta il tuo fratello ad uscire vivo da questo bordello’
“E dai, tesoro, dammi un pezzettino del tuo toast, piccolo piccolo”
Il biondo riuscì brillantemente a cambiare argomento: che scapolo, ragazzi.
“Senti, tesoro – Blekking marcò apposta quella parola, facendo sorridere Luke – la colazione te la prepari da solo, razza di parassita della società”
Luke rise, portandole un braccio intorno alle spalle, e non tentò più di rubarle il cibo.
‘Ah, l’amore!”, ridacchiò Ashton.
“Dove dobbiamo andare?”, chiese Sarah, con un enorme sorriso ad occuparle il viso.
“Se questi due stessero zitti – Helena sbuffò, indicando la coppia dell’anno 2015 – ma prendetevi una stanza e basta”, disse scocciata.
Che fosse gelosa?
Non di Luke, per carità, aveva la sensazione che Helena lo odiasse proprio, il biondo.
Ma sospettava fosse gelosa di quello che avevano i due.
Che la cattivona Helena non avesse semplicemente bisogno di un corpo da abbracciare e da baciare?
‘Eh, ti ho beccata Watson!’
Ashton era sempre più soddisfatto dei suoi risultati.
“E’ quello che sto cercando di dirle dall’inizio del viaggio!”, sorrise Luke, cercando di trattenere le risate, mentre Blekking sospirava ormai senza speranza.
‘Lo sappiamo tutti che ti piace terribilmente, italiana’
Che Ashton fosse troppo pettegolo?
No, non lo era.
‘Sì, sono pettegolo e fiero di esserlo’
Ok, lo era esageratamente.
‘Forza ragazzi, voglio una discussione di quelle davvero apocalittiche, andiamo, vi voglio cattivi!’
Ashton incitava alla violenza un po’ troppo spesso.
“Ritirati, Hemmings”
“Quindi dove andiamo?”, Sarah li ignorò tutti.
“Andiamo a Grenoble”, disse semplicemente Helena. Poi si allontanò dal gruppo senza aggiungere altro, aggiungendo il bagno.
‘Greno-che? Dove diavolo stiamo andando?’
“Solo io sono piuttosto confuso?”, disse Calum, abbandonando la sua colazione all’ira funesta di Luke.
Il suo sguardo diceva esattamente cosa provava: era un misto di ‘Voglio andarmene da qui’ e ‘Non so niente della geografia francese’. Non se la cavava proprio bene il povero Calum…
“Grenoble è una città nel sud della Francia”, spiegò loro Sarah, senza mai abbandonare il suo sorriso.
‘Ah, grande. Ancora Francia’
Ashton aveva tentato talmente tante volte a parlare francese, che ormai si era quasi arreso all’evidenza di essere senza speranze. Perché il francese doveva aere tutti quei versi strani? Perché lui non riesce a fare quei versi strani nonostante, cazzo, lui fosse davvero un mago con i versi strani?
“Che palle. Luke spostati che me ne devo andare”
“Vengo con te biscottino!”
“Quanto sono adorabili?”
“A me fanno solo paura”
E così, Ashton si ritrovò da solo.
Mica tanto solo, in realtà, dati i milioni di pensieri che gli affollavano la mente.
Alla fine, il suo obbiettivo era uno solo: dimostrare al gruppo che l’unica vera cosa da fare era divertirsi.
Perché Ashton forse non aveva capito un cazzo di un sacco di cose; ma il significato della vita, lui, l’aveva colto eccome: ridere.
E perché perdere altro tempo?
‘Che il Piashton abbia inizio, puttanelle’
Sorrise.
 
