We are Demigods

di _Lullaby99_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #Parents - Una madre non dimentica ***
Capitolo 2: *** #Tower - Pronta per qualcosa di diverso ***
Capitolo 3: *** #Mentor - Un grande cuore sotto la corazza ***
Capitolo 4: *** #OldGeneration - Spiacevoli ricordi di una passata giovinezza ***
Capitolo 5: *** #Toothless - Anche un mostro può provare emozioni ***
Capitolo 6: *** #HunterPart1 - La paura sarà il tuo nemico, Elsa ***
Capitolo 7: *** #HunterPart2 - La paura sarà il tuo nemico, Elsa ***
Capitolo 8: *** #Training - Farò di te un uomo ***



Capitolo 1
*** #Parents - Una madre non dimentica ***


~ We are Demigods 
[ Raccolta di Missing Moments ]

 
#Parents 
Una madre non dimentica
 
Era stato difficile crescere quel figlio per la giovane e inesperta Valka, ma lo aveva fatto con la pazienza e l’amore che solo una mamma poteva riservare al proprio bambino.  Se poi quel figlio si rivelava anche speciale come lo si era rivelato il suo, l’amore da dare doveva essere triplicato. 
Così, lo aveva fatto. Aveva passato ogni instante di quei quindici anni a difenderlo  dal male del mondo. Persino quando, a cinque mesi, una manticora aveva provato a sbranarlo vivo durante la notte mentre beato riposava ignaro nella sua culla. 
-    Mamma – la chiamava il piccolo Hiccup quando, all’età di sette anni, la sera, si ritrovava nel suo letto color prato al termine di un’intensa giornata, finalmente pronto per la notte – puoi cantarla di nuovo? –
A quelle parole, Valka vacillava sempre. Cantare la canzone che l’aveva fatta innamorare del divino Efesto era difficile, ma se era il suo prezioso e amato bambino a chiederglielo, si convinceva ogni volta di doverlo fare, per lui che, dolce com’era, meritava tutto l’amore e la protezione che il mondo potesse offrire.
Così lo faceva, cantava, e ad ogni strofa il cuore del suo bambino si riempiva d’amore, quell’amore che il padre, per via degli impegni, non era mai riuscito a dargli di persona.
“ Per ogni mar navigherò, ma non avrò paura.
Le onde io cavalcherò, se tu mi sposerai.
Né il sole sai, né il freddo mai, mi impedirà il ritorno... “
Gli occhi del piccolo Hiccup si illuminavano sempre a quella strofa e Valka sorrideva, perché farlo felice era ciò che si era sin dall’inizio promessa di fare. 
"Se mi prometterai il tuo cuor."
Gli occhioni verdi di suo figlio vacillavano invece tutte le volte in quella parte, smaniosi di chiudersi per riposare. Ma lei andava avanti perché era giusto così. 
"E amore per l'eternità."
Ed Efesto era lì, Valka lo sapeva, mentre Hiccup chiudeva gli occhi e si arrendeva finalmente al potere soporifero di Morfeo, nelle sue calde coperte color verde prato. 


Gothel aveva ricevuto un dono ed avrebbe fatto di tutto per riuscire a salvaguardarlo e a tenerlo con sé. 
Nonostante gli avvisi di Apollo - il bel Apollo - lei continuava a ritenere quella bambina di sua esclusiva proprietà e nulla, neanche se fosse caduto il mondo per colpa del suo egoismo, l’avrebbe smossa da quell’idea. 
-    Mamma, perché non posso uscire? – le chiedeva ogni giorno il suo dono, ma la giovane e bella Gothel aveva sempre una risposta pronta a quella domanda
-    Perché il mondo fuori è pieno di pericoli e di persone cattive, mio piccolo Sole, e queste non aspettano altro che riuscire ad arrivare al potere dei tuoi capelli. –
Poi, spalancava sorridente le braccia e la figlia le correva incontro, puntualmente spaventata, credendo che solo lei - sua madre -  fosse in grado di proteggerla da quei mali tremendi di cui tanto parlava. 
Se quella bambina all'epoca fosse stata al corrente della verità però, di sicuro non l’avrebbe abbracciata con l’affetto con cui invece lo faceva. E, molto infondo al suo cuore consumato dall’avidità, Gothel stava male al solo pensiero di perdere quella fanciulla così dolce, così bella, che pian piano stava crescendo fra le sue braccia. Non solo per i suoi magici capelli, non più ormai. Le voleva bene davvero e l’avrebbe tenuta con sé, fino alla fine.
Così, dopo che la piccola compì i dodici anni, divenne ancora più possessiva nei suoi confronti. Le vietò di guardare giù dalla torre, di respirare il profumo della primavera dalla finestra dell’edificio, di guardare la luce del sole che sorgeva ogni mattina - luce a cui la ragazza si era da sempre sentita legata - per nasconderle la verità, per impedire a chiunque di portargliela via.
Il giorno in cui però tornò alla torre e non la trovò più, il suo cuore di mamma si frantumò in mille pezzi. Non era più solamente un dono, la dolce Rapunzel. Era diventata una parte di lei, la più importante. 
Mi dispiace “ recitava il biglietto lasciato dalla ragazza “ Devo andare via. Il mio destino chiama e non posso più aspettare un tuo consenso. A presto, tua Rapunzel. “ 
Ma quel tua finale suonò stavolta alle orecchie di Gothel come pura ipocrisia. 
Rapunzel non era più sua. Il suo dono non era più accanto a lei.
Doveva trovarla, doveva riaverla fra le sue braccia ma soprattutto, doveva amarla ancora di più. 


Elinor ricordava di non essersi sentita pronta ad avere una figlia così presto.
Aver conosciuto quel ragazzo - un soldato bello e affascinante appena tornato dall’Afghanistan - ed aver scoperto poco dopo la sua natura divina l’aveva già sconvolta a sufficienza. 
Ma, quando aveva stretto per la prima volta fra le sue braccia esili la allora dolce ed indifesa Merida, i suoi pensieri erano mutati impetuosamente da negativi a positivi. 
Era diventata dipendente dalla presenza della figlia, costantemente minacciata da mostri mitologici e da cose che lei, non avendo alcun dono in particolare, non poteva neanche vedere. 
Si sentiva impotente per questo, incapace di aiutarla, di capirla. E più Merida cresceva ed i litigi tra loro aumentavano, più i sensi di colpa affioravano in lei, sempre più vivi, sempre più reali.
-    Cacciata da un’altra scuola! – le aveva detto una volta, con la lettera spedita dall’ennesimo istituto per ragazzi difficili ben stretta in mano – Come devo fare con te, Merida?! –
E la figlia le aveva risposto, altrettanto infiammata:
-    Solamente lasciarmi in pace! –
Ma come poteva una mamma ignorare i problemi di sua figlia? Come poteva lei, la mortale Elinor, aiutarla a superare gli ostacoli che, per colpa della natura di suo padre, la ragazza era costretta ad affrontare ogni giorno? 
Il mattino in cui poi i suoi tre figli minori - avuti dal matrimonio con Fergus, un uomo meraviglioso che si era dimostrato un genitore più comprensivo di lei nei confronti di Merida - non trovarono la rossa ribelle nella sua stanza, sentì che la sua missione di mamma era definitivamente fallita. 
Era scappata da lei e da lei non sarebbe mai più tornata. 
Quella notte si ritrovò addirittura ad invocare e pregare Ares, affinché la proteggesse in questa sua fuga adolescenziale e le facesse trovare la strada del Campo, luogo a cui - lei lo sapeva dal momento in cui l’aveva messa al mondo – la ragazza apparteneva. 
 E - Elinor questo non poteva saperlo però - Ares ascoltò quella notte le sue preghiere, illuminando la strada del Campo alla figlia più ribelle. 

 
Il suo piccolo Jack era nato albino, ma non era solo questa sua piccola imperfezione genetica a renderlo speciale.
Era un semidio e, anche se all’inizio lei stessa aveva stentato a crederci, col passare degli anni aveva cominciato a figurarselo spontaneamente come uno di quegli eroi greci di cui l’epica classica era piena. 
Quando aveva partorito la sua seconda figlia poi, nata da un altro, stupendo ed inaspettato rapporto tra lei ed il divino Ermes, il piccolo Jack, che all’epoca aveva solo nove anni, le aveva detto, seduto accanto a lei sul letto d’ospedale:
-    Ti aiuterò io a prenderti cura di lei, mamma. –
-    Il mio piccolo eroe. – gli aveva risposto, dopo aver sorriso stupita a quella esclamazione del figlio.
Il suo dolce e speciale Jack non meritava il dolore che invece era stato inesorabilmente costretto a provare.
Non era riuscito a proteggere la piccola Emma e questo il suo coraggioso e nobile bambino non sarebbe mai riuscito a perdonarselo.
Aveva provato alcune notti ad entrare nei suoi sogni - dopo averlo osservato silenziosa piangere nella stanza grigia e buia di quell’istituto in cui adesso alloggiava – ma non c’era riuscita. Sembrava che uno spirito non potesse comunicare con un suo caro ancora in vita. Sembrava che non dovesse neanche seguirlo, in realtà. Ma, la testardaggine Jack da chi poteva averla presa se non da lei?
Fu per questo che, quando quel tenebroso e per nulla raccomandabile figlio di Ade le propose un patto apparentemente ideale nelle Praterie degli Asfodeli, non riuscì a rifiutare. 
-    Io posso darti ciò che vuoi. – aveva detto, terrorizzando con la sua tenebrosa voce la piccola, oramai fantasma, Emma – Entrare nei sogni di tuo figlio per me è una cosa da niente. –
-    Cosa vuoi in cambio? – gli aveva subito chiesto lei, perché non ne poteva più di vedere soffrire il figlio in quel modo
-    Oh, solo un piccolo aiutino. Scaramucce, formalità. –
Accecata dall’amore, aveva stretto la mano di quell’uomo. Poi, il buio.
L’aveva intrappolata e non sapeva ancora quanto la sua stupida imprudenza avesse portato dolore aggiuntivo al suo piccolo, grande eroe Jack. 

 

N.A.: Ed eccoci finalmente qui, con la prima Missing Moment! 
Perché ho cominciato dal rapporto genitori-figli? Perché non trovavo alcun altro modo per cominciare in bellezza. E, essendo questo un elemento essenziale nella vita dei semidei del caro Zio Rick - che hanno tutti storie abbastanza strappalacrime, poveri cucciolotti miei T^T - dovevo cominciare così.
Bene, per prima cosa, chiariamo alcune cosucce sulla Missing Moments ^^
Come avrete notato da questa prima One Shot, ci concentremo sul punto di vista degli altri personaggi, ma ci saranno sempre e comunque ( tranne a volte come ad esempio la parte in cui parleremo di Elsa * la folla comincia ad urlare * si, so che non vedete l'ora x'D ) i nostri quattro eroi ( *-* ) in quanto questa è la sezione The Big Four, non possiamo lasciarli a casa! xD  
Ma, andiamo per gradi.
Valka-Hiccup: Be', credo che sia la relationship più dolce tra tutte, no? Forse perché Hiccup da bambino è già dolce di suo ed io Valka la immagino così, dolce come il figlio, nonostante in Dragon Trainer l'abbia abbandonato ( Okay, è stata costretta ma... andiamo! Come fai ad abbandonare Hic?! ). 
Poi, non potevo non inserire For the Dancing and the Dreaming ( sebbene con Efesto, lo so, non ci azzecchi un piffero x'D ). Era troppo dolce e ci stava bene nel contesto della nanna 

Gothel-Rapunzel: Qui all'inizio ho voluto conservare la stessa relantionship che hanno in Tangled ma, poi, mi sono detta: Qui Gothel è la vera mamma di Rapunzel, non posso farla apparire così tanto crudele! Perciò, l'ho addolcita, facendo intendere che il suo non era solo affetto verso i capelli della figlia, ma verso la figlia stessa. Che poi fosse affetto eccessivamente morboso non va bene ma... l'amore è amore e in amore tutto è giustificato ( ? ) x'D
Elinor-Merida: Il loro rapporto ero riuscita ad approfondirlo abbastanza bene anche nella long ma, con questa One Shot ho voluto sottolineare i sensi di colpa di Elinor, che molte volte sarebbe voluta tornare indietro e non innamorarsi di Ares, così da evitare alla figlia tutte le sofferenze che l'essere una semidea comporta. 
MadreDiJack( Oddio, senza nome come la mamma di Katniss! O.o )- Jack: Dopo la Valka-Hiccup, credo sia questa la più dolce 

Perché è stato facile scrivere di Jack dal punto di vista di sua madre perché: 1. nessuno la conosce perciò nessun problema OOC 2. io stessa immagino Jack come un impavido eroe, perciò raccontare la sua infanzia così mi è venuto spontaneo! 
Perciò si, è la parte di cui vado più fiera credo.
Okay, le spiegazione chilometriche dovrebbero essere finite, spero che questa prima Missing Moments sia stata di vostro gradimento e... nulla, alla prossima! ^^ 



 
 

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Capitolo 2
*** #Tower - Pronta per qualcosa di diverso ***


We are Demigods 
[ Raccolta di Missing Moments ]

#Tower 
 
Pronta per qualcosa di diverso 
 
Quella torre non era più una casa per lei ma la sua prigione.
Sola e al buio si sentiva terribilmente inerme e spaventata. 
Sua madre aveva chiuso l’unica finestra presente nell’edificio prima di andar via, arrabbiata come Rapunzel mai l’aveva vista. Di solito non lo compieva mai quando si assentava perché, così facendo, al ritorno sua figlia non avrebbe potuto aiutarla a scalare la torre coi lunghi e biondi capelli magici di cui disponeva. Quella volta però, la rabbia verso la ragazza aveva preso il sopravvento e, accecata dal desiderio di tenerla con sé a tutti i costi, aveva serrato ogni fessura che potesse permetterle di scappare via.
Raggomitolata in un angolo, Rapunzel piangeva, ripensando alla violenta discussione avuta con la madre poco prima.
-    Non puoi uscire di qui, Rapunzel! – le aveva urlato contro in risposta alla sua richiesta, la stessa che faceva inspiegabilmente ormai dai tempi del suo dodicesimo compleanno
-    Ma madre, io ho bisogno di farlo! C’è qualcosa là fuori che sta aspettando me! – la biondina aveva esitato prima di proferire il continuo di quella frase - Io... io l’ho sognato! - 
Ed era lì che la rabbia di Madre Gothel era esplosa. 
-    Non c’è nulla per te là fuori! Smettila di parlare di sogni, quello che vedi mentre dormi è frutto della tua immaginazione! – si era sporta verso la finestra ed aveva lanciato una corda sull’erba verde che costeggiava la torre – Da oggi in avanti la chiuderò anche quando sarò via. Non voglio che tu veda più la luce del sole. –
Rapunzel aveva annuito terrorizzata, per poi osservare in silenzio sua madre chiudersi quella finestra alle spalle, lasciandola sola e al buio, come si trovava adesso.
Dopo aveva urlato per un po’, sperando che la donna si potesse in questo modo smuovere a compassione, cosa che, come infondo purtroppo si aspettava lei stessa, non era accaduta. 
Aveva pensato numerose volte di scappare, di servirsi di tutti i mezzi di cui disponeva per tentarci. Specialmente quando, qualche anno prima, sua madre aveva lanciato dalla finestra della torre il suo unico amico, il camaleonte Pascal. 
Quel giorno si era sentita così arrabbiata verso di lei che era riuscita a risponderle a tono, guadagnandosi tuttavia l’ennesima punizione rude, come rinchiuderla nella sua stanza al piano di sopra per tutto il giorno senza i suoi libri preferiti – di cui riusciva a comprendere solo le immagini, purtroppo, per via della dislessia - ed il materiale per disegnare a farle compagnia.
Adesso però non aveva più la forza di ribattere. Si sentiva stanca e neanche il pensiero di quel luogo tanto bello quanto surreale visto in sogno la consolava. Che senso aveva pensarci, oramai, se non l’avrebbe mai potuto raggiungere? Sua madre non gliel’aveva permesso allora, chi le assicurava che lo avrebbe fatto poi? 
Ad un tratto però, delle urla spaventate attirarono la sua attenzione. 
Non aveva mai sentito voci umane - esclusa quella di sua madre e la sua - ma, se mai ne avesse udita una, sarebbe riuscita a riconoscerla comunque e, in quel momento, ne riusciva a distinguere addirittura due.
Tra queste però spiccava un’altra voce – anche se chiamarla così era errato persino per una ragazza che come lei era cresciuta rinchiusa in una fortezza -. Era più che altro un ruggito, parecchio spaventoso a dirla tutta.
-    Aiutateci, vi prego! – una delle due voci umane chiamava qualcuno ma Rapunzel sapeva per certo che, oltre a lei, nei paraggi della torre non viveva anima viva. 
Sua madre aveva scelto bene la location in cui intrappolarla, difatti. “ Per proteggerla “, diceva. Si, come no!
-    Vi supplico, fateci salire! – urlava l’altra voce e, a quel punto, la biondina non ebbe più dubbi, chiamavano lei. 
Ma come poteva soccorrerli? Non sapeva nemmeno da chi – o meglio, da cosa – dovesse aiutarli a scappare!
-    Avrete un peso enorme sulla coscienza se non ci aiutate! – continuò l’ultima voce, che, strano a dirsi, parve leggermente ironica alle orecchie di Rapunzel, nonostante in quel momento si trovasse in chiaro pericolo di vita
-    Già, il sangue versato di due poveri quindicenni sfigati! – disse invece l’altra, questa più sottosforzo: evidentemente stava lottando per salvarsi.
Rapunzel non poteva rimanere ferma ad aspettare che morissero. 
Infondo, le bastava riuscire ad aprire quella maledetta finestra e lanciare i suoi capelli per aiutarli, non avrebbe dovuto affrontare i pericoli esterni dai quali la madre l’aveva da sempre messa in guardia.
Ma – ed era questo a bloccarla più di tutto – se fossero coloro che cercava di aiutare il vero pericolo? 
Non hai tempo per pensare “ si disse però, nel tentativo di incoraggiarsi “ Fallo e basta. Prendi in mano la tua vita “.
E lo fece. Sfondò le porte che sigillavano la finestra con un enorme pezzo di legno – uno di quelli che sua madre usava d’inverno per accendere il fuoco nel camino – e guardò subito dopo giù, capendo solo allora quanto grave fosse la situazione in corso.
Due suoi coetanei – un maschio ed una femmina – stavano lottando con un... armadio peloso? Difficile dirlo da quell’altezza. 
Rapunzel rabbrividì ed improvvisamente si sentì stupida ad aver desiderato tanto uscire.
Non doveva pensarci adesso, però. La priorità era aiutare i due ragazzi a salvarsi prima che quella cosa pranzasse con la loro tenera e succulenta carne da adolescenti in crescita.
-    Ehi! – urlò così verso di loro, agitando la mano per farsi vedere – Prendete questi! – e li lanciò spedita la sua cascata dorata. 
I due ragazzi alzarono lo sguardo e solo quando la punta dei capelli della ragazza toccò terra capirono che non si trattava di una corda qualunque.
-    Ma che diamine...? – provò infatti a dire il ragazzo ma la compagna, con un impeto violento, gli aveva impedito di terminare la domanda, afferrandogli  un braccio per trascinarlo con sé e aggrappandosi alla moltitudine di capelli della loro soccorritrice.
Ci mise un po’ a tirarli su. Era la prima volta che trasportava due persone - o meglio, la prima volta che aiutava qualcuno che non fosse sua madre a scalare la torre - ed era più difficile di quanto sembrasse. Pesavano parecchio, ciò nonostante Rapunzel era di natura fin troppo gentile per sognarsi di dichiararlo ad alta voce.
Poi, dopo una serie di spinte infinite – cavoli, che sudata! – era riuscita a portarli sani e salvi a casa sua mentre il mostro ai loro piedi continuava a ruggire arrabbiato.
-    Così impari, brutto bestione! – gli fece la linguaccia la ragazza che, solo adesso notò Rapunzel, aveva una chioma spropositata come la sua, solo che rossa e riccia
-    Già, noi avevamo un ascensore di capelli pronto a salvarci, alla faccia tua! – continuò il ragazzo che, scoprì sempre Rapunzel, aveva anche il volto simpatico oltre che alla voce.
Dopo qualche attimo passato ad osservarli, la padrona di casa però ricordò improvvisamente del pericolo che stava correndo nell’avere invitato dei perfetti sconosciuti sulla sua torre. Andava contro tutto ciò che sua madre le aveva insegnato! 
Afferrò così la fedele padella – la portava sempre con sé in caso di incursioni indesiderate come questa - e provò ad atterrare la ragazza coi capelli rossi che, tuttavia, aveva riflessi ancor più veloci dei suoi.
Le afferrò infatti il polso minacciosa e l’amico disse:
-    Ti avevo detto che la storia della torre sperduta nel bosco e la ragazza coi capelli chilometrici non me la raccontava giusta. –
-    Sei un altro mostro che ha intenzione di ucciderci?! – domandò indispettita la rossa a Rapunzel, non facendo assolutamente caso al precedente commento sarcastico dell’amico, come se oramai ne fosse abituata
-    No! – rispose di tutto tono lei, offesa – Piuttosto voi, come avete fatto a trovarmi?! –
La riccia le lasciò il polso, confusa, per poi guardare  il ragazzo – che, parlando di capelli strani, non poteva ritenersi meglio di loro due dato il color platino dominante –. Questo però le fece spallucce, altrettanto perplesso. 
-    Non ti abbiamo “ trovato “. – si sentì di risponderle poi la ragazza, cercando stavolta di apparire il più tranquilla possibile – Stavamo scappando da una possibile morte altamente dolorosa se non te ne sei accorta – ed ecco che la tranquillità sul suo volto spariva di già - e tu eri la nostra unica speranza di sopravvivere. –
-    Se la metti così allora, avete ragione. – rispose semplicemente Rapunzel, per nulla intenzionata a bisticciare – Come vi chiamate e perché quel mostro ce l’aveva con voi? –
-    Ehi, calmati biondina! – interrupe in seguito il ragazzo platinato - Prima di fare domande dammi una poltrona su cui riposare, è da stamattina che scappo dai mostri inferociti. -

 
***

Rapunzel preparò loro del tè per metterli a loro agio. 
I ragazzi, sporchi e coi vestiti strappati, si sedettero sul divano sui cui lei e sua madre cantavano la canzone del fiore ogni sera – si sarebbe infuriata se lo avesse scoperto! – e cominciarono a presentarsi.
-    Io mi chiamo Merida e lui è un cretino. – disse per prima cosa la ragazza, facendo arrossire di rabbia il suo compagno
-    Il “ cretino “ sarebbe Jack. – chiarì così quest’ultimo, per non creare fraintendimenti dato che, Rapunzel, essendo vissuta in una torre, non aveva idea di come una persona in carne ed ossa potesse chiamarsi 
-    Io mi chiamo Rapunzel invece. – sorrise di rimando lei, adesso contenta di avere ospiti
-    Strano nome. – commentò Merida
-    Ti si addice. – fece un sorriso Jack – Dimmi... perché vivi in una torre dispersa nel bosco? –
-    No, dovete prima rispondere alle mie domande. –
I due si scambiarono uno sguardo, come a decidere cosa fosse meglio fare. 
Probabilmente non trovavano allettante l’idea di raccontare ad una ragazza sconosciuta la storia della loro vita.
-    Siamo scappati di casa. Cioè, lei di casa, io da un istituto, non siamo tutti fortunati come “ Miss MiaMammaNonMiCapisce “. – esordì dopo un po’ però Jack, guadagnandosi uno sguardo poco amichevole da parte di Merida – Mi fido di lei. – si giustificò infatti a quel punto
-    E va bene. – si arrese la rossa, per poi continuare – Non sembra cattiva. –
-    Non lo sono, infatti. – disse genuinamente la padrona di casa in risposta – Neanche voi lo sembrate. –
-    Non lo siamo, infatti. – 
-    Perché quel mostro vi inseguiva allora se non siete cattivi? –
-    Mi spiace, questo non lo sappiamo. – ammise Jack, giocherellando col grosso foro bruciacchiato che aveva sulla felpa azzurra – Nessuno li vede oltre a noi due. –
Poi, lui e Merida sgranarono gli occhi all’unisono, entrambi di un azzurro intenso.
-    Tu... tu hai visto... quella cosa, vero? –
-    Si, certo. –
Altri sguardi. Sembravano riuscire a comunicare telepaticamente quei due.
-    È come noi... – sussurrarono poi in coro, confondendo Rapunzel ancora di più
-    Che significa? – chiese così, ma loro scossero il capo
-    Non lo sappiamo ancora. – confessò Merida, dispiaciuta – Ma lo scopriremo presto. –
-    Già, Merida dice di sentire una “ voce “ che la guida. – prese in giro la rossa Jack, guadagnandosi uno spintone
-    Non sono pazza! – si arrabbiò – E tu Rapunzel – tornò seria, puntando gli occhi sulla biondina – devi venire con noi. Questo è un segno. –
-    No, non posso venir via con due sconosciuti! Mia madre... non vuole. – si portò le mani al volto, terribilmente indecisa.
Jack e Merida si guardarono intorno, poi quest’ultima chiese:
-    La stessa madre che ti ha rinchiusa qui dentro? –
-    Si... –
-    Perché? – si intromise Jack
-    Io... i miei capelli... non sono normali capelli. –
-    Questo lo notiamo da soli, biondina. – fece l’albino in tono ovvio
-    No, non solo per la loro lunghezza. - il suo sguardo si andò a posare su una ferita di Merida – Ve lo dimostro. –
Si avvicinò alla ragazza che – per ragioni del tutto oscure a Rapunzel – si alzò in piedi e strinse le mani a pugno, come se volesse difendersi da una minaccia.
Rapunzel si guardò preoccupata le spalle, convinta che ci fosse un altro di quegli armadi pelosi dietro di lei. Altrimenti perché la sua ospite avrebbe dovuto reagire così tempestivamente? 
-    Non hai il permesso di avvicinarti a me. – spiegò poi però la rossa, seria 
-    Oh, io... volevo solo... –
-    Andiamo Merida! – si alzò in piedi Jack, contrario – Non è un mostro, ne sono sicuro. È troppo carina per esserlo. –
Merida scoppiò a ridere, Jack arrossì e Rapunzel li guardò confusa.
Carina era un complimento, giusto?
-    Oh, smettila, Furia Rossa! La mia era solo un’osservazione oggettiva. – disse in sua discolpa l’albino - E adesso, biondina, vediamo questo “ talento nascosto “. –  fece un sorriso sbilenco e si sedette sul pavimento per osservare meglio.
Merida si risedette sulla poltrona, visibilmente più serena. 
Rapunzel raccolse i capelli come meglio poteva e li avvolse attorno alla gamba ferita dell’ospite. Poi, alquanto nervosa – non sapeva come avrebbero reagito, dopotutto – cominciò ad intonare la prima strofa della canzone, poi la seconda ed il ritornello.
I capelli risplendevano di luce propria sotto gli occhi azzurri e sbalorditi dei due ragazzi. La biondina a quel punto sperava con tutto il suo cuore di non averli intimoriti. 
-    Wow. – sentì dire però a Jack mentre Merida cercava di trattenere lo stupore come meglio poteva.
Quando la canzone terminò, i capelli si spensero e Rapunzel li sciolse dalla gamba della ragazza.
La ferita era sparita.
-    Oh mio... – cominciò a dire la rossa ma fu presa prima da un entusiasmo incontrollabile – Questo è più di un segno! – esclamò infatti - È... è... una specie di... cartellone gigante a forma di indice che indica la tua testa e dice “ Portatela con voi “! – 
-    Io non... non capisco... – ammise perplessa Rapunzel – Non siete spaventati? –
-    Spaventati? Impressionati, vorrai dire! – rispose Jack, entusiasta esattamente come Merida 
-    Vedi, Rapunzel – cominciò finalmente a spiegarle quest’ultima – Jack è la persona più furba che io conosca. Ha un talento particolare per... gli scherzi e i furti. Lo so, sembra un tizio poco raccomandabile ma... non ho mai visto nessuno fare le cose che fa lui. Abbiamo rubato un camion per il ritiro rifiuti l’altro giorno. Eravamo stanchi di camminare. – fece spallucce in risposta all’espressione scioccata di Rapunzel - E poi è leale. L’altro giorno ancora ha salvato me che tentavo di salvare una bambina da un tizio con un occhio solo. –
-    Ehi, smettila di elogiarmi, anche tu sei forte. – la interrupe Jack – Merida è la persona più combattiva che esista in questo pianeta. O almeno, delle persone di mia conoscenza. – rise – E... non ho mai visto qualcuno coi riflessi che ha lei nei combattimenti. È... spaventosa, e non nel senso brutto della parola. E sa tirare con l’arco. È coraggiosa poi, ha affrontato da sola uno di quegli armadi feroci la settimana scorsa. –
-    Si, si, ma il punto è – Merida prese per le spalle Rapunzel – Tu sei come noi. Hai un talento... e vedi quei mostri. Dobbiamo trovare il nostro posto nel mondo, Rapunzel. Non puoi vivere qui dentro per il resto della tua vita. –
Gli occhi verdi prato della biondina erano fissi in quelli azzurri della ragazza che le stava di fronte. Sembrava sincera e, in fin dei conti, come poteva darle torto? 
Improvvisamente, il luogo del sogno le tornò alla mente. Campi di fragole, laghetti, strani uomini mezzi-capra e mezzi-cavallo e ragazzi che ridono. Voleva davvero trovarlo. Voleva trovare il posto a cui apparteneva e sapeva che, sebbene le parole dette da sua madre, non era quello. 
-    Va bene. – rispose così – Verrò con voi! – e, più euforica che mai, spinse i due ragazzi verso la finestra da cui erano entrati
-    Ehi, ehi, calma biondina, così ci ammazzi! – esclamò Jack, più divertito che preoccupato 
-    Scusate è che... i miei piedi non hanno mai toccato il terreno... sono emozionata! –
Jack e Merida si fermarono e, all’improvviso, si rattristarono.
-    Davvero non sei mai uscita da qui? – chiese la seconda
-    Si – rispose schietta Rapunzel, come se quella risposta fosse ordinaria ed ovvia per chi le stava intorno 
-    È orribile... – disse a bassa voce Merida fra sé e sé
-    Non è il momento di pensare al passato, vero Rapunzel? – interrupe però quel momento di tristezza Jack – Adesso ci siamo io, te, Merida e il mondo attorno a noi. Non c’è più spazio per questa torre. –
La biondina annuì mentre, felice come non lo era mai stata, osservava per l’ultima volta i dipinti che aveva fatto sognante lei sulle mura del soggiorno.

