Lieb Tagebuch

di chiara_raose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Odio ***
Capitolo 2: *** II - Insopportazione ***
Capitolo 3: *** III - Collaborazione ***
Capitolo 4: *** IV - Rivelazione ***
Capitolo 5: *** V - Uno come Te ***



Capitolo 1
*** I - Odio ***


NdA • Salve! Rieccomi nel fandom hetaliano a ripartire con una storia che avevo scritto ma che ho eliminato per riscriverla meglio -e con l'intento di gestirla meglio. Non me ne vogliate, ma non l'avrei mai continuata così come stava venendo e com'è rimasta bloccata per anni!
Spero che possa piacervi questo piccolo esperimento di scrittura >w< e grazie in anticipo a chi leggerà/recensirà o apprezzerà questa storia ^^





Esiste un momento in cui la coscienza urla all'interno del tuo animo; strepita e scalcia per poterti avvisare, con buonsenso, che è il caso di fermarsi, di non fare qualcosa di tanto infimo. Probabilmente ora la sua voce si farà suadente, cercherà di tentarti a rinunciare ai tuoi intenti. C'è sempre un momento in cui la correttezza, la fiducia e la realtà ti fermano dal fare un gesto infantile, insensato...
C'è da considerare, però, che a te non è mai importato molto, vero Gilbert?
Ancor meno mentre hai tra le mani quel blocchetto: piccolo quanto metà di un foglio comune, la copertina rigida e scura, ruvida al tatto con appena gli angoli smussati in modo quasi impercettibile. I chiari segni del tempo presenti anche sulle pagine un po' ingiallite, per quanto tenuto bene, ti esprimono sussurrando la vita datata di quel piccolo oggetto, ancor più di quanto lo facciano urlando le scritte e le date al suo interno. Raffinato come il proprietario, non riesci a fare a meno di pensarlo con un mezzo sorriso di scherno sulle labbra. Le dita assaporano il bordo della copertina, scivolano tra le pagine carezzandone il profilo, pinzandole appena come a metà tra la tentazione e l'indecisione del sfogliarle, aprirle, rivelarle. Non hai più sentito le dita fremere in quel modo da parecchio tempo, vero? È una sensazione che vibra nelle vene e pulsa nelle arterie; pressante ed invitante. Ti volti a guardare la stanza deserta, semibuia sotto la flebile luce di una lampada. Resti in silenzio per carpire possibili ed ulteriori presenze oltre quella soglia chiusa. È forse la prima volta che il silenzio ti rincuora tanto da farti sfuggire un sospiro di sollievo dalle labbra. Sei ancora incerto se curiosare o lasciar perdere e non violare così la privacy altrui; ma è un momento che ti passa solo fugacemente per la testa. Non ti è mai davvero importato così tanto della privacy altrui, ammettilo. Quando la tentazione si fa troppo grande perché tu possa reggerla sulle spalle, finalmente ti decidi ed apri una pagina a caso, giocando con te stesso a scommettere cosa vi troverai: scritte? Disegni? Appunti di accordi e note musicali? Fotografie così vecchie da sembrare appartenenti ad un altro mondo?


11 febbraio 1763
Un'altra guerra è finita. Altri sette anni volati e svaniti come fumo all'aria. So bene che quelli come noi hanno la concezione temporale particolarmente distorta; ma è quantomeno incredibile come, durante i periodi di guerra, le lancette dell'orologio paiono muoversi con la lentezza di una chioccia che si trascina controvento. Finalmente, almeno, è finita. Non è finita nel migliore dei modi, lo ammetto, e se ci penso mi vengono i brividi ancora ora per il nervosismo che mi causa. Cerco di essere il solito ottimista e, finalmente sollevato, posso prendere fiato per un solo momento dopo che ieri, a Parigi, è stata firmata la pace: la conclusione di questa faccenda. So bene che per i miei regnanti e Maria Theresia più di tutti, non è finita qui... e da domani neanche per me. Sarà per questo che mi soffermo un attimo ora a scrivere qualcosa di diverso dai documenti e dalle firme, senza soffermarmi a pensare al linguaggio, alle regole o chissà cos'altro. In fondo, non chiedo che un momento d'aria. Non avendo il pianoforte, né il violino, né nessun altro strumento a portata di mano, finisco per rovesciare tutto in alcune piccole pagine, sperando di riuscirci in egual misura.
Com'è finita la guerra? Non lo saprei spiegare. Come nazione non posso definirmi completamente vinto, ma neanche lontanamente vittorioso dal momento in cui la Slesia è rimasta lì dov'era: nelle mani di Preußen.


