Die blaue Rose

di Luce_Della_Sera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Incubi notturni ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: il primo giorno ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: incontri ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: riflessioni e paure ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: sessione di studio ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: fingere ancora ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: regali ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 (parte 1): dubbi ed offese ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 (parte 2): legami affettivi ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: il segreto di Ambra ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: il giorno di Natale ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: proposte ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 (parte 1): dimenticanze ***
Capitolo 14: *** Capitolo 12 (parte 2): amore ***
Capitolo 15: *** Capitolo 12 (parte 3): confronto tra ragazze ***
Capitolo 16: *** Capitolo 13: sogni e paure ***
Capitolo 17: *** Capitolo 14: piani di conquista ***
Capitolo 18: *** Capitolo 15: bugie e verità ***
Capitolo 19: *** Capitolo 16 (parte 1): un consiglio da amica ***
Capitolo 20: *** Capitolo 16 (parte 2): resoconti e accordi ***
Capitolo 21: *** Capitolo 17: riappacificarsi ***
Capitolo 22: *** Capitolo 18: epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Incubi notturni ***


Die blaue Rose

Capitolo 1: Incubi notturni 

Il corpo di lui, così aderente al suo, le faceva uno strano effetto.
Ogni suo tocco la faceva rabbrividire per l’emozione, e ogni volta che la baciava le faceva girare la testa… ad un certo punto, sentì qualcosa di duro farsi strada dentro di lei, sempre di più, e subito dopo avvertì un dolore acuto, che la fece restare quasi senza fiato; da qualche parte, qualcosa doveva essersi rotto, perché le era sembrato come di udire un piccolo squarcio e si sentiva bagnata. Ma non le importava: finalmente, sapeva. Da quel momento, anche lei era finalmente una donna…
“Brava, ti sei comportata bene. Esattamente come avevo previsto!”.
D’un tratto, era sola.
Sola, nuda e infreddolita. I suoi coetanei di ambo i sessi, tutti intorno a lei, ridevano a più non posso.
“Una balena come te non può pensare di essere amata!” diceva uno.
“Mostro, ma ti sei guardata? Se uno viene con te, è solo per pietà!” diceva un altro.
Ma il peggiore era stato colui che, fino ad allora, aveva considerato il suo principe azzurro, e che invece si era rivelato essere ben altro.
“Davvero pensavi che mi fossi innamorato di te? Ma per piacere: con il fisico che hai, sarai buona solo a fare la boa in mezzo al mare! Ho soltanto voluto fare un’opera di bene: almeno, ora sai cos’è la vita vera. Dovresti essere onorata di aver perso la verginità con uno come me!”.
“No … dimmi che è uno scherzo! Ti prego … ti prego …”.
Non ottenne risposta ma le risate aumentarono e proprio in quell’istante il pavimento sprofondò, trascinandola sempre più giù.
 
“NOOO!”
Letizia non sapeva se avesse urlato davvero o se l’urlo avesse avuto luogo solo nella sua testa, ma non le importava: se anche l’avesse fatto, non sarebbe stata la prima volta. Da mesi ormai le capitava di sognare sempre la stessa cosa, notte dopo notte … si alzò dal letto e accese la luce, piazzandosi davanti allo specchio: non si era ancora del tutto abituata alla sua nuova camera, e neanche al suo nuovo aspetto.
Fino a sei mesi prima, era una quasi sedicenne in carne, bruna, con gli occhi marroni e gli occhiali; la superficie riflettente di fronte a lei, invece, in quel momento le rimandava l’immagine di una ragazza di sedici anni compiuti da poco, castana ma con gli occhi azzurri. Gli occhiali erano spariti, e anche tante sue abitudini erano venute meno, sostituite da altre: aveva iniziato a truccarsi tutti i giorni e non solo per le occasioni speciali, come faceva prima, e usava più spesso spazzola e piastra, pur stando attenta a non esagerare.
Non aveva intenzione di cambiare le sue idee, perché non le piaceva uniformarsi alla massa fino a quel punto, ma di una cosa era certa: a partire dall’indomani, ossia a partire dal suo primo giorno nella nuova scuola, avrebbe mentito per rendere la sua vita più interessante agli occhi dei nuovi compagni di classe. Era consapevole del fatto che non era una cosa onesta, e che doveva essere molto abile per non farsi scoprire, ma era stufa di essere se stessa, e doveva difendersi : delusioni ne aveva avute già troppe, sia in amore che dal punto di vista delle amicizie, e quindi per vivere il più tranquillamente possibile doveva evitarne altre a tutti i costi!
Aveva preso quella decisione appena due settimane prima, in occasione del matrimonio di sua cugina: aveva visto la piccola rosellina di stoffa blu su un lato del vestito bianco immacolato della sposa, e ne era rimasta affascinata.
“La rosa blu in natura non esiste: è solo una rosa bianca colorata. Anche io dovrò essere così: d’ora in poi, nessuno dei miei coetanei dovrà mai sapere come sono fatta in realtà!”, si era detta.
Si sarebbe impegnata con tutte le sue forze per mantenere il proposito: e se avesse fallito, ne avrebbe accettato le conseguenze e avrebbe cercato di andare avanti meglio che poteva.
“Sono forte”, si disse. “Ce la farò, e i tre anni che verranno saranno di certo più leggeri dei due appena trascorsi!”.
Istintivamente, sfiorò lo specchio con la punta delle dita, come a voler accarezzare la se stessa al di là del vetro; poi, lentamente, tornò ad infilarsi sotto le coperte.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: il primo giorno ***


Capitolo 2: il primo giorno

“Letizia, alzati! Devi andare a scuola!”.
“Capirai, come se potessi scordarmelo!”, borbottò la ragazza, tirandosi su.
Dirigendosi verso la cucina, sentì un allegro chiacchiericcio: evidentemente, anche le sue sorelline erano già sveglie.
“Buon giorno a tutte! Livia, Laura, siete emozionate per oggi?”.
“Sì, lo siamo!”, risposero in coro le gemelle.
“Beate voi”, pensò la ragazza. “Vorrei tanto tornarci io, in prima elementare!”.
“Letizia, il tuo caffè!”, intervenne sua madre, strappandola ai suoi pensieri.
In realtà, avrebbe fatto volentieri a meno di berlo: non le piaceva affatto, ma verso la metà dell’anno scolastico precedente si era auto-imposta di farlo, perché durante una gita aveva fatto l’errore di dire che beveva ancora latte e cacao e la rivelazione era stata accolta da battute di scherno concernenti il suo infantilismo e la sua linea. Non che il passare da latte e cacao al caffè le avesse permesso di recuperare il rispetto dei suoi compagni, ma le era sembrato un piccolo passo in avanti per cambiare; quelli successivi erano stati la dieta e le lenti a contatto colorate. Non era nemmeno lontanamente come avrebbe voluto essere, ma almeno era diversa da quella che era stata in precedenza!
“Solo se fingo riuscirò ad avere amici. Non è assolutamente vero che bisogna sempre essere se stessi … chissà chi è stato a dire una cretinata del genere? E’ evidente che non ha mai conosciuto i miei ex compagni di classe!”.
“Letizia? Che hai, non ti senti bene?”.
“Ehm…” L’adolescente si affrettò a prendere la tazzina, che era posata sul ripiano del lavandino, e bevve tutto d’un fiato quella bevanda che tanto piaceva agli adulti. Represse una smorfia, e poi si girò verso la madre.
“Sì, certo, tutto a posto. Sono solo un po’ tesa!”.
Cercò di filare in bagno il più presto possibile, ma sua madre fu più veloce di lei e la afferrò per un braccio.
“Leti, mi raccomando per quest’anno, d’accordo? Non lasciarti abbattere per un po’ di prese in giro. Sono cose normali, alla tua età!”.
Un po’ di prese in giro? Cose normali? Lo pensi solo perché ti ho raccontato appena un decimo di quello che succedeva!”. Stava quasi per dirlo, ma poi ci ripensò: non era il caso.
“Va bene, mamma. Farò del mio meglio!”.
Detto questo, scappò via.
 
 
Qualche minuto più tardi, scese dall’autobus, e si incamminò fino a trovarsi davanti ad un edificio in muratura di colore giallo, sorretto da quattro colonne e recante la scritta Istituto d’arte: era arrivata a scuola!
Come lei, anche altri ragazzi spingevano per entrare: e in men che non si dica, si ritrovò nell’atrio, spaesata.
“Mi scusi!”, disse alla prima donna adulta che le riuscì di vedere, sperando che fosse una bidella e non una professoressa. “Saprebbe dirmi dove si trova il terzo C?”.
“Sali le scale, poi gira a destra. Ma non temere, se vuoi ti ci porto io…ho lezione proprio là, tra dieci minuti! Sei nuova?”.
“Sì. Mi sono trasferita da poco, vengo da…”. Letizia parlava automaticamente, ma intanto si complimentava con se stessa: per evitare di parlare con i suoi coetanei, aveva finito proprio per parlare con una delle sue insegnanti!
“La mia solita pessima mira!”, pensò, mentre seguiva l’adulta su per le scale.
 
 
Due ore più tardi, aveva capito che la docente da lei incontrata era la professoressa di lingua e letteratura italiana, e che ci avrebbe avuto a che fare per parecchie ore alla settimana; quello a cui non era preparata, invece, erano le domande dei suoi compagni, sette ragazzi e sette ragazze, ansiosi di conoscerla meglio.
“Come ti chiami?”
“Letizia”.
“Letizia, che bel nome!”.
“Grazie”.
“Quanti anni hai?”.
“Sedici, come credo tutti voi!”.
“Da dove vieni?”
“Da Rieti”.
“Quindi, sei una aretina?”.
“Reatina. Gli aretini sono gli abitanti di Arezzo”.
“Ah, già, vero!”.
La ragazza che aveva parlato, una mora con i capelli lisci e lunghi fino a metà della schiena, divenne rossa come un peperone per l’imbarazzo.
“Non fare caso a quello che dice Ambra”, si intromise un’altra ragazza, lanciando un’occhiata colma di disprezzo alla compagna. “Dice sempre un mucchio di sciocchezze!”.
“Beh, questa non è una sciocchezza. Tanti non sanno come si chiamano gli abitanti di Rieti, in effetti!”.
Non sapeva se il prendere le difese di una ragazza che non conosceva e che chiaramente non godeva della simpatia degli altri fosse una buona cosa, specie essendo appena arrivata, ma non le importava: detestava le ingiustizie di qualunque forma, non poteva proprio farne a meno!
“Comunque” riprese, capendo che tutti si erano zittiti perché volevano vedere cos’altro avrebbe aggiunto, “Mi sono trasferita qui per via del lavoro di mia madre, che è impiegata alla banca”.
“E tuo padre che lavoro fa?”.
Stavolta, era stato un ragazzo a porre la domanda; Letizia esitò, innervosita.
“Tuo padre si sarà buttato apposta contro il guard rail per la vergogna di avere una figlia grassa e brutta come te!”.
La voce nella sua testa, che somigliava fin troppo alla voce di una sua ex compagna di classe, la fece rabbrividire. Non poteva raccontare la verità… doveva mentire, per evitare che un giorno quello che aveva detto della sua famiglia potesse essere usato contro di lei.
“Mio padre e mia madre si sono separati qualche anno dopo la nascita delle mie due sorelle… è tanto che non lo vedo, e a dire il vero non so neanche che fine abbia fatto! Le mie sorelline invece si chiamano Livia e Laura, sono gemelle e hanno sei anni…”.
Con suo grande sollievo, nessun altro le fece domande sull’unico membro maschile della sua famiglia: forse, avevano tutti capito che era un argomento delicato. Il suo sollievo fu ancora più grande, però, quando la campanella suonò annunciando la fine della ricreazione!
 
 

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Nonostante non amasse i social network, Letizia era grata ad internet: sarebbe stato suo prezioso alleato nel suo proposito di nascondersi agli altri.
 
Trasferirsi in un’altra città con figli piccoli.
La sentenza numero 43292 della Cassazione, emessa nell’ottobre del 2013, ha stabilito che la madre separata non può trasferirsi arbitrariamente in un’altra città portando con sé i figli senza aver prima consultato il padre degli stessi…
 
“Questo può essermi utile. Devo tenerlo bene a mente!”
Stava per andare a cercare altri articoli simili, quando la porta della sua camera si aprì e lei sobbalzò con aria colpevole, credendo che fosse entrata sua madre: proprio non riusciva a farle capire che il primo giorno di scuola non potevano esserci già compiti da fare!
Si girò, e si ritrovò davanti due visetti vivaci ed identici che la fissavano con curiosità.
“Ciao ragazze! Che c’è?”.
“Volevamo farti sentire il nostro duetto!”, cinguettò Laura, eccitata.
“Avete fatto un duetto? Brave! Su cosa?”.
“Su ‘Oggi per la prima volta’ !”
“Ah, Frozen ! Che bello!”.
La ragazza pensava davvero quello che aveva detto: adorava quel cartone animato, come tutti gli altri del resto. Nonostante nella sua ex scuola le avessero sempre detto che guardare i cartoni animati era da bambini e che anche sua madre fosse dello stesso parere, lei non poteva fare a meno di guardarli ancora, quando le capitava. Non era la sua attività preferita, ma non ci vedeva nulla di male nel farlo, ogni tanto!
“L’avete già fatto sentire a mamma?”.
“No: è un’adulta, non capirebbe!”, rispose Livia, facendo una smorfia. “E poi, adesso sta stirando!”.
“D’accordo, allora. Chi comincia?”.
Le due bimbe si guardarono.
“Io!” fece Laura, quasi saltellando. Poi attaccò:
 

La luce che irrompe fin quassù
Credevo che non accadesse più …
Non ho mai visto tanti piatti qua!

 
Letizia guardò le sue sorelline, e per la seconda volta in meno di poche ore le invidiò un po’.  Alla loro età non vedeva l’ora di crescere, ma in quel momento desiderava tanto essere piccola come loro!
Ricordi dell’infanzia le si affollarono alla mente, uno dopo l’altro: e quando tornò al presente, era già il turno di Livia.
 

Non dire mai la verità:
se sei brava nessuno lo saprà…
celare,
domare
perché io so
che è un segreto e lo proteggerò.

 
“Anche io avrò dei segreti da celare”, pensò. “E spero tanto di non finire come Elsa dopo che è stata scoperta, poverina! Ma perché diavolo la vita deve essere sempre così complicata, specie durante l’adolescenza? E perché dovevano esserci sempre dei ragazzi che fingevano di amare ad una ragazza solo per portarsela a letto?
Quel pensiero le fece mancare l’aria: nonostante fossero passati ben cinque mesi da quello spiacevole episodio, la sofferenza era ancora parecchia.
Cercò di trattenersi, ma ben presto il suo respiro iniziò a farsi sempre più affannoso, e iniziò a girarle la testa; riuscì ad alzarsi dalla sedia, ma a malapena sentiva le voci delle sue sorelline che, allarmate, la chiamavano.
Poi, tutto divenne buio.
 
 
“Letizia? Letizia??”
Una voce che pronunciava il suo nome, e sembrava venire da molto lontano.
Ma chi poteva essere? Le sembrava molto familiare, eppure non riusciva ad identificarla.
“Letizia, mi senti?”.
In un attimo, tutto le fu chiaro.
“Mamma!”.
Sua madre era dietro di lei, occupata a tenerle le gambe sollevate.
“Che è successo?” chiese la ragazza, anche se conosceva già la risposta.
“Sei svenuta”, rispose l’adulta, lasciandole delicatamente gli arti inferiori e aiutandola a mettersi seduta.
“Ho capito”, disse, trasalendo per il dolore alla schiena.
“Come hai fatto? C’è forse qualcosa che ti preoccupa, oppure qualcosa che dovrei sapere? O magari entrambe le cose?”.
L’adolescente fissò l’adulta nei suoi occhi azzurri, così identici a quelli delle sorelle e molto più veri dei suoi, che erano frutto delle lenti a contatto colorate. Doveva stare bene attenta a non abbassare lo sguardo, altrimenti si sarebbe capito subito che stava nascondendo qualcosa!
“No mamma, sarà stato un qualche calo di pressione!”
“Sicura?”.
“Sì, sono sicura”.
“Lo sai che puoi parlarmi di tutto, vero?”.
“Sì, lo so”.
“Posso lasciarti sola? Devo andare a fare la cena, e intanto sorveglio le tue sorelle”.
“Per me va bene … se dovessi sentirmi ancora male ti avvertirò, semmai. Ma dove sono Laura e Livia, a proposito?”.
“Le ho mandate a guardare la tv, erano preoccupatissime. Livia è andata a chiamarmi, e quando siamo tornate c’era Laura che aveva le mani sotto la tua testa: probabilmente ha pensato che quello fosse il punto principale da proteggere, quando sei caduta”.
“E ha fatto bene, direi: in effetti, che io sappia è proprio la testa la parte più delicata, in questi casi!”.
“Allora, posso andare? Vuoi venire di là anche tu?”.
“No grazie, ehm… preferisco restare qui”.
“Come vuoi. Ma se ti senti ancora male chiamami!”.
“D’accordo!”.
La porta della camera si chiuse, e Letizia rimase sola.
“Finalmente”, pensò la ragazza. Fece per sedersi di nuovo davanti al computer, ma le bastò un’occhiata per capire che l’apparecchio si era scaricato e si era spento…
“Che stupida sono stata, avrei dovuto inserire il cavetto! Meno male che non avevo nessun documento importante da salvare, altrimenti a quest’ora l’avevo perso”, si rimproverò mentalmente.
“Che razza di giornata”, si disse ancora, sospirando, mentre andava a sedersi sul letto. “E’ stata già piuttosto movimentata, direi… e siamo solo all’inizio. Non oso pensare a cosa succederà da domani in poi!”.
Per impedire al suo cervello di fare altri brutti pensieri, accese la televisione della sua camera, e si mise a cercare qualcosa da vedere per occupare il tempo che la separava dall’ora di cena.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: incontri ***


Capitolo 3: Incontri

Letizia scese dall’autobus, e si avviò verso la scuola.
Erano passati dieci giorni, e lei ancora non era del tutto sicura di ricordarsi tutti i nomi dei suoi compagni!
“Allora, vediamo. Sono quattordici, in tutto: Ambra, Clara, Nives, Matilde, Rosalba, Micol, Perla, Aldo, Valerio, Giulio, Fabiano, Luca, Lorenzo, e Paolo. Li ho detti tutti, ci sono riuscita!”.
Mentre sospirava di sollievo, entrò nell’edificio scolastico, che già le sembrava più familiare e la faceva già sentire a suo agio. Se solo fosse stato così anche con i suoi coetanei! Invece, con loro era guardinga: faceva ancora di tutto pur di non farsi conoscere veramente. Aveva già individuato le ragazze che le erano antipatiche, ossia Clara, che era quella che aveva dato della stupida ad Ambra il primo giorno di scuola, e Rosalba: entrambe bionde, altezzose e firmate dalla testa ai piedi, erano proprio i tipi di ragazze che lei detestava!
Ambra invece sembrava simpatica, anche se non si fidava ad avvicinarsi a lei: non voleva amiche, non dopo quello che le era capitato fino all’anno prima!
A costo di sembrare altezzosa e menefreghista, se ne sarebbe stata in disparte il più possibile… e con i ragazzi, ancora di più.
Nonostante ce ne fossero alcuni carini, voleva evitare di impegnarsi di nuovo in un rapporto amoroso: specie se poi quella coinvolta doveva essere soltanto lei!
Era ancora immersa nei suoi pensieri, quando andò a sbattere contro qualcuno.
“oh, scus…”.
Alzò lo sguardo, imbarazzata, e si vide davanti un ragazzo più grande di lei di almeno due anni, che la fissava con i suoi occhi scuri: erano quasi della stessa tonalità dei suoi, quando non aveva le lenti a contatto azzurre!
Le ricordava qualcuno, un qualcuno che conosceva bene e a cui non poteva fare a meno di pensare ogni giorno per la gran parte della giornata, nonostante tutto quello che le aveva fatto.
“Ehm…dovrei andare!”, esclamò, sentendosi immensamente stupida. Senza neanche dare all’altro il tempo di replicare in qualche modo, si girò e corse verso la sua classe.
 
 
“Ambra, mi presti la gomma?”.
Rosalba tese la mano verso la compagna, sporgendosi dal suo banco durante l’ora di disegno.
“D’accordo”.
Letizia, inquieta, osservò con la coda dell’occhio la sua vicina di banco: sentiva che stava per succedere qualcosa, ma preferì continuare a disegnare.
Passò qualche minuto, e Ambra iniziò ad agitarsi: aveva sbagliato un tratto, e quindi voleva cancellare quel punto, ma non poteva!
Si alzò quindi per andare a reclamare quel che era suo, non immaginando che in quel modo avrebbe fatto scoppiare un putiferio.
“Rosalba, rivorrei la mia gomma: mi serve!”.
“Quale tua gomma? Chi te l’ha chiesta?”.
“Non fare la stupida! Me l’hai chiesta pochissimo tempo fa!”.
“A me non risulta. Forse hai sognato; dopotutto, svitata come sei potrebbe anche essere così! Giusto, Clara?”.
Rosalba si girò verso la sua compagna di banco, che le diede subito manforte.
“Giusto. Torna al posto, Ambra … non vorrai mica che la prof ti veda in piedi quando torna, vero? Lo sai bene che non ama che ci alziamo per andare in giro per la classe senza scopo, quando ci da dei disegni da fare!”.
“Io non posso continuare il mio disegno, se Rosalba non mi ridà la gomma!”.
La ragazza assunse un tono lamentoso, che le fece guadagnare le risate di quasi tutta la classe; ferita, abbassò lo sguardo e vide l’oggetto che tanto cercava, nascosto nell’astuccio aperto della sua compagna.
Senza pensarci, allungò la mano e fece per prenderla, ma fu fermata da uno schiaffo della coetanea.
“Ehi, stronzetta, che fai, rubi?”.
“Ma quella è mia! Me l’hai presa!”.
“Vaneggi. Quella è mia, non ti azzardare a prenderla!”.
“Giù le mani, ladra!”, fece eco Clara, che aveva l’aria di divertirsi un mondo.
“Ma…”
Letizia, che aveva assistito alla scena e si era alzata, non aveva potuto fare a meno di correre in aiuto della poverina.
“Va bene lo stare più defilata possibile”, pensò. “Ma così è troppo!”.
“Scusate un attimo”.
Tra lo stupore generale, si frappose tra le altre tre, prese l’oggetto della discordia e lo porse alla legittima proprietaria, che si affrettò a tornare al banco.
“Non provateci mai più, capito? Altrimenti, la prossima volta lo dico alla professoressa!”.
“Cosa è che dovresti dirmi, Garofalo?”.
La professoressa di disegno era tornata; Letizia, che non se lo aspettava, non riuscì a proferire parola.
“Valentini e Silvestri hanno preso la gomma di Palmieri e non volevano restituirgliela, professoressa! Garofalo l’ha solo difesa”, rispose per lei Micol, alzandosi in piedi.
“Ah, sì? Valentini, Silvestri, vergognatevi. Non voglio nemmeno sentire di atti del genere durante le mie lezioni! Siete pregate di chiedere ai vostri compagni in prestito le loro cose e poi restituirgliele, chiaro? Garofalo, al posto. E anche tu, Cerise, siediti!”.
Letizia e Micol si sedettero come era stato loro ordinato, e ripresero a disegnare; erano consapevoli che avendo sfidato l’autorità delle due bullette della classe le cose per loro da allora in poi non sarebbero state più tanto facili, ma erano ugualmente fiere di quello che avevano fatto.
 
 
Grazie per prima.
Letizia sorrise, leggendo il bigliettino che la sua compagna di banco le aveva passato; diede un’occhiata al professore di matematica, che era intento a scrivere alla lavagna, e girò velocemente il foglietto.
Figurati. Ma ti fanno sempre così?”.
Glielo passò, colta da uno spiacevole senso di familiarità per quello che Ambra doveva provare ogni volta che veniva maltrattata, e subito dopo prese immediatamente in mano la pena per tracciare i segni che vedeva davanti a lei.
“Sono proprio una stupida!”, pensò. “Forse avrei fatto meglio a fare come tutti gli altri, osservando senza dire nulla. E se Ambra mi si attaccasse solo perché sono l’unica che l’ha aiutata tenendo testa a quelle due cretine, a parte Micol che comunque ha agito dopo di me e forse non l’avrebbe mai fatto se non fossi intervenuta io per prima?”
I suoi timori furono confermati, quando le arrivò un altro foglio.
Sì, sempre così, dal primo liceo. E nessuno ha mai detto nulla, prima, tranne te.
Lo rigirò senza neanche pensarci.
Ah, sì? E i ragazzi? Sono anche loro succubi di quelle due?
Continuò a scrivere ancora qualche riga dell’espressione, e si era quasi dimenticata della conversazione scritta che aveva appena avuto qualche istante prima, quando gliene arrivò un altro piccolo stralcio:
Quelle là sanno come comprarseli!
Letizia esitò: aveva capito perfettamente cosa l’altra intendesse dire. Ma quanto poteva andare avanti ancora, prima che il professore le scoprisse? E soprattutto, come poteva tenere Ambra a distanza, date le circostanze?
“Andiamo, su”, si rimproverò, mentre lasciava di nuovo cadere la penna e prendeva la matita per rispondere, “Se mi dimostro gentile con lei non vuol dire che ci devo diventare amica per forza!”.
Uh, ma che schifo. Peggio per loro, comunque… adesso almeno sanno che la loro egemonia sta per finire!
Rilesse il messaggio e si stava giusto chiedendo se non suonasse un po’ troppo altisonante, quando una voce la fece sobbalzare.
“Garofalo, che fai?”
“Niente, professore. Trascrivo quello che lei ha riportato alla lavagna!”.
L’adulto la guardò con entrambe le sopracciglia alzate: era chiaro che non le credeva, ma decise di rinunciare ad indagare su quello che lei aveva evidentemente da nascondere.
“Per fortuna, ingannare i miei coetanei sarà di certo più facile”, si disse la ragazza, mentre con un’occhiata faceva capire alla compagna di banco che per il momento era meglio non esagerare con i messaggi segreti.
“Anche se probabilmente ora ho due nemiche, questo non cambia i miei propositi di una virgola! Nessuno saprà mai come sono davvero: su questo non transigo”.
 
