It’s not a side effect of the pot, I am thinking we are meant to be

di Will P
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I kissed a boy (and it started shit up) ***
Capitolo 2: *** We’ve got a big mess on our hands ***
Capitolo 3: *** Progress report: I’m missing you to death ***
Capitolo 4: *** To drinks at the club, to the bar, to hotel stairs ***



Capitolo 1
*** I kissed a boy (and it started shit up) ***


Disclaimer: Quanto segue è solo una mera esternazione della mia mente malata, e in nessun modo vuole essere rappresentazione veritiera della verità, offesa, o un modo per lucrare sulla sessualità dei personaggi citati

Disclaimer: Quanto segue è solo una mera esternazione della mia mente malata, e in nessun modo vuole essere rappresentazione veritiera della verità, offesa, o un modo per lucrare sulla sessualità dei personaggi citati. Ci lucrano già abbastanza da soli.

Note: Titolo della fic liberamente ispirato a It’s Not A Side Effect Of The Cocaine… dei FOB, titolo del capitolo a I Kissed A Boy dei Cobra Starship. Grazie infinite a Christine e Blaise che mi fanno sempre aria quando sto per svenire sotto il peso della mia idiozia, e al forum perché lo amo e mi dà la forza di andare avanti <3

Nel mondo non c’è mai abbastanza Trohley. Io faccio del mio meglio, per quanto delirante e sconclusionato \o/

 

 

 

It’s not a side effect of the pot, I am thinking we are meant to be

 

 

I. I kissed a boy (and it started shit up)

 

Quando finisce il concerto e scende dal palco saltando gli ultimi tre gradini in un colpo solo, è tutto come al solito: Joe e Patrick sono rimasti indietro, bloccati dai fan o dai tecnici, il backstage è in festa e si sente scoppiare da qualche parte la risata spacca timpani di Pete. Saluta Charlie sventolando le bacchette e si gira quando sente dei passi lungo le scale, pronto a dare il cinque a chiunque sia.

È Joe, che lo nota solo dopo aver mollato la chitarra ad uno dei tecnici; sul suo volto si apre un sorriso pigro mentre lo guarda con occhi lucidi da dietro le palpebre pesanti, e appena inizia a camminare lentamente nella sua direzione, sempre sorridendo, con gli occhi sempre più brillanti, Andy nota qualcosa di insolito. Non fa in tempo a domandarsi cosa, però, che si ritrova Joe addosso, il sorrisetto imperturbabile dritto contro la sua faccia, ed è strano, perché mezzo secondo fa era dall’altra parte della stanza, come…?

Joe lo bacia. Andy vorrebbe iniziare ad agitare le braccia come un mulino ma si trova improvvisamente pietrificato, sbatte contro una parete che non ricordava e sente Joe stringerlo per i fianchi e accarezzargli piano le braccia provocandogli i brividi.

È un ottimo momento per smettere di essere ateo e trovare una divinità a scelta da imprecare senza ritegno.

La bocca di Joe è dolciastra d’alcol e altro. Andy fa un verso disgustato, ma Joe fraintende su tutta la linea e gli infila allegramente la lingua in bocca, spingendolo contro il muro tutto contento.

Andy è penosamente conscio di essere senza una maglia, delle maledette mani di Joe che sono grandi e ruvide e gli stanno percorrendo con accuratezza estenuante in petto, le spalle, il collo; è penosamente consapevole di Joe che gli ha preso finalmente il viso tra le mani e gli sta succhiando il labbro inferiore tra i denti, mentre la maglia di Joe gli si appiccica addosso.

Per il resto, non si rende più conto di nulla.

E poi il corto-circuito finisce, rientrano le urla lontane della folla insieme alle risatine nella stanza, Andy spalanca gli occhi e riesce a riprendere controllo del proprio corpo abbastanza a lungo da spintonare via Joe e guardarlo a bocca aperta.

Joe sorride ancora, troppo stordito per fare altro che andarsene via come se niente fosse. Andy tiene lo sguardo fisso sulla sua schiena mentre se ne va, sconvolto, portandosi il dorso della mano alle labbra che sente gonfie e calde.

Patrick gli compare davanti, con la chitarra al collo e l’aria allegra. « Che succede? »

Andy, molto dignitosamente, fugge.

 

Dopo mezz’ora è ancora in uno stato di apatia che ha del preoccupante. Tutto quello che ha fatto è stato arrivare al bus come un automa, sedersi e scolarsi una bottiglia d’acqua intera per levarsi il retrogusto di fumo dalla bocca, fissando per tutto il tempo il muro con sguardo vuoto.

Ha appena considerato vagamente l’idea di prendere un’altra bottiglia (e votato contro, perché non vuole morire d’infezione renale, grazie mille) quando, come se qualcuno avesse premuto un interruttore, la scena gli si proietta in loop davanti agli occhi, vivida come se fosse un film in dolby surround.

D’un tratto si ritrova talmente stipato di emozioni che stritola la bottiglia vuota fino a sbiancarsi le nocche, il respiro corto.

È furioso. Possibile che l’unica reazione sensata gli venga dopo mezz’ora che-

Scatta in piedi, mollando violentemente il cadavere di plastica. La bottiglia cade a terra con un tonfo, ma non ci fa caso e inizia a fare avanti e indietro per il bus come una belva in gabbia, mentre cerca di focalizzare tutta la propria rabbia su Joe, nella speranza di fargli esplodere la testa a distanza. Quell’idiota. Quel fottuto coglione

Sarebbe stato diverso con Pete, perché Pete è un'enorme piovra che non sente di averti dimostrato pienamente il suo affetto finché non ti ha molestato, e tra le sue grinfie ci sono passati tutti; sarebbe stato diverso con Patrick, perché con lui non sarebbe successo, visto che Patrick è il loro baluardo di buon senso e sanità mentale. I baluardi di buon senso non saltano addosso agli amici.

I dannati fattoni sì, però. E anche se sta cercando di non pensarci troppo il motivo principale della sua rabbia è proprio questo, che Joe l’ha fatto solo perché non era in sé, e che da lucido non lo farebbe mai. Evita di soffermarcisi perché altrimenti potrebbe davvero spaccare qualcosa.

Fottuta testa di cazzo. Davanti a tutti, approfittando dell’adrenalina post-concerto, come se- come se fosse normale, come se avesse il permesso. Ma il fatto che la DecayDance sia un bordello camuffato da etichetta discografica non lo autorizza a saltare addosso al primo che capita solo perché è in vena.

E lui è un povero deficiente a non essersi scansato subito, a non averlo previsto da come Joe lo stava guardando. Non riesce nemmeno a smettere di rivivere la scena, in un’infida parte nascosta del suo cervello, nonostante lo faccia vergognare e star male.

Come prima, è Patrick ad interrompere il filo dei suoi pensieri; stavolta però è serio e vagamente preoccupato mentre sale sul bus e lo studia dalla porta, sistemandosi il cappello.

« Vuoi dirmi cosa- »

« Niente. » Prende l’iPod dal tavolo e se ne va sbattendo tutte le porte che trova; si chiude nella propria cuccetta, tira le tendine, si rannicchia contro la parete e si mette le cuffie, cercando di concentrarsi sulla musica; si addormenta con i Seven Angels Seven Plagues a palla nelle orecchie, furioso che l’unica cosa cui riesca a pensare è il fatto che senza Joe addosso è tutto più freddo.

 

Patrick resta lì, irritato. Stava solo cercando di essere gentile, eccheccavolo, non è mica colpa sua se la sua band è una masnada di psicopatici.

Gli hanno raccontato cos’è successo (e gli hanno anche fatto vedere una foto sgranata prontamente scattata con un telefonino. Ha provveduto personalmente a cancellarla senza badare alle proteste dell’autore) e di come Joe è saltato addosso ad Andy in uno dei suoi picchi di stupidità, di come se n’è andato mollando Andy lì e della crisi di nervi di Andy, che purtroppo pare ancora in atto.

Non gli era mai capitato di trovare Andy non disposto a parlargli, o ascoltarlo - o sopportare di stare nella stessa stanza con lui - e visto che Joe al momento è… da qualche parte, Patrick fa una cosa che in caso di dubbio non aveva mai pensato di fare: chiama Pete.

