Immortals

di King_Peter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anima Perduta ***
Capitolo 2: *** La Legge Del Più Forte ***
Capitolo 3: *** Meccanismi Di Difesa ***
Capitolo 4: *** Modus Vivendi ***
Capitolo 5: *** Uomo in Fiamme ***
Capitolo 6: *** Il Sole Nero ***
Capitolo 7: *** Il Bambino di Pietra ***
Capitolo 8: *** La Donna che Piange ***
Capitolo 9: *** Il Diavolo Dentro ***
Capitolo 10: *** Battito Animale ***
Capitolo 11: *** Lazzaro Risorge ***
Capitolo 12: *** Strade di Fuoco ***
Capitolo 13: *** Fratelli di Sangue ***
Capitolo 14: *** Autodistruzione ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***
Capitolo 16: *** Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** Anima Perduta ***



 
1. Anima Perduta


Nelle ultime ventiquattro ore, Lion era finito ammazzato circa … beh, dopo un po’ aveva perso il conto, visto che era troppo impegnato a sopravvivere.
I suoi occhi scuri, cerchiati di stanchezza, vagavano irrequieti, aspettandosi il sopraggiungere di un pericolo da un momento all’altro. Aveva il respiro corto, i polmoni in fiamme, mentre i muscoli delle sue gambe si rifiutavano di sostenere ancora per molto il peso del suo corpo. Il suo cappello, sporco di sangue e terra, era schiacciato sulla chioma di capelli castani sporchi e intrecciati con polvere gialla di mostro.
Non si radeva da due settimane: il suo mento era ricoperto da un bosco di barba ispida e spigolosa. Le recenti ferite sulle braccia, opera di un grifone solitario, bruciavano di dolore, facendolo tremare passo dopo passo.
Tossì, mentre la sua vista si sdoppiava. La lama in oro imperiale si faceva sempre più pesante nella sua mano destra, mentre il mite venticello di Giugno si infilava tra le pieghe dei suoi vestiti strappati. Avanzava lentamente, su per la collina, tenendosi il fianco dove un segugio infernale aveva affondato le sue zanne avvelenate: aveva finito il nettare, non osava ingerire più ambrosia per paura di andare incontro all’autocombustione spontanea.
Ovunque poggiasse i piedi, cumuli di dracme e metalli risalivano in superficie, accompagnando il suo cammino e lasciando una traccia del suo passaggio. Ormai aveva perso totalmente il controllo dei suoi poteri.
1, 2, 3, 4.
Tum tum, tum tum.
1, 2, 3, 4.
Tum tum, tum tum.
La cima della collina era vicina. Ciondolò la testa, appoggiandosi al tronco di un albero per riprendere fiato:  era al collasso, non avrebbe potuto sopportare quel dolore ancora a lungo.
BOOM!
Un fianco della collina esplose, mentre lui si spostava appena in tempo per evitare il getto infuocato che lo avrebbe investito in pieno. Il boato rimbombò nelle sue orecchie, facendolo sobbalzare per lo spavento. I suoi occhi cominciarono a lacrimare, mentre la sua stretta sul forcone d’oro si allentava.
Era la fine?
Il tatuaggio SPQR bruciò in segno di sfida, facendolo urlare di dolore e rivelando ai mostri la sua posizione: cercò di muoversi in fretta, ma i suoi piedi si rifiutarono di collaborare. Inciampò più volte, mentre i mostri si facevano sempre più vicini.
Il pino svettava in cima alla collina, esattamente nel punto in cui lo ricordava. Una vampata improvvisa di fuoco ustionò buona parte delle sue braccia: lasciò cadere il forcone, mentre la terra rispondeva al suo dolore eruttando metalli e rocce che cercarono di coprirgli le spalle.
« Morirai. » sussurravano nella sua testa, « Verrai fatto a pezzi, figlio di Roma. »
Cadde.
Un mostro gli azzannò il polpaccio, un attimo prima che venisse inghiottito da chili di bronzo celeste, mentre il sangue cominciava a bagnare la terra: si dimenò, ruggendo come un leone, trascinandosi a fatica sotto il pino, dove era acciambellato un grosso drago.
BOOM! BOOM! BOOM!
I mostri cercarono di spezzare la barriera del pino, senza successo. La magia dell’albero funzionava e il baccano che facevano servì a risvegliare il drago che li incenerì con un’unica fiammata. Le voci nella testa di Lion si spensero, mentre strisciava sotto l’arco di legno del Campo Mezzosangue.
Era vivo, ce l’aveva fatta.
Ma, mentre stava cantando vittoria, cominciò a sputare fiotti di sangue dalla bocca. In breve tempo svenne, tutte le ferite del suo corpo che bruciavano, mentre l’erba intorno a lui appassiva e il suo potere richiamava alla luce dracme e sesterzi romani.
Sesterzi che, probabilmente, gli sarebbero serviti per pagare il demone Caronte.

 
#King'sCorner.

Ok, diciamo che ho aperto questa interattiva perché mi sentivo enormemente in colpa per via dell'altra mia interattiva (Radioactive) che ho lasciato incompiuta per mancanza di ispirazione :c Se quelli che vi stavano partecipando passeranno di qui, sentitevi liberi di flagellarmi xD
Ehm, ok uu 
Partiamo dal titolo! Immortals. Avete mai sentito parlare dei Fall Out Boy? E della canzone di Big Hero 6? Beh, allora siete tutti miei amici, perchè io adoro il gruppo e adoro il cartone, quindi non potevo non aprire una storia con questo titolo :) Ma a voi non importa, no? xD
Vi dico subito che mi servono 9 personaggi, 4 maschi e 5 femmine, tutti greci! Ma ho anche qualche altra cosetta da dirvi:

- Non accetto personaggi perfetti: insomma, non sono degli dei, no? Hanno tutti le loro debolezze, poteri LIMITATI, quindi non mandatemi schede in cui i vostri semidei abbiamo poteri stratosferici.
- Non più di 3 figli dei pezzi grossi. ( mi serve SOLO un/a figlio di Ade. Ripeto, SOLO UNO/A)
- Non più di 2 figli per lo stesso dio: esistono tanti dei minori, fateli felici :3
- Non pretendo che recensiate ogni capitolo, ma non potete scomparire dopo avermi appioppato il vostro personaggio! Lo dico perché ho giò fatto un'interattiva e c'è stata gente che mi è morta al primo capitolo o.o Poi non si è più vista ewe
Se non recensite con constanza, prenderò provvedimenti sul vostro personaggio *sorrisetto sadico*

Ho un'idea già ben sviluppata per questa storia, una trama in cui ne vedremo delle belle! E ancora, tradimenti, pugnalate alle spalle, sorprese e chi più ne ha, più ne metta! Avrete cinque giorni dalla mia risposta alla vostra recensione per mandarmi la scheda personaggio, altrimenti scarterò il vostro pg e passerò ad altri (se ce ne saranno!)
Ovviamente ho detto solo 9 personaggi, ma, nel caso dovessero arrivarne di più, gli altri saranno inseriti come personaggi secondari! :3 
Beh, spero che questo capitoletto vi sia piaciuto e che la storia vi interessi! Ecco a voi la scheda da compilare e mandarmi per messaggio privato! (i campi con l'asterisco con facoltativi! uu)


Nome:
Cognome:
*Soprannome:

Età e data di nascita:
Genitore divino e rapporto con esso:
*Parenti Mortali e rapporto con essi:
Fisico:
Psicology:
Background:
Cosa gli/le piace fare:
Armi e poteri: (non stratosferici, mi raccomando! Solo un'arma a testa!)
*Amici&Amori:
*Presavolto utilizzato: (sarebbe l'attore/attrice/cantante che da il volto al vostro personaggio, così come lo avete immaginato :3 Serve solo a me per capire meglio la fisionomia del vostro pargoletto c:)
 

Enjoy!
King.



 

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Capitolo 2
*** La Legge Del Più Forte ***




2. La legge del pforte


Il sapore forte della terra si mischiò lentamente alla saliva che aveva in bocca, mentre fili d’erba secca gli solleticavano il viso: ogni centimetro del corpo di Lion urlava di dolore, le ferite fresche sulle braccia che bruciavano come se qualcuno le stesse massaggiando con tizzoni ardenti.
Sentì la fronte sudare, mentre tentava inutilmente di rimettersi in piedi.
Tossì forte quando parte del sangue gli andò di traverso lungo la gola e il suo sapore metallico gli invadeva la bocca, poi si rannicchiò su sé stesso, cercando di provare meno dolore possibile. Era lì, disteso su un fianco, con la sola compagnia delle gemme e delle pietre preziose con cui la terra aveva risposto alla sua chiamata.
Cercò di alzarsi, puntellandosi sulle ginocchia, ma il suo corpo non aveva intenzione di obbedire ai suoi comandi, ricadendo ogni volta a terra, come una bambola di pezza. 
Il suo stato di semicoscienza lo incitava a non addormentarsi e a rimanere vigile, visto che c’era una buona probabilità di cadere in coma irreversibile o morire, addirittura. Urlò, contorcendosi come un ragno appena calpestato, dimenandosi con le gambe in cerca di un appiglio per rialzarsi.


Lion era a terra, il fianco completamente ricoperto di sangue, la pelle scottata, gli occhi troppo neri e gonfi per cercare di aprirsi. Sopra di lui il cielo era livido di rabbia, le nuvole grigie facevano sentire la loro presenza, avvertendo l’arrivo di una tempesta. 
Urlava, Lion lo sapeva, stava urlando nel bel mezzo del nulla, con una cupa casa diroccata che gli faceva da sfondo.
Ma non gli importava. 
I suoi occhi erano colmi di lacrime, le sue mani stringevano furiosamente un pugno di foglie strappate a qualche albero, albero al quale aveva tentato di appoggiarsi per riprendere fiato. ll cielo sopra di lui rombava, coprendo i suoi lamenti di dolore.
Stava pregando, cosa che Lion non aveva mai fatto.
Non sapeva cosa ci fosse sopra di lui, se un Dio con la “D” maiuscola, dei o alieni, ma invocò aiuto, tentando di ignorare il dolore che lo stava consumando da dentro, come se un mostro albergasse dentro di lui e stesse cercando di uscire. Non lo aveva ammesso ad alta voce, ma aveva paura.
Era solo. Era debole. Vulnerabile.
« Devi alzarti da solo, se vuoi vivere. » gli disse una voce nella testa, una voce più forte del dolore, la pagliuzza che qualcuno gli stava offrendo per non affogare e a cui Lion tentò di aggrapparsi, « Dimostra il tuo valore, romano. »
Nessuno sarebbe venuto lì a salvarlo.



La mente di Lion volò a quel ricordo, quel ricordo che conservava sotto pelle e che era sempre pronto a ricordargli la sua vera storia, la sua origine. 
La sua stessa essenza.
Suoni gutturali uscirono dalla sua bocca, senza che lui ne avesse il controllo: provò il prepotente bisogno di chiedere aiuto, invocare suo padre, magari, ma gli anni che aveva passato al Campo Giove gli avevano insegnato a contare solo sulle proprie forze, senza aspettarsi nulla da nessuno. Il dolore era troppo forte, come se qualcuno lo avesse avvolto nella carta stagnola e avesse deciso di cuocerlo al forno.
Lion si chiese come avesse fatto a resistere fino a quel momento. 
Sarebbe morto lì, per le stupide ferite di un segugio infernale e per le scottature di un paio di mostri, quando era sopravvissuto a ben altro, nella sua vita. 
Stava quasi per mollare, per pagare il biglietto di sola andata verso gli Inferi, quando il suo cervello registrò l’avvicinarsi di voci e passi sull’erba. Si dimenò, con le sue ultime forze, e tentò di urlare, anche se dalla sua bocca non uscì alcuno suono.
Provò ancora, ma non ci fu nulla da fare.
Non era il suo cervello sovraeccitato, però, ad avergli giocato un brutto scherzo: l’esplosione, effettivamente, aveva creato parecchio scompiglio giù al campo, quindi ninfe e satiri erano venuti a controllare, accompagnati da un paio di semidei che si aggiravano da quelle parti. 
« O miei dei! »
La voce di quel ragazzo era a pochi passi da lui. Quasi non si accorse quando un paio di satiri lo girarono pancia all’aria, il volto sporco rivolto verso il cielo. Qualcuno toccò la sua ferita, ma lui urlò, costringendoli ad allontanarsi. 
Si accorse di essere legato a quella vita più di quanto volesse davvero ammettere.
Aprì gli occhi, iniettati sangue, mentre quello che presupponeva essere un semidio, si era inginocchiato accanto a lui, tirando qualcosa di sbriciolato fuori da una tasca.
“Ambrosia.” fu il suo unico pensiero.
Quando il ragazzo, però, tentò di imboccargli quelle poche briciole, Lion cominciò ad essere colto da spasmi e, volontari o involontari che fossero, gli impedirono di accedere a quelle poche briciole preziose, briciole della medicina che lo avrebbe potuto salvare. 
Alcune ninfe urlarono, interrompendo il canto magico che stavano usando per curare le sue scottature, i satiri lasciarono le loro mazze da combattimento, per costruire una barella rudimentale per trasportarlo.
« Maledizione, bello. Sta fermo, ti prego. STA FERMO! » esclamò nel panico il semidio, cercando di tenerlo per le spalle, senza successo. Alzò lo sguardo, scrutando tra la folla che si era creata intorno a Lion. 
« Castiel, grazie agli dei! » urlò, per sovrastare il coro di voci intorno a lui, « Vieni ad aiutarmi, SUBITO! »
Lion era vagamente consapevole di stare perdendo il controllo: un altro ragazzo, dall’aspetto abbronzato, per quello che poté vedere, si avvicinò a lui, provando a toccargli la fronte. Lo intercettò, afferrando il suo polso, mentre chili di metalli continuavano a riaffiorare in superficie.
Parecchi di loro urlarono.
« Sta perdendo il controllo! » gridò qualcuno fra la folla.
« MIEI DEI! »
« Castiel, usa il tuo potere. » ordinò il primo ragazzo, tenendo fermo Lion per le spalle, « Calmalo, adesso! »
Il secondo era evidentemente arrossito, ma gli mise lo stesso le mani sulle guance coperte di barba, guardandolo negli occhi.
« Ci provo. » sussurrò e, quando iniziò a guardarlo, fu quasi impossibile resistere al suo sguardo: Lion si perse in quegli occhi, questa era la verità. Non si accorse nemmeno che l’altro gli aveva fatto ingoiare a forza dell’ambrosia e che qualcuno lo issò su una barella.
« Il Campo Giove, io devo … dev …»
« Che sta dicendo? »
« Non ne ho idea, Wolfie. »
« In infermeria, subito! » disse uno dei satiri, « Chiamate Chirone, ci servirà aiuto per salvarlo. »
« Lasciatemi … andare. » 
Lion svenne.


Era come essere andato all’Inferno e aver fatto ritorno.
Fu proprio così che si sentì Lion appena ebbe la forza di aprire gli occhi: inizialmente non si rese conto di dove fosse, visto che il tetto di legno ricordava molto quello che avevano alle baracche del Campo Giove. Poi vide le sottili tende di lino circondare quello che doveva essere il suo letto, sul quale era steso.
Si sentiva la testa pesante e confusa, come se un camion avesse fatto retromarcia più e più volte su di lui. Il sangue pulsava nelle tempie, mentre cercava di riconnettere il server che era il suo cervello e riordinare i pensieri, pensieri che, dopo pochi secondi, tornarono a tormentarlo.
Pensava di essere solo, ma non si spaventò quando i suoi occhi incontrarono quelli scuri di una ragazza, la carnagione pallida e i capelli neri come la notte. I contorni violacei sotto le sue palpebre gli rivelarono che era rimasta lì a vegliarlo, per chissà quante notti.
Il sole di giugno filtrava luminoso tra le persiane socchiuse, mentre piccole lanterne proiettavano costellazioni sul soffitto di legno e un aroma simile a cannella si spandeva per la stanza.
« Non dovrei essere qui. »


« Non dovrei essere qui. »
Era un sussurro quasi impercettibile, visto che aveva passato le ore ad urlare a squarciagola al niente e, adesso, aveva perso le speranze.
Nessuno sarebbe venuto a salvarlo. Ora ne aveva la conferma.
« Devi alzarti da solo, se vuoi vivere. » gli aveva detto la voce, « Dimostra il tuo valore, romano »
Ma lui non si sentiva forte, non era un combattente: era debole e, in più, era ferito. Non ce l’avrebbe mai fatta ad alzarsi.
« Concentrati! » lo spronò, un ringhio per niente umano che viaggiava nel sottofondo, come su una frequenza diversa, « Doma le tue emozioni, semidio. Dimostrami che sei degno di essere salvato. »
Cercò di alzarsi, poggiando i palmi a terra, ma ricadde subito. Provò ancora, e ancora, e ancora, ma non c’era verso di alzarsi.
« Non lo vuoi veramente! » ringhiò la voce, « Non sei un vero romano. Non meriti di vivere. »



« Si è svegliato. » annunciò una voce, ma Lion era sicuro che non fosse stata la ragazza. Doveva avere un aspetto piuttosto ridicolo, visto che il ragazzo che aveva davanti scoppiò a ridere.
« Perspicace come sempre, Cass. » scherzò un altro, « Come ti senti, straniero? »
Ricordava quei due volti, ne era sicuro. La ragazza invece sbuffò, lanciando loro delle occhiate penetranti, invitandoli “cortesemente” a fare silenzio.
« Va tutto bene. » 
Era quella la sua voce? Riformulò la frase, accorgendosi che il suo tono era sceso di una nota, reso rauco e profondo, come se avesse fosse stato colto in preghiera.
« Sicuro? » gli chiese la ragazza, la pelle diafana e pallida come quella della luna. Lui annuì, chiedendosi come avessero fatto a rimetterlo in sesto, viste tutte le sue ferite e scottature: si toccò il mento, ancora contornato dalla barba, ma molto meno cespugliosa; notò che qualcuno aveva lavato i suoi capelli, perché erano morbidi e profumati; mentre le sue ferite erano sparite, sostituite da un sottile strato di pelle nuova.
« Quanto son … »
« Cinque giorni. » rispose il ragazzo che doveva chiamarsi Cass, « Temevamo che non ce l’avresti fatta, a dir la verità, ma sono contento che tu sia qui. » 
Guardò gli altri.
« Potevamo perderci un viso sexy come il tuo? » domandò, e Lion non capì se stesse solo scherzando o lo avesse detto con malizia, ma abbozzò lo stesso un sorriso. Cosa che non fece la ragazza accanto a lui.
« Andiamo Alexis, stavamo solo scherzando! » rispose l’altro ragazzo, muovendo le mani, poi gli rivolse la sua attenzione, « Qual è il tuo nome? »
« Lion. » disse, guardando prima lui, poi il suo avambraccio destro. Il tatuaggio era ancora lì, quel glifo nero che lo accompagnava ovunque andasse, più quel Senatus PopulusQue Romanus e le sei lineette, come una sorta di codice a barre.
Rise, mentre anche Castiel si univa a lui.
« Portiamo il nome di due animali, allora. » disse il ragazzo moro, il viso sorridente, « Io sono Wolf. »
« Avete finito? » domandò Alexis, la maglietta arancione sgargiante, completamente diversa dal monotono colore corvino dei suoi capelli, « Deve riposare per rimettersi completamente in sesto. Ora, se voi non conoscete il significato della parola riposare, non è colpa mia, ma sparite da qui. »
Lion scosse la testa, alzandosi fino a mettersi a mezzobusto, anche se si capiva perfettamente che Alexis avrebbe voluto farlo rimanere a letto.
« Mi hanno salvato la vita. Gli sono riconoscente. » si voltò verso di loro, sorridendo debolmente, « Grazie, davvero. »
Castiel gli fece il segno dell’ok con le dita, mentre Wolf si esibiva in un inchino ai piedi del letto, dirigendosi verso la porta, per poi sparire poco dopo. 
« È stato un piacere, little lion. »
Rimase solo Alexis con lui, la quale sedette su una sedia lì vicino.
« Non trattarli male. » le disse Lion, studiando i lineamenti del suo viso, trovandoli interessanti, « Volevano solo tirarmi su di morale. Non avevano cattive intenzioni. »
Lei sembrò soppesare le parole con estrema cura.
« Beh, sono una fan del silenzio e della tranquillità. » rispose, un po’ stizzita, « Non c’era nulla di male in quello che ho detto. »
Lo sguardo di Lion vagò per la stanza, inquieto, quando agganciò il suo cilindro schiacciato, perfettamente integro e pulito, adagiato sul letto di fronte. Subito la sua mente volò, riportando alla luce ricordi che gli facevano male: i volti dei suoi amici riaffiorarono in superficie, come quello di Robin, la figlia di Vittoria, o Hivy, o ancora Alec.
Lion aveva creduto che la sua vita sarebbe stata un cumulo di sofferenze e solitudine, invece aveva trovato amici sinceri, amici veri, quelli che si possono dire amici con la “A” maiuscola. Si ripromise che li avrebbe cercati, a qualunque costo.
« Sei una figlia di Ade? » 
La domanda gli sorse spontanea. Avrebbe dovuto tenere la lingua a freno, se non avesse voluto trovarsi incenerito prima di cena. Alexis annuì, mentre i suoi occhi si dilatavano, forse per gioia, forse per altro.
« Come hai fatto a capirlo? » domandò a sua volta, « Tu sei un figlio di Plutone, invece, la sua forma romana, se non sbaglio. »
« Beh, l’ho percepito. » rispose, « Hai addosso un’ombra di morte, ma ha una sfumatura diversa dalla mia. La tua è … beh, molto più greca. »
« Sei il primo figlio di Plutone che conosca. » gli confidò, scattando poi in piedi quando lui tentò di alzarsi e per poco non cadde, « Stai attento. Sei ancora molto debole. »
« Forse perché sono l’unico, almeno al momento. »
Quando lo disse, sentì la forza della solitudine travolgerlo: i suoi occhi si specchiarono in quelli di Alexis, così scuri come i suoi, ma che contenevano una storia completamente diversa.
Qualcuno bussò alla porta, poi una ragazza minuta apparve sulla soglia, scrutando all’interno dell’infermeria con timore reverenziale.
« Ehi, Alex, volevo solo dirti che Chirone ha convocato il consiglio di guerra per domani mattina. » poi volse lo sguardo su di lui, salutandolo con un cenno del viso, « Felice di vederti in piedi, romano. »
« Grazie Cassie, ci sarò. » mugugnò a denti stretti Alexis, poco prima che la ragazza scomparisse e la porta si chiudesse di nuovo.
Consiglio di Guerra? Doveva essere più o meno la stessa cosa del Senato Romano, a quanto credeva Lion: i suoi piedi nudi toccarono il pavimento, donandogli una frescura rilassante, mentre si dirigeva verso il suo cappello.
« Perché sei così legato a quel cappello? » gli chiese Alexis, titubante, come se avesse paura di commettere uno sbaglio.
« Perché mi ricorda casa. »
« E allora perché sei qui? »


Lion assaggiò la terra, quel giorno.
La pioggia aveva cominciato a scendere in maniera torrenziale dal cielo, bagnandolo e creando pozze di fango intorno e sotto di lui. Le gocce gli entravano negli occhi, nella bocca, nelle orecchie, mandandolo nella confusione più totale.
« Non vale la pena salvarti. »
Lui non voleva morire, voleva vivere. 
Il suo cuore si esibì in una serie di capriole nel suo petto, mentre tutte le sue forze si concentravano nelle braccia e nelle gambe, che spingevano per rimettersi in piedi: aveva solo dodici anni, ma adesso aveva la forza di un leone.
Faticosamente, e non seppe mai come, riuscì a mettersi in ginocchio e, di lì, ad alzarsi completamente, coperto di fango, incrostato di sudore e fatica.
« Ora sei un vero romano, Lion Davis. » gli disse la voce, « Ricorda sempre chi sei. »



Lion fissò il cappello, se lo rigirò tra le dita, seguendo con lo sguardo la trama complicata dell’intreccio.
« Perché non ho più una casa » rispose, « Il Campo Giove è stato distrutto. »

 


 
#King'sCorner
Yeeeeah! Solo io sono emozionato? xD
Ho aggiornato prima del previsto, ma solo perché abbiamo fatto rimandare il compito di arte e quindi ho potuto scrivere il capitolo, visto che avevo qualche ideuzza in mente :')
Beh, in questo primo, vero atto della storia, conosciamo meglio il mio Lion, il suo passato e come sia arrivato alla Casa del Lupo (le parti in corsivo), quindi ho creato questa sorta di parallelismo fra passato e presente uu Devo dire di essere davvero soddisfatto di questo capitolo, perché ... boh, mi piace xD 
Ho iniziato a presentare i personaggi, ma abbiate pazienza! Ne ho ben diciassette, se non sbaglio, quindi non prendetevela se non vedrete il vostro pargolo subito! Posso solo dirvi che saranno tutti presenti, nel corso della storia (chi avrà un ruolo rilevante prima, chi dopo) e voglio ringraziarvi per aver partecipato così numerosi! 
Davvero, non credevo che ci sarebbe stata così tanta gente! :D E adesso scopriamo chi sono stati i personaggi presentati in questo capitolo :')
Un bell'appluso per ...


 
1. Castiel Dale, il nostro dottore, opera di Kallyope!
2. Wolf Cutter, il lupo di mare più bello, partorito (?) da _Littles_!
3. Alexis Smith, la dolce e affettuosa (xD) figlia di Ade, creata da Alexiel94!
4. Una piccola apparizione di Cassie Evans, la messaggera di Mrs Jackson!
5. Citati, Robin O'Mallow (Luthien Falassion), Hivy Autumn (Elicia Elis) e Alec Baldwin (Sabaku No Konan Inuzuka


 
E, ora che ho sganciato la bomba del Campo Giove, chissà come si evolveranno le cose! :3 SIete curiosi, beh, lo sono anch'io (?) Recensite, recensite siori! :3 
Sarò ben felice di raccogliere le vostre idee e rispondere ai vostri complimenti pareri :') Alla prossima! 

King.

Piccolo Spoiler: Nel prossimo capitolo vedremo Lion alle prese con qualcosa più grande di lui, un bella scazzottata al consiglio di guerra e due personaggi secondari molto, ma molto cattivi uu
Hasta la vista! Keep a secret for u :3

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Capitolo 3
*** Meccanismi Di Difesa ***





3. Meccanismi Di Difesa
Frangor, non flectar.
 
 
La prima cosa che pensò fu di essere all'interno di una tomba.
L'oscurità lo avvolgeva come una coperta, buia, umida, mentre i suoi sensi venivano meno. Annaspò nell'ombra, come se stesse affogando in acqua, poi si rese conto di essere incorporeo.
Si chiese cosa ci facesse lì, se fosse in una sorta di sogno, o meglio, incubo, ma nessuno soddisfò le sue domande.
Vagò senza meta finché intorno a sé si cominciarono ad accendere delle luci. Lion pensò che fossero torce, magari bracieri, ma ben presto si accorse che erano più piccoli di una fiamma normale e meno luminose.
"Fuochi fatui." pensò, ricordando la montagna di spiriti che aveva visto al Campo Giove, quando aveva invocato suo padre. Tutti lo avevano guardato male, tutti gli avevano detto che era un cattivo presagio chiamare il signore dell'Oltretomba.
Ma Plutone era pur sempre suo padre.
Uno dei fuochi fatui attrasse il suo sguardo, magnetico come una calamita, e iniziò a muoversi, guidandolo attraverso l'oscurità che cominciò a prendere forma: apparvero bracieri, veri questa volta, di bronzo, pareti di ossidiana e corridoi spogli.
Lion aveva paura.
Lo spazio stretto in cui si trovava gli metteva i brividi e sussultò quando il suo fuoco fatuo guida scomparve. Si voltò più volte, alla sua ricerca, sussurrò persino un "aiutami", ma non successe nulla. Poi sentì dei passi alle sue spalle, dei tacchi che battevano sulla pietra.
Una ragazza dai lunghi capelli biondi attraversò l'angusto corridoio, una veste nera come la notte, a ragnatela, che le copriva il corpo pallido. Sembrava uno di quegli spiriti delle Praterie degli Asfodeli, ma molto più bella e, ovviamente, più letale.
Il suo sguardo attraeva le ombre, che accompagnavano il suo passaggio come sue compagne. Lion, incorporeo, si sforzò di seguirla, agitando affannosamente le braccia, per poi scoprire che una leggera brezza lo stava sospingendo esattamente dove voleva andare. La ragazza, che non poteva avere sui diciassette anni al massimo, camminava austera nel silenzio, rotto solo dal rumore sordo dei suoi tacchi.
Non si curava dell'inquietante atmosfera che si respirava lì dentro.
Poi Lion urlò: se fosse stato lì veramente, sapeva che sarebbe stato già morto. Era stato addestrato a non avere paura, a resistere al peggio, ma non poté fare a meno di urlare quando vide delle mani artigliare l'aria e scattare al passaggio della ragazza.
Erano mani umane, Lion ne era sicuro, ma quasi ridotte all'osso. Le vene sporgenti e le unghia sporche gli facevano accapponare la pelle, soprattutto perché stava cominciando a riconoscere quelle mani. E, più lo faceva, più il ribrezzo aumentava.
Pesanti sbarre di ferro le bloccavano, mentre tentavano inutilmente di afferrare la ragazza. Lion aspettò che la brezza del sogno lo muovesse, ma non successe nulla. Allora cercò di fare da sé, ma ottenne lo stesso risultato.
Era bloccato lì, come se il suo sogno gli impedisse di andare avanti.
"Maledizione!" sibilò, sbattendo un pugno invisibile contro il muro.
Fu allora che successe: qualcuno riuscì ad afferrare la gonna scura della bionda, una mano scheletrica che si strinse intorno alla sua caviglia di un pallore mortale.
C'era qualcosa, in quella ragazza, che lo spaventava a morte.
Per un attimo, cacciatore e preda si guardarono, poi una voce gracchiante dalla cella parlò, risvegliando i demoni che dormivano dentro Lion, facendogli bruciare la pelle.
« Tu, maledetta strega. » sillabò, anche se le mancava la forza di parlare, « Liberaci subito! Non meritiamo questa fine. Non come ratti. »
La bionda rise e la sua risata gelida riempì il corridoio. Lion conosceva quella voce, conosceva la ragazza nella cella.
Ne era sicuro.
« Io non ti devo niente, romana. » sussurrò, la bocca storta, gli occhi di ghiaccio, « Vorresti una morte onorevole? Morire in piedi, piuttosto che in ginocchio? » chiese, la voce piena di disprezzo.
La ragazza nella cella ringhiò, come un cane affetto dalla rabbia, cercando di stringere la presa sulla caviglia dell'altra.
« Questo dipenderà da quanto sarai brava a fare da esca. » scalciò la bionda, mentre si liberava con un rapido scatto del piede e schiacciava la mano della prigioniera con un tacco vertiginosamente alto. « Ora togliti dai piedi.  »
La ragazza nella cella sputò a terra, ritirandosi nell'ombra, mentre le mani smettevano di muoversi appena la bionda si fu allontanata. Lion fece a pugni con un muro invisibile che, finalmente, si ruppe.
Si spostò in avanti, appena in tempo per vedere un pezzo dello viso sporco della ragazza, scarnificato dalla fame, scavato dalla rabbia.
"Robin." sussurrò Lion, sentendosi come se qualcuno gli avesse appena sfilato la terra da sotto i piedi, "ROBIN!" urlò, picchiando le mani contro la cella, senza ottenere risultati.
Non doveva piangere, era stato addestrato a non farlo.
"Verrò a liberarti, è una promessa."
Poi il vento lo trascinò in avanti, mentre lui cercava inutilmente di restare ancorato a quella cella, iniziando a riconoscere i visi che aveva visto così tante volte al Campo Giove.
TUM TUM.
Poco più in là, c'era un altare. Ed era un altare nero.
Non era un buon segno, di solito quelli neri si usavano per sacrifici umani e per evocare divinità oscure, anche molto più infernali di suo padre. Notò cani dal manto scuro e buoi dal vello nero che cercavano di liberarsi dal recinto di pietra in cui erano stati confinati, invano. Pecore nere, pipistrelli e altri oggetti oscuri che avrebbero fatto la fortuna di una strega.
In che razza di posto era finito?
Il cuore gli balzò direttamente in gola quando si accorse che la ragazza bionda si era fermata, le braccia incrociate al petto, come se stesse aspettando qualcosa. Il suo sguardo era alto, fiero, e gelido.
Fu quella la cosa che più impressionò Lion: era lo stesso sguardo che avevano gli spacconi, i traditori o gli assassini.
Seguì i suoi occhi, ancorando il suo sguardo su un'altra ragazza, i capelli corvini come la notte che li avvolgeva, mentre avanzava a passo veloce nella stanza. Aveva un coltello di oro imperiale stretto nella mano destra.
Ciocche scure le danzavano davanti agli occhi, quando condusse un cane alla pietra nera. Lion deglutì a fatica, sapendo già cosa stava per succedere.
TUM TUM.
Catene fatte di oscurità assicurarono la bestia all'altare, strinsero il suo muso morbido, le sue zampe che cercavano affannosamente di liberarsi, invano. Gli occhi della nuova ragazza sembravano concentrare in essi tutta la potenza del cosmo.
Un brivido corse lungo la schiena di Lion. Cominciò a giocherellare con l'anello che portava al dito, come faceva sempre quando era nervoso.
« Lilith, novità? » chiese la mora, girando intorno all'altare di pietra nero, il pugnale scintillante nell'oscurità, « Ho saputo che è arrivato al Campo. Dobbiamo catturarlo, al più presto. »
Lilith rise.
« Oh, lo faremo, Nivs. » esclamò, sibilando come un serpente, « Conosci qualcuno che è scappato alle mie grinfie, per caso? »
La sua sicurezza era impressionante, tanto che Lion rimase impietrito, gli occhi fissi su di lei.
« Ovviamente no. » rispose l'altra, avvicinando il coltello alla gola del cane incatenato all'altare. Lion voleva distogliere lo sguardo, mentre la brezza lo spingeva verso la mora, ma non gli era permesso.
« Dobbiamo solo aspettare. » continuò Lilith, « L'agnello verrà volontariamente al suo sacrificio. Le antiche pietre saranno macchiate del suo sangue. Non resisterà alla chiamata delle ossa. »
Stavano parlando di lui?
Nivs sorrise, lo sguardo gelido che incontrava quello del cane spaventato.
TUM TUM.
« Non ti farà male. » sussurrò, all'orecchio del cane, « La tua vita servirà a fortificarlo, a fortificarci tutti. »
Poi il coltello calò sulla sua gola.
 
 
 
Lion per poco non batté la testa contro il muro della cabina di Ade.
Alexis aveva insistito tanto per ospitarlo lì, quindi non aveva potuto rifiutare. Pareti di ossidiana, nere, attraevano la luce, rendendo cupo l'ambiente. Gli arredamenti rossi spiccavano in tutto quell’oscurità, rendendo la capanna di Ade come quel castello di Dracula che aveva visto una volta alla televisione.
Teschi e diamanti adornavano le cornici dei quadri, mentre l'intero ambiente rimaneva monocromatico, incentrato sul rosso sangue o sul nero.
Mosse le dita, ancora convalescente, e queste risposero al suo comando. Per un attimo, rimase lì, riflettendo su quello che il sogno gli aveva mostrato: Robin era ancora viva e, se lo era lei, lo potevano essere anche molti altri della sua legione. Avrebbe potuto trovarli, ne era sicuro, ma a spaventarlo erano quelle due ragazze, belle e letali come serpenti.
Si passò velocemente una mano nei capelli, alzandosi dal letto e infilando un paio di jeans che alcuni ragazzi dello spaccio gli avevano prestato. Cicatrici e ferite ancora fresche percorrevano le sue gambe, ispide e villose, il tatuaggio di suo padre che attraeva il suo sguardo come una calamita.
La maglietta del Campo Mezzosangue gli stava stretta e delineava troppo vistosamente il contorno del suo corpo. E poi, anche se apprezzava la gentilezza dei ragazzi del campo, sapeva che quella non era la sua vera casa. Se la tolse, indossando una maglietta nera di qualche figlio di Ade della cabina, promettendosi che un giorno gliel'avrebbe restituita.
L'anello che portava al dito sembrava pesare di più ad ogni passo che faceva: la montatura in oro imperiale sosteneva una pietra di ossidiana su cui era inciso un leone rampante, sé stesso, con un piccolo glifo nero sullo sfondo, il simbolo di suo padre.
Non era stato molte volte al Campo Mezzosangue da quando Gea era stata sconfitta, ma aveva imparato la sua mappa quando Ottaviano aveva cercato di distruggerlo, aizzando contro i greci la legione. La sua mente lo guidò verso quella che era l'armeria del campo, un basso edificio costruito come un'accozzaglia di materiali di scarto si ergeva nelle prossimità della capanna di Efesto, il dio greco della metallurgia.
Bussò alla porta, in attesa di una voce, ma a rispondergli fu solo il battere monotono di un martello sul ferro caldo: attraverso la porta socchiusa, Lion poté vedere una ragazza muscolosa lavorare su una lunga spada, di bronzo celeste tirò ad indovinare Lion, una mascherina protettiva davanti agli occhi.
« Ehm ehm. » tossicchiò, mentre si immergeva nell'atmosfera da officina, respirando fumo e carbone, « Posso? »
La ragazza alzò gli occhi dal progetto a cui stava lavorando, facendogli un cenno con il viso. Aveva i capelli biondi stretti in una coda di cavallo, piccole rughe intorno agli occhi, come quelle di chi sorride spesso.
Lion si chiese come facesse ad essere sempre felice, allora.
Si alzò la mascherina sui capelli, il martello stretto in un guanto da lavoro che la rendeva una sorta di meccanico donna sexy. Gocce di olio e grasso dipingevano le sue braccia di marrone e nero.
« Ciao! » esclamò, asciugandosi il sudore con il dorso della mano, « Sei il ragazzo romano, giusto? »
"Accidenti, come corrono le notizie, qui!" pensò Lion, facendo buon viso a cattivo gioco, « Esatto, sono Lion. Piacere. »
Sorrise.
« Ti stringerei la mano, ma ... beh ... » La ragazza sembrò arrossire.
« Fa niente! Comunque io sono Gabriela, ma chiamami Gabri. » gli sorrise, facendo una faccetta buffa, « Suppongo che tu non sia venuto qui solo per presentarti con una figlia di Efesto, no? »
Lion fece un sorrisetto, avvicinandosi al suo tavolo da lavoro stringendo il suo anello in mano. Glielo porse.
« Non sono esperta in cose del genere. » si scusò Gabriela, sorridendo, « Mi occupo di motori, armi ed altro, ma non di anelli. »
Lion fece un rapido movimento con le mani e si ritrovò a stringere un forcone di oro imperiale alto circa un due metri: le punte, che una volta erano state acuminate, adesso erano storte e inservibili. Il fusto era piegato in più punti, dove i mostri avevano sbattuto, mentre dava l'aria di volersi sgretolare nelle sue mani.
Lei sembrò sorpresa.
« Oh dei. » sussurrò, « Non ho mai avuto un'arma del genere, né tantomeno un meccanismo simile. »
« È magico. » gli suggerì lui.
« L'avevo intuito. » disse lei, sorridendo come una bambina a cui era appena stato dato del gelato, « E vorresti che lo riparassi, vero? »
« Beh, si. Devo ripartire al più presto e non posso combattere i mostri con un forcone smussato. »
Sembrò pensarci su.
« Normalmente ti chiederei un pacchetto di patatine al formaggio, un libro o un pagamento in dracme, ma per te sarà gratis! » esclamò, « Offre la casa. Solo una cosa: perché proprio un forcone? »
« È l'arma divina di mio padre, assieme all'elmo del terrore. » rispose Lion, aggiustandosi il capello in testa, « Quando posso passare a prenderlo? » chiese, mentre la sua testa volava già altrove.
« Oh, wow. » controllò, l'orologio che aveva al polso, « Il tempo di finire questa spada. Te lo porterò al consiglio di guerra, parteciperai, non è vero? »
Lion avrebbe tanto voluto rispondergli "No, parto per cercare di ricostruire casa mia!", ma non poteva andarsene senza dare spiegazione ai greci della sua presenza lì.
« Certo, sarò lì. » promise, « Grazie mille. »
 
 

{...}


Lion sapeva che i greci erano molto più liberi rispetto ai romani in fatto di disciplina, ma non avrebbe mai immaginato che il loro consiglio di guerra si riunisse intorno ad un tavolino da ping pong. Non avrebbe mai immaginato nemmeno una sala ricreativa e snack al formaggio da sgranocchiare durante la riunione.
Per i romani era molto diverso: per loro le questioni importanti andavano trattate in senato. Lion aveva dovuto partecipare una marea di volte alle sedute per far partire o meno un'impresa, indossare quella toga bianca che non gli stava per niente bene.
Che stonava con il suo aspetto da pirata, i capelli spettinati, gli occhi scuri, la carnagione abbronzata.
La prima cosa che notò fu la forma equina del centauro Chirone, l'essere per metà uomo di mezza età e per metà stallone bianco. I suoi occhi millenari che continuavano a vagare da una parte all'altra della stanza, dove i semidei inquieti discutevano piuttosto calorosamente tra loro.
Accanto a lui, seduto, un uomo grassottello, i riccioli neri che incorniciavano un viso paffuto e rossastro, come se avesse appena bevuto. Una tuta leopardata che copriva il suo corpo, bisognoso di un po' di attività fisica.
"Impossibile.", sussurrò, "Non può essere Bacco."
Il dio fu l'unico a notarlo, appena varcò l'ingresso della sala ricreativa, forse perché aveva pronunciato il suo nome: staccò gli occhi dalla rivista di vini che stava leggendo e lo squadrò. Se non fosse stato un dio, Lion gli sarebbe balzato addosso.
Odiava essere analizzato come se fosse una cavia.
« Sono la sua forma greca, a dire il vero. » disse Bacco, cioè Dioniso, « Siedi, romano. Avete molto di cui discutere. »
Lion notò come avesse detto "avete" e non "abbiamo", ma non disse nulla, anche perché parecchie paia di occhi incontrarono i suoi, come quelli di Chirone o altri ragazzi che non conosceva.
Alexis attrasse il suo sguardo, spostandosi un poco per fargli posto su un divanetto di finta pelle. Lion riconobbe Cassie, la figlia di Zeus, i suoi occhi che scintillavano come piccole tempeste in miniatura, l'aura spagnola di Castiel, il ragazzo che lo aveva salvato dall'oblio.
E ancora Wolf, il lupo, appollaiato sul tavolo da biliardo che campeggiava nella stanza, lo scintillio nei suoi occhi che ricambiava lo sguardo del leone. Infine Gabriela, la figlia di Efesto che aveva incontrato qualche ora prima, il suo anello che luccicava nelle sue mani.
Le sue conoscenze si limitavano a quei cinque ragazzi, fatta eccezione per Dioniso e Chirone, personaggi che non poteva non conoscere.
« Benvenuto tra noi, Lion. » lo salutò Chirone, facendolo un burbero cenno di approvazione con il mento, « Siamo onorati di averti qui. »
Lion non rispose, non sapendo esattamente come dire.
« Wolf e Castiel mi hanno raccontato come ti hanno trovato. Sono stati loro che ti hanno salvato la vita. Pochi minuti in più e ... »
« Ho fatto un guaio, eh? Su, alla collina mezzosangue, non è vero? » chiese, ricordando confusamente tutto il metallo che aveva richiamato a sé mentre delirava. Chirone abbozzò un sorriso, mentre Dioniso non lo degnava di uno sguardo, tutto interessato alla sua rivista.
« Nulla che non si possa riparare. » rispose, il tono calmo e tranquillo. Lion si chiese a quanti eroi avesse fatto da maestro, « L'importante è che tu sia qui, adesso. Potrai chiarirci parecchie questioni incomprese. »
« Di che genere? »
« Per esempio, perché sei il primo romano a mettere piede al Campo Mezzosangue dopo mesi? » domandò una ragazza dai ricci capelli castani e gli occhi grigi come una tempesta in avvicinamento. Lion cercò di inquadrarla, ma non ci aveva mai saputo fare con lo studiare la persona che aveva davanti.
« Melissa, dovresti avere più tatto. » sussurrò Chirone, mentre Lion sentì tutta l'attenzione dei presenti su di lui. Alexis scosse la testa, dicendogli che andava tutto bene.
« Ma è ciò che vogliamo sapere, Chirone. Lo sai benissimo. »
Lion non sopportava l'impulsività, ma apprezzava la caparbietà delle persone e Melissa, quella che doveva essere una figlia di Atena, era davvero testarda. Lo aveva capito.
Si sentì quasi a disagio a vedere una figlia di una dea che loro reputavano vergine. Ma, dopotutto, una figlia di Atena, Annabeth Chase, aveva saputo risanare la frattura tra greci e romani, quindi Lion aveva imparato a rispettare la progenie della dea della saggezza.
« Il Campo Giove è stato distrutto esattamente quattro mesi fa. È da allora che ho attraversato mezza America per arrivare qui. » confessò Lion, guardando lo stupore che prendeva piede sul volto dei capo cabine, lo sgomento, « Si, è stato distrutto. » ribadì il figlio di Plutone, mettendo a tacere le voci nella stanza.
Chirone portò un pugno al petto, poi lo slanciò tre dita davanti a sé in un antico gesto di scongiuro.
« Sei l'unico ad essere scappato? » chiese, la preoccupazione che rigava il suo volto millenario.
Lion abbassò lo sguardo, vergognandosi per ciò che era stato costretto a fare quando i demoni avevano attaccato il campo romano.
« C'era sangue ovunque. » disse, la voce carica di rabbia e dolore.
« Se non vuoi parlarne, va bene. Non preoccuparti. » lo consolò Alexis, mettendogli una mano sulla spalla, ma lui scosse il capo.
« Il Campo è stato attaccato nel suo momento più debole. Un pretore è stato ucciso, l'altro, fortunatamente, era in missione. Alcuni membri della legione erano a riposo, altri, quelli in pensione, sono sparsi un po' in tutta America »
A Lion sembrò di ingoiare della sabbia.
« Abbiamo cercato di combattere, ma erano numericamente superiori alla legione. Metà della mia coorte è stata spazzata via, poi ci siamo dispersi e sono stato colpito. » Lion si massaggiò la nuca, sentendo l'eco del dolore che aveva provato.
« I templi sono stati messi a ferro e fuoco, così come il pretoria o le baracche delle coorti. Tutto distrutto. Ed è questo che ho visto quando mi sono risvegliato, debole, ma ancora vivo. »
Fece una pausa, carica di disperazione.
« Non c'erano altro che morti, intorno a me. Corpi squartati, sangue e ossa rotte. Ma io mi sono rialzato e ho cercato di arrivare fin qui per portarvi la notizia. »
« Oh dei, immagino quanto sia stato difficile per te. » sospirò una figura dall'aria asiatica, una coda di capelli disordinati portati sulla spalla, il volto delicato e morbido, gli occhi dorati, quasi d'ambra.
A prima vista gli sembrò una ragazza, ma si accorse che non aveva curve prominenti sul petto. In più, i suoi occhi erano contornati da occhiaie viola e pesanti, cosa che una ragazza non avrebbe mai fatto vedere.
Lion annuì.
« I demoni non mi hanno lasciato un attimo di tregua: ovunque mi fermassi, loro erano lì, pronti a catturarmi. » concluse, « Pronti a catturare l'ultimo figlio di Roma. »
Silenzio.
Nessuno nella sala fiatò, il che fece sentire Lion a disagio. Poteva quasi sentire il battito del suo cuore e temeva che anche i presenti potessero farlo. Si disse che era una cosa ridicola.
Con sua grande sorpresa, fu Dioniso ad interrompere il silenzio imbarazzante.
« Oh, io adoro il pinot nero! » gioì, mentre sul suo viso paffuto si dipinse un sorriso, « Non sei l'ultimo della tua specie, molti dei tuoi consanguinei ci invocano ancora. I nostri nomi romani, intendo. »
« Lo avevo immaginato, divino Bacc, ehm, Dioniso. » ringraziò riluttante Lion, « Ho fatto un sogno proprio su di loro, questa notte. Sono tenuti prigionieri. »
« Beh, e cosa vorresti fare al riguardo? » gli chiese, alzando impercettibilmente lo sguardo dalla rivista di enoteca che stava sfogliando con attenzione. A Lion mancarono le parole di bocca.
« Guidare un'impresa. » propose Wolf, i suoi occhi scuri che viaggiavano da lui al dio del vino, i capelli scompigliati come se si fosse appena alzato dal letto.
« Credo che sia giusto. » continuò Cassie, la figlia di Zeus, alta poco più del metro e sessanta, « Deve ritrovare i suoi fratelli e liberarli dalla loro prigionia. »
« Concordo con Cassie. » continuò Alexis, i suoi grandi occhi scuri che si muovevano inquieti, come a chiedere a qualcuno di sfidarla, « Abbiamo lottato assieme nella guerra contro Gea, dobbiamo lottare assieme contro questa nuova minaccia. »
« E chi sarebbe, questa minaccia? » chiese Melissa, la figlia di Atena. I suoi occhi temporaleschi ancorarono quelli di Lion, costringendolo a rispondergli.
« Non ne ho idea, ho visto solo mostri. » sostenne, evitando la parte delle due ragazze che sgozzavano un cane nero, temendo di spaventarli a morte.
« È un rischio. » puntualizzò lei, appoggiandosi al tavolo da ping pong, dove erano rimasti intatti gli snack al formaggio, « Un rischio enorme. E se i carcerieri dei romani non aspettassero altro che una nostra reazione alla loro offesa? » domandò.
Cassie si tappò la bocca, con fare teatrale.
« Non possiamo lasciare morire quei romani. » sostenne, « Non sarebbe giusto. E lo sai bene. »
« Moralmente non lo sarebbe, ma razionalmente si. »
« Pensando non si va da nessuna parte. » replicò Wolf, mentre a Lion sembrò che le sue mani fossero diventate di ghiaccio, ricoperte da un sottile strato di brina, « Bisogna agire. »
Nella sala scoppiò il caos e tutti cominciarono a giocare al gioco di chi grida di più. Lion rimase zitto, assieme al ragazzo che aveva scambiato per una ragazza, all'inizio. C'era qualcosa che lo affascinava, nel silenzio.
« EROI! » li richiamò Chirone, la sua voce che contrastò le altre.
« Qui stiamo parlando di meccanismi di difesa. » puntualizzò Melissa, convinta della sua strategia.
« Perché non facciamo che Lion guiderà l'impresa per ritrovare i suoi compagni e chi vorrà seguirlo lo farà liberamente? » propose il ragazzo silenzioso, dai palmi fasciati con bende sottili di lino.
Chissà a cosa servivano.
Molti paia di occhi si voltarono a guardarlo e Lion intuì che, anche se non parlasse molto, quella volta che lo faceva tutti di fermavano ad ascoltarlo.
« Per me va bene. » assentì Cassie, proponendosi per l'impresa. Poi Alexis, Wolf, Castiel. Si alzarono anche il ragazzo che aveva proposto l'idea e altri che non avevano parlato, gli occhi vispi, lo sguardo carico di ansia da prestazione.
Lion quasi non riuscì ad elaborare quanti si alzarono per accompagnarlo.
« Frena, frena, frena. » riuscì a dire, alzandosi in piedi, sembrando l'unico pirata in quel gruppo di semidei perbene, « Forse non vi rendete conto della situazione in cui vi state cacciando. »
« Io invece credo di si. » sostenne Alexis, « Vogliamo aiutarti, Lion. »
« E io lo apprezzo, ma ... »
Guardò Chirone, cercando appoggio, persino Dioniso, ma nessuno dei due gli indicò cosa fare. Ripensò ai discorsi che, da centurione qual'era, faceva alla sua coorte prima di un'impresa o dei giochi di guerra.
« Ma dovete sapere che non sarà una passeggiata. Ci aspetterà il dolore, la morte, la rabbia. » la sua voce era impastata di fatica, « Non posso chiedervi di mettere le vostre vite a rischio per qualcuno che conoscete appena. »
Si diresse verso Gabriela, le sussurrò un "grazie" e se lo infilò al dito: sembrò scintillare con più forza quando entrò in contatto con la sua pelle abbronzata.
« Non puoi costringerci a non partecipare. » sostenne Wolf, scendendo dal tavolo da biliardo, « Siamo noi che vogliamo farlo. Non puoi impedircelo. »
Lion guardò i volti di ognuno di loro, uno per uno, come a stamparseli bene in mente. Aveva paura, molta paura, ma non lo diede a vedere.
Ammirava la caparbietà, se lo era sempre detto.
« Frangor, non flectar


 
 

Notes: il motto latino sotto il titolo del capitolo significa "Mi spezzerò, ma non mi piegherò." Da ora in avanti, metterò sempre un piccolo motto sotto il titolo che riassuma il contenuto del capitolo stesso.

