Green Apples

di beagle26
(/viewuser.php?uid=108530)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Too Late ***
Capitolo 2: *** The plans that came undone ***
Capitolo 3: *** Sad Girl ***
Capitolo 4: *** Wasting my young years ***
Capitolo 5: *** Read my mind ***



Capitolo 1
*** Too Late ***


 
 
  1. Too Late
L’amore non esiste, ma esistiamo io e te
e la nostra ribellione alla statistica
un abbraccio per proteggerci dal vento
l’illusione di competere col tempo
e non c’è letteratura che ci sappia raccontare
i numeri da soli non riescono a spiegare
l’amore non esiste, esistiamo io e te

 
-L’amore non esiste-  Fabi, Silvestri, Gazzè
 
 
La prima cosa che nota è un intenso profumo di fiori. Rose, ranuncoli… forse fresie.
Elena non lo sa – non se ne intende affatto– ma è più che sicura che la sua migliore amica le abbia nominato almeno una di queste varietà durante una delle loro innumerevoli sessioni di preparativi telefonici, vale a dire interurbane eterne, trascorse a parlare di liste da stilare, inviti da imbustare e ridicoli segnaposto a forma di farfalla che ha finito per sognarsi anche di notte.
E poi chiacchiere, voli di fantasia e risate da mal di pancia, che negli ultimi due giorni si sono trasformate abbuffate di confetti buttati giù assieme a qualche rarità enologica sgraffignata senza troppi riguardi dalla fornitissima cantina dei Salvatore.
Un toccasana per la linea in vista del grande giorno.
 
Fuori è un afoso pomeriggio di metà luglio e il caldo penetra fin dentro le spesse mura della chiesa. Le ospiti, nei loro abiti color crema, si fanno aria con ventagli di preziosa carta color crema, abbinati alle composizioni floreali dello stesso identico colore che abbelliscono ogni angolo della piccola chiesa di Mystic Falls, gremita fino all’ultimo centimetro disponibile.
Quando un centinaio di paia di occhi le si incollano addosso, a Elena viene un mezzo attacco d’ansia.
Va tutto bene, continua a ripetersi, e un po’ si fa coraggio: infila un passo dietro l’altro sulla corsia immacolata, incorniciata da una fila di lumini sparpagliati lungo l’intero percorso con calcolata casualità.
Tiene lo sguardo fisso di fronte a sé e si esibisce in un sorriso che fa di tutto per risultare spontaneo, ma dentro di lei si agita una confusione che la fa sentire come se fosse tornata indietro di anni. Emozioni difficili da raccontare, ma non da nascondere per una che fa pratica da una vita intera, si accavallavano l’una sull’altra fino ad annebbiarle il cervello. Tutta quella tensione la fa sentire stupida e fuori luogo, così decide di entrare nella parte e concentrarsi solo e unicamente su Stefan,  che la sta aspettando dal lato opposto della chiesa, davanti all’altare di marmo che oggi sembra più imponente che mai.
Lo sposo è elegante e fiero nel suo semplice abito blu scuro. Il gilet grigio perla, la cravatta lucida fermata da uno spillone e la rosa bianca all’occhiello sono gli unici dettagli che lo distinguono dal resto degli invitati, oltre alla luce particolare che gli illumina le iridi verde chiaro: è probabile che si tratti di pura e semplice felicità.
 
Elena ha sempre detestato essere al centro dell’attenzione e ora si ritrova a ringraziare mentalmente Caroline, imbattibile in fatto di stile, per averle consigliato quell’abito. La fa sentire più sicura mentre percorre la navata, consapevole del fatto che, di tutti quegli sguardi, soltanto uno è causa del suo disagio.
Quando raggiunge Stefan,  ha una paura ingiustificata di sbirciare oltre le sue spalle. Ancora una volta si sente stupida e infantile, ma lui la distrae baciandole affettuosamente le guance e trattenendo la sua mano per un istante più lungo del solito.
“Sei emozionato?” gli sussurra lei, determinata a ritornare nel suo ruolo.
“Diciamo che me la sto facendo sotto”.
“Diciamo che te la sei cercata”.
Gli scocca un’occhiata furba e complice come a sottintendere il grosso guaio in cui si sta cacciando per aver deciso di sposare un’adorabile maniaca del controllo che risponde al nome di Caroline Forbes. Lui ridacchia, sciogliendosi un po’.
Ora, su quell’altare, è Elena a sentirsi sull’orlo di un precipizio, ma cerca di non darlo a vedere, impegnando le mani nel sistemarsi il lungo vestito grigio perla che ha calpestato inavvertitamente con il tacco della scarpa.
Subito dopo, l’attacco della marcia nuziale richiama tutti all’ordine e, come da copione, la folla si volta in massa verso l’ingresso.
 
Elena pensa che, per quanto il termine radiosa sia abusato e banale, non esista altra parola per descrivere la sua migliore amica, illuminata dalla luce del pomeriggio estivo nel suo abito bianco, commossa e bellissima mentre, sottobraccio alla madre, raggiunge il suo sposo. Lei, che è sempre stata terrorizzata dal futuro, vorrebbe possedere anche solo un briciolo della sicurezza dei suoi amici che oggi si giurano amore eterno. E vorrebbe commuoversi con Care mentre scorge l’espressione di Stefan che la aspetta all’altare per legarsi a lei per tutta la vita.
Però non lo fa.
Si sente in colpa Elena, ma è consapevole di non aver aspettato altro.
Un momento solo per sé, per trovare il coraggio di voltarsi alla sua sinistra. Verso il testimone dello sposo.
Damon è lì, in piedi, accanto a suo fratello, e la sta già fissando da un po’.
Elena si scopre a chiedersi se lui abbia mai pensato a lei. Se gli è mancata.
Poi Damon sfodera un sorriso sbilenco, uno di quei sorrisi da canaglia che ama ostentare dopo una battuta delle sue.
E finalmente, Elena ha l’impressione che tutte le sue paure vengano cancellate, come da un colpo di spugna.
Dopo tanto tempo, si sente a casa davvero.
 
 
 
Più tardi passeggia sull’erba, scrutando i lunghi tavoli rivestiti di lino bianco alla disperata ricerca di una tartina con sopra qualcosa di commestibile, ma tutto quello che trova sono vassoi colmi di pesce crudo. È allergica a quella roba, ma Care sostiene fermamente che il sushi sia la scelta più à la page per un buffet di matrimonio che si rispetti.
“Ehi Gilbert! Eccoti finalmente! È da stamattina che ti rincorro”.
“Rebekah! Anche tu qui? Non ti avevo proprio notata, scusami”.
In realtà l’ha vista fin troppo bene, e come non avrebbe potuto? Di certo la più giovane dei Mikaelson non passa inosservata.
Il fatto è che non ha nessuna voglia di affrontare una cavalcata lungo il triste viale dei ricordi con la più snob e antipatica delle sue ex compagne di classe del liceo.
La bionda la scruta dall’alto al basso ed Elena si aggiusta automaticamente i capelli dietro le orecchie. Anche se ormai è molto più sicura di sé rispetto a un tempo, chissà perché Rebekah ha sempre il talento innato di farla sentire fuori posto.
“Dì un po’, hai messo su qualche chilo per caso?”
“Può darsi…” nicchia lei, indifferente, lisciandosi il vestito sul ventre piatto.
“Sei venuta sola? Care mi ha detto che stai con un tizio...”
“Liam. Doveva lavorare” taglia corto la mora. Ma l’altra non molla l’osso e prosegue con il suo interrogatorio.
“Allora, come ti trovi a Manhattan? Com’è che non ti ho mai vista in giro?”
Elena non può fare a meno di cogliere una sottile ironia nel modo in cui la ragazza pronuncia quelle parole, ma è abbastanza consapevole di sé stessa da rimanere tranquilla, mentre le spiega qualcosa di cui con ogni probabilità l’altra è già a conoscenza.
“In realtà sto a Greenwich Bekah, in Connecticut. Lavoro per il quotidiano locale. Sai, alla cronaca” spiega con pazienza.
L’altra la osserva con malcelata compassione e le fa dondolare sotto il naso il suo bicchiere di champagne.
“Alla cronaca? Capirai, che lavoraccio. Cosa mai potrà accadere in una cittadina come quella?”
Elena ci pensa un po’ su. “Beh… forse hai ragione. Ma mi piace” ammette candidamente.
“E che ne è stato del tuo sogno di scrivere per il New York Times? Al liceo non parlavi d’altro…” la incalza la bionda, alzando gli occhi al cielo.
Elena vorrebbe rispondere che la vita a volte segue un corso imprevedibile. Che dopo essersene andata da Mystic Falls ha dovuto ridimensionare le proprie ambizioni, ma ci sta provando con tutta sé stessa. Vive da sola, paga le bollette, fa del suo meglio per diventare la donna che desidera essere.
Invece dice solo “Oh guarda, stanno servendo il fritto!”, avventandosi su un vassoio di gamberi fumanti che le fanno venire l’orticaria solo a guardarli, ma in questo momento le sembrano un ottimo diversivo.
Mentre si riempie il piatto con quella robaccia, allunga lo sguardo fino a un gazebo poco più in là.
Damon se ne sta lì, in disparte, sorseggiando un bicchiere pieno di quello che ha tutta l’aria di essere whiskey, in barba all’orario.
I primi bottoni della camicia sono slacciati, la cravatta scura è allentata e l’espressione sul suo viso sembra un po’ troppo ombrosa per uno che dovrebbe essere lì per festeggiare le nozze del proprio fratello. Ma del resto, Damon è Damon.
Per tutto il pomeriggio ha desiderato parlargli, scoprire se davvero nulla è cambiato fra loro.
Prima, durante le foto di rito con gli sposi, lui le ha sfiorato inavvertitamente un braccio.
“Durerà ancora molto questa agonia?” le ha sussurrato a mezza bocca, tradendo la sua solita impazienza, senza preoccuparsi di abbassare la voce in modo sufficiente da non farsi beccare dalla neo-signora Salvatore, che non ha perso occasione di far notare quanto si sia pentita di aver concesso al marito di sceglierlo come testimone.
Poi ci sono stati gli scherzi da organizzare insieme a Bonnie, quel triste rituale che è il lancio del bouquet, il vestito di Care che si è impigliato ad ogni dannata pietra del giardino di villa Lockwood, richiedendo il suo tempestivo intervento in qualità di damigella d’onore. Così ogni occasione di prendere da parte il suo migliore amico e parlargli è sfumata in un nulla di fatto. Di nuovo.
Lo osserva da lontano. Ha investito così tante aspettative su questo loro incontro e ora…
“Cosa non gli farei!”
Elena per poco non si strozza con il vino. Rebekah, che deve aver intercettato lo sguardo dell’amica, le sibila nell’orecchio con voce un tantino sovraeccitata.  Intanto in sottofondo l’orchestrina jazz selezionata da Caroline per l’evento si lancia in un’improbabile versione della Macarena per scaldare la folla.
“Aspetta che Care senta questa roba e vedrai… pianterà una grana che-”
“Dì un po’ siete ancora amici voi due?” insiste l’altra, vanificando il suo tentativo di cambiare argomento. Elena non può fare a meno di notare che Rebekah sta letteralmente divorando il ragazzo con gli occhi.
Riflette un attimo. “Suppongo di si” dice alla fine.
Rebekah ormai non la degna più di uno sguardo. “È sempre sexy da morire, non pensi?” sospira, facendo ondeggiare il flûte.
“Già…”
“E a letto è una bomba” aggiunge.
“Ehm… non lo metto in dubbio. Ti va un gamberetto Reb?”
“Che cosa? Mi stai dicendo che voi due non avete mai…”
La mora tossicchia, imbarazzata.  “Credo di aver bisogno di qualcos’altro da bere. I gamberi mi hanno messo una sete… puoi scusarmi solo un attimo?”
Elena si allontana alla velocità consentitale dai trampoli che la sposa ha selezionato appositamente per lei e agguanta in fretta e furia un calice pieno dal vassoio che un cameriere in livrea bianca le ha piazzato sotto il naso. Il suo sguardo torna a posarsi quasi inconsapevolmente su Damon , che continua a starsene in disparte.
“Aspetti… ne prendo un altro”.
 
