Amore Proibito

di Daleko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Conoscenza. ***
Capitolo 2: *** Insonnia. ***
Capitolo 3: *** Umore nero. ***
Capitolo 4: *** Litigi. (pt. 1) ***
Capitolo 5: *** Litigi. (pt. 2) ***
Capitolo 6: *** Solitudine. ***
Capitolo 7: *** Ashley. ***
Capitolo 8: *** Confessioni. ***
Capitolo 9: *** Riflessioni. ***
Capitolo 10: *** Gennaio. ***
Capitolo 11: *** Grace. ***
Capitolo 12: *** Incontro. ***
Capitolo 13: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Conoscenza. ***


Capitolo Uno: Conoscenza.




La biondina le saltò al collo. «KAAAAAAAATE!» urlò, rischiando di soffocarla. Si staccò dopo qualche secondo, ma ormai le aveva già stravolto i capelli. «Ciao, Grace» rispose con un sorriso, mentre con una mano cercava di rimettere in ordine – per quel che poteva - i capelli. «Sei pronta per il terzo anno? Non riesco ancora a pensarci, altri due e andremo all'Università! Tu quale sceglierai?» continuò a chiederle l'amica. «Io sono indecisa, mia madre non vuole mandarmi troppo lontano ma io non voglio restare qui! Potremmo andarci insieme, che ne dici? Kate? Hey? Kate? Ma mi stai ascoltando?!»

Meno di quindici minuti dopo, suonò la campanella che segnava l'inizio delle lezioni. Kate aveva già mal di testa; entrò in classe con Grace che continuava a parlare a fianco. Si sedettero in terza fila, né troppo avanti né troppo indietro, lei prediligendo il posto più vicino alla porta. «Ma quindi questa è la classe di inglese? Hai già visto la nuova prof? O è un maschio? Kate? Ne sai qualcosa?» continuò a chiedere Grace.
"Impazzirò. Non ero più abituata. Maledette vacanze estive" pensò Kate, poggiando la fronte sul banco. Pochi secondi dopo, sentì i suoi compagni alzarsi. Era entrato l'insegnante. Si alzò anche lei, sbadigliando.

Non aveva alcuna voglia di andare a scuola. Zero. Odiava la vita scolastica, era troppo frenetica e lei era troppo pigra per correre di qua e di là, seguire i corsi, svegliarsi presto e andare a dormire tardi, avere una benché minima vita sociale... No, non faceva per lei. Recitò meccanicamente insieme agli altri il Giuramento di Fedeltà che conosceva quasi meglio dell'indirizzo di casa sua, poi si sedette. Trafficò con il nuovo libro di inglese per qualche minuto, mentre il professore – a giudicare dalla voce, un uomo – faceva l'appello.
«Aaron Ortiz» «Presente!»
«Nicole Peterson» «Presente»
«Grace Perry» «Presente!»
«Dakota Riley» «Presente»
«Isaac Sullivan» «Presente»
«Kathleen Scott»
Kate si alzò lentamente, alzando gli occhi. «Presente..» rispose, tornando a sedersi. Non si aspettava che il nuovo professore di inglese fosse così vecchio. «Hey Grace» mormorò alla compagna, mentre l'insegnante terminava l'appello. Indicò il professore con la testa. «Secondo te, quanti anni ha?» chiese, incuriosita. Grace squadrò il professore. Capelli neri brizzolati, qualche ruga. I vispi occhi nocciola e la voce ferma, però, la desistettero dal dargli troppi anni. «Una cinquantina, direi» rispose l'amica, annuendo. A Kate, questa risposta, andò bene.

Terminato l'appello, il professore si alzò e fece il giro della cattedra, appoggiandocisi ma senza sedersi su di essa, e accavallò le gambe. Li guardò per qualche secondo, spaziando con lo sguardo per la classe. «Siete ventiquattro, mh. Impiegherò un po' di tempo ad imparare i vostri nomi ma ci riuscirò, non disperate» accennò un sorriso «non sono ancora così vecchio». Qualche risata accennata in aula; il prof tornò ad alzarsi, avvicinandosi poi alla cattedra. «Il mio nome» disse, scrivendolo alla lavagna «è Kevin J. Powell. Sarò il vostro insegnante di inglese per quest'anno» concluse, riponendo il gesso. Kate osservò per qualche istante il nome alla lavagna, poi tornò a guardare il professore. «Bene!» esclamò l'uomo con un sorriso «Cominciamo la lezione!»




 




Note dell'Autore.

Il romantico non è il mio genere. Lo so. Ciò nonostante ho deciso di provare a scrivere questa storia che ho in mente già da un po' di tempo; non so quanti di voi riusciranno a comprendere la protagonista, cui storia ammetto essere ispirata ad un accaduto reale. Per scriverla ed ambientarla in una tipica High School americana mi sono documentata meglio che potevo sul funzionamento del sistema scolastico in America; se malgrado tutto qualcuno di voi trova (o troverà) delle incongruenze, può segnalarmelo tranquillamente.
Grazie della lettura.

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Capitolo 2
*** Insonnia. ***


Capitolo Due: Insonnia.

 
 

3:56

Kate osservò le cifre della sveglia sul comodino, imbronciata. Non era riuscita a chiudere occhio per tutta la notte; continuava a rigirarsi nel letto, inquieta. Afferrò il cellulare accanto alla sveglia, poi aprì lo sportellino. Entrò nella cartella "Messaggi"; voleva mandarne uno a Grace, ma se poi si fosse svegliata? Richiuse lo sportellino, sospirando. Fra un'ora e mezza aveva la sveglia, e lei non aveva dormito nemmeno un po'. "Stress da rientro scolastico", pensò.
 

* * * *
 

«Non sono riuscita a dormire nemmeno mezz'ora!» si lagnò sull'autobus, poco meno di tre ore dopo. Grace la guardò, preoccupata. «Che succede? È solo il terzo giorno! Sei preoccupata per le materie? Per la scuola? A casa? Sai che puoi fidarti di me, no? Oppure ti sei presa una cotta? Aaron è diventato proprio carino!» mormorò, voltandosi a guardandolo. Kate seguì con gli occhi lo sguardo dell'amica, inquadrando il suo compagno di classe seduto qualche fila più indietro. Capelli neri, occhi scuri, teneva poggiato un ginocchio sullo schienale del sediolino avanti. Guardava fuori dal finestrino e ascoltava la musica con le cuffiette. Kate abbozzò un sorriso. «Hai ragione, perché non ci provi?» pungolò l'amica, che arrossì. «Ma non posso, non parla mai!» si lamentò. «Infatti: sareste una coppia perfetta!» scherzò Kate, ed entrambe scoppiarono a ridere.

 

«Signorina Scott? È con noi?»
Una voce la riscosse dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo; il professore d'inglese era vicino al suo banco. Kate arrossì. «Sì, sì, mi scusi» mormorò, al che l'insegnante lasciò l'espressione corrucciata per una più serena. «Bene, stavamo parlando del programma di quest'anno...»
"Ho troppo sonno” pensò con un sospiro la ragazza, poggiando il mento sul palmo aperto della mano destra. Tornò a fissare il muro per tutto il resto della lezione.

Quando a mezzogiorno suonò la campanella per la fine della quarta ora, la ragazza si alzò sbadigliando. Raggiunse Grace che l'aspettava vicino alla porta. «Non ne posso più» tornò a lamentarsi. Si diressero verso gli armadietti, impazienti di andare alla mensa. «Quasi quasi torno a casa a dormire, sto malissimo» continuò, ben sapendo che non l'avrebbe fatto. «Nel pomeriggio abbiamo educazione fisica» le ricordò l'amica, suscitandole un gemito di dolore.

