All our efforts have come to nought

di shadow_sea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il rumore degli schianti ***
Capitolo 2: *** Un maledetto idiota ***
Capitolo 3: *** Quel pianto disperato ***
Capitolo 4: *** Stai invecchiando, comandante ***
Capitolo 5: *** Ricordava bene la Terra ***
Capitolo 6: *** Si svegliò di soprassalto ***
Capitolo 7: *** Non sapeva dove fosse ***



Capitolo 1
*** Il rumore degli schianti ***


Avvertenza
Non sono esattamente impazzita e so bene che sto ancora correggendo i vecchi capitoli di Come ai vecchi tempi. Tuttavia da qualche giorno penso a questa breve storia e oggi ho ritrovato il suo primo capitolo nel mio pc. Credo che continuerò a scrivere anche questa, ammesso che possa valerne la pena.


1. Il rumore degli schianti
Il rumore degli schianti rimbalzava, sordo e cupo, fra i rami incurvati degli alberi nerastri che si chinavano fino a terra, quasi a volerle sbarrare il cammino. Vividi e rossi, come sprazzi di luce che trapelassero fra le nubi di un tramonto spettacolare, i raggi portatori di morte arrivavano dalle profondità del cielo scuro seminando distruzione ovunque attorno a lei.
Ogni tanto un’esplosione diversa, di colore bianco-azzurro, divampava abbastanza vicina da illuminare il terreno su cui stava correndo a perdifiato, rivelando i veri colori di quel giardino incantato: il grigio pallido dei grossi tronchi ed il verde tenue dei rami penduli dai quali si dipartivano, in spirali delicate e regolari, strette foglioline appuntite e allungate, rese dorate dal mite autunno terrestre.
Detriti metallici piombavano dal cielo, tutto intorno a lei, scheggiando le cortecce dei salici piangenti come colpi di un’ascia affilata o schiantando interi rami, ma non riuscivano a oltrepassare la barriera azzurrina biotica che lei aveva eretto attorno a sé.

Un breve istante di silenzio, fuori luogo e illogico, se non addirittura comico in quella fine del mondo, le portò alle orecchie le voci dei suoi allievi che la stavano chiamando invano, sovrapponendo il suo nome, Jack, a quello che lei stava continuando a pronunciare a bassa voce, ma con costanza, da quando aveva iniziato quella folle corsa.
- John - ripeté ancora una volta in un bisbiglio affannoso, mentre inciampava in un ramo scuro che le aveva sbarrato il passo, nascosto fra le tenebre.

I frammenti tondeggianti della ghiaia sparsa sul terreno le escoriarono la pelle del braccio destro, che aveva teso istintivamente avanti nel tentativo di proteggersi nell'inevitabile caduta.
- Merda! - fu l’esclamazione irritata che soppiantò all’improvviso il nome di battesimo del comandante della Normandy sulle sue labbra, mentre gli occhi si ritrovarono a fissare il grande tronco ferito da cui il ramo era stato divelto. Il raggio rosso di un Razziatore ne sfiorò la chioma residua rivelando la ferita fresca nella corteccia da cui colava una resina viscosa, mentre le foglie che si staccavano dai rami scossi dal vento ondeggiavano lievi come piume nell’aria densa di fumo, prima di posarsi in terra e confondersi con la ghiaia e il pietrisco, ormai prive di ogni eleganza e alone di magia.

Approfittò della pausa imposta dalla caduta per riprendere fiato e cercare di orientarsi nell’oscurità interrotta dai colpi delle armi da fuoco degli eserciti in lotta.
“E' una stramaledetta guerra del cazzo. Non ha alcun senso!” si trovò a urlare dentro di sé, rispondendo mentalmente alle accuse che il comandante le avrebbe rivolto nel sapere che aveva abbandonato la sua postazione e i suoi allievi, senza lasciare alcuna istruzione, senza avvertire nessuno.
“E va bene… non è vero che non abbia senso” ammise poi, sentendo sopra di sé due occhi azzurri implacabili e severi “Però sai bene non posso a continuare a combattere senza sapere cosa cazzo ti è successo. Non avrei la lucidità necessaria per guidare i miei ragazzi” gli confessò silenziosamente, rimanendo però insicura che lui avrebbe compreso quella motivazione. Un tempo se ne sarebbe fregata anche lei. Un tempo avrebbe agito come lui, che di certo avrebbe continuato a combattere senza cercarla, se le parti fossero state invertite.
Ma chiunque le avesse assegnate, le parti di quella cazzo di tragedia, se ne fregava di certo di lei, di lui, dell’umanità intera e addirittura di tutte le razze senzienti della galassia.
Si tirò su, sedendosi sul ramo divelto dal tronco, mentre tutto cominciava a vorticarle attorno: le foglie, i rami strappati, la polvere sollevata dal terreno, i fumi della battaglia. Le sembrò che l’aria fosse diventata troppo densa per poterla respirare e i suoi occhi notarono come le immagini diventassero sempre più indistinte.
- Cazzo! - esclamò con rabbia, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani.
“Non posso fermarmi” si impose, flettendo i muscoli delle gambe per tornare in posizione eretta e concentrandosi per rinforzare la barriera biotica che aveva lasciato sfumare inavvertitamente, per la troppa fatica accumulata.

Erano passati pochi minuti da quando Steve l’aveva avvertita, ma li aveva trascorsi tutti in una corsa troppo rapida nel dannato parco che si frapponeva fra la posizione dei biotici e il punto in cui Liara e Garrus erano tornati a bordo della Normandy, costretti ad abbandonare il comandante al suo destino.
Tentare di percorrere quei due chilometri con un’andatura da centometrista era stato un atto idiota e irresponsabile, ma le sue gambe erano scattate e lei si era lasciata trascinare da un impulso che non era stata in grado di controllare.
Ora la testa le girava, rendendole ancora più difficile la determinazione della direzione giusta.
- Cazzo, cazzo, cazzo - bisbigliò mentre girava più volte su se stessa, incapace di orientarsi nel buio che le era improvvisamente calato addosso.

La distruzione di uno scafo di grosse dimensioni, che esplose nel cielo sovrastante con un frastuono che mise fuori uso i suoi timpani per qualche secondo, illuminò improvvisamente l’area circostante, e la sagoma sbilenca di un edificio semidistrutto le restituì la certezza della sua posizione.
Liberò gli stivali dal groviglio dei rami contorti che si intrecciavano sul suolo e ripartì con uno scatto rapido, trovandosi a calpestare dopo poche centinaia di metri la lunga strada in discesa lungo la quale il veicolo di terra, colpito dal fuoco dei Razziatori, aveva travolto Garrus, ferendolo in maniera così grave da costringerlo ad accettare l’ordine del comandante di tornare a bordo della Normandy. Ma Liara aveva dovuto trattenerlo a forza sulla piattaforma dello scafo quando il turian si era reso conto che il comandante avrebbe proseguito quella dannata missione da solo.

Era stato quello lo scarno resoconto che le aveva fatto Steve, ma lei non aveva posto ulteriori domande, grata che il pilota delle Kodiak fosse stato conciso, limitandosi allo stretto indispensabile.
- Avrei voluto che qualcuno mi avvertisse, se fossi stato io al tuo posto - le aveva confessato il pilota, con una voce rotta dal pianto alla fine della narrazione, mentre lei si limitava a ringraziarlo solo con il pensiero, senza neppure accorgersi che aveva lasciato cadere in terra l'apparecchio di comunicazione e che i suoi piedi avevano cominciato a correre verso il punto in cui la Normandy era tornata a sollevarsi alta nei cieli, abbandonando il comandante.

Fissò la lunga discesa di asfalto rognoso le cui buche mostravano la terra sottostante. Macchie di colori diversi ricoprivano il suolo di colori cangianti, mischiando fluidi organici e sintetici come su una tavolozza di un pittore folle. Le pozze di sangue blu, rosso e violaceo, confluivano in rivoli alimentati dall’olio di motori. Quei rigagnoli iridescenti e multicolori scorrevano lentamente sull’asfalto seguendo il profilo delle sue crepe e deviando leggermente il proprio corso quando incontravano resti di natura chiaramente organica, anche se troppo dilaniati per poter immaginare a quale razza potessero appartenere, e pezzi di metallo che una volta costituivano armi considerate letali e potenti armature. Ma le armi e le armature di cui disponeva l’esercito di cui lei faceva parte erano del tutto inadeguate per affrontare le grandi seppie giganti che spalancavano intorno il loro occhio purpureo e dispensavano morte senza alcuna esitazione o rimorso.

Macchine guidate da cervelli inorganici, in grado di decretare stermini di massa senza un nanosecondo di esitazione, senza il minimo dubbio, senza emotività.
Dispensavano una morte ‘pulita’ che veniva somministrata senza preferenze, con una unicità di intenti ammirevole, per alcuni versi. I Razziatori erano un concentrato di logica, capaci di valutazioni tanto sofisticate da non risultare comprensibili ai semplici esseri organici. In qualche modo li si poteva paragonare a degli dei. Ma non ai semplici dei che erano stati variamente concepiti dalle civiltà galattiche di qualsiasi era. I Razziatori erano dei veri, non simulacri. Erano arrivati senza bisogno di essere implorati ed ora agivano in nome dell’ideale più nobile: la preservazione della vita organica.
Non avevano scrupoli a legar loro le mani, non avevano tarli a rodere le loro menti. Avevano uno scopo preciso e lo seguivano con una sicurezza arrogante, indifferenti alle suppliche disperate delle creature che si erano arrogati il compito di tutelare.

Lì allo scoperto, sulla strada asfaltata lontana dal parco rigoglioso di salici secolari alti decine di metri, lo spettacolo che si offriva agli occhi di Jack era ancora più crudo e disperato.
Distolse lo sguardo da ciò che giaceva al suolo immoto e da ciò che a fatica vi strisciava sopra, emettendo gemiti o mantenendo un silenzio che suonava più disperato delle urla, per spingere gli occhi verso la fine della strada, là dove un sottile raggio biancastro si levava verso il cielo: la scorciatoia per la Cittadella, il traguardo che John si era sforzato di raggiungere.

Era verso quel raggio che il comandante aveva continuato a correre, una volta rimasto solo, ed era lì che, mentre la Normandy virava, alcuni membri dell’equipaggio, con i volti schiacciati contro le finestre di babordo, avevano creduto di vederlo cadere al suolo dopo un'altra bordata di fuoco del Razziatore posto a difesa di quella zona di terreno. Steve Cortez era fra loro e l'aveva chiamata per darle la notizia.

Il raggio era ancora lì, bianco e stabile, puntato verso il cielo nero costellato da esplosioni, così come era ancora lì il Razziatore, fermo sulle sue zampe come un feroce cane legato ad una catena che faccia la guardia alle proprietà del suo padrone. Doveva essere stato l’occhio purpureo di quella seppia gigante ad aver falciato la corsa del comandante, immaginò Jack, sentendo che un urlo di rabbia cieca si faceva strada a forza fra le sue labbra.

Se le morse fino a quando avvertì un sapore salato e ferroso impastarle la lingua, poi portò una mano sugli palpebre gonfie di lacrime, nell’inutile tentativo di cancellare le visioni dell’incubo a occhi aperti che la sua mente continuava a riproporle con testardaggine ostinata.

“Il comandante Shepard è sopravvissuto alla sua morte” continuò a rassicurarsi, sentendosi tornata ad essere la bambina di un tempo, quella rannicchiata sul lettino metallico, con la coperta aggrovigliata fra le mani serrate: la bambina che tentava di rassicurarsi che l'inferno a cui Cerberus la stava sottoponendo da troppo tempo avrebbe avuto fine.

Capì di provare paura. Non aveva più assaggiato quel suo sapore, acre e persistente, che nasceva all’interno della bocca ma finiva per contagiare tutto il corpo, restringendo polmoni e piegando gambe, facendo tremare le mani e confondendo gli occhi fino a quando le sembrava di vorticare dentro un turbine che disperdeva nel vuoto ogni altra emozione, come fossero proiettili sparati da un mitragliatore.
Si sentiva sola e paralizzata su quell’asfalto ora, esattamente come quando, da bambina, sentiva che sotto il suo letto era in agguato il mostro più terribile che potesse essere immaginato, pronto ad azzannarle un piede e a trascinarla dentro la sua tana sotterranea, dove l’avrebbe spolpata lentamente leccandosi il muso aguzzo e fissandola con occhi freddi, iniettati di sangue.

Non provava la paura di morire, perché quella l’aveva persa tanti anni prima e sapeva che non sarebbe mai più tornata. La morte era diventata la madre che l’avrebbe cullata fra le braccia asciugando ogni sua lacrima, l’amica che le avrebbe stretto le braccia attorno così che lei potesse appoggiare il suo capo contro la spalla e riposarsi, l’amante che le avrebbe baciato gli occhi perché potessero chiudersi fiduciosi e trovare finalmente un po’ di quiete.
Il fiato non riusciva a riempire i suoi polmoni e le gambe non trovavano l’energia necessaria a muovere un solo passo perché al termine di quella discesa sapeva che avrebbe potuto trovare il suo comandante. L’immagine del suo corpo confuso fra i tanti altri, moribondi o già senza vita, che tappezzavano la lunga discesa verso l'esile colonna di luce biancastra che faceva da ponte fra la città di Londra e la stazione spaziale della Cittadella, le dava un senso di vertigine contro cui non riusciva a combattere.
“Ma tu non puoi morire!” gridò all'improvviso ad alta voce verso il cielo scuro, come se quell'affermazione fosse una formula magica capace di cambiare il destino di Shepard e, di conseguenza, quello della battaglia ancora in corso.
Come risposta a quel grido disperato e pieno di speranza, il Razziatore che aveva di fronte girò un paio di volte la sua grande testa da destra a sinistra e da sinistra a destra, come se stesse scrutando attentamente il terreno, poi fletté leggermente le lunghe zampe e infine spiccò il volo, atterrando a qualche chilometro di distanza, come se avesse concluso che in quella zona non restava più alcuna traccia di resistenza, nessun nemico a cui togliere la vita.

Bastò quel cambiamento perché Jack ritrovasse la speranza per un miracolo che le sembrava impossibile e riprendesse a correre a rotta di collo, con le lacrime che le offuscavano la vista.
Inciampò più di una volta contro ostacoli invisibili non solo a causa del buio, ma perché il suo sguardo correva lontano, senza soffermarsi su ciò che la circondava da vicino.
Sapeva per istinto che se John era davvero caduto, falciato dal raggio di quel Razziatore, ne avrebbe trovato il corpo vicino a quella colonna di luce che si levava verso il cielo scuro: perché il comandante Shepard sarebbe comunque arrivato fino a lì, in ogni caso e ad ogni costo.

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Capitolo 2
*** Un maledetto idiota ***


2. Un maledetto idiota

“Un maledetto idiota, ecco cosa sei!” lo rimproverò mentalmente.
Era stato un idiota a proseguire da solo, senza un solo compagno a guardargli le spalle. Sapeva che Shepard le avrebbe fatto notare che in quella disperata corsa verso il raggio nessuno poteva aiutare nessuno, ma non aveva voglia di essere ragionevole. Aveva solo voglia di trovarlo per potergli tirare un pugno in cui avrebbe infilato tutta la sua rabbia e la sua paura, così come aveva fatto pochi mesi prima, quando se lo era trovato davanti all'improvviso, in veste di salvatore dei suoi studenti, nell'Accademia Grissom.
Sembrava fosse diventata una sua abitudine, quella. Le compariva davanti e la salvava, come un eroico guerriero medioevale che sfidi il drago per liberare la fanciulla tenuta prigioniera.

- Non credere che adesso ti chiamerò principessa - aveva scherzato John appena qualche giorno prima, dopo che lei lo aveva preso bonariamente in giro per quel suo ruolo di prode paladino d'altri tempi, mentre si trovavano sdraiati sul grande letto nell’appartamento di Anderson sulla Cittadella.
Le era comparso davanti in modo inaspettato anche la prima volta, sulla nave-prigione Purgatory, quando si era ritrovata a combattere contro chiunque incontrasse sul suo cammino senza ancora comprendere per quale straordinario caso si ritrovasse fuori dalla sua cella, finalmente libera di uccidere quei carcerieri che avevano cercato, una volta di più nella sua vita, di spezzarle l'animo e la volontà di sopravvivere.
Non ci erano riusciti, così come non ci era riuscito nessuno degli accoliti di Cerberus. Su quella nave spaziale, sede di una delle prigioni più sicure e dure dell'intera galassia, avevano dovuto accontentarsi di tenerla in uno stato di ibernazione forzata una volta che si erano resi conto di essere incapaci di plasmarla a loro arbitrio, di spezzarle l'anima e di domare quel suo spirito selvaggio di ribellione.

Era stato lì che aveva incontrato per la prima volta il comandante John Shepard dell'Alleanza: le era comparso davanti dal nulla e con poche frasi era riuscito a spiazzarla, a instillarle i primi di quei tanti dubbi che avrebbero continuato a roderle l'animo, come un tarlo affamato incapace di resistere al richiamo dell'aroma di un legno antico e profumato, fino a quando si era arresa e aveva dovuto ammettere che lei sbagliava e che lui aveva ragione. Ma erano occorsi molti giorni perché il processo di cambiamento si avviasse e diventasse inarrestabile, fino a renderla la donna che era adesso, quella innamorata di un uomo a cui aveva consegnato l'anima e il corpo, con una fiducia cieca che fino a quel momento avrebbe definito sconsiderata, perché causa di debolezza e vulnerabilità.
E quella donna debole e fragile ora stava correndo a perdifiato con gli occhi puntati lontano, mentre i suoi piedi scavalcavano frammenti di corpi irriconoscibili, rottami di scafi di navi spaziali abbattute e di veicoli terrestri dilaniati, resti di armi che avevano cessato di sputare proiettili ritenuti letali, alla ricerca disperata di un’esile speranza.

