Whitebeard Pirates' Flame di Portgas xyz (/viewuser.php?uid=686876)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Tanto vale essere amici da subito. ***
Capitolo 2: *** 2. Piacere di conoscerti. ***
Capitolo 3: *** 3. Scintille e fuochi d'artificio. ***
Capitolo 4: *** 4. C'é sempre una prima volta. ***
Capitolo 5: *** 5. Di tutti i colori. ***
Capitolo 6: *** 6. Spegnimi. ***
Capitolo 7: *** 7. Storie dell'orrore (Parte 1) ***
Capitolo 8: *** 8. Storie dell'orrore (Parte 2) ***
Capitolo 1 *** 1. Tanto vale essere amici da subito. ***
Buonasera gente!
Sorpresi?
Alla fine sono tornato! Non vi ruberò molto tempo, ma volevo
solo chiarire che
il nostro fiammeggiante Ace in questa 'long/raccolta/non lo so'
sarà una donna
per il semplice fatto che è il mio personaggio preferito, ma
lo preferirei
ancora di più se avesse un paio di tet... Oh, i capelli lunghi.
LOL. Per farmi
perdonare ci metterò dentro un po’ di
romanticismo. Sono un romanticone, cosa
volete farci.
Quindi
niente, spero vi
piaccia, spero vi divertiate, spero che Anne vi faccia restare a bocca
aperta e…
E niente, è già troppo così.
Portgas.
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Whitebeard
Pirates’ Flame.
1.Tanto
vale
essere amici da subito.
Si
svegliò di
soprassalto, con il respiro affannato e un grido disperato incastrato
in gola. Il
lenzuolo aggrovigliato ai piedi del letto le intrappolava le gambe,
facendole
credere in un primo momento di essere legata, mentre la luce che
filtrava dall’oblò
sulla parete alla sua destra la investì in pieno viso,
costringendola a sbattere le
palpebre in un attimo di smarrimento.
Quella
non era la sua
cabina; quello non era il suo letto, troppo stretto e con solo un
cuscino; gli
oggetti sparsi in giro e l’arredamento non le dicevano nulla.
Solo gli abiti
erano gli stessi, anche se non aveva idea di che fine avessero fatto i
suoi stivali.
Deglutendo
a fatica e
percependo il cuore aumentare il suo battito, decise di far scivolare i
piedi
giù dal giaciglio, rabbrividendo a contatto con il pavimento
di legno scuro,
troppo scuro rispetto a quello della sua stanza, e solo dopo essersi
abbottonata
la camicia si alzò, muovendo i primi passi un poco
instabili.
Sentiva
male ovunque e
ad ogni articolazione. Le sembrava che una spalla fosse fuori uso,
mentre le
gambe le dolevano ad ogni sforzo che compiva durante la sua avanzata.
Credeva di
averci fatto l’abitudine, ormai, erano imprevisti del
mestiere che quella
scelta di vita comportava e, per quanto le riguardava, esibiva con
fierezza le
ferite che guadagnava lungo la strada, ma quelle bruciavano
più del solito.
E
più del suo fuoco.
Aprì
la porta della
cabina e si ritrovò davanti ad un lungo corridoio dal quale
proveniva un
rumoroso vociare, misto al rumore del mare all’esterno, il
tutto completato da
una zaffata di salsedine e odore di zuppa di pesce che la
investì in pieno,
facendole girare la testa e borbottare lo stomaco.
Qualcosa
le diceva che
non mangiava da molto e, mano a mano, che l’uscita si
avvicinava, i ricordi le
si affollavano nella mente, sovrastandosi gli uni con gli altri
rischiando di
farla impazzire.
C’era
stato quel Jimbe
che l’aveva sfinita, totalmente, per cinque giorni
consecutivi, anche se, alla
fine, il primo a stramazzare al suolo era stato lui. Ben gli stava.
Poggiò
la mano sul pomello,
trovando la porta socchiusa e spingendola, mentre una consapevolezza
che non
avrebbe voluto avere si faceva strada in lei, facendole contorcere le
budella.
Alla fine
aveva perso,
sopraffatta dalla stanchezza e da tutto quel potere che non aveva
calcolato in
precedenza, troppo convinta di essere imbattibile con il suo potere che
le
faceva scorrere il fuoco puro nelle vene.
Aveva
commesso un grave
errore e, solo per colpa sua, l’uomo che voleva uccidere
l’aveva sconfitta e
umiliata.
Uscì
sul ponte,
lasciandosi illuminare dalla luce del sole che le diede immediatamente
una
sensazione di calore, notando un cielo azzurro e l’oceano
infinito, calmo e
piatto. Si portò i capelli dietro le spalle, disordinati a
causa delle ore
passate a dormire e del venticello che gonfiava lievemente le vele
degli
alberi.
Aveva
riportato un
sacco di ferite; era stata sconfitta e la nave sulla quale si trovava
non era
per niente la sua amata Spade.
-Finalmente
ti sei
svegliata.-
Si
voltò di scatto ma,
non trovando nessuno alle sue spalle, alzò il capo per
incontrare una figura
distinta seduta in maniera scomposta sul tettuccio sopra alla porta.
Corrugò
la fronte e
cercò di fare mente locale, senza alcun successo. Non aveva
mai visto quell’uomo
e non aveva idea di chi potesse essere. Gli abiti puliti e chiari, il
corpo
massiccio e le spalle larghe, i capelli castani e acconciati in una
pettinatura
vecchio stile e l’aria che non ispirava affatto fiducia le
confermarono che no,
un elemento del genere non lo aveva mai incontrato, altrimenti se lo
sarebbe
ricordata.
Indietreggiò
quando lo
vide saltare sul ponte, a pochi passi da lei, e andò a
sbattere contro il parapetto;
nel frattempo lui aprì le braccia come a volersi mettere
meglio in mostra. -Io sono
Satch.- disse, accompagnando la frase con un sorriso che lei non
ricambiò,
troppo sconvolta e impegnata a rendersi conto che quello non era un
incubo, ma
la pura realtà. Evidentemente la fortuna aveva deciso di
abbandonarla a se
stessa, lasciando posto alla sfiga più nera.
Si
accasciò a terra,
prendendosi la testa fra le mani e lasciando che i le ciocche corvine
ormai
lunghe le ricadessero morbide sulle spalle.
-Vedrai,-
lo sentì
mormorare, adocchiando dei piedi muoversi sotto ai suoi occhi per poi
scomparire dal suo campo visivo. -Diventerai una di noi.-
A quelle
parole si
irrigidì e ogni fibra del suo corpo vibrò.
-Tanto
vale essere
amici da subito.- continuò l’altro, incurante
della sua reazione e senza
perdere il sorriso.
-Chiudi
il becco!-
sbottò, svuotando il petto dall’aria che aveva
trattenuto e sentendosi più
leggera, come se si fosse tolta un peso dal petto. Anche se,
sinceramente,
continuava a sentire un macigno sullo stomaco e un sentore di nausea
sempre più
forte.
Udì
l’altro ridere e la
piccola soddisfazione che si era presa venne rimpiazzata da un fastidio
crescente. Il suo orgoglio era già a pezzi, non aveva quindi
bisogno di essere
ulteriormente derisa, specie da uno come quello. Chi diavolo si credeva
di
essere?
-Sei
scorbutica di
prima mattina.- le rese noto, sorvolando comunque sulla questione e
cambiando
discorso. -Ad ogni modo, non vuoi sapere cosa è successo
dopo che hai perso
conoscenza?-
La
ragazza strinse i
pugni, senza però zittirlo. I ricordi c’erano, ma
erano confusi e non nitidi,
perciò non riusciva ad avere un quadro generale della
situazione. Se solo quel
fanfarone non l’avesse tirata tanto per le lunghe. Possibile
che non si
rendesse conto del pericolo che stava correndo? Le sarebbe bastato un
secondo
per dargli fuoco e farlo bruciare vivo.
-I tuoi
uomini hanno
provato a difenderti.-
Silenzio.
-Ma li
abbiamo
bastonati per bene.-
Fu certa
che la rabbia
avesse sostituito il sangue nel suo corpo perché
iniziò a fremere e a
digrignare i denti. Se avevano provato a torcere un solo capello alla
sua ciurma
avrebbe ridotto quella nave ad un mucchio di macerie galleggianti,
spedendola
negli abissi senza pietà.
Fece per
alzarsi in
piedi con l’intento di sfogare un po’ di quel
nervosismo su Satch, ma lui la
precedette intuendo le sue intenzioni e la tranquillizzò in
parte.
-Tranquilla,
stanno
bene e sono tutti a bordo.-
Si
mordicchiò un
labbro, mascherando il sollievo che provò
nell’udire quelle parole. I suoi
compagni erano salvi, ma non grazie a lei. Avrebbe dovuto vegliare su
di loro
per proteggerli, invece era crollata dopo il primo colpo senza pensare
alle
conseguenze e abbandonandoli al loro destino. Difficilmente se lo
sarebbe
perdonato e avrebbe fatto di tutti affinché ciò
non si ripetesse.
In quel
momento, però, un
particolare attirò la sua attenzione e decise che, prima di
affrontare i suoi
uomini, doveva risolvere il problema più grosso di tutti.
-Sicuro
di volermi
tenere qui senza sbattermi nelle stive o mettermi ai ferri?-
Dopotutto,
era pur
sempre un Rogia, e addosso non aveva manette di agalmatolite. Le
sarebbe
bastato davvero poco appiccare un incendio.
-Ai
ferri?- ripeté l’altro,
sorpreso da quell’assurda domanda. Loro non mettevano nessuno
ai ferri, che razza di sciocchezze!
Doveva
proprio spiegare tutto a quella ragazzina. -No, non è
assolutamente
necessario.- affermò, elargendole un altro sorriso divertito
quando la vide
restarsene in silenzio a meditare e a rimuginare su quello che le aveva
detto. Quegli
occhi scuri e distaccati un po’ lo mettevano a disagio,
doveva ammetterlo, ma
lui era sempre stato una persona tanto, a volte fin troppo, espansiva
ed era
nella sua indole attaccare bottone con tutti per fare amicizia. Lei,
anche se
era salita a bordo non con le sue gambe e dopo essere stata rivoltata
per bene
come un calzino dal suo capitano, era una nuova compagna e, broncio a
parte,
era pure carina. Era sicuro al cento per cento che sarebbero diventati
grandi
amici.
Così,
saltò giù dal
parapetto sul quale si era accomodato, invitandola ad alzarsi e a
seguirlo per
una visita guidata a bordo della famosa e imponente Moby Dick. Non si
abbatté
quando lei rifiutò e si ripromise di provarci il giorno
successivo, nella
speranza che sbollisse il malumore. Non a tutti piaceva prenderle da
Barbabianca.
Dal canto
suo, la
giovane era ferita nell’orgoglio più di quanto
aveva creduto all’inizio e non
aveva la minima intenzione di fare conversazione o diventare amica di,
come si
chiamava?, di quello lì, tanto meno del resto di loro.
Si
sollevò e tornò
sotto coperta, decisa ad ispezionare il vascello per conto suo e a
ricongiungersi con la ciurma.
Si
sarebbe presa la sua
rivincita e quei bastardi avrebbero capito presto che con il fuoco era
meglio
non scherzare.
Gli
avrebbe fatto
vedere lei chi era Anne Pugno di Fuoco.
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Capitolo 2 *** 2. Piacere di conoscerti. ***
Scusate il
ritardo, ma i
capitoli saltano fuori quando posso. Tra università e menate
varie non mi è molto
semplice, poi siamo in completa sessione estiva. Io nemmeno so cosa sia
l’estate!
Alla
prossima con Anne!
Portgas
xyz
Whitebeard
Pirates’ Flame.
2.
Piacere di
conoscerti.
Maledetta
bagnarola! Quanto può essere grande ancora?
Anne, con
un cipiglio
infastidito e l’aria di chi voleva commettere un omicidio,
camminava a passo
spedito lungo un corridoio con una sfilza infinita di porte sia a
destra che a
sinistra e non aveva idea di dove potevano trovarsi le scale per salire
o scendere.
Tutto pur di abbandonare quel posto nel quale stava girando a vuoto da
almeno
mezz’ora.
Dopo
l’incontro con
quell’idiota cotonato era corsa sottocoperta nella speranza
di incontrare meno
persone possibili, illudendosi di poter in quel modo passare
inosservata,
invece in ogni angolo si era trovata a fronteggiare facce nuove, con
tanto di
occhi incuriositi e sorrisetti che avrebbe volentieri cancellato a suon
di
pugni. Li aveva evitati tutti, tenendo la testa bassa e affrettando il
passo
per allontanarsi, ma le risatine divertite e i commenti le erano
arrivati lo
stesso chiari e tondi alle orecchie.
A quanto
pareva la
notizia del suo arrivo aveva fatto il giro di tutta la nave,
comprensibile,
dato che aveva perso i sensi e non si era potuta opporre al Destino
perché, se
fosse dipeso da lei, avrebbe dato fuoco al veliero per farlo finire in
fondo
all’oceano.
L’avevano
soprannominata la nuova arrivata e,
ogni volta che incrociava qualcuno, si sentiva salutare e le venivano
poste una
quantità assurda di domande alle quali non voleva
rispondere. Quando succedeva,
se i marinai insistevano, metteva su la sua migliore espressione
aggressiva e
li zittiva, almeno fino a quando non li distanziava.
Erano
tutti così
dannatamente espansivi, impiccioni e gentili.
Si,
gentili. Le
chiedevano come stava, se si sentiva bene, se potevano aiutarla in
qualche
modo, se le serviva aiuto per trovare la strada, tutte gentilezze
davanti alle
quali le veniva il voltastomaco.
Perché
non la
lasciavano in pace? L’unica cosa che desiderava era ritrovare
la sua cabina e
rinchiudersi dentro per non uscire più, anche a costo di
morire di noia, o
peggio di fame.
Sbuffò
per l’ennesima
volta, girando a destra in un punto in cui il corridoio faceva angolo.
Ci era
già passata da quella parte, ma sperava di trovare
un’uscita che, magari, al
primo giro le era sfuggita.
Sempre a
testa bassa,
non si accorse che anche qualcun altro stava svoltando
l’angolo, così finì con
lo sbattere addosso al povero malcapitato, beccandosi una manata in
faccia e pestando
accidentalmente un piede che non le apparteneva.
-Ehi,
come corri. Vai
di fretta?- si sentì domandare, percependo chiaramente una
nota scherzosa nella
voce del millesimo rompi scatole che incrociava.
Si
strofinò il naso
dove aveva preso la botta, facendo saettare gli occhi sulla figura che
aveva di
fronte, sondandola dall’alto in basso. Ci teneva ad avere una
lista precisa di
tutti i suoi nemici, sarebbe stato più facile ricordarseli
per ucciderli poi.
-In
effetti si.-
rispose piccata. -Ora, se vuoi scusarmi…- aggiunse,
muovendosi per sorpassare
il tizio che le sbarrava la strada.
Quello
sorrise,
spostandosi verso la parete per farle spazio e per non trattenerla
oltre,
intuendo che non doveva di certo essere un buon momento per lei. -Stai
cercando
l’uscita?- le chiese comunque all’ultimo momento,
vedendola bloccarsi dopo
qualche passo per voltarsi infine verso di lui con l’aria
abbattuta.
Anne
annuì sconfitta in
direzione del ragazzo che aveva l’aria di essere molto
più grande di lei, ma
che, a differenza degli altri, non aveva nemmeno provato ad attaccare
bottone,
disturbando il suo già precario stato mentale, capendo
invece al volo l’unica
cosa che le serviva in quella situazione.
Lo
guardò accennare un
sorriso prima di dirigersi verso di lei, affondando le mani nelle
tasche dei
pantaloni leggeri e superandola senza disturbarla più di
tanto, lasciando
solamente che lo seguisse.
Un paio
di svolte a
sinistra, una a destra, delle scale a chiocciola e una porta in legno
massiccio
ed ecco che sopra la testa di Anne appariva di nuovo il cielo azzurro
con lo
stesso sole, lo stesso orizzonte, lo stesso mare e la stessa, dannata,
nave.
Respirò
a pieni
polmoni, chiudendo gli occhi davanti a quella consapevolezza. Ormai
avevano
preso il largo, erano nel bel mezzo del nulla, circondati da acqua, e
non c’era
modo di allontanarsi senza rischiare la vita. Certo, avrebbe potuto
rubare una
scialuppa, ma il tempo nel Nuovo Mondo era imprevedibile e sarebbe
bastata una
tempesta per far affondare la misera imbarcazione assieme a tutti i
suoi sogni
di gloria. Doveva portare pazienza e aspettare di fare porto, allora
avrebbe
raccattato la sua vecchia ciurma, preso possesso di un vascello
qualsiasi e poi
sarebbe salpata il più lontano possibile dalla Moby Dick e
da quello che rappresentava.
La sua
sconfitta.
-Non
è così male, sai?-
-Uh?- si
riscosse,
voltandosi e alzando un pochino il capo per guardare il diretto
interessato che
sembrava aver deciso di dimostrarsi uguale a tutti gli altri
impiccioni.
-La nave.
La ciurma.
Insomma, basta farci l’abitudine.- continuò lui,
fissando il mare e sorridendo
appena, come se stesse ricordando qualcosa di bello, momenti per i
quali valeva
la pena sorridere.
La
verità era, però,
che lei non voleva provare quelle emozioni. Non aveva intenzione di
affezionarsi a nessuno, tanto meno entrare a far parte di un qualcosa
che non
le sarebbe mai appartenuto e che, di certo, non meritava. Era stata
anche
troppo fortunata ad incontrare Rufy che, con la sua testardaggine e
voglia di
vivere, le aveva dato la forza per andare avanti, per accettarsi,
almeno in
parte, e per riscattarsi, sperando in un futuro migliore. E aveva avuto
anche
Sabo. Era stata felice quando anche lui era entrato a far parte della
loro
piccola ed improbabile famiglia, ma alla fine la Vita
gliel’aveva portato via.
Aveva privato Rufy e lei di un fratello e non avrebbe sopportato
perderne
altri. I suoi sottoposti erano un’eccezione e le risultava
ancora difficile
accettare che così tante persone si fidassero di lei a tal
punto da seguirla e
da esserle fedeli. Non era nemmeno in grado di controllare appieno il
suo
potere, figuriamoci se poteva proteggere delle persone. In quello
faceva
proprio schifo, doveva ammetterlo, e il fatto di aver permesso ai
Pirati di
Barbabianca di avvicinarsi alla sua ciurma ne era la prova.
Abbassò
il capo, ormai
le veniva benissimo farlo, e strinse i pugni. -Non voglio farci
l’abitudine.-
Il
ragazzo scosse il
capo, per niente stupito da quella reazione.
Si
strinse nelle
spalle, capendo che probabilmente era ancora troppo presto sperare in
un’amicizia,
perciò si avviò lungo il ponte. Aveva un sacco di
compiti da svolgere. -Per
quel che vale,- disse, alzando una mano in segno di saluto. -Io sono
Izou,
Comandante della Sedicesima Flotta. Piacere di conoscerti.-
Anne
guardò allontanarsi
quell’individuo che, anche se non era stato assillante quanto
il primo, era
comunque strano con quel kimono chiaro addosso e quei capelli tanto
lunghi e
raccolti ordinatamente sulla nuca, acconciatura che lei poteva solo
immaginare
di avere, visto il classico groviglio con cui si accontentava di andare
in
giro.