#King'sCorner
Allora, innanzitutto dovete scusarmi, ma questa settimana non ho avuto realmente tempo per scrivere qualcosa! Infatti questo capitolo è stato fatto un po' di fretta, quindi spero seriamente che vi piaccia! :) E poi questa settimana, quella che entra domani, ho una marea di compiti, non so se riuscirò ad aggiornare! .-.
Va beh, passiamo a questo capitolo! Che ve ne pare? :3 
Avete visto uno scorcio delle "cattivissime" che vi avevo detto, una romana molto particolare e il consiglio di guerra intorno al tavolo da ping pong! Ok, avevo promesso una scazzottata, ma non me la sono sentita di farla xD Più in là, promesso! :D
Questo capitolo abbiamo presentato ...

 
1. Zheng Fao, il silenzioso personaggio di Saroyan!
2. Nives 'Nivs' Lee, la bad ass della situazione, di TheTORNgirl!
3. Lilith Black, l'inquietante bionda di LoveAndDeath_I_em_Kira!
4. Gabriella 'Gabri' Emma Suarez, l'aggiustatutto di ChicaCate94!
5. Melissa Gray, l'affascinante figlia di Atena di partyponies!

Ok, non picchiatemi se non ho ancora inserito tutti, ma lo farò, promesso! Se continuerete a seguirmi, saprete quando :p Ho cercato di aggiungerne pochi per volta per rimarcare meglio le loro caratteristiche, non so se ci sono riuscito, ma comunque avremo modo di conoscere tutti al meglio nei capitoli successivi :)
Beh, detto questo non so che altro dire! c: Spero vi piaccia! Ora, tanta ambrosia blu per tutti voi, offre la casa! 
*sparisce per studiare fisica*

King.


 

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Capitolo 4
*** Modus Vivendi ***




 
4. Modus Vivendi
Excusatio non petita, accusatio manifesta.
 
 
 
Il sole stava tramontando.
I capelli di Lion si facevano via via più scuri, sotto quell'ultima luce del giorno: la parete dell'arrampicata ribolliva di lava alla sua destra, mentre gli ultimi ragazzi scendevano a terra, pronti per farsi una doccia.
Alla sua sinistra un immenso teatro alla greca sfruttava una naturale pendenza del terreno per ergersi, più scintillante che mai, il marmo bianco che contrastava con le erbacce cresciute fra gli interstizi della pietra.
I suoi passi risuonavano veloci e sicuri, sotto gli sguardi inquieti dei semidei che lo osservavano, quasi come se avesse una maglietta con su scritto "Zeus puzza", oppure il viso dipinto di bianco come quello di un clown.
Ma non ci faceva più caso.
Era abituato alle occhiate della gente, al loro fare altezzoso, a ciò che si aspettavano tutti da lui. Certo, aveva chiesto lui protezione al Campo Mezzosangue, ma sentiva che non era la sua casa.
Era un figlio di Roma, il suo cuore sarebbe sempre rimasto con la legione.
E, adesso che sapeva che i suoi amici erano vivi, la voglia di partire riempiva il suo stomaco di farfalle, bruciava la sua pelle come fiamme. I suoi occhi ancorarono quelli di un altro paio di ragazzi, i quali, sbrigativi, accelerarono il passo per dirigersi in mensa.
"Meglio, starò da solo." pensò, incamminandosi verso un sentiero ricco di architetture greche e romane, colonne, capitelli corinzi e ionici che la luce magica del tramonto.
Aveva sentito che Jason Grace, il figlio di Giove, dopo la grande guerra contro Gea aveva costruito un altare per ogni dio dell'Olimpo, compresi quelli minori.
Sicuramente c'era anche un altare per suo padre.
Ancora non riusciva a credere che un sacco di semidei si fossero offerti di accompagnarlo in quell'impresa mortale. Avevano messo a rischio la loro vita per aiutarlo: anche se non voleva ammetterlo apertamente, era sollevato di avere delle persone su cui contare.
E quei ragazzi erano a dir poco perfetti, avevano tutti una personalità diversa, ma sarebbero stati tutti essenziali per la riuscita della missione: c'era Alexis, sua sorella, Wolf, Castiel, la figlia di Zeus e anche un paio che non conosceva, compreso il ragazzo silenzioso che aveva notato nel consiglio di guerra.
Forse ci sarebbero state delle incomprensioni, litigate, ma tutti loro avevano una qualità da condividere con gli altri, e avrebbero potuto funzionare come un sol uomo, con un po' di buona volontà.
Lion aveva tirato su ragazzini della Terza Coorte con molto meno. Era sicuro di potercela fare.
I ciottoli di pietra scricchiolarono sotto le suole delle sue scarpe, mentre il vento soffiava nei suoi capelli. Si affrettò, camminando di buona lena, visto che avevano insistito tanto per fissare la partenza per quella sera stessa.
Un figlio di Ecate che lo accompagnava poteva avere più possibilità di rintracciare una pista, di notte, quando sua madre aveva più potere. Forse avrebbe fatto tardi, ma non poteva imbarcarsi in quell'impresa prima di aver bruciato qualcosa per gli dei.
L'altare di Plutone scintillava nella luce del tramonto, sotto un albero carico di melagrane e il terreno cosparso di monete e pietre preziose. Un piccolo teschio era incastonato al centro dell'altare, la bocca spalancata al cielo, in attesa di ricevere l'offerta per il dio. Nebbia leggera saliva dal terreno, rendendo l'altare cupo e tetro.
Lion rabbrividì, ricordando il suo sogno.
Scosse la testa, esiliando le due ragazze nell'angolino più piccolo della sua mente, poi un piccolo pugnale di ardesia apparve sull'altare di Plutone, attraendo il suo sguardo.
« Sacrificio? »
La voce era alle sue spalle, una voce morbida, vellutata che corrispondeva alla fisionomia di una ragazza dai lunghi capelli castani, gli occhi taglienti come la lama che aveva in mano. Un piccolo neo addolciva la forma delle sue labbra e del suo volto.
« Come? » chiese.
« Stai per fare un sacrificio, giusto? » ripeté lei, avvicinandosi all'altare di suo padre. Mentre muoveva sembrava sdoppiarsi in tre figure differenti, come una foto sfocata. Era solo l'immaginazione, Lion ne era certo, si stava lasciando suggestionare dall'atmosfera dark di quel posto.
« Non è forse ovvio? » chiese lui, rispondendo con una domanda. Poi prese il pugnale, guardandolo scettico. « Non credevo che i greci fossero così perspicaci. »
Forse la ragazza non conosceva il significato di quella parola, visto che non disse nulla. Gli girò intorno, osservando il teschio con la bocca aperta sull'altare, l'ombra proiettata dalla luce del sole.
« Non credevo che i romani fossero così sarcastici. » rispose lei, trattenendo una risata sottile, la mano che scivolava sulla pietra, « Non mi riconosci? »
Non mi riconosci? Perché avrebbe dovuto riconoscerla?
« No. » confessò, alzando un  sopracciglio, indugiando  sul suo sacrificio. Non aveva portato nulla, nemmeno una mela. Forse poteva sacrificare una melagrana, dopotutto era un frutto sacro a suo padre, « Dovrei? » domandò, chiedendosi chi fosse.
Quel neo, l'aveva già visto, ne era sicuro, anche se non sapeva dove. Lei sorrise, uno di quei sorrisi che si fanno per non piangere, poi scosse la testa al vento e i suoi capelli volteggiarono al vento.
« Direi. » scherzò, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, « Partecipo all'impresa, ci siamo visti questa mattina. »
Lion arrossì, battendo il dorso della mano sulla fronte. Certo che l'aveva vista, era al consiglio di guerra per rappresentare la sua cabina. Chissà di quale dio era figlia, gli dava l'aria di essere una ragazza battagliera: Zeus? Poseidone? Oppure Apollo?
« Non scusarti. » si affrettò a dire, gesticolando con le mani, « Capita anche a me di dimenticare certi greci così inopportuni. »
Lion, se possibile, diventò simile ad un pomodoro, anche se la sua carnagione abbronzata smorzava l'effetto della vergogna.
« Ok, ok! » disse, alzando le mani al cielo, stringendo in una l'elsa del pugnale, « Scusami! » disse, quasi sorridendo, « Mi davi l'aria di essere una persona conosciuta, ma non riuscivo proprio a collegare il tuo viso ad un nome. Tu sei ... »
« Caelie. » rispose, tranquilla, gli occhi che le scintillavano come due piccole stelle, « Figlia di Apate, la dea degli inganni. »
Apate? Lion non l'aveva mai sentita nominare. Contò fino a dieci, aspettandosi che la dea lo fulminasse, ma, fortunatamente, non successe.
« E chi mi dice che tu non mi stia ingannando, adesso? » scherzò, guardandola dal capo ai piedi, indicandola con la punta del pugnale di ardesia, « Chi mi dice che tu partecipi davvero alla mia impresa? »
Fece spallucce.
« Devi fidarti. » disse, liquidando la domanda, « Anche se ti consiglierei di non riporre la tua fiducia in Zheng, il figlio di Ecate. Hai presente? » chiese.
Lion annuì. Quindi era quello, il suo nome, Zheng. Non era certo un fan della cultura giapponese o cinese, ma non sapeva il perché non avrebbe dovuto fidarsi di lui.
« Si raccontano strane storie su di lui. » continuò, la lingua biforcuta come quella di un serpente, « Si dice che esca di notte per uccidere i barboni da qui a Manhattan. Si dice che parli col diavolo. »
Alzò un sopracciglio.
« Il diavolo? » sussurrò, non accorgendosi di averlo detto con un filo di voce, « Che cosa c'entra il diavolo? Cosa avrebbe a che fare con noi greci e romani? »
Lei scosse la testa, la massa di capelli scuri che seguirono il movimento della sua testa.
« Intendo il male. »
Calò il silenzio.
Lion sostenne il suo sguardo, chiedendosi quanto ci fosse di vero, in quelle parole. Gli occhi di Caelie mandarono scintille.
« Sei libero di non credermi, ma questo è quello che si dice di lui. » disse, « Ti ho voluto solo mettere in guardia, romano. » concluse, allontanandosi da lui, « Ci vediamo alla collina mezzosangue. »
Che senso aveva? Che senso aveva vomitargli quelle accuse addosso e poi andarsene così? Lion seguì la figura della ragazza finché non sfumò all'orizzonte, lasciandolo solo con i suoi dubbi.
Apate, eh? Chi gli diceva che quello non fosse un inganno?
I suoi occhi scivolarono sulla superficie liscia dell'altare, sulle orbite vuote del teschio che aspettava la sua ricompensa. Poi chiuse le dita della mano sinistra intorno al coltello, lasciando scivolare il filo della lama verso l'alto.
Il sangue cominciò a scorrere, bagnando l'altare, gocciolando nella bocca del teschio, dove cominciò a raccogliersi una piccola pozza di liquido rosso che sfrigolava ogni volta che una goccia si aggiungeva ad esso.
Una domanda posta dal sangue, una risposta sussurrata dal sangue.
Silenzio, poi una voce mormorò alle sue orecchie solo una parola.
"Didone."
 
{...}
 
L'oscurità avvolgeva alberi e foglie, rendendo la notte vellutata come una coperta.
I suoi occhi ci misero un po' ad abituarsi al buio, proprio come quelli di un gatto: la figura di Chirone campeggiava accanto al pino di Talia, il grosso drago, che sbuffava nei suoi ricordi, ora era acciambellato intorno al suo tronco, il fumo che usciva dalle sue narici.
Nove semidei aspettavano solo lui, gli zaini in spalle, la paura e la determinazione che si combattevano sul loro viso. Lion conosceva bene quella sensazione, era la stessa che aveva lui quando guidava la sua coorte durante i giochi di guerra al Campo Giove.
No, non doveva pensare al Campo Giove. Non adesso.
La coda di Chirone scattava da una direzione all'altra, mentre la tensione campeggiava nell'aria, le spalle dei semidei dell'impresa che si curvavano per la missione a cui andavano incontro. Lion strinse la mano a pugno, il metallo dell'anello che si scaldava a contatto con la sua pelle scura.
Intravide Castiel che faticava a chiudere i lacci del suo zaino, Wolf, i suoi occhi scintillanti nella notte. Sorrise, pensando a come sarebbe stato felice di lì a poco. I capelli di Cassie sembravano elettrizzati, mentre le sorrideva, così come i lineamenti di una ragazza che non aveva notato prima: i capelli castani le arrivavano a metà schiena, i suoi occhi era così belli che Lion temette di perdersi in essi, la sua bocca un petalo di rosa.
« Sta lontano dalla magia dell'amore. » gli disse la voce di Alexis accanto a lui, i capelli scuri come la notte che li circondava. Aveva stretto dei bracciali di cuoio ai polsi per poter maneggiare meglio la spada, una lunga lama nera di ferro dello Stige.
Non ne aveva mai vista una di quel genere, quindi rimase leggermente stupito.
« Come? »
Lei indicò con il mento la ragazza che aveva appena guardato, storcendo la bocca. « Serena Burness, figlia di Afrodite. »
Lion la guardò meglio e si accorse solo adesso di quanto somigliasse alle figlie di Venere giù al campo romano, gli stessi lineamenti dolci, gli stessi occhi gentili e seduttori, che però nascondevano insidie ad ogni passo. « Ha insistito tanto, per venire. Non capisco cosa ne faremo di lei, è un peso morto. »
Si fermò un attimo.
« Che hai fatto? » chiese, notando la fasciatura che portava alla mano sinistra. Lion se la portò al petto, come per volerla nascondere, poi scosse la testa.
« Un'offerta. » rispose, enigmatico. « Ma ... » cercò di protestare e lui venne salvato dall'avvicinarsi provvidenziale di Chirone, gli zoccoli che scalpitavano come quelli di un cavallo nervoso. Il suo viso era ricoperto da una leggera barba brizzolata. Lion si chiese quanti eroi avesse lasciato partire e che non avesse mai più rivisto.
Scacciò quel pensiero.
« Bene, vedo che ci siete tutti, finalmente. » annunciò, alzando lo sguardo fiero e scrutando i semidei uno ad uno, indugiando proprio su Lion, poi passarono oltre, « Dovete combattere insieme, se vorrete sopravvivere. »
Slanciò una mano ad artiglio dal petto verso l'esterno e gli altri semidei lo imitarono. Si chiese cosa stesse a significare, ma intuì che dovesse essere un rituale di scongiuro, visto la serietà sul volto di ogni mezzosangue.
« Che gli dei ve la mandino buona. » sussurrò, poi si avvicinò al figlio di Plutone, « L'impresa è tua, Lion Davis. Sarai tu a guidare questi eroi. Sono sotto la tua custodia. »
Nei suoi occhi fece capolino la tristezza.
« Ti auguro buona fortuna. », poi premette una moneta d'oro nella sua mano e si allontanò al trotto, mentre i mezzosangue sulla collina preparavano le loro ultime cose.
Si avvicinarono a lui.
Adesso erano i suoi compagni d'arme, avrebbero fallito o avrebbero vinto assieme: non si era accorto della responsabilità che si era assunto fino a quel momento. Sguardi carichi di determinazione incontrarono il suo, abbondante di preoccupazione.
Zheng, il ragazzo cinese, si fece avanti, le mani fasciate come se si fosse fatto male. Lion lo osservò, chiedendosi come potesse il male albergare in lui. Cercò con lo sguardo Caelie, incontrando i suoi occhi scintillanti come due stelle, la bocca curvata in un mezzo sorriso.
Cominciò a cacciare fuori dallo zaino una cartina geografica, quando Lion lo fermò, posando una mano sul suo polso.
« Non ce n'è bisogno. » affermò, il suo anello che scintillava nell'oscurità, la figura del leone rosso come sangue che gli balzava all'occhio, « So già dove dobbiamo andare. »
Zheng alzò le sopracciglia, assumendo un'espressione tipicamente femminile, ma Lion non ci fece caso. Era stato preso in giro per tutta la sua vita, non voleva giudicare le apparenze.
"L'atteggiamento tipico di chi è sporco dentro." si era sempre detto.
« E dove, per la precisione? » chiese Wolf, i suoi occhi che scintillavano nella notte, i capelli un groviglio di ciocche nere.
Lion sorrise.
« Da quanto tempo è che non vedi il tuo ragazzo? »
 
Non aveva nemmeno lontanamente immaginato la reazione di Wolf, ma sapeva che lo avrebbe fatto felice: per quel poco che ne sapeva, aveva iniziato una relazione con un romano poco dopo la sconfitta di Gea, un ragazzo della sua coorte.
Alec, se non si sbagliava.
Li aveva sempre invidiati, in un certo senso. Lui non aveva ancora trovato l'amore, nemmeno una volta: si era sempre dedicato ai suoi commilitoni, alla legione, a Roma. Forse Venere gli stava tirando qualche scherzetto, forse Cupido, chissà.
Serena gli sorrise in maniera emblematica, mentre cominciavano a camminare in fila indiana, superando il luogo dove era svenuto e, così, la barriera protettiva del campo. Zheng, che lo seguiva qualche passo più indietro, si voltò a guardare l'alto pino che torreggiava sulla collina, tirando su col naso.
« Torneremo, te lo prometto. » gli disse Lion, cercando di sondare il terreno del suo animo. Osservò i lineamenti orientali del suo volto, il suo naso aquilino, la bocca che si mosse in un rapido movimento.
Lion inarcò un sopracciglio.
« Potresti ripetere? » chiese educatamente, giocherellando con la cinghia del suo zaino, « Non ti ho sentito. »  
Silenzio.
« Come? »
Era davvero lui che non sentiva, oppure il figlio di Ecate non voleva spiccicare parola?
« Ho detto che non voglio tornarci. » sussurrò, un po' più forte di prima, le ombre che lo accarezzavano come ad attirare la sua attenzione. Il figlio di Plutone sgranò gli occhi, leggermente perplesso.
« Ma ... è la tua casa. » sostenne, come se la cosa avesse senso. Zheng lo guardò, i suoi occhi dorati che ancorarono i suoi, ambrati, mandandogli onde di disagio e nervosismo.
« No, non lo è. »
Lion fece per rispondere, ma si accorse che non aveva argomenti con cui controbattere: per lui, Zheng rimaneva un mistero. Chissà se avrebbe scoperto di più di lui, durante quel viaggio.
Non si era accorto che gli altri si erano fermati alla base della collina mezzosangue, dove il mondo semidivino incontrava quello mortale: una stradina in asfalto nero correva lungo tutta la loro visuale, con qualche viaggiatore di passaggio, di tanto in tanto.
« Ehm? » domandò Castiel, i tratti ispanici del suo viso che formavano una maschera di confusione. Accanto a lui Wolf fece un sorriso, rallegrando il suo volto con un'espressione divertita.
Fu Cassie a farsi avanti e parlare. « O ci spieghi dove dobbiamo andare e vediamo di trovare un passaggio, oppure non sappiamo come andare avanti in quest'impresa. » disse, riscuotendo l'apprensione di tutti gli altri semidei.
Lion li osservò curioso, notando come quei ragazzi fossero diversi dai romani.
« Abbiate fede. » scherzò lui, sfoggiando uno dei suoi sorrisetti più enigmatici e avvicinandosi alla strada con il suo zaino in spalla. Controllò l'orologio, le lancette che si muovevano ad orario nel cerchio dalla montatura argentata.
Riconobbe la preoccupazione nei loro volti, il mistero in quelli di Caelie che si muovevano irrequieti da una parte all'altra della strada. La figlia di Afrodite ne approfittò per tirare fuori uno specchietto dalla tasca e rifarsi il trucco, sotto lo sguardo indignato di Alexis.
« Sai, credo che dovresti davvero rimanere al Campo, Bella Swan. » esclamò la figlia di Ade, sprezzante, mentre si rigirava la lama dello Stige tra le mani. Serena alzò lo sguardo dalla superficie lucida dello specchio, picchiettandosi poco dopo le guance.
« Credo che ne avresti bisogno anche tu, spaventapasseri. » rispose lei, con il tono più disgustato che riuscì a tirare fuori dalla sua bocca, « Vuoi? » le chiese, porgendole un rossetto rosso come il sangue. Cassie si era piegata in due dalle risate, accanto a Castiel e Wolf che non la smettevano di ridere.
Il terreno tremò lievemente, mentre, da piccole fenditure che si stavano aprendo nella terra, cominciarono ad uscire alcune mani scheletriche e in putrefazione: nessuno, a parte Lion, sembrò notare l'aura nera che contornava Alexis, né tantomeno gli zombie, per fortuna.
Lion si mosse austero tra i semidei, ricacciando indietro gli scheletri e avvicinandosi a sua sorella per metterle una mano sulla spalla. I loro occhi si incontrarono, poi il figlio di Plutone scosse la testa, guardando significativamente Serena, la quale fece spallucce.
« Non qui, non ora. » le sussurrò ad un orecchio, « Non adesso che il nostro passaggio sta per arrivare. »
Alexis sputò a terra, voltando le spalle alla figlia di Afrodite, e lì, nel punto in cui aveva sputato, prese a nascere un fiore, nero come la notte che li avvolgeva.
Lion sgranò gli occhi, guardando prima il fiore, poi Alexis e infine Serena che ripose il suo specchietto nello zaino: il fiore della discordia era lì, lucido e morbido, che aspettava solo di essere raccolto.
Lo pestò, accorgendosi di avere gli occhi misteriosi di Zheng addosso. Poi si strinse nella sua maglietta, sentendo improvvisamente freddo, avvicinandosi alla strada.
Fischiò.
Per alcuni minuti non successe nulla: si sentivano solo i grilli cantare e alcuni corvi appollaiarsi sui rami degli alberi per schiamazzare. Lion era sicuro di poter sentire anche la nebbia che si alzava dal terreno, ad un certo punto, ma si convinse che si stava solo lasciando suggestionare.
« Allora? » chiese un Castiel inquieto, sbuffando nella notte.
Il figlio di Plutone fece per rispondergli, ma fu preceduto dal suono stridulo e sordo delle gomme sull'asfalto. Sorrise, sentendosi come uno scolaretto al primo giorno di scuola.
Alcuni si tapparono le orecchie per il rumore, altri urlarono qualcosa che Lion non riuscì a capire, mentre Zheng e Alexis se ne stavano in disparte, a scambiarsi qualche parola.
L'autobus frenò bruscamente proprio davanti ai piedi del figlio di Plutone, mentre la porta si apriva con un sonoro bip e lasciava intravedere la figura dell'autista: era un mostro, certo, ma sapeva guidare benissimo, o così gli avevano raccontato.
« È ... é un ... » balbettò Wolf.
Lion annuì.
« Ciclope, esatto. » esclamò, entusiasta, « E adesso, chi vuol essere il primo a salire a bordo? »
 
Alla fine fu lui a salire per primo, visto che gli altri avevano troppa paura di essere afferrati e scaraventati fuori dall'autobus prima di potersene rendere conto.
Mark, il ciclope che era arrivato al Campo Giove qualche mese prima, era stato così coccolato, giù in California, che il loro pretore aveva deciso di istituire un servizio di trasporto per tutti i mezzosangue romani in difficoltà. Non aveva idea del perché nessuno gli avesse fatto del male, ma era troppo gentile e dolce per poter essere considerato alla pari con gli altri della sua specie.
« Come butta, Mark? » gli chiese Lion, dandogli il cinque. L'unico occhio buono del ciclope passò velocemente dal figlio di Plutone agli altri semidei che stavano salendo ordinatamente sull'autobus, con fare lento e goffo. Mark sembrò protestare, per un attimo, ma Lion riuscì ad attirare di nuovo la sua attenzione.
« Sono con me, non preoccuparti. » gli disse, mentre si voltava e incontrava gli occhi di Cassie che guardavano irrequieti quelli del ciclope. Lion le mimò di andarsene.
« Ci serve un passaggio. Ed è anche piuttosto urgente. »
Mark non protestò più, una volta ricevuto l'indirizzo al quale doveva recarsi. Magari guidare riusciva a tenere a bada la sua brama di sangue semidivino, chissà.
Partì con uno scossone che costrinse Lion a finire con la faccia vicino al finestrino: quando avrebbe trovato gli altri romani, li avrebbe sicuramente detto che Mark guidava da schifo.
Doveva accontentarsi, però, visto che era il passaggio più veloce che avevano per arrivare a New York. Il viaggio proseguì con gemiti e urla, sopratutto quando l'autobus si ritrovò nel traffico del venerdì sera sopra il ponte di Brooklyn: certo, la Foschia aiutava a tenere gli altri automobilisti alla larga dal mezzo romano, ma Mark guidava come uno scellerato, facendo saltare bulloni e scontrare macchine.
Per fortuna, Lion non aveva mangiato, quella sera.
Il taglio sulla sua mano bruciava, mentre tentava di mantenersi ad un palo di metallo rosso e il che era piuttosto inutile, visto che continuava ad andare a sbattere a destra e a sinistra. Wolf gli urlò qualcosa, dal fondo dell'autobus, mentre Castiel dava l'impressione di divertirsi un mondo.
Le luci di New York scivolarono veloci nei vetri dei finestrini, dove insegne luminose e passanti si riflettevano nei suoi occhi.
"Ci siamo." pensò Lion, osservando il paesaggio circostante e riconoscendo alcune abitazioni e negozi. L'autobus imboccò un vicolo scuro, frenando di botto proprio davanti ad una porta rossa. Lion finì spiaccicato contro il finestrino, tentando di staccarsi dall'innaturale posizione con la quale era atterrato.
« Abbiate fede, eh? » si lamentò Castiel, tenendosi la schiena, « Sappi che mi pento di averti salvato la vita, Little Lion. » continuò, anche se Lion riconobbe lo scherzo, nella sua voce.
« Coraggio, siamo arrivati! » esclamò, rimettendosi lo zaino in spalla. Wolf gli si precipitò vicino, non appena il figlio di Plutone si avvicinò alla porta rossa.
Bussò.
Niente.
Bussò ancora.
Ancora niente.
Si fece scivolare l'anello in mano, il quale si allungò fino a formare un forcone di oro imperiale alto quasi due metri.
Gli altri impugnarono le armi. Wolf si morse il labbro, stringendo la sua spada fino a far sbiancare le nocche. Lion gli mise una mano sulla spalla.
Poi spalancò la porta con un calcio.


 

 
Notes: Il motto latino significa "Una scusa non richiesta, accusa una colpa.", nel senso che chi si scusa anche quando non ce n'è bisogno, ha qualcosa da nascondere, ecco uu

Dopo il tempo che vi ho fatto aspettare, credo che la vostra espressione sarà proprio così! c.c Mi scuso profondamente per non aver aggiornato, ma non ho avuto il tempo materiale perché tra pranzi, vita sociale e ultimi giorni di scuola non ho avuto testa per mettermi dietro il pc e buttare giù qualcosa.
Già non sono orgoglioso di questo capitolo c.c Lo trovo un po' ... boh, useless, ecco xD Però necessario perché, altrimenti, rimaneva tutto appeso! :D
Specifico, per i fan di Zheng, che nello scorso capitolo l'ho solo accennato per far rimanere una nota di mistero accanto a lui, come in questo chapter, ovvio uu Posso assicurarvi che scopriremo meglio la sua storia nei prossimi capitoli!
E oggi accogliamo  ...

 
1. Caelis 'Caelie' Vlahos, la piggia misteriosa di Pendragon!
2. Alec Baldwin, il figlioletto romano coccoloso di Sabaku No Konan Inuzuka!
3. Serena Burness, l'ambigua pargola di Afrodite opera di CoffePie!

 

Beh, per questo capitolo è tutto! Cercherò di rispondere alle vostre recensioni, ma non vi assicuro nulla! xD Anche se vi ringrazio per averle scritte, ovvio :3 Sappiate che le leggo, è solo che ... non ho tempo per rispondervi! Questo non vuol dire che vi ignoro ♥
Colgo l'occasione per dire che, il prossimo capitolo, verrà pubblicato per la fine della scuola, quindi ... una settimana, più o meno! Spero continuerete a seguirmi :3
Alla prossima! Stay tuned! :D

King.

 

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Capitolo 5
*** Uomo in Fiamme ***


 
5. Uomo in Fiamme
Amor vincit omnia.
 
 
 
Regnava il silenzio più assoluto.
Lion non riusciva a sentire nulla, se non il battito del suo cuore, perfetto come il ritmo di un tamburo. L'ingresso era buio e polveroso, come se nessuno vi entrasse più da una settimana o due.
I suoi occhi semidivini riuscirono a cogliere solo alcuni particolari illuminati dalla fioca luce delle loro armi, come un cappello e una finestra rotta, compresa di vari pezzi di vetro sparsi a terra.
Si portò un dito alla bocca, facendo segno agli altri di non fare rumore. Poi mosse il primo passo, oltrepassando la soglia di casa, venendo investito da un'ondata di vento freddo.
I brividi corsero lungo la sua schiena, come se delle dita ghiacciate lo stessero accarezzando. Era consapevole della presenza di Wolf alla sua destra, la mano stretta intorno alla spada, lo sguardo fiero e attento che perlustrava lo spazio circostante.
I piedi di Lion si poggiarono delicatamente sul pavimento di legno, evitando un vaso caduto a terra e andato in mille pezzi. Le mani di Cassie mandarono bagliori nella penombra, attraendo lo sguardo del figlio di Plutone fino a fargli notare qualcosa che gli era sfuggito: si avvicinò alla parete, passandoci le dita con la stessa dolcezza che si usa con gli amanti.
Sangue.
Wolf sgranò gli occhi, mentre Castiel gli metteva una mano sulle spalle, cercando di calmarlo.
« Dov è Alec? »
Lion avrebbe tanto voluto rispondere a quella domanda, ma la sua bocca si rifiutava di parlare, come se in bocca avesse migliaia di spilli appuntiti. Si limitò a guardare il figlio di Chione con amara compassione, brandendo più forte il suo forcone.
Alec era uno dei ragazzi che lo avevano accettato così come era, giù al Campo Giove. Non lo aveva mai preso in giro per via della sua discendenza, deriso per il taglio di capelli o per lo strano copricapo che si portava appresso.
Lion lo avrebbe ritrovato, questa era una promessa.
Fece cenno agli altri di proseguire e di fare attenzione. La cucina era in perfetto ordine, cosa totalmente assurda, vista la situazione in cui l'intera casa versava.
Gli sembrò di avvertire qualcosa, con la coda dell'occhio, ma, voltandosi, non vide nulla.
Alexis gli toccò il braccio e gli mimò qualcosa con le labbra che, però, non riuscì ad afferrare. Era spaventata, notò Lion, forse per via di quella strana sensazione che sentiva anche lui alla base del polso, dove il simbolo di suo padre era marchiato a fuoco sulla sua pelle.
« Non mi piace. » sussurrò Caelie, una spada di bronzo celeste stretta fra le mani, « C'è qualcosa di malvagio, nell'aria. »
Lion la guardò.
Lei rispose al suo sguardo e, mentre stava per dire qualcosa, urlò, un urlo di quelli che ti porta via l'anima, puntando gli occhi direttamente dietro le spalle del figlio di Plutone: qualcosa lo trafisse esattamente in mezzo alle scapole e, nel momento stesso in cui la sua carne veniva lacerata, cominciò a bruciare.
Cadde a terra, perdendo la presa sul suo forcone, mentre Caelie balzava in avanti e allontanava ciò che lo aveva ferito con un urlo di battaglia, la lama che attraversava il buio e lo tagliava come burro. Alexis si inginocchiò vicino a lui, prendendogli un braccio per farlo rialzare, ma lui la allontanò.
Lo avrebbe fatto da solo.
Si puntellò sulle ginocchia, stringendo i denti mentre la ferita sulle spalle bruciava come lava, poi riprese l'arma in oro imperiale e si rialzò in piedi.
Quello che vide lo sconvolse: gli altri si erano disposti a cerchio intorno a lui, facendogli da scudo, combattendo corpo a corpo contro spiriti evanescenti, trasparenti come nebbia.
Impossibile.
Gli sembrò che Wolf fosse contornato da una leggera aura azzurra, mentre brandiva la sua arma verso un uomo vestito con un'armatura romana. Cassie evocò un fulmine che distrusse parte della casa, ma che centrò il suo bersaglio e rimbalzò su uno specchio, infrangendolo.
« Sette anni di sfiga! » esclamò Castiel, incoccando una freccia e puntandola fuori dalla sua visuale, « Come se non ne avessimo già abbastanza! » gli fece eco Serena, anche lei armata di arco e frecce. Ma la figura più emblematica che attraeva la sua vista era Zheng, il figlio di Ecate, che stava fermo, mentre muoveva solo le labbra e cantilenava una litania tetra e sinistra.
Tetra come le ultime parole di un uomo morente.
« Lemuri. » sussurrò Lion, « Maledetti lemuri. »
Serena fu ghermita da alcune mani scheletriche e, mentre si divincolava urlando, Alexis lanciò un piatto contro uno spirito, il quale si dissolse in fumo, e attaccò l'altro con la sua spada. Caelie gli passò accanto, combattendo contro una donna vestita di stracci, un ghigno malefico dipinto sul suo volto.
C'era una cosa che Lion non aveva notato, e cioè come tutti gli spiriti che si riversavano nella cucina di Alec fossero contornati da fiamme, come se fossero morti bruciati.
Era così assorto nei suoi pensieri che quasi non si accorse che stava per essere trafitto un'altra volta: scivolò verso destra, trapassando con entrambe le punte del suo forcone lo spirito che gli vomitò una maledizione addosso, prima di sparire.
Il lavandino della cucina esplose, sobillato dall'urlo freddo di Wolf, estinguendo brevemente le fiamme degli spiriti e bagnando gli altri semidei. I lemuri cercarono di divincolarsi, ma Lion si accorse che erano trattenuti da un sottile strato di ghiaccio che li appesantiva e gli impediva di scappare.
« Ti stai godendo lo spettacolo, romano? » esclamò Caelie, la quale si era appoggiata alle sue spalle, combattendo contro i suoi nemici. I suoi capelli gli solleticavano il collo, mentre la ferita bruciava, in cerca di aria.
« Neanche per sogno. » rispose lui, sollevando il forcone e facendo fuori altri due spiriti, « Credo che tu ti sia già stancata, o sbaglio? »
La figlia di Apate abbozzò un sorriso sghembo.
« Beh, allora tutte le storie che si raccontano su voi romani sono vere. » commentò, facendo sparire alcuni lemuri senza interesse.
« Che storie? »
« Che siete addestrati a tutto, persino a combattere con una ferita in mezzo alle spalle. » rispose lei, decisa, gettandosi su uno spirito in fiamme e abbattendolo. Lion la guardò rialzarsi e aiutare Serena con l'arco.
Ma, per quanti spiriti facevano sparire, altri prendevano il loro posto.
Il terreno sotto i piedi di Lion si spaccò, rivelando mani scheletriche che ghermivano l'aria, brandendo rudimentali armi infernali.
"Alexis."
La figlia di Ade era appoggiata sullo stipite della porta, ansimante, una brutta ferita che correva lungo la gamba destra. Aveva sempre invidiato i figli della controparte greca di suo padre per via di quel potere.
Lui non ne era in grado.
Tutti gli spiriti che si avvicinavano a Zheng si portavano le mani alla gola e sparivano, come se morissero ancora una volta, affogati dalla loro stessa essenza incorporea.
Lion lanciò il suo forcone contro il figlio di Ecate che, grazie agli dei, capì: si abbassò, mentre un lemure venne soffocato dalle due punte di oro imperiale, tossiche per un mostro come lui.
I due semidei si scambiarono uno sguardo, poi il figlio di Plutone staccò l'arma che si era conficcata nel muro e si gettò ancora una volta nella mischia, sempre più debole.
« AIUTO! »
"Cassie." pensò, voltandosi poco prima che un lemure lo atterrasse. Non sapeva come, ma quegli spiriti puzzavano più del classico odore di zolfo che aveva sentito l'unica volta che era disceso negli Inferi.
L'uomo in fiamme digrignò i denti e lo azzannò su una spalla, lasciando l'impronta della sua dentatura sulla carne.
Lion urlò, richiamando a sé la Foschia e lo spinse via, toccandolo con il forcone.
Strinse i denti per via del dolore, mantenendosi la spalla che zampillava sangue, poi cercò con lo sguardo la figlia di Zeus: una freccia di bronzo celeste colpì il lemure dritto in fronte, il quale lasciò la presa su Cassie.
Castiel di precipitò da lei, constatando solo qualche lieve ferita.
Dopotutto, se la stavano cavando, in qualche modo. Scacciò subito quel pensiero, visto che non era saggio cantare vittoria prima del tempo.
Portava sempre sfortuna. E questa non si fece neppure attendere.
L'aria venne squarciata da un suono assordante, come se qualcuno gli avesse suonato una trombetta da stadio direttamente nelle orecchie, seguita da un odore di morte e di sangue. Alexis lasciò cadere la spada a terra, tentando di non ascoltare, inutilmente.
Lion urlò, un urlo di puro dolore richiamato da tutte le cellule del suo corpo, mentre nella stanza, in maniera magistrale, entrava un carro da guerra, sfondando le pareti in migliaia di pezzi. Su di esso, uno spirito suonava la tromba che aveva appena scatenato la sua sordità e, accanto ad esso, si ergeva un lemure imponente, lo sguardo fiero contornato da fiamme evanescenti.
Alzò la mano e il cocchio si fermò, assieme agli altri che combattevano nel suo nome.
Il figlio di Plutone non si rese conto di avere il fiatone finché il rumore della battaglia non fu cessato. Le ferite sulle spalle bruciavano come acido contro la sua pelle. Si chiese se l'arma che lo aveva colpito, in realtà, non fosse stata avvelenata.
Lo spirito sul cocchio ghignò, ridendo di una di quelle risate che gelano il sangue nelle vene. Poi scese a terra, fluttuando verso di lui, gli occhi puntati sul semidio pirata.
« Lion Davis. » esclamò con freddezza, mentre il ragazzo, adesso, notava alcuni dettagli che gli erano sfuggiti, come la cicatrice che correva sul suo braccio, la gola squarciata che zampillava sangue fantasma e il volto bruciato, come se lo avesse posto sopra un braciere.
« Ti stavamo aspettando. » annunciò.
Lion sgranò gli occhi.
"Lo sapevano, sapevano che stavamo venendo qui!" pensò, mentre tutto il suo corpo reagiva e si lanciava contro di lui, il forcone stretto tra le mani. Lo spirito si limitò a spostarsi alle sue spalle e poi non fu altro che dolore.
Per essere evanescente, era più che materiale.
Le sue dita penetrarono nella sua carne, facendolo urlare e allentare la presa sul forcone. Alexis fece per correre in suo aiuto, ma uno spirito la colpì alla testa e lei cadde. Lui trasalì, quando lo spirito si avvicinò al suo orecchio e gli domandò « Devo per forza farti urlare di dolore per farmi ascoltare? »
Lion ringhiò, come una bestia in trappola.
« Chi diavolo sei? » chiese, il cuore che pompava più adrenalina che sangue, « E cosa diavolo vuoi? »
Lo spirito rise, ritirando le dita dalla ferita, e lasciandolo stramazzare al suolo, accanto a sangue, vetro e cocci dei vasi che avevano distrutto. Gli girò intorno, osservando i suoi compagni di impresa.
« Questo è il meglio che sei riuscito a mettere assieme, per liberare i tuoi commilitoni? » domandò, la voce piena di disprezzo, « Avresti saputo fare di meglio, ne sono certo. »
Le fiamme sulla sua schiena sembrarono scintillare con più vigore, come se stessero bruciando veramente. Il figlio di Plutone fece per alzarsi, guardandosi poi i palmi trafitti da schegge di vetro, la voce distorta dal dolore e dalla rabbia.
« Non hai risposto alla mia domanda. »
Lo spirito ridacchiò, attraendo lo sguardo di tutti, camminando con i suoi sandali di cuoio sul pavimento sporco. Il suo sguardo incrociò quello di Lion.
« Come, figlio di Plutone, non ti ricordi di me? » chiese, alzando quello che una volta era stato un sopracciglio, « Mi ritengo personalmente offeso. »
Lion lo osservò, cercando di immaginare il suo volto non bruciato. Poi qualcosa cominciò a farsi strada nella sua mente, un ricordo di dolore e di vittoria.
« Piritoo. » sussurrò, spaventato, « Dovresti essere morto. »
Allo spirito scintillarono gli occhi.
« Bingo! » esclamò, poi continuò, precisando, « Lo sono, mi hai bruciato vivo! »
 
Consiglio per la lettura:  https://www.youtube.com/watch?v=3YxaaGgTQYM
(da ascoltare da questa parte in poi)
 

Parecchie paia di occhi si voltarono a guardarlo. Serena sussurrò qualcosa, ma Lion ci diede poco peso.
« Avevi ucciso quasi tutta la mia coorte, cosa avrei dovuto fare? » gli chiese, sconcertato, « Hai scelto la parte sbagliata da cui stare. Gea è stata sconfitta. Io ho fatto solo ciò che andava fatto. »
Lo spirito si gonfiò.
« Condannandomi a morire tra atroci dolori dopo avermi tagliato la gola? » domandò, irato, le mani che si agitavano velocemente nell'aria, « Non era già sufficiente? Comunque ti devo ringraziare, Lion Davis. Senza di te non sarei stato scelto per servire la mia padrona e per comandare il mio esercito. » 
« Cosa diavolo stai dicendo? »
« Tutti coloro che muoiono tra le fiamme rispondono a me, adesso. » disse, la voce seria e fredda, « E io sono venuto qui per te, figlio di Plutone. »
« Per me? » La voce di Lion vacillò, assieme al suo equilibrio poco stabile. « Che avete fatto ad Alec? » gli fece eco Wolf, la spada di bronzo che riluceva nelle sue mani. Lo spirito si limitò ad annuire enigmaticamente, toccando la sua spada e facendola diventare nera e pesante.
« Oh, tu devi essere il suo ragazzo, vero? » chiese Piritoo, la voce sognante, « Anch'io amavo Teseo, una volta. Lo segui negli Inferi per rapire Persefone, in gioventù. Ah, l'amore. Continuava a chiamare il tuo nome. »
Silenzio.
« Dov è? » urlò, gettandosi contro Piritoo, venendo però trattenuto da Castiel e Cassie, « Dimmi dove si trova o giuro sullo Stige che ti farò pentire di quello che hai fatto! »
Cominciò a nevicare, piccoli e grandi fiocchi di neve inondarono la stanza come se fosse inverno, facendo rabbrividire il figli di Plutone.
Lion guardò sconcertato Piritoo, il quale sorrise maleficamente: lui alzò la mano destra, mentre i suoi assistenti in fiamme trasportavano verso di loro quello che Lion aveva scambiato per un fagotto di stracci, sul cocchio.
I jeans che indossava erano strappati e raggrumati di sangue, la maglietta bianca era diventata rossa, quasi tendente al marrone. I suoi capelli, biondi come il miele, ora erano sporchi e rossastri, mentre i suoi occhi erano chiusi, le labbra blu per il freddo.
Alec.
Respirava debolmente, Lion poteva a malapena sentirlo. Chissà da quanto tempo lo tenevano prigioniero. Avrebbe voluto trafiggere la faccia di Piritoo con il suo forcone, ma non poteva.
Wolf balzò in avanti, liberandosi dalla stretta di Castiel e Cassie, precipitandosi verso il suo ragazzo. Piritoo non fece nulla per fermarlo, cosa che mise in allarme Lion.
« Cosa vuoi? » chiese il figlio di Plutone, guardando con la coda dell'occhio come Wolf stava tentando di rianimare Alec, baciandolo delicatamente sulle labbra per la gioia di rivederlo, « Non ho nulla da offrirti. »
Il malvagio re rise, facendo rabbrividire Lion.
"Guai in vista." pensò.
« Tu hai qualcosa di molto prezioso. » rispose Piritoo, un ghigno sadico dipinto sul suo viso, « Qualcosa che la mia padrona mi ha ordinato di prendere, con o senza la tua volontà. »
Lion lo guardò confuso, la presa sull'asta del forcone che si faceva più forte, tanto da sbiancare le nocche della mano destra.
C'era qualcosa, nella sua voce, che lo metteva in allerta. Non doveva fidarsi di lui, per nessuna ragione al mondo.
Uno spirito si mosse veloce come il vento e, avvicinandosi alle spalle di Wolf, rovesciò un'intera tanica di benzina su Alec: l'odore si sparse immediatamente nella stanza, pizzicando le narici di Lion, il quale si ritrovò incapace anche di urlare per lo sconcerto.
Piccoli pezzi di un puzzle si stavano congiungendo, nella sua testa. Una coppa scintillante, in oro imperiale, comparve nelle mani di Piritoo.
« Riempi la coppa con il tuo sangue e sarà salvo. » disse, poi il male deformò il suo viso, « Non farlo e ... »
Una torcia accesa comparve nella mano libera, la fiamma che sfrigolava a contatto con la pece che rivestiva la stoffa intorno al manico in legno.
« Sarebbe perfetto, lasciarti qui impotente mentre il tuo amico brucia ancora vivo. » esclamò, la voce sottile come quella di un serpente, « Ma, anche se mi farebbe immenso piacere, questo succederà solo se non acconsentirai alla mia semplice richiesta. »
Lion era confuso: l'odore della benzina gli dava alla testa, come se avesse respirato a pieni polmoni del cloroformio. Lasciò andare la presa sul forcone che, poco dopo, si trasformò nella sua forma di anello e, sotto lo sguardo degli altri semidei, si avvicinò a Piritoo.
« Tic Tac. » disse lo spirito in maniera malvagia, facendo finta di perdere la presa sulla torcia. Il figlio di Plutone ancora non si era capacitato di come degli spiriti potessero essere così materiali, ma, al momento, non gli interessava.
Wolf piangeva, le mani bagnate di benzina.
« Chi mi assicura che rispetterai il patto, mostro? » chiese, la voce carica di odio e rabbia, « Che non lascerai cadere la torcia quando ti avrò dato ciò che vuoi? »
Piritoo sorrise.
« Nessuno, devi fidarti. »
Lion strinse i denti, annuendo. Piritoo fece comparire un pugnale nella sua mano, mentre il figlio di Plutone incontrava lo sguardo degli altri semidei dell'impresa. Fece per tagliarsi il palmo della mano ancora buona, ma lo spirito lo fermò.
« Dal polso. » disse, freddo.
« Morirò dissanguato. » protestò Lion, sgranando gli occhi.
« Non posso dire che la cosa mi dispiaccia, figlio di Plutone. » rispose lui, lapidario, porgendogli la coppa in maniera insistente, « Incontrerai tuo padre, non sei felice? »
Lion guardò Alec, il ragazzo che lo aveva accettato, il ragazzo che non lo aveva giudicato, e fece scivolare la lama sul polso destro, poco più sotto del marchio di suo padre.
Dolore.
Il sangue cominciò a scorrere sulla sua mano, formando su di essa un guanto rosso e denso, riempiendo la coppa d'oro imperiale con la sua stessa essenza.
"Alec, ti salverò." si disse, "Te l'ho promesso."
Non si accorse nemmeno di quanto tempo passò, mentre il suo sangue continuava a scorrere, portando via con sé forza e vigore. Gli si sdoppiò la vista, gli tremarono le gambe, ma continuò a tenere il braccio teso per salvare il suo amico.
« Perfetto. »
Ora la coppa era piena del denso liquido scuro che poco prima scorreva nelle vene di Lion, mentre sul volto spettrale di Piritoo campeggiava un sorriso largo da un orecchio all'altro.
« Ora sparisci, abominio. » disse Lion, fermo, immobile davanti allo spirito del re, « Spero di non rivederti mai più. »
Piritoo rise.
« Temo che ci rivedremo ancora, figlio di Plutone. » rispose, una nota di sarcasmo sul suo volto mentre cominciava a sparire, « E dovresti sapere che non mantengo mai le promesse. »
Fu un attimo.
Lion urlò, Wolf urlò, tutti i semidei si mossero verso Alec, ma nessuno riuscì a fermare la torcia accesa. Cadde a terra, dove la benzina reagì al contatto con la fiamma viva.
L'inferno.
I vestiti di Alec presero a bruciare, mentre lui si svegliava da sonno e cominciava ad urlare di dolore, cercando di alzarsi, ma scivolando su dei pezzi di vetro. Le fiamme avvilupparono la sua vita e, mentre Wolf piangeva, Lion non sapeva come fermare il fuoco che stava uccidendo il suo amico.
Avrebbe dovuto portarsi dietro un figlio di Poseidone, ecco.
« La neve! » urlò all'improvviso Caelie, indicando il soffitto, « Wolf, trasformala in acqua! ADESSO! »
Il figlio di Chione, seppur sotto shock, agì velocemente: Lion si sentì investito da dell'acqua, gocce di pioggia grandi quanto il suo dito e che perforavano la sua ferita sulla schiena come proiettili.
Ma non gli importava, dovevano salvare Alec dalle fiamme.
« Non funziona, non funziona! » urlò Castiel, correndo al lavandino esploso e cercando qualcosa in cui avesse potuto raccogliere dell'acqua. Ormai le fiamme avevano avviluppato il corpo di Alec, il quale aveva smesso di urlare.
Lion poteva sentire che stava morendo, il battito sempre più lento del suo cuore. Guardò Wolf, le lacrime che rigavano i suoi occhi.
Poi mise le mani sulle spalle di Alec e queste presero fuoco poiché cosparse di benzina.
« Farà male, Al. »
Urlò e la pioggia, in quella che una volta era stata una cucina, aumentò il suo ritmo, poco prima che il corpo di Wolf si contornasse di brina, contagiando anche quello di Alec. Le fiamme presero a spegnersi, mentre la pioggia e il ghiaccio soffocavano gli ultimi barlumi di luce.
Lo sgomento deformò il volto di Lion, lo rese incapace di agire e di pensare: erano vivi, ma a quale prezzo?
Alec e Wolf erano congelati, immersi in un blocco di ghiaccio. Erano stati intrappolati nel momento del loro ultimo bacio, quello sussurrato in punto di morte. Abbracciati per l’eternità, come se nulla fosse successo.
Lion si inginocchiò vicino a loro.
« Già torna a scuotermi Eros, che scioglie le membra. Dolceamara, indomabile, oscura belva. »
Pianse.