 
Il resto delle lezioni trascorse normalmente, anche se Letizia non riuscì a concentrarsi nemmeno per cinque minuti di fila: troppe cose erano successe in quella giornata!
Prima l’incontro, o meglio lo scontro, con quel ragazzo che le ricordava tanto chi le aveva fatto del male; e poi quel suo difendere Ambra, che le ricordava tanto la se stessa di appena qualche mese prima!
“Una giornata piuttosto intensa”, pensò. “A questo punto, direi che non può succedere altro!”.
Ovviamente, si sbagliava, e ne ebbe prova durante l’ultima ora, quando Clara passò davanti al suo banco con la scusa di andare in bagno, e ci fece scivolare sopra un biglietto:
Avete firmato la vostra condanna, oggi. Voi due e Cerise non uscirete vive da scuola!
“E ora? Cosa devo fare?” si chiese allarmata, mentre passava velocemente il foglio alla compagna. “Devo dirlo a qualcuno? A qualche professore o a qualche bidello, magari?”.
Si girò verso Micol che era seduta qualche fila dietro di lei, non sapendo cosa fare; aveva intenzione di parlarle per vedere se anche lei avesse ricevuto qualche messaggio minatorio, e fu stupita nel vedere che la ragazza aveva già una soluzione al loro problema.
“Non ti preoccupare”, le disse, usando il labiale ed i gesti per non farsi sentire dall’insegnante di storia che era intenta a spiegare e in quel momento era girata di spalle mentre camminava per la stanza.
“Oggi devo tornare a casa con mio fratello; potete venire con me, così non ci faranno nulla!”.
Annuì, per farle capire che aveva compreso tutto; poi si girò e informò anche Ambra della novità.
 
 
Letizia uscì dall’aula al suono della campanella; Ambra e Micol erano accanto a lei e parlavano, ansiose e concitate.
Anche lei si sentiva agitata, perché temeva che la ritorsione delle compagne non sarebbe tardata ad arrivare, ma preferiva non parlare: doveva evitare qualsiasi contatto con le altre due, anche minimo! Non parlando, non avrebbe corso il rischio di farsele amiche, e indirettamente di soffrire.
“Grazie al cielo, tra poco la giornata sarà finita, e dopo i compiti magari potrò rilassarmi e giocare anche con Laura e Livia!”.
“Letizia? Letizia, mi ascolti?”.
La ragazza tornò alla realtà, e si ritrovò a fissare gli occhi scuri di Micol.
“Eh? Scusa, mi ero distratta!”.
“Ho notato! Comunque, ti volevo solo presentare Ilan, mio fratello”.
Letizia spostò lo sguardo dalla compagna alla figura che aveva accanto … per ritrovarsi davanti lo stesso ragazzo contro cui era andata a sbattere accidentalmente prima di iniziare le lezioni!
“Oh, ehm…piacere!”. Gli tese la mano, ma in realtà avrebbe voluto scappare.
“Piacere mio!”, rispose lui, guardandola di sottecchi. Sembrava divertito, ma la sedicenne proprio non capiva cosa ci fosse di comico in quella situazione!
“Vi eravate già incontrati prima, per caso?” Micol li guardava con aria stupita.
“Diciamo che ci siamo scontrati, più che altro! Giusto, Letizia?”.
“Ehm…”
Letizia aveva il cervello vuoto. Non poteva restare lì, doveva scappare!
“Ragazzi, mi sono ricordata che ho da fare. Mia madre mi ha chiesto di, ehm… riordinare la mia stanza e aiutare le mie sorelle con i compiti! Ci vediamo domani, ok?”.
“Letizia, aspetta! Esci insieme a noi: è meglio!”.
La voce allarmata di Ambra la fece desistere per un attimo dai suoi propositi, ma durò poco. Non le importava più di Clara e Rosalba, che comunque non si vedevano da nessuna parte: voleva solo andarsene da lì il prima possibile.
“No, davvero… devo andare!”.
Detto questo corse via, senza voltarsi indietro.
 
 
Arrivò alla fermata dell’autobus con il fiatone, e si mescolò alla folla che era lì presente per nascondersi: dopo qualche minuto vide arrivare Rosalba e Clara, e non poté fare a meno di cogliere qualche stralcio dei loro discorsi.
“Visto che paura avevano? Da non credere!”, stava dicendo la prima.
“Eh, sì. Garofalo cerca di far vedere che è coraggiosa, ma se la stava facendo sotto più di Palmieri e Cerise messe insieme!”.
“Sì, ho notato anch’io. Quando ci sono i professori vicino è tanto forte, ma da sola è un moscerino… non parla mai, chissà se riuscirà a farsi uscire qualche parola dopo che l’avremo conciata per le feste?”.
“Dici che dovremmo, Rosy? A me pare quasi meglio provare ad infastidirla ogni giorno, e magari metterle paura soltanto. Sono certa che andrebbe fuori di testa! Comunque, Cerise non aveva mai parlato contro di noi prima e su questo ha fatto male, ma farsi venire a prendere da suo fratello è stata una mossa astuta, no? A me non è dispiaciuto affatto! Visto che figo?”.
“Eccome! Si fa sempre più bello, a quanto pare. Mi dispiace che non sarà più qui l’anno prossimo, visto che fa il quinto… di sederi perfetti come il suo non se ne vedono tanti in giro!”.
Letizia si sentì fremere di indignazione, al punto da perdersi la risposta di Clara al commento della coetanea.
Come potevano quelle due fare commenti così espliciti e sfacciati? Ilan le faceva paura perché fisicamente le ricordava moltissimo Claudio, ma non le sembrava giusto che alcune sue parti anatomiche venissero analizzate in quel modo. Possibile che molte delle ragazze della sua età non sapessero proprio contenersi? Non che non avesse mai sentito apprezzamenti del genere prima di allora, anzi, a volte ne aveva sentiti anche di peggiori, ma pensava che ci volesse comunque un po’ di tatto nel farli!
Irritata, si spostò ancora un po’ per nascondersi meglio, anche se ormai era chiaro che le altre due non l’avrebbero notata neanche se si fosse messa a ballare davanti a loro, per quanto erano impegnate nella loro conversazione.
Quando poi qualche minuto dopo arrivò il suo autobus, stava ancora riflettendo sul perché quei commenti la facessero sentire tanto nervosa, ma non riusciva proprio a comprenderne il motivo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: riflessioni e paure ***


Capitolo 4: riflessioni e paure

Letizia oltrepassò il cancello del cimitero: era il due novembre, e come faceva ormai da due anni, era andata a trovare il padre.
Probabilmente ci sarebbe tornata nel weekend con la madre e le sorelline, ma vista la data si sentiva in dovere di andarci, nonostante avesse i compiti che la aspettavano!
Si guardò attorno: altre persone, per la maggior parte donne anziane, si aggiravano tra le tombe, ma nessuno faceva caso a lei, e questo la rassicurò.
Non voleva rischiare di incontrare qualcuno della sua classe, anche se visto che la città era grande era una cosa molto improbabile! Infatti, per tutti quei mesi aveva continuato a parlare del padre come se fosse vivo, ma lontano: e perciò voleva evitare che gli altri scoprissero che aveva mentito.
“Scusami, papà!”, pensò, una volta arrivata a destinazione; infilò in fiori, che erano quasi tutti crisantemi più due rose, nel vaso di plastica dorata posto accanto al marmo della tomba, dopodiché si fermò davanti ad essa a testa china.
“Tu mi hai detto di dire sempre la verità, anche a costo di venire punita. E anche la mamma, se sapesse cosa sto facendo a scuola, mi rimprovererebbe dicendomi che le cose non si risolvono con le bugie… ma lo faccio per sopravvivenza. Non voglio dare anche a questa nuova classe la possibilità di offendere la tua memoria, e non voglio neanche essere presa di nuovo in giro!”.
Le lacrime le solcarono il viso, al ricordo di tutto quello che aveva vissuto con il padre in quattordici anni di vita: le succedeva sempre quando si recava nel camposanto, ma era sicura che non ci avrebbe mai fatto totalmente l’abitudine.
Passò la mano sulla foto posta sulla lapide, come se volesse raggiungere suo padre attraverso quel contatto, e fargli arrivare tutte le emozioni che stava provando in quel momento; poi, si girò e si incamminò lentamente fuori del complesso cimiteriale.
 
 
“Letizia? C’è una chiamata per te! Una certa Micol ti cerca!”.
La ragazza alzò lo sguardo dal libro di discipline grafiche e pittoriche, allarmata. Anche se si era ripromessa di fare l’antipatica piuttosto che permettere alle altre ragazze di avvicinarsi a lei, alla fine aveva dovuto cedere e aveva dato a molte di loro il suo numero di casa e il suo cellulare; fino a quel momento però nessuna l’aveva mai contattata, e sperava non ce ne fosse mai bisogno!
“Arrivo!”, disse, e si alzò per andare in camera da pranzo. Sua madre le porse il telefono con aria interrogativa, perché non le era sfuggita la sua espressione stravolta, ma la ragazza le fece un cenno noncurante e la donna parve rassicurata, al punto da lasciare la stanza per andare a controllare le altre sue due figlie, intente anche loro a fare i compiti.
“Pronto?”.
“Ciao Letizia, sono Micol!”.
“Ciao! Come va?”.
Sperò che la sua voce suonasse gioviale, e non mostrasse quanto in realtà fosse grande la sua tensione.
“Bene, grazie!” . La sua compagna, per fortuna, non pareva essersi accorta del suo turbamento. “Scusa se ti disturbo, ma volevo chiederti una cosa”.
“Dimmi!”.
“La scorsa settimana non ci sei stata perché stavi male, quindi forse non sai che la prof Masila ha deciso che tra quindici giorni interrogherà…”.
La mente di Letizia volò al libro di testo che aveva lasciato aperto in camera sua: forse le conveniva studiare più a fondo la materia, date le circostanze!
“Sì, farà le interrogazioni programmate. Me l’ha detto Ambra l’altroieri…”.
“Ecco: quello che forse però lei non ti ha detto è che dobbiamo già metterci d’accordo per chi va per primo! Lei ha detto che ci vuole provare, ma servono almeno altre due persone, sennò poi la prof chiama a caso. Io ho deciso di farmi interrogare a mia volta, ma tu? Cosa pensi di fare?”
In realtà, Ambra l’aveva già informata  e le aveva fatto la stessa domanda esattamente due giorni prima, ma lei si era stretta nelle spalle e aveva detto che ci avrebbe riflettuto. Il trentuno ottobre come data le metteva tristezza da un paio d’anni, e non perché fosse il giorno di halloween ma perché era l’ultimo giorno di scuola prima della festa dei defunti: quindi, non era in condizione di pensare all’interrogazione. Ed era consapevole del fatto che prima o poi avrebbe dovuto affrontare la questione, ma non si aspettava di doverlo fare per telefono! Fu tentata di chiedere alla coetanea di riparlarne l’indomani a scuola, ma poi ci ripensò.
“Non può andarci qualcun altro, che tu sappia? Magari Clara, o Rosalba? Così se la piantano di atteggiarsi a reginette della scuola, neanche fossero la bellezza personificata!”.
“Gliel’abbiamo chiesto sia io che Ambra, ma ci è stato risposto che… cioè, hanno detto di no. E anche tutti gli altri si sono rifiutati!”.
Letizia aveva capito: la compagna avrebbe voluto dire che le due bullette si erano rifiutate, una dopo l’altra, di andare all’interrogazione per prime solo perché non volevano stare con Ambra. E la stessa cosa aveva fatto il resto della classe, per paura di essere presa in giro! Forse le due sfrontate l’avevano deciso anche per non stare con Micol, ma visti i commenti che avevano fatto e che continuavano ancora a fare sul fratello di quest’ultima, era alquanto improbabile che il problema fosse lei!
Si sentì molto dispiaciuta per la sua compagna di banco, e al contempo molto arrabbiata: sapeva bene cosa voleva dire essere derisi ed evitati, anche nelle cose che riguardavano la normale vita scolastica come le interrogazioni!
“Va bene, allora mi aggiungerò io a voi!”.
“Evviva! Meno male, così non abbiamo problemi! Credo che a questo punto sarà meglio che io…”.
Micol parlava, ma Letizia non la ascoltava: si limitò a esprimere il suo assenso appena sentì che l’altra aveva finito il suo discorso, e a salutare per poi riappendere la cornetta; ma per il resto, non aveva capito nulla.
L’unica cosa che sapeva, era che si era appena cacciata in un grosso guaio. Non solo perché da allora in poi le sarebbe naturalmente toccato studiare più intensamente del solito, ma anche perché c’era il rischio che dovesse ospitare una delle sue compagne a casa sua per il ripasso, di lì a qualche giorno!
Per un attimo rimase nella sala da pranzo, accanto al telefono, terrorizzata; ma poi si tranquillizzò.
“Quanto sono stupida, ad agitarmi per così poco!”, rifletté, mentre usciva dalla stanza per andare a dire alla madre che aveva finito di parlare al telefono. “Non è detto che loro debbano venire qui! E anche se fosse, non è detto che debbano scoprire qualcosa sulla mia situazione familiare. La morte di un marito e di un genitore non sono cose che si vanno a raccontare a persone appena conosciute, dopotutto… lo stesso vale per tutto il resto che riguarda il mio passato! E poi, forse potrei andare io da Ambra, o magari da Micol, chissà?”
Cercando di ignorare le capriole che il suo stomaco aveva iniziato a fare al pensiero della possibilità di recarsi da Micol per studiare, entrò nella cameretta delle sorelline.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: sessione di studio ***


Capitolo 5: Sessione di studio

“Allora, oggi pomeriggio ci vediamo da me? I miei genitori saranno entrambi al lavoro, e credo che questo sia un bene. Almeno potremo stare in pace e regolarci come vogliamo per lo studio, senza rischiare di essere interrotte o controllate quasi di continuo!”.
“Ehm…”. Letizia diede un morso al suo panino, prendendo tempo. In realtà, non sapeva bene perché, ma la prospettiva di andare a casa di Micol non le garbava neanche un po'!
“Non essere ridicola”, si rimproverò, mentre masticava. “Cosa vuoi che succeda? Micol e Ambra sono già venute a casa tua e non è successo nulla; e non è successo niente neanche quando tu e Micol siete andate a casa di Ambra. Quindi, non è detto che oggi debba succedere qualche catastrofe!”.
“Ma certo, ci puoi contare!”, disse, inghiottendo il boccone. Avrebbe dovuto sentirsi rassicurata, ma in realtà la sensazione di disagio e di ansia era ancora là, e le riusciva molto difficile ignorarla!
 
 
Tolse il tappo dal lavandino della cucina, e vide l’acqua mista al sapone scivolare via. Quanto avrebbe voluto poter scivolare via anche lei! E invece, doveva lavarsi i denti e iniziare a prepararsi, per poi aspettare sua madre che rientrava dal supermercato insieme a Laura e Livia: l’avrebbero accompagnata tutte e tre insieme, perché la madre riteneva che due bambine di sei anni non dovessero rimanere in casa da sole nemmeno per pochi minuti.
“Mamma non ha tutti i torti, in effetti. Ma io non voglio andare! Come posso fare? Ma perché la febbre non mi viene mai quando serve? Non è giusto!”.
Il pensiero della febbre le fece venire in mente un’idea: non ci aveva mai provato, ma forse quella era l’occasione giusta per vedere se il trucchetto che aveva letto su internet qualche mese prima funzionava davvero…
 
 
Sentendo i passi di sua madre e le voci delle sorelle minori sulle scale, Letizia si sentì assalire dall’ansia per la seconda volta in poche ore. La sua mamma la conosceva fin troppo bene, quindi doveva giocare molto bene le sue carte per riuscire ad ingannarla!
“Ciao!” disse con una vocina sottile sottile, mentre gli altri tre membri della sua famiglia entravano in casa.
“Tutto bene, Leti?”.
L’adolescente abbassò gli occhi, per non incontrare lo sguardo dell’adulta.
“Non mi sento bene, mamma”, disse, sempre usando un tono sommesso.
“Ah, sì? E cos’hai?”
“Ho 37.8 di febbre! Ecco, guarda”.
Tirò fuori il termometro dalla tasca, e pigiò un bottoncino blu posto all’estremità opposta rispetto a quella in cui era posizionata la punta di mercurio: sapeva che, tenendo premuto per qualche secondo, i primi numeri apparsi sarebbero stati relativi all’ultima temperatura corporea misurata.
“Lo vedi?”.
Per qualche istante, si chiese se non avesse dovuto fare in modo di farlo aumentare ancora di qualche decimo di grado; ma ormai era fatta!
La donna guardò prima il termometro, poi sua figlia.
“Sei sicura di stare male? Di solito con una febbre così sei a letto!”.
“Ehm… evidentemente, stavolta mi sento meglio delle altre volte!”.
“Non è che hai messo il termometro sotto l’acqua calda, per caso?”.
“Perché, così facendo la temperatura aumenta?”.
Sperava di aver adottato un tono abbastanza ingenuo, ma sotto sotto si chiedeva come avesse fatto sua madre a indovinare!
“Sì. Non è tutta una messa in scena per non studiare, vero?”.
“No, non lo è!”
“Hai qualche compito in classe, domani, o qualche altra interrogazione di cui non mi hai parlato?”
“No!”.
“E allora, facciamo una cosa: ora ti porto dalle tue amiche, e poi se ti senti male mi chiami e io ti riporterò a casa! Ma bada che, se vedo che non sei veramente malata, ti ci riporto di nuovo”.
“Ma io veramente preferirei…”.
“Non si discute, signorina. Sbrigati a prepararti, su! Ti verrò a prendere prima di cena, ma devi comunque darti una mossa”.
“D’accordo, d’accordo!”.
Letizia, sconfitta, si avviò verso la sua camera. Pensava che ci sarebbe tornata trionfante, solo per afferrare il cellulare e dire a Micol che non sarebbe venuta: e invece, ci andava per scegliersi i vestiti da indossare!
 
 
La macchina si fermò, e Letizia scese, guardandosi intorno. Davanti a lei si ergeva un palazzo di otto piani, color verde scuro… per un folle attimo pensò di mettersi a correre e scappare il più lontano possibile, ma poi si impose di allungare la mano verso il citofono: che scelta aveva, dopotutto? Sua madre e le sue sorelle la stavano guardando dalla macchina; inoltre, le sue coetanee la stavano aspettando!
Sospirò e premette il pulsante dell’apparecchio, cercando di scacciare le innumerevoli emozioni che la stavano invadendo.
 
 
“Scusate il ritardo, ragazze. Ma sapete, c’era traffico…e poi, mi sono accorta di avere pochi soldi al cellulare!”.
Era una bugia pietosa, ma sia Micol che Ambra parvero non accorgersene: erano troppo tese a causa dell’imminente interrogazione per potersi permettere di chiedersi se la loro coetanea stesse mentendo o meno.
“Non fa niente: l’importante è che sei arrivata. Vieni, dai!”.
Senza neanche aspettare una risposta, Micol la prese per mano e la guidò in camera sua.
Letizia si aspettava di vedere una camera ordinaria, sui toni del bianco, del rosa tenue o del lilla, come la sua: invece, trovò ad aspettarla una stanza luminosa, con mobili color bianco e arancio. Persino il letto, con lenzuola e coperte, rifletteva quei colori!
“Ti piace?”. Micol aveva seguito il suo sguardo. “E’ un po’ vistosa, lo ammetto. Ma a me piace! Sono una tipa solare, quindi credo che il colore arancione mi rappresenti”.
“Oh!”.
La ragazza non sapeva cosa dire: era rimasta così sorpresa da temere che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe sembrata falsa! Ma sentiva di doversi sforzare, così disse la prima cosa che le venne in mente, e che comunque rifletteva davvero i suoi pensieri.
“E’ molto bella! Non avevo mai visto una camera così, ma non è male, direi”.
“Sono felice che approvi! E ora, se siete d’accordo”, Micol guardò sia Letizia che Ambra, la quale non aveva aperto bocca da quando era arrivata, “Cominciamo la nostra sessione di studio!”.
Letizia aprì la borsa e tirò fuori libro, quaderno e astuccio: non le andava molto di studiare, ma almeno quell’attività le avrebbe impedito di parlare con le altre di cose troppo personali.
 
 
“PAUSA-BISCOTTIIII!”.
Micol, che qualche secondo prima aveva annunciato che sarebbe andata in bagno, era tornata invece con un vassoio contenente biscotti al cioccolato e succhi di frutta.
“Oh, bene! Direi che ci voleva proprio!”, esclamò Ambra con entusiasmo; Letizia invece si fece scura in volto. Al cioccolato lei non sapeva proprio resistere, ma negli ultimi mesi aveva imparato a regolarsi: eppure, non aveva idea di come doveva comportarsi in quel caso. Prenderne solo uno o due non sembrava scortese? Doveva prendersene di più del solito, proprio perché era ospite in casa d’altri? E nel caso, quanti? Inoltre, era giusto farsi tutte quelle paranoie? Per l’ennesima volta, si biasimò: se solo si fosse sforzata di essere diversa durante gli anni passati, si sarebbe fatta l’esperienza necessaria per sapere come agire! Invece, quella era solo la seconda volta che le veniva chiesto di andare a casa di qualcuno, e così come era successo a casa di Ambra qualche giorno addietro, si sentiva a disagio. Anzi, se possibile quel giorno il disagio era addirittura peggiore, ma non sapeva spiegarsi come mai!
“Letizia? Non vuoi nulla?”
“Oh, sì! Ehm… prendo del succo di frutta, ok? E anche qualche biscotto!”, disse, agguantandone due a caso e sperando nel contempo di non aver trasgredito qualche regola dello stare insieme.
 
 
Dopo la pausa, Micol si era scusata con le coetanee per non averle portate a visitare l’appartamento, e aveva deciso di rimediare: aveva quindi mostrato loro la sala, la cucina, il bagno, la camera dei suoi genitori e quella del fratello, che era praticamente identica alla sua ma era blu anziché arancione; ed erano ancora lì quando la porta d’ingresso si aprì, permettendo al proprietario della stanza di entrare in casa.
“Micol? Ci sei?”, chiamò il ragazzo, dopo aver chiuso l’uscio.
“Sì, eccomi!”. La ragazza arrivò in corridoio, seguita a ruota dalle altre due.
“Te l’avevo detto che oggi sarebbero venute due mie amiche perché dobbiamo studiare insieme, vero?”.
“Sì, me lo avevi detto. Avete una interrogazione a breve, vero?”.
“Più che ‘a breve’: è dopodomani! Conosci già Letizia, mi pare. Questa invece è Ambra!”.
"Lo so, ho conosciuto anche lei: ma se le va, ovviamente la mano gliela stringo di nuovo volentieri!". Mentre i due si stringevano la mano sorridendosi a vicenda, Letizia fremette per l’irritazione: ma stette bene attenta a non farlo vedere. Dopotutto, che diritto aveva lei di sentirsi così?
“Come è andata in palestra?” stava chiedendo Micol al fratello.
“Bene! Ora vado a studiare, poi…”.
Letizia non ascoltava. “Va in palestra! E’ proprio come Claudio, allora”… la cosa la spaventò, ed ebbe di nuovo voglia di scappare: ma ovviamente, non poteva. Restò lì, insieme agli altri tre, finché i due fratelli non finirono di parlare e si separarono: lei, con Ambra al fianco e Micol davanti, tornò in camera di quest’ultima per finire di studiare.
 