Almeno
sapeva che era
un Comandante, uno dei pezzi grossi, quindi abbassare la guardia in sua
presenza sarebbe stata una pessima idea.
Si
massaggiò le tempie,
sospirando pesantemente e deducendo che non era ancora mezzogiorno e la
giornata era lunga, perciò doveva inventarsi qualcosa da
fare, ovviamente
evitando di venire importunata da altri piantagrane.
Si
sentiva accaldata, e
non era certo per colpa del sole che batteva insistentemente sulla
nave,
affatto. Si trattava del suo potere e della voglia matta che aveva di
bruciare
ogni cosa lungo il suo cammino, ma doveva stare attenta. Non aveva
ancora
trovato la sua ciurma, Dio solo sapeva dove li tenevano rinchiusi, e
non voleva
rischiare di far crollare a picco nell’oceano baracca e
burattini. Le serviva
prima un piano.
Camminò
per un po’
sopracoperta, restando in disparte e cercando di attirare il meno
possibile l’attenzione,
anche se era decisamente un’impresa difficile, visto e
considerato che era all’aperto,
in bella vista, e che tutti sapevano di lei.
Aveva
avuto modo, però,
di capire l’impostazione della nave, l’assetto, i
luoghi più frequentati come,
ad esempio, il cassero, dove si ergeva un’enorme seduta quasi
trionfale, sicuramente
il trono del vecchiaccio, anche se in quel momento non era presente.
C’era
movimento da quella parte, pirati che andavano e venivano e un
gruppetto di
uomini che chiacchieravano animatamente, disinvolti e per niente tesi.
Certo,
sicuramente erano tranquilli sapendo di rappresentare una delle ciurme
più
forti nel Nuovo Mondo. Altro che lei e la sua barchetta, sempre
costretta a
fare attenzione ai nemici e alle navi da guerra della Marina.
Si era
avvicinata
silenziosamente, mantenendo comunque una certa distanza per non
insospettire nessuno,
registrando ogni particolare di quello che le stava di fronte, tenendo
d’occhio
pure quelli che dovevano essere i Comandanti delle Flotte.
Non aveva
paura di
loro, sapeva che, se erano stati scelti, un motivo c’era e
dovevano per forza
essere abili guerrieri, ma non si preoccupava di doverli affrontare.
Dopotutto,
dalla sua parte aveva una taglia da capogiro sulla sua testa e un
potere non
indifferente. Sconfiggerli sarebbe stato un gioco da ragazzi, o almeno,
avrebbe
pensato quello se non avesse avuto modo di confrontarsi direttamente
con Barbabianca,
ma da quella lezione aveva imparato a non sottovalutare
l’avversario, perciò
aveva deciso che prima li avrebbe studiati, e solo dopo aver avuto una
stima
delle loro abilità si sarebbe decisa a fare la sua mossa.
-Ehilà!-
Una voce
allegra alle
sue spalle la fece sobbalzare e aggrapparsi alla parete, colta di
sorpresa, ma
assalita dal fastidio quando riconobbe il ciuffo castano e improbabile
che le
si era parato davanti alla faccia.
-Li stavi
spiando?-
chiese Satch, sorridente e per nulla preoccupato.
Anne
gonfiò le guance,
pronta a sputargli in faccia che si, si stava facendo gli affari
altrui, ma l’altro
non le diede l’opportunità di continuare,
perché parlò al suo posto.
-Ho
capito, vuoi andare
a conoscerli! Vieni, ti ci porto io!- asserì, muovendosi per
afferrare la
ragazza per un braccio, ma rinunciandoci quando la vide scostarsi
appena in tempo.
Non abbandonò però il suo intento e, alzando una
mano per attirare l’attenzione,
si mise ad urlare a squarciagola. -Ragazzi, la nuova arrivata vuole
presentarsi!-
-Che
cosa?- sbottò la
diretta interessata, schiacciandosi contro il muro, sperando di
scomparire. Quell’idiota,
cosa diavolo si era inventato?
Nel giro
di pochi
secondi, si trovò circondata da quattro facce nuove, chi
più sorridente e chi
meno, ma ugualmente interessate a lei e alla novità che
rappresentava.
Intanto,
Satch si era
incaricato di fare le presentazioni con aria solenne. -Lui è
Vista, Comandante
della Quinta Flotta.- disse, indicando un omone alto e dalle spalle
larghe, con
dei lunghi baffi neri e ben curati e l’aspetto elegante.
Infatti, le fece un
lieve inchino, sorridendo un poco. Le avrebbe fatto addirittura il
baciamano,
gesto molto raffinato, ma temeva la reazione della giovane. Quello
sguardo gli
sembrava al limite della sopportazione e non voleva rischiare di tirare
troppo
la corda.
-Questo
è Namur,
Comandante dell’Ottava.- continuò il castano,
presentandole un uomo pesce non
molto alto, con le braccia incrociate al petto e le gambe ben piantate
sul
pavimento, dall’aria sicura di sé, nonostante il
sorriso ampio che le rivolse. -Poi
c’è Rakuyo, lui comanda la Sesta Flotta.-
affermò, passando ad indicarle l’uomo
accanto a Namur, alto quanto Vista, ma meno massiccio, con dei dread
che gli
arrivavano alle spalle, una fascia sulla fronte che li teneva,
più o meno, in
ordine, un paio di baffetti neri, due orecchini d’oro e
un’espressione quasi
divertita dalla situazione in cui si trovava.
-Lui
é…- fece per dire
Satch, voltando lo sguardo verso l’ultimo fratello, ma
quello lo precedette,
alzando una mano in segno di saluto.
-Izou. Ci
siamo già
presentati.- affermò educato, contento in parte che la
ragazza avesse modo di
entrare, a poco a poco, in contatto con tutti loro. Capiva che non
doveva
essere facile, ma sperava che, con calma, sarebbe riuscita ad
integrarsi. -E il
gigante che vedi al timone è Jaws, Comandante della Terza
Flotta.- aggiunse,
guardando il cassero dove un colosso dall’aria veramente poco
cordiale li
osservava di sottecchi con un cipiglio serio e poco affabile. -Non
farci caso, è
solo timido.- disse poi, rivolgendosi alla giovane, ammiccando con fare
complice e ottenendo solamente un’occhiata diffidente in
risposta.
-Beh, lei
si chiama
Anne.- disse con ovvietà Satch quando le presentazioni si
conclusero,
reprimendo l’impulso di passarle un braccio attorno alle
spalle con fare
cameratesco. Era molto espansivo, lui, e doversi frenare dal compiere
certi
gesti spontanei gli costava molto, ma aveva capito al volo che i suoi
compagni
la pensavano allo stesso modo, ovvero che era meglio andarci con calma
con
quella ragazzina di cui ancora non conoscevano il carattere.
Lei,
d’altro canto, non
spiccicò una parola e rimase ad osservarli come se fossero
stati nemici da
tenere sott’occhio e, quando Namur fece un passo avanti per
proporre una bevuta
in compagnia, tutti dovettero indietreggiare velocemente per evitare
che la
fiammata con cui Anne si trasferì al livello superiore li
investisse.
-Statemi
lontani!- urlò
poi dall’alto, guardando verso di loro con astio, soprattutto
Satch, quello
che più sembrava volerla importunare, per allontanarsi
infine da quell’angolo
della nave.
Sperava
di aver messo
in chiaro che non voleva avere a che fare con nessuno di loro.
-Uh, che
caratterino.-
borbottò nel frattempo Vista, togliendosi il cappello
piumato e grattandosi
perplesso la testa.
-Dobbiamo
darle tempo.
E’ una reazione del tutto normale.- fece Izou, compressivo,
ricordando il
comportamento restio che aveva visto durante gli anni osservando i
nuovi
arrivati che, di tanto in tanto, si univano a loro.
-Sarà,
ma a me mette
una certa inquietudine con quelle fiamme.- mormorò Namur,
dispiaciuto per la
risposta negativa che aveva ricevuto la sua proposta fatta con le
migliori
intenzioni. Un braccio si posò sulla sua spalla e si
ritrovò Rakuyo che gli
assicurava che la sua era stata una bella idea e che, magari, col tempo
sarebbe
stata ben accetta.
-Se
volete il mio
parere,- si intromise Satch, schioccandosi le nocche e poggiando le
mani sui
fianchi, volgendo un ultimo sguardo verso il punto in cui Anne era
sparita e
sogghignando, -La mocciosa sa il fatto suo.-
-Su
questo non c’è dubbio.-
concordò Izou, preparandosi a seguire gli altri per tornare
sul cassero,
-Infatti, temo che farle mettere la testa a posto non sarà
facile.-
-Di
questo non ti devi preoccupare.-
il sorriso di Satch si allargò, preoccupando enormemente il
fratello, il quale
sapeva esattamente che, quando il castano faceva il misterioso, quello
che
pensava non era mai una buona cosa. -Dopotutto, non ha ancora
conosciuto tutti.-
Izou
sostenne lo
sguardo del ragazzo, comprendendo in seguito ciò a cui si
stava riferendo. Effettivamente,
non tutti i loro fratelli erano stati a favore nei riguardi di Anne e,
se
avrebbe continuato a mantenere le distanze, di certo, prima o poi,
qualcuno l’avrebbe
ripresa per quel comportamento. Il babbo era una persona estremamente
magnanima
e non avrebbe avuto nulla da ridire, ma loro erano una famiglia e,
quando
raggiungevano un limite, non vedevano di buon grado chi sputava addosso
alla
gentilezza e alla bontà di Barbabianca.
-Spero
solo che le
passi presto.- sospirò infine, affiancato da Satch, il
quale lo prese sotto
braccio, trascinandoselo dietro verso gli altri.
-Fidati,
ci sarà da
divertirsi!-
|
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Capitolo 3 *** 3. Scintille e fuochi d'artificio. ***
Buonasera gente!
Avete
visto? Fuori c’è il sole.
E io sono
in casa a
studiare, evvai.
N ogni
caso, ecco il
terzo capitolo e a breve, SPERO, il quarto. Ho voluto lasciare spazio
anche ai
Capitani delle Flotte perché a mio avviso
c’è troppo poco su di loro.
E ‘pesciolino’
è riferito a Namur, l’uomo pesce ;D
A presto,
Portgas.
Whitebeard
Pirates’ Flame.
3. Scintille e
fuochi d’artificio.
Evidentemente,
in
ascolto c’era stata qualche Divinità,
perché le preghiere di Anne erano state
esaudite e, nel tardo pomeriggio di quella giornata infernale, la
peggiore in
assoluto della sua vita, aveva trovato buona parte dei suoi uomini e
conquistato un posticino abbastanza appartato della Moby Dick, al
fresco, due
livelli sotto al cassero dove aveva potuto rilassarsi un pochino in
compagnia
di gente che conosceva e di cui si fidava.
Le
avevano raccontato
quello che era successo dopo che aveva perso i sensi, ovvero che
avevano
provato a combattere, ma erano bastati pochi minuti per capire che
avevano le
mani legate ed erano braccati come animali. I Comandanti non si erano
nemmeno
sporcati le mani e non erano scesi dalla nave, osservando come i loro
marinai si
fossero arrangiati con successo, mentre Barbabianca aveva riso di gusto
e fatto
ritorno a bordo. Si erano rifiutati di seguirli, ma quando avevano
preso Anne
con l’intenzione di portarla con loro, non avevano potuto
fare altro che
arrendersi e seguirli.
-Non
potevamo
abbandonarti, Capitano.- disse il suo vice, stringendo i pugni, ma
abbassando
il capo. -Ci dispiace non essere riusciti a difenderti.-
Anne li
guardava in
silenzio. Osservava i suoi uomini e un senso di colpa si faceva strada
in lei
sempre più violentemente, fino a farle pungere gli occhi.
Era stato solo a
causa sua e della sua stupida testardaggine se si erano ritrovati
nell’ultimo
posto che avrebbero voluto vedere. Era stata lei a venire sconfitta e a
lasciarli soli, senza una guida e una protezione.
A volte
si chiedeva se
era degna del titolo che portava e del ruolo che ricopriva a bordo
della sua
nave.
-Vi ho
delusi.- mormorò
piano, zittendoli. -Mi sono fatta battere e non ho saputo salvarvi.
Sono io a
dovermi scusare e a implorare il vostro perdono.-
Non si
aspettava che i
marinai si mettessero a piangere davanti a quella scena, tantomeno
aveva
previsto un abbraccio di gruppo soffocante da parte di tutti loro, chi
con il
moccio al naso, chi con le lacrime che scendevano a fiotti lungo le
guance
ruvide e barbute.
-Siate
stata
incredibile, invece, Capitano!-
-Non devi
stare male
per noi, ce la siamo cavata ugualmente!- le assicurò uno dei
suoi sottoposti,
il quale esibiva con fierezza un occhio pesto, mentre un altro aveva
l’aria di
aver perso qualche dente in una scazzottata.
A quanto
pareva, Satch
aveva detto sul serio quando l’aveva informata che li avevano
bastonati per
bene. Che gran bastardo.
-Ora che
cosa faremo,
Capitano?-
Anne si
prese la testa
fra le mani. Non ne aveva la minima idea, certa era, però,
che gliel’avrebbe
fatta pagare cara a tutti e, se la volevano così tanto a
bordo della nave,
allora avrebbe fatto di tutto pur di esasperarli e costringerli ad
abbandonarla
su qualche isola pur di levarsela di torno.
Sorrise
sadicamente,
dando ad intendere ai suoi uomini, i quali la conoscevano fin troppo
bene, che
aveva un piano.
-Si
pentiranno
amaramente di aver arruolato la futura assassina di Barbabianca.-
*
Facile, pensò
Anne, facile come bere un bicchier
d’acqua.
Aveva
creduto che
avrebbe trovato un’infinità di problemi
nell’attuare la sua vendetta, invece
era bastato chiedere quale fosse la stanza del Capitano, raggiungerla
ed
entrare.
Infatti,
si trovava
esattamente nella cabina ampia e piena di macchine che monitoravano
costantemente
la salute dell’Imperatore Barbabianca, il numero uno
indiscusso, bello e
addormentato sul suo enorme letto, intento a russare come una
locomotiva,
pacifico e sereno.
Le
rimaneva solo da
decidere come farlo passare a miglior vita.
Forse
poteva sgozzarlo,
ma ci sarebbe stato troppo sangue. Poteva sparargli, ma significava
allertare
mezza nave che era di guardia. Avrebbe potuto bruciarlo vivo, ma anche
quello
avrebbe riscontrato dei problemi, dato che voleva esibire la sua testa
come un
trofeo.
Beh,
morto per morto, si
disse, prendendo un profondo respiro e avanzando nella stanza il
più piano
possibile, preparando il suo colpo micidiale e tenendo a bada
l’emozione. Stava
per farcela, la vittoria era solo a pochi passi da lei, a portata di
mano e presto
l’avrebbe afferrata con gioia.
Si
spostò velocemente
verso il letto, lasciando che il suo corpo venisse avvolto da puro
fuoco, piegando
il braccio destro all’indietro e preparando il pugno chiuso e
infuocato,
illuminando l’ambiente circostante e vedendo con chiarezza il
viso addormentato
dell’uomo, il suo nemico.
-Pugno di
Fuoco!- sussurrò,
anche se avrebbe voluto urlarlo a pieni polmoni. Ad ogni modo,
indirizzò il
colpo dritto al petto del vecchio, arrivando a qualche millimetro da
esso e
provando dentro di sé l’euforia pura che le invase
i sensi e la mente.
Il resto
accadde tutto
in fretta.
Il suo
attacco non andò
mai a segno, invece quello, apparentemente involontario,
dell’Imperatore fu
talmente d’impatto che la scaraventò direttamente
fuori dalla cabina, sfondando
il muro e facendola finire addosso al parapetto con il naso rotto e la
testa
che scoppiava per l’onda d’urto ricevuta.
Fissò
davanti a sé le
macerie, la polvere che si era sollevata, il buco sulla parete e,
attraverso di
essa, un addormentato Barbabianca che russava beato, per niente
intenzionato a
perdere il sonno per una questione di poco conto.
-Ehi, che
accidenti
combini?- si sentì domandare, notando solo allora, a qualche
metro di distanza,
due mozzi che avevano il turno di guardia e che erano stati richiamati
dal
trambusto.
-Non fare
tanto baccano
a quest’ora di notte!- rincarò il secondo,
osservandola infastidito per la
confusione. I suoi compagni stavano dormendo, accidenti.
Anne
continuò a fare
pressione sul naso, sentendo parecchie fitte in tutto il corpo e
maledicendo la
situazione in cui si era cacciata.
Come
cazzo ha fatto?,
continuava a ripetersi, incredula, accasciata contro il parapetto.
Anche da
addormentato era riuscito a batterla, mettendola fuori gioco
semplicemente
rivoltandosi sul materasso.
Si
alzò a fatica, barcollante
e malandata, tastandosi con una mano la schiena e massaggiandosi il
collo.
Aveva qualcosa di slogato, senza dubbio, ma se credevano che si sarebbe
arresa tanto
presto si sbagliavano di grosso. Quello era solo l’inizio e,
se quella volta
non aveva funzionato, la prossima sarebbe andata a segno con tanto di
scintille
e fuochi d’artificio, potevano giurarci.
*
-Ehi, hai
saputo la
novità?-
A tavola,
la mattina
seguente, quando tutti si ritrovarono in cambusa per la colazione, chi
prima e
chi dopo, non si parlò d’altro per tutto il pasto,
soprattutto nella tavolata
dei Comandanti.
Mentre
Izou annuiva
divertito, Namur, che era appena arrivato e si stava sedendo in quel
momento,
guardò il moro e Satch con aria incuriosita. -Saputo cosa?-
Il
castano sfoggiò il
suo sorriso più ampio, poggiando le mani sul tavolo e
sporgendosi verso l’uomo
pesce. -Questa notte hanno attentato alla vita del babbo!-
-Cosa?- urlò
Namur, preoccupato. -E come sta?
Avete preso quel vile e schifoso pezzo di…-
-E’
stata Anne.-
precisò
allora Izou, ridacchiando, -E no, non le abbiamo fatto niente. Ci aveva
già
pensato papà.-
-Quella
mocciosa, non
credevo che si sarebbe spinta a tanto. Come ha fatto ad intrufolarsi in
camera
di Barbabianca?- domandò allora il giovane dai capelli blu e
le branchie,
sedendosi e riacquistando la calma con cui era arrivato.
Satch si
strinse nelle
spalle, mescolando il suo caffè con un cucchiaino. -Lo ha
chiesto in giro.-
Namur si
schiaffò una
mano sul viso, sconvolto dalla semplicità con cui il loro
Capitano era stato
messo in pericolo. -Non ci credo.-
-A cosa
non credi?-
-Oh,
buongiorno
Blamenco. Ciao Curiel, dormito bene ragazzi?-
Satch non
perse tempo
e, ignorando i convenevoli di Izou, batté una mano sulla
sedia vuota accanto
alla sua, incitando i due appena arrivati ad affiancarlo. -Ho vinto la
scommessa. Anne ha provato ad uccidere il babbo prima di una settimana,
perciò
preparatevi a sganciare la grana, pezzenti.-
Sul volto
dei due
Capitani comparve lo stupore.
