Daydream

di Iamsparks
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** This is me ***
Capitolo 2: *** My routine has changed ***
Capitolo 3: *** Bradley Will Simpson ***
Capitolo 4: *** Shock ***
Capitolo 5: *** Vision ***
Capitolo 6: *** Truth ***



Capitolo 1
*** This is me ***


This is me - INTRO

Non credo di aver mai capito chi sono in realtà. Cioè, sono una ragazza di sedici anni, abito a Rushwick, che si trova vicino alla grande Worchester, in Inghilterra e ho i capelli castano chiaro e gli occhi blu. Mi chiamo Cecilia Mill.
Il mio corpo non è un granché: sono di corporatura media, assolutamente non magra, sono abbastanza alta, ma comunque nella norma. Quando ero più giovane, all'inizio dell'adolescenza, il mio corpo mi dava fastidio, lo trovavo enorme (quando in realtà non lo era), ridicolo, ma poi mi sono arresa davanti a tutte le diete che ho intrapreso e con il tempo sono riuscita ad accettare me stessa. È stato un passaggio che mi ha richiesto ben due anni.
Ma all'inizio non intendevo questo. Esteriormente so benissimo chi sono.
Piuttosto, la parte che non mi convince è la mia mente.
Sono in grado di vedere il futuro; non a comando e per di più solo quando sogno. È un mio tratto speciale, è ciò che mi differenzia dagli altri essere umani. Non ne parlo apertamente a tutti per vari motivi:
1) mi succede praticamente da quando sono nata e la cosa non mi spaventa;
2) so che nessuno là fuori mi capirebbe;
3) ho altri problemi a cui pensare.
Per esempio a come passare il mio tempo a casa da sola.
Leggere è la mia passione, riesco a leggere un libro di cinquecento pagine in poco meno di una settimana, cosa che sorprende sempre Daisy, la mia migliore amica. Lei preferisce vedere i film.
Conosco Daisy praticamente da quando sono nata, perché i nostri genitori sono amici. Ed è nata esattamente un mese dopo di me, l'undici maggio. Che è anche il suo mese preferito.
Come stavo dicendo prima, sognare il futuro non mi preoccupa; anzi, a volte è utile. Se sogno che la nostra prof interroga Daisy di matematica (materia in cui lei è proprio negata), la mattina la chiamo e le dico di starsene a casa..lei mi ringrazia sempre.
Daisy è l'unica a cui ho rivelato il mio potere e lei mi crede. Meglio così.
Tornando a me, posso raccontare tante altre cose: mi piace viaggiare, guardare gli altri fare ginnastica (io sono troppo pigra per farlo), ascoltare musica e la cosa che mi piace di più, perdermi nel mio mondo, e non solo di notte.
Daisy mi chiama sognatrice: io le do ragione, d'altronde, come non potrei?
Una volta le ho risposto: “Io e te siamo state create per conoscerci: io sono la sognatrice, te sei quella ragionevole, che mi tiene con i piedi a terra. Senza di te mi perderei a volare nei miei sogni”.
La risposta le è piaciuta così tanto che il giorno seguente mi ha regalato una collana, dove erano appesi tre piccoli ciondoli: una mezzaluna, una nuvola e un' ancora. “Così ogni volta che ti vedrò mi ricorderò di quella tua frase”.
Per me quella collana significa moltissimo: oltre che a ricordarmi sempre lei, mi rispecchia. Insomma, la mezzaluna indica il momento in cui la mia mente prende il sopravvento di me; la nuvola sta a ricordare la celebre frase “con la testa fra le nuvole”; l'ancora rappresenta Daisy.

Ciao a tutti/e ! Questo è il primo capitolo della mia prima fan fiction in assoluto. Dopo averne lette un paio nel giro di un anno, ho deciso di cominciare a scriverne una mia.
QUESTA SAREBBE L'INTRODUZIONE ALLA STORIA. Ci tengo a sottolineare che tutto ciò che leggerete non si ispira ad altre storie.
Se trovate interessante questo primo capitolo d'introduzione, che ha per lo più uno scopo di prologo, vi invito a recensirlo, scrivendo cosa ne pensate.
Se più avanti, pubblicati i prossimi capitoli, troverete la storia coinvolgente, bella o quant'altro, vi invito a inserirla nelle storie preferite o da seguire, in modo da farmi sapere che ne siete interessati.
Finisco qui il mio discorso :P
Al prossimo capitolo xx A

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Capitolo 2
*** My routine has changed ***