 
Letizia si chiuse in bagno: guardando l’orologio, capì che entro poco tempo sua madre sarebbe venuta a riprenderla. Tutto sommato, era stata bene; si era accorta che stava iniziando ad affezionarsi a Micol ed Ambra, e la cosa non la rendeva affatto felice. Ma ancora meno le piacevano le reazioni che aveva ogni volta che si trovava in presenza di Ilan: non era stupida, e sapeva benissimo che cosa significavano!
“Non puoi permetterlo!” ricordò a se stessa. “Non puoi innamorarti e rischiare di nuovo di soffrire. Ti sei forse già dimenticata di cosa ti ha fatto Claudio, di come ti ha ferita? Ilan gli assomiglia fisicamente, anche se ha diciotto anni e non sedici, e ha anche le sue stesse abitudini. In più, stando a quanto ha detto Micol quando eravamo a casa di Ambra, ha pure la ragazza! Quindi, non devi farti troppe illusioni. Anzi, prima ti farai passare tutto e meglio sarà! Devi essere una rosa blu: solo così potrai sopravvivere”.
Fece quel che doveva, poi tirò lo sciacquone e si piazzò davanti allo specchio.
I suoi occhi azzurri artificiali le restituirono lo sguardo attraverso la superficie riflettente; questo le fece ricordare che doveva cambiare le lenti.
Usava quelle mensili, ma il mese scadeva proprio quel giorno! Per fortuna, aveva portato la confezione nuova: e la sua trovata di portarsi la borsa in bagno non era, come aveva detto alle compagne, dovuta solo al fatto che temeva che la madre potesse chiamarla… in realtà,infatti,  l’aveva portata con sé anche perché in quel modo poteva togliersi le lenti senza che nessuno scoprisse il suo segreto!
Per prima cosa, si lavò le mani: l’avrebbe fatto comunque, perché era abituata a farlo ogni volta che andava in bagno, ma sapeva che era ancora più importante visto quello che stava per fare. Osservò il flacone del sapone mentre se lo spargeva sulla pelle, e vide che era al latte di mandorla: lei ne avrebbe preferito uno totalmente neutro, ma date le circostanze doveva accontentarsi!
Si asciugò, poi guardò in alto, e abbassò la palpebra dell’occhio destro con il dito medio della mano destra; dopodiché, avvicinò lentamente l’indice all’occhio, fino a toccare il bordo inferiore della lente. Alla fine, dopo aver fatto scivolare il piccolo dischetto sulla parte bianca inferiore dell’occhio, lo schiacciò e lo rimosse; stava quasi per ripetere tutta l’operazione anche con il sinistro, quando la porta si aprì di scatto.
“Ops …” fece Ilan, sorpreso. “Scusa, non sapevo che c’eri tu! Dovevo prepararmi per uscire con la mia fidanzata, e così non ho… ”.
“No, figurati! Ho finito… sono io che dovrei scusarmi!”. Spaventata, Letizia si rimise immediatamente la lente: quando si guardò di nuovo allo specchio, aveva di nuovo gli occhi azzurri.
Cosa le era saltato in mente? Perché non aveva chiuso la porta a chiave? A casa sua non lo faceva mai, ma quella non era una buona ragione per non farlo altrove! Si girò verso il fratello della sua compagna di classe, sperando che non avesse fatto caso all’improvviso cambio di colore dell’iride di uno dei suoi occhi: ma quando incrociò il suo sguardo, qualcosa nella sua espressione le fece capire che invece l’aveva notato eccome.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: fingere ancora ***


Capitolo 6: fingere ancora

Nelle settimane che seguirono, Letizia cercò in tutti i modi di tenere a distanza Ambra e Micol: era gentile con loro quando erano a scuola, ma quanto a vedersi fuori, accampava tutta una serie di scuse. Le mestruazioni che le davano malessere, il fatto che doveva stare con le sorelline perché la madre faceva gli straordinari, o che doveva fermarsi ad aiutarle con i compiti....non sempre erano bugie, perché a volte davvero non poteva venire con loro per motivi legati alla famiglia e alla sua salute, ma in ogni caso sortivano effetto, e questo le bastava. Solo che non riusciva a capire come mai le due ragazze insistessero tanto a chiamarla e a chiederle di partecipare alle loro cose: non si arrendevano mai, nonostante i suoi rifiuti. Che la volessero davvero come amica?
“Forse adesso: ma se vedessero come sei fatta davvero, inorridirebbero e ti lascerebbero stare. Quindi, continua a fare come stai facendo, e non farti troppe domande!”, si disse un giorno di dicembre, mente tornava a casa dopo aver comprato i regali di Natale per Laura e Livia.
“Devi considerarti fortunata, comunque, perché Ilan o non si è accorto delle tue lenti a contatto quando sei venuta a casa sua per studiare con Micol, o comunque ha deciso di non parlarne alla sorella: in ogni caso, il segreto relativo alle lenti a contatto è salvo!”.
Il suono di uno dei campanelli presenti sull’autobus la strappò un attimo dai suoi pensieri, e si guardò attorno: quando vide però che si trovava ancora distante da casa, continuò a riflettere, pensando a quanto e come fosse cambiata la sua vita da quando aveva traslocato.
Non aveva veri amici, ma neanche veri nemici… e questo era un bene, anche se le riusciva sempre più difficile rispondere alle domande della madre che le chiedeva come mai non usciva spesso come facevano tutte le sue coetanee. Come le era successo nella vecchia scuola, poi, si era innamorata di un ragazzo, ma a differenza del passato, era certa che con lui non potesse nascere mai nulla perché era più grande ed era fidanzato; quindi non rischiava di venire ferita nell’orgoglio e nei suoi sentimenti. Si sforzava di tenersi a distanza, e se le capitava di incrociarlo nei corridoi dell’istituto lo salutava e scappava via più veloce che poteva, ma quanto era difficile fingere indifferenza totale! Le finzioni non erano mai state un problema per lei, specie in quell’ultimo periodo; eppure, ogni giorno che passava si rendeva conto che una parte di sé avrebbe voluto conoscerlo meglio. Ma conoscerlo meglio significava dover conoscere meglio anche Micol… e lei non era sicura di volerlo fare!
“Devi fingere ancora un po’: tra pochi giorni ci saranno le vacanze di Natale, e potrai rilassarti in famiglia… dopodiché, si tratta solo di resistere qualche altro mese, e l’anno sarà finito. Per gli altri due che verranno, si vedrà!”.
Mentre prendeva questa decisione, alzò lo sguardo e si accorse che la corsa per lei era quasi finita: quindi, si alzò in piedi e si diresse verso il primo campanello che trovò, pronta a premerlo per poi scendere dal mezzo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: regali ***


Capitolo 7: regali

Con l’avvicinarsi delle vacanze di Natale, i compiti e le interrogazioni si moltiplicarono; nonostante ciò, gli studenti riuscivano a ritagliarsi comunque dei momenti di svago. Fu in uno di essi che Letizia si rese conto di quanto Ambra e Micol tenessero a lei, e questo la fece sentire molto a disagio…
 
 
“E con questo, abbiamo finito!”, dichiarò Clara, ammiccando alla sua migliore amica. “Ora tutti voi avete ricevuto dei regali per Natale, anche se con cinque giorni di anticipo… o meglio, quasi tutti voi li avete ricevuti!”, ci tenne a precisare con un ghigno.
“Bene”. Micol guardò la compagna con disprezzo e si fece avanti. “Se voi due peripatetiche avete finito di pavoneggiarvi, avrei anche io dei regali da consegnare”.
“Ah, sì? Risparmiati la fatica di tirarli fuori, perché noi i tuoi regaletti da due soldi non li vogliamo!”, esclamò Rosalba, sprezzante.
Micol la fissò: evidentemente, la sua coetanea non aveva capito il significato del termine che aveva usato per definire lei e Clara, altrimenti non si sarebbe preoccupata dei doni!
“Guarda Rosy che non parlo di voi …” spiegò pazientemente, facendo del suo meglio per non ridere, “Ho comprato delle cosette a due mie amiche. Che per mia fortuna non siete tu e quella specie di ibrido tra un equino e un umano che ti sta a fianco!”.
Ignorò le violente proteste di Clara, e continuò: “Ambra, Letizia, venite con me!”.
Poi si diresse verso il suo banco, prese lo zaino e lo aprì, tirando fuori due sacchetti argentati.
“Ecco qua!”.
Letizia prese il suo e iniziò a scartarlo, con crescente sgomento. Perché Micol le aveva fatto un regalo? Cosa significava? Non era abituata a ricevere regali dai compagni di classe: l’unica cosa che aveva sempre ottenuto da loro, infatti, erano le prese in giro. Doveva fidarsi? O invece doveva tenersi pronta a qualche scherzo di cattivo gusto? Senza neanche rendersene pienamente conto, trattenne il respiro mentre finalmente la carta, lacerata, rivelava un bracciale in cuoio, rosso e con perline violette all’estremità
Gettando una veloce occhiata ad Ambra, scoprì che la ragazza aveva ricevuto quasi il suo stesso regalo, solo che il suo bracciale era giallo con perline bianche.
“Vi piacciono? Non sapevo quali colori vi piacessero, ma potete anche scambiarveli se volete: non è un problema!”.
A Letizia sembrò quasi di avere un macigno in gola, ma faticosamente riuscì a dire:
“No … a me va bene così!”.
“Anche a me!”, le fece eco Ambra, con un tono di voce un po’ più sicuro del suo ma che tradiva una certa sorpresa, come se anche lei nell’aprire il regalo non avesse creduto ai propri occhi.
“Vi accontentate di poco, ragazze!” si mise in mezzo Rosalba. “I veri bracciali sono quelli d’oro e d’argento, non quelle schifezze là!”.
“Dai Rosy, non essere cattiva”, le rispose  Clara sventolandole un dito davanti con aria di finto rimprovero. “Lo sai che Micol è una pezzente e non può permettersi altro!”.
Il resto della classe sghignazzò senza ritegno: il suono di quelle risate riportò Letizia indietro nel tempo.
Pezzente … stupida … buona a nulla … sei brutta come la fame … dovresti vergognarti di esistere … ucciditi, farai un favore a tutti… se ti togli di mezzo, ci sarà più aria per noi per respirare … essere inutile che non sei altro…
“BASTAAAAA!”
Ci mise un istante per capire che l’urlo era stato reale: aveva gridato per davvero, e non aveva solo immaginato di farlo! Le facce ammutolite dei suoi compagni di classe ne erano una conferma: prima che iniziassero a pensare che era pazza, doveva recuperare la situazione.
“Oh, bene, vedo che avete finito di ridere”, disse, ostentando una sicurezza che non aveva affatto. “Vi siete divertiti? Io no. Però sono contenta per il regalo:  a me piace, poi se non incontra il vostro gusto, beh, questi sono affari vostri!”. Si chinò verso il braccialetto, e se lo mise intorno al polso.
“Aspetta, ti aiuto!” Micol si fece avanti; dietro di loro, gli altri ragazzi cominciarono a disperdersi, ma le due non ci fecero caso.
“Grazie. Sia per l’aiuto che per il regalo, davvero!”.
“Figurati. Era un modo semplice per …”.
“Ragazze?”.
Letizia e Micol si voltarono all’unisono, sorprese da quel sussurro; Ambra era ancora a pochi passi da loro.
“Ambra? Cosa c’è?” chiese Micol, sorpresa e curiosa al tempo stesso.
“Volevo ringraziare per il braccialetto…”
“Ma figurati, era una cosa partita dal cuore!”.
“Immagino, ma è stato comunque molto carino da parte tua! E volevo dire ad entrambe che … anche io ho comprato dei pensierini per voi!”.
Letizia trasecolò: anche Ambra le aveva preso un regalo! Voleva sparire, sprofondare. Perché quelle due ragazze non si arrendevano?
“Avrei dovuto mostrarmi più fredda” rifletté. “Se l’avessi fatto, forse ora non mi troverei in questo guaio!”.
“Ecco, questo invece è per te”.
Letizia allungò meccanicamente un braccio, e la sua mano strinse un pacchettino di carta dorata, simile nella consistenza a quella che aveva usato Micol per incartare i suoi doni; ma al posto di un bracciale, stavolta la ragazza tirò fuori una collana molto semplice, con una piccola mezzaluna all’estremità: dal peso e dall’aspetto si capiva che non era d’argento autentico, ma alla ragazza non importava. Aveva ricevuto ben due regali nel giro di pochi minuti, e da due sue coetanee, per di più! Si sentiva confusa, lusingata e anche un po’ in colpa: lei non aveva comprato nulla a nessuna delle due!
“Ehm, ragazze … io purtroppo non ho doni per voi, perché nella mia vecchia scuola non si usava fare regali di Natale alle ami... cioè, ai compagni di classe.
Però, visto che me li avete fatti…”.
Il suono della campanella le impedì di completare la frase; vedendo che tutti gli altri si stavano sedendo ciascuno al proprio posto,  si affrettò ad imitarli con grande sollievo, senza degnare di uno sguardo le altre due.
 
 
La sera stessa, dopo aver fatto i compiti, infilò i due regali nel suo portagioie: era un regalo che suo padre e sua madre le avevano fatto per i suoi dieci anni, ed era un po’ sbiadito e graffiato in qualche punto, ma lei ci teneva molto. Gli uccellini, i fiori e le farfalle che vi erano disegnati le mettevano sempre allegria, e non le importava se erano più adatti ad una bambina che ad una adolescente… chiuse tutto, lo rimise a posto, e sospirò: per quanto non le andasse affatto, sapeva che avrebbe dovuto ricambiare. La sua educazione e il suo modo di pensare le impedivano di ignorare tutto e fare come se nulla fosse successo!
“Ma se io ricambio, loro penseranno che siamo amiche. E questo dovrei evitarlo, no? Altrimenti la teoria della rosa blu va a farsi benedire, dopo tutti gli sforzi che ho fatto! Non posso ricambiare, ma nemmeno posso evitarlo…”.
Sentì arrivare le lacrime, e premette gli angoli degli occhi con due dita, per evitare di piangere: poi aprì il cassetto della sua scrivania, spostò qualche foglio contenente alcuni disegni che faceva nel tempo libero, e prese una fotografia di suo padre, che aveva staccato dall’album di famiglia appena qualche giorno dopo la sua morte.
L’immagine era recente, e la ragazza si perse un po’ a guardare il viso del genitore: il reale colore degli occhi e la forma del naso era quello che aveva in comune con lui; per il resto, era la fotocopia di sua madre.
“Papà, mi trovo ad un bivio… non so cosa fare, aiutami!”.
Fu allora che decise, ma prima che potesse pensare bene a come organizzarsi, sentì la voce di sua madre.
“Ragazze, è pronta la cena!”.
“Arriviamo!”, fecero le gemelline con la loro voce squillante, dalla loro camera.
Quando Letizia si alzò a sua volta, sapeva già cosa avrebbe fatto: si sarebbe mossa l’indomani. Doveva andare da sola e quindi onde evitare problemi avrebbe dovuto dire a sua madre che andava a studiare da una amica, quando invece non era vero; poi si sarebbe spostata con gli autobus e avrebbe cercato di sbrigarsi, in modo da tornare a casa il prima possibile. Dopodiché, avrebbe consegnato i regali il lunedì mattina, che sarebbe stato anche l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie.
“Salderò il mio debito”, si disse, mentre si metteva a tavola. “Mi sembra doveroso, date le circostanze. Ma comunque, spero che dopo questa io non debba più fare altro per quelle due! Non posso averle come amiche: spero lo capiscano presto”.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 (parte 1): dubbi ed offese ***


Capitolo 8, (parte 1): dubbi ed offese

Il giorno seguente, Letizia seguì le lezioni normalmente: si era imposta di non pensare a quel che doveva fare nel pomeriggio, ma le riuscì bene solo alla prima ora. A partire dalla seconda, infatti, molte domande presero ad affollarle la mente: stava facendo la cosa giusta? Dopotutto, ventiquattro ore prima aveva detto alle sue compagne che nella sua ex scuola i regali non si usavano, perciò non si aspettavano di certo che lei ricambiasse il favore!
“E’ inutile temporeggiare e farsi prendere dalle incertezze: devo andare a comprare i doni, ormai è deciso. Non mi piace affatto e per adesso non ho proprio idea di cosa comprare, ma so che è comunque la cosa più giusta da fare!”.
Micol non era presente in aula: questo da una parte la rassicurava, dall’altra invece la preoccupava un po’. Cosa poteva esserle successo? Il giorno prima era venuta a scuola, e non le sembrava che stesse male! Doveva mandarle un messaggio per sapere come mai non si era presentata? Oppure era meglio evitare, per non far credere all’altra che erano amiche?
Non riuscì a decidersi: così le ore passarono, senza che lei avesse fatto nulla.
Alla quarta ora, però, una volta che lei e i suoi compagni ebbero raggiunto gli spogliatoi della palestra, successe una cosa che le fece dimenticare momentaneamente tutti i suoi dubbi.
“Ehi, minorata mentale, guarda dove vai! C’ero prima io!”. Clara spinse via Ambra, mandandola a sbattere contro una delle panche dello spogliatoio femminile.
“Come ti permetti? Minorata mentale ci sarai tu!”.
“Oh, ma l’avete sentita, ragazze? Neanche un bambino ritardato farebbe queste battute idiote. Non sa proprio difendersi, né tantomeno comportarsi in modo maturo! Dove l’hai sentita questa frase, eh? In qualche giornalino o in qualche cartone animato per poppanti? Ridicola! Perché non stai zitta, vermiciattolo? Hai la stessa attrattiva di un omino stilizzato, e in più sei pure stupida: chi credi di spave…”.
La bulla non finì la frase: Letizia, che a sentirla parlare era diventata sempre più rossa dalla rabbia, le saltò addosso e la colpì su una guancia con uno schiaffo.
“Ahia! Ma sei pazza?” Chiamate il profe…”.
Non finì la frase, perché gliene arrivò un altro dall’altra parte.
“Ma brava, miss coraggio: ci facciamo difendere dagli adulti adesso, eh? Visto che accusi gli altri di essere infantili, perché non dai tu per prima il buon esempio? Sei pure rappresentante di classe! E poi, dovresti essermi grata: ti ho rinnovato il look! I tuoi clienti ne saranno felici”.
“Cosa mi hai fatto??? Brutta put…”.
“Senti chi parla”.
Letizia si spostò, per far sì che la reginetta oltraggiata tirasse fuori il suo specchietto dallo zaino e osservasse i danni alla sua persona: ma non poté evitare di notare, con enorme soddisfazione, che il segno delle sue dita era ben piantato su entrambe le guance della compagna.
“Prima che ti metti a frignare e a fare le tragedie greche, io uscirei, perché non voglio vedere certe scene penose.  Ambra, stai bene?”.
“S-sì: credo che mi verrà qualche livido perché oltre che finire sulla panca sono andata anche addosso al muro, ma a parte questo sto bene”.
“Allora usciamo, dai: tanto qui non abbiamo molto da fare”.
Detto ciò, le due ragazze lasciarono lo stanzone, sotto gli sguardi stupiti, increduli e in qualche caso anche arrabbiati delle compagne.
 
 
“Non avresti dovuto”.
Ambra, spaventata, guardava la compagna di banco: era consapevole che Clara, qualche passo dietro di loro, le stava fissando con sguardo malevolo, mentre risalivano in aula per affrontare l’ultima ora.
“E perché mai? Quell’idiota ti ha dato della ritardata! E poi mi sta antipatica, era da parecchio che sognavo di darle due bei sganassoni. Se li meritava! Non solo è una grandissima tro…mbettista, ma è anche una povera ignorante: forse la sua memoria è un po’ scarsa, ma se ricordasse che frequentiamo un liceo artistico, ricorderebbe anche che in un certo senso pure quelli che lei chiama “giornaletti” e i cartoni sono arte! Oltretutto, ora sono certa che starà fumando dalla rabbia,” disse, girandosi per vedere se la coetanea era in ascolto, “perché oggi tra le altre cose l’abbiamo stracciata, a pallacanestro, alla faccia sua e della sua combriccola di oche giulive che ci hanno sempre detto che siamo delle schiappe in quello sport!”.
Uno strano verso pieno di stizza le fece capire che Clara aveva sentito eccome, e le venne da ridere: cercò di non farlo, ma per qualche motivo non poteva fare a meno di trovare il tutto parecchio comico, quindi non riuscì a trattenersi e scoppiò in una risata fragorosa; ci mise parecchio per capire che Ambra l’aveva imitata.
In quel momento, si rese conto che non l’aveva mai sentita ridere prima d’ora: e nonostante il suo proposito di non diventarle amica, si sentì felice per lei.
 
 
Meno dieci minuti alla fine della lezione.
Doveva decidersi, altrimenti avrebbe perso una grande occasione!
“Ambra?”, chiamò, senza quasi staccare lo sguardo dal quaderno.
Passò qualche istante, tanto che la ragazza si chiese se l’altra avesse sentito; poi, colse un suono, bassissimo e quasi esitante.
“Sì?”.
“Quali manga ti piacciono?”.
Anche non riuscendo a vedere il viso della vicina, Letizia intuì che era arrossita fino alla radice dei capelli.
“Ti sbagli… a me non piacciono i manga! A malapena so cosa siano. Clara dice sciocchezze, lo sai anche tu: non ne ho mai visto uno neanche da lontano”.
“Che quell'oca starnazzante dica sempre sciocchezze non è in dubbio. Ok, scusa, devo essermi sbagliata… però io non ci vedo nulla di male nel leggerli, sai? Ecco, guarda”, disse, passandole un foglio che aveva preparato una ventina di minuti prima. “Questi sono quelli che ho letto io. Mi segni quali hai letto tu finora, per favore?”.
“Perché?”, chiese Ambra, perplessa, prendendo istintivamente il foglio.
“Te lo dirò lunedì”.
“Come vuoi”.
Sollevata, Letizia tornò al suo quaderno, e aspettò che i minuti che la separavano dalla fine dell’ora passassero.
 
 
Guardò in su: il cielo non prometteva affatto bene, nuvoloso com’era!
“Meno male che ho l’ombrello, e per fortuna che la maggior parte dei fumetti che Ambra non ha letto, io li ho ”, pensò. “Visto che alcuni sono praticamente nuovi, potrei regalarle quelli, senza andare a cercarli nelle fumetterie! Però devo sbrigarmi comunque: se inizia a piovere, è meglio tornare a casa il prima possibile!”.
Sapeva anche che c’era la possibilità che sua madre la chiamasse per sapere dov’era, nel caso in cui il tempo fosse peggiorato: e l’ultima cosa che voleva era che capisse che non era andata a casa di Micol, come le aveva detto la sera prima!
Già c’era voluto del bello e del buono prima di convincerla a farla girare da sola: ci mancava solo che scoprisse tutte le sue manovre.
Sentì un rumore: si girò, ma non vide nessuno… quindi, continuò a dirigersi verso la fermata dell’autobus: sapeva che nello stesso punto in cui di solito prendeva quello che le serviva per tornare a casa ne passava un altro, che nel suo percorso abituale passava davanti ad un negozio di bigiotteria: da quel che ricordava, Micol portava gli orecchini, a differenza di lei che invece non si era mai fatta i buchi alle orecchie, e quindi uscendo da scuola aveva pensato che regalargliene un paio sarebbe stata un’ottima scelta.
“Chissà quali dovrò prendere? Soldi ne ho, quindi non è quello il problema; però, dovrò puntare su qualcosa di classico o su qualcosa di colorato, vista la tipa che è?”.
Era arrivata in fermata: non sapeva perché, ma la sensazione di pericolo e di disagio che l’aveva colta qualche secondo prima ancora non la abbandonava!
Si stava giusto rimproverando per la sua eccessiva paura, quando una mano la afferrò per una spalla, e la fece sbilanciare: girandosi, si ritrovò faccia a faccia con Clara, accompagnata da Rosalba, Nives, Matilde e Perla.
“Andiamo bene! Cinque contro uno!”, pensò.
“Come va, signor avvocato delle cause perse? Non ti senti più tanto sicura di te, adesso, eh? E fai bene, perché ho intenzione di fartela pagare per quello che mi hai fatto oggi! In realtà, avrei dovuto gonfiarti di botte sin dal primo giorno che sei arrivata: sono stata fin troppo buona, ma adesso hai oltrepassato ogni limite”.
In effetti, non si sentiva assolutamente sicura di sé in quel preciso istante, ma ovviamente non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura! Per perdere tempo, rispose:
“Ovvio che mi sento sicura: non so se l’hai notato, ma siamo in un luogo pubblico, quindi se mi tocchi ci saranno anche dei testimoni a mio favore. Comunque sia, che ti devo dire? Se vuoi altri segni rossi su quel muso da cavallo che ti ritrovi, accomodati”.
Clara contrasse il viso in una smorfia di rabbia, e Letizia si mise sul chi va là: d’istinto, sapeva che avrebbe avuto solo qualche frazione di secondo per prepararsi, prima che la compagna si lanciasse su di lei ordinando alle sue accolite di fare altrettanto o quantomeno di tenerla ferma in modo che potesse darle una lezione.
“Ma guarda: le ragazze del terzo C quasi al completo!”.
Le sei sedicenni si girarono tutte quasi all’unisono, stupite: Letizia non credeva ai propri occhi. Quella giornata era stata parecchio movimentata fino a pochi istanti prima, ma quell’incontro era la cosa più inaspettata di tutte!
Perché mai quel ragazzo continuava a spuntare fuori nei momenti più impensati?
Con la gola secca, disse la prima cosa che le venne in mente, anche se temeva che parlando avrebbe fatto la figura della stupida:
“Ilan… che ci fai qui?”

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 (parte 2): legami affettivi ***


Capitolo 8 (parte 2): legami affettivi

“Ho rimandato i regali all’ultimo minuto, e mi è rimasto quello per mia sorella. Quindi, pensavo di comprarlo oggi. Tutto qua!”.
Il tono di Ilan era un po’ stizzito, o almeno così le sembrava: e ovviamente, ne aveva tutte le ragioni. Chi era lei per impicciarsi degli affari suoi, dopotutto?
“Ehm…”.
Non sapeva cosa dire. Quale era la cosa più giusta da fare? Scusarsi? Fare qualche battuta? Restare zitta? Non ebbe molto tempo per pensarci, però, perché le sue compagne approfittarono immediatamente della distrazione.
“Ah, lasciala perdere quella… parla sempre a sproposito! E’ pure lesbica, tra l’altro: si è innamorata di un’altra svitata della nostra classe, e infatti la difende sempre!”.
Rosalba lanciò un’occhiata trionfante a Letizia, che non si aspettava una battuta del genere ed era rimasta di sale: il suo autobus passò e se ne andò, ma lei se ne accorse troppo tardi.
“Come hai detto, scusa?”.
Nessuna delle sue coetanee le rispose: erano tutte troppo occupate altrove.
“E poi, guarda oggi cosa mi ha fatto!” si era messa a dire Clara, mostrando ad Ilan le guance ancora rosse.
“Ah, capisco. E’ quel tenue rossore che hai sul viso il motivo per cui ve la stavate prendendo con lei, in cinque contro uno?”.
“Beccate in pieno, civette che non siete altro!”, pensò Letizia, osservando l’espressione stizzita sul viso della compagna, che tutto si aspettava tranne essere messa a tacere in quel modo.
“Noi, prendercela con lei? No, volevamo solo parlare! Voglio dire, quando due amiche litigano, bisogna chiarire, non trovi?”, si affrettò a dire Nives, lanciando uno sguardo di avvertimento a tutte per far capire loro che non voleva essere contraddetta.
“E poi,  noi vogliamo tanto bene a Letizia: non potremmo mai farle del male!”, Perla, che nonostante il nome era tutto tranne che bella, fine e delicata, agguantò la coetanea stringendola in un abbraccio privo di qualsiasi trasporto sincero.
“Davvero? Non mi sembrava proprio”.
Ilan tirò su un sopracciglio, fissando le sedicenni con aria scettica.
“Ma sì… noi tutte ci consideriamo come sorelle! Anche Micol ci è tanto simpatica, per esempio!”.
Anche Matilde aveva detto la sua, piegando la bocca in un sorriso la cui falsità si poteva notare a distanza di chilometri.
“Non è vero. La detestano!”, disse Letizia con il solo movimento delle labbra, mentre finalmente riusciva a liberarsi dalla stretta di Perla.
Nella concitazione del momento, pensava che il suo messaggio andasse perso: invece, Ilan sembrò capire perfettamente, perché divenne improvvisamente molto più freddo.
“Allora, se vi considerate come sorelle penso che dovreste augurare buona fortuna a Letizia: il suo autobus sta passando!”.
“Davvero?”. Letizia, sorpresa e sollevata, guardò: effettivamente, era proprio così. ”Oh, meno male… dovrei andare, altrimenti lo perderò di nuovo!”.
“Hai ragione: sbrigati, altrimenti lo perdiamo!”.
La ragazza si fece largo, così ansiosa di liberarsi delle compagne di classe da dimenticarsi persino di salutarle: fu solo dopo essersi infilata nel primo angolo disponibile che sentì le parole di Ilan farsi strada nella sua mente.
“Altrimenti lo perdiamo”.
“Perché diavolo avrà parlato al plurale?” pensò, spaesata.
La risposta le si palesò davanti quasi immediatamente: a qualche passo da lei, in mezzo ad altra gente che si reggeva alla meno peggio ai vari corrimano, c’era proprio il fratello di Micol.
 
