Enigmi dal passato

di Rurue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciasettesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciottesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannovesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


                                                                      Capitolo Primo



Salve,

il mio nome è Akemi Aramaki, detta “Em” perché gli inglesi finiscono sempre per storpiare il mio nome completo. Non sono mai riuscita a capire perché i miei genitori mi abbiano dato un nome giapponese come il mio cognome se tanto avrei poi vissuto in Inghilterra, ma non lo chiesi mai: il rapporto che avevo con mia madre e mio padre non era dei migliori; loro erano brillanti maghi e mia madre, Josephine Hole lavorava come bibliotecaria alla scuola di magia e stregoneria “Hogwarts”. Invece mio padre, Daisuke Aramaki, era un semplice impiegato al ministero della magia. Anche a lui toccò un nome orientale, nonostante fosse da quasi quattro generazioni che la famiglia Aramaki si era spostata in Gran Bretagna.

Vivevo circondata dalla magia e ovviamente i miei genitori stravedevano per la mia carriera da strega.. però gli giocai un brutto scherzo, e nacqui senza poteri. La cosa non piacque molto ai due ma fecero lo sforzo di continuare la loro “carriera” di genitori umani, anche se lo sforzo fu minimo, quindi iniziarono a ricordarsi della mia esistenza solo se strettamente necessario. Infatti non dissero assolutamente nulla quando lasciai la scuola e iniziai a lavorare un po' ovunque; a dodici anni mi presero come tirocinante al Saint Thomas Hospital un po’ perché ero abbastanza soddisfacente nel lavoro e un po’ per disperazione poiché all’alba di una guerra un’infermiera in più fa solo che comodo e l’età passa in secondo piano. Non che fossi l'unica, era pieno di ragazzine della mia età che facevano l'apprendistato.

 

Era il 15 gennaio del 1938 un giorno freddo, pioveva. La mia migliore amica, Roxanne, era nella mensa riservata al personale dell’ospedale, accovacciata sulla panchina sotto la finestra, osservando il cortile interno bagnarsi sotto la pioggia  e si torturava la solita ciocca ribelle di capelli castano scuro-rossiccio che le cadeva sempre davanti al viso. Mi vide arrivare e i suoi occhi si illuminarono.

<< Em! >> mi chiamò. Mi avvicinai facendole un cenno con la testa per incentivarla a parlare. Lei si alzò e mi porse una lettera << è arrivata poco fa, Carl mi ha chiesto di dartela. Era un po’ innervosito perché il gufo che la portava gli ha distrutto il dito prima di lasciargliela. >> disse ridacchiando. Carl era uno degli inservienti, scorbutico e rude, ma benvoluto da tutti. Mi ricordava in modo particolare come “quella dei gufi” o “Miss Owl”, perché i miei le poche volte che mi scrivevano lo facevano via gufo.

Ringraziai e girai la lettera domandandomi mentalmente come diavolo facesse ad essere asciutta. Come immaginavo il mittente era mia madre che mi scriveva per dirmi che anche quell’anno la sua scuola aveva autorizzato la mia entrata nell’edificio in quanto “maganò” e figlia della bibliotecaria. Il permesso andava rinnovato alla fine di ogni anno e mia madre mi inviava sempre la risposta del ministero, come a dire “sono una brava madre che cerca di privilegiare la figlia”.

Balle.

Le uniche volte in cui andavo a Hogwarts erano le vacanze di Natale e qualche altro raro giorno sparso durante l’anno, ma avere quel permesso faceva comunque comodo poiché così avevo libero accesso al mondo magico nonostante fossi una senza poteri (o per dirla come loro una “babbana”) e solamente perché facevo pena al ministero della magia almeno quanto tutti gli altri magonò.

Sbuffai seccata e mi misi la lettera in tasca << Hai già mangiato? >> domandai a Roxanne.

<< No, ti stavo aspettando. E poi a dir la verità non sono molto affamata, l’idea di uova strapazzate col bacon mi disturba e basta. >> fece una smorfia infastidita << Almeno speriamo che la capoinfermiera Ruthwick sia di buonumore. >>

La capoinfermiera era un po’ il nostro incubo: era sempre arrabbiata e almeno tre giorni a settimana di cattivo umore, quindi quando era solo arrabbiata la consideravamo “di buon umore”. Non sapevamo bene perché fosse sempre così spaventosa, soprattutto con quelle nuove.

Sghignazzai, ritenendo le speranze della mia amica vane, e presi da mangiare mentre Roxanne si limitò a un succo d’arancia. Ci sistemammo in una delle dieci lunghe tavolate della sala pentagonale.

<< Ciao Shirley, Briony. >> salutai le due ragazze sedute vicino a me, che ricambiarono il saluto sorridendo e cercando di integrarci nella loro conversazione.

<< Dicono che oggi ci sarà un grandissimo temporale qui a Londra e nei dintorni. Speriamo che si sbaglino, odio la pioggia. >> ci informò Briony sistemandosi il suo ormai caratteristico  fiocco azzurro che portava sui biondi capelli a caschetto.

<< A me invece piace tanto quando piove. >> biascicai ingoiando il mio uovo quasi intero.

Roxanne rise e mi prese in giro << Tranquilla Em, già sapevamo che sei un po’ strana. >>

Le risposi con una linguaccia, suscitando il divertimento di tutte e tre le ragazze.

Arrivammo in tempo alla riunione mattutina delle infermiere della nostra ala e subito dopo mi ritrovai per strada, tremando nel mio inseparabile cappotto scozzese e tenendo in una mano congelata la valigetta da infermiera.

Sorpassai un triste cancello grigio che riportava la scritta “Wool’s Orphanage” e mi avvicinai al campanello consunto e logoro. Lo suonai con riluttanza.

Mi fecero attendere un’eternità ma alla fine mi aprì una signora dai capelli grigi e corti con una pelle pallida e rugosa.

<< è lei la signora Cole? >> mi informai immediatamente. Lei assottigliò lo sguardo, poi mi rispose con aria sospettosa << è esatto, signorina. Lei invece è..? >> domandò a sua volta. Io le mostrai la mia spilla da crocerossina per poi classificarmi << Akemi Aramaki, infermiera del Saint Thomas Hospital. Sono stata inviata per fare un controllo sanitario. >> le porsi il permesso scritto poi aggiunsi << se non le dispiace, posso entrare? Qui fuori si congela. >>

La signora annuì senza staccare gli occhi dal permesso che stava leggendo  si fece da parte << D’accordo, cosa posso fare per aiutarla? >> domandò restituendomi il documento e chiudendo la porta.

Mi tolsi il cappotto e lo appesi all’attaccapanni accanto all’uscio.

<< Mi trovi un posto dove possa visitare i ragazzi e li riunisca tutti fuori dalla porta della stanza. Li chiamerò io stessa, dopodiché passerò per tutte le stanze dell’edificio. >>

Lei assentì di nuovo e mi condusse in una stanza vuota, con qualche scaffale pieno di cianfrusaglie varie. Al centro della stanza c’era un tavolo e qualche sedia. Mi sistemai su una di queste e aprii la valigetta contenente gli strumenti necessari. Sbuffai svogliatamente e quando sentii un vociare fuori dalla porta scorsi con lo sguardo la lista di nomi. Aprii la porta e chiamai: << Annie Benson >> si avvicinò una bambina e poi ne seguirono altri quattro. Fu proprio il quarto ad attirare la mia attenzione, "Tom Riddle" c'era anche una O puntata tra nome e cognome ma la ignorai, considerandola irrilevante. Entrò nella stanza lentamente, e con un leggero fare altezzoso; sorrise, o forse ghignò, osservandomi con scetticismo.

<< Non pensavo che la tanto temuta "infermiera" fosse una semplice dodicenne, hai solo un anno in più di me. Sei una ragazzina >> marcò sul "ragazzina" << Gli altri fanno sempre così, si esaltano con niente. >> borbottò, probabilmente riferendosi al fatto che si aspettava un po' di più di una semplice visita medica.

Lo guardai irritata << Intanto la ragazzina è più grande di te, anche se di solo un anno. Ed ha un titolo, per quanto infimo, quindi vedi di misurare le tue parole e di portarmi rispetto. >>

Non cambiò espressione, cosa che mi infastidì ancora di più soprattutto quando decise di voler aprire la bocca una seconda volta.

<< Vedo che ti piace giocare a fare l'adulta. >> disse sedendosi, io invece mi alzai e mi avvicinai a lui

<< Dov’è il tuo problema? Io non ti conosco e tu non conosci me, qual è il motivo per essere così acido nei miei confronti? >> Non ero mai stata una persona paziente, ma tentai di non infastidirmi troppo: dopotutto quei ragazzi erano cresciuti in una situazione difficile, se odiavano tutti era comprensibile.

<< Oltre a infermiera sei anche psicologa? >> Chiese sprezzante. Repressi l’improvviso desiderio di affogarlo e lo visitai. Fortunatamente non disse altro.

Mentre facevo il giro dell'edificio il tempo peggiorò, cominciando a piovere a dirotto e quando uscii la pioggia e la nebbia erano così fitte che si vedeva a malapena a due palmi di distanza.

La signora Cole mi costrinse a rientrare, così guadagnai un riparo, in compenso mi ero bagnata completamente. Chiamai l'ospedale usando il telefono dell'orfanatrofio (non senza qualche difficoltà poiché i telefoni li avevo solo visti usare da Roxanne) e avvisai che sarei rimasta lì finché non si fosse calmato il temporale. Feci un bagno caldo e mi procurarono dei vestiti asciutti, poi mi diedero il permesso di andare ovunque avessi voluto e ovviamente mi nascosi nella biblioteca dell’edificio. Ero cresciuta tra i libri di mia madre e le librerie e biblioteche erano un po’ il mio luogo sacro, ovviamente dopo la chiesa.

Vagai un po' per la stanza, scorrendo con gli occhi il dorso dei libri per coglierne il nome e giocherellando distrattamente con la semplice croce d’argento che pendeva dal mio collo da ormai sei anni. Era un gesto che facevo sempre quando ero sovrappensiero o concentrata.

<< Che ci fai qui? >> chiese qualcuno dietro di me.

Sussultai spaventata e mi voltai di scatto. Di fronte a me c'era il ragazzino insopportabile coi capelli neri, in quel momento mi sfuggiva il nome.

<< Che domanda è? Che si fa in una biblioteca secondo te? >>

Lui alzò gli occhi al cielo e quindi non potei fare a meno di notare i suoi occhi verde smeraldo. Quel colore mi colpì, non avevo mai visto degli occhi del genere; in quel momento mi osservavano con astio, ma sembravano voler esprimere mille altre cose.

<< Il senso della domanda era che tu non dovresti essere qui. >> spiegò sibilando.

Corrucciai la fronte << è una luogo pubblico, io sto dove mi pare. Anzi, credo che ci rimarrò anche un bel po’! >> esclamai indispettita prendendo un libro a caso dalla libreria al mio fianco e mi sedetti. Lui mi osservò e appena aprii il libro mi disse

<< Alla fine si suicidano tutti e due. >>

Lo guardai attonita, poi scoppiai a ridere, piegando leggermente la testa all'indietro, rendendomi conto che mi aveva rivelato il finale per rovinarmi la lettura.

<< Chiunque sa come finisce Romeo e Giulietta. >> gli dissi. Lui fece una smorfia scocciata << Se preferisci ti dico il finale di tutti il libri presenti qui dentro così non avrai alcun motivo per rimanere. >> mi sfidò

<< Un libro non si legge solo per il finale, altrimenti si farebbe prima a scrivere il prologo e l'ultima pagina, non credi? >> rimisi a posto il libro. "Romeo e Giulietta" l'avevo letto già quattro volte e non mi era neanche piaciuto troppo.

Il ragazzo assottigliò lo sguardo poi però si sedette sbuffando che non mi voleva in mezzo alle scatole. Sorrisi scuotendo leggermente la testa, poi gli domandai << Com'è che ti chiami? Non mi ricordo >>

All'inizio sembrò non voler rispondere, poi grugnì << Tom. >> sbuffò di nuovo e poi mi chiese con aria indifferente << Tu, infermiera, ce l'hai un nome? >>

Mi avvicinai e gli tesi la mano << Akemi, ma puoi chiamarmi Em, è più facile. >> Tom guardò la mia mano tesa verso di lui e decise di ignorarla. Corrucciai la fronte, leggermente offesa.

<< Vestita così sembri una semplice orfanella, come stanno i tuoi genitori? >> non capii bene se la domanda fosse stata posta innocentemente o con disprezzo. Comunque scrollai le spalle << Non ne ho idea, ma chissene importa. >> risposi sinceramente ricordandomi della fredda lettera di quella mattina inviatami da mia madre, in cui non compariva nessuna informazione personale.

Tom distolse lo sguardo poggiando i gomiti sui braccioli della seggiola.

<< Se vuoi te li regalo, tanto per me come se non li avessi. >> mi riferii ai miei genitori.

Il suo sguardo si posò su di me di scatto, sorpreso e infastidito per la improvvisa confessione << Non mi servono  dei genitori scassa-palle, sto benissimo così. >>

Mi risedetti di fronte a lui. Mi irritava, quel ragazzino, però mi incuriosiva allo stesso tempo.

<< Ma voi ci andate a scuola? >> chiesi.

<< A volte viene un'istitutrice. Ma tanto io dal prossimo anno comincio una scuola per quelli come me. >>

Chiesi il nome, ma lo avevo capito anche da sola. O era una scuola per geni oppure.. << Scommetto che si chiama Hogwarts. >> mi risposi ad alta voce. Mi trovai osservata come se fossi stata un alieno.

<< Come fai a saperlo? >> la sua voce era allarmata. Ridacchiai dicendogli di tranquillizzarsi.

<< Mia madre è la bibliotecaria della scuola >> lui mi guardò stupito

<< Cioè tua madre è.. >>

<< Si, una strega e anche mio padre. >>

Lo sguardo di Tom si illuminò lievemente << Quindi anche tu sei una strega! >>

Feci una smorfia << Mi spiace deluderti, Tom. Non è così. >> mi guardò confuso << Sono nata senza alcun potere. Però ho l'accesso al mondo magico, come tutti i magonò. >>

<< I che? >>

<< Magonò. Quelli di famiglia purosangue ma nati senza poteri. >> spiegai, poi risi da sola ad un pensiero che mi passò per la mente << Credo che se Hitler fosse un mago sbatterebbe anche noi nei campi di lavoro. >>

Tom mi fissò inorridito << Come se foste storpi. >>

<< Grazie mille per la schiettezza. >> risposi ironica. Poi mi alzai e mi diressi verso la porta ma la sua voce mi chiamò, facendomi voltare << quanta gente conosce il mondo magico? >> domandò

<< Tutti i maghi, i genitori dei maghi, i figli e spesso anche i coniugi. Ti basta come risposta?

Tom fece cenno di si con la testa e io uscii dalla stanza.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


                                                             

He said I'm the Devil boy
so come with me and we'll make many storms
He offered me the universe 
but inside my heart there's a picture of a girl
Some call love a curse,
some call love a thief
but she's my home
And she's as much a part of this broken heart
see broken bones always seem to mend
I taste the Devil's tears,
drink from his soul but i'll never give up on you.
                         - Devil's tears; Angus and Julia Stone -

 

                                                            Capitolo Secondo

 

 

 

Ci fu un rombo nel cielo, seguito immediatamente da un violento tuono. Mi svegliai di colpo, per poi rigettarmi sul letto, imprecando: finalmente ero riuscita ad addormentarmi e già mi ero risvegliata!

Alla fine ero dovuta rimanere all’orfanatrofio perché il temporale, invece che passare, era peggiorato. Non ero l’unica ad essere rimasta bloccata; avevo saputo che anche Briony era in una casa di riposo per anziani dalla mattina precedente. Non avevo più potuto chiamare l’ospedale perché le linee telefoniche erano saltate, anche la luce. Era dalle quattro del pomeriggio che la città era nel buio più totale.

Mi voltai, dando le spalle al muro e per poco non mi venne un infarto. Trattenni un urlo.

<< Tu sei uno psicopatico! Che diamine stai facendo?! >>

<< Ti studio. >> rispose semplicemente Tom Riddle alzandosi dalla sua postazione e avvicinandosi.

<< Oh, si! Come se fosse la cosa più normale del mondo fissare una persona mentre dorme! >> uscii dalle coperte e mi alzai, alterata.

<< Non ti sto fissando, ti sto studiando. Non ti scaldare così tanto, non ho un coltello in mano. >> fu la sua pacata risposta.

<< No, ma vorrei averlo io! >> mi tremò la voce. Lui si sedette tranquillamente sul letto, io strinsi i pugni, furiosa << Esci. >> sibilai.

<< Perché? >>

<< Perché voglio dormire. >>

<< Puoi dormire. Anche se ci sono io. >>

<< No! No che non posso! >> quasi urlai

<< Perché? >> ripeté, beffardo

<< Perché sei inquietante! >>

Tom poggiò le mani vicino ai suoi fianchi sul materasso, senza spostarsi di un millimetro << Che c’è? Hai paura di me, infermiera? >> chiese, come se l’idea di farmi paura lo compiacesse.

<< Mi dai fastidio, è diverso. >> ribattei seccata.

<< Peccato. Perché sai, qui hanno tutti paura di me. >>

<< Non fatico a crederci se anche con loro ti siedi all’angolo della loro stanza e li fissi nel sonno. >> Mi misi le mani sui fianchi aspettando che si alzasse, ma non lo fece.

<< Ma tu non ce l’hai un letto? >> sbottai spazientita. Ho già detto di non avere pazienza? Bene, lo ribadisco.

<< Si. >> rispose semplicemente.

<< Fantastico, allora perché sei sul mio? >>

<< Perché mi va. >>

Lo guardai allibita, poi, mandandolo a cagare, uscii dalla stanza. Tom mi seguì fuori << Dove stai andando? >> mi chiese con diffidenza.

<< In camera tua, visto che tu ti sei fregato il mio letto. >> risposi senza fermarmi.

<< Non puoi. >> fu la secca risposta.

<< Come, no? >> mi voltai fronteggiandolo con aria guerrigliera.

<< No, è camera mia. >>

<< E quello è il mio letto. >> il discorso era ragionevole.

Tom aggrottò la fronte << Sei strana.. >> sussurrò.

Alzai un sopracciglio << Ah, io? >> commentai sarcastica << Senti Tom, facciamo così: io torno a dormire in camera mia e tu dormi nella tua, oppure fai quello che ti pare, vai a fissare nel sonno chiunque basta che non vieni a disturbare me. >> proposi sospirando.

<< Che ci guadagno? >> domanda lecita, posta con un tono che mi gelò le vene.

Ci pensai un attimo  << Quello che vuoi, basta che mi lasci dormire. >> dissi rassegnata.

Tom assentì divertito e senza una parola si allontanò. Tornai in camera e, per sicurezza, chiusi a chiave.

Al mattino mi svegliai per un lieve bussare alla porta. Aprii ritrovandomi di fronte Martha, la cameriera.

<< Buongiorno signorina. >> salutò, ricambiai e lei mi diede i miei vestiti che intanto si erano asciugati.

<< Ha passato una nottata piacevole? >> domandò

Chiusi gli occhi un attimo << Si, grazie. >> risposi con poca convinzione. Lei mi guardò preoccupata ma decise di passare oltre.

<< Tra un quarto d’ora verrà servita la colazione in sala da pranzo. >> mi avvisò.

Indossai il vestito, lasciando in disparte il grembiule, infilai le scarpe e raccolsi i capelli non in una crocchia come al solito, ma con una coda di cavallo; visto che non ero in ospedale potevo risparmiarmi quella tortura alla cute.

Scostai le tende per guardare fuori, ma tutto ciò che vidi fu nebbia e pioggia. Mi diressi in sala da pranzo.

Alla tavolata erano seduti solo tre bambini e io mi sedetti accanto a Billy, accorgendomi con soddisfazione di ricordare il suo nome. In quell’istante arrivò Eric e tutti cominciarono a mangiare; mi accorsi però dell’assenza del maghetto psicopatico.

<< Dov’è Tom? >> domandai a Martha, seduta accanto a me. Lei fece un cenno vago con la mano << Non lo so, ma è meglio se lasci perdere Tom. >>

Annuii poco convinta, però chiesi ancora << Ma non scende a mangiare? >>

<< Solo quando vuole. >> si spostò nervosamente sulla sedia; non sembrava per nulla a suo agio a parlare di lui, così non domandai altro riguardo a quel bizzarro ragazzino.

Quando ebbi finito di mangiare decisi di andare dal mio quasi-coetaneo. Stanza 27: abbassai la maniglia, sorprendendomi quando mi resi conto che la porta era solo socchiusa.

<< Chi è? >> chiese una voce minacciosa e allarmata

<< Sono Em. >> aprii la porta

<< Pensavo che dopo stanotte mi avresti evitato come la peste, non che saresti venuta tu. >> non colsi nessuna inflessione nella sua voce.

<< Non hai fame? Non ti sei presentato a tavola. >> chiesi semplicemente

<< Non sono affari tuoi. >>

Sospirai: quel ragazzo era appena diventato la mia battaglia personale e non avevo intenzione di perderla.

<< Hai fame? >> insistei

<< No. >> telegrafico.

Nonostante la risposta gli porsi un panino col prosciutto che ero riuscita ad accaparrare dagli avanzi.

<< Non lo voglio. >> fu la sua secca risposta

<< Fallo come un favore personale a me. >>

<< Lo aggiungerei alla lista: è già il secondo. >> mi fece osservare

<< Come ti pare. >>

Tom fece una smorfia divertita << Affari tuoi però. >> prese il panino e lo addentò.

<< Dimmi come posso ripagarti questi favori. >> mi sedetti sul suo letto e sdraiando la schiena.

<< Ci devo pensare. >> rimanemmo in silenzio. Avrei voluto chiedergli molte cose, ma non riusciva a venirmi in mente nulla di intelligente. Inaspettatamente fu lui a parlare

<< E’ difficile vivere come te? >>

Corrugai la fronte, perplessa << Che vuoi dire? >>

<< Io ho sempre saputo di essere diverso e tutti mi hanno sempre trattato come tale. >> non mi sfuggì la nota orgogliosa nell’affermazione <<  Ma tu sei diversa sia da me che dagli altri. >>

<< Oh.. >> mormorai. Avevo capito dove voleva andare a parare << No, non lo è. Dopo un po’ ti ci abitui e poi mi sono sempre considerata “ normale ” e sono soddisfatta della mia vita come tale: ho delle amiche, un lavoro. >>

<< I tuoi ti avranno supportata parecchio scoprendolo. >> era un’affermazione.

Scoppiai a ridere, quasi fino alle lacrime ma, effettivamente, non mi stavo divertendo affatto. Lui non chiese nulla, sapeva che avrei spiegato da sola, infatti lo feci << I miei genitori! Loro si che mi hanno supportata! >> ridacchiai << Smisero immediatamente di rivolgermi la parola, trattandomi come una completa estranea. Immagino i salti di gioia che fecero quando finii gli studi e andai via di casa per rifugiarmi in un ospedale.  Diciamo che il rapporto con i miei genitori è diventato pari al rapporto che potrei avere con il tuo gatto. >>

<< Io non ho un gatto. >> mi fece notare

<< Appunto. >> sospirai.

<< Tu non sei soddisfatta della tua vita. Non ti piace. >> affermò. Mi voltai a guardarlo incuriosita.

<< Come puoi essere felice in una vita in cui non hai nulla? Una noiosa vita ordinaria in cui perdi tempo preoccupandoti più dei tuoi pazienti che di te stessa? Non ti curi per niente di quello che vuoi tu per il bene degli altri: io e te siamo completamente diversi, a me non interessa nulla degli altri. >>

<< Non ti do ragione. >> risposi tranquilla << Io sono il mio primo pensiero perché se io sto bene possono stare bene anche i miei pazienti. >>

Tom spostò i suoi occhi verdi nel nero dei miei ma non fiatò.

<< Che c’è? >> domandai imbarazzata.

<< Sei strana >>

<< E tu ripetitivo. >> ribattei << Perché mi dici che sono strana? >>

Non rispose subito, distolse lo sguardo << Sei la prima che dice di non aver paura di me pensandolo realmente. Poi non sembri odiarmi. >>

<< Si chiama sincerità, Tom. E poi perché dovrei odiarti? Ti conosco da poco meno di un giorno. >>

<< Perché tutti mi odiano. >>

Ridacchiai divertita << In effetti non sei per niente benvoluto da queste parti. >>

<< Ho fatto il possibile per non esserlo. >>

<< Perché? >>

<< Non meritano la mia attenzione. >>

<< Attenzione? >> ripetei << No, forse hai ragione, ma il tuo rispetto! Credo che tutti vadano rispettati. >>

<< Non puoi capire, tu sei come loro. >> era tranquillo, come sempre.

<< Infatti, sono come loro. Ed è per questo che ti domando perché. Non è una bacchetta magica a renderti diverso o migliore. >> raddolcii il tono per non sembrare troppo acida.

<< Cosa allora? >> non c’era sfida nel suo tono, solo semplice e pura curiosità. Sospirai, rendendomi conto di una cosa:

<< Non è ho idea. >>

Tom aggrottò la fronte e mi guardò. Poi fece una breve risata che sembrava sincera e questo mi levò un peso dallo stomaco, anche se non saprei spiegare il perché. Forse perché in due giorni che lo conoscevo ancora non lo avevo neanche mai visto sorridere.

<< Che fai mi prendi in giro? >>

<< No, però sei proprio assurda. >>

Da strana ad assurda.. chissà, magari era un complimento.

La mia attenzione venne richiamata dalla finestra << E luce fu. >> annunciai.

<< Te ne vai? >> chiese il ragazzo. Aveva smesso di piovere.

<< Il dovere chiama. >> allargai le braccia e le lasciai ricadere sui fianchi, poi uscii dalla stanza.

Mi affrettai, era meglio partire in fretta o avrei rischiato che si rimettesse a piovere. Salutai Martha e Mrs Cole, indossai il cappotto e raccattai la valigetta. Stavo per uscire ma qualcuno mi bloccò, afferrandomi per un braccio.

<< Questa domenica alle 13:00 davanti all’orfanatrofio. Vedi di esserci, mi devi dei favori e io devo andare a Diagon Alley. >> Tom aveva recuperato la sua aria di sufficienza. Sorrisi.

<< Ai tuoi ordini Milord. Arrivederci, allora. >>

Tornai all’ospedale e avvisai che fossi tornata, poi andai al dormitorio. Slacciai il cappotto e lo gettai sul letto sovrappensiero.

<< EMMYYY!! >> per poco non mi venne un infarto, qualcuno mi abbracciò da dietro con eccessivo trasporto, ci misi poco a capire di chi si trattasse.

<< Beth, lasciami.. >> gemetti divincolandomi dalla sua presa << ..non respiro! >>

Lei si bloccò e mi lasciò per poi prendermi per le spalle e voltarmi. Afferrò il mio viso tra le mani << Mi sei mancata tanto Emmy! Stai bene vero? Nessuno ti ha fatto del male, giusto? Sei ancora vergine? >>

<< BETH! >> strillai, scandalizzata.

<< Che c’è? Io mi preoccupo per la tua salute! >>

<< Più che altro sembri una pervertita. >> si intromise Roxanne, sbucata da chissà dove << ora, vecchia maniaca allupata, perché non vai a vedere se è tornata Briony? >>

Beth si illuminò << Si! Vado a vedere se c’è Briebrie e torno. >>

<< Puoi anche rimanerci. >> le consigliò ancora. Ridacchiai divertita: Beth era sempre stata così espansiva con me e Briony perché eravamo le più piccole e si divertiva a fare la mamma iperprotettiva. Aveva 21 anni ed era abbastanza famosa tra i pazienti per il suo seno prorompente.

<< Grazie Roxie. >>

<< Ormai è un’abitudine. Come è andata la permanenza? >>

<< Indovina? Sono stata in un orfanatrofio, non in America. >> “e piuttosto che andare in America resterei in un orfanatrofio a vita!” non lo dissi però. A volte capitava che qualcuno mi importunasse per i miei tratti leggermente orientali, dopotutto eravamo in guerra e per quanto ne sapevo io in America la situazione poteva essere anche peggiore.

<< Ho conosciuto un ragazzino però. Sembra un soggetto interessante. >>

<< Bene, ovviamente me lo farai conoscere. >> Roxanne mi strizzò un occhio. Non avevo mai capito perché preferisse la mia compagnia a quella delle sue coetanee ma la cosa non mi infastidiva.

<< Sarà il caso di andare a salvare Briony da Beth. >> ricordò poi.

Io risi << Eh già, hai ragione. >>

Su una cosa Tom si sbagliava: a me piaceva vivere e avrei vissuto la mia vita. Era per questo che la mia vita mi piaceva.

 




**** Angolo autore

Salve! Sono Rurue, anche se preferico sempre firmarmi Rue (è più corto xD).

Questa è la mia primissima Long-fic, e devo dire sono abbastanza terrorizzata. Si, anche da questo affare chiamato 'Angolo autore'; non ho la minima idea di cosa scrivere..

Okay, detto questo: Vorrei ringraziarvi per aver aperto la storia e, soprattutto di essere arrivati al secondo capitolo (fino in fondo). In realtà questi primi due capitoli erano introduttivi. Gli altri personaggi cominceranno ad apparire dal quarto capitolo in poi.

Era tanto tempo che avevo in mente questa fanfiction, ma non avevo mai avuto il coraggio (e, ammettiamolo, la voglia .-.) di scriverla.

Mi farebbe tanto piacere sapere che ne pensate, perciò le recensioni, sia commenti che critiche saranno accolte più che a braccia aperte ;)

Vi saluto, Rue :)

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


I work hard every day of my life
I work till I ache my bones
At the end I take home my hard earned pay
all on my own I get down on my knees And I start to pray
Till the tears run down from my eyes
Lord - somebody - somebody
Can anybody find me - somebody to love?
               - Somebody to love; The Queen -

                                                                 Capitolo Terzo 

 

 

 

<< Sei in ritardo. >> Tom staccò la schiena dalla colonna cui era poggiato; le braccia conserte e la bocca leggermente piegata in un espressione irritata.

Quella mattina la stazione di King's Cross pullulava di gente. Mi chiesi perchè diavolo dovessero partite tutti quel giorno, maghi a parte. Mi feci spazio tra due persone che avevano deciso di mettersi a chiacchierare proprio davanti alla mia strada e percorsi gli ultimi rapidi passi verso lo spazientito Tom Riddle.

Appena lo raggiunsi, mi aggrappai a una delle sue due maniche, per evitare di venire di nuovo trascinata via da qualche massa di gente.

<< Sei in ritardo! >> ripetè.

<< Lo so che sono in ritardo, Tom. Non c'è bisogno che me lo ripeti venti volte, mi basta l'orologio enorme su quella parete! >> replicai infastidita, indicando l'orologio in questione.

Lui poteva anche essere irritato per il mio ritardo, ma io lo ero ancora di più. Almeno lui era stato fermo e appoggiato ad una colonna!

<< Okay, okay. Datti una calmata! >> non riuscii a non guardarlo con aria omicida.

<< Lavoro dall'altra parte della città! Per arrivare in questo posto del cavolo sono salita sull'autobus sbagliato e ho sbagliato di nuovo per tornare indietro. Mi sono fermata ventisei volte a chiedere indicazioni, di cui nove volte mi hanno guardata male. Sbagliando di nuovo strada e sbagliando un tram sono riuscita a riconoscere una strada e sono riuscita a salire sull'autobus corretto. Non credi che sia legittimata ad essere lievemente incazzata? >>

Lui fece uno sbuffo che sembrò la cosa più simile ad una risata che gli avessi mai sentito fare.

<< Prendere un taxi no? Dovevi essere qui per le dieci e venti. Sono le dieci e cinquanta. >> ci incamminammo verso il binario che ci serviva. Tom strofinava di tanto in tanto le mani sul manico del carrello; era nervoso.

<< Me li dai te i soldi per un taxi? >> domandai retorica << E comunque hai avuto modo di testare il mio proverbiale senso dell'orientamento quando l'altra volta hai avuto la brillantissima idea di imboscarti a Notturn Alley. Tu non c'eri mai stato e chi si è perso indovina chi è stato? Io, ovvio. >> replicai ricordandogli la prima volta che lo avevo accompagnato a Diagon Alley come 'pegno' per i 'favori' che mi aveva fatto.

<< Nessuno ti ci aveva obbligata... >>

<< A perdermi o a venirti a cercare? >> feci, sarcastica. Lui non rispose, guardandosi intorno.

Sicuramente cercava il binario nove e tre quarti, ma io decisi di non dirgli che non c'era, per godermi la scena di vederlo spesato.

Infatti quando si avvicinò ad un bigliettaio per chiedere informazioni e si sentì ridere in faccia un "bello scherzo, ragazzo", si voltò verso di me e, già furioso, lo diventò ancora di più vedendomi piegata in due dalle risate.

<< Cos'è, una presa in giro? >> sbottò.

Mi calmai a fatica e gli feci cenno di seguirmi. Lui lo fece, anche se controvoglia.

<< Ti secca così tanto che una come me, senza alcun potere, sia a conoscenza di più cose rispetto a te? >> diedi voce ai miei pensieri.

<< Non credo ti sia chiaro il concetto: non me ne importa nulla di quello che fai te. >>

<< No, infatti. >> confermai.

Mi fermai davanti alla colonna tra il binario nove e dieci, poi guardai l'orologio.

<< Hai preso tutto? >> chiesi << Il baule c'è, il pranzo c'è.. tu pure.. >>

Lui annuì, ignorando la mia ultima affermazione.

<< Dov'è il treno? >> chiese.

<< Dio che ansia Tom, tranquillizzati! >> sospirai << Essere impaziente non ti servirà a nulla. La vedi la colonna? >> annuì ancora << Meraviglioso, caro, non hai bisogno di una visita oculistica.

<< Il treno è.. dentro la colonna, se così si può dire. In pratica devi correre contro la colonna come un folle suicida. Se preferisci però puoi anche camminare.. anche se non ho mai visto nessuno farlo. Ci salutiamo qui, io non vengo. >>

<< Come sarebbe "io non vengo"? >> fece acido.

<< Lo faccio solo se strettamente necessario, cioè solo quando devo prendere il treno. Ho il terrore di quella cosa. >>

Mi guardò con un lampo di divertimento negli occhi. << Non dire idiozie. Ora tu entri, dopo di me. Ti aspetto di là, tra cinque minuti parte. >>

Stronzo sadico.

Pensai, vedendolo sparire dentro la colonna.

Un gruppetto di persone si avvicinò alla colonna. Per sicurezza aspettai che entrassero prima loro. Un ragazzino, di più o meno la stessa età di Tom, era accompagnato dai due genitori e dalla sorellina. Tutti i membri del gruppetto - madre esclusa - aveva i capelli o rosso-aranciati.

<< Fatti sentire a casa, Septimus. >> lo ammonì la madre, la sorellina invece strillò un allegro saluto.

Provai nostalgia per qualcosa che non avevo mai avuto.

Quando il ragazzo scomparve e la famiglia si fu allontanata, poggiai una mano sulla colonna.

<< Ehi! >> sussultai, sentendo una voce vispa alle mie spalle << Non devi aver paura! é solo una colonna. >> disse una ragazzina, che venne affiancata da un ragazzo più grande.

<< Olivia, chi è lei? >> domandò il ragazzo.

lei scrollò le spalle, smuevendo i boccolosi capelli neri << Oh, non ne ho idea, fratellone. >>

Sorrisi e Olivia si rivolse di nuovo a me << Se vuoi ti posso spinegre dentro, così non ci fai neanche caso. >>

Scossi la testa e le dissi che no, avrei fatto da sola. Poi presi un grande respiro e raggiunsi il binario.

<< Era ora, ci hai messo un secolo. >> mi disse Tom, raggiungendomi immediatamente.

Dietro di me entrò la ragazza, Olivia.

<< Fosse stato per me, avrei volentieri evitato. >> sbuffai. Lei mi vide e mi si affiancò.

<< Lui è tuo fratello? >> mi chiese.

<< No. >> rispose lui bruscamente << Akemi, chi è lei? >>

Feci spallucce << Un'anima santa che mi ha offerto una mano, non come te! Ingrato. >> borbottai alla fine.

<< Quindi ti chiami Akemi! >> disse lei. Poi porse una mano a Tom << Io sono Olivia Bulstrode, piacere! >>

Tom la strinse distrattamente << Siete al primo anno? >> domandò ancora lei.

<< Lui si. Io non vengo. >>

<< Perchè? >>

<< Perchè no.. >> sbuffai << Però vengo a Natale. >> aggiunsi, più rivolta a Tom che alla Bulstrode.

<< Comunque lui è Tom. é un grandissimo rompiballe, quindi se puoi evitalo. >> le dissi. Lei scoppiò a ridere, poi si congedò salutandoci.

<< Sembrava simpatica. >> dissi. Lui non rispose. 

Gli diedi uno scappellotto << Almeno rispondi! Se fai così resterai un asociale a vita! >>

<< Ma che ti frega! >> rispose lui, con lo stesso tono piccato.

<< Guarda che ti scrivo eh! Almeno tieni allenata almeno la tua capacità di conversazione. Non dico di riuscire a mantenerla senza che il tuo interlocutore ti voglia azzannare alla giugulare dopo le prime tre parole, sarebbe troppo. >>

Alzò gli occhi al cielo.

<< E mi risponderai. >> gli dissi << Atri,emti faccio un salto al 'Paiolo magico' e mi faccio fare una strillettera da Dave. >> Dave era il propietario della taverna << O anche da Tom, è uguale. >> Tom era il figlio.

<< Va bene, va bene. >> fece tra il concessivo e l'esasperato.

<< Ora è meglio che tu vada. >> gli dissi, scompigliandogli i capelli e stritolandolo un po', per il puro gusto di dargli fastidio << Buona fortuna, Tom. >>

Lui si allontanò di mezzo passo.

<< Come se ne avessi mai avuta. >> rispose, incolore. Gli tirai una ciocca di capelli << Ogni cosa al suo tempo. Buon viaggio. >> aggiunsi.

Lui salì le scalette del vagone, si era già liberato della valigia e del resto mentre mi aspettava. << Cerca di non perdeti mentre torni in ospedale! >> ghignò.

<< E tu vedi di non perderti andando a quel paese! >> risposi, stizzita.  

Ma che modi!

<< Arrivederci. >> mi disse, mentre le porte si chiudevano e il treno fischiava.

Dopodichè scomparve definitivamente dalla mia vista.

Sospirai. Di una cosa Tom Riddle poteva stare certo: non si sarebbe liberato di Akemi Aramaki così facilmente.

 

 

 

 

 

****Angolo Autore

Okay, sono sempre io!

Il capitolo è corto ma c'è un motivo: è abbastanza di passaggio. Infatti è molto semplice e tranquillo. In pratica non succede nulla xD

Che dire.. beh come avete potuto notare la cara Em ha dei seri problemi con le strade e Tom.. rimane sempre lui, anche se ha acquisito un po' più di confidenza con la nostra crocerossina. Come si è intuito si sono visti altre volte, Em lo ha aiutato a trovare la parte 'magica' londinese, anche se è più probabile che alla fine sia stato Tom a trovarla, visto il senso dell'orientamento di lei.

Akemi è incuriosita dal ragazzo, ed essendo anche una rompiscatole di natura, riempie la propria curiosità nel modo in cui abbiamo visto.

Spero che la storia vi stia incuriosendo e/o piacendo.

Mille grazie a Snow White Queen, Marina94 e kirlia che hanno messo la storia tra le seguite, e a GJDunkel che ha anche recensito, ho gradito il pensiero. Ovviamente, grazie anche a chi l'ha solo letta, mi ha fatto tanto piacere.

Mi farebbe tanto piacere sapere cosa ne pensate, sono graditissimi commenti sia negativi che positivi!

Buona giornata!

Rue :)


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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***



For kingdom come
The one to know all the answers
You think you dwell in wisdoms sea
Still sweet ignorance is the key
To a poet's paradise
Challenge the Riddler and you will see...
             - The Riddler; Nightwish -

                                                                                             

                                                             Capitolo Quarto 

 

 

 

 

Il fatto che la posizione di mia madre come bibliotecaria mi avesse reso una persona acculturata e a cui piacesse leggere non dava per scontato che mi piacessero gli enigmi. Ovviamente apprezzavo i gialli e i misteri ma preferivo tenermene fuori.

A Tom questa cosa non doveva essere toppo chiara perché spesso, alle sue lettere, allegava un indovinello. O enigma, quello che era.

In realtà avevo covato l’idea che me li inviasse non perché era inetto e non comprendeva le mie proteste, anzi, ma perché era un immenso rompiscatole. Per questo, dopo le prime quattro volte mi ero stufata e avevo cominciato a scrivere risposte improbabili. A mia discolpa c’è da specificare che quelle risposte erano frutto di almeno mezz’ora di riflessione.

Del tipo: ‘giochiamo a chi scrive la cosa più assurda’.

Erano passati cinque anni da quando avevo recuperato quell’asociale da un orfanatrofio di periferia e l’avevo visto crescere in fretta. Anche se in effetti lo vedevo praticamente solo d’estate e per le vacanze di Natale.

Era diventato una Serpe modello; orgoglioso, ambizioso, astuto e dalla lingua tagliente. A volte mi lanciava qualche frecciatina sul mio sangue-sporco o roba del genere, ma avevo imparato a farmi scivolare addosso quel tipo di insulti ormai da tanto tempo, quindi poco m’importava.

Ma si arrabbiava quando erano gli altri a farlo perché, a sentirlo, poteva farlo solo lui. Non era una normale dichiarazione d’affetto, ma me la facevo bastare, almeno se si parlava di Tom.

Inoltre il suo ego smisurato era finito per accrescersi ancora di più quell’anno, dopo aver ricevuto la carica di Prefetto, cosa che si aspettavano tutti, vista la sua fama da “studente migliore della scuola”.

Mi aveva raccontato che Hogwarts non se la passava molto bene, anzi, rischiava di chiudere a causa di un imbecille che scriveva messaggi col sangue sui muri, andava in giro a pietrificare mezzo-sangue e si firmava “l’erede di Serpeverde”. Questi avvenimenti mi disturbavano durante il sonno e per di più eravamo entrati ufficialmente in guerra. Addizionate le cose mi causavano attacchi d’ansia improvvisa; Roxanne mi definiva nevrotica ma dopotutto lei era conosciuta per la sua calma indisturbabile, quindi non le davo troppo peso.

Quel pomeriggio leggevo la lettera che mi aveva inviato Tom mentre camminavo per i corridoi:

Akemi,
 
io sto bene, nonostante la storia della Camera dei segreti sia più stancante del previsto il mio rendimento scolastico non ne ha risentito, come avevi
invece apertamente sperato nella lettera precedente. Noi Prefetti e docenti ci stiamo rimboccando le maniche per trovare il colpevole, ma io ho già una mia idea.
Ho scoperto di stare particolarmente simpatico a tua madre, credo che sia perché passo molto tempo in biblioteca e sto in silenzio. Non ci vuole molto per farla contenta. L’altro giorno abbiamo avuto una conversazione ma non mi ha accennato a se verrai per le vacanze di Natale. Il professor Silente mi ha rivelato che sarebbe lieto della tua presenza qui.
 
Ti auguro un buon proseguimento della giornata,
                                                                                                                                                 
                                                                                                                              Tom O. Riddle
 
Ps: alla pagina seguente c’è un indovinello, ma cerca di non scervellarti troppo. Anche quell’inetto di Rosier ha considerato la tua risposta… paradossale.

 

 

Seccata, girai il foglio: ‘In un isola africana sono naufragati tre bianchi. I neri mentono sempre e i bianchi dicono la verità.

Un giorno arrivano i soccorsi per recuperare i naufraghi ma c’è una nebbia così fitta che non si vede nulla. Così dalla prua della nave chiedono ai “sei bianco o nero?” il primo risponde qualcosa di incomprensibile e il secondo spiega che il precedente ha affermato di essere bianco; il terzo dice che mentono entrambi. Spiega con precisione di che colore è ognuno e perché.’

Cominciai a pensare ad una risposta.. forse avrei potuto scrivergli che i bianchi erano tutti cannibali ed era solo uno stratagemma per portare i neri sulla nave e mangiarli…

<< Em! >> qualcuno mi destò dalle mie riflessioni contorte. Piegai la lettera e la infilai nella tasca della divisa.

