Insane

di SpreadYourWings98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Family. ***
Capitolo 2: *** Run. ***
Capitolo 3: *** The moon. ***
Capitolo 4: *** Werewolf. ***
Capitolo 5: *** Underground. ***
Capitolo 6: *** Insanity. ***
Capitolo 7: *** Save you. ***
Capitolo 8: *** Light elves. ***



Capitolo 1
*** Family. ***



Insane
 
 



Capitolo 1.






— Buongiorno papà.. 
— Andiamo di fretta, pasticcino?
La mora storse il naso sentendo quel ridicolo soprannome che suo padre si ostinava a darle. 
Con una mano si aiutò ad infilare il piede nella sua converse rossa fuoco e con l'altra afferrò lo zaino stellato portandoselo sulla spalla. 
– Come ogni mattina, zuccherino. 
Rispose con un pizzico di ironia la figlia del capo della polizia e, con un bacio sulla guancia e un saluto veloce, si volatilizzò da casa Bronx.
Passò qualche secondo prima che gli occhi color cioccolato di Jason Bronx guardassero la figura di sua figlia, 
oltre la finestra, camminare a passo spedito verso la macchina.
Sospirò bevendo un sorso di caffellatte contenuto nella tazza che teneva in mano.
Sarebbe stata una giornata molto lunga in centrale e, anche se già lo sospettava,
 in realtà il capo della polizia di Los Angeles non poteva immaginare quanto.
Sbadigliò per il sonno e afferrò distintivo, portafoglio, chiavi e cellulare prima di uscire anch'esso da casa Bronx. 



Sette minuti..
Di ritardo.
La ragazza sbuffò e chiuse con forza la portiera della sua auto, un'audi R8 modello bianco perla.
 Raggiunse a grandi falcate l'ingresso principale della "Mason Arts high school" di Los Angeles, una scuola artistica. 
Se non fosse stato per il fatto che il lunedì mattina avesse avuto la professoressa di spagnolo che odiava i suoi continui ritardi, 
e che quindi le avrebbe dato qualcosa da fare litigando, e per suo padre che aspettava ogni mattina prima di uscire di casa di essere superato dalla giovane Bronx, come minimo Sonny avrebbe saltato le prime due o anche tre ore della mattinata. 
Non erano più un segreto, infatti, i vari giorni di scuola persi di cui Jason non fosse a conoscenza fino a qualche tempo prima.
Sonny aveva sempre amato i corsi di arte come musica o teatro ma gli altri corsi normali della scuola non erano proprio nella lista delle sue proprietà.
 Così, suo padre le aveva intimato di continuare a frequentare regolarmente le lezioni, 
altrimenti l'avrebbe accompagnata sull'uscio dell'istituto ogni singolo giorno fino alla fine dell'anno...che per fortuna era l'ultimo.
Sonny però, terrorizzata più dall'idea di suo padre che l'accompagnava a scuola come se fosse stata una poppante, 
nonostante avesse 18 anni, che di finire l'ultimo anno con meno assenze possibili, 
aveva convinto il padre a lasciarla in pace in cambio di una sua normale partecipazioni alle lezioni scolastiche.
Lo sguardo terrorizzato e supplicante di Sonia aveva praticamente fatto sciogliere il padre subito.



— Stupida ignorante rifiuto di insegnante, io ti distruggo.
Sonny correva fuori dalla struttura scolastica verso la macchina perlata,
poggiato sull'orecchio destro il cellulare. 
— Sonny sicura di star bene? 
Dall'altra parte della cornetta, una ragazza stava cercando si contenere l'ilarità che le aveva causato la minaccia di Sonia, 
sussurrata con rabbia appena aveva risposto, al posto del solito "Buongiorno fiorellino in un campo di merda." 
— Non va un cazzo bene, Kim. Quella stronza di spagnolo ha convinto il preside a sospendermi.
Sbottò rossa di rabbia accendendo il motore.
— Per i ritardi? 
Chiese sconcertata la bionda.
— Per quelli.
Schiacciò velocemente il pedale del l'accelerazione e, con una manovra molto esperta, uscì dal parcheggio scolastico diretta a casa.



Il vento le spostava in continuazione i capelli neri come la notte. 
Gli occhi espressivi, rigorosamente a mandorla e di una lucente tonalità di cioccolato cercavano le chiavi di casa che suo padre era solito lasciarle sotto lo zerbino. Erano dieci minuti buoni che le cercava, senza successo. 
Pensò che Jason fosse arrivato già a casa e, anche se era un fatto più unico che raro, un sorriso involontario imbellì i suoi tratti. 
— Papà!
Provò a bussare più volte ma non rispose nessuno.
La sua mano si poggiò istintivamente sulla maniglia e provò ad aprire, sicura che fosse un gesto inutile. 
La sua mano si spostò in avanti assieme alla porta che si era aperta. 
Alzò un sopracciglio scettica, da quando suo padre lasciava la porta aperta?
Entrò a sangue freddo, aspettandosi il peggio. Fece qualche passo incerto, si affacciò alla cucina e al soggiorno che erano vuoti e silenziosi come gli aveva lasciati. L'espressione dura non tradiva nessuna emozione.
Mentre il cuore le martellava nel petto e la testa le pulsava salì a due a due la scalinata che portava al piano superiore. 
Sembrava tutto silenzioso e tranquillo. Perlustrò alla buona la sua camera, quella di suo padre, il bagno e la camera degli ospiti. 
Quando si assicurò che non ci fosse alcuna presenza oltre la sua, scese in cucina a cucinarsi qualcosa.
Dopo aver mangiato afferrò il telefono e compose il numero di suo padre.
— Pronto? 
— Papá..
— Sonny stai bene? È successo qualcosa? 
La voce allarmata del padre la bloccò per qualche secondo.
— Io sto bene, ma tu papà? 
La mano libera si era appoggiata sul fianco, Sonny rimase in attesa della sua risposta.
— Ho sentito la tua voce ovattata, tutto qui...perché mi hai chiamato?
— La porta era aperta, hai dimenticato di chiuderla stamani? Non c'erano neanche le chiavi di casa sotto lo zerbino.
La ragazza era stata schietta ed era andata dritto al punto, calma come sempre. 
Passò qualche secondo immerso nel più completo silenzio, poi la giovane Bronx sentì un brusio metallico dall'altra parte della cornetta.
— Cavolo Sonny! Per la fretta...si, ho anche le chiavi.
— Okay.
Sospirò di sollievo, per lo meno non era entrato nessuno.
— Tesoro, io devo tornare al lavoro, torno per l'ora di cena se non più tardi, aspettami perché ti devo parlare.
— Va bene papà, ciao.
La voce l'aveva tradita, era tremata leggermente. Chiuse la chiamata e fissò per qualche secondo le piastrelle bianche del pavimento. 
C'era una sola ragione per cui Jason Bronx tardava da lavoro e le doveva parlare. 
Sorrise amara e cominciò a preparare qualcosa per la cena del padre, che poi avrebbe riscaldato la sera.


Sonny Bronx era indipendente, per certi versi pericolosa, aggressiva e cinica. 
Se però avevi la fortuna di conoscerla davvero potevi confermare di avere al tuo fianco una persona leale e fidata. 
Dai sani e forti principi, dal caratterino burrascoso e dolce, la ragazza dai capelli neri come la pece e dagli occhi ammalianti e luccicanti, 
aveva abitato da sempre a Los Angeles con il padre, per quanto ricordava.
La scuola era importante per alcuni versi e un vero disastro per altri. 
Non frequentava quasi nessuno, aveva una compagnia con cui usciva raramente e che la conosceva ben poco, 
gli unici punti sicuri della sua vita erano Jason Bronx, suo padre, e Kimberly Green.
Kim abitava a qualche isolato di distanza da lei, era una ragazza timida e bionda, con grandi occhi verdi smeraldo in grado di stendere chiunque. 
Si erano conosciute una sera in una biblioteca di due anni prima quando Sonny, 
che doveva riportare un libro da tempo immemore, si era recata verso l'orario di chiusura. 
La bibliotecaria le aveva detto che non avrebbe potuto prendere in prestito libri per due settimane e lei era andata in escandescenza.
La biondina, che era vicino a lei a passare a rassegna qualche romanzo in rosa, aveva sentito la mora urlare e, armandosi di coraggio e di buoni propositi, le si era avvicinata chiedendole se voleva prendere in prestito qualche libro con la sua carta. 
Sonny si era stupita della sua dolcezza e spontaneità e, dopo aver accettato ed essersi scambiate il numero di telefono, 
le due si erano cominciate a frequentare diventando in poco tempo più che inseparabili.
Lei non credeva nel concetto di migliore amica, ma di certo Sonny considerava la timida Kim molto di più.


— Bene, allora è deciso.
Jason Bronx aveva preso la decisione finale accordata con l'intero personale docente presente in quella stanza.
Lui, il capo, aveva molte responsabilità tra le quali quelle più importanti messe al primo posto.
Tra quelle quattro mura scure e pulite si trovavano il capo, il tenente e Jackson, 
specializzato in casi terroristici e uno degli investigatori migliori presenti in centrale, e amico del capo Bronx.
— Non c'è bisogno che venga anche lei capo.
Gli aveva intimato in tono rispettoso quest'ultimo riferendosi a Jason.
— Potrebbe essere un tranello per portarvi lontano dalla centrale principale, sono esperti capo. Ricordiamoci con chi abbiamo a che fare.
Un'occhiata rabbiosa rabbuiò il poliziotto e i suoi buoni propositi di far restare il capo alla base. 
— Capisco che ti preoccupi Jackson, ma ormai è deciso. Sono due anni che gli siamo alle costole e dobbiamo agire subito. Negli ultimi due giorni hanno rapinato tre banche a Boston*, il caso è mio e non mi importa che siano li, io e una squadra specializzata partiremo domani alle 5.00 con il primo volo per la città. Tu devi promettermi una cosa Jack.
Il tenente che si sentiva di troppo e che era pronto già a comunicare i nomi della scorta di Bronx si congedò con un gesto dai due e si dileguò.
— Va bene, dimmi.
Jackson aveva sospirato.
— Tieni d'occhio Sonny.
— Sicuro, lo farò.



— Ben arrivato, Capo.
Sonia aveva salutato suo padre con un cenno appena e in modo molto sarcastico.
— Ciao anche a te piccola. Vieni con me a mangiare?
— Non ho fame.
Il tono duro di Sonny fece intendere al padre che qualcosa non andasse.
— Ei piccola, qualcosa non va?
La mora si alzò dal divano di scatto, furente.
— Non chiamarmi piccola, non sono idiota papà.
— Non ho mai detto che lo sei.
Rispose perplesso lui.
— Mmm, Hollywood*, Santa Monica*, San Pedro*? In quale città ti vai a fare un bel giro questa volta? 
Chiese sarcastica la ragazza.
L'uomo lasciò trasparire un po' di insicurezza difronte all'improvvisa aggressività della figlia, probabilmente in parte giustificata.
Non poté non sentirsi un minimo in colpa, 
se c'era qualcosa che odiava di quel lavoro era sicuramente il dover lasciare la figlia da sola per giorni, se non settimane, molto spesso.
— Sonny...
Cominciò con un briciolo di autorità il castano, era pur sempre suo padre.
— Devo andare qualche giorno a Boston per delle indagini sul caso..
— Di quella banda che seguite da due anni immagino, ne parli in continuazione.
Lo aveva interrotto sarcastica la figlia.
— Parto domani mattina molto presto, ti lascio il..
Non fece in tempo a finire di parlare che Sonny, con gli occhi che le pizzicavano, corse sulla rampa di scale, 
entrò nella sua stanza sbattendone la porta e si chiuse a chiave.
— Perfetto.
Il capo della polizia sospirò massaggiandosi una tempia e andando a mangiare pensò che sua figlia si ostinava a non capire che lo faceva per la sicurezza sua e di tutte le persone vittime di quella banda spericolata. 
Rapinavano banche e persone, chiedevano ricatti, 
erano esperti tecnologici a tal punto di poter cambiare la rotta di un'aereo senza far sospettare niente a nessuno e adesso avevano puntato Boston. 
Lui, che ci stava dietro da 2 anni, si sentiva in dovere di fare qualcosa pur di uscire dagli schemi.



Sonny Bronx si era svegliata di soprassalto quella mattina, spaventata da un incubo di cui non ricordava l'essenza. 
Si dedicò qualche minuti buono a controllare il respiro e il battito cardiaco poi, 
dopo aver sbadigliato e sbuffato in contemporanea, uscì dalla camera e scese gli scalini diretta in cucina.
Controllò il telefono con la speranza di trovarci qualche messaggio ma ci trovò solo una chiamata persa da parte di Kim. 
Erano le 8.02 di mattina. 
Aveva dormito male e poco, maledisse suo padre per la sua innata insensibilità quando so trattava del suo lavoro e della sua testardaggine adolescenziale. 
Avrebbe voluto almeno salutarlo.
Così assonnata, triste e sconsolata chiamò Kimberly.
— Pronto? 
— Buongiorno mattiniera, come stai?
— Sonny sicura di star bene? Perché mi chiami alle 8 di mattina?
— Scusa tu a che ora mi hai chiamato?
Chiese la bruna disorientata.
— Ti chiamo sempre appena mi sveglio!  Lo sai..
Dopo un attimo di silenzio Kimberly le disse semplicemente:
— Sono da te tra un quarto d'ora e resterò tutto il giorno con te.
— Grazie Kim, ti voglio bene.
Sorrise riconoscente la mora, anche se la biondina non la poteva vedere si immaginò il sorriso di Sonny.
La ragazza chiuse la chiamata, poggiò il cellulare sul tavolo e si accorse che sopra un biglietto bianco una scrittura ordinata e corsiva lo marchiava.


 
Sto per uscire di casa, Sonny.
Questo è il numero di un mio amico,  
nonché poliziotto, se succede qualsiasi cosa contatta prima lui di me che si trova in città. 
Ci vediamo tra qualche giorno tesoro. Ti voglio bene.



Si rigirò il biglietto tra le mani e trovò il numero del collega, poi lo posò sul piano della cucina.
Gli occhi color cioccolato i Sonny fissarono un punto indefinito del cielo, oltre la finestra. Pioveva. Normale essendo quasi a novembre. 
Si strofinò le braccia rendendosi conto che faceva  piuttosto freddo.
Si voltò verso il salotto pensando di aver visto qualcosa e, senza accorgersene, i suoi piedi la portarono nella stanza. 
Il vento gelido arrivava dalla porta vetro lasciata aperta per metà. 
Si affrettò a chiuderla, si convinse del fatto che l'avesse lasciata aperta il padre quella mattina, 
troppo di corsa per ricordarsi di richiuderla dopo aver fatto cambiare l'aria. 
Non ebbe il tempo di pensare ad altro che il campanello suonò.
Si precipitò alla porta aprendola. Kim la stritolò in uno dei suoi abbracci mozzafiato.
— Ciao Kim. 
Rise l'amica scostandosi dalla biondina.
— Buongiorno a te, Sonia!
La fece entrare e cominciarono a parlarne di tutto. Erano un paio di giorni che non si vedevano e sembravano passati anni.
Quando Kimberly capì che Jason era partito un'altra volta sorrise all'amica e la strinse a sè.




La dimora Bronx era una graziosa villetta bianca, con due portoni –di cui una porta vetro– e 5 stanze principali, senza contare la soffitta.
L'unica presenza in casa apparteneva a Sonia, l'unica figlia di Jason Bronx. 
Una ragazza carina, di 18 anni con un caratterino indomabile. 
Ciò che colpiva di lei però erano la freddezza, l'ironia, i capelli così lisci e lucidi da sembrare finti e gli occhi color cioccolato liquido.
Erano le undici di sera, Kim aveva lasciato la casa una mezz'ora prima e la mora stava pulendo a mano le stoviglie che le due avevano usato durante la cena.
Mentre canticchiava frasi sconnesse di una canzone che le vaggiava in testa sentì un rumore sordo provenire dal piano di sopra.
Si fermò di scatto. Tolse le mani in automatico dal lavandino, le asciugò e afferrò un coltello da cucina.
Si girò molto lentamente verso la rampa di scale.
La fissò per qualche secondo titubante.
Andare o no?
Rischiare o no?
Era reale o no?
Cipolla o no?
Storse il naso per l'ultima domanda. Perchè si chiedeva certe cose nei momenti di paura?
— Bene Sonny, o la va o la spacca.
Si era detta da sola respirando profondamente. Corse sulle scale in stile rambo ed entrò nella prima camera vicina, la sua.
La finestra era aperta e il libro che era sul comodino giaceva al suolo. Si paralizzò all'istante.
Ricordava perfettamente di averla chiusa la sera precedente e di non averla aperta più.
Si sentì mancare, probabilmente stava trattenendo il fiato, e, con uno scatto meccanico e del tutto innaturale, afferrò il cellulare che aveva in tasca.
Benedetti jeans, pensò.
Fece partire l'ultima chiamata, suo padre. 
Più il cellulare squillava, più il battito della ragazza aumentava.
— Pronto?
La mora non riusciva a parlare, era paralizzata dalla testa ai piedi.
— Sonny? Ci sei? Stai bene?
Si sforzò di sciogliere il nodo che le se era formato in gola tossendo, e aveva pronunciato un verso strozzato spaventandosi del suo stesso suono.
— Sonny perchè non parli? Respira e..
— Papà io.....la finestra, il libro, la porta vetro...
— Sonny non ho capito, parla meglio..!
Le aveva intimato il capo Bronx, stando attenta a non spaventarla e a sentire cosa doveva dirgli.
— Hai lasciato la porta vetro aperta stamattina?
— No Sonny, l'ho chiusa.
— Prima, io..
La ragazza prese un profondo respiro.
— Ho sentito un rumore provenire dalla mia camera prima, dove sono adesso. 
Appena sono entrata ho visto il libro che era sul comodino per terra e la finestra che era chiusa aperta.
— Sonny sei sicura?
Adesso Jason stava cominciando a preouccuparsi.
— Si.
— Porca miseria, cazzo. Sonny mi devi ascoltare.
Il tono serio del padre fece rabbrividire la figlia che si fece piccola difronte a ciò che le avrebbe detto.
— Sonia...quello che mi stai dicendo è importante, capisci?
— Papà non mi sto inventando niente.
Per un attimo lo scetticismo del padre aveva fatto innervosire la mora facendole dimenticare la paura, che per sua sfortuna tornò più forte di prima.
— Okay, per essere sicuri che non sia stata una tua svista o dimenticanza devi prendere i tuoi documenti, li hai a portata di mano?
Lo sguardo di Sonny scivolò velocemente sul primo cassetto del comodino. 
Il silenzio regnava in quella casa mentre la mano libera di Sonia Bronx frugava nel cassetto alla ricerca dei documenti.

—  Ci sono solo quelli scaduti, il codice fiscale e la carta d'identità nuovi sono spariti. Papà, gli avevo messi qui, non posso dimenticarmelo perché l'ho fatto ieri.
Il silenzio in risposta del padre agitò la ragazza, in attesa di una qualsiasi parola.
— Tesoro stai tranquilla, adesso devi ascoltarmi e fare tutto ciò che ti dirò, okay?
La ragazza rispose con un flebile si. 
Jason Bronx era arrabbiato e agitato, la figlia lo poteva percepire.
— Ci sono ottime probabilità che io sia stato attratto a Boston per un motivo. Purtroppo sono troppo lontano e...non posso fare niente.
Capo Bronx digrignò i denti dalla frustrazione.
Sonia spalancò vistosamente gli occhi, consapevole che il capo della polizia si riferisse ad una specifica banda di terroristi. 
Cos'era lei se non un'ottimo ostaggio? Lei non era di certo stupida, e ci era arrivata ancor prima che il padre glielo dicesse.
Mi prenderanno.
— Devi ascoltarmi, Sonny! Il numero del signor Jackson ce l'hai?
La mente della ragazza volò sul davanzale della cucina, si maledì mentalmente di averlo lasciato li.
— L'ho lasciato in cucina, maledizione.
Ringhiò la mora.
— Papà comincio ad avere seriamente paura.
— Andrà tutto bene, piccola. Adesso ascoltami, devi arrivare in cucina, prendere il numero e scappare, okay?
— E se mi prendono? 
— Non ti prenderanno, nel caso mi dirai per telefono tutti i dettagli della persona o delle persone che ti circondano, okay? 
Resta il linea con me finché non arrivi dal signor Jackson, sul biglietto c'è anche l'indirizzo.
Sonny si sentì sollevata per un attimo, essere la figlia del capo della polizia di Los Angeles aveva i suoi pregi,
come saper fare una descrizione fisica approfondita e dettagliata, ma anche i suoi difetti, ovvero come apparire un ottimo ostaggio.

— Si.
Corri, Sonny.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte e, affidandosi al suo istinto di sopravvivenza, corse fuori dalla stanza, imboccò le scale e si catapultò in cucina.
Allungò il braccio verso il bigliettino e lo mise in tasca.
— Si ce l'ho!
Si voltò per correre fuori verso la macchina ma un presenza, 
vestita di nero fino al collo e con un passamontagna nero le bloccò la strada afferrandola per i polsi.
Il telefono volò per terra e Sonny urlò dallo spavento. 
— Sonny? Che succede?!
Le urla del padre riempirono il silenzio.