Poche ore dopo, mentre Kate legava i capelli castani in una coda di cavallo molto approssimata, le altre ragazze cominciavano già ad entrare in palestra. «Ti raggiungo subito!» disse a Grace, che la lasciò sola nello spogliatoio. La ragazza tornò a guardarsi nello specchio; il suo aspetto non le piaceva affatto. La mancanza di sonno era palese. Sospirò; due notti in bianco non le avevano fatto per niente bene. Si rese conto d'un tratto di avere urgente bisogno di una sigaretta. Afferrò la sua borsa, prese il pacchetto di sigarette e l'accendino, e si affrettò ad uscire in corridoio. Camminava velocemente; il corridoio era semivuoto. Se avesse fumato rapidamente la sua sigaretta e fosse tornata in palestra, sarebb—
«Ti sei fatta male?» disse una voce. Kate arrossì; non stava guardando dove metteva i piedi, e non solo era andata a sbattere contro qualcuno... Ma aveva anche perso l'equilibrio!
Si rialzò, senza alzare il volto. "Che figura di merda", pensò fra sé. «Sto bene» mormorò. «Mi scusi» aggiunse, abbassandosi sulle ginocchia per raccogliere il pacchetto di sigarette. Si guardò intorno; non trovava più l'accendino. «Non dovresti fumare» gli disse in tono serio la voce di poco prima. Alzò lo sguardo; il rossore s'intensificò.
"Che. Figura. Di. MERDA!!" urlò nella sua mente, desiderando di sprofondare. Il suo professore d'inglese era lì, a fissarla severamente. Le porgeva l'accendino arancione. «Già, ha ragione» disse, con un sorrisetto nervoso. «Fa male alla tua salute, sei solo una ragazza» proseguì lui. «Quanti anni hai?» le chiese, alzando un sopracciglio. «Sedici» rispose, cercando di infilare l'accendino in tasca. Quando ricordò di avere addosso la tuta senza tasche, si sentì ancor più stupida.
Il professore sospirò. «Beh, non sarà una ramanzina a farti smettere di fumare» alzò lo sguardo, con un accenno di sorriso sul volto. «Ci penserà il tempo a farti capire le scelte giuste da quelle sbagliate... Prendi quella feccia di Nixon: Kennedy ha fatto in tempo a morire, mh.. Mi sarebbe piaciuto avere più di qualche giorno di vita per vedere i suoi ultimi, ma...» si bloccò, e tornò a guardare la ragazza. «Ops, forse queste sono cose che non si dovrebbero dire ad un alunno» continuò in tono scherzoso. «Inoltre non sono il tuo professore di Storia, giusto?» Kate era a disagio; distolse lo sguardo. Il professore corrugò la fronte. «È successo qualcosa?» chiese, continuando a scrutarla. La ragazza temette che fosse per via del suo atteggiamento schivo, e tornò a guardarlo per rassicurarlo. L'insegnante la precedette. «Mi riferivo al tuo aspetto. Hai delle occhiaie che non mi piacciono affatto. Che materia hai, ora?» le chiese, toccandosi il mento. «Educazione fisica» rispose Kate, ma lui scosse la testa. «Va' in infermeria, parlerò io con il tuo insegnante» le disse, poggiandole una mano sulla testa. «Riposati» concluse, prima di andare via con un sorriso. Kate rimase lì per qualche secondo, interdetta, poi si diresse lentamente verso l'infermeria con ancora sigarette e accendino stretti in mano. «JFK è morto... Nel... 1963» mormorò fra sé. D'un tratto, sorrise.

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Capitolo 3
*** Umore nero. ***


Capitolo Tre: Umore nero.

 
 
«Maa'» urlò dalla sua camera. «Ho quasi finito il correttore, me ne compri dell'altro?» continuò a dire ad alta voce, prima di sospirare amareggiata. La castana si stava specchiando già da quindici minuti, nel disperato tentativo di coprire le occhiaie. Dopo quello che era successo la settimana prima – arrossì al ricordarlo – non voleva che qualcuno si preoccupasse per lei, ma non riusciva proprio a dormire. Ed era sempre più stanca.
Ci rinunciò; la mezzaluna bluastra continuava a far capolino da sotto lo spesso strato di trucco. Fece un profondo respiro, posò il correttore sulla scrivania, afferrò lo zaino del medesimo colore delle sue occhiaie ed uscì dalla camera; era già in ritardo.

«Ci sarai?»
«Uh?»
«Alla festa di Tania. Ci sarai?» chiese nuovamente Grace, mentre entravano in aula. «Tania?» chiese con voce stanca Kate, voltandosi a guardare l'amica. L'altra si accigliò, scrutandola. «Kate, cos'hai? Mi fai preoccupare» mormorò, ottenendo un sorriso. «Sto bene» rispose semplicemente senza dare spiegazioni, poi si avviò al suo posto. Lasciò scivolare lo zaino sul pavimento, poi si sedette. Trattenne uno sbadiglio, mentre l'insegnante di Storia entrava in classe.
L'aspettava un'altra lunga mattinata.

* * * *

«È solo martedìììì» si lagnò, rovesciando la testa all'indietro. Grace ridacchiò. «Quest'anno sei insopportabile, si può sapere cos'hai?» chiese ancora, portando alla bocca una generosa cucchiaiata di purea di patate. «Niente» rispose l'altra, mettendo il broncio. Prese la forchetta controvoglia, cercando un punto d'incontro con le quattro foglie d'insalata nel suo piatto. «Sei arrossita» la prese in giro la bionda.
«No.»
«Sì!»
«Noo!»
«Sììì!»
«Scusate, ragazze... Avete visto la signorina Tennant?»
Kate e Grace si voltarono contemporaneamente a guardare la fonte della voce accanto al tavolo. Il loro professore d'inglese, con tanto di giacca e cartella alla mano, le stava fissando con un sorriso imbarazzato sul volto. La bionda annuì, indicando la porta che conduceva all'uscita sul parcheggio. «Sì, credo che sia uscita pochi minuti fa» rispose. Il professore le guardò continuando a sorridere, poi ringrazio con un cenno del capo. «Grazie, a domani» disse ancora, prima di andar via.
«Il professor Powell e la professoressa Tennant? Oh. Mio. Dio!» esclamò a bassa voce Grace, prima di corrucciarsi alla vista dell'amica. «Uh?»
Kate aveva un'espressione a dir poco nera.
«Hey, che è successo? Volevi rispondergli tu?» la prese ancora in giro, ma non ebbe risposta. Non fece in tempo a preoccuparsi ulteriormente, perché qualcun altro la interruppe.
«Ehm... Ciao» disse una voce alle sue spalle. Grace si voltò. «AARON!» esclamò. «Ciao! Dimmi!» continuò con voce quasi tremante. Il ragazzo guardò Kate che non aveva nemmeno alzato lo sguardo, poi tornò a rivolgere la sua attenzione a Grace lievemente offeso. «Nulla, volevo sapere se domani verrete alla festa di Tania» rispose, facendo spallucce. Grace sfoggiò il suo miglior sorriso. «Oh sì, sì, verremo sicuramente!» esclamò. «D'accordo, allora a domani» salutò il ragazzo, prima di voltarsi e andar via.
«Sei arrossita»
«Non è vero»
«E invece sì»
«E invece no!»
«Sì.»
«Nooo!»
Kate fece spallucce; non era dell'umore adatto per scherzare con Grace. Anzi, in realtà non era dell'umore adatto per scherzare con nessuno.

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Capitolo 4
*** Litigi. (pt. 1) ***


Capitolo Quattro: Litigi. (pt. 1)




Kate era inquieta.
Non era una novità; si girava e rigirava nel letto, scalciando via il lenzuolo e imprecando a bassa voce. Non riusciva a dormire, come al solito. Quella notte, inoltre, si aggiungeva un'aggravante: era appena tornata dalla festa di compleanno di Tania, e il tutto... Beh, non era andato esattamente come sperava andasse.