Un crampo improvviso le morse il polpaccio della gamba sinistra, spezzando il ritmo della sua corsa senza però riuscire a bloccarla. Continuò a zoppicare verso il raggio bianco maledicendo i Razziatori e quella guerra, maledicendo Cerberus per essere riuscito a rendere ancora più complessa quella situazione già tanto disperata e maledicendo l'Alleanza e il Consiglio della Cittadella che non avevano creduto alle parole del comandante della Normandy fino a quando non era stato troppo tardi. Ma soprattutto maledicendo lui, Shepard, perché l'aveva costretta ad amarlo, ad abbassare il muro che la proteggeva e a rendersi conto che una gran parte di lei ora viveva per lui.

La sua corsa vacillante si interruppe bruscamente alla fine della lunga discesa della strada asfaltata, quando il suo sguardo colse dei colori fin troppo familiari balenare alla luce di una nuova esplosione. Non aveva neppure alzato la testa per capire quale nave spaziale alleata fosse andata distrutta quando quel bagliore livido si era riflesso su un frammento di armatura ornato da una lunga striscia rossa che correva fra due righe bianche parallele.
Una frazione di secondo dopo i suoi occhi presero a saettare tutto intorno, sperando che l'agonia dello scafo alleato durasse abbastanza a lungo da farle scandagliare accuratamente tutta la zona circostante.

Immaginò subito che il corpo immobile a poca distanza da quei resti di armatura N7 fosse quello che stava cercando e che si era augurata di non trovare. Cadde malamente in terra perché i muscoli delle gambe avevano cessato di sorreggerla e si ritrovò a mendicare un alito di fiato mentre i polmoni sembravano rifiutarsi di espandersi nella cassa toracica troppo contratta.
Combatté contro quella sensazione di astenia con rabbia, concentrandosi sulla necessità di superare quel paio di metri che ancora la separavano dall'uomo riverso in terra a pancia in giù. L'ultimo tenue bagliore dell'esplosione fece balenare delle ombre scure su quella schiena parzialmente messa allo scoperto, là dove l'armatura e l'uniforme erano state lacerate e strappate via.
Alla vista di quei segni Jack non tentò neppure di rialzarsi in piedi e si limitò a procedere strisciando sul terreno.

- Che ci fa qui? - aveva chiesto John quando se l'era ritrovata davanti aprendo la porta d'ingresso dell'appartamento sulla Cittadella.
- E' una sorpresa.
- Adoro le sorprese.
- Bene, spogliati.
Qualche minuto dopo, mentre si trovava sdraiato sul letto a pancia in giù, le aveva confessato di essere rimasto spiazzato da quella sorpresa inaspettata.
- Ovvio, altrimenti che sorpresa sarebbe? Non muoverti - gli aveva ordinato bruscamente mettendosi a cavalcioni su suo fondo schiena e impugnando la pistola a inchiostro.
Quando aveva finito John aveva apprezzato il suo lavoro con un aggettivo che l'aveva mandata in bestia.
- Bello? Non è questo il punto. Se ti ritroverai in fin di vita, allo stremo delle forze o sotto un cumulo di macerie alla fine di questa guerra di merda, beh vedendo quel tatuaggio l'intera galassia capirà che sei roba mia.
- Ti preoccupi troppo. Vieni qui - l'aveva rassicurata avvolgendola in un caldo abbraccio.


Invece aveva avuto ragione lei. Si era preoccupata il giusto, non troppo.
Maledisse di nuovo quell'uomo, l'unico che avesse mai amato, che ora giaceva in terra avanti a lei. Le aveva mentito e l'aveva tradita, fregandosene di tutte le rassicurazioni che le aveva dato.
Superò un paio di mutanti morti e tirò via ringhiando il corpo senza vita di un predatore, a metà riverso sul corpo del comandante le cui gambe erano ripiegate in un angolo impossibile. Aveva una pistola nella mano destra.
- John - sussurrò piano, con l'impalpabile speranza di ricevere risposta, ma l'unica reazione fu il repentino spegnimento della colonna di luce bianca: I Razziatori avevano disattivato il raggio.
Una coltre di oscurità scese improvvisamente, come un mantello calato dall'alto per proteggerli dalla vista del resto del mondo. Nel silenzio che seguì Jack avvertì un respiro sofferto e rantolante, lento come quello di un uomo addormentato. Si chiese se fosse solo la sua speranza a farle udire quel suono inesistente, o se davvero Shepard fosse ancora vivo.
Ora però non vedeva più nulla. Forse la battaglia si era spostata altrove, forse sopra il suo capo non esisteva più alcuna nave alleata. Sapeva solo che il cielo era uniformemente nero, senza luna e senza stelle, probabilmente celate dai fumi della battaglia.

Il suo factotum non aveva apparecchi medici e il buio opprimente che avvolgeva quel teatro di battaglia ormai in disuso non le rendeva possibile capire quanto gravi fossero le condizioni del ferito.
“Non ha neppure una torcia del cazzo questo factotum di merda” sibilò fra i denti con rabbia.
- John - ripeté sottovoce cercando di capire quale parte di quel corpo esanime le sue dita stessero sfiorando.

“Sei un'idiota del cazzo!” si rimproverò, perché nella fretta non aveva pensato di prendere con sé un apparecchio trasmittente più efficace di quello standard inserito nel factotum.
Nessuno rispondeva alle sue chiamate e dall'apparecchio proveniva un ronzio monotono, interrotto solo da schiocchi rabbiosi di scariche elettriche di disturbo.
Provò inutilmente a contattare Joker, IDA o un qualsiasi altro membro della Normandy con ansia febbrile. Provò a chiamare il suo distaccamento di biotici e provò ogni possibile frequenza dedicata alle comunicazioni di emergenza. L'unica volta in cui le giunse all'orecchio il suono di una voce metallica, forse appartenente ad un quarian, la trasmissione si interruppe improvvisamente con un boato.
“Un'altra nave alleata andata distrutta” realizzò freddamente, senza provare nessuna particolare emozione.

- Vaffanculo - concluse dopo pochi istanti, abbandonando ogni ulteriore tentativo con la ricetrasmittente.
- Porca puttana, John. Non puoi morire. Dannazione a te! Ti avevano dato l'ordine di combattere e di vincere questa guerra del cazzo, no? Tu obbedisci sempre agli ordini dei tuoi capi. Tu rispetti sempre le tue promesse... - singhiozzò stringendo le dita su un pezzo della sua uniforme. Poi le mosse con cautela tastando delicatamente il corpo alla ricerca di qualsiasi cosa che potesse utilizzare per fare un po' di luce. Con un po' di fortuna John poteva addirittura avere il suo factotum con sé.

Fu quando decise di cercarne uno ancora funzionante su uno dei cadaveri lì vicino che si accorse del lieve bagliore che avanzava lentamente sul terreno. Capì che proveniva da una torcia puntata in basso, forse schermata da una mano, e traballava incerta tracciando ampi semicerchi in terra.
Pur sapendo che non poteva trattarsi di un nemico, sganciò il fucile a pompa dal fianco e lo impugnò saldamente in mano. La luce si dirigeva verso la sua postazione, muovendosi lungo la strada che lei aveva percorso poco prima.

“Ecco. Ci mancava solo la fata turchina...” pensò un paio di minuti dopo con cattiveria, capendo di chi si trattava e tornando a riagganciare l'arma al fianco. Un attimo dopo la chiamò, perché quella donna così odiata poteva rappresentare la salvezza del comandante. Non le era mai piaciuta, per tanti, troppi motivi, ma ora non poteva che sentirsi sollevata nel vederla avvicinarsi.
- Liara, siamo qui. Lui è qui.

- Per la Dea! Sei sicura sia lui? - chiese l’asari, inginocchiandosi in terra al lato di quel ferito senza quasi più pezzi di armatura indosso, come se un'esplosione potente gliela avesse strappata via dal corpo. C'era ancora parte del lato sinistro, compreso il gambale che racchiudeva un arto chiaramente spezzato in malo modo. E la testa dell’uomo indossava un casco anche se, a giudicare dai frammenti sparsi sull'asfalto, doveva avere la visiera rotta.
Con estrema prudenza, alla luce bianca della torcia, le dita di Jack corsero alla parte posteriore del casco che copriva il volto dell'uomo e si insinuarono al di sotto, alla ricerca del meccanismo di chiusura.
Nel silenzio persistente, rotto solo da alcuni fiochi mormorii indistinti e dai guaiti lamentosi di un cane lontano, il lieve click che segnalava l'avvenuto sganciamento risuonò ai suoi orecchi come una piccola esplosione.
Un sorriso nervoso le passò sulle labbra, mentre la sua mente le riproponeva il ricordo di quello stesso rumore, avvertito appena pochi mesi prima all'interno di una navetta da sbarco.

Vi era appena salita a bordo, al termine della missione in cui il comandante aveva salvato lei e tutti i suoi biotici dall'attacco delle squadre di Cerberus nell'Accademia Grissom. Ricordava ancora bene la follia che l'aveva travolta nella stiva della navetta costringendola a strattonare Shepard per un braccio in modo talmente brusco da fargli quasi perdere l'equilibrio.
Allo sguardo stupito che aveva letto in quegli occhi azzurri al di là della visiera trasparente, aveva replicato afferrando il suo casco fra le mani, per sganciarglielo in modo brusco, in preda a una frenesia delirante. Era stata letteralmente travolta dal desiderio di poterlo guardare in viso liberamente, di poter appoggiare le dita sulle sue guance rasate sempre un poco ispide, di inalare il profumo esotico del suo dopobarba.
Il desiderio provato era stato talmente urgente e doloroso che aveva avuto quasi paura di poter svenire lì, davanti ai suoi ragazzi che la fissavano a bocca aperta, come se faticassero a riconoscerla.
Probabilmente si erano aspettati di vederla esibirsi in qualche nuovo gesto di aggressione, magari in un altro pugno ben piazzato in pieno viso, e invece si erano ritrovati a fissare due mani incerte che avevano elargito carezze timide come una ragazza alla sua prima esperienza amorosa e due occhi pieni di troppe lacrime che colavano strie nerastre di rimmel.

Ricordava bene l'espressione nata sul volto del comandante in quel momento: il suo stupore momentaneo era presto sfumato in quel suo solito sorriso, velato da una sottile ironia, che però non l'aveva mai ferita.
Quel sorriso affermava che lui era sicuro di sé, ma soprattutto era sicuro di lei e di quel suo amore violento, senza mezze misure, che chiedeva e dava tutto, senza accettare alcun compromesso.
Quel sorriso affermava con un sicurezza arrogante che John non si aspettava nulla di diverso da lei e sosteneva la sua incrollabile fiducia nel suo amore immutabile che le aveva fatto attendere con pazienza il suo ritorno.

Adesso invece, mentre cercava di sganciare quel casco con la massima accortezza possibile, nel timore di potergli arrecare nuove lesioni, sapeva che non avrebbe letto sul suo viso quell'espressione che tanto amava, né il desiderio fisico che gli ispirava sempre, quello che riusciva a farlo tremare mentre lo teneva stretto fra le braccia e gli arrochiva il timbro della voce.
- Tu sei me. Io sono te - le aveva confessato qualche rara volta, al posto di quel banale e troppo trito ti amo che l'avrebbe soltanto irritata.

Era quasi certa che fosse incosciente, ma sperò che tornasse in sé e potesse riconoscerla. Si chiese cosa avrebbe letto in quei suoi occhi azzurri e nella sua mente agitata passarono le immagini delle tante espressioni che aveva colto nei troppo pochi momenti che avevano potuto passare assieme. Ma non era assolutamente preparata a vedere ciò che i suoi occhi increduli registrarono alla tenue luce della torcia non appena ruotò il corpo esanime del comandante.
Anche Liara non doveva essersi aspettata nulla di simile, perché lanciò un grido e scostò istintivamente le mani, così che la luce finì per illuminare solo l'asfalto lì vicino.
Una volta che la asari ritrovò l'autocontrollo e tornò ad inquadrare il corpo in terra nel cono di luce, Jack non perse tempo a capire quale arma fosse riuscita a frantumare il casco e arrecare le ferite che deturpavano il volto del comandante, ma si occupò di estrarre i vari frammenti della visiera dalla carne lacerata con le piccole pinze del suo factotum e di cospargere poi tutta la superficie con il medigel. Spiccò allora ancora più chiaramente lo zigomo di metallo argenteo e la sovrastante orbita, ricolma di sangue, all'interno della quale riluceva una minuscola ma vivida luce rossastra.

Emise un grido strozzato, mentre le sue mani si allontanavano da quelle fattezze estranee in un istintivo moto di repulsione.
- Cos'è quello? - domandò Liara con voce carica di orrore, mentre fissava alternativamente l'occhio illeso, spalancato verso il cielo lontano, e quello che apparteneva ad un essere robotico.
- Jack, non è Shepard. Quello è un geth o una creatura dei Razziatori - affermò sottovoce, inghiottendo a vuoto.
- Possibile che tu sia così stupida? - sussurrò lei di rimando, con una rabbia antica che ora le esplodeva nel petto in tutta la sua virulenza e rancore sedimentato.
- E' questo il prezzo pagato a Cerberus. E' questo il prezzo della resurrezione di Lazzaro. Non lo capisci? - continuò a bisbigliare nel silenzio della notte cupa, mentre le sue mani sganciavano la medaglietta dal collo del comandante e la tendevano alla asari.
- Leggi cosa c'è scritto sopra - la invitò - Leggi il suo nome e chiediti come hai potuto farlo...

Non sapeva cosa si fosse aspettata di provare, ma la vista di Liara in ginocchio, in preda a una crisi isterica di pianto, non la fece sentire affatto meglio, nonostante l'odio profondo, l'astio incontrollabile e il rancore insanabile che nutriva per quella donna.
Ciò che aveva fatto a Shepard, consegnando il suo corpo esanime nelle mani dell'Uomo Misterioso, era imperdonabile. Non esisteva alcuna possibilità di redenzione per un gesto simile. Nessuno, più di lei, poteva comprendere lo scempio che stavano fissando incredule, perché lo stesso scempio era stato inflitto anche al suo corpo e al suo spirito. Forse da persone diverse, ma tutte appartenenti a quella medesima organizzazione.

Se erano stati i suoi variopinti tatuaggi ad incuriosire Shepard all’inizio, erano state le cicatrici che vi si celavano al di sotto ad attrarlo con una forza che non era riuscito a contrastare.
Quelle cicatrici di Cerberus l’avevano costretto a scendere più e più volte sul ponte secondario della sala macchine, in quella stanza priva di finestre e debolmente illuminata, nonostante l’accoglienza che lei gli riservava ogni volta.
- Mi ricordavi uno di quei cani che hanno trascorso tutta la propria esistenza legati a una catena oppure a combattere in un’arena. Avevi il loro stesso sguardo diffidente e la gola sempre pronta al ringhio - le aveva confessato accarezzandole lentamente la schiena e seguendo, quasi con devozione, il profilo delle antiche cicatrici che la solcavano in ogni direzione, durante la notte che aveva preceduto l’attraversamento del portale di Omega 4.
Non aveva risposto allora, lasciandosi cullare dal suono di quella voce sussurrante nel buio, tanto diversa da quella che lui usava sui ponti della Normandy o durante i combattimenti. Carezzevole e dolce come quella di un attore che declami una poesia di amore, e allo stesso modo vibrante e carica di emozioni e sentimenti che lei non sapeva ancora bene come interpretare.
Dopo una pausa silenziosa, l’aveva sentito chinarsi sulla sua schiena e accarezzarla non più con le dita, ma con la bocca socchiusa, sfiorandole la pelle con le labbra e indugiando sui cordoli di quelle ferite antiche, ormai rimarginate. Aveva rabbrividito di piacere sotto quelle carezze miste al suo fiato tiepido e per qualche istante non aveva protestato per quei brevi baci che non avevano più nulla di erotico o sensuale. Ma non aveva resistito molto, presa dall’imbarazzo e dal timore che lui potesse pronunciare una frase inopportuna, che l’avrebbe ferita e riportata in un’arena di combattimento, proprio quando si era illusa di aver chiuso con quel genere di vita.
- Piantala, mi fai il solletico - aveva mentito in tono di protesta, scalciando con rabbia per liberarsi dal peso di quel corpo appoggiato contro il suo e sentendo vibrare dentro di sé le prime avvisaglie di un’ondata di energia oscura.
- No. Non farlo - le aveva ordinato bruscamente, stringendole una mano e rigirandola in modo che il suo palmo gli premesse contro una guancia, quella attraversata da una lunga cicatrice.
- E’ una delle poche rimaste. Una delle poche che Cerberus non ha avuto il tempo di cancellare - aveva aggiunto in un soffio.
- Cerberus? - aveva domandato a quel punto, ritirando la mano di scatto, come fosse stata morsa.
- A te ha procurato tutte queste cicatrici nel tentativo di renderti un cane rabbioso, deciso a mordere la mano di chiunque, pronto ad azzannare alla gola senza farsi una sola domanda. Ha annullato ogni tuo dubbio residuo sulla possibilità che il tuo prossimo non fosse una minaccia. Ha cercato di trasformarti in una sorta di macchina con un solo obiettivo: uccidere per non essere uccisa. So che è orribile, ma forse Cerberus a me ha riservato un trattamento perfino peggiore…
- Cosa ti hanno fatto?
- Te lo racconterò, Jack. Te lo prometto. Ma non qui e non ora. Vai a prepararti. Manca poco al portale. E vedi di non morire, o non saprai mai con chi hai condiviso questa splendida notte - le aveva sussurrato con un sorriso divertito prima di alzarsi dal letto e tornare a indossare l’armatura e la maschera del comandante Shepard.

