Una lettera per Levy

di Cleaver
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Una lettera per Levy
.Prologo.



 


 
Per Levy non era un bel periodo. Sembrava che tutte le sue convinzioni fossero crollate quella brutta mattinata di giugno. Il cielo pioveva.
Chissà perché ad ogni funerale piove sempre si chiese, stringendo il manico dell’ombrello nero.
Sua madre ne aveva uno uguale, davanti a lei. Sembrava distrutta, ma aveva le spalle alte e lo sguardo basso.
Le spalle di sua madre erano forti, Levy lo sapeva. Portava su di esse il peso della famiglia, essere una biologa marina non era semplice e con il padre sempre lontano crescere una figlia lo era ancora di meno.
E ora il padre era morto e la madre doveva ricominciare tutto daccapo.
Levy non sapeva come reagire, mentre lacrime calde solcavano le sue guance durante quella brutta mattina di giugno.
«Ci trasferiamo» le aveva detto la madre, le braccia sui fianchi e due biglietti per la nave.
«Andiamo a Nagayo» aveva continuato.
Levy e la madre avevano vissuto ad Osaka da quando era nata, trasferirsi in una cittadina piccola come Nagayo non era certamente semplice, considerando che a diciassette anni stringere nuove amicizie era complicato.
E soprattutto avrebbe dovuto lasciare Lucy, la sua migliore amica. Non sapeva se ce l’avrebbe fatta.
Aveva litigato con la madre, per quello. Poteva capire la necessità della donna di cambiare aria, ma non sarebbe riuscita a resistere ad un trasferimento così lontano.
Ovviamente non aveva potuto niente contro l’autorità della donna e sarebbero partite subito dopo il funerale.
Lucy era con lei, sotto l’ombrello nero, che le stringeva una mano.
«Ci scriveremo delle lettere» le aveva detto, Lucy mal sopportava la tecnologia e persino quando doveva mandarle una e-mail sapeva che la bionda ci avrebbe messo un’eternità per rispondere.
Levy aveva accettato di buon grado, in fondo anche lei adorava scrivere e ricevere lettere.
A Nagayo aveva degli zii che non aveva mai incontrato, sapeva che era una città marittima e che lo zio era un pescatore, probabilmente vedovo, non ricordava ciò che la madre le avesse detto.
La cerimonia non era durata molto, giusto qualche commiato dai colleghi di lavoro e dopo che ebbero bruciato l’incenso tutti se ne andarono.
Levy salutò Lucy con un abbraccio, la bionda aveva gli occhi lucidi, ma non pianse.
«Una lettera ogni settimana, ok?» le disse prima di salire sulla Mitsubishi grigia.
«D’accordo» annuì la turchina. La tinta iniziava a scolorirsi e avrebbe dovuto rifarla.
«Ti voglio bene, ricordalo!» affermò la bionda seduta sul sedile, il finestrino che si stava per chiudere.
Lucy aveva un accento strano, lei veniva dalla California, ma scriveva giapponese quasi meglio della media dei loro compagni di classe.
Ex compagni si corresse mentalmente la giovane, stringendosi nella sua giacca nera come la pece.
Lanciò uno sguardo al feretro del padre, mentre un groppo le saliva in gola.
Doveva essere forte per sua madre, altrimenti non sarebbe riuscita a farcela da sola.
In più non sapeva come sarebbe stato vivere a Nagayo, avrebbe potuto piacerle e magari lo zio non era così antipatico come si era mentalmente dipinta il vecchio pescatore.
Già, avrebbe dovuto vedere la situazione in maniera più positiva e non solo accumulare negatività nel suo piccolo corpicino.
Salì sull’Honda blu della madre, scrollando prima l’ombrello.
«Passiamo un attimo a casa per cambiarci, poi prendiamo il traghetto per Kyūshū, va bene?» le sorrise forzatamente.