La mora gli tirò una ginocchiata sulle parti basse in tempo, prima che il ladro se ne accorse. 
Quest'ultimo si accasciò a terra. La giovane di casa Bronx afferrò il passamontagna e lo strappò via. 
Si mise dietro al tavolo consapevole che avrebbe acquistato tempo e che se avrebbe urlato, il padre l'avrebbe sentita. 
Capelli rasati ai lati, lunghi sui 3-4 centimetri nella parte superiore!
Urlò come un'ossessa scattando intorno al tavolo mentre il ragazzo la seguiva in tondo cercando di prenderla.
Occhi grandi e taglio a mandorla, colore castano cioccolato! Labbra a cuore e carnose, viso allungato! 
aso di lunghezza 5 e larghezza 3 su scala! Muscolatura di tipo 6,5 in scala! Altezza media, una trentina di centimetri alla porta! 
Età stimata: 20 anni circa! Cicatrice sull'attaccatura dei...

Sonny aveva cercato di schivarlo più che poteva, ma quello sconosciuto l'aveva afferrata dai fianchi e l'aveva stretta a se tanto forte da farle mancare il fiato dalla botta sul torace.
Si dimenò per qualche secondo ma un fazzoletto imbevuto di un liquido rivoltante le era stato forzato sulla bocca e sul naso, 
facendole perdere i sensi in uno schiocco di dita.







Ehy guys!
Allora che dire, il capitolo mi è venuto completamente di getto! Sono due giorni che ci pensavo e la stesura è venuta su in un paio d'ore. Mentirei se non dicessi che la storia è stata ispirata da Hawaii Five-o, dove Nick è presente nelle puntate 8 e 22...ma sinceramente mi piace! e spero vi piaccia anche a voi! Quasi dimenticavo..Boston è una città che dista 3 ore in aereo da Los Angeles e Hollywood, Santa Monica e San Pedro sono città vicine a Los Angeles :)
Detto questo, spero mi seguite in tanti io vi aspetto!!! Bacii!
- Rea.

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Capitolo 2
*** Run. ***



Insane

       


 
 















 
 

 

Capitolo 2.


 
Le bruciava la testa.
Si sentiva dondolare da un movimento costante, le braccia e le gambe erano rigide e legate,
probabilmente da una corda, alla sedia dov'era seduta. 
Starnutì sentendo ancora l'odore nauseante che aveva inalato prima di svenire. 
Non riuscì a capire perché fosse in quello stato fino a quando ricordò: la banda, il ladro, l'ostaggio, la mezza fuga. 
Aprì lentamente gli occhi e si accorse si essere immersa nell'oscurità, probabilmente dentro un veicolo in movimento e in solitudine. 
L'unica fonte di luce era una piccola finestra collocata su una parete del camion, in alto, in modo che non potesse vedere la zona.
Si divincolò, provando a slegarsi, ma niente.
Sta ferma.
La voce che aveva sentito, improvvisa, la fece bloccare e la mise allerta all'istante. 
L'unica figura in penombra che vide si avvicinò a lei in silenzio, a passo felino. 
Quando ci fù abbastanza luce da poter distinguerne i tratti ecco che lo riconosceva; era lui.
Quello che l'aveva rapita.
— Riportami a casa, bastardo!
Urlò agitandosi Sonny.
— Ti conviene stare zitta e fare quello che ti dico io d'ora in poi, zuccherino.
Il ragazzo si avvicinò in un battito di ciglia ed estrasse, nello stesso tempo, un coltello molto affilato che poggiò sulla pelle chiara della guancia della mora.
— Sonny, dico bene? Sarebbe un vero peccato rovinare questo faccino così bello, non credi?
Sorrise serafico mentre con una mano le accarezzava l'altra guancia.
La piccola Bronx combatté con tutta se stessa per non versare una sola lacrima e per trattenersi dallo sputargli addosso.
— Adesso ti farai slegare senza far storie e farai quello che ti dico io, intesi?
Si mise dritto, mettendo a posto il coltello e facendo vedere in bella mostra la pistola sulla cintura, come avvertimento.
Sonny la vide e non fiatò, sul volto le si dipinse il terrore allo stato puro.
Quel giovane sorrise, beandosi della sua paura.



Le stava stringendo un polso con forza, facendola gemere dal male e dimenare, come lui le aveva sconsigliato di fare.
— Ferma. 
Le aveva ordinato il ragazzo tenendola più saldamente.
Le tolse la benda che le fasciava la testa e gli occhi e la poggiò sul materasso presente nella stanza.
Sonny sbattè le palpebre più volte per riabituarsi alla luce e si guardò intorno. 
La stanza era una camera con un letto matrimoniale al centro, una finestra posta in alto, aperta.
Lo guardò con sfida e gli occhi iniettati di rabbia.
— Dove sono?
— Non risponderò, ragazzina.
Rispose sarcastico.
Lo studiò per qualche secondo; si accorse di essere probabilmente una sua coetanea, 
che avesse le spalle larghe e muscolose per la sua età, che fosse un ragazzo strano.
— Riportami a casa, stronzo.
Lui non rispose, estrasse solo un cellulare e digitò un numero a lei famigliare.
Sonny trattenne il respiro, aspettando la risposta al telefono.
Il ragazzo sorrise in modo molto inquietante e si avvicinò alla ragazza mettendo il vivavoce.



— Chiama ogni poliziotto disponibile, Jackson. È la mia bambina, porca puttana! 
Me l'hanno soffiata sotto il naso. No, non ne ho idea. Entro e faccio un'indagine generale, ciao.
Jason Bronx aveva sbattuto un pugno sul volante. 
Aveva sospirato, adirato più che mai, ed era sceso dalla macchina sbattendone lo sportello violentemente.
Entrò in casa senza il bisogno di prendere le chiavi, dato che la porta era stata lasciata aperta, e cominciò a perlustrarla da cima a fondo.
Saltò dallo spavento quando il cellulare in tasca prese a suonare.
Rispose senza guardare chi fosse.
— Pronto?
Silenzio.
— Pronto?
Ciao caro paparino, qui c'è qualcuno che vorrebbe sentirti.
Il moro si bloccò rendendosi conto di parlare con una voce famigliare. 
Sicuramente era un componente della banda che ricercava da due anni. Sapeva chi era, era a capo di essa e si chiamava Nicholas Jerry Jonas
— Nicholas, piccolo figlio di puttana..
— Calma capo, riusciamo a parlare civilmente? 
Dall'altro capo della cornetta, Nick aveva riso. Una risata tutto fuorché felice. 
La pelle che aveva preso ad accarezzare cominciò a tremare. Sonny lo fissò terrorizzata. 
Lo sguardo del moro veniva attraversato da un raggio di luce, proveniente dalla finestra e gli occhi color cioccolato, 
che brillavano di riflessi nocciola acceso, le intimarono di far silenzio.
— Arriviamo al punto, cosa vuoi Nick?
Aveva sputato rabbioso il poliziotto.
— Voglio i soldi del riscatto, ovviamente.
— Quanto?
— 500.000 dollari. 
— Prima...voglio accertarmi del fatto che Sonia stia bene.
— Sonia? Oh si, avete origini italiane, ricordo. Lei sta bene, signor Bronx, sa ha una figlia davvero graziosa.
Le dita affusolate del giovane sfiorarono Sonny facendola arretrare fino al muro. 
Venne raggiunta subito dal ragazzo. Jason strinse le palpebre, cercando di non far peso all'ultima affermazione da parte del criminale e si concentrò sul fatto che conoscesse le sue origini.
— Come lo sai?
— Mi stai dietro al culo da due anni, secondo te non so niente sui miei polli?
Jonas sorrise malefico, si sedette più vicino alla mora e interpose il telefono tra il suo orecchio e quello di Sonny.
Il gesto le fece capire che poteva parlare.
— Papà..!
— Piccola, ascoltami. Finirà presto vedrai. Devi fare quello che ti dice Nicholas, non ribellarti. Tornerai...tornerai presto a casa.
— Papà mi spiace di non averti salutato.
Piagnucolò la mora.
— Che scena da film.
Aveva commentato sarcastico il ragazzo affianco a lei.
— Ei ragazzone, ci teniamo aggiornati per i soldi. Un passo falso e tua figlia si ritroverà con un buco in testa. Tieni il telefono attaccato al culo.
Non gli aveva dato neanche la possibilità di rispondere, che Nick aveva chiuso la chiamata.
— Non importa se hai chiamato con lo sconosciuto, lui ti troverà.
— Ascolta zuccherino..
Il ragazzo la fissava negli occhi a distanza ravvicinata.
— Non sono un Hacker professionista per niente, sai? 
Le lanciò un'occhiata gelida e si alzò dal letto, avvicinandosi alla porta.
— Non muoverti di qui.
L'aveva avvertita con un'occhiata fugace e infuocata, poi era uscito e aveva chiuso a chiave la porta, andando chissà dove.
— Non che possa andare da alcuna parte.
Si lamentò Sonny.
Pazzo, pericoloso e strano.
Queste parole rimbombavano nella testa della ragazza.
Era troppo giovane per essere così esperto.
Nick. Sembrava il nome di un normale ragazzo americano. Evidentemente però, non era così.



Il dormiveglia di Sonny fù interrotto dal rumore di una porta sbattuta con violenza sul muro e da una mano che afferrava e strattonava il polso della mora.
— Svegliati e alzati, principessa.
Le aveva intimato Nicholas serio e sbrigativo. 
La alzò afferrandola alla meglio e cominciò a camminare a grandi falcate verso l'uscita della stanza.
— Ma dove mi stai portando?..
Il ragazzo si limitò a continuare a trascinarla. Lo sguardo della mora si accorse che portava uno zaino nero in pelle sulle spalle.
Uscirono dalla camera e, sorpassato un breve corridoio in pietra che puzzava di muffa, 
i due imboccarono una rampa di scale e aprirono una porta che li portò in una palestra sporca e scrostata. 
Sonny spalancò gli occhi al ricordo di lei qualche anno prima con i codini, con una palla in mano che stava per essere passata. 
Quella palestra era della scuola che frequentava alle medie, abbandonata poi dopo qualche tempo.
— Ma io conosco questo pos...
— Shh.
Nick ammutolì la ragazza con un gesto della mano, estrasse la pistola con l'altra e spostò la mora davanti a se.
— Solo tre cose: fai silenzio, se proprio devi parlare fallo a voce bassa e seguimi.
Le aveva detto con voce stizzita, appena udibile e stringendo la pistola maggiormente. 
Sonia se ne accorse e pensò che le convenisse proprio seguire il ragazzo.
Corsero accanto al muro per qualche secondo, poi imboccarono quella che Sonny ricordava fosse l'uscita principale della palestra,
e uscirono allo scoperto.
La luce abbagliante del sole gli accecò per qualche secondo.
— Mani in alto! 
Voci sconnesse, luci lampeggianti, armi da fuoco alzate.
Nicholas riconobbe subito le uniformi da poliziotto e alzò la pistola  verso i suoi inseguitori.
Jason Bronx spuntò dalla massa con  l'arma nelle mani e la con la voce tremante, che chiamava la figlia.
Fù l'istinto a spingere Sonia a far qualche passo verso la figura paterna, ma qualcosa non glielo permise.
Nicholas Jerry Jonas sorrideva in modo tutt'altro che allegro, un braccio a stringere la vita della ragazza a sè e una mano a stringere la pistola contro la tempia di Sonny.
Il suo respiro si fece pesante, la vista affannata e impegnò tutta se stessa per non mettersi a piangere dalla disperazione davanti a suo padre.
— Se vi avvicinate le sparo.
Aveva urlato il ragazzo.
Il suo respiro caldo e calmo riempiva l'orecchio destro della giovane.
Cominciarono a indietreggiare, sotto il comando di Nick.
Ritornarono dentro alla palestra e, prima di chiudere la porta, il ragazzo le sussurrò:
— Comincia a correre con me.
Porta chiusa di scatto, i due cominciarono una corsa per scappare. 
Uscirono dalla porta secondaria e si addentrarono nel bosco difronte a loro, 
Sonny quasi non si slogò una caviglia e Nick, che non si fidava delle reazioni della ragazza, le stava dietro e talvolta di fianco con la pistola salda in mano.
Si affidò a quella pistola per far si che Sonia Bronx non le scivolasse via dalle dita.  



Legni schiacciati, colpi di pistola alla cieca, scrosciare di foglie.
Sonny e Nick si ritrovarono dinanzi ad un fiume. Ormai il bosco dava spazio alla città urbana. 
Il suono si passi si fece più pesante, il cuore della mora correva furioso nel petto.
— Cosa facciamo?
Salta!
— C-che cosa?
— Ho detto salta!
Il moro aveva afferrato la vita della ragazza e si erano lanciati nel fiume.
Sonny tornò a galla quasi per miracolo, dato che non sapeva nuotare, e Nick,
che aveva vissuto per la millesima volta il "lancio salva chiappe", l'aveva aiutata tenendola a galla.
— Tu sei completamente fuori di te..
Shh.
Nicholas l'aveva zittita e trascinata sotto il marciapiede di pietra, che sporgeva sul fiume.
— Non ci sono, capo.
Un poliziotto aveva parlato, sconsolato e affannato dalla corsa.
Sonny e Nick si scambiarono due sguardi, molto diversi, e si attaccarono maggiormente alla pietra. 
Il primo apparteneva ad una ragazza spaventata, che non vedeva l'ora di tornare a casa, di riabbracciare il suo papà, 
di calmare il sicuro pianto di Kim, di ritornare alla normalità. 
Il secondo invece esprimeva disprezzo per quelle persone in divisa, 
un avvertimento silenzioso indirizzato alla mora che diceva chiaramente di far silenzio, e un briciolo di ansia. 
Mentre erano immersi nell'attesa, Sonny non poté non pensare che Nicholas Jonas non  esprimesse mai nulla. 
Sarebbe potuto essere stato torturato per ore e non avrebbe fiatato, pensò la ragazza. 
Capiva la situazione totalmente nuova per lei e probabilmente normale per lui, seppur terrificante, ma non riusciva a capire come un ragazzo così giovane si fosse abituato a ciò.
Passarono minuti, secondi, forse un'ora da quando sentirono l'ultima voce appartenete ad un poliziotto,
immersi nelle acque di quel fiume.
Nick studiò la ragazza e pensò che affrontare ciò che stava affrontando lei non fosse per niente facile,
eppure lei se la stava cavando molto bene. 
Non sembrava essere particolarmente spaventata da lui, se non con la pistola in mano e non aveva ancora pianto. 
Pensò persino che fosse strana, perché non aveva ancora avuto un attacco nervoso.
Se avesse una pistola, forse, beh forse avrebbe il coraggio di spararmi, pensò il ragazzo.



— Affermativo, Joe. Hanno localizzato la nostra posizione, ci siamo spostati verso ovest. Verso il fiume.
Perfetto, aggiornamenti tra 24 ore, chiuso.
Erano saliti sul marciapiede, avevano camminato per qualche minuto poi, 
quando Nicholas si era reso conto di essere troppo esposti, trovò un posto dove passare la notte.
Quando Sonny fù costretta a scendere nelle fogne per seguirlo, penso che sia stato rivoltante
Una prima classe da urlo, le avevano detto i suoi pensieri.
Si misero qualche metro più avanti all'entrata-tombino e si sedettero sulla superficie liscia e sporca.
Passarono minuti interminabili nei quali Nick scalfiva il suo coltello su un tubo di metallo e Sonia lo fissava annoiata e spaventata per la precedente esperienza.
Era così confusa, disorientata e affamata, che le risultò buona l'idea di fare conversazione...con il suo rapinatore.
— Da quanto fai...emh..hai questo stile di vita? 
La voce flebile di Sonny risultò più alta, grazie all'eco delle pareti, e fece girare lentamente il ragazzo con uno sguardo truce.
Sarebbe sembrato un serial killer con i fiocchi, se l'immagine non fosse stata contrastata dai giovanili e morbidi tratti di Nicholas
Quest'ultimo pensò che la ragazza si fosse bevuta il cervello
Perché le parlava? Nessuno dei suoi ostaggi gli aveva mai rivolto la parola, a meno che non fosse stato costretto da lui. 
Era rispettato da tutti nel gruppo, era il capo si certo, ma era il pupillo di una figura ancora più grande. 
La banda era semplicemente una pedina di un'associazione segreta più importante e meno conosciuta.
Era una tra tante, per farla breve.
Davvero ti aspetti che ti risponda?
Le aveva chiesto sarcastico e sgarbatamente Nick.
— Se ti riferisci al fatto che potrei dire qualcosa a mio padre, sta tranquillo, sa tutto di te. Si è ben informato sui suoi polli.
Gli rispose tranquilla Sonny, aggiungendo ironia sull'ultima frase.
Il moro lo colse ed esibì una smorfia schifata che però fece ridere la ragazza. 
Lui si chiese cos'avesse che non va.
— Sembravi un bimbo imbronciato.
Nicholas guardò la ragazza ridere di gusto, si era bevuta completamente il cervello?
Sonia capì cosa pensava e gli rispose in modo alquanto brillante.
— Io ti servo, non mi farai del male. Senza di me i soldi te li scordi, e sai bene che mio padre pagherà, troverà il modo. 
Quindi, apparte il fatto che ti odio immensamente per questo, perché non parliamo un pò?
Il sorriso vittorioso di Sonny so spense quando Nick si alzò da terra. 
Non interrompè mai il contatto visivo con la mora ed estrasse dallo zaino una coperta e due barattoli. 
Stai tremando.
Si avvicinò alla ragazza e le mise la coperta sulle spalle poi le lanciò uno dei barattoli di mais che aveva in mano. 
Lei rimase sbigottita dalla sua improvvisa e strana gentilezza che Jonas le stava riservando. 
— Grazie.
Rispose grata e, dopo che le sembrava aver visto l'ombra di un sorriso sul volto del ragazzo, 
aprì la scatola e pensò di non essere mai stata così felice di mangiare il mais. 



— Avevo tredici anni quando mi portarono via.
Lo sguardo della mora corse tempestivo sul viso di Nick, i tratti induriti del viso le fecero capire che l'argomento appena aperto non fosse dei più piacevoli, per lui. 
Gli si avvicinò leggermente cercando di far più silenzio possibile.
— In che senso?
Respirò profondamente prima di cominciare a parlare. Non sapeva neanche perché si stesse confidando con un suo ostaggio.
— Vivevo in una piccola città, dove tutti sapevano tutto di tutti, dove faceva costantemente caldo.
Le loro spalle si sfiorarono, Sonny era rimasta troppo attenta alle parole del moro per accorgersene e quest'ultimo pareva perso in esse.
— Avevo tredici anni..
Sorrise amaro al ricordo.
— Avevo tre fratelli, Kevin il maggiore, Joe e Frenkie il più piccolo. Giocavamo sempre nel giardino difronte a casa. 
Correvamo, ci rincorrevamo, eravamo solo dei bambini..
La ragazza si strofinò le mano.
— Ricordo ancora adesso l'odore dei fiori che mamma aveva piantato quella mattina. 
Ad un certo punto era uscita di casa tutta trafelata intimandoci di correre in casa e di nasconderci sotto i letti, tremava
Papà stava facendo le valigie in modo molto sbrigativo. Ero terrorizzato, non capivo. Poi fù un attimo. 
Spari, sangue, le mie grida quando mi strapparono da casa.
Uccisero tutti, risparmiarono solo me e Frenkie.
Mi tennero con loro per poco finché non riuscì a fuggire. 
Trovai Joe, una persona molto importante nella zona in cui mi ero ritrovato. 
Mi trattò con rispetto, si prese cura di me e mi promise che avremmo trovato Frenkie.
Sono anni che cerco quei bastardi e mio fratello.
Gli occhi nocciola di Nick si scontrarono con quelli scuri di Sonny.
La luna che passava dalle griglie le illuminavano gli occhi rendendogli splendenti.
Si fissarono per qualche secondo poi lo sguardo della ragazza cadde sulla pelle del collo scoperta del moro. 
Avvicinò le dita e, sotto lo sguardo indagatore di lui, spostò la stoffa e trovò una superficie di pelle tatuata, tre nomi. 
Kevin, Joe, Frenkie.
Nicholas si sentì a disagio, come ormai non succedeva da otto anni e afferrò il polso di Sonia. 
Il gesto gli avvicinò involontariamente e Sonny poté percepire il fiato del ragazzo sul suo viso. 
Lei cercò invano di leggere qualcosa dentro quei pozzi dorati dalla luna, ma non colse alcun segno di nessuna emozione.
Freddo come il ghiaccio.
Mentre il suo cuore martellava insistente nel petto, quello di Nick era regolare come un'orologio.
— Domani abbiamo da fare, dormi.
Quest'ultimo di staccò di scatto da lei e si allontanò posizionandosi a qualche metro, pronto a dormire.
Si diede dell'idiota per aver parlato della sua famiglia con una perfetta sconosciuta, un'ostaggio, la figlia di uno che la seguiva da due anni.
Che stupido, pensò, bella idea genio.
Però non poté fare a meno di pensare che le parole gli erano scivolate con estrema facilità e spontaneità dalla sua bocca, e che si sentì meglio dopo averlo fatto. 
Si addormentò anche lui, tra il rumore dell'acqua putrida che scorreva, il respiro leggero di Sonny e il suo viso colpito dalla luna come se fosse stata sua figlia.






Eilà!

