The Storytellers di Luke_White (/viewuser.php?uid=491663)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 0 - Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter I - Reborn - Inizio prima parte ***
Capitolo 3: *** Chapter II - Stranges ***
Capitolo 4: *** Chapter III - Meets ***
Capitolo 5: *** Chapter IV - Ideals ***
Capitolo 6: *** Chapter V - FAQ ***
Capitolo 7: *** Chapter VI - Appointment ***
Capitolo 8: *** Chapter VII - Potters (parte 1) ***
Capitolo 9: *** Chapter VII - Potters (parte 2) ***
Capitolo 10: *** Chapter VIII - Choose ***
Capitolo 11: *** Chapter IX - When ***
Capitolo 12: *** Chapter X - Where ***
Capitolo 13: *** Chapter XI - Who (parte 1) ***
Capitolo 14: *** Chapter XI - Who (parte 2) ***
Capitolo 1 *** Chapter 0 - Prologue ***
0. Prologue
La frenesia della battaglia mi spinge ad andare sempre più
avanti. I Mangiamorte sono ovunque, mantelli neri e maschere di bronzo
che si muovono velocemente, scagliando mortali lampi verdi.
Kingsley ed io riusciamo a Schiantarne parecchi e, nel complesso, ce la
stiamo cavando abbastanza bene. Alcuni studenti di Corvonero ci
aiutano, pietrificando o legando.
«Stupeficium!» quando le sento urlare
l’incanto, mi giro velocemente verso di lei, in tempo per
vedere il Mangiamorte essere scagliato fuori dalla finestra, dritto nel
parco. Mentre si volta, i capelli danzano come fiamme e gli occhi
lanciano una luce dorata. Non c’è che dire, un
ottima uniforme da combattimento.
Corro verso di lei, evitando per un soffio un paio di Maledizioni
Mortali.
«Che ci fai qui?» le chiedo, fra il terrorizzato e
il furioso.
«Faccio un pic-nic» risponde, sarcastica, lanciando
un Incantesimo Elettro a un Mangiamorte dietro di me. Io le restituisco
il favore colpendone un altro con una fattura. «Tu,
invece?»
«Dora, non puoi stare qui! Pensa a Teddy!» Lei mi
lancia un’occhiata determinata e so che qualunque cosa io
dica non servirà a nulla.
«Se tu rimani, io rimango». Insieme Schiantiamo un
Mangiamorte. La guardo negli occhi e quasi percepisco la sua decisione.
È fin troppo testarda. Le poggio un bacio sulle labbra e, insieme,
cominciamo a combattere. Intanto mi prometto
mentalmente di non lasciare che un solo incantesimo la sfiori.
Va tutto bene fino a quando non arriva Dolohov.
«Ehi, lupetto, bella festa, non è vero?»
fa lui, comparendomi dietro e lanciando una maledizione. Schivo
l’incantesimo ma non riesco a evitare di sentire
l’urlo di un ragazzo dietro di me. Bruciando di rabbia
scaglio una fattura che gli provoca un taglio sul braccio sinistro.
Avevo mirato più a destra.
«Fidati, Dolohov, sta per migliorare». Comincio a
scagliare una serie d’incantesimi, uno dopo
l’altro, cercando di mantenere un ritmo costante. Come
previsto, il bastardo riesce a parare o schivare ogni incantesimo. Poi
inserisco nella sequenza un incantesimo in più.
La maledizione gli fa a pezzi la maschera, scagliandolo poi contro la
parete. Peccato. Con una mira migliore avrei potuto lanciarlo nel parco.
Mi avvicino a lui, con la bacchetta puntata, pronto a legarlo e
spedirlo fra i prigionieri. E il muro esplode.
La mia visuale si fa quasi nulla e le orecchie rimbombano. La bacchetta
è persa chissà dove e sulla mia gamba sento un
peso opprimente. Non riesco a muovere un muscolo.
Strizzo più volte gli occhi, cercando di uscire da questa
sottospecie di cecità. Vedo i contorni di una figura nera
che si alza in piedi e viene da me. Sento la sua risata. Un urlo che
proviene da lontano sembra rivolto a me. Dora.
«Avevi ragione, lupetto, la festa è decisamente
migliorata» ride Dolohov. Lo mando all’inferno,
sputando sulla sua faccia, che ha chinato per osservarmi meglio. Lui
non sembra arrabbiato, anzi, ride ancora più rumorosamente.
Vedo la forma della sua mano che si alza e la bacchetta che mi viene
puntata contro.
«È stato divertente giocare con te»
dice. «Addio, lupetto».
Chiudo gli occhi. Non vorrei nemmeno sentire la formula, né vedere il lampo
verde attraverso le palpebre. Non vorrei percepire l’incantesimo che colpisce Dolohov, a cui segue l’urlo di Dora.
Invece l’urlo di mia moglie mi accompagna nell’ultimo viaggio.
Okay, e questo è il prologo della mia prima - più
o meno - fan fiction. Non c'è molto da dire. è
tutto piuttosto chiaro. Devo dire che mi è dispiaciuto
parecchio descrivere la morte di Remus, uno dei personaggi che
preferisco e che più mi assomiglia. Togliendo, ovviamente,
il Piccolo Problema Peloso.
Mi piacerebbe avere recensioni, sia positive che negative, per poter
migliorare come scrittore o anche per sapere se la storia interessa e
posso continuarla o se è meglio cestinarla seduta stante.
Cercherò di essere piuttosto regolare per i nuovi capitoli.
Ancora non so se pubblicherò settimanalmente o
bisettimanalmente (che strana e lunga parola... ignoratemi) ma credo
che deciderò entro il secondo capitolo. In senso di
"Capitolo 2", non del prossimo che pubblico.
Grazie per aver letto ed essere arrivati fino a qua giù.
Con molto affetto,
Hufflerin (o Tassoverde).
P.S.: sono maschio. Non si sa mai, meglio dirlo, giusto per sicurezza.
Prossimo aggiornamento venerdì 26/07/'13, con il primo capitolo: "Reborn"
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Capitolo 2 *** Chapter I - Reborn - Inizio prima parte ***
Prima Parte
New life, same memories, old friends
1. Reborn
Un ragazzo camminava nervosamente davanti alla porta
dell’infermeria da ormai quasi un’ora, passandosi
ripetutamente una mano fra i capelli corvini in un gesto di agitazione,
scompigliandoli sempre di più.
Un altro era seduto lì vicino in posizione fetale e
giocherellava con la bacchetta, che ogni tanto emanava qualche
scintilla dorata.
Un terzo ragazzo, più rotondetto degli altri, stava invece
mangiando qualcosa di non ben identificato, lanciando di tanto in tanto
occhiate nervose alla porta.
«Ramoso, ti vuoi stare fermo: metti ancora più
ansia» protestò il secondo. James si
bloccò. Sembrava voler dare una rispostaccia a Sirius ma si
limitò a sospirare, per poi sedersi con la schiena contro la
parete.
Felpato alzò un sopracciglio, incuriosito dallo strano
comportamento dell’amico, ma non disse nulla, attribuendolo
agli eventi di poco prima.
Sirius rubò una parte del cibo di Peter – che
stranamente non protestò – prima di rimmergersi
nei ricordi dell’ora precedente, cercando di analizzarli.
Erano a Storia della
Magia. Come ogni volta, veramente in pochi ascoltavano il professor
Rüf mentre spiegava la Quinta Guerra dei Troll con la sua voce
monotona e sonnolenta. Gli unici erano un paio di Corvonero a cui
Sirius non dava importanza e Remus e Lily. O meglio, quel giorno solo
Lily.
All’inizio si
era sorpreso nel notare Remus che sonnecchiava sul banco piuttosto che
prendere appunti, poi aveva immaginato che la stanchezza fosse dovuta
alla luna piena della sera prima. Il ricordo gli fece portare
istintivamente una mano sul fianco, dove si trovava un livido grande
quanto la sua testa. Sirius sorrise. Si erano proprio divertiti. E lui avrebbe staccato le corna a Ramoso, prima o poi.
Da lì in poi
i ricordi erano confusi. Ricordava di essersi assopito e di essere
stato scosso da James qualche volta, poiché rischiava
seriamente di mettersi a russare.
Poi era successo di
colpo. Remus era caduto a terra, senza alcun motivo apparente. I
ragazzi si erano fiondati su di lui. Sirius ricordava con orrore il
corpo di uno dei suoi migliori amici, dei suoi fratelli, scosso da
contrazioni involontarie, quasi come fosse preda di una crisi
epilettica.
Senza nemmeno aspettare
che il professore dicesse qualcosa, avevano portato Remus fuori di
lì e lo avevano affidato alle cure di Madama Chips.
Niente, non c’era niente che ricordasse che gli potesse far
capire cosa diamine era successo. E questo lo rendeva veramente
frustrato. E il fatto che le cose peggiorarono dopo qualche secondo non
aiutò.
Una dolce e simpatica voce risuonò nel corridoio.
«Potter, Black! Venite qui e datemi una mano!»
Neanche mezzo istante e già lo stracotto James si era
fiondato ad aiutare la Evans, che si dirigeva verso di loro, cercando
di portare con sé una persona. Una ragazza. Priva di sensi.
Sirius riconobbe all’istante i capelli rosa shocking di sua
cugina e impallidì. Si alzò in piedi e
aspettò in silenzio che James e la Evans portassero dentro
Dora, perché sapeva che se avesse provato a chiedere
qualcosa la rossa l’avrebbe insultato e, alla fine, non
avrebbe ottenuto nulla.
«Quindi?» chiese, quando entrambi i ragazzi furono
fatti uscire da Madama Chips. «Cos’è
successo?»
«Ero andata a chiamarla, per dirle di Remus, e mentre
venivamo qui ha avuto lo stesso attacco» spiegò
Lily, pratica, sedendosi poi a terra, aggiungendo: «Fra poco
arriveranno anche gli altri. Stanno dando le spiegazioni ai professori
per farci avere la giornata libera».
Sirius annuì, serio e triste, ritornando a sedersi. Anche
James si sedette, vicino a Lily. Lei gli lanciò
un’occhiataccia ma era inutile: James, in quel momento, era
troppo occupato a osservare la reazione di suo fratello.
“Andrà tutto bene”, gli disse il ragazzo
con lo sguardo. Sirius annuì, poco convinto. James
sospirò, appoggiando la schiena alla parete e chiuse gli
occhi, troppo turbato per notare che era vicino alla Evans da cinque
minuti e ancora non aveva tentato di ucciderlo.
Sirius intanto rifletteva. Era strano, troppo strano. Due persone con
“attacchi” simili a poco tempo di distanza
l’uno dall’altra. Il fatto che fossero due persone
che stavano molto a contatto – tanto che i ragazzi chiedevano
spesso perché non si mettessero insieme e basta, piuttosto
che continuare a dichiararsi amici all’infinito –
voleva forse indicare una specie di strano virus?
Poi scosse la testa, per cercare di togliersi quei pensieri assurdi.
Passarono i minuti.
La porta dell’Infermeria si aprì immediatamente
dopo che Mary, Emmeline, Marlene, Frank e Alice furono arrivati.
«Come stanno?» chiese subito James, guardando
l’infermiera con apprensione. Mary si avvicinò a
Sirius e gli strinse la mano. Un gesto che gli scaldò il
cuore e gli fece trovare un po’ di serenità. Solo
un po’, però.
«Adesso riposano» disse Madama Chips. Si senti una
specie di sospiro di sollievo collettivo. «Ve lo
dirò subito: non ho la più pallida idea di cosa
sia successo. Ho fatto alcuni esami e fisicamente sono in perfetta forma.»
Le parole dell’infermiera lasciarono tutti di stucco.
«Se volete, potete entrare a vederli» gli sguardi
dei ragazzi s’illuminarono e Madama Chips aggiunse
precipitosamente: «Ma solo sei alla volta!»
Alcuni di loro quasi risero per la rigidezza dell’infermiera.
A entrare furono i tre Malandrini, più Lily, Mary e Marlene.
L’infermiera si rifugiò nel suo ufficio, per
lasciargli un po’ d’intimità.
Mary continuava a tenere per mano Sirius, che sembrava pallidissimo.
Remus e Dora erano sdraiati su due letti vicini. Inconsapevolmente, nel
sonno si erano voltati a guardarsi.
Sirius sentì il suo cuore perdere qualche battito e Mary
probabilmente se ne accorse, perché gli strinse la mano un
po’ più forte. Per Sirius, abituato a essere
pessimista, era fin troppo facile immaginarli più che
addormentati. Il solo pensiero rischiava di fargli perdere i sensi. E
forse sarebbe anche successo, se lì vicino non ci fossero
stati sia Mary che James, che intanto aveva cercato di fare qualche
battuta idiota per risollevare il morale degli altri, ottenendo solo un
occhiata di fuoco da Lily, che era chinata vicino a Remus. Anche se
Sirius fu quasi certo di averci intravisto altro, oltre al fuoco.
Fu quando Sirius si mise accanto a sua cugina, osservandone i capelli
che erano diventati di un rosa più pallido, che accadde.
Lily e Mary quasi strillarono per la sorpresa e Marlene fece
involontariamente un passo indietro, mentre James, Peter e Sirius
– troppo ansiosi per potersi sorprendere –
sospirarono soltanto di sollievo. Tutti si strinsero, emozionati e
contenti come non mai, intorno ai due ragazzi che avevano appena aperto
gli occhi, contemporaneamente.
*****
Cosa diamine mi succede?
Ricordo con precisione ogni istante – con la precisione che
mi consentivano i miei sensi sballati, ovvio – e sono quasi
sicuro di essere morto. Eppure perché ho aperto gli occhi?
Mi sono girato verso l’alto e adesso vedo con chiarezza il
soffitto di una struttura molto familiare, dato che ci ho passato gran
parte della mia permanenza a Hogwarts. L’Infermeria è
veramente strana, dopo tutto quel tempo. Ricordo con tristezza
l’ultima volta che l’ho visitata.
Era circa due anni fa. Era morto Silente, quel giorno. O meglio: quella
notte.
Stranamente, l’Infermeria mi sembra diversa, più
alta di quando l’ho vista l’ultima volta.
Strizzo gli occhi, cercando di capirci qualcosa.
Forse non sono morto, penso con sollievo. Magari la Maledizione mi ha
mancato e sono svenuto per colpa dell'esplosione. Ora la guerra è
finita e sono sotto le cure della Santa Poppy Chips. Il mio primo
pensiero corre allora a Dora. Pensiero interrotto da una voce che mi
lascia spiazzato.
«Ma ti sembra questo il modo?» dice qualcuno.
«Ci hai fatto morire di paura».
Una chioma nera entra nella mia visuale, insieme a un paio di occhiali
tondi.
Per fortuna riesco a trattenere la prima parola che mi viene in mente,
perché chiamare “Harry” la persona che
ho davanti avrebbe incasinato ancora di più tutto quanto.
Perché quello non è Harry, anche se
l’alternativa è assurda.
Poi compare un'altra persona. E a quel punto non ci capisco veramente
nulla. Alla fine devo chiederlo, con la voce rauca di chi si
è appena svegliato.
«James? Sirius?»
Entrambi sorridono, poi James prende la parola.
«Bene, il primo passo è fatto. Ora dimmi: chi
è James e chi è Sirius?» Idiozia allo
stato puro. Sì, è James Potter. Ecco una delle
cose che non ho raccontato a Harry: la stupidità di suo
padre. Meno male che aveva il cervello di Lily –
più o meno –, la stessa Lily che, accanto a me, mi
guarda con gli occhi smeraldo accesi di preoccupazione.
Ed è anche strano che tutti dimostrino all’incirca
diciassette anni. Il che vuol dire che siamo al settimo anno,
all'incirca.
Sono quasi preso dal dubbio che vent’anni della mia vita
siano solo un sogno di un ragazzo che è stato male. Quasi.
«Come stai?» mi chiede Lily. Non so cosa
rispondere.
Fisicamente? Be’, a parte qualche dolore sto una meraviglia.
Al massimo ho un po’ di emicrania ma credo sia comprensibile.
Mentalmente? Qui la faccenda si fa complessa.
Sento alcune voci provenire dalla mia destra, delle ragazze e sembra si
stiano rivolgendo a qualcuno. Quel qualcuno risponde, ed io mi sento
gelare. E anche l’opzione “ho una fervida immaginazione quando dormo” va a farsi friggere.
Mi giro e vedo Dora.
Ha i capelli rosa pallido e, quando si gira verso di me, vedo gli occhi
accesi di un celeste quasi innaturale. Ed è stupenda. E
potrei guardarla per tutto il giorno. E non dovrebbe essere qui.
Perché è qui?
Lei sembra pensare la stessa cosa, a giudicare dal suo sguardo
sbalordito. Si riprende dopo pochi istanti e mi lancia
un’occhiata terrorizzata. Guardo chi c’è
intorno al suo letto. Marlene e Mary si sono precipitate da lei e la
stanno tempestando di domande. Anzi, “stavano”. Ora
ci guardano con un sorrisetto malizioso che possono aver imparato solo
da James e Sirius.
«Ehi, Remus, tutto okay?» chiede James. Io sorrido
quasi involontariamente.
«Sì». La voce mi esce così
roca che probabilmente non capiscono nulla. «Sì,
sto bene».
Lily fa un sospiro di sollievo e sorrido un po’ di
più. Mi ero scordato la sua apprensione.
«Cos’è successo?» chiedo,
cercando di mettermi a sedere, ignorando la testa che pulsa
pericolosamente.
«Be’, eravamo a Storia della Magia e tu…
ti sei mezzo addormentato» comincia Lily, come cercando le
parole giuste.
«Poi sei caduto per terra e hai cominciato a muoverti in modo
strano» interviene James. «Amico, sembrava che
avessi una crisi epilettica!»
«Delicato, Potter» sussurra Lily a denti
stretti. Sirius e Peter ridono mentre James arrossisce leggermente.
«SI PUÒ SAPERE COSA STATE FACENDO?»
ruggisce Madama Chips, entrando di corsa nella stanza. Tutti i ragazzi
impallidiscono di colpo ed io devo trattenere a forza una risata.
«Vi rendete conto che questi ragazzi sono ancora sotto
osservazione! Non dovete stancarli!»
Tutti indietreggiano, mentre la Chips mi costringe a rimettermi
sdraiato. Quel gesto mi riporta alla mente tutte le lune piene che ho
passato a scuola. Quanto tempo è passato? Trent’anni? O
solo qualche settimana?
«Adesso uscite, potrete tornare domani» esclama e,
ignorando le numerose proteste dei ragazzi, butta tutti fuori
dall’infermeria. Dopodiché borbotta qualche
imprecazione e, lanciandoci un’occhiataccia, ritorna nel suo
ufficio.
Non appena si chiude la porta alle spalle, prendo la bacchetta che
hanno messo sul mio comodino e lancio un incantesimo Muffliato.
«Ti prego, dimmi che hai una spiegazione razionale»
dice subito Dora, guardandomi, preoccupata. Il suo sguardo mi fa venire
voglia di andare da lei e abbracciarla, dicendole che va tutto bene.
Peccato che il mio corpo abbia deciso che alzarsi costava troppa fatica
e dolore. Avrebbe anche potuto farlo prima che mi mettessi seduto. Ora sdraiarmi mi distrugge. Mi sdraio.
«Magari ce l’avessi». La sola cosa che
pensavo di sapere era di essere morto. Ora non sono più
sicuro neanche di questo.