-Stai
scherzando,
vero?- domandò Blamenco, fiondandosi sulle ultime fette di
pane rimaste e sulla
marmellata, affamato, mentre Curiel imprecava, più
infastidito per aver perso
la scommessa contro Satch che per altro. Anne gli stava già
meno simpatica del
giorno prima, anche se non ci aveva mai nemmeno parlato.
-Cos’è
quella faccia
imbronciata, vecchio mio?-
Atmos
arrivò in quel
momento, posando il suo elmo, completo di corna appuntite e
d’effetto sulla
sommità, sul tavolo, facendo sussultare Namur per il colpo e
sorridendogli
divertito per averlo colto di sorpresa, tornando poi a rivolgersi a
Curiel.
-Nottataccia?-
-No.-
fece il compagno,
negando con il capo, -Ma devo a questa sanguisuga dei soldi. La
ragazzina ci ha
provato, alla fine.-
-Intendi
dire che…- si
allarmò Atmos.
Sul viso
di Satch
apparve un’espressione che non prometteva niente di buono.
-Mi devi anche tu
una bella cifra.-
Aveva
avuto un colpo di
genio nell’organizzare delle scommesse e grazie a quella
testolina tutta matta
di Anne stava facendo un sacco di soldi. Stando alla sua lista, la
maggior
parte dei suoi fratelli avevano sbagliato le loro supposizioni, mentre
solo due
si erano salvati.
-Buongiorno
a tutti!-
fece una voce allegra, ottenendo in risposta un coro di saluti che
fecero
sorridere il Capitano della Dodicesima Flotta.
-Dormito
bene, Haruta?-
le chiese Izou, facendole spazio tra lui e Satch.
-Certo.-
annuì la
giovane, -Voi?-
Il
castano alla sua
sinistra si appoggiò con la schiena allo schienale della
sedia e fece
scricchiolare le vertebre, fingendo di non notare il fastidio sul volto
della
sorella. -Meravigliosamente.- la informò, passando subito al
sodo. -Sai che
Anne ha provato a prendere la testa del babbo?-
Haruta si
fermò con il
bicchiere di succo a mezz’aria e lo guardò
sconvolta.
-Oh, ma
non ti
preoccupare. Nessuno ci ha rimesso la pelle.-
La
guardò sospirare tra
l’esasperato e il dispiaciuto. -Mi fa un po’ pena.-
-A me no,
mi ha fatto
perdere soldi.- appuntò bruscamente Curiel, che proprio non
l’aveva digerita.
-Insomma,
ragazzi!
Mettetevi nei suoi panni per un attimo: si è ritrovata da un
giorno all’altro
in una nuova nave e con gente che non ha mai visto. Un minimo di
comprensione
se la merita.-
-Bah,
femmine.-
commentò Satch dopo un attimo di silenzio, facendo
spallucce, ma beccandosi uno
scappellotto in testa da un’offesa Haruta che, dopo averlo
colpito, si era
alzata con l’intento di lasciarli alle loro stupide ed ottuse
idee.
-Ma che
ho fatto
adesso?- si lamentò il castano, guardandola uscire
velocemente dalla cambusa,
mentre Izou ruotava gli occhi al cielo.
Satch era
un
personaggio che bisognava per forza conoscere. Era solare e spontaneo,
non
litigava mai con nessuno e riusciva sempre a trasformare le giornate
grigie in
momenti di divertimento e spensieratezza. Ogni cosa che gli passava per
la
testa la diceva, bella o brutta che fosse e non perdeva mai
l’occasione per
fare scherzi o battute, persino al babbo. Per lui tutti meritavano di
sorridere
e di essere suoi amici, nessuno escluso. Solo che, a volte, era un vero
e
proprio tormento, tanto che c’erano situazioni in cui era
meglio tenerlo alla
larga. Chi lo conosceva sapeva bene che non doveva prendere sul serio
le sue
parole, ma, spesso e volentieri, con Haruta le cose erano leggermente
diverse.
Forse perché era una donna, o forse perché Satch
era un vero cretino, non si
sapeva con certezza, ma il castano aveva provato più volte
sulla pelle il
dolore dei ceffoni della sorella.
-Cambiando
discorso,-
mormorò Atmos, -Il babbo come sta?-
-Bene,
davvero. Non si
è nemmeno svegliato, è bastata la sua ambizione.-
spiegò Izou, riprendendo la
colazione.
-E la
mocciosa?-
curiosò Namur a bocca piena.
-Uh,
credo che si sia
rotta il naso, ma uno dei suoi uomini è un dottore,
perciò presumo che l’abbia
sistemata e rimessa a nuovo.-
-Pronta
per un altro
attentato.-
-Satch,
non è carino.-
-Ma stai
zitto, finalmente
c’è un po’ di movimento! Sono curioso di
vedere cosa si inventerà di nuovo la
prossima volta che proverà a…-
-E’
meglio per lei che
non ci provi ancora.- disse una voce categorica alle spalle del
castano,
facendo andare di traverso a Izou il caffélatte.
-Toh,
guarda chi si è
svegliato.- ironizzò Satch, sorridendo ampiamente al
Comandante della Prima
Flotta. -Ti abbiamo lasciato il succo d’ananas.-
A quella
battuta, di
solito, avrebbero riso tutti, considerando il fatto che i capelli del
braccio
destro di Barbabianca lasciavano molto all’immaginazione, ma
l’espressione che
il diretto interessato sfoggiava non era delle più docili.
-Avanti,
non ha
combinato niente di male.- tentò di rimediare Namur, uno di
quelli che si
sentivano più solidali nei confronti di Anne.
-Ha
ragione il
pesciolino.- rincarò Satch, per nulla intimidito dal
caratteraccio del
fratello. -Se la conosci non è tanto male.-
-Già,
dopotutto, ha
solo provato a bruciarvi quando vi siete presentati.- fece notare il
biondo
Comandante con le braccia incrociate al petto e sul volto un ghigno
vittorioso.
Satch lo
fissò per
alcuni secondi, chiedendosi se per caso quel pennuto si fosse svegliato
dalla
parte sbagliata del letto, ma decise di non darci troppo peso e di
impegnarsi a
fargli cambiare idea sulla nuova arrivata.
-E’
solo questione di
tempo, vedrai. Starà simpatica anche a te, alla fine.-
-Non se
decido di
spegnerla prima.- mormorò l’altro, superando la
tavolata e uscendo senza
mettere nulla sotto ai denti.
Satch
sospirò
sollevato. -Mio Dio, quando ha le sue cose è insopportabile.-
I suoi
compagni
scoppiarono a ridere, molto più rilassati.
Izou si
alzò ancora
sorridente. -Sta attento a non farti sentire, altrimenti
spegnerà te molto
prima di lei.-
-Ah,
Marco mi adora.
Sono il suo preferito!- ridacchiò il castano, alzandosi a
sua volta e seguendo
il moro sopracoperta, pronto ad iniziare una nuova giornata lavorativa.
Chissà,
magari Anne ne
avrebbe combinata un’altra.
|
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Capitolo 4 *** 4. C'é sempre una prima volta. ***
Sciao belli!
Ah, sento
il profumo
della libertà avvicinarsi! Tra poco mando a
‘fanculo libri e tutto e uscirò
dalla cantina, urlando a braccia aperte verso il sole!
A parte
questo,
capitolo nuovo, sconfitta nuova, botte nuove. Anne le ha prese pure
stavolta xD
devo rimetterla in sesto però, ci tengo troppo.
Alla
prossima, coming
soon.
Portgas.
Whitebeard
Pirates’ Flame.
4.
C’è sempre
una prima volta.
-Ehi, te
ne sei
accorto?-
-Si.-
-Vedi di
andarci
piano.-
*
Arrivare
sul cassero
non era stato complicato, soprattutto tenendo presente che a
quell’ora del
pomeriggio giravano un sacco di mariani sopracoperta. In ogni caso, era
stata particolarmente
attenta a non farsi notare, spostandosi silenziosamente e salendo di
volta in
volta, fino a raggiungere il punto più a poppa della nave
dove si trovava
quell’enorme scranno su cui vi era seduto Barbabianca, senza
un graffio.
Anne
digrignò i denti
per il fastidio, portando una mano a sfiorarsi il setto nasale che il
suo
fidato dottore di bordo le aveva sistemato durante la notte, facendole
vedere
le stelle. Aveva ancora il cerotto e persino respirare le faceva male.
Dannato
vecchiaccio!
Lui, al
contrario, se
ne stava tranquillo a prendere il sole, circondato dai suoi uomini e
intento a
dare ordini, a ridere di gusto e a tracannare saké a
più non posso. Non era
giusto, non era proprio possibile poter essere tanto calmi e
indifferenti ad
una minaccia come lei nei paraggi, libera di muoversi come le pareva.
Insomma,
non sapevano che la Marina le aveva appioppato una taglia da capogiro?
Non
sapevano che era la ricercata più giovane e temuta? I
fottuti giornali non li
leggevano, accidenti a loro?
Si impose
di
tranquillizzarsi e di rimanere concentrata non appena si accorse delle
piccole
fiammelle che avevano iniziato a scaturirle dalle dita delle mani.
Aveva ancora
qualche problema di autocontrollo ma, se non si arrabbiava e rimaneva
lucida
nelle situazioni più critiche, riusciva a controllarsi
abbastanza. Il punto
era, però, che si sentiva costantemente incazzata e tenere a
bada il fuoco
diventava ogni ora più complesso.
Si
appiattì contro la
parete della stanza che portava alla sala di navigazione, allungando il
collo
per poter osservare gli spostamenti che stavano avvenendo.
Il
vecchio era sempre
al solito posto, mentre, attorno a lui, c’era un
po’ di movimento, ma niente di
eccessivo o caotico. Gli unici che non si erano mai mossi erano due
uomini, tra
cui Anne riconobbe la figura di quel pirata tanto idiota e impiccione.
Quel,
come si chiamava? Il tizio cotonato e con la faccia da schiaffi.
Satch!, si disse,
dandosi un pugnetto sulla
fronte. Era in piedi accanto all’Imperatore, affiancato da un
altro pirata, più
o meno della stessa stazza, e con dei capelli biondi che facevano
concorrenza
al castano, ma non si stupì molto, dato che tutti, su quel
veliero, avevano
l’aria di essere parecchio strambi, inoltre aveva altro per
la testa e,
sicuramente, due Capitani non potevano rappresentare un intralcio. Per
quanto
ne sapeva, nessuno di loro aveva dei poteri particolari e, se le
avessero
intralciato il cammino, li avrebbe arrostiti per bene.
Un
pensiero le tornò
alla mente. Mesi addietro, quando avevano raggiunto
l’Arcipelago Sabaody, uno
dei suoi uomini aveva raccolto informazioni sui possibili nemici e le
aveva
detto qualcosa riguardante la ciurma del vecchio, in particolare sui
Frutti
legati ad essa, ma non ne era certa e, purtroppo, non riusciva a
ricordare di
che abilità si trattasse.
Decise
quindi di
lasciar perdere. Sicuramente non erano nei paraggi, altrimenti se ne
sarebbe
accorta.
Prese un
profondo respiro,
stringendo l’elsa dell’enorme e affilata falce che
aveva rubato dall’armeria
quella mattina, quando tutti erano a colazione. Aveva scartato molte
armi,
considerandole troppo fragili, ma quella le era subito saltata
all’occhio per
dimensione e bellezza. Già si immaginava in piedi sopra alla
carcassa di
Barbabianca, abbattuto come un animale, vittoriosa e fiera.
Scosse il
capo. Prima
doveva riuscire nella sua missione e poi avrebbe esultato.
Diede un
ultimo sguardo
al cassero assolato, scoprendo che la via era libera e che,
probabilmente,
quello sarebbe stato l’ultimo momento di pace.
Così, deglutendo e sentendo il
cuore batterle in gola per l’emozione, scattò
all’aperto, uscendo dal suo
nascondiglio e scagliandosi veloce contro Barbabianca, il quale le
stava dando
le spalle.
Era
vicinissima e,
quando le rimasero solo un paio di passi, si diede lo slancio, saltando
in
avanti e ruotando le braccia sopra la testa per poter scagliare la
falce dritta
addosso al corpo del vecchio. Un colpo netto sarebbe bastato e lei
sarebbe
stata libera.
La lama
scintillò sotto
al sole, fendendo l’aria e andando a scagliarsi contro
l’ignaro Capitano della
Moby Dick.
In tutto
ciò, però,
Anne riuscì solo a vedere un lampo azzurro sfrecciarle sotto
agli occhi per poi
finirle addosso. La mazzata che le arrivò allo stomaco fu
peggio di una
cannonata, tanto che le mozzò il respiro e le tolse
qualsiasi forza. Si vide
sbalzare lontano, mentre il ponte della nave si allontanava sempre di
più,
rimpicciolendosi. Chiuse gli occhi quando urtò una barriera
con la schiena e, a
giudicare dalla suo continuo volo, doveva averla anche sfondata. A
quello seguì
un secondo impatto e fu come ricevere uno schiaffo su tutto il corpo,
seguito
da una sensazione di freddo e umido. Non appena aprì gli
occhi, vide una marea
di bolle, schiuma e acqua cristallina tutt’attorno a lei,
mentre la superficie
si faceva sempre meno nitida.
Si
allarmò appena capì
di essere finita in mare e tentò con tutta se stessa di
sbracciarsi per
risalire, muovendo gambe e braccia, ma era come se nulla le
rispondesse. Le
membra erano pesanti, l’aria le mancava, il dolore allo
stomaco la stava
torturando e in tutto quella situazione scomoda, l’unica cosa
a cui riusciva a
pensare era che non aveva mai immaginato di morire in quella maniera
tanto
misera.
*
-Guardate,
è finita in
mare.- notò un marinaio, appoggiandosi al parapetto con
tranquillità, evitando
accuratamente la parte che era stata appena sfondata.
-Ma non
sa nuotare.-
azzardò un altro, ricordando che ci aveva ingerito i Frutti
del Diavolo
rischiava di morire se a contatto con l’acqua.
-Qualcuno
la vada a
ripescare.- disse con fare ovvio un tizio accanto a lui, dalla pelle
scura e
dall’aria divertita, l’esatto ritratto dello stato
d’animo del resto della
ciurma.
-Maledizione,
ti avevo
detto di andarci piano!- sbraitò a quel punto il Comandante
della Quarta
Flotta, sbraitando improperi e togliendosi la camicia bianca della
divisa da
cuoco e il fazzoletto che portava al collo con gesti bruschi mentre si
avviava
verso il bordo della nave, lasciando cadere sul ponte i vestiti. Si
affacciò sul
mare, individuando il punto in cui Anne era finita, da cui provenivano
svariate
bollicine d’aria, e salì sul parapetto, tuffandosi
poi in acqua per andare a
recuperarla.
I suoi
compagni
assistevano divertiti alla scena, chi ridacchiando, chi incredulo, chi,
come
una piccola parte degli uomini di Pugno di Fuoco, preoccupato, e chi
era solo
contento di aver dato una lezione a quella impertinente.
-Non
serviva arrivare a
tanto, figliolo.- disse un divertito, e per nulla dispiaciuto della
cosa, Barbabianca
al Comandante della Prima Flotta, osservando Satch risalire a bordo con
il
corpo privo di sensi della ragazza tra le braccia.
Marco si
voltò dalla
parte opposta, dirigendosi nella sala comandi e dando le spalle alla
scena,
niente affatto pentito. -Le serviva una lezione.- dichiarò
semplicemente, con
un gesto svogliato della mano.
Intanto
Satch
appoggiava con quanto più garbo possibile Anne sulle assi di
legno,
afferrandole il mento e ruotandole in viso, cercando di capire se
respirasse o
meno.
-Ohi,
è morta?- gli
chiese un mozzo.
-Nah, non
credo.- lo
rassicurò il castano, prendendo a lasciare qualche schiaffo
leggero sulle
guance della mora. -Anne? Ragazzina? Forza, svegliati!-
Si mise
seduto quando
la vide aprire gli occhi e schizzare a carponi, vomitando mezzo oceano,
saliva
e sangue. A quanto pareva, quel deficiente di Marco ci era andato
davvero giù
pesante con quel calcio. Lo aveva pure visto usare l’armatura
per essere sicuro
di non mancare il bersaglio e neutralizzare i poteri del Frutto Rogia.
-Tutto
bene?- le chiese
sorridendole, scompigliandosi i capelli che gli ricadevano sulla fronte
e sulle
spalle, tutti aggrovigliati.
Lei
tossì un paio di
volte, respirando a fatica, tanto che i suoi polmoni facevano un suono
strano,
quasi un brusio. Forse era meglio se la faceva visitare dalle
infermiere del
babbo.
-Come…
come ha fatto?-
la sentì domandare, ancora immobilizzata a terra, con la
fronte appoggiata al
pavimento e una smorfia di dolore sul viso. -Come diavolo ha fatto a
colpirmi?
Non ci era mai riuscito nessuno!-
-C’è
sempre una prima
volta.- la informò Satch a quel punto, chiedendosi se Anne
sapesse nulla
riguardo all’Ambizione e a tutti i particolari legati
all’argomento.
Probabilmente no, altrimenti avrebbe previsto ed evitato il colpo
micidiale,
esattamente come loro avevano avvertito la sua presenza alle spalle del
babbo
dieci minuti prima. -E poi, tutti le hanno prese da Marco.-
esclamò, parlando
come se quegli episodi fossero all’ordine del giorno.
Anne
tossicchiò ancora,
contorcendosi per il dolore. -M-Marco?- domandò.
Ma
il vecchio non si chiamava Barbabianca? O Edward Newgate?
Satch
incrociò le
gambe, poggiando i gomiti sulle ginocchia e usando i palmi come
appoggio per il
mento, guardandola sorridente, allegro e gocciolante. -Il Comandante
della
Prima Flotta. E’ stato lui a mandarti affondo.-
La
ragazzina sbatté le
palpebre, assimilando l’informazione e ricordando di aver
visto un lampo blu
giusto un secondo prima che il suo stomaco diventasse poltiglia.
Ricapitolando:
le aveva
prese due volte dal vecchiaccio e una da un suo sottoposto dai poteri
sconosciuti. Per quanto ancora aveva intenzione di rimanere a subire
senza
darsi da fare e dimostrare quanto forte era?
Strinse i
denti e i
pugni, mettendosi carponi e sollevandosi lentamente, fino a rimanere in
ginocchio sotto lo sguardo attento e fin troppo divertito di Satch.
Accidenti,
non lo sopportava proprio. Sembrava che volesse costantemente spingerla
a
parlare e la fissava come se si fosse aspettato che da un momento
all’altro lei
lo avrebbe abbracciato e lo avrebbe chiamato nakama.
Tsk,
col cazzo.
-Smettila,
o ti cavo
gli occhi e li do in pasto ai pesci!- lo avvisò arrabbiata,
umiliata e ferita
nell’orgoglio e nel fisico, alzandosi cercando di nascondere
la fatica e
stringendosi la pancia con un braccio attorno al corpo. Era a pezzi e
doveva
assolutamente trovare il suo dottore prima di vomitare anche quello che
aveva
mangiato sei mesi prima.
