Il mietitore di Barcellona

di Futeki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Storia partecipante ai contest:

·      I’ll look after you” indetto da Chloe R Pendragon sul forum di EFP;

·      Shakespearian quotations contest” indetto da _juliet sul forum di EFP;

·      Fantasy Contest - Alternative Route” indetto da Mokochan sul forum Torre di Carta e sul forum di EFP.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mietitore di Barcellona

 

 

CAPITOLO UNO

 

 

C’erano zone di Barcellona in cui la primavera faceva fatica ad arrivare. Il quartiere di El Raval vantava una vita notturna all’insegna della criminalità, che si accompagnava a un gelo innaturale, che gli umani sembravano non percepire. Ma forse era soltanto una mia sensazione. Difatti, ogni volta che mi addentravo in uno dei vicoli bui di quella zona, ne uscivo dopo aver traghettato l’anima di qualcuno che era morto prima del previsto.

Quella sera toccò a una ragazza dai lunghi capelli biondi raccolti in una treccia.

Se ne stava sdraiata a pancia in giù sul tetto di un edificio, reggendosi sui gomiti e puntando un fucile di precisione verso la strada sotto di lei, dove quattro uomini si stavano scambiando borse e valigette.

Avevo visto troppi acquisti di droga per non riconoscerne uno, ma trovai sorprendente l’idea di un sicario appostato dieci metri più in alto a tenere d’occhio la scena. Probabilmente qualcosa andò storto, perché la donna dai capelli biondi si trasformò da cacciatrice in preda nel giro di pochi secondi.

Un proiettile proveniente dalla sua destra la colpì al fianco. Lei s’infilò un pugno in bocca per non gridare e si morse forte le dita. Proprio mentre si girava per controllare lo stato della ferita, un altro colpo la centrò in pieno petto.

Mi sentii trascinare verso di lei da una familiare forza invisibile e in pochi attimi fui al suo fianco. Vidi chiaramente la sua anima lasciarsi indietro il proprio corpo e, come avevo fatto per milioni di altre anime prima di lei, le tesi la mano.

Lei si voltò a guardare il corpo che aveva lasciato, poi puntò gli occhi verdi nei miei.

«Sono morta?», chiese in preda al panico.

In tanti secoli di non-vita, nessuna delle anime che avevo traghettato dall’altra parte mi aveva mai rivolto la parola. Nessuna, in verità, mi era mai parsa in grado di provare emozioni o anche solo di pensare qualcosa. Quella ragazza, invece, mi fissava con gli occhi sgranati, in preda al panico.

Inclinai la testa. «Quasi», risposi. Per un attimo rimasi sorpreso dal fatto che lei potesse sentirmi. Neanche io avevo mai parlato con un essere umano.

«Non posso morire», dichiarò stringendosi le braccia attorno al petto, come se volesse bloccare l’emorragia. Ma il foro di proiettile non c’era più. Si guardò intorno spaventata, con lo sguardo di una bambina in preda al terrore, mostrando una fragilità che non mi sarei aspettato guardandola impugnare quel fucile.

«Ti prego», mi disse guardandomi dritto negli occhi.

Abbassai la mano che avevo sollevato verso di lei.

Non potevo portarla dall’altra parte, non volevo. Volere. Non avevo mai provato niente di simile, eppure quella volta volevo. Volevo che smettesse di avere paura.

La guardai sbiadire come una cortina di fumo che si dirada. Se non l’avessi traghettata, sarebbe rimasta per sempre sospesa tra la vita e la morte, spenta e impossibilitata a fare qualsiasi cosa se non aspettare la fine dell’eternità.

Presi una decisione istintiva: anziché tenderle una mano per trascinarla verso di me, le spinsi forte il palmo contro una spalla. Lei cadde all’indietro sul tetto su cui era quasi morta e si ricongiunse con il proprio corpo.

Allontanai per la prima volta un’anima, una che, stranamente, avrei davvero voluto trascinare verso di me.[1]

Ma lei non voleva.

Si svegliò di soprassalto e si mise a sedere tossendo. Sputò un po’ di sangue, poi si tastò il petto e il fianco in cerca delle ferite. Non le trovò. Si posizionò di nuovo a pancia in giù, impugnando saldamente il fucile, ma la strada era deserta. Scrutò per qualche istante i dintorni, alla ricerca di eventuali sicari appostati per uccidere lei. Non ce n’erano. Imprecò.

