Baldur's Gate: Battle and Peace - Lisaralin

di Lisaralin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I See Water ***
Capitolo 2: *** La comparsa ***
Capitolo 3: *** Spirito libero ***
Capitolo 4: *** The Kinslayer ***
Capitolo 5: *** La città dalle torri bianche ***
Capitolo 6: *** Demons dance in the castle hall ***
Capitolo 7: *** Gioco di squadra ***
Capitolo 8: *** Sängerkrieg ***
Capitolo 9: *** The charm of the seer ***
Capitolo 10: *** Diamonds are a dwarf's best friend ***
Capitolo 11: *** La vera storia di come il prode Jan Jansen beffò e sconfisse Kangaxx il semi-lich ***
Capitolo 12: *** Equilibrio ***
Capitolo 13: *** Nothing but a mere illusion ***
Capitolo 14: *** Mischief managed ***
Capitolo 15: *** Il suono del silenzio ***
Capitolo 16: *** Nella notte e nel buio ***
Capitolo 17: *** Sete di libertà ***
Capitolo 18: *** If I were a paladin ***
Capitolo 19: *** Memories of his witches ***
Capitolo 20: *** Liquid fire flowing through my veins ***
Capitolo 21: *** Profezia ***
Capitolo 22: *** Gli occhi dell'abisso ***
Capitolo 23: *** The bear and the maiden fair ***
Capitolo 24: *** Notte senza luna ***
Capitolo 25: *** The bard's song ***



Capitolo 1
*** I See Water ***


Raccolta nata da un gioco tra me e whitemushroom, che non riuscivamo a capacitarci che su efp non esistessero storie su questa belissima serie di videogames :) Abbiamo estratto a sorte i personaggi su cui scriveremo le nostre flashfic, includendo anche i nuovi personaggi della Enhanced Edition e i png piu importanti. Almeno per quanto mi riguarda, l'aggiornamento sara' irregolare e sporadico. In alcune flashfic comparira' anche il protagonista del gioco, il Figlio di Bhaal, che nel mio caso sara' il personaggio con cui sto giocando la mia attuale partita: il giovane elfo mago/ladro caotico buono Glorfindel :) Buon divertimento :)


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Personaggio: Yeslick Orothiar
Genere: introspettivo
Rating: Giallo (?)
Avvertimenti: citazioni allo Hobbit come se piovesse. Non ho saputo resistere XD



I See Water

I suoi sogni perlopiù sono fatti d'acqua.
Inizia piano, nel cuore profondo della montagna. Un gigante risvegliato per sbaglio che si stiracchia intorpidito dopo un sonno di secoli. Un rombo sordo sale dalle profondità della terra e rimbalza minaccioso tra cunicoli e gallerie, sempre più forte, sempre più assordante. La roccia trema come per il fragore di migliaia di zoccoli in corsa, le pareti si sgretolano, i suoi fratelli abbandonano asce e picconi e si affannano in preda al panico verso l'uscita delle miniere, cercando invano scampo da quella carica mortale. Ma l'acqua è un esercito che non fa prigionieri, e si riversa nelle case della sua gente travolgendo ogni cosa al suo passaggio.
Ogni notte, nel buio della sua cella invasa dalla muffa e dai topi, Yeslick rivive l'incubo della fine del suo clan.
Le antiche saghe del popolo nanico sono piene di storie di regni perduti o distrutti. Sono racconti appassionanti, in cui non mancano mai battaglie epiche e gesta valorose. La storia del clan Orothiar invece non è di quelle che nutrono l'ispirazione dei bardi per i secoli a venire. Nessuna battaglia all'ultimo sangue, nessun drago nero calato dal cielo per impadronirsi dei tesori del Re sotto la Montagna. È stato un semplice incidente. Un errore stupido ed evitabile. Un piccone incauto colpisce nel punto sbagliato, una falda acquifera si rompe, e in pochi minuti la miniera è sott'acqua e i suoi fratelli galleggiano a pancia in su, affogati come topi.
E chi si è installato sulle rovine della sua casa traendo profitto dalla devastazione non è certo un drago, a stento lo si potrebbe definire verme. Il verme, che risponde all'odioso nome di Rieltar Anchev e che un tempo era stato suo amico, non gli ha concesso nemmeno la grazia di ucciderlo dopo avergli portato via tutto. Molto più divertente lasciarlo marcire in una cella ad assistere alle sofferenze degli schiavi che lavorano giorno e notte per la grandezza del Trono di Ferro.
Nelle antiche saghe naniche i regni perduti vengono anche riconquistati. Coraggiosi principi in esilio armati solo di un ideale e di un pugno di valorosi compagni sfidano e abbattono il drago, e le forze del bene trionfano. Yeslick è solo un modesto chierico rinchiuso in una cella puzzolente, e oltre a pregare Moradin e Clangeddin di far prendere un colpo apoplettico al verme non può fare molto.
Nelle lunghe ore di solitudine, scandite dal martellare ritmico dei picconi e dai lamenti degli schiavi, gli dèi sembrano più che mai lontani, e le saghe antiche solo un'invenzione patetica per intrattenere i bambini.
Uno schianto improvviso lo distoglie dai suoi pensieri. Oltre la porta di ferro della sua cella si sentono adesso urla indistinte, rumori di colpi e lo sfrigolare di parecchi incantesimi.
Yeslick scatta in piedi e si appiattisce contro la parete quando la porta salta dai cardini, abbattuta da qualche magia di fuoco. Nel polverone sulla soglia si delinea la figura di un ragazzo, un elfo a giudicare dalle orecchie, biondo, giovanissimo e con stampato in faccia un sorriso del tutto inadeguato alla situazione. Alle sue spalle un gruppo di avventurieri tiene a bada i mercenari del Trono di Ferro; Yeslick riesce a distinguere una maga dagli improbabili capelli rosa e uno strano guerriero con il viso ricoperto di tatuaggi che combatte a mani nude.
Tutto il gruppo sembra uscito direttamente da una delle antiche saghe a cui Yeslick è convinto di non credere più.
L'elfo continua a sorridere e gli tende una mano: “Se ti trovi qui vuol dire che sei un nemico del Trono di Ferro. Ti unisci a noi?”
Il sorriso dell'elfo è stranamente contagioso, e Yeslick si ritrova a stringergli la mano con calore.
“Sono dei vostri.”
Un nano in esilio, e un pugno di valorosi compagni.

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Capitolo 2
*** La comparsa ***


AVVISO: contiene grossi SPOILER per chi ancora non conosce il nuovo personaggio di BG2:EE!! Siete avvertiti!!

 

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Personaggio: Clara
Genere: Introspettivo, Drammatico, Missing Moments
Rating: giallo virante sull'arancione
Avvertimenti: come ho gia' scritto contiene grossi SPOILER su BG2:EE. Della storia di Clara non si sa quasi nulla, io ho preso il poco che c'era e l'ho mischiato con particolari di mia invenzione. Ma mi e' piaciuta l'idea di dare una voce a un personaggio che non la aveva :)
Ah, e' venuta decisamente piu' lunga di una flashfic, ma ho deciso che non me importa nulla XD


La comparsa

La lama del pugnale brilla di uno scintillio dorato nella luce delle fiaccole che circondano il catafalco. Seduta accanto al corpo esanime del suo amato, la principessa tiene l'arma sospesa con la punta rivolta verso il petto mentre fa correre lo sguardo inondato di lacrime su tutti loro. Le sue ultime parole sono un inno disperato all'amore, vibranti di passione e di dedizione eterna.
Un ultimo sguardo al viso del suo uomo e il pugnale le affonda nel cuore, facendo sbocciare un fiore rosso sulla sua veste immacolata. Un sospiro le sfugge dalle labbra mentre cade riversa sul corpo dell'innamorato.
È un delirio di applausi. Il pubblico scatta in piedi come un sol uomo, le dame piangono, gli uomini chiedono a gran voce il bis, e anche Clara si spella le mani a forza di applaudire, gli occhi lucidi, il cuore che le martella a mille nel petto come tutte le volte che assiste a uno spettacolo che la emoziona.
Mentre il sipario si chiude lancia uno sguardo a lady Nalia, che le siede accanto; anche lei ha le guance rigate di lacrime e si asciuga gli occhi con il fazzoletto ricamato.
Lady Nalia De'Arnise è bella come la principessa della tragedia, e ha un cuore straordinariamente generoso per essere una nobile: nessun'altra dama di una grande casata si abbasserebbe a fare amicizia con l'umile figlia di un bracciante al servizio nelle terre del lord suo padre, o le consentirebbe di sederle accanto nel suo stesso castello durante le rappresentazioni dei bardi. Lady Nalia è diversa dalle altre: è come un'eroina delle tragedie, una principessa coraggiosa che mette la sua vita e le sue ricchezze al servizio dei poveri e degli oppressi. Clara la ammira, per lei si getterebbe nel fuoco e attraverserebbe i Nove Inferni a piedi. E la invidia anche, in fondo: perché il palcoscenico della vita appartiene a quelli come lei. Clara, la figlia del bracciante, resterà sempre e solo una comparsa.
“Devo andare ora, milady.” le dice in tono di scusa quando escono dalla sala grande. Probabilmente suo padre la punirà ancora per essere stata via tutto il giorno. È la stagione del raccolto, alla fattoria hanno bisogno di ogni paio di braccia. Poco importa: se la principessa dalla veste bianca ha affrontato il morso gelido del pugnale per amore del suo uomo, anche lei potrà sopportare un paio di colpi di cinghia in nome della sua passione per il teatro e le canzoni dei bardi.
“Aspetta.” Lady Nalia la trattiene per un braccio e a sorpresa le mette in mano un involto di stoffa, un sacchetto pesante che tintinna a ogni minimo movimento.
“Che cosa... ?”
“Per te.” Lady Nalia non le dà il tempo di protestare. Le mette l'indice davanti alle labbra e parla a bassa voce, con tono da cospiratrice: “Ci ho pensato a lungo. Siamo amiche, e so che non sei felice qui. Lo vedo. So che sogni di fare l'attrice. Con questi potrai.” le chiude le dita attorno al sacchetto di tela ruvida, stringendole le mani con affetto. “Bastano per pagarsi un passaggio fino ad Athkatla, e molto di più. Il mio regalo per un'amica speciale.”
Clara non ha parole, solo un enorme groppo alla gola. E per la prima volta in vita sua osa fare quello che non aveva mai fatto e getta le braccia al collo della sua signora, la sua eroina, la sua dea. Le piange sulla spalla tutta la sua gratitudine e la sua devozione e poi si dilegua nella notte, il sacchetto tintinnante stretto sotto il mantello e un paio di ali spiegate nel cuore.


La serratura arrugginita cede senza difficoltà sotto il suo tocco esperto. Dentro, la tomba puzza di chiuso e marciume, segno che è stata sigillata da parecchio tempo. Meglio così. È più facile rubare ai morti che ai vivi.
Le servono soldi, e subito. La Città della Moneta e un paio di incontri sbagliati hanno prosciugato il suo capitale in pochissimo tempo, e alla Locanda dei Cinque Boccali nessuno ha bisogno di un'altra attrice. Clara si è ritrovata ben presto a fare un mestiere del tutto diverso per tirare a campare. Uno che in fondo ha persino a che fare con la recitazione, soprattutto quando i clienti sono vecchi e viscidi e il loro fiato puzzolente di alcool ti fa salire conati di vomito. Clara ha sopportato stoicamente, come le eroine delle tragedie, sempre in nome del suo sogno. Finché un cliente che l'ha presa in simpatia non le ha insegnato un altro mestiere ancora, allettandola con la prospettiva di soldi facili.
Accende una torcia, guardandosi rapidamente attorno in cerca del sarcofago. La lastra del coperchio sembra pesante, ma con il grimaldello che ha portato con sé non dovrebbe essere difficile sollevarla.
Non riesce nemmeno ad avvicinarsi. All'improvviso la testa prende a girarle vorticosamente, una sensazione di soffocamento le attanaglia il petto. Annaspa, la torcia le cade di mano e si spegne, lasciandola nel buio.
Una voce risuona nelle tenebre, non alle sue orecchie ma direttamente dentro la sua testa:
“Clara.”
Una voce femminile, melodiosa, con un indefinibile accento esotico.
E all'improvviso la vede, anche se ogni cosa intorno è avvolta dal buio. Ma lei è lì, alta e maestosa di fronte agli occhi della sua mente, la pelle bruna e gli occhi neri dal taglio esotico intensi come carboni ardenti, il collo e le orecchie ornati da splendidi gioielli d'oro.
Una regina. Davanti a lei Clara non può fare altro che cadere in ginocchio.
“Sì. Tu sarai perfetta.” dice l'apparizione misteriosa con la sua voce di miele, e Clara pensa che non vorrebbe mai smettere di ascoltarla. “Tu sarai la chiave della mia libertà.”
La regina le prende il volto tra le mani, e la bacia.
E mentre Clara sente la sua coscienza fluire via a brandelli e la mente tingersi di oscurità fa in tempo a pensare che il sipario si sta chiudendo per l'ultima volta, e che in tutta la tragedia lei non è stata altro che una piccola, insignificante comparsa.


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Note: di Clara sappiamo che era figlia di contadini, percio' ho pensato che fosse realistico renderla la figlia di un bracciante al servizio di Lord De'Arnise.
Su come sia avvenuta la sua "possessione" da parte di Hexxat il gioco ci dice ancora meno, percio' anche in quel caso e' tutto frutto della mia fantasia.

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Capitolo 3
*** Spirito libero ***


Alora



Personaggio: Alora
Genere: Introspettivo, Azione, Missing Moments
Rating: Verde
Avvertimenti: forse Alora mi e' venuta un filino troppo seria, ma mi piaceva l'idea di esplorare anche quel lato di lei. Anche stavolta siamo piu' nel regno delle one shot che delle flashfic, ma il dono della sintesi non e' decisamente il mio forte...



Spirito libero

Destra, sinistra, ancora sinistra, un vicolo buio dopo l'altro. Una corsa folle guidata ormai solo dalla disperazione.
Alora non ha più idea di dove si trovi. Il rumore del mare da qualche parte alla sua destra le suggerisce che il quartiere dei Moli non deve essere lontano, ma nell'oscurità profonda della notte tutte le strade le sembrano uguali. Athkatla non è Baldur's Gate, la città che per anni ha fatto da sfondo alle sue imprese e di cui conosce ogni angolo e segreto. I suoi inseguitori non sono i soliti soldati del Pugno Fiammeggiante che chiudono sempre un occhio di fronte al sorriso irresistibile di una piccola halfling dagli occhioni innocenti.
A darle la caccia stavolta sono dei ladri proprio come lei. Solo molto più cattivi.
Si ferma appena un attimo a riprendere fiato, il cuore che minaccia di esploderle nel petto. Alle sue spalle i passi concitati degli inseguitori si fanno sempre più vicini. I Ladri Tenebrosi non si sforzano neanche più di nascondere la loro presenza, certi come sono di avere la preda nel sacco.
Alora si impone un ultimo sforzo, con testardaggine ordina alle sue gambe doloranti di riprendere la corsa. Come un fulmine attraversa una viuzza costellata di pozzanghere, svolta a destra nell'ennesimo vicolo...
… e di colpo si ritrova un muro alto e privo di appigli a pochi centimetri dal naso.
Fine della corsa.
Si volta in tempo per vedere tre Ladri Tenebrosi materializzarsi dalle ombre del vicolo, i pugnali sguainati che risplendono alla debole luce delle stelle.
È in trappola.
“Ehm... non potremmo parlarne un attimo? Ve lo detto, non sapevo proprio che quella era la vostra zona... “
I tre non rispondono, ma Alora ha la certezza che il loro ghigno sotto il cappuccio si allarghi ancora di più. Si appiattisce con le spalle al muro che le ha ostacolato la fuga, la mente che lavora frenetica alla ricerca di un piano di emergenza. Forse se riuscisse a sgattaiolare sotto le loro gambe...
I tre assassini la stringono in cerchio, sollevando le armi.
Un'esplosione di luce, accecante e improvvisa. Una vampa di calore si fa strada con violenza fino a lei, e Alora cerca di proteggere il viso con un braccio mentre il vicolo viene illuminato a giorno da un tripudio di fiamme. La Palla di Fuoco spazza via i Ladri Tenebrosi, li incenerisce sul posto prima ancora che quelli abbiano il tempo di urlare.
Pochi secondi e il calore svanisce di colpo, il buio torna a inghiottire il vicolo. Solo una lieve scia luminosa rimane a volteggiare placidamente nell'aria, rivelando una figura incappucciata che si avvicina lentamente.
Alora non è mai stata così felice in vita sua di vedere quella familiare veste rossa.
“Come immaginavo senza di me sei persa.”
“Edwin!” Corre incontro al mago, senza badare ai suoi brontolii mentre lo abbraccia piena di sollievo. “Ma... non erano i tuoi nuovi amici quelli?” Accenna con la testa al poco che resta dei tre assassini.
“Oh, di certo non andranno a raccontare in giro che sono stato io!” Edwin sorride – è sempre bello quando sorride, dovrebbe farlo più spesso – e si accarezza la barba ben curata: “Ma a te cosa salta in testa di rubare nel territorio dei Ladri Tenebrosi? (la cosa più stupida che potesse fare... ah, se non ci fossi io qui...). Perché non ti sei unita a loro quando ne avevi l'occasione, insieme a me?”
Alora storce la bocca in un'espressione infastidita. “Te l'ho detto. Non mi piace questa storia delle gilde. Non mi piace prendere ordini e scattare sull'attenti davanti a un capo. Io... voglio essere libera, Edwin. Lavoro da sola, come pare a me.”
“Eppure con me ci hai lavorato (e senza l'aiuto della mia magia dubito che le sarebbe riuscito un solo colpo...).”
“Non è la stessa cosa. Lo sai.”
È vero. Le mancherà lavorare in coppia con Edwin. Sono stati una buona squadra, loro due. Il ricordo delle loro fughe rocambolesche attraverso la Costa della Spada le strappa un sorriso, e allo stesso tempo una fitta di malinconia. È per accontentare lui che si è convinta a venire fino ad Athkatla...
E lì, in quella città straniera, ha capito che il loro sodalizio non poteva durare.
Edwin non poteva accontentarsi a lungo di una vita di espedienti. È un uomo ambizioso, ogni sua azione è diretta a un fine, a un guadagno concreto. Lui non capisce cosa voglia dire correre sui tetti per il puro piacere di sentire il vento nei capelli, o mirare a un gioiello ben custodito per il semplice gusto della sfida. Nella sua ottica collaborare con i Ladri Tenebrosi è la scelta più vantaggiosa per il momento.
“Ne abbiamo già parlato.” aggiunge, e il suo tono è definitivo.
Il mago rosso sospira in modo volutamente teatrale: “Allora, mia cara, stavolta è davvero un addio (anche se non capisco perché la cosa mi dispiaccia tanto...). ”
D'istinto Alora si alza in punta di piedi e lo bacia su una guancia.
“Dispiace anche a me.”
Edwin la guarda esterrefatto, e lei per tutta risposta gli fa una linguaccia divertita.
Credevi davvero che le mie orecchie allenate di ladra non riuscissero a distinguere i tuoi borbottii, caro il mio mago rosso?
Poi si volta e si dilegua rapida e leggera tra le ombre della notte.
Non si ferma a guardarsi indietro nemmeno una volta.