Satch la
guardò
arrancare sottocoperta a leccarsi le ferite con
un’espressione beata e per
niente impaurita dalle minacce rozze e poco eleganti che aveva
ricevuto. Gli
piaceva quella mocciosa, sapeva il fatto suo e, tutto sommato, era
certo che
non fosse tanto acida come dava ad intendere. Ci voleva solo del tempo
e,
abituato com’era a bestemmie e insulti, qualche parolona in
più non gli avrebbe
scalfito l’ego smisurato che aveva.
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Capitolo 5 *** 5. Di tutti i colori. ***
Hey
guys! Sono tornato!
Da
non credere , vero? In effetti non sembra vero nemmeno a me, LOL.
Mi
dispiace davvero per il periodo di assenza, ma sono stato pieno di
cose da fare, l’Università porta via tempo e
impegno, poi lavoro e real life
fanno il resto. Inoltre, ora é estate e le pause le sfrutto
per vivere un
pochino, sapete com’é.
Però
non ho dimenticato nulla! La mia nostra Anne
c’é sempre e ho
un sacco di idee. Dal prossimo capitolo si svolta, anche
perché non posso
lasciarla sempre a bisticciare e ad architettare la morte di qualcuno,
no?
Quindi
godetevelo, spero vi piaccia! Grazie a tutti per le recensioni e
scusate per i silenzi, davvero, ma non riesco a starci dietro come
vorrei. Se
solo avessi più tempo farei tante più cose!
Alla
prossima che spero non sarà tra una vita!
Portgas.
Whitebeard
Pirates’ Flame.
5. Di tutti i
colori.
Era
passata solo una
settimana e Anne ne aveva già combinate di tutti i colori.
Aveva una
media di
circa tre attentati al giorno, quattro nelle ore buone e durante le
quali non
era distrutta e spossata dalle batoste che prendeva ogni volta che i
suoi
tentativi andavano in malora. Satch ne aveva contate addirittura cinque
e
giurava di essere sincero, anche se, quando l’avevano
domandato alla diretta
interessata, lei aveva risposto con un semplice e genuino dito medio,
giusto
per far intendere dove avrebbero potuto andare.
L’ultima
sua trovata
era stata ardere completamente la
cabina di Barbabianca, riducendola ad un cumulo di macerie. E per
fortuna che
si trovava sopracoperta per comodità, altrimenti in parecchi
avevano pensato
che la nave difficilmente si sarebbe salvata dall’incendio
che i Comandanti,
assieme ai marinai, avevano prontamente estinto. L’unica
sfortuna per Anne era
stata l’assenza del vecchio in quel particolare momento della
notte, dovuta
all’impegno di quell’ultimo a tracannare
saké di nascosto nelle cucine.
Ecco
perché, quella
mattina, si era ritrovata costretta da forze maggiori e più
numerose a dover
ricostruire da capo la camera da letto dell’Imperatore, con
tanto di disegni
architettonici e varie modifiche che gli uomini avevano approfittato di
attuare, visto che lei aveva contribuito a distruggerla interamente.
All’inizio
non c’era stato
verso di convincerla a rimediare al danno e più di qualcuno
aveva rischiato un
infarto, colpiti e affondati dalle occhiatacce di cui la ragazza
disponeva e
che sapevano risultare inquietanti e spaventose, soprattutto se
accompagnate da
lingue di fuoco che spuntavano dai suoi capelli sciolti sulle spalle.
In molti
ci avevano
provato, tentando di farla ragionare, primo fra tutti Vista, il quale
aveva
fatto ricorso alla galanteria e alle buone maniere, non scalfendo
minimamente
il caratteraccio di Anne e trovandosi così a chiedersi se,
nella vita, non
servisse anche essere cattivo.
Era stato
poi il turno
di Izou, più diplomatico, ma abbastanza serio da riuscire a
farla vacillare per
un secondo, anche se il suo discorso era finito con l’essere
ignorato successivamente.
Non si
erano dati per
vinti, i Comandanti più coraggiosi, e tra loro Namur si era
distinto per essere
stato quello che più le si era avvicinato senza rischiare
troppo la pellaccia.
Peccato che avesse rovinato tutto tentando di, a detta sua, sfiorarle
una
spalla in maniera amichevole. La sua mano aveva rischiato di essere
arrostita
in pochi attimi se non avesse avuto i riflessi pronti.
Ad ogni
modo, e
purtroppo per Anne, Satch era stato una vera spina nel fianco. Non
aveva smesso
un attimo di blaterare frasi su quanto fosse stata brava e gentile dal
distruggere quella stanza che ormai decadeva. A detta sua, aveva fatto
un
grosso favore a tutti, almeno il babbo avrebbe avuto una nuova cabina,
più
grande e moderna, con un solaio magari, cosa che non fece altro che
mandare
ancora più in bestia la giovane, già abbastanza
innervosita dal fatto di aver
fatto un ulteriore buco nell’acqua.
Era come
se tutti gli
Astri, le Divinità e il Mondo stesso si fossero coalizzati
contro di lei e la
cosa, per la precisione, non le piaceva per niente.
Quando
ormai avevano
perso le speranze sul convincerla a mettersi a lavoro e a fare qualcosa
di
produttivo, sul ponte si era fatto avanti con calma nientemeno che il
Comandante della Prima Flotta, con tanto di progetti arrotolati in una
mano,
mentre l’altra era affondata tra i ciuffi biondi nel
tentativo di dare loro una
piega abbastanza ordinata.
Anne si
era accorta che
qualcosa era cambiato grazie all’improvviso silenzio che era
calato per un
istante, compensato poi da leggeri brusii e dal ghigno poco
rassicurante
dell’idiota di Satch. Se lei ci sapeva fare con gli sguardi
di fuoco, lui era
un maestro nell’inquietare la gente.
Aveva
smesso di dare le
spalle alla combriccola, lasciando perdere la contemplazione delle
macerie, un
vero capolavoro secondo il suo parere, e si era voltata a braccia
conserte,
pronta per affrontare l’ennesimo tentativo che avevano
idealizzato per metterla
ai lavori forzati.
Era
rimasta impassibile
di fronte al nuovo arrivato che si era fermato a chiedere informazioni
al
castano cotonato, ma non si era risparmiata
dall’assottigliare lo sguardo con
diffidenza quando l’attenzione si era concentrata su di lei,
facendo si che
entrambi la guardassero.
-Anne, ti
presento
Marco.- ghignò spudoratamente Satch, -Il Comandante della
Prima Flotta.-
aggiunse, sapendo di stare svelando qualcosa che avrebbe reso la
situazione
ancora più complicata.
L’effetto
era stato
immediato e la ragazza aveva digrignato i denti nel modo più
minaccioso
possibile davanti al pirata che l’aveva spedita in mare
giorni prima, facendo
crollare tutte le sicurezze riguardanti il suo potere e mettendola in
seria
difficoltà.
Tutto
quello che Marco
aveva fatto, era stato alzare una mano in segno di saluto, rivolgendosi
poi a
lei con sufficienza, come se non avesse rappresentato nessuna minaccia
e fosse
stata semplicemente un misero mozzo al quale dare ordini.
Le aveva
indicato
dov’erano appoggiati chiodi, martello e scorte di legname,
consigliandole di
iniziare subito perché il babbo avrebbe avuto bisogno di un
posto in cui
riposare e infine le aveva voltato le spalle per tornarsene da dove era
venuto.
Ricordava
benissimo la
risata sguaiata di Satch quando l’aveva vista volare tra le
macerie dopo aver
tentato di attaccare il biondo con uno dei suoi colpi speciali, ma il
suo
tentativo di rivalsa non era andato a segno e aveva guadagnato una
giornata
estenuante di lavoro e un labbro rotto. Anche se, stando a sentire
Satch, Marco
ci era andato più che leggero.
Ecco
perché, a
pomeriggio inoltrato, stava costruendo la cabina per il suo nemico
giurato, con
la costante e fastidiosa compagnia del Quarto Comandante che non
l’aveva persa
di vista nemmeno per un istante, chiacchierando senza freno, offrendole
da bere
e canticchiando di tanto in tanto, domandandole se conoscesse qualche
canzone
nuova.
Anne,
quando era
interpellata, sbuffava e lo ignorava, sentendosi sempre più
stressata e
sbottando un paio di volte, urlandogli contro di chiudere il becco o di
ammazzarsi.
Per sua
sfortuna,
inoltre, non si era neanche addormentata, dato che nessun attacco di
narcolessia l’aveva colpita in quelle ore. Dannazione, era
l’unica cosa su cui
aveva sperato e non aveva ottenuto niente. Quando doveva combattere o
uccidere
il vecchio, però, il sonno la assaliva eccome!
Si
riscosse dai suoi
pensieri quando la figura di Satch entrò nel suo campo
visivo.
Smise di
lavorare con
un pannello di legno e osservò il castano togliersi la
camicia e afferrare
travi e martello, caricandoseli in spalla e andandosi a piazzare
parallelamente
a lei, in modo tale da rifinire un lato mentre lei faceva
l’altro.
Anne
corrugò la fronte,
un po’ stupita. -Che diavolo fai?- gli chiese aspramente,
poggiando una mano su
un fianco scoperto. Aveva accorciato la sua camicia per legarla con un
nodo sotto
al seno, in modo da non soffrire troppo il caldo. Si era pure
intrecciata i
capelli alla svelta, anche se era certa di avere un’aria da
svampita.
Satch le
rivolse un
sorriso enorme che per poco non la fece rimanere di stucco, data la
somiglianza
che c’era con quelli spontanei e affettuosi che le regalava
spesso il suo
fratellino.
-Ti do
una mano.-
rispose con ovvietà. -Altrimenti di questo passo non
finiremo mai.-
Anne
avrebbe potuto
rispondergli che non c’era bisogno che si sporcasse le mani,
che sapeva
arrangiarsi e che avrebbe fatto rosicare tutti perché
avrebbe costruito una
cabina bellissima, giusto per farla in barba a quei dementi, dato che
aveva già
messo in conto di provare a bruciarla in un secondo momento, ma non lo
fece.
Rimase in silenzio, stanca di continuare a cercare di allontanare
quell’impiastro appiccicoso e snervante e decidendo che, se
proprio voleva
rischiare la pelle continuando ad assillarla, lei non era nessuno per
dirgli di
non farlo. Se si fosse scottato, avrebbe biasimato solo se stesso.
Satch era
contento e
soddisfatto di aver convinto Anne ad aiutarla e aveva visto quella resa
come un
passo avanti nel loro futuro rapporto di nakama.
Era sicuro che con lei bisognasse solo continuare a provare e non
gettare la
spugna, infatti ne aveva appena avuto la prova.
-Allora,-
iniziò a
dire, giusto per passare il tempo. -I tuoi uomini come si trovano?-
La
smorfia schifata che
ricevette lo fece ridere, perché sapeva benissimo che la
maggior parte della
ciurma della ragazza aveva iniziato a collaborare con quelli della Moby
Dick.
Li intravvedeva un po’ ovunque, in cambusa e sul ponte, o
anche nelle stive.
Era certo che anche lei se ne fosse accorta e la cosa, probabilmente
non la
rendeva molto entusiasta, ma avrebbe dovuto accettarlo, prima o poi.
Decise
comunque di
cambiare domanda. -Ti piace navigare?-
Sentì
gli occhi di Anne
addosso, ma continuò con il suo lavoro, attendendo una
risposta che arrivò con
qualche attimo di ritardo, ma non mancò.
-Si.-
Era
già qualcosa.
-Sei tu a
leggere le carte
nautiche?-
-No.-
-E a
tracciare la
rotta?-
-Si.-
Continuarono
in quel
modo fino al tramonto. Anne non era di molte parole, ma a Satch
bastavano
quelle sillabe per farsi un’idea sui gusti della ragazza e su
quella che era
stata la sua vita prima che capitasse a bordo della loro nave. Le
uniche cose
che sapeva sul suo conto le aveva tratte dai giornali, ma sapeva anche
che non
doveva credere a tutte le dicerie che scrivevano i giornalisti, i
quali, spesso
e volentieri, tendevano ad ingigantire le cose. A quel riguardo, decise
di
togliersi una curiosità.
-Senti,
ma è vero che
dopo aver bruciato un fortino della Marina hai mangiato il cuore
dell’Ufficiale
che era al comando?-
Anne
smise di
riverniciare una parete e lo fissò con tanto
d’occhi, sbattendo le palpebre
prima che un sorriso sinistro si affacciasse sul suo viso. -E se anche
fosse?-
sibilò in risposta, ammaliante e pericolosa come un serpente
in procinto di
attaccare.
Satch, in
un contesto
diverso e ben lontano da quello, l’avrebbe trovata sexy. Non
che non lo fosse,
ma aveva un’espressione che dava l’idea che stesse
immaginando il modo migliore
per mangiarlo e commettere così un atto di cannibalismo.
Fortunatamente,
la
ragazza scoppiò a ridere poco dopo, lasciando perdere la
vernice e
nascondendosi il viso con l’avanbraccio. -Avresti dovuto
vedere la tua faccia!-
lo informò, -Eri terrorizzato.-
Satch
boccheggiò,
trovandosi gabbato da una mocciosa che si era presa gioco di lui senza
sforzo,
quando i suoi fratelli tentavano da anni di fregarlo con scherzi e
dicerie
varie che lui, puntualmente, smascherava, mantenendo il primato di
miglior
giocherellone della nave, nonché bugiardo a tempo perso. A
lei, invece, era
bastato un attimo e l’aveva fregato e lo stava pure
sfottendo. Oltre al danno
la beffa!
Comunque,
avrebbe
trovato più tardi il modo di vendicarsi perché in
quel momento Anne era
rilassata e non tesa come sempre. Stava ancora ridacchiando e aveva
ripreso a
lavorare più serena, senza traccia del muso lungo che aveva
tenuto per la
maggior parte del tempo. Piano, con molta calma, stava riuscendo a
farla
sciogliere. Ci sarebbe voluto ancora molto, ma qualcosa gli diceva che
bastava solo
essere pazienti e poi sarebbero tutti stati felici, ne era certo.
-Fai meno
la
spiritosa.- borbottò, fintamente offeso, ma scambiandosi con
lei un sorrisetto
complice. Certo, quello di Anne era stato meno espansivo e
più timido, ma era
un punto di partenza ottimale su cui costruire un rapporto.
Chiacchierarono
un
pochino più di prima, rimanendo su argomenti vari e senza
mai scendere sul
personale. Il Quarto Comandante parlava per dieci e Anne non era di
certo in
vena di sbilanciarsi troppo, già si era pentita della risata
che si era
lasciata scappare senza volerlo perché troppo spontanea e
impossibile da
reprimere. E poi quell’idiota aveva davvero fatto una faccia
comica. Lei che
mangiava un cuore umano, assurdo! Mangiava di tutto e molto anche, ma
non era
una squilibrata. Un po’ disagiata e con qualche problema a
relazionarsi con il
mondo, ma non da arrivare a quei livelli.
In
qualche modo,
comunque, il sole calò e lei si ritrovò a
guardarsi attorno, conscia di non
essere arrivata nemmeno a metà dell’opera, ma non
si disperò. Non era stato
pesante e aveva avuto modo di distrarsi un pochino, dimenticandosi dei
problemi
e della lista che aveva da completare sui vari modi di uccidere il
vecchio. A quella,
però, avrebbe pensato dopo, visto che Satch stava blaterando
qualcosa riguardo
alla cena da preparare.
Il suo
stomaco brontolò
poco elegantemente e lei si coprì la pancia con prontezza,
non abbastanza
svelta da non attirare l’attenzione del castano, il quale la
invitò a cenare
assieme.
-Tutti in
compagnia,
sarà bellissimo! E ci divertiremo un sacco!-
strillò allegro, saltellandole
attorno, ma senza cercare di toccarla come al solito. Forse aveva
capito l’antifona.
-Meglio
di no, grazie.-
disse lei in ogni caso. Non le andava di mangiare in una stanza enorme
e piena
di gente che odiava dove tutti l’avrebbero fissata,
sussurrando alle sue spalle
e tenendola d’occhio come se fosse stata in una prigione. In
effetti si sentiva
in catene, ma era solo il suo modo di vedere le cose.
Non si
preoccupò di
smontare le aspettative dell’uomo, tantomeno quello
sembrò dispiaciuto. Si,
perché a lui era bastato non ricevere il solito e secco ‘No’. Anne aveva,
diversamente dalle altre volte, declinato l’invito
in maniera garbata e non troppo fredda, perciò era
decisamente un enorme passo
avanti. Ancora pochi tentativi e se la sarebbe ritrovata in cucina a
sgraffignare cibo dalle pentole.
-Beh, se
cambi idea sai
dove trovarmi.- concluse sorridendo, ricordandosi poi una cosa che
aveva
dimenticato. -Ah, e ci vediamo qui domani mattina per finire.-
-Diavolo,
ma non vi
potete arrangiare?- sbuffò Anne, gettando a terra martello e
secchio di vernice
per dargli le spalle e avviarsi sconsolata sottocoperta con in mente
solo l’idea
di un bel bagno e di una chiacchierata con i suoi uomini.
-Ma che
dici! Assieme è
sempre meglio!- la salutò il castano, osservandole alzare le
braccia al cielo
prima di beccarsi un gestaccio che lo mandava bellamente a quel paese,
rimettendosi la camicia e dandosi una sistemata per andare dai suoi
ragazzoni a
riempire loro lo stomaco e immaginando già quel giorno in
cui avrebbe diviso il
piatto anche con Anne.
*
Quando
Anne rientrò
nella sua cabina, ovvero dopo una doccia e un saluto ai compagni, a
stomaco
ovviamente vuoto per l’ennesima volta data la sua
testardaggine, si ritrovò con
l’acquolina in bocca davanti al vassoio pieno di cibo
adagiato sul cassettone
che fungeva anche da comodino.
E chi se
ne fregava del
fatto che quell’idiota cotonato fosse entrato senza permesso,
spazzolò via
tutto senza pensarci due volte, architettando un modo per non fargli
capire che
aveva mangiato e apprezzato il gesto. Non poteva cedere ai
sentimentalismi e
alle gentilezze, proprio non doveva permetterselo.
Dopotutto,
doveva vendicarsi
di tutti, soprattutto del Primo Comandante. Oh, lui lo voleva morto
quasi
quanto Newgate, quindi che figura avrebbe fatto a gettare la spugna?
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Capitolo 6 *** 6. Spegnimi. ***
Whitebeard
Pirates’ Flame.
6. Spegnimi.
Quel
mattino Anne si era svegliata insolitamente di buon ora, quando il sole
ancora
doveva sorgere e l'alba stava accennando il suo imminente arrivo.
Non
era stanca, diversamente dalle altre volte in cui le capitava di
scendere
presto dal letto, ovvero prima di mezzogiorno, perché la
sera precedente era
crollata da qualche parte della nave, colta da un attacco di
narcolessia, ma
non ricordava come ci era finita poi nel suo letto.