 


 
Notes: il motto latino, come penso abbiate già capito, significa "L'amore vince tutto". E beh, per chi ha letto il capitolo, capirà cosa intendo.

#King'sCorner
Eccomi qui, a una settimana dal mio compleanno! *^*
Intanto ringrazio tutti per gli auguri che mi avete fatto, davvero, vi voglio tanto bene ♥ Ma penso che voi non me ne vorrete più dopo questo capitolo AHHAHAHAHHAHAAH
Oddio, la mia vena sadica è più sadica del previsto .____. Mi faccio paura da solo! Va beh, iniziando con le considerazioni sul capitolo, ho riadattato il mito di Piritoo, il re Lapita che scese con Teseo (scatta la ship) per rapire Persefone. Io ho immaginato che fosse tornato in vita, scampato alla pena di Ade, attraverso le Porte della Morte e avesse combattuto per Gea e, beh, Lion lo abbia fatto fuori xD
Ecco spiegato il motivo dell'odio di Piritoo per il puccioso figlio di Plutone ewe 
Ehm, per capire il mandante di Piritoo non credo che serva l'arte, per quanto riguarda la coppa con il sangue (si, The Vampire Diaries a paletta, proprio xD) scoprirete il motivo più avanti :)
Ed arriviamo alla parte in cui vorrete uccidermi ewe
Amavo anche io Alec e Wolf insieme, ma per necessità di storia ho dovuto eliminarli (provvisoriamente), facendoli "addormentare" in un momento critico, in cui il figlio di Chione sceglie di sacrificarsi per salvare la vita del suo amato. Ma (c'è sempre un ma, fortunatamente) posso assicurarvi che non sono morti, ma solo provvisorimente usciti dalla storia! Li rivedremo più avanti uu La canzone, poi, credo che sia il massimo da ascoltare leggendo quella parte di storia perché lo riassume benissimo!
Tutto è collegato, non temete :3
La citazione che dice Lion prima di piangere, alla fine, è una celebre ode di Saffo sull'amore, quindi mi sembrava giusto metterla, anche se Lion è romano, ma non ci importa! Mi ha sempre fatto commuovere, quella frase ç__ç
Beh, vi ringrazio immensamente per le recensioni che avete lasciato e per continuare a seguirmi! Davvero, senza di voi non si sarebbe mai potuta scrivere questa storia! :')


King.

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Capitolo 6
*** Il Sole Nero ***



6. Il sole nero
Dulce bellum inexpertis, expertus metuit.
 
 
 
Un buco.
Un baratro oscuro e profondo si stava allargando al centro del petto di Lion, proprio dove batteva il cuore. Cadde in ginocchio, come se qualcuno gli avesse passato sulle spalle un macigno enorme, troppo pesante per poter essere sostenuto da un uomo solo.
Lacrime amare rigavano il suo viso, bagnando le sue labbra, secche a furia di urlare. Le sue mani cercavano disperatamente un appiglio su cui scaricare la tensione che le muoveva, annaspando tra la cenere umida del pavimento nero e i pezzi di vetro insanguinati.
Il suo sguardo corse al blocco di ghiaccio davanti a lui, troppo spesso per essere infranto, troppo freddo per poterlo solo toccare. Le loro armi semidivine non funzionavano, così come il rudimentale fuoco che avevano provato ad accendere con vari pezzi di legno della cucina distrutta.
Aveva perso tutto, in un colpo solo.
Il volto di Alec era stato fermato in una smorfia di confusione, colto esattamente nel momento in cui Wolf  gli aveva sfiorato le labbra, suggellando il loro futuro destino con un bacio.
"E con un bacio, io muoio."
Non sapeva perché, ma la voce di un disperato Romeo gli risuonò nelle orecchie, rispecchiando la situazione in cui si era ritrovato anche il figlio di Chione. Lion aprì e chiuse la mano destra più volte, costringendola ad obbedire alla sua volontà, cercando di ignorare la consapevolezza che fosse tutta colpa sua.
Qualcuno si agitò alle sue spalle, dandogli una mano ad alzarsi.
Il volto di Caelie era cereo e confuso, la luminosità del suo sguardo smorzata dalla tristezza. I contorni degli altri semidei gli apparivano confusi, anche, e soprattutto, per via delle lacrime che affollavano i suoi occhi: non piangeva mai in pubblico, era stato addestrato ad andare avanti, a considerare la morte come una compagna di vita, visti i pericoli di tutti i giorni a cui i semidei andavano incontro.
Eppure non riusciva a trattenersi, a non sentire il groppo che gli era rimasto incastrato in gola.
Sentiva i propri punti di riferimento interiori venire meno, la mappa dei suoi sentimenti essere sconvolta da un'ondata troppo forte di dolore, una marea incontrastabile che costringeva tutte le cellule del suo corpo a remare contro la sua volontà.
Fu come se gli stessero sfilando la terra da sotto i piedi, lasciandolo cadere, per nove giorni e nove notti, verso il punto più buio del Tartaro.
Castiel, il volto sconvolto nel cercare di reprimere le lacrime, gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla. Lion ricambiò il suo sguardo compassionevole con una sorta di sorriso storto, tirando su col naso. Non sentiva altro che ombre, nel suo cuore, agitarsi per prendere il controllo della sua vita.
Era davvero questo il dolore?
Lion aveva sperimentato quello per una ferita di guerra, quello di un cuore infranto, ma mai nessuno aveva fatto male come questo, un leone oscuro che gli artigliava il ventre, costringendolo a guardare impotente, senza che potesse fare nulla per fermare la sua furia omicida.
Incrociò lo sguardo di Zheng, il quale si era piegato vicino al blocco di ghiaccio mormorando qualcosa, forse un incantesimo, senza successo. Aveva scrollato le spalle, come a mandare via la tristezza che aveva colto tutti i semidei presenti nella stanza.
Il dolore che regnava in quella cucina era più tossico di una boccata di acido cloridrico.
Alexis lo costrinse ad alzarsi, facendogli mettere il suo braccio intorno al collo. Lo scortò nella sala accanto, proprio mentre gli occhi di Wolf sembravano mandare un guizzo di vita, un ultimo barlume di luce prima dell'oscurità più totale.
Un buco, un buco stava consumando il petto di Lion.
« Ci fermeremo qui, per la notte. » annunciò Cassie, prendendo il comando, « E che nessuno oltrepassi questa porta. » ordinò, sprangando la soglia che dava sulla cucina, dove il blocco di ghiaccio risplendeva nel buio, accarezzato dalla luce morbida della luna.
Alexis lo fece sedere su un piccolo divano, medicando al meglio le sue ferite: prima quella sulla schiena, poi quella sulla spalla, massaggiandole con una sostanza che gli pizzicava la pelle. Non gli importava, visto che continuava a guardare senza sosta la porta chiusa nel luogo della loro ultima battaglia.
« Dei. » sussurrò la figlia di Ade, contraendo la mascella alla vista del suo polso tagliato, dove il sangue, incrostandosi, aveva formato una linea spezzata, identica a quelle che si vedono sui monitor degli ospedali. Lion imbastì un sorriso, spezzato come il suo cuore, pensando a come il suo sangue stesse scrivendo le sue stesse cronache di vita e di morte.
La ferita doveva essere piuttosto brutta, visto che Alexis faticò non poco per cercare di non farlo morire dissanguato, le rughe intessute dalla concentrazione che correvano sulla sua fronte.
« Usa questi. » le disse la voce di Serena, porgendole qualcosa di molto simile ad ago e filo. La figlia di Ade la guardò, sospettosa e confusa, poi prese ciò che la figlia di Afrodite le stava offrendo senza fare tante storie e si rimise all'opera, impugnando l'ago come una spada. Lion guaì di dolore, mentre Alexis imprecava in greco antico, ricominciando, poi, a cucire la ferita.
Cercò di ignorare il dolore, ma era come se qualcuno gli stesse chiedendo di staccargli la mano senza che opponesse resistenza. Mosse le dita, costringendole ad obbedire, artigliando il braccio della poltrona con fare aggressivo.
Sottili rivoli di sudore bagnarono le sue tempie, arrivando fino alle guance scorticate. Dopo quelle che sembrarono ore,  Alexis fermò la sua mano, lasciando che Lion potesse osservare il suo polso: i contorni della ferita erano violacei e il sangue continuava a scorrere, ma i due lembi di pelle erano stati attaccati l'uno all'altro con del filo rosso, sufficientemente resistente per permettere alla ferita di guarire e rimarginarsi.
« Quello che hai fatto ... è stato davvero grande. » sussurrò Zheng, alludendo a come Lion non avesse avuto paura di tagliarsi le vene per salvare Alec dalla morte, « Dovresti andarne fiero. »
Lion non aveva la forza di rispondere, era emotivamente e fisicamente distrutto. Calò il silenzio, mentre Alexis gli avvolgeva il polso nelle bende e gli altri si disponevano alla meglio nella stanza, tirando fuori dagli zaini dei sottili materassini di gommapiuma da mettere a terra.
Gli lasciarono la poltrona, magari immaginando che se la fosse meritata, quando lui si sentiva più un reietto che altro. Osservò gli altri semidei cadere vittime del sonno di Morfeo, Caelie addormentarsi su di un fianco vicino a Cassie, la figlia di Zeus. Castiel abbracciava una sorta di cuscino ricavato dalle tende strappate del salotto, mentre Zheng si addormentava, preda di un sonno leggero come quello di un cerbiatto.
C'era solo la luce della luna ad illuminare la stanza, una morbida e delicata coperta che impediva all'oscurità di inghiottirli tutti. Il sonno, seppur Lion ne sentisse il bisogno, stentava ad arrivare, lasciandolo lì, accompagnato solo dal monotono russare leggero di Castiel. Non aveva nessun trucco per addormentarsi, nessuna pecorella, nessun mostro da contare.
Chiuse gli occhi, entrando in una spirale di dolore e di rabbia.
 
 
Era in un vicolo stretto.
Un gatto randagio stava frugando nella spazzatura messa alla rinfusa in un bidone, affondando il muso in un sacco di plastica nero. La puzza acre dell'immondizia non lo faceva quasi respirare, costrigendolo ad aspirare quanta più aria possibile con la bocca e a non respirare con il naso.
Anche se era Giugno inoltrato, c'era una leggera nebbia che saliva dal terreno e lambiva le sue gambe, come onde del mare. La luce del vicolo sfarfallava, illuminando parzialmente il suo volto confuso: dove si trovava?
Non c'era nessun passante per la strada, dove regnava il silenzio più assoluto, interrotto solo dai miagolii insoddisfatti del gatto randagio dietro di lui.
Quel luogo gli stava mettendo i brividi.
Mosse qualche passo, contornato dalla Foschia, cominciando ad intravedere le figure di due ragazzi sul limitare del vicolo, in una posizione sufficientemente buona per scappare, in caso di pericolo. Per quello che riuscì a vedere, il ragazzo alla sua destra aveva dei corti capelli biondi e due occhi azzurri, resi più scuri dall'oscurità che li avvolgeva. Aveva un fisico snello, dei tratti dolci, tutto il contrario del ragazzo che stava appoggiato alla parete di mattoni, i capelli mogano scompigliati, gli occhi carismatici e ingannatori.
Si avvicinò, allungando l'orecchio per ascoltare cosa si stavano dicendo. Il biondo porse al tatuato un rotolo di banconote, guardandosi attorno con fare sospetto, come se avesse qualcosa da nascondere.
Che si trattasse di due spacciatori di droga?
« Questi sono tutti quelli che ho trovato. » gli assicurò il ragazzo biondo, « Passerò a prendere l'altra roba entro domani mattina, Hic. »
Il ragazzo moro si accese una sigaretta.
« Lo spero per te, Olsen. » affermò, fumando disinvolto, « Fammi un casino come l'altra volta e giuro che ti ammazzo con le mie stesse mani. »
Lion si avvicinò ancora, quasi inciampando sul gatto randagio che cercò di graffiarlo, anche se non ebbe successo, visto che lui era incorporeo. Il ragazzo che doveva chiamarsi Olsen, e quel fantomatico Jack, si voltarono a guardare nella sua direzione, scostando subito dopo lo sguardo per ricominciare a parlare.
Si salutarono velocemente e Lion ebbe solo il tempo di vedere Hic buttare a terra la sigaretta e spegnerla sotto la suola delle sue scarpe.
Poi entrambi si incamminarono in due direzioni separate.
Aveva poco tempo prima che perdesse uno dei due, così svoltò a destra e cominciò a seguire Olsen, o come diavolo doveva chiamarsi lui. File di lampioni si susseguivano sul marciapiede crepato dalla pioggia e dalla neve, mentre edifici fatiscenti e abbandonati gli facevano capire che doveva trovarsi in un quartiere periferico di qualche città.
Il ragazzo biondo, seppur magro come un fuscello, era veloce.
Girò più volte agli angoli, le mani infilate nelle tasche del giubbino leggero, guardandosi intorno con fare circospetto, come aspettandosi un attacco da un momento all'altro. Si infilò velocemente in una casa bassa e annerita dal tempo, che mostrava, come insegna, solo cinque lettere, sopravvissute nel corso degli anni.
BESTY.
Lion lo seguì, passando attraverso la porta di legno come un fantasma. Era quasi convinto di averlo perso, quando notò il biondo dei suoi capelli muoversi sulle scale alla sua sinistra, salendo al piano superiore.
« Federica. » sussurrò, la voce molto più dolce, rispetto a come l'aveva sentita prima, « Sono qui, sono tornato. »
Federica? E chi era, adesso, questa Federica?
Salì frettolosamente le scale, trovandosi di fronte a due ragazzi che si baciavano, travolti dalla forza dell'amore: lui teneva il viso di lei con fare delicato, mentre le mani della ragazza scompigliavano i capelli di Olsen. Lei era visibilmente commossa, aveva quasi le lacrime agli occhi, i capelli scuri, che originariamente erano stati raccolti in una treccia, adesso erano disordinati e caotici.
« Charlie, credevo di non vederti più. »
BOOM!
Improvvisamente, qualcosa lo afferrò per lo stomaco e, mentre i due cominciavano a parlare, venne catapultato fuori dalla finestra alla velocità di una supernova. Urlò e chiuse gli occhi quando si ritrovò la faccia ad un centimetro dall'asfalto freddo della notte.
Poi il buio.
Cercò di aprire gli occhi, ma si accorse che qualcosa glielo impediva, come se fossero stati cuciti. Ci provò ancora, sforzandosi con tutte le sue forze, ma non successe nulla.
Forse non avrebbe dovuto vedere quello che aveva davanti.
Adesso era a piedi nudi, camminando senza meta e cieco su un pavimento freddo e liscio. Poi qualcosa afferrò la sua gamba e lui cadde a terra, sbattendo il mento contro la superficie dura su cui aveva camminato.
Il sapore del sangue inondò la sua bocca.
Si sentì tirare in più punti del suo corpo, sulle gambe, sulle braccia, alla base del collo, come se qualcuno avesse cucito dei fili alla sua pelle, rendendolo una marionetta.
Urlò.
Non aveva più il controllo del suo corpo, la sua volontà non riusciva a muovere nemmeno un muscolo delle dita della mano. Il suo cuore continuava a battere all'impazzata, mosso paura e dolore, mentre il suo petto veniva gonfiato da rabbia e amarezza. Pianse, lacrime amare che continuavano a solcare il suo viso, scavandolo in profondità come se fosse roccia.
Lasciando segni come se fossero acido.
Qualcuno tirò i fili e lui mosse le gambe, buttando i piedi uno davanti all'altro scoordinatamente, mentre il suo collo si piegava in maniera innaturale e rimaneva fermo, storto come la curva di un ponte. Urlò, urlò ancora di dolore, quando poi si accorse che dalla sua bocca non uscivano altro che sbuffi patetici di aria.
La lingua gli si attaccò al palato, le dita le una alle altre, mentre tutte le ossa del suo corpo si spezzavano all'unisono e lo lasciavano cadere a terra, sostenuto solo dai fili sottili del suo burattinaio.
Perché gli stavano facendo questo?
Sentì la sua pelle bruciare come se fosse su di un fuoco, i suoi piedi poggiare su una lastra rovente, alimentata dalle fiamme stesse dell'inferno.
Era lì, impotente, mentre qualcuno si prendeva gioco di lui e lo rendeva vulnerabile, così vulnerabile come Lion non si era mai sentito. Voci presero a sussurrare nella sua testa, biforcute come la lingua di un serpente.
"Debole." dicevano, "Indifeso."
Era finito nel suo inferno personale? Lion credeva di si.
Il burattinaio si mosse e, con lui, si mossero i fili: il figlio di Plutone si portò le mani al volto, graffiandolo, mentre le sue dita armeggiavano ferocemente vicino agli occhi, procurandogli un dolore indescrivibile.
Era muto, non poteva urlare.
I suoi occhi finalmente si aprirono e Lion ebbe l'impressione che il suo cuore si stesse fermando, colto dall'orrore che aveva davanti. Inciampò su un corpo, cadendo a terra proprio accanto al volto senza vita di Alexis, le palpebre spalancate su un cielo di piombo, una spada, la sua spada, conficcata nel petto.
Si ritrasse, disgustato, sbattendo contro uno Zheng malconcio, la testa fracassata su una pietra. Urlò e stavolta il suo corpo collaborò, dandogli manforte.
Chiuse gli occhi, cercò di non vedere, ma era come se qualcuno lo stesse costringendo a farlo.
Morti, tutti morti.
Si lasciò cadere a terra, su un quadrato della mostruosa scacchiera dove si trovava, fuochi e incendi che scoppiavano ovunque, sangue e orrore che impregnavano quel luogo come melassa. Una mano lo toccò sulla spalla, facendolo voltare e guardare l'ultimo brandello di umanità che abbandonava Cassie, prima che si trasformasse in un mostro, il pelo marrone che inghiottiva le sue braccia, la pelliccia ispida che faceva scomparire il suo volto.
Alzò lo sguardo sopra di lui, non trovando altro che ombre e i fili che muovevano il suo corpo, nudo come il animo tormentato.
Qualcosa lo abbatté a terra, perforandogli il petto con la forza di un martello pneumatico e strappandogli via una parte di sé e facendolo tossire per il dolore, sputando grumi di sangue sui palmi della mani.
Caelie era lì, il volto deformato in una maschera di orrore, delle corna caprine sulla sua testa, il cuore di Lion ancora battente in mano.
Un macabro trofeo d'amore.
Poi parlò e la sua voce era un'accozzaglia di suoni gutturali e aspri, uno sciame di vespe che parlavano all'unisono.
« Questo succederà se continuerai a combattere, Lion Davis. » disse, rivoltando la testa all'indietro e mostrando l'inquietante bianco dei suoi occhi, « I tuoi amici moriranno, tu stesso perirai. »
Caelie gli rivolse i suoi occhi senza alcuna espressione.
« Tu sei solo un piccolo burattino nelle mie mani, mezzosangue. »
Poi strinse il cuore e Lion cominciò ad andare a fuoco, accasciandosi a terra senza più nemmeno un osso intero. I suoi polmoni cercarono disperatamente di inalare aria, aspirando solo sangue.
« Sei mio, Lion. »
E suggellò la sua morte con un bacio.
 
 
 
Si svegliò con la sensazione di andare a fuoco.
Strabuzzò gli occhi, calmando il ritmo dei suoi polmoni affannati e mantenendosi il petto con le mani. Si tastò la maglietta in maniera poco ortodossa, sullo sterno, come a cercare il punto in cui Caelie aveva infilato la mano e aveva strappato via il suo cuore.
Una fitta di dolore lo colpì al polso, dove Alexis aveva faticato tanto per cercare di  medicarlo e dove adesso riprendeva a scorrere un sottile rivolo di sangue.
Silenzio.
Gli altri stavano dormendo per terra, sdraiati sui loro sacchi a pelo, immersi nel mondo dei sogni, migliori dei suoi incubi, si sperava.
Il salotto era identico a come lo aveva lasciato: la poltroncina dove sedeva, un pianoforte a corda in un angolo, un piccolo caminetto e un tappeto persiano a coprire il pavimento. Era stato lì, qualche volta, prima della distruzione del Campo Giove, e doveva dire che Alec si dava davvero da fare per mantenere la casa in ordine.
Una nota di tristezza contagiò le sue cellule.
Era davvero quello il suo inferno personale, dove sarebbe finito se fosse morto nel cercare di compiere la missione? Rabbrividì, pensando a come tutti i suoi amici fossero stati uccisi, alla testa fracassata di Zheng, alla spada nel petto di Alexis, sua sorella.
Ma la cosa più inquietante era stata sicuramente Caelie, il bianco dei suoi occhi che non lasciava la sua testa, come se vi fossero stati impressi a fuoco.
Lo aveva baciato.
Era un incubo, si, ma chi si sarebbe preso la briga di terrorizzarlo a morte e poi baciarlo mentre moriva? Caelie poteva anche essere un tantino ambigua, ma non sarebbe mai arrivata a tanto.
E allora chi poteva esserci dietro quel sogno?
Si strinse nelle spalle, provando un moto di freddo improvviso e sentendo i brividi correre lungo la sua schiena, come se delle dita scheletriche la stessero accarezzando.
- Lion. -
Scosse la testa, massaggiandosi gli occhi con le dita in maniera un po' rude, cercando di tornare a dormire, anche se non ci sarebbe riuscito: il suo cervello iperattivo da semidio non glielo permetteva.
- Lion, vieni da me. -
Stavolta era sicuro di averlo sentito, non era stata la sua immaginazione. Si alzò in piedi, brandendo il suo forcone in maniera minacciosa e avvicinandosi alla porta sprangata, scivolando sopra i corpi addormentati dei suoi amici. Aveva paura di aprire quella soglia, aveva paura di ciò che poteva rivelargli.
- Andiamo, Lion. - disse la voce, - Non ho molto tempo. -
La porta reagì meccanicamente al suo potere dei metalli, mentre la serratura scattava senza che Lion l'avesse neppure toccata. Scricchiolò, così come il pavimento, rendendo ancora più sinistra l'atmosfera di quella casa, cominciandola a reputare stregata.
Impugnò più saldamente il forcone, proprio mentre la porta si apriva, rivelando la figura di una donna alta, avvolta in vesti nere come la notte, contornata da sottili rivoli di ombre che accarezzavano la sua pelle cadaverica.
« Calma, mio giovane eroe. » lo rassicurò, alzando le mani e imbastendo un sorriso fugace, « Non sono qui per farti del male. »
Lion alzò il mento, continuando a tenerle puntato contro il forcone e analizzando il suo corpo. Portava una veste nera unica che le arrivava fino ai piedi, nudi e macchiati di sangue. Aveva una pelle sottile, che rivelava il reticolo di vene sotto di essa, due occhi che avrebbero potuto essere caldi ed accoglienti e che, invece, sembravano più quelli di un demone in cerca della sua vittima. Le sue labbra erano secche e sporche di sangue, come se ne avesse appena bevuto un sorso, i suoi capelli bianchi come neve e, su di essi, una corona fatta di ossa. In una mano stringeva un frutto rotondeggiante, rosso come le sue labbra.
« Non mi hai riconosciuto? » domandò, alludendo a ciò che aveva in mano, « Che sbadata! In questa stagione dovrei essere molto più ... allegra, ecco. »
Fece uno sforzo di volontà notevole e la corona sulla sua testa si trasformò in una ghirlanda di fiori, il suo vestito si colorò di rose e tulipani, mentre la sua pelle si faceva più scura, come se avesse passato buona parte del suo tempo sotto il sole.
Lion abbassò l'arma.
« Proserpina, mia signora. »
La dea annuì, soddisfatta, tornando al suo aspetto cadaverico. « Si, caro ragazzo. » disse, sorridendo in maniera inquietante, « Dobbiamo parlare. »
Solo allora Lion notò che il frutto che stringeva in mano era una melagrana, piena di chicchi rossi come sangue che avevano macchiato, con il loro succo, lo strato superficiale del ghiaccio che ricopriva Alec e Wolf.
« Una vera tragegia, vero? » chiese, retoricamente, girandovi intorno e raggiungendo Lion.
« Non può fare nulla per ... beh, insomma, lei è una dea. » domandò il figlio di Plutone, infilandosi il vistoso anello al dito e guardando con aria interrogativa Proserpina, lo sguardo speranzoso come quello di un bambino davanti ad una vetrina piena di caramelle.
Il suo cuore batté forte, smorzato poi dalla risposta lapidaria della regina degli Inferi.
« No, purtoppo. » rispose, il tono triste ed enigmatico, « La vita è una cosa fragile. Se le Moire hanno deciso così, non ci resta che far dormire loro il sonno che si sono meritati. »
Fu come se gli avessero dato un pugno in pieno stomaco.
« So ... sonno? » domandò, « Sta scherzando? Io li riporterò indietro! »
La dea non rispose, ma spiluccò un chicco di melagrana e se lo cacciò in bocca, gustandone il sapore acidulo. Lo offrì anche al figlio di Plutone, il quale rifiutò saggiamente.
« Perché è qui? » le chiese, notando l'aria intontita della dea, i suoi piedi nudi che carezzavano le schegge di vetro per terra, « Soprattutto perché in queste vesti, poi. È estate, dovrebbe essere molto più ... allegra. » disse Lion, riprendendo la battuta della sua matrigna.
La dea imbastì un sorriso, storto come la corona che brillava sulla sua testa, le ossa che luccicavano come diamanti, sicuramente un regalo di suo padre alla sua sposa.
« Sta succedendo qualcosa di brutto, qui sotto. » spiegò, indicando il pavimento e, per estensione, gli Inferi sotto di loro, « Tuo padre sta combattendo una guerra contro qualcosa che è perfino più grande di lui. E serve tutto il potere disponibile per vincerla. »
« E allora ripeto, perché è qui? »
« Per metterti in guardia, Lion Davis. » sussurrò, parlando ad una sorta di amante immaginario, « So di coloro che ti hanno contattato, stanotte. So dell'incubo che hai fatto, ma fidati di me, della tua matrigna. »
Si avvicinò di più a lui, rivelando i suoi occhi demoniaci e i suoi denti da scheletro, facendo scricchiolare il pavimento sotto di loro come se stesse camminando su un sentiero fatto di ossa.
« Non devi avere paura. » disse, « Solo tu puoi scrivere il tuo destino, mezzosangue. Non devi farti spaventare da loro. Cercheranno sempre di metterti i bastoni tra le ruote, ma non devi farti fermare. Mai. »
Il cuore di Lion sembrò fermarsi, rapito da una mano invisibile che gli impediva di battere.
« Soprattutto adesso che devi incontrare Didone. »
« Perché é così importante? » chiese, avendo bisogno di risposte a tutte le domande che affollavano la sua testa, « Perché proprio la donna che giurò odio a Roma? Ai suoi dei? »
Proserpina scosse la testa, facendo ciondolare i suoi capelli bianchi.
« Ha visto cosa che non doveva vedere e si è rifugiata qui sulla terra, a New Orleans. » rispose, mentre il terreno rombava sotto di loro, « Devo andare. Tuo padre ha bisogno del mio aiuto. »
Lo prese per le spalle e una zaffata di zolfo otturò le sue narici, prima che il figlio di Plutone potesse porre qualche altra domanda.
« Ascoltami bene, Lion. » disse, ferma, « Quando sarai davanti a Didone, offrile qualcosa a cui non potrà rinunciare. Una cosa che cerca da ben duemila anni e che non ha mai trovato. E dovrai darglielo, anche se questo richiederà un sacrificio. »
Qualcosa di piccolo e duro comparve nella sua mano destra. Glielo porse e Lion la osservò, scettico.
« Una statuina? » chiese, confuso, « Non capisco. »
« Ti servirà per dare a Didone ciò che vuole. » rispose fugace lei, prima di scomparire, « Buona fortuna, Lion. Spero davvero di rivederti, un giorno. »
Silenzio.
Lion era di nuovo solo con sé stesso, anzi, adesso aveva una statuina come compagnia: la osservò meglio, notando che era una sorta di bambino, i lineamenti sulla pietra appena sbozzati, ma che lasciavano intravedere lo stesso la sua figura.
Si chiese cosa Proserpina avesse voluto dire.
Rimase lì, accanto al blocco di ghiaccio, mentre le parole della dea risuonavano nella sua testa, perforando le sue orecchie come lame incandescenti. Senza che se ne rese conto, rimase lì tutta la notte, la statuina stretta in mano come una sorta di macabro trofeo, finché non sentì qualcuno scrollarlo forte per le spalle.
« Lion! Ehi, svegliati Lion! »
Cassie era su di lui, gli occhi azzurri come il cielo che si stendeva fuori da quella casa. Lion si accorse di come il tatto non fosse il suo forte, anche se decise di non farglielo pesare, toccandosi la spalla solo dopo che se ne fu andata.
Sembrava leggermente preoccupata, come lo erano tutti, d'altronde.
« Ehi, tutto bene? » gli chiese Alexis, notando come Lion stringesse la statuina di pietra al petto, con fare protettivo. Annuì, riponendo il dono di Proserpina nel suo zaino: mentre lei si legava i capelli, Lion non poté fare a meno di ricordare la spada che, nel sogno, aveva nel petto, gli occhi spalancati davanti alla morte.
Valutò l'opzione di dirle tutto, ma poi scosse la testa: che senso aveva caricarla di ulteriori responsabilità, oltre a quella di occuparsi di lui, il fratello romano che non faceva altro che ferirsi ogni volta che incontravano un mostro?
Zheng stava raccogliendo velocemente il suo materassino, mentre Serena si rifaceva il trucco, guardandolo da sopra lo specchio, aspettandosi sicuramente qualche frecciatina.
Si chiese come avrebbe potuto guidarli, lui, che non sapeva nemmeno controllare i suoi sogni. In fila indiana, poi, raccolsero i propri zaini e uscirono ordinatamente da quella casa  maledetta, come una tranquilla scolaresca.
Lion, mentre si trovava per l'ultima volta su quella soglia, si voltò indietro, la sensazione di piangere che si faceva prepotentemente strada fra i suoi sentimenti. La ricacciò indietro, guardando il blocco di ghiaccio che campeggiava nel centro della stanza mezza distrutta, abbassando gli occhi per la vergogna e la tristezza.
« Vi salverò, è una promessa. »
Poi chiuse la porta e, frettolosamente, raggiunse gli altri attraverso il vicolo così simile a quello del suo sogno. Domande su domande affollavano i suoi pensieri, mentre la sua testa cominciava ad elaborare teorie sui due fidanzati che aveva visto prima dell' incubo.
Chi erano? Chi erano Charlie Olsen e questa fantomatica Federica?
Doveva sicuramente esserci un motivo se i suoi "sogni" avevano deciso di mostrarglieli. Di solito non mostravano mortali, quindi chi erano?
Mostri? Semidei? Nemici?
La voce di Castiel lo riscosse dai suoi pensieri e, dal suo tono insistente, capì che gli aveva già posto la domanda più volte.
« Dove dobbiamo andare? » gli chiese Castiel, gli occhi rossi e infossati, come se avesse passato la notte a piangere. Lion, sovrappensiero, stava cercando Caelie con lo sguardo.
« New Orleans. » rispose, la voce carica di timore, « È lì che dobbiamo andare per incontrare Didone. »
« Didone? » chiese, « Nella città della magia? »
La fronte di Castiel era corrugata per la preoccupazione, prima che i suoi occhi cominciassero a muoversi da un parte all'altra come se stessero svolgendo dei calcoli.
« Ne so meno di te, Cass. » rispose, tagliando corto la discussione.
Non aveva voglia di parlare, quella mattina, non con tutto quello che era successo quella notte, dopotutto.
Non aveva la forza per parlare.
« Io ho fame, che si fa? » domandò Cassie, mantenendosi la pancia con fare teatrale, « Mangiamo qualcosa, vi va? »
A dir la verità, Lion non aveva fame, ma gli altri sembrarono entusiasti, quindi lui non poteva mettere lingua e costringerli a partire, prima che avessero fatto colazione.
Camminarono fino a quello che Serena definì un "bar decente" dove, poi, Cassie e gli altri si fiondarono, comprando ciambelle e caffè.
« Io vi aspetto fuori. » sostenne Lion, quasi sussurrandolo a Caelie, uscendo prima che le pareti del bar diventassero troppo soffocanti. Si appoggiò stancamente ad muro, sotto l'insegna colorata del bar.
Il sole splendeva alto nel cielo, così luminoso che impediva a Lion di guardarlo direttamente. Sarebbe stata una giornata perfetta, se Lion fosse stato solo un newyorkese qualunque, cosa che non era.
Sfortunatamente.
A volte, cioè sempre, li invidiava: non avevano pensieri,  non dovevano combattere per sopravvivere, non vivevano nella costante paura di morire. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter diventare uno di loro.
E invece no, era incastrato nell'essere per metà dio e per metà umano, troppo debole per essere una divinità, troppo forte per essere un mortale qualunque.
« Prendi. »
Caelie gli stava porgendo un bicchiere alto pieno di caffè. Sorrideva, forse perché lei non aveva fatto incubi, quella notte.
« O puoi anche continuare a non mangiare niente e morire. Certo, mi sembra una valida alternativa. » sostenne lei, notando come Lion opponesse resistenza.
Lei scrutò la sua aria da pirata, lo sguardo vissuto, la pelle scura. Vide i capelli in disordine sotto quel cappello di paglia storto, storto come il sorriso che campeggiava sul volto del figlio di Plutone, le poche volte che lo aveva visto sorridere.
« Tutto bene? » gli chiese, appoggiandosi anche lei al lampione senza fare tante storie. La maglietta che portava aveva un buco, come notò Lion, anche se lei non ci diede peso quando lui glielo fece notare.
La guardò, osservando i suoi occhi, così diversi da quelli bianchi che aveva visto, eppure così simili da fare davvero paura.
"Bella e letale." recitava la sua mente. Scosse la testa.
« Più o meno. » rispose lui, prendendo il caffè e sorseggiandolo piano. Era davvero un toccasana, dopo tutti quegli incubi in cui ingoiava o beveva sangue, « E comunque bevo solo caffè macchiato. »
Lei alzò le mani al cielo, imbastendo un sorriso.
« La prossima volta. »
« Già. » sospirò amaro Lion, finendo il suo caffè. Poi si voltò verso Caelie e vide i suoi occhi sgranarsi, puntando verso il cielo che prima era stato azzurro.
Per poco a Lion non mancò il respiro.
Il sole era diventato nero, coperto totalmente dalla luna, danzando nel cielo come una meteora. Il cielo era diventato di una sfumatura tra il nero e il grigio scuro, scatenando la curiosità e lo sconcerto dei passanti di New York.
« Era prevista? » chiese Caelie, sgomenta, osservando tutti i newyorkesi che fotografavano il sole nero con i loro cellulari.
Lion scosse la testa, gettando il bicchiere del caffè in un cestino e camminando velocemente verso l'ingresso del bar dove si trovavano gli altri semidei.
« Che sta succedendo? » domandò la figlia di Apate, seguendolo a rotta di collo. Sul suo volto si leggeva sconcerto e paura.
« Le eclissi sono sempre state dei cattivi presagi, nel mondo antico. » spiegò il figlio di Plutone, « Venivano reputate come un segno di morte e pestilenza, mandato dagli dei per avvertire i fedeli a compiere sacrifici per salvarsi. »
Caelie lo guardava, senza capire.
« La guerra è vicina, Caelie. » esclamò Lion, chiamando gli altri a gran voce, « Dobbiamo andare via di qui, raggiungere al più presto New Orleans e pregare che io mi stia sbagliando. »
Cassie uscì di fretta dal bar, seguita da Castiel e da Zheng, i loro sguardi tutti attratti dal sole nero che campeggiava nel cielo. Alexis gli lanciò uno sguardo eloquente, come a chiedergli spiegazioni, anche se non poteva capire.
Nessuno poteva capire.
Loro non c'erano, in quell'incubo, o meglio, c'erano, ma erano morti.
Con l'iperattività tipica dei semidei, Lion era ancora più nervoso. Li condusse in un vicolo e guardò dritto negli occhi di Alexis.
« Dobbiamo andare via di qui. » ordinò, deciso, recuperando un po' della suo classico comportamento da leader romano, « Ce la fai a portarci a New Orleans con un viaggio nell'ombra? »
Serena guardò prima lui e poi la figlia di Ade, non riuscendo a capire cosa il figlio di Plutone stesse dicendo. Cassie annuì.
« Così tanti? » chiese, sorvolando con lo sguardo ogni semidio e muovendo le labbra in una muta conta, « Non sono sicura di riuscirci, Lion. »
Il figlio di Plutone scosse la testa.
« Ti aiuterò io. E anche Zheng. » disse, « Siamo abbastanza esperti in Arti Infernali, dovremmo farcela. E dobbiamo sfruttare anche l'ombra che l'eclissi ci ha fornito, al più presto. »
Arti Infernali? Da quando aveva cominciato a parlare così dei poteri di suo padre?
Alexis annuì, porgendo le mani a Castiel e a Cassie, che porsero le loro fino a formare un cerchio perfetto. Lion stringeva la mano di Caelie, i suoi occhi che continuavano a guardarlo, come una sorta di ispettrice muta dei suoi comportamenti.
Lion chiuse gli occhi, focalizzando la città di New Orleans, un puntino su una mappa geografica infinita. Il marchio di suo padre cominciò a bruciare, ma non ci diede peso. Scavò mentalmente a fondo nel terreno, attingendo al potere degli Inferi, una riserva infinita di ricchezze e morte.
Condivise la propria stessa forza con Alexis.
La figlia di Ade inspirò, poco prima che venissero inghiottiti dalle tenebre.


 
 

 
#King'sCorner
 
Ok, mi faccio un tantino paura, sapete?
Beh, innanzitutto grazie per essere arrivati a questo stupidissimo angolino autore! Se siete qui, vuol dire che avete letto tutto il capitolo, quindi non posso fare altro che complimentarmi con voi :3
Cosa dire?
Siamo già al sesto capitolo e siamo, ovviamente, stati subito catapultati nell'azione. Spero davvero di aver fatto del mio meglio, fino ad adesso, e spero di continuare a farlo nei prossimi capitoli che saranno molto ... piccanti, va! Ci sarà da fare un bel barbecue uu
Lion è triste perché io ho ibernato Alec e Wolf (si, sono triste anche io, però ewe) e si dispera per la loro presunta morte. Dopodiché abbiamo visto tre nuovi personaggi, ovvero ...
 
 
1. Charlie Olsen, il pargolo biondo di _little_sweet_things_!
2. Federica Daylerk, la dolce (?) fidanzatina di Charlie, opera di Jennifer Daylerk!
3. Hicarus 'Hic' Bowman, lo spacciatore tatuato di Pevensie!
 
 
Spero che vi piacciano!
Era ora di presentarli (altrimenti i loro creatori mi avrebbero ucciso xD) e sappiate che li rivedremo nei prossimi capitoli (forse fra il nono e il decimo).
Ah, piccolo disclaimer! Mi sono preso qualche libertà con Hic, dandogli un soprannome e strafacendone un po’ la storia, perdonami Pevensie :’) Ma era necessario xD mi serviva uno spacciatore :)
Finalmente Didone si avvicina, i nostri sono finalmente arrivati a New Orleans e, adesso, ne vedremo delle belle uu
Piccolo spoiler (?) Ricordate la statuina? Beh, servirà per il sacrificio, quindi questo vuol dire che ... (lascio immaginare a voi la conclusione di questa merdina di spoiler xD)
Ho detto che mi faccio paura, all'inizio dell'angolo autore, per via dell'incubo di Lion! Ragazzi, ero come esaltato e disgustato allo stesso tempo, mentre lo scrivevo c.c Non potete immaginare i flash che si affollavano nella mia testa (che è parecchio malata!) ç__ç
Ho paura di me ewe
Comunque, parlando di altro, notate una nuova coppia all'orizzonte? Si accettano scommesse xD E soprattutto i nomi della ship uu
Beh, la smetto di parlare, quindi vado via. Vi ringrazio davvero tanto per continuare a seguirmi e a lasciarmi delle bellissime recensioni! Davvero, vi voglio tanto bene :3
Ringrazio chiunque abbia messo tra le seguite/preferite/ricordate, è un onore per me! (prima o poi vi ringrazierò tutti! uu)
Alla prossima e, attenti al mostro sotto il vostro letto!
*sorrisetto sadico*


King.