Levy annuì, guardando il proprio riflesso sul finestrino bagnato di gocce di pioggia.
I capelli turchesi, tinti dopo continue insistenze, erano raccolti in due trecce basse e la giacca nera le arrivava fino a metà coscia. Nonostante fosse giugno, quella mattina, faceva freddo come agli inizi di febbraio.
Le scarpe erano lucide di pioggia, nere anch’esse e le calze leggere che portava non bastavano per riscaldarla.
Levy non pensava fosse causa del tempo, quel freddo che sentiva. Forse era proprio la situazione generale che le faceva venire freddo.
Si strinse nelle braccia, asciugandosi le guance ancora bagnate di lacrime.
La madre sembrava piangere ancora, mentre guidava. L’espressione era determinata e seria, ma le lacrime che scendevano erano terribilmente tristi.
Una volta giunte al loro piccolo appartamento al centro di Osaka salirono in silenzio le scale. La vicina aveva lasciato, davanti alla porta, una lettera di condoglianze. Aveva il profumo di gelsomino che indossava sempre la donna.
A Levy sarebbe mancata quella fragranza.
Entrarono nell’appartamento, già spoglio della maggior parte dei mobili.
Avevano venduto quasi tutto, tranne i libri del padre e quelli utili alla madre. Alcune suppellettili se le erano tenute e persino un vaso di fiori che Levy detestava.
«Cambiati, tesoro. Il traghetto parte alle quattro» le disse la madre, togliendosi le scarpe e avviandosi verso la stanza che una volta era la sua camera da letto.
Levy annuì, dirigendosi verso la sua stanza, era piccola e aveva i muri verde prato. Aveva staccato tutti i poster dei paesaggi del Giappone, tolto tutte le statuette dei samurai che aveva sulla libreria.
L’unica cosa che era rimasta intatta era il letto, aveva ancora sopra le sue vecchie coperte a fiori gialli, che la mamma aveva detto di lasciare perché tanto a loro non servivano e non sarebbero riuscite a venderle.
La ragazza le accarezzò, sentendo un’improvvisa voglia di stendersi e piangere.
Non lo fece, si limitò a cambiarsi.
«Levy, vestiti leggera, a Nagayo farà caldo!» sentì urlare dall’altra parte dell’appartamento.
La giovane annuì, ricordandosi solo dopo che la madre non poteva vederla.
«Sì!» disse poco dopo, infilandosi la maglietta con sopra un orso vestito all’hawaiana e dei pantaloncini a pinocchietto bianchi.
Prese anche una felpa di cotone gialla con le stringhe verdi.
Aveva le calze bianche ed una cavigliera di perline arcobaleno.
Le trecce le ricadevano alla rinfusa sulle spalle e qualche ciocca di capelli le era sfuggita, ma non aveva voglia di rifarsele.
Sentì il telefono vibrare e quando lo prese sorrise nel vedere che era un messaggio di Lucy.
“Mi manchi già (╥_╥)” diceva.
Digitò in fretta.
“Pure tu (╥︵╥)”
Le faccine rendevano tutto più difficile da prendere seriamente, ma le dispiaceva davvero lasciare la sua migliore amica.
Altro messaggio da Lucy.
“Scrivimi una lettera non appena sei arrivata”
“Sì, certo” rispose, con uno strano sorriso sulle labbra.
Era triste, eppure sorrideva perché quest’affare delle lettere le piaceva e non poco.
«Levy, sbrigati. Dobbiamo andare» le urlò la madre, che già stava per chiudere la porta.
La turchina salutò l’amica, dicendole che doveva andare. S’infilò il telefono in tasca, prendendo anche la borsa dove aveva infilato un libro preso a caso dalla libreria.
Si mise le Converse azzurre, senza allacciarsele. Superò la madre e scese le scale.
«Sei particolarmente energica» le sorrise la donna, un poco di amarezza nella voce.
Anche a lei, in fondo, dispiaceva lasciare Osaka.