« Yo, Trickster » risponde Pete, poi si sente qualche guaito e Pete si mette a parlare con Hemingway. « Hai fame cucciolo? Hai fame? Ma sì che hai fame! Adesso Petey ti dà la pappa. Ma bravo Hemmy, bravo! Qui! »

« Pete. »

« Ma brav- scusa. Che c’è? »

« Che fa Joe? »

« Joe è, uh… » Lo sente camminare in giro. « Collassato sul divano, e ho i miei dubbi che stia respirando. Aspetta… ok, sì, è vivo. Hemmy, no, non masticargli le scarpe! Perché? »

« Andy » sospira. Prende da bere dal frigo e si siede accendendo il laptop: sarà una lunga conversazione. « È stupido. »

« Davvero? E perché mai… ah, oh! » Pete ridacchia. « Se l’è presa? »

« No, sembra solo la versione multicolor dell’incredibile Hulk. »

Sente un pop e il rumore di bollicine, e sa che Pete si è aperto un RedBull, l’insonne sconsiderato. « Ma dai, per così poco? »

« Non ti hanno fatto vedere le foto? »

Risolino nervoso. « No. Cioè, giusto una di sfuggita. Pure venuta male, sai, non si vedeva nulla. »

« …Pete, cancellale. »

« Certo » un’altra risatina, e Patrick si annota mentalmente di perquisire il sidekick di Pete l’indomani. « Ma non mi sembrava niente di che. Io ti ho fatto di peggio sul palco. »

« Ci hai provato » arrossisce, nonostante possa solo immaginare il sorrisetto di Pete. « È che… è Andy. »

« Giusto. Nessuno bacia Andy. Oddio, pensi sia colpa mia? Se l’avessi abituato a certe cose- »

« Saresti morto » lo blocca prima che possa partire con dei sensi di colpa che sarebbero solo inutili e assolutamente folli. « Non sei tu, sono loro. »

« Già. » Hemingway mangia rumorosamente sullo sfondo. « Quindi? »

Patrick sbatte le palpebre. « Quindi cosa? »

« Quindi perché hai chiamato? »

Perché speravo in una risposta che ero certo non sarebbe mai arrivata. « Sostegno morale? »

« Vedrai, gli passerà. »

« Tu non l’hai visto… »

« Okay, se non gli passa organizzerò un piano- »

« NO. » Tutto ma non i piani di Pete.

« Va bene, allora se continua ad essere stupido gli parleremo. Parleremo con tutti e due. »

Patrick si toglie gli occhiali e si strofina gli occhi, stanco. Forse è il caso di spegnere il computer e andare e dormire. Dall’altra parte della cornetta Pete si muove, probabilmente armeggiando con la tv per prepararsi ad un’intensa nottata di repliche e zapping. « Sono veramente degli impediti » dice dopo un po’. Qualche secondo di silenzio e poi, più piano: « Io so gestire il mio imperituro amore per te molto meglio. »

Patrick abbassa lo schermo del portatile con un piccolo sorriso. « ‘Notte Pete. »

 

C’è un gruppo di muratori con i martelli pneumatici che sta demolendo la testa di Joe. O quello, o la sera prima si è scolato, tipo, una tanica di vodka.

Si sente un cerchio alla testa (di muratori che danzano con i loro trapani a tutta birra, ovviamente) e un peso sullo stomaco che, non appena riesce a scollarsi le palpebre per controllare, si rivela Hemingway appallottolato. Oddio, è svenuto di nuovo sul divano.

Fa tre tentativi per alzarsi, due dei quali si concludono con la sua faccia premuta contro i cuscini per bloccare la nausea e uno con la discesa di Hemingway, che gli ha lasciato una bella chiazza di bava all’altezza dello stomaco. Al quarto riesce a mettersi verticale e deve aspettare cinque minuti per riuscire a racimolare le forze per sollevarsi e barcollare in bagno. Dopo essersi attaccato al rubinetto del lavandino, aver fatto pipì ed essersi levato la t-shirt sporca si sente sufficientemente lucido per intraprendere il periglioso cammino verso la cucina. Ehi, sono tre metri.

Pete è seduto sopra il tavolo a gambe incrociate, con il portatile in grembo e una tazza di caffè in mano. Fissa Joe insistentemente mentre sbatte in giro, come se si aspettasse qualcosa di allarmante come trovargli una testa in più o vederlo camminare dritto. Joe agguanta una scatola di Cheerios e si appoggia al lavandino, mangiandoli direttamente dalla confezione. « ‘mbè? »

Pete gli lancia uno sguardo compassionevole e ritorna a scrivere con la mano libera. « Niente. »

Vabe’, avrà una faccia terribile, sai che novità. Barcolla verso la macchinetta del caffè, e mentre passa dietro Pete sbircia lo schermo, tanto per vedere cosa c’è di talmente importante da fargli battere i tasti così rapidamente. È uno dei suoi tanti blog, che insiste a chiamare “privati” quando poi aggiunge chiunque gli mandi la richiesta, e lo sta aggiornando; è in attesa che si carichi una delle immagini in allegato.

Quando l’ultimo pixel della foto è al suo posto Joe si è ormai scordato il caffè.

Crolla su una sedia, gli occhi sbarrati incollati al monitor pure dopo che Pete ha abbassato tutte le finestre con aria leggermente colpevole. Non… non si ricordava niente del genere.

« Cos…? » gracchia. « Quando? » Ha abbastanza esperienza in fatto di foto su internet da saper riconoscere un fotomontaggio: quello, in nome del cielo, non lo è.

« Tabula rasa? »

Joe apre e chiude la bocca un paio di volte. Non è proprio proprio tabula rasa; si ricorda che il concerto era stato fantastico, più che fantastico, che era stato spettacolare. Si ricorda che il pubblico era impazzito e una ragazza dalla terza fila aveva tentato di lanciargli un reggiseno, si ricorda che non aveva minimamente voglia di andarsene alla fine, si ricorda che era sceso e aveva visto Andy che rideva, ed era fradicio di sudore, a petto nudo e-

Dio del cielo santissimo. « Devo parlargli. »

Si alza di scatto in barba ai giramenti di testa e si fionda fuori dal bus, agitatissimo. Rientra tre secondi dopo tremando come una foglia e corre a mettersi una maglia, perché ci sarà pure il sole ma fa freddo a girare nudi, e rotola di nuovo fuori con un braccio incastrato nella t-shirt

Pete lo osserva centrare miracolosamente la porta, restando ad ascoltare i tonfi e le imprecazioni anche sfumano man mano che si allontana. Oh, che gente sconsiderata. Sospira, riapre tutte le pagine internet e clicca Invia.

 

Joe praticamente si lancia dentro il bus di Andy, e quasi cade a faccia avanti. Si tira su come se nulla fosse aggrappandosi alla maniglia e analizza la stanza, ma trova solo un Patrick perplesso intento ad editare il blog di Pete. (Pete dà sempre le sue password a Patrick perché se le scorda puntualmente, e Patrick è più difficile da crackare di un sidekick. Patrick dal canto suo è contento di fargli da agenda, visto che così può contenere le crisi mediatiche che Pete rischia di scatenare ogni tanto mettendo su internet Cose Che Non Dovrebbero Vedere La Luce Del Sole.)

« È uscito » dice tranquillamente Patrick mentre preme con insistenza Canc. Joe rantola qualcosa che potrebbe essere “grazie” o un polmone che tenta la fuga per la libertà dalla sua gola, e corre via verso… ovunque sia Andy. Furbo, non chiedere neanche un’indicazione.

Meglio così, dopotutto, almeno avrà tempo per pensare a qualcosa di meno stupido di “ehi, scusa, ti ho fatto una tonsillectomia? Vabe’, non mi ricordo, amici come prima?”. Di certo non può dirgli che gli è piaciuto e sarebbe pronto per il bis, e comunque non farà in tempo a dire nulla perché Andy lo ucciderà. Pacifismo non violento a farsi benedire.

Andy non è da nessuna parte nei pressi dei bus o del parcheggio. Non è nel market vicino alla venue - nemmeno nel reparto macrobiotico! - né nei camerini né nel backstage. Sta per andare a setacciare gli altri bus quando passa accanto al palco e, duh, Andy è lì sopra e sta suonando. Dev’essere diventato sordo da una sera all’altra per non aver sentito l’assolo più violento che gli sia mai capitato di ascoltare, tour con gli Arma Angelus compreso.

Si ferma accanto ad un amplificatore e si dimentica del motivo della ricerca. È ancora relativamente presto e senza riflettori accesi fa fresco perciò Andy non si è tolto la maglietta, che ora gli si appiccica inesorabilmente alla schiena; è senza occhiali e i capelli gli sono scivolati davanti agli occhi, oscurandogli la vista dei tamburi, di cui comunque può fare a meno. Suona con una concentrazione che sembra quasi dolorosa, forte, veloce, e Joe gli fissa le braccia finché non diventano delle scie sfocate in movimento. Sono troppo rare le volte in cui può starsene semplicemente a guardare Andy suonare, ed è un peccato.