***
 

Quando andava in giro per i corridoi, Ashton si accorgeva delle occhiatacce. Certo, faceva caso anche ai sorrisi e agli sguardi ammirati, ma più che altro si facevano notare le occhiatacce.
Quelle, erano davvero tante: da persone che non conosceva, da persone con cui non aveva mai parlato, e persino da persone che non aveva mai visto!
Ma non avevano mai pesato niente, alla fine. Sapeva com’erano quelle persone: troppo gelose della felicità altrui, troppo occupati a pensare ai drammi della vita per viverla davvero.
Tutti l’avevano sempre ammirato o odiato per la sua spensieratezza.
‘Ma sono scemo io che prendo la vita sempre come un gioco, o lo sono gli altri, che la vedono come una condanna ai lavori forzati?’, si chiedeva spesso.
E una volta Brienne gli aveva pure risposto, ‘Forse lo siete tutti quanti!’, aveva detto.
Ma c’erano ben due cose che facevano perdere la ragione ad Ashton.
La prima, risultata tale da una scoperta davvero recente, erano le cattiverie di Helena. Certo, solo quando esagerava, ma gli dava davvero fastidio che una ragazza bella e intelligente come lei si abbassasse a tali livelli di meschinità…
‘Stai divagando, Ashton’
La seconda cosa, invece, era molto più semplice. Usciva fuori di testa quando per qualche ragione la riuscita di uno dei suoi Piashton veniva messo a repentaglio.
E quel problema aveva un nome, una faccia, e un fottuto violoncello.
Blekking lo stava fissando, con un sorrisetto che non prometteva nulla di buono e con i capelli legati in una crocchia davvero penosa – ma se li pettinava ogni tanto i capelli?
Ashton ricambiava l’occhiata, senza mai far trasparire un’emozione dai suoi occhi.
Non poteva permettere che persino una ragazza fuori dal mondo come Blek potesse sospettare un suo attacco.
Eppure lei, nonostante il camper fosse stato lasciato da tutti gli altri, continuava a mettere la pece al suo archetto. Movimenti veloci e precisi, prima sulla punta, poi sul tallone, ancora e ancora.
Il tutto senza mai distogliere lo sguardo.
‘Questa qui ha capito’
Il campanello d’allarme nella testa di Ashton cominciò a suonare, più forte che mai.
Che con l’età le sue capacità da spia professionista stessero facendo cilecca?
“Allora, Ashton”, cominciò la ragazza, allargando il sorriso.
‘Maledetta Blekking, pagherai per aver sfidato il grande Ashton’
Come poteva combattere una come Blekking?
Spaventandola? No, non ci sarebbe mai riuscito.
Insultandola? No, l’avrebbe solo fatta ridere: non lo prendeva mai sul serio.
“Come stai?”, chiese lei.
“Benissimo”
Picchiandola? Oh no, poi se la sarebbe dovuta vedere con Luke. E poi lui era un gentiluomo.
Sensi di colpa?
‘Ma certo! Sensi di colpa!’
Ashton, finalmente, ricambiò il sorriso, facendo leggermente vacillare l’espressione sicura della ragazza.
‘Ora vedrai chi è il vero boss’
“Perché non esci, Blekking?”, le chiese.
Era seduto su una sedia presa dalla cucina, proprio davanti a lei, in mezzo al corridoio.
Erano faccia a faccia: un vero scontro fra Titani.
“Perché dovrei, Ashton?”
“Perché non hai fatto niente da quando abbiamo cominciato il viaggio, Blekking”
“Disse il ragazzo che passa le giornate a cercare di fare amicizia”
‘Uh, questa vuole fare sul serio’
Ashton si scosse i capelli, schiarendosi la gola.
Voleva giocare? Avrebbero giocato.
“Luke ha già venduto due quadri, per un totale di 200 euro. Tu invece? Passi il tempo chiusa nel camper a fare stupidi esercizi con il violoncello. Davvero da ammirare”
‘Vai così, Ashton’, si complimentò da solo.
La ragazza spalancò gli occhi, oltraggiata “Come osi brutta carogna! – esclamò – 37 secondi per arcata, ripeto, con tanto di suono perfetto. Dove la trovi una violoncellista talentuosa la metà della sottoscritta?”, si vantò, con tanto di mani in alto che simulavano una danza della vittoria.
‘O è la danza della pioggia?’
Blekking faceva schifo quasi quanto lui a ballare.
“Non capisco niente di quello che stai dicendo, Blek”
“Questo perché sei una capra ignorante, Ashton”
‘Oh, questa faceva male, ok’
“Sei crudele”
“Pensi che puntando sui sensi di colpa otterrai qualcosa?”, chiese, ridendo.
‘Sì?’
“Io ci provo”, sussurrò il ragazzo, sconsolato.
“Illuso!”, gli urlò, puntandogli contro l’archetto con fare minaccioso.
‘No’, pensò Ashton.
‘Mai e poi mai’
Non sarebbe stata la fine del suo Piashton. Il Pishaton avrebbe visto la sua gloriosa riuscita, nonostante tutto, nonostante la ragazzina che adorava e odiava allo stesso tempo.
Blekking Williams non si era mai scontrata contro un Ashton privato di un Piashton, e non era una bella visione.
“Vattene e basta!”, Ashton scelse un approccio più diretto per ottenere risultati.
‘Maledettissima Blekking’
“Che cosa mi dai in cambio?”
Ancora quel sorrisetto bastardo.
Ma Ashton, a quel punto, capì. A Blekking non fregava niente di quello che doveva fare nel camper da solo, a lei interessava semplicemente infastidirlo e ottenere qualcosa in cambio.
‘Wow’
Sospirò. Cosa poteva offrire a Blekking di così incredibilmente interessante da smetterla di infastidirlo?
Il cibo sembrava un’ottima risposta.
“Due vasetti di nutella e quattro confezioni di caramelle”
‘Quanto sei disperato, Ash’
Ma ne valeva la pena, cazzo. Era in gioco un Piashton coi cazzi e stracazzi.
“Caramelle a mia scelta?”
“Certo”
Sperava davvero di ottenere qualcosa col suo fare accomodante? Era solo un illuso.
“Non basta”, gli disse, schioccando la lingua sul palato.
“Tre barattoli di nutella  e cinque pacchi di caramelle”, ritentò.
La ragazza scossa la testa e “Tanto dolce, va bene, ma il salato?”
‘Stupido salato…’
“Quattro pacchi di patatine, due barattoli di nutella…?”
“Non erano tre, i barattoli di nutella?”, lo interruppe, facendo finta di limarsi le unghie.
Il ragazzo sbuffò ‘Non si accorge delle nuove tinte di Michael, e si accorge di un stupido numeretto…’
E mentre loro discutevano, l’orologio andava avanti e avanti, tic toc, tic toc.
Ashton non poteva più aspettare: avrebbe tirato nuovamente fuori il suo lato bastardo.