Istintivamente, mi nascosi nell’ombra temendo che potesse vedermi, anche se ovviamente non poteva essere così. I vivi non erano in grado di vedere quelli come me. Ma generalmente, i vivi non erano in grado neanche di sfuggire alla morte senza un apparente motivo. In pochi arrivavano così vicini all’altra parte e poi tornavano indietro.[2]

Dopo che ebbe riposto con cura il fucile in uno zainetto, la seguii a distanza mentre scendeva dal tetto del palazzo e si incamminava per le stradine di El Raval. Entrò in un bar e si diresse con decisione verso la sala da biliardo sul retro.

Non appena varcò la soglia, un uomo sulla cinquantina che stava fumando un sigaro appoggiato al muro, si alzò di scatto e sorrise.

«Signori, ecco a voi la nostra eroina Leya Sanchez», annunciò in tono teatrale. Tutti si voltarono a guardarla. Uno di loro, un ragazzo di poco più di vent’anni, rimase immobile piegato sul tavolo da biliardo, con la stecca tra le dita e lo sguardo fisso sulla nuova arrivata.

«Non ci sono riuscita», tagliò corto lei.

Un mormorio di fastidio si levò nella stanza. Qualcuno scrollò la testa, il ragazzo sul tavolo da biliardo tornò a concentrarsi sulla pallina.

L’uomo soffiò fuori una boccata di fumo e poi si rivolse a lei senza più alcuna traccia dell’entusiasmo che l’aveva animato qualche secondo prima. «Cosa è successo?»

«Sapevano che sarei stata lì», rispose secca. «Hanno provato a spararmi da un altro tetto. Sono riuscita a evitarli, ma ho perso gli obiettivi.»

Tecnicamente, non era andata proprio così. Leya – così si chiamava la ragazza – era stata centrata in pieno. Due volte. Ed era anche morta, tanto per essere precisi.

«Ho intenzione di riprovarci», aggiunse lei.

L’uomo inarcò un sopracciglio. «Ne sei proprio sicura?»

«Sì, se il patto è ancora valido», replicò lei. «Mi servono quei soldi.»

«Affare fatto, allora. Ti farò sapere dove e quando avrà luogo la prossima transazione. Fai fuori quei due e avrai i soldi che ti ho promesso. Ma se ti cacci nei guai non aspettarti il mio aiuto.»

«Certo che no», disse lei acida. «Non lo faresti per uno dei tuoi, figuriamoci per me.»

Lui inarcò di nuovo un sopracciglio, ma non disse niente.

«Sai come contattarmi, Ramon», concluse lei. Poi gli diede le spalle e, senza rivolgere neanche una parola agli altri, uscì dalla sala da biliardo e dal bar.

Uno strano sentimento di aggressività che non avevo mai provato prima mi pervase. Si sarebbe messa in pericolo di nuovo, senza alcuna garanzia di soccorso da parte di quel Ramon. Perché? E perché a me importava tanto? Forse mi sentivo responsabile per la sua vita. Forse, dopo averla rimandata indietro, era mio compito fare in modo che restasse viva almeno per un po’. Quale che fosse il motivo, decisi, in quel momento, che avrei vegliato su di lei fino a che avessi potuto.[3]



[1] Questa frase riprende le parole “If I don't say this now I will surely break, as I'm leaving the one I want to take”, della canzone “Look after you” (The Fray).

[2] Come per la nota precedente, questa frase riprende alcune parole di “Look after you” (The Fray): “So few come and don't go”.

[3] Ancora, in riferimento a “Look after you”.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


DUE

 

Continuai a seguirla pensando che fosse diretta a casa sua. Invece, lei proseguì per le strade di Barcellona fino a fermarsi di fronte a un ospedale. Entrò e rivolse un cenno di saluto a due infermiere che incrociò all’ingresso. Continuò indisturbata fino al terzo piano e aprì una delle porte che davano sul corridoio, senza neanche bussare. All’interno, un uomo era steso sull’unico letto della stanza. Rispettai la sua privacy – sentii la necessità di farlo – e rimasi fuori alla camera, tenendomi a distanza. Tuttavia, la sua voce giungeva chiarissima a me attraverso un piccolo spiraglio lasciato dalla porta socchiusa.