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Capitolo 3
*** Quel pianto disperato ***


3. Quel pianto disperato

Quel pianto disperato di Liara non era sufficiente a lenire il dolore di Jack: non alleviava la sua sofferenza, né suscitava il suo perdono. Non provava comprensione o compassione per l'asari, solo voglia di picchiarla. Brutalmente, selvaggiamente, per dimostrarle il rancore che covava nel profondo del suo animo.
- Smettila di piangere, razza di ritardata. Non serve a nulla. Renditi utile invece. Ce l'hai un cazzo di apparecchio ricetrasmittente? - si limitò invece ad apostrofarla con durezza.
La vide scuotere la testa per dire no, ancora incapace di articolare una singola parola nel mezzo del fiume di lacrime e di singhiozzi che l'aveva sommersa.
Jack sapeva che Liara aveva amato il comandante ed era certa che lo amasse ancora, anche se, dietro suggerimento di Shepard stesso, lo aveva abbandonato per sostituirsi all'ineffabile Ombra, capace di esercitare un potere enorme su ogni cosa e persona che esistesse nella Via Lattea. Ma dentro di sé dubitava della sua buona fede, dato che neppure l'Ombra aveva mai avuto a disposizione mezzi così potenti da contrastare efficacemente i Razziatori. Per lei, Liara aveva abbandonato Shepard e la Normandy per semplice sete di potere, trasformandosi di fatto in uno di quei troppi politici corrotti che pensano più che altro al proprio tornaconto. Ma ciò che non avrebbe mai potuto perdonarle era l’aver consegnato il corpo del comandante all’Uomo Misterioso.
Fissò con disgusto quella donna che aveva il quadruplo dei suoi anni e la mentalità di una bambina, perché invocava l’amore come giustificazione per scelte inammissibili.
L’amore non giustificava nulla. L'amore faceva più danni dell'odio quando infettava i cervelli sbagliati.
Poteva essere una trappola per due: per chi amava e per chi era amato. E Liara non conosceva altro amore se non quello egocentrico, quello di una bambina viziata che pensa solo a se stessa.
Avrebbe voluto prenderla a schiaffi, ma non sarebbe servito a nulla. Desiderava che sparisse e la lasciasse sola, ma si rendeva conto che poteva ancora essere utile. Le avrebbe consentito di restare. Forse, insieme, potevano ancora salvare Shepard.

- Il mio factotum non capta nulla. Il tuo invece? Funziona?
- Non lo so...
- Asciugati quelle cazzo di lacrime e provaci! Chiama la Normandy, chiama chi diavolo ti pare. Non sei l'Ombra, tu? Cosa piangi? Piangerai dopo.
Non riuscì a prestare attenzione alle parole che la asari prese a riversare nella ricetrasmittente del factotum come onde disordinate di un fiume in piena. La sentì tentare più volte di mettersi in comunicazione con persone diverse e a un certo punto fu quasi certa che fosse riuscita a contattare la Normandy, ma faceva un'estrema fatica a distrarsi dal corpo che giaceva davanti a lei, abbandonato sull'asfalto.
“Cosa diavolo sei?” si chiese, senza riuscire a trovare il coraggio di toccare il viso di quella cosa, desiderando poter chiudere le sue palpebre per non essere costretta a fissare l'immagine raccapricciante di quella luce rossa, dell’identica sfumatura dei raggi che stavano massacrando il suolo terrestre.

- Non so più chi sono dal risveglio in quel dannato laboratorio di Cerberus. Non so più cosa sono. Ho vissuto la mia morte e la ricordo fin troppo bene. Ricordo perfettamente i primi istanti della lunga caduta che dal relitto della Normandy mi ha portato sul suolo di quel pianeta. E so bene che non si può sopravvivere a una caduta simile. Non ci si può schiantare a quel modo, protetto solo da una tuta che non consente neppure di respirare, per tornare fra i vivi come se nulla fosse accaduto.
Erano state più o meno quelle le frasi con cui Shepard aveva iniziato il suo racconto la notte successiva alla missione suicida, per mantenere la promessa di narrarle la storia delle sue cicatrici.

In piedi, vicino al letto nel suo alloggio, all’inizio di quella serata, lo aveva respinto in malo modo con un'onda biotica, facendogli urtare la schiena contro la parete alle sue spalle e rifiutandosi categoricamente di festeggiare in modo classico il successo della missione al di là del portale di Omega 4.
- Voglio il racconto che mi avevi promesso. Ti farò scopare dopo, per tutto il tempo che vorrai - lo aveva schernito con gelida ironia.
- Per la miseria, Jack, piantala! Non usare quel verbo del cazzo! Se solo lo volessi, potrei scopare con mezza galassia… - le aveva risposto con un tono di voce alterato dall’ira e dalla sorpresa, massaggiandosi una spalla.
- Questo dimostra solo quanto sei idiota a perder tempo con me - aveva replicato, incapace di fermare l’aura biotica che le aveva illuminato le membra, come reazione istintiva a un sentimento troppo potente in cui si aggrovigliavano panico, desiderio e ira.
- Forse, ma per mia disgrazia sei l’unica che voglio. E non solo per scopare, maledizione! - le aveva gridato contro alzando la voce.
Si era trattenuta dallo scoppiare a ridere, tutto d'un tratto intenerita dall’espressione di quel suo sguardo azzurro gelido. Ci aveva letto rabbia, pura e concentrata, che lui aveva sfogato tirando un pugno contro la parete, ferendosi le nocche della mano destra.

L’autenticità di quel sentimento esasperato le aveva mostrato inequivocabilmente quanto la volesse realmente, al di là del desiderio puramente fisico, e quanto davvero lei contasse per lui.
L’aura biotica le si era disciolta addosso e lei aveva mosso un passo incerto nella sua direzione, mormorando una scusa che non si era materializzata in un vero suono. Ma l’espressione pentita che aveva in volto doveva essere stata sufficiente per far sbollire anche la rabbia di Shepard che l’aveva lasciata avvicinarsi senza scostarsi o protestare.
Aveva borbottato qualcosa di incomprensibile, ma si era lasciato baciare la mano ferita, restando immobile, in piedi, con le spalle contro la parete, in atteggiamento di attesa paziente e rassegnata.
- Prima il racconto e dopo l’amore, John. Voglio conoscerti - gli aveva sussurrato abbracciandolo stretto e usando per la prima volta il suo nome di battesimo. Poi lo aveva spinto verso il letto, premendogli addosso con tutto il corpo fino a quando erano caduti entrambi sul materasso, lui sotto e lei sopra, a cavalcioni sopra il suo stomaco.
Gli aveva passato le dita fra i capelli cortissimi con una carezza leggera ma prolungata e poi si era chinata così da sussurrargli all’orecchio con voce resa roca dal desiderio - E lo faremo così a lungo, comandante, che ti verrà la nausea e cercherai un nuovo covo di Collettori solo per scampare alle mie brame smisurate.
Shepard l’aveva scostata da sé e l’aveva tenuta a distanza per guardarla bene in viso. Poi aveva scosso la testa, aveva mormorato una cosa del tipo - E poi sarei io l’idiota qua dentro? - ma alla fine aveva emesso un sospiro rassegnato e si era sistemato il cuscino sotto la testa. Aveva rivolto gli occhi verso l’alto, fissando il soffitto della stanza. Dopo poco aveva cominciato a raccontare.

- Non so più chi sono dal risveglio in quel dannato laboratorio di Cerberus. Non so più cosa sono. Ho vissuto la mia morte e la ricordo fin troppo bene. Ricordo perfettamente i primi istanti della lunga caduta che dal relitto della Normandy mi ha portato sul suolo di quel pianeta. E so bene che non si può sopravvivere a una caduta simile. Non ci si può schiantare a quel modo, protetto solo da una tuta che non consente neppure di respirare, per tornare fra i vivi come se nulla fosse accaduto.
- Non so come abbiano potuto riportarmi in vita, ma hanno usato una tecnologia che nessun altro conosce qui nella galassia. Hanno ricostruito il mio corpo, ma dentro non sono più umano. Sono tecnologia dei Razziatori, Jack. Perché l’Uomo Misterioso la conosce da anni e da anni la utilizza. Hanno ricostruito il mio corpo con esattezza assoluta, trascurando solo le tante cicatrici che mi ero procurato sui campi di battaglia. Quelle che vedi sono quelle nuove, la testimonianza delle tante operazioni che Cerberus ha fatto per riportarmi fra i viventi.
- La dottoressa Chakwas si è offerta più volte di cancellarle, ma io voglio ricordare, Jack. Voglio fissare questo volto nello specchio e rimuginare all’infinito: ciò che è visibile non è che la punta di un iceberg mostruoso. E non intendo parlare di impianti cibernetici, di organi bionici o di ossa metalliche. Intendo parlare di ciò che hanno fatto nella mia testa e che io non posso valutare.
A quel punto Shepard aveva smesso di fissare il soffitto e l’aveva guardata in viso. Le aveva asciugato le linee scure che le colavano dagli occhi seri e le aveva sfiorato le labbra tremanti con un dito.
- Non ci siamo mai incontrati prima della Purgatory, ma immagino che anche tu, come ognuno dei miei vecchi amici, mi avresti rassicurato che sono ancora io, John Shepard, comandante dell’Alleanza e capitano della Normandy. Io ho i suoi ricordi, ma non so quanto siano reali. Non so da dove li abbiano presi e non so cos’altro abbiano messo dentro la mia testa. Non sono in grado di capire se, o quanto, sono diverso, cos’hanno aggiunto e cosa invece hanno levato. Ma non posso essere lo stesso di prima. Questo è impossibile. Non sono più lo Shepard che comandava la Normandy SR1.
- Ma questo non basta, c’è di peggio. Io non sono più nemmeno umano, Jack. Probabilmente ciò che adesso sono, ciò che mi hanno fatto diventare, fa sì che io non possa definire me stesso neppure come essere organico.

- Non ho più le mie vecchie ossa, né i miei tendini o muscoli. Al posto del cuore ho una pompa artificiale e non ho idea di cosa abbiano usato per sostituire altre parti del mio corpo. Guarda dentro le mie pupille e vedrai il riflesso di un bagliore rossastro che non esiste in natura. Non posso guardare nel mio cervello, ma dubito che la materia grigia che la Chakwas mi conferma essere presente appartenga al vecchio Shepard. Potrebbe essere il risultato di qualche coltura artificiale, generata da cellule estranee al comandante e che forse non sono neppure di origine animale o vegetale. Forse non vengono nemmeno da questa galassia, forse sono state portate nel nostro mondo da qualche altro luogo, magari dentro un Razziatore ormai estinto.
A quel punto aveva smesso di parlare e aveva chiuso gli occhi. Poi aveva alzato entrambe le mani dal materasso e aveva fatto scorrere le dita sul suo corpo, indugiando su ogni più piccolo sfregio della sua pelle, con una dolcezza morbida e delicata che non aveva nulla di sensuale o erotico.
- Il mio cervello è come il tuo corpo. Esiste ancora, ma non è più lo stesso di prima. E nessuno di noi due potrà mai riavere indietro ciò che ci è stato sottratto, perché le nostre cicatrici non sono solo fisiche, Jaqueline. Sono il simbolo di ciò che siamo ora, di ciò che siamo stati costretti a diventare senza aver potuto scegliere, senza aver potuto opporci.
- Tu sei me. Io sono te - aveva concluso tenendo le palpebre ostinatamente serrate, forse illudendosi che riuscissero a nasconderle quelle lacrime che non voleva lasciare libere di andare.

- Sbagli. Questa volta ti sbagli, John - lo aveva rassicurato con un sussurro, stendendoglisi addosso e abbracciandolo forte, in modo che i loro corpi aderissero completamente.
- Nessuna intelligenza artificiale potrebbe mai creare un organico, perché gli mancherebbe la fantasia, la pazzia e la dolcezza necessarie. Non so chi fossi prima di rinascere in quel laboratorio, ma tu sei l’essere più umano che io abbia mai incontrato. Queste paure che avvelenano il tuo sangue lo dimostrano ed è un regalo inestimabile sapere che solo io conosco questo tuo segreto. Un segreto che non tradirò mai, perché so che per tutti vuoi restare semplicemente Shepard, comandante dell’Alleanza e capitano della Normandy, così come per tutti gli altri io sarò sempre e solo Jack. Ed è per questo che in fondo hai anche ragione, quando affermi che tu sei me e io sono te.
- Non so chi fosse il John Shepard che comandava la Normandy SR1, ma io amo questo Shepard, chiunque tu sia e qualunque cosa tu sia - aveva concluso in tono deciso, rinunciando a nascondersi dietro la più blanda barriera e consegnandosi nuda, anima e corpo, nelle mani di quell’uomo che le si era consegnato indifeso con altrettanta fiducia.

Facevano male quei ricordi così teneri in quella situazione tanto disperata.
Si tolse le lacrime dal viso con rabbia e tornò a occuparsi del casco, maledicendo la trasmittente del comandante, anch’essa fuori uso. Si strinse nelle spalle, quasi sollevata dal non poter far nulla per salvare ciò che restava di lui. Forse si compiva finalmente il suo destino, forse Shepard poteva lasciarsi tutte le sue lotte alle spalle e trovare la quiete, attesa troppo a lungo.
Si accoccolò sedendosi in terra, con la testa fra le mani e la schiena curva, senza osare alzare lo sguardo per timore di dover affrontare ancora una volta la visione di quell’occhio rosso spalancato.

Fu la frase pronunciata da Liara a scuoterla dal torpore che l'aveva avvolta.
- Joker sta cercando di sganciarsi dalla battaglia che si sta ancora combattendo nei cieli. Ci raggiungerà appena possibile.
- Allora immagino che dovremmo cercare di tenerlo in vita - rispose freddamente, rendendosi conto che nessuna di loro due si era ancora occupata di verificare quanto gravi fossero le ferite.
“Non si muore di troppo medigel” si rassicurò versando altro liquido sulla pelle e dentro la carne viva del comandante “E di certo non causerà alcun danno alle parti inorganiche”.
Non cercò di allontanare Liara che si era chinata sul corpo del ferito, conscia che stava effettuando qualche esame medico con il factotum.
- Sono solo numeri inutili. Non so interpretarli - ammise alla fine l'asari, avvicinando il suo factotum verso Jack che fissò solo per un istante l'infinita serie di cifre che si avvicendavano con tenace regolarità sul piccolo schermo, prima di allontanare con violenza il braccio dell'asari dandole una spinta così forte da mandarla a sedere in terra sull'asfalto.
- Cosa cazzo vuoi da me? Ti sembro un'infermiera? Chiama la Chakwas invece.

Fissò le dita azzurre di Liara che continuavano a premere i tasti sul suo factotum, talvolta per fare domande, talvolta per rispondere, talvolta per inviare qualche lettura. Le fissò senza mai vederle, assorbita nel compito di somministrare medigel in dosi massicce, senza provare a fare nient’altro, per paura di compromettere una situazione che tutto sommato appariva stabile.
- Non servirà a molto e dubito che potrà tenerlo in vita ancora a lungo - sentenziò alla fine con durezza, senza neppure cercare di ammorbidire l'asprezza del tono, mentre apriva una nuova confezione e faceva scorrere la sostanza viscosa su ogni zona scoperta del corpo del comandante.
- Lo so, ma sembra stabile al momento. Il polso è lento, ma costante, e il respiro è fin troppo regolare. Non mostra alcuna variazione. La temperatura è nella norma. Il resto delle informazioni non le capisco, ma la Chakwas ha detto di stare tranquille. Credo che neppure lei capisca come possa essere ancora vivo... - rispose Liara a bassa voce, tornando a inginocchiarsi al fianco del ferito.
- Gli impianti di Cerberus stanno compensando le anomalie - fu il verdetto distaccato di Jack - Non so come, ma non ha importanza adesso. Forse possono mantenerlo in condizioni di vita artificiale, come se si trovasse in una sala di rianimazione. E forse questo stato di sospensione da una morte altrimenti inevitabile potrebbe andare avanti parecchio, fin quando ci sarà... Ci sarà... Ci sarà cosa? Energia?... E da dove viene?... Batterie? Gli hanno impiantato anche delle batterie da qualche parte?
Fece una breve pausa pensierosa e continuò con lo stesso tono - Magari c’è una centralina che invia ordini al suo cervello: inspira aria, espira aria, mantieni regolare il battito del cuore, porta sangue e ossigeno alle cellule... anche se non so mica se sia proprio sangue quello che gli scorre nelle vene e nelle art...
- Vorrei che la smettessi di parlare in questo modo - la interruppe Liara in tono brusco.
- Spengo il factotum, se non ne hai bisogno. Non vorrei che un nemico ci avvistasse - aggiunse poi come scusa, sapendo che il buio l'avrebbe aiutata a superare lo shock per le immagini che avevano sotto gli occhi.