«Oh, sì... dopotutto lo facciamo per il bene di tutti, no? Se continuo a fare il muso non posso esserti utile, mamma» la figlia abbracciò la mamma, trattenendo le lacrime.
«Giusto, Levy»
Uscirono dal condominio, che già aveva esposto sulla porta l’avviso di un appartamento sfitto.
Entrarono nell’Honda blu e, dopo un po’, raggiunsero il porto.
Il tragitto era stato silenzioso e per colmare quel vuoto la madre aveva acceso la radio, stavano dicendo che nelle isole a sud il tempo era molto migliore che sulla costa giapponese e questo rese più tranquille le due, che già temevano in un acquazzone sul traghetto.
La barca era abbastanza grande e rosso mattone, non c’erano molte persone sopra, nonostante fossero leggermente in ritardo.
Nagayo non è propriamente una meta turistica... pensò Levy, sorridendo. Forse le sarebbe piaciuta la tranquillità della cittadina.
Salirono sul traghetto con la macchina, che lasciarono poi nell’apposito piano.
«A Nagayo non ci servirà tanto, in realtà» le disse la madre, chiudendo a chiave la vettura.
Quando la nave partì e raggiunse il mare aperto il cielo si schiarì e Levy trovò un ripiano per poter iniziare a scrivere la lettera a Lucy.
Cara Lucy,” iniziò.
Si accorse solo in quel momento che non aveva idea di come continuare, e quindi chiuse la carta colorata che aveva, riponendo la penna con la quale aveva iniziato a scrivere nella borsa.
Controllò il telefono: nessun messaggio.
Sospirò, godendosi la brezza marina che le sfiorava il volto. Era decisamente un toccasana sentirsi così bene, a contatto con il mare.
Qualche lacrima rischiò ancora di uscire, ma tirò su con il naso ed osservò due gabbiani che stavano pescando.
Sembravano litigarsi una sardina e rise, trovando comica la strana danza che i due volatili facevano, sfiorando l’acqua.
La madre le giunse al fianco, passandole una mano sulle spalle.
«Siamo quasi arrivate, ci abbiamo messo poco, vero?»
Levy annuì, abbracciando la madre.
Nessuna delle due era molto alta e la donna poteva benissimo essere scambiata per sua sorella.
«A Nagayo ho già trovato lavoro, quindi oggi non ci sarò per via dei colloqui. Ti lascio con lo zio, va bene?» chiese, portando una ciocca di capelli azzurri della figlia dietro all’orecchio.
La ragazza annuì, un tenero sorriso che si faceva largo sul suo volto.
«Fatti valere!» disse, strizzandole l’occhio.
La madre rise, annuendo felice, una nuova forza che si impossessava del suo corpo.
Una voce elettronica annunciò che lo scalo al porto di Nagayo era arrivato e avvertì ai passeggeri di prepararsi a scendere, raggiungendo le proprie vetture.
Levy e madre scesero, sedendosi di nuovo in macchina.
Quando la barca si fermò uscirono, trovando il parcheggio del porto.
«Lascio la macchina qua, raggiungeremo la casa dello zio a piedi» affermò.
«Come hai detto che si chiama, lo zio?»
«Makarov»
«È un nome strano...»
«Perché la nostra famiglia ha origini russe, tesoro. Anche Levy è un nome straniero» sorrise, girando le chiavi e spegnendo la macchina.
La turchina annuì, guardando il telefono.
Segnava le cinque ed un quarto, non pensava fosse passata già un’ora da quando erano partite da Osaka.
Le valige non erano molte, giusto due, più un altro borsone pieno di libri e caricabatterie.
Per fortuna non erano bagagli a mano e riuscirono a trasportarle facilmente fino alla casa dello zio, che non era molto lontana dal porto.
Percorsero qualche stradina secondaria, il sole picchiava forse a Nagayo e portava il buonumore a Levy e alla mamma.
