Whitebeard Pirates' Flame

di Portgas xyz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Tanto vale essere amici da subito. ***
Capitolo 2: *** 2. Piacere di conoscerti. ***
Capitolo 3: *** 3. Scintille e fuochi d'artificio. ***
Capitolo 4: *** 4. C'é sempre una prima volta. ***
Capitolo 5: *** 5. Di tutti i colori. ***
Capitolo 6: *** 6. Spegnimi. ***
Capitolo 7: *** 7. Storie dell'orrore (Parte 1) ***
Capitolo 8: *** 8. Storie dell'orrore (Parte 2) ***



Capitolo 1
*** 1. Tanto vale essere amici da subito. ***


Buonasera gente! Sorpresi? Alla fine sono tornato! Non vi ruberò molto tempo, ma volevo solo chiarire che il nostro fiammeggiante Ace in questa 'long/raccolta/non lo so' sarà una donna per il semplice fatto che è il mio personaggio preferito, ma lo preferirei ancora di più se avesse un paio di tet... Oh, i capelli lunghi. LOL. Per farmi perdonare ci metterò dentro un po’ di romanticismo. Sono un romanticone, cosa volete farci.
Quindi niente, spero vi piaccia, spero vi divertiate, spero che Anne vi faccia restare a bocca aperta e… E niente, è già troppo così.
 
Portgas.
 
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Whitebeard Pirates’ Flame.
 
1.Tanto vale essere amici da subito.
 
Si svegliò di soprassalto, con il respiro affannato e un grido disperato incastrato in gola. Il lenzuolo aggrovigliato ai piedi del letto le intrappolava le gambe, facendole credere in un primo momento di essere legata, mentre la luce che filtrava dall’oblò sulla parete alla sua destra la investì in pieno viso, costringendola a sbattere le palpebre in un attimo di smarrimento.
Quella non era la sua cabina; quello non era il suo letto, troppo stretto e con solo un cuscino; gli oggetti sparsi in giro e l’arredamento non le dicevano nulla. Solo gli abiti erano gli stessi, anche se non aveva idea di che fine avessero fatto i suoi stivali.
Deglutendo a fatica e percependo il cuore aumentare il suo battito, decise di far scivolare i piedi giù dal giaciglio, rabbrividendo a contatto con il pavimento di legno scuro, troppo scuro rispetto a quello della sua stanza, e solo dopo essersi abbottonata la camicia si alzò, muovendo i primi passi un poco instabili.
Sentiva male ovunque e ad ogni articolazione. Le sembrava che una spalla fosse fuori uso, mentre le gambe le dolevano ad ogni sforzo che compiva durante la sua avanzata. Credeva di averci fatto l’abitudine, ormai, erano imprevisti del mestiere che quella scelta di vita comportava e, per quanto le riguardava, esibiva con fierezza le ferite che guadagnava lungo la strada, ma quelle bruciavano più del solito.
E più del suo fuoco.
Aprì la porta della cabina e si ritrovò davanti ad un lungo corridoio dal quale proveniva un rumoroso vociare, misto al rumore del mare all’esterno, il tutto completato da una zaffata di salsedine e odore di zuppa di pesce che la investì in pieno, facendole girare la testa e borbottare lo stomaco.
Qualcosa le diceva che non mangiava da molto e, mano a mano, che l’uscita si avvicinava, i ricordi le si affollavano nella mente, sovrastandosi gli uni con gli altri rischiando di farla impazzire.
C’era stato quel Jimbe che l’aveva sfinita, totalmente, per cinque giorni consecutivi, anche se, alla fine, il primo a stramazzare al suolo era stato lui. Ben gli stava.
Poggiò la mano sul pomello, trovando la porta socchiusa e spingendola, mentre una consapevolezza che non avrebbe voluto avere si faceva strada in lei, facendole contorcere le budella.
Alla fine aveva perso, sopraffatta dalla stanchezza e da tutto quel potere che non aveva calcolato in precedenza, troppo convinta di essere imbattibile con il suo potere che le faceva scorrere il fuoco puro nelle vene.
Aveva commesso un grave errore e, solo per colpa sua, l’uomo che voleva uccidere l’aveva sconfitta e umiliata.
Uscì sul ponte, lasciandosi illuminare dalla luce del sole che le diede immediatamente una sensazione di calore, notando un cielo azzurro e l’oceano infinito, calmo e piatto. Si portò i capelli dietro le spalle, disordinati a causa delle ore passate a dormire e del venticello che gonfiava lievemente le vele degli alberi.
Aveva riportato un sacco di ferite; era stata sconfitta e la nave sulla quale si trovava non era per niente la sua amata Spade.
-Finalmente ti sei svegliata.-
Si voltò di scatto ma, non trovando nessuno alle sue spalle, alzò il capo per incontrare una figura distinta seduta in maniera scomposta sul tettuccio sopra alla porta.
Corrugò la fronte e cercò di fare mente locale, senza alcun successo. Non aveva mai visto quell’uomo e non aveva idea di chi potesse essere. Gli abiti puliti e chiari, il corpo massiccio e le spalle larghe, i capelli castani e acconciati in una pettinatura vecchio stile e l’aria che non ispirava affatto fiducia le confermarono che no, un elemento del genere non lo aveva mai incontrato, altrimenti se lo sarebbe ricordata.
Indietreggiò quando lo vide saltare sul ponte, a pochi passi da lei, e andò a sbattere contro il parapetto; nel frattempo lui aprì le braccia come a volersi mettere meglio in mostra. -Io sono Satch.- disse, accompagnando la frase con un sorriso che lei non ricambiò, troppo sconvolta e impegnata a rendersi conto che quello non era un incubo, ma la pura realtà. Evidentemente la fortuna aveva deciso di abbandonarla a se stessa, lasciando posto alla sfiga più nera.
Si accasciò a terra, prendendosi la testa fra le mani e lasciando che i le ciocche corvine ormai lunghe le ricadessero morbide sulle spalle.
-Vedrai,- lo sentì mormorare, adocchiando dei piedi muoversi sotto ai suoi occhi per poi scomparire dal suo campo visivo. -Diventerai una di noi.-
A quelle parole si irrigidì e ogni fibra del suo corpo vibrò.
-Tanto vale essere amici da subito.- continuò l’altro, incurante della sua reazione e senza perdere il sorriso.
-Chiudi il becco!- sbottò, svuotando il petto dall’aria che aveva trattenuto e sentendosi più leggera, come se si fosse tolta un peso dal petto. Anche se, sinceramente, continuava a sentire un macigno sullo stomaco e un sentore di nausea sempre più forte.
Udì l’altro ridere e la piccola soddisfazione che si era presa venne rimpiazzata da un fastidio crescente. Il suo orgoglio era già a pezzi, non aveva quindi bisogno di essere ulteriormente derisa, specie da uno come quello. Chi diavolo si credeva di essere?
-Sei scorbutica di prima mattina.- le rese noto, sorvolando comunque sulla questione e cambiando discorso. -Ad ogni modo, non vuoi sapere cosa è successo dopo che hai perso conoscenza?-
La ragazza strinse i pugni, senza però zittirlo. I ricordi c’erano, ma erano confusi e non nitidi, perciò non riusciva ad avere un quadro generale della situazione. Se solo quel fanfarone non l’avesse tirata tanto per le lunghe. Possibile che non si rendesse conto del pericolo che stava correndo? Le sarebbe bastato un secondo per dargli fuoco e farlo bruciare vivo.
-I tuoi uomini hanno provato a difenderti.-
Silenzio.
-Ma li abbiamo bastonati per bene.-
Fu certa che la rabbia avesse sostituito il sangue nel suo corpo perché iniziò a fremere e a digrignare i denti. Se avevano provato a torcere un solo capello alla sua ciurma avrebbe ridotto quella nave ad un mucchio di macerie galleggianti, spedendola negli abissi senza pietà.
Fece per alzarsi in piedi con l’intento di sfogare un po’ di quel nervosismo su Satch, ma lui la precedette intuendo le sue intenzioni e la tranquillizzò in parte.
-Tranquilla, stanno bene e sono tutti a bordo.-
Si mordicchiò un labbro, mascherando il sollievo che provò nell’udire quelle parole. I suoi compagni erano salvi, ma non grazie a lei. Avrebbe dovuto vegliare su di loro per proteggerli, invece era crollata dopo il primo colpo senza pensare alle conseguenze e abbandonandoli al loro destino. Difficilmente se lo sarebbe perdonato e avrebbe fatto di tutti affinché ciò non si ripetesse.
In quel momento, però, un particolare attirò la sua attenzione e decise che, prima di affrontare i suoi uomini, doveva risolvere il problema più grosso di tutti.
-Sicuro di volermi tenere qui senza sbattermi nelle stive o mettermi ai ferri?-
Dopotutto, era pur sempre un Rogia, e addosso non aveva manette di agalmatolite. Le sarebbe bastato davvero poco appiccare un incendio.
-Ai ferri?- ripeté l’altro, sorpreso da quell’assurda domanda. Loro non mettevano nessuno ai ferri, che razza di sciocchezze! Doveva proprio spiegare tutto a quella ragazzina. -No, non è assolutamente necessario.- affermò, elargendole un altro sorriso divertito quando la vide restarsene in silenzio a meditare e a rimuginare su quello che le aveva detto. Quegli occhi scuri e distaccati un po’ lo mettevano a disagio, doveva ammetterlo, ma lui era sempre stato una persona tanto, a volte fin troppo, espansiva ed era nella sua indole attaccare bottone con tutti per fare amicizia. Lei, anche se era salita a bordo non con le sue gambe e dopo essere stata rivoltata per bene come un calzino dal suo capitano, era una nuova compagna e, broncio a parte, era pure carina. Era sicuro al cento per cento che sarebbero diventati grandi amici.
Così, saltò giù dal parapetto sul quale si era accomodato, invitandola ad alzarsi e a seguirlo per una visita guidata a bordo della famosa e imponente Moby Dick. Non si abbatté quando lei rifiutò e si ripromise di provarci il giorno successivo, nella speranza che sbollisse il malumore. Non a tutti piaceva prenderle da Barbabianca.
Dal canto suo, la giovane era ferita nell’orgoglio più di quanto aveva creduto all’inizio e non aveva la minima intenzione di fare conversazione o diventare amica di, come si chiamava?, di quello lì, tanto meno del resto di loro.
Si sollevò e tornò sotto coperta, decisa ad ispezionare il vascello per conto suo e a ricongiungersi con la ciurma.
Si sarebbe presa la sua rivincita e quei bastardi avrebbero capito presto che con il fuoco era meglio non scherzare.
Gli avrebbe fatto vedere lei chi era Anne Pugno di Fuoco.

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Capitolo 2
*** 2. Piacere di conoscerti. ***


Scusate il ritardo, ma i capitoli saltano fuori quando posso. Tra università e menate varie non mi è molto semplice, poi siamo in completa sessione estiva. Io nemmeno so cosa sia l’estate!
 
Alla prossima con Anne!
Portgas xyz
 
Whitebeard Pirates’ Flame.
 