My routine has changed

Sono una persona semplice, mi piace divertirmi con un nulla, un sorriso mi riscalda il cuore.
Abito con la mia famiglia, mamma "imprenditrice" Alice, papà "avvocato" David. Amo i miei genitori ed essendo figlia unica non mi hanno mai fatto mancare nulla, mi hanno sempre coccolata e sommersa di tantissimi giocattoli, quand'ero bambina.
Grazie ai loro due lavori propiziatori, mi posso ritenere benestante. Abito al terzo piano di una casetta vicino al centro di Rushwick, il che mi permette di alzarmi tardi per andare a scuola. Per fortuna, perchè sono la tipica ragazza che è costantemente in ritardo.
La stanza che più mi piace della mia casa è la mia camera: l'ho arredata io recentemente per il mio sedicesimo compleanno e l'ho voluta ritinteggiare dei due miei colori preferiti: un rosso scarlatto e un bianco panna.
Il pavimento è di un legno chiaro, che con in riflesso del sole, dona luminosità alla stanza.
Il letto, aperta la porta, si trova sulla destra dell'osservatore. Di fianco alla testata, un comodino bianco dove si trova una lampada vintage, una sveglia vintage e uno stereo vintage.
Diciamo che mi piace questo stile.
Opposta al letto si trova la mia scrivania, anch'essa bianca, sopra la quale è posizionato il mio portatile nero. Vicino al portatile mi piace tenere un grande vaso trasparente dove metto un finto mazzo di rose rosse: non è colpa mia se ogni volta che tento di posizionare dei fiori veri, appassiscono!
Di fianco alla scrivania si trova il mio armadio..indovinate il colore? Ovviamente bianco.
Dall'altra parte della mia stanza, dove finisce il letto, si trova una libreria poco più alta di me, piena zeppa di libri, che ho suddiviso per genere nei vari scaffali.
Lo so, posso sembrare una perfezionista, ma mi piace tenere tutto ciò che mi circonda sotto controllo.
Tra il comodino e la scrivania si trova una gigantesca porta-finestra che è contornata da lunghe tende bianche e rosse e che immette sul mio balcone, dove si trovano due sedie di legno, occupate perennemente da me e da Daisy nelle sere estive. Dal mio balcone si ha una vista su uno dei parchi più amati dagli appassionati di jogging, parco che ospita per l'appunto una percorso per chi si vuole allenare, delle altalene, uno scivolo e un recinto di sabbia. Il lato est del parco è delimitato dal fiume che scorre anche nel mezzo di Rushwick.
Mi sento una persona molto fortunata per avere una casa simile e una famiglia così affettuosa.
Avendo sedici anni, frequento il terzo anno di liceo e sono in classe con Daisy. A scuola me la cavo, non sono tra le migliori, più che altro perchè nel mio tempo libero preferisco leggere che studiare.
Quanto ad amici, come avrete capito, non ne ho molti: ritengo che tutti i miei compagni di classe siano ok e alcuni sono anche simpatici, è solo che non me la sento di stringere amicizia con nessuno. Non ne sento proprio il bisogno: sto bene così.
Sono una ragazza introversa, tuttavia mi piace andare alle feste. È un altro tra i mille modi di divertirsi. La mia filosofia di vita è YOLO. Superficiale? Ma neanche tanto: quando ci penso riesco a fare di tutto, perchè mi ricorda che si vive una volta sola.
La mia vita si divide tra la scuola, la famiglia, Daisy e i miei sogni premonitori.
E questa routine ha caratterizzato la mia vita da tantissimo tempo; fino a quando è arrivata quella sera di ottobre.
La scuola era iniziata da poco e già sentivo la mancanza della libertà dell'estate: com'era comodo alzarsi solamente alle dieci di mattina, spassarsela tutto il giorno e poi sognare cosa mi sarebbe successo il giorno dopo! Era così bello che mi ero fatta l'abitudine. Ora invece mi sembrava uno sforzo sovraumano svegliarmi prima delle sette e un quarto; mi trascinavo fuori dal letto e come uno zombie mi dirigevo in bagno. Dopo essermi lavata e vestita, andavo a fare colazione e poi tornavo in bagno per lavarmi i denti.
Solamente una volta uscita di casa mi svegliavo completamente, tutta colpa del ventaccio che tira da queste parti.
Dopo aver superato la pasticcieria, il negozio sportivo, il ponte e un'altra casa mi trovavo sempre con Daisy, con la quale finivo il resto del traggitto che ci separava da scuola. Quel giorno sembrava uno come tanti altri: a scuola i professori non smettevano di spiegare le loro materie, io prendevo appunti e annuivo con fare convincente quando invece sapevo di non aver capito molto della spiegazione. Ma l'essere convincenti fa parte del lavoro degli studenti.
Finite le lezioni e dopo aver salutato tutti i compagni, me ne tornavo diligentemente a casa.
E fin qui, niente di straordinario.
Quel giorno, però, arrivata a casa la prima notizia strana che ricevetti fu da mia madre:" Sai, Cecilia, che proprio di fianco al nostro appartamento si è trasferito un ragazzo?".
Strano, pensai. Dovete sapere che la casa in cui abito è divisa in sei appartamenti. Il mio, come detto prima, si trova al terzo piano ed è quello di sinistra. Il nuovo vicino doveva aver occupato quello di destra.
"Ah, Cecilia! Penso che quel ragazzo sia un musicista..Ho visto che ha fatto portare su un pianoforte!".
Perfetto, pensai. Bene. Da adesso non potrò più leggermi un libro in santa pace, con uno che si mette a suonare il pianoforte!
Per sbollire l'indignazione, mangiai una doppia porzione del mio pranzo. Mia mamma mi guardava con un sorrisetto malizioso. Ma che cosa voleva?
Sembrò proprio che mi lesse nel pensiero.
"Forse ti comporti così sgarbatamente perchè non l'hai ancora visto, il nostro nuovo vicino." disse lei, questa volta ridendo.
Le rimandai un'occhiataccia, che però fu seguita da una sua linguaggia.
Sospirai. A volte mia madre si comportava in modo strano, come se volesse atteggiarsi ancora come un'adolescente. Bah, la cosa mi faceva solo divertire.
Decisi di non prestare attenzione al consiglio di mia madre, non andai a suonare al campanello del vicino. Me ne andai in camera, telefonai a Daisy, a due altre mie compagne di classe e poi mi misi a fare i compiti. Verso le sei di sera, con la testa fumante per colpa di matematica e fisica, decisi che era il momento adatto per prendere una boccata d'aria.
Uscii sul mio balcone, inspirai profondamente e mi stiracchiai un pò le braccia. Avvertii uno strano presentimento: mi sembrava di essere osservata. Curiosa, mi girai verso destra, scrutando le finestre dell'appartamento di fianco al mio e notai un leggero movimento di una delle finestre.
Avvampai. Ma che cavolo..? Corsi in camera, chiusi la porta e tirai le tende.
Avevo visto bene? QUALCUNO mi stava guardando!
Nella confusione più totale mi diressi in cucina dopo l'urlo di mia madre " È pronto in tavola!".
Trovandomi di fronte ai miei genitori, finsi che l'ansia sul mio volto era dovuta alla generale preoccupazione della scuola.. potevano capire, no? Non era colpa mia se mi stavano a cuore i voti scolastici...A tavola finimmo per parlare del più e del meno.
Giunta l'ora di andare a dormire, mi infilai il pigiama, mi sciolsi i capelli e mi tirai sotto le lenzuola. E dopo essermi addormentata, non sognai più nulla.
Mi svegliai di colpo. Stavo tremendo e il sudore mi aveva appiccicato i capelli sulla fronte.
Perchè non avevo visto niente? Perchè avevo visto solo nero?!
Dentro di me mi sentivo vuota. Come se nella pancia avessi un enorme buco.
In una frazione di secondo pensai: "Domani muoio... è per questo che non riesco a vedere il mio futuro".
Mi assalì il panico. E per quella notte non chiusi più occhio.





Buona sera a tutti/e! :)
Ecco il secondo capitolo! Spero che con questa aggiunta la storia possa diventare più intrigante. 
Se la storia mi piace, vi invito come sempre a recensire, aggiungere tra le storie da seguire/preferite..tutto ciò che volete! :) Mi impegno molto a scrivere e spero che non ci siano errori. Se ne cogliete qualcuno, basta che me lo facciate notare tramite recensione ;)
Grazie a tutti per la lettura, un abbraccio xx A

 

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Capitolo 3
*** Bradley Will Simpson ***