«Ciao Ric», salutò lei. Nessuna risposta. «Oggi stavo per uccidere due uomini», disse. «Ramon mi aveva affidato l’incarico, ma qualcosa è andato storto. Mi hanno sparato e ho creduto che sarei morta», s’interruppe. Attese in silenzio per qualche istante, poi ricominciò a parlare.

«Se potessi sentirmi forse mi diresti di non farlo. Ma in effetti se potessi sentirmi non ce ne sarebbe bisogno», rise piano, ma ebbi la sensazione che in realtà stesse piangendo.

«Farò sempre tutto il necessario per prendermi cura di te», disse. «Te lo giuro.»

Avevo sempre saputo che gli esseri umani erano pieni di contraddizioni, ma quella ragazza, Leya, era un misto così ben riuscito di forza e fragilità che quasi mi spiazzò. Era… interessante. Per la prima volta, un essere umano mi stava affascinando, al punto che forse avrei scelto di seguirla anche se non mi fossi sentito responsabile per la sua vita.

«Leya», la chiamò un’infermiera. Non mi ero accorto del suo arrivo. «È tardi, credo che faresti meglio ad andare.»

«Certo», disse lei. Dal luogo in cui mi trovavo, all’angolo del corridoio, non riuscivo a vedere l’interno della stanza, ma ero sicuro che neanche lei aveva sentito arrivare l’infermiera, assorta com’era nel racconto della sua giornata.

Sentii il rumore di una sedia che si spostava e quello di una porta che veniva chiusa con delicatezza. Poi aspettai che i passi di Leya mi confermassero che stava scendendo le scale e ripresi a seguirla.

Per un attimo, mi sentii in colpa a pedinarla in quel modo, ma poi mi dissi che siccome non poteva vedermi non avrei dovuto curarmene.

Uscì all’aperto e rabbrividì, nonostante l’aria non fosse particolarmente fredda. Mi parve in grado di percepire quel gelo che avevo creduto una mia semplice suggestione.

Riprese a camminare per le strade di El Raval e procedette per quasi mezz’ora tra i vicoli bui. Ebbi paura per lei e per me. Per lei, perché una ragazza che camminava da sola a quell’ora di notte poteva facilmente essere aggredita da malintenzionati. Per me, perché non potevo di certo permettere che le accadesse qualcosa di male, anche a costo di trascinare dall’altra parte qualcuno che invece avrebbe dovuto rimanere vivo. Avevo già infranto l’equilibrio spingendo lei verso la vita, quindi non mi spaventava affatto l’idea di rifarlo per mantenere le cose come stavano.

Per fortuna, non fu necessario. Giunse sana e salva di fronte a un palazzo che sembrava sul punto di crollare e si infilò nel portone. Io rimasi in strada con lo sguardo puntato verso l’alto, aspettando che una delle finestre che affacciavano su quel lato si illuminasse, sperando che casa sua non fosse dall’altra parte. Una luce si accese al quarto piano e, senza fermarmi a riflettere, salii le scale antincendio fino a raggiungerla e lanciai un’occhiata verso l’interno. La finestra era leggermente aperta e dava su una piccola camera da letto. Da una parte, una scrivania piena di libri occupava quasi tutta la parete, mentre dal lato opposto c’erano una porta e un armadio.

Leya aveva appoggiato lo zaino in cui c’era il fucile accanto al letto, poi era rimasta in piedi di fronte a uno specchio per sciogliersi con le dita sottili i capelli intrecciati. Fui assalito dal desiderio di toccarli. Mi guardai le mani. Più mi avvicinavo ai vivi, più acquisivo i loro impulsi, i loro atteggiamenti. Perché ero salito fin lassù per seguire lei? E perché avevo usato le scale quando non ne avevo bisogno? Perché desideravo di non essere incorporeo, di poterla toccare?

Un movimento all’interno della stanza attirò nuovamente la mia attenzione. Leya si stava spogliando, sfilandosi prima la giacca e poi la maglietta.

Assurdamente, una parte di me provò imbarazzo. Ancora più incredibilmente, un’altra parte di me provò il desiderio di guardarla ancora. Ero… curioso. E interessato.

A un certo punto, si voltò verso la finestra e vidi chiaramente un segno sulla sua spalla, proprio nel punto in cui l’avevo colpita per farla tornare alla vita.