Intanto, grazie mille per aver letto, un grazie immenso a tutti, da chi segue la storia, a chi l'ha letta per curiosità e basta, ai lettori silenziosi.
Un grazie a tutti.
Allora, come avrete notato le caratteristiche della storia sono cambiate...eh eh, vedrete nei prossimi capitoli, non vi anticipo nulla! *cattiva*
In questo capitolo conosciamo meglio un lato di Nick e quello a sangue freddo e coraggioso di Sonny. Chissà dove finiranno....
Per scoprirlo? Basta leggere i prossimi capitoli! Ci rivediamo con il prossimo capitolo, spero vi sia piaciuto!
Byeeee,
- Rea.

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Capitolo 3
*** The moon. ***




Insane.





Capitolo 3.


 
Quando la dita di Sonny incontrarono una superficie morbida al posto di quella ruvida e decisamente dura della parete sulla quale si era addormentata, gli occhi della giovane le si aprirono di scatto.
Se ne pentì un'attimo dopo, rendendosi conto che non erano abituati alla luce accecante che li investì e ci mise qualche secondo per far sì che si adattassero in fretta.
Il suo sguardo vagò un pò ovunque in cerca di qualcosa di lontanamente famigliare nel nuovo posto in cui si trovava. Si alzo dal letto singolo in cui era stata adagiata, e si diresse all'unica porta che era presente in quella stanza spoglia e bianca. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per uscire, quella camera era alquanto inquietante,
ma la porta era chiusa a chiave. Provò a forzarla per qualche minuto, ma un lieve dolore al braccio la fermò. 
incuriosita, alzò la felpa nera che indossava, che non era neanche sua, e notò un cerotto sulla superficie perlata. 
Lo tolse e quello che vide la confuse, perché aveva un livido e un buco vicino alla vena del braccio? 
Privandosi all'istante della facoltà di pensiero, la ragazza cominciò a prendere a calci la porta a causa di una rabbia innescata da quel livido violaceo.



Dopo qualche minuto di urla e calci la porta venne aperta di scatto e Nick afferrò la ragazza per un braccio trascinandola verso un corridoio, lo zaino nero in spalle.
— Ma che diavolo...
— Taci e cammina.
— Siamo simpatici stamattina.
Il moro ignorò la frecciatina di Sonia e continuò a trascinare la ragazza dietro di se.
Arrivarono a una macchina nera, una grande e bella macchina nera.
Il ragazzo aprì la portiera posteriore e fece salire la mora.
Quest'ultima non fece in tempo a chiedere spiegazioni, che Nicholas le chiuse gliel'aveva chiusa in faccia. 
Dopo qualche secondo il ragazzo fece capolinea al volante, lanciò lo zaino sul sedile accanto e mise in moto l'auto sfrecciando sulla strada. Almeno, fu quello che parve a Sonny.
Pensò che con la fitta gabbia che divideva lei da Nick fosse difficile localizzare la zona nella quale si trovavano,
e forse era proprio quello l'intento.
— Fai sul serio? Ti sembro un cane?
Sputò inacidita la mora, ignorando il fatto di aver acquistato un coraggio inaspettato e del tutto fuori luogo.
Jonas, che l'aveva ingnorata fino ad allora, le rivolse uno sguardo indecifrabile dallo specchietto retrovisore.
— E poi perché mi hai bucato una vena?
— In qualche modo dovevo portarti da incosciente e ti ho dovuta sedare. Abituati a questo ritmo perché ci dobbiamo spostare spesso e in fretta finché il buon paparino non manda i soldi.
Aveva sputato irritato e continuando a guardare la strada. 
Sonny si sentì stupida e allibita.
Adirittura sedarla? Non poteva di certo dire un bel niente a nessuno dato che non aveva contatti con altri
esseri umani apparte il ragazzo lì presente. 
Credeva davvero che si sarebbe fidato di lei? 
Dopo quello che Nick le aveva detto la sera precedente pensava che fosse cambiato qualcosa, sentiva che lui inconsciamente nutrisse un briciolo di fiducia verso di lei, altrimenti perché parlarle di qualcosa di così privato?
Si sentiva come se avesse fatto un quarto di passo avanti e dieci in dietro.
Illusa, gridavano i suoi pensieri.



Il viaggio durò diverse ore.
Nick continuava a guardare dinanzi a se guidando, le vene della mano gonfie per la stretta decisamente
troppo forte al volante.
Sonny si era stancata ben presto di continuare a fissare le pareti oscurate della vettura,
per la mancanza di finestrini posteriori, e aveva preso a torturarsi con diverse domande,
sicura di non trovare mai una risposta ai quesiti, almeno non da sola.
Perché era così lunatico quel ragazzo?
Perché le aveva parlato della sua famiglia?
A cosa gli servivano i soldi del riscatto? Perché era ovvio che gli servissero a qualcosa. 
La piccola di casa Bronx se lo sentiva dentro, era come una sensazione fastidiosa che gli torturava le membra e il cervello. Voleva saperlo, a tutti i costi.
Si fermò un'attimo a pensare prima di aprir bocca. 
Insomma, era da pazzi
Era in una macchina, con un mezzo sconosciuto di cui sapeva mezza storia,
mezza identità–se quello che gli aveva raccontato non era una palla per tenerla buona-quindi mezza verità,
messa li a guardare un muro e lei si ostinava tanto a sapere qualcosa che probabilmente neanche voleva sapere.
Ad un certo punto la macchina si fermò, facendo oscillare il corpo di Sonny.
Nick scese in fretta, silenzioso e freddo com'era da ore, e aprì la portiera posteriore afferrando per le braccia
la mora e trascinandola fino ad un tronco, sedendola.
Si affrettò anche a chiedere la portiera e con uno scatto raggiunse la ragazza, sedendosi di fronte a lei su una panchina improvvisata da un tronco.
— Ehi, omaccione.
Nick guardò con superiorità Sonny, un'espressione vuota e totalmente nuova dipinta sul viso.
La ragazza dai lunghi capelli neri si ritrasse per un lasso di tempo che le sembrò infinito,
ma che in realtà durò poco più di qualche secondo. 
In quel momento si sentiva in balia del vento, trascinata a riva dalla corrente e dalle onde impetuose e percossa da brividi vividi, nascosti sotto la pelle. 
Solo in quel momento la giovane si accorse che gli avvolgeva l'oscurità notturna,
così simile ai suoi capelli corvini e alla luce tetra che illuminava gli occhi di Nicholas.
Ormai il sole era tramontato da qualche ora e in cielo splendeva una luna piena e luccicante,
le stelle incorniciavano il satellite e la foresta.
Lo sguardo della mora viaggiò sulla superficie lattea della luna, sulla scura boscaglia e infine ritornò sul ragazzo,
che aveva preso a spolverare con i polpastrelli la pistola.
— Mi spieghi che ci facciamo qui?
Jonas la ignorò beatamente continuando quello che stava facendo.
— Se volevi fare una scampagnata potevi avvertirmi.
Sputò acida lei, inaspettatamente sorpresa e infastidita dall'attenzione nulla da parte del moro.
— Mi vuoi ascoltare?
Nick alzò lo sguardo indispettito solo quando Sonny gli si era parata davanti,
si alzò di scatto stringendo in una mano la pistola argentata.
Alla ragazza, alla quale il gesto non era passato inosservato, fece per tornare sui suoi passi e tornare a sedersi,
ma si bloccò. 
Anche se la briciola di coraggio e buoni propositi era completamente svanita,
si ricordò di avere una dignità e che solo fino a qualche giorno prima trasudava ironia, sarcasmo e orgoglio.
Ricordati che è un criminale, le ringhiò il buonsenso.
Ma non è cattivo, pensò. 
— Penso che tu sia abbastanza intelligente da arrivarci da sola, zuccherino.
Il viso di Nick non si rilassò per nulla, anzi, si irrigidì maggiormente, gli occhi castani bagnati dalla luce lattea della luna splendevano di un qualcosa di allettante e spaventoso allo stesso tempo.
— Io penso proprio di no.
Sputò velenosa Sonny e indurì lo sguardo più che poté, preparandosi alle conseguenze del gesto.
— Dovresti sederti e far silenzio.
— Dovresti dirmi che problemi di affliggono, eroe.
L'acidità della ragazza innervosì ancora di più il giovane che l'afferrò per l'avambraccio.
Sonny tremò involontariamente ed ebbe un lampo di paura, ma fece più che bene a non darlo a vedere.
Non le avrebbe fatto niente, di questo cercò di auto-convincersi.
Erano tanto vicini, che Sonny poteva inalare il profumo di Nicholas–un misto di cannella e dopobarba–e l'odore dolciastro e leggero della pelle del moro.
Lui la guardò a lungo. 
Perché non aveva paura di lui?
Si torturava ormai da diversi giorni cercando una risposta al quesito. 
Sonia, che aveva percepito l'insicurezza temporanea e lo sguardo vuoto di Nick, gli rispose netta e secca.
Non sei cattivo Nick.
Il ragazzo alzò entrambe le sopracciglia, rise sonoramente  gustandosi l'espressione confusa di lei e le accarezzò una guancia. 
Il gesto fu veloce e ripetitivo, il che fece avvampare la ragazza involontariamente.
— E cosa te lo fa pensare, dolcezza?
Sorrise ironico mostrando la fila di denti bianchi.
Il fatto che ti servano dei soldi per cercare tuo fratello e che abbia scelto un metodo un po' ortodosso per averli.
Nonostante l'aria che cambiava, più leggera e spigolosa, gli occhi vividi di Nick e la sua espressione stupita,
Sonny si perse per qualche attimo nei tratti del moro.
Si trattava solo di attimi, di frammenti nei quali la mora si perdeva nella bellezza giovanile del ragazzo.
Il fatto che fosse un ladro, un rapinatore, persino un informatico molto esperto,
non toglieva il fatto che fosse un bel ragazzo.
Sia stupì di quanto fossero stupidi e inappropriati quei pensieri.
Lasciati aiutare.
Aveva sospirato lei.
Nick ebbe l'impulso di mandare tutto a quel paese, di fidarsi, ma poi si riprese alla svelta lasciando bruscamente il braccio della mora e stringendo i pugni per calmarsi.
La vena del collo si gonfiò per lo sforzo e, sinceramente, il ragazzo non capiva perché si stesse trattenendo così tanto.
— Se dirai la verità e mi risorti a casa ti aiuteremo. Possiamo trovare Frenkie, sono seria.
Aveva tentato con una calma che non le apparteneva, lei.
In un'attimo la canna della pistola si trovò sulla fronte perlacea di Sonny, le dita di Jonas strette intorno ad essa.
Tutte palle.
Sputò, quasi ferito, lui.
— Nick, calmati per favore.
Gli occhi della ragazza si inumidirono. Pensò a suo padre, poi la sua mente corse veloce a Kim,
alla professoressa che le rompeva sempre i coglioni, la parrucchiera fidata che le faceva sempre la tinta.
I ricordi affiorarono veloci e schietti, pugnalando ferocemente la ragazza.
Pensò persino a sua madre, di cui non parlava mai
Della vita che non avrebbe probabilmente mai riavuto indietro.
Copiose lacrime, di cui Sonny si vergognò fino all'osso, ricoprirono il viso della mora.
Nicholas abbassò la pistola, un ghigno malefico e inverosimile ne rovinò i tratti.
— Era questo quello che volevo vedere, zuccherino.
Ammise ammiccando e strafottente il moro.
La giovane Bronx represse a stento un sonoro e liberatorio vaffanculo.



A spezzare l'aria tesa e nervosa che si era andata a creare furono rumori provenienti dal bosco.
Rami schiacciati, foglie secche sgretolanti, rumori di spostamenti spediti e costanti.
Tutto il contesto diventò grigio e spaventoso, come se qualcuno lo avesse oscurato maggiormente.
— Cos'erano quei...
Shh.
Il corpo di Nick si posizionò davanti a quello di Sonny, cercando di pararla da qualsiasi attacco.
Lui ci era abituato, lei no.
Ne era fin troppo consapevole.
— Corri!..
— Ma che cazz...
— Porca puttana, Sonny, ti ho detto di correre!
La ragazza fece come ordinato, aspettandosi il peggio, con Nick e qualcun'altro alle spalle.
Corsero per qualche minuto, il ragazzo era all'erta e attento, lei confusa e terrorizzata. 
Non aveva idea di chi potesse correre così velocemente; era certa di aver visto sfrecciare qualcosa di tanto in tanto alla sua destra, dietro il fogliame e gli arbusti, e poi continui rami e erbe secche schiacciate dietro di loro,
non molto distanti.
Quando pensò che un polmone le collassasse per la fatica,
sentì Nick imprecare tra i denti da dietro di sé e un tonfo sordo per terra.
Si girò di scatto, senza mai fermarsi davvero, e vide la figura del moro a terra, scalciante,
che agitava mani e pistola cercando di liberarsi dalla creatura che gli aveva afferrato la gamba.
— Nick!..
— Va avanti, corri! È te che vuole!
L'espressione confusa, mista alla paura, corrucciò i tratti di Sonny.
Corri!
Lo avrebbe tanto voluto fare, oh se avrebbe voluto...
Ma la vista di quegli occhi non glielo permise.
Sonia proprio non riuscì a capire di cosa o chi si trattasse;
la felpa verdastra era sporca di terra, fogliame e di una sostanza rossa di cui cercò di non dar un nome,
i jeans strappati e logorati dai rami sporgenti della boscaglia e dal tempo erano decorati disastrosamente da buchi qua e la, quello ne che era rimasto delle scarpe erano due paia di converse scolorite e sbrandellate.
A bloccare il cuore di Sonny però non fù il vestiario, neanche il fatto che quella presenza fosse con mani e piedi per terra e che si muovesse in quel modo e non in piedi come un essere umano.
Furono due lunghe zanne al posto dei canini, i tratti della fronte, del naso e degli zigomi troppo accentuati e forti,
i peli crescenti su quest'ultimi, gli occhi di un giallo neon.
A smuoverla fù il suono gruttuale–un misto tra un ruggito e un ringhio–che quell'essere emise.
— Corri! Non farti prendere dal licantropo, Sonny!
Licantropo? 
Stava succedendo tutto troppo in fretta.
Si decise a seguire il consiglio del moro quando, una volta spostato il suo sguardo su Nick,
aveva notato l'espressione dipinta dal terrore che campeggiava nuova e fresca sul suo viso. 
E se spaventato era Nicholas Jonas, beh era un buon motivo per correre come non aveva mai fatto nella sua vita.
Come aveva temuto, il panico prese completamente possesso di lei.




Ei, tu!
Beh che dire, ecco il terzo capitolo!
Mi scuso in anticipo se è corto, ma è solo un capitolo di passaggio.
Coooomunque, la storia si evolve, si scopredi più su Sonny-la madre, che non era stata mai citata-e avrete modo di scoprire le VERE intenzioni di Nick con l'avanzare dei capitoli :)
E chi vediamo? uh, uh...un bel lupacchiotto! Eh già, ci sono anche i licantropi ;)
E quindi, sperando di non avervi confuso troppo, state tranquilli, verrà spiegato tutto più avanti.
Beh, grazie a tutti quelli che leggono in silenzio, recensiscono, seguono la storia, la mettono nei preferiti,
I
love you soo much!
Ci vediamo al prossimo, kissssssss.
- Rea.

 

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Capitolo 4
*** Werewolf. ***



Insane.




Capitolo 4.

 
Quando le pareti vengono arrestandosi giù
spero che stai in piedi davanti a me,
dove il mio passato si trova tutto intorno a me.
Got Dynamite - Demi Lovato. 


 


 

Quell'essere continuava a ringhiare, mentre Sonny correva a perdifiato tra gli alberi, 
addentrandosi sempre più nella boscaglia in cerca di una via di fuga.
Gocce intrise di paura e panico scorrevano copiose sulle guance della mora, arrossate per lo sforzo.
Poi tutto cambiò.
Il licantropo l'afferrò per le gambe, costringendola al suolo umidiccio, ricoperto di fogliame e fango, e l'attirò a sé. 
L'urlo disumano che si liberò nell'aria indicò che Sonia Bronx aveva sentito molto bene gli artigli di quell'essere lacerargli la carne della gamba, spingendosi a fondo.



Il piede destro di Sonny colpì, con tutta l'adrenalina che le scorreva per il corpo, quel viso.
La belva si ritrasse per qualche secondo, quasi stupita dal gesto e la mora ne approfittò per alzarsi e cominciare a correre. 
Strinse i denti più che poté, cercando di ignorare il dolore alla gamba, poi si arrese.
Un sorriso malinconico a stendere leggermente le labbra screpolate.
Raggiunse un'ultima fila di alberi e uscì, trovandosi su una strada.
Diverse macchine della polizia erano parcheggiate disordinatamente e alla buona sulla superficie lucida, 
resa così dalla pioggia e dalla luna che si rifletteva imponente.
Poliziotti che giravano e trottavano da ogni parte, un baccano insopportabile.
Stropicciò gli occhi più volte, si pizzicò per capire se era reale o meno, ma non cambiò nulla.
— ...Sonny?
Poi in un attimo, una voce riportò alla lucidità la ragazza e l'attenzione di tutti su di lei.
— Papà...
Soffiò lei, prima di essere stretta calorosamente tra le braccia del padre.
La mora sentì il padre ringraziare piano Dio per essersi ritrovato sua figlia nuovamente tra le braccia.



La coperta di cotone la avvolgeva, le scaldava il corpo ma non la mente.
Si spostò meglio, cercando una posizione più comoda. Si erano messi in viaggio subito,
il paesaggio sfrecciava veloce sotto il suo sguardo incerto, suo padre teso e preouccupato al volante.
Qualche volta le lanciava uno sguardo mentre guidava veloce su una strada sconosciuta, in quel momento la giovane si accese come una lampadina.
— Dove siamo papà?
Jason fissò per qualche secondo sua figlia, prima di riposare lo sguardo davanti a sè.
— Nei dintorni di Abilene, in Texas.
— Perchè?
Sonny buttò giù la domanada di getto, le era uscita dalle labbra così naturale e insidiosa che non era riuscita a fermarla.
Si stupì di quella inutile domanda, se non lo sapeva lei che era con il diretto interessato, che ne poteva sapere suo padre?
— Non lo so di preciso, penso che abbiano lì la loro associazione segreta. Roba del genere. Se sono segrete ci sarà un motivo.
Aveva risposto serio il capo della polizia.
Ma perchè proprio in Texas? Era così lontana dalla sua città...
Aspetta ma...
La testa della ragazza stava per esplodere per la quantità di domande a cui si sottoponeva.
—...Penso sia perchè i Jonas sono originari del Texas, hanno sempre abitato a Dallas.
La risposta netta e limpida di Jason Bronx aveva insospettito la figlia ancora di più.
Come faceva allora a sapere di lei e del padre dal lontano e caldo Texas?




— Nick, dov'è la ragazza?
Il moro aveva fissato il capo con la delusione stampata in faccia; era riuscito a farla scappare dal licantropo, si, ma anche da lui.
Dio santo, aveva imprecato mentalmente.
Il ragazzo chiaro era in attesa di una risposa, le mani nelle tasche posteriori del pantalone color pece lucido, la postura rilassata. 
Joe Black era alto, biondo, con due occhi intimidatori e con camicia, cravatta e giacca elegante sempre addosso.
L'aria da uomo d'affari ingannava tutti, e anche se in parte era così, non erano di certo affari puliti.
Veniva chiamato in tanti modi; il capo, la guida, talvolta anche i piani alti dai novellini che entravano nell'associazione da poco.
Solo Nicholas poteva chiamarlo Joe.
— E' a casa...con suo padre.
— Che diamine è successo?
— Un licantropo ci ha attaccati mentre eravamo nella foresta, dalle parti di Abilene.
Lo sguardo attento del biondo intimò al ragazzo di continuare.
— Un Delta*...o forse più probabilmente un Omega*, data la sua inesperienza. In poche parole: Sonny è riuscita a salvarsi, io l'ho messo abbastanza a tappeto. Quando sono andato a cercarla l'ho vista col padre, non potevo fare molto sai, sono un ricercato su piano internazionale.
— Sai già cosa devi fare vero?
Nicholas aveva sbuffato, cosciente però che Joe avesse ragione.
— Si, certo che lo so.
Il moro si voltò per andarsene, verso la porta.
— Ci vediamo tra una settimana.



Sobbalzò.
Non vedeva assolutamente nulla.
Dinanzi a sè il buio.
L'oblio.
Con le mani provò a tastare in torno a se, per assicurarsi di non andare addosso a niente e,
una volta avuta questa certezza,aveva fatto qualche passo incerto.
Mentre agitava le mani nell'oscurità, la mano sfiorò una superficie liscia e fredda.
Fece su e giù con il palmo e andò incontro ad una maniglia; era una porta.
Non soffermandosi a pensare, l'abbassò e aprì la porta di scatto.
Quel che vide le fece saltare il cuore in gola e lo stomaco nel petto.
Un licantropo-se aveva capito bene come si chiavano quegli esseri-era steso a terra, una chiazza di sangue sul petto e una pozza del medesimo liquido sul pavimento vecchio e lugubre di pietra.
Riuscì a distogliere lo sguardo terrorizzato solo per vedere dove si trovava. Le colonne massiccie e sporche, probabilmente in marmo,
circondavano quella sottospecie di stanza, c'erano rampicanti e muschio nero ovunque e l'unica fonte di luce fioca proveniva da un focolare appeso al muro.
La mora riuscì a fare a stento un passo e, mentre la bestia emetteva dei lamenti agghiaccianti, gli occhi di quest'ultima si aprirono brillando di un giallo fosforescente.
Sonny si ritrovò ad urlare involontariamente e il suo grido si fuse con il ruggito del mutaforma.
Quel grido non era normale, e Sonia lo sapeva bene.
Aveva gridato in quel modo solo due volte nella vita, compresa quella.
Così, quando spalancò gli occhi in cerca di un appiglio e vide suo padre cercare di rassicurarla e calmarla,
lei si accorse di star ancora urlando e dimenandosi.
— Sonia...Sonny calmati! Sono papà, respira.
Quell'urlo cessò e la ragazza cominciò a piangere, il capo della polizia la stringeva amorevole.
— Andrà tutto bene.
Cazzate, pensò, questa volta succederà qualcosa di orribile.
E, mentre la sua mente elaborava pensieri che spaventavano la mora e la inquetavano, rimase zitta.
— Ora, ti prego, cerca di riposare.
Jason Bronx lasciò la figlia da sola nella camera dopo qualche minuto, dopo averle baciato la fronte ed essersi assicurato che stesse bene.
Si sotterrò sotto le coperte, nonostante facesse caldo, e si costrinse a respirare lentamente.
L'oblio, quello l'aspettava.