<< Berenice, dimmi. >> esortai la ragazza che mi aveva chiamato a proseguire. Lei si accostò a me

<< Ti cerca Shirley nella stanza del pronto-soccorso. >>

<< Chiede di me esplicitamente? >>

<< Si, le servi per una sutura. Con le manine che vi ritrovate tu e Briony è ciò che vi riesce meglio. >>

Sorrisi lievemente << Non saprei giudicarla una cosa pienamente positiva se poi le nostre manine ci impediscono di fermare un’emorragia. >> era successo, durante un Giorno Rosso.

I Giorni Rossi erano quelli più brutti, arrivavano le ambulanze dal fronte ed era il panico più totale. Erano stati chiamati così da noi infermiere perché dopo un Giorno Rosso il sangue ti perseguitava anche durante la notte. A volte causavano traumi da psicologo, e non era piacevole. Io ero fortunata perché riuscivo a mantenere la calma, almeno fin quando facevo le cose per conto mio, e non ero debole di stomaco. Il problema era la sera, quando passavo più di un’ora a strofinarmi le mani sotto l’acqua con sapone, pezzetta e disinfettante continuando a vederci sopra il sangue e sentirne l’odore, anche se in realtà non c’era. Poi arrivava Roxanne (o un paio di volte anche Tom) che mi prendeva le mani e mi costringeva a lasciarle stare.

Aprii la porta congedando Berenice, Shirley alzò immediatamente lo sguardo quando entrai e mi rivolse un sorrisetto enigmatico. Poi spostò lo sguardo su un punto preciso della stanza.

Seguii il suo sguardo e alzai immediatamente gli occhi al cielo; con aria battagliera misi le mani sui fianchi e mi avvicinai ad un lettino occupato da due ragazzi, seduti.

<< Cos’è, avete l’abbonamento qui e vi scade tra poco? >>

Uno dei due sorrise, l’altro spostò lo sguardo seccato da un’altra parte.

<< è inutile che fai quella faccia, Peter! Non sono io che mi presento qui regolarmente per aver fatto a botte con qualcuno. Se voi trovate sempre qui me è perché ci lavoro, non perché mi cimento in risse da adolescenti idioti. >>

Edmund, quello che aveva sorriso, ora ridacchiò divertito. Gli scoccai un’occhiataccia.

<< E tu non ridere, che sei nella sua stessa situazione! >> sbuffai, poi li osservai attentamente per vedere di cosa avrei dovuto occuparmi: Peter aveva una mano completamente scorticata, da cui ancora usciva  sangue, e un occhio livido, il fratello sfoggiava un taglio netto su uno zigomo, sicuramento causato da una lama. Ordinai ad Edmund di togliersi la camicia e sotto vi trovai, come avevo sospettato, segni di contusioni (aggiunti a quelli della settimana prima).

<< Quando la pianterai di farti coinvolgere nelle risse dei ragazzini, Peter? Edmund è comprensibile, è in piena età di cretinate, ma tu sei anche più grande di me! >> partii in quarta con l’ennesima paternale mentre disinfettavo il taglio del moro tenendogli fermo il viso poiché continuava a scansarsi.

<< Sta’ fermo. >> gli intimai, a due centimetri dal naso.

<< Non sono cretino! E non trattarmi come un ragazzino. >> si lamentò lui.

<< Si che lo sei. >> ribatté Peter.

<< Non è vero! >> protestò << E poi Em, tu sei solo poco più grande di me! >>

<< è scientificamente provato che le donne sono più intelligenti, Ed, soprattutto durante il periodo adolescenziale. >>

<< Fai gli stessi discorsi femministi di Roxanne.. >> disse Peter

<< E tu con Roxanne quand’è che ci avresti parlato? >> domandai, sorpesa.

<< Sua sorella è in classe con Lucy. >> mi spiegò Edmund. Lucy era la loro sorella minore, la vedevo sempre quando veniva a recuperare i fratelli in ospedale. Era parecchio sveglia, c’era anche Susan, la secondogenita.

Applicai con malagrazia il cerotto sulla guancia di Edmund che gemette contrariato, poi lo spedii da Shirley, sulla brandina accanto, poi cominciai a  occuparmi della mano del maggiore.

<< Non dovresti immischiarti nelle risse di tuo fratello. Fallo ammazzare da solo! >> sbuffai, rivolta al ragazzo che avevo appena mandato via. Lo sentii ridacchiare.

<< Sa perfettamente ciò che fa. È più adulto di quanto non sembri. >> lo giustificò il fratello.

<< Non lo metto in dubbio, ma rimane pericoloso. E poi tu ammettilo, che lo difendi solo perché senza di lui andresti poco lontano. >> lo presi in giro, lui espresse il suo disappunto, ma un gemito di dolore lo zittì.

<< Sei sempre così violenta quando medichi le persone, Em? >> protestò.

<< No, è che quando vi guardo mi viene in mente la vostra idiozia, quindi mi devo sfogare. >> 

<< Sei una persona crudele, Em! >> esclamò Edmund

Mi voltai a guardarlo e gli puntai l’ago contro << Shirley è anche peggio, quindi stai buono. >> la ragazza, chiamata in causa, ghignò in modo sinistro. I due rabbrividirono.

Peter sospirò << Si può sapere perché ti interessi così tanto a noi? >>

Alzai un sopracciglio << Perché c’è vostro padre nell’altra ala dell’ospedale che si sta riabilitando da un trauma abbastanza forte, vorrei evitargliene altri. >> mi tirai indietro una ciocca ribelle << Sono cose che noi qui vediamo tutti i giorni, Pete; energumeni che fuggono terrorizzati da anziani in sedia a rotelle per timore che siano non si sa quale arma biologica. >> lo vidi ridacchiare sotto i baffi e gli diedi uno scappellotto.

<< é comprensibile, è difficile riabituarsi alla normalità. >> commentò il fratello.

<< Ma come siamo saggi, Ed. >> lo presi in giro.

<< Sei un imbecille!! >> sentii una vocetta squillante e mi voltai. Lucy entrò con piglio battagliero puntando contro Peter, poi vide Edmund << Siete due imbecilli!! Em ti prego di perdonarli.. >>

Sogghignai << Tranquilla, ormai ho perso le speranze. >>

<< E dai Lu, non fare l’acida! Siamo vivi no? >> Edmund si avvicinò, dopo essere stato liberato da Shirley.

<< Infermiera Aramaki, infermiera McNighty! >> io e Shirley ci voltammo in sincrono, incontrando lo sguardo tagliente della Capoinfermiera Ruthwick << Oggi c’è poco lavoro e abbastanza personale. Potete andare, voi due avete fatto il riempimento dei turni la settimana scorsa. >>

Shirley mi lanciò un occhiata allibita, che ricambiai. Appena fummo sicure che non potesse sentirci commentammo ad una voce << è impazzita. >>

I tre fratelli decisero di aspettarmi, Peter andò via dopo un po’ perché aveva da fare (a detta sua) Edmund e Lucy invece erano diretti al parco. Indossai il cappotto e mi unii a loro.

Seduti al tavolo di un bar al parco nei dintorni, stavamo chiacchierando ed infilai una mano in tasca, ritrovandomi in mano la lettera con allegato l’indovinello di Tom. Decisi di riproporglielo.

Alla fine Lucy prese un’aria soddisfatta << Il primo e il secondo sono bianchi. >>

<< Perché? >> chiese il fratello.

<< Se anche il primo fosse stato nero avrebbe detto di essere bianco, quindi al secondo cosa serve mentire? Il terzo è conseguentemente nero perché afferma che sono entrambi bugiardi, ma in realtà il secondo ha detto la verità. >>

<< Aaaaah.. >>

Lucy ridacchiò << Non era difficile.. Questo Tom sembra simpatico, me lo fai conoscere? >>

Quasi mi andò di traverso il the che stavo bevendo << No. Non ci pensare nemmeno. >> perché quel cretino affascinava persino chi non l’aveva mai visto?

<< Perché no? >>

<< Fidati. Potrebbe traviarti. >> Edmund rise.

<< Perché lo frequenti allora? >>

<< Non lo frequento.. e poi io sono già stata in parte traviata in effetti. Già solo il fatto che ormai neanche do più importanza alla metà delle cose che dice significa che ci sono abituata. >> sbuffai << Se non ci sei abituato potrebbe avere conseguenze drastiche. >>

Stavolta fu Lucy a ridere << Come hai fatto ad abituartici, quindi? >>

La mia faccia prese un’espressione sofferente << L’ho seguito nel periodo dell’evoluzione. >>

<< Di solito con la gente che non si sopporta si tagliano i ponti, Em. >> mi fece notare Edmund, divertito.

Sorrisi << Non è quello il problema. Diciamo che è un po’ come il rapporto che si ha con un fratellino suscettibile e rompiscatole. >> mi rigirai la tazza tra le mani << Immagino che voi possiate capire. >>

I due si lanciarono un’occhiata complice. << Si, possiamo capire. >> Lucy sorrise dolcemente.

Li accompagnai fino alla stazione e poi tornai all’Ospedale, stavo per prendere una traversa sbagliata, am ebbi il buon senso di chiedere indicazioni.

Salutai Maximillian alla reception e feci per allontanarmi, ma lui mi fermò, indicandomi la cornetta del telefono. La afferrai titubante e lui si allontanò: era più unico che raro, per me, ricevere telefonate.

<< Pronto? Pronto? Akemi? >> raggelai riconoscendo la voce del mio interlocutore. C’erano solo tre persone che mi chiamavano con il nome intero: una era Tom, le altre due i miei genitori.

<< Papà, è successo qualcosa? >>

<< Oh, eccoti, ora ti sento. Al diavolo a questi stupidi aggeggi dei babbani. >> Tipico.

Grazie papà, per la finezza, anch’io sarei babbana.

 << C’è stato un gravissimo problema a scuola.. è morta una ragazza. Se non chiudessero sarebbe un miracolo. >>

<< Ah, spero trovino il colpevole. >> poche parole, ciò che sentivo. Solo per Tom , però.

<< Ti ho tefelonato solo perché tua madre rischia di perdere il lavoro, Akemi. >>

<< Lo avevo capito anche prima che lo specificassi, papà.. >>

<< Meglio così. Ora vado, ho da fare. >>

<< D’accordo, ciao. >>

L’unica risposta al mio saluto fu il rumore della cornetta chiusa.

<< ‘Ciao Akemi, passa una buona giornata’. >> mi dissi cercando di imitare la voce di mio padre. I miei occhi si riempirono di lacrime: perché doveva sempre rivelarsi così umiliante avere a che fare con i miei genitori?

<< Em, tutto a posto? >> Roxanne mi si avvicinò, spuntata da chissà-dove. Riattaccai la cornetta del telefono e tesi le braccia verso la mia amica, facendole intendere di voler essere abbracciata. Nascosi il viso nei suoi capelli << No.. >> la voce rotta dal pianto che si preannunciava. Le lacrime corsero sulle guance, arrossate dalla rabbia, quando Roxanne iniziò ad accarezzarmi la schiena << Li odio, Rox. Li odio così tanto.. >>

Pensai a Tom; probabilmente era terrorizzato dall’idea che la scuola avrebbe chiuso. Avrebbe fatto meglio a trovare l’Erede il prima possibile.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


Run, run, run away
Buy yourself another day.
A cold wind's whispering secrets in your ear
So low only you can hear.
Run, run, run and hide
Somewhere no one else can find.
Tall trees bend and lean pointing where to go
Where you will still be all alone.
                 - Kingdom come; The Civil Wars - 
                                                                                  Capitolo Quinto

 

 

Arrivò dicembre portando definitivamente con sé il freddo; le piogge si fecero più rade, lasciando il posto alla grandine e alla neve. Ovunque ci si girasse per strada si intravedevano bambini giocare nel bianco delle strade con almeno tre chili di vestiti addosso.

 Beth si rallegrava sempre a quella vista, come a quella dei pupazzi di neve. Pensava fosse una cosa positiva che i bambini continuassero a giocare e  ridere, senza farsi trasportare dalla malinconia delle loro madri.                                                                                                                          Io le davo ragione, anche se Roxanne diceva, più razionalmente, che non era sicuro. Ed effettivamente, aveva ragione anche lei. Si viveva nel terrore della sirena antiaerea.

 Però era piacevole vedere Beth recuperare il sorriso: da quando suo fratello aveva raggiunto la maggiore età ed era dovuto partire per il fronte, l’allegria l’aveva abbandonata a sé stessa. E a noi questo faceva male, perché era lei la più grande tra noi ed era sempre lei, quella col sorriso sulle labbra.

 Dicembre portò con sé anche una lettera di Tom, probabilmente la prima in cinque anni che scriveva di sua sponte. Le nuove scritte sulla carta erano positive.. in parte.

La scuola per fenomeni da baraccone aveva superato con successo le minacce del famigerato ‘Erede di Serpeverde’ e anche quelle del ministero della Magia, che premevano per chiudere la scuola.

 Rubeus Hagrid era stato espulso dalla scuola e la sua bacchetta era stata spezzata per aver sguinzagliato per la scuola un’acromantula gigante dal nome “Aragog” che, stando agli avvenimenti, aveva pietrificato un capannello di mezzosangue e ucciso una poveretta.

 Come era stato scoperto? Beh, a quanto pareva, Tom lo aveva colto con le mani nel sacco mentre cercava di far  fuggire il suo animaletto da compagnia, poi aveva denunciato la cosa.

Io mi rifiutai di credere alla cosa. Conoscevo Rubeus da quasi quattro anni ed ero convinta che azioni del genere non fossero decisamente da lui.                                                                                                                                                                                                                                              Okay, era enorme e incuteva timore, era un po’ rozzo e ignorante, ma aveva il cuore più grande e generoso che avessi mai conosciuto. Era un ragazzo così sensibile e ingenuo!

 Ero venuta a conoscenza del fatto che Albus Silente, il professore di trasfigurazione della scuola, era stato uno dei pochi a prendere le sue difese, ed era stato deciso che il mezzogigante avrebbe continuato a vivere ad Hogwarts, come apprendista guardiacaccia.

 Avevo chiesto a Tom di recapitare ad Hagrid una mia lettera e lui, anche se conoscevo la sua riluttanza nei confronti del mezzosangue, lo aveva fatto, perché avevo ricevuto la risposta.                                                                                                                                                                          In compenso, però, Riddle non aveva risposto alle mie tre seguenti lettere. Io di conseguenza, essendo permalosa, ci ero rimasta male e avevo smesso di scrivergli a mia volta.

 Chiusi la valigetta di pronto soccorso con malagrazia, facendo spaventare la mia paziente, che aveva richiesto una visita a domicilio: erano quattro giorni che era costretta a letto con la febbre.

 Uscii dalla villetta dei Roles e mi diressi a passo svelto verso la fermata della metropolitana, facendomi spazio tra i gruppetti di studenti che occupavano la banchina, in attesa di un treno che li portasse a scuola.

 Mi sedetti su una panchina mezza vuota e mi misi la valigetta sulle gambe, per evitare di dimenticarmela per terra e, per ammazzare il tempo, iniziai a contare le diverse divise che vedevo.

Individuai quattro scuole, compresa quella dei fratelli Pevensie, che dovevano anche loro essere lì da qualche parte.

 Alcune delle persone che mi vedevano mi salutavano, o mi sorridevano e io ricambiavo i vari. Non perché conoscessi così tanta gente, anzi, però era una specie di rito, in quel periodo. Vedevano la divisa da Crocerossina e ci salutavano, la gente ci considerava di buon auspicio. Un porta fortuna, come quando una persona dice qualcosa di brutto e tu tocchi ferro.

 Evitavo di soffermarmi sul fatto che appena mi levavo la divisa, i passanti si trattenevano appena dallo sputarmi in faccia, solo per la mia faccia orientale. Odiavo la mia faccia orientale, un po’ come odiavo tutto ciò che riguardava i miei familiari.

 Iniziai a tamburellare il motivetto di una canzone che passavano sempre alla radio, ma della quale, al momento, mi sfuggiva il nome. Sbuffai, annoiata.

 Poi iniziò a tirare vento. Mi voltai per vedere il treno avvicinarsi e capii immediatamente che qualcosa non andava; il treno stava arrivando, si, ma non si stava fermando.

 Il vento cominciò a tirare più forte e la terra a tremare. Temetti che il treno stesse deragliando ma scartai quell’opzione quanto il tetto della stazione si sfaldò come un blocchetto di post-it al vento.

Mi aggrappai con forza alla panca, mi osservai intorno, non stupendomi dal fatto che nessun’altro notasse nulla di strano.

 Dev’essere una qualche diavoleria magica..

pensai, non riuscendo a non sentirmi terrorizzata: la magia mi faceva paura. Come quando dovevo attraversare la colonna a King’s Cross, come quando delle carrozze che si muovevano da sole mi portavano al castello o quando Tom si allenava, come quando, da piccola, vedevo mio padre venire risucchiato da una cabina telefonica.

 Strinsi le palpebre e mi morsi la lingua: ci mancava solo che mi mettessi ad urlare nel bel mezzo di una banchina della metro.

 Tom aveva ragione a darmi della sciocca, a darmi della debole; ero una codarda ed ero una stupida, perché la magia mi faceva più paura di una bomba, più di un Giorno Rosso.

Eppure ci vivevo dentro.

 Capii di essere svenuta quando mi risvegliai ed io non ricordavo di essermi addormentata. In realtà non ricordavo neanche di essere svenuta.  La cosa che però stava occupando i meccanismi del mio cervello era l’erba che sentivo sotto i palmi delle mani. Erba umida e un po’ alta.

 Non ero più alla stazione, poco ma sicuro, ma non riuscii a riconoscere quel posto nel mio registro di posti dove ero stata. E dire che avevo buona memoria.

 Sembra un bosco.

 Come ero finita in un cavolo di bosco?! Neanche a pensare che mi fossi teletrasportata, non ero una maga, tantomeno una teleporter!        Cercai di tranquillizzarmi, dopotutto io di cose assurde ne avevo viste, nella mia breve vita da sedicenne.

Sentii dei fruscii alle mie spalle e mi voltai.

 << Si è svegliata! >> osservò la voce eclatata di un tasso.

 Di un tasso.

Un… tasso.

 T  a  s  s  o.

 Passi il centauro al suo fianco, ne avevo già visti, ma..

 << I tassi parlanti ancora mi mancavano. >> completai a voce alta, con tono leggermente infastidito.

 << Tu dici che è una Telmarina? >> domandò il.. tasso al centauro.

<< No, è diversa dai Telmarini, ma non sembra neanche una delle due Regine. >>

<< Dovremmo portarla alla Casa di Aslan e far decidere a Re Caspian. >> propose il tasso (cominciavo a metabolizzare la cosa).

 << è la scelta migliore. >> concluse il centauro, avvicinandomisi. Io mi allontanai.

 << Ehi, ehi! La mia opinione non conta? Piantatela di parlare come se non ci senta, non sarò una creatura strana ma non sono cretina! >> protestai << Chi diavolo siete voi? Dove sono? >>

<< Ti saremmo grati se non opponessi resistenza. Io sono Tartufello, ma questo non ha importanza. Abbiamo deciso di portarti da Re Caspian per decidere chi tu sia. >>

 Ovvio, il ragionamento non fa una piega!

 << Io so perfettamente chi sono, non c’è bisogno che lo stabilisca questo tizio qui. E comun.. oddio mollami!! >> esclamai, colta di sorpresa, quando il centauro mi caricò addosso a lui e partì al galoppo, cavalcato anche da Tartufello.

 Naturalmente protestai, ma dopo essere stata ignorata per cinque minuti buoni, calai nel mutismo e cominciai a riflettere sulla mia situazione.

 Se protestare era inutile, sarebbe stato inutile anche chiedere spiegazioni. Altrettanto inutile sarebbe stato cercare di scappare, perché tanto non avevo idea di dove fossi.

 Così decisi di starmene buona e tranquilla e di andare ad incontrare questo Re Caspian, al massimo avrei pensato qualcosa lì per lì.

 

Giungemmo davanti ad una sorta di portale, per tre quarti immerso nell’oscurità. Strinsi gli occhi, cercando di sbirciare all’interno.

 << Chi va là? >>

 Mi voltai verso le voci che ci avevano fermati, vidi due tassi avvicinarsi a noi. Alzai gli occhi al cielo

 Odio i tassi!

<< Sono Tartufello >> il centauro mi rimise (finalmente) a terra e io mi passai le mani sulla gonna, per togliere la terra che ci era rimasta sopra.

 << Portiamo un prigioniero. >>

 Le due sentinelle ci fecero passare, attraversammo un lungo e buio tunnel, illuminato solo dalla fioca luce di una torcia a fuoco.

 Il freddo del tunnel penetrava le ossa e aleggiava un forte odore di muffa, scorsi con lo sguardo le miniature che si intravedevano sulle pareti ma non ne colsi il significato. Sembravano raccontare una storia, come in un libro illustrato per bambini.

 Mi trovai improvvisamente con il sedere per terra e imprecai irritata. Dovevo ricredermi: le scale non comparivano magicamente solo ad Hogwarts, ma ovunque, se non si presta attenzione.

 Dopo quella che parve un’eternità, arrivammo a destinazione.

 Era una sala spoglia, con qualche porta di legno che spuntava sul muro quasi per una semplice e

pura casualità. In mezzo alla sala (che tra l’altro aveva una forma non definita tra un cerchio e uno sgorbio di un ragazzino di due anni) c’era un tavolo dalle dimensioni abbastanza ampie, circondato da ingombranti sedie.

 Qui, vi erano sedute le prime due persone umane che vedevo da quando ero arrivata in quel posto bizzarro. Il ragazzo e il vecchio parlavano concitatamente, consultandosi ogni tanto con qualche altra creatura seduta con loro.

 Quando entrammo completamente nella sala si zittirono tutti, fissandomi, per questo credo che la mia smorfia di disappunto venne vista nonché ignorata da tutti.

 Il ragazzo si alzò, avvicinandomisi. Poi, con aria speranzosa, mi chiese << Sei la regina Susan? >>

Aggrottai la fronte << L’unica regina che conosco si chiama Elizabeth, ed è la moglie del re George IV. Ergo, no, non sono la regina Susan. >>

 Lui mi guardò confuso, ma sembro capire solo l’ultima frase. Si allontanò di un passo e prese a camminare nervosamente per la stanza.

 << Sei una spia di mio zio Miraz? >>

 Mi passai stancamente una mano sul viso << Senti.. >> cominciai con aria polemica << Non sono una spia, tanto meno di questo tizio qui, che non conosco. Il problema, tesoro, è che non ho nemmeno la minima idea di chi sia tu, e nemmeno di dove io sia finita!! >> mi ero fatta prendere dal panico, visto che, cominciato il discorso tranquillamente, mi ero ritrovata a urlare.

 Datti una calmata, Akemi. Vuoi finire male?

 Sentii la mia voce interiore prendere l’insopportabile stampo di quella di Tom.

Il ragazzo mi guardò mezzo stralunato, repressi l’istinto di riempirlo di botte e cominciai a respirare profondamente << Chiedo scusa, sono lievemente scossa. >>

 Lui disse che non importava, capiva. Poi decise di presentarsi.

<< Io sono Caspian. Ti trovi a Narnia, qui siamo nella Casa di Aslan. È la nostra base, siamo in guerra con re Miraz. >>

 << Ah, quindi sei tu, che devi decidere ci sono.. >> feci sarcastica << Perfetto, perché vedo parecchio confuso pure te. >>

 Caspian mi guardò, interrogativo << Io? >>

 << Lo hanno detto quei due lì dietro, che avresti deciso chi fossi e cosa ne sarebbe stato di me. >> spiegai, indicando il centauro e Tartufello.

 << Ma io non ho la minima idea di chi tu sia, e si, sono abbastanza confuso. Ho suonato il corno di Regina Susan, sarebbe dovuta arrivare lei. >>

 << Lo immaginavo. Tra l’altro devo ancora assimilare le poche informazioni ricevute e farmele bastare, credo. >>

 Caspian fece un cenno con la testa per farmi intendere qualcosa, che però non intesi. Capii quando si avvicinò al vecchio e presero a confabulare.

 Sbuffai, irritata e presi a girare per la stanza, gli sguardi di molti su di me. Ne incenerii con lo sguardo qualcuno, che ebbe la saggia idea di voltarsi dall’altra parte.

 Cominciai a fare il punto della situazione.

 Mi ero ritrovata una faida tra regni, che probabilmente non avevano nulla a che fare con l’Inghilterra. Okay, ero confusa, parecchio confusa, e anche preoccupata ma non potevo cominciare a urlare e piangere o svenire alla prima cosa strana che mi capitasse. Primo perché sarebbe stato inutile, secondo perché beh.. se lo avessi fatto sarei già stata morta e sepolta.

 Decisi che forse avrei fatto bene a mischiarmi con loro, per passare meno pericoli possibile, e che se volevano la guerra con questo re Mida, avrei potuto aiutarli. Non sapevo come, ma ci avrei potuto provare. Almeno avrei provato a chiarire la mia situazione da persona civile a persona civile, anche se, onestamente, in quel momento di persone e di civili ne vedevo ben poche.

 Sospirai contrariata e mi avvicinai alle due persone civili (?) in questione.

 << Potrei rubarvi qualche minuto? >> loro mi guardarono per qualche secondo, poi annuirono.

 Ringraziai il cielo che fecero sloggiare la maggior parte della popolazione di quel posto e mi fecero sedere vicino a loro, alla tavola.

 << Credo di non essere stata molto esauriente nella mia spiegazione. In realtà non credo che quella contasse come spiegazione. >> iniziai, poi mi venne in mente che l’identità del vecchietto mi era ancora sconosciuta e mi informai. << Bene, dottor Cornelius. A quanto ho capito siete in guerra, e state aspettando una certa Susan. Io non sono Susan, sono Em e non sono una regina. Stamattina ero alla stazione della metropolitana e stavo aspettando il treno per tornare a lavoro, ma mi sono ritrovata qui. Così all’improvviso: prima ero seduta su una stramaledetta panchina di una stramaledettissima stazione di Londra, e poi mi sono ritrovata in un bosco. In un bosco!! Tra l’altro in un posto che non conosco, tra persone che non conosco, e circondata di esseri parlanti! In realtà a quello ci sono abbastanza abituata, ma sono particolari.          << Ora: io non ho la minima idea di chi sia questo re Mida, tanto meno del perché ci facciate una guerra. In realtà pensavo che re Mida esistesse solo nella fiaba. >>

 << è re Miraz. Si chiama Miraz. >> corresse Caspian, divertitissimo dal mio sproloquio.

 << Come vuoi. >> lo liquidai << Comunque, con sincerità, diciamolo: io non vi conosco! Okay ti chiami Caspian e sei un re, ma io non ho la minima idea di chi tu sia, e tu non hai la minima idea di chi sia io! E visto che il nome ‘Narnia’ non mi dice un emerito niente, uno sputo di spiegazione la vorrei, come vorrei sapere come diavolo faccio a tornare a Londra! >> conclusi, con enfasi.

 Il dottor Cornelius, che sembrava aver pesato ogni mia parola attentamente, si voltò verso Caspian

 << Londra era la terra d’origine dei quattro re di Narnia. >>

 << Londra è una città, non una terra.. >> specificai. Senza neanche rendermene conto mi ritrovai stretta nell’abbraccio di Caspian, dal quale tentai di divincolarmi. Lui mi prese le spalle con le mani, euforico << C’è una possibilità, allora! >> disse prendendomi le mani, il viso che gli si era illuminato.

 << Se tu sei qui, c’è la possibilità che ci siano anche loro! >>

 << Loro.. chi? >>

 << I quattro re di Narnia! Peter, Susan, Edmund e Lucy! >> disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

 Ci misi qualche secondo prima di assimilare l’informazione e rendermi conto dell’assurdità di questa.

 Piegai lievemente la testa di lato, rendendomi conto che non poteva trattarsi di una mera coincidenza.

 È uno scherzo, vero?

 Mi chiesi, con una vena di disperazione.

 

 

 

****Angolo Autore

Bentrovata gente! 

Eccomi qui che torno col capitolo cinque. Bene.. non vogliate uccidermi vi prego!

Lo so, i nostri cari fratellini non si vedono per niente.. non è colpa mia, poi il capitolo veniva eccessivamente lungo >.< Ci saranno nel prossimo, ci saranno.                      Si, so anche che la prima parte del capitolo è pregna di dialogo.. xD

Con questo capitolo possiamo comiciare altri capitoletti secondari -- >> Akemi e i tassi. Qui sono presenti la parte uno e due u.u''

Comincia a fare capolino il lato quasi maniacalmente riflessivo della cara infermiera, e comincia a delinearsi un po' meglio il suo carattere. Come ho detto a Kirlia, rispondendo alla sua recensione.. è un po' ambigua come persona.

Spero che la storia stia cominciando ad incuriosirvi e spero che continuerete a leggere :)

Ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno messo la storia tra le seguite, preferite e ricordate. Un grazie (anche due) infinito a Kirlia e a GJDunkel per avermi dato il loro graditissimo parere. 

Ringrazio anche chi legge e basta.

Ripeto che un vostro commento è accolto a braccia spalancate, che sia negativo o positivo.

Un bacio e arrivederci al capitolo sei :)

Rue ;)





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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***


Why is it so hard to find someone
Who cares about you?
When it's easy enough to find someone
Who looks down on you.
         - Someone who cares; Three days grace -

                                                                   Capitolo Sesto






Nel giorno e mezzo che passò, mi feci spiegare la situazione, ma rimanevano comunque dei grossi punti interrogativi ai quali i miei ‘ospiti’ non sapevano rispondere.

‘Ospiti’ tra virgolette, perché non essendo sicuri del potersi o no fidare di me, mi avevano parcheggiata in una specie di cella, per scaramanzia.

Il mio alloggio era quanto di più non si potesse desiderare: era una cava angusta e umida, illuminata solo da una torcia di fuoco a muro. Il problema era che la cella era così piccola che dovevo restare rannicchiata in un angolo per evitare di darmi fuoco.

Tra l’altro non avevo nulla da fare, e quindi cercavo di intavolare qualche conversazione col mio carceriere, invano.
Non che di solito fossi una gran chiacchierona, ma quando ti trovi in una cella di quel tipo, da sola e annoiata, con qualche miliardo di domande ancora senza risposta..

Il mio carceriere era un nano. Un nano di quelli dei libri di fiabe con la barba lunga e anche i capelli.
Non avevo mai visto un nano così, la mia cultura si fermava ai folletti della Gringott e agli elfi domestici.

A casa dei miei avevamo un elfo domestico, una femmina per la precisione. Era tanto carina nei miei riguardi, forse però solo perché era nella loro natura, non volevo chiedermelo, visto che era l’unico essere in quella casa a parlarmi.

Sbuffai rumorosamente e feci aderire schiena e testa alla porta, stendendo le gambe per terra.

In quel momento arrivarono alle mie orecchie voci indistinte ma alte. Di solito non si sentiva quello che dicevano nella sala principale.
Presupposi che stessero discutendo o litigando.
Sentii i passi del nano di guardia allontanarsi, probabilmente per andare a vedere che stesse succedendo.

Mi alzai e mi affacciai alla finestrella sbarrata, poggiandovi le mani, sbirciando verso la direzione da cui continuavano a provenire urla indistinte.

Quando cominciarono ad arrivare anche rumori di ferro contro ferro capii che qualcosa non andava, mi voltai nuovamente verso l’interno della cella e mi lasciai scivolare per terra, rannicchiandomi nuovamente contro la porta e alzando il viso all’insù lamentandomi a bassa voce.
In pochi minuti i rumori cessarono e dei passi si avvicinarono. I miei battiti cardiaci si facevano sempre più veloci man mano che i passi si facevano più chiari. Quando li sentii fermarsi di fronte alla mia porta mi alzai velocemente, nello stesso istante in cui si aprì la porta.

<< Em! >> il tono interrogativo di quell’esclamazione era più che sorpreso. Strinsi gli occhi per vedere controluce chi mi aveva chiamata.

<< Edmund! Dio, grazie! >> esclamai al settimo cielo, scaraventandomi addosso a lui, che si resse in piedi a stento << Ed, mi hanno detto un sacco di roba ma non ci ho capito nulla! Io ero nella stazione e poi ero qui e poi vi hanno nominato e poi, poi.. >>

<< Em, frena! >> mi zittì, con ancora una nota confusa nella voce << Caspian, questa ragazza è una nostra amica, non c’è bisogno di tenerla qui. >>

Il ragazzo chinò lievemente il capo << Come desideri. >> poi fece cenno al nano che poteva anche andar via.

Uscimmo fuori dal cunicolo, tornando nella sala principale, quella dalla forma discutibile, dove c’era anche Peter. Quando il ragazzo mi vide fece una faccia buffissima, come avesse visto un fantasma.

Ci sedemmo alla tavola e mi raccontarono di come erano arrivati a Narnia la prima volta, attraverso un armadio, e con Aslan avevano sconfitto la Strega Bianca, diventando i legittimi re e regine del regno. Dopo parecchi anni si erano rimbattuti nell’armadio e si erano ritrovati nella loro vita di prima, senza riuscire a tornare indietro. Poi, alla fine, si erano ritrovati lì scoprendo che era passato qualche secolo.

Ovviamente chiesero anche a me qualche motivazione, così spiegai ciò che avevo supposto. Avendo qualche legame con la magia e trovandomi nel posto giusto (sbagliato) al momento giusto (sbagliato anche quello) ero stata inclusa nel “teletrasporto”. Loro non avevano la minima conoscenza del mondo magico nel nostro mondo, così fui costretta a spiegar loro anche di quello.

I due ragazzi si erano separati dalle sorelle a metà viaggio, affidandole alla guida di Aslan, il leone, una specie di divinità narniana, di cui si era cominciata a dubitare l’esistenza con gli anni.

La loro missione era quella di risvegliare le creature di Narnia addormentate da tempo. Il compito dei due maschi era invece progettare una guerra con re Miraz. Perciò mi ero ritrovata in un contesto completamente fuori dalla mia portata, nonostante la mia conoscenza sulle armi e le strategie di guerra fosse abbastanza amplia (nella biblioteca di Hogwarts si trovava di tutto).
Mentre i ragazzi si consultavano io giocherellavo con la spilla da infermiera, facendola rotolare sul tavolo, il mento poggiato sulla mano.
Alzai lo sguardo, notando gli occhi di Peter su di me. Ricambiai l’occhiata e lo vidi dare una lieve gomitata al fratello. Anche lui cominciò a guardarmi.

Tossicchiai a metà tra l’essere imbarazzata e irritata.

<< Che c’è? >> domandai, quando alla fine anche l’attenzione di Caspian ricadde inevitabilmente su di me. Perché quando i tuoi interlocutori fissano qualcosa che non sei tu, una domanda te la fai.

<< Tu cosa ne pensi, Em? >> mi domandò il biondo. Non riuscii a trattenermi dall’alzare un sopracciglio.

<< Io penso che di guerra ne so poco e niente e voglio continuare a vivere nell’ignoranza. Non chiedete a me, siete voi gli esperti qui dentro. >>
 
<< Non è vero che non ne sai nulla. >> ribattè Edmund incrociando le braccia sul tavolo e sporgendosi di pochi centimetri nella mia
direzione << Sei un’infermiera e sei una cittadina. La tua opinione è molto più preziosa di quello che tu creda. >>

<< Infatti credo che la mia opinione serva a niente, Ed. >> incrociai senza volerlo il suo sguardo e non potei ignorare il rimprovero che vi lessi. Lo distolsi immediatamente, scossa.

Non lo avevo mai visto con un’espressione del genere. Così seria ed adulta, faceva quasi impressione sul viso di un ragazzo. Sul viso di Edmund.

<< Re Edmund ha ragione, mia signor.. Signorina Em. >> si corresse Caspian, vedendo la mia occhiata omicida. Lo avevo minacciato di morte un paio di volte, in precedenza quando si era appellato a me come ‘mia signora’. Non gli avevo detto il mio nome completo, preferivo così.

<< Tra l’altro voi donne sapete essere più sagge a volte. Ho letto in alcuni racconti che le vostre sorelle vi aiutavano nei piani, a volte. >> si rivolse ai due ragazzi, che sorrisero, probabilmente ricordando quei giorni.

<< Susan la mente, Lucy la spada. Quanto si divertivano quelle due, insieme. >> sospirò Peter.

L’ammirazione negli occhi del giovane Caspian era più che evidente, sospirai anche io.

<< Devo parlare sinceramente? >> domandai, ricevendo un ironico ‘tu che dici?’ dalle parti di Ed.

<< Okay, allora sinceramente vi dico che dubito del fatto con le spade a vostre disposizione possiate battere un Re. Un Re.. come dire.. vero. Con un castello, con un regno, con dei soldati.

<< A confronto voi siete quattro gatti. Non conosco la forza dei vostri soldati, quindi non dirò nulla a riguardo. >>

L’espressione di Peter si fece sofferente << Sei troppo diretta quando parli, Em. >>

<< Pensi che per noi sia impossibile vincere in una battaglia? >> domandò Edmund, io annuii ignorando la celata richiesta di pietà del fratello.

<< Si, se stiamo parlando di uno scontro diretto. >> specificai << In realtà sarebbe tanto bello se poteste farvi una partita a scacchi e che vinca il migliore, ma non credo funzionerebbe. >> feci una smorfia << Essendo un’infermiera, come mi fa notare Ed, penso che dovreste ridurre al minimo le perdite. Non chiedetemi come, non ne ho la minima idea. >>

I tre si scambiarono qualche occhiata che non riuscii a tradurre.

Linguaggio maschile, non riuscivo a capirlo. Probabilmente stavano dicendo che le battaglie sanguinolente erano più divertenti.

Vidi il viso di Peter illuminarsi << Giusto! Una partita a scacchi! >>

Tutti e tre lo guardammo stralunati << Di quali sostanze fai uso, Pete? >> gli chiesi, precedendo Caspian che probabilmente stava per fare la medesima domanda, con parole diverse.

<< Concordo con Em, Peter. >> mi sostenne Edmund.

<< No, non avete capito. >> disse lui.

<< Non possiamo capire, se dici stronzate. Non ero seria, sulla partita a scacchi. >> ribattei.

Caspian spostò lo sguardo stupito da Peter su di me, probabilmente domandandosi il perché della mia eccessiva informalità con i due. Il Re più piccolo notò con me la faccia del ‘principe’ e sogghignò.

<< Lasciala perdere Caspian. Siamo abituati al suo linguaggio scurrile. >>

<< Non ho un linguaggio scurrile! >> mi lamentai << però se è un deficiente e dice stronzate non è colpa mia. >>

Edmund scoppiò definitivamente a ridere, sotto lo sguardo sempre più attonito dell’altro e di Tartufello, spettatore silenzioso di quegli scambi di battuta.

<< Dovete essere molto in confidenza. >> disse Caspian.

Io sorrisi, scornata << Dovresti essere un po’ più naturale anche tu Caspian. Sei un po’ troppo imbalsamato. >> distolsi il mio sguardo da quello esterrefatto dell’altro per puntarlo su Edmund, che aveva poggiato la testa tra le braccia sul tavolo e cercava di nascondere il fatto che se la rideva come pochi. A tradirlo le spalle, scosse dalle risa.

<< Devi scusarmi Caspian. >> gli dissi << Non sono una a cui piacciono le formalità. Veramente le collego spiacevolmente all’immagine dei miei genitori, è per questo che le evito. >> rivelai, più a me stessa che a lui. << Non avendoli conosciuti come reggenti non riesco proprio a rapportarmi con loro come fai tu. >>

A lui sembrò bastare come spiegazione, perché alla fine l’attenzione ricadde definitivamente sul più grande.

<< Gli proporrò una sfida: io e lui, da soli. >> spiegò alla fine Peter sotto lo sguardo incerto di tutti.

<< Ti prego, gran Re. >> lo implorò Caspian << lascia che sia io ad affrontarlo. Voglio vendicare mio padre. >>

<< Sei ferito. >> gli ricordai. Peter mi indicò, guardando Caspian, per fargli capire che lo pensava anche lui, aggiunse << E poi probabilmente Miraz riderebbe, della tua richiesta. Vedi.. è un po’ come il ragionamento di Em prima: noi ti abbiamo conosciuto come un re guerriero, ma tuo zio pensa a te ancora come ad un ragazzino. >>

<< Ma sire >> intervenne il tasso, interrompendo il suo silenzio << pensate che Miraz raccoglierà la vostra sfida? Lui sa bene di avere un esercito molto più forte. >>

Peter disse che avrebbe provato, dettando la lettera a Cornelius, sarebbe stata recapitata da Edmund, accompagnato da un gigante e da Tempestoso, il centauro che mi aveva portata lì.

Chiesi di poter andare con loro, ma mi venne risposto che probabilmente la vista di una ragazza sarebbe stata presa poco sul serio.

Durante l’attesa di una risposta fui costretta ad indossare uno scomodissimo vestito blu, probabilmente tipico di quel posto. Tartufello mi disse che era un vestito di Lucy per le funzioni religiose; la casa di Aslan era una sorta di tempio.

Sorrisi al fatto che stessi indossando il vestito di una persona che in quel momento aveva almeno sei taglie in meno di me, eppure quello mi stava praticamente a pennello.

Alla fine Miraz accettò la sfida e mandò uno dei suoi capitani con Edmund a delineare il luogo dello scontro.
Mancavano pochi minuti alle due, l’ora dello scontro, l’aria era così tesa che si sarebbe potuta tagliare con una lama. Allo scontro si fecero presenti altre creature delle più strane tipologie. Sempre Tartufello mi spiegò pazientemente che si trattava di un gruppo di creature silvane risvegliate da Aslan. Era diventato una specie di guida da consultare in caso di confusione mentale.

Miraz e Peter entrarono nel quadrato e si inchinarono. Vidi le loro labbra muoversi ma non colsi le parole che si scambiarono.

Nemmeno un istante dopo le loro lame danzavano, riflettendo la luce del sole. Mi ritrovai a fissare impaurita e affascinata quelle lingue di fuoco disegnare i destini dei due combattenti.

L’acciaio si scontrava in continuazione, creando sibili e scintille, che rendevano ancora più infernale quello scontro.

Non volevo che Peter morisse.

Man mano che si andava avanti, i rumori del combattimento vennero sovrastati dalle urla esaltate dei due eserciti, che avevano iniziato a fare il tifo come fosse una partita di calcio. Trovai quasi disgustosa quella comparazione; in un campo da calcio non è in gioco la tua vita.

Miraz vacillò, indietreggiando di quasi un passo ed Edmund, accanto a me, non riuscì a trattenersi dall’esortare al fratello di non desistere.

Per un secondo la vittoria sembrò nelle mani del ragazzo, ma Miraz raccolse tutta la sua forza e iniziò a sferrare colpi meno studiati, ma molto più violenti e alti. I Telmarini iniziarono ad urlare come folli.

Peter cominciò a perdere terreno, il mio cuore cominciò a battere con violenza. Vedere Caspian ed Edmund impallidire non aiutò a calmarmi. La pressione mi si abbassò di colpo e dovetti afferrare il polso del ragazzo accanto a me, per non cadere.

Pensai fugacemente di star bloccando la circolazione ad Edmund ma la cosa mi passò dalla mente tanto velocemente quanto era arrivata.

Peter e Miraz avevano rallentato il ritmo e ora studiavano attentamente le mosse, prima di attaccare. Vidi Peter lanciarsi contro l’avversario e chiusi istintivamente gli occhi. Li riaprii sentendo la folla applaudire ed Edmund esultare lievemente, togliendosi lentamente dalla mia presa per poi stringere la mia mano.

<< Che è successo? >> domandai con un filo di voce.

<< Il Re Supremo ha colpito mio zio sotto l’ascella: primo sangue versato. >> rispose Caspian continuando ad applaudire.

Edmund scosse la testa, contrariato << le cose per Peter andranno peggiorando. Non sta usando lo scudo correttamente. >>

Caspian assunse un’espressione preoccupata << Voi che avete partecipato a numerose battaglie, credete che abbia ancora possibilità di farcela? >>

<< Ben poche, a dire la verità. Ma con un po’ di fortuna potrebbe cavarsela. >> sospirò Ed.

Improvvisamente le due fazioni tacquero. I due avevano chiesto una pausa.

Andammo verso Peter, che si avvicinò a sua volta. La sua faccia era paonazza e respirava a fatica.

<< Sei ferito al braccio? >> domandai. Ed lasciò la presa sulla mia mano ed io mi inginocchiai accanto al fratello, esaminandogli il polso.

<< Si è gettato sul mio scudo con tutto il suo peso e l’orlo dello scudo mi ha colpito il polso. >> spiegò, gemendo quando lo girai.