«Tu!», esclamò lei. Sollevai lentamente lo sguardo verso di lei, poi mi voltai, aspettandomi di vedere qualcuno dietro di me, ma non fu così.

«Puoi vedermi?», le chiesi attraverso la finestra.

Lei boccheggiò. «Non sono mica cieca», disse infine. Poi parve rendersi conto di essere nuda e afferrò la giacca dal letto per coprirsi.

«Scusa per l’intrusione», dissi, ma non mi mossi di un millimetro. «Credevo non potessi vedermi.»

Come se questo mi giustificasse per averla seguita fino a lì e averla fissata mentre si spogliava.

«Chi sei?», mi chiese.

Evitai la domanda. «Ti fa male?», chiesi a mia volta indicando il segno che aveva sulla spalla.

Lei si guardò e scosse la testa. «Non mi ero neanche accorta di averlo. Sei stato tu?»

«A farti quello? Sì. Mi dispiace.»

Lei inclinò la testa e parve riflettere su qualcosa. Poi mi diede le spalle, si infilò la giacca che aveva tenuto stretta al corpo fino al quel momento per coprirsi e la abbottonò. Infine, tornò verso di me e aprì la finestra.

«Entra», disse. Obbedii e lei richiuse la finestra alle mie spalle, tirando anche le tende. Spostò la sedia che stava di fronte alla scrivania e la avvicinò al letto. Mi fece cenno di sedermi e poi si sedette a sua volta sul bordo del letto.

«Chi sei?», ripeté mentre io decidevo se sedermi o meno. Non ne sentivo il bisogno, ma in qualche modo mi sembrava giusto farlo. Alla fine, feci come aveva detto, se non altro per essere alla sua stessa altezza.

Leya stava ancora aspettando la mia risposta. «Sono un mietitore», dissi.

Lei sobbalzò leggermente, poi parve tranquillizzarsi, come se tutto fosse più chiaro dopo quella rivelazione. «Sono morta?», chiese.

Io avrei voluto rispondere che no, non era morta, che stava benissimo e aveva tutta la vita davanti, ma non era la verità. «Sì», dissi, «se puoi vedermi significa che sei morta. Ma non so come sia possibile che tu riesca ancora a interagire con i vivi.»

Lei si fermò a riflettere. Era affascinante il modo in cui inclinava la testa quando era perplessa o sovrappensiero. «Quando una persona muore, tu cosa fai?», chiese infine.

Sospirai. «Quando un’anima lascia il suo corpo, io la porto dall’altra parte, ma solo se succede qui a Barcellona. Nelle altre città ci sono altri mietitori.»

Lei sembrò affascinata. «Cosa c’è dall’altra parte?»

«Non lo so», risposi. «Non ci sono mai stato.»

«Hai detto che porti le anime lì», fece notare lei. «Non hai mai visto com’è?»

Non ci avevo mai pensato. Avevo sempre immaginato l’altra parte come qualcosa che in realtà non c’era. Era la non esistenza.

«No», risposi. «Io sono il tramite, ma le anime ci vanno da sole. Io resto a metà tra la vita e la morte.»

«Come ti chiami?», chiese lei ingenuamente.

Sorrisi. «Sono solo un mietitore», risposi.

«E se volessi distinguerti dagli altri? Hai detto che ci sono altri mietitori nelle altre città.»

Scrollai le spalle. «Sono la Morte di Barcellona.»

Lei tacque e io lasciai che riflettesse in silenzio.

«Vuoi uccidermi?», disse alla fine. «Cioè, portarmi dall’altra parte?»

«No, certo che no», mi affrettai a dire. «Ti hanno sparato su quel tetto, avrei dovuto farlo in quel momento.»

«E perché non l’hai fatto?», chiese lei.

«Perché tu hai detto che non potevi morire.»

«Immagino che lo dicano in tanti», replicò.

«Veramente no. Non mi era mai capitato che qualcuno mi rivolgesse la parola.»

Lei inarcò un sopracciglio. «Perché?»

«Quando arrivano da me, le anime di solito sono già… spente. Più morte che vive. Tu eri viva e non volevi morire. Per questo ti ho spinto. Mi dispiace per quello», mi scusai ancora indicando la sua spalla.

Lei scosse la testa. «Devo ringraziarti, invece», disse. «Non potevo proprio permettermi di morire.»

Io sorrisi. «Non potevi permettertelo

Lei annuì, ma non aggiunse altro.