I tacchi affondano nell’erba, contribuendo a rendere la sua andatura più incerta. Elena non sa ancora bene cosa ha intenzione di dirgli.
L’ultima volta hanno litigato furiosamente.
È passato un secolo.
Sa solo che sente il bisogno scoprire se lui è ancora in grado di farla ridere. Ridere sul serio, di pancia. Negli ultimi tempi si è ritrovata a pensare che con lui nei paraggi si stava molto più simpatica.
Quando ormai è a metà strada, reggendo i calici tra le mani, Damon solleva gli occhi su di lei.
I suoi occhi cerulei, che si piantano sul suo viso facendola esitare per un istante. Ha l’impressione di poter distinguere ogni sfumatura di blu nello sguardo di quello che per anni è stato il suo migliore amico. Rimangono così, a fissarsi per un momento e poi… Damon distoglie l’attenzione da lei. Elena lo osserva frugare nelle tasche e estrarne il cellulare. Le lancia un’ultima occhiata prima di allontanarsi e rispondere.
 
 
 
“Ok, ok. Ti chiamo più tardi. Si, anche io”.
Damon sospira e infila il telefono nella tasca dello smoking. In sottofondo gli sembra di poter sentir suonare una compilation di musica indie. Scuote la testa. La sua neo-cognatina deve aver liquidato l’orchestra con un cazziatone dei suoi. Senza dubbio è tutta colpa della Macarena: non è chic.
Quando si volta, Stefan lo sta osservando in silenzio, le braccia incrociate sul petto.
“Qualcosa di importante?”
“Diciamo di si”.
“E ha a che fare con quel tuo viaggio fuori città?”
“Dì un po’ Stef, sei sposato da un paio d’ore e sei già diventato ficcanaso come Barbie?”
Stefan scrolla le spalle. Ha già fatto fin troppi brindisi, ed è troppo ebbro di gioia per potergli rispondere a tono. 
“È solo che…sei scomparso senza dire niente e così-”
“È tutto sotto controllo fratello”.
Damon taglia corto e il più giovane dei Salvatore abbozza un sorriso. Ha capito che non è il caso di insistere. Conosce suo fratello e sa che ama fare il misterioso. Non parlerà fino a che non ne avrà voglia e per oggi gli va bene così.
Quando intercetta la traiettoria il suo sguardo, la situazione gli sembra già più chiara.
Elena Gilbert è lì in fondo, ammutolita di fronte a Caroline che le sta parlando di… a giudicare dal modo in cui gesticola, deve trattarsi di qualche grave imprevisto.
Stefan sorride, rimirandosi la fede splendente, poi torna a studiare il fratello maggiore.
“Le hai parlato? Care mi ha detto che-”
“Stefan!”
“Ok, ricevuto. Ti offro un bourbon, ci stai?”
“Ora si che iniziamo a ragionare”.
E così si allontanano, camminando uno a fianco all’altro e lasciando le loro impronte sull’erba tagliata di fresco, mentre sopra di loro il cielo si sta illuminando dei colori accesi del tramonto.
“Stefan?”.
“Eh”.
“Sono felice per te. Dico sul serio”.
“Lo so”.
 
 
 
Elijah Mikaelson racconta l’ennesimo aneddoto che non fa ridere nessuno. Ormai è scesa la sera ed Elena è terribilmente annoiata e forse un po’ delusa. Haley, seduta lì accanto, a giudicare dal modo in cui sbuffa deve condividere con lei lo scarso interesse per quelle ridicole freddure. Infatti si rivolge ad Elena, in cerca di un argomento di conversazione.
“Dì un po’ Gilbert, com’è che sei venuta da sola? Mi pareva di aver capito che e Greenwich stai con un tipo…”
“Liam. Doveva lavorare” ripete Elena, che ormai ha perso il conto di quante volte ha risposto a questa domanda.
Così continua a rigare la tovaglia con la punta del coltello, per poi lanciare un’occhiata mesta e distratta a Stefan e Caroline, seduti al loro tavolo e circondati da un enorme cuore di palloncini bianchi.
Lui le bisbiglia qualcosa all’orecchio, lei sogghigna. Sono il ritratto della gioia ed Elena non può fare a meno di sorridere.
E poi pensa al suo fidanzato perfetto. Perfetto come l’appartamento che ha trovato per loro, in quel delizioso quartiere residenziale. Un piccolo giardino, barbecue sul terrazzo, parquet di legno chiaro, una stanza in più perché chissà, forse un giorno…
Elena è così intenta a riflettere che non si accorge di essere rimasta sola al proprio tavolo.
Si guarda intorno, smarrita. La rediviva orchestra ha iniziato a suonare Time of my life e i commensali ne hanno approfittato per dileguarsi, risparmiandosi le storielle divertenti di Elijah per la torta nuziale.
“Nessuno può lasciare Baby in un angolo” dice una voce alle sue spalle.
Elena non ha bisogno di voltarsi per sapere chi ha parlato.
Si sente invadere da una sensazione ormai familiare. Paura e speranza si mescolano insieme quando cerca e ritrova gli occhi cerulei che ha inseguito per tutto il giorno. La giacca scura è sparita e Damon ha arrotolato le maniche della camicia bianca fino ai gomiti.
Sembra più rilassato rispetto a prima, ma c’è un’ombra sul suo viso, qualcosa di indefinibile che ancora persiste.
Elena abbassa lo sguardo, un po’ intimidita. Poi gli sorride.
“Attento a quello che dici. Potrei alzare l’asticella delle mie aspettative e pretendere che tu mi faccia volare sopra la tua testa come in Dirty Dancing”.
Damon alza gli occhi al cielo, come faceva tutte le volte che Elena lo costringeva a vedere quel film, ma alla fine le scocca un’occhiata divertita.
“Conosco delle mosse che nemmeno ti immagini”.
Dopo un istante di esitazione, Elena afferra la mano che lui le ha allungato con un mezzo sorriso.
Sull’affollatissima pista da ballo impiegano un po’ per trovare il giusto incastro, le dita affusolate di Damon che si scontrano con le sue prima di posarsi sui sulla stoffa leggera che le avvolge i fianchi. Lei fa scivolare le mani sulle sue spalle. Il tessuto liscio, leggermente umido, le scorre sotto i palmi aperti. Intreccia le mani dietro la sua nuca e si lascia avvolgere da quell’abbraccio.
Ora può osservarlo da vicino. I suoi occhi sono come quelli di Lily: splendidi e terribili. Ha tagliato i capelli più corti ed è ancora più bello di come lo ricordava. Oggettivamente bello, come amava definirlo, un modo distaccato per descriverlo senza dover per forza negare l’evidenza. Riconosce il suo odore buono, sente il suo respiro infrangersi leggero sulla pelle accaldata del viso.
Si sente bene, davvero bene, anche quando qualcosa si contrae al centro del suo stomaco. Una sensazione inconfondibile.
Intorno l’atmosfera è piuttosto goliardica, ma loro ondeggiano lentamente, ritrovando pian piano confidenza l’uno con l’altra.
All’improvviso, Damon la guida in un’improbabile piroetta e la attira a sé, facendola sbattere con poca grazia contro il suo petto. Ridono entrambi.
“Ok, lo ammetto, te la cavi quasi come Patrick Swayze” scherza lei.
“Nemmeno tu sei così male, Gilbert”.
 
I’ve had the time of my life
No I never felt this way before
Yes I swear it’s the truth
And I owe it all to you
 
Elena si ritrova a pensare a tutta la strada che hanno percorso insieme, uno accanto all’altra, senza riuscire mai ad incontrarsi.
Per tutto il giorno ha riflettuto su quello che avrebbe voluto dirgli.
Per tutto il giorno ha schivato una domanda che ora vorrebbe dannatamente sentirsi rivolgere.
Saprebbe esattamente cosa rispondere.
Tu.
La causa di tutto sei tu.
Ma Damon continua a stringerla in silenzio e lei non sa che forse, ora è troppo tardi.
 

 
 
***
Ciao a tutte e grazie a chiunque sia arrivata a leggere fin qui.
Per chi non mi conosce, sono Chiara e, dopo qualche tentativo precedente che non mi ha convinta del tutto, ho deciso di lanciarmi in questa nuova avventura!
Per chi mi ha già sopportata in passato, arieccomi :P
Purtroppo il tempo che posso dedicare alla scrittura si è notevolmente ridotto, ma siccome sono testarda come un mulo e credo fermamente nel potere del multitasking, ho deciso di provarci lo stesso e farlo prima di tutto per me.
Se qualcuna di voi avrà il coraggio e la pazienza di seguirmi, welcome on board!
Che ne pensate di questo prologo? Si colloca ad un certo punto della storia, dal prossimo capitolo ripartiremo da zero.
Non dico altro, solo spero vi sia piaciuto.
Un bacio a tutte <3
Chiara
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** The plans that came undone ***


2. The plans that came undone
 
There is an answer in a question
And there is hope within despair
And there is beauty in a failure,
And there are depths beyond compare
There is a role of a lifetime
And there's a song yet to be sung
And there's a dumpster in the driveway
Of all the plans that came undone

***
In una domanda c’è una risposta,
E c’è speranza nella disperazione,
E c’è bellezza in un fallimento,
E ci sono profondità incomparabili.

C’è il ruolo di una vita
E una canzone ancora da cantare,
E c’è un cassonetto di fronte a casa
Pieno di tutti i piani che sono falliti.

 
-Black Sun-  Death Cab For Cutie

 
 
Al 2104 di Maple Street, Elena Gilbert è seduta alla finestra della sua stanza, le gambe strette al petto e una mano premuta contro il vetro. La piccola mansarda è illuminata dalla luce calda e morbida di un sole estivo, che sta per lasciare spazio ad una tiepida serata. La toga, una cascata di stoffa rosso acceso, è appesa alla sua gruccia sull’anta dell’armadio. Il tocco è lì accanto, sulla scrivania e ai piedi del letto c’è ancora l’abito nero che ha sfilato poco fa, appena rientrata a casa, senza preoccuparsi di raccoglierlo.
Oggi è il giorno del diploma e la vita di Elena è destinata a cambiare, ma non nel modo che aveva immaginato.
Oggi è il giorno in cui ha sepolto entrambi i suoi genitori, morti annegati alcune sere prima precipitando con l’auto dal ponte di Wickery.
Un incidente inspiegabile, così lo hanno definito. Ed è proprio con questa profonda imprevedibilità che Elena ha dovuto confrontarsi per la prima volta in vita sua, uscendone sconfitta.
 