La considerazione mi fa venire in mente una domanda: «Qual
è il tuo ultimo ricordo?»
Quando la guardo, vedo i suoi occhi pieni di lacrime. I capelli e gli
occhi si fanno all’istante molto più scuri, mentre
lei si gira, cercando di non farsi vedere.
Sento un groppo in gola, ma non riesco a chiederle nulla.
«Combattevo con Bellatrix» dice. Chiude gli occhi.
«Ha vinto lei».
Faccio una rapida connessione.
Sono morto io.
Mi aspettavo una cosa del genere, ero sicuro che dopo quella notte non
sarei sopravvissuto. Il fatto che avrei rincontrato James, Sirius, Lily
e tutti gli altri mi faceva sentire meglio, ma, ovviamente, avevo il
pensiero pressante di Dora e Teddy. Non potevo lasciarli soli.
È morta lei.
Quando l’avevo vista, mi sarei sacrificato per fare in modo
che almeno lei tornasse da nostro figlio. E invece ho fallito. Vorrei
uccidere Dolohov. Chissà, magari in questo
“posto” c’è ancora. Mi
piacerebbe andare a cercarlo. Bellatrix. Anche lei è sulla
mia lista nera.
Teddy è solo.
Non riesco a trattenere le lacrime. Posso solo sperare che Andromeda e
Harry lo curino il più possibile. Chiedo in silenzio che
Harry sia un padrino per Teddy come Sirius lo era stato per lui.
Sirius.
James.
Lily.
Mary.
Qui sono tutti vivi. Non riesco neanche a pensare a qualche Magia
Oscura ipnotizzante o qualcosa del genere, perché erano
loro. Personaggi unici nel loro genere. Impossibili da imitare.
James e Sirius, i fratelli mancati, entrambi dai capelli neri e oggetto
dell’attenzione di gran parte delle donne di Hogwarts
– McGranitt compresa, secondo loro.
Lily, la strega in fiamme, come la chiamavano tutti coloro che vedevano
la sua furia scatenarsi. Gentile e premurosa con chiunque - James e Sirius non contano - ma in grado di farsi valere quando serve.
Mary, l’unica che era mai riuscita a conquistare veramente
Sirius, che adorava accarezzarle i capelli biondi mentre era sdraiata
sul divano rosso della sala comune. Purtroppo era passata a miglior vita ancora prima di James e
Lily, lasciando Sirius con un grande vuoto.
Dopo qualche istante arriva Madama Chips, che ci obbliga a bere una
Pozione Soporifera e, in pochi istanti e senza poter dirci nulla, sia
io che Dora cadiamo in un sonno profondo, mentre le nostre mani si
cercano.
Sala Comune di Tassoverde
Salve a tutti. Come promesso, sono tornato puntuale con il nuovo
capitolo. Come avrete notato, in questo momento nessuno ci capisce un
tubo di quello che è successo.
E, nella mia sadicità, questo va benissimo.
Penso non ci sia molto da dire. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e
che recensiate. Ovviamente il meglio deve ancora venire e ho in mente
un sacco di cosucce intriganti (e anche un po' di vuoti, ma me ne
preoccuperò solo molto più avanti).
Aggiungo che probabilmente i primi capitoli saranno lunghi più o meno come questo. Più avanti li farò più lunghi (forse) ma, per il momento, vi tocca accontentarvi (muahahahah!).
A venerdì prossimo (forse),
Hufflerin.
P.S.: Nel prossimo capitolo potrei pubblicare anche gli attori che,
nella mia mente, danno il volto ai personaggi (anche se Dora, Marlene, Frank
ed Emmeline mi stanno dando qualche grattacapo). Voi che ne dite? Vi
piacerebbe averli o non sapreste che farvene?
Prossimo
aggiornamento venerdì 02/08/'13, con il secondo capitolo:
"Stranges"
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Capitolo 3 *** Chapter II - Stranges ***
2. Stranges
«Pronta?» le chiedo, nervoso.
«Pronta» risponde, decisa.
E varchiamo la soglia della Sala Grande.
Già vedere il castello integro e maestoso come una volta
è stato emozionante, ma vedere la Sala Grande ci fa
veramente rischiare di svenire. È da troppo tempo che non la
vediamo così: viva e splendida, com’è
stata creata e come deve essere.
Le tavole sono piene di studenti che chiacchierano, scherzano e, nel
caso dei Malandrini nei loro giorni migliori, fanno scherzi a tutti gli
altri. Pochi professori sono seduti a gustarsi la colazione; la maggior
parte probabilmente sta organizzando le lezioni che fra solo
mezz’ora sarebbero iniziate.
Guardo Dora sistemarsi la cravatta di Tassorosso e non riesco a
rimanere ancora più stupefatto della sua bellezza. Ora i
suoi capelli sono una cascata d’oro racchiusa in una coda di cavallo - a scuola aveva i capelli più lunghi - e gli occhi sono viola.
Non so in che rapporti dovremo essere, per cui non mi arrischio a darle
il bacio sulle labbra che desidero tanto, limitandomi a un lieve saluto
e a un sorrisetto d’incoraggiamento.
Lei mi sorride a sua volta ma ha le sopracciglia aggrottate dalla
preoccupazione. È strano vederla così. Di solito
è allegra e solare e fa sorridere solo vederla. Spero che
questa situazione iniziale passi presto.
Di malavoglia ci separiamo e raggiungiamo i rispettivi tavoli, in un
rito che non ripetevo più da molto tempo e che mi fa sorgere
un sorrisetto spontaneo.
Guardo con nervosismo Dora, che sembra non saper bene cosa fare. Poi
viene chiamata da Marlene, che era seduta poco più avanti
sul loro tavolo. Bene, e una cosa è fatta. Ci
penserà Marlene a presentarle i suoi amici –
sperando che Dora sia brava a recitare… ma che dico?
È un Auror! Ha affrontato situazioni molto peggiori! Forse.
Io continuo a camminare e vedo James e Sirius seduti e che
chiacchierano animatamente con Frank. Lily, Mary e Alice, invece,
sembra stiano avendo un’accesa discussione. Ah,
c’è anche Peter.
Meno male che abbiamo pensato anche a questo, altrimenti ora sarebbe
già morto.
James mi vede e mi saluta con la mano, attirando l’attenzione
di tutti gli altri, che mi sorridono. Giuro che potrei scoppiare a
piangere.
Vado verso di loro e mi siedo, ricordando la conversazione avuta poco
prima con Dora.
«D’accordo,
credo che abbiamo solo una possibilità, almeno
finché non capiamo che cavolo è
successo» faccio io, pratico, camminando nel corridoio.
Madama Chips ci ha appena rilasciati, sostenendo che non può
fare nulla se non abbiamo nulla, anche se avrebbe voluto tenerci sotto
osservazione per un altro mesetto.
«Ovvero?»
chiede lei, socchiudendo gli occhi, come a prepararsi per un duro
colpo.
«Vivere
qui».
«Oh, pensavo
peggio».
«Del
tipo?»
«Non so. Forse
che saremmo scappati dalla scuola per diventare killer su commissione,
per poi smettere improvvisamente di lavorare perché non
abbiamo il coraggio di uccidere un padre di famiglia, che tuttavia ci
sparerà e cadremmo in mare. Quindi ci risveglieremmo su un
peschereccio italiano senza sapere chi siamo e, seguendo il codice
scritto su un proiettile che hanno prelevato dal nostro corpo, andremmo
in Svizzera, per prelevare qualcosa dalla nostra cassetta di sicurezza.
Solo che ci avrebbero scoperto tramite le telecamere e sarebbe iniziata
una caccia all’uomo – e alla donna – su
scala internazionale e che…»
«Hai letto The
Bourne Identity?»
«Sì.
Era fantastico!»
«Già». Cerco di riprendere il filo del discorso..
«Comunque, come stavo dicendo, non sappiamo cosa ha provocato
questa specie di… strano viaggio nel tempo e, quindi, direi
di fare finta di nulla. Continuiamo le nostre vite in questo posto e
nel frattempo cerchiamo una spiegazione».
Dora annuisce. Io
sospiro, passandomi una mano fra i capelli.
«Ma
perché io sono qui?» chiede
all’improvviso. La guardo, non capendo cosa intenda.
«Se fosse un viaggio nel tempo, perché io sarei
qui? Se tu sei al settimo anno allora io… ancora nemmeno
dovrei essere a Hogwarts figuriamoci al…»
«Sesto
anno» dico io. Sgrana gli occhi, sorpresa.
«Be’, Marlene è al sesto anno e lei era
vicino a te. Inoltre siete entrambe Tassorosso e…
D’accordo, ho spiato i registri della Chips».
Lei ride.
«Marlene qual
era?» mi chiede poi.
«La ragazza un
po’ bassa con i capelli castano chiaro» rispondo.
«E la
bionda?»
«Mary, la
ragazza di Sirius». Spalanca gli occhi e mi osserva come se
avessi bestemmiato.
«Sirius ha una
ragazza?» chiede, quasi urlando. Poi sbuffa.
«Dovevo immaginarlo: quell’aria da donnaiolo era
solo una facciata».
«In effetti, Sirius non è mai stato un vero e proprio "donnaiolo", ma non si è mai interessato ad avere una relazione stabile con una ragazza. Poi a metà del
sesto si è messo con Mary, non chiedermi come –
è una storia lunga –, e lei è riuscita
a fargli mettere la testa a posto… più o
meno».
«Wow. Qualcuno
che rende Sirius una persona normale. Non credevo fosse
possibile» commenta, e ridiamo entrambi. «Ci sono
altre persone di cui devo sapere l’esistenza?»
Ci penso un attimo.
«Be’,
Lily, James e Sirius sono facili da riconoscere» lei
annuisce. «Poi c’è Emmeline Vance,
Grifondoro del mio anno, alta e con i capelli marroni. Ah,
già, e anche Frank e Alice… sai, i genitori di
Neville. E c’è anche Peter».
«So cosa stai
pensando, ma è meglio non farlo»
m’interrompe Dora, abbassando un po’ la voce.
«Se questo è un viaggio nel tempo, allora ogni
cosa che faremo avrà delle conseguenze. Se fai fuori Minus,
Tu-Sai-Chi non verrà sconfitto da Harry e chissà
cosa potrebbe provocare».
Io borbotto qualcosa che
dovrebbe suonare come: «Tranquilla, non lo
farò». Forse.
Dopo qualche secondo di
silenzio, Dora aggiunge: «Secondo me dovremmo parlarne con
Silente».
Io sbuffo.
«Non so quanto
sia affidabile» replico, incrociando le braccia e guardando
dritto davanti a me. La sento sospirare.
«So che ti ha
deluso, Remus, ma…»
«Niente
“ma”, Dora» dico io, stanco.
«Non credo ci starebbe a sentire. Oppure lo farebbe e ci
prenderebbe per pazzi. Neanch’io sono sicuro di essere sano
di mente».
Dora ci pensa su, poi
annuisce.
«Facciamo
così: per una settimana cerchiamo di capirci qualcosa ma se
non troviamo niente, ne parliamo col Preside».
Io annuisco, accettando
il compromesso e poggiando delicatamente le labbra sulle sue.
*****
Remus si sedette vicino a James.
«Come stai?» chiese Lily, preoccupata.
«Ho come un déjà-vu»
ridacchiò James, sottovoce. Lily lo fulminò con
lo sguardo.
«Sto bene, davvero» rispose Remus, cercando di
essere convincente, riuscendo solo a far capire a tutti gli altri che
c’era qualcosa che non andava. James sorrise più
apertamente.
«Qualche novità con Tonks?» chiese il
ragazzo, con il suo tipico sorriso Malandrino e passandosi una mano fra
i capelli corvini e già spettinati.
Remus arrossì di colpo.
«Che intendi con novità?» chiese,
servendosi un po’ di cibo.
«Vi siete decisi a mettervi insieme?» chiese
Sirius, con tono scocciato. «Sarebbe ora: è da
secoli che ve lo diciamo, ma voi nooooo!»
Mary diede una gomitata nelle costole a Sirius.
«Che c’è? È vero!»
protestò il ragazzo.
«Quindi?» s’intromise Lily.
«Dai, sputa il rospo!»
Tutti la guardarono. Lily s’irritò.
«Be’? Non posso essere curiosa?» chiese,
incrociando le braccia. Quasi tutti ridacchiarono, sapendo che lei non
era solo “curiosa”. Praticamente ogni studente
sapeva dei tentativi messi in atto dalla rossa per far mettere insieme
Remus e Ninfadora, frequenti quasi quanto gli inviti di James per
andare a Hogsmeade.
«Comunque non lo so» borbottò Remus,
mangiucchiando il porridge.
«Non sai cosa? Se vi siete messi insieme?» chiese
James, stupefatto. «Come fai a non sapere se state
insieme?»
Lily gli lanciò un'occhiataccia. Di nuovo.
«Ecco… è complicato».
Sbuffata collettiva.
«Certo, come no» fece Sirius, scettico.
«Merlino, continuate così e ci metterete una
vita» commentò Mary, stavolta d’accordo
con il ragazzo.
«No, non così tanto» replica James.
«Solo vent’anni, circa».
«Non abbiamo lezione?» chiese Remus, quasi urlando
per coprire le voci dei ragazzi, che ridacchiarono.
«D’accordo, ti lasciamo in pace» disse
Lily, sorridendo, per poi puntargli contro un dito ammonitore.
«Ma solo per stavolta».
«Si può sapere che problemi avete con la privacy
di una persona?» chiese Remus, indignato.
*****
Si può dire che almeno la colazione è andata
bene. Per lo meno sono riuscito a capire in che rapporti sono con Dora
e che potremo facilmente dichiarare di esserci messi insieme. Cosa che
sicuramente scatenerebbe immediati festeggiamenti che si riverserebbero
in uno scherzo colossale o in una festa. Forse è
più probabile la festa.
Intanto sono riuscito a capire che lezioni avremo, anche se
sarò costretto a farmi condividere i libri con Lily
– è stato difficile, ma sono riuscito a trovarmi
posto accanto a lei: non avrei sopportato Peter – e questo
potrebbe portare a qualche domanda.
Almeno, però, la prima parte critica è superata.
Adesso ci stiamo dirigendo verso i sotterranei, dove abbiamo Pozioni
con Horace. Voglio dire: il professor Lumacorno. Dovrò
riabituarmi a chiamare i professori di Hogwarts con il loro cognome.
Penso che chiamare la McGranitt “Minerva” farebbe
alzare più di un sopracciglio.
«Spero solo di aver avuto una A nell’ultimo
compito» commentò Lily, un po’ cupa,
mentre aspettavamo che Lumacorno aprisse la porta. Io la guardai
stupito, per poi ridere.
«Scherzi, vero? Avrai una delle tue solite E!»
esclamo. Lei mi guarda come se fossi pazzo e la mia risata si spegne.
«Okay, scusa». Non so di cosa mi sto scusando, ma
sempre meglio farlo. Dora me l’ha insegnato molto bene.
«Tranquillo» fa lei, con una smorfia.
«Solo che il sarcasmo me lo aspettavo da Black o da
Potter».
Sarcasmo?
È ufficiale: non ci capisco un tubo.
«Su, ragazzi, entrate!» ci esorta Lumacorno,
aprendo la porta. Quando lo guardo, mi sembra di vedere qualcosa di
diverso.
Ci metto tutto il tragitto al banco di Lily per capirlo ma poi ne sono
sicuro: non è l’Horace scherzoso e bizzarro,
pronto alla battuta e con uno strano senso del collezionismo. Solo a
vederlo si capisce. Lo si intuisce nei movimenti più
controllati, nello sguardo un po’ spento, nella massa
piuttosto minore. Questo è un Horace più freddo e
serio. E la cosa mi spaventa.
Entriamo e ci sediamo ai nostri posti, mentre Horace prende una scatola
e comincia a dare a ogni studente una fialetta con un pezzetto di
pergamena legato intorno. Ad alcuni dà solo la pergamena.
Quando arrivano le fialette a me e Lily capisco a cosa serva quella
divisione: ogni studente con la sufficienza ha ricevuto la propria
pozione, mentre quelle insufficienti sono state prese da Lumacorno.
Strano. Non l’ha mai fatto prima.
Lily sospira di sollievo ed io mi allungo un po’ per vedere
il voto che ha preso. Una A.
Spalanco gli occhi, perplesso, tornando a osservare la mia Bevanda
della Pace che ha preso una O. Da quando in qua Lily Evans prende A in
Pozioni? Che fine ha fatto la brillante pozionista sempre adulata dal
professore?
Le cose si fanno più strane durante la lezione, tanto che
fatico a stare dietro alla mia pozione e, ogni tanto, Lily deve
fermarmi prima che faccia qualcosa di sbagliato.
Lei è sempre la stessa, brava e aggraziata, e ottiene sempre
risultati perfetti da ogni passaggio.
È Lumacorno a essere cambiato. Quasi non la guarda
più e, se lo fa, non dà alcun segno di
apprezzamento, passando avanti senza commentare in alcun modo. E noto
che fa così per molte altre persone, concentrandosi solo su
un gruppo ristretto di ragazzi, fra cui James e Sirius.
Non ne capisco il perché. Poi connetto.
James. Sirius. Laggiù i fratelli Selwyn. Nott. Prewett.
Paciock.
Tutte persone di cui Lumacorno si prende l’impegno di
commentare il lavoro.
Tutti Purosangue.
Mentre tagliuzzo la lavanda, medito sul fatto che Lumacorno non era mai
stato un razzista. Certo, a volte si stupiva che proprio Lily, una Nata
Babbana, fosse una delle migliori del suo corso ma non andava
più avanti di così. Anche perché,
altrimenti, sarebbe scappato durante la battaglia.
Eppure, fra le stranezze di questo “Nuovo Mondo”
– e non parlo dell’America – è
inclusa anche questa, che va ad aggiungersi alla lista.
Almeno la McGranitt è rimasta uguale, come dimostra
nell’ora seguente.
Anche se severa, tuttavia, sembra la professoressa più amata
dagli studenti, il che mi fa pensare che Lumacorno non sia il solo
razzista.
In ogni caso, gli sbuffi che si sentono quando la professoressa ci trattiene ancora
un po’ dopo il suono della campana di fine ora arrivano,
probabilmente, fino a Silente. Alla fine, un po’ per
punizione, un po’ semplicemente per assegnare i compiti,
dobbiamo pranzare in un quarto d’ora scarso, per poi
catapultarci nella prossima lezione. Peccato che mi ero scordato degli
insegnanti del settimo anno.
La professoressa Sarah Mason ci dà le spalle quando
arriviamo nell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure e non si
gira fino a quando non siamo tutti seduti e zitti.
«Sono stata lieta di aver potuto constatare che avete
un’ampia conoscenza di questa materia» dice,
girandosi. È una donna sulla trentina, con capelli neri e
corti, sempre avvolta in un mantello nero che sembra più un
normale cappotto Babbano. Gli occhi marroni hanno sempre una strana
scintilla dentro, come se stesse perennemente immaginando il modo
migliore per farti fuori. Ed è vero. La Mason fa un sospiro,
prima di aggiungere, seppur con evidente malavoglia: «Anche
i… meno dotati per natura».
Con queste parole scoccò un’occhiata
particolarmente velenosa a Lily ed Emmeline, quest’ultima
seduta davanti a noi. Se sono come me le ricordo, allora dovrebbero
essere brave duellanti ed esperte nella Difesa, cosa non facilmente
sopportabile da una razzista purosangue di trecentosessantasette anni.