2. Piacere di conoscerti.
 
Maledetta bagnarola! Quanto può essere grande ancora?
Anne, con un cipiglio infastidito e l’aria di chi voleva commettere un omicidio, camminava a passo spedito lungo un corridoio con una sfilza infinita di porte sia a destra che a sinistra e non aveva idea di dove potevano trovarsi le scale per salire o scendere. Tutto pur di abbandonare quel posto nel quale stava girando a vuoto da almeno mezz’ora.
Dopo l’incontro con quell’idiota cotonato era corsa sottocoperta nella speranza di incontrare meno persone possibili, illudendosi di poter in quel modo passare inosservata, invece in ogni angolo si era trovata a fronteggiare facce nuove, con tanto di occhi incuriositi e sorrisetti che avrebbe volentieri cancellato a suon di pugni. Li aveva evitati tutti, tenendo la testa bassa e affrettando il passo per allontanarsi, ma le risatine divertite e i commenti le erano arrivati lo stesso chiari e tondi alle orecchie.
A quanto pareva la notizia del suo arrivo aveva fatto il giro di tutta la nave, comprensibile, dato che aveva perso i sensi e non si era potuta opporre al Destino perché, se fosse dipeso da lei, avrebbe dato fuoco al veliero per farlo finire in fondo all’oceano.
L’avevano soprannominata la nuova arrivata e, ogni volta che incrociava qualcuno, si sentiva salutare e le venivano poste una quantità assurda di domande alle quali non voleva rispondere. Quando succedeva, se i marinai insistevano, metteva su la sua migliore espressione aggressiva e li zittiva, almeno fino a quando non li distanziava.
Erano tutti così dannatamente espansivi, impiccioni e gentili.
Si, gentili. Le chiedevano come stava, se si sentiva bene, se potevano aiutarla in qualche modo, se le serviva aiuto per trovare la strada, tutte gentilezze davanti alle quali le veniva il voltastomaco.
Perché non la lasciavano in pace? L’unica cosa che desiderava era ritrovare la sua cabina e rinchiudersi dentro per non uscire più, anche a costo di morire di noia, o peggio di fame.
Sbuffò per l’ennesima volta, girando a destra in un punto in cui il corridoio faceva angolo. Ci era già passata da quella parte, ma sperava di trovare un’uscita che, magari, al primo giro le era sfuggita.
Sempre a testa bassa, non si accorse che anche qualcun altro stava svoltando l’angolo, così finì con lo sbattere addosso al povero malcapitato, beccandosi una manata in faccia e pestando accidentalmente un piede che non le apparteneva.
-Ehi, come corri. Vai di fretta?- si sentì domandare, percependo chiaramente una nota scherzosa nella voce del millesimo rompi scatole che incrociava.
Si strofinò il naso dove aveva preso la botta, facendo saettare gli occhi sulla figura che aveva di fronte, sondandola dall’alto in basso. Ci teneva ad avere una lista precisa di tutti i suoi nemici, sarebbe stato più facile ricordarseli per ucciderli poi.
-In effetti si.- rispose piccata. -Ora, se vuoi scusarmi…- aggiunse, muovendosi per sorpassare il tizio che le sbarrava la strada.
Quello sorrise, spostandosi verso la parete per farle spazio e per non trattenerla oltre, intuendo che non doveva di certo essere un buon momento per lei. -Stai cercando l’uscita?- le chiese comunque all’ultimo momento, vedendola bloccarsi dopo qualche passo per voltarsi infine verso di lui con l’aria abbattuta.
Anne annuì sconfitta in direzione del ragazzo che aveva l’aria di essere molto più grande di lei, ma che, a differenza degli altri, non aveva nemmeno provato ad attaccare bottone, disturbando il suo già precario stato mentale, capendo invece al volo l’unica cosa che le serviva in quella situazione.
Lo guardò accennare un sorriso prima di dirigersi verso di lei, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni leggeri e superandola senza disturbarla più di tanto, lasciando solamente che lo seguisse.
Un paio di svolte a sinistra, una a destra, delle scale a chiocciola e una porta in legno massiccio ed ecco che sopra la testa di Anne appariva di nuovo il cielo azzurro con lo stesso sole, lo stesso orizzonte, lo stesso mare e la stessa, dannata, nave.
Respirò a pieni polmoni, chiudendo gli occhi davanti a quella consapevolezza. Ormai avevano preso il largo, erano nel bel mezzo del nulla, circondati da acqua, e non c’era modo di allontanarsi senza rischiare la vita. Certo, avrebbe potuto rubare una scialuppa, ma il tempo nel Nuovo Mondo era imprevedibile e sarebbe bastata una tempesta per far affondare la misera imbarcazione assieme a tutti i suoi sogni di gloria. Doveva portare pazienza e aspettare di fare porto, allora avrebbe raccattato la sua vecchia ciurma, preso possesso di un vascello qualsiasi e poi sarebbe salpata il più lontano possibile dalla Moby Dick e da quello che rappresentava.
La sua sconfitta.
-Non è così male, sai?-
-Uh?- si riscosse, voltandosi e alzando un pochino il capo per guardare il diretto interessato che sembrava aver deciso di dimostrarsi uguale a tutti gli altri impiccioni.
-La nave. La ciurma. Insomma, basta farci l’abitudine.- continuò lui, fissando il mare e sorridendo appena, come se stesse ricordando qualcosa di bello, momenti per i quali valeva la pena sorridere.
La verità era, però, che lei non voleva provare quelle emozioni. Non aveva intenzione di affezionarsi a nessuno, tanto meno entrare a far parte di un qualcosa che non le sarebbe mai appartenuto e che, di certo, non meritava. Era stata anche troppo fortunata ad incontrare Rufy che, con la sua testardaggine e voglia di vivere, le aveva dato la forza per andare avanti, per accettarsi, almeno in parte, e per riscattarsi, sperando in un futuro migliore. E aveva avuto anche Sabo. Era stata felice quando anche lui era entrato a far parte della loro piccola ed improbabile famiglia, ma alla fine la Vita gliel’aveva portato via. Aveva privato Rufy e lei di un fratello e non avrebbe sopportato perderne altri. I suoi sottoposti erano un’eccezione e le risultava ancora difficile accettare che così tante persone si fidassero di lei a tal punto da seguirla e da esserle fedeli. Non era nemmeno in grado di controllare appieno il suo potere, figuriamoci se poteva proteggere delle persone. In quello faceva proprio schifo, doveva ammetterlo, e il fatto di aver permesso ai Pirati di Barbabianca di avvicinarsi alla sua ciurma ne era la prova.
Abbassò il capo, ormai le veniva benissimo farlo, e strinse i pugni. -Non voglio farci l’abitudine.-
Il ragazzo scosse il capo, per niente stupito da quella reazione.
Si strinse nelle spalle, capendo che probabilmente era ancora troppo presto sperare in un’amicizia, perciò si avviò lungo il ponte. Aveva un sacco di compiti da svolgere. -Per quel che vale,- disse, alzando una mano in segno di saluto. -Io sono Izou, Comandante della Sedicesima Flotta. Piacere di conoscerti.-
Anne guardò allontanarsi quell’individuo che, anche se non era stato assillante quanto il primo, era comunque strano con quel kimono chiaro addosso e quei capelli tanto lunghi e raccolti ordinatamente sulla nuca, acconciatura che lei poteva solo immaginare di avere, visto il classico groviglio con cui si accontentava di andare in giro.
Almeno sapeva che era un Comandante, uno dei pezzi grossi, quindi abbassare la guardia in sua presenza sarebbe stata una pessima idea.
Si massaggiò le tempie, sospirando pesantemente e deducendo che non era ancora mezzogiorno e la giornata era lunga, perciò doveva inventarsi qualcosa da fare, ovviamente evitando di venire importunata da altri piantagrane.
Si sentiva accaldata, e non era certo per colpa del sole che batteva insistentemente sulla nave, affatto. Si trattava del suo potere e della voglia matta che aveva di bruciare ogni cosa lungo il suo cammino, ma doveva stare attenta. Non aveva ancora trovato la sua ciurma, Dio solo sapeva dove li tenevano rinchiusi, e non voleva rischiare di far crollare a picco nell’oceano baracca e burattini. Le serviva prima un piano.
Camminò per un po’ sopracoperta, restando in disparte e cercando di attirare il meno possibile l’attenzione, anche se era decisamente un’impresa difficile, visto e considerato che era all’aperto, in bella vista, e che tutti sapevano di lei.
Aveva avuto modo, però, di capire l’impostazione della nave, l’assetto, i luoghi più frequentati come, ad esempio, il cassero, dove si ergeva un’enorme seduta quasi trionfale, sicuramente il trono del vecchiaccio, anche se in quel momento non era presente. C’era movimento da quella parte, pirati che andavano e venivano e un gruppetto di uomini che chiacchieravano animatamente, disinvolti e per niente tesi. Certo, sicuramente erano tranquilli sapendo di rappresentare una delle ciurme più forti nel Nuovo Mondo. Altro che lei e la sua barchetta, sempre costretta a fare attenzione ai nemici e alle navi da guerra della Marina.
Si era avvicinata silenziosamente, mantenendo comunque una certa distanza per non insospettire nessuno, registrando ogni particolare di quello che le stava di fronte, tenendo d’occhio pure quelli che dovevano essere i Comandanti delle Flotte.
Non aveva paura di loro, sapeva che, se erano stati scelti, un motivo c’era e dovevano per forza essere abili guerrieri, ma non si preoccupava di doverli affrontare. Dopotutto, dalla sua parte aveva una taglia da capogiro sulla sua testa e un potere non indifferente. Sconfiggerli sarebbe stato un gioco da ragazzi, o almeno, avrebbe pensato quello se non avesse avuto modo di confrontarsi direttamente con Barbabianca, ma da quella lezione aveva imparato a non sottovalutare l’avversario, perciò aveva deciso che prima li avrebbe studiati, e solo dopo aver avuto una stima delle loro abilità si sarebbe decisa a fare la sua mossa.
-Ehilà!-
Una voce allegra alle sue spalle la fece sobbalzare e aggrapparsi alla parete, colta di sorpresa, ma assalita dal fastidio quando riconobbe il ciuffo castano e improbabile che le si era parato davanti alla faccia.
-Li stavi spiando?- chiese Satch, sorridente e per nulla preoccupato.
Anne gonfiò le guance, pronta a sputargli in faccia che si, si stava facendo gli affari altrui, ma l’altro non le diede l’opportunità di continuare, perché parlò al suo posto.
-Ho capito, vuoi andare a conoscerli! Vieni, ti ci porto io!- asserì, muovendosi per afferrare la ragazza per un braccio, ma rinunciandoci quando la vide scostarsi appena in tempo. Non abbandonò però il suo intento e, alzando una mano per attirare l’attenzione, si mise ad urlare a squarciagola. -Ragazzi, la nuova arrivata vuole presentarsi!-
-Che cosa?- sbottò la diretta interessata, schiacciandosi contro il muro, sperando di scomparire. Quell’idiota, cosa diavolo si era inventato?
Nel giro di pochi secondi, si trovò circondata da quattro facce nuove, chi più sorridente e chi meno, ma ugualmente interessate a lei e alla novità che rappresentava.
Intanto, Satch si era incaricato di fare le presentazioni con aria solenne. -Lui è Vista, Comandante della Quinta Flotta.- disse, indicando un omone alto e dalle spalle larghe, con dei lunghi baffi neri e ben curati e l’aspetto elegante. Infatti, le fece un lieve inchino, sorridendo un poco. Le avrebbe fatto addirittura il baciamano, gesto molto raffinato, ma temeva la reazione della giovane. Quello sguardo gli sembrava al limite della sopportazione e non voleva rischiare di tirare troppo la corda.
-Questo è Namur, Comandante dell’Ottava.- continuò il castano, presentandole un uomo pesce non molto alto, con le braccia incrociate al petto e le gambe ben piantate sul pavimento, dall’aria sicura di sé, nonostante il sorriso ampio che le rivolse. -Poi c’è Rakuyo, lui comanda la Sesta Flotta.- affermò, passando ad indicarle l’uomo accanto a Namur, alto quanto Vista, ma meno massiccio, con dei dread che gli arrivavano alle spalle, una fascia sulla fronte che li teneva, più o meno, in ordine, un paio di baffetti neri, due orecchini d’oro e un’espressione quasi divertita dalla situazione in cui si trovava.
-Lui é…- fece per dire Satch, voltando lo sguardo verso l’ultimo fratello, ma quello lo precedette, alzando una mano in segno di saluto.
-Izou. Ci siamo già presentati.- affermò educato, contento in parte che la ragazza avesse modo di entrare, a poco a poco, in contatto con tutti loro. Capiva che non doveva essere facile, ma sperava che, con calma, sarebbe riuscita ad integrarsi. -E il gigante che vedi al timone è Jaws, Comandante della Terza Flotta.- aggiunse, guardando il cassero dove un colosso dall’aria veramente poco cordiale li osservava di sottecchi con un cipiglio serio e poco affabile. -Non farci caso, è solo timido.- disse poi, rivolgendosi alla giovane, ammiccando con fare complice e ottenendo solamente un’occhiata diffidente in risposta.
-Beh, lei si chiama Anne.- disse con ovvietà Satch quando le presentazioni si conclusero, reprimendo l’impulso di passarle un braccio attorno alle spalle con fare cameratesco. Era molto espansivo, lui, e doversi frenare dal compiere certi gesti spontanei gli costava molto, ma aveva capito al volo che i suoi compagni la pensavano allo stesso modo, ovvero che era meglio andarci con calma con quella ragazzina di cui ancora non conoscevano il carattere.
Lei, d’altro canto, non spiccicò una parola e rimase ad osservarli come se fossero stati nemici da tenere sott’occhio e, quando Namur fece un passo avanti per proporre una bevuta in compagnia, tutti dovettero indietreggiare velocemente per evitare che la fiammata con cui Anne si trasferì al livello superiore li investisse.
-Statemi lontani!- urlò poi dall’alto, guardando verso di loro con astio, soprattutto Satch, quello che più sembrava volerla importunare, per allontanarsi infine da quell’angolo della nave.
Sperava di aver messo in chiaro che non voleva avere a che fare con nessuno di loro.
-Uh, che caratterino.- borbottò nel frattempo Vista, togliendosi il cappello piumato e grattandosi perplesso la testa.
-Dobbiamo darle tempo. E’ una reazione del tutto normale.- fece Izou, compressivo, ricordando il comportamento restio che aveva visto durante gli anni osservando i nuovi arrivati che, di tanto in tanto, si univano a loro.
-Sarà, ma a me mette una certa inquietudine con quelle fiamme.- mormorò Namur, dispiaciuto per la risposta negativa che aveva ricevuto la sua proposta fatta con le migliori intenzioni. Un braccio si posò sulla sua spalla e si ritrovò Rakuyo che gli assicurava che la sua era stata una bella idea e che, magari, col tempo sarebbe stata ben accetta.
-Se volete il mio parere,- si intromise Satch, schioccandosi le nocche e poggiando le mani sui fianchi, volgendo un ultimo sguardo verso il punto in cui Anne era sparita e sogghignando, -La mocciosa sa il fatto suo.-
-Su questo non c’è dubbio.- concordò Izou, preparandosi a seguire gli altri per tornare sul cassero, -Infatti, temo che farle mettere la testa a posto non sarà facile.-
-Di questo non ti devi preoccupare.- il sorriso di Satch si allargò, preoccupando enormemente il fratello, il quale sapeva esattamente che, quando il castano faceva il misterioso, quello che pensava non era mai una buona cosa. -Dopotutto, non ha ancora conosciuto tutti.-
Izou sostenne lo sguardo del ragazzo, comprendendo in seguito ciò a cui si stava riferendo. Effettivamente, non tutti i loro fratelli erano stati a favore nei riguardi di Anne e, se avrebbe continuato a mantenere le distanze, di certo, prima o poi, qualcuno l’avrebbe ripresa per quel comportamento. Il babbo era una persona estremamente magnanima e non avrebbe avuto nulla da ridire, ma loro erano una famiglia e, quando raggiungevano un limite, non vedevano di buon grado chi sputava addosso alla gentilezza e alla bontà di Barbabianca.
-Spero solo che le passi presto.- sospirò infine, affiancato da Satch, il quale lo prese sotto braccio, trascinandoselo dietro verso gli altri.
-Fidati, ci sarà da divertirsi!-

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Capitolo 3
*** 3. Scintille e fuochi d'artificio. ***


Buonasera gente! Avete visto? Fuori c’è il sole.
E io sono in casa a studiare, evvai.
N ogni caso, ecco il terzo capitolo e a breve, SPERO, il quarto. Ho voluto lasciare spazio anche ai Capitani delle Flotte perché a mio avviso c’è troppo poco su di loro.
E ‘pesciolino’ è riferito a Namur, l’uomo pesce ;D
 
A presto,
Portgas.
 
 
Whitebeard Pirates’ Flame.
 
3. Scintille e fuochi d’artificio.
 
Evidentemente, in ascolto c’era stata qualche Divinità, perché le preghiere di Anne erano state esaudite e, nel tardo pomeriggio di quella giornata infernale, la peggiore in assoluto della sua vita, aveva trovato buona parte dei suoi uomini e conquistato un posticino abbastanza appartato della Moby Dick, al fresco, due livelli sotto al cassero dove aveva potuto rilassarsi un pochino in compagnia di gente che conosceva e di cui si fidava.
Le avevano raccontato quello che era successo dopo che aveva perso i sensi, ovvero che avevano provato a combattere, ma erano bastati pochi minuti per capire che avevano le mani legate ed erano braccati come animali. I Comandanti non si erano nemmeno sporcati le mani e non erano scesi dalla nave, osservando come i loro marinai si fossero arrangiati con successo, mentre Barbabianca aveva riso di gusto e fatto ritorno a bordo. Si erano rifiutati di seguirli, ma quando avevano preso Anne con l’intenzione di portarla con loro, non avevano potuto fare altro che arrendersi e seguirli.
-Non potevamo abbandonarti, Capitano.- disse il suo vice, stringendo i pugni, ma abbassando il capo. -Ci dispiace non essere riusciti a difenderti.-
Anne li guardava in silenzio. Osservava i suoi uomini e un senso di colpa si faceva strada in lei sempre più violentemente, fino a farle pungere gli occhi. Era stato solo a causa sua e della sua stupida testardaggine se si erano ritrovati nell’ultimo posto che avrebbero voluto vedere. Era stata lei a venire sconfitta e a lasciarli soli, senza una guida e una protezione.
A volte si chiedeva se era degna del titolo che portava e del ruolo che ricopriva a bordo della sua nave.
-Vi ho delusi.- mormorò piano, zittendoli. -Mi sono fatta battere e non ho saputo salvarvi. Sono io a dovermi scusare e a implorare il vostro perdono.-
Non si aspettava che i marinai si mettessero a piangere davanti a quella scena, tantomeno aveva previsto un abbraccio di gruppo soffocante da parte di tutti loro, chi con il moccio al naso, chi con le lacrime che scendevano a fiotti lungo le guance ruvide e barbute.
-Siate stata incredibile, invece, Capitano!-
-Non devi stare male per noi, ce la siamo cavata ugualmente!- le assicurò uno dei suoi sottoposti, il quale esibiva con fierezza un occhio pesto, mentre un altro aveva l’aria di aver perso qualche dente in una scazzottata.
A quanto pareva, Satch aveva detto sul serio quando l’aveva informata che li avevano bastonati per bene. Che gran bastardo.
-Ora che cosa faremo, Capitano?-
Anne si prese la testa fra le mani. Non ne aveva la minima idea, certa era, però, che gliel’avrebbe fatta pagare cara a tutti e, se la volevano così tanto a bordo della nave, allora avrebbe fatto di tutto pur di esasperarli e costringerli ad abbandonarla su qualche isola pur di levarsela di torno.
Sorrise sadicamente, dando ad intendere ai suoi uomini, i quali la conoscevano fin troppo bene, che aveva un piano.
-Si pentiranno amaramente di aver arruolato la futura assassina di Barbabianca.-
 
*
 
Facile, pensò Anne, facile come bere un bicchier d’acqua.
Aveva creduto che avrebbe trovato un’infinità di problemi nell’attuare la sua vendetta, invece era bastato chiedere quale fosse la stanza del Capitano, raggiungerla ed entrare.
Infatti, si trovava esattamente nella cabina ampia e piena di macchine che monitoravano costantemente la salute dell’Imperatore Barbabianca, il numero uno indiscusso, bello e addormentato sul suo enorme letto, intento a russare come una locomotiva, pacifico e sereno.
Le rimaneva solo da decidere come farlo passare a miglior vita.
Forse poteva sgozzarlo, ma ci sarebbe stato troppo sangue. Poteva sparargli, ma significava allertare mezza nave che era di guardia. Avrebbe potuto bruciarlo vivo, ma anche quello avrebbe riscontrato dei problemi, dato che voleva esibire la sua testa come un trofeo.
Beh, morto per morto, si disse, prendendo un profondo respiro e avanzando nella stanza il più piano possibile, preparando il suo colpo micidiale e tenendo a bada l’emozione. Stava per farcela, la vittoria era solo a pochi passi da lei, a portata di mano e presto l’avrebbe afferrata con gioia.
Si spostò velocemente verso il letto, lasciando che il suo corpo venisse avvolto da puro fuoco, piegando il braccio destro all’indietro e preparando il pugno chiuso e infuocato, illuminando l’ambiente circostante e vedendo con chiarezza il viso addormentato dell’uomo, il suo nemico.
-Pugno di Fuoco!- sussurrò, anche se avrebbe voluto urlarlo a pieni polmoni. Ad ogni modo, indirizzò il colpo dritto al petto del vecchio, arrivando a qualche millimetro da esso e provando dentro di sé l’euforia pura che le invase i sensi e la mente.
Il resto accadde tutto in fretta.
Il suo attacco non andò mai a segno, invece quello, apparentemente involontario, dell’Imperatore fu talmente d’impatto che la scaraventò direttamente fuori dalla cabina, sfondando il muro e facendola finire addosso al parapetto con il naso rotto e la testa che scoppiava per l’onda d’urto ricevuta.
Fissò davanti a sé le macerie, la polvere che si era sollevata, il buco sulla parete e, attraverso di essa, un addormentato Barbabianca che russava beato, per niente intenzionato a perdere il sonno per una questione di poco conto.
-Ehi, che accidenti combini?- si sentì domandare, notando solo allora, a qualche metro di distanza, due mozzi che avevano il turno di guardia e che erano stati richiamati dal trambusto.
-Non fare tanto baccano a quest’ora di notte!- rincarò il secondo, osservandola infastidito per la confusione. I suoi compagni stavano dormendo, accidenti.
Anne continuò a fare pressione sul naso, sentendo parecchie fitte in tutto il corpo e maledicendo la situazione in cui si era cacciata.
Come cazzo ha fatto?, continuava a ripetersi, incredula, accasciata contro il parapetto. Anche da addormentato era riuscito a batterla, mettendola fuori gioco semplicemente rivoltandosi sul materasso.
Si alzò a fatica, barcollante e malandata, tastandosi con una mano la schiena e massaggiandosi il collo. Aveva qualcosa di slogato, senza dubbio, ma se credevano che si sarebbe arresa tanto presto si sbagliavano di grosso. Quello era solo l’inizio e, se quella volta non aveva funzionato, la prossima sarebbe andata a segno con tanto di scintille e fuochi d’artificio, potevano giurarci.
 