«Com’è possibile che tu mi creda?», le chiesi. «Ho un aspetto umano, mi presento alla tua finestra dicendoti che sono un mietitore… e tu mi credi. Com’è possibile?», ripetei.

«Io ho sentito di essere morta», rispose.

Rabbrividii a quelle parole. C’era mancato così poco…

«Mi è facile crederti», concluse. Poi allungò una mano verso di me.

Il panico mi assalì. «Non toccarmi!», gridai.

Lei si ritrasse spaventata.

«Scusami», dissi. «Ho solo paura di quello che potrebbe succedere se mi tocchi. Di solito quando un’anima viene da me, mi basta toccarla per portarla dall’altra parte.»

«Ma tu mi hai rimandato indietro», disse lei. «E per farlo mi hai toccato.»

«Non so come ci sono riuscito», confessai. «Non sono sicuro di poterlo rifare.»

«Che mi succederà?», chiese.

Scossi la testa. «Non lo so.»

«E quando morirò?»

«Non so neanche questo. Non so nemmeno se morirai. Forse mi sono giocato l’unica possibilità che avevo di portarti dall’altra parte», confessai con una nota di disperazione nella voce.

«Potrei vivere per sempre?», chiese preoccupata. Era abbastanza saggia da sapere che non era un vantaggio.

«No, la morte del corpo arriva per tutti», la tranquillizzai.

«E la mia anima? Che succede se non la porti dall’altra parte?»

«Rimane sospesa», risposi, «tra la vita e la morte.»

«Come te?», chiese lei.

«Sì, ma è molto diverso. Io sono cosciente e posso muovermi, anche se sono incorporeo. Gli umani morti che non vanno dall’altra parte svaniscono come fumo e restano sospesi per sempre.»

«Ti è mai capitato?»

«Sì», risposi. «Qualche volta è successo. Alcune anime si sono voltate a guardare il mondo che si stavano lasciando alle spalle per troppo tempo, perdendo l’occasione di afferrare la mia mano e andare dall’altra parte. Quelle sono svanite semplicemente. Sono rimaste a metà.»

Ma perché le stavo raccontando quelle cose? Probabilmente la stavo solo spaventando. Quando sarebbe giunta la sua ora avrei fatto in modo che lei raggiungesse serenamente l’altra parte. Fino a quel momento, il mio obiettivo primario sarebbe stato tenerla al sicuro in vita.

«Succederà anche a me?», chiese. «Di restare… sospesa?»

«No», risposi convinto. «Non lo permetterò.»

Lei parve tranquillizzarsi.

«Oltre a me, chi altro può vederti?», chiese.

«Nessuno.»

«Devi sentirti molto solo.»

«Non ci avevo mai pensato prima d’ora», risposi sinceramente.

«Puoi aiutarmi?», mi chiese alla fine. «A uccidere quelle persone.»

Il candore con cui aveva pronunciato quelle parole contrastava incredibilmente con il loro significato.

«Proveranno a farmi fuori di nuovo, sono certa che uno degli uomini di Ramon fa il doppio gioco e ha avvisato Juan che lui ha mandato me a dare la caccia a due dei suoi.»

«Perché lo fai?», le chiesi. Lungi da me qualsiasi forma di moralità (restavo comunque un mietitore), ma visto che stava rischiando la vita doveva avere un motivo più che valido per farlo.

Lei distolse lo sguardo. «Mio fratello è in coma, ha bisogno di cure molto costose», spiegò.

«Mi dispiace», dissi, incapace di aggiungere altro.

Lei non replicò.

«Oggi ti ho vista in ospedale. Sei andata a far visita a tuo fratello, giusto?»

«Sì», disse lei. «Ho davvero bisogno di quei soldi. Mi aiuterai?»

Sospirai. «Come?»

«Puoi tenermi al sicuro impedendo che mi uccidano?»

«L’unico modo sarebbe quello di uccidere loro prima che feriscano te.»

E questo non avrei esitato a farlo anche se lei non me l’avesse chiesto. Quella ragazza mi aveva mandato completamente fuori di testa.

«Non vorrei arrivare a tanto», dichiarò. «Ma non ho altra scelta che provarci. Il tempo scorre e la vita di Ric è appesa a un filo.»

Non replicai. Qualunque decisione avesse preso, io avrei seguito il mio proposito di tenerla al sicuro, a qualsiasi costo.