La casa di Makarov era abbastanza grande ed era una casa tradizionale, di quelle che si trovavano nelle campagne di Osaka, che però Levy non aveva mai visitato.
Il portico di legno, il giardinetto interno e le campane a vento, quasi come fosse stato un quadro.
Lo zio era seduto ingobbito, davanti ad un cumolo di reti che cercava di districare, con una sigaretta in bocca.
«Zio Makarov!» salutò la madre, alzando una mano ed agitandola.
L’uomo, piccolino e coi capelli canuti, alzò lo sguardo dalla rete fra le mani callose, e sorrise alle due donne.
La voce era gracchiante e bassa a causa del fumo.
«Ciao, cara. Era da un po’ che non ci vedevamo. E questa è Levy, bambina, sei di certo cresciuta da quando ti ho incontrata per la prima volta» le sorrise.
Levy trovò subito simpatico lo zio, stringendogli la mano.
«Beh, che fate qua fuori? Entrate, su» si scostò dal portico.
Aveva una canottiera ed un paio di pantaloni grigi, rattoppati in più punti.
Le due si tolsero le scarpe e raggiunsero Makarov in cucina, attorno ad un tavolino basso e sporco in più punti.
«A questa casa mancavano delle donne, sapete?» scherzò, togliendosi la sigaretta dalla bocca.
«Ma ora che ci siete voi sento già il profumo di gelsomini» rise, di una risata gracchiante e secca, proprio come la sua voce.
«Ne sono molto felice! Io fra poco dovrò andare per un colloquio di lavoro, ti dispiace se lascio Levy nelle tue mani?»
«Ma certo che no, tranquilla! Farò fare un tour della casa alla mia nipotina» il buon umore di Makarov sarebbe stato di sicuro molto utile a portare via la tristezza dalle due.
«Bene, Levy allora io ti lascio il compito di disfare le valigie. Devo proprio correre, grazie ancora!»
Levy e Makarov parlarono ancora e l’uomo le disse di essere un pescatore in proprio, ma che aveva anche degli orti sulle colline che gli fornivano praticamente il necessario per vivere. Le spiegò anche che avevano una televisione, ma che non l’accendeva mai.
L’aiutò a sistemarsi in camera e le chiese se volesse qualcosa da bere, la turchina accettò scendendo di nuovo in cucina.
Assieme bevvero della cedrata, Levy non l’aveva mai assaggiata, ma le era piaciuta.
«Lui – Makarov indicò un bambino piccolo e biondo in una foto impolverata – è tuo cugino Luxus. Si è trasferito a Tokyo assieme al padre, diciamo che fra me e mio figlio non scorre buon sangue...» disse, un po’ incupito.
«E lui chi è?» chiese, indicando un uomo massiccio, che aveva tutta l’aria da scaricatore di porto o di muratore.
«Oh, Metallicana. Era un bravissimo meccanico, aggiustava i motori delle barche in nemmeno tre minuti! Sfortunatamente è mancato qualche anno fa, di parenti aveva solo un figlio e i suoi tre nipotini... uhm, i figli maggiori hanno qualche anno in più di te, mentre la più piccolina deve avere quasi la tua età... quanti anni hai, quindici?»
Levy rise.
«Ne ho diciassette» finì di bere la sua cedrata.
«Oh, sei piccolina. Ma dopotutto anche tua madre è proprio minuta» annuì, lo zio. La madre avrebbe passato la notte fuori, aveva subito concentrato tutte le sue energie nel lavoro.
«Beh, immagino sarai stanca. Che ne dici di andare nella tua camera a riposare?»
Levy guardò l’ora: erano quasi le nove di sera.
Le venne in mente la lettera che doveva scrivere a Lucy ed annuì.
«Ci vediamo domani mattina, zio Makarov»
Salì le scale ed entrò nella sua stanza. S’infilò il pigiama – una maglia troppo larga e lunga – e si sedette alla scrivania un po’ storta.
Tirò fuori la penna e iniziò a scrivere.