“Più semplicemente potrei dire ti ho sbadatamente mentre strappavi i fogli delle regole con fare ribelle…”
“Non troppo cattivo, Ashton”
“E continuare dicendo che hai addirittura fatto un falò con quella stessa carta strappata”
“Attento, rischio l’infarto dallo shock”
“Per concludere in bellezza, poi, potrei dire di aver cercato in tutti modi di fermarti, davvero, ma ormai le lenzuola linde e pulite di Helena erano diventate cenere al vento…
“Non oseresti…”, sussurrò quella volta, nel mezzo tra il divertito e lo spaventato.
‘Oh, non mi prenderà mai davvero sul serio. Come io non farò mai con lei, d’altronde’
“Mettimi alla prova, italiana”
Si fissarono con intensità per due minuti buoni.
“Helena non ti crederebbe mai”, parlò poi lei.
“La tua parola contro la mia”
A quel punto la ragazza rise e “Sul serio, Ash? Siamo due pezzi di merda, penserebbe che abbiamo mentito entrambi e alla fine ci darebbe fuoco lei stessa”
Anche lui la seguì nella risata, immaginandosi un ipotetico scenario.
Sarebbe stata una battaglia davvero combattuta, in effetti: la ragazza che odiava contro il ragazzo che li aveva fatti finire in carcere.
Chi avrebbe vinto?
Perse tutta la rabbia iniziale: “Oddio, lo facciamo sul serio e vediamo a chi crede? Sarebbe, tipo, troppo divertente!”
“Assolutamente sì! Poi potrem-“
Ashton tornò in sé. “VATTENE BLEKKING!”, le urlò contro, accompagnando le sue parole ad un gesto davvero troppo teatrale, come a voler scacciare via una mosca fastidiosa.
‘Effettivamente è una metafora che calza a pennello’
“Ashton, amico mio, perché urli all’alba?”
Tutte le sue speranze svanirono nell’esatto momento in cui sentì una seconda voce. E tralasciando il fatto che fossero le undici del mattino, e che l’alba era passata da un bel po’ di tempo, non aveva neanche voglia di insultare Michael.
Poteva sperare di liberarsi di una piaga, ma di due?
‘Uccidetemi, vi prego’
Aveva detto che amava il loro gruppo e tutte le tragedie che ne conseguivano?
Beh, si rimangiava tutto. Li odiava, tutti quanti.
Michael Clifford, con il suo magnifico pigiamino azzurro con una fantasia di hamburger, fece la sua trionfale entrata nel neo-campo di battaglia.
Lanciò prima un’occhiata a Blekking, poi a lui; fece un cenno di saluto ad entrambi, sorriso compreso.
‘Altro che sorriso, ora ti picchio omino colorato’
Ma Michael aveva già raggiunto la cucina.
“Non ci posso credere”
Ashton, per la prima volta in tutta la sua vita, stava per perdere le speranze. Aveva sempre trovato un motivo per andare avanti, per combattere, per non fermarsi mai.
Ma se anche un Piashton epico come quello faceva acqua da tutte le parti, tutte le sue certezze andavano in frantumi.
“Oh dai, piccolo Ash, non piangere”
Avrebbe riso, se non avesse avuto il repellente bisogno di schiaffeggiarla.
“Ashton sta piangendo? Fagli una foto!” sentì urlare da Michael.
‘Siamo tipo a due metri di distanza, perché urla così’
“Non ci è ancora arrivato, ma è molto vicino. Lo controlli tu mentre io vado a prendere la Canon?”, lo imitò Blekking.
In circostanze diverse avrebbe sicuramente retto il gioco, mettendo pure ancora più carne sul fuoco.
Ma in quel momento…
“La volete finire?”, sussurrò, disperato.
“Sta per cedere! Corri a vedere, Mike!”, rise la ragazza, continuando a fissarlo in modo maniacale.
Davvero erano così crudeli?
‘Ash, ti ricordo che volevi frugare in mezzo alle cose dei tuoi compagni per trovare qualcosa di abbastanza imbarazzante da essere usato contro di loro…’, si disse da solo.
E un nuovo fuoco ardente prese il possesso di lui, ricordandogli il vero motivo per tutto quel casino era incominciato: riunire il gruppo.
E se per ottenere la felicità avrebbe dovuto sacrificarsi, beh, sarebbe stato fiero di essere un martire.
Quando Michael li raggiunse correndo con il fiatone – una gran bella maratone di due pazzi e mezzo, gente – tirò fuori il vero animale che c’era in lui.
Ashton all’attacco, cazzo.
“Non volete muovervi con le buone? Bene, passiamo alle cattive”
“Ehi amico, ma cosa stai dic-“
Non lo fece neanche finire, che subito si avventò su di lui. L’ra funesta di Ashton Irwin era paragonabile a quella del famoso Achille, era quasi sicuro che l’Orlando furioso sarebbe stato davvero fiero di lui.
Come prima cosa, così come gli era stato insegnato da suo padre, bloccò le braccia di Michael. Purtroppo Clifford cominciò a dibattersi come un’anatra arrabbiata, facendolo sbilanciare pericolosamente. Cominciarono così una sorta di lotta, senza mai darsi pugni né calci.
Effettivamente, stavano più che altro rotolando per il camper guardandosi male a vicenda.
‘E questo è il motivo per cui evito le risse in discoteca’
Che Ashton non fosse in grado di fare a pugni con qualcuno, era ormai un dato di fatto. Ma l’evidenza che Michael fosse incapace quasi quanto lui, era stato un vero colpo di fortuna.
Blekking, intanto, per evitarli era salita in piedi sulla sua stupida sedia, continuando a muovere l’archetto a destra e manca sperando di colpire qualcuno.
Ecco, Blekking Williams era persino peggio di loro.
“Mi vuoi mollare Ashton?!”
“No, mollami tu!”
Mai
‘Come osa…’
Per rendere la sua lotta al potere più seria, Ashton si azzardò pure a mettergli una mano in faccia, cercando di coprirla il più possibile. Michael, per difendersi, gliela leccò.
Ebbene sì: una grande passata di lingua, una quantità di saliva industriale, e nessun rimorso.
Ashton ebbe come un deja-vù: quando aveva già vissuto quella situazione?
Forse quando aveva sei anni, era molto probabile.
Peccato che allora sembrasse molto più maturo; come vola il tempo, eh?
‘Dio, che schifo’, pensò, osservando la mano con uno sguardo a dir poco disgustato.
Appena sentì l’umida presenta di Michael sulla sua mano, con uno scatto da campione olimpico si era alzato; peccato non avesse calcolato bene le distanze.