Lasciando
perdere tutto con una scrollata di spalle, uscì sul ponte,
ritrovandosi a
respirare a pieni polmoni quell'aria fresca che sapeva di cielo, mare e
libertà. Il cuore batté persino più
velocemente, tanto era contenta di poter
assaporare quei momenti di pace che raramente si concedeva.
Si
diresse verso l'albero maestro, passando accanto alla cabina di
Barbabianca,
perfettamente intatta dopo che lei e Satch l'avevano ricostruita. Ci
avevano
messo circa un mese, allungando i tempi perché un paio di
volte, colta dall'isteria,
aveva bruciato qualche cosa.
Ad
ogni modo, era stata rimessa a nuovo e il vecchiardo aveva pure dato
una festa
in onore della sua nuova camera da letto alla quale lei si era
rifiutata
categoricamente di partecipare. Lei le distruggeva le cose, non faceva
feste
per averle ricostruite.
La
ignorò, superandola e stringendo i pugni. Il russare pesante
si sentiva fino a
fuori, ma non era in vena di tentare un altro attacco alla salute di
Newgate
perché, anche se odiava ammetterlo, la botta alla schiena
che si era beccata la
settimana prima le doleva ancora.
Forse
aveva esagerato o forse aveva dato motivo agli altri di pensare che
volesse
fare una strage, ma la verità era che, dopo aver tentato un
altro dei suoi
assalti, non era riuscita a spegnere le fiamme. In
quell’occasione si erano
come rifiutate al suo volere e avevano continuato ad agitarsi anche
quando
Satch le si era avvicinato per calmarla col suo solito sorriso,
rischiando di venire
bruciato.
Anne
aveva subito tentato si scusarsi, avvisandolo che non era lei che non
andava, ma
a quel punto poco era valso il suo tentativo di spiegarsi.
Era
intervenuto il Primo Comandante, atterrando da chissà dove
ad un passo da lei,
sovrastandola con la sua altezza e guardandola come se fosse stata la
cosa
peggiore e più cattiva del mondo.
Non
sapeva bene perché, ma le aveva fatto più male in
quel modo che nel lato
fisico. Sapeva di essere sbagliata, ma vederselo sbattere in faccia in
quella
maniera era stato... Brutto.
Marco
l'aveva scagliata contro il parapetto in un secondo, facendo
scricchiolare le
assi di legno, e le sue vertebre, in modo sinistro, mentre sul ponte
era calato
il silenzio più tombale.
Aveva
tossito sangue, ma ormai non si impressionava più per
così poco, perciò si era
pulita la bocca con un polso e si era rialzata, barcollante, ma lo
aveva fatto,
senza ascoltare la voce della ragione che le aveva consigliato
vivamente di
arrendersi, mettendosi invece in posizione di attacco e lasciando che
le fiamme
le avvolgessero braccia e gambe.
Se
non era riuscita a spegnersi, si sarebbe fatta spegnere.
Aveva
guardato Marco e lui l'aveva fissata a sua volta. Non si era mai
soffermata a
studiarlo bene, non sapeva come si muoveva e ogni volta che la mandava
fuori
bordo era troppo improvviso anche solo per percepirlo e assimilare il
modo di
combattere. Non sapeva niente di lui, né del suo potere e
della sua forza, ma
non importava. Conosceva se stessa abbastanza bene da sapere che non la
spaventava e che non avrebbe abbassato la testa pe nessuna ragione.
Poteva
essere fortissimo, anche il migliore, ma lo era anche lei. Era lei che
aveva
dominato le acque fino all'Arcipelago Sabaody e nulla le avrebbe
impedito di
farlo anche nel Nuovo Mondo.
Così
si era lanciata all'attacco, colpendo Marco con calci e pugni
infuocati,
invocando barriere di fuoco e reti fiammeggianti per chiuderlo in uno
spazio
delimitato per lasciare fuori gli altri, tenendoli al sicuro. Non era
riuscita
a colpirlo nemmeno di striscio, ma non si era fermaa ugualmente. Aveva
continuato ad attaccare senza sosta mentre lui schivava i colpi con
facilità,
cogliendo tutte le occasioni per colpirla l'attimo dopo che aveva
sferrato un
colpo, spingendola a terra, sbalzandola per qualche metro o
semplicemente
facendola incassare e chinarsi per attenuare un poco il dolore.
Ma
Anne non si era fermata. Era stanca, spossata, i muscoli le dolevano e
il
respiro bruciava nei polmoni come se fosse stata piena di cenere,
eppure le
fiamme non si erano ancora spente e ardevano minacciose contro Marco
che,
impassibile, continuava a guardarla con quello sguardo impossibile da
decifrare,
anche se lei era certa che potesse solo disprezzarla od odiarla.
Dopotutto, chi
avrebbe potuto capirla? Aveva tentato fino al giorno prima di uccidere
Barbabianca, perché avrebbero dovuto credere che non stesse
tentando di farli
fuori tutti? Lei però voleva
proteggerli, voleva evitare di
compiere una carneficina che comprendesse anche i suoi uomini fidati,
almeno
era quello che si ripeteva per evitare di accettare il fatto che
volesse
salvare anche tutti gli altri. Se non poteva controllarsi, almeno il
più forte
lì a bordo l'avrebbe fatto al posto suo. Marco,
però, non l'aveva ancora
spedita ammollo e lei lo stava maledicendo per quello.
Era
sfinita, ma doveva continuare ad attaccare per dargli un motivo per
stenderla,
anche se quello sembrava stare solo perdendo tempo e ciò le
dava altamente
fastidio.
Quindi
aveva preso lo slancio e si era scaraventata addosso a lui, dirigendo
il suo
micidiale Pugno di Fuoco sul suo
petto, contro il simbolo della ciurma che aveva tatuato e che sfoggiava
con
fierezza tenendo aperta la camicia.
Marco
dovette pararlo quello, facendosi scudo con le braccia e divaricando le
gambe
per non perdere l'equilibrio. Non aveva usato il potere del frutto, ma
si era
ricoperto di armatura per neutralizzare il fuoco, assimilando ogni
dettaglio
dell'attacco di Anne. Il fuoco, le fiamme, la disperazione.
-Spegnimi!-
gli aveva detto la ragazza, un sussurro appena accennato che non era
nemmeno
certo di aver udito. Forse lo aveva solo immaginato, ma quegli occhi
neri erano
stati troppo sinceri per farlo dubitare e, per quanti guai avesse
causato
quella mina vagante da quando era arrivata, non poté fare a
meno di ascoltarla,
evitando il colpo successivo spostandosi di lato e facendo barcollare
Anne in
avanti che, trovando il vuoto, aveva perso l'equilibrio per la forza
che aveva
messo nel suo pugno.
Poi
era arrivata la fitta lancinante alla schiena e la sua visuale aveva
vacillato
fino a inquadrare il pavimento e le assi cotte da sole, ma tirate a
lucido,
solo più calde del previso per via del fuoco. Con fatica
aveva sollevato una
mano e, nonostante avesse sentito le forze venire meno, aveva resistito
fino a
che non aveva avuto conferma che le fiamme si erano effettivamente
spente. Solo
allora si era permessa di abbandonarsi alla stanchezza, sfinita, senza
nemmeno
un briciolo di energia o di scintille, vedendo le figure sempre
più sfocate e
sorridendo debolmente.
Si
era spenta, alla fine.
Tirò
un sospiro di sollievo ripensando a quel giorno, massaggiandosi
distrattamente
la parte bassa della schiena mentre ricordava il combattimento, se
così poteva
chiamarlo.
Aveva
fatto schifo, doveva ammetterlo e ciò faceva ardere il suo
orgoglio, ma era la
verità. Non lo aveva colpito nemmeno una volta e si era resa
conto che il suo
modo si combattere aveva un sacco di falle. Troppo diretto e istintivo,
non si
fermava a pensare, a fare strategie, non studiava l'avversario,
attaccava e
basta, come un animale. Aveva funzionato fino ad allora, ma non andava
più bene
e, per quanto detestasse farsi un esame di coscienza, sapeva che doveva
allenarsi e migliorare perché non era più
abbastanza. Non riusciva a
controllare nemmeno il suo potere, come avrebbe potuto quindi
raggiungere i
suoi obbiettivi?
Stava
rimuginando su tutte quelle cose, quando udì dei passi
avvicinarsi con calma.
Non
si scompose a guardare chi fosse, un po' se lo immaginava e, a dirla
tutta, se
lo aspettava, perciò rimase a guardare l'orizzonte,
godendosi quella poca
tranquillità che si creava quando tutti dormivano ancora,
attenuando per
qualche ora il brusio concitato che c'era durante il giorno.
Marco
la affiancò pochi istanti dopo, le mani nelle tasche dei
pantaloni leggeri e
azzurri come i suoi occhi, l'aria rilassata e i capelli ancora
disastrati per
il sonno. Lei, però, non era nessuno per giudicare
perché era consapevole di
avere l'aspetto di una stracciona, capelli aggrovigliati compresi.
Non
si parlarono, non l'avevano mai fatto, ma lei non parlava con nessuno
se non
con i suoi uomini. E con Satch, ma lui la assillava per ore prima di
intavolare
una conversazione che la faceva dubitare della sanità
mentale dell'uomo.
Aveva
notato che, dalla scorsa settimana, Marco le si avvicinava spesso e
apparentemente
senza l'intenzione di raggiungerla, per esempio legando una cima o
sistemando
qualcosa giusto vicino a lei. All'inizio Anne non ci aveva fatto caso e
aveva
davvero pensato di trovarsi sempre in mezzo quando lui lavorava, poi si
era
accorta dell'occhiata che lanciava alla sua schiena e poi al suo viso e
aveva
capito la tacita domanda. Era un modo silenzioso e riservato di
chiederle come
stava e lei aveva preso ad annuire.
Anche
il quel momento di sentiva osservata e si godette per un attimo la
sensazione.
Non era male, nessuno mai la guardava con garbo e avrebbe potuto
abituarsi alla
cosa.
Annuì,
sorridendo distrattamente tra sé e pensando che le faceva
ancora male quando si
alzava dal letto, ma il dolore era diventato sopportabile e stava
svanendo. Ci
era andato giù proprio pesante con lei e la cosa invece che
dispiacerle la
faceva sentire forte, voleva dire che era stata un osso duro alla fine.
Come
da copione, Marco se ne andò poco dopo a sbrigare le sue
mansioni, lasciandola
in pace senza opprimerla. Aveva capito che, se avesse avuto bisogno, si
sarebbe
fatta avanti in un modo o nell'altro, sperava però di non
dover più ricorrere
alla violenza e lei pregava tutti i Santi per non doversi
più abbassare a
chiedere aiuto.
Il
sole sorse pigro, rischiarando l’acqua e la Moby Dick,
illuminandola e
facendole dare sfoggio di tutto il suo splendore. Come nave era davvero
imponente, doveva ammetterlo, e in quanto a potenza non c’era
dubbio che fosse
indistruttibile.
Rimase
a crogiolarsi sul parapetto con le gambe a penzoloni nel vuoto ancora
un poco,
rilassandosi a dovere e cercando la voglia di muoversi da lì
e inventarsi
qualcosa per la giornata. Si era annoiata in quel periodo senza
tentativi di
omicidio dovuti alla sua rianimazione anche se le distrazioni non erano
mancate
e rinunciarvi stava diventando molto difficile, soprattutto
perché quei
bastardi sapevano vendersi bene. Un giorno organizzavano gare di
tirassegno; un
altro mettevano su tornei di lotta libera; combattimenti con svariate
armi che
non aveva mai visto; battute di pesca; caccia ai mostri marini e altre
svariate
attività che moriva dalla voglia di provare, cimentandosi e
facendo cose
diverse dalle solite.
Forse
uccidere il vecchio stava diventando noioso, o la sua
volontà stava venendo
meno, ad ogni modo non ci aveva ancora rinunciato e, conoscendosi,
difficilmente l’avrebbe fatto. Come non si sarebbe unita a
quegli idioti e ai
loro stupidi giochetti, ecco perché si era sempre limitata
ad osservarli da
lontano, stringendo le ginocchia al petto e passando ore a seguire le
gare e ad
allungare il collo per intravvedere il vincitore.
Quella
mattina, dopo colazione, la maggior parte della ciurma assieme ad
alcuni
Comandanti si era riunita per un'altra partita e lei, come al solito,
aveva
trovato un posticino all’ombra, non troppo vicino, ma neanche
troppo distante,
così da poterli guardare e ridere delle sfortune altrui,
almeno quando non era
lei a dover subire.
Satch
dava sempre il meglio di sé per tormentare le persone,
saltando da una parte
all’altra addosso a tutti e facendo ridere più di
qualcuno con le sue battute e
la risata sguaiata e contagiosa. La maggior parte gli dava corda e solo
pochi
scuotevano il capo sconsolati. Lei, in situazioni differenti, avrebbe
contribuito alla loro esasperazione, ma non era nella condizione di
unirsi e
preferiva rimanere a tenere il broncio con il suo orgoglio ferito
standosene in
disparte. Non era da lei, la sua natura bruciava rinchiusa in una
gabbia, ma
non poteva mandare tutto in malora per divertirsi con quella gente che
non
aveva mai fatto nulla per farla stare male, eccetto sbatterla fuori
bordo
quando tirava troppo la corda. Ridevano tutti quando accadeva, persino
i suoi
uomini e uccidere il vecchio era diventato una specie di teatrino che
perdeva
di significato ogni giorno che passava. Improvvisamente non le
interessava più organizzare
agguati nel dettaglio notte e giorno come faceva all’inizio,
ma si trovava
sempre più spesso curiosa di concentrarsi su altro, su tutto
quello che la
circondava perché, effettivamente, c’era del bello.
Sospirò
combattuta, togliendosi il cappello dal capo e poggiandolo sul
pavimento,
tirandosi all’indietro la chioma corvina e indomata per
vederci meglio e non
avere troppo caldo, lasciando libero il viso e le lentiggini che
spuntavano sul
naso e le guance.
La
presenza di Marco appoggiato alla parete a pochi passi da lei, intento
pure lui
a guardare cosa si stavano inventando i ragazzi quel giorno, fu quasi
naturale,
come se ci fosse sempre stato. Forse era lei che era andata a sedersi
da quelle
parti, o lui era apparso come faceva spesso senza che se ne rendesse
veramente
conto, in ogni caso erano lì a godersi le scenate sul ponte
principale, nulla
in particolare da dirsi, ma andava bene ad entrambi.
Anne
aveva un sacco di cose su cui riflettere ed erano tutte troppo
incasinate da
comprendere al volo, soprattutto perché non era mai stata un
tipo pensieroso o
che rifletteva sul da farsi, ma sapeva che avrebbe dovuto affrontare il
tutto,
prima o dopo. In quel momento, però, svuotò la
mente e lasciò che la vita di
bordo la avvolgesse, prendendosi un momento per fingere di essere una
persona
normale con una vita altrettanto normale, senza odio e rancore, solo
con tante
aspettative e sogni nel cassetto, circondata da compagni.
E
le
piacque talmente tanto da fare male.
Eh
si gente, sono tornato, prima del previsto questa volta, quindi mi
scuso solo
in parte, LOL. Dai, con l’università ora va
meglio, ma il tempo è sempre poco e
la real life mi fa andare fuori di
testa a volte.
Comunque,
nuovo capitolo dove troviamo Anne assorta nel ricordo del suo primo
combattimento quasi serio contro
Marco. Lei ha problemi a controllare ancora bene il potere del frutto e
per
salvare gli altri chiede aiuto al Primo Comandante di spegnerla dopo
che era
intervenuto in difesa di Satch.
E
niente, Anne sta cambiando atteggiamenti e idee, perciò
presto si troverà ad
interagire più da vicino con tutti gli altri!
Alla
prossima! (Spero prima di Natale)
Portgas
|
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Capitolo 7 *** 7. Storie dell'orrore (Parte 1) ***
Whitebeard
Pirates’ Flame.
7.
Storie dell’orrore (Parte 1)
Lo aveva saputo
fin
dall’inizio che quell’isola avrebbe portato solo
guai; lo aveva capito ancora
prima di sentirselo annunciare quella mattina da quello scemo di Satch
in
persona, il quale aveva avvisato tutti loro che quello sbarco sarebbe
stato
fonte di immense gioie, tesori e soddisfazioni, accompagnando le sue
parole con
le sopracciglia castane ben sollevate verso l’alto e continui
ammiccamenti ai
suoi fratelli maschi.
Haruta
era stata furba
e se l’era battuta subito, declinando l’invito a
partecipare a quella missione
insulsa, dando segno di sapere già di cosa si trattasse, ma
Anne purtroppo non
era stata altrettanto veloce, colpa di una notte insonne e di una
mattinata
passata a dormire sulle scomode assi del pavimento della stiva che le
avevano
dato da pulire come punizione per il suo novantacinquesimo tentativo di
omicidio. Andato a vuoto, per la precisione.
Satch
l’aveva
intercettata mentre tentava di allontanarsi tra le teste dei compagni
che
avevano alzato la mano come volontari e l’aveva chiamata a
gran voce,
strillando ringraziamenti pomposi per il suo spirito di partecipazione,
incurante del dito medio che lei gli aveva subito rivolto, scappando
dalla
cambusa.
Il
destino, però, aveva
voluto che in quel momento Vista stesse scendendo le scale,
perciò gli era
finita addosso senza rendersene conto, troppo impegnata a defilarsi, e
quello
l’aveva presa per le spalle, fatta voltare e rispedita nella
stanza dove uno
sghignazzante Satch l’aveva raggiunta sorridente, passandole
un braccio attorno
alle spalle e stringendosela contro.
Di
positivo c’era stato
che, nell’esatto istante in cui si erano resi tutti conto che
due Comandanti
l’avevano toccata senza che lei desse in escandescenze, era
calato il silenzio
e per cinque minuti buoni nessuno aveva saputo cosa dire, nemmeno quel
chiacchierone di Satch e per Anne era stato il momento più
bello della sua vita
fino ad allora. Pazienza che dopo avesse dovuto sorbirsi il suo
sorrisetto
complice e i castelli in aria che si era fatto sulla loro inesistente
amicizia
e sulla simpatia reciproca, a lei era bastato e avanzato che fosse
rimasto
senza parole, per quello aveva ingoiato il rospo e non aveva obiettato
a
seguirli sull’isola.
Le si era
contorto lo
stomaco, ma aveva resistito alla vista lugubre di
quell’accenno di terra
coperta dalla nebbia, la quale rifletteva la luce del sole in modo
particolare
dando ai dintorni un’atmosfera spettrale e gettando bagliori
violacei su ogni
superficie.
Aveva
represso il
disgusto appena aveva messo piede sulla costa priva di sabbia e
ricoperta di
sassi e pietre aguzze, osservando gli strapiombi che vedeva in
lontananza a est
e l’unico promontorio situato ad ovest che si ergeva di
fronte a loro, con un
sentiero irregolare che scompariva nel folto della vegetazione composta
da pini
e altri alberi secchi, storti e spogli.
-Non
è una meraviglia?-
aveva esordito Satch, piazzandosi in prima fila con le mani sui
fianchi, la
testa alta e il sorriso smagliante.