 
“Così, quelle cinque odiano mia sorella?”.
Erano scesi dall’autobus, e la pioggia aveva iniziato a cadere; Letizia, rossa quasi quanto il suo ombrello, non credeva alle proprie orecchie.
“Allora mi hai vista, mentre lo dicevo!”.
“Certo che sì. Ho dieci decimi, sai? Ci vedo benissimo, anche senza le lenti a contatto. Colorate o meno che siano!”.
La ragazza si rivide in un lampo davanti allo specchio, nel bagno della casa di Micol, mentre, con un occhio azzurro e uno marrone, fissava terrorizzata Ilan che si era materializzato improvvisamente dietro di lei.
“Allora avevo ragione: mi ha vista!”, si disse, rabbrividendo.
Anche se era stata colta in flagrante come lo erano state le sue compagne pochi minuti prima, non voleva né poteva dargli la soddisfazione di capire quanto la sua rivelazione l’avesse destabilizzata: quindi, decise che la cosa migliore da fare fosse tornare a quello che era stato il tema iniziale.
“Comunque, sì, ci odiano. Odiano me, Micol e anche un’altra ragazza, quella che hanno spacciato come mia amante”.
Ilan si bloccò, e anche lei istintivamente fece lo stesso.
“E perché vi odiano?”.
“Bella domanda. Forse, semplicemente perché siamo diverse da loro! Comunque, anche io volevo fare il regalo di Natale a tua sorella, sai? Me ne ha fatto uno lei qualche giorno fa, così ho pensato fosse carino ricambiare! Avevo in mente di farle degli orecchini, pensi possa andare bene?”.
Ripresero a camminare: Letizia si aspettava che Ilan le rispondesse, invece lui si era stretto nelle spalle, e non aveva parlato.
“Ovviamente, non si considera un esperto su certe cose, quindi non sa che dire. Che stupida, non avrei dovuto chiederglielo! Però una cosa posso domandargliela”, pensò la ragazza.
“E tu invece? Cosa hai intenzione di comprarle?”.
“Mi ha chiesto dei colori a tempera: quelli che aveva prima li ha finiti”.
“Cosa? Davvero? Le piace dipingere?”.
Forse non doveva mostrarsi tanto entusiasta: ma non poteva farne a meno. Anche lei adorava la pittura, dopotutto!
“Sì, ed è anche parecchio portata. In realtà vorrebbe provare anche i colori ad olio, ma i miei non vogliono, così si accontenta di quelli a tempera”.
“Posso capire. Anche mia madre vuole che eviti la pittura ad olio, perché quei tipi di colori sono da annoverarsi tra i materiali pericolosi e quindi per smaltirli c’è tutto un procedimento particolare… e poi non le piace il fatto che emettano dei fumi e detesta l’odore della trementina, perché dice che non è adatto ad una casa. Perciò, mi accontento dei colori a tempera anche io, oppure uso gli acquerelli. Anzi, a dire la verità uso più questi ultimi che le tempere”.
“Sul serio? Anche a me piace dipingere con gli acquarelli! Certo, non ho molto tempo, adesso, perché mi sto preparando per l’esame teorico della patente e poi devo studiare tanto visto che sono al quinto anno... ma quando ho del tempo libero, dipingo anche io. Pensa, ho ultimato un dipinto giusto ieri!”.
“Wow! Mi piacerebbe vederlo!”.
L’aveva detto prima ancora di riuscire ad evitarlo: si morse il labbro, ma sapeva che ormai il danno era fatto.
“Perché no? Puoi venire adesso, se ti va”.
“Ora? Ma… non è un po’ troppo improvviso? Cosa diranno i tuoi? E poi, Micol non sta male? Non è venuta a scuola, oggi! Non vorrei disturbare…”.
Colse un guizzo divertito negli occhi di Ilan, e la cosa la agitò ancora di più.
“Nessun disturbo, figurati. Mia sorella non è stata bene con lo stomaco, stanotte, quindi mia madre ha pensato di farla rimanere a casa per oggi… ma credo che in questo momento sia sola in casa, quindi le farebbe sicuramente piacere vederti!”.
Letizia si mise a riflettere freneticamente: la prospettiva di andare a casa di Micol la spaventava, ma a sua madre non aveva detto che sarebbe andata proprio là, quel pomeriggio? Guardò istintivamente l’orologio: nonostante tutti gli accadimenti, erano solo le 14:10… lei doveva ancora mangiare, e doveva pure fare il regalo. Non era meglio andare a casa della compagna e portarglielo, in modo da chiudere definitivamente il discorso?
“Va bene, verrò. Però adesso ti va di cercare un posto dove mangiare? Mi sono dimenticata di farmi il panino, stamattina, e ho fame! Poi se vuoi tu vai a cercare un negozio dove vendono le tempere, mentre io andrò lì”, disse, indicando il punto opposto della strada. “E alla fine semmai ci rivediamo da qualche parte, e andiamo alla fermata insieme!”.
“D’accordo”. Il ragazzo sorrise, e lei si sentì tremare le ginocchia. “Conosco la zona, quindi so dove potremmo andare… poi, andiamo prima a fare il tuo regalo e poi il mio”.
“Vuoi… venire con me anche quando comprerò gli orecchini? Ma ti annoierai!”.
“E se le tue compagne ci avessero seguiti? Meglio non rischiare, non credi?”.
Era una scusa ridicola: se anche Clara e le altre li avessero pedinati, avrebbero avuto già parecchio tempo per farsi vedere, e inoltre non l’avrebbero di certo attaccata dentro un negozio! Al più, avrebbero potuto prenderla in giro, ma era così abituata a punzecchiature ed offese, che non le facevano più effetto.
Quindi, perché Ilan si offriva di accompagnarla, anche se scegliere degli orecchini non erano certo la cosa che più interessava ad un ragazzo di diciotto anni? Voleva bene alla sorella al punto da voler presenziare nei momenti in cui le si compravano dei regali? O lo faceva per proteggerla? Oppure, la ragione era ancora un’altra, ed aveva a che fare con lei stessa?
“Ma cosa vai a pensare???” si rimproverò. “E’ fidanzato, te lo ricordi? Quindi, probabilmente vuole solo essere gentile!”.
Nonostante quella consapevolezza, non poteva nascondere a se stessa che il fatto di dover stare da sola con lui, per quanto la imbarazzasse, la emozionasse anche, e parecchio; quindi, fu con un misto di emozioni diverse che finalmente rispose:
“Va bene!”.

 
L’autobus si muoveva verso la sua destinazione, mentre la pioggia bagnava i vetri: Letizia, girata verso il finestrino, stringeva tra le braccia il pacchetto contenente il suo regalo per Micol e fingeva di riposare.
Durante il pranzo con Ilan, che era constato di una pizza a testa, aveva riso parecchio: si erano raccontati aneddoti divertenti relativi alla propria famiglia ed alcune loro esperienze personali passate, e ad un certo punto le loro mani si erano persino sfiorate da sopra al tavolo , ma lei aveva ritirato la sua prima che il contatto potesse approfondirsi ulteriormente. Non aveva dimenticato che il fratello maggiore della sua coetanea non era single… e non voleva cacciarsi in qualche guaio!
Per evitare altri tipi di contatto, appena era arrivato il mezzo che li avrebbe portati a casa dell’amica aveva detto di essere stanca: aveva provato a dormire davvero, ma con lui seduto accanto non ci era riuscita, e così aveva finto.
Una frenata, e l’autobus si fermò: Letizia aprì leggermente gli occhi, ma non si mosse.
“Dai, smettila di far finta di dormire… devi alzarti, siamo quasi arrivati!”.
“Eh, cosa? Di già?”.
La ragazza si tirò su, rivelando una vitalità che poco si confaceva ad una persona che fino a poco tempo prima dormiva.
“Eh, sì. Dai, sbrigati, su!”.
“Arrivo, arrivo… dammi tempo!”.
“Sarà pure bello”, pensò, “Ma certo che quando ci si mette è anche parecchio irritante!”.
 
 
“Lo sai che mi hai fatto proprio un bel regalo?”.
Micol, visibilmente ristabilita, si rigirava tra le mani gli orecchini, che erano d’oro con una piccola perla al centro.
“Sono contenta che ti piaccia: temevo non ti piacesse, sai?”.
“ E invece li trovo davvero belli. Li hai scelti solo tu? Oppure Ilan ti ha dato una mano?”.
“No… ho fatto tutto da sola!”.
“Lo immaginavo”. Micol alzò gli occhi al cielo, mentre si sedeva sul suo letto.
“E’ sempre stato così… figurati che quando doveva fare regali alla sua ragazza, o alla sua ex ragazza per meglio dire, dovevo andare con lui per consigliarlo!”.
Letizia non aveva capito nulla del discorso della coetanea, tranne una parola.
“Hai detto ex?”
“Sì…Anya, fredda come il ghiaccio e di un antipatico incredibile. Ti giuro, Clara e Rosalba sono angioletti al suo confronto! Per me, che si siano lasciati è una vera liberazione: lei non lo meritava. E infatti, è uscito fuori che aveva un altro, ultimamente! Ma come mai me lo chiedi?”.
“Eh? No, niente, per curiosità… senti, tuo fratello mi ha detto che dipingete! Lo faccio anche io, sai? Ti va di farmi vedere qualche vostro quadro?”.
 
 
L’ora che seguì fu molto interessante: Micol mostrò alla compagna di classe i suoi dipinti e quelli del fratello, che ritraevano creature fantastiche, oggetti di tutti i giorni, situazioni reali e oniriche…
“Sono davvero belli, sai? Complimenti, siete davvero bravi!”.
“Grazie! Dirò ad Ilan che ti sono piaciuti anche i suoi dipinti, quando tornerà dalla palestra”.
“Ah, ok!”.
Letizia si era rilassata parecchio, da quando Ilan era uscito circa una decina di minuti prima: essendo assente, era improbabile che parlasse alla sorella di quello che aveva visto nel loro bagno tempo prima, anche se non era del tutto escluso che lo facesse una volta che lei fosse andata via!
“Letizia? Ci sei?”.
“Oh! Scusa, mi ero persa. Dicevi?”.
“Ti ho chiesto se un giorno potrò venire a casa tua a vedere i tuoi dipinti: quando sono venuta da te per studiare, non me li hai mostrati!”.
“Ehm… hai ragione, ma non sapevo ti piacesse dipingere. Per vederci, invece, ehm… devo chiedere a mia madre!”.
Non era una bugia: era davvero abituata a chiedere il permesso alla madre prima di far venire qualcuno in casa. Quel che non aveva intenzione di dire, ma che rappresentava comunque il suo pensiero, era che non voleva assolutamente la sua coetanea in giro per il suo appartamento! Venendo a trovarla una seconda volta poteva scoprire tutto ciò che non aveva scoperto in precedenza. Come poteva evitare di farla venire? Quali armi poteva usare per proteggersi?
“Ci sono! Quando sarà, mi inventerò che Laura e Livia sono malate: chi può avere da ridire con la malattia di due bambine? E mamma non saprà mai che…”.
In quel momento, il suo cellulare squillò, facendola sobbalzare per la sorpresa: guardando il display, si rese conto che a cercarla era proprio la persona che l’aveva messa al mondo!
“Mamma? Ciao! Sono da Micol, come mai chiami?”.
Restò in ascolto, incredula: era stata una fortuna che Ilan l’avesse invitata a casa sua! Chiuse la comunicazione, visibilmente più sollevata.
“Cosa ti ha detto tua madre?”.
“Che poco prima di cena passerà a prendermi. A dire il vero, eravamo rimaste d’accordo che io tornassi da sola, ma ha pensato fosse giusto così. Ti va di studiare un po’, già che ci siamo?”.
 
 
“Come mai hai deciso di venirmi a prendere?”.
Letizia chiuse lo sportello dell’automobile e guardò la madre.
“Beh, sinceramente l’idea di farti tornare da sola in autobus a quest’ora non mi andava molto a genio…”
“Mamma, sono le sette e mezza di sera! Non è tarda notte!”.
“Sì, ma siamo a dicembre! Per di più, è una zona che conosci poco… quindi, anche se ti avevo dato il permesso poi ci ho ripensato e quindi avevo comunque intenzione di venirti a prendere!”.
“Davvero?” chiese l’adolescente, riuscendo miracolosamente a reprimere un sospiro di sollievo. Cosa sarebbe successo se lei per qualche motivo non fosse riuscita a tornare a casa dopo aver fatto il regalo, e sua madre venendo a cercarla avesse capito che non era dalla sua amica ma altrove?
“E poi, a noi mancavi tanto!”. Livia si fece sentire, battendo una mano sul sedile anteriore su cui era seduta la sorella maggiore.
“E’ vero…la casa sembrava un po’ vuota senza di te!”, concordò Laura.
“Sul serio? Ma grazie, ragazze!”.
Letizia era commossa: per una serie di circostanze, le sue bugie non erano state scoperte, e in più aveva avuto la possibilità di stare più tempo del previsto con il ragazzo per cui aveva una cotta spaventosa; quella giornata sarebbe potuta andare in mille modi diversi… l’unica cosa che non sarebbe mai potuta cambiare, lo sapeva bene, era il forte legame affettivo che c’era tra lei e le sue sorelline.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: il segreto di Ambra ***


Capitolo 9: il segreto di Ambra

La mattina del ventitré dicembre, Letizia consegnò il fumetto che aveva scelto ad Ambra, ben impacchettato in una carta verde, rossa e oro con sopra tanti disegni di abeti e di Babbi Natale.
Osservò la compagna mentre scartava il regalo, e vide parecchie emozioni passarle sul volto: eccitazione, gratitudine… e qualcosa di molto simile al timore.
“Tutto bene?”.
Si chiese se per caso non si fosse confusa. Eppure, a quanto aveva capito, il genere suriraa era proprio quello che la coetanea preferiva di più!
“Sì. E’ stato molto gentile da parte tua. Davvero, non me lo aspettavo!”.
Finalmente, il volto di Ambra si distese in un sorriso.
“Sono contenta!”.
Rimasero a fissarsi, senza sapere bene cosa dire: erano sole in aula, ma non lo sarebbero state ancora a lungo! Forse fu questa consapevolezza a spingere Ambra a parlare di nuovo.
“Davvero, grazie mille. Sia per il regalo, sia per tutto quello che fai per me…”.
“Ma figurati!”.
“Sul serio, non scherzo. Da quando sei arrivata tu, la mia vita qui è migliorata!
Probabilmente penserai che esagero, ma ti assicuro che non è così. Quindi, vorrei dimostrarti la mia gratitudine… invitandoti a casa mia oggi pomeriggio”.
Letizia fissò la coetanea, incredula: due inviti improvvisi in meno di pochi giorni per lei erano davvero una novità!
Improvvisamente, sentì di nuovo l’impulso di scappare: voleva dire qualcosa, ma per qualche ragione le corde vocali non le rispondevano, e non le veniva in mente nessuna scusa valida per rifiutare l’invito.
“Ehm…io…”.
Proprio in quel momento, la porta si aprì, lasciando entrare Clara e Rosalba che ridevano sguaiatamente; Letizia dal canto suo, le fissò con malcelata ostilità.
“Oh, guarda. Le due innamorate!”, fece Rosalba, dando di gomito all’amica.
“Già. Peccato che Ambra non sa una cosa… la sua amichetta la tradisce!”, aggiunse Clara, beffarda.
“Uffa, smettetela!”.
Ambra si fece avanti, seccata e ferita insieme.
“Perché, non ti piace? Non è granché, ma dopotutto al cuore non si comanda! Se vuoi capire il senso della mia battuta di poco prima, poi, fattelo spiegare dalla tua ragazza. Ma mi raccomando, Letizia, non esagerare… Ambra è stupida, non è in grado di capire i discorsi più lunghi di dieci minuti!”.
Letizia assunse un’espressione schifata. Com’era possibile che una persona potesse trasmettere tanto odio e tanta antipatia al solo sguardo? E inoltre, era mai possibile che alcuni suoi coetanei parevano trarre un così gran piacere dall’offendere gli altri gratuitamente ed in maniera continua?
Si girò verso la sua compagna di banco: aveva preso una decisione.
“Se mia madre mi da il permesso”, disse, determinata, “Stai sicura che verrò a casa tua, oggi!”.
 
 
Così, quel pomeriggio salì le scale che portavano all’appartamento in cui viveva Ambra: per la prima volta, voleva davvero andare a trovare una sua compagna di classe. Fino ad allora aveva sempre evitato, ma quel giorno era diverso… voleva davvero scambiare quattro chiacchiere con la coetanea, e dubitava che quanto era successo a scuola fosse la causa scatenante di questo suo desiderio: si stava accorgendo che ormai aveva imparato a volere bene a quella ragazza così taciturna e amante dei fumetti giapponesi.
“Non va bene”, si disse, arrivando davanti alla porta. “Non va bene per niente! Ricordati: nessuno deve sapere come sei davvero. Nessuno. Non devi lasciarti coinvolgere dagli altri, o finirai per perderli come è già successo in passato!”.
Suonò il campanello, e attese: dopo qualche istante, la porta le venne aperta, ma davanti a lei c’era un bimbo di circa sette anni che la colpì subito per il suo particolare aspetto fisico: la forma del viso era allungata, la fronte era prominente e gli occhi sembravano infossati e strabici. Le orecchie, poi, sembravano innaturalmente grandi…
L’adolescente si stava giusto domandando se avesse sbagliato piano, quando sentì un rumore di passi e una voce che diceva:
“Mattia! Potevi aspettarmi…”.
Ambra si materializzò davanti alla porta di casa, e fissò la sua ospite.
“Ciao! Scusami se non sono venuta subito, ma ero in bagno; mio fratello deve aver pensato che fossero tornati i miei!”.
“Ma non fa nulla, lo capisco…”.
Letizia doveva ancora riprendersi dalla sorpresa: Ambra aveva un fratello? Ma se non gliene aveva mai parlato!
“Letizia? Non entri?”.
“Ehm…sì, certo!”.
Entrò in casa, mentre la sua compagna di banco chiudeva la porta; si guardò intorno, e quando smise, notò che il bambino la stava ancora guardando, e sorrideva, dondolandosi sulle gambe.
“Siete soli, allora?” chiese, tanto per dire qualcosa.
“Sì, ma per poco: i miei genitori sono andati a fare la spesa, torneranno a breve. Cosa ti offro?”.
“Un bicchier d’acqua andrà bene”.
“Sicura?”
“Certo!”.
“L’altra cosa di cui sono sicura, è che a quanto pare non sono l’unica ad avere delle cose da nascondere”, pensò qualche secondo più tardi, mentre beveva.
Non sapeva dire il perché, ma aveva l’impressione di avere davanti a sé un intero pomeriggio pieno di rivelazioni e scoperte…
 
 
“Quindi, hai un fratellino. Come mai non me ne hai parlato?”.
Gli adulti erano rientrati, e le due sedicenni si erano rintanate in camera di Ambra con la scusa di iniziare a fare i compiti che i professori avevano assegnato loro per le vacanze natalizie; anziché aprire i libri, però, si erano messe a chiacchierare.
“Temevo che … mi prendessi in giro perché ho un fratello così, o che lo offendessi in qualche modo. Ha un ritardo mentale, come forse avrai notato già soltanto osservando i suoi lineamenti! E’ una cosa dovuta ad una trisomia a mosaico del cromosoma 8, purtroppo”.
Letizia la fissò, incredula.
“Davvero hai temuto che potessi prendermi gioco di te o di lui, solo perché non sta bene? Ma come ti è venuto in mente?”.
“Scusami, è solo che… tempo fa una persona è venuta qui e ha… offeso entrambi, ecco. Stavo solo cercando di proteggerlo!”.
“Mi dispiace, davvero. Certa gente proprio non ha rispetto!”
La ragazza si sentì fremere dall’indignazione: Mattia era solo un bambino, che colpa aveva del suo handicap? E chi poteva essere così crudele ed indelicato da offendere lui e la sorella?
“Ti va di dirmi chi è stato? Non ne parlerò con nessuno, promesso”.
Sapeva che non poteva obbligarla; Ambra aveva tutto il diritto di non risponderle e tenersi per sé le sue cose, visto che lei stessa per prima agiva in quel modo. Però al contempo sperava che parlasse: sfogandosi, infatti, molto probabilmente poi la sua compagna di classe si sarebbe sentita meglio!
“E’ stata Clara”.
“Chi??? Ho sentito bene?”.
“Hai sentito benissimo. Devi sapere che in primo superiore Clara… era il mio idolo. Facevo di tutto per assomigliarle: vestivo come lei, mi pettinavo come lei, camminavo come lei… e un giorno, poco dopo le vacanze pasquali, la invitai da me per studiare insieme. Poi dopo molta esitazione le confidai una cosa intima che mi tenevo dentro da parecchio, e lei mi rispose che ero malata. Proprio come mio fratello. Solo che lui non aveva scelto di nascere malato, mentre io sì…a suo dire, mia madre avrebbe dovuto abortirci entrambi, specialmente me”.
“Cosa? Ma come si è permessa? E tu non l’hai cacciata via a calci?”.
“No, non l’ho fatto, non subito almeno. Mi sono … messa a piangere”.
Letizia non capiva. Per quanto ci provasse, proprio non ci riusciva. Se qualcuno l’avesse insultata, avrebbe potuto anche passarci sopra; ma se dei semi sconosciuti avessero attaccato le sue sorelle, allora sarebbe diventata una furia. Quindi perché mai Ambra era rimasta passiva davanti alle insinuazioni offensive di Clara? Il pianto non era di per sé un male, ma in quel caso era stata una reazione a dir poco deludente, oltre che inutile!
“Ora sono passati due anni, quindi penso sia superfluo dirtelo, però secondo me avresti dovuto reagire. Perché non l’hai fatto?”.
“Beh, in realtà, come ti ho già detto, l’ho mandata via, poi: non crederai che le abbia offerto anche il tè coi pasticcini! Comunque, all’inizio ho pianto perché…”.
Ambra esitò, incerta se continuare o meno: sembrava pensare che, se avesse parlato ancora, si sarebbe rovinata con le sue stesse mani: ma ormai, sapeva che doveva andare fino in fondo, e prendersi le responsabilità di eventuali conseguenze.
“Tenevo molto a lei. Ma non la volevo come amica”.
“Ah sì? E allora…”.
“Letizia, quel giorno le dissi che ero innamorata di lei!”
“Mio Dio. Sul serio?”.
“Già. Vedi, a settembre ti ho raccontato che mi ha tiranneggiata fin dall’inizio, ma non era così… prima mi cercava quanto ora cerca Rosalba. E invece, dopo quella volta, mi ha detto tutte quelle cose. Mi ha detto anche che le facevo schifo, che ero una pervertita e che non meritavo di vivere. Quando l’ho praticamente trascinata alla porta, con mia madre che ci guardava allibita, mi ha bisbigliato che avrei dovuto fare una seduta di elettroshock!”.
“Ma che tenera! Sai che mi hai fatto venire ancora più voglia di farle il viso scarlatto a forza di schiaffi? Se tu sei contro natura, allora lei che razza di persona è? Si sarà fatta sco…”
Letizia si bloccò, cercando una parola che sostituisse quella che aveva in mente.
“Cioè, si sarà fatta scoperchiare da mezza scuola, e osa pure parlare? Altro che sedute di elettroshock, per farla cambiare bisognerebbe aprirle la testa e metterci dentro un po’ di buon senso e di educazione!”.
“Forse è insicura, per questo non ha relazioni stabili”.
“Insicura? No, la sua è proprio una vocazione! Ed è pure sconsiderata, tra l’altro. Non può non sapere cosa rischia, avendo rapporti occasionali con chiunque!”.
Si udì bussare alla porta, e le ragazze si impietrirono, mentre il padre di Ambra faceva capolino.
“Tutto bene, voi due?”.
“Sì, certo!”, fecero le due sedicenni in coro.
“Sicure? Non è che state litigando, per caso? I vostri toni mi sono parsi molto accesi”.
“No, papà, ehm… dobbiamo imparare una poesia per letteratura italiana, e ci stavamo esercitando a recitarla a voce alta. Tutto qua. Alla nostra professoressa piace che declamiamo i vari poemi con voce alta e squillante, quindi abbiamo provato a fare come voleva lei, per vedere come ci riusciva!”.
L’uomo passò lo sguardo da una all’altra, rassicurato.
“Se lo dici tu… bene, allora vi lascio continuare!”.
Dopo che l’uscio si fu richiuso, le due adolescenti aspettarono qualche minuto, dopodiché ripresero il discorso.
“Dimmi la verità: sei ancora innamorata di lei, nonostante tutto. E’ vero?”.
Ci fu un silenzio che parve interminabile, ma alla fine la risposta arrivò.
“Sì, è vero. Non posso farci nulla! Certo, dopo quello che ha detto, la cotta mi è diminuita, ma comunque ancora dura. La sogno quasi ogni notte, la penso tutti i giorni e ogni volta che la vedo il cuore mi batte così forte da farmi pensare che prima o poi lo sentiranno anche gli altri! Comunque, ora basta parlare di me: ci sarà tempo. Tu cosa mi dici? Io ti ho confidato il mio segreto; e tu, ne hai qualcuno?”.
Letizia esitò: se Ambra le aveva nascosto l’esistenza del fratellino per paura che lo prendesse di mira, era anche vero che lei a sua volta non le aveva detto che suo padre era morto, proprio per un timore simile a quello che l’altra le aveva manifestato poco prima; quindi, era chiaro che se le avesse detto la verità, avrebbe capito. Doveva forse parlargliene?
“No, non ne ho”, disse, prendendo una decisione istantanea. Anche se la sua compagna di banco si era confidata, lei non era comunque obbligata a fare altrettanto!
“Ne dubito. Tutti ne abbiamo!”.
“Beh, io allora sono un’eccezione!”.
Ambra trattenne a stento una risata.
“Sì, certo,come no. Li hai come tutti, anche se diciamo che ne hai almeno uno che consideri tale solo tu. O meglio, io me ne sono accorta, poi gli altri non so!”
“Ossia?”
“Dai che lo sai!”
Letizia non parlò: temeva di sapere fin troppo bene dove l’altra voleva andare a parare.
“E va bene, Leti. Vuoi fare una prova?”
“Come vuoi: ma ti ripeto che ti sbagli, non ho alcun segreto, evidente o meno”
“E se io ti dicessi un nome?”.
“Quale?”.
“Ilan”.
Letizia cercò di controllarsi, ma non le fu possibile: un violento rossore le comparve sulle guance, facendosi sempre più intenso con il passare dei secondi.
“Evidentemente, certe cose per quanto ci si provi non si riescono proprio a nascondere!”, pensò, preparandosi al fuoco di fila di domande che, era sicura, Ambra le avrebbe fatto.
 
 
Quella notte, mentre era sotto le coperte, Letizia ripensò al pomeriggio appena trascorso.
Nonostante le battutine di Ambra su Ilan, si era divertita… e aveva dovuto resistere più volte alla tentazione di raccontarle la verità su suo padre e su cosa le era successo con Claudio l’anno precedente. Ma alla fine c’era riuscita: si era tenuta i suoi segreti per sé.
“Non tradirò Ambra”, pensò. “Le altre di certo sanno già qualcosa riguardo alla sua vera natura, altrimenti non avrebbero fatto tutte quelle battute riguardo una nostra presunta relazione. Però, io non ne parlerò, così come non parlerò del fratello, se lei non lo farà per prima… questo è poco ma sicuro: i segreti non sono fatti per essere divulgati a chiunque, lo so bene. Sono contenta che lei si sia confidata con me, ma io non posso fare altrettanto… sarebbe troppo rischioso!”.
Il suo pensiero andò al suo ultimo dipinto, che aveva ultimato poco prima di mettersi a letto: rappresentava una rosa blu, il fiore artificiale che aveva preso a modello per iniziare la sua nuova vita.
“Devo resistere” disse a bassa voce, per farsi coraggio. “Se fingo, andrà tutto bene”.
Detto ciò, fece un gran sbadiglio e si addormentò.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: il giorno di Natale ***


Capitolo 10: il giorno di Natale

I due giorni successivi per Letizia furono pieni di gioia e tristezza insieme: così come era successo in precedenza, era felice perché festeggiare il Natale con sua madre e le sue sorelle le metteva allegria, ma al contempo si sentiva triste, perché mai come in quel periodo sentiva la mancanza del padre.
Quell’anno, però, c’era una novità: i messaggi di auguri di Ambra e Micol. La ragazza si sentiva ridicola, ma era una cosa così insolita per lei che non poteva fare a meno di rileggerli nei momenti in cui aveva qualche pausa dai giochi di società con Laura e Livia.
 