«Io non volevo venire» bofonchiò, avvolta nel suo vestito blu. Grace la ignorò, passandole una bevanda gassata. «Su, pensa a divertiti!» esclamò ridendo, sedendosi sul divanetto. Kate le si sedette accanto, sospirando. Non si aspettava un granché dalla festa; era stanca, annoiata e di malumore. Come da un po' di tempo, in effetti.
«Ciao» disse il moro, avvicinandosi a loro. Entrambe le ragazze levarono lo sguardo sulla figura stagliatasi davanti; l'inconfondibile ciuffo ribelle fece arrossire istantaneamente Grace. «Aaron! Ciao!» esclamò subito, balzando in piedi. Aaron le rivolse un sorriso veloce, poi tornò a rivolgersi verso l'altra. «Kate, puoi venire un momento? Devo parlarti» le chiese, aspettando una sua risposta. Kate, che intanto era tornata a vagare con lo sguardo, portò nuovamente la sua attenzione sul ragazzo. «Uh?» aggrottò la fronte, poi posò la bevanda sul tavolino accanto a lei. «Mh, okay» disse semplicemente alla fine, alzandosi svogliatamente dal divanetto. Guardò Grace, che le ricambiò l'occhiata perplessa. «Torno subito» le mormorò, prima di seguire il ragazzo in giardino.

«Sono contento di essere nuovamente in classe con te» disse il ragazzo, camminandole al fianco. Stavano camminando fra i cespugli del discreto giardino sul retro dell'abitazione; Kate notò che, nonostante lo stile ribelle del ragazzo non fosse per nulla mutato – jeans nero con catena e anfibi – aveva cercato di renderlo quanto più elegante possibile. «Sei molto carina, stasera» aggiunse, fermandosi di botto. Kate capì finalmente dove il ragazzo volesse arrivare a parare, probabilmente troppo tardi. Quando si rese conto di quello che stava per accadere, si voltò a guardarlo. «Aaron, io n–»
Le labbra del ragazzo, d'un tratto, erano a contatto con le sue.
Restò lì, con gli occhi aperti dalla sorpresa, a sentire il calore del ragazzo a così pochi centimetri da lei.
Il cuore accelerò.

D'un tratto, i due trasalirono; un rumore di vetri infranti li fece voltare di scatto, verso la porta a vetri che portava al salotto.
Una basita ragazza bionda, con la mano aperta e i vetri di un bicchiere rotto ai suoi piedi, li fissava immobile.
D'un tratto, la luce illuminò una lacrima scorrerle sul viso.
«Grace...» fece in tempo a dire Kate accennando un passo nella sua direzione, ma l'altra si voltò e corse dentro.

 




Note dell'Autore.

Il romantico non è il mio genere. Lo ribadisco. Non è per ricevere attenzioni o roba simile, ma sto faticando davvero per continuare questa storia. Apprezzerei molto, dunque, delle recensioni. Positive, negative, non importa: mi basta sapere che c'è qualcuno che legge questa roba, in modo da capire se ne vale davvero la pena portarla avanti o eliminarla direttamente. Dato che ho molte altre storie da portare avanti, più lo studio/lavoro/briciole di vita sociale, mi farebbe piacere avere dei pareri.
Grazie della lettura.

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Capitolo 5
*** Litigi. (pt. 2) ***


Capitolo Quattro: Litigi. (pt. 2)

 


Tornò a casa in lacrime. Grace era scappata, l'aveva lasciata alla festa da sola. Anzi, peggio: l'aveva lasciata alla festa con Aaron.
«Mi dispiace che...»
«LASCIAMI IN PACE!» urlò al ragazzo che le si era avvicinato. Gli studenti attorno a loro si ammutolirono, la musica cessò; Aaron si ritrasse spaventato, ma Kate nemmeno badava più a loro. Corse fuori nel buio, sui tacchi che le facevano male e il vestito che le lasciava scoperte le gambe a prendere freddo.
«GRACE! GRAAACE!»
Nessuna risposta nella notte, nessuna risposta agli sms, nessuna risposta al telefono. Nessuna risposta dalla sua logorroica e sorridente amica. Nessun'amica, non più.

Si gettò sul letto ancora vestita, il trucco sciolto in volto, la borsa lasciata scivolare a terra. Il cellulare cadde con un tonfo sordo, ma non vi prestò attenzione. Le lacrime non uscivano più, restava la morsa allo stomaco che non permetteva al cuore di calmarsi. Aveva deluso, tradito un'amica. Grace aveva palesemente una cotta per Aaron, ma lui non ricambiava. Come aveva fatto ad essere così cieca, così sorda ai sentimenti altrui da non rendersi conto del triangolo che era venuto a crearsi? Per quale razza di assurdo, stupido motivo aveva seguito Aaron nel giardino, in disparte, lontano da Grace? Perché non aveva capito prima quello che stava per accadere?
«Stronzo!» esclamò ad alta voce, dando un pugno al muro affianco a lei; il dolore alla mano non migliorò la situazione. Era tardi, l'una passata, ma a quanto pare nessuno si era svegliato in casa. Stranamente, invece di consolarla la cosa la irritò ancora di più.
Passò il dorso la mano destra sugli occhi, asciugando le lacrime.
"E adesso?", pensò fra sé. Non le veniva in mente alcun modo per rimediare, così raccattò il cellulare da terra e le scrisse un altro sms.
"Grace, non è successo nulla. Aaron non mi piace affatto."
Inviò il messaggio, sorprendendosi di quanto poco pathos trasmettesse. Sospirò, poi sbadigliò; era stanca, stanchissima, e la situazione sembrava non avere via d'uscita. Sentì le lacrime risalirle, le ricacciò e posò il cellulare sulla scrivania. «Che vada al diavolo anche lei» mormorò, togliendo il vestito per gettarlo rabbiosamente in un angolo.
Afferrò il pantalone del pigiama, lo infilò rapidamente e si accinse a fare lo stesso con la maglia, quando una vibrazione la fece sussultare. Completò il vestiario rapidamente, per poi precipitarsi a prendere il cellulare. Inciampò, rovinando a terra; dopo qualche imprecazione si rialzò dal pavimento, afferrò il suo unico contatto con Grace e fissò il display. Due messaggi.
"STRONZATE!", esclamava il primo. Il secondo, che lo seguiva a ruota, diceva:
"VAFFANCULO!".
Entrambi, notò Kate, lasciavano poco all'immaginazione. Lasciò il cellulare sulla scrivania per evitare l'inutile e infruttuosa tentazione di dialogare, poi tornò lentamente a letto e s'infilò sotto le coperte. Si girò su un lato, verso il muro, a riflettere.
"Non mi piace Aaron", mormorò.
"È così..." rifletté ancora, non trovando alcun termine adatto. Quando finalmente gli sovvenne, si addormentò.
 




Note dell'Autore.

Sì, ogni tanto torno. Mi dispiace per la lunga attesa.

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Capitolo 6
*** Solitudine. ***


Capitolo Cinque: Solitudine.



