Thomas

di Danpo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Give me water ***
Capitolo 2: *** Let's play ***



Capitolo 1
*** Give me water ***


1.

The water boy


Era un uomo estremamente silenzioso, stava sempre ad ascoltare. Amava la voce delle persone che lo circondavano, che lo riempivano di complimenti o che semplicemente lo salutavano. Ma se c'era una cosa che proprio non sopportava erano le risate. Suoni acuti, strozzati, a volte anche finti e forzati. Le sue orecchie, il suo cervello, ma soprattutto il suo animo, si rifiutavano di ascoltare quell'ammasso di suoni confusi nel quale spesso si trovava in mezzo.

Non lo faceva volontariamente, quando la felicità lo avvolgeva semplicemente lui diventava ancora più triste e meno calmo.

Stava al numero sette di Gordon's rive street, dove la quiete regnava solenne come le nubi poco prima di un temporale. Forse perché poco popolata da ragazzi e ragazze al di sotto dei cinquanta, forse perché tutti lì si erano stufati degli spettri felici proprio come lui.

Eppure, per quanto a pochi costasse ammetterlo, nessuno sentiva la mancanza della felicità.

Il suo nome era Thomas Roche ed aveva trentadue anni.

In passato la sua vita non era stata così infelice, aveva avuto addirittura una moglie bellissima ed i due si amavano follemente. Ma poi, un giorno, il cancro si era portata via la sua bella Amelia e per lui da allora era iniziato un temporale che lo bagnava ogni giorno ed ogni notte.

Thomas amava scrivere, romanzi per la gran parte. Si professava come uno scrittore capace. Gli scrittori bravi non sono coloro che hanno uno stile impeccabile o una grammatica perfetta. Non sono quelli che scrivono pagine e pagine ogni giorno, perdendosi nei dettagli e mischiandosi nel loro mondo. Un bravo scrittore sa, prima di tutto, ascoltare ciò che gli accade attorno in silenzio, senza giudicare. È colui che si siede alla scrivania, chino a fissare il foglio bianco e chiude gli occhi, captando segnali da altri mondi e da altri esseri. È colui che sa scrivere dei suoi figli imparando da loro e scrivere ai suoi padri insegnando qualcosa a loro.

Accadde che un giorno, mentre la pioggia rompeva il silenzio di Gordon's rive, se ne stava davanti alla TV. Le pareti di casa sua erano scrostate, sporche ed infestate dall'umidità a tal punto che ti bastava mettere un piede dentro la soglia e potevi sentire il tanfo di muffa attraversare il naso e conficcarsi come due pali dentro il cervello. Se ne stava assopito nei suoi pensieri, ormai annoiato dall'ennesimo spot pubblicitario, quando qualcuno bussò alla porta. Si liberò dalle coperte che lo incatenavano e si diresse sbuffando verso la soglia, trascinando i piedi enormi. Più si avvicinava all'uscio, più era sorpreso mentre rifletteva. Negli ultimi dieci mesi, infatti, nessuno se non il postino si era azzardato a bussare al numero sette di Gordon's Rive. Cercò di sbirciare dall'occhiello, ma le gocce d'acqua avevano ostruito la visuale. Si decise dunque a girare la chiave nella serratura ed aprire la porta con uno scatto. Un bambino, di circa unidici anni, se ne stava bagnato sul tappeto lurido a fissare l'uomo molto più alto di lui.

«Scusi signore!» il bambino richiamò l'attenzione di Thomas

«Mh... Ragazzo?»

«Potrebbe farmi entrare?» il bambino si aciugò con una manica la fronte

«Dove sono i tuoi genitori, ragazzo? Sai cosa potrebbe pensare la gente se ti vedesse entrare qui dentro?» Thomas inarcò un sopracciglio e corrugò la fronte, scrutando il ragazzo

«La prego, sta piovendo forte» il bambino portò le mani allo stomaco aspettando la risposta

«Va bene, entra.» nel frattempo la signora Burris passò dietro il recinto dell'abitazione di Thomas, sorridendo all'uomo da sotto l'ombrello. Thomas ricambiò con un cenno della mano ed invitò il bambino all'interno.