Eccolo, nella penombra di quella stanza chiusa. Eccolo sotto la flebile luce artificiale della lampada. Quel sorriso di soddisfazione al ricordo di quel momento, sia quello della conquista, sia quello del mantenimento. Cosa c'è di male? Ne sei consapevole che, chiunque, sarebbe felice ed orgoglioso quanto te per una cosa simile -e, al contempo, nessuno come te. Inumidisci le labbra, sentendole secche, apparendo come un felino che si lecca i baffi dinanzi alla più prelibata pietanza. La portata più grande e ricca di tutto il pasto è esattamente lì, tra le tue mani, a farsi e lasciarsi docilmente sfiorare ai polpastrelli delle tue dita. Quale occasione migliore per poter leggere oltre una barriera che avvolge da secoli, ormai, la figura altrui. Come se, come tutti, ti credesse incapace di capire che quegli occhiali sono solo una mera barriera da quella parte di anima che rivelerebbero i suoi occhi. Come se, come tutti, anche lui ti credesse stolto al punto da non ricordare o non aver notato il cambiamento nel corso della sua crescita. Come se, come tutti, ti ritenesse incapace di osservare qualcun altro al di fuori di sé e di un riflesso allo specchio. Lo sai bene anche tu, in fondo, che il tuo egocentrismo altro non è che un grido disperato, una richiesta d'aiuto ed una supplica che ricorda a tutti di essere lì: esistere ancora.
Prendi un profondo respiro, non vuoi esser condizionato dal malumore di un damerino come l'austriaco e dalla sua fine calligrafia. È decisamente meglio perdersi tra quelle lettere scritte così piccole da affaticarti la lettura, quasi si volessero nascondere da loro stesse. La somiglianza col proprietario è impressionante ed il strano sorriso che ti fa nascere sulle labbra ti spaventa per un momento: tenerezza. Come sei arrivato a pensare e definire tenero un paragone così sciocco? È possibile provare tenerezza dinanzi a queste piccole cose, anche quando le pagine che stai leggendo non mostrano altro che rancore ed invidia? Questa volta trattieni il fiato, cancellando possibili pensieri eccessivi e ripetendoti di non lasciarti trascinare; vuoi solo mirare a goderti quel prelibato pasto che sostieni con gesti abitudinari. In fondo, hai la possibilità di vedere cosa lui pensa di te. Fa uno strano effetto, vero? Accanto al proprio nome, in quel diario, non può esserci solo la parola odio ed il suono della pagina che crepita sotto le dita, invogliandoti a scoprirne di più, è come una tacita conferma per te.
« Gilbert? Sei in casa? »
Scheiße!

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Capitolo 2
*** II - Insopportazione ***


NdA • Rieccomi qui con l'aggiornamento! Spero possa essere di vostro gradimento! Intanto ne approfitto per ringraziare Eisen im Blut, sedicesima_luna01 e Rapidash per le parole che mi hanno dedicato nelle rispettive recensioni del precedente capitolo. Grazie davvero di cuore!