La scuola era diventata un inferno. Grace non le rivolgeva più la parola, si sedeva lontana da lei in autobus, aveva altri amici. Kate sospirava, evitava lo sguardo di Aaron e si limitava a fare il suo dovere in silenzio, nascondendo la frustrazione dietro un'espressione annoiata. Senza Grace a farle compagnia durante la pausa pranzo aveva preso l'abitudine di saltare la visita in mensa per uscire a fumare. Di solito sedeva su di una delle fioriere nel parcheggio della scuola, tirava fuori sigarette e accendino e si perdeva nei suoi poco allegri pensieri; quel giovedì non fece eccezione.
«Non dovresti fumare»
«Uh?»
Kate si voltò, trovando una cravatta all'altezza del viso. Alzò il capo; il professore di inglese la fissava con disappunto. «Ah... Professore» mormorò, abbassando la sigaretta. La camicia bianca gli dava un'aria professionale che rese più duro il suo cipiglio. «Io...» continuò cercando una giustificazione, ma non ne trovò. Sospirò, poi scosse la testa portando di nuovo la sigaretta alle labbra. Soffiò via il fumo e fece spallucce, senza guardarlo in volto. Il professore fece il giro della fioriera, avvicinandosi alla ragazza. «Posso sedermi?» chiese, posando a terra la cartella di cuoio. Kate annuì, facendogli spazio. Abbassò nuovamente la sigaretta, ma non si voltò a guardarlo nemmeno quando lui prese posto. Il professore accavallò le gambe, poi sospirò toccandosi il mento. Nessuno parlò per qualche secondo; Kate si sentiva tesa, ma non si mosse finché non sentì la sua voce.
«Si fuma per sopportare lo stress, di solito... Almeno da adulti. Mi sembra che tu stia fumando da adulta» disse, provoncandola con l'ultima frase. La ragazza alzò nuovamente le spalle con nonchalance, senza dire nulla. «La signorina Perry?» chiese dunque il professore, indovinando il suo punto debole. Sentendo il cognome di Grace Kate si irrigidì, poi portò nuovamente la sigaretta alle labbra; annuì infine, soffiando via il fumo ed evitando lo sguardo dell'altro. «Capisco. Una cotta in comune o qualcosa del genere? Ortiz?» chiese, indovinando nuovamente. «Non mi piace Aaron! Lui ha una cotta per me, ma a me non piace! Non piace!» esclamò la ragazza voltandosi verso il professore, rossa in viso; rimase sbigottita quando lo vide scoppiare a ridere. «Tranquilla, tranquilla, siete giovani! È giusto così... Vedrai che le passerà» rispose con un sorriso. Kate abbassò lo sguardo; le labbra del professor Powell stirate in un sorriso le stringevano lo stomaco. Sbarbato com'era quel giorno dimostrava quasi dieci anni in meno, rendendolo quasi irriconoscibile agli alunni delle altre classi. Essendo professore da solo tre mesi non godeva del rispetto che avevano gli altri di ruolo, ma a lui sembrava andar bene così. Kate ammirava il suo modo di evitare i problemi stupidi e di interessarsi delle cose giuste. Se ci fosse riuscita anche lei...
«Kevin?»
«Oh, ciao Amanda. Perdonami, parlavo con una mia alunna...»
La ragazza alzò il capo. La professoressa di Storia Americana di un'altra sezione le stava sorridendo. Bella donna, alta, sui quarant'anni, bionda. La professoressa Amanda Tennant, che aveva già distolto lo sguardo da lei per riportarlo sul professore. Lo vide alzarsi, tenderle un braccio, ritrarlo imbarazzato. Osservò il tutto con una strana apatia, strana perfino per il suo stato attuale.
«Beh... Mi raccomando, Kathleen. Lascia perdere il tabacco, pensa a divertirti com'è giusto che sia alla tua età» le ripeté il professore. Kate annuì in silenzio, senza riuscire ad emettere alcun suono. Sentiva un dolore sordo allo stomaco; li guardò andar via, vicini, e gettò la sigaretta.
Le mani le tremavano, il batticuore aumentava.
Il suo maledetto stomaco.
«Devo proprio pranzare» disse fra sé, prima di dirigersi alla mensa.

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Capitolo 7
*** Ashley. ***


Capitolo Sei: Ashley.



Solitamente non frequentava ragazze più piccole, ma si sentiva terribilmente sola; così, quando si ritrovò a parlare sull'autobus con quella ragazzina di seconda, non si creò problemi a segnarsi il suo numero di cellulare. Ashley aveva lunghi capelli neri, occhi azzurri ed un sorriso larghissimo. Silenziosa, timida ma intelligente: sembrava quasi il contrario della sua amica di sempre. Ashley era anche più bassa di lei, almeno di una spanna: inconsueto, data la sua altezza già poco spiccata. Si frequentarono per una settimana prima di quel giorno.

«Spiegami» disse una voce alle sue spalle.
«Uh?» «Spiegami quand'è che mi hai rimpiazzato» ripeté la voce. Kate si girò: Grace la fissava con rabbia, ferma sotto la neve. I boccoli biondi della ragazza stonavano con le sue labbra tese verso il basso, le sopracciglia strette, gli occhi sottili. Non era rabbia: in quegli occhi c'era cocente invidia. La ragazza non si lasciò incantare, lasciandosi scappare una bassa risata divertita. Lasciò che lo zaino le scivolasse dalla spalla: era pomeriggio tardi, era gennaio e faceva freddo. Perché intrattenersi con il passato?
«Ti ho rimpiazzato da quando mi hai rimpiazzato tu. Per una cazzata» sottolineò, scuotendo il capo. Grace boccheggiò; fece un passo avanti. «Stronza!» esclamò quasi urlando. «Stronza! Come se tu non avessi voluto baciare Aaron! SAPEVI che mi piaceva, lo sapevi!» le urlò finalmente in faccia. Kate s'arrabbiò a sua volta, assumendo la posizione d'urto. «No, Grace, per la centesima volta io non ne avevo idea!» rispose, con il solo risultato del far inumidire gli occhi dell'altra. «E questo è peggio, Kate, perché significa che non ti è mai importato di me» ribatté Grace con un filo di voce, prima di stringere le spalliere dello zaino e correre via. Per Kate fu come uno schiaffo in pieno volto: forse era vero, era stata un po' egoista, ma... Non era sua, la colpa; continuava a ripeterselo, in attesa della Nuova Amica.
«Ehi!» esclamò la ragazza, raggiungendola. Era affannata. «Ho corso, il professore non mi lasciava andare più... Freddo oggi, vero?» disse arrossendo. Kate annuì, sovrappensiero, poi sospirò. «Hai ragione, fa freddo, non attardiamoci. Andiamo» biascicò, sperando che Ashley fosse cieca al suo stato d'animo come lei lo era stata con Grace.

 

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Capitolo 8
*** Confessioni. ***


Capitolo Sette: Confessioni.



Accadde il ventitré dicembre; nevicava, la strada era vuota e Kate stava tornando a casa con Ashley. Alle venti era buio e vedeva poco, i pochi lampioni della via non erano tutti accesi. Indossava un largo maglione rosso che spiccava nel paesaggio innevato; l'amica blaterava qualcosa sulle festività o qualcosa del genere, ma lei non l'ascoltava occupata com'era a pensare a tutt'altro: Grace.
Quello era il primo Natale da quando si conoscevano che passavano separate, senza scambiarsi regali su panchine rese scivolose dal freddo o nei loro salotti riscaldati dai camini. Era il primo Natale in cui non urlavano emozionate per le rispettive sorprese, il primo in cui non si abbracciavano la notte della Vigilia per ripetersi quanto importanti fossero l'una per l'altra. Quell'anno era così strano e lei era diventata così cupa e nervosa da essere diventata una cattiva amica? Scosse la testa, distogliendosi da questi pensieri. Alzò il capo, accorgendosi di essere improvvisamente sola; voltandosi ritrovò Ashley parecchi passi indietro, ferma sotto la neve. 
«Kate...» la chiamò a voce bassa; sembrava triste. Confusa, Kate tornò indietro per capire cosa fosse successo. «Ehi, va tutto bene?» le domandò con voce preoccupata. Le poggiò una mano sulla spalla, inducendola ad alzare il volto; sconvolta, vide le lacrime rigarle le guance.
«Ashley, ma cosa-» «No!» gridò lei con le labbra scosse dal tremore. "Perché riesco solo a far piangere la gente?" si domandò Kate frustrata, staccandosi dalla ragazza e facendo un passo indietro. «Avanti, perché piangi?» le domandò innervosita. Aveva freddo e a vedere il viso bagnato della ragazzina rabbrividiva ancor più nel maglione. Ashley non si decideva a parlare; il lungo maglione grigio che indossava era più grande di almeno una taglia, e portando le mani al volto affondò gli occhi nelle maniche che le coprivano fin sulle dita. Kate sospirò, avvicinandosi nuovamente per abbracciarla. La strinse forte a sé, lasciando che si appoggiasse alla sua spalla; dopo un minuto così finalmente risentì la sua voce. «...è solo che» mormorò «sembra che tu stia pensando ancora a Grace...» le confessò. Kate si staccò dall'abbraccio, guardandola stupefatta. Gli occhi della ragazza erano rossi a causa delle lacrime versate al freddo, il trucco sciolto in due mezzelune nere sulle gote e le labbra continuavano a tremare. Il viso, incorniciato dai neri capelli sciolti la facevano sembrare ancor più piccola di quanto realmente fosse: una bambina spaurita, era questa l'impressione che dava a Kate in quel momento, e sentì il cuore stringersi dalla tenerezza. «Ashley, ti voglio bene, ma non c'è bisogno di piangere...» cercò di spiegarle con voce dolce, ma l'amica la interruppe con un verso esasperato. «Invece sì!» le urlò, sottolineando le parole con un gesto esausto delle mani. «Non ce la faccio più, Kate, io... Ti amo».