Di mattina appena sveglia aveva sceso le scale come un fantasma. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte.
Zia Jenna l’attendeva in cucina, indaffarata a mettere insieme una colazione decente con la quale sperava di poter dare conforto ai due ragazzini a cui si era ritrovata a dover fare da mamma, pur sentendosi lei stessa una bambina mai cresciuta.
“Non sei obbligata a farlo se non ti va” le aveva sussurrato, appoggiandole una mano sulla spalla con tenerezza.
“Ma io voglio farlo” aveva ribattuto Elena, caparbia e determinata.
Avrebbe partecipato alla cerimonia di consegna dei diplomi a tutti i costi, così come aveva stabilito con Miranda e Grayson.
In casa non si parlava d’altro da giorni e lei sarebbe stata forte fino alla fine. Non li avrebbe delusi, per nulla al mondo.
E così si era ritrovata sul palco a ritirare dalle mani del preside quel maledetto pezzo di carta, simbolo di un futuro che improvvisamente le appariva inconsistente, vuoto e inutile.
Voltandosi verso la platea, tutti quei genitori pieni di orgoglio per i loro figli che la squadravano con compassione, sperava ancora di incontrare il bel viso di sua madre e rendersi conto che era stato tutto un gigantesco equivoco.
Quando aveva incrociato lo sguardo mortificato di sua zia e intravisto le due sedie vuote accanto a lei, il dolore si era fatto strada al centro del suo petto scavando una voragine che, ora lo sapeva, niente avrebbe mai potuto riempire.
Elena era corsa via. Le mancava il respiro, la vista era appannata dalle lacrime che si era ripromessa di non mostrare a nessuno e che premevano forte per uscire. Proprio in quell’istante aveva realizzato con chiarezza che quello era solo il primo di tanti momenti importanti in cui si sarebbe sentita fragile e smarrita. Sola.
I suoi sogni avevano perso ogni significato.
La gioia è tale solo è quando è condivisa, così recitava uno dei suoi libri preferiti. Quella frase continuava a tornarle in mente.
Che senso aveva tutto quanto ora che non poteva più condividerlo con loro?
Elena non sapeva più nulla, ma aveva una certezza: non sarebbe mai più stata veramente felice. Qualcosa sarebbe mancato per sempre. Lo sentiva dentro quel vuoto, anche se tutti al funerale l’abbracciavano e la spronavano a guardare avanti.
Sei così giovane, le ripetevano ancora e ancora. A lei non importava più di niente. Ogni volta che guardava quelle bare di legno chiaro con sopra la foto delle due persone che amava di più al mondo, un minuscolo frammento del suo cuore si spegneva per sempre.
Al cimitero aveva cercato di avvicinarsi a Jeremy. L’aveva intravisto in un angolo e gli era andata incontro. Gli voleva bene, aveva bisogno di lui e sperava che per lui fosse lo stesso. Era rimasto in disparte per tutta la cerimonia, non le parlava da giorni e quando aveva tentato di abbracciarlo l’aveva scansata. Ad Elena non era sfuggito l’odore acre che impregnava i suoi vestiti.
Cosa avrebbe dovuto fare ora? Jeremy era l’unica persona con cui voleva dividere il suo male, l’unico che sentiva il bisogno di proteggere, ma era incazzato col mondo e più di tutti con lei.
 
Elena osserva l’impronta opaca che le sue dita hanno lasciato sul vetro della finestra. Ormai è sera. Le ore sono passate così, senza un senso né uno scopo. Afferra il cellulare che ha lasciato spento e, quando lo accende, i messaggi che Care le ha spedito nel pomeriggio arrivano tutti insieme, un bip dietro l’altro. Il soggetto è sempre lo stesso, la festa di questa sera.
Ci saranno tutti. Elena spegne il telefono sbuffando, scende le scale e attraversa il soggiorno veloce, ignorando accuratamente la pila di buste ancora da aprire sul tavolino all’ingresso. Sa bene cosa sono, ha letto le varie intestazioni e se ne è pentita subito dopo.
Una viene dalla Columbia. Prima di oggi avrebbe fatto carte false per essere ammessa ma ora è cambiato tutto.
In cucina trova Jenna, che indossa ancora il tubino nero un po’ troppo scollato che ha messo per il funerale.
Si accoccola su uno sgabello e osserva perplessa sua zia, che tiene la testa infilata nel frigorifero alla disperata ricerca di qualcosa che non sa nemmeno lei.
“Cosa ti andrebbe per cena? Pollo, spaghetti… No, ci sono, un bel gelato!” dice Jenna, sforzandosi di risultare allegra davanti alla nipote, anche quando è costretta a guardarla in viso e sa benissimo di non poter più nascondere i suoi occhi troppo lucidi.
Elena si rende conto che non è l’unica ad aver perso tanto. Vorrebbe tirare fuori una parola giusta, magari un abbraccio che forse aiuterebbe entrambe a sentirsi un po’ meno sole, ma tutto le sembra scontato e senza senso. Così preferisce apparire fredda e distratta e continuare a passare il pollice su una piccola crepa del tavolo della cucina, fino a che il silenzio nella stanza diventa troppo pesante.
“Cosa hai deciso per la festa?”
“Ho deciso di non andarci”.
“Ma ci saranno tutti i tuoi amici. Potresti… distrarti un po’”.
“Non sono in vena, ok?”
“O-ok”.
Per l’ennesima volta in quella lunga giornata, la ragazza sente di aver commesso uno sbaglio. Si avvicina a Jenna, che adesso, mortificata, sta spalmando la maionese su una fetta di pane in totale silenzio.
“Scusami” bisbiglia, ed è davvero pentita.
“Non fa niente”.
“Ti do una mano”.
Mentre preparano i sandwich la casa è immersa in una quiete irreale e triste. Mancano le risate con Miranda che le chiedeva di raccontarle la sua giornata, manca suo padre che legge il giornale sul divano, commenta le notizie e si lamenta della politica.
È tutto così assurdo che Elena sente come se i suoi genitori potessero ricomparire da un momento all’altro.
Quando fruga in un cassetto in cerca di un coltello e getta un’occhiata distratta allo schermo della tv, realizza che è fisso su una partita di Call of Duty lasciata in standby.
“Dov’è Jeremy?”
“Ha detto che andava a casa di amici. Ho pensato che gli avrebbe fatto bene”.
Elena riflette un secondo. Sa che Jeremy ha mentito, o meglio, non ha detto tutta la verità. Gli amici che frequenta ultimamente non farebbero stare sua zia così tranquilla.
Lo ha visto spesso appartarsi nel cortile della scuola con loro. Ok, si fa le canne, non è così strano per la sua età ma ora è tutto diverso. Jeremy ha appena quindici anni e ha perso ogni punto di riferimento. Soffre molto, è diventato scontroso, arrogante e soprattutto, ora che i suoi genitori non ci sono più, Elena teme che il fratello esageri e sente che la responsabilità di tenerlo d’occhio è soltanto sua. Senza pensarci due volte si sciacqua le mani, si infila le scarpe e afferra la giacca.
“Che stai facendo?”
“Ho cambiato idea. Vado alla festa! Ci vediamo più tardi”.
“Ma… i panini!” ribatte Jenna, ma ormai sta parlando ad una porta che sbatte.
Elena è già uscita, vestita di un ruolo che non è il suo, in cerca di uno scopo, di una ragione per andare avanti, della sola cosa che per lei è importante.
 
 
 
 
***
 
 
 
Damon Salvatore se ne sta disteso sul suo letto, le mani dietro la testa e gli occhi fissi al soffitto.
Sul pavimento di legno scuro c’è ancora la valigia da disfare.
Oggi è il giorno in cui la sua vita cambierà per sempre, ma non nel modo in cui tutti si aspettano.
Iscritto al quarto anno della Stanford University, Damon è uno studente brillante ma svogliato.
È intelligente ma non si applica. Se anche al college esistessero i colloqui genitori-insegnanti, sarebbe questa la classica frase che sua madre si sentirebbe ripetere, proprio come quando era soltanto un moccioso. Al tempo lei non se la prendeva più di tanto. Provava a fargli la ramanzina per far contento Giuseppe, ma tutto finiva con un sorriso e un buffetto sulla testa.
Lily e il maggiore dei suoi figli sono sempre stati troppo simili e non solo fisicamente. Sono complici, una mela tagliata a metà.
Ma nemmeno a lei Damon ha confidato il suo segreto.
Nemmeno lei sa che suo figlio non ha dato gli esami finali e ha lasciato il college ad un passo dalla laurea.
Damon preferisce rimandare, sperando che sua madre lo appoggerà come ha sempre fatto.
In fondo è stata lei a dirgli che avrebbe potuto diventare qualsiasi cosa volesse.
Damon ha semplicemente deciso quello che non vuole essere: un laureato, un figlio di papà, un soldatino col posto assicurato nell’azienda di famiglia. Vuole seguire la sua strada, le sue ambizioni e i suoi progetti. Mentre osserva la brezza tiepida della sera gonfiare pigramente le tende della stanza, pensa al futuro e intravede mille possibilità, orizzonti sempre nuovi.
Si sente vivo. Domani affronterà i suoi genitori, ma questa sera vuole godersi la sua ritrovata libertà.
“Ehi. Come va? Mamma mi ha detto che sei tornato”.
Stefan si affaccia sulla soglia. Indossa un paio di jeans e una camicia con le maniche arrotolate fino ai gomiti, ha i capelli scolpiti da una quantità spropositata di gel. Per Damon sarebbe fin troppo facile prenderlo per il culo con una battuta delle sue, ma oggi è particolarmente allegro e non gli va di infierire.
“Stai uscendo?”
“Si, vado ad una festa”.
Stefan fa un passo dentro la stanza e Damon lo osserva controllare il proprio riflesso sul vetro della finestra.
“Di un po’ fratello, non è che ti vedi con qualcuna?”
Il ragazzo guarda in basso, leggermente imbarazzato e Damon capisce che in qualche modo deve aver fatto centro.
“È solo un falò in mezzo al bosco. Ci vado con gli amici” minimizza.
Damon sbuffa e gli lancia un’occhiata scettica.
“Un falò? Puoi fare di meglio Stef. Il diploma si festeggia una volta sola nella vita”.
Poi salta giù dal letto, si avvicina alla scrivania scarabocchia qualcosa su un pezzo di carta che subito dopo passa al fratello, accompagnando il gesto con lo sguardo di uno che la sa parecchio lunga.
“Se vuoi vedere una vera festa, vieni a casa di Klaus”.
Stefan sgrana gli occhi. “Klaus Mikaelson?”
“Ovvio”.
Damon allunga appena il mento per indicare il foglietto. “La password per entrare” bisbiglia, con fare cospiratore “Ah, puoi portarci anche la tua ragazza” aggiunge, con un’alzata di sopracciglia che l’altro trova terribilmente irritante.
Poi afferra la giacca in pelle che ha appoggiato sulla sedia lì accanto e scende al piano di sotto.
A quanto pare suo padre è l’unico che questa sera se ne starà in casa. Infossato nella sua adorata poltrona di pelle, tiene gli occhi incollati alla tv e quando il figlio lo saluta, risponde con un mormorio disattento. Damon non se la prende: ci è abituato, Giuseppe è fatto così. Basta la milionesima replica di una partita di golf di vent’anni fa per renderlo felice.
All’ingresso, Lily Salvatore si sta aggiustando il rossetto allo specchio prima di uscire per la sua partita a carte settimanale con le amiche. Damon rimane ad osservarla per un attimo, senza farsi notare. I capelli neri sono sciolti sulle spalle e pettinati con cura, gli occhi azzurri resi più intensi dal rimmel le illuminano il viso, ancora perfetto nonostante il passare degli anni si sia impresso leggermente sulla sua pelle. Pensa che sua madre sia una donna bellissima. La prima che ha amato davvero, finendo poi per innamorarsi ogni giorno, più volte. Lily gli chiede spesso delle sue storie, della sua vita al college. Le piace ascoltarlo, la fa sentire ancora giovane, dice.
“Io vado” la sente dire ad alta voce, probabilmente rivolta a Giuseppe.
Quando voltandosi sorprende il figlio a spiarla, ha un lieve sussulto. Damon rimane impassibile.
“A casa di Alice giusto mamma?”
“Naturale, come ogni venerdì” risponde lei.
Poi si avvicina al figlio e gli infila una mano fra i capelli disordinati, scrutandogli il viso con aria leggermente preoccupata. Un gesto affettuoso, ma poco adatto a lui. Non è più un bambino, ormai dovrebbe saperlo.
Damon sostiene lo sguardo della madre, fissandola in fondo agli occhi cerulei fino a che non la vede sbattere piano le ciglia e fare un passo indietro, un po’ impacciata.
“Domani parliamo un po’ io e te, promesso?” gli dice, afferrando la borsa.
“Ok” risponde lui. Ha come l’impressione di non essere il solo ad avere un segreto. Si chiede se quella della partita a carte non sia soltanto una scusa.
Lily sorride, infila la porta e se ne va, lasciandosi dietro un Damon pensieroso e un marito troppo distratto per accorgersi di lei.
 