Tanti auguri di Buon Natale! Come stanno tua madre e le tue sorelline? Qui tutto bene, stasera abbiamo tutti i parenti a cena e Mattia è davvero contento. Sono felice che tu mi abbia capita, sai? Non mi sono mai vergognata di lui, ma dopo quanto è successo con Clara, mi sono auto-imposta di non parlarne per proteggerlo…
 

Ogni volta che rileggeva quelle parole, Letizia si sentiva in colpa: Ambra aveva protetto il fratello per lo stesso motivo per cui lei proteggeva la memoria del padre … faceva bene quindi a non dirle la verità, visto fino a che punto la coetanea si era confidata appena quarantotto ore prima?
Quell’incertezza comunque durava solo qualche attimo, perché poi si rispondeva che sì, faceva bene a non dirle nulla: doveva difendersi. La sua compagna di banco poteva anche essere dolce e carina, ma chi poteva sapere come sarebbe diventata con il passare del tempo? All’inizio, tutti i suoi coetanei erano gentili: poi, man mano che i giorni e i mesi si susseguivano, cambiavano atteggiamento. E lei aveva imparato con l’esperienza che tutto ciò che la gente sapeva di una data persona poteva essere usato all’occorrenza contro la persona stessa: per questo, aveva deciso che meno gli altri sapevano di lei, e meglio sarebbe stato! Aveva risposto al messaggio della compagna di banco ricambiando gli auguri e dicendole solo che andava tutto bene e che stava passando un bel Natale con la sua famiglia, poi le aveva ribadito che la capiva per il fratellino; dopodiché, l’aveva chiusa là.
Tornò indietro, e rilesse per l’ennesima volta il secondo messaggio che le era arrivato quel giorno:
 
Ehilà, Leti!!! Come sta andando il tuo 25 dicembre? Qui tutto bene, siamo con i parenti: ti faccio tanti auguri di un felice e sereno Natale, sia da parte mia che da parte di mio fratello!
 
Letizia sentì il cuore mancarle un battito: le ultime cinque parole le provocavano emozioni contrastanti.
“Che ad Ilan importi qualcosa di me?” si chiese.
“No, è impossibile: magari l’ha detto solo per essere gentile… dopotutto, è Natale! Oppure, peggio ancora, magari Micol se l’è inventato, solo per allungare il messaggio. Non devo farmi troppe illusioni!”.
“Leti? Che fai qui in camera tua? Non vieni a giocare? Il tabellone lo tengo io, questa volta!”. Livia la stava fissando con un’espressione tra lo stupito e lo speranzoso.
“Dai, mamma è di là che ci sta aspettando”, aggiunse Laura, che era arrivata insieme alla gemella.
Letizia si alzò: il Natale in quattro non era molto divertente, ma lo doveva alle sue sorelline. Bisognava trasmettere loro un po’ di serenità, almeno in quel periodo dell’anno! Tutto il resto, compresi i suoi dubbi in merito al fratello della sua compagna di classe, potevano e dovevano aspettare.
“Va bene, ragazze… arrivo!”, disse, e le seguì fuori della stanza.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: proposte ***


Capitolo 11: proposte

Il giorno di Santo Stefano passò normalmente, con i giochi e i canti tipici del Natale; il ventisette dicembre, però, Letizia dovette a malincuore riprendere lo studio.
“Che seccatura”, si disse, riaprendo il diario. “Perché i professori non capiscono che gli adolescenti hanno anche bisogno di vivere le loro vite? Se non sapessi per certo che sono stati giovani anche loro per forza di cose, non ci crederei! Sembra quasi che facciano a gara a chi da più compiti: tanto a loro che cosa importa? Il loro stipendio resta invariato, e le vacanze natalizie se le passano comunque senza pensieri; sono io che sgobbo da mattina a sera, non loro! Sono solo le due e quaranta del pomeriggio, e finora ho fatto solo poco più di un’ora di pausa, escludendo il pranzo. Ma è vita, questa?”.
Per un attimo, fu fortemente tentata di chiudere tutto e svagarsi almeno per un’altra oretta: dopotutto sua madre non era in casa perché stava lavorando, perciò non c’era nessuno a controllarla!
“Potrei raggiungere Laura e Livia e giocare un po’ con loro”, si disse. Le sue sorelle, quando non giocavano ai giochi di società, inventavano storie e le mettevano in atto, assegnandosi le parti come se fossero due attrici in procinto di recitare a teatro: lo sapeva bene, perché spesso giocava con loro, e la maggior parte delle volte era lei che coordinava tutto, nonostante sua madre quando la coglieva sul fatto le dicesse sempre che era la più infantile delle tre e che doveva comportarsi in un modo più consono alla sua età.
Si era appena alzata per andare a raggiungere le sorelline, che erano nella loro camera e a quanto poteva sentire stavano già giocando tra loro, quando il telefono squillò, e lei deviò per andare in sala da pranzo.
“Sarà di certo la mamma che telefona per sapere come stiamo”, si disse, mentre sollevava la cornetta. “Lo fa sempre, quando io e le gemelline siamo sole!”.
“Pronto?”.
“Letizia?”.
“Si, sono io. Chi è?”.
Le sembrava una voce familiare, ma non riusciva ad identificarla. Di certo, quella all’altro capo del filo non era sua madre!
“Leti, sono Micol”.
“Ah, ehm… ciao! Come va? Passato un bel Natale?”.
“Oh, sì! Sono venuti qui i miei zii paterni, e poi anche i nonni materni. La mia famiglia è strana da questo punto di vista: da parte di papà non ho i nonni, mentre da parte di mamma non ho gli zii, perché è figlia unica. Abbiamo giocato a tombola una marea di volte, ma io non ho vinto niente: Ilan invece ha ripulito tutti. Beato lui! E’ vero che chi è fortunato nel gioco è sfortunato in amore, e quindi forse a me da un certo punto di vista conviene perdere, ma anche vincere un po’ ogni tanto non guasterebbe!”.
Letizia, suo malgrado, scoppiò a ridere.
“Ah, ti diverti, eh?” fece Micol, fingendosi offesa. “Beh, vorrei vedere te! Tu hai vinto qualcosa, quest’anno?”.
Letizia sospirò.
“No, non molto. Non soldi, almeno… considera che io non ho né nonni né zii, quindi a Natale sono sola con mia madre e le mie sorelle minori: le bimbe di sei anni non sanno cosa farsene dei soldi, quindi ci accontentiamo di caramelle, cioccolatini o pezzetti di torrone”.
“Però, buona come idea! E… tuo padre? Proprio non si è fatto sentire, neanche quest’anno?”.
Letizia si sentì venire le lacrime agli occhi: naturalmente, Micol sapeva,come del resto tutti i suoi compagni di classe, che suo padre era vivo, ma che si era separato da sua madre e quindi non lo vedeva da parecchio; non era colpa sua, quindi, se aveva detto delle cose che l’avevano rattristata. Dopotutto, se l’era cercata! Ma il dolore rimaneva ugualmente.
“Leti? Tutto bene? Ti chiedo scusa, non volevo offenderti!”.
La voce di Micol, sinceramente preoccupata e dispiaciuta, la fece tornare alla realtà.
“No, figurati … non mi hai offesa. E’ solo che…”. Per un attimo, le balenò in mente l’idea di confessare tutto; ma poi come era arrivata l’idea passò, e lei tornò sulle sue posizioni.
“E’ solo che non so proprio dove sia mio padre. Non so come rintracciarlo, e non lo sa neanche mia madre!”.
“Capisco. Mi dispiace, davvero, non era mia intenzione essere indelicata! Comunque, non è per questo che ti chiamavo … volevo sapere: ti va di venire a casa mia, per capodanno? Puoi anche fermarti a dormire, se vuoi. Pensi che tua madre te lo permetterà?”.
“Non saprei. Sai, è capodanno, e mia madre è una che pensa che le feste comandate debbano essere passate in famiglia!”.
Non aveva detto una bugia: sua madre era davvero una tipa con quelle idee.
Quindi, c’era concretamente la possibilità che non le desse il permesso… e la cosa, stranamente, la sollevava e la rattristava al tempo stesso.
“Hai ragione. Vuoi chiederglielo quando torna, e poi farmi sapere?”.
“Sì, è meglio. Ti faccio sapere entro stasera dopo cena se riesco, o domani al più tardi, d’accordo? Ma ci sarò solo io?”.
“Anche Ambra. Almeno, per quanto riguarda la nostra classe…ma oltre a me e voi in casa ci sarà anche mio fratello, insieme a due suoi amici. I miei genitori saranno dai miei nonni, che come forse ti avevo già detto tempo fa abitano al piano di sotto: quindi, diciamo che avremo l’appartamento tutto per noi, anche se non più di tanto! Ho cercato di convincerli ad uscire dalla città per fare il veglione da qualche parte, a dire il vero, ma non c’è stato verso. Per non parlare di quando ho chiesto loro il permesso di festeggiare fuori: mi hanno guardata come se fossi un’aliena. Ilan invece, beato lui, era liberissimo di uscire visto che è maggiorenne, ma ha scelto di restare a casa e di invitare questi due suoi amici. Vallo a capire!”
Letizia ci rifletté su. In effetti, era strano che un neomaggiorenne volesse restare a casa, quando invece aveva la possibilità di uscire. Lui non aveva ancora la patente, almeno a quanto ricordava, ma di certo qualche suo coetaneo l’aveva già, quindi cosa gli impediva di passare fuori la sera dell’ultimo dell’anno? I ragazzi erano davvero strani, certe volte! Ma ancora più strani erano alcuni adulti: e a questo proposito, si sentì in dovere di fare una domanda alla sua coetanea.
“Ma i tuoi sanno che Ilan porta i suoi amici da voi?”.
“Ovvio. Perché?”.
“Beh, perché … sai come sono fatti i genitori, no? Voglio dire, noi siamo tre ragazze, e loro tre ragazzi …”.
Era un quesito legittimo: lei si fidava di Ilan e non le dispiaceva affatto passare il capodanno con lui, ma gli altri? Chi poteva sapere com’erano? Il fatto che fossero amici suoi non voleva necessariamente dire che fossero brave persone!
“Tranquilla, non devi preoccuparti: ho detto ‘gli amici’ ma in realtà sono un ragazzo e una ragazza. E poi solo tu ed Ambra rimarrete a dormire da me, perché non abbiamo posto per tutti; per questo i miei hanno accettato subito… altrimenti, di certo avrebbero protestato! Comunque, questi due sono fratello e sorella,  hanno diciannove anni e sono già automuniti: Ilan li ha conosciuti in palestra. Sono due gemelli, in pratica, come Laura e Livia!”.
Appena Micol ebbe nominato le due bambine, Letizia sentì uno strillo provenire dalla loro cameretta.
“Micol, devo andare … credo che una delle mie sorelle si sia fatta male. Quando  mia madre tornerà le chiederò se posso venire da te, ok?”.
“D’accordo, ciao!”.
Letizia mise giù la cornetta dopo aver salutato a sua volta, e corse verso la camera delle gemelle, preoccupata.
 
 
“Non sai che volo ho fatto prima, mamma!”.
Laura, eccitata, quasi saltellava sulla sedia per la voglia che aveva di raccontare la sua piccola disavventura alla madre.
“Sei caduta? Come? E ti sei fatta male???”.
“E’ solo scivolata e ha strillato, ma non si è fatta niente …” si intromise Livia, per cercare di attirare l’attenzione della mamma anche su di sé.
“Però s’è spaventata”, intervenne a sua volta Letizia, che però aveva un diverso motivo per farsi sentire a sua volta. “Comunque, non è successo nulla e questo è l’importante, no?”.
“Ah, certo, questo è ovvio”.
Ripresero a mangiare in silenzio: Letizia contò mentalmente fino a cinque, e poi parlò di nuovo.
“Mamma, prima che andassi a controllare come stava Laura ero al telefono con Micol … ce l’hai presente, vero?”.
“Intendi la tua compagna di banco? Quella a cui piacciono i fumetti?”.
“No mamma, quella è Ambra. Intendevo l’altra, quella a cui piace la pittura come me. Mi hai accompagnata da lei diverse volte!”.
“Ah, sì, giusto. Insomma, ti ha chiamata lei o l’hai chiamata tu per fare quattro chiacchiere?”.
“Mi ha chiamata lei. E tra le altre cose mi ha invitata a passare il capodanno a casa sua, restando anche a dormire …”
La sedicenne riferì all’adulta quel che la coetanea le aveva detto qualche ora prima: esteriormente era calma, ma dentro di lei c’era una gran confusione. La sua parte più istintiva sperava che la madre dicesse di sì, mentre l’altra, quella più razionale e paurosa, sperava ardentemente che la risposta fosse negativa!
“Per me va bene”.
“Davvero? Ma non ti dispiace?”.
Le parole le erano uscite prima che riuscisse a fermarle; però, rispecchiavano davvero quello che sentiva.
“Tutti i ragazzi della tua età passano il capodanno con gli amici. Quindi, visto che finora non l’hai mai fatto, è giusto che anche tu abbia la tua occasione”.
Letizia aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse. Cosa c’era da aggiungere, dopotutto? Aveva capito perfettamente cosa intendeva la madre: a lei dispiaceva eccome che la figlia maggiore non fosse presente la sera dell’ultimo dell’anno, ma non voleva farle perdere l’occasione per divertirsi con i suoi coetanei!
“Quindi, a capodanno saremo solo in tre?” Laura interruppe il filo dei pensieri della sorella più grande.
“Sì, tesoro. Vedi, alle ragazze grandi ogni tanto piace uscire con gli amici, specie la sera del 31 dicembre … è una cosa normale, e non vuol dire che Letizia non vi voglia bene, capito? Tu e Livia siete le sue sorelline, sarete sempre speciali per lei. Vero, Leti?”.
“Certo che sì!”.
“Sarà così anche quando saremo vecchie come la mamma?”.
Livia aveva detto la sua, rivolgendosi direttamente a Letizia, ma fu la madre a risponderle.
“Ehi! Io non sono affatto vecchia!”.
Le due bimbe si guardarono e iniziarono a ridere, seguite a ruota dalle loro parenti; poi, la cena continuò normalmente.
 
Circa un’ora più tardi, Letizia si mise il pigiama e si sedette sul letto, con il cellulare in mano: era molto turbata, in quanto si sentiva eccitata e preoccupata insieme.
Era fortemente tentata di declinare l’invito: aveva paura di tradirsi in qualche modo, o di fare qualche figuraccia davanti a tutti!
“Dille che non vai” si disse. “Tanto, ci crederà. E la mamma … capirà. Se le dico che alla fine ho cambiato idea e voglio festeggiare in famiglia, non credo avrà qualcosa da obiettare!”.
Aveva davvero intenzione di disdire tutto, ma mentre scriveva cambiò idea: così, il suo sms divenne un messaggio di conferma.
“In che guaio mi sono cacciata?” pensò, mentre il telefonino le segnalava che il messaggio stava per essere inviato. Ma ormai il danno era fatto… non le restava che aspettare che quei quattro giorni che la separavano dalla festa passassero, e sperare di non combinare guai!

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 (parte 1): dimenticanze ***


Capitolo 12 (parte 1): dimenticanze

Nei giorni che seguirono, Letizia fece i compiti, e nei momenti liberi oltre a giocare con le sorelle si metteva a pensare a cosa poteva indossare per la sera dell’ultimo dell’anno: voleva qualcosa di elegante ma non troppo, e anche l’acconciatura non doveva essere troppo vistosa!
Dopo infinite prove, arrivò la serata tanto attesa; emozionata, non poté fare a meno di darsi un’occhiata veloce allo specchio prima di uscire.
“I capelli sono a posto”, pensò, sfiorando i ricci che si era fatta qualche ora prima. “Spero che non si guastino con il passare delle ore!”.
Poi passò ad esaminare il vestito:  era color grigio perla, con le calze e gli stivali della stessa tonalità; la sua borsetta, invece, era nera.
“Credo che possa andare” si disse.
“Leti, ti sbrighi?”, la chiamò sua madre, che si trovava poco oltre la porta di casa.
“Sì, arrivo!”, fece l’adolescente, raggiungendo l’adulta e le due bambine che le stavano di fianco.
 
 
Durante il tragitto, Letizia si sentì tesa ed emozionata insieme: era la prima volta che veniva invitata ad un capodanno dai suoi coetanei!
“Spero di non combinare disastri”, si disse. “Il fatto è che, essendo stata per molto tempo sola, in certe occasioni non so bene come comportarmi e quindi potrei fare o dire cose che gli altri potrebbero fraintendere!”.
Mentre rifletteva, non si accorse del tempo che passava; e fu così che, quando l’automobile della madre si fermò per farla scendere, le sembrò che fosse passato appena qualche istante da quando erano partite.
 
 
“E tu chi saresti?”.
Micol la fissava, senza capire; Letizia ne rimase sconcertata.
“Micol, non mi riconosci? Sono Letizia!”.
“Oh, Letizia, scusa! Hai ragione, solo che con quei capelli e con quegli occhi non ti avevo riconosciuta!”.
La padrona di casa si fece da parte per far passare l’ospite, la quale, dal canto suo, si sfiorò istintivamente i riccioli prima di capire anche il resto della frase che l’altra aveva pronunciato.
“Hai detto occhi?”.
“Beh, sì. Immagino ti sarai messa le lenti a contatto, no? Di solito li hai azzurri, invece oggi sono marroni!”.
“Ehm …”. La ragazza non sapeva cosa dire. Come aveva potuto essere tanto stupida? Come aveva fatto a dimenticare le sue lenti? E sua madre e le sue sorelle non le avevano fatto notare niente!!! Poteva capire le bambine, ma perché la mamma invece non le aveva ricordato di metterle?
“Appena posso, mi chiudo in bagno e gliene dico quattro, anche se è festa!”, pensò. Cercò poi qualche cosa da dire alla coetanea circa il cambio di colore delle sue iridi, ma l’altra la precedette.
“Adesso vieni, dai: gli altri sono già arrivati!”.
“D’accordo!”.
Le due sedicenni, una volta chiusa la porta, si affrettarono ad andare in sala da pranzo.
“Ragazzi, è arrivata l’ultima componente del gruppo!” annunciò Micol, che non pareva essere minimamente turbata dal piccolo cambiamento avvenuto in Letizia.
“In realtà ha gli occhi azzurri, però oggi ha voluto mettere le lenti a contatto marroni: in ogni caso, per chi non la conosce sarà presto chiaro che è comunque molto simpatica!”.
Letizia divenne rossa come un peperone, ed evitò appositamente di incrociare lo sguardo di Ilan: a lui, di certo non sarebbe sfuggito il fatto che le cose non stavano esattamente in quel modo! Preferì quindi fare un cenno di saluto ad Ambra, che la ricambiò con uno sguardo che tradiva il suo stupore, e poi si concentrò sugli altri due invitati, che Micol si stava già dando da fare a presentarle.
“Questa è Akemi, e questo è Masashi”.
“Piacere, io sono Letizia!”.
La ragazza era stupita: tutto si aspettava, tranne che gli amici di Ilan fossero giapponesi!
“Ma perché no?” si disse poi. “Basta che siano simpatici, il resto non conta!”.
Diede una veloce occhiata ad Ilan, e poi distolse velocemente lo sguardo; il suo primo segreto era venuto meno per una sua dimenticanza, e lui di certo lo sapeva! Oppure semplicemente pensava che avesse deciso di smetterla di fingere?
“Sempre ammesso che gli importi di me fino al punto di farsi queste domande”, si disse.
Per evitare di porre a se stessa altri quesiti cui difficilmente avrebbe trovato risposta, si concentrò sulle sue due nuove conoscenze, facendo loro un mucchio di domande a cui i due gemelli risposero con estrema cortesia.
Durante quelle conversazioni non le sfuggirono gli sguardi che Ambra lanciava ad Akemi, e nemmeno quelli che Micol lanciava a Masashi.
“Ma guarda”, pensò. “A quanto pare non solo sono io ad essere cotta persa di qualcuno, qui!”.
Guardò ancora Ilan, e fu sorpresa nel constatare che anche lui la stava fissando; sentendo le guance diventare sempre più scarlatte, si affrettò a borbottare che doveva andare in bagno, e scappò via più veloce che poté.
 

“Ma perché non me lo hai ricordato???”.
Letizia, mentre parlava con la madre, sentiva la rabbia pervaderle il corpo.
“Avevo altro a cui pensare, sai? Tu hai solo lo studio come dovere, io invece ho sempre tantissime cose da fare!”.
“Sì, certo, come no, la solita scusa”.
“Beh, ormai è fatta, Leti. Potevi ricordartelo tu! Si tratta di qualcosa che riguarda i tuoi occhi, in fondo. Capirai, hanno visto che non hai gli occhi azzurri: e allora? Dubito che gliene importerà qualcosa!”.
“Forse a loro no, visto che in effetti non hanno insistito con le domande quando hanno intuito che l’argomento mi creava problemi, ma a me invece importa, e parecchio! Le lenti sono un mio sfizio, una sorta di simbolo del mio cambiamento nel fisico e nel carattere; sono un po’ l’emblema di quello che ho dovuto fare per passare da sfigata a persona più o meno accettabile! Quindi, io ci tengo!”
Avrebbe voluto dire ognuna di quelle cose alla sua genitrice, ma se lo tenne per sé: lei non l’avrebbe capita e gli altri avrebbero potuto sentirla, quindi era meglio evitare! Non volendo discutere ulteriormente, si lasciò sfuggire con tono rassegnato un semplice:
“Come vuoi …”.
L’adulta parve soddisfatta, e cambiò argomento.
“Come sta andando la serata, a parte questo?”
“Bene, pare. Gli amici del fratello di Micol sono giapponesi, sai? E sono molto simpatici!”.
La ragazza chiuse gli occhi, e rivisse quella prima parte di serata: si erano messi a parlare delle vacanze di Natale, della scuola, di sport, di pittura, di politica, di fumetti, di libri… era stata davvero molto bene, anche se ogni volta che c’era stato qualche intervallo non aveva potuto fare a meno di ritornare con la mente alla questione delle lenti: il fatto di averle dimenticate a casa le dava molto fastidio, e si sentiva meno sicura.  E inoltre, c’era anche un’altra cosa che non le tornava!
“Mamma? Quando un ragazzo si mette in mezzo nei discorsi che fa una ragazza, e cerca di attirare l’attenzione di lei su di sé… significa qualcosa in particolare?”.
Per qualche secondo, regnò il silenzio, tanto che Letizia temette che fosse caduta la linea.
“Tesoro, sul serio non l’hai capito?”.
“No, altrimenti non te lo avrei chiesto, ti pare?”, sbuffò spazientita l’adolescente.
In realtà, aveva qualche sospetto, o meglio ancora ci sperava, ma non voleva illudersi troppo: sentire il parere di una persona con più esperienza, quindi, le era sembrata la cosa più giusta da fare.
“Beh, penso che magari se torni di là dai tuoi amici, entro stasera lo scoprirai da sola”.
“Ma mamma!”.
Letizia esplose, pronunciando quelle due parole tra il deluso e l’arrabbiato.
Possibile che sua madre dovesse mettersi a fare la misteriosa proprio in quel momento? Eppure aveva di certo capito fino a che punto lei avesse bisogno di sapere!
“Che ho mai fatto? Ti ho solo detto che forse è meglio che tu lo scopra da sola: è così evidente, che ti basterà rifletterci un pochino per trovare la risposta alla tua domanda!”.
“Se lo dici tu!”.
“Certo che lo dico io: ho molta fiducia in te”.
“Grazie mille, ma avresti fatto molto prima a rispondermi tu: non voglio giocare a fare la Miss Marple, voglio delle certezze!”.
“Non vuoi giocare a fare la Miss chi?”
“Lascia perdere. Ora devo andare”, disse Letizia, risoluta. “Altrimenti le mie am…cioè le mie coetanee si preoccuperanno. Ci risentiamo dopo per gli auguri, ok? Salutami Laura e Livia, e di’ loro che anche se sono via le penso e che voglio loro un mondo di bene!”.
“Lo farò. Divertiti!”.
“Grazie!”.
Qualche secondo dopo, Letizia aprì la porta del bagno, e andò a riunirsi al resto della comitiva.

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Capitolo 14
*** Capitolo 12 (parte 2): amore ***


Capitolo 12 (parte 2): amore

“Tutto bene?”.
Micol la fissava, interdetta, a pochi centimetri di distanza.
“Oh, sì. Parlavo con mia madre, ehm… sai com’è, mi mette sempre sottosopra la camera, quando mi stira le cose!”.
Letizia, che si era bloccata sentendo la domanda della coetanea, riprese a camminare e coprì il tratto di strada che la separava dalla sala senza aggiungere altro.
“Oh, Leti, meno male! Pensavo ti fossi persa”, la accolse Ambra.
“Ci ho messo più del previsto perché stavo parlando con mia madre, tutto qui”.
“Sul serio? Pensavo che avessi qualche problema con … i tuoi occhi”.
Ilan aveva smesso di parlare con i suoi amici, e si era voltato verso Letizia con un’espressione indecifrabile.
“No … nessun problema del genere. Grazie per l’interessamento”.
“Figurati”.
Micol passò lo sguardo dall’uno all’altra.
“Che sta succedendo?”.
“Niente, che vuoi che sia successo? C’è stato un semplice scambio di convenevoli, sorellina, tutto qua”.
“Se lo dici tu…”.
La ragazza era confusa: qualcosa non le tornava, c’era qualcosa nelle parole del fratello che non la convinceva … ma decise di non approfondire la cosa e fece una proposta.
“Ragazze, vi va se andiamo un po’ in camera mia a chiacchierare per qualche minuto? Poi rientriamo, così mi aiutate a scegliere qualche dvd da mettere e da guardare tutti e sei insieme intanto che aspettiamo la mezzanotte!”.
Appena ebbe ricevuto cenni d’assenso da entrambe le sue compagne di classe, si avviò verso la sua camera.
 