Così assorto ci mette un po’ ad accorgersi che Andy si è fermato e lo sta osservando. Arrossisce un pochino, perché si imbarazza ancora quando viene beccato a fangirlare, si schiarisce la voce e viene preso dal panico. Non ha ancora un piano, dannazione.

« Hey, Andy » esclama forzatamente, andandogli incontro. Arriva alla batteria e Andy lo sta ancora fissando con espressione piatta da dietro il groviglio di capelli. « Io, uhm - bel pezzo! Che canzone era? » Complimenti, non tentava un approccio più scemo da quando aveva quattordici anni.

Si irrigidisce e serra le palpebre in attesa dell’inevitabile sfuriata, o di un pugno, o magari della sfuriata più un pugno più un rullante in testa, se la sera prima è stato proprio così terribile… ma non succede niente. Sente solo la batteria che traballa e apre gli occhi al tonfo dello sgabello che cade, giusto in tempo per vedere la schiena di Andy sparire giù per le scalette del palco.

…ops.

 

 

 

 

---

Yatta! Oh, come li amo <3 Anche se li farò litigare ogni tre righe, huhu.

Comunque, la storia sarà di quattro capitoli e sarà aggiornata ogni, uhm… facciamo lunedì (a meno che non mi giri da aggiornare prima), salvo complicazioni. Chi mi conosce sa che “salvo complicazioni” si trasforma puntualmente in un numero X compreso tra due e dieci di mesi di latitanza :°D

Ma non temete, i capitoli sono (quasi) tutti scritti! è_é/

 

Angolo serio perfettamente inutile, fate come se non ci fosse

Allora. Mi dispiace, ma adesso c’è il momento sentimentale *patpat*

Oggi sono due anni che pubblico su EFP. Dal capodanno scorso ho cambiato fandom, ho cambiato parte di bandom, ho trovato nuovi OTP *indica sopra*, ho fatto TOTALMENTE SCHIFO CON QUALSIASI SCADENZA /o\, ho iniziato a scrivere a quattro mani, mi sono data al porno. È stato un bell’anno, e spero di esser migliorata un po’ dalla fanfiction di 365 giorni fa, in cui mi auguravo la stessa cosa.

E questa volta festeggio in maniera insolita e un po’ apotropaica: con una long-fic. La mia prima long-fic su questo sito. E sapete cosa? Ho tutte le intenzioni di finirla, stavolta.

…tutto il Bandomville è autorizzato a picchiarmi quando mi bloccherò come un’idiota. ù_ù”

Will

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Capitolo 2
*** We’ve got a big mess on our hands ***


II

II. We’ve got a big mess on our hands

 

La situazione degenera rapidamente.

Il cinquanta per cento di una band che non si parla? Male, infinitamente male.

Non sono in guerra aperta - non sono neanche in guerra ad esser precisi - semplicemente, c’è Joe che entra in una stanza ed Andy che si smaterializza. (E quella volta non è saltato dal bus in corsa solo perché stava battendo Pete alla playstation ed era una questione d’onore, altrimenti Joe è certo che avrebbero dovuto staccare il loro batterista dall’asfalto con un cucchiaino. Aveva visto i suoi occhi stringersi minacciosamente sullo schermo prima di iniziare una cruenta mattanza dei piccoli, innocenti soldatini di Pete, mentre lui entrava nella stanza per mettere in carica l’iPod.)

Sarebbe quasi meglio se fossero in guerra aperta, almeno comunicherebbero. Tirandosi oggetti contundenti, vabe’, non è il momento di fare gli schizzinosi. Così Joe potrebbe capire qual è il problema di Andy, se esser stato baciato senza permesso, se esser stato baciato da un uomo, se esser stato baciato da lui, e in che modo tutto ciò è un problema. Cristo, poteva persino essere l’ennesima delle sue allucinanti regole straight-edge che gli impediva il contatto fisico dopo una certa ora del giorno!

Non se la sente di andare a parlargli, sinceramente, ma man mano che di concerto in concerto i lanci di bacchette tra il pubblico si infittiscono, e casualmente sempre nella sua direzione, si rende conto che urge fare qualcosa.

…e siccome Pete gli ha proibito di fuggire in Canada, dovrà per forza affrontare Andy. Gli sembra di aver sentito che la cugina di uno dei tecnici lavora al Pronto Soccorso da quelle parti, per fortuna.

 

Andy è ancora in fase ninja perciò passa circa mezza mattinata a dargli la caccia, e alla fine lo trova svaccato nella sua cuccetta a leggere il fumetto di Gerard; Sente per un attimo una fitta di risentimento per il fatto che Andy non gli aveva nemmeno detto di averlo comprato. Pete ha ragione, deve chiarire tutto e subito.

Si blocca subito dietro la porta, sempre teso e sempre privo di un discorso, passandosi una mano tra i capelli. Come può mettere in chiaro le cose se nella sua testa c’è il black-out completo? Quali cose poi? S’è accorto pure Hemingway della cotta mostruosa che ha per Andy da quando aveva sedici anni e saltava da un pub all’altro senza neanche sapere bene cosa stesse facendo; forse prima era un po’ più lieve, un po’ più discreta (e la spacciava persino a sé stesso per “profondissima ammirazione!!”), ma adesso ce l’ha praticamente scritto in fronte. È un enorme cartello ambulante e a questo punto Andy ha davvero bisogno di un nuovo paio di occhiali, se non l’ha ancora capito.

Esce dallo stato di contemplazione in cui era caduto con una smorfia e scuote la testa, nella speranza che lo scossone faccia magicamente incastrare tutte le sue idee in un Piano Perfetto, ma il solo risultato è un gran svolazzare di capelli. Dare ad Andy l’impressione di essere uno stalker non sarà di sicuro la strategia vincente, però, quindi si fa forza e parte. Appena entra, Andy alza gli occhi e si irrigidisce, stringendo le mani attorno ai lati del fumetto come se volesse nascondercisi dietro o, più realisticamente, lanciarglielo. Sotto il suo sguardo distaccato Joe sente l’impulso di girare i tacchi e fuggire via, nonostante sia lui quello piantato in mezzo al corridoio a bloccare l’uscita, nonostante sia Andy quello che dovrebbe sentirsi in trappola. Si impone di non muoversi, inspira, espira, altri due passi avanti. Contegno. Sicurezza. Puoi farcela, Joseph.

« Hey » Si siede disinvoltamente ai piedi del letto opposto, sorride, poi Andy corruga le sopracciglia e ciao ciao sicurezza, è stato un piacere averti conosciuto. « …hey. » Oh, quanta strada farà balbettando. Si agita un po’, a disagio. « Com’è? » chiede gesticolando vagamente in direzione del fumetto.

Andy sbatte le palpebre in maniera gufesca, come se si fosse scordato di avere qualcosa tra le mani. « Oh, è… da Gerard. »

Che può voler dire vampiri-zombie impazziti tanto quanto unicorni rosa; evidentemente Andy non è in vena di chiacchiere. Joe si agita ancora, piazzandosi le mani tra le ginocchia per evitare di cominciare a gesticolare come un demente, e sospira. « Allora, per l’altro giorno. »

Andy non commenta, fa solo una specie di faccia schifata che con tutta probabilità è involontaria. Brutto segno. « Cioè, mi dispiace. È che non ero tanto in me e, cioè, anche Pete lo fa sempre, non mi sembrava di far nulla di… strano, ecco. Ma… mi dispiace, okay? Non te la prendere. »

A quel punto Andy scatta. Joe si appiccica d’istinto al muro della cuccetta, ritrovandoselo in piedi nello stretto corridoio che vibra di rabbia malamente repressa, ed anche se sa di essere più alto Andy è maledettamente terrificante.

Devono essere gli occhiali. Anche Patrick è molto intimidatorio quando s’incazza.