<< Non è rotto, ma è slogato. Abbiamo qualcosa per fare una fasciatura? Se riesco a farne una decente, potrei tentare di migliorare la situazione. >> mi portarono il necessario e cominciai ad occuparmi della slogatura, ascoltando lo scambio di battute tra i fratelli.

Da quanto diceva Peter, Miraz era forte e non credeva di avere molte speranze.

Il re si riavvicinò al quadrato. Legai rapidamente la fasciatura al polso e lo guardai con preoccupazione.

<< Edmund >> richaimò la sua attenzione << se dovesse succedermi qualcosa.. saluta e abbraccia tutti a casa. Addio amici; arrivederci, dottore e.. Em, grazie per tutto quello che hai fatto per noi, continua a prenderti cura di mio fratello. Ah, Ed ancora una cosa: un saluto speciale a Briscola, è un vero amico. >> con queste parole, si voltò ed entrò nel quadrato.

L’angoscia prese possesso delle mie viscere, il corpo di Edmund era come pietrificato.

Fortunatamente la seconda parte del duello andò meglio: Peter capì come impugnare e sfruttare lo scudo al meglio ed imparò a muoversi in modo tale da sfinire Miraz. Questo non piacque ai Telmarini, che iniziarono a urlargli del codardo. Per fortuna lui non diede loro il minimo ascolto.

Dopo un tempo indefinito, Miraz colpì Peter all’elmo. Lui barcollò e scivolò di fianco, cadendo in ginocchio.

Io aprii la bocca, ma il mio urlo fu rubato da Edmund, che mi strinse istintivamente il braccio.             Ma mentre l’usurpatore lo stava colpendo, Peter si aggrappò alla sua cotta di maglia, quindi il colpo andò a segno ma non ferì il ragazzo. 

Ad ogni colpo sferrato, la presa del ragazzo si faceva più stretta e non riuscii a trattenere una smorfia di dolore. Lui sembrò rendersi conto di avermi stretto il braccio solo in quel momento e lo lasciò andare di scatto, mimandomi uno ‘scusa’ con le labbra. Io sorrisi, per fargli capire che non importava.

Gradualmente gli schiamazzi si affievolirono, credo che smisi di respirare. Un boato salì dalle file di Narnia alle mie spalle ed il corpo di Miraz inciampò e cadde.

Peter fece due passi indietro, attendendo che si rialzasse. Lo insultai mentalmente per non avergli infilato la spada in gola.

Inaspettatamente Miraz non si rialzò. Giacque sull’erba per quelli che sembrarono secoli, poi i due consiglieri di Miraz entrarono nel quadrato

<< TRADIMENTO! Tradimento!! L’uomo di Narnia, infingardo sleale ha colpito il nostro re  alla schiena mentre non poteva difendersi! Alle armi, uomini di Telmar!. >>

Non è vero

Lanciai un’occhiata a Peter, ancora titubante nel quadrato, confuso.

È una bugia

Edmund sguainò la spada e mi disse qualcosa. Non sentii.

Siete voi i traditori

Realizzai, portando gli occhi sul corpo di Miraz riverso sul prato.

Bastardi..

Nel caos più totale, uno dei due consiglieri infilzò il suo cadavere. I soldati urlavano e si lanciavano addosso tra di loro. Mi voltai verso Edmund, ma lui non c’era più.

Nel caos più totale, sola, seppi di non aver mai provato tanto terrore nella mia vita.
 









****Angolo Autore

I'm baaaack :)
Ebbene, che dire? Ecco qui i nostri ragazzi!

"Ma Lucy e Susan non ci sono!!"
Lucy e Susan non ci sono? Ma che dite, sono propr.. ah no, non ci sono! xD 
Mea culpa, lo ammetto. Era una questione di scelte, le scelte sono una brutta storia, sappiatelo.. u.u Però non è colpa mia, specifichiamo! Questa è tutta farina del sacco di quel deviato di Lewis, ha deciso lui di separare i fratellini.
Susie e Lu compariranno magicamente (per restare in tema) nel prossimo capitolo, quando *** dovrei riempire almeno due pagine al giorno di 'nientespoiler', è più forte di me ***

Vorrei ringraziare Kirlia per la sua graditissima recensione, spero vorrete lasciarmene una anche voi. se volete potreste anche fare qualche domanda personale ad uno dei personaggi della storia a vostra scelta ;)
A presto!
Rue <3

 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo Settimo ***


It's written in the stars that shine above,
A world where you and I belong
Where faith and love will keep us strong
Exactly who we are is just enough,
'cause there's a place for us.
When the water meets the sky,
Where you're heart is free and the hope comes back to life
Where this broken hands are whole again
We'll find what we've been waiting for.
            - There's a place for us; Carrie Underwood -

 

 


                                                                                                                                           Capitolo Settimo




Peter urlava, seguito da tanta altra gente. Eppure quegli urli arrivavano ai miei timpani come semplici suoni ovattati, insieme ai vaghi clangori di lame, sibili di frecce. Una voce, più vicina delle altre, urlava per sovrastare il caos circostante, scandendo parole che avevano una parvenza di senso compiuto.

Ma la vista mi impediva l’udito. Sembrava tutto avere una durata più lunga, a rallentatore.

Finalmente compresi il breve suono del mio nome, ripetuto. Improvvisamente qualcosa mi strattonò alle spalle e caddi all’indietro mentre del liquido caldo mi gocciolò sul viso.

Riconobbi la consistenza del sangue ed improvvisamente il tempo tornò ad avere il suo giusto corso, i miei sensi si riebbero.

Un uomo mi sovrastava, lo sentii gemere mentre una lama si sfilava dal suo sterno, passando sopra la mia testa e lasciandosi sfuggire un 
rivolo di sangue dalla punta sulla mia guancia. Alzai completamente lo sguardo, seduta sull’erba con le gambe piegate e le braccia che mi avevano sorretto il busto durante la caduta.

La figura di Edmund Pevensie fece la sua comparsa dietro il corpo ormai senza vita del Telmarino, che si accasciò a terra con flemma.

Il ragazzo si chinò verso di me, prendendomi gentilmente un braccio e facendomi rialzare. Sentii il nodo nella mia gola sciogliersi di un po’.

Non mi hai abbandonata in quest’inferno

Sospirai segretamente di sollievo.

Ed mi tirò a sé di scatto, allarmato e sentii qualcosa venire violentemente a contatto con la mia schiena.

<< Ricipì fermo! >> gridò con una punta di panico nella voce. Il topo sulla mia spalla destra bloccò la fulminea lama che puntava alla mia gola.

<< Ma sire.. >> tentò di ribattere il topo. Perché ovviamente anche i topi parlano.

<< Lei è un’amica, non c’è nulla d temere. >> disse spiccio. L’animale scese dalle mie spalle dopo un breve inchino e sparì da qualche parte.

No che non c’è nulla da temere, non so neanche come si tiene in mano una spada!

Il ragazzo mi trascinò lontana dalla battaglia << Sali su quest’albero e che non ti venga in mente di scendere! >> mi intimò aiutandomi a salire sul ramo più basso. Gli afferrai una mano prima che potesse ritrarla, guardandolo fisso negli occhi.

<< Ed, non tornare lì dentro, ti prego. >> il panico dipinto nei miei occhi si trasmesse nella mia voce, tremante.

Lui sorrise tentando di rassicurarmi << Non posso farlo, lo sai.. >>

Mi imbronciai << Giuro che se non sei tu a venirmi a recuperare da quest’albero, non scendo più! >> lo minacciai.

<< è un modo gentile per dirmi di non morire? >> fece sarcastico. Lo fissai seriamente  << Crepa e brucio tutta la tua collezione di rullini delle macchine fotografiche. >>

<< Non puoi farlo! >> si lamentò.

<< Non ci sarà nessuno ad impedirmelo. Tu sarai morto. >>

<< Ti vengo a prendere più tardi. >> mormorò ritraendo lentamente la mano, per poi voltarsi e correre verso il campo di battaglia. 

Quando fu invisibile alla mia vista, mi lascai sfuggire un tremolante sospiro, poi salii più in cima poggiando la schiena al tronco.

Non ho idea di quanto tempo passai su quell’albero, con gli occhi serrati, scandendo i secondi ad alta voce per non sentire i suoni della battaglia, invano. So che alla fine non erano più secondi, ma una successione di numeri casuale che arrivò inizialmente a novecentotrentotto, ma persi il conto e ricominciai arrivando stavolta a quattromilacinquecentosettantuno numeri consecutivi.

Al terzo gruppo di numeri mi fermai più o meno al ventimila perché si sentì un anomalo boato in lontananza, che affievolì i suoni della battaglia. Aprii lentamente gli occhi e scesi di qualche ramo, abbastanza in basso da vedere ciò che accadeva.

Il mio sguardo si posò su un leone. Un enorme leone dal portamento fiero e composto la cui vista non mi permise di formulare alcun pensiero.

Le creature più strane si riversarono sul campo di battaglia, sorprendendo e sopraffacendo gli uomini di Miraz che non ebbero altra scelta se non arrendersi.

Dopo un totale stupore mi trovai indecisa su come agire. Sarei dovuta rimanere sull’albero, aspettando che Ed mi venisse a riprendere come mi aveva detto di fare (confidavo nel fatto che fosse ancora vivo) oppure sarei dovuta scendere, visto che ormai non c’era più una battaglia?

Scelsi la seconda opzione e mi avventurai nel campo, in cerca di una faccia nota. Notai i quattro fratelli e Caspian riuniti, al cospetto del leone. Aslan, probabilmente.

Mi allontanai silenziosa, senza l’intenzione di interromperli, e aiutai le altre creature con i feriti, essendo l’unica cosa in cui mi sarei potuta rendere utile. Lucy aveva curato i più gravi con una pozione strana, quindi aveva diminuito il lavoro di una buona parte.

I soldati telmarini vennero scortati e rinchiusi nelle segrete a Beruna ma non venne torto loro neanche un capello. Scese la sera e intravidi la sagoma di Lucy, seduta a terra accanto al leone. Osservavano insieme gli alberi che ondeggiavano in due cerchi. Mi avvicinai e lei mi vide.

Lucy mi saltò letteralmente al collo, facendomi perdere l’equilibrio. Cademmo entrambe al suolo, senza poter fare a meno di ridere nonostante la figura di Aslan che ci osservava mi rendesse abbastanza nervosa.

<< Peter mi ha raccontato tutto! Oh Em, non hai idea di quanto sia felice di vederti qui! >> esclamò con il suo caratteristico entusiasmo risedendosi compostamente accanto al leone. Io mi sedetti sulle ginocchia e le sorrisi.

<< Aslan, lei è Akemi. La ragazza di cui parlavano prima Peter ed Edmund! >> mi presentò al leone. Chinai timidamente la testa salutandolo.

<< è un piacere conoscerti, piccola Akemi. >> scoprii la voce di Aslan pacata e paterna. Sorrisi nuovamente, sentendo una punta dolorosa al petto.

Quello che avrebbe dovuto parlarmi con quel tono, non l’ha mai fatto..

<< La prego, mi chiami Em. Lo preferisco. >> lui annuì, come ponderando quelle semplici parole.

<< Mi spiace che il tuo arrivo a Narnia sia stato particolarmente.. burrascoso. >>

Scrollai le spalle << L’importante è che sia finito tutto per il meglio, credo. >>

Sentii il leone ridere pacatamente << Ben detto, cara. >>

Mi voltai allarmata quanto gli alberi alle mie spalle sentii il calore del fuoco e le ombre si allungarono. Rimasi inginocchiata con le mani appoggiate per terra, ancora mezza scombussolata da quell’improvviso falò. Mi avvicinai gattonando a Lucy e mi sedetti poco elegantemente a gambe incrociate.

Si sedettero tutti attorno al grande fuoco, i tre mancanti fratelli si unirono a noi, Caspian si sedette all’altro fianco di Aslan.

Le creature silvane iniziarono una danza intorno al focolare, mentre comparivano davanti a noi mangerecci vari. Questo mi ricordò le tavole nella Sala Grande di Hogwarts, ma sicuramente a Narnia non c’erano elfi domestici che preparavano cibo e lo mandavano sul prato.

Era magia. Una magia completamente diversa da quella che avevo sempre conosciuto io.

Anche gli alberi stavano mangiando. Una roba di terra che sembrava cioccolato. Edmund decise di mangiarne un pezzo

<< Non mi sembra un’idea geniale.. >> lo informai, infilandomi in bocca un acino d’uva.

<< Beh.. però ha un bell’aspetto! >> ribattè. Aggrottai la fronte, per poi scrollare le spalle e osservarlo addentare e masticare quel tocco di 
terra compressa.

La smorfia del ragazzo fu più che eloquente. << Com’è? >> chiesero Susan e Lucy nello stesso istante ma con toni diversi: Lucy era sinceramente interessata, il tono di Susan era parecchio ironico.

<< Particolare.. >> sentenziò strizzando gli occhi, schifato. Io e Susan scoppiammo a ridere, lanciandoci occhiate complici << Tieni, leva via quel saporaccio. >> gli passai il mio grappolo d’uva.

Gli alberi mangiarono anche una roba di terra rosata, Susan propose al fratello minore di assaggiare anche quella, causando l’ilarità degli altri due fratelli e mia.

A poco a poco le creature si congedarono, o si addormentarono sul posto. Anche noi decidemmo di andare al castello, dove erano state preparate delle stanze per la notte.

Però io non riuscivo a prendere sonno, così uscii su un balcone. Non mi posi il problema di rivestirmi, visto che la camicia da notte che mi avevano dato era così elaborata da sembrare una veste normale.

Poggiai le braccia alla balconata e alzai lo sguardo alle stelle. A Londra non si vedevano così bene, non ero neanche sicura fossero le stesse.

Qualcuno si appoggiò alla balconata al mio fianco. Mi voltai per intravedere la chioma scura e ribelle di Edmund, con la faccia diretta verso l’interno del castello.

<< Ancora sveglia? >> fece

<< Potrei ribaltare la domanda verso di te.. >> osservai.

<< Mi fa un po’ male la spalla, non riesco a dormire. >> rivelò. Si era fatto male durante la battaglia, ma non lo aveva detto a Lucy per farle usare la pozione su chi ne aveva più bisogno. Gli avevo fatto io una spiccia fasciatura. Ero andata a recuperare la mia valigetta del pronto-soccorso da in mezzo al bosco.

<< Perché sei sveglia? >> mi chiese.

Scrollai le spalle << Troppi pensieri. >> dissi.

<< Che genere, di pensieri? >>

<< Pensieri e basta. >> dissi per troncare il discorso. Lo ringraziai mentalmente quando non chiese altro. << Certo, sono coraggiose le tue sorelle.. >> sospirai.

Lo intravidi voltarsi nella mia direzione. Io fissai il mio sguardo verso il falò, che si intravedeva tra gli alberi della foresta << Io non ci sono riuscita.. >> aggiunsi a bassa voce.

<< Chiunque avrebbe reagito in quel modo, Em. >>

<< Ho sempre pensato.. >> dissi prima che potesse aggiungere altro << che è meglio essere vigliacchi per un minuto che morti per tutta la vita. >> rivelai.

<< Beh, ha senso. >> disse lui, ridacchiando.

<< Non è il pensiero di una persona coraggiosa. >> ribattei

<< Susan e Lucy ci sono abituate, non è tanto il fatto che siano coraggiose. Non è la prima battaglia che combattono. >>

<< Davvero? >> domandai stupita << Cioè, nel senso, so che oggi hanno combattuto ma non pensavo fosse una cosa abituale di quando eravate qui. >>

Non lo vidi, ma seppi che aveva sorriso << Io e Peter non eravamo tanto contenti, però poi ci abbiamo fatto l’abitudine. Erano le regine ed erano adulte, potevano fare ciò che volevano. >>

Sentii la nostalgia nel suo tono e non riuscii a trattenermi << Questa è la vostra casa.. >>

Ed sospirò << Si, in parte lo è. >>

Anche loro. La casa di Tom era Hogwarts; Roxanne aveva la sua casa natale; loro avevano Narnia.

<< Dev’essere bello, avere una casa in cui tornare. >> stavolta fui io a sospirare.

<< Tu hai una casa! >> esclamo Ed. Non riuscii a trattenermi dal rispondere, scettica << Ah, si? Illuminami ti prego.. >>

<< La casa è dove si trova la tua famiglia! La famiglia non dev’essere per forza quella di sangue. So che consideri Tom una specie di fratello, quindi fa parte della tua famiglia, Roxanne anche. Tu fai parte della nostra. >>

Mi accorsi con sorpresa di avere gli occhi che mi bruciavano.

<< Tu non le devi dire queste cose. >> ordinai con voce tremante. Lo vidi aggrottare la fronte ma sorridere << E perché? >>

<< Perché un ragazzino della tua età non direbbe queste cose! >> esclamai portandomi le mani al viso, arrossato.

<< Perché stai piangendo, adesso?! >> mi chiese, scoppiando a ridere, lo seguii a ruota, asciugandomi gli occhi << Sei un cretino. >>
                                                                
     

                                                                                               ** ** ** ** **
 


Il giorno seguente andai al raduno in fondo alla radura, accompagnata da Lucy. Aslan aveva fatto sistemare tre bastoni in modo tale che formassero un’arcata rettangolare e vi si era seduto davanti, con il muso verso il pubblico. Caspian e Peter si trovavano ognuno a un lato del leone.

Io e Lucy ci sistemammo più indietro, vicino a Susan e Edmund.

Aslan spiegò ai presenti uomini di Telmar  che avevano libertà di scelta tra il rimanere sotto il regno del nuovo Re, cioè Caspian, oppure andare in un’altra terra – quella mia e dei quattro fratelli –.

Il primo che acconsentì a questa nuova vita in una nuova terra fu uno degli uomini di Miraz. Essendo stato il primo a scegliere, Aslan gli promise un futuro roseo, così scomparve al di là della porta improvvisata.

Ma a quel punto tutti gli altri iniziarono a protestare, sostenendo che, dentro quell’arcata, non si vedeva un nuovo mondo e che se volevamo che ci credessero avrebbe dovuto farsi avanti uno di noi. Peter si fece avanti, chiamando a sé i fratelli e me.

<< Ora tocca a noi. >> Ed chiese il significato di quelle parole e Susan, che sembrava aver capito tutto, ci disse di seguirla.

<< Dobbiamo cambiarci d’abito. >> disse la ragazza.

<< Cambiare cosa? >> ripetè Lucy, confusa.

<< I nostro vestiti. Conciati così faremmo ridere i polli, in una stazione londinese, vi pare? >>

<< Ma abbiamo lasciato i vestiti al castello. >> notai. Peter scosse la testa << No, sono stati portati qui. >>

<< è di questo che tu e Susan parlavate stamattina con Aslan? >> domandò la minore.

<< Si, anche di altre cose. Non posso dirvi tutto, ragazzi. Ci sono cose che Aslan voleva comunicare a me e a Susan perché non torneremo mai più a Narnia. >>

<< Mai più? >> gridarono Edmund e Lucy. Peter si affrettò a tranquillizzarli << Voi con Em potrete tornare. Ma io e Sue siamo troppo grandi, ormai. >>

<< E a voi va bene così? >> chiesi loro.

<< Credo di si. >> mi rispose Susan << è tutto molto diverso da come lo avevamo immaginato. Ve ne renderete conto quando sarà anche per voi l’ultima volta. >>

Quando tornammo all’assemblea un paio di telmarini ci presero in giro per i nostri vestiti.

Avessero saputolo loro, invece, i vestiti normali che stavano indossando!

Tutte le creature di Narnia si alzarono, in onore dei quattro re che andavano nuovamente via. Fu versata qualche lacrima.

Io, che non ero per i saluti svenevoli, diedi un’amichevole pacca sulla spalla a Caspian, sorridendogli, strinsi la mano al vecchio dottor 
Cornelius e abbracciai Tartufello, che anche se mi aveva mezza shockata per il suo essere un tasso parlante, aveva fatto in modo che incontrassi gente che conoscevo e mi aveva fatto da ‘guida’ quando avevo bisogno di spiegazioni.

Feci un impacciato inchino ad Aslan, che mi sorrise con rassicurazione.

Peter si diresse verso la ‘porta’, prendendo la mano a Susan che a sua volta prese quella di Edmund e di Lucy.

Alla fine, la bambina tese una mano dalla mia parte, sorridendomi, raggiante. Gliela afferrai, sorridendole a mia volta.

Raggiungemmo la soglia e la attraversammo. Il vento ci colse alla sprovvista, e vedemmo delle immagini sfocate e confuse. Il colore rossastro delle mattonelle della stazione mi fecero chiudere gli occhi. Quando li riaprii mi ritrovai di fronte alle porte aperte di un treno.

Mi alzai dalla panchina ed entrai rapidamente.

Guardando alla mia destra non potei non sorridere, Lucy stava entrando nel vagone, seguita dai fratelli.

Sentii Ed lamentarsi di aver dimenticato la torcia nuova a Narnia e mi venne quasi spontaneo cercare la mia valigia. Imprecai sommessamente accorgendomi della sua assenza.

Qualcuno mi picchiettò sulla spalla e mi trovai davanti Ed << Cerchi questa? >> mi chiese.

<< Sposami ti prego.. >> gemetti prendendo la valigia che mi porgeva.

<< Sposa Lucy, l’ha presa lei. >> ridacchiò.

<< Lo metterò nel promemoria. >> risposi, ridendo a mia volta.

Santa, santa Normalità.










****Angolo Autore
Eccoci qui con settimo capitolo, ed eccoci qui con quest'angolo autore che, abbiamo appurato, sono completamente incapace a scrivere >.<
Che dire? Em non è una che ama le battaglie, come abbiamo visto xD

Qui facciamo rispondere Akemi ad una domanda che gli è stata posta da Kirlia:
"raccontami qualcosa sulla tua elfa domestica! E dimmi come si chiama u.u"
Em risponde: "cos'è che mi hai chiesto? Ah si, della mia elfa domestica.. beh in realtà è da molto tempo che non la vedo.. saranno tre quattro anni che non vado a casa mia e lei non può venire da me, visto che vivo circondata da babbani.
Si chiama Kora. credo sia l'unica cosa che mi manca di quel posto infernale, mi è dispiaciuto lasciarla lì da sola.
é ossequiosissima! peggio di Caspian! è qualcosa di assurdo. Ci ho messo anni per farle capire che non doveva chiamarmi 'padroncina' e che camera mia la potevo anche sistemare da sola, ma anche l'ultima volta mi ha sgridata perchè non avrei dovuto preparare il pranzo. Era un po' come una nonna.. o almeno come credo si dovrebbe comportare una nonna. Mi ha insegnato il francese, la famiglia che l'aveva data a mio nonno era francese. Serve la nostra famiglia da due generazioni: mio nonno Taichi e mio padre. Poi credo che passerà a me. loro possono anche avermi disconosciuta, ma è una questione di sangue. Purtroppo c'è il loro sangue nelle mie vene.
Mi ha praticamente cresciuta al posto di Josephine. 
Forse dovrei andarla a trovare.. " 

e la fermiamo qui, perchè ha cominciato a sproloquiare xD A volte è troppo logorroica >.<
Mi avevano anche chiesto di pubblicare un'immagine della nostra protagonista. Visto che non ho trovato nessun prestavolto umano che andasse bene, ho fatto uno schizzo by-my-self
 
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Ringrazio infinitamente GJDunkel, Kirlia e Judith Svart per le recensioni che mi hanno lasciato, tutti quelli che hanno messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite e, come sempre, anche chi legge e basta.
Un bacione!
Rue <3

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Capitolo 8
*** Capitolo Ottavo ***


If you feel so empty
so used up, so let down
If you feel so angry
so ripped off so stepped on.
You're not the only one
refusing to back down
You're not the only one
so get up..
Let's start a riot
               - Riot; Three Days Grace -



  Capitolo Ottavo







 

 
Faceva freddo.

Faceva maledettamente freddo, per di più ero in una chiesa. In una chiesa senza riscaldamento.

Ma chi me l’ha fatto fare?

Mi domandai, trattenendomi dal saltellare sul posto per riscaldarmi.

Il tuo buonsenso, Em..

Mi risposi, anche. Quella mattina Roxanne aveva deciso di darmi buca, quindi ero andata da sola al funerale di un gruppo di soldati caduti al fronte. Adesso mi trovavo tra Beth, che avevo incontrato lì quella mattina, ed una madre disperata che singhiozzava dall’inizio della cerimonia.

L’aria che si respirava in quel luogo era pesantissima, mi ritrovai persino a ringraziare il fatto che il prete avesse appena detto l’ “amen” finale per congedarci.

Solitamente non ero così insofferente, ma faceva davvero un freddo esagerato, e se il signore della fila accanto non avesse finito di lanciarmi occhiatacce ogni due frasi, probabilmente lo avrei ucciso violentemente durante la cerimonia.
Non vedevo l’ora di tornare all’ospedale e mettermi sul letto a leggermi un bel libro, avvolta da un plaid pesante e vestiti comod.. Ah, no. Giusto.

Tornata all’ospedale avrei dovuto riempire la valigia di vestiti.

Vestiti pesanti.

Prima però avrei dovuto comprare un regalo a Tom. Cosa che mi mandava in crisi: non sapevo che fargli per Natale, tra l’altro sarei partita proprio quel pomeriggio!

Peter mi avrebbe gentilmente definita ‘nella cacca’. Esattamente, lo ero.

Sbuffai una nuvoletta di aria condensata e mi strinsi le braccia al petto, strofinandole con le mani per riscaldarmi. Salutai Beth ed attraversai le navate della chiesa con passo svelto, cercando di essere ceca agli sguardi ostili di tutti quelli che non si erano ancora abituati a vedermi ogni santa domenica mattina in quel posto.

La mancanza del mio “marchio” da infermiera inglese mi rendeva preda dei loro giudizi. Però era domenica e non lavoravo, quindi avevo addosso un vestito mio, non la divisa.

Mi fermai davanti a una delle due porte laterali e il mio ultimo passo mi sembrò rimbombare nell’aria. Afferrai la grossa maniglia d’ottone e spinsi la pesante porta, uscendo da quel luogo che mi avrebbe potuto fornire protezione. Ma non volevo vivere come una criminale in fuga, io non avevo fatto nulla di male.

Per strada un ragazzo mi urlò di vergognarmi << Ne hai di faccia tosta per farti vedere qui! >> aggiunse.

Che palle, fai qualcosa di utile all’umanità! Ad esempio morderti accidentalmente la lingua e morire dissanguato.

Me la morsi io la lingua, per trattenermi dal rispondergli, sapevo che non avrebbe portato nulla di buono.

Improvvisamente seppi il regalo che avrei fatto a Tom, anche se in realtà c’entrava poco con quel filo di pensieri.

Dopo aver compiuto la commissione, tornai all’ospedale e percorsi rapidamente le scale per il dormitorio. Mi tolsi il cappello lanciandolo con violenza sul mio materasso e trovai opportuno sferrare un calcio alla zampa di ferro del letto.

Roxanne, sdraiata a pancia in giù sul suo letto, accanto al mio, alzò pigramente lo sguardo dal suo libro di scienze umanistiche. Mio osservò con interesse mentre prendevo la valigia da sotto il letto e la sbattevo sul materasso, schiacciando il cappello e facendola rimbalzare lievemente un paio di volte.

Rimasi ferma qualche minuto, a fissare la valigia cessare di muoversi sul letto.

<< Devi dirmi qualcosa? >> azzardò poi la ragazza, ironica, chiudendo il libro.

<< Non c’è nulla da dire! >> sbottai, voltandomi verso di lei << Se non che la gente persiste nel ricoprirmi di merda per la mia fottutissima faccia da troia giapponese! >> urlai, tirando un secondo calcio al letto.

Ringraziai il cielo che fossimo le uniche due presenti nel dormitorio.
Rox si sedette, sorridendo un po’ << Diventi di un volgare sublime, quando ti arrabbi.. >>

<< Crepa, Taylor. >> le dissi, facendola ridere. Taylor era il suo cognome << E non prendermi in giro quando sono arrabbiata, tutti si arrabbiano! >> minacciai.

<< Tu non lo fai quasi mai.. >>

<< Beh ora lo sono! >> esclamai, acida. Poi sospirai << Scusami, non è con te che sono arrabbiata, se ti rispondo male è solo perché sei qui. >>

<< E con chi è, che saresti arrabbiata? >> mi domandò.

<< Con me. >> le risposi cominciando a riempire la valigia << Perché non ho ancora imparato, nonostante questo storia vada avanti da quando è iniziata la guerra. >>
 
Roxanne si alzò per poi risedersi, stavolta sul mio, di letto << Non dartene colpa, Em. Non è con te che devi prendertela. >>

<< Lo so.. ma è non è semplice. >>

Lei sbuffò una risata << Pensa a quel poveretto del nostro Re! Gliele hanno fatte passare di tutti i colori solo perché balbettava e poi si è dimostrato essere un sovrano molto meglio di quello che immaginava anche lui! >>

<< Ma che c’entra? >> le chiesi scherzosamente, sorridendo. Infilai il pacco regalo di Tom nella valigia e la chiusi, facendo scattare i ganci di chiusura. La presi per il manico e la poggiai a terra.

<< Non pesa? >> mi domandò la mia amica. Scossi la testa << Sembra pesante solo perché è rigida, ma dentro c’è la roba giusto per un mese. >> guardai l’orologio e sospirai: era l’una.

<< Io vado. >> annunciai, prendendo la borsa che avevo preparato quella mattina prima di uscire.

<< Em, parti tra quattro ore! >>

<< Non alla stazione! Vado a pranzo con Ed. >>

Roxanne ghignò << Da quando esci insieme col principino? >> domandò maligna.

<< Re.. >> mugugnai. Per mia fortuna, lei non capì << E comunque non ci esco insieme! >> sbottai infastidita << devo solo dargli i regali di Natale prima di partire. >>

<< Certo, e quindi per dargli qualche pacchetto ci vai a pranzo fuori. >> insinuò ancora.

<< C’è anche Lucy. >> puntualizzai, con tono saccente, rindossai il cappotto ed uscii.

I due ragazzi erano all’entrata principale, Ed seduto sul muretto del cancello e Lucy in piedi, di fronte a lui. Essendo Lu di spalle, fu Edmund il primo a vedermi e saltò giù dal muretto.

<< Salve! >> salutai allegramente, scalciando lontano il malumore che mi avevano costretto a farmi venire quella mattina. Ecco, in effetti una delle poche cose utili dello stare con Tom Riddle era quello dell’imparare a nascondere emozioni, visto che provava in continuazione ad entrare nel cervello della gente. La mia in particolare visto che ero quella che passava più tempo con lui (si, nonostante ci vedessimo solo a spezzoni durante l’anno).

<< Buongiorno. >> ricambiarono entrambi. Ed mi offrì un braccio, che non rifiutai.

<< A me non lo offri mai il braccio! >> si lamentò la bambina.

Edmund ridacchiò << Ma tu se mia sorella. E non rischi di perderti se ti perdo d’occhio per un secondo. >>

<< Ehi! Io non sono venuta qui per farmi prendere in giro! >> esclamai

<< Non ho fatto nomi.. >> sussurrò il ragazzo, divertito. Risposi con lo stesso tono << So cogliere tra le righe, signorino. >>

Arrivammo al ristorante in non molti minuti e ci diedero un tavolo al primo piano, vicino alla finestra.

Mi piaceva quel posto. Era una specie di Ristorante-caffetteria, ma era molto tranquillo. La cosa che mi piaceva di più erano i separé rossi tra ogni tavolo, mi facevano sentire più tranquilla, mi davano un po’ di privacy.

Venne una cameriera ad ordinare, Lucy si alzò dal tavolo per andare in bagno, al piano di sotto.

Mi mossi nervosamente sul posto. Da quel giorno a Narnia, sul terrazzo del castello, mi sentivo strana, quando mi trovavo da sola con Edmund.

Certo, ero a mio agio con lui, ma avevo come un’ansia che mi pesava sulla pancia.

Non sapevo perché, ma immaginavo che quella sua considerazione sul fatto che mi pensasse come a una della famiglia, avesse contribuito alla cosa. In quel momento mi ero sentita bene, ero stata contenta. Nessuno mi aveva mai detto cose di quel genere.

Ma non avevo avuto il coraggio di dirgli che anche loro erano importanti. Non avevo mai avuto fortuna, nei rapporti interpersonali ed io e l’impulsività non andavamo a braccetto.

Ero sempre stata fiera del mio riflettere prima di fare le cose, anche se mi rendevo conto che non fosse sempre un bene.

<< Uffa.. >> mugugnai contrariata << non mi va di partire.. >>

<< Puoi anche non farlo. Potresti, ad esempio, passare il natale con noi.. senza arrivare fino in Scozia. >>

<< Non posso, Tom mi crucerebbe. >>

<< Che? >>

<< Crucio, è una magia di tortura. >> spiegai.

<< Ed è legale? >> fece, corrucciato.

<< Oh, no. Ma Tom non si ferma davanti a nulla.. >> sbuffai, lanciandogli un’occhiata divertita.

Ed sorrise. Mi voltai velocemente verso il corridoio, e decisi di levarmi il maglione per contrastare l’improvviso attacco di caldo.

<< Em, stai bene? Sei tutta rossa.. >> mi chiese il ragazzo preoccupato.

<< No, tranquillo. Tutto a posto. >> risposi lanciando un’occhiata alle scale per vedere se per caso stesse arrivando Lucy.

Ci fu qualche minuto di silenzio, interrotto dalla cameriera che ci portò le ordinazioni.

Finalmente Lucy decise di rifarsi viva.

<< Che fine avevi fatto? >> le sibilai sottovoce, in modo che il fratello non ci potesse sentire. Lei si sedette tranquillamente al mio fianco << Non trovavo il bagno, poi c’era la fila. >> spiegò impugnando le posate << non pensavo ti sarei mancata.. >> disse quindi, lanciando un’occhiata divertita in direzione del fratello, che però non guardava dalla nostra parte.

Corrucciai la fronte, senza capire. Perché stava sicuramente alludendo a qualcosa.

Quando finimmo presi la borsa che avevo abbandonato sotto la sedia e me la misi sulle gambe, aprendola e infilandoci una mano dentro.

Presi il primo pacchetto e lo misi sul tavolo.

<< Questo è il regalo di Peter. >> dissi << Sarebbe un libro di strategie militari ma a lui non lo dovete dire. >> aggiunsi. Poi ne presi un 
altro << Oh questo è quello tuo, Lucy. >> le avevo preso un libro di fiabe del mondo magico, ma a lei non lo dissi, ovviamente. Diedi loro la sciarpa di lana per Susan e la torcia nuova per Ed.

<< Aspettate Natale per aprirli, sennò mi arrabbio. >> li minacciai, sfilando il braccio dalla borsa in cui lo avevo immerso. Notai solo in quel momento lo sguardo confuso dei due sulla mia borsa e.. sul mio braccio.

<< Cosa diavolo ha la tua borsa? >> fu la domanda scioccata di Edmund.

Non riuscii a non ridere << Tom mi ha gentilmente applicato un incantesimo di estensione irriconoscibile alla maggior parte delle mie borse.. anche di qualche tasca, in realtà. >>

<< Un incantesimo di.. che? >> fece ancora più confuso.

<< Oddio, Ed! Perspicacia! >> lo incitò la sorella, divertita << Sarà una magia che estende la capienza delle cose! >>

Ridacchiai << Edmund, tua sorella sarà anche più piccola, ma è anche più sveglia di te. >> Lucy sottolineò l’affermazione voltandosi verso il fratello e facendogli una linguaccia.

Alla fine pagammo e uscimmo. Andai con loro fino a casa, tanto dopo sarei dovuta passare all’orfanatrofio per prendere una busta a Tom.
Lui mi aveva detto che gli avevano inviato la lettera all’indirizzo sbagliato e che quindi se potevo prenderla per portargliela.

<< Edmund! >> esclamò Lucy << Forse è meglio se accompagni Em all’orfanatrofio. >>

<< Perché? >> chiesi, preoccupata all’idea.

<< Potresti perderti. >> Lucy fece un enorme sorriso e poi corse sui tre gradini del cancello << Buon Natale Emy! >> mi augurò prima di chiudersi il cancello alle spalle e correre in casa.

Io ed Edmund ci scambiammo un’occhiata divertita. Incrociai le braccia al petto, prima di scoppiare a ridere, quasi nello stesso istante in cui lo fece anche lui.

<< Non credo mi abbia lasciato vasta scelta. >> disse incamminandosi, lo raggiunsi, infilando le mani in tasca e stringendomi nelle spalle.

<< Fa freddo.. >> mi lamentai.


<< Dei guanti ti fanno schifo, eh? >> commentò lui, che aveva notato la loro assenza.

<< Sono inutili i guanti per le mie mani. Riescono ad avere una temperatura gelida anche in pieno agosto! I guanti non hanno mai cambiato la situazione. >> gli spiegai. Sbuffò una risata << Tu sei una persona anomala. >>

<< Non sono ‘anomala’! >>

<< Si, lo sei. >>

<< Antipatico. >> gli diedi una piccola botta con la spalla. Lo sentii ridere, sorrisi anch’io, abbassando il capo per guardare il pavimento.

Arrivai all’orfanatrofio prima del solito. Probabilmente perché avevo ricordato quasi subito la strada. La signora Cole mi salutò allegramente. Le stavo simpatica, probabilmente perché attribuiva a me il fatto che Tom avesse finito di tediare gli abitanti dell’orfanatrofio con le sue idee macabre.

La verità era che io c’entravo poco, ma lei non lo sapeva.

Corsi su per le scale, in camera del ragazzo, intenzionata a fare più in fretta possibile.

Allora, Martha mi aveva detto di averla messa.. nella scrivania!

Spostai la sedia e cominciai ad aprire uno ad uno i cassetti. Per sbaglio ne aprii uno con troppa foga e mi sfuggì dalle mani e dai cardini, rivoltandosi per terra e facendo un casino tremendo.

<< Tutto bene? >> mi chiese infatti Ed, da fuori. Stavo per rispondere, quando la mia attenzione venne richiamata da un grosso tomo vecchio, quasi completamente spaginato, che era caduto fuori dal cassetto.

Mi piegai sul pavimento, raccogliendolo.

“Libro delle casate magiche maggiori d’Inghilterra”

A leggere quel titolo, mi si strinse lo stomaco. Aprii il libro alla pagina segnata con un segnalibro di stoffa, che riconobbi essere quello che gli avevo cucito qualche anno prima.

Feci scorrere la strisciolina di stoffa ricamata tra i polpastrelli con distrazione, mentre leggevo la pagina scritta minuziosamente a mano da qualcuno che, molto pazientemente, aveva trascritto l’intero albero genealogico con i rispettivi ritratti.
Riconobbi alcuni tratti di Tom in uno e ne lessi il nome. Orvoloson Gaunt.

Ah, ecco..

Mi accorsi dell’assenza della pagina precedente.

<< Em, tutto a posto? >> sussultai chiudendo il libro di scatto. Edmund doveva essere entrato non sentendo risposta alla domanda precedente << Si, arrivo subito. >> gli dissi con aria assente, raccolsi la roba da terra, rimettendola nel cassetto (tranne il tomo) e lo riposizionai sui cardini, nella scrivania.

Aprii con più delicatezza un altro cassetti, dove trovai la lettera che cercavo. La misi nel libro e infilai tutto nella borsa. Feci cenno a Ed di uscire e richiusi la porta alle nostre spalle.

Tornai in ospedale a recuperare la valigia, salutai le ragazze, che mi augurarono buon viaggio.

Alla stazione non c’era molta gente; nessuno in vena di partire per le vacanze, probabilmente.

Davanti alla colonna mi ripresi la valigia che Edmund aveva insistito per portare e lo abbracciai.

<< Fa buon viaggio. >> mi disse << E fatti sentire >> aggiunse.

<< Okay mamma. >> risposi, facendolo ridacchiare << Vi farò una telefonata ogni tanto.. oppure vi manderò qualche lettera. >>

Edmund si diede uno scappellotto sulla fronte << sono un cretino! Mi stavo per dimenticare. >>

<< Cosa? >>

<< Tieni. >> mi disse, porgendomi un pacchetto << è da parte nostra. >> specificò. Aprì la bocca per dire altro ma la interruppi

<< Si, lo so: “Aprilo a Natale” >> mi allontanai facendogli un cenno con la mano libera. Gli sillabai un ‘ciao’, lo vidi sorridere e svanii di schiena dietro la colonna.

Salii sul treno scegliendo una cabina a caso, tanto era completamente vuoto.

Sola.

È tanto tempo che non ti ritrovi completamente sola, eh..


Sbuffai, prendendo dalla borsa il libro di Tom e sfilandone da dentro la lettera. Me la rigirai tra le mani.

La busta era bianca. Completamente bianca: non un indirizzo, non un nome, né una data.. incuteva quasi timore.

Il mio rapporto con Tom non mi era mai stato molto chiaro. Potevo dire con sicurezza di volergli bene, ed ero praticamente certa di essere stata l’unica ad avergli mai dato affetto, oltre la madre ovviamente, che però aveva fatto la fine che aveva fatto.

Però non potevo essere sicura di ciò che ne pensava lui. In realtà non potevo mai essere sicura di quello che pensava Tom.

Ma la teoria che avevo messo su era che lui storpiasse l’affetto con la proprietà. Per questo si riferiva a me come una sua proprietà. Perché dopotutto ormai erano quasi sei anni che ci conoscevamo, e che io continuavo a fare irruzione nella sua vita con o senza il suo permesso. Perciò almeno ero diventata una presenza costante, quasi ovvia.

Però la verità era che oramai non sapevo proprio più dove sbattere la testa, cosa pensare. La storia del libro non era una novità, faceva continuamente le cose sottobanco, nascondendomele. Come se si trattasse di una congiura o qualcosa del genere. E io proseguivo, a far finta di non accorgermene, a far finta che non mi importasse di quello che faceva. Ma non era così. Se si fosse cacciato in guaio, avrei preferito cacciarmici insieme a lui, piuttosto che esserne tenuta fuori.

Mi rigirai un’ennesima volta la lettera tra le mani, come se, a furia di rigirarla, sarebbe comparsa una scritta, un indizio, oppure sarebbe andata in mille pezzi.

Eppure no. Rimaneva lì, più pulita delle lenzuola sterilizzate al St. Thomas.

Un sobbalzo del treno mi fece passare di testa l’improvvisa idea che mi venne di aprirla.

Sospirai, rannicchiandomi sui sedili imbottiti e poggiando la testa al gelido finestrino.

Sospirai di nuovo e, in pochi minuti, mi addormentai.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo Nono ***


 

Oh, sweet Christabel.
Share with me your poem.
For I know now,
I’m a puppet on this silent stage show.
I’m but a poet
who failed his best play.
A Dead Boy,
who failed to write an ending
To each of his poems.
               - Beauty of the Beast; Nightwish -

 
 


                           Capitolo Nono




 Il viaggio fu, come al solito, estremamente lungo, nonostante avessi dormito per quasi metà del tempo.

Arrivai al castello che era buio, ed era ora di cena. Non ebbi bisogno di controllare l'orologio, la mia pancia parlava da sola.
Fu abbastanza triste scendere dal treno e, guardandomi intorno, vedere solo me sulla banchina ferroviaria.

A venirmi a prendere alla stazione ed accompagnarmi al castello fu Argus: Argus Gazza era un ragazzo che doveva avere poco piú di vent'anni, ma che ne dimostrava almeno dieci in più.

Era un magonó come me, ed era stato accolto comunque nella scuola, dove aveva poi iniziato a lavorare un po' come tuttofare.
Io, come Argus, avrei potuto frequentare la scuola e viverci, ma non avevo intenzione di chiedere loro alcun favore. Quel poco di lavoro sporco, lo lasciavo fare a mia madre.

Ritornando a Gazza, aveva modi di fare discutibili, ma con me era sempre carino, cosa che sucitava l'invidia degli alunni, con cui invece era estremamente acido e.. beh, perfido.

Gli affidai le mie valige ed entrai nella Sala grande.

La prima cosa che feci fu lanciare un'attenta occhiata alla tavolata degli insegnanti, infatti il professor Silente alzò di poco una mano, in cenno di saluto. Gli risposi con un sorriso e piegando la testa.

Arrivai in fondo, al tavolo dei Serpeverde e cercai Tom con lo sguardo.

Lo trovai all'estremitá del tavolo vicino al portone. Al suo fianco destro erano seduti Cygnus Black ed Edgar Rosier, alla sua sinistra la sorella di Edgar, Druella e di fronte a lei una ragazza che non avevo mai visto. Cercai anche Olivia Bulstrode, ma non la trovai. Immaginai si dovesse essere imboscata da qualche parte; era sempre in giro per il castello.