 
Dovevano stare da sole per pochi minuti, e invece rimasero a parlare per parecchio tempo; dai soliti discorsi sulla scuola, erano infatti quasi immediatamente passate all’amore.
Ambra aveva finalmente detto anche a Micol di essere lesbica, e aveva confessato di sentirsi molto attratta da Akemi…
“Beh, io non sono un’esperta di bellezza femminile, ma direi che Akemi è molto meglio di Clara, anche a livello di simpatia! Il suo nome significa ‘bellezza lucente’, lo sapevate? Masashi invece significa “Elegante, splendido”.
Piuttosto azzeccato, direi!”
“Ti piace, vero?” chiese Letizia, senza pensarci. Si era ripromessa di parlare il meno possibile, ma le parole le erano praticamente sfuggite di bocca!
“Beh, sì. Ma l’hai visto quant’è bello?”.
“Non è il mio tipo, in realtà”.
“Ah, sì? Beh, i gusti sono gusti. Ma per curiosità, quale sarebbe il tuo tipo di ragazzo ideale?”.
“Ehm… non saprei, non ci ho ancora pensato veramente”.
“Ma queste non sono cose su cui serve pensarci, no? Le senti e basta!”, le fece notare Ambra, con un sorrisetto malizioso.
“Sarà. Ma io…”.
Venne interrotta dalla porta che si apriva, e il suo cuore smise di battere per qualche secondo quando vide Ilan entrare.
“Ragazze, ne avete ancora per molto? Noi di là ci staremmo un po’ annoiando; che ne direste se vi aiutassimo a scegliere il dvd da guardare insieme?”.
La ragazza sospirò: grazie al cielo, le era andata bene! Un segreto scoperto poteva anche essere accettabile, in un certo senso; ma due sarebbero stati decisamente troppi.
 
 
Cinque, quattro, tre, due, uno… BUON ANNO!
I sei ragazzi alzarono i bicchieri e brindarono con quello che era loro concesso, visto che i genitori di Ilan e Micol si erano premurati di non lasciare alcol in giro e che i due ragazzi già per conto loro non amavano le bevande acoliche.
“La serata non è andata così male, alla fine, se si esclude la faccenda delle lenti”, pensò Letizia, mentre dava gli auguri a ciascuno dei presenti.
Appena ebbe finito, prese il cellulare per chiamare sua madre; ma si rese presto conto che qualcosa non funzionava, perché la chiamata proprio non voleva partire!
“Forse c’è troppa gente che sta chiamando, in questo momento, e per questo le linee risultano bloccate!”, si disse.  “E adesso, che faccio?”.
“Qualcosa non va?”.
Ilan le si avvicinò, e lei fece istintivamente un passo indietro.
“Ehm … è che non riesco a chiamare mia madre per farle gli auguri!”, rispose, maledicendosi subito dopo per aver usato un tono tanto preoccupato: lui non l’avrebbe giudicata troppo infantile? Aveva sedici anni, in fondo, quindi poteva stare benissimo anche senza sentire la mamma per qualche minuto!
Doveva correre ai ripari.
“Cioè, non che io non possa stare senza sentirla al telefono, non fraintendermi … è solo che lei si preoccupa, dopo!”.
“Dopo la mezzanotte a capodanno le linee si intasano; tua madre di certo lo sa, perciò non sarà preoccupata quanto pensi”.
“Lo spero … ma tende a preoccuparsi spesso anche per le cose più stupide!”.
“Mandale un messaggio: di solito anche con gli sms ci sono problemi durante le festività, perché arrivano con qualche minuto di ritardo, ma almeno saprà che va tutto bene!”.
“D’accordo!”.
“Bene”.
Rimasero lì impalati a fissarsi per qualche secondo, poi il campanello suonò e loro si riscossero, quasi come se si fossero resi conto solo allora di non essere soli: Micol lanciò loro un’occhiata strana mentre andava ad aprire la porta, ma non disse niente.
 
 
Letizia guardò l’ora: l’una di notte.
I genitori di Micol e Ilan, che avevano suonato alla porta poco dopo la mezzanotte per dare gli auguri ai figli e ai loro amici, se ne erano andati da pochi minuti, ma lei ancora non era riuscita a contattare sua madre!
Se chiamava, il cellulare le diceva che il numero non era raggiungibile; se provava a mandare messaggi, invece, dopo qualche secondo appariva la scritta: “Impossibile inviare”. Non sapeva proprio cosa fare!
“Allora, ci sei riuscita?”, le chiese Micol.
“Non ancora, purtroppo. Se scendessi un attimo al portone, pensi che le cose potrebbero andare meglio?”.
La ragazza ci pensò su.
“Forse. Ma non puoi andare da sola! Ti accompagniamo io e Ambra, d’accordo?”.
“A me sta bene”, si intromise Ambra.
“E a me anche: grazie ragazze, siete molto gentili!”.
“Bene. Allora se aspettate qui un momento, vado a dirlo a mio fratello”.
Le altre due la guardarono allontanarsi.
“A parte l’inconveniente con il telefono, ti stai divertendo?”.
“Direi di sì. Tu?”.
“Anche io. Certo, se …”, Ambra si interruppe e lanciò un’occhiata ad Akemi, che in quel momento era intenta ad ascoltare, accanto al gemello, cosa si stavano dicendo Micol e Ilan.
“Che intendi dire con ‘se’? Parlale, no? Magari così riesci a capirci qualcosa!”.
“Sembra facile: mica posso presentarmi da lei e dirle che mi attrae, magari chiedendole se prova la stessa cosa per me! Non potrei farlo neanche con un ragazzo se fossi etero, figurati così”.
“Hai ragione, scusa. E’ che vorrei vederti felice, tutto qua. Penso che te lo meriti”.
“Grazie. Ma adesso basta parlare di questo. Stanno tornando!”.
“Stanno?”.
Letizia si girò, non capendo perché Ambra avesse parlato al plurale: ma le bastò un istante per rendersene conto. Anziché tornare da loro da sola, infatti, Micol si stava avvicinando insieme ad Ilan e agli altri due.
“Leti, Ilan mi stava dicendo che deve scendere al portone anche lui, perché Akemi e Masashi devono rientrare. Ti va di andare con loro, così provi a vedere se finalmente il tuo telefono riesce a funzionare? Io e Ambra restiamo qui ad aspettarvi!
“Ah … ehm … va bene!”, fece Letizia, colta alla sprovvista.
“Spero che vada tutto bene sul serio”, si disse tra sé e sé qualche minuto dopo, mentre insieme agli altri tre si preparava ad uscire.
 
 
“Ti sei divertita?”.
Masashi e Akemi erano appena spariti dietro l’angolo, diretti alla loro automobile, e Ilan e Letizia erano rimasti soli; lui, a quanto poteva vedere la ragazza, non aveva assolutamente fretta di rientrare a casa sua!
Cercando di ignorare il suo cuore, che sembrava essere partito in quarta, rispose:
“Sì, certo!”.
“Mi spieghi una cosa?”.
“Se posso, sì!”.
“Che fine hanno fatto le lenti a contatto?”.
La ragazza passò dall’emozione all’ansia: perché Ilan sembrava così interessato a quell’aspetto della sua persona? Possibile che per lui il colore dei suoi occhi fosse tanto importante?
“Ma i ragazzi non sono quelli che non si accorgono quando tagli i capelli? Mi pare di sì! Con il colore degli occhi è tanto diverso? Non capisco!”, pensò.
“Non le ho messe”.
“L’ho visto. Ma come mai? Ti hanno stufato?”.
“Ehm ….”
“Tranquilla, non lo dirò a mia sorella”.
“Non è quello che volevo dire!”.
“Allora, cosa intendevi?”.
“Semplicemente, non le ho messe, perché le ho dimenticate. Ma perché la cosa ti interessa tanto?”.
“Perché mi interessa di te”.
“Cosa?”.
La ragazza non credeva alle proprie orecchie: possibile che un ragazzo si interessasse a lei, in linea generale? Ma non ebbe il tempo di farsi molte domande: Ilan infatti le si avvicinò, e senza proferire parola le posò le labbra sulle sue.

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Capitolo 15
*** Capitolo 12 (parte 3): confronto tra ragazze ***


Capitolo 12 (parte 3): confronto tra ragazze

Letizia smise di pensare.
Qualsiasi tipo di attività cerebrale coerente sembrava essere andata in tilt… tutto quel che riusciva a capire e a percepire erano le labbra di Ilan sulle sue, e le loro lingue che duellavano nelle loro bocche; solo quando il cellulare del ragazzo iniziò a vibrare, si rese conto anche del fatto che le mani di lui le circondavano la vita.
“Di certo è mia sorella che ci sta dando per dispersi”.
“Ah”.
Letizia non sapeva quanto tempo fossero rimasti a baciarsi, ma di una cosa era certa: il freddo di gennaio, che iniziava a sentire chiaramente solo allora, non era affatto piacevole! Mentre Ilan rispondeva al cellulare, venne assalita da mille dubbi: lui ricambiava davvero i suoi sentimenti, o la stava solo prendendo in giro? E visto quel che era appena successo, come dovevano considerarsi da quel momento in poi? Fidanzati? O altro? E lei come doveva comportarsi esattamente? Doveva fingere un’indifferenza che non provava, oppure fidarsi del suo istinto e abbandonarsi alle emozioni, anche rischiando di essere ferita una seconda volta?
“Puoi iniziare a chiedere a lui qualcosa di tutta questa faccenda, intanto”, si disse. Aprì la bocca per trasformare quel suo pensiero in parole, ma lui fu più veloce, spegnendo le sue speranze.
“Dovremmo tornare indietro: Micol mi ha chiesto dove siamo finiti, come prevedevo”.
“Davvero?”. Per quanto la riguardava, poteva anche esserselo inventato: non aveva udito una sola parola della conversazione, persa com’era nelle sue riflessioni!
“Allora hai ragione, dobbiamo tornare indietro. Tanto abbiamo fatto poca strada, visto che abbiamo accompagnato i gemelli solo fino ad un certo punto, no?”. Rise nervosamente, pentendosene subito dopo; per un attimo, pensò che quella fosse l’occasione buona per mettere in atto i suoi propositi, ma lasciò perdere. Una donna non doveva forse farsi desiderare? E poi, non voleva rischiare d scoprirsi troppo! Iniziò a camminare, ma venne bloccata dopo un paio di passi.
“Che c’è?”, chiese, osservando la mano di lui sulla sua spalla.
“Sono consapevole del fatto che Micol ci aspetta, ma … credo dovremmo parlare, non pensi?”.
Avrebbe dovuto rispondere che potevano parlare più tardi, ostentando noncuranza; avrebbe dovuto fingere menefreghismo. Dopotutto, fingere era quasi diventata la sua specialità! Ma tutto ciò che seppe dire, con una vocina sottile sottile, fu:
“Va bene!”.
 
“Ma quanto ci avete messo? Avevano forse parcheggiato troppo lontano? Pensavo li accompagnaste fino ad un certo punto e poi tornaste indietro!”.
Letizia sentiva a malapena le parole della coetanea: era troppo stordita ed emozionata per darle retta.
“Ci siamo fermati a parlare, sorellina, tutto qua. Vero, Letizia?”.
“Ehm … oh, sì!”.
La ragazza lanciò ad Ilan uno sguardo che diceva: “Gliene parliamo o no?”, ma lui parve non farci caso, tanto che disse di essere stanco e che se ne sarebbe andato a dormire, lasciandole alle loro chiacchiere tra donne.
“E adesso?” Si chiese, mentre seguiva le altre due in camera di Micol. “Devo dirglielo io, o aspetto che sia lui a dirlo alla sorella? Non so proprio che fare, perché non so quale sia il modo giusto di comportarsi! Ma poi, perché mai ha agito in quel modo?”. Si arrovellò per un po’, poi la risposta le fu chiara: prima di tornare nell’appartamento, avevano anche parlato del più e del meno, e lei si era lasciata scappare il fatto che preferiva fossero gli altri a fare la prima mossa un po’ in ogni cosa. Così, molto probabilmente Ilan l’aveva fatto apposta, perché voleva fosse lei a vuotare il sacco con Micol su quanto era successo tra loro e su quel che si erano detti appena qualche minuto prima!
“Che furbo!”, pensò.
“Leti? Non entri?”.
Si accorse solo allora di essere rimasta impalata sulla porta della camera dell’amica, che invece si era già seduta sul letto insieme ad Ambra.
“Oh, sì! Scusate, mi ero distratta”.
Le altre due la fissarono, ma preferirono non fare commenti e Micol passò subito a chiederle altro.
“Allora, sei riuscita a sentire tua madre, alla fine?”.
“Sì, per fortuna. Mentre Ilan parlava con i suoi amici, mi sono appartata un attimo e l’ho chiamata”.
“Cosa ti ha detto? Si era preoccupata?”, intervenne Ambra.
“Beh, un po’ lo era, sì”.
Preferì non dire che in realtà la sua genitrice era parecchio agitata, quando l’aveva sentita: temeva che potesse venire giudicata, come era già successo nella sua ex scuola, come una donna troppo ansiosa e morbosamente attaccata alle figlie.
“E le tue sorelle?”.
“Beh, loro stanno bene, però sentono la mia mancanza. E’ normale, credo, anche a me mancano loro!”.
“Ti capisco. Anche a me manca Mattia, quando sto fuori casa!”.
“Come sta il tuo fratellino, a proposito? Hai sentito i tuoi mentre ero fuori con Ilan? Se non sbaglio, avevi deciso di chiamare dopo la mezzanotte apposta per non avere problemi con la linea”.
“Sì, li ho sentiti, e mi hanno fatto anche parlare con lui. E’ così dolce, sapete? La vita gli ha posto davanti una caterva di difetti fisici, svariati problemi urinari e il ritardo mentale… eppure, sembra così sereno e contento di vivere, anche quando nota gli sguardi che gli lanciano i passanti! E’ lui che mi da la forza per andare avanti, spesso e volentieri; dopotutto, per quanti ignoranti io possa incontrare, non saranno nulla in confronto a quel che dovrà affrontare lui con il passare degli anni! E se lui può vedere la vita con tanto ottimismo, non vedo perché non dovrei farlo io”.
“Questo vuol dire che parlerai con Akemi, allora?”, domandò Micol, su di giri come se lei e Ambra non avessero affatto parlato proprio della giovane giapponese e del suo gemello fino a qualche minuto prima.
“Forse; lo sai che per me non è facile. Ma comunque, lo farò solo dopo che tu avrai parlato con Masashi per dichiararti… e dopo che tu, Letizia, avrai svuotato il sacco riguardo a quello che è successo tra te e Ilan”.
“E tu come fai a…?”.
“Ve lo si legge in faccia!”.
“Cosa? Come? Che storia è questa? Mi era parso che ci fosse qualcosa tra voi due, però davvero non pensavo … ”.
Micol si intromise nei discorsi delle altre due, sbigottita e curiosa al tempo stesso.
“Beh … ecco, vedi … vedete, io … lui … insomma, noi …”.
Letizia sperò che qualcosa arrivasse ad interromperla: i genitori di Micol che rientravano a casa, sua madre che chiamava al cellulare, un attacco di panico come quelli che le erano presi in passato nei momenti critici della sua vita... ma non successe nulla.
Ambra e Micol, incoraggianti, continuavano a fissarla: quindi, lei si ritrovò a dover dire tutto, anche se voleva tenerselo per sé. Era una cosa intima, e temeva di rovinarla se ne parlava, quasi come se le sue due interlocutrici potessero, in qualche modo, ritorcergliela contro! Ma sapeva che doveva farlo: anche quel segreto, così come quello delle lenti, a quanto sembrava doveva essere svelato, e probabilmente persino in modo più approfondito rispetto al primo; forse Ilan, che da quella sera era diventato ufficialmente la persona più importante della sua vita, aveva voluto farle vivere quel piccolo confronto tra ragazze anche per farle capire che doveva provare ad aprirsi di più.
Quindi, per amore suo e per il bene della loro storia appena nata, doveva fare il possibile per accontentarlo.

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Capitolo 16
*** Capitolo 13: sogni e paure ***


Capitolo 13: sogni e paure

“Sono consapevole del fatto che Micol ci aspetta, ma … credo dovremmo parlare, non pensi?”.
Quella frase, ne era sicura, sarebbe rimasta scolpita nella sua mente per sempre; così come la sua timida ed emozionata risposta, che le era sembrata patetica immediatamente dopo averla pronunciata.
“Va bene!”.
“Io ti ho notata dalla prima volta che ci siamo visti, vale a dire da quando ci siamo scontrati a scuola, all’inizio dell’anno. Certo, allora ero fidanzato e questo mi creava non pochi problemi, però non potevo fare a meno di pensare a te, tutti i giorni e tutte le notti! La storia con Irina è finita perché lei mi ha confessato il tradimento, ma credo che comunque non sarebbe durata ancora a lungo, perché certamente avrei troncato io a breve; comunque, questo è il passato. Ora mi importa solo di te … e vorrei stare con te, da ora in poi. Sempre se tu sei d’accordo, chiaramente!”.
Letizia era rimasta senza parole. Davvero Ilan voleva stare con lei? Non la stava prendendo in giro, come aveva fatto Claudio prima di lui? L’amava davvero, o era una semplice sbandata che sarebbe finita presto, non appena avesse conosciuto un’altra ragazza più matura e indipendente di lei? Doveva rischiare di essere ferita di nuovo? Ne valeva la pena?
“Devi rischiare”, si disse. “Se gli dici di no adesso, non solo starete male entrambi, ma non potrai mai sapere se questa sarà la storia della tua vita o meno!”, si rimproverò. Aveva paura, una paura folle, ma allo stesso tempo si sentiva emozionata e molto innamorata: perciò, era prontissima a giocarsi il tutto per tutto.
“Certo che sono d’accordo …. Sono mesi che non desidero altro!”. Era diventata così rossa, che al confronto le palline dell’albero di Natale che aveva a casa erano pallide e smunte; poi, si erano baciati di nuovo, molto a lungo e molto dolcemente, per suggellare quella nuova realtà.
Alla fine, a malincuore, erano tornati indietro, verso casa di lui, dove Micol e Ambra li aspettavano …
 
 
Letizia si svegliò, con il sole che filtrava dalla serranda semichiusa.
“Che ore sono?”, pensò, cercando con lo sguardo l’orologio appeso al muro della sua camera. Il quadrante era nero, con una cornicetta rossa intorno; le lancette, bianche come lo erano i numeri, erano puntate sul dodici e sul sette.
“Sono le sette di mattina!”, si rispose. “Cosa ci faccio sveglia a quest’ora?”.
Per un attimo, fu tentata di tornare a letto per ripensare al bellissimo sogno che aveva fatto pochi minuti prima; dopotutto, era l’ultimo giorno di vacanza, quindi la cosa non era così disdicevole! Ma poi ci ripensò; era inutile, perché Laura e Livia si sarebbero svegliate di lì ad un’ora al massimo, e avrebbero tirato giù dal letto sia lei che sua madre. L’epifania, come il Natale, era un’altra festa molto sentita dai bambini, quindi non poteva aspettarsi che restassero a dormire fino a tardi!
Si sedette sul letto, per godersi quegli ultimi attimi di calma e solitudine. L’indomani, quasi come ogni 7 gennaio, sarebbe tornata a scuola… ma il rientro non le sembrava terribile come gli anni precedenti. Aveva un fidanzato, e due amiche sincere … forse, quindi, poteva finalmente iniziare ad essere davvero felice! Lasciò libera la mente, e immaginò come potesse andare la mattina seguente: la sua fervida immaginazione le mostrò Ambra e Micol mentre si confidavano con lei riguardo ai loro amori, e pendevano dalle sue labbra ascoltando i suoi consigli; poi, le mostrò Ilan che le dichiarava amore eterno. Cullata da quelle parole che esistevano solo nella sua testa, ma che comunque le facevano enormemente piacere, si sdraiò sul letto, rimanendo però fuori delle lenzuola nonostante la temperatura fosse parecchio bassa. Chiuse gli occhi, e provò un senso di rilassatezza tale che le sembrò di fluttuare; proprio mentre stava scivolando di nuovo nel sonno, però, la voce del suo ragazzo si fece sentire di nuovo, più reale di quanto era stata prima nonostante fosse ancora frutto della sua mente.
“Quando mi farai conoscere la tua famiglia?”.
Si alzò di scatto, talmente in fretta che le girò vorticosamente la testa. Era passata dagli incubi in cui Claudio la prendeva in giro o la sfruttava, a sogni stupendi in cui sognava Ilan, e ciò di certo non poteva essere così negativo; ma quella domanda, che lui le aveva rivolto proprio il giorno precedente quando erano usciti insieme, non faceva che tormentarla. Avevano parlato, si erano visti e si erano scritti tantissimo dalla sera di Capodanno, ma lei non si era ancora decisa a dirgli la verità riguardo a suo padre, fingendo di essere la classica figlia di divorziati; sapeva che non era giusto e che avrebbe dovuto essere sincera, ma non ci riusciva! Poteva solo sperare di trovare il coraggio di rivelargli la verità entro breve, o comunque augurarsi che lui non ne venisse mai a conoscenza. L’unica cosa certa, in ogni caso, era che presto avrebbe dovuto fargli conoscere sua madre e le sue sorelle, così come era chiaro che prima o poi lei avrebbe dovuto approfondire la conoscenza con i suoi genitori; gli aveva chiesto tempo, e lui aveva accettato affermando che forse in effetti stava correndo troppo, ma non poteva tirarla tanto per le lunghe!
Si passò le mani nei capelli, cercando con quel semplice gesto di scacciare quei pensieri, ma non ci riuscì;  il respiro le si fece sempre più affannoso, ma proprio in quel momento la porta della sua stanza si spalancò.
“Leti? Sei sveglia?”.
La figuretta di Livia si stagliava sulla soglia: la bambina era visibilmente su di giri.
L’adolescente si impose di calmarsi, e alla fine il respiro le tornò regolare.
“Sì, sono sveglia”, rispose, ponendo totale attenzione sulla sorellina. Non voleva che si spaventasse! Già una volta lei e Laura l’avevano vista stare male, e quindi doveva evitare che la storia si ripetesse.
“Andiamo in sala, dai! La Befana ci ha già portato i dolci!”.
“D’accordo”, disse la sedicenne. A quanto pareva, la bimba non aveva notato il suo malessere, o comunque l’aveva già dimenticato: quindi, avrebbe sfruttato appieno l’occasione.
“Laura dov’è?” chiese quindi, mentre raggiungeva la piccola e le dava la mano.
“Con la mamma, deve svegliarla! Dai, sbrighiamoci: le ho detto che avremmo fatto una gara e chi avrebbe fatto prima a svegliarvi vinceva!”.
Letizia era tentata di correggere la sorella per l’ultimo verbo, ma lasciò perdere: Livia aveva solo sei anni, non poteva conoscere ancora la differenza tra i verbi e avrebbe avuto tempo per impararla, sia nel parlato sia nello scritto! Peccato che, ne era convinta, lei non avrebbe avuto il suo stesso tempo per quel che riguardava la relazione con Ilan… forse la verità sarebbe presto venuta a galla, e in quel caso lei avrebbe dovuto pagarne le conseguenze. Ma non era quello il momento di pensarci!
Perciò, prese un bel respiro, e quando arrivarono nella sala da pranzo vuota quel che disse fu semplicemente: “Sai una cosa, Livia? Credo proprio che la gara l’abbiamo vinta noi!”.

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Capitolo 17
*** Capitolo 14: piani di conquista ***


Capitolo 14: piani di conquista

Nelle tre settimane che seguirono, Letizia cercò di bilanciare quanto più possibile lo studio con le uscite, anche se sua madre la rimproverava spesso dicendole che da quando si era fidanzata non stava mai a casa a fare i compiti. Aveva già avuto modo di conoscere meglio i genitori di Ilan, ma ancora non si decideva a contraccambiare, e gli aveva detto che si sarebbe sentita più pronta dopo il loro primo mese di fidanzamento; in realtà voleva solo prendere tempo, e sapeva già che dopo avrebbe tergiversato ancora, ma non glielo avrebbe mai confessato! Quindi, per il momento si accontentava di fare in modo che le sue sorelline, che si erano mostrate un po’ gelose quando lei aveva comunicato loro di essersi fidanzata, si abituassero all’idea… e tra un libro di scuola e l’altro, trovava anche il tempo per la sua più grande passione, ossia la pittura.
Durante le ricreazioni a scuola e in qualche pomeriggio in cui non usciva con Ilan, invece, si incontrava con Micol e Ambra, che la aggiornavano sui piani di conquista di Masashi e di Akemi.
“Allora, come va?”, chiese un giorno, mentre erano sedute in un locale a bere una cioccolata calda e ripararsi dal freddo.
“Credo di essere a buon punto”, fece Micol, dopo aver bevuto. “Come sai, mi sono iscritta in palestra per stargli vicino, con la scusa che dovevo mantenermi in forma… e all’inizio mi sono spaventata vedendo quante altre ragazze più belle e più interessanti di me ci fossero là dentro! Ma poi dopo qualche tempo abbiamo iniziato a parlare, e abbiamo scoperto di avere più di qualcosa in comune nonostante lui abbia 19 anni e io solo 16… ultimamente credo di aver captato qualche segnale di interesse, ma vedremo come andrà prossimamente”.
“Ah, bene! E tu, Ambra?”.
“Beh, io come sai mi sono fatta trovare spesso nella fumetteria che frequenta anche Akemi, e dopo un po’ siamo diventate amiche e siamo anche uscite insieme. Avevo già notato, per quanto lei avesse provato a nasconderli, che legge spesso degli yuri, ma non volevo prendere il discorso in modo troppo brusco e diretto, quindi ho iniziato a girarci intorno… una volta le ho chiesto se ne aveva mai letti, e al suo diniego le ho detto che io invece non ci vedevo niente di male nel farlo…poi la volta dopo le ho chiesto cosa pensava dell’omosessualità, e le ho parlato della teoria, in cui sinceramente non credo molto, secondo la quale siamo tutti bisessuali … e lei dopo un sacco di esitazioni mi ha confessato di aver provato interesse sia per gli uomini che per le donne!”. La ragazza sembrava costernata, e le altre due se ne chiesero la ragione: alla fine, fu Micol a parlare.
“E allora? Poi le hai detto che provi qualcosa per lei?”.
“Certo che no!”.
“Come sarebbe a dire ‘certo che no’?”. Letizia versò inavvertitamente un po’ della sua cioccolata sul tavolo a quella rivelazione, ma se ne accorse a malapena.
“Non posso”.
“Certo che puoi! Non è etero, è bisessuale!”.
“Appunto”.
“Non capisco”, fece Micol. “Che intendi dire esattamente? Non ti piace più?”.
“Certo che mi piace. E’ la ragazza più dolce, simpatica, spiritosa e sensuale che io abbia mai visto … ma il suo orientamento mi crea qualche problema. Prima di tutto, in realtà non so ancora bene se le piaccio davvero, quindi dovrei appurare innanzitutto se è così o no prima di muovermi; ma se anche fosse davvero interessata, cosa succederebbe se se ci mettessimo insieme e poi una volta stancatasi di me mi tradisse con un ragazzo? O peggio, e se un giorno decidesse di stare con me e con un lui contemporaneamente?”.
“Alt, aspetta, frena un attimo. Chi te lo ha detto che ti tradirà con un uomo? Potrebbe succedere, è vero, ma che differenza fa? Con un lui o con una lei, sempre tradimento sarebbe! E poi, non credo proprio che essere bisessuale vuol dire poter scegliere di stare con persone dei due sessi in contemporanea. Da quel poco che so, chi è bisessuale si innamora della persona, non del suo sesso”.
“E tu che ne sai?”.
Letizia arrossì, sentendo su di sé gli sguardi delle coetanee: non avrebbe mai ammesso che aveva fatto qualche ricerca sia sull’omosessualità che sulla bisessualità, da quando Ambra aveva fatto coming out. L’aveva fatto per poterla proteggere meglio da eventuali attacchi di Clara e Rosalba, che però da dopo le vacanze natalizie sembravano essersi un po’ calmate… ma ovviamente, non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura! Sarebbe stato come ammettere che iniziava a tenere moltissimo a lei, e temeva che non fosse la cosa giusta.
“Lo so e basta”.
“Se lo dici tu … comunque, ragazze, ora devo andare. Mia madre e mio padre mi hanno chiesto di tornare il prima possibile, perché prima di cena loro devono uscire e vorrebbero che io stessi a casa con Mattia”.
“D’accordo. Ciao!” fece Letizia, chiedendosi se quella di Ambra fosse solo una scusa, oppure se avesse detto il vero.
“Ci vediamo. E ricordati che ti vorrei come cognata, quindi sbrigati a farti avanti!”.
Micol fece una linguaccia alla compagna, e per poco alzandosi non rovesciò tutte e tre le tazze vuote.
Rimaste sole, le due ragazze riportarono le tazze al bancone, dopodiché pagarono e uscirono, per evitare di fare altri disastri; continuarono a parlare del più e del meno, e quando venne il momento di separarsi, ad entrambe sembrò che il tempo fosse volato; mentre tornava a casa in autobus, Letizia si fermò a riflettere su quante cose fossero cambiate in quelle ultime settimane, e quanto fossero cambiati sia lei che gli altri che aveva intorno. Laura e Livia ormai sapevano leggere e fare di conto, e sembrava che sua madre si trovasse molto meglio nella banca dove lavorava; lei invece era diventata leggermente meno sospettosa, anche se era ancora convinta di avere qualcosa di sbagliato e che presto, se non avesse continuato a tenere per sé i pochi segreti che le rimanevano, si sarebbe di nuovo ritrovata sola. Poi c’erano Micol e Ambra: la prima era diventata un po’ più coraggiosa, e l’altra più chiacchierona, anche se per certi versi era ancora un po’ timida ed aveva qualche timore infondato in merito all’amore…
“Tutti cambiamo”, si disse qualche minuto più tardi, mentre si affrettava a scendere alla sua fermata. “Ma io, invece, devo solo nascondermi. Se mi nascondo, allora tutto andrà bene, e non correrò rischi. Devo solo fare in modo che nessuno venga a sapere come è la vera Letizia, e allora sarò totalmente felice!”.
Saltò a terra con un piccolo balzo, nonostante il peso della cartella: e in una macchina parcheggiata poco distante, colse il suo riflesso. Quella che le restituiva lo sguardo, era una ragazza con gli occhi blu… le sue lenti, in un certo senso, oltre ad essere il simbolo del suo cambiamento nel fisico e nel carattere erano anche la rappresentazione di ciò che voleva essere e che purtroppo non era. Erano un altro modo per ricordare a se stessa che doveva camuffare il suo vero essere, un po’ come facevano coloro che, per puro piacere o per un particolare senso estetico, facevano diventare blu le rose bianche.