Sette giorni, ventitré ore, 19 minuti.
Erano passati sette giorni, ventitré ore, 19 minuti da quella sera.
Di merda.
Sonny sbuffò mentre si costringeva ad alzarsi dal letto da cui vegetava da tempo–ormai da giorni–e andarsi a fare una doccia.
L'estate stava fiorendo, le persone cominciavano a mettersi in viaggio per le vacanze e a svuotare la città, 
l'aria calda e afosa era presente già per la maggior parte della giornata, e Kim era quasi tutti i giorni a casa Bronx.
Il giorno dopo che Sonny era tornata a casa sana e salva, lei si era presentata piangendo sulla soglia di casa e l'aveva stretta a sé talmente forte 
che la mora aveva pensato di rimanerci secca. Per quanto apprezzasse la sua compagnia, rimanere li tutti i pomeriggi le sembrava esagerato, 
anche se sapeva che la sua amica era solo preoccupata e felice di riaverla con sé. 
Sonia però, nonostante gli incubi continui, quell'urlo che l'aveva intontita per giorni e lo scombussolamento totale, si sentiva bene, 
ma anche sempre più lontana dalla biondina, da suo padre e da quel mondo che sembrava non essere più il suo.



Per grande sollievo della mora, l'amica quel pomeriggio non poteva presentarsi a casa sua. 
Così diceva il messaggio che la biondina le aveva mandato, insieme alle innumerevoli scuse. 
Sonny aveva sorriso e, mentre cercava qualcosa da mettersi addosso nell'armadio,
fece cadere un maglione invernale che era stato malamente appeso. 
La mora lo raccolse e il suo sguardo si posò sul polpaccio della gamba destra.
Niente.
Assolutamente nulla.
Passò i polpastrelli, pensando di provare dolore o fastidio, ma non provò niente.
Dopo poco, non fece in tempo a formulare un unico pensiero che un conato le travolse lo stomaco e poi la bocca, 
piegandola in due, e facendole espellere del liquido nero come la pece e spesso come il sangue dalle rosee labbra.



Vomitò per un periodo indefinito, e ricoprì una buona porzione di pavimento con quella sostanza.
Tossicchiò per bene prima di afferrare due capi a casaccio e indossarli dopo la biancheria intima. 
Scese le scale, ancora sotto shock, per prendere uno strofinaccio e il secchio per pulire quel disastro.
Mentre rovistava tra i cassetti in cucina per trovare degli stracci, un rumore raschiante e acuto gli perforò i timpani,
facendole portare di scatto le mani sulle orecchie per coprirle. 
Si stupì di non trovarci del sangue.
Anche se era durato un secondo, quel suono l'aveva intontita abbastanza. 
Subito dopo un rumore forte e metallico le arrivò all'udito.
Il portone si aprì e un Jason Bronx fece capolinea in cucina, in divisa e con un'aria preoccupata accoglieva il viso dolorante di Sonny. 
In un attimo il padre le fù vicino.
— Sonny, tutto bene?!
La mora annuì e, munendosi di stracci e robe varie, salì le scale scomparendo dalla vista dell'uomo.



— Sei sicura di non voler mangiare niente? 
— No papà.
Il capo della polizia era poggiato allo stipide della porta, le braccia incrociate e il viso corrucciato, illuminato dall'ansia.
— E...per caso ti va...beh, ti va di...parlarne, di...
Sonny sapeva dove voleva andare a parare e bloccò il suo tentativo sul nascere.
No.
Disse secca.
Sonny si era costretta a sorridere cercando di far andare via il padre e, dopo un po' di sguardi silenziosi, rimase da sola con la sua testa.
Che diamine aveva vomitato?
La mora stava per esplodere. Si sentiva una granata: sarebbe esplosa bruciando lei e tutto ciò che aveva intorno. 
Suo padre, Kim...
Senza accorgersene, aveva tenuto per se innumerevoli segreti; la storia di Nick-che avrebbe dovuto raccontare al padre, ma che non fece-
il licantropo, il morso, le conseguenze di quest'ultimo sparite...e adesso il mucchio disordinato di queste conoscenze le si stava rivoltando contro, schiacciandola al suolo freddo della sua coscienza e del suo rimorso.
Non riusciva a capirne il significato, ma sentiva di doversene andare. E anche in fretta.
Sfogliò il bestiario che aveva in mano; dopo quello che le era successo, come minimo voleva sapere di più su quella cosa.
Licantropia..
Licantropo..
Licantropi: creature mostruose che terrorizzavano la popolazione del medioevo.
Creature condannate.

Zanne, artigli, occhi illuminati...
Sonny strinse gli occhi più forte che poté. Cominciò a pensare freneticamente, le mani che s'intrecciavano tra loro.
Poi si scoprì a ricordare di quando aveva urlato...in quel modo, la prima volta. 
Se lo ricordava a sfumature, per gli anni che erano passati, e chiaro allo stesso tempo.
Gli si era impresso nella memoria come un tatuaggio indelebile, disegnato fino alle membra e alle cervella, incancellabile.
Successe prima di trovare un cadavere, prima di svenire di botto.
Quello di sua madre, in cantina.


Le palpebre le si aprirono di scatto, il respiro affannoso era accompagnato da forti palpitazioni e sudorazione accelerata. 
Si diede un contegno mentale.
Ricacciò alla buona le poche lacrime che cercavano di sgorgare, la mano sfregò le guancie e le palpebre.
Ricominciò a leggere, questa volta con un filo di ottimismo in più.
Licantropo e lupo mannaro: le differenze.
S'interessò maggiormente, la sorpresa le definiva i tratti morbidi.
Il primo è legato alla sua parte umana, può trasformarsi quando vuole e possiede autocontrollo. 
È diventato un licantropo attraverso il morso o è nato da due di essi. 
Il secondo è un umano maledetto, costretto a trasformarsi in un vero e proprio lupo durante il plenilunio e allo spargimento di sangue durante esso. 
Creatura maledetta dal diavolo..

Lei era stata morsa da un licantropo, perciò...
Oh.
Si decise a chiudere il testo, aveva letto abbastanza.



Si erano fatte le undici ormai, Sonny stava cercando di addormentarsi mentre il padre era già caduto tra le braccia di Morfeo da un pezzo.
La città era immersa nel silenzio e nelle luci ondeggianti dei lampioni. 
Loro, che vivevano più verso la periferia, erano immersi nelle più totale tranquillità. 
Ecco perché, quando era accaduto del rapimento di Sonia, la notizia era corsa veloce tra bocche di tutti gli abitanti come una chiazza d'olio.
La mora sbuffò, non riuscendo a perdere conoscenza.
Rigirandosi nel letto, una ventata di aria gelida la trapassò da parte a parte. 
Si alzò lentamente, la finestra era aperta.
Ormai non si stupiva più, non era neanche sicura di averla chiusa, convinta che la sua testa si prendesse gioco di lei, della sua insanità.
Si sentiva insana, malata, travolta da qualcosa più grande di lei.
Non poteva che dare la colpa a quel morso.
E anche al fatto di essere impazzita, nonostante tutto, non erano presenti nè le cicatrici e nè delle lesioni di quell'incidente.
Di quell'aggressione.
Sfiorò la cornicie bianca e di legno della finestra, guardò fuori in cerca di qualcosa in movimento.
Los Angeles era silenziosa e cupa, quella notte.
Si perse nell'oscurità così famigliare in cui era immersa la città.
Il suo corpo stava cambiando, lei era troppo intelligente per negare l'evidenza.
Aveva vomitato un quantitativo di una sostanza nera a lei sconosciuta, sentiva i rumori amplificati, aveva perfino sentito un aroma di menta e sudore nelle narici, fino al petto e ad invadergli la mente quando suo padre era entrato dalla porta principale.
Con uno scatto, che rimpì i suoi pensieri, Sonny chiuse la finestra.
Ho bisogno di dormire, pensò, e fece per girarsi e tornare a letto. Qualcuno glielo impedì.
Una mano le fermò il grido che già le riempiva la gola e le corde vocali, rendendola momentaneamente muta.
La figura dinanzi a sè, illuminata leggermente dalla luce della luna, le fece segno di far silenzio e, 
dopo essersi assicurata che Sonia non avrebbe urlato, le tolse le dita dal viso.
Nick..?!
Gli urlò bisbigliando.
Che cazzo ci fai qui?
Il moro esibì un sorrisetto sghemo, uno dei suoi, che mettono comunque timore alle persone. Ma non a Sonia Bronx.
— Sono felice di vederti anch'io, zuccherino.
Sussurrò in modo sensuale e la ragazza, che era arrossita di un poco, se n'era accorta.



— Ma insomma, ti sembra normale fare James Bond? Dalle mie parti non si entra furtivamente dalle finestre e non si piomba sulla gente così!
— Oh si, certo! La prossima volta suono il campanello e, tranquilla, a tuo padre ricorderò il fatto che sono un criminale ricercato
oltretutto quello che cerca lui da due anni, se non ti ricordi, tornato per riprendere sua figlia. Lo farò senz'altro.
La risposta ironica e spinosa del moro aveva colpito Sonny come una sberla in pieno viso.
Come, tornato per riprendere sua figlia? La mora assunse un'aspressione confusa.
— Devi venire con me, ora.
Le disse netto e deciso afferrandola per un braccio.
— Ma di cosa stai parlando...
Sei stata morsa, Sonny, devi venire con me.
— Io non mi muovo da qui, mi stanno...
— Succedendo tante cose nuove e strane, no? Fidati, lo so. Per questo devi venire con me.
I capelli neri come la pece si confusero con l'oscurità della stanza, dove la ragazza si sorprese a dover prendere una decisione.
— Senti, ti devi fidare di me.
— Mi pigli per il culo?
Sonia Bronx aveva tante espressioni miste in un tuttuno, sparse tra i lineamenti dolci e giovanili; rabbia, confusione, interessamento, diffidenza...
Si sentiva persino leggermente sollevata di vederlo tutto intero dopo qulla notte, il che significava che forse lui ne capiva davvero qualcosa in più di lei.
— Ti devo portare nel Dallas, per forza. I Mes sono tutti li, non ce ne sono molti nelle vicinanze e non li conosco, comunque.
— Chi sono i Mes..?
Medici esperti in Anatomia e medicina soprannaturale e roba varia.
Dio santo...
La mora sospirò, in che guaio si stava per cacciare?
— Dovrei andarmene di nuovo da mio padre?
— Fidati, è più salutare sia per lui che per te. Sopratutto per lui.
Le si bloccò il sangue nelle vene, poteva diventare un potenziale pericolo per il suo genitore?
— Perchè ti interessa tanto?
— Perchè vivi in una città abbastanza affollata, diamine!
Aveva urlato Nicholas cercando di tenere un volume basso.
La mora visualizzò le probabilità; per quanto ne sapeva, dopo essere stata morsa poteva capitarle l'impensabile, si sarebbe trasformata? 
Morta per una malattia che nessun medico normale conosceva? Cosa le rimaneva da fare? Era totalmente terrorizzata. 
Non sapeva cosa le stava succedendo, dopo quello che aveva letto aveva paura di diventare un licantropo a sua volta e Nick, che era lì in piedi, 
totalmente rilassato e in attesa di una sua risposta, sembrava così sicuro di quello che faceva e delle sue conoscenze, 
tanto da mettere al tappeto una di quelle creature...
La disperazione la portò a fare ciò che fino ad un paio di settimane prima non avrebbe mai fatto.
— Okay.
Nick non nascose un sorrisetto vittorioso.
— Ma ad una condizione.
Il moro alzò gli occhi al cielo.
— E sarebbe?
— Mi prometti di spiegarmi tutto e di aiutarmi? Ah, ovviamente anche di essere al corrente di ogni cambiamento o faccenda che mi riguardi, okay?
Okay.



— Preso tutto l'occorente, principessina?
Smettila di affibbiarmi questi nomignoli stupidi.
Aveva ringhiato Sonny, una borsona piena fino all'orlo su una spalla e una felpa legata in vita.
— Andiamo, seguimi.
Il moro aprì delicatamente la finestra e si catapultò fuori in un attimo, sul tetto sottostante.
La giovane Bronx si stupì della sua agilità.
Nicholas, che non sentiva alcuna presenza dietro di sè, si girò e con un gesto della mano indusse la mora a seguirlo.
— Cosa? Dovrei saltare? Sei fuori?
Sbottò sbigottita. Il disagio di Sonny divertì il ragazzo che esibì una fila di denti bianchi.
Si avvicinò all'apertura quadrata e tese le mani alla ragazza, stando attendo a non scivolare. 
Un perfetto equilibro tra peso e forza era quello che doveva esercitare.
Sonia fuoriuscì la gamba destra e dopo quella sinistra, poi si sedette indecisa.
Beh, pensò, dopo quello che ho passato direi che questa è una sciocchezza.
Si fece scivolare piano lungo la superficie fredda del muro e Nick l'afferrò per i fianchi, portandola dinanzi a sè.
Si fissarono. Il fiato della mora era avanzato per colpa del macrospavento, quello di Nick perfettamente rilassato.
Come sempre, d'altronde.
Ma Sonny potè giurare, nonostante fosse ancora inesperta e inconsapevole delle sue nuove doti, 
di aver sentito i battiti del ragazzo aumentare di un poco per qualche attimo sfuggente.
Lo sguardo di Nick, che si era un poco addolcito, era ritornato impenetrabile e scuro.
Condusse Sonny giù per il tetto indicandole i rami sporgenti dell'albero difronte-sui quali si era rampicato prima- e salirono a bordo dell'auto laccata di nero di Jonas.
Nicholas mise in moto e Sonia, che si era sentita come in una bolla per una settimana intera, si sentiva esplodere.
Avrebbe bruciato tutto ciò che le stava attorno, ragazzo alla guida compreso?
— Okay, Jonas, raccontami tutto su cosa mi sta accadendo, perchè non ci stò più a capire un cacchio.
Jonas? Da quando tutta questa confidenza?
Aveva chiesto sarcastico, sorridendo appena.
La giovane lo guardò male, in attesa di una risposta piena che le avrebbe riempito tutte le sue lacune e dubbi.
— E' una storia lunga, pronta ad ascoltarla?
— Mai stata così pronta, davvero.
Rise ansiosa di sapere, lei.



 
Con grande piacere, vi mostro i poster dei capitoli 1, 2, 3 e 4 (accurati da SpreadYourWings98):
 

   
    



Colonna sonora:
Got Dynamite - Demi Lovato.



 
Ehi, you!
Ciao, lettore! So che mi amate perchè ho postato subito il capitolo, mi amerei anch'io! ahahahha.
Aaaallora, che succede? Tante cose belle belle, lol.
Mmm, cadaveri, licantropi, lupi mannari, gente insana, Folkrore, mezzo continente coinvolto...si forse c'è poca roba...
Ahahahahha, il capitolo èvenuto di getto, spero che vi piaccia!
L'avventura inizia adesso, guys!
Kiss,
- Rea.

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Capitolo 5
*** Underground. ***


 

Insane.






Capitolo 5.

 
 
          

 
Quell'astro latteo, perfettamente circolare, brillava nel cielo, la sua lucentezza e pienezza vestivano elegantemente la luna durante la notte di plenilunio.
Sonny se ne accorse quando il suo sguardo si perse nella luminosità del satellite. 
Mai nella sua vita si era sentita così affascinata da quel cerchio perfetto.
— È la trasformazione, non ti spaventare.
La voce di Nick riportò l'attenzione della ragazza su di sé. 
Ancora una volta sentì il bisogno di sapere.  
Di sapere cosa le stava succedendo, ciò che il mondo le aveva sempre mostrato e che lei non aveva mai visto perché era troppo cieca. 
— Che cosa intendi?
Il ragazzo, per risposta, fermò la macchina, tirò il freno a mano e si calò in testa il cappuccio scarlatto della felpa.
Poi rivolse la sua attenzione alla giovane Bronx.
— Il viaggio è lungo, prima di cominciare direi di prenderci qualcosa da bere... Ti va bene un cappuccino?
Sonny alzò un sopracciglio, scettica.
Jonas esibì un sorrisone strafottente.
— Lo prendo come un si.
Ed uscì dall'auto lasciando basita la mora, mascella a terra e tratti somatici dipinti dalla confusione.



Nicholas tornò con due bicchieri fumanti, un sorrisetto che doveva sembrare affettuoso nonostante il disastroso tentativo del moro 
e innescando tanti dubbi nella testa della mora, inconsciamente.
— Mi spieghi perché sei tutto carino d'un tratto?
Chiese scettica la ragazza.
Il moro rise leggermente.
— Non ci sei ancora arrivata? Era tutta...
— Oddio, mi vuoi stuprare!
Strillò Sonny coprendosi le spalle in una vaga posizione di difesa.
Nick la guardò incredulo, storgendo il viso.
— Dolcezza, se ti avessi voluto stuprarti l'avrei fatto già da tempo, non credi?
Rise ammiccando, lui.
Sonny si sentì arrossire per la vergogna, ma questo non impedì alla sua mano perlata di colpire forte la guancia destra del moro. 
Il silenziò regnò solo un paio di secondo, il tempo necessario a far capire a Nick ciò che gli era successo.
Lui la trucidò con lo sguardo, lanciò i due bicchieri cartacei al suolo e le afferrò i polsi, stringendoli. 
Il liquido candido delle bevande formò una grande chiazza per terra, liberando un odore dolciastro.
La giovane Bronx mandò giù un groppo di saliva e lo guardò con sfida.
Nicholas si avvicinò pericolosamente al viso di lei, soffiandole menta fresca. 
Quando il suo viso si spostò sull'orecchio della mora, quest'ultima trattenne il fiato.
— Mi devi due cappuccini, stronzetta.



Sonny aveva sbuffato per la terza volta quando, dopo un'ora buona di viaggio, 
il moro non si era ancora deciso ad aprire bocca.
— Senti mi dispiace, okay? 
Disse mordendosi la lingua, lei.
Maledetta curiosità, pensò adirata.
Nick la guardò in faccia, il viso tirato in un'espressione imposta. 
Poi ad un trattò si lasciò andare all'ilarità e la sua risata riempì la vettura e le orecchie di Sonia, che si scoprì inspiegabilmente sollevata.
— Touchè .
— Come scusa?
— Touchè! Per prima, me lo sono meritato. Ma vederti imbronciata e chiedere scusa non ha prezzo.
— Stronzo.
Biascicò lei, senza però nascondere un sorriso.



— Allora, chiedi pure.
Nicholas stringeva forte il volante, la sua pelle risplendeva con la luce della luna, 
la fila di denti bianchi in mostra per un sorriso tutto fuorché rassicurante.
— Bene, prima cosa: perché stai cercando di fare il simpatico?
Chiese lei.
— Beh, ti servirà un alleato nella C.M.E.
— Cos'è la C.M.E.?
— Non posso dirtelo, se prima non fai una scelta. In realtà, non potrei dire niente se prima non fai la scelta.
La confusione pervase i tratti della mora. Nick assunse un'aria seria, costruita. 
— Forse ci sei già arrivata, ma se vieni con me non potrai più tornare indietro. 



Se avete presente la sensazione che vi travolge quando dovete affrontare una prova importante, 
che vi attanaglia le membra, che vi crea la pelle d'oca e i brividi per l'ansia, talvolta anche forti emicranie e giramenti di testa, 
allora sapete perfettamente come si sentì Sonia Bronx in quel momento. 
Si sentiva divisa in tanti pezzi, frammenti che costruivano la sua vita, che erano sparsi per Los Angeles, la sua città.
Era stata costretta a lasciarla.
A lasciare suo padre.
La sua amica.
I suoi sogni. 
Perché, per quanto sia stata acida, cinica, orgogliosa e per certi versi parecchio stronza, dei sogni ce li aveva anche lei.
Tutto per cosa? Uno stupido morso?
Sonny si sentì a pezzi, ma non si sentiva per niente di tornare indietro. Non poteva più, ormai.
Quel mondo non gli apparteneva più.
Era uscita dal giro già da un pò, non aveva mai guardato con sincerità il mondo girarle intorno e lasciarla indietro, tra le sue incertezze e le sue paure. 
Forse era più di una ragazzina difficile con un padre poco presente nella sua vita e un'orfana di madre.
L'avrebbe scoperto lasciandosi indietro la sua vecchia vita...E già le mancavano il padre e Kim. 
Ricacciò indietro le lacrime. 
Quella era stata la decisione più folle, perversa e difficile che aveva preso in tutta la sua vita.
Si sarebbe ricostruita pezzo per pezzo.