La tavolata era quasi del tutto vuota, erano quasi una decina di persone, quelle sedute.

Mi attorcigliali svogliatamente una ciocca di frangetta e la sistemai dietro l'orecchio, appuntandomi mentalmente di tagliarla. Stava diventando davvero troppo lunga.

Mi avvicinai , sedendomi poi sulla panca, di fronte a Tom.

La ragazza al mio fianco, quella che non avevo mai visto, mi lanciò un'occhiata inquisitoria, quasi seccata. Druella, invece, mi salutò con un largo sorriso.

Tom non alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo, non lo disturbai: sapevo che avrebbe fatto da solo dopo, probabilmente voleva arrivare a fine paragrafo o qualcosa del genere. Facevo così anche io, ogni tanto.

<< Ehi Cygnus! >> esclamò Rosier dando una violenta gomitata all'amico, che gemette contrariato << È arrivata la ragazza del capo! >>

Sbuffai a quell'appellativo. Me lo aveva affibiato Edgar alla fine del secondo anno, alla stazione, quando mi aveva visto aspettare Tom al binario nove e tre quarti. Non perché pensasse che fossi la sua ragazza, ma perché era un idiota e gli piaceva farlo, poi anche Black aveva preso l'abitudine di farlo. Conseguenza: un sacco di persone erano convite che io e Tom stessimo insieme.

Tom invece veniva chiamato 'capo' perché con gli anni aveva cominciato a raggrupparsi attorno qualche persona, che era la cosa più vicina a poter considerare amici, anche se lui non ci pensava nemmeno.

<< Ehi! >> li salutai senza protestare, avevo perso le speranze e la voglia di farlo << Mi siete mancati...? >>

Black sghignazzò << Cos'era quella nota interrogativa, Lady! Ovvio che ti siamo mancati, come abbiamo fatto a non mancarti? >>

"Lady".. Era nato immediatamente dopo il "la ragazza del capo", visto che lui era il 'capo'.

Gli sorrisi di sbieco, ironicamente. Spostai poi la mia attenzione sulla ragazza al mio fianco, che non aveva smesso di osservarmi. Lanciai una rapida occhiata a Druella, che stava rigirandosi la forchetta tra le mani nervosamente.

Riposai il mio sguardo sulla mia vicina, il cui atteggiamento si fece ancora più irritato

<< Che c'è? >> fece. Alzai un sopracciglio

Ah, io "che c'è"?

<< Tu sei.. >>


<< Esther Dorsey.. >> assottigliò lo sguardo << e te.. >> chiese idirettamente spostando lo sguardo su Tom.

<< Io sono Akemi, la figlia di Mrs Hole. Non ti ho mai vista in questi cinque anni. >>

<< No, direi. >> disse solo, continuandoma guardarmi.

Mi feci bastare la risposta, non che mi interessasse, dopotutto. Però mi dava fastidio essere guardata con tanta insistenza.

<< Dorsey, questa volta temo che debba essere io a chiedere 'Che c'è'? >>

<< Non dovresti sederti lì. Non senza l'autorizzazione di Riddle. >>

Aggrottai la fronte, capendo un secondo dopo. Era una regola non detta: se possibile, si evitava di sedersi di fronte al Capo.

<< Ma io ce l'ho, l'autorizzazione. >>

<< Non mi sembra che l'abbia chiesta. >>

<< Non ne ho bisogno. >> mi riempii il piatto, chiudendo lì la discussione. Ma alla Dorsey evidentemente, tutta quella storia non andò giù.

Così riaprì la bocca per protestare << Ma.. >>

<< Basta, Dorsey. >> fu il laconico e annoiato ordine di Tom, riemerso chissà quando dalla lettura.

Arricciai le labbra << Toh, salve Tom. Come mai da queste parti? Hai finito il paragrafo? >> lo sfottei. Lui non mutò espressione

<< In realtà avrei finito il capitolo, se non mi aveste interrotto. >>

<< Per quanto mi riguarda avresti potuto anche finire il libro: sei tanto carino quando stai zitto, Tom.. >> lui non disse nulla, chiuse il libro e si mise in bocca un pezzo di carne.

<< Non chiamarlo per nome! >> fu lo stizzito commento della ragazza accanto a me, che stavo cominciando a voler affogare nel piatto di porridge lì di fianco.

Tom non la guardò neanche << Esther, ho detto basta. >> la ragazza arrossì, probabilmente perché lui l'aveva chiamata per nome, e ricominciò a mangiare silenziosamente.

<< Non ti dirò 'mi sei mancata' perchè non sarebbe vero, Akemi. Quindi direi che possiamo anche saltare queste sciocche formalità. >>

<< E quando mai? >> ridacchiai << Tu invece mi sei mancato, quindi aspettati un Natale infernale, tesoro. >>

uomo avvisato, mezzo salvato, no?


<< Non vedo novità in tutto questo. >> fu il suo commento atono. Druella sogghignò.

<< Vedo che il tempo non ha intaccato la tua simpatia. >> feci, ironica << Secondo me sei nato con il mestruo, non è possibile che ti girano perennemente le scatole. >> borbottai contrariata.

<< Non vedo novità neanche in questo. >>

Sospirai << Il paziente paralitico del corridoio cinque è più attivo di te. >>

<< Ahi, questa non me la sarei lasciata dire. >> fu il divertito commento di Edgar Rosier. Tom si limitò ad arricciare imperteccibilmente le labbra << Rosier, non dovresti dare troppa importanza a quello che dice Akemi. Da solo sfogo alla sua frustrazione con commenti acidi, ne ha per tutti. >>

Aggrottai la fronte << Ovvio che ne ho per tutti. Chi è che diceva "a tutti o a nessuno"? >> Tom si astenne dal commentare e il discorso cadde lì.

<< Che leggi? >> domandai al ragazzo, lui voltò il libro verso di me, in modo che potessi leggerne il titolo.

<< Ti piacciono i rettili? >> domandai

<< Mi interessano. >> specificò.

<< Stai sempre a puntualizzare.. >> mi lamentai

<< Evidentemente è necessario. >>

<< No, sei tu che sei un rompiballe. >>

<< Lo sai. >>

<< Si, è vero lo so. Ma spero ogni volta di ricordare male. >>

Il mago mi lanciò un'occhiata divertita << Però il rompiballe sono io. >>

Lo guardai con falsa innocenza e gli feci il verso << Lo sai! >>

Lui non rise, ma capii che, se fosse stato una persona normale, lo avrebbe fatto.

Edgar e Black,  che avevano assistito al nostro scambio di battute con interesse decisero di integrarsi.

<< Che ci racconti, Lady? >>

<< Mah, non so. Cosa vuoi che ti racconti? >>

<< Cosa mi hai portato per Natale? >> domandò Rosier con gli occhi che gli brillavano. Scoppiai a ridere; presi un piatto e lo riempii di dolci. Dopo averlo osservato per bene, glielo porsi.

<< Tieni il tuo regalo di Natale, dividilo con l'amico tuo. >>

I due ragazzi espressero il loro disappunto.

<< Comunque siete voi quelli che hanno da raccontarmi qualcosa! Sono successi una marea di casini qui, mi pare! >>

Cygnus fece un gesto vago con la mano << Ti avrà già raccontato tutto Riddle. E poi sei tu quella delle storielle divertente. Cosa vuoi che ti raccontiamo, noi, siamo in una scuola! >>

<< Non vorrei farti tornare con i piedi per terra, Black, ma mi pare che qui ci si diverta non poco. >> replicai. Alla fine però mi obbligarono a dover tirare fuori qualche aneddoto assurdo. Ad esempio quello di quando ero con Lucy e Susan; stavamo chiacchiearndo tranquillamente nel giardino di casa loro, di sera, e vicino alla ringhiera una coppietta di fidanzatini si sbaciucchiava. Lucy aveva visto, casualmente, un corvo beccare le ortensie che la madre curava tanto per portarle all'ospedale dal padre. Si era alzata all'improvviso, brandendo una scarpa e correndo verso quella direzione che, disgraziatamente, era la medesima di quella della coppia. Infatti i due erano fuggiti terrorizzati e convinti che la bambina ce l'avesse con loro, mentre il corvo l'aveva bellamente ignorata, continuando a fare quello che stava facendo.

Io e Sue avevamo riso come ossesse per minuti interi, mentre Lucy era diventata tutta rossa dalla vergona. Poi però si era lasciata andare e era scoppiata a ridere insieme a noi.

Dopo quasi un'ora i due ragazzi si congedarono per andare in sala comune. Io e Tom, invece, andammo in camera mia.

Una delle cose belle di quel posto era quella: avevo una grande stanza tutta per me, con un comodissimo letto a baldacchino e la doccia e vasca con tutta l'acqua calda di cui necessitavo. All'ospedale, invece, vigeva la regola "chi primo arriva meglio alloggia" tutti gli altri.. si arrangiavano con l'acqua fredda e rischiavano la broncopolmonite.

<< Come va? >> mi domandò più per riempire il silenzio che per altro.

<< Potrebbe andare meglio. >> risposi con sincerità << Le cose vanno come sempre, tra l'altro ho scoperto una cosa che avrei preferito non scoprire. >>

Lui mi guardò interrogativo. Presi la borsa e tirai fuori il libro con gli alberi genealogici. Presi la busta bianca e gliela lanciai, poi chiusi il libro e lo poggiai sul letto.

Lo osservai mentre arrivava rapidamente a capire il problema. Fece cadere la sacca con dentro i libri di scuola e si sedette sul letto, vicino al libro, ma rimase in silenzio.

Mi sistemai anche io accanto a lui, a gambe incrociate e, quando capii che non mi avrebbe spiegati niente di sua sponte, lo incalzai.

<< Tom, perchè non mi hai detto nulla? >>

<< Da quando ti importa di quello che faccio? >> domandò a sua volta seccato.

Gli diedi una spinta sulla spalla << Piantala di dire assurdità! E non si risponde ad una domanda con un'altra domanda. >>

<< Tanto non mi avresti aiutato. >>

Lo spinsi di nuovo, stavolta con più forza e lui finì steso sul materasso.

<< Forse, probabilmente ti avrei anche detto che sarebbe stato inutile. Ma sai, mi piacerebbe se almeno una volta nella tua vita mi mettessi al corrente di quello che fai! >>

Lui fece una smorfia ed io sospirai.

Inutile, come sempre. La prossima volta ci metterà ancora più impegno a fare sotterfugi.


<< Comunque. >> cominciai << che hai scoperto? >>

Sbuffò di nuovo, stavolta per una ragione diversa << Sai, era mio padre il babbano, a quanto pare. >> mi rivelò, con amarezza.

<< Non è detto, magari non hai cercato abbastanza affondo. >> gli dissi. La sua occhiata fu più che eloquente: aveva cercato, come un disperato.

<< Comunque non capisco dove sia il problema. >> in realtà lo sapevo. perfettamente.

<< Una strega - purosangue tra l'altro - non dovrebbe morire per uno stupido parto. >>

<< Tom!! >> esclamai, esasperata << era una strega, non Dio onnipotente! >>

Mi lanciò un'occhiataccia << Ma che ne vuoi sapere, tu. >> mi sforzai di non sferrargli un cazzotto nello stomaco.

<< Oddio, sei serio? Ne voglio sapere che sono femmina e anche infermiera, so come funziona un parto! La magia può poco. >> dissi, oltraggiata << E comunque è inutile che svii, lo so che la cosa che ti da fastidio è avere il cognome di un babbano. >>

<< Ma dai, quindi non scherzi quando dici di conoscermi. >>

<< Cretino, io ho il problema contrario. E tu passi il sessanta per cento del tempo ad insultarmi perchè sono una babbana. >> stavolta fui io, a sbuffare.

Restammo qualche minuto in silenzio.

<< Che mi dici di Esther? Perchè non l'ho mai vista da queste parti? >> domandai imorovvisamente.

<< Ti dico che mi ha ampiamente rotto le scatole. Mi sta sempre intorno, non riesco a fare quello che devo. E non l'hai mai vista perchè sono le prime vacanze che passa a scuola. Gli altri anni era tornata a casa. >>

<< Non mi è parso di starle molto simpatica. >>

<< Infatti non le stai simpatica. >>

Lo guardai interrogativa.

<< Sei o non sei la Lady? >> mi fece, scocciato dal dovermelo spiegare << per quanto ne sa lei in questo momento potremmo anche star facendo.. Altro. >>

Scoppiai a ridere di gusto << Poverina >> commentai senza pensarlo << si starà rosolando ben bene nell'invidia. >> fu il mio seguente cattivo commento.

<< Sai essere proprio bastarda quando vuoi. >> mi disse, ma non come rimprovero.

<< Non sei il primo che lo dice. Ciò che mi preoccupa è che la cara Esther Dorsey ha decisamente cominciato col piede sbagliato. >>

<< Questo rumore di ingranaggi è il tuo cervello che lavora? >> domandò con interesse. Mi fece ricordare la faccia soddisfatta che aveva fatto quando, durante una chiacchierata col cappello parlante nello studio del preside, avevamo scoperto che se avessi frequentato la scuola sarebbe stato indeciso tra Corvonero e Serpeverde. Aveva preso la stessa espressione di un genitore fiero del figlio.

<< Mh, no.. La poveretta non mi ha fatto nulla di male. >>

<< Le conviene contiuare allora. Chiunque sa che la roba mia non si tocca. >>

<< Okay, okay. >> sospirai, rassegnata. Mi distesi sul letto, al suo fianco << Sei proprio un coglione. >> lo insultai, riferendomi al suo perenne appellarsi a me come ad un oggetto.

Lui non rispose e si alzò.

<< Buonanotte, Emy. >> mi disse, prima di uscire dalla stanza.




****Angolo Autore
Salve a tutti! 
Eccomi qui con il nono capitolo. A proposito: chiedo scusa se ci è voluto più del solito ad aggiornare, ma come dire, ormai è pieno periodo scolastico, il tempo si riduce >.< Infatti credo che i tempi saranno un po' più lunghi rispetto a quest'estate.
Che vi posso dire? 
Siete contenti che è tornato il caro Tom? Vi era mancato? 
Beh, a me no.   ...Dai Tommy, scherzo! Non fare quella faccia, dio quanto sei permaloso.
Comunque, comunque, comunque.. passo col ringraziare infinitamente GJ, il cui supporto morale è fondamentale u.u e Kirlia per le sue fantastiche (e kilometriche) recensioni. Le vostre critiche e osservazioni sono utilissime sia nel migliorarmi nella scrittura sia a farmi venire idee per la storia.
Quindi se per caso anche qualcun'altro volesse recensirmi, siete i benvenuti ;)
Detto ciò, vi saluto.

Un bacio e alla prossima,
Rue :)

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Capitolo 10
*** Capitolo Decimo ***


I wish I was strong enough

to lift not one

but both of us,

Someday i will be strong

to lift not one

but both of us.
 
                - Both of us; Taylor Swift ft BoB -
                                                                             
                                                       
                                                              Capitolo Decimo

 

 

 

 

Nonostante gli avessi precedentemente inviato un rapporto di sei pagine e nove righe, a Tom non era bastato, quindi mi costrinse nuovamente a raccontargli la mia avventura con i fratelli Pevensie a Narnia. E dire che, a guardarlo in faccia, non sarebbe mai venuto in mente a nessuno l’idea che Tom Riddle fosse curioso. Neanche poco, tra l’altro.

Mancava una settimana a Natale e gli insegnanti, aiutati da qualche studente, stavano finendo di addobbare la scuola a festa.

Conobbi Irma Pince, una ragazza che doveva essere da poco uscita dalla scuola e che adesso stava facendo un apprendistato presso mia madre per diventare bibliotecaria.

Era una ragazza rigida e irritabile, ma la trovai una buona compagna per palare di testi non esclusivamente presenti nella scuola ma anche babbani. Mi fece piacere scoprire che, nonostante fosse ‘allieva’ di mia madre, non si fermasse esclusivamente sui libri dei maghi e che ampliasse i suoi orizzonti. Anche perché, per quanto interessanti, trovavo che la qualità dei libri babbani fosse migliore.

Irma mi rivelò che Josephine non le aveva mai detto di avere una figlia, e che quindi era rimasta molto stupita quando io mi ero presentata come tale. Invece, a me, la cosa non stupì per niente. Josephine era fatta così e io, nonostante ci avessi provato per anni, non ero riuscita a cambiare le cose.

Ricordavo perfettamente che una volta mi aveva urlato contro tutta la sua frustrazione, dicendomi che le avevo rovinato la vita e che non avrebbe mai avuto il coraggio neanche di provare ad avere un altro figlio per il terrore che venisse fuori “come me”. Ricordo anche che in quel momento avrei tanto desiderato essere al posto di quel figlio mai nato.

Mi fermai in mezzo al corridoio che stavo percorrendo per tirare le mani fuori dal maglione e starnutire.

Nonostante mi fossi sempre coperta come fossi al Polo Nord (ci andavamo vicini) ero riuscita a raffreddarmi.

Quando feci per riprendere a camminare, qualcuno mi diede un’amichevole pacca sulla schiena. Mi girai, già sapendo chi fosse il nuovo avventore, tirandomi dietro l’orecchio una ciocca della frangia, che andava decisamente tagliata.

<< Ciao Em! >> mi salutò allegramente Septimus Weasley rifilandomi un altro paio di pacche sulla spalla sinistra.

Sospirai rassegnata

Ma perché questo ragazzo deve essere così iperattivo?

Spetimus era il ragazzo che avevo visto cinque anni prima alla stazione, quando avevo accompagnato Tom per la prima volta.

La sorellina, April, era diventata esattamente come lui: una Septimus Weasley in versione femminile e in miniatura. Da lì avevo dedotto che fossero caratteristiche di famiglia.

Sorrisi << Sept, se non la pianti di darmi pacche sulle spalle giuro, e stavolta lo faccio sul serio, che ti faccio ingoiare il secondo volume di Storia di Hogwarts, però per verticale, così fa più male. >>

Lui si accigliò, salvo poi scoppiare a ridere << Mi sei mancata anche tu Em! >>

Alzai gli occhi al cielo.

<< Lascia perdere Weasley. Dovresti aver imparato che Em non è per le cose affettuose. Lei è quella cinica e acida. >>

Ci voltammo entrambi, trovandoci davanti a Noel Carrow. Noel veniva da una famiglia purosangue serpeverde ma, a differenza del fratello Ambrose, il cappello parlante lo aveva spedito a Grifondoro.

Stavolta fui io ad accigliarmi << Non è vero! >> mi lamentai.

<< Allora perché ogni volta che ti saluta lo minacci do morte? >>

La mia espressione prese una nota assorta, piegai la testa di lato, pensandoci.

<< Ma che ne so! La faccia di Sept mi ispira violenza verbale. >> sbottai alla fine, ficcandomi le mani in tasca.

Entrambi risero << Non ha senso! >> esclamò il rosso.

<< Beh, un po’ si. >> ribattei.

<< Ma guarda un po’.. >> Esther Dorsey staccò la schiena dalla colonna cui era appoggiata.

Non l’avevo vista, probabilmente era arrivata da poco.

Alzò maliziosamente un angolo delle labbra << La nostra carissima Lady che fraternizza non con uno, bensì due traditori del proprio sangue. >>

Noel e Sept fecero una smorfia gemella, contrariata.

Mi limitai ad alzare un sopracciglio. Lei mi si avvicinò, anche troppo, per i miei gusti, posandomi una mano sulla spalla.

<< Questo Riddle lo sa? Ne sarebbe molto deluso.. >> fece, con voce dispiaciuta.

Mi scansai, facendole cadere la mano dalla mia spalla.

<< Come lo conosci poco, Dorsey. >> le risposi con lo stesso tono.

<< A Tom interessa molto poco quello che faccio io. E comunque non ho bisogno del suo permesso per fare qualsiasi cosa. Questo è quello che fanno i cani. >> feci una pausa << E te. >> aggiunsi, sogghignando.

Come previsto, lei fece una smorfia << Sei una lurida sgualdrina. >> sibilò.

Scoppiai a ridere << Questo per cos’era? >>

<< Solo perché tu hai dai privilegi non significa che sei migliore di me, Aramaki. È inutile che ti atteggi a questo modo. >>

Noel fece una passo in avanti per dirle qualcosa, ma lo fermai facendogli cenno di no con la testa.

<< Noel, lascia stare, ho sentito di peggio da gente che neanche conoscevo. >> poi rivolsi nuovamente lo sguardo verso Esther

Le parlai lentamente, come soppesando le parole << Dorsey, capisco che tu sia gelosa, ma vedi, cara, io non posso farci nulla. E, sinceramente, anche potendo fare qualcosa, non lo farei. Io sarò anche una.. come mi hai chiamata? Ah, si sgualdrina. Ma tu sei una persona senza carattere e.. ridicola. >> mi voltai, segno che quella conversazione mi aveva stufata, ma la voce della ragazza mi fermò ancora.

<< lo sai cosa dice di te Riddle? Che sei una stupida e si chiede perché spreca ancora il suo tempo con “una come te”. >> mi voltai per osservare la sua espressione soddisfatta. Feci un sorrisetto che, ne ero consapevole, era odioso. << Oh, Esther! È proprio qui che non conosci Tom. Lui esprime tranquillamente questi suoi pensieri anche in mia compagnia. >> Detto questo mi voltai, stavolta definitivamente, e me ne andai.

Druella Rosier ed Olivia Bulstrode chiacchieravano allegramente sul muretto di uno dei numerosi cortili interni del castello e, quando mi videro, mi invitarono ad unirmi a loro. Non rifiutai e le raggiunsi.

Le due ragazze erano parte del gruppo di Tom e per questo avevamo iniziato a parlarci, scoprendo tra l’altro di starci simpatiche l’un l’altra. A volte capitava che mi inviassero una lettera, cosa che mi faceva sempre piacere. Non ignoravo il fatto che sicuramente, se non fossi stata tanto vicina a Tom, mi avrebbero tenuta lontana. Ma a me non importava; in quel caso non le avrei neanche conosciute, visto che l’unica ragione delle mie frequenti visite alla scuola era Tom.

Raccontai loro il mio precedente incontro ed entrambe storsero il naso.

<< Esther Dorsey.. >> sospirò Druella << I primi due anno era così timida e carina. Sinceramente non sappiamo proprio cosa l’abbia fatta diventare così irritante. Tra l’altro è anche molto ricercata tra i ragazzi. >>

Olivia si sistemò a gambe incrociate e appoggiò la schiena alla colonna di pietra << A me non era mai piaciuta. >> precisò.

Mi voltai verso la Rosier << Ella, eppure quando sono arrivata ti ho vista parlarci tranquillamente. >> lei scrollò le spalle, pacata

<< Stavamo parlando del professor Lumacorno, ci chiedevamo se avrebbe indetto un’altra festa di Natale, quest’anno. >>

A quelle parole Olivia si imbronciò << Non vale! Anche io voglio partecipare alle sue feste! >> Ella ridacchiò << Allora impara per prima cosa a fare una Pozione Dilatante senza far saltare in aria mezzo castello, poi a non commentare ad alta voce le sue spiegazioni. >>

<< Ah! >> ricordai improvvisamente, mi alzai sulle ginocchia, sporgendomi verso Druella << Tom mi ha detto che ti sei messa con Black! >>

La ragazza aprì di poco la bocca, stupita e seccata allo stesso tempo << Avrei voluto dirtelo io! Riddle parla troppo per i miei gusti! >> scoppiai a ridere anche per il commento sarcastico di sottofondo di Olivia << Se Riddle parla troppo il professor Rüf che fa? >>

Sghignazzai ancora assumendo una faccia oltraggiata e prendendo uno stampo di voce in falsetto << “Io non lo sopporto! Lui e quell’idiota di mio fratello sono così infantili!” >> Ella mi diede una giocosa gomitata.

<< Beh che è un idiota lo penso anche adesso. La settimana scorsa si è fatto il bagno nel Lago Nero! >>

<< E quindi? >> domandai, leggermente confusa.

<< Em, è dicembre! >>

Mi imbronciai << Ma che ne so io! Siete maghi, potete fare tutto voi. Magari aveva riscaldato l’acqua.. >> le due scoppiarono a ridere, me ne vergognai un po’.

<< Rimane il fatto che io non l’avrei mai fatto comunque. >> puntualizzai, alle occhiate interrogative delle due spiegai << Non so nuotare. >>

Liv mi guardò stupita << Come no? >>

<< Nnah.. >> increspai le labbra, poi mi strinsi nelle spalle << Liv sai, non ho una piscina in casa come te. Vivo in un dormitorio. >>

Lei si accigliò << Questo non va bene. Ella, dobbiamo assolutamente insegnarle a nuotare! >>

<< Perché? >> domandò l’amica rubandomi le parole di bocca.

<< Perché è fondamentale! >>

Nonostante le nostre occhiate perplesse, Olivia Bulstrode decise che avrei imparato a nuotare. Anche se, credo, mi sarebbe servito a molto poco, nella vita.

<< Akemi! >> mi sentii chiamare. Mi voltai, perfettamente cosciente di chi fosse il proprietario di quel tono perennemente studiato e penetrante. Infatti, Tom era dall’altra parte del cortile con le mani abbandonate nelle tasche dei pantaloni, la schiena perfettamente dritta, che guardava pigramente nella direzione mia e delle ragazze.

<< Il tempo è giunto al termine. >> sentenziai, scherzosamente, faci un breve saluto con la mano ad Ella e Liv << Mi richiamano all’ordine. >> ridacchiai, saltando giù dal muretto e andando verso il serpeverde.

Quando lo raggiunsi, unii i piedi << Soldato al rapporto. >> lo presi in giro, guadagnandomi uno scappellotto. La accolsi con una smorfia divertita.

<< Ho scoperto una cosa. >> mi rivelò con voce strascicata, lanciando qualche occhiata furtiva alle due che, però, avevano ricominciato a chiacchierare tra loro.

Mi bastò guardarlo con aria interrogativa per fargli capire di continuare. Lui mi prese il gomito e mi trascinò nel castello. Si fermò in un corridoio che non avrei saputo riconoscere e lo percorse una volta, ne seguì una seconda e, alla terza, non potei non chiedere che diamine stesse facendo. Ovviamente, mi rispose con una brusca intimazione di stare zitta.

Gradualmente, una porta comparve al posto del muro.

<< Cos’è? >> domandai incuriosita. Tom aprì la porta e mi fece cenno di entrare.

<< Benvenuta nella Stanza delle Cose Nascoste >> feci per chiedere il motivo di quel nome, ma ebbi la risposta quando, entrando, mi ritrovai davanti agli occhi migliaia e migliaia di oggetti, ammassati e impilati per tutta la superficie della stanza.

<< Wow.. >> riuscii a commentare. Non mi sfuggì l’espressione soddisfatta che fece Tom prima di sedersi su una poltrona rosso-marroncina imbottita.

<< è questo che hai scoperto? >> gli chiesi, continuando a osservarmi intorno col naso all’insù.

<< Anche. >> mi porse un libro, che presi << Vai a pagina quattrocentoventidue. >>

Prima di aprirlo ne lessi il titolo: non era il libro sui rettili che stava leggendo l’altro giorno, bensì uno sugli oggetti leggendari del mondo magico. Aprii il libro alla pagina che mi aveva detto e lessi ad alta voce << “Il diadema di Priscilla Corvonero”. >> alzai lo sguardo su Tom << è per questo che mi hai portato qui? >>

Fece cenno di no con la testa << Così ho fatto due cose in una. Continua a leggere. >>

<< “Il diadema di Priscilla Corvonero era un oggetto magico che è appartenuto originariamente proprio alla co-fondatrice della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Il diadema aveva il potere di trasmettere l’intelligenza a chi lo portava.

<< Helena Corvonero, figlia di Priscilla, lo rubò per ragioni sconosciute ma, dopo la morte della ragazza, il diadema scomparve nel nulla. Una sua possibile riproduzione è presente ad Hogwarts nella Sala Comune della Casa di Priscilla Corvonero.” >>

Chiusi il libro e lo restituii a Tom, che intuì la mia tacita domanda << Ho intenzione di trovarlo. >>

<< Sei già intelligente, non hai bisogno di quell’affare. >> considerai << Anche se immagino che non sia quello, lo scopo per cui lo desideri. >>

<< Soddisfazione personale. >> confermò lui. Mi studiò per qualche secondo, poi disse << Vorrei che tu mi dia una mano. >>

Alzai un sopracciglio, scettica << Da quando mi informi di quello che fai? >> la realtà era che, dentro di me, ero stupita e contenta. E Tom, questo lo sapeva.

<< Ho bisogno di una persona di cui sono sicuro potermi fidare. >>

Travestii il mio sincero sorriso con un ghigno ironico << In questo momento le considerazioni cattive che potrei fare sono un numero periodico. Ma io sono una brava persona, quindi non commenterò. >>

Tom decise di ignorare l’affermazione.

<< Va bene, va bene. >> sospirai << Ma solo perché me lo chiedi tu. >>

Il ragazzo prese un’espressione vittoriosa << Non cercare in biblioteca, il massimo che ho trovato è stato quel misero testo. >>

Sorrisi << Ho i miei metodi, Tom. Tu intanto cerca di avvicinare la cara Helena-Dama Grigia. Non è famosa per la sua affabilità. >> gli dissi. Mi ripresi il libro di Tom, e andai via.

 

 

 


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Capitolo 11
*** Capitolo Undicesimo ***


If i smile and don't belive

soon i know i'll wake from this dream

don't try to fix me, i'm not broken

Hello

I'm the lie living for you so you can hide

Don't cry.
                           
                       - Hello; Evanescence -



 

 

 

                                                                               Capitolo Undicesimo

 

 

 

 

Da quando Tom mi aveva chiesto di aiutarlo, passavo un sacco di tempo in biblioteca.

Consultai l’inventario almeno cinque volte senza, ovviamente, trovare nulla di utile alla mia ricerca. Avevo pensato di passare alle cose pratiche, setacciando personalmente la sezione proibita, ma quando chiesi il permesso a mia madre, ricevetti un brusco “scordatelo” che rovinò i miei piani.

Cosa le cambiava poi se facevo o no un giretto nella biblioteca proibita? Niente, ma era solo il gusto di rendermi la vita difficile.

 Olivia invece aveva estorto la parola d’ordine del bagno dei prefetti a Tom. Le avevo detto che sarebbe bastato che gliel’avessi chiesto io, ma lei aveva insistito per fare da sé e aveva tutta la mia stima per esserci riuscita.

Come? L’aveva preso per sfinimento e alla trentaseiesima volta che gliela chiedeva nel giro di due ore, lui aveva sbroccato e gliel’aveva detta. Ovviamente dopo Tom era venuto da me a chiedermi a cosa diavolo le servisse il bagno dei Prefetti.

<< Avresti potuto chiederlo a lei, ce l’avevi davanti fino a venti secondi fa. >> gli avevo fatto notare io, ma lui aveva semplicemente scrollato le spalle ed era andato via.

Dopo quella volta Ella e Liv mi avevano già impartito una prima, memorabile, lezione di nuoto. Mi ero promessa di non ripetere l’esperienza, ma quando Olivia Bulstrode si metteva in testa qualcosa era difficile fare in modo di distrarla.. Soprattutto se poi c’era ad appoggiarla Druella.

In quel momento ero seduta sul bordo della vasca con Olivia, in attesa della Rosier, che tardava ad arrivare.

<< Ma dove diavolo è finita? >> sbuffò Liv. Io agitai un po’ le gambe in acqua, mi piaceva la sensazione che dava. La vasca da bagno dell’ospedale era minuscola, ci si entrava a gambe piegate. La vasca dei Prefetti, invece, era grande quasi come quella di una piscina, solo un po’ più piccola.

<< Appellala. >> proposi a Liv, che ridacchiò.

<< Non si possono appellare le persone, Em. >>

<< Chissenefrega. Appellala uguale. >>

La ragazza scosse la testa, divertita. Si alzò e si rivestì << Vado a cercarla.. vieni con me? >>

<< No, vi aspetto qui. >> sospirai << Se tra un quarto d’ora non tornate chiamo le pompe funebri. >>

Liv borbottò un “drastica” prima di uscire dal bagno.

Dieci minuti passarono lenti, visto che non tornavano, decisi di entrare nella vasca. Tanto stare dentro o seduta sul bordo non faceva molta differenza. Aggrappai le braccia al bordo.

Nonostante la terribile prima lezione, avevo imparato a tenermi a galla. Anche senza reggermi con le mani, ma in quel momento non mi sembrava il caso visto che ero da sola.

Il mio sbuffo annoiato echeggiò nel bagno silenzioso, insieme al successivo spostamento dell’acqua causato dal mio movimento verso il lato della vasca più vicino alle finestre.

Ne osservai le decorazioni fatte di vetro colorato e iniziai a canticchiare a bocca chiusa una canzone francese che sentivo spesso alla radio. Mi zittii, sentendo un rumore all’ingresso.

<< Ragazze? >> chiamai ad alta voce.

<< Liv, sei tu? >> domandai ancora dopo non aver ricevuto alcuna risposta.

Me lo sarò immaginata

Pensai nel silenzio più totale, inquietata. Mi voltai verso l’interno della vasca per raggiungere l’altro lato, dove c’era lo scalino.

Ci fu il suono di un passo alle mie spalle. Echeggiò nella stanza e nella mia testa, facendomi gelare le vene. Mi voltai di scatto, con un brutto presentimento che si faceva strada tra i miei pensieri. Istintivamente, cercai di allontanarmi dal bordo ma una mano si tese nella mia direzione e mi afferrò la testa per la radice dei capelli, impedendomi quel movimento. L’istante dopo ero sotto l’acqua.

Mi divincolai con vigore, afferrando la mano del mio aggressore e graffiandola, tentando di farle lasciare la presa, cosa che non accadde.

Raggiunsi il fondo con i piedi e feci forza, tornando in superficie quel poco di tempo che bastò per farmi recuperare l’ossigeno e vedere sfocatamente il viso della persona che mi respinse nell’acqua.

Allungai le braccia, cercando stavolta di tirarmi su reggendomi al bordo, ma l’altro mi allontanò prontamente, spingendomi ancora più affondo anche con l’altra mano. Gli riafferrai entrambi i polsi, affondandogli le unghie nella carne. Le ultime bolle d’aria mi sfuggirono dalle labbra serrate, sfiorandomi il viso nella loro corsa verso la superficie.

Percepii gli ovattati suoni da fuori, le mani mi lasciarono bruscamente ma non riuscivo a muovermi. Sentii qualcuno buttarsi nell’acqua e poi delle braccia mi presero per la vita, riportandomi a galla e tirandomi fuori dalla vasca.

Stesa sul pavimento freddo del bagno distinsi i boccoli biondo cenere di Ella e il volto pallido di Olivia, che gocciolava.  Distinsi gli ovattati suoni delle loro voci prima di chiudere gli occhi e decidere che non m’importava. Quindi, persi sensi.

 

                                                                             **********

 

<< Signor Riddle, se vuole può andare. Ci sono io qui. >>

<< Non si preoccupi, Madama Chips. >>

Un fruscio di stoffa, seguito dal rumore di passi.

<< Svegliati. >> riconobbi la voce di Tom.

<< Solo se me lo chiedi gentilmente. >> gemetti.

Schiusi gli occhi, maledicendo mentalmente la luce che mi investì all’improvviso.

<< Akemi! >> esclamò il ragazzo, alzandosi dalla sedia e aiutandomi ad alzarmi. Mi puntellai sui gomiti, mentre lui mi tirava su il cuscino da dietro.

<< Buongiorno.. >> dissi, con voce flebile.

<< “Buongiorno” un cavolo. Sono due giorni che stazioni in infermeria. >> mi informò, risedendosi sul materasso. Feci una smorfia.

<< Quindi è normale che abbia la nausea? >>

Lui alzò gli occhi al cielo, scocciato << Sei tu l’infermiera, qui. >> mi ricordò.

<< Che diavolo è successo? >> gli chiesi, passandomi una mano sulla fronte, leggermente più calda del normale.

<< Non te lo ricordi? >> chiese lui, assumendo un’espressione corrucciata. Strinsi gli occhi, cercando di fare mente locale.

<< C’era tanta acqua.. >>

Lui sbuffò << Ti hanno quasi affogata. >> in quel momento ricordai.

Mi agitai nervosamente sul materasso, perdendo inconsapevolmente colorito e facendo una faccia preoccupata.

<< Che c’è? >> mi domandò il ragazzo, notando il mio cambio di espressione.

<< Mi hanno portata qui le ragazze? >>

Lui annuì << Non sono riuscite a vedere l’aggressore, aveva il cappuccio calato. >>

Mi morsi con forza le labbra, indecisa << L’ho visto io. >> dissi, infine. Lo sguardo di Tom saettò su di me.

<< Oh, ti sei svegliata! >> mi voltai verso Madama Chips, l’infermiera di Hogwarts << Come stai cara? >> mi domandò, mettendomi una mano sulla fronte e versando un intruglio verdognolo in un bicchiere profondo e stretto. Me lo porse sorridente << La febbre sembrerebbe essere diminuita. Bevi questo, intanto io vado ad avvisare il preside e tua madre. >> disse, prima di uscire a passi svelti.

Quando fummo soli Tom mi prese un braccio << Chi, Akemi? >> domandò a denti stretti.

<< Indovina.. >> gli feci, retorica. Lui si alzò di scatto e fece per andare via, ma lo afferrai prontamente per la manica.

<< Sta’ fermo e siediti. >> intimai, beccandomi una sua occhiata furiosa.

<< Non avrai intenzione di fargliela passare liscia così! Ti avrebbe ammazzata se non fossero arrivate  Bulstrode e Rosier! >>

<< Non ho detto questo! E non urlare, mi fa male la testa, porca miseria! >> lasciai la presa sulla manica e battei la bano sul materasso autoritaria, per indicargli di risedersi.

Riluttante, lo fece. Non gli piaceva quando gli dicevo cosa fare ma, in quel caso, non aveva scelta se on darmi retta.

<< Rimpiangerà cosa ha fatto, puoi starne certa. >> mormorò tra i denti. Sospirai.

<< Ma come la prendi a cuore, Tommy.. >> lo presi in giro.

<< Non chiamarmi ‘Tommy’.. te l’ho già detto un sacco di volte. >> intimò.

Ritornai seria. In quel momento era arrabbiato, ed infierire su Riddle arrabbiato non era mai una scelta saggia.

<< Lo sapeva, Akemi: la roba mia non si tocca. >>

<< Non so mai se prenderla come una cosa positiva o no.. Ma non è questo il punto. >> portai le gambe al petto << Sopravvaluti il dolore fisico. >>

<< Che intendi? >>

<< Intendo che non sono affari tuoi! Tom ascolta. Io sarò anche “roba tua” come ti piace definirmi, ma è un problema mio e me lo risolverò da sola. E puoi stare certo che non lascerò la cosa impunita: ha provato ad ammazzare me, non te. >> lui fece per ribattere ma lo interruppi << E non osare intrometterti. >>

In mio aiuto venne il professor Silente, accompagnato da mia madre. Raggiunsero rapidamente il mio letto ed io gli sorrisi. Al professore, non a mia madre.

<< Signorina Aramaki, come si sente? >> domandò Silente, facendo l’ultimo passo verso di me.

<< Considerando il fatto che adesso respiro.. decisamente meglio. >> osservai, accennando ad un altro timido sorriso.

Silente mi prese una mano, ricambiando << Ne siamo lieti. Il preside le manda i suoi auguri. >>

Illuso, pensai, se credi che Josephine ne sia lieta.

Posai il mio sguardo proprio su di lei, che annuì lievemente alle parole del collega. Si mosse sul posto, come in difficoltà, quando vide che non mi decidevo a spostare lo sguardo dalla sua figura.

<< Vuoi dirmi qualche cosa, Akemi? >> mi chiese quindi. Scossi la testa, in cenno di diniego e abbassai lo sguardo. Lo stomaco iniziò a contrarmisi lasciandomi la sensazione amara di ogni volta.

<< Come è successo? >> domandò lei.

<< Olivia mi stava insegnando a nuotare, ma è dovuta uscire dal bagno. >> risposi, spiccia.

Anche se mi stupirebbe se tu sapessi che non ne ero capace.

<< Le signorine Bulstrode e Rosier dicono che sei stata aggredita. >> disse il professore. Tom si voltò nella sua direzione.

<< è la verità, professore. >> gli rispose.

Silente lo guardò con apprensione.

<< Tom dice il vero. L’ho appena informato io. >> spiegai.

<< E ha visto anche chi? >> domandò.

Fulminai Tom con lo sguardo, prima che potesse aprire bocca << No, signore. >> risposi.

Il professore alzò un sopracciglio << Il signor Riddle sembra in disaccordo con ciò che afferma.. >>

Mia passai una mano tra i capelli, sospirando << Il signor Riddle >> marcai << crede di sapere di chi si tratti, ma non può esserne certo. Per quanto mi riguarda, io non ho visto la faccia del mio aggressore. >>

Silente annuì, pensoso << Nel caso doveste scoprirlo, siete pregati di riferirlo o a me o al preside Dippett. È nostro dovere prendere i provvedimenti.. adeguati. >>

Annuii e il professore si congedò. Mia madre lo osservò uscire e diede una veloce occhiata a Poppy Chips, che era dall’altra parte della stanza.

Tom si alzò dal letto, prese il bicchiere ormai vuoto della medicina, e andò a ripotarlo all’infermiera della scuola. Mia madre si avvicinò al mio viso, poggiando una mano sul materasso.

<< Si può sapere cosa diavolo ti salta in mente? L’ultima cosa di cui la nostra famiglia ha bisogno è un altro scandalo. >> ringhiò a denti stretti. Sentii una ciocca castana dei suoi capelli solleticarmi una guancia.

Wow, fantastico! Ora è anche colpa mia..

Sapevo già da tempo che avrei fatto meglio a troncare quel malsano rapporto in cui, puntualmente, io soffrivo e loro infierivano. Ma era così difficile..

<< Ma dai.. >> feci, fintamente sorpresa << non sapevo di far parte della vostra famiglia. >>

<< Attenta a come parli, Akemi. Sei solo una stupida ed inutile ragazzina. >> alzò il tono di voce. Si alzò da quella posizione piegata e la sua mano puntò al mio viso. Strinsi gli occhi, spaventata ma li riaprii quando non sentii il colpo arrivare.

Ciò che mi stupì di più fu vedere Tom dietro mia madre, trattenerle il polso.

Lei si voltò verso il ragazzo, che le lasciò il braccio. Quando la donna riportò il braccio lungo il corpo, contrasse la mano, come infastidita per quel contatto.

Mi spostai, sedendomi con le gambe giù dal lettino. Guardai Josephine, trattenendo le lacrime che premevano per uscire << Non hai il diritto di giudicarmi, mamma. >> la sentii bloccare per un attimo il respiro. Era un sacco di tempo che non la chiamavo semplicemente mamma. Era un sacco di tempo che non pensavo più a lei come semplicemente mamma.

Non mi era stato permesso dal suo stesso comportamento. Probabilmente a lei dava solo fastidio sentirsi appellare a quel modo. Ma io avevo bisogno di qualcuno da chiamare così e avevo il terrore un giorno di svegliarmi e di accorgermi che, effettivamente, quel qualcuno, non era lei. Mia madre non poteva essere, allo stesso tempo, la mia mamma.

<< Non tu. >> ripetei.

Lei mi lanciò un’ultima occhiataccia prima di voltarsi e andare via. Sospirai, passandomi una mano sui capelli quando sentii la porta chiudersi dietro di lei.

<< Ti è tornata la febbre, sdraiati. >> mi disse Tom, che mi aveva osservato, quasi come accompagnandomi in quel contorto ragionamento.

<< Non ho il tempo di essere malata. >> ribattei, ignorando la voce che mi si incrinava sempre di più ad ogni parola.

Come mia madre, anche lui mi guardò male. Ma sapevo che quello era il suo modo di consolarmi. Mi ammoniva perché non avrei dovuto piangere per persone come i miei genitori.

<< Stai zitta e dormi. >> mi intimò obbligandomi a sdraiarmi. Mi coprii riluttante con la coperta.

<< Tom.. >> lo chiamai. Restai in silenzio qualche secondo << grazie. >>

Per essere qui. Per averla fermata.

 

<< Non l’ho fatto per te. >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*****Angolo Autore


Rieccomi qui a tediarvi con i miei film mentali!

Credo di essere un pochetto in ritardo.. chiedo scusa T-T era mia intenzione pubblicare questo capitolo la settimana scorsa, peccato che hanno pensato bene di far saltare la linea sia telefonica che internet, entrambe tornate solo oggi. Li ho odiati, sul serio!