 

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Capitolo 7
*** Il Bambino di Pietra ***





7. Il bambino di pietra
Caput imperare, non pedes.


 
Lion non sentiva altro che odore di morte.
Forse era lui o, molto meno probabilmente, qualcuno aveva deciso di buttare quintali di uova marce nel luogo in cui erano atterrati, stadi fatto che gli si rizzarono i peli sulle braccia, appena arrivarono a New Orleans.
Aveva sentito parlare della città, del famoso quartiere francese dove si diceva vivessero delle vere streghe, discendenti di quelle scampate al processo di Salem. Lion alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi verso l'orizzonte, mentre i suoi polmoni venivano sconvolti dall'odore della morte.
Dei.
Le mani di Cassie mandarono scintille, trasmettendogli il suo nervosismo. La figlia di Zeus fece un sorriso imbarazzato, poi si avvicinò a Castiel e cominciarono a parlare a bassa voce, in modo che lui non potesse sentire. Il volto di Serena, accarezzato dalla morbida luce del sole, assomigliava molto a quello di sua madre, rappresentato dai vari artisti che si erano succeduti nel corso del tempo.
Per quanto Lion non lo desse a vedere, era nervoso più che mai: prima l'incubo, i due semidei che stava osservando. Poi la visita della regina degli Inferi, il dono della statuetta che appesantiva il suo zaino come piombo e, infine, la comparsa del sole nero nel cielo di New York che non faceva presagire nulla di buono.
Se era vero che le Moire tessevano il destino degli uomini, Lion era sicuro che avessero usato del filo spinato per disegnare gli oscuri contorni della sua vita.
Alexis era stremata e si era appoggiata allo spigolo di un edificio di mattoni rossi, cercando di recuperare velocemente le forze. Aveva la faccia verdastra per lo sforzo e faticava a reggersi in piedi. Zheng le era vicino, seduto a terra, la testa nascosta fra le ginocchia magre, evidentemente più stremato di quanto avesse dato a vedere.
Il figlio di Plutone scrollò le spalle, sentendo solo un leggero pizzicore alla base del braccio, dove il marchio di suo padre aveva bruciato prima che si gettassero in quel folle viaggio nell'ombra. Non sapeva come, ma aveva una brutta sensazione addosso, come se qualcuno gli alitasse costantemente sul collo, anche se lui non riusciva a capire chi fosse. 
Mosse un passo verso gli altri, osservando le centinaia di passanti che camminavano per le strade di New Orleans, le loro facce allegre, i loro sguardi divertiti nel visitare la città, al seguito di esperte guide turistiche.
Lion sospirò.
Si avvicinò a sua sorella, abbozzando un sorriso storto e offrendole la sua spalla per reggersi meglio. Non le era mai stato così vicino e, quindi, non aveva mai potuto notare le sottili pagliuzze dorate che si agitavano nei suoi occhi, neri come le piume di un corvo.
« Tutto ok? » le chiese, sostenendo il peso del suo corpo. Lei abbassò la testa in modo tale che la sua chioma scura la seguisse, per poi rigettarla indietro, muovendo a tempo i suoi capelli.
« Sono stata meglio. » confessò, burbera, trattenendo visibilmente il senso prepotente del vomito, « Siamo arrivati, si? » domandò, scrutando il profilo degli alti edifici della città in lontananza. 
Lion annuì, guardando anche lui nella stessa direzione della sorella, non sapendo, effettivamente, dove andare: Proserpina aveva accennato al fatto che Didone si fosse nascosta a New Orleans, ma non le aveva indicato ulteriori dettagli, un nome, magari, da cui cominciare.
« Se vuoi riposare, possiamo fermarci da qualche parte. » le propose Lion, notando come Alexis faticasse anche a muovere i piedi uno avanti all'altro. Scosse la testa, muovendo la sua massa di capelli neri. 
« Meglio di no. » rispose, raddrizzando la schiena, « Hai detto anche tu che c'è una guerra alle porte. Non possiamo permetterci di riposare, non adesso Lion. »
Per una seconda volta in quella mattina, Lion rimase stupito dalla forza di volontà di sua sorella. Il figlio di Plutone era quasi certo di aver visto, nei suoi occhi, lo stesso orgoglio superbo che si agitava anche dentro di lui. Forse era uno dei tratti caratteristici dei figli degli Inferi, l’unica cosa che ti fa andare avanti, la pagliuzza che ti impedisce di affogare. 
Qualcuno alle sue spalle fischiò di meraviglia, attirando l'attenzione di qualche passante.
« Ragazzi! » esclamò, il viso di Castiel puntato verso un edificio bello ed inquietante allo stesso tempo, una piccola targhetta di bronzo fissata sulla facciata, accanto alla porta. 
Lo sguardo di Lion corse lungo i contorni della casa, riconoscendola come uno di quegli antichi edifici coloniali, appartenuti sicuramente ad una delle famiglie più altolocate dei tempi della colonizzazione delle Americhe. L'edificio era in pieno stile con il resto della città, articolato su tre piani, solcato solo da alcune crepature sulla sua parte bassa, quella che veniva a contatto con la strada. 
Lion si mosse un passo dietro l'altro lentamente, portandosi dietro una zoppicante Alexis piuttosto contrariata, spinto ad avvicinarsi da una forza dolce quanto oscura.
Era sicuro di aver già visto quell'edificio, in qualche vecchia foto, ma non riusciva ad associarvi un nome. Quando fu abbastanza vicino all'entrata dell'edificio, una mano invisibile lo costrinse a fermarsi, proprio al centro della strada, quando dei brividi solcarono la sua schiena, decisi come le navi solcano le acque del mare. 
Voci e mormorii affollarono la sua testa, saggiando il campo di battaglia come fanno i serpenti prima di attaccare la loro preda, costringendolo quasi a lasciare la presa sulla vita di Alexis.
La voce di Zheng, alle sue spalle, gli diceva di non avvicinarsi, di non fare un passo oltre. Lion lo guardò e vide la disperazione nel suo sguardo, la stessa disperazione che provano i pazzi prima di essere rinchiusi in un manicomio.
"Casa di Madame Marie Delphine LaLaurie." recitava la targa accanto alla porta, le lettere nere che spiccavano sul metallo dorato. 
Conosceva qualcosa riguardo la tetra reputazione di quella casa, qualcosa che faceva urlare “pericolo!” a tutte le cellule del suo corpo. Eppure, quel qualcosa di così oscuro, lo attraeva, come con le calamite, costringendolo a muovere le gambe e dirigersi quasi in trance verso il grande ingresso dell’abitazione.
Sentì la pressione di una mano sulla spalla. 
« Che diavolo stai facendo, Lion?! » urlò Zheng, gli occhi scuri e infossati per la stanchezza che guardavano i suoi, in cerca di una spiegazione, « Hai visto benissimo l'aura di morte che avvolge questa casa. Non è saggio entrarvi, nemmeno per un semidio potente come te. »
Lion, per quanto terrorizzato fosse, scosse la testa, cominciando finalmente a capire il sistema di orientamento che i suoi sensi gli stavano indicando. Alexis tossicchiò, alla sua destra, tirando su col naso.
« Didone è qui. Dobbiamo farlo. » 
Questa fu l'unica cosa che disse, voltando poi il capo davanti al viso sconvolto di Zheng, prima di immergersi nell'atmosfera macabra di quella strana casa. Alexis, che molto probabilmente stava provando le sue stesse sensazioni, lo seguì a passo lento, lasciando il sostegno che suo fratello gli proponeva. 
I passi titubanti degli altri semidei risuonavano nelle orecchie di Lion, fermo al centro di un salone grande il doppio di quello che aveva visto al Campo Mezzosangue: eleganti colonne sostenevano il piano superiore, mentre poltrone e divanetti di seta riempivano il resto della stanza, assieme ad un grazioso caminetto, inutilizzato da tempo, relegato ai margini dell’enorme sala. 
Ad ogni passo che muoveva, riceveva in cambio ondate di paura. Gli tremarono le gambe, già coperte di tagli e lividi per la scorsa battaglia, mosse dal terrore che gonfiava il suo petto. 
I turisti, quei pochi così coraggiosi da visitare la dimora di Madame LaLaurie, non sembrarono notarli, così come gli agenti della sorveglianza, troppo impegnati ad aggiustare tutte le telecamere di sorveglianza che si erano rotte.
Caelie gli era affianco, la spada sguainata tra le mani, il viso piegato in una maschera di concentrazione ed ansia. Lion non sapeva che pensare di lei, soprattutto per via dei sentimenti che si agitavano nel suo cuore: dal suo ultimo incubo, infatti, si era accorto di provare qualcosa per lei, forse per il buffo modo in cui arricciava il naso, ma continuava a cercare di reprimerli, visto che non sapeva davvero nulla su di lei.
Dopotutto era una figlia di Apate, Lion era sicuro che sapeva mentire come pochi.
Attraversò con coraggio il salotto della casa, il tappeto a terra che attutiva il rumore dei suoi passi, dandogli la brutta sensazione che il tempo si fosse fermato, lì dentro. Una scala di legno laccato, posta in fondo alla grande sala dove si trovavano, portava al piano superiore, certamente identico a quello su cui si trovavano.
Lion passò accanto ad un vestito giallastro, adorno di balze e merletti, protetto da una spessa teca di vetro. Si bloccò, sbattendo contro il naso di Cassie, poggiando, poi, le dita sulla superficie fredda del vetro, chiudendo gli occhi: immagini e rapidi flash passarono davanti al suo sguardo, come una donna austera che indossava esattamente quel vestito, una mano che stringeva un coltello insanguinato e un uomo di colore legato a croce in una stanza piena di bauli e veli, tagli e ferite che correvano sul suo corpo.
Aprì gli occhi, reprimendo il senso di vomito che saliva prepotentemente lungo la sua gola. Zheng era dietro di lui, lo stesso sguardo austero della donna che aveva appena visto, le mani fasciate dalle bende bianche che aveva notato anche al Campo Mezzosangue.
Lion sostenne il suo sguardo, stropicciandosi le palpebre per scacciare gli ultimi stralci delle atrocità che avevano attraversato la sua memoria. Poi, con passo alquanto calmo e lento, si diresse verso le scale, sotto lo sguardo sconcertato di Cassie e Castiel.
Mosse un piede dietro l'altro, adesso ansioso di scoprire cosa lo aspettava al piano superiore. Tutto il suo corpo rispondeva al comando muto della sua volontà, disgustato, eppure attratto, dall'atmosfera macabra che si respirava in quella casa.
Salì l’ultimo gradino, poi si fermò, come se una mano invisibile avesse frenato le sue briglie.
« Lion, che sta succedendo? » gli chiese Serena, la voce incrinata per la paura, « Dimmi che non ci sono altri spiriti. » pregò, stringendo forte il suo arco, fino a far sbiancare le nocche delle mani. Il figlio di Plutone osservò i suoi compagni, prima di chiudere gli occhi ed essere sfiorato da delle dita fredde come ghiaccio.
Scosse la testa.
« No, sento solo ... »
« Una presenza. »  concluse Zheng, la voce tremolante come la fiamma di una candela esposta al vento, « Una presenza non molto amichevole. »
Cassie incrociò i suoi occhi, mentre la sua spada le appariva tra le mani, scintillante come un fulmine a ciel sereno. Castiel le porgeva la mano libera e la figlia di Zeus la strinse. Poi, prima che Lion potesse dire qualcosa, Cassie guardò oltre di lui e una voce fredda parlò alle sue spalle.
E fu come affogare nelle tenebre dell’inferno.
« Beh, figlio di Ecate, hai ragione. »
Per poco Lion non cacciò un urlo, quando si trovò faccia a faccia con quella che doveva essere Didone. L'aveva sempre immaginata diversa, magari bionda, invece adesso poteva constatare che aveva una pelle scura e abbronzata, due profondi occhi neri, capelli lunghi e scuri che le scendevano ricci sulle spalle. La sua faccia era bella, certo, anche se un po' spigolosa e letale, come le sue mani, sfilate, ma su cui correva un complesso disegno di vene e capillari sottili.
Fece spallucce quando si accorse dell’intensità dello sguardo di Lion, mostrando un sorriso delicato quanto feroce.
« Tornare dalla morte porta le sue conseguenze. » dichiarò, esibendo le mani da cadavere, « Avete commesso uno grosso sbaglio a venire qui, semidei. » disse, quasi più dispiaciuta che arrabbiata.
Lion ingoiò il groppo che gli era salito su per la gola.
« Il Fato ci ha condotti qui, Didone. » rispose il figlio di Plutone, la voce più calma di quanto avesse potuto immaginare, « Anche se non ne capisco il perché. »
Lei scoppiò in una fragorosa risata, di quelle che si fanno quando qualcosa fa veramente ridere di gusto. Poi parlò, la voce inacidita dalla rabbia.
« Il Fato? » chiese, irata, « Non venire a parlare di fato a me, romano. Giurai guerra alla sua stirpe, anche se, come vedo, siete riusciti lo stesso a sopravvivere. »
Lion scosse la testa.
« Potrei essere l'ultimo della mia razza. » disse, intristito. Poi, notando il sorriso che si era allargato sulla sua faccia, continuò, « Per qualche motivo lei è coinvolta nella nostra impresa. »
Didone gli voltò le spalle e camminò a grandi passi per il corridoio, invitandoli a seguirla. Lion era insicuro, addirittura titubante, ma riuscì lo stesso a comandarsi di stare calmo e camminare, per il  bene degli altri che lo seguivano.
Chissà quanto poteva essere pericolosa Didone.
« Avete sicuramente sentito parlare della dimora di Madame Marie, vero? » domandò, il sadismo che dipingeva una maschera di amore ed odio sul suo viso candido. Zheng annuì, sotto lo sguardo incuriosito di tutti, piegando la bocca in una smorfia di disgusto.
« Questa casa è stata il teatro di tutti gli orrori che la vostra testa è capace di immaginare. » spiegò, versandosi del bourbon da un contenitore di vetro scintillante, forse cristallo. Il vestito leopardato che indossava metteva in risalto le sue curve prosperose, così Lion non faticò ad immaginare cosa avesse provato gli altri uomini nel guardarla.
« Si dice che Madame Marie torturasse gli schiavi neri per ricavarne creme di bellezza per restare giovane. » continuò, bevendo dal bicchiere di cristallo, « Chi perse gli occhi, chi la bile, chi venne dissanguato proprio qui, in questa stanza. »
Lion si guardò intorno, provando un moto di disgusto che lo costrinse a retrocedere e ad allontanarsi dalla regina di Cartagine. Lasciò quasi cadere l’anello di ossidiana nero con cui giocherellava sempre quando era nervoso.
« Era un mostro. » constatò Castiel, la faccia sconcertata. Didone annuì, terminando il suo bourbon in modo elegante e poggiando il bicchiere esattamente nel punto dove lo aveva preso. Poi si avvicinò a Serena, studiando il suo volto ed ignorando Lion.
« Beh, ad ogni modo, ho trovato questa casa di gran classe, anche se ha un brutto passato alle spalle. » esclamò, il tono dolce e seducente di una sirena, mentre accarezzava uno Zheng alquanto raccapricciato, « Così ho deciso di farne la mia dimora. »
« Dopo essere fuggita dagli Inferi. » sussurrò Lion, sperando di attirare la sua attenzione, cosa che effettivamente fece. I suoi occhi scuri si infiammarono di rabbia, come quelli delle storie di demoni che si raccontavano al Campo Giove.
« Che hai detto? »
« Dopo essere fuggita dagli Inferi. » ripeté Lion, sostenendo il suo sguardo di fuoco con la sua stessa intensità, « Conosco ciò che hai fatto, Didone. Ma non mi interessa la tua storia, quando c'è in ballo il futuro di tutti i figli di Roma ancora esistenti. »
La sua bocca si spalancò in un sorriso, freddo e calcolatore, che andava da un estremo della faccia all’altro, facendo trasparire solo odio e ribrezzo per il figlio di Plutone.
« Non mi interessa ciò che hai da propormi, romano. » commentò, facendo un gesto leggero con la mano, « Non muoverò un dito per salvare la progenie di quel bastardo. Che muoiano tutti. »
Il labbro inferiore di Lion traballò per l'ansia che aveva addosso, come una sorta di coperta troppo spessa con cui faceva fatica a respirare.
« Lei deve aiutarmi! » urlò Lion mentre Didone gli aveva voltato le spalle e stava abbandonando la sala in cui si trovavano. 
Tutti i semidei si girarono a guardarlo, Caelie gli mise una mano sulla spalla, cercando di calmarlo, prima che gli occhi di Didone ancorarono i suoi, trafiggendolo come dardi di fuoco.
« Io non ti devo niente, figlio di Roma. » sibilò lei, la lingua biforcuta come quella di un serpente, « Ho giurato odio eterno contro la sua stirpe. » continuò, la voce rauca e sorda. 
Poi la sua voce cambiò, prendendo un accento antico e strano, completamente diverso dall’inglese che fino ad allora aveva parlato.
Latino.

« O Sole, che di fiamma illumini le opere della terra
e tu, Giunone, madre e complice dei miei affanni,
Ecate, a gran voce di notte invocata nei trivi della città
e voi, Furie Vendicatrici, dei della morente Elissa, ascoltate ciò che dico:
punite con giusta mano i malvagi, esaudite le mie preghiere.
Se toccare porto e approdare alla terra deve questo scellerato,
che almeno, vessato dalla guerra e dalle armi di un popolo audace,
bandito dalla sua terra, strappato all’abbraccio di Iulo,
implori aiuto e veda morire i suoi di morte umiliante.
E non goda del suo regno, ma muoia anzitempo e giaccia insepolto nella sabbia.
Questo chiedo, col sangue esalo quest’ultimo grido.
E voi, Tiri, con l’odio vostro sino alle estreme generazioni
perseguitate la sua stirpe, offrite questo dono
alle mie ceneri. Non vi sia patto o amore fra i due popoli.
E sorga dalle mie ossa un vendicatore
che con ferro e fuoco incalzi i coloni troiani.
»

Calò il silenzio, mentre nella testa di Lion scoppiava l'inferno: voci, suoni e colori gli tornarono in mente, colpendolo come una sequenza di pugni a cui non poteva resistere. Proserpina lo aveva avvertito, gli aveva detto di offrire a Didone qualcosa a cui non avrebbe potuto rinunciare, ma cosa?
« Non venire a parlare di fato a me, romano. Giurai guerra alla sua stirpe, anche se, come vedo, siete riusciti a sopravvivere. » ripeté la voce di Didone nella sua testa.
Lion aveva la risposta a portata di mano, ma non riusciva ad acchiapparla, come una di quelle farfalle che volano di fiore in fiore troppo velocemente perché qualcuno riesca a calare il retino su di loro.
« Vedi, non ci sarà mai pace tra me e i figli di Roma. » sibilò, quasi sussurrandolo, « Niente può impedirmi di ucciderti adesso, romano. Va via, prima che io torni sui miei passi. »
Lion guardò gli altri che, a quanto pareva, non avevano capito nulla di quello che Didone aveva detto. Cassie guardava confusa la regina cartaginese, come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro, ma che tardava ad arrivare. Zheng scrutava una piccola teca accanto a lui, il suo sguardo orientale che andava ora sull’oggetto nella teca, ora sul viso di Didone.
« Qualcosa che non può rifiutare. »
Ci pensò su e, proprio mentre la regina gli voltava le spalle, cominciò a parlare, la voce carica di speranza e risentimento.
« Lei ha paura. »
Sapeva di essere andato oltre, Didone l'avrebbe sicuramente ucciso. Però, in qualche modo, Lion attirò la sua attenzione e la fece fermare nel mezzo del corridoio da cui erano arrivati.
« Io avrei cosa? »
« Paura. » ripeté, poi la guardò dritta negli occhi, « Ha giurato vendetta ed odio eterno contro la sua stirpe perché era stata lasciata, abbandonata dal suo unico, vero amore. Lui aveva una missione, però, era il Fato a scrivere il suo destino ancora prima che nascesse. Non è stata colpa sua se ha dovuto lasciarla. »
Didone contrasse la mascella e Lion si aspettò quasi che le schiumasse anche la bocca, ma lei riuscì lo stesso a mantenere un rigido autocontrollo
« Avrebbe potuto opporsi, al destino. Io l’ho fatto. »
« Lei è stata una codarda. » ribatté il figlio di Plutone, scuotendo la testa e causando vari mormorii alle sue spalle, « Ha preferito uccidersi, piuttosto che andare avanti. » concluse e, prima che Didone lo mandasse al Tartaro, sferrò il suo asso nella manica.
« Io posso riportarlo indietro. » affermò, deciso, capendo cosa la sua matrigna aveva voluto dirgli, « Posso ridarle indietro Enea. »
Silenzio.
Didone fissò i suoi occhi, uno sguardo di rabbia mista a speranza: fece un passo verso di lui, gli porse una mano solo per poi ricacciarla indietro.
« Non è vero, figlio di Roma. » ruggì, « Nessuno può riportarlo indietro. Non si torna dalla morte. »
« Tu lo hai fatto, però. » constatò Lion, tenendole testa e facendola cuocere nel suo stesso brodo.
« Sono stata fortunata. » rispose, « Sono riuscita a passare oltre le Porte della Morte prima che due semidei le chiudessero. »
Adesso spostava il suo sguardo di fuoco da un mezzosangue all’altro, come a chiedergli di sfidarla. Era combattuta, Lion poteva vederlo, da secoli di odio e una piccola e remota promessa d’amore.
Il figlio di Plutone frugò nel suo zaino, grattando le sue dita contro la superficie interna della sacca che si portava in spalla, il cappello sulla testa che si faceva via via sempre più pesante.
« Che stai facendo? »
Lion ignorò la voce insistente di Didone e continuò a cercare, finché le sue dita sfiorarono i contorni dell’oggetto che stava cercando. La alzò in alto, mostrando a tutti la statuetta che gli aveva donato la dea degli Inferi.
Gli occhi di Didone si socchiusero finché non furono due spiragli, guardando confusa la cosa che aveva in mano. Lion, nel frattempo, mise una mano in tasca ed esibì anche la moneta che gli aveva dato Chirone giù al Campo Mezzosangue.
« Stai giocando ad un gioco pericoloso, romano. » affermò la regina di Cartagine, avendo appena riconosciuto ciò che Lion gli stava offrendo, « Sei davvero sicuro di voler andare fino in fondo? Sai cosa il rituale richiede. »
Un sacrificio.” gli suggerì una vocina dentro la propria testa. Annuì, porgendole la statuetta e la moneta d’oro sul palmo della mano.
« In cambio dovrai dirci cosa sta succedendo. E cosa sai sui miei fratelli romani. Giuralo sullo Stige. »
Lei abbozzò un sadico sorriso.
« Lo giuro sullo Stige. » disse, atona, « Adesso seguitemi. »
E, anche se Lion non avesse voluto, si immerse con lei nelle tenebre della casa.


Se avesse potuto, avrebbe urlato con tutto il fiato che aveva in gola.
Il luogo dove li condusse era macabro e tetro, esattamente come il resto della casa. Archi di legno e catene in ferro rendevano l’ambiente quasi soffocante, facendo mancare l’aria dai polmoni di Lion.
Era leggermente nervoso, visto ciò a cui stava andando incontro.
E attraversare i luoghi dove si diceva che Madame LaLaurie avesse torturato i suoi schiavi non era decisamente il massimo per far sparire la tensione.
« Servirà un sacrificio, non è così? » gli chiese la voce di Alexis alla sua destra. Aveva raccolto i capelli in una treccia stretta che le ricadeva sulle spalle.
Lui scosse la testa.
« Non raccontarmi balle. »
Lui la guardò negli occhi, specchiando la sua oscurità in quella di sua sorella. Dopotutto erano solo barlumi di luce in un mare di ombre.
« Non pensare nemmeno un attimo di offrirti, Lion. » sussurrò, nel timore che gli altri li sentissero, « Te lo proibisco. »
La sua voce era intrisa di iperprotettività.
« Che cosa dovrei fare? » le chiese, « Didone non ci aiuterà se non le riportiamo indietro il suo amato Enea. »
Lei scosse la testa. « Non puoi farlo. »
« Si, invece. » ribatté lui, con fare deciso, « Quando mi offrirò per il sacrificio, tu dovrai officiarvi. Nessuno meglio dei figli di Ade può farlo. »
Lei fece per dire qualcosa, ma poi si bloccò, le lacrime agli occhi, mentre Didone li osservava con i suoi occhi serpentini.
« Siamo arrivati. »
Erano in una sala buia e squadrata dove l’unica fonte di luce era la torcia della regina. La stanza metteva un senso di claustrofobia addosso alle spalle di Lion, lo stesso, poteva scommetterci, che provavano i topi quando finiscono in trappola.
Due altari, uno nero come la notte e uno bianco immacolato, apparvero allo schiocco delle dita di Didone, giusto in mezzo alla stanza macabra. Se Lion osservava bene, c’erano catene e gabbie ai lati dello spazio in cui si trovavano e rilucevano in maniera sinistra alla luce della torcia.
« Vieni avanti, romano. »
Lion mosse un passo verso la regina, avvicinandosi lentamente alla sua fine. Mentre camminava, brandelli del suo passato gli ripassavano davanti agli occhi come flash istantanei, veloci come il pensiero.
Era così difficile andare volontari verso la propria fine, letteralmente.
Il sorriso di Didone era immacolato come l’altare su cui aveva poggiato la statuetta e la moneta da offrire a suo padre per il rilascio di un anima. Chissà se Chirone aveva scrutato nel futuro, per offrirgli come dono proprio quella moneta.
STUMP!
Qualcosa di pesante lo colpì alla nuca, seguito da vari grida e alcuni sospiri soffocati. Lion non fece nemmeno in tempo a far scattare il suo anello,visto che cadde a terra e gli si annebbiò la vista. 
L’ultima cosa che vide, prima delle ombre, fu il viso in lacrime di Alexis che lo baciava sulla fronte, il sorriso pezzato che faceva capolino sul su viso.
Poi il nulla.

 
 


 
Note: il motto latino ad inizio capitolo significa "È la testa a comandare, non i piedi." Ho voluto inserirlo qui perchè credo che sia uno dei capitoli più importanti e più enigmatici, anche perché Lion è molto combattuto, per via dei suoi sentimenti e anche per altro.


#King'sCorner

Hey, siete ancora qui, vero?
Eccomi qui con il settimo capitolo di Immortals che (spero) vi sia piaciuto (anche se è rimasto appeso, troppo appeso.) Beh, vi avevo detto che avremmo visto Didone, in questo capitolo, quindi eccola qui, nel fiore della sua bellezza uu Non so, non riuscivo ad immaginarmela come una brutta vedova megera (?) Ignorate ciò che sto dicendo (da sottolineare), quindi l'ho descritta come una bella donna uu
Ah, quando Didone ricorda la sua maledizione, ho voluto proprio mettere una citazione dei versetti dell'Eneide per rendere il tutto ancora più ... figo? Speriamo di essere riusciti nell'impresa, allora uu
Sono molto su di giri, anche perché praticamente ho quasi tutta la storia in testa e ho deciso che ci saranno 17 capitoli, in tutto, quindi, se vi fate due conti, mancano esattamente dieci capitoli al tanto famoso "The End."
Vedremo amici, nemici, amici che si fingono amici, tradimenti, lussuria e chi più ne ha, più ne metta! Appariranno meglio i personaggi secondari, ovvio, e cercherò, in questo dieci capitoli che mi sono rimasti, di accontentare tutti e sviluppare al meglio i caratteri dei personaggi, ship e quant'altro :)

Passando al capitolo in sé, ehm, in alcune risposte alle vostre recensioni avevo annunciato che un altro semidio ci avrebbe lasciato, vero? uu Beh, credo che abbiate capito di chi si tratta ewe
Diciamo che non era stata la mia prima scelta, però Alexis si immola per amore del suo piccolo fratellino romano .__. Quanta tristezza, in queste parole ç_ç Credetemi, non avrei voluto (e dovuto) farlo, però Alexis mi servirà nei capitoli a seguire ... volete una lametta
Oggi sono in omaggio uu
Ho deciso di ambientare il capitolo nella storica dimora di Madame Marie Delphine LaLaurie (altri due nomi no?) che potete trovare ancora oggi nella bellissima città di New Orleans *^* Tra parentesi, non ho inventato nulla sul conto di questa nobildonna inglese, ma si pensa davvero che torturasse gli schiavi neri d'Africa per ricavarne creme di bellezza o anche per suo puro piacere personale.
...
...
...
Adesso potete anche maledirmi per quanto sia stata sadica Didone! Però, diciamocelo, lei può permetterselo uu
E, prima di sparire, volevo solo ringraziarvi per le bellissime recensioni che mi lasciate, complete anche di minacce di morte! (il mio indirizzo ce lo avete, quindi :p) No, davvero, sono felice che la storia vi piaccia, che il mio stile (?) vi piaccia e spero di non deludervi ewe
Oddei, spero anche di non uccidere più nessuno, ma non assicuro nulla *risata* Adesso scappo, lasciate una recensione se vi va! :3
Ve se ama ♥


King.

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Capitolo 8
*** La Donna che Piange ***



8. La donna che piange
Ira brevis furor.



Lion era sicuro di aver distrutto la storica dimora di Madame LaLaurie.
Appena ebbe riaperto gli occhi, una piangente Cassie gli aveva raccontato di come Alexis si fosse immolata per salvargli la vita e riportare indietro l'amore di Didone, il fantomatico Enea. Per qualche secondo l'aveva fissata nei suoi occhi azzurri immacolati, prima che il suo cervello recepisse il fatto che Alexis era morta.
Impossibile.
Aveva urlato, di questo era sicuro, e aveva richiamato a sé il potere di suo padre affinché sputasse in superficie oro, gioielli e le ossa di coloro che si trovavano sotto di loro. La casa aveva tremato mentre il cielo si era fatto di un nero ancora più cupo di quello che bruciava negli occhi di Lion.
Non è possibile.
Aveva faticato ad alzarsi, la testa che gli doleva come se fosse stato investito da un autobus, ed aveva scacciato in malo modo la mano che gli poneva Castiel, la voce calma e suadente come quella di una sirena. Non conosceva i suoi poteri, ma era sicuro di dovergli stare lontano, per evitare di fargli male.
Si puntellò sulle ginocchia, mentre ogni ferita sul suo corpo si riapriva e bruciava come se qualcuno ci avesse gettato sopra del sale. Didone stava piangendo di gioia ed era piegata sull'altare bianco, cullando tra le braccia il corpo abbronzato di un uomo, il mento coperto da una barba castana, i capelli mossi dello stesso colore, gli occhi chiusi da troppo tempo, in attesa di essere riaperti.
No, non lo é.
Caelie cercò di fermarlo, tirandolo per un braccio, senza successo. Poi provarono sia Cassie che Serena, inutilmente, lasciando solo Zheng ai margini della sua visuale, intento ad osservarlo, come se fosse un esperimento di laboratorio. 
Urlò.
Il corpo di Alexis aveva perso ogni traccia di vita, colorato solo dal leggero pallore della morte. I suoi capelli erano stati sciolti, riversi sull'altare come fossero una pioggia di ombra, i suoi occhi chiusi, addormentati in quello che era il riposo eterno. Una ferita larga circa cinque centrimetri correva lungo il suo ventre, mentre il sangue che bagnava l'altare accendeva ancora di più l'ira di Lion, istillando in lui il seme della pazzia.
Si avvicinò, appoggiandosi sul bordo dell'altare con rabbia e dolore. 
Scostò delicatamente qualche ciocca di capelli che aveva davanti al viso, bagnandosi le mani con il suo sangue e sentendo il bisogno prepotente di piangere. Si portò le mani alla bocca, imbrattandosi il viso arrabbiato, cercando di soffocare le lacrime, per poi raggiungere lo stato della negazione.
Si fermò.
Non voleva stare lì, non voleva prendere la sua mano e sentire che non aveva più polso. Non voleva prendere la sua testa tra le ginocchia e darle l'estremo saluto, abbandonandosi all'idea che fosse morta davvero.
Non poteva.
La terra rispose al suo dolore, cominciando a sputare gioielli e pietre preziose, mentre le pareti centenarie si ricoprivano di diamanti ed mani scheletriche che artigliavano l'aria. Sentiva vagamente le urla dei suoi compagni che gli imploravano di smettere, la voce di Castiel che sussurrava alle sue orecchie di fermare la sua mano, senza che lui gli prestasse la minima attenzione.
Il volto di Didone era una maschera di orrore, così come quella di Enea, gli occhi socchiusi, le membra pigre. Lion si osservò la mano sporca del sangue di Alexis, puntandola contro i due amanti a palmo aperto.
« Non era questo il patto! » gemette la regina di Cartagine, sforzandosi di reggere il peso del suo amato e fuggire dalla rabbia assassina del figlio di Plutone, « Non era questo il patto! » ripeté, urlando.
Forse era diventato davvero pazzo, perché Lion scoppiò a ridere, una di quelle risatine nervose a cui non puoi sfuggire, anche se stai soffrendo come un cane. 
Fece scrocchiare le ossa del collo con fare teatrale.
« Avrei dovuto esserci io, su quell'altare. » rispose, calmo, indicando il punto in cui era disteso il corpo di Alexis, « Era questo il patto, Didone. »
Enea gli aveva finalmente rivolto lo sguardo, le mani che si stropicciavano gli occhi per scacciare gli ultimi residui del sonno che lo aveva colto duemila anni prima. Trovarsi a così poca distanza dal suo famoso progenitore fece formicolare le sue mani, come se fosse venuto a contatto con una divinità.
Era questo, il momento giusto.
Sulle sue braccia cominciarono a correre delle profonde vene nere, fino a raggiungere il suo volto, in una maschera di sangue ed ombra, mentre la foschia saliva dal terreno e i piedi di Enea venivano bloccati da robuste catene di metallo fuso, facendolo urlare di dolore.
« Che stai facendo Lion?! » esclamò sconvolta Caelie, alla sua destra. Poi, notando il suo volto, urlò e tra le lacrime gridò il suo nome. Didone era sconcertata come la figlia di Apate, la maschera di menefreghismo e passività era caduta, lasciando il posto all'amore e alla paura di perderlo per la seconda volta.
« Fermati! » urlò, « FERMATI! Non puoi ucciderlo, va contro la legge del sacrificio! » gridò, facendo rialzare Enea, caduto a terra per via delle catene ardenti.
Lion annuì.
« Ma posso maledirlo. » sussurrò, un sussurro maligno come la magia che era all'opera in quella stanza. Il cielo rombò il suo disappunto, mentre la terra sotto di loro tremava e si spaccava a poca distanza da dove si trovava Castiel. « Tu mi hai portato via l'amore per mia sorella, io ti porterò via l'amore che provi per Enea, condannandolo a dormire per l'eternità, senza mai svegliarsi. »
Didone gli rivolse il suo sguardo più addolorato possibile.
« Sarà come perderlo per la seconda volta, non è vero? »
« Non ... puoi. » gemette Didone.
« Questa è la guerra. » sostenne Lion, mentre il reticolo di vene sulle sua braccia scintillò, rispondendo al suo potere di distruzione.
« Ti dirò tutto quello che vuoi sapere! » urlò Didone, sovrastando, con la sua voce, il rumore dei crolli e della terra smossa, « Tuo padre sarà il primo a sparire, in questa guerra. Sta combattendo contro un dio potente ed antico quanto Gea, un dio che non aveva mai lasciato il posto in cui era stato confinato. »
Il reticolo di vene nere sulla sua pelle bruciò e del vapore cominciò ad alzarsi dalla sua pelle, come se stesse andando letteralmente a fuoco.
« Tartaro sta sorgendo. »
Quelle tre parole riuscirono a fare breccia nell'armatura che aveva costruito intorno a sé, forgiata dalla rabbia e dal dolore che gonfiavano il suo petto. Enea era a terra, quasi trascinato nel baratro che si era aperto accanto a lui per via delle catene che legavano i suoi piedi, mentre Didone faticava a reggere il suo peso.
« Beh, grazie per queste informazioni. » sibilò Lion, la crudeltà che plasmava la sua voce, « Adesso è tempo di vendetta, Elissa. Saluta per l'ultima volta il tuo amato. »
Lion urlò, mentre il suo anello si faceva sempre più caldo e simile ad una supernova intorno al suo dito e il reticolo sul suo corpo si infiammava di rabbia. Era completamente affogato in quella spirale di sangue e morte, adesso non aveva idea di come uscirne.
"Sta lontano dalla magia oscura." tuonò una voce austera e possente nella sua testa, facendolo urlare di dolore. Si portò le mani alle orecchie, cadendo in ginocchio, mentre la sua magia che si spegneva, la terra smetteva di tremare e le catene intorno ai piedi di Enea si aprivano facendo milioni di scintille.
"Stai lontano dalle Arti Infernali, Lion."
Era suo padre, adesso ne era sicuro, suo padre che cercava di salvargli la vita dall'orgoglio e dalla rabbia che si agitavano nel suo petto. Forse erano i suoi nervi sovraccaricati, forse la sua immaginazione, ma fu quasi certo di vedere l'ombra di Plutone portare via il corpo senza vita di Alexis, lasciando nell'aria odore di zolfo.
Diede un ultimo sguardo alla stanza, i mattoni crepati, le assi sconnesse e gli squarci nel pavimento ricuciti dal provvidenziale intervento di Plutone. I suoi occhi ancorarono quelli di Caelie, spaventati, poi quelli felici di Didone, le lacrime che bagnavano il volto di Enea, prima che i suoi sensi si offuscassero.
Svenne.
Quando rivenne, aveva addosso gli occhi di Cassie, quegli stessi occhi che gli avevano comunicato la brutta notizia, adesso più preoccupati che altro. Era disteso un piccolo divanetto al secondo piano della casa di Didone, lo sguardo di tutti puntato addosso.
« Stai bene? » gli chiese Castiel, dubbioso e leggermente spaventato, cosa che Lion poteva capire. Annuì, tirandosi a sedere e lasciando le impronte dei suoi scarponi sulla seta pregiata del divano.
« Sicuro? » domandò Serena, aggiustandosi i capelli in una debole treccia, « Quello che hai fatto prima è stato ... wow! Non so nemmeno come definirlo. » aggiunse, boccheggiando.
Gli faceva male la testa e gli si stava quasi sdoppiando la vista, ma qualcuno gli passò un po' di ambrosia e sentì subito l'effetto benefico del cibo degli dei fare effetto.
« Ho distrutto tutto, vero? » chiese, facendo per alzarsi e venendo subito rimandato a sedere dalla figlia di Apate, il labbro inferiore che le ballava più che per la preoccupazione che per la paura.
Annuì, indicando le caviglie bruciate dell'uomo che sedeva accanto a Didone, il vestito leopardato che aveva addosso sembrava aver combattuto la terza guerra mondiale, visti i buchi che presentava nel suo tessuto. Lion si morse l'interno della guancia così forte che sentì il sapore metallico ed amaro del suo stesso sangue in bocca.
« Suppongo di dovermi andare a porgere le mie scuse. » sussurrò. 
Adesso la rabbia era scomparsa e aveva lasciato posto alla tristezza. Dopotutto, forse, avrebbe fatto meglio a morire con gli altri al Campo Giove, quattro mesi prima, anziché essere sopravvissuto e aver portato morte e dolore in viaggio con sé, la loro impronta ossuta che lo marchiava come qualcosa di indelebile.
« Prima di tutto con voi. » 
Calò il silenzio, interrotto solo dallo sbattere delle ciglia di Serena e il respiro affannato di Castiel, i capelli scuri che gli ricadevano a ciocche disordinate sugli occhi. Il figlio di Eros manteneva la mano di Cassie che ricambiava la sua stretta vigorosa, il viso sporco e lucido per il sudore.
Lion li guardò: che si stesse formando l'amore, in mezzo al mare di morte e tristezza in cui versavano?
Caelie gli mise una mano sulla spalla e i suoi capelli sottili gli solleticarono il volto, prima che lei gli desse una mano per aiutarlo ad alzarsi. Sentiva tirare la pelle, lì dove era stata ferita, anche se il dolore fisico era qualcosa con cui era abituato a vivere. Era il dolore emotivo che lo sfibrava veramente, rendendo molli le sue ossa, ammorbidendo i suoi tendini e privandolo di un'armatura contro quelle che erano le forze crescenti del Tartaro. 
Prima Alec e Wolf, adesso anche Alexis.
Avanzò zoppicando verso la coppia felice che aveva davanti e il loro scambiarsi sguardi complici lo faceva sentire completamente fuori posto, oltre che colpevole.
« Lion Davis, il potente figlio di Plutone. » annunciò Enea, lo sguardo più giovane e allegro di quello che Lion avrebbe mai potuto immaginare, « Didone mi ha parlato di te. Devo ringraziarti, visto che è solo grazie al sacrificio di tua sorella se sono qui adesso, con voi. » 
"Già, i tuoi ringraziamenti non riporteranno indietro Alexis, però." pensò a denti stretti, ma fu costretto a fare buon viso a cattivo gioco.
« Volevo scusarmi per ... beh, tutto. » disse Lion, alludendo alle sue caviglie ustionate, « Non avevo il pieno controllo di me stesso, non ero in me. » confessò.
« Io ti credo, Lion. » rispose Enea, una preziosa veste romana adornava il suo corpo, rendendolo ancora più atletico e attraente, « Un vero romano non mentirebbe mai, vero? » 
Annuì, trovando un po' surreale il fatto che si trovasse davanti al suo vero progenitore, al mitico uomo che aveva reso possibile la gloria di Roma. Enea spostò lo sguardo dal figlio di Plutone ai suoi compagni d'impresa, soffermandosi a lungo suoi loro volti.
« Greci, dico bene? » chiese l'eroe troiano, trovando l'assenso negli occhi di Castiel, « Fu per colpa vostra se la mia città cadde. Ahimè, questo era il fato della potente Troia, così come il tuo fato è quello di impedire l'ascesa al potere di Tartaro. » 
« Tartaro? » chiese confuso Lion, spostando il peso del suo corpo da un piede all'altro, « Parliamo del dio Tartaro, vero? » 
Enea annuì e Lion, in quel momento, fu colpito dalla luce che bruciava nei suoi occhi, così suadenti e tentatori, il tipo di occhi che ti spinge a compiere gli atti più scabrosi e i peccati più indicibili. 
Il tipo di occhi che accomunava i figli di Afrodite quanto quelli di Venere, ed Enea, per essere un uomo appena risorto dalla morte, aveva un aspetto fantastico.
« Si, il dio degli abissi più profondi. » rispose, la voce calma, « Tu non sei stato negli Inferi, Lion, non sai cosa sta succedendo sotto i nostri piedi. »
E così dicendo alzò lo sguardo dai piedi di Lion al suo volto.
« Tuo padre sta combattendo, certo, ma non sono sicuro che il suo potere riuscirà a fermare una minaccia così grande. » spiegò,  « Avrà bisogno di aiuto, dal versante mortale. E chi meglio di suo figlio può aiutarlo? » 
Pronunciò quella domanda in maniera così attraente che Lion faticò non poco a resistere alla sua lingua ammaliatrice, immaginando sé stesso mentre saltava addosso al figlio di Venere. 
« Ma cosa posso fare io, semplice semidio qual sono? » domandò, giocherellando con il suo anello di oro imperiale, cosa che non sfuggì alla vista di Enea, visto che alzò e gli strinse la mano in segno di partecipazione al suo dramma.
« Mi fu affidato il compito di trovare una nuova terra dove portare quei pochi troiani scampati all'inganno del cavallo e fondare una stirpe che avrebbe dominato il mondo, Lion. » raccontò, la tristezza e il senso del dovere che si combattevano nel suo sguardo, « Non avevo idea di dove andare, non avevo idea di dove mi avrebbe portato la mia missione. Mi sono affidato completamente al Fato, sapevo che mi avrebbe protetto, e ho cercato di leggerne i disegni. » 
I suoi occhi incontrarono prima quelli di Didone, poi quelli del figlio di Plutone.
« Ho perso mio padre, sono stato strappato all'abbraccio di mio figlio, ma, credimi, guardandoti non posso che essere orgoglioso del mio sacrificio. » disse, la voce carica di solennità, « Sono convinto che riuscirai a liberare i tuoi compagni, Lion, e voglio darti un aiuto. » 
Tese la mano a Didone che prontamente gliela strinse, un sorriso sincero che balenava sul suo viso, dopo quelli falsi e freddi che Lion aveva visto.
« E in che cosa consiste? » 
« Dovete impedire che Tartaro si manifesti in forma fisica sulla terra. » spiegò, la pelle abbronzata come quella di un marinaio, « Dovrete trovare la cosa a cui Tartaro cercherà di aggrapparsi per non farsi trascinare dal suo potere, un'ancora. » 
"Un'ancora?" si domandò la vocina nella sua testa.
« E come faremo a trovarla? » chiese Lion, in balia della confusione, « La prego, Enea, mi aiuti. » 
Lui sorrise, scoprendo i denti brillanti e bianchissimi. Certo, essere figlio di Venere aveva i suoi pregi.
« Villa Fauline, qui, a New Orleans. » sussurrò Enea, sorridendogli complice proprio come avrebbe fatto sua madre davanti ad una coppia di amanti, « Fa che il sacrificio di tua sorella non sia stato vano. » 