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Capitolo 4
*** The Kinslayer ***


Shar-Teel




Personaggio: Shar-Teel Dosan
Genere: Introspettivo, Azione, Missing Moments
Rating: giallo virante sull'arancione
Avvertimenti: "If it bleeds, I can kill it."


The Kinslayer

Il grande teschio dorato inciso sul pavimento sembra prendersi gioco di loro con il suo ghigno spettrale. È il sorriso superiore e sprezzante di un dio per il quale il combattimento all'ultimo sangue che si sta consumando nel tempio sotterraneo non è altro che un gioco, un semplice tassello in un disegno ben più vasto e imperscrutabile di tutti loro.
Chiunque prevalga quel giorno, lui ha vinto. Il più forte tra i suoi figli distruggerà l'altro e accrescerà il proprio potere, compiendo un altro passo sulla strada verso la resurrezione del suo divino padre.
Appoggiata alla spada puntata sul terreno, Shar-Teel riprende fiato. Porta una mano al viso per scostare i capelli madidi di sudore dalla fronte, e la ritira umida di sangue appiccicoso. Non si era nemmeno accorta di essere ferita.
Il suo avversario è a pochi passi da lei, la mano premuta contro lo squarcio sul fianco da cui sgorga un abbondante fiotto di sangue. Lo stesso sangue che arrossa la lama della guerriera, gocciolando lentamente lungo il metallo per poi colare sul pavimento. Lo stesso, e Shar-Teel non riesce a reprimere un brivido al pensiero, che scorre anche nelle sue stesse vene.
Il giovane elfo figlio di Bhaal non è l'unico ad avere un conto in sospeso con la sua famiglia, quel giorno. Con la coda dell'occhio Shar-Teel lo vede scattare con agilità per evitare i mostruosi fendenti del gigante in armatura completa, le mani illuminate dal potere della magia. Continua a gridare al fratellastro le sue frasi patetiche, come se fosse possibile tornare indietro, risolvere tutto con un abbraccio riconciliatore e un bel pianto generale. No. A volte l'unico modo per aggiustare le cose è una bella spada piantata nel petto. Quasi sempre, a dire la verità.
Torna a concentrarsi sul proprio avversario, sollevando la spada e inclinandola in diagonale rispetto al corpo. Le è indifferente chi trionfi tra i due Figli di Bhaal: lei è scesa laggiù solo e unicamente per regolare il suo conto in sospeso.
Il bastardo si rende conto di essere spacciato, glielo legge negli occhi scuri dilatati dal dolore e così disgustosamente simili ai suoi. Vigliacco come al solito ha preferito tenersi a distanza nelle prime battute del combattimento, scagliando frecce incendiarie sotto la protezione del suo maledetto anello dell'invisibilità. Ma un incantesimo della maga selvaggia ha dissipato le sue difese magiche, e un fendente della spada di Shar-Teel gli ha spezzato il dannato arco in due, aprendogli la ferita sul fianco. I suoi compagni, impegnati a fronteggiare il resto del gruppo dall'altro lato della grande sala, non possono aiutarlo in alcun modo.
La preda è tutta sua. Un sorriso feroce le deforma il viso ricoperto dai tatuaggi mentre divora in due falcate lo spazio che li divide, pronta a vibrare il colpo fatale.
“Shar... Shar-Teel... “
La nota supplice nella voce del bastardo le fa venire i conati di vomito, e sentirlo pronunciare il suo nome ancora di più.
“Come, non fai più la voce grossa ora?” lo deride, sprezzante.
Certo, è facile prendersela con una bambina. Strapparle di mano la spada con cui si allena di nascosto, stordirla a forza di schiaffi. Segregarla in camera per settimane intere perché non è in grado di comportarsi come “una fanciulla perbene”.
Ma la bambina ora è diventata donna, e domanda vendetta.
“Io... io vi ho lasciati andare... “ balbetta ancora lui, il corpo scosso da un tremito. “In nome del nostro legame di sangue... ho chiuso un occhio, vi ho fatti fuggire dalle prigioni... “
“E hai commesso un errore.” taglia corto lei. “L'ultimo della tua vita.”
Il dardo incantato erompe debole dalle dita del bastardo, un tentativo di difesa patetico quanto inutile. Non è più doloroso dell'ultima puntura di un insetto morente.
La mano che ha lanciato l'incantesimo viene tranciata per prima, lasciandosi dietro un urlo disumano e una scia di sangue che le schizza sul viso e sugli abiti. Il bastardo crolla in ginocchio, e Shar-Teel gli pianta la spada dritta in mezzo alle costole, trapassandolo da parte a parte.
Lo guarda negli occhi mentre la vita fluisce via dal suo corpo insieme a un fiume di sangue, assapora ogni istante dell'agonia incisa nei lineamenti del suo viso stravolti dal terrore. Persino nell'abbraccio della morte il bastardo non smette di fissarla con il suo ridicolo sguardo supplichevole.
Gli uomini sono patetici, e suo padre lo è più di chiunque altro.

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Capitolo 5
*** La città dalle torri bianche ***


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Personaggio: Xan
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments
Rating: verde tendente al giallo
Avvertenze: mi rendo conto che potrebbe sembrare delirante, ma e' nata da un'ispirazione partorita nel dormiveglia e dopo aver giocato la parte di Spellhold a BG2 XD
Per quanto riguarda i Greycloak di Evereska, il gruppo a cui appartiene Xan, ho utilizzato la traduzione italiana "Mantogrigio" che viene adottata nella versione italiana di BG1 Enhanced Edition. Ho cercato notizie su di loro tra le varie wiki, ma non c'era moltissimo, quindi potrei inavvertitamente aver scritto qualcosa che va contro il lore canonico dei Forgotten Realms, nel qual caso spero che mi perdonerete :)
Ah, inutile dire che anche questa e' lunghissima!



La città dalle torri bianche

L'urlo risuona a lungo tra i corridoi della fortezza-manicomio, una voce stridula e agghiacciante a cui è rimasto ben poco di umano. Xan sussulta e si stringe nel mantello, mentre un brivido involontario lo attraversa da capo a piedi. La stretta calorosa sulla sua spalla giunge pronta a rassicurarlo, ma è anche un avvertimento. Non mostrare paura, sembra comunicargli il maestro attraverso il suo tocco fermo e deciso.
Il giovane elfo fa un respiro profondo, si impone di calmare i battiti impazziti del cuore. È la sua prima visita ufficiale in qualità di Mantogrigio appena nominato, non può far sfigurare il maestro e i suoi superiori mettendosi a tremare come un bambino davanti a degli stranieri.
“Nulla di cui preoccuparsi” il direttore di Spellhold liquida la faccenda con un gesto svogliato della mano, senza neanche voltarsi verso i suoi ospiti. “Ogni tanto capita che i test inneschino reazioni eccessive nei soggetti.”
Il giro prosegue come se niente fosse. L'ennesima stanza di contenimento, l'ennesimo soggetto che il direttore mostra agli emissari di Evereska con il suo sorrisetto compiaciuto, illustrando gli esperimenti compiuti e i risultati delle ricerche.
Le sue parole diventano ben presto brusio di sottofondo alle orecchie di Xan. Gli occhi dell'elfo sono catturati da quelli scuri come abissi senza fondo del “soggetto H”. Le catene che assicurano il ragazzo umano alla parete - “per la sua sicurezza”, dichiara il direttore - sono grottescamente grandi per i suoi arti esili, e tintinnano lievemente quando il giovane solleva la testa, fissandolo stralunato attraverso due pupille nere dilatate in modo innaturale. Probabilmente l'effetto di qualche sostanza sedativa, pensa Xan, e ancora una volta deve lottare per reprimere un brivido.
“Conosci la città dalle torri bianche?” chiede il ragazzo all'improvviso. La sua voce è sottile come un alito di vento, ma il tono implorante non sfugge alle orecchie elfiche di Xan. “Ho perso il mio cuore... nella città dalle torri bianche. Ma non posso tornare a prenderlo. Non posso tornare... tu puoi andarci per me?”
Il ragazzo si protende in avanti per quanto le catene gli consentono, con il tono e lo sguardo di un assetato a cui per troppe volte è stato negato il conforto dell'acqua. Xan si ritrae d'istinto, come se quell'umano minuto e incatenato possa saltargli alla gola da un momento all'altro. Parole inutili e confuse gli si affollano sulle labbra, ma nessun suono gli esce di bocca.
Il direttore mette a tacere il soggetto ribelle con un dardo incantato scagliato con stizza.
Le urla del ragazzo inseguono il gruppo che si allontana per i corridoi di pietra, e anche dopo essersi spente continuano a risuonare a lungo nella testa di Xan.

L'elfo esita di fronte alla porta chiusa della cella. La mano tremante si avvicina alla serratura, i polpastrelli sfiorano l'intarsio del lucchetto e formicolano al contatto della trama di incantesimi che lo protegge.
Potrebbe disfarla facilmente, se lo volesse. È giovane per i canoni degli elfi, ma a Evereska gli hanno insegnato bene, e lui è sempre stato uno studente modello. Ha dedicato anima e corpo alle arti arcane per guadagnarsi l'onore del ruolo di Mantogrigio.
Un onore che ha ottenuto a prezzo di grandi sacrifici, e che potrebbe mettere a repentaglio seguendo l'idea folle che si è impossessata di lui quella notte. Ogni singola fibra di razionalità che possiede gli urla di andare via, di voltare le spalle alla porta e tornare di filato nella stanza degli ospiti che gli è stata assegnata.
Eppure Xan esita.
Le parole del maestro lo tormentano come ferri roventi piantati nel petto. “Gli Stregoni Incappucciati di Amn sono nostri alleati, ragazzo” gli aveva detto quella sera mentre osservavano il sole inabissarsi come una sfera di fuoco nel mare che circonda Spellhold. “Siamo qui per rinsaldare i nostri rapporti con loro e per uno scambio di conoscenze, non per causare una rivolta.”
Xan non si era arreso. “Ma il modo in cui trattano i prigionieri... come tutori della legge non possiamo tollerare... “
“Tutori della legge. Appunto.” la voce secca del maestro era calata come una mannaia sulle sue proteste. “Gli Stregoni Incappucciati rappresentano la legge qui in Amn. Noi Mantogrigio custodiamo l'equilibrio, e se pensi che valga la pena compromettere l'equilibrio per la vita di un pugno di maghi pazzi allora forse significa che non sei ancora pronto per indossare quel mantello.”
Il ricordo lo riempie di rabbia, e lo spinge a proseguire mettendo a tacere gli avvertimenti della ragione.
Bastano pochi esperti movimenti delle dita, un paio di parole sussurrate a fior di labbra, e il lucchetto cede senza neanche un rumore. Evoca sul palmo della mano una sfera luminosa e si insinua nel buio della cella, silenzioso come un'ombra.
Il prigioniero solleva la testa e strizza gli occhi di fronte alla luce. Xan gli fa cenno con un dito davanti alle labbra di restare in silenzio e procede a rimuovere gli incantesimi sulle catene.
“Ti aiuterò a uscire di qui” gli sussurra una volta finito. “Ti nasconderai nella stiva della nostra nave, e poi... e poi potrai tornare alla tua amata città dalle torri bianche, se lo vorrai.”
“Non posso.”
Neanche la sfera di luce magica riesce a illuminare i pozzi di oscurità che sono gli occhi del ragazzo. La voce che pronuncia quelle due semplici parole è colma di una tristezza infinita.
“Perché?”
“Il mio esilio è qui” lentamente il ragazzo si porta il palmo della mano al petto, in corrispondenza del cuore. “Come posso tornare, se il mio esilio è qui dentro?”
Nei lunghi attimi di silenzio che seguono il ragazzo non accenna a muoversi. Rimane in piedi con la mano poggiata sul petto, gli occhi spenti fissi in quelli di Xan.
Ogni tentativo di convincerlo a venire con lui cade nel vuoto. La follia è un nemico contro cui tutti i suoi anni di studi arcani non possono nulla.
“Ho capito” mormora infine. “La tua città non esiste, vero?”
Il ragazzo non risponde. Solo alla fine, mentre Xan si richiude la porta alle spalle sconfitto, lo sente implorare attraverso l'ultimo spiraglio:
“Devi andarci tu. Io non posso tornare, per questo devi farlo tu per me.”
I suoi passi tormentati lo riportano alla terrazza ora inondata dai raggi della luna. Si abbandona con la schiena contro il muro di pietra, chiude gli occhi e lascia che la carezza del vento si porti via le lacrime che gli rigano le guance.
La mano corre istintivamente al petto, verso il cuore che sembra diventato un macigno doloroso dentro la gabbia toracica, e si accorge di capire meglio di quanto pensasse le parole intrise di follia del prigioniero umano.
Anche lui ha smarrito la sua città dalle torri bianche, e per la prima volta nella sua vita si sente in esilio.
In esilio dal mondo.

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Note: come avrete notato lo Xan di questa storia e' molto piu' giovane, piu' ingenuo, meno nichilista e decisamente meno legale neutrale di quello che incontriamo nel gioco. Il suo pessimismo esagerato mi ha sempre fatto ridere, ma nel contempo mi sono sempre chiesta: Xan e' cosi' di natura oppure la sua visione del mondo e' stata condizionata da qualche evento? Questa breve storia e' parte del tentativo di trovare una risposta a questa domanda :)
 

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Capitolo 6
*** Demons dance in the castle hall ***


200px-Dorn



Personaggio: Dorn Il-Khan
Genere: Introspettivo, Malinconico
Rating: Giallo
Avvertenze: ispirata alla canzone The Castle Hall di Ayreon, da cui sono tratti il titolo e la citazione iniziale. Non ho ancora giocato la quest di Dorn in BG2:EE, quindi la storia si basa esclusivamente sugli eventi del primo gioco. Le informazioni sulla madre di Dorn sono basate sul racconto ufficiale che si può leggere sul sito di BG Enhanced Edition.

 

"Cries from the grave resound in my ears
they hail from beyond my darkest fears
faces of the past are etched in my brain
the women I’ve raped, the men I've slain
shades of the dead are sliding on the wall
demons dance in the castle hall.”

(Ayreon, “The Castle Hall”)


Demons dance in the castle hall

Gli spettri prendono forma dall’oscurità.
Emergono dagli angoli più lontani, dove il debole fuoco delle torce magiche non riesce a lambire il buio. Sorgono dalle fessure tra le pietre sconnesse del pavimento, scie di oscurità che si condensano pian piano in forma umana. Strisciano lungo le pareti, ondeggiano nella luce tremolante delle torce. Scivolano attorno a lui in una danza ipnotica, chiudendolo in un cerchio di ombra e sussurri.
I loro occhi sono vuoti, ma Dorn percepisce l’accusa nel loro sguardo come un brivido gelido sulla pelle.
Si rende conto di riconoscere la maggior parte delle apparizioni. E la cosa non gli piace affatto.
Le sue dita si serrano attorno all’impugnatura di Rancor. Quando volta la testa in cerca dei suoi compagni non vede nessuno. L’atrio del castello è deserto, a parte lui stesso e le ombre.
Impreca. Muove un paio di passi nel tentativo di arretrare verso l’uscita, ma gli spettri gli sbarrano la strada. Riesce a scorgere il portone oltre le loro sagome fumose, ma non è sicuro di voler scoprire cosa accadrebbe se provasse a passare loro attraverso.
Impreca di nuovo. Il piccoletto è un idiota. Un pessimo leader. Ur-Gothoz è un padrone saggio oltre che feroce, e Dorn ha sempre pensato che avesse i suoi validi motivi per spingerlo a mettere la sua spada al servizio di quell’elfetto dalla risata facile. Se quei motivi ci sono, Dorn non riesce minimamente a scorgerli ora. Solo un completo idiota poteva guidare il gruppo tra le rovine di un castello infestato totalmente privo di ricchezze o oggetti magici di interesse per recuperare un bambino stupido che si è allontanato troppo da casa.
Un’ombra si stacca dal cerchio, gli fluttua incontro tendendo le braccia spettrali. La sua voce è un fruscio distorto in cui Dorn non riesce a distinguere parole di senso compiuto, ma riconoscerebbe tra milioni quel viso sempre deformato dall’angoscia e dalla paura. La sua debole madre umana. Anche da fantasma la patetica donna è capace solo di piangere, come faceva ogni singolo giorno durante i lunghi anni di schiavitù nel villaggio degli orchi.
La rabbia e il disgusto guidano Rancor in un fendente micidiale, e l’ombra della donna si dissolve in tanti filamenti di oscurità che si disperdono tra le crepe del pavimento. È come un segnale per gli altri spettri, che si gettano su di lui all’unisono.
Li falcia uno dopo l’altro con soddisfazione feroce. Senjak e il suo ghigno arrogante, Dorotea la doppiogiochista, quel bastardo di Simmeon che ha ordito il complotto ai suoi danni. I contadini e le madri di Barrow che implorano invano pietà per i figli. Rancor si nutre con avidità dell’essenza degli spettri, e offre al potente Ur-Gothoz il loro odio e il loro dolore come glorioso tributo.
Ogni tanto una delle figure nebulose riesce a toccarlo, e allora una scossa gelida gli si propaga lungo tutto il corpo, lasciandogli dentro un senso di vuoto. La massa di ombre sembra non finire mai.
Sono così tante le persone che ho ucciso… ?
Un tocco è diverso dagli altri. Tiepido anziché gelido, una carezza che gli riporta alla mente sensazioni dimenticate. Si volta, e la vede.
Kryll è bella anche nella morte, e a differenza delle altre ombre sorride.
Un’illusione. Anche lei lo ha tradito come gli altri. Meritava di morire, e ora merita di sparire di nuovo.
Lo spettro di Kryll è rapido ad insinuarsi fino a lui nell’attimo fatale in cui Rancor esita. Dorn si sente avvolgere in un manto di ombre, e fa per divincolarsi. Ma non sente dolore. L’abbraccio dell’ombra ha lo stesso profumo della pelle di Kryll nelle notti estive, dell’erba umida in cui i loro corpi si rotolavano nell’abbraccio del desiderio sotto lo sguardo benevolo delle stelle.
La vita era più semplice allora. I bivacchi attorno al fuoco, la sicurezza di poter dormire indisturbato perché c’è un compagno a guardarti le spalle. I combattimenti schiena contro schiena, la spartizione del bottino, i boccali schiumanti durante i brindisi in taverna. Nessun padrone demoniaco che ti sibila le sue volontà imperscrutabili nella testa, e un corpo caldo che cerca il tuo con desiderio, senza curarsi che il collo su cui sta tracciando una scia di baci appartiene a un mezzosangue, un mezzorco disprezzato da tutti.
Kryll gli circonda il viso con le mani e lo stringe a sé. Dorn sente che le sue dita abbandonano la presa su Rancor, ma non si ribella. Va bene così.
Le gambe gli cedono, la testa si svuota. Se solo potesse fermarsi un attimo a riposare…
Un sibilo acuto squarcia l’oscurità, seguito subito da un secondo, poi da altri ancora. Cinque dardi rossi luminosi convergono su Kryll e la fanno sparire in uno sbuffo di fumo. Le ginocchia di Dorn urtano il pavimento di pietra, e il dolore gli schiarisce la mente, riportandolo al presente. Rancor rimbalza lontano con un clangore metallico mentre le ombre si dissolvono, come spazzate via dal vento.
Il piccoletto è lì, il maledetto eterno sorriso sempre al proprio posto. Sta dicendo qualcosa a proposito di un illusionista pazzo che si nascondeva tra le rovine, ma Dorn lo ascolta solo a metà. Si rialza piano, sbatte le palpebre come se non riuscisse bene a mettere a fuoco l’elfo di fronte a lui.
“Tutto a posto?” domanda il piccoletto. Sembra sinceramente preoccupato.
Al suo cenno d’assenso si mette in marcia verso un’arcata sulla parete sinistra. “Ottimo! Vieni, gli altri ci aspettano da quella parte! E Neera ha trovato il bambino!”
Dorn segue l’elfo senza una parola, fermandosi un attimo per raccogliere Rancor. Le sue dita stringono l’elsa della spada con più forza del dovuto.
Il piccoletto lo ha visto in un momento di debolezza. Dovrebbe ucciderlo solo per questo.
“Dai, sbrigati, che aspetti?” l’elfo lo chiama ancora agitando una mano.
Dorn rinfodera la spada, e lo segue con un sospiro.
Il piccoletto in fondo non è poi un leader così terribile. Nessun capo che torna indietro di persona per recuperare i propri compagni lo è. Forse può concedergli un’altra possibilità.
Forse stanotte potrà dormire con entrambi gli occhi chiusi.