 
***

Prima di andar via, presero un po’ di provviste dalla dispensa – Merida raccolse avidamente tutti i biscotti presenti, giustificandosi con un “ Non ne vedevo da settimane! “ – e, una volta fatti calare gli amici dalla torre con l’ausilio dei lunghi capelli, Rapunzel rimase di nuovo sola. 
-    Ehi, che aspetti a raggiungerci? – le urlò Jack, facendole animatamente segno di scendere
-    Già, sbrigati prima che quel bestione ritorni! – 
La biondina annuì.
Adesso che li vedeva di nuovo dall’alto, ritirata un'altra volta in quella torre, i suoi dubbi svanirono, lasciando spazio al solo desiderio di andar finalmente via. 
-    Aspettate un attimo. – disse però, correndo verso i fogli da disegno che aveva qualche ora prima sparpagliato sul tavolo.
Prese una penna a sfera e scrisse. Non poteva sparire così dopo tutto quello che sua madre aveva fatto per lei.
Poche righe, ma incisive. Ciò che bastava a Madre Gothel per capire che quella era la cosa giusta per lei e che, insieme a quei due ragazzi, nessun pericolo l’avrebbe più spaventata. 
-    Rapunzel, ti prego, non costringermi a picchiare Jack per la frustrazione! – sentì ad un tratto urlare Merida
-    Già, salvami da questo supplizio. – continuò Jack infastidito
-    Arrivo, arrivo! – rispose ridendo lei nel frattempo che, una volta per tutte, raggiungeva quella finestra che per tanto tempo l’aveva separata dal resto del mondo.
Sistemò i capelli sul gancio, sperando che riuscissero a portare giù anche la loro proprietaria.
Guardò per un attimo indietro per essere sicura al cento per cento che quella casa non le sarebbe mancata e, difatti, capì felicemente che non l’avrebbe rimpianta affatto.
Si lanciò nel vuoto, aggrappata alla sua cascata dorata, pronta ad inseguire il suo destino, pronta a qualcosa di diverso

 

N.A.: Ecco la seconda Missing Moment! ^^
Lo so, ancora una volta non è quello che tutti si aspettavano ma, come ho già specificato in alcune risposte alle recensioni, sto andando per gradi.
Nella long non avevo descritto bene l'incontro tra Merida, Jack e Rapunzel - era stato solamente accennato nei capitoli col POV di quest'ultima -  e, sincermente, mi era un po' dispiaciuto doverlo omettere perché nella mia testa l'avevo immaginato dolce, significativo e divertente! Così, ho rimediato, e spero che per voi non sia stato noioso leggere come sono andate le cose. ^^
Poi, ci tenevo anche a far capire come questa forte amicizia tra i tre - che nella long all'inizio, quando Hiccup era appena giunto al Campo e conosceva pochissimo gli altri, ho fatto fuoriuscire parecchio - fosse nata. Specialmente quella tra Merida e Rapunzel. Ricordate quando in uno degli ultimi capitoli le due erano state separate da Pitch nella grotta e la nostra fantastica rossa combattina ( *-* )  aveva pianto tantissimo? Be', come vediamo in questa MM ( non so se esista l'abbreviazione ma... okay x'D ), ha salvato Rapunzel, facendo poi una promessa a se stessa di proteggerla sempre da qualsiasi male e, in quel momento, non riusciva proprio a sopportare l'idea di non poter rispettare quel patto personale.
Sì, è così che vedo l'amicizia tra quelle due patatose *^*
E poi ci ho messo un sacco di Jarida!Friendship perché loro sono la mia OTF ( ? ) e lo saranno per sempre! 
Che dire, spero davvero di non aver deluso nessuno. 
Vi lascio con la promessa che la prossima Missing Moment ( che ho già pronta, tra l'altro, quindi arriverà a breve ) si concentrerà finalmente su un personaggio secondario, il primo ad essere apparso nella long.
Indizio? E' il mio uomo-capra preferito ( *^* ) e nella long l'avevo reso un po' troppo duro per i miei gusti! x'D Inoltre, preparatevi, perché non ho intenzione di rendere queste Missing Moment noiose! Ci sarà un pizzico di mistero in più dalla prossima in poi... misteri che verranno risolti, ovviamente, o dovrò fare una Missing Moment della Missing Moment! >.<
Una volta creato quest'universo nel mio universo preferito ( sì, continuo ad aspettare il satiro che mi porterà al Campo Mezzosangue T^T ) non mi fermo più! ^^"
Alla prossima, ragazzi, e grazie a tutti quelli che di già hanno messo la storia nelle preferite e nelle seguite e che hanno recensito la scorsa volta. Vi voglio un mondo di bene, grazie per sostenermi sempre! 




 
 

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Capitolo 3
*** #Mentor - Un grande cuore sotto la corazza ***


We are Demigods
[ Raccolta di Missing Moments ]

 
#Mentor 

Un grande cuore sotto la corazza 
 
Nord l’avrebbe pagata cara per questo. 
Una scuola piena zeppa di mortali! Puah, che schifo.
Non aveva aiutato il leggendario Hercules a salvare il mondo per ritrovarsi lì, nelle vesti di un banale docente di Educazione Fisica, a cercare il semidio di cui tanto si era parlato al Campo!
-    È compito importante, amico mio. – aveva detto Nord in tono serio quella mattina, per convincerlo
-    Ma perché non possono farlo gli altri satiri?! – aveva risposto lui, arrabbiato – Perché io, Filottete, colui che ha... –
-    “ Aiutato eroico Hercules a salvare mondo “, sì, lo so, Fil. – lo canzonò il direttore – Hercules pur sempre mio fratello. -
-    Fratellastro. – aveva specificato lui, perché francamente analogie tra i due faceva fatica a trovarne – E lo dico sempre perché è la verità! –
-    Be’, pensa che grazie a tuo compito salverai di nuovo mondo. – 
-    Quella profezia... potrebbe essere ancora lontana. Perché continui a dire che secondo te sta per avverarsi? –
-    Perché lo sento... in mia pancia! - 
E così, aveva accettato. Non perché l’idea di “ aiutare a salvare di nuovo il mondo “ lo allettasse particolarmente ma semplicemente perché era stanco di star a sentire i discorsi di Nord su “ quello che sentiva in sua pancia “... per non parlare dei gas che ne fuoriuscivano, poi! Brutta storia.
-    Buongiorno, signore. – una voce lo distolse, fortunatamente, dai suoi pensieri puzzolenti.
Un uomo alto, muscoloso, con due occhi verdi disumanamente penetranti ed una massa informe di capelli brizzolati sulla testa lo stava squadrato da capo a piedi. 
Emanava un odore strano e forte, del tutto indigesto per il nostro satiro che, in veste di superspia in missione, si ragguagliò dal non farlo notare. 
-    Buon... buongiorno. – rispose, cercando di comportarsi il più umanamente possibile, sebbene dubitasse di già che quell’uomo fosse realmente umano
-    Lei è...? –
Altro motivo per cui avrebbe fatto del male a Nord una volta tornato al Campo: non avevano pensato ad un nome mortale da assegnargli per la copertura! 
Così, disse il primo che gli venne in mente, il più stupido. 
-    Jackson He-goat. Si, mi chiamo esattamente così! Jack per gli amici. –
Odiava così tanto Frost che il primo nome che gli era venuto in mente era stato proprio il suo. Ed il cognome poi... tanto valeva scriversi in fronte “ satiro in missione segreta “! 
-    Cosa la porta qui? –
-    Sono il nuovo docente di Educazione Fisica, non ricorda? – 
La Foschia avrebbe dovuto cominciare a fare effetto su quel mortale – sempre a patto che lo fosse sul serio – perciò, almeno su quella protezione, Fil poteva ancora contare.
-    Oh si, certo. – annuì dopo attimi d’esitazione l’uomo, inaspettatamente soddisfatto – Io sono il preside Ashton, le do il benvenuto nella mia scuola. –
Sorrise, e quel sorriso parve – spiacevolmente al povero satiro - intriso di malignità.
-    Mi segua. – disse poi e, a malincuore, l’oramai professor He-goat dovette obbedire.
Indagare sul conto di quell’uomo era in cima alla sua lista delle cose da fare, da adesso in poi.

 
***

-    Bene, mettetevi in riga, morta... mezze calzette! – 
Era difficile abituarsi a quel nuovo gergo. Una volta aveva imprecato in greco antico per sbaglio davanti a tutti ed i suoi attuali alunni – adolescenti pieni di brufoli e di imperfezioni cutanee, non so se mi spiego – non avevano fiatato per un’ora intera, terrorizzati.
Aveva detto che si trattava di tedesco in sua discolpa, ma pochi se l’erano bevuta.
Lì in mezzo raramente aveva fiutato odore di semidio. A mensa però gli era parso di sentirne l’aroma, ben nascosto purtroppo da quello dei liquidi corporei emesso dagli altri studenti. Che schifo questi adolescenti, numi del cielo
Oggi però gli era stata assegnata una nuova classe. Magari era la volta che riusciva a trovare il responsabile di quel – afrodisiaco per lui che era costretto a star lì solo per quello - odore semidivino. 
Difatti, il suo istinto non sbagliava. 
-    Ohm, signore? – un ragazzino con le lentiggini e gli occhi verdi richiamò la sua attenzione.
Ne sarebbe stato irritato se non fosse che l’odore tanto cercato proveniva proprio da lui.
-    Tu! – esclamò infatti, improvvisamente ravvivato dalla piacevole scoperta appena fatta – Nome! –
-    Hiccup – rispose a bassa voce il ragazzino, intimidito
-    Non ti sento! – 
-    Hiccup! – urlò così, sebbene ancora a disagio – Io volevo solamente chiederle se potevo... –
-    Cognome! – lo interruppe 
-    Haddock. –
-    Bene, Haddock, comincia a muovere quelle gambe magre, da oggi sei il capo fila. – disse quello che gli era parso sul momento l’unico espediente per tenerlo d’occhio nel migliore dei modi
-    Ma io veramente volevo chiederle se potevo andare... –
-    Non vai da nessuna parte, rammollito! Da oggi si lavora sodo! – 
Si sentiva come Shang Li, il capogruppo della casa di Ares che a lui tanto era simpatico. Peccato che, a differenza di quel ragazzo, lui non incutesse poi così tanto timore con la sua statura minuta e la stampella che era costretto a portare per nascondere l’evidente andatura caprina.
-    È l’ora di formare degli eroi! – esclamò ad un tratto in seguito, preso da un impeto d’orgoglio improvviso 
-    Come, signore? – chiese poco distante da lui l’ennesima ragazzina irritante.
Ma non potevano essere anche sordi, questi mortali?
-    Corri e non fare domande! – rispose così, cercando di apparire il più autoritario possibile.
Intanto, la sua giovane recluta si faceva abbattere da un gruppo di bulletti a qualche metro di distanza da lui.
-    Dei dell’Olimpo, non so a chi appartenga quella schiappa ma, quando lo scoprirò, il genitore del ragazzo, chiunque sia, non riceverà più offerte dal sottoscritto! – incrociò le braccia al petto, corrucciato. 

 
***

Ah, quanto aveva atteso tornare all’azione! 
Disintegrare mostri, mandarli al Tartaro... quelle si che erano soddisfazioni.
-    Prof-professo-professore... – balbettava inerme Haddock nell’angolo, con le ceneri del mostro, meglio noto come preside Ashton, ancora spalmate addosso. 
Che pappamolle! Pensava di essere riuscito a formarlo - almeno parzialmente - in quei mesi di ore di Educazione Fisica estreme, invece no, era davvero un osso duro!
-    Dobbiamo andare via, ragazzino. – si era limitato a rispondergli così, sbrigativo – Rimandiamo le domande a dopo. Veloce! –
Ed il resto, è storia.
Aveva guidato e guidato fino a Long Island e all’arrivo il ragazzino aveva vomitato.
Tipico. Erano i rischi del mestiere, dopotutto, Fil ne era abituato. 
E Nord per concludere in bellezza, dopo aver discusso con lui ed il nuovo arrivato alla Casa Grande, gli aveva rifilato l’ennesimo compito irritante: fare la guida. Avrebbero dovuto dare un premio all’uomo panciuto come “ miglior rompiscatole dell’universo “. 
Fortunatamente, l’attuale detentore del titolo “ rompiscatole numero uno “ si era fatto vivo presto ed aveva mollato quel compito a lui. Era bello quando eri tu a farlo, tutto sommato. 
 E – Fil non ancora lo sapeva – fu grazie a quella sua mossa apparentemente – e realmente, in verità - egoistica che i grandissimi Big Four diventarono amici.  

 
***

-    Scappati?! – 
Fil si sentiva furioso come non mai. Lui e Nord avevano fatto di tutto per tenerli al sicuro e loro cosa facevano? Sgattaiolavano fuori dal Campo nel bel mezzo della notte.
E le arpie cosa stavano a fare, poi, se non controllavano che tutti i ragazzi fossero nei loro letti dopo il coprifuoco?!
-    Si, signore. – Shang annuì, altrettanto irritato – Se pensano di riuscire a sopravvivere là fuori con così poca esperienza e formazione in ambito militare... –
-    Tu sbagliare, figlio di Ares. – 
Nord era rimasto nell’angolo tutto il tempo, a meditare silenzioso sul da farsi. 
Fil non ci aveva dato molto peso dato che, la maggior parte delle volte in queste condizioni, era sempre stato lui a prendere in mano la situazione.
Diciamo che all’omone panciuto, dopo aver vissuto un’esperienza traumatica da adolescente, era da sempre piaciuto vivere nel suo mondo fatato tutto rose e fiori ed il satiro, in un estremo tentativo di mantenere intatto quel mondo tanto bello quanto fragile, non aveva mai cercato di riportarlo alla realtà, accollandosi tutti i problemi che si presentavano alle porte della Casa Grande. 
Perciò questa volta fu una sorpresa persino per lui – che, sì, aveva cresciuto anche quel figlio di Zeus – vederlo mettersi in mezzo.
Che quella della tranquillità spirituale fosse solo una messa in scena per scaraventare tutti i problemi su di lui? Probabile, ed il solo pensiero fece ribollire ancor di più il sangue dell’uomo-capra che però, cercando di apparire il più mansueto possibile agli occhi dei suoi ragazzi, rimase in silenzio.
-    Loro essere veri ragazzi di profezia. Noi sbagliato a tentare di nascondere verità. –
-    Ma, direttore... – provò ad obbiettare Shang, interrotto tuttavia ancora una volta dall’un tempo sempre gentile e sorridente Nord 
-    Niente ma. È stato Fato a decidere. –
E si ritirò. 
Fil non riusciva a credere a quello a cui era stato appena costretto ad assistere. 
Non poteva, non voleva, restar in silenzio ed inerme davanti a quello che stava accadendo. Cosa lo rendeva sicuro che quei quattro quindicenni fossero davvero i ragazzi di cui la profezia parlava? 
Era un rischio troppo grande per un Fil che, tormentato dai fantasmi del passato, non si sentiva pronto a perdere ancora una volta qualcuno a cui si era affezionato. Persino la perdita di Frost gli sarebbe stata stretta a quel punto.
-    Li. – chiamò così il capogruppo di Ares mentre questo, oramai arresosi, riportava i suoi due ostaggi, Anna della progenie di Afrodite e Kristoff l’indeterminato, nelle loro rispettive cabine 
-    Si, signore? – chiese quest’ultimo, tornato all’attenti.
Amava il suo atteggiamento militare. L’aveva proprio addestrato bene!
-    Voglio che tu, Aggiustatutto, SleepingBeauty e Rider andiate a cercare quei quattro. –
-    Ma il direttore ha detto...? –
-    Ha mai scelto lui prima d’ora? Avete mai fatto affidamento su di lui in queste situazioni? Nord si è sempre fatto vivo solamente alle feste! Io ci sono sempre stato per voi ed io decido! – sbottò, e sarebbe parso minaccioso se non avesse avuto gli occhi scuri colmi di lacrime.
Shang, Anna e Kristoff sgranarono di rimando i loro. Non avevano mai visto il direttore delle attività del Campo piangere. 
-    Sarà fatto, signore. – rispose così Shang, rispettando il volere del satiro che più di tutti si era fidato di lui.
I tre ragazzi si allontanarono e Fil rimase solo coi suoi pensieri.
Almeno, così credeva.
-    Perché tu fatto questo? – la voce grave di Nord tornò ad alleggiare nell’aria, altamente irritante al momento per il satiro
-    Perché? Oh, lo chiedi anche. – rispose infatti sarcastico lui, infastidito 
-    Sai che non potere far nulla per ostacolare Fato. Non aspettavo che tu ci provassi. –
-    Non ci sto provando! Voglio... voglio solo che stiano bene. Che tornino tutti vivi. Perché tu meglio di me sai chi è questo “ figlio delle tenebre “ e cosa è capace di fare, dico bene?! –
Quella domanda bastò a zittire l’omone – come Fil si aspettava del resto – che, a quel punto, cominciò a camminare verso l’interno della Casa Grande. 
Poco prima di sparire nell’ombra tuttavia disse:
-    Tu volere bene a ragazzi che addestri, davvero tanto. Anche se tu non mostrare. È per questo che, ancor peggio di me, tu non aver lasciato rimarginare ferite di passato. –
-    E non ho intenzione di farlo. Farò tutto il possibile per riportarli a casa vivi. – esitò prima di esclamare - Per Sandman. –
Sentì Nord sospirare e all’improvviso si sentì in colpa per averlo detto.
Dopotutto, se aveva sofferto lui per quella perdita, figuriamoci Nord che era stato il suo migliore amico. 
-    Mi dispiace, Nord, mi sono fatto prendere da... –
-    È proprio per Sandman che noi dover lasciare che destino si compi. – si limitò a rispondergli però Nord, per poi entrare taciturno nella Casa Grande.
Forse aveva ragione. Forse quei ragazzini erano davvero gli unici in grado di salvare il mondo.

 
***

-    Li abbiamo appena lasciati nel bosco. – la voce di Elsa la luogotenente risuonava nella Casa Grande, sebbene provenisse dall’ennesimo messaggio Iride – Stanno bene ma nascondono qualcosa... – 
-    Non siete riuscite a capire cosa? – chiese Fil, sulle spine
-    No, ho tentato di convincerli a parlare in un interrogatorio ma niente. Non possiamo aiutarli se non collaborano. –
Fil si morse un labbro. 
Maledetti ragazzini!
-    Neanche la rossa, Dun Broch, ha voluto collaborare? – domandò speranzoso – Lei prova profonda stima nei confronti di voi Cacciatrici. - 
-    Provava. Adesso è accecata dal sentimento più fraudolento di tutti: l’amore. – rispose seriosa come sempre Elsa anche se Fil stavolta riuscì a scorgere nella sua voce una nuova e sottilissima nota di disapprovazione.
Infondo, aveva cresciuto anche lei nel periodo antecedente al suo voto ad Artemide, la conosceva bene.
-    Peccato, sarebbe stata un’ottima aggiunta. – apparve all’improvviso Pocahontas nella schermata, visibilmente delusa – Un’eccellente arciera. –
Fil abbassò la testa.
-    Di una cosa però siamo certe. – continuò ad un tratto la Cacciatrice albina, riaccendendo la speranza nel satiro – Sono loro i ragazzi della profezia, non i quattro capogruppo che avete mandato a salvarli. –
Come se questo cambiasse le cose in positivo!
-    Si, lo immaginavo già. – rispose così sarcastico e l’espressione seria della luogotenente si trasformò in una corrucciata – Volevo dire che non era proprio il genere di notizia che volevo sentire. Sono dei ragazzini. –
-    Lo so. – annuì la ragazza, stavolta lasciando trasparire dal suo sguardo un po’ di preoccupazione – Hanno la stessa età di Anna. –
Allora non aveva dimenticato sua sorella? Bene, perché quest’ultima stava cominciando a pensare che lo avesse fatto.
-    Non voglio mettermi in mezzo alle vostre faccende – cominciò così, cauto - ma dovresti farti viva, Anna soffre molto per la separa... – 
-    Siamo qui per parlare di lavoro, Filottete, le questioni personali sono secondarie. E si da il caso che lei non sia più il satiro incaricato della mia sicurezza, né il mio confidente. – lo zittì, severa.
Da quando era diventata Cacciatrice aveva cominciato a fare anche l’altezzosa!
La Elsa che conosceva lui non era quella dura e orgogliosa luogotenente che adesso lo chiamava Filottete invece di Fil. 
Ma si cresceva e, purtroppo, si cambiava. In anni di lavoro avrebbe dovuto averlo imparato, ormai. 
-    Si, giusto... – decise di cambiare in questo modo argomento per la sua incolumità – Dovreste promettermi una cosa, però... –
Ma non fece in tempo a completare quella proposta perché un rumore di passi conosciuto lo sbigottì improvvisamente.
Non adesso, Nord! 
-    Ci sentiamo dopo, Nord non deve sapere che faccio patti con voi! –
Stava per scacciare il messaggio Iride quando lo stesso Nord arrestò quel suo frettoloso ed inefficace tentativo di occultare le prove.
-    Io non vietare te di fare questo. – disse, austero.
Ultimamente sorrideva sempre meno, a dir la verità, e Fil se n’era accorto. Inutile dire che fosse molto dispiaciuto per questo. Se il suo di morale si era spento, figuriamoci quello di tutti gli altri. 
Gli mancavano quei sorrisi caldi da festività natalizie che riservava alle persone che gli stavano intorno. Forse i fantasmi del passato erano tornati a far visita anche a lui.
-    Se ti fa sentire più tranquillo coinvolgere Cacciatrici... – 
-    Si. Hanno salvato quei ragazzi da un attacco mortale qualche giorno fa. Penso sia la cosa giusta da fare. –
Nord si limitò ad annuire e a dire:
-    Allora andare avanti. –
Le due Cacciatrici – Elsa e Pocahontas – continuavano a guardare pensierose la scena dall’altra parte, aspettando silenziose la nuova richiesta. 
-    Vorrei che voi... - si convinse finalmente il satiro a dire - se avete tempo, ovviamente, e se alla divina Artemide non da fastidio, controllasse quei ragazzi. Seguirli... senza farvi notare. –
-    Vedremo cosa dirà Artemide e le faremo sapere. – annuì Elsa, improvvisamente sbrigativa – Adesso, se non le spiace, dovremmo andare. –
-    Si, certo. – rispose nervoso lui, mentre Nord gli stava ancora dietro – Devo salutare tua sorella da parte tua? –
-    No. Meglio di no. –
E, detto questo, il messaggio Iride svanì, lasciando il satiro e Nord soli, ancora una volta, nella Casa Grande.
Fil faceva male a preoccuparsi tanto per quei quattro ragazzi. Sapevano il fatto loro e, da li a qualche giorno in avanti, l’avrebbe scoperto.

 

N.A.: Dopo un po' di tempo, rieccomi qui, con l'allergia ad uccidermi e gli ultimi compiti ed interrogazioni a darmi il colpo di grazia T^T 
Non  ho potuto rileggere a dovere questo capitolo - significa che l'ho riletto quindici volte invece di venti x'D - perciò... spero sia decente come gli altri. ^^
Allora, ci siamo concentrati su Fil e, sì, oltre alla breve comparsa di Hiccup, i Big Four sono solamente stati citati. Prendete ad esempio questa Missing Moment per capire come sarenno le altre, ecco ;) 
Non ho raccontato il passato del nostro adorato satiro perché identico a quello del film da cui proviene. Semplicemente non mi andava di cambiare il corso degli eventi di quel capolavoro Disney ( che ha migliorato un personaggio della mitologia greca davvero insopportabile di nome Hercules, a mio parere >.< ) perciò che senso aveva raccontarli se sono rimasti immutati? Finivo solamente per annoiarvi.
Così, alla fine, ho optato per un... viaggio nella mente di Fil? Chiamamolo cosi, va'! x'D
Nella prima parte l'ho descritto duro e bisbetico come nella long ( Coach Hedge mode on *-* ) poi però, verso la fine, ho voluto far trasparire l'affetto che comunque prova nei confronti dei ragazzi che addestra - tutti, compresa Elsa che non fa più parte della sua cerchia di semidei se così si può chiamare x'D -. 
E Nord qui, non so, mi da un po' di Silente O.o Non chiedetemi il perché, è una sensazione che ho avuto mentre rileggevo x'D I problemi di una Potterhead partita di testa, immagino. ù.ù 
Inoltre, aggiungiamo un pizzico di pepe a queste Missing Moments: Sandman. Un piccolo mistero che, tranquilli, verrà risolto già nella prossima Missing Moment che avrà come prompt #OldGenerations. Una specie di salto nel passato di Nord - soprattutto - e dei suoi vecchi amici, compreso qualcuno che non vi aspettate... 
La smetto di fare anticipazioni prima che tutto questo mio tentar di accendere la vostra curiosità mi faccia cadere nello spoiler >.< x'D
Detto questo, vi saluto di cuore, vi auguro buoni ultimigiorniditorturascolastica e... nulla, grazie ancora a tutti e alla prossima! 
 