*
 
-Ehi, hai saputo la novità?-
A tavola, la mattina seguente, quando tutti si ritrovarono in cambusa per la colazione, chi prima e chi dopo, non si parlò d’altro per tutto il pasto, soprattutto nella tavolata dei Comandanti.
Mentre Izou annuiva divertito, Namur, che era appena arrivato e si stava sedendo in quel momento, guardò il moro e Satch con aria incuriosita. -Saputo cosa?-
Il castano sfoggiò il suo sorriso più ampio, poggiando le mani sul tavolo e sporgendosi verso l’uomo pesce. -Questa notte hanno attentato alla vita del babbo!-
-Cosa?- urlò Namur, preoccupato. -E come sta? Avete preso quel vile e schifoso pezzo di…-
-E’ stata Anne.- precisò allora Izou, ridacchiando, -E no, non le abbiamo fatto niente. Ci aveva già pensato papà.-
-Quella mocciosa, non credevo che si sarebbe spinta a tanto. Come ha fatto ad intrufolarsi in camera di Barbabianca?- domandò allora il giovane dai capelli blu e le branchie, sedendosi e riacquistando la calma con cui era arrivato.
Satch si strinse nelle spalle, mescolando il suo caffè con un cucchiaino. -Lo ha chiesto in giro.-
Namur si schiaffò una mano sul viso, sconvolto dalla semplicità con cui il loro Capitano era stato messo in pericolo. -Non ci credo.-
-A cosa non credi?-
-Oh, buongiorno Blamenco. Ciao Curiel, dormito bene ragazzi?-
Satch non perse tempo e, ignorando i convenevoli di Izou, batté una mano sulla sedia vuota accanto alla sua, incitando i due appena arrivati ad affiancarlo. -Ho vinto la scommessa. Anne ha provato ad uccidere il babbo prima di una settimana, perciò preparatevi a sganciare la grana, pezzenti.-
Sul volto dei due Capitani comparve lo stupore.
-Stai scherzando, vero?- domandò Blamenco, fiondandosi sulle ultime fette di pane rimaste e sulla marmellata, affamato, mentre Curiel imprecava, più infastidito per aver perso la scommessa contro Satch che per altro. Anne gli stava già meno simpatica del giorno prima, anche se non ci aveva mai nemmeno parlato.
-Cos’è quella faccia imbronciata, vecchio mio?-
Atmos arrivò in quel momento, posando il suo elmo, completo di corna appuntite e d’effetto sulla sommità, sul tavolo, facendo sussultare Namur per il colpo e sorridendogli divertito per averlo colto di sorpresa, tornando poi a rivolgersi a Curiel. -Nottataccia?-
-No.- fece il compagno, negando con il capo, -Ma devo a questa sanguisuga dei soldi. La ragazzina ci ha provato, alla fine.-
-Intendi dire che…- si allarmò Atmos.
Sul viso di Satch apparve un’espressione che non prometteva niente di buono. -Mi devi anche tu una bella cifra.-
Aveva avuto un colpo di genio nell’organizzare delle scommesse e grazie a quella testolina tutta matta di Anne stava facendo un sacco di soldi. Stando alla sua lista, la maggior parte dei suoi fratelli avevano sbagliato le loro supposizioni, mentre solo due si erano salvati.
-Buongiorno a tutti!- fece una voce allegra, ottenendo in risposta un coro di saluti che fecero sorridere il Capitano della Dodicesima Flotta.
-Dormito bene, Haruta?- le chiese Izou, facendole spazio tra lui e Satch.
-Certo.- annuì la giovane, -Voi?-
Il castano alla sua sinistra si appoggiò con la schiena allo schienale della sedia e fece scricchiolare le vertebre, fingendo di non notare il fastidio sul volto della sorella. -Meravigliosamente.- la informò, passando subito al sodo. -Sai che Anne ha provato a prendere la testa del babbo?-
Haruta si fermò con il bicchiere di succo a mezz’aria e lo guardò sconvolta.
-Oh, ma non ti preoccupare. Nessuno ci ha rimesso la pelle.-
La guardò sospirare tra l’esasperato e il dispiaciuto. -Mi fa un po’ pena.-
-A me no, mi ha fatto perdere soldi.- appuntò bruscamente Curiel, che proprio non l’aveva digerita.
-Insomma, ragazzi! Mettetevi nei suoi panni per un attimo: si è ritrovata da un giorno all’altro in una nuova nave e con gente che non ha mai visto. Un minimo di comprensione se la merita.-
-Bah, femmine.- commentò Satch dopo un attimo di silenzio, facendo spallucce, ma beccandosi uno scappellotto in testa da un’offesa Haruta che, dopo averlo colpito, si era alzata con l’intento di lasciarli alle loro stupide ed ottuse idee.
-Ma che ho fatto adesso?- si lamentò il castano, guardandola uscire velocemente dalla cambusa, mentre Izou ruotava gli occhi al cielo.
Satch era un personaggio che bisognava per forza conoscere. Era solare e spontaneo, non litigava mai con nessuno e riusciva sempre a trasformare le giornate grigie in momenti di divertimento e spensieratezza. Ogni cosa che gli passava per la testa la diceva, bella o brutta che fosse e non perdeva mai l’occasione per fare scherzi o battute, persino al babbo. Per lui tutti meritavano di sorridere e di essere suoi amici, nessuno escluso. Solo che, a volte, era un vero e proprio tormento, tanto che c’erano situazioni in cui era meglio tenerlo alla larga. Chi lo conosceva sapeva bene che non doveva prendere sul serio le sue parole, ma, spesso e volentieri, con Haruta le cose erano leggermente diverse. Forse perché era una donna, o forse perché Satch era un vero cretino, non si sapeva con certezza, ma il castano aveva provato più volte sulla pelle il dolore dei ceffoni della sorella.
-Cambiando discorso,- mormorò Atmos, -Il babbo come sta?-
-Bene, davvero. Non si è nemmeno svegliato, è bastata la sua ambizione.- spiegò Izou, riprendendo la colazione.
-E la mocciosa?- curiosò Namur a bocca piena.
-Uh, credo che si sia rotta il naso, ma uno dei suoi uomini è un dottore, perciò presumo che l’abbia sistemata e rimessa a nuovo.-
-Pronta per un altro attentato.-
-Satch, non è carino.-
-Ma stai zitto, finalmente c’è un po’ di movimento! Sono curioso di vedere cosa si inventerà di nuovo la prossima volta che proverà a…-
-E’ meglio per lei che non ci provi ancora.- disse una voce categorica alle spalle del castano, facendo andare di traverso a Izou il caffélatte.
-Toh, guarda chi si è svegliato.- ironizzò Satch, sorridendo ampiamente al Comandante della Prima Flotta. -Ti abbiamo lasciato il succo d’ananas.-
A quella battuta, di solito, avrebbero riso tutti, considerando il fatto che i capelli del braccio destro di Barbabianca lasciavano molto all’immaginazione, ma l’espressione che il diretto interessato sfoggiava non era delle più docili.
-Avanti, non ha combinato niente di male.- tentò di rimediare Namur, uno di quelli che si sentivano più solidali nei confronti di Anne.
-Ha ragione il pesciolino.- rincarò Satch, per nulla intimidito dal caratteraccio del fratello. -Se la conosci non è tanto male.-
-Già, dopotutto, ha solo provato a bruciarvi quando vi siete presentati.- fece notare il biondo Comandante con le braccia incrociate al petto e sul volto un ghigno vittorioso.
Satch lo fissò per alcuni secondi, chiedendosi se per caso quel pennuto si fosse svegliato dalla parte sbagliata del letto, ma decise di non darci troppo peso e di impegnarsi a fargli cambiare idea sulla nuova arrivata.
-E’ solo questione di tempo, vedrai. Starà simpatica anche a te, alla fine.-
-Non se decido di spegnerla prima.- mormorò l’altro, superando la tavolata e uscendo senza mettere nulla sotto ai denti.
Satch sospirò sollevato. -Mio Dio, quando ha le sue cose è insopportabile.-
I suoi compagni scoppiarono a ridere, molto più rilassati.
Izou si alzò ancora sorridente. -Sta attento a non farti sentire, altrimenti spegnerà te molto prima di lei.-
-Ah, Marco mi adora. Sono il suo preferito!- ridacchiò il castano, alzandosi a sua volta e seguendo il moro sopracoperta, pronto ad iniziare una nuova giornata lavorativa.
Chissà, magari Anne ne avrebbe combinata un’altra.
 

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Capitolo 4
*** 4. C'é sempre una prima volta. ***


Sciao belli!
Ah, sento il profumo della libertà avvicinarsi! Tra poco mando a ‘fanculo libri e tutto e uscirò dalla cantina, urlando a braccia aperte verso il sole!
A parte questo, capitolo nuovo, sconfitta nuova, botte nuove. Anne le ha prese pure stavolta xD devo rimetterla in sesto però, ci tengo troppo.
 
Alla prossima, coming soon.
Portgas.
 
 
Whitebeard Pirates’ Flame.
 
4. C’è sempre una prima volta.
 
-Ehi, te ne sei accorto?-
-Si.-
-Vedi di andarci piano.-
 
*
 
Arrivare sul cassero non era stato complicato, soprattutto tenendo presente che a quell’ora del pomeriggio giravano un sacco di mariani sopracoperta. In ogni caso, era stata particolarmente attenta a non farsi notare, spostandosi silenziosamente e salendo di volta in volta, fino a raggiungere il punto più a poppa della nave dove si trovava quell’enorme scranno su cui vi era seduto Barbabianca, senza un graffio.
Anne digrignò i denti per il fastidio, portando una mano a sfiorarsi il setto nasale che il suo fidato dottore di bordo le aveva sistemato durante la notte, facendole vedere le stelle. Aveva ancora il cerotto e persino respirare le faceva male.
Dannato vecchiaccio!
Lui, al contrario, se ne stava tranquillo a prendere il sole, circondato dai suoi uomini e intento a dare ordini, a ridere di gusto e a tracannare saké a più non posso. Non era giusto, non era proprio possibile poter essere tanto calmi e indifferenti ad una minaccia come lei nei paraggi, libera di muoversi come le pareva. Insomma, non sapevano che la Marina le aveva appioppato una taglia da capogiro? Non sapevano che era la ricercata più giovane e temuta? I fottuti giornali non li leggevano, accidenti a loro?
Si impose di tranquillizzarsi e di rimanere concentrata non appena si accorse delle piccole fiammelle che avevano iniziato a scaturirle dalle dita delle mani. Aveva ancora qualche problema di autocontrollo ma, se non si arrabbiava e rimaneva lucida nelle situazioni più critiche, riusciva a controllarsi abbastanza. Il punto era, però, che si sentiva costantemente incazzata e tenere a bada il fuoco diventava ogni ora più complesso.
Si appiattì contro la parete della stanza che portava alla sala di navigazione, allungando il collo per poter osservare gli spostamenti che stavano avvenendo.
Il vecchio era sempre al solito posto, mentre, attorno a lui, c’era un po’ di movimento, ma niente di eccessivo o caotico. Gli unici che non si erano mai mossi erano due uomini, tra cui Anne riconobbe la figura di quel pirata tanto idiota e impiccione. Quel, come si chiamava? Il tizio cotonato e con la faccia da schiaffi.
Satch!, si disse, dandosi un pugnetto sulla fronte. Era in piedi accanto all’Imperatore, affiancato da un altro pirata, più o meno della stessa stazza, e con dei capelli biondi che facevano concorrenza al castano, ma non si stupì molto, dato che tutti, su quel veliero, avevano l’aria di essere parecchio strambi, inoltre aveva altro per la testa e, sicuramente, due Capitani non potevano rappresentare un intralcio. Per quanto ne sapeva, nessuno di loro aveva dei poteri particolari e, se le avessero intralciato il cammino, li avrebbe arrostiti per bene.
Un pensiero le tornò alla mente. Mesi addietro, quando avevano raggiunto l’Arcipelago Sabaody, uno dei suoi uomini aveva raccolto informazioni sui possibili nemici e le aveva detto qualcosa riguardante la ciurma del vecchio, in particolare sui Frutti legati ad essa, ma non ne era certa e, purtroppo, non riusciva a ricordare di che abilità si trattasse.
Decise quindi di lasciar perdere. Sicuramente non erano nei paraggi, altrimenti se ne sarebbe accorta.
Prese un profondo respiro, stringendo l’elsa dell’enorme e affilata falce che aveva rubato dall’armeria quella mattina, quando tutti erano a colazione. Aveva scartato molte armi, considerandole troppo fragili, ma quella le era subito saltata all’occhio per dimensione e bellezza. Già si immaginava in piedi sopra alla carcassa di Barbabianca, abbattuto come un animale, vittoriosa e fiera.
Scosse il capo. Prima doveva riuscire nella sua missione e poi avrebbe esultato.
Diede un ultimo sguardo al cassero assolato, scoprendo che la via era libera e che, probabilmente, quello sarebbe stato l’ultimo momento di pace. Così, deglutendo e sentendo il cuore batterle in gola per l’emozione, scattò all’aperto, uscendo dal suo nascondiglio e scagliandosi veloce contro Barbabianca, il quale le stava dando le spalle.
Era vicinissima e, quando le rimasero solo un paio di passi, si diede lo slancio, saltando in avanti e ruotando le braccia sopra la testa per poter scagliare la falce dritta addosso al corpo del vecchio. Un colpo netto sarebbe bastato e lei sarebbe stata libera.
La lama scintillò sotto al sole, fendendo l’aria e andando a scagliarsi contro l’ignaro Capitano della Moby Dick.
In tutto ciò, però, Anne riuscì solo a vedere un lampo azzurro sfrecciarle sotto agli occhi per poi finirle addosso. La mazzata che le arrivò allo stomaco fu peggio di una cannonata, tanto che le mozzò il respiro e le tolse qualsiasi forza. Si vide sbalzare lontano, mentre il ponte della nave si allontanava sempre di più, rimpicciolendosi. Chiuse gli occhi quando urtò una barriera con la schiena e, a giudicare dalla suo continuo volo, doveva averla anche sfondata. A quello seguì un secondo impatto e fu come ricevere uno schiaffo su tutto il corpo, seguito da una sensazione di freddo e umido. Non appena aprì gli occhi, vide una marea di bolle, schiuma e acqua cristallina tutt’attorno a lei, mentre la superficie si faceva sempre meno nitida.
Si allarmò appena capì di essere finita in mare e tentò con tutta se stessa di sbracciarsi per risalire, muovendo gambe e braccia, ma era come se nulla le rispondesse. Le membra erano pesanti, l’aria le mancava, il dolore allo stomaco la stava torturando e in tutto quella situazione scomoda, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che non aveva mai immaginato di morire in quella maniera tanto misera.
 
*
 
-Guardate, è finita in mare.- notò un marinaio, appoggiandosi al parapetto con tranquillità, evitando accuratamente la parte che era stata appena sfondata.
-Ma non sa nuotare.- azzardò un altro, ricordando che ci aveva ingerito i Frutti del Diavolo rischiava di morire se a contatto con l’acqua.
-Qualcuno la vada a ripescare.- disse con fare ovvio un tizio accanto a lui, dalla pelle scura e dall’aria divertita, l’esatto ritratto dello stato d’animo del resto della ciurma.
-Maledizione, ti avevo detto di andarci piano!- sbraitò a quel punto il Comandante della Quarta Flotta, sbraitando improperi e togliendosi la camicia bianca della divisa da cuoco e il fazzoletto che portava al collo con gesti bruschi mentre si avviava verso il bordo della nave, lasciando cadere sul ponte i vestiti. Si affacciò sul mare, individuando il punto in cui Anne era finita, da cui provenivano svariate bollicine d’aria, e salì sul parapetto, tuffandosi poi in acqua per andare a recuperarla.
I suoi compagni assistevano divertiti alla scena, chi ridacchiando, chi incredulo, chi, come una piccola parte degli uomini di Pugno di Fuoco, preoccupato, e chi era solo contento di aver dato una lezione a quella impertinente.
-Non serviva arrivare a tanto, figliolo.- disse un divertito, e per nulla dispiaciuto della cosa, Barbabianca al Comandante della Prima Flotta, osservando Satch risalire a bordo con il corpo privo di sensi della ragazza tra le braccia.
Marco si voltò dalla parte opposta, dirigendosi nella sala comandi e dando le spalle alla scena, niente affatto pentito. -Le serviva una lezione.- dichiarò semplicemente, con un gesto svogliato della mano.
Intanto Satch appoggiava con quanto più garbo possibile Anne sulle assi di legno, afferrandole il mento e ruotandole in viso, cercando di capire se respirasse o meno.
-Ohi, è morta?- gli chiese un mozzo.
-Nah, non credo.- lo rassicurò il castano, prendendo a lasciare qualche schiaffo leggero sulle guance della mora. -Anne? Ragazzina? Forza, svegliati!-
Si mise seduto quando la vide aprire gli occhi e schizzare a carponi, vomitando mezzo oceano, saliva e sangue. A quanto pareva, quel deficiente di Marco ci era andato davvero giù pesante con quel calcio. Lo aveva pure visto usare l’armatura per essere sicuro di non mancare il bersaglio e neutralizzare i poteri del Frutto Rogia.
-Tutto bene?- le chiese sorridendole, scompigliandosi i capelli che gli ricadevano sulla fronte e sulle spalle, tutti aggrovigliati.
Lei tossì un paio di volte, respirando a fatica, tanto che i suoi polmoni facevano un suono strano, quasi un brusio. Forse era meglio se la faceva visitare dalle infermiere del babbo.
-Come… come ha fatto?- la sentì domandare, ancora immobilizzata a terra, con la fronte appoggiata al pavimento e una smorfia di dolore sul viso. -Come diavolo ha fatto a colpirmi? Non ci era mai riuscito nessuno!-
-C’è sempre una prima volta.- la informò Satch a quel punto, chiedendosi se Anne sapesse nulla riguardo all’Ambizione e a tutti i particolari legati all’argomento. Probabilmente no, altrimenti avrebbe previsto ed evitato il colpo micidiale, esattamente come loro avevano avvertito la sua presenza alle spalle del babbo dieci minuti prima. -E poi, tutti le hanno prese da Marco.- esclamò, parlando come se quegli episodi fossero all’ordine del giorno.
Anne tossicchiò ancora, contorcendosi per il dolore. -M-Marco?- domandò.
Ma il vecchio non si chiamava Barbabianca? O Edward Newgate?
Satch incrociò le gambe, poggiando i gomiti sulle ginocchia e usando i palmi come appoggio per il mento, guardandola sorridente, allegro e gocciolante. -Il Comandante della Prima Flotta. E’ stato lui a mandarti affondo.-
La ragazzina sbatté le palpebre, assimilando l’informazione e ricordando di aver visto un lampo blu giusto un secondo prima che il suo stomaco diventasse poltiglia.
Ricapitolando: le aveva prese due volte dal vecchiaccio e una da un suo sottoposto dai poteri sconosciuti. Per quanto ancora aveva intenzione di rimanere a subire senza darsi da fare e dimostrare quanto forte era?
Strinse i denti e i pugni, mettendosi carponi e sollevandosi lentamente, fino a rimanere in ginocchio sotto lo sguardo attento e fin troppo divertito di Satch. Accidenti, non lo sopportava proprio. Sembrava che volesse costantemente spingerla a parlare e la fissava come se si fosse aspettato che da un momento all’altro lei lo avrebbe abbracciato e lo avrebbe chiamato nakama.
Tsk, col cazzo.
-Smettila, o ti cavo gli occhi e li do in pasto ai pesci!- lo avvisò arrabbiata, umiliata e ferita nell’orgoglio e nel fisico, alzandosi cercando di nascondere la fatica e stringendosi la pancia con un braccio attorno al corpo. Era a pezzi e doveva assolutamente trovare il suo dottore prima di vomitare anche quello che aveva mangiato sei mesi prima.
Satch la guardò arrancare sottocoperta a leccarsi le ferite con un’espressione beata e per niente impaurita dalle minacce rozze e poco eleganti che aveva ricevuto. Gli piaceva quella mocciosa, sapeva il fatto suo e, tutto sommato, era certo che non fosse tanto acida come dava ad intendere. Ci voleva solo del tempo e, abituato com’era a bestemmie e insulti, qualche parolona in più non gli avrebbe scalfito l’ego smisurato che aveva.