Comunque ho pensato che aggiornare oggi fosse più che bene, sia per festeggiare il ritorno della connessione (yee) sia per scaricare la tensione per l'esame di certificazione di Tedesco che ancora non si decide a scomparire. Oddio, se ci ripenso mi prende l'ansia >.<

MA passiamo alle cose serie.. che pensate del capitolo? 

Okay, okay, lo so.. non si è scoperto nulla sul diadema, ma una cosa alla volta. Già è stato abbastanza incasinato così xD

Chi avrà aggredito Akemi? Non ho voluto fare nomi per lasciarvi nel dubbio, anche se è abbastanza prevedibile.. oppure è prevedibile perchè l'ho scritto io? D: 

*Rue si perde nei suoi ragionamenti contorti e senza capo nè coda.. soprattutto senza senso*

Verrà svelato alla prossima puntata, comunque xD

Salutiamo il caro Silente, che compare in questo capitolo e che ricomparirà in seguito.. abbastanza in seguito. Lui e Tommy mi creano un sacco di problemi, mannaggia! Sono sempre in crisi sull'InCharacterità (avviso: questo termine è completamente inventato. se non volete passare per sgrammaticati analfabeti è meglio se non lo usate xD) dei personaggi..

Che ne pensate della cara, tenerissima ed amorevole Jospehine Hole (detta 'mamma' .-.)?

Okkappa, dopo aver scritto questo "angolo-sclero" posso anche lasciarvi in pace u.u

Auf Wiedersehen (oggi rimango in tema xD),

Rue <3

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Capitolo 12
*** Capitolo Dodicesimo ***


You’re not alone

Together we stand
I’ll be by your side
You know I’ll take your hand
When it gets cold
And it feels like the end
There’s no place to go
You know I won’t give in

No, I won’t give in ...  

              - Keep Holding On; Avril Lavigne -

 

 

 

                     

 

                                                         Capitolo Dodicesimo

 

 

 

 

 

Passarono meno di due giorni prima che Poppy mi restituisse la libertà. Era tanto carina, quanto spaventosa, quando ci si metteva.

Tom non mi lasciava due secondi da sola e , quando doveva farlo, mi affibbiava la scorta.

Quando minacciai di ucciderlo perché anche io avevo bisogno della mia stramaledettissima privacy, ebbe un minimo di buonsenso e cominciò a lasciarmi sola almeno con le ragazze o con Septimus e Noel.

Il mio aggressore, meglio conosciuto come “Esther Dorsey”, mi evitava come la peste. Era evidente che non avesse messo su un piano B, nel caso fossi sopravvissuta. Errore madornale: il piano B, in qualsiasi missione, è d’obbligo. Comunque io, al suo contrario, di piani per vendicarmi ne avevo in mente sin troppi e stavo iniziando a fare confusione. Passavo dall’immaginarmi alle prese con la tortura psicologica o violenta, al vedermi impegnata nel trovare un modo per farla soffrire come un cane.

Okay che non mi sopportava perché le mettevo i bastoni tra le ruote.. ma addirittura cercare di ammazzarmi! Ero giunta alla conclusione che doveva avere qualche serio problema di instabilità mentale o qualcosa sel genere, perché giusto un matto avrebbe potuto fare quello che lei aveva tentato.

Naturalmente però la grandissima troi.. bastarda,  non rinunciava a girare intorno a Tom, non sapendo che io gli avevo detto tutto. E lui si tratteneva dal cruciarla solo perché aveva deciso di fare a modo mio. La ignorava e basta, facendole anche capire in modo esplicito di levarsi di torno. Atteggiamento che non era neanche poi tanto diverso da quello che aveva prima, unica differenza: gli sguardi omicida che gli sfuggivano di tanto in tanto.

Anche Tom procedeva col suo, di piano, anche se molto a rilento visto che la Dama Grigia era eccessivamente riservata.

Quel mattino ero seduta, come al solito, alla tavolata dei Serpeverde, leggendo la lettera di risposta inviatami da Susan. Le avevo raccontato molto a grandi linee l’accaduto, ma non ero stata a specificare neanche come avessero provato a farmi fuori. Non mi andava che si preoccupassero per me.

Lei mi aveva risposto che voleva più dettagli ma che l’importante era che fossi sana e salva.

Sorrisi un’ennesima volta ad una sua frase; Sue aveva il dono di migliorare l’umore a chiunque. Scorsi velocemente le ultime parole, la lettera era firmata ‘Susan’ ma c’era allegato un post-scriptum di Lucy, che mi intimava di contattare il fratello più piccolo che, a quanto diceva, si era un sacco preoccupato, ma che era in imbarazzo nello scrivermi da solo.

Tom stava ascoltando con ostentata noia un’accesa (e stupida) discussione tra Edgar e Ambrose Nott. Olivia invece si stava lamentando con me del fatto che Ella non la stava minimamente considerando per pomiciare con “quel cretino di Black”, anche se era perfettamente consapevole del fatto che non la stessi ascoltando.

<< .. perché la vita è crudele. Arrivi in un punto della tua adolescenza in cui la tua migliore amica ti ignora per passare il suo tempo con un coglione patentato e l’altra amica fa finta di ascoltare i tuoi deliri mentre fissa l’aria come se fosse il ragazzo a cui deve scrivere. Ma che noia! Voglio dire: perché sono l’unica da cui l’amour si tiene a distanza di sicurezza? >>

La sua ultima frase mi fece ridestare dai miei pensieri << Cosa? >> le domandai, convinta di aver sentito male.

<< Dicevo che.. >> fece per ripetere, ma poi si interruppe, guardandomi sospetta e deviando la direzione del discorso << Raccontami, chi è? >>

<< “Chi è” chi? >> chiesi ancora più confusa.

<< Come “chi?” quello che ti piace! >>

Arrossii violentemente boccheggiando << M-ma chi? >>

Liv alzò gli occhi al cielo << Si, vabbè.. ciao Emy.. >> sbuffò ironicamente, mandando giù l’ultimo sorso di succo di zucca << Hai un’espressione da rimbecillita che l’anno scorso non avevi. E l’ultima volta che ti ho vista con quella faccia ebete è stato quando ti sei tuffata in una dettagliata descrizione del tuo caro Mr. Darcy del libro babbano che adori tanto. Ergo: ti piace qualcuno. >>

Feci una smorfia contrariata << Ti sbagli. Nel mio cuore c’è posto solo per lui, Darcy. Al massimo mi accontento di Re Artù.. mica l’ho capita io Ginevra.. >> sarei sicuramente andata avanti nello spiegare il mio disappunto verso Ginevra e la sua storia adultera con Lancillotto, ma la Bulstrode mi bloccò in tempo.

<< Terra chiama Akemi! >> mi prese in giro, schiccandomi le dita davanti al viso. Capitava moltissime volte che mi sfogassi con lei riguardo ad alcuni libri. A lei faceva piacere ascoltarmi e si divertiva un mondo perché, diceva, entravo anima e corpo nella questione e la prendevo anche sul personale, a volte.

Abbassai lo sguardo sul foglio che avevo intenzione di riempire ma sul quale, al momento, era scritto solo un misero “Caro Edmund”.

<< Allora? Dai dimmelo! Tanto non lo conosco. >>

Caro Edmund

Arrossii nuovamente, scossi la testa come a scacciare via qualsiasi pensiero e piegai il foglio frettolosamente, infilandolo in tasca.

Rialzai lo sguardo e vidi Esther entrare nella sala Grande.

Improvvisamente seppi quale era il piano adatto a fargliela pagare e mi alzai rapidamente, scusandomi con Olivia, che espresse il suo disappunto.

Trovandomi davanti senza preavviso, Esther non fece neanche a tempo a cercare un via di fuga, così approfittai della sua confusione per afferrarle un polso e chiederle di seguirmi.

Restia, si trovò ad annuire.

La condussi fuori dalla Sala Grande, ignorando lo sguardo di Tom che sentivo fisso sulla schiena.

Non troppo lontano la feci entrare in un’aula vuota, aprendole la porta e seguendola a mia volta all’interno.

Vedendo il suo atteggiamento teso, ghignai senza ritegno.

Paura, eh..

<< Tranquilla Dorsey, non voglio aggredirti. >>
Ed ogni riferimento è puramente casuale.

<< Che vuoi? >> domandò, allarmata e seccata allo stesso tempo. Non impaurita, ma per quello ci sarebbe stato tempo. Probabilmente non mi considerava un elemento pericoloso, per questo aveva rischiato convinta di riuscire nell’intento.

<< Parlare. >> dissi semplicemente, alzando le spalle, poi aggiunsi << e fare.. affari. >>

Esther si voltò dalla mia parte, con un sopracciglio alzato.

<< Ti vedo improvvisamente interessata.. >> commentai ad alta voce. Percorsi lentamente la stanza, lasciandola per qualche secondo con l’interrogativo, e mi sedetti a gambe incrociate sulla cattedra.

Lei si avvicinò, stavolta un po’ più titubante, e prese una sedia, posizionandosi davanti a me.

Feci un sorriso che lei non capì, ma che esprimeva la mia soddisfazione nel fatto che si fosse messa più in basso, in modo tale che la potessi guardare tranquillamente dall’alto verso il basso.

L’orgoglio, ragazza mia, non sai neanche cosa possa essere..

<< Sai.. >> iniziai con flemma, mi divertiva vederla sulle spine. Non vedeva l’ora di uscire da quella stanza << quel piccolo incidente nel bagno dei Prefetti. >>

Fece una breve smorfia.

<< Ho raccontato tutto a Tom. Lui sa chi è il colpevole. >>

Quando comprese interamente il significato di quelle parole e di ciò che comportavano, Esther Dorsey diventò pallida come uno straccio appena comprato. Dalla faccia sembrava sul punto di scoppiare in lacrime, ma le diedi il tempo di darsi un minimo di contegno. Cosa che, fortunatamente, fece.

In realtà avrei potuto infierire e farla fuggire via in lacrime, ma sarebbe stato troppo facile: nessuna soddisfazione.

Al mio “però” la ragazza si concentrò su di me, guardandomi con odio.

Chi semina vento raccoglie tempesta, Esther. I detti babbani sono sempre i migliori, non c’è nulla da fare..

<< Io posso convincerlo a perdonarti. >>

Esther boccheggiò, sorpresa e disse, balbettante << Perché? Vo..voglio dire.. i-io ti avrei u-u-uccisa! Perché faresti una cosa del genere per.. per me? >> era incredula. Beh, come minimo si accorgeva dell’assurdità di quella cosa.

Alzai un sopracciglio, guardandola come se fosse un’imbecille, e schioccai la lingua sul palato << Non così in fretta, tesoro. Io posso farlo, ma in cambio voglio qualcosa. >>

<< Cosa? >> domandò con foga. Mi stavo abbastanza divertendo; era partita con il voler fare la superiore e la distaccata e adesso stava quasi sbavando per il mio aiuto nel farsi perdonare da Tom. Forse non stavo facendo così male a trattarla come una decerebrata, nonostante lo facessi solo per pura soddisfazione personale.

Le porsi un bigliettino piegato in quattro << Una passeggiata nella sezione segreta renderà la cosa più semplice. >> sul foglietto c’era scritto il materiale che mi serviva per la ricerca sul diadema. Avevo assolutamente bisogno di un aiuto, perché mia madre non mi avrebbe mai dato il permesso di entrarci e farlo di nascosto non sarebbe stata una mossa geniale. L’unica era mandare qualcun altro al posto mio, ma questo avrebbe destato inevitabili domande a cui avrei dovuto rispondere. Esther faceva proprio al caso mio visto che, pur di recuperare la fiducia di Tom, non avrebbe chiesto alcuna spiegazione.

<< Semplice?! Mi stai chiedendo di intrufolarmi nella biblioteca proibita! >> esclamò dopo aver letto il biglietto.

<< A te la scelta, Esther. Fammi sapere. >> le dissi scivolando giù dalla cattedra e uscendo senza aggiungere altro.

Non mi stupii quando, chiudendomi la porta alle spalle, mi ritrovai davanti alla slanciata figura di Tom.

<< Ti ho detto di piantarla. Non ho bisogno né voglio il cane da guardia. >> sbuffai.

<< A quanto pare si, invece. >> replicò riferendosi all’episodio del bagno. Dopo qualche secondo di silenzio, in cui ci spostammo, mi domandò << Che ti ha fatto? >>

<< Lei assolutamente niente. >> infilai le mani in tasca, continuando a camminare << Tu invece.. dovresti farmi un favore. >>

<< Dopo anni che ci conosciamo non hai ancora imparato che avere debiti con me non è consigliabile? >>

Aggrottai le sopracciglia << Infatti, a me potresti anche abbonarli ogni tanto.. >> considerai, ma la sua espressione fu più eloquente di una risposta vera e propria.

<< Comunque, cosa è che dovrei fare? >>

Mi fermai in uno degli infiniti corridoi vuoti del castello, mettendomi di fronte a lui << Non ti piacerà. >> lo avvisai. Lui mi fece cenno di continuare.

<< Te ne avevo già accennato.. ma dovresti mettere da parte il tuo rancore per Dorsey. >>

<< Mi stai dicendo di perdonarla? >>

Annuii.

<< No. Scordatelo. >> disse, riprendendo a camminare e scansandomi per passare. Io sospirai e feci qualche veloce passo per raggiungerlo, chiedendogli di aspettarmi. Gli presi una manica e lo fermai; Tom si voltò.

<< Tom, ti prego. Mi serve che tu lo faccia! >>

<< Ah, si? E a cosa, di grazia? Un conto era far finta di nulla ed ignorarla, Akemi, ma non puoi chiedermi di dimenticare tutto e basta. >> la domanda scettica fu sostituita da un tono alterato. Feci una smorfia contrariata << Ora io.. adesso non posso dirtelo. >> feci, sbrigativa e gesticolando con foga. Tom, invece, scosse lievemente la testa, seccato << Certo, è comodo così. >>

Alzai gli occhi al cielo, stavolta esasperata ed amareggiata nello stesso tempo << Non fare così, Tom! Mi pare che tu con me ne abbia fin troppi, di segreti, eppure non ti ho mai chiesto niente. Niente! Per una volta nella tua vita potresti fare lo sforzo di fidarti di me! >>

Il serpeverde aprì la bocca per ribattere, ma fu interrotto.

<< Em, che succede? >> la testa di Septimus fece capolino da un angolo, probabilmente attirato dai toni non troppo soavi della nostra discussione.

<< Niente Sept, tranquillo. >> dissi, guardandolo a malapena, però poi notai che indossava la giacca << Stai andando ad Hogsmade? >>

<< Si, con Noel e Minerva, vuoi venire con noi? >> mi propose dopo aver lanciato una timida occhiata a Tom che, in quel momento, fissava un punto imprecisato del corridoio con estrema irritazione. In quel momento spostò casualmente lo sguardo sul rosso che ritrasse immediatamente il suo, riportandolo su di me.

<< Grazie Septimus, vengo con piacere… dovresti darmi solo qualche secondo. >> accettai, facendo poi allusione a Tom con un cenno del capo.

Weasley annuì lievemente, ma sussultò quando l’altro mi afferrò improvvisamente un braccio, avvicinandomi a sé.

<< Farò quello che dici. >> sibilò al mio orecchio, con tono rabbioso poi aggiunse con tono più alto (lo sentì anche il Grifondoro) << Vedi di non farmene pentire, Akemi. >>

Capii tra le righe che si stava riferendo alla fiducia concessami. Lasciò il mio braccio e si allontanò a passi svelti.

<< A che si riferiva? >> domandò Septimus incuriosito, quando Tom scomparve dietro un angolo.

Scrollai le spalle, sfiorando il braccio su cui pochi secondi prima era arpionata la mano del ragazzo. Sospirai, lasciandomi scappare un sorriso << lascia perdere.. >> e lui lo fece.

Raggiungemmo gli altri due ragazzi e ci incamminammo verso il villaggio.

Minerva McGrannit, affettuosamente soprannominata da alcuni impavidi “Minnie”, era una fiera grifondoro che frequentava, come Noel e Septimus, il sesto anno. Quindi aveva la mia stessa età.

Non la conoscevo molto bene, ma abbastanza da aver testato in lei un carattere per lo più Crovonero, ma forte come quello di un Grifondoro. Tra l’altro chi ero io, per poter mettere in dubbio le parole del Cappello Parlante?

<< Come mai ci delizi della tua presenza? >> mi prese in giro Noel, io gli feci una smorfia.

<< Devo fare una telefonata e li c’è una cabina telefonica. >> spiegai.

<< Come mai stavi discutendo con Riddle? >> mi chiese invece Septimus, suscitando l’interesse anche di Noel.

<< Lunga storia. In poche parole.. è un cretino. >> Minerva ridacchiò alle mie parole, ma Septimus aggrottò le sopracciglia << A me fa un po’ paura quello lì.. come fai a stare con lui così tranquillamente, non l’ho capito. >>

<< E ti consideri un grifone, Sept? È anche più piccolo di noi. >> commentò sarcastica Minerva. Sapevo che a lei non interessava molto, il ragazzo. Lo trovava arrogante e irritante, ma aveva anche la sua stima.

“è un ottimo studente” diceva lei, “per forza, non ha una vita sociale” rispondevo io, puntualmente.

Infilai, come al solito, le mani in tasca, decisi di cambiare argomento << Allora! Chi vince la coppa di Quidditch quest’anno? >>

<< Noi ovviamente! >> rispose Septimus, esaltato, alzando un pugno per aria. Carrow annuì con foga << Già, per ora noi. Tra qualche settimana ci toccano i Tassorosso.. loro sono forti, mannaggia a Morgana! >>

Minerva sospirò << è un peccato che tu non ci sia, quando fanno le partite ufficiali. >>

Mi strinsi nelle spalle << Mi basta infiltrarmi agli allenamenti e vederli annientarsi nelle amichevoli delle vacanze, >>

<< Allora non penso solo io che siano estremamente violenti! >> esclamò la ragazza, contrariata.

<< No, concordo pienamente con te. >> confermai.

<< Ehi Aramaki! >> mi richiamò Noel, che mi chiamava per cognome solo per infastidirmi. Poi, però mi dava anche della acida. Avrebbe potuto mettersi in pace con se stesso.

<< Dimmi. >>

<< La cabina teffelonica sta lì. >> mi indicò un punto vicino al cancello del villaggio. Mi si illuminò il volto.

<< è telefonica, Noel. >> lo corresse Minerva pazientemente.

<< Ragazzi, dove vi trovo quando ho finito? >> chiesi loro.

<< Alla Testa di porco. >> disse Sept, beccandosi un’occhiataccia da Minerva.

<< Direi proprio di no, Weasley. Tre manici di scopa va più che bene. >> Sorrisi ed annuii, allontanandomi ed entrando nella cabina, dove mi prese un colpo notando che servivano le monete magiche. Per fortuna, però, in tasca me ne ero infilata qualcuna quella mattina. Di solito non andavo in giro per la scuola con i soldi in tasca.

Infilai le monete e composi il numero. L’intenzione di scrivere una lettera era completamente sfumata, tra l’altro telefonando c’era molta più possibilità che rispondesse qualcun altro al posto di Edmund, mentre se avessi scritto la lettera.. insomma, sarebbe stato lui il palese e unico destinatario.

Mi ritornarono in mente  le parole di Olivia di quella mattina.

Sbagliai numero e imprecai a bassa voce.

Concentrati Akemi!

Lo ricomposi daccapo, stavolta senza sbagliarlo. Aspettai con impazienza che squillasse . AL quinto squillo rispose l’allegra voce della governante.

<< Meredith, sono Akemi. Hai libera scelta su chi passarmi. >> le dissi cortesemente. Dopo avermi salutato brevemente mi lasciò in attesa e aspettai, venendo presa improvvisamente dalla voglia di mettere giù la cornetta e andare via.

Quando sentii dall’altra parte dei fruscii, capii che stavano per rispondere. Il peso nel mio petto, tra lo stomaco e lo sterno, si allargò ulteriormente.

<< Pronto? >>

Quell’unica parola, formulata in modo tale da modulare un tono interrogativo, bastò ad appannarmi la vista.

 

<< Ciao, Edmund. >>

 

 


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Capitolo 13
*** Capitolo Tredicesimo ***



 I can't escape myself

So many times i've lied

But there's still rage inside

Somebody get me trought this nightimare

I can't control myself.

So what if you can see the darkest side of me?

No one would ever change this animal i have become.
                                     

                              - Animal I Have Become; Three Days Grace -

 

 

                                             

                                                        Capitolo Tredicesimo

 





<< Cosa vuoi dire esattamente con “hanno provato ad ammazzarmi”?! Non puoi dirlo in modo così tranquillo! >> risi al tono preoccupato e sconcertato del  ragazzo.

<< Affogarmi, per la precisione. >> puntualizzai << Respira Pevensie, sono ancora viva. >> feci, con tono ironico. Lo sentii sospirare rassegnato dall’altro capo del telefono.

<< Non c’entra nulla il fatto che tu sia, grazie a Dio, ancora viva. Comprendi che.. >>

<< Edmund.. >> lo chiamai prima che potesse aggiungere altro << Sta’ tranquillo, sto bene adesso. Ho la situazione sotto controllo. E poi figurati se Tom non fa il cane da guardia. >> aggiunsi, sbuffando.

<< Mi sembra abbastanza normale. Anche io ti avrei messa sotto stretto controllo. >> lo difese.

Borbottai un “paranoici” che lo fece ridere.

Ci fu qualche attimo di silenzio, imbarazzato dalla mia parte, che decisi di interrompere con una domanda neutra.

<< Che mi racconti? >>

<< In realtà nulla: hai chiamato tu. >>

Certo, speravo di trovare una delle tue sorelle..

<< Beh, insomma.. come dire.. >> mi impicciai nelle mie stesse parole, ma poi riuscii a trovare una risposta sensata << Lucy mi aveva detto di chiamare perché vi eravate preoccupati, quindi.. >>

<< Quindi cosa? >> chiese lui, quasi divertito dalla mia precedente confusione.

<< Quindi ho telefonato. Adesso sei più tranquillo? >> chiesi retoricamente.

<< Mica tanto.. >> mi rispose poco convinto << Sei a non so quanti chilometri di distanza e hanno provato a ucciderti, quanto posso essere tranquillo? >>

Dopo vari tentativi riuscii a cambiare il soggetto della conversazione e mi feci raccontare cosa succedeva a Londra. Nulla di grave, per fortuna.

Tornai al castello, soddisfatta per essermi tolta il peso ansioso di quella telefonata e di aver passato un buon pomeriggio con i Grifoni che avevo raggiunto dopo ai Tre Manici di Scopa.

Ero seduta in camera mia, davanti al comodino col grosso specchio poggiato sopra. In effetti sembrava più una toletta che un comodino.

Presi le forbici poggiate alla mia destra e le alzai con aria solenne << A noi due! >> esclamai poi, con aria e tono di sfida, sporgendomi più vicina allo specchio e prendendo le misure della frangetta per regolarmi di quanto e come tagliarla.

Detestavo fare quell’operazione da sola, infatti di solito ci pensavano Roxanne o Beth. Non avevo soldi da spendere inutilmente per andare da un parrucchiere per una cosa che poi potevo anche tranquillamente fare da sola, anche se mi seccava.

Tra l’altro avevo cominciato a mettere da parte dei risparmi per poi poter prendere un piccolo appartamento e vivere da sola appena avessi raggiunto la maggiore età. Mi ero stancata della vita e delle regole del dormitorio. Beth mi aveva invitata a sistemarmi da lei, ma non volevo esserle di peso, quindi avevo rifiutato l’offerta, incentivandomi nel mio buon proposito per il mio futuro.

<< Cosa stai facendo? >> la voce dal tono perplesso e scettico di Tom arrivò improvvisa, facendomi spaventare e sobbalzare sulla sedia, rischiando di infilarmi le forbici in un occhio. Non lo avevo assolutamente sentito entrare.

Mi voltai lentamente verso il ragazzo << Non farlo mai più. >>  sibilai, i battiti del cuore ancora in modalità “infarto”.

<< Cosa fai? >> chiese ancora, con il medesimo tono. Gettò la sua borsa a tracolla ai piedi del letto e anche quell’azione, che fatta da qualsiasi altra persona sarebbe sembrata rude e senza alcuna grazia, risultò elegante fatta da lui.

<< Cosa ti sembra che stia facendo? >> risposi retoricamente, scocciata.

<< Non saprei, forse è la volta buona che ti uccidi. >> fece lui atono, ma poi aggiunse qualcosa << Anzi no, non farlo. Lascialo fare a me. >> Si sedette sul letto vicino a dove ero seduta io, dalla parte del cuscino.

Io gli feci una smorfia << Mi sto tagliando i capelli. E poi non ti ho capito: Dorsey non può farlo ma te si? Cosa sono questi privilegi? >> ridacchiai. 

Gli lanciai uno sguardo di lato per vedere cosa stesse facendo, solo per trovarlo esattamente come prima: seduto e con lo sguardo concentrato su qualcosa di inesistente nella stanza.

<< Comunque non mi sto suicidando, quindi ti va male anche stavolta, Riddleino. >>

Al nomignolo non poté non voltare lo sguardo su di me, aggrottando la fronte.

<< Ti meriteresti un Crucio per le cose che escono dalla tua bocca. >>

<< Scherzi? Mi meriterei un Oltre Ogni Previsione per la fantasia e l’impegno che ci metto per irritarti. >> sogghignai, senza vedere quale fosse la sua espressione in quel momento.

<< Come va con Madmoiselle Corvonero? >> domandai dopo qualche minuto di silenzio.

Non sentirlo rispondere immediatamente mi fece capire di aver premuto un tasto dolente. Gli lasciai il tempo di elaborare una risposta.

<< Procede lentamente e a piccoli passi, ma faccio progressi. So che inizia a fidarsi di me: l’altro giorno ha fatto qualche affermazione interessante. Gliela ritirerò fuori al momento giusto. Ma so anche che ci vorrà ancora molto prima che mi racconti tutto. >>

Schioccai la lingua sul palato, a metà tra il disappunto e il divertimento << Quello che fai non è per nulla corretto, spero che tu ne sia consapevole. Ingannare una povera fanciulla per i propri egoistici interessi personali… >>

Probabilmente avrei dovuto preoccuparmi anche per la “povera fanciulla” Akemi Aramaki, riguardo al fatto di essere usati per gli scopi di Tom Riddle, ma poco m'importava.

<< Infatti, Akemi, mi pare di aver chiesto la tua collaborazione, non il tuo parere. >>

<< Pensavo che tu avessi chiesto il mio aiuto. >> replicai, per infastidirlo.

<< Collaborazione, se proprio vuoi Cooperazione. È diverso. >> specificò infatti lui.

<< Collaborazione, Cooperazione e Aiuto sono sinonimi, sai? Basta che cerchi sul dizionario. >> feci io, sapendo che avrebbe risposto ancora per avere l’ultima parola e ragione.

<< No, non è la stessa cosa. Se ti chiedessi aiuto, significherebbe che da solo non ce la faccio. Mentre io posso farcela perfettamente anche da solo, voglio solo velocizzare le cose, quindi ti ho chiesto collaborazione. >> come mi aspettavo, il ragionamento non faceva alcuna piega, ma io scrollai le spalle.

<< Beh, chissenefrega, a me sembrava di averti sentito dire che avevi bisogno del mio aiuto. >>

<< Allora hai sentito male. >> disse, anche se sapeva perfettamente di dire una balla. Contava sul fatto che ricordassi male io e che tra qualche mese sarebbe riuscito a convincermi della cosa.

Sforbiciai un’ennesima ciocca, attenta a non tagliarla troppo corta.

<< Da quanto tempo è che hai attaccato bottone con la Corvonero? >> domandai allora, per cambiare discorso.

Avevo capito che era da un bel po’ di tempo che aveva cominciato le sue ‘sedute’ con la Dama Grigia perché era risaputo che fosse eccessivamente timida e riservata. Persino a Tom Riddle, che aveva una capacità di persuasione e aggiramento fuori dalla media, non sarebbe bastata una scarsa settimana per tirarle fuori "qualcosa di interessante", come aveva affermato pochi minuti prima. In più, conoscendo il mago, non si sarebbe appellato a me se non avesse iniziato a dubitare della collaborazione del fantasma.

In base a questi ragionamenti, potevo affermare che erano minimo due mesi che la storia andava avanti. Allo stesso tempo, ero sicura che non fosse oltre l’inizio dell’anno scolastico.

<< Da ottobre, più o meno. Sono circa due mesi e mezzo. All’inizio ho avuto parecchi problemi nell’avvicinarla a causa delle aggressioni dell’aracnide di Hagrid. Era abbastanza spaventata da quegli avvenimenti. >>

Ripensai alla storia della Camera dei Segreti storcendo il naso, non mi quadrava ancora del tutto. Eppure allo stesso tempo sembrava essere l’unica spiegazione.

<< Che hai? >> mi domandò Tom, accortosi del mio mutamento d’umore.

Sospirai senza rispondergli e lui non si interessò oltre.

Tagliai via gli ultimi spuntoni di frangia e me la smossi vigorosamente con le dita, facendo cadere i capelli tagliati rimasti impigliati. Pulii le forbici e le misi via per poi raccogliere i capelli in un fazzoletto e scrollarlo nel cestino. Osservai la pioggia di capelli color pece cadere nel secchio di metallo. Mi rimisi il fazzoletto in tasca dopo averlo spolverato.

Voltandomi vidi Tom fissare le mie azioni.

<< Che ho fatto? >> gli domandai, vedendo la sua faccia scocciata.

<< Se fossi una strega li avresti semplicemente fatti sparire con un colpo di bacchetta. >>

<< Peccato che io non sia una strega, quindi li butto nel cestino come tutte le persone normali. >> risposi, sbuffando.

Lui si alzò e si avvicinò al cestino, mi scansò da davanti e, puntando la bacchetta verso l’oggetto, fece scaturire dalla punta una luce bianco-rossastra che fece sparire i capelli tagliati.

<< Ti davano proprio fastidio, eh? >> feci, ironica.

<< Dovresti ringraziarmi. Quei capelli nel cestino erano solo una delle infinite prove della tua debolezza. >>

Aggrottai la fronte, non riuscendo a seguire bene il suo ragionamento << Che sarebbe non essere una maga e quindi non poter far sparire la roba dal secchio? >> domandai come conferma, che lui mi diede. Mi astenni dal dargli una qualsiasi risposta, facendo invece una considerazione.

<< Hai imparato a afre gli incantesimi non-verbali, eh? >>

<< Sapevo farli anche prima. >> poi si rese conto di una cosa << Come fai a sapere degli incantesimi non-verbali? >> domandò, capendo che per una semplice babbana, saper fare gli incantesimi senza parlare doveva sembrare una cosa abbastanza normale. In più conoscevo il nome tecnico, cosa che doveva aver contribuito alla sua curiosità.

<< Guarda che nella teoria sono molto ferrata, io. >> Mi grattai una guancia, imbarazzata. Lui si poggiò ad una colonna del baldacchino.

<< Diciamo che quando ero piccola il fatto di aver deluso i miei genitori per il mio essere maga-nò mi faceva molto male. Volevo essere uguale ai figli dei loro amici, che facevano accidentalmente volare vasi per terra rendendo felici i genitori anche se, magari, avevano appena sfracellato un vaso da mille sterline perché stava a significare che stavano sviluppando i loro poteri, oppure che facevano spegnere e accendere candele a seconda del loro umore.

<< Da bimba ingenua quale ero, pensavo che leggere i libri di incantesimi di mamma mi avrebbe aiutata: ero molto fiera di me, all’età di otto anni conoscevo a memoria quasi tutti gli incantesimi di trasfigurazione e difesa, ovviamente però conoscerli non mi rese mai capace di farli. Adesso che sono grande non ricordo molto. >>

Sorrisi tristemente, ricordando tutte le sere passate nascosta in camera mia o dietro la scrivania dell’ufficio di mio padre, con un mozzicone di candela in mano attentissima a non far cadere la cera sui libri della mamma o sui tappeti della villa.

Poi arrivava la vecchia Kora, l’elfa domestica, che mi infilava a letto a forza e retava vicino a me finché non era sicura che mi fossi addormentata per non rischiare di trovarmi nuovamente in giro per la casa e poi beccarsi un rimprovero dai miei genitori perché non ero a letto, oppure lei sapeva che i miei sforzi erano vani, e quindi cercava di distrarmi.

Mi mancava molto Kora, era un’elfa domestica particolare; almeno secondo me. Ovviamente con i suoi padroni (i miei genitori) si comportava servizievolmente, ma quando stava con me buttava fuori tutto il suo caratterino brontolone e severo, ma anche apprensivo. Avrei potuto andare a trovarla, certo, ma la voglia che avevo di tornare a casa era pari all’inesistente. Lei invece non poteva assolutamente muoversi dalla villa senza il permesso dei miei, i quali mai gliel’avrebbero dato per andare a trovare la figlia ‘traditrice del proprio sangue’.

Abbassai lo sguardo da Tom e lo feci cadere distrattamente per terra. Casualmente, notai che era fuoriuscito qualcosa dalla borsa del ragazzo, rivoltandosi per terra. Mi chinai per raccogliere l’oggetto ma, appena lo presi tra le dita, fui costretta a lasciarlo andare di scatto, a causa di una intensa scossa che mi aveva pervasa. Non saprei bene come descrivere quella scossa, che a primo impatto poteva somigliare a una elettrica, ma ripensandoci era come se all’improvviso e in pochi istanti, una moltitudine di emozioni, per lo più negative, mi fosse crollata addosso come una cascata d’acqua.

Mi voltai verso Tom, per dirgli qualcosa ma, appena mi voltai, lo vidi piegato in due, con una mano al petto e la faccia distorta dal dolore.

<< Ehi, stai bene? >> domandai sinceramente preoccupata. Mi avvicinai, poggiandogli una mano sulla spalla per voltarlo di poco dalla mia parte.

Lui si alzò di nuovo in posizione eretta, allontanandomi con un braccio << Si. >> rispose solamente, nonostante il colorito molto più pallido del solito dichiarasse il contrario.

Mi avvicinai nuovamente << Sei sicuro? Quelli erano i più comuni sintomi di u.. >>

<< Akemi! >> venni interrotta bruscamente dall’altro, che aveva abbandonato tanto rapidamente l’espressione di dolore quanto gli era arrivata << Sto bene, non c’è bisogno che tiri fuori uno dei tuoi lati più irritanti. >>

M’imbronciai, poggiando le mani sui fianchi con fare piccato << Santo cielo, hai sempre qualcosa per cui lamentarti! Illuminami, cosa avrei fatto di tanto irritante? >>

<< Fai l’infermiera porta iella. Piantala è scocciante. >>

<< Non faccio l’infermiera porta iella! Mi stavo solo preoccupando per te! >>

<< Neanche te ne accorgi, ormai è più forte di te. Ogni volta che vedi qualche comportamento strano cominci ad elencare malattie assurde. >>

Piegai la testa di lato, cercando di ricordare di averlo fatto << Davvero? >> chiesi poi. Il ragazzo mi lanciò uno sguardo sottile, ma non ne colsi il significato.

<< Non riesco a capire se ci fai o se sia semplice deformazione professionale. >>

Scrollai le spalle, come per far cadere l’argomento. Evidentemente doveva essersi stancato anche lui visto che non insistette.

<< Cosa hai fatto al quaderno, Tom? >> gli domandai poi, ricordando la spiacevole sensazione che mi aveva assalita toccandolo.

<< Quale quad.. >> fece per chiedere, ma poi sembrò realizzare di cosa stessi parlando. Sembrò realizzare poiché nella frazione di mezzo secondo lanciò uno sguardo stranito a me e al quaderno che giaceva ai miei piedi, poi si portò la mano al petto e recuperò la fredda espressione del solito << Ah, il diario. >>

<< Diario? >> ripetei, scettica << I diari sono da femmine. >>

<< Sono da femmine se ci scrivi sopra “caro diario” e gli racconti delle tue sventure amorose, Akemi. >> replicò, scocciato dalla mia affermazione.

<< Oh.. >> mi portai teatralmente una mano davanti alla bocca << Tom, raccontare a un fascio di fogli le tue sventure amorose non risolverai nulla! Vuoi parlarne a me? >> lo derisi. Lui mi fulminò, ma trovò futile il dover specificare che non ci scriveva le sue pene d’amore, poiché non lo disse.

<< L’ho incantato affinché lo possa aprire solo io. >> rispose dopo un breve silenzio.

<< Ti rendi conto che è da psicopatici questa cosa? >> lui mi guardò male << Ossessivi, tra l’altro. >> aggiunsi, facendolo sbuffare. Prese il diario e lo rimise nella borsa, poggiandosela su una spalla.

<< Concentrati sui tuoi, di problemi di psiche. >> mi consigliò prima di aprire la porta. Si bloccò sul posto.

Allungai il collo per vedere oltre lo strato di legno della porta quale fosse il motivo del suo arresto.

<< Riddle. >> disse una flebile voce femminile fuori dalla porta, ma lui uscì e si allontanò, senza salutare ne lei, ne me.

Esther Dorsey entrò nella mia stanza guardando fuori dalla porta, che però si chiuse dietro al ragazzo. La vidi abbassare lo sguardo, con aria mortificata.

Le rivolsi un sorriso gelido, condito da un buongiorno per nulla sincero.

Lei mi guardò con un misto di emozioni negli occhi, probabilmente troppo confusa per capire quale stesse prevalendo in quel momento: se la rabbia nei miei confronti o il dispiacere nei confronti di Tom.

Mi sedetti sul materasso, continuando a fissarla. << Sei venuta qui per un motivo preciso, Esther, o solo perché avevi l’immensa voglia di vedermi? >>

Lei non rispose ed io sbuffai, seccata << So che ti riesce difficile credermi, visto che potrei avere più di un bon motivo per farti ammazzare senza remore. E so anche di non essere una strega, come te. >>

E strega inteso in tutti i sensi..

<< Ma se volessi, riuscirei a farti perdonare dal tizio che è appena uscito dalla stanza senza neanche degnarti di uno sguardo. >> Probabilmente non avevo mai detto una balla tanto grande nella mia vita, ma erano particolari superficiali, anche perché Esther Dorsey non poteva saperlo e io avevo bisogno del suo aiuto.

Lei aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse. Non smisi di fissarla, ma decisi di darle il tempo di pensare, anche se già conoscevo la risposta.

<< Ti aiuterò. >> disse infatti, con voce tremante. All’udire di quelle parole, sfuggì un sorriso vittorioso dalle mie labbra. Ridacchiai e mi alzai, avvicinandomi alla ragazza tanto da sentire il suo respiro sui capelli.

<< Vedo che, finalmente, hai capito chi ha il coltello dalla parte del manico. >> 










**** Angolo Autore

.. Bene ...

Okay, stavolta non so davvero dove andare a nascondermi. Chiedo scusa per il ritardo, non era assolutissimamente mia intenzione lasciarvi in sospeso così a lungo.

La verità è che il 2013 è finito male e il 2014 è cominciato ancora peggio, quindi la voglia di mettermi lì a scrivere ce l'avevo sotto i piedi. Tra l'altro sono abbastanza spaventata dal fatto di star raggiungendo i capitoli del quaderno: essì, proprio così. Sono una persona estremamente masochista, quindi prima scrivo sul foglio e poi ricopio al computer.

La cosa mi porta via un sacco di tempo (e un sacco di voglia), ma mi aiuta molto a schematizzare. Avevo iniziato a pubblicare i capitoli con almeno sei capitoli di vantaggio su carta, ma li ho belli che raggiunti, e ora ho un solo capitolo di distanza. Quindi, nonostante abbia già il tempo ridotto causa secondo quadrimestre, dovrò ritagliarmi uno spazio di giornata in cui dovrò ricominciare a scrivere. 

Detto questo.. che ne pensate? 

La strana reazione di Akemi col diario vi fa venire in mente qualcosa? Anche se no, tranquilli, tutto verràò spiegato più in là. Devono succedere ancora parecchie cose.

Detto questo.. vi saluto e al prossimo capitolo!

Un bacione grande a tutti quelli che mi seguono :)

Rue.

 


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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordicesimo ***


Can't you see that you lie to yourself 
You can't see the world through a mirror 
It wont be too late when the smoke clears 
'Cause I, I am still here 

Everytime I try to make you smile 
You're always feeling sorry for yourself, 
Everytime I try to make you laugh 
You can't 
You're too tough 
You think you're the best 
It was too much that I'm asking for.

              - Too Much To Ask; Avril Lavigne -

 

 

 

 

                                                           

 

                                           

                                                     

                                                     Capitolo Quattordicesimo

 

 

 

 

 

<< Benvenuta. >>

La cordiale e pacata voce del professor Albus Silente mi accolse non appena la porta del suo ufficio si richiuse dietro di me.

Mi guardai intorno, cercandolo. Quando mi accorsi che non era da nessuna parte non riuscii a non aggrottare la fronte.

Diavolerie magiche

Sbuffai tra a me e me, un poco scocciata.

Invece l'insegnante fece semplicemente capolino da dietro un paravento dal colore contestabile.

<< Buongiorno, professore. L'ho disturbata? Non sapevo quando venire, quindi l'ho fatto subito dopo aver ricevuto la sua richiesta di venirla a trovare.. >>

Lui sorrise con tranquillità << No, non mi hai disturbato. Stavo solamente.. rimettendo in ordine un paio di ricordi. >>

Lo guardai un paio di secondi, perplessa. Lui si girò di schiena, cercando qualcosa su uno dei comodini ed io, spinta dalla curiosità, ne approfittai per allungare il collo e vedere cosa ci fosse dietro il paravento. Intravidi una specie di lavandino circolare, di pietra, ornato da piccoli simboli spigolosi; probabilmente rune. All'interno del bacile c'era una sostanza parzialmente liquida, trasparente, che dava molto poco l'idea di essere acqua.

Silente si voltò di nuovo, porgendomi una ciotola d'argento piena di liquirizie. Rifiutai silenziosamente, sorridendo e scuotendo lievemente la testa: dopo la terribile esperienza delle "Gelatine tutti i gusti +1" avevo perso fiducia nelle caramelle magiche.

<< Le.. serviva qualcosa, professore? >> gli chiesi titubante, visto che lui non sembrava intenzionato a iniziare un dialogo.

Su suo invito, mi sedetti sulla sedia di fronte alla sua scrivania.

<< Nulla in particolare, volevo solamente accertarmi che stesse bene. >> il vicepreside appoggiò la ciotola su una pila di libri dalla copertina usurata e le pagine ingiallite, accomodandosi dall'altra parte della scrivania.

<< Certo, sto bene. >> confermai.

Silente tacque per qualche istante, poi sorrise nuovamente << Se è così, ne sono lieto. Invece.. ha per caso ricordato chi l'ha aggredita? >>

Mi trattenni dal fare una smorfia: immaginavo che quella domanda sarebbe arrivata.

<< No. >> strinsi tra le dita le pieghe della gonna, abbassando lo sguardo. Poi mi accorsi di essere stata eccessivamente lapidaria << Purtroppo. >> aggiunsi quindi.

Alzai nuovamente lo sguardo sul professore, che mi stava osservando col suo solito sguardo penetrante e impossibile da decifrare.

<< Il signor Riddle è molto preoccupato per lei. >> impiegai un paio di secondi a capire che non si trattava di una domanda.

<< Anche troppo. >> considerai, a voce alta << è convinto di dovermi stare perennemente appresso perché qualcuno potrebbe magicamente spuntare da un muro e tentare un omicidio! >> mi zittii immediatamente dopo aver fatto quell'affermazione, rendendomi conto che, effettivamente, sembrava un'assurdità solo a me.

Sospirai << Okay, dimenticavo che qui ad Hogwarts potrebbe tranquillamente capitare. >>

Il professor Silente ridacchiò alla mia gaffe.

<< Quel ragazzo è molto difficile da avvicinare. >> disse, facendomi annuire energicamente << Eppure lei ha molto ascendete su di lui. >> aggiunse. Mi lasciai andare ad una risata.

<< Assolutamente no. >> risposi, categorica.

Anche se mi piace farlo credere

<< Sono sicuro di si, invece. Tiene molto conto di ciò che lei dice. >> insistette, con convinzione.

<< Purtroppo devo contraddirla, signore. A lui non interessa ciò che dicono gli altri. >>

Lui restò in silenzio e così feci anch'io.

<< Mi racconti qualcosa di lui >> mi chiese, poi.