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Capitolo 7
*** Gioco di squadra ***


200px-Xzar



Personaggio: Xzar
Genere: Introspettivo, Malinconico
Rating: verde
Avvertimenti: per una volta credo nessuno XD


Gioco di squadra

“Sua Maestà è davvero incontentabile oggi!”
Il calcio di Xzar manda all’aria un mucchio di ciottoli e solleva un velo di polvere grigia nel vicolo sudicio.
Halfling insulso e supponente! Ridicolo scherzo della natura! È solo colpa sua se sono rannicchiati in quel lurido covo di ratti da più di due ore senza riuscire a venire a capo di nulla. Colpa sua e della sua testardaggine malfidata.
“Potresti proporre qualcosa anche tu visto che non ti sta mai bene niente!” sbuffa il necromante, e senza attendere risposta sporge di nuovo la testa oltre l’imboccatura del vicolo per spiare il loro obiettivo.
All’apparenza è un edificio come tanti altri, in tutto e per tutto simile alla sfilza di anonimi magazzini e botteghe che lo circondano, ma Xzar sa che irrompere lì dentro senza un piano più che solido equivarrebbe a scoperchiare il sarcofago di un lich senza prima lanciarsi una protezione contro la non-morte.
“Altrimenti potremmo fare così” continua dopo una breve pausa, gli occhi sempre fissi sull’edificio arancione: “Tu ti infiltri passando per le fognature. No, niente proteste! È un luogo molto più adatto a te che a me. Poi una volta dentro rompi i sigilli di protezione con una pergamena che ti scriverò io, e a quel punto, zac! Gli spedisco una bella orda di ghoul dritta dritta attraverso il portone principale… “
Un piano geniale, Xzar ha tutto il diritto di complimentarsi con se stesso. Peccato solo che il silenzio dell’halfling alle sue spalle sia carico di disapprovazione.
“Ti avverto Montaron, comincio davvero a seccarmi.”
Si siede su una vecchia cassa sfondata, probabilmente abbandonata lì da parecchio tempo a giudicare dal legno marcio, e si massaggia le tempie con le dita. Se solo quel maledetto ladruncolo da tre soldi collaborasse…
“Puoi aspettare che uno di loro metta il naso fuori” tenta ancora dopo qualche minuto, ma il suo tono di voce ormai è privo di convinzione. Sa già come andrà a finire quel discorso. “Gli rubi il medaglione, poi io entro con qualche incantesimo di camuffamento e… “
… e allora la morte distruttrice di mondi calerebbe su quei maledetti Arpisti!
Xzar non dà voce al suo pensiero. Rimane a lungo con la fronte tra le mani, inseguendo il labirinto di idee che si aggroviglia dietro le sue palpebre chiuse come una trama di fili colorati e sfuggenti, impossibili da afferrare. Appena gli sembra di stringerne uno tra le dita quello si scioglie in mille rivoli luminosi e si dissolve nel buio, prendendosi gioco di lui. Non gli era mai capitato di sentirsi così impotente.
Alla fine alza gli occhi verso il fondo del vicolo, dove le ombre si addensano più fitte.
“In pratica mi stai dicendo… che senza il tuo aiuto non sono capace di fare niente?”
Gli rispondono solo il silenzio della sera e un improvviso soffio di vento che spazza il vicolo vuoto, facendogli ondeggiare il mantello e i capelli.
Userebbe quell’halfling insolente come bersaglio di allenamento per i suoi dardi incantati se solo potesse mettergli le mani addosso.
Se solo non avesse maledettamente ragione.
Xzar sospira e infila una mano nella bisaccia, estraendo una gemma rossa dalla superficie liscia e sfaccettata. La primissima refurtiva di Montaron, un rubino abilmente sottratto alla collana di una dama facoltosa ai tempi in cui era ancora un cucciolo di halfling appena in grado di camminare. O almeno questa è la storia che il furfante racconta sempre per spiegare l’origine di quello che definisce il suo “talismano portafortuna”. Xzar ha trovato il gioiello due giorni prima abbandonato nella polvere davanti al palazzo degli Arpisti, e non ha avuto bisogno di altre prove per capire che la missione di infiltrazione del compagno è fallita miseramente.
“Ma ora io devo pur trovare un modo per tirarti fuori da lì, dannazione!”
Il rubino sembra sorridere dal palmo della sua mano, accarezzato dagli ultimi raggi del sole morente che lo fanno risplendere di bagliori rossi. Gli occhi di Xzar vengono catturati dallo scintillio e lo seguono oltre il vicolo, nello spiazzo antistante il palazzo arancione, dove proprio in quel momento sta passando un gruppo di persone dall’aspetto esotico.
Il necromante trattiene il respiro.
Forse Montaron per una volta non ha esagerato. Forse quel gioiello porta davvero fortuna.
I bagliori cremisi danzano come lingue di fiamma tra i capelli dorati del giovane elfo che ha appena varcato la piazza insieme al suo seguito di compagni. Xzar riconoscerebbe quel piccoletto tra mille: il ragazzino prodigio di Candlekeep, l’unico avventuriero nella Costa della Spada che scomoda il suo gruppo per correre al salvataggio di vedove e orfani senza certezza di ricompense…
Le sue labbra si piegano in un sorriso: “Lo dici sempre anche tu Montaron che il modo più sicuro per ottenere qualcosa è far lavorare un altro al posto tuo… “
In due passi abbandona il vicolo, emergendo dalle ombre.
“Ehi voi! Un attimo della vostra attenzione, per favore…. “

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Capitolo 8
*** Sängerkrieg ***


Garrick



Personaggio: Garrick
Genere: Introspettivo, Missing Moments
Rating: verde
Avvertenze: Sängerkrieg in tedesco vuol dire "gara dei cantori". Il termine è tratto dall'opera di Wagner Tannhäuser, incentrata appunto su una competizione tra poeti. L'idea per la storia mi è venuta da lì.


Sängerkrieg

Le ultime note della melodia di Eldoth si perdono in una raffica di applausi. Il bardo si inchina per ricevere l’ovazione del pubblico e lancia un bacio sulla punta delle dita a Skie, che batte le mani e sorride dal suo posto di giudice, dietro al bancone della taverna.
Garrick detesta ammetterlo, ma il suo rivale è davvero bravo. È quasi impossibile seguire le sue dita mentre danzano leggere tra le corde del liuto, intessendo una corrente spumeggiante di musica che si avvolge in spire vivaci attorno alla sua voce calda e appassionata per dare vita a ballate di avventura, amore e battaglie. Persino lui è tentato di applaudire, da intenditore che sa riconoscere della buona musica quando la sente.
“Ehi, fiorellino! È il tuo turno adesso!” La voce di Eldoth, così gradevole nel canto, è sempre carica di scherno quando si rivolge a lui. Garrick deglutisce, consapevole di avere gli sguardi di tutti puntati addosso.
Pian piano il brusio nella sala comune si spegne di nuovo. Garrick armeggia con le corde della cetra, tenta di accordarle con le dita che tremano leggermente. Prende tempo. Da lontano, Skie gli sorride in segno di incoraggiamento.
L’idea della gara è stata di Eldoth, ovviamente. Così come quella di disputarla in pubblico, e precisamente nella taverna più affollata di Baldur’s Gate. Garrick si è lasciato trascinare attratto dal premio in palio per il vincitore, un bacio di Skie, ma ora, seduto al centro della sala con la lingua incollata al palato e la gola secca, non è più tanto sicuro che sia stata una buona idea.
Il silenzio si protrae, e il pubblico inizia ad agitarsi.
“Che aspetti?” lo incita qualcuno.
Garrick chiude gli occhi. Accarezza le corde per aiutarsi a trovare la concentrazione, pur non traendone alcun suono. Non conosce ballate emozionanti come quella cantata da Eldoth o, se le conosce, non gli vengono in mente. Per la verità al momento non gli viene in mente proprio nulla.
Nulla tranne il sorriso di Skie, che emerge dal buio dietro le sue palpebre chiuse. Garrick si aggrappa a quell’immagine, tenendo gli occhi serrati per non farla fuggire via, e finalmente pizzica le corde traendone un primo, esitante accordo. Le prime note scaturiscono lievi e pure dalla cetra. Si impongono sul rumoreggiare dei presenti, che a poco a poco tace. Il pubblico è di nuovo tutto per lui.
Garrick prende fiato, e si getta a capofitto nel vortice della musica.
Improvvisa.
Le note salgono e scendono, disegnano un’armonia morbida come il profilo delle colline di cui parla la sua canzone. Scorrono leggere come ruscelli, si sfilacciano nell’aria come brandelli di nuvole. La sua voce canta di giornate di sole, di cieli azzurri di primavera e prati bagnati di rugiada. Canta di quanto sia bello assopirsi nell’abbraccio del sole e lasciare le proprie preoccupazioni volare lontano insieme al vento.
Qualcuno, forse Eldoth, ridacchia alle sue spalle. “Che canzone infantile!”
Garrick non ci fa neanche caso. Continua a tenere gli occhi chiusi e si lascia guidare dalla musica. È la musica a condurre lui. Lui, il bardo, non la sta creando. La sta solo scoprendo, rivelandola nota dopo nota.
Solo quando l’ultimo accordo risuona nella stanza e sente il pubblico applaudire si azzarda ad aprire gli occhi. E si ritrova davanti Skie, in piedi a pochi passi da lui. Ha gli occhi lucidi.
“Hai… hai cantato di tutto quello che sognavo quando ero rinchiusa nel palazzo di mio padre” la voce della giovane trema per l’emozione: “Le cose belle che vedevo dalla mia finestra e non potevo raggiungere. La libertà… “ Garrick trattiene il fiato quando lei gli sfiora la guancia con il dorso della mano e avvicina le labbra alle sue. “Merita il premio chi sa vedere con occhi così puri la bellezza del mondo.”
Mentre Skie lo bacia, Garrick scorge dietro le sue spalle l’espressione furibonda di Eldoth, e si compiace dentro di sé.
A sfuggire alla vendetta del rivale penserà dopo. Comunque vadano le cose, vale la pena rischiare la vita per un bacio di Skie.

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Capitolo 9
*** The charm of the seer ***


200px-Yoshimo



Personaggio: Yoshimo
Genere: Introspettivo, Drammatico
Rating: giallo
Avvertenze: non ho saputo resistere e mi sono basata sulla prima "stesura" di BG2, poi eliminata dalla versione finale del gioco, in cui Yoshimo era il fratello di Tamoko e cercava vendetta per la sua morte. Nella storia sono presenti quindi alcuni elementi in contrasto con la versione definitiva della storia di Yoshimo nel gioco canonico. Anche stavolta il titolo si rifà a una canzone di Ayreon: siete autorizzati ad accusarmi di monotonia XD

 

“But as I poise on the edge of life
where time disappears
I bow in fear
to the charm of the seer.”

(Ayreon, “The Charm of the Seer”)



The charm of the seer

Il Figlio di Bhaal urla di dolore, contorcendosi disperatamente tra le sbarre della gabbia mentre l’ennesima sfilza di dardi incantati gli trafigge il petto.
“Interessante.” il mago sorride, osservando compiaciuto la sua vittima. Nell’oscurità del sotterraneo, i bagliori intermittenti degli incantesimi serpeggiano tra l’intrico di vene che gli deturpa il volto, rendendolo se possibile ancora più grottesco. “Hai molto potenziale inespresso.”
Per un attimo il carnefice sembra fermarsi a riflettere, poi la tortura riprende. Un incantesimo dopo l’altro, fulmini, fuoco, ghiaccio in rapida successione, senza un attimo di respiro.
Dal suo angolo nell’ombra, Yoshimo osserva in silenzio.
Assapora ogni grido, ogni convulsione, ogni ferita inferta al corpo martoriato dell’elfo. Ogni lamento del Figlio di Bhaal è un inno alla memoria di Tamoko, un canto per placare il suo spirito inquieto e dargli il riposo che merita nell’aldilà.
Nei mesi precedenti Yoshimo ha percorso in lungo e in largo la Costa della Spada alla ricerca della sorella, spronato da un presentimento senza nome che gli ha fatto dimenticare il sonno e la fame per giorni interi. Le tracce infine lo hanno condotto alla caotica città di Baldur’s Gate, dove la sua ricerca si è conclusa di fronte all’enorme portone a battenti di un tempio sotterraneo dimenticato dagli dèi e dagli uomini.
Ancora adesso il ricordo del corpo di lei freddo e inerte tra le sue braccia gli strappa un tremito. La figura dell’elfo torturato si appanna davanti ai suoi occhi, i contorni diventano sfumati, e Yoshimo si ritrova a scacciare le lacrime con un gesto furioso della mano. Il bastardo potrebbe morire mille volte, e ancora non sarebbe sufficiente. Non lo sarebbe mai.
“Possibile che non ti rendi conto del tuo potenziale?”
Difficile che nella sua mente sconvolta dal dolore l’elfo riesca a capire le parole del suo carnefice. Il mago sembra nutrire una vera e propria ossessione per il Figlio di Bhaal, per ragioni che Yoshimo non riesce a immaginare. Né per la verità gli interessa. Sa solo che Jon Irenicus ha dato uno scopo alla sua sete di vendetta rivelandogli il nome dell’assassino di Tamoko, e questo gli basta.
Una serie di passi metallici e cadenzati distoglie il mago dalla sua vittima. Il golem si presenta al cospetto del suo creatore, parlando con una voce profonda che sembra scaturire dalla terra stessa:
“Altri intrusi sono entrati nell’area, padrone.”
Irenicus sembra infastidito, ma non sorpreso: “Hanno agito prima di quanto ci aspettassimo. Pazienza. Il piano è solo rimandato.”
“Rimandato?” interviene Yoshimo mentre il golem ritorna obbediente al suo posto. “Avevi promesso che sarei stato io a dargli il colpo di grazia.”
Tra le dita di Irenicus si sta già formando un globo di luce verdastra, probabilmente un incantesimo di teletrasporto. Il mago si volta verso di lui, e sembra accorgersi per la prima volta della sua presenza.
“E lo farai.” dice in tono neutro, piatto. “Ma non qui, non ora. Potrei aver bisogno che tu conduca il Figlio di Bhaal in un luogo più… appropriato.”
“Non erano questi i patti. Ti ho aiutato a catturare l’elfo e i suoi compagni. Ora voglio quello che mi spetta.”
Se il mago pensa di usarlo come uno dei suoi golem tirapiedi si sbaglia di grosso. I giochi di potere di Irenicus non lo riguardano. Forse un tempo si sarebbe lasciato tentare dalle ricompense, dalla possibilità di guadagno, dai vantaggi che vengono dal servire un uomo di grande potere… ma ora tutto questo si dissolve come una manciata di sabbia nel vento di fronte ai grandi occhi neri di Tamoko, colmi di una tristezza senza fine che reclama riscatto e vendetta.
Irenicus non risponde, si limita a fare un gesto con la mano e lasciar svanire l’incantesimo. Il suo volto non tradisce alcuna espressione, una maschera mostruosa che cela ogni pensiero e intenzione. Istintivamente la mano di Yoshimo corre alla cintura, attorno all’elsa del pugnale.
In quel momento mille scintille di dolore gli esplodono nel petto.
Crolla in ginocchio, le dita che artigliano freneticamente la casacca e arrivano a graffiare la pelle nel vano tentativo di domare l’incendio che gli divampa dentro. Quando tenta di urlare, solo un rantolo soffocato esce dalla sua bocca spalancata.
La figura del mago torreggia impassibile su di lui, opaca e tremolante attraverso un velo di lacrime.
“Temo che tu abbia bisogno di un piccolo… incoraggiamento.”
Irenicus solleva un dito e una vampata più ardente delle altre gli divora la gabbia toracica. Tamoko piange, il suo bel viso sconvolto dalla paura gli scivola via dalla mente sommerso da un’ondata insopportabile di dolore mentre un artiglio di fiamma gli stritola il petto, e il geas prende definitivamente il controllo del suo cuore.

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Capitolo 10
*** Diamonds are a dwarf's best friend ***


Kagain



Personaggio: Kagain
Genere: Introspettivo, Missing Moments, Comico
Rating: verde
Avvertimenti: è scritta di cacca.