— So che è difficile, ma hai preso una decisione?
Il sussulto si Sonny diede la conferma che si era risvegliata dal flusso potente e inebriante dei suoi pensieri.
Nick la guardò in attesa di una risposta, così da sapere che strada prendere.
— Si. Verrò con te.
Il mondò si calmò per qualche minuto, Nicholas annuì e la mora si sentì completamente a suo agio. 
Sperò di aver fatto una scelta giusta, per una volta.
— Adesso ti racconterò tutto ma ad una condizione, va bene? Non devi interrompermi, chiedi solo alla fine.
— Va bene.



— La C.M.E. è un'associazione, diciamo, particolare, ecco. È un'abbreviazione che indica Cooperazione membri sperimentali. 
È enorme, espansa in tutto il mondo, in ogni stato ce n'è una e se questo ti sorprende, dovresti vedere dov'è situata...
L'istintivo tentativo di chiedere di Sonny fù bruscamente interrotto dallo sguardo concentrato di Nick, che balzava tra la mora e la strada dinanzi a sé. 
— Sappi che diventerà la tua nuova casa. La dentro imparerai tutto, come gestire le tue potenzialità, le emozioni, il controllo. 
Imparerai a difenderti e ti farai una cultura folkroristica. Diventerai utile per la Cooperazione.
La giovane Bronx si accigliò. Stava davvero per farlo.
— Vorrai sapere come ti ho trovata, adesso, giusto?
Sonny venne invasa da una sensazione frenetica, le pizzicavano la lingua e il palato, le mani erano sudaticce. Si che voleva saperlo.
Il moro la guardò indeciso. Non sapeva se raccontarle com'erano andate davvero le cose o se infilarci dentro qualche bugia. 
Si scervellò per qualche secondo, poi capì che in un modo o nell'altro, tanto, l'avrebbe capito o gliel'avrebbero detto.
— La C.M.E. è in continua recluta di nuovi membri, soppratutto di Eccezionisti.
Sonny annuì incerta.
— Gli Eccezionisti sono le persone come te, quelli con umani, con potenzialità anormali. 
— Aspetta un attimo...cosa? Non sarei umana?
Nick guardò stupito la ragazza: la pensava più intelligente.
— Svegliati Sonny, sei stata morsa. È ovvio che non sei più umana. Per questo ti sto portando, dobbiamo capire cosa sei diventata. 
Anche per il mio occhio esperto sei qualcosa di sconosciuto, dal momento che non sei un licantropo.
— Ah, no?
— C'è la luna piena, secondo te che aspetto avresti adesso se fossi un lupo mannaro?
La mora si sentì un poco sollevata, poi si ricordò di cosa aveva letto dell'argomento.
— Lupo mannaro e licantropo non sono cose diverse?
Il ragazzo scoppiò a ridere.
— Sono la stessa cosa, non avrai mica letto su Google, spero!
Sonny si morse il labbro, nuovamente in imbarazzo.
— Stavo dicendo, non ho ancora capito cosa tu sia, ed è necessario portarti con me. 
Comunque, la C.M.E. è composta da 6 Aree, te ne parlerò una volta lì. 
Ti dico solo, in breve, che cercano in continuazione membri usufruendo di tutti i registri della popolazione americana. 
Ogni mese, ad ogni Azionista ne assegnano uno da cercare e portare alla cooperazione. A me sei capitata tu.
— Ma non capisco, e i soldi del riscatto?
— Io non sono solo un Intendente e un Azionista, ma anche una specie di fratello per Joe, uno dei due Eminenti. Lui e suo fratello sono a capo dell'intera organizzazione. Essendo una spacie di braccio destro, aiuto anche a raccolgliere i soldi per finanziare la C.M.E..
Oh, ora capiva tante cose..
— Adesso riposati, domani arriveremo e devi visitare la struttura.
— Okay. 
Soffiò lei, intontita. Per una volta, la sua mente risultò vuota, libera dagli schemi che si creavano in continuazione. 
Si sentì stanca e leggera, travolta dalla stanchezza. Così, mentre il sole sorgeva, creando giochi di colori e sfumature nel cielo vitreo, 
lei cadeva tra le braccia di Morfeo e tra lo sguardo sfumato del ragazzo accanto a sè.



— Piccola, svegliati.
Nick stava scuotendo la ragazza cercando di svegliarla.
— Nicholas Jonas, un giorno di questi ti ammazzo.
— Oh zuccherino, sarei elettrizzato all'idea di farmi uccidere da una piccola Mezzosangue.
La derise uscendo dall'auto e chiudendo la portiera. Prima di rendersene conto, Sonny era uscita dall'auto subito dopo.
Il moro portava il suo consueto e sfilacciato zaino nero in spalle, di nuovo.
— Una mezzosangue?
Quel ragazzo non faceva che stupirla. Quante altre cose avrebbe imparato in quel posto?
— Dalle mie parti li chiamiamo così quelli appena trasformati e che non hanno vissuto tutta la vita come un'Eccezionista.
Spiegò lui facendo spallucce.
Eccezionista. Di nuovo quella parola.
— Un'Eccezionista?
Nicholas alzò gli occhi al cielo e chiuse con la chiave la macchina.
— Svegliati! Ricordi? Te l'ho detto prima, gli Eccezionisti sono le persone non umane, con poteri soprannaturali. 
Oh, già. 
— Se ragionassi un pò con quella testolina bacata saresti arrivata alla conclusione che, come la parola stessa dice, avete metà sangue umano e metà no.
Questo perchè sei ai primi giorni dopo la trasformazione, tra qualche tempo sarà tutto sangue anormale.
La mora alzò gli occhi al cielo, spazientita.
Era una sua impressione o Nick stava diventando più ironico e si divertiva a sfotterla in continuazione?
Come se fosse una novellina...anche se in effetti lo era. Ma lei che ci poteva fare se non sapeva niente di folkrore, lupi e roba del genere fino a qualche settimana prima?
— Da quand'è che sei così simpatico?
— Seguimi.
Il moro si infilò le mani nelle tasche dei jeans, superò la mora a grandi falcate e si diresse verso una boscaglia, una fila disordinata di alberi.
Sonia Bronx si era sempre immaginata il Texas come un posto isolato dal mondo, caldo e arido.
Adesso invece si dovette ricredere quando si guardò un pò intorno e, stando sempre al passo con il ragazzo, 
vide tanti alberi germogliosi, delle persone che passeggiavano allegre, un lago persino.
L'aria afosa però si, quella era presente e anche parecchio.
Sonny e Nick sorpassarono qualche albero finchè la loro vista fù colmata dal nulla.
Una lunga distesa, ricoperta da erbacce prematuramente secchate dal caldo, e circondata perfettamente da abeti, betulle, quercie e altri arbusti che la giovane non riuscì ad identificare.
Nick non si fermò, anzi, condusse la ragazza fino al centro arido di quella distesa.
S'inginocchiò e spostò con le mani le erbaccie. Quel che vi trovò stupì di molto la ragazza. Fango?
Il moro intanto aveva disegnato una circonferenza con l'indice e aveva afferrato, con fare molto esperto, 
un pugnale che aveva poi conficcato nel bel mezzo di quella figura geometrica.



Il ragazzo tornò diritto e allungò il braccio in cerca del corpo di Sonny, per poi allontanarsi con lei dal coltello, di qualche passo.
L'ansia strinse lo stomaco della mora, le si seccò presto la gola, in attesa di vedere cosa doveva succedere. 
Inaspettatamente poi, qualcosa unì i tasselli di quell'assurdo e insano puzzle. 
Allineò l'universo, rimise le stelle al loro posto, portò il silenzio in quel pozzo rumoroso che era il mondo.
Le dita fredde di Sonia Bronx cercarono la mano forte del ragazzo.
La strinse tra di esse e, mentre la pelle perlacea si riscaldava prendendo forma della pelle calda di quella stretta così forte, i loro sguardi si legarono.
Mentre nel cielo i colori vivaci del tramonto cominciavano a mescolarsi nell'azzurro tenue, 
il silenzio veniva spezzato da un rumore inizialmente ovattato, che in poco tempo sfumò sul metallico.
I loro occhi si separarono, ma le loro mani no. Poi ad un tratto la presa ferrea del ragazzo si fece lenta e, con un brusco movimento, 
quel legame si spezzò lasciando la giovane Bronx insolitamente vuota. 
Il coltello balzò dal terreno, tornado al mittente. Nick non si fece trovare impreparato, probabilmente perché non era la prima volta che lo faceva e afferrò il coltello per il manico con molta agilità, mentre Sonia, che non se l'aspettava, emise un verso strozzato.
Lui la guardò divertito e la mora non fece in tempo a ribattere, che la sua visuale venne sconvolta dal terriccio che si apriva in due, formando un rettangolo di vaste dimensioni.
— Entrata ad effetto, vero?
Le aveva chiesto retorico sfoggiando uno di quei sorrisetti del suo repertorio.
Insano, pericoloso.
Indecifrabile, aggiunse la mora.
— Beh, in effet...
Le parole le morirono in gola quando Nick le cinse le spalle e i fianchi con le braccia, stringendola a sé.
Il respiro le si mozzò, le guancia si dipinsero di porpora e il polso aumentò vistosamente, facendola vergognare a morte e facendole ringraziare il cielo di avere il viso premuto contro il petto di Nicholas.
Sonny sentì le labbra carnose del moro sfiorargli un orecchio.
— Aggrappati forte.
Se avesse avuto il tempo di formulare un pensiero prima di sentire il suo corpo leggero e in balia del vento, 
appiccicato a quello del ragazzo di fronte a sé e immerso nell'oscurità nel quale Nick si era lanciato con lei appresso, beh, avrebbe probabilmente pensato una cosa sola.
Insano.



Planarono per qualche secondo, la giovane urlava e lui sorrideva con la guancia bollente sulla testa della ragazza. 
Aveva sempre avuto una temperatura corporea alta.
Quel frammento di solitudine, che aveva straordinariamente condiviso con la mora, svanì nello stesso istante in cui i loro corpi vennero a contatto con una superficie morbida e molleggiante. 
Il moro aveva diviso i loro corpi un istante prima di atterrare, in modo tale da non schiacciarsi a vicenda, 
e adesso condivideva un'altro frammento di tempo ad avere il fiatone con Sonny per la troppa adrenalina.
— Wow...è stato, è stato fantastico!
Rise di gusto, lei.
Erano distesi sopra una pila di materassi in lattice, Nicholas li conosceva bene. 
Si alzò, molleggiando leggermente sui talloni, e afferrò le mani stese verso di lui della mora tirandola su.
La accompagnò ad una scala, poggiata di fianco alla pila di letti matrimoniali, e la utilizzarono per scendere.
Quel posto era bianco, spoglio e freddo. La giovane si sfregò le braccia. 
Camminano fino ad una parete, sporca e scavata dal tempo, alta alcuni metri, forse dieci, e lunga altrettanto. 
Una porta grigio-perlata spiccava in mezzo alla superficie biancastra e tra due uomini alti, posti ai lati.
Questi ultimi erano vestiti di abiti neri, tute anti-sommossa e con armi nascoste in punti non visibili ad un occhio esperto.
La mora seguì Nick, che si affrettò a raggiungerli.
— Identificazione. 
Ringhiò l'uomo a destra. 
Sonny vide scomparire ogni traccia di emozione dai candidi tratti del moro, messe da parte da un'espressione rigida e vuota.
La postura si raddrizzò in maniera esemplare, le mani si congiunsero dietro la schiena.
Forse gli occhi, solo quelli, rimasero uguali, ma ugualmente impassibili.
— Nicholas Jerry Jonas, numero 15-9.
Una telecamera nascosta fece capolinea dalla parete e scansionò il ragazzo da cima a fondo, prima di passare alla mora, che si irrigidì.
Quando la porta si aprì, quei due colossi si spostarono maggiormente per fargli passare. 
Avanzarono sicuri, Entrarono e percorsero un lungo corridoio, anche quest'ultimo bianco, e arrivarono all'enesima porta.
— Ma qui è tutto così colorato?
— È un metodo psicologico per annullare qualsiasi emozione, lo imparerai.
La freddezza che usò Nick turbò la piccola Bronx a tal punto, da farle pensare che il ragazzo di fronte a lei non fosse proprio Nicholas Jonas, bensì una copia ammaccata.
— Sonny.
Sospirò il ragazzo accanto a lei, rubandole l'attenzione. Le afferrò le spalle guargandola dritto negli occhi.
— Adesso entreremo e ci divideremo...
— Cosa?
La mora si sentì disorientata, persa come in un bicchiere d'acqua. Si rese conto di non voler rimanere da sola.
Nick la guardò per qualche secondo, si sentì dispiaciuto di vedere il panico stampato sul viso della ragazza, e senza pensarci un attimo, l'abbracciò forte.
— Ehi, stai tranquilla. Andrà tutto bene, d'accordo? 
Lei annuì sul suo petto. Si sentiva stanca, frustrata.
Nicholas sciolse la stretta lentamente e ristabilì il contatto visivo.
— Allora, da adesso è semplice, okay? Entriamo, ti vai a sedere con il resto del gruppo e vi dividiamo, capito?
— Okay.



Quando Sonia varcò quella porta, capì cosa intendesse il ragazzo con il resto del gruppo.
Decine di ragazzi, forse centinaia, camminavano per quella vastissima sala.
Anche quest'ultima era bianca. File e file di sedie grigie erano poste ordinatamente per la stanza.
Lei si mosse solo quando Nick le afferrò la mano e la condusse a sedersi.
Dopo averle accarezzato il braccio e averla guardata in modo rassicurante, si allontanò, lasciando Sonny a se stessa.
Si guardò il torno, spaesata. Non c'erano quadri, nè fotografie o roba varia a decorare le pareti della sala quadrata,
oltre le sedie c'era un piccolo palco improvvisato con un'asta ed un microfono, probabilmente professionale, 
delle casse giacevano a qualche metro di distanza e un unico telo giallo era appeso al muro di dietro, la parola C.M.E a colorarne il tessuto di nero.
Giallo. Alla vista di quel colore la ragazza ritrasse lo sguardo posandolo sulle persone che prendevano posto.
Il suo udito sviluppato percepì un silenzio assordante. 
— Benvenuti, Eccezionisti.
L'uomo slanciato, ben piazzato e biondo che parlò al microfono, catturò l'attenzione di tutti.
Dietro di lui c'erano una serie di ragazzi, perlopiù ventenni, composti, in fila e vestiti tutti di blu.
Tra di loro era presente anche Nick, che la osservava. Come aveva fatto a cambiarsi così in fretta?
Sonia rivolse il suo sguardo sull'uomo difronte all'autoparlante.
— Benvenuti nella C.M.E., la vostra nuova casa. Questo mese siete in 213, complimenti agli Azionisti!
Inclinò il busto leggermente da entrarmi i lati per fare un applauso ai numerosi ragazzi in divisa blu dietro di lui.
— Bene, io sono Joe Black, fondatore dell'azienda. Io e mio fratello siamo a capo di tutto, ricordatevelo. 
Oggi farete la registrazione e la visita di tutte le aree, per capire meglio come funzionano qui le cose.
Un mormorio generale si alzò per aria, ma venne bloccato sul nascere dal gesto della mano del biondo.
— Verrete decimati e ogni gruppo di circa venti persone avrà un Intendente, la vostra guida. Per ogni dubbio o domanda, chiedete a loro, loro vi formeranno e vi indirizzeranno a diventare esperti per ciò che siete in grado di fare e coscenti di ciò che rappresentate. Per il resto, siete già stati suddivisi e scelti. 
Adesso, verrete collocati con il vostro Intendente e poi comincerete il tour. Buona giornata, Eccezionisti.
Joe Black lasciò il microfono e impassibile se ne andò, lasciando tutti i presenti duecentoventitrè ragazzini nel pallone. 
L'attimo di disorintamento durò poco, fin quando Nick non si fece avanti per parlare e si presentò, riflettendo su di sè l'attenzione degli Eccezionisti.
— Il mio gruppo è composto da 21 persone.
Il moro fissò per bene tutte le file, soffermandosi sulla ragazza e cominciò a leggere e chiamare le persone sul suo elenco. L'ansia smise di stringere le budella della ragazza solo quando il suo nome uscì rigido dalle labbra del giovane. Era con lui. 
I ragazzi chiamati si alzarono, sotto segno di Nicholas e lo seguirono, pronti a visitare l'associazione, mentre gli altri venivano smistati.
Sonia studiò qualche membro del suo gruppo; erano perlopiù ragazzi, tutti apparentemente normali, senza nulla di speciale. Come lei.
Si sarebbe presto ricreduta.



Linee, si intrecciavano, creavano luoghi e posti che lei non aveva mai visto.
Si dice che il mondo sia parallelo e vedibile solo a chi vuole realmente vedere, riservato a chi osserva in modo particolare.
Sonny Bronx aveva vissuto la sua vita nell'ombra per 18 lunghi anni.
Non si era mai immaginata una cosa di vaste dimensioni e importanza.
La Cooperazione era grande quanto una vera e propria città, una cittadina sotterranea.
Eppure, per quanto avevano veduto i suoi occhi, sentiva che qualcosa non andava, mancava.
Mancava qualcosa di molto importante, lo percepiva sotto la pelle. Non trovava il nesso logico a niente.
Le spiegazioni gliele avevano dato, le cose concrete le aveva viste, e allora, perchè sentiva una fastidiosa sensazione di non conoscere tutto?
Forse aveva visto, ma non aveva osservato nel modo giusto.
Aveva visto le sei Aree che componevano la C.M.E.
Ognuna di loro era stata costruita con una casa all'interno, ovvero dove vivevano gli abitanti, 
e con delle caratteristiche diverse per ogni Area.
Aveva visto l'Area dei Ricercatori, una zona dalle mura lucide, chiare e vuota come le altre cinque. 
L'immagine di archivi ovunque, persone dall'aria intellettuale ed estremammente posate, vestite di un'unico capo-che copriva dalla base del collo fino alle scarpe-, monitor e apparecchi teconologici di cui non sapeva l'esistenza, presenti nelle innumerevoli stanze di quella zona, le invasero la mente.
— Qui vivono i Ricercatori, si occupano di tutti gli archivi folkroristici, statistici e dei dati.  Sono alla continua ricerca di informazioni su materiale fantastico e su nuovi membri per la Cooperazione, sia intellettuali straordinariamente intelligenti che di persone con capacità innaturali. Ogni test che farete e i suoi risultati, 
ogni miglioramento verranno segnate nelle vostre cartelle. Possiedono tutti gli archivi con dati di ogni tipo sulla popolazione Americana.
Il brusio, costantemente presente su quelle bocche inesperte, aveva accompagnato l'annoiata spiegazione di Nick, che camminava a passo spedito verso altre porte, qualche volta gesticolando per farsi comprendere meglio. Nonostante i dubbi che si stampavano di tanto in tanto sui visi dei nuovi membri, 
quasi nessuno fece domande. 
Non si era di certo dimenticata l'Area degli Azionisti.
Ricordò che i suoi pensieri sfumarono durante quel pezzo della visita.
C'erano rifornimenti di armi ovunque, attrezzature per esercizi, tute anti-sommossa raccolte in una vasta stanza assieme ad altre armi.
Inoltre quell'area era diversa: su tutta la superficie del pavimento erano state dipinte linee nere in diversi schemi, il che fece pensare alla giovane Bronx che l'allenamento era una priorità di tutti i giorni. A confermare i suoi dubbi furono dei ragazzi che erano impegnati a fare stiramenti, 
altri che correvano seguendo una striscia color pece, altri che facevano flessioni, alcuni persino tiravano con l'arco. 
— Gli Azionisti sono quelli che partono in missione per trovare altri membri, che vengono assegnati dai Ricercatori. 
Molti di loro vengono addestrati per proteggere la C.M.E. e controllare che ci sia ordine e disciplina.
Passarono in fretta anche li e proseguirono secondo il ritmo incalzante di Jonas, che sembrava non vedere l'ora di finire quella specie di tour.
La terza zona fù quella degli Intendenti. La loro Area non era molto particolare, ovviamente anch'essa dipinta di una tonalità lattea.
C'erano sedie e scrivanie munite di portatili posizionati quà e là e molte librerie in legno poggiate alle pareti. 
Quasi metà dell'Area era piena di attrezzature sportive, lance e coltelli di ogni dimensione conservate in un enorme armadio vetrato.
C'erano poche persone che si aggiravano per quel salone.
— Questa è l'Area degli Intendenti e degli Eminenti, non scordatevelo. Come potete notare questa Area è la più grande, perchè tecnicamente sarebbero due unite.
Gli Intendenti sono in molti, ma poco presenti qui, si trovano più che altro in tutte le Zone. Loro sono quelli che vi formano i novellini come voi e i nuovi membri normali. Tanti di loro sono anche Azionisti, Sviluppatori o Ricercatori. Essendo a capo di tanti settori, hanno molteplici capacità in confronto agli altri, che ne hanno una fondamentale e altre considerevoli. Gli Eminenti, come prima vi ha detto Joe, sono i capi dell'intera associazione. Mai discutere i loro ordini, mai.
Qualcuno rabbrividì, ma Nick ci portò subito in un altra Zona.
Quella degli Sviluppatori.
— Questa è l'ultima Area, L'Area degli Sviluppatori. Loro Sviluppano mappe generali dei posti dove gli Azionisti vanno a prendere nuovi membri.