Per quello stesso motivo, si ritrovo a meno di cinque centimetri dal volto agguerrito dalla ragazza – o meglio, a meno di cinque centimetri dalle sue tette, dato che era ancora in piedi sulla sedia.
Ella impugnò con più vigore la sua arma contundente, lanciandogli uno sguardo pieno di sfida.
‘Finirà mai tutto questo?’
Prima la pseudo-rissa con Michael.
Poi un qualcosa di potenzialmente pericoloso con Blekking.
Quel Piashton, temeva, non aveva un grande futuro davanti a sé.
“Fermo! – gli urlò Blekking – Ho un archetto! E non ho paura di usarlo”
‘Effettivamente ha una punta non indifferente’
Poteva un oggetto così elegantemente usato comunemente diventare un’arma pericolosissima nelle mani di una psicopatica come Blekking?
La risposta era sì.
“Uh, attento che te le suona Ashton!”
‘Ma porca puttana’
“Questa era pessima, Hemmings”, ma Michael rise comunque.
Sia la ragazza che Ashton si girarono di scatto verso l’entrata del camper, osservando un divertito Luke Hemmings che li guardava con superiorità.
Bene, ed erano arrivati a ben tre testimoni indesiderati.
Poteva andare peggio di così.
“Michael ha ragione, faceva proprio schifo”
Il biondo liquidò le lamentele della mora con un gesto disinteressato della mano, per poi osservare con attenzione il volto di Ashton.
Cosa poteva leggere? Era più palese la sua rabbia o la sua disperazione? Probabilmente la frustrazione.
O forse tutte quante, chissà.
Luke gli sorrise furbo, mentre si avvicinava al piccolo gruppo.
“Da quando sei qui?”, chiese il ragazzo dai capelli ormai rossi, ripresosi dalle montagne russe col riccio.
Si sistemò meglio la maglia del pigiama, per poi tornare a sorridere come se non fosse successo niente.
Michael Clifford era una continua sorpresa, nonostante fosse potenzialmente quello più normale del gruppo.
‘Quando servono non ci sono mai, e adesso…’
Però doveva ammetterlo: anche solo in quattro il casino era bello grosso.
Che si potesse accontentare?
‘No, Ashton Irwin prende tutto’
“Da quanto sei qui, Luke?”
“E’ davvero importante?”
‘Se hai visto le mie abilità combattive sì, perché non sarò mai più credibile con le minacce’
“Luke, perché sei qui?”, gli chiese Ashton, portandosi le mani ai capelli.
Poteva sembrare mascolino anche piangendo? Lo sperava tanto.
“Calmati, furia – lo derise il ragazzo, ridacchiando – mi ero solo dimenticato i pennelli”
‘Il bastardo si è solo dimenticato i pennelli. Chiaro”
“E non te ne puoi proprio andare adesso?”, continuò.
Il biondo scosse la testa, proprio come farebbe un bambinetto dispettoso.
“Che accoglienza calorosa. Potrei abituarmici, sai?”
‘Hemmings, amico mio, vaffanculo’
“Ashton ha avuto un attacco di schizofrenia”, spiegò Michael.
‘Io? Io schizofrenico? Brutto –‘
“Scusami Clifford, ma l’ultima volta che ho controllato era Calum il dottore”
‘Ok, ora sembro una ragazzina mestruata’
“Ma dato che il sopracitato ragazzo passa la metà del suo tempo svenuto e l’altra metà a nascondersi da noi, ho pensato ci volesse qualcuno che lo sostituisse”
“E hai dedotto che con la tua laurea in lingue potessi risultare un ottimo rimpiazzo?”
“Beh, sempre meglio di una ragazza che esulta per 37 secondi una arcata ragazzi!, e di uno che passa la vita a colorare”
“Mi ferisci, amico”, ridacchiò Hemmings.
“Perché nessuno prende sul serio i miei risultati?”, si lamentò invece l’unica ragazza.
E sentirli così… beh… ‘Musica per le mie orecchie, ah…’
Ma non era ancora abbastanza per lui.
“Siete adorabili. Ora ve ne potete andare per favore?”
“Perché vuoi stare nel camper da solo, Ashton?”, sorrise birichino Luke.
Ecco, il fatto che Luke Hemmings capisse sempre tutto, se in alcuni momenti risultava pure divertente, in quel momento era maledettamente fastidioso.
‘Parlo o non parlo?’, questo era i dilemma nella testa di Ashton.
Se avesse parlato, beh, molto probabilmente l’avrebbero mandato a fanculo e avrebbero detto tutto agli altri; a quel punto Ashton sarebbe diventato la feccia del gruppo, e non era pronto per quella delusione.
Se invece non avesse parlato… il Piashton della vita sarebbe andato in fumo.
‘Perché la vita mi deve mettere davanti a queste scelte?’
Sospirò sconsolato, ma decise.
“Ok, parlerò, ma – li guardò tutti, soffermandosi sulla ragazza – puoi scendere dalla sedia?”
“Assolutamente no”, rispose secca.
La sua serietà lo lasciò per un attimo spaesato.
“Oh, la piccola Blekking vuole stare, almeno in senso fisico, più in alto degli altri”
La ragazza diede uno scappellotto al biondo, neanche trattenendosi più di tanto.
‘Vai così, ragazza!’
L’aveva già detto che era un’amante sfegatato dei drammi?
“E’ che siete tutti così alti…”, si spiegò.
E per un attimo, uno solo, sembrò pure una piccola ragazzina dolce e indifesa.
Ma quegli occhi… potevano appartenere solo ad una ragazzina fastidiosa e furba come Blekking.
“Scendi comunque”, disse frettoloso.
Blekking lo guardò male, ma alla fine ubbidì comunque. Si vedeva che era davvero troppo curiosa.
‘Bene Ashton, parla. Ricorda, è per il bene comune’
Ce la poteva fare.
“Ok, beh… volevo frugare tra le vostre cose per trovare qualcosa di imbarazzante e ricattarvi”
‘Oh, cazzo, quanto sono stupido’
Certo, evviva la sincerità e tante belle cose, ma anche se il succo era effettivamente quello, forse poteva alleggerire la pillola con diverse scelte lessicali e con qualche omissione.
Era decisamente stupido.
Tutti quanti lo stavano guardando sorpresi e confusi, in un silenzio così assordante da spaventarlo più di mille insulti e minacce.
Che fossero entrati in catalessi?
“Vi prego, dite qualcosa” sussurrò talmente piano che, forse, neanche lo sentirono.
Però sembrarono captare qualcosa, data la successiva reazione.
“Io torno a dormire”, decise di ignorarlo, Michael, tornando nella sicurezza della sua brandina.
“Io mi metto a frugare con te!”
‘Benedetta sia la pazzia di questa ragazza’
Ne mancava solo uno.
“Io vi guarderò faticare mentre mangio i cereali di Calum”
Oh beh, era andata meglio del previsto.
‘Mai dubitare di Ashton Irwin e dei suoi Piashton. Mai’
 