Aprii la bocca per rispondere, ma mi bloccai quando un pensiero mi attraversò la mente. Imbronciata, risposi << Se vuole sapere qualcosa su Tom, forse dovrebbe provare a rapportarsi con lui in maniera differente, sicuramente non è andando in giro a chiedere informazioni sul suo conto che conquisterà la sua fiducia. >>

Lui aggrottò le sopracciglia, capendo al volo la mia insinuazione << Credo che lei abbia frainteso.. >>

Mi alzai, leggermente seccata << Professore, sa bene che non ho assolutamente frainteso nulla. Lei è indubbiamente incuriosito da Tom, come è abbastanza normale per chiunque. Ma come le ho già detto prima, è incredibilmente complicato avvicinarlo, tantomeno capirlo, come è comprensibile che lei voglia fare.

<< Bene, posso dirle di essere fermamente convinta che Tom sia, nonostante i suoi atteggiamenti strani ed eccessivamente irritanti, una brava persona. Purtroppo però, causa anche i suoi difficili precedenti, riesce a fidarsi solamente di se stesso. >> conclusi.

Vedendo il sorriso del professore, rimasi confusa. A chiarirmi le idee fu lui stesso.

<< è un sollievo, signorina Aramaki, vedere che nonostante tutto anche il signor Riddle ha qualcuno che tiene a lui veramente. >>

Quell'affermazione mi stupì; sbattei un paio di volte le palpebre, mostrando la mia perplessità e dubitai per qualche secondo che non avessi realmente frainteso le sue intenzioni.

Fu sempre lui a distrarmi da quel gomitolo di pensieri che aveva iniziato ad avvolgermi << Comunque, non vorrei tediarla oltre con i miei noiosi discorsi. >>

Gli sorrisi, grata << Nessun problema e nessun discorso noioso, signore. Ma se non le dispiace.. >> lasciai la frase in sospeso, ma lui capì comunque.

<< Certo, certo. E.. nel caso avesse bisogno di qualcosa, non si faccia problemi a chiedere aiuto. >>

Feci un breve cenno di assenso con la testa e mi affrettai nel lasciare l'ufficio, a metà tra il confuso e l'imbarazzato.

Quando sentii la porta alle mie spalle chiudersi, tirai un sospiro di sollievo, ma il dubbio che lui conoscesse tutta la storia cominciò ad avvolgermi.

Scrollai la testa, iniziando a camminare: non era possibile che ne fosse a conoscenza, gli unici due  a sapere di tutta quella storia erano Tom ed Esther, ed Esther non avrebbe mai potuto dire nulla senza poi dover spiegare di aver tentato di affogarmi.

<< Ohi Lady! >> mi sentii chiamare, una volta arrivata nel freddo covo delle serpi.

<< Che vuoi, Edgar? >> mi resi conto di aver usato un tono eccessivamente brusco solo dopo aver parlato, ma Edgar non disse nulla, probabilmente abituato ai repentini cambi d'umore di Tom.

<< Cerchi Riddle? >>

<< In realtà no. >> non ricevendo risposte, riformulai la domanda, stavolta con un tono meno brutale << Ti serve qualcosa? >> 

 

<< Un po' di compagnia. >> disse. Mi bastò spostare lo sguardo per capire la sua affermazione: Druella era comodamente sistemata sulle gambe di Cygnus Black, la schiena poggiata al bracciolo della poltrona. I due stavano scambiandosi effusioni affettuose, lasciando il povero Edgar Rosier solo è ignorato.

Scoppiai a ridere, richiamando l'attenzione della ragazza che, a sua volta, lanciò un sorriso sornione al fratello.

Mi lasciai cadere sul divano accanto al ragazzo << Se andassi a raccattare Olivia sarebbe contenta. È nella tua stessa situazione. >>

<< Quella svampita della Bulstrode? Per carità. >>

<< Liv non è svampita! >> la difese Druella.

Il fratello scrollò le spalle << E comunque si sarà imboscata da qualche parte nel castello, quindi cercarla equivarrebbe a girarsi mezza scuola a vuoto. >> si giustificò dopo.

<< Un po' di attività fisica non ti farebbe male, tantomeno una passeggiata. >> lo rimbrottò lei, facendolo sbuffare pesantemente e alzare gli occhi al cielo. Ridacchiai alla sua reazione. Edgar poggiò i gomiti sulle ginocchia, poi voltò un po' la faccia per guardarmi.

Lo osservai con aria interrogativa, ma lui aspettò qualche secondo prima di parlare.

<< A proposito della Bulstrode.. Prima l'ho sentita dire che tu sei nell'esercito, quello babbano. È vero? >>

<< Mmh.. Si. >> risposi io, con poca convinzione, tanto da spingerlo a chiedermi se lo stessi prendendo in giro.

<< No, è la verità. >>

<< Non sembravi molto convinta prima, però. >> incalzò, sospettoso.

<< Perché è complicato. Non è che io faccia parte dell'esercito nel senso che vado a combattere. >>

<< Se non combatti.. Cosa fai? >> domandò stavolta Cygnus, confuso.

<< Beh, tutte le crocerossine entrano automaticamente a farne parte. Ad esempio, io sono sottotenente, che sarebbe il grado minimo, ma la mia amica Roxanne è un'Ispettrice di Comitato. >>

<< Ispettrice di che? >> Druella si corrucciò.

<< Ispettrice di Comitato: capitano. >>

Druella, però, continuava ad avere una faccia poco convinta << Ma sono anni che lavori lì! Perché hai il grado minimo? >>

Sospirai << Perchè prima ero sotto i sedici anni, quindi rimanevo un'allieva volontaria. In teoria nel mondo babbano non si potrebbe lavorare sotto i sedici anni, ma con la situazione che abbiamo avuto in questo periodo, ci sono molte che, come me, hanno iniziato prima. >>

<< Che casino. >> commentò Edgar, facendomi ridere e concordare appieno.

Ci fu qualche minuto di silenzio.

<< Edgar.. Che mi dicevi prima di Tom? >>

Rosier mi guardò, confuso << Non lo so, che dicevo di Riddle? >>

<< Dov'è. >> gli ricordai.

<< Non lo so, l'ultima volta che l'ho visto era in corridoi che parlava con Esther. >>

<< Esther? >> domandai ancora, convinta di aver capito male.

<< Si, Esther. >> Edgar alzò un sopracciglio, stranito dal mio comportamento.

<< Ma Esther Dorsey? >> domandai ancora, facendolo sogghignare << Beh, quante Esther conosci? >> mi chiese retorico.

Ma che..

<< La signorina Aramaki è qui? >> Le poche persone presenti nella sala comune si girarono a guardare la goffa e paffuta figura del professor Lumacorno.

..diavolo sta succedendo?

Completai il mio pensiero, alzandomi e avvicinandomi << Cosa posso fare per lei? >>

<< Mi segua nell'ufficio del preside. >>

Non feci domande, ma non ci stavo capendo nulla.

Non era sicuramente la prima volta che il preside Dippett mi chiedeva di raggiungerlo, ma era sempre per puri scopi burocratici riguardo ai documenti del mio libero accesso alla scuola. Però quella volta mia madre mi aveva assicurata di aver già sistemato tutto in precedenza.

Quando entrai nell'ufficio, capii immediatamente quale fosse l'aria e mi richiusi la porta alle spalle. Lumacorno non entrò insieme a me, restando fuori.

Il preside era seduto dietro la sua scrivania, mia madre e il professor Silente erano ognuno ai lati della stanza e, al centro, davanti al preside e di spalle a me, riconobbi Esther Dorsey.

<< Akemi. >> mi chiamò mia madre, indicandomi di andare accanto all'altra ragazza che, intanto, si era girata verso di me.

Guardando mia madre indicarmi con aria autoritaria cosa fare, mi ritornò in mente quando ero piccola e mi diceva di andare a salutare il nonno, persona che mi aveva sempre fatto paura. Erano passati sei anni da quando l'avevo visto l'ultima volta.

Mi avvicinai lentamente, sentendo il rimbombo dei bassi tacchi dei miei mocassini sul duro pavimento di marmo.

<< Signorina Aramaki >> cominciò il preside facendo una pausa per poi alzare il palmo verso l'altra ragazza << la qui presente signorina Dorsey mi ha chiesto di essere espulsa dalla scuola. >>

Corrugai le sopracciglia, lottando per non guardare Esther. Mi mossi sul posto << E.. Perché? >> chiesi dopo qualche secondo di silenzio, avendo capito che nessuno intendeva far altro se non ascoltare la mia risposta.

<< Speravo me lo dicesse lei. >>

A quel punto non potei non lanciare uno sguardo esterrefatto a Esther che, sull'orlo del pianto, sussurrò << Smettila! Diglielo e basta. Non c'è bisogno che tu mi copra. >>

Aprii la bocca per replicare, ma non riuscii a formulare nulla di sensato, così la richiusi, continuando ad alternare lo sguardo su tutti i presenti.

Ero confusa e non riuscivo a comprendere l'improvvisa redenzione della ragazza.

<< É vero che è stata lei ad aggredirla? >>

Feci per ripetere di non ricordarlo, ma a quel punto capii che sarebbe stato del tutto inutile. Abbassai lo sguardo << È la verità, signore. >> risposi infine << Ma è stata una mia scelta quella di non dire nulla. >>

Calò il silenzio sulla stanza per lunghi minuti, poi mia madre lo interruppe.

<< Preside Dippett, quella ragazza é pericolosa. Adesso potrà anche sembrare dispiaciuta delle sue azioni, ma cosa le impedirà, la prossima volta, di farlo ancora? Sono del parere che vada espulsa. >>

<< Mamma, non c'è bisogno di arrivare a tanto.. >>

<< Stai zitta Akemki, non sai quello che dici. >> rispose, sibilando.

<< Signorina Aramaki, non è per contraddirla, ma sua madre ha ragione. Va preso un provvedimento adeguato. In più, anche la signorina Dorsey si è resa conto di quanto ciò che ha fatto sia grave e ha chiesto di essere mandata via. >>

<< Ma.. >>

<< Sono piacevolmente sorpreso dalla sua bontà d'animo e la sua prontezza a perdonare, signorina. Ma la mia decisione è stata ormai presa. >>

Detto questo, il preside si alzò e uscì dalla stanza, seguito da Josephine.

Ester fece per seguirlo, ma io la presi per un braccio. Lei si voltò, guardandomi con rabbia

<< L'accordo era diverso, Aramaki. >> sibilò, anche per non farsi sentire da Silente, che era restato nella stanza.

Mi ci volle poco per mettere insieme i pezzi.          

"L'ho visto in corridoio, che parlava con Esther" aveva detto Rosier.

"L'accordo era diverso"

<< Davvero credevi che avessi il potere di farlo? >> sussurrai alla ragazza, scoppiando poi a ridere << Esther come sei ingenua.. La mente umana non si può manipolare così facilmente, tantomeno quella di Tom. >> le lasciai il polso e lei si allontanò di scatto.

<< Sarai contenta, ora che ti sei presa la tua vendetta, vero? >> mi chiese. Scrollai le spalle e continuai a guardarla. Quando capì che non avrei risposto si girò, uscendo dall'ufficio di Dippett.

Certo che ero contenta, anche se non era esattamente quello, il modo in cui avrei voluto prenderla. Sospirai, senza un motivo, preciso, voltandomi verso il professore rimasto nella stanza. Lo vidi osservarmi, pensieroso.

<< Come mai non ha detto nulla? >> chiese.

 

Dopo un breve silenzio risposi semplicemente << Non ne sarebbe valsa la pena. >>











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Capitolo 15
*** Capitolo Quindicesimo ***


Sometimes you think you'll be fine by yourself
Cause a dream is a wish that you make all alone
It's easy to feel like you don't need help
But it's harder to walk on your own
When you realize
From beginning to end
When you have a friend
By your side
 

You'll change inside
 
The world comes to life

And everything's bright
            - Gift of a Friend; Demi Lovato -
                       
                                   
                                                                        Capitolo Quindicesimo

Quando arrivai nella Sala Comune dei Serpeverde non dissi nulla; non ne avevo bisogno.

Scorsi Tom, seduto in un angolo per conto suo, alzare lo sguardo nella mia direzione e, chiudendo il libro che aveva in mano e raccogliendo la borsa da terra, si alzò, per poi venirmi incontro.

Non mi fu difficile capire che stava attendendo il mio ritorno.

Mi avviai nella mia camera. Consapevole che lui mi avrebbe seguita, o quantomeno raggiunta, non mi preoccupai di aspettarlo: dopotutto conosceva la strada meglio di me, visto che io riuscivo a perdermi anche nel castello.

Entrai nella stanza e passarono una manciata di secondi finché non sentii la porta aprirsi e richiudersi nuovamente, lasciandomi da sola con Tom Riddle.

Mi girai di scatto nella sua direzione e, ancora indecisa tra ucciderlo o ammazzarlo di botte, feci per parlare, ma lui mi interruppe, facendomi innervosire ulteriormente e lasciandomi insoddisfatta per non aver potuto parlare.

<< “Sei uno stronzo.” >> disse, con tono annoiato << Era quello che stavi per dirmi, giusto? >>

Lasciò la borsa sulla sedia e si andò a sedere sul mio letto, accavallando le gambe.

<< Sei prevedibile, Akemi. >> infierì.

Senza ancora aver aperto bocca, gli diedi le spalle, iniziando a percorrere avanti e indietro la stanza con grandi falcate, tentando - inutilmente - di calmarmi.

Ad un certo punto mi bloccai, per evitare che deridesse anche il mio essere peripatetica.

La mia mano scattò, fulminea, verso destra, afferrando la prima cosa che le capitò a tiro - in quel caso, un libro - e lo lanciò in direzione del ragazzo che, però, lo schivò per un soffio.

<< MI HAI ROTTO LE PALLE, TOM! >> urlai, afferrando un cuscino dalla poltrona e lanciandogli anche quello. Il secondo tiro andò a segno; presi un altro cuscino e mi avvicinai a lui, picchiandolo con la mia improvvisata arma e costringendolo a poggiare la schiena al materasso.

<< Tu sei completamente fuori di testa. >> commentò, ma l'unica cosa che trasparì da quell'affermazione fu irritazione.

Alla fine riuscì a bloccarmi i polsi facendomi perdere l'equilibrio; cascai in avanti, quasi completamente addosso a lui.

Cercai di divincolarmi, ma la sua presa era ferrea.

<< Te lo avevo chiesto per favore! >> ringhiai a un palmo dal suo viso, abbassando il tono di qualche decibel. Lui si alzò a sedere, facendomi scivolare verso il pavimento. Fui costretta a puntare le ginocchia sul tappeto per non cadere all'indietro, ma restavo comunque in una posizione piuttosto scomoda a causa dei polsi innaturalmente tesi vicino al suo viso. << Mi pareva di aver capito che ti saresti fidato e che mi avresti lasciato fare, ma invece no, per carità! Perché dovrei farmi gli affari miei quando posso sempre essere in mezzo a quelli altrui?! >> finsi di imitare la sua voce, incupendola e borbottando.

All'ennesimo tentativo riuscii a liberarmi, ma non mi allontanai. Gli puntai un indice al petto << Era un problema mio, me lo sarei risolta da sola. Solo che tu pensi, per non so quale delle tue innumerevoli pare mentali, che io abbia bisogno di qualcuno che badi a me!

<< Perfetto, chiariamo questo punto: sono una persona relativamente adulta, so prendere le mie decisioni da sola e capire cosa è meglio o no per me senza nessuno che rompa le palle. Fatti.. una.. vita! >> lo dissi quasi con cattiveria. Evidentemente la cosa stupì anche me: il concetto che volevo esprimere, alla fine, era sfociato in uno sfogo assolutamente insensato.

Mi alzai, allontanandomi da lui di scatto. Strinsi le braccia al petto, voltandomi, e mi avvicinai con calma alla finestra.

Nessuno dei due emise un suono. Non fossi stata arrovellata nei miei pensieri, mi sarei chiesta a cosa invece stesse pensando lui. Invece ero lì, affacciata alla finestra, guardando senza attenzione la neve appiccicarsi agli angoli della bifora vetrata e ripensando a quello che avevo detto.

Ero stata ingiusta con Tom; alla fine lui si era semplicemente preoccupato per me e non mi aveva vista reagire in modo effettivamente concreto all'aggressione di Esther. Forse aveva temuto un mio ripensamento o esitazione, forse non mi aveva creduto forte abbastanza.

Mi lasciai sfuggire un suono, a metà tra lo sbuffo e il sospiro.

<< Hai finito? >> chiese lui seccato, dopo qualche minuto di silenzio.

Annuii debolmente, mentre mi giravo. << Scusa. >> borbottai, controvoglia.

Vidi nei suoi occhi lampeggiare un'espressione stupita, ma scomparve così velocemente che, se non l'avessi conosciuto, avrei creduto di essermela immaginata. Evidentemente non erano delle scuse, quelle che si aspettava. Probabilmente aveva pensato che gli avrei chiesto di lasciare la stanza, o che l'avrei fatto io.

Mi tirai dietro l'orecchio una ciocca di capelli sfuggita alla coda di cavallo.

<< Sono stata egoista. Dopotutto sei un Prefetto, era tuo dovere fare ciò che hai fatto; io neanche avrei dovuto chiedertelo, probabilmente. >>

Mi fissò per un lungo momento, ma io non cercai di capire a cosa diamine stesse pensando perché sapevo perfettamente che sarebbe stata fatica sprecata.

<< Stavi correndo il pericolo che ti facesse di nuovo male. >> mi fece notare con tono obiettivo, come se la cosa non lo riguardasse.

<< Nah.. >> scrollai le spalle << Non è così intelligente. >>

Tom si alzò, prese la borsa dalla sedia e fece per uscire. A bloccarlo fu il mio commento all'eccessiva voluminosità della borsa.

<< Sono le informazioni che aveva trovato Dorsey. Me le ha date prima di andare via. >> mi spiegò.

Aggrottai la fronte << E perchè le ha date a te? >>

<< Le ho detto che te le avrei consegnate. >>

Ma, ovviamente, non lo fece, e uscì dalla mia camera da letto.

 

***********

 

Nei giorni successivi si parlò molto di quello che era capitato a Esther Dorsey, ma pochi furono realmente dispiaciuti della sua dipartita.

"Più che lei, ci mancherà il suo davanzale." Aveva commentato Rosier, guadagnandosi una gomitata in pieno stomaco dalla sorella.

Il Natale arrivò più lentamente del previsto, ma con sollievo della mia povera testa che rischiava pericolosamente di andare in surriscaldamento e smettere di funzionare una volta per tutte: Tom mi aveva messa al lavoro sui documenti procurati dalla ragazza espulsa e io, che ero più masochista di quanto fosse sadico lui, ci passavo le intere giornate, arrovellandomici e cercando indizi inesistenti.

Quella mattina mi svegliai un po' prima del solito - ma comunque di buon umore - sapendo che l'apertura dei regali si sarebbe svolta in camera mia, come ogni anno, ma volevo aprire il regalo dei Pevensie per conto mio.

Fui piacevolmente sorpresa quando, aprendolo, vi trovai un orologio da taschino.

All'esterno era semplice ma, aprendolo, si scopriva una fessura trasparente al centro del quadrante, che mostrava parte degli ingranaggi.

Mi resi conto di averlo ammirato fin troppo quando Tom bussò alla porta. Lo richiusi, infilandolo tra le vesti nella valigia. Non mi andava di far pesare ulteriormente al ragazzo il fatto che fossi praticamente l'unica a fargli dei regali.

<< Buon Natale, Tommy! >> cinguettai, aprendo la porta.

Lui si limitò a lanciarmi un'occhiataccia, per poi entrare e sprofondare nella poltrona.

<< Odio il tuo buonumore natalizio. >> grugnì, ancora assonnato.

<< Tu odi tante cose Tom, specialmente se mi riguardando. >> replicai, senza perdere il sorriso.

Rovistai nella valigia, tirandone fuori il regalo per lui, impacchettato con un'allegra carta natalizia decorata con una coccarda di nastro dorato.

Glielo porsi saltellando << Buon Natale! >> dissi ancora.

Lui prese il regalo, quasi controvoglia, e lo guardò con aria schifata << Sul serio? I colori dei Grifondoro? >> chiese scettico.

<< Beh, mica è colpa mia se quelli sono i colori del Natale. >>

<< Altro motivo per cui è da considerare una festività detestabile. >>

<< Buon Natale. >> ripetei ancora, stavolta con tono minaccioso.

Lui sbuffò << Non ho mai capito perché a te piace così tanto, invece. >>

Sorrisi di nuovo e feci una teatrale piroetta sul posto << Perché è Natale! >> assunsi un tono da bimba << E a Natale sono tutti più buono e ci sono tanti colori e si festeggia tutti insieme, con la famiglia e con gli amici, la nascita di Cristo e perché è la festività dei dolci e dei regali. >> elencai, tuffandomi nell'altra poltrona.

Lui alzò gli occhi al cielo << Sembri una ragazzina; fai così tutti gli anni. >>

Ignorai la sua acida considerazione e iniziai a sbattere le mani si braccioli, incitandolo ad aprire il regalo.

<< Scacchi. >> notò dopo averlo aperto.

<< Sacchi magici! >> precisai con tono saccente.

Si rigirò gran parte delle pedine tra le mani, osservandole attentamente << Grazie >> bofonchiò alla fine.

<< Grazie?! Voglio un bacio! >> mi lamentai scherzosamente.

<< Scordatelo. >> rispose lui, naturalmente.

<< Ma è Natale.. >> cercai di convincerlo, invano. Sbuffai, fingendomi offesa e mi alzai, lanciandogli un secondo pacchetto, che lui prese al volo.

<< Cos'è? >> domandò, incuriosito.

<< Te lo manda Kora.. la mia elfa domestica, sai. Ogni tanto le scrivo e quest'anno ha pensato di fare un regalo anche a te. >> spiegai.

<< Le hai raccontato di me? >>

<< Certo che si, sei il mio fratellino preferito. >>

<< Non sono tuo fratello. >> disse, seccato. Ridacchiai senza rispondere.

<< Cos'è? >> chiese ancora. Sbuffai << Un maglione. Lo stai tenendo al contrario, scemo. >>

Mi guardò male al mio appellativo, ma lo mise nel verso giusto.

<< È molto.. verde. >> sentenziò.

<< Beh si deve arrangiare. Non la pagano mica. >> dissi, infilando il regalo che invece aveva fatto a me: uno scalda-collo blu con motivi a fiocchi di neve bianchi.

Tom lo indicò << Sicuramente ci si è impegnata di più. >> constatò, facendomi ridere.

<< Certo che ci si è impegnata di più: sono o no la sua padroncina? >>

Quando scendemmo per colazione mi arrivò un gufo da parte delle sorelle Pevensie, che mi ringraziavano da parte di tutti per i "graditissimi" regali.

Scrissi loro una lettera di risposta, in cui li ringraziavo a mia volta per il meraviglioso orologio. Mi stupii non poco quando mi arrivò un secondo gufo con un pacchetto.

Lessi il biglietto che lo accompagnava e non potei non sorridere.

 "Non è giusto che tu abbia dovuto fare cinque regali e riceverne solo uno.

Ti ringrazio per la torcia: ti sei ricordata che l'avevo dimenticata a Narnia!

Ti auguro un buon Natale,

Edmund.

Ps: Torna presto"

 

 Sorrisi, piacevolmente sorpresa. Io mi ero ricordata la torcia e lui delle mie mani perennemente gelide, regalandomi dei guanti di pelle neri con l'interno rivestito in lana.

 

<< Quindi si chiama Edmund il ragazzo di Em.. >> commentò maliziosa Olivia, seduta accanto a me, sventolando il biglietto.

Avvampai, recuperandolo dalle sue dita << Liv! Ma cosa dici? Quante volte ti devo dire che non è il mio ragazzo? >> ero imbarazzatissima, soprattutto per l'occhiata d'intesa che si lanciò con Druella.

<< Ma come, Lady? Tradisci il capo in questa maniera? >> sghignazzò Cygnus, facendo ridere anche Edgar. Smisero immediatamente quando si accorsero della presenza di Tom alle loro spalle.

Lui non disse loro nulla, assolutamente disinteressato alle loro chiacchiere, lanciò invece a me un'occhiata strana.

Olivia si sporse all'orecchio di Druella, dicendole qualcosa che la fece ridacchiare. Tom mi si avvicinò, chiamandomi.

<< Vieni. >> mi disse.

Lo guardai interrogativa e, alzandomi, recuperai le mie cose dal tavolo.

Salutai rapidamente le ragazze prima di seguire Tom << Dove stiamo andando? >> gli domandai.

<< Il mio regalo è un po'.. problematico. >> rispose.

<< Devo preoccuparmi? >>

<< Dipende da cosa stai pensando che io ti abbia regalato. >>

Alzai gli occhi al cielo e velocizzai il passo, cercando di stargli dietro << Potresti essere meno pragmatico, per cortesia? >>

Come avevo previsto, lui non rispose << Certo che no! >> mi risposi, quindi, da sola << Sarebbe poco coerente con l'immagine tetra e misteriosa che dai di te. Sono fermamente convinta che ci rimarrebbero tutti molto male nello scoprire che in realtà sei un idiota di prima categoria con tendenze comportamentali simili a quelle di un ragazzino di cinque anni. >>

Tom si fermò bruscamente, visibilmente scocciato dal mio sproloquio. Si mise dietro di me, prendendomi per le spalle e spingendomi verso in avanti.

<< Piantala di parlare da sola e cammina. >>

<< Veramente stavo parlando con te, ma probabilmente neanche mi stavi ascoltando, come al solito. >>

<< Purtroppo si, ti stavo ascoltando. Mi sono persino chiesto cosa penserebbero di te i tuoi amici se ti sentissero dar sfoggio a tutta questa acidità. Poi, però, mi sono reso conto che non mi interessa. >>

Feci un verso stizzito << Ti dispiacerà sapere, Tom, che loro già conoscono perfettamente la mia acidità, e l'hanno accettata senza fare storie. >>

Tom borbottò contrariato << Io invece no, eh. >>

Ridacchiai senza replicare.

Mi portò in un'aula vuota, vicino ad un pergolato che recintava uno degli spazi aperti della scuola. Entrati dentro, mi guardai intorno, alla ricerca di qualcosa che potesse somigliare ad un "regalo problematico".

Il ragazzo mi disse di aspettare, sempre con quel suo tono brusco che faceva sembrare ogni sua richiesta un ordine. O probabilmente era davvero inteso come un ordine, ma poco m'importava; ero più che abituata ai suoi contestabili modi di fare.

Tom si avvicinò alla cattedra dall'altra parte della stanza e, piegandosi sulle ginocchia, vi scomparve dietro.

<< Vuoi un mano? >> domandai quando lo sentii soffocare un'imprecazione tra i denti. Sorrisi sorniona quando ricevetti un prevedibile rifiuto alla mia offerta.

Tom Riddle poteva vantare, forse, la miglior faccia da Poker del pianeta, poteva vantare freddezza e misantropia a livelli eccessivi, ma dopo sei anni che lo conoscevo e dopo essere stata scelta da lui stesso come sua confidente - con criteri a me sconosciuti - non poteva pretendere che io non lo conoscessi o capissi almeno un po'.

Riemerse con una scatola di cartone tra le mani e con i pantaloni sporchi di polvere all'altezza delle ginocchia. La scatola non aveva grosse dimensioni, ma neanche piccole: era, più che altro, profonda.

<< Girati. >>mi ordinò, quasi ringhiando. Sospirai, rassegnata ai suoi modi tutt'altro che cavallereschi, e mi voltai in direzione della porta. Mi raggiunse in pochi secondi e appoggiò la scatola su un banco alla mia sinistra.

Mi voltai di nuovo, mettendomi dietro la scatola.

<< Cos'è? >> domandai circospetta, alternando lo sguardo da lui alla scatola e viceversa.

A giudicare dall'espressione che fece, la mia domanda era stata molto stupida.

<< Apri e scoprilo. >>

Poggiai i palmi aperti sul coperchio della scatola, con solennità, come se con quel gesto potessi percepirne il contenuto. Ovviamente non potevo, così avvicinai anche l'orecchio.

All'espressione divertita di Tom, mi raddrizzai, togliendo le mani dal coperchio.

<< Ma tu sei sicuro che posso aprirla? >>

A quella domanda del tutto insensata, il ragazzo alzò gli occhi al cielo.

<< Per Morgana, Akemi! Apri quella scatola e stai zitta. >> esclamò, esasperato.

Con lentezza estenuante - la verità era che vedere Tom innervosirsi mi divertiva moltissimo - alzai il coperchio del cartone, trovandomi davanti ad una delle ultime cose che mi sarei mai aspettata che Tom mi regalasse.

Boccheggiai, senza riuscire a formulare una frase di effettivo senso compiuto, alla fine optai per un semplice "Oddio".

Il problematico regalo di Tom era accovacciato in un angolo della scatola, non molto differente da una pallina pelosa nera, che mi fissava con degli enormi occhi azzurri.

Coprii il mio sorriso con i palmi delle mani, continuando a fissare il gatto, che decise di miagolare, come per comunicare qualcosa.

Alzai lo sguardo su Tom, che stava infilando le mani della scatola per tirare fuori quel coso minuscolo. Solo quando lo sistemò sul banco, mi azzardai a toccarlo.

<< Ma sei bellissimo. >> sussurrai all'animale quando, grattandolo lievemente dietro l'orecchio, allungò il collo, socchiudendo gli occhi.

<< È femmina. >> specificò Tom.

<< Ce l'ha già un nome? >> gli chiesi.

Tom annuì << Eponine. >>

Sorrisi al chiaro riferimento a uno dei miei libri preferiti, "I Miserabili" << Come Eponine Thenardier. Sai che è il mio personaggio preferito? >>

<< Lo sospettavo: hai sempre avuto un debole per i personaggi infelici. >>

Ridacchiai << In quel libro sono tutti infelici, Tom. >>

<< Touché >> dovette ammettere lui, scrollando le spalle.

<< Non ti facevo un tipo da gatti. >> gli dissi.

<< Infatti. In realtà non è che mi facciano impazzire gli animali, ma trovo che i rettili abbiano un certo fascino. >> disse lui. Mi ritornò alla mente il libro che stava leggendo quando ero arrivata, proprio sui rettili, sorrisi.

<< Sei proprio una Serpe. >> commentai, riferendomi alla sua casata d'appartenenza.

<< Comunque il regalo era per te, e tu mi sembri un tipo da gatto. >> corrucciò la fronte << La puoi tenere al dormitorio? >> mi chiese poi.

Sospirai << No, ma sei fortunato: vado a vivere da Roxanne mentre cerco casa. >>

<< Credevo dovessi aspettare la maggiore età per affittare o comprare casa. >>

<< Infatti. >> risposi, poi sorrisi, soddisfatta << Ho parlato con mio padre e lui ha miracolosamente acconsentito a firmarmi il contratto. Ovviamente dovrò pagare con i miei soldi, ma è una vita che li metto da parte, quindi dovrebbero bastare. Non è che vado a cercarmi chissà quale casa costosa, per quanto mi riguarda anche un monolocale va più che bene. Tra l'altro Ser padre ha accettato anche a consegnami i soldi della dote. >>

<< Hai avuto fortuna. >> commentò Tom, io ridacchiai.

<< La verità è che mio padre è un po' più morbido. Lui non è come mamma, non mi odia così tanto da negarmi le cose per rendermi la vita un inferno: lui mi odia e basta, quindi meno mi vede o sente meglio è, così ha acconsentito e mi ha tolta dalle scatole. >> sospirai << Per quanto riguarda la dote, mi sono stupita che ne avessi una, ma poi ho intuito che, evidentemente, contavano di affibbiarmi a qualche poveretto. Così almeno ho tolto loro il disturbo. >>

Tom annuì << Hai nominato tuo padre, ma Josephine lo sa? >>

Lo guardai mentre osservava Eponine giocherellare con le mie dita e sorrisi << Sicuramente le avrà detto tutto. Ma è comunque lui a occuparsi di affari di questo genere. Di mia madre non me ne frega niente. >>

 

 

 

****Angolo Autore

Eccomi tornata con il nuovo capitolo!

Bene, bene. Che dire? Nello scorso capitolo non appariva per niente Tom.. a volte anche io ho bisogno di una piccola pausa da lui :') 

Vi mancano i Pevensie? Personalmente mi mancano un po', ma bisognerà pazientare. 

Mentre scrivevo questo capitolo, stavo ascoltando le canzoni del musical "Les Miserables" e, arrivata al pezzo del gatto, è stato più forte di me. Non ce l'ho fatta a non chiamarla Eponine che, per inciso, è anche il mio personaggio preferito.

Il terrore che ho avuto, scrivendolo, è stato quello di mandare completamente OOC Tom. In realtà è un terrore che ho sempre, ma in particolare qui.

Okay, credo di aver finito.. se avete qualche dubbio, qualche domanda o volete semplicemente dirmi cosa ne pensate, le recensioni sono apprezzatissime.

Ringrazio, come al solito, tutti i lettori/lettrici (non so perchè ma ho il brutto vizio di dare per scontato che tutti gli utenti di EFP siano femmine xD), specialmente a ukuhlushwa e a Kirlia.

Un bacio, 

Rue :)

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Capitolo 16
*** Capitolo Sedicesimo ***


No matter what we breed
We still are made of greed
This is my kingdom come
This is my kingdom come
When you feel my heat
Look into my eyes
It’s where my demons hide
It’s where my demons hide
Don’t get too close
It’s dark inside
It’s where my demons hide
                   - Demons; Imagine Dragons -
                                               
                                                              
                                                             Capitolo Sedicesimo
Mancava poco tempo a Capodanno e, quindi, al compleanno di Tom.

Purtroppo io non avrei potuto parteciparvi, perchè sarei partita prima. Non avevo alcuna voglia di partire e tornare a lavoro e, per quanto a Hogwarts non ci fosse molto da fare, funzionava molto bene come “Giardino Zen”. Almeno finchè non fossero tornati tutti gli studenti, allora si che sarebbe stato caotico.

 

A smorzare un po' il disappunto per il ritorno alla vita normale, c'era l'eccitazione di andare a vivere da Rox. Poteva sembrare sciocco essere così contenta per una cosa del genere – o almeno questa era l'opinione di Tom – ma era una nuova esperienza per me ed il passo più vicino all'indipendenza che avessi mai fatto.

Non che fossi poi molto “dipendente” dai miei genitori, si trattava più che altro di un'indipendenza psicologica.

 

In proposito ai miei genitori, Tom mi aveva svelato di essere rimasto piuttosto confuso dal comportamento di mia madre riguardo l'aggressione che avevo subito dalla Dorsey.

Dal suo comportamento era sembrato che fosse davvero preoccupata per quello che sarebbe potuto succedermi in seguito e quindi aveva tanto insistito perchè la ragazza venisse espulsa.

 

Avevo dovuto spiegargli che la sua non era reale preoccupazione, ma quello che persone come Dippett o Silente si sarebbero aspettate da una madre per una figlia, quindi aveva fatto la parte della madre apprensiva. Tra l'altro, se realmente la Dorsey fosse rimasta e avesse tentato di nuovo di farmi del male, la cosa si sarebbe sicuramente venuta a sapere e Josephine non voleva assolutamente scandali nella sua famiglia.

 

Sbuffai sconsolata, lasciandomi cadere su una delle morbide poltrone della mia camera. Fissai con astio la valigia spalancata a pochi metri dai miei piedi che sembrava essere scoppiata: il suo contenuto era per gran parte riversato sulla moquette o gettato sul letto, il resto era ancora nella valigia, ma completamente disfatto.

 

Passai una mano sulla fronte, tirando indietro i capelli ancora umidi per il bagno che avevo fatto poco prima. Socchiusi gli occhi, appoggiando la nuca allo schienale imbottito e mi lasciai sfuggire un pesante sospiro.

 

Vidi Eponine saltare sull'altra poltrona e guardarmi con aria incuriosita. Miagolò.

 

<< Ti odio, 'Ponine. >> dissi, come se con quel miagolio mi avesse detto che avrei dovuto vestirmi. Il gatto scrollò la testa e sbadigliò, accoccolandosi su se stessa.

 

Riportai lo sguardo nel vuoto.

 

Nel silenzio più totale i lievi rintocchi dell'orologio a dondolo della stanza mi rimbombarono nella testa. Voltai lo sguardo verso l'oggetto e non riuscii a soffocare un'imprecazione: le otto e mezza.

Come se mi avessero letto nel pensiero, qualcuno bussò alla porta.

 

Mi alzai, stringendomi nella vestaglia, e mi diressi verso l'origine del rumore. Aprii uno spiraglio di pochi centimetri per controllare chi fosse. In realtà già lo sapevo, però dovevo controllare. Richiusi la porta.

 

<< Non entrerai. >> decisi, appoggiando la schiena alla porta.

 

<< Non fare la ragazzina, Em! Fammi entrare! >>

 

<< No >>

 

<< Giuro che schianto la porta. >> continuò la voce bussando con violenza << A..ke..mi!! >> urlò.

 

Alla fine mi arresi, perchè sapevo che rischiavo di fargliela sfondare sul serio con uno schiantesimo, così mi spostai e lasciai entrare Druella controvoglia.

 

<< Taci. >> le intimai prima che potesse aprire bocca e commentare il casino della mia stanza. Infatti la vidi guardarsi attorno con aria inorridita, ma fece come le avevo chiesto.

 

<< Non ti sei ancora preparata! >> mi accusò.

 

<< Sei in anticipo >> tentai inutilmente di giustificarmi.

 

La ragazza, infatti, mi lanciò un'occhiata scettica. Sbuffai << Non rompere, Ella. Io neanche ci volevo venire a questa stupida festa di Natale. >> Incrociai le braccia al petto, osservandola nel suo lungo vestito azzurro. Era accollato davanti ma scollato sulla schiena, le maniche larghe e lunghe scendevano fino alle ginocchia.

Le stava davvero bene e, fosse stato più scuro, le avrebbe reso una seria aria da strega.

 

Beh, almeno è azzeccato..

 

<< Non ho idea di cosa mettermi, tra l'altro non è che sia propriamente fornita di abiti eleganti.. >>

Lei scrollò le spalle << Non sei mica obbligata a vestirti elegante, sai? >>

 

Alzai un sopracciglio, con palese scetticismo. Lei capì il sottointeso e sospirò << D'accordo, saranno tutti eleganti, ma non ci credo che tu non abbia nulla di adatto. Che poi se me lo avessi detto prima ti avrei prestato qualcosa io! >>

 

<< Già peccato che Tom abbia deciso di invitarmi tre ore fa! Io avevo sperato che quest'anno mi avrebbe graziata.. >>

La maga sbuffò alle mie lamentele, sfoderò la bacchetta e la puntò sulla massa di vestiti sparsa per la stanza.

Borbottò una qualche formula e tutti gli indumenti presero a piegarsi da soli, sistemandosi ordinatamente sul letto.

 

<< Comodo.. >> mormorai, pensando a quanto ci volesse poco per un mago riordinare la propria stanza.

Ella si avvicinò al letto, passando in rassegna tutti i vestiti in mio possesso.

 

<< Sicuramente non puoi metterti i mocassini, quindi per esclusione prendi le scarpe nere. >> disse, indicandole. Dopo un po' arrivò la sentenza << Quello. >> decise. Prese il vestito rosso che mi aveva regalato Beth e me lo passò.

Non osai protestare ed iniziai a vestirmi.

 

Quel vestito era i Beth quando era ancora adolescente, poi però le spiaceva buttarlo perchè non le stava più, quindi lo aveva regalato a me.

Era rosso bordeaux, di velluto. La gonna arrivava morbida poco sotto le ginocchia, all'altezza del seno c'era una specie d'incrocio che creava uno scollo a cuore. Le maniche avevano uno sbuffo non molto pronunciato e coprivano metà avambraccio.

Quando finii di vestirmi, la lasciai giocare con i miei capelli; li pettinò e li acconciò con l'aiuto della bacchetta, come se fossi una bambola. Sorrisi alla sua espressione soddisfatta quando ripose l'arnese nella borsa e annuì convinta.

 

<< Resta comunque il fatto che non volessi venire. >> ribadii, borbottando.

 

<< Ti tocca, avresti potuto rifiutare. >>

 

Si, e piantare in asso Tom così? Già è abbastanza contrariato dal fatto che non possa restare per il suo compleanno.

Pensai, ma restai in silenzio.

Salutai ad alta voce Eponine che, però, non diede alcun segno di vita.

 

Dorme. Nella prossima vita faccio il gatto e saluti a tutti quanti. Quella si che è una vita degna di tale nome.

 

Uscimmo dalla stanza e ci incamminammo verso la sala che avrebbe ospitato l'evento Natalizio. Olivia non sarebbe stata presente: aveva sempre odiato sia la materia Pozioni che l'uomo che la insegnava: Horace Lumacorno. Essendo ricambiata in quel sentimento d'astio, mai e poi mai Lumacorno l'avrebbe invitata ad uno dei suoi “festini”.

 

Percorremmo un'infinità di corridoi. All'apparenza erano tutti uguali, ma avevano evidentemente qualche particolarità che li distingueva l'uno dall'altro poiché la Rosier proseguiva spedita, sicura della strada.

 

Avevo sempre considerato Hogwarts una scuola infernale. Non solo per il suo essere una scuola piena di quegli esseri supponenti e insopportabili che mi ritenevano una “Traditrice del mio sangue” (e Tom non si salvava), ma anche per la sua labirintica struttura. Io già avevo problemi nell'orientarmi quando la strada era sempre uguale, ma se poi le scale cambiavano pure direzione!

 

La festa si stava svolgendo nella stessa grossa sala degli anni precedenti. Non ero mai riuscita a ritrovarla durante la giornata senza una festa in corso, ma i motivi che avrebbero potuto spiegare i miei fallimenti erano fin troppi, due dei quali il mio scarso – inesistente – senso dell'orientamento e la magia (era infatti probabile che la sala venisse ingrandita durante eventi del genere).

 

Il posto era illuminato da grossi lampadari di cristallo che scendevano dal tetto e da alcuni globi luminescenti che fluttuavano placidamente per aria.

 

Nel mezzo della stanza erano allestiti alcuni tavoli circolari strapieni di cibo. Io stavo morendo di fame, per cui Druella dovette darmi una piccola gomitata sul fianco per rimettermi in riga e dirmi di non puntarli con la bava alla bocca.

 

La festa era molto simile alle altre due a cui avevo partecipato. Tom mi aveva invitata tutti e cinque gli anni, ma i primi due avevo preferito dargli buca: odiavo le feste. Non che adesso mi piacessero, ma avevo imparato ad essere più tollerante e diplomatica.

Druella raggiunse il suo ragazzo, che era già arrivato. Io cercai Tom con lo sguardo, trovandolo quasi immediatamente; era intento a parlare con il professore insieme ad un altro paio di studenti.

 

Non mi avvicinai.

 

<< Em! >> sentii qualcuno chiamarmi. Mi voltai, trovandomi davanti ad un'annoiata Minerva ed un allegro Weasley.

 

<< Ragazzi! >> esclamai, sollevata nel vedere due facce amiche.

Li squadrai velocemente, soffermandomi un po' troppo sul completo del ragazzo. Con tranquillità, spostai il dorso della mia mano davanti alle mie labbra, per nascondere un sorriso piuttosto malevolo.

 

<< Sept, come sei.. elegante.. >> non gli sfuggì la lieve nota interrogativa e divertita nella mia voce. Septimus portava un completo da cerimonia molto cerimonioso. Aveva un lungo mantello marrone con le maniche e il colletto decorati da merletti piuttosto voluminosi.

 

Alle mie parole Minerva voltò lo sguardo verso un'altra parte della sala, le labbra assottigliate e tirate nel trattenere un sorrisetto. L'altro, invece, perse il suo, di sorriso, assumendo un'aria sconsolata.

 

Trattenni con fatica una risata che sarebbe stata sguaiata, mentre la grifondoro dava una piccola pacca consolatoria sulla spalla del ragazzo.

 

<< Dai, non ti abbattere, sei solo più elegante degli altri. >> tentò una rassicurazione, ma l'altro sbuffò << No, sono ridicolo, è diverso. >>

 

Per salvare la faccia sia a me che a Minerva – che altrimenti saremmo scoppiate a ridere da un momento all'altro, mostrando davvero poco tatto – cambiai discorso << Pensavo che fosse Noel quello bravo in pozioni, non te. >> in realtà non mi ci era voluto molto a capire che quella invitata dal professore era Minerva e che Septimus era stato invitato, a sua volta, dalla ragazza. Però non riuscii davvero a trovare un altra affermazione da fare per spostare l'attenzione dal completo di Septimus.

 

<< Infatti c'è anche Noel. >> rispose la ragazza << Septimus l'ho invitato io. >> aggiunse, confermando la mia ipotesi.