 
 

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Capitolo 4
*** #OldGeneration - Spiacevoli ricordi di una passata giovinezza ***


We are Demigods 
[ Raccolta di Missing Moments ]

 
#OldGeneration
 
Spiacevoli ricordi di una passata giovinezza 
 
Sin dal momento in cui quel ragazzo era giunto al Campo, era parso all’allora giovane e spensierato Nord diverso dagli altri semidei di sua conoscenza.
Non fraintendete però, il figlio di Zeus non era mai stato il tipo che faceva distinzioni in base all’apparire fisico di una persona e, per quanto questo nuovo compagno si mostrasse insolito anche sotto quell’aspetto, non era questo a renderlo davvero “ diverso “.
Ciò che invece lo rendeva veramente tale era il suo stare sempre solo e in disparte, schivo e in allerta, come se si aspettasse continuamente di rimaner vittima di un attacco indesiderato, cosa, a pensarci meglio, del tutto impossibile al Campo – se si escludevano gli scherzi benigni giocati da alcuni figli di Ermes, ovviamente -. 
Nord aveva tentato di farselo amico, intestarditosi ancor di più in seguito ai rifiuti continui del ragazzo – che, per altro, si chiamava Pitch Black, a sottolineare il fatto che la sua fosse una missione impossibile – ma nulla, quel semidio era un osso duro!
Così, aveva escogitato piani su piani per riuscire a convincerlo ad aprirsi con qualcuno, tutti falliti miseramente: feste a sorpresa – “ Odio questo genere di cose “ era stata la sua risposta quella volta -, falò dopo cena – “ Vado in bagno “ aveva detto invece quell’altra, per poi non far più ritorno al punto di ritrovo – e persino attività innovative, come il gioco brevettato personalmente da Toothiana – anche lei indeterminata da un bel po’ di tempo -, il fantasmagorico “ diventa nostro amico, per favoooore “, col solo risultato di farlo innervosire ancor di più del consueto.
Quel giorno però Nord sentiva che non avrebbe fallito. 
Mangiava infatti veloce il suo Oladi al tavolo numero uno, ansioso per l’atteso dopo cena. 
La Caccia alla Bandiera era da sempre stata galeotta di nuove e durature amicizie al Campo e, per quanto quel Pitch Black ci tenesse a restar isolato dal mondo per il resto dei suoi giorni, neanche lui secondo Nord poteva essere immune all’allegria che quell’evento speciale portava con sé ogni volta.
Fu per questo che, quando Fil si alzò dal suo tavolo per declamare la fine di quella cena, lui fu il primo a mettersi sull’attenti.
-    Bene semidei – esordì il satiro dopo essersi pulito per bene il muso sporco col tovagliolo – è giunto il momento di dilettarci con la Caccia alla Bandiera! –
Nord rise. Non era da Fil usare termini come “ dilettarci “ ma - oramai il figlio di Zeus avrebbe dovuto saperlo bene - lui era solamente il portavoce del vero direttore del Campo, il caro e vecchio Manny Moon. Quest’ultimo se ne stava sorridente in disparte, guardando divertito Fil che faceva il suo dovere. 
Quel poverino era nato muto ma, nonostante ciò, si era guadagnato la fama del grande eroe tra gli dei e i semidei del tempo ed era diventato un modello da seguire per tutti quanti laggiù al Campo, specialmente per il giovane Nord che lo ammirava da anni a debita distanza. 
A guardarlo lì seduto, con la lunga veste azzurra luccicante e la testa tonda come la Luna, pareva un astro rubato al cielo. Forse era proprio questo a renderlo così austero e inavvicinabile: la sensazione che appartenesse ad un altro mondo. 
Il modo in cui comunicava poi, col solo uso del suo penetrante sguardo magnetico, contribuiva a costruire la sua immagine di eroe potente, di prediletto dagli dei. 
Il mistero ruotava attorno alla sua figura da anni: nessuno sapeva da dove provenisse o chi fosse il suo genitore divino, eppure continuavano a fidarsi cecamente di lui. 
Tutto ciò che era dato loro sapere sul suo conto era l’impresa che aveva portato a termine vent’anni prima: sconfiggere da solo, col solo aiuto delle sue enormi capacità, un intero esercito di mostri mandati da Crono, il signore del tempo in persona. 
Si vociferava inoltre che avesse addirittura portato per un po’ il flagello di Atlante, il cielo, per questo i suoi capelli, ingrigiti da questo avvenimento, risultavano da lontano così luminosi. 
Perso nei suoi pensieri sul direttore del Campo – come spesso succedeva quando per sbaglio incrociava il suo sguardo -, Nord non si era accorto del richiamo di Fil che, col solito grido bellicoso, aveva incitato i semidei a prendere le attrezzature necessarie a cominciare.
Tutto intento nelle sue riflessioni, si era anche perso l’entrata nel padiglione degli stendardi: quello di Ares, portato fieramente dal suo amico Bunnymund, pronto a vincere a tutti i costi come gli altri anni, e quello di Atena, sorretto da un impacciato Archimedes Porter che, nel tentativo di mantenerlo dritto, aveva rischiato persino di cadere rovinosamente davanti a tutti.
Nord finalmente si attivò, correndo a prendere l’armatura greca pulita e lucidata a dovere per l’occasione e le sue due sciabole preferite. Favoriva quelle ad una spada normale perché, con quei due gioiellini alla mano, diventava imbattibile per chiunque si trovasse alla sua portata.
-    Ehi Nord – Toothiana lo raggiunse raggiante –  La casa di Ermes si allea a quella di Atena. – disse velocemente come di suo solito – E be’, spero che quella di Zeus faccia lo stesso! –
Nord sorrise. Quella di Zeus era costituita solo da lui, dopotutto, non è che ci fossero poi così tante persone da consultare.
-    Certo! – acconsentì così felice, mentre assicurava meglio l’armatura al petto
-    Bene, io vado a prendere... –  Toothiana fece una pausa teatrale per poi articolare a bassa voce -  quella persona.
Il figlio di Zeus fece un cenno d’assenso mentre la ragazza, col fare di chi non aspettava altro da secoli, scattava via verso la cabina numero undici, così veloce che pareva volasse.
Nord sperava davvero tanto che quel piano funzionasse. Nessuno meritava di stare da solo, in fin dei conti, neanche quel Pitch Black. 
-    Nord! – una voce concitata e conosciuta lo chiamò, costringendo il ragazzo a voltarsi e ad abbandonare ancora una volta i suoi pensieri – Di nuovo contro, a quanto pare! –
-    Shostakovich! – esclamò sorpreso – Hai ragione! –
-    Eh eh, non dirmi che è casuale come cosa. – insinuò falsamente corrucciato l’amico, incrociando le braccia al petto 
-    Lo è. – ammise ingenuamente lui in risposta 
-    Certo, come no. – l’espressione offesa di Bunnymund si trasformò in una divertita – Questa volta ti schiaccio come l’altra. –
-    Staremo a vedere! – 
Ed il capogruppo della casa di Ares, non che uno dei suoi migliori amici, raggiunse i suoi dall’altra parte del Campo, pronto a impartire ordini.
Quest’anno la casa di Atena – ovvero la squadra azzurra - si era alleata coi figli di Ermes e quelli di Efesto, più lui, unico ad esserlo di Zeus, mentre quella di Ares - la rossa - con quelli di Apollo, Dioniso e Afrodite. 
Abbastanza equa come sfida.
Mentre Nord si preparava ad ascoltare attentamente le disposizioni impartite dal capogruppo della casa di Atena, Zhou Fa, abile condottiero dei loro tempi, Toothiana li raggiunse accompagnata miracolosamente dall’atteso Pitch Black.
-    Che bello vedere te qui! – esordì Nord, porgendogli una mano che, ovviamente, il diretto interessato non strinse di rimando. 
Deluso ma non ancora piegato, il figlio di Zeus rivolse l’attenzione a quello che adesso era il suo capo, sperando che Pitch facesse lo stesso. 
Zhou assegnò un ruolo a tutti, tranne a Pitch che, come biasimarlo, aveva dimenticato perché questo non si era fatto vedere. 
-    Scusami, non ti avevo notato. – gli disse così in sua discolpa, ma Pitch sbuffò 
-    Non importa, tanto sapevo come sarebbe andata a finire. – rispose lui, lanciando uno sguardo eloquente a Toothiana, come a dirle “ te l’avevo detto, ragazzina insistente “ 
-    Può venire con me. – si intromise all’improvviso Nord nella conversazione, deciso più che mai a farselo amico.
Ora o mai più.
-    Certo, mi sembra un’ottima soluzione. – annuì soddisfatto il figlio di Atena – Adesso, ognuno ai proprio posti! –
Nord accompagnò veloce Pitch a prendere l’equipaggiamento necessario: non era rimasta nemmeno una spada. 
-    Prestare mia se ti serve. – propose Nord e l’indeterminato rispose con una smorfia
-    Okay...  extracomunitario. – sussurrò poi quest’ultimo la parola finale
-    Come scusa? –
-    Nulla. –
Si misero in posizione, loro che avevano l’arduo compito di conquistare la bandiera nemica. 
-    Zhou fidare tanto di te se dato questo compito, sai? – provò a dirgli per incoraggiarlo mentre aspettavano ansiosi il fischio d’inizio
-    Non mi dire! – fece finta di esserne contento il suo interlocutore - Esplodo di gioia. –
E poi, il suono della conchiglia ed un urlo di battaglia squarciò il silenzio al Campo, dando il via alla Caccia.
Nord e Pitch cominciarono a correre, fianco a fianco, e questo muoversi così vicini stava convincendo sempre più il primo di poter riuscire ad instaurare una sottospecie di amicizia col secondo se sarebbero riusciti a vincere quella sfida insieme. 
-    Dove potrebbero averla nascosta? – chiese affannato l’indeterminato al figlio di Zeus mentre, imperterrito, continuava a correre
-    Probabilmente vicino a grossi alberi lì in fondo! – rispose semplicemente Nord, rendendo la cosa più semplice del previsto agli occhi dell’alleato
-    Oh certo, “ grossi alberi lì in fondo “. - ripeté sarcastico Pitch facendogli il verso
-    Tu sopravvalutare intelligenza di figli di Ares. Loro puntare su forza bruta, non su nascondiglio perfetto. Avranno messo guardie a protezione di bandiera, capisci? – spiegò per non permettere a quel pivello di prenderlo in giro così facilmente.
Del resto era un nuovo arrivato, come si permetteva di fare così il gradasso con lui?
Di fatti, umiliato, Pitch non seppe cosa rispondere a quel punto.
-    Oh tranquillo, imparerai presto. – lo rincuorò così Nord sorridendogli per non sembrare troppo autoritario con lui.
Infondo dovevano diventare amici, non nemici, ed il primo passo per farlo era essere gentile con lui, sebbene quest’ultimo fosse il primo a non esserlo di rimando. 
Dopo qualche minuto di corsa ininterrotta, ecco stagliarsi finalmentedavanti a loro la squadra difensiva imposta da Bunnymund: un ragazzo solo
-    Sandman? – domandò stupito Pitch, facendosi inevitabilmente sentire e guadagnandosi uno scossone arrabbiato da parte di Nord
-    Shhh, fare saltare copertura! – lo ammonì poi a bassa voce – Di sicuro questo è un trucco. Per quanto forte, mio amico Sandman non può essere l’unico guardiano di bandiera. –
Sandman non era un amico, ma L’amico per Nord e chi meglio di lui poteva conoscerlo? Un figlio di Apollo più dolce che bellicoso; era impossibile che ci fosse solo lui a difesa della bandiera.
-    Che facciamo allora, sotutto? – lo apostrofò l’alleato, guadagnandosi un altro spintone – Ahi!
-    Non sono io un sotutto – mise in chiaro il figlio di Zeus - sei tu ad essere “ soniente “. – 
-    Okay, okay, ma quindi che si fa? –
-    Avanziamo, cerchiamo di eliminare lui e non abbassiamo mai guardia. –
-    Ci sto. –
Così, uscirono allo scoperto. Sandman sorrise, col solito cipiglio dolce e le braccia aperte, come pronte a darti un abbraccio. 
Nord sentì Pitch ridergli affianco. 
-    Allora, Sandy... quest’anno sei tu guardiano di bandiera. – disse, mantenendo entrambe le mani posate sulle sciabole e gli occhi ben attenti sul paesaggio circostante.
Il figlio di Apollo annuì: era un tipo di poche parole.
-    Allora... devo spodestarti? – chiese poi, continuando a guardarsi intorno mentre Pitch, alle sue spalle, osservava divertito quella scena assurda.
Avrebbe voluto dirgli di smetterla di prendere la cosa così poco seriamente ma la vera squadra a protezione della bandiera sbucò poco dopo rapida dai cespugli vicini, formata da tre figli di Ares – tra cui il caro Bunnymund –, uno di Apollo – Thomas Corona - ed uno di Dioniso – un ragazzo a Nord sconosciuto completamente ubriaco vestito da menestrello -.
Okay, forse l’ultimo in questione non era una vera minaccia ma gli altri? Era la fine di quella Caccia alla Bandiera.
-    Nord, finalmente possiamo sfidarci! – esordì soddisfatto Bunnymund e Nord, che aspettava di sfidarlo da mesi, si lanciò all’attacco.
Mentre menava fendenti su fendenti contro il boomerang dell’amico per cercare di disarmarlo, lanciò un ordine all’alleato Pitch:
-    Seminali e cerca bandiera! – 
Ma, mentre lottava contro Bunnymund, c’erano altre quattro persone alle calcagna dell’alleato, per altro disarmato. Il figlio di Zeus non poteva che confidare nella velocità, nell’astuzia e nel corpo snello del ragazzo per vincere.
-    E tu che ci fai qui? – sentì dire ad un figlio di Ares, Gaston parve a Nord dalla voce – Partecipano anche gli esclusi alla Caccia alla Bandiera? – 
L’altro ragazzo accanto a lui rise.
-    Non importunarlo, Gaston. – fu Thomas Corona a parlare adesso che Nord si era sistemato in modo da poter lottare e controllare la scena allo stesso tempo 
-    Oh andiamo, la Caccia alla Bandiera serve a divertirsi, no? Divertiamoci un po’ col nostro amico. –
Nord vide Pitch indietreggiare preoccupato mentre Gaston e il suo compagno si avvicinavano minacciosi a lui. 
Bunnymund, di spalle e troppo occupato a vincere, non si era accorto di nulla. Nord doveva disarmarlo il prima possibile per andare ad aiutare Pitch.
-    Cosa volete da me?! – ruggì ad un tratto rabbioso quest’ultimo
-    Sei stato abbandonato, vero? – cominciò Gaston, soddisfatto - Non hai famiglia. Ti ho sentito piagnucolare l’altro giorno col direttore Moon. Non sai chi è il tuo genitore divino e quello mortale invece ti ha lasciato in un convento quando avevi un anno. È per questo che non vuoi farti degli amici, non è così? Hai paura che ti piantino di nuovo! - 
E risero, ancora.
Nord non sapeva la vera storia di quel ragazzo e, a sentirla, rabbrividì. Adesso si spiegavano molte cose.
-    Se ti hanno mollato tuo padre e tua madre, figurati un amico! Povero Black, tutto solo, a farsi proteggere dal prediletto di Zeus. –
Fu in quel momento che Nord, preso dalla rabbia e dalla foga di difendere il nuovo amico, riuscì a disarmare Bunnymund, riportando anche quest’ultimo alla realtà.
Corsero insieme verso Gaston e gli altri della squadra rossa mentre Sandy e Thomas cercavano di placare gli animi lì intorno. 
-    Ammetti che è vero! – urlò Gaston verso l’indeterminato mentre, in seguito a quel suo urlo, tutti i partecipanti accorrevano a vedere – Ammetti di essere un rifiutato dalla società! –
Adesso che Nord si trovava vicino all’azione, sentiva un potere enorme e sconosciuto scorrere sotto ai suoi piedi. Non sapeva cosa fosse o significasse l’accumularsi di quella potenza distruttiva sotto di sé, eppure ne era terribilmente spaventato. 
Quando vide Pitch con gli occhi dorati ricolmi di una rabbia fin troppo repressa capì, ma fu troppo tardi per lui, troppo tardi per tutti.
-    BASTA! – urlò il ragazzo, con una voce sovrumana, non sua, che bastò a far arretrare i presenti
-    Non farlo, Pitch! – riuscì solamente ad urlare Nord, invano. 
Un’enorme chiazza nera si allargò sotto ai piedi dell’indeterminato, sprigionando un potere a cui i ragazzi del Campo, compresi Fil e Manny che erano appena accorsi a vedere, non avevano mai assistito.
Da quella macchia oscura sorse un arco nero come la pece con una freccia dello stesso colore stesa accanto.
Col medesimo barlume folle di poco prima, il giovane Pitch la prese, la sistemò con la mano tremante nel nuovo arco e la lanciò sui presenti senza prendere la mira, del tutto incosciente di ciò che stava facendo. 
Per un attimo sembrò che avesse fortunatamente mancato sia i suoi aggressori che il resto dei ragazzi riuniti, poi però, proprio affianco al figlio di Zeus, l’amico di una vita cadde a terra, con una freccia infilzata nel petto e gli occhi oramai spenti dall’oscurità. 
-    Sandman! – urlò, abbassandosi tremante su quel corpo senza vita.
Non poteva essere vero. 
-    Sandman! – ripeté, come se il solo utilizzo della sua voce potesse riportarlo tra loro. 
Piangente, spostò poi il suo sguardo verso il carnefice di quella morte senza senso che, adesso, aveva perso tutta l’aria folle di poco prima. 
Tentò di avvicinarsi a carponi al cadavere insanguinato del figlio di Apollo, scosso,  ma gli altri semidei e Fil lo respinsero prontamente, riservandogli con risentimento duri sguardi accusatori.  -    Io... io non ... non... non... non volevo! – balbettava tremante, non riuscendo tuttavia in questo modo a guadagnarsi la compassione di Nord 
-    Va via. –  gli disse infatti serio come non lo era mai stato prima dall’allora. 
E Pitch, ancora incredulo di fronte al dolore che aveva provocato, lo fece, sparì nella stessa nebbia scura da cui un istante prima aveva fatto apparire involontariamente quel suo strumento infernale. 
Mentre lo guardava svanire, Nord pregò sottovoce suo padre affinché lo tenesse lontano dal Campo, lontano da lui e dai suoi amici. 
Mentre continuava ad invocare l’aiuto di suo padre e, per la prima volta in vita sua, di tutti gli dei dell’Olimpo e non, Manny Moon si avvicinò triste al corpo del giovane Sandman per dargli il suo estremo saluto mentre, in un gesto disperato, il figlio di Zeus si aggrappava saldo alla sua veste. 
Il direttore gli diede del colpetti sulla schiena, comprensivo, e quel gesto fece trovare a Nord il coraggio necessario a fargli una proposta. 
-    Per favore, tu sei forte. – disse tra una lacrima ed un gemito- Deve esserci modo per salvarlo! – 
L’uomo scosse affranto la testa, chiamando poi a suo cospetto Fil che, fino a poco prima era rimasto, in preda ad un misto di sconcerto e dolore, nell’angolo.
Si fissarono negli occhi per un po’, poi Manny fece un gesto con la mano ed il satiro tradusse:
-    Non ci sono rimedi al Fato, Nord. –
Questo si accasciò a terra accanto al corpo di Sandy mentre un sacco di amici si univano increduli al suo pianto. Nessuno avrebbe più visto quel figlio di Apollo sorridere gioioso alla vita, vita che oramai si era spenta inesorabile con lui. E nulla, nulla, da quel momento in poi sarebbe stata la stessa. Non adesso che il giovane figlio di Zeus aveva assistito alla morte di un caro amico e alla nascita del movente che, anni dopo, avrebbe portato all’ascesa di un nemico senza eguali. 

 

N.A.: Non fare la sadica per troppo tempo mi fa male perché poi sforno queste cose altamente spaccacuore. Spero di non aver ucciso i feels dei miei lettori più sensibili perché... andiamo, la morte di Sandy nel film, nonostante sia stata temporanea, ha colpito un po' tutti - negativamente parlando - ed io sono andata a... punzecchiare questa ferita ancora aperta! >.< Tra l'altro senza dare al nostro omino del sonno lo stesso bel finale che ha ne Le 5 leggende. Ma, ehi, essendo questo un PercyJackson!AU credetemi, nei Campi Elisi si sta meglio che nella vita terrena x'D
Chiudendo questa triste parentesi, scusate per il leggero ritardo ma questa Missing Moment è stata la più difficile da scrivere per me che dovevo trovare altri personaggi Disney/Non da infilare nella Old Generation. Sono stata giorni a scavare nella mia mente e a fare ricerche su ricerche per trovare le comparse perfette e... non so se alla fine ci sono riuscita ma sarete voi a dirmelo! ^^"
Allora andiamo per gradi. Innanzitutto troviamo gli altri guardiani de Le 5 leggende - ai quali ho dato i nomi inglesi perché qui sono umani ed i nomi italiani li trovavo ridicoli per dei ragazzi x'D Non che quelli inglesi siano meglio,eh, in fin dei conti, ma capitemi! - e gli ho assegnati agli dei che mi sembravano più adatti come loro genitori divini.
Se fosse stato per me, Sandman sarebbe stato un figlio di Ipno, lo ammetto, ma qui, l'avrò ripetuto un fantastigliardo di volte, le cabine dedicate agli dei minori non esistevano ancora - in quanto vengono aggiunte grazie ai Big Fuor alla fine della long ;) - e avevo già messo la nostra Toothiana tra gli indeterminati - dato che io la vedo come figlia di Iride *-* - perciò... capitemi, sarebbe sembrato ripetitivo. E Bunnymund... va be' non c'è da spiegarsi, è figlio di Ares, punto
Poi, vediamo un po'... ah si, Archimedes Porter, quanti l'hanno riconosciuto? Il papà di Jane in Tarzan *-* Mi ero accorta di aver dimenticato i personaggi di quest'altro capolavoro Disney nella long perciò ho voluto rimediare.
E poi... ah si, Zhou Fa, il papà di Mulan! A proposito di lui, l'ho messo nella progenie di Atena non solo perché lo trovavo az​zecatissimo in quella cabina ma, essendo anche qui nella mia fan fiction il padre di Mulan, anche perché se i semidei hanno figli c'è una possibilità che anche questi ereditino i poteri dal genitore divino del semidio che gli fa da genitore, in questa caso dalla nonna Atena. Per cui boh, mi sembrava una scelta giusta.
Poi Thomas Corona che, sì, in teoria dovrebbe essere il padre di Punzie ma sapete già che in questo AU la nostra principessa preferita è figlia di Apollo e di Madre Gothel per cui qui è un ragazzo qualunque figlio del dio del Sole ;) 
E Gaston... l'ho messo nella progenie di Ares perché ce lo vedevo a fare il gradasso e a provocare Pitch, tipico comportamento da figli del dio della guerra. 
A proposito di Pitch... questa Missing Moment serviva proprio a dare un movente a quello che ha fatto nella long perché un odio così grande verso il padre, gli dei ed i semidei in genere non poteva nascere dal nulla, no? Sarebbe stato un personaggio meno vero così e rovinare un cattivo affascinante come lui non mi sembrava giusto. 
E Manny Moon, Capitan Ovvio time, è ovviamente l'Uomo della Luna de Le 5 leggende. Qui l'ho fatto in versione umana - ma va! -, lasciandogli però quell' aurea di mistero che emana anche nel film in cui appare. Per questo la sua storia è così enigmatica e lo descrivo quasi come un essere ultraterreno allo sguardo del curioso e rispettoso Nord. 
Insomma, dovrei aver detto tutto. Se così non fosse non esitate a chiedere nelle recensioni ;)
Grazie ancora a tutti quelli che se mi sostengono sempre seguendo e recensendo la storia e... che dire se non alla prossima? 








 
 

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Capitolo 5
*** #Toothless - Anche un mostro può provare emozioni ***


We are Demigods
[ Raccolta di Missing Moments ] 
 
# Toothless 
Anche un mostro può provare emozioni 

Migliaia erano i draghi che quel giorno volteggiavano armoniosi in cielo. 
Orripilanti Bizzippi, Incubi Orrendi e Uncinati Mortali parevano in festa, come i Gronkio e i Terribili Terrori, mentre tutti uniti sorvolavano leggiadri le acque che circondavano la loro isola natia - l’Isola dei Draghi - quasi ballando.
Sulla scogliera più alta di quel pezzo di terra in mezzo al mare che loro chiamavano casa, una coppia di Furie Buie, le ultime rappresentanti di quella specie al mondo, attendevano impazienti la schiusa del loro piccolo ed unico uovo.
Il chiasso provocato dai loro compagni draghi cessò solo quando quest’ultimo cominciò a tremare - prima debolmente e poi più animatamente - nel suo caldo nido fatto di rami, ridestando così i genitori dalla loro sfiancante attesa. 
Il mondo sembrò bloccarsi in quell’istante, concentrato solamente sull’involucro scuro traballante e su ciò che conteneva. 
Un piccolo crac e poi, inaspettatamente, un musino color pece sbucò incuriosito dall’uovo semiaperto, annusando l’aria per la prima volta nella vita.
I suoi genitori ruggirono, avvisando così i compagni di isola del piacevole evento e questi, gioiosi come mai lo erano stati, ricominciarono la loro danza per festeggiare insieme l’ultimo, raro cucciolo di Furia Buia.