I patti erano chiari: lui non avrebbe frugato nelle loro cose, ma in compenso avrebbero dovuto seguirlo nel luogo per il grande incontro che aveva progettato.
dopo aver stabilito questa semplice regola, avevano deciso di cominciare con i più innocenti del gruppo: Calum e Sarah – Helena, di comune accordo, era stata lasciata come gran finale.
In realtà, non era stata una scelta casuale: per qualche strana ragione, Ashton si sentiva a disagio nel frugare tra le cose della bionda. Era per caso senso di colpa quello che provava?
Non lo sapeva. Sapeva solo che gli sembrava… scorretto.
E poi, se lo avesse scoperto, l’avrebbe picchiato a sangue – e lui non voleva neanche pensare di rischiare.
Michael, dal fondo della Mistery, ascoltava con piacere l’ultimo album dei Sum 41, facendo qualche commento sul gruppo ogni tanto.
“Ancora non capisco perché Stevo abbia lasciato la band. Dove la ritrovano una batteria così?”, appunto.
E Blekking gli rispondeva pure: “Pensavo la stessa cosa anche quando aveva mollato Dave, ma se la cavano bene com- oddio! Un’altra medicina!”
La ragazza, seguendo il suo cuore, aveva tanto insistito per poter frugare nelle cose di Calum.
Quando Ashton le aveva chiesto il perché, lei aveva semplicemente detto “Perché voglio vedere cosa si porta dietro un disagiato come lui!”
La odiò, in quel momento, perché lui voleva fare la stessa identica cosa.
“E siamo a quota sette! Perciò è allergico ai pollini, alle polveri, al pomodoro, ha l’asma, soffre di attacchi di panico, è diabetico e ora che altro?”, chiese Luke, sempre più divertito.
Li stava osservando da ormai mezz’ora, sempre nella sua comoda sedia a mangiare cereali.
Non faceva altro che prenderli in giro, commentando ogni loro mossa.
Che poi, non che stessero facendo le grandi spie: avevano passato metà del tempo a fare battutine stupide e l’altra metà a ridere di quelle stesse battutine.
Ok, lui con le suo imitazioni doc non aveva fatto altro che mettere carne sul fuoco, ma ehi, dovevano lavorare.
“Non riesco bene a capire – avvicinò il barattolo delle pillole al suo viso, per vedere meglio – ah, è solo mal d’auto”, commentò, quasi delusa.
“Ragazzi, dobbiamo lavorare”, li interruppe quella volta, perché sapeva che avrebbero potuto continuare a parlare di cazzate per ore.
Come faceva a saperlo?
Beh, lui avrebbe partecipato alla conversazione.
“Stai prendendo troppo sul serio questa storia, Ashy
E con quelle parole, gli sembrò di tornare indietro nel tempo.
Niente di emozionante e speciale, affatto: anno 2004, mese Ottobre, e il migliore amico al fianco di un piccolo Ashton Irwin.
Era la magica notte di Halloween, forse la festa preferita del simpatico bambino – subito dopo il natale, chiaramente. Aveva ossessionato la madre talmente tanto, che alla fine aveva ottenuto esattamente ciò che voleva: la riproduzione più originale in assoluto del costume di Spiderman, il suo supereroe.
E quando era andato a sfoggiarlo in giro per la città, in compagnia di Ted, ecco che tutti gli facevano i complimenti.
“Quanto stai bene, Ashton”, “Questo costume è fantastico, Ashton”
E ad ogni commento, lui si chiedeva sempre la stessa cosa: ‘Come fanno a non capire’
Quella sera, non sorrise neanche una volta. E Ted, sempre preoccupato per il suo grande amicone, osò addirittura chiedere il perché.
“Io sono Spiderman, non Ashton. Non vedi? Spiaderman!”, e a quel punto era scappato dall’amichetto, imitando con la bocca i rumori delle ragnatele, proprio come un vero supereroe.
“Prendi questa storia troppo sul serio, Ton”, gli aveva urlato Ted.
E a distanza di dieci anni, le cose non erano affatto cambiate.
“Io sono Spiderman”, si ritrovò a sussurrare, preso dai ricordi.
“Cosa?”, fece Blekking, disinteressata.
A quanto pareva, era arrivata a selezionare i vestiti: teneva in mano una maglietta bianca a pois, ma niente di particolarmente imbarazzante.
Tutte quelle azioni, temeva, erano solo un buco nell’acqua.
“’A dark road out of hell’, poi… Cavolo che capolavoro. Mi ricorda tantissimo ‘Jesus of Suburbia’, dei Green Day”
‘Ancora, Michael?’
“Beh, effettivamente agli inizi del loro percorso, con il loro stile più punk malinconico, hanno preso un po’ dei Green Day. Ed effettivamente la modalità con cui sono state strutturate è la medesima, solo che i Green Day hanno messo cinque canzoni mentre i Sum solo tre. Io preferisco comunque la versione dei Sum”
‘Perché non stai zitta, Blek?’
“Non ce ne frega niente!” esclamò, accompagnando quella sottospecie di insulto con un balletto davvero imbarazzante, tanto per sciogliere un po’ la tensione che aveva in corpo.
Certo, non era uno dei modi migliori ma…
Oh, chi se ne frega.
“Balli in modo osceno, Irwin”, gli rise in faccia il biondo.
“E non hai visto Bl-“
“Irwin, fatti i cazzi tuoi!”
Rise al rimprovero della ragazza, per poi tornare alla ricerca di… beh, qualcosa.
Decise di adottare una nuova tattica, quella volta. Perché continuare a cercare nella sua borsetta o tra i suoi vestiti? Aveva solo trovato un paio di mutande con dei cupcake, ma non valevano niente.
Nel suo letto, invece, c’era un pupazzo della Disney – era un cane, ma non si ricordava proprio il nome.
Tuttavia, era più che certo che, se solo l’avesse menzionato, lei l’avrebbe presentato con allegria a tutto il gruppo. E altro che imbarazzo, tutto quello che la ragazza avrebbe provato sarebbe stato orgoglio.
Ormai l’aveva capita, Sarah. Era strana, certo, esagerata delle volte, ma era essenzialmente semplice.
E dove nasconderebbe qualcosa una ragazza semplice?
Probabilmente nello stesso posto in cui la nasconderebbe un ragazzo semplice.
“Ehi Michael – lo chiamò, rumoroso – Dove nasconderesti tu qualcosa?”
Era stupido, certo, ma tentar non nuoce, no?
“Ma la senti la batteria in Screaming Bloody Murder? Cazzo, è una roba irripetibile, io non c-“
“Mike, cagami”, lo interruppe.
Il ragazzo sbuffò, e “Sotto il letto, probabilmente”, rispose.
‘Ma certo, sotto il letto’
“Non troppo originale, Clifford”
“Oh, non sono abbastanza per il magnifico Hemmings?”
“Stai parlando come una ragazzina depressa, Mike”
“Anche tu, ora? Scusate se parlo come mangio e non cerco significati strani in ogni cazzata che vedo, grandi artisti dei miei stivali”
“Oh andiamo, sappiamo entrambi che Blekking non ne capisce niente di queste cose”
Ehi!”
A quel punto, smise di ascoltarli. Non tanto per il fatto che suonassero maledettamente patetici e infantili – anzi, quando facevano così li piacevano pure di più!