La porta che si apre non l'avevi proprio prevista. Tutto ti saresti atteso da quel momento in poi, addirittura un terremoto o un tornado, ma non lui. Tra tutte le possibili catastrofi, non puoi che pensare a quanto, quella di sentire rincasare l'austriaco, sia la più apocalittica immaginabile. Pare quasi strana la sensazione di inquietudine e terrore che attraversa la colonna vertebrale nel sentirne i passi che percorrono il corridoio. La Grande Prussia che teme dei passi fluidi ed eleganti, leggeri come se solo sfiorassero il pavimento caldo di casa; l'andatura tranquilla, priva di frenesia o fretta, in qualche modo aggraziati come stesse danzando con l'aria: esattamente quella pacatezza così disarmante ed ipnotica che lo rendeva quasi buffo a volte ai suoi occhi da guerrafondaio. Chiudi il diario in tutta fretta, stringendo tra le dita quel tesoro e ti rendi conto solo ora, guardandoti attorno, di quanto tu non voglia davvero abbandonarlo da qualche parte. Come potresti mai perdonarti di aver lasciato in un angolo, dimenticato, qualcosa di così unico e raro? Quando mai, uno come Gilbert, non sfrutta quell'oggettino così fragile a proprio favore con piccoli scherzi o possibili ed impensabili ricatti? La penombra lo salva ancora e, tacitamente, condivide il segreto di quelle pagine e di quel piccolo gesto clandestino che le rivela. Nel silenzio, il deglutire profondo, le labbra che si stringono con forza ed insistenza, con le dita che tremano nell'incertezza, anche più di quando la domanda era se aprirlo e leggerlo o meno, quel diario. Di nuovo il rumore dei passi e l'andatura leggera che ha imparato a sentire come un animale percepisce il proprio predatore avvicinarsi, con la medesima prontezza di una predatore che punta la propria vittima giornaliera... Ed ora sta facendosi sempre più vicina. Che fare?
« Gilbert? Sei in casa? »
La porta che si apre ti spaventa, ma sei troppo orgoglioso per ammetterlo, troppo orgoglioso per poter dire “stavo facendo qualcosa di sbagliato”. Te, la Grande e Magnifica Prussia, non sbagli mai, vero? Il diario svanisce quasi, dietro la schiena in maniera istintiva; esattamente come farebbe un bambino sorridi distendendo le labbra e mostrando tutto quel che puoi della dentatura candida, dinanzi alla porta che si apre. Serve un'idea; rapidamente anche! Il sorriso, però, non smuove l'espressione altrui, contornata e accentuata forse dal riflesso delle lenti che brillano da quella luce nel corridoio, rispetto a quel luogo segreto dove, silenziosamente, è calato anche il buio. Preghi che quel buio ti sia complice, come il silenzio delle tue stesse parole nel non saper mantenere decentemente un segreto troppo a lungo; sorridendo semplicemente mentre continui a pensare dove lasciare quel diario perché l'austriaco non ti scopra. Lo osservi avvicinarsi, superando finalmente la soglia ed accendendo la luce. La lampada che si illumina improvvisamente ti acceca e gli occhi urlano per quella violenza subita. Le mani abbandonano quel tesoro rapidamente, lasciandolo lentamente scivolare in un tonfo che speri non sia udibile quanto lo hai sentito tu: col tocco di un elefante in una cristalleria.
« Potevi anche rispondere; è buona educazione »
« Strano che tu venga a dire a me qualcosa come l'educazione, proprio tu che stavi cacciandomi di casa a calci »
Lo stuzzichi e ti diverti, si vede. Non riesci a non ridere, ghignare probabilmente, dinanzi all'espressione indispettita dell'austriaco che non ha palesemente intenzione di dartela vinta. Quanto orgoglio dietro quelle lenti finte. Chi spera di illudere proteggendosi dietro quegli strati vetrati e trasparenti? Le sue palpebre si serrano per un momento, come le dita che si stringono nel trattenersi dal sospirare, col petto che si gonfia leggermente, bloccando quel respiro a metà.
« Probabilmente perché qualcuno si è intrufolato in casa mia pretendendo di passare qui le sue vacanze? »
« Non sei felice che ti faccio compagnia? Saresti qui solo come un cane altrimenti, ammettilo »
Non sai come mai ti siano uscite quelle parole; una volta tanto in vita tua, in fondo, non volevi essere così crudele e schietto con quel maestrino bacchettino che, per quanto abbai non morde, tenendoti ancora in casa piuttosto che lasciarti sotto un ponte. Probabilmente lo fa per pietà, per la tua continua e pressante insistenza, ma notando i suoi occhi dilatarsi per un momento, leggermente, arrivi a comprendere che potevi tenere la bocca chiusa.
« Cosa ti farebbe pensare che io non possa avere compagnia all'infuori di uno come te? »
Le parole lo raggiungono al pari di un colpo di fucile; dritto nel petto a trapassare lo sterno e devastare la colonna vertebrale. Uno come te. La pensava come tutti gli altri su di lui, era inevitabile. La rassegnazione inizia a dolere e pesare sulle spalle, affaticando addirittura le dita della mano. Ti rendi pian piano sempre più conto di un pensiero che ti spaventa e ti fa inorridire al contempo: Gilbert, la Gloriosa Prussia che cerca, tra tutti, di esser visto dagli occhi ametista di quel dannato signorotto d'altri tempi. Perché? Perché mai avrebbe dovuto volerle, quelle iridi? Perché mai avrebbe dovuto desiderare la sua attenzione? Te lo ripeti tante volte, ma non mezza pare essere realmente convincente, mentre la mente prende a viaggiare, vagare e disperdersi in quelle stesse parole; parole che riecheggiano da una parte all'altra del cranio, nel petto fino a far morire anche le farfalle nello stomaco in quel disperato volo a vuoto: uno come te.
« Hai ragione » rispondi con un moto d'orgoglio che porta l'irritazione a schizzare sino a raggiungere le stelle, capace di afferrarle e bruciare con loro. La doppia faccia della medaglia dell'orgoglio: il cedervi equivarrebbe al sciogliere la tentazione ma, al contempo, concederti nella devastazione. « Perché mai dovrei aver bisogno di un signorino isterico come te? Voglio dire: esistono tanti modi per allontanare la gente da sé, ma a quanto pare il quattrocchi qui presente riesce a mantenere il primato se riesce a superare il limite di rendersi completamente insopportabile pure ad uno come me. Dimmi un po', dove avresti intenzione di andare per le prossime vacanze? Da qualche tuo ex-coniuge o al circolo ago e filo? »
Non hai più fatto caso al diario che, fino a poco fa, appariva come l'oggetto di inestimabile valore più raro che potessi mai trovare. L'unica cosa che ora pare aver assunto importanza, in quella stanza, è lo schioccare della sua mano contro la tua guancia. Sogghigni sentendo quasi quel suono ripetersi dieci, cento e mille volte dentro l'orecchio, facendo vibrare il timpano ad un ritmo insopportabile. Sorridi, però, tornando a guardarlo con l'orgoglio e la soddisfazione della vittoria, in bocca: la consapevolezza di averlo spinto violentemente con le spalle al muro.
« Femminuccia »
commenti a denti stretti mentre le iridi altrui iniziano a brillare. Odio, rancore, insopportazione. La matassa del suo animo che inizia a rivelarsi dietro quel spesso ed invalicabile muro di cemento. Sei stato già abbastanza dietro un altro muro, forse è per questo che cerchi in ogni modo di abbattere anche quello altrui... anche quando, dinanzi ai loro occhi, non sei altro che 'uno come te'. Che stupido.
« Complimenti, Gilbert. Ci sei riuscito anche stavolta a ricordarmi il motivo per cui non ti voglio in casa. » Lo guardi assaporando ogni momento di quella sua espressione. I ricordi ti assalgono e sorridi stupidamente nel rammentare che, effettivamente, è l'espressione più viva ed accesa che ti abbia mai dedicato. Cosa vai mai a pensare, Gilbert? Non c'è di cui preoccuparsene, ma solo da goderne in abbondanza, in ogni secondo che viene concesso. Scendere a patti con l'orgoglio, in fondo, vuol dire anche questo.
« Vattene. »
Si è offeso per il tuo sorriso. La guancia arde ancora e lui, quasi incoerentemente in un certo senso, esce da quella stanza di scatto. I passi sono ora affrettati, per quanto leggeri, meccanici, per quanto eleganti. Non si smentisce mai. Quando la porta si chiude, il buio ed il silenzio tornano a regnare e anche le parole ed i pensieri tornano ad opprimere. Il diario è ancora lì e il tuo sguardo vacuo ancora si posa sulle pagine che, cadendo, si sono aperte. La calligrafia è sempre la stessa e sei certo che la riconosceresti tra mille; esattamente come non hai bisogno di mettere eccessivamente a fuoco le parole che concludono la pagina di chissà quale giornata della sua esistenza. È proprio il caso di levare le tende, ma non ha intenzione di abbandonare lì il diario. Un dispetto, un ricordo, non sa il reale motivo per cui si spinge a recuperarlo, dietro l'angolo della libreria dov'era stato lanciato.