Bradley Will Simpson

Mi ero svegliata attorno alle tre di notte ed ero rimasta immobile fino allo squillare della sveglia alle sette. Avevo passato circa quattro ore a fissare il soffitto con gli occhi sbarrati dalla paura, pensando al prossimo avvenire.
Cosa mi sarebbe successo l'indomani? Sarebbe stato possibile morire?
L'unica volta in cui avevo sognato solo il nero era stato anni e anni prima; il giorno dopo avevo saputo della morte della mia nonna materna.
Ed ora solo al pensiero di quel cupo colore mi venivano i brividi. Non riuscivo più a chiudere gli occhi per il terrore di vedere di nuovo nero, eppure non volevo nemmeno guardarmi attorno, perché la mia stanza, essendo notte, era ovviamente al buio.
Ero paralizzata.
Intorno alle sette e un quarto mia mamma fece il suo ingresso nella stanza, pensando che io stessi ancora dormendo. Si avvicinò ad una finestra, la aprì e fissò le imposte al muro.
Solo allora ebbi il coraggio di chiudere gli occhi, poiché con la luce del sole ciò che vedevo era un colore rosato.
Alice si avvicinò: “Ehi, piccola mia, è ora di svegliarti! Su su, che farai tardi a scuola”.
“Mamma, oggi non sto bene e questa notte non ho dormito: posso rimanere a casa?” chiesi con ansia. Sono una brava studente, diligente e tutto, e mi capita raramente di chiedere a mia madre il permesso di non andare a scuola. Alice mi scrutò il viso e dopo uno sguardo pensieroso, acconsentì.
“Vuoi la colazione a letto o ti alzi?”.
“Lo sai, mamma, che ti voglio bene”. Significava “portami il cibo in camera”.
Grazie al sole riuscii a tranquillizzarmi, anche se non completamente: mi circondava uno strano presagio di malessere. Dopo avermi portato un succo di frutta, una brioche vuota e quattro biscotti (per di più integrali), mia madre mi salutò e uscì per andare al lavoro, seguita a ruota da mio padre (che non resistette nel rubarmi un biscotto).
Schiacciai un pisolino fino alle nove e alle nove e trenta decisi di alzarmi.
Mi diressi in bagno, dove constatai il pessimo stato della mia faccia: ero molto più pallida del solito, le labbra erano secche e sembrava che un pittore si fosse divertito a spennellare di nero la zona sotto gli occhi gonfi. Come se non bastasse, i miei capelli mossi avevano deciso di avvinghiarsi in nodi.
Ci misi una buona mezz'ora per lavarmi, pettinarmi, applicare il correttore e un minimo di fondotinta per nascondere le occhiaie. Tornata in camera mi vestii con dei jeans blu molto comodi e una maglietta a maniche lunghe che presentava quattro colori, divisi in strisce: arancione sul girocollo, bordeaux, verde e nero. Ai piedi misi un paio di scarpe basse beige.
Decisi successivamente, più che altro per tenermi occupata, di sistemare la mia stanza e di portare i piatti della colazione in cucina, dove feci la lavastoviglie.
Dopo aver sentito che la lavatrice aveva terminato il lavaggio, mi decisi ad andare sul mio balcone a stendere i vestiti al sole.
Mentre ero fuori e mi godevo una delle poche giornate calde di ottobre, mi accorsi di un suono dolce provenire dall'appartamento di destra: qualcuno stava suonando al pianoforte quella che sembrava una melodia simile ad una ninna nanna. Controllai l'orologio: erano le dieci.
Avevo altro da fare? No, decisi. Mi sedetti su una delle due sedie e chiusi gli occhi.
La canzone mi riempiva interiormente di gioia grazie alle note delicate e alla bravura del pianista.
Mi rilassai del tutto, seguendo il ritmo con un leggero movimento della testa: non ci volle molto prima che mi spuntasse un sorriso soddisfatto.
Questo momento di pace sembrò durare solo pochi attimi, ma quando controllai nuovamente l'ora mi accorsi che erano già passati trenta minuti. Stupita mi alzai.
Ma nella mia testa sentivo forte e chiaro solo un pensiero: “voglio conoscere il nostro vicino”.
Con decisione tornai in casa, presi un piccolo vassoio e ci misi sopra un paio di muffin al cioccolato che mia mamma aveva evidentemente cucinato quella mattina.
Dopo aver preso le chiavi di casa ed essere uscita, chiusi la porta e mi girai: davanti a me c'era quella dell' altro appartamento.

Inspirai profondamente. Essendo una persona timida devo ammettere che questo genere di situazioni non mi piacciono più di tanto. Fatti quattro passi mi ritrovai a schiacciare il campanello e ad aprire la mia bocca nel mio sorriso più cordiale. Sentii cessare la musica del pianoforte.
Dei passi si avvicinarono alla porta, che poi si aprì: alla vista del ragazzo il mio cuore sobbalzò e sono certa che la mia bocca prese la forma di una “O”.
Quello che ora mi stava guardando con un sorrisetto divertito non era un essere umano, ne ero sicura. Doveva per forza essere un angelo.
Non era tanto più alto di me: credo fosse sul metro e settanta, perché i suoi occhi, che erano di un marrone scuro ed erano circondati da folte ciglia scure, si trovavano alla stessa altezza dei miei.
Sopra di essi delle sopracciglia perfette erano quasi coperte dai suoi capelli ricci, marroni come gli occhi. Spostai lo sguardo sul suo sorriso, che mi aveva rapita all'istante: i suoi denti mordevano delicatamente la parte destra del labbro inferiore, che era più gonfio rispetto al labbro superiore, più fino.
Un suo leggero colpo di tosse mi fece riprendere; ero certa di essere rimasta a fissarlo più del dovuto.
“Ehm..Ciao..Ho sentito che ti sei trasferito...Io abito qua” e nel dirlo indicai con il pollice l'appartamento alle mie spalle.
“Mi chiamo Cecilia..Cecilia Mill” dissi, cercando di porgergli la mano destra in forma di saluto.
Intenta ad ammirare il suo viso, mi ero del tutto dimenticata che avevo ancora il vassoio con i muffin, e la conseguenza fu che gli spinsi violentemente al petto il piatto.
Preso alla sprovvista, si piegò e sbuffò un poco, portandosi la mano sinistra sul punto dolorante e tenendosi alla porta con la destra.
“Ops, scusa..” e feci un passo avanti di scatto, nel cercare di aiutarlo. Il vassoio scivolò dal mio palmo e a quel punto già vedevo tutti i muffin a terra; ma il ragazzo riuscì a prenderlo al volo, dopo aver spostato la mano dal petto.
Mi drizzai totalmente in imbarazzo; non riuscivo a staccare gli occhi dalle mie scarpe che all'improvviso si erano fatte molto interessanti. A proposito, lui indossava un paio di Vans nere.
Sollevai nuovamente lo sguardo sui suoi occhi quando lui mi sfiorò con le dita della mano destra la spalla sinistra.
“Ciao Cecilia Mill, io sono Bradley Will Simpson. Piacere di conoscerti”. E allungò la mano con un sorriso curioso. Gliela strinsi, ma ero irrigidita dalla sua bellezza e dalla mia figuraccia.
“Grazie per questi” disse sollevando appena il vassoio, “non dovevi, davvero”.
Io restai muta, pensando se era il caso o no di informarlo che manco li avevo cucinati io.
“Ehm..prego, accomodati” insisté Bradley aprendo del tutto la porta.
Scoppiavo di felicità e il cuore non faceva altro che accelerare accompagnando le mie emozioni.
Varcai la soglia e mi trovai in un corridoio, ai lati del quale erano accumulati in pile disordinate un degli scatoloni.
Mi lasciai superare da Bradley per poterlo seguire nella sua cucina, dove lui poggiò il piatto sul bancone.
“Vuoi sederti?” mi chiese indicando uno sgabello, e nel frattempo tirò fuori dal frigorifero un succo di frutta, che mi servì insieme ad un bicchiere. Lui si mise dall'altra parte, mettendo tra noi i muffin.
Presi coraggio e dopo aver bevuto un sorso di ACE, decisi che era il momento di parlare.
“Allora, Bradley..”
“Chiamami Brad” mi corresse lui sorridendo.
“Certo, Brad..ti disturbo?”
“No anzi..volevo fare un giro oggi a conoscere le famiglie della casa, ma il pianoforte ha avuto la meglio”.
“Quanti anni hai?”
“Diciotto. Li ho compiuti il ventotto di luglio. E se te lo stavi chiedendo, mi sono trasferito qua per studiare musica a Worcester. E te?”
“Ne ho sedici, compiuti circa sei mesi fa, l' undici aprile. Ma.. sei da solo in casa?”
“Sì, i miei mi hanno comprato questo appartamento e mi hanno spedito qua” rispose con una risatina.
Cavolo, pensai. La sua famiglia doveva essere ricca per permettersi una spesa simile.
“Ho sentito che suonavi il pianoforte..sei bravo.” aggiunsi arrossendo.
“Grazie. Suono da quando ho dieci anni, e diciamo che me la cavo anche con la chitarra”. Era a metà del secondo muffin, e di colpo si fermò a fissarmi.
Dopo aver deglutito, sorrise: “Vuoi mica sentirmi suonare?”.