I passi di Lion risuonavano insicuri per le strade di New Orleans.
Avevano oltrepassato una marea di edifici storici e quasi tutto il quartiere francese, osservando i tavolini quadrati a cui sedevano le fantomatiche streghe, offrendo i loro servigi in materia di chiromanzia e preveggenza. I lampioni lungo le strade erano sfiorati dalla luce morbida del tramonto, la coperta arancione che calava sulla città, mentre loro l'attraversavano a piedi.
Castiel era particolarmente entusiasta per via dei busti dei cavalli, rappresentati come quelli degli scacchi, ai lati delle aree pedonali di New Orleans, seguito a ruota da quella che, molto probabilmente, era la sua nuova segretissima ragazza, ovvero Cassie.
Serena stava conversando con Zheng sulla bellezza della città, non riscuotendo certo attenzione dal silenzioso figlio di Ecate. Lion aveva intuito che stava tramando qualcosa, forse per via di tutte quelle occhiate che gli aveva lanciato, ma non aveva ancora intuito del tutto il suo desiderio più oscuro.
Perché era sicuro che Zheng ne avesse uno.
Caelie gli camminava a fianco, il naso all'insù, profondamente interessata all'architettura della città: nel profilo del tramonto, Lion si accorgeva di quanto fosse attraente, specialmente le sue labbra, così vellutate e tentatrici che Lion avrebbe preferito affrontare un esercito di mostri piuttosto che starle vicino.
Era quello l'amore?
Si inumidì le labbra, così secche per via dell'aria estiva che si respirava in città, prima che lei gli parlasse. I sentimenti confusi che provava per lei si scontrarono con quelli omosessuali che lo avevano sconvolto davanti ad Enea, forse per via della sua discendenza.
Non che avesse nulla contro gli omosessuali, ma non aveva mai sentito di poter provare qualcosa per le persone del suo stesso sesso.
« Mi hai fatto paura, sai, prima. » confessò, lo sguardo basso che non incontrava mai quello del figlio di Plutone, « E ho avuto paura anche per te. » 
Lui rimase muto, non dicendo nemmeno una parola.
« Scusami. » si affrettò a dire, poi, mentre oltrepassavano un negozio di dolciumi, « Non era mia intenzione. Ero ... » 
« Sconvolto, si. » continuò Caelie, le mani strette intorno alle cinghie dello zaino che portava in spalla,  « Ho avuto solo il tempo di vedere Alexis che ti colpiva in testo con il piatto della spada e tu che cadevi a terra. Poi si è fatto tutto molto confuso, come il cerchio di sale intorno all'altare in modo da non lasciarci avvicinare. » 
« Per legare un sacrificio. » ricordò Lion, le parole amare che fluivano via dalla sua bocca come un torrente in piena.
« Esatto, l'ha detto anche Didone. » replicò tetra Caelie, le lacrime agli occhi, « Alexis mi stava simpatica, anche se io, forse, non piacevo a lei. » 
La sua voce era intrisa di tristezza, cosa che spinse Lion ad avvicinarsi e ad accarezzarle i capelli sulle spalle con fare timido e goffo.
« Le volevo bene anche io. » 
Continuarono a muoversi per la città l'uno affianco all'altra e, se non fosse stato il tramonto a salvarlo, Lion sarebbe apparso rosso come un peperone, sotto lo strato di abbronzatura della sua pelle. Una cicatrice seghettata correva tra il pollice e l'indice, facendogli ricordare una sua vecchia missione con la sua coorte.
Era vicino, avrebbe potuto liberarli.
I passanti per strada quasi raddoppiarono con l'avvento della sera, attirati dalle malie e dalle attrazioni della movida notturna di New Orleans che, seppur alquanto tetra e misteriosa da un lato, rimaneva una delle città più belle che Lion avesse visto, pari a New York o San Francisco.
Villa Fauline, Villa Fauline, dove si trovava?
Avevano chiesto informazioni a qualche ristoratore del quartiere francese, ma nessuno gli aveva saputo dare informazioni precise sull'ubicazione di quella fantomatica villa, forse per paura, forse per vera ignoranza. Avevano provato anche con un incantesimo di localizzazione da parte di Zheng, ma anch'esso di era rivelato infruttuoso, quindi la ricerca si era limitata a camminare per quartiere, sperando in qualche strano ed eventuale segno sovrannaturale.
Lion stava per fermarsi e lamentarsi per quanto gli facessero male i piedi, quando il suo sguardo venne rapito da una fiammella bluastra che fluttuava proprio davanti a lui. Appena Lion vi posò lo sguardo sopra, quella si spense e se ne accese un'altra a qualche metro di distanza.
"Fuochi Fatui."
Lion sorrise, un sorriso storto e rotto per la stanchezza, pensando a come i fuochi fatui, un cattivo presagio per la cultura romana, gli stessero salvando ancora una volta la vita, guidando la sua impresa.
"Grazie."
« Da questa parte, ragazzi. » disse, voltandosi verso destra rispetto alla direzione in cui stavano camminando, « Villa Fauline è da questa parte. » 
Il suo annuncio suonò tetro e macabro, come se si stessero avviando verso una mattatoio di corpi umani, mentre le sue parole gli lasciarono un sapore amaro in bocca. Mosse un piede dietro l'altro, nervoso, cercando con lo sguardo ogni spirito fatuo che gli compariva davanti.
Alcuni dicevano che fossero spiriti dei morti, benevoli ed intenti a regalare favori ai vivi sulla terra, altri pensavano che fossero solo fiamme accese da ossido di carbonio e, proprio per questo, era più facile vederli nei cimiteri dove abbondavano corpi in decomposizione.
Guardando il profilo sfumato di un fuoco fatuo, la sua mente volò subito a sua sorella. Il sorriso che aveva sulle labbra si spense, lasciando il posto ad una smorfia di tristezza. Voleva riportarla indietro, farla tornare alla vita, ma quella era magia oscura, molto oscura. E suo padre gli aveva raccomandato di starci alla larga, per il suo bene.
Rabbrividì.
Il potere che lo aveva attraversato, quando aveva scoperto che Alexis era morta, era qualcosa che non aveva mai osato provare, attingendo direttamente all'essenza di un dio che, per poco, non lo aveva quasi ammazzato. 
Conosceva le storie che circolavano su quel tipo di magia, magia che portava sempre con sé delle conseguenze, però non ci aveva mia prestato tanta attenzione, considerandole sempre e solo superstizioni.
« È questa? » 
La voce di Serena lo riportò alla realtà, mentre le voci che aveva nella testa di acquietavano e gli lasciavano ammirare la facciata di quella che, una volta, avrebbe dovuto essere una bellissima casa. La testa di una bambola di ceramica era incastrata sul punto più alto della picca di metallo del cancello arrugginito, come una sorta di macabro trofeo.
Ne aveva davvero abbastanza di case inquietanti.
« Credo di si. » disse e, come in risposta a un ordine muto, il cancello cominciò a cigolare e ad aprirsi, sospinto da mani invisibili. Un delicato vento scompigliò i capelli che aveva sulla fronte, disordinati come sempre, mentre i suoi occhi ancoravano l'ultimo fuoco fatuo sulla soglia del porticato scolorito dal tempo che dovevano attraversare.
« Sono io, o finiamo sempre in posti inquietanti? » domandò Cassie, la spada sguainata stretta tra le mani, « Non ce la faccio più. » 
Lion non poteva darle torto, ma i suoi sensi confermavano che era proprio quella la fantomatica Villa Fauline di cui aveva parlato Enea. Il sole era calato oltre l'orizzonte, lasciando sferragliare i suoi ultimi raggi colorati nel cielo, prima che Lion e gli altri si immergessero nell'atmosfera tetra della casa.
L'edera aveva mangiato buona parte del piano terra, colonizzando muri e abbracciando poltroni e televisioni, mentre la polvere che aleggiava nell'aria era così fitta da far starnutire Lion. 
Il suo forcone in oro imperiale scintillò debolmente quando si divisero per coprire uno spazio maggiore. Il silenzio che aleggiava in quella casa era irreale, ma, come Lion poté notare prestando attenzione, era interrotto saltuariamente dal singhiozzare monotono di una persona, come se quella persona stesse piangendo.
« Sto cominciando ad odiare New Orleans. » sussurrò la voce di Caelie alle sue spalle, facendolo sobbalzare, mentre lei usava la spada per tagliare un ramo di edera che le impediva di passare, « È troppo ... » 
« Fantastica. » concluse Lion, facendole segno di azzittirsi con un dito davanti alla bocca, poco prima di aprire una porta di legno con un calcio ben assestato. 
La stanza era vuota come le precedenti.
Caelie lo seguì, ispezionando gli angoli bui della sala e incespicando tra le travi rotte cadute a terra, rischiando anche di farsi male. 
« Che ne pensi? » gli chiese la figlia di Apate, avvicinandosi a lui con fare lento e circospetto. Quella casa le stava mettendo ansia e paura addosso. Guardò oltre le finestre appannate dal tempo, sporche come il resto degli oggetti che si trovavano lì.
Lion si piegò, osservando un punto su cui la polvere era stata smossa.
« Penso che siamo in un mare di ... » 
« Guai. » affermò una voce delicata alle sue spalle, completando la sua frase.
Lo spavento gli lasciò solo il tempo di rinsaldare la presa sul forcone e voltarsi di scatto, puntando l'arma contro una donna, una donna bionda e bella, anche se questo non significava niente visto che, come Lion sapeva, quella bellezza poteva celare un famelico mostro.
I suoi occhi erano cangianti, a metà tra l'azzurro e il celeste, anche se era difficile dirlo con certezza, vista la scarsità della luce che c'era nella stanza. Indossava una veste che una volta era bianca, accollata alla maniera greca e appuntata, poi, con una spilla d'oro macchiato sulla spalla. 
I suoi capelli erano biondi, biondi come il colore del grano maturo, intrecciati con dei nastri ai lati del volto, una sottile lamina d'oro che le incorniciava la fronte e presentava alcune leggere in greco, lingua che Lion non conosceva. La cosa più sconvolgente, però, in quella donna, era il suo viso, il suo viso bagnato percorso da lacrime amare che, via via, avevano scavato dei solchi profondi come rughe sulle sue guance.
Era lei, era lei che Lion aveva sentito prima.
Era lei la donna che piangeva.
« E tu chi diavolo sei? » domandò Lion, dall'alto della sua ignoranza, voltandosi poi verso la figlia di Apate. Il volto di Caelie era una maschera di orrore e disgusto.
« Non ci arrivi? » 
« Vuoi prenderti gioco di me proprio adesso? » 
Caelie scosse la testa e le ciocche dei suoi capelli la seguirono, creando un'onda uniforme di capelli scuri come la terra.
« È lei. » affermò, la voce carica di orrore, « È lei l'ancora. » 
In tutta risposta, la donna si avvicinò più velocemente di quanto Lion avesse mai potuto fare, arrivando a toccargli la fronte con un dito. Gli si annebbiarono subito i sensi, sconvolti da una sorta di estasi divina, poi udì il suo singhiozzare monotono entrargli nelle orecchie, prima di cadere nel buio.
Cercò un appiglio, una pagliuzza che gli impedisse di affogare nelle tenebre, ma non incontrò altro che il nulla davanti e sotto di sé. 
Si sentì spacciato, come il tocco di quella donna lo avesse fatto entrare in una sorta di coma irreversibile. Il suo cuore cominciò a fare le capriole, battendo più violentemente contro le ossa del suo corpo, in cerca di una via di fuga da quell'incubo.
"Fatemi uscire di qui!" 
Aveva voglia di urlare, ma non ci riusciva. Ogni volta che ci provava, c'era qualcosa che gli si appiccava alla bocca, come un tovagliolo di stoffa ficcato in gola. 
Non era assolutamente un buon segno.
Provò ad aprire gli occhi, ma anche le sue ciglia sbattevano contro qualcosa di morbido che gli impediva di vedere la realtà che aveva davanti. Le sue mani erano legate dietro lo schienale di una sedia, come in uno di quei film polizieschi, e strette intorno alla sua vita, delle corde gli impedivano ogni movimento. Poi, prima che potesse anche pensare ad un modo di liberarsi, le sue orecchie vennero lacerate da un urlo sovraumano, proprio accanto a lui, a cui ne susseguirono altri.
E altri ancora.
Per un attimo, ringraziò gli dei per il fatto di non vedere ciò che stava accadendo in quella stanza. 
Lottò contro le corde che stringevano i suoi polsi, ma era come toccare dei carboni ardenti: più cercava di liberarsi, più le corde si stringevano e bruciavano come fiamme. Qualcosa di affilato gli sfiorò la gola, andando a conficcarsi nella parete di fianco a lui.
« Accetta il mio patto, romana. » disse una voce, a cui seguì un altro urlo, femminile, impastato di rabbia e di dolore. Lion era sicuro di aver già sentito quella voce, soprattutto il modo in cui pronunciava l'appellativo "romana", un susseguirsi di suoni e ronzii pericolosi come uno sciame di vespe.
« Non te ne proporremo altri. » continuò, poi, una seconda voce, anch'essa conosciuta, vellutata come la notte, « Tutto sarebbe meglio della prigione in cui vi stiamo facendo marcire, non credi? »
Lion tentò ancora di liberarsi, ma i legacci intorno alla sua vita si strinsero fino a comprimere del tutto il suo stomaco. Un affollarsi di risate nelle sue orecchie.
« Osserva, Lion Davis. » sussurrò una seconda voce al suo orecchio destro, così suadente da sembrare quella di una sirena, simile a quella della donna bionda che aveva visto a Villa Fauline. La loro attenzione ritornò verso la ragazza che gli stava di fianco.
« Siamo qui da ore, figlia di Vittoria. » esclamò, apatica, la prima voce, fredda come il ghiaccio, « Andiamo, accetta questo diavolo di patto! »
Figlia di Vittoria? Doveva essere sicuramente Robin, allora. Lottò ancora contro le corde, ricevendo solo dolore, mentre Robin sputava a terra e qualcuno lo sbendava. 
I suoi occhi faticarono ad abituarsi alla lugubre atmosfera di quella cella, così buia e polverosa. Sentì qualcosa zampettare sui suoi piedi, un ragno risalire sulla sua gamba, puntando verso il torace. Aprì e chiuse le palpebre più volte, mettendo bene a fuoco il viso gonfio e livido di Robin, accasciata su una sedia come la sua.
« La tua impresa sarà facile, romana. » cercò di convincerla Lilith, la chioma bionda che le ricadeva sulle spalle come una nidiata di serpenti velenosi, « Dovrai fare ciò che ti è stato ordinato, niente di più, niente di meno. »
« Sono certa che hai affrontato di peggio, Robin O'Gallow. » sussurrò l'altra, Nives, gli occhi profondi e scuri come la notte che la contornava.
Lion si rese conto di essere invisibile visto che nessuno si accorse della sua presenza. Si  mosse, cercando un'angolazione migliore per osservare la scena e cercare di capire perché quella donna lo aveva mandato lì. Voleva aiutare la sua amica, ma era incorporeo, non avrebbe potuto fare nulla. 
Il viso di Robin era tumefatto in più punti, rosso come la buccia di un pomodoro. Aveva diversi lividi sulle braccia e sulle gambe, soprattutto sui gomiti che forse aveva usato per scappare, senza successo. Le corde che aveva intorno alle mani brillavano di una luce sinistra, vivendo di vita propria. 
Gli occhi della figlia di Vittoria ardevano di rabbia e di dolore, i suoi capelli, ancora più scuri perché bagnati, colavano gocce di sudore dalle tempie sino alle guance sporche. Il cuore di Lion si strinse, come se una mano di ghiaccio lo avesse afferrato, in balia della tristezza e dell'amara consapevolezza.
"Scusami Robin, scusami." si ripeteva, come in una sorta di tetra cantilena, arrivando persino a desiderare di essere al suo posto, pur di far fermare la tortura che stava subendo.
Lilith si voltò e fissò esattamente il punto in cui si trovava il figlio di Plutone, annusando l'aria come un cane da caccia. Nel momento stesso in cui Lion incontrò i suoi occhi, gli sembrò che qualcuno gli avesse appena sferrato un pugno nello stomaco, tanto che erano pericolosi. Eppure il figlio di Plutone non poteva fare a meno di notare la bellezza che aveva plasmato quel viso, così freddo, eppure così affascinante.
« Non si fanno patti fra uomini e leoni. » replicò Robin, una scintilla di coraggio che brillava sul suo viso stanco. Poi urlò di dolore, proprio mentre Nives rigirava il dito in una delle tante ferite che correvano sul corpo della figlia di Vittoria. Le due, per un attimo si squadrarono a vicenda, come cane e gatto.
« Se volessi accettare, chi mi assicura che rispetterete il patto? » sputò, le parole che aveva pronunciato sembravano veleno che fuoriusciva dalle sue labbra, « Maledette streghe. »
Lilith ridacchiò.
« Noi manteniamo sempre le nostre promesse, figlia di Vittoria. »
Un urlo, poi il buio.


 


 
Note: il motto, in latino, ovvio, significa "L'ira è un breve attimo di follia." e, beh, nella prima parte del capitolo avete potuto apprezzare tutta la pazzia possibile nelle azioni di Lion.


#King'sCorner


Hey, here I am!
Oddio, e questa improvvisa passione per l'inglese da dove spunta adesso? Se vi siete fatti questa domanda, non avrete risposta, visto che anche io non riesco a darmi una spiegazione.
Si, mi serve un manicomio uu 
Innanzitutto devo ringraziarvi, perché arrivare a 78 recensioni, senza contare visite totali, è davvero un bel traguardo e, per questo, devo ringraziare solo voi, miei appassionati lettori! (Mi sembro Afrodite, adesso)
Afrodite: Hai chiamato, cupcake?!
No, vostra ... ehm, non esiste nome per magnificare la vostra persona, mia signora. 
Afrodite: Uh, adulatore!
Ehm ehm, dopo questo siparietto posso dirvi che la dea dell'amore, per fortuna, non apparirà mai nella storia, o forse, darà solo qualche consiglio silenzioso al nostro Lion che vuole conquistare Caelie, si vede lontano un miglio!
Ma perché vi sto spoilerando queste cose?
Passiamo al capitolo, perché, come avete visto, è parecchio interessante ciò che succede ai nostri piccoli semidei a cui spezzerò il cuore <3 , cioè, a cui augurerò tutto il  bene possibile del mondo! AHAHAHAHAHAHAHAH, no, ok, non sparite altrimenti i vostri piccoli pargoli faranno una brutta fine.
E sapete che io ho il più grande sistema cardiocircolatorio sadico del mondo, dono sicuramente di qualche dio che vi vuole bene ♥
Devo piantarla di spargere cuori a destra e a manca uu
Abbiamo visto come la perdita della sorella abbia distrutto emotivamente Lion e lo abbia spinto alla follia. Sono stato davvero in dubbio se far esprimere tutta la sua furia oppure scrivere di un modesto, quanto banale addio. Ho optato per la prima, anche perché mi serviva un bel po' di azione per movimentare il capitolo.
Senza contare che ho goduto molto nel mettergli in bocca la frase « Ma posso maledirlo. » Cioè, immaginate la mia faccia, immaginatela! xD
Vediamo poi come Enea si dimostri un rimorchiatore supersexy e come Lion quasi gli salti addosso (questo per spezzare un po' la tensione e l'angoscia di tutto il capitolo). Mi sembrava giusto dare un lato comico anche al nostro pargolo di Plutone, visto che è sempre così ... duro
Ok, battuta pessima, chi vuol capire, capisca AHAHAHAHAHAHAHAHAHAH
Ho voluto scrivere della ship DidonexEnea come di una coppia felice (quindi Didone non è molto arrabbiata con lui), perché ho immaginato che la nostra regina abbia avuto tanto tempo negli Inferi per rimuginare su Enea e su quella che era la sua missione e, quindi, perdonarlo.
Adesso che hanno una seconda occasione, non devono sprecarla, no? Sempre che io non uccida uno dei due e l'altro piangerà in eterno la sua morte, pff 
Vi ho regalato qualche istantanea Calion (?) e devo fare anche un disclaimer, però uu Villa Fauline, quella in cui dimora la donna bionda (a proposito, avete capito chi è?) non mi appartiene. Cioè, non so se esista davvero a New Orleans, non ci sono ancora andato, ma è un edificio presente nella serie tv The Originals, che io seguo ovvio, e mi sembrava il posto adatto per la donna che piange.
Quindi, boh, niente di questa villa mi appartiene (?) 
E poi abbiamo visto Robin, la dolce, ma guerriera figlia di Vittoria :3 Che, però, è stata costretta a stringere un patto per riconquistare la libertà: di che cosa si tratterà mai?
Mistero! (da leggere alla Adam Kadmon maniera, per precisare xD)

Ah, piccola precisazione sulla lunghezza della storia: ho deciso di svilupparla in 17 capitoli [contatene 16, però, perché l'ultimo sarà per i ringraziamenti speciali, solo per voi <3 (Barbara d'Urso è dentro di me, aiuto! c.c)] perché ho in cantiere un vero e proprio libro, uno di quelli che spero possa finire, un giorno, in libreria.
Quindi non trucidatemi se devo dividermi tra questa storia e il mio sogno! La sto portando avanti perché siete troppo carini e coccolosi, quindi se questa storia continua ad esistere è solo merito vostro :) Fatevi un applauso, lo meritate! 
Per il meraviglioso banner, ringrazio di cuore scusasetiamo (perdono, non so aggiungere i link ewe) che ci ha messo tutto il suo impegno per creare questa meraviglia! 
...
...
...
Bene, se fin qui siete giunti, non posso che farvi i miei complimenti! (wow, ho fatto quasi una rima ahahahah) Ci si rivede sul prossimo capitolo e ricordatevi di lasciare una recensione con il vostro parere :)
Ho un Magnus piuttosto arrabbiato dopo aver finito di leggere Città delle Anime Perdute (Saroyan, ti odio, davvero c.c Hai spezzato il mio cuoricino di fanboy ç__ç) e non ho paura di usarlo (?)
...
Siete dei maliziosi se avete letto significati nascosti in questa frase AHAHAHAHAHAHAHAH
Hasta la vista! 

 
King.

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Capitolo 9
*** Il Diavolo Dentro ***




9. Il diavolo dentro
Silent leges inter arma.


Lion ansimò, come se gli mancasse l'aria dai polmoni.    
Barcollò all'indietro, inciampando sulle gambe rotte di una sedia, e sarebbe anche caduto, se Caelie non fosse intervenuta velocemente e lo avesse afferrato per un braccio. Serrò la presa sull'asta del suo forcone e guardò di sottecchi la donna piangente, l'orrore che gonfiava il suo petto.
Lei, in tutta risposta, prese una vecchia sedia impolverata e tornò a sedersi, accompagnando il pianto con un ciondolio disinteressato del capo. Alle sue spalle si apriva una stanza buia e tetra come il resto della casa, ma da cui provenivano rumori tutt'altro che rassicuranti.
« Che cos'era? » le chiese, la voce turbata da quello che aveva appena visto. Rapidi flash continuavano a sfarfallare davanti ai suoi occhi, il volto esangue di Robin, la chioma scura di Nives che sfumava all'orizzonte. La voce di Lilith risuonava nelle sue orecchie, come un macabro monito, istillando in Lion il seme del dubbio: di che patto stavano parlando? Perché Lilith e Nives si sforzavano tanto per piegare l'indole guerriera di Robin?
Caelie lo fissò, a metà tra lo sconcerto e l'imbarazzo.
« Che cos'era cosa?  » domandò a sua volta, rivolgendo uno sguardo eloquente al figlio di Plutone, tenendo la spada di bronzo celeste fissa davanti a sé, puntata verso la donna. Lion sgranò gli occhi, mentre rivoli di sudore scivolavano dalle tempie fin sulle labbra, facendogli assaggiare il loro sapore salato.
La donna bionda singhiozzò, sussurrando qualcosa che Lion non riuscì ad afferrare. Caelie la fissò, muovendo la bocca in una smorfia di stupore.
« Sta parlando in greco, vero? » chiese il figlio di Plutone, muovendo un passo verso di lei, incuriosito dall'aura che la contornava, « Vero Caelie? » 
La figlia di Apate sembrò risvegliarsi da uno stato di trance, poi annuì debolmente. 
« Continua a dire cose senza senso. » rispose, spostando il peso del suo corpo da un piede all'altro, « Sangue, Corpo, Cuore. Sono queste le parole che continua a ripetere. » 
Lion si passò una mano nei capelli disordinati, lasciando cadere il cappello di suo padre a terra e sollevando un alone di polvere per la stanza. Il forcone di oro imperiale sembrò scintillare più violentemente, alla luce della luna che si ergeva alta nel cielo.
« Se è lei l'ancora, stando a quanto ci ha detto Enea, Tartaro la userà per mantenere una forma in questa dimensione. » continuò Caelie, lo sguardo fermo e deciso sulla donna piangente,  « Che cosa ne facciamo di lei? » 
Lion spostò lo sguardo dalla figlia di Apate alla donna seduta sulla sedia, i capelli biondi che sembravano due tendine consunte ai lati del volto. 
Ora che la osservava bene, Lion poteva notare i segni della tortura sul suo corpo, colpi di frusta che correvano sulle braccia e sulla parte di petto lasciata scoperta dalla veste bianca. Le sue gambe erano piene di ferite e cicatrici antiche,  antiche come il diadema che portava sul capo.
« Vorrei prima capire chi sia. » sussurrò il figlio di Plutone, avvicinandosi sempre di più alla donna piangente, guardando meglio le lacrime che solcavano il suo viso, scavando rughe profonde in quella pelle che, secoli prima, era perfetta. 
« Non credo che sia una buona ... » 
« Un tempo mi chiamavano Elena. » mormorò, così piano che Lion dovette tendere l'orecchio per afferrare le parole scivolate dalle sue labbra, « Ero la moglie di Menelao. » 
« Elena? Elena di Troia? » domandò Lion, il volto ridotto ad una maschera di sorpresa per essere così vicino alla donna che causò migliaia e migliaia di morti.
« Troia. » disse, la voce sognante, interrompendo per un attimo il suo pianto, « Distrutta, divorata dal fuoco. » continuò, asciugandosi il viso come meglio poteva, « Enea quasi non mi uccise, mentre cercava di scappare dalla città in fiamme. »
Si fermò un attimo, soppesando le parole giuste.
« Avrei preferito che lo avesse fatto. » 
Caelie abbassò la spada, osservando la tristezza e il dolore rincorrersi sul suo volto antico, antico quanto quello del figlio di Venere che avevano incontrato poco prima, eppure così diverso, come se il tempo avesse infierito su di esso con tutta a sua forza.
« Come può dire una cosa del genere? » domandò la figlia di Apate, scostando le gambe rotte di una sedia a terra con un calcio,  « Le ha risparmiato la vita, dovrebbe essergli riconoscente. » 
Elena alzò lo sguardo, facendo incontrare i loro occhi e trasmettendole tutto il dolore che il suo corpo stava provando.
« Enea mi condannò alla fine di una schiava. » disse, la voce fredda e atona come il ghiaccio, « Paride era morto, Troia bruciava e Menelao mi rivolle con sé a Sparta. Ormai aveva perso completamente la fiducia che un tempo riponeva in me. » 
Alzò le braccia, ricoperte di cicatrici.
« Mi fece questo. » sussurrò, portando le mani sulle braccia nude e chiudendosi a riccio, « Ogni notte infieriva con la frusta su di me, prima di violentarmi. Pregai gli dei, li pregai con tutte le mie forze, ma non ottenni mai risposta. » 
Sputò a terra.
« Forse solo Afrodite ebbe pietà di me. » spiegò, ciondolando la testa e scoprendo il collo dai lunghi capelli aurei, indicando una cicatrice lunga e frastagliata che correva dal collo fino alla clavicola sottostante, « Una notte, dopo che Menelao mi ebbe violentato, Afrodite mosse la mia mano e mi pugnalai con forza alla gola. » 
Caelie rabbrividì, toccandosi il collo con fare protettivo, mentre Elena, alla luce flebile della luna, somigliava ad una sorta di pallido fantasma.
« Rimasi negli Inferi a scontare la mia pena, però ero felice. Avevo Paride e avrei scatenato altre mille guerre pur di stare con lui. » continuò, la passione che muoveva le sue labbra rosee, « E poi eccomi qui, duemila anni dopo, intrappolata di nuovo in un corpo mortale per essere la sostituta delle Porte della Morte. » 
Lion non credeva alle sue orecchie.
« Impossibile. » sussurrò, sconcertato, « Vuol dire che lei ... » 
Annuì, il mento che sembrava farsi più lungo mentre ricominciava a piangere e le calde lacrime riprendevano ad imperlare ancora il suo volto.
« Si, figlio di Ade. » 
« Plutone. » 
« Tuo padre è un bastardo in entrambe le forme. » sostenne, la voce aspra come se avesse appena ingoiato dell'acido, « Scommetto che è una strategia di Atena. E anche Era deve averci messo il suo zampino. Cova rancore verso di me da millenni e, adesso, ha trovato il modo di sfogarlo, finalmente. » 
« Come? » domandò Caelie, gli occhi azzurri che scintillavano al chiarore della sua spada di bronzo.
« Hanno distrutto le Porte della Morte negli Inferi e hanno racchiuso il loro potere dentro di me, punendomi una seconda volta per la mia stoltezza. » rispose, dondolandosi sulla vecchia sedia sulla quale era seduta, « Che colpa ne avevo io, sventurata mortale, caduta completamente in balia della furia di Eros? » 
Fu come ascoltare piangere un bambino e a Lion gli si strinse il cuore. 
Certo, Elena aveva commesso i suoi sbagli, ma non meritava una punizione simile, come non la meritava nessun altro. Aveva già pagato con un corpo sfregiato e una dura penitenza negli Inferi, non avrebbe dovuto soffrire ancora, non dopo  altri duemila anni.
Gli dei sapevano essere davvero crudeli.
« Era il buio. » sostenne Elena, la testa bassa per la vergogna, « Non c'era via d'uscita, ma ... adesso siete arrivati voi. » continuò, la voce carismatica come quella di un predicatore.
Caelie, adesso, la osservava con paura: cominciò ad allontanarsi, facendo attenzione a dove metteva i piedi per evitare di inciampare e cadere. Nel silenzio più assoluto, si sentì un ringhio possente e per niente umano, quasi felino.
« Che cosa vuoi? » chiese Lion, la voce fredda quanto quella di Elena. Caelie poteva quasi vedere le vene sul suo collo pulsare più velocemente, gonfiate dal terrore che si stava respirando in quella stanza.
Avrebbe solamente voluto correre tra le sue braccia, ma non poteva. In fondo, non erano nemmeno fidanzati, anche se lui l'attraeva parecchio.
« Voglio la morte, figlio di Plutone. » affermò, più seria che mai, mentre si alzava dalla sedia a dondolo su cui era seduta, « Voglio tornare agli Inferi. Sarò punita, ma non mi importa. Voglio fuggire da qui. »  
Adesso Caelie aveva davvero paura.
Sentiva il cuore pulsare come un martello contro il suo petto, le dita formicolare, strette intorno all'elsa della sua spada. Osservò le linee dei muscoli sulla maglietta di Lion, la forma caratteristica delle sue orecchie, la piccola imperfezione sulla parte sinistra del collo.
Avvampò di terrore e di vergogna.
« E perché non hai già provveduto da sola? » domandò lui, mettendosi tra Elena e Caelie stessa, cosa per cui lui lo ringraziò sottovoce. Elena abbozzò quello che doveva essere un sorriso, sbilenco e storto sul suo volto triste. Una nuova ruga si allungava sulla sua fronte, scavata dal dolore che stava provando.
« Gli dei sanno il fatto loro. » rispose, le parole dure come la pietra, « Non posso uccidermi da sola. Deve intervenire una mano semidivina, la vostra. » continuò, esaltando l'ultima parola, cosa che le diede l'aria di una pazza.
Caelie sentiva il sudore che la costringeva a perdere buona parte della presa sulla sua arma. Si maledisse silenziosamente per non aver indossato dei vestiti più comodi.
« E che cosa succederà, per via della tua condizione di ancora? » 
« Niente, le Porte si riformeranno negli Inferi e io sarò libera, tutto qui. » disse, atona, « Avanti, non vi sto chiedendo il tetto del mondo! Voglio solo morire, potete concedermelo? » 
Una goccia di sudore bagnò anche la fronte di Lion, facendogli battere le palpebre sugli occhi neri.
« E se non volessimo? » 
« Suppongo che i vostri amici moriranno. » 
Il sangue nelle vene di Caelie si gelò, dandole la sensazione che sarebbero morti tutti nel giro di pochi minuti. La minaccia della regina di Sparta perforò le sue orecchie come lapilli ardenti, facendole pensare a Cassie, a Castiel, Serena e Zheng che erano entrati con loro nella Villa Fauline.
« Il tempo scorre. » 
Lion le lanciò una rapida occhiata, scuotendo la testa, poi, prima che avesse il tempo minimo per reagire, venne sbalzato di lato da Elena che cominciò a correre verso di lei, puntandola come un proiettile fornito di raggio laser.
Caelie venne colta alla sprovvista, tanto che ebbe solo una frazione di secondo per abbassarsi e alzare la punta della spada, poco prima che qualcosa di pesante la costringesse a lasciare la presa sulla sua lama.
Urlò.
Elena era lì, il sangue che cominciava a scorrere dalla ferita che Caelie gli aveva involontariamente aperto sul petto, formando una sorta di gabbia cromata esattamente nel punto dove si trovava il cuore. La sua veste bianca mutò colore e divenne scarlatta, le lacrime, finalmente, finirono di bagnare il suo viso, mentre i suoi occhi azzurro ghiaccio si muovevano ad una velocità impressionante, saettando da un semidio all'altro.
Caelie era paralizzata dall'orrore.
Elena cadde a terra, tra il tonfo del suo corpo e l'alzarsi di un alone consistente di polvere. Tossì, sputando grumi di sangue condensato, mentre il suo petto si alzava ed abbassava velocemente, cercando di inspirare quanta più aria possibile.
Lion ebbe un moto di pietà e, avvicinandosi a lei, le strappò la spada dal petto, reggendo la lama insanguinata. Sul volto di Elena si allargò un sorriso, interrotto da un conato di sangue.
« Mi, mi ... dispiace. » ebbe la forza di dire, guardando nella direzione di Caelie, le mani portate alla bocca per soffocare un altro grido, « Non avrei mai voluto che tu diventassi la prossima. » 
Sussultò, come se qualcuno le avesse dato un pugno nello stomaco, poi reclinò la testa, lasciando che i suoi lunghi capelli biondi coprissero l'ultima ferita inferta sul suo corpo.
Lì, nella penombra di quella stanza, alla flebile luce della luna, Caelie si sentì un mostro, oltre che un'assassina. Lion le si fece incontro, una smorfia simile alla compassione che si faceva strada sul suo volto.
Non aveva mai ucciso una persona, si era limitata solo ai mostri. Invece, adesso, la sua spada era sporca del sangue di una donna, del sangue di Elena di Troia.
Lion pulì la lama sulla sua maglietta, macchiandola di sangue e, poi, timidamente, la cinse in un abbraccio, affondando la testa tra i suoi capelli. Caelie era così vicina al suo petto da poter sentire il suo forte odore di maschio, di muschio e di metallo.
Le sue orecchie, rosse per la vergogna, ascoltavano il tamburo del suo cuore battere forte, più forte del normale e, illudendosi, credette di essere lei la causa di quel ritmo accelerato. Le sue mani, mani forti di un guerriero, le stavano accarezzando la schiena, disegnandoci motivi astratti e complessi. Si aggrappò a lui come solo i bambini possono fare, facendo combaciare ogni singolo centimetro del suo corpo sul suo e sciogliendosi in un abbraccio forse troppo romantico per i gusti di Lion.
Lui la scostò leggermente, giusto quel tanto che bastava per poter osservare il suo viso e specchiare i suoi occhi scuri in quelli chiari di Caelie.
« Io ... io ... » 
« State tutti bene?! Oh. » 
Era la voce di Cassie. 
Caelie si scostò velocemente da lui, come se averlo abbracciato fosse più colpevole di aver appena ucciso una persona. Si sentiva cattiva, così cattiva per essere sicura di aver appena trovato l'amore in un campo di morte.
« Si, tutto ok. » rispose Lion, leggermente imbarazzato, porgendo la spada di bronzo alla figlia di Apate. Poi mosse un passo, coprendo con una tenda scura il corpo senza vita di Elena.
« Che cosa è successo? » domandò Castiel, reggendo un piccolo fagotto peloso tra le braccia, « Oh, non badate a Felix, sarà il nostro, ehm, mio animaletto da compagnia.  » spiegò, indicando il piccolo mostro che dormiva tra le sua braccia e dando una rapida occhiata alla figlia di Zeus.
Lion fece una smorfia.
« È una chimera? » domandò, leggermente preoccupato, « Non è pericolosa? » 
Castiel la strinse a sé con fare protettivo, come se fosse uno dei suoi figli, mentre Cassie prendeva a parlare con la sua parlantina sciolta  e dando origine ad una sorta di discorso elettorale in cui promuoveva i benefici di avere una piccola chimera in casa.
« Ok, ok. » la stoppò Lion, cercando di trattenere una risata, « Andiamo via da qui. » 
Uscirono tutti ordinatamente da Villa Fauline, lasciandosela alle spalle. Caelie si voltò a guardarla, immaginando che, in una di quelle stanze, riposava il corpo di Elena.
Una domanda, però, continuava a frullarle per la testa: che cosa significava « Non avrei mai voluto che tu diventassi la prossima. »? 
Migliaia di possibilità cominciarono a bombardare il suo cervello, costringendola a chiudere e ad aprire più volte il pugno della  mano, come a riprendere il possesso della sua volontà.
« Allora? » 
Cassie camminava vicina a lei, di poco dietro le spalle larghe di Castiel il quale stava giocherellando con il suo piccolo animaletto da compagnia. Zheng fece una smorfia poco entusiasta e accelerò, arrivando in testa dove Lion stava camminando in solitaria.
« Allora cosa, pettegola che non sei altro? » 
Caelie cercò di riprendere il controllo su di sé e sulle sue emozioni, continuandosi a ripetere che la morte di Elena non era stata una sua colpa.
« Allora tu e Lion, no? » scherzò, facendo un cuore con le dita della mano, « Love is in the air, aww. Mi sento tanto Afrodite, in questi momenti. » canticchiò, mentre le si allargava un sorriso da una parte all'altra del volto. Poi controllò il cielo, in attesa di un fulmine che non arrivò, purtroppo.
Caelie alzò le mani al cielo, mimando le parole "perché, perché Afrodite?", per poi darle una gomitata sul braccio, mentre Cassie scoppiava a ridere.
« E tu e Castiel? » propose lei, prendendo le redini del gioco e ammiccando nei confronti del figlio di Eros poco avanti. Lo stupore si agitò sul volto di Cassie, poco prima che la figlia di Zeus le mettesse una mano sulla bocca e le facesse segno di stare zitta.
« Lo vuoi dire a tutto il mondo? » 
Caelie soffocò una risata.
« Ovvio. » rispose, sorridendo, « Che c'è tra di voi? » 
Cassie allungò le braccia lungo il corpo, guardando i contorni delle spalle di Castiel con aria trasognata, segno evidente che era cotta a puntino.
« Non lo so. » disse, quasi sussurrando, « È complicato, credo. Lui a volte mi sembra così etero, a volte così omo, quindi non so se io possa piacergli davvero o sono solo un giocattolo, ecco. » 
Caelie guardò il figlio di Eros.
« Credi che sia gay? » le chiese, aggrottando le sopracciglia. Lei scosse la testa e, prima che potesse risponderle, si fermò, alzandosi sulle punte dei piedi per vedere cosa li aveva fatti fermare. Caelie la imitò, visto che non era molto alta, e osservò Lion che sgranava gli occhi e si portava le mani alla bocca, in segno di stupore.
"Che sta succedendo?"
« Impossibile. » 
La voce di Lion era un'accozzaglia di dolore e di gioia e Caelie colse al volo la sua allegria quando, all'angolo, apparve la figura di una ragazza dai corti capelli neri e gli occhi azzurri come il cielo di primavera.
« Robin, sei ... sei proprio tu? » 
Non poteva crederci, non poteva credere che Lion stesse per mettersi a piangere, ma non ebbe il tempo di constatarlo perché lui le corse incontro e si abbracciarono, dandosi piccole pacche di conforto sulla schiena.
« Robin, Robin scusami, davvero. » disse lui, piccole lacrime incandescenti che si facevano strada sul suo viso scuro, « Avrei, avrei dovuto essere con voi. Venirvi a liberare, ma ... » 
Lei sorrise e le si illuminò il volto.
« Va tutto bene, davvero Lion. » rispose, la voce delicata, « Sono qui adesso, sono viva. » 
Lion la guardò e i loro occhi si specchiarono.
« Sei fuggita? » 
Annuì, mentre il sorriso scorreva via dal suo volto, lasciando il posto alla preoccupazione e all'ansia. Si scostò alcune ciocche di capelli neri dalla fronte, rivelando alcuni lividi violacei che non avevano un bell'aspetto.
Anzi, più Caelie la guardava, più vedeva le crepe sul suo viso, il reticolo di vene il rilievo sul suo collo, il nervosismo dei suoi piedi.
« Ma ci sono ancora un sacco di semidei imprigionati lì. » disse, la voce incrinata dalla tristezza, « Dobbiamo aiutarli. » 
Gli occhi di Lion si accesero di una scintilla di determinazione e presto, molto presto, sarebbe scoppiato l'incendio.
« Certo. » si asciugò le lacrime con il dorso della mano, « Dove dobbiamo andare? » 
Robin sorrise.
« Cimitero Lafayette. » disse, « Quelle stronze sono  lì. » 



Il cuore di Lion sembrava quello di un leone durante una battuta di caccia.
L'adrenalina aveva preso a scorrere nelle sue vene, donandogli carica e forza, mentre si muoveva agilmente lungo le strade di New Orleans, seguendo i movimenti di Robin.
Stava ancora pensando a lui e Caelie, al loro abbraccio da far sciogliere il burro, che quasi gli era venuto un infarto quando aveva visto la figlia di Vittoria venire verso di lui. Era stato uno schok, soprattutto perché Lion la credeva a marcire in una prigione, torturata da Lilith e Nives.
Invece eccola lì, in tenuta nera da battaglia, la pelle nera che fasciava il suo corpo per donarle lucentezza e grazia.
Ci volle circa un quarto d'ora per arrivare da Villa Fauline fino al Cimitero Lafayette, da dove Robin era scappata poco prima approfittano della distrazione dei suoi carcerieri.
Lion sentiva il fuoco nelle sue vene e il sangue pulsare violentemente alla base del collo, mentre si fermava e dava fiato ai polmoni davanti all'ingresso monumentale del cimitero: delle lunghe aste di metallo terminavano con delle picche acuminate e, ad indicare il luogo di riposo, solo una piccola targa in ottone scolorita.
Robin aprì con una mano il cancello, la lama di bronzo che le avevano prestato brillava violentemente nelle sue mani, come se fosse rischiarata dalla fiaccola di sua madre. 
Lion si augurò che Vittoria fosse dalla loro parte.
Si infilarono agilmente tra gli stretti passaggi costruiti tra le varie cappelle, decorate con teschi e ossa. Il figlio di Plutone sperò che fossero finte, anche se ne dubitava altamente. Continuarono a muoversi furtivamente, evitando varie persone che non sapevano se essere mortali o mostri, raggiungendo una tomba che a Lion sembrava come tutte le altre.
Le pareti, all'esterno, mostravano pentagrammi e simboli runici, oltre che vari disegni rossi, probabilmente scritti col sangue di un animale sacrificato. Lion ricordava bene i cani e i vitelli scuri che aveva sognato e che venivano immolati da Nives, la strega dagli occhi profondi come il cosmo.
« Si entra da qui. » annunciò Robin con scarso entusiasmo, poi si portò un dito sulle labbra e cominciò a camminare cautamente, in modo tale che non scattassero eventuali trappole. Lion si scambiò uno sguardo con Zheng, le mani fasciate, gli occhi di ghiaccio e si immerse anche lui nell'aria macabra della cappella.
C'era un passaggio segreto.
Lion non lo aveva notato prima, ma Robin aveva trovato un piccolo dislivello sulla parete sinistra e, bagnando col suo sangue una piccola stella a cinque punte tracciata sul muro, il passaggio scattò, rivelando un corridoio buio e umido. Lion venne investito da un odore forte di carne in decomposizione e, soffocando un conato di vomito, si infilò dietro Robin in quel cunicolo stretto e puzzolente.
Sentì Serena, imprecare per essersi imbarcata in quell'impresa, mentre faticavano a muoversi agilmente come quando avevano attraversato il cimitero, prima. Ci volle un'eternità per uscire in uno spazio aperto, cosa che portò Lion a pensare che stesse cominciando a diventare claustrofobico.
Il figlio di Plutone boccheggiò, inspirando l'aria velenosa a pieni polmoni, poi, guardando che il passaggio proponeva un bivio, si voltò verso Robin e le sussurrò.
« Da che parte? » 
Lei prese la svolta a sinistra, anche se Lion avrebbe giurato di aver sentito delle urla da quella di destra. Infilò un passo dietro l'altro, il cappello tirato sui capelli in disordine, il forcone d'oro stretto tra le mani, Si scambiò uno sguardo complice con Caelie, come se condividessero il segreto più grande del mondo, quando per poco non cacciò un urlo di terrore.
« No. » 
Erano sbucati nella stessa sala del suo primo sogno, dove al centro di ergeva un altare nero, grande all'incirca la metà dell'altezza di Lion. Era decorato con immagini di morte e di persone agonizzanti, cosa che fece rizzare i peli delle braccia del figlio di Plutone.
Ma la cosa che più gli strinse il cuore in una morsa d'acciaio erano le due ragazze che si ergevano ai lati dell'altare stesso, una dalla chioma scura, l'altra bionda e con lo stesso sguardo di un boia.
« Tu ... tu ...  » 
Lion faticava a trovare le parole per insultare quella che era stata una delle sue amiche più care, giù al Campo Giove. Per un attimo ripensò al percorso che avevano fatto, alle espressioni del volto di Robin, alle urla dei prigionieri che aveva sentito al bivio del passaggio segreto.
« Ci hai traditi. » 
Robin abbassò lo sguardo, mesta. « Non è come credi, Lion. » 
« Non credo più alle tue bugie. » 
Stava per dirle qualcosa di peggio, ma venne interrotto dall'applauso teatrale messo in scena da Nives, gli occhi scuri che lo guardavano come se fosse il risultato di un esperimento di laboratorio.
« Oh, che cosa commuovente, non trovi Lilith?  » chiese, portandosi le mani giunte al volto e facendo un'espressione trasognata. La bionda sorrise, uno di quei sorrisi in cui non vorresti mai imbatterti.
« Ve li ho portati, ho fatto la mia parte. » sostenne Robin, abbassando la lama verso il basso con costernazione, prima di rivolgere a Lion uno sguardo addolorato.
« Ci hai offerto come carne da macello. » sputò Lion, il veleno intriso nelle sue parole, « Io mi fidavo di te, Robin. » 
Lei, in tutta risposta, passò dal loro lato a quello delle due streghe, facendo fare capriole di terrore al cuore di Lion.
« Codarda. » 
Silenzio.
« Non mi sembra un granché. » constatò Nives, avvicinandosi con Lilith verso di loro, lo sguardo fisso sul figlio di Plutone, « A te no? »
Lilith rise, della stessa risata di Piritoo e, nel momento stesso in cui si piegò in due dalle risate, Lion ne approfittò per sferrarle un calcio in pieno viso. Poi fu il dolore, un colpo sferrato alla perfezione lo colpì al mento, lo stesso con cui aveva attaccato la bionda Lilith che si rialzò, senza nemmeno una smorfia, anzi, con una sorta di sorrisetto macabro dipinto sulle labbra.
« Credo che sia più interessante di quanto pensiamo, Nivs. » le rispose, avvicinandosi a lui con la sua veste a ragnatela che lasciava intravedere le sue lunghe gambe, il biondo dei suoi capelli che rapiva lo sguardo del figlio di Plutone, « Vodoo, semidio. » spiegò, facendo apparire nelle sue mani una bambolina rappresentate Lion in versione più piccola, compresa di cappello.
« Vodoo? » chiese, confuso.
Nives rise, deliziata dalla confusione che albergava sul suo volto. « Sono certa che ti piacerebbe conoscere uno o due trucchetti, ma siamo spiacenti. » disse, i denti luminosi come stelle, « Sei qui perché devi fare una cosa per noi, semidio. »
Lion sputò a terra, proprio mentre la sua bocca si serrava, chiusa con una magia che nemmeno Plutone conosceva. 
« Ascolta. » gli ordinò Lilith, l'unghia smaltata di nero posta sulla bocca della bambola-Lion, poi torse il collo del pupazzetto e la testa di Lion girò di novanta gradi verso Nives.
« Devi trovare l'ultimo cuore battente rimasto, semidio, e portarcelo. » spiegò la mora, i capelli scuri come l'ombra che li circondava, « Niente, scherzi. Abbiamo preso le nostre precauzioni. »
Lion era incapace di parlare, non sapeva se per propria volontà oppure perché Lilith stava giocando con la sua bambola vodoo. I suoi occhi rimbalzarono veloci da una ragazza all'altra, fino ad incontrare i contorni del viso di Robin, sepolti sotto il passamontagna.
« Cos è, un ricatto? » esclamò Lion, tenendosi la mascella dolorante. Nives sorrise e dei brividi freddi corsero lungo la sua schiena.
« Diciamo più un patto. » rispose lei, « Trova l'ultimo cuore battente rimasto e noi saremo clementi con te e i tuoi amici. » 
« Che cosa mi dovrebbe spingere a valutare la vostra offerta? » chiese, incerto, « Nei patti viene sempre offerto qualcosa in cambio. »
Lilith sorrise.
« E tu avrai qualcosa, in cambio. » promise, sfiorandogli il braccio con la sua gonna, « Esaudiremo un tuo desiderio, ciò che il tuo cuore desidera. »
Lion ci pensò, guardando disgustato il volto di Nives che annuiva a ciò che aveva appena detto Lilith. Per quanto potesse essere allettante, quel patto, era comunque pericoloso e Lion sapeva benissimo che quel cuore avrebbe avuto a che fare con la venuta di Tartaro.
« E se mi rifiutassi? » domandò, « Se non volessi trovare questo fantomatico oggetto di cui stiamo parlando? »
Nives fece spallucce, scrollando le spalle e facendo tintinnare i bracciali d'oro che portava ai polsi. 
« Dovrai farlo, semidio. » sussurrò, come se gli stesse rivelando un segreto, « Abbiamo legato la vita di Robin a quella dei tuoi compagni di avventura. »
Lion ingoiò il groppo che si era formato in gola.
« È per questo che vi ha traditi. » sussurrò, lisciva, « Per salvarti dal dolore che, altrimenti, ti avrebbe consumato. »
Nives schioccò le dita e i suoi occhi si accesero di un violento fuoco bluastro. 
Corde e cordami serpeggiarono fra le gambe della strega, ignorando Lion e scorrendo velocemente oltre di lui. Non fu abbastanza sveglio da capire quello che stava succedendo: le corde si erano strette intorno al collo dei suoi compagni, formando dei cappi spessi che gli impedivano quasi di respirare, una lama di ferro nero puntata contro il collo della figlia di Vittoria.
« Io ... »
« Mi basta stringere le corde ancora un po' e saranno morti prima che tu possa alzare un solo dito. »
Lion la guardò, uno sguardo supplicante quanto quello di un cucciolo di cane abbandonato sul ciglio della strada. Il volto di Nives era una maschera di ghiaccio, così come quello della bionda che le stava affianco.
« Accetta il nostro patto. » si affrettò a dire Lilith, stringendo la bambolina di pezza, che lo ritraeva con estrema cura, come se fosse di porcellana, « O guarda i tuoi amici morire. »
Si sentì come se lo stessero forzando a bere dell'acido di una batteria.
« Va bene, lo farò. » esclamò lui, mentre le due si allontanavano dalla cella in cui erano rinchiusi, « Ma dovete sciogliere il legame, lasciare andare gli altri. Loro non centrano. » affermò, incontrando il volto freddo di Lilith.
Ma, sorprendentemente, fu Nives a rispondere.
« Non sei nella posizione di trattare, semidio. » tagliò corto lei, allontanandosi e lasciando sola Lilith e la sua bambola vodoo, battendo i tacchi sul liscio pavimento di marmo.
« Dovresti evitare di sentirti il centro del mondo, Lion. » 
Era compassione quella che leggeva nella sua voce? 
« Hai tempo fino all'alba. » 
Poi, prima che il figlio di Plutone potesse fare qualcosa, avvicinò la testa di paglia della bambola su una fiamma e questa prese a bruciare. 
Lion cominciò ad urlare, piegandosi in due dal dolore, cadendo con le ginocchia a terra. Dando un'ultima occhiata ai volti spaventati dei suoi compagni, urlò, chiudendo gli occhi.