Quell'albino è davvero insopportabile.

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Capitolo 3
*** III - Collaborazione ***


NdA • Eccoci di nuovo qui! Chiedo venia per il ritardo ma, quando una persona decide di scrivere, il mondo si coalizza contro, come sempre ù.ù
Volevo ancora ringraziare Rapidash per l'ultima recensione e tutti quelli che recensiranno o leggeranno in seguito, sperando che sia di vostro gradimento per quanto l'abbia scritto un po' velocemente e a tratti questo breve capitolo T.T!





Quell'albino è davvero insopportabile.
Nonostante l'alleanza, non pare cambiare assolutamente nulla tra noi. È snervante tutto ciò. Speravo che, vista la situazione, un minimo di accordo lo avremmo trovato; invece, come al solito, il dialogo è sbocciato in una discussione che mi ha lasciato come unico ricordo un fortissimo mal di testa.


Quelle parole pesavano come macigni e, guardando fuori dal finestrino del pullman sopra il quale ti sei precipitato, non pare esser cambiato nulla neanche nel paesaggio. Nuvole e cielo che promettono pioggia rendendo cupa anche una città come Vienna ed i suoi mille palazzi d'altri tempi. La testa che si poggia contro il vetro freddo, pesantemente, mentre lo sguardo ricade sul diario e la data che porta in cima, in un angolo: 21 aprile 1792. Analizzi in silenzio il tratto della penna e dell'inchiostro, il modo curioso in cui curvava sull'uno e l'eleganza del sette: la tua mente, però, vola al giorno prima di quello stesso anno, quando fu creata la prima coalizione antifrancese, a seguito della dichiarazione di guerra nei confronti del Sacro Romano Impero Germanico. Non puoi negare, effettivamente, che trovarsi nella medesima stanza con Arthur, Antonio, Sud Italia, Portogallo e l'austriaco non aveva prodotto grandi risultati al di fuori della coalizione stessa. Anche quella volta vedesti sul volto dell'austriaco la medesima espressione di odio e devastazione in seguito alla vostra ennesima discussione, prima di vederlo fuggire, allontanarsi cercando di fare l'oggettivo. Conosci ormai bene com'è fatto lo stitico quattrocchi: fugge dalle liti, dalle discussioni, dalle urla e da parole grosse; fugge quando le ferite iniziano ad esser troppo grandi per poterle nascondere dietro una montatura sottile come quella.
Il nodo alla gola inizia a farsi sentire, il masso al petto capace di bloccare anche lo stomaco pure. Ti sei sentito ferito a tua volta dal suo modo di fare e non ti aspettavi che Roderich cedesse così in fretta alla permalosità. Quella volta, in quel lontano giorno d'aprile, avevi detto anche di peggio e lo rammenti con una crudeltà dilaniante anche per la tua stessa memoria. La tempia ha lasciato la sua orma sul vetro mentre la luce del giorno inizia ad abbandonare anche la coltre di nubi che la cela... e tu osservi l'aereo che passa. È lì che stai dirigendoti, è là dove ti immergerai in cerca di una risposta a tante cose, forse proprio tra le pagine di quel diario che sei riuscito a rubare. La fantasia vola ad immaginare l'austriaco che lo cerca per tutta casa con la disperazione ed il terrore di chi pensa a quali mani lo stiano stringendo in quel momento; quali dita stiano custodendo i suoi possibili segreti ed i suoi ricordi. Chissà se avrebbe scritto qualcosa anche d'oggi.


[…] Non so se rimanere più scioccato o interdetto dinanzi a lui. Non riesco a dimenticare quel che mi ha detto un po' di tempo fa. Non penso possa esistere nessuno capace di distruggermi con una parola al di fuori di questo fastidioso nemico/amico. Fa male e non riesco a capire il perché. Fa male e la cosa mi spaventa. Lo osservo tra le carte mentre discutiamo di strategie e colloquiamo con una tranquillità che pare irreale. Fa male, forse per l'abitudine, ma fa male pensare che sia addirittura così tremendamente piacevole. Non riesco a ricordare un'altra volta dove abbiamo collaborato in questa maniera io e lui. Non riesco a ricordare un momento dove l'ho visto diverso dal solito guerrafondaio egocentrico e megalomane. Davvero può essere tutto così facile tra noi? Davvero è fattibile una collaborazione?

Caro diario, ho paura di quel che sto arrivando a pensare.