-Affascinante.-
Anne si
era passata con
finta casualità le mani sulle braccia, tentando di
nascondere i brividi che le
erano affiorati sulla pelle quando aveva sentito il commento sarcastico
di
Marco alle sue spalle. Perché, ovviamente, la ciliegina
sulla torta era stato
scoprire che ci sarebbe stato anche lui e non era ancora riuscita a
capire se
le aveva dato fastidio o meno.
Di certo,
non poteva
averle fatto piacere!
Non si
era però preoccupata
di celare tutto lo schifo e la nausea che aveva provato quando, dopo
una
camminata di un paio d’ore su un sentiero accidentato dove
più di qualche loro
compagno aveva rotto gli stivali, erano giunti a destinazione, ovvero
alle
porte d’ingresso del macabro e decadente castello che vantava
il merito di
essere l’unica costruzione presente in quel luogo. Era
bastato varcare la
soglia per costringerla a tapparsi il naso per non dare di stomaco a
causa
dell’aria irrespirabile che sapeva di decomposizione.
L’unica nota positiva era
stato vedere le facce sconvolte dei marinai che li avevano accompagnati
e la
sorpresa non gradita stampata sul volto di Satch, Blamenco e Rakuyo.
Marco, come
al solito, era rimasto impassibile come una statua.
Il fondo,
però, lo
avevano toccato quando avevano iniziato a trovare i primi cadaveri
lungo il
corridoio d’entrata. Donne svestite e con evidenti segni di
frustate in tutto
il corpo. I piedi erano stati bruciati.
A quel
punto, Anne era
sbottata.
Si era
avviata fulminea
verso Satch e, una volta raggiunto, lo aveva afferrato per il colletto
della
camicia e iniziato a strattonarlo come un pupazzo inanimato,
completamente
sicura che nessuno avrebbe osato mettersi in mezzo.
Infatti,
non un uomo
mosse un muscolo; i marinai erano troppo tesi ed impegnati ad osservare
a bocca
aperta la scena, mentre i Comandanti non si erano preoccupati
minimamente per
il loro compagno, concordanti sul fatto che, anche se Anne lo avesse
bruciacchiato, se lo sarebbe meritato per il casino in cui li aveva
messi.
-Dove
cazzo siamo?- gli
aveva urlato addosso la giovane, riuscendo perfettamente a trattenerlo
nonostante fosse più bassa di parecchi centimetri.
Il
castano aveva
deglutito a fatica, pregandola di calmarsi, ma ciò
l’aveva fatta solo infuriare
di più e le fiamme che avevano preso a fluirle sulla schiena
al posto dei
capelli ne erano la conferma.
Automaticamente
era
apparso Marco accanto a loro e aveva gentilmente, ma con fermezza,
afferrato
una mano della ragazza per farle intendere che stava superando il
limite,
rivolgendosi nello stesso momento al fratello in maniera pacata e
seria.
-Satch, non avevi detto che il posto era sicuro?-
Anne
aveva sgranato gli
occhi e aveva mollato la presa sui vestiti del Quarto Comandante
all’istante,
memore dell’ultima sconfitta che il biondo le aveva inferto,
ma ciò non era
bastato perché Marco le lasciasse libero il polso. Satch,
dopo essersi
sistemato il colletto spiegazzato, aveva tossito per schiarire la voce,
passandosi nervosamente una mano tra i capelli diventati un disastro
per
l’umidità.
-L’ultima
volta che ci
sono stato lo era.- aveva spiegato, stupito anche lui del cambiamento.
-Fuori
sembrava sempre di stare in un racconto dell’orrore, ma qui
dentro era una
reggia. Era pieno di gente, cibo, vino e donne, mentre
adesso… non lo so cosa
sia successo!- ammise infine.
Anne
aveva smesso di
fissare allibita la mano ancora stretta sul suo braccio e aveva fatto
scattare
il capo verso il castano, sentendosi colpita in particolar modo
nell’orgoglio.
-Stai dicendo che era una casa di piacere? Ci hai portati in un bordello?- e, parlando, il tono era
saluto di svariate note.
Aveva
visto Satch
impallidire e sarebbe finita per prenderlo a schiaffi se Rakuyo non
avesse calmato
gli animi, dividendoli e prendendo l’iniziativa di
perlustrare il primo piano
per vedere se era rimasto qualcuno in vita da poter aiutare. In caso
contrario,
se ne sarebbero andati senza curiosare sulle sventurate sorti che si
erano
abbattute sul maniero.
Anne
aveva aspettato
imbronciata che tutti le fossero passati davanti ma, anche volendo, non
avrebbe
comunque potuto spostarsi perché Marco non si era ancora
scollato via da lei e
la cosa aveva iniziato ad irritarla, tanto che, una volta rimasti per
ultimi,
gli aveva rivolto un’occhiataccia torva che era stata subito
intercettata dagli
occhi chiari dell’uomo.
-Pensi di
farmi da
balia tutto il tempo?- aveva sbottato, ottenendo finalmente la sua
liberazione
con allegato un ghigno ironico.
-Potrei
prendere in
considerazione l’idea dato che sono l’unico che
riesce a rimetterti in riga.-
le aveva risposto il biondo di rimando prima di accodarsi agli altri.
-Sbrigati, non ho voglia di venirti a cercare se ti perdi.-
E
lì Anne si era resa
conto che non appena si era svegliata quella mattina il suo sesto
senso, o
forse era stato lo stomaco che aveva brontolato?, le aveva detto che
sarebbe
stata una giornata di merda.
*
La sala
principale era
uno spettacolo orrendo e angosciante persino per loro che erano pirati
e lei
avrebbe sfidato chiunque, anche il peggiore dei diavoli, a non
rimanerne
impressionato.
-Questo
posto é… é…-
mormorò Rakuyo a corto di parole, mentre Satch affianco a
lui era pallido come
un cadavere.
-Inconcepibile!-
disse
Anne, stringendo i pugni lungo i fianchi. -Guardate come hanno ridotto
quei
poveretti!-
Alcuni
marinai furono
d’accordo con lei, cosa insolita perché spesso e
volentieri si tenevano a debita
distanza dal Fuoco d’Artificio
della Moby,
come l’avevano scherzosamente, e giustamente, soprannominata
alcuni.
-Chi
può aver fatto una
cosa del genere?- si chiese Blamenco ad alta voce, dando vita alla
domanda che
tutti avevano per la testa e di cui solo uno conosceva la risposta.
Infatti,
quello iniziò
subito a parlare a raffica.
-Insomma,
io sapevo che
non aveva tutte le rotelle al posto giusto. Mi avevano detto che era
una
sadica, ma non fino a questo punto. E per fortuna che non ci sono mai
andato a
letto, Dio solo sa cosa avrebbe potuto farmi! Aspettate, credo che
darò di
stomaco.-
Satch si
coprì la bocca
con la mano per bloccare un conato, probabilmente frutto del suo
ragionamento
che lo aveva portato a rendersi conto della fortuna che aveva avuto in
passato
e cosa si era evitato.
Rakuyo
imprecò a mezza
voce, scuotendo il capo. -Deficiente, in che guaio ti sei infognato?-
Il
castano si prese il
volto tra le mani nel tentativo di calmarsi. La situazione non era
delle
migliori e gli uomini si erano stretti gli uni agli altri per non
sentirsi
scoperti o facili prede. Blamenco, addirittura, era diventato
l’ombra di Anne,
non avendo problemi ad ammettere almeno a se stesso che lei era una di
quelli
più forti presenti nella sala.
-Vi
ricordate di quella
volta che sono tornato strafatto e con un carico di vino pregiato e
quel
tabacco che abbiamo usato per le sigarette che ci hanno dato alla
testa? Ecco,
avevo preso tutto qui. Me lo avevano dato gratis! Ma erano tutti
così affabili
e, come dire… uhm, disponibili?-
Satch
faticava a
spiegarsi e in parte era per il cipiglio scuro di Anne, la quale lo
stava
bruciando non con il suo potere, ma con lo sguardo perché
aveva capito
benissimo l’allusione alla prostituzione, nonostante
l’uso accurato di
sinonimi.
Marco,
che si era
accorto della cosa, ignorò l’astio della ragazza e
spronò Satch a continuare.
Quella storia non gliel’aveva mai raccontata a dovere, era
giunto il momento
quindi di scoprirne tutti i dettagli. -Vai avanti.-
-Ma non
ho altro da dire!
Non so cosa sia successo e che io sappia nessuno ha mai parlato male
della
Contessa Báthory.-
Marco
corrugò la
fronte. Non aveva mai sentito quel nome e, a giudicare dalle facce
curiose e
piene di interrogativi, nessun altro aveva idea di chi fosse quella
donna
menzionata da Satch. Stava giusto per chiedergli altre spiegazioni,
quando fu
Anne a prendere parola prima di lui, risultando stupita.
-Báthory?
Erzsébet Báthory?-
chiese conferma e,
davanti all’annuire del castano, la sua risata fu tanto
inaspettata quanto
glaciale e priva di divertimento. In quell’ambiente, faceva
addirittura paura.
-La cosa
ti diverte?-
domandò seccamente Marco, il quale non era
dell’avviso di incutere ulteriore
timore al resto della ciurma. Bastava e avanzava la faccia del Quarto
Comandante a destabilizzarli più del dovuto.
Anne
incrociò le
braccia al petto e sorrise guardandolo sarcastica. -Molto, e sai
perché? Te lo
spiego io: questo idiota è stato in casa di una vampira e
nemmeno lo sapeva.-
Rakuyo e
Blamenco la
guardarono allibiti; alcuni marinai trattennero il respiro e altri
rimasero
semplicemente di stucco; Satch barcollò
all’indietro fino a sedersi su di una
panca poco lontano e Marco, il quale aveva sperato fino alla fine di
poter
mantenere calmi gli animi di tutti si preparò a dover
contenere il putiferio
che la paura fece scattare pochi istanti dopo.
*
Ci era
voluta una buona
mezz’ora prima che i tre Comandanti riuscissero a richiamare
gli uomini
all’ordine. Non erano molti, ma venticinque pirati spaventati
non erano facili
da gestire, soprattutto perché le reazioni erano molteplici
e differenti in
ognuno, e giustamente perché non erano tutti caratteri
uguali, ad ognuno il
suo, ma a Marco doversi imporre non piaceva, ecco perché,
quando riuscì a farsi
ascoltare dalla ciurma alzando la voce e impartendo l’ordine di mantenere la calma, si rivolse
ad Anne non più con il
tono quasi colloquiale e ironico che le aveva riservato fino ad allora,
perché
era la prima volta che parlavano così tanto loro, ma
bensì con uno più
autoritario e deciso.
-Spiega a
tutti questa
assurdità, ora.-
Se Anne
era rimasta
colpita da quel tono non lo diede a vedere, ma iniziò
piuttosto a chiarire le
sue parole sostando in piedi di fianco a Satch, il quale non si era
più mosso
dalla panca, e gettando di tanto in tanto qualche occhiata di sottecchi
verso
il biondo Comandante, trovandolo sempre intento a fissarla con
quell’aria da
Capitano che ben chiariva a tutti quali erano i ruoli.
-La Bloody Countess.- sillabò la
ragazza,
appoggiandosi alla parete con la schiena per stare comoda, dato che
sarebbe
stata una lunga storia e certamente piena di interruzioni e domande
scomode.
-Toglimi una curiosità, Satch, siamo a Cachtice
Island, vero?-
Il
castano sobbalzò e
alzò il viso verso di lei e quasi le fece pena. -Si,
è questa.-
-Ma se la
conosci
perché non ci hai avvisati?- domandò un marinaio,
attirando l’attenzione di
Anne sulla ciurma, facendole scoprire che una buona parte si era
accomodata a
terra, ben lontana dai cadaveri che riempivano il salone.
Lei
sbatté le palpebre
a quella visione per lasciar perdere la cosa con un’alzata di
spalle e
rispondendo che non ci era mai stata e nemmeno sapeva in precedenza che
aspetto
avesse l’isola. Era a conoscenza solo della padrona di casa e
delle dicerie misteriose
che giravano per il mondo.
-Ci sono
parecchie
storie e teorie su di lei e, badate, sono vere tutte. Era la figlia di
una
ricca famiglia, gente altolocata, ma con un albero genealogico che
vantava
qualche pazzo di troppo, cose come personalità violente,
streghe e alchimisti e
lei non era da meno. E’ cresciuta con una balia che
l’ha introdotta alla magia
nera e, quando è diventata abbastanza grande da poter essere
utile alla
famiglia, è stata data in moglie ad un uomo ancora
più violento di suo padre,
un pirata che le insegnò svariati metodi di tortura. Non
è una novità che,
infatti, i nobili sfoghino la loro crudeltà sulla
servitù, solo che Erzsébet
non si limitava alle classiche bastonate.-
-E cosa
faceva?- la
interruppe Rakuyo, beccandosi un’occhiataccia da Blamenco e
Satch. Bastava guardare
i cadaveri attorno a loro per farsi un’idea.
-Scusate,
mi piacciono
le storie dell’orrore.- disse allora il compagno,
giustificandosi.
Anne si
morse il labbro
a disagio, ma decise ugualmente di continuare. -Picchiava i servitori
fino a
che i loro corpi non si gonfiavano per i lividi e poi praticava
incisioni sulla
pelle per farli morire dissanguati; li lasciava fuori in inverno
facendoli
morire congelati; cuciva loro la bocca o bruciava, per
l’appunto, loro i piedi
e poi…-
-Credo
sia
sufficiente.- concluse lapidario Marco e non ci fu bisogno di guardarlo
per
capire che era contrariato. Anne annuì per istinto, sentendo
di doverlo fare,
cosa che quando ci rifletté la fece innervosire, ma mise da
parte il suo stato
d’animo per finire quel racconto.
-Praticava
incantesimi,
si interessava alla magia nera e ai malefici; la sua casa era diventata
il covo
di alchimisti, negromanti e gentaglia varia. Prima vi parlavo di
vampiri, ecco,
si dice che uno di loro vivesse sotto il suo tetto e che lei la notte
lo accompagnasse
per poi rientrare tutta imbrattata di sangue, infliggendo di giorno
sulla
servitù e sulle persone che catturava per le strade.-
-Rapiva
la gente?- fu
il turno di Blamenco di farle domande e lei rispose affermativamente,
spiegando
che era la Contessa di un territorio piuttosto vasto, perciò
se qualcuno
spariva nessuno se ne accorgeva in tempo, tantomeno davano a lei la
colpa.
-Sparivano
giovani,
donne e bambini anche e la sua dimora era diventata la casa dello
scempio,
dell’affronto alla normalità, ma tutto quel potere
l’aveva resa boriosa e
incauta, finendo per farle fare passi falsi quando decise di prendere
in
ostaggio figli di altre case nobili, tirandosi addosso il sospetto e
l’intervento delle alte sfere. Era una pazza con manie di
grandezza che ha
osato troppo, finendo per interessare il Governo e, per farvela breve,
la
Marina ha stanato il marito e i suoi seguaci quando ha messo piede nei
suoi
poderi, liberando i pochi superstiti. In quanto a lei, una volta
raggiunte le
sue stanze si sono trovati davanti ad un incendio e, a fuoco spento, i
corpi
rimasti erano carbonizzati.- concluse Anne, smettendo di parlare e
lasciando
cadere dietro alle sue ultime parole il silenzio più
profondo al quale tutti si
abbandonarono per riflettere ed elaborare il suo, per alcuni tratti
assurdo e
incredibile, racconto.
L’atmosfera
di
apparente calma si spezzò come il respiro di Satch qualche
minuto più tardi. Il
fruscio dei suoi vestiti e il movimento d’aria accanto a lei
le fece capire che
si era alzato di scatto e i versi di sorpresa mista a terrore degli
uomini
unito allo sguainare delle spade le diedero conferma delle conclusioni
che
aveva tratto da sola.
Rialzò
il capo,
scostando il cappello dalla fronte per trovare la ciurma in posizione
d’attacco,
le armi pronte all’uso e i Comandanti ad aprire la strada,
pronti a dare
l’ordine di attaccare.
Davanti a
loro, figure
vestite di nero dalla pelle pallida e gli occhi rossi, capeggiati da
una donna
che pareva quasi eterea, ma che in realtà era la prova reale
che i vampiri
esistevano davvero.
-L’avevano
data per
morta.- mormorò, staccandosi dal muro e muovendo qualche
passo per superare la
linea di marinai, arrivando a posizionarsi tra Rakuyo e Marco per
vedere bene
con i suoi occhi quel tetro avvenimento. -Fino ad ora.-
Hey
maaaaaaaan.
Mi
dispiace, sono
sparito per, uhm, troppo tempo credo, e nel frattempo non posso nemmeno
dire di
essermi portato avanti. Avevo pronto solo questo capitolo, il prossimo
è a metà
e se devo essere sincero spero che la vita mi permetta di riprendere
questa fic
perché, ve lo confesso, vorrei tanto che qualcosa si
evolvesse tra la nostra fighissima
bella Anne e Marco.
Mi
dispiace per il
macabro, ma a me piace, lol. Questa Contessa è veramente,
credo, esistita e si
trova nella lista dei Serial Killer del mondo. Se vi interessa leggervi
i loro
profili me lo domanderete privatamente perché non credo di
poter fare
pubblicità .-. però meritano e danno un sacco di
spunti, come nel mio maldestro
caso.
Spero di
essermi fatto
perdonare, almeno Anne comincia a lasciarsi toccare senza dare di matto
e
strani pensieri combattono nella sua mente riguardanti il Primo
Comandante, se
ci avete fatto caso. Cogliete i segnali, non ve ne pentirete.
Vi chiedo
ancora scusa,
ma mi sono laureato (heya) e ho trovato lavoro e non ho più
tempo di fare
nulla.
A presto
stavolta,
spero,
Portgas
|
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Capitolo 8 *** 8. Storie dell'orrore (Parte 2) ***
Whitebeard Pirates' Flame
8. Storie dell’orrore (Parte 2)
Davanti a loro stavano quegli essere simili ad umani, ma allo stesso tempo diversi sia per il colore troppo pallido della pelle, sia per l'aria crudele che si leggeva chiaramente negli occhi innaturalmente rossi ed inquietanti.
D'istinto, Anne si mise in posizione d'attacco, pronta ad agire al primo movimento sospetto, lasciando il compito ai Comandanti di prendere l'iniziativa. Dopotutto, lei il suo grado di Capitano lo aveva perso.
Gli uomini alle sue spalle la imitarono senza rendersene conto, sfilando le loro armi e preparandosi ad affrontare quelle creature che li guardavano con l'evidente acquolina in bocca, come se fossero stati una portata prelibata e lei ne sapeva qualcosa sull'amore per il cibo, ma non era il caso di fare paragoni o mettersi a pensare a mangiare.
Ad una decina di metri da loro, la Contessa e il suo corteo non muovevano un muscolo, tranne forse gli occhi. Si, quelli scorrevano sulle figure di quelli che per loro altro non rappresentavano che pasti fatti di sangue, tanto quanto ne bastava per riprendere le forze e ne avevano assolutamente bisogno dopo quella lunga carestia che li aveva costretti a cibarsi di se stessi.
Ecco a cosa stava pensando Erzsébet Báthory, al sangue e al modo più veloce, ma anche divertente, che poteva trovare per dissanguare quegli sciocchi.
Osservò nelle retrovie, selezionando già qualche buon candidato per poi passare a quelli che dovevano di certo essere il piatto forte e non solo per potenza e prestanza fisica.