 

Cara Lucy,
oggi sono arrivata a Nagayo che erano le cinque.
Lo zio Makarov (che nome strano!) è molto gentile e anche simpatico. Un classico vecchietto giapponese!
La mamma, invece, si è tuffata a capofitto nel lavoro e io sono davvero esausta. Spero che qua a Nagayo le cose possano andare bene per lei.
Ha fatto bello tutto il giorno e domani penso che andrò a fare un giro in paese.
Un mondo di bene,
Levy”

















Ciao!
Questa long è nata un po' dalla precedente one-shot che ho scritto (già, sono proprio cattiva >.>) e mi son detta "perché no?" quindi è nata!
Spero vivamente che possa piacere, dato che a me piace molto come progetto e siccome questo prologo mi soddisfa spero che possa piacere anche a voi
(ω)
Quindi, yey, spero che questa strana AU possa interessarvi!
Ja ne!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Una lettera per Levy
.Capitolo 1.



 

Quella mattina il sole la svegliò dolcemente, dimentico della giornata precedente. Levy aprì gli occhi, durante la notte la coperta era andata via e lei si era ritrovata scoperta. Nonostante fossero in estate la notte faceva fresco, probabilmente per via della vicinanza con il mare.
Levy si alzò, i capelli erano tutti scompigliati e il pigiama troppo grande le era calato su una spalla. Si diede un’occhiata allo specchio della stanza e si vide tutto sommato bene, aveva dormito tanto quella notte, troppo stanca dalla giornata precedente, e ora era riposata e senza occhiaie.
Aveva chiesto alla mamma se poteva portare la lettera per Lucy alla posta e lei, alzandosi presto per andare al lavoro, aveva preso la busta arancione con mittente e destinatario ed era andata a francarla per spedirla
Si vestì, infilandosi una salopette di jeans e una bandana per capelli a fiori, gialla.
Scese fino in cucina, dove lo zio stava ancora a districare reti, probabilmente era arrivato da una battuta di pesca la mattina presto e ora risistemava tutto.
«Buongiorno, zio Makarov» sorrise Levy, sentendosi di buon umore.
Makarov grugnì in risposta, la sigaretta in bocca. Con un cenno del capo indicò il tavolo sul quale c’erano, in una cesta, delle albicocche e dei fichi freschi. Levi prese un’albicocca odorosa, era morbida e quando l’assaggiò scoprì che era anche dolce.
«È buonissima!» esclamò, sorridendo ancora.
«Le coltiva la nostra vicina, la signora Reddofokkusu» disse, togliendo la parte oramai bruciata della sigaretta.
«Suo figlio mi aiuta a sistemare le barche, perché non vai a ringraziarla anche da parte mia?» le consigliò lo zio, districando una rete e passando ad un’altra.
«Sì, credo sia una buona idea» annuì la ragazza, uscendo dalla cucina e arrivando fino al portico. Prese le Converse bianche e se le infilò senza calze, sistemando il tallone con le dita.
«Io vado!» gridò Levy da fuori. Lo zio rispose con uno dei suoi grugniti e Levy ridacchiò fra sé e sé.
La vicina abitava proprio davanti a lei, bisognava percorrere una via in salita e si doveva entrare in un cortiletto di terra battuta.
Quando arrivò davanti alla casa della signora Reddofokkusu poté vedere piccole barche intagliate nel legno riposare sotto un telo di plastica blu.
Aveva preso un cesto con delle zucchine che lo zio coltivava su in collina, per ringraziamento, e ora si stava avviando verso la porta di casa.
Bussò due volte, una campana a vento era appesa davanti allo stipite e suonava anche solo se sfiorata.
Le venne ad aprire una ragazzina poco più bassa di lei, i capelli lunghi e talmente scuri da sembrare blu raccolti in due codine. Aveva un vestito leggero e azzurro, scalza.
«Sì?» domandò con la sua vocina acuta, un po’ dubbiosa.
«Sono Levy, la nipote di Makarov. Io e mia madre ci siamo trasferite qui da poco e volevo ringraziarvi per il regalo che ci avete fatto ieri» sorrise la ragazza, indicando con lo sguardo la cesta che aveva fra le mani.