« Sai cosa me ne faccio delle tue scuse? Sai dove puoi infilartele? »

« Almeno io tento di fare qualcosa, non mi chiudo nel mio stanzino emo a piagnucolare! Perché ti scaldi tanto?! »

Gli occhi di Andy si allargano in una maniera che in qualsiasi altro contesto risulterebbe comica. « Perché sei un testa di cazzo, Trohman » ringhia. « E finché continuerai ad essere un coglione del genere mi sentirò in diritto di prendermela quanto mi pare. »

Si alza anche lui, cercando di farsi il più alto possibile per sovrastare Andy e incutergli un minimo di… qualcosa. Lo sta trattando di merda quando lui non ha fatto niente - a parte saltargli addosso infilargli la lingua in gola passare l’ultima settimana a seguirlo ovunque perché gli mancava oddio cervello spegniti - proprio niente, e anzi è il solo ad aver avuto la decenza di cercare di chiarire. « Illuminami allora, oh saggio! Dio, sto cercando di fare pace che nemmeno mi ricordo cosa ho fatto, potresti dimostrare un po’ di collaborazione? Ero strafatto! »

Andy gli tira Umbrella Academy in faccia.

Joe spalanca la bocca e lo fissa, esterrefatto, senza muovere un muscolo. Non credeva che l’avrebbe fatto davvero. Sì, si aspettava la sfuriata, ma non- scherzava quando parlava dell’ospedale. E invece ha la guancia che brucia per lo schiaffo, la faccia che pulsa dolorosamente, e tutto quello che riesce a pensare è che Andy non l’aveva mai colpito con l’intenzione di far male.

Intanto Andy è già sulla porta, le spalle rigide e serrate. « È questo il tuo problema » dice in tono orribilmente piatto, e se ne va.

Quel pomeriggio Joe salta il sound-check. No, okay, pensa di saltarlo ma arriva soltanto in ritardo, ignora le occhiatacce di Patrick e Pete in sé, e si comporta come se il ritmo fosse tenuto da una simpatica drum-machine senza guardare una sola volta in direzione della batteria.

Quando sale sul palco quella sera ha ancora la guancia rossa, ed è così incazzato da non fare nemmeno caso al fatto che Andy non tira una sola bacchetta.

 

Magnifico. C’è un’orecchia al suo Umbrella Academy e il senso di colpa gli sta sciogliendo le viscere, semplicemente magnifico.

Non doveva mettersi a pensare “peggio di così non potrà andare”, lo sanno TUTTI che porta sfiga. È colpa di Pete che l’ha contagiato con la sua depressione e l’ha fatto arrivare al punto di starsene nascosto - “nel tuo stanzino emo a piagnucolare!” rimbomba prontamente nel suo cervello - a pensare che davvero, cosa può peggiorare la situazione?

In realtà è tutta colpa di Joe. Perché è un coglione. Un enorme, esorbitante coglione. Sì, è la frase dell’anno, se la farà tatuare da qualche parte il prima possibile - tipo, all’interno delle palpebre, così non correrà il rischio di scordarselo.

…perché ci aveva sperato, per un attimo, ci aveva creduto sul serio che Joe avesse tirato fuori la testa dal culo e fosse lì per dirgli qualcosa di nuovo, non che si scusava per aver fatto qualcosa che fa sempre Pete perché non sapeva cosa stava facendo.

E lui lì come uno scemo a urlare mentre qualcosa dalle parti dello sterno gli si spegneva e si incrinava, riempiendosi di crepe dolorose. Fosse stato un infarto avrebbe saputo come gestirlo, e invece…

Invece adesso se ne sta a pentirsi di averlo colpito perché, be’, non per il colpo in sé - di quello non si pente mica, con tutte le volte che si era trattenuto dal prenderlo giustamente a sberle era stato anche discretamente soddisfacente. Un pochino, sotto l’oceano di risentimento - ma per lo sguardo di Joe dopo. Ora è perfettamente certo di aver mandato tutto a puttane.

(“Tutto” cosa, poi?)

Non è giusto, lui non ha fatto proprio niente. Era solo un ragazzo piuttosto famoso che suonava la batteria e faceva finta di non passare metà del tempo a immaginare come sarebbe stato passare le dita tra i capelli del suo chitarrista, che cosa di tutto ciò è così grave da meritargli certi casini? Era felice prima. Moderatamente felice, e aveva sempre la speranza dalla sua. Così gli è stato fatto capire più che chiaramente che no, grazie.

Il karma fa schifo.

 

Pete lo incastra tra un amplificatore e un’impalcatura subito dopo un concerto in cui gli sono sfuggite le bacchette due volte, ci rendiamo conto?, mentre Joe rischiava di cadere dal palco durante una giravolta di troppo. Pete è legittimamente irritato.

Anche se se lo aspettava, Andy non può fare a meno di cercare di nascondersi dalla figura non molto imponente ma sempre inquietante di Pete Wentz. È solo che non ha voglia di mettersi a raccontare tutto, soprattutto a qualcuno con una felpa che fosforesce a quel modo.

« Nella mia band ci sono problemi » esordisce Pete. « Non mi piace quando nella mia band ci sono problemi e i problemi ci fanno suonare male. Odio suonare male. Quindi bisogna risolvere i problemi. » Incrocia le braccia al petto. « Qual è il tuo problema? »

« Joe » dice automaticamente. Joe è un problema sotto tanti di quegli aspetti che gli fa fatica definire il peggiore.

« E quello di Joe? »

« …uhm. »

« Cosa gli hai fatto? »

« È lui che ha fatto qualcosa a me, non so se hai dimenticato persino con tutte quelle foto che hai piazzato ovunque. » Pete non fa una piega all’accusa; alza semplicemente un sopracciglio, lo fissa, e dopo un’intensa guerra di occhiatacce Andy cede, infilandosi le mani in tasca mentre mugugna qualcosa di inintelligibile su la faccia di Joe e un ombrello.

« Ommioddio l’hai preso ad ombrellate?! » Pete spalanca la bocca orripilato, portandosi una mano al viso. Mai avrebbe sospettato, mai avrebbe pensato…!

« Gli ho sbattuto in faccia Umbrella Academy, mentecatto. »

Pete si ricompone nell’aria da l’avevo-sempre-saputo. « Questo perché…? »

« Perché è un coglione. » Risposta facile, di nuovo. Pete non sembra soddisfatto, però, visto come alza gli occhi al cielo e si punta le mani sui fianchi in una posa tipicamente Patrickesca. Andy abbassa lo sguardo, incassando di più la testa tra le spalle, dà qualche calcetto all’angolo dell’amplificatore e perde genericamente tempo. « Non ha capito niente. »

« Neanch’io » afferma caldamente. Si arrampica con un paio di salti sopra una cassa lì accanto e si siede, battendo insistentemente la manina sullo spazio accanto a sé finché Andy non sbuffa e si decide a dargli retta, sedendosi al suo fianco.

« Vedi Andy » attacca, tutto occhioni comprensivi e onesti « È colpa tua. »

« Checcoss-? »

« Andy, Joe è confuso e non sa dove cercare aiuto. Da chi deve andare, da Patrick? Da me? Sei sempre stato tu quello pronto a risolvere i nostri casini e proprio quando lui ne ha più bisogno tenti di rompergli il naso a giornalate, per cui fattelo dire amico, è colpa tua. »

« Mia?! » La voce di Andy diventa sgradevolmente stridula quando s’indigna. « Fa quello che ha fatto poi si comporta da idiota e io dovrei risolvere i suoi problemi? »

« Esatto » si illumina Pete, contento che il messaggio sia arrivato.

« Grazie Pete. » Andy scende dall’amplificatore e va verso i camerini con l’aria mogia, strascinando i piedi senza entusiasmo. Pete non capisce davvero cos’altro dovrebbe fare.

 

Non possono seriamente aspettarsi che, dopo tutto quello che è successo e che ha subito, si metta a sbrogliare la matassa di turbe sessuali di Joe. Okay “Vegan Jesus”, ma non Jesus fino a questo punto.

Non ha tempo da perdere con chi non sa quello che vuole e se ne va in giro a molestare amici a destra e a manca giusto per vedere che succede. Non vuole perderci tempo, non ha intenzione di farlo anche se ogni giorno che passa sente Joe sempre più freddo e tutto quello che l’istinto gli dice di fare è prenderlo per la maglia e sbatterlo contro un muro e… chiedergli scusa, magari, qualunque cosa gli faccia cambiare espressione. Gli occhi di Joe sono sempre stati azzurri, ma mai glaciali.

Ma non deve chiedere scusa, perché non ha fatto nulla. Lui non ha fatto nulla, è solo una vittima e da sempre sono le vittime quelle che devono riceverle, le scuse.

Si meriterebbe di meglio, e non è un pensiero egoista, è la semplice realizzazione che tutto quello che gli sta accadendo è pura ingiustizia. Soffre senza motivo, senza un’utilità tangibile - se ci fosse qualche possibilità sarebbe più che disposto a sopportare in silenzio, ma così è totalmente inutile. Dopo le cose che si sono detti sarà già tanto se torneranno a guardarsi in faccia.