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Capitolo 9
*** Riflessioni. ***


Capitolo Otto: Riflessioni.



«Kathleen! Kathleen!»
E va bene, era successo qualcosa. Ammettiamolo: non si aspettava di certo un risvolto del genere. Conosceva Ashley da pochi mesi, erano amiche da ancor meno, erano uscite al massimo una dozzina di volte e all'improvviso le diceva di... Amarla?
Certo, sorrideva sempre quando la vedeva. Certo, la chiamava con un tono sprizzante felicità che sfiorava quello civettuolo. Certo, le si stringeva addosso e voleva sempre l'esclusiva quando Kate doveva uscire con qualcuno, ma...
Kate si voltò sul fianco sinistro, fissando la scrivania. Era buio, di sotto provenivano i rumori dei festeggiamenti e lei stava ancora pensando agli avvenimenti della sera prima senza riuscire a dare una motivazione a tutto quello che era successo. Aveva lasciato lì Ashley, piantata nella neve a piangere, e questo era un male; ma lei le aveva detto di essere gelosa di Grace, di amarla, maledizione, e questo era malissimo.
Ashley aveva quindici anni, era minuscola, era graziosa, era così dannatamente... Così dannatamente...
«Kate, la mamma ti vuole» l'avvisò una vocetta gentile, accompagnata dall'apertura della porta della sua camera. «Vattene, Helene. Ti ho detto che non scendo» borbottò la ragazza, coprendosi il volto con il cuscino. «Ma ci sono visite!» insisté la bambina con la sua vocina acuta che tanto faceva impazzire Kate, nel pieno della sua adolescenza. «Visite?» domandò semplicemente, spostando il cuscino del volto e abbassando lo sguardo sulla figura tutta boccoli biondi della cugina di chissà quale grado. «Sì. Una ragazza...» la informò accigliata, venendo subito interrotta da uno scatto dell'altra.
«GRACE!» urlò Kate, fiondandosi fuori dalla camera e giù per le scale di legno, jeans e maglione blu a coprirla e senza un filo di trucco o parvenza d'importanza alla casa gremita di parenti. «Grace...» mormorò di nuovo arrivando nell'ingresso, trovandosi davanti un pacco proteso da una ragazza.
«Sopresa!» esclamò Ashley, tendendole un pacco regalo quasi più grande di lei. Il rossore adornò le gote di Kate, che scosse i capelli castani in un gesto spontaneo di rifiuto. «Ashley... Ashley, che cosa ci fai qui?» domandò sbigottita, mentre la madre entrava nell'ingresso con un sorriso a trentadue denti. «Kate, perché non scendevi? La tua amica ti sta aspettando da un pezzo!» la informò con tono da rimprovero, senza far vacillare il sorriso rivolto alla piccola Ashley. «Beh, non lo apri? Aprilo, dai!» le disse ancora la ragazza, urtandola delicatamente con il pacco. Kate sospirò, afferrò il pacchetto, sciolse il fiocco fatto con cura e strappò la carta. Un enorme peluche a forma di orso seduto fece capolino dal pacchetto distrutto, e tra le zampe anteriori aveva un cuore con su scritto...
«NO!» sbraitò improvvisamente Kate, lasciando cadere il peluche. «Ashley, devi smetterla!» le urlò addosso, facendola sbiancare istantaneamente. Le lacrime corsero agli occhi e sgorgarono sulle pallide guance della ragazzina, ancora con cappottino e cappello di lana in testa. «M-Ma io volevo... Volevo solo...» mormorò tremante, sotto lo sguardo sbigottito della madre. «KATHLEEN SCOTT! Come ti permetti di rivolgerti in questo modo ad una tua amica? Chiedi immediatamente scusa!» urlò a sua volta la donna, rivolta alla figlia che restò lì a fissare Ashley, occhi sbarrati ed espressione stupefatta, mentre la ragazzina correva fuori dalla porta lanciandosi in un pianto a singhiozzi ben udibile dall'interno. Kate ignorò bellamente la madre, afferrò il peluche da terra e risalì di corsa le scale, furente, per poi lanciarsi nella sua camera chiudendo la porta dietro di sé a chiave. Si sedette sul letto a gambe conserte, fissando quel "TI AMO" bianco che tanto spiccava sul cuore rosso, ribollente di rabbia. Come si era permessa, lei, dopo quello che era successo ieri, di arrivare così a casa sua, la vigilia di Natale, con un regalo del genere? Cosa le era saltato in...
Il display illuminato sulla scrivania la fece trasalire. «Oh, smettila Ashley» mormorò, alzandosi per afferrare il cellulare. "Grace 1" faceva bella mostra di sé sullo schermo, avvisandola che il messaggio che tanto aspettava era finalmente arrivato. Lo aprì, tremante, e rimase per svariati minuti a fissare lo schermo. «Ma cosa...?»

Messaggio da: Grace
Ora: 22.13

Auguri, Kate.
Non per Natale, intendo.


 

Note dell'Autore.

Ammetto che è un po' triste trovare una decisa incongruenza tra letti/seguiti/preferiti e recensioni. Non mi aspetto di sicuro un rapporto 1:1, ma se v'interessano i numeri la storia è preferita da tre persone e seguita da quattordici, più - restando solo su questo capitolo - quarantatré lettori dell'ultima parte in poche ore. Non voglio lagnarmi, ma qualche opinione in più da te che leggi mi aiuterebbe molto ad andare avanti e non abbandonare la storia: quindi, se ti piace... Fammelo sapere!
Come sempre, grazie della lettura.

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Capitolo 10
*** Gennaio. ***


Capitolo Nove: Gennaio.