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Capitolo 5
*** 5. Di tutti i colori. ***


Hey guys! Sono tornato!
Da non credere , vero? In effetti non sembra vero nemmeno a me, LOL.
Mi dispiace davvero per il periodo di assenza, ma sono stato pieno di cose da fare, l’Università porta via tempo e impegno, poi lavoro e real life fanno il resto. Inoltre, ora é estate e le pause le sfrutto per vivere un pochino, sapete com’é.
Però non ho dimenticato nulla! La mia nostra Anne c’é sempre e ho un sacco di idee. Dal prossimo capitolo si svolta, anche perché non posso lasciarla sempre a bisticciare e ad architettare la morte di qualcuno, no?
Quindi godetevelo, spero vi piaccia! Grazie a tutti per le recensioni e scusate per i silenzi, davvero, ma non riesco a starci dietro come vorrei. Se solo avessi più tempo farei tante più cose!
Alla prossima che spero non sarà tra una vita!
 
Portgas.
 
 
Whitebeard Pirates’ Flame.
 
5. Di tutti i colori.
 
Era passata solo una settimana e Anne ne aveva già combinate di tutti i colori.
Aveva una media di circa tre attentati al giorno, quattro nelle ore buone e durante le quali non era distrutta e spossata dalle batoste che prendeva ogni volta che i suoi tentativi andavano in malora. Satch ne aveva contate addirittura cinque e giurava di essere sincero, anche se, quando l’avevano domandato alla diretta interessata, lei aveva risposto con un semplice e genuino dito medio, giusto per far intendere dove avrebbero potuto andare.
L’ultima sua trovata era stata ardere completamente la cabina di Barbabianca, riducendola ad un cumulo di macerie. E per fortuna che si trovava sopracoperta per comodità, altrimenti in parecchi avevano pensato che la nave difficilmente si sarebbe salvata dall’incendio che i Comandanti, assieme ai marinai, avevano prontamente estinto. L’unica sfortuna per Anne era stata l’assenza del vecchio in quel particolare momento della notte, dovuta all’impegno di quell’ultimo a tracannare saké di nascosto nelle cucine.
Ecco perché, quella mattina, si era ritrovata costretta da forze maggiori e più numerose a dover ricostruire da capo la camera da letto dell’Imperatore, con tanto di disegni architettonici e varie modifiche che gli uomini avevano approfittato di attuare, visto che lei aveva contribuito a distruggerla interamente.
All’inizio non c’era stato verso di convincerla a rimediare al danno e più di qualcuno aveva rischiato un infarto, colpiti e affondati dalle occhiatacce di cui la ragazza disponeva e che sapevano risultare inquietanti e spaventose, soprattutto se accompagnate da lingue di fuoco che spuntavano dai suoi capelli sciolti sulle spalle.
In molti ci avevano provato, tentando di farla ragionare, primo fra tutti Vista, il quale aveva fatto ricorso alla galanteria e alle buone maniere, non scalfendo minimamente il caratteraccio di Anne e trovandosi così a chiedersi se, nella vita, non servisse anche essere cattivo.
Era stato poi il turno di Izou, più diplomatico, ma abbastanza serio da riuscire a farla vacillare per un secondo, anche se il suo discorso era finito con l’essere ignorato successivamente.
Non si erano dati per vinti, i Comandanti più coraggiosi, e tra loro Namur si era distinto per essere stato quello che più le si era avvicinato senza rischiare troppo la pellaccia. Peccato che avesse rovinato tutto tentando di, a detta sua, sfiorarle una spalla in maniera amichevole. La sua mano aveva rischiato di essere arrostita in pochi attimi se non avesse avuto i riflessi pronti.
Ad ogni modo, e purtroppo per Anne, Satch era stato una vera spina nel fianco. Non aveva smesso un attimo di blaterare frasi su quanto fosse stata brava e gentile dal distruggere quella stanza che ormai decadeva. A detta sua, aveva fatto un grosso favore a tutti, almeno il babbo avrebbe avuto una nuova cabina, più grande e moderna, con un solaio magari, cosa che non fece altro che mandare ancora più in bestia la giovane, già abbastanza innervosita dal fatto di aver fatto un ulteriore buco nell’acqua.
Era come se tutti gli Astri, le Divinità e il Mondo stesso si fossero coalizzati contro di lei e la cosa, per la precisione, non le piaceva per niente.
Quando ormai avevano perso le speranze sul convincerla a mettersi a lavoro e a fare qualcosa di produttivo, sul ponte si era fatto avanti con calma nientemeno che il Comandante della Prima Flotta, con tanto di progetti arrotolati in una mano, mentre l’altra era affondata tra i ciuffi biondi nel tentativo di dare loro una piega abbastanza ordinata.
Anne si era accorta che qualcosa era cambiato grazie all’improvviso silenzio che era calato per un istante, compensato poi da leggeri brusii e dal ghigno poco rassicurante dell’idiota di Satch. Se lei ci sapeva fare con gli sguardi di fuoco, lui era un maestro nell’inquietare la gente.
Aveva smesso di dare le spalle alla combriccola, lasciando perdere la contemplazione delle macerie, un vero capolavoro secondo il suo parere, e si era voltata a braccia conserte, pronta per affrontare l’ennesimo tentativo che avevano idealizzato per metterla ai lavori forzati.
Era rimasta impassibile di fronte al nuovo arrivato che si era fermato a chiedere informazioni al castano cotonato, ma non si era risparmiata dall’assottigliare lo sguardo con diffidenza quando l’attenzione si era concentrata su di lei, facendo si che entrambi la guardassero.
-Anne, ti presento Marco.- ghignò spudoratamente Satch, -Il Comandante della Prima Flotta.- aggiunse, sapendo di stare svelando qualcosa che avrebbe reso la situazione ancora più complicata.
L’effetto era stato immediato e la ragazza aveva digrignato i denti nel modo più minaccioso possibile davanti al pirata che l’aveva spedita in mare giorni prima, facendo crollare tutte le sicurezze riguardanti il suo potere e mettendola in seria difficoltà.
Tutto quello che Marco aveva fatto, era stato alzare una mano in segno di saluto, rivolgendosi poi a lei con sufficienza, come se non avesse rappresentato nessuna minaccia e fosse stata semplicemente un misero mozzo al quale dare ordini.
Le aveva indicato dov’erano appoggiati chiodi, martello e scorte di legname, consigliandole di iniziare subito perché il babbo avrebbe avuto bisogno di un posto in cui riposare e infine le aveva voltato le spalle per tornarsene da dove era venuto.
Ricordava benissimo la risata sguaiata di Satch quando l’aveva vista volare tra le macerie dopo aver tentato di attaccare il biondo con uno dei suoi colpi speciali, ma il suo tentativo di rivalsa non era andato a segno e aveva guadagnato una giornata estenuante di lavoro e un labbro rotto. Anche se, stando a sentire Satch, Marco ci era andato più che leggero.
Ecco perché, a pomeriggio inoltrato, stava costruendo la cabina per il suo nemico giurato, con la costante e fastidiosa compagnia del Quarto Comandante che non l’aveva persa di vista nemmeno per un istante, chiacchierando senza freno, offrendole da bere e canticchiando di tanto in tanto, domandandole se conoscesse qualche canzone nuova.
Anne, quando era interpellata, sbuffava e lo ignorava, sentendosi sempre più stressata e sbottando un paio di volte, urlandogli contro di chiudere il becco o di ammazzarsi.
Per sua sfortuna, inoltre, non si era neanche addormentata, dato che nessun attacco di narcolessia l’aveva colpita in quelle ore. Dannazione, era l’unica cosa su cui aveva sperato e non aveva ottenuto niente. Quando doveva combattere o uccidere il vecchio, però, il sonno la assaliva eccome!
Si riscosse dai suoi pensieri quando la figura di Satch entrò nel suo campo visivo.
Smise di lavorare con un pannello di legno e osservò il castano togliersi la camicia e afferrare travi e martello, caricandoseli in spalla e andandosi a piazzare parallelamente a lei, in modo tale da rifinire un lato mentre lei faceva l’altro.
Anne corrugò la fronte, un po’ stupita. -Che diavolo fai?- gli chiese aspramente, poggiando una mano su un fianco scoperto. Aveva accorciato la sua camicia per legarla con un nodo sotto al seno, in modo da non soffrire troppo il caldo. Si era pure intrecciata i capelli alla svelta, anche se era certa di avere un’aria da svampita.
Satch le rivolse un sorriso enorme che per poco non la fece rimanere di stucco, data la somiglianza che c’era con quelli spontanei e affettuosi che le regalava spesso il suo fratellino.
-Ti do una mano.- rispose con ovvietà. -Altrimenti di questo passo non finiremo mai.-
Anne avrebbe potuto rispondergli che non c’era bisogno che si sporcasse le mani, che sapeva arrangiarsi e che avrebbe fatto rosicare tutti perché avrebbe costruito una cabina bellissima, giusto per farla in barba a quei dementi, dato che aveva già messo in conto di provare a bruciarla in un secondo momento, ma non lo fece. Rimase in silenzio, stanca di continuare a cercare di allontanare quell’impiastro appiccicoso e snervante e decidendo che, se proprio voleva rischiare la pelle continuando ad assillarla, lei non era nessuno per dirgli di non farlo. Se si fosse scottato, avrebbe biasimato solo se stesso.
Satch era contento e soddisfatto di aver convinto Anne ad aiutarla e aveva visto quella resa come un passo avanti nel loro futuro rapporto di nakama. Era sicuro che con lei bisognasse solo continuare a provare e non gettare la spugna, infatti ne aveva appena avuto la prova.
-Allora,- iniziò a dire, giusto per passare il tempo. -I tuoi uomini come si trovano?-
La smorfia schifata che ricevette lo fece ridere, perché sapeva benissimo che la maggior parte della ciurma della ragazza aveva iniziato a collaborare con quelli della Moby Dick. Li intravvedeva un po’ ovunque, in cambusa e sul ponte, o anche nelle stive. Era certo che anche lei se ne fosse accorta e la cosa, probabilmente non la rendeva molto entusiasta, ma avrebbe dovuto accettarlo, prima o poi.
Decise comunque di cambiare domanda. -Ti piace navigare?-
Sentì gli occhi di Anne addosso, ma continuò con il suo lavoro, attendendo una risposta che arrivò con qualche attimo di ritardo, ma non mancò.
-Si.-
Era già qualcosa.
-Sei tu a leggere le carte nautiche?-
-No.-
-E a tracciare la rotta?-
-Si.-
Continuarono in quel modo fino al tramonto. Anne non era di molte parole, ma a Satch bastavano quelle sillabe per farsi un’idea sui gusti della ragazza e su quella che era stata la sua vita prima che capitasse a bordo della loro nave. Le uniche cose che sapeva sul suo conto le aveva tratte dai giornali, ma sapeva anche che non doveva credere a tutte le dicerie che scrivevano i giornalisti, i quali, spesso e volentieri, tendevano ad ingigantire le cose. A quel riguardo, decise di togliersi una curiosità.
-Senti, ma è vero che dopo aver bruciato un fortino della Marina hai mangiato il cuore dell’Ufficiale che era al comando?-
Anne smise di riverniciare una parete e lo fissò con tanto d’occhi, sbattendo le palpebre prima che un sorriso sinistro si affacciasse sul suo viso. -E se anche fosse?- sibilò in risposta, ammaliante e pericolosa come un serpente in procinto di attaccare.
Satch, in un contesto diverso e ben lontano da quello, l’avrebbe trovata sexy. Non che non lo fosse, ma aveva un’espressione che dava l’idea che stesse immaginando il modo migliore per mangiarlo e commettere così un atto di cannibalismo.
Fortunatamente, la ragazza scoppiò a ridere poco dopo, lasciando perdere la vernice e nascondendosi il viso con l’avanbraccio. -Avresti dovuto vedere la tua faccia!- lo informò, -Eri terrorizzato.-
Satch boccheggiò, trovandosi gabbato da una mocciosa che si era presa gioco di lui senza sforzo, quando i suoi fratelli tentavano da anni di fregarlo con scherzi e dicerie varie che lui, puntualmente, smascherava, mantenendo il primato di miglior giocherellone della nave, nonché bugiardo a tempo perso. A lei, invece, era bastato un attimo e l’aveva fregato e lo stava pure sfottendo. Oltre al danno la beffa!
Comunque, avrebbe trovato più tardi il modo di vendicarsi perché in quel momento Anne era rilassata e non tesa come sempre. Stava ancora ridacchiando e aveva ripreso a lavorare più serena, senza traccia del muso lungo che aveva tenuto per la maggior parte del tempo. Piano, con molta calma, stava riuscendo a farla sciogliere. Ci sarebbe voluto ancora molto, ma qualcosa gli diceva che bastava solo essere pazienti e poi sarebbero tutti stati felici, ne era certo.
-Fai meno la spiritosa.- borbottò, fintamente offeso, ma scambiandosi con lei un sorrisetto complice. Certo, quello di Anne era stato meno espansivo e più timido, ma era un punto di partenza ottimale su cui costruire un rapporto.
Chiacchierarono un pochino più di prima, rimanendo su argomenti vari e senza mai scendere sul personale. Il Quarto Comandante parlava per dieci e Anne non era di certo in vena di sbilanciarsi troppo, già si era pentita della risata che si era lasciata scappare senza volerlo perché troppo spontanea e impossibile da reprimere. E poi quell’idiota aveva davvero fatto una faccia comica. Lei che mangiava un cuore umano, assurdo! Mangiava di tutto e molto anche, ma non era una squilibrata. Un po’ disagiata e con qualche problema a relazionarsi con il mondo, ma non da arrivare a quei livelli.
In qualche modo, comunque, il sole calò e lei si ritrovò a guardarsi attorno, conscia di non essere arrivata nemmeno a metà dell’opera, ma non si disperò. Non era stato pesante e aveva avuto modo di distrarsi un pochino, dimenticandosi dei problemi e della lista che aveva da completare sui vari modi di uccidere il vecchio. A quella, però, avrebbe pensato dopo, visto che Satch stava blaterando qualcosa riguardo alla cena da preparare.
Il suo stomaco brontolò poco elegantemente e lei si coprì la pancia con prontezza, non abbastanza svelta da non attirare l’attenzione del castano, il quale la invitò a cenare assieme.
-Tutti in compagnia, sarà bellissimo! E ci divertiremo un sacco!- strillò allegro, saltellandole attorno, ma senza cercare di toccarla come al solito. Forse aveva capito l’antifona.
-Meglio di no, grazie.- disse lei in ogni caso. Non le andava di mangiare in una stanza enorme e piena di gente che odiava dove tutti l’avrebbero fissata, sussurrando alle sue spalle e tenendola d’occhio come se fosse stata in una prigione. In effetti si sentiva in catene, ma era solo il suo modo di vedere le cose.
Non si preoccupò di smontare le aspettative dell’uomo, tantomeno quello sembrò dispiaciuto. Si, perché a lui era bastato non ricevere il solito e secco ‘No’. Anne aveva, diversamente dalle altre volte, declinato l’invito in maniera garbata e non troppo fredda, perciò era decisamente un enorme passo avanti. Ancora pochi tentativi e se la sarebbe ritrovata in cucina a sgraffignare cibo dalle pentole.
-Beh, se cambi idea sai dove trovarmi.- concluse sorridendo, ricordandosi poi una cosa che aveva dimenticato. -Ah, e ci vediamo qui domani mattina per finire.-
-Diavolo, ma non vi potete arrangiare?- sbuffò Anne, gettando a terra martello e secchio di vernice per dargli le spalle e avviarsi sconsolata sottocoperta con in mente solo l’idea di un bel bagno e di una chiacchierata con i suoi uomini.
-Ma che dici! Assieme è sempre meglio!- la salutò il castano, osservandole alzare le braccia al cielo prima di beccarsi un gestaccio che lo mandava bellamente a quel paese, rimettendosi la camicia e dandosi una sistemata per andare dai suoi ragazzoni a riempire loro lo stomaco e immaginando già quel giorno in cui avrebbe diviso il piatto anche con Anne.
 
*
 
Quando Anne rientrò nella sua cabina, ovvero dopo una doccia e un saluto ai compagni, a stomaco ovviamente vuoto per l’ennesima volta data la sua testardaggine, si ritrovò con l’acquolina in bocca davanti al vassoio pieno di cibo adagiato sul cassettone che fungeva anche da comodino.
E chi se ne fregava del fatto che quell’idiota cotonato fosse entrato senza permesso, spazzolò via tutto senza pensarci due volte, architettando un modo per non fargli capire che aveva mangiato e apprezzato il gesto. Non poteva cedere ai sentimentalismi e alle gentilezze, proprio non doveva permetterselo.
Dopotutto, doveva vendicarsi di tutti, soprattutto del Primo Comandante. Oh, lui lo voleva morto quasi quanto Newgate, quindi che figura avrebbe fatto a gettare la spugna?

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Capitolo 6
*** 6. Spegnimi. ***


Whitebeard Pirates’ Flame.