 
***

Stava crescendo bene, il piccolo draghetto, assieme alle cure della madre e agli insegnamenti del padre.  
Sebbene alla nascita fosse sembrato un tipo timido agli occhi degli altri del branco, adesso giocava contento con chiunque gli si avvicinasse: che fossero draghi, uccelli o qualsiasi altro animale al mondo in grado di muoversi, erano invitati ad essere amici suoi. 
Ed il pesce: oh, come adorava il pesce! Avrebbe potuto mangiarne a bizzeffe tutto il giorno, tutti i giorni, solo che poi, si diceva sempre prima di strafare, non avrebbe potuto giocare e vincere ad acchiapparello con la pancia troppo piena. 
Giocare: l’unica cosa che gli importava e piaceva in quei suoi primi, importanti mesi di vita. E come biasimarlo, a tutti i cuccioli interessava farlo dopotutto! 
Fu proprio mentre era assorto nella sua attività preferita che infatti, un giorno, scoprì il significato della parola umano
Non che nessuno gliene avesse parlato prima. Anzi, i suoi genitori e gli altri draghi adulti gli avevano numerose volte spiegato quale pericolo questi rappresentassero per loro, descrivendoli sempre come esseri nati dalla più oscura malvagità presente sulla Terra, avvolti in fitti strati di pelle e muscoli per mimetizzare il loro corpo da demone agli occhi altrui ma lui, titubante, non aveva creduto a nessuna di quelle storie tanto orribili quanto fantasiose: vi avrebbe creduto solamente dopo averne visto uno coi suoi grandi occhioni vivaci.
Non credeva che però quel desiderio di toccar con zampa questa antica leggenda fosse fattibile e, soprattutto, che si potesse avverare così presto.  
Giocava spensierato ad acchiapparello con dei Terribili Terrori e dei cuccioli di Uncinato Mortale quando, in lontananza, ne avvistò uno, apparentemente solo.  
I suoi amici scapparono subito cercando invano di portarlo via con loro ma il cucciolo di Furia Buia non aveva aspettato altro da mesi e ciò che meno desiderava in quel momento era proprio farsi scappare un’occasione irripetibile come quella. 
Così, di soppiatto, come un gatto affamato che inseguiva la sua preda, si avvicinò alla figura alta dell’uomo avvistato: non era poi così spaventoso coi capelli lunghi legati in spessi dreads, ed insieme a lui stava anche un cucciolo d’umano che, curioso esattamente come la piccola Furia Buia, toccava qualunque cosa gli capitasse a tiro.
-    Eret, smettila di giocare, abbiamo una missione importante da svolgere. – sentenziò irritato l’uomo verso il bambino, strattonandogli prepotentemente il braccio sinistro per incitarlo a muoversi. 
Alla Furia Buia, alla quale era stato insegnato dal padre che la violenza non portava a nulla se usata a sproposito, scappò un piccolo ruggito, che però non sfuggì alle orecchie dell’uomo più grande presente.
-    Ma cosa abbiamo qui? – disse mentre, ormai scoperto, il cucciolo tremava di paura.
L’umano scostò nel giro di pochi secondi i cespugli nei quali la Furia Buia aveva trovato nascondiglio, scovandola e afferrandola poco dopo vittorioso per la coda.
-    Ah ah! – esclamò soddisfatto mentre il bambino, sorpreso, scrutava estasiato il piccolo animale – La prova che siamo nel posto giusto. – 
Il cucciolo di Furia Buia provò a dimenarsi ma inutilmente. L’umano che lo stringeva si limitò a ridere dei suoi goffi tentativi di fuga, scaraventandolo poi violentemente in una piccola ed angusta gabbia da passeggio. 
-    Meno uno. – ghignò – Ne mancano altre centinaia. –
In trappola, il piccolo drago non poté far altro che osservare tristemente la foresta davanti a sé mentre l’uomo scotolava animatamente la gabbia nel suo cammino. Il piccolo umano – Eret - invece cercava di sfiorarlo lasciando passare una mano attraverso le sbarre, guadagnandosi così facendo però solamente altri rimproveri dall’adulto severo che lo accompagnava. 
-    Lascialo stare. –
-    Ma sembra triste, Drago! – rispose in sua discolpa il piccolo Eret, malinconico
-    Non ci importa. L’uomo nero ci ha chiesto di portarli tutti da lui. – liquidò tuttavia il discorso Drago, continuando a camminare spedito nella foresta ed ignorando il cipiglio amareggiato che si era appena stagliato sul volto del bambino.
Il piccolo Furia Buia tremava intanto preoccupato nella sua prigione: si stavano avvicinando pericolosamente al posto in cui i suoi genitori ed i suoi amici vivevano tutti assieme, il centro dell’Isola dei draghi. Ma, in fondo, cosa potevano un uomo ed un bambino contro un intero branco di draghi ed il loro Alpha? Quest’ultimo li avrebbe protetti tutti mentre i suoi genitori lo liberavano da quella gabbia: sarebbe andato tutto bene.
-    Guarda Eret! – chiamò poi il bambino improvvisamente – Eccoli qua! – 
Il draghetto alzò gli occhi per controllare a cosa l’uomo si riferisse: erano giunti proprio al posto che lui temeva raggiungessero. 
Speranzoso però ruggì per avvisare i genitori della presenza di estranei e questi, captando il suo richiamò, si voltarono più infiammati che mai verso i due umani in questione. Il cucciolo sentì la gabbia tremare più del dovuto, segno che il maggiore dei due fosse terrorizzato, o almeno così lui credeva.
Quel tremore percepito era invece rabbia, ardore assassino, distruzione
L’uomo lasciò cadere la gabbia del piccolo sull’erba verde ed umida per poi correre spedito verso i suoi genitori con una lunga e spaventosa lancia alla mano. 
-    Eret, chiamalo! – urlò intanto al bambino mentre duellava – Mi hai sentito?! Chiamalo!
Ma al piccolo drago, troppo occupato ad osservare preoccupato la lotta fra i suoi genitori e l’uomo che l’aveva imprigionato, non interessava cosa il bambino fosse incaricato a chiamare.
Avrebbe fatto meglio ad interessarsene però.
Un ruggito spaventoso squarciò infatti subito dopo l’aria. Tutti i draghi si zittirono improvvisamente, sbigottiti, mentre le due Furie Buie adulte atterravano finalmente Drago, rumoreggiante di dolore. 
Il loro Alpha – un drago mastodontico, bianco candido come la neve e provvisto di due enormi e profondi occhi lividi color cielo - sbucò dal mare per contrattaccare, ritrovandosi davanti nient’altro che un suo simile più scuro. 
-    Siete finiti! – esclamò, sebbene dolorante, Drago. 
I genitori della Furia Buia furono così distratti dalla lotta in corso tra l’Alpha e l’enorme drago degli umani da non notare l’uomo fino a poco prima da loro sottomesso di nuovo in piedi, intento a brandire la sua grande lancia con la mano destra mentre l’altra di mano gocciolava orribilmente sangue sull’erba sottostante.
-    Avrò la mia vendetta! – urlò mentre correva infuocato di rabbia verso il padre del cucciolo, infilzandolo alla fine della corsa dritto al cuore pulsante, trasformando il maestoso Furia Buia in nient’altro che cenere.
Straziato dalla scena, il draghetto si rannicchiò sotto una delle sue ali mentre lacrime bollenti sgorgavano inevitabilmente dai suoi occhioni verdi. 
Non poteva averlo visto davvero. Non poteva essere successo. 
Era un incubo. Doveva solamente trovare il modo di svegliarsi mentre i ruggiti di dolore di sua madre echeggiavano nella radura assieme a quelli dell’Alpha morente, sconfitto dall’altro possente drago di ghiaccio. 
In pochi, piccolissimi attimi era diventato orfano e prigioniero. 
E, mentre il nuovo Alpha prendeva il controllo dei draghi adulti rimasti nel branco, il piccolo Furia Buia continuava a piangere sconfitto sotto la sua ala, sperando che, chiudendo gli occhi, sarebbe riuscito a svegliarsi accanto ai suoi genitori, un’ultima volta.

 
***

Quindici anni dopo il piccolo Furia Buia – oramai adulto – non era ancora riuscito a destarsi da quel brutto sogno. Anzi, questo era diventato persino più nitido, più insopportabile ai suoi occhi un tempo carichi di verde speranza e adesso inevitabilmente colmi di oscurità e sconforto. 
Se ne stava lì, coi compagni draghi, a passeggiare senza meta nella grotta in cui erano stati confinati. Su e giù, avanti e indietro, fino a quando l’Alpha non veniva a trovarli ed i ricordi svanivano all’improvviso. 
Dimenticava se stesso in quei momenti, risvegliandosi molte ore dopo nella solita grotta umida, con solamente qualche sprazzo di verità a fargli compagnia. Verità oscene, verità che avrebbe preferito di gran lunga poter ignorare.
Volti di ragazzi che lo imploravano di risparmiarli, ringhi mostruosi provenienti dal suo stesso muso e poi sangue, ovunque
Nonostante sapeva di esser costretto dal suo nuovo Alpha – obbligato a sua volta da quel Drago ed il suo compare oscuro – a compiere tutte quelle orribili azioni, si sentiva colpevole, responsabile di una debolezza che, sebbene fosse un drago – ovvero un essere forte, fiero e sempre coraggioso secondo il pensiero popolare, privo di qualsiasi volubilità terrena -, aveva: non possedere una personalità.
Cos’era lui se non una marionetta messa lì, ad eseguire i compiti impartiti da qualcun’altro? 
Non era abbastanza forte da dire di no e questo per lui sì, era una debolezza.
Un drago che veniva meno alla sua moralità era un drago privo di carattere, un drago fantoccio. Era a questo che tutti gli insegnamenti di suo padre erano serviti? A diventare schiavo?
Evidentemente sì perché, per quanto ci avesse provato numerose volte, non riusciva proprio a resistere all’impulso di obbedire all’Alpha, esattamente come non ci riuscivano tutti gli altri. 
L’unica cosa che lo consolava in quello attuale status da prigioniero-schiavo era Eret, non più bambino di nove anni che eseguiva gli ordini del suo capo. No, lui si era affezionato ai draghi, si era affezionato a lui
Quando Drago e l’uomo nero non c’erano infatti, il ragazzo ne approfittava per regalare un po’ di gioia ai prigionieri alati. Portava loro del pesce, dei giochi, delle attività divertenti da fare. 
A volte, se si sentiva abbastanza sicuro di sé, lasciava pure che questi sgranchissero le ali all’aria aperta, di loro spontanea volontà, senza una missione assassina ad impegnarli. E come amava la Furia Buia volare libero senza costrizioni!
Gli ricordava casa: radiosa, calda, dolce casa. E sua madre e suo padre, soprattutto, ancora lì a sorridergli e a ruggirgli incoraggiamenti.
Per un primo periodo aveva pianto per loro, poi però aveva capito che era stato meglio così, che era meglio morire all’Isola dei draghi che vivere in quel modo là dentro.
Ciò che faceva vivere meglio lui era appunto il desiderio e l’ambizione di far ritorno un giorno alla sua terra natia, di poter correre di nuovo felice tra le sue scogliere, di poter respirare ancora una volta l’aria pulita della libertà.

 
***

-    Non posso più vivere in questo modo, capisci?! – inveì Eret contro il capo Drago per la prima volta in tutta la sua vita.
Drago lo guardava accigliato mentre tutti i draghi volgevano all’unisono le teste da lucertola al litigio in corso, speranzosi. 
La Furia Buia pregò che il suo amico riuscisse a cambiare qualcosa, che li liberasse tutti finalmente.
-    Ti sei affezionato a questi assassini?! – rispose però a tono Drago, stagliandosi sempre più alto davanti alla figura del giovane Eret – Dimentichi cosa mi hanno fatto quindici anni fa! –
E lo fece: con un colpo secco staccò il braccio sinistro metallico dalla parte vera del suo corpo, facendo arretrare inorridito Eret. 
Quel braccio l’aveva perso nella battaglia con le due Furie Buie, il loro cucciolo lo ricordava ancora.
-    Avevi imprigionato loro figlio! – continuò però dopo un attimo di scherno Eret, serio – Era il minimo che potessero fare per riaverlo. –
-    Preferisci la salute di uno stupido drago alla mia?! Io ti ho cresciuto Eret! Quando tuo padre e tua madre hanno deciso di abbandonarti a me io mi sono preso cura di te! – sottolineò volutamente con la voce quell’io e quel te 
-    Fortunatamente hai fatto un pessimo lavoro perché io – lo ripagò con la sua stessa moneta il figlioccio  – non sono come te. – 
Detto questo, il giovane si avvicinò noncurante delle urla di rabbia del suo ex tutore alla Furia Buia, sorridendo. 
-    Andiamo via bello, promesso. – gli sussurrò, e il drago sussultò incredulo.
Non poteva essere vero. Stava finalmente abbandonando quel posto, lo stava facendo davvero.
Eret spezzò le catene con un colpo secco di ascia mentre Drago continuava ad inveire contro di lui, spostando con la forza tutti draghi che ostacolavano il suo passaggio.
-    Cosa pensi di fare, ragazzo?! – lo inseguì - Quella Furia Buia ti ucciderà! Non durerai un secondo in sua compagnia!  –
-    Lasciamo questo posto. – ignorò l’uomo che gli urlava contro Eret, incitando la Furia Buia a partire una volta salitogli sul dorso.
E quest’ultima non se lo fece ripetere due volte. Librò in volo, osservando estasiato la faccia arrabbiata dell’uccisore dei suoi genitori e un po’ più triste gli amici draghi che rimanevano lì, nell’oscurità di quella prigione.
-    Verrò a prendere anche voi, promesso! – urlò però poi Eret, come se avesse letto nei pensieri dell’amico che lo accompagnava verso l’uscita della grotta.
Il drago color pece seguì ostinato la luce davanti a sé - strizzando tuttavia un po’ gli occhi verdi non più abituati a tale luminosità nel volo –, finalmente pronto a cominciare una nuova vita col suo nuovo, prezioso amico umano. 

 
***

Quella felicità appena riacquistata dal cuore della Furia Buia durò poco, purtroppo.
I primi giorni furono idillio totale: sovrastarono città e paesi, facendo a gara con gli uccelli a chi volava più veloce.
Poter sgranchire le ali senza l’Alpha a controllarlo era una sensazione bellissima. Si sentiva finalmente padrone di se stesso e delle sue azioni, finalmente libero. 
Poi però la pacchia dovette inevitabilmente finire. Erano fuggitivi del resto e sia lui che Eret, dopo quei primi giorni di euforia, dovettero cedere ai bisogni fisiologici di ogni creatura vivente, come quello di dormire e di mangiare.
Si fermarono così nella prima foresta a portata d’ala, convinti che i folti alberi verdi li avrebbero protetti dagli eventuali attacchi a scopo vendicativo di Drago e del suo potente e sottomesso Alpha. Lì cercarono acqua e viveri ed un buon riparo per la notte ma fu quando arrivò il momento di accendere un fuoco che sorse un problema.
La Furia Buia si offrì ovviamente volontaria per farlo dato che, sì, sapeva sputare fuoco come tutti gli altri draghi ma Eret, dopo aver pagato la cosa a sue spese in seguito ad un tentativo di quest’ultima, aveva capito che, per evitare un incendio doloso nella foresta, sarebbe stato meglio per lui accenderlo alla buona e vecchia maniera umana.
Peccato che il posto in cui riuscì a trovare la miglior sterpaglia fosse irraggiungibile per un drago delle dimensioni del compagno di viaggio. 
Così, dovette lasciarlo solo, addentrandosi con un misero pugnale nella fitta e insidiosa foresta scura.
-    Tornerò presto. – aveva detto prima di sparire, ma quella fu la prima delle promesse fatte e poi non mantenute dal giovane Eret.
Il presto si trasformò in ore e le ore si trasformarono in giorni. Giorni passati ad attenderlo imperterrito al loro punto di ritrovo ma nulla, era scomparso.
Quando poi, stanco e preoccupato allo stesso tempo, la Furia Buia si decise ad agire, ciò che mai avrebbe potuto immaginare accadde: degli scoiattoli all’apparenza innocui si trasformarono in signore con la pelle raggrinzita provviste di possenti e micidiali zanne giallastre, abbastanza appuntite da lacerargli la pelle forte e dura da drago. 
E fu combattendo e ruggendo a gran voce contro di esse che la sfortunata Furia Buia si rese conto di aver perso l’ennesima persona importante nella sua vita per mano loro. 
Ne avrebbe mai trovata un’altra? 
Lui ancora non lo sapeva ma proprio quella che stava aspettando giaceva a pochi metri da lui, insonne ma tutto sommato comodo, nella sua enorme tenda biancastra, chiedendosi proprio cosa mai fosse la figura scura che il giorno prima aveva avvistato casualmente in cielo.

 

N.A.: Dopo quindici giorni mi decido ad aggiornare! >.< 
La verità è che stavolta sono stata vittima - tanto per cambiare - dell'ennesimo blocco dello scrittore. Perché di regola la Missing Moment di oggi sarebbe dovuta essere incentrata sulla storia di Elsa, Anna e Flynn visto che tutti e tre appaiono mooolto prima del puccioso Sdentato ma, siccome ho deciso di dividerla in due parti - sì, sarà lunga come cosa - ho pensato fosse più sensato postare quella dedicata alla dolce Furia Buia prima. E qui mi è sorto il problema che ha portato a questo mio estremo ritardo: Cosa diamine scrivere su di lui?
Si perché non avevo ancora pensato al suo passato dato che mi ero convinta di dover scrivere prima quello sulla Cacciatrice Elsa.
Perciò, scusatemi, sono sempre la solita. T^T E pensare che mi sono sempre vista come una persona abbastanza organizzata >.<
Ma anyway, con la speranza di un vostro imminente perdono, vado al triste passato del nostro piccolo - e qui sfigatissimo - Toothless.
Come sempre sono un mostro. Ma mi piaceva l'idea che Hiccup fosse il suo raggio di sole in una vita altrimenti buia. E, per farlo, dovevo prima trasformarla appunto in... buia. ^^" x'D
Se vi state chiedendo cosa siano esattamente Drago ed Eret in questa fan fiction, eccomi qui, pronta a spiegare anche questa cosa che, ahimè, dalla Missing Moment, scritta dal punto di vista della Furia Buia, qui ancora senza nome, non poteva trapelare - dato che il primo a non sapere chi siano questi due tizi è proprio Sdentato x'D - .
Drago è un figlio di Ares - più assatanato di lui non ce n'è a mio parere - mentre Eret è un normalissimo mortale con l'abilità di poter vedere attraverso la Foschia. Come invece nella One Shot si è capito, quest'ultimo è stato abbandonato dai suoi genitori mortali - non chiedetemi il perché, volevo solamente trovare qualcosa che lo legasse al " caro " Bludvist - ed affidato a Drago. In Dragon Trainer 2 infatti non avevo ben capito perché Eret lavorasse per lui, ma l'ho visto solo una volta quindi forse non me lo ricordo x'D E ho infatti deciso di farlo convertire come nel film, facendolo diventare amico dei draghi prigionieri.
Poi l'ho ucciso ma... dettagli x'D
Insomma, nella speranza che anche quest'altra Missing Moment non vi abbia annoiato - il mio terrore è sempre quello ormai >.< - vi saluto e ringrazio come sempre, perché senza la vostra costante presenza questi miei frequenti blocchi dello scrittore non verrebbero arrestati ( ? ) dalla forza di volontà che siete voi a trasmettermi ogni volta. 
Grazie ancora per tutto, vi strappazzerei ad uno ad uno di coccole 

Alla prossima! 
 
 

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Capitolo 6
*** #HunterPart1 - La paura sarà il tuo nemico, Elsa ***


We are Demigods
[ Raccolta di Missing Moments ]

 
# HunterPart1 
 
La paura sarà il tuo nemico, Elsa
- Parte 1 -

 
-    Elsa, psst! – la chiamò anche quella notte la sorella minore – Sveglia, sveglia, svegliati! –
La bimba addormentata sapeva già cosa l’altra volesse da lei – era la stessa ogni giorno al calar della sera, del resto – per cui si limitò a grugnire divertita in risposta, aspettando silenziosa la sua insistente reazione.
-    Dai! – la supplicò difatti poco dopo, scuotendola animatamente con le piccole manine pallide 
-    Anna – stavolta non poté far finta di non averla sentita – torna a letto. -
-    Non ce la faccio! – replicò però la bambina, accasciandosi fintamente sfinita sul corpo ancora dormiente della sorella maggiore – Si è svegliato il cielo, perciò sono sveglia! Dobbiamo giocare!
Eccola lì la proposta che l’allora piccola e spensierata Elsa si era aspettata dall’indisciplinata Anna. Così stavolta aprì un po' gli occhi azzurri per poterla guardare, ridendo intanto di sottecchi. 
-    Va a giocare da sola! – finse però ribrezzo, spingendola subito dopo giù dal letto celeste.
Anna però non si era arresa, Elsa poteva ancora sentirla sospirare ai piedi del suo caldo giaciglio. 
E fu quando, risalita sul letto della maggiore, questa articolo  « Lo facciamo un pupazzo di neve? » che Elsa non poté più rinunciare.
Corsero insieme veloci lungo l’alta scalinata che le separava dal grande salotto – controllando però prima che il padre dormisse ancora beato nella sua stanza -.
La villa era calma e silenziosa, solo il rumore delle loro ciabattine a contatto col freddo marmo del pavimento risuonava ovattato tra le sue mura.
La risata trattenuta della piccola Anna – o quella a cui Elsa era sembrata una risata – minacciava ogni minuto passato a scendere le scale di esplodere.  
La maggiore delle due tentava di arrestarla portandosi un dito imperioso alla bocca, chiedendole il silenzio, e, per un po’ questo, unito al tentativo della minore di reprimerla anche con l’uso delle manine, sembrò funzionare.
Quando però arrivarono finalmente alla loro destinazione – lontane dalle orecchie indiscrete del padre – la mano della piccola Anna scivolò via dal suo musino rosato, permettendole così di articolare:
-      Fai la magia, fai la magia! -
Elsa, lusingata al pensiero di far felice ancora una volta la sorella, obbedì umilmente, cominciando a far accrescere dentro sé il potere ereditato da Borea, il grande dio del vento del Nord.
Anna la guardava con gli occhi accesi di entusiasmo creare palle di neve e, nel giro di pochi magici attimi, la sala d’ingresso della villa era di già imbiancata. 
Costruirono in men che non si dica un pupazzo di neve per nulla stilizzato, con tanto di carota a far da naso e due espressivi occhi color pece, che poi chiamarono Olaf, colui che amava i caldi abbracci
Ad Anna piacque tantissimo, così tanto che il suo entusiasmo fece stagliare un sorriso soddisfato sul volto della sorella maggiore, sorriso che mai prima d'allora aveva fatto capolino sui suoi cipigli insicuri. Se alla persona più importante della sua vita quelle strane cose che sapeva fare piacevano, allora non c’era nulla di male nell’aver ereditato quel dono dal ramo di famiglia di suo padre. 
E giocarono, giocarono ancora. 
Scivoli di ghiaccio, tuffi nella neve e salto sulle tante collinette imbiancate.  
Ma fu mentre la piccola Anna saltava raggiante su queste sotto lo sguardo vigile ma pur sempre divertito della poco più grande di lei Elsa che qualcosa accadde, qualcosa destinato a rimaner impresso nella mente di quest’ultima per l'eternità.
Andava troppo veloce la bimba fulva, troppo per la bionda sorella che, improvvisamente nervosa, tentava in tutti i modi di tenerla su quelle collinette, creandone di nuove ad ogni suo salto. 
Ma le sue erano ciabattine, non scarpe anti-scivolo-sul-ghiaccio, e l’inevitabile accadde: Elsa perse l’equilibrio, non riuscì a creare l’ultima collinetta per attutire la caduta di Anna e, in un gesto estremo, la colpì proprio sulla testa fulva per tentare di mitigare il colpo. 
Ed eccola lì, a terra, priva di sensi, mentre una ciocca argentata si stagliava prepotente sui suoi capelli rossicci ed Elsa la stringeva shoccata al petto. 
-    Papà! – urlò – Papà! –
Le sue urla furono così forti da far scattare subito nel padre un moto di paura. Elsa lo dedusse dal modo in cui lo vide scendere poco dopo le scale, in camicia da notte e spettinato come mai l’aveva visto. 
-    È gelata. – esclamò l'uomo, una volta allontanata la figlia minore dalla disperata Elsa.
Quest’ultima raccontò tutto: le loro trasgressioni notturne, il gioco pericoloso fatto ed il modo in cui aveva per sbaglio colpito la sorella.
Il padre ricordò prontamente una leggenda al riguardo e nel giro di pochi minuti furono entrambi fuori, in balia della brezza primaverile notturna.
Stringendo forte le mano del padre e continuando a guardare mortificata la svenuta Anna, attraversarono a passi svelti la foresta che fiancheggiava la villa.
Nel giro di pochi ma per Elsa interminabili secondi giunsero in un posto pieno zeppo di rocce. Suo padre doveva essere impazzito: sarebbero dovuti correre in ospedale, e presto anche. Che senso aveva portare una bambina priva di sensi lì, in mezzo alla foresta?
Ma poi quelle rocce si animarono, rivelando di aver natura tutt’altro che minerale: quelli erano esseri non tanto belli ma guardandoli meglio neanche poi così tanto brutti. Avevano volti simpatici, dopotutto, sotto il rivestimento fatto di funghi e muschio che avevano al posto della pelle. 
-    Voglio parlare con Gran Papà. – disse il padre, ed il troll in questione, o almeno così il genitore li aveva chiamati poco prima, si fece avanti. 
Mise la mano sulla testa di Anna ed Elsa indietreggiò. 
Disse di averla guarita dopo pochi istanti, ma, col volto triste, sostenne che sarebbe stato meglio eliminare tutti i suoi ricordi sulla magia della sorella.
-    Ma... – provò ad obbiettare Elsa, tuttavia Gran Papà sembrava irremovibile
-    È per il suo bene.
La piccola annuì, desiderando più di ogni altra cosa la salute di sua sorella. Se per averla avrebbe dovuto nasconderle una parte di sé non le importava. Anna doveva vivere felice, lei poteva anche sacrificarsi perché questo avvenisse.
Un’altra cosa che Elsa non riuscì mai a dimenticare di quella sera – neppure da Cacciatrice – fu però la frase che Gran Papà le disse dopo averle dato quella spiacevole notizia.
La paura sarà il tuo nemico, Elsa. E così fu. 

 
***

Passò il resto dei suoi anni a celare, non mostrare. La porta chiusa come sua nuova sorella, i guanti azzurri come fedeli migliori amici.
Ascoltare Anna chiamarla al di là dell’uscio le spezzava il cuore ma non poteva, non doveva, accontentarla.
-    Lo facciamo un pupazzo di neve? – 
-    Va via, Anna! –
-    Okay... ciao. –
E la delusione nella sua voce... era opprimente.
Se solo avesse saputo perché la sorella si comportava così, se solo avesse... no! 

« Celare, non mostrare », questo l’insegnamento di suo padre. Solo così avrebbe potuto proteggere Anna e vivere in pace. Nessuno l’avrebbe mai chiamata strega, nessuno avrebbe mai più sofferto per colpa sua. 
Così teneva duro, mentre il freddo si impadroniva di lei, cancellando per sempre la spensierata e dolce Elsa di un tempo. 
Fino al giorno in cui suo padre –  la mattina seguente al suo dodicesimo compleanno - partì per un lungo viaggio di lavoro, diretto verso l'ennesima terra da esplorare. 
Ricco proprietario di una famosa catena di ristorazione, il “ The King of Arendelle “, mirava ad espandersi in tutto il pianeta – letteralmente -, così a volte si trovava costretto a partire assieme a dei colleghi per ispezionare i terreni scelti, verificandone in questo modo la loro idoneità alla costruzione.
Passarono giorni dalla partenza del padre. Elsa continuava a starsene in stanza, sola, Anna a chiamarla invano.
La loro tata – la signora Hamada - cucinava per loro e controllava che stessero bene. Il signor Arendelle non le aveva spiegato il motivo per cui la piccola Elsa dovesse rimanere sempre chiusa in camera sua, ma la tata, dopo numerosi e vani tentativi di ricevere una meritata spiegazione, aveva deciso ragionevolmente di non far più domande, rispettando silenziosa il dovere impostogli.
Apriva la porta quel tanto che bastava alla bambina per prendere il piatto colmo di pietanze e, ad Elsa, andava bene così. 
Il giorno in cui però alla porta si sarebbe dovuto presentare suo padre, carico di sorrisi e di nuovi giocattoli per loro, ciò che Elsa vide dalla finestra della sua camera offuscata dalla pioggia – pioveva da giorni ormai – non fu altro che il terreno impastato dall'acqua. Poi a tarda ora il telefono risuonò chiaro tra le pareti della grande villa e la loro tata afferrò la cornetta del telefono prima che potesse farlo lei.
Forse il traghetto ha solo tardato “ si ripeteva, sebbene un brutto presentimento le si fosse di già stagliato vivido nel petto “ O forse non partirà oggi per via del brutto tempo “. 
Fu quando la baby-sitter salì in camera col volto pallido di chi aveva visto un fantasma che Elsa capì cosa stesse accadendo: suo padre era partito, solo che non ci sarebbe stato nessuno ritorno per lui. Le onde lo avevano inghiottito, per sempre.