Ah, non l’ho detto? È un vampiro.
Credo di essere l’unico che lo sa, dato che l’avevo
scoperto io nel… Vecchio Mondo. Forse anche quello
contribuì al suo licenziamento.
Ora che ci penso, dovrei dirlo a Silente. Già, e come?
“Sai, dovresti licenziare questa tizia perché
è un vampiro sanguinario. Ah, già, poi
proverà a farti fuori, ma non preoccuparti, la ucciderai
prima tu”.
Ho l’impressione che sbatterebbe me fuori dalla scuola.
All’improvviso mi viene nella mente un ricordo e mi preparo
al colpo che sto per ricevere. Se non ricordo male, fu proprio oggi
che…
«Tuttavia, noto che, nel terzo e nel quarto anno non avete
studiato nulla di più pericoloso di un Kappa» dice
la donna, sedendosi sulla cattedra con un sorrisetto che è a
metà fra l’affascinante e il malvagio.
«Mi dispiace dunque informarvi che nel mondo esistono
creature ben più terrificanti di un demone acquatico che se
s’inchina perde ogni potere. Ho intenzione, quindi, di
iniziare l’anno con un essere di cui sicuramente avete molto
sentito parlare: il Lupo Mannaro. O licantropo, come volete
voi».
Mi ricordavo bene.
Lily mi lancia un’occhiata preoccupata ma io, di nascosto, le
faccio un sorrisetto, che sembra più confonderla che
rassicurarla.
E la lezione inizia.
Ovviamente, il parere di un vampiro non può essere neutrale
nei confronti di un licantropo. Io stesso, probabilmente, durante la
luna piena non vedrei l’ora di staccarle la testa. Per lei,
invece, deve essere una specie di luna piena continua. Messa
così, la Mason mi fa quasi pena. Quasi, però.
Ricevo bigliettini a dismisura dai Malandrini, che mi chiedono di non
starla a sentire, che è tutto falso, che è una
stronza – questo è vero – e che ci
vendicheremo, ignorando completamente le mie risposte in cui dico di
stare bene.
La verità? Buffo, ma è quella la
verità.
Forse è perché conosco la sua vera natura, oppure
perché ho ricevuto tanti di quegli insulti che mi basteranno
per tutta la vita. Qualunque sia il motivo, quello che dice non mi fa
né caldo né freddo. Anzi, sono quasi interessato
nel sentire il mio essere visto da un vampiro. È un
po’ come per i Nati Babbani che frequentano Babbanologia
– si veda sotto la voce: Hermione Granger.
Tuttavia, fa infuriare abbastanza i Malandrini e James, in seguito a un
paio di commenti sarcastici sulla spiegazione della professoressa, si
ottiene una punizione per quel fine-settimana. E la cosa
m’innervosisce abbastanza.
Non credo sia molto sicuro che James passi un’ora con una
pazza omicida, vampiro o meno.
Dirò a Dora di accelerare la faccenda: fino a
venerdì pomeriggio, non di più, oppure quella
notte stessa saremmo andati da Silente.
Per fortuna è l’ultima lezione della giornata e la
Mason ci congeda con “soli” cinquanta centimetri di
pergamena su come avviene la trasformazione in lupo. Non appena le
ragazze ci salutano – Lily ed Emmeline devono andare in
biblioteca, Mary viene costretta a seguirle, Alice è andata
a fare un giro nel parco con Frank – prendo James da parte,
per parlargli.
«Senti, non m’importa quante punizioni prendi o
quanti scherzi fai, quest’anno vi permetto tutto, ma evita,
per favore, di prendere un’altra punizione dalla
Mason» gli dico, quasi tutto d’un fiato. Mi guarda
allibito, mentre Sirius e Peter sembrano piuttosto preoccupati.
«Siamo intesi?»
«D’accordo» fa lui, deglutendo.
«Ma… perché?».
Io mi mordo il labbro, pensieroso. Decido per dirgli una mezza
verità.
«Te lo dirò, ma non adesso. Credo nasconda
qualcosa, ma non ho ancora abbastanza prove e voglio esserne
sicuro» rispondo. Anche a me sembra quasi una frase imparata
a memoria. A quanto pare, con la mia
“reincarnazione” è tornata anche la mia
difficoltà a mentire. Credo che James se ne sia accorto, ma
non dice nulla.
«Scusa se te l’ho chiesto così, ma
volevo essere sicuro che mi ascoltassi» aggiungo, mentre il
ragazzo continua a osservarmi da dietro gli occhiali. «Quando
ti ci metti, ignoreresti persino Lily».
Il riferimento alla ragazza sembra rallegrarlo un po’ e
riprendiamo a camminare quasi tranquillamente, anche se ho
l’impressione di aver rovinato tutto.
«Ma… questo vuol dire che devo rinunciare anche
allo scherzo-vendetta?» chiede, sfoderando la sua arma
più letale: gli occhi da cerbiatto.
«Non attacca, Bambi. Rinuncerai anche allo
scherzo-vendetta» replico io, sorridendo sadicamente.
Lui sporge in fuori il labbro.
«Ma… Ma… Non è giusto! Lei
è cattiva!» esclama. Io e gli altri ridiamo.
Sembra veramente un bambino. Se non sapessi com’è
James Potter in realtà, potrei quasi credere che sia veramente così infantile.
«Su questo non posso darti torto» commento.
«È come la versione femminile di Voldemort, solo
con i capelli e un naso».
Loro mi guardano, confusi.
«E chi sarebbe Valdemart?»
chiede Peter.
“Il tuo padrone, razza di stupido sorcio
senz’anima. Carino. In breve: SSS”.
«Nessuno, solo il personaggio di… un
romanzo babbano» replico in fretta.
“Sì, la saga di Harry Potter”, penso,
ridacchiando in silenzio.
Gli altri, che non hanno idea di come possa essere un romanzo babbano - popolo sconosciuto, per loro -, decidono di darmela
per buona e si ricomincia a chiacchierare allegramente sul prossimo
scherzo. Un sprazzo di quasi-normalità in un mondo che ne ha
ben poca.
«Io esco un attimo» dico, alzandomi dal mio letto
con ancora il foglietto di pergamena in mano. Indosso velocemente una
maglietta sotto lo sguardo stupito di tutti.
«Remus, sei un Prefetto! Non puoi uscire a
quest’ora» mi rimprovera scherzosamente Sirius. Io
ridacchio a mia volta.
«Dove vai? Sei diventato serio dopo che hai letto quel
biglietto» fa James, ancora nell’atto di scagliare
un cuscino contro Sirius.
«Secondo me è un incontro romantico»
afferma Frank, scrutandomi con attenzione. Perché sto
arrossendo?
«Quindi è così?» chiede
James, contento. Io sospiro.
«Potrebbe darsi che io stia andando a incontrare Dora nella
Guferia» commento.
«Allora divertitevi, ma con prudenza: sono troppo giovane per essere zio!» esclama Sirius. James, Frank e Peter scoppiano a ridere, mentre io cerco di non farmi vedere mentre ridacchio a mia volta. Probabilmente non lo dirò mai, ma il pulcioso mi è mancato.
«Io vado. Ci si vede dopo» esclamo, uscendo di
corsa dalla stanza e dirigendomi velocemente verso il Settimo Piano.
Spero solo che si siano diretti veramente alla Guferia.
«Ehi!» sento la sua voce che mi chiama e mi giro.
La porta della Stanza delle Necessità è socchiusa
e, dal piccolo spiraglio, si vede il suo occhio viola. Entro
velocemente e ci richiudiamo la porta alle spalle. La Stanza
è una replica perfetta della nostra piccola casa nel Surrey.
La bacio con passione, circondandole la vita con le braccia, mentre lei
mi accarezza i capelli. Dopo qualche secondo ci separiamo, costretti
dalla necessità di respirare.
Non sono riuscito a trattenermi. Anche se è stata solo una giornata, morivo dalla voglia di rivederla.
«Non si saluta neanche?» chiede, scherzosa.
«Ciao» faccio io, per poi riprendere a baciarla.
Camminiamo lentamente fino al salotto, per poi sederci sul divano rosso
che avevo Trasfigurato per renderlo identico a quello nella Sala Comune.
Vorrei che potessimo rimanere così per sempre, solo noi due
e la nostra casa, ma, dato che non sono sicuro che la Stanza possa
manipolare anche il tempo, ci costringiamo a smettere.
«Novità?» chiede Dora, un po’
titubante.
«Oh, sì!» esclamo io. «Ci sono
cose abbastanza… come dire? Sconvolgenti».
Lei sbuffa.
«Io ne ho una shoccante» dice, sicura. «Ma
ti prego, comincia tu».
È un po’ strana, ma ubbidisco.
«Ho scoperto che qui il razzismo è molto
più diffuso che da dove veniamo, che la mia
professoressa-vampiro è ancora qui e che sabato passerà un
po’ di tempo con uno dei miei migliori amici e…
Voldemort non esiste o, almeno, ancora non si è fatto
vedere».
Avevo fatto anche altre allusioni sul Signore Oscuro durante la
giornata, nelle vicinanze di studenti e professori, cercando di capire
se qualcuno ne avesse mai sentito parlare, ma nessuno sapeva di chi
stessi parlando.
«Tutto qui?» chiede. Io m’innervosisco un
po’. Non è facile recepire informazioni e, allo
stesso tempo, provare a far finta che nulla di tutto ciò ti
sconvolga.
«Allora parla tu, scommetto che…»
«Ho una sorella. Si chiama Evelyn Tonks, è al
quinto anno ed è una Corvonero».
Mi ha fregato. Penso ci vorrà un po’ per rimettere
a posto la mia mascella slogata.
Sala Comune di Tassoverde
Ed eccoci giunti alla conclusione del secondo capitolo.
Non credo ci sia molto da spiegare. Non ci sono stati veramente eventi di rilievo, anche perché questo è solo un capitolo di passaggio, le cose importanti arriveranno fra un po'.
Cosa ne pensate della Mason? E' l'ultimo personaggio che ho creato. All'inizio non ero sicuro sul fatto del "vampiro" ma alla fine ho deciso di rendere questi esseri un po' più normali di quanto siamo abituati a vedere con Twilight, The Vampire Diaries e anche con il più classico Dracula.
Ho deciso, inoltre, di non dare un appuntamento settimanale stabile (ogni venerdì o cose simili) ma di dare una data approssimativa ogni volta che pubblicherò un capitolo. In questo caso, credo che dovrò pubblicare domenica 11, anche se cercherò di concludere il capitolo entro venerdì.
Penso di non aver altro da dire. Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete (e/o recensite, che fa sempre piacere).
Con affetto,
Hufflerin.
P.S.: Sono riuscito ad associare a ogni personaggio un attore.
Ovviamente non dovete obbligatoriamente prenderli come modello se non
volete!
N.B.: Le immagini sono state trovate casualmente su Google, non detengo
i diritti di nessuna etc.
James Potter è Andrew
Garfield;
Lily Evans è Rachel
Hurd-Wood;
Sirius Black è Ben
Barnes;
Remus Lupin è Chad
Michael Murray (se trovate qualcuno di più adatto,
ditemelo);
Peter Minus è il solito;
Ninfadora Tonks è Jennifer
Lawrence (magari non è perfetta, ma credo
sia fra le più adatte);
Mary MacDonald è Kristen Bell;
Emmeline Vance è Nina
Dobrev;
Marlene McKinnon è Troian
Bellisario;
Alice Prewett è Ashley
Greene;
Frank Paciock è Russell
Tovey;
La professoressa Sarah Mason è Lana
Parrilla;
E, in anteprima, Evelyn Tonks è Willa
Holland.
Prossimo aggiornamento domenica 11/08/'13, con il terzo capitolo: "Meets"
AVVISO: dal prossimo capitolo, la fan fiction cambierà il proprio nome in "The Storytellers"
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Capitolo 4 *** Chapter III - Meets ***
3. Meets
Venerdì
pomeriggio
Evelyn Tonks, detta Eve, era una ragazza tranquilla. Amava leggere ed
era molto intelligente, tendeva a starsene da sola ma non le dispiaceva
passare del tempo con le amiche. Adorava sua sorella e
grazie anche al suo aiuto era oggi conosciuta unicamente con il nome "Evelyn" che, proprio a voler essere pignoli, non era il suo vero nome di battesimo. Quale fosse in realtà è affare unicamente della scuola e del Ministero e, se anche uno solo di voi lo venisse a sapere, molto probabilmente verrei trucidato da questa splendida e dolcissima Corvonero con pratiche che prenderanno nome solo in seguito al ritrovamento del mio cadavere.
Inoltre, quasi tutti coloro che la conoscevano sapevano della sua
natura curiosa. Quindi c’era da aspettarsi che, vedendo Lily
Evans che trascinava James Potter in un corridoio piuttosto isolato, li
avrebbe seguiti, temendo che la rossa avesse deciso di compiere la
vendetta che desiderava tanto. E così fece, fino a un'aula
vuota.
«Ehm… Lily cara…»
«Evans, Potter» lo corresse lei, con una specie di
piccolo ringhio.
«D’accordo, Evans, potresti gentilmente dirmi
perché mi hai trascinato qui? Nulla in contrario a stare
cinque minuti da solo con te, sia chiaro, ma non mi dispiacerebbe
qualche spiegazione».
«Ehi, tutto a posto?» chiese Eve, comparendo dallo
stipite insieme alla sua massa di capelli castani e riccioluti.
«Perché, scusami Lily, ma mi sentirei in dovere di
fermarti, in caso tu stia cercando di far fuori James».
«Tranquilla, Eve, non sta cercando di uccidermi»
replicò James, sorridendo. Poi divenne serio e
guardò la Rossa, che aveva un’aria abbastanza
scocciata. «Non vuoi uccidermi, vero?»
«Fortunatamente per te, non oggi» rispose la
ragazza, per poi rivolgersi alla Corvonero. «Potresti entrare
anche tu, per favore? Mi hai risparmiato la fatica di venirti a
cercare».
Eve chiuse la porta dietro di sé, mentre Lily si sedeva su
un banco con due gambe invisibili.
«Volevo parlarvi di Remus e Dora» disse,
cominciando quello che sembrava un discorso imparato a memoria.
«Non so se è capitato anche a voi, ma io ho notato
dei comportamenti un po’… strani».
A quelle parole, a James ed Evelyn brillarono gli occhi.
«Sì, anch'io» rispose James, mentre
Evelyn annuiva.
«Dora è sempre più strana»
cominciò Eve. «A volte chiacchieriamo un
po’ ma quando parlo di cose successe un po’ di
tempo fa lei… sembra si sia scordata di tutto. A volte credo
si sia dimenticata anche di me».
«Remus, invece, sembra cambiato» aggiunse James,
incrociando le braccia. «Sta molto più in silenzio
e a volte ci guarda in modo un po’… strano. Anche
come reagisce con la Mason. Il Remus che conosco si sarebbe arrabbiato,
ma sarebbe rimasto in silenzio, mentre lui…»
«È tranquillo» concluse Lily, annuendo.
Era lo stesso che aveva notato lei. «Ci ho fatto caso
anch’io, soprattutto con Remus ma un paio di volte ho visto
anche Dora. Avete idea del perché si comportino
così?»
Gli altri due scossero la testa.
«So solo che è cominciata quando hanno avuto la
crisi, il sette» commentò James. Lily
annuì di nuovo. Aveva capito anche questo. Alla fine parlare
con loro non aveva rivelato nulla che già non sapesse. Eve
era immersa nei suoi pensieri e si mordeva un labbro, mentre James si
passava una mano tra i capelli senza accorgersene, in una specie di tic
nervoso.
Lily sospirò.
«Be’, grazie comunque» disse, guardandoli
entrambi e cercando di fare un sorrisetto d’incoraggiamento.
«Se scoprite qualsiasi altra cosa…»
«Sarai la prima a saperlo». Eve sorrise, gentile,
per poi uscire dall’aula, sentendosi congedata. James
sembrava intenzionato a seguirla ma Lily, inaspettatamente, lo
bloccò.
«Potter, mi stavo dimenticando una cosa» disse.
James si bloccò, sorpreso. «La Mason non riusciva
a trovarti e quindi lo ha detto a me: ha anticipato la punizione. Oggi,
alle sei».
Ovvero, da lì a meno di un’ora.
James si rabbuiò sporse il labbro inferiore in una smorfia
infantile. Poi sembrò ricordarsi qualcosa.
«Adesso che mi ci fai pensare, Remus sembrava parecchio
agitato quando sono finito in punizione» esclamò
il ragazzo. «Ha detto addirittura che avrei potuto fare
qualsiasi scherzo, ma l’importante è che non mi
mettevo nei casini con quella».
Lily rifletté un attimo.
«Allora è meglio che ci vediamo, subito dopo la
punizione, al settimo piano». James la guardò, fra
il confuso e l’estasiato. «Non farti strane idee:
nonostante tutto, conosciamo Remus, non direbbe cose del genere a
vanvera. Voglio solo sapere cosa ti farà,
eventualmente».
James annuì, ma aveva ancora un sorrisetto impertinente
sulle labbra. Tuttavia non disse nulla.
«Be’, a stasera» disse Lily, scendendo
dal banco e uscendo dall’aula. Rifletté sulla
conversazione appena avuta ed ebbe una sorta d’illuminazione:
aveva appena avuto la sua prima conversazione civile con James Potter.
E non gli aveva nemmeno urlato contro. Chissà, forse era
vero, Potter era cambiato. Era diventato più maturo.
«EHI, EVANS, DIMENTICAVO: VUOI VENIRE A HOGSMEADE CON
ME?»
O forse no.
*****
Non sono ancora del tutto convinto di ciò che stiamo
facendo, ma credo sia la nostra unica possibilità di trovare
qualcosa di vagamente sensato in tutta questa faccenda.
Dora continua a insistere con una teoria sulla reincarnazione,
ignorando che, quando - e se - ci si reincarna, si rinasce da
neonati, non come adolescenti. E, inoltre, non spiega
l’“errore” della sua presenza.
Io, invece, malgrado ciò che pensavo all’inizio,
sto cominciando a credere in un’illusione creata dai
Mangiamorte.
Ho l’impressione che nessuno dei due abbia ragione. Speriamo
solo che Silente ci dia qualche informazione.
Dopo qualche minuto perso a cercare la parola d’ordine
(«Non riesco a credere che Silente usi “piume di
zucchero” come parola d’ordine».
«Harry mi ha raccontato che, al suo secondo anno, era
“sorbetto al limone”».
«Ah») saliamo la scala a chiocciola e, lanciando
uno sguardo nervoso a Dora, busso.
La voce del preside ci raggiunge all’istante.
«Avanti».
Apro la porta, per trovare un Albus Silente molto più
giovane di quanto mi ricordassi. Quando ci vede, un sorrisetto
spontaneo cresce sotto la folta barba bianca.
«Ah, Remus e Ninfadora» esclama. Poi, con un gesto
della bacchetta, evoca un paio di poltroncine rosse. «Prego,
sedetevi».
Ubbidiamo, un po’ nervosi.
«Devo dire che vi aspettavo prima» dice Silente.
Colgo qualcosa nei suoi occhi. Senso di colpa? «Anche se,
devo ammettere, avete avuto le vostre ragioni. Non vi ho mai raccontato
tutto e voi, ovviamente, vi siete offesi. E avete ragione».
Dora ed io ci lanciamo uno sguardo confuso. Ma di che
diamine…?
«Ora, immagino abbiate qualche domanda» continua.