L’unica cosa che ha fatto, Andy, l’unica di cui può essere effettivamente incolpato, è quella che ha fatto sprofondare le cose. E lui voleva provarci sul serio a sistemare le cose, ma quando si dice talento.

Tanto vale smetterla del tutto.

 

 

 

 

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Titolo dall’omonima canzone dei The Academy Is…, la questione “l’hai picchiato con un ombrello?!” da Christine aka Harl, perché legge fischi per fiaschi e la amo.

So! Scusate il ritardo, ma sto praticamente riscrivendo tutti i capitoli perché non mi convincono minimamente :/ e senza gente che mi minaccia lavoro male. *spera che il capitolo abbia fatto passare l’irritazione per l’attesa ai lettori*

 

Sophy: Il tuo urlo di gioia riempie me di gioia, quindi se permetti non lo ignoro u_ù Pete e Patrick sono amore, e la cosa buffa è che mentre li scrivevo non lo vedevo come slash, semplicemente come Pete e Patrick XD Andy e Joe sono due idioti <3 E, uhm, ti prego guardami molto male, di solito funziona per farmi rispettare le consegne. :°D Yay! *manda cuoricini*

 

A lunedì prossimo! :D No, sul serio. Giuro!

Will

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Capitolo 3
*** Progress report: I’m missing you to death ***


III

III. Progress report: I’m missing you to death

 

« Non va bene così. »

Patrick lo sa che non va bene: Pete è seduto sul suo cappello perchè si è convinto che lui dovrebbe iniziare a portare bandande, non va per niente bene. « Pete, non ho intenzione di mettermi un fazzoletto in testa. »

Pete lo guarda come se fosse pazzo. « Ma di che stai parlando? » Di che stai parlando tu, vorrebbe dire Patrick, ma sta zitto e fissa Pete in attesa che le sue sinapsi seguano il loro corso con i loro ritmi, come sempre. « Quei due non vanno bene! »

Anche questo Patrick lo sapeva già, visto che basta incrociarli per capire che tirano avanti per pura cocciutaggine. Sono chiaramente sull’orlo del cedimento nervoso, e l’unico motivo per cui questa storia è andata avanti oltre il sopportabile è che sono due coglioni.

« Scordatelo » dice. Pete lo guarda con espressione ferita. « Niente bandana? »

« …possiamo condurre una conversazione alla volta? » Si massaggia le tempie. Pete ridacchia divertito dall’emicrania che gli sta facendo venire, il piccolo mentecatto, mentre si sistema più comodo sempre sul cappello di Patrick. « No, quello che volevo dire- »

« Scordatelo. »

« Ma non sai-! »

« No » dice perentorio. Lo guarda eloquentemente, con un che di talmente definitivo nella posa delle spalle che Pete sbuffa, si tira via il cappello da sotto il sedere e glielo passa riluttante. Patrick veramente si stava imponendo nell’altra conversazione, ma è sempre un passo avanti; si risistema il berretto stropicciato in testa, rilassandosi un po’.

« Comunque » riprende Pete « Anche se non vuoi lasciarmi esprimere liberamente resta il fatto che è giunto il momento di entrare in azione. »

Pete legge troppi fumetti. Ma - Patrick non è proprio dispiaciuto di ammetterlo, però gli fa sempre un effetto strano - ha ragione: se aspettassero una mossa da parte dei loro compagni potrebbero tranquillamente arrivare al tanto millantato collasso della società di Andy.

Si lascia cadere sul divano, appoggiando la testa sullo schienale e chiudendo gli occhi. « Dunque? » Sente Pete battere le manine e poco dopo lo sente piombargli addosso di mala grazia, infilandogli un gomito nella pancia mentre si sistema con il capo sul suo grembo e i piedi penzolanti oltre il braciolo del divano. Riesce a figurarselo perfettamente che gesticola, lo sguardo acceso e l’aria esaltata, quando dice: « Dobbiamo parlarci. »

 

« Parlagli. »

« No. »

« Parlagli. »

« No. »

« Sei un idiota. »

« Lui di più. »

Patrick si dà una manata in faccia, chiedendosi sconsolato se l’idiozia di Pete sia trasferibile da persona a persona. Forse è uno dei segni dell’Apocalisse - Pete dalla sua parte a cercar di far ragionare Joe, e Andy, il saggio, solido Andy che latita in sindrome premestruale perpetua. Si toglie gli occhiali e se li pulisce sulla maglia con gesti lenti, più per abitudine che per necessità. « Joe, dovete far pace. »

« Io voglio far pace » mugugna.

« E allora vai! »

« Sono già andato, okay? » dice infastidito, rabbuiandosi. « Mi sono rotto di fare sforzi inutili. »

Patrick si rimette gli occhiali con un sospiro. « Così però non possiamo continuare. »

« Mi ha cacciato via a giornalate! »

« Non è che non abbia mai fatto di peggio… » s’intromette Pete, con un’espressione compunta che lo fa sembrare infinitamente ridicolo, nella sua felpa sgargiante e pettinatura senza senso. La situazione in sé è infinitamente ridicola, con tutto il suo carico di psicodramma che basterebbe per un paio di serie di O.C., ma Patrick si impegna sempre a non pensarci. Per la salute mentale, sapete.

« Ma- non- …è diverso! » farfuglia Joe. È veramente diverso dalle altre occasioni, quelle volte in cui qualcuno di loro veniva alle mani tanto per, quando stare rinchiusi per interminabili ore e chilometri con le stesse solite facce diventava insopportabile e serviva una distrazione; non c’erano state risate, non avevano superato il limite, niente esagerazioni scherzose fatte per gioco - era stato un unico gesto semplice diretto e spietato, e Joe non aveva mai visto una luce del genere negli occhi di Andy, tutto il rimpianto, il dolore, ma soprattutto la rabbia.

È diverso perché Andy non ha intenzione di far pace, e lui non è sicuro di essere in grado di sopportare la verità dietro quello sguardo ferito.

Patrick lo fissa negli occhi da sopra il bordo degli occhiali, serio, con l’aria di uno che è in grado di leggerti dentro e ha tutta l’intenzione di farlo, e subito. Joe si muove a disagio e abbassa il viso, consapevole di essere, per l’altro, più facile da leggere di uno spartito; abbassa gli occhi perché per una volta ci sono cose che non sa se vuole condividere.

Pete fa un verso scocciato. « Io non ho intenzione di fare un solo altro concerto con voi altri smorti a sbagliare ogni canzone, non posso tener vive due ore di live tutto da solo. »

« Fa piacere essere considerati » fa acido Patrick, mentre Joe sbotta: «Io non sbaglio le canzoni! »

Pete li ignora entrambi. « Chiarite quello che c’è da chiarire o vi chiarisco io a sberle. »

Cala un silenzio in cui Joe riesce a visualizzare in maniera preoccupantemente realistica Pete che li tiene per la collottola e fa cozzare le loro teste a tempo. Incassa automaticamente la testa tra le spalle, guardandosi intorno con aria afflitta.

« È che… » tentenna « …non so cosa ho fatto. »

Tenendo lo sguardo basso non vede l’occhiata che passa tra Patrick e Pete.

 

Andy si sente abbastanza di merda.

È un po’ come quella volta in cui Joe aveva usato i suoi piatti come posacenere e avevano dovuto portarlo via per non fargeli rompere in testa all’idiota, solo che quella volta gli aveva urlato ogni genere di imprecazione conosciuta piuttosto che ignorarlo. Solo che quella volta Joe gli aveva rovinato i patti, non spezzato il cuore.

Sbatte la fronte sul tavolo perché sta davvero sfociando nel ridicolo, con certi pensieri. Patrick, tirando fuori la testa dal frigo, lo guarda strano. « Tra venti minuti arriviamo all’albergo » lo informa.

Albergo vuol dire, finalmente, un letto che non balli la samba ad ogni buca, ed è un pensiero che lo rallegra enormemente. Ma, al contempo, vuol dire stanze doppie. « Camera insieme? » mormora con il viso ancora contro il tavolo. Lo sguardo preoccupato di Patrick gli perfora la nuca, ma l’amico gli assicura che certo, non c’è problema, perciò lo ignora in favore di un po’ di sana autocommiserazione.