 
 
***
 
 
 
La festa si svolge nei boschi dietro la tenuta dei Lockwood, una location scelta appositamente per risultare misteriosa, anche se il party, purtroppo, è tutto fuorché originale. Una vera e propria accozzaglia di cliché: bicchieroni di plastica pieni di bevande scadenti che qualcuno ha corretto con l’alcool, coppiette che si baciano in penombra e per finire un bel falò dove qualche ragazza sta arrostendo i marshmallow.
Elena non ci mette molto ad individuare Caroline, che quando la vede arrivare guardandosi intorno un po’ spaesata si sbraccia per farsi notare. Appena si incontrano, la biondina non perde l’occasione di stringerla in un abbraccio soffocante, congratulandosi con l’amica per aver deciso di uscire dal proprio guscio di dolore che stava rischiando di farla risultare poco divertente.
Con lei ci sono anche Stefan e Bonnie che invece sono così magnanimi da non chiederle niente riguardo quella cosa, limitandosi a un sorriso di incoraggiamento e alle solite domande.
Elena però non è lì per chiacchierare con gli amici riguardo ai progetti per l’estate appena cominciata, né tantomeno per parlare del college. Continua a guardarsi intorno alla ricerca del fratello, sperando che i suoi sospetti siano fondati e che lui si trovi lì.
Quando nota Vicky Donovan che sta riempiendo un paio di bicchieri con un liquido di un colore tendente al fosforescente, ha la certezza di essere sulla buona strada.
Così la segue mentre si insinua in una zona appartata del bosco e finalmente trova la risposta che cerca.
Jeremy è lì, insieme ad altri amici, tutti troppo strafatti di alcool e di erba per notare una ragazzina in jeans e converse che gioca a fare l’adulta e li fissa con disapprovazione.
“Sei impazzito Jer?”
Il ragazzo la mette a fuoco a fatica, ma quando lo fa Elena non può non notare il fastidio e il disprezzo che traspaiono dal suo sguardo gelido. Jeremy, che nonostante i suoi quindici anni appena compiuti è già molto più alto di lei, la prende per un polso e la trascina in disparte tra le risate degli altri.
“Si può sapere che diavolo vuoi?” sibila a denti stretti. Elena non può fare a meno di notare la cadenza strascinata e lo sguardo assente.
“Semplice. Impedire che ti rovini la vita con le tue mani”.
“Sei fuori strada, Elena”.
“Ah si? Ti sei visto?”
“Mi sto solo divertendo con i miei amici”.
“Se per te il divertimento equivale a distruggerti la vita, sappi che non te lo lascerò fare. Il fatto che mamma e papà non ci siano più non ti autorizza a…”
“Piantala Elena. Tu non sei mia madre!”
 
Jeremy sputa quelle parole con disprezzo e rabbia. Gliele urla in faccia così forte che Elena si sente gelare e, quando lo vede allontanarsi, non ha la forza di reagire. Rimane ferma impalata mentre un brivido freddo le corre lungo la schiena.
Quando si volta, senza sapere nemmeno lei che direzione prendere, i suoi amici sono tutti lì a fissarla in silenzio e lei non ha più il coraggio di muovere un passo. Si sente umiliata, sconfitta e ancora una volta inutile.
In quell’atmosfera surreale, a Caroline tocca il compito di rompere il silenzio con la prima cosa che le viene in mente di dire.
“Questa festa fa schifo. Perché non ce ne andiamo? Ci sarà pure qualcosa di meglio da fare”.
La bionda si guarda attorno con gli occhi sgranati, in cerca di una reazione.
Una voce timida si leva dal brusio sommesso attorno a loro.
“Io un’idea ce l’avrei”.
Tre paia di occhi si incollano addosso a Stefan, che ora appare piuttosto intimidito. Ormai però ha lanciato il sasso, non può più tirarsi indietro.
“C’è un’altra festa a casa dei Mikaelson e io ho la password per entrare” dice, tutto d’un fiato.
“I Mikaelson? Stai scherzando? Io non ci vengo” ribatte Bonnie, incrociando le braccia al petto.
“Sei la solita bacchettona. Io ci sto!” esclama Caroline, la voce accesa da una nota di entusiasmo che Stefan non si lascia sfuggire.
“E tu Elena, sei dei nostri?”
Elena osserva le sue amiche riflettendo sul da farsi. Ha ancora nelle orecchie il suono tagliente della voce di suo fratello e il peso di quella giornata infinita le opprime il petto.
“Andiamo” si sente dire, e prima ancora di rendersene conto si sta incamminando con Stefan e Caroline senza sapere che domani avrà un motivo in più per non dimenticare il giorno che non avrebbe mai voluto rivivere.
 
 
 
*********
Ciao a tutte,
come sempre ringrazio chi ha avuto voglia di leggere la storia fin qui.
Abbiamo fatto un salto indietro nel tempo. Il capitolo è un po’ di passaggio, diciamo che serve a inquadrare la situazione di Elena e Damon che al momento non potrebbero essere più lontani e diversi.
Dato che questa storia per molti versi è un esperimento, non abbiate remore a dirmi se secondo voi sta venendo una ciofeca!!!
Le critiche aiutano a migliorare e io ho le spalle larghe :-)
E grazie a meiousetsuna, Misiamis_0, eli_s e Simiale72 per le belle e incoraggianti recensioni allo scorso.
Un bacio grande e, per quanto possibile, a presto
Chiara

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sad Girl ***


3. Sad girl
 
 
“Wanna be something you would do”
- Sad Girl- Lana Del Rey
 
 
Elena disegna un cerchio nell’acqua con la punta delle dita mentre osserva distrattamente il maestoso giardino che la circonda. Certo, la parola giardino sarebbe più appropriata a descrivere il cortiletto davanti casa sua, non questa specie di parco con piscina annessa che assomiglia più ad un campo da golf, uno bello grande.
Per il resto, il party a casa Mikaelson si è rivelato essere non così tanto diverso dalla festicciola al lago.
Solo, i ragazzi sono vestiti meglio, i cocktail sembrano migliori e vengono serviti in bicchieri di cristallo.
Il suo lo ha assaggiato appena per poi lasciarlo praticamente intonso e tornare ad essere la ragazza triste della situazione.
 
 
Dopo il trionfale ingresso con Stefan e Care, preceduto da uno spassosissimo battibecco tra i due che discutevano animatamente sulla corretta pronuncia della parola doppelganger, la password scelta dal padrone di casa per accedere al suo party esclusivo, Elena aveva buttato giù il suo jelly shot di benvenuto e si era precipitata a ballare sotto il gazebo con la sua amica.
Prima di entrare Caroline aveva insistito per truccarla e lei l’aveva lasciata fare. Quando l’amica, tutta trionfante, le aveva messo in mano uno specchietto tascabile, aveva osservato il suo riflesso finendo per sentirsi bella, con le ciglia allungate dal mascara nero e quel lucidalabbra che le appiccicava la bocca e profumava di gomma alla fragola.
Elena ci aveva creduto davvero. Forse era possibile dare una svolta alla serata, a tutto quanto.
Sentirsi libera e leggera proprio come era Care. Uscirne.
Riuscirci… beh quello era un altro paio di maniche. Mentre tutti ballavano, ridevano e si divertivano, sentiva solo il rumore dei propri pensieri che, nonostante tutto, copriva e ovattava il resto.
 
 
Ben presto, il suo ultimo, disperato tentativo di svolta si è rivelato un fallimento e Elena ha finito per isolarsi. Del resto è difficile pensare di poter premere il tasto “pausa” ed evadere anche solo per un paio d’ore da quella devastante sensazione di solitudine e morte che il litigio con suo fratello non ha fatto che amplificare.
“Tu non sei mia madre”
Jeremy ha ragione e lei torto. Per quanto in modo discutibile, lui sta solo tentando di reagire e soffre almeno quanto lei. Elena sta cercando di fare i conti con sé stessa. Non avrebbe dovuto rimproverarlo, ma lui sembra rifiutare qualunque approccio da parte sua e lei è preoccupata.
La morte dei suoi genitori le ha gettato addosso un pesante fardello di responsabilità nei confronti del fratello minore. Così l’Elena luminosa e divertente con un brillante futuro da giornalista si è trasformata in un attimo in una mammina depressa e bacchettona.
Questi i pensieri che si accavallano nella sua mente confusa, annebbiata dalla stanchezza e dal troppo sragionare.
Nel frattempo se ne sta seduta a bordo piscina, indifferente agli sguardi della gente che la attraversano.
Stefan e Care devono essere da qualche parte lì intorno, lui a fingere di non provarci e lei a far finta di non accorgersene.
Elena si alza in piedi, divisa tra la voglia di andare a cercarli e quella di telefonare a Jeremy, scusarsi e soprattutto assicurarsi che non sia svenuto nel bosco.
Sotto al gazebo la gente balla, la musica è alta e la testa di Elena sembra voler scoppiare.
Mentre fruga con lo sguardo tra la calca alla ricerca dei suoi amici, sbatte inavvertitamente addosso al petto di un tizio, rovesciandogli addosso il suo cocktail e finendo per macchiargli la camicia.
“Dannazione!”.
“Scusa…non ti avevo visto”.
Elena lo sente mormorare parole rese confuse dalla musica e dalle voci, tra le quali le sembra di distinguere qualcosa tipo è di Prada e almeno un paio di cazzo.
Non sa perché, ma basta questo a farla sentire ancora una volta fuori posto.
Così decide di allontanarsi per fare due passi nel giardino, a prendere un po’ d’aria, come si suol dire, e magari  trovare un angolino nascosto in cui ripiombare nel suo rassicurante anonimato sperando che all’Elena triste venga voglia di riposare un po’.
La serata è tiepida, l’erba curata e verdissima stride appena sotto le suole delle sue vecchie scarpe consumate.
Si incammina verso la parte meno illuminata del giardino, dove alcuni alberi e una siepe alta e ben curata delimitano la proprietà dei Mikaelson dalla villa dei vicini.
Elena respira l’aria fresca della sera, si sfrega gli occhi.
Una folata di brezza più fresca la coglie di sorpresa. Un brivido la scuote, fin dentro le ossa.
Dopo una lunga giornata a far finta di stare bene è arrivato il momento di gettare la spugna, ammettere che ora ha una maledetta voglia di piangere.
“Ti sei persa?”.
Una voce alle spalle che la fa sobbalzare e poi voltare.
Steso sull’erba con un ghigno sbilenco, una mano dietro la testa e l’altra che regge una bottiglia mezza vuota di champagne trafugata da uno dei tanti secchielli del ghiaccio del buffet, ecco Damon comparire improvvisamente in mezzo all’oscurità.
Non avrebbero dovuto incontrarsi, non adesso - due vite agli antipodi - ma è capitato.
Elena rimane in silenzio per un istante, gli occhi fissi su quel sorriso scaltro, un po’sorpresa nel trovarsi di fronte quello sconosciuto dall’aria in qualche modo familiare, un po’ disorientata da quella domanda a bruciapelo.
Ti sei persa.
Il fatto che lei si senta esattamente così è solo una ridicola coincidenza.
“In un certo senso”. Solo lei conosce il vero significato di quella risposta.
Intanto osserva quegli occhi, freddi come due schegge di ghiaccio. La scrutano curiosi, divertiti, taglienti e colmi di quella vita e di quella voglia che fino a poco tempo fa appartenevano anche a lei.
Sono gli occhi più azzurri che abbia mai visto. Celesti come il cielo e profondi come il mare.
Hanno qualcosa di inquietante, e qualcos’altro che le fa rimpiangere quel lucidalabbra rimasto appiccicato al bicchiere del suo cocktail.
La luce ovattata illumina la pelle del viso del ragazzo, e lei non può fare a meno di notare che è perfetto, senza se e senza ma. In compenso i capelli, neri come la notte, quelli sono un vero casino.
 