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Capitolo 4
*** IV - Rivelazione ***


NdA • Per farmi perdonare del ritardo e della brevità del precedente capitolo, pubblico prima questo! Ci sono alcuni riferimenti storici anche qui, anche se più specifici e dettagliati rispetto a prima. Spero di non mettere in difficoltà ed essere stata sufficientemente chiara a riguardo, per quanto siano giusto degli accenni @.@
Come sempre grazie a tutti quelli che recensiranno o leggeranno in seguito, sperando che sia di vostro gradimento e ci vediamo al prossimo ed ultimo capitolo ^^





Caro diario, ho paura di quel che sto arrivando a pensare.


Quante volte hai riletto quelle parole? Quante interpretazioni la tua mente è riuscita a dare e quante le righe nascoste i tuoi occhi hanno visto tra quelle lettere? Hai cercato di ricordare anche il momento di cui l'austriaco parla, in quelle poche righe così fini e fitte da far male agli occhi; purtroppo, però, senza risultato. Come puoi aver eliminato dalla tua mente un momento così importante tanto da portare Roderich a scrivere sul suo diario, a riguardo? Ti batti una mano in fronte, a palmo aperto e ad occhi chiusi. Ignori con uno sforzo immane la gente attorno a te all'aeroporto, sorridendo come uno scemo a chi ti ha visto ed ora ti osserva con un'espressione indecifrabile. L'istinto dice di nasconderti col diario, ma a te parrebbe mostrare a tutti quel che hai fatto portando via qualcosa di non tuo. L'orgoglio te lo impedisce. Il tabellone aggiorna i caratteri luminosi e tu vedi, finalmente, l'orario dell'aereo diretto a Berlino. Hai avvisato Ludwig che lo avresti raggiunto, ma il gesto istintivo delle labbra che si stringono non ti aiuta a trovare la giusta determinazione per farlo. La borsa appare come inchiodata al suolo e le scarpe non sono mai state tanto pesanti. Chissà se stanno dando un segnale ad un animo che sta allungandosi verso le porte che, poco fa, sono state l'ingresso verso l'uscita. Che ironico ossimoro quello che spinge le spalle a raddrizzarsi sotto un brivido; una di quelle scariche elettriche capaci di strappare un sospiro a labbra schiuse a cui non sai dare significato.
Cosa ti farebbe pensare che io non possa avere compagnia all'infuori di uno come te?
La mano passa sul viso, scivola sulle labbra con irritazione e rassegnazione al contempo. Il petto ancora freme e si raggela al solo ricordo di quelle parole. È proprio quello il problema. È proprio lì che l'ago penetra nel cuore con una decisione degna di una lama ardente nel costato. In fondo, sei consapevole di non poterti aspettare nulla di differente vista l'immagine che il mondo ha di te, che ha avuto grazie ai tuoi atteggiamenti e che sempre avrà, intramontabile ed indelebile sul tuo volto. In fondo, speravi che lui fosse capace di vedere oltre, esperto com'è in quelle cose rispetto a te, così abituato a stringere l'elsa di una spada o il grilletto di un'arma; o, almeno, è ciò che, ricordando le parole che ti ha detto, continuavi a pensare. Un pensiero costante e martellante a cui la mente si è ormai abituata, non è vero? Allora perché quelle sue ultime parole scritte in modo così frettoloso sul foglio sono state in grado di sconvolgerti? Come è stato possibile che uno come te, leggendo quelle lettere, abbia visto tutto il suo mondo di credenze e pensieri crollare e scivolare come sabbia tra le dita? Cosa significano quelle parole per te, Gilbert? Cosa significano quelle parole per te, Roderich?
Il suono dell'avviso, la voce che annuncia l'imbarco per il tuo volo riportano la mente alla realtà, dentro quelle altissime pareti dove la luce artificiale inizia a regnare sul buio della sera. Senti le gambe indolenzite, rendendoti conto ora di quanto hai atteso in piedi, immobile come un baccalà. Sogghigni a nascondere l'imbarazzo anche a te stesso, lasciando campo all'egocentrismo che ti regala la sicurezza necessaria per camminare ancora a viso alto. Leggerai un po' del diario mentre sei in volo...


19 aprile 1864
A gennaio abbiamo ripreso le ostilità con la Danimarca. Fa uno strano effetto tornare a vedere Gilbert dal medesimo fronte anziché dall'altra parte del tavolo a sogghignare come un predatore dinanzi alla vittima designata. Fa strano non sentirmi addosso quello sguardo, anche questa volta. Non mi capita spesso di vedere le sue spalle o averlo di fianco ad esaltarsi per una vittoria come è stata quella di ieri a Dybbøl...
Tutto questo è strano. Non riesco a guardarlo come prima dopo queste alleanze. Non comprendo neanche per quale motivo me ne sento così dannatamente condizionato. Inizio a non sapere neanche più cosa scrivere, cosa incidere in queste pagine e cosa lasciar correre. I pensieri ed i concetti diventano sempre più schematici nella mia testa nel tentativo di tornare com'ero e come sempre sono riuscito a rimanere capace di contegno, tranquillità ed oggettività. Stavolta, però, non ci riesco. Non ci posso riuscire? Perché?