Poi prende un sacchetto e ce lo porge. «Calderotti?»
La testa mi sta per scoppiare.
Dora prende un dolcetto ed io sarei quasi tentato di rifiutare. Ma
quello è cioccolato!
«Ehm, professore, noi non… Non so come
spiegarglielo. Diciamo che… noi non siamo di qui»
tento io. È difficile spiegare qualcosa che non si capisce.
Lui mi lancia uno sguardo indagatore e sorride.
«Remus, pensavo di avervelo fatto capire: lo so»
dice. All’inizio rimango esterrefatto. Poi
m’indigno un po’.
Merlino, Morgana e Godric, poteva anche dirlo prima che cominciassi a
parlare a vanvera come un demente!
Silente ridacchia. Dannata Legilimanzia.
«Allora… dove siamo?» chiede Dora,
più svelta di me. Silente si passa una mano nella lunga
barba.
«Questo posso solo supporlo» dice. «Sono
qui da circa un anno…»
«Aspetti» lo blocco. «Vuole dirmi che da
quando Piton l’ha…»
«Sì, sono qui da quando Severus mi ha
ucciso» risponde, tranquillo. «In ogni caso,
tornerei alla domanda della signorina Tonks: credo che una qualche,
sconosciuta forza, ci abbia condotti in un universo parallelo in cui
determinati eventi sono accaduti in modo diverso da come li conosciamo
noi». Agita la bacchetta e una piccola pila di fogli di
pergamena plana da uno scaffale, per poggiarsi sulla scrivania, davanti
al professore. «Qui ho catalogato ogni evento che non
coincide con il nostro mondo. Le Stranezze, se vogliamo definirle
così».
Dora prende il primo foglio e comincia a leggere. Seguo il suo esempio.
In effetti, all’universo parallelo non ci avevamo pensato.
Forse perché era troppo fantascientifico. Almeno il viaggio
nel tempo era possibile, anche se non si può viaggiare per
anni come abbiamo fatto noi.
In effetti, dopo tutto quello che è successo,
l’ipotesi di Silente non mi turba. Anzi, è
probabilmente una delle migliori notizie della settimana –
oltre al fatto di non essere morti. Se si conosce il problema,
è più facile affrontarlo*.
«Qui dice che… mia madre è rimasta
incinta di me molto tempo prima del previsto» legge Dora. Poi
mi guarda, con gli occhi spalancati. «Ecco perché
mia madre ha avuto un’altra figlia. Fra questo e
l’assenza della guerra ha avuto… più
tempo, diciamo. Ed ecco perché io sono
più… vecchia».
«Questo, però, vorrebbe dire che tua madre
è rimasta incinta a… Be’, era piuttosto
piccola» constato io. Silente fa segno a Dora di continuare a
leggere.
«Ah. Era spiegato nella riga sotto. Anche mia madre
è nata prima. In quest'universo, è lei la
primogenita». Annuisco. E un mistero è risolto.
«Tom Riddle esiste, lavora a Magie Sinister e non
è mai diventato Voldemort» leggo. Almeno qualcosa
è andato per il verso giusto.
«Lo sto comunque tenendo sotto controllo» afferma
Silente. «Non si può mai sapere cosa potrebbe fare
una persona che non è in grado di amare».
Annuisco di nuovo.
«Ma perché questo razzismo» chiede Dora.
«Certi professori disprezzano apertamente i Nati
Babbani!»
Silente sospira tristemente.
«Sembrerebbe che la presenza di Lord Voldemort abbia avuto
almeno un piccolo vantaggio per i Nati Babbani: da quando si era
mostrato per quel che era, un mostro sadico e assassino, molto
Purosangue hanno cambiato idea, capendo che i loro ideali erano
sbagliati. Invece, qui, non avendo dimostrazioni eclatanti di questo
genere, i Purosangue sono rimasti della loro idea» spiega.
«A quanto pare, l’essere umano ha bisogno di
situazioni drammatiche per mettere la testa a posto».
«Non tutto il male viene per nuocere» borbotta
Dora. Silente annuisce, grave.
Ripongo il foglio sulla pila e cerco di riorganizzare le idee.
«Perché siamo qui» chiedo, infine.
«Cos’è che ha spinto questa…
forza a portarci in un altro universo».
«Anche su questo ho solo delle supposizioni, una
più bizzarra dell’altra» risponde
Silente. «Posso solo credere che qualcosa abbia spinto la
forza a portarci qui in seguito alla nostra dipartita. O meglio,
immagino che anche voi due siate stati…»
«Sì». Dora fa una smorfia.
«Mi dispiace» fa il professore, lanciandoci uno
sguardo triste.
«Non importa» dico. Nonostante tutto, provo ancora
un po’ di risentimento verso il professore. Silente sembra
capirlo.
«Remus, capisco quello che provi, ed è
giusto» dice. «Per questo, voglio dirvi tutto
ciò che ho scoperto su Tom Riddle e quello che ho deciso di
fare, in modo che scompaia per sempre. Mettetevi comodi, è
una storia piuttosto lunga».
*****
«Avanti» disse la Mason, quasi nello stesso istante
in cui lo diceva Silente, da tutt’altra parte nel castello.
James aprì la porta ed entrò. Si aspettava un
ufficio buio e tetro, in pieno stile con la propria insegnante. Invece,
rimase sorpreso.
Le pareti di pietra erano state ricoperte da listelli verticali di un
legno chiaro mentre, sul pavimento, era stata poggiata
un’ampia moquette verde, di una tonalità
più chiara rispetto al colore usato sul soffitto; da
lì pendeva un particolare lampadario, dalla struttura di
legno intagliata a formare piccoli rami. James aveva
l’impressione che, di notte e con la luce del lampadario
accesa, gli sarebbe sembrato di trovarsi in un bosco.
La Mason lo aspettava, seduta su una poltrona color muschio davanti a
una scrivania di mogano.
«Salve, signor Potter» disse la professoressa, con
tono dolce. James avvertì come un segnale dentro la testa.
Rosso, al neon e che sembrava urlare “PERICOLO: QUESTA TI
VUOLE TAGLIARE LA TESTA”.
«Buonasera, professoressa» rispose James, cauto
come non lo era mai stato di fronte a un insegnante. Qualcosa gli
diceva che Remus non aveva tutti i torti a essere così
apprensivo.
«Prego, si sieda». James ubbidì e si
sedette su una delle due sedie di fronte alla scrivania.
«Allora, prima di tutto, vorrei offrirle qualcosa da
bere» dicendo così, la Mason roteò la
bacchetta, facendo apparire un paio di caraffe e due calici.
«Tè? Succo di zucca?»
«Niente, grazie» disse il ragazzo, osservando le
bevande con una certa preoccupazione.
«Insisto» replicò la donna, sorridendo.
Il messaggio era chiaro: bevi. Ora. E non era solo quello. James si
sentì come se qualcos’altro stesse rispondendo con
la sua bocca.
«Succo, grazie». La Mason riempì un
calice di liquido arancione e la porse al ragazzo, che lo
portò immediatamente alle labbra.
Nella sua mente fece breccia la voce di un collega di suo padre, un
Auror molto famoso. “Vigilanza costante”.
Cosa avrebbe detto il vecchio Alastor vedendolo accettare una bevanda
da una strega – molto probabilmente – oscura?
Così avvicinò il bicchiere alla bocca, ma non
aprì le labbra. Fece finta di bere un po’ e tenne
il calice in mano, nascondendo alla professoressa la
quantità di succo ancora presente.**
«Dunque, posso chiederti perché?» chiese
la professoressa, prendendo un calice colmo di tè fumante.
«“Perché” cosa?»
replicò James, confuso.
«Perché difendi i Lupi Mannari?» James
scrollò le spalle.
«Perché non credo siano tanto diversi da
noi» spiegò. «Sono solo persone che
hanno avuto la sfortuna di… essere contagiati da una
malattia».
James credette di vedere per un attimo un sorrisetto sulla bocca della
professoressa.
«Beva, signor Potter. Beva». E James bevve un paio
di sorsi. Non sapeva neanche lui cosa lo avesse spinto a farlo, eppure
aveva ubbidito come un cagnolino ammaestrato. Cercò di
mantenere un’espressione neutra ma, dentro di sé,
già cercava di capire cosa la professoressa avesse potuto
mettere nel liquido.
«Cosa stava dicendo sui licantropi?» chiese la
donna.
James si stupì per quello che stava per dire e,
fortunatamente, riuscì a tenere la bocca chiusa.
«Che sono semplicemente… persone con dei
problemi» disse. La sua mente, tuttavia, era andata in
direzioni ben diverse e ciò lo fece vergognare di se stesso.
«E, questo pensiero, non deriva forse dal fatto che uno dei
suoi migliori amici è un Mannaro?» James quasi si
strozzò. La Mason sapeva di Remus.
«Di cosa sta parlando?» chiese James, sfoderando la
sua migliore faccia da poker. Peccato che perdesse sempre, a poker.
La Mason sospirò.
«James, forse non mi hai capito e devo essere un
po’ più diretta». Il ragazzo
deglutì. Aveva notato il passaggio al
“tu” e non gli piaceva. «Bevi».
Quella volta riuscì a notarlo. Gli occhi marroni
dell’insegnante erano diventati, per un istante, color
cremisi.
La mano di James si mosse, portando il bicchiere alla bocca, che si
aprì senza protestare, e bevve. Tuttavia, James non voleva
fare quei movimenti.
Capì che era lei che lo muoveva, come fa un burattinaio.
Capì che i fili erano collegati alla bocca e agli occhi
della professoressa. Lo controllava solo con la voce e lo sguardo.
James si accasciò a terra, gemendo.
La bevanda bruciava nel suo stomaco come fosse acido, facendolo
contorcere a terra. Stava per urlare ma si trattenne: non voleva dare
alla Mason anche quella soddisfazione.
La Mason si alzò e girò intorno alla scrivania,
per puntare gli occhi su James.
«Mi spiace, ma ho dovuto usare una concentrazione piuttosto
alta» disse, osservandolo con attenzione. «Sei un
ragazzo con grandi convinzioni. La maggior parte delle persone avrebbe
ceduto già al primo sorso».
James strinse i denti e, fra uno spasmo e l’altro,
riuscì a portare la mano alla bacchetta e a estrarla da
sotto la veste. La Mason fece un semplice cenno con la mano, muovendo
pigramente indice e medio. La bacchetta volò dalla mano di
James.
«Non ribellarti, renderà tutto più
doloroso». Il ragazzo continuò a dibattersi. La
Mason portò il volto accanto al suo e, con un altro lampo
rosso negli occhi, disse: «Dormi».
E James si addormentò.
*****
Sprofondo nella sedia, cercando di elaborare.
Sette Horcrux… Harry… La spada…
Severus…
Non riesco a credere di aver sbagliato tutto. Avevo giudicato male due
dei migliori maghi del mondo, uno dei quali è proprio
davanti a me. Avevo cercato di estorcere il segreto a Harry, ignorando
completamente a cosa mi avrebbe portato conoscerlo.
Ho fatto un casino.
Dora, se mi sentisse, probabilmente mi direbbe di smetterla di
autoflagellarmi, che, per ciò di cui ero a conoscenza, ho
fatto quello che avrebbe fatto chiunque altro.
Odio quella frase. “Fare quello che farebbe chiunque
altro”. Se fosse davvero così, allora vorrebbe
dire che dovrei uccidere e mutilare, come ogni altro Lupo Mannaro.
Aspetta un momento…
«Perché sono un Lupo Mannaro?» chiedo.
La domanda sembra sorprendere Dora, che mi guarda inclinando
leggermente la testa. Silente sospira. «Voglio dire: se qui
Voldemort ancora non c’è, allora Greyback non
aveva alcun motivo per mordermi».
«Sai perché sei stato morso?» chiede il
preside. Annuisco.
C’era stata un’impennata di reclutamenti al
Ministero. Avevano chiamato tutti coloro che avevano informazioni sulle
creature Oscure, dato che Voldemort ne stava reclutando parecchie. Mio
padre, Lyall, venne invitato a unirsi al Dipartimento per la
Regolamentazione e il Controllo delle Creature Magiche. Lui era un
esperto in Apparizioni di Spiriti Non-Umani – come Mollicci e
Poltergeist.
Quando arrivò al Ministero, s'imbatté
nell’arresto di Greyback, che era stato accusato
dell’omicidio di due bambini babbani. Tuttavia, il bastardo
aveva finto di essere un senzatetto babbano, continuando a sorprendersi
per ogni elemento magico e chiedendo con stupore dove si trovasse.
Peccato che mio padre era abbastanza intelligente da riconoscere un
Lupo Mannaro. Chiese che Greyback venisse trattenuto per ventiquattrore
– da lì a poco ci sarebbe stata la luna piena. Al
Ministero, però, non lo ascoltarono. Lyall, allora,
partì in una descrizione dei licantropi che, adesso, non
ripeterà mai. Aveva detto solo quello che i maghi, a quel
tempo, pensavano. Non ottenne ascolto dal Ministero. Ma lo ebbe da
Fenrir.
Avevo quasi cinque anni. Era entrato dalla finestra e mi aveva
attaccato.***
«Sì, ma senza Voldemort, mio padre non avrebbe
dovuto avere nessun motivo per andare al Ministero».
«Purtroppo, già da tempo al Ministero volevano
offrirgli un posto di lavoro. Certo, più basso di quello che
avrebbe avuto con Voldemort presente, ma pur sempre un posto»
spiega Silente, pacato. «Credo che, dopotutto, la maggior
parte degli eventi coincida con quelli che conosciamo noi. I tuoi amici
sono Animagus, Remus, e tuttora ti accompagnano durante le notti di
luna piena».
Sospiro e chiudo gli occhi, passandomi le mani davanti al volto. Alla
fine, universo parallelo o no, la mia maledizione mi seguirà
per sempre.
«Tuttavia, ho una buona notizia» aggiunge.
«Sono riuscito a ricreare la ricetta della Pozione Antilupo,
quindi potrai usufruirne ben prima che venga creata. Certo, non
allevierà il dolore ma…»
Sospiro, di nuovo, questa volta un po’ sollevato.
«Grazie, professore, davvero». Tentenno un
po’, ma poi aggiungo: «E mi dispiace, di non averla
considerata come avrei dovuto».
Silente sorride, gentile.
«Non dispiacerti, in parte hai ragione» replica.
Vorrei chiedergli spiegazioni ma credo che, per questa volta, lo abbia
fatto parlare anche troppo.
«Cosa crede che dovremo fare?» chiede Dora, un
po’ ansiosa. Silente sospira.
«Be’, ci ho riflettuto molto. Data la nostra
dipartita nel nostro, chiamiamolo così, Universo di Origine,
credo che sia impossibile tornare indietro» spiega. Dora si
mette le mani davanti al volto. Le stringo una spalla. So che sta
pensando a Teddy. «Pertanto, credo che dovremo prendere
questa come un’opportunità. Potremo vivere qui e
fare in modo che tutto ciò che è successo da noi
non avvenga qui».
«E… le persone che sono rimaste nel nostro
universo?» chiede Dora, facendosi forza e riuscendo a
mantenere un’espressione quasi impassibile. Più
tardi, sarà meglio andare un po’ nella Stanza
delle Necessità.
Silente fa un piccolo sorrisetto. Un po’ indelicato, da parte
sua.
«Qualche giorno fa, ho fatto un sogno. È successo
precisamente la notte del giorno in cui siete tornati. Ho incontrato
Harry. Sì, il nostro Harry. Segno che il mio piano
è andato come doveva. A quest’ora, Voldemort
dovrebbe essere già morto» spiega. Lo guardo,
sorpreso. «Sono sicuro che Harry sarà un ottimo
padrino per il piccolo Ted».
Anche Dora adesso sorride un po’. Almeno
c’è ancora speranza.
Silente sospira di nuovo, questa volta con un tono più grave.
«Tuttavia, anche se vi sembrerò troppo cinico,
devo chiedervi di non pensare alle persone che abbiamo lasciato e
concentrarvi su quello che avete ritrovato ora» dice.
È quello che credo anch’io. Purtroppo,
sarà molto difficile. «Voi non siete morti, non
dovete guardare dall’alto persone a cui volete bene con
nostalgia. Qui siete vivi, e potete dare a quelle stesse persone un
mondo migliore, potete dare a Harry e Ted una famiglia».
Sorrido.
«E lei, professore, cosa farà?» chiede
Dora. «Ha sempre usato il “voi”, ma
lei…»
«Io? Be’, io sarò quello che sono sempre
stato: il bizzarro e indecifrabile preside di Hogwarts» dice,
facendo un gesto strano con le mani. Dora ed io ridacchiamo. E bello
riavere la sicurezza di un tempo, quando, con Silente al comando,
sembrava non potesse accadere nulla di brutto.
Gli occhi di Silente cadono su un grande orologio a pendolo.
«Per Merlino, guardate che ora si è fatta! Dovete
scendere a cena, altrimenti i ragazzi potrebbero… farsi
qualche domanda».
Aggiunge, alle ultime parole, uno sguardo silenzioso. Io arrossisco
mentre Dora scoppia a ridere.
«Arrivederci, professore» diciamo, quasi
contemporaneamente. Ci alziamo ed io apro la porta.
«Ah, ragazzi, un’ultima cosa: credo che possiate
confidare questo piccolo segreto alle persone che avete più
care. Credo abbiate capito».
Io annuisco, sorridendo. Tanto, anche se non lo dicessimo ai Malandrini
e a Lily, loro lo intuirebbero entro un mesetto, o forse anche prima.
Dora esce dalla porta ed io la seguo, lanciando un ultimo sguardo
all’anziano e sorridente preside. Mentre chiudo, mi sembra di
notare una lacrima solitaria che sprofonda nella barba.
*****
Erano quasi le otto quando Emmeline trovò Lily.
L’aveva cercata a lungo. Si erano date appuntamento di fronte
alla biblioteca, ma la rossa non era arrivata. All’inizio, la
Vance aveva aperto un libro e si era messa pazientemente a leggere,
ripassando Trasfigurazione per il giorno successivo.
Tuttavia, passato un quarto d’ora, si era cominciata a far
prendere dalla rabbia. Non era mai in ritardo agli appuntamenti,
Emmeline, e odiava quando lo erano gli altri. Cercò di
convincersi che Lily aveva i suoi buoni motivi.
Quindici minuti più tardi, prese seriamente a preoccuparsi.
D’accordo, Lily avrebbe potuto avere i suoi contrattempi, ma
così…
Dopo altri cinque minuti, decise di andare a cercarla. Alla fine, si
trovavano in un castello e, seppur enorme, i posti erano limitati.
Cominciò a chiedere a chiunque incontrasse se
l’avesse vista, ma la maggior parte della gente le diceva
semplicemente “Sarà in Sala Grande, a
cenare”, per poi tornare sulla propria strada.
Stava per rinunciare e tornare lei stessa in Sala Grande pensando che,
forse, si era semplicemente scordata dell’appuntamento. Poi
la vide.
Era in un corridoio un po’ appartato del settimo piano eppure
non molto lontano dal ritratto della Signora Grassa.
Corse verso di lei. Lily era seduta a terra, in posizione fetale e con
le braccia che circondavano le gambe, immobile e con il viso rigato
dalle lacrime.
«Lily!» esclamò Emmeline, precipitandosi
accanto a lei. La ragazza si girò con lentezza quasi
estenuante. «Che è successo?»
«James… mi ha chiamata
“Sanguesporco”».