Era una delle cose che più desideravo al mondo. Annuii con convinzione.

“E va bene, vieni con me”. Presi il bicchiere di succo ancora pieno e lo seguii in una stanza che si trovava a sinistra dell'atrio.
All'interno, un bellissimo e immenso pianoforte a coda riempiva buona parte della stanza che era illuminata dalla luce della porta finestra, attraverso la quale si poteva accedere al balcone che fiancheggiava il mio. Capii che questa stanza e la mia camera da letto erano divise solo da un muro.
Le pareti erano verniciate di azzurro, il pavimento era di legno, ed oltre al pianoforte c'erano due divani, due chitarre (una acustica e una elettrica) appese vicino ad uno scaffale, che era riempito di CD e DVD.
Brad si sistemò sul seggiolino e mi guardò, osservando le mie espressioni di meraviglia alla vista dei tanti CD.
“Hai qualche richiesta o suono un pezzo a mio piacere?”
Lo guardai con emozione. “Conosci 'River flows in you' ?”.
Ebbe un attimo di esitazione e la sua fronte si corrugò.
Ma poi, con sincera meraviglia rispose: “Bella's lullaby?”
“Esattamente”.

Mi sorrise, chiedendosi silenziosamente il perché di quell'inaspettata concitazione. E, dopo aver chiuso per un momento gli occhi cercando concentrazione, iniziò a suonare.





Ciao a tutti/e,
questo è il capitolo in cui la nostra Cecilia finalmente incontra il tanto atteso Brad!
Il ragazzo fa subito colpo su Cecilia (come non potrebbe?). La invita poi in casa sua e poi inizia a suonare per lei una meravigliosa canzone, che invito tutti voi ad ascoltare perché è fantastica:
“River flows in you (Bella's lullaby)” .Provate solo a immaginare Bradley che vi suona una melodia così dolce.. mi vengono gli occhi a forma di cuore!
Ma non perdiamo il filo del discorso :P !
Spero che il capitolo vi sia piaciuto; se sì, come al solito vi invito a recensire, perché voglio sapere cosa ne pensate ;)
Se volete potete inserire questa storia tra quelle preferite o seguite. :)
Grazie e un abbraccio,