Sonny si strinse maggiormente nella sua felpa; nonostante fosse piena estate là sotto faceva freddo.
Tornarono Nella loro Area per la cena e poi per dormire. 
Entrarono tutti, uno ad uno, e lo stomaco della mora le indicò che il giro era durato tutta la giornata e che fosse ora di mangiare. 
La giovane fù l'ultima, ma la presa dolce sul suo braccio da parte del moro la bloccò.
— Domani ci saranno i primi allenamenti e test. Appena saprò qualcosa te lo dirò principessa.
— Non ceni con noi?
Gli chiese confusa.
— Sono pur sempre un Intendente, anche se il vostro. Torno nella mia Zona.
Aveva sorriso divertito, lui.
— A domani Sonny.
Sorrise, pronta per andare. Nicholas la prese per i fianchi e si avvicinò improvviso. Le labbra morbide si posarono sulla guancia della giovane Bronx.
Le sorrise e divagò lo sguardo per qualche secondo, prima di lasciarla da sola e allontanarsi.
Sonia di sfiorò il punto baciato con le dita frementi.
— A domani Nick.
Sospirò.



La casa era grandissima, nostante occupasse un terzo dell'Area, con una mensa dove mangiavano probabilmente sulle trecento persone e altettante stanze.
Mangiò in silenzio, poi recuperò la chiave della sua nuova stanza da degli Azionisti, che erano davanti alla porta principale, e che le distribuivano ai nuovi arrivati.
Salì in fretta due piani, prima di trovarla. Ne rimase stupita. Era arredata con un letto singolo, un armadio color crema, una finestra.
Aprì una porta e vi trovò il bagno, tornò indietro e aprì le alte dell'armadio e trovò tantissime tute, tutte uguali. Pensò al capo unico che indossavano i Ricercatori e vi trovò una grande somiglianza. Si lavò e si cambiò, poi si mise a letto. Il cuscino era comodo, il letto un pò di meno, ma si consolò pensando di avere tutto ciò di cui aevva bisogno. Era davvero stanca, aveva affrontato un gran viaggio, nuove conoscenze e adesso aveva una nuova casa.
Sperò di addormentarsi in fretta e di abbandonare quel mondo almeno per qualche ora.
A domani Nick, sorrise nel sonno.


 




 
Eilààààààààààà,
Ciao ciao ciao! Allora, ci ho messo una vita per fare questo capitolo...è ne è uscito fuori questo. Spero vi piaccia, sono stanca morta, ho scritto per ore e ormai non mi sneto più le dita (?)
Coomunque, li scippate i Sick Bronas, no? (Sonny & Nick)
ick, Sick, Sick everywhereee! Ahhh, la penultima immagine fà tanto "Colpa delle stelle", voi l'avevete letto i visto?
Ahhh, quant'ho pianto! Stupendo!
Ahahahha, comunque, grazie a tutti come al solito e un bacio a todos!
Kissss,
- Rea.

 

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Capitolo 6
*** Insanity. ***




Insane

  



Capitolo 6.





Mi chiamo Sonia Bronx. In questo periodo i miei pensieri si ripetono in continuazione, come una tortura:
1. Ho vissuto da sempre a Los Angeles, assieme a mio padre, in una modesta casa a due piani.
2. Una vita noiosa e monotona da liceale.
3. Nei neandri della mia mente e nei parametri più contorti e profondi ho sempre saputo di essere diversa. 
4. La mia quotidianità e la mia monotonia giornaliera sono state spezzate da Nicholas Jerry Jonas.
Spazzate via, cancellate per sempre dal mio futuro, e assieme a loro la certezza di essere al sicuro, all'oscuro dal mondo.
5. Mi sento costantemete in pericolo, costantemente esposta e sotto controllo in questo posto spoglio anche se non capisco per quale motivo.
6. So di essere esattamente dove dovrei essere, eppure qualcosa mi spinge ad andarmene.


 
Un mese dopo. 

La Cooperation members experimental è una Cooperazione mondiale, presente in tutto il mondo. 
Nonostante fosse molto grande e conosciuta dai membri di tutto il pianeta, 
la sua posizione strategica sotto terra l'ha tenuta segreta da qualsiasi persona che non ne fosse stato coinvolta. 
E' stata suddivisa in sei Zone, chiamate Aree, dove vivono centinaia di persone con diverse particolarità, talenti e caratteristiche. 
Nell'Area dei Ricercatori vivono, appunto, i Ricercatori; sono persone molto intelligenti,
con un forte senso di stabilità e perlopiù laureati e scienziati. 
Loro si accupano di cercare, ogni giorno, nuovi membri da trovare e nuove informazioni folkristiche,
che riguardano le persone come me; Gli Eccezionisti, che possiedono doti soprannaturali dalla nascita o,
nel mio caso, da un morso. 
Sono loro che elaborano e creano test da farci fare, per capire chi o cosa siamo, per rivelarci il nostro ruolo. 
Nell'Area degli Sviluppatori, risiedono quest'ultimi; sono anch'essi molto intelligenti, perspicaci, aventi almeno una laurea e arrivavando ad averne anche cinque. 
Sono perlopiù figli di altri Sviluppatori e il loro compito principale è sempre stato quello di aiutare gli Azionisti
fornendo loro mappe e strategie, talvolta moventi, per trovare e i raccogliere nuovi membri, assegnati loro dai Ricercatori
L'Area degli Azionisti, appunto, è provvista di ogni arma o attrezzature per allenamenti. 
Sono preparati a tutto, allenati fino allo stremo e coraggiosi fino alla fine. 
Come ho già detto, loro partono ogni mese alla ricerca di nuove persone da reclutare nella Cooperazione. 
E non solo, proteggono l'Associazione da eventuali attacchi esterni e dai conflitti interni. 
L'Area degli Intendenti-e degli Eminenti-è abitata da persone molto rigide,
intendibile dalla loro postura perfetta e dagli sguardi severi, loro sono i nostri istruttori.
Ogni mese siamo sempre più numerosi, perciò ci hanno diviso in gruppi da venti Eccezionisti,
e ogni gruppo ha un proprio Intendente. 
Io, nel mio, ho Nicholas. Molti di loro ricoprono più ruoli-come Azionisti, Ricercatori o Sviluppatori-e sono sparsi per tutte le Aree, ad assolvere i loro compiti. 
Da quando sono qui, hanno sempre avuto un addestramento particolare e speciale,
a scopo di ricoprire il loro ruolo principale, in futuro, con saggezza e perseveranza.
Per l'appunto, sono loro che ci fanno i test e i prelievi del sangue per gli studi dei Ricercatori.
Con loro vivono i due capi, Joe e Luke, i fratelli Black
Non si fanno mai vedere troppo spesso in giro, ma quando lo fanno bisogna stare attenti e portare il massimo rispetto. 
Per questo, quando il giovane Jonas stringe la mano al biondo con disinvoltura,
ogni qualvolta che lo vede, tutti rimangono con il fiato sospeso. 
Però Nick è un caso a parte, per quanto ne so io.
E, infine, c'è la nostra Area. L'area degli Eccezionisti. Siamo in tanti, tutti diversi, seppur così simili. 
La sottile striscia che ci unisce si chiama anormalità, e la causa sono i nostri poteri. 
Ho avuto l'opportunità di conoscere qualcuno in giro per la Zona, in particolare Allison,
una ragazza dai tratti somatici asiatici, con due occhi grandi e nocciola, nonostante la tipica forma a mandorla,
e con lucenti capelli biondo grano, che stonano con la sua nazionalità.
E' stata la prima cosa che mi è saltata all'occhio quando ci siamo presentate-con un pò di disagio-ma,
essendo una Kitsune del fuoco, gli è stato spiegato dai Ricercatori che è normale.
A lei sono bastati poco pù di tre test per essere inquadrata,per capire di essere una volpe del fuoco,
dominatrice del fuoco, del calore e con naturale inclinazione e bravura nelle arti marziali. 
La prima volta che ci siamo allenate con i bastoni, le hanno fatto fare un combattimento con un ragazzo del nostro gruppo. 
Lei si era presa molto male e, pensando di non saper maneggiare l'arma in legno, è rimasta sulle sue per un pò. 
Appena Rick l'ha attaccata-il ragazzo dagli occhi verde fluo e suo sfidante-lei ha ammaestrato l'arma con grande abilità e l'ha colpito sul fianco, 
prima di stenderlo al tappeto. Era rimasta così stupefatta di aver fatto una cosa simile, quasi incoscientemente, che per i primi tre giorni non ci aveva quasi creduto. 
I risultati dei suoi test, dopo quella prova, le erano stati consegnati il giorno dopo, con grande anticipo, 
e con una quindicina di lettere che spiccavano in rosso tra le altre: Kitsune del fuoco.
Il tempo scorreva e, tra giorni dedicati a soli allenamenti, altri utilizzati esclusivamente per i test e alcuni che mischiavano entrambe le cose, è passato un mese.

Nick oggi è venuto a parlarmi. Il moro mi ha rivelato che, due mesi prima, 
i Ricercatori avevano messo a rassegna per l'ennesima volta tutti i registri alla ricerca di nuovi membri per l'Associazione,
come ad essi era solito fare.
Al mio Intendente, ero stata assegnata io; una semplice ragazza di Los Angeles, che per qualche aspetto ignoto- che non era stato presente neanche a lui-risultavo non completamente umana dalla nascita.
Mi sentivo stranita e a dir poco scioccata dopo averlo saputo... Insomma, chi ero io?
Dopo trentadue giorni, ero ancora un'incognita.



Emetto un leggero sussulto quando la punta dell'ago, che l'Intendente ha maneggiato fino ad adesso, 
mi penetra la pelle chiara del braccio destro, entrando nella vena e rubandone una dose di sangue, a scopo di essere studiato e analizzato nuovamente. 
Una volta che la ragazza, che si presenta ogni tre giorni per i prelievi, mi ha incerottata la parte di pelle bucata, 
abbandono lo stanzino bianco latte.
Spalanco la porta, indecisa sul da farsi, e mi dirigo a passo spedito da Allison.
La bionda guarda con curiosità un combattimento tra due Eccezionisti, mentre aspetta che arrivi il suo turno per il prelievo. 
Sembra che Mark, un licantropo dal forte autocontrollo — alto, scuro di capelli e di carnagione — stia battendo Lydia, una vampira alle prime armi.
Lei gli conficca gli artigli-che gli sono spuntati in un batter d'occhio dalla punta delle dita -nel braccio e lui prova a divincolarsi, 
emettendo un suono simile ad un ringhio. 
— E' andata bene?
Mi chiede lei, scollando appena lo sguardo vitreo dai due.
— Speriamo che dia qualche risultato, dannazione.
Sbuffo io. Sono stanca di farmi prelevare il sangue ogni tre santi giorni.
Un normale essere umano lo può fare solo una volta al mese, ma io sto benissimo,
il che è stata una conferma all'affermazione di Nick.
Non sei più umana, quindi comportati da tale, qualsiasi cosa tu sia.
Mi scocciava un pò che usasse il termine cosa, dato che sono una persona, aldilà del resto. 
Nonostante tutto me ne sto buona e al mio posto, provando ad ignorare il bruciore alla gola e allo stomaco. 
Stringo i denti, cercando di dare il massimo. Dovevo solo ascoltare Nicholas e sarebbe andato tutto bene.
Senza che me ne accorga, mentre sono sprofondata nella fitta rete dei miei pensieri, l'Intendente esce e chiama il nome di Allison.
— Vado.
Soffia vicino a me, risvegliandomi.
— Ci vediamo dopo gli allenamenti.
Le dico automaticamente.
Lancio una veloce occhiata alla ragazza asiatica; procede a passo spedito e tranquillo verso l'Intendente che, 
con mezzo corpo che fuoriesce dalla porta, la sta aspettando. È l'ultima a dover fare il prelievo, oggi. 
Sto per sistemarmi meglio sul pavimento, ma Nick compare dalla porta principale e raggiunge il punto vivo degli allenamenti. 
Adesso che me ne accorgo, gli altri hanno approfittano dell'attesa degli esami facendo qualcosa di utile, a differenza della sottoscritta.
— Eccezionisti, buongiorno. Venite tutti qui. 
Mi guardo intorno e vedo solo ragazzi che conoscono a mala pena il ragazzo che ha preso parola.
Mi alzo, pronta per aggregarmi al gruppo di ragazzi che gli si avvicina, creandogli un'aureola intorno. 
Ha un'aria abbastanza pensierosa, il che non mi passa inosservato. 
Allison mi raggiunge e mi sfiora il braccio, facendomi segno della sua presenza. 
— Siete arrivati a metà giornata dell'ennesimo giorno dei test.
Fà una leggera pausa, passando a rassegna tutto il gruppo, con lo sguardo. 
— Dopo pranzo, passeremo la giornata a fare allenamenti. I risultati dei test vi verranno recapitati domani mattina.
Con un paio di passi, si avvicina leggermente alla fila di fronte a lui, indugiando i suoi occhi castani nei miei.
— Come ben sapete, è passato ufficialmente un mese da quando siete qui e tutto il corpo della C.M.E. è molto fiero di voi e dei vostri progressi. 
Un brusio di mani che applaudono si libera nell'aria per qualche secondo. 
— Nonostante ci sia una piccola percentuale di voi che ancora risulta indecifrabile, la maggior parte di voi ha capito chi è e che ruolo ricopre.
Ed ha ragione. Solo a qualche metro da me, dietro Nicholas, a chiudere il cerchio intorno a lui, scorgo i fratelli James, due licantropi dalla nascita che non sapevano di essere. Alla mia destra, la stessa Allison è una volpe del fuoco e ancora più in la, alla mia sinistra, noto Lucilla e Jackson, una banshee e uno stregone. 
— Quindi, adesso è il momento di dividerci. Gli Eccezionisti che hanno avuto tutti i risultati dei test concludenti si spostano con Camille, gli altri con me. 
La ragazza dei test si avvicina a noi, i capelli dorati ondeggiano secondo la camminata sicura. 
Lui la osserva mentre si sistema vicino al gruppo, in attesa di portarli con se in mensa. 
Mi ritrovo sola, tutti si sono spostati accanto a Camille e sono l'unica vicino al moro. 
Il sangue mi fluisce sulle guance, il mio sguardo sfiora velocemente tutti gli occhi puntati su di me, e mi strofino le braccia, provando ad infondermi coraggio. 
— Venite con me, Eccezionisti.
I miei compagni seguono a ruota la ragazza che, con un cenno di saluto a me e al ragazzo al mio fianco, si allontana, conducendo gli Eccezionisti in mensa.



Nicholas mi accompagna nella mia stanza, l'unica cosa che mi dice è di recuperare tutte le mie cose.
Dopo aver messo alla rinfusa i nuovi vestiti, regalati dalla C.M.E., in una borsa blu notte, 
usciamo fuori dalla struttura bianca e attraversiamo tutta la sala.
La mano del moro indugia sulla mia schiena e mi trascina davanti alla porta principale, 
prima di aprirla e condurmi definitivamente fuori, sotto il mio sguardo indagatore e astio.
Sono fuori dall'Area degli Eccezionisti. Esclusa.
E' normale sentirsi così?
— Ehy, dolcezza, non parli più?
Mi concedo di fissarlo bruscamente per un pò, lui si limita ad incurvare le sue labbra in un sorrisetto furbo.
Pericoloso.
— Dove stiamo andando?
Rispondo, con un altra domanda.
— Lo capirai presto.
Evasivo.
Misterioso.
Boccheggio per qualche secondo; sono cambiata tanto in questi due mesi.
Tanto per cominciare, la spavalderia e l'istinto niente peli sulla lingua si sono dissolti nel nulla.
Sparite, come zucchero nell'acqua.
In compenso il coraggio è aumentato assieme al cinismo.
— Vorrei una risposta.
La richiesta era partita carica ma si era affievolita verso la fine, il che fà traballare per un attimo lo sguardo di Nick.
Penso che non mi abbia mai visto in uno stato peggiore: Nell'associazione non permettono di tenere cosmetici o robe varie che arrivano da fuori, così lui è costretto a vedermi al naturale tutti i giorni, cosa che mi pare terrificante. 
I capelli non li ho piu tinti nè tagliati da prima di tutto il casino che è successo, 
perciò la ricrescita-seppur non così chiara-è quantomeno rilevante e le punte sono bruciate. 
Il viso è segnato da tante lune lunghe e di notti insonnie; in bianco, come le pareti della C.M.E. intera. 
Mi sento uno straccio sotto tutti i punti di vista, ma penso che se ne stia accorgendo solo in questo momento.
Con la coda dell'occhio noto un lieve movimento della mano, seppur indeciso, 
e il mio udito mi indica che il respiro del ragazzo di fianco a me si è fatto leggermente pesante. 
Rimango un attimo intontita dal fatto che il suo braccio è andato a cingermi le spalle e dal contatto diretto a cui sono sottoposti ora i nostri corpi.
— Ti devo assolutamente portare nella mia Area, ti devo spiegare ma non adesso e non qui.
Il suo labbro inferiore mi solletica l'orecchio, dopo aver soffiato una risposta più che magra ed enigmatica,
e non posso trattenermi dal tremare un pò: Sono troppo stanca, non ce la faccio a tenere a bada il moro e i suoi sbalzi d'umore.
Prima di allontarsi e riprendere le distanze mi rivolge uno sguardo talmente strano che all'inizio fatico a capire. 
Poi però tutto mi è piu chiaro; volto i miei occhi castani un pò dappertutto, cercando di fare la vaga. 
Noto che, mimetizzate nelle bianche mura del corridoio che stiamo attraversando per arrivare all'Area degli Intendenti,
spuntano led rossi e inquadrature grigie.
Videocamere. Il colore della neve.



— Lì c'è il bagno, là la cucina, a destra la mia camera e nella porta a fianco c'è la tua.
Il moro mi ha dato una breve descrizione di casa sua, gesticolando qua e la,
e si è volatilizzato nella mia presunta camera a posare la roba.
Sospiro prima di lasciarmi cadere sul divano latteo che ho di fronte. Sembrava urlarmi provami.
La cucina è abbastanza grande e di marmo, naturalmente bianca e un pò sbiadita. 
Il divanetto occupa lo spazio che divide quest'ultima dalla sua camera,
difronte e abbandonata in un angolino giace una scatola di metallo lucida: una televisione.
Il che mi fà pensare da quanto tempo io sia lontana dalla civiltà e dalla più piccola notizia su mio padre.
Oh papà, Kim. Perdonatemi per essermene andata. Ovviamente non avevo altra scelta.
Il tessuto vicino a me si abbassa e Nick è riapparso magicamente dal vaso di Pandora.
Mi guarda di sbieco e dopo un mio cenno, per ricordargli che sono ancora viva, comincia a parlare.
Ascolta, ho dato un'occhiata per primo ai tuoi esami oggi. E' saltato fuori qualcosa di nuovo.
Dettò ciò, il moro attira nuovamente la mia attenzione.
— E quindi?
— Quindi oggi tu resti qui, ad aspettarmi. Devo controllarli meglio, recuperare il tuo prelievo e farci dei test. Finche non arrivo non aprire a nessuno, okay? Non uscire.
Il mio soppracciglio scivola in sù. Se Nicholas è così agitato ci sarà una ragione valida.
Gli osservo meglio il viso notando che è diventato lucido.
Meglio dargli retta. Mi ricordo che è sempre di Nicholas Jerry Jonas di cui si sta parlando.
Pericoloso.
Insano.
Terribilmente protettivo.

Le sue mani calde si spostano, un pò incerte, a stringermi le spalle.
I polpastrelli combaciano con la mia pelle, i suoi occhi così accesi e dorati.
— Sonny, nessuno. Non devi fare entrare nessuno e non devi uscire, Okay?
— Si, ho capito.
Affermo, un pò titubante.
— Questa è la mia Sonny.
Mia. Spero di aver capito male. Insomma, la situazione è talmente assurda.
Potrebbe succedere di tutto da questo momento, nelle prossime ore.
Eppure il mio cervello ha visualizzato quel mia come un marchio.
Assurdo, tanto quanto vedere Nick Jonas imperlare di sudore.
Mezzo sorriso sghembo in sù è l'ultima cosa che vedo di lui, dopo una futile carezza al viso.
Poi si sente solo il palpitare del mio cuore furioso nel petto e la porta che si chiude.



Mi rigiro nel letto per l'ennesima volta. Il buio artificiale della stanza- non investito dallo
splendore dalla luna -sopprime le mie capacità respiratorie, mozzandomi il fiato e rubandomi il sonno.
Sposto il lenzuolo, conscia che sia l'ennesimo tessuto che m'ingombri, come le due precendi coperte di lana.
Il clima qua sotto è così umido e freddo, mi penetra nelle ossa. Eppure sento la pelle andare a fuoco, la testa esplodere, 
tante piccole scosse, appena percettibili, attraversare ogni fibra del mio corpo. Così debole e frustrata.
Mi impongo di sedermi, nonostante questo richiedi uno sforzo più che colossale.
Bene, Sonny, ora alzati. Mi ordino spinosa e cinica. 
Comincio a muovermi, tastando con le dita a caso, agitando le mani per evitare di andare addosso a qualcosa,
evitando di far rumore.
Una volta uscita dalla mia stanza, continuo il mio percorso di perlustrazione; 
entro con cautela in quella di Nick, ma del moro neanche l'ombra.
Quindi oggi tu resti qui, ad aspettarmi.
Eh, il problema è che il mio sguardo si è posato sull'unico orologio affisso in cucina e sono le tre di notte. Ma tu non ci sei.
Una fitta, prepotente. Due, tre, quattro... Mi premo le tempie provando a placare il dolore,
che sembra voglia dividermi le membra celebrali in due.
Dannazione!..
Digrigno i denti. Quattro falcate, e sono davanti all'ingresso principale. Sei falcate, e sono fuori.
Finche non arrivo non aprire a nessuno, okay? Non uscire.
Non uscire. Ottimo Sonia.
Brava, bene.