Adesso si aggiunge il carico di senso di colpa per costringere Pete lontano da Patrick, misto alla vaga, deprimente consapevolezza che Pete utilizzerà tutto il tempo che dedicherebbe ad appiovrarsi a Patrick per guardare male lui. Non è di consolazione il pesiero che un Wentz in modalità vendicatore è un modo sicuro per non avere Joe intorno.

Sta incominciando a stufarsi. Sta diventando pesante evitarlo, non parlargli, far finta di non vederlo quando è precisamente lì, così vicino che basterebbe spostare una mano per sentire il fruscio dei suoi vestiti sotto le dita. Si chiede che diamine stiano facendo ed è tentato di allungarla, quella mano, ma poi si ricorda subito del bacio, delle stupide speranze, del che ti aspettavi, ero strafatto - e se è così brusco e doloroso il ritorno alla realtà, allora preferisce restare con le mani in grembo a fissarsi, senza vederle, le scarpe. Perché è codardo come non avrebbe mai creduto, annichilito dalla prospettiva di perdere quel poco di Joe che gli resta; così invece, sforzandosi di ignorarsi, sono in qualche modo ancora vicini.

Ma poi quando hanno superato i fan e la security e il trasporto bagagli e sono finalmente nell’albergo, fa per prendere una delle chiavi posate sul banco della reception e cozza contro la mano di Joe.

Per la prima volta dopo tutti quei giorni si guardano negli occhi, con una sorpresa che non è data solo dalla coincidenza di volere la stessa chiave. C’è Pete che aveva già preso una chiave, e c’è Joe che aveva dato per scontato che Patrick sarebbe stato insieme a Pete, e c’è anche Andy che, per un attimo, si era chiesto perché Joe volesse prendere la chiave della loro camera quando la stava già prendendo lui.

Ma poi, quando Joe gli volta le spalle e se ne va senza una parola con uno sguardo duro, Andy si rende conto che non sono così vicini come cercava di illudersi.

 

Il minibar della stanza di Pete è totalmente vuoto. Sarebbe normale se nella stanza non ci fosse anche un Patrick, e il contenuto di quel minibar non fosse sparso sul letto insieme a loro due e Joe.

Perchè Pete ha indetto una seduta di terapia di gruppo.

(L’alcol, dunque, è chiaramente per Patrick.)

« Come ti sei sentito? »

Joe è riverso sul cuscino e non si prende nemmeno la briga di spostarsi il braccio dalla faccia per rispondere. « Non credo di volerne parlare con voi. »

« Non credo che sia importante quello che vuoi tu » cinguetta Pete.

« Paaaaaatriiiiick… »

« Io sono qui solo per ascoltare » proclama Patrick con l’aria più seria che può avere qualcuno che sta ciucciando una bottiglietta di Martini. Pete gli dedica uno dei suoi sorrisi che illuminano le stanze a giorno.

« È che… » tenta Joe. Non sa bene come spiegarlo. Non sa bene nemmeno cosa sta tentando di spiegare. « Bello. Sarà stata l’adrenalina, ma mi sentivo bene. Realizzato. »

« Sì, ma Andy cosa ha fatto con la lingua? »

Pete finisce a terra vittima di una mossa combinata.

« Ti ricordi cosa ha fatto dopo? » prosegue Patrick come se niente fosse.

Silenzio di riflessione. « Oltre a decidere di odiarmi? » ride senza allegria Joe. « Non ha fatto niente, è rimasto lì come un pesce lesso. »

E tremava, ricorda. Era scosso da brividi che ha imparato a memoria mentre gli faceva scorrere le mani lungo le braccia, sul petto, sui fianchi, vibrava contro il proprio corpo e sapeva di eccitazione e di musica e di buono-

« Be’ è un… buon segno » Patrick si guarda intorno. « Vero? »

« Vuol dire che Joe si fuma anestetizzanti » Pete rischia di rotolare giù dal letto di nuovo.

« Perchè pensi che Andy abbia reagito così? »

« Se lo sapessi non sarei qui! » Perchè si sta prestando a questa farsa? Gli fa solo tornare in mente cose sconveniente e dolorose. « Perchè sono un idiota, perchè gli sono saltato addosso senza il suo permesso, o magari perchè sono un uomo?! »

« Forse perchè avevi fumato? » prova Pete. Patrick si gira a guardarlo. « No, pensateci: Andy è edge. La bocca di Joe sarà stata un miscuglio di alcol e fumo o addirittura carne, vi immaginate che schifo deve aver fatto a quel povero cristo? »

Joe lancia un gemito da cane morente. Patrick, però, sembra preso da qualcosa. « Sai, non è una cosa stupida… può essere questo il problema, che hai agito sotto l’influsso di una sostanza artificiale. »

Non è propriamente vero. Probabilmente - magari tra molto tempo, magari in un altro modo - Joe avrebbe ceduto ugualmente, perchè non è l’influsso di una sostanza artificiale: è l’influenza di Andy. Ma non lo dice perchè gli sembra un po’ troppo presto per formulare certi pensieri ad alta voce. « Mi ha preso a sberle quando ho tentato di scusarmi dicendo quello. »

Tutto tace. Tace così tanto che Joe solleva il braccio e sbircia spaventato, già immaginandosi Pete e Patrick morti o svenuti o rapiti da qualche mitomane; invece li trova immobili con le espressioni perfettamente identiche, due maschere gemelle di orrore e raccapriccio che sbottano in coro: « Tu hai fatto COSA? »

« Ho… » deglutisce. « Quando gli ho chiesto scusa, gli ho detto che quando l’ho- quando è successo quello non ero in me perchè avevo fumato e non mi ricordavo nulla. »

Lentamente, le facce di Patrick e Pete si piegano in due smorfie compassionevoli. « Spiega molte cose » dice Patrick.

Pete resta ancora in silenzio, poi alla fine apre bocca con aria insolitamente grave. « E’ ora di risolvere la faccenda. »

 

 

 

 

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Titolo da I Slept With Someone In Fall Out Boy Et Cetera.

Capitolo totalmente inutile \o/ ah no, scusate, si dice “di passaggio”. Comunque, a titolo informativo, io tra me e me chiamo questa fic Quella In Cui Sono Tutti Stupidi - giusto per darvi un’idea di quanto mi diverto a farli comportare da decerebrati XD

 

Da: Dear, sono sopraffatta dalle tue virgole e dal tuo delirio X’D Sappi che vorrei tanto ribattere punto per punto ma dopo finiremmo con una risposta più lunga del capitolo e uhm, non è il caso. In breve, sei troppo tata e hai ragione su tutta la linea, soprattutto perché questa fic è l’apoteosi dell’idiozia \o/

Sophy: Nu, non morire, io voglio farvi vivere felici in un mondo con più Andy nudo più Trohley ;__; Prava, spupazza Joe che nonostante Andy sia parteggiato dall’autrice qui soffre come un cane, ma… si vedrà >:3 *ridacchia* *abbraccia*

Blaise: Donna esaltata, non spoilerare xD Sei troppo <3 per leggerti tutto ottomila volte e commentare e ugh, ti amo, lo sai vero? Repetita iuvant u_u (E non fare le ore piccole che stai male!)

 

Nel prossimo, ultimo capitolo, troveremo: reazioni inconsulte, tante urla, gradini di marmo, e una brutta sorpresa per qualcuno! A lunedì, se non addirittura prima visto che a) il capitolo è pronto b) non mi fa nemmeno troppo schifo e c) non ho una vita sociale. Yay!

Will

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Capitolo 4
*** To drinks at the club, to the bar, to hotel stairs ***


IV

IV. To drinks at the club, to the bar, to hotel stairs

 

Il metodo di Pete per risolvere le cose è sempre lo stesso vecchio, collaudato sistema.

« Non vi state divertendo? » chioccia Pete affettuosamente.

L’espressione di Joe la dice lunga. Sbircia verso Andy, e un po’ si consola a vedere che, dalla sua faccia, sono perfettamente d’accordo. Non che questo serva a nulla, ma fa piacere sapere che non sono definitivamente incompatibili.

Patrick è l’unico che sembra si stia divertendo, ma solo perché è sbronzo come una cucuzza e sta ridacchiando con la faccia premuta contro il petto di Pete, mentre Pete gli fa scivolare un braccio attorno alle spalle disinvolto come Bob Bryar davanti ad un obiettivo.

Forse tutta questa sceneggiata è solo un modo per concupire Patrick, come buona parte delle cose che fa Pete.

Di certo, andare tutti al bar a “divertirsi! Vi farà bene, musi lunghi!” non ha alcuna utilità tangibile nel grande piano di riconciliazione della band. I metodi di Pete fanno pena.