Solo molto più tardi Emmeline notò che la prima
volta in cui Lily disse il nome di Potter coincise con la prima volta
in cui lui le spezzò il cuore.
*Questa l’ho sentita in una puntata di Scrubs. Più
o meno.
**E con questo, sono due le persone salvate indirettamente da Moody.
Tale padre, tale figlio. (Harry Potter e l’Ordine della
Fenice, quando la Umbridge vuole interrogare Harry. Ricordate?)
***Fonte: Pottermore.
Sala Comune di Tassoverde
Ammetetelo: non vi aspettavate che publicassi oggi il capitolo! Invece
ce l'ho fatta, rimanendo nel limite di una settimana! Complimenti a me!
Sì, sono patetico...
Sorpresi? Un Silente che sa tutto, una vampira manipolatrice e gente
che dice cose strane! Questo e altro è The Storytellers!
Devo dire che questo capitolo non mi piace molto, specialmente la prima
parte con Silente. Però non sapevo come cambiarla, quindi ho
deciso che dovete adeguarvi u.u
E adesso... cosa è accaduto a James? Cosa faranno gli altri?
Remus e Dora, quando diranno la verità? E come ci
rimarrà la sorella di Tonks? (Che me la sono filata solo per
un paio di righe, povera).
Credo di aver finito gli sproloqui.
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la fan fic fra le Preferite, le
Ricordate e le Seguite e chiedo a tutti di lasciare una recensioncina
(se avete tempo, per favore :D).
Spero che il cambiamento di titolo non vi renda difficile ritrovare la fan fic.
Alla prossima (che, per sicurezza, è sempre domenica),
Hufflerin.
Il prossimo aggiornamento
domenica 18/08/'13, con il quarto capitolo: "Ideals".
|
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Capitolo 5 *** Chapter IV - Ideals ***
4. Ideals
Lily ripensò a quello che
era successo poco prima, mentre
Emmeline, Remus e Dora discutevano su cosa fare.
Quando l’aveva
visto, era stato difficile non saltargli addosso e ammazzarlo seduta
stante.
Lo aveva aspettato per
quasi un’ora, preoccupata per l’avvertimento di
Remus, e lui si era fatto vedere solo in quel momento, con una faccia
da angioletto che non faceva altro che invogliarla a prenderlo a
schiaffi.
All’inizio era
solo scocciata e continuava a guardare l’orologio per paura
di fare tardi all’incontro con Emmeline. Poi aveva cominciato
a mordicchiarsi le unghie, cercando di ricordarsi che odiava James
Potter e non doveva assolutamente sentirsi così preoccupata
per lui.
Quando aveva sentito dei
passi, si era immediatamente voltata. Potter stava attraversando il
corridoio adiacente. Ma non andava da lei, bensì verso il
ritratto della Signora Grassa, a poca distanza da lì.
Evidentemente aveva preso un passaggio segreto per fare prima.
«Ehi!»
esclamò Lily, dirigendosi a grandi passi verso di lui.
Potter si girò verso di lei; sul suo volto c’era
un misto di sorpresa e di qualcosa che al momento non seppe bene
identificare. Solo più tardi capì che quello era
disgusto. «Si può sapere dov’eri?
È da un’ora che ti aspetto!»
Potter
sbuffò, per poi continuare a dirigersi verso il ritratto.
Lily
s’irritò ancora di più. Gli si diresse
contro a grandi passi.
«Mi spieghi
perché non sei venuto?» chiese, a denti stretti,
parandosi contro il ragazzo.
«Ho i miei
buoni motivi» replicò Potter. Fece
un’espressione così fredda che Lily quasi
sussultò, riuscendo comunque a mantenere
un’espressione abbastanza furiosa. «Ora, se non ti
dispiace, entro in Sala Comune a posare i libri e poi vado a cenare in
santa pace».
Potter la
aggirò. Lily, spazientita, gli afferrò un
braccio, esclamando: «No, adesso mi
spieghi…»
Lui si liberò
con uno strattone che la fece indietreggiare di un paio di passi.
«Non toccarmi,
lurida Sanguesporco» esclamò Potter fra i denti.
Lily spalancò gli occhi e Potter, approfittando
dell’effetto sorpresa, si diresse, ghignando, dentro la Sala
Comune.
Era rimasta così stupefatta che non era nemmeno riuscita ad
arrabbiarsi. Era quasi scappata via di corsa, ma le lacrime erano
sopraggiunte prima che riuscisse a rifugiarsi nell’aula vuota
come sperava. Si era quindi abbandonata contro il muro, cercando di
calmarsi. Emmeline era arrivata poco dopo e Remus e Dora erano comparsi
dopo cinque minuti, apparentemente arrivando dal corridoio che portava
all’ufficio del preside.
Era diverso da com’era stato con Severus. Con lui aveva avuto
dei segni. Aveva cominciato a intuire che qualcosa era cambiato.
Con Potter no.
Che fosse contro il razzismo e la discriminazione era per lei una
certezza, un’ancora che le faceva capire che, anche se
insopportabile, era comunque migliore di molte altre persone in quella
scuola d’idioti. Lui tentava sempre di parlarle, continuava a
invitarla nei posti più improbabili – di solito a
Hogsmeade, ma era arrivato anche a chiederle di incontrarsi in Guferia,
nelle serre e nella Foresta Proibita – e,
considerò solo in quel momento, riusciva a non farla
deprimere.
Non era mai stata completamente triste per più di un paio di
giorni consecutivi. Poi, immancabilmente, arrivava uno degli scherzi
dei Malandrini; quel tipo di scherzi che lei apprezzava e la facevano
ridere, non il genere di crudeltà che facevano a Severus e
agli altri Serpeverde – che ormai, tuttavia, cominciava anche
a sopportare, data la crudeltà crescente con cui la
trattavano.
Si era resa conto solo in quel momento che James era uno dei pochi
motivi per cui riusciva a stare a scuola senza doversi sentire
inadeguata in ogni momento. E lei lo aveva sempre trattato malissimo.
Il fatto di averlo capito solo in quel momento le fece quasi ribrezzo,
se ne vergognò. Conosceva così poco i sentimenti
umani? Aveva proprio bisogno di certe scosse per capire?
Si chiese se fosse per quello. Era colpa sua quel repentino
cambiamento? Lo aveva insultato e rifiutato tanto che lui, alla fine,
aveva deciso di vendicarsi?
Poi capì che non poteva essere così. James
avrebbe potuto benissimo odiare lei, e in quel caso avrebbe potuto
anche accettarlo, ma dandole della “lurida
Sanguesporco” aveva pienamente dimostrato tutto
ciò che provava per ogni suo “simile”.
Considerando che James ed Emmeline andavano d’amore e
d’accordo – e che una volta erano anche stati
insieme – questo non poteva dipendere solo dal comportamento
scorretto della Rossa.
Ci penso su.
«Credi sia stata la Mason?» chiese a Remus, senza
riuscire a trattenersi. Gli altri la guardarono, un po’
stupiti. «Potter mi ha riferito quello che gli hai detto alla
fine della lezione di lunedì».
Remus ci pensò un attimo mentre Emmeline guardava a turno i
due, perplessa. Dora le fece un sorrisetto che doveva risultare
innocente.
«Penso di sì» disse infine il
licantropo. «Anche se non sono sicuro di come abbia
fatto».
«In ogni caso, credo sia meglio andare a prendere James e
portarlo in un posto sicuro» commentò Dora,
sbrigativa.
«Sono d’accordo. Voi?» fece Remus. Lily
ed Emmeline annuirono, anche se quest’ultima pareva un
po’ confusa. «Allora è meglio se
io…»
«Tu ed io andiamo in Sala Comune a cercarlo» disse
Lily. «Mentre Emmeline e Dora vanno in Sala Grande, in caso
Potter sia ancora a cena».
La fissarono.
«Sempre che vi vada bene, ovvio» aggiunse la Rossa,
anche se lo sguardo diceva ben altro. Alla fine, gli altri tre
annuirono. «Bene».
Lily prese Remus per un braccio e lo trascinò via. Dora
guardò Emmeline, sorpresa, che fece spallucce.
«Dovranno dirsi qualcosa» commentò
Emmeline, per poi prendere la strada per la Sala Grande. Mentre Dora la
seguiva, pensò che, molto probabilmente, riguardasse il loro
segreto. Qualche giorno prima sarebbe stato un disastro mentre ora
accelerava solo un po’ le cose.
Con nel cuore solo la preoccupazione verso James, le due ragazze si
diressero verso il piano terra.
*****
Mary era, come suo solito, stesa sul letto di Sirius a sfogliare una
rivista di Quidditch, controllando i prezzi e le caratteristiche delle
nuove Nimbus e Tornado, mentre il suo ragazzo le accarezzava i capelli
e discuteva animatamente con Potter su quando dovessero essere i primi
allenamenti. Peter era in un angoletto a mangiare. Frank e Alice, molto
probabilmente, erano ancora in Sala Comune a chiacchierare ma presto
sarebbero saliti anche loro. Di solito accadeva sempre così,
nel fine-settimana: tutti i Grifondoro del loro anno si radunavano
nella piccola stanza dei maschi e passavano la sera a parlare,
scherzare e affatturarsi.
Intanto, Potter continuava a proporre date e orari impossibili e Sirius
combatteva strenuamente per avere allenamenti subito dopo le lezioni e
a metà settimana, così da distrarsi
(«Ma chi è che si allena di domenica? E alle sette
del mattino, per giunta!» «Noi, se vogliamo vincere
la Coppa»). La ragazza, ogni tanto, interveniva pigramente,
con considerazioni che cercavano di aiutare Sirius. Dopotutto, anche
lei non aveva voglia di svegliarsi alle sei.
Alla fine, stanca e spossata dalla settimana che si stava concludendo,
chiuse la rivista e si voltò verso Potter mentre il discorso
veniva spostato ad altri argomenti.
«… Non ho visto Lunastorta a cena» stava
commentando Sirius. «Però mancava anche Dora,
quindi probabilmente saranno insieme in qualche angolo della scuola a
fare Merlino-sa-cosa».
«In realtà, anche tu lo sai, e molto
bene» disse Mary, con uno sguardo malizioso verso il suo
ragazzo che, dopo un primo sbalordimento, le diede un leggero bacio
sulla bocca.
«Be’, anche tu ne hai una certa
conoscenza» commentò Sirius. Entrambi risero.
«Vi dispiacerebbe piantarla, piccioncini? Date il
voltastomaco!» commentò Potter, ottenendo
l’appoggio di Peter.
«Già, come se tu, con Lily, non faresti anche di
peggio» replicò Mary, facendo ridere Sirius.
«A proposito, qualcuno l’ha vista prima di venire a
cena?»
Peter scosse la testa, in segno di diniego. Sirius fece una smorfia e
seguì l’esempio di Peter.
«No» disse semplicemente Potter.
«Avrà avuto da fare».
Sirius lo guardò, stranito, mentre Mary aggrottava la fronte.
«Come “avrà avuto da fare”?
Chi sei tu e che ne hai fatto del James che vuole sapere ogni singolo
spostamento della Evans?» chiese Sirius. Potter si
limitò a ridere, scrollando le spalle. Sirius
assottigliò lo sguardo. «Aspetta un
po’… non è che per caso tu e la Evans
state già insieme?»
James rise ancora di più, come se trovasse l’idea
assurda.
Sirius era ancora poco convinto, ma forse decise che il suo migliore
amico era diventato pazzo, quindi si astenne dal replicare, decidendo
piuttosto di stendersi sul letto accanto a Mary che, dal canto suo,
osservava ancora Potter, di nascosto.
Questo perché l’aveva visto chiaramente.
Nell’esatto momento in cui Potter rispondeva
“no”, i muscoli della mascella si erano leggermente
irrigiditi e aveva guardato con troppa insistenza Sirius negli occhi.
Segni. Dissimulati bene, ma che portavano a capire. Mary ne era sicura:
Potter aveva mentito e aveva visto Lily.
All’inizio trovò sospetto che il ragazzo non
avesse raccontato a tutti il suo incontro con la Rossa, disastroso che
fosse.
Poi pensò che, forse, Sirius avesse ragione e, una volta
tanto, Potter fosse riuscito a conquistare Lily, solo che lei gli aveva
detto di non dirlo a nessuno. Pensando a questo, Mary quasi rise. Era
praticamente impossibile. Eppure Potter aveva mentito…
Qualcuno bussò alla porta e, senza aspettare risposta,
aprì. Entrò proprio Lily, seguita da un
corrucciato Remus.
«Ehi, ragazzi! Parlavamo proprio di voi!»
esclamò Sirius, alzando una mano in saluto. I due lo
ignorarono completamente, lasciandolo spiazzato. «Sono
anch’io felice di vedervi» borbottò,
aggrottando le sopracciglia.
«James, ti dispiacerebbe alzarti e venire con noi?»
chiese Remus, con un tono stranamente autoritario. Mary lo
guardò, esaminando la sua espressione. C’era
qualcosa che non andava.
«In realtà sì, mi seccherebbe un
po’» replicò Potter, freddo e con un
sorriso che emanava sarcasmo e cattiveria. «E poi, credo di
avere meglio da fare che seguire un Mannaro e una
Sanguesporco… per esempio… non lo so, anche
semplicemente “dormire” sarebbe meglio».
Lily sussultò leggermente e fece un mezzo passetto indietro,
ma cercò lo stesso di tornare a un’espressione
quasi indifferente.
Sirius, Peter e Mary, d’altro canto, si girarono di scatto
verso Potter, stupiti. Sirius aveva la bocca spalancata in modo
alquanto ridicolo – Mary, in seguito, lo avrebbe preso in
giro a vita – e Peter aveva addirittura lasciato da parte il
cibo.
Mary, intanto, ancora sbalordita, osservava il volto di Potter nel
minimo dettaglio. Lo sguardo era freddo e deciso e osservava Remus
senza battere ciglio, noncurante di aver appena insultato
“l’amore della sua vita” e di aver
parlato ad alta voce del segreto di uno dei suoi migliori amici. Con
un’alta dose di disprezzo, per giunta.
«James, alzati» ripeté Remus a denti
stretti, questa volta come ordine. Potter scrollò le spalle.
«Be’, se lo dici con tanta
gentilezza…» Potter si alzò e si
diresse, mani in tasca ed espressione rilassata, verso il licantropo,
che aveva già, per sicurezza, una mano sulla tasca della
bacchetta.
Mary lo osservò attentamente mentre camminava –
nel frattempo, Sirius continuava a fare domande che tutti ignoravano
– e notò all’istante il braccio
irrigidito e il lampo negli occhi del ragazzo.
«Attento, Remus!» L’avvertimento di Mary
arrivò proprio mentre Potter estraeva la bacchetta e provava
a lanciare una fattura a Remus che, preparato
dall’avvertimento, evitò agilmente
l’incantesimo e lanciò a sua volta un Incantesimo
Elettro che, a distanza ravvicinata, funse da teaser, tramortendo
Potter.
«Remus, ma che diamine…?»
urlò infine Sirius, esasperato e scioccato.
«Non ora e, soprattutto, non qui» lo interruppe in
fretta Remus, pratico. Lily guardava il corpo privo di sensi di Potter
con occhi spalancati dalla sorpresa. «Dobbiamo portarlo in un
posto sicuro».
Lily, alla fine, si riscosse e annuì. Remus prese il
Mantello dell’Invisibilità e coprì
Potter, per poi attuare un incantesimo di levitazione.
«Sbrighiamoci» disse Remus. Lily, Peter e Mary lo
seguirono all’istante, quest’ultima trascinandosi
dietro Sirius che, piagnucolante, diceva: «Qualcuno vuole
spiegarmi cosa succede?»
*****
«Ehm, cara, quando parlavo di un posto in cui metterlo al
sicuro non parlavo della sala interrogatori di un dipartimento di
polizia».
«Oh, taci! È la prima cosa che mi è
venuta in mente. Se non ti sta bene: arrangiati». Alzo le
mani, in segno di resa. A volte non capisco mia moglie. Ma penso che
sia così per tutti, quindi, dopo parecchio tempo, ho deciso
di adeguarmi.
Io e Sirius – a cui, nel frattempo, abbiamo spiegato un
po’ di cose… Lo so, dovevamo farlo dopo, ma aveva
minacciato di mettersi a urlare e chiamare la McGranitt –
facciamo sedere James su una sedia di plastica e chiudo le manette,
fortuitamente già fissate sull’ampio tavolo
bianco, intorno ai polsi del ragazzo. Insieme, poi, torniamo
nell’altra stanza.
Devo dire che Dora ha fatto un ottimo lavoro con la Stanza delle
Necessità. In effetti, forse è stata una buona
idea, quella della sala interrogatori. Anche se devo ricordarmi di non
dirglielo mai.
Osserviamo James ancora svenuto dallo specchio finto, indecisi su cosa
fare.
«Vi dispiacerebbe darci qualche informazione in
più?» chiede Mary all’improvviso. La
guardo, sorpreso. «Mi sembra che voi due sappiate
più di quanto ci avete detto. O sbaglio?»
Dora sta per replicare qualcosa ma io la anticipo.
«E quando mai hai sbagliato a giudicare una persona e il suo
comportamento?» chiedo, sorridendo. Chissà, magari
un po’ di sano arruffianamento mi fa guadagnare un
po’ di tempo.
Mary sembra rimanere spiazzata, per poi scurirsi in volto.
«Non cercare di fregarmi» dice, secca.
«Remus, sapete qualcosa sì o no?»
interviene Lily. Scambio un’occhiata con Dora e, insieme,
annuiamo. «Quindi? Cosa sapete?»
«Al momento, nulla che c’entri con James o che ci
possa aiutare a… curarlo» risponde Dora. In
realtà, non è del tutto vero, ma non importa.
«Però qualcosa sapete» interviene Eve,
decisa. La cara Evelyn è una sorpresina che si sono portate
dietro Dora ed Emmeline quando sono andate in Sala Grande. Eve aveva
capito che qualcosa non andava e aveva insistito finché le
due non avevano ceduto, per poi dirigersi verso la Sala Comune e
incontrarci a metà strada. «È per
questo che vi comportate in modo strano, negli ultimi giorni?»
Oh. Allora l’avevano notato veramente.
«Sì, è per questo» risponde
Dora. «Ma, dato che non è strettamente legato con
quello che succede ora con James, credo sia meglio dirvelo
più tardi».
Momento di silenzio.
«Per caso sei incinta?» chiede Sirius. Lo fissiamo
tutti, allibiti. Poi gli sguardi tornano a noi, in una muta domanda.
«No, certo che no!» protesta Dora, quasi ridendo.
«Ma come ti è venuto in mente?»
Sirius fa spallucce. «Era così per dire».
«In ogni caso: vi diremo tutto, d’accordo? Ma non
ora, non con James così» dico subito. Dobbiamo
concentrarci sul problema più grave. Gli altri annuiscono,
Mary e Lily lo fanno di malavoglia. Emmeline si dondola sulle punte.
Credo si senta un po’ un’intrusa. Probabilmente non
sa che è una delle poche persone che permettono, in questo
momento, a Lily di non cedere alle proprie emozioni.
«Bene». Emmeline prende la parola.
«Allora… Qualcuno di voi sa che cosa possa
essere?»
Osservo James mentre gli altri fanno lo stesso. Cosa potrebbe essergli
accaduto? Qualcosa sembra apparire in un piccolo angolo della mia
mente. Cerco di capire cosa sia.