Semplicemente, quando si inchinò col culo all’aria in una posa dannatamente sexy per controllare sotto il letto, trovò una coperta raggomitolata.
Era morbida, pelosa, e di un azzurro quasi terapeutico.
Quella coperta, lui, non l’aveva mai vista – e lui notava sempre le cose pelose e morbide (nessun fraintendimento, per favore).
E poi, perché una coperta del genere era stata nascosta? Fosse stata di sua proprietà, si sarebbe guadagnata un posto d’onore nel suo letto, come minimo.
‘Deve nasconderci qualcosa in mezzo, ne sono certo’
Aveva fatto bingo.
“Ehi ragazzi, venite un po’ qui”, li richiamò, interrompendo il loro battibecco.
Sentì qualche sbuffo scocciato accompagnato da flebili lamentele, ma nel giro di pochi secondi si trovò tutti i suoi amici al suo fianco.
Con un po’ di difficolta data dalla posizione poco ortodossa, tirò fuori la coperta fatta a palla.
“Guardate un po’”, disse loro, appoggiandola sul letto di Sarah.
Gli altri, intanto, non sapevano che dire.
“Una coperta azzurra, incredibile”, fece sarcastica Blekking, facendo solo alzare gli occhi al cielo ad Ashton.
“Perché dovrebbe metterla sotto il letto”
“Perché, non so, è tipo estate?”, rispose frenetica la ragazza, come se Ashton, con la sua cazzata, avesse interrotto chissà quale interessante attività.
‘Non fai un cazzo dalla mattina alla sera…’
“Ma perché raggomitolarla?”, chiese quella volta Luke.
“Perché non aveva voglia di piegarla?”
Tutti guardarono straniti Michael, che sentendosi attaccato alzò le mani, come per difendersi.
“Ehi, non fate cosi”, disse infatti.
“Stai ragionando come un Michael, non come una Sarah”, fece saccente il biondo.
“Forse perché io sono Mich- Oh basta ragazzi, la situazione sta degenerando!”, si lamentò Mike.
Era evidente che non fosse abituato a tutta quella pressione: era talmente solito a fregarsi di tutti i problemi che alla più minima pressione psicologica usciva fuori di testa.
E ad Ashton piaceva un sacco il Michael fuori di testa.
‘Eserciterò una tale pressione psicologica su di teda farti arrivare in Cina, amichetto mio’
“Non puoi sistemarla e basta, così vedi se ci ha nascosto qualcosa dentro?”, si lamentò ancora la mora.
‘Oh, giusto’
“Ok, va bene”
Detto ciò, prese un respiro profondo, stirando la coperta per bene.
Basto un semplice gesto per riuscire ad intravedere un qualcosa che di morbido e peloso non aveva proprio niente.
Era una piccola busta no-frost, che Ashton da piccolo usava per portarsi dietro la merenda dato che la madre non voleva mai comprargli una valigetta apposita.
Peccato che dallo sfondo trasparente non si vedesse un sandwich al formaggio, affatto…
La busta era piena zeppa di pastiglie.
Erano essenzialmente semplici: piccole, rotonde, bianche. L’emblema della sanità, no?
Eppure, avevano un’aria spaventosa, quasi minacciosa.
Che cosa erano davvero?
“Ok, questo è strano” disse perplesso Hemmings, scrutando con attenzione il sacchetto.
“Anche lei soffre il mal d’auto?”
‘Oh no, Michael, non credo proprio siano per il mal d’auto’
“Quanto sei stupido, Mike”, la ragazza diede un piccolo pugno al ragazzo, ricevendo ulteriori lamentele da lui.
Ehi ma qui… “C’è scritto per Noah, e poi un indirizzo”, espose i suoi pensieri.
Come avevano potuto non notarlo subito? Era una scritta grande, fatta probabilmente con un pezzarello indelebile, proprio sul fondo del sacchetto.
‘E ora chi cazzo è questo Noah? Non bastiamo noi a fare casino?’
“Che sia un souvenir per il padre”, ci scherzò la mora, senza però ottenere nessuna risposta.
‘Basta, devo capire’
Così, senza indugiare ulteriormente, Ashton sciolse il nodo della bustina.
Mai l’avesse fatto.
Non che avessero chissà quale odore insopportabile ed asfissiante, anzi.
Certo, l’odore che emanavano era particolare, ma talmente tenue da risultare quasi impercettibile.
Quello che fece preoccupare Ashton era ben altro: lo sguardo terrorizzato di Luke.
“Ragazzi… quella è droga
Il biondo la sussurrò quasi, quell’orribile parola, ma tutti la sentirono comunque.
Non seppe bene cosa provò, Ashton.
Era un miscuglio tra stupore, terrore, confusione, incredulità… non se la stava passando proprio bene.
Blekking, invece, aveva riso.
E aveva riso davvero tanto.
Per poco non la seguiva anche lui, con la risata, ma era davvero troppo stranito.
Cosa aveva combinato, con quel dannato Piashton?
“Quindi tu odori le cose e sai se è droga o meno?”, Blekking derise il ragazzo.
“Ehi! Sono stato addestrato dalla polizia, ho fatto un corso, sono bravo in queste cose”
La ragazza rise ancora più forte e “Con chi ti hanno addestrato? Con Lessie?”, continuò.
“Era Rex, non Lessie”
“Sì ma volevo fare una battuta sulla tua incapacità dicendoti ‘Torna a casa Lessie’ ma come sempre hai rovinato tutto”
“Beh, non avrebbe fatto ridere”
“Io avrei riso”, si intromise Michael per un istante.
“Beh non me ne frega n- Cazzo ragazzi, stiamo divagando”
‘Oh che carino, se ne è accorto’
Poi d’un tratto Ashton si ricordò di avere in mano della fottuta droga, e immediatamente mollò il pacco incriminato, facendolo cadere sul letto.
C’era una cosa che la signora Irwin gli aveva insegnato, e in nome della testa di sua madre, Ashton non avrebbe mai toccato della droga.
Anche se non si fidava delle capacità olfattive di Luke Hemmings.
“Ragazzi, quella è LSD, ne sono certo”, ribadì.
E cosa fare allora? Quella era davvero droga?
‘Perché?’, continuava a chiedersi Ashton.
“Merda” disse invece Michael, sedendosi per terra.
In quel momento avrebbe tanto voluto fare come lui: andare a letto, ignorare il mondo e i suoi stupidi problemi, e poi farsi i maledetti cazzi suoi senza rimpianti.
Ma avrebbe davvero potuto ignorare una cosa del genere?
‘E’ droga, cazzo’
“Quindi che si fa?”, sospirò la mora.
Ashton si guardò in giro, consapevole che la soluzione potesse essere una sola.
“C’è solo una persona in grado di indagare su questa faccenda, e noi sappiamo chi è”, disse in tono solenne.
“Oh no”
“Oh sì”
“Dobbiamo per forza  coinvolgerla? Non posso essere la sola ragazza nel gruppo, quella affascinante, che tutti vogliono per sé?”
“Ma che stai dicendo, zucchero?”, si intromise Luke.
“La aspetteremo, sarà qui a momenti per il pranzo”, dichiarò Ashton.
Nessuno osò replicare, quella volta.
‘Perché?’, si chiese una volta.
E per la prima volta, desiderò di eliminare dalla faccia della storia un suo Piashton.
Perché?
 