Ignorò di proposito la ragazzina che la guardava come se fosse stata il Demonio e si concentrò sui quattro uomini che la affiancavano, uno più robusto dell'altro e nel giro di un paio di secondi aveva scelto il suo futuro giocattolo, quello che avrebbe ucciso per ultimo dopo averlo sfruttato in più di qualche modo perverso. Non era una sprovveduta, però, e aveva capito che il biondo doveva essere il leader, perciò era meglio indebolire il gruppo prima di attaccarlo e lei sapeva esattamente come fare.
Anne si irrigidì quando vide la Contessa sussurrare qualcosa alla donna accanto a lei e, l'attimo dopo, dovette incrociare le braccia davanti al viso ed attivare uno scudo di fuoco per difendersi dall'ondata di polvere nera che investì lei e il resto della ciurma e che, tempo di un battito di ciglia, era sparita e con essa quegli esseri demoniaci.
Si guardò attorno, eliminando le fiamme per non attirare l'attenzione e notando ad una prima occhiata che sembravano essere tutti interi.
-State bene? Ci sono feriti?- domandò Rakuyo, controllando i marinai al volo, i quali annuirono.
-Ma cosa è stato?- chiese uno di loro, confuso.
-Ho temuto il peggio per un momento.-
-Ehi, ma dove sono Maci e Naveen?- domandò un altro, cercando i due compagni con aria preoccupata. -Erano al mio fianco, ne sono certo!-
Anne prese a contare le teste che vedeva per fare una stima dei presenti, ma venne interrotta dalla voce isterica di Blamenco che, aggrappandosi alle spalle del fratello Rakuyo, strillò: -Hanno preso Satch!-
Il silenzio che calò durò un solo istante prima di venire spezzato dal terrore generale dei marinai. Anne pure si sentiva inquieta, anche se non nascose lo sbuffo nervoso che le sfuggì dalle labbra mentre pensava che tra tutti era stato catturato proprio l'idiota cotonato.
Non era il caso, ad ogni modo, di fare dell'umorismo perché il tono glaciale di Marco zittì tutti quanti e le fece accapponare la pelle nel vedere la rabbia che gli lesse in viso mentre caricava una pistola.
-Datevi una calmata.-
-Che facciamo ora, Marco? Chiamiamo i rinforzi? La Moby dev'essere in zona...- propose Rakuyo, passandosi una mano sul viso.
-No, non ha seno dare altre preoccupazioni al babbo, ce la caveremo.- lo zittì il biondo senza guardarlo e dirigendosi verso le scale che portavano di certo ai piani superiori.
-E allora che vuoi fare?- fece Blamenco, riemergendo da dietro la sagoma del fratello con i rasta.
Anne guardò Marco, attendendo una risposta che temeva di sentire. A lei non importava un proprio niente se avevano perso qualche uomo, compreso Satch, anzi le andava splendidamente di culo, potevano lasciarlo lì a diventare la cena dei succhia sangue e amen!
-Si va a caccia.- rispose il Primo Comandante, iniziando a salire gli scalini in marmo che fecero risuonare l'eco dei suoi passi, mentre qualche membro della ciurma deglutiva rumorosamente alle spalle della ragazza prima di seguirlo.
Lei sospirò rassegnata, avviandosi poi con le braccia incrociate al petto e la testa bassa. Okay, forse un minimo le dispiaceva che quei poveretti fossero stati catturati e sperava di non trovarli sventrati o bruciati, quindi avrebbe dato una mano a ritrovarli, ma poi avrebbe preteso di tornarsene alla nave e abbandonare quell'isola della malora! Ah, e avrebbe anche dato una bella lezione a quel damerino!
Rimuginando tra sé e sé, salì le scale in mezzo alla ciurma tremante con le spade sguainate, non curandosi di armarsi per proteggersi dato che non ne aveva bisogno.
Certo che tra tutti i presenti proprio Satch dovevano portarsi via? Quello sciocco non si era difeso quando aveva visto che stavano attaccando? Almeno un po' di istinto di sopravvivenza!
Una risata spettrale echeggiò tra le pareti, strappando qualche strillo ai marinai e facendo sobbalzare più di qualcuno. Due di loro addirittura si voltarono a cercarla con lo sguardo per capire se era stata di nuovo opera sua.
Rakuyo davanti a lei si era bloccato a metà scala e Anne gli era andata addosso, troppo presa a guardare in alto per vedere se intravvedeva qualche sanguisuga volare, ma del tutto tranquilla. Aveva passato troppe notti sola al buio in mezzo alla foresta di Foosha tra animali di ogni grandezza, rumori sospetti e banditi per avere paura di una pazza omicida.
-Fa attenzione, ragazzina.- borbottò nervosamente l'uomo, spostandosi per farla passare.
Lei lo ignorò, andando avanti e superando anche Marco, il quale la osservò inarcando un sopracciglio, concentrato per capire da dove provenisse la risata, ma anche incuriosito dalla calma che la ragazza mostrava di avere. O possedeva un autocontrollo degno di nota, cosa improbabile visti i suoi sbalzi d'umore e le fiamme facili; o, più probabile, era solo troppo sicura di sé. Forse era meglio raffreddarla prima che combinasse danni, rifletté.
Raggiunto il pianerottolo vedendosi da sola, Anne si voltò indietro, trovando tutti ancora fermi ed impauriti come topi che sondavano lo stanzone vuoto, occupato solo da cadaveri.
Alzò gli occhi al cielo. Eppure erano nel Nuovo Mondo da anni, di cose spaventose dovevano averne viste, accidenti!
-Beh?- disse, sciogliendo le braccia e invitandoli con una mano a raggiungerla. -Muovetevi, o arriveremo quando avranno già finito di mangiarli.-
Li vide impallidire e si diede della sciocca per aver esagerato, mordendosi il labbro, ma almeno riuscì a schiodarli. Infatti in pochi secondi l'avevano già superata, animati dal senso del dovere e dal desiderio di salvare i loro compagni di navigazione, compreso uno dei Comandanti della Ciurma del vecchio.
Si ritrovò al suo fianco Marco, il quale, una volta aver atteso che tutti li avessero superati, le si fece vicino, quel tanto che bastava per essere certo che le arrivasse il messaggio chiaro e tondo. -Niente cose avventate.-
Anne sorrise, tentata di punzecchiarlo, anche se non sapeva se faceva bene o male, non conoscendo il suo carattere. Ad una prima occhiata le sembrava uno tutto d'un pezzo, di quelli che mettevano il dovere prima di qualsiasi altra cosa.
-Chi ti dice che io sia avventata?- gli chiese, voltando il capo per vedere la sua espressione e beccandolo a guardarla con una faccia che indicava palesemente che lui era convinto del suo giudizio. Non aveva tutti i torti, Anne doveva ammetterlo, ma il fatto che avesse intuito o dato per scontato il suo modo di agire un poco la irritava. Lei non era così, possibile che tutti si limitassero solo a giudicarla dalle apparenze?
Marco lo notò il guizzo di tristezza che attraversò gli occhi scuri che lo stavano fissando, ma non osò accennare a nulla. Non era il momento e nemmeno il luogo e, anche se sapeva che Anne nascondeva qualcosa, era sempre più convinto del fatto che, se avesse voluto esporsi, lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà e con i suoi tempi. Dopotutto, li stava aiutando a trovare Satch senza fare storie, era un passo avanti.
-Forza, andiamo.- disse a quel punto Anne, tornando seria e pensierosa. Non durarono a lungo le sue riflessioni però perché la presenza del Primo Comandante che la seguiva così da vicino era una continua fonte di nervi tesi e distrazione.
-Mi stai davvero facendo da balia allora!- lo accusò, mettendo qualche passo di distanza tra loro. Aveva caldo e quell'umidità la stava soffocando.
Marco fece quel suo classico sorriso pacato, quello che la mandava in bestia perché aveva capito che lo usava per mettere a tacere tutto quello che gli passava per la testa. Solitamente lo faceva quando aveva davanti qualcosa di stupido, ecco perché non lo sopportava, perché lei non era una stupida!
-Non so di che stai parlando.- ammise, stringendosi nelle spalle e mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni.
Anne sbuffò contrariata e visibilmente scocciata. -Troviamo questi vampiri e facciamola finita. Non vi sopporto più!-
*
Il secondo piano era più buio e l'aria di chiuso toglieva il respiro da quanto era nauseante.
Anne continuava sventolarsi con il cappello dopo che si era sbottonata di due bottoni la camicia. Di più non avrebbe osato e quindi si arrangiava come poteva.
Gli altri non erano messi meglio e dopo i primi cadaveri un uomo si piegò su se stesso e vomitò la colazione di quella mattina. Un suo compagno lo sostenne, mormorandogli parole di incoraggiamento, anche se dalla faccia sconvolta che faticava a nascondere si poteva ben capire che aveva paura tanto quanto lui.
I Comandanti si erano accorti del nervosismo della ciurma, ma avevano anni di allenamento e disciplina alle spalle, quindi sembrava che nulla potesse scalfirli. Eccetto Blamenco, lui non si preoccupava di nascondere il tremore delle mani.
Anne, dal canto suo, non sapeva cosa pensare. Si trovava come divisa tra due fuochi: uno le diceva di mollare tutto e andarsene da quel castello maledetto; l'altra, più nobile e giusta, la faceva sentire uno schifo per non aver pensato a proteggere anche gli altri oltre che se stessa. E non era finita, il suo stomaco si stava contorcendo, e non era per la fame, ma per la consapevolezza che Satch era in pericolo e forse anche già morto e mangiato.
Represse un brivido al solo pensiero e si sforzò di riflettere per trovare una soluzione al più presto. Le rodeva doverlo ammettere, ma era preoccupata per il Comandante e per i suoi uomini rapiti con lui.
-Per tutti i Mari!- sbottò Rakuyo, puntando la pistola davanti a sé verso un uomo vestito di nero che, alcuni metri più in là, sibilava una risata simile al verso di una vipera, scomparendo poi dentro una stanza.
Stavano già scattando per seguirlo, quando un'altra porta dal lato opposto del corridoio si aprì, rivelando la figura della donna alla quale la Contessa aveva parlato prima di attaccarli, sghignazzando malefica e rientrando nella stanza.
-E adesso?- chiese un marinaio. -Che facciamo?-
-Io vado da quella lì.- dichiarò Anne, partendo in quarta verso la stanza dalla quale era sbucata la donna, ma venendo intercettata sul più bello da un braccio che l'afferrò al volo senza sforzo.
Era Marco, il quale non si era scomposto di un millimetro se non per fermarla. -Potrebbe essere una trappola.- le spiegò Rakuyo distrattamente, osservando curioso come la ragazza non scattasse come suo solito e tentasse di dare fuoco a suo fratello. Forse aveva ragione Satch, forse si stava affezionando.
-Ma i nostri compagni e il Comandante potrebbero essere ovunque.- si lamentò la ciurma, demoralizzata.
-Andiamo a guardare in tutte e due le parti.- fece Blamenco.
-Dividiamoci.- decise invece Marco con un tono che non ammetteva repliche. -Tu e Rakuyo prendete metà degli uomini e andate a sinistra; il resto con me.- ordinò, facendo un cenno alla sua metà di marinai per incitarli a seguirlo, abbassando poi finalmente lo sguardo sull'imbronciata Anne che ancora non aveva lasciato andare. -Contenta?- le chiese, riferendosi alla decisione di dirigersi verso l'ala del maniero che aveva dichiarato di voler controllare in precedenza.
A lei quello sembrò un vero e proprio modo di sfotterla e le venne voglia di far diventare incandescente il suo braccio, ma sapeva che non era il momento e perdere il controllo prima di trovarsi davanti alla Contessa non le pareva una buona idea.
Così, ignara delle occhiate sorprese che tutti i pirati le stavano rivolgendo, sconvolti per la sua mancanza di reazione, ritornò alla carica, marciando verso la benedetta porta che nascondeva forse l'idiota cotonato.
Raggiunta l'entrata abbassò la maniglia.
-É chiusa.- osservò stranita.
L'attimo dopo un marinaio l'avvisava all'ultimo di spostarsi e quello dopo la porta era stata sfondata dal calcio di un tizio abbastanza robusto, alto il doppio di lei e largo quattro volte tanto.
Marco ridacchiò. -Ti fermi davanti ad una porta chiusa?-
Si beccò l'ennesima occhiataccia. -Non ti permettere.-
Il Primo Comandante avrebbe continuato volentieri, ma la melodia di una musica soave proveniente da un'arpa all'interno della stanza lo distrasse e ciò accadde anche al resto degli uomini, i quali varcarono la soglia incuriositi e con le facce sempre più imbambolate.
Anne li osservò stranita. Anche lei sentiva la musica, ma non gliene fregava niente, anzi, era ancora più guardinga.
Sbirciò dentro e desiderò di poter tornare indietro e andare dalla parte opposta.
Dentro c'erano un gruppetto di donne svestite, tutte tranquille che si stupivano alla vista di quegli stolti marinai che le guardavano come se fossero state oro colato su cui mettere le mani.
Sorvolando sulle caraffe ricolme di vino e suo vassoi pieni di cibo prelibato, Anne avanzò di qualche passo, bloccandosi come una statua quando riconobbe Satch infondo alla stanza in atteggiamenti equivoci con una donna.
-Satch?- lo chiamò titubante. Era la prima volta che usava il suo nome e che, effettivamente, attirava la sua attenzione di proposito.
Lui la vide e le sorrise felice. -Anne! Amica mia! Sei splendida come il sole! Vieni, vieni a divertirti con noi!- e, nell'invitarla, diede un altro bacio alla tizia accanto a lui.
Non era bella, Anne la vedeva, lo sentiva pure nell'aria che qualcosa non andava.
La musica rimase, ma d'un tratto ai suoi occhi le ragazze persero il loro fascino, diventando magre e sciupate. Gli abiti leggeri e trasparenti erano luridi stracci e i capelli erano ormai crespi e unti. Le dita avevano unghie lunghe e nere e i volti dalle espressioni vuote le fecero accapponare la pelle.
La ciurma, però, pareva non accorgersene e ciò la sconvolgeva e spaventava allo stesso tempo.
Una lugubre risata la costrinse a riprendere la concentrazione e quando ritornò a guardare Satch vi trovò al suo posto la Contessa.
Lei si era bella, con un abito nero, lungo e pomposo; i capelli raccolti in un'acconciatura importante: le labbra scarlatte e gli occhi cattivi.
-Sembra che con te l'illusione non funzioni.- disse dolcemente, squadrandola con un disgusto che stonava con il tono di voce appena usato.
Anne prese posizione e sorrise sfidandola. Era da un pezzo che non combatteva, se si escludevano le botte prese sulla Moby Dick, e aveva davvero voglia di sgranchirsi le gambe. -Meglio, almeno potrò tranquillamente farti fuori.-
Gli occhi della Contessa guizzarono verso sinistra, come se qualcosa avesse attirato la sua attenzione, divertendola. -Io non direi.-
Anne capì presto il significato della frase perché tra lei e la vampira si frappose Marco e, purtroppo, stava fronteggiando lei.
-No, non di nuovo.- si lamentò la ragazza, sbuffando infastidita. La sconfitta dell'ultima volta bruciava ancora il suo orgoglio. -Ti credevo meno stupido.-
Marco non rispose e si preparò ad attaccarla. Aveva lo sguardo vuoto, apatico, quello di sempre, ma più distaccato. Probabilmente era sotto l'effetto di qualche droga pesante o magari la Contessa aveva il potere di fuorviare le menti altrui. Beh, con lei non avrebbe avuto vita facile e se doveva fare il culo al Primo Comandante per salvare se stessa e gli altri lo avrebbe fatto!
-Bene.- disse tra i denti. -Fatti sotto...-
Non finì la frase che un gancio destro le colpì il viso e la spedì barcollante contro la parete dietro di lei. Si tastò la mandibola dolorante, sconcertata per il colpo e per il fatto che, anche se lo aveva visto arrivare, non lo aveva evitato.
Si arrabbiò davvero, davvero tanto.
Perché cazzo non lo aveva evitato?!
-Questo non dovevi farlo.- lo avvisò, pulendosi un rivolo di sangue. Ecco, anche quello non capiva: come faceva Marco a ferirla se era fatta di fiamme? Il frutto aveva sempre evitato quei problemi, ma con lui non funzionava. A dire la verità non funzionava neanche con il vecchio e svariati Comandanti, ma dettagli.
Partì alla carica ed iniziò a sferrare pugni contro Marco, il quale anticipava sempre le sue mosse, evitandole allo stesso tempo e rispondendo con la stessa moneta mettendo a segno più punti di Anne.
Lei, però, non aveva ancora avuto modo di usare il suo potere, non perché non volesse, anzi, fremeva dalla voglia di farlo, ma aveva notato che i colpi che le rifilava Marco erano si forti e ben dolorosi, ma miravano a parti non vitali, come l'ultimo che le aveva appena preso in pieno la spalla.
Qualcosa non andava.
Fece una capriola all’indietro, atterrando a gambe divaricate e premendosi la mano sulla parte lesa, controllando che non si fosse lussata e che fosse rimasta in asse.
Davanti a lei, il biondo continuava a fissarla senza battere ciglio, quasi come se avesse perso ogni volontà propria e agisse come un burattino controllato a distanza da fili invisibili che solo la Contessa sapeva muovere al momento giusto. Fu su di lei che Anne indirizzò il suo sguardo, incontrando un sorriso folle, troppo ampio per una persona normale. Dalle labbra scarlatte, inoltre, si intravvedevano i canini bianchi e affilati, i quali venivano esposti probabilmente di proposito tanto erano impressionanti, ma la ragazza non si scoraggiò. Qualche asso nella manica ce l’aveva sempre e confidava di riuscire a tirarsi fuori da quel pasticcio infernale.
Un rumore di esplosivo interruppe lo scambio di sguardi e spezzò per un attimo la tensione, provenendo dalla parte opposta a dove si trovavano. I muri tremarono leggermente e sia Anne che la Contessa osservarono stranite il muro per qualche secondo, dopo che tutto si fu calmato, riportando silenzio.
-Ma cosa...- sussurrò la donna, interrompendosi per riportare l’attenzione a quella sciocca umana quando la vide attaccare il suo uomo sotto controllo, obbligandolo ad incassare il colpo e a restituirle il tutto con gli interessi. Non voleva ancora farla uccidere, aveva voglia di giocare, di vederla sfinita e agonizzante sul pavimento. Era carina, un po’ sgraziata, ma con un fisico equilibrato, snello, di certo appetitoso per lei, che di donne e uomini se ne intendeva e ne aveva mangiati parecchi. Lei sarebbe stata l’antipasto, mentre l’uomo alto e aitante lo avrebbe tenuto come portata principale. Il resto poteva andare bene per i suoi servitori, anche loro non si cibavano da molto ed era passato troppo tempo dall’ultima festa poco convenzionale in cui si erano concessi lussi sfrenati senza morale.
Si leccò le labbra, eccitata per quello che sarebbe successo di li a poco, mentre la ragazza e il suo Comandante continuavano a menarsi manrovesci e calci, il tutto senza sosta e con frequenza costante.