Russel. Così si chiamava quel bambino. Entrò velocemente dentro casa, assaporando il calore e il tepore delle mura misto al fetido tanfo della muffa. Le pareti dell'ingresso erano meno malconce rispetto ai muri delle altre stanze. Non c'erano poi così tanti mobili, ma i pochi presenti erano in legno ed anche questo leggermente umido dalla parte a contatto con il muro. Uno squallido portaombrelli era all'angolo della parete che intersecava con l'entrata e al soffitto non erano presenti speciali ornamenti fatta eccezione per un filo elettrico che terminava con la lampadina che illuminava la stanza. Thomas fece strada a Russel, conducendolo dove poco prima stava guardando- o meglio sentendo- la TV via cavo. Questo era un ambiente particolarmente grigio e triste che però veniva illuminato abbondantemente dalla luce che entrava dal balcone, al lato opposto del divano. Alla parete opposta all'entrata c'era un mobiletto con la televisione e al centro il tavolo da pranzo, mentre nella stessa parte nel quale era posizionata l'entrata c'era una specie di rientranza dove Thomas aveva improvvisato una cucina

«Siediti... come ti chiami?»

«Russel, il mio nome è Russel!» rispose sorridente il bambino, accomodandosi sul divano e spostando di lato le coperte.

«Russel... mh... davvero un bel nome, non trovi? Vivi lontano da qui?» Thomas andò in cucina dove preparò una bevanda calda dal non ben precisato nome

«Sì, in realtà.Vivo in Matthews street» Russel chiuse le gambe e si guardò attorno

«Gran bel posto! E immagino che tu non sia fuori al gelo e al freddo senza nessuno che si preoccupi per te, o mi sbaglio?» Thomas riemerse dalla cucina e torreggiava davanti Russel

«Mia mamma mi starà sicuramente cercando...» il bambino guardò in faccia l'uomo: un ciuffo di capelli neri gli copriva la fronte, il naso largo ma proporzionato al resto della faccia sostenevano un paio di occhiali riposanti e la barba incolta, con qualche accenno di bianco, incorniciava la faccia vissuta. Thomas porse una tazza fumante a Russel, senza proferire parola. Mentre lui si sedeva a tavolo di fronte al divano, Russel sorseggiava il thé piano piano, per evitare di scottarsi la ligua.

L'orologio segnava le cinque e trenta minuti, ma fuori le nuvole non accennavano a scomparire. Thomas pensò che quello sarebbe stato il momento perfetto per scrivere, se solo quel moccioso fosse filato via dai piedi. Ma tutto quello che sua madre gli aveva insegnato quando era piccolo proprio come Russel, era che si doveva sempre essere cortesi, soprattutto con i più grandi e con i più piccoli e ogni volta, anche in quella occasione, si chiedeva quando sarebbe arrivato il turno di ricevere gentilezze e cortesie dagli altri. La quiete di Gordon's Rive street fu interrotta dalle urla di una donna, in strada. Chiamava Russel. Il bambino scattò in piedi e si diresse verso la porta, cercando di arrivare alla maniglia, ma fu seguito da Thomas che spalancò la maconcia porta di legno. Attraversò il vialetto e giunse in strada, notando troppo tardi di indossare le ciabatte ed un accappatoio che coprivano una maglietta che un tempo doveva essere di un bianco brillante ed un paio di boxer neri. Si tolse gli occhiali e strizzò gli occhi per guardare attraverso la strada «Ehm... signora! Suo figlio è qui.» la donna iniziò a correre, spostando l'ombrello di lato. Thomas era ormai bagnato fradicio e la signora lo fece accomodare sotto l'ombrello «Mi scusi, mio figlio è davvero molto ma molto poco timido e non si fa problemi ad entrare in casa della gente. Spero solo non capiti in mani sbagliate un giorno, non posso nemmeno lasciarlo giocare fuori perché ho paura che accada qualcosa» Thomas non diede peso alle parole della donna e fece accomodare la donna all'interno della casa. Russel era scappato in cucina alla vista della madre, spavento che potesse fargli qualcosa «Se volete potete rimanere qui fino a quando finisce di piovere...» disse Thomas che nel frattempo sperò che la donna rifiutasse. Il suo era un invito dettato più dal codice che dalla gentilezza, semplicemente restituiva la carità che aveva ricevuto in passato. La donna sorrise ed accettò senza tanti problemi, in fondo era degna madre di suo figlio.

Russel emerse dalla cucina e si avvicinò lentamente alla madre, senza dire una parola «Per questa volta non ti faccio nulla, il signore è gentile. Ma devi smetterla di entrare in casa degli altri, Russel.» la madre rimproverò il figlio guardandolo dal basso verso l'alto, poi entrambi si sedettero sul divano. Thomas prese una sedia e si sedette davanti loro, lasciando per un secondo intravedere la gamba nuda ed un lembo dei boxer neri. Si ricompose subito notando che la donna era diventata paonazza in volto «E lei è...?» la donna chiuse le gambe «Alice, Alice Miller» Alice sorrise a Thomas socchiudendo leggermente gli occhi «Bene Alice, mi scusi ma ho un bisogno urgente di andare a cambiarmi, sono in uno stato impresentabile. Mi aspetti pure, se vuole in cucina c'è ancora del thè caldo che ho preparato poco fa a suo figlio. Negli scaffali in alto devono esserci anche dei biscotti al cioccolato, faccia come se fosse a casa sua.» senza aspettare risposta, Thomas si diresse verso camera sua e chiuse la porta.