***
 


I primi dieci minuti passarono lentamente, tanto da sembrare interminabili.
Ognuno scaricava la tensione a modo suo, ma sempre in religioso silenzio.
Luke aveva fatto il giro del camper una settantina di volte, senza mai alzare lo sguardo da terra.
Michael aveva semplicemente preso la coperta e si era sdraiato per terra, coprendosi con il telo completamente, dalla testa ai piedi – ma respirava, almeno?
Comunque, da allora non si era ancora mosso.
Blekking invece aveva mantenuto un’espressione corrucciata tutto il tempo, pur mangiando dei cereali.
Ashton invece… beh, era troppo occupato ad aspettare con ansia l’arrivo della bionda.
Le cose cambiarono quando passarono alti venti minuti.
Era bastato uno sguardo, uno solo, fra Blekking e Luke. Poi entrambi si erano messi a ridacchiare senza un apparente motivo, ma contagiando pure Ashton.
Michael non si era fato sentire.
Da quel momento avevano incominciato una serie di conversazioni assurde sulla droga e simili, che davvero Ashton non riusciva a commentare se non con un ‘Ma che cazzo sta succedendo?’
“Mi spiego-“ disse per l’ennesima volta Blekking, lanciando un cereale verso la bocca di Luke.
Lo prese per miracolo; peccato.
“Ti sei già spiegata” borbottò, con ancora la bocca piena.
“No, non mi sono spiegata”
“Abbiamo capito” sbuffò quella volta Ashton, senza però riuscire a nascondere un sorriso divertito.
“No che non avete capito!” insistette, quasi scocciata.
Interpretò il silenzio dei ragazzi come una spinta a continuare il discorso.
Beh, comunque non lo era affatto.
“Dico solo che se Sarah si drogasse si spiegherebbero tante cose”, ripetette.
Quella volta mise un intero pugno di cereali nella sua bocca, tanto da risultare davvero disgustosa.
‘Meno male che è lei la ragazza affascinante…’
“E perché, sentiamo”, già cominciò a ridere, Hemmings.
“Perché è sempre felice, no? Cioè, tipo, io non mi sorprenderei se a questo punto scoprissi che anche Ashton si droga”
‘Ma che cazz-‘
“Ehi!”, si lamentò, sinceramente ferito.
“Cuore mio, ti posso assicurare che gli effetti dell’LSD non comprendono la risata facile”, disse dolcemente Luke.
Incominciò pure ad accarezzarle i capelli, data la loro vicinanza.
Quanto erano diabetici.
“Senti Rex, Lessie, Beethoven, Spirit o come diavolo vuoi essere chiamato,”
“Spirit era un cavallo”, lo ignorò.
“Non contraddirmi. E comunque, dicevo – ‘Qualcuno la fermi, vi prego’ – con le sue manie da ambientalista maniaca… insomma, io lo sospettavo pure. Poi anche Asht-“
“Ma la vuoi finire di nominarmi?”, esclamò disperato quella volta, facendo solo aumentare le risate del biondo.
“Mai”
Fu così che li trovò, Helena, quando finalmente arrivò nel camper per il pranzo.
Un Ashton con quasi le lacrime agli occhi, l’allegra coppietta che faceva cose da allegra coppietta, e un cadavere a forma di Michael Clifford.
La fame le passò immediatamente.
“Oh no, questo no. Me ne vado, ciao”, cercò di liquidarli il più in fretta possibile. Tuttavia, a fermarla non furono solo urla frustrate e incredibilmente fastidiose, ma qualcuno osò addirittura afferrarle un braccio.
E quel qualcuno aveva dei capelli ricci più spettinati del solito, e uno sguardo assatanato quasi quanto quello di una Sarah davanti ad un negozio di cuccioli.
‘Oh no, non mi scappi’
La portò all’interno della Mistery Machine, chiuse la porta, e cercò di prepararsi un discorso decente per alleggerire la bomba.
“Abbiamo trovato LSD nel letto di Sarah”
‘Cazzo Irwin, sei un asso nei discorsi seri’
“Proprio prima che io e Justin Bieber cominciassimo la nostra serie di coca, che fortuna! Possiamo organizzare un rave-par… Ehi ma è vivo Michael?”
Helena guardò confusa il ragazzo per terra, che non muoveva un muscolo da almeno quaranta minuti.
Che si drogasse pure lui?
“Lascia perdere Michael, sono serio!”
“Non dovremmo tipo dargli un bicchiere d’acqua?”, continuò invece lei, quasi preoccupata.
Quasi, eh. Perché, come sempre, la sensazione più palese era quella di disgusto.
“Ti ho detto di lasciare perdere!” urlò quella volta, con la voce di un’ottava superiore al normale.
Per un attimo si chiese dove fossero finiti i suoi coglioni.
‘Wow Irwin, sei peggio di una scolaretta. Vai così!’
“Rilassati, amico”, lo prese in giro, per l’ennesima volta, Luke.
Quella coppia era nociva per il mondo, lo sapeva.
“Helena. Helena, dicci come facciamo ad uscirne. Cosa dobbiamo fare?” ignorò tutti e tutto.
Prese le mani della ragazza e le unì alle sue, in un gesti tanto dolce quanto disperato.
I suoi occhi, lucidi dal nervosismo e dal panico, erano fissi su quelli di lei, di un azzurro limpido sempre più confuso e smarrito.
Non si fidava di lui, era palese.
Ma poteva almeno provarci?
“Se vi credessi, e io non vi credo – ‘Bla bla bla…’ – E pensassi seriamente che Sarah tiene dell’LSD qui – ‘Gne gne gne’ – Poiché, a causa dei numerosi controlli a cui ci sottopongono, con della droga ha messo in pericolo tutti noi, deciderei di parlarne con lei.”
Disse infine.
E ‘Che merda di sentenza’, già.
In realtà si aspettava qualcosa di più, dalla crudele Helena.
Che so, tipo la creazione di un girone dell’inferno a posta per lei, o una tortura medioevale particolarmente cruenta…
Di sicuro non voleva limitarsi a parlarci, con Sarah.
Insomma, era roba grossa!
Ashton sbuffò, quella volta annoiato.
Un Piashton sprecato per una chiacchierata cattiva? Assolutamente no.
E poi, la grande idea.
Ma cosa grande, la davvero grandissima idea.
“Seguiamola!”, urlò, euforico.
‘Se la dogana non ci ha beccati, ha preso la droga qui. E se l’ha presa qui, ha contatti con spacciatori qui!’
“Ma mi ascolti quando parlo? – lo rimproverò la bionda – Ti ho appena detto che è molto meglio se ne parlassimo direttamente con lei e…”
“Saremo delle vere spie!”, continuò davvero troppo felicemente Ashton.
Cercò sostegno ed eccitazione anche negli sguardi degli altri, ma tutto ciò che ottenne fu un poco sentito “Evviva” di una Blekking annoiata.
Ma ad Ashton, poco importava: sarebbe aspettata una grandiosa avventura al gruppo, il giorno dopo.
“La partenza per Grenolo è posticipata, gente!”. Festeggiò, sempre più trepidante.
“E’ Grenoble”, sbuffò Helena.
Ma lui neanche la ascoltò, troppo impegnato a cantare qualche motivetto inventato sul momento.
Niente avrebbe distrutto la sua armonia.
Niente avrebbe distrutto la sua felicità.
Niente avrebbe distrutto assolutamente niente di lui.
Perché quello era stato il Piashton più epico di tutti i tempi.
‘Volevi il dramma? Beh, buon viaggio Ashton Irwin’, si disse da solo, senza smettere di ridere.
E sì, se lo doveva proprio dire: era davvero un gran figo.