 
***

Furono mesi ancor più terribili per Elsa.
Lei ed Anna rimasero per un po’ a casa della loro tata che, alla fine, si era affezionata a loro e alla loro storia. Non che questo alla maggiore delle due dispiacesse, anzi, quella donna sembrava aver assunto il ruolo di una vera e propria mamma per loro, ma, nella sua piccola casa, non c’era più spazio per nascondersi. 
Così si era ritrovata a dormire di nuovo nella stessa stanza della piccola Anna – oramai bimba di dieci anni – e, adesso, nascondersi da lei per proteggerla era diventato impossibile.
Fortunatamente – e si fa per dire – Anna era diventata parecchio taciturna in seguito alla morte del padre. Sporadicamente, però, qualche domanda alla sorella la faceva comunque.
-    Perché mi hai evitata per anni? – chiese difatti una mattina di inizio Giugno, all’avvio della vacanze scolastiche
-    Non ora, Anna. – rispose fredda lei, mentre faceva finta di sistemarsi il letto a dovere
-    No, adesso non scappi più. – la afferrò però per il polso la sorella minore, guardandola per la prima volta dritta negli occhi di ghiaccio.
Doveva essere sfinita da quella situazione per poter reagire così. Le maniere forti non avevano mai fatto per lei.
-    Cosa vuoi sentirti dire? – controbatté così, cercando di mantenersi calma.
Non poteva arrabbiarsi o il potere enorme che aveva dentro le sarebbe scappato di mano, nonostante i guanti. 
-    Che mi vuoi bene, magari?! – gli occhi di Anna cominciavano a farsi maledettamente lucidi – Che ti sono mancata?! –
-    Anna... –
-    Dimmi perché all’improvviso sei sparita dentro quella stanza. Dimmi perché mi hai tagliata fuori. –
Anche i suoi di occhi si erano inumiditi a quegli ultimi comandi ma non poteva darlo a vedere. 
Fortunatamente – e anche stavolta si fa per dire – non ci volle molto perché questi si asciugassero da soli: bastò lo spavento preso poco dopo a sistemare il misfatto. 
Un mostro – Elsa era quasi convinta fosse un idra, date le nove e per nulla invisibili teste da rettile di cui era provvisto – aveva rotto l’unica finestra presente nella loro camera, facendo poi spaventosamente sbucare dall’apertura di vetro creata una delle enormi e letali teste da serpente.
Entrambe urlarono, terrorizzate. Anna era più shoccata dell’altra dato che il padre, prima della sua morte, non era riuscito a rivelarle la sua natura semidivina.  
 Ad Elsa invece l’aveva detto due anni prima, ad una cena presidiata solo da loro due. 
Sua madre non era mai morta: sua madre era la dea della saggezza in persona, la grande dea Atena.
Lo stupore in un primo momento era stato grande ma poi, una volta metabolizzata perbene la cosa e tornata finalmente la Elsa razionale, aveva capito che quella era proprio la risposta a tutti i punti interrogativi che da anni le avevano ballato fastidiosi il merengue in testa. Le strane creature viste da bambina, l’inusuale dono di poter leggere il greco antico nonostante la dislessia ed il fatto che suo padre non avesse nemmeno una foto di sua madre in casa... tutto aveva preso un senso, finalmente. 
Ma Anna non sapeva nulla, non poteva sapere, perciò andava aiutata e protetta. Fortuna che questo Elsa era già abituata a farlo. 
-    Sta calma! – le urlò così – Non moriremo. –
-    Sono calmissima, come vedi. Sto una meraviglia. – rispose la sorella con la voce tremante, usando come sempre quel sarcasmo tanto amato.
Dopo di che Elsa le afferrò prepotentemente il braccio, trascinandola con sé verso le scale. 
Veloci giunsero in cucina dove la signora Hamada stava preparando uno dei suoi deliziosi manicaretti per colazione. 
-    Che avete? – chiese la tata confusa, vedendo le due intente a scappare a rotta di collo verso la porta di uscita
-    Dobbiamo andar via, signora Hamada, grazie mille per ciò che ha fatto per noi. –
-    Ma sto per prendere in affidamento i miei nipoti che vivono a San Fransokyo, sapete, anche loro hanno perso da poco un genitore, non potete andarvene, pensavo di trasferirmi lì con voi... e poi siete minorenni! – 
-    C’è un mostro orribile al piano di sopra che ... – provò a spiegare Anna ma Elsa le diede prontamente un calcio dritto agli stinchi – Ahi! – 
-    Spero di rivederla presto. – si limitò poi a dire alla signora Hamada, scappando dalla porta d’ingresso. 
Peccato che una volta fuori tutte e nove le teste dell’idra si concentrarono su loro due: gli occhietti neri e vispi nelle iridi colorate delle bambine, le zanne mortali pronte e lacerare la carne tenera di entrambe.
-    Perché hai lasciato zia Cass...? – cominciò Anna a bassa voce, anche se quello non era proprio il momento adatto a parlare di ciò
-    Si chiama Cass? Oh, non mi interessa e non è l’ora di...  –
-    Sì, se solo tu avessi provato a chiamarla così invece che signora Hamada per tutto il tempo... Ma non è questo il punto! – tornò ad esprimere sussurrando e muovendosi il meno possibile il concetto precedente – Morirà. Tu l’hai lasciata a morire! - 
-    È una mortale, Anna. L’Idra vuole noi. – fece però semplicemente lei in risposta mentre i suoi occhi balenavano inevitabilmente a dietro la figura dell’idra.
Monster Donut. Quella catena di negozi di ciambelle non gliel’aveva mai raccontata giusta. Quella cosa a nove teste doveva essere spuntata da lì. 
-    Aspetta, che? Mortale? L’id-cosa? – 
-    Ti spiegherò tutto dopo, adesso fa solo quello che ti dico di fare. –
Senza armi né nulla ad aiutarle – ed anche se le avessero avute Elsa dubitava che le avrebbero sapute usare a dovere – l’unica cosa che alla figlia di Atena venne in mente per salvare la sorella fu concentrare l’attenzione del mostro solo ed esclusivamente su di sé.
-    Io la distraggo e tu scappi nella foresta. –
-    Cosa?! –
-    Fa come ti dico! –
E partì alla volta del mostro, senza ascoltare altre ragioni da parte di Anna. 
Quello era un suicidio bello e buono ma tutto per la salvezza di sua sorella. L’unica cosa che sperava adesso, correndo per tentare di allontanare l’idra da Anna, era quella di salvare lei e nessun altro.
Così, oramai lontana da casa della loro ex tata – che, poverina, chissà cosa pensava di loro due adesso! – arrestò la corsa, aspettando consapevole la morte. 
Qualsiasi cosa avesse tentato, pur ingegnosa che fosse, non sarebbe valsa nulla contro la potenza di quella creatura. 
Chiuse gli occhi. 
-    Ti voglio bene Anna. – sussurrò sentitamente, anche se consapevole che la sorella non l’avrebbe ascoltata.
Quando però sentì un disgustoso crack risuonarle nelle orecchie, una volta capito che il rumore non fosse provocato dalle sue di ossa intente a frantumarsi contro le fauci dell'assalitore, aprì gli occhi, più arrabbiata che stupita dall’avvenimento.
Anna era tornata a prendere un coltello da cucina in casa di quella che lei chiamava zia Cass e aveva letteralmente decapitato una delle teste dell’idra.
Non era decisamente una figlia di Atena.
Suo padre aveva dovuto concepirla con un’altra dea, ormai era certo. 
Che poi, era un'idea del tutto plausibile dato lo stretto legame che c'è sempre stato tra lui, mortale discendende di Borea, e la mitologia greca. 
-    Anna! – sbraitò così, mentre il volto le si faceva violetto per la rabbia
-    Che c’è? Ti ho salvato la vita! Ah, e anche io ti voglio bene, cuore di pietra. – 
-    No, non mi hai salvato la vita, hai condannato quella di entrambe! – 
Là dove Anna aveva dato apparentemente un taglio netto alla vita dell’idra, due teste al posto di quella mozzata stavano crescendo a vista d’occhio e prima che Elsa potesse inveire nuovamente contro la sorella queste le stavano già ruggendo contro.
Da nove a undici, perfetto. 
-    Io non lo sapevo! – Anna parve vergognarsi terribilmente – Mi dispiace! –
-    Non importa, tu vivrai, te lo prometto. –
-    Non se ne parla, io non vivo senza te. Entrambe vivremo. Perciò fatti venire una buona idea, ti preeego. –
-    Fuoco... credo sia quella la soluzione. -
Solo il fuoco poteva uccidere un’idra, sì, ne era sicura, ma dove trovarlo? 
E metti caso fossero riuscite a procurarselo, come evitare di bruciare tutta la foresta comprese loro stesse?
Elsa stava già per arrendersi quando un altro crack le riempì i timpani ed una terribile puzza di bruciato le si insinuò prepotentemente nel naso. 
-    Hai detto fuoco o sbaglio? – 
Un bambino – all’apparenza coetaneo di Elsa – stava mozzando e bruciando tutte le undici teste dell’idra, come se non facesse altro dalla nascita. 
Con la spada nella mano destra ed una torcia nella mano sinistra ne staccava e carbonizzava una ogni minuto, tutto da solo. 
Anna lo guardava estasiata, Elsa si sentiva invece un po’ umiliata.
Lei non sapeva fare quelle cose, decisamente no. Lei era teoria, fin troppa teoria.
Quando poi l’idra cadde a terra morta, il ragazzino, col fare smargiasso di chi aveva appena disintegrato tutto solo un mostro a nove – anzi, undici – teste ipervelenose, fissò entrambe la bambine, sul punto di dire qualcosa.
Elsa però lo precedette.
-    Si, si, davvero bravo. – disse, per nulla colpita, con addirittura una filino di antipatia nella voce – Ti aspetti che ti facciamo l’applauso? –
-    Elsa!
-    Sai com’è, vi ho appena salvato le penne. Adesso sareste spuntino per mostro senza di me. –
-    Come facevi ad avere quella torcia? – lo interrogò, noncurante del suo ultimo commento – E la spada? –
-    Se vivi solo da tempo impari a cavartela. E quelle cose me le ha... come dire... prestate qualcuno. –
-    Sei un ladro. – sentenziò così alla fine la biondina, puntando un dito dritto contro il castano sbruffone – Dovresti vergognarti. –
-    Con questa roba mi salvo la vita! – 
-    Ma certo, quindi questo ti giustifica a rubare?! –
-    Direi di si. –
-    E i genitori non dicono niente? –
Quella strana partita di tennis – che Anna aveva seguito confusa con gli occhi per tutto il tempo – cessò improvvisamente.
Elsa si chiese se avesse toccato un tasto dolente.
-    Non ho genitori. – rispose però poi il castano, e la bambina si sentì più in torto che mai.
Aveva esagerato.
Lo aveva trattato così solo perché voleva essere lei la salvatrice di Anna. Lei, che non aveva fatto altro che scappare per tutto il tempo. Lei, che era scappata non solo in quella situazione, ma da sempre.
Prendersela con quel ragazzino vestito solamente di abiti più grandi lui non era leale. 
-    Mi dispiace. – disse così - Io sono Elsa e lei e mia sorella Anna. Grazie per averci salvate, ti siamo debitrici. –
-    Finalmente un po’ di riconoscimenti. – annuì soddisfatto il bambino – Io sono... Flynn . –
Esitò sul nome. Sospetto, molto sospetto.
-    Sei un semidio come noi? – chiese però, nonostante la risposta le sembrasse ovvia
-    Un che cosa? – fece però confuso Flynn 
-    Hai avuto la mia stessa reazione. – commentò Anna guardando torva la sorella
-    Certo che nessuno vi ha spiegato niente, eh? –
 
 
 

N.A.: Eccomi qui, con la prima parte della tanto attesa storia di questo... sì, strano trio. 
Essendo un passato abbastanza importante quello di Elsa & Co. - ricordate i capitoli in cui era presente, dopotutto, e le strane litigate tra lei e Flynn -  ho deciso intelligentemente di dividerlo in due, così da riuscire a rendere giustizia ad ogni cosa.
Well, ci sono un po' di cose da spiegare sulla questione Elsa coi poteri di Borea nonostante sia una figlia di Atena, anche se chi ha letto i libri dello zio Rick avrà già capito a quale personaggio dei sette della profezia di HoO mi sono ispirata. 
Partiamo dal principio. Ho perso parecchi giorni - mesi - a pensare ad un valido motivo per cui Elsa dovesse allontanarsi così tanto dalla sorella e, non riuscendone a trovarne uno plausibile al contesto, ho deciso di lasciar le cose così com'erano in Frozen, ma adattarle al mondo del caro Riordan. 
Come Frank in HoO - che era un discendente di Poseidone nonostante fosse figlio di Marte, poteva trasfomarsi in qualsiasi animale volesse ( *-* ) - Elsa discende da Borea - o meglio questo è il... bis bis bis bis bis nonno di suo padre -, per questo ha ereditato questi... strani poteri. Questo però non significa che non potesse essere anche una semidea figlia di Atena. Insomma, questo il risultato di mesi a farmi schemini mentali solo per far quadrare i conti sulla cara regina delle nevi - personaggio che tra l'altro non ha neanche un posto molto grande nel mio cuore, lo ammetto x'D Preferisco sua sorella Anna 
♥ -.
Poi... ah, sì, zia Cass. Tutti quanti avrete la testa a forma di punto interrogativo dopo questa mia stana trovata, scommetto x'D Volevo semplicemente unire la storia delle sorelle di Frozen a quella dei fratelli di Big Hero 6 - anche se non si incontrano alla fine ma entrambi hanno vissuto con quella meravigliosa donna *-* - perché... mi piaceva tantissimo l'idea di farlo. Ho sempre trovato simile la relazione Elsa-Anna a quella Tadashi-Hiro per cui, tutto qui, stavolta nulla di tanto pensato, mi sono semplicemente fatta guidare dal cuore - cosa che raramente riesco a fare, colpa di mamma Atena -. 
E questo è tutto per quanto riguarda la Missing Moment.
Ora però devo darvi un annuncio.
Dal 16 al 30 luglio sarò a Londra  - sclero, sclero, sclero! -, perciò spero di riuscire a pubblicare la seconda parte di questa One Shot - non ancora scritta >.< -  entro il 15. Se così non dovesse accadere - e spero davvero di no, cercherò di impegnarmi al massimo per voi - ci si risente sicuramente i primi di agosto. 
Insomma, io vi saluto qui, sicura che capirete quanto io sia contenta per la realizzazione di questo mio sogno e perdonerete l'eventuale prossimo ritardo.
Aspetto con ansia vostri pareri come sempre, vi ringrazio as usual e alla prossima



 

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Capitolo 7
*** #HunterPart2 - La paura sarà il tuo nemico, Elsa ***


We are Demigods 
[ Raccolta di Missing Moments ]

 
# HunterPart2 
 
La paura sarà il tuo nemico, Elsa
- Parte 2 - 

 
 
Elsa stava riposando sotto a un pino quando la voce di Flynn la ridestò bruscamente, fin troppo a dir la verità perché la cosa le potesse piacere.
Balzò infatti in piedi spaventata, puntando d’istinto entrambe le mani gelide di lui. Se non avesse avuto i guanti ad arrestare la magia, molto probabilmente il coetaneo di fronte a lei sarebbe di già diventato una statua di ghiaccio.
-    No no, shhh! – la prese però con malagrazia per i fianchi lui, ignorando bellamente la sua reazione spaventata e coprendole la bocca con la mano libera.
Ma come si permetteva di trattarla in quel modo?! 
La figlia di Atena cominciò a dimenarsi arrabbiata in risposta, scalciando più che poteva per liberarsi dalla presa del ragazzino. Nonostante avessero entrambi dodici anni, la vita in strada doveva avergli rafforzato parecchio i muscoli perché sembrava davvero impossibile riuscire a muoversi nella sua presa.
-    Posso liberarti solo se ti calmi! – sussurrò così lui per convincerla a placarsi, continuandola tuttavia a stringere forte
-    Mhh mmh mhh! – biascicò però lei in risposta tra le sue dita, mordendo prontamente poi quest’ultime per fargli finalmente allentare la presa. 
Non le aveva lasciato scelta, dopotutto. Se l’era meritato. 
Ma poi, una volta capito il comportamento di Flynn, si rese conto che quella per lei non era stata affatto una buona idea. O meglio, per permetterle di liberarsi sì, ma per scampare ciò da cui il conoscente – perché lei insisteva a volerlo chiamare così nella sua testa - aveva cercato di proteggerla...
-    Ahhh! – urlò infatti Flynn in controproposta al suo morso ed una seducente ragazza si avvicinò definitivamente a loro, guardandoli come se fossero la portata principale di una cena da re.
Elsa non riusciva a distinguere bene le sue gambe, nonostante fossero in un parco con l’erba ben falciata. 
Brutto, anzi, bruttissimo segno.
-    Tua sorella è pazza! – esclamò Flynn verso Anna che, per tutto il tempo, era rimasta dietro un albero ad osservare silenziosa la scena
-    Te l’avevo detto che era lunatica. – fece infatti spallucce poi, anche se Elsa avrebbe potuto giurare di averla sentita ridacchiare poco dopo. 
Vedendo sua sorella nascosta dietro ad un albero capì inoltre che Flynn aveva dovuto fiutare il pericolo mentre lei dormiva beata come una bambina e, cosa che la colpì ancor di più, aveva voluto mettere al sicuro la piccola Anna prima di pensare a loro due.
Ancora una volta senza di lui sarebbero già morte entrambe. 
-    Salve! – li salutò la ragazza, col fare tipico di una cheerleader del liceo. 
A guardarla meglio, era anche vestita come una di quelle ochette più grandi che Elsa ogni tanto aveva incrociato a scuola. Ciò nonostante rimaneva strana e pericolosa ai suoi occhi: non riusciva ancora a vederle le gambe, per quanto si sforzasse di farlo.
-    Vi siete persi, piccolini? – chiese sempre la ragazza con voce suadente
-    Credo... – all’improvviso fu Flynn a parlare – Credo di sì. –
-    Cosa?! – fecero Anna ed Elsa all’unisono – No che non ci siamo persi! –
La maggiore delle due diede anche un calcio al ragazzino, ma sembrava imbambolato, così tanto da non batter ciglio nemmeno per il dolore.
Per quanto quella ragazza potesse avere un bel visino e dei lunghi e luminosi capelli biondi, era impossibile che solo queste due cose fossero riuscite ad ipnotizzare Flynn. 
Sì, magari Elsa l’aveva chiamato una decina – okay, ventina – di volte stupido, ma quando l’aveva fatto non l’aveva mai pensato veramente. 
Era molto furbo, lui, e di certo non abbassava la guardia di fronte ad un bel faccino come quello. 
Concentrati Elsa “ si disse la dodicenne, scavando come meglio poteva nella sua mente colma di informazioni “ Un mostro che seduce i ragazzi e con gambe invisibili... “ 
-    Che buon odore che avete, bambini. – 
-    Ehi, non siamo bambini! – protestò Anna mentre Flynn continuava a fissare la cheerleader con sguardo da perfetto pesce lesso.
Imbambola ragazzi... attratta dall’odore umano...  
Mentre stilava la lista di indizi, Elsa abbassò di nuovo lo sguardo sulle apparenti gambe magre della biondina e, stavolta, riuscì finalmente a scorgervi qualcosa di vagamente animale in loro... qualcosa simile a delle zampe... d’asino!
-    Empusa! – esclamò così, e la cheerleader strabuzzò irata gli occhioni da cerbiatta 
-    Empu-che? – fece Anna confusa, tanto per cambiare
-    Nella mitologia le Empuse erano quasi sempre seducenti donne che succhiavano il sangue dei ragazzi, praticamente le antenate dei vampiri odierni. – spiegò alla sorella - Quello che le tradiva sempre però era proprio la gamba da asino che si ritrovano. –
-    Ecco perché Flynn... – provò a dire Anna ma l’Empusa era già scattata in modalità offensiva
-    Silenzio! – urlò difatti, e la sua voce echeggiò così forte che persino qualche mortale si era voltato impensierito a guardare. 
Elsa non aveva paura di lei. Paragonata all’idra, quell’ochetta sembrava una scaramuccia abbastanza semplice da superare. 
E poi, Long Island era vicina: pochi giorni e sarebbero giunti al Campo di cui suo padre le aveva parlato, se le coordinate da lui date erano giuste, ovviamente. Pochi giorni ed Anna sarebbe stata al sicuro. 
Fu quando però l’Empusa le puntò contro i lunghi e affilati canini da film horror e chiamò le altrettanto zannute amichette cheerleader a rapporto che le cose cominciarono a farsi nere per una Elsa che aveva poco prima ampliamente sottovalutato il pericolo da loro rappresentato.
Trascinò via con sé Anna e Flynn di peso sulle strade della cittadina in cui si erano fermati e cominciò a correre più veloce che poteva, lanciando anche qualche coltello – presi in prestito da Flynn giorni prima, o almeno così a lui piaceva dire al posto di rubati  - verso le Empuse.
Qualcuna la prese in pieno per pura fortuna, diminuendo così un po’ il loro numero, ma ce n’erano davvero tante di oche giulive là in mezzo! 
-    Che è successo? – chiese improvvisamente un Flynn tornato in sé mentre Elsa, continuando a trascinarlo, lanciava coltelli alla cieca alle sue spalle 
-    Ti sei fatto imbambolare da una Empusa, cretino! – gli rispose intanto che, correndo, si asciugava la fronte sudata
-    Empusa? –
-    Sì, una tizia zannuta assetata, letteralmente, di sangue umano che ci sta inseguendo assieme al suo branco di amiche mostruose. – spiegò sbrigativa Anna, continuando a correre nel frattempo a rotta di collo
-    Wow... – fece Flynn incredulo, voltandosi poi curioso per un nano secondo verso le ragazze-mostro 
-    Non. Voltarti! – sbraitò però Elsa, continuando a spingerlo perentoria in avanti – Dobbiamo muoverci, sono troppe! – 
-    Lottiamo! – rispose tuttavia il castano – Non vedo il problema. –
-    Quale parte del sono troppe non ti è chiara?! – 
-    Elsa ha ragione, sarebbe un suicidio! – 
E scapparono, del tutto inconsapevoli che quella sarebbe stata la loro ultima pazza corsa assieme da un mostro mangia-semidei patentato. 

 
***

-    Ave Elsa Arendelle, figlia della dea della saggezza. – furono le parole dette da Nord appena la ragazzina mise piede al Campo.
Suo madre l’aveva riconosciuta dopo soli tre minuti: un po’ imbarazzante come cosa, ad essere sinceri.
Tutti i semidei del Campo – specialmente gli indeterminati da secoli – l’avevano guardata invidiosi, smaniosi di avere anche loro un simbolo ardente sulla testa.
Lei avrebbe preferito non essere guardata così, invece. Il potere le era cresciuto avido nel petto in quegli istanti, pronto ad esplodere per via del nervosismo. 
Poi per fortuna il simbolo aveva smesso di scintillare sul suo capo e Nord aveva invitato gli altri ragazzi a rientrare nelle loro cabine, vista la tarda ora serale.
-    Voi sapere...  – aveva cominciato quest’ultimo una volta soli, interrogativo - be’, presumo di sì se venuti senza satiro... –
-    Mio padre mi ha spiegato tutto due anni fa. –  aveva prontamente chiarito i dubbi del direttore lei, finalmente calmatasi - Loro due invece... ho tentato ma è difficile spiegare tutto per bene... –
-    Tranquilla, fare tutto noi in Casa Grande. – le aveva risposto sorridente l’omone, prendendo per le spalle gli altri due ragazzini con fare paterno
-    Per una volta che pensavo di esser libero da questi convenevoli... – aveva invece borbottato il satiro presentatosi a loro poco prima come Fil, facendola sorridere così facendo impercettibilmente.
Poi, Flynn ed Anna erano spariti nel buio notturno con quei due strani uomini – o meglio, con uno strano uomo e mezzo – ed Elsa non aveva potuto far altro che scrutare silenziosa il punto da cui erano scomparsi, inconsapevole che quella sarebbe stata sola la prima di una lunga serie di volte in cui avrebbe dovuto osservare la vita delle due persone a cui teneva più al mondo a debita distanza. 
 
***

Quella mattina, il laghetto delle canoe splendeva eccezionalmente alla luce del sole.
L’acqua, sebbene stagnante come quella di ogni rispettabile lago, era più limpida del solito ed Elsa vi ci si poteva inspiegabilmente specchiare. Forse le naiadi avevano finalmente fatto un po’ di pulizie. 
La figlia di Atena si tolse un guanto azzurro – dopo aver controllato diligentemente che nessuno ci fosse nei paraggi – e cominciò a sfiorare con le sue affusolate dita bianche la superficie umida. Questa si riempì appena di fresca brina al contatto coi suoi polpastrelli ed il fatto bastò a convincere Elsa a ritrarre subito la mano.
Erano passati tre anni dal suo arrivo al Campo. 
Anna era stata riconosciuta dalla sua vera madre – Afrodite, cosa che aveva spiegato ad Elsa l’incontrollabile e instancabile ricerca della sorella del vero amore – ed adesso – oramai tredicenne – risplendeva di una bellezza mai vista. 
Lei continuava ancora a dubitare che fossero davvero sorelle per metà. Anna era così libera! Lei invece era così... costretta. Sbagliata. Mostruosa. 
Al suono di quei pensieri rinfilò la mano destra nell’amico guanto, mentre quel po’ di ghiaccio creato poco prima sulle increspature del laghetto si scioglieva inesorabile al calore di quel giorno estivo. 
Vorrei solo poter... lasciarmi andare. “ pensò, maledicendo intanto quello stupido potere ereditato da quell’altrettanto stupido dio del Nord.
Lasciarsi andare come sapeva fare Flynn... vivere felice alla giornata. Tutte cose a lei proibite.
Lui era un figlio di Ermes, ovviamente. Quel dio per Elsa era una specie di emblema della libertà. Sua madre invece era rigida, chiusa, e questo la rispecchiava.
Ad ognuno ciò che merita, dopotutto, e Flynn aveva davvero trovato il suo posto nella cabina di Ermes. Che poi questa gli andasse un po’ stretta per via del sovraffollamento, dettagli, tanto lui passava solo la notte lì dentro.
Per il resto della giornata faceva l’insopportabile, o almeno così la vedeva Elsa. 
Delle sorellastre di Anna la vedevano in tutt’altra maniera invece ma meglio lasciar correre. A lei non interessava del resto. O sì?
No, decisamente no. 
-    Ehi. – Flynn le si sedette accanto, noncurante di una qualsiasi possibilità di rifiuto da parte sua. 
Parli, o meglio, pensi al diavolo e...
-    Dovresti venire a vedere Anna che cavalca un pegaso. È fantastica. Probabilmente la prima figlia di Afrodite che azzarda una cosa del genere. –
Spuntano le corna.
-    Non posso. – rispose, sebbene le sarebbe piaciuto molto vedere la sorella che se ne infischiava delle regole della cabina numero dieci e si imbrattava di fango a volontà
-    Giusto, sei troppo occupata a fare la scontrosa come sempre. -
Se solo tu sapessi perché lo faccio... “ 
-    Sei insopportabile. – gli disse però, mordendosi un labbro per la frustrazione
-    Ah, sarei io l’insopportabile qui in mezzo? – rispose a tono lui, per poi sistemarsi meglio a sedere per cominciare al meglio la sua giornaliera dose di storielle a suo favore - Sai, conosco una persona da tre anni ormai. Pensavo si fosse affezionata a me, invece non fa altro che evitarmi. Non credi che questo sia davvero insopportabile? –
-    Ah ah ah, molto divertente. – 
-    Dico sul serio. Un conto sono io che, okay, per te non rappresento niente. –
-    Flynn... – avrebbe voluto convincerlo del contrario ma lui la interruppe bruscamente
-    No, no, fammi finire. – e si alzò in piedi, puntandole un dito accusatorio dritto sul petto - Un conto è tua sorella. La stai deludendo giorno dopo giorno ed io voglio bene ad Anna, non voglio che soffra. -  
-    Cosa sei, suo fratello per caso? – si alzò anche lei in piedi dopo quell’esclamazione, improvvisamente arrabbiatissima.
Come si permetteva – tanto per cambiare – di rimproverarla sul modo in cui trattava sua sorella?!
Lo faceva per proteggerla, non perché non le voleva bene. Se si fosse avvicinata a lei dopo anni di silenzio l’avrebbe accusata e di sicuro a quel punto non sarebbe più riuscita a trattenere il potere ghiacciato di Borea di fronte a lei. 
L’avrebbe uccisa, ecco come sarebbe andata a finire. E lei sarebbe vissuta col rimorso per sempre.
-    Aveva bisogno di un fratello così sì, lo sono diventato! – la risposta di Flynn le arrivò poco dopo ovattata, ma riuscì comunque a farle male
-    Bene, allora che ci fai qui?! Dovresti essere lì a darle sostegno! –
-    Perché non è me che vuole! – la prese ad un tratto per le spalle come quel giorno con l’Empusa – Ha bisogno di te! –
Gli occhi di entrambi si fecero lucidi. 
I minuti seguenti a quella scenata li passarono a lanciarsi sguardi accusatori. Le iridi dell’una puntanti su quelle dell’altro. 
Poi, fu Flynn – come sempre – a fare la prima mossa.
-    Ma perché perdo ancora tempo con te... – enunciò, mentre le voltava le spalle per raggiungere le stalle dei pegasi – Sono solo fiato e fatica sprecati. –
Intanto che il figlio di Ermes si allontanava, il potere di Borea cresceva nitido dentro Elsa. La rabbia si stava impossessando di lei e l’unico modo per fermarla era sfogarsi. Così, senza riflettere – e fu la prima volta che non lo fece nella sua intera vita -, urlò:
-    Già, va a perdere tempo con quelle figlie di Afrodite! Loro penderanno dalle tue labbra! – 
Era lontano ma malgrado ciò Elsa riuscì ad avvertire la delusione nella sua voce quando avvilito le rispose:
-    Sei una figlia di Atena, eppure non hai capito un bel niente. –

 
***

Era festa quel giorno al Campo. Il solstizio d’estate veniva festeggiato ogni anno dai semidei come giornata dedicata al dio Apollo. 
Elsa stava nella cabina sei quella mattina a leggere silenziosa l’Odissea in greco antico, per nulla intenzionata a partecipare agli eventi previsti in quel giorno.
Troppo chiassosi i figli del dio della musica per i suoi gusti e lei, a pensarci meglio, non sapeva nemmeno ballare.
Milo, all’epoca capogruppo della casa di Atena, le si avvicinò, seguito da una Belle quattordicenne persa come di consueto nella lettura.
-    Ehi Elsa. – la chiamò lui, cercando di attirare l’attenzione della ragazza.
Questa alzò lo sguardo dal suo libro e lo posò sul fratellastro. 
-    Buongiorno. – gli rispose, un po’ avvilita.
Non riusciva a non pensare alla litigata avuta con Flynn il giorno prima e al modo in cui poi lui ed Anna erano parsi così uniti ai suoi occhi. 
Sembravano davvero fratelli... mentre lei e la sua vera sorella si comportavano da sconosciute. Per colpa sua, del resto. Era lei che aveva voluto andasse così.
-    Non vieni alla festa? Aurora ci teneva a vederti, come tutti noi del resto, e anche Anna... –
-    Anna? – la sua mente scattò all’improvviso, facendole dimenticare per un attimo il giuramento fatto a sé stessa anni prima – Ha... chiesto di me? – 
-    Lei chiede sempre di te, Elsa. Pensavo che Flynn te l’avesse detto... –
Quel nome le fece risalire la rabbia... o forse quella sensazione che sentiva nel petto era malinconia? Le mancava di già averlo intorno...
No. Era rabbia. 
-    Si... si, me l’ha detto. – rispose così, cercando di non far trasparire le emozioni contrastanti che provava in quel momento
-    Allora, vieni? – concluse Milo, aspettando speranzoso un sì, il primo da parte della sempre scontrosa e schiva Elsa
-    Io... – stava per dire un « Ci penserò » ma era stanca di pensare – sì, vengo. –
Quella sua risposta fu così inaspettata che persino Belle abbandonò la lettura per qualche fatidico secondo. 
-    Davvero?! – fece infatti sgomenta ed Elsa annuì sorridente di rimando.
Basta nascondersi. O meglio, per quella sera poteva prendersi una meritata pausa dalla sua ostinata missione e gioire finalmente con l’amata sorella. Dopotutto, cosa sarebbe mai potuto accadere di così brutto in poche ore di libertà?