Andy ne è sicuro. Già da quando il bassista aveva fatto irruzione nella sua stanza urlando che era troppo depresso e un po’ d’aria era quello che ci voleva - minacciando di portarlo via in spalla se si fosse rifiutato, e la cosa era tristemente credibile - era chiaro che sarebbe stato un disastro. Andy non era in vena, non era mai stato in vena dei bar di Pete, e soprattutto quella sera voleva solo stare chiuso in camera a leggere fumetti e nascondersi sotto le coperte e magari chiamare a casa e lamentarsi in maniera criptica con sua madre. Poi al bar aveva visto Patrick al tavolo e, di fianco a lui, Joe, e a quel punto la parola “disastro” era lampeggiata davanti ai suoi occhi come un’insegna di Las Vegas.

E infatti lo è, è terribile assistere ai tentativi di rimorchio di Pete mentre Joe alla sua destra sta zitto e ogni tanto lo guarda di sottecchi convinto di non farsi notare. Non si sente a suo agio. C’era stato un tempo in cui poteva dormire nella stessa cuccetta insieme a Joe senza problemi, ma per quanto possa amareggiarsi ormai non è più così, e più che fargli bene l’atmosfera gli sta solamente annodando la gola.

Perciò quando le loro ginocchia cozzano per puro caso sotto il tavolo troppo piccolo Andy schizza via, bofonchiando qualcosa sul conto e degli impegni.

Joe sbatte la testa sul tavolo e lo guarda allontanarsi.

 

Joseph Trohman non ha toccato un goccio per tutta la sera.

Non solo non ha visto una stilla d’alcol ma ha ordinato dell’acqua, non ha fatto battute sulla cameriera che ci ha provato con Pete, e non ha nemmeno alzato la testa quando hanno messo su una loro canzone.

Joseph Trohman non ha staccato gli occhi dalla schiena di Andrew Hurley per tutta la sera.

È piuttosto patetico. Sa di esserlo, eppure non ce la fa a non guardare Andy, seduto al bancone a centellinare una Red Bull, la maniera in cui le spalle gli si muovono sotto la maglia mentre beve o il colore dei suoi capelli nella luce del locale, che li fa sembrare quasi rossi. Come parla, come gesticola, come ride coprendosi il viso con una mano quando la barista fa una battuta… patetico. E assolutamente perso per quello stupido batterista.

Così perso che non nota subito che qualcun altro ha messo gli occhi sullo stupido batterista, ma sarebbe impossibile non notarlo quando un ragazzino biondastro con delle ridicole ciocche verdi e uno stupido piercing al labbro si siede accanto ad Andy e gli fa un sorriso smagliante. Scene kid. Piccolo malintenzionato che non è altro, se crede che basti così poco a fare colpo su Andr-

Andy ride, Joe spalanca la bocca e il tipo avvicina di più lo sgabello a quello di Andy. Gli dice qualcosa e vede Andy scuotere la testa, poi annuire a qualcos’altro ed ecco che il ragazzino gli sta offrendo da bere e stanno chiacchierando.

Joe è sconvolto, ed in vena omicida.

Ma non può fare niente. Servirebbe solo a peggiorare le cose tra loro due, che già fanno schifo, ed Andy è capace di rifiutare delle avances da solo (ha rifiutato le sue, no?). Perciò ignora Pete e Patrick che tubano e non fa nulla quando il biondino striscia subdolamente più vicino ad Andy, o quando ridendo gli mette una mano sul ginocchio, o quando gli si avvicina per sussurrargli qualcosa all’orecchio.

No, non fa una piega.

« Salve. »

…almeno da sobrio dovrebbe avere più controllo sul proprio corpo, porco cane.

Il ragazzino alza gli occhi e quasi gli escono dalle orbite, in un misero tentativo di far finta di non aver riconosciuto una persona famosa per sembrare più figo. Joe vorrebbe fargli notare che è un tentativo perso in partenza, ma c’è Andy che si sta voltando lentamente e neanche la bambina dell’Esorcista gli aveva fatto più paura in una scena simile. « Cosa? »

« Dobbiamo andare per, uh, Patrick » improvvisa. « Non si sente bene. »

Andy lo fissa con espressione vuota, la bocca stretta in una linea inespressiva e le lenti opache per colpa delle luci. Joe vorrebbe togliergli gli occhiali, perché gli piacciono gli occhi di Andy e gli piace guardarli, anche quando sta per essere ucciso. « Andate. »

« Pete vuole pure noi. »

« Non riesco a immaginare Pete che ci chiama per portare Patrick in camera. »

« Io- » il biondino ammutolisce appena gli altri due scattano a guardarlo, come se fossero sorpresi e anche un pochino irritati di trovarlo lì. « Se avete un impegno io posso andare… »

« No Dan » dice Andy, guardando Joe. « Non c’è nessun- »

« Grazie » lo interrompe caldamente Joe. Dan - mai sentito nome più brutto, davvero - si alza lentamente con aria perplessa. Ha una maglia del PETA. Ecco come ha fatto ad attaccare discorso, il piccolo stalker; Joe ha uno slancio d’odio più forte dei precedenti.

« Joe… »

« Su, che ci stano aspettando » ignora Andy e gli mette un braccio attorno alle spalle. Lo sente irrigidirsi ma ignora anche il suo Sguardo della Morte mentre lo pilota giù dallo sgabello e verso l’uscita, sventolando una mano dietro di sé. « È stato un piacere, Dave! »

Mentre escono dal bar e camminano in direzione dell’hotel, proprio davanti al locale, Joe non sa bene cosa aspettarsi. Si rende solo vagamente conto della portata del disastro cui ha dato il via, e non ha idea di quando Andy esploderà. Sa solo che non si è ancora tolto il suo braccio dalle spalle e… non è male camminare così. Non sarebbe male poterlo fare di nuovo, quando non staranno aspettando il momento giusto per saltarsi alla gola.

È solo dopo che hanno superato la sfarzosissima hall dell’albergo e fatto un cenno al tipo della reception, ai piedi delle scale deserte, che Andy lo spinge via.

 

« Sei diventato definitivamente scemo?! »

Non ci può credere. Non… non ci può semplicemente credere che Joe sia così coglione da avergli fatto la scenata del fidanzato geloso, davanti ad un ragazzino che non avrebbe toccato nemmeno sotto minaccia, tirando in ballo Patrick e la band. Questa non se l’aspettava, ed è definitivamente troppo.

Non ha voglia di stare a sentire le stronzate - le cattiverie - con cui se ne uscirà Joe questa volta perciò lo supera, fregandosene se nel processo lo urta o lo butta giù o gli fa male, perché non ha tempo da sprecare a guardarsi indietro.

« Fermo- cazzo, vuoi starmi a sentire?! »

No, no, centomila volte no. Non quando sei un’idiota simile, Trohman, no finché non ti renderai conto che non esisti solo tu al mondo e che ci sono anche altre persone che ferisci come se niente fosse.

Continua a salire le scale imperterrito, testa bassa e pugni chiusi.

« Brutto stronzo, ci pensi mai a come possono sentirsi gli altri? »

Andy si blocca. È fermo in cima alle scale, perfettamente immobile, stagliato come una statua contro le luci del corridoio, una statua messa nel peggiore dei punti e pronta a cadere e sbriciolarsi da un momento all’altro. Joe inizia a salire lentamente ma la voce senza intonazione di Andy lo fa fermare: « Qual è il tuo problema? »

« Cosa? »

« Il tuo problema » Andy si volta e oh, era mille volte meglio prima, quand’era di spalle e non poteva inchiodarlo al suolo col suo sguardo furente. « Il fottuto problema che hai con me, Trohman. »

« Io non ho nessun problema con te » fa qualche gradino senza distogliere gli occhi dai suoi, scuri forse per l’angolazione delle luci, forse per quello che nascondono. « Hurley » aggiunge a denti stretti.

« Allora smettila! » scatta, afferrando il corrimano e stringendo finché non perde sensibilità alle dita. « Smettila di girarmi attorno e di darmi il tormento! »

« Io?! » apre e chiude la bocca un paio di volte. Deve sembrare relativamente idiota, ma ha tante di quelle cose da rinfacciare ad Andy che non sa nemmeno da dove cominciare, e così gli scappa la più recente: « Tu- quel coso biondo voleva portarti a letto e io ti giro intorno?! »

Che è precisamente quello che aveva fatto, ma Andy sembra troppo preso dal ribattere qualsiasi cosa dica a prescindere per rendersi conto di aver ragione o chissà cos’altro. « Questi se non ti dispiace sono affari miei. »

« Sono affari miei, idiota! »

 

Ops. Joe sente di avere di suo una faccia abbastanza orripilata, ma l’espressione di Andy - oh, l’espressione di Andy è tutt’un altro livello, con gli occhi a palla e la bocca aperta in perfetta O di shock. È che l’immagine di Andy a letto con quel tipo, a letto con un ragazzo - a letto con chiunque - è abbastanza brutta da fargli venire la nausea. Nausea che gli sta salendo comunque visto che si è sputtanato mirabilmente e Andy sembra sull’orlo del colpo apoplettico.