A xx

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Capitolo 4
*** Shock ***


Shock


Mentre le dita di Brad si muovevano veloci e con precisione sulla tastiera decisi di osservarlo: dietro le palpebre, gli occhi si muovevano da sinistra a destra, quasi come stesse leggendo uno spartito e il suo corpo si piegava avanti e indietro a ritmo di musica. Durante le parti più delicate del brano Brad si irrigidiva e le sue spalle si alzavano leggermente, in quelle più veloci gli si leggeva un senso di libertà nel sorriso. Anche i suoi piedi pigiavano i pedali e lui usava soprattutto quello di destra, che serve a prolungare i suoni delle note: in questo modo “River flows in you” riecheggiava nella stanza creando un'atmosfera magica e di surreale bellezza.
Ero così persa nei miei pensieri da capire che Brad aveva finito di suonare la canzone solamente quando lui stesso si girò verso di me e mi scoccò una di quelle sue dolci occhiate.
“Allora, ti è piaciuto?” chiese lui guardandomi con esitazione.
“Riesco solo a farti i miei complimenti” gli risposi prima di mandare giù tutto il bicchiere di succo.
Bradley allora si alzò dal seggiolino e si mise a sedere sul divano di fianco a me.
“Posso chiederti il perché di questa scelta?”.
Come rispondergli che il pezzo mi ricordava tutti i momenti della mia infanzia? Le giornate trascorse in serenità all'aperto, le risate, il divertimento, la spensieratezza. La canzone per me aveva un che di nostalgico ma alla stesso tempo mi affascinava. Ecco, sì, questo era il termine adatto.
“Mi affascina.” gli risposi senza alzare lo sguardo, tenendolo nel vuoto davanti a me.
Mi sentivo osservata, come il giorno prima sul balcone; capii che indubbiamente era stato lui a guardarmi.
“Dimmi un pò” azzardai con curiosità. “Ieri mi stavi spiando dalla finestra?”
Mi pentii di averglielo chiesto: fu lui ad abbassare gli occhi, arrossì e si riaccomodò sul divano di almeno cinque centimetri più distante.
“Ehm..ecco..non ti avevo mai vista e mi chiedevo chi eri”.
Tra noi due c'era ora una spessa parete di imbarazzo. Brad si mise una mano tra i capelli con un gesto nervoso, io mi morsi l'unghia del pollice, pensando velocemente a come uscire da quella brutta situazione che si era formata. Quand'ecco che il campanello di casa suonò.
“Dev'essere mia mamma” mi affrettai a dire e con uno scatto atletico (di cui io stessa mi impressionai) mi alzai dal comodo divano e mi diressi alla porta principale. Poi mi ricordai di non averlo neanche ringraziato, e mi voltai all'improvviso per rimediare.
Bradley mi venne letteralmente addosso. Cavolo, non mi ero accorta che mi aveva seguita!
Per non farmi male, Brad aveva cercato di bloccarsi ma d'istinto aveva portato le braccia avanti, che finirono sul mio petto. Per un attimo il mio cuore smise di battere per lo stupore e per quel gesto.
Ci guardammo dritti negli occhi; i miei sgranati e i suoi quasi spaventati.
Ritrasse immediatamente le braccia, allungandole sui fianchi e chiudendo le mani a pugno.
“Scusa non l'ho fatto apposta” gli uscì tutto d'un fiato.
Dire che la mia faccia era in fiamme non rende l'idea. Mi sentii scendere una lacrima per la vergogna. E poi un'altra.
Abbassai lo sguardo, incapace di guardare ancora quegli occhi, mi girai e uscii dalla sua casa.
Dopo aver trovato l'uscio accostato della mia porta (segno evidente che era stata proprio mia madre Alice a venirmi a cercare), mi precipitai in camera mia e mi buttai a peso morto sul letto.
Preso il cuscino, me lo schiacciai sulla faccia: era ovvio che Bradley non mi aveva toccato le tette di sua spontanea volontà, ma mi sentivo presa in giro e umiliata.
Non so bene il motivo. Lo avevo trovato così carino e bravo ma adesso, per causa mia, il suo pensiero non mi faceva stare a mio agio.
A pranzo sia mamma che papà notarono il mio strano atteggiamento e David commentò con “Piccola, hai fatto bene a stare a casa da scuola oggi: si vede che hai una brutta cera”.
Dopo aver mangiato chiamai Daisy per chiederle i compiti. Dopo averli segnati sul diario mi decisi a svolgerli e prima di aver concluso con lo studio per il giorno dopo vennero le diciotto.
Volevo stare da sola per pensare e camera mia non faceva al caso: il pensiero di essere vicina a Bradley mi stringeva lo stomaco.
Per evitare poi un attacco di claustrofobia, scelsi di mettermi una giacca di jeans sopra al maglione e di scendere al parco per fare una passeggiata.
Sotto a casa mia si trova infatti il “River Park”, che deve il suo nome al fiume che scorre sul lato ad est e prosegue poi nel mezzo della cittadina di Rushwick.
Passeggiare era una tra le cose che più mi piace fare: è rilassante, sto a contatto con le altre persone e mi da modo di riflettere.
Fatto un chilometro e dopo essermi stancata di vedere correre i jogger, mi sedetti su una panchina appartata.
Cosa dovevo fare ora? Brad mi aveva toccata, ma non di sua spontanea volontà. Potevo fidarmi di lui? Non ne ero sicura. Per me chi era lui? Un semplice sconosciuto, anche se avevo intenzione di conoscerlo meglio.
Aspetta un attimo, Cecilia. Brad non è uno sconosciuto: ti piace. Hai una cotta per lui.
La consapevolezza prendeva spazio nella mia mente e si faceva più chiaro il motivo di questa mia reazione: sì, Bradley mi piaceva.
Una folata di vento mi fece rannicchiare su me stessa, misi le mani nelle tasche della giacchetta e strinsi le braccia al petto. Era evidente ormai che l'inverno sarebbe arrivato in due, tre settimane al massimo; e a me dispiaceva, erano così belli gli alberi che si coloravano! Non volevo vedere solo rami spogli.
Mentre stavo pensando ai pro e ai contro del cambio di stagione, un ragazzo si sedette di fianco a me. All'inizio non ci feci molto caso, fino a quando non vidi le sue scarpe: Vans leopardate.
Mi trattenni a stento dal ridergli in faccia. Dove credeva di andare in giro con quei cosi ai piedi?
Poi l' ilarità venne sostituita dalla tensione. Mi ricordai che l'unico ragazzo ad indossare quelle scarpe in tutta Rushwick era Tristan Evans, il popolare della scuola, quello dell'ultimo anno, il “figo” per le ragazze, rispettato, bramato e invidiato da tutti e da tutte.
Il mio cuore accelerò i battiti e feci fatica a deglutire. Ma che ci faceva Evans qua, In questo parco poco frequentato dalla gente “cool”? Per un attimo pensai si fosse perso.
Gli lanciai un'occhiatina di sfuggita.
Tristan indossava un cappello grigio sopra i capelli pettinati all'indietro, una giacca di pelle che lasciava aperta mostrando una camicia rossa a scacchi, che finiva nei jeans neri aderenti, stretti alla vita da una cintura nera.
Dal modo con cui si era quasi sdraiato sulla panchina lasciava pensare che la trovasse comoda; le gambe erano allungate e con il piede sinistro teneva il ritmo di una canzone che stava canticchiando. La mano destra era nella tasca della giacca, con quella sinistra teneva il cellulare, che ora stava fissando.
Sospirai. Da vicino Evans era ancora più bello. Le uniche volte che avevo potuto vederlo erano state esclusivamente all'interno della scuola, durante la mensa. Il suo tavolo veniva frequentato solamente dai suoi amici, altrettanto carini e intelligenti. Perché, come se la bellezza non bastasse, Tristan aveva avuto anche la fortuna di nascere con un buon cervello: ogni anno aveva vinto una borsa di studio per passare le estati all'estero.
“Scusa?”.
Feci un salto dallo spavento. Era stato Evans a parlare? Nel dubbio feci finta di niente.
“Ehi, tu..scusa?”.
Panico. Mi girai leggermente a guardarlo. Mi stava chiamando?
Ne ebbi la certezza quando mi trovai ad osservare due occhi azzurri, che ora mi stavano studiando con circospezione.
“S-s-sì?” gli risposi. Avevo bisogno di due cose: ossigeno e una telecamera. Il primo per scampare ad un attacco asmatico e la seconda per filmare questa scena totalmente fuori dal comune.
“Sei della zona?”.
“Certo”.
“Allora mi sapresti indicare dove si trova il negozio sportivo? Ho provato a cercarlo con Google Maps ma non riesco a trovarlo.” mi chiese Tristan con fare gentile.
Stavo vivendo un sogno ad occhi aperti?
Allora Evans era esattamente come tutti lo descrivevano. La sua voce era bassa, non parlava troppo velocemente ed emanava tranquillità. Gli occhi, poi, ricordavano il cielo invernale.
“Sì, ecco, devi proseguire sulla strada dietro di me, così arrivi vicino alla pasticceria. Là devi girare a sinistra e trovi il negozio.”
Lui mi guardò stupito.
“Ah, ma allora è qua vicino.” constatò con aria pensosa. “Va bene, grazie”.
E dopo avermi rivolto un sorriso si alzò e se ne andò nella direzione che gli avevo indicato.
Mi accorsi che le mie mani erano diventate gelide e che il mio cuore stava ancora battendo all'impazzata nel mio petto. Lo guardai andarsene e sospirai fortemente dal naso.
Mi scoprii felice di quell'incontro inaspettato. Se la giornata non era partita bene, stava per concludersi meravigliosamente.
Decisi di tornare a casa, anche perché sentivo davvero freddo. Salita le tre rampe di scale e trovandomi di fronte alla mia porta, non potei che esitare sentendo una melodia giungere dall'appartamento alle mie spalle. “Spero solo che le cose si mettano a posto, Brad” pensai prima di girare la chiave.
Dopo aver cenato mi feci una doccia e a letto proseguii la lettura di un libro.
Verso le dieci spensi le luci e mi misi a dormire.
Sognai che io ero a scuola, precisamente nella mia classe, quando un signore fece irruzione nella stanza, allarmando i presenti di un incendio. Dopo essersi messi in fila, vidi i miei compagni dirigersi sotto l'ordine del professore di spagnolo verso l'uscita più vicina. Ma io ero rimasta in fondo alla fila e nessuno se ne era accorto. Provai un senso di dovere verso un qualcosa che a me era sconosciuto, nel sogno mi vidi indecisa.
La mattina mi svegliai ansiosa. Ero già all'occorrente di ciò che sarebbe successo tra qualche ora.
Però mi preoccupava un dettaglio: perché nella mia visione ero stata così titubante?
Cosa o chi mi aveva fermata?