«Oh, ciao! Mio fratello vi ha viste al porto, entra pure» la ragazzina si scostò dalla porta, permettendo a Levy di entrare.
La giovane si tolse le scarpe poco prima di varcare la soglia, posando la cesta sopra lo scalino che portava in casa.
«Io sono Wendy, piacere» la mora le sporse la mano e Levy la strinse sorridendole.
«In casa ci siamo solo io e mio fratello, mia mamma è fuori con mia sorella per le spese, se vuoi puoi aspettarle assieme a noi. Non ci metteranno molto» le sorrise Wendy, facendole strada verso ad un piccolo giardino interno con un tavolo di metallo tinto di bianco e delle sedie dello stesso stile.
«Mh, credo che vada bene» annuì la turchina, accettando di buon grado di sedersi all’ombra di un grande salice che cresceva nel giardino.
«Vado a chiamare mio fratello» disse la mora, dopo averle dato un bicchiere di acqua fresca.
Levy ne bevve un sorso, memorizzando ogni particolare di quella casa molto carina, per poi poterlo descrivere a Lucy nella sua lettera.
Ci avrebbero messo relativamente poco ad arrivare, le missive, in quel modo avrebbero avuto tempo di leggerle e scriverle ogni giorno.
Dopo poco arrivò Wendy, seguita da un ragazzo molto alto. I capelli erano neri come quelli della sorella, ma era totalmente diverso da lei.
Era alto e muscoloso, indossava una canottiera grigia e dei bermuda neri. Portava due piercing sotto il labbro inferiore e due anelli alle sopracciglia. Anche alle orecchie ne aveva parecchi e Levy si chiese se gli avessero fatto male, tutti quei buchi.
La fronte era corrucciata e si stava lavando le mani con uno straccio sporco.
«Levy, lui è mio fratello Gajeel!» sorrise Wendy.
Accostati erano davvero buffi. Wendy era piccolina e minuta, femminile e graziosa, mentre Gajeel era alto e massiccio, con un’espressione dura sul volto. Tutto il contrario della sorellina.
Gajeel fece semplicemente un cenno con la testa, rimanendo con quella sua espressione a metà fra il dubbioso e il diffidente.
Levy gli sorrise e il ragazzo sembrò sciogliersi un poco, in fondo non avrebbe di certo dovuto proteggere la sua sorellina da una ragazza che era alta la metà di lui.
«Aspetta Juvia e la mamma assieme a noi, va bene?» disse Wendy, prendendo per mano Gajeel e portandolo fino al tavolino di metallo con le sedie.
«Sai che l’ha fatto mio fratello?» chiese retoricamente la mora a Levy, andando evidentemente fiera delle capacità del fratello.
«Oh, è davvero molto bello»
«In realtà l’ha fatto quasi tutto nostro nonno, io ho solo rifinito le saldature» brontolò il ragazzo.
Aveva una voce roca e un tono che sembrava sarcasmo, anche se in realtà non lo era. Pareva scorbutico, ma Levy avrebbe scommesso che in realtà era molto buono, soprattutto con una sorellina dolce come Wendy.
«Juvia studia per diventare biologa marina nell’Hokkaido. Torna solo d’estate» continuò Wendy, parlando come se i propri fratelli fossero i suoi figli.
«Anche mia mamma è biologa marina!» sorrise Levy, sporgendosi verso la ragazzina.
«Sei figlia di Asami Makugāden?» domandò Gajeel, improvvisamente incuriosito.
«Sì, la conosci?» chiese la turchina, sorprendendosi della domanda.
«Juvia non fa che parlare dei suoi libri sui cetacei, sì, la conosco» borbottò alquanto scorbutico. Sembrava che non ne potesse più di sua sorella.
«Parla di quello e del suo fidanzato dell’Hokkaido, solo di quello» continuò, scuro in volto.
Levy ridacchiò, trovando quasi tenero il suo viso corrucciato.
«E tu, Levy, cosa vorresti studiare?» s’incuriosì Wendy, versando altra acqua da una brocca nel bicchiere del fratello.
«Mi piacerebbe studiare letteratura, una volta finite le superiori» annuì la ragazza.
«Io vorrei studiare medicina, ma la mamma dice che non riuscirebbe a sopportare di vivere lontano da me» ridacchiò Wendy, grattandosi un braccio, sopra la puntura di una zanzara.