 
Notes: il motto latino significa "Le leggi sono mute in mezzo alle armi" e credo che mai motto sia stato più azzeccato di questo :)
 

#King'sCorner

Ok, ok, l'aggiornamento era previsto per ieri, ma ho avuto dei contrattempi e ho rimandato ad oggi! Ringraziate che io mi sia svegliato così presto per deliziarvi di un nuovo, emozionante (?) capitolo :3
Beh, le cose iniziano a farsi davvero serie, per i nostri eroi uu
Abbiamo scoperto quasi subito chi fosse la donna piangente, ovvero Elena di Troia :') Boh, io l'ho immaginata così e la storia che Menelao la violentava è completamente frutto della mia mente malata in quanto non se ne parla nei libri antichi c: Cioè, nell'Odissea Omero ce li descrive come felici, ma io non ci credo, tutto qui ewe
E poi la Calion ♥
Amatemi per questa ship, davvero AHAHAHAHAHAHAH Abbiamo visto come si sono avvinghiati l'uno all'altro dopo che Caelie ha ucciso Elena e notato come ad entrambi piaccia *poker face* quindi aspettatevi momenti più dolci del miele (?)
Robin c.c
Ha tradito, certo, ma lo ha fatto per salvare Lion, quindi perdoniamola, ok? Ora che Lilith e Nives si sono messe in mezzo, si inizia a giocare c: Che cosa sarà mai quest'ultimo cuore battente
Ho cercato di rendere al meglio la loro cattiveria e bastardaggine e spero di esserci riuscito :) E poi il voodoo! *^* Dei, dovevo metterlo, anche solo perchè guardo American Horror Story xD  era indispensabile uu
Beh, non mi resta che ringraziarvi e sperare che lasciate una piccola recensione :') Siete davvero meravigliosi ♥ (la dovrei finire di spargere cuori a destra e a manca AHAHAHAHAHAHHAHAHA)


King. che vi avverte che il prossimo capitolo potrebbe arrivare anche prima della prossima settimana shhh



 
 

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Capitolo 10
*** Battito Animale ***




 
10. Battito Animale
In preatoriis leones, in castris lepres.
 
Lion urlò.
Era rannicchiato su sé stesso, le mani portate alle orecchie come per fermare il ronzio che si era acceso in esse. I suoi occhi erano chiusi, cuciti alla pelle da una mano invisibile, mentre il suo cuore continuava a martellare contro il petto, tamburo instancabile che lo teneva ancorato alla vita.
« Ti sente bene? » domandò una voce, anziana.
Lion aprì gli occhi, le vene sul polso che gli facevano male come se stesse scorrendo acido. Alzò lo sguardo sulla figura di una signora dai capelli candidi e il volto solcato da rughe, gli occhi gentili e preoccupati. Stringeva tra le mani un mazzo di fiori dai più svariati colori e una borsa pezzata le pendeva dalla spalla.
« Come scusi? » chiese, un cerchio violento che gli roteava intorno alla testa, costringendolo a mettersi pancia all'aria, rivolgendo i suoi occhi al cielo scuro per via della sera. 
L'anziana donna lo guardò con imbarazzo.
« Ti ho chiesto se stai bene, ragazzo. » ripeté, la voce caratterizzata da una nota di preoccupazione. Lion osservò il cielo, passandosi una mano nei capelli disordinati che gli ricaddero davanti agli occhi. Avrebbe dovuto tagliarli, prima o poi, ma adesso aveva altro a cui pensare.
Robin era stata presa in ostaggio, Cassie e Castiel potevano morire da un momento all'altro, Zheng anche. E poi Caelie, quella a cui avrebbe dovuto rivelare i suoi sentimenti, se mai ne avesse avuto il coraggio. La voce di Elena, triste e piangente, le risuonò nelle orecchie, più come una preghiera di sofferenza che come  monito.
« Che colpa ne avevo io, sventurata mortale, caduta completamente in balia della furia di Eros? » 
Si spolverò al meglio la maglietta macchiata del suo sangue, toccandosi leggermente la crosta che si era formata sulla spalla, là dove Alexis lo aveva medicato.
Alexis.
L'avrebbe riportata indietro, certo, anche se non sapeva come. Un'ondata di dolore e rabbia si abbatté su di lui, la sua voce interiore che lo istigava a farla finita, che continuava a dirgli che tutti sarebbero stati meglio senza di lui.
Ed era vero, anche se Lion non voleva ammetterlo.
Per un attimo, tutto lo sconforto e la frustrazione che aveva accumulato durante il corso di quella dura impresa si riversò su di lui, intorpidendo tutte le cellule del suo corpo, spazzando via la sua forza di volontà come se nulla fosse.
Era completamente in balia dei suoi sentimenti.
Eppure, anche se era finito in un tunnel buio e pericoloso, poteva vedere una luce, alla fine di esso, un minuscolo, piccolo barlume di speranza che riprese a gonfiare il suo petto, lasciando fluire tutte le emozioni negative che lo avevano colto.
« Insomma, devo chiamare un'ambulanza? » scalpitò la voce della donna, mentre si abbassava il mazzo di fiori e portava un mano alla tasca dove si poteva vedere il rigonfiamento di un cellulare. Lion scattò a sedere, tra lo sconcerto e lo stupore dell'anziana, poi si rimise in piedi, appiattendo i capelli sotto il cappello che gli aveva regalato suo padre.
Il nome di Plutone aleggiava nell'aria, in quel cimitero, rendendo l'atmosfera più tetra e macabra, ma allo stesso tempo rassicurante e familiare, come se Lion avesse passato la sua vita a crescere in un luogo di morte e distruzione.
Cosa che, in parte, era vera.
« No, no! » si affrettò a dire, facendole abbassare le braccia ed imbastendo un sorriso per non farle pensare di aver appena incontrato un maniaco sessuale, « Mi sento benissimo, grazie per essersi interessata. » 
E corse via, notando come aveva perso tempo.
Le strade del quartiere francese si avvicendavano una dopo l'altra, una esattamente la replica di quella precedente. Lion riuscì a distinguerle solo grazie ai cartelli posizionati sui marciapiedi caratteristici.
Accarezzò pensieroso la testa di un cavallo di metallo ai bordi di Bourbon Street a cui se ne susseguivano molte altre, come a creare un esercito di puledri imbizzarriti. Diverse carrozze tentarono di falciarlo in pieno, mentre i conducenti vestiti in maniera moderna gli gridavano insulti e creavano un'accozzaglia di culture ed epoche nelle vie in festa della città.
Si sentì a disagio.
La gente per strada ballava e suonava, i suoni delle trombe erano squillanti e cristallini. Per un momento li invidiò, quei mortali, così sicuri che nulla di sovrannaturale potesse colpirli, nemmeno nella città più magica e misteriosa degli Stati Uniti d'America.
« Devi trovare l'ultimo cuore battente rimasto. »
Che diavolo era un cuore battente? Non ce l'avevano tutti sul lato sinistro della gabbia toracica? 
Per quanto Lion cercasse una spiegazione, non riusciva a darsi una risposta e, per il momento, era rassicurante, visto che quel cuore aveva sicuramente a che fare con la rinascita di Tartaro.
E lui lo stava anche aiutando.
Ma non poteva lasciare morire i suoi amici, era sicuro di non poter condividere con il senso di colpa che gli bruciava nelle vene, che lo consumava poco a poco, spingendolo a chiedersi se lui avesse potuto evitarlo. Quindi, per adesso, assecondare le richieste di Lilith e Nives era la cosa più ragionevole da fare.
E Lion si era sempre reputato una persona ragionevole.
Si unì al corteo in festa per Bourbon Street, lasciandosi toccare da migliaia di mani e cercando di individuare questo fantomatico cuore battente. Incontrò gli occhi di un uomo di colore che lo guardò divertito, quelli di una donna completamente euforica per via dell'alcol che aveva bevuto e un paio di occhi che gli avrebbero fatto rizzare i capelli sulla testa, se non fosse stato per il copricapo che indossava.
Uno spirito, biancheggiante alla luce della luna, lo aveva afferrato per un braccio, attirando la sua attenzione, per poi scomparire e riapparire qualche metro più in là, un'espressione imperscrutabile sul suo volto incorporeo.
« Vuole che io lo segua. » osservò ad alta voce, ottenendo un'occhiata confusa di un ragazzo che gli stava di fianco, i capelli ricci e scuri, gli occhi sospettosi come quelli di un evaso. 
Aveva tanto l'aria di essere una trappola, ma aveva poche ore per scovare ciò che gli era stato chiesto e non poteva disdegnare gli aiuti che gli venivano mandati. 
Dopotutto erano a New Orleans, la città della magia.
Lion guardò il ragazzo, per un attimo, alzando poco dopo le mani in alto per scusarsi ed uscendo velocemente dalla fiumana di gente che affollava la strada.
L'anello che portava al dito sembrò scintillare più violentemente, mentre si avvicinava allo spettro, una luce violacea che illuminava la pietra di ossidiana montata sull'oro. Era un cattivo segno, ma Lion non ci diede peso, cominciando a correre come un lupo quando lo spirito scompariva e riappariva poco lontano per indicargli la strada.
Boccheggiò.
Aveva i polmoni in fiamme e il fiato gli bruciava la gola come se fosse incandescente. Era sudato, gocce di sudore imperlavano la sua maglietta sotto le ascelle e al centro del petto, lasciandogli chiazze evidenti di fatica, oltre che un odore maleodorante.
Non si era nemmeno accorto che lo spettro lo stava guidando fuori dal centro della città, allontanandolo da Bourbon Strett, il cimitero Lafayette e conducendolo verso la periferia. I brividi cominciarono a correre lungo la schiena del figlio di Plutone, mentre la sua mente cominciava a correre, ricordando alla perfezione quella strada, le insegne rotte e lo stato di degrado in cui quel luogo versava.
A rendere il tutto ancora più inquietante fu un gatto, un gatto randagio che si assiepò ai suoi piedi e miagolò implorante, facendolo sussultare: adesso ne era sicuro, era già stato lì, o almeno, lo aveva visitato durante i suoi sogni. 
BETSY.
Quelle cinque lettere lo misero in agitazione, mentre tutti le singole tessere cominciavano a tornare al loro posto, a formare il disegno di quello che era un puzzle che nemmeno lui poteva controllare. 
Federica e Charlie.
C'era un motivo per cui i sogni avevano deciso di mostrargli proprio quei due semidei fra le migliaia che affollavano il mondo. Le parole delle due streghe risuonarono nelle sue orecchie, mentre visioni di sangue e tortura scorrevano davanti ai suoi occhi come macabri flash, lasciandolo deglutire un groppo che gli era salito su per la gola.
Avrebbe dovuto ucciderli?
In fondo, Nives gli aveva detto di trovare l'ultimo cuore battente rimasto, non di squarciare il petto di una persona e tirarglielo fuori con la forza. Lion immaginò sé stesso affondare la mano nel petto di uno di quei due ragazzi, cosa che lo fece sobbalzare.
Il miagolio insistente del gatto lo riportò alla realtà, facendolo voltare, la brutta sensazione di essere stato seguito. Lo spirito era ancora lì e lo guardava senza alcuna espressione, i contorni del suo corpo che si sfumavano appena ebbe raggiunto una porta di legno.
Era solo, adesso, se non contava il gatto che si stava strusciando affettuosamente vicino alle sue gambe.
« Non ora, palla di pelo. » borbottò, scostando delicatamente il gattino dal manto rossastro, « C'è un cuore da trovare. » 
Cominciò a camminare in maniera spedita, facendo scattare il forcone nella sua mano destra. Guardò il cielo scuro sulla sua testa, le stelle che si facevano timidamente più luminose, prima di infilarsi furtivamente nella casa di quei due semidei.
Silenzio.
O meglio, Lion non sentiva niente, se non alcuni cigolii al piano superiore. Avanzò lentamente, con la luce della sua arma come unica fonte flebile di lue.
Era arrivato, aveva trovato il cuore, ora doveva solo prenderlo.
In fondo aveva affrontato di peggio, quindi perché il cuore gli batteva così forte nel petto, martellandolo come se volesse uscirne fuori senza un motivo apparente? Ripensò all'incubo in cui Caelie stringeva il suo cuore come un macabro trofeo e rabbrividì, portandosi una mano al petto con fare protettivo.
I suoi occhi scuri, ormai abituati alla luce, riuscirono a distinguere i contorni delle scale di legno che aveva già visto nel suo sogno, fatto grazie al quale riusciva a muoversi agilmente all'interno della casa. 
A volte ancora si stupiva di quanto la sua mente fosse fotografica, forse per via della loro predisposizione alla strategia e alla guerra.
"Che vita triste." gli sussurrò una voce nella testa, "Continuate a cadere, a morire, non ne avete abbastanza?"
Lion si voltò, sospettando che fosse un dio a mormoragli dolci parole per distoglierlo dalla sua missione, qualcuno che lo stava guardando dall'Olimpo.
Mimò con la bocca "Smettila, chiunque tu sia." e cominciò a salire la scala senza fare rumore. Osservò la sua ombra proiettarsi sul muro, il cappello a cilindro che indossava che lo faceva sembrare un gentiluomo dell'Ottocento. 
Rabbrividì al solo pensiero.
Infilò un passo dopo l'altro, meccanicamente, affinando tutti i sensi a sua disposizione. Le voci provenivano da quella che doveva essere la camera da letto e la cosa non fece altro che stringere ancora di più il cuore di Lion in una morsa di tristezza.
"È solo istinto di sopravvivenza, solo sopravvivenza." continuava a ripetersi, mettendo a tacere le voci che sussurravano alle sue orecchie per quello che stava per fare. Si avvicinò alla porta, stringendo l'asta del forcone così forte che gli sbiancarono le nocche. 
Sentì il rumore delle lenzuola e le dolci parole d'amore sussurrate da lei a lui, i loro baci sulla pelle e le loro timide carezze. Si sentiva terribilmente in colpa per doverli separare, per lasciare a metà quella che sarebbe stata la notte più quella della loro vita.
E la peggiore di Lion.
Poggiò una mano sul pomello della porta, quando urlò di dolore, mandando al diavolo la sua copertura: un laccio di corde, terminante con una punta affilata di metallo, si era stretta intorno al suo polso sinistro e, adesso, faceva un male cane.
Il ragazzo che aveva visto in mezzo alla folla, quello dai ricci castani la strattonò, lasciando che gli uncini sulla punta scavassero nella sua pelle. Lion gli rivolse la sua occhiataccia peggiore, plasmando le ombre in una onda d'urto che lasciò cadere il ragazzo all'indietro, accompagnando il movimento delle tenebre con il forcone d'oro imperiale.
Si liberò dalla frusta, imprecando in latino.
I due ragazzi si erano svegliati e, adesso, erano nel panico più totale: il ragazzo, Charlie, aveva aperto la porta, il petto liscio e nudo seguito da un paio di jeans messi alla rinfusa, una spada, dalle lettere greche incise sulla lama, brillava tra le sue mani. Accanto a lui, in un'espressione leggermente confusa, ma altrettanto determinata, si ergeva la ragazza dai capelli rossi che aveva visto in sogno.
Federica, non c'era dubbio.
« Hic, che diavolo ci fai qui? » urlò il biondo, attaccando Lion con una velocità inaudita. Il figlio di Plutone parò con l'asta del forcone, rispedendolo indietro con un calcio sferrato al ventre.
Anni ed anni di addestramento militare a Nuova Roma stavano dando i loro frutti.
Il riccio si era alzato più velocemente di quanto Lion avesse pensato, dando il tempo necessario a Federica per brandire un'arma e corrergli incontro, attaccandolo su tutti i fronti.
« Vi salvo il culo, ovvio. » sbraitò, sovrastando il rumore della battaglia e facendo saettare la sua frusta per la stanza con maestria. Allacciò il forcone e lo strattonò via, allontanandolo dal figlio di Plutone, rimasto, così, solo ed indifeso.
« Ora spiegaci che diavolo vuoi da noi. » gli intimò Charlie, puntando contro il suo petto la sua lama di bronzo celeste. Federica gli era accanto, gli occhi cerchiati di ombretto ed eyeliner.
Prima che potesse spicciare una parola, Lion toccò la punta della spada con le dita e questa cambiò colore, fino a diventare nera e pesante, cosa che indusse il biondo a lasciarla cadere a terra, in modo tale che Lion potesse facilmente scostarla con un piede e mandarla giù per le scale.
Il figlio di Plutone si mosse velocemente, venendo vagamente sfiorato dalla frusta di Hic: cominciò ad alzarsi il vento, anche se Lion non vedeva porte aperte e, proprio davanti a lui, esplose un muro d'acqua che lo catapultò sul pianerottolo di sotto.
La furia cieca gonfiava il petto di Lion, quando Hic gli sferzò il petto con la sua arma, lasciando che il sangue scorrere. Il figlio di Plutone urlò, un urlo primitivo, carico di rabbia e dolore. 
E la terra rispose al suo comando.
Il simbolo di suo padre si illuminò di una luce sinistra, mentre scintille rossastre cadevano dal soffitto verso il basso. La terra tremò, sputando fuori metalli e pietre preziose contro i tre semidei: Charlie cercava di fare da scudo alla sua ragazza, mentre Hic agitava la frusta tanto velocemente da bloccare i colpi a lui diretti.
« VATTENE VIA! » urlò Federica, i capelli rossi che le si sollevavano sulla testa, mossi dal vento agitato da Hic, poco prima che Lion venisse intrappolato da una palla d'acqua grande quanto la sua altezza.
I suoi polmoni si riempirono di liquido, mentre faticava a respirava e cercava di liberarsi, con le forze rimaste. Federica era in piedi davanti a lei, seguita da Charlie che aveva ripreso la sua spada, tornata alla normalità.
Stava affogando.
Sentiva la mano fredda della morte toccargli la spalla, il palmo che gli porgeva per accompagnare la sua anima nel regno degli Inferi. Ma lui non voleva morire, lui non voleva andarsene adesso che tutti avevano bisogno di lui.
Suo padre lo aveva avvertito di stare lontano dalla magia oscura, di non provare ancora ad invocare la potenza delle Arti Infernali, ma a mali estremi, estremi rimedi.
E fu allora che successe.
Sentì i suoi occhi illuminarsi di rosso, come se al loro interno contenessero le fiamme dei Campi della Pena, poi un formicolio insistente sulle braccia e il successivo reticolo oscuro delle sue vene, cosa che lo rese potente oltre ogni misura.
Stava attingendo a quel potere, all'ultimo, estremo potere degli Inferi, morte e ricchezza che si agitavano nelle sue mani, rispondendo al suo comando.
L'acqua intorno a lui diventò nera, colorata dal suo dolore, trasformata, poi, in un blocco ghiaccio scuro dalla sua volontà. E infine la rabbia, quella che gonfiava il suo petto, la furia cieca che aveva fatto impostato un solo ordine a tutte le cellule del suo corpo.
Distruzione.
La sfera di ghiaccio esplose, lasciando cadere Lion a terra e mandando gambe all'aria i suoi nemici con una potente onda d'urto. Tossicchiò, mentre il potere di suo padre lo abbandonava progressivamente e lui quasi si sdraiò a terra, per recuperare le forze.
Charlie era svenuto in un angolo del pianerottolo, Federica giaceva poco lontano, accanto ad Hic, la frusta che gli si era attorcigliata intorno ad una gamba. Tutto intorno a lui le pareti erano esplose ed il pianerottolo era disseminato di schegge ed acqua torbida, dello stesso colore del fango.
Aveva quasi distrutto mezza casa, in preda al furore delle Arti Infernali, però era riuscito nel suo intento.
Raccolse il forcone da terra, camminando con la schiena curva come un anziano a cui faceva  male la schiena. Si avvicinò a Charlie, le palpebre chiuse sui suoi occhi chiari, chiedendosi se fosse lui l'ultimo cuore battente.
Poi fece lo stesso con Hic e, infine, con Federica: quando le fu accanto, l'anello e il simbolo di suo padre presero a pulsare violentemente, come dei pezzettini di ferro reagiscono all'attrazione di una calamita.
Era lei, lei era l'ultimo cuore battente.
« Scusami. » le sussurrò, non prima di aver legato i suoi due amici ed aver faticato a trasportarla in braccio, quasi inciampando tra le schegge di vetro che affollavano il resto della casa. A quanto pareva, aveva fatto esplodere tutte le finestre della casa.
Appena mise piede fuori dal Besty, il nome che aveva affibbiato a quel luogo maledetto, si ritrovò davanti il gatto randagio che lo aveva aspettato pazientemente fuori dalla porta, forse sperando che gli portasse qualcosa da mangiare.
Lion lo guardò, osservando le sue pupille a fessura nere in contrasto con il giallo dell'occhio.
« Non molli mai, eh? » gli chiese, cominciando a camminare, sputando dei capelli di Federica che gli erano finiti in bocca. Sembrava una bella addormentata, i capelli riversi verso il basso, come in una cascata di fiamme, il volto disteso e morbido, come se stesse dormendo, appunto.
Il senso di colpa strinse il cuore di Lion, accartocciandolo come un pezzo di carta.
Arrivò al cimitero Lafayette con la stessa facilità con cui aveva lasciato il centro di New Orleans, visto che ogni strada, ogni via e passaggio, adesso, erano ben schematizzati nella sua testa. Federica sembrò dare segni di ripresa non appena oltrepassarono il cancello del cimitero, il respiro che si faceva via via più affannato, il petto che si alzava ed abbassava con foga.
L'aveva tenuta in braccio così tanto che gli si erano indolenzite le braccia ed ogni singola cellula del suo corpo urlava fatica e disappunto. La cappella maledetta era lì, davanti a lui, il cielo che andava progressivamente schiarendosi, passando dal buio della notte alla luce rosea dell'alba.
Vetrate colorate a mosaico, che prima non aveva visto, impreziosivano l'ingresso della cappella, rappresentando l'immagine di una serie di uomini che si gettavano da un baratro a braccia aperte, cosa che fece rabbrividire Lion: chi andava volontariamente verso la propria morte?
Solo un pazzo, ecco.
Mosse un passo, poi un altro, venendo investito dal puzzo di morte e decomposizione non appena fece scattare il passaggio segreto con il suo sangue. La stella a cinque punte tracciata sul muro scintillò con forza, prima che il cunicolo si aprisse, come una sorta di marchio nero.
Lion digrignò i denti per la fatica, continuando a sorreggere il corpo senza sensi di Federica, i capelli rossi che gli solleticavano i polsi, dandogli una fastidiosa sensazione di prurito. Erano quasi arrivati, pochi metri e poteva liberare i suoi amici dal legame che le due streghe avevano stretto per convincerlo a fare qualcosa di cui si sarebbe pentito.
Il bivio, il tunnel scuro rischiarato solo da occasionali torce di fuoco greco e poi, finalmente, l'enorme sala  con l'altare nero. Il volto di Caelie si illuminò quando lo vide arrivare, anche se il corpo della ragazza tra le braccia la fece rabbrividire dalla paura.
Cassie e Castiel erano vicini, le mani strette come solo due innamorati possono fare. E poi c'erano Zheng e Serena, i due che si tenevano in disparte, come a non volersi mischiare agli altri. Robin sedeva solitaria su un piccolo masso di pietra, la testa piegata tra le ginocchia, le lacrime che solcavano il suo viso.
Vederla in quello stato fece scattare un moto di compassione in Lion.
Quasi sperava che Lilith e Nives non ci fossero, invece erano lì, l'una seduta sull'altare di pietra con grazia, l'altra in piedi, la veste a ragnatela che lasciava intravedere i centimetri della sua pelle pallida, come se avesse fatto dei bagni nel latte d'asina.
« Lion Davis. » sussurrò Nives, i capelli scuri le ricadevano su una spalla come una cascata d'ombra, « Hai mai pensato di passare al lato oscuro? Saresti un ottimo alleato. » sostenne, alzandosi in piedi e, con la velocità di una gazzella, gli fu accanto, per studiare i contorni del viso di Federica che Lion aveva deposto a terra.
« L'ultimo cuore battente, Lilith. » esclamò, trepidante, il cuore che le batteva violentemente nel petto, gli occhi illuminati da una luce folle, « È nostro. »
La chioma bionda di Lilith si contorse come un nido di serpenti, poi iniziò a cantilenare in greco, parlando di morte, vita e di un legame che andava spezzato. Nell'aria si sentì un odore di bruciato, poi un violento snap, come il suono di una pietra spezzata.
« Il legame è spezzato, figlio di Plutone. » disse, la voce atona, muovendo un passo verso di lui, aggraziata come una dea, « Noi manteniamo sempre le nostre promesse. »
Lion guardò i suoi amici ed ebbe un attimo, un unico attimo prima che Caelie gli saltasse addosso e lo baciasse.
Fu la cosa più strana che fosse successa.
Le labbra della figlia di Apate erano premute sulle sue e sapevano di cupcake alla fragola. Sentì avvampare le orecchie, lambite da una sorta di fuoco interiore, le guance arrossarsi per la timidezza, mentre si abbandonava al bacio e si lasciava andare, mettendole le mani tra i capelli scuri, tirandola verso di sé.
Sentiva lo sguardo di tutti addosso, ma non gli importava.
Gli sembrò che le ossa gli si sciogliessero in burro, così come il resto del corpo, finché non si sentì andare completamente in fiamme, il cervello in pappa, il cuore euforico, un tamburo isterico che batteva contro il suo petto.
« Ah. » sospirò Nives, gli occhi più brillanti dello stesso cosmo, « Amor vincit omnia, vero? » domandò, spostando il corpo di Federica sull'altare nero, grazie anche all'aiuto di Lilith.
Le loro labbra si staccarono e Caelie lo guardò negli occhi, dicendogli più cose di quanto avrebbe potuto mai fare a parole. Lion fece intrecciare le loro dita, mentre euforia, gioia ed amore gonfiavano il suo petto, rendere la sua iperattività ancora più accelerata.
« Et nos cedamus amori. » continuò Lion, riprendendo uno dei versi più celebri della letteratura romana, continuando a sostenere lo sguardo di Caelie, incapace di interrompere il contatto. Intravise il volto felice di Cassie, la smorfia gioiosa sul volto di Castiel e quello di Serena, intenta a scambiare qualche parola con Zheng, completamente indifferente a quello che stava succedendo.
Poi qualcuno gli mise una mano sulla spalla, costringendolo a voltarsi. Prima che potesse reagire, Lilith si sporse verso di lui, baciandolo esattamente allo stesso modo di Caelie, le palpebre calate sugli occhi, la lingua che cercava la sua, la terra che sembrava sfilarsi sotto i suoi piedi.
Lion cercò di combatterla, ma la stretta che aveva sulla sua maglietta era di ferro, cosa alquanto strana per una ragazza. Alla fine si fermò, scostandosi con un sorriso divertito.
« Qual è stato il migliore, il mio o quello della tua amichetta? » chiese, giusto per mettere zizzania, spostando lo sguardo da un figlio di Plutone alquanto sconcertato ad una figlia di Apate arrossita per la rabbia e la vergogna.
Lion cercò di risponderle a tono, ma scoprì che entrambi i baci che aveva ricevuto gli avevano scombussolato il suo fragile sistema interno, cosa che lo portò a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua.
« La tua espressione dice tutto, Lion. » ridacchio Lilith, spostandosi e avvicinandosi all'altare dove Nives stava preparando l'occorrente per un oscuro rituale, « Sai, a volte l'amore può essere così fragile. » continuò, divertita, sibilando come un serpente.
Lion era in una sorta di stato di trance dal quale faceva fatica a svegliarsi. Incontrò la mano di Caelie alla sua destra e il suo sguardo determinato, ma anche timido allo stesso tempo, gli diede la forza di reagire.
« Ho fatto la mia metà, streghe. » disse, pronunciando quell'ultima parola come se fosse veleno, « Ora voglio che rispettiate il patto. »
Le torce alle spalle di Nives scintillarono con più forza, come se qualcuno ci avesse appena gettato dentro dell'alcol. I suoi occhi si accesero dello stesso colore delle fiamme, due tizzoni ardenti su una maschera di ghiaccio.
« E cosa vuoi, Lion Davis? » chiese, la voce calma e pericolosa. Lio sentì la terra tremare sotto i suoi piedi, scossa da un grido per niente umano. « Cos è che il tuo cuore desidera di più, adesso? »
Lion guardò i suoi amici, domandandosi cosa effettivamente avrebbe chiesto alle due streghe. 
Il sorriso sadico di Lilith era disarmante, mentre lei aveva evocato un serpente e ci stava giocando, come se non maneggiasse altro in tutta la sua vita. L'aspide nero si arrottola liscivo sulle sue braccia, cingendo la sua vita come una cintura, mente lei gli teneva la testa, la lingua biforcuta come quella del serpente.
« Allora, Lion Davis? » domandò ancora Nives, scostando una ciocca dei capelli rossi di Federica dal viso addormentato, « Non possiamo perdere altro tempo. Il rituale di sangue deve essere compiuto adesso, catalizzando la forza dell'aurora e della perfetta sovrapposizione di tutti i pianeti celesti. »
I suoi occhi si infiammarono.
« Se hai una richiesta, falla adesso o taci per sempre. »
Lion guardò prima le due streghe, gli occhi dell'aspide che lo fissavano, in attesa della sua risposta, poi quelli dolci ed espressivi di Caelie che gli davano conforto. Il suo sguardo, poi, fu rapito da Robin, il volto pallido ed emaciato e Lion si ricordò la vera missione per cui era partito.
Liberare i suoi fratelli romani.
Eppure, il suo cuore gli diceva che non era quella la cosa più importante che gli interessava: si era promesso molto, da quanto era partito con gli altri dal Campo Mezzosangue ed era deciso a rispettare, quelle promesse.
Ora, anche se voleva rivedere sua sorella Alexis, dubitava che Lilith e Nives potessero riportala indietro senza un opportuno sacrificio, quindi chiese quello che era per lui più ragionevole.
« Alec e Wolf. » disse, la voce ferma e seria come mai si era sentito, « Rivoglio indietro il lupo e l'agnello. »


 


 
Note: il motto latino ad inizio capitolo che è davvero figo uu significa “Nei palazzi leoni, nell’accampamento lepri”. E devo dire che mi piace molto *^*
 

#King’sCorner
 
Eccomi qui, puntuale come un orologio svizzero!
Ok, avevo promesso che il prossimo capitolo, cioè questo, avrebbe dovuto arrivare con molto anticipo, ma ho avuto da fare e ve ne sarete sicuramente accorti visto che non ho ancora risposto alle vostre recensioni :P
Beh, siete stati tutti molto dolci a preoccuparvi per Caelie che diventerà la prossima uu Ma la prossima cosa? Non posso dirvi tutto, altrimenti che senso ci sarebbe AHAHAHHAHHAHA
Sono sadico, I know :D
Abbiamo capito il perché di quei sogni sullo spacciatore Hic, su Federica e su Charlie e, quindi, come avrete capito, Federica è l’ultimo cuore battente rimasto :3 Adesso vi starete chiedendo, e mo che vor dì? uu
Vi verrà svelato tutto nel prossimo capitolo :D
Devo dire che far ricorso alle Arti Infernali (adoro questo nome *^*) non era mia intenzione, però, per movimentare il capitolo, ho dovuto inserirle! Spero che le scene di lotta siano di vostro gradimento e che io le abbia descritte alla meglio :)
Ho inserito anche una piccola palla di pelo, avevate notato che era lo stesso gatto randagio che ha già visto nel sogno, vero? Beh, posso assicurarvi che lo rivedremo più avanti, negli ultimi capitoli e nell’epilogo c:
E poi, finalmente, il BACIO *^*
Ecco a voi la Calion, in tutto il suo splendore! Dopo battaglie, signore piangenti, spade e statuine, l’amore trionfa! Amatemi per la citazione in latino che dicono i due che è troppo pucciosa e per il teatrino che fa Nives AHAHHAHAHHAHA
Cioè, me la sono proprio immaginata mentre quei due si baciavano e lei ci metteva la sua linguaccia biforcuta :D
Dulcis in fundo, finalmente rivedremo anche Alec e Wolf! Amatemi, soprattutto perché non li ho uccisi e avrei potuto farlo AHAHAAHAHA
Beh, dopo questo angolino molto pazzo, non posso fare a meno che ringraziarvi e sperare che lasciate una recensione :3 Davvero, vi voglio davvero bene!
A presto c:

King.


 
 

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Capitolo 11
*** Lazzaro Risorge ***



 
11. Lazzaro risorge
Successus improborum, plures allicit.

 
 
Nel momento stesso in cui lo diceva, si rese conto della pessima battuta che aveva fatto.
Si morse l'interno delle guance per la sua stupidità e sentì il sapore amaro e metallico del suo stesso sangue prima in bocca e poi scendergli, come una macabra bevanda, lungo la gola.
Sentiva che stava accadendo qualcosa di brutto, qualcosa a cui loro non dovevano assistere, ma adesso la sua richiesta era stata espressa e Lion voleva vedere se Lilith e Nives rispettavano fino in fondo i patti che stringevano.
La bionda sorrise, malvagia, lasciando che l'aspide le scorresse lungo il corpo, poi alzò le mani all'altezza delle spalle e cominciò a cantilenare, la pupilla degli occhi che lasciava posto solo al bianco, come quello degli occhi di Caelie nel suo incubo.
Indietreggiò, impaurito, sotto lo sguardo sconcertato della figlia di Apate.
Colse solo alcune parole isolate, come morte, ombra e tenebra che gli fecero rizzare i capelli sulla testa. Sbatté più volte gli occhi, quando si accorse che l'aria all'interno di quella sala si stava facendo incandescente ed iridescente al tempo stesso.
Un sortilegio, non c'era dubbio.
Lilith continuò a cantilenare, gli occhi completamente bianchi e il serpente che le davano l'aria di essere uno di quei demoni di cui John Milton aveva parlato nella sua opera. Si, Lion aveva letto anche il Paradiso Perduto, per sua grandissima fortuna ed era abbastanza sveglio da ricollegare il nome della ragazza a quello della prima moglie di Adamo, progenitore della razza umana secondo la teologia cristiana.
E ne era profondamente imbarazzato.
All'improvviso, dove prima non c'era altro che ombra e polvere, comparve il blocco di ghiaccio in cui erano imprigionati Alec e Wolf, stretti nel loro ultimo abbraccio. Lo spesso strato di metallo non sembrava essersi sciolto per niente e Lion li ricordava esattamente nello stesso modo, con il cuore che gli si strinse in una morsa di tristezza e amara consapevolezza.
« Tutto qui? » chiese, sperando che la sua voce non lo tradisse, « Intendevo liberi da quel masso di ghiaccio, se non si era capito. »
In tutta risposta, Lilith volse la testa verso di lui e lo guardò con gli occhi bianchi, imbastendo un sorriso freddo e calcolatore. L'aspide sul suo braccio aprì le fauci, mostrando l'interno della bocca colorato di rosso e di rosa, come quella di un normale essere umano.
Nives si avvicinò al blocco, il portamento regale che la faceva assomigliare ad una sorta di dea, la veste blu notte che scorreva sul pavimento di pietra con grazia e senza peso, come le tenebre che li circondavano. Quando fu vicino al blocco, Lilith prese a cantilenare più forte, la sua voce aumentata in un tono e molto più arrabbiata, come se qualcuno le avesse appena pestato un piede.
Gli occhi di Nives scintillarono, poi toccò il blocco e ritrasse il dito, lasciando che dal punto in cui si era posato il suo dito cominciassero a formarsi crepe e a cadere il ghiaccio. Un fragore penetrò le orecchie di Lion, esattamente quando pesanti blocchi di ghiaccio caddero a terra, infrangendosi sulla superficie fredda del pavimento di pietra.
Il cuore di Lion sembrò fermarsi.
Non era possibile, non era umanamente possibile: Wolf era seduto a mezzobusto su Alec, il volto trasognato e confuso, mentre si guardava attorno e incontrava lo sguardo dei suoi amici. Lion gli corse incontro, continuando a stringere la mano a Caelie, rischiando anche di piangere.
« Wolf, Wolf miei dei! » ansimò Cassie, aiutandolo ad alzarsi, e sorreggendolo sulla sua spalla, « Pensavo di non vederti mai più. » continuò, la voce incrinata per l'emozione. Lui sorrise, il suo tipico sorriso storto che aveva fatto innamorato il figlio di Mercurio ancora a terra.
Lion lasciò la mano di Caelie e si avvicinò ad Alec e, quasi con timore reverenziale, gli sfiorò il viso, freddo come il ghiaccio che li contornava. Aveva le braccia e parte del ventre sfregiato dal fuoco, ma il suo petto si alzava ed abbassava, cosa che portò Lion ad abbracciare un corpo semisvenuto.
« Non avrai mica intenzione di rubarmi il fidanzato? » scherzò Wolf, riprendendo quella che era la sua solita tonalità di voce, puntando gli occhi verso Lion. Zheng lo aggiornò velocemente su quello che era successo da quando lui ed Alec erano bloccati in quel blocco di ghiaccio e, quando arrivò, alla parte di Alexis, il volto di Lion si rabbuiò.
« Ehi, amico, mi dispiace. » disse lui, la voce dispiaciuta,  « Sono felice che tu abbia usato il tuo desiderio per salvarci. »
Lion soffocò una lacrima, tirando su col naso e affidandogli il corpo svenuto di Alec tra le braccia, prima di alzarsi e voltarsi, per non farsi vedere piangere dagli altri.
« Lion, non fare così. » lo confortò la voce di Caelie, le dita leggere che andavano ad asciugargli le lacrime che si erano assiepate intorno ai suoi occhi, « Devi essere forte e se non riesci ad essere forte per te stesso, devi essere forte per gli altri. Ne hanno bisogno. »
Lion guardò il volto felice di Wolf, quello di Cassie, Castiel e anche quello un po' ombroso di Zheng, annuendo a quello che gli aveva appena detto Caelie.
« Sii forte per me, Lion. »
Solo in quel momento Lion si accorse che Lilith e Nives si erano già messe all'opera e adesso, oltre al primo altare, ne campeggiavano altri due. Erano tutti occupati, quello a sinistra dal corpo svenuto di Federica, i capelli rossi riversi sul marmo nero, quello a destra da una coppa scintillante di sangue e, l'ultimo, quello al centro, dal corpo pallido di una ragazza dai capelli corvini.
Impossibile.
Aveva voglia di urlare, piangere e battersi il petto, tutto contemporaneamente, quando si accorse che quel corpo era di Alexis, la figlia di Ade, la sorella che si era immolata per lui per riportare in vita Enea. Tutta la rabbia e il dolore dentro di lui non riuscirono che a produrre un urlo soffocato, quasi muto, che gli si strozzò in gola e quasi non lo fece affogare.
Non poteva essere, non poteva essere.
« Lasciatela andare, adesso. » ordinò Lion risoluto, facendo scattare il suo forcone di oro imperiale. I suoi occhi erano duri come due sfere d'acciaio, la presa sulla sua arma così forte da fargli sbiancare le nocche.
Lilith alzò gli occhi in maniera impercettibile, mentre sopra di loro il soffitto della stanza si apriva in un cerchio perfetto, riversando nelle tenebre un mare di luce che accecò gli occhi di Lion: i tre altari erano perfettamente illuminati dalla luce dell'aurora, ancora troppo pallida per mutarsi in giorno, i volti delle due ragazze distesi come se stessero sognando.
Il sangue nella coppa, quello di Lion, scintillò con più forza, reagendo alla luce del sole come se fosse  una sottospecie di sangue vampiro, visto che prese a bollire e a schiumare.
« Questi sono affari che non ti riguardano, semidio. » rispose Lilith, impedendogli ogni movimento grazie ad un muro di energia che gli impediva di avvicinarsi. Lion lottò con tutte le sue forze, lasciandosi poi scivolare contro di esso per osservare il rito più macabro al quale avesse mai assistito.
Nives prese la coppa con il suo sangue, mormorando parole che non capiva mentre intingeva due dita nel liquido rosso e li portava sul corpo di Alexis, cominciando a disegnare rune e simboli mistici sul suo volto, sul petto, le braccia e le gambe nude.
Il cuore di Lion ebbe un singulto.
Adesso Lilith aveva afferrato l'aspide con una delle sue mani e lo teneva fermo per la testa, mentre il serpente tentava di liberarsi attorcigliandosi intorno al suo braccio. Nessuna esitazione: la lama cadde sul suo collo, inesorabile come la morte, mentre sangue e veleno gocciolavano sugli occhi chiusi di Alexis.
Adesso Lion era a terra, piangente, mentre batteva frustrato i pugni contro il muro invisibile con cui doveva fare i conti, mentre gli altri si assiepavano intorno alle sue spalle, come a dargli conforto. Zheng aveva gli occhi sgranati, mentre Nives si faceva strada verso il corpo di Federica e le metteva una mano sul cuore, temendo che avesse voluto strapparglielo.
Cassie si tappò le orecchie, Castiel chiuse gli occhi, mentre Nives premeva sul suo petto come se stesse effettuando una specie di massaggio cardiaco, accompagnata dal cantilenare crescente di Lilith, piegata sul petto di Alexis.
Vomito.
Il petto di Federica si alzava ed abbassava ritmicamente, mentre la bionda cominciava lo stesso trattamento che Nives stava riservando alla rossa, ma sul corpo senza vita di  sua sorella, i capelli corvini legati in una treccia che le cadeva sulle spalle pallide.
Sangue, Corpo, Cuore.
Le parole di Elena acquisivano finalmente un senso, mentre Lion assisteva riluttante a quel rito macabro ed antico come la terra stessa: serviva il sangue di un figlio degli Inferi, il corpo di qualcuno che era andato spontaneamente verso il proprio destino ed, infine, il battito di un cuore puro che potesse riportare sui suoi passi anche la morte.
E le streghe, adesso, avevano tutti gli ingredienti per risvegliare la coscienza del dio Tartaro.
Il tempo sembrò fermarsi, la luce dell'aurora farsi più carica, mentre sui tre altari appariva l'ombra rotonda degli otto pianeti perfettamente allineati, accumulando una quantità di potere abbastanza grande in modo da suggellare per sempre il rito di resurrezione.
Si udì un fragore, come un fulmine a ciel sereno, squarciare l'aria, a cui seguì il suono dei polmoni di una persona che si riempivano di aria e la immagazzinavano, il suono della vita stessa.
Tartaro.
O meglio, Tartaro nel corpo di Alexis era scattato a mezzo busto sull'altare nero, rimirando la sua nuova forma. Poi posò gli occhi su Lion e fu allora che capì che, sin da quando erano partiti dal Campo Mezzosangue, non avevano fatto altro che fare ciò che loro volevano, giocare secondo le loro regole.
Caelie urlò, piegandosi in due dal dolore e Lion sospettò anche di sapere il perché quello stava succedendo. Sentì l'ombra della morte sulle sue spalle, mentre osservava gli occhi completamente neri di Tartaro, sensazione che, forse stavano provando tutti, persino le due ancelle Lilith e Nives, che si erano prostrate ai piedi del loro dio in segno di adorazione.
Faceva male, faceva davvero male vedere Tartaro muoversi nel corpo di Alexis, mostrando una parvenza di normalità agli occhi di Lion, un leone che aveva smesso di combattere, troppo esausto e consumato da tutto quello aveva passato.
Tartaro scese con grazia dall'altare, terminando di bere il sangue rimasto nella coppa, inebriato dal suo odore troppo dolce e mortale. Lasciò cadere il contenitore a terra, calpestandola con i suoi piedi e riducendola in milioni di schegge di oro imperiale sparse a terra, avanzando verso di loro.
Lilith parve delusa per non essere stata nemmeno ringraziata, un reticolo di sangue di serpente che correva sul suo braccio, come un guanto di pizzo rosso.
« Ho assaggiato il tuo sangue, semidio, e ne voglio ancora. » sostenne, camminando proprio come avrebbe fatto Alexis, la lunga spada di ferro dello Stige che batteva sulle sua gambe nude, coperte solo da un lembo di drappo nero che impediva la vista della parte superiore del suo pallido corpo.
Lion si alzò goffamente, afferrando un mano che gli veniva porta, vedendo quando fosse pericolosamente vicino a loro.
Nessuna delle loro armi sarebbe stata in grado nemmeno di ferirlo, figuriamoci ucciderlo. Lo guardò con sconcerto, mentre, alle sue spalle, Caelie si stringeva al suo braccio.
« Ti offri volontario o devo venire lì e staccarti la testa con queste mani? » chiese, alzando le mani all'altezza delle spalle, quelle stesse mani che avevano fasciato le sue ferite, curato i suoi tagli. Lion indietreggiò, rabbrividendo, non riuscendo a pensare così velocemente ad una via di fuga, se mai ci fosse stata.
« Fai bene ad avere paura, Lion Davis. » disse, la voce atona, per niente umana, « Io sono il più antico fra le entità di questo mondo, vivo da millenni e sono pronto ad annientare tutto ciò che esiste, riportandolo allo stato di Caos in cui vigeva anni or sono. »
Mosse un passo, una maschera di sangue e veleno che si era raggrumata intorno ai suoi occhi completamente neri, le ombre e le tenebre più oscure che vi si aggiravano dentro, attirandolo come una sorta di buco nero.
Più grande eri, più in fretta bruciavi.
« E poi riplasmarlo a mio piacimento. »
La sua voce era un'accozzaglia di metalli sfregati su metalli, lo sciamare delle api e il suono della morte stessa, mentre Lion non faceva altro che indietreggiare e Tartaro sfuggiva al muro trasparente che Lilith aveva creato, oltrepassandolo come se fosse gelatina.
« Consegnati, Lion Davis, consegna il tuo cuore alle tenebre o i tuoi amici moriranno. »
Poi, prima che Lion svenisse dalla paura, si sentì afferrare per le scapole e catapultare tra le tenebre, accompagnato dall'urlo di rabbia che si sprigionava dalla bocca senza fondo di Tartaro.
 