Lasciò cadere l'accappatoio e si tolse la maglia lurida, restando in boxer. Di certo non era palestrato, ma aveva le giuste linee. Prese dall'armadio una camicia azzurra ed un paio di jeans scuri. In cucina c'era una donna, la prima donna che vedeva dopo mesi. Si mise un po' di profumo che teneva nel bagno della camera da letto, si guardò allo specchio ed aggiustò i polsini della camicia. Un'ultima sistematina ai capelli e fu pronto per uscire. I suoni sordi dei suoi passi risuonarono nell'atrio. La porta d'ingresso era semi aperta ed un freddo glaciale entrava riempendo la stanza di un odore di asfalto bagnato davvero piacevole. Guardò la stanza in cui aveva lasciato Alice e Russel. Non c'erano. Se ne erano andati lasciando l'ombrello sopra il tavolo da pranzo.

Thomas finse con sè stesso di non essere dispiaciuto ed impaurito. Prese l'ombrello e lo ripose accanto alla porta, chiudendola.

Anche quella sera avrebbe mangiato in compagnia dello spettro di sua moglie.  

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Capitolo 2
*** Let's play ***


2. Let's Play


Thomas stava scrivendo la fine del suo nuovo romanzo, mentre una tazza di thé caldo si raffreddava sulla sua scrivania. Fuori pioveva ancora, ma era una pioggia meno violenta, che sembrava voler lavare il mondo di ogni malizia.

“[…] egli capì in quel momento che le persone non cambiano. Semplicemente scoprono chi sono veramente grazie alle loro delusioni. L'uomo incappucciato si tolse il cappuccio per sempre [...]”

Ricontrollò quell'ultima parte più volte. Quando ne fu soddisfatto, si alzò in piedi e con occhi pieni di gioia prese la tazza. La portò alla bocca e soffiò un paio di volte per assicurarsi che la bevanda non fosse troppo calda. Ingurgitò il liquido e quando venne a contatto con la sua lingua, capì di non essere capace a fare il thé.

Guardò fuori dalla finestra per scrutare la pioggia. Ma proprio quando i suoi occhi videro le gocce cadere giù dal cielo, le nuvole sembrarono arrendersi al suo sguardo e i primi raggi del sole cominciarono ad abbracciare Gordon's Rive Street. Si precipitò all'ingresso, dove prese il suo impermeabile marrone e un ombrello nero. Si vestì in un secondo ed uscì fuori in strada, con l'intenzione di andare a prendere un thé.

Le case, in quel quartiere, sembravano tutte disabitate e tristi. Alcuni anziani erano affacciati alle finestre dei piani superiori e sembravano tutti scrutare Thomas mentre si dirigeva al Francis's pub. La strada era piena di pozzanghere e mal ridotta. Erano anni che non veniva fatta manutenzione e Thomas si era convinto che prima o poi si sarebbe aperta una voragine al centro del quartiere e tutta la strada sarebbe stata inghiottita. Ma non si curò più di tanto di ciò e continuò a camminare. Attraversò un incrocio che era deserto. L'intera città sembrava stata abbandonata. Era tanto che Thomas non usciva ma, l'ultima volta che lo aveva fatto, era sicuro di aver visto persone più o meno brutte. Ma quel giorno sembravano tutti scomparsi.

Camminò per un altro centinaio di metri e intravide l'insegna del pub. Da fuori sembrava che ci fossero una decina di persone sedute a bere qualcosa.

Lo scrutò da fuori ricordando l'ultima volta che ci era stato. Era con Amelia quando ancora non sapevano quanto male stesse lei. In mente gli tornò quel giorno, erano stati bene insieme ed erano felici in quel periodo...

«Quando avremo un bambino lo chiameremo come tuo padre» Amelia era solita prendere in giro Thomas per il nome orrendo di suo padre. Thomas fece una smorfia con la faccia «Spero che almeno non prenda da tua madre perché altrimenti dovrò scappare di casa.» Amelia restò a bocca aperta «Stai per caso dicendo che mia madre è cattiva?» Amelia incrociò le mani al petto e guardò verso il bancone, facendo finta di essere arrabbiata «No, sto dicendo che è brutta.» Thomas rispose calmo, sapeva che sua moglie non si era arrabbiata davvero «In questo caso credo di poterti perdonare. La bellezza è soggettiva. Ad esempio io sono bellissima ma alcuni dicono di no» Amelia aprì gli occhi e guardò Thomas «Non capiscono nulla, amore mio.»Thomas si sporse in avanti e baciò Amelia.