Diamonds are a dwarf's best friend

Se chiedi a una persona qualsiasi chi era Durlag, risponderà quasi sicuramente “il nano più sfortunato della storia”. Pochi, molto pochi ricordano che è stato anche il signore dei nani più ricco che abbia mai camminato su Faerûn.
Kagain preferisce di gran lunga il secondo punto di vista: più vincente, più vantaggioso.
La spedizione finora è stata un successo. Rubini, zaffiri e diamanti come se piovesse, oltre a una quantità semplicemente vergognosa di monete d’oro. Già dopo il primo piano sotterraneo ogni anfratto dello zaino, delle tasche e delle bisacce di Kagain è pieno fino all’inverosimile, e il nano avrebbe quasi voglia di baciare la maga selvaggia che ha acconsentito a condividere con lui la sua borsa conservante.
Se non fosse per le occhiate di disprezzo e le frecciatine di Yeslick sarebbe una giornata davvero perfetta. Con quelle sue sopracciglia aggrottate e le labbra perennemente atteggiate in una linea dura e sottile il chierico sembra l’effige vivente di Helm giudicatore. O la sua versione nanica, per lo meno. Kagain sente il suo sguardo severo bruciargli sulla schiena ogni volta che con l’ascia frantuma un vecchio forziere per svelarne i tesori nascosti, più irritante di qualsiasi scheletro, ghast o Doppelgänger abbiano incontrato finora.
“È colpa tua se quei ragni ci hanno attaccati prima” lo ha accusato addirittura qualche stanza fa. “Hai perso troppo tempo a cercare nella sala d’armi.”
E quando tu ti sei fermato a blaterare preghiere per la famiglia di Durlag e ci sono sbucati cinque golem alle spalle, allora?
O peggio, quando li ha costretti tutti ad ascoltare la triste storia del suo passato, del suo clan sterminato, del tradimento di un presunto amico...
“Per certi versi la storia di Durlag mi ricorda la mia. I Doppelgänger lo hanno colto di sorpresa prendendo le sembianze dei suoi cari…. e allo stesso modo io sono stato ingannato da un essere spregevole che si nascondeva dietro la maschera dell’amico.”
Per farla breve, una sere di sviolinate patetiche come non se ne sentono nemmeno nelle canzoni da quattro soldi del più ubriaco dei bardi.
Il Figlio di Bhaal fa cenno che il corridoio è sgombro da trappole e Kagain si mette in testa al gruppo, l’ascia sguainata e un occhio sempre fisso sulla maga e il suo prezioso contenitore di gemme. C’è una svolta pochi metri più avanti. Il nano prosegue rasente al muro, i sensi tesi a captare ogni possibile segno di pericolo.
Un urlo improvviso li inchioda sul posto, raggelandoli. Stavolta non è il verso di una bestia o di una creatura mostruosa, lo hanno sentito tutti. È una voce umana, infantile.
“Aiuto! Vi prego… aiutatemi!”
Prevedibile. Non fa in tempo ad afferrarlo per un braccio che Yeslick si lancia in avanti roteando il martello come un ossesso.
“Per Moradin!”
Kagain impreca e lo segue di corsa. Ancora prima di svoltare l’angolo già vede chiara con gli occhi della mente la scena che sta per comparirgli davanti. La pelle del bambino che si accartoccia come una pergamena consumata dal fuoco, rivelando le sembianze grottesche di un Doppelgänger. Yeslick colto di sorpresa, sbilanciato all’indietro, troppo lento a sollevare il martello per difendersi.
Il colpo lo atterra e l’arma gli rotola via dalle mani. Solo l’ascia di Kagain si para tra lui e una fine sicura, aprendo in due il mostro con un colpo netto e facendo schizzare il suo icore viscido e disgustoso tutto intorno. L’espressione sconcertata sulla faccia del chierico è impagabile.
“Tu mi ritieni solo un predone avido e senza scrupoli” gli dice Kagain più tardi, quando il gruppo riprende la marcia nei sotterranei della torre di Durlag. Per un po’ i due nani camminano fianco a fianco, e trascorrono parecchi istanti di silenzio prima che l’altro si decida a rispondere.
“Non solo io” borbotta infine il chierico, senza neanche degnarsi di guardarlo in faccia. “È un dato di fatto.”
“Però vedi, anch’io ho i miei motivi. I parenti ti ingannano. Gli amici ti pugnalano alle spalle. Chi sostiene di amarti può diventare il tuo peggior nemico.” Yeslick continua a fissare dritto davanti a sé, muto e ostinato. “Ma questi, caro il mio chierico… “ da una delle bisacce agganciate alla cintura Kagain estrae un diamante grezzo, sollevandolo in modo che la luce delle torce si rifletta in guizzi luminosi sulla sua superficie sfaccettata.
“Questi non ti tradiscono mai.”

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Capitolo 11
*** La vera storia di come il prode Jan Jansen beffò e sconfisse Kangaxx il semi-lich ***


Jan_Portrait_BG2



Personaggio: Jan Jansen
Genere: Comico, Demenziale
Rating: verde
Avvertimenti: il comico non è il mio genere, e si vede. Ho fatto più fatica a scrivere questa che tutte le altre messe insieme.



La vera storia di come il prode Jan Jansen beffò e sconfisse Kangaxx il semi-lich

Una carica di paladini è uno spettacolo che non si ammira tutti i giorni. Spade levate contro il cielo, scudi e armature scintillanti di luce sacra (o in alternativa illuminati da qualche globo magico opportunamente nascosto tra le giunture), voci tonanti che invocano la giustizia degli dèi. Una scena che trasuda epicità quasi quanto lo zio Gerhardt quella volta che sconfisse l’invasione di talpe nel suo orto sparando dardi incantati nei cunicoli. Jan si sporgerebbe ad applaudire se non temesse di perdere la sua posizione privilegiata, accovacciato dietro al sarcofago che lo ha nascosto alla vista del lich per tutta la durata del combattimento.
Non spreca fiato ad avvertirli. Innanzitutto perché tra le loro urla sulla gloria e l’onore e il clang-clang delle armature non lo sentirebbero mai, e poi perché tanto lui è solamente “il piccolo gnomo ladro e infingardo”, figuriamoci se lo stanno ad ascoltare.
Finora se la sono cavata degnamente, deve riconoscerglielo. Le creature evocate dalla maga hanno retto bene l’impatto devastante dei poteri di Kangaxx, Anomen lo ha stordito a forza di sermoni su Helm (per un attimo Jan ha quasi avuto pietà del povero lich), le frecce del Figlio di Bhaal raramente sbagliano il segno, e Keldorn… beh, uno che va in giro brandendo una roba chiamata “Carsomyr il Santo Vendicatore” farebbe impallidire persino una vecchia scorza dura come la prozia Gladys, che è sopravvissuta eroicamente al Lungo Quinquennio della Carestia di Rape e ha seppellito con le sue mani quindici figli, ventitré nipoti e quarantaquattro pronipoti.
Peccato che ci siano cose contro cui persino Carsomyr il Santo Vendicatore o la gloria sempiterna di Helm hanno l’utilità di una latrina otturata durante un’epidemia di dissenteria. Poche cose, ma esistono. Una di queste è un incantesimo di Imprigionamento. Jan conosce bene gli incantesimi di Imprigionamento; per anni in famiglia avevano creduto che il cugino Tedd fosse scappato di casa per sfuggire alle angherie della suocera, prima di scoprire che aveva semplicemente curiosato tra le pergamene sbagliate.
I suoi sensi gnomeschi gli hanno fatto drizzare tutti i capelli sulla nuca nel momento in cui Kangaxx si è rivelato nella sua forma definitiva. Gli piacerebbe che ogni tanto i suoi sensi gnomeschi si sbagliassero, ma purtroppo non succede mai. E così, come da copione, i prodi Anomen e Keldorn puff! scompaiono proprio nel bel mezzo della loro carica gloriosa, proiettati all’istante in una simpatica sfera sepolta a centinaia di metri nelle profondità della terra dove nessuno potrà più ascoltare le loro dissertazioni su Helm e Torm. Che peccato.
Un attimo dopo anche l’incauto ranger fa la stessa fine, e il Figlio di Bhaal e la maga selvaggia riparano dietro al sarcofago, evocando nuovi sciami di creature da mandare al macello.
Solo a quel punto Jan si alza in piedi, stiracchiando le gambe intorpidite. Qualcosa gli dice che è arrivato il suo momento.
Dalle cianfrusaglie nella bisaccia estrae una pergamena, quella che ha sgraffignato qualche giorno fa all’Emporio dell’Avventuriero subito dopo aver sentito Keldorn proporre al Figlio di Bhaal di andare a caccia di lich. Pronuncia le parole magiche tenendola sollevata, e in pochi secondi una sfera impalpabile di luce azzurrina avvolge interamente il suo corpo.
Esce dal nascondiglio proprio mentre uno sfortunato djinn sparisce nel nulla (ormai il sottosuolo sarà diventato piuttosto affollato), e inizia ad avanzare tranquillo verso Kangaxx.
“Salve! Come va? Giornataccia, eh? Ti capisco sai, stai riposando tutto tranquillo nel tuo bel sarcofago quando quei brutti paladini maleducati cominciano a urlarti nelle orecchie... anche se tecnicamente tu non dovresti avere orecchie essendo un teschio gigante…”
Senza badare ai convenevoli il semi-lich comincia a rigurgitargli addosso la consueta dose di incantesimi. I raggi di energia si infrangono impotenti contro lo scudo che circonda Jan, sfrigolando contro la sua superficie eterea come pesci fritti in padella. La pergamena di protezione è veramente valsa tutti gli sforzi che ha fatto per rubarla.
Con calma lo gnomo punta la balestra verso la creatura e spara una salva di quadrelli. Poi un’altra. E un’altra ancora. Da dietro il sarcofago anche le frecce del Figlio di Bhaal e la fionda della maga gli vengono in aiuto.
In pochi minuti è tutto finito, e il silenzio torna a regnare nella cripta.
“Sapete?” dice mentre i suoi due compagni emergono con aria lievemente sconcertata dal loro riparo improvvisato. “Temo che dovremmo tornare all’Emporio dell’Avventuriero. Ci tocca rubare qualche pergamena di Libertà.”

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Capitolo 12
*** Equilibrio ***


Jaheira_Portrait_BG2



Personaggio: Jaheira
Genere: Introspettivo, Missing Moments
Rating: giallo
Avvertimenti: mi sono basata sul background di Jaheira che è raccontato nella sua biografia in game. La Jaheira di questa storia è poco più che una bambina, perciò non stupitevi se appare diversa da quella che conoscete nel gioco. Il fatto è che io e la Jaheira adulta non andiamo per niente d'accordo, perciò ho trovato questa escamotage per parlare di lei.



Equilibrio

I piedi scalzi affondano nell’erba umida, trasmettendole una piacevole sensazione di fresco lungo tutte le gambe. Attorno a lei, la foresta sfoggia con orgoglio il suo manto autunnale, avvolta dalla soffusa luce dorata che filtra tra le fronde. Jaheira si ferma immobile al centro della radura, allargando le braccia con i palmi rivolti verso il cielo come i druidi le hanno insegnato. Un soffio di vento le scompiglia i capelli, ma né quello né la bellezza che la circonda riescono a scacciare le immagini di fuoco e paura che l’hanno appena risvegliata dall’ennesimo incubo. Come la mattina precedente. E quella prima ancora.
Jaheira socchiude gli occhi e cerca conforto nel profumo delle foglie e del muschio, nell’odore del bosco che da pochi mesi è diventato la sua nuova casa. Nella sua mente continua a recitare le parole del maestro, come una cantilena:
“Tu devi essere come l’albero, bambina. L’albero è ancorato alla terra, da essa trae nutrimento ed energia. Allo stesso tempo però i suoi rami offrono riparo agli uccelli e alle piccole creature della foresta, e le sue fronde respirano la voce del vento e si elevano fiere verso il cielo. È questa armonia tra la natura che ci dà la vita, gli esseri viventi e le forze divine che noi chiamiamo Equilibrio.”
Jaheira ci prova a respirare la voce del vento. Ci prova con tutte le sue forze. Ma il vento le porta soltanto l’odore acre del fumo che le invade i polmoni e la fa piegare in due tra i colpi di tosse, gli occhi inondati di lacrime. In un attimo lo schermo protettivo degli alberi svanisce e lei si ritrova di nuovo lì, nel castello, aggrappata disperatamente alle vesti di sua madre mentre da fuori le grida dei ribelli e i colpi dell’ariete fanno tremare il portone del cortile interno.
Rivive l’orribile momento in cui la madre la spinge via da sé, gentilmente ma con fermezza, per affidarla all’abbraccio di Mya, la sguattera di cucina. Rivive la corsa disperata tra i cunicoli bui e soffocanti del passaggio segreto, rivede il corpo di Wagner, il capitano della guarnigione, cadere tagliato in due da una spada per coprire la loro fuga verso la foresta.
Un conato di vomito la fa cadere in ginocchio su un tappeto di foglie secche.
Che sciocchezza, l’Equilibrio. Come può esserci Equilibrio nel mondo se delle persone buone, che non hanno mai fatto del male a nessuno, vengono uccise solo perché erano fedeli a un re che qualcun altro non amava? Dov’è l’Equilibrio nel castello incendiato, nei campi calpestati e distrutti, nel pianto di una bambina che in una sola notte ha perso tutto ciò che aveva di caro al mondo?
Lo scricchiolio improvviso di un ramo le strappa un sussulto, e Jaheira salta in piedi asciugandosi le lacrime con rabbia.
Di nuovo quell’impostore!
“Guarda che lo so che mi stai spiando!” grida verso le fronde da cui è venuto il rumore. Finora l’aveva sempre ignorato, ma non riesce a sopportare l’idea che l’abbia vista piangere. “Sei il ragazzino che è venuto una settimana fa con l’altro maestro. Fai veramente schifo a nasconderti.”
Il fruscio tra le fronde si intensifica, e pochi istanti dopo l’impostore si cala giù dall’albero con un salto un po’ goffo che per poco non gli fa perdere l’equilibrio. Solo ora riesce a vederlo bene in faccia: deve essere poco più grande di lei, e sfoggia un’espressione da assoluto ebete sul viso squadrato.
“C-che brava… mi hai scoperto… “
“Perché mi spiavi?” lo aggredisce Jaheira. “Che cosa vuoi da me?”
Il ragazzino diventa rosso e comincia a guardare in tutte le direzioni tranne che verso di lei. “I-io m-mi annoiavo e… scusa, non ti volevo offendere! Il mio m-maestro mi ha portato qui per imparare dai druidi, p-per f-f-fare esercizi di meditazione e conoscere la natura, ma, ma… non sono molto b-bravo. La meditazione è un po’ noiosa e… e…. “
Jaheira si volta e fa per andarsene. L’ultima cosa di cui ha voglia in quel momento è stare ad ascoltare i balbettii incoerenti di quello spione.
La voce di lui la rincorre attraverso la radura. “A-aspetta!! Io p-p-p-pensavo che p-potevamo diventare amici!! S-so combattere, sai? Sono un guerriero!”
Suo malgrado Jaheira si volta ridendo: “Un guerriero? Tu?”
“Sì!” un sorriso complice gli attraversa per un attimo il volto, rendendolo sorprendentemente più gradevole. “Se vuoi p-posso insegnarti. Scommetto che anche tu ti annoi con la meditazione. E poi… combattere aiuta a smettere di p-pensare.”
Finalmente il ragazzo si decide a guardarla negli occhi. Le sembra di riconoscere qualcosa in quello sguardo, un’ombra fugace che le ricorda la sua stessa tristezza, le sue stesse paure. È diverso dalle occhiate compassionevoli dei druidi che ogni giorno tentano di confortarla.
Per un istante ha l’impressione che qualcuno la capisca veramente.
“Io non ci credo che sai combattere.” gli dice infine, distogliendo la sguardo.
Il presunto guerriero non si arrende: “Domani a quest’ora, allo stagno. I bastoni da allenamento li porto io.”
Jaheira non risponde. Si volta di nuovo e riprende ad allontanarsi, ma questa volta il ragazzo non tenta di fermarla. Forse ha capito che insistere non serve. Che in cuor suo Jaheira ha già preso la sua decisione.
“Io comunque mi chiamo Khalid!” lo sente gridare mentre si inoltra tra gli alberi, e si lascia sfuggire un sorriso.
Per un attimo la foresta le sembra più luminosa.

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Capitolo 13
*** Nothing but a mere illusion ***


Safana


Personaggio: Safana
Genere: Introspettivo, Comico
Rating: giallo tendente all'arancione
Avvertimenti: ... si vede che detesto Safana? XD



Nothing but a mere illusion

Il tocco del mago è timido, palesemente inesperto. Le sue mani percorrono il corpo di Safana come farebbero con una delle sue preziose pergamene, sfiorandolo appena con la punta delle dita quasi temessero di sgualcirlo. Risalgono timorose lungo la curva morbida dei fianchi, esitano per lo spazio di qualche istante e solo alla fine osano raccogliersi attorno ai seni, indugiandovi con dolcezza.
Non sono certo quelle goffe carezze da adolescente a farle avvampare un brivido di desiderio sulla pelle e fin dentro le viscere. C’è una sensazione ancora più inebriante del calore del corpo di un uomo premuto contro il proprio, ed è il gusto del potere, urgente ed irresistibile. La consapevolezza che quell’uomo, almeno per il breve spazio di una notte, ci appartiene. Che ogni suo gesto, ogni suo sospiro, è schiavo della nostra volontà e del nostro inappellabile capriccio.
Stanca di giocare, Safana affonda le dita nei suoi capelli e lo tira verso di sé, lo bacia con passione, con violenza. Dalle labbra dell’incantatore sfugge un gemito inarticolato e le sue mani acquistano coraggio, esplorano il suo corpo con rinnovata avidità, sopraffatte dall’ondata inarrestabile di desiderio.
Dentro di sé, Safana esulta. La sua scelta sarebbe potuta cadere su un qualsiasi altro membro del gruppo: il mezzorco dal fisico impossibilmente perfetto magari, oppure il ranger affascinante e tenebroso. Il mago mingherlino, con le sue spalle curve e l’aria perennemente afflitta, l’ha convinta per la semplice ragione che era il più improbabile, il più assurdo di tutti. Quello su cui nessuna donna metterebbe mai gli occhi, nemmeno per errore.
Lo strumento perfetto per la sua vendetta.
Coran è uno stupido se crede che lei non abbia notato come guardava la cameriera l’altra sera alla locanda. Safana ha fatto finta di nulla, continuando a conversare con i compagni di viaggio e a bere birra come se niente fosse, ma ai suoi occhi attenti di ladra non è sfuggito nemmeno un particolare. Ha visto le mani dell’elfo allungarsi “casualmente" verso i fianchi e il fondoschiena di quella ragazzina insipida. Lo ha visto prenderla da parte alla fine della cena e sussurrarle qualcosa all’orecchio, strappandole una risatina imbarazzata e dipingendole le guance di un rossore che celava ben altri desideri.
Immaginare il seguito è bastato a mandarle di traverso la birra.
L’amore non c’entra nulla. Coran non fa che ripeterle di amarla, anche se poi non riesce a fare a meno delle sue scappatelle. L’amore come lo cantano i bardi è una sciocchezza, una favola per bambine viziate. Ciò che le brucia davvero è vedere l’elfo sfuggire al proprio controllo, cedere ai sorrisi di un’altra donna quando dovrebbe strisciare per terra al solo inarcarsi di un suo sopracciglio.
E per questo merita una punizione esemplare.
L’incantatore ora prende addirittura l’iniziativa, spingendola sul letto mentre continua a baciarla sulle labbra, lungo il collo, sui seni, ormai ubriaco di piacere, ubriaco di lei. Sono proprio le persone rigide e inibite come lui che una volta rotto il ghiaccio si lasciano andare alla passione nel modo più completo, compensando l’inesperienza con l’ardore senza freni di chi scopre il sesso per la prima volta.
Poteva sembrare un bersaglio difficile, ma la verità è che conquistarlo è stato un gioco da ragazzi. È bastato introdursi nella sua stanza con la scusa più stupida del mondo:
“Xan, stamattina mentre esploravamo le rovine di Ulcaster ho trovato questo libro antico. Credo sia un grimorio di qualche tipo… pensavo che ti potesse interessare.”
Una volta dentro, la sua esperienza ha fatto il resto. Safana sorride mentre il mago ansima nell’incavo del suo collo; se lei lo desidera, nessuno è in grado di resisterle.
Il pensiero della faccia di Coran quando scoprirà che lo ha scartato in favore del mago depresso la manda in estasi più di tutti i baci di Xan. Safana assapora il gusto dolce del trionfo e le sue dita scattano in avanti, armeggiando impazienti con i lacci della tunica del mago.