«È meglio che ti lasci riposare», dissi a quel punto, alzandomi dalla sedia su cui ero rimasto seduto. «Se avrai bisogno di me ti basterà chiamarmi. Sarò qui nei paraggi.»

Lei sorrise. «Come potrei chiamarti se non hai neanche un nome?»

Non ci avevo pensato. Mi venne da ridere al solo pensiero. «Chiamami come vuoi.»

«Morte non mi piace.»

«Ma è quello che sono.»

«Per me sei stato la vita.»

Mi lasciò senza parole. Quanto avrei voluto poterla toccare…

«Resta qui e basta», disse lei.

«Hai bisogno di dormire», replicai.

«Tu no?»

«No.»

Lei rimase in silenzio. «Resta comunque», disse alla fine.

Sospirai e mi sedetti di nuovo sulla sedia di legno. Le sorrisi. «Dormi.»

Lei sparì in bagno per qualche minuto e ne riemerse con addosso una tuta, poi si infilò sotto le coperte e spense la luce.

«Puoi vedermi?», chiese lei al buio.

«Sì», risposi.

«Non è giusto», replicò riaccendendola.

Sorrisi. «Devi dormire e quando chiuderai gli occhi non mi vedrai comunque.»

«Promettimi di non sparire», disse.

Come avrei potuto? Non si rendeva conto di quanto aveva cambiato la mia esistenza?

«Te lo prometto», dissi.

Lei spense la luce.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


TRE

 

Mantenni la mia promessa. Quando Leya si svegliò il giorno seguente, mi trovò esattamente dove mi aveva lasciato. L’avevo osservata per così tanto tempo che ogni singolo tratto del suo viso avrebbe dovuto essere impresso a fuoco nella mia memoria;  invece ogni istante scoprivo qualcosa di nuovo in lei. Non mi stancavo mai di guardarla. Rimasi al suo fianco per tutta la giornata, facendole compagnia prima nel negozio dove lavorava come commessa e poi in ospedale da suo fratello. Quando ricevette una telefonata da Ramon che la informava sul luogo e l’ora in cui avrebbe potuto portare a termine il suo lavoro, Leya tornò a casa per prepararsi.

«Sei sicura di volerlo fare?», le chiesi per l’ennesima volta mentre sistemava il fucile di precisione nello zaino.

«Non ho scelta», ripeté lei, come aveva già fatto tante volte.

Due ore più tardi era appostata sul tetto di un palazzo di El Raval, il fucile sistemato davanti a lei, puntato verso la strada. Io ero in piedi al suo fianco, pronto a intercettare chiunque si facesse vivo.

«Bingo», esclamò lei a un certo punto. Gli uomini di Juan dovevano essere arrivati. Io continuai a scrutare i dintorni, cercando di rimanere concentrato.

La sentii premere due volte il grilletto e poi udii le esclamazioni di sorpresa dei due sopravvissuti. Erano uomini di Ramon, mi aveva spiegato Leya, che avrebbero portato via sia la droga che i soldi.

Il solito impulso mi trascinò verso le due anime che avevano lasciato il proprio corpo. Sgranai gli occhi, disperato al pensiero di lasciare Leya da sola su quel tetto, anche se solo per pochi istanti, ma fluttuai comunque in direzione della strada. Tesi le mani verso i due uomini di Juan e li traghettai dall’altra parte. Poi non persi tempo e tornai al fianco di Leya. Lei aveva già risistemato il fucile nello zaino e mi stava aspettando in piedi, scrutando nel buio.

«Juan saprà che è stato Ramon a ordinare l’assassinio di quei due», dissi quando le fui di nuovo accanto.

«Non mi interessa», dichiarò. «I loro problemi tra criminali non mi riguardano. Andrò a riscuotere i miei soldi e farò in modo di non doverli più vedere.»

Sperai che avesse ragione. Non feci in tempo ad aggiungere altro che sentii il familiare sibilo di un proiettile che sta per colpire qualcuno.

Istintivamente, tirai Leya verso di me, spostandola dalla traiettoria dei sicari di Juan.

«Andiamocene da qui», sibilai.

«Mi hai toccato», disse lei, ignorando completamente il fatto di essere sotto attacco. «Mi hai toccato e non sono morta.»