Vedo due striscie scure sul pavimento, più che altre sovrapposte, probabilmente rosse o viola.
So per certo che ce n'è solo una. Quindi le cose sono due: sto impazzendo oppure ho la febbre,
il che spiegherebbe l'elevata temperatura del mio corpo.
Mi passo incerta una mano sulla fronte, stupendomi nel trovarla imperlata di sudore.
Cerco di non inciampare, spostandomi lentamente.
Devo andarmene da qui.
Nell'Area non c'è nessuno, è completamente silenziosa e alquanto inquetante. 
Le uniche due luci a led sono coperte alla buona da due teli, che filtrano abbastanza bene la luminosità.
Ogni tot di secondi si sente un rumore di sottofondo, probabilmente qualche tubatura che perde acqua.
Il mio cervello non registra i tempi che separano la caduta di una goccia dall'altra,
non dà peso alla linea doppia e sfocata o al mio strascicarmi.
Devo solo andare via. Punto, fine della storia.
Quando finalmente raggiungo la porta da cui sono entrata solo stamattina, il mio cuore sussulta.
Dietro di me padroneggia ancora il silenzio e l'aria umida e pesante della Zona.
La apro, preparandomi a dover fronteggiare qualcuno.
Nonostante le condizioni del mio fisico siano disastrose, nel mio inconscio galeggia a caretteri cubitali la parola Eccezionista.
La vista rimane sempre sfocata, le membra deboli e una nuova espressione a cui non saprei dare un nome investe i miei tratti somatici.
Al posto del lungo corridoio scorgo solo un'esplosione di nero pece, oscurità allo stato puro,
di quella che dovrebbere essere una stanza e il luccicare di qualcosa di metallico nell'ombra.
I miei pensieri non fanno in tempo a formarsi che, delle dita grosse e viscide mi afferrano e mi trascinano dentro, 
un'altra mano va a coprire l'urlo strozzato che stava per fuoriuscire dalle mie labbra e la porta si richiude in un tonfo.

Provo a divincolarmi, la mia testa pare impazzita. Fuggi, fuggi, fuggi.
Quell'essere, se così si può definire, si appiccica maggiormente al mio fisico e in sussurri supplichevoli comincia a pregarmi.
Devi andare via!..Scappa, se resti capiranno che sei come me e ti useranno come cavia da laboratorio. Va via! Scappa. Corri. Devi andare via.
Il delirio che dipinge le sue parole addolorate mi manda in tilt.
Il cuore è scoppiato nel petto, martellando per la paura e lo spavento. Il respiro si è mozzato.
Non posso fare a meno di tremare e di tenere gli occhi più che spalancati.
Quando le pupille cominciano ad abituarsi al nero della visuale, riesco a cogliore la sua figura.
Capelli corti e bruciati sbucano da una testa molliccia, con un viso che sembra aver visto il male e le sue conseguenze.
I vestiti strappati e logori abbindano le sue membra, così rovinate e sudaticcie.
Tagli, cicatrici, ematomi, incisioni quà e la. La postura curvata e gli occhi inniettati di sangue.
La catena che- parte dal muro e si collega direttamente alla caviglia -le ha logorato profondamente la pelle.
Penso sia una lei, ma non ne sono certa. L'unica certezza è il sapere di non aver mai temuto un'altro organismo così tanto,
non in quel modo.
Vai!
Voce gruttuale e spinta decisa, la porta di spalanca e io mi ritrovo di nuovo all'esterno.
Boccheggio in cerca di aria e non ci penso due volte a sbattere la porta, dividendomi dal quell'inferno.
Lacrime copiose coprono le guancie, il mento, il collo e le labbra arrossate.
Mi passo il dorso della mano verso quest'ultime, per togliere quel che rimane del nostro contatto dalla mia bocca.
Emetto un suono schifato e amareggiato.
L'adrenalina copre l'eventuale febbre e le mie gambe cominciano a correre frenetiche, alla ricerca dell'uscita.
Sarei rimasta stupita a scoprire che l'uscita è sempre stata effettivamente accanto a quella porta,
e che avevo aperto quella sbagliata.
Avrei anche ragionato sul fatto di non averla mai notata prima di quella notte.
Ma il terrore di quegli occhi assatanati inebriava tutti e cinque i sensi.


Una volta che mi sono ritrovata l'effettivo e reale corridoio che avevo percorso quella mattina,
le mie gambe non esitato un attimo e corrono.
Solo movimenti meccanici, solo istinto di soppravivenza.
Dopo una decina di minuti i polmoni cominciano a bruciare, l'adrenalina a diminuire, il cuore ad implorare una pausa.
Sembra un vizio, quello di volermi spaventare.
Si, perchè l'ennesima mano, spuntata dal nulla, mi afferra il polso.
La voce mi è venuta a mancare, poichè così seccata dalla corsa.
E' questione di secondi, nei quali Nicholas appare nella mia visuale.
Mi rivolge uno sguardo di rimprovero, so che dovevo dargli retta e non uscire nè dalla casa nè dall'Area.
Ma quest'ultimo viene immediatamente sostituito da due occhi preouccupati, che hanno notato la mia espressione scandalizzata- dipinta anche da molte altre emozioni simili-, alcune ciocche di capelli appiccicate al viso sudato, il mio stato malaticcio.
— Dobbiamo andare via, ora.
Afferma in un sussurro appena udibile.
Per poco il suo viso assume un'espressione protettiva e confusa, poi afferra saldamente la mia mano e mi trascina dietro di se.
Lui mi avrebbe protetto sempre, in ogni caso, e io non me ne ero ancora resa conto.


 



Ayeeeee!
*Jingle balls, jingle balls, jingle all the way!*
Buon natale e buon anno a tutti voi!
Non so da dover iniziare... Quale vergogna, dico io!
Lo so, vi ho fatto davvero aspettare tanto per questo capitolo ma da una parte c'era mia mamma che mi minacciava con una padella per la scuola (Nulla di piacevole, fidatevi!, nrd), dall'altra la scuola che mi ha impegnato moltissimo!
Beh, posso dire di essere fiera di me però! Vado molto bene e inoltre ce l'ho fatta a pubblicare il capitolo senza uccidermi e senza imprevisti! (Cioè, wow, ripeto, wow!, nrd) *Risata malefica, alquanto- come avete notato un nuovo terminuccio che mi piace taanto!- patetica*
Puahahahaha!
Beeene, avete visto come si sta volgendo la storia?
Ve gusta? A me abbastanza, dai. Accettabile!
Dubbi?
Domande? 

Se non volete recensire potete benissimo scrivermi un messaggio privato e, nel caso non mi facciate domande da Spoiler, sarò felicissima di colmare ogni vostro dubbio o perplessità! :)
Bene guys, buone vacanze a tutti e un kiss! *-*
- Rea.

 

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Capitolo 7
*** Save you. ***




Insane


   





Capitolo 7.



 
Il vento soffiava forte, quella notte. Andava a sferzare due volti; quello completamente perso di lei,
quello alquanto accigliato, perplesso e concentrato di lui.
Non che quella sera la mora  non avesse provato una vasta varietà di emozioni ma, semplicemente,
durante quel plenilunio di metà agosto, si ritrovava imbambolata e spaventata.
I pensieri le correvano disordinati per la mente, sbattendo quà e la, riducendone la facoltà di pensare in modo etico e scrupoloso.
Ne aveva da ragionare, eccome. Purtroppo però, il rumoroso baccano causato dalla sua curiosità e dalla paura le annebbiava tutte le facoltà intellettive.
Capelli sulle spalle - e lungo la schiena - mossi dal vento, che le sfioravano il viso,
le membra rigide e doloranti per il continuo movimento a cui erano sottoposte,
fiato corto e guance color cremisi: Sonny riusciva a stento a trattenere gemiti di stanchezza.
L'unica certezza che le faceva continuare a correre, e a respirare,
era la mano di Nick stretta al suo polso, che continuava a trascinarla.


Ella non fece molto caso all'uscita secondaria e del tutto ignota che utilizzano per uscire;
sentiva solo il suo battito cardiaco, il vento e la presa di Nick. 
Non avrebbe più rivisto la C.M.E., di questo fatto ne era piu che sicura.
Attraversarono la pianura disboscata - che avevano attraversato poco più di un mese prima -,
un breve tragitto nella foresta e sbucarono dinanzi all'auto nera laccata di Nicholas.
Si lasciarono la Cooperazione e gli arbusti dietro.
Probabilmente per sempre.
Il moro guardò di sbieco Sonny, cosciente di aver fatto una mossa azzardata e che ne avrebbe presto pagato il prezzo. 
Le conseguenze. Nicholas Jonas aveva sempre avuto paura delle conseguenze,
fuggendo da esse tutte le volte che aveva avuto occasione. 
Questa volta però era diverso, era costretto a rivelarle la verità condannando la ragazza al suo fianco ad un per sempre.
Un per sempre che era destinato a lei, anche se non l'aveva scelto.
Si sentì in bilico e con il fiato spezzato per un momento - come se due mani più forti delle sue gli stringessero la gola,
impedendone la normale ossigenazione del sangue -, dimenticandosi di essere un Jonas.
Per un attimo che parve infinito, il moro si  abbandonò a quella sensazione totalmente nuova e quasi dolorosa che lo stava annientato. Una sensazione che era partita diretta dal cuore, a cui non riuscì a dare un nome.
Oh meglio, che preferì ignorare e non etichettare.
Sonia gli rivolse uno sguardo ferito. La mano a premere il petto, in cerca di rallentare il battito e il respiro,
che sembravano non voler smettere la loro corsa.
Cos'era quella creatura che aveva incontrato?
Cos'aveva in comune con lei?
Cos'era lei?
Perché Nick l'aveva trascinata via dalla C.M.E.?
Che fine avrebbero fatto?
Gli occhi a mandorla di lei si addolcirono, sicuri che il ragazzo di fronte a lei  potesse fornirle risposte a tali domande.
Non aveva mai veramente fatto affidamento su qualcuno.
Stava provando con tutti i suoi sforzi a riporre fiducia in quel ragazzo,
tanto misterioso quanto rassicurante, anche se si sentiva impacciata e molto insicura.
Non lo accettava neanche lei stessa, ma di Nick si era fidata quasi da subito. Ed era una situazione del tutto nuova.
Il giovane afferrò con uno scatto repentino le chiavi dell'auto,
aprì lo sportello posteriore e ci lanciò dentro lo zaino in pelle nera che portava in spalla.
Poi con un movimento mellifluo si avvicinò a Sonia, la quale indossava ancora una maschera di pura confusione sul candido viso.
Quest'ultima si sentì stringere la vita dalle braccia di lui e, senza pensarci due volte,
si lasciò abbracciare abbandonandosi al suo calore corporeo.
— Andrà tutto bene, te lo prometto.
Le sussurrò vicino, ma lei captò una nota ansiosa nella sua voce.
Gli era parsa più una rassicurazione fatta a se stesso piuttosto che alla ragazza che tanto stringeva.


— So che probabilmente non mi rivolgerai la parola per tutto il viaggio, però devi sapere la verità.
Il moro ostentava tranquillità e lucidità mentre guidava la macchina verso l'autostrada,
ma dentro moriva di curiosità e ansia in attesa di una risposta da parte della figlia del capo Bronx.
Si sentì patetico, dov'era finita tutta la sua virilità? Tutti i buoni e rigidi insegnamenti del suo popolo?
Il fatto di essere stato tanto lontano dalle sue origini per anni non doveva comportare la perdita del suo vero io.
Non doveva comportare proprio nulla.
Sonny intanto gli aveva lanciato un'occhiata fugace, nulla di più.
Non voleva dargliela vinta, ad ogni modo; lui le aveva mentito pensando di poterla prendere in giro,
e lei era tutt'altro che una stupida. Quindi era rimasta zitta e in ascolto.
Lui riordinó le idee e si preparò a confessarle tutto.


— Ho cominciato ad avere dei sospetti, sai, su ciò che saresti divenuta.
Avevo preso in considerazione che tu fossi già in principio un' Eccezionista, però pensando di sbagliare scartai l'idea.
La primissima intuizione che ebbi fù che tu fossi una banshee. Ne avevi così tanto l'aspetto: malinconica, triste e vuota...
La ragazza lo avrebbe preso a pugni, se avesse detto una cosa del genere un mese prima.
Tuttavia, reagì in modo diverso; si morse la lingua e sentì un lieve calore stringerle lo stomaco.
— ...Però non diedi peso a quell' idea. Il tuo temperamento rimaneva fin troppo acceso per far si che quella parte di te prevalesse. Errore di calcolo, che mandò su tutta un'altra strada le mie ricerche per settimane. Difatti, poco tempo dopo cominciai a organizzare la nostra fuga e a prenotare il volo. Già, chi l'avrebbe mai detto? Eri realmente una banshee. Incredibile! Non credi?!
Esultò allora lui, con una risata ironica e del tutto innaturale.
Un sorriso amaro piegò le labbra di Nick e Sonia ne dedusse che la parte peggiore dovesse ancora arrivare.
— Il morso ha risvegliato, se così si può dire, le tue capacità e le ha raddoppiate come minimo. 
— Cos'è una banshee?
Io moro fù felice di sentirla proferire parola, finalmente.
— Le banshee, come spiegano miti e leggende popolari, sono spiriti messaggeri di morte.
La ragazza tremò involontariamente nell'udire l'ultima parola.
— Si stabiliscono in abitazioni e si affezionano alla famiglia che la abita.
Si dice che quando un famigliare è sul punto di morte,
ella si aggira per la casa con un indumento del morente intriso del sangue di quest'ultimo.
Si dice che sentire le urla strazianti di una banshee sia fatale.
Sonny per poco non si prese un colpo. Si sentiva un mostro.
— ...Che...che cosa sarei perciò? 
Chiese, non riuscendo a non far trapelare frustrazione e il fatto di sentirsi scossa.
— Ehy.
Nicholas si rabbuiò, allungando una mano verso il viso di lei.
Non voleva vederla in quello stato, e se ne sentiva colpevole.
Lei era la sua forte, fortissima Sonia Bronx.
Il suo terrore, associato al fatto che aveva collegato tutto alla morte di sua madre, venne compreso diversamente da lui.
Una lieve carezza e i loro sguardi si incatenarono.
Tutta la preoccupazione del moro si riversò negli occhi di Sonia che, colpita da un'insolita inadeguatezza, 
si costrinse a mostrare un mezzo sorriso. Si prova davvero questo quando ci si affeziona a qualcuno?
Il sentirsi continuamente in dovere di far felice la persona amata
, pensò.
Ma è davvero di amore che si parla qua? Sonny nutriva forti dubbi a riguardo,
vincolati dalla palese attrazione tra i due e il loro volere sempre proteggere l'altro.
Era così dolce quel contatto, così intimo.
Capitava molte volte che i due rimanevano ad osservarsi, incantati l'uno dall'altra.
Si studiavano, si leggevano, si capivano.
Insomma, era una cosa loro e di loro soltanto
— Arriverà il giorno in cui ci riveleremo i nostri segreti più dolorsi.
Arriverà il giorno in cui mi dirai cosa ti attanaglia l'anima e io sarò lì, pronto a placare il tuo dolore.
Qualcosa era cambiato. Sonny non seppe dirsi se l'aveva capito attraverso il suo sesto senso o con i suoi sensi sviluppati.
La stessa postura del ragazzo era divenuta impeccabilmente dritta, la voce aveva assunto un tono leggero e delicato.
I suoi occhi, sempre così lucenti e nocciola, avevano assunto per un secondo una tonalità bluastra.
Per non parlare del linguaggio regale che aveva utilizzato.
Ne era rimasta affascinata, nel complesso, e non se ne era neanche accorta.
— Era di questo che parlavo.
Il giovane si girò, concentrandosi nuovamente sulla guida e ignorando lo sguardo di puro stupore della giovane.
Un pò di stordimento.
— Nick.
Lo richiamò lei.
— Cosa non mi hai detto? Cosa sei?
— Non ora e non qui, abbiamo di più importante di cui occuparci.
Fù la sua risposta evasiva.
La mora annuì, nonostante il dubbio che le rivestiva ogni particella del suo corpo.


— Quindi, non devi preoccuparti. Il morso a quanto pare - e a quanto risulta dai test e dalle analisi - ti ha conferito solo alcune delle potenzialità dei licantropi: udito, olfatto e riflessi. Il tutto, semplicemente, si è sviluppato.
Percepisci suoni e odori da lontano, sei più agile e se senti una presenza vicino a te prima ancora di vederla è perché è reale.
E poi, per quanto riguarda il tuo essere una banshee,
tutto ciò che sappiamo è che urlano quando sta per morire qualcuno o quando lo trovano morto.
La differenza però, sta nell'acuto che emettono: saprai quando ti capiterà
perché sarà completamente diverso da qualsiasi urlo che tu abbia mai piantato.
Potresti anche avere dei contatti con l'altra parte, per quanto ne so.
Il moro si fermò e rivolse lo sguardo agli specchietti come scusa per scrutare la reazione della ragazza;
stava in silenzio, assorbendo tutto come una spugna e con un'espressione nuova in volto.
Paura? Indignazione? Sconforto? Stupore?
Lui non riuscì a darci un nome, gli sembrò un perfetto mix tra tutte le emozioni che aveva elencato.
Sapeva che il fatto di sapere cos'era una banshee l'aveva turbata più di tutto il resto.
Ipotizzò che c'entrasse con un'esperienza che aveva vissuto sicuramente in passato e di cui non aveva mai fatto parola.
Eccola, si disse in testa, cosa ti attanaglia l'anima e dalla quale devo salvarti
All'improvviso, Nick sentì un formicolio che si faceva spazio prepotente sulla punta delle sue orecchie.
Si sforzò con tutto se stesso per placare qull'istinto primordiale.
Non adesso e non qui, sussurrò impercettibilmente, devo aspettare ancora un pò


— È successo tipo sei mesi fà.
Il moro parcheggiò l'auto laccata di fronte ad un autogrill;
Avrebbero preso un aereo per Los Angeles poco meno di un'ora dopo e avevano bisogno di sostare e di fare il punto della situazione. Serrò i pugni sul volante, cercando di dosare la forza, prima di spegnere definitivamente il veicolo.
— Un Azionista era tornato dalla sua spedizione con uan ragazza: Karen.
Aveva padre licantropo e madre banshee, loro non gliel'avevano mai detto.
Mi ero incuriosito del suo caso, ma non avevo mai avuto tempo di indagare
perché poco dopo sono partito per venire a cercare te.
Eri un affare grosso, mi diceva Luke, mi avrebbe dato più tempo.
Così mi sono occupato di te negli ultimi quattro mesi. La cretura che hai visto, in quella stanza, presumo sia stata lei.
Era l'unica cosi particolare. Comunque, Luke mi aveva promesso l'inizio di ricerche per quanto riguardava mio fratello.
Poi tutto è ondata a rotoli...il morso, la tua trasformazione, noi che siamo spariti dalla circolazione... Lui non ha fatto più nulla.
Nick disperse il suo sguardo oltre il vetro, al di là di altre macchine parcheggiate. 
— Se voglio davvero proteggerti, ce ne dobbiamo andare in definitiva. Via da qui, dove loro non possano raggiungerci.
Sonny prese a fissare seriamente il ragazzo, timorosa di sapere quella risposta.
La risposta.
— Andare dove, Nicholas?
Il ragazzo, sentendosi chiamare con il nome di battesimo, si voltò e la guardò dritta negli occhi.
Pozzi dorati che si infrangevano sul mare in tempesta.
— Da dove arrivo io.
Lei trattenne il fiato poi, rendendosi conto che la meta di viaggio era Los Angeles, la sua città, decise di domandare.
— Perchè proprio a Los Angeles?
— Io non volevo questo per te. Non l'ho mai voluto. Ho sbagliato in principio a portarti nella cooperazione. Perdonami, ora ti ho condannata!
Nick aprì furioso la macchina e scese con altrettanto vigore, ne sbattè forte la portiera e ci si accasciò sopra.
Là, lungo il confine, la luna lasciava spazio al sole che cominciava a sorgere da est.
L'azzurro tenue del cielo cominciava a espandersi e a prendere il posto del blu notte.
Sonia Bronx si trovava di fronte al ragazzo, ora, e lo stato in cui lo vide la turbò.
La persona parallela alla sua era tutta un'altra storia. Occhi lucidi, labbro tremolante e una luce folle negli occhi.
Gli prese il viso tra le dita affusolate, in cerca di un segno, provando a calmarlo.
— Cosa ti causa tanta paura?
Lui si perse un pò nella profondità di quelle parole e nei suoi occhi.
L'averti costretta ad una vita che non avrà mai fine, con me.
Sonny deglutì un groppo di saliva, cercò di indugiare l'attenzione a Nick piuttosto che a ciò che gli usciva dalle labbra.
— Non m'interessa. Io mi fido di te. Sono stata sciocca a chiederti di Los Angeles,
mi fido di ciò che scegli e fai, perciò forza, diamoci da fare.
Il moro attirò la mora a se, mettendo in contatto diretto le loro fronti.
— Sei qualcosa di stupefacente.
Lei sorrise, si allontanò e cominciarono a prepararsi.