Ma tornò a far luce dopo appena pochi secondi, incuriosita da ripetuti rumori graffianti, di metallo strusciato sull'asfalto, che spiccarono nitidamente nel silenzio opprimente di quella notte.
Rabbrividì istintivamente nel notare come Jack fosse riuscita a far poggiare la nuca di Shepard sulle sue cosce nude, allungate in terra, e contro il suo ventre, messo allo scoperto dal giubbotto che aveva sbottonato. Quella scena le ricordava l'immagine di una fotografia che aveva scovato in un cassetto di sua madre quando era bambina, quella in cui una asari allora sconosciuta (ma che in seguito aveva saputo trattarsi di suo padre) era seduta a gambe incrociate su un prato e teneva in grembo il viso di Benezia.
Ma se quella fotografia era fin troppo romantica e quasi stucchevole, la scena che stava fissando era così raccapricciante che non riuscì a distogliere lo sguardo, suo malgrado avvinta dall'orrore di quella disgustosa mescolanza di pelle e sangue con circuiti e impianti, di quell'amalgama di carne, metallo e plastica, di quell'unione innaturale di elementi artificiali e biologici.
- Per la Dea! - sussurrò a bassa voce con espressione colma di disgusto, rimediandosi un'occhiataccia silenziosa da parte della donna che, come unica risposta, con lentezza estrema allungò la mano destra, fino a sfiorare la pelle sulla guancia di John, sotto l'occhio sano, seguì con attenzione il profilo delle ossa dello zigomo e scese ancora, avvertendo sotto i polpastrelli la ruvidezza dei peli cortissimi della sua barba.
Evitò le labbra ferite, cosparse di saliva mista a sangue e medigel, ma seguì il profilo delle piccole rughe incise ai suoi lati, ricordandole perfettamente anche in quell'oscurità assoluta.

In quel cyborg Jack riconosceva l'essenza dell'uomo che si era ritrovata costretta ad amare, nonostante tutte le sue paure, i giuramenti, le convinzioni incrollabili. Aveva in grembo l'opera di Cerberus, che aveva cercato (o almeno così aveva affermato) di ricostruire esattamente l'uomo che Shepard era stato un tempo. Non sapeva se gli scienziati e i tecnici di quella fottuta organizzazione avessero davvero preservato l'indole, il carattere, i ricordi, gli ideali di un uomo che lei non aveva conosciuto. Per riportarlo in vita avevano dovuto ricostruire tutti i componenti fisici andati distrutti ed era difficile immaginare che fossero riusciti a preservare l'anima di quell'uomo o, meglio, l'essenza intima della sua persona.
Ma non era questo ciò che contava: il Progetto Lazarus aveva dato origine e vita a un essere che di certo non era umano e che forse non si poteva definire neppure veramente organico, ma quello che teneva fra le mani era il suo John Shepard, l'essere a cui lei era più vicina.
Cerberus, con lei, non si era comportata allo stesso modo. Non erano stati attenti a martoriare solo il suo corpo fisico preservando la sua integrità mentale, tutt'altro. Non avevano avuto alcuno scrupolo a spezzarle sia il fisico sia la mente pur di farla diventare la biotica umana che nulla aveva da invidiare alle potenti asari. Eppure la sua essenza non era cambiata, anche se c'era voluta la costanza di Shepard e tutta la sua comprensione ed empatia per riportarla a galla.
Giocare con la mente e con il corpo di esseri viventi era ritenuto lecito dalle persone di cui l'Uomo Misterioso amava circondarsi e loro due erano fra i pochi testimoni in grado di capire dove portavano gli esperimenti portati al limite estremo, là dove non esisteva più etica o principi morali.
Forse era l'unica ragazza che il comandante Shepard, quello nuovo, rinato dalle proprie ceneri, poteva amare, perché accomunati da una pena ad altri sconosciuta e neppure facilmente descrivibile. Ancora ferma l'uno per l'altra in mezzo ad un'esistenza burrascosa, piena di scogli taglienti pronti a dilaniare le loro anime sperdute al primo accenno di burrasca.
John aveva capito che, sotto i tatuaggi che cercavano di nascondere le ferite subite, esisteva ancora la Jaqueline che lei era stata un tempo: la ragazza che sapeva amare senza farsi distrarre dalle apparenze, quella che sapeva donare tutta se stessa, senza egoismi o false ipocrisie. E come in una fuga musicale, dove il tema principale viene ripreso dalle altre voci, lei aveva trovato l'umanità del comandante e gliela aveva mostrata, privata dai veli, perché lui la vedesse finalmente, al di là degli sterili dubbi su ciò che era fisicamente diventato.

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Capitolo 4
*** Stai invecchiando, comandante ***


4. Stai invecchiando, comandante

- Stai invecchiando, comandante.
Così lo aveva preso in giro la prima volta in cui si erano incontrati nell’appartamento di Anderson. Quando Shepard aveva aperto la porta a lei e al varren che si era tirata appresso, la sua risata iniziale le si era seccata sulle labbra nel rendersi conto di quanto quelle rughe, già intraviste sul video del comunicatore, fossero diventate evidenti.
Era terribilmente stanco, provato dal peso immane che il mondo intero gli aveva caricato sulle spalle, ed era distrutto dal dolore per le troppe morti a cui aveva dovuto assistere. Solo un flebile filo di speranza lo teneva insieme e tutto l’amore che lei provava non avrebbe potuto aiutarlo veramente. Sapeva che avrebbe potuto distrarlo per pochi minuti, al massimo per qualche ora, perché l’uomo che aveva di fronte era il comandante Shepard, l’essere il cui unico scopo di vita consisteva nella salvezza della galassia.
A quell'obiettivo avrebbe sacrificato tutto, perfino la vita, così come da tempo aveva sacrificato i sentimenti. Per quel motivo aveva scelto di sacrificare Ashley sul suolo di Virmire, nonostante provassero attrazione l'uno per l'altra.

- Ashley era un soldato, esattamente come me. Kaidan era un biotico. Avevo bisogno di biotici a bordo - le aveva confidato durante una delle sue visite sul ponte secondario della sala macchine della Normandy.
- Già L'amore è una merda. Robaccia chimica che ti incasina il cervello.
- Non so se l'amassi. Direi di no. Ma mi piaceva, era una bella donna, e costituiva una sfida che mi intrigava. Comunque non potevo permettermi sentimentalismi: dovevo fermare Saren, e Kaidan mi era più utile.
- Ma poi una storia l'hai avuta. La tipa giapponese mi ha parlato di una certa asari. Non so immaginare cosa voglia dire fare sesso con un essere né uomo né donna...
- Apprezzo le asari. Il loro modo di amare non implica necessariamente un contatto fisico: un'esperienza unica, che non potrei descrivere a chi non la conosca già. Qualche mese prima avevo incontrato una delle asari più famose della galassia. Una sorta di cortigiana che viveva sulla Cittadella.
- Vai a puttane, comandante? - gli aveva chiesto ridendo.
- No, non direi. Non ho mai pagato una donna.
- E che fine ha fatto l'asari del tuo equipaggio?
- Ci sta aiutando a combattere contro i Collettori. Veglia su di noi da lontano.
- Una specie di fatina buona. Sei fortunato a poter contare su persone di questo calibro per questa tua missione così nobile - aveva commentato con sarcasmo.

Qualche tempo dopo, quando Shepard le aveva confessato che Liara era stata l'artefice della sua resurrezione, con tutte le conseguenze che ne erano seguite, al soprannome che le aveva affibbiato allora aveva aggiunto l'aggettivo turchino. Non per via del colore della sua pelle, ma perché era stata quella fata del cazzo a distruggere un burattino e a trasformarlo in quell'inutile bambino che neppure a Collodi doveva essere piaciuto poi tanto, visto che aveva smesso di occuparsi della storia di Pinocchio proprio nel momento della sua trasformazione.

Adesso la Fata Turchina le stava di fronte, immobile, con il viso ancora bagnato dalle lacrime. Sperò che la visione di quell'essere bionico che teneva in grembo riuscisse finalmente a farle capire la portata dell'errore commesso.
Come se avesse letto nei suoi pensieri Liara alzò il viso verso di lei e sillabò - Lo so perché ce l'hai con me, ma non puoi sapere cosa avresti fatto tu al mio posto. Lui avrebbe voluto tornare a combattere. Avrebbe voluto salvare la galassia dai Razziatori.
- Eggià. Nobili intenti. Peccato che non abbia salvato un cazzo. Né Tessia ieri, né la Terra oggi - rispose con sarcasmo.

Quello di Shepard era un obiettivo irragionevole e insensato, frutto di una mente malata, ma era un dato di fatto immutabile. Cercare di aprire gli occhi del comandante sull’insensatezza di quella lotta disperata equivaleva a convincere Don Chisciotte di star combattendo contro i mulini a vento.
Ci aveva provato, all'inizio. Ma presto si era resa conto che non poteva non sposare quella causa insensata, perché gli idealisti idioti e carismatici si possono solo disprezzare oppure amare alla follia.
E infatti, alla fine, aveva accettato tutto per lui, perfino l'impensabile.
Il colloquio a distanza che avevano avuto nel momento in cui le loro strade si erano separate, pochi giorni dopo l'attacco dei Razziatori alla Terra, ne era l'esempio più emblematico.

Si era addormentata su una sedia nella sala comunicazioni dell'accademia Grissom senza neppure accorgersene, vinta dalla stanchezza e dalla preoccupazione per quegli ultimi eventi. Non aveva ricevuto notizie, non sapeva dove si trovasse il comandante e neppure se fosse sopravvissuto all'attacco.
Era stata ridestata da Kahlee che le aveva stretto un braccio chiamandola per nome.
- Ti vogliono al terminale - le aveva detto, indicandole uno schermo acceso.
Sentendosi attanagliare dal terrore che si trattasse solo di un sogno, si era precipitata lì davanti a fissare quel volto che compariva ostinatamente nei sonni di ogni dannata notte solitaria.
- La Terra è stata attaccata, Jack - era stata la frase che Shepard aveva pronunciato non appena l'aveva scorta nel video.
- Lo so. Ho visto molte immagini di Vancouver prima che le comunicazioni diventassero impossibili. Dove sei ora?
- Sulla Normandy.
- Questo lo vedo. La riconosco ancora, sai? In che cazzo di quadrante ti trovi?
- Non ha importanza. Volevo solo avvisarti che sto bene.
- Potevi farlo prima, bastardo! L'attacco alla Terra è di tre giorni fa.
- E' stata dura, Jack. Kaidan è vivo per miracolo e qui è tutto un gran casino.
- Come sarebbe a dire che non ha importanza dove sei? Come cazzo arrivo lì? Mi mandi un taxi?
- Voglio che tu resti lì, Jaqueline.
- Non chiamarmi in quel modo! E cosa ci fa quella lì a bordo? Quella lì ce la vuoi, invece? - aveva urlato in preda ad un attacco isterico, intravedendo Liara passare alle spalle del comandante.
Lo aveva visto girarsi repentinamente, ordinare qualcosa alla “quella lì” in questione e tornare a rivolgersi a lei, usando quel tono che odiava, quello che si usa con una bambina capricciosa.
- Puoi aiutarmi meglio da lì, Jack. Non hai idea di che tipo di guerra è questa contro i Razziatori, ma io sì. Non c'entra nulla con ciò che abbiamo affrontato in passato. Averti al mio fianco non potrà aiutarmi in alcun modo. Ma tu e i tuoi biotici potreste fare la differenza. So che vi siete addestrati duramente. Continuate a farlo. Potreste difenderci con le barriere restando nelle retrovie, quando si arriverà a uno scontro diretto. Ho bisogno di te, Jack. Ho bisogno di tutto l'aiuto possibile in questa fottutissima guerra.
Era rimasta in silenzio a fissare quell'insolito sguardo da ragazzo smarrito, chiedendosi cosa fosse accaduto per farlo preoccupare così tanto.
- Vorrei che la smettessi di fare il Gesù Cristo della situazione. Non ha fatto una bella fine, se ci pensi bene, a meno che tu ti beva la storia della sua resurrezione. Ah, ma già... ovvio che sì. Ci sei passato anche tu, no?
- Mi mancavano terribilmente il tuo ottimismo e i tuoi incoraggiamenti - aveva risposto John quasi immediatamente, ritrovando per un attimo l'ombra del suo solito sorriso lievemente ironico.
- Dimmi il motivo vero, fottuto bastardo.
- Non mi crederesti.
Non gli aveva neppure risposto, limitandosi a fissarlo.
- Mi hanno affidato un compito che non credo potrò mai portare a termine. Dovrei riuscire a radunare tutte le razze della galassia per contrastare l'avanzata dei Razziatori. Ce li vedi i krogan a collaborare con salarian e turian? E le asari si abbasseranno mai a combattere fianco a fianco con razze che reputano inferiori, come gli umani e i volus? - le aveva confessato alla fine, abbassando le spalle come se si fosse quasi già arreso di fronte all'enormità di quella missione.
- Già che c'erano... ti hanno mica chiesto di far alleare i geth con i quarian? - aveva commentato ironicamente - Comunque non vedo cosa c'entro io con questo troiaio...
- In questa guerra ci saranno morti, molte morti. Abbiamo appena iniziato e Kaidan sta già rischiando di non vedere l'alba di domani. Vorrei potermi illudere che almeno tu sei al sicuro. Non voglio dovermi preoccupare per te. Non credo che potrei farcela, Jaqueline. Non farmi questo, ti prego...
Era una preghiera talmente assurda sulle labbra del comandante della Normandy che lei capì quanto fosse sincera e quanta disperazione provasse il suo uomo in quel momento. Ingoiò le lacrime e assentì con un cenno della testa, capendo finalmente che non aveva altro modo per aiutarlo.
- Ti porterò a ballare, alla fine di questa fottuta guerra - aveva concluso Shepard con un sorriso stentato.
- Hai appena fatto una promessa, comandante. Vedi di mantenerla. Resta vivo - gli aveva risposto con semplicità.

Quei ricordi la spogliarono dalle ultime barriere residue e un sentimento di dolcezza assoluta l'invase e la spezzò dentro. Si accartocciò su se stessa, fino a ritrovarsi con il viso a pochi centimetri da quello di lui. Assaporò il sapore salato delle lacrime che si sforzava di trattenere e tirò su con il naso, poi affondò il viso nella cavità fra il collo e l'ampia e spalla del comandante, aspirando l'odore di sudore e di sangue, di olio di fucile e di clip esplose.
- Maledizione, John - gli sussurrò all'orecchio in un singhiozzo - Riesci a sentirmi?
Gli cercò la mano, quella illesa, quella che teneva stretta una pistola fra le dita e gliela strinse con forza, conscia che tutto quello che stava facendo e pensando la spingeva verso un pianto disperato che le sarebbe stato arduo arginare. Si sarebbe trovata in balia delle proprie emozioni, completamente incapace di dominarle, come un naufrago alle prese con un gorgo nato negli abissi.
E questa volta il comandante non avrebbe potuto offrirle la mano tesa e trarla in salvo, come faceva sempre, perché adesso era altrove, in quella zona sconosciuta e misteriosa che non è più vita, ma non è ancora morte.
Combatté contro quel pianto che la premeva da ogni lato, come un mare burrascoso che mastichi i margini di un'isola, mentre la mente riandava impietosa ad altri brevi spezzoni delle poche ore che erano riusciti a trascorrere insieme, nei ritagli di un'esistenza dedicata al combattimento. Lui aveva sempre lottato per la salvezza della galassia e lei, prima di incontrarlo, per la sua stessa sopravvivenza e per vendicarsi dei suoi troppi aguzzini. In seguito aveva finito per combattere la battaglia del comandante Shepard, ma lo aveva fatto solo per lui, non per il bene di una galassia della quale se ne fotteva alla grande.

Sussultò all'improvviso al suono inaspettato della voce del comandante che le risuonò chiaramente nell'orecchio. Si tirò su, incerta se avesse solo sognato, ma vide Liara armeggiare con il factotum e subito dopo il tenue raggio di luce della torcia tornò a centrare il ferito.
- Cos'ha detto? - chiese a quel punto la asari con voce tremante, aspettandosi una rispostaccia tagliente e sgarbata.
- Non ne sono sicura - rispose invece Jack, facendole segno di avvicinarsi - Ma credo abbia chiamato Anderson.
Rimasero vicine a spiare il volto del comandante. Videro le sue labbra tremare e poi contrarsi, come se tentasse di parlare, ma senza che ne uscisse alcun suono.

- Sta sognando? Oppure delira? Il tuo raffinato factotum asari cosa dice?
- Un congegno elettronico non può dirci nulla. Io però potrei capire... Se tu volessi... Se me lo permettessi - fu la risposta esitante di Liara che non si girò neppure a guardare Jack in faccia, ma che mantenne invece i suoi occhi scuri sul volto dell'uomo che aveva amato e che ancora amava con tutta se stessa.
- So che non ti piaccio. Forse mi odi addirittura, ma questo è irrilevante ora, Jack.
- Va bene. Fallo, maledizione! Io... Io devo sapere.