« Come- » S’inceppa. È una cosa abbastanza inquietante, vederlo alle prese con un’indignazione tale da fargli perdere il filo del discorso, ma è decisamente più inquietante quando inizia a scendere verso Joe con calma glaciale. Si ferma un gradino più in alto di dove si trova Joe, così sono alla stessa altezza e può guardarlo dritto negli occhi senza pietà. « Cos’hai detto? »

Joe non dice nulla, non sa che dire, non si ricorda più come si parla. Sono settimane che non è così vicino ad Andy, abbastanza da sentire il suo calore come un braciere addosso e da potergli contare le ciglia, se solo non si fosse scordato anche come si conta.

« Non permetterti mai più di dire qualcosa del genere. Non osare. Non sei la mia cazzo di ragazza. »

In retrospettiva, Joe non sa cosa lo fa muovere, se il tono di Andy o la scintilla che attraversa i suoi occhi o l’assurdità della frase. Sta di fatto che appena Andy finisce di parlare gli artiglia la maglia, mormora: « Vaffanculo » e l’imprecazione si perde nell’impatto delle loro bocche, che non è un bacio quanto un cozzare di denti e nasi e frustrazione.

E poi viene sbattuto contro il muro. L’impatto gli mozza il respiro ma tiene ancora stretto il collo della t-shirt di Andy, e non ha nessuna intenzione di lasciarlo andare, nemmeno mentre Andy lo tiene fermo con una forza che chi mangia così poca carne non dovrebbe avere. Non lo lascia andare nemmeno quando Andy lo spinge di nuovo contro la parete, senza tante cerimonie, tenendolo per la giacca.

Non l’ha mai visto in questo stato e la cosa più folle è che è contento, perché finalmente ha una reazione.

« Tu sei… » gli ringhia Andy, gli occhi dardeggianti e la bocca arrossata che Joe non riesce a smettere di fissare « uno schifoso drogato, e io non sono la tua valvola di sfogo. »

« Non hai capito un cazzo » e se lo tira ancora addosso e lo bacia, e gli infila la lingua in bocca con l’intenzione di continuare a baciarlo finché non capirà, finché non sentirà che la sua bocca non sa né di alcol né di erba ma di Joe. Ha intenzione di andare avanti finché la bocca di Andy non saprà di Joe, e affanculo l’ossigeno e il casino che stanno facendo e tutta la gente che potrebbe beccarli.

Si staccano col fiato corto, ed il loro respiro spezzato è l’unica cosa che rimbomba nel silenzio, benché Joe sia convinto che il suo cuore che batte all’impazzata si senta benissimo fino in Alaska. Appoggia la fronte su quella di Andy, che ancora lo tiene al muro anche se la sua presa si è fatta debole, e lo guarda da sotto in su con un mezzo sorriso dal retrogusto amaro. « Che schifo il sapore del drogato, mh? »

« Sei un coglione » sussurra Andy. Poi scoppia a ridere.

Joe non ha tempo di concedersi il mezzo minuto (o mezz’ora) di sorpresa che gli spetta che Andy sta già piegando la testa di lato, ancora ridendo, e gli ha messo le mani sulla vita e se lo sta tirando addosso, incurante della posizione di precario equilibrio in cui sono e delle scale che sono tante e piene di spigoli e non aspettano altro che la loro caduta.

Non che a Joe importi di meno, sia chiaro. Non quando finalmente Andy è tra le sue braccia, e ride e lo bacia e lo tiene stretto come se fosse l’unica cosa in grado di proteggerlo da un destino di gradini assetati di sangue.

(Cosa che - per la cronaca - Joe non è. Ma Andy non smette di baciarlo nemmeno dopo essersi beccato uno spigolo di marmo nella gamba, quindi va tutto bene.)

 

 

 

Pete si sente abbastanza l’uomo più felice del mondo: ha la testa beatamente vuota di pensieri e piena invece di zucchero filato e coniglietti e alcol, e un Patrick Martin Stump aggrappato alla spalla che non fa altro che ridacchiare quando lui gli toglie il cappello e gli scompiglia i capelli in maniera impossibile.

Camera camera camera, gli serve una camera per essere l’uomo più felice del mondo. Con un letto! La DecayDance per un letto! O se proprio per le chiavi di una camera (con un letto).

Non ha la minima idea di dove sia la chiave della sua stanza perciò cerca quella di Patrick, perché Patrick è previdente e soffice e per una volta non lo prende a sberle se per frugargli nelle tasche palpeggia un po’ più del dovuto.

La chiave! La DecayDance è salva. Manderà un sms a Ryro per festeggiare ma, tipo, più tardi. Dopo che avrà trovato la camera ed il letto e spupazzato il Patrick Martin Stump di cui sopra, soffice e ridacchiante in tutta la sua ubriacante perfezione, o perfetta ubriacatura.

Oh, ecco il loro piano. Ci mette solo qualche minuto (dodici, secondo l’orologio di Patrick) a trovare la stanza, qualche altro minuto per beccare la toppa e poi finalmente subito dentro! E poi subito fuori!, perché la camera ha effettivamente un letto che però è pieno di Andy e Joe e nessun vestito, e ommioddio fortuna che ha coperto gli occhi di Patrick in tempo o il suo piccolo morbido cantante sarebbe rimasto traumatizzato a vita.

« Non vi preoccupate, Patrick non ha visto nulla! Io un po’ ho visto - e dopo vorrei che mi spiegaste cos’è quella cosa che state facendo, tra parentesi - ma sono contento che abbiate fatto pace! Ora me ne vado, fate come se non vi avessi interrotto! » e fugge via, trascinandosi dietro Patrick.

« Porc- PETE! LA PORTA! »

 

 

 

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Titolo rimaneggiato da XO.

Heh. Non potevo chiudere in maniera seria, ovviamente. Ma sono stranamente soddisfatta del capitolo! Circa. Oh be’, non ho sentito il bisogno di riscriverlo da capo come gli altri tre, è un miglioramento? Il litigio ha quasi senso, perciò urrà!

Ho postato in anticipo perché non potevo lasciare che Da si suicidasse ù_ù

 

Blaise: Bb, i tuoi commenti non sono deliranti più del solito! Sappi che Pete&Patrick come Cip e Ciop (che sono, tipo, la più grande coppia di fatto dei cartoni animati) hanno reso la mia vita migliore. Thanx dear, per tutto *hugs*

Christine: L’onoVe è mio di poterti citare a destra et a manca, anche se poi tu non te lo ricordi. Ti amo lo stesso :* Patrick non-alcolista non si spiega, perché sennò sarebbe da santificare all’istante. *manda <3 random*

Sophy: Le minacce funzionano xD Cita tutto, fai pure *gongola* Oh, OT3! Contenta di averlo descritto xD Non morire con l’ultimo capitolo, ‘kay? *torna a spupazzare Andy* *e poi Sophy*

Da: Vedi? Sono sadica e perversa e mi diverto a farti cadere dalla sedia a farti finire i sinonimi, ma poi non ce la faccio ad ignorare una richiesta così importanteh. Eeh, il cuore spezzato. Certe volte quando lancio certe cose così non sono convinta, ma vedere che l’effetto arriva è bello xD Non morire per il tedesco, non ti merita! *fa aria*

Sweetcurry: Già solo il fatto che hai avuto voglia di leggerla sul cellulare mi riempie di gioia, really ** Poi dopo mi dici che sono IC (per modo di dire) et cetera e il mio ego sfarfalla. Non mi fa bene XD Trohley è il mio OTP, mi fa piacere sapere che riesco a fargli giustizia (anche se metà delle volte non mi sembra proprio) :3 Thanx <3

 

Omg la storia è finita \°°/ Sono shockata quanto voi soprattutto per aver tagliato le zozzerie, sappiatelo. Ringraziamenti random a tutta la gente che ho tormentato con la storia, al forum (sempre) e, uhm… non so che dire. Vi amo?

Will

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