La trascinai giù fino a farla stendere, in modo da sottrarla alla vista dei sicari. «Sforzati di restare viva ancora per un po’», le dissi. «Così potrò toccarti per altri motivi.»

Lei arrossì, ma non riuscii a preoccuparmene: ero troppo impegnato a cercare una via di fuga. Alla fine, la spinsi verso le scale antincendio e scendemmo per strada. Poi le afferrai saldamente la mano e la trascinai tra i vicoli di El Raval, percorrendo stradine in cui era quasi impossibile non perdersi a meno di non essere della zona. Ma io non ero soltanto il mietitore di Barcellona, ero l’anima della città stessa e non c’era un solo centimetro quadrato di quelle strade che non conoscessi come le mie tasche.

Alla fine, giungemmo di fronte al bar in cui Leya doveva incontrare Ramon.

«Grazie», disse lei. «Per avermi portato fin qui.»

«Voglio solo che tu sia al sicuro.»

Lei mi sorrise e mi trascinò all’interno, allontanandoci dai pericoli della strada.

Quando entrò nella sala da biliardo, calò il silenzio.

«È fatta», dichiarò. «Quando i tuoi uomini rientreranno potranno confermartelo.»

Ramon inspirò una grande boccata di fumo dal suo solito sigaro.

«Ho già avuto la mia conferma», replicò. «Juan mi ha telefonato. Ha detto di voler interrompere qualsiasi trattativa commerciale con me perché credeva che fossi responsabile della morte dei suoi uomini. Per dimostrargli la mia buona fede, gli ho detto che gli avrei restituito i soldi che non ha avuto a causa del fallimento della transazione. Gli ho spiegato che non siamo stati io e i miei uomini a uccidere i suoi.»

Leya strinse i pugni.

«Potrei ucciderlo adesso», sibilai tra i denti. Lei, ovviamente, non disse nulla. A Ramon sarebbe sembrato che parlasse da sola.

«Gli hai detto che sono stata io», disse in tono gelido.

«Non sarei mai stato così crudele, mia cara», replicò lui beffardo. «I suoi uomini ti hanno vista. Ti cercheranno. Io mi sono limitato a dire che non sei una dei miei e che la faccenda non mi riguarda. Non conoscono il tuo nome, ci metteranno un po’ a trovarti.»

«Farò in modo che sappiano che ci sei tu dietro a tutto questo», minacciò lei.

«Chi ti crederebbe?», le fece notare lui. «Juan non ha alcun interesse a interrompere le trattative con me, ma è suo dovere di capo fare giustizia. Per quanto mi riguarda, volevo soltanto che quei due fossero sistemati, non m’interessava dei soldi. Preferisco mantenermi in buoni rapporti d’affari con Juan.»

Qualcuno nella sala ridacchiò.

«I soldi», disse Leya. «Dammi i miei soldi e ti assicuro che non ci vedremo mai più.»

«Naturalmente, mia cara», disse lui allungandole una valigetta. Leya la aprì e controllò che ci fosse l’importo pattuito. Poi si voltò e senza dire una parola uscì dalla sala. Arrivata sull’uscio del bar, si decise a rivolgermi la parola.

«Ho bisogno che tu vada a controllare che non siano nei paraggi», disse. «Devo arrivare all’ospedale sana e salva.»

«Andrà tutto bene», le ripetei, anche se non ne ero sicuro. Il panico iniziava a farsi strada dentro di me, a mano a mano che cresceva la consapevolezza che qualcuno di molto potente le stava dando la caccia.

La portai fino all’ospedale senza che incrociasse mai gli uomini di Juan. Probabilmente, avevano perso le sue tracce già da un po’.

Leya consegnò i soldi a un’infermiera fidata, poi passò a salutare suo fratello, nonostante l’orario di visita fosse terminato da un pezzo. Io la aspettai nell’atrio, su sua richiesta.

Quando scese, aveva gli occhi lucidi, ma non dissi nulla.

«Starà bene», disse sollevata. «Io sono sicura che mio fratello starà bene.»

Io annuii con aria rassicurante e la strinsi a me. Evitai di farle notare che probabilmente al suo risveglio suo fratello non l’avrebbe trovata ad aspettarlo.

Tornammo a casa sua passando per strade secondarie e ci infilammo nel portone senza perdere tempo. Una volta in camera sua, Leya chiuse la finestra e tirò le tende, poi si lasciò cadere sul letto.