Ciao a tutti/e :)
In questo capitolo assistiamo ad un altro breve dialogo tra Cecilia e l'amato vicino Brad. Dopo che Bradley “saluta” malamente Cecilia (povero, non è neanche colpa sua), questa non vuole più vederlo. Rifugiatasi nel parco, luogo che ama per rilassarsi e pensare, incontra per la prima volta
Tristan Evans, il ragazzo più desiderato della scuola. Tornata a casa e dopo essersi addormentata, assiste ad uno dei suoi sogni premonitori, che la vede protagonista dopo lo scoppio di un incendio.
Finito il riassunto, vi ringrazio per la lettura. Un grazie particolare a lovingthedrummers , martina_montanaro2 , luct99 per le recensioni.
Vi invito come sempre a recensire perché voglio sapere cosa ne pensate, se avete da darmi vari consigli fate pure, scrivetemi tutto quello che più desiderate.
Se Daydream vi piace, vi invito a metterla nelle storie preferite/seguite così saprò se vale la pena continuarla.
Un abbraccio,

A xx

 

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Capitolo 5
*** Vision ***


Vision

Dopo averci pensato un po', decisi di vestirmi con dei jeans e una maglietta bianca che coprii con una felpa arancione. Se a scuola sarebbe successo qualcosa dopo la mia decisione di tornare indietro e di dare le spalle ai miei compagni, almeno qualcuno mi avrebbe potuta vedere con quel colore sgargiante.
A colazione bevvi the e mangiai tre fette biscottate con marmellata di albicocche. Non era giornata per badare alla dieta; mi sarebbero servite maggiori energie possibili.
Salutati (anche se con commozione) i miei genitori, uscii di casa. Al solito incrocio aspettai Daisy per quindici minuti e per fortuna, come previsto, non si fece vedere.
Le lezioni iniziarono come gli altri giorni alle otto, ma io non prestai la dovuta attenzione agli insegnanti; preferivo guardarmi intorno e osservare i miei compagni, ignari dell'avvenire.
Conoscere il futuro richiedeva anche dei nervi saldi: non dovevo mostrarmi agitata o spaventata e non potevo nemmeno rivelare a nessuno cosa sarebbe successo.
L'unica era aspettare l'ora fatale di spagnolo ma mi sembrava che la lancetta dell'orologio non volesse andare avanti. I minuti (che passarono lenti) furono estenuanti.
Finalmente, verso la metà della lezione di spagnolo, il signore che avevo sognato irruppe nella stanza: aveva gli occhi sgranati, il fiatone e il viso sconvolto. Lo identificai come il segretario del preside. Ci informò di un principio d'incendio nella mensa: dovevamo uscire il prima possibile, poiché l'incendio era stato appiccato nelle cucine.
Il che voleva dire: il fuoco non ci metterà molto prima di raggiungere le bombole di gas e, se i vigili del fuoco non sarebbero giunti in tempo, a far saltare in aria una parte dell'edificio.
Il mio prof ci ordinò di alzarci e di metterci in fila due a due, ma nessuno lo stava più ascoltando. Ci richiamò con un urlo rabbioso e si mise davanti alla porta per bloccare alcuni degli studenti che, senza rispettare le regole, volevano scappare in disordine. I miei compagni si misero allineati e solo allora il professore decise di aprire la porta e accompagnare la mia classe verso il cortile esterno.
Io mi trovavo in fondo alla fila ed ero consapevole che da quel momento in poi anche per me il futuro era un mistero. Seguendo i miei amici fuori dalla porta della classe mi venne immediatamente da chiedermi perché niente o nessuno mi stesse fermando e mi stesse facendo cambiare direzione come avevo visto nella mia visione.
Non l'avessi pensato!
All'improvviso sentii un grido lontano chiamare il mio nome. Ciò che più mi spaventò fu la voce del soggetto in questione: era quella di Brad.
Mi bloccai all'istante ma per un secondo mi riappacificai l'animo perché ricordai che tutto questo l'avevo già calcolato. Ed ecco che mi girai verso la mia sinistra invece di proseguire a destra dietro i miei compagni, che già erano arrivati alla fine del corridoio.
Sentii ancora la voce di Brad. “Cecilia! Aiuto!”. Questo bastò a farmi scattare verso il punto in cui mi sembrava che giungesse quel suono. E mentre correvo disperatamente e pensavo a quanto grande era la mia scuola, particolare a cui non avevo mai fatto caso, non mi passò nella mente che in realtà Bradley non frequentava la mia scuola.
Arrivai con il fiato in gola davanti alla porta della mensa ed ero decisa ad aprirla; sarei anche riuscita nel mio intento se non mi fossi ustionata la mano toccando la maniglia: era bollente. Tutto in quel preciso posto era caldo, anche l'aria che mi circondava. Con la mano destra viola che mi stava pulsando dal dolore a causa del contatto con la superficie rovente del pomolo, mi avvicinai alla porta con circospezione: volevo vedere attraverso le finestrelle cosa stava succedendo là dentro e trovare Bradley. Appena accostai gli occhi al vetro, non volli credere alla mia vista.
L'intera mensa stava andando a fuoco: la cucina, i grandi tavoli rettangolari, le scomodissime sedie.
Brad. Quest'unico pensiero mi fece sbiancare nonostante l'elevata temperatura dell'ambiente circostante. Mi aveva chiamata. E ora lui era là dentro.
Con disperazione cercai di far pressione a colpi di spalla sulla porta: ovviamente non riuscii a smuoverla di un centimetro. Presi a batterla con i pugni chiusi e mi misi ad urlare.
Da quando ero uscita dalla mia classe avevo perso la cognizione del tempo.. quanti minuti erano passati dall'avvertimento del segretario? La risposta mi giunse immediata tramite il suono della campanella dall'allarme che si trovava proprio sopra la mia testa: due-tre minuti, il tempo che il signore aveva impiegato per raggiungere la bidelleria.
All'improvviso accaddero tre cose:
1) in lontananza, gli alunni delle altre classi uscirono dalle aule per dirigersi verso il cortile;
2) qualcosa scoppiò dentro la mensa;
3) un dolore sovrannaturale si impossessò della mia mente.
Era così forte che mi lascia cadere di peso sulle ginocchia, gli occhi e i denti talmente stretti da non sentirli più, la mia testa chiusa tra la morsa febbrile delle mani: il mio corpo cercava di contrastare la spinta che mi sentivo arrivare dal centro del cervello. Dentro di me, sentivo solo due suoni: uno, simile a quello prodotto dalle unghie che graffiano la lavagna, il secondo era un urlo straziante di una ragazza. Nello spavento e nella sofferenza non capii che si trattava della mia voce.
Poi, il nulla. Buio pesto.