 
 
Nessuna festa dura per sempre e, per quanto qualunque studente possa sperare il contrario, a gennaio si ritorna inevitabilmente a scuola. Il giorno del rientro fu tragico: rivedere in un sol giorno Grace e Ashley non fu esattamente la cosa migliore della mattinata, e consapevole della stretta allo stomaco che le sarebbe presa ogni volta Kate pensò bene di saltare la colazione. Fu una scelta saggia, in effetti, data la quantità di stress che la tormentava già intorno alle undici di mattina, ma non avrebbe potuto saltare il pranzo senza rischiare di sentirsi male. Sfortunatamente per lei non aveva messo in conto la necessità di cibarsi, presto o tardi; ragion per cui non portò nulla da casa, trovandosi costretta a dover andare in mensa.
Erano settimane che evitava contatti con chiunque: non aveva nemmeno risposto al messaggio di Grace, evidente scusa per litigare e non di certo per riappacificarsi. Ashley non l'aveva più cercata - il che, per quanto si potesse sentire in colpa, era un bene - e si era totalmente dimenticata del motivo di tutto questo casino.
«Kate!» urlò una voce maschile, quasi ansimante, dalle sue spalle. La ragazza si fermò, sospirò, chiuse gli occhi e si voltò prima di riaprirli; sapere chi si sarebbe trovata davanti non facilitava il tutto. «Cosa c'è, Aaron?» domandò al ragazzo con voce ferma ma stranamente atona. Il viso appariva annoiato, più che arrabbiato o teso, e Aaron rimase interdetto per qualche secondo. «Io... Io volevo chiederti scusa per la festa di Tania. Insomma, per quello che...» «Sì, ho capito» lo interruppe bruscamente lei, facendo per andarsene. «Kate!» la chiamò nuovamente indietro, quasi in ansia. La ragazza ora era visibilmente tesa; strinse i pugni, voltandosi nuovamente verso Aaron. «COSA VUOI» tuonò sillabando, osservando il ragazzo spaurito fare un passo indietro. «Volevo solo chiederti di u-uscire qualche volta...» mormorò lui, occhieggiando il pavimento; sembrava in imbarazzo, stato che faceva internamente godere Kate più di quanto fosse disposta ad ammettere. Fece oscillare i bruni capelli sciolti prima di rispondere con una risata stizzita. «Oh sì, lo vedo! La mia migliore amica ti muore dietro e tu mi salti addosso come un cane. Mi fai litigare con lei, mi fai tallonare da una lesbica e dopo avermi fatto passare delle feste di merda vieni qui, strisciando, a chiedermi di uscire? Ma ti sei bevuto il cervello?» chiede con tono accusatorio a voce alta, altissima; già in molti si erano voltati ad ascoltare al "cosa vuoi", ma alla fine del suo sfogo Kate si accorse di essere stata ascoltata da, se non l'intera mensa, almeno da buona parte di essa. Arrossì, essendo ora anch'essa imbarazzata; credeva di aver chiuso il discorso, ma quando cercò di voltarsi il ragazzo la interruppe per l'ennesima volta. «Allora non sei lesbica!» esclamò lui con un filo di gioia e speranza, e la frase - seppur detta con tono flebile - scatenò qualche minuto d'ilarità in tutta la sala. Kate arrossì fino alla punta dei capelli, tornò a guardare il ragazzo ancora più imbarazzato ed esplose dalla rabbia. «VAFFANCULO, AARON!» gli urlò addosso con tanta forza da farlo scappare via. Kate restò a guardare la sua frangetta nera svolazzargli intorno al capo mentre lui affrettava la sua corsa, poi digrignò i denti e ancora una volta non fece in tempo a voltarsi verso il bancone che una persona entrò nel suo campo visivo.
Grace. La quale, per inciso, stava andando via. «Grace!» urlò lei, ora, cercando di chiamare la sua ex migliore amica, ma prima che potesse raggiungere l'uscita era già sparita nei corridoi. Avrebbe potuto correre, raggiungerla, parlarle, spiegarle; gettò in terra lo zaino troppo pesante per permetterle di rincorrerla e...
«Come hai potuto?»
Una vocina flebile e rotta dal pianto veniva dalla sua destra. Si girò a guardare da chi o cosa provenisse e le si strinse il cuore; Ashley era letteralmente sciolta in lacrime. Si fermò a guardare il labbro inferiore che tremava e tremava impedendole di parlare, i goccioloni che si raggruppavano sotto il mento per poi cadere, i capelli rossi che si confondevano con le gote e le labbra e anche con gli occhi, ormai; si sentiva in colpa, terribilmente in colpa, ma non poteva dirlo. D'un tratto, la rabbia prese il sopravvento e soffocò anche i sensi di colpa che finalmente cominciavano a far capolino in lei. «Cosa vuoi anche tu da me, Ashley? Io non ho fatto nulla. Hai cercato letteralmente di saltarmi addosso. Tu hai problemi, te ne rendi conto?» le sibilò contro, facendola singhiozzare. Le si spezzava il cuore a vederla così, ma più la guardava più forte infieriva. «Cosa pensavi, che fossi lesbica? E perché mai? Solo perché non ho un ragazzo?» le domandò, scoppiando a ridere. Ashley portò le mani al viso, nascondendolo nelle lunghe maniche del maglione, e cominciò a singhiozzare con violenza. Kate si sentiva non poco a disagio; afferrò lo zaino, se lo portò su una spalla e mandò al diavolo il pranzo, attraversando la sala per uscire nel parcheggio sul retro.

Aveva smesso di fumare, ma ne aveva così tanto bisogno da tremare visibilmente. Probabilmente tremava per tutt'altri motivi ma l'unica cosa che poteva calmarla in quel momento era una sigaretta, una dannata sigaretta che ovviamente non aveva, perché quel maledetto professore le aveva detto di non farlo e lei aveva smesso, perché mai era stata così stupida?, ora ne aveva bisogno ed ecco qua, crisi d'astinenza in questo maledetto parcheggio, cercando di distrarsi passeggiando e guardando il cielo, guardando le auto del parcheggio, nelle auto del parcheggio, l'auto de...

«Professore?..» mormorò, facendo qualche passo verso le auto dei docenti. In una sembrava esserci il professore d'inglese (ma tu guarda, parli di una persona e...) ma non capiva cosa stesse facendo. Insomma, lui sembrava proprio lui: i capelli brizzolati sulle tempie, il taglio di capelli un po' antiquato che lo faceva risultare elegante, la barba fatta e le rughe che partivano dagli angoli delle labbra e degli occhi, la fronte alta, il naso dritto e le mani curate, le mani che... Che andavano...
Il vento spostava le fronde degli alberi di qua e di là, lentamente, lasciando che il sole filtrasse tra le foglie quando poteva. L'auto in ombra non consentiva chissà che visuale dal lunotto posteriore, ma il professore sembrava proprio lui. Concentrandosi sull'uomo però non aveva fatto caso a dove andassero le sue mani e a cosa facessero lì, ben visibili, a mezz'aria. I minuscoli raggi solari tra una foglia e l'altra, inoltre, le impedivano di vedere chiaramente: solo dopo qualche minuto riuscì a capire che quell'ammasso di ombre in effetti non era un ammasso di ombre, e che il professore non si muoveva a caso nell'abitacolo... Kate non riusciva a capire chiaramente, insomma, sembrava che ma anzichenò, non voleva dire nulla che potesse in qualche modo - ecco, non posso. Era confusa, terribilmente confusa: si avvicinò ancora e ancora, fino ad essere ad un solo paio di passi dal cofano dell'auto. Fortunatamente un bel raggio di sole illuminò l'ombra proprio mentre l'ombra decideva di voltarsi, cosicché il Sole nella sua maestosità riuscì a far splendere il meno maestoso seno, e il meno maestoso viso, della professoressa Tennant.