Davanti a quell’espressione confusa, Damon aggrotta appena la fronte, piuttosto disorientato a sua volta.
Inizialmente era venuto alla festa per parlare di affari con Klaus, per proporgli la sua idea.
Sua non è la parola giusta, ma il fatto che sia stato lui ad individuarne il potenziale ne ha fatto automaticamente il proprietario morale del progetto di Ric.
Klaus era troppo ubriaco e strafatto per rendersi conto di trovarsi davanti al più grosso business della sua vita e sganciare un po’ di grana.
Damon l’aveva presa bene tutto sommato.
Ma quelle feste del cazzo non erano il suo genere, nemmeno se ad organizzarle erano Klaus e i suoi fratelli figli di papà. Così aveva deciso di appartarsi, non senza prima approfittare dell’open bar, per poi fumarsi una canna in santa pace prima di andare a dormire.
Aveva arrotolato con cura il filtro, un vecchio biglietto da visita del padre recuperato in un taschino del portafogli, e dopo aver rollato la sua sigaretta magica si era messo comodo e, una boccata dopo l’altra, si era finalmente goduto la sua creazione. Si stava proprio rilassando, quando dal nulla era spuntata quella ragazzina.
 
Una ciocca di capelli scuri e lisci le scivola davanti agli occhi e lei si affretta a rimetterla al suo posto.
Damon vede le sue guance colorarsi appena di imbarazzo quando i loro occhi si incontrano di nuovo.
Tutto normale, è abbastanza consapevole dell’effetto che può fare su una donna, anche se lei è ancora troppo bambina per attrarlo sul serio.
Quello a cui non è abituato sono quegli occhi enormi che sembrano allargarsi un po’di più e adombrarsi di un velo sottile di tristezza.
“Sembri spaventata” osserva lui, per rompere il ghiaccio con quella strana ragazza apparsa nel buio.
“Ti sembra normale sbucare così dal nulla?” sbotta lei, sulla difensiva.
“Anche tu sei qui tutta sola, ragazzina. Dì un po’, non ti stavi divertendo?”  le chiede, rivolgendo un cenno del mento al gazebo dal quale la musica arriva loro come un rimbombo ovattato.
“Ho avuto una lunga giornata” risponde lei in un sospiro.
Senza sapere bene quello che fa, nel dire quelle parole Elena si siede sul prato, accanto a Damon.
Forse alla ricerca di un conforto che nemmeno lei sa di desiderare.
Forse colta dall’istintivo bisogno di cercare e subito distinguere il suo odore, che si confonde con quello buono dell’erba umida.
Abbastanza vicina da lasciarsi penetrare di nuovo dal suo sguardo curioso, che la intimorisce quanto la attrae.
Elena si ritrova ad indugiare sui piccoli solchi che si formano sulle guance del ragazzo che le sorride ironico.
Per un momento teme che lui le chieda spiegazioni sul suo cattivo umore giuso per attaccare bottone. Allo stesso tempo, teme che lui non lo faccia che semplicemente si alzi e se ne vada via.
“Sono Damon” dice lui, sicuro di sé, allungando una mano e afferrando quella che la ragazza timidamente gli porge.
“Elena” risponde lei, automaticamente, senza smettere di fissare le loro mani unite.
“Piacere di conoscerti. Allora, a quanto intuisco, stasera sei qui per festeggiare, ragazzina”.
“Non sai quanto sei lontano dalla realtà” risponde lei, un po’ infastidita da quell’appellativo ricorrente.
“Sbaglio o ti sei diplomata, oggi?”.
“Come…”.
“Oh andiamo. È abbastanza ovvio. E per festeggiare hai deciso di imbucarti a questa festa”.
“Tecnicamente non mi sono imbucata. Avevamo la password, i miei amici e io”.
“Non me ne parlare” scherza lui, sventolando una mano davanti al viso con noncuranza. “Come diavolo si pronuncia quella dannata parola?”.
“La mia amica Care ti rimprovererebbe per la tua ignoranza sui telefilm che vanno in onda sulla tv via cavo”.
“Lo ammetto, non sono un patito di quella roba”.
“Nemmeno io”.
Elena accarezza l’erba del prato col palmo della mano. Poi solleva ancora una volta gli occhi sul volto di Damon, dove un nuovo sorriso sornione si sta facendo strada rendendola ancora una volta impacciata.
Sembra che nulla possa turbare la tranquillità di quel ragazzo, mentre lei è come un grumo di nervi.
“Allora, misteriosa ragazza sbucata dal nulla. Se oggi ti sei diplomata e sei qui con i tuoi amici, mi spieghi cosa te ne fai tutta sola qui con me invece di goderti la festa? Da domani per te si apre un nuovo capitolo. Il futuro è nelle tue mani, puoi avere tutto quello che vuoi”.
Suona così amara e così ironica quella frase alle orecchie di Elena, che sa fin troppo bene che quello che davvero vuole non lo avrà indietro mai ed ha paura di desiderare qualsiasi altra cosa.
“Io non lo so quello che voglio” gli risponde, seria.
“Oh andiamo, tu vuoi quello che vogliono tutti” fa lui, sicuro di sé. Le sue labbra si piegano in un sorriso sbilenco e ammiccante. Lei sgrana gli occhi, lui si concede un’occhiata furtiva alle lunghissime gambe di lei, fasciate strette nei jeans sbiaditi.
“Un amore che ti consumi. Passione, avventura e anche un po’ di pericolo”.
Amori che consumano, e si consumano in un attimo.
Damon ne sa qualcosa. Lui è un fan degli inizi, delle serate passate a rotolarsi sul pavimento di qualche compagna di corso con i vestiti che volano sopra gli appunti da studiare, a fare l’alba su letti troppo corti e troppo stretti tra sesso, sigarette e discorsi senza senso sul futuro.
È bravo in questo. Quello in cui è un po’ meno ferrato è il dopo.
I messaggi del giorno dopo, ad esempio, lunghi come un papiro e zeppi di discorsi sul futuro, dell’urgenza di definire.
Quelli proprio non fanno per lui.
Lo fanno sentire in trappola e gli rovinano tutto il divertimento.
Damon scruta i due occhi grandi incastonati in quel viso da bambina, per un attimo è geloso del ragazzo che farà l’alba con lei per la prima volta in uno di quei letti troppo stretti del campus universitario.
Elena arriccia le labbra. “Dì un po’ Damon. Si può sapere quanto hai bevuto?”.
Il ragazzo sbatte le ciglia. Non era la risposta che aspettava. È abituato a reazioni di altro tipo alle sue banali battute da rimorchio. Ma decide di abbozzare per non dare soddisfazione a quella ragazzina, che sembra godersi fin troppo quella piccola vittoria su di lui.
Così si mette in piedi, le tende una mano e fa alzare anche lei. Ora che sono lì, uno davanti all’altra, lei sembra ancor più piccola e minuta, specialmente adesso che si stringe i gomiti e si guarda con insistenza le punte delle scarpe.
“Non abbastanza, e nemmeno tu. Ma possiamo rimediare, se vuoi”.
Stavolta è Elena quella che si sente spiazzata.
Da quella frase che suona come un invito, una promessa.
Dal modo in cui Damon la guarda e da come questo la fa sentire.
Il suo corpo reagisce ancor prima della sua mente, facendo affluire il sangue alle guance.
Elena spera che lui non se ne accorga.
Non vuole essere una ragazzina che arrossisce. Vuole essere quella che lui desidera.
Ed è questa sensazione a spiazzarla più di tutto il resto.
È qualcosa di involontario e istintivo e imprevedibile, qualcosa che la fa sentire inaspettatamente viva, nonostante tutto.
Qualcosa che non dimenticherà mai.
 
“Elena, dove diavolo ti eri cacciata?”.
La voce squillante di Caroline è come il tasto play sulla piccola pausa di spensieratezza che Elena aveva inconsapevolmente deciso di concedersi.
La bionda si avvicina ai due ragazzi.
A Elena non sfugge la lunga occhiata che Damon le riserva. Dannazione, è davvero irritante.
 
“Che ci fai qui da sola con Damon?”.
“Ci conosciamo?”.
“Vi conoscete?”.
“Io conosco tutti qui a Mystic Falls. Ciao Damon, fratello di Stefan.”.
“Che cosa? Tu?”.
“Ciao, Barbie” sorride Damon, più divertito che mai da quel siparietto e dalla faccia sbigottita di Elena, che dal canto suo comincia a fare due più due e viene investita dalle reminiscenze del proprio passato, dalle quali fa capolino un bambino dai capelli neri che le tirava le treccine. Sono passati tanti, troppi anni.  
Damon fratello di Stefan, Damon che è andato a studiare a Stanford. Quel Damon.
Lo stesso che adesso sorride ironico a suo fratello, che spunta dall’ombra osservando la scena senza capirne un granché.
“Damon…”.
“Si, sono io” sbuffa, “Ciao anche a te, fratellino. Bene, ora che le presentazioni sono state fatte, direi che è arrivato il momento di uscire di scena. Elena, Barbie…”.
“Mi chiamo Caroline”.
“Come vuoi, biondina. È stato un piacere. Godetevi la festa.”.
 
E così se ne va nella notte, scomparendo così come è arrivato, non prima di aver lanciato uno sguardo ad Elena che la lascia un po’stordita, un po’ confusa e un po’ irritata, e una pacca sulla spalla al fratello che vuole essere un cenno d’intesa e un invito a darsi da fare al più presto con quella Caroline.
 
 
 
Più tardi, Damon parcheggia la sua Camaro nel vialetto di casa. Afferra il giubbotto di pelle dal sedile del passeggero, ma non scende subito dall’auto.
Si concede un attimo per pensare alle sue scelte, un attimo per averne un po’ paura.
Domani dovrà affrontare suo padre, dirgli nientemeno che ha lasciato il college.
Eppure in fondo sa che andrà bene, che la vita vale la pena di essere vissuta, nel senso più pieno del termine.
Per un istante gli ricompaiono davanti due occhi grandi, scuri e un po’ persi. Se non è un buon auspicio questo…
Ha già una mano sulla maniglia quando due fari gialli illuminano lo specchietto retrovisore per spegnersi subito dopo, attirando la sua attenzione.
Un’auto scura parcheggiata poco distante da casa sua.
Dentro, due ombre che si uniscono e poi, Lily che esce e corre sul vialetto, scomparendo un istante dopo dentro casa Salvatore.
 
 
*********
Chi non muore si rivede…
Ciao a chiunque passi di qui! Non so se qualcuno si ricorderà di me… un anno fa scrivevo assiduamente in questo sito, poi per una serie di motivi (anche un po’- un bel po’- di disaffezione alla serie tv) sono sparita… proprio dopo aver iniziato questa storia.
Comunque,  con un po’ di imbarazzo, rieccomi qui con il terzo capitolo. (In fondo non ci vuole molto a recuperare gli altri due, sempre se vi va :-) )
Spero di non essere tanto arrugginita… Nonostante TVD mi abbia delusa, non riesco proprio a smettere di amare i Delena. Per molto tempo ho avuto la voglia di tornare ma non sono mai riuscita a farlo e poi…
Mando un bacio a tutte le ragazze che seguivo, mi scuso davvero tanto per essere scomparsa e spero di riuscire a recuperare al più presto le vostre storie e, soprattutto, i contatti con voi…
Con affetto <3
Chiara

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Wasting my young years ***


4. Wasting my young years

Don’t you know that it’s only fear
I wouldn’t worry, you have all your life
I’ve heard it takes some time to get it right
I’m wasting my young years
It doesn’t matter here
***
Non lo sai che è solo paura?
Io non mi preoccuperei, hai tutta la tua vita
Ho sentito che ci vuole un po’ di tempo per far funzionare le cose
Sto sprecando i miei giovani anni
A questo punto non importa
 
Wasting my young years – London Grammar
 
 
È con grande piacere che le comunichiamo che la sua richiesta di ammissione è stata accolta.
 