«Di sicuro è stata la Mason».
Era sera. No. Era notte.
«E perché avrebbe dovuto farlo?»
Avevo una coperta addosso… anzi, no, un mantello.
«Non ne ho idea. Forse è solo pazza».
Ero in un sotterraneo. C’era un pavimento scuro. Un
corridoio. Tante porte uguali.
«Non è solo pazza: è un vampiro di
quasi trecentosettant’anni».
Due uomini che camminano. Hanno divise blu.
«E tu che ne sai?»
Parlano. Sono usciti da una delle porte. Studiano i pensieri,
lì dentro. Ufficio Misteri.
«Ecco… me l’ha detto Remus. Fa parte
delle cose che vi diremo più tardi».
Sono Indicibili. Si sussurrano a vicenda aggiornamenti sul loro lavoro.
Di cosa parlano?
«Uffa, però così non è
giusto: prima ci dite qualcosa e poi “continuerà
prossimamente”. È una cattiveria!»
Ideali. Ecco di cosa parlano. Trasmettere i propri ideali in un'altra
persona. Un modo per convertire al proprio lato eventuali prigionieri
di un’eventuale guerra.
«Penso di sapere cosa sia successo» dico, ad alta
voce.
Gli altri mi guardano. Osservandoli, capisco di essermi perso gran
parte della conversazione, ma non fa nulla.
«Ovvero?» m’incalza Lily.
Rifletto un attimo.
«Meglio partire un po’ alla
larga…» e comincio a spiegare. Ho notato che, lo
strano comportamento di James, come si potrebbe facilmente pensare, non
è riconducibile al Comando.
Il Comando è una particolare caratteristica dei vampiri che
ha semplificato loro il modo in cui cibarsi: gli basta guardare negli
occhi una persona, concentrarsi un pochino, e pronunciare il Comando.
La persona in questione sarà costretta a obbedire al comando.
Tuttavia, il Comando non è qualcosa d’infinito e,
di solito, dura poco tempo, il necessario perché un vampiro
riesca a cibarsi e abbandonare il posto in cui si trova, lasciando solo
un corpo esamine o, in casi eccessivi, un cadavere. Un’ora,
quindi, massimo una e mezza. James è così da
molto più tempo.
Inoltre, se non fosse nel fattore comportamento, era al pieno delle
proprie capacità mentali, tanto da riuscire a usare il
sarcasmo per insultare me e Lily. Una persona sotto Comando, invece,
è tremendamente apatica e ottusa. Una marionetta, quindi, e
basta.
Il fatto che fosse stato modificato qualcosa di più profondo
nell’animo di James mi ha fatto tornare in mente una
conversazione che avevo origliato qualche anno fa – o fra
molti anni, scegliete voi – mentre facevo la guardia alla
Sala delle Profezie. Ero sotto il mantello e avevo sentito
ciò che si dicevano due Indicibili: parlavano di Ideali
Immessi. In seguito, insieme ad altri membri dell’Ordine,
riuscii a capire cosa avevano in mente quelli dell’Ufficio
Misteri.
Il progetto del Ministero era semplice e, allo stesso tempo, folle e
improbabile: estrarre da una persona i propri ideali, così
come si faceva con i ricordi da inserire nel Pensatoio, e dargli una
forma fisica, di solito come liquido, così da poterli
Immettere all’interno di un individuo. Gli Ideali,
però, erano stati modificati, rendendoli in grado di
rimuovere la precedente coscienza di una persona e sostituirla
completamente – precedenti prove di coesistenza fra
due coscienze avevano portato alla pazzia e al seguente suicidio di tre
uomini e due donne.
Era partita come un’idea per poter
“guarire” serial killer e psicopatici, peccato che
poi il Ministero cominciò a finanziarlo come progetto
militare: il loro scopo era di riuscire a sostituire la
fedeltà dei soldati di fazioni nemiche, portandoli a
combattere per la loro causa. Se da un lato questa
possibilità costituiva una speranza, dall’altra
era fonte di dubbi e terrore: cosa sarebbe accaduto in mani sbagliate?
Tuttavia, l’ultima volta che avevamo controllato, erano in
alto mare con le ricerche.
«Quindi potrebbe anche non essere questo, ma dato che
parliamo di un essere molto più vecchio di quando sono
cominciate le ricerche – nel 1987 – potrebbe anche
essere riuscita a crearne un prototipo» concludo. Mi guardano
tutti perplessi. Dora è pensierosa: probabilmente sta
cercando di ricordare le riunioni dell’Ordine in cui ne
avevamo parlato.
Eve è la prima a riscuotersi.
«Aspetta… il 1987 è fra dieci anni. E
tu hai detto “sono cominciate”. Te ne rendi conto,
vero?» annuisco, sorridendo. Lei spalanca gli occhi.
«Ho paura a chiederlo ma… Venite dal
futuro?»
Do un’occhiata a Dora, ma è ancora immersa nei
suoi pensieri.
«Si può dire che più o meno
è così… ma è un
po’ più complicato» rispondo, sincero.
Poi porto una mano a indicare James, che sta cominciando a
risvegliarsi. «Prima i problemi più
importanti».
Gli altri mi guardano, un po’diffidenti, ma sembrano
d’accordo.
«Sempre che sia quello che dici tu, c’è
un modo per liberare James da questi Ideali Emessi?»
chiede Sirius, osservando con preoccupazione l’amico.
«Immessi» lo correggo. «Da quello che ho
capito c’è qualcosa che ha sempre
risvegliato… le “cavie”: un ricordo
potente, qualcosa di veramente importante per lui ma che sia legato
agli Ideali precedenti. In questo caso, per esempio, servirebbe
qualcuno legato ai Nati Babbani o ai Lupi Mannari e
che…»
«Frena!» m’interrompe Sirius, cercando di
nascondere un prepotente sorrisetto sghembo. «Basterebbe solo
un Nato Babbano?»
Rifletto un attimo.
«Sì, credo potrebbe funzionare:
l’importante è che cominci a dubitare di quello in
cui crede… come quando si cerca di convertire la religione
di qualcuno: devi fargli credere che, forse, il suo Dio non
è quello vero… o roba simile».
Dora mi fissa.
«Per caso mi hai nascosto un passato fra i Testimoni di
Geova?» chiede, sbalordita. Vedo che cerca in tutti i modi di
non ridere. Prima che io possa replicare, Sirius si apre nella sua
fragorosa risata simile a un latrato che, dopo poco, contagia tutti,
alleggerendo di molto la tensione.
Peccato che, a ricordarci dello spiacevole episodio, ci sia lo stesso
James, che ha cominciato a urlare imprecazioni varie. Credo che Sirius
se ne stia segnando mentalmente di quelle non-razziste, per usarle
in seguito.
«In ogni caso, credo di avere la soluzione» dice il
giovane Black, girandosi a guardare Lily, che inarca un sopracciglio.
«Cara Evans, sei appena stata scelta per andare a risvegliare
il tuo principe azzurro».
La risposta di Lily non tarda ad arrivare e, assomigliando in modo
incredibile al ragazzo nell’altra stanza, comincia a
pronunciare epiteti poco lusinghieri su Sirius. Mary ed Emmeline, fra
una risata e l’altra, cercano di calmare l’amica.
«Sai, Felpato, penso di non avertelo mai detto»
faccio io. «Ma credo che tu sia un genio».
Sirius fa un sorrisetto compiaciuto, mentre Lily si rassegna
nell’avere il mio supporto.
Cosa ha fatto Peter nel frattempo? Non ne ho idea. Cerco di ignorarlo
il più possibile.
*****
«Quindi cosa dovrei fare?» chiese Lily, ormai
rassegnata.
«Be’, in teoria dovrebbe essere semplice»
disse Remus, guardandosi attorno come alla ricerca di qualcosa.
«In pratica, un po’ più complicato: vai
lì dentro e ci parli, cercando di risvegliarlo».
«E perché dovrebbe funzionare?» chiese
Lily, scettica. Remus la guardò come se avesse fatto una
domanda idiota.
«Perché ti ama» rispose, semplicemente.
Lily, che aveva già sentito parole del genere uscire dalla
bocca di James o Sirius e aveva sempre pensato fossero solo idiozie per
rimorchiarla, venne travolta dai ricordi e dai sensi di colpa. Era
davvero così? James davvero la amava? E davvero lei era
stata tanto stronza e idiota da non rendersene conto e trattarlo sempre
peggio? Si sentiva come se il cuore fosse stretto in una morsa.
Remus continuava a guardarsi intorno.
«Cosa cerchi?» chiese Dora.
«Qualcosa per comunicare con Lily mentre è
all’interno, ma sembra che siamo nella sala interrogatori
più sfornita del mondo. E dire che basterebbe un semplice
microfono…» disse Remus. «Certo che noi
maghi avremmo un sacco di mezzi, ma i Babbani ci hanno battuto da tempo
in fatto di comunicazioni».
«Be’, allora chiedi un microfono»
replicò Dora. «La Stanza te lo fa
apparire».
«Già, peccato che i surrogati Babbani della magia
non funzionino, a Hogwarts».
«Però sono
“surrogati”» s’intromise Eve
anche se non capiva con precisione di cosa stessero parlando.
«Questo vuol dire che qualunque cosa i Babbani possano
creare, anche la magia può».
«Degna sorella» commentò Dora,
soddisfatta. Eve cercò di nascondere un sorrisetto.
Remus annuì. Si concentrò un attimo e, sul tavolo
posto di fronte allo specchio finto, comparvero due auricolari e quello
che sembrava un piccolo bottoncino nero. Remus fece una smorfia
soddisfatta. Prese il bottoncino e lo diede a Lily.
«Mettilo nell’orecchio» disse. Lily
ubbidì, un po’ confusa, mentre Remus indossava un
auricolare e porgeva l’altro a Mary sotto lo sguardo un
po’ sbalordito di Dora. Remus gli fece l’occhiolino
e Dora si rilassò, intuendo che c’era un motivo
valido.
Era sempre stata un po’ gelosa e Remus lo sapeva. Di solito
la prendeva in giro per questo ma, in un mondo in cui le persone come
lui erano disprezzate, apprezzava quel genere di affetto.
Premette il pulsante sull’auricolare.
«Mi senti?» chiese a Lily nel microfono.
«Certo, è qui davanti a te»
s’intromise Sirius, che non capiva nulla di aggeggi Babbani,
e Remus lo fulminò con lo sguardo. Lily sorrise nervosamente
e annuì.
«Cosa gli dovrei dire?» chiese la Rossa,
sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio.
Remus scambiò uno sguardo con Dora.
«Qualsiasi cosa» rispose la ragazza. «Le
prime cose che ti vengono in mente di dirgli. Il resto verrà
da sé».
Lily annuì, anche se non sembrava molto convinta. Prese un
bel respiro e aprì la porta della sala interrogatori. Mentre
la osservavano, dall’altra parte dello specchio, Remus
sussurrò a Dora: «E tu come fai a sapere che
funzionerà?»
Dora sorrise.
«Ti ricordi quel discorsetto, a luglio, l’anno
scorso?» Remus annuì con un sorrisetto. Era il
discorso che lo aveva convinto a mettersi con lei.
«Be’, è quello che mi sono detta prima
di cominciare a parlare. E ha funzionato, no?»
Remus rise piano.
«Penso che Teddy e la fede che ho portato per quasi un anno
siano la risposta» commentò, dandole un leggero
bacio, prima di riconcentrarsi su Lily, non senza aver lanciato un
ultimo sorrisetto alla moglie. Eve, che era lì vicino, aveva
ascoltato la conversazione sussurrata e osservava i due, sconvolta. Si
riprese solo quando sentì la voce di Potter.
«Oh, bene, alla fine vi siete decisi a dare inizio alla
tortura» disse, freddo e malevolo, non appena notò
la ragazza. Lily lo ignorò e si sedette di fronte a lui.
«Bene, ora cosa intendi fare? La Cruciatus va bene? Oppure
siete stati più fantasiosi? Be', alla fine considero il parlare
con una Sanguesporco già una bella tortura».
Mary vide la mascella di Lily irrigidirsi e non riuscì a
trattenersi.
«Non lo ascoltare, Lily! Ricordati che quello non
è James. Gli somiglia, ma non è lui. Ce la puoi
fare. Concentrati» le disse attraverso il microfono. Lily
respirò di nuovo e annuì quasi
impercettibilmente. Dora cominciò a capire perché
Remus avesse dato il secondo auricolare a Mary.
«Cosa sei?» chiese Lily. La domanda
lasciò spiazzati perfino quelli nell’altra stanza.
«Un essere umano?» chiese a sua volta Potter,
facendo spallucce. Lily sbuffò. «Be’,
cara, se vuoi risposte sensate comincia col fare domande
sensate».
«Cosa sei, realmente? So che non sei il vero James, anche se
è ancora sepolto lì dentro»
replicò Lily. Ora, più che agitata, sembrava
realmente arrabbiata. Potter fece una faccia fintamente stupefatta.
«Oh, e così ora mi chiami James. Sono
colpito» commentò il ragazzo, poggiandosi una mano
sul petto con fare melodrammatico. «No, sul serio! Pensavo di
dover aspettare il mio funerale per sentire il mio nome uscire dalle
tue dolci labbra».
«Figlio di puttana» ringhiò Remus nel
microfono, probabilmente non accorgendosi di aver premuto il pulsante.
«Ignoralo» disse invece Mary. «Cerca di
concentrarti: cosa devi dirgli?»
«Invece no, non hai dovuto aspettare tanto» disse
Lily, cercando di calmarsi. «Ti ho giudicato male, James, per
tutto questo tempo io…»
«Per tutto questo tempo tu cosa?»
replicò Potter. Aveva abbandonato la freddezza e il sarcasmo
e ora si era lasciato andare alla furia. «Tu mi hai sempre
trattato come se fossi l’essere peggiore su questa terra.
Magari, per i primi cinque anni avrei anche potuto darti ragione, non
ero proprio il miglior partito in quanto a comportamento. Ma dal sesto
anno ho provato a cambiare. Sono cambiato per te, una lurida
Sanguesporco che non merita neanche di essere considerata, e ho cercato
di migliorare, di smetterla di trattare male i Serpeverde
perché TU volevi così, di cercare di assillarti
di meno, di diventare la persona che credevi meritassi al tuo fianco. E
cosa hai fatto? Continuavi a guardarmi come se fossi un Vermicolo, un
aborto di essere umano, continuando a idolatrare quel coglione di
Mocciosus come se fosse l’uomo migliore del mondo».
Potter rise, freddo. «Credo proprio che tu abbia leggermente
invertito i ruoli: sarei dovuto essere io, il principe azzurro che
conquista l’amore della bellissima principessa, mentre Piton
sarebbe stato il malvagio che voleva rapirla». Rise di nuovo.
«E pensare che, fino a poco tempo fa, avrei pagato per stare
con te. Anzi, no, avrei creduto che “pagare”
sarebbe stato un insulto, perché eri troppo per essere
paragonata a qualcosa che può essere
“comprato” o roba simile. Troppo bella, troppo
intelligente. Troppo. E basta». Potter si chinò
verso la ragazza, che nel frattempo, aveva sgranato gli occhi,
ascoltando il discorso del ragazzo e sentendo che ogni offesa la
trafiggeva come una coltellata al cuore. «Sai, non so cosa
l’abbia provocato, questo cambiamento di idee. Forse
è stata quella troia della Mason, forse Mocciosus per avere
qualche chance. Ma non m’importa. Anzi, sarei quasi tentato
di ringraziare il bastardo che l’ha fatto. Ora sono libero.
Non me ne importa più nulla di te e non sono più
costretto a starti a sentire come fa un genitore, pronto a soddisfare
tutti i capricci di un poppante. Addio, Evans».
Dopo aver detto questo, Potter riprese la sua espressione indifferente
e sarcastica e tornò a poggiarsi allo schienale della sedia,
osservando le reazioni della ragazza, che aveva abbassato lo sguardo,
nascondendo il volto dietro i capelli.
Nel frattempo, tutti nell’altra sala erano come stati colpiti
da un Incantesimo della Pastoia Total-Body. Mary e Remus, al microfono,
non riuscirono a spiccicare parola e gli altri osservavano Potter
allibiti. Sirius, dal canto suo, che si era sempre chiesto
perché James non reagisse e lasciasse perdere i tentativi di
conquista mandando bellamente la ragazza a farsi benedire, si sentiva
ora quasi in colpa, come se gli avesse suggerito lui in persona cosa
dire.
«Che c’è, adesso piangi?»
chiese Potter, malevolo, interrompendo quella cappa di silenzio. Lily
alzò lo sguardo. Faticava visibilmente a trattenere le
lacrime, ma aveva uno sguardo deciso.
«No, non piangerò» disse, calma. Mary
strinse le labbra. Le sembrava che Lily stesse per cedere.
«Non ho il diritto di piangere».
L’ultima frase sembrò toccare Potter, la cui
maschera fredda si ruppe per un istante nello sbalordimento.
«È vero. Tutto quello che hai detto, è
vero. Dalla prima all’ultima parola»
continuò Lily, ignorando la reazione del ragazzo ma gioendo
all’interno. «Sono stata egoista…
stupida… stronza. Dicevo a gran voce che volevo ti togliessi
dai piedi, dichiaravo di preferire chiunque a te, ti maledicevo in ogni
momento possibile. Senza capire, che, ogni momento che passo a scuola,
lo devo a te». Questa volta Potter non sembrò
sentirla. Si stava controllando le unghie ed era concentrato su un neo
sul polso destro.
«Continua, Lily, ti sta ascoltando» la voce di Mary
le arrivò all’orecchio. «Non vuole darlo
a vedere, ma è colpito e si sta facendo qualche
domanda». Un piccolo verso di gioia. «Anche se
molto poco, comincia a dubitare a quello che crede su di te.
Credo si aspettasse rabbia,
non una reazione così. Vai alla grande».
Lily non si chiese come Mary facesse a saperlo e non volle nemmeno
farlo. Tuttavia quelle parole, le risvegliarono un po’ di
speranza.
«Sei stato tu che, per tutto questo tempo, mi hai permesso di
rimanere qui senza impazzire. Con i tuoi scherzi, con la tua finta
idiozia – perché so che non sei un idiota, lo so
da tempo – e i tuoi modi di fare. All’inizio
pensavo che t’interessassi a me solo per rimorchiarmi, per
portarmi a letto come facevi con quelle oche che vedevo, quando passavo
le mie notti insonni, andarsene veloci dalla Sala Comune, indossando
quasi nulla. Pensavo di provare rabbia perché mi dava
semplicemente fastidio il tuo modo di fare. L’ho capito solo
adesso. Anzi, l’ho capito quando mi hai chiamata Sanguesporco
per la prima volta, quando sei cambiato, quando ho realizzato che mi
sono sempre sbagliata: non volevo che smettessi di spuntare dai
passaggi segreti solo per rivolgermi la parola; che provavo rabbia per
quelle puttanelle (Emmeline fece una smorfia che, per tutti,
indicò che quell’offesa non
gliel’avrebbe fatta passare liscia) non perché non
sopportassi te, ma perché ero gelosa; non volevo che
smettessi di chiedermi di andare a Hogsmeade». Lily si
asciugò una lacrima prima che scivolasse via. Potter, ora
sembrava ascoltarla molto di più. Aveva smesso di
concentrarsi su di sé e la guardava di sottecchi.
«Perché non te l’ho detto prima?