- Scostati allora. Togliti di mezzo - le rispose seccamente, un po' per necessità e un po' perché era profondamente irritata. Aspettò che la donna si spostasse, dopo essersi sfilata di dosso il giubbotto di pelle che ripiegò per farne una sorta di cuscino che pose sotto la testa del comandante.
- Abbraccia l’eternità - sussurrò poi sottovoce, per pura forza di abitudine, ben sapendo che Shepard non avrebbe potuto sentirla.
Ci volle qualche secondo perché l’unione creasse una connessione fra le loro menti, ma Liara non se ne preoccupò, ben sapendo le difficoltà a cui sarebbe andata incontro effettuando quel tentativo con una persona non cosciente.
Ma la mancanza di lucidità del comandante giocava anche a suo favore, annullando ogni possibile residuo di quell'innata resistenza che aveva avvertito ogni volta in cui avevano comunicato a quel modo, anche nelle ormai lontane notti intrise d’amore. C’era una zona della mente che lui istintivamente nascondeva a qualunque indagine, erigendo una barriera che lei non aveva mai provato a forzare, rispettando la sua intimità.
Neppure ora cercò di intrufolarsi in quella regione, anche se sapeva bene dove si trovava. Si concentrò invece sulle immagini e sui suoni che lui avvertiva, rendendosi immediatamente conto della loro vivezza. Capì all’istante che non si trattava di un semplice sogno o, meglio, che se di sogno di trattava, doveva apparirgli molto più reale della comune realtà.

Percepì un lungo corridoio, appena illuminato da una flebile luce rossastra che si rifletteva sulle superfici metalliche. Il pavimento era ricoperto da sangue rosso e disseminato di cadaveri umani ammassati l'uno sull'altro, come fossero sacchi di spazzatura.
Intravide i Custodi della Cittadella che si aggiravano silenziosi in quello spazio, frugando fra quei resti inanimati e sentì la voce di Anderson e quella di Shepard che si scambiavano informazioni e formulavano domande a cui non sapevano trovare una risposta.
Visse l'incontro fra i due, seguito dall'arrivo dell'Uomo Misterioso, e notò le dita di Shepard mentre premevano il grilletto della pistola che teneva in mano. Assistette al suicidio del leader di Cerberus e vide la mano di Shepard premere un pulsante su una console posta al centro della stanza.
Si emozionò alla vista delle pareti della grande sala che si aprirono per mostrare i cieli nei quali le forze alleate e i Razziatori stavano combattendo, e sussultò all'apertura delle braccia della Cittadella.
Assistette impotente alla morte di Anderson e si immaginò seduta al fianco di Shepard, sulla piattaforma circolare, a piangere lacrime infinite per la fine di quella guerra troppo lunga e troppo costosa in termini di vite andate perdute.

Liberò la mente dal contatto, prostrata dallo sforzo fatto e dalla sofferenza provata, e fece dei lunghi respiri, lenti e cadenzati.
- Mi serve un po' di tempo - sussurrò a bassa voce, senza guardare Jack.
Lottò per qualche minuto, non tanto per riprendersi dalla fatica, ma per vincere l'astio che provava per l’umana ottusa e presuntuosa che sedeva sull’asfalto vicino a lei, la saccente che pensava di aver capito tutto, la miope arrogante che si era arrogata il diritto di giudicare le sue scelte, poi cominciò a raccontare le visioni del comandante.

- Non so che posto fosse, né quale tempo, ma ho visto Anderson. C'era anche l'Uomo Misterioso che stava minacciando Shepard, affermando di poter piegare la sua volontà e controllarlo - furono le frasi con cui iniziò il racconto che proseguì con la scena del ferimento del Consigliere della Cittadella da parte del comandante e con il suicidio dell’Uomo Misterioso, per concludersi infine con la morte di Anderson e con l'apertura delle braccia della Cittadella.
Le frasi che usò per descrivere ciò che aveva visto mediante l'unione asari furono brevi e secche, ma anche indecise perché, nonostante avesse vissuto in prima persona le esperienze del comandante, stentava a dare un senso a quelle immagini bizzarre, ambientate in un luogo sconosciuto e avvolte da un'atmosfera irreale che ricordava il mondo dei sogni.
Si limitò di proposito a un resoconto breve e asettico, perché voleva tenere solo per sé almeno una parte di Shepard. Sapeva di essere ingiusta, ma odiava Jack: era a causa sua che aveva perso l'uomo che amava. Se non l'avesse incontrata, era certa che il comandante avrebbe continuato a restare con lei. Perché lui aveva compreso cosa l'aveva spinta ad affidare le sue spoglie a Cerberus, aveva compreso come quella sua decisione tanto sofferta fosse stata anche l'unica possibile.
Era vero: l'aveva riportato alla vita con una scelta unilaterale. Ma non aveva potuto chiedergli cosa volesse: non si chiacchiera con i defunti.
Aveva agito per egoismo? Sì, anche, forse. Ma si era trattato soprattutto di altruismo. Come l'Uomo Misterioso, anche lei era certa che la galassia non sarebbe potuta sopravvivere all'attacco dei Razziatori senza Shepard. Lui, e solo lui, avrebbe potuto guidare la resistenza e guidare gli eserciti alleati.
Aveva dovuto scegliere e lo aveva fatto, conscia che ci sarebbero state conseguenze. Ma una parte di sé sapeva che, se fosse stato cosciente, anche lui avrebbe chiesto il miracolo di poter tornare sui campi di battaglia. Perché era quello il suo destino, lo era stato fin dall'inizio.
La salvezza della galassia era l'obiettivo a cui avrebbe sacrificato tutto e tutti, se stesso incluso. Era fatto così, il comandante. Ed era quello il motivo per cui era diventato il punto di riferimento dell'intera Via Lattea ed era stato costretto a sostenerne tutto il peso sulle sue spalle.
Quell'umana dalla vita troppo breve non poteva capire, eppure aveva finito per sposare anche lei la sua missione. Forse quella scelta era dipesa dall'amore che provava per lui ma a Liara non interessava Jack, né conoscere le sue vere emozioni e motivazioni, quelle che nascondeva sempre a tutti, e probabilmente anche a se stessa.

- Non capisco... Cosa significano tutte queste assurdità? Lui crede di trovarsi lì, ora? In quello strano posto? - chiese Jack, senza riuscire a credere alle parole che aveva appena ascoltato.
- Con questa cosa, con l'unione asari o come si chiama questa specie di telepatia, puoi capire anche cosa sta provando? Sai dirmi se sta soffrendo? - chiese ancora, afferrando una mano del comandante e stringendogliela forte, come se volesse fargli coraggio e confortarlo.
Quelle domande, espresse in tono ansioso e stranamente prive di colorite imprecazioni, riportarono Liara alla realtà presente.
Fissò per qualche secondo il viso dell'umana e finalmente si decise a descriverle anche le emozioni di Shepard, per quel poco che l’unione le aveva suggerito tramite le immagini che aveva visto scorrere dinanzi ai suoi occhi: il dolore per la morte di Anderson, la soddisfazione per aver portato a termine la missione che gli era stata affidata e una sorta di apatia che sovrastava tutto il resto, ma che lei non riusciva a comprendere.
- Non so cosa fosse, Jack. Non so interpretare quell'ultima emozione. In quella dimensione, in quel luogo e tempo, aveva raggiunto l'obiettivo a cui ha dedicato tutta la sua vita. Non so se provasse estasi e smarrimento insieme. Forse si sentiva svuotato, ormai privo di scopi o desideri - le confessò scuotendo lentamente la testa.
- La sua mente non ha formulato alcuna immagine sul futuro che aspetta tutti noi dopo la vittoria, né ha ripescato dalla memoria le fattezze di un solo viso - continuò poi - Non c'era Ashley e non c'ero io, ma neppure tu, Jack. Sopra a ogni emozione dominava incontrastata quella sensazione strana. Forse di delusione? Potrebbe essere inevitabile alla fine di una lotta tanto lunga e sofferta.
- Non riesce a capacitarsi che la pressione di un semplice pulsante sia stato sufficiente a porre fine a questa guerra. Nessuno potrebbe credere a un miracolo del genere, neppure se delirasse, neppure se fosse stato indottrinato - commentò Jack quando Liara smise di parlare.
E a quel punto restarono entrambe in silenzio, ognuna isolata nelle proprie meditazioni e nei propri ricordi.


Nota
Questo è il capitolo più importante di questa storia, quello che rivela chiaramente tutto. Nonostante la trilogia che ho dedicato a Shepard-Vakarian, è questo il vero finale di Mass Effect, secondo me.
Prima di andarmi a chiudere nella cella imbottita che talvolta condivido con Giulia, vi rivelo il motivo del titolo: è appositamente in inglese per un intraducibile gioco di parole che forse qualcuno ha già compreso a questo punto. Nought è il cognome vero di Jack, ma è anche un sinonimo di naught, nothing.
Mancano ancora tre capitoli alla conclusione di questa storia. Sono curiosa di vedere chi avrà ancora voglia di seguirmi: lasciate ogni speranza, voi ch'intrate... (scritta sulla porta dell'Inferno di Dante Alighieri)

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Capitolo 5
*** Ricordava bene la Terra ***


5. Ricordava bene la Terra

Ricordava bene la Terra, così come le era apparsa dalla finestra dell’alloggio sul ponte uno della Normandy poche ore prima dell'arresto di Shepard. La sua mente aveva partorito, prima di vederle realmente, le immagini di una banchina d'attracco affollata da militari che avrebbero preso in consegna il comandante.
- Fottiti, John. Questa è solo una cazzata micidiale - aveva detto all'uomo alle sue spalle.
- Non ha senso! Sai benissimo che non potrà finire bene questo processo di merda! Hackett, quel tuo ammiraglio del cazzo, se ne fregherà di te. Cosa vuoi che gli importi se ti metteranno in una cella scordandosi la chiave? Stanno solo cercando di pararsi il culo con i Batarian e sarai tu a pagare al loro posto! - aveva proseguito in tono stridulo, pur sapendo che quelle sue parole non sarebbero servite a nulla.
Shepard aveva continuato a fronteggiare quella scarica verbale senza mutare espressione: la faccia tranquilla e rilassata e quello sguardo azzurro, immobile e deciso, rendevano evidente che stava solo sprecando fiato e tempo. Era già tutto deciso e nulla di quanto avrebbe potuto dire gli avrebbe fatto cambiare idea.
Come unica concessione, il comandante aveva smesso di fissare la mappa galattica e aveva portato lo sguardo su di lei annuendo con lentezza. L'espressione del volto dimostrava che capiva cosa le passava per la testa e comprendeva le sue emozioni, ma non aveva parlato, sapendo bene quanto sarebbe stato inutile ripetere ancora una volta le sue motivazioni.
Si era limitato a stringersela al fianco e a trattenerla con il braccio sinistro. Poi si era girato verso di lei e le aveva fatto una carezza accompagnata da uno sguardo triste, da cane bastonato senza motivo.
Perché non c'era un motivo valido per quell'arresto e tutti e due ne erano ben consci. Ma laddove lei si sarebbe rifiutata di arrendersi e avrebbe voluto tirarselo appresso spingendolo a vivere una vita da pirata e da perenne ricercato, lui accettava senza proteste quel destino idiota.

- Ho prestato servizio nell'Alleanza ubbidendo agli ordini che mi erano stati dati non tanto per rispetto delle gerarchie, ma per il bene della galassia. Per questo stesso motivo, quando l'ho ritenuto necessario, ho rubato la Normandy e più tardi ho accettato di usare le risorse di Cerberus. Ora il bene della galassia esige che io mi faccia arrestare o non potrò più combattere per lei - aveva provato a spiegarle più volte, ma senza risultato.

“Il bene della galassia. La difesa di tutte le razze che l’abitavano… Si poteva dedicare tutta la propria vita a un obiettivo così sconsiderato?” si chiese per l’ennesima volta, pur conoscendo la risposta: Shepard poteva, lei no… ma lo amava, per sua disgrazia.
Amava un idiota che era andato a farsi ammazzare per gente che non conosceva, che non gli aveva creduto in passato e che in futuro non gli sarebbe stata riconoscente.
Era ovvio che Shepard non potesse accontentarsi di salvare la galassia premendo un bottone del cazzo. Dove stava la gloria in un gesto così banale? Ci voleva uno scontro epico, meglio se fatale, ovviamente… Perché, se pure l’amava con tutto se stesso, Jack era sacrificabile, così come lo era l'esistenza stessa del comandante. Il loro futuro in comune era un semplice optional, desiderabile ma secondario.
“Forse lo amo proprio per questo?” si chiese inorridita da quell’interrogativo, prima di lasciare che i pensieri proseguissero a ricordarle le ultime immagini che aveva di lui prima dell’arresto.

Era sceso dalla nave dopo un ultimo bacio che lei aveva interrotto respingendolo con rabbia. Poi si era incamminato sulla banchina con il suo solito portamento austero, senza farsi piegare le spalle dalla pena che provava nel consegnarsi in mano a gente ignara, che ancora si ostinava a non comprendere il pericolo rappresentato dai Razziatori.
Era rimasta a bordo, a fissarlo dalla finestra. Se fosse scesa si sarebbe avventata sulla coppia di soldati e sul maggiore che avevano salutato rispettosamente il comandante, prima di affiancarlo.
Li aveva osservati mentre si dirigevano verso un piccolo veicolo militare che era volato via senza che il comandante si fosse girato una sola volta a guardare indietro. Se lo sarebbe aspettato da lui, non tanto per lei, quanto per la sua nave. Ma probabilmente quella visione gli avrebbe spezzato il cuore e John non poteva permetterselo, con quel processo da affrontare a breve.
Si era attardata nella sua stanza, in cui ancora aleggiava il profumo del suo dopobarba, fino a quando un militare sconosciuto era entrato dalla porta dicendole che l'avrebbe accompagnata presso gli uffici dell'Alleanza per un colloquio con un certo David Anderson.
- Il comandante Shepard le ha fissato questo appuntamento qualche giorno fa e mi ha chiesto di accompagnarla.
Aveva annuito, si era fatta dare l'indirizzo, ma aveva declinato gentilmente la sua scorta.
- La ringrazio molto, ma preferisco andarci sola - aveva risposto, recitando la parte di una gran dama di qualche secolo prima.
Il militare non aveva protestato e lei era scesa dalla nave. Poi era andata a sbronzarsi in un bar vicino scegliendo un buco seminterrato pervaso dal fumo di sigarette e da miasmi vari.

Ricordava bene le ore che aveva trascorso in quel locale, seduta ad un tavolino in modo da poter guardare la Normandy ancora attraccata al molo, attraverso la grata della piccola finestra che affacciava all'altezza del marciapiede esterno. Aveva fissato a lungo il simbolo esagonale giallo e nero che risaltava sullo scafo sorridendo ironicamente al destino che le aveva giocato ancora una volta uno scherzo inatteso.
Se Shepard non fosse stato tanto disperato da accettare l'aiuto di Cerberus per combattere contro i Razziatori, sarebbe stata ancora prigioniera sulla Purgatory. Di certo l'Alleanza non lo avrebbe mai incoraggiato ad assoldare personaggi ambigui e pericolosi come lei stessa, Thane, Kasumi o Zaaed, solo per citarne alcuni.
E invece lei, una nota criminale, era entrata a far parte dello strano equipaggio della Normandy e aveva seguito il suo carismatico comandante al di là del portale Omega 4. Aveva combattuto per lui e se ne era perdutamente innamorata.

Due uomini che si erano avvicinati al suo tavolino l’avevano distratta da quei ricordi. Le era bastata un'occhiata per capire che tipi fossero: delinquenti di mezza tacca, sicuri di essere invincibili, anche grazie al tatuaggio che ostentavano sulle braccia. Pur senza conoscerlo, aveva capito che era il simbolo di una qualche banda del luogo.
- Ehi, bellezza. Non dovresti startene tutta sola a ruminare i tuoi guai - aveva attaccato quello biondo dagli occhi slavati.
- Hai degli splendidi tatuaggi. Mi piacerebbe vedere la fine di quello - aveva aggiunto il nero che aveva strizzato l'unico occhio rimastogli indicando una linea scura sul petto di Jack, parzialmente nascosta dal giubbotto di pelle.
- Tieni lontane le tue manacce fetenti - lo aveva avvertito, nauseata dall'idea che quell'individuo repellente potesse contaminare il chiodo che John le aveva regalato qualche giorno prima.
- La piccoletta non sa chi siamo, a quanto pare...
- Ma possiamo rimediare. Sarebbe un vero peccato se ripartisse prima di aver conosciuto le bellezze di Vancouver, non trovi?
- Assolutamente. Il vecchio Harper ha una grossa sorpresa per una bimba bella come te...

Il primo colpo biotico aveva colto di sorpresa i pochi avventori seduti attorno al bancone, che si erano ritrovati in terra quando il corpo dell'uomo biondo si era schiantato contro le gambe di uno sgabello. La violenza di quell'onda era stata tale da dare il via ad un effetto domino che aveva mandato a gambe all'aria ogni persona seduta lì vicino. L'uomo di colore si era invece esibito in un salto mortale involontario che era terminato contro lo specchio alle spalle del barista, facendo rotolare in terra vari contenitori metallici che avevano riversato in terra liquori scadenti provenienti da sistemi stellari diversi.
Pochi decimi di secondi dopo era scoppiata una vera rissa fra i criminali delle due bande che erano soliti radunarsi in quello squallido buco fumoso e puzzolente, divisi da una barriera invisibile tracciata fra tavolini e bancone. Ma quella prima manifestazione di violenza aveva raggiunto il culmine all'ingresso degli agenti di pubblica sicurezza, quando le due bande avevano tacitamente deciso di metter da parte le proprie rivalità per fronteggiare il comune nemico appena comparso sulla scena.