Dopo aver riletto la frase per la milionesima volta, Elena non riesce a trovare di meglio da fare che piegare di nuovo il dannato foglio increspato da minuscole grinze e riporlo nella busta bianca.
Un secondo dopo se lo sta rigirando tra le mani. Ancora.
Chissà, forse spera che basti questo ridicolo rituale a far cambiare le cose.
Magari è sufficiente rifare tutto daccapo.
Aprire la busta, leggerne di nuovo il contenuto e trovarci magicamente scritta la risposta che sta cercando dentro di sé senza alcun risultato.
Un sospiro più forte degli altri risuona nell’insolito silenzio che avvolge il soggiorno.
Casa Gilbert ha smesso di essere allegra e chiassosa già da qualche settimana, ma oggi non si sente nemmeno una mosca volare. Solo il ronzio del frigorifero interrompe di tanto in tanto quella calma irreale.
Jenna è uscita a cena col suo ragazzo del momento, col benestare di Elena che, per quanto lo consideri apertamente un idiota nemmeno lontanamente degno di sua zia, l’ha praticamente obbligata a prendersi del tempo tutto per sé.
Jeremy è fuori per un non precisato impegno, tanto per cambiare.
Dopo la sfuriata alla festa al lago, le cose non sono migliorate.
Il giorno dopo Jer aveva accettato le sue scuse con una specie di grugnito, continuando a fissare lo schermo della tv e ingurgitando una quantità spropositata di latte e cereali. Senz’altro si trattava di fame chimica, aveva pensato tra sé e sé Elena-la-bacchettona, ripromettendosi mentalmente di continuare a tenerlo d’occhio, magari evitando di esagerare con le prediche.
Suo fratello però continua ad essere incazzato col mondo, a tenersi tutto dentro, a stare tutto il giorno in giro senza concludere nulla.
Come se questo atteggiamento possa bastare ad illudersi che le loro vite non siano state devastate.
Anche Elena lo vorrebbe, lo vorrebbe davvero, ma sa che non è possibile.
Quella busta però potrebbe essere il suo lasciapassare per il futuro che ha sempre desiderato, se solo non fosse così preoccupata per le conseguenze che una scelta del genere provocherebbe.  
 
Elena getta la lettera sul tavolino, chiude gli occhi e si massaggia le tempie.
Da quando è successo l’incidente  non riesce più a dormire bene, terrorizzata dagli incubi che si presentano puntuali ogni volta che cede al sonno. È terribilmente stanca, così il suono del campanello le rimbomba in testa e la fa sussultare.
“Sei ridicola” si rimprovera, mentre si trascina sulla porta per ritirare la pizza che ha ordinato.
“Eccomi qui. La mia è la margherita con doppio formaggio…”.
“Ciao, Elena”.
Le ci vuole un attimo di troppo per metabolizzare. Forse è la sorpresa di trovarselo davanti, forse è l’effetto che le fa sentire il suono del suo nome sulle labbra di lui. Dio, perché è così… strano?
“Che… che diavolo ci fai tu qui?”.
“Diciamo che ti ho riportato qualcosa che ti appartiene.”.
 
 
 
Damon sta trascorrendo la serata seduto al bancone del Grill, svuotando un bicchiere di bourbon dopo l’altro e flirtando senza ritegno con l’adorabile ragazzina che glieli serve.
Non che quel posto gli ispiri particolare simpatia. Semplicemente, non ha voglia di starsene a casa, e non per i motivi che ha immaginato quando ha preso la decisione di abbandonare il college e comunicarlo alla famiglia.
Suo padre ha reagito con pacata rassegnazione al suo annuncio di voler lasciare Stanford ad un passo dalla laurea a favore della sua grandiosa idea imprenditoriale, il lancio del videogioco ideato dal suo amico Ric che Damon ha ben pensato di brevettare con i soldi di Klaus.
In parole povere, lui non ha alcun merito, ma, se tutto andrà secondo i piani, godrà quanto e più degli altri due dei frutti di quell’”operazione”, il tutto grazie al suo innato fiuto per gli affari e ad una buona dose di spavalderia.
Giuseppe non se l’è presa più di tanto, forse convinto che, nel giro di poco, suo figlio tornerà sui propri passi. Chissà perché, Damon non ne è stato sollevato. A dire il vero è rimasto deluso.
Detesta il fatto che suo padre non reagisca, che sia così preso dalla sua rassicurante routine quotidiana da non accorgersi di quello che sta accadendo sotto al suo naso.
 
Lily invece ci aveva provato a far ragionare il figlio.
“Perché non me ne hai parlato prima Damon? Non penso sia una buona idea, te lo devo dire. E poi… credevo che io e te ci dicessimo tutto…” gli aveva sussurrato, carezzandogli dolcemente un braccio. Non poteva sapere quanto ironica doveva suonare quella frase alle orecchie di Damon, che la sera prima l’aveva beccata con le mani nella marmellata, o meglio, con la bocca sul suo cazzo di amante. Tuttavia era rimasto in silenzio, scrutando quegli occhi così uguali ai suoi che traboccavano amore per lui, e gli facevano venir voglia di vomitare.
 
Quel ricordo, ancora troppo vivo e recente, gli fa sbattere il bicchiere sul tavolo con eccessiva violenza, richiamando l’attenzione di Vicky che mentre asciuga i calici sta chiacchierando con un’altra ragazza, ma senza perdere mai di vista il suo cliente preferito.
“Dio, è così sexy…” mormora all’amica appositamente per farsi sentire da lui, fissandolo negli occhi vitrei come se volesse spogliarlo con lo sguardo.
Quando si avvicina per riempirgli ancora una volta il bicchiere, si china in avanti in modo appoggiare il più possibile le tette sopra al bancone.
 “Posso servirti altro?”.
Lui scuote la testa e la ringrazia con un sorriso sbilenco, che ha il solo scopo di rimediare qualche giro gratis, per poi posare lo sguardo proprio dove lei aveva previsto.
Quella ragazza è senza dubbio scopabile, ma non è esattamente il suo genere o forse, semplicemente, è lui a non essere dell’umore adatto.
Damon fa scivolare il liquido ambrato giù per la gola, che ormai brucia per via degli shot e delle troppe sigarette. La serata di Mystic Falls non offre molti diversivi, ma lui non ha ancora voglia di tornarsene a casa.
“Ciaaaaao Vicky”.
La voce impastata e biascicante appartiene a un tizio alto e palesemente ubriaco che a momenti gli cade addosso di peso.
“Ehi, vacci piano”.
“Ohhh scusami amico” .
Il tipo gli rivolge una smorfia addolorata, accompagnandola con un buffetto sulla spalla. Poi si concentra nuovamente sulla barista, la quale non sembra essere entusiasta della cosa.
“Che ci fai qui Jer? Ti avevo detto di sparire" ribatte scocciata.
“Ma io ti amoooooo. Sei fantastica. Dio amico, non pensi anche tu che sia fantastica? Perché non mi vuoi più Vicky? Non ti è piaciuto l’altra sera? A me sembrava che ti piacesse”.
Il tizio continua a blaterare in modo irritante, sbattendo le palpebre sempre più lentamente.
Guardandolo in viso, Damon si rende conto che non può avere più di quindici anni.
“Sei così dolce e sexy. Te lo ricordi quando mi hai leccato il…”
“Falla finita Gilbert! Ti ho già detto e ripetuto di levarti dai piedi” sbotta la mora, in evidente imbarazzo.
Damon sposta lo sguardo da lei al tizio. Tutto ad un tratto, quella scena ha smesso di essere comica, o irritante.
“Come hai detto che si chiama?”.
 
 
 
 
Le ci vuole un attimo per riprendersi. Nel frattempo si sposta i capelli dietro le orecchie con fare nervoso, seguendo lo sguardo di lui che, inevitabilmente, ha percorso le sue gambe lunghe, coperte solo da un paio di pantaloncini blu. Del resto Elena non aspettava visite, eccetto forse il ragazzo delle pizze, che altri non è che il figlio brufoloso dei suoi vicini e di certo non si sarebbe scandalizzato nel vederla in quello stato.
“Bel pigiamino!” esclama Damon ironico, piegando la testa di lato.
L’imbarazzo e la confusione sul volto di Elena lasciano spazio ad un’espressione stizzita.
“Si può sapere di cosa stavi parlando? Questa…cosa che mi appartiene. Di che si tratta?”.
“Ah, si. Giusto”.
Il ragazzo si sposta di lato, lasciando libera la visuale ad Elena che finalmente si accorge del fratello, seduto a capo chino sul bordo del marciapiede accanto ad un’auto di un celeste quasi uguale agli occhi di Damon Salvatore. Che bizzarra coincidenza. Ma ora non ha tempo di pensarci. È già volata giù dal portico immacolato, appena in tempo per raggiungere il fratello che a momenti si sta addormentando sull’asfalto.
“Jeremy… che hai?”.
“Uhhh sorellina. Ciao! Io e il mio amico Damon qui andiamo a fare un giro. Vieni con noi?”.
“Dio mio quanto puzzi! Coraggio, ti aiuto ad alzarti” fa lei, premurosa. L’operazione però risulta un po’ più complicata del previsto, considerato il fatto che suo fratello è alto il doppio di lei.
Elena si volta indietro. Damon li sta osservando a braccia incrociate, col suo solito ghigno strafottente dipinto in viso.
“Si può sapere perché l’hai fatto sedere qui per terra?” gli chiede la mora, continuando a strattonare il ragazzo che però sembra non voler collaborare.
“E rischiare che mi sporcasse gli interni dell’auto di vomito? Starai scherzando!”.
Elena sbuffa e riprende la sua opera di sollevamento pesi. Damon alza gli occhi al cielo. Quella ragazzina è troppo orgogliosa per domandargli aiuto. Così si avvicina, le posa una mano sulla schiena per invitarla a farsi da parte.
“Ci penso io”.
Fa scorrere un braccio sotto le spalle di Jeremy e lo aiuta ad alzarsi da terra. Insieme si dirigono verso la casa. Elena cammina al loro fianco, accarezzando di tanto in tanto il braccio del fratello il quale, dopo aver salito i tre scalini che conducono al portico immacolato, pensa bene di svuotarsi lo stomaco sul pavimento.
 
 
 
“Come sta?”
“Gli ho dato un’aspirina e adesso sta dormendo, credo”.
Elena risponde senza voltarsi, continuando a sciacquare i bicchieri nel lavello. Deve tenersi occupata, e non ha voglia di incrociare ancora una volta lo sguardo ironico di Damon, che la osserva con una spalla poggiata allo stipite della porta della cucina.
“Ho dato una pulita la fuori…” continua lui.
Questa volta Elena decide di voltarsi.
“Non avresti dovuto ma… grazie” dice a voce bassa, strofinandosi nervosamente le mani col canovaccio.
“Figurati. Ho visto di peggio.”.
Damon accenna un lieve sorriso sbilenco. Elena lo osserva, senza aggiungere nient’altro. C’è qualcosa di nuovo nel modo in cui lui la sta guardando. Un che di protettivo e… compassionevole.
“Sai tutto, non è così?”.
“Beh… Stefan non è esattamente una tomba”.
“Stai facendo ironia?”.
“Ops… non volevo. Scusami”.
Per un attimo si studiano in silenzio, poi lei abbassa il viso sullo strofinaccio, rendendosi conto solo in quel momento di quanto forte lo stia stringendo.
“Mi dispiace, Elena. Per la tua famiglia e… beh. Per tutto quanto”.
“Non voglio la tua pietà” ribatte lei, affrontando il suo sguardo con gli occhi pieni di lacrime e orgoglio.
Damon si trova improvvisamente a corto di risposte e battute sarcastiche.
La fragilità e la testardaggine di lei, ancora una volta, lo lasciano spiazzato.
Si guardano negli occhi per un lungo istante, lui senza sapere cosa dire, lei senza sapere cosa pensare.
Caroline l’ha messa in guardia sul suo conto. Lei sa tutto di tutti, e le ha fatto un bel discorsetto riguardo al maggiore dei Salvatore. Eppure, ora che ce l’ha davanti gli sembra solo un ragazzo sinceramente dispiaciuto e preoccupato, non lo schifoso sciupafemmine di cui gli ha parlato l’amica. O forse è solo lei a volerlo vedere sotto una luce diversa.
“Perché hai lasciato Stanford, Damon?”.
La domanda le esce quasi involontariamente dalle labbra.
Lui sorride storto, incrociando le braccia sul petto.
“A quanto pare non sono l’unico ad aver preso informazioni.”.
Lei arrossisce violentemente ed evita di aggiungere altro, anche se da giorni continua a domandarsi perché quel ragazzo, che sembra avere tutte le opportunità che a lei sono negate, le abbia gettate al vento in quel modo.
“Qualcuno ha ordinato una pizza?”.
Paul, il figlio dei vicini, compare sulla porta con la solita faccia brufolosa e l’aria stralunata.
Due paia d’occhi si posano distrattamente su di lui, per poi tornare ad incrociarsi.
Damon raggiunge Elena con qualche passo esitante.
“Sarà meglio che vada”.
Lei ha voglia di chiedergli di restare, ma le parole le muoiono dentro. Così si limita a mordersi il labbro, tanto per essere sicura di non dire altre cose a sproposito.
“Buonanotte, Elena”.
“Grazie…beh, di tutto”.
La voce le esce come un lieve sussurro. Le labbra di Damon si piegano in un sorriso appena accennato, dal quale l’ironia di poco prima sembra essere sparita del tutto.
Poi si volta e se ne va, infilando le mani nella giacca di pelle e lasciandola sola con i propri pensieri.
 