“Forse dovresti farla smettere. Prima che inizi a spogliarsi, intendo. A meno che tu non gradisca lo spettacolo.”
Senza staccare lo sguardo dal letto e da Safana, Neera lancia un’occhiata di sottecchi all’incantatore. No, non sembra gradire proprio per niente. La sua espressione è la stessa di sempre, quella del martire che sta sopportando stoicamente la pena indicibile di essere al mondo.
“Non credevo che avessi tutto questo senso dell’umorismo, Xan.”
In effetti ci vuole una bella dose di autocontrollo per non ridere di fronte all’immagine di Safana che abbraccia con passione il vuoto e imprime baci nell’aria. I suoi gemiti probabilmente stanno tenendo sveglia mezza locanda.
“Non è senso dell’umorismo. È difesa personale.”
“Ma come hai fatto? Non esiste un incantesimo di illusione così potente… “
“Diciamo che mi sono aiutato con una pergamena maledetta.“
Neera è sinceramente ammirata. Xan è uno dei compagni di viaggio più noiosi che abbia mai avuto, ma per quanto riguarda la conoscenza della magia non ha rivali.
“Credo che anche Coran dovrebbe venire a dare un’occhiata” aggiunge l’incantatore dopo un attimo. “Sono certo che lo troverebbe uno spettacolo istruttivo. Finalmente capirebbe che quello che lui si ostina a chiamare amore non è altro che una grande, grandissima illusione."

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Capitolo 14
*** Mischief managed ***


Baeloth



Personaggio: Baeloth Barrityl
Genere: Introspettivo, Comico, Missing Moments
Rating: verde
Avvertimenti: contiene allitterazioni. Ambientata prima di BG:EE e dei Black Pits. Il titolo è una citazione a Harry Potter.



Mischief managed

Pazienza. Precisione. Perizia. Pianificazione.
Un solo movimento sbagliato, una sola parola pronunciata male e per me è la fine. Sono venti giorni che indago l’intrico di incantesimi protettivi attorno alla camera segreta della Matrona Ardulace, e so che la chiave è lì, appena fuori la portata delle mie dita.
Ogni giorno aggiungo un minuscolo tassello al puzzle del mio piano perfetto. Pulisco i pavimenti, e mi concentro sulla trama di magia. Lucido le lampade, e scandaglio le protezioni alla ricerca di una debolezza. Persino mentre lavo le luride, limacciose latrine (di gran lunga la tortura più truce del mio tragico travaglio) sussurro incantesimi tra i denti, cercando di disfare uno per uno i fili magici che mi separano dall’ambito tesoro. Li allento con l’amorevole attenzione di un’artista, e li rimpiazzo con altrettante illusioni. Ormai non dovrebbe mancare molto.
Devo ringraziare lo Spettatore per aver fatto splendere di nuovo la scintilla della speranza nella mia anima annichilita, per avermi risollevato dal miserevole maelstrom di mestizia in cui ero precipitato. Ci siamo intesi subito, lo Spettatore e io. Abbiamo troppe cose in comune. Due geni incompresi, creature di intelligenza inimmaginabile imbrigliate e incatenate dall’invidia di individui inferiori. L’ho incontrato per la prima volta un giorno che la Matrona mi ha spedito tra le rovine nella periferia di Ust Natha per rincorrere uno dei suoi ributtanti ragni domestici. Non ho ritrovato il ragno, ma mi sono imbattuto nell’unico essere in tutto il Sottosuolo sufficientemente intelligente da comprendere il mio valore.
Dopo quel giorno ci sono tornato tutte le volte che ho potuto. Non possiamo aiutarci a vicenda, ma se non altro ci consoliamo con una delle più inestimabili benedizioni che sia concessa agli uomini in tempi di crisi: lamentarsi. I nostri dialoghi seguono sempre una sorta di copione prestabilito.
“Niente di nuovo sul fronte occidentale”, è il saluto usuale del Beholder. “Almeno venisse qualcuno a cercare di impadronirsi del tesoro. Se non altro la mia missione avrebbe un senso. Sicuro che non vorresti provarci tu? Anche per finta, se proprio non ti va.”
Lo Spettatore stava sonnecchiando serenamente nel suo piano quando l’incantesimo di un mago drow lo aveva evocato e vincolato indissolubilmente alla sua volontà. Per disgrazia il mago è morto poco dopo, e così il buon Beholder si è ritrovato costretto a fare la guardia per un secolo a un forziere di cui nemmeno conosce il contenuto.
“No, grazie. Uno come me meriterebbe tesori di ben altro valore. Io, Baeloth l’Intrattenitore, lo stregone più strabiliante, stupefacente e sensazionale del Sottosuolo, sottomesso a una sordida, svilente schiavitù!”
La causa primaria della mia rovina, lo dico sinceramente, risiede nella discriminazione a cui siamo soggetti noi sfortunati maschi drow. Nella stragrande maggioranza delle altre civiltà del mondo sono gli uomini a detenere lo scettro del comando. In molti regni e città degli umani le femmine sono proprietà del padre, dei fratelli e infine dello sposo; tra gli elfi di superficie godono dello stesso rispetto dei maschi, e per quanto riguarda i nani… beh, sfido chiunque a distinguere un nano da una nana. Persino tra gli animali il maschio ha autorità sul branco e possiede tutte le femmine che ne fanno parte. Stando così le cose, direi che ho avuto la favolosa fortuna di venire alla luce nell’unico luogo in tutta Faerûn in cui il sesso maschile è completamente assoggettato e asservito allo strapotere femminile.
“E che avrò fatto di tanto terribile, poi? La mia arena di gladiatori aveva successo. Come tutte le mie idee, del resto. Ero riverito e rispettato. Ti pare che la Matrona Ardulace se la doveva prendere con me solo per un paio di insipidi Ilithid fuggiti per errore? Avessero ucciso qualcuno di importante… “
Non ci sono dubbi che Ardulace Despana, prima matrona di Ust Natha, fosse gelosa del mio potere e della mia influenza e cercasse un pretesto qualsiasi per affondarmi. Ma, che Lolth le strappi il cuore, se lo divori e lo risputi fuori in poltiglia, non le bastava far chiudere la mia adorata arena? Doveva per forza condannarmi a questa abominevole e abietta agonia? Quasi avrei preferito una giornata di frustate o di carboni ardenti. Almeno, per citare un detto dei deprecabili duergar, me la sarei cavata “con una botta e via”.
“E invece sei finito a fare da aiutante agli sguatteri di cucina.”
“Magari solo di cucina. Le latrine me le sogno persino la notte. E ogni volta mi risveglio urlando.”
Poi, un giorno, appena un mese fa, lo Spettatore mi ha salutato in modo diverso.
“Oggi è una gran giornata! Ormai ero certo che mi si sarebbero atrofizzati i tentacoli, ma devo ringraziare quei due soldati tanto simpatici se sono riuscito a fare un po’ di esercizio. Mi dispiace solo che non sia rimasto molto di loro. Non sono riuscito a trattenermi, si vede che sono fuori allenamento…”
I due sventurati (membri del casato Despana, per la mia grande gioia) avevano commesso l’errore di chiacchierare troppo prima della loro prematura dipartita.
“Erano tutti infervorati per una lampada magica che avrebbero portato qualche giorno fa alla tua adorata Matrona. Pare che l’avessero sottratta agli Ilithid che vivono a est di qui. Tutta gente che a te sta molto simpatica, eh?”
A quel punto i tasselli del grande piano già avevano iniziato a prendere forma nella mia mente.
È per questo che sono qui, ora. Sciocca, superba Ardulace! Con la condanna che mi hai inflitto ti sei scavata la fossa sotto i piedi! Se so dove si trova la tua alcova segreta lo devo al fatto che trascorro le giornate a pulire ogni angolo più riposto delle tue stanze. E oggi, proprio oggi, spezzerò l’ultimo sigillo e mi impadronirò delle vestigia del tuo potere.
La magia finalmente si dissolve, la porta segreta si rivela e si schiude di fronte ai miei occhi frementi di attesa.
Le mie dita accarezzano la superficie dorata della lampada, assaporando il momento con voluttà.
Il genio risponde prontamente al potere del nuovo padrone.
“Il mio nome è Najim. Sono al vostro servizio, signore.”
 

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Capitolo 15
*** Il suono del silenzio ***


Khalid2



Personaggio: Khalid
Genere: Introspettivo, Malinconico, Comico, Missing Moments
Rating: giallo
Avvertimenti: li ho messi alla fine per non fare spoiler XD



Il suono del silenzio

“Tre tigri contro tre tigri.”
Non è da Khalid mettere in dubbio una decisione del figlio di Gorion. Sa, da sempre, di essere il soldato perfetto: rapido a eseguire gli ordini, letale con la spada, instancabile in combattimento, ma completamente privo di qualsiasi capacità di comando. E di solito gli va bene così, contento di affidarsi al giudizio di Jaheira e del ragazzo che lui e sua moglie hanno giurato di seguire fino in capo a Faerûn.
Stavolta però è diverso. Stavolta c’è quel maledetto stregone drow che sta mettendo a dura prova persino la sua leggendaria capacità di sopportazione.
“Dai, non è difficile! Ripeti con me: tre tigri contro tre tigri.”
Khalid si sporge oltre il costone di roccia che fa loro da rifugio e si accovaccia in una macchia di cespugli. Attraverso l’intrico di rami e foglie i suoi occhi scrutano il sentiero in ogni direzione, cercando di mettere a fuoco movimenti sospetti tra la fitta vegetazione del sottobosco. Il figlio di Gorion e il resto del gruppo sono andati avanti, a stanare il gruppo di banditi hobgoblin a cui hanno dato la caccia per giorni. Khalid e Baeloth sono la retroguardia, incaricati di tenere d’occhio la via d’ingresso al covo per intercettare eventuali rinforzi in arrivo o bloccare la strada ai fuggitivi.
Un compito che finora si sta rivelando un’autentica tortura.
“Magari preferisci ‘trentatré Treant andarono a Trademeet’? Facciamo a chi lo dice più veloce?”
“B-basta, drow. Abbassa la v-voce. Ci s-s-s-scopriranno!”
La risatina dello stregone echeggia tra gli alberi, amplificata dal silenzio della foresta. Gli svolazza attorno come un folletto maligno, tagliente quanto basta a riaprire vecchie cicatrici mai dimenticate. Khalid si ostina a tenere gli occhi fissi sul sentiero, ma quello sguardo lo trapassa da parte a parte, si imprime a fuoco in ogni angolo della sua mente. Quante volte lo ha già visto? Un sogghigno appena celato dalle dita di una mano, a metà tra la commiserazione il disprezzo. Uno scintillio maligno che affiora negli occhi scuri, sotto due sopracciglia folte e perennemente aggrottate.
Da bambino tutti i suoi sforzi erano volti a far sì che la linea severa di quelle labbra si schiudesse in un sorriso, in un segno di approvazione soltanto per lui. Ha sempre fallito. Il mercante più facoltoso di Calimshan non ha mai saputo che farsene di un figlio balbuziente, incapace di condurre affari e portare a termine trattative, totalmente inadatto a ereditare il suo impero commerciale.
“È una fortuna per me che tu sia qui, Khalid. Altrimenti finirei per morire di noia. Non lo trovi divertente? Un adepto delle armi audace e ardimentoso come te che balbetta come un babbuino bastonato!”
Negli anni Khalid ha messo a punto una serie di strategie nel tentativo sempre più disperato di compiacere il genitore. Ha imparato a riconoscere le parole “difficili”, quelle che ti fanno balbettare per forza, non importa con quanta lentezza e precisione tenti di pronunciarle. Ha imparato a evitarle, studiando sfilze infinite di sinonimi e perifrasi. Ha imparato a servirsi dei gesti per sostituirle.
Ha imparato a tacere. È diventato bravissimo a sparire negli angoli, a rendersi invisibile, a confondersi tra la gente.
Ha scoperto che non parlare a volte è meno faticoso e difficile che correre il rischio di sbagliare.
“Qui non abbiamo nulla da fare. Gli altri si stanno prendendo tutto il divertimento mentre noi siamo ridotti a fare le sentinelle… capisco che il capo non volesse portare un sempliciotto che sussulta al minimo sussurro, ma lasciare me indietro… “
L’istinto maturato negli anni è più forte di qualsiasi altra sensazione. La lingua gli si incolla al palato, i denti serrati, la mascella rigida: e, ancora una volta, Khalid sceglie di non parlare.
Potrebbe avvertire di nuovo l’incauto drow, ripetergli di abbassare la testa, di nascondersi tra i cespugli. Fargli notare che se continua a blaterare a voce così alta prima o poi le persone sbagliate finiranno per accorgersene.
Invece le sue labbra rimangono ostinatamente sigillate.
“… costringermi a marcire qui insieme a questa patetica imitazione di un guerriero… scaricare così lo stregone più strabiliante che abbia mai solcato il Sottosuolo e la superficie…”
L’unico preavviso è un fruscio, un lieve movimento tra le fronde del sottobosco. Khalid sente il sibilo della freccia e si volta in tempo per vederla conficcarsi al centro della fronte del drow. Baeloth sbarra gli occhi, il suo torrente di parole stroncato a metà, e cade al suolo con un tonfo sordo.
L’hobgoblin esce dal nascondiglio tra i cespugli con un’ascia in pugno e si avvicina alla loro postazione per controllare la vittima. Ma non ha fatto i conti con Khalid. Il mezzelfo sbuca all’improvviso dalle fronde, e l’hobgoblin è troppo lento a sollevare l’arma per difendersi. La spada di Khalid lampeggia una volta, abbattendosi dritta tra il collo e la spalla della creatura, che cade morta senza emettere un lamento.
Si assicura che l’assalitore fosse solo prima di avvicinarsi cautamente al corpo di Baeloth. Basta uno sguardo per capire che non c’è nulla da fare. Dovrà pensarci Branwen al suo ritorno, con una pergamena di resurrezione. Sempre che non sia già troppo tardi per l’intervento della magia.
No, qualcosa gli dice che gli toccherà sopportare l’arroganza del drow ancora per parecchio tempo. Il maledetto ha già dimostrato in passato di avere una fortuna sfacciata quando si tratta di salvarsi per il rotto della cuffia.
Per il momento però Khalid può permettersi di chiudere gli occhi, ascoltare i tenui rumori della foresta e il fruscio del vento, e godersi fino in fondo il meraviglioso suono del silenzio.

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Note: nel gioco non viene detto espressamente che Khalid sia balbuziente, lo si vede solo balbettare qualche volta, ma io l'ho sempre immaginato così, e data la sua storia può anche starci secondo me. In quanto a Baeloth, forse uno con un bel 19 in intelligenza non sarebbe così stupido da farsi ammazzare in questo modo ridicolo, ma la cosa mi faceva troppo ridere e non ho saputo resistere XD

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Capitolo 16
*** Nella notte e nel buio ***


Viconia_Portrait_BG2



Personaggio: Viconia DeVir
Genere: Introspettivo, Missing Moments, Drammatico
Rating: giallo
Avvertimenti: basata su avvenimenti narrati nei dialoghi della romance di Viconia




In the dark of the night I was tossing and turning
And the nightmare I had was as bad as can be -
It scared me out of my wits -
Then I opened my eyes
And the nightmare was... me!

(“In the Dark of the Night”, Anastasia)




Nella notte e nel buio

Il vento è una raffica di lame affilate come rasoi. Il suo ululato pervade la foresta, sferza i rami spogli degli alberi e dà vita a un sinistro concerto che le ricorda un’avanzata di guerrieri non morti e il cozzare delle ossa contro il metallo di spade e armature.
Gli ingenui rivvil hanno interrotto la caccia, sicuri che la notte e la tempesta in arrivo completeranno l’opera da loro iniziata. Sciocchi. La notte è quanto di più vicino alle tenebre del Sottosuolo esista nel mondo di superficie: l’ora perfetta per i drow. L’ora perfetta per le streghe.
Il vento cancella in un attimo le sue impronte sulla neve. Viconia si avvicina al gruppo di fattorie come uno spettro, senza lasciare tracce, il lungo mantello nero che ondeggia a imitazione di quello della notte.
Uno degli umani esce di casa per prendere altra legna da aggiungere al fuoco, una figura incappucciata che si strofina le mani nel vano tentativo di proteggerle dal freddo. In un attimo si ritrova faccia a faccia con la sua mazza ferrata. Neanche il tempo di urlare e il suo corpo si abbatte al suolo. Il suo sangue schizza sul viso di Viconia e tinge la neve di rosso.
“Assassina… “ l’uomo riesce solo a rantolare, la sua voce troppo debole per chiamare aiuto. “Strega… tu… hai ucciso Roran e i suoi figli… “
L’ultimo sguardo del rivvil morente è carico di odio, di accusa, di paura. Assassina, certo. Roran invece era un brav’uomo, che ha fatto solo il suo dovere catturando e cercando di uccidere una perfida drow. E di certo lui e i suoi figli hanno compiuto un atto meritevole nell’abusare di lei prima di decidere di farla fuori. È la giusta punizione che la strega drow merita per una vita condotta nella lussuria e nel peccato.
Viconia si inginocchia nella neve e appoggia il palmo sul corpo ancora caldo dell’uomo. Il potere di Shar, la Signora della Notte e della Perdita, accorre rapido al richiamo della sua umile servitrice, sorge come una fiamma ghiacciata dal centro del suo petto e scorre lungo il braccio e la mano fino a riversarsi nel cadavere, colmandolo di nuova energia. Il rivvil si rialza come tirato da fili invisibili, barcollando, gli occhi vuoti e privi di vita.
Viconia sfiora con la punta delle dita il contorno del suo viso e gli sussurra all’orecchio: “Sai qual è il tuo compito, mio guerriero non morto.”
I rivvil temono la strega, e per questo le hanno dato la caccia fin dal giorno della morte di Roran, braccandola come un animale. Si sono schierati dalla parte del loro simile, incapaci di credere che una drow desiderasse soltanto vivere indisturbata, in una semplice casa come tante altre alla periferia di Beregost.
In un certo senso, hanno vinto loro. Perché la strega di cui tanto parlavano alla fine è arrivata davvero. È venuta a prenderli, volando su ali di tenebra e gelo. Nella notte e nel buio maledirà i loro figli, brucerà le loro case, distruggerà il loro raccolto. Ghermirà le loro vite, ne spezzerà il filo con i suoi artigli velenosi.
Un sorriso increspa il volto bellissimo della strega mentre il non-morto rientra in casa e le prime urla squarciano il cielo dell’inverno. Il pianto e le grida dei rivvil si mescolano al rombo del vento, e in pochi minuti decine di altri cadaveri dagli occhi spenti si aggirano per le case, incuranti del morso del gelo e della neve che danza vorticando e appiccicandosi ai loro visi esanimi.
I pochi che riescono a scampare ai non-morti incontrano il ferro della sua arma e il fuoco implacabile della sua magia.
Solo quando l’ultimo respiro si spezza la strega decide che può bastare. Affranca i non-morti dal suo dominio, lasciandoli liberi di vagare senza scopo tra le rovine delle case. D’ora in poi infesteranno la foresta, portando l’ombra del suo rancore e della sua vendetta su altri maledetti rivvil. Un ultimo sguardo alle fattorie devastate e la strega si volta. Si stringe nel mantello nero e senza lasciare tracce scompare oltre il cerchio degli alberi, dileguandosi nella notte e nel buio.