Appoggiata con la schiena alla parete vicino al tavolino, Jack aveva ammirato divertita lo spettacolo per qualche secondo, ma presto aveva deciso che sarebbe stato opportuno dileguarsi.
Per un breve attimo aveva preso in esame la possibilità di consegnarsi alle autorità, ma finire in una squallida cella non le avrebbe reso più semplice cercare di mettersi in contatto con l'idiota che si era fatto arrestare qualche ora prima. Di certo la sistemazione che le avrebbero trovato non sarebbe somigliata affatto a quella riservata al celebre comandante Shepard.
“Dannato imbecille” aveva pensato per l'ennesima volta maledicendo l'uomo che il suo cuore aveva scelto per lei, cercando di passare inosservata fra la folla di litiganti e di raggiungere l'uscita del locale, ormai straripante di agenti che ne avevano bloccato l'uscita.
- Vaffanculo - aveva sibilato al ragazzino inesperto con indosso una divisa che l'aveva afferrata per un braccio mentre cercava di svignarsela, prima di mandarlo a sbattere contro il soffitto, insieme ad altre tre o quattro delinquenti che si trovavano a troppa poca distanza per evitare il colpo biotico.
- Vaffanculo - aveva ripetuto ancora, dopo essersi insinuata nella grata mezzo divelta di una delle finestre del locale: il chiodo che indossava era rimasto impigliato fra le sbarre spezzate e contorte e aveva dovuto sfilarselo di dosso per riuscire a sgusciar via attraversando la finestra senza danneggiarlo.
Si era accucciata sul marciapiede tenendolo saldamente fra le dita della mano sinistra, mentre aveva utilizzato la destra per liberare cautamente l'indumento, attenta a non rovinarlo. Non lo avrebbe lasciato per nessun motivo, neppure per sfuggire agli agenti di pubblica sicurezza.
Il terzo - Vaffanculo! - lo aveva rifilato al robusto uomo di colore che le aveva imprigionato le braccia nel momento stesso in cui si stava infilando il giubbotto che era riuscita a liberare.

La nova in cui si era esibita non era bastata a farle riconquistare la libertà, perché quell'uomo, chiunque fosse, doveva sapere il fatto suo e conoscere bene i biotici. Si era ritrovata stretta in una sorta di abbraccio che le impediva qualsiasi movimento.
- Lasciami andare, brutto stronzo! Fatti i cazzi tuoi - aveva strillato, cercando di sgusciar via da quella stretta decisa, rassicurata dal fatto che la divisa indossata dall'uomo apparteneva all'Alleanza e non alla polizia locale.
- Ti stavo cercando - aveva risposto lui con voce tranquilla, limitandosi a rafforzare la presa sul cuoio che le ricopriva le spalle.
- Mollami, razza d'idiota. Dovresti combattere contro i Razziatori, non contro le ragazzine - aveva commentato cercando di mordergli la mano che si trovava più vicina alla sua bocca, ma senza successo.

- Occupatevi dei tipi nel locale. A lei ci penso io - aveva ordinato l'uomo con un tono di voce pacato e sicuro di sé ai due agenti di polizia che si erano prontamente avvicinati, attirati dalle grida.
- Come desidera, signore - aveva risposto il giovane tenente tornando sui propri passi, dopo aver appoggiato una mano sulla spalla del suo compagno per invitarlo a seguirlo in direzione del locale da cui cominciavano a defluire gli avventori che venivano fatti entrare a forza in un veicolo destinato al trasporto prigionieri.
- E ora, Jack - aveva aggiunto l'uomo di colore - vorrei parlare un po' con te.
- Ma io no - era stata la sua pronta risposta. Aveva continuato a divincolarsi inutilmente, ottenendo l'unico risultato di rimanere mezza nuda, con il giubbotto aperto fino alla vita e il top di stoffa sottile tutto sghembo, a mostrare un seno su cui era mollemente appoggiata la medaglietta di John che brillava sotto la luce artificiale dei lampioni.
L'uomo l’aveva lasciata finalmente libera, con un sorriso in volto e gli occhi fissi sulla medaglietta identificativa.
- Rivestiti, per favore. Decisamente gli assomigli molto. Beh, mi riferisco al John prima che diventasse comandante. Sono sicuro che ti abbia raccontato poco di sé. Ma io conosco qualche storia del suo passato e penso che ti piacerebbe ascoltarne qualcuna... Sempre meglio che finire in prigione, no? Anche perché devi restarne fuori per conservare una minima speranza di rivederlo prima di quello stupido processo.
Quella frase finale l'aveva decisa a seguirlo, anche se non lo conosceva. E quando lui aveva detto di chiamarsi David Anderson, poco più tardi, mentre guidava l'astroauto su cui l'aveva invitata a salire, Jack si era limitata ad alzare le spalle.
- Il tuo nome dovrebbe dirmi qualcosa? So poco di John. Nulla di precedente al nostro incontro avvenuto pochi mesi fa - aveva ammesso dopo qualche secondo di silenzio - Nulla che non riguardi questa cazzo di guerra contro i Razziatori - aveva proseguito a voce bassa, come parlando a se stessa, provando un'irritazione sorda e irrazionale verso il comandante che non le aveva rivelato nulla di sé e verso quell'uomo che invece diceva di conoscerlo tanto bene.
- Ma tu non sai neppure di cosa sto parlando o, se lo sai, di certo pensi che i Razziatori siano solo la fantasia di una mente malata - aveva aggiunto, accorgendosi che Anderson le aveva rivolto un'occhiata incuriosita.
- Ti sbagli - aveva replicato l'uomo scuotendo la testa - Ma quello che penso io conta poco o John non sarebbe in stato di arresto.
- E' un fottuto idiota.
- Suppongo che sia possibile vederla così, ma non sono d'accordo con te.
- Tu approvi questa scelta del cazzo? Farsi arrestare per aver salvato la galassia dall'attacco immediato dei Razziatori? Con tutto quello che ci sarebbe da fare per preparare una difesa... ammesso che esista un modo per difenderci da quelle fottute seppie giganti... - aveva commentato ironicamente, sputando le frasi come se suonassero disgustose al palato.
- John è un soldato. Rispetta gli ordini ricevuti e accetta di compiere il suo dovere. Sa che non avrebbe ottenuto nulla se si fosse rifiutato di sottoporsi a questo processo - aveva iniziato a rispondere Anderson usando un tono che l’aveva irritata.
- Non trattarmi come se fossi una bambina capricciosa o egoista!
- Non intendevo farlo. Ma sto sprecando il fiato: immagino che lui abbia già provato a spiegartelo…

Certo che ci aveva provato, fin troppo spesso. Ma lo spettacolo che i suoi occhi stavano fissando non poteva non suggerirle la certezza che lei aveva avuto ragione. Era stato tutto un maledetto sbaglio.
Solo le letture incontestabili del factotum riuscivano a convincerla che John non era spacciato. Nessun altro essere avrebbe potuto superare traumi di quella portata, ma lui continuava ostinatamente a respirare: gli impianti che Cerberus gli aveva inserito nel corpo, sostituendo gran parte dei suoi organi interni, lavoravano infaticabilmente per mantenerlo in vita.
Si passò le dita ancora umide di medigel sulle palpebre, nel tentativo di familiarizzare con la luce rossa che riluceva nell'orbita distrutta del comandante. Era quel piccolo raggio che aveva consentito a quell'essere di vedere, da quando era stato ricostruito. Aveva inviato impulsi elettrici ad un cervello che forse era stato modificato a sua volta, in modo da essere in grado di leggerli e decifrarli, traducendoli in immagini. Ma ora il medigel scorreva a fiumi nei condotti artificiali che svolgevano la funzione dei vasi sanguigni, annebbiando tutti i suoi sensi e impedendogli di rendersi conto di dove realmente si trovava. Per quello si era perso in quelle allucinazioni prive di senso. O forse il delirio di John era dovuto alle ferite che aveva ricevuto alla testa o a un tentativo di indottrinamento dei Razziatori.
Non conosceva la causa scatenante e non sapeva se avrebbe mai potuto riportarlo indietro, nel mondo reale. Sapeva solo che lui non vedeva e non sentiva nulla di ciò che li circondava. Era vivo, ma in un mondo lontano, che lei non riusciva neppure a immaginare e che non sapeva come raggiungere.

- Scusami, Liara. Te la senti di riprovare? - chiese a bassa voce quando si accorse che il comandante aveva cominciato a muovere debolmente il braccio sinistro, come cercando di raggiungere qualcosa oltre la sua portata.
- Credo stia succedendo qualcos'altro... - aggiunse con voce preoccupata, scostandosi dal ferito per far spazio all'asari.
Adesso il silenzio di quella notte scura era interrotto dai gemiti di Shepard e il cuore delle due donne divenne ancora più pesante.
- Mi sembra abbia sentito la voce di Hackett che gli stava chiedendo aiuto - fu la risposta di Liara, giunta dopo dopo qualche minuto eterno.
- Gli ha ha detto che non era accaduto nulla, che il crucibolo non si era attivato. Neppure la guerra di Shepard è ancora finita. Nemmeno lì i Razziatori sono stati sconfitti.
Jack alzò istintivamente lo sguardo verso il cielo, là dove fino a poco prima la sagoma della Cittadella riluceva, illuminata dalle esplosioni e dagli spari dei cannoni. Ma da un po' di tempo, anche se non sapeva dire quanto, i Razziatori l’avevano trasportata via, probabilmente per metterla al sicuro dalla flotta alleata.
- Fissava la sua uniforme ricoperta di sangue e si premeva la mano su una ferita al fianco - proseguì Liara, senza riuscire a trattenere le lacrime - Non si reggeva più in piedi. Era stremato, ma ancora rifiutava di arrendersi. Ha risposto ad Hackett che non capiva cos’altro potesse fare. Poi si è trascinato in terra per raggiungere ancora una volta la console. Per la Dea...
Appena completata l'ultima frase, l'asari prese a singhiozzare senza più ritegno. Le sensazioni che le erano penetrate nella mente erano state troppo intense, le avevano gridato disperazione assoluta e morte imminente.
- Ti prego, tieni duro. Puoi ancora farcela, Shepard - si ritrovò a mormorare l'asari asciugandosi gli occhi.
- Forza, comandante. Non puoi arrenderti ora - le fece eco Jack, sussurrando vicino all’orecchio del ferito - Ricorda i nomi incisi sul memoriale della Normandy. Ricorda Jenkins, Ashley, Thane e Mordin. Ricorda Anderson. Rialzati, John, e combatti per loro.
- Se si arrende, muore - si giustificò poi, alzando lo sguardo e cercando di incrociare gli occhi dell'asari, ma non c'era alcun bisogno di giustificarsi. Entrambe sapevano che solo la necessità di continuare a combattere il nemico avrebbe potuto tenere in vita il comandante fino all'arrivo della Normandy.

- Hai visto altro? - chiese Jack poco dopo, in un tono che suonava simile a una preghiera.
- No, non c'era più nulla. Sembrava avesse perso i sensi. O forse sono solo troppo stanca... Devo riposare, mi spiace - rispose l’asari, sentendosi avviluppare in un vortice che le faceva perdere il senso dell’equilibrio.
Si rese conto a malapena che il buio circostante veniva risucchiato via, lasciando posto ad un bianco accecante, poi si trovò a vomitare sull'asfalto.

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Capitolo 6
*** Si svegliò di soprassalto ***


6. Si svegliò di soprassalto

Si svegliò di soprassalto e capì di trovarsi semi sdraiata, con la testa appoggiata contro qualcosa di morbido e la faccia tutta bagnata di liquido. D'impulso cercò di asciugarsela con la manica dell'uniforme, terrorizzata dall'idea di essere ricoperta da sangue.
- Non muoverti, va tutto bene. Sei solo svenuta - fu la rassicurazione di Jack che passò ancora una volta un piccolo pezzo di stoffa inumidita sulla pelle del viso dell'asari.
- Dov'è la Normandy?
- Non è ancora arrivata - rispose l'umana, tornando a inquadrare con lo sguardo l'angolo di cielo dove pochi secondi prima aveva avvistato la sagoma agile di quello scafo.
- Provo a richiamarli.
- Sì - rispose Jack, cercando di non fissarsi sul raggio di luce rossa che aveva squarciato le tenebre esattamente là dove aveva visto sfrecciare la sagoma argentea della Normandy.
“Ha azionato il viva voce” realizzò con gratitudine, mentre la voce di IDA si spargeva nell'aria circostante.
- Siamo sotto attacco. Non riusciamo a sganciarci dal nemico, nonostante le manovre evasive. Sono in tanti, Liara. Credo siano in troppi...
- Non ascoltatela, maledizione. Tenete duro. Posso farcela. Noi possiamo farcela. Specie se IDA la piantasse di perdere tempo in chiacchiere! - ringhiò la voce di Joker.

Potevano solo aspettare. Liara prese a camminare nervosamente sull'asfalto attorno al comandante, mentre Jack rimase seduta in terra con gli occhi fissi là dove la Normandy si era mostrata brevemente. Non era più riuscita ad avvistarne lo scafo, ma sembrava che i raggi purpurei si fossero dati appuntamento in quella zona distante del cielo per dar luogo ad uno spettacolo che ricordava i giochi d'acqua di mille fontane.
Rimase con lo sguardo fisso, sollevato verso l'alto, per un periodo di tempo talmente lungo che Liara si immobilizzò e sollevò a sua volta il viso seguendo la direzione dello sguardo dell'umana.
- Per la Dea! - commentò fissando gli zampilli purpurei che sorgevano da ogni dove, rilucevano per istanti più o meno brevi e tornavano a sparire, come inghiottiti dalle tenebre. Ma il posto di quelli esauriti veniva presto occupato da raggi nuovi, diversi per intensità e durata, che sembravano intrecciarsi e poi tornare a dividersi. La prospettiva creava getti multipli tutti allineati oppure a raggiera, zampilli che sembravano inseguirsi così che uno nasceva là dove se n'era appena spento un altro. C’erano filamenti sottili che sembravano nutrirsi e crescere di spessore, fino a diventare così ampi e luminosi da eclissare i vicini più esili, ed altri che nascevano dal nulla, esplodendo con violenza inaudita per poi sfumare gentilmente come un arcobaleno che svanisca per un cambiamento nell’angolazione dei raggi solari.
- Speriamo che la Normandy non si trovi proprio lì - pregò ad alta voce Liara, riportando lo sguardo su Jack. Notò le sue labbra tremanti e i respiri affannosi del petto, la mano destra contratta sul fucile a pompa, con le nocche sbiancate, mentre l'altra grattava via l'asfalto dal terreno, spezzandosi le unghie. Notò tutto questo e smise di parlare e di pensare.
Entrambe sapevano che quella nave era l'ultima speranza e anche l'unica cosa che contasse per il comandante. Era impensabile immaginarlo su uno scafo diverso, pilotato da una persona che non fosse Jeff Moreau. Ma era quasi impossibile che potesse a scampare a quello scontro infernale. Solo la fuga poteva trarre in salvo quello scafo, ma nessun membro dell'equipaggio avrebbe mai accettato di abbandonare il comandante al suo destino, ora che lo sapevano ancora in vita. Shepard era la Normandy e la Normandy era Shepard. Era un connubio indissolubile, che nessuna entità aveva il potere di spezzare.