 
 
La stanza di Jeremy è completamente buia, eccetto per una piccola abat-jour che proietta una luce soffice sulle pareti ricoperte da poster e disegni.
Elena si ritrova a pensare che da troppo tempo suo fratello non prende in mano una matita.
Senza far rumore per evitare di svegliarlo, si siede sulla coperta a scacchi, accanto a lui.
Quando scruta il suo viso però, si rende conto che il ragazzo ha gli occhi aperti e la sta fissando.
“Come stai?” chiede, a voce bassa.
“È solo una sbronza, Elena. Mi riprenderò”.
La ragazza sospira, sconsolata. Non riesce proprio a comunicare con lui senza farlo innervosire.
“Mi mancano così tanto, Jer” si lascia sfuggire.
“Anche a me, Elena”.
Le lacrime le salgono agli occhi in modo violento e inarrestabile. Lui deve rendersene conto, perché un attimo dopo è seduto accanto a lei e la prende tra le braccia permettendole di affondare la testa nell’incavo della spalla.
È il suo modo di perdonarla e chiederle scusa a sua volta.
Dopo tanto tempo Elena si sente di nuovo a casa.
Ha solo lui, null’altro è importante.
Più tardi, prima di andare a dormire, scenderà le scale con la sua risposta.
Ritroverà la busta sul tavolino e, dopo averla rigirata le mani un’ultima volta, la straccerà in mille pezzi.
 
 
*********
Un breve saluto e un ringraziamento a tutte voi che avete letto lo scorso capitolo.
Dopo tanto tempo non me l’aspettavo! Grazie, grazie, grazie.
Un bacio
Chiara

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Read my mind ***


5. Read my mind
 
You say you wanna move on and
You say I'm falling behind
Can you read my mind?
Can you read my mind?
***
Dici che vuoi andartene e
Dici che sto rimanendo indietro
Riesci a leggermi nel pensiero?
 
-Read my mind- The Killers
 
 
Elena è ogni giorno più pallida e magra. Sembra fatta soltanto di occhi, due grandi occhi scuri e profondi, uguali a quelli di sua madre, che oggi non riesce proprio a distogliere dalla vetrina del locale, inzuppata di minuscole gocce di pioggia.
Sa già, Elena, che il fondotinta che ha indossato non sarà sufficiente a nascondere i segni evidenti di un’altra delle sue notti terribili, quelle dense di incubi e paura. Non basteranno nemmeno i “tutto ok” che dice in automatico a salvarla dagli sguardi preoccupati delle sue amiche, o dalle espressioni compassionevoli di uno qualsiasi degli avventori della caffetteria dove lei, Care e Bonnie si sono rintanate per ingannare il tempo in uno dei tanti pomeriggi estivi di Mystic Falls. Chissà sei poi a qualcuno importa davvero.
Lei comunque ci sta provando. Vuole andare avanti con tutta sé stessa, ma certe notti il dolore ha il sopravvento ed è semplicemente troppo forte, più forte di lei.
Le attanaglia lo stomaco come una morsa, proprio come ieri sera, quando era tanto intenso da spingerla ad alzarsi, correre in camera dei suoi e toccare il letto freddo, intatto, accarezzare la spensieratezza dei loro volti sulle fotografie, frammenti di una felicità sbiadita, mentre il temporale si sfogava sul tetto della casa e dentro di lei.
 “Spiegatemelo ancora una volta” sbuffa Care, rigirando la cannuccia nella sua Diet Coke e distraendola dai suoi pensieri per un attimo.
“Di che parli scusa?” sospira Bonnie annoiata, senza distogliere lo sguardo dalla vecchia rivista che sta sfogliando da dieci minuti buoni, nel vano tentativo di trovare qualche spunto di conversazione.
“Perché diavolo passiamo le giornate a fare la muffa qui quando dovremmo divertirci. Questa è la nostra ultima estate prima di partire per il college”.
“Perché tu eri troppo impegnata a decidere il colore delle pareti della nostra stanza a Whitmore per avere il tempo di organizzare una vacanza?” suggerisce la mora con un mezzo sorriso, gettando la rivista in un angolo.
“Lo vedi? Devo sempre pensare a tutto io! Passi Elena che è ancora depressa, povera cucciola, ma tu Bon avresti dovuto darmi una mano, no? Senza offesa, Elena”.
“Ma figurati”.
“Comunque il rosa pesca è la scelta più azzeccata secondo il feng shui. A proposito, ora che mi ci fai pensare, devo far portare al dormitorio tutte le scatole con i miei vestiti e naturalmente il mio materasso. Non ci penso nemmeno a dormire su quello sporco e pulcioso di Whitmore. Conosco una ditta di traslochi che potrebbe fare al caso mio…”.
Mentre Care ripassa ad alta voce la sua infinita lista di cose da fare prima della partenza, Bonnie osserva Elena.
Si è dipinta in faccia un sorriso di circostanza, fingendosi interessata agli sproloqui della bionda che le forniscono una buona scusa per non parlare di sé. Ha conservato la sua espressione assente alla quale, ogni volta che si nomina il college, si aggiunge una punta di nervosismo. Lo nota dal modo in cui si tiene le mani impegnate, rigirandosi una ciocca dei lunghi capelli castani tra le dita. Lo fa sempre quando ha qualcosa che non va.
Elena aveva un sogno, e quel sogno era studiare giornalismo alla Columbia. Ora che la sua domanda di iscrizione è stata accolta però, non sembra affatto entusiasta all’idea di partire. Non ne parla mai.
E’ comprensibile dopo tutto ciò che ha passato, e poi c’è il pensiero di Jeremy e il fatto che loro tre saranno lontane per la prima volta in vita loro. Bonnie si ripromette di trovare il modo e il momento di parlarne con lei a tu per tu, mentre Elena, dal canto suo, si augura di riuscire a passare anche questo pomeriggio indenne, rimandando ancora una volta di dire alle sue amiche la verità.
Lei non partirà. Non andrà da nessuna parte, perché il suo posto è qui, accanto a suo fratello.
E non c’è niente che possa farle cambiare idea, non c’è nemmeno nulla da nascondere, semplicemente non ha voglia di dare spiegazioni e non ha voglia che qualcuno provi a dissuaderla. Sa che lo farebbero. Per lo meno Care, che nel frattempo sta continuando il suo monologo.
“…e ora che suo fratello riparte per la California lo accompagnerà, almeno fino a che non cominceranno i corsi e…”.
All’improvviso ad Elena sembra il caso di riconnettersi col discorso.
“Di chi stai parlando?”.
La bionda sgrana gli occhi e mette il broncio, lievemente offesa.
“Mi stai ascoltando o no? Stefan! Partirà fino alla fine dell’estate, con Damon e con Klaus. A quanto pare quei due hanno in ballo un grosso affare”. Il suo tono si colora di una punta di acidità, come tutte le volte in cui si nomina il maggiore dei Salvatore.
Anche per questo motivo, Elena non ha raccontato nulla dell’episodio di qualche sera prima.
La lista delle cose che omette di dire alle sue amiche si sta pericolosamente allungando, ma nemmeno lei sa spiegarsi perché negli ultimi tempi non riesce più a confidarsi con loro.
“E tu che ne sai?”.
“Me lo ha detto Kol. Siamo usciti l’altra sera…”.
Due sguardi di disapprovazione si piantano immediatamente sul viso di Care, la quale risponde con un’alzatina di spalle e un’espressione innocente.
“E Stefan?”.
Caroline ridacchia e scuote la testa, facendo ondeggiare i suoi bei boccoli biondi.
“Quante volte ve lo devo dire? Io e Stefan siamo solo amici”.
“Certo, come no”.
Bonnie scoppia a ridere e Care la colpisce in testa col menù degli hamburger.
È evidente: quei due sono ancora arenati nella loro eterna fase di negazione. Chiunque può accorgersi che tra loro potrebbe nascere qualcosa di speciale, tranne… loro.
Lo si capisce da certi sguardi e, soprattutto, dal modo in cui litigano e si punzecchiano di continuo.
Care poi, esce con chiunque, ma diventa incredibilmente possessiva quando qualcuna ronza intorno al suo amico.
Nonostante tutto, si ostina a ribadire di non pensare a lui in quel modo e che non ha alcuna intenzione di oltrepassare il limite dell’amicizia, sostenendo che le relazioni serie servono soltanto a complicare le cose.
Mentre Bonnie continua a stuzzicare la bionda, le gocce di pioggia che rimbalzano sui vetri ricominciano ad esercitare un fascino irresistibile su Elena. Damon se ne andrà e lei non riesce proprio ad ammettere che, per qualche strano, irrazionale motivo, la cosa le dispiace.
 
 
 
 
“Come te lo devo dire? Andrà tutto bene…”.
Col telefono incastrato tra la spalla e l’orecchio e le mani impegnate a gettare in valigia una pila di t-shirt nere apparentemente tutte uguali, Damon è tutto preso dal tentativo di tenere buono il suo vecchio amico Ric che sta letteralmente andando fuori di testa.
Se lo immagina proprio, con gli occhiali sul naso, una mano tra i capelli e un paio di boxer improbabili, mentre cammina su e giù per il suo minuscolo appartamento a Tenderloin inciampando di tanto in tanto su una lattina di birra vuota o su uno dei suoi tanti testi di robotica.
“Questa cosa del videogioco era divertente finché ci scherzavamo tra di noi, Damon,” gli dice, “ma ora... beh, io non sono sicuro che…”.
Ric sta quasi urlando e Damon allontana il telefono dall’orecchio con una smorfia infastidita.
“Rilassati amico. Lascia fare a me e ti ricoprirò di soldi. Allora si che ci divertiremo”.
“Chi credi di essere, Jerry Maguire? Scusa ma non ti ci vedo”.
Damon ci pensa su.
“Hai ragione. Ho sempre preferito Cocktail. A proposito, ascoltami bene: ho lasciato una bottiglia di bourbon nel tuo armadietto dei medicinali per i momenti bui e…”.
“Non mi sembra l’orario adatto per ubriacarsi”.
“Allora esci o che ne so…guardati un documentario su Bill Gates, ma datti una calmata! Io sarò lì domani”.
Damon chiude la telefonata alzando gli occhi al soffitto, senza dare il tempo all’amico di replicare.
Ric è un cazzo di genio, anche piuttosto divertente quando alza il gomito. Il suo problema è un fastidioso eccesso di razionalità.
Fortuna ha voluto che si siano incontrati e che Damon abbia colto il potenziale dei suoi progetti, salvandolo da un triste destino costellato di concorsi per cervelloni, tornei di sudoku e sbronze solitarie.
Sistemato Ric e in qualche modo pure la valigia, a Damon non resta che uscire dalla stanza.
Scese le scale si ritrova in soggiorno, dove la tv sta trasmettendo l’ennesima partita di golf. Suo padre, infossato nella poltrona di pelle, sembra non far caso a lui, che lo osserva silenzioso a distanza di sicurezza.
La differenza di età fra i suoi genitori non gli è mai sembrata tanto evidente.
I capelli grigi e ormai radi, la camicia che inizia a tirare sempre più in vita. Sul tavolino, un piatto di porcellana con i sandwich che Lily gli ha preparato prima di andare a scopare col suo amante. Com’è premurosa.
Quel pensiero deve tirargli fuori un sospiro più forte degli altri, perché stranamente Giuseppe stacca gli occhi dallo schermo e si volta verso di lui.
“Stai uscendo?”.
“È venerdì sera. Dov’è mamma?”.
“A giocare a carte con le amiche. Ha detto che si ferma a cena da Tiffany” risponde serafico. Dannazione, come può essere così cieco?
Damon stringe i pugni e contrae la mascella, ma non dice una parola. In una frazione di secondo ha indossato il giubbotto. Ha già una mano sulla maniglia quando la voce del padre lo raggiunge alle spalle.
“È molto in pensiero, sai? Per te. E poi ora che te ne vai con Stefan…”.
Davvero, davvero premurosa.
“Stef ha bisogno di distrarsi un po’” taglia corto.
In realtà è stata sua l’idea di quel viaggio improvvisato a San Francisco. Uno sciocco tentativo di proteggere un fratello fin troppo sensibile da una realtà che potrebbe facilmente annusare, la speranza ancor più sciocca che un po’ di tempo possa bastare ad aggiustare le cose, che quella di sua madre sia solo una sbandata passeggera.
“Lo terrai d’occhio, non è così?” aggiunge l’uomo.
Alle orecchie di Damon quella frase suona come una delle tante raccomandazioni che riceveva da bambino, quando Stefan era un moccioso petulante che insisteva per seguirlo dappertutto, specialmente nelle sue prime scorribande con gli amici.
“Non preoccuparti. Tu pensa… beh, alla mamma”.
Quelle parole gli costano fatica, ma sembrano essere abbastanza convincenti. Giuseppe gli risponde con un cenno del capo e torna a sprofondare nella poltrona e nel suo stato di ignara e pacifica tranquillità, mentre suo figlio promette a sé stesso che quella fine lui non la farà mai.
 