 
***

Il Tartaro, ecco cosa poteva accadere.
Anna che le urlava contro, gli altri che fissavano entrambe sgomenti, Flynn tra le due per cercare di placare le acque.
E tutto questo solo perché lei si era rifiutata ad un tratto di rispondere a delle sue domande. Sì, del tutto lecite ma...
-    Anna... – sussurrava Elsa supplichevole, mantenendosi la mano scoperta. 
La sorella le aveva anche tolto un guanto nella disperazione.
Le aveva chiesto delle risposte, le aveva domandato il perché lei ci tenesse tanto a rovinarle la vita. Ed Elsa si era bloccata, perché non credeva che così facendo la stesse rovinando anche a lei. Credeva che l’unica vittima di quel suo assurdo giuramento fosse se stessa.
-    Non posso più vivere così! – piangeva Anna dall’altra parte, mentre lei tentava di andare a rintanarsi codarda nella cabina numero sei – Perché mi respingi? Perché respingi tutti? Di che cosa hai tanta paura? –
Non riusciva più a controllarlo, lo sentiva. Era forte, nitido dentro di lei, più della altre volte. 
Elsa tremava nel tentativo di trattenerlo, ma neanche coprirsi la mano bastava più. 
Lo lasciò andare, esausta, pregando di non colpire per sbaglio la sorella. Vide crearsi delle stalagmiti appuntite tra lei e quest’ultima e scovò dentro di esse una straziante metafora del loro complicato rapporto.
Era stata lei in quegli anni a porre un muro immaginario tra di loro che, adesso, si era improvvisamente materializzato sotto forma di ghiaccio, più evidente che mai. 
Guardò negli occhi la sorella e scorse in essi un misto di spavento e confusione. Flynn le stava davanti, come a proteggerla dal mostro che Elsa era diventata.
Be’, faceva bene perché era esattamente così che la discendente di Borea si sentiva.
Dopo aver incrociato avvilita gli sguardi di entrambi, scappò più veloce che poteva verso la cabina di Atena mentre i semidei parlottavano tra di loro spaventati. 
-    Elsa, aspetta! – sentì Anna gridare disperata, cosa che non riuscì a capire in un primo momento.
L’aveva di già perdonata? Non la vedeva come un mostro da allontanare?
Poi però ricordò il modo in cui le aveva fatto male da piccole, lanciandole un getto ghiacciato dritto alla testa. Era stato un errore ma chi le assicurava che non sarebbe potuto riaccadere? Era meglio così. Meglio che Anna la temesse. 
Mentre continuava a correre, sentì la voce di Flynn che invece chiamava la figlia di Afrodite, invitandola a fermarsi. 
Lo ringraziò per questo. Era felice di lasciare la sorella in buone mani.
Perché sì, l’avrebbe lasciata. Avrebbe trovato il modo per andar via dal Campo e per controllare il suo potere. Avrebbe trovato la risposta a tutto ciò che le serviva. E sarebbe stata libera, finalmente.

 
***

Alla fine della sua corsa quella notte aveva optato per dormire nell’erba alta della foresta vicino al Campo, quella usata durante la Caccia alla Bandiera. Non era di sicuro una buona idea ma la cabina numero sei sarebbe stata per poco un rifugio sicuro in cui star sola. Atena aveva parecchi figli nonostante fosse una dea tecnicamente vergine e ciò che voleva evitare al momento era proprio del contatto umano.
Meglio dei mostri. Erano quelli i suoi simili, no?
Poi però i rami degli alberi più bassi cominciarono a muoversi, facendola rabbrividire. Era un brutto modo di morire quello.
Sarà una ninfa dei boschi... magari Giselle. “ si disse, ma una ninfa dei boschi rimaneva attaccata al suo albero di notte. 
-    Elsa! – una voce conosciuta la chiamò, costringendola a nascondersi ancor di più nella sterpaglia.
Cosa ci faceva Flynn lì? Anche adesso che sapeva la sua vera natura non faceva altro che infastidirla. Era sempre stato un amante del pericolo quel ladruncolo da quattro soldi.
-    Eccoti qua. – le disse poi, dopo aver scostato con le mani un bel po’ di erbacce
-    Come hai fatto a trovarmi? – gli chiese Elsa, accettando la sua mano come aiuto per rimettersi in piedi.
Toccò la pelle del ragazzo con quella coperta dal guanto perché, colma di emozioni contrastanti, non si fidava ancora dei suoi poteri.
-    Non sei stupida. La cabina di Atena sarebbe stata presto troppo affollata e tu volevi stare sola. Non c’è miglior posto di questo per star sola di notte, se elimini le ninfe, ovviamente. – 
-    Ne parli come se l’avessi usato come nascondiglio anche tu. – 
-    Ho i miei segreti anch’io, regina delle nevi. – la canzonò e fu la prima volta che Elsa rise ad una sua presa in giro.
Strano a dirsi ma le faceva piacere la sua compagnia. 
Non la temeva e questo era bellissimo. 
-    Che intendi per ho anch’io i miei segreti? – chiese poi, per la prima volta invadente.
Ma adesso lui sapeva il suo segreto, che problema c’era a svelarne uno alla “ regina delle nevi “? In fin dei conti nulla era peggio di un potere distruttivo come il suo.
-    Il mio vero nome è Eugene Fitzherbert. – le disse così tutti d’un fiato, tappandosi poi subito dopo la bocca con entrambe le mani, imbarazzato 
-    Cosa?! –
-    Non farmelo ripetere... –
-    Perché lo hai cambiato? –
Il figlio di Ermes abbassò la testa, improvvisamente triste.
Poi la rialzò, sfoggiando il solito sorriso sbilenco di chi stava per spararne una grossa.
-    Eugene non mi si addiceva. Sono troppo figo per chiamarmi così, no? –
Elsa non gli aveva creduto ma chi era lei per costringerlo a dirle la verità?
Solamente il capo dei bugiardi.

 
***

Passarono mesi da quella brutta serata, mesi intensi per una Elsa finalmente determinata a dare una svolta alla sua vita.
Ci furono giorni no, in cui avrebbe voluto semplicemente scappar via dal Campo e non farvi più ritorno. Giorni in cui tutto sembrava non potersi sistemare. Giorni in cui gli altri semidei la guardavano come si guarda un mostro. Giorni in cui Anna pareva sempre più lontana.
E ci furono giorni sì, in cui Flynn le stava accanto. Giorni in cui leggeva e rileggeva leggende in greco antico nella cabina sei, indisturbata, cercando una risposta alla domanda che la perseguitava ormai da tempo immane: c’era una soluzione ai suoi problemi? Poteva lei semplicemente... cancellare quell’odiosa abilità?
Nessun libro sembrava patteggiare per lei, però. Tabula rasa, ovunque.
Aveva provato a chiedere a Nord e a qualche ninfa informazioni, ma la loro risposta era stata la stessa tutte le volte che ci aveva provato.
 « Non si può eliminare una magia tanto antica. Sarebbe come rifiutare un regalo non apprezzato fatto da un amico di vecchia data ». 
Ma doveva esserci un modo! Era di dei che stavano parlando infondo, loro avevano sempre una scorciatoia. 
Così continuò a cercare, fino a quando un giorno, seduta a leggere –  delle leggende ovviamente, come sempre in quell’ultimo periodo - sotto ad un pino vicino alla Casa Grande, non vide delle ragazze in divisa argentata bussare animatamente alla porta di Nord.
Non aveva mai visto così tante ragazzine tutte assieme. Sembravano... una squadra. Lei non aveva mai fatto parte di una squadra.
-    Oh, voi arrivate! – esclamò Nord a porta aperta ed Elsa si mise ad origliare
-    Si, siamo qui. – fece una delle ragazze, la più alta del gruppo.
Questa aveva i capelli biondi tagliati molto corti ed una aria da vera dura. Mise un po’ di soggezione ad Elsa, specialmente quando questa guardò dritto in direzione dell’albero in cui lei si nascondeva.
Che l’avesse vista? 
Elsa si ritrasse vicino alla corteccia, respirando piano.
-    Era da secoli che voi Cacciatrici non venivate a Caccia alla Bandiera! Davvero contento di avervi qui! –
-    Sì... avevamo qualche giorno libero e siamo venute. –
Dalla voce non sembrava molto contenta di essere lì. Forse l’aria fin troppo natalizia di Nord l’aveva infastidita. 
-    Sei tu... nuova luogotenente? – si azzardò a chiedere Nord e la figlia di Atena sentì nel suo tono un leggero imbarazzo. 
Era la prima volta che quell’omone veniva messo così alle strette.
-    Si. Mi chiamo Tamora. – 
-    Oh , Tamora! Ecco chi mi ricordavi! Figlia di Ares che si unì alle Cacciatrici quando io solo ragazzino! –
-    Okay, bella storia. – lo liquidò però velocemente, ancora infastidita – Adesso potete scortarci alla nostra cabina? –
-    Ohm... io... sì certo. Andiamo. –
Elsa rimase ferma dietro al suo albero fin quando non udì più i passi delle ragazze del gruppo. Poi, quando pensava di avere via libera, una di queste le si piazzò davanti, e la figlia di Atena sobbalzò spaventatissima a quell’imboscata.
Una ragazza dalle fattezze indiane, coi lunghi capelli scuri a cingerle il volto e la divisa argentea indosso la squadrava da capo a piedi, ed Elsa improvvisamente capì come Nord si dovesse essere sentito poco prima da solo al loro cospetto.
-    Perché stavi origliando? – le chiese, puntando gli scuri occhi profondi su di lei.
Poteva avere più o meno la sua età, eppure quella ragazza aveva qualcosa di strano. Sembrava... appartenere ad un'altra epoca.
-    Io... ero solo... –
-    Solo cosa? Non ci piace chi origlia. La luogotenente ti ha vista e mi ha chiesto di controllare. – si avvicinò pacata a lei - Sei un’infiltrata? – 
-    No! Ero solo curiosa! – Elsa alzò le mani in segno di resa, preoccupatissima.
Le frecce che la Cacciatrice portava sulla schiena non la rassicuravano affatto.
-    Quanti anni hai? –
-    Quindici. –
Un sorriso si stagliò dopo quella risposta sul volto della ragazza indiana, tranquillizzando e sorprendendo Elsa allo stesso tempo. 
Perché sorrideva adesso?
-    Noi siamo le Cacciatrici di Artemide. Ragazze immortali devote alla dea della caccia e della luna. Siamo sue sorelle e facciamo un voto di fedeltà nei suoi confronti, oltre a quello di castità e di ribrezzo di fronte agli uomini. – spiegò, improvvisamente rilassata.
Sembrava un’annunciatrice delle pubblicità, categoria che ad Elsa non era mai piaciuta, eppure continuava a pendere dalle sue labbra. 
Far parte di un gruppo... finalmente... mai più essere considerata un mostro... 
-    Se una Cacciatrice viene meno al suo voto, la nostra padrona le toglie l’immortalità e la trasforma in un animale. Ma ehi, quasi nessuno l’ha mai fatto da quando lo sono io. – aggiunse la Cacciatrice notando il cipiglio spaventato sul volto della sua interlocutrice – Ah, ed inoltre non siamo propriamente immortali. Possiamo comunque morire in battaglia. -
-    E tu da... da quanto lo sei, precisamente? – chiese incerta Elsa, al quanto preoccupata all’idea di conoscere la vera età della ragazza
-    Un bel po’... oramai ho perso il conto. Diciamo dall’epoca dell’arrivo dei coloni in America. – 
-    Oh miei dei! – Elsa alzò un po’ troppo la voce, guadagnandosi un’occhiata offesa da parte dell’indiana 
-     Il bello dell’immortalità, mia nuova amica. – disse però poi quest’ultima, tornando gentile - A proposito, qual è il tuo nome? –
-    Elsa. –
-    Il mio è Pocahontas. –
E si sorrisero.
L’indipendenza e la sicurezza che quelle ragazze emanavano fece nascere molta invidia nel cuore di Elsa nei giorni seguenti.
Avrebbe tanto voluto essere come loro, ma non poteva. Al momento non le sembrava la soluzione adatta alla situazione che stava vivendo. Si sarebbe allontanata da Anna, sì, ma chi le assicurava che quel potere non avrebbe potuto uccidere anche una Cacciatrice? Non erano completamente immortali. 
Quando poi però nei giorni seguenti ne parlò con la luogotenente – sotto consiglio di una Pocahontas che l’aveva presa molto in simpatia -, la risposta a ciò che cercava da mesi le si presentò lampante davanti agli occhi, appagante come un raggio di sole caldo in pieno inverno.
-    Una volta diventata Cacciatrice, perdi i poteri derivati dal tuo genitore divino. Ti consegni ad Artemide, non sei più proprietà loro. –
-    Vale anche per i poteri ereditati da un antenato...? – aveva chiesto, preoccupata che in quel caso non avrebbe funzionato
-    Si. Vale anche per quello. – rispose Tamora, guardandola con sguardo indecifrabile.
Nonostante la soggezione provata nei confronti della luogotenente, Elsa si sentiva finalmente completa in loro presenza.
Aveva deciso. Lo faceva per lei e per Anna. Nient’altro le importava. 
Quando Flynn lo venne a sapere però il giorno dopo la Caccia alla Bandiera... 
-    Che cosa?! Te ne andrai con loro?! – aveva urlato, ed Elsa non l’aveva mai visto così arrabbiato in vita sua 
-    È l’unico modo per concedere a me e ad Anna una vita migliore. Consegnandomi ad Artemide perderò i poteri di Borea. Non potrò più uccidere nessuno. – gli disse, cercando di non scomporsi.
Lo ammetteva, le veniva difficile. Dopo le giornate in cui lo aveva avuto vicino, era complicato dirgli addio. Le sarebbe mancato, ma anche lui sarebbe stato meglio così, senza più la fredda Elsa a dargli problemi. 
-    Non avresti ucciso nessuno in entrambi in casi. – continuò imperterrito il figlio di Ermes, stavolta però calmatosi un po’ 
-    Dici così perché non capisci quanto il mio potere sia distruttivo. – la figlia di Atena gli mostrò le sue mani, tentando di fargli capire i validi motivi per cui lo faceva - Io ho paura di farle del male. È già successo una volta ed i Troll che l’hanno guarita dissero che se... se fosse successa la stessa cosa al suo cuore non... non avrebbe avuto scampo. Non c’è nulla di positivo in questo mio potere, Flynn! Devi capirlo! –
Ma lui non aveva capito. 
-    Gli uomini vogliono solo possederti, Elsa. – le aveva detto Pocahontas mentre assieme raggiungevano la cabina di Artemide per il giuramento – Il motivo per cui sono qui mi aveva chiesto di scegliere. Io ho scelto una vita senza di lui piuttosto che star lontana dalle persone a cui voglio bene. E tra queste, oltre a mio padre e al mio popolo, c’erano anche le Cacciatrici. Ti troverai bene con noi, Elsa. Dimenticalo. –
E, mentre pronunciava il fatidico « Consacro me stessa alla dea Artemide », i suoi occhi incontrarono per un nano secondo quelli castani di Flynn che, fuori dalla cabina numero otto, osservava avvilito la scena.
Mimò un « Mi dispiace » con le labbra nella sua direzione, per poi completare il giuramento con « Volgo le spalle alla compagnia degli uomini, accetto la fanciullezza eterna e mi unisco alle Cacciatrici ». 
Dopo quelle parole, l’ombra del ragazzo svanì, ed Elsa la rivide solo il giorno dopo, alla sua partenza dal Campo.
Artemide aveva accettato il suo voto, era ora di andare per la sua strada.
-    No, Elsa! – aveva urlato un’Anna piangente quella mattina, mentre questa andava via con le sue nuove sorelle.
La ormai Cacciatrice Elsa sapeva però di non dover voltarsi. 
Pocahontas le stava accanto, mentre una lacrima le si stagliava inesorabile sul viso e la sua unica consolazione era la mano dell’amica sulla spalla destra.
-    Non farlo di nuovo, non lasciarmi! – 
Elsa sentì i piedi di Anna scalpitare. Probabilmente Flynn la stava trattenendo. 
Ancora una volta lo ringraziava per questo e, mentre sorpassava l’arco di pietra d’ingresso del Campo, augurò ad entrambi una vita lunga e felice, senza di lei.

 
***

Due anni dopo, le Cacciatrici si erano ritrovate a passare nei pressi di Long Island. 
Elsa aveva vissuto una vita felice con loro, fatta di duro lavoro e amiche vere, persone che finalmente la guardavano con rispetto e non come se fosse l’ennesimo mostro da evitare.
Si sentiva accettata, eppure il richiamo del Campo era stato forte lo stesso.
Voleva vedere quanto Anna fosse diventata bella in quegli ultimi anni. Voleva vedere cosa Flynn fosse diventato al Campo, ormai diciassettenne. Voleva accertarsi che stessero tutti bene come voleva e che quel suo sacrificio non fosse stato vano. 
-    Ragazze  - aveva chiamato così le compagne per dirle che sarebbe andata per qualche minuto a controllare la zona – torno tra poco, faccio un’ispezione veloce. –
Non voleva far credere alle amiche che si fosse pentita della sua scelta, perché non era così. Stava bene con loro, solo che... doveva sapere.
Così, dopo aver camminato per un po’, arrivò finalmente nei pressi della barriera. 
Riusciva a vedere la Collina Mezzosangue in tutto il suo splendore da lì. L’aria fresca di quel luogo le inebriò subito le narici. Ne inspirò il più possibile, come uno scoiattolo che raccoglie provviste per l’inverno alle porte.
Mentre faceva questo, una voce famigliare la svegliò dal torpore che quella bella sensazione le aveva provocato e la costrinse ad aprire gli occhi.
A pochi metri di distanza da lei la sorella con un ragazzo ed una ragazza – ad Elsa sconosciuti – intenti ad ascoltarla parlare. 
Era rimasta la solita logorroica di sempre, ma i quindici anni su di lei si facevano vedere. Era bellissima coi lucenti capelli fulvi legati in spesse trecce e gli occhi verdi accessi di una vitalità nuova, ignota all’ormai lontana sorella maggiore Elsa. 
-    Non sapevo che fosse un mostro! Era carino! – la sentì dire ai due ragazzi, e questi risero.
Le mancava, ma vederla così aveva cancellato tutti i brutti pensieri fatti precedentemente. 
Le era risuonata per anni la sua voce delusa che le urlava contro di non andarsene di nuovo e, colpevole, aveva temuto non fosse più riuscita più ad essere felice.
Invece no, si era fortunatamente sbagliata, e proprio mentre Elsa, ormai soddisfatta, stava avviandosi verso il punto di ritrovo deciso dalle compagne, un figlio di Ermes castano attirò inevitabilmente la sua attenzione.
Stava parlando con una ragazza su una panchina. Quest’ultima sembrava molto attenta alle sue parole, quasi ne fosse rapita.
Era cotta di lui, si vedeva da lontano un miglio. Un’altra cosa che si notava di lei erano i lunghi capelli biondi che possedeva. Lunghi? Chilometrici ad esser sinceri.
Bizzarra ma molto, molto bella.
-    E così il tuo vero nome è Eugene? – fece sorpresa la ragazza in questione ed il castano fece di rimando spallucce 
-    L’avevo detto ad una sola persona nella mia vita ma... lei in cambio ha deciso di andare via. –
Elsa rimase lì, immobile al suono di quelle parole, letteralmente paralizzata dall’aver sentito ancora una volta la presenza di delusione nella sua voce. E succedeva sempre quando era lei il suo argomento del giorno. 
La biondina abbracciò Flynn, probabilmente intenerita dall’ultima frase da lui detta, e la Cacciatrice non poté far altro che restare lì a guardarli, immaginando per un attimo se stessa al posto della ragazza fra le sue braccia.
In una vita diversa magari. Con lei senza quello stupido potere. Con lei unita finalmente alla sorella Anna. Con lei non più costretta a scappare.
E, mentre guardava i due con gli occhi colmi di lacrime, la sua attenzione fu attirata  da un ragazzo albino, in piedi nella sua stessa posizione, col suo stesso ed identico sguardo pentito sul volto. 
Quest’ultimo – notando molto probabilmente la presenza della ragazza al di fuori della barriera – rivolse poco dopo gli occhi color ghiaccio nella sua direzione, ma Elsa, coi suoi riflessi da Cacciatrice, si era nascosta prontamente dietro ad un albero vicino, mentre lacrime bollenti le inondavano inesorabili il viso e i barlumi di una vita diversa le si stagliavano nitidi nella mente.
La paura era stata davvero il suo nemico, alla fine.
 
 
 

N.A.:  E ce l'ho fatta! Queste sono soddisfazioni! 
Davvero, fino a qualche giorno fa pensavo di lasciarvi così, per quattordici giorni, con l'amaro in bocca per l'ultima One Shot. Ed invece no, mi sono rimboccata le maniche - ho scritto in ogni momento libero ad ogni ora della giornata, giuro - ed eccola qui, la seconda parte di #Hunter.
Prima cosa, mi scuso con chi sperava in qualcosa di meno depresso stavolta, ma la storia di Elsa doveva essere questa e questa è stata. In compenso, ho aggiunto all'inizio una parte simpatica da ammettere alla serie " mostri spaventosi che Lullaby ha fatto incontrare ai nostri personaggi preferiti ". 
Parte che, per giunta, avevo pensato di eliminare dato che, lo vedete da voi, questa è la One Shot più lunga che io abbia mai scritto - non solo nella raccolta, ma in tutta la mia vita -. Ma sarebbe stato tutto troppo angst togliendo anche quella di parte per cui ho alla fine pensato fosse meglio lasciarvi con una Missing Moment più sostanziosa prima della mia partenza.
Devo dire che alla fine sono abbastanza soddisfatta del risultato, nonostante io mi sia, come dire, costretta a scrivere velocemente. 
La parte che preferisco è sicuramente quella finale perché 1) i Big Four dopo taaanto tempo finalmente - *-*  -, 2) spolverata di hints!Jackunzel - *^* - e 3) i parallelelismi tra Elsa e Jack, venutimi assolutamente spontanei nonostante detesti la ship che li vede protagonisti. Non è che la detesto, solo che non ce li vedo molto bene in quel senso. Sarà che ho sempre visto Jack come un bambinone ed Elsa come una persona dovuta crescere troppo in fretta per uno come lui. 
Ma, eliminando questa cosa che mi fa partire lo sclero - ho urlato dopo averlo scritto perché ero fiera di me per la prima volta nella mia vita x'D -, vediamo se avete tutti riconosciuto l'allora luogotenente delle Cacciatrici. 
Il Sergente Tamora Jean Calhoun direttamente da Ralph Spaccatutto, perché era semplicemente perfetta per il ruolo!
E, un'altra cosa: non sono tanto convinta sul fatto che una semidea diventata Cacciatrice possa perdere i poteri dategli dal genitore divino o da un suo parente lontano - come nel caso di Elsa - ma mi pareva di ricordare una cosa simile. Sono andata a controllare sui libri della prima serie di PJO ma non so, non ne sono ancora convina, anche se ammetto di ricordare una cosa simile in Talia. Se così non dovesse essere, prendete questa cosa come una... licenza poetica - come se ne avessi il diritto >.< -. ^^"
Detto questo, vi saluto e ringrazio come sempre per l'incoraggiamento ed il sostegno. Mi mancherete tutti in questi quattordici giorni a Londra ma, ehi, ci si rilegge nei primi di agosto con la prossima Missing Moment ;)
Alla prossima! 