Angolo autrice

Allora, come potete notare sto usando il grigio perchè sono in lutto di idee e sono in riardo e faccio schifo e tante altre brutte cose, insomma. Mi dispiace per l'immenso ritardo, m ami sto preparando per gli esami al Conservatorio e sto aiutando mia sorella con la tesina - che mi fa piuttosto schifo ma ehi, tanto sarà lei ad esporla.
Allora, incominciare a scrivere questo capitolo è stato davvero difficile. Partendo dal fatto che mi mancavano le idee, ma proprio completamente, e l'ispirazione era andata a quel paese, vorrei informarvi del fatto che l'idea iniziale era quella di farli cambiare città e BASTA.
Ho un problema con questa storia, ragazze, non va mai come dovrebbe andare. Tutto questo capitolo si è scritto da solo, quindi se vi fa schifo è colpa del capitolo, ok? Ok.
Detto questo, perdonatemi vi prego. 
Buone vacanze, spero ve la stiate passando bene.
Ciao :)


 

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Capitolo 10
*** Capitolo niente ***


Ehi ciao.

In realtà non sapevo bene come incominciare questa "cosa", ma il mio lato da persona educata (mamma, vanne fiera), mi ha spinto a cominciare come richiede il codice di galateo.
Penso.
COMUNQUE, ecco, mi sembrava doveroso dare delle notizie ufficiali, direttamente dalla mia sede segreta in mezzo ai boschi (casa mia).

LA STORIA E' UFFICIALMENTE SOSPESA.

O almeno penso, se mi viene lo schizzo penso che riprenderò, ma chissà.
Ma ho aspettato mesi e mesi senza partorire chissà quali gemme, quindi ho preferito farmi sentire per darvi almeno qualche notizia.

Che dite, è arrivato il momento delle motivazioni/scuse?
Ebbene, non penso di averne.
Certo, la scuola mi uccide e il mondo mi uccide e le persone mi uccidono, ma ho sempre trovato il mio piccolo angolo di paradiso in cui mi sacrificavo per scrivere.
Scivere non è mai stato un peso, per me, sopratutto con questa storia.
Non pensavo nemmeno io di poter sentire così tanto dei personaggi, tantomeno creati dalla mia infantile mano.
Perciò, per non rovinare il miracolo con qualche cagata stratosferica senza alcun significato, o preferito mollare.
Già, mollare.
Brutta parola.
Eppure, sono arrivata a riscrivere quello che sarebbe dovuto essere il capitolo nove almeno una ventina di volte, se non di più.
Ma ogn volta mi trovavo a faticare, nel trovare qualche battuta. A non sapere come cominciare, come continuare, come finire, a non sapere come far reagire qualcuno di qualcosa.
E non mi era mai capitato, con questa gentaglia qui.
Forse la magia è finita, chissà. O forse sono semplicemente io troppo esaltata da definirla magia, ma per me lo era, lo giuro.
Ma non vi appioppinerò qualche alra deprimente scusa piena di grandi parole e filosofia adolescenziale (molto stile Gerard Way 2013), perchè anche io mi risponderei con un bel "eh ma vaffanculo".

Mi dispiace molto per quelli che seguivano la storia e che hanno recensito praticamente tutti i capitoli.
Ecco, in un moto di puro egoismo, ammetto anche che mi mancheranno le vostre recensioni e i vostri pensieri.
M mancherà anche condividere una parte di me con voi.
E mi mancheranno anche le battutine stupide con voi.
Più semplicemente, mi mancherete voi, e spero cogliate l'immensa sincerità delle mie parole.

Vorrei finire questa bella "merda" (non chiamamolo discorso, vi prego) con una grande spoiler, ma non mi sembra il caso.


Blekking e Luke si mettono insieme OH MIO DIO NON ME L'ASPETTAVO!!!


Detto questo, grazie per avermi accompagnato in questo bellissimo - anche se piuttosto breve - viaggio.
E ricordate: 
se volete pubblicare qualcosa di davvero impegnativo e lungo, aspettate almeno la stesura del ventesimo capitolo.
Eviterete grandi figure di merda.




P.s. Fate finta che ci sia un'immagine carina. Volevo metterla ma le mie conoscenze tecnologiche non arrivano a quei livelli. Poi avrei messo qualche meme di Spiderman, quindi forse è meglio così.

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