[…] giugno 1864
Penso di aver fermato Gilbert sul punto di uccidere uno di noi. Siamo di ritorno da Als e la Danimarca inizia a presentare le richieste di cessare il fuoco. Gli accordi sono semplici lui si prenderà lo Schleswig ed io Holstein... ma Bismark non mi convince. Ciò che non mi convince, però, è l'espressione che ho visto negli occhi di Gilbert quando l'ho chiamato. Non rammento neanche io quando ho cominciato a chiamarlo per nome anziché con il solito appellativo nazionale. Più ci penso, più mi pare di perdere tra i ricordi quel singolo secondo in cui è cominciato lo strano meccanismo che mi ha portato a chiamare Lui per nome in modo così istintivo e familiare. Non ricordo di averlo mai fatto prima e dalla sua espressione non posso che trarne conferma. Ho visto le fiamme di una bestia placarsi dinanzi ad un solo nome per la prima ed unica volta in vita mia.
Che male c'è? È un mio attuale alleato, no? Non dovrebbe essere normale?

[…] settembre 1864
Appuntamento il 30 ottobre, qui a Vienna, per il trattato definitivo già stabilito tra luglio ed agosto scorso. Temo che con Gilbert non durerà ancora molto questa sorta di pace. Nulla tra noi dura mai troppo vero?
Neanche i sogni, in fondo, durano per sempre.


Neanche i sogni durano per sempre. Ha ragione. Non sei mai riuscito a far durare un sogno più di un tot e, anche con lui, proprio dopo quegli accordi di cui parla in quelle pagine, s'era sgretolato tutto. La guerra austro-prussiana e l'indipendenza italiana del '66... e poi la visione di lui dinanzi all'altare. Senza di te. Ricordi bene quel periodo, vero? Il momento in cui il cuore ti era parso crollare in un abisso più profondo dell'oceano stesso. L'avevi finalmente visto come non eri mai riuscito a vederlo prima ma, come al solito, l'hai fatto troppo tardi. Anche ora, in fondo, non ti sei accorto troppo tardi di quanto le tue parole abbiano potuto ferire? Un sospiro divertito ti strappa l'aria dai polmoni ed il respiro, soffocato dal nodo alla gola per il quale stringi i denti e nascondi gli occhi dietro le palpebre. Uno come te non può stare male. Uno come te, Grande Prussia, non può abbassarsi così tanto da dispiacersi delle sue stesse parole. Uno come te.
« … »
Seriamente? Seriamente uno come te si farebbe mettere i piedi in testa da principi e pensieri tanto stupidi? Davvero la Magnifica Prussia si farebbe schiacciare da un destino che si è sempre beffato di te senza battere ciglio? Impossibile. Ormai era chiaro; come il sole che passa oltre le nubi, come un faro puntato sugli occhi. Accecante e disarmante su un palco vuoto, dinanzi ad una platea che aspetta di vederti crollare sulle tue stesse gambe tremanti. Tu non hai intenzione di cedere più alle ginocchia molli; in fondo, non ti sei costruito la maschera di egocentrismo esagerato appositamente per superare quell'ansia? Non sei cresciuto imparando ad afferrare quel dannato microfono ed urlare a tutti che tu ci sei, ci sei stato e per sempre ci sarai, che gli altri lo vogliano o no?
Sì. Sì ed assolutamente sì. Mille domande, mille quesiti che trovano risposta, tanto da diventare un puzzle che sta finalmente ricomponendosi dinanzi ai tuoi occhi. Finalmente ti pare di aver aperto gli occhi dopo uno stato di coma che ti ha incatenato troppo a lungo perché il tuo orgoglio lo possa accettare. Lo sapevi da tempo, lo hai compreso da prima ancora di saperlo ed ora che sai non puoi lasciarti frenare. Te lo ripeti insistentemente, impiantandoti nel cervello quell'idea per non fermarti ora, lungo il tragitto che le tue gambe stanno facendo in automatico.
« Hallo, West? »
« Hallo bruder, sei già arrivato? »
« Nein, non sono neanche partito »
« Qualche problema col volo? »
« West, non torno a Berlino »

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Capitolo 5
*** V - Uno come Te ***


NdA • Ed ecco l'ultimo capitolo. Nulla di pretenzioso questa storia, in fondo, spero solo che vi sia potuta piacere! Vorrei ringraziare Rapidash che finora ha recensito tutti i capitoli della storia e tutti quelli che l'hanno seguita in anonimato(?)! In parte confesso di dedicarla alla mia partner di Roleplay che mi ha regalato, dopo tanto tempo, la possibilità di non perdere le speranze con questa coppia che adoro tanto! Grazie! Grazie e grazie ancora!
Ne approfitto per dire che, per cause esterne mi prenderò un breve momento di pausa dal pubblicare cose più complesse; ma, spiacente, non vi libererete di me!
Intanto grazie ancora e buona lettura dell'ultimo capitolo <3