 

6. Spegnimi.

 

Quel mattino Anne si era svegliata insolitamente di buon ora, quando il sole ancora doveva sorgere e l'alba stava accennando il suo imminente arrivo. 
Non era stanca, diversamente dalle altre volte in cui le capitava di scendere presto dal letto, ovvero prima di mezzogiorno, perché la sera precedente era crollata da qualche parte della nave, colta da un attacco di narcolessia, ma non ricordava come ci era finita poi nel suo letto.
Lasciando perdere tutto con una scrollata di spalle, uscì sul ponte, ritrovandosi a respirare a pieni polmoni quell'aria fresca che sapeva di cielo, mare e libertà. Il cuore batté persino più velocemente, tanto era contenta di poter assaporare quei momenti di pace che raramente si concedeva. 
Si diresse verso l'albero maestro, passando accanto alla cabina di Barbabianca, perfettamente intatta dopo che lei e Satch l'avevano ricostruita. Ci avevano messo circa un mese, allungando i tempi perché un paio di volte, colta dall'isteria, aveva bruciato qualche cosa. 
Ad ogni modo, era stata rimessa a nuovo e il vecchiardo aveva pure dato una festa in onore della sua nuova camera da letto alla quale lei si era rifiutata categoricamente di partecipare. Lei le distruggeva le cose, non faceva feste per averle ricostruite. 
La ignorò, superandola e stringendo i pugni. Il russare pesante si sentiva fino a fuori, ma non era in vena di tentare un altro attacco alla salute di Newgate perché, anche se odiava ammetterlo, la botta alla schiena che si era beccata la settimana prima le doleva ancora.
Forse aveva esagerato o forse aveva dato motivo agli altri di pensare che volesse fare una strage, ma la verità era che, dopo aver tentato un altro dei suoi assalti, non era riuscita a spegnere le fiamme. In quell’occasione si erano come rifiutate al suo volere e avevano continuato ad agitarsi anche quando Satch le si era avvicinato per calmarla col suo solito sorriso, rischiando di venire bruciato.
Anne aveva subito tentato si scusarsi, avvisandolo che non era lei che non andava, ma a quel punto poco era valso il suo tentativo di spiegarsi.
Era intervenuto il Primo Comandante, atterrando da chissà dove ad un passo da lei, sovrastandola con la sua altezza e guardandola come se fosse stata la cosa peggiore e più cattiva del mondo.
Non sapeva bene perché, ma le aveva fatto più male in quel modo che nel lato fisico. Sapeva di essere sbagliata, ma vederselo sbattere in faccia in quella maniera era stato... Brutto.
Marco l'aveva scagliata contro il parapetto in un secondo, facendo scricchiolare le assi di legno, e le sue vertebre, in modo sinistro, mentre sul ponte era calato il silenzio più tombale. 
Aveva tossito sangue, ma ormai non si impressionava più per così poco, perciò si era pulita la bocca con un polso e si era rialzata, barcollante, ma lo aveva fatto, senza ascoltare la voce della ragione che le aveva consigliato vivamente di arrendersi, mettendosi invece in posizione di attacco e lasciando che le fiamme le avvolgessero braccia e gambe. 
Se non era riuscita a spegnersi, si sarebbe fatta spegnere.
Aveva guardato Marco e lui l'aveva fissata a sua volta. Non si era mai soffermata a studiarlo bene, non sapeva come si muoveva e ogni volta che la mandava fuori bordo era troppo improvviso anche solo per percepirlo e assimilare il modo di combattere. Non sapeva niente di lui, né del suo potere e della sua forza, ma non importava. Conosceva se stessa abbastanza bene da sapere che non la spaventava e che non avrebbe abbassato la testa pe nessuna ragione. Poteva essere fortissimo, anche il migliore, ma lo era anche lei. Era lei che aveva dominato le acque fino all'Arcipelago Sabaody e nulla le avrebbe impedito di farlo anche nel Nuovo Mondo. 
Così si era lanciata all'attacco, colpendo Marco con calci e pugni infuocati, invocando barriere di fuoco e reti fiammeggianti per chiuderlo in uno spazio delimitato per lasciare fuori gli altri, tenendoli al sicuro. Non era riuscita a colpirlo nemmeno di striscio, ma non si era fermaa ugualmente. Aveva continuato ad attaccare senza sosta mentre lui schivava i colpi con facilità, cogliendo tutte le occasioni per colpirla l'attimo dopo che aveva sferrato un colpo, spingendola a terra, sbalzandola per qualche metro o semplicemente facendola incassare e chinarsi per attenuare un poco il dolore.
Ma Anne non si era fermata. Era stanca, spossata, i muscoli le dolevano e il respiro bruciava nei polmoni come se fosse stata piena di cenere, eppure le fiamme non si erano ancora spente e ardevano minacciose contro Marco che, impassibile, continuava a guardarla con quello sguardo impossibile da decifrare, anche se lei era certa che potesse solo disprezzarla od odiarla. Dopotutto, chi avrebbe potuto capirla? Aveva tentato fino al giorno prima di uccidere Barbabianca, perché avrebbero dovuto credere che non stesse tentando di farli fuori tutti? Lei però  voleva proteggerli, voleva evitare di compiere una carneficina che comprendesse anche i suoi uomini fidati, almeno era quello che si ripeteva per evitare di accettare il fatto che volesse salvare anche tutti gli altri. Se non poteva controllarsi, almeno il più forte lì a bordo l'avrebbe fatto al posto suo. Marco, però, non l'aveva ancora spedita ammollo e lei lo stava maledicendo per quello.
Era sfinita, ma doveva continuare ad attaccare per dargli un motivo per stenderla, anche se quello sembrava stare solo perdendo tempo e ciò le dava altamente fastidio.
Quindi aveva preso lo slancio e si era scaraventata addosso a lui, dirigendo il suo micidiale Pugno di Fuoco sul suo petto, contro il simbolo della ciurma che aveva tatuato e che sfoggiava con fierezza tenendo aperta la camicia. 
Marco dovette pararlo quello, facendosi scudo con le braccia e divaricando le gambe per non perdere l'equilibrio. Non aveva usato il potere del frutto, ma si era ricoperto di armatura per neutralizzare il fuoco, assimilando ogni dettaglio dell'attacco di Anne. Il fuoco, le fiamme, la disperazione.
-Spegnimi!- gli aveva detto la ragazza, un sussurro appena accennato che non era nemmeno certo di aver udito. Forse lo aveva solo immaginato, ma quegli occhi neri erano stati troppo sinceri per farlo dubitare e, per quanti guai avesse causato quella mina vagante da quando era arrivata, non poté fare a meno di ascoltarla, evitando il colpo successivo spostandosi di lato e facendo barcollare Anne in avanti che, trovando il vuoto, aveva perso l'equilibrio per la forza che aveva messo nel suo pugno. 
Poi era arrivata la fitta lancinante alla schiena e la sua visuale aveva vacillato fino a inquadrare il pavimento e le assi cotte da sole, ma tirate a lucido, solo più calde del previso per via del fuoco. Con fatica aveva sollevato una mano e, nonostante avesse sentito le forze venire meno, aveva resistito fino a che non aveva avuto conferma che le fiamme si erano effettivamente spente. Solo allora si era permessa di abbandonarsi alla stanchezza, sfinita, senza nemmeno un briciolo di energia o di scintille, vedendo le figure sempre più sfocate e sorridendo debolmente.
Si era spenta, alla fine.
Tirò un sospiro di sollievo ripensando a quel giorno, massaggiandosi distrattamente la parte bassa della schiena mentre ricordava il combattimento, se così poteva chiamarlo.
Aveva fatto schifo, doveva ammetterlo e ciò faceva ardere il suo orgoglio, ma era la verità. Non lo aveva colpito nemmeno una volta e si era resa conto che il suo modo si combattere aveva un sacco di falle. Troppo diretto e istintivo, non si fermava a pensare, a fare strategie, non studiava l'avversario, attaccava e basta, come un animale. Aveva funzionato fino ad allora, ma non andava più bene e, per quanto detestasse farsi un esame di coscienza, sapeva che doveva allenarsi e migliorare perché non era più abbastanza. Non riusciva a controllare nemmeno il suo potere, come avrebbe potuto quindi raggiungere i suoi obbiettivi? 
Stava rimuginando su tutte quelle cose, quando udì dei passi avvicinarsi con calma. 
Non si scompose a guardare chi fosse, un po' se lo immaginava e, a dirla tutta, se lo aspettava, perciò rimase a guardare l'orizzonte, godendosi quella poca tranquillità che si creava quando tutti dormivano ancora, attenuando per qualche ora il brusio concitato che c'era durante il giorno.
Marco la affiancò pochi istanti dopo, le mani nelle tasche dei pantaloni leggeri e azzurri come i suoi occhi, l'aria rilassata e i capelli ancora disastrati per il sonno. Lei, però, non era nessuno per giudicare perché era consapevole di avere l'aspetto di una stracciona, capelli aggrovigliati compresi.
Non si parlarono, non l'avevano mai fatto, ma lei non parlava con nessuno se non con i suoi uomini. E con Satch, ma lui la assillava per ore prima di intavolare una conversazione che la faceva dubitare della sanità mentale dell'uomo.
Aveva notato che, dalla scorsa settimana, Marco le si avvicinava spesso e apparentemente senza l'intenzione di raggiungerla, per esempio legando una cima o sistemando qualcosa giusto vicino a lei. All'inizio Anne non ci aveva fatto caso e aveva davvero pensato di trovarsi sempre in mezzo quando lui lavorava, poi si era accorta dell'occhiata che lanciava alla sua schiena e poi al suo viso e aveva capito la tacita domanda. Era un modo silenzioso e riservato di chiederle come stava e lei aveva preso ad annuire. 
Anche il quel momento di sentiva osservata e si godette per un attimo la sensazione. Non era male, nessuno mai la guardava con garbo e avrebbe potuto abituarsi alla cosa. 
Annuì, sorridendo distrattamente tra sé e pensando che le faceva ancora male quando si alzava dal letto, ma il dolore era diventato sopportabile e stava svanendo. Ci era andato giù proprio pesante con lei e la cosa invece che dispiacerle la faceva sentire forte, voleva dire che era stata un osso duro alla fine.
Come da copione, Marco se ne andò poco dopo a sbrigare le sue mansioni, lasciandola in pace senza opprimerla. Aveva capito che, se avesse avuto bisogno, si sarebbe fatta avanti in un modo o nell'altro, sperava però di non dover più ricorrere alla violenza e lei pregava tutti i Santi per non doversi più abbassare a chiedere aiuto.
Il sole sorse pigro, rischiarando l’acqua e la Moby Dick, illuminandola e facendole dare sfoggio di tutto il suo splendore. Come nave era davvero imponente, doveva ammetterlo, e in quanto a potenza non c’era dubbio che fosse indistruttibile.
Rimase a crogiolarsi sul parapetto con le gambe a penzoloni nel vuoto ancora un poco, rilassandosi a dovere e cercando la voglia di muoversi da lì e inventarsi qualcosa per la giornata. Si era annoiata in quel periodo senza tentativi di omicidio dovuti alla sua rianimazione anche se le distrazioni non erano mancate e rinunciarvi stava diventando molto difficile, soprattutto perché quei bastardi sapevano vendersi bene. Un giorno organizzavano gare di tirassegno; un altro mettevano su tornei di lotta libera; combattimenti con svariate armi che non aveva mai visto; battute di pesca; caccia ai mostri marini e altre svariate attività che moriva dalla voglia di provare, cimentandosi e facendo cose diverse dalle solite.
Forse uccidere il vecchio stava diventando noioso, o la sua volontà stava venendo meno, ad ogni modo non ci aveva ancora rinunciato e, conoscendosi, difficilmente l’avrebbe fatto. Come non si sarebbe unita a quegli idioti e ai loro stupidi giochetti, ecco perché si era sempre limitata ad osservarli da lontano, stringendo le ginocchia al petto e passando ore a seguire le gare e ad allungare il collo per intravvedere il vincitore.
Quella mattina, dopo colazione, la maggior parte della ciurma assieme ad alcuni Comandanti si era riunita per un'altra partita e lei, come al solito, aveva trovato un posticino all’ombra, non troppo vicino, ma neanche troppo distante, così da poterli guardare e ridere delle sfortune altrui, almeno quando non era lei a dover subire.
Satch dava sempre il meglio di sé per tormentare le persone, saltando da una parte all’altra addosso a tutti e facendo ridere più di qualcuno con le sue battute e la risata sguaiata e contagiosa. La maggior parte gli dava corda e solo pochi scuotevano il capo sconsolati. Lei, in situazioni differenti, avrebbe contribuito alla loro esasperazione, ma non era nella condizione di unirsi e preferiva rimanere a tenere il broncio con il suo orgoglio ferito standosene in disparte. Non era da lei, la sua natura bruciava rinchiusa in una gabbia, ma non poteva mandare tutto in malora per divertirsi con quella gente che non aveva mai fatto nulla per farla stare male, eccetto sbatterla fuori bordo quando tirava troppo la corda. Ridevano tutti quando accadeva, persino i suoi uomini e uccidere il vecchio era diventato una specie di teatrino che perdeva di significato ogni giorno che passava. Improvvisamente non le interessava più organizzare agguati nel dettaglio notte e giorno come faceva all’inizio, ma si trovava sempre più spesso curiosa di concentrarsi su altro, su tutto quello che la circondava perché, effettivamente, c’era del bello.
Sospirò combattuta, togliendosi il cappello dal capo e poggiandolo sul pavimento, tirandosi all’indietro la chioma corvina e indomata per vederci meglio e non avere troppo caldo, lasciando libero il viso e le lentiggini che spuntavano sul naso e le guance.
La presenza di Marco appoggiato alla parete a pochi passi da lei, intento pure lui a guardare cosa si stavano inventando i ragazzi quel giorno, fu quasi naturale, come se ci fosse sempre stato. Forse era lei che era andata a sedersi da quelle parti, o lui era apparso come faceva spesso senza che se ne rendesse veramente conto, in ogni caso erano lì a godersi le scenate sul ponte principale, nulla in particolare da dirsi, ma andava bene ad entrambi.
Anne aveva un sacco di cose su cui riflettere ed erano tutte troppo incasinate da comprendere al volo, soprattutto perché non era mai stata un tipo pensieroso o che rifletteva sul da farsi, ma sapeva che avrebbe dovuto affrontare il tutto, prima o dopo. In quel momento, però, svuotò la mente e lasciò che la vita di bordo la avvolgesse, prendendosi un momento per fingere di essere una persona normale con una vita altrettanto normale, senza odio e rancore, solo con tante aspettative e sogni nel cassetto, circondata da compagni.
E le piacque talmente tanto da fare male.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Eh si gente, sono tornato, prima del previsto questa volta, quindi mi scuso solo in parte, LOL. Dai, con l’università ora va meglio, ma il tempo è sempre poco e la real life mi fa andare fuori di testa a volte.
Comunque, nuovo capitolo dove troviamo Anne assorta nel ricordo del suo primo combattimento quasi serio contro Marco. Lei ha problemi a controllare ancora bene il potere del frutto e per salvare gli altri chiede aiuto al Primo Comandante di spegnerla dopo che era intervenuto in difesa di Satch.
E niente, Anne sta cambiando atteggiamenti e idee, perciò presto si troverà ad interagire più da vicino con tutti gli altri!
Alla prossima! (Spero prima di Natale)
 
Portgas

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Capitolo 7
*** 7. Storie dell'orrore (Parte 1) ***


Whitebeard Pirates’ Flame.

 

7. Storie dell’orrore (Parte 1)

 

Lo aveva saputo fin dall’inizio che quell’isola avrebbe portato solo guai; lo aveva capito ancora prima di sentirselo annunciare quella mattina da quello scemo di Satch in persona, il quale aveva avvisato tutti loro che quello sbarco sarebbe stato fonte di immense gioie, tesori e soddisfazioni, accompagnando le sue parole con le sopracciglia castane ben sollevate verso l’alto e continui ammiccamenti ai suoi fratelli maschi.
Haruta era stata furba e se l’era battuta subito, declinando l’invito a partecipare a quella missione insulsa, dando segno di sapere già di cosa si trattasse, ma Anne purtroppo non era stata altrettanto veloce, colpa di una notte insonne e di una mattinata passata a dormire sulle scomode assi del pavimento della stiva che le avevano dato da pulire come punizione per il suo novantacinquesimo tentativo di omicidio. Andato a vuoto, per la precisione.
Satch l’aveva intercettata mentre tentava di allontanarsi tra le teste dei compagni che avevano alzato la mano come volontari e l’aveva chiamata a gran voce, strillando ringraziamenti pomposi per il suo spirito di partecipazione, incurante del dito medio che lei gli aveva subito rivolto, scappando dalla cambusa.
Il destino, però, aveva voluto che in quel momento Vista stesse scendendo le scale, perciò gli era finita addosso senza rendersene conto, troppo impegnata a defilarsi, e quello l’aveva presa per le spalle, fatta voltare e rispedita nella stanza dove uno sghignazzante Satch l’aveva raggiunta sorridente, passandole un braccio attorno alle spalle e stringendosela contro.
Di positivo c’era stato che, nell’esatto istante in cui si erano resi tutti conto che due Comandanti l’avevano toccata senza che lei desse in escandescenze, era calato il silenzio e per cinque minuti buoni nessuno aveva saputo cosa dire, nemmeno quel chiacchierone di Satch e per Anne era stato il momento più bello della sua vita fino ad allora. Pazienza che dopo avesse dovuto sorbirsi il suo sorrisetto complice e i castelli in aria che si era fatto sulla loro inesistente amicizia e sulla simpatia reciproca, a lei era bastato e avanzato che fosse rimasto senza parole, per quello aveva ingoiato il rospo e non aveva obiettato a seguirli sull’isola.
Le si era contorto lo stomaco, ma aveva resistito alla vista lugubre di quell’accenno di terra coperta dalla nebbia, la quale rifletteva la luce del sole in modo particolare dando ai dintorni un’atmosfera spettrale e gettando bagliori violacei su ogni superficie.
Aveva represso il disgusto appena aveva messo piede sulla costa priva di sabbia e ricoperta di sassi e pietre aguzze, osservando gli strapiombi che vedeva in lontananza a est e l’unico promontorio situato ad ovest che si ergeva di fronte a loro, con un sentiero irregolare che scompariva nel folto della vegetazione composta da pini e altri alberi secchi, storti e spogli.
-Non è una meraviglia?- aveva esordito Satch, piazzandosi in prima fila con le mani sui fianchi, la testa alta e il sorriso smagliante.
-Affascinante.-
Anne si era passata con finta casualità le mani sulle braccia, tentando di nascondere i brividi che le erano affiorati sulla pelle quando aveva sentito il commento sarcastico di Marco alle sue spalle. Perché, ovviamente, la ciliegina sulla torta era stato scoprire che ci sarebbe stato anche lui e non era ancora riuscita a capire se le aveva dato fastidio o meno.
Di certo, non poteva averle fatto piacere!
Non si era però preoccupata di celare tutto lo schifo e la nausea che aveva provato quando, dopo una camminata di un paio d’ore su un sentiero accidentato dove più di qualche loro compagno aveva rotto gli stivali, erano giunti a destinazione, ovvero alle porte d’ingresso del macabro e decadente castello che vantava il merito di essere l’unica costruzione presente in quel luogo. Era bastato varcare la soglia per costringerla a tapparsi il naso per non dare di stomaco a causa dell’aria irrespirabile che sapeva di decomposizione. L’unica nota positiva era stato vedere le facce sconvolte dei marinai che li avevano accompagnati e la sorpresa non gradita stampata sul volto di Satch, Blamenco e Rakuyo. Marco, come al solito, era rimasto impassibile come una statua.
Il fondo, però, lo avevano toccato quando avevano iniziato a trovare i primi cadaveri lungo il corridoio d’entrata. Donne svestite e con evidenti segni di frustate in tutto il corpo. I piedi erano stati bruciati.
A quel punto, Anne era sbottata.
Si era avviata fulminea verso Satch e, una volta raggiunto, lo aveva afferrato per il colletto della camicia e iniziato a strattonarlo come un pupazzo inanimato, completamente sicura che nessuno avrebbe osato mettersi in mezzo.
Infatti, non un uomo mosse un muscolo; i marinai erano troppo tesi ed impegnati ad osservare a bocca aperta la scena, mentre i Comandanti non si erano preoccupati minimamente per il loro compagno, concordanti sul fatto che, anche se Anne lo avesse bruciacchiato, se lo sarebbe meritato per il casino in cui li aveva messi.
-Dove cazzo siamo?- gli aveva urlato addosso la giovane, riuscendo perfettamente a trattenerlo nonostante fosse più bassa di parecchi centimetri.
Il castano aveva deglutito a fatica, pregandola di calmarsi, ma ciò l’aveva fatta solo infuriare di più e le fiamme che avevano preso a fluirle sulla schiena al posto dei capelli ne erano la conferma.
Automaticamente era apparso Marco accanto a loro e aveva gentilmente, ma con fermezza, afferrato una mano della ragazza per farle intendere che stava superando il limite, rivolgendosi nello stesso momento al fratello in maniera pacata e seria. -Satch, non avevi detto che il posto era sicuro?-
Anne aveva sgranato gli occhi e aveva mollato la presa sui vestiti del Quarto Comandante all’istante, memore dell’ultima sconfitta che il biondo le aveva inferto, ma ciò non era bastato perché Marco le lasciasse libero il polso. Satch, dopo essersi sistemato il colletto spiegazzato, aveva tossito per schiarire la voce, passandosi nervosamente una mano tra i capelli diventati un disastro per l’umidità.
-L’ultima volta che ci sono stato lo era.- aveva spiegato, stupito anche lui del cambiamento. -Fuori sembrava sempre di stare in un racconto dell’orrore, ma qui dentro era una reggia. Era pieno di gente, cibo, vino e donne, mentre adesso… non lo so cosa sia successo!- ammise infine.
Anne aveva smesso di fissare allibita la mano ancora stretta sul suo braccio e aveva fatto scattare il capo verso il castano, sentendosi colpita in particolar modo nell’orgoglio. -Stai dicendo che era una casa di piacere? Ci hai portati in un bordello?- e, parlando, il tono era saluto di svariate note.
Aveva visto Satch impallidire e sarebbe finita per prenderlo a schiaffi se Rakuyo non avesse calmato gli animi, dividendoli e prendendo l’iniziativa di perlustrare il primo piano per vedere se era rimasto qualcuno in vita da poter aiutare. In caso contrario, se ne sarebbero andati senza curiosare sulle sventurate sorti che si erano abbattute sul maniero.
Anne aveva aspettato imbronciata che tutti le fossero passati davanti ma, anche volendo, non avrebbe comunque potuto spostarsi perché Marco non si era ancora scollato via da lei e la cosa aveva iniziato ad irritarla, tanto che, una volta rimasti per ultimi, gli aveva rivolto un’occhiataccia torva che era stata subito intercettata dagli occhi chiari dell’uomo.
-Pensi di farmi da balia tutto il tempo?- aveva sbottato, ottenendo finalmente la sua liberazione con allegato un ghigno ironico.
-Potrei prendere in considerazione l’idea dato che sono l’unico che riesce a rimetterti in riga.- le aveva risposto il biondo di rimando prima di accodarsi agli altri. -Sbrigati, non ho voglia di venirti a cercare se ti perdi.-
E lì Anne si era resa conto che non appena si era svegliata quella mattina il suo sesto senso, o forse era stato lo stomaco che aveva brontolato?, le aveva detto che sarebbe stata una giornata di merda.
 