~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~


Quando rivenni fui accecata dalla luce di una torcia. Non riuscivo a sentire: nella mia testa era presente solo un rumore molto acuto e molto fastidioso, che non mi permetteva di pensare.
Eppure stavo così bene: era tutto così tranquillo, non sentivo male da nessuna parte. Richiusi gli occhi, per godermi appieno il momento. Ma la fortuna ha sempre un limite.
BAM! Fu come una bomba. Anzi, a pensarci bene aveva avuto in che di elettrico. Aspetta..cosa?
Sgranai gli occhi e presi un enorme respiro. L'ossigeno puro di una bombola di pronto soccorso che aspirai attivò tutte le mie capacità sensoriali in meno di un secondo. Davanti a me misi a fuoco quattro facce attente, oltre che ad un defibrillatore. Cosa?!
Realizzai diverse cose: ero sdraiata, all'aperto, con una mascherina per l'ossigeno sulla bocca e con quattro medici sopra di me che mi avevano rianimata con scariche elettriche.
Appena mi videro con gli occhi aperti e in stato cosciente (molto cosciente, dato che adesso stavo tentando con forza di alzami), i miei quattro angeli tirarono all'unisono un sospiro di sollievo; due di loro portarono via quello strumento minaccioso (il defibrillatore che mi aveva salvata) e tornarono con una barella. Mi caricarono di peso e solo dopo avermi assicurata per bene con diversi lenzuoli e svariate cinture, mi permisero di alzare lo schienale.
Volevo spiegazioni. Esigevo spiegazioni. Ma appena mi tolsero l'ossigeno, uno di loro mi tastò il polso mentre un altro mi ficcava una cannuccia in bocca: senza rendermene conto presi a bere come se fossi stata per un mese senza acqua.
Dopo altri accertamenti, ebbi la prima occasione di parlare.
«Cos'è successo?» domandai, un po' agitata.
«Questo lo dovresti sapere te. Ti abbiamo trovata in stato di incoscienza davanti alla mensa. Eri lì da sola, quando ti abbiamo vista. Sinceramente temevamo il peggio. Intossicazione da fumo.»
«Fumo? Ma se non ce n'era..».
«Come pensavo. Devi essere svenuta prima. E comunque si, il corridoio era pieno di fumo denso e nero. Sai, come in qualsiasi incendio». Mentre me lo disse, l'uomo mi passò una barretta energetica.
La presi volentieri.
Ero ancora confusa e in ansia.
«Non c'è stato nessun ferito? ». Non mi andava di collegare la parola “morto” con Brad.
L'uomo mi guardò con stupore. «Certo che no. All'arrivo dei vigili del fuoco la scuola era già stata evacuata del tutto». Poi ci pensò un istante guardandomi. «Beh, a parte un'eccezione».
Arrossii sconvolta. Eppure avevo sentito forte e chiara la voce di Bradley chiamarmi con urgenza.
Cosa mi era successo? Stavo diventando matta? Sentivo voci? Ci mancava solo questa, pensai con sarcasmo.
In ogni caso, dopo tre ore di controllo nell' infermeria della scuola mi lasciarono tornare a casa accompagnata da mia mamma. Lei era veramente sconcertata dall' accaduto, quasi più di me, la diretta interessata. Una volta entrate nel nostro appartamento mi fece il quarto grado; io le risposi raccontandole per filo e per segno cosa era successo. Tralasciai solamente il dettaglio di Bradley.
Ora ero stanchissima. Gli occhi mi si chiudevano da soli e la voce di Alice cominciava a rimbombarmi fastidiosamente nella testa: la paragonai al tono di Bradley, che era molto più basso rispetto a quel suo cinguettare e conclusi pensando a quella profonda di Tristan. Mi sentivo più sollevata.
Scusandomi con mia mamma, la informai che non mi andava di mangiare la cena e che sarei andata a dormire. Passai in bagno, dove mi feci velocemente una doccia fresca. I miei pensieri ritornavano costantemente a quella mattina, alla voce disperata del mio vicino di casa.
Mi asciugai in fretta il corpo e i capelli, poi mi diressi in camera mia dove infilai il pigiama. Controllai l'orologio: segnava le ventidue. Con un sospiro mi buttai nel letto.
Mi stavo per addormentare quando sentii picchiare sul muro a sinistra.






Ciao a tutti/e ! :)
Riassumendo il quinto capitolo: Una volta entrata a scuola e dopo aver rivissuto una scena che aveva già previsto nel sonno, Cecilia diventa vittima della sua mente. Rischia la morte. Ancora non è a conoscenza del fatto che presto le sue visioni si riveleranno più pericolose di ciò che ha sempre pensato.
Spero vivamente che apprezziate Daydream :) Io ci metto in ogni capitolo tutta me stessa.
Un grazie a luct99 e a Lovingthedrummers per le loro recensioni. Siete le migliori <3 !
Vi invito come sempre a lasciare una recensione per farmi sapere il vostro parere :D
Al prossimo capitolo,
A xx


 