Crick.
Più o meno fu questo il suono che sentì dentro di sé, anche se non le era ben chiaro in quale parte del corpo in quel secondo e in quelli immediatamente successivi. Non capiva nemmeno troppo bene quello che stava succedendo: schiuse le labbra, evidentemente per urlare qualcosa; la professoressa fece la stessa cosa in un'espressione di stupore che allargò grottescamente le sue, di labbra, colorate pesantemente di rosso; allo stesso tempo la professoressa decise che mostrare i seni al mondo non le andava molto a genio, ragion per cui afferrò i due lembi della camicia nera (che si confondeva perfettamente nell'ombra, che professoressa astuta) e le richiuse tirando convulsamente verso il centro, in una scenetta davvero buffa se non fosse stata così imbarazzante. Il professor Powell si voltò verso di lei, con un'aria perplessa che lo rendeva più vecchio. Le sopracciglia gli si distesero lentamente, passando da due brutti fulmini a due simpatici archi molto in su sulla fronte, accompagnate dalla caduta della mascella che raggiunse la cifra ragguardevole di troppicentimetri. Mentre osservava l'interno della bocca del professore e si chiedeva perché cominciasse a vedere annebbiato, Kate non riusciva a fare a meno di pensare che quelle labbra rosa e sempre distese in un sorriso, dal quale erano usciti tanti consigli preziosi e nozioni scolastiche e soprattutto preoccupazioni per gli studenti e anche, in prima persona, per lei, erano fino a pochi secondi prima divise tra la lingua e i capezzoli della professoressa Tennant. Kate ricordava anche, vagamente, di aver lasciato cadere lo zaino per muoversi più velocemente ma di non essere riuscita a muoversi, piegandosi in avanti per un urlo che non ricordava mica cosa dicesse, ignorando la
(troia!)
professoressa che si piegava in avanti verso il cruscotto nascondendo il viso tra le mani e il professore che scendeva frettolosamente dall'auto per venirle incontro. Aveva la cintura slacciata.
«Kathleen, ti prego, ascolta...»
Improvvisamente il tempo sembrava aver ripreso a scorrere a velocità normale.
«NO! IO NON ASCOLTO UN CAZZO!» urlò rossa in viso verso il professore, tornando a vedere d'un colpo. Il freddo sulle guance le suggerì che probabilmente stava piangendo, e l'idea la turbava non poco. Si passò una manica sul viso sentendosi nuovamente in colpa - in effetti non era affar suo chi il professore si portasse a letto, non era nemmeno sposato - ma era comunque sconvolta.
«Kathleen... Kate, hai sedici anni e non credo tu sia una bambina. Capisci che gli adulti hanno...» deglutì «delle necessità» cercò di spiegarsi a bassa voce, il professore, lanciando di tanto in tanto un'occhiata nervosa ai lati. Kate continuava a tremare, voleva solo andare via ma era inchiodata a fissare la cintura che ondeggiava a sinistra e a destra, sinistra e destra seguendo il movimento del corpo del professore. Probabilmente faceva così anche nell'auto, sinistra e destra, mentre lui...
«LEI È UN PORCO!» urlò nuovamente. Era rossa, sentiva di esserlo perché il viso le scottava, e sapeva di star piangendo anche se non sapeva perché, e sapeva perfino di essere terribilmente scossa dalla situazione anche se non se ne sarebbe dovuta importare neanche un po'. Fece per voltarsi e correre via, ma il professore le afferrò un braccio. «Mi lasci! MI LASCI!» urlò nuovamente lei mentre il professore la tirava a sé, stringendola contro il petto come un abbraccio. Kate si prese un istante: il cuore le balzò in gola, chiuse il mondo fuori e si concentrò sul tump tump tump tump assordante che sentiva. Capì che era il cuore del professore, il cuore che correva a mille per la paura di essere denunciato agli studenti per il pubblico ludibrio e al preside per perdere il posto. Kate pensò che stava bene lì, che il suo cuore stava bene in gola dov'era e che le lacrime della sua guancia sinistra si stavano asciugando sulla camicia del professore, poi sentì la fibbia aperta contro il fianco e, nonostante non avesse pranzato, le salì un conato di vomito. Strattonò con violenza il braccio e fece un passo indietro, inciampando nello zaino. Ritrovò l'equilibrio, registrando il lampo di preoccupazione negli occhi del professore e trovandolo nauseante. «MI FA SCHIFO!» urlò nuovamente prima di sentire la gola chiusa da una nuova scarica di lacrime; impedì loro di sgorgare concentrandosi sullo sforzo senza nemmeno degnare di uno sguardo lo zaino o lo professoressa nell'abitacolo, senza distogliere gli occhi da quelli nocciola così caldi e vispi del professore, senza smettere di specchiarsi nelle sue pupille prima di voltarsi per correre via da lì.

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Capitolo 11
*** Grace. ***


Capitolo Dieci: Grace.


Il viso era affondato nel cuscino; ormai era giorni che piangeva senza capirne il motivo, giorni che restava chiusa in camera rifiutandosi di mangiare alcunché. La madre aveva attribuito il comportamento al litigio con Grace, anche se ormai era vecchio di mesi; in effetti Kate non le aveva fornito spiegazioni e, a dirla tutta, non le importava un granché il giudizio di sua madre. Aveva perso Grace, aveva maltrattato Ashley e Aaron (anche se al momento erano il suo ultimo pensiero) e soprattutto...
Emise un gemito. Non riusciva a chiudere gli occhi senza rivedere il seno della professoressa coperto dalla camicia, l'urlo attutito dall'abitacolo, il calore del corpo del professore, le labbra di lui sul corpo di lei, quella fibbia lasciata al vento. Continuava a piangere senza sosta e la cosa peggiore era il suo non riuscire a comprendere il perché. Lo zaino le era stato riportato a casa da un'altra compagna di classe, non aveva idea di chi dato che alla porta aveva aperto sua madre; lei era già sul letto, da dove non si era più mossa. Aveva saputo tramite sms cos'era successo dopo il loro incontro nel parcheggio: inevitabilmente, in mensa avevano sentito urlare. Inevitabilmente, i curiosi si erano affacciati all'esterno. Inevitabilmente, il professor Powell e la professoressa Tennant erano stati convocati in Presidenza; dopodiché, il nulla: probabilmente erano stati sospesi, forse licenziati. Che importava? Il professor Powell l'aveva
(tradita)
delusa. Già, ma perché l'aveva delusa?
Si voltò dapprima su un fianco, poi sulla schiena. Fissava il soffitto bianco con gli occhi sgranati nel viso pallido e smunto dai giorni di semi-digiuno. Dopotutto il professore aveva i suoi cinquant'anni e non era nemmeno sposato, non le riguardava cosa faceva nel tempo libero.
Già, ma non era tempo libero. Era a scuola, a scuola!
Sentì le lacrime salirle di nuovo agli occhi. Per quale razza di motivo stava piangendo di nuovo? Non importava, sentiva avrebbe fatto meglio a farle scorrere via.

* * *

Messaggio da: Grace
Ora: 18:25

Come stai?








La vibrazione del cellulare non la smosse dal letto. Aprì solo un occhio per leggere il destinatario dallo schermo illuminato e l'anteprima del messaggio la spiazzò. Cosa voleva Grace da lei? Sospirò tremante, allungò un braccio sul pavimento e raccolse il cellulare poggiato accanto al letto.
 

Messaggio inviato a: Grace
Ora: 18:27

Male. Ma che importa?








Il messaggio era volutamente provocatorio, ma davvero non le importava di parlare con lei. Non le importava nulla in realtà, e quando il cellulare cominciò a vibrare il cuore cominciò a battere più forte.

«Pronto?»
«Kate...»
La voce di Grace era bassa e davvero preoccupata; Kate ne prese atto e continuò a parlare con la stessa flemma che la caratterizzava in quei giorni. La gola era secca; si schiarì appena la voce e rimase in attesa.
«Kate, ascoltami...» dal cellulare provenne un forte sospiro. «Siamo preoccupati per te, per quello che è successo lunedì scorso, insomma... Come l'hai presa?» domandò diretta. Kate spostò il cellulare dall'orecchio e fissò per qualche secondo il display luminoso nella penombra della stanza. «Kate? Ci sei ancora?» domandò l'altra così distante. La ragazza era confusa e continuò a fissare il cellulare con espressione accigliata; quando Grace ripeté il suo nome ancora un'altra volta finalmente si decise a riavvicinare il cellulare all'orecchio. «Cosa vuoi dire?» domandò a bassa voce con fare sospettoso; la voce al telefono esitò prima di rispondere. «Kate, andiamo, lo sanno tutti che... Insomma, ti piace il professore di inglese. Mi dispiace non averlo capito prima, insomma, per quella storia di Aaron, è che io ero--»
Kate aveva smesso di ascoltare già da un po'. Quella frase le rimbombava in testa senza posa; "Kate, andiamo, lo sanno tutti che... Insomma, ti piace il professore di inglese". Grace continuava a parlare senza sosta, facendo montare una rabbia cieca alla ragazza. «Ma andate tutti a fanculo» sbottò infine prima di staccare la telefonata e riaffondare il viso nel cuscino, il cellulare stretto nella mano destra e troppa confusione in mente.
 