*
 
La sala principale era uno spettacolo orrendo e angosciante persino per loro che erano pirati e lei avrebbe sfidato chiunque, anche il peggiore dei diavoli, a non rimanerne impressionato.
-Questo posto é… é…- mormorò Rakuyo a corto di parole, mentre Satch affianco a lui era pallido come un cadavere.
-Inconcepibile!- disse Anne, stringendo i pugni lungo i fianchi. -Guardate come hanno ridotto quei poveretti!-
Alcuni marinai furono d’accordo con lei, cosa insolita perché spesso e volentieri si tenevano a debita distanza dal Fuoco d’Artificio della Moby, come l’avevano scherzosamente, e giustamente, soprannominata alcuni.
-Chi può aver fatto una cosa del genere?- si chiese Blamenco ad alta voce, dando vita alla domanda che tutti avevano per la testa e di cui solo uno conosceva la risposta.
Infatti, quello iniziò subito a parlare a raffica.
-Insomma, io sapevo che non aveva tutte le rotelle al posto giusto. Mi avevano detto che era una sadica, ma non fino a questo punto. E per fortuna che non ci sono mai andato a letto, Dio solo sa cosa avrebbe potuto farmi! Aspettate, credo che darò di stomaco.-
Satch si coprì la bocca con la mano per bloccare un conato, probabilmente frutto del suo ragionamento che lo aveva portato a rendersi conto della fortuna che aveva avuto in passato e cosa si era evitato.
Rakuyo imprecò a mezza voce, scuotendo il capo. -Deficiente, in che guaio ti sei infognato?-
Il castano si prese il volto tra le mani nel tentativo di calmarsi. La situazione non era delle migliori e gli uomini si erano stretti gli uni agli altri per non sentirsi scoperti o facili prede. Blamenco, addirittura, era diventato l’ombra di Anne, non avendo problemi ad ammettere almeno a se stesso che lei era una di quelli più forti presenti nella sala.
-Vi ricordate di quella volta che sono tornato strafatto e con un carico di vino pregiato e quel tabacco che abbiamo usato per le sigarette che ci hanno dato alla testa? Ecco, avevo preso tutto qui. Me lo avevano dato gratis! Ma erano tutti così affabili e, come dire… uhm, disponibili?-
Satch faticava a spiegarsi e in parte era per il cipiglio scuro di Anne, la quale lo stava bruciando non con il suo potere, ma con lo sguardo perché aveva capito benissimo l’allusione alla prostituzione, nonostante l’uso accurato di sinonimi.
Marco, che si era accorto della cosa, ignorò l’astio della ragazza e spronò Satch a continuare. Quella storia non gliel’aveva mai raccontata a dovere, era giunto il momento quindi di scoprirne tutti i dettagli. -Vai avanti.-
-Ma non ho altro da dire! Non so cosa sia successo e che io sappia nessuno ha mai parlato male della Contessa Báthory.-
Marco corrugò la fronte. Non aveva mai sentito quel nome e, a giudicare dalle facce curiose e piene di interrogativi, nessun altro aveva idea di chi fosse quella donna menzionata da Satch. Stava giusto per chiedergli altre spiegazioni, quando fu Anne a prendere parola prima di lui, risultando stupita.
-Báthory? Erzsébet Báthory?- chiese conferma e, davanti all’annuire del castano, la sua risata fu tanto inaspettata quanto glaciale e priva di divertimento. In quell’ambiente, faceva addirittura paura.
-La cosa ti diverte?- domandò seccamente Marco, il quale non era dell’avviso di incutere ulteriore timore al resto della ciurma. Bastava e avanzava la faccia del Quarto Comandante a destabilizzarli più del dovuto.
Anne incrociò le braccia al petto e sorrise guardandolo sarcastica. -Molto, e sai perché? Te lo spiego io: questo idiota è stato in casa di una vampira e nemmeno lo sapeva.-
Rakuyo e Blamenco la guardarono allibiti; alcuni marinai trattennero il respiro e altri rimasero semplicemente di stucco; Satch barcollò all’indietro fino a sedersi su di una panca poco lontano e Marco, il quale aveva sperato fino alla fine di poter mantenere calmi gli animi di tutti si preparò a dover contenere il putiferio che la paura fece scattare pochi istanti dopo.
 
*
 
Ci era voluta una buona mezz’ora prima che i tre Comandanti riuscissero a richiamare gli uomini all’ordine. Non erano molti, ma venticinque pirati spaventati non erano facili da gestire, soprattutto perché le reazioni erano molteplici e differenti in ognuno, e giustamente perché non erano tutti caratteri uguali, ad ognuno il suo, ma a Marco doversi imporre non piaceva, ecco perché, quando riuscì a farsi ascoltare dalla ciurma alzando la voce e impartendo l’ordine di mantenere la calma, si rivolse ad Anne non più con il tono quasi colloquiale e ironico che le aveva riservato fino ad allora, perché era la prima volta che parlavano così tanto loro, ma bensì con uno più autoritario e deciso.
-Spiega a tutti questa assurdità, ora.-
Se Anne era rimasta colpita da quel tono non lo diede a vedere, ma iniziò piuttosto a chiarire le sue parole sostando in piedi di fianco a Satch, il quale non si era più mosso dalla panca, e gettando di tanto in tanto qualche occhiata di sottecchi verso il biondo Comandante, trovandolo sempre intento a fissarla con quell’aria da Capitano che ben chiariva a tutti quali erano i ruoli.
-La Bloody Countess.- sillabò la ragazza, appoggiandosi alla parete con la schiena per stare comoda, dato che sarebbe stata una lunga storia e certamente piena di interruzioni e domande scomode. -Toglimi una curiosità, Satch, siamo a Cachtice Island, vero?-
Il castano sobbalzò e alzò il viso verso di lei e quasi le fece pena. -Si, è questa.-
-Ma se la conosci perché non ci hai avvisati?- domandò un marinaio, attirando l’attenzione di Anne sulla ciurma, facendole scoprire che una buona parte si era accomodata a terra, ben lontana dai cadaveri che riempivano il salone.
Lei sbatté le palpebre a quella visione per lasciar perdere la cosa con un’alzata di spalle e rispondendo che non ci era mai stata e nemmeno sapeva in precedenza che aspetto avesse l’isola. Era a conoscenza solo della padrona di casa e delle dicerie misteriose che giravano per il mondo.
-Ci sono parecchie storie e teorie su di lei e, badate, sono vere tutte. Era la figlia di una ricca famiglia, gente altolocata, ma con un albero genealogico che vantava qualche pazzo di troppo, cose come personalità violente, streghe e alchimisti e lei non era da meno. E’ cresciuta con una balia che l’ha introdotta alla magia nera e, quando è diventata abbastanza grande da poter essere utile alla famiglia, è stata data in moglie ad un uomo ancora più violento di suo padre, un pirata che le insegnò svariati metodi di tortura. Non è una novità che, infatti, i nobili sfoghino la loro crudeltà sulla servitù, solo che Erzsébet non si limitava alle classiche bastonate.-
-E cosa faceva?- la interruppe Rakuyo, beccandosi un’occhiataccia da Blamenco e Satch. Bastava guardare i cadaveri attorno a loro per farsi un’idea.
-Scusate, mi piacciono le storie dell’orrore.- disse allora il compagno, giustificandosi.
Anne si morse il labbro a disagio, ma decise ugualmente di continuare. -Picchiava i servitori fino a che i loro corpi non si gonfiavano per i lividi e poi praticava incisioni sulla pelle per farli morire dissanguati; li lasciava fuori in inverno facendoli morire congelati; cuciva loro la bocca o bruciava, per l’appunto, loro i piedi e poi…-
-Credo sia sufficiente.- concluse lapidario Marco e non ci fu bisogno di guardarlo per capire che era contrariato. Anne annuì per istinto, sentendo di doverlo fare, cosa che quando ci rifletté la fece innervosire, ma mise da parte il suo stato d’animo per finire quel racconto.
-Praticava incantesimi, si interessava alla magia nera e ai malefici; la sua casa era diventata il covo di alchimisti, negromanti e gentaglia varia. Prima vi parlavo di vampiri, ecco, si dice che uno di loro vivesse sotto il suo tetto e che lei la notte lo accompagnasse per poi rientrare tutta imbrattata di sangue, infliggendo di giorno sulla servitù e sulle persone che catturava per le strade.-
-Rapiva la gente?- fu il turno di Blamenco di farle domande e lei rispose affermativamente, spiegando che era la Contessa di un territorio piuttosto vasto, perciò se qualcuno spariva nessuno se ne accorgeva in tempo, tantomeno davano a lei la colpa.
-Sparivano giovani, donne e bambini anche e la sua dimora era diventata la casa dello scempio, dell’affronto alla normalità, ma tutto quel potere l’aveva resa boriosa e incauta, finendo per farle fare passi falsi quando decise di prendere in ostaggio figli di altre case nobili, tirandosi addosso il sospetto e l’intervento delle alte sfere. Era una pazza con manie di grandezza che ha osato troppo, finendo per interessare il Governo e, per farvela breve, la Marina ha stanato il marito e i suoi seguaci quando ha messo piede nei suoi poderi, liberando i pochi superstiti. In quanto a lei, una volta raggiunte le sue stanze si sono trovati davanti ad un incendio e, a fuoco spento, i corpi rimasti erano carbonizzati.- concluse Anne, smettendo di parlare e lasciando cadere dietro alle sue ultime parole il silenzio più profondo al quale tutti si abbandonarono per riflettere ed elaborare il suo, per alcuni tratti assurdo e incredibile, racconto.
L’atmosfera di apparente calma si spezzò come il respiro di Satch qualche minuto più tardi. Il fruscio dei suoi vestiti e il movimento d’aria accanto a lei le fece capire che si era alzato di scatto e i versi di sorpresa mista a terrore degli uomini unito allo sguainare delle spade le diedero conferma delle conclusioni che aveva tratto da sola.
Rialzò il capo, scostando il cappello dalla fronte per trovare la ciurma in posizione d’attacco, le armi pronte all’uso e i Comandanti ad aprire la strada, pronti a dare l’ordine di attaccare.
Davanti a loro, figure vestite di nero dalla pelle pallida e gli occhi rossi, capeggiati da una donna che pareva quasi eterea, ma che in realtà era la prova reale che i vampiri esistevano davvero.
-L’avevano data per morta.- mormorò, staccandosi dal muro e muovendo qualche passo per superare la linea di marinai, arrivando a posizionarsi tra Rakuyo e Marco per vedere bene con i suoi occhi quel tetro avvenimento. -Fino ad ora.-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Hey maaaaaaaan.
Mi dispiace, sono sparito per, uhm, troppo tempo credo, e nel frattempo non posso nemmeno dire di essermi portato avanti. Avevo pronto solo questo capitolo, il prossimo è a metà e se devo essere sincero spero che la vita mi permetta di riprendere questa fic perché, ve lo confesso, vorrei tanto che qualcosa si evolvesse tra la nostra fighissima bella Anne e Marco.
Mi dispiace per il macabro, ma a me piace, lol. Questa Contessa è veramente, credo, esistita e si trova nella lista dei Serial Killer del mondo. Se vi interessa leggervi i loro profili me lo domanderete privatamente perché non credo di poter fare pubblicità .-. però meritano e danno un sacco di spunti, come nel mio maldestro caso.
Spero di essermi fatto perdonare, almeno Anne comincia a lasciarsi toccare senza dare di matto e strani pensieri combattono nella sua mente riguardanti il Primo Comandante, se ci avete fatto caso. Cogliete i segnali, non ve ne pentirete.
Vi chiedo ancora scusa, ma mi sono laureato (heya) e ho trovato lavoro e non ho più tempo di fare nulla.
A presto stavolta, spero,
 
Portgas

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Capitolo 8
*** 8. Storie dell'orrore (Parte 2) ***