 

<< E comunque nella parte teorica non sono così tremendo. >> il rosso tentò di difendere il suo orgoglio solo per venire crudelmente stroncato.

 

<< Perchè, c'è una parte teorica in Pozioni? >> gli chiesi, apparentemente con innocenza, ma con l'esatto intento di vedere le reazioni che, come mi aspettavo, ebbero; infatti la mia domanda fece ridacchiare la McGranitt, mentre le orecchie del Weasley prendevano fuoco.

 

<< Se te la cavi discretamente è solo perchè ti aiuto io. >> lo zittì la grifondoro, facendolo arrossire ancora di più.

C'erano poche regole da tenere a mente in quella scuola. Una di quelle era di non tentare di battere a parole o intelligenza Minerva McGranitt se non si voleva uscirne brutalmente sconfitti prima ancora di tentare.

 

Ovviamente, però, come per ogni regola, anche quella aveva un'eccezione: Tom Riddle.

 

Quel fatto si risolveva molto semplicemente, poiché entrambi si evitavano il più possibile. Minerva era più grande di Tom, eppure era risaputo in tutta la scuola che tra i due ci fosse una non dichiarata competizione, condita da una nascosta ammirazione reciproca.

 

<< Akemi. >> riconobbi il tono secco di Tom e mi volta, trovandolo accanto a me. Sorrisi.

 

<< Wow, sei stato rilasciato in tempo record. >> commentai << Di solito ti tiene inchiodato alle sue chiacchiere per quasi un'ora. >>

 

<< Ho un'intera serata da passare qui dentro, credi davvero che mi lascerà in pace così facilmente? >> domandò retorico.

 

Lo vidi lanciare un'occhiata a Septimus, senza però lasciar trasparire alcuna emozione, se non altezzosa apatia. Poi spostò la sua attenzione su Minerva.

 

Fece sorriso appena accennato difficile da decifrare, ma che aveva ben poco di un normale sorriso cortese. Era una specie di sorriso di circostanza, furbo.

 

<< McGranitt. >> la apostrofò accennando ad una piccola riverenza.

 

<< Riddle. >> rispose glaciale, senza rispondere al sorriso e tantomeno alla riverenza.

 

Presi Tom per un braccio, salutando brevemente gli altri due, e lo feci allontanare sapendo che farlo restare vicino a loro non si sarebbe rivelata un'idea geniale.

 

<< Cos'è, ci siamo dati ai sorrisi perversi? >> chiesi con ironia, lui non mi rispose, come ignorò il mio successivo rimbrotto in cui gli dicevo che era stato scortese a non salutare Septimus.

 

Sospirai << Si può sapere dove diavolo ti sei cacciato oggi pomeriggio? Sei scomparso! >>

 

L'espressione di Tom s'incupì bruscamente << Cercavo la Dama Grigia >>

 

Aggrottai le sopracciglia, senza capire dove volesse arrivare. Lui capì << é scomparsa, non riesco più a trovarla. >>

Ghignai << Beh, è un fantasma: lasciala fare il suo lavoro ogni tanto, no? >>

 

<< Non è divertente. >> rispose seccato.

 

Alzai gli occhi al cielo, con rassegnazione << Se dovevi fare l'antipatico avresti potuto dirmelo con anticipo, mi sarei evitata il divertimento. >> commentai con la voce pregna d'ironia, facendo un gesto con il braccio libero che voleva indicare l'intera stanza, l'intera festa, l'intera situazione.

Dal gruppetto davanti a noi si voltò una persona che riconobbi immediatamente come Noel Carrow.

 

<< Ah, Aramaki. Mi sembrava di aver sentito la tua voce. >> Il suo sguardo si posò su Tom, ma poi tornò su di me. Ricambiai il saluto.

 

<< Oh, per Merlino! Era ora che cambiassero melodia. >> disse con sollievo, quando la musica nella sala cambiò.

 

Io risi, divertita dal suo “per Merlino”. I maghi usavano spesso esclamazioni di quel genere e io trovavo la cosa piuttosto bizzarra.

La considerazione del ragazzo mi fece venire un'idea.

 

<< Noel.. >> lo chiamai, sfilando la mano da sotto il braccio di Tom e intrecciando le dita dietro la schiena. Lo sguardo del ragazzo, che stava vagando per la sala, tornò su di me.

 

Gli sorrisi << Ti va di ballare? >>

Lui mi squadrò con sospetto, rispondendomi con un sorriso sghembo << Se al tuo cavaliere sta bene. >> disse, rivolto al serpeverde.

Tom mi prese per un braccio, facendomi arretrare di qualche passo.

 

<< Che stai facendo? >> mormorò tra i denti, in modo tale che lo potessi sentire solo io.

 

<< Cerco di divertirmi mentre a te passa il malumore. >> risposi alla stessa maniera, liberandomi con delicatezza dalla sua presa e avviandomi verso l'improvvisata pista da ballo, dove già altre coppie stavano danzando, chi con leggiadria, chi con molto impaccio.

 

<< Non ti facevo una che sa ballare. >> considerò il mio compagno di danze, mettendomi la mano sul fianco.

 

<< Ci sono cose che tocca saper fare, se discendi da una ricca famiglia di maghi purosangue. >> risposi, perfettamente consapevole che quella fosse anche la sua condizione familiare. Infatti, sbirciando il suo viso, lo vidi fare un sorriso amareggiato

<< Touché >> fu costretto ad ammettere.

Anche Noel, come me, veniva a volte chiamato Traditore del proprio sangue”. Solo perchè era un grifondoro; l'unico in una famiglia di Serpi.

La sua situazione era peggiorata quando aveva scelto un Weasley come compagnia prediletta.

 

Noel mi rivelò il suo stupore alla mia richiesta, credeva che la cosa avrebbe potuto irritare non poco il Lord.

Usò il soprannome con ironia, ma intuii che infastidire Tom Riddle era una cosa che avrebbe piacevolmente evitato.

La mia risposta, invece, fu che irritarlo rientrava tra i miei hobby personali, nonostante fosse un hobby poco compreso da tutti gli altri.

 

<< Noel >> iniziai, un po' titubante.

Mi fece finire la giravolta prima di incitarmi a continuare.

 

<< Sei mai stato nella Sala Comune dei Corvonero? >>

 

Lui aggrottò lievemente le sopracciglia prima di rispondere << Si, perchè? >>

Ponderai la risposta, indecisa tra l'inventare qualcosa o dire semplicemente la verità.

Alla fine optai per l'omissione di particolari << So che c'è una statua della Corvonero e mi sarebbe piaciuto vederla. >>

 

Il ragazzo scoppiò a ridere.

 

<< Hai finito? >> gli chiesi, seccata perchè non riuscivo a capire il motivo della sua ilarità.

 

<< Sai Em, ogni volta che ho a che fare con te scopro qualcosa che distrugge l'idea di te che mi ero fatto la volta precedente. >>

Abbandonai l'espressione corrucciata per fare un sorriso sornione << E sentiamo, che idea ti saresti fatto di me, stavolta >>

 

<< Ora non lo so. Però ci sono state parecchie versioni. Una di queste ti vedeva come una subdola serpeverde con un cervello. Poi ho scoperto di apprezzare il tuo senso dell'umorismo. Una volta mi è capitato di capire che quando ti impunti su qualcosa è difficile farti desistere e che se non capisci qualcosa ti arrabbi. Adesso scopro che ti piace andare a curiosare in giro. >> sbuffò << é avvilente. Di solito riesco a farmi un'idea di tutti. >>

Sorrisi << Io ho capito come ragioni te. Tu vuoi inquadrare tutte le persone in una casa. Però sei abituato a frequentare gente che, essendo già stata spedita in una di queste ha sviluppato un carattere affine alla sua casa d'appartenenza. Io, invece, non faccio parte di nessuna di queste case, tra l'altro mi conosci poco, quindi la cosa ti confonde.

 

<< La verità è molto semplice. Non esiste un carattere assoluto. Se una persona avesse il carattere uguale allo stereotipo di una casa non la sopporterebbe nessuno. Prendi te come esempio: sei Grinfondoro perchè è la tua caratteristica principale, ma sai essere stronzo quanto un Serpeverde. >>

 

La melodia finì in contemporanea con le mie parole. Ci allontanammo l'uno dall'altro.

 

<< Ha senso. >> decise, anche se un po' confuso.

 

<< Quindi mi vedi come una subdola serpeverde eh? >> ripetei le sue parole, maligna.

 

<< No, ora ti vedo come una subdola corvonero con tendenze suicide. >>

 

<< Suicide? >> domandai, non capendo come fosse giunto a quella conclusione.

 

Ghignò << Non sono stupido, sai? Ho capito perfettamente che stanotte sgattaiolerai nella torre dei corvonero per soddisfare alla tua sete di curiosità. >>

 

Nascosi un sorrisetto, consapevole che quello che Noel aveva appena detto corrispondeva alla verità << Continuo a non capire la parte del suicidio. >>

 

<< Aggirarsi per Hogwarts di notte è di per se una forma di suicidio. >>

 

Il ragazzo lanciò un'occhiata alle mie spalle, poi mi fece un sorriso.

 

<< Buon proseguimento di serata. >> mi augurò con un galante inchino e tutti i sottointesi prima di congedarsi.

 

Non ebbi bisogno di voltarmi per capire chi mi avesse poggiato una mano sulla spalla. Dopotutto ci poteva essere un solo motivo per il quale Carrow se n'era andato, lasciandomi sola: non ero, effettivamente, sola.

 

<< Tom.. >> dissi, voltandomi e, con gli occhi che mi brillavano, gli chiesi << Devi fare altro in questo posto infernale? >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

****Angolo Autore

Buongiorno a tutti! 

Dopo aver passato tre ore e mezzo cercando di digitare correttamente "suicide" e non "sucide" come il pc aveva deciso, ho aggiornato. A quanti di voi ero mancata?

Nessuno, si lo so u-u

Sembra che non è successo niente eh? Infatti, non è successo praticamente niente, però sono comunque riuscita a tirarne fuori sette pagine di Word. Sinceramente si, mi sto chiedendo anche io come diavolo ci sia riuscita xD

All'inizio del capitolo ho ritirato fuori il comportamento della madre per buone ragioni, non per Hobby: mi sono resa conto che poteva non essere molto chiaro, infatti mi era stato anche chiesto. Okay, adesso che l'ho specificato non possono esserci equivoci sul comportamento di Josie (scrivere ogni volta Josephine non mi va, è troppo lungo. Io sono per i nomi brevi u.u).

Tom comincia ad avere problemi con la Dama Grigia. Dopotutto che si aspettava da una come lei, che gli dicesse subito tutto? Assolutamente no, tesoro. So che a te piace vincere facile, ma la Rowling dice esplicitamente che te lo dirà al settimo anno, e la parola della Rowling è legge u.u

Però Akemi è scema, quindi ha deciso che proprio ti deve aiutare, quindi vuole fare una capatina dai corvonero. 

FINALMENTE (per alcuni, di cui io faccio parte), il prossimo capitolo è l'ultimo di Hogwarts, dopodichè torniamo dai Pevensie. A questo punto voi direte: ma è un crossover, si incontreranno mai Tom e i fratelli? Assolutamente si. Però con molta pazienza, gente.

Detto questo, vi lascio in pace e mi congedo.

Un bacione,

Rue :3



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Capitolo 17
*** Capitolo Diciasettesimo ***


God on high,
hear my prayer
in my need 
you've always been there.
He's young,
he's afraid,
let him rest
heaven blessed.
Bring him home,
bring him home.
          - Bring him home; Les Miserables -

                                             

 

                                      Capitolo Diciassettesimo          

 

 

 

 

 

Sgattaiolammo via furtivamente dalla Sala delle Torture; ovvero quella in cui stava avendo luogo la festa di Natale.

<< Akemi, dove stiamo andando? >> mi chiese Tom, piuttosto seccato. Non che non vedesse l'ora anche lui di uscire da lì, però anche lui, come me, detestava non sapere le cose.

Mi bloccai davanti ad un bivio e imprecai, dimenticandomi di rispondere alla domanda del ragazzo.

La triste verità era che non ero neanche sicura che stessi andando nella direzione giusta.

In quel momento mi sentii come una bambina a cui è appena caduto il gelato, sull'orlo delle lacrime.

Lanciai un'ultima occhiata speranzosa ai due corridoi, ma entrambi erano in pietra, ed entrambi finivano nell'oscurità.

Esattamente come la bambina del gelato di prima, pestai un piede per terra, frustrata.

<< Ti odio! >> sbottai contro Tom, senza alcun motivo. Lui mi guardò male, senza però capire che quell'esclamazione non aveva alcun senso logico. Poi, però, ci arrivò << Non è colpa mia se non hai un briciolo di senso dell'orientamento. >> borbottò infastidito. Poi sbuffò, in un misto di rassegnazione ed esasperazione << Dove stiamo andando? >>

<< Nella Sala Comune dei corvonero. >> mugugnai, imbronciata.

Il ragazzo si guardò attorno, poi prese il corridoio che io, invece non avrei preso: quello a destra.

<< Questo tratto lo avevi indovinato. >> disse, come se volesse rincuorarmi e la cosa mi fece sentire un poco sciocca.

Arrivammo alla Torre Corvonero in una manciata di minuti. Ci fermammo davanti al pacchiano battente di bronzo a forma d'aquila. Sapevo che per i corvonero funzionava in modo diverso: non c'era la parola d'ordine da declamare a un dipinto vivente, ma una statua parlante che ti propinava un indovinello.

Entrambe le cose sarebbero sembrate assurde a qualsiasi persona dotata di una sanità mentale, ma statue e dipinti parlanti erano solo il minimo a cui avevo dovuto abituarmi, visto che casa dei miei genitori era piena di ritratti di parenti deceduti. E considerato quanto chiacchieravano sembravano tutto tranne che deceduti.

<< A te l'onore. >> dissi a Tom, facendo un passo indietro. Lui sorrise di sbieco << E privarmi dello spettacolo? Non ci penso nemmeno. >>

Sbuffai e, consapevole di non avere tutta la notte, non mi misi a protestare, tanto avrebbe comunque vinto lui.

Mi avvicinai e presi in mano l'orrido – a mio parere – batacchio per poi dare due colpi secchi.

La domanda da parte del bronzeo rapace arrivò quasi immediata.

<< Cosa hanno in comune il corvo e lo scrittoio? >> domandò, inaspettatamente melodiosa e dolce, la voce proveniente dall'aquila.

Aggrottai le sopracciglia.

Niente?

Era una domanda retorica, quella che mi venne da pensare spontaneamente. Che non fosse la domanda corretta, beh, quello era ovvio, quindi non la espressi ad alta voce.

Mi concentrai e la prima cosa a cui mi venne da pensare fu il leggio a forma di gufo che il preside Dippett usava nella Sala Grande.

Ma quello non aveva nulla a che vedere con la domanda postami dalla guardia della Sala Comune dei corvonero, quindi tentai di scrollarmi il pensiero di dosso. Eppure, continuava a tornarmi in mente quello stupido leggio dorato.

É un gufo, non un corvo, e quello è leggio, non uno scrittoio!

Mi ammonii. Però qualche collegamento dovevano averlo, altrimenti non riuscivo davvero a spiegarmi come mai fosse stato quasi istintivo pensarci.

<< Ce la fai? >> domandò Tom, tra l'ironico e lo scocciato. Mi chiesi se per caso lui non ci fosse già arrivato.

Non deconcentrarti, Em!

E, probabilmente, deconcentrarmi era l'esatto scopo del ragazzo, per farmi perdere la sfida che mi aveva lanciato.

<< Taci. >> intimai, senza intimidirlo affatto.

Fissai l'aquila, cercando di riprendere il filo dei pensieri.

All'istante, capii perché avessi collegato il gufo al corvo e perché, fissando l'aquila, l'avessi ricollegata all'intero indovinello.

<< Le piume! >> esclamai alla fine, più a me stessa che all'aquila.

<< è un buon ragionamento.. >> decise la guardia, prima di socchiudersi.

Lanciai un soddisfatto e strafottente sorrisetto a Tom, che però non ebbe alcuna reazione.

<< Quindi solo a me rispondi roba insensata. >> commentò, senza lasciar trasparire lo stupore o il dispiacere che invece mi sarei aspettata. Eppure dovevo aver imparato a non aspettarmi mai quello che mi aspettavo da lui, perché non mi presi neanche la briga di rimanerci male.

<< Guarda che ci metto più tempo a inventare le assurdità che ti scrivo che a risolverli sul serio. >> gli bisbigliai offesa, mente aprivo la porta di qualche centimetro. Spiai nella sala dallo spiraglio che avevo creato per assicurarmi che non ci fosse nessuno.

<< Ritiro quello che ho detto, allora. Ne sono onorato. >> rettificò con sarcasmo, prendendomi in giro.

Alzai gli occhi al cielo, poi mi portai un indice alle labbra << Fa' silenzio. >> gli ordinai, infastidendolo: odiava quando qualcuno osava dargli ordini.

Ignorai il fatto di aver appena messo a dura prova il suo orgoglio – anche perché decise saggiamente di seguire il mio “consiglio” - e scivolai nella stanza.

Trasalii quando scorsi una figura sul divano, sospirai di sollievo quando, a una seconda occhiata, mi resi conto che non poteva essere più addormentata di così.

Tom, che entrò subito dopo di me, decise di prendere ulteriori precauzioni: agitò la bacchetta facendone scaturire una lieve luce.

<< Che hai fatto? >> domandai, allarmata.

<< Muffliato >> rispose lui, come se con quella sola parola avrei dovuto capire tutto. Aggrottai la fronte << Che?>> gli chiesi, facendogli capire che, invece, non avevo capito un bel niente.

<< Fa in modo che gli altri non ci sentano e se qualcuno prova a origliare sentirà solo un ronzio. >> spiegò.

<< Scusa se non ho la scienza infusa, eh. >> protestai sottovoce, al suo tono seccato.

<< Avevi detto che alcune cose le avevi studiate. >>

<< Appunto, alcune. E poi mica sono te, che ricordi qualsiasi cosa tu legga. >>

<< Stiamo perdendo tempo. >> replicò lui, quasi ignorandomi. Non protestai: aveva ragione.

Fu facile individuare la statua della Corvonero poiché era collocata in una nicchia esattamente di fronte alla porta.

Ci avvicinammo silenziosamente, nostra complice la moquette blu decorata di stelle, che sembravano essere il riflesso di quelle dipinte sul soffitto.

A rapire la mia attenzione non fu il motivo della nostra “visita clandestina”, cioè il diadema, ma il volto della donna.

Priscilla Corvonero era rappresentata come una donna alta, e sembrava ricambiare il mio sguardo affascinato con un mezzo sorriso canzonatorio. Era davvero bella, eppure aveva un aria che le dava un aspetto un po' minaccioso.

Mi ricorda qualcuno..

Pensai ironicamente, spostando il mio sguardo sul ragazzo al mio fianco, anche lui intento ad ammirare la statua di marmo della Fondatrice.

<< Che c'è? >> mi chiese, notando il mio sguardo. Feci un lieve sorriso sghembo, ma non risposi << Cosa c'è scritto? >> gli domandai, invece. Lui aggrottò un poco le sopracciglia, ma non indagò oltre.

Anche lui spostò lo sguardo sulle minuscole parole incise attorno al delicato cerchietto che rappresentava la tiara della strega.

<< “Un ingegno smisurato per il mago è dono grato”. >> lesse Tom ad alta voce.

<< Frase molto da corvonero. >> commentai, divertita.

Entrambi sentimmo dei rumori di passi provenienti dalla porta accanto alla nicchia della statua, che probabilmente portava ai dormitori.

Mi guardai rapidamente intorno, alla ricerca di un nascondiglio, ma Tom fu più veloce di me; mi afferrò un polso e mi portò dall'altro lato della sala comune, dietro una delle librerie. Non ci nascondeva perfettamente, ma sarebbe stato più difficile individuarci.

Tirai una gomitata al ragazzo, facendolo gemere contrariato.

Mi lanciò un'occhiata fiammeggiante, io gli indicai un punto vicino alla statua e capì: gli era cascato l'invito alla festa di Natale dalla tasca. Imprecò sommessamente.

In quell'istante la porta da cui erano arrivati i rumori si aprì, lasciando entrare due ragazzi vestiti a festa e che cercavano di sgattaiolare fuori dalla Sala Comune oltre l'orario del coprifuoco.

Purtroppo per loro, la furtività non era esattamente il loro punto forte, perché mentre scendevano le scale avevano tanto casino da darci abbastanza tempo per nasconderci. Mentre i due ridacchiavano, guardandosi intorno per controllare che la via fosse libera, Tom si avvicinò cautamente, rimanendo il più vicino possibile alla libreria, ma comunque rischiando pericolosamente di essere beccato. E se una visita clandestina da parte mia sarebbe facilmente passata inosservata, invece non sarebbe successo se si stava parlando di Tom Riddle.

<< Ehi, ma quello non è.. ? >> fece uno dei due. Vidi Tom immobilizzarsi e, non riuscendo a vedere i due poiché coperti dalla libreria, temetti che l'avessero visto.

<< Edgecombe! >> concluse l'altro, sghignazzando. Sospirai silenziosamente di sollievo.

<< Sveglialo, magari viene anche lui. >> suggerì uno. Tom sfoderò la bacchetta e si sporse ancora un po', salvato solo dal fatto che probabilmente i due erano o estremamente ciechi o di spalle. Trovavo la seconda opzione leggermente più plausibile.

Lo vidi puntare la bacchetta << Ehi! >> esclamò uno dei due.

<< Accio >> bisbigliò Tom, scostandosi quasi immediatamente dopo e tornando dietro la libreria, vicino a me, con il pezzo di pergamena in mano.

Mi chiesi perché si fosse sporto così tanto se poi l'invito gli sarebbe volato in mano, ma capii subito dopo che doveva controllare che i due non notassero l'oggetto volante.

<< Marius! >> chiamò l'altro, alzando un po' di più la voce.

Marius Edgecombe si svegliò di soprassalto, emettendo un verso strozzato e maledicendo Morgana.

<< Cosa vuoi, Stephen?! >> chiese l'appena sveglio, condendo la domanda con un'altra ingiuria alla medesima strega.

Mi sentii profondamente offesa per conto di quella povera donna.

<< Certo che hai il sonno pesante >> lo sbeffeggiò quello che probabilmente non era Stephen.

Stephen, invece, usò il tono più naturale del mondo << Ci stiamo imbucando alla festa di Lumacorno. >>

<< Oh.. >> sospirò Marius Edgecombe, con tono quasi dispiaciuto << Beh, è una bella idea. Però stasera passo, sono distrutto: ho passato l'intero pomeriggio su quel tema di un metro che ci hanno assegnato per Difesa contro le Arti Oscure. >> lo sentii sbuffare, poi percepii un paio di colpetti ovattati, e immaginai che uno dei due gli avesse rifilato un paio di pacche consolatorie << Ti capisco amico.. allora sarà per la prossima! >> fece speranzoso Stephen.

<< Certo! Però avvisatemi prima, eh! >> si raccomandò Edgecombe. Gli altri due si allontanarono, promettendo all'altro che l'avrebbero reso partecipe con anticipo, poi la porta si aprì e richiuse alle loro spalle, lasciando il terzo ragazzo da solo.. più o meno.

Ci fu qualche fruscio, poi vedemmo la testa castana di Marius Edgecombe sorpassarci a qualche metro di distanza, senza notarci. Aprì la porta dei dormitori e vi scomparve dietro.

Vidi le spalle di Tom rilassarsi e uscì dal nostro nascondiglio. Non perdemmo tempo, lasciammo la Sala Comune immediatamente dopo, per evitare altri inconvenienti incontri. Tom agitò la bacchetta e immaginai che avesse rotto l'incantesimo che aveva usato quando eravamo entrati.

<< Non che sia stato molto utile. >> disse il serpeverde dopo qualche minuto di silenzio, mentre mi riaccompagnava nella mia camera.

<< Almeno sai che aspetto dovrebbe teoricamente avere. >>

Non rispose. Arrivati, aprii la porta della mia stanza, poi mi girai verso di lui, tendendo una mano sullo stipite << Si può sapere cosa ti aspettavi? Che avesse una mappa disegnata in fronte? >> gli chiesi, retorica.

<< Io non mi aspettavo niente. L'idea è stata tua. >> puntualizzò << Infatti non ci ha portati molto lontano. >> aggiunse.

Gli scoccai un'occhiataccia << Altro? >> domandai con scocciata ironia.

<< No. Buonanotte. >> mi augurò, voltandosi. Afferrai la maniglia della porta con la mano libera << Io invece spero che tu un paio di incubi li faccia! >> lo informai, mentre si allontanava, poi tolsi la mano dallo stipite e chiusi la porta con una discreta dose di violenza.

Il rumore improvviso fece svegliare Eponine, che balzò sulla poltrona dove si era appisolata, miagolando contrariata.

<< È lui che è un ingrato! >> mi giustificai, ma lei emise un altro lieve miagolio, come a dire quanto poco gliene importasse. Scrollò la testa, poi balzò giù e iniziò a strusciarsi alle mie gambe.

<< No, hai mangiato prima che uscissi. >> lei miagolò ancora, camminandomi tranquillamente sui piedi. Sospirai << Va bene, va bene. Ho capito. >> mi arresi rapidamente, la sollevai da terra e mi accoccolai sulla poltrona che prima era occupata da lei.

La lasciai e lei si sistemò sulle mie gambe. Iniziai ad accarezzarla borbottando qualche lamentela. Chiusi gli occhi davanti al luminoso calore del fuoco che ancora scoppiettava nel caminetto e ridacchiai quando pensai che, se mi avesse vista in quel momento, Lucy avrebbe detto che somigliavo a una vecchietta sola e mezza fuori di testa.


                                                                                                            ******


Quando mi svegliai, il mattino seguente, decisi che avrei dovuto commissionare una statua in onore a Santa Druella che, la sera prima, mi aveva sistemato i vestiti e quindi avevo già la valigia pronta per la partenza.

L'Espresso per Hogwarts sarebbe partito due ore più tardi per riportarmi a King's Cross così, essendo avvantaggiata per la questione “valigia” me la presi con relativa calma.

Quando scesi a colazione non mi stupii nel non trovare Tom. Con l'insonnia che si ritrovava probabilmente era già sveglio da ore.

Al tavolo dei serpeverde salutai solo Olivia poiché era l'unica della combriccola ad essere presente. Le chiesi di salutarmi gli altri.

Non persi tempo a cercare Tom. Se non si era ancora fatto vedere era perché non voleva e, per la stessa ragione, non si sarebbe nemmeno fatto trovare. In ogni caso, misi il suo regalo nella borsa, in modo tale che fosse più facilmente raggiungibile che nella valigia.

Impiegai invece secoli per convincere Eponine ad entrare nella gabbia per animali che avevo sgraffignato nella voliera.

Non era molto grande e, senza dubbio, non aveva un aspetto incoraggiante, ma essendo la gatta molto piccola le dimensioni erano piuttosto relative. Riguardo all'aspetto.. beh, l'avevo arrangiata con un paio di cuscini, ma comunque comprendevo la sua riluttanza.

Dopo parecchi minuti, riuscii a convincerla, sentendomi terribilmente in colpa, ma sapendo che altrimenti non avrei davvero saputo come trasportarla.

Arrivai alla stazione in anticipo e sistemai subito la valigia in una cabina, poi aprii la gabbia della gatta per lasciarla libera di girare. Per scaramanzia, però, chiusi le porte del vagone.

Io, invece, aspettai fuori dal treno nonostante stesse nevicando. Mi sistemai su una panchina e sbuffai una nuvoletta di aria condensata.

<< Se hai freddo dovresti stare dentro. >>

Alzai lo sguardo e sorrisi << Guarda che stavo aspettando te. >> precisai, sfilando le mani di tasca, perché mi ricordai che non ne avevo bisogno visto che avevo dei guanti, ora. Le incrociai al petto, strofinandomi sulle braccia per cercare di scacciare il freddo.

<< Eri così sicura che sarei venuto a salutarti? >> domandò l'altro, guardando distrattamente le mie mani coperte. Lo vidi aggrottare lievemente le sopracciglia.

<< Con te non sono mai sicura di niente. >> lo informai, alzandomi dalla panchina e avvicinandomi al treno.

Tom mi seguì prima con lo sguardo, come se stesse calcolando se davvero valesse la pena o se, facendo quei tre passi, qualcuno l'avrebbe aggredito. Poi sbuffò e si avvicinò.

<< Casomai ti stancassi troppo, eh >> lo schernii. Lui non diede neanche segno di avermi sentita. Alzai gli occhi al cielo << Dio, Tom, non dirmi che ce l'hai ancora con me perché vado via! >>

<< Come se m'importasse. >> ribatté. Mi uscì spontanea una smorfia scettica.

Mi misi a frugare nella valigia, poi gli porsi un pacchetto che era palesemente un libro, ma lui mi domandò comunque cosa fosse.

<< Il tuo regalo di compleanno, anche se devo ancora convincermi che te lo meriti. >> notai la sua occhiata incuriosita mentre si rigirava il pacchetto tra le mani.

<< Non mi offenderò se lo aprirai con un po' di anticipo. >> gli dissi.

Tom non se lo fece ripetere due volte e scartò il regalo, rivelando un libro dall'aspetto vissuto. Il titolo era piuttosto sbiadito, ma si leggeva comunque bene.

A lui non sembrò interessare la condizione estetica del libro, perché il suo sguardo si fissò sul titolo.

Per un istante mi sembrò spaventato, ma visto che l'idea era abbastanza assurda, probabilmente me lo ero immaginata e basta.

Alzò lo sguardo su di me << Come..? >> mormorò senza completare la domanda.

<< Come faccio a saperlo? >> mi chiesi da parte sua. Sorrisi con aria colpevole, leggendo la scritta del titolo che dichiarava: “Rettilofoni”.

<< A volte parli nel sonno. >> gli svelai, anche se sospettavo che lui lo sapesse, motivo per cui aveva imparato l'incantesimo di “anti-origlio” << E poi quando ti ho visto leggere quella roba sui rettili.. non mi ci è voluto molto per intuire che non si trattava di semplici biascicamenti insensati. >>

Tom non rispose subito. Rimase a fissarmi per qualche secondo in silenzio. Poi, quando aprì la bocca per parlare, venne coperto dal fischio del treno, che avvisava i passeggeri – io – di darsi una mossa.

Il treno non avrebbe aspettato.

Sorrisi e, come al solito, cercai di abbracciarlo. La cosa che mi stranì ed imbarazzò, fu che lui non si scansò, come era solito fare, ma neanche ricambiò.

Aprii la portiera alle mie spalle << Ci si vede quest'estate, Tommy. Scrivimi! >> mi raccomandai, consapevole che non l'avrebbe fatto.

Non aspettai che dicesse nulla: ne che si lamentasse per l'odiato nomignolo, ne che mi salutasse o ringraziasse per il regalo, neanche che ripetesse quello che aveva detto prima. Salii le scalette ed entrai nel vagone appena in tempo prima che le porte si chiudessero e il treno partisse.

 

 

 

 

 

 

****Angolo Autore

Ed eccoci qui, con un capitolo post-vacanze estive! Post-estate in generale, in realtà, non è detto che tutti siano andati in vacanza.. ma perchè ogni volta che dico qualcosa poi mi incarto nei ragionamenti? Odio il mio cervello!

Bene, dimenticate le due righe precedenti.

Vi è piaciuto il capitolo? Forse vi aspettavate un po' più di avvenimenti, però siamo riusciti a concludere questo arco natalizio ad Hogwarts.

Beh? l'avete riconosciuto l'indovinello? Ebbene si, è quello che il Cappellaio Matto pone ad Alice. Nel libro non viene data la risposta, ma poi Carroll diede tre risposte possibili, di cui una quella che ha dato Akemi.

So che esistono migliaia e miagliaia di altri indovinelli che avrei potuto scegliere e non uno già esistente, cosa che probabilmente mi fa sembrare una con poca fantasia, però no. Cioè, si, avrei potuto, ma non volevo. Il corvo a guardia della sala comune dei sapientoni non cerca tanto di farti risolvere un indovinello, quanto cerca di farti compiere un ragionamento e apprendere cose nuove. Quindi non ritenevo adatto banalizzare la cosa con un comune indovinello di quelli che si trovano su internet.

E poi cos'altro posso dire..? ah si, può essere che il comportamento di Tom nell'ultima parte del capitolo vi abbia straniti.

Perchè è tipo morto in piedi? 

Perchèèè... si. Si è appena reso conto di essere nella cacca, perchè un'altro dei suoi piccoli segreti è venuto fuori. In realtà Em non sa che quello che ha scoperto è correlato con tutte le cose con cui è correlato. Ad esempio un Salazar Serpeverde a caso o un Basilisco a caso, però Tom sa che deve stare estremamente attento a non fargliele scoprire, perchè sennò se ora è un po' nella cacca, dopo lo sarà parecchio. 

Qundi questo.

Okay ora vi saluto perchè è tardi e sto cominciando a delirare (probabilmente si vede da quello che ho scritto in questo 'coso').

Un saluto a tutti,

Rue :)









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Capitolo 18
*** Capitolo Diciottesimo ***


Regrets collect like old friends, 
Here to relive your darkest moments 
I can see no way, I can see no way, 
And all of the ghouls come out to play. 
 
And every demon wants his pound of flesh 
But I like to keep some things to myself 
I like to keep my issues strong, 
It's always darkest before the dawn.
                        - Shake it Out; Florence and the Machine -

 

 

 

                                                           

                                                         Capitolo Diciottesimo      

 

 

 

 

 

Non riuscivo a capire in che posto mi trovassi.

L'ambiente era umido, l'acqua mi gocciolava sulle spalle e le scarpe erano completamente fradicie.

Continuavo a muovermi nella nebbia, che era tanto fitta da non permettermi di vedere più in la della punta del naso.

Continuavo ad allungare le braccia ai miei lati, alla ricerca di un appiglio, e ogni tanto mi capitava di incontrare un muro, a volte le mie mani annaspavano nel vuoto.

I piedi iniziarono a muoversi faticosamente, e mi ritrovai immersa nell'acqua fino alla vita. Qualcosa si arenò contro il mio bacino, per poi seguire la corrente e sorpassarmi, ma allungai il braccio, recuperandolo al volo.

Alzai le braccia, per alzare l'oggetto che avevo salvato e vedere cosa fosse quel pezzo di stoffa talmente impregnato d'acqua da essere innaturalmente pesante.

Un mantello.

Contrariata dalla scoperta – avevo freddo, ma un mantello fradicio non avrebbe migliorato la mia situazione – lo lasciai nuovamente alla corrente.

Nella nebbia intravidi una striscia lievemente più scura alla mia destra. Avvicinandomi con cautela capii che si trattava di una riva.

La raggiunsi con difficoltà e, arrancando a gattoni, riuscii a trascinarmi completamente fuori dall'acqua, arpionando le dita nel fango bagnato e insozzandomi la gonna. Persi una scarpa, che rotolò giù. Anche quella venne rapita dal canale.

Guardai nella direzione da cui ero arrivata, sicura di vedere un tunnel, ma non riuscii a distinguere nulla. Solo un fiume nella nebbia, come se il muro piastrellato che poco prima era il mio sostegno non fosse mai esistito.

Quando mi spostai per alzarmi, le mia dita incontrarono qualcosa di sottile, freddo. Anche stavolta la curiosità prevalse. Afferrando l'oggetto, me lo portai davanti al viso, scoprendo di tenere in mano un paio di occhiali arrugginiti e dalla montatura rotonda.

Li infilai, e vidi solo sfocature bianche.

Strinsi gli occhi e, quando li riaprii, due fanali gialli si muovevano in alto, di fronte a me.

Mi paralizzai per l'orrore quando capii che non si trattava di fanali, bensì di due occhi enormi.

Richiusi gli occhi, spaventata, ma quando non successe nulla, mi costrinsi ad aprirli di nuovo.

Quando li riaprii, piangevo.

L'essere sibilò.

<< Mi dispiace >> mormorai << Questo non era previsto.. >>

Alle mie spalle si sentì uno schiocco.

<< Padroncina. >>


<< Padroncina Akemi! >>

Con un sussultò mi tirai su, puntellando i gomiti. La finestra spalancata della mia stanza proiettava la luce del sole fino a pochi centimetri da me, mezzo sdraiata sul letto e con un libro aperto sotto la schiena.

I grossi occhi verdi di Kora, la mia elfa domestica, mi fissavano con una vaga aria di rimprovero.

<< Quante volte Kora deve dirle di chiudere la finestra se deve dormire?! >>

Mi stropicciai gli occhi col dorso della mano, sfilando il libro da sotto la schiena e sedendomi a gambe incrociate sul materasso.

<< Non volevo addormentarmi, non me ne ero neanche accorta. >>borbottai in mia difesa, pronta a sentirmi fare l'ennesima ramanzina sul fatto che non si legge prima di andare a dormire, perché suggestiona il sonno.

<< Sono arrivati i suoi ospiti. >> disse invece, senza però risparmiare l'occhiata contrariata al libro.

Aggrottai le sopracciglia, confusa, ma quando capii di cosa stava parlando non trattenni un'imprecazione.

Saltai giù dal letto e mi infilai le scarpe.

<< Grazie Coco! >> le esclamai prima di spalancare la porta. Mi bloccai un secondo << Dov'è Tom? >> le chiesi.

<< Dove sta di solito a quest'ora, signorina. >> mi informò << La signora sta cercando Kora. >> disse poi.

Alzai gli occhi al cielo << Vai, farla aspettare non sarebbe una buona idea. >> corsi giù per le scale.

<< Stia attenta! >> mi urlò dietro lei, borbottando poi qualcosa sul fatto di dovermi stare dietro come quando avevo cinque anni. Non repressi una risata, e lei scomparve con uno schiocco di dita.

Dopo essermi scapicollata giù per le scale, mi fermai per un istante davanti ad un piatto d'argento appeso al muro, controllando di essere almeno un minimo presentabile. Percorsi lo stretto corridoio che veniva usato dai camerieri, ma che non mi facevo problemi a usare come scorciatoie.

Attenta a non far rumore, aprii la porta che sapevo, dall'altra parte, essere seminascosta dalle scale.

Appena il mio sguardo incontrò le figure che, nel salone d'ingresso, si guardavano attorno confuse, sorrisi spontaneamente << Ehi! >> richiamai la loro attenzione.

Entrambi si voltarono e Lucy, raggiante corse nella mia direzione avvinghiandomi in un affettuoso abbraccio.

Risi per tanto trasporto << Ciao, Ed. >> salutai poi il fratello, che ricambiò il saluto, sorridendo.

<< Dovrò essere sincero, Em, ma sono un po' confuso. >> confidò, lanciandosi un'ennesima occhiata attorno.

Sorrisi di sbieco << Okay, lo ammetto: quando vi ho invitati ho omesso qualche particolare. >>

<< Qualche particolare?! >> esclamò Lucy, scandalizzata << Em, ci avevi detto che la tua famiglia aveva una casa a Cambridge. Questa non è una casa, è una specie di castello in miniatura!! >>

Alzai gli occhi al cielo << Esagerata. >> borbottai.

<< Che poi, a Cambridge non si è mai visto un posto del genere. E si nota, eh. >> puntualizzò Edmund.

<< State tranquilli, siamo a Cambridge. É solo che siamo nascosti da un incantesimo protettivo. Riuscirete a tornare dagli Scrubb per cena, avete visto quanto può essere rapido un viaggio con un elfo domestico. >> Era stata Kora a portarli qui, perché altrimenti non ci sarebbero mai arrivati, considerato l'incantesimo anti-babbani.

<< Ma quindi è casa tua? >> Ed era ancora un pochino confuso su quel punto.

<< No. Casa mia si trova a Cornwall Road, a Londra ed è un piccolo appartamento che condivido con la mia migliore amica. >> replicai << Questa è la casa in cui abitavo prima di trasferirmi a Londra, ma visto che voi siete qui e siete sul punto di suicidarvi, ho deciso di venire a passare le vacanze anch'io dalle vostre parti. Cosa che non avrei mai fatto se non fossi stata assolutamente certa del fatto che i miei si trovino nel cottage a Dover. >> puntualizzai.

Vidi i due fratelli lanciarsi un'occhiata << Ma quanto diamine è ricca la tua famiglia? >> chiese poi Lucy.

Scrollai le spalle, trovando la domanda piuttosto strana << Praticamente tutte le famiglie purosangue sono ricche. >> dissi, come se fosse ovvio.

Certo che era ovvio, ma mi resi conto che, invece, per loro non lo era affatto.

<< E comunque noi siamo nella media. I Malfoy sono molto più ricchi di noi Aramaki. >> scrollai le spalle, come se la mia ultima affermazione risolvesse e chiudesse la questione.

<< Chi sono i Malfoy? >> invece, avevo sottovalutato la curiosità della piccola Pevensie.

<< Soci in affari di mio padre. Grazie al cielo ho dovuto sopportare solo un paio di cene in compagnia di quegli spocchiosi fanatici. >>

<< Non ti restano molto simpatici, eh? >> commentò ironica Lucy, bastò una una mia espressione piuttosto eloquente a confermare.

<< Vi va di uscire? É una bella giornata, oggi. >> proposi.

<< Nel tuo enorme giardino colorato? >> scherzò Edmund << certo, perché no. >> accettò poi, appoggiato dalla sorella.

Mentre uscivamo Lucy chiese di Kora << L'hai chiamata.. elfo domestico prima, giusto? >>

sorrisi alla curiosità della ragazza; da quando avevo raccontato loro del mondo magico, lei si era mostrata piuttosto interessata, come dopotutto lo ero stata io nei confronti di Narnia, facendomi raccontare più cose possibili. Lucy mi aveva detto che Edmund era solito farsi narrare favole e ballate narniane da bardi e viaggiatori, così a volte obbligavo il ragazzo a raccontarmene qualcuna.

Adoravo le storie.

<< Si. >> risposi a Lucy << Ritengo che siano degli esseri piuttosto particolari. Quando ero piccola non riuscivo proprio a capire il motivo per il quale piacesse loro essere sfruttati, ma poi ho semplicemente smesso di chiedermelo. Ammetto che però a volte mi fa ancora rabbia. >> borbottai, facendo ridacchiare il maggiore, che ormai sapeva perfettamente che non capire qualcosa era, per me, l'equivalente di una tortura psicologica.

<< Ti è molto affezionata. >> affermò Lucy. Non mi chiesi da cosa lo avesse capito, sapevo che aveva il dono di essere empatica con qualsiasi essere vivente. Riusciva a trovare del buono in qualsiasi cosa.

Questa sua innata innocenza rendeva quasi inverosimile il fatto che ormai si stesse trasformando in una ragazza. Aveva abbandonato le trecce per permettere ai lunghi capelli castani di ricaderle sulla schiena.

I suoi movimenti eleganti ricordavano molto quelli della sorella, e riportavano a galla i loro anni passati a Narnia come regine.

<< Diciamo che Kora è una vecchia brontolona, perennemente ipercritica nei miei confronti. Non fa altro che riprendermi! >> mi lamentai, senza che la cosa mi infastidisse davvero << Ti ha cresciuta lei. >> indovinò Lucy. Sorrisi e annuii, lanciando un'occhiata furtiva al ragazzo accanto a me, che ascoltava in silenzio, con un'espressione assorta. Intuii che stava iniziando a mettere insieme i pezzi dalle poche cose che dicevo ogni tanto.

Parlavo poco della mia infanzia, era una cosa che cercavo di seppellire il più possibile ricoprendola con ricordi nuovi, più piacevoli.

<< Quella è una statua! >> esclamò poi Edmund, evidentemente molto stranito dalla cosa. Tentai di mordermi la lingua, ma fallii << Bravo, Ed. Noto che non è di una visita oculistica di cui hai bisogno. >> commentai, sarcastica e, vedendolo fare un sorriso ironico in mia direzione, scoppiai a ridere.

<< Te le cerchi da solo. >> mi giustificai, facendo spallucce.

Ci avvicinammo alla statua in questione. Rappresentava una donna sporta sul pozzo in mattoni del giardino che si specchiava, portandosi una mano al volto.

<< Ha qualcosa a che vedere col significato del nostro cognome. >> spiegai << Anche se non so esattamente cosa significhi. So solo che tutti i membri della famiglia hanno una raffigurazione del genere da qualche parte a casa. Anche solo sul fondo dei piatti, o cose così. >>

<< É molto bella.. >> commentò Lucy, avvicinandosi un po'.

<< Da piccola credevo che fosse una persona vera. >> rivelai, ridacchiando alla mia stupidità infantile << Pensavo che fosse stata punita per la sua vanità. >>

<< Troppi miti greci? >> domandò sarcastico Edmund.