Anne ruzzolò addosso ad una parete ricoperta di cuscini, fortunatamente senza farsi troppo male, ma finendo dritta tra le braccia di Satch, il quale, assuefatto dal potere illusorio della Contessa e delle sue suddite come il resto della ciurma, la strinse al suo petto.
-Perché non vieni a divertirti con noi, tesoro?- le sussurrò, leccandole il collo e facendole salire un conato di disgusto.
A quel punto se ne fregò altamente dell’autocontrollo e gli rifilò una gomitata dritta sul naso, riconoscendo il rumore del setto che veniva inevitabilmente rotto.
Il castano ululò di dolore e lei approfittò per sfuggire alla sua presa, allontanandosi di qualche passo e osservando la scena attorno a lei.
Metà degli uomini che li avevano seguiti era riversa a terra, alcuni spogli, altri baciavano quelle creature disgustose, Satch frignava, ma non sembrava troppo dolorante come avrebbe dovuto essere. Nessuno capiva quello che realmente stava accadendo e lei era sola.
-É inutile.- le disse una voce chiara e squillante alle sue spalle.
Si voltò a guardare la donna, squadrandola con un’occhiata carica d’astio.
-Non si accorgeranno nemmeno quando arriverà la loro ora.- aggiunse quella, sfarfallando le ciglia lunghe. -Non soffriranno, non temere. Siamo uno dei migliori modi di morire.- ammiccò, avvicinandosi alle spalle di Marco e passandogli un dito con un’unghia smaltata di nero sulla gola, umettandosi le labbra e avvicinando il viso per annusarne il profumo.
-Mhm, lui deve essere davvero delizioso. Basta guardarlo, dopotutto.-
Anne fremette per il fastidio mentre quella schifosa continuava a gongolare parlando del biondo come se stesse descrivendo un pranzo dalle mille portate. Se solo fosse riuscita a colpire la Contessa...
‘Un momento!’ pensò, socchiudendo gli occhi e ricordando vaghi discorsi fatti dai suoi marinai, quando ancora doveva entrare nel Nuovo Mondo. ‘Parlavano di vampiri e paletti piantati nel petto!’
Doveva assolutamente colpire quella stronza con qualcosa di affilato.
Si guardò attorno muovendo solo le pupille, cercando qualche arma che non fosse troppo distante, ma nulla che poteva tornarle utile era nei paraggi. Si maledì per non avere mai con sé una spada nel momento del bisogno, ma sempre e solo una pistola e...
‘Il mio pugnale!’
Si trattò di un secondo di illuminazione perché Anne agì immediatamente, indirizzando contro Marco una vampata di fuoco dalla quale avrebbe dovuto per forza difendersi, approfittando così della sua distrazione per lanciare con precisione micidiale la sua arma contro la Contessa.
Vide lo stupore nei suoi occhi, ma fu sostituito subito da una risata sfacciata quando Marco, Anne non si spiegò come, intercettò la lama, fermandola giusto in tempo prima che si conficcasse nel petto della vampira.
-Ottima mossa, mia cara.- si complimentò lei, guardandola con finto dispiacere. -Peccato che non abbia funzionato. Come ti ho detto, lui non si sveglierà e obbedirà a qualsiasi comando. Guarda.- e, così dicendo, si allungò verso il Comandante cingendogli le spalle e baciandolo senza pudore.
-No.- mormorò Anne, più schifata che altro, ma sentendosi anche più arrabbiata del previsto. Non poteva lasciare che quel mostro si prendesse tutti quegli idioti, anche se si trattava di persone che non sopportava minimamente. Li odiava, ecco cosa, ma odiava di più la Contessa.
Le fiamme presero vita dalle sue mani, avvolgendola centimetro dopo centimetro. Se doveva perdere il controllo del Frutto per aiutarli lo avrebbe fatto. Erano lontani dalla Moby Dick e dal mare, perciò nessuno si sarebbe ferito gravemente e lei avrebbe potuto sprigionare tutto il fuoco che aveva in corpo e ardere quella casa degli orrori.
-Lascialo!- ordinò alla Contessa, la quale si fermò ad osservarla incuriosita.
-Non l’hai ancora capito? Sei così sciocca?- la beffeggiò, allentando comunque la presa su Marco per concederle la sua attenzione.
-E tu non hai ancora capito che non si scherza col fuoco?- mormorò Anne sul punto di non ritorno. Era certa di essere quasi totalmente avvolta dalle fiamme e a stento riconosceva la sua voce, come se venisse da un altro mondo, più buio e profondo però. Avrebbe perso il controllo di li a poco.
-Non farmi ridere. Non puoi sconfiggermi, nessuno ti aiuterà!- la minacciò, ridendole in faccia senza il minimo rispetto.
Ad un tratto la risata inizialmente cristallina divenne un rantolo soffocato e l’istante successivo la vampira tossì sangue.
Le fiamme si quietarono ed Anne ritornò ad avere le sue sembianze, portandosi una mano alla bocca e fissando incredula la scena che le si svolgeva di fronte. Marco, non capiva come, aveva provveduto a piantare lui stesso il pugnale nel petto della Contessa, la quale faticava ad articolare una frase, limitandosi a fissare i suoi occhi demoniaci in quelli freddi del pirata.
Lui non stava mostrando il minimo tentennamento, solo una determinazione così forte da rendere debole chiunque osasse sfidarlo, persino la stessa Anne si trovò immobilizzata davanti a quella furia.
Attorno a loro si levarono dei sibili in risposta. I seguaci della Contessa lasciarono perdere i marinai, i quali ricaddero a terra privi di sensi, e si presero la testa fra le mani per la disperazione, snudando le zanne e invocando il nome della loro regina. Alcuni più temerari partirono all’attacco di Marco per tentare di eliminarlo, ma Anne intercettò i loro movimenti e scagliò contro di loro delle lingue di fuoco che attecchirono ai loro corpi iniziando a bruciarli e mettendo in fuga la maggior parte, mentre quelli che restavano indietro perivano sotto i suoi colpi.
Uscì nel corridoio per seguire gli ultimi e vide il resto della ciurma già all’ingresso giù dalle scale intenta a combattere con i vampiri che scendevano per fuggire dal maniero. Sembravano tutti abbastanza integri e ciò la sollevò almeno in parte.
Rakuyo alzò lo sguardo verso di lei non appena la vide. -Ehi ragazzina! Stanno tutti bene?-
Anne fece una smorfia per l’appellativo. -Al momento si. Sono qui dentro e anche...- si fermò a metà frase perché venne urtata e spinta di lato da una massa informe che sembrava avere tutta l’aria della Contessa in fuga, anche se ferita.
Dietro di lei, Marco stava aiutando un inerme Satch ad alzarsi, offrendogli un lembo di stoffa con cui bloccare l’emorragia al naso.
Riflettendoci bene se la sarebbero cavata, fortunatamente, ma non poteva restarsene con le mani in mano e lasciar fuggire quella megera, anche se era ridotta male, così saltò giù al pian terreno, in mezzo al salone e, cercando di evitare la mischia di demoni e pirati, sgusciò fuori rincorrendo la Contessa.
Non fu difficile seguirla perché lungo il suo passaggio aveva lasciato colare una sostanza nera e vischiosa che ribolliva a chiazze sul terreno incolto dove non cresceva un filo d’erba. Sinceramente, dubitava che su quell’isola potesse crescere qualcosa di sano.
Il sentiero la portò dietro al maniero, al limitare dello strapiombo sul mare dove la costa era frastagliata e composta da alti fiordi e rocce corrose dall’acqua e dal tempo.
Trovò li l’artefice di tutto quel degrado, accovacciata a terra e abbracciata a se stessa, chiusa come un riccio, nell’intento di leccarsi le ferite subite. Stava male, il colpo non l’aveva uccisa, ma doveva averla di certo resa vulnerabile. Evidenti occhiaie erano apparse sotto ai suoi occhi; le labbra non erano più piene, ma screpolate; il viso era tirato e secco; le dita delle mani erano magre e sembrava che le falangi stessero per bucare la pelle; i capelli erano un groviglio indefinito e facevano concorrenza a quelli della stessa Anne.
La ragazza si avvicinò camminando cauta, non più all’erta, ma preparandosi semplicemente a darle l’ultimo momento di respiro prima di eliminarla.
Erzsébet alzò gli occhi su di lei in quel momento.
-Lasciami vivere.- le disse con un rantolo. -Risparmiami. Il tuo gesto non sarà dimenticato.- la supplicò.
Anne la guardò stupita. Come poteva aspettarsi che dopo quella giornata di terrore e disgusto sarebbe riuscita a farla franca? Dopo che aveva torturato tutti quei poveretti?
La Contessa sembrò leggerle la mente perché anticipò le sue domande. -So cosa pensi, so cosa merito, ma non è la mia ora questa. Non è il mio destino!-
-Non sei nella posizione di patteggiare, sai?- commentò la mora, avanzando di un passo con aria tranquilla. Era finita ormai.
-No, non capisci stupida!-
-E così non faciliti di certo le cose.-
-Non sarà la figlia del Re dei Pirati ad uccidermi!-
Anne si congelò sul posto. Le fiamme che avevano preso a scaturirle dalle braccia scomparvero e un’aria fredda la investì.
Come lo sapeva? Come poteva anche solo averci azzeccato? Nessuno lo sapeva, il vecchio Garp non le aveva dato bastonate dalla mattina alla sera per nulla quando era piccola per farle capire che non poteva rivelare quel segreto e non l’aveva detto ad anima viva, né ai suoi uomini, né tanto meno a quel gruppo di smidollati con i quali era costretta a stare.
Si guardò alle spalle, timorosa di essere stata seguita o che qualcun altro fosse venuto a reclamare la testa della bastarda, ma non vide nessuno e le parole successive del mostro le diedero conferma.
-Siamo sole, figlia del Diavolo.- le disse la Contessa, riottenendo la sua attenzione. -Non siamo poi tanto diverse, tu ed io. Cresciute con la certezza di essere null’altro che scarti, rifiuti della società. Certo, penserai che a differenza mia, tu almeno hai condotto un’esistenza meno estrema, ma l’essere isolata e odiata l’hai provato sulla tua pelle. Io lo so, lo sento. Io lo capisco!- gridò infine, boccheggiando poi per lo sforzo.
Era sempre più debole ed Anne la consumava solo guardandola. Altro ancora non si sentiva di fare.
-Come lo sai?- riuscì a chiederle. Non le importava di quello che poteva avere passato, sapeva a menadito tutte le ingiustizie che poteva recitarle, ma non voleva starle a sentire. Non voleva provare pietà perché lei stessa non avrebbe voluto suscitarla negli altri.
Erzsébet deglutì, sfinita. -Sensitiva.- spiegò. -So e sento parecchie cose, anche quelle che non voglio.- ridacchiò, o meglio, ciò che ne uscì fu un rantolo soffocato. -Lasciami andare.- riprese, avvicinandosi al bordo dello strapiombo. Il vento si era alzato e gli stracci logori le stavano larghi, svolazzando e coprendola dalla luce del sole che filtrava dalle nubi basse per la prima volta dopo molti anni su quell’isola.
Anne strinse i pugni, imprecando a mezza voce. -Non ritornerai mai più qui. Non prenderai più possesso di altri luoghi. Non spadroneggerai di nuovo su altre persone e, soprattutto, non ti farai più vedere da nessun uomo della ciurma.- scandì gelida e furente.
La vampira trattenne il respiro per lunghi minuti durante i quali avrebbe potuto dirle tante cose riguardanti ciò che la aspettava, però infine annuì senza menzionare nulla di quello che aveva intuito, alzandosi sulle gambe instabili e guardando la ragazza con quello che sembrava uno sguardo di gratitudine. -Abbiamo un patto. Il mio debito non sarà dimenticato.-
E, detto ciò, nello stesso istante in cui Anne alzò un muro di fuoco per coprire la sua fuga, lei si lasciò cadere nel vuoto, trasformandosi in una creatura della notte e volando via, malandata, lontano.
La giovane placò le fiamme, abbassò le mani e sperò di non aver combinato un’altra delle sue cazzate che, in futuro, avrebbe potuto rivoltarsi contro di lei.
Scosse il capo e si voltò per tornare indietro, udendo in lontananza delle grida vittoriose, probabile segno che gli uomini avevano finito si combattere, vincendo. Si affrettò lungo il sentiero e raggiunse di nuovo l’entrata dalla quale uscivano, chi con le proprie gambe, chi aiutato, quei poveracci che avevano avuto la sfortuna di partecipare a quella gita fuori dalla Moby Dick.
Li osservò scendere le scalinate, indecisa se interessarsi o meno alla loro salute, nonostante non sentisse più un peso sul petto. Era tutto sommato felice che la questione si fosse risolta per il meglio.
-Ehi ragazzina, bel lavoro lì dentro!- le disse un tizio passandole accanto, reggendo un compagno con un braccio sanguinante, il quale trovò la forza d’animo per concordare con quelle parole, sorridendole.
Anne batté le palpebre stupita, non aspettandosi tanta cortesia. Era la prima volta che uno di loro si spingeva a tanto, lodando il suo operato sul campo di battaglia, anche se non aveva fatto granché.
-Grazie.- mormorò. -Voi siete stati molto coraggiosi.- aggiunse poi.
‘Si fa per dire’ penso tra sé, mica poteva sgridarli per essere piombati tra le braccia di quelle bestie come allocchi, pazienza che fossero stati illusi, ma un minimo di contegno alla vista di donne, insomma!
Li lasciò passare, alzando gli occhi al cielo senza farsi notare e salì le gradinate, mentre il vociare all’interno dell’atrio diveniva sempre più forte. I marinai avevano ammucchiato i corpi dei servitori della Contessa in un angolo e stavano soccorrendo i più bisognosi. Scoprì presto che nessuno aveva perso la vita, ma le dottoresse a bordo della nave avrebbero avuto il loro bel da fare con trasfusioni di sangue e cuciture qua e la.
Cercando di rendersi utile come poteva, andò verso un gruppetto di uomini curvi sul corpo sdraiato per terra di un tizio che non conosceva, ma che sapeva essere della compagnia. Stavano cercando di coprirlo perché aveva perso molto sangue e diceva di sentire costantemente freddo.
-Non abbiamo coperte Reggi, ma stanno arrivando le barelle e ti riporteranno a bordo in un batter d’occhio.-
Il suddetto Reggi, con le labbra quasi viola, annuì poco convinto, iniziando però a sudare quando intravvide alle loro spalle Anne.
-Serve una mano?- la sentirono chiedere e tutti sussultarono, voltandosi a guardarla.
-Uhm, no, no, non credo. Stanno arrivando i soccorsi.- le spiegarono, evitando di guardarla direttamente negli occhi. Un po’ avevano timore di lei perché i suoi scatti d’ira e di fiamme erano famosi. Inoltre, sapevano bene di cosa era capace, i giornali non raccontavano sempre frottole.
Reggi, però, un’idea su come poteva aiutarlo ce l’aveva e si sentiva così male, come se qualcosa di gelido gli stesse crescendo nello stomaco, che mandò al diavolo i pregiudizi e, faticando a trovare il fiato, disse alla ragazzina di avvicinarsi.
-Scaldami.- la pregò. -Fa troppo freddo.-
Sulle prime Anne si chiese se quello non fosse più pazzo di lei, ma vedendo come soffriva gli si accovacciò accanto e accese le sue mani, avvicinandole al corpo quel che bastava per non scottarlo e regalandogli un po’ di conforto che lo fece sospirare di sollievo.
Attorno a loro, gli altri marinai stettero zitti e in silenzio, scambiandosi occhiate piene di domande, ma rimandando i commenti a quando sarebbero stati soli. Intanto si sedettero attorno a quel fuocherello e ne approfittarono per riposare dopo una giornata di fatiche e terrore.
Dopo una mezz’ora arrivarono le barelle e Reggi, più tranquillo, era stato trasportato a bordo per primo, mentre il resto dell’equipaggio si affrettava a scendere al porto percorrendo lo stesso sentiero che avevano preso quel mattino.
I Comandanti Blamenco e Satch erano già alla nave per coordinare la partenza e sistemare i feriti, mentre alcuni membri della ciurma si erano attardati con i Capitani Rakuyo e Marco alle porte del maniero. Tra loro c’era anche Anne, la quale aveva volentieri dato un aiuto nello smaltimento dei corpi dei vampiri. Una volta spostati all’esterno, lei aveva accolto la richiesta di dargli fuoco e in quel momento stava guardando con soddisfazione la pira di cadaveri che scoppiettavano davanti ai suoi occhi.
Qualche marinaio represse un brivido, non per i succhia sangue, ma per il sorriso contortamente soddisfatto che la ragazza sfoggiava.
-Che facciamo con il resto?- chiese allora Rakuyo, le braccia incrociate al petto e i rasta che puzzavano di fumo e morte.
Marco voltò la testa per guardare il castello che non avrebbe fatto gola a nessuno. Troppo tetro, diroccato e inquietante. -Potremmo usare la stessa soluzione.- propose, ritornando poi ad osservare il falò, incontrando lo sguardo attento di Anne, la quale si era voltata con la consapevolezza che era l’unica a poter fare un buon lavoro ancora prima che le venisse chiesto.
-Se la signorina Fuoco d’Artificio ci da una mano.- aggiunse il biondo, ma nessuno capì se era scherzoso, sarcastico o altro.
Anne, a parte una smorfia per il soprannome, lasciò correre e si avviò con calma e passo sicuro dentro al castello.
-Vi conviene allontanarvi e tornare alla nave, non ci vorrà molto, ma farà parecchio caldo.- li avvisò, giusto per evitare che qualcuno fosse nei paraggi se ci fosse stata un’esplosione ai piani bassi.
Gli uomini non se lo fecero ripetere due volte e presero subito la via del ritorno, accompagnati dai Capitani, anche se Marco rimase indietro per non perdersi lo spettacolo. Non erano un mistero le capacità del potere di Anne, ma doveva capire fino a dove poteva arrivare per riuscire a capirla e a contrastarla quando sarebbe servito. Gli attacchi a Barbabianca erano calati molto e qualcosa gli diceva che presto sarebbero finiti, ma non poteva abbassare la guardia, non ancora almeno.
Intanto Anne era nell’atrio in penombra per via del tramonto e, senza aspettare oltre, allargò le braccia e chiuse gli occhi, lasciando libere le fiamme e allargandole sempre di più fino a farle attecchire alle pareti, alle scale, ai muri portanti, raggiungendo il soffitto e ogni punto, fino alle fondamenta.
Tutto attorno a lei bruciava, ogni cosa ardeva, il legno scoppiettava e, quando il castello fu ridotto in cenere, l’unica ad essere rimasta in piedi era Anne.
Hey
Non volevo nemmeno metterlo questo angolo, ma credo di dovervelo. Insomma, almeno chiudere la seconda parte e poi per il futuro si vedrà. Spero di riuscire a buttare giù qualcosa, magari arrivare dove mi ero prefissato e poi lasciare un finale aperto, ma sarà tutto da vedere. Non posso promettervi nulla, mi dispiace davvero.
Ad ogni modo, grazie per essere arrivati fino a qui, davvero! Cercherò di far avere alla nostra Anne e a Marco quello che si meritano.
A presto (maybe)
Portgas
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