«Gajeel invece ha studiato meccanica per un po’ e poi ha dovuto abbandonare–
«Wendy, non mi sembra il caso di annoiare Levy con le storie della nostra famiglia» la interruppe il ragazzo, cercando di addolcire il tono della voce, ma risultando comunque brusco.
Levy capì che Wendy stava per dire qualcosa di personale e quindi preferì cambiare discorso.
«Non importa, medicina è una bella facoltà, ho un’amica di famiglia che ha studiato per diventare chirurgo» sorrise Levy, tentando di recuperare.
Si sentì il rumore della campana a vento e due donne entrarono in casa con delle buste di plastica.
«Mamma, abbiamo ospiti!» disse Wendy dal giardino, senza però alzarsi dalla sedia.
La signora Reddofokkusu era molto alta e formosa, i capelli erano scuri e gli occhi azzurri. Indossava una maglietta bianca e dei jeans a pinocchietto, con degli infradito sotto.
La sorella di Wendy e Gajeel, Juvia, le somigliava molto. Aveva i capelli anche lei talmente neri da sembrare blu, gli occhi azzurri come la madre ed un vestito bianco con dei sandali dello stesso colore.
«Oh, devi essere la figlia di Asami. Quando aveva la tua età veniva spesso a trovare lo zio» sorrise la donna, posando le borse sopra il tavolo della cucina prima di raggiungere i due figli nel giardino.
«Juvia, è la figlia di Asami Makugāden» le disse.
La giovane donna quasi sbiancò, anche se in realtà era già molto pallida.
«Davvero? Oh, Juvia sarebbe felicissima di incontrarla» disse sognante, parlando in terza persona.
«Beh, mia mamma ora è un po’ impegnata col lavoro, ma se vuoi posso chiederle di prendersi un po’ di pausa... magari puoi parlare a cena» tentò Levy, cercando di non far svenire la ragazza.
«Oh, per Juvia sarebbe il massimo!» chiuse gli occhi, sognante.
«Juvia, calmati» mormorò Gajeel.
«Già, non svenire come al solito» continuò Wendy, alzandosi per andare dalla sorella.
«Beh, sono felice di vederti, assomigli molto ad Asami» le disse la mamma di Wendy.
Levy annuì, un po’ imbarazzata, era felice di sentirsi dire che assomigliava alla mamma.
«Le ho portato della verdura per ringraziamento» esclamò la ragazza, facendo cenno al cesto che Wendy aveva portato in cucina.
«Grazie, se vuoi stasera potete mangiare con noi» sorrise la donna, lanciando un’occhiata ai figli che avevano iniziato a litigare.
«Se per mia madre va bene, è ok» annuì la turchina.
Quella sera tornò a casa con uno strano brontolio in pancia, zio Makarov era seduto a leggere un giornale di carta, scritto fitto.
L’uomo le disse che era giunta una lettera e Levy si stupì di vedere che era una di Lucy, le poste ci mettevano davvero pochissimo.
Salì in stanza, togliendosi la bandana che aveva in testa per leggere la lettera.

 

Cara Levy,
sono felice di sentirti dire che il posto dove ti trovi è bello.
Qua ad Osaka è tutto così grigio senza di te e le giornate passano lentissime...
mi manchi davvero molto, Levy, andare in biblioteca senza di te è quasi impossibile, però spero davvero tanto che per te le cose vadano meglio.

Magari a Nagayo incontri qualche bel pescatore! Io, oggi, sono andata al campetto da basket ed ho incontrato un ragazzo molto carino, ma... mi vergogno troppo–
Spero che le poste siano ben funzionanti, magari entro oggi potrebbe anche arrivarti. È tardissimo, quasi le due di notte.
Ti voglio bene tua,
Lucy.”
  


















 




Non ho molto da dire, solo chiedo venia per la cortezza del capitolo... ah, ho anche usato i cognomi "giapponesi" per pura scelta stilstica, dato che Mashima ha dato cognomi abbastanza inglesizzati.
Vorrei comunque ringraziare tutti coloro che hanno letto/recensito e seguito! Mi fate davvero contenta :3
Ja ne!

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