 
 
 
Quando spinge la porta di legno del Grill, Elena è un fascio di nervi.
Trovarlo seduto al bancone del bar di certo non aiuta il suo stato d’animo, ma non è esattamente una sorpresa.
Non ha potuto fare a meno di notare l’auto celeste nel parcheggio, e lì per lì ha avuto voglia di scappare.
Lo osserva da lontano, seduto di spalle, la t-shirt nera che aderisce alle sue spalle, le braccia scolpite, i capelli corvini corti sulla nuca e un po’ troppo lunghi sulle tempie e il viso abbassato sul suo bicchiere.
Elena non sa che pesci pigliare e d’istinto si morde il labbro inferiore, scordandosi del rossetto che ha indossato poco prima, controllando il suo riflesso nello specchietto retrovisore dell’auto.
Dopotutto, quello è il suo primo colloquio di lavoro. Non quello che aveva immaginato, ma pur sempre lavoro.
Damon Salvatore però è la variabile che non aveva calcolato.
Ancora non sa che, per il resto della sua vita, questa circostanza diverrà una costante.
Si guarda intorno trattenendo il respiro senza accorgersene, quasi come se qualcuno potesse udire il battito del suo cuore in mezzo a quella confusione.
Vicky sta servendo ai tavoli, Matt sta spinando le birre pericolosamente vicino al principale responsabile del suo temporaneo – si spera – stato confusionale.
Proprio quando è ormai decisa a svignarsela e tornare più tardi, ecco che il caro Matty si accorge di lei e si sbraccia per salutarla. Bingo!
Non può fare altro che rivolgergli un sorriso tirato e avanzare incerta verso di lui, cercando di sembrare tranquilla e spontanea. Una volta raggiunto il bancone deve sforzarsi per ignorare gli occhi di ghiaccio che si sente scorrere addosso. Deglutisce.
“Ciao, Matt. Che bello vederti! Come stai?”
La voce le esce un po’ troppo squillante e il tono è cerimonioso in modo imbarazzante. Il suo vecchio compagno di scuola ora la osserva come se le fosse spuntato in faccia un altro naso e dentro di sé lei non può certo dargli torto.
“Ehm…bene Elena. Più o meno come mezz’ora fa, quando ci siamo sentiti per telefono. A proposito, mi hai detto che avevi urgenza di parlarmi per quel posto da cameriera. Conosci qualcuno di interessato?”.
Merda, merda, merda.
“Beh, veramente… io. Io sono interessata.”.
 
 
 
 
Alla fine Matt ha avuto l’accortezza di sottrarla da quella tortura – lo sguardo indagatore di Damon non è sfuggito nemmeno a lui, nonostante sia un tipo notoriamente poco attento – e farla accomodare nel suo ufficio, un sottoscala ammassato di scatole di alcolici che odora di muffa e disinfettante.
Dopo la sorpresa iniziale e la prevedibile tiritera su quanto lei sia intelligente e sprecata per servire birre in quel buco di città, ha capito.
Elena non aveva dubbi, del resto condividono un destino non proprio generoso.
Jack Donovan se l’è data a gambe anni fa, lasciando alla moglie Kelly, un’alcolizzata affetta da una perenne sindrome di Peter Pan, la responsabilità di un’attività di famiglia sempre sull’orlo del tracollo e due figli da crescere.
Nemmeno per Matt, brillante giocatore di football e discreto studente, ci sarà il college a settembre.
Deve badare a Vicky, al Grill e, quando si fa viva, anche a sua madre.
Elena ha bisogno di lavorare o per lo meno di tenersi occupata e quella le sembra la sola possibilità per non pesare sulla famiglia e, soprattutto, stare vicino a Jeremy.
Dopo la loro chiacchierata, Matt la abbraccia per un lungo istante – il suo modo di dire mi dispiace senza troppe parole – e lei lo apprezza davvero. Starà bene, andrà bene, continua a ripetersi mentre apre la porta sul retro e viene investita dall’aria frizzante di una notte appena cominciata.
“Almeno quell’idiota ti ha assunta? Perché io ti assumerei…”.
Elena sussulta, poi si volta verso la voce che ormai ha imparato a conoscere.
Percorre con lo sguardo la figura di Damon, un’ombra nera contro la ringhiera, dalla quale risaltano due occhi divertiti e sfrontati che le si piantano in viso, lasciandola per un secondo a corto di parole.
Si sente colta sul fatto e questo la destabilizza. Lui sembra divertirsi a sue spese e questo la irrita parecchio.
“Dovresti smetterla di spuntare dal nulla” prova a difendersi, ma lui non ha voglia di parlare di questo e lei lo capisce all’istante. Sospira.
“Non andrò al college”.
È la prima volta che lo dice ad alta voce. È liberatorio e insieme spaventoso e, soprattutto, sembra molto più reale, così.
“L’ho capito. Siamo sulla stessa barca, io e te”.
Il suo tono ironico pungola Elena, che ora si mette sulla difensiva, in attesa di una predica che lui non le farebbe mai.
“Oh non credo proprio. Io non ho mollato Stanford ad un passo dalla laurea” ribatte, piccata.
“Perché ti scaldi tanto?”.
La sua indifferenza non fa che innervosirla di più. “Sembra quasi un dispetto, il tuo” prosegue.
Stavolta la frecciatina va a segno e Damon si incupisce, ma solo per un momento.
“Hai ragione, ma forse l’ho fatto alla persona sbagliata” risponde, senza scomporsi “e tu perché lo fai?”.
“Che differenza fa?”.
“Nessuna differenza se tu sei felice. Buonanotte, Elena”.
Buonanotte.
Sta iniziando a diventare una parola ricorrente, così come il senso di smarrimento che provoca in lei.
Lo guarda scendere i gradini con le mani infilate in tasca e imboccare il vialetto sul retro del locale. La luce di una lampada al neon illumina lieve il suo profilo, i passi appena strascicati risuonano nel silenzio.
Elena riesce solo a pensare che di lì a poco, lui se ne andrà.
“Damon… aspetta”.
Il ragazzo si ferma e si volta di nuovo verso di lei. L’ironia di poco prima a lasciato il posto ad un’espressione neutra.
“Si?”.
“L’altra sera non ti ho ringraziato. Beh ecco… grazie”.
Un’alzata di sopracciglia, un sorriso storto.
“Non c’è di che”.
 
 
 
A lei non andava di rientrare al Grill, lui non voleva tornare a casa.
Entrambi non avevano nessuna voglia di lasciarsi andare.
 
Alla fine si ritrovano seduti l’uno accanto all’altra su una panchina del parco a consumare un paio di hamburger in silenzio. Non un silenzio imbarazzante, ma inaspettatamente naturale.
Per alleggerire l’atmosfera e non costringerla a parlare delle sue recenti decisioni, lui le ha raccontato di Ric esagerando sui particolari divertenti e l’ha presa in giro per la sua mania di scartare minuziosamente i cetriolini.
Elena non sa come sia successo, ma si sente a suo agio. Sospesa in una dimensione effimera, dove i suoi problemi non esistono.
Si scopre a studiare il suo profilo. Il naso, le labbra, gli occhi che anche da quella prospettiva le appaiono incredibili. Non c’è da meravigliarsi se, come dice Care, tutte gli muoiono dietro. A dire il vero la sua amica ha usato un altro giro di parole, ma il senso era quello.
“Cosa intendevi prima? Quando hai detto quella cosa sul fatto che importa che io sia felice”.
“Non sono il tipo da perle di saggezza”.
Elena mette un finto broncio e Damon si allunga sulla panchina, portando le mani dietro la testa e gli occhi verso il cielo. Il temporale estivo del pomeriggio ha lasciato spazio ad una notte serena, ma più fredda del solito.
“Se insisti… non credo che il punto sia il college. Il punto è non rinunciare ai tuoi sogni. Quello che fai dovrebbe aiutarti a diventare ciò che desideri essere”.
Elena ci pensa su.
“Vale anche per te?”.
“Certo. Ho sempre desiderato vivere di rendita. E adesso basta con i discorsi filosofici. È Stefan quello bravo in queste cose… ”.
Elena lo osserva scettica. Sa essere un vero cretino, quando vuole.
Un vento troppo fresco si solleva, facendola tremare.
“Hai freddo?”.
Qualcosa, nel tono della sua voce e nel suo sguardo, le provoca un brivido lungo la spina dorsale.
“N-no.”.
Il suo istinto non sta sbagliando. Lo capisce quando quegli occhi azzurri la fissano come se volessero memorizzare ogni piccolo tratto del suo viso, spostandosi con lentezza esasperante dai suoi occhi alle labbra che ha schiuso senza volere, mentre il suo respiro sta pericolosamente accelerando.
Può sentire il suo profumo. Erba bagnata e tabacco.
Si sente stordita, in balia dell’attrazione naturale che prova per lui.
Sa bene che sta a lei decidere se oltrepassare o meno il confine.
Perché Damon è sempre Damon e lei è dannatamente bella, e fragile. Per questo sta aspettando un cenno nel suo sguardo, qualcosa che gli dica fino a dove può spingersi.
“E così… domani te ne vai”.
La voce le esce come un sussurro mentre dice quelle parole, e dentro di lei si fa strada una nuova sensazione di abbandono. Un’emozione che non vuole più provare.
La scelta è stata fatta, il momento è passato, svanito.
Ho bisogno di qualcuno che resti Ho bisogno di un amico.
“Tornerò presto”.
Ritornerò sempre.
È una promessa silenziosa quella che lui le fa quella sera, una promessa che non potrà mai fare a meno di mantenere.
 
 

 
*********
Ciao, è passato un po’ di tempo ma ho dovuto dedicarmi a cose meno interessanti della scrittura, ahimè.
Grazie a chiunque abbia letto i capitoli precedenti, a chi mi ha incoraggiata con un parere, a chi ha aggiunto la storia tra le preferite e seguite.
Spero continui a piacervi
Un bacio
Chiara

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3118017