Il suo sguardo misto a stupore ed irritazione lascia intendere non poche domande; domande che soffoca in gola come sempre per una strana buona educazione che solo l'austriaco conosce. Sorridi, semplicemente, a modo tuo, pronto ad aprire bocca e sparare tutte le frasi che, durante il tragitto, hai preparato ed imparato a memoria; un po' come una mitragliatrice. La sua mano si alza fermando le parole sul nascere, prima di piantare le ametiste incastonate negli occhi nei rubini che l'osservano interdetti.
« Hai il diario, vero? »
Stringi le labbra prendendo un profondo respiro; uno di quelli che gonfiano il petto fino a farlo esplodere o quasi. Un angolo delle labbra si solleva leggermente, istintivamente e nervosamente, prima di alzare la mano col diario, stringendolo tra le dita. In fondo, non sei un bambino, inutile insistere come un poppante sul non sapere di cosa stia parlando. Lo sguardo del quattrocchi giura vendetta e lo riconosceresti lontano miglia quel modo di guardarti. La nostalgia ti porta a sorridere maggiormente, inarcando le sopracciglia, sbeffeggiante dinanzi ad un possibile pericolo: quello che l'austriaco decida di sbatterti la porta sul naso. Senza rischio, però, non ti divertiresti così tanto, vero? Roderich pare scegliere l'opzione più basilare: quella di porgersi per provare a riprendersi quel piccolo tesoro mentre tu lo allontani con calma. Sogghigni, divertito dalla sua faccia, da quell'affanno e quell'irritazione che lo rende elettrico ed incapace di star fermo, agitandosi anche per le piccole cose. Fermi il suo petto con una mano, ribadendo che non è cosa da farsi, per un signorino come lui; in fondo, per farglielo notare, ti basta una sola espressione, accompagnata dal sollevarsi leggero del mento. Il tentativo altrui di calmarsi con un sospiro, fermando le mani in due pugni lungo i fianchi dura ben poco. Le sue gambe esitano palesemente con la volontà di rientrare e lasciarlo lì ad arrangiarsi, nonostante l'esser tornato indietro; ma, al contempo, non può lasciarti quel diario e lo sai. Stai giocando molto su questa ambiguità e non riesci a negarlo neppure a te stesso con una bugia. Potresti addirittura scommettere che, ora come ora, l'austriaco sta pensando a quanto ti odia, dandosi ragione per averti detestato finora e che non cambierai mai. Sei sicuro del fatto che Roderich stia vedendo in te la figura di chi si diverte a torturare e fare il bulletto, tra tutti, proprio con lui. Se solo potessi, ti divertiresti anche a dargli ragione.
« Restituiscimi quel diario. Non te ne fai nulla. »
« Se non me ne facessi nulla, non fremeresti per averlo, giusto? »
« Gilbert. Ti ordino di restituirmelo. »
« Fammici pensare... nein. » sghignazzi nuovamente, volteggiando col diario in mano.
« Fino a prova contraria è mio e tu non vorresti certo macchiare la tua splendida fedina penale per un furto »
« Quanto la fai complicata, damerino » brontoli ancora, facendoti aria con quelle pagine che non gli hai rivelato aver aperto e letto. Evidentemente ti pensa una persona migliore di quella che sei realmente. « Cosa ti costa rendermelo visto che sei anche tornato indietro? »
Colpito sul vivo, rimani in silenzio vedendolo porgerti la mano. Ne osservi il palmo e le dita esili, ripetendo a te stesso quanto esse apparissero adatte a tutt'altro che all'impugnare armi; come in passato lo hai visto fare. Hai timore di incrociare nuovamente le sue iridi questa volta, decidendo di evitare quelle lame di cui lo sguardo austriaco era inconsciamente munito.
« E permettere a qualcuno al di fuori di Me di avere un diario? »
« Devo forse avere il benestare di uno come te per avere un diario? »
« Uno come me, intanto, ha in mano i tuoi possibili segreti ed è tornato indietro dall'aeroporto per ricevere risposte. »
Per un momento non sai cosa abbia congelato lo sguardo di chi ti sta dinanzi; un momento che ti pare durare in eterno. « Lo hai letto... »
Non è una domanda ed il suo tono di voce, il suo smarrimento che, fino ad un attimo fa, ti aveva divertito, ora inizia a farti vacillare assieme a lui. Ti pare di renderti conto solamente ora di cosa hai realmente fatto e della crudeltà di quel banalissimo gesto. « Non tutto- »
« Non solo ti sei permesso di rubarmelo, ti sei anche azzardato a leggerlo! »
L'austriaco inizia ad alzare la voce, con le gote che si sono arrossate appena e, nel profondo del tuo animo, stai pregando che sia per imbarazzo e non per rabbia. Il tuo orgoglio, però, urla nel petto con la potenza di un ruggito incontrollato ed incontrollabile. Le dita si stringono attorno alla copertina di quel diario, premendolo di colpo contro il petto dell'altro dinanzi a sé.
« Gut, tientelo! Fanne quello che diavolo vuoi! Tanto "uno come me" non ha diritto di preoccuparsi e domandarsi cosa tu possa pensare. Mi odi e basta. Va bene, mi rassegnerò! Auf Wiedersehen! »
Brontoli voltandoti quando senti le gote pizzicare. Ti dai dell'idiota per la scenata appena fatta; ti senti un po' come un ragazzino che, illuso, finisce per fare la sfuriata degna di un libro rosa. La speranza di non esser odiato, la facciata di egocentrismo che ti sei dipinto addosso per una persona che, inevitabilmente, non cambierà mai davvero idea. Quel che scrive su delle pagine di diario, coinvolto dalla disperazione delle guerre e delle battaglie, non vale niente in fin dei conti.


Temo la mia mente, i miei pensieri, i miei stessi sogni.
Vorrei potermi strappare il cuore dal petto per interrogarlo; affiancarlo al cervello in cerca di un compromesso. Finirò per impazzire.

Continuo a ripetermi che non è possibile, che non è fattibile e non solo più per l'essere un uomo. Continuo a convincermi dell'ossessiva ragione che mi circonda e mi ha sempre guidato; ma che, ora, mi ferisce.
Io non posso credere di essermi innamorato.