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Capitolo 18
*** Capitolo 15: bugie e verità ***


Capitolo 15: bugie e verità

“Calmati. Andrà tutto bene”.
Letizia andava avanti e indietro nella sua stanza, con il cuore che le batteva a mille. Era già stata tesa prima di allora, naturalmente, specie poco prima di essere interrogata a scuola: ma l’ansia che provava in quel momento, ne era certa, era cento volte peggiore!
Riprese il cellulare, rileggendo per l’ennesima volta l’ultimo in ordine di arrivo nella casella corrispondente a quelli ricevuti.
 
Allora verrò alle 16, ok?
 
Guardò l’orologio: mancavano solo 15 minuti al suo arrivo, e per quanto sapesse che Ilan era sempre puntuale, una parte di lei sperava che avesse un qualche contrattempo prima di partire: non sapeva spiegarsene il motivo, ma temeva che se fosse venuto a casa sua per conoscere la sua famiglia, la serata sarebbe stata un autentico fiasco.
Le sue sorelle non mostravano più tanta gelosia per il suo fidanzamento, ma lei aveva paura che, essendo solo due bambine, si lasciassero scappare qualcosa sul loro papà: ed era una cosa che voleva assolutamente evitare, visto che non aveva ancora avuto il coraggio di rivelare la verità! Per un attimo, aveva anche pensato di prenderle da parte e dire loro che non dovevano parlarne: sapeva che l’avrebbero fatto. Ma poi si era data della stupida, dicendosi che si preoccupava troppo e che non c’era bisogno di tutte quelle manovre… inoltre, e se ad accennare alla cosa fosse stata sua madre? A lei di certo non poteva imporre il silenzio: sarebbe stata una richiesta troppo illogica per non destare qualche ansia o qualche sospetto nella mente della sua genitrice.
“Smettila di preoccuparti… Ilan sarà così in ansia già di suo, che se anche qualcuna delle tue parenti dovesse dire qualcosa, a malapena ci farà caso!”, ragionò tra sé, cercando di nuovo di tranquillizzarsi.
Nell’estremo tentativo di distrarsi, si sedette e si mise a pensare al mese che era appena trascorso: lei e Ilan avevano festeggiato il primo mesiversario da appena sette giorni, e quelle cinque settimane erano state di gran lunga le più belle della sua vita. Non c’erano ancora stati rapporti intimi, ma a lei non importava granché: era consapevole che il sesso non era tutto. E poi, non si sentiva pronta!
Proprio mentre rifletteva su questo punto, suonò il citofono; scattando in piedi come una molla, si diresse fuori della stanza, chiedendosi di nuovo se la decisione di far venire il suo fidanzato a casa fosse stata quella giusta. Si sentiva davvero totalmente in grado di affrontare quella prova? O magari avrebbe dovuto aspettare ancora, come aveva deciso di fare per i rapporti sessuali?
Prima ancora di riuscire a formulare una risposta a quelle domande, schiacciò il pulsante e fece un gran respiro, mentre sua madre e le sue sorelle, capendo chi stava arrivando, le si avvicinavano.
 
 
Dopo i convenevoli, Ilan si era rilassato, e di conseguenza anche Letizia si era calmata. Era così serena che s’era messa ad osservare con quanta maestria e tranquillità sua madre chiedeva al suo fidanzato le cose più elementari sulla famiglia,i suoi hobby e le sue abitudini!
“Se ci fossi stata io al suo posto, le mie richieste anziché essere un modo per conoscerlo meglio sarebbero sembrate quasi un interrogatorio”, pensò. “Spero di avere anche io questa scioltezza, da adulta!”. Stava iniziando ad immaginare un futuro in cui sarebbe stata di fronte al fidanzato di una sua ipotetica figlia, quando una frase pronunciata da Laura la fece tornare con i piedi per terra.
“Quindi, presto potrai guidare una macchina?”, aveva infatti chiesto la bambina.
“Sì, tra qualche settimana avrò l’esame finale della patente”.
Ilan guardò Letizia, come a chiederle se poteva spiegare alla sua sorellina la differenza esatta tra l’esame teorico, che aveva già superato, e l’esame pratico, che invece doveva ancora affrontare, ma la ragazza non se ne accorse:  stava infatti già guardando Livia, che intervenne subito dopo la gemella.
“Oh, che bello! Anche il mio papà guidava la macchina, sai?”.
“Livia, ti prego, non dire altro!”, pensò Letizia, in preda al panico.
“Adesso però è rimasta a noi, la guida la mia mamma …” continuò implacabile la bimba, “Perché lui è morto due anni fa!”.
L’adolescente si sentì morire: era consapevole che Ilan la stava fissando, ma non ebbe il coraggio di restituirgli lo sguardo. Pur sapendo di non comportarsi in modo molto maturo, per non mostrare il suo turbamento contò fino a cinque e filò in bagno, sperando che gli scenari disastrosi che stava già immaginando non si avverassero.
 
 
L’ascensore non le era mai sembrato tanto lento e angusto: qualche ora prima le era sembrato velocissimo e spazioso, e in quel momento invece le sembrava che il tempo non passasse mai. Ilan non le parlava, e lei non sapeva cosa dire!
“Allora ciao … sono stata contenta di vederti, e sono felice che la mia famiglia ti sia piaciuta!” esordì poi, una volta arrivati a destinazione.
“Davvero?” domandò lui, scettico.
“Che intendi dire?”. Letizia aprì il portone, facendo la finta tonta: sperò che lui non si accorgesse, mentre la seguiva fuori, di quanto le tremassero le mani.
“Lo sai benissimo. Perché non mi hai detto di tuo padre?”.
“Ehm, io …”.
Come spiegargli il motivo della sua bugia? Lui le avrebbe creduto? Decise di riprovare.
“Devi sapere … che io…”.
Non ci riusciva, era più forte di lei. Non sapeva proprio come spiegarsi, e oltretutto aveva paura che dicendo la verità avrebbe peggiorato la situazione.
“Cosa dovrei sapere? Che ho una fidanzata bugiarda? Se è questo, allora puoi risparmiare il fiato: lo so già”.
“No … cioè, senti … non sono ancora pronta a dirtelo. Se mi dai un po’ di tempo …”.
“Un po’ di tempo? E per cosa, per inventare altre stupidaggini? Ora capisco perché non volevi che venissi da te: sono proprio un cretino, era evidente che stavi cercando in tutti i modi di rinviare apposta, sperando in chissà quale miracolo che ti salvasse dalla realtà delle cose. Devi considerarmi proprio un idiota, vero? Uno che abbocca a tutto? Avrei dovuto immaginarlo sin da quando ti ho vista con le lenti: sei falsa in ogni cosa, dal fisico al resto”.
“No … non è vero!”, protestò Letizia debolmente.
“Ah, non è vero? Bene, allora quando trovi il modo per dimostrarmelo, chiamami! Capisco che la morte di tuo padre non è un argomento leggero, ma non è certo stata colpa tua e quindi non vedo perché dovevi tenermelo nascosto, specie considerando quello che c’è tra noi. O almeno, considerando quello che io pensavo ci fosse, tra di noi!”.
“Ma c’è, cucciolo. C’è, non ho mai finto su questo!”.
La ragazza era disperata, ma non voleva mettersi a piangere davanti a lui: non amava fare scene da soap opera. L’unica cosa che voleva è che Ilan capisse quanto lo amava, nonostante avesse sbagliato a nascondergli un dettaglio importante riguardante la sua situazione familiare… sperava che la sua espressione si addolcisse, ma così non fu.
“Sì, certo, come no! Ricordati quello che ti ho detto, e riflettici.”.
Detto questo, il ragazzo se ne andò, senza voltarsi indietro.
 
 
“Sì, certo, come no! Ricordati quello che ti ho detto, e riflettici.”
Non le aveva detto che la lasciava: le aveva solo detto che doveva riflettere.
E allora, perché non le rispondeva al cellulare?
Letizia non sapeva più cosa fare: stava talmente male che la cena aveva minacciato di tornare fuori dal suo stomaco parecchie volte. Avrebbe voluto dormire, ma sapeva che non ci sarebbe riuscita finché non si fosse sfogata, e non avesse parlato con qualcuno! Ilan a quanto pareva non voleva rendersi disponibile però, e forse era già andato a dormire anche se erano solo le undici di sera; pensò di chiamare Micol, ma poi scosse la testa. Che senso aveva metterla in mezzo? Era la sorella di Ilan, dopotutto, quindi di certo non sarebbe rimasta insensibile verso la situazione che si era creata tra loro!
Doveva restare neutrale, per il bene di tutti e tre: se proprio doveva venire informata di quanto era successo, era meglio che fosse il fratello a parlargliene. Ne aveva più diritto!
Prima ancora che pensasse a cosa altro poteva fare per calmarsi, il suo cellulare si illuminò, e lei si affrettò a leggere il messaggio appena arrivato con il cuore in gola.
 
Leti, ciao, come va? Com’è andato il confronto famiglia-fidanzato? Io tutto ok, ho delle novità che vorrei raccontarti, domani o magari lunedì quando saremo a scuola!
 

In un altro momento, quell’sms di Ambra le avrebbe fatto piacere: ma in quel frangente, Letizia si sentì delusa. Per qualche attimo, aveva sperato che fosse di Ilan, che voleva fare pace! Nonostante ciò, si sentì in dovere di rispondere.
 
E’ stato un disastro…ho combinato un casino, abbiamo litigato e ora non so neanche più come finirà la nostra storia! Tu invece che mi dici? Le novità a cui hai accennato riguardano Akemi, per caso?
 
La risposta non si fece attendere.
 
Cosa??? Ma come? Ti va se ne parliamo meglio domani? Vieni da me, così ne approfittiamo anche per studiare. Tua madre di certo non avrà da ridire, se le dici che vieni qui per ripassare! Le mie novità aspetteranno, prima voglio che mi spieghi tutto quello che ti è successo.
 
Letizia sospirò, mentre scriveva per dire che le andava bene. Ambra aveva ragione, sua madre non avrebbe battuto ciglio sentendo che voleva andare a casa sua per studiare … e lei aveva bisogno di uscire, sia perché aveva ancora qualche compito per casa da terminare sia perché voleva sfogarsi. L’unico problema era che l’indomani avrebbe dovuto dire alla coetanea tutta la verità, compresa la parte riguardante la morte del padre… e ciò, quindi, equivaleva anche a scoprirsi troppo, cosa che aveva sempre voluto evitare! Scoprirsi era dare all’altro la possibilità di avere un vantaggio, e concedere vantaggi era pericoloso, perché essi potevano rivelarsi delle vere e proprie armi: ma non aveva altra scelta. Se voleva salvare la sua relazione, avrebbe dovuto iniziare a dire finalmente la verità, per quanto doloroso e complicato potesse essere… e avrebbe dovuto di conseguenza anche lasciar uscire la rosa bianca che era, e che probabilmente sarebbe sempre stata.

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Capitolo 19
*** Capitolo 16 (parte 1): un consiglio da amica ***


Capitolo 16 (parte 1): un consiglio da amica

“Allora, dimmi. Cosa è successo esattamente tra te e Ilan? Sono tutta orecchie!”.
Ambra chiuse il libro di storia dell’arte, e guardò Letizia.
“Ehm…”. La ragazza si sentì smarrita: era arrivata a casa della coetanea con l’intenzione di dirle tutto, ma ora che finalmente erano sole, visto che i genitori di Ambra e il suo fratellino erano usciti, non era più tanto sicura di voler parlare.
“Abbiamo … litigato”.
“Questo l’avevo intuito. Ma perché?”.
“Ecco, io … ho combinato un guaio”.
“Sapevo anche questo, me l’hai detto via messaggio. Ma cosa hai combinato, esattamente?”.
Letizia pensò a quanto si erano invertiti i ruoli: fino a qualche tempo prima, infatti, era lei che doveva tirar fuori con le pinze le cose all’amica!
“Gli ho mentito”.
“Su che cosa?”.
“Su una cosa abbastanza personale. Che riguarda la mia famiglia”.
“Capisco: allora la faccenda è davvero seria!”.
“Già. Riguardava mio padre”.
“Tuo padre? Se non sbaglio, ora ha un’altra famiglia, vero? Cosa è successo? E’ tornato e tu non ne hai parlato ad Ilan, mentendogli in merito?”.
“No, mio padre … mio padre è…”.
Letizia chiuse gli occhi, mentre pronunciava la parola di cinque lettere che tanti guai le aveva causato con il suo fidanzato: per qualche attimo ci fu silenzio, poi Ambra riprese la parola.
“Ho capito bene? Tuo padre è morto?”.
“Sì, due anni fa”.
Letizia cercò di frenare le lacrime, ma fu tutto inutile.
“Non gliel’ho detto perché nella mia vecchia scuola non hanno fatto altro che prendermi in giro quando è successo… mi dicevano che lui probabilmente s’era buttato apposta contro il guardrail per la disperazione di avere una figlia brutta e grassa come me”.
“Ma è terribile! Che cattivi: certa gente proprio non ha cuore! Tu non sei affatto brutta, e non hai un filo di grasso. Quei deficienti della tua classe probabilmente erano solo invidiosi!”.
Ambra era scandalizzata: si alzò, aprì un cassetto e tirò fuori un pacchetto di fazzoletti. Ne porse uno a Letizia, che pareva essersi tramutata in una fontana, e aspettò…
“Forse; però prima ero grassa davvero… e in ogni modo, le loro parole mi hanno fatto male, e mi hanno segnata. Mi prendevano in giro per qualsiasi cosa, specie quando dicevo la verità… quando mentivo, invece, stranamente mi lasciavano in pace. Così ho pensato che dovessi nascondere la vera me, per non soffrire! E una delle cose che mi sono prefissa di non dire a te e gli altri, per non rischiare di essere attaccata di nuovo, era proprio la morte di mio padre. Anche perché ci soffro ancora, e a volte lo preferirei davvero lontano da mia madre, da me e dalle mie sorelle e in compagna un'altra compagna ed altri figli, piuttosto che sotto terra!”.
La padrona di casa fece per allungare un braccio verso la sua ospite, ma poi ci ripensò. Era davvero giusto cercare di abbracciare una persona in quelle condizioni? Nonostante fosse migliorata nei rapporti sociali, purtroppo aveva ancora parecchie incertezze in quel campo! Perciò, per non sbagliare, restò ferma, aspettando che l’altra continuasse.
E Letizia lo fece: parlò di come si erano svolti esattamente i fatti il giorno prima, sottolineando che non dava assolutamente la colpa a Livia per aver parlato, e rivelò anche quel che le aveva detto Ilan esattamente. Poi, vergognandosi, accennò anche alla sua teoria della rosa blu, rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse stupida e infantile.
“Ecco, questo è tutto”.
“Ti ha detto che sei falsa in tutto, insomma, giusto?”.
“Esatto”. Quella conferma suonò come una doppia condanna.
“Era ferito. E’ comprensibile. Però secondo me avrebbe dovuto fare uno sforzo e capirti di più!”.
“Lo pensi davvero? Non lo dici solo per farmi sentire meglio?”
“Nossignora: quando si litiga tra amici o tra fidanzati di solito la colpa non è mai di una persona soltanto, lo sapevi?”.
“Sì, ma in questo caso io…”
“In questo caso tu cosa? D’accordo, non dicendo nulla di tuo padre hai fatto pensare ad Ilan che non ti fidi completamente di lui, e quindi è normale che si sia sentito ingannato e si sia arrabbiato….ma era una cosa così delicata! Avrebbe potuto capirti, invece di chiederti conto di tutto in quel modo tanto brutale. Smettila di darti la colpa: hai una parte di responsabilità, ma pure lui la ha! Sai cosa devi fare a questo punto, no?”.
“Parlargli?”.
“Precisamente. Ti do un consiglio da amica: se non vuole essere raggiunto al cellulare, vallo a cercare domani in classe, e se non va bene neanche quello, vallo a trovare a casa… dopotutto è stato lui a dirti di farti viva quando avresti finito di riflettere sulle sue parole, no?”
“Ma se lui non mi volesse più?”
“Se ti dicesse chiaro e tondo che non vuol più aver nulla a che fare con te, cosa che non credo si verificherà mai, allora devi lasciar perdere, altrimenti finirai per essere considerata una stalker. Ma finché non lo fa, non solo puoi, ma devi usare ogni mezzo per spiegarti: hai diritto di farlo, così come lui chiaramente ha diritto ad avere spiegazioni! Presentati senza le lenti se decidi di parlargli a quattr’occhi, magari così lo convinci che non sei finta: non lo pensa davvero, ne sono sicura, ma potrebbe comunque essere una buona mossa. Ricordati che non ti ha chiuso la porta in faccia, ti ha solo detto di prenderti del tempo e pensare a quel che è successo… ti ha dato un’altra possibilità, a modo suo, quindi se tieni davvero a lui come sembra, devi afferrarla al volo! Raccontagli quello che hai detto a me sul tuo dolore per il tuo lutto, suoi tuoi ex compagni di scuola  e sulla teoria della rosa blu, e sii anche più precisa se riesci: se gli racconti tutto nei dettagli, vedrai che presto tutto si risolverà!”
“E se non mi credesse?”.
“Lo farà, perché ti ama”.
Letizia sperò che Ambra avesse ragione, ma non voleva illudersi: quindi, cercò di non pensare al futuro, e si focalizzò sull’ultima parola del discorso dell’amica, spostando l’attenzione da se stessa a lei.
“A proposito di persone che si amano: che mi dici di te e di Akemi?”.
“Ah, questa è una storia lunga”.
“Come hai detto tu pochi minuti fa, sono tutta orecchie!”.
“Va bene, d’accordo, ora ti racconto… ma prima vado in bagno!”.
Veloce, Ambra afferrò il suo cellulare e si avviò fuori della stanza: Letizia si chiese a cosa le servisse il telefonino ma non osò formulare la domanda e guardò la coetanea uscire dalla camera, senza emettere alcun suono.

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Capitolo 20
*** Capitolo 16 (parte 2): resoconti e accordi ***


Capitolo 16: resoconti e accordi

Micol, qui tutto normale. Tu sei già riuscita a parlare con tuo fratello? Ricordati che devi fingere di non sapere niente! Vedi cosa ti dice e cerca di farlo ragionare, d’accordo? Ora devo andare, ho finto di dover andare in bagno per scriverti! Ti aggiornerò appena possibile.
 
Ambra premette il pulsante d’invio del suo cellulare, poi gettò della carta nel wc e si allungò per premere quello dello sciacquone: dopodiché tornò in camera sua, per scoprire che Letizia stava giocando con il telefonino. Una tenue speranza si accese nel suo animo, e così non poté fare a meno di farle una domanda:
“Hai novità da Ilan?”.
L’altra si rabbuiò.
“No, niente… in realtà, stavo cercando di mandargli un sms, ma ho già perso il conto di quante volte ho cancellato tutto. Ogni cosa che ho scritto sembrava così terribilmente banale!”.
“Non penso sia così: semplicemente, sei tu che vedi tutto nero. Però forse è meglio che non ti vengano le parole nello scritto: devi dirgli a voce quello che senti, te l’ho già detto! E ti crederà, vedrai”.
“Sarà… comunque, non dovevi raccontarmi qualcosa?”.
“Forse. Cosa era, esattamente?”.
Ambra fece un sorriso ironico, poi si sedette e si fissò le ginocchia: per un attimo, sembrò tornare quella che era stata fino a qualche mese prima.
“Non vuoi parlarne?”.
Letizia era preoccupata: che stessero per entrare in un argomento troppo delicato per la sua amica? Dopotutto, la sua coetanea era timida per natura, e il fatto che fosse diventata più spigliata non voleva automaticamente dire che fosse disposta ad aprirsi per una cosa intima come l’amore! Decise che non l’avrebbe forzata: stava quasi per dirglielo, quando Ambra parlò.
“Beh, ecco … io e Akemi adesso stiamo insieme”.
“EH??? DAVVERO??? Wow! Com’è successo?”.
“Ci siamo parlate. Sono stata io a cercarla, perché dopo che mi ha rivelato di essere bisessuale è sparita, e così ho pensato che forse l’aveva fatto perché la mia reazione l’aveva spaventata …”.
“In effetti, mi ricordo che non eri molto contenta della situazione. Ma le hai detto qualcosa in merito?”.
“Qualcosa che avesse potuto ferirla, intendi? No, assolutamente. Semplicemente, quando me l’ha detto ho risposto solo che andava bene, ma anche se l’ho detto con la prospettiva di una amicizia e non di altro, molto probabilmente non sono stata convincente. Comunque sia, dopo l’ho chiamata e le ho chiesto se ed eventualmente quando potevamo incontrarci;  non sai quanta fatica ho fatto a scegliere gli abiti giusti, e non hai idea dell’insonnia che ho avuto la notte prima che ci vedessimo! Per non parlare di quanto ci ho messo per pronunciare le paroline magiche: sembravo un disco rotto, ma ero troppo emozionata. Gliel’ho detto, e lei mi ha confessato che provava la stessa cosa, sin dalla prima volta che ci eravamo viste … ero così tesa! Pensavo mi dicesse che ero pazza e che mi voleva solo come amica, e invece …”.
Letizia ascoltava, e più Ambra parlava, più lei le sorrideva: era davvero contenta. Ormai aveva imparato a considerare Ambra un’amica, anche se una parte di lei era ancora convinta di non meritare l’amicizia di nessuno, ed era felice che avesse trovato la sua felicità!
“Le cose che mi sta raccontando, le ho provate e le provo anche io. E’ proprio vero che l’amore è tutto uguale! Chissà perché c’è ancora gente che non lo capisce?”. Le venne in mente Clara, con la sua ottusità e la sua cattiveria: la ragazza stava infatti ricominciando ad essere antipatica quasi come lo era stata all’inizio dell’anno, e in classe si preannunciavano quindi altri venti di guerra; certe persone, a quanto sembrava, non cambiavano proprio mai! E neanche lei, si rese conto, era cambiata poi tanto: certo, aveva più fiducia negli altri, ma il suo essere portata a nascondere aspetti importanti della sua vita alla fine si era rivelato ben lungi da essere una misura protettiva; anzi, l’aveva portata a far allontanare la persona a cui teneva di più al mondo! Doveva parlare con Ilan, era certo: ma lui l’avrebbe perdonata? Il loro rapporto sarebbe ricominciato da zero, o aveva irrimediabilmente rovinato tutto?
“Letizia? Mi ascolti?”.
La ragazza si riscosse.
“Scusami, mi ero persa a riflettere”.
“L’ho notato”.
Letizia si ritrasse davanti allo sguardo indagatore della coetanea: che avesse fatto arrabbiare anche lei, senza volerlo? Era davvero una persona così orribile, sia come fidanzata che come amica? Abbassò lo sguardo, pensando a cosa dire, ma l’altra la anticipò.
“Ehi, Leti, ma che hai?”. Il suo tono non era aggressivo, era solo preoccupata.
“Vedrai che andrà tutto bene. Le cose con Ilan si sistemeranno presto”.
“Come fai ad esserne tanto sicura?”.
Invidiava la sicurezza che Ambra aveva in merito: lei, invece, era piena di incertezze e paure!
“Lo so e basta. Fidati di me”. Ambra sorrise: Letizia di certo non poteva immaginare il motivo per cui si sentiva così fiduciosa. Forse l’avrebbe scoperto in un futuro prossimo, ma fino a quel momento, ciò che le dava tutta quella sicurezza rimaneva racchiuso nel suo cellulare…
 
 

Micol aveva pensato e ripensato a come affrontare il fratello. Lui non le aveva detto assolutamente nulla di quello che era successo con Letizia, e si domandava quindi se fargli sapere che ne era al corrente fosse la cosa giusta; dopotutto, non erano affari suoi! Non si diceva forse che tra moglie e marito non si doveva mettere il dito? E se avesse parlato, non avrebbe messo nei guai la sua amica? Queste ad altre domande le si erano affollate in testa: ma quando aveva sentito la porta aprirsi, si era detta che doveva agire. Dopotutto, se Letizia era così spaventata da aver confessato tutto ad Ambra, era evidente che teneva alla storia con il suo ragazzo, e lei non poteva credere che ad Ilan non importasse più nulla. Conoscendolo come lo conosceva, era certa che invece gliene importasse eccome, per questo non ne parlava: ai loro genitori aveva detto che si sarebbe dedicato un po’ di più allo studio in vista della maturità e avrebbe fatto più guide per via l’esame pratico della patente, e loro chiaramente non avevano sollevato obiezioni, ma a lei la cosa era parsa un po’ strana, anche se non aveva fatto domande né a lui né a Letizia quando erano a scuola. E ora, tutto si spiegava!
“Ciao, Micol”.
“Ciao”.
Ilan la fissava, perplesso, con la schiena appoggiata allo stipite della porta.
“Tutto bene?”.
“No, non va tutto bene. Si può sapere che cosa hai combinato con Letizia???”, avrebbe voluto dirgli lei; ma non lo fece.
“In effetti ho qualcosa che mi preoccupa. Ma magari si risolve da solo”.
“Non ti va di dirmi cos’è? Se mi dai il tempo di fare la doccia, quando ho finito ne parliamo!”.
Non chiedeva di meglio. “D’accordo. A tra poco, ok?”.
Ilan, allontanandosi, si augurò che la sorella non fosse preoccupata per questioni di cuore; lui non si sentiva molto adatto a darle consigli, non essendo una ragazza! Micol, dal canto suo, si augurava che il fratello collaborasse e non si arrabbiasse troppo quando avesse scoperto cosa voleva dirgli: lei desiderava solo che le cose tra lui e la sua fidanzata tornassero a posto, ma di certo poteva fare ben poco senza la sua volontà!
 