- Se mai usciremo vivi da questa guerra, cosa vorresti fare? - gli aveva chiesto appena sveglia poche ore prima, la mattina successiva all'ultima notte passata insieme nell'appartamento di Anderson, quando sapevano che quel giorno li avrebbe divisi e che solo un miracolo avrebbe potuto farli ritrovare vivi entrambi alla fine di quella guerra.
- Vorrei che fossero questi i colori di ogni mia alba futura - aveva mormorato John pigramente, passandole le dita sulla schiena e alitandole il fiato tiepido sul collo.
- Ti porterò via con me, fra i cieli infiniti, senza una meta precisa e senza battaglie disperate da combattere - aveva aggiunto con un sorriso quando lei si era girata ad abbracciarlo.
- La Normandy: il nobile destriero del mio principe azzurro... - aveva commentato, sentendosi riempire da una felicità calda e appiccicosa contro cui non si era ribellata, almeno non fino a quando lui non aveva rovinato tutto. Era stata la sua frase successiva a spezzare l'incanto.
- Magari proverei perfino a convincerti a sposarmi... Che ne dici? Avrei qualche speranza, Jaqueline? - le aveva sussurrato senza voce, continuando ad accarezzarle la pelle del collo con il fiato.
Aveva ridacchiato divertita, fino a quando l'espressione seria del suo viso le aveva fatto dubitare che si trattasse di un gioco.
- Dimmi che stavi scherzando... - lo aveva minacciato con voce tesa e poi era rimasta a fissare la sua espressione incerta, sicura che lui avesse capito di trovarsi in bilico sul ciglio di un baratro. La sua risposta si era fatta attendere a lungo, troppo a lungo.
- No - aveva ammesso alla fine, senza abbassare lo sguardo.
- Ce lo vedo proprio il mitico comandante Shepard che mette su famiglia - aveva sibilato con tutta l'ironia che le era possibile - E il mitico comandante Shepard vorrebbe fare questa stronzata proprio con me?
- Direi di sì...
- Vuoi davvero una risposta?
- No. Guardandoti bene direi di no... Magari facciamo passare qualche giorno, magari aspettiamo la fine di questa guerra...
- Sei uno stronzo bastardo! Un paladino di merda! Non ho bisogno della tua fottuta protezione. No, non provare a toccarmi, non voglio avere più nulla che fare con te! - gli aveva urlato contro, alzandosi dal letto di scatto per evitare di essere sfiorata dalle sue dita tese.
Era arrivata alla porta della stanza e si era rigirata su se stessa per sputargli addosso qualche altro insulto - E la tua Chakwas è una cagna fetente! Avete rovinato tutto, voi due figli di puttana!
Poi era corsa in bagno e aveva girato la chiave.
Lì dentro, al sicuro, si era accucciata in terra, sotto il getto della doccia, singhiozzando tutta la sua delusione. Aveva appoggiato la fronte contro le ginocchia piegate, lasciando che l'acqua continuasse a scorrerle addosso, per provare a lavar via anche tutta quella sofferenza.
La dottoressa le aveva fatto una promessa e lei si era fidata di quella cagna. E invece aveva spifferato tutto alla prima occasione. Non avrebbe mai potuto perdonarla per aver tradito la sua fiducia, né avrebbe potuto perdonare John per quella proposta 'riparatrice'. Non voleva la sua pietà. Avrebbe voluto poter continuare a credere di essere amata, non di essere compatita da un nobiluomo di altri tempi, pronto a sposarla per riparare a un errore.
Ma tutta la sua autocommiserazione non era durata a lungo, perché il comandante aveva fatto sentire la sua voce.
- Apri questa cazzo di porta. Aprila subito!
- Vaffanculo. Andate tutti a fare in culo! - aveva fatto appena in tempo a rispondere prima di vederselo piombare dentro il bagno in mezzo a frammenti di legno della porta.
L'aveva afferrata e tirata su, tenendola a mezz'aria contro la parete della doccia.
- Ora stammi bene a sentire - le aveva ordinato scuotendola come fosse una bambola nella mani di un bambino - Non me ne frega nulla se vuoi sposarmi o no. In ogni caso un semplice “no”, oppure un “no grazie” poteva bastare. Sei diventata completamente scema?
- Mi fidavo di te e della Chakwas. Ma non ci si deve mai fidare delle persone, perché se le fai avvicinare allora ti feriscono. Non sei diverso dagli altri, comandante, sei solo uno dei tanti stronzi che sono in circolazione. Anzi, sei peggio degli altri, con questa tua necessità del cazzo di riparare a ogni errore. Non ho bisogno di aiuto. Merda! Non siamo più nel medioevo da vari secoli, razza di idiota!
- Ma di cosa cazzo parli? Non capisco una parola. Mi vuoi spiegare?
Non gli aveva neppure risposto, limitandosi a fissarlo con disgusto e rancore, per niente divertita dall'immagine del mitico comandante Shepard che si inzuppava sotto la doccia vestito della sua uniforme migliore, quella che aveva ancora indosso dalla festa della notte prima.
Lo aveva scansato senza utilizzare i poteri biotici, pur consapevole dell'aura blu che le danzava attorno, per dimostrargli come lui non valesse neppure la pena di quel piccolo sforzo.
Era sicura che a quel punto l'avrebbe lasciata andare e così era accaduto effettivamente, fino a quando non aveva raggiunto la soglia ingombra dei frammenti di porta. A quel punto si era sentita afferrare per un braccio e tirare indietro.
- Smetti di dar fuori di matto e rispondimi - le aveva ordinato fissandola negli occhi, dopo averla spinta ancora una volta contro il muro per bloccarla, con una spalla premuta contro lo stipite della porta.
- Credo di aver finalmente capito. Guardami in faccia, Jack. Ma sei incinta?
L'uomo che aveva di fronte non rassomigliava affatto al comandante Shepard in quel momento: con i capelli bagnati, l'uniforme fradicia e i piedi nudi a mollo in una pozza d'acqua che si stava allargando sul pavimento, sembrava solo un ragazzo sperduto.
- Non è questo il momento che avrei scelto per diventare padre... - aveva commentato scuotendo la testa dopo averla guardata abbastanza a lungo da capire che la sua diagnosi era corretta.
- Mi spiace...
- Per la miseria, Jack! Come fai a dire sempre la cosa sbagliata scegliendo il modo e il momento peggiore? Spero che tu non dica sul serio e che non ti dispiaccia. A me non dispiace affatto, credo che ne sarò addirittura felice quando riuscirò a crederci, solo che... Non so. E' che il momento è un po' compl...
- E' che il momento è un po' del cazzo... - lo aveva corretto lei, tappandogli la bocca con la mano.
Lo aveva visto scuotere la testa con aria smarrita e aveva provato a consolarlo - Al momento c'è questa fottuta guerra da vincere, ma so che ci riusciremo. Perché ci guiderai tu. Però devi restare vivo, John. Per favore, non avrei nessuno con cui litigare di prima mattina - lo aveva pregato con un sorriso, sfilandogli di dosso la divisa fradicia.

Non si erano fatti domande. Sapevano entrambi quando era successo, perché una sola volta non erano stati attenti: la prima sera dopo l'attacco di Cerberus alla Grissom. Uno slancio inarrestabile di autentica impazienza e desiderio aveva colmato i primi minuti che avevano trascorso nella cabina sul ponte uno, privandoli di ogni altra sensazione e capacità, raziocinio compreso. Non si erano neppure spogliati completamente, né erano arrivati fino al letto.
E Jack ricordava bene quanto ne avessero riso, dopo, stupiti loro stessi dal bisogno impellente di ritrovarsi fusi insieme, vinti dalla necessità di cancellare in pochi istanti i lunghi mesi di lontananza e di dimenticare il resto del mondo.
- Ti ricordi cosa mi dicevi quando eri rintanata sul ponte secondario della sala macchine? - le aveva chiesto il comandante poco dopo, respirando ancora a fatica e tenendola stretta fra le braccia mentre la portava verso il letto.
- Ti dicevo un mucchio di stronzate...
- Il sesso è solo sesso - aveva continuato lui, citandola a memoria, mentre si lanciava sul materasso continuando a tenerla prigioniera in un abbraccio - Può essere dimenticato in una manciata di secondi, così come ci si dimentica di un panino mangiato distrattamente mentre si legge un libro o di una sigaretta fumata giocando a carte.
- Dimmi ora, Jack, quanto ci metterai a dimenticare un amplesso durato una manciata di secondi? - le aveva chiesto con aria divertita.
- Lo sai che non era sesso, brutto bastardo. Ma non mi freghi, non riuscirai a farmi pronunciare quelle stupide parole - gli aveva risposto sorridendo mentre gli baciava le labbra e sganciava i fermagli del colletto dell'uniforme.

La voce di Shepard che chiese distintamente – Cosa?... Dove sono? - riscosse le due donne che lo fissarono a lungo, sperando che fosse tornato cosciente. Ma presto scossero la testa scambiandosi un'occhiata delusa.
- Ok. Credo di potercela fare o almeno devo provarci - rispose Liara alla domanda inespressa presente nello sguardo di Jack.
- Abbraccia l'eternità.

Era certo che il bambino stesse provando a raggirarlo, forse addirittura a manipolarlo: l’antitesi fra i colori verde e blu da un lato e rosso dall’altro, insieme alle sue parole, tentavano di fargli cambiare la decisione che aveva preso fin dal primo momento, fin dall'inizio di quella guerra.
Quegli esseri, le Antiche Macchine, erano consce dell’avversione innata di ogni razza vivente al colore rosso, perché riflesso antico ed istintivo di un generalizzato processo di adattamento evolutivo al quale dovevano aver assistito fin dal primo ciclo di mietitura. Il rosso va evitato perché è sinonimo di minaccia, di pericolo.
La scelta blu voleva invece apparire rassicurante: richiamava il silenzio e la tranquillità dei cieli tersi. Era il colore della contemplazione e della spiritualità. Per alcune razze era il colore associato all'immortalità dell’animo. E proprio l’immortalità era il premio che lo aspettava per quella scelta, unita al potere assoluto di comando su ogni Razziatore. Ma non era affatto convinto: avrebbe dovuto credere alle parole di quel bambino, ma non aveva alcun motivo di fidarsi. Avevano manipolato Saren e l'Uomo Misterioso, ora stavano manipolando lui.
E più potenti ancora delle immagini evocate dal blu erano quelle associate al verde, che richiamava la natura e la rinascita, l’essenza interiore della vita stessa. Era il colore della speranza, dell’onestà e dell’equilibrio. Era il colore che permetteva di passare, di andare oltre, e che voleva suggerirgli la liceità di trasformare il mondo intero, giocando con gli esseri che abitavano la galassia stravolgendone l’essenza. Era la scelta che permetteva di creare una razza nuova, sintesi degli aspetti positivi di organici e sintetici. O magari degli aspetti peggiori di entrambi...
Proprio quel contrasto fra bene e male, fondato sul dissidio stridente fra quei tre colori, lo rendeva certo di un tentativo di indottrinamento da parte dei Razziatori.
Avevano già provato a spezzare la sua volontà appena qualche minuto prima, quando lo avevano costretto a uccidere Anderson. Non era stato l’Uomo Misterioso a costringerlo a sparare, erano stati i Razziatori.
Ma era lì che avevano commesso un errore, sbagliando a valutare le conseguenze di quell’atto che aveva compiuto contro volontà. Ora non si sarebbe lasciato abbindolare, non si sarebbe fatto distrarre, non avrebbe più abbassato la guardia.
- Si può sopportare solo un certo numero di morti - aveva confessato a Garrus in un momento di scoraggiamento profondo. E troppe altre si erano andate ad aggiungere al triste elenco, da allora: compagni d’arme e amici. Anderson era l'ultima goccia in un vaso già troppo colmo.
“Sono stanco. Troppo stanco per continuare a portare sulle spalle tutta questa sofferenza. Mi avete piegato e spezzato dentro. Mi avete vinto, ma trascinerò voi tutti all’inferno insieme a me”.
Passò in rassegna i tanti amici perduti e quelli che ancora combattevano e rimase assorto in quelle memorie così a lungo che il bambino lo esortò a prendere una decisione.
Lo fissò con odio, ricordando quante volte aveva provato a convincerlo che non sarebbe mai riuscito a salvare la galassia. In quel dannato incubo che aveva avvelenato le sue notti fuggiva sempre lontano da lui, rifiutando il suo aiuto, e alla fine gli moriva sotto gli occhi, senza lasciargli mai alcuna possibilità.
“Piccolo stronzetto falso e ipocrita” pensò, mentre la sua mano destra accarezzava la pistola.
Si era comportato in quel modo fin dalla prima volta, il bastardo, quando gli si era presentato davanti come un bambino in carne e ossa, apparentemente reale, ma solo a lui visibile. Era iniziato su Vancouver l'indottrinamento che stava ormai subendo da troppi mesi.
Se ancora non aveva fatto il primo di quei pochi passi che lo avrebbero portato al condotto energetico sulla sua destra, era solo a causa di Jack. Era più facile sacrificare se stessi che non un altro membro dell’equipaggio. Era sempre stato così per lui, e continuava a essere così anche in quegli ultimi attimi di vita.
Avrebbe voluto avere l’occasione per dirle un paio di frasi prima di sacrificarsi, anche se poteva immaginare quali reazioni avrebbero causato. Non sarebbe stata in grado di capire e probabilmente avrebbe dichiarato il suo amore e la sua disperazione affibbiandogli degli epiteti irripetibili.
Si sarebbe sentita tradita e non avrebbe mai potuto perdonarlo: le aveva promesso di tornare. La ferita che stava per infliggerle avrebbe lasciato una cicatrice che nessun tatuaggio avrebbe mai potuto nascondere, ma forse avrebbe potuto farlo la creatura che le cresceva in grembo. Sognò un bambino dagli occhi azzurri, un discolo che l'avrebbe fatta dannare perché avrebbe ereditato il carattere dei suoi genitori.
“Mi sarebbe bastato sapere che tutto quanto ho fatto finora renderà libera la galassia, ma sapere che questo mio ultimo sacrificio ti farà vivere come madre di mio figlio mi riempie di una gioia così immensa che non credevo avrei mai potuto provare”.
Strinse la pistola fra le dita e si avviò, finalmente felice, libero da rimpianti o desideri. La morte era facile, come il gesto di premere un interruttore che avrebbe posto fine ad ogni sofferenza.


Accadde tutto in pochi istanti, mentre l'attenzione della asari e tutti i suoi sensi erano monopolizzati dall'unione con il comandante, così che Liara non si rese conto di quanto stava accadendo.
Il suo factotum brillò nel buio e la voce di IDA avvertì che la Normandy era stata colpita. La sua ultima frase - Stiamo precipitando - risuonò nitidamente alle orecchie di Jack che istintivamente fissò lo sguardo verso il cielo buio.
Una stella cadente brillò alla sua sinistra, disegnando un arco lucente che si allungò morbidamente da sud verso nord. Splendida, nel suo colore rossastro, sfavillò a lungo, come volesse regalare il tempo necessario a formulare qualunque desiderio, anche il più complesso.
Inizialmente Jack immaginò che fosse stato il fragore assordante con cui quella stella aveva concluso la sua lunga corsa ad aver spinto Liara a interrompere il contatto con il comandante, poi notò l'espressione del suo viso e abbassò lo sguardo sul ferito, senza riuscire a vederlo all'inizio, con gli occhi ancora pieni dei riverberi dell'esplosione.
Il faretto che aveva sconvolto le due donne si era alla fine spento e restava solo buio e silenzio. Erano solo i singhiozzi dell'asari e i suoi respiri stentati a turbare la pace silenziosa di quella notte che già sfumava in un nuovo giorno.
Un'alba rossastra illuminava masse inconsistenti di esalazioni diverse all'orizzonte, facendone risplendere i bordi irregolari. Il sole terrestre continuava il suo percorso, del tutto indifferente alla tragedia che si stava ancora consumando sul suolo di uno dei tanti pianeti che gli giravano attorno.

Fu la prima luce incerta del mattino a illuminare il viso del comandante Shepard. Aveva gli occhi spalancati verso il cielo e un'espressione rilassata in volto. Un sorriso lieve, ma ben delineato, aleggiava sulle sue labbra pallide.
- Sembra sia felice - commentò Jack sistemando e ripiegando il giubbotto sulle sue cosce per farne un cuscino su cui appoggiò delicatamente la nuca del comandante.
- Sì, lo è - confermò brevemente Liara. Poi, nonostante le interruzioni dovute alle lacrime e ai singhiozzi, raccontò la favola del bambino fantasma che aveva affermato di essere il catalizzatore e delle proposte che aveva fatto al comandante.
Non usò molte parole per esporre le possibilità che aveva avuto a disposizione Shepard, ma si dilungò a raccontare le sensazioni che lei aveva provato di riflesso, nel vederlo estrarre la pistola dalla cintura e puntarla contro il condotto energetico alla sua destra, quello illuminato in colore rosso. Raccontò come i primi spari del comandante, incerti e faticosi, fossero diventati decisi e sicuri e come un senso di completezza l'avesse pervaso, colmandolo di una soddisfazione così pura e assoluta da assorbire in sé qualunque altra sensazione o emozione. E raccontò i visi che erano passati davanti ai suoi occhi prima della fine: Joker, al comando della sua nave, Anderson, se stessa e infine lei.
- Sei stata tu il suo ultimo ricordo, l'unico che ha fatto nascere una lacrima e procurato uno spasmo di dolore, ma anche di gioia pura. Ti ha visto con un bambino fra le braccia e in viso avevi un sorriso triste. Poi sono arrivate le visioni della galassia. Ogni cosa si è colorata di rosso e ogni Razziatore è stato distrutto. E il mondo è rinato dalle proprie ceneri, più forte e sicuro che mai. Prima di cessare di respirare ha immaginato tutte le razze esistenti unite nello sforzo di ricostruire tutto ciò che era andato distrutto.
- E la Normandy? Dov'era in tutto questo? - chiese Jack alla fine di quel racconto, rivedendo nella mente l'immagine della stella cadente.
- E' riuscita ad atterrare su un pianeta sconosciuto con due lune.
- E così hai avuto la tua fiaba, John, con il suo finale di rito - gli sussurrò all'orecchio, chinandosi su di lui.
- E la Normandy vera? Ci sono notizie? - chiese Liara.
- E' andata. E' caduta lì - rispose senza alzare il viso, rendendosi conto che non sentiva più alcun dolore; indicò con la mano la zona, poco lontana, dove la stella aveva concluso la sua traiettoria. Nonostante la luce dell'alba, spiccava nitidamente, illuminata dalle fiamme che avvolgevano il relitto dello scafo.
- Per la Dea! Non è possibile! Sono tutti morti... Tutti, tranne noi due?
Jack scosse solo la testa e sussurrò un breve - Non lo so.
- Cosa facciamo adesso? - fu la domanda successiva dell'asari a cui l'umana non rispose, restando con il viso nascosto contro la spalla di Shepard.
- Non riesco a credere che tutto quello che abbiamo fatto finora non sia servito a nulla. E' davvero possibile che sia tutto finito? Che ogni battaglia che abbiamo combattuto per giungere fino a qui sia stata vana? - chiese con un tono che dichiarava la sua incredulità. Vedendo che Jack continuava a non rispondere, né dava segno di averla ascoltata, le posò una mano sulla spalla e la scosse leggermente.
- Hai parlato di batterie, prima... Credi davvero che Shepard possa tornare a vivere? Credi che qualcuno possa ancora salvarlo? Forse posso controllare se qualche membro dell'equipaggio si è salvato, magari qualcuno ha fatto in tempo a usare una capsula di emergenza... Forse posso cercare aiuto, ma non so se sia il caso di lasciarti qui da sola...
Questa volta Jack sollevò il viso e scandì chiaramente - Fai quello che ti pare, Liara, ma maledizione... Stai zitta.
Poi tacque e tornò a chinare il viso sulla spalla del comandante.
L'asari avvicinò il suo factotum a quello della ragazza, trafficò su entrambi per qualche secondo e poi tornò a scostarsi - Così resteremo sempre in contatto. Appena tu parlerai io ti sentirò e viceversa.
- Allora... io vado - concluse infine alzandosi da terra, capendo che Jack non le avrebbe risposto.
Aspettò ancora per un po' un segno qualunque, poi si girò, cercando di non pensare al dolore che le martellava nel petto, e si incamminò verso il bagliore lontano, lasciandosi alle spalle una donna minuta, vestita di tatuaggi, che teneva in grembo un giubbotto di pelle sul quale sembrava dormisse l'uomo che entrambe avevano amato.