 
 

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Capitolo 8
*** #Training - Farò di te un uomo ***


We are Demigods
[ Raccolta di Missing Moments ]

 
#Training 
Farò di te un uomo
 
Il sole era calato da un pezzo sul Campo Mezzosangue, lasciando spazio alla luna e al suo lieve e candido bagliore.
L’instancabile Shang se ne stava nel suo personale covo segreto da qualche ora, ad allenarsi come di consueto. 
Il sonno non era mai stato un problema per lui, abituato a dormire la metà delle ore necessarie ad un essere umano medio. Si addormentava dopo cena, sonnecchiava in mezzo ai ronfanti fratellastri per un po’ e si ridestava verso le quattro del mattino, pronto ad affrontare al meglio la nuova giornata.
Da pazzi, eh? Non per lui almeno che, agli occhi altrui, continuava ad apparire sveglio e pimpante come sempre. 
Non sgattaiolava però dentro la grotta un tempo appartenuta all’Oracolo di Delfi per fanatismo come parecchi suoi fratelli – insospettiti dalle sue scorribande notturne – sospettavano.
Lo faceva perché solo di notte, nel silenzio offerto dalla penombra, riusciva a connettere corpo e mente, a sentirsi finalmente forte, imbattibile, e di conseguenza a ricongiungersi a suo padre. 
In quei momenti poteva percepire la presenza di Ares proprio lì, alle sue spalle, a sostenerlo come mai durante la giornata. 
Era una sensazione che non riusciva a spiegare: lo faceva star bene, veramente bene, come nient’altro nella vita. 
Tolte le stupide arpie guardiane intente a girovagare di notte –  che, no, non svolgevano affatto bene il loro lavoro secondo Shang -, quello era anche il momento migliore per osservare il Campo in tutta la sua silenziosa maestosità. 
Quando sorgeva il sole poi, che spettacolo. 
Shang provava pena per i compagni dormiglioni: loro non si sarebbero mai goduti il Campo a pieno come faceva lui da anni.
Quella mattina, dopo aver beneficiato dell’alba, il figlio di Ares tornò alla cabina numero cinque, pronto a svegliare i suoi soldati come il giorno prima e quello prima ancora. 
Una volta varcata la soglia del piccolo edificio, il suo sguardo si andò però a posare accidentalmente su un letto rifatto, gesto che fece subito balenare un pensiero irritante nella sua mente inizialmente rilassata: la riccia gli mancava
Okay, gli aveva fatto passare le pene del Tartaro per via della sua ostinata ribellione ma, alla fine, si era affezionato a quella zazzera indomabile di capelli rossi che, ogni mattino, gli ringhiava contro assonnata. 
Non poter più ridere dei suoi « Ti prego, ancora cinque minuti! » gli faceva sembrare la mattina incompleta e, quando quei pensieri si impossessavano del suo cervello da fratellastro-responsabile, l’unica cosa che riusciva a placarli era pensare che presto la rossa sarebbe tornata dalla sua missione suicida, sebbene la parola suicida lo scoraggiasse di nuovo subito dopo.
Se lui, diciassettenne capogruppo della casa di Ares, addestrato a combattere dall’età di undici anni, si era fatto spaventare da delle arpie, che speranza aveva lei, quindicenne arrivata al Campo da pochi mesi, di farcela là fuori assieme ai suoi amici? 
-    Buon... buongiorno Shang. – farfugliò la sua sorellastra biondina, Astrid, a qualche letto di distanza dalla soglia, ridestandolo così dai suoi pensieri – Che succede? È ora? –
Lui annuì in risposta, chiedendole in seguito – ormai tornato alla realtà - di aiutarlo a svegliare gli altri. 
Ci misero almeno trenta minuti a mettere tutti sull’attenti. La maggior parte dei ragazzi si era abituata al suo regime autoritario, fatta eccezione però per i soliti idioti, alias i gemelli Testa di Tufo e Testa Bruta e lo spocchioso Moccicoso che, tutte le sante volte, dovevano rallentare il procedere della sua minuziosa tabella-oraria-mentale
-    I ragazzi delle altre cabine possono svegliarsi all’ora che vogliono. – si lamentò difatti come ogni mattina uno dei tre seccatori mentre, tra uno sbuffo e l’altro, si infilava la maglietta arancione del Campo – Perché noi non possiamo fare lo stesso? –
-    La mia teoria, Moccicoso, è che è per colpa dei tipi come te che i figli di Atena si credono superiori a quelli di Ares. – si limitò così a rispondergli Shang, suscitando in questo modo le risate nel resto dei suoi fratelli, sebbene la sua non fosse stata affatto un’affermazione mirata a mostrarsi simpatica.
Nonostante ciò, bastò a zittire Moccicoso che si costrinse da lì in avanti a seguire in silenzio le direttive. 
Fecero colazione al padiglione della mensa, assieme a qualche figlio di Atena mattutino, alla maggior parte dei figli di Apollo – alcuni di loro non riuscivano a continuare a dormire dopo il sorgere del padre – e, purtroppo, alle Cacciatrici.
Dei, quanto le odiava! 
Era per colpa loro che una sua sorellastra continuava a rischiare la vita là fuori e, pur volendo escludere questo nobile motivo dalla lista, continuava ad odiarle lo stesso, specialmente Pocahontas, l’indiana che adesso gli lanciava sguardi eloquenti dal tavolo otto. Sembrava urlargli con gli occhi un « Che hai da guardare, verme schifoso! ».
Patetiche. 
-    Su, sbrigatevi, anche oggi allenamento. – disse ai suoi compagni di casa Shang, distogliendo finalmente lo sguardo da quella Cacciatrice insolente.
Qualche fratellastro cominciò a borbottare tra sé e sé – tipico – mentre lui addentava noncurante delle lamentele l’ultimo boccone del suo uovo all’occhio di bue. 
-    Non per te, ragazzone. – interrupe tuttavia il vociare dei ragazzi il satiro Fil, sbucando improvvisamente sulla scena e poggiando entrambe le mani pelose sulle spalle del figlio di Ares.
Lui si voltò confuso a guardarlo mentre questo sorrideva raggiante. 
Era la prima volta dalla fuga dei quattro ragazzi che Shang lo vedeva così felice. Doveva aver ricevuto buone notizie. 
-    Hai un compito speciale da svolgere per cui per oggi dovrai lasciar stare questi ragazzi. – spiegò tuttavia, incuriosendo così ancora di più il capogruppo. 
Un boato trionfante si alzò dal tavolo numero cinque dopo quell’affermazione, facendo stagliare un sorriso appena accennato sul volto di Shang. 
Non pensava di essere così odiato e, per qualche motivo, la cosa lo divertì. 
-    Eh eh, non festeggerei così presto se fossi in voi. – li ammonì tuttavia Fil ed i volti dei figli di Ares si fecero improvvisamente delusi – Il suo compito importante riguarda anche voi. – ora invece nei loro occhi splendeva stupore - Ma, per adesso, non posso dirvi niente. Rovinerei la sorpresa. –
Mentre i fratellastri ricominciarono a parlottare tra loro, Shang si mise in piedi, dandoli appuntamento a più tardi e ricordandoli di non rilassarsi troppo. 
Poi, in silenzio, seguì Fil sino alla Casa Grande, dove Nord li aspettava assieme a... NO! 
-    Che ci fai tu qui? – esclamarono all’unisono i due ragazzi, già irritati dalla presenza dell’altro.
Belle, la capogruppo della casa di Atena, stava di fronte a lui, più agguerrita che mai. 
Se non fosse stata la principale sostenitrice della campagna “ Atena è migliore di Ares “, a Shang sarebbe anche potuta piacere la ragazzina castana fissata con la lettura. Peggio delle Cacciatrici di sicuro non era, per cui meglio non lamentarsi.
-    Vedo che vi state simpatici! – osservò sarcastico Fil, mettendosi allegro tra i due – Farete davvero una bella squadra da oggi in poi! –
-    Squadra? – ancora una volta parlarono assieme, guardandosi poi per questo in cagnesco.
Non sarebbero mai riusciti a collaborare pacificamente con la rivalità persistente tra i loro genitori in mezzo. 
Fil, notandolo, non rispose, limitandosi a sghignazzare nervoso. 
-    Oh, eccovi! – Anna spuntò all’improvviso dalla Casa Grande con una tazza di cioccolata calda ben stretta in mano, sveglia come mai Shang l’aveva vista a quell’ora – Aspettiamo le Cacciatrici però, così non dovrò ripetere la mia proposta per due volte. -
Anna sveglia a quell’ora? Le Cacciatrici coinvolte? 
Di qualunque cosa la mansione speciale trattasse, non doveva essere particolarmente piacevole da svolgere per il povero Shang.
-    Non posso lavorare con le Cacciatrici. – si sentì infatti di mettere in chiaro intanto che Anna posava la sua bianca tazza vuota su un tavolino da caffè – Mi odiano, come odiano tutti i ragazzi del Campo. Perciò, se c’entrano anche loro in questa storia, farete a meno di me. –
-    Ma... Shang, siamo uno squadra! – lo prese per le spalle la figlia di Afrodite prima che potesse scappare e, dopo aver incrociato i suoi occhi imploranti, Shang si sentì già fregato – Vuoi che Merida torni sana e salva, no? –
-    Cosa...? – ma prima che potesse formulare al meglio la domanda, fu interrotto dal passo marciante delle Cacciatrici che arrivavano, pronte a prenderlo a pesci in faccia come di routine.
Anna gli lasciò subito le spalle, cominciando a far segno alle ragazze di raggiungerli, eccitata. 
Ma che aveva da essere tanto euforica?
Shang e Belle si guardarono, per la prima volta compresivi l’una delle emozioni dell’altro. Tutto sommato era felice di avere la ragazza accanto a sé, sapendo quanto anche lei odiasse le Cacciatrici. Questo perché qualche anno prima avevano cercato di fregarla ma la figlia di Atena, segretamente alla ricerca di quell’amore tanto citato nei libri letti, aveva rifiutato di sana pianta la proposta, cominciando a nutrire una non poco velata antipatia nei loro confronti. 
-    Bene, adesso che siamo al completo – annunciò Anna mentre Fil e Nord le si sistemavano ai fianchi, pronti a sostenere la proposta che da lì a poco avrebbe fatto – possiamo cominciare. –
La ragazzina cercò a quel punto di ergersi il più possibile, come a cercar di sembrare più sicura di sé agli occhi di tutti quei ragazzi più grandi.  Peccato che così facendo si stesse solamente mettendo in ridicolo. Shang avrebbe voluto dirglielo, in pena per lei ma, prima che potesse farlo, la ragazza cominciò ad esporre euforica la sua fantastica idea. 
-    Le Cacciatrici sanno già quanto noi semidei vorremmo aiutarle nella loro missione salviamo-i-Big-Four. – disse, e parecchie ragazze storsero il naso già a quella frase. 
Questo innervosì Shang. 
Quei quattro ragazzi erano amici loro, non di quelle spocchiose ragazzine dedite ad Artemide. Meritavano di partecipare alla spedizione e, su quel punto, non poteva che essere più d’accordo con Anna.
-    Tuttavia non ci volete tra i piedi. – diede infatti voce poco dopo ai pensieri di Shang la quindicenne, avvicinandosi alle Cacciatrici per poterle guardare meglio negli occhi – Non ci trovate abbastanza allenati. Ci pensate deboli. Be’, supponiamo che noi lo fossimo davvero, cosa che non siamo, perché non darci qualche settimana per allenarci? Sono sicura che, con un po’ di preparazione, riusciremo a diventare tutti perfetti combattenti. – 
-    Anna, io non credo che... – provò a ribattere Elsa, la luogotenente in carica delle Cacciatrici, ma la sorella la interruppe subito
-    Fammi finire. – le disse seria ed Elsa, improvvisamente imbarazzata, abbassò il capo obbediente.
Shang sorrise a quella scena.
Vedere una quindicenne figlia di Afrodite zittire nientepopodimeno che la luogotenente  delle Cacciatrici era stata una soddisfazione troppo grande per lui che le odiava tanto. 
Vai così, Anna! “ si ritrovò a pensare, vergognandosi poi subito dopo di aver perso così facilmente il controllo. 
-    Qui entrano in gioco Shang e Belle, l’orgoglio del Campo in fattore prestanza fisica e cervello strategico. – 
-    Ma dai Anna... – bofonchiò lusingato da quelle parole Shang, evitando rigorosamente di guardare i volti delle Cacciatrici per non rovinarsi quel piccolo momento di gloria di fronte a loro 
-    Piantala di dire sciocchezze. – fece invece imbarazzata Belle, nascondendo il volto tra le mani – Ci sono persone più brave di noi a... –
-    Sitz! – scattò Anna verso di loro, facendoli indietreggiare scioccati da quel gesto – La modestia non è accetta in questo luogo. –
Dove quella ragazzina avesse trovato tutta quella sicurezza era un mistero. Tuttavia a Shang piaceva la nuova Anna, almeno stava rivendicando il valore del Campo di fronte a quelle altezzose so-tutto-io di Cacciatrici.
-    Dicevo, Shang e Belle alleneranno i ragazzi ad affrontare tutte le sottospecie di mostri mitologici sanguinari che esistano. E lo faranno per bene, perché sono fortissimi. –
Una risata a quel punto si levò dal gruppo di Cacciatrici e Pocahontas – dei, che odiosa! – si fece avanti divertita.
-    Non conosco la ragazza ma posso dirvi che il caro Shang non è magnifico come Anna continua a sostenere. – disse, lanciandogli uno dei soliti sguardi provocatori - Si è lasciato terrorizzare da delle arpie. Si era arreso e messo a piagnucolare come un bambino di fronte a loro. L’abbiamo salvato noi da morte certa in mezzo a quella foresta, anche se sembra dimenticarlo a volte. –
Shang sentì il suo sangue ribollire alle parole della Cacciatrice. 
In un primo momento pensò di non abbassarsi al suo livello, di rimanere in silenzio. Quando poi però Anna cominciò a guardarlo con occhi stupidi, capì di doversi spiegare.
-    Pocahontas non ha specificato il numero di arpie e l’equipaggiamento che avevo a disposizione in quell’episodio. Non ha specificato quanta poca luce ci fosse a quell’ora nella foresta. Ha dimenticato che, be’, noi eravamo otto semidei senza armi idonee, loro invece centinaia di Cacciatrici equipaggiate. Chiunque avrebbe aspettato in silenzio la morte di fronte all’evidenza. – fece un passo avanti verso Pocahontas, fino a guardarla dritta negli occhi scuri - Ho lottato fino alla fine almeno e vado fiero di questo. Non so se Anna faccia bene a dipingermi come un eroe, so solo che almeno io provo a fare del mio meglio ogni giorno a differenza vostra che riuscite solo a criticare gli altri. -
Ci fu silenzio per un po’. Belle venne verso di lui per allontanarlo da Pocahontas, sussurrando un « Detesto dirlo ma sei il mio nuovo idolo » mentre tornavano a debita distanza dalle ragazze in divisa argentata.
Shang si sentiva di nuovo soddisfatto. Non aspettava altro che una loro risposta a quella sua arringa che però, alla fine, non arrivò. 
-    Il problema per me non è chi li addestrerà. – ebbe finalmente il coraggio di parlare dopo secoli Elsa, rivolgendosi alla sorella e fingendo che tra Pocahontas e Shang non fosse accaduto nulla di rilevante poco prima – Ho vissuto qui e so quanto i semidei siano pronti ad affrontare qualsiasi battaglia si presenterà nel cammino. Non voglio mettere in mezzo il Campo solamente perché... – ed esitò – non voglio che il bilancio dei morti sia devastante. –
-    Non lo sarà, Elsa! – rispose a gran voce Anna e Shang si chiese come facesse a continuare a parlare in quel modo dopo l’ultima affermazione della luogotenente – Siamo disposti a morire in battaglia per i nostri amici, proprio come lo siete voi. Non c’è differenza! Lasciaci allenare! Permettici di aiutarvi! È solo unendo le forze che il bilancio di cui parli non sarà devastante! –
Il discorso della fulva non faceva una piega. Elsa continuava infatti a mordersi nervosa il labbro inferiore, guardando nel frattempo indecisa la sorella. 
Poi, dopo attimi che parvero interminabili, si voltò verso le compagne Cacciatrici e, per un po’, aspettarono che queste finissero di confrontarsi.
L’attesa fu lunga e snervante. 
Fil e Nord continuavano a congratularsi con Anna per il temperamento dimostrato, ma lei sembrava non ancora convinta di avercela fatta. Guardava speranzosa le ragazze e, strano ma vero, anche Shang faceva lo stesso.
Aveva voglia di combattere, di aiutare i quattro ragazzi che da soli si erano coraggiosamente caricati del destino dell’Olimpo. Rimanere al Campo ad aspettare notizie sul loro conto era estenuante, ancor più estenuante del sapere che no, non erano autorizzati a partecipare alla missione che li avrebbe aiutati. 
Pregò tutti gli dei affinché le Cacciatrici decidessero di unire le forze perché, nonostante l’antipatia, sapevano il fatto loro e Shang lo riconosceva. 
Così, quando finalmente smisero di parlare ed Elsa fece seria un cenno affermativo col capo, il figlio di Ares non poté far a meno di battere il cinque ad Anna che, dopo ciò, andò a stritolare la fredda sorella in un abbraccio colmo di gratitudine. 
-    Non fatevi male! – fu la risposta di Elsa a quel gesto, come se davvero la sua preoccupazione più grande fosse perdere qualcuno del Campo 
-    A quello ho già la soluzione. – le fece l’occhiolino la sorella, saltellando poi euforica non riuscendo più a trattenere l’entusiasmo accumulato 
-    Ha pensato proprio a tutto la nostra Anna! – fermò i suoi saltelli felici Belle, abbracciando la fulva soddisfatta.
 E Shang rimase lì, ad osservare la scena, mentre Fil farfugliava qualcosa come:
-    Adesso comincia il vero lavoro. –

 
***

Shang non avrebbe dovuto sottovalutare l’incarico. 
Abituato a lavorare coi suoi fratellastri, aveva completamente trascurato l’esistenza di esemplari di semidei anti-atletici, come i figli di Afrodite e quelli di Dioniso. 
Per non parlare di alcuni figli di Efesto. E oh, Gambedipesce, direttamente dalla progenie di Atena.
Messi in riga parevano ancora più imbranati. 
Lui e Belle avevano diviso i semidei in due gruppi per semplificare il lavoro e, guarda caso, la figlia di Atena l’aveva fregato – tanto per cambiare -. 
Nel suo c’erano praticamente tutti i fratellastri di Shang – esclusi ovviamente Testa di Tufo, Testa Bruta, Moccicoso e Ralph Spaccatutto che erano casualmente capitati a lui -, i più scaltri figli di Ermes, i più robusti figli di Efesto, i migliori arcieri della progenie di Apollo, tutti i ragazzi di quella di Atena – ed anche qui casualmente Gambedipesce era stata rifilato a lui assieme ad una nuova arrivata –, gli indeterminati più svegli ed Eric, l’unico figlio di Poseidone. 
-    Problemi col tuo gruppo, Shang? –  sentì gridare dall’altra parte del Campo quella doppiogiochista di Belle mentre lui squadrava da capo a piedi i ragazzi con cui avrebbe avuto a che fare da quel giorno in poi.
La maggior parte erano figli di Afrodite – compresa Anna che, okay, era simpatica ma con un arma in mano Shang non riusciva ancora a figurarsela – ed indeterminati abbastanza disorientati. Una ragazza coi capelli biondi –  « Mi chiamo Cenerentola! » gli aveva detto poco prima offesa - si guardava attorno con aria sognante, esattamente come faceva una figlia di Demetra a pochi passi da lei, Biancaneve se Shang ricordava bene il nome. 
Poi c’erano quei due stupidi gemelli – si vergognava ancora a chiamarli fratellastri in pubblico – che litigavano tra loro mentre Moccicoso prendeva di già in giro Gambedipesce; questo però, imperterrito, continuava a leggere un libro sui draghi. 
Ralph se ne stava in silenzio accanto a loro, col volto di chi preferirebbe essere altrove – e Shang per la prima volta non lo biasimò per questo -.
La new entry della progenie di Atena lo scrutava invece taciturna con i suoi scuri occhi a mandorla. Ogni tanto però li puntava imbarazzata sul terreno circostante quando Shang dava segno di notarlo. 
Tra i figli di Efesto c’erano il vecchio Felix – che, dai, non era affatto da buttare -, il ragazzino nuovo ed il suo strano robottino – che inquietava ancora un po’ Shang – ed il ragazzone di colore. Com’è che lo chiamavano lui? Ah si, Wasabi
E poi be’, un figlio di Dioniso che non conosceva ma che sì, pareva parecchio inutile e gli allegri dottori della progenie di Apollo, ovvero gli scarti lasciati dalla gentilissima Belle. Non dimentichiamo quello scansafatiche di Aladdin, l’unico della progenie di Ermes ad essere capitato a lui. 
-    Che belli che siamo. – fece ad un tratto Moccicoso, lasciando finalmente stare il povero Gambedipesce – Gruppo due regna! –
L’idiota cominciò a battere le mani con falsa euforia ma nessuno lo seguì, neppure i gemelli scema e più scemo. Shang si limitò a roteare gli occhi già stufo della situazione mentre gli altri ragazzi scioglievano la fila, convinti di poter andare a fare i fatti loro. 
-    Ehi, dove state andando? – urlò così, spazientito
-    Dove gli scarti come noi devono stare. – fu Ralph a rispondere alla domanda, perentorio.
Non solo schiappe, anche facilmente arrendevoli!  
-    Ma cosa dite ragazzi! – Anna si fece spazio tra la folla, raggiungendo Shang – Tutti dobbiamo collaborare! Noi non siamo scarti! E, cavoli, abbiamo Shang come coach, secondo me diventeremo anche più bravi degli allenati da Belle! –
Shang avrebbe voluto dirle « Non sono una divinità, non faccio miracoli » ma qualcosa dentro di lui lo spingeva a provarci comunque, a credere in quello che gli era stato chiesto di fare.
Non aveva nulla da perdere, dopotutto. Schiappe erano e schiappe sarebbero rimaste se avesse fallito. 
Tirarsi indietro non era da uomini veri e, davanti alle Cacciatrici e a Belle, voleva tutto tranne che apparire una femminuccia. Perciò, disse:
-    Lavoreremo parecchio da oggi in poi. Preparatevi a sudare perché non manderò nessuno là fuori a farsi uccidere da una Chimera. Abbiamo due settimane per riuscirci. Sembra impossibile ma siete semidei, avete sangue da eroe che vi scorre nelle vene, non sprecatelo. – 
I ragazzi del gruppo pendevano dalle sue labbra mentre c’era chi sorrideva immaginando di già la gloria e chi continuava a sembrare scettico.
-     Al termine delle due settimane deciderò chi di voi sarà pronto alla battaglia vera, chi potrà partire con me e le Cacciatrici. Perciò, se ci tenete davvero a quei quattro ragazzi e al destino del mondo, vi consiglio di dare il meglio di voi. Io nel frattempo cercherò di far di voi degli uomini. –
E ci fu un applauso. Uno vero, non come quello inscenato poco prima da Moccicoso. 
Uno di quelli che ti riempiono il cuore di coraggio e speranza. 
Shang sorrise, riscaldato dal calore di quell’inaspettata ovazione mentre, a qualche metro di distanza da loro, Belle allungava il collo come una giraffa affamata, curiosa di scorgere da lì la causa di così tanto rumore.
Presto si sarebbe pentita delle sue stessa scelte: lui le avrebbe dimostrato che, nell’allenare persone, Ares era meglio di Atena.

 
***

Se si contavano solamente le ore che precedevano il pranzo, quello fu un primo giorno d’allenamento piuttosto piatto.
Shang scelse la dolce Anna come aiutante dato che 1) era riuscita a convincere da sola un intero branco di Cacciatrici che il da loro odiato figlio di Ares sarebbe riuscito a trasformare delle schiappe in eroi e 2) era brava coi nomi - cosa che invece lui non era affatto - e chiamare tutti soldato uno e soldato due non invogliava di certo la partecipazione altrui.
Cominciarono con esercizi semplici – ovvero le tanto odiate flessioni. 
Cosa c’era di tanto complicato nell’andare su e giù, e poi di nuovo su e giù? Nulla secondo Shang, tutto secondo i suoi nuovi soldati. 
-    Uno... – cominciò fiducioso, ma il massimo a cui riuscirono ad arriva fu dieci – Fate sul serio? – chiese infatti, indignato dal vederli di già tutti stramazzati al suolo.
Qualche ragazzo fece spallucce in risposta alla sua domanda mentre aiutava i compagni più “ sfiniti “ a rialzarsi da terra. Questi ultimi invece riuscivano solamente a mugolare. 
Shang si coprì il volto con le mani, cercando di darsi forza come meglio poteva mentre Anna gli posava una mano sulla spalla, incoraggiante.
-    Dai, è solo l’inizio. – gli sussurrò, per poi rivolgersi poco dopo ai compagni, quasi arrabbiata - E voi ragazzi cercate di impegnarvi di più! – 
Ma a Shang sembrava sfuggire qualcosa. 
Forse era stato lui a sbagliare approccio. Aveva creduto di trovarsi ancora di fronte ai suoi fratellastri a cui, ogni giorno, faceva fare esercizi mirati a mantenere solamente una forma fisica accettabile. A quei ragazzi non serviva quella roba. 
Doveva formare eroi quella mattina, prepararli alla vita esterna, non farli partecipare a un banale corso di fitness. 
Di certo là fuori una creatura appena rinata dal Tartaro non li avrebbe mai intimato di fare cinquanta flessioni sul posto per salvarsi la vita.
-    E’ colpa mia. – disse così seguendo il corso dei suoi pensieri, ed i ragazzi sgranarono gli occhi per lo stupore – Dovevo cominciare con qualcosa di più stimolante di quelle stupide flessioni. Darvi un obbiettivo da raggiungere. –
Mentre parlava, i volti dei suoi soldati mutavano ad ogni affermazione. C’era chi ascoltava pensieroso, chi si stupiva ad ogni parola e chi sudava di già al solo pensiero di qualcosa di peggiore delle flessioni. 
-    Voglio che mi seguiate adesso. Cominciamo a fare sul serio. –
E, detto questo, fece una tappa veloce in armeria a prendere arco e frecce, seguito solamente dai passi strascicati dell’adesso silenzioso gruppo due. 
Dopo di che cominciò a dirigersi sicuro verso il muro d’arrampicata, sotto lo sguardo confuso di una Belle che, patetica, ai suoi stava facendo fare i soliti esercizi di routine: tiro con l’arco, lotta e scherma. 
Quando poi arrivarono di fronte a quella che sarebbe stata la prova finale del percorso Farò di te un uomo indetto dal loro coach Shang, i ragazzi del gruppo due riacquistarono la voce, pronti a contestare la scelta.
-    Vuoi farci salire là sopra? Sei tipo impazzito?! – commentò subito Aladdin, guardando sconvolto il viso impassibile di Shang – Sono agile sì, ma non voglio ustionarmi con la lava. – 
-    Io non credo di riuscire a... – balbettava invece Ralph a pochi passi da loro, girandosi nervoso i pollici – Preferisco le... flessioni. Sarei arrivato a cinquanta se non ci fossimo fermati... –
-    Oh mamma, è impossibile. – aveva sussurrato intanto Cenerentola all’amica Biancaneve, terrorizzata
-    Mi si spezzeranno tutte le unghie. – riferì sgomenta Anastasia alla sorella Genoveffa
-    Non arriveremo alla fine delle due settimane se moriamo arrostiti su quel muro. – fu invece il parere “ ottimista “ di Moccicoso
-    Vi state preoccupando per niente. – parlò poi finalmente Shang, zittendo tutto quel vociare – Non ho detto che dovevate scalare il muro. –
Il sollievo si diffuse tra i ragazzi e, a quel punto, il figlio di Ares seppe di aver ottenuto ciò che voleva.
Sistemò bene una delle frecce recuperate all’armeria nel suo arco – e questo lo fece improvvisamente pensare a Merida e alla sua predisposizione per quello sport da figli di Apollo, facendolo pentire amaramente d’averla sgridata tutte quelle volte – e la puntò perentorio verso la cima del muro. 
La scoccò poco dopo sotto lo sguardo confuso degli altri ragazzi, per poi spiegare:
-    Dovete arrivare fino alla fine di quel muro per riportarmi la freccia. –
-    CHE COSA? – 
-    Sta scherzando, vero? Ovvio che scherza, no? – 
-    Vuole ucciderci tutti, adesso è ovvio. –
-    Silenzio! – gridò, stanco di tutti quei futili commenti – Non ho finito. –
Adesso anche Anna, che fino ad allora l’aveva sostenuto, sembrava preoccupata.
Shang ignorò il suo sguardo, continuando a far ciò che a lui pareva giusto. 
Raccolse due grossi pesi d’ottone da terra, mostrandoli fiero ai ragazzi. Camminò persino davanti a loro per portarli di fronte ai loro occhi sgomenti. 
-    Ah ah, già sei molto simpatico Shang. – si udì dire da qualcuno del gruppo 
-    Già, grande senso dell’umorismo, amico! – urlò qualcun altro, innervosendo Shang ancor di più
-    Non sto scherzando. – disse infatti, non rivelando tuttavia l’irritazione provata col suo tono di voce – Salirete insieme ai miei due amichetti d’ottone. –
-    Ottone? – domandò Gambedipesce, sudato come mai Shang l’aveva visto prima – Sai quanto è pesante l’ottone, vero? –
-    Certo che lo so. – rispose, portando nel giro di un minuto i due pesi sopra alla sua testa – Se ci riesco io potete farcela anche voi. –
-    Certo ed io sono il Sultano. – fu l’ennesima battutina di Aladdin ma, stavolta, non sarebbe passata inosservata
-    Sarai il primo visto che ti piace fare lo spiritoso. – gli disse infatti, porgendogli i pesi – Sei un topo d’appartamento, no? Vediamo come scali quel muro. –
Shang vide il ragazzo deglutire a vuoto mentre la sua espressione mutava da divertita a terrorizzata.
L’intero gruppo due si zittì intanto che Aladdin, oramai convintosi che Shang facesse sul serio, sistemava i due pesi sull’imbracatura appena indossata. 
-    Saranno il quadruplo del mio peso. – osservò sarcastico il figlio di Ermes anche se Shang, nei suoi occhi, riusciva comunque a scorgere preoccupazione
-    Niente che un eroe non possa fare. – rispose così, osservandolo posare il piede destro sulla prima presa. 
Il ragazzo riuscì a fare sei passi sulla parete prima che questa cominciasse a tremare. 
-    Ohm... Shang? –  cominciò a chiamare nervoso a quel punto – Sta per... eruttare vero? –
-    Va avanti. –
-    Ma... –
-    Va. Avanti. –
Un altro passo. Le braccia del ragazzo tremavano ma Shang non seppe dire se lo facessero per via del peso dell’ottone o per le scosse pre-eruzione che continuavano a far sussultare la parete. 
Fatto stava che Aladdin andava avanti, proprio come Shang aveva sperato. Sfinito sì, ma non si arrendeva.
-    Avanti, non arriverai mai se procedi così lentamente! – gli urlò, notandolo ancora stazionario nel primo quarto di muro – Devi sbrigarti se non vuoi morire ustionato! –
Fece altri due passi, gemendo per la fatica ad ogni minimo movimento mentre la parete minacciava sempre più di buttarlo giù coi suoi scossoni. 
-    Basta Shang, si farà male! – intervenne all’improvviso la capogruppo della casa di Afrodite, Jasmine, con la voce rotta dall’apprensione – Quella cosa sta per eruttare! – 
-    Sta al tuo posto. – si limitò a risponderle lui, parendo così ancor più crudele di quanto già non fosse parso precedentemente.
Tutto ciò che faceva era per il loro bene, dovevano capirlo. 
Così continuò a guardar salire il figlio di Ermes, in silenzio, mentre la parete era sempre più vicina all’eruzione.
Altri tre passi. Gli altri ragazzi avevamo cominciato a trattenere il fiato, persino i meno sensibili come Moccicoso, Testa Bruta e Testa di Tufo. 
Aladdin continuava a gemere da lassù, quasi alla metà della parete, mentre Jasmine continuava a supplicare l’allenatore.  
Non va alla velocità sufficiente. “ pensò Shang, noncurante dell’esagerata figlia di Afrodite che gli stata alle calcagna “ Però è un buon inizio. “ 
Mulan – così si chiamava la new entry della casa di Atena, cosa che lui aveva scoperto grazie ad Anna – lo guardava disgustata, come se al posto suo in quel momento ci fosse un mostro gelatinoso pronto a vomitare muco sui presenti. 
Il figlio di Ares non ebbe il tempo di chiederle cosa avesse da guardare che la parete cominciò ad eruttare, facendo colare litri di lava bollente sulla sua superficie spianata.
-    Scendi, basta così! – urlò così ad Aladdin che, sfinito, si abbandonò piacevolmente a quella esclamazione, lasciandosi portar giù dalle corde di sicurezza.
Tutti fecero un sospiro di sollievo come se, fino ad allora, avessero sul serio creduto che Shang l’avrebbe lasciato lì ad arrostirsi pur di finire l’allenamento. 
-    Hai fatto schifo. – disse schietto al ragazzo mentre questo, aiutato dagli altri, si toglieva di dosso l’imbracatura e i pesi - Ma ho apprezzato la forza di volontà. –
-    Ci mancherebbe. – borbottò questo in risposta, asciugandosi distrutto la fronte imperlata di sudore.
Quando poi tutti ebbero finito di aiutare Aladdin a sistemarsi, richiamò nuovamente l’attenzione del gruppo. Alcuni lo guardavano timorosi, altri disgustati come Mulan e Jasmine, altri ancora curiosi di sapere quale sarebbe stata la sua prossima trovata per torturarli.
-    Questa parete sarà la vostra prova finale. Chi riuscirà a scalarla e a prendere la freccia in cima alla fine delle due settimane di lavoro parteciperà alla missione di salvataggio dei ragazzi. Chi non ce la farà resterà al Campo con la consapevolezza di non meritare l’appellativo di eroe. –
-    Quindi... – cominciò a chiedere Felix che, fino ad allora, era rimasto in silenzio -  Non dobbiamo fare la stessa cosa che ha fatto Aladdin adesso? Ci preparerai per riuscire a farlo per bene alla fine. –
-    Esatto. Così qualcuno di voi la smetterà di guardarmi come si guarda un mostro. – commentò mirando proprio alla figlia di Atena che, di rimando, abbassò ancora una volta lo sguardo 
-    Ma – stavolta fu Jasmine a parlare – a cosa ci servirà saper scalare un muro per l’arrampicata eruttante? Non imparo mica a sbriciolare un’arpia così. –
-    Forse no. – rispose Shang, voltando le spalle a tutti e cominciando a dirigersi verso la cabina numero cinque – Ma vi aiuterà a comprendere il significato di tre semplici parole: volontà, sacrificio e concentrazione. –
Detto questo si allontanò, col sole che tramontava alle sue spalle ed i ragazzi del gruppo due che riflettevano silenziosi sulle parole da lui appena pronunciate. 