Ilan è tornato a casa pochissimi minuti fa dalla palestra; gli parlerò quando si sarà fatto la doccia. Non ho un piano preciso, agirò di impulso. Ma qualsiasi cosa io decida di fare, spero che vada a buon fine!
 
Dopo aver finito di digitare quelle parole, inviò il messaggio e sospirò, imponendosi la calma mentre aspettava che il fratello maggiore si rifacesse sentire.

 
 
Ambra lesse il messaggio: fu tentata di incrociare le dita per scaramanzia, ma si trattenne, e continuò a ripassare con Letizia, la quale, come era successo in precedenza, si trattenne dal fare domande e chinò la testa sul libro per non mostrarsi troppo curiosa. Era convinta che l’autrice dei messaggi fosse Akemi, e pensava che fosse compito della sua compagna di classe parlarne, se e quando si fosse sentita pronta; non immaginava neanche lontanamente quanto fosse lontana dalla verità!
 
 

“Allora, che ti è successo?”.
Micol non era una tipa timida, anzi, tutt’altro; ma quel giorno sembravano mancarle le parole.
“Se non te la senti di parlarne con me, ti capisco: ma dovresti almeno provarci con mamma, quando lei e papà torneranno!”.
“No, meglio lasciare fuori mamma e papà. Dopotutto, quello che devo dirti riguarda anche te!”.
“Ossia?”.
Il ragazzo era interessato, ma ancora perplesso.
“Si tratta di Clara. Te la ricordi, vero? Ti ho già parlato di lei: la distribuisce come l’ostia quasi come se non fosse la sua, ed è molto arrogante e scorretta. Prende di mira tutti quelli che osano contraddirla o che non cedono al suo fascino, e quindi non ci ha messo molto a dare fastidio a me, ad Ambra e a Letizia. Per un certo periodo s’era calmata, ma adesso sta ricominciando…”.
Micol era perfettamente consapevole di stare prendendo l’argomento un po’ troppo alla lontana: ma non sapeva in quale altro modo affrontarlo, e non le era sfuggita l’espressione del fratello quando aveva nominato Letizia. Era evidente che, qualsiasi cosa fosse successa, lui ci teneva ancora! Clara non era certo il vero problema, ma usarla per iniziare il discorso le era sembrato necessario, e inoltre magari avrebbe potuto ricavare qualche dritta su come tenerla a bada.
“Vorrei che mi dicessi come devo comportarmi con lei; farla stare zitta sarebbe utile, e gioverebbe anche alle altre. Anzi, perché non dai consigli anche a Letizia su come arginarla? Sei più grande, perciò di certo sai come si rimettono al loro posto le ragazzine troppo boriose! E so che lei ci terrebbe ad essere protetta da te in questo senso”.
Ci fu silenzio per qualche attimo, dopodiché Ilan pronunciò tre semplici parole con tono quasi lapidario:
“Io non credo”.
“E perché no?”.
La ragazza fece del suo meglio per sembrare stupita: e si accorse ben presto che la sua piccola messinscena era stata presa per vera.
“Non ha bisogno di essere protetta, sa cavarsela da sola”.
“Non è vero: non è una donnetta spaurita e bisognosa delle gesta eroiche di un cavaliere, questo sì, ma è comunque molto fragile!”.
“Non direi. Hai idea delle stupidaggini che racconta, la tua amica tanto fragile?”.
“Stupidaggini?”.
Micol trovò ancora più difficile fingere ignoranza: anche lei in un primo momento aveva dato ragione al fratello, quando aveva saputo da Ambra come stavano le cose, ma poi aveva capito le ragioni di Letizia: e si meravigliava che Ilan se la fosse presa così tanto e non avesse cercato di comprendere la fidanzata. Che ci fosse altro di cui né lei né Ambra erano a conoscenza?
“Sì, proprio così. Mi ha mentito su una cosa abbastanza grave, e chissà su quanto altro… non so se riuscirò a fidarmi ancora di lei!”.
“Cosa ti ha detto, esattamente? Sei sicuro di non aver capito male? Le hai chiesto spiegazioni, almeno?”.
Non voleva essere critica, ma Ilan interpretò le sue parole proprio come un attacco, perché quando rispose lo fece con tono parecchio irritato.
“Certo che le ho chiesto spiegazioni! E lei lo ha ammesso. Devi sapere che quando sono andato a conoscere la sua famiglia …”.
Mentre ascoltava il fratello, Micol fu presa da un’angoscia mista a paura: si era messa d’accordo con Ambra per cercare di non far dividere Ilan e Letizia, ma più lui parlava più si rendeva conto che la situazione era più difficile di quanto avesse pensato inizialmente. E se suo fratello maggiore non ne avesse voluto sapere?
“Beh, io ci provo”, si disse. “Poi, si vedrà!”.
“Capisco come ti senti. E’ brutto quando qualcuno tradisce la fiducia di qualcun altro, specie se tra i due c’è una relazione amorosa! Però non pensi che dovresti darle una seconda possibilità? Chiunque può sbagliare, dopotutto!”.
“Giusto. Ma io ho i miei principi!”.
“Al diavolo i tuoi principi … di solito sono una buona cosa, ma non in questo caso, credimi. Cosa ne puoi sapere di come si è sentita lei, in questi anni? Magari ancora non ha superato la morte del padre! Un lutto è sempre qualcosa di particolare, no?”.
“Lo so. Ma è una cosa che purtroppo può capitare, e non c’è niente di male a dire che un genitore è venuto a mancare!”.
“Questa è la tua visione delle cose. Ma potrebbe non essere la sua, non ci hai pensato? Perché non le parli, per chiarire?”.
“Le avevo detto di riletterci su: se le andava, poteva venire lei da me per parlarne! Il fatto che non l’abbia fatto può anche significare che evidentemente non le importa poi tanto di quello che c’è stato tra noi. Non ti pare?”.
“No, non mi pare affatto”.
“Non ti pare solo perché hai deciso di difenderla a spada tratta”.
“E tu invece l’hai già condannata! Meno male che non tutti abbandonano gli altri solo per un errore, altrimenti saremmo tutti rovinati, e nessuno avrebbe più amici o partner…”.
“Adesso esageri, la stai buttando troppo sul tragico. Io non l’ho abbandonata, le ho solo chiesto di pensarci su: la considero molto intelligente, e so che capirà che ha sbagliato. O almeno, credevo di saperlo: ora inizio ad avere dubbi”.
“Ilan, è successo ieri! Dalle tempo!”.
“Se si ama veramente, anche ventiquattro ore soltanto sono tante”.
“Bravo, che filosofo. Però le tue filosofie a quanto pare valgono solo per gli altri, vero? Non per te! Vorrei proprio vedere che cosa avresti fatto tu a parti invertite! Non le hai dato neanche il tempo e la possibilità di spiegare, e ti lamenti? Sei legalmente adulto, eppure a volte ti comporti peggio di un bambino della scuola materna!”.
Ilan fece per replicare, ma proprio in quel momento la porta d’ingresso si aprì: i genitori, con le buste della spesa accanto, passarono lo sguardo dal figlio alla figlia, e viceversa.
“Tutto bene, ragazzi? Non è che state litigando?”.
La loro madre aveva capito tutto come al solito, ma nessuno dei due voleva confermarle che aveva ragione.
“Chi noi? Assolutamente no!”.
I fratelli si guardarono, mentre formulavano la stessa frase praticamente all’unisono:  dopodiché, scoppiarono a ridere, e di colpo sembrò come se non avessero mai discusso. Non parlarono più di quello che si erano detti, ma Micol, mentre aiutava i genitori a sistemare gli acquisti nel frigo, sapeva che Ilan avrebbe rimesso a posto le cose, o quantomeno avrebbe tentato… qualche minuto dopo, si infilò in bagno, portandosi dietro il cellulare, e scrisse ad Ambra.
Lei e la sua amica avevano fatto quanto era in loro potere: ora, la palla passava ad Ilan e Letizia. Solo loro, volendolo davvero, potevano far funzionare di nuovo le cose nel loro rapporto di coppia!

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Capitolo 21
*** Capitolo 17: riappacificarsi ***


Capitolo 17: riappacificarsi

Letizia guardò fuori dalla finestra dell’aula, e sospirò.
Ancora un’ora, e poi sarebbe stata libera di uscire, e cercare Ilan per parlargli. Visto che la ricreazione non durava poi molto, probabilmente non avrebbe potuto mangiare la sua merenda, ma non le importava. Il panino poteva aspettare! Per l’ennesima volta, si chiese come sarebbe andata a finire: lui le avrebbe creduto? Le cose sarebbero andate di nuovo per il verso giusto? E quanto sarebbe cambiata la loro relazione? Lui sarebbe riuscito ancora a fidarsi totalmente di lei? Si girò a guardare Ambra, che era intenta a fissare la professoressa di letteratura italiana che spiegava, e si domandò anche fino a che punto l’amica avesse ragione. Era vero che quello che era successo tra lei e il suo fidanzato era colpa di entrambi? Oppure era solo colpa sua?
“Non importa”, si disse, mentre cercava disperatamente di tornare a concentrarsi sulla lezione. “Devo rimettere a posto le cose, non importa chi è colpevole. Ilan è la cosa più bella che mi sia capitata, è tutta la mia vita, e io non voglio perderlo!”.
“Garofalo”.
La ragazza trasalì.
“Sì, professoressa?”.
“Mi spieghi cosa c’è di interessante fuori dalla finestra? E’ da quando sono entrata che non mi presti attenzione. Quantomeno, potresti fingerti interessata, come stanno facendo alcune tue compagne!”.
Le colpevoli fecero finta di nulla, pregustando la scena.
“Non è vero, io la sto ascoltando, professoressa”.
“Ah, sì? E allora dimmi, cosa ho detto poco fa?”.
“Ehm … “.
“Stava parlando di …”, provò ad inserirsi Ambra a bassa voce.
“Palmieri, evita. Ci sento ancora benissimo”.
Ambra fissò Letizia, impotente. Quest’ultima aveva la testa vuota. Di cosa trattava la lezione? Fece per abbassare lo sguardo sul libro, in cerca di un appiglio, ma sentì una battuta che la disturbò.
“Oh, la principessa e la sua dama di compagnia sono in difficoltà!”, esclamò Clara, in quello che nelle sue intenzioni doveva essere un bisbiglio.
“Piantala, lucciolina. Pensa a finire di stilare la tua lista di clienti, invece di rompere le scatole!”.
“Cos’è, sei invidiosa? Io di ragazzi intorno ne ho quanti ne voglio, e so tenermeli…tu invece non saresti neanche in grado di tenerti quello che hai! Lui sta con te solo perché gli fai pena, non per altro!”.
“Mio fratello ha più cervello di quello che pensi, e di certo non gli piacciono quelle che per farsi apprezzare devono concedersi al primo offerente come se fossero merce in saldo!”, saltò su Micol, parecchio offesa.
“Ragazze, che modi sono questi? Vi ricordo che siamo in una scuola, non in una piazza di mercato. Quindi, per favore, mettetevi composte, stata buone e seguite la lezione: siete qui per questo, dopotutto!”.
“Ci scusi, professoressa!”, fecero le sedicenni in coro, nient’affatto pentite; e quando l’adulta riprese a spiegare, si lanciarono occhiate di fuoco.
“Non è che la scuola sia proprio un ambiente tranquillo, certe volte”, pensò Letizia. “Ma chissà, magari stare qui mi aiuterà, tra poco! O almeno, me lo auguro…”.
Sospirando, tornò a concentrarsi sul suo quaderno, cercando di ignorare la paura che sentiva crescere dentro.
 
 

Ilan guardò il suo orologio per la sesta volta.
Ancora trenta minuti. Per lui di solito a scuola le ore passavano in fretta, ma in quel momento gli sembrava che il tempo non passasse mai. L’ora precedente gli era sembrata interminabile, e anche la seconda sembrava non essere da meno! Come se non bastasse, in quella prima ora e mezza di lezione non aveva ascoltato nemmeno una parola di quello che il professore diceva; sapeva che non era una buona cosa, visto che gli esami di maturità si avvicinavano inesorabilmente, ma non poteva farci nulla: non smetteva di pensare a Letizia, e a quello che sua sorella gli aveva detto su di lei. Era vero che si era comportato come un bambino dell’asilo e che era stato troppo severo e frettoloso nel giudicarla? Doveva forse andare lui a cercarla, durante la ricreazione, per parlarle?
Non aveva avuto intenzione di allontanarsi così tanto dalla sua fidanzata: quello che voleva era solo che lei riflettesse, e che capisse quanto si era sentito ferito: capiva che certe persone potevano essere più riservate di altre, specie su certi temi, ma non riusciva nemmeno a comprendere perché dovessero esserci dei segreti all’interno di una coppia, specie se poi quegli stessi segreti portavano a dire delle bugie per poter essere coperti!
Per l’ennesima volta, si chiese se Letizia gli avesse nascosto altro, oltre alla morte del padre: ma diversamente dalle volte precedenti, il pensiero di quella eventualità non lo fece arrabbiare.  L’unica cosa che voleva, era che tutto tornasse a posto: e per far sì che succedesse il prima possibile, forse doveva essere lui a muoversi, e mandare al diavolo l’orgoglio maschile.
“Ho deciso: appena suonerà la campanella mi alzerò e andrò a trovarla in classe. Almeno, vedremo di risolvere la cosa!”.
 

 
Letizia scattò in piedi al suono della campanella.
“Wow! Allora sei proprio decisa!” le fece Ambra. Pur essendo stata informata delle intenzioni dell’amica, era rimasta comunque sorpresa dalla velocità con cui quest’ultima si era alzata.
“Eh, già. Ci vediamo tra qualche minuto, ok?”.
“Buona fortuna!”
“Grazie, ne avrò bisogno”.
“Letiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!”.
La ragazza si girò, e per poco non fu sbilanciata da Micol che nella foga del venirle incontro le si era schiantata addosso.
“Micol, ma che cavolo combini?”.
“Scusami. Vai da mio fratello, vero?”.
“Sì, o almeno ci provo. Ma tu come fai a saperlo? Vuoi accompagnarmi?”.
L’aveva domandato automaticamente, ma sperò che la coetanea non le dicesse che voleva venire anche lei: sarebbe stata dura parlare dei loro problemi di coppia, con una terza persona vicino!
“Ops! Ehm, intuito femminile, non farci caso. Vai pure, e mi raccomando, se fa il cretino dimmelo, così lo picchio!”.
A Letizia venne da ridere, nel vedere l’espressione determinata dell’amica. Le balenò in mente che c’era una nota stonata, come se l’altra le stesse nascondendo qualcosa; ma non aveva tempo per indagare!
“Provvederò. A dopo!”.
Sentì Clara urlarle qualche cattiveria: ma non riuscì a capire il senso delle sue parole, per la fretta che aveva. E in men  che non si dica, era fuori dall’aula.
Passando davanti al bagno, si chiese se doveva fermarsi lì per qualche minuto: non tanto perché ne sentiva il bisogno, quanto perché così avrebbe potuto darsi un’occhiata allo specchio per vedere che aspetto avesse, e avrebbe potuto anche cercare di farsi passare l’ansia che le attanagliava il petto… ma non ebbe tempo di prendere una decisione, perché il suo campo visivo catturò un’immagine che le era familiare. Una figura che conosceva molto bene e che desiderava tanto vedere, ma che non si aspettava le comparisse davanti in quel modo!
“Ciao”, le disse Ilan, con tono neutro.
“Ciao”, rispose lei.
“Stavi per andare al bagno, per caso?”.
Per un attimo, Letizia pensò di mentire. Poteva dire di sì, sparire oltre la porta e sperare che lui se ne andasse il prima possibile, guadagnando così ulteriore tempo… ma non le andava: aveva capito la lezione.
“No. Cercavo te!”.
“Ah, sì? Anche io ti cercavo, in effetti!”.
Si guardarono, sorpresi. Letizia non poteva credere alle sue orecchie: se Ilan era venuto a cercarla, allora forse c’era una speranza che tutto tornasse a posto!
“Senti, ieri sera io…”.
“Ci ho pensato, e …”
Avevano parlato praticamente all’unisono.
“Oh”, fece Letizia. “Scusa, continua”.
“No, vai tu”.
“Ilan, sul serio, per me va bene se…”.
“Insisto: prima le signore!”.
Letizia lo guardò bene negli occhi, e le bastò poco per capire che non la stava prendendo in giro: anzi. Voleva davvero che parlasse lei per prima, e non solo per una sorta di cavalleria, ma perché l’amava. Fu questo a spingerla ad avvicinarsi al muro e ad appoggiarvisi, prima di cominciare a parlare …
“Volevo solo dirti che … ho riflettuto, come mi hai detto tu. E sono arrivata a capire che ho sbagliato! Non cerco giustificazioni, e non mi aspetto che tu mi creda se te lo dico, ma devi sapere che nella scuola che ho frequentato fino allo scorso anno non mi volevano bene. Mi dicevano che ero grassa e brutta,  che ero stupida, che avevo una vita banale e che mio padre …”, si fermò un attimo, sentendo le lacrime salirle agli occhi: tentò di trattenersi, ma non ci riuscì. “Dicevano che mio padre si era buttato contro il guardrail apposta perché non sopportava l’idea di avere una figlia come me. E invece sai cosa è successo? Ci è finito veramente contro il guardrail, ma perché un camion gli è venuto addosso! E’ stato devastante. Perdere qualcuno che ami in quel modo è… orribile. Non fraintendermi, anche se l’avessi perso per malattia o per vecchiaia sarei stata male, ma almeno l’avrei accettato di più! Così invece mi sono trovata a quattordici anni senza un papà, con delle sorelline piccole e una madre comprensibilmente distrutta, che però non voleva farsi vedere sofferente da me. Non sai quanto è stato tremendo non poterne parlare né in famiglia né a scuola, ero totalmente sola… certo, ho scritto come mi sentivo in un diario, ma come capirai, non è la stessa cosa che parlare con qualcuno in carne ed ossa!”.
Ormai piangeva a dirotto, ed era consapevole che molti ragazzi e molte ragazze che si trovavano a passare nel corridoio, e forse anche qualche professore, la stavano fissando; ma non le importava. Non voleva fermarsi, e anche se avesse voluto non avrebbe potuto!
Riuscì a percepire due braccia che la circondavano, ma non si fermò neanche allora.
“Letizia, amore, forse è il caso che …”.
“No”.
Quelle parole per lei furono la vera scossa, quella che le serviva: sentiva che doveva continuare, nonostante il dolore.
“Aspetta, c’è altro che devo dirti”.
La vista le si fece più chiara, e alzando la testa riuscì a vederlo: Ilan era preoccupatissimo, e la teneva stretta a sé.
“Dimmi”.
“Tra i miei compagni c’era un ragazzo di nome Claudio … lui non mi ha costretta a fare nulla, però, ecco…. mi ha umiliata, anche in quel momento. O meglio, dopo: mi ha detto che avrei dovuto sentirmi onorata per aver perso la verginità con lui, e … mi ha detto in sostanza che ero stata idiota a credere che mi amasse davvero. Ha voluto solo quello da me, e ha raccontato a tutti quel che è successo. Lo trattavano tutti come se avesse fatto un’opera pia! E’ per questo che finora non ho mai voluto che noi… non che non mi fidi di te, il problema è mio. Sono rimasta parecchio scottata, non riuscirei a vivere un rapporto fisico serenamente. Non per adesso, almeno”.
Si interruppe per prendere fiato, mentre la voce le tornava pian piano normale.
“Insomma, era stato con me, ma mi ha mollata appena gli ho dato quello che voleva. E tra quello e le prese in giro, un bel giorno dopo il matrimonio di una mia cugina ho pensato che dovevo diventare come le rose blu”.
“Cosa intendi? Le rose blu non esistono in natura, così come non esistono orchidee di quel colore e non esistono i garofani verdi!”
“Davvero ci sono anche altri fiori colorati artificialmente? Comunque, intendevo dire che dovevo nascondere agli altri quello che ero, per difendermi… non dovevo essere me stessa, in poche parole. E così ho fatto, dimagrendo, mettendo le lenti, mentendo e comportandomi come pensavo che gli altri volessero che mi comportassi. Non volevo ferirti o farti pensare che fossi finta: semplicemente ho agito così per autodifesa. Mi credi? Pensi che…sia di nuovo tutto a posto tra noi?”.
Per un attimo, nessuno dei due parlò.
Poi, Ilan pronunciò una sillaba, e Letizia si sentì felice come non era mai stata prima.

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Capitolo 22
*** Capitolo 18: epilogo ***


Capitolo 18: epilogo 

“Letiziaaaaaaaaa!”
La ragazza si svegliò di soprassalto: si guardò intorno, e individuò immediatamente le fonti di disturbo. Le sue sorelline si erano catapultate sul suo lettino mentre lei, come al solito, si era addormentata in spiaggia mentre prendeva il sole!
“Ragazze, che succede? Dov’è la mamma?”.
“Al bar, aveva bisogno del bagno”, rispose Laura.
“Però il tuo cellulare ha squillato, forse dovresti vedere cosa ha”, aggiunse Livia.
“Sarà un messaggio o uno squillo, probabilmente. Grazie, comunque!”. In realtà, non si sentiva proprio in vena di ringraziare le sorelle per averla svegliata, dato che stava facendo un bel sogno ed era stata interrotta, ma non era arrabbiata con loro. Erano solo due bambine, e avevano pensato di agire per il meglio!
Scese dal lettino e si avvicinò verso l’ombrellone, senza dimenticare di infilare le ciabatte: sapeva bene quanto potesse essere inclemente il sole di agosto sulla sabbia!
Prese il suo cellulare, e vide un messaggio.
 
Cara cognata, buon ferragosto e buon compleanno!
Come va lì? Ti diverti? Sai che manchi a tutti, qui? Immagino che Ilan te lo abbia già detto 500 volte ogni giorno, compreso oggi, ma ti assicuro che vale pure per me. Torni il ventuno, vero? Non ti dimenticare l’uscita a sei del 23! Devi esserci, così ti diamo anche i regali.

 

“E come potrei dimenticarla?”, si chiese Letizia, mentre si raddrizzava e tornava al lettino per rispondere a Micol e contemporaneamente dire alle sorelle, tanto per informazione, che le era arrivato un sms dalla sua amica.
Le sue dita e le sue labbra si mossero in modo quasi automatico mentre ripensava a quante cose erano successe in quei mesi: in luglio Ilan si era diplomato con ottantanove su cento alla maturità, e qualche settimana dopo aveva preso la patente; a giugno, Micol e Masashi si erano finalmente fidanzati, dopo che lui aveva voluto attendere qualche tempo per superare la sua ultima storia finita male; e tra Ambra e Akemi le cose andavano a gonfie vele, anche se nessuna delle due si era decisa a fare coming out in famiglia.
Era per questo che Micol le aveva parlato dell’ ‘uscita a sei’: avevano stabilito quella data per uscire tutti insieme, come tre coppie. Lei non vedeva l’ora, e anche se ormai sapeva che le sue amiche si erano date da fare a modo loro per evitare che la sua relazione non andasse a monte, avrebbe preferito che la coetanea non le ricordasse dell’incontro ogni singola volta che si sentivano!
“Chissà come andranno questi ultimi rimasugli d’estate, prima del nuovo anno scolastico?”, si chiese. L’anno prima, in quello stesso periodo, si era sentita invadere dall’angoscia e dall’ansia appena i suoi pensieri scivolavano sulla scuola: in quel momento, invece, il suo stato d’animo era diverso. Era fiduciosa: aveva un fidanzato che la amava, due amiche che le volevano bene, lei aveva finalmente imparato ad amare davvero tutti loro senza frenarsi troppo e per di più la persona più antipatica della classe era stata bocciata, quindi non avrebbe più potuto seccarla. Certo, rimaneva comunque Rosalba, ma era di gran lunga più gestibile e non era escluso che si stancasse presto di fare l’antipatica, senza Clara a coordinare le cose! L’avrebbe tenuta a bada, ne era sicura: così come era sicura di poter tenere a bada le sue ansie riguardo se stessa. L’autostima completa era difficilissima da recuperare, anche dopo che, finalmente, aveva scoperto cosa significava fare l’amore e sentirsi rispettata dal proprio partner prima, durante e dopo; sapeva che per riprenderla totalmente le ci sarebbe voluto ancora parecchio tempo, ma ce l’avrebbe messa tutta...e l’avrebbe fatto continuando ad essere se stessa.

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