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Capitolo 17
*** Sete di libertà ***


Valygar



Personaggio: Valygar Corthala
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments
Rating: verde tendente al giallo
Avvertimenti: basata sul finale di Valygar post Throne of Bhaal. I nomi della moglie e del figlio di Valygar sono di mia invenzione.



Sete di libertà

“Ispettore Corthala, gli atti degli ultimi processi sono sulla sua scrivania.”
“Ispettore Corthala, il carico di rape rubate è stato sequestrato come da suo ordine. Procederà lei all’interrogatorio dello gnomo?”
“Ispettore Corthala, le ricordo che la riunione straordinaria del Consiglio inizierà tra dieci minuti.”
“Ispettore Corthala… “
Basta così.”
Il trio di attendenti rimane spiazzato dalla durezza del tono. Dopo tanti anni al servizio dell’Ispettore Capo più pacato e tollerante che Athkatla ricordi devono aver dimenticato cosa significa essere redarguiti. Valygar approfitta dell’attimo di esitazione e allunga il passo, guardando dritto davanti a sé per non incontrare le loro facce costernate. La terrazza in fondo al corridoio gli appare come un miraggio, un quadrato di luce che sembra tentarlo con promesse di conforto e ristoro.
La prima boccata di aria fresca è una benedizione per i suoi polmoni soffocati da ore trascorse tra scartoffie e riunioni tediose. Chino sulla balaustra che si affaccia sui giardini del Consiglio dei Sei, Valygar inspira come un disperato in procinto di annegare. Come se ogni respiro fosse l’ultimo. Un soffio di vento si impadronisce di una ciocca dei suoi capelli e la fa ondeggiare davanti al viso; nella luce del tramonto, le striature grigie sembrano ancora più evidenti.
Non ho più l’età per questo.
Tutto è diventato immensamente più difficile dopo la morte di Alyanne. Il vento gli porta il ricordo di infinite serate trascorse insieme su quella stessa terrazza, abbracciati a guardare il sole dipingere di rosso e oro i tetti di Athkatla e la vita frenetica della Città della Moneta cedere il passo alla quiete della notte.
“C’è poco verde ad Athkatla” era solito lamentarsi con la moglie, affondando il viso e le inquietudini di una lunga giornata di lavoro nel profumo dei suoi capelli.
Lei allora gli regalava una delle risate melodiose che gli rimescolavano il sangue nelle vene: “Scherzi, tesoro? Il Quartiere Governativo è pieno di parchi!”
Parchi, già. Aiuole rasate con precisione millimetrica, cespugli senza neanche un rametto fuori posto, impeccabili nei loro abiti verdi quanto le nobildonne che vi passeggiano accanto. La natura ad Athkatla è una bestia addomesticata. Il bosco, quello vero, è un’altra cosa. Nessuno lo sa meglio di un ex ranger.
Da dove si trova non vede gli alberi, ma può immaginarli se spinge lo sguardo oltre la distesa di tetti e il cerchio imponente delle mura cittadine. Chilometri e chilometri di foresta inviolata dalla mano dell’uomo, un rifugio da occhi e orecchie indiscrete per chi sa come dileguarsi nel suo abbraccio.
I suoi vecchi amici, il Figlio di Bhaal e la sua maga selvaggia, devono essere là fuori da qualche parte. Gli hanno inviato un messaggio giusto qualche giorno fa, poche righe per invitarlo a unirsi all’ennesima caccia ai maghi rossi. Pare che un piccolo nucleo di Thayani si nasconda proprio nei boschi intorno la città, e ovviamente non mancano gli inevitabili maghi selvaggi da salvare.
Sono troppo vecchio ormai per giocare all’eroe.
Non ha ancora risposto al messaggio. Sono anni che non li incontra di persona: l’ultima volta è stato per la commemorazione in onore di Keldorn, il loro vecchio compagno di avventura. Non potrà mai dimenticare il suo ultimo messaggio. Una disperata richiesta di aiuto, vergata in fretta da mani intrizzite dal gelo nei passi montani intorno ad Amn assediati dai giganti. Valygar ha praticamente forzato la mano del Consiglio ottenendo l’invio di un intero reggimento, e ha cavalcato giorno e notte per portare rinforzi all’amico di un tempo. Non abbastanza in fretta.
“Ispettore Corthala… la riunione… “
Uno degli attendenti si è deciso a seguirlo sulla terrazza. Ovviamente la tregua non poteva durare a lungo.
Il solo pensiero di rientrare nell’accaldata sala del Consiglio gli fa salire un’ondata di nausea. Improvvisamente lo prende il desiderio di rivedere i vecchi amici, di brindare con loro alle passate avventure e al ricordo dei compagni caduti. Di respirare ancora una volta i profumi del bosco e della terra umida sotto i piedi, lontano dal puzzo acre e stantio della città.
Sa che deve farlo subito. Se perde ancora tempo a pensarci la razionalità avrà il sopravvento e lo fermerà.
Con un gesto si libera del mantello di velluto con le insegne di Athkatla, lasciandolo cadere a terra. Abiti più comodi lo attendono nella sua vecchia casa al Quartiere dei Moli, dove tutto è rimasto esattamente come un tempo. Il suo secondo è più che preparato a gestire la situazione in sua assenza, e i messaggi di Aster dall’accademia degli Stregoni Incappucciati non fanno che ripetere quanto il figlio si trovi bene e sia felice di imparare.
Tutto sommato può concedersi una breve vacanza.
L’attendente trattiene il fiato quando lo vede scavalcare la balaustra. Poggia i piedi su un cornicione finemente intarsiato, pensando che tutte quelle statue e decorazioni che ha sempre considerato pacchiane ora serviranno solo a facilitargli la discesa. Le ginocchia scricchiolano, ma la sua presa resta salda, e le mani non tremano.
Forse non sono ancora così vecchio.
“Ispettore Corthala…. “ il tono dell’attendente è a dir poco scandalizzato. “Si può sapere dove va?!”
La risposta arriva quando ormai Valygar ha quasi toccato il suolo.
“A caccia di maghi rossi.”

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Capitolo 18
*** If I were a paladin ***


Mazzy_Portrait_BG2



Personaggio: Mazzy Fentan
Genere: Introspettivo, Malinconico, Drammatico, Missing Moments
Rating: giallo
Avvertimenti: scritta in parte su un quadernino tra un autobus e l'altro... non garantisco sulla qualità XD



If I were a paladin

L’elfa alata è bellissima.
La piccola Mazzy non riesce a staccarle gli occhi di dosso. In centinaia di passeggiate per i boschi intorno a Trademeet non ha mai incontrato una creatura così luminosa e delicata. L’ha scorta per un attimo in mezzo ai tendoni colorati del circo e si è avvicinata come attratta dal canto di una sirena, tutte le sensazioni della sua prima visita nella grande città dimenticate di colpo. Il vociare allegro del giorno di mercato, i colori degli abiti delle donne che passano da una bancarella all’altra con i cesti pieni di frutta e stoffe, gli strilli dei bambini che si rincorrono per la passeggiata di Waukeen, i mille odori di cibo, di cuoio, di spezie, di sudore… tutto viene relegato a rumore di sottofondo di fronte agli occhi azzurri e pieni di tristezza della splendida avariel. A Mazzy sembra di galleggiare al centro di una bolla d’acqua che la separa dal resto del mondo, includendo solo lei e l’elfa.
E le sbarre della gabbia.
Spesse, arrugginite, serrate attorno all’avariel in una morsa che le impedisce di dispiegare pienamente le sue meravigliose ali, più ampie di quelle di un’aquila o di un albatros. Invece è costretta a tenerle ripiegate attorno al corpo esile come un debole scudo frapposto tra lei e il mondo esterno, e persino una bambina come Mazzy si rende conto dei segni della decadenza dietro la loro bellezza maestosa. Le piume sono rade, arruffate, il colorito spento, un giallino malato ha spodestato il bianco candido che dovevano sfoggiare ai tempi in cui la creatura si librava senza catene nel cielo.
Come una pianta strappata al bosco e costretta nei confini di un vaso angusto, l’avariel sta sfiorendo.
“Ciao… “
Il suo timido saluto non ottiene risposta. L’elfa continua a fissare il vuoto, le ginocchia raccolte contro il petto e il viso in parte nascosto dai capelli biondi.
Solo in quel momento Mazzy si rende conto di aver perso di vista suo padre. Si volta in tutte le direzioni passando in rassegna lo spazio affollato tra i tendoni e le bancarelle, ma non lo vede da nessuna parte.
La sua attenzione però viene catturata da qualcos’altro.
Accanto alla gabbia dell’avariel c’è un uomo seduto su uno sgabello di legno, le braccia incrociate sul petto e un cappellaccio calato sulla fronte. Il guardiano, a giudicare dal mazzo di chiavi che gli pende dalla cintura.
L’uomo dorme della grossa.
Mazzy decide all’istante. Getta una rapida occhiata intorno: l’area del circo è gremita di gente, ma nessuno fa caso a lei o sembra guardare nella sua direzione. Ora o mai più.
Si avvicina cautamente al guardiano, gli sfila il mazzo di chiavi dalla cintura e si dirige subito verso la gabbia. Solo allora l’elfa reagisce: solleva la testa, e Mazzy si ritrova faccia a faccia con i suoi occhi sgranati, colmi di stupore e paura. Le sorride per rassicurarla, mostrandole le chiavi, ma lei scuote la testa disperata, le treccine bionde che si agitano selvaggiamente attorno al suo viso come un’aura luminosa. Fissa un punto dietro le sue spalle con l’espressione di chi ha appena visto i Nove Inferni spalancarsi.
In quel momento una morsa ferrea si stringe attorno al polso di Mazzy.
“Che cercavi di fare, ragazzina?!”
La morsa si stringe ancora, le chiavi scivolano dalle sue dita intorpidite e rimbalzano tintinnando a terra. Il polso le fa malissimo, ma Mazzy si morde l’interno del palato e si impone di non lasciarsi scappare nemmeno un grido. Attraverso il velo di lacrime che le appanna gli occhi il ghigno del guardiano le appare distorto e feroce, e il suo cuore manca un battito quando vede il braccio libero di lui sollevarsi minaccioso sopra la sua testa.
“Ora ti insegno io cosa succede ai bambini che rubano.”
L’uomo è troppo più grande e più forte di lei, divincolarsi dalla sua stretta è impossibile. Mazzy serra gli occhi, pronta all’inevitabile schiaffo.
“No! Lei non c’entra niente!”
Il grido dell’elfa è flebile e strozzato, una voce che sicuramente non viene usata da molto tempo, eppure in qualche modo riesce a frenare la furia del guardiano. O almeno a scatenarla in un’altra direzione.
“Che stai dicendo, stupida?” l’uomo strattona il polso di Mazzy, quasi sollevandola da terra, ma abbaia i suoi insulti contro l’elfa prigioniera. “Che ne può sapere una lurida bestia da esposizione?!”
“Sono stata io!” esclama l’avariel, tremando. “Le ho chiesto io di farlo! Lei è solo una bambina, pensava che fosse un gioco!”
I secondi successivi sono carichi di tensione e di un silenzio agghiacciante. Dopo attimi che sembrano eterni la mano dell’uomo finalmente si apre e libera il polso dolorante di Mazzy, lasciandola cadere a terra con malgrazia.
“Allora suppongo che stasera, dopo l’orario di chiusura, sarai tu a essere punita.” La voce del guardiano è bassa, terribile, vibrante di una minaccia che promette ben peggio di qualche semplice schiaffo. Sotto il suo sguardo crudele e privo di compassione l’elfa si fa ancora più piccola, si rannicchia tremante sul fondo della gabbia nascondendosi dietro il precario scudo delle sue ali rovinate.
Se solo avessi una spada…
Se avesse un’arma qualunque, se fosse più grande, più alta e più forte, potrebbe sfidare quel viscido schifoso a duello, trafiggerlo come un pollo allo spiedo e fare in mille pezzi le sbarre, e poi sollevare la lama al cielo per salutare con un grido esultante il primo volo della meravigliosa creatura.
Invece è solo una bambina, e non può fare altro che guardare la gabbia con gli occhi pieni di lacrime mentre alle orecchie le arriva confusa la voce di suo padre, che in qualche modo l’ha ritrovata e tutto affannato si profonde in mille scuse con il guardiano per il disturbo arrecato. Può solo lasciarsi trascinare via, e prendersi in silenzio i suoi due schiaffi per essersi allontanata senza permesso. In fondo se li merita, perché per colpa sua alla povera elfa capiterà molto peggio.
Quella notte, nel buio della sua stanzetta alla locanda dei Sette Veli, la piccola Mazzy giura solennemente a se stessa che da grande diventerà un paladino, per avere una spada da brandire contro i guardiani malvagi e salvare tutti gli innocenti prigionieri del mondo.

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Capitolo 19
*** Memories of his witches ***


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Personaggio: Minsc e Boo
Genere: Introspettivo, Malinconico
Rating: verde
Avvertimenti: mi rendo conto che tutto ciò non ha una gran coerenza interna, ma su Minsc ero veramente in crisi. Per quanto riguarda l'atteggiamento di Dynaheir, dalle sue battute in BG1 ho avuto l'impressione che tratti Minsc con molta superiorità, per cui ecco cosa è venuto fuori...



Memories of his witches

L’avevo sempre considerato uno stupido.
Io, figlia orgogliosa di una delle stirpi più nobili di Rashemen, Whychlaran di grande potere, non avevo paura di percorrere da sola le impervie vie del mondo. Se ho accettato un compagno di viaggio, un “guardiano”, come lo definiscono le Anziane, è solo per rispetto della consuetudine del dajemma e delle tradizioni del mio popolo. Ma non ho mai dubitato neanche per un secondo di riuscire a superare la mia prova di iniziazione senza l’aiuto di nessuno.
Fino ad ora.
In fondo, cos’era stato Minsc per tutta la durata del nostro viaggio? Utile per caricarsi in spalla gli zaini e le armi più pesanti, certo, ma un buon mulo sarebbe servito perfettamente allo scopo. Con l’indiscutibile vantaggio che un mulo non parla a sproposito, non ti fa fare figuracce in ogni villaggio che attraversi, non produce il frastuono di cento eserciti quando sarebbe auspicabile il silenzio. Un mulo probabilmente mangerebbe di meno, e di sicuro sarebbe molto, molto più intelligente. Soprattutto, non trascorrerebbe intere serate attorno al fuoco a parlare al suo criceto di argomenti senza capo né coda.
In breve, l’ho sempre ritenuto un peso morto.
Il peso morto, però, stavolta è tornato per me. Non solo, ha anche reclutato un gruppo di avventurieri al solo scopo di venirmi a salvare. Ha percorso miglia e miglia nei territori più inaccessibili della Costa della Spada per salvare la maga superba che non lo riteneva neanche capace di ritrovare da solo la via per la Fortezza degli Gnoll. La maga che si credeva perduta una volta che le sue pergamene sono state stracciate, il suo grimorio dato alle fiamme e il suo corpo fiaccato dalle privazioni di una lunga prigionia.
“Dove arriva Minsc, il male si ritira! Resisti, mia strega!”
Ora il respiro mi si ferma nel petto mentre lo vedo avanzare verso di me con la spada sguainata, falciando uno gnoll dopo l’altro come un turbine inarrestabile di potenza e precisione. È come se una benda mi cadesse dagli occhi, e per la prima volta vedo Minsc per quello che realmente è. La sua mancanza di grazia diventa forza dirompente, la sua ottusità coraggio e generosità senza limiti, la sua cocciutaggine pura e disinteressata lealtà. Accanto a lui, Boo è una palla di pelo impazzita che schizza da un nemico all’altro graffiando senza sosta occhi e visi.
Quando finalmente l’ultimo gnoll cade al suolo e le braccia forti di Minsc mi tirano fuori dal pozzo lurido che per giorni è stato la ma prigione non posso fare a meno di abbracciarlo. Boo mi salta sulla spalla e sfrega la sua morbida pelliccia contro la mia guancia. Giurerei che abbia capito quando detesto mostrare le mie lacrime.
“Chi osa fare del male alla mia strega si ritroverà stampata sul sedere l’impronta degli stivali di Minsc!”
Riso e pianto di mescolano sulle mie labbra. Di slancio lo abbraccio di nuovo, e decido che d’ora in poi nessuno potrà separare il prode Minsc, il valoroso Boo e la loro strega.


Ultimamente mi capita spesso di ripensare ai miei compagni di viaggio di un tempo.
Sono passati anni da quando ero una ragazzina spaventata dalla sua ombra, timorosa persino di mettere piede oltre il recinto sicuro e protettivo del circo. Da allora sono diventata una grande maga, somma sacerdotessa di una comunità, flagello di schiavisti e malfattori. Ho ripreso in mano la mia vita e affrontato le mie paure. Ho imparato a camminare sulle mie gambe senza dipendere più da nessuno.
Eppure ripenso spesso con nostalgia all’epoca in cui facevo parte di un gruppo di compagni, uniti contro il male e le minacce del mondo.
Uno di loro in particolare riaffiora con affetto tra i miei ricordi. Il mio cuore è sempre appartenuto al Figlio di Bhaal, anche se lui alla fine ha scelto di donare il suo a un’altra donna; ma nessuno sapeva far sbocciare il mio sorriso come il ranger dal cuore d’oro, il guerriero generoso, l’insostituibile Minsc. Se sono diventata quello che sono oggi lo devo anche a lui, ai suoi incoraggiamenti, alla fiducia che mi ha sempre dimostrato anche quando ero io la prima non credere più in me stessa.
Mi chiedo spesso dove sia ora. La ragione mi sussurra che gli umani non sono elfi, che la vecchiaia e la morte li catturano molto prima di noi, ma è un’idea che mi rifiuto categoricamente di considerare. Minsc non è mai stato come gli altri, per lui non possono valere le stesse leggi dei comuni mortali.
Per questo ogni volta che alzo lo sguardo verso il cielo stellato mi convinco che lui e Boo devono essere lassù da qualche parte, in un luogo dove i criceti sono giganti e gli uomini diventano leggenda.


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Nota: l'ultima frase è ripresa pari pari dal finale di Minsc in ToB. Chi non ha mai versato neanche una lacrima leggendola per me non può definirsi un vero fan di Baldur's Gate.
 

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Capitolo 20
*** Liquid fire flowing through my veins ***


NeeraPortrait



Personaggio: Neera
Genere: Introspettivo, Missing Moments
Rating: giallo
Avvertimenti: ambientata tra BG1 e BG2 e basata su un evento raccontato nei dialoghi della romance di Neera.