Whitebeard Pirates' Flame

8. Storie dell’orrore (Parte 2)


Davanti a loro stavano quegli essere simili ad umani, ma allo stesso tempo diversi sia per il colore troppo pallido della pelle, sia per l'aria crudele che si leggeva chiaramente negli occhi innaturalmente rossi ed inquietanti.
D'istinto, Anne si mise in posizione d'attacco, pronta ad agire al primo movimento sospetto, lasciando il compito ai Comandanti di prendere l'iniziativa. Dopotutto, lei il suo grado di Capitano lo aveva perso.
Gli uomini alle sue spalle la imitarono senza rendersene conto, sfilando le loro armi e preparandosi ad affrontare quelle creature che li guardavano con l'evidente acquolina in bocca, come se fossero stati una portata prelibata e lei ne sapeva qualcosa sull'amore per il cibo, ma non era il caso di fare paragoni o mettersi a pensare a mangiare.
Ad una decina di metri da loro, la Contessa e il suo corteo non muovevano un muscolo, tranne forse gli occhi. Si, quelli scorrevano sulle figure di quelli che per loro altro non rappresentavano che pasti fatti di sangue, tanto quanto ne bastava per riprendere le forze e ne avevano assolutamente bisogno dopo quella lunga carestia che li aveva costretti a cibarsi di se stessi.
Ecco a cosa stava pensando Erzsébet Báthory, al sangue e al modo più veloce, ma anche divertente, che poteva trovare per dissanguare quegli sciocchi.
Osservò nelle retrovie, selezionando già qualche buon candidato per poi passare a quelli che dovevano di certo essere il piatto forte e non solo per potenza e prestanza fisica.
Ignorò di proposito la ragazzina che la guardava come se fosse stata il Demonio e si concentrò sui quattro uomini che la affiancavano, uno più robusto dell'altro e nel giro di un paio di secondi aveva scelto il suo futuro giocattolo, quello che avrebbe ucciso per ultimo dopo averlo sfruttato in più di qualche modo perverso. Non era una sprovveduta, però, e aveva capito che il biondo doveva essere il leader, perciò era meglio indebolire il gruppo prima di attaccarlo e lei sapeva esattamente come fare.
Anne si irrigidì quando vide la Contessa sussurrare qualcosa alla donna accanto a lei e, l'attimo dopo, dovette incrociare le braccia davanti al viso ed attivare uno scudo di fuoco per difendersi dall'ondata di polvere nera che investì lei e il resto della ciurma e che, tempo di un battito di ciglia, era sparita e con essa quegli esseri demoniaci.
Si guardò attorno, eliminando le fiamme per non attirare l'attenzione e notando ad una prima occhiata che sembravano essere tutti interi.
-State bene? Ci sono feriti?- domandò Rakuyo, controllando i marinai al volo, i quali annuirono.
-Ma cosa è stato?- chiese uno di loro, confuso.
-Ho temuto il peggio per un momento.-
-Ehi, ma dove sono Maci e Naveen?- domandò un altro, cercando i due compagni con aria preoccupata. -Erano al mio fianco, ne sono certo!-
Anne prese a contare le teste che vedeva per fare una stima dei presenti, ma venne interrotta dalla voce isterica di Blamenco che, aggrappandosi alle spalle del fratello Rakuyo, strillò: -Hanno preso Satch!-
Il silenzio che calò durò un solo istante prima di venire spezzato dal terrore generale dei marinai. Anne pure si sentiva inquieta, anche se non nascose lo sbuffo nervoso che le sfuggì dalle labbra mentre pensava che tra tutti era stato catturato proprio l'idiota cotonato.
Non era il caso, ad ogni modo, di fare dell'umorismo perché il tono glaciale di Marco zittì tutti quanti e le fece accapponare la pelle nel vedere la rabbia che gli lesse in viso mentre caricava una pistola.
-Datevi una calmata.-
-Che facciamo ora, Marco? Chiamiamo i rinforzi? La Moby dev'essere in zona...- propose Rakuyo, passandosi una mano sul viso.
-No, non ha seno dare altre preoccupazioni al babbo, ce la caveremo.- lo zittì il biondo senza guardarlo e dirigendosi verso le scale che portavano di certo ai piani superiori.
-E allora che vuoi fare?- fece Blamenco, riemergendo da dietro la sagoma del fratello con i rasta.
Anne guardò Marco, attendendo una risposta che temeva di sentire. A lei non importava un proprio niente se avevano perso qualche uomo, compreso Satch, anzi le andava splendidamente di culo, potevano lasciarlo lì a diventare la cena dei succhia sangue e amen!
-Si va a caccia.- rispose il Primo Comandante, iniziando a salire gli scalini in marmo che fecero risuonare l'eco dei suoi passi, mentre qualche membro della ciurma deglutiva rumorosamente alle spalle della ragazza prima di seguirlo.
Lei sospirò rassegnata, avviandosi poi con le braccia incrociate al petto e la testa bassa. Okay, forse un minimo le dispiaceva che quei poveretti fossero stati catturati e sperava di non trovarli sventrati o bruciati, quindi avrebbe dato una mano a ritrovarli, ma poi avrebbe preteso di tornarsene alla nave e abbandonare quell'isola della malora! Ah, e avrebbe anche dato una bella lezione a quel damerino!
Rimuginando tra sé e sé, salì le scale in mezzo alla ciurma tremante con le spade sguainate, non curandosi di armarsi per proteggersi dato che non ne aveva bisogno.
Certo che tra tutti i presenti proprio Satch dovevano portarsi via? Quello sciocco non si era difeso quando aveva visto che stavano attaccando? Almeno un po' di istinto di sopravvivenza!
Una risata spettrale echeggiò tra le pareti, strappando qualche strillo ai marinai e facendo sobbalzare più di qualcuno. Due di loro addirittura si voltarono a cercarla con lo sguardo per capire se era stata di nuovo opera sua.
Rakuyo davanti a lei si era bloccato a metà scala e Anne gli era andata addosso, troppo presa a guardare in alto per vedere se intravvedeva qualche sanguisuga volare, ma del tutto tranquilla. Aveva passato troppe notti sola al buio in mezzo alla foresta di Foosha tra animali di ogni grandezza, rumori sospetti e banditi per avere paura di una pazza omicida.
-Fa attenzione, ragazzina.- borbottò nervosamente l'uomo, spostandosi per farla passare.
Lei lo ignorò, andando avanti e superando anche Marco, il quale la osservò inarcando un sopracciglio, concentrato per capire da dove provenisse la risata, ma anche incuriosito dalla calma che la ragazza mostrava di avere. O possedeva un autocontrollo degno di nota, cosa improbabile visti i suoi sbalzi d'umore e le fiamme facili; o, più probabile, era solo troppo sicura di sé. Forse era meglio raffreddarla prima che combinasse danni, rifletté.
Raggiunto il pianerottolo vedendosi da sola, Anne si voltò indietro, trovando tutti ancora fermi ed impauriti come topi che sondavano lo stanzone vuoto, occupato solo da cadaveri.
Alzò gli occhi al cielo. Eppure erano nel Nuovo Mondo da anni, di cose spaventose dovevano averne viste, accidenti!
-Beh?- disse, sciogliendo le braccia e invitandoli con una mano a raggiungerla. -Muovetevi, o arriveremo quando avranno già finito di mangiarli.-
Li vide impallidire e si diede della sciocca per aver esagerato, mordendosi il labbro, ma almeno riuscì a schiodarli. Infatti in pochi secondi l'avevano già superata, animati dal senso del dovere e dal desiderio di salvare i loro compagni di navigazione, compreso uno dei Comandanti della Ciurma del vecchio.
Si ritrovò al suo fianco Marco, il quale, una volta aver atteso che tutti li avessero superati, le si fece vicino, quel tanto che bastava per essere certo che le arrivasse il messaggio chiaro e tondo. -Niente cose avventate.-
Anne sorrise, tentata di punzecchiarlo, anche se non sapeva se faceva bene o male, non conoscendo il suo carattere. Ad una prima occhiata le sembrava uno tutto d'un pezzo, di quelli che mettevano il dovere prima di qualsiasi altra cosa.
-Chi ti dice che io sia avventata?- gli chiese, voltando il capo per vedere la sua espressione e beccandolo a guardarla con una faccia che indicava palesemente che lui era convinto del suo giudizio. Non aveva tutti i torti, Anne doveva ammetterlo, ma il fatto che avesse intuito o dato per scontato il suo modo di agire un poco la irritava. Lei non era così, possibile che tutti si limitassero solo a giudicarla dalle apparenze?
Marco lo notò il guizzo di tristezza che attraversò gli occhi scuri che lo stavano fissando, ma non osò accennare a nulla. Non era il momento e nemmeno il luogo e, anche se sapeva che Anne nascondeva qualcosa, era sempre più convinto del fatto che, se avesse voluto esporsi, lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà e con i suoi tempi. Dopotutto, li stava aiutando a trovare Satch senza fare storie, era un passo avanti.
-Forza, andiamo.- disse a quel punto Anne, tornando seria e pensierosa. Non durarono a lungo le sue riflessioni però perché la presenza del Primo Comandante che la seguiva così da vicino era una continua fonte di nervi tesi e distrazione.
-Mi stai davvero facendo da balia allora!- lo accusò, mettendo qualche passo di distanza tra loro. Aveva caldo e quell'umidità la stava soffocando.
Marco fece quel suo classico sorriso pacato, quello che la mandava in bestia perché aveva capito che lo usava per mettere a tacere tutto quello che gli passava per la testa. Solitamente lo faceva quando aveva davanti qualcosa di stupido, ecco perché non lo sopportava, perché lei non era una stupida!
-Non so di che stai parlando.- ammise, stringendosi nelle spalle e mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni.
Anne sbuffò contrariata e visibilmente scocciata. -Troviamo questi vampiri e facciamola finita. Non vi sopporto più!-