 
***

I giorni seguenti furono un susseguirsi continuo di allenamenti sfiancanti per l’ormai agguerrito gruppo due. 
Corse per il perimetro del Campo con casse colme d’acqua sulle spalle, pesca a mani nude – con le lamentele non solo dei figli di Demetra, esageratamente ambientalisti, ma anche delle naiadi, profondamente disgustate dai piedi di Moccicoso – e kung fu. Tutti miseri fallimenti, specialmente per quella ragazza, Mulan.
Sembrava non riuscire ad applicarsi e Shang stentava quasi a credere che fosse una figlia di Atena.
-    Oh, non lo è infatti. – gli aveva confidato Anna quando lui aveva fatto quell’osservazione ad alta voce – Suo padre è un figlio di Atena. Fa Zhou. –
-    Dici sul serio? – aveva esclamato scioccato lui – Quel Fa Zhou? – 
-    Ohm... credo... di... si. – aveva risposto confusa lei - Sai chi è? –
Ma Shang non era riuscito a portare a termine quella conversazione, troppo occupato a pensare a quanto fosse assurdo che la figlia di Fa Zhou fosse la schiappa più schiappa del secolo. Peggio del caro Ralph che, alla fine, almeno in forza bruta si era dimostrato imbattibile.
Durante gli allenamenti in realtà era riuscito a scovare in ognuno dei ragazzi  del gruppo una capacità degna di nota, persino nei più deboli come Cenerentola e Biancaneve – quest’ultima sapeva far crescere piante assassine dal terreno senza neanche saperlo -.
L’unico mistero rimaneva quella ragazza, Mulan. Di sicuro non sarebbe riuscita a superare la prova finale.
Fu solamente dopo che l’ebbe vista crollare a terra sfinita durante una corsa campestre che si decise a parlarle, più per salvaguardare la sua salute che per altro.
-    Non credo tu debba continuare gli allenamenti. È ovvio che non siano alla tua portata. – le disse quella mattina e, nella sua testa, gli era parso un commento meno cattivo di quello che in verità si era poi dimostrato 
-    Come... scusa? – biascicò lei in risposta mentre, sfinita, si rialzava da terra.
Per un attimo a Shang era parso di intravedere una piccola lucertola rossa correre sulla sua spalla mentre si risollevava... allucinazioni da fame, probabilmente. Era quasi ora di pranzo. 
-    Dico che per te sarebbe meglio fermarsi qui. – continuò imperterrito dopo aver chiuso gli occhi ed aver scosso prepotentemente la testa per depennare dalla sua mente stanca l’inusuale immagine del rettile sulla scapola della ragazza
-    Non voglio. – rispose tuttavia quest’ultima, stavolta utilizzando un tono di voce ben lontano da quello di una persona stanca
-    Lo dico per il tuo bene. –
-    Non ho bisogno che tu mi faccia da padre. –
-    Ma non ce la fai! –
-    Ohm, tutto okay? – Anna si intromise nella... litigata? Sì, forse era in questo che si era trasformata quella strana conversazione
-    Si, tutto a posto. Stavo solamente invitando Mulan e tornare nella sua cabina. Gli allenamenti non vanno bene per lei. – rispose alla domanda guardando solamente la figlia di Afrodite, come se l’altra ragazza fosse improvvisamente scomparsa dalla scena.
Lei non sembrò apprezzarlo però.
-    Io invece sono sicura di poter continuare. – ribadì infatti, cominciando anche lei ad ignorare la presenza di Shang – Perciò decidi tu. –
Anna parve per la prima volta in difficoltà con tutti quegli sguardi puntati addosso.
Anche gli altri ragazzi avevano arrestato la corsa per osservare la scena. C’era chi ridacchiava e chi guardava silenzioso, dispiaciuto di già all’idea di perdere Mulan. Uno di questi era Gambedipesce, glielo si leggeva in volto.
-    Se Shang crede che tu non sia adatta, allora... – provò a dire Anna dopo qualche minuto di riflessione, ma Mulan era già corsa via.
Era la terza a lasciare gli allenamenti prima della prova finale, dopo Anastasia e Genoveffa.
Non doveva essere tutta questa fonte d’orgoglio per la figlia di Fa Zhou. Tuttavia, Shang cercò di convincersi che ciò fosse necessario per il suo bene e per quello della spedizione. I deboli a casa. 

 
***

Quella notte, dopo aver dormito un’ora in più alle solite cinque –  da quando erano cominciati gli allenamenti se la concedeva volentieri -, si diresse al suo covo segreto, pronto a ricevere la presenza di suo padre.
Mentre, evitando le arpie guardiane, correva verso l’ex grotta dell’Oracolo, qualcosa  sul muro d’arrampicata attirò la sua attenzione.
Due pesi d’ottone brillavano sotto la flebile luce lunare mentre una figura scura se ne stava ben aggrappata alle prese della parete, come uno scimpanzé sul tronco di un albero. 
Andava abbastanza veloce nonostante il peso dell’ottone e le violente scosse pre-eruzione ad ostacolarla. La figura era piuttosto minuta e, sebbene non riuscisse a distinguerne il volto, Shang ne riconobbe subito la forma affusolata, associandola a un nome: Mulan.
Non che l’avesse guardata tanto nell’ultima settimana! Avrebbe saputo riconoscere il corpo di qualsiasi ragazzo del suo gruppo a furia di stare con loro tutti i santi giorni, ventiquattrore su ventiquattro. O almeno così disse a sé stesso, più per non sentirsi un pazzo maniaco che per altro.
-    Che stai facendo?! – cercò di urlare il meno rumorosamente possibile verso la ragazza.
Era notte fonda, santi numi! Come le era venuto in mente di fare una cosa simile?! 
Tuttavia Mulan era così concentrata sulla sua missione impossibile da non replicare alla domanda dell’allenatore. Forse non l’aveva neanche notato. 
Shang fu tentato di intimarle di scendere o, peggio, di salire anche lui là sopra e portarla via di peso. Era una gracile ragazza dopotutto, non ce l’avrebbe mai fatta a superare la prova dopo una sola settimana d’allenamento!
Poi però, guardandola così vicina alla freccia, così prossima al raggiungimento del suo obbiettivo, cominciò a dubitare dell’idea che si era fatto di lei. 
Non era affatto una schiappa. Era... determinata, esattamente come avrebbero dovuto essere gli eroi di cui lui aveva parlato il primo giorno. 
Quando poi riuscì finalmente a stringere la freccia tra le sue mani minute, Shang si sentì felice, più per lei che per sé che era riuscito a fare di quella ragazza un... uomo? Praticamente sì.
La sua teoria che lei non lo avesse notando si dimostrò successivamente corretta quando, vittoriosa, lanciò uno sguardo verso il basso, trovandolo sorpresa ai piedi della parete. 
Per lo stupore barcollò, perdendo quell’equilibrio stentatamente guadagnato e cominciando a cadere pericolosamente dalla parete. Piombò dritta addosso a Shang per colpa di quegli stupidi pesi di ottone: questi aveva velocizzato la caduta col loro peso e sì, il figlio di Ares gli aveva sentiti cadere proprio accanto alla sua testa. Fortunatamente accanto alla sua testa.
-    Che ci fai qui?! – fu la prima cosa che la ragazza gli chiese dopo essersi liberata dell’imbarazzo di essergli caduta addosso
-    Potrei farti la stessa domanda. – rigirò la situazione a suo favore lui, per nulla intenzionato a rivelarle il motivo delle sue scorribande notturne.
Si scrutarono per qualche minuto silenziosi, aspettando che fosse l’altro a cominciare a parlare. Poi però Mulan finalmente cedette, iniziando a spiegarsi orgogliosa.
-    Volevo dimostrarti che sono in grado di continuare l’allenamento. Mi stavo semplicemente preparando per domattina. -
Shang non riusciva a spiccicare parola. Quella ragazza si era davvero svegliata nel bel mezzo della notte, a suo rischio e pericolo, semplicemente per provare a lui la sua temerarietà. 
-    So che non è nelle regole del Campo... – continuò poi, non ricevendo alcuna risposta dal figlio di Ares – Ma non volevo fare un’altra brutta figura di fronte a te ed infangare di nuovo il nome della mia famiglia. -
Shang si sentiva terribilmente in imbarazzo, per la prima volta nella sua vita.
Non sapeva se si sentisse in quel modo per la maniera indecente in cui l’aveva trattata quella stessa mattina o perché era la prima volta che si ritrovava a parlare da solo con una ragazza che non fosse Anna, Belle o una delle sue sorellastre.
Cavoli, dopo quello che aveva fatto per lui non poteva più negarle la partecipazione agli allenamenti. Anzi, non poteva negarle neanche più un posto nella missione vera e propria. Certo, i ragazzi la mattina dopo l’avrebbero preso per pazzo a rivedere Mulan assieme a loro ma che importava adesso?
Doveva mettere da parte il tanto amato orgoglio, una volta per tutte. Aveva sbagliato. 
Ammettilo Shang, avanti “ si disse severo, esattamente come lo era coi suoi soldati “ Chiedile scusa.
-    Mi dispiace, non avrei dovuto cacciarti così presto dagli allenamenti. – cominciò così ed ogni parola gli pesò più del dovuto – Perciò domani continuerai a seguirli con gli altri. –
-    Si!  –  esclamò entusiasta la ragazza e, mentre un grosso sorriso le si stagliava sul volto poco prima malinconico, a Shang sembrò di vedere un piccolo e vittorioso pugno rosso sbucarle dal colletto della maglia arancione.
Okay, doveva farsi vedere da un medico. Il giorno dopo sarebbe andato a bussare alla porta della cabina numero sette per allucinazioni persistenti. 
-    Non ho finito. – continuò tuttavia dopo essersi nuovamente riscosso.
Non voleva proprio apparire stralunato in un momento simile. Già aver accantonato l’orgoglio gli era costato parecchio.
-    Non terrai la prova finale insieme agli altri. –
-    Che significa? – il sorriso sul volto della ragazza svanì a quelle parole e a Shang quasi dispiacque vederlo trasformarsi così presto in un nuovo cipiglio serioso
-    Significa che dopo quello che hai dimostrato stasera hai già un posto nella spedizione. – chiarì così velocemente la frase precedente, sperando di veder l’espressione contenta di poco prima stagliarsi nuovamente sul suo viso e sentendosi poi tremendamente stupido per aver pensato ad una cosa simile.
Anna l’aveva mischiato, non c’erano dubbi. 
-    Dici sul serio? Oh miei dei! – esclamò incredula Mulan, sorridendo di nuovo a quella notizia come Shang aveva sperato.
Poi fece una cosa del tutto inaspettata: lo abbracciò. E cavoli se non era arrossito terribilmente a quel contatto. 
Si vergognò però anche lei di quel suo gesto, scusandosi e stringendogli solennemente la mano per rimediare subito dopo. 
Lui si comportò come al solito, cercando di mantenere un certo decoro e intimandole di andare a dormire prima che un’arpia la beccasse fuori dal suo letto. 
Lei annuì, facendo seguire quel cenno della testa da un altro sentito « Grazie ».
Poi corse spedita verso la cabina numero sei con l’agilità di un ghepardo. Shang stentava a credere che avesse ancora tutta quell’energia in corpo dopo, be’, la scalata coi pesi d’ottone. Forse era semplicemente l’adrenalina a farla comportare in quel modo o forse l’entusiasmo di aver finalmente portato onore alla sua famiglia.
Fatto stava che Shang rimase lì a guardarla, noncurante dei pericoli che così stava stupidamente correndo, mentre – diamine se doveva farsi curare! – ancora una volta lo strano agitarsi di una coda color cremisi attirava la sua attenzione, costringendolo nuovamente a chiudere gli occhi per scacciare via uno strano pensiero: possibile allenasse lucertole?

 
***

La settimana seguente fu tutta in salita.
Alla notizia del rientro in squadra di Mulan nessuno si era opposto – tranne Moccicoso che non lo trovava giusto, ma lui era Moccicoso, no? Doveva mettere zizzania qua e là -. Al racconto della sua mirabolante impresa sul quel muro, erano rimasti tutti a bocca aperta, ribattezzando poi la ragazza come mascotte ufficiale del gruppo in assenza del robottino Baymax. 
Già, perché c’erano novità parecchio interessanti al Campo che avevano convinto ancor di più Elsa a far partecipare i semidei alla missione e che si collegavano all’ingegnosità del ragazzino nuovo, Hiro, e al suo amico Baymax – che, adesso, non inquietava più così tanto Shang -.
Il figlio di Efesto stava costruendo delle vere e proprie armature futuristiche che avrebbero protetto chiunque – anche la più schiappa delle schiappe – da qualsiasi tipo di attacco fisico. Praticamente li stava trasformando tutti in robot.
E se Shang non avesse conosciuto meglio il figlio di Efesto in quella settimana di lavoro – perché poi si era dovuto dedicare anima e corpo al progetto -, non avrebbe di sicuro creduto alla probabilità di riuscita di queste straordinarie tute di cui tutti al momento parlavano.
Invece eccome se funzionavano.
La prima era stata testata su Anna che, dopo averla indossata, aveva superato egregiamente il test anti-lava. 
Il liquido incandescente l’aveva ricoperta per qualche secondo – contro la volontà di Elsa che, scettica, era stata tutto il tempo a urlare alla sorella di farla finita prima di finire uccisa – e, impressionante, ne era fuoriuscita indenne, sia lei che l’accesa tuta verde.
Così Hiro ne stava costruendo altre, ognuna mirata ad adattarsi alle capacità del semidio che la indossava. Quella di Shang ad esempio era abbastanza leggera da permettergli la libertà dei movimenti, cosa essenziale per lui nella lotta contro i mostri. 
Quella di Gambedipesce invece era la più sorprendente: aveva una memoria – sì, come un computer – capace di immagazzinare tutti i libri presenti nella cabina numero sei a lui necessari, permettendoli così di consultarli persino nei momenti più disperati. 
Insomma, con l’allenamento portato solennemente avanti da Belle e Shang e quelle fantastiche tute costruite da Hiro, sarebbero stati imbattibili. 
Mancava solamente la prova finale del gruppo due, poi si sarebbe organizzata la partenza.
Così, l’ultima mattina d’allenamento, Shang ed il suo gruppo si ritrovarono ancora una volta lì, davanti a quel muro d’arrampicata, pronti a determinare il loro destino. 
Il primo fu Aladdin, a ricordare quel primo e tragico giorno di prova. 
-    Stavolta la prendo quella freccia, eccome se la prendo. – diceva mentre, stavolta da solo, sistemava i pesi d’ottone all’imbracatura.
E salì su quel muro, inseguendo la freccia come un gatto segue un topo, concentrato e veloce. 
Senza sarcasmo a distrarlo, senza il timore di fallire: mirava semplicemente al suo obbiettivo e ciò bastò a Shang per decretare quella prova superata.
Dopo aver preso la freccia, il figlio di Ermes scese vittorioso, acclamato dai suoi compagni di viaggio. Perché sì, quello secondo Shang era stato un viaggio dentro loro stessi ed era contento di essere stato proprio lui il loro capo stazione.
Poi fu il turno di Felix e di Jasmine, tutti e due scesi vittoriosi dalla parete. 
Subito dopo vennero Anna, Hiro – che aveva lasciato per un attimo il lavoro di rifinitura delle sue tute agli altri fratelli – e Wasabi, anche loro arrivati sani e salvi all’obbiettivo. 
Cenerentola e Biancaneve furono un po’ più lente degli altri ma ce la fecero anche a loro a non finire arrostite. 
E, mentre altri ragazzi salivano, il gruppo uno si univa a loro con Belle che osservava piacevolmente colpita i progressi fatti dai ragazzi accollati solo due settimane prima al rivale Shang. 
Si associò anche al coro di incoraggiamenti per loro, specialmente quando fu il turno del dolce Gambedipesce che, sebbene anche lui più lentamente come Cenerentola e Biancaneve, raggiunse la cima prima dell’eruzione. 
L’ultimo fu Ralph il quale, prima di salire coi pesi d’ottone ben legati al braccio, guardò pensieroso Shang. Sembrava dirgli qualcosa coi suoi grandi occhi marroni, qualcosa come « Vedrai come sono diventato bravo ». 
Era stato troppo duro con lui per tutti quegli anni da capogruppo.
« Rompi sempre tutto Ralph! » o « Per colpa tua perdiamo sempre alla Caccia alla Bandiera ». Quelle frasi da lui dette gli rimbombarono nella mente frattanto che quel ragazzone incompreso scalava la parete della sua rivincita su tutti.
Shang si ritrovò a fare il tifo per lui, come se questo potesse rimediare al male che gli aveva – senza rendersene cotto – fatto. 
E, quando scese vittorioso con la freccia ben stretta nel suo possente pugno destro non poté far a meno che essere orgoglioso di lui.
-    Ce l’hai fatta, ragazzone! – gli disse fiero, dandogli poi un’amichevole pacca sulla spalla – Hai dimostrato a tutti quanto vali. –
-    Davvero? – gli chiese lui incredulo – Io... – 
-    Sei un eroe, Ralph. – questa volta fu Anna a parlare, correndogli in contro per abbracciarlo – Lo sei sempre stato! – 
Ed il ragazzo lasciò che gli altri lo acclamassero, finalmente fiero di sé stesso e di ciò che era riuscito a fare.
Poi però, quando aprì il pugno per restituire la freccia a Shang, il suo volto tornò triste, colpevole.
Rotta. 
-    Mi dispiace! Shang, io... sono sempre il solito! Non sono un eroe, io spacco semplicemente tutto... –
-    Ehi – Shang lo riprese ma stavolta non per sgridarlo – Sai cosa mi importa di una freccia rotta. Non sono mica un figlio di Apollo. E oh, non sono nemmeno Merida. –
E rise. 
Ci volle un po’ per convincere Ralph che no, quello non era un sogno, e che Shang stava davvero ridendo di fronte a lui, con lui.  
Poi si avvicinò a quella scenetta Belle, urlando per sovrastare il vociare festoso degli altri semidei.
-    Complimenti, Mr Muscolo. – cominciò, sorridendo beffarda – Hai fatto ciò che mi aspettavo facessi. –
-    Che...? –
Eh no, adesso che lui aveva vinto non poteva rovesciare i fatti con le sue stupide teorie da figlia di Atena.
-    Avevo ragione, come sempre. –
-    Ma di che stai parlando? – adesso Shang cominciava a spazientirsi – Fino a prova contraria sono io che ho trasformato i ragazzi che tu mi avevi di proposito rifilato in eroi. Ho vinto io. –
-    Non si tratta affatto di vincere o perdere. Tipico anche il fatto che tu la pensassi così. – rispose ancora una volta con fare da saputella ma, stavolta, a Shang non diede poi così tanto fastidio
-    Okay, sentiamo la teoria che stai per rifilarmi secondo il quale Atena sarebbe sempre un passo avanti ad Ares. –
Belle si sistemò davanti a lui, sorridendo stavolta benevolmente. Per un primo momento Shang pensò che questo fosse rivolto a qualcuno dietro di lui, invece era proprio il figlio di Ares che guardava. 
Preoccupante.
-    Ho lasciato a te quei ragazzi perché sapevo che saresti riuscito a far uscire l’eroe che c’era in ognuno di loro. Io non avrei saputo farlo meglio di te. Qui non è Atena contro Ares, Shang. Qui è quanto Belle pensi che Shang abbia un cuore sotto quell’ammasso di orgoglio e muscoli e che modo escogita per dimostrarlo. –
-    Quindi... sei sempre un passo avanti a me? – 
-    Sì, lo sono. – 
E risero, finalmente amici. Perché cavolo, nessuno riusciva a fargli arrovellare il cervello come ci riusciva quella ragazza ed era divertente stare in suo compagnia, dopotutto.
O almeno così la pensava prima che, come sempre, lei rovinasse tutto.
-    E, per la cronaca, ho visto come guardi Mulan. Non solo ho dimostrato che hai un cuore ma anche che sei capace di prenderti una cotta. Queste sono le vere soddisfazioni della vita semidivina. –
E si dileguò nella folla di semidei in festa prima che Shang, profondamente imbarazzato, potesse ribattere.
Era davvero così evidente? Eppure lui credeva di no.
Poi scorse Mulan intenta a guardarlo in mezzo alla calca e capì che forse sì, per gli altri doveva essere lampante il suo diventare improvvisamente più goffo e umano quando lo sguardo di quella ragazza incontrava per sbaglio il suo.

 
 

 You're a spineless, pale pathetic lot and you haven't got the clue.
Somehow I'll make a man out of you. 

 
N.A.E dopo un mese e mezzo ritorno con qualcosa che spero vi abbia fatto sorridere. Piccola pausa dall'angst. x'D Serviva anche a me scrivere qualcosa di simile per staccare dato che non è un gran bel periodo, nonostante qui cerchi sempre di parere gioiosa ^^ Andiamo alla One Shot però che è ciò che conta adesso! 
Io adoro Shang ed il rapporto non poi così Disneyano che ha con Mulan e, dopo il mio amato The Lion King, credo che sia proprio questo il mio secondo classico Disney preferito. La tematica dell'emancipazione femminile è molto forte in quel film ed io, che sostengo la parità dei sessi forever and ever, non posso che amare il modo in cui Mulan spacca il mondo e fa tutto ciò che gli uomini non fanno per salvare la Cina. 
La adoro. Punto. 
E spero riusciate a perdonarmi per il ritardo ma, dopo essere tornata da Londra, ho passato una settimana a deprimermi per la perdita degli amici fantastici che avevo conosciuto lì ed altre tre col blocco dello scrittore. Quindi, capite il mio nervosismo. D'estate ho il tempo per scrivere ma non l'ispirazione, d'inverno l'esatto opposto. True Story
E nulla, l'unica cosa che forse mi fa un po' storcere il naso in questa ennesima Missing Moment è il modo in cui ho caratterizzato Belle - che è lo stesso che avevo usato nella long alla fine ma che può non parere molto IC secondo me -. Perché le ho fatto fare ciò che avrei fatto io - da figlia di Atena - per dimostrare l'inferiorità dei figli di Ares x'D E mi piaceva l'idea di rendere il rapporto tra Belle e Shang in questo modo, rivali ma sotto sotto amici. ^^ 
Insomma, detto questo vado a cenare perché sto morendo di fame e per rileggere e pubblicare la One Shot ci ho messo tipo... tre ore credo. Per cui scappo a mangiare un panino mentre aspetto con ansia un vostro parere ;)
Alla prossima! 


 

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