Note dell'Autore.
Chi non muore si rivede. Sì, sono qui, ma tra scuola e impegni letterari ogni tanto sparisco per un po' ma non ho ancora ucciso Kate e la mia creatività, vogliatemi bene.

 

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Capitolo 12
*** Incontro. ***


Capitolo Undici: Incontro.


 

Marzo.
Erano passati quasi due mesi da quella telefonata, due mesi in cui era andata a scuola solo a singhiozzo. I suoi voti ormai erano bassissimi, ma che importava? Nella testa aveva un casino e aveva già deciso di cambiare scuola l'anno successivo; incontrare Grace e le occhiate degli altri compagni di classe, foss'anche solo nei corridoi, era insostenibile.
Era un mercoledì, un piovoso mercoledì di marzo e si trascinava per un corridoio del secondo piano. Era in ritardo per la lezione di Storia ma probabilmente l'avrebbe saltata, quindi non le importava neanche questo. Era tutta la mattina che cercava di ignorare, come al solito, le risatine degli altri. Evitava accuratamente i giorni in cui avrebbero avuto inglese (non aveva alcuna intenzione di incontrare il nuovo insegnante, femmina questa volta a quanto aveva sentito); così era tornata a sfogarsi nell'unico modo che conosceva, seduta nel parcheggio ad inalare nicotina e catrame rifiutandosi di pensare. Rifugiatasi sotto la tettoia dell'uscita della mensa si era seduta su una delle fioriere più coperte, osservando con insistenza gli schizzi d'acqua sulle sue scarpe pur di distogliere la mente e lo sguardo da quel posto. Non aveva ancora superato del tutto quanto successo un paio di mesi prima e ogni volta che si fermava a pensare alla telefonata di Grace le si stringeva lo stomaco, così... "Meglio non pensarci", ripeteva tra sé come un mantra.

«Credevo avessi smesso di fumare...»
Una voce maschile la congelò sul posto, facendole formicolare le mani e le gambe. Sentì attorcigliarsi lo stomaco mentre trovava la forza per voltare, lentamente, il capo verso l'uomo in piedi accanto a lei. Il professore indossava un completo marrone chiaro; la giacca era sbottonata su una camicia azzurra abbinata ad una cravatta blu che Kate trovava di dubbio gusto. Gli occhi le scivolarono dalle mani dell'uomo, ben ferme nelle tasche dei pantaloni, agli occhi mesti ben puntati su di lei. Le sembrava molto triste, rassegnato e sciupato; non rasava la barba da almeno quattro, cinque giorni forse, aveva perso peso e le rivolgeva un sorriso da cane bastonato. Kate pensò che forse voleva nascondere la concavità delle guance con la barba, ma serviva a poco dato che i vestiti gli cadevano addosso inevitabilmente. "Sembra un fiore afflosciato" commentò in silenzio con una stretta al cuore; si sentiva in colpa per avergli fatto perdere il posto, ma allo stesso tempo sentiva di detestarlo per... Per qualcosa, ecco.
«Kathleen... Kate, io voglio chiederti scusa» cominciò il professore con il suo tono calmo e pacato che la irritò terribilmente. Anche se le aveva risparmiato l'imbarazzo di iniziare una conversazione la ragazza si sentì come schiaffeggiata non tanto dalle sue parole quanto dalla sua voce: si alzò di scatto, allontanando la sigaretta e spingendo in fuori le labbra in un'espressione irata.
«Vuole chiedermi scusa, e perché? Lei è stato LICENZIATO perché ha avuto un comportamento inappropriato in orario scolastico, punto!» esclamò, restando a guardarlo mentre l'espressione che aveva in viso mutava in profonda sorpresa: il professore ridacchiava. «Da quand'è che parli come un dirigente scolastico?» le domandò divertito mentre continuava a ridere in maniera più aperta. Oltre che arrabbiata ora Kate si sentiva ferita: come poteva prenderla in giro in questo modo? Non riuscì a controllare le lacrime, che presero a scorrere copiosamente mentre gli occhi restavano fissi in quelli nocciola del professore che, preso alla sprovvista, quasi si spaventò per quella reazione della ragazza. «Kate... Dio mio, no» mormorò, avvicinandosi alla ragazza e prendendola tra le sue braccia. Kate avrebbe voluto respingerlo, andare via, scappare da quella maledetta scuola ma non riuscì a far altro che affondare il viso nella camicia del professore e continuare a piangere tra le sue braccia. Sentiva le mani dell'altro sulle sua schiena, tra i suoi capelli, il calore del suo corpo sul viso e perché è così maledettamente bello?
«Io... Io c-credo di aver fatto una sciocchezza...» mormorò fra le lacrime, probabilmente inascoltata dall'altro. "Meglio così" pensò, seguitando a singhiozzare.





Note dell'Autore.
Ci avviamo al finale, zan zan zan... Restate sintonizzati!

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Capitolo 13
*** Epilogo. ***


Capitolo Dodici: Epilogo.


 

Grace, io... Mi sento così stupida!
Non so cosa mi sia preso, è che lui mi ha abbracciato e avevi ragione tu, Grace, io ho perso la testa. Quando si è chinato per prendere un fazzoletto, sai, perché stavo piangendo, io non so davvero cosa mi sia preso ma gli ho poggiato una mano sulla spalla e mi sono alzata sulle punte, sì, per dargli un bacio. Oh Grace, è stato talmente imbarazzante! Io tremavo così tanto e le sue labbra erano secche, tirate mentre le mie erano umide di lacrime. Però è stato così bello e il cuore mi esplodeva in petto, lui si è ritratto e sul suo volto c'era un'espressione tale di spavento e sorpresa insieme che ho avuto paura mi desse uno schiaffo o qualcosa di simile. Invece non ha fatto nulla di simile, mi ha fissato per qualche secondo con gli occhi sbarrati che diventavano lentamente più duri e più tristi e io ho ripreso a piangere, ho chiesto scusa credo ma non ricordo perché avevo una tale paura, Grace, e lui si è voltato ed è andato via. Io l'ho rincorso, l'ho chiamato, "Signor Powell! Professore! Professore!" ma lui non si voltava, non mi guardava e sembrava una scena da film con la pioggia e tutto il resto. Ho visto che andava verso la sua auto e io ho corso davvero, gli sono arrivata vicino e l'ho pregato di non andar via, gli ho detto di amarlo, gli ho detto che stavo male e poi mi sono girata e in auto c'era lei che mi guardava con gli occhi sgranati, stupita com'era per quella scena che non era più da film ma da dolore e basta. Si è infilato in auto, non mi ha neppure più guardata in faccia, faceva retromarcia con l'auto e basta evitando il mio sguardo ed io sono rimasta lì, sotto la pioggia come un'idiota a mescolare le mie lacrime all'acqua che scendeva dal cielo e niente, ora sono a casa e a scuola non ci vengo più. Come va con Aaron?

 


Note dell'Autore.
La storia finisce qui, il nostro viaggio finisce qui ed io muoio dalla curiosità di sapere cosa ne pensate. Quindi recensite, recensite e ditemene di cotte e di crude; ditene anche a Kate, Grace, il professor Powell e agli altri senza timore, che io inoltro tutto a loro! :D
Grazie davvero per la vostra lettura,
D.

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