*

Il secondo piano era più buio e l'aria di chiuso toglieva il respiro da quanto era nauseante.
Anne continuava sventolarsi con il cappello dopo che si era sbottonata di due bottoni la camicia. Di più non avrebbe osato e quindi si arrangiava come poteva.
Gli altri non erano messi meglio e dopo i primi cadaveri un uomo si piegò su se stesso e vomitò la colazione di quella mattina. Un suo compagno lo sostenne, mormorandogli parole di incoraggiamento, anche se dalla faccia sconvolta che faticava a nascondere si poteva ben capire che aveva paura tanto quanto lui.
I Comandanti si erano accorti del nervosismo della ciurma, ma avevano anni di allenamento e disciplina alle spalle, quindi sembrava che nulla potesse scalfirli. Eccetto Blamenco, lui non si preoccupava di nascondere il tremore delle mani.
Anne, dal canto suo, non sapeva cosa pensare. Si trovava come divisa tra due fuochi: uno le diceva di mollare tutto e andarsene da quel castello maledetto; l'altra, più nobile e giusta, la faceva sentire uno schifo per non aver pensato a proteggere anche gli altri oltre che se stessa. E non era finita, il suo stomaco si stava contorcendo, e non era per la fame, ma per la consapevolezza che Satch era in pericolo e forse anche già morto e mangiato.
Represse un brivido al solo pensiero e si sforzò di riflettere per trovare una soluzione al più presto. Le rodeva doverlo ammettere, ma era preoccupata per il Comandante e per i suoi uomini rapiti con lui.
-Per tutti i Mari!- sbottò Rakuyo, puntando la pistola davanti a sé verso un uomo vestito di nero che, alcuni metri più in là, sibilava una risata simile al verso di una vipera, scomparendo poi dentro una stanza.
Stavano già scattando per seguirlo, quando un'altra porta dal lato opposto del corridoio si aprì, rivelando la figura della donna alla quale la Contessa aveva parlato prima di attaccarli, sghignazzando malefica e rientrando nella stanza.
-E adesso?- chiese un marinaio. -Che facciamo?-
-Io vado da quella lì.- dichiarò Anne, partendo in quarta verso la stanza dalla quale era sbucata la donna, ma venendo intercettata sul più bello da un braccio che l'afferrò al volo senza sforzo.
Era Marco, il quale non si era scomposto di un millimetro se non per fermarla. -Potrebbe essere una trappola.- le spiegò Rakuyo distrattamente, osservando curioso come la ragazza non scattasse come suo solito e tentasse di dare fuoco a suo fratello. Forse aveva ragione Satch, forse si stava affezionando.
-Ma i nostri compagni e il Comandante potrebbero essere ovunque.- si lamentò la ciurma, demoralizzata.
-Andiamo a guardare in tutte e due le parti.- fece Blamenco.
-Dividiamoci.- decise invece Marco con un tono che non ammetteva repliche. -Tu e Rakuyo prendete metà degli uomini e andate a sinistra; il resto con me.- ordinò, facendo un cenno alla sua metà di marinai per incitarli a seguirlo, abbassando poi finalmente lo sguardo sull'imbronciata Anne che ancora non aveva lasciato andare. -Contenta?- le chiese, riferendosi alla decisione di dirigersi verso l'ala del maniero che aveva dichiarato di voler controllare in precedenza.
A lei quello sembrò un vero e proprio modo di sfotterla e le venne voglia di far diventare incandescente il suo braccio, ma sapeva che non era il momento e perdere il controllo prima di trovarsi davanti alla Contessa non le pareva una buona idea.
Così, ignara delle occhiate sorprese che tutti i pirati le stavano rivolgendo, sconvolti per la sua mancanza di reazione, ritornò alla carica, marciando verso la benedetta porta che nascondeva forse l'idiota cotonato.
Raggiunta l'entrata abbassò la maniglia.
-É chiusa.- osservò stranita.
L'attimo dopo un marinaio l'avvisava all'ultimo di spostarsi e quello dopo la porta era stata sfondata dal calcio di un tizio abbastanza robusto, alto il doppio di lei e largo quattro volte tanto.
Marco ridacchiò. -Ti fermi davanti ad una porta chiusa?-
Si beccò l'ennesima occhiataccia. -Non ti permettere.-
Il Primo Comandante avrebbe continuato volentieri, ma la melodia di una musica soave proveniente da un'arpa all'interno della stanza lo distrasse e ciò accadde anche al resto degli uomini, i quali varcarono la soglia incuriositi e con le facce sempre più imbambolate.
Anne li osservò stranita. Anche lei sentiva la musica, ma non gliene fregava niente, anzi, era ancora più guardinga.
Sbirciò dentro e desiderò di poter tornare indietro e andare dalla parte opposta.
Dentro c'erano un gruppetto di donne svestite, tutte tranquille che si stupivano alla vista di quegli stolti marinai che le guardavano come se fossero state oro colato su cui mettere le mani.
Sorvolando sulle caraffe ricolme di vino e suo vassoi pieni di cibo prelibato, Anne avanzò di qualche passo, bloccandosi come una statua quando riconobbe Satch infondo alla stanza in atteggiamenti equivoci con una donna.
-Satch?- lo chiamò titubante. Era la prima volta che usava il suo nome e che, effettivamente, attirava la sua attenzione di proposito.
Lui la vide e le sorrise felice. -Anne! Amica mia! Sei splendida come il sole! Vieni, vieni a divertirti con noi!- e, nell'invitarla, diede un altro bacio alla tizia accanto a lui.
Non era bella, Anne la vedeva, lo sentiva pure nell'aria che qualcosa non andava.
La musica rimase, ma d'un tratto ai suoi occhi le ragazze persero il loro fascino, diventando magre e sciupate. Gli abiti leggeri e trasparenti erano luridi stracci e i capelli erano ormai crespi e unti. Le dita avevano unghie lunghe e nere e i volti dalle espressioni vuote le fecero accapponare la pelle.
La ciurma, però, pareva non accorgersene e ciò la sconvolgeva e spaventava allo stesso tempo.
Una lugubre risata la costrinse a riprendere la concentrazione e quando ritornò a guardare Satch vi trovò al suo posto la Contessa.
Lei si era bella, con un abito nero, lungo e pomposo; i capelli raccolti in un'acconciatura importante: le labbra scarlatte e gli occhi cattivi.
-Sembra che con te l'illusione non funzioni.- disse dolcemente, squadrandola con un disgusto che stonava con il tono di voce appena usato.
Anne prese posizione e sorrise sfidandola. Era da un pezzo che non combatteva, se si escludevano le botte prese sulla Moby Dick, e aveva davvero voglia di sgranchirsi le gambe. -Meglio, almeno potrò tranquillamente farti fuori.-
Gli occhi della Contessa guizzarono verso sinistra, come se qualcosa avesse attirato la sua attenzione, divertendola. -Io non direi.-
Anne capì presto il significato della frase perché tra lei e la vampira si frappose Marco e, purtroppo, stava fronteggiando lei.
-No, non di nuovo.- si lamentò la ragazza, sbuffando infastidita. La sconfitta dell'ultima volta bruciava ancora il suo orgoglio. -Ti credevo meno stupido.-
Marco non rispose e si preparò ad attaccarla. Aveva lo sguardo vuoto, apatico, quello di sempre, ma più distaccato. Probabilmente era sotto l'effetto di qualche droga pesante o magari la Contessa aveva il potere di fuorviare le menti altrui. Beh, con lei non avrebbe avuto vita facile e se doveva fare il culo al Primo Comandante per salvare se stessa e gli altri lo avrebbe fatto!
-Bene.- disse tra i denti. -Fatti sotto...-
Non finì la frase che un gancio destro le colpì il viso e la spedì barcollante contro la parete dietro di lei. Si tastò la mandibola dolorante, sconcertata per il colpo e per il fatto che, anche se lo aveva visto arrivare, non lo aveva evitato.
Si arrabbiò davvero, davvero tanto.
Perché cazzo non lo aveva evitato?!
-Questo non dovevi farlo.- lo avvisò, pulendosi un rivolo di sangue. Ecco, anche quello non capiva: come faceva Marco a ferirla se era fatta di fiamme? Il frutto aveva sempre evitato quei problemi, ma con lui non funzionava. A dire la verità non funzionava neanche con il vecchio e svariati Comandanti, ma dettagli.
Partì alla carica ed iniziò a sferrare pugni contro Marco, il quale anticipava sempre le sue mosse, evitandole allo stesso tempo e rispondendo con la stessa moneta mettendo a segno più punti di Anne.
Lei, però, non aveva ancora avuto modo di usare il suo potere, non perché non volesse, anzi, fremeva dalla voglia di farlo, ma aveva notato che i colpi che le rifilava Marco erano si forti e ben dolorosi, ma miravano a parti non vitali, come l'ultimo che le aveva appena preso in pieno la spalla.
Qualcosa non andava.
Fece una capriola all’indietro, atterrando a gambe divaricate e premendosi la mano sulla parte lesa, controllando che non si fosse lussata e che fosse rimasta in asse.
Davanti a lei, il biondo continuava a fissarla senza battere ciglio, quasi come se avesse perso ogni volontà propria e agisse come un burattino controllato a distanza da fili invisibili che solo la Contessa sapeva muovere al momento giusto. Fu su di lei che Anne indirizzò il suo sguardo, incontrando un sorriso folle, troppo ampio per una persona normale. Dalle labbra scarlatte, inoltre, si intravvedevano i canini bianchi e affilati, i quali venivano esposti probabilmente di proposito tanto erano impressionanti, ma la ragazza non si scoraggiò. Qualche asso nella manica ce l’aveva sempre e confidava di riuscire a tirarsi fuori da quel pasticcio infernale.
Un rumore di esplosivo interruppe lo scambio di sguardi e spezzò per un attimo la tensione, provenendo dalla parte opposta a dove si trovavano. I muri tremarono leggermente e sia Anne che la Contessa osservarono stranite il muro per qualche secondo, dopo che tutto si fu calmato, riportando silenzio.
-Ma cosa...- sussurrò la donna, interrompendosi per riportare l’attenzione a quella sciocca umana quando la vide attaccare il suo uomo sotto controllo, obbligandolo ad incassare il colpo e a restituirle il tutto con gli interessi. Non voleva ancora farla uccidere, aveva voglia di giocare, di vederla sfinita e agonizzante sul pavimento. Era carina, un po’ sgraziata, ma con un fisico equilibrato, snello, di certo appetitoso per lei, che di donne e uomini se ne intendeva e ne aveva mangiati parecchi. Lei sarebbe stata l’antipasto, mentre l’uomo alto e aitante lo avrebbe tenuto come portata principale. Il resto poteva andare bene per i suoi servitori, anche loro non si cibavano da molto ed era passato troppo tempo dall’ultima festa poco convenzionale in cui si erano concessi lussi sfrenati senza morale.
Si leccò le labbra, eccitata per quello che sarebbe successo di li a poco, mentre la ragazza e il suo Comandante continuavano a menarsi manrovesci e calci, il tutto senza sosta e con frequenza costante.
Anne ruzzolò addosso ad una parete ricoperta di cuscini, fortunatamente senza farsi troppo male, ma finendo dritta tra le braccia di Satch, il quale, assuefatto dal potere illusorio della Contessa e delle sue suddite come il resto della ciurma, la strinse al suo petto.
-Perché non vieni a divertirti con noi, tesoro?- le sussurrò, leccandole il collo e facendole salire un conato di disgusto.
A quel punto se ne fregò altamente dell’autocontrollo e gli rifilò una gomitata dritta sul naso, riconoscendo il rumore del setto che veniva inevitabilmente rotto.
Il castano ululò di dolore e lei approfittò per sfuggire alla sua presa, allontanandosi di qualche passo e osservando la scena attorno a lei.
Metà degli uomini che li avevano seguiti era riversa a terra, alcuni spogli, altri baciavano quelle creature disgustose, Satch frignava, ma non sembrava troppo dolorante come avrebbe dovuto essere. Nessuno capiva quello che realmente stava accadendo e lei era sola.
-É inutile.- le disse una voce chiara e squillante alle sue spalle.
Si voltò a guardare la donna, squadrandola con un’occhiata carica d’astio.
-Non si accorgeranno nemmeno quando arriverà la loro ora.- aggiunse quella, sfarfallando le ciglia lunghe. -Non soffriranno, non temere. Siamo uno dei migliori modi di morire.- ammiccò, avvicinandosi alle spalle di Marco e passandogli un dito con un’unghia smaltata di nero sulla gola, umettandosi le labbra e avvicinando il viso per annusarne il profumo.
-Mhm, lui deve essere davvero delizioso. Basta guardarlo, dopotutto.-
Anne fremette per il fastidio mentre quella schifosa continuava a gongolare parlando del biondo come se stesse descrivendo un pranzo dalle mille portate. Se solo fosse riuscita a colpire la Contessa...
Un momento!’ pensò, socchiudendo gli occhi e ricordando vaghi discorsi fatti dai suoi marinai, quando ancora doveva entrare nel Nuovo Mondo. ‘Parlavano di vampiri e paletti piantati nel petto!’
Doveva assolutamente colpire quella stronza con qualcosa di affilato.
Si guardò attorno muovendo solo le pupille, cercando qualche arma che non fosse troppo distante, ma nulla che poteva tornarle utile era nei paraggi. Si maledì per non avere mai con sé una spada nel momento del bisogno, ma sempre e solo una pistola e...
Il mio pugnale!’
Si trattò di un secondo di illuminazione perché Anne agì immediatamente, indirizzando contro Marco una vampata di fuoco dalla quale avrebbe dovuto per forza difendersi, approfittando così della sua distrazione per lanciare con precisione micidiale la sua arma contro la Contessa.
Vide lo stupore nei suoi occhi, ma fu sostituito subito da una risata sfacciata quando Marco, Anne non si spiegò come, intercettò la lama, fermandola giusto in tempo prima che si conficcasse nel petto della vampira.
-Ottima mossa, mia cara.- si complimentò lei, guardandola con finto dispiacere. -Peccato che non abbia funzionato. Come ti ho detto, lui non si sveglierà e obbedirà a qualsiasi comando. Guarda.- e, così dicendo, si allungò verso il Comandante cingendogli le spalle e baciandolo senza pudore.
-No.- mormorò Anne, più schifata che altro, ma sentendosi anche più arrabbiata del previsto. Non poteva lasciare che quel mostro si prendesse tutti quegli idioti, anche se si trattava di persone che non sopportava minimamente. Li odiava, ecco cosa, ma odiava di più la Contessa.
Le fiamme presero vita dalle sue mani, avvolgendola centimetro dopo centimetro. Se doveva perdere il controllo del Frutto per aiutarli lo avrebbe fatto. Erano lontani dalla Moby Dick e dal mare, perciò nessuno si sarebbe ferito gravemente e lei avrebbe potuto sprigionare tutto il fuoco che aveva in corpo e ardere quella casa degli orrori.
-Lascialo!- ordinò alla Contessa, la quale si fermò ad osservarla incuriosita.
-Non l’hai ancora capito? Sei così sciocca?- la beffeggiò, allentando comunque la presa su Marco per concederle la sua attenzione.
-E tu non hai ancora capito che non si scherza col fuoco?- mormorò Anne sul punto di non ritorno. Era certa di essere quasi totalmente avvolta dalle fiamme e a stento riconosceva la sua voce, come se venisse da un altro mondo, più buio e profondo però. Avrebbe perso il controllo di li a poco.
-Non farmi ridere. Non puoi sconfiggermi, nessuno ti aiuterà!- la minacciò, ridendole in faccia senza il minimo rispetto.
Ad un tratto la risata inizialmente cristallina divenne un rantolo soffocato e l’istante successivo la vampira tossì sangue.
Le fiamme si quietarono ed Anne ritornò ad avere le sue sembianze, portandosi una mano alla bocca e fissando incredula la scena che le si svolgeva di fronte. Marco, non capiva come, aveva provveduto a piantare lui stesso il pugnale nel petto della Contessa, la quale faticava ad articolare una frase, limitandosi a fissare i suoi occhi demoniaci in quelli freddi del pirata.
Lui non stava mostrando il minimo tentennamento, solo una determinazione così forte da rendere debole chiunque osasse sfidarlo, persino la stessa Anne si trovò immobilizzata davanti a quella furia.
Attorno a loro si levarono dei sibili in risposta. I seguaci della Contessa lasciarono perdere i marinai, i quali ricaddero a terra privi di sensi, e si presero la testa fra le mani per la disperazione, snudando le zanne e invocando il nome della loro regina. Alcuni più temerari partirono all’attacco di Marco per tentare di eliminarlo, ma Anne intercettò i loro movimenti e scagliò contro di loro delle lingue di fuoco che attecchirono ai loro corpi iniziando a bruciarli e mettendo in fuga la maggior parte, mentre quelli che restavano indietro perivano sotto i suoi colpi.
Uscì nel corridoio per seguire gli ultimi e vide il resto della ciurma già all’ingresso giù dalle scale intenta a combattere con i vampiri che scendevano per fuggire dal maniero. Sembravano tutti abbastanza integri e ciò la sollevò almeno in parte.
Rakuyo alzò lo sguardo verso di lei non appena la vide. -Ehi ragazzina! Stanno tutti bene?-
Anne fece una smorfia per l’appellativo. -Al momento si. Sono qui dentro e anche...- si fermò a metà frase perché venne urtata e spinta di lato da una massa informe che sembrava avere tutta l’aria della Contessa in fuga, anche se ferita.
Dietro di lei, Marco stava aiutando un inerme Satch ad alzarsi, offrendogli un lembo di stoffa con cui bloccare l’emorragia al naso.
Riflettendoci bene se la sarebbero cavata, fortunatamente, ma non poteva restarsene con le mani in mano e lasciar fuggire quella megera, anche se era ridotta male, così saltò giù al pian terreno, in mezzo al salone e, cercando di evitare la mischia di demoni e pirati, sgusciò fuori rincorrendo la Contessa.
Non fu difficile seguirla perché lungo il suo passaggio aveva lasciato colare una sostanza nera e vischiosa che ribolliva a chiazze sul terreno incolto dove non cresceva un filo d’erba. Sinceramente, dubitava che su quell’isola potesse crescere qualcosa di sano.
Il sentiero la portò dietro al maniero, al limitare dello strapiombo sul mare dove la costa era frastagliata e composta da alti fiordi e rocce corrose dall’acqua e dal tempo.
Trovò li l’artefice di tutto quel degrado, accovacciata a terra e abbracciata a se stessa, chiusa come un riccio, nell’intento di leccarsi le ferite subite. Stava male, il colpo non l’aveva uccisa, ma doveva averla di certo resa vulnerabile. Evidenti occhiaie erano apparse sotto ai suoi occhi; le labbra non erano più piene, ma screpolate; il viso era tirato e secco; le dita delle mani erano magre e sembrava che le falangi stessero per bucare la pelle; i capelli erano un groviglio indefinito e facevano concorrenza a quelli della stessa Anne.
La ragazza si avvicinò camminando cauta, non più all’erta, ma preparandosi semplicemente a darle l’ultimo momento di respiro prima di eliminarla.
Erzsébet alzò gli occhi su di lei in quel momento.
-Lasciami vivere.- le disse con un rantolo. -Risparmiami. Il tuo gesto non sarà dimenticato.- la supplicò.
Anne la guardò stupita. Come poteva aspettarsi che dopo quella giornata di terrore e disgusto sarebbe riuscita a farla franca? Dopo che aveva torturato tutti quei poveretti?
La Contessa sembrò leggerle la mente perché anticipò le sue domande. -So cosa pensi, so cosa merito, ma non è la mia ora questa. Non è il mio destino!-
-Non sei nella posizione di patteggiare, sai?- commentò la mora, avanzando di un passo con aria tranquilla. Era finita ormai.
-No, non capisci stupida!-
-E così non faciliti di certo le cose.-
-Non sarà la figlia del Re dei Pirati ad uccidermi!-
Anne si congelò sul posto. Le fiamme che avevano preso a scaturirle dalle braccia scomparvero e un’aria fredda la investì.
Come lo sapeva? Come poteva anche solo averci azzeccato? Nessuno lo sapeva, il vecchio Garp non le aveva dato bastonate dalla mattina alla sera per nulla quando era piccola per farle capire che non poteva rivelare quel segreto e non l’aveva detto ad anima viva, né ai suoi uomini, né tanto meno a quel gruppo di smidollati con i quali era costretta a stare.
Si guardò alle spalle, timorosa di essere stata seguita o che qualcun altro fosse venuto a reclamare la testa della bastarda, ma non vide nessuno e le parole successive del mostro le diedero conferma.
-Siamo sole, figlia del Diavolo.- le disse la Contessa, riottenendo la sua attenzione. -Non siamo poi tanto diverse, tu ed io. Cresciute con la certezza di essere null’altro che scarti, rifiuti della società. Certo, penserai che a differenza mia, tu almeno hai condotto un’esistenza meno estrema, ma l’essere isolata e odiata l’hai provato sulla tua pelle. Io lo so, lo sento. Io lo capisco!- gridò infine, boccheggiando poi per lo sforzo.
Era sempre più debole ed Anne la consumava solo guardandola. Altro ancora non si sentiva di fare.
-Come lo sai?- riuscì a chiederle. Non le importava di quello che poteva avere passato, sapeva a menadito tutte le ingiustizie che poteva recitarle, ma non voleva starle a sentire. Non voleva provare pietà perché lei stessa non avrebbe voluto suscitarla negli altri.
Erzsébet deglutì, sfinita. -Sensitiva.- spiegò. -So e sento parecchie cose, anche quelle che non voglio.- ridacchiò, o meglio, ciò che ne uscì fu un rantolo soffocato. -Lasciami andare.- riprese, avvicinandosi al bordo dello strapiombo. Il vento si era alzato e gli stracci logori le stavano larghi, svolazzando e coprendola dalla luce del sole che filtrava dalle nubi basse per la prima volta dopo molti anni su quell’isola.
Anne strinse i pugni, imprecando a mezza voce. -Non ritornerai mai più qui. Non prenderai più possesso di altri luoghi. Non spadroneggerai di nuovo su altre persone e, soprattutto, non ti farai più vedere da nessun uomo della ciurma.- scandì gelida e furente.
La vampira trattenne il respiro per lunghi minuti durante i quali avrebbe potuto dirle tante cose riguardanti ciò che la aspettava, però infine annuì senza menzionare nulla di quello che aveva intuito, alzandosi sulle gambe instabili e guardando la ragazza con quello che sembrava uno sguardo di gratitudine. -Abbiamo un patto. Il mio debito non sarà dimenticato.-
E, detto ciò, nello stesso istante in cui Anne alzò un muro di fuoco per coprire la sua fuga, lei si lasciò cadere nel vuoto, trasformandosi in una creatura della notte e volando via, malandata, lontano.
La giovane placò le fiamme, abbassò le mani e sperò di non aver combinato un’altra delle sue cazzate che, in futuro, avrebbe potuto rivoltarsi contro di lei.
Scosse il capo e si voltò per tornare indietro, udendo in lontananza delle grida vittoriose, probabile segno che gli uomini avevano finito si combattere, vincendo. Si affrettò lungo il sentiero e raggiunse di nuovo l’entrata dalla quale uscivano, chi con le proprie gambe, chi aiutato, quei poveracci che avevano avuto la sfortuna di partecipare a quella gita fuori dalla Moby Dick.
Li osservò scendere le scalinate, indecisa se interessarsi o meno alla loro salute, nonostante non sentisse più un peso sul petto. Era tutto sommato felice che la questione si fosse risolta per il meglio.
-Ehi ragazzina, bel lavoro lì dentro!- le disse un tizio passandole accanto, reggendo un compagno con un braccio sanguinante, il quale trovò la forza d’animo per concordare con quelle parole, sorridendole.
Anne batté le palpebre stupita, non aspettandosi tanta cortesia. Era la prima volta che uno di loro si spingeva a tanto, lodando il suo operato sul campo di battaglia, anche se non aveva fatto granché.
-Grazie.- mormorò. -Voi siete stati molto coraggiosi.- aggiunse poi.
Si fa per dire’ penso tra sé, mica poteva sgridarli per essere piombati tra le braccia di quelle bestie come allocchi, pazienza che fossero stati illusi, ma un minimo di contegno alla vista di donne, insomma!
Li lasciò passare, alzando gli occhi al cielo senza farsi notare e salì le gradinate, mentre il vociare all’interno dell’atrio diveniva sempre più forte. I marinai avevano ammucchiato i corpi dei servitori della Contessa in un angolo e stavano soccorrendo i più bisognosi. Scoprì presto che nessuno aveva perso la vita, ma le dottoresse a bordo della nave avrebbero avuto il loro bel da fare con trasfusioni di sangue e cuciture qua e la.
Cercando di rendersi utile come poteva, andò verso un gruppetto di uomini curvi sul corpo sdraiato per terra di un tizio che non conosceva, ma che sapeva essere della compagnia. Stavano cercando di coprirlo perché aveva perso molto sangue e diceva di sentire costantemente freddo.
-Non abbiamo coperte Reggi, ma stanno arrivando le barelle e ti riporteranno a bordo in un batter d’occhio.-
Il suddetto Reggi, con le labbra quasi viola, annuì poco convinto, iniziando però a sudare quando intravvide alle loro spalle Anne.
-Serve una mano?- la sentirono chiedere e tutti sussultarono, voltandosi a guardarla.
-Uhm, no, no, non credo. Stanno arrivando i soccorsi.- le spiegarono, evitando di guardarla direttamente negli occhi. Un po’ avevano timore di lei perché i suoi scatti d’ira e di fiamme erano famosi. Inoltre, sapevano bene di cosa era capace, i giornali non raccontavano sempre frottole.
Reggi, però, un’idea su come poteva aiutarlo ce l’aveva e si sentiva così male, come se qualcosa di gelido gli stesse crescendo nello stomaco, che mandò al diavolo i pregiudizi e, faticando a trovare il fiato, disse alla ragazzina di avvicinarsi.
-Scaldami.- la pregò. -Fa troppo freddo.-
Sulle prime Anne si chiese se quello non fosse più pazzo di lei, ma vedendo come soffriva gli si accovacciò accanto e accese le sue mani, avvicinandole al corpo quel che bastava per non scottarlo e regalandogli un po’ di conforto che lo fece sospirare di sollievo.
Attorno a loro, gli altri marinai stettero zitti e in silenzio, scambiandosi occhiate piene di domande, ma rimandando i commenti a quando sarebbero stati soli. Intanto si sedettero attorno a quel fuocherello e ne approfittarono per riposare dopo una giornata di fatiche e terrore.
Dopo una mezz’ora arrivarono le barelle e Reggi, più tranquillo, era stato trasportato a bordo per primo, mentre il resto dell’equipaggio si affrettava a scendere al porto percorrendo lo stesso sentiero che avevano preso quel mattino.
I Comandanti Blamenco e Satch erano già alla nave per coordinare la partenza e sistemare i feriti, mentre alcuni membri della ciurma si erano attardati con i Capitani Rakuyo e Marco alle porte del maniero. Tra loro c’era anche Anne, la quale aveva volentieri dato un aiuto nello smaltimento dei corpi dei vampiri. Una volta spostati all’esterno, lei aveva accolto la richiesta di dargli fuoco e in quel momento stava guardando con soddisfazione la pira di cadaveri che scoppiettavano davanti ai suoi occhi.
Qualche marinaio represse un brivido, non per i succhia sangue, ma per il sorriso contortamente soddisfatto che la ragazza sfoggiava.
-Che facciamo con il resto?- chiese allora Rakuyo, le braccia incrociate al petto e i rasta che puzzavano di fumo e morte.
Marco voltò la testa per guardare il castello che non avrebbe fatto gola a nessuno. Troppo tetro, diroccato e inquietante. -Potremmo usare la stessa soluzione.- propose, ritornando poi ad osservare il falò, incontrando lo sguardo attento di Anne, la quale si era voltata con la consapevolezza che era l’unica a poter fare un buon lavoro ancora prima che le venisse chiesto.
-Se la signorina Fuoco d’Artificio ci da una mano.- aggiunse il biondo, ma nessuno capì se era scherzoso, sarcastico o altro.
Anne, a parte una smorfia per il soprannome, lasciò correre e si avviò con calma e passo sicuro dentro al castello.
-Vi conviene allontanarvi e tornare alla nave, non ci vorrà molto, ma farà parecchio caldo.- li avvisò, giusto per evitare che qualcuno fosse nei paraggi se ci fosse stata un’esplosione ai piani bassi.
Gli uomini non se lo fecero ripetere due volte e presero subito la via del ritorno, accompagnati dai Capitani, anche se Marco rimase indietro per non perdersi lo spettacolo. Non erano un mistero le capacità del potere di Anne, ma doveva capire fino a dove poteva arrivare per riuscire a capirla e a contrastarla quando sarebbe servito. Gli attacchi a Barbabianca erano calati molto e qualcosa gli diceva che presto sarebbero finiti, ma non poteva abbassare la guardia, non ancora almeno.
Intanto Anne era nell’atrio in penombra per via del tramonto e, senza aspettare oltre, allargò le braccia e chiuse gli occhi, lasciando libere le fiamme e allargandole sempre di più fino a farle attecchire alle pareti, alle scale, ai muri portanti, raggiungendo il soffitto e ogni punto, fino alle fondamenta.
Tutto attorno a lei bruciava, ogni cosa ardeva, il legno scoppiettava e, quando il castello fu ridotto in cenere, l’unica ad essere rimasta in piedi era Anne.








Hey
Non volevo nemmeno metterlo questo angolo, ma credo di dovervelo. Insomma, almeno chiudere la seconda parte e poi per il futuro si vedrà. Spero di riuscire a buttare giù qualcosa, magari arrivare dove mi ero prefissato e poi lasciare un finale aperto, ma sarà tutto da vedere. Non posso promettervi nulla, mi dispiace davvero.
Ad ogni modo, grazie per essere arrivati fino a qui, davvero! Cercherò di far avere alla nostra Anne e a Marco quello che si meritano.

A presto (maybe)
Portgas

 

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