Avrebbe veduto. Manti verdi e bellezze al di là di ogni immaginazione.
Avrebbe veduto. Lucenti superfici acque, estese oltre ogni orizzonte.
Avrebbe veduto. Dimore che si espandevano per terre,
che arrivavano ad accarezzare il cielo ed i suoi abitanti, gloriose e imponenti.
Avrebbe visto e se ne sarebbe innamorata.
Quello di cui non era a conoscenza Sonny però, era il fatto che era stato tutto scritto.
 
...Al di là del tempo e di ogni spazio materiale il Destino tesseva la vita di ogni creatura terrena...


Avrebbe potuto preouccuparsi.
Avrebbe potuto urlare, piangere, persino ribellarsi - il che non sarebbe stata una novità,
se si prendeva in considerazione il suo carattere particolare - ma non fece nulla di tutto ciò.
In fondo al suo cuore, questa certezza giaceva e rimaneva lì, come per dire al suo istinto di lasciar perdere.
Cosa avrebbero potuto fare una banshee lunare e un elementale contro il Destino? Proprio nulla.
Se il destino decideva qualcosa, quel qualcosa persisteva.

Nick gliel'aveva detto che lei e la luna erano ormai unite, una congiunzione nata da un morso.
Gli aveva proferito nulla o poco più sulle sue origini,
solo che era un elementale, e la mora di 'Elementali' non ne aveva mai sentito la nomina. 


L'oblò costringeva la giovane a voltare il viso alla sua destra,
incuriosita dalla vista del Dallas che cominciava a sparire sotto di loro.
Il viaggio in aereo gli avrebbe concesso qualche ora di riposo;
erano fuggiti dalla C.M.E. in piena notte, il sole era sorto poco prima del loro volo ed erano più che stremati.
Il moro, che aveva preso posto accanto a lei, era crollato dopo una manciata di minuti.
Sonia lo fissò, beandosi di quella visione; sul viso del ragazzo campeggiava un'espressione rilassata - constatò,
sollevata - il respiro era regolare e il petto faceva in continuazione su e giù.
Le labbra carnose erano leggermente dischiuse, facendo uscire l'aria e catturandone di altra.
La mora arrossì e si sgridò mentalmente per aver pensato che quel pizzetto gli stesse maledettamente bene.
Infatti, per evitare di farsi riconoscere, Nicholas aveva applicato sul viso pizzetto e baffi finti,
lenti a contatto blu e un cappellino da Baseball.
Lei si era subito ricordata di quella strana sensazione, che l'aveva investita,
quando gli occhi del ragazzo sembravano essere diventati blu, quella notte.
Rimase scossa per poco, o forse per niente. Solo una sensazione, si appuntò in testa. 
Lui era lì. Lei era lì. Le sembrava che ciò le bastasse.
Come poteva pensare questo? Tutto ciò era assurdo; se solo pensava di essere diventata una banshee o,
ancora peggio, una ricercata da una delle Cooperazioni più grandi e pericolose in tutto il mondo, il cuore le cominciava a battere furioso nel petto. Il problema era che il cuore stava già esplodendo nella cassa toracica,
dopo che ella si era permessa di guardare il ragazzo tanto a lungo.
Questo comportamento era inaccettabile!
Mentre tutto se ne andava a rotoli, tra suo padre che aveva sicuramente perduto il lume della ragione dopo aver perso le sue tracce per sempre, il suo rapitore che era divenuto il suo miglior alleato - se non qualcosa di più -, e una fuga che non sapeva dove l'avrebbe condotta, lei pensava a quello. A quello e basta, in quel momento.
Mentre il disagio si diffondeva per tutto il suo fisico,
causato dalla consapevolezza di avere un nuovo punto debole con cui fare i conti,
la sua mano raggiunse i suoi capelli, sistemandoli.
Le dita però persero il contatto con la loro morbidezza poco prima di raggiungere la  spalla, facendola sorridere.
Se non dovevano farsi notare, avrebbe dovuto cambiare anche lei qualcosa. E cosa, se non meglio, dei capelli?
Sonny aveva fatto una coda alta, aveva poi tirato l'elastico verso la punta dei capelli e li aveva tagliati di netto.
I capelli erano tornati ad accarezzarle il viso fino a poco più sotto,
dando vita ad un caschetto scuro - non nero, poiché tanto aveva scaricato - e scalato, grazie al modo in cui erano stati tagliati. Erano poi diventati leggermente mossi, poiché il peso di capelli lunghi era sparito e quindi non rimanevano perfettamente lisci. 
Come se non bastasse, avvalendosi della macchinetta di Nicholas, Sonny si era rasata gran parte del lato destro.
Ne portava una in macchina, nel cruscotto e sembrava volesse essere usata.
Sembrava urlare alla giovane provami, cosa che la mora non si era fatta ripetere due volte.
A distrarla dai suoi pensieri fù un contatto leggero e caldo.
Il braccio della mora rimaneva adagiato comodamente lungo il sedile e la sua mano ora veniva stretta da quella del ragazzo.
La mora non ebbe il tempo di arrossire che lui aprì un occhio fissandola, sul viso un'espressione riposata.
— Ho sempre preferito le ragazze scure, ancora di più con i capelli corti.
Le soffiò vicino, il tono basso.
Sonny gli diede una gomitata con fare giocoso, poi riprese a guardare fuori dalla finestra.
Pian piano, il suo viso riprese il solito colorito latteo e lei si rilassò, beandosi di quella stretta.
Stretta che diceva tu sei mia.


Le loro mani erano rimaste intrecciate anche quando i due avevano oltrepassato l'uscita dell'aeroporto: un borsone sulla spalla destra di Nick e il peso delle emozioni della mora su se stessa.
I due avevano poi preso l'auto del ragazzo - a quanto pare il moro ne aveva una anche a Los Angeles - e avevano da poco sostato di fronte a casa Bronx.
Sonny respirò profondamente; essere lì, a pochi passi da suo padre, la metteva a disagio e l'aveva scombussolata.
— Sicura di farcela?
— No.
L'angolo della bocca di Nicholas si alzò, vagamente intenerito. Lei si strofinò il mento, segno che era agitata.
— Penso di scrivergli una lettera, come mi hai detto tu. Se lo vedessi non riuscirei ad andare via.
Sussurrò la mora abbassando lo sguardo. Che brutta situazione, proprio una brutta situazione.
Si decise a saldare i nervi, altrimenti non avrebbe concluso nulla.
Il giovane Jonas aprì Jonas il cruscotto tirando fuori carta e penna;
la ragazza non si sprecò neanche a domandarsi come le macchine di Nick potessero essere fornite di tutto, a quanto pareva.
La giovane, ormai ex residente di casa Bronx, afferrò il foglio e la biro e cominciò a scrivere. Si sentì leggermente osservata.
— Potresti smetterla di fissarmi?
Gli chiese continuando la sua stesura, senza degnarlo di uno sguardo.
— Certo, mss Jonas.
Diventò paonazza dall'imbarazzo e le venne quasi un colpo, anche se per poco,
e lui non potè che ghignare tornando a rivolgere lo sguardo vitreo oltre il parabrezza.





Ayeee!
Ma ciao a tutti! Allora, il capitolo vi è piaciuto? Spero proprio di si!
I Sick non sono dolciosissimi? Azz, il diabete!
Comunque, siamo arrivati ad un punto nel quale la sopravvivenza è la base della storia,
dove i loro sentimenti cominciano ad uscire - non più pressati dal fatto di vivere nella Cooperazione -,
nel quale si ha uno spunto molto povero di ciò che è Nick e la sua storia. 
Oddio, non ci credo *Gli scende una lacrimuccia* ma siamo quasi alla fine di questa avventura!
Infatti, penso di concludere postando ancora il capitolo 8 e il 9 (ovvero, l'epilogo, e sarà molto particolare).
Poi, chissà, ci sarà un continuo? Questo sta a voi deciderlo, facendomelo sapere :]
Io spero di si, comunque!
Un grazie immenso a chi legge, chi mi regala una piccola recensione in ogni capitolo e chi non lo fà ma legge la storia volentieri!
Un bacio a tutti, alla prossima! :*

— Rea.

 

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Capitolo 8
*** Light elves. ***





Insane
Capitolo 8
 

 

" Let the sky fall
When it crumbles,
we will stand tall
Face it all together. "
Skyfall, Adele.


 


— Spiegami ancora una volta perché dobbiamo farlo.
— Semplice, Sonny; verremo uccisi dalla C.M.E. se non lo facciamo.
— Dalle mie parti, questo si chiama suicidarsi.
Commentò la mora. Un commento pieno di sarcasmo.
Lui si limitò ad osservarla, con un ghigno che non l'aveva abbandonato da quando erano saliti sulla canoa. 
Oh, come si sarebbe ricreduta.
— Piantala.
— Di fare cosa?
— Di fare la parte del criminale misterioso, non ci crede più nessuno e non è affatto divertente!
Disse, stizzita fino al midollo.
Nick non riuscì a trattenere una risata fragorosa, arrivando quasi alle lacrime. 
Nonostante l'evidente perplessità di lei - ancora in conflitto con se stessa per decidere il da farsi -, 
gli strinse una mano con fare protettivo e, non prima di averle sorriso dolcemente, 
le disse che le sarebbe bastato fidarsi di lui e chiudere gli occhi.
Fiducia, già. Se non fosse stato per il fatto che chiunque sapeva che Sonia Bronx non andava d'accordo con quella parola, 
ma sopratutto che quelle acque inquetantemente calme l'attendevano, l'avrebbe anche fatto. Si sarebbe fidata.
Peccato che l'unica cosa che al momento riusciva a pensare era ad un modo per uscire da quella insolita situazione. 
Ah, magari anche come evitare un'imminente morte.

Se ci fosse mai stato un lago nei dintorni di Los Angeles, Sonia Bronx ne era sempre rimasta all'oscuro.
Che portasse in un altro posto attraverso il fondale poi, non se lo sarebbe mai immaginato.
In quel momento, mentre il cielo era così limpido da sembrare il riflesso della superficie acquea 
dove galleggiavano lei e il suo compagno d'avventure - le era sembrato giusto affibbiargli un soprannome degno di nota, 
lui continuava a chiamarla zuccherino, il che la infastidiva a dir poco - si era ritrovata a metabolizzare ciò che da lì a poco avrebbe fatto. 
Il colore così tenue del cielo non era macchiato da alcuna presenza nebulosa, 
segno di una calda giornata estiva, e l'aria, che le era sembrata così frizzante e leggera, s'era fatta pesante tutta d'un tratto.
I confini del lago sembravano disegnati con il compasso per quanto erano perfettamente circolari, ed erano rivestiti dalla boscaglia. 
La barca su cui era nervosamente seduta si trovava al centro del cerchio acqueo e, oltre alla loro presenza, 
c'era anche quella di una lunga catena metallica con una grande palla del medesimo materiale e due ganci che spuntavano dai due estremi. 
L'Idea, ovviamente, era stata di Nick. 
Nonostante i suoi sforzi - aveva davvero provato a non far venire un'infarto a Sonny - aveva lasciato la ragazza distratta e spaventata, per non dire basita. 
Di nuovo.
— Sonny, andrà bene. 
— Non penso sai? La gente normale non si affoga tutti i giorni.
— Oh, avanti, ancora con questa storia! Ti vuoi fidare di me una volta per tutte? Non moriremo, diamine!
Il moro cominciava ad innervosirsi e ormai i loro battibecchi, che erano cominciati ancora prima di metter piede nell'imbarcazione, erano più accesi del solito. 
Il motivo dei loro litigi era più che sconcertante; Nicholas le aveva detto che l'unico modo per raggiungere il posto era attraverso il fondo di quel lago e, 
per raggiungerlo, si sarebbero dovuti agganciare alle caviglie quella catena e lasciarsi portar giù nelle profondità. 
Sonia reagì molto male alla notizia e, dopo avergli chiesto in modo gentile - ovviamente, 
non proprio - se si fosse bevuto il cervello a colazione, cominciarono a litigare.
Comunque, al posto di quel silenzio spigoloso, lei avrebbe di gran lunga preferito 
discutere di quell'idea tanto spericolata che aveva partorito l'insana mente del ragazzo.
Tuttavia, il suo sguardo irritato si perse nello specchio sottostante: era ufficialmente stufa. 
Stufa di dover continuare a passare ogni minuto nella paura, stanca di dover fuggire da tutto e da tutti. 
Quindi, avrebbe fatto come diceva il giovane. 
Cos'aveva da perdere? Ormai nulla, erano quasi due mesi che viveva come una fuggitiva, ormai ne aveva abbastanza.
Si scambiarono uno sguardo d'intesa, poi il moro si accinse ad incatenarla. 
Dopo aver stretto per bene il gancio alla caviglia di lei, preparò la sua.
Dopo che ebbe finito, si alzò tentennando e tese una mano verso Sonny, che la strinse e si alzò. 
Lo slancio che si dette però fù troppo spinto, così il giovane fù costretto ad afferrarla. 
Le sue braccia si ritrovarono a stringere possessivamente la vita sottile della giovane Bronx, che assunse un colorito più rosso del normale. 
Nick non disse nulla, solo, la guardò. Parve persino sorriderle un poco, anche se il momento non giustificava a sufficienza quel gesto. 
— Nicholas Jerry Jonas, se non moriamo ti uccido io.
Sussurrò lei, presa in contropiede dalla sua vicinanza. 
— Trattieni il fiato.
Gli angoli delle labbra del ragazzo di alzarono verso l'alto in una maniera del tutto nuova e, 
con un solo gesto repentino e fugace, buttò la sfera metallica nell'acqua.
Ci fù uno schizzo poi, dalla superficie melliflua, i loro corpi non si videro più.


Il cielo, da laggiù, non si vedeva più, e ben presto anche la luce avrebbe fatto la stessa fine. 
Gli occhi della mora ci misero un pò ad abituarsi alla temperatura e all'acqua stessa. 
Il gesto improvviso del moro aveva lreso alla sprovvista la ragazza, che isprirò un quantitativo insufficente di aria.
La palla affondava sempre di più, le loro mani si trovarono misteriosamente intrecciate e la testa della figlia del capo della polizia era in procinto di scoppiare, in assenza di ossigeno.
Stava per svenire e perdere i sensi.
Il giovane Jonas nuotò di un poco provando ad avvicinarsi, rimasto preouccupato dall'espressione affannato della mora. 
Si sporse verso di lei, dopo aver capito cosa stava per succedere, e poggiò le labbra su quelle di Sonia.
Le aprì, avvalendosi dell'unico muscolo di cui disponeva la sua bocca, e ci soffiò dentro metà del suo fiato.
Quando si spostò, ebbero appena il tempo di rendersi conto di quel gesto allusivo, che vennero inghiottiti da una luce accecante. 
Probabilmente avevano appena calpestato il fondale e, ad insaputa della mora, un confine molto sottile tra due mondi.
Scivolono dentro una crepa, aperta dall'improvviso contatto con i loro corpi e con la palla, e caddero nell'oscurità.


Quando Sonny riaprì gli occhi fece appena in tempo a scorgere sopra di sè una sottospecie di macchia scura scomparire, 
mostrando davanti alla ragazza uno sfondo azzurrino e tenue, simile al cielo di Los Angeles che tanto amava. 
Si strofinò alla svelta le palpebre e si mise seduta, osservando si intorno. 
La sabbia, sulla quale si era ritrovata, le si era appiccicata su gran parte del suo fisico, 
i capelli bagnati le si erano attaccati alla fronte ed erano ondulati, i vestiti fracidi le disegnavano le forme. 
Le onde di un mare che non aveva mai visto si infrangevano impetuose e leggiadre al contempo sulla costa. 
Odore di acqua marina, un leggero venticello a solleticarle le guancie.
Un sole, che le parve estraneo, era ormai in procinto di tramontare e le nuvole disegnano perfette figure che ricordavano tanto lo zucchero filato.
Si voltò, all'improvviso, alla ricerca del ragazzo. Lo trovò di fronte a sè, sorridente e con gli occhi che luccicavano. 
Di nuovo, Sonia vide una sfumatura bluastra attraversare quegli occhi. 
Oltre la spiaggia c'erano distese di prati colmi di fiori e colori e, poi, 
s'innalzava una struttura dalle fattezze aggrazziate quanto imponenti. 
Ma al momento, tali bellezze parlerò sfocate alla vista della mora, che riusciva solo a vedere Nicholas. 
Era lì, in piedi, e la fissava. Anche i suoi capelli avevano preso posto sulla sua fronte e i vestiti gocciolavano, colmi d'acqua.
Poi, in un attimo, si ritrovarono stretti l'uno all'altro. 
Non erano morti, bensì vivi e vegeti, ed era tutto merito del ragazzo. 
Si allontanarono dopo poco, la distanza necessaria per far si che le loro fronti si toccassero. 
I loro fiati erano spezzati dalla felicità e si fecero sfuggire una risata liberatoria.
Risata che ebbe vita breve, poiché le labbra di Nick Jonas avevano preso possesso di quelle di Sonny Bronx.
Fù un contatto che era stato bramato da tanto tempo, inconsciamente da entrambe le parti. 
L'urgenza richiese un'approfondimento, che Nick non fece attendere molto alla ragazza. 
Lei gli sorrise sulle labbra, prima di schiuderle. 
Passarono un lasso di tempo indefinito ad assaggiarsi, ad avvicinare le loro anime tormentate e a curarsi a vicenda. 
Il suono del mare e l'odore della salsedine furono lo sfondo di quel dolcissimo atto.

Quello che successe dopo fù una vera e propria rivelazione per la mora.
Le era parso tanto di fungere da spettatrice, come quando si assiste alla sbocciatura di un bozzolo; 
la trasformazione di un insetto strisciante che si tramuta in una bellezza naturale, caratterizzata da un'esplosione di colori e di vita.
La differenza però, fù che il cambiamento del giovane non sarebbe durato come il breve arco di tempo vitale di una farfalla, che conclude il suo ciclo.
Bensì, si sarebbe dilungato all'infinito, per un tempo imprecisato e mite.
Nick si scostò da lei, con un sorriso di circostanza, fissandola con una tacita richiesta d'attesa.
La maschera confusa che alleggiava sul viso della giovane si tramutò ben presto in puro stupore quando, 
dopo una manciata di secondi, il corpo di lui cominciò a mutare.
I suoi occhi in primis. Quel dolce misto di cioccolata e nocciola lasciò il posto ad un azzurro sfavillante, che ricordava tanto quel cielo cristallino.
Le punte delle orecchie non fecero attendere il loro ingresso; la loro forma era divenuta elegantemente a punta.
Le cicche di capelli, rese scure dall'acqua, ritornarono lucenti e asciutti, con un particolare in più: erano scesi fino a metà del suo busto, 
lisci e morbidi come la seta - lo s'intendeva al solo sguardo -, ornati da una treccia regale che raggiungeva il loro limite.
Sonny lo fissò sconcertata quanto ammaliata da tale purezza, che gridava perfezione.
La testa le girò di un poco - tanta magnificenza era quasi intollerata dalle sue retine - e sorrise d'istinto.
Una creatura partorita dagli dei, fù l'unico pensiero ad occuparle prepotentemente la mente.
Quando il giovane si avvicinò, notò come la sua statura la superasse persino più di prima; se era quasi una spanna a dividere il loro sguardo, ora erano persino due!
Le prese le mani, che lei esitò a stringere, paurosa di scalfire quel disegno divino.
— Sonny, questo sono io.
Notando che dall'altra parte non arrivava alcuna risposta, il giovane cominciò a preoccuparsi.
Un cipiglio disorientato si fece spazio tra le sopracciglia.
— Sonny...
— Tu sei... - vacillò per un secondo, vicinanza come uan dei tanti carnefici.
— Sono un elfo.
I tratti somatici di lei vennero pervarsi dalla meraviglia.
— Nick... sono seriamente senza parole! - fù il suo unico commento, leggermente insensato.
— Ah, e per la cronoca, - rise un pò sulle sue - il mio vero nome è Lietùron.








Ayeeeeeee!(leggete pleasee.)

Buona sera a tutti!
Cosa potrei dirvi? Intanto porgo le mie più umili scuse... Non mi faccio viva da un secolo!
Help me. Mi darete sicuramente fuoco. Azz.
Purtroppo ho avuto un pochino - proprio poco eh - da fare in quest'ultimo periodo,
però non potevo lasciarvi proprio qui, e si, perchè la storia è quasi giunta al termine!
Ahimè! Mi mancheranno i miei amati Sick!
Mancheranno anche a voi?
Io vi aspetterò numerosi per il prologo - e per lanciare rose ai due piccioncini, si si - con qualche lacrimuccia e fazzoletti.
Se, nell'attesa - nella speranza che ci sarete con me alla conclusione della storia dei nostri Sonny&Nick - volete dare un'occhiatina ad un'altra mia storia (link: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3049928&i=1) per farmi sapere che cosa ne pensate, ne sarei molto felice!
Si chiama Sea's tales e si tratta dell'intreccio delle fiabe più amate del popolo - che hanno coronato la mia infanzia, ye! - in chiave moderna e spericolata! Quindi, se amate particolarmente il genere romantico e i personaggi delle fiabe sotto un'altro aspetto - cito in particolare la rivisita della storia di Peter Pan, che ricoprirà un ruolo particolarmente malvagio, che io adoro! - io sarò felice di accogliervi numerosi! Detto questo, non vi annoio più con i miei scleri ed evaporo.
Alla prossima, girls!
- Rea.
 

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