Io presi posto sulla solita sedia di legno. Mi sembrava passata una vita da quando le avevano sparato e io l’avevo spinta indietro mentre veniva verso di me, eppure erano stati soltanto due giorni, due lunghissimi, interminabili giorni. Che da soli valevano più di tutti i secoli in cui ero stato solo, a traghettare le anime dall’altra parte.

Leya si mise a sedere sul letto. «A cosa stai pensando?», mi chiese.

«A te», confessai.

«E che cosa pensi?»

Sospirai. «Per te gli ultimi due giorni devono essere stati un incubo, ma per me… sono stati i più belli della mia… esistenza», conclusi faticando a trovare le parole.

Lei si alzò e venne verso di me. Mi prese le mani tra le sue.

«Posso toccarti, vedi?», disse come per tranquillizzarmi. Poi mi tirò per le braccia, costringendomi ad alzarmi. Mi mise le mani sulle guance e al suo tocco delicato chiusi gli occhi e le strinsi i fianchi tra le braccia.

Poi mi sfiorò le labbra con le sue.

Avevo visto tanti umani baciarsi e non avevo mai capito il significato di quel gesto. Ma la scarica che mi provocò quel semplice contatto mi fece desiderare di averne ancora.

Non credevo di sapere cosa fare, ma istintivamente, ricambiai quel bacio. Lei sorrise contro le mie labbra e mi trascinò camminando all’indietro, fino a sedersi sul letto. Poi si sfilò la maglietta.

Guardarla mi provocò sensazioni che non avrei mai neanche potuto immaginare, prima di quel momento.

«Io non…», balbettai. «Sei sicura?», riuscii semplicemente a dire.

«Lo vorrei anche se non stessi per morire», dichiarò con un sorriso.

Quanto era bella.

«Non so cosa fare», ammisi con imbarazzo.

«Segui l’istinto», rispose lei.

Obbedii. La feci stendere sul letto e finii di spogliarla, fino a che non fu completamente nuda davanti a me. Con un dito, accarezzai il contorno del marchio sulla sua spalla. Poi iniziai a baciare ogni centimetro della sua pelle chiara, dalla spalla, ai seni, al ventre, fino a scendere sempre più giù.

Poi tornai alle sue labbra e la baciai ancora.

«Non ti lascerò mai andare», le promisi. «Mai.»

 

♦ ♦ ♦

 

Gli uomini di Juan rintracciarono Leya pochi giorni dopo, mentre andava a far visita a suo fratello. Le condizioni di Ric stavano lentamente migliorando, anche se non si era ancora risvegliato.

Quando un proiettile la colpì in pieno petto, proprio come la prima volta, Leya cadde all’indietro. Io, al suo fianco, mi chinai immediatamente verso di lei.

Una piccola folla di passanti si raggruppò attorno a noi, circondandoci completamente. Anche a El Raval, un omicidio in pieno giorno in una delle strade principali non passava inosservato.

«Leya», la chiamai piano. Lei non rispose. La baciai delicatamente.

La sua anima lasciò il corpo che stavo stringendo tra le braccia e si mise in piedi. Sollevai lo sguardo verso di lei. Mi sorrise. Fu lei stessa a tendere la mano verso di me.

«Così, con un bacio, io muoio[1]», fece lei con voce cristallina. «Non mi sembra un brutto destino.»

«Non voglio perderti», dissi egoisticamente.

«Non succederà», replicò lei.

La guardai meglio. Anche se non la stavo portando dall’altra parte, la mia Leya non si stava dissolvendo. Le afferrai la mano, ma lei non sparì.

Avevo avuto ragione quando avevo ipotizzato di aver sprecato l’unica possibilità di portarla dall’altra parte, ma Leya era troppo viva perché si dissolvesse come tutte le altre anime. Lei sarebbe rimasta sospesa… insieme a me. La abbracciai.

«Manterrai la tua promessa», disse lei. «Di non lasciarmi mai andare.»

«Sì», risposi, anche se la sua non era una domanda. «Sì, non ti lascerò mai andare.»

Lei ricambiò l’abbraccio e la mia promessa.

Camminando per le strade di Barcellona con la mia amata al mio fianco, sentii per la prima volta che perfino tra le strade di El Raval, il gelo si stava placando, lasciando spazio alla primavera.



[1] Citazione tratta da “Romeo and Juliet” di William Shakespeare.

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