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Capitolo 7
*** Non sapeva dove fosse ***


7. Non sapeva dove fosse

Non sapeva dove fosse. Sapeva solo di trovarsi separata dalla realtà.
La sua anima si era rintanata in un piano dove non esisteva speranza, ma neppure dolore: era un nonluogo senza emozioni o sensazioni. Solo il vuoto la avvolgeva, come una pellicola isolante, tenendola al riparo dal freddo e dal calore. Era avviluppata da un nulla incolore che assorbiva ogni cosa senza reagire, restituendo solo inesistenza.
I concetti di tempo e spazio erano stati privati di qualsiasi significato, così come l'idea della vita stessa. Lì era impossibile la sopravvivenza perché perfino la più flebile speranza o il più atavico desiderio venivano annullati, privando l'anima della spinta necessaria alla lotta o quantomeno alla resistenza apatica contro la morte.
Era passivamente consapevole del destino del mondo, almeno di quello che avevano conosciuto fino a quel momento, e degli individui che lo abitavano. Sarebbero tutti spariti nell'arco di pochi mesi, anche se forse ne sarebbe rimasta qualche vaga traccia su isolati corpi celesti o sperduta nello spazio, così come le sonde erano sopravvissute ai Prothean.
La fine delle civiltà senzienti era stata decretata nel momento in cui la Normandy si era schiantata al suolo e il comandante Shepard aveva esalato l'ultimo respiro. In quell'istante si era perso tutto, anche l'ultima tenue speranza. Adesso non rimaneva più nessuno in grado di combattere i Razziatori. Non c'era più una guida carismatica a unire e guidare gli eserciti di razze tanto dissimili fra loro e spesso in lotta per futili motivi.
Se fosse stata in grado di provare una sensazione qualsiasi probabilmente avrebbe scosso la testa o avrebbe gridato contro il cielo. Perché ogni sforzo fatto fino a quel momento, ogni sacrificio, non era servito a nulla. O forse avrebbe pianto e, asciugandosi le lacrime con la sua solita rabbia, avrebbe potuto riconoscere che era stato un bel sogno, fino a quando era durato. Un sogno per il quale si poteva sacrificare la propria vita senza rimpianti.
Ma in quel nonluogo che ospitava la sua anima non c'era spazio per le sensazioni. Non rimaneva altro se non aspettare passivamente la fine. Non aveva più motivo di lottare perché in quel mare non era rimasto alcun relitto galleggiante e l'orizzone era privo di qualunque terraferma, fosse pure una minuscola isola desertica.

Non era neppure consapevole di quei ragionamenti e non si guardò mai attorno, indifferente a ogni cosa o avvenimento, incurante della possibilità che si avvicinasse un qualsiasi essere, nemico o amico, meccanico o vivente. Era cosciente solo della stanchezza assoluta del suo corpo, come se avesse esaurito ogni energia e fosse in grado di provare solo apatia e tristezza. Il dolore era così intenso e profondo da non essere più neppure riconoscibile dal suo fisico, incapace di opporvi resistenza.
Sapeva che sarebbe restata lì, limitandosi ad aspettare di morire per fame o per sete se qualche nemico non avesse provveduto a metter fine in altro modo alla sua vita. Ma scegliere un modo o un altro per andarsene non aveva alcuna importanza.
Si limitava a scansare qualsiasi pensiero lucido, per non farsi inglobare dalla disperazione, perché il suo inconscio sapeva che non c'era più possibilità di opporsi al destino che era stato scelto per loro dai Razziatori. Sopravvivere ancora un giorno, un mese o un anno non aveva alcun senso. Così come non aveva senso continuare a scappare di pianeta in pianeta, per sottrarsi ad una fine certa, assistendo alla morte di altri disperati.
Non aveva timore di metter fine alla propria esistenza con un colpo del fucile a pompa che aveva con sé. Ci aveva anche pensato, ma poi aveva rinunciato. Quel semplice gesto avrebbe dimostrato che aveva ancora un desiderio, un'aspirazione, quando invece era ormai priva di qualunque desiderio e di qualunque aspirazione. Era passata oltre, là dove non esisteva più nulla oltre al nulla stesso.

Fu merito della voce atterrita che fluì dal suo factotum se riuscì a riscuotersi dal torpore in cui si sarebbe lasciata avvolgere fino al termine dell'ultimo respiro.
- Per la Dea, qui è pieno di Collettori! Ci sono nugoli di sciami cercatori. Non posso avvicinarmi allo scafo della Normandy, Jack, e non vedo nessun superstite, nessuna capsula di salvataggio...
Non rispose a quell'appello disperato, ma si alzò di scatto, realizzando tutto a un tratto quanto idiota fosse stato il suo comportamento dalla morte del comandante fino a quell'istante.
Era stata un'incosciente perché si era abbandonata alla resa anzitempo, quando invece aveva ancora del lavoro da fare: doveva portare a termine un compito importante.
Aveva un debito con l'uomo che l'aveva fatta rinascere e le aveva insegnato il senso della vita e dell'amore, e lei non lo avrebbe dimenticato. Non si sarebbe più lasciata distrarre e avrebbe speso tutte le sue energie per ripagarlo, donandogli quella pace che John aveva atteso troppo a lungo.
Le parole di Liara le avevano ricordato che i Razziatori stavano proseguendo la loro operazione di mietitura e che di certo non avevano scordato il comandante: per quello stavano rovistando fra i rottami della Normandy. E prima o poi l'avrebbero trovato, quando avessero ampliato il raggio delle loro ricerche.
O lo avrebbero potuto trovare gli agenti di Cerberus, come forse si stava augurando quella stronza di Fata Turchina.
Immaginò uno dei sedicenti medici di quella organizzazione criminale alle prese con il cadavere di Shepard, per riattarne il funzionamento e costringerlo a tornare ancora una volta a respirare: costringerlo a tornare a respirare in una galassia senza più la Normandy e il suo equipaggio.

Un brivido intenso le percorse il corpo, mentre sbirciava attorno a sé, in preda al terrore che uno di quei nemici fosse già vicino alla sua posizione attuale. Tirò un sospiro di sollievo nel constatare che nulla si muoveva nelle immediate vicinanze e si chinò sul corpo del comandante per sistemargli la testa sul cuscino improvvisato. Liberò il braccio dal factotum che spezzò sul mucchio di detriti più prossimo alla sua posizione e si guardò attorno ancora una volta, compiendo un giro completo su se stessa.
L'aria del mattino inoltrato aveva dissipato parte delle nebbie notturne e i suoi occhi ora riuscivano a distinguere nitidamente le sagome dei veicoli distrutti sparpagliati sul terreno circostante. Prese ad aggirarsi fra quei rottami con metodo, raccogliendo tutti gli oggetti adatti a contenere liquidi e riempiendoli del carburante che riusciva a far defluire dai serbatoi di quei veicoli. Li spinse o li trascinò fino al corpo del comandante, poi scavalcò la recinzione semidistrutta che racchiudeva il parco di salici piangenti.

Una mezzora dopo tolse la sicura dal lanciafiamme che portava sulle spalle, quello che aveva recuperato dal corpo di un batarian morto, e prese di mira la pira che aveva di fronte. I rami di salice intrecciati, intrisi di carburante, sorreggevano il corpo del comandante Shepard ricoperto da un telo sottratto a un veicolo terrestre. Anche quella stoffa grezza, dai disegni mimetici, emanava un tanfo intenso di combustibile.
Indietreggiò di qualche passo e azionò il grilletto, dirigendo il getto infuocato verso l'angolo sinistro della pira e spostandolo lentamente verso destra.
Le fiamme divamparono vivaci, nel mezzo della pioggia che aveva cominciato a cadere dal cielo grigio. Le scintille che si alzavano dal rogo si mischiarono alle gocce d'acqua che cadevano dall'alto. Nel rumore di sottofondo intonato da lievi sfrigolii e crepitii esplodevano vividi gli improvvisi scoppiettii e qualche isolato sibilo dai legni umidi.
Rimase in silenzio a fissare quello spettacolo adatto a una sagra paesana, senza provare a domare i pensieri che le attraversavano la mente, lasciando che i ricordi le mordessero l'anima.

- Era solo un ragazzo il tuo John, la prima volta in cui lo vidi.
Quella era stata la frase di apertura del racconto che David Anderson le aveva fatto durante il loro primo incontro, dopo averla portata nella sua stanza negli uffici dell'Alleanza.
- Capii subito dal suo aspetto che non si trattava di un ragazzo di buona famiglia - aveva continuato, mentre si avvicinava al mobile bar per offrirle qualcosa da bere.
- Non riesco a immaginarlo con i capelli trasandati o con la barba lunga - lo aveva interrotto, senza rendersi conto del sorriso involontario che le era sfuggito.
- Era troppo giovane per avere barba o baffi, ma aveva i capelli lunghi. Lunghi e sporchi, così come erano sporchi i vestiti, o meglio gli stracci, che aveva indosso - aveva precisato il militare. Poi le aveva descritto lo scontro impari a cui aveva assistito con curiosità, fino a quando il tipo grande e grosso che stava prendendo a pugni il futuro comandante non aveva tirato fuori un coltello a serramanico, con una lama lunga una spanna.
- Quando ho aiutato John a rialzarsi ho notato che nascondeva qualcosa al di sotto della maglietta sudicia e della felpa sdrucita - aveva continuato a raccontare Anderson - Nonostante gli continuasse a uscire una gran quantità di sangue dalle labbra spaccate e avesse sputato anche un paio di denti, quel ragazzo sembrava interessato solo a verificare che il fagotto che nascondeva sotto i vestiti non avesse subito danni.
- Non mi ringraziò, né disse una sola parola. Anzi, ricordo che non mi degnò neppure di uno sguardo, tutto preso da quel piccolo involto ringhioso.
- Ringhioso?
Anderson aveva annuito sorridendo - Ringhiava eccome: era un cucciolo di varren.
- Varren! Questo mi pare eccessivo anche per John....
- Già. Si era fatto picchiare per uno stupido varren. E ti garantisco che non sono carini neppure da piccoli.
- Non riuscii a convincerlo a farsi medicare in ospedale, nonostante mi fossi offerto di accompagnarlo - aveva continuato a raccontarle - Però accettò la confezione di medigel e anche di sedersi al tavolo di un bar e di farsi portare un po' di ghiaccio secco per attenuare gli ematomi del viso.
- Cosa accadde a quel cucciolo? - gli aveva chiesto.
- Non ricordo. Probabilmente mi offrii di portarlo in una struttura dove si sarebbero occupati di lui. Feci notare a John che non sarebbe stato facile gestire un varren adulto e che ben difficilmente i suoi genitori lo avrebbero accolto in casa.
- Mi lanciò un'occhiata esitante, ma non fu allora che mi confessò di non sapere chi fossero i suoi genitori. Solo più tardi seppi che fino a quel giorno aveva vissuto in un edificio fatiscente occupato illegalmente da barboni, spacciatori, qualche ladruncolo e una mezza dozzina di puttane, amiche della madre che era morta dandolo alla luce.
- Disse che non era riuscito a trattenersi dal picchiare quel lurido bastardo che stava torturando un cucciolo indifeso, ma effettivamente non aveva la minima idea di cosa farsene.
- Risposi con un laconico Già... Capisco e ricordo l'occhiataccia che mi lanciò, probabilmente pensando che io fossi intervenuto in sua difesa per motivi analoghi. Poi però si mise a ridere e affermò che lui non si sentiva affatto un cucciolo indifeso. Aveva una bella risata, sai?
- Ce l'ha ancora... ma è difficile poterla sentire... - aveva commentato Jack, con tristezza e rassegnazione.
- In quell'istante capii che, sotto quell'apparenza sporca e trasandata, si celava un ragazzo gentile e deciso, sicuro di sé e coraggioso - aveva continuato Anderson, prima di chiederle - Ti offro un altro bicchiere? O magari potremmo mangiare qualcosa, che ne dici?
- Ordina tu per me. Scegli quello che prenderebbe lui.

Fu nelle pause fra un piatto e un altro di quelli che aveva portato loro un attendente che Anderson aveva proseguito la narrazione del suo primo incontro con John Shepard.
- Mentre stava alzandosi dal tavolo per andar via gli chiesi se avesse mai pensato di arruolarsi nell'Alleanza. Mi gettò uno di quei suoi sguardi irritati e mi rispose con un secco no. Era certo che non avrebbero preso tipi come lui. E se invece mi accettassero, allora significherebbe che non vale neppure la pena di entrarci sentenziò poi con un ghigno irridente, lanciando un'occhiata piena di sufficienza alla mia divisa.
Anche a lei era scappato un sorriso a quel punto della narrazione, ma l'uomo che aveva di fronte non aveva sorriso a sua volta.
- Quella sua risposta voleva essere spiritosa, ma in realtà mi irritò soltanto. Gli risposi qualcosa tipo: O hai dei problemi di autostima oppure ti ho sopravvalutato. In entrambi i casi credo che tu faccia bene a lasciar perdere l'Alleanza.
- Avevi trovato la sfida che lo avrebbe spronato a diventare il primo allievo del suo corso - aveva commentato allora con ammirazione sincera.
- Già. Andò esattamente in quel modo - aveva concluso l'uomo. E poco più tardi era riuscito a farle accettare un posto nell'Accademia Grissom, in qualità di insegnante. Quell'uomo capiva le persone e sapeva come ottenere da loro ciò che voleva.

“Ma nemmeno Anderson avrebbe saputo come salvarti dal tuo destino, John. Lo ha sempre condiviso, addirittura. E forse ormai è morto anche lui” ragionò fissando distrattamente i resti del falò.
Il fuoco alimentato dagli oli combustibili si era quasi completamente spento, lasciando solo alcune braci rossastre che fumavano sotto la pioggia sottile e insistente.
Non era rimasto nulla del comandante Shepard che ora era finalmente libero, per sempre. Niente e nessuno avrebbe potuto riportarlo in vita, costringendolo a sopravvivere alla sua nave e a tutto il suo equipaggio. E nessun atomo del comandante avrebbe mai circolato nel corpo di un Razziatore.

Si guardò attorno in cerca di un segno che rivelasse l'avanzarsi del nemico, ma nessuno di loro era stato attirato dal rogo, probabilmente confuso dai tanti altri che aveva acceso qua e là con il lanciafiamme che ancora teneva sulle spalle. Si liberò dall'ingombro e dal peso sganciandolo e lasciandolo cadere in terra, poi si avviò verso la navetta da sbarco che aveva trovato poco prima, durante l'esplorazione di quella zona.
Tirò via il corpo del pilota, ucciso da un colpo che lo aveva centrato al petto, poi sistemò nell'abitacolo le taniche di combustibile che non aveva svuotato sulla pira funebre.
Controllò ancora una volta che i comandi di volo fossero funzionanti e che ci fosse abbastanza carburante nel serbatoio. Le apparecchiature di bordo erano danneggiate seriamente e le mitragliatrici sotto lo scafo erano fuori uso, tranciate al momento dell'impatto del veicolo contro il suolo, ma sarebbero state comunque di scarsa utilità.

Adesso che John era finalmente al sicuro doveva occuparsi di suo figlio e di se stessa.
“Andiamo, piccolo: si parte per un viaggio. Non ti prometto che troveremo tuo padre, ma un tentativo possiamo sempre farlo” lo esortò appoggiando una mano contro il ventre mentre prendeva posto sul sedile del pilota.
Non si meravigliò di avergli attribuito già un sesso definito, né di essere certa del colore azzurro dei suoi occhi, ma si guardò attorno strizzando le palpebre, per capire quale Razziatore si trovasse più vicino, poi avviò il motore e decollò, dedicando tutta la sua attenzione alla guida, per evitare di essere intercettata anzitempo dai raggi purpurei portatori di morte.
L'ultima frase che pronunciò, prima che la sua navetta si schiantasse contro l'occhio rosso, esplodendo in un immane boato, fu colorita come i tatuaggi che ricoprivano la sua pelle - Fottiti, razziatore bastardo, pezzo di mer...


Nota finale
Volevo prendermi ancora del tempo prima di concludere questa storia, ma non ci sono riuscita. Era diventato un peso enorme che mi gravava addosso. Pubblicare quest'ultimo capitolo mi permetterà di lasciarmi alle spalle tutta la sofferenza che si porta dietro.

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