<< Guarda che non era così inverosimile come cosa! >> mi difesi << Sono cresciuta tra dipinti parlanti e fantasmi! >>

L'idea dovette essere divertente, perché entrambi ridacchiarono.


<< Akemi! >> chiamò una voce alle mie spalle. Soffocai un'imprecazione, ma il mio cambio improvviso d'espressione non passò inosservato ai due ragazzi, che mi lanciarono un'occhiata incuriosita. Non dissero nulla, limitandosi ad osservare la figura alle mie spalle.

Prima di voltarmi, socchiusi gli occhi, inspirando silenziosamente.

Akemi, tu non sei a disagio.

Mi dissi.

<< Zia Seiko >> dissi solamene, sorridendo, come a incitarla a continuare. Lei aggrottò le sopracciglia, in un'espressione diffidente << Cosa stai facendo? >>

Lanciai una veloce occhiata alla figura dietro di lei, che a suo volta osservava i due Pevensie.

Essendo presente mia zia, mi trattenni dall'alzare gli occhi al cielo.

A volte Tom, sul serio mi viene il dubbio che tu sia un serial killer.

<< Stavo facendo una passeggiata, zia. >> spostai lo sguardo sulla valigia che teneva in mano << Vedo che invece tu sei in partenza. >>

<< I miei affari qui a Cambridge sono conclusi, quindi sto togliendo il disturbo. >>

Era ora..

<< Sai perfettamente che la tua presenza qui non arreca alcun disturbo, zia. >>

Tom, dietro zia Seiko, non si sforzò nemmeno a trattenere un sorriso sghembo, sapendo cosa invece avevo pensato.

Non mi domandai se fosse perché mi conosceva, o perché si era dato alla Legilimanzia, ma qualunque fosse la ragione, non gli venne risparmiata un'occhiataccia.

In ogni caso, mia zia ignorò la mia buona volontà, non prendendosi neanche il disturbo di rispondere.

<< Loro chi sono? >> chiese invece, accennando col mento ai due Pevensie.

<< Degli amici. >> risposi in fretta, prima che potesse farlo uno dei due. Qualsiasi cosa avrebbero detto sarebbe potuta rivelarsi pericolosa.

<< Non saranno.. babbani? >> domandò, rabbrividendo per l'orrore alla sola idea.

Io impallidii, ma prima che potessi aprire bocca per dire qualsiasi cosa, Tom venne inaspettatamente in mio aiuto.

<< No, signora Lennox. Il ragazzo è un mio compagno di casa. >> la rassicurò, mentendo con disinvoltura. Lei annuì, persuasa.

<< Zia..! >> azzardai, quando vidi che stava per voltarsi << Porta i miei saluti ad Aiko. >>

Mi guardò negli occhi, aspettando qualche secondo prima di rispondere << Naturalmente sai che non lo farò. >> mi rassicurò, poi assottigliando gli occhi, scuri come la pece.

Occhi che, mi diceva quando era piccola, affettuosamente, somigliavano tanto ai miei.

Il nodo che avevo in gola già da qualche minuto, si strinse ulteriormente.

Abbassai lo sguardo, costringendomi a ricacciare indietro le lacrime quando, per la seconda volta, mi negò anche il minimo contatto con mia cugina.

Ricordavo quando, tre anni prima, era venuta fino all'ospedale per intimarmi di smettere di mandare lettere alla figlia, perché era affezionata a me in maniera “eccessiva” e “innaturale”.

Aiko aveva quattro anni in meno rispetto a me. Giocavamo spesso insieme, prima che si avesse la conferma definitiva che fossi una maganò.

Da allora, mi era capitato di vederla raramente, e non avevo la possibilità di vederla neanche a Hogwarts visto che frequentava Beauxbatons.

Alzai di nuovo lo sguardo e, serenamente, le sorrisi << Fa' buon viaggio. >> le augurai.

Lei alzò lievemente le sopracciglia ma, senza aggiungere altro, si voltò e si allontanò.

Scomparve dalla nostra vista, lasciando però l'aria pesante del suo passaggio, e, quando mi voltai e vidi l'espressione di Edmund, mi resi conto che non gravava solo sulle mie spalle.

Mi sfuggì un sospiro << Ed.. lascia perdere, ci sono abituata. >>

<< Abituata?! Em, ti rendi conto che non è normale? Non puoi lasciarla fare così. Io non.. >>

<< Basta. >> lo interruppi bruscamente. Sapevo che se lo avessi lasciato continuare a pensare avrebbe cominciato ad incolparsi per averla lasciata fare. Quel suo risentimento, però, sciolse il nodo che mi si era fossilizzato in gola.

<< Ma.. >> Lucy, che probabilmente la pensava come il fratello, fece per ribattere. Anche stavolta non la lasciai parlare << Ragazzi, davvero. Lasciate stare. >>

Alle mie spalle ci fu uno sbuffo << Certo che se hanno reazioni del genere con un paio di scambi di battute con tua zia, mi sa che devi prepararli psicologicamente per quando incontreranno tua madre. >> commentò Tom, rivolto a me.

<< Ma infatti loro non incontreranno mai mia madre. >> replicai << E comunque taci, che mia madre ti adora. >>

<< Anche tua zia mi adora. >> puntualizzò.

<< Evidentemente ho degenerato. >> borbottai, alzando gli occhi al cielo.

<< Bugiarda. >>

<< Sul fatto che io abbia degenerato non ci sono dubbi, Tom. >>

<< È vero, ma dubito comunque di entrarci qualcosa. >>

Sogghignai << Sei un po' troppo borioso per essere un rincoglionito sociale. >> misi le mani sui fianchi << Ho l'alzheimer o non ti sei ancora presentato? >> mi girai verso i due, che stavano assistendo con curiosità al nostro battibecco. Anche il mago posò lo sguardo sui due, con diffidenza.

Nascosi un sorriso dietro la mano << E poi vienimi a dire che non è vero che sei un rincoglionito sociale.. >> mugugnai, facendomi sentire solo da Lucy, che scoppiò a ridere. Sospirai, senza capire quali fossero le intenzioni dell'altro.

<< Ragazzi, lui è Tom. >> lo presentai.

<< Il tuo “fratellino acquisito”? >> ricordò Lucy, omettendo il “rompiscatole” che avevo usato per definirlo.

<< Esattamente. >> confermai.

<< Non sono tuo fratello. >> disse l'altro, rivolto a me, con fare scocciato.

Lucy si avvicinò, porgendogli la mano con fare allegro << Io sono Lucy, Lucy Pevensie. E lui è mio fratello Edmund. Em ci ha parlato molto di te! >>

<< Non è vero. >> negai, facendola ridere.

Tom, dopo un attimo in cui temetti il peggio – perché per come era fatto lui mi sarei anche potuta aspettare una sua espressione disdegnata e un successivo congedo – ricambiò la stretta della ragazza << Anche voi siete stati spesso oggetto di conversazione con Akemi. >>

Intuii che volesse fare buona impressione dal suo atteggiamento affabile, ma comunque distaccato e non eccessivamente entusiasta. Quello che usava con i professori o con le persone che gli interessavano, che infatti avevano tutti una buona opinione di lui.

Ringraziai la volontà divina.

<< Immagino che ciò che Akemi vi abbia raccontato siano solo un mucchio di cattiverie. >>

<< Anche.. >> confermò Edmund, rivolgendogli la parola per la prima volta << ma non solo. >> aggiunse poi, sorridendo.

<< Vedi? Malfidato. >> mi difesi, alzando il mento con fare stizzito << Mica sono come te. >>

<< Cosa stavate facendo? >> mi ignorò lui.

Scrollai le spalle << Ah, niente. Stavo solo vantandomi del mio giardino fingendo modestia. >> scherzai, facendo ridere i due fratelli.

<< A proposito, vi stavo portando in un posto. >> ricordai, poi mi rivolsi a Tom << Puoi venire anche te, sempre ammesso che troppo sole tutto insieme non ti faccia evaporare. >>

lo schernii, lanciandogli una sfida per la quale, se anche l'idea di andarsene lo avesse minimamente sfiorato, ora gli era passata.

<< Ci sentiamo simpatiche oggi? >> mormorò tra i denti.

Sfornai un sorriso smagliante << Ma io sono sempre simpatica. Non dirmi che non te ne eri mai accorto. >>

<< Casa tua ricorda un po' quella del professor Kirke, vero Ed? >> commentò Lucy, mentre passeggiavamo, facendo annuire il fratello.

<< Il professor Kirke è quello da cui è andato a studiare Peter,vero? Mi pare di aver capito che adesso vive in un piccolo appartamento. >> ricordai.

<< Infatti. Per motivi che non ho ben capito è diventato povero, quindi ha potuto ospitare solo Peter. >> spiegò Edmund << Che nonostante passi le sua giornate studiando, si diverte molto più di noi. >> borbottò poi. Lucy assunse un'aria afflitta << Non ce la faccio più. E non è passato neanche un mese. >>

Scoppiai a ridere << Eustace mette a dura prova perfino la pazienza e la bontà di spirito della dolce Lucy? >> commentai, colpita << Cos'è? Un cyborg progettato per la tortura psicologica?! >>

<< No, probabilmente un cyborg si dimostrerebbe più intelligente. Purtoppo ho come l'impressione che i suoi neuroni si siano annientati tra loro. >> fu la replica di Edmund.

<< Provate con gli insetti. >> disse Tom << A Hogwarts se qualcuno fa perdere troppi punti alla propria casa viene punito. É capitato a qualche serpeverde di ritrovarsi con degli insetti nel letto. >>

<< Siete dei barbari! >> esclamai, schifata.

<< Non funzionerebbe comunque. >> replicò invece Lucy << Il nostro adorato cuginetto ha una malata passione per gli insetti. >>

<< In che senso “ha una passione per gli insetti”? >> domandai allarmata, rendendomi conto di non essere molto sicura di volerlo sapere dopo aver formulato la domanda.

<< Infila scarafaggi sugli spilli e poi li espone su schede di cartone nella sua stanza. Neanche fossero trofei.. >> spigò Lucy, rabbrividendo.

<< E tu dormi in stanza con lui? >> chiesi retoricamente a Ed, con un tono che esprimeva tutto il mio disgusto per quel fatto.

Voltò la testa, guardandomi << Fidati, gli scarafaggi infilzati sono l'ultimo dei miei problemi. >>

Incitai i ragazzi a cambiare discorso, perché quello stava davvero degenerando. Poi arrivammo a destinazione.

Li feci fermare in uno spiazzo ricoperto di mattoni bianchi. Un padiglione coperto, dello stesso colore, si trovava accanto alla piazzola, vigilato da due armature di metallo decorative.

Le avevo sempre trovate un po' fuori luogo quelle due armature piazzate lì, ma quella volta erano la mia meta. Mi avvicinai.

<< Ditemi, miei sovrani >> iniziai, divertita. Dai fianchi ne sfilai le due spade << a tirare di spada ci si arrugginisce o è come andare in bicicletta? >>

Vidi lo sguardo di Ed illuminarsi, mentre Lucy batté le mani con entusiasmo.

<< In realtà io un po' arrugginita sono, visto che le mie abilità da guerriera non sono state necessarie, l'ultima volta. >> commentò Lucy, lievemente ironica.

Risi << Beh, di certo non si può dire lo stesso di tuo fratello. >>

<< Che fai, sfotti? >> si difese l'altro, divertito. Gli porsi la spada dalla parte dell'elsa << Non mi permetterei mai. >> risposi semplicemente. Fui attenta a mantenere un tono neutro, per non far capire se fossi seria oppure no. La verità era che non avrei mai potuto dimenticare che Edmund mi aveva salvato la vita, portandomi via dal campo di battaglia.

Sentii Tom borbottare qualcosa alle mie spalle.

<< Come? >> domandai.

<< É una cosa completamente inutile >> ripeté, guardando la lama che tenevo in mano con ostilità.

Roteai gli occhi, passandola a Lucy << Perché voi maghi dovete essere così dannatamente snob? Certo che per voi è inutile, a voi basta agitare un pezzetto di legno e pronunciare roba senza senso! >> ribattei acida.

<< Non è roba senza senso: è latino, la maggior parte delle volte. >>

<< Si, si. Battiti per la specie. Vi odio tutti ugualmente. >> sventolai una mano con fare evasivo ma comunque poco credibile: non era assolutamente vero che li odiavo tutti, e lui lo sapeva perfettamente.

Assicurai i due fratelli che le spade non erano in alcun modo pericolose e per nulla affilate, così ingaggiarono un combattimento.

Nessuno dei due stava facendo sul serio (anche perché, nonostante non fossero taglienti, farsi colpire da una lastra d'acciaio non sarebbe stato piacevole in ogni caso) ma non sarebbe stata necessaria esperienza nel campo per capire che Edmund fosse più bravo della sorella.

Sentendo lo sguardo di Tom alle spalle mi voltai, trovandolo invece seduto sulla panca dentro al padiglione, che guardava distrattamente qualcosa nel giardino, alla sua sinistra.

Sospirai, maledicendo mentalmente la sua asocialità.

Sedetti sulle scalette di legno del padiglione, appoggiando il mento sui palmi delle mani. Osservai i due fratelli duellare in modo quasi scherzoso.

L'espressione di Edmund era concentrata, ma rilassata allo stesso tempo. A volte lo vedevo sorridere a qualche mossa della sorella.

Doveva essersi da poco tagliato i capelli, perché non gli finivano negli occhi come invece succedeva a volte.

Anche lui, come la sorella, era cresciuto notevolmente. Sospirai nuovamente, domandandomi se anche io fossi cambiata da quando, a quindici anni, ci eravamo conosciuti.

<< Perchè sei rossa? >> chiese una voce al mio fianco, facendomi sobbalzare per lo spavento. Mi chiesi quando diamine Tom si fosse seduto accanto a me.

<< Non sono rossa. >> negai, arrossendo ancora di più. Mi guardò con scetticismo, ma non disse nulla, spostando lo sguardo sugli altri due, che si erano fermati.

Lucy si avvicinò, con un poco di fiatone, porgendomi la spada.

<< No, scordatelo. >> risposi, senza che avesse detto nulla, guardando torva l'oggetto << Chiedilo a Tom. >>

<< Guarda che è venuta a te l'idea; a saperlo io me ne tornavo in biblioteca. >> disse l'altro.

<< Dai, Em! Ti prometto che dopo costringerò anche lui. >> insistette lei.

L'idea di Tom costretto a fare qualcosa da Lucy fu così assurda che scoppiai a ridere da sola. Rendendomi conto che era un'offerta che non potevo rifiutare, mi alzai, prendendo la spada.

<< Hai promesso, eh. >> ricordai a Lucy, lei annuì << L'ho fatto. >>

Stirai un sorriso << Buona fortuna. >> augurai, senza che fu tanto chiaro a chi dei due la stessi augurando.  

 

 

 

 

 

 

 

 

****Angolo Autore

Salve a tutti!

Beh? Ci erano mancati i nostri Pevensie? Eccoli qui, dopo secoli e secoli che non comparivano!

Non abbiamo invece salutato del tutto Tom, che compare anche qui. (Mi libererò mai di te? No, visto che sei praticamente il protagonista in secundis della storia) In questo capitolo sono davvero andata in crisi, perchè non avevo idea di come "muoverlo", infatti credo di essere andata un po' OOC, spero mi perdonerete e riuscirò a riprenderlo meglio la prossima volta.

Spero siate riusciti a cogliere il senso del sogno all'inizio, non è difficile, quindi immagino di si u.u

Comunque fatemi sapere qualsiasi domanda, dubbio qualsiasi cosa vogliate :)

un bacio,

Rue <3


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Capitolo 19
*** Capitolo Diciannovesimo ***


Just because everything's changing 
Doesn't mean it's never been this way before 
All you can do is try to know who your friends are 
As you head off to the war 

Pick a star on the dark horizon 
And follow the light 
You'll come back when it's over 
No need to say goodbye 
                     - The Call; Regina Spektor -
         
 Capitolo Diciannovesimo

Al terzo respiro profondo mi decisi a premere il pulsante color oro del campanello, sul quale torreggiava, in un impeccabile corsivo, il cognome “Scrubb”.

Fu questione di pochi secondi e la porta si aprì.

A guardarmi con aria perplessa era un uomo sulla cinquantina, piuttosto corpulento, ma non molto più alto di me, che emanava un forte odore di dopobarba.

Rapidamente, tentai di ricucire insieme le informazione che mi erano state date (volontariamente e non) dai fratelli Pevensie, eppure nessuna mi sembrava riguardare quell'uomo, ne' per quanto riguardava il nome ne' una minima nota caratteriale. Alla fine, andai per intuito e scelsi la via più sicura.

<< Salve! >> esclamai << Lei dev'essere il signor Scrubb! Io sono Em, un'amica dei suoi nipoti Edmund e Lucy. >> mi presentai, sperando che il rumore di passi veloci che sentivo arrivare dall'interno della casa fossero quelli di uno dei due appena nominati.

<< Mi hanno parlato molto di voi, sa? >> mentii spudoratamente << Spero che l'abbiano avvisata che sarei venuta a trovarli.. >>

<< Si.. >> rispose l'uomo con molta poca convinzione, probabilmente cercando di capire qualcosa di quello che avevo detto nella mia parlantina o se, effettivamente, i nipoti lo avessero avvisato.

<< Em! >> esclamò una voce, che riconobbi come quella di Edmund. Mi scostai lievemente, allungando un po' il collo per riuscire a vedere all'interno della casa, al di là dell'uomo.

Il signor Scrubb si scostò di lato, permettendomi la visuale sull'intero ingresso della casa e anche di vedere il volto di chi mi aveva riconosciuta ed ebbi la conferma che si trattava proprio di Edmund. Notai che era un poco affannato, ma che sorrideva.

Gli feci un timido gesto di saluto con la mano, al quale rispose allargando ancora di più il sorriso. Contagiò anche me, facendomi sorridere a mia volta.

<< Zio, rapisco l'ospite. >> lo informò. L'uomo lo squadrò per qualche attimo << Tua zia lo sa che abbiamo ospiti? >> si informò.

Edmund annuì << Le ho accennato la cosa stamattina prima che uscisse, ma comunque non resta per cena. >>

Lo zio senza nome parve un poco più rilassato, poi si voltò nuovamente verso di me << Signorina. >> borbottò a mo' di saluto,  andandosene.

Lo osservai allontanarsi, poi mi avvicinai a Edmund << Ma l'ho svegliato? >> sussurrai, mentre l'altro mi poggiava una mano sulla schiena per guidarmi nella direzione giusta.

<< No, è sempre così. >> mi rassicurò.

<< Non te lo ha mai detto nessuno, cugino, che non si corre per le scale? >> entrambi alzammo lo sguardo su una figura che, in mezzo alle suddette scale, scribacchiava su un taccuino.

<< Levati da lì, Eustace. >> dalla voce scocciata di Ed intuii che forse non era solamente da in mezzo alle scale che voleva si togliesse.

<< Dammi una buona ragione per cui dovrei farlo. >> ribatté l'altro con supponenza.

Capii immediatamente perché i due fratelli fossero così disperati.

Mi avvicinai, facendo un paio di scalini. Nonostante ce ne fossero ancora due di distanza, lui non mi superava in altezza. Okay che aveva solo tredici anni, ma io non andavo molto fiera del mio metro e sessantacinque scarso.

Probabilmente notando la cosa, Eustace mise un gradino di distanza. Il gesto mi divertì << Tu sei Eustace, vero? Io sono Em. >> mi presentai, porgendogli la mano, intenzionata a spostare la sua attenzione via da Edmund, che altrimenti - a giudicare dall'aura assassina che aveva iniziato a emettere - l'avrebbe brutalmente ucciso.

Riuscii nell'intento di spostare l'attenzione del ragazzino dal cugino, ma fallii in quello di diminuire l'intento omicida di Edmund; infatti Eustace assunse un'aria schifata, arricciando il naso << Non crederai davvero che ti stringerò la mano? >> gracchiò. A quella domanda retorica tirai timidamente indietro la mano << Sei infetta. >>

Corrucciai le sopracciglia, senza capire quale filo logico avesse seguito << Cugino, la tua fidanzata è per caso tarda? >> insinuò con la sua vocetta insopportabile, facendomi arrossire << Non sono.. cioè lui non siamo.. >> mi morsi la lingua, masticando un'imprecazione e pregando nell'immediato ritorno delle mie facoltà linguistiche mentali.

<< Non è la mia ragazza, Eustace, è un'amica e in ogni caso non sarebbero fatti tuoi. Tra l'altro l'unico cretino che vedo da queste parti sei tu. >> ribatté il moro, salendo per le scale e sospingendolo da parte. Intuii la sua occhiata preoccupata.

 

Ci credo bene, oltre a impappinarti sbagli anche le associazioni verbali col numero di persone. E meno male che i ragazzini rompiscatole sono la tua specialità, Em. 


Tossicchiai voltando il viso dall'altra parte, per non fargli vedere il mio imbarazzo.

Quando mi voltai verso Eustace, lo vidi rivolgermi un sorrisetto supponente. Trattenni il moto d'impulso che sentii salirmi per le braccia, suggerendomi di spingere quel ragazzino biondastro giù per le scale. Eustace trotterellò via, e io chiusi gli occhi, cercando di riacquistare la calma.

Edmund mi poggiò le mani sulle spalle, come a volermi infondere coraggio << Tranquilla Em, fa quest'effetto a tutti, la prima volta. Poi le volte dopo è ancora peggio, ma almeno sei psicologicamente preparato. >> mi consolò, facendomi cenno di seguirlo.

Ci fermammo davanti ad una porta chiusa. Bussò e questa si aprì all'istante, facendo sbucare una radiosa Lucy, che mi saltò al collo. La sua prima mossa dopo aver sciolto l'abbraccio, fu quella di controllare l'orologio.

<< Ti ha accompagnata Kora? >> chiese, l'espressione alquanto stupita.

<< No, sono venuta per conto mio. >>

<< Così presto? >> chiese Edmund, enfatizzando lo stupore nella voce per prendermi in giro. Socchiusi gli occhi, indirizzandogli un sorriso sarcastico << Si da il caso che io abbia vissuto dodici anni, qui a Cambridge. So orientarmi perfettamente. >> alzai il mento, con fare offeso.

<< Anche a Londra ci abiti da quasi cinque anni, ma non mi sembra che tu abbia imparato molte strade. >> puntualizzò, sedendosi su una sedia dalla parte dello schienale e poggiando il mento alle braccia, incrociate sullo schienale. Era una cosa che, avevo notato, faceva spesso in presenza di intimi. Posa molto poco regale, gli avevo fatto notare e, all'apparenza, piuttosto scomoda. Presi posto sull'unico letto presente, accanto a Lucy.

<< C'è una sottile differenza tra dodici e cinque anni, sai? >> gli feci notare << E comunque a Londra non devo mica evitare i miei genitori. >> borbottai. Notando il silenzio successivo al mio borbottio, alzai lo sguardo, sorprendendo Edmund a osservarmi con un sorrisetto enigmatico stampato sul viso.

Aggrottai la fronte, chiedendomi cosa diamine gli stesse passando per la testa, e lui distolse lo sguardo, mantenendo però la stessa espressione.

Si sentirono dei passi pesanti salire le scale.

Mi guardai intorno per analizzare la stanza, scoprendo che non ci fosse poi molto da analizzare. Era quasi completamente spoglia, a parte per il letto su cui io e Lucy eravamo sedute, una piccola scrivania dall'altra parte della stanza – molto più simile a un tavolino – su cui c'era una cornice contenente una foto della famiglia Pevensie e un paio di libri. L'unico elemento degno di nota era il quadro appeso accanto alla testata del letto di Lucy. Raffigurava una nave che, a vele spiegate, filava dritta verso l'osservatore. La prua dorata aveva la forma di una testa di drago dalle fauci spalancate e le due fiancate verdi ne riprendevano le ali.

La nave era in bilico su un'immensa onda blu, che sembrava starsi per riversate nella stanza. I raggi del sole illuminavano il lato sinistro del quadro, proiettando i colori verde e porpora del veliero sulla superficie dell'acqua.

<< É bello, vero? >> chiese Lucy retoricamente, notando il mio sguardo attento all'opera. << Pensa che alla zia Alberta non piace per niente, quindi l'ha nascosto qui sopra. >>

<< Meglio per te. >> considerai e Lucy annuì, sorridendo. Anche Edmund, notando il soggetto della nostra attenzione, voltò lo sguardo verso il quadro.

<< Mette una certa nostalgia. >> confessò.

<< Perchè mai? >> chiesi, curiosa.

<< É identica alle navi narniane. >> sbuffò << Guardare una nave di Narnia ed essere costretti a stare qui non aiuta a migliorare la situazione. >> commentò con amarezza.

<< Guardare è meglio di niente. >> rispose Lucy << E poi è così bella.. >> sospirò, malinconica.

Sorrisi alle espressioni dei due Pevensie intenti ad ammirare il dipinto.

Non avevo mai visto una nave di Narnia e non ero legata a quel mondo tanto quanto loro, eppure dovevo ammettere che ne sentivo la nostalgia anch'io.

<< Ancora quello stupido gioco? >> domandò una voce. Mi voltai e Eustace – entrato chissà quando – mi rivolse un sogghigno canzonatorio

<< Nessuno ti ha chiesto di entrare. >> fu la secca replica del cugino.

<< C'è un ritornello che mi ronza nella testa e che fa pressappoco così:

"A furia di scherzare e a Narnia pensare

i miei cugini hanno perso una rotella”. >> declamò.

Non mascherai una smorfia << Giusto cielo, è terribile. >> .

<< E “pensare” e “rotella” non fanno neanche rima. >> aggiunse Lucy.

Eustace emise un verso di sdegno << Macchè rima e rima. Non capisci, questo è un verso libero. >> pontificò, guardando la cugina come se fosse un'idiota.

<< Non provare assolutamente a chiedergli cosa sia, non vede l'ora che qualcuno glielo chieda. Tu non rispondergli e vedrai che forse se ne andrà. >> Edmund ammonì la sorella.

<< Se vuoi te lo spiego io, dopo, cos'è. >> dissi, anch'io rivolta a Lucy.

Eustace sembrò ignorare completamente le nostre considerazioni sgradevoli, cominciando a gironzolare per la stanza.

<< Vi piace quel quadro? >>

Edmund alzò gli occhi al cielo << Non dargli spago, altrimenti si mette a discutere d'arte o roba del genere. >> mi avvisò Ed in un sussurro.

<< Si, e anche molto. >> rispose invece Lucy, beccandosi un'occhiataccia dal fratello.

<< Ma è un quadro a dir poco sgradevole. >> commentò lui.

 

Ma come diamine parla?

 

Pensai, divertita da tutti quei termini forbiti e assolutamente fuori luogo.

Edmund si alzò bruscamente in piedi, davanti a lui. Essendo parecchio più alto del cugino, il movimento parve più minaccioso di quello che in realtà avrebbe voluto essere << Esci da questa stanza e non lo vedrai più. >> sibilò.

 

Ora lo uccide.

 

Allarmata, mi alzai quel poco che bastava per afferrare il braccio del moro, tirandolo nella mia direzione. Mi risedetti sul materasso di peso, costringendo Edmund a fare altrettanto.

<< E come mai ti piace tanto? >> chiese ancora Eustace, imperterrito.

<< Beh, innanzi tutto perché la nave sembra filare sull'acqua per davvero, poi perché sembra che le ombre del mare debbano bagnarci da un momento all'altro. >>

Tutti eravamo convinti che lui avrebbe controbattuto, eppure il ragazzino lanciò una rapida occhiata all'oggetto della discussione e, subito dopo, impallidì completamente.

Corrugai la fronte al suo atteggiamento nauseato. Seguii il suo sguardo, come, mi accorsi, fecero anche i Pevensie. Spalancare la bocca, immobilizzandoci, fu il minimo di come avremmo potuto altrimenti reagire.

<< Prima era fermo. >> borbottai tra me e me. Non era tanto il fatto che si muovesse il problema, ma che nella stanza avesse iniziato a soffiare un vento impetuoso. Senza pietà, produceva sibili simili ad ululati e sferzava tra i capelli, che mi frustavano disordinatamente il viso.

Ci fu uno scroscio d'acqua proveniente dal quadro.

<< Basta, finitela! >> strillò Eustace, terrorizzato << è uno dei vostri stupidi scherzi, ora basta! Lo dico ad Alberta e.. >> la sua minaccia finì con un ululo. Nonostante fossimo piuttosto abituati a bizzarìe de genere, anche a noi venne spontaneo strillare, mentre una barcata di acqua fredda e salmastra si riversava dal quadro all'interno della stanza, prendendoci in pieno. D'istinto potrai le gambe sul letto e Lucy si voltò rapidamente dall'altra parte rispetto al quadro, la faccia che sfiorava la mia spalla.

Una volta travolti dall'onda, ammutolimmo.

Lucy alzò il viso, completamente fradicia, essendo la più vicina al dipinto. Mi tolsi una ciocca bagnata dalla bocca, asciugandomi col polsino della manica la faccia, ma ottenendo ben pochi risultati, essendo anch'esso bagnato.

Io e lei ci guardammo con aria stupefatta, poi vidi la sua espressione aprirsi in un sorriso, gli occhi le brillavano.

<< La distruggo quella schifezza di quadro! >> strillò ancora Eustace, istericamente, avvicinandosi rabbioso verso la tela.

<< No! >> urlammo noi due all'unisono. Edmund scattò in piedi, sovrapponendosi tra il cugino e l'oggetto di contesa << Non fare sciocchezze. >> lo avvertì. Lucy, che si era alzata nel tentativo di bloccare il biondo, iniziò a barcollare verso avanti. Le afferrai la mano per farle riacquistare equilibrio, poi mi alzai anch'io, continuando a tenermi alla testata del letto.

Eustace aggirò il cugino, ma quando stava per avventarsi sul quadro, intenzionato a strapparlo, ci rendemmo conto che la tela era svanita, lasciando spazio alla pura e semplice realtà.

La cornice si era ingigantita e noi eravamo in piedi sul bordo inferiore, aggrappati ai lati. Fu Eustace che, perdendo l'equilibrio a causa dello slancio, tentò di aggrapparsi a noi, con il solo risultato di farci precipitare tutti e quattro dentro l'enorme cavallone che ci stava investendo.

Ringraziai mentalmente la buona Olivia per avermi costretta a imparare a nuotare nonostante l'incidente nel bagno dei Prefetti.

Notai Lucy togliersi le scarpe e così feci anch'io, trovandola una mossa intelligente. Tenermi a galla mantenendo una mano occupata si rivelò comunque più impegnativo del previsto.

Ci stavamo avvicinando alla nave, poi vidi Eustace - ancora chiaramente in preda al panico più totale – aggrapparsi a Lucy, facendola però sprofondare nell'acqua insieme a lui.

Mi avvicinai a loro e, raggiunta all'istante da Edmund, riuscimmo a staccarli. Ed sorresse il cugino con le braccia mentre io aiutavo Lucy a riprendere il controllo, passandole un braccio attorno al io collo.

Non essendo una nuotatrice esperta, ringraziai l'aiuto della quinta persona, che si era gettata dal veliero per soccorrerci.

Quando si avvicinò a me per aiutarmi a sostenere Lucy, mi resi conto che non si trattava di un viso del tutto sconosciuto.

<< Caspian! >> esclamai, contenta, tossendo subito dopo per l'acqua che avevo bevuto esclamando il nome del re.

Lui sorrise, aggrappandosi alla cima di salvataggio. Fece in modo di far issare me e Lucy per prime e, non appena venne issato anche lui a bordo, lo intrappolai, stritolandolo in un abbraccio.

<< Ca-Caspian!! >> anche Lucy, ripresasi, abbracciò l'amico.

Eustace venne portato a bordo prima di Edmund e ci vollero parecchie persone per riuscire a tirarlo su.

Quando Ed salì, strinse immediatamente la mano di Caspian, che ricambiò la stretta, scambiandosi poi delle sonore pacche sulla schiena.

Strofinai con vigore le mani sulle braccia, rincuorandomi nel vedere anche Lucy tremare come una foglia. Invidiai il controllo di Edmund.

<< Chi è il vostro amico? >> chiese Caspian, con un sorriso cordiale, pronto ad accogliere anche il malefico cugino. Ma in quel momento Eustace era impegnato a piangere e strillare in maniera piuttosto imbarazzante.

<< Lasciatemi andare! >> ripeteva, urlando << Non mi piace questa storia! >>

<< Lasciarti andare? >> domandò Caspian << Si, ma dove? >>

Eustace si precipitò alla murata, probabilmente sperando di ritrovare la cornice da cui eravamo arrivati, ma quando tutto ciò che i suoi occhi incontrarono furono le onde azzurre del mare e un cielo sereno e senza l'ombra di una nuvola, il suo viso prese il colore verde della fiancata del veliero. Mentre io pensavo che fosse un panorama stupendo, lui doveva essere entrato ancora più nel panico rispetto a prima.

Provai un po' di pietà per quel poveretto. Anch'io, la prima volta a Narnia, ero entrata un po' nel panico, con tutto che ero abituata alla magia e che questo arrivo a rischio annegamento era stato dieci volte più traumatico.

<< Ehi Rynelf! >> sentii gridare Caspian a uno dei marinai << Porta del vino bollente per le loro Maestà e i loro amici. >> poi si rivolse a noi, raggiante << é quello che ci vuole per riscaldarsi dopo un bagno simile. >>

Uno dei marinai portò a me e Lucy delle coperte asciutte, nelle quali ci avvolgemmo. Edmund rifiutò gentilmente la sua << Tu non stai morendo di freddo, no? >> gli chiesi, sarcastica. Lui mi rivolse un sorrisetto divertito.

Il marinaio di nome Rynelf comparve con una brocca di vino fumante e con un vassoio con cinque coppe d'argento.

Edmund e Lucy lo bevvero tutto d'un sorso, io mi limitai a sorsi lunghi. Sentii subito il tepore del vino scendermi dalla bocca per tutto il corpo e mi sentii immediatamente meglio.

Eustace tentò di mandarlo giù come i cugini, ma non riuscì nell'intento, ritrovandosi a vomitare fuori dalla murata, con le lacrime agli occhi. Si accovacciò, domandando se qualcuno avesse un medicinale contro la nausea.

Caspian si avvicinò ad Edmund << Ehi, fratello, che allegro compagno ti sei portato. >> commentò, senza nascondere la nota di divertimento nelle sue parole.

Sospirai, un po' dispiaciuta per quel poveretto e mi accovacciai vicino a lui. Gli presi un braccio, sbottonando il polsino della sua camicia e premendo il pollice nella parte interna del polso, due dita di distanza dal palmo della mano.

<< Ce l'avete dello zenzero? >> domandai a Caspian, che a sua volta chiese a uno dei suoi di andare a controllare << Aspetta! >> mi sbrigai a fermare il marinaio di prima, Rynelf, prima che scomparisse sottocoperta << vengo con te. >> dissi a Eustace di continuare a fare pressione sul polso e mi alzai, seguendo l'uomo nella cabina che, a giudicare dall'aspetto e dall'odore, doveva essere una cucina.

<< Dove posso riscaldare dell'acqua? >> chiesi, non sapendo dove mettere le mani. Rynelf mi squadrò sottecchi, indagatorio, mentre – notai quando versò l'acqua in un pentolino – faceva da se' quello che avrei dovuto fare io. << Cosa dovete farci? >>

<< Lo zenzero? >> mi informai, prima di rispondergli. Lui mi indicò un angolo e, seguendo il suo sguardo lo trovai << Una tisana per il biondino lì fuori, a meno che non abbiate intenzione di sopportare i suoi lamenti per tutto il viaggio.. posso usare questo? >> mi interruppi per mostrargli un coltello. Lui annuì e io ne tagliai un paio di rondelle, mettendole poi nell'acqua sul fuoco, poi ripresi << ..il che potrebbe rivelarsi un'impresa molto peggiore rispetto alla più tremenda che abbiate mai affrontato. >>

Come per confermare le mie parole, dal ponte giunse uno strillo terrorizzato << MA CHE DIAMINE è QUELLA COSA?! Portatela via, è repellente!!! >> stava strepitando Eustace.

Ridacchiai malignamente, nonostante fossi curiosa di conoscere il motivo di tanto disgusto per il ragazzino.

<< Ti chiami Rynelf, ho capito bene? >> gli chiesi, più che altro per la mia insensata mania di dover sempre riempire il silenzio. Tom la odiava, e la cosa non mi aiutava a reprimerla, anzi.

<< Avete capito bene. >> confermò laconicamente l'uomo.

<< Io sono Em. >>

Lo vidi corrucciare la fronte, ma non disse nulla. Gli chiesi una coppa, notando che iniziavano a crearsi delle bollicine sul fondo del pentolino.

Lui mi passò ciò che gli avevo chiesto e poi espresse il suo dubbio << Non siete una delle regine, vero? >>

Sorrisi << No, decisamente no. >> lo vidi rilassarsi notevolmente << Infatti, non c'è bisogno di tanta formalità. >> lo rassicurai.

Versai l'infuso nella coppa e tornai sul ponte, scoprendo che l'oggetto d'insulti da parte di Eustace era Ripicì, il valoroso topo parlante che, ricordavo molto bene, aveva tentato di uccidermi durante la battaglia contro Telmar scambiandomi per un nemico. Era stato Edmund a fermarlo, salvandomi dalla sua piccola ma letale lama.

Non gli portavo rancore visto che poi aveva passato tre quarti d'ora buoni a porgermi le sua scuse, dimostrandomi quanto fosse rammaricato di quell'incidente.

Quando mi vide, prima mostrò un'espressione sorpresa, poi si sfilò il cappello, rivolgendomi un inchino << Mia signora, non sapevi ci foste anche voi. Le porgo i miei omaggi signorina Em. >>

Gli sorrisi allegramente, cimentandomi in una riverenza << É un piacere rincontrarti, Ripicì. >> non potei non notare l'espressione divertita di Edmund che o aveva trovato il mio inchino molto impacciato (poco probabile visto che, neanche fossimo ancora nell'ottocento, le famiglie purosangue usavano ancora certe formalità) oppure aveva captato la velata presa in giro al nobile e onorevole topo.

Mi inginocchiai nuovamente vicino a Eustace, mettendogli tra le mani la coppa e ritrovandomi a doverlo costringere a bere. << Che roba è? >> mi chiese schifato e sospettoso, dopo aver mandato giù un sorso. Alzai gli occhi al cielo << Piantala che non è così cattivo. >>

Mi rialzai << Dimmi che lo hai avvelenato, ti prego. >> supplicò tra i denti Edmund, facendo ridere Caspian che, essendo al suo fianco, lo aveva sentito. << Ammetto che la tentazione c'è stata. >> risposi.

Lucy starnutì, seguita a ruota da Eustace << Che stupido a farvi rimanere qui con i vestiti bagnati! >> si rimproverò Caspian << Scendiamo sottocoperta, lì potrete cambiarvi. A voi, ragazze, cedo naturalmente la mia cabina. Purtroppo a bordo non ci sono vestiti da donna, ma potete usare i miei nel frattempo che i vostri si asciugano o approdiamo da qualche parte dove possiamo comprarne. Fa' strada come si conviene, Ripicì. >>

<< Per galanteria nei confronti di due dame >> rispose Ripicì << anche una questione d'onore passa in secondo piano. >> non capii a cosa si riferisse, ma quando scrutò minacciosamente Eustace Clarence intuii che dopo l'urlo che si era sentito anche da sottocoperta doveva essere stato ulteriormente sgradevole nei confronti dell'orgoglioso (e permaloso) combattente.

Caspian ci accompagnò giù e in pochi istanti, dopo aver attraversato una porta, io e Lucy ci trovammo nella cabina di comando.

Appena dopo essere entrate e aver dato una rapida occhiata intorno a noi, ci venne spontaneo scambiarci un sorriso entusiasta: quel posto era spettacolare. Tre finestrelle quadrate si affacciavano sul mare blu e le panche ai tre lati di un tavolo posizionato all'angolo della cabina erano rivestite di cuscini. Dal soffitto dondolava una lampada d'argento e sulla porta campeggiava l'immagine dorata di Aslan.

<< Questa sarà la vostra stanza. >> ci disse Caspian, iniziando a rovistare in una cassapanca. Nessuna delle due ebbe da ridire. << Prendo solo gli abiti puliti, poi vi lascio sole, cosicchè possiate cambiarvi. Gettate i vestiti bagnati fuori dalla porta, li farò portare nella cambusa ad asciugare. >> ci diede queste ultime indicazioni e, dopo un accennato inchino, uscì dalla porta, chiudendosela dietro.

<< Quanta galanteria. >> commentai, facendo ridacchiare Lucy.

<< Vediamo se riusciamo a rimediare qualche vestito che non sia eccessivamente grande. >> incitò lei, lasciando cadere la coperta con la quale si stava riscaldando sul pavimento. Entrambe ci inginocchiammo davanti alla cassapanca << Mi sembra di star invadendo la sua privacy >> borbottai, iniziando a esaminare i vari indumenti << A me darebbe fastidio se un ragazzo mettesse le mani nel mio guardaroba. >> aggiunsi.

Lucy mi rivolse un sorrisetto divertito << Se pensi che è il modo in cui ho scoperto Narnia.. >> ci guardammo per un istante, in silenzio, per poi scoppiare a ridere << Sono così contenta di essere qui! >> esclamò lei, sdraiandosi per terra. Sorrisi, tirando fuori una camicia bianca, che sembrava essere lievemente più piccola delle altre. La porsi a Lucy, che la prese, iniziando a svestirsi. Le passai anche dei pantaloni di cotone rossi bordeaux.

Lei infilò la camicia nei pantaloni, arrotolandoli in vita e sulle caviglie, ma le stavano comunque troppo larghi.

Era una scena piuttosto comica, e non appena lei provò a lasciare la presa, dovette riacchiapparli al volo mentre le cascavano di dosso.

Scoppiai a ridere.

<< Non posso andare in giro così, eh? >> scherzò lei.

<< Direi che puoi provare >> risposi, sempre ridendo << ma non mi sembra un'ottima idea su una nave piena di maschi. >>

Aprii il cassetto si un comodino lì vicino, alla ricerca di una cintura.

<< Magari mi scambiano per una sirena >> disse con voce civettuola, portando un braccio dietro la nuca. Scoppiai a ridere << Secondo te dove le tiene le cinture? >>

<< Okay, questo è imbarazzante >> rise Lucy. Ci guardammo intorno, l'incognita aleggiante nell'aria.

<< Prova a guardare nel primo cassetto lì dove sei tu. Ed e Peter le tengono lì. >>

Seguii l'indicazione e ringraziai il fatto che i maschi fossero tutti piuttosto simili, a dispetto del mondo di origine. Aiutai Lucy a stringere la cintura e poi mi cambiai anche io.

Le scarpe neanche perdemmo tempo a cercarle, sapendo che sarebbero state troppo grandi per entrambe e concordammo che non sarebbe stato poi così male camminare a piedi scalzi sulle travi di legno del veliero.

Come indicato da Caspian, lasciammo i nostri vestiti bagnati fuori dalla porta, dopodiché, ancora un po' infreddolite, ci sedemmo sull'ampio letto del Re di Narnia. La cosa mi causò una sciocca e infantile euforia, ma diamine, quante persone possono vantarsi di aver usato il letto di un Re!

Ci coprimmo con una coperta, osservando da una delle finestrelle le onde del mare accavallarsi fra loro, riflettendo il sole in migliaia di luccichii.

Eravamo in silenzio, ma la cosa non pesava a nessuna delle due, in contemplazione del mare e in ascolto del suo infrangersi sulle mura del veliero, le voci degli uomini che non stonavano con quel paesaggio naturale.

Non c'era più bisogno di raccontare storie perché eravamo lì e, ne ero sicura, ci stava aspettando un viaggio fantastico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

****Angolo Autore

Ebbene, rieccoci qui!

Lo so, lo so, quattro mesi di assenza sono un bel po' ma è colpa della Real Life - eh, si, purtroppo c'è anche quella >-< - non mia. Incolpate lei!

Allora, cosa mi dite? Finalmente si torna a Narnia!

Al solito mi atterrò alla storia del libro, anche se se può essere che qualche cosa del film la tengo e, ovviamente, altre parti le cambierò o aggiungerò io u-u

Per quanto riguarda il "malefico cugino", ho deciso di mantenere la verione inglese del nome Eustace, perchè Eustachio no. Cioè, davvero, è cattiveria pura e non ce la posso fare xD

Un beso a todos,

Rue <3

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