Liquid fire flowing through my veins

Le ondate selvagge possono avere gli effetti più disparati e imprevedibili, e questo lo sanno tutti. Ciò che la maggior parte della gente ignora (anche perché preferisce prenderci a sassate piuttosto che farci domande) è che anche le sensazioni fisiche che le accompagnano sono diverse. Io mi sono sempre divertita a dividerle in categorie, per capire, per cercare di prevedere.
Ci sono quelle “semplici”, che di solito corrispondono agli incantesimi innocui, e che si manifestano con un pizzicore nelle narici e sul fondo della gola, come uno starnuto. Altre ti fanno girare la testa e rimbombare le orecchie, i margini del campo visivo si offuscano e si riempiono di puntini gialli come durante uno svenimento. Altre ancora sono un abbraccio di ghiaccio e fuoco che ti fa battere i denti dal freddo mentre i capelli ti si appiccicano alla fronte per il sudore.
E poi c’è il fuoco liquido. Non saprei come altro definirlo. Sono gli incantesimi più potenti e devastanti, quelle rare ma fatidiche volte in cui la tua magia squarcia la trama della realtà e spalanca un varco verso il Piano dell’Aria, i Nove Inferni o gli dei sanno dove altro, scatenando demoni e tempesta nel mondo. Allora è come se un sole incandescente esplodesse al posto del tuo cuore e pompasse fuoco liquido nelle vene, fino a divampare incontrollato dalla punta delle dita. Detto così può sembrare spaventoso, ma non è affatto una sensazione spiacevole. Tutt’altro. È ebbrezza, estasi allo stato puro. L’ho sempre paragonata al momento culminante dell’atto d’amore, quando il tuo corpo e il tuo respiro diventano un tutt’uno con l’altro, e i battiti del cuore accelerano travolti da un’onda inarrestabile di piacere.
L’amore, già.
Avrum è ancora addormentato. La sua pelle bruna forma un piacevole contrasto con le lenzuola bianche aggrovigliate attorno al suo corpo atletico, tanto che per un attimo ho la tentazione di arrampicarmi di nuovo sul letto e svegliarlo con un bacio.
Invece rimango in piedi dove sono, già rivestita, lo zaino con le mie (poche) cose pronto e chiuso al mio fianco.
La luce del primo mattino si insinua appena tra le imposte chiuse, accuratamente sprangate da Avrum per bandire fuori il mondo e custodire il nostro segreto. Stanotte è stato… bello. Dolce, anche. Ma non ho sentito il fuoco liquido scorrere nelle mie vene. Il mio cuore non si è trasformato in un globo di fiamme scintillanti.
La maggior parte delle ragazze comuni mi prenderebbe per una pazza. Avrum è giovane, bello, è un “bravo ragazzo”, come direbbero le anziane della Grande Foresta; ha un ottimo impiego come scrivano e tutti i requisiti per crearsi una posizione in futuro. Cose che, a dirla tutta, una ragazza spiantata e senza un soldo come me non dovrebbe disdegnare. È anche simpatico, e persino galante. Ecco, su quello bisognerebbe lavorare un po’. La prossima volta che stende a terra il mantello per farmi passare sul fango o mi apre le porte davanti come se fossi un’impedita giuro che mi prende una crisi di nervi o, nel peggiore dei casi, un’ondata selvaggia.
Ma non ci sarà una prossima volta.
Non sono pronta a lavare i panni e cucinare per un uomo. Non sono pronta ad accoglierlo con un sorriso e un bacio quando torna a casa la sera, stanco dopo una giornata di lavoro. Non sono pronta a una serie di giorni tutti uguali, scanditi dal ritmo martellante e ordinato della città. Forse non lo sarò mai.
Afferro lo zaino e richiudo con delicatezza la porta della stanza prima di uscire, per non svegliarlo. L’ultima immagine che ho di lui è il sorriso morbido che ancora aleggia sulle sue labbra perfette, leggermente socchiuse nell’abbraccio del sonno.
Preferisco ricordarlo così.
Fuori dalla locanda un soffio di vento fresco mi scompiglia i capelli, e mi fa scivolare via dalla pelle l’odore di chiuso della stanza, il profumo di Avrum e della nostra prima e ultima notte d’amore. La strada mi aspetta, la giornata è limpida, perfetta per viaggiare. Al tramonto avrò già messo parecchie miglia di distanza tra me e Baldur’s Gate.
Improvvisamente, senza alcun motivo logico, mi torna in mente lui. L’elfo dai grandi occhi azzurri e il talento irrefrenabile per gli scherzi. Il Figlio di Bhaal. Le nostre strade si sono divise sempre qui, in questa stessa città, dopo una battaglia campale a cui ancora mi meraviglio di essere riuscita a sopravvivere.
Un altro uomo, un’altra fuga. Pare che la mia lealtà in amore sia incostante almeno quanto i miei incantesimi.
Mi sorprendo a chiedermi se lo incontrerò di nuovo, e nel pensare a lui qualcosa di indefinito si muove dentro di me. Non è un’ondata selvaggia e neppure il fuoco liquido, ma è un guizzo caldo, un tepore piacevole che mi fa camminare più rapida e leggera mentre mi abbandono con un sorriso sognante al vortice dei ricordi.

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Capitolo 21
*** Profezia ***


Cernd_Portrait_BG2



Personaggio: Cernd
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico
Rating: giallo
Avvertimenti: basata in parte sul finale di Cernd post Throne of Bhaal.



Profezia

Gli artigli del licantropo catturano la luce del sole e calano una, due, tre volte. La preda balza di lato, quasi perde l’equilibrio e agita il braccio in un ultimo, disperato tentativo di difesa. Dalle sue dita erompe una massa scura che si allarga e si avviluppa attorno al corpo del licantropo come una rete formata da migliaia di piccoli nodi neri che si agitano forsennati, sferzano e mordono senza sosta.
Insetti – l’informazione si registra in un angolo sul fondo della sua mente, prima di finire di nuovo sommersa dalla marea dell’istinto. La belva spalanca le fauci e ruggisce con tutta la sua forza per disperdere il ronzio che gli dilania le orecchie; ma le punture sono poco più che gocce d’acqua sulla sua pelle corazzata, e questo la preda lo sa. Può sentire l’odore pungente della sua paura, misto al profumo delle foglie schiacciate sulla terra umida e degli alberi spogli, e a quello delle nubi lontane, gonfie di tempesta.
Al quarto assalto gli artigli non mancano il bersaglio. Lacerano abiti e pelle, affondano in profondità nei muscoli. L’urlo straziante della preda si conficca contro il cielo freddo, l’ambito segnale per l’inizio del banchetto.
L’odore del sangue gli infiamma le narici, fa colare copiosa la saliva tra le zanne spalancate. Con le zampe anteriori inchioda la preda ormai inerme a terra, e avvicina il muso per reclamare il premio che gli spetta, il meritato pasto del conquistatore.
“Il bosco ha emesso il suo verdetto, fratelli miei! Abbiamo un vincitore!”
Il grido del maestro Verthan riverbera dentro di lui come un segnale e lo immobilizza sul posto, le zanne a pochi centimetri dal viso della vittima. Come il rintocco di una campana entra in risonanza con la magia primordiale che scorre nel suo corpo di bestia, e in pochi attimi il muso e le zanne si ritraggono, gli artigli tornano innocue dita umane, la forma massiccia e contorta si raddrizza e si riduce.
Cernd barcolla e cade in ginocchio.
Le mani cercano subito il contatto con la terra, le dita affondano tra le zolle smosse dell’arena mentre il respiro spezzato si calma sotto la fronte imperlata di sudore. I battiti del suo cuore si armonizzano gradualmente al lento pulsare della madre terra e la mente si schiarisce, riportandolo presente a se stesso. Pian piano mette a fuoco l’arena, poi il cerchio di frassini e querce secolari e i druidi assiepati tutto intorno, chiusi in un silenzio irreale. In un angolo, il Figlio di Bhaal e gli altri membri del gruppo gli sorridono, e la giovane avariel ha persino le lacrime agli occhi per il sollievo di vederlo vivo.
Il silenzio è carico di attesa, di anticipazione. Sa che tutti non aspettano altro che un suo segnale. Una parola del vincitore, un ordine che decreti il destino del bosco e della comunità che lo abita.
Lentamente, Cernd si alza in piedi. Solo allora i suoi occhi si posano sul corpo dell’avversaria, riverso accanto a lui, gli arti piegati in angoli innaturali. Il suo petto si alza e si abbassa con fatica, in una serie di rantoli. Una corolla rosso scuro sboccia dalla ferita che le attraversa l’addome e si allarga sotto di lei, la terra che già beve avidamente il liquido quasi nero.
“Questa è la prova definitiva, Faldorn.” Cernd non riconosce neppure la propria voce, che gli sfugge dalle labbra rauca e spezzata come se non la usasse da un tempo infinito. “I tuoi precetti sono un fiume che si ostina a percorrere il suo letto dalla foce alla sorgente. Un’aberrazione. E come tale non possono esistere.”
Faldorn tossisce e un fiotto di sangue le cola tra le labbra: “I folli… siete voi… il vostro buonismo… sarà la rovina del bosco…“ un’altra fitta le squassa il petto, più violenta di prima, ma la donna continua a parlare, aggrappata alla vita con ogni briciola di energia che le resta. “ … io lo so… lo vedo… “
I suoi occhi si spalancano di colpo. Le pupille annegano nelle iridi del colore della terra fertile e sembrano fissare un punto oltre lui e la foresta, perse in una distanza infinita forse già al di là del velo della morte.
“La tua prole, Cernd… sarà la tua sciocca prole, per causa tua… una quercia dalle foglie rosse, nata dal sangue, da una guerra parricida… la magia corrotta intaccherà i boschi, i tuoi insegnamenti… falliranno, e la natura… soffrirà… “
Un ultimo sussulto e gli occhi di Faldorn diventano vitrei, immobili. Il respiro si ferma.
All’unisono, i druidi nella radura piegano il ginocchio davanti al nuovo signore del bosco.
Il dominio dei druidi d’Ombra è spezzato, la pace potrà sorgere di nuovo tra il popolo della foresta e gli abitanti di Trademeet. Gli attacchi di animali cesseranno, e il commercio riprenderà più fiorente di prima. La sua missione è riuscita.
Dovrebbe gioirne, pensa mentre il Figlio di Bhaal e gli amici corrono ad abbracciarlo e a congratularsi con lui.
Eppure le ultime parole di Faldorn continuano a tormentarlo. Ore di canti e festeggiamenti non bastano a cacciare il dubbio che si è annidato in lui come un parassita invisibile nel cuore di un albero.
È per questo che quando i suoi compagni stanno per ripartire, due giorni più tardi, Cernd decide di mettersi in viaggio insieme a loro.
“Pensavo che volessi restare con Ashdale” il Figlio di Bhaal è notevolmente sorpreso.
“Sarò più utile alla vostra causa. Verthan qui è più che in grado di prendersi cura del bosco ora che la minaccia è passata. In quanto a mio figlio… lui starà meglio con i druidi.”
Se c’è una cosa che ha sempre ammirato nel Figlio di Bhaal è la discrezione. L’elfo si limita a fare un cenno di assenso senza indagare con ulteriori domande, e poche ore dopo il bosco è alle loro spalle e le mura di Trademeet svettano in fondo alla strada nella luce del tramonto.
È la scelta migliore. Non ci saranno pericoli per Ashdale e per il bosco finché il bambino rimarrà affidato alle cure amorevoli dei druidi. Nessuno meglio di loro potrà insegnargli l’amore per la natura, il rispetto per le cose che crescono e per l’equilibrio che permea il mondo.
Non vincerai, Faldorn. La tua maledizione non avrà effetto.
Cernd lo giura a se stesso ad ogni passo del suo cammino. Proteggerà suo figlio, qualunque sia il prezzo. Anche a costo di stargli lontano. A costo di soffocare la voce del suo cuore, che in quello stesso momento gli grida di tornare indietro e correre a riabbracciarlo.


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Note: come avrete intuito la storia è ambientata durante la sfida contro Faldorn al bosco dei druidi, ma ho aggiunto vari tocchi personali. Chi la conosce noterà che qui si respira a pieni polmoni mitologia greca. In molti miti infatti (nell'Iliade, ad esempio) le parole dei morenti hanno poteri profetici. Altra regola fondamentale della mitologia greca, nessuno scampa al volere del Fato, neanche gli dèi. Anzi, più cerchi di opporti e più finisci per fare esattamente la sua volontà. E' quello che succede qui al povero Cernd, che pensa di fare il meglio per suo figlio e invece finirà per estraniarsi da lui. La profezia di Faldorn si avvererà nel finale post Throne of Bhaal, forse uno dei più tristi tra i finali dei vari png. Nell'originale Cernd trascurava il Figlio per via dei suoi doveri di druido, ma come ho scritto volevo aggiungere un tocco personale :)
 

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Capitolo 22
*** Gli occhi dell'abisso ***




Personaggio: Korgan Bloodaxe
Genere: Introspettivo, Drammatico
Rating: giallo tendente all'arancione
Avvertimenti: presenza di spoiler per chi non ha giocato il nuovo personaggio di BG2:EE. Korgan è una persona orribile, soprattutto per come tratta le donne, ma scrivendo questa cosa in fondo un pochino mi sono affezionata a lui.




“Se guardi troppo a lungo nell’abisso, l’abisso guarda dentro di te.”
(Friedrich Nietzsche)



Gli occhi dell’abisso
 
Per essere carina, la nuova arrivata è carina. Certo, le manca la barba ed è un filo troppo alta e longilinea, ma Korgan si vanta di essere un nano moderno, che ha imparato a non farsi scoraggiare dalle differenze razziali. Decenni di avventure in giro per l’Amn, spesso senza intravedere l’ombra di una donna per mesi, gli hanno fatto rivalutare persino le esili elfe dalla pelle di porcellana e le labbra a bocciolo di rosa.
Il problema di questa Hexxat è che… come dire, sembra morta? Korgan è pronto a giurare di aver visto ghoul con più vitalità. Lo sguardo di Hexxat è costantemente assente, perso nel vuoto, e la ladra non spiccica mai parola se non per ripetere la solita, logora cantilena: “Portatemi alla tomba di Dragomir.” Il tono di voce di un golem d’argilla sarebbe più espressivo.
La ragazza non ha reagito nemmeno quando Korgan le ha assestato una sonora pacca sul fondoschiena, approfittando del buio sulle scale del Diadema di Rame. Né urla di protesta né manifestazioni di apprezzamento, niente di niente. Korgan ha anche pensato che sarebbe stato assurdamente facile introdursi in camera sua per divertirsi un po’, ma alla fine ha deciso che non ne valeva la pena. Che gusto c’è se non strillano e si dimenano neanche un po’?
A colazione nella sala comune hanno parlato a lungo di lei. La stupida avariel sostiene che sia stata vittima di qualche abuso, mentre secondo Valygar si tratta sicuramente di un maleficio, ennesima prova delle nefandezze dei “maghi oscuri”. Neera teme che possa essere finita tra le grinfie di uno di quei pazzoidi del Thay che si divertono tanto a praticare la vivisezione sugli essere umani.
Anche a Korgan viene chiesto un parere. Il nano tace, prende tempo trangugiando lentamente il primo boccale di birra del mattino.
A dire la verità, lo sguardo vuoto di Hexxat gli riporta alla mente qualcosa.
Sigrid era una nana di appena pochi decenni quando le guerre tra i clan erano iniziate. Troppo innocente e inesperta del mondo per capire davvero cosa stesse succedendo, e perché. Nani che ammazzano altri nani, fratelli che si pugnalano alle spalle, fiumi di sangue versati per una sciocchezza come tre gallerie e qualche filone d’oro semiesaurito.
Anche Korgan era giovane all’epoca, e tutta quella violenza gli sembrava assurda, folle, insensata. Ma in fondo al suo cuore già pulsava l’indole del guerriero, e quando suo padre lo aveva strappato a forza dal corpo ormai rigido della mamma aveva capito. Aveva urlato, scalciato e tirato la barba del padre fino a fargli sanguinare le guance, ma aveva capito. Aveva accettato la necessità di fuggire.
Sua sorella no. Sigrid era rimasta a fissare la madre, immobile come se le avessero scagliato un incantesimo di Carne in Pietra, con lo stesso sguardo vuoto e privo di vita di Hexxat. Non c’era stato verso di smuoverla da lì.
Suo padre era ferito, e non poteva caricarseli sulle spalle tutti e due. Aveva scelto il figlio maggiore, il più forte, quello che aveva più possibilità di sopravvivere alla vita di stenti che li attendeva. Sigrid probabilmente sarebbe morta comunque. L’ultima immagine che Korgan ha di sua sorella è di lei in piedi al centro della galleria, le braccia inerti lungo i fianchi, le urla e il fragore del combattimento che si avvicinano come nubi di tempesta.
E il suo sguardo vuoto, perso nei meandri di chissà quale abisso.
Non l’ha più rivista.
Il Figlio di Bhaal decide che andranno alla tomba di Dragomir quel giorno stesso, per cercare di fare luce sul mistero di Hexxat. Korgan abbandona il tavolo tra una decina di imprecazioni, sferrando un calcio a una sedia. Certo, quando era lui a insistere per infiltrarsi nella cripta e recuperare il libro per Pimlico gli hanno consigliato tutti di non essere precipitoso, di aspettare. Troppo rischioso, dicevano! Ora invece tutti pronti a gettarsi tra le fauci dei ghoul per aiutare una povera fanciulla demente!
Sulle scale si imbatte proprio nella fanciulla in questione. C’è un tizio alle sue spalle, seminascosto nella penombra. Un ceffo smilzo pieno di pugnali che ha tutta l’aria di essere un Ladro Tenebroso. Lo sconosciuto si avvicina a Hexxat e le sussurra qualcosa all’orecchio, mentre le sue labbra sottili si piegano in un sorriso lascivo. Intanto le sue mani partono all’ardita esplorazione delle meraviglie del corpo della ragazza.
Korgan neanche rallenta l’andatura. Mentre passa accanto ai due sferra dritto nello stomaco dell’uomo uno di quei poderosi destri nanici di cui non ci si dimentica facilmente, che lo fa schizzare via mugolando come una fanciullina. Superando Hexxat la degna appena di uno sguardo.
Per un attimo gli sembra che la ragazza gli abbia sorriso, ma probabilmente è solo l’ennesimo scherzo della birra e dell’illuminazione scadente del Diadema di Rame.

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Note: la sorella di Korgan è di mia invenzione, ma la storia della guerra tra i clan, compresa la scena del padre che strappa il piccolo Korgan dal corpo della madre, viene raccontata da Korgan in uno dei suoi dialoghi con Mazzy. Se poi sia vera o no, questo solo Korgan lo sa.
Ovviamente la Hexxat di cui si parla qui in realtà è Clara, ma i nostri eroi scopriranno la sua vera identità soltanto in seguito, una volta liberata la vera Hexxat dalla tomba di Dragomir.