Be’, te l’ho già spiegato:
perché sono una stronza egoista. Sai, credo che tu avresti
dovuto lasciarmi perdere parecchio tempo fa, perché non sei
tu quello che non merita di stare con me, ma è tutto il
contrario. Tu sei sempre stato una delle persone migliori dentro questa
scuola ed io, cretina come sono, non me ne sono resa conto, scambiando
la tua bontà in idiozia e la tua disponibilità in
arroganza. Sei sempre stato migliore di me e mi dispiace di non averti
considerato come dovresti». Lily prese una delle mani
bloccate di Potter, prendendola fra le sue. Il ragazzo le
lanciò uno sguardo sbalordito. «Mi dispiace e
credo ti toccherà sentire l’ennesima frase
egoista: voglio che torni il ragazzo che sei sempre stato, voglio che
ti liberi degli Ideali idioti che ti ha inculcato a forza la Mason,
voglio che tu mi dia la possibilità di cambiare le cose.
Magari non ci fidanzeremo seduta stante, ma di sicuro vorrò
conoscerti meglio, darti la possibilità di innamorarmi di te
come hai sempre voluto. So che non me lo merito e che non ho alcun
diritto di chiedertelo ma lo faccio lo stesso perché io,
come tutti quelli nell’altra stanza, sono disperata. Ti
prego, James, ritorna».
«Io…» Il ragazzo abbassò lo
sguardo, senza parole. Lily fu felice di vedere che il suo sguardo
sembrava molto più puro, rispetto a quello sarcastico e
freddo di prima.
«Be’, pensaci su, okay?» disse la Rossa,
lasciando la mano del ragazzo e alzandosi in piedi. Non sapeva
più come provare e sentiva che gli occhi le pizzicavano.
«Aspetta, Lily, cammina lentamente!» le disse Mary
nel microfono. Lily rallentò il passo. «Ci siamo
quasi, fra poco dovrebbe cedere. Ecco, ti sta guardando. Ora si guarda
le manette… Ora di nuovo te e sta per…»
«Ehi, Evans, aspetta». La ragazza si
girò, tentennando, con ancora la mano sulla maniglia. James
sorrideva. Un sorriso sincero. «Vorresti venire a Hogsmeade
con me?»
Lily si lasciò andare a una risata liberatoria, liberando le
lacrime che lottavano per cadere, e corse ad abbracciare il ragazzo che
cercò di ricambiare – cosa piuttosto difficile con
le mani legate.
«Grazie» sussurrò James.
«No, grazie a te» replicò la ragazza,
sottovoce, sorridendo. «Ti voglio bene… e
sì, verrò a Hogsmeade con te».
Non riuscì nemmeno lontanamente a immaginare quanto fosse
ridicolo il sorriso estasiato di James.
*****
Sarah Mason era seduta nel suo studio, china su un bacile
d’argento posto al centro della scrivania. Era nella
più completa oscurità e, se qualcuno fosse
entrato, non sarebbe mai riuscito a vederla.
Il bacile era pieno fino all’orlo di un liquido rosso e denso
che roteava, trasformandosi in un piccolo mulinello. Solo la Mason, in
tutta la scuola, poteva veramente vedere cosa c’era in quel
contenitore. Solo un vampiro anziano come lei, infatti, avrebbe potuto
osservare non un vortice rosso, ma una stanza quadrata in cui una
ragazza dai capelli rossi abbracciava con gioia quello che,
probabilmente, era appena diventato uno dei suoi migliori amici.
La Mason fece un sorrisetto e bloccò il vortice, riponendo
il bacile in un ampio armadio, che si affrettò a
Disilludere. Poi uscì dall’ufficio e si diresse
verso la camera da letto. Se qualcuno l’avesse vista, avrebbe
potuto benissimo descriverla con un solo aggettivo: soddisfatta.
Sala Comune di Tassoverde
Buonsalve a tutti! Sono tornato con il nuovo e attesissimo (ma
anche no) capitolo di The
Storytellers! *fischi e applausi registrati*
Mi dispiace molto di avervi fatto aspettare così tanto!
Giuro che non volevo! Ma, dato che vi ho consegnato un capitolo ben
più lungo degli altri, mi perdonate. Vero? Vero?
Massì, che è vero!
Allora... vi piace l'idea degli Ideali Immessi? Ammetto che mi
è venuta mentre scrivevo il capitolo. Voi direte "E tutta
'sta stronzata è servita solo per far iniziare la storia
Jily?" "Anche", rispondo io. Infatti, come potrete notare, la nostra carissima Mason
è soddisfatta. Il che non promette sicuramente bene.
Mi dispiace per la storia della sala interrogatori, ma il mio lato
amante dei polizzeschi non ha saputo resistere. Me lo perdonate, vero?
:3
Il prossimo sarà un capitolo molto più tranquillo
(e, quasi sicuramente, molto più breve) e quello che
accadrà lo potrete facilmente intuire dal titolo che
scriverò più sotto.
Alla fin fine, ho fatto pace (momentaneamente) con il mio cervello e ho
deciso che darò come giorno d'aggiornamento le domeniche, ma
pubblicherò sempre nell'arco di tempo
venerdì-sabato-domenica. Per cui, occhi aperti ;)
Ringrazio le sei persone che hanno messo la storia fra le preferite, le
due che l'hanno messa fra le ricordate e le diciannove (ragazzi, volete
scherzare? Diciannove?)
che l'hanno sistemata fra le seguite. Ringrazio in particolare angyp
(che è stata la prima a recensire), Hoon21, Nymphy Lupin,
MalandrinaFelpata e, la più recente, ArwenUndomiel! Ma, in
generale, un grazie di cuore a tutti. Per Tosca, sto quasi per
commuovermi :')
Un caloroso e affettuoso saluto a tutti/e,
Hufflerin
P.S.: Mi scuso per eventuali errori di ortografia: è tardi e faccio fatica a trovarli tutti. Se poteste segnalarmeli vi sarò grato in eterno.
P.P.S.: Se vi scappa un po' di tempo, recensite, ché fa sempre piacere ;)
Prossimo aggiornamento domenica
25/08/'13, con il quinto capitolo: "FAQ".
|
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Capitolo 6 *** Chapter V - FAQ ***
5. FAQ
Sono circa le dieci quando la porta
della Stanza delle
Necessità si apre per la prima volta in quella giornata.
Abbiamo rimandato le spiegazioni a oggi. Era necessario, data la
stanchezza che provavamo un po’ tutti e il fatto che avessimo
già oltrepassato la mezzanotte. Devo dire che non
c’erano state grandi proteste e siamo andati in Sala Comune
quasi barcollando dal sonno. Peccato che Dora ed io avessimo da fare.
Ci siamo svegliati prima di tutti gli altri per incontrarci qui,
sistemare la Stanza e capire cosa sarebbe stato meglio dire o
rimandare. Fortunatamente, riuscimmo a decidere tutto in
un’oretta scarsa, prima che il sonno prendesse il sopravvento
e sprofondassimo nel sonno.
Lily si guarda intorno, esaminando la stanza, mentre entrano anche le
altre ragazze di Grifondoro.
Abbiamo ricreato la Stanza in modo da darle un’atmosfera
abbastanza familiare, riproducendo quella creata da Neville durante il
suo Settimo Anno, durante l’anno peggiore di Hogwarts.
Alice sembra la più spaesata del gruppo ma, dato che non si
mette a fare domande, immagino che le altre ragazze le abbiano spiegato
cosa era accaduto la notte precedente.
«Ciao» dice Lily, quasi timidamente.
«Che posto… strano» afferma Mary, che
sembra un po’ più tranquilla delle altre.
«A me piace» replica Emmeline, esaminando
l’arazzo di Grifondoro, per poi passare a quelli di Corvonero
e Tassorosso. «Come mai avete scelto questa stanza?»
Sto per rispondere, quando sentiamo un improvviso rumore fuori dalla
finestra, come di una mandria di bufali imbizzarrita, seguito da due
urli femminili. La porta della Stanza si apre ed entrano, rotolando,
James, Sirius e Frank, portando con loro anche Eve e Marlene. A
chiudere il tutto, c’è Peter, con il fiatone.
«Potter, Black, toglietevi! Ora!» urlò
Eve, quasi sommersa dai due ragazzi che, con braccia e gambe incastrate
in modi improbabili, cercavano di alzarsi. Frank, intanto, dopo aver
aiutato Marlene ed essere stato trucidato con lo sguardo, va a salutare
Alice.
James e Sirius, ora districati, aiutano Evelyn a rialzarsi che, dopo
aver mollato uno schiaffo a Sirius, si dirige verso la sorella.
«Ma perché hai colpito solo me?» chiede
Sirius, tenendosi una mano sulla guancia. James ride.
«I vantaggi di essere stato posseduto, caro
Felpato» risponde, aggiustandosi gli occhiali tondi. Sirius
ride a sua volta ma credo sia piuttosto evidente quanto è
forzata, quella risata.
«Ehm, ehm» fa Dora, in modo molto simile alla
Umbridge – almeno da quanto ci hanno detto i ragazzi
–, facendo voltare tutti verso di lei, che assume un sorriso
angelico.
«Vogliamo cominciare?» chiede.
«Da come evitavate il discorso, ieri, credevo che preferiste
non parlarne» dice Mary, prendendo posto su una delle
poltroncine che abbiamo messo al centro della sala, formando un cerchio.
«Via il dente, via il dolore» replica Dora,
sedendosi a sua volta. Sirius la guarda, spalancando gli occhi.
«Ma chi è il pazzo che si toglierebbe un
dente?» chiede, rannicchiandosi sulla poltrona.
«Per Godric, è da idioti!» aggiunge
James, sdraiandosi sui braccioli della sua.
«Al massimo “da Babbani”»
replica Lily, con una smorfia. James non sembra aver capito di averla
un po’ offesa.
«E perché i Babbani dovrebbero staccarsi i
denti?» chiede, ingenuo e sconvolto. Lily, intuendo
l’ignoranza del ragazzo, ridacchia.
«Hai presente quelle macchiette nere che vengono sui denti e
che fanno malissimo?»
«So cosa sono le carie!» replica James, incrociando
le braccia e guardando la Rossa. «Solo che non capisco
perché bisogna togliersi il dente! Dopotutto basta solo un
Inca… Oh».
Lily sorrise, trionfante, e James scivolò sulla poltrona,
arrivando quasi a sedersi bene. Quasi.
Ridacchio, per poi schiarirmi la voce, riportando
l’attenzione su me e Dora.
«Direi che è il momento di dare inizio alle
spiegazioni» gli sguardi si fanno di colpo più
attenti. Dovrò stare attento a Mary, anche se credo di poter
contare sulla sua discrezione. «Ho… Abbiamo
pensato parecchio a come cominciare e credo che il primo passo sia
mostrarvi questa».
Mi concentro un po’ e, in aria e nel mezzo del cerchio,
compare, dritta dalla mia memoria, una fotografia molto ingrandita del
Primo Ordine della Fenice.
I ragazzi sussultano e cominciano a osservare l’immagine.
«Marlene… quella lì… sembri
tu» commenta Evelyn, osservando l’immagine adulta
della ragazza. Marlene si osserva, riconoscendo i suoi stessi tratti.
Mary indica un'altra figura.
«Sirius, quello invece sei tu». Felpato allunga il
collo, cercando di vedersi meglio. Cerca di nascondere un sorrisetto
compiaciuto ma capisco che è piuttosto soddisfatto della sua
versione adulta.
«Lì dietro c’è
Peter!» esclama James, indicando l'SSS.
«Ci siamo tutti» sussurrò Lily. Poi
aggrottò le sopracciglia. «Ma Dora ed
Eve…»
«Perché noi non ci siamo?» chiede la
piccola Tonks. Dora si rigirò un po’ sulla
poltroncina, cercando di capire come dirglielo.
«Be’, diciamo che, per come le sappiamo noi, le
cose sono un po’ diverse» risponde, nervosa, e i
suoi capelli prendono una delicata sfumatura viola.
«Quali cose?» chiese Evelyn, esasperata.
«Ragazzi, sto cominciano a pensare che non siate chi dite di
essere».
«In tal caso» replico io. «Credo sia
meglio ricominciare con le presentazioni».
Sopracciglia alzate. Sopracciglia alzate ovunque.
«Mi chiamo Remus John Lupin» dico. «Ho
trentott’anni, sono un Lupo Mannaro (alcuni trattengono il
fiato; immagino che, come nel nostro universo, non abbia detto quasi a
nessuno del mio status) e… sono morto».
Approfittando dello sbalordimento generale, Dora interviene prima che
qualcuno possa fare domande.
«Mi chiamo Ninfadora Tonks, ho venticinque anni, sono una
Metamorfomagus e… sono morta anch’io».
Poi rivolge uno sguardo triste a Evelyn. «E sono…
ero figlia unica».
*****
Quando arrivò il caos, James fu l’unico che non
s’inserì nella sequela soffocante di domande che
vennero rivolte ai due («M-morti?» «Ma di
che diamine state parlando?» «Sei un Lupo
Mannaro?» «Ora mi spieghi che cazzo vuol dire
“ero figlia unica”!» «Cosa vi
siete fumati?» e via discorrendo), dato che era troppo
occupato a esaminare un certo dettaglio dell’immagine che
Remus aveva evocato.
C’erano lui e Lily. E non erano neanche troppo lontani,
considerata la mole del caro Coda che li separava. Osservò
meglio le loro mani, la sua e quella di Lily, e, se la vista non gli
giocava brutti scherzi, quelle che vedeva sulle loro dita erano proprio
fedi. Fedi nuziali. Identiche.
Il cuore perse qualche battito ma a James non importò. Se
quello rappresentava in qualche strano modo il futuro, allora si
sarebbe sposato con Lily. Si voltò verso la rossa in
questione e vide che stava osservando i due ragazzi come tutti gli
altri.
Sposati.
Questa parola gli rimbombò nella mente.
Lui si sarebbe sposato con Lily Evans.
Qualcosa, però, una vocina nella sua mente, gli disse che
non era sicuro. Certo, c’era quella foto… e
quindi? Ciò non dimostrava che sarebbe veramente andata
così. E se avesse cominciato a urlare “Lily ed io
ci sposeremo!” molto probabilmente avrebbe mandato tutto a
farsi friggere.
Decise quindi di stare in silenzio. Dopotutto, Lily gli aveva dato una
possibilità e non poteva sprecarla in alcun modo.
Proprio le parole di questa lo risvegliarono dai suoi pensieri.
«Perché non ci spiegate tutto
dall’inizio?» chiese, diplomatica. Un altro battito
perso per James. Possibile che fosse così cotto da
innamorarsi perfino del modo in cui parlava?
Remus annuì.
«D’accordo. Però siate pronti a
tutto» rispose, con un sorrisetto. «Dora ed io
siamo morti combattendo nel 1998, durante una battaglia a Hogwarts, e
ci siamo risvegliati qui».
«Una battaglia a Hogwarts?» chiese Sirius,
stupefatto. Dora annuì.
«Da dove veniamo noi, un potente mago Oscuro aveva cominciato
una guerra contro i Nati Babbani» rispose.
«E da dove venite?» chiese Eve. La povera ragazza
sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
«Da una specie di… universo parallelo, almeno
secondo Silente».
«Silente lo sa?»
«Anche Silente è arrivato qui come noi»
replicò Remus.
«Da quando?» chiese James.
«L’anno scorso. Quando è morto nel
nostro mondo».
James rifletté. C’era stato un periodo in cui
Silente non si era fatto vedere e secondo alcuni era molto malato.
«Silente morto» sussurrò Mary.
«Sembra impossibile».
«Alt!» esclamò Sirius, alzando le mani.
«Vi dispiacerebbe andare più piano, non ci sto
capendo nulla!»
Remus annuì, sorridendo.
«In effetti, sarebbe meglio» disse. «Noi
proveniamo da un universo parallelo in cui, proprio in questo periodo,
un potente mago oscuro, Lord Voldemort, stava radunando dei seguaci per
annientare i Nati Babbani, prendere il potere e ottenere un mondo in
cui i maghi fossero i padroni. Sapeva il fatto suo: probabilmente
Silente era l’unico che avrebbe potuto affrontarlo ad armi
pari ed era arrivato al punto in cui la gente temeva addirittura di
pronunciare il suo nome, riferendosi a lui come “Il Signore
Oscuro” o “Voi-Sapete-Chi”. Proprio
Silente, per fermarli, creò una società segreta,
l’Ordine della Fenice. Quando finimmo la scuola, tutti noi
entrammo a farne parte, tranne Dora ed Eve».
«E perché noi no?» chiese la ragazza.
Sembrava leggermente irritata.
«Perché tu non eri nata ed io dovevo ancora
cominciare ad andare a Hogwarts» rispose la sorella con
semplicità.
«Ma com’è possibile?»
replicò Eve. «Avete solo un anno di differenza e lo stesso io e te!»
«Già, ma nel nostro universo non è
così. Io e Remus abbiamo ben tredici anni di differenza
e…»
«Non me lo ricordare» mugugnò Remus,
contrariato. «Mi fa sentire vecchio».
Dora scosse la testa, esasperata.
«E… Be’, in quel periodo c’era
la guerra e nostra madre, nonostante fosse una Black, era sempre a
rischio per aver sposato papà e quindi…»
«Quindi?»
«Lo so, è molto brutto detto così, ma
tecnicamente si può dire che… non hanno avuto
tempo» concluse Dora, faticando a trovare le parole giuste.
Eve si pronunciò in un semplice «Oh»
prima di guardare a terra.
«Se può esserti di consolazione, ho sempre voluto
una sorellina» aggiunse Dora, cercando di attutire un
po’ il colpo. Eve fece un leggero sorrisetto, ma non
aprì bocca.
«Quindi» s’intromise Frank, cercando di
sorpassare quel momento imbarazzante. «C’era la
guerra e tutti noi eravamo nell’Ordine».
«Esatto» disse Remus. «La guerra
finì il trentuno ottobre del 1981 quando un bambino di un
anno riuscì a sconfiggere Voldemort».
«Un bambino?» chiese Alice, sorpresa. «E
come?»
«Grazie alla madre» intervenne Dora. Erano
d’accordo perché raccontasse lei quella parte:
Remus faticava ancora a parlarne apertamente. «Quella notte,
il bambino perse entrambi i genitori. Il padre cercò di
prendere un po’ di tempo per far scappare la moglie e il
figlio ma non riuscì a fare molto, poiché aveva
tentato di combatterlo senza bacchetta».
«Chi affronterebbe il più potente mago Oscuro del
mondo senza usare la bacchetta?» chiese Sirius, stupito.
James sospirò.
«Una persona disperata, Felpato» rispose, con voce
seria e tetra che bloccò ogni tentativo di replica di
Sirius, che tornò a guardare i due, lanciando occhiate
preoccupate all’amico.
«Voldemort proseguì e arrivò di fronte
alla madre» continuò Dora. «Seguendo il
desiderio di uno dei suoi Mangiamorte, le chiese di farsi da parte. Lei
non volle e venne uccisa».
«Mangiamorte?» chiese Emmeline. Remus
annuì.
«È cosi che i suoi schiavetti personali si
facevano chiamare» rispose.
«E chi era?» chiese Mary. «Il Mangiamorte
che aveva chiesto a Voldemort di risparmiare la donna?»
Remus sospirò e lanciò un’occhiata a
Dora, che annuì.
«Severus Piton».