 
Batté la testa, rannicchiandosi in posizione fetale prima che la caduta potesse causare altri danni.
Ebbe timore ad aprire gli occhi, ma la paura che aveva provato davanti al dio degli abissi più profondi era sparita, lasciando il posto alla rabbia: si trovavano al piano terra di una casa che conosceva bene, schegge di vetro e pezzi di ghiaccio affollavano il pavimento, esattamente come Lion lo ricordava.
Betsy.
Serena era atterrata poco lontana da lui, le gambe all'aria, i capelli castani riversi a terra, una cascata dello stesso colore delle assi di legno sotto di loro. Cassie mugugnava dolorante alla sua destra, mentre Lion si dava la spinta e si rialzava in piedi, porgendo una mano a Castiel e il suo cucciolo Felix, il piccolo mostriciattolo che si agitava tra le sue braccia nude.
Sentì qualcosa passargli in mezzo alle gambe e strusciarsi affettuosamente lungo il tratto in cui i suoi jeans si erano strappati, lasciando vedere la sua gamba nuda e villosa. Sobbalzò, quasi pestando il gatto randagio che prima si era appostato davanti quella casa e lo aveva aspettato, come un fedele cane da guardia.
Si voltò, cercando con lo sguardo Caelie, distesa accanto alle scale, per poi chiedersi come avessero fatto ad arrivare lì, visto che nessuno di loro era in grado di teletrasportarsi o viaggiare nell'ombra.
Rabbrividì.
Una sequenza degli occhi di Tartaro sfarfallava davanti ai suoi occhi, mentre il rito si compiva e lui tornava finalmente alla vita, annientando tutto ciò che era rimasto di Alexis.
Adesso era impossibile riportala indietro.
La sua stessa essenza era stata consumata da quella di Tartaro, gli ultimi barlumi della sua coscienza avevano abbandonato totalmente il suo corpo, rendendolo solo un volgare contenitore per tutta la potenza distruttiva del dio stesso.
Lion non si era mai sentito così debole.
Per un momento si lasciò scivolare lungo la parete coperta di buchi, mentre qualche lacrima scorreva lungo le guance, bagnandogli le labbra. Si sentiva vecchio come non mai, anche se aveva solo diciassette anni, come se il tempo stesso lo avesse afferrato e lo stesse facendo invecchiare più velocemente del dovuto, spezzando le sue ossa, piegando i suoi muscoli forti.
Non c'era più nulla per cui lottare, nulla per cui valesse davvero la pena continuare a combattere. Tartaro, oltre ad averlo privato per sempre di sua sorella, gli aveva rubato qualcosa di più importante, qualcosa che gli sarebbe mancata per sempre.
La determinazione che faceva parte del suo carattere, il coraggio che lo induceva a ribellarsi alle regole, la stessa caparbietà con la quale aveva affrontato una marea di situazioni, a partire da quando era arrivato al Campo Giove, dove aveva deciso di restare e sentirsi parte di una famiglia.
Ora era tutto perduto.
Il leone aveva smesso di combattere, un uomo lo aveva ferito con il suo fucile e lo aveva lasciato a morire nel bosco, sotto lo sguardo di tutti i suoi sudditi.
« Lion. »
La voce dolce di Caelie lo riportò alla realtà, risvegliandolo dalla sorta di trance in cui era caduto. La guardò negli occhi, ricacciando indietro le lacrime a cui era poco abituato, mentre di avvicinavano anche Alec e Wolf, in piedi dietro di lei.
Caelie si era inginocchiata accanto a lui e gli teneva la mano, massaggiandogli l'incavo tra pollice ed indice con una delle sue dita, in maniera quasi meccanica.
« Stai bene? »
Che razza di domanda era? Ovvio che non stava bene, ma annuì lo stesso, appoggiando stanco la testa alla parete crivellata di buchi, dove la carta da parati aveva ceduto. Caelie lo guardò titubante, poco prima che Lion sentisse il clangore di una spada sguainata dal nulla e il sibilo di una frusta nell'aria.
Si maledisse silenziosamente, imprecando in latino.
Si era completamente dimenticato di Charlie ed Hic, i due semidei che aveva atterrato quando aveva rapito Federica. Adesso dovevano essersi svegliati ed era sicuro che stessero per chiedere vendetta.
Prima che potesse anche solo pensare di far scattare il suo anello, una voce sussurrò alle loro orecchie, facendoli desistere dai loro propositi.
« Non credo sia il momento adatto per combattervi tra voi, mezzosangue. » disse, la voce tipica di coloro che non hanno tempo, « Vi conviene risparmiare le forze per la grande battaglia. »
Una dea, non c'era dubbio.
E questo spiegava anche come erano riusciti ad arrivare lì, ovviamente. Lion fece in tempo a vedere Hic abbassare la sua frusta quando, al centro della stanza, apparve la figura di una donna dai lunghi e fluenti capelli corvini tra lo scintillio della luce e il fragore di un fulmine.
Era bellissima.
I capelli, fra il riccio e il mosso, le ricadevano spontanei sulle spalle, estremamente in contrasto con il peplo bianco puro che la dea indossava. Ai suoi piedi calzava sandali d'oro, fibbie dello stesso materiale mantenevano la sua veste, mentre un fiocco chiaro la cingeva appena sotto il seno, esaltando le sue forme, reggendo una testa raccapricciante posta sul petto.
Il volto era delicato e finemente cesellato, due labbra rosee accompagnavano la linea morbida della mascella, gli occhi, dello stesso colore del cielo in tempesta, erano incastonati in quella che Lion definì la maschera più bella che avesse mai visto.
« Eroi. » chiamò lei, muovendo un passo altero nella stanza, sotto lo sguardo stupito di tutti e avvicinandosi a Lion, il quale aveva gli occhi sgranati sulla sua figura. Lei sorrise, uno di quei sorrisi che avrebbero potuto oscurare il sole, porgendo una mano di porcellana verso il figlio di Plutone.
Lui, sporco e sudato, guardò confusa il profilo attraente e severo della dea, aggrottando le sopracciglia per lo stupore, ma si alzò lo stesso, aiutato dalle mani forti della donna.
« Tartaro è sorto e voi siete chiamati alle armi. » continuò, la stessa voce degli arringatori che Lion aveva sentito a Nuova Roma.
Per quanto cercasse di capire l'identità di quella dea, il suo nome continuava a sfuggirgli: Bellona? Giunone? O forse Trivia? In tutta risposta la donna continuava a sorridergli complice, gli occhi preoccupati eppure compiaciuti allo stesso tempo, le sottile rughe che avrebbero caratterizzato il volto di un essere umano non esistevano, dandogli un aspetto etereo.
« Scommetto che mi conosci più nella mia forma romana, Lion. » osservò la dea, alzando un sopracciglio come se gli stesse leggendo nel pensiero, « Non sono mai stata in buoni rapporti con i Romani, però sono pronta a fare un'eccezione aiutando te e i tuoi amici. »
Robin gli lanciò un'occhiata, i suoi occhi contornati da cerchi scuri e pesanti, e Lion vide che lo stesso sguardo confuso si agitava anche sul suo volto.
Chi era quella dea?
« Davvero non mi riconosci? » chiese lei, la voce un po' offesa, « Eppure hai combattuto la grande guerra contro Gea, dovresti aver visto la mia statua. »
All'improvviso Lion ricordò il volto di quella dea, i capelli nascosti sotto un elmo sormontato da cavalli e sfingi, una statua di Nike alata sul palmo aperto della mano, l'egida e il serpente ai suoi piedi, facendo di lei la figlia Tritogenia di Zeus, il signore del cielo.
« Atena. » sussurrò, come per paura di sbagliare il nome e scatenare di nuovo l'antica faida tra greci e romani. Lei annuì soddisfatta, mentre la sua immagine tremolò e il suo corpo si rivestiva per un attimo dell'armatura di guerra.
C'era qualcosa che lo attraeva, in quello sguardo temporalesco, e che lo spaventava al tempo stesso.
« Non abbiamo molto tempo, eroi. » disse, affrettandosi, « La guerra è alle porte e il consiglio degli dei teme che, forse, questa potrebbe essere l'ultima che combatte. »
Quelle parole riuscirono a gelare il sangue nelle vene di Lion, il tono serio della sua voce che caricava l'aria di tensione e di pericolo.
« Gli dei vogliono aiutarci? » chiese Castiel, il cucciolo di chimera che si agitava dinanzi all'aura di potere della dea. Atena lo guardò titubante, come se non volesse deludere le sue aspettative, ma doveva farlo lo stesso.
« Padre Zeus ha mandato me ad avvisarvi. » spiegò, la carnagione così chiara da sembrare quella di una bambola, anche se Lion non sapeva se Atena avrebbe accettato il complimento, « In questo stesso momento mia sorella Artemide sta avvisando il Campo Mezzosangue e Mercurio tutti i mezzosangue romani rimasti ancora liberi. »
Guardò Lion con i suoi profondi occhi grigi in cui si stava agitando una tempesta.
« Dovete fermare Tartaro prima che raggiunge la sua forma completa, ovvero prima che consumi il corpo della figlia di Ade per poter assumere la sua vera forma divina. » continuò, il tono grave, « E voi sapete cosa succede, guardando la vera forma di un dio, vero? »
"Si muore." pensò Lion, deglutendo a fatica il groppo che gli si era formato in gola e faticò a farlo come se stesse ingoiando della sabbia. Atena, come se gli avesse letto nel pensiero, annuì tetra.
« Ma come, divina Atena? » chiese Serena, i capelli totalmente in disordine che non erano affatto da lei. La dea guardò il figlio di Plutone e i due si scambiarono uno sguardo di assoluta complicità.
« Lion ha la risposta. » annunciò, alzando le mani, « Non mi è concesso dirvi altro, le Parche filano questo giorno da secoli e io non posso intervenire. »
« E se non fossimo in grado di farlo? » domandò Zheng con interesse, gli occhi che luccicavano di una luce sinistra, « Che cosa succederà? »
Atena abbassò lo sguardo, mesta. « Temo che tu conosca già la risposta, figlio di Ecate. » disse, il volto cereo come una maschera, « Non rimarrà più niente di voi, e di noi dei stessi. »
Per un attimo ci fu il silenzio più assoluto, interrotto solo dal sussurro roco di Alec all'orecchio di Wolf e dal volto preoccupato di Caelie che si voltava verso di lui, l'angoscia che caricava i suoi occhi. Poi Lion annuì, come se dentro di lui stesse cominciando a capire.
« Perché è venuta proprio lei a dircelo, mia signora? » chiese, la domanda che gli era uscita spontanea dalla bocca, senza neanche pensarci. Gli occhi della dea scintillarono, mentre lei scostava con una mano i capelli davanti alla sua fronte.
« E perché ti interessa tanto, Lion? » domandò a sua volta, fissandolo e mettendolo in soggezione. Lion, per quanto fosse sporco e ferito, riuscì a sostenere il suo sguardo, solo la rabbia che lo teneva in piedi  e gli dava la forza necessaria per reagire.
« Voglio sapere perché non è venuto direttamente mio padre a dirmelo. »
Atena lo osservò, come se fosse una cavia da laboratorio, portandosi una mano dove doveva essere il suo cuore. « Plutone non verrà, Lion. »
« Perché? Perché no? »
Lei lo guardò triste.
« Perché tuo padre non esiste più. » rispose, la voce incrinata eppure così severa, « Tartaro lo ha
distrutto. »
 
 


Note: il motto latino significa "Il successo dei malvagi alletta molti."
 
#King'sCorner.
 
Beh, adesso dobbiamo cominciare ad avere davvero paura!
Il signor male in persona è risorto e le cose si mettono davvero male, visto che, non si sa perché (io lo so AHAHAHAHAH), Tartaro vuole il cuore di Lion :c
Credo che adesso abbiate capito anche il motivo per cui io abbia ucciso Alexis, vero? uu E la cosa mi fa stare male, ma era necessaria :c
Le streghe hanno compiuto il rito, il quale spero vi sia piaciuto visto che io mi sono flashato molto mentre lo scrivevo e, prima che possiate digerire la comparsa di mr. Tartarus, yeah! Un'altra bella notizia (?)
Plutone is dead.
...
...
...
...
Ok, uccidetemi pure, però posso dirvi che le cose si rimetteranno a posto! Odio tenervi così sulle spine (non è vero MUAHAHAHAHAHAH)
Però una buona notizia c'è, ovvero abbiamo avuto indietro Alec e Wolf! Applausi, prego uu Ah, Wolf, spero davvero che la ricomparsa in scena tia sia gradita, dimmi se avrei potuto fare di meglio AHAHAHHA (Littles capirà :3)
Il banner l’ho fatto io e lo manterrò fino alla fine della storia, spero vi piaccia! (texture by thisslight and damiensoul)
Ho voluto rappresentare Lion come una sorta di angelo vendicatore perchè, ehm, è proprio questo che è uu
MUAHAHAHAHAHAHAH
Beh, posso dirvi che ho concluso di scrivere proprio adesso l'ultimo capitolo, più l'epilogo che mi ha fatto venire le lacrime agli occhi c.c Cioè, ragazzi, ha fatto piangere me (che non piango mai), farà piangere anche voi!
Che dire, da adesso in poi ci saranno degli aggiornamenti prestabiliti, quindi vi do i giorni in cui posterò gli ultimi capitoli e voi potete regolarvi! Tranquilli, vi darò il tempo per leggere e recensire :')

 

Capitolo 12 - "Strade di Fuoco" (martedì 21 Luglio)
Capitolo 13 - "Fratelli di Sangue" (sabato 25 Luglio)
Capitolo 14 - "Autodistruzione" (mercoledì 29 Luglio)
Capitolo 15 - "Epilogo" (domenica 2 Agosto)
Ringraziamenti, più sopresa misteriosa (mercoledì 5 Agosto)
 
 
Bene, questa è la tabella di marcia!
Avevo detto che ci sarebbero stati 17 capitoli, ma per esigenze ho dovuto stringere. Comunque non è escluso che riprenderò Immortals in mano, magari facendo un prosieguo :) Soprattutto con quello che leggerete nell'epilogo :3
Grazie a tutti, ragazzi! Siete davvero cucciolosissimi ♥
 
 
King.


 

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Capitolo 12
*** Strade di Fuoco ***



12. Strade di Fuoco
Ultima ratio regum.
 
 

Fu un colpo dritto al cuore.
« Come distrutto? » chiese, quasi urlando, « Gli dei non possono morire, non possono. » continuò, la rabbia che gonfiava il suo petto stanco, mentre sotto di loro la terra tremava debolmente.
Atena scosse la testa, mesta.
« Un dio non può morire, ma può essere sparso in migliaia di pezzi nel fondo del Tartaro. » rispose, mettendo a tacere la vocina insistente nella testa di Lion, « Tuo padre, così come Proserpina, o Persefone che dir si voglia, sono stati distrutti da Tartaro, durante la sua ascesa al mondo dei mortali. »
Lo guardò negli occhi, artigliando il suo stomaco come solo una tigre poteva fare.
« È l'amara verità, purtroppo. »
Non poteva crederci, non poteva essere.
Aveva perso troppo nella sua vita, come sua sorella, il Campo Giove, sua madre e adesso anche suo padre che, seppur distante, era l'ultima parvenza di una famiglia normale che gli rimaneva.
E adesso non c'era più.
Stese la mano sul terreno, cercano di richiamare a sé i metalli o anche solo qualche piccola pietra preziosa sotto il dominio di suo padre, ma non ottenne risposta. Riprovò una seconda volta, e poi una terza, mentre non accadeva nulla e sentiva solo una morsa fredda sulla sua spalla, come un marchio che non poteva spazzare via.
Era vero, suo padre era morto.
Guardò Atena, i suoi occhi così belli eppur così antichi, poi incontrò lo sguardo preoccupato e sconcertato di Caelie, una ruga correva sulla sua fronte, rendendolo più vecchio e consumato, poi alzò i tacchi e cominciò a correre, puntando verso la porta di casa e sbattendola alle sue spalle.
Sentiva una voragine nera aprirsi al centro del petto, dove batteva il cuore, mentre le lacrime cominciavano a sgorgare dai suoi occhi e gli impedivano di vedere bene dove si stesse dirigendo.
Il sole, adesso, era ormai alto nel cielo e brillava nella sua intensa luce calda, riscaldando il mondo dei mortali con i suoi raggi. Nuvole occasionali ne smorzavano la potenza, per poi essere spazzate via dal vento caldo di Giugno.
Niente.
Era partito dal Campo Mezzosangue con l'intenzione di liberare i suoi fratelli romani e, invece, non lo aveva fatto. Aveva promesso ad Alexis che sarebbero tornati entrambi sani e salvi e lei si era sacrificata al suo posto. E suo padre, qual padre che avrebbe tanto voluto incontrare, ora era perduto nelle profondità più oscure della terra.
Rimanevano solo fumo e specchi.
Corse in un vicolo dove gli i mattoni erano imbrattati da graffiti e scritte varie che Lion non riusciva a capire, lasciandosi cadere di fianco ad un cassonetto dell'immondizia. Il petto gli si gonfiava e gli si abbassava, come se fosse appena riemerso da un quarto d'ora di apnea, mentre gli tremavano le mani e lui artigliava l'aria, cercando di costringerle all'obbedienza.
Era solo.
Tutte le nozioni che aveva appreso, tutti i miti che aveva studiato, tutte le battaglie che aveva guidato non erano servite a niente, se non a provocare una catena di eventi che avevano generato dolore. Alzò la testa di scatto, quando una piccola figura a quattro zampe faceva capolino sul limitare del vicolo, il pelo rossastro che scintillava sotto la luce del sole, le zampette morbide sull'asfalto crepato.
Lion sorrise.
Non aveva mai avuto animali domestici, non si era mai affezionato ad un cane, ad un criceto o ad un pappagallo, ma si sentiva così simile a quel gatto randagio, così bisognoso di cure e carezze. Attirò la sua attenzione, asciugandosi alla meglio le lacrime che bagnavano il suo viso, mentre la piccola palla di pelo lo raggiungeva a grandi passi, facendo scattare la coda in tutte le direzioni e muovendola come una frusta.
Cominciò a fare le fusa quando Lion gli accarezzò la testa.
« Anche tu sei solo, vero? » gli chiese, retoricamente, guardandolo con occhi lucidi e nostalgici, « Allora siamo in due. » sussurrò, appena prima che il gatto gli rispondesse con un sommesso miao.
Che cosa c'era oltre la morte?
Aveva sempre pensato alla morte come a qualcosa che era inevitabile e lui, essendo un figlio di Plutone, aveva creduto ciecamente che, dopo la sua dipartita, sarebbe entrato nel palazzo di suo padre per servirlo.
Ma adesso? Adesso che suo padre era stato distrutto e il suo regno annientato, cosa ci sarebbe stato una volta che Thanatos lo avrebbe sfiorato con la sua falce?
Inspirò piano, continuando a massaggiare pensieroso il gatto, il quale si era acciambellato sul suo stomaco, continuando a fare le fusa e producendo un rumore simile a quello di un camion, per quanto era forte.
Per un momento, Lion invidiò la sua libertà, il suo senso di intraprendenza, la sua folle vita vissuta al momento: dopotutto, i gatti non salvavano il mondo, lui però lo aveva fatto, e più di una volta.
Eppure non gli restava niente.
Scosse la testa, ricacciando indietro quei pensieri prima che affondasse in uno stato di depressione da cui era impossibile uscirne. Gli era stato insegnato, al Campo Giove, che bisognava sempre controllare le proprie emozioni, persino quando, in battaglia, un tuo compagno viene ferito o mutilato, per non dire ucciso.
Tutto ciò che sapeva, tutto ciò che era, lo dove esclusivamente a Roma. E Roma non gli avrebbe mai permesso di buttarsi giù come un muro di cartongesso.
« Mai arrendersi, Sansone. »
Afferrò il gatto in modo che non si facesse male e si alzò in piedi, stringendo Sansone al petto. Poi, rapido come era arrivato lì, ritornò sui suoi passi, incontrando lo sguardo consumato di alcune persone del quartiere.
Mosse un passo dopo l'altro, muovendosi quasi meccanicamente, mentre il suo cuore batteva forte come un tamburo contro quello del gatto che stringeva al petto, il rumore del suo cuore che lo faceva sentire vivo.
La scritta BETSY era visibile anche da lontano, con quelle poche lettere ancora funzionanti che scintillavano anche durante il giorno, senza mai spegnersi.
Caelie era lì, sul portico d'ingresso, le mani tra i capelli, il volto segnato da occhiaie e ferite varie. Lion tirò su col naso, sperando che lei lo vedesse, ma sembrò non farci caso.
Era arrabbiata?
« Ehi. »
La figlia di Apate scattò sull'attenti, come se le avessero appena puntato un fucile contro. Si guardò intorno confusa e il viso le si illuminò di gioia, quando vide Lion. Gli saltò addosso, quasi schiacciando il gatto che aveva in mano, lasciandosi andare ad un bacio dolce come il miele.
I suoi occhi erano lucidi e tristi, la piega delle sue labbra curvata verso il basso.
« Stai bene? » gli chiese e, anche se era una domanda un po' stupida visto tutto quello che era successo, Lion apprezzò la sua buona volontà. Annuì, sebbene aveva sentito il rumore di qualcosa che era andato in pezzi, dentro di lui, qualcosa che non si poteva più riparare.
Una vita di cicatrici e dolore, ecco cosa gli dei gli avevano riservato.
« Atena è andata via? » chiese, cercando di non tradire il tono neutro che aveva assunto per parlarle. Sansone continuava a fare le fusa, sotto gli occhi confusi di Caelie.
« Si, era molto dispiaciuta. » affermò lei, prendendo il gatto tra le sue braccia e cominciando a coccolarlo, « E lui sarebbe? »
Lion serrò la mascella.
« Sansone, come il guerriero la cui forza risiedeva nei capelli. » rispose Lion, rivangando le sue conoscenze dei miti e delle leggende anche di altri popoli, « Mi ha fatto tenerezza, era tutto solo. »
Caelie abbozzò un sorriso ed annuì, dandogli poi le spalle e Lion pensò che lo facesse per evitare di crollare davanti a lui.
« Io vado dentro, devo riposare. » disse, quasi come se fosse un automa, « Prima della battaglia. »
Pronunciò quella parola con amarezza, sotto gli occhi tristi di Caelie e quelli divertiti di Sansone, l'azzurro che andava mutandosi in verde scuro, come facevano tutti i gatti.
Fra i due intercorse un momento che sembrò durare secoli, poi la ragazza prese la parola, spicciando solo tre parole con il tono migliore che riuscì a comporre.
« Ti amo Lion. »
Lui non rispose, lanciandosi tra le ombre del Betsy.
Quando si svegliò, tutti i muscoli del suo corpo tiravano come corde, facendolo mugugnare di dolore. Ci mise un po' ad abituare gli occhi alle tenebre della sera e alla poca luce che filtrava dalle persiane della camera in cui era crollato.
Doveva essere sera inoltrata.
Si mise a sedere, lasciando cadere gli anfibi scuri sul pavimento di legno, mentre si strofinava gli occhi, lasciando andare gli ultimi residui di sonno. Guardò la forma morbida del suo anello, il leone che scintillava rosso come il sangue contro la pietra nera di ossidiana, il simbolo di sé stesso che lo guardava rampante dalla superficie di un anello.
Si chiese se funzionasse ancora.
« È maleducazione fissare la gente, Castiel. » disse, tutt'un tratto, quando dalle ombre si plasmò la figura del figlio di Eros, i capelli incollati di gel, gli occhi vacui come quelli di un fantasma. Si sedette accanto a lui sul letto, tra le lenzuola sfatte che odoravano di naftalina.
Avrebbe dovuto chiedere scusa a Charlie, ma dubitava che lo avrebbe trattato in maniera gentile, non dopo che lui aveva portato la sua ragazza all'altare di un sacrificio. Se solo avesse potuto, lo avrebbe ucciso all'istante e stavolta nemmeno Atena lo avrebbe potuto fermare.
« Scusa. » sussurrò Castiel, le occhiaie sotto gli occhi appena visibili, « Non era mia intenzione. » disse, gesticolando con le sue lunghe dita da pianista. Anche se si sforzava di trascurarsi, come mostrava chiaramente l'ombra di barba sul suo mento, era chiaramente un bel ragazzo, oltretutto figlio del dio dell'amore.
Voleva chiedere consigli in materia? Pessima decisione, lui era meno esperto di lui, se così si poteva dire.
« Tranquillo. » gli rispose Lion, cercando di consolarlo, « Siamo tutti un po' tesi, che succede? » domandò, diretto, come gli era stato insegnato a fare.
Lui aprì bocca, come per dire qualcosa, ma poi la richiuse subito dopo, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe, sporche per via di tutti i combattimenti che avevano affrontato. Le sue  braccia erano piene di lividi e tagli che andavano rimarginandosi, più qualche puntura sospetta.
« È che ... che questa potrebbe essere la nostra ultima notte da vivi. » sussurrò, enfatizzando l'ultima parola con sarcasmo, « E io non voglio passarla da solo. »
Come?
Lion aggrottò la fronte, cercando di mettere insieme i pochi pezzi del puzzle che gli erano stati dati. Poi, prima che potesse spiccicare parola, Castiel si protese verso di lui e lo baciò, premendo le sue labbra carnose sulle sue, secche e screpolate, facendogli sentire il suo odore e il suo sapore.
Per un attimo, Lion si abbandonò al bacio, non sapendo esattamente come uscire da quella situazione, mentre Castiel gli arruffava i capelli e poi si staccava da solo, allontanandosi rapidamente da lui. Lion lo guardò, inarcando un sopracciglio, assumendo un'espressione confusa.
« Ma tu e Cassie non ... beh, hai capito, no? » chiese e fu l'unica cosa che riuscì a dire, prima che asciugarsi un rivolo di sudore che stava scorrendo dalle tempie fino alle guance. Aspettò una risposta, ma Castiel si limitò a scrollare le spalle, appoggiando poi i gomiti sulle ginocchia.
Improvvisò una risatina nervosa, tornando poco dopo serio.
« Mio padre è il dio dell'amore. » affermò, constatando l'ovvio, « E non importa se sia rivolto al sesso opposto o allo stesso sesso, è sempre amore. » disse, come cercando di discolparsi. Si prese la testa fra le mani, mentre Lion continuava ad essere confuso.
Era innamorato di lui?
« Che stai cercando di dirmi, Cass? »
Il figlio di Eros lo guardò, gli occhi tristi e determinati allo stesso tempo, i capelli arruffati sulla sua testa che lo facevano sembrare uno scienziato pazzo.
« Non ero sicuro dei miei sentimenti, ecco tutto. » confessò, tra la vergogna e la voglia di uscire dalla confusione che regnava nella sua testa, « Volevo solo sentire cosa si provava a baciare un ragazzo. » disse, prima di uscire come un tornado e la stanza esplodesse.
A Lion sembrò di essere diventato sordo, per lo scoppio che invase le sue orecchie.
Tentò di rimettersi in piedi, ma un secondo scoppio gli fece cadere il letto addosso, costringendolo a terra. Cercò di spostarlo, senza successo, mentre le lenzuola lo proteggevano dalla vista di due ragazze appena entrate dalla porta della stanza.
« Non è qui, Nives. » constatò una voce, quella di Lilith senza dubbio. Lion poteva quasi immaginare il suo viso, in quel momento.
« E dove potrebbe essere? » chiese l'altra, la lunga veste della notte che strisciava a terra, « Abbiamo controllato tutta la casa, ci sono solo i suoi compagni d'impresa. »
Lilith emise quello che assomigliava tanto ad un ringhio di un cane, prima di dare un calcio alla spalliera del letto che era caduto addosso a Lion, il quale si ordinò di non fare un fiato.
« Maledizione, ci serve il suo cuore! » esclamò, come se stessero discutendo su quale taglio di carne prendere al supermercato, « E ci serve subito! »
Lilith si mosse, osservando lo squarcio che una delle loro bombe esplosive avevano provocato nella parete della stanza, avvicinandosi, poi, al punto in cui si trovava Lion, le scarpe con i tacchi che battevano sul legno del pavimento come proiettili.
« Lo so, Lilith. » rispose l'altra, muovendosi per raggiungerla, « Tartaro non può sopravvivere senza di lui, senza colui che lo ha generato. » si lasciò scappare e, finalmente, una speranza faceva capolino nel cuore di Lion.
Stavano dicendo veramente o era tutta una trappola? Eppure il tono arrabbiato di Lilith era così realistico.
« Sento che è qui, forse un dio lo ha nascosto, ma ancora per poco. » continuò Nives e Lion la immaginò sullo stipite della porta con l'aria annoiata, « Gli resta ben poco da vivere. »
Nives rise, una di quelle risate che gelano il sangue nelle vene.
« Soprattutto adesso che abbiamo la sua ragazza e la figlia di Zeus nelle nostre mani. »
Fu come ricevere un altro colpo al cuore.
Per un attimo, un solo istante, fu tentato di estrarre il suo forcone e fari strada attraverso il letto per combatterle, ma sapeva che non avrebbe potuto batterle, non adesso almeno.
« Dovrà consegnarsi prima della mezzanotte, oppure ... » Lilith lasciò la frase in sospeso e Lion la immaginò mentre mimava il  gesto di recidere la gola a qualcuno. Il pensiero che potesse essere Caelie o Cassie gli corrose il cuore, come se si fosse appena iniettato dell'acido nelle vene.
« Mezzanotte, mezzanotte, l'ora delle streghe. » cantilenò Nives, la voce suadente e dolce come i pericoli che si possono incontrare tra le ombre, « Tremate, tremate, le streghe sono tornate. » continuò, mentre la sua voce si allontanava nel corridoio e si sentiva uno snap, come se si fossero appena smaterializzate.
Lion si morse l'interno delle guance così forte da assaporare il sapore del suo stesso sangue in bocca, deglutendolo a fatica: aveva dato lui origine a tutto, ed era lui a dovervi porre fine.
La morsa del dolore gli strinse il cuore, costringendolo a respirare più velocemente, quasi con l'affanno. Si diede la spinta per cercare di ribaltare ancora una volta il letto e, quando ci riuscì, si ritrovò lo sguardo addolorato e distrutto di Castiel addosso.
Mormorava qualcosa che Lion non riusciva a sentire, come una cantilena, mentre cominciava a piangere e le lacrime bagnavano le sue guance sporche. Non voleva vederlo così, non voleva vedere lo stato in cui sarebbe crollato anche lui se non avesse preso in mano la situazione.
Urlò qualcosa agli altri che erano di sotto, cercando di consolare allo stesso tempo Castiel, mentre in cuor suo nutriva la speranza che le streghe stessero mentendo.
Cosa che ovviamente non era vera.
La disperazione sul volto di Serena era visibile, come lo sconcerto su quello di Zheng oppure la tristezza sul viso segnato dalle ferite di Robin. Charlie lo guardava con aria indifferente, mentre la frusta di Hic scintillava nell'atmosfera apocalittica in cui la stanza versava.
Diede un'occhiata eloquente alla figlia di Afrodite e lei capì al volo, così si mosse verso Castiel e lo portò al piano di sotto, sorreggendolo per le spalle. Poi Lion si alzò in piedi, la maglietta sporca del sangue di Elena, i jeans neri macchiati di gesso, gli anfibi in pelle rovinati, mentre il suo anello brillava di luce propria.
« Vogliono me. » disse subito, prima che qualcuno potesse fare domande. Robin lo guardò con aria sofferta, poi annuì, come se già sapesse cosa Lion volesse fare.
Dopotutto, si conoscevano da un vita.
« Hanno preso Cassie e Caelie come ostaggi per me. » continuò, gesticolando e spostando lo sguardo da un semidio all'altro. Gli occhi di Charlie ardevano di rabbia. « E io devo consegnarmi. »
« No Lion, non puoi. »
Con immensa sorpresa del figlio di Plutone, fu Zheng a parlare, Zheng il figlio di Ecate solitario e silenzioso, quello che tutti non vedevano finché non decideva lui di uscire dalle tenebre.
Lion lo guardò riconoscente, ma distante.
« Devo farlo. » affermò, senza che nessun altro mettesse in discussione la sua decisione, « Libereremo i miei fratelli romani e gli ostaggi che hanno preso. »
Poi, volgendo uno sguardo a Charlie ed Hic, disse « Si, anche Federica, se è ancora viva. »
« Come fai ad essere sicuro che Tartaro non ti distruggerà? » chiese Hic, la frusta attorcigliata intorno al suo braccio come un serpente, « Come riusciremo ad avvicinarci alla tana delle streghe? »
Lion sorrise amaro.
« Tartaro ha potuto risorgere grazie ad un rituale combinato, legato a molti oggetti che Lilith e Nives hanno dovuto procurarsi. » spiegò, la voce carica di tristezza e dolore, « Hanno avuto bisogno di un corpo che ospitasse Tartaro e lo hanno trovato in mia sorella, del cuore battente di Federica per far ricominciare a battere quello morto di Alexis. »
Si fermò, come se parlare di quella cosa gli stesse portando via le ultime energie rimaste.
« E del mio sangue per riportarlo alla vita. » disse infine, « È il mio sangue quello che scorre nelle sue vene, è il mio sangue che lo mantiene vivo. »
« E quindi come lo uccidiamo? » chiese Charlie, la spada di bronzo celeste che scintillava violenta nelle sue mani. Lion incrociò lo sguardo misterioso di Zheng che gli rispose con una smorfia.
« Di questo parlerò con Zheng, solo lui può aiutarmi. » rispose, quasi sarcastico, « Vuoi seguirmi? » gli chiese, retoricamente, mentre usciva dalla stanza sottosopra e conduceva il figlio di Ecate in un luogo appartato. I suoi occhi sembravano ancora più scuri di come li ricordava.
« Ciò che stai chiedendo è impossibile. » disse subito, interrompendolo prima che Lion potesse parlare. Il figlio di Plutone scostò alcuni manici di scopa che gli premevano contro la schiena.
Forse usare il ripostiglio per parlare di come annientare Tartaro non era stata una buona idea.
« Non è impossibile Zheng e lo sai. » rispose lui, quasi con la stessa voce con cui incitava la terza coorte prima di una battaglia, « Sei un figlio di Ecate, dovresti essere versato nelle arti magiche. »
Gli occhi di Zheng si infiammarono.
« Quella che mi stai chiedendo non è magia, è stregoneria! » protestò, puntandogli un dito contro, « E poi servirebbe una quantità immane di potere. »
Lion scosse la testa.
« E della negromanzia che mi dici? » chiese all'improvviso, giocando la sua ultima carta, « Quella è la magia più oscura che esista, Zheng. »
Lui sembrò avvampare di vergogna.
« Non so di cosa tu stia parlando. » disse, tetro, facendo per uscire dal ripostiglio, prima di incontrare il braccio di Lion a sbarrargli la strada.
« Girano voci su di te, al campo. Voci che dicono che tu uccidi la gente per cercare di riportarla in vita con la magia. » spiegò Lion, attingendo alla sua capacità di leggere le persone, « Quella è negromanzia e tu te ne vergogni. »
Zheng non rispose.
« Non ci sei ancora riuscito, non è vero? » gli chiese e Lion si chiese se non lo stesse canzonando, « Eppure potrei darti una mano, visto che sono un figlio di Plutone. »
« Plutone è morto, il suo regno è stato distrutto. » lo riprese Zheng, la voce carica di rabbia ed amarezza per essere stato scoperto. La coda di cavallo dei suoi capelli ricadde dietro le spalle, quando lui mosse la testa.
« Ma la sua conoscenza sopravvive in me. » rispose amaramente Lion, scuotendo il capo, « Io posso aiutarti, se tu aiuterai me. Se non posso muovere i celesti, muoverò gli Inferi. »
« E perché dovrei fare ciò che mi chiedi? »
« Perché io conosco la formula per riportare indietro i morti. »
 

 
 

Notes: il motto latino si traduce con “L’ultima difesa dei re.”
 
#King’sCorner
 
Aloha!
Vi sembrerà strano, ma sto maledicendo Apollo c.c Non riesco più a respirare senza sudare peggio di una delle sue vacche .___.
Ad ogni modo, eccomi qui con il dodicesimo capitolo, ovvero Strade di Fuoco. Beh, il titolo è azzeccato, non trovate? In questo capitolo succedono molte cose che porteranno, poi, alla battaglia nel prossimo (ho adorato scriverlo *^* soprattutto per alcuni particolari che non vi dico AHAHAHHAHHAH)
Mi sto rendendo solo adesso conto che sto facendo soffrire come un cane il mio Lion, però … che leone sarebbe se non lotta contro le avversità della vita? uu Scopriamo che chiamerà il gatto randagio Sansone, come l’eroe biblico, e poi ci sarà un momento het tra lui e Castiel :3
MUAHAHAHAHHAAHHAHAHHAHHAHHAAHHHA
Dai, Castiel era solo confuso, non guardatemi male xD Lilith e Nives, però, non tardano a farsi sentire e rapiscono Caelie e Cassie, tra lo sconforto generale di Castiel c.c Povero cucciolo ewe
Prendete appunti: sono senza cuore AHAHHAHAHAHAHAHAHAHHA
Così Lion prende una decisione drastica e svela quello che è il più grande segreto di Zheng, ovvero la sua brama di riportare in vita i morti tramite la negromanzia.
E chi meglio di un figlio di Plutone sa come resuscitare i morti? :3 Detto questo, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e ne approfitto per dirvi che il prossimo sarà … boom! Esplosivo AHAHHAHAHH
E so anche che vorrete uccidermi, quando lo leggerete MUAHAHAHHHAHHHA Si, il mio sistema cardiocircolatorio sadico si è dato da fare :3 Perdonate se non ho risposto alle vostre bellissime recensioni, ma sono stato davvero impegnato e lo farò al più presto!
Quindi non offendetevi se non vi ho ancora risposto c:
Ah, ultima cosa (finalmente) riguardante la sorpresina che vi avevo annunciato! Riguarderà … nah, va beh, meglio non dirvi niente! ♥
AHAHAAHHAHHHAHAHHHAHAAHHAHAH
Vi do appuntamento a sabato 25 con “Fratelli di Sangue”. Alla prossima e grazie per continuare a seguirmi così numerosi! :3
 
King.

 

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Capitolo 13
*** Fratelli di Sangue ***





13. Fratelli di Sangue
Si vis pacem, para bellum.
 

 
Lion correva come solo un leone avrebbe potuto fare.
Si stava facendo strada fra i marmi delle tombe e le croci latine fissate nel terreno brullo del cimitero Lafayette, rendendo l'atmosfera carica di tensione ed ansia. Lion non aveva paura, anzi, ciò che attanagliava il suo cuore era piuttosto una cruda ed amara rassegnazione.
Sapeva cosa avrebbe dovuto fare per fermare Tartaro.
Sfrecciò fra le lapidi consunte dal tempo, la pietra crepata da cui spuntavano erbacce dall'aria malaticcia, per poi fermarsi dietro un grande sarcofago monumentale che recava scritte in latino e greco. Fece segno a Robin di guidare il suo gruppo verso est, mentre loro avrebbero preso il lato ovest, poi ripartì alla carica, con Zheng e Serena alle sue calcagna.
La cappella da cui erano entrati nel covo di Lilith e Nives aveva la porta sbarrata, ma Lion non puntava a quell'obbiettivo.
Si voltò per cercare con lo sguardo Zheng, i suoi occhi cupi e tenebrosi, la coda di cavallo che sballottava da un lato all'altra del capo. E poi c'era Serena, lo sguardo più determinato che avesse mai visto, per una figlia della dea della bellezza.
Sentì le ombre della notte scivolargli addosso e farsi più dense verso il centro del cimitero, dove lui e Robin avrebbero dovuto incontrarsi, se tutto fosse andato per il verso giusto. L'appariscente anello di oro imperiale era scattato per rivelare il suo forcone, mentre il simbolo di suo padre brillava più che mai, alla base dell'avambraccio.
Se Plutone lo avesse visto, Lion era sicuro che sarebbe stato orgoglioso di lui.
La luna piena scintillava nel cielo di New Orleans, rendendo i contorni delle cappelle e le lapidi dei morti morbide e delicate, mentre gli occhi sovraeccitati di Lion sembravano vedere mani scheletriche artigliare l'aria.
Si augurò che andasse tutto bene.
Fece segno agli altri di fermarsi, mentre davanti a lui si apriva uno spazio circolare al cui centro era posto un altare nero come quelli che avevano già visto. Legate ad esso, due ragazze si divincolavano per cercare di liberarsi dai nodi che le tenevano strette.
Lion riconobbe il volto emaciato di Caelie, così come anche Cassie, lo sguardo arrabbiato e minaccioso in cui sembrava roteare una tempesta. Aveva una ferita superficiale sulla guancia, dove il sangue rosso si era seccato.
Serena sussurrò una sorta di ringraziamento agli dei, mentre Zheng si guardava intorno circospetto, alla ricerca dei pericoli che sarebbero potuti spuntare intorno a loro. Lion guardò prima Caelie, poi i due semidei che lo accompagnavano, esitando.
Era sicuramente una trappola, ma non aveva intenzione di lasciare la sua ragazza e Cassie nelle mani di quelle due psicopatiche.
Mosse velocemente un passo, quando il pavimento in pietra sotto di lui cominciò a scintillare, come una rete di luce. Una risata echeggiò tra le ombre, facendogli gelare il sangue nelle vene.
« Sciocco, da parte tua, pensare che ti lasciassimo avvicinare così tanto alla tua amata, Lion Davis. » esclamò Lilith, la folta chioma bionda che usciva dalle tenebre alla sua destra, il vestito nero di pizzo ancora più scuro della notte che li circondava.
Lion digrignò i denti, come un leone ferito.
« Sono venuto, strega. » disse, la voce più fredda e calma di quello che credeva, « Lascia andare le due ragazze adesso, è me che volete. »
Un'altra risata, questa volta alla sua sinistra, gli sfiorò la pelle, facendo correre i brividi lungo la sua schiena. Seppur spaventato, Lion si costrinse a mantenere il sangue freddo.
« Loro sono la nostra assicurazione, mezzosangue. » replicò con voce suadente Nives, gli occhi ancora più scintillanti delle stelle che c'erano in cielo, i capelli bruni come l'ebano, « Chi ci assicura che non fuggirai, una volta che le avremo liberate? » chiese, muovendosi con grazia verso di lui e accarezzandogli la guancia.
Lion scattò, mordendole la mano con tanta forza da lasciarle il segno dei suoi denti sul palmo, da cui cominciò a defluire il sangue rosso scarlatto. Lei rise, come se la cosa la divertisse, portandosi al fianco dell'altare e macchiando di sangue il viso di Caelie.
« Un figlio di Ecate e una misera donzella di Afrodite, a quanto vedo. » disse piano Nives, una maschera divertita sul suo volto angelico, « Non saranno un problema. »
Lilith sorrise sadicamente e Lion pregò affinché il loro piano funzionasse. Gli occhi della bionda scintillarono, proprio come quelli di un avvoltoio sopra una campo di battaglia, in cerca di cibo e di sangue.
Sentì l'impulso di scagliarsi contro di loro, ma si trattenne.
« Dov è? Dov è lui? » urlò Lion, mentre la sua voce andava perdendosi nel soffio del vento estivo, echeggiando nella solitudine del cimitero. Cinque torce, disposte secondo un disegno che Lion non riusciva a comprendere, si accesero all'unisono, rischiarando le tenebre con le loro fiamme rosse ed arancio.
« Oh, sei ansioso di incontrare il nostro padrone, Lion, dopo che l'ultima volta sei scappato come un codardo, questa mattina. » ridacchiò Lilith, mentre nei suoi occhi si riflettevano le fiamme delle torce, « Perché é questo che sei, un vigliacco. »
Lion si morse le labbra.
« Strega! » urlò Serena, muovendo il suo arco così velocemente da scagliare una freccia contro il petto di Lilith, la quale si limitò a fermarla a mezz'aria e a spezzarla.
Sorrise.
« Non avevo mai visto una figlia di Afrodite così coraggiosa. » sussurrò, mentre i suoi occhi scintillavano malvagi e tutte le cellule del corpo di Lion urlavano pericolo, « Sono sicura che tua madre sarà così orgogliosa di te, quando ti vedrà cadere. »
Lion scattò, ma non abbastanza velocemente: Lilith lanciò la punta della freccia contro di lei, mentre il figlio di Plutone si scagliava contro Serena e la spostava dalla linea di tiro, invano.
La freccia in bronzo celeste le aveva trapassato il polmone destro e adesso schiumava come acido, il petto che si alzava ed abbassava velocemente, il sangue che le invadeva la gola. I suoi occhi si fecero sempre più distanti e Serena smise di lottare, lasciando andare la presa sull'arco di legno.
Era morta, era morta sotto gli occhi di Lion, ne aveva le mani sporche di sangue.
Il figlio di Plutone sentì le risate delle due streghe, mentre la rabbia gonfiava il suo petto e lo scuoteva dal dolore per la dipartita della figlia di Afrodite. Le chiuse gli occhi, ringraziandola per quello che aveva fatto, prima di alzarsi lentamente, il forcone in oro imperiale che scintillava nella mano come la spada di un angelo vendicatore.
Lilith gli fece segno di fermarsi, facendo oscillare l'indice della mano destra davanti a lui.
« Mettilo giù, figlio di Plutone, metti giù il forcone o una delle tue amichette muore. » mormorò Nives, allisciandosi la chioma bruna con le dita, come se fosse il pelo di una manticora. Lion incrociò il volto di Caelie, lei che lo spronava a combattere, ma lui scosse la testa, poggiando il suo forcone a terra e alzando le braccia.
« Ok, che devo fare? » chiese, mentre Zheng lo afferrava per il braccio e gli diceva di non andare, gli occhi più scuri che mai, la coda di cavallo che si muoveva al ritmo della sua testa.
Lion si divincolò dalla sua stretta, entrando in quello che sembrava essere un cerchio formato dalle torce accese. Lilith sorrise mentre lo conduceva all'altare, facendo spuntare delle manette di ferro intorno ai suoi polsi. Lo costrinse a non fermarsi per cercare lo sguardo di Caelie.
« Adoro i bravi ragazzi, soprattutto tu, Lion. » gli sussurrò la strega bionda.
Caelie stava lottando contro i legacci che la tenevano ferma, la tristezza e il dolore che colmavano i suoi occhi, rendendoli più disperati che mai. Piangeva, lacrime incandescenti al contatto con la sua pelle, mentre la fatica le faceva scorrere sottili rivoli di sudore dalle tempie fino alle guance, dove si mescolavano alle lacrime.
Era il loro agnello sacrificale e si stava consegnando spontaneamente nelle loro mani.
Ricordava che, una volta, qualcuno gli aveva detto che sacrificarsi per gli altri era l'atto d'amore più grande che una persona potesse compiere.
E Lion lo stava facendo.
Lilith fece sdraiare Lion sull'altare, mentre altre catene comparivano dal nulla, stringendosi intorno alla sua vita e alle sue gambe, in modo che non potesse scappare. Poi la bionda si sporse su di lui, i suoi lunghi capelli che gli solleticavano il viso prima che lei premesse le sue labbra rosse su quelle di Lion, morte contro vita, preda contro predatore.
Lilith gli sfiorò il viso con le sue lunghe dita sinuose, scompigliandoli i capelli scuri sotto il cappello, mentre lui tentava inutilmente di ricacciarla indietro, cercando persino di morderla.
« Oh, combattivo come un vero leone! »
Si allontanò sorridendo, mentre le sue mani gli strappavano la maglietta, lasciandogli il petto scoperto. Cominciò a massaggiargli le clavicole, indugiando sui capezzoli e seguendo la linea dei suoi muscoli, accarezzando i suoi pettorali e gemendo come stessero avendo un rapporto sessuale.
« Sai, Lion Davis, scateni fantasie proibite nelle ragazze. » gli sussurrò ad un orecchio, leccandoglielo in maniera lussuriosa, per poi scendere con la mano sino all'ombelico e ancora più giù, continuando a gemere, « E tu non hai idea di quali siano le mie, adesso che ti ho solo per me. »
Prima che potesse toccargli il cavallo dei jeans e ciò che c'era sotto, la porta della cappella davanti all'altare si spalancò, mostrando la figura snella di una ragazza dai capelli bruni e gli occhi scuri, senza nessuna traccia di bianco.
Tartaro.
« O forse lo farò dopo. » gli sussurrò ad un orecchio, la voce suadente come quella di una sirena, « Saresti sexy anche con il pallore della morte addosso. » gli confessò, dandogli un colpetto sulle parti intime ed allontanandosi prima che Tartaro giungesse all'altare.
Caelie cominciò ad urlare, sprofondando in una lenta agonia di dolore, che aumentava ad ogni passo con cui Tartaro le si avvicinava. Cercò di portarsi le mani verso il volto, come a proteggersi, prima che il dio delle ombre le fosse accanto e le accarezzasse il viso con fare amorevole
Tratto che non esisteva nel suo essere.
« Lion Davis, non immagini quanto sia onorato di vederti. » affermò, lasciando perdere Caelie ed avvicinandosi a lui, salendo i pochi gradini per salire sul podio rialzato dell'altare nero. Le torce scintillarono con più violenza, come a mantenere fuori le ombre che li circondavano.
Gli sfiorò i capelli.
« Oh, adoro gli umani. » disse Tartaro usando la voce di Alexis, « Così fragili e deboli, eppure così combattivi, anche se il coraggio non ti salverà, questa volta. » gli sussurrò, poggiando le sue dita sul petto scoperto di Lion, prendendo a bruciare la pelle come acido corrosivo. Chiazze scure di ombra si allargarono dalle sue dita, spandendosi sul suo corpo come olio.
« Hai un'alta sopportazione del dolore, semidio, ma nemmeno tu puoi resistere al mio tocco. »
Mosse le sue dita verso le gambe, dove le conficcò nella carne come se fossero coltelli e le rigirò nelle varie ferite con fare esperto, andando a toccare i punti che facevano più male. Lion sussultò, per quanto le catene glielo permettessero, stringendo i denti per il dolore della tortura.
Che senso aveva? Perché non ucciderlo direttamente?
« Sai, ho distrutto tuo padre. » gli disse, come se Lion non lo sapesse, modulando la sua voce fino ad ottenere un tono sadico e divertito allo stesso tempo, « Avresti dovuto vedere la sua faccia quando l'oscurità lo ha preso, spargendo la sua essenza tra le profondità del Tartaro. » confessò, sussurrando alle sue orecchie, il suo alito che gli bruciava gli occhi, costringendo Lion a sbattere le palpebre.
Tartaro lo studiò, mostrando lo stesso interesse di uno scienziato davanti alla sua cavia di laboratorio, mentre il cuore del figlio di Plutone aumentava il suo ritmo, sbattendo contro la gabbia di ossa e di carne che lo imprigionava.
Poi, prima che potesse rendersene conto, Tartaro gli mise le mani alla gola, stringendo forte per soffocarlo e torturarlo con le sue dita corrosive.
Era così che sarebbe morto.
Batté le mani sulla pietra dura dell'altare, cercando di ispirare più ossigeno possibile dalla bocca, mentre il suo petto faceva sempre più fatica ad alzarsi ed abbassarsi. Sentiva i suoi occhi colorarsi di rosso, perdere sensibilità alle dita, mentre l'ombra della morte gli passò accanto, oscurando per un attimo la sua vista.
« E dovresti vedere la tua adesso. »
Tartaro lo lasciò andare e Lion poté di nuovo respirare normalmente, mentre il suo petto si alzava ed abbassava ad una velocità allarmante e lui sputava un grumo di sangue a terra. Alzò le mani, cercando i segni di lividi sul collo con un'espressione amara, cercando di respirare normalmente, guardando inacidito il dio davanti a lui.
Era una tortura vedere come Alexis si fosse sacrificata per lui e, adesso, un dio psicopatico aveva preso possesso del suo corpo, negandole anche la possibilità di tornare in vita grazie alle negromanzia.
Sputò.
« Ti piace giocare con il cibo, prima di mangiarlo. » fu l'unica cosa che riuscì a dire. Tartaro gli rivolse un'occhiata divertita, come se la battuta gli fosse piaciuta, battendo le mani per applaudirlo.
« Non ti manca il coraggio, devo dartene atto. » rispose, sedendosi sull'altare e mettendo il palmo della mano sul punto in cui si trovava il cuore, il cui ritmo aumentò, « E ti rendi conto che sei tu, il mio cibo? »
Improvvisò una risata, notando come Lion fosse serio.
« Andiamo, hai coraggio, ma nemmeno il minimo senso dell'umorismo! » protestò, come se fosse tutta una messinscena, rivolgendosi alle sue due streghe, « Non era divertente? »
Lilith, per quanto potesse vedere, abbozzò un sorriso, seguita dalla risata sommessa di Nives, anche se Lion pensò lo facessero solo per compiacere il loro padrone e non essere spazzate via.
« Ti devo molto, Lion Davis. È merito tuo se sono qui, dopotutto. » lo ringraziò, usando il suo tono migliore e, anche se non voleva ammetterlo, Lion sapeva che era vero.
Aveva donato il proprio sangue per salvare Alec dalla morte, poi aveva scovato l'ultimo cuore battente causando la prigionia di Federica ed infine era lui la causa per cui Alexis si era immolata, fornendo un corpo al dio delle ombre.
Lui sorrise, mostrando i denti bianchi, così luminosi in mezzo a tutte quelle ombre.
« So a cosa stai pensando. » gli disse Tartaro, sorridendo in maniera malvagia, « Senza di te non ce l'avrei mai fatta. Davvero, ti sono riconoscente, eroe dell'Olimpo. »
Lion si morse le labbra, visto come Tartaro avesse pronunciato con sarcasmo quelle ultime tre parole, riconoscendo che aveva fatto esattamente il gioco del dio, sin da quando era arrivato al Campo Mezzosangue. Lui si portò una mano sul petto, nel punto in cui batteva il cuore di Alexis, o almeno, aveva battuto una volta.
Nei suoi occhi neri scintillavano le ombre più scure, mentre la luce delle torce accese vi si rifletteva dentro, dandogli un'aria assolutamente non umana: adesso che lo osservava meglio, le sue braccia era ricoperte da vene nere, la pelle era sottile come carta velina, biancastra come quella di un cadavere.
« Il corpo di tua sorella si sta consumando. » gli spiegò Tartaro, sorridendo come solo i pazzi possono fare, « Non riesce a contenere la mia energia divina. È troppo debole, troppo umano. »
Guardò Lion con i suoi occhi taglienti, mentre il vento si alzava e scompigliava i lunghi capelli neri di Alexis, i quali si gonfiarono alle sue spalle. Fece scattare la lingua come un serpente, mentre Lion cominciava finalmente a capire il suo orrido piano.
« Questo corpo sta collassando, Lion. » disse infine, dando sfogo a tutti i pensieri apocalittici del figlio di Plutone, « Il cuore di tua sorella sta per smettere di battere ancora, morirà una seconda volta. » gli spiegò Tartaro, mettendogli di nuovo una mano sul petto, dove le vecchie ferite si riaprirono, sputando sangue e facendolo scorrere lungo il petto, fino al punto in cui batteva il suo cuore.
« Per questo ho bisogno di te, del sangue del mio sangue. » continuò, facendo una smorfia mentre sul viso di Alexis si apriva una crepa come nella bambole di porcellana, « Hai un cuore forte, piccolo leone. Per questo te lo strapperò dal petto.»
Pronunciò quelle parole come se fossero davvero fratelli, fratelli di sangue, facendo inorridire Lion. Il suo stesso sangue stava macchiando l'altare, mentre ogni singola cicatrice sul suo corpo bruciava come se fosse su un fuoco. L'anello di suo padre era incandescente.
« Non puoi negarmelo, Lion. » sostenne, sorridendo, mentre osservava il suo anello di oro imperiale e lo afferrava con le sue lunghe dita da scheletro,  « Questo sarà il  »
Lion gli sputò contro.
« Va all'Inferno, mostro! » urlò, il petto che si alzava ed abbassava, sentendosi sempre più debole per via del sangue che veniva versato, « Se mai esista un luogo in cui tu possa marcire in eterno. »
Tartaro sorrise, mostrando i suoi denti sembrarono coltelli affilati e poi fu un attimo.
Li affondò prepotentemente nel collo di Lion come un vampiro, bevendo il suo sangue tra gorghi e risucchi, mentre i capelli scuri si bagnavano del suo stesso sangue. Lion si abbandonò completamente, lasciando cadere i pugni sull'altare di pietra, sentendo fluire con il sangue la sua stessa forza.
I punti in cui Tartaro lo aveva morso bruciavano da morire, come se fossero stati infettati.
Ma che importava? Sarebbe morto da un momento all'altro, uno psicopatico gli avrebbe estratto il cuore dal petto.
« Grazie Lion. » gli sussurrò, il tono più seducente che potesse usare, « Grazie piccolo leone. » continuò, mentre la sua bocca gocciolava sangue sull'altare, « Ma sei stato davvero uno sciocco a venire da solo. »
Questa volta fu Lion a ridere, la risata di un pazzo prima di essere condotto in manicomio, di un assassino prima di essere catturato, di una strega prima di bruciare.
« Ma io non sono solo. » fu l'unica cosa che riuscì a dire, zittito dall'urlo di guerra che spezzò la calma piatta del cimitero, mentre il cerchio di luce veniva rotto da una folla inferocita di Romani.
Lion sorrise, vedendo come il loro piano era effettivamente riuscito, compiaciuto da come Robin guidasse tanto coraggiosamente i suoi fratelli romani, lo stesso ardore di un vero comandante. Charlie era al suo fianco, la spada in bronzo celeste che scintillava nel buio della notte, mentre Hic, lo spacciatore che Lion aveva tanto sottovalutato, faceva saettare la sua frusta così velocemente che il figlio di Plutone faticava a seguirne i movimenti.
Tartaro sussultò, mentre un rivolo di sangue cominciava a scorrergli da una ferita aperta lungo la guancia, lo sguardo sconcertato verso lo spacciatore, come chiedendogli come avesse osato farlo. Hic sorrise in maniera combattiva, poi sparì nella folla di Romani che investì il cimitero.
Lilith e Nives partirono all'attacco, entrambe con un paio di pugnali scintillanti, il loro urlo di guerra rinforzato dal sibilo inumano degli spiriti di Piritoo, la corona che scintillava sulla sua testa incorporea. Guizzavano nella marmaglia della battaglia, menando fendenti e abbattendo i suoi fratelli romani.
"Ti prego Giove, ti prego."
Quando i romani sembravano stare per essere sopraffatti, un corno da guerra risuonò nel cimitero, facendo fermare spade e coltelli: bighe e carri alati procedevano speditamente verso di loro, con i greci armati fino ai denti che invocavano la battaglia, mentre i figli di Atena ed Ares urlavano ordini e formazioni.
Lion vide la chioma bionda di Gabriela, le sue mani in fiamme, lo sguardo determinato di Melissa, la treccia che le penzolava da un lato, sbattendo contro l'elmo a forma di civetta sulla testa. Alec, Wolf e Castiel erano in testa, le armi sguainate, i volti concentrati sulla battaglia che si profilava.
Lo scontro fu assordante.
Tartaro guardava la scena con un misto di terrore e di sorpresa, muovendo le mani nere per via del corpo in collasso di Alexis. Alzò lo sguardo verso il cielo, le ombre che si addensavano, mentre uccelli scuri e uomini d'arme d'ombra si plasmavano dal nulla e marciavano verso greci e romani.
Se Gea aveva quasi distrutto il mondo, Tartaro lo avrebbe fatto su due piedi.
« Che c'é, hai perso coraggio? » gli chiese sarcastico Lion, prendendolo in giro per distogliere la sua attenzione dalla battaglia. Il volto di Alexis sembrò farsi ancora più pallido, mentre crepe correvano dalla fronte fino al collo, allargandosi su tutto il corpo.
« Un attimo e sono da te, figlio di Plutone. » gli rispose, facendo emergere un po' la sua personalità distruttiva dalla voce calma di Alexis.
« Illuso. » lo canzonò Lion, ridendo, « Non basterà a fermarli. Verrete fatti a pezzi. » affermò, indicando con le mani ammanettate Zheng, gli occhi completamente bianchi come li aveva avuti anche Lilith, mentre cantilenava in latino, una litania in crescendo.
« Credi che un po' di morti mi facciano paura? » scherzò Tartaro, improvvisando una risata mentre Caelie strillava come una pazza per via di essere l'ancora e sentire il dolore delle creature sovrannaturali che passavano attraverso di lei.
Lion inarcò le sopracciglia, trovando inaspettatamente la forza per andare avanti, per compiere l'ultimo, estremo atto del loro piano.
« Un po'? » domandò sarcastico Lion, sorridendo, « Non è stata una scelta molto intelligente stabilire il vostro covo in un cimitero. »
La terra si squarciò, accompagnata da un sussurro roco e lento, mentre mani scheletriche artigliavano l'aria, in cerca di nuova vita. Scheletri e cadaveri si animarono, muovendosi contro il nemico, formando una marmaglia informe, ma consistente.
Zheng si lasciò cadere a terra, protetto dai cadaveri rianimati dalla negormanzia e sembrava esausto, ma felice. Rivolse un'occhiata a Lion, come se fosse l'ultima.
« Maledetti semidei. » sibilò Tartaro, gli occhi scuri di rabbia, il corpo di Alexis al collasso, « Quando ti strapperò il cuore assumerò la mia vera forma divina e verranno uccisi tutti. »
Lion lo guardò negli occhi, sfidandolo, l'ultimo atto della sua vita da leone.
« E allora fallo, uccidimi. »
« Con piacere, semidio. » gli rispose, la voce carica di odio e di rabbia, « Guarda i miei occhi, saranno l'ultima cosa che vedrai. »
E poi, prima che Lion potesse prepararsi al dolore, affondò la mano nel suo petto.