*


Osservi il telefono da ore. Hai lasciato da parte anche il lavoro e la cosa ha iniziato a preoccupare anche Ludwig. Cinque giorni, tre ore e venticinque minuti fa hai lasciato la capitale austriaca con un macigno sul cuore del quale non riesci a liberarti. L'orgoglio frena entrambi, ne sei più che sicuro; consapevole del fatto che basterebbe alzare la cornetta e digitare il numero che conosci a memoria per quante volte lo hai letto o anche solo guardato. La mano sostiene il volto stanco e perso in un mondo di illusioni e domande degne di un adolescente in piena crisi esistenziale: una serie di "se" ed ipotesi differenti si visualizzano nella tua mente in una successione rapida, incessante e costante. Un trapano nel cervello farebbe meno male, probabilmente; ma non riesci, per quanto ci provi, ad importi un termine a tutti quei filmini mentali. Inizi a percepire una certa stanchezza spingere e scivolare dalle spalle lungo la schiena e quella sgradevole sensazione ti strappa un sospiro. Gli occhi si chiudono, sul punto di crollare sotto la pesante assenza di sonno degli ultimi giorni, quando il suono di quello stesso telefono ti fa sobbalzare.
« Hallo? »
« Hallo, Gilbert... » Il respiro ti muore in gola e, in un tentativo disperato di recuperarlo, deglutisci e tossicchi seppur senza un risultato soddisfacente. Tutto ti aspettavi fuorché la sua voce e, al contempo, non avevi atteso altro.
« Damerino, quanto tempo »
« Neanche una settimana, Gilbert »
« Sottigliezze. »
Il silenzio che segue non ti rincuora molto. Hai il tempo di schiudere le labbra, che l'altro ti anticipa con un suono che cataloghi come un sospiro di stanchezza mista a rassegnazione. Tipica di lui. Ti rendi conto con disarmante certezza di quanto quella voce ti sia mancata, in quel breve periodo, e della nitidezza del suo viso che ti appare dinanzi agli occhi, dietro le palpebre.
« Neanche una settimana e fai preoccupare Ludwig come non mai; cosa hai combinato? » Fissi il tedesco -o meglio il vuoto dietro cui immagini ci sia lui- con le labbra arricciate e pensieri di vendetta che balzano da una parte all'altra del cervello, alternati dal battito cardiaco che inizia a farsi furioso, galoppante.
« E non hai saputo rispondergli? Che strano da parte tua Damerino »
« Non fare il simpatico »
« Non lo sto facendo. »
Le parole lette in quel diario ancora riecheggiano nella mente, nei ricordi, in gola, nel petto e scombussolando ed attorcigliando lo stomaco. Stringi le labbra in cerca di una forza ed una risolutezza per te familiare che, in questo momento, ti servirebbe come non mai in vita tua. Dov'è finita?
« … Gilbert, penso di dovermi... » « Ti amo anch'io » « scus-... eh? »
Che squallido dirlo per telefono, vero? Non è riuscito a controllarsi ed ora il mondo inizia a farsi stranamente più leggero. Improvviso come un fulmine a ciel sereno; proprio quando ti rendi conto che non hai bisogno di scuse, non hai necessità di riceverne o di farne. Non siete mai stati una coppia che segue le conformità e non è necessario esserlo; non per te. Non ti importa di star correndo, accelerare i tempi quando quelli che stai superando, tagliando, sono traguardi e mete che hai ricercato e cercato di comprendere da troppo tempo e che, con la distanza, stava esplodendo nel petto -specialmente dopo aver letto quelle confessioni. Hai tentato tutto, ma ogni volta ti trovavi dinanzi ad un muro, per te invalicabile ed apparentemente incomprensibile: per questo avevi preso quel diario, per questo avevi osato sfogliarlo e leggere, nel tentativo di capire se v'era una crepa tra quei mattoni o che, quel muro, potesse essere di vetro, trasparente. Sorridi, consapevole di aver messo l'austriaco in difficoltà e non riesci a non immaginarlo mentre sistema le lenti degli occhiali. Chiudi gli occhi per non vedere anche lo schermo del computer che riflette le tue guance colorate, dandoti del folle per essertene uscito così di punto in bianco dopo appena una settimana da quella sorta di solita lite.
« Sei una persona ignobile »
Ti sfugge uno sbuffo divertito. « Perché mai? Preferivi non te lo dicessi? »
« Speri di risolvere la lite così? »
« Vuoi forse parlarne faccia a faccia, quattrocchi? »
« … Vengo a prenderti all'aeroporto domani. » Sì; meglio così. Potrai guardarlo in viso e renderti conto che, anche dal vero, non è poi così impossibile da dire. Anche avendolo dinanzi, ora che lo hai espresso coperto dalla distanza ed aiutato da un tramite come il telefono. « E non mi rispondi? Non ti facevo così maleducato, signorotto »
« Che vigliaccheria attraverso un telefono. »
« Ho vinto in quanto originalità. Dal Grande Me cosa ti aspettavi? »
« Già... da uno come te, effettivamente... » Sorridi alle sue parole, sentendo il tono di voce differente che le pronuncia, dopo tanto tempo: una voce che dice, tacitamente, che quel qualcuno come lui è speciale e può esserlo, anziché essere un elemento escluso ed allontanato.
« Ich liebe dich, Österreich »
Silenzio.
« … Ich auch, Preußen »
Proprio no. Non saranno mai in grado di competere con il canone di una coppia normale.

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