«Quel figlio di Morgana!» esclamò
Sirius, passandosi le mani fra i capelli. Anche altre persone si
lanciarono in epiteti contro di lui. Lily si voltò verso
James e vide che la stava osservando con aria preoccupata. Lei
aggrottò le sopracciglia in una muta domanda. Lui scosse la
testa.
Stava cominciando a collegare.
Piton era sempre stato interessato solo a una persona: Lily. Questo
voleva dire che, molto probabilmente, era lei la donna che si era
sacrificata per il proprio figlio. James sorrise tristemente. Aveva
sempre saputo che quella ragazza era speciale.
«Senza saperlo, però, Voldemort aveva appena dato
al bambino una via di salvezza» s’intromise Remus.
«L’amore della madre aveva creato per lui una
barriera che lo rendeva intoccabile nei confronti di Voldemort. Era
un’antica e potente magia e Voldemort, incapace di provare
amore, non l’aveva neppure presa in considerazione.
Lanciò la Maledizione Mortale e questa rimbalzò
contro di lui, lasciando sul bambino solo una cicatrice a forma di
saetta sulla fronte. Quel giorno, il piccolo entrò nei libri
di storia come Il Bambino-Che-È-Sopravvissuto».
Fece una pausa, aspettando che gli altri metabolizzassero la cosa.
«Come si può essere incapaci di provare
amore?» chiese Eve, prendendo la parola dopo molto tempo.
«Silente ce lo ha spiegato: a quanto pare, Voldemort, o Tom
Riddle, era stato concepito mentre il padre era sotto
l’effetto di un Filtro d’Amore» rispose
Dora, un po’ sollevata che la sorella almeno le parlasse..
«È disgustoso» mormorò Alice,
stringendo la mano di Frank, che gliene carezzò il dorso.
«Sua madre era una strega, una degli ultimi discendenti di
Salazar Serpeverde» disse Remus. «In sé,
portava la follia provocata da tutte le, diciamo, combinazioni dei
Purosangue che avevano mantenuto intatta la nobiltà della
famiglia, spesso con matrimoni fra consanguinei. Devo dire che lei era
probabilmente molto più sana del padre e del fratello. Era
innamorata pazza di un ricco Babbano che abitava nei dintorni. Silente
crede che gli offrì il filtro spacciandolo per un bicchiere
d’acqua, quando Tom Riddle Senior passò davanti
alla sua casa con la carrozza, cosa che faceva abitualmente».
Altra pausa.
«Tornando al bambino» disse. «Questo
crebbe con i suoi zii da parte di madre. Erano Babbani e odiavano tutto
ciò che avesse a che fare con la magia. Trattarono male il
bambino e non gli dissero che era un mago, finché lo
scoprì da solo, al suo undicesimo compleanno».
«Remus, posso chiederti… Qual era il nome del
bambino?» chiese James, non riuscendo a trattenersi. Remus
gli sorrise, triste.
«Harry» rispose. «Harry James
Potter».
Silenzio di tomba.
Tutti si girarono a guardare James che tentò di rimanere
impassibile.
«Mio figlio, quindi» disse. La voce gli
tremò leggermente.
«Del James della nostra dimensione, sì»
rispose triste.
«E perché è dovuto andare da gente che
lo trattava male?» chiese, anche se la domanda che aveva in
mente era ben altra. «C’è Sirius,
c’è Peter, ci sei tu».
«Peter ed io non eravamo raggiungibili» disse
Remus. Lui e Dora avevano concordato per quella versione della storia:
meglio non dire che era stato Peter a tradire i Potter. Più
tardi, in ogni caso, avrebbero dato l’ultimatum
all’SSS. «Eravamo fuori per una missione
dell’Ordine, siamo venuti a sapere di quanto era successo
solo molto più tardi. Sirius, invece, era stato
ingiustamente sbattuto ad Azkaban. Il Ministero credeva avesse
avvertito Voldemort della vostra posizione».
«Cosa?» esclamò Sirius, perplesso.
«Io non farei mai…»
«Infatti non sei stato tu, anche se tutti lo
credevano» replicò Remus, pacato.
«Tutta questa storia è cominciata per colpa di una
profezia» spiegò Dora. «Pronunciata
durante un colloquio alla Testa di Porco, in cui alloggiava una donna
che voleva insegnare Divinazione a Hogwarts. La profezia diceva che un
ragazzo nato alla fine di luglio, nato da coloro che lo avevano
affrontato per tre volte e gli erano sfuggiti altrettante, avrebbe
segnato la fine del Signore Oscuro perché questo lo avrebbe
considerato suo pari, senza sapere che aveva un potere a lui
sconosciuto. Un Mangiamorte aveva sentito parte della profezia, solo
quella riguardante l’identità del bambino, e
l’aveva riferita a Voldemort. E quel bambino era Harry. Il
Mangiamorte, preso dai sensi di colpa, avvertì Silente, che
aiutò i Potter a nascondersi. Erano a Godric’s
Hollow, sotto l’Incanto Fidelius. Il loro Custode Segreto
doveva essere Sirius, che però decise all’ultimo
momento di rifiutare, non sentendosi all’altezza. I Potter
scelsero allora un altro Custode in segreto. Purtroppo, proprio quella
persona era una spia di Voldemort, che li condannò,
mandò Sirius ad Azkaban per un pluriomicidio che non aveva
commesso e finse di essere stato ucciso in quell’occasione,
tagliandosi un dito e lasciandolo lì come prova della sua
morte. Dodici Babbani e un mago morti, secondo le fonti
ufficiali».
«Cazzo» esclamò Sirius in un sussurro.
James era molto pallido e gli altri non erano da meno.
«Tuttavia, sei la prima persona che è riuscita a
scappare da Azkaban» disse Remus, sbalordendo il ragazzo.
«Si tornato durante il terzo anno di Harry a Hogwarts, che
nel frattempo aveva già impedito due volte a Voldemort di
tornare».
«Si era impossessato del corpo di un professore durante il
primo anno e aveva sfruttato un diario nel secondo, diario in cui aveva
nascosto parte della propria anima quando aveva sedici anni»
aggiunse Dora.
«Parte della propria anima?» chiese Marlene.
«Sì» confermò Dora.
«Commettendo un omicidio è possibile usare una
magia Oscura che permette al mago di strappare parte della propria
anima e racchiuderla in un oggetto. È una magia orribile ma
permette di non morire. Quando l’incantesimo è
rimbalzato contro Voldemort, infatti, era rimasto più che
morto che vivo e poteva mantenersi solo prendendo il controllo di
animali o persone. Però c’era ancora. Quegli
oggetti, che contengono l’anima di una persona, si chiamano
Horcrux».
La maggior parte delle persone rabbrividì.
«Come stavo dicendo» proseguì Remus.
«Sirius riuscì a scappare da Azkaban e
andò a Hogwarts perché sapeva che la spia di
Voldemort si nascondeva all’interno. Tuttavia, era un
ricercato e molti credevano volesse uccidere Harry, lui
compreso» sospirò. «Ammetto che
anch’io ci avevo creduto».
«Sai, dovresti avere un po’ più di
fiducia in me» replicò Sirius, piccato. La Stanza
evocò un cuscino per Remus, che lo lanciò in
faccia a Sirius con un: «Chiudi il becco, pulcioso».
«Mi sono già abbastanza sentito in colpa per
parecchio tempo, non mettertici anche tu» disse. Sirius
ghignò.
«Ma allora mi vuoi bene!» esclamò il
giovane Black, saltando al collo dell’amico, che
tentò di allontanarlo il più possibile.
«Sta lontano, pazzo omicida» urlò Remus,
impegnato in un corpo a corpo con Sirius.
«Ma se ero innocente! L’hai detto anche
tu!» scherzò l’altro.
«Scusate, io vorrei continuare a sentire la storia»
disse Eve. Remus e Sirius si bloccarono e quest’ultimo
rivolse un ghigno malefico alla ragazzina.
«Lo sai che hai appena detto di voler ascoltare la storia
della morte di tua sorella?» chiese, malevolo. Eve
arrossì.
«No, non è vero, io…»
«Tranquilla Eve» disse Dora, sorridendo, per poi
fulminare il cugino con lo sguardo. «Vatti a sedere, Sirius.
Sono un Auror e di Incantesimi per farti male ne conosco
parecchi».
«Sissignora!» esclamò Sirius, correndo a
sedersi dritto come un fuso.
Alcuni ridacchiarono.
«Dov’ero?» chiese Remus, sorridendo.
«Al pulcioso che va a Hogwarts» disse James. Il suo
tono era piuttosto strano. Remus aggrottò le sopracciglia ma
non disse nulla.
Remus cominciò quindi la lunga spiegazione, senza che
nessuno lo interrompesse. Spiegò che Sirius aveva
localizzato la spia e l’aveva portata in un posto sicuro per
interrogarla, solo che era stato seguito da Harry e i suoi migliori
amici, Ron ed Hermione, e da Remus stesso. Raccontò di come
avevano sentito la spiegazione di Sirius e gli avevano creduto, di come
Harry aveva salvato Sirius dai Dissennatori, prima al lago, producendo
un Patronus a forma di cervo (qui James sorrise come un ebete), poi
usando la Giratempo con Hermione.
Passò all’anno successivo, raccontando dei
mondiali del Quidditch (Sirius volle sapere il risultato per future
scommesse) e del Marchio Nero che era apparso. Parlò del
Torneo Tremaghi e di come Harry fosse stato scelto a causa di un
Mangiamorte che aveva preso le sembianze di Malocchio Moody, professore
di Difesa Contro le Arti Oscure di quell’anno. Descrisse il
ritorno di Voldemort e di come avesse abbattuto il confine che non gli
permetteva di toccare il ragazzo (Lily sussultò).
Raccontò del duello che c’era stato, di come i
fantasmi dei suoi genitori lo avessero aiutato a scappare dal cimitero,
di come, quando tornò, nessuno gli credette, a parte i suoi
amici (Mary strinse le labbra in una linea sottile, imitando alla
perfezione la McGranitt).
Toccò al quinto anno di Harry, con l’aggressione
dei Dissennatori e l’udienza al Ministero
(«Udienza? Ma si è difeso!» aveva
protestato Sirius). Parlò della Gazzetta del Profeta e del
Ministero, che cercavano di far passare Harry per pazzo, mentre
l’Ordine si era riunito e cercavano di raggruppare
più persone possibili. Descrisse la Umbridge, il vecchio
rospo rosa mandato dal Ministero che impediva agli studenti di
praticare la magia e di come Harry e i suoi amici avessero fondato
l’Esercito di Silente. Raccontò della cacciata di
Silente e di come, tramite il legame empatico che Harry e Voldemort
avevano dalla fatidica notte di quattordici anni prima, il Signore
Oscuro avesse attratto sei ragazzi al Ministero, con lo scopo di
prendere la copia originale della profezia. Parlò dello
scontro, di come gli unici abbastanza illesi fossero Harry e Neville
Paciock, uno dei suoi migliori amici (Frank strinse forte la mano di
Alice, che aveva le lacrime agli occhi. Secondo Remus sarebbe stato
inutile tralasciare quel dettaglio, ricordando che i due erano
innamorati fin dal terzo anno e che il sapere che probabilmente
avrebbero avuto un figlio non avrebbe fatto altro che rafforzare il
legame)… Parlò della morte di Sirius.
Mary, non riuscendo a trattenersi, corse ad abbracciare il suo ragazzo,
come se volesse assicurarsi che fosse ancora lì. James
guardava il fratello acquisito con le lacrime agli occhi.
Remus non descrisse i particolari, di come Harry soffrì per
quella perdita, ma raccontò del fatto che Voldemort, da quel
giorno, non osò più entrare nella mente di Harry
a causa dell’amore che ci trovò dentro.
Fu il turno del sesto anno. Non sapeva molto di quell’anno, a
parte che Harry si era innamorato di Ginny, cosa che fece molto felice
James (soprattutto perché la ragazza era una rossa).
Raccontò dei sospetti che il ragazzo aveva su Draco e Piton,
di come avesse scoperto che Voldemort aveva ordinato al ragazzo di
uccidere Silente («E cosa ci si aspettava, da un
Malfoy?» sussurrò Marlene fra i denti che, negli
anni precedenti, aveva avuto alcuni scontri non molto piacevoli con
Lucius, il padre di Draco). Parlò anche degli Horcrux di
Voldemort e della grotta in cui c’era il Medaglione di
Serpeverde. E raccontò dell’assassinio del preside
per mano di Severus Piton.
Rimasero tutti di stucco e Lily arrivò quasi alle lacrime,
mentre James poggiava una mano sulla sua spalla per confortarla un
po’.
«Bastardo» mormorò Sirius, con i pugni
ben serrati. Tutti gli altri fecero borbottii di assenso.
«Aspettate a giudicarlo» li rimproverò
Dora, raccontando poi di come lui fosse sempre la spia di Silente,
uccidendo il preside sotto suo ordine. Raccontò del piano
che avevano e di come Harry e gli altri avessero viaggiato per tutta
l’Inghilterra seguendo questo piano, distruggendo gli Horcrux
dal primo all’ultimo.
«E poi c’è stata la battaglia
finale» mormorò Remus. Eve guardò Dora
nervosamente. «Non sappiamo con precisione cosa sia successo:
io sono morto quasi subito» il ragazzo fece un mezzo sbuffo.
«Colpito da un muro e finito da un lurido Mangiamorte
chiamato Antonin Dolohov. Che fine di merda».
«Non esistono morti belle o brutte»
replicò Emmeline, che aveva visto i propri genitori morire
per mano di un killer psicopatico mentre questi si trovavano nel posto
sbagliato al momento sbagliato. «Esiste la morte. E
basta».
«Già, ma se avessi potuto scegliere, avrei
preferito andarmene da vecchio. E magari, non lo so, alle
Bahamas» replicò il ragazzo, per poi ridacchiare
per le sue stesse parole. «Non penso ci sia molto da fare,
adesso, no?».
«Io ho ucciso Dolohov» intervenne Dora.
«Non sono riuscita ad arrivare in tempo per
fermarlo».
Remus la guardò, sorpreso. Non avevano mai parlato di cosa
era successo dopo che era morto lui. Faceva troppo male.
«Ho combattuto per un'altra mezz’ora, ma poi
è arrivata quella pazza scatenata di Bellatrix a lanciare
Maledizioni ovunque, colpendo studenti, membri dell’Ordine e
Mangiamorte» continuò. Aveva lo sguardo vacuo,
perso nei ricordi. «Pensavo di farcela, ma ero indebolita. Ha
vinto facilmente».
Evelyn si alzò di scatto, in lacrime, e corse ad abbracciare
la sorella, mentre Remus stringeva forte la mano a Dora.
«Abbiamo parlato con Silente, ieri»
proseguì Remus, cercando di dare un po’ di tregua
a Dora e alla sorella. «Ci ha raccontato di aver visto Harry
in sogno, in una specie di mondo fra i due universi. Questo, secondo il
professore, vuol dire che il piano è andato a buon fine e,
molto probabilmente, Voldemort è già morto da un
pezzo».
Ci fu un momento di silenzio, in cui tutti erano persi nei propri
pensieri.
James si domandava del fato del figlio e si rattristava enormemente nel
sapere che lui e Lily sarebbero morti a soli ventitré anni.
La Rossa si chiedeva più o meno lo stesso.
Mary osservava Sirius, che aveva lo sguardo piuttosto spento, e
continuava ad abbracciarlo. Lui si riscosse dopo un po’ e le
sorrise tristemente.
Marlene si chiedeva cosa fosse accaduto agli altri, di cui
né Remus né Dora avevano parlato.
Emmeline, invece, pensava a tutte le morti che, secondo i due, ci
sarebbero state e, allo stesso tempo, ricordava con tristezza la morte
dei genitori.
Frank e Alice si guardavano, chiedendosi come sarebbe stato il loro
figlio così coraggioso.
Peter si mordicchiava le unghie, pensando a chi potesse essere la spia
che aveva distrutto la vita dei suoi migliori amici.
Evelyn piangeva contro la sorella. Era sempre stata facilmente
condizionabile ma questo era fin troppo. Non riusciva neanche a
immaginare una vita senza la sorella, figuriamoci il solo pensarla
morta!
Remus osservava sua moglie e pensava al piccolo Teddy, rimasto solo con
il proprio padrino e la nonna. Un altro orfano di guerra, proprio come
Harry.
Dora, invece, riusciva solo a pensare alla sua nuova sorellina. Con
lei, credeva che tutto sarebbe stato più sopportabile.
«Remus» chiamò Mary. Il ragazzo si
voltò verso di lei. «In questa sala, chi
era…?»
«Nessuno».
*****
«Ehi, Peter» disse Remus, mentre tutti gli altri
uscivano. Il ragazzo guardò Remus con gli occhietti acquosi
pieni di curiosità. «Sai chi era la spia che
condannò a morte James e sua moglie?»
Peter scosse la testa in segno di diniego. Remus neanche lo guardava,
osservava la moglie uscire con Evelyn, pronta a recuperare tutti gli
anni di cui Dora aveva perso la memoria.
Era stato felice, Remus, quando aveva visto che nessuno lo aveva
disprezzato quando aveva confidato di essere un Lupo Mannaro. Non che
avesse qualche dubbio, ma faceva sempre piacere sapere di essere
accettato da una persona in più.
«Sei stato tu». La frase fu pronunciata con tale
freddezza che Minus rabbrividì. «Sai, per Silente
questa è una nuova possibilità per me, lui e
Dora. Be’, a mio parere è una
possibilità anche per te. Un solo passo falso e non
avrò pietà».
Così dicendo, Remus uscì dalla Stanza,
lasciandosi dietro l’ometto tremante, sapendo che Peter non
avrebbe osato tradirli, almeno non tanto presto.
Il ragazzo si avvicinò a Sirius e James e li
richiamò con dei colpetti sulle spalle. Loro lo guardarono,
inarcando le sopracciglia in una muta domanda.
«Sentite, anche dopo quello che vi ho raccontato voglio
solo…» le parole gli mancarono e James gli
poggiò una mano sulla spalla, incoraggiandolo a parlare.
«Io sono sempre lo stesso, okay? Non è cambiato
nulla».
James e Sirius si scambiarono uno sguardo Malandrino e Remus li
osservò sospettoso. I due annuirono contemporaneamente e si
gettarono contro il Mannaro, cominciando a fargli il solletico.
«Già non è cambiato proprio
nulla» disse James mentre il povero ragazzo rideva a
crepapelle e cercava di staccarsi di dosso i due.
«Vero, soffre il solletico esattamente come quando non era un
vecchietto noioso» disse Sirius, bloccando le gambe del
ragazzo. «Ma che dico? È sempre stato un
vecchietto noioso!»
«Basta!» esclamò Remus, con le lacrime
agli occhi. «Pietà!»
«Solo se ci aiuti a programmare il prossimo
scherzo!» disse James, ghignando.
«No, non lo farò… Sirius, che cazzo
vuoi fare? No! NO! D’accordo, vi aiuterò! Ma ora
BASTA!» i due si staccarono dall’amico e lo
aiutarono a rialzarsi. Poi lo presero a braccetto e lo trascinarono di
peso fino alla Sala Comune, sotto lo sguardo divertito degli altri.
James si girò per un momento e incrociò lo
sguardo con Lily, che sussultò. Non ci vide
l’allegria che aveva sempre notato in quel ragazzo
così solare ma ben altro, che somigliava molto a paura. Fu
solo per un lampo ma Lily capì che avrebbe dovuto parlare
con lui. L’opportunità le venne data quella sera
stessa.
Era tornata in Sala