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Capitolo 6
*** Truth ***


Truth



Il rumore inaspettato mi fece accelerare improvvisamente i battiti del cuore; mi ritrovai in una attimo con l'orecchio sinistro premuto contro il freddo muro.
Altri due colpetti che, seppur ancora leggeri, erano più forti dei primi. L'unica cosa che mi venne in mente fu “Brad”. E a quel pensiero persi altri battiti.
Risposi velocemente colpendo il muro facendo attenzione a non farmi sentire dai miei genitori. Poi mi buttai giù dal letto e chiusi la porta della mia camera a chiave.
Attraversai la mia stanza; non curandomi del fatto che fosse autunno e che io avessi addosso solo il mio pigiama, spalancai la porta-finestra del mio balcone. Arrivata all'estremità destra mi misi sulle punte e con l'indice picchiettai sulla finestra più vicina dell'altro appartamento.
Tornai con i talloni sul legno e puntai lo sguardo sulla porta-finestra dell'altro poggiolo, con le mie braccia incrociate al petto per difendermi dal venticello freddo.
Finalmente udii dei rumori e subito dopo una testa riccioluta fece capolino. Brad.
Notandomi nel buio le sue spalle scesero in segno di sollievo; dopodiché si avvicinò. Anche lui era in pigiama -e cioè in pantaloncini azzurri e canottiera- e nel constatarlo arrossii. Strinse il parapetto con le mani e alzò lo sguardo. Ringraziai nella mia mente chiunque avesse progettato la casa: i nostri balconi distavano poco meno di mezzo metro, permettendomi ora di ammirare gli occhi scuri di Bradley nella notte.
«Ehi Cecilia» mi salutò con la sua voce un po' roca «Ho sentito della tua scuola oggi. Come stai?».
«Beh sicuramente meglio, grazie» risposi con una risata fioca. La mia finta felicità non ebbe effetto su Brad: i suoi occhi rimasero attenti, le labbra si strinsero un pò di più.
«Mi hanno detto che sei stata l'unica a rimanere dentro l'istituto quando..».
«Sì, è vero» lo interruppi frettolosamente abbassando lo sguardo, temendo la prossima domanda.
«Mi vorresti spiegare perché?» chiese lui con fermezza.
“Ecco, lo sapevo. Avrei dovuto aspettarmelo.. e adesso che posso dirgli? Non posso rivelargli che praticamente l'ho visto bruciare nella mensa!”. Al solo ricordo un brivido mi attraversò la spina dorsale.
Decisi che la cosa migliore era il silenzio; nella notte si sentiva solo lo scrosciare dell'acqua del fiume nel parco.
Notai di aver tenuto gli occhi abbassati solamente quando dopo un paio di secondi Brad allungò una mano e dolcemente mi alzò il mento con la punta delle dita. Poi ritornò con le mani al parapetto.
«Senti, so anch'io che non ci conosciamo. Ma ci tengo a te, credo che possiamo diventare amici, no? Quindi rispondimi, mmh?».
Non riuscivo a guardarlo, girai la testa a sinistra verso il buio parco; una lacrima scese dall'occhio destro e allo sbattere delle mie ciglia cadde sulla guancia. Fu seguita da altre. Non volevo rimanere lì, davanti a lui, in quello stato. Io non piangevo. Io ero la ragazza allegra e senza problemi. “Ma cosa stai facendo? Sei ridicola! Stupida ragazza, non farti vedere così”. Girai le spalle a Brad e con le mani mi nascosi la faccia, entrando nella mia camera. Silenziosamente mi misi sotto le coperte a pancia in giù, la testa affondata nel morbido cuscino, cercando di attenuare i singhiozzi. Non so per quanto continuai ma era ormai da un bel po' che il mio corpo stava sobbalzando su e giù e il cuore iniziava a farmi male. Tirai su la faccia per prendere una boccata d'aria, le mie braccia adesso erano strette al cuscino e i miei capelli mi coprivano la visuale.
Dal lato sinistro sentii il materasso piegarsi sotto il peso di qualcuno. Appoggiai la guancia destra e guardai dietro la mia spalla sinistra.
Bradley era seduto sul bordo del mio letto. Le sue gambe erano leggermente aperte e con il piede destro tamburellava un ritmo regolare. Era piegato in avanti con i gomiti appoggiati alle cosce e con la mano destra si stava rigirando i numerosi braccialetti legati al polso sinistro. I capelli gli scendevano sulla fronte ma mi permisero di capire che aveva lo sguardo perso sul pavimento.
Possibile che fosse affascinante in ogni situazione?
Mi tirai su a sedere, le coperte mi coprivano le gambe. Strinsi le ginocchia al petto.
«Come hai fatto a venire qua?» bisbigliai curiosa.
«Ho scavalcato. Dopo tutto non è così difficile» mi rispose rimanendo nella stessa posizione.
«E perché?».
Lo avevo chiesto in un sussurro che quasi io stessa non avevo sentito. Bradley si girò e i suoi occhi intercettarono immediatamente i miei.
«Sei te che devi rispondere prima a me. E poi la tua reazione non si spiega».
«E va bene. Sono andata nel panico e il luogo che mi sembrava più sicuro era il bagno, sono corsa là ma poi c'è stata quell' esplosione e..» .
«La vuoi smettere?» mi interruppe freddamente. «Basta. Voglio la verità».
Lo guardai sorpresa. A parte il fatto che io non riuscivo a mentire, ma bloccarmi in quel modo? Comunque mai e poi mai gli avrei raccontato della mia visione. E poi chi si credeva di essere? Stavo provando una strana sensazione d' odio. Seguirmi fino in camera per poi fare il prepotente, alle undici di notte?
Lo guardai dritto in faccia. «Non ti dico perché sono rimasta là dentro, ok? Spero che tu te ne possa fare una ragione».
Alla mia risposta il suo piede si bloccò di colpo; me ne accorsi perché il mio letto aveva smesso di muoversi. I suoi occhi mi guardarono con disprezzo, vidi tendersi la sua mascella. Ma subito dopo sospirò, lo sguardo si riempì di dolore.
«Me ne vado, ho capito. Ma prima devi dirmi: non volevi morire, vero?».
Lo stupore per quella domanda mi fece spalancare gli occhi. Una parte dentro di me si ruppe, non so spiegarne il motivo.
«Non dici sul serio. No, te non dici sul serio». Scuotevo la testa a destra e a sinistra in segno di diniego; sembrava che lo facessi più per convincere me stessa che lui «Ma come fai a pensare una cosa simile, su di me? Come?».
«Ehi, ehi, calma.. cioè io non volevo, però l'ho pensato.. volevo solo poterne essere certo, insomma.. te ti sei girata piangendo e io..» Bradley si stava tormentando le mani, agitato.
«No. Io non voglio morire» . Dopo la mia affermazione rimasi immobile, così come lui. Forse avevo alzato un po' troppo il mio tono di voce e mi rischiarai la gola.
«Scusa» soffiò Brad tra le labbra. «Ora è veramente tardi, è meglio se vado..se entrano i tuoi genitori e mi vedono chissà cosa penseranno».
«Non preoccuparti, la porta è chiusa a chiave».
«Comunque ora vado».
Si alzò dal letto rivolgendomi la schiena. Percepii un tremito nella sua voce.
«Brad..» lo richiamai a mezza voce. Lui si girò sovrappensiero, mordendosi il labbro inferiore.
Lentamente sfilai la gambe fuori dalle coperte, appoggiai i piedi per terra e mi alzai, trovandomi a un passo da Bradley e con il cuore in tumulto. Lui adesso mi guardava con più attenzione, curioso, le braccia lungo i fianchi. Avanzai con un passo e coprii la poca distanza che c'era tra noi due. Ora il cuore mi stava esplodendo. Tirai un lieve sospiro per tranquillizzarmi, anche se non ci riuscii. Sollevai lo sguardo fino ai suoi occhi che mi scrutavano veloci. Automaticamente alzai la mano destra toccandogli la sua guancia e il suo petto si alzò leggermente. Avvicinai lentamente le mie labbra socchiuse alle sue, e chiusi gli occhi solamente dopo averle fatte combaciare insieme.




Ciao a tutti/e :)!
Dopo una lunghissima attesa, di cui mi scuso, finalmente sono riuscita a scrivere il sesto capitolo. Devo dire che finora è il mio preferito, giusto per il finale. Ma anche per il carattere di Bradley, che cerca di parlare con Cecilia e di conoscerla un po' di più. Ringrazio luct99 , _Ashes_ , Elisa29_01 per le recensioni: GRAZIE :3
Come al solito vi ricordo di lasciare una recensione per farmi sapere la vostra opinione sulla storia o solo sul capitolo o su qualunque altra cosa abbiate in mente :)
Se volete, aggiungete Daydream tra le storie preferite/seguite ecc.
Grazie a tutti per la lettura,

Axx


 

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