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Capitolo 23
*** The bear and the maiden fair ***




Personaggio: Aerie
Genere: Introspettivo, Missing Moments
Rating: verde
Avvertimenti: contiene spoiler su un personaggio bonus di BG2:EE. Ispirata alle romance della mia partita. La citazione del titolo dovrebbe essere piuttosto semplice da indovinare XD


The bear and the maiden fair

“Mi occupo io della legna.”
Una scusa, ovviamente. Un pretesto qualsiasi per allontanarsi dal campo e trascorrere un po’ di tempo nel bosco, sola con i propri pensieri, lontana dal chiacchiericcio degli altri.
Lontana da lui.
Wilson deve aver avuto la sua stessa idea. Aerie lo trova intento a sonnecchiare in una radura, il dorso peloso che si alza e si abbassa placidamente al ritmo del suo respiro profondo e rumoroso. Decide di fargli compagnia, si siede sull’erba e reclina il capo contro la sua pelliccia morbida. Chiude gli occhi, e pensa che sarebbe meraviglioso sprofondarvi dentro e dormire, dormire e ancora dormire avvolta da quell’abbraccio caldo e protettivo. Senza pensare a niente.
Alcuni membri del gruppo hanno paura di Wilson, si sentono a disagio ad avere un orso per compagno di viaggio. Lei no. Si sono capiti sin dal primo momento, loro due; sin dal primissimo sguardo, scambiato attraverso le sbarre arrugginite e troppo strette della gabbia del mercante di animali. Chi ha sofferto sulla propria pelle la vita del prigioniero e dello schiavo non ha bisogno di parlare la stessa lingua per capirsi.
L’oblio tanto sospirato non arriva. E come potrebbe, se dietro alle palpebre chiuse le macchie colorate e i frammenti di luce si ostinano a comporre sempre la stessa immagine? La vastità del cielo in un paio di occhi, capelli dorati, un fisico né alto né prestante ma fresco, agile e flessuoso come la scia di un dardo incantato.
E la sua voce, che neanche i suoni quieti del bosco riescono a inghiottire. Il nome di un’altra donna pronunciato con ardore dalle sue bellissime labbra.
Neera, è la nota più ricorrente nella melodia delle sue parole. Neera è bella, è spiritosa, è energia pura e dirompente come i suoi incantesimi; ma come comprendere cosa le passa per la testa, come schiudere i segreti del suo cuore? Cercare di capirla è come catturare un raggio di sole che si rifrange sull’acqua. Per fortuna c’è Aerie, la confidente, l’amica sempre pronta ad ascoltare e a offrire consigli sinceri. Come farebbe senza di lei? E Aerie si odia, perché ogni volta non riesce a fare altro che ingoiare le lacrime e ricucirsi addosso la maschera logora del sorriso.
Amica. Sorella. Tante belle parole. Ma non quelle che vorrebbe trovare il coraggio di dirgli.
Un debole grugnito le annuncia che Wilson si è svegliato. Lo accarezza sotto il muso, distratta, sfrega i capelli contro il suo manto bruno.
Ai tempi di Faenya-Dail non avrebbe avuto dubbi su cosa fare. Un battito d’ali, un fruscio di piume e via veloce attraverso il vento e le correnti, lasciandosi indietro brandelli di nuvole insieme a tutti i cattivi pensieri.
Niente al mondo le manca come volare.
Si accorge del richiamo di Wilson solo quando i colpetti del muso contro la sua spalla si fanno più insistenti. Ancora una volta le basta incontrare per pochi istanti il suo sguardo del colore della terra umida per capire la sua richiesta. Con il muso Wilson accenna al proprio dorso ed emette una sorta di gorgoglio profondo, benevolo. Un invito.
Aerie si aggrappa al suo collo robusto e gli sale in groppa.
“Dove vuoi portarmi, amico mio?”
Wilson parte con un ruggito di sfida, ed è veloce, straordinariamente veloce per una creatura della sua mole. Aerie si lascia sfuggire un gridolino e agguanta due ciuffi di pelliccia tanto forte da rischiare di strapparli. Sente la terra vibrare sotto le zampe potenti di Wilson, un ritmo serrato e incalzante che la lascia senza fiato.
Pian piano però lo spavento passa e il suo corpo, senza che nessuno le spieghi come fare, si abitua. Impara ad assecondarlo. Lo accompagna con l’istinto di un cavaliere, piegandosi e ondeggiando a destra e a sinistra in perfetta sintonia con i movimenti dell’orso. Persino il loro respiro ora è uno solo.
Insieme attraversano il bosco come una freccia scoccata dall’arco infallibile di Valygar, il vento contro il viso, foglie che la accarezzano rapide e si impigliano tra i capelli. Macchie di luce imprigionate tra i rami, un caleidoscopio verde e oro ad accompagnare la corsa selvaggia dell’elfa e dell’orso.
Non è come volare, ma in qualche modo gli somiglia. Ed è bellissimo.
Grazie, amico mio.

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Capitolo 24
*** Notte senza luna ***




Personaggio: Rasaad yn Bashir
Genere: Introspettivo, Malinconico, Drammatico
Rating: giallo
Avvertimenti: temo di essere andata OOC con Rasaad, probabilmente qui appare troppo assetato di vendetta per un legale buono. Però in BG2 mi è parso molto più tormentato e instabile rispetto al primo gioco, molto più in preda a dubbi mistici e propenso a smarrire la via. Perciò...



Notte senza luna

Il respiro della città è rumoroso.
Persino di notte Athkatla non si addormenta mai davvero. Merci e viaggiatori partono e arrivano a ogni ora, la musica nelle taverne non si spegne mai. I suoi vicoli brulicano di vita sotterranea e misteriosa.
Nelle città è più difficile percepire il flusso del mondo ed entrare in armonia con esso. È faticoso unire i frammenti in un mosaico completo, perché un velo di nebbia sporca sembra offuscare continuamente i nostri occhi. Un insistente ronzio di fondo disturba la concentrazione, ci impedisce di respirare all’unisono con ciò che ci circonda.
O forse è solo una scusa per non guardare in faccia la verità.
“Il mondo non si rivelerà mai a tuoi occhi se prima tu stesso non guarderai nella tua anima come in uno specchio d’acqua cristallina” amavano ripetere i maestri. Sembra passata una vita da quel tempo innocente, protetto dalle mura accoglienti del monastero. Una vita, o forse due. Quella di Gamaz, spezzata in mattino di gelo, di sangue e di neve. E la sua.
Adesso però deve scacciare questi pensieri. Il cavaliere si muove rapido nonostante il peso dell’armatura, e Rasaad non può permettersi di perdere le sue tracce. Ha promesso al Figlio di Bhaal di tenerlo d’occhio.
A dire il vero Anomen non si impegna molto a celare la propria avanzata. Le insegne del Cuore Radioso sulla sua armatura, splendenti alla luce delle torce, bastano a far scappare a gambe levate ladruncoli e tagliagole e a spianargli la strada.
E perché procedere con furtività, poi? Solo i vili e i codardi nascondono la loro vergogna allo sguardo di Selûne. Anomen non ha dubbi: la sua impresa è nobile, la sua ira giusta, la sua vendetta inevitabile. Può permettersi di procedere a testa alta.
Al contrario di me, che striscio tra le ombre come un Ladro Tenebroso qualsiasi.
Lo scroscio quieto della risacca annuncia l’ingresso nel Quartiere del Ponte. A questo punto non ci sono più dubbi sulla destinazione di Anomen. Ancora prima che emerga dall’oscurità, Rasaad intuisce la sagoma imponente della residenza di Saerk Farrahd dritta davanti a loro. Un paio di guardie, probabilmente mercenari, presidiano l’ingresso anche a quell’ora della notte, ma per il momento non sembrano fare caso ad Anomen. L’aspirante cavaliere del Cuore Radioso si ferma a qualche metro di distanza dalla porta principale, la mano destra stretta attorno all’elsa della spada. È troppo buio per scorgere il suo viso, e Rasaad è troppo lontano, ma è come se lo avesse davanti agli occhi, nitido e chiaro nella luce di Selûne.
Che farei io, se lì dentro ci fosse Alorgoth?
Vorrebbe entrare, senza dubbio. Aprirsi la strada a suon di calci tra i suoi viscidi scagnozzi e metterlo con le spalle al muro, spaccare con un pugno le labbra che hanno sussurrato parole oscure nell’orecchio di Gamaz e riso mentre suo fratello sprofondava tra le spire di Shar.
Lo ha cercato senza sosta solo per quel momento. Ha percorso in lungo e in largo la Costa della Spada e l’Amn, fiutato tracce come un segugio, colto i sussurri della notte con la bravura di una spia. E i suoi fratelli in Selûne, i monaci dell’Anima Solare, non l’hanno mai perdonato per questo.
Non sono più miei fratelli. Non sono più degno di innalzare lodi a Selûne al loro fianco.
Anomen esita, immobile di fronte alle mura che proteggono gli assassini di sua sorella.
Le urla hanno risvegliato persino gli ubriachi, quella mattina al Diadema di Rame. La voce tonante di Anomen, accesa di ira e di sdegno, e quella più pacata del Figlio di Bhaal che lo pregava di non commettere pazzie. Di non caricare a testa bassa, di sottoporre il caso alle autorità piuttosto che gettarsi in una vendetta selvaggia e indegna di un aspirante paladino del Cuore Radioso. Tutto il gruppo si è schierato dalla sua parte. Solo Rasaad non ha proferito parola.
Perché Anomen sta commettendo il suo stesso errore.
E anche adesso Rasaad non abbandona il suo riparo tra le pieghe della notte. Avrebbe potuto fermare Anomen in un qualsiasi momento lungo il percorso. Ma non lo ha fatto.
È una notte di luna nuova. Selûne volge il suo sguardo lontano dalla terra, oltre la distesa di stelle e la barriera gelida del cielo che la vista dell’uomo non riesce a penetrare. La notte ideale per versare sangue senza causare il pianto della dea.
Dopo un tempo che pare infinito Anomen muove il primo passo verso l’edificio silenzioso. Ha preso la decisione che lo porterà a diventare un esule, un reietto del suo ordine. Ma l’esilio non è qualcosa che ci viene imposto dall’esterno; c’è chi nasce portandolo dentro di sé, in ogni momento.
Rasaad ha visto combattere Anomen tante volte. Conosce il suo valore e la potenza della sua spada. Spalla contro spalla hanno affrontato centinaia di nemici insieme, si sono salvati la vita più volte di quante possa ricordare. Hanno condiviso racconti attorno al fuoco, lunghe veglie scrutando le tenebre con il cuore in gola, accerchiati da briganti, orchi, maghi rossi. Sono compagni. Fratelli.
Non si lascia un fratello solo in preda alla notte e al buio, questo persino un reietto di Selûne può capirlo. Non può continuare a nascondersi tra le ombre mentre Anomen corre incontro all’esilio e alla dannazione.
Rasaad abbandona il rifugio e avanza verso la residenza di Farrahd, mostrandosi alla luce delle torce.
“Anomen.”


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Note: Rasaad decide di fermare Anomen per impedirgli di cedere alla vendetta come ha fatto lui, oppure vuole aiutarlo, scendendo con lui nell'abisso della dannazione? Ai lettori l'ardua sentenza.
 

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Capitolo 25
*** The bard's song ***


 



Personaggio: Il Figlio di Bhaal
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic
Rating: giallo
Avvertimenti: dopo la fine di tutto, sulle note di questa meravigliosa canzone dei Blind Guardian.



The bard’s song

Now you all know
The bards and their songs
When hours have gone by
I'll close my eyes
In a world far away
We may meet again
But now hear my song
About the dawn of the night
Let's sing the bard's song…


Il bardo accarezza le corde del liuto con la delicatezza di un amante. Assapora tra le labbra note appena sussurrate, cariche di mistero; di certo la sua canzone non è per le orecchie dello scarso e decisamente ubriaco pubblico rimasto nella locanda fino a quest’ora della notte. Ha già raccolto un discreto gruzzolo di monete di rame e d’argento nel cappello piumato, e ora può permettersi di cantare per piacere, di celebrare il suo amore per l’arte, o forse per una bella dama lontana.
Io preferisco pensare che stia cantando per me.
Resa ardita dalla melodia, la mia penna d’oca scivola leggera sulla pergamena, fende la pagina bianca lasciandosi indietro la sua sinuosa scia d’inchiostro.
È ironico, a pensarci bene. Sono cresciuto con il profumo di carta antica e rilegature di cuoio nelle narici, ho trascorso l’infanzia in saloni tappezzati di libri fin dove lo sguardo si perdeva nell’oscurità del soffitto; eppure il povero Gorion doveva patire i Nove Inferni per tenermi fermo alla scrivania per più di cinque minuti di seguito. La giovinezza mi chiamava all’aperto, sui prati con Imoen, a nuotare negli stagni o a fare a gara a chi si arrampicava più veloce sugli alberi.
La mia sorellina riderebbe di gusto a vedermi in questo momento. Un elfo ingrigito, chino sulle sue pergamene come uno qualsiasi di quei vecchi sapientoni che erano le vittime preferite dei nostri scherzi.
Riesco a sentirla, la risata cristallina di Imoen. Eccola, gioca a nascondersi tra gli arpeggi leggeri del bardo. La rincorro, cerco di catturarla dietro le palpebre chiuse e lascio volare la penna, seguendo la musica. Non ho bisogno di guardare il foglio. Imoen, la mia sorellina, prende vita dall’inchiostro, il suo sorriso fresco sulla pergamena, incancellabile dagli anni, dalle intemperie e dalle preoccupazioni.
Stasera è anche per lei che scrivo.

Tomorrow will take us away
Far from home
No one will ever know our names
But the bards' songs will remain
Tomorrow will take it away
The fear of today
It will be gone
Due to our magic songs…


La penna corre, e la voce del bardo si mischia ai pensieri e ai ricordi. Garrick cantava così, con quella voce impostata sui toni acuti, vagamente femminile. Xan correva a rinchiudersi in camera dopo le prime tre note, terrorizzato che qualcuno gli chiedesse di cantare. O peggio, di ballare. Branwen – inflessibile, feroce in battaglia, integra e pura come una roccia millenaria – lei invece sì che ballava, e nessuno lo avrebbe mai detto prima di vederla volteggiare sul pavimento di legno sconnesso come fosse un salone di marmo lucidissimo. Innumerevoli i tentativi di farla scontrare “per caso” con Rasaad; Neera, lei ci ha sempre visto lungo, era convintissima che con il giusto incoraggiamento tra i due potesse nascere qualcosa.
E Anomen? Anomen faceva mangiare la polvere a qualsiasi bardo in quanto a intrattenimento, con i suoi racconti di imprese eroiche ai limiti dell’immaginazione. Resi ancora più epici, non c’è dubbio, dai mimi di Jan dietro le sue spalle. Valygar scuoteva la testa con disapprovazione dal suo tavolo nell’angolo. “L’angolo buio del ramingo”, lo chiamava Jan, anche se nessuno ha mai capito bene cosa intendesse. Ma esisteva qualcuno che stesse ad ascoltare un racconto di Jan dall’inizio alla fine?
Il ranger burbero si lasciava andare solo quando la sala comune si svuotava e io accostavo una sedia al suo tavolo, versando l’ennesima, generosa pinta di birra. Allora persino la sua lingua silenziosa si scioglieva e passavamo ore a discutere di avventure, di archi e frecce, di boschi, dei mali del mondo e dei pericoli della magia. Ricordo ancora la nostra più lunga e articolata conversazione filosofica, un dibattito sostenuto con fervore e solide argomentazioni da entrambe le parti: è più affascinante Hexxat o Viconia?
A certe domande semplicemente non c’è risposta.

There's only one song
Left in my mind
Tales of a brave man
Who lived far from here
Now the bards' songs are over
And it's time to leave
No one should ask you for the name
Of the one
Who tells the story…


“Loro vivono dentro di te. Nel tuo cuore.”
Aerie me lo ripete in continuazione. Vado a trovarla sempre più spesso, due elfi ingrigiti che rievocano i vecchi tempi davanti a un boccale di birra ormai impossibile da reggere. Lei è serena – ha i suoi dèi elfici e gnomici, una comunità da mandare avanti, o forse ha semplicemente trovato la giusta filosofia di vita – e non riesce a capire perché io non posso accontentarmi.
“Sta diventando la tua ossessione. Finirai per logorarti. E poi, quanti bardi hanno già cantato le tue… le nostre avventure? Credi davvero che esista un angolo di mondo che non le ha mai sentite?”
Non è questo il punto, vorrei spiegarle. Nessun bardo conosce il suono della risata di Imoen, o il suo modo di inarcare il sopracciglio quando pensava che la stessi prendendo in giro. E quanti di loro sanno che Keldorn, l’eroe che ha salvato l’Amn dai giganti, amava la cucina di Calimshan e il vino di Waterdeep?
“Non hai bisogno di fiumi d’inchiostro per ricordarli” riprende lei prima che io possa anche solo provare a spiegare. “Loro saranno sempre accanto a te.” Mi stringe la mano con affetto, e mi sembra quasi di sentire le vene pulsare sotto la sua pelle sottile come i fogli su cui scrivo. “Anche lei.”
“No.” sussurro io, e Aerie si ritrae con un sussulto. Mi sento in colpa per averla spaventata. “Neera non può cavarsela così a buon mercato” continuo, in tono più dolce questa volta. Sorrido. “Stavolta non le permetterò di scappare.”
Neera è sempre stata una specialista dell’arte della fuga. L’ho inseguita per una vita senza mai riuscire a raggiungerla. Era come cercare di afferrare l’acqua con le mani, o tagliare un raggio di luce con una spada.
Alla fine, è stata lei a decidere di fermarsi.
“Non ti invidio neanche un po’” sono state le ultime parole che mi ha rivolto. Le tenevo stretta la mano, perché sapevo che il suo sorriso cocciuto di sempre nascondeva una paura sconfinata. La stessa che attanagliava la gola anche a me, che mi annodava la lingua impedendomi di parlare e trasformava il mio campo visivo in un orizzonte umido e offuscato. “Ti pianto in asso per l’ennesima volta. E non mi è mai dispiaciuto così tanto.”
E quando anche io sarò solo un ricordo, una statua annerita dal tempo nella piazza di Trademeet o un verso nelle ballate dei menestrelli, chi racconterà di Neera? Delle sue battute nei momenti più sbagliati, di come saltellava e rideva a squarciagola quando qualcosa la emozionava, di come persino il cinico Dorn piegava le labbra in un sorriso quando lei si esibiva nella sua celebre imitazione di Xan?
Loro vivono in me, e moriranno con me. Ma in queste pagine, protette dalla cura maniacale dei bibliotecari di Candlekeep, vivranno per sempre.

And you're not alone
So don't be afraid
In the dark and cold
'Cause the bards' songs will remain
They all will remain…


L’eco della canzone pian piano si spegne. L’oste sta sistemando le sedie sopra i tavoli, e un suo sguardo infastidito mi fa capire che vorrebbe chiudere la sala comune. Per stasera è tempo di andare.
Richiudo le pagine del libro con appena un velo di nostalgia.
A domani, amici.

In my thoughts and in my dreams
They're always in my mind
These songs of hobbits, dwarves and men
And elves come close your eyes
You can see them too.



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Note: non avevo scritto neanche metà delle storie che già sapevo di voler finire con questi versi dei Blind Guardian. Questa canzone ha un significato importante per me, e ora è una grande soddisfazione usarla per mettere la parola fine a questa raccolta che mi ha accompagnata per poco più di un anno. Un grazie a tutti quelli che hanno letto e seguito, e ovviamente a whitemushroom per essersi cimentata insieme a me in questa impresa!
 

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