  

 
Note:  credo che lo conosciate tutti, ma, in caso non fosse così, il motto latino si traduce con “Se vuoi la pace, prepara la guerra.”
 
#King’sCorner.
 
Hello there, King is here! ♥ (perdono Pendragon, ti ho rubato la battuta d’ingresso AHAHAHAHAHAHAH)
Siamo al 25 di Luglio (di già? c.c) e io sono qui puntuale ad aggiornare con il tredicesimo capitolo che, come vi avevo annunciato, è una bomba, no? AHAHAHHHHHA
Diciamo che le cose cominciano a sistemarsi, ma non troppo, specialmente per il nostro Lion :3 Come avete potuto capire leggendo, i Romani vengono liberati (yeeeah! xD Finalmente, aggiungerei AHAHAHAHAH) e Tartaro, purtroppo, fa una cosa che tutti abbiamo temuto e che io ho fatto avverare D:









Strappa il cuore a Lion c.c
*partono lance, frecce e coltelli* Si, lo so, sono sadico e devo dire che in questo capitolo ho raggiunto l’apice massimo di sadismo possibile. Se avete lamentele o minacce da fare, avete il mio indirizzo AHAHHAHAHAHAH
Mi sono divertito così tanto a scrivere del momento hot tra Lion e Lilith (si, Lion se li sta passando tutti, è peggio di Brooke di Beautiful se qualcuno di voi sa cosa intendo AHAHAHAHAHAH)
Beh, termino qui il mio angolo di pazzia che sarà anche l’ultimo!
Nel prossimo capitolo, come nell’epilogo infatti, non ci saranno altri angoli autore, ma ci rivedremo direttamente nei ringraziamenti speciali! Che dire, amo leggere le vostre recensioni anche se mi danno l’anima cercando di rispondervi :3
Siete i migliori che esistano! ♥ Adesso mi dileguo perché mi stanno aspettando, quindi ci si vede con il quattordicesimo capitolo, “Autodistruzione”, mercoledì 29!
 
King.

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Capitolo 14
*** Autodistruzione ***


14. Autodistruzione
Sol omnibus lucet.
 

Lion si toccò il punto in cui una volta c'era stato il suo cuore.
Aprì gli occhi, di scatto, sbattendo più volte le palpebre per via della luce accecante del luogo in cui si trovava. Aveva addosso una sottile tonaca nera, smanicata, che gli copriva il corpo fino alle ginocchia ed era a piedi nudi.
Non sentiva più il peso dell'anello di oro imperiale al dito, quello consueto del cappello sulla testa e non più il bruciore del simbolo di suo padre alla base dell'avambraccio.
Era morto?
Se così fosse stato, dove si trovava se gli Inferi erano stati distrutti? Mosse un passo dietro l'altro, constatando che il pavimento sotto di lui era piacevolmente fresco.
Si guardò le braccia, da cui erano scomparse ogni ferita e cicatrice che si era procurato nella sua vita da semidio. E lo stesso si poteva dire delle gambe e del petto, dove non c'era traccia di Tartaro che aveva estratto il suo cuore.
Vagabondò un po' in quel luogo misterioso, non vedendo nessuna linea dell'orizzonte, ma solo bianco intorno a lui, come se fosse intrappolato in una dimensione eterna ed eterea.
« C'è nessuno? » chiamò, ottenendo come risposta solo l'eco della propria voce, prima che una figura alta e slanciata apparisse alle sue spalle, i capelli scuri come i suoi, una corona di ossa sulla sua testa, gli occhi neri che brillavano di orgoglio.
Indossava una tunica nera come quella di Lion, ma aveva una spilla d'oro appuntata sulla spalla e calzava dei sandali di cuoio marrone, alla maniera dei gladiatori, che salivano fino al ginocchio.
« Impossibile. » sussurrò Lion, portandosi le mani alla bocca, capendo di trovarsi di fronte a suo padre, « Tu sei morto. »
Per quanto fosse felice di vederlo, se c'era suo padre ad accoglierlo dopo che un dio malvagio e corrotto gli aveva strappato il cuore, voleva dire che le cose dovevano essersi messe male.
Plutone gli sorrise in maniera benevola, muovendosi incontro a lui e abbracciandolo: fu una cosa che non aveva mai fatto, considerato anche che si era fatto vivo solo due o tre volte nella sua vita.
Per un attimo, Lion ne fu spiazzato, poi si lasciò andare all'abbraccio, cingendo le spalle di suo padre con le braccia e affondando il naso nel tessuto pregiato della sua tunica, cercando di cogliere un suo odore. La sottile ombra di barba era ispida e spigolosa, i suoi capelli erano più corti di quanto Lion avesse immaginato mentre la corona di ossa scintillava sulla sua testa, mani e piedi intrecciati assieme a gioielli e pietre preziose.
« Figlio mio, Lion, sono così orgoglioso per quello che hai fatto. » disse lui, la voce atemporale come quella di tutti gli dei, « Io e tua madre scegliemmo bene il tuo nome, quando nascesti. Sei davvero un piccolo leone, figlio mio. Non ho mai conosciuto nessuno con la tua stessa fibra morale. »
Lion avvampò, visto che non aveva mai ricevuto dei complimenti da suo padre. Come dicevano giù al Campo Giove, i complimenti vanno fatti solo se meritati e non solo per compiacere le persone delle loro azioni.
« Io ... io non so cosa dire. » confessò Lion, osservando i lineamenti di suo padre, la linea interessante dei suoi occhi, come quella delle statue antiche, « Non ho fatto niente. »
Plutone scosse la testa e la corona di ossa seguì il suo movimento. Lo invitò a seguirlo e camminarono fianco a fianco, verso il nulla più lontano.
« Dove siamo? » gli chiese subito Lion, la voce leggermente insicura per via del tono da adottare con un dio, perché Plutone era un dio prima che suo padre. Lui si scrollò le spalle.
« Ovunque e da nessuna parte. » fu la sua risposta sibillina, mentre i suoi sandali di cuoio aderivano perfettamente al pavimento scintillante sotto di loro, « La vera domanda che dovresti porti è: perché io sono qui? »
Lion lo guardò, confuso.
« Atena mi ha detto che eri morto. » ricordò Lion, gesticolando mentre parlava, « Distrutto, sparso nelle profondità del Tartaro, se ancora esiste. »
Plutone abbozzò un sorriso enigmatico, guardando dritto davanti a sé, come se stesse aspettando qualcosa. Lion puntò il suo sguardo nella stessa direzione e lo abbassò subito, quando suo padre tornò a guardarlo, fermandosi.
« Ed era vero. » sostenne, « Però la carneficina che si sta compiendo nel cimitero Lafayette e la distruzione di Tartaro mi hanno fornito l'energia necessaria a rimettere assieme i miei pezzi. »
Lion scosse la testa, cercando di assimilare la notizia.
« Aspetta un attimo, hai detto che Tartaro è stato distrutto? » chiese, come se non ci credesse. Suo padre annuì, sorridendogli in maniera fiera, con gli occhi scuri che gli si illuminarono di orgoglio.
« Sei stato molto coraggioso a legare a tua vita a quella del dio più temibile che sia mai stato visto in circolazione. » spiegò lui, con una nota di divertimento nella sua voce, « Usare il tuo sangue per far fare al tuo amico figlio di Ecate un incantesimo di vincolo. Un colpo da maestro. »
Lion ancora non ci credeva.
Si sventolò con una mano, come per allontanare il calore che aveva colto il suo corpo, mentre respirava più velocemente e si accorse ben presto che c'era qualcosa che non andava.
« No. » sussurrò, attirando lo sguardo pensieroso e adesso triste di Plutone, gli angoli della tua bocca piegati in una smorfia di dolore.
Il petto di Lion non si alzava né si abbassava, il suo cuore non batteva più, non sentiva più il ritmo del tamburo che lo aveva ancorato alla vita. Boccheggiò, come se cercasse aria.
« Sono ... sono ... »
Plutone annuì, tetro.
« Morto? » chiese retoricamente suo padre, « Si, Tartaro ti ha strappato il cuore dal petto, Lion. Ti ha ucciso nel peggiore dei modi. Appena la tua anima è discesa qui, lui ha iniziato a autodistruggersi. » gli spiegò, indicando il luogo che li circondava come il nuovo biglietto da visita degli Inferi.
« Non potrò tornare, vero? » domandò Lion, muovendosi verso suo padre che, nel frattempo, aveva ricominciato a camminare, « Non potrò più camminare di nuovo sulla terra come un essere qualunque? » continuò, afferrando Plutone per un braccio, un anello d'oro imperiale che gli cingeva il bicipite, sotto la tunica scura.
« Puoi farlo, invece. » rispose, accedendo una scintilla di speranza nel cuore vuoto di Lion, « Ma non è così semplice come pensi. » lo avvertì subito, guardandolo dritto negli occhi e a Lion formicolò la pelle.
« E come? » chiese, ansioso di conoscere la proposta di suo padre, « Dimmelo padre, ti prego. Ho lasciato tutti i miei amici a combattere una guerra che non era la loro. Se c'è una strada, io la percorrerò. »
Plutone lo osservò con fare pensieroso, come se stesse analizzando i calcoli di una battaglia, poi annuì, mentre la sua corona d'ossa scintillava di una luce più abbagliante di quella naturale che li circondava.
« In questo momento sei solo un semidio morto su un altare, senza cuore. » cominciò suo padre, avvicinandosi a lui lentamente, « Sei morto, anche se il tuo amico Zheng sta cercando di svegliarti con la negromanzia. Non ci riuscirà, il tuo corpo è stato corrotto dall'oscurità di Tartaro. »
« Quindi? » chiese impaziente Lion, accorgendosi subito dopo della sua maleducazione per aver fermato suo padre, « Scusa. »
Plutone abbozzò un sorriso storto, lo stesso di Lion.
« C'è un solo modo di tornare sulla terra, figlio mio. » disse il dio della morte, gli occhi scuri ed enigmatici, mentre Lion lo osservava senza fiato,  « Io e gli dei dell'Olimpo intendiamo concedertela viste le tue grandi imprese. »
« Ovvero? »
Plutone lo guardò dritto negli occhi e Lion capì che non scherzava.
« La divinità. » gli annunciò, come se la cosa lo rendesse orgoglioso, « Mi servirai come luogotenente fino alla fine dei tempi, figlio mio, dio del coraggio. »
Lion rimase a bocca aperta, come se gli avessero dato un pugno nello stomaco, non riuscendo a credere che gli dei volessero davvero renderlo uno di loro. Da una parte voleva rifiutare, visto che non sarebbe stato giusto nei confronti dei suoi amici, ma dall'altra voleva tornare da Caelie, combattere con lei nella battaglia e vivere finalmente una lunga vita assieme.
« E i miei amici? » chiese Lion, la voce incrinata per la confusione che albergava nella sua testa, « Loro saranno mortali, vero? »
Plutone annuì.
« Gli dei non possono dare a tutti la grazia che ti è stata concessa. » spiegò, facendo una smorfia triste, « Ma intende premiarli con doni di lunga longevità. Avranno una vita lunga quasi quanto la tua, così come i figli dei loro figli. E i figli dei loro figli. Senza contare che la tua Caelie vivrà per sempre, essendo l'ancora. » continuò, guardandosi poi intorno come se stesse controllando un orologio.
« Il tempo sta per scadere, figlio mio. » gli disse Plutone, mettendogli le sue mani antiche sulle spalle, « Che cosa hai deciso? » chiese, aspettando la risposta di Lion.
Lui lo guardò, inspirando come se gli mancasse l'aria, poi annuì, continuando a sostenere il suo sguardo. Plutone imbastì un sorriso, dandogli una pacca sulla spalla e congratulandosi con lui in maniera burbera.
« Torna alla vita, figlio mio. » gli disse, toccandogli il volto e Lion sentì avvamparsi, come se una fiamma si stesse diffondendo dentro di lui, « E porta con te tutta la rabbia dell'Olimpo. »
 
Lion si svegliò ispirando a pieni polmoni.
Con sua grande sorpresa, le ferite si erano rimarginate e lo squarcio sul suo petto sembrava non essere mai esistito, anche se il suo cuore non batteva. Le stelle su di lui brillavano più che mai, mentre la luna sorrideva benevola, illuminando la carneficina che si stava consumando nel cimitero.
I romani e i greci stavano cooperando assieme contro i fantasmi di Piritoo, mentre i morti di di Zheng si erano scagliati contro le due streghe, le quali combattevano assennatamente, all'ultimo sangue. Lion, grazie alla sua nuova vista potenziata da dio, riuscì a distinguere le figure di Castiel e Cassie che combattevano spalla contro spalla, menando fendenti ed affondi contro i fantasmi un po' troppo corporei, vide anche Robin correre ed armare gli arcieri, la frusta di Hic guizzare tra le ombre, la spada di Charlie accanto a quella di Federica, ancora viva per fortuna.
Le corde erano sciolte ed in pezzi sui gradini di marmo che salivano sull'altare su cui era disteso, mentre il corpo di Alexis aveva lasciato un'impronta nera su essi, l'ultima traccia della presenza di Tartaro sulla terra. Il cuore scarlatto di Lion era stato poggiato accanto alla sua mano destra, mentre alla sua sinistra una figura minuta di affollava a piangere lacrime amare.
Caelie.
« Lion, Lion. » continuava a ripetere, « Sei andato via senza nemmeno salutarmi. »
« Beh, posso farlo adesso se vuoi. » le sussurrò piano. Lei alzò la testa di scatto, i suoi capelli castani che seguirono il movimento del capo, mentre i suoi occhi azzurri ancoravano quelli scuri di Lion e piangevano di gioia.
Prima che potesse dirgli qualcosa, Lion scese dall'altare, la tirò verso di sé e la baciò, scompigliandole i capelli con le sue dita di una mano e sfiorandole il viso con le dita dell'altra, facendole dimenticare tutta la tristezza e il dolore che aveva provato quando lui era morto.
Era stupefatta.
« Com ... come hai fatto a tornare? » gli chiese, non appena lui la lasciò andare, indicando il freddo cuore sull'altare, « Tartaro te lo ha tirato dal petto, ho sentito la carne strapparsi. »
Lion improvvisò un sorriso storto.
« È una lunga storia, ma adesso non abbiamo tempo. » si affrettò a dire, recuperando il suo anello di oro imperiale e facendolo scattare per rivelare il suo forcone scintillante, « Abbiamo una battaglia di combattere. » la spronò e, tenendosi la mano, di gettarono nella mischia.
Lion menava colpi a destra e a manca, colpendo spiriti e fantasmi, l'adrenalina che scorreva a mille nelle sue vene, facendolo sentire più vivo che mai. Doveva ancora abituarsi al vuoto che sentiva dentro il petto, ma gli sembrò di essere tornato alla normalità mentre affettava uno dei guerrieri d'ombra di Tartaro.
Incrociò lo sguardo sorpreso di Zheng a cui rispose con un sorriso, mentre lui spariva tra il clangore delle armi. Parò l'attacco di uno spirito con le due punte del forcone, infilzandone due di loro assieme.
Si staccò momentaneamente da Caelie per atterrare un guerriero d'ombra e farlo uccidere da un colpo di spada di Castiel, il volto macchiato di nero e di zolfo. Casse richiamò il potere del cielo, friggendo con i fulmini buona parte dell'orda di nemici che affollavano il cimitero.
Però, per quanto i romani e i greci combattessero accanitamente, il loro morale era fiacco e presto sarebbero caduti, se Lion non avesse fatto qualcosa. La voce si suo padre gli risuonò nelle orecchie, chiara come l'acqua di fonte.
« Mi servirai come luogotenente fino alla fine dei tempi, figlio mio, dio del coraggio. »
Urlò, un urlo che più che umano sembrò ferino, quasi il ruggito di un leone.
Il suono era così forte che scosse le pareti delle tombe, facendo tintinnare gli ossari, mentre alcuni degli spiriti di Piritoo scomparivano da sé, impauriti dall'aura di morte e di coraggio che permeava dall'urlo di Lion. I romani e i greci sembrarono riprendersi, i loro cuori più leggeri e speranzosi di vincere la battaglia e tornare a casa, i loro colpi più netti e precisi, la fatica scomparsa.
« COMBATTETE FRATELLI MIEI! » li incitò, sovrastando il rumore della battaglia con la sua voce, « COMBATTETE AFFINCHÈ GLI DEI NOSTRI PADRI CI SIANO DEBITORI! »
I romani e i greci risposero con un grido di guerra, affiancato da quello roco e sporco dei morti rianimati dalla negromanzia. Uno di loro, senza braccio, sfrecciò accanto a Lion per infilzare uno spirito di Piritoo, brandendo una delle sue ossa come arma.
Doveva cercare le streghe, visto che erano loro a tenere assieme quell'esercito di spiriti con i loro poteri.
Sentì un dolore acuto proprio al centro del petto, là dove una volta c'era il suo cuore, mentre la battaglia si fermava accanto a lui, gli sguardi terrorizzati di Cassie e Castiel, gli occhi sgranati di Zheng, lo sconcerto sui volti di Alec e Wolf.
Lion sputò un grumo di sangue dorato che scintillò alla luce della luna, mentre dalla ferita andava scorrendo icore degli dei al posto del normale sangue. Il volto di Lion era una maschera di paura e di stupore.
« Impossibile, tu sei un ... » prese a dire, interrotta dalla risata divertita di Lion quando sfilò il coltello dal petto, brandendolo con la mano libera.
« Un dio? » chiese, retoricamente, mentre tutti lo ascoltavano, « Esattamente! » continuò, scagliando il coltello contro lo spirito di Piritoo che si stava scagliando verso di lui per proteggere la sua padrona. La lama di bronzo celeste si fermò a mezz'aria, esattamente sulla coscia del re spettro che stava ululando di dolore.
« Immundus spiritus. » sibilò disgustato, alzando una mano verso di lui. Piritoo urlò di dolore, prima di contorcersi e sparire nel terreno, portando con sé i suoi spiriti, le fiamme estinte dalla sua schiena come gesto di vergogna.
Lilith lo guardò, mentre i suoi occhi si scurivano e cercavano di scavare nel cuore di Lion, riportando a galla i suoi fantasmi. Lui ridacchiò, afferrando la ragazza per un braccio e stringendola forte.
« Non ho più un cuore, mia bella. » le sussurrò, affondandole poi il suo forcone all'altezza dei polmoni, vendicando Serena, « Sai, scateni fantasie proibite nei ragazzi, Lilith. » le disse lui, sorreggendola mentre lei si lasciava accasciare a terra, « Spero che gli Inferi siano di tuo gusto, mi assicurerò personalmente che mio padre ti giudichi in maniera esemplare. »
Lei afferrò il suo braccio, guardando oltre di lui il corpo senza vita di Nives, disteso poco più in là, uccisa dalla frusta di Hic. Il suo petto si alzava ed abbassava, mentre il suo viso si colorava di rosso e lei sputava sangue, macchiando la maglietta già abbastanza sporca di Lion.
Cercò di artigliare l'aria in cerca di una scappatoia alla morte, quando il suo braccio cadde finalmente a terra, tra l'esultanza generale. Un grido di vittoria si alzò dai greci e i romani, mentre i morti di Zheng tornavano alle loro tombe, tra carne in decomposizione e ossa rotte.
Era finita, avevano vinto.
 

La sala del consiglio degli dei era quanto di più bello Lion avesse mai visto.
Gli dei, rigorosamente nella loro tenuta più formale, erano seduti sui loro alti troni, disposti a semicerchio in un ambiente ampio sormontato da un'enorme cupola di marmo rosato. Capitelli e colonne corinzie adornavano le pareti, a metà tra l'arte greca e quella romana, mentre Lion sentiva lo sguardo di tutti gli dei addosso.
Riconobbe Zeus, il signore del cielo, la tunica e i sandali greci, sua moglie Era al fianco, i capelli raccolti a treccia, presiedendo l'assembla a cui partecipavano le schiere dei loro figli.
Lion riconobbe Atena che gli sorrideva complice sul suo trono, Apollo, il dio del sole, dai biondi capelli, oppure Ermes, il messaggero, con il suo caduceo in mano. C'erano persino Eris, Nemesi e Giano, i quali avevano ottenuto un trono dopo la battaglia di Manhattan grazie a Percy Jackson, il figlio del dio del mare.
Poseidone lo guardava incuriosito, come se gli avesse letto nel pensiero, giocherellando con l'asta del suo tridente, mentre Dioniso spiluccava pigramente alcuni acini d'uva maturi.
Non avevano dato loro nemmeno il tempo di esultare.
Erano stati teletrasportati sull'Olimpo in fretta e furia non appena la battaglia era finita ed Afrodite, passandogli accanto, aveva dato loro una magica ripulita, rendendoli presentabili per essere ammessi all'assemblea degli dei. La dea dell'amore gli strizzò l'occhio in maniera complice, entrando nella sala e crescendo fino a diventare alta sei metri e sedere sul suo trono ornato di piume di cigno.
Solo suo padre si era presentato nel suo aspetto romano e sembrava così fuori posto in mezzo a tutti quegli dei nella loro forma greca, ma a lui non sembrava importare. I suoi occhi scuri scintillarono come due diamanti, mentre gli veniva incontro, assumendo dimensioni umane.
Gli diede una pacca sulla spalla e Lion si trattenne dallo abbracciarlo, visto che erano in presenza di tutti gli altri dei. Per quanto Lion si sentisse diverso, era pur sempre uno di loro, non era il caso di farli arrabbiare proprio adesso.
« Mio figlio, Lion Davis, ha salvato l'Olimpo! » annunciò, la voce profonda, guardando gli dei uno ad uno, indugiando su suo fratello Zeus, « Diventerà il mio luogotenente, il dio del coraggio. Qualcuno è contrario? »
Ares guardò Lion con i suoi occhi rossi, ardenti come due carboni, affilando la punta di un coltello che attaccò alla cintura, seguito da un'occhiata penetrante da parte della regina dei cieli.
« A lui e i suoi amici va la nostra riconoscenza. » disse Zeus, lo sguardo nero e tempestoso come quello di Cassie quando era arrabbiata, « Senza di loro adesso non saremmo qui a festeggiare! »
Nella sala si levò un applauso.
« Sia benedetto questo giorno, il giorno in cui Tartaro è stato sconfitto! » esclamò Zeus con voce tonante, mentre tuoni e fulmini sancivano la nomina ufficiale di Lion, « Che sia fatta festa! »
Plutone gli sorrise e tornò al suo trono, mentre nella sala scoppiavano coriandoli e trombette da stadio, senza ombra di dubbio opera di Ermes. Lion sorrise quando Caelie gli fu accanto per prendergli la mano, gli occhi più luminosi di una stella.
« Adesso staremo in pace. » disse lei, tirando su col naso, « Almeno per un po', no? » chiese, mentre Lion osservava l'intraprendenza di Alec e Wolf per baciarsi davanti agli dei, l'aria intorno a loro che diventava man mano più rovente. Così come anche per Cassie, la quale, sotto gli occhi di suo padre, si era gettata su Castiel e lo aveva inchiodato al muro, baciandolo appassionatamente.
« Si stanno baciando tutti! » esclamò Lion, sorridendo, vedendo finalmente la luce alla fine del tunnel. Charlie e Federica si erano appartati per lasciarsi andare, mentre solo Zheng e Hic rimanevano soli, intenti a parlare di chissà cosa assieme a Robin e Hivy, un'altra amica di Lion che aveva combattuto con lui nella Terza Coorte.
Chissà, magari sarebbero nate nuove coppie.
Romani e Greci si abbracciarono, cominciando a danzare al ritmo della musica delle nove Muse, le quali spostarono progressivamente la festa dalla sala del consiglio fino alle strade della cittadella dell'Olimpo.
« Ne vuoi uno anche tu? » domandò, una punta di divertimento nella voce, mettendogli le braccia sulle spalle e sorridendogli in maniera maliziosa, mentre Lion osservava il profilo di New York sotto di loro.
« Beh, me lo sono meritato, no? » chiese, prima che Caelie gli desse un pugno sul braccio e lo zittisse baciandolo, poggiando le sue labbra sulle sue.
E fu il bacio più appassionato di tutti i tempi.



Notes: il motto latino significa "E il sole splende (su) tutti."



 

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Capitolo 15
*** Epilogo ***





Epilogo
8 mesi dopo
 

« Impossibile, sei incinta per davvero! »
La voce di Cassie era piena di meraviglia e stupore, mentre si precipitava ad abbracciare Caelie, ben attenta a non schiacciare il suo pancione. Gli occhi della figlia di Apate scintillarono come due piccoli soli, illuminandole il viso di una luce che Lion non aveva mai visto.
« E a che mese sei? » le chiese con voce esaltata, mentre Castiel li raggiungeva, portando con sé alcuni pacchi che avevano l'aria di essere davvero pesanti. Lion si precipitò ad aiutarlo, afferrando il pacco più pesante, e rischiando quasi di cadere a terra con fare teatrale.
Ovviamente, anche se adesso era un dio, la sfortuna non aveva smesso di perseguitarlo.
« Ottavo mese. » confessò Caelie, mentre si sedevano ad un tavolino di un bar e lei cercava la mano di Lion. Il figlio di Plutone gliela strinse, alle loro dita vi erano due anelli, simboli del loro amore.
Cassie affibbiò la sua borsa a Castiel, poggiandola sulle sue gambe e avvicinandosi il più possibile a Caelie per parlare di robe da donne.
« Ragazze. » sospirò Castiel che, nel frattempo, si era fatto crescere la barba, « Non sai mai da quale verso prenderle! » scherzò, prima che Cassie gli tirasse contro il portatovaglioli sul tavolo, mancandolo per poco.
« Anche io ti amo tanto, amore mio! » esclamò la figlia di Zeus, cominciando a ridere, « Allora, sarà un maschietto o una femminuccia? » domandò, gli occhi pieni di curiosità, rivolgendosi ai quasi neo genitori.
Caelie arricciò il naso in quella maniera così carina che Lion aveva imparato ad amare.
« Io vorrei che fosse una femmina, ma Lion vuole un maschio. » rispose, facendo la linguaccia al figlio di Plutone, « In ogni caso abbiamo deciso che sarà una sorpresa. »
Cassie diede l'impressione di stare per sciogliersi dalla zuccherosità di quel momento.
« E sarà ... insomma, il tuo primo figlio semidivino, vero? » domandò Castiel, dopo aver ordinato del caffè per tutti quando la cameriera era passata a prendere le ordinazioni, « E anche discendente di Plutone ed Apate! Wow, scommetto che sarà una vera bomba in entrambi i casi! »
Lion sorrise, quel sorriso storto che aveva preso da suo padre, mentre osservava il proprio volto riflesso nel vetro del bar a cui si erano seduti, immaginando come a sarebbe stato identico nei prossimi dieci anni.
« Voglio tenerla il più lontano possibile da questo mondo. » sostenne Lion, abbassando lo sguardo sul tatuaggio di suo padre che andava via via scomparendo da quando era diventato un dio, « Non voglio che passi quello che abbiamo dovuto passare noi, diventare un bambino prodigio. »
« O una bambina. » scherzò Caelie, per alleggerire quel momento di tensione che si era creato, « Beh, parlateci un po' della vostra vacanza! Dove siete stati? » chiese, accarezzandosi il ventre pieno e rotondo.
Cassie, riscossa dai suoi pensieri, improvvisò un sorriso, ma fu Castiel a parlare.
« Oh, abbiamo visto Parigi, Roma, Berlino e ci siamo spinti fino ad Atene. » raccontò, tirando fuori alcune fotografie vecchio stile, « Ci siamo divertiti. » sostenne, sorridendo in direzione della figlia di Zeus.
« Degli altri? » chiese Lion, guardandoli, « Sapete niente di Zheng? Oppure di Alec e Wolf? » domandò, davvero curioso di sapere visto che sia lui che Caelie avevano abbandonato i loro rispettivi campi per vivere una vita tranquilla a Los Angeles.
« Ho saputo che Zheng ha trovato un ragazzo, ma non so come si chiami. » raccontò Cassie, cercando di ricordare meglio. Lion sorrise, dandosi una pacca sulla fronte, scostando qualche ciocca di capelli scuri.
« Davvero? » chiese, davvero felice per lui, « Wow, non l'avrei mai detto! E bravo il nostro Zheng. »
Caelie ridacchiò.
« Alec dovrebbe essersi trasferito al Campo Mezzosangue, per quello che ne so, mentre Robin è diventata pretore ed ha iniziato una relazione con Hicarus. Sembra che quei due vadano d'amore e d'accordo. » continuò Castiel, sorseggiando il suo caffè, « Federica e Charlie si sono trasferiti a New York, mentre Melissa e Gabriela sono diventate ottime amiche, a quanto ne so. »
Lion sorrise, proprio nel momento in cui Cassie prendeva la mano di Castiel e lo baciava sulle labbra. Caelie gli stava sorridendo.
Per una volta, un'unica volta nel corso della sua vita, le cose stavano andando davvero bene: aspettavano un figlio, erano felici, la maggior parte dei semidei erano vivi ed il mondo era salvo.
Non ci sarebbe stata un'altra occasione simile.
« Beh, tutto è bene quel che finisce bene, no? »
 
 

 

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Capitolo 16
*** Ringraziamenti ***





Ringraziamenti

 
 
Non so che dire, davvero.
Ho iniziato questa avventura tanti mesi fa, quel lontano 3 Maggio, ed essere arrivati fin qui, oggi, è un bel traguardo, soprattutto grazie all'appoggio di persone fantastiche come voi!
Senza il vostro sostegno non ce l'avrei mai fatta, anzi, volevo quasi lasciar perdere la storia e dedicarmi al mio romanzo, che spero un giorno possa essere pubblicato. Ma le vostre recensioni, pazze o serie che siano state, mi hanno sempre strappato un sorriso e mi hanno spinto a non abbandonare questa storia, le vicende del giovane Lion Davis che da semidio diventa un dio completo.
Spero non me ne vogliate se abbia ucciso qualche personaggio qua e là nel corso degli eventi, anche perché nei libri succede sempre così, le persone muoiono, purtroppo. Eppure, se da un lato sono rimasto davvero colpito dall'assiduità con cui molti di voi mi hanno seguito, non posso non dirmi dispiaciuto per quelle persone che si sono perse fra i primi capitoli, non dando più segni di vita, poi.
Certo, ognuno ha i propri impegni, però io ho faticato per fare qualcosa, nel mio piccolo, che potesse piacere e avrei voluto anche la loro opinione. Ovviamente non farò nomi, né segni, ma questa cosa mi ha lasciato un poco l'amaro in bocca.
Non sono stato così cattivo, ammettiamolo, avrei potuto fare di peggio!
Eppure non ho avuto cuore (ok, battuta pessima, Lion perdonami ahahahahah) di uccidere più personaggi del dovuto, anche perché gli OC che mi avete mandato erano davvero bellissimi e mi sono affezionato. Li ho fatti soffrire, li ho fatti combattere, amare e si sono prestati ad interagire in tutte queste situazioni.
Dopo aver detto questo, vorrei ringraziare alcune persone in particolare che mi hanno supportato ed aiutato sempre e che ci sono sempre state, per me.
 
 
Saroyan è stata una compagna di viaggio eccezionale e che oggi compie gli anni, quindi ... happy B-day!
*parte la musichetta*
Il suo Zheng è rimasto avvolto nel mistero fino alla fine ed era giusto così. Ho semplicemente adorato ogni tua singola recensione, ogni piccolo seme di follia che leggevo e che mi ispirava a fare sempre meglio, a continuare e a fregarmene di quello che diceva la gente.
Davvero, grazie di tutto cuore!


E possiamo dire lo stesso di Pendragon!
Sei stata molto assidua, nel recensire. Ho apprezzato tanto le belle parole che mi ha detto e il fatto di averti abbassato l'autostima, ma, lo sappiamo sia tu che io, sei bravissima anche tu! Di capitolo in capitolo, tra le righe delle tue recensioni, ho scovato sempre emozioni diverse ed è un bene, uno scrittore fa anche questo.
Suscitare emozioni.
Se non la smetto, finisco per piangere, quindi grazie anche a te!
 
Scusasetiamo mi ha spronato a fare sempre meglio.
Ti sei aggiunta più tardi, rispetto alla linea temporale della storia, però hai letto tutti i capitoli 'd'un fiato' e io non posso che esserne orgoglioso.
Le tue recensioni mi hanno strappato sempre un sorriso, anche in dei momenti alquanto problematici. So della tua voglia di saperne di più sul mio libro (spero) e presto verrai accontentata. Io non aspetto altro che pubblicare un romanzo tutto mio.
Ancora grazie, grazie per esserci stata!
 
LoveAnubi, la ragazza che mi ha seguito dal Canada!
Quando ho letto che venivi dall'altra parte del mondo non potevo crederci. Parli italiano, inglese, francese e io darei una costola per potermi trasferire da te, sempre se hai posto, ovvio! Ho letto qualcosa di tuo, sia su Efp che su Wattpad e posso solo dirti che bisogna sempre coltivare i propri sogni, anche se a volte sono irraggiungibili.
Ti ringrazio per tutte le volte che ci sei stata e per aver creato un personaggio tanto eccentrico e tenebroso come Lilith, la piccola strega.
Grazie!
 
TheTornGirl, invece, mi ha fatto sbellicare dalle risate!
Iniziava sempre le sue recensioni con un'esclamazione, come "O miei dei", oppure "O porco Crono", quindi immaginate la mia faccia quando scorrevo fra le recensioni dei capitoli e incontravo la sua.
Tralasciando il fatto che per icon ha Newt di Maze Runner, mi ha sempre supportato, leggendo capitolo per capitolo e dandomi sempre la sua sincera opinione.
Gran parte di questa storia va anche a te! Grazie mille!
 
MrsJackson che, anche se saltuariamente, si è fatta vedere.
Le tue recensioni sono sempre state pazze, un ingarbuglio di talmente quanti concetti e opinioni che non hai idea. Però gli uomini sono così, un po' confusi, quindi serve solo qualcuno che vi faccia luce. Devo dire che mi hai sempre fatto ridere, quindi non potevo non ricordarti nell'angolo dei ringraziamenti.
 
E ringraziamo anche Littles, la quale mi ha sempre stupito con le sue recensioni.
Adoravo leggere le tue parole, come ho adorato i tuoi scleri e il "Pezzo dei Pezzi". Mi hai riempito la testa di tanti complimenti e non posso che essertene grato, perchè i complimenti fanno sempre bene! Poi il tuo Wolf che sbucava come un pokemon selvatico (?) tra le righe mi faceva sempre sorridere.
Ah, ringrazialo tu da parte mia per la scatola di muffin a forma di perizoma. Ero leggermente perplesso quando l'ho ricevuta, ma i muffin erano buoni!
Ancora grazie!
 
 
Un ringraziamento speciale va anche a _Macchan_, a grumpy girl e Giuda_xxx che si sono aggiunte ai miei seguaci (così sempre una setta, sorry) fra gli ultimi capitoli. Non posso dirvi molto, visto che non mi avete seguito proprio dall'inizio, ma vi ringrazio davvero tanto per aver letto questa storia e posso solo sperare che vi sia piaciuta.
Spero di non aver dimenticato qualcuno!
Io ci ho messo anima e corpo per completarla e vedere un'interattiva completa, sul fandom di Percy Jackson, è una cosa rara. Ora, non voglio fare il finto modesto, ma sono orgoglioso di essere arrivato fin qui, di aver finito questa storia, perché ero certo che Immortals meritasse.
E merita ancora.
Mi mancherà aggiornare regolarmente, mi mancheranno le vostre recensioni, le mie risposte sempre in ritardo, scrivere l'angolo autore oppure scegliere quale nuovo sadico panda utilizzare alla fine di ogni capitolo. Mi mancherà tutto e, anche se è solo una fic, sembra che io sia sul letto di morte.
Madonna, facciamoci una risata!
Quindi non disperatevi se siamo giunti alla fine, non piangete per favore (?), tanto uscirà di nuovo qualcosa di mio, spero. Ho diversi progetti in cantiere e, quindi, non sparirò, promesso. (qualcuno tra voi sa a cosa mi riferisco)
Forse non scriverò più di Immortals, forse ci sarà un'altra storia, ma questo si saprà più avanti.


Volevo farvi un regalo.
Visto che mi avete seguito sempre con tanto ardore, tra scleri e complimenti, adesso vi chiedo di darmi il vostro sincero parere su un estratto del primo capitolo della mia storia, quella che spero possa diventare un libro. Ok, è solo un estratto, però si inizia già a capire un po' il contesto in cui vive il protagonista e il suo carattere.
La storia parlerà soprattutto di sovrannaturale, argomento che mi ha sempre affascinato, e il protagonista scoprirà ben presto di essere speciale. Obv, quanto vorrei scoprire di esserlo anche io! c.c
Ora, non voglio rivelarvi di più, ma se avete voglia di leggere qualcos'altro di mio, cliccate qui e verrete reindirizzati all'estratto del primo capitolo della mia nuova storia. Ho protetto il documento con una password, quindi, per scaricarlo e leggerlo, dovrete inserire la parola kingpeter dove dice "scaricare estratto.pdf"
Detto questo, non so più che altro dire.
Mi sento triste a pensare che questo sarà l'ultimo capitolo di Immortals, però tutto una fine, purtroppo. Vi voglio bene ragazzi, ci sentiamo presto! ♥
E ricordate, anche una goccia scava la pietra ~ Gutta cavat lapidem.
 

King.

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