Entrò dentro al locale a passo deciso, assaporando gli odori del Francis's pub. Era un clima che difficilmente si poteva dimenticare. Persone che chiacchieravano intorno a lui, il rumore della macchina del caffè dietro il bancone, il cameriere che prendeva le ordinazioni e la sua penna che scriveva sul taccuino. Il rumore che più amava Thomas. Notò con piacere che in fondo al locale, in un angolo di quei pochi metri quadrati, c'era un tavolo libero. Quasi corse per prenderlo prima di qualcun altro. Le poltrone rosse facevano contrasto con le pareti nere, un tempo erano semplicemente bianche. I tavoli assomigliavano ad un tappo di bottiglia in scala gigante e Thomas trovò l'insieme di pessimo gusto, anche se doveva riconoscere che il locale aveva acquistato un tocco di modernità.

Proprio accanto al suo tavolo c'era una piccola libreria che i clienti potevano utilizzare per prendere qualcosa da leggere. In uno scaffale in alto, impolverato e difficile da raggiungere, riconobbe Marina di Zafòn e, più nascosto, L'uomo senza volto di Thomas Roche. Il cuore gli cominciò a battere senza motivo. Una sensazione di panico misto a gioia gli avvolse lo stomaco e l'intestino si attorcigliò in una matassa. E poco prima di realizzare cosa stesse accadendo, una cameriera si avvicinò al tavolo «Bunasera come posso aiutarla?» la cameriera aveva una specie di divisa nera con un grembiule bianco. Aveva una faccia stanca e scocciata, come se fosse stata obbligata a fare quel lavoro. Thomas si girò, ma poco prima che potesse parlare la ragazza iniziò ad emettere strane grida «Non ci credo! Sei Thomas! Io ho anche una tua foto! Mio Dio, non ci posso credere!» Thomas fece una smorfia con il volto non capendo cosa stesse accadendo «Credo che tu sia il mio scrittore preferito. Vedi lì sopra? Sull'ultimo scaffale? L'ho nascosto io lì sopra il tuo libro, così nessuno me lo rovina.» Thomas provò una senso di soddisfazione a vedere quella ragazza così felice di vederlo che quasi dimenticò dove era «Grazie mille! Come ti chiami» Thomas non sapeva come gestire la situazione, si sentiva felice e fiero, ma anche spaventato e imbarazzato «Sono Faith, la figlia di Francis! Purtroppo lui ci ha lasciati qualche hanno fa e adesso sono io e mio marito a mandare avanti il locale...Ma mio padre mi raccontava che un tempo eri un frequentatore assiduo! Quindi per festeggiare il tuo ritorno ti offrirò una tazza di buon thé alla Francis! E dopo mi fai l'autografo.»

La tazza non tardò ad arrivare. E dopo aver firmato il libro di Faith, Thomas bevve il suo thé. Aveva gusto strano. Era un'esplosione di sapori dolci ma allo stesso tempo contrastanti tra di loro. La caloria era come la mano delicata di Amelia che lo accudivano nei momenti di solitudine. Era un thé buonissimo. Si rimise il cappotto e salutò Faith, gli girava un po' la testa. Uscì dal pub e ritornò a casa, con Amelia che era sempre più presente nella sua testa.

Inserì la chiave nella serratura, doveva assolutamente andare in bagno. Spalancò la porta e subito dopo essere entrato la chiuse con un gran rumore alle sue spalle. Attraversò l'ingresso e si ricordò che la carta igienica era finita, così si diresse in cucina per prendere un paio di tovaglioli. Spalancò la porta e vide la finestra aperta. Le tende logore svolazzavano fino a toccare il tavolo da pranzo sul quale, lo notò solo una volta avvicinatosi ad esso, era poggiato un libro. La copertina era nera. Lo aprì. Sulla prima pagina c'era scritto “Iniziamo a giocare”, per il resto era completamente vuoto. Thomas si spaventò parecchio. Corse alla finestra e la chiuse, ma con la coda dell'occhio, proprio dietro di lui, notò qualcosa. Si voltò di scatto. Un uomo con un cappuccio nero lo guardava negli occhi. Non riusciva a vedere il viso dell'uomo, perché era in ombra. «Chi sei?» la voce di Thomas tremava

«Vuoi giocare?» l'uomo con il cappuccio aveva una voce fredda, che ghiacciava il sangue.

«Cosa vuoi dire?» Thomas indietreggiò di un passo, sbattendo contro il vetro.

L'uomo col cappuccio si voltò di scatto e scomparve.

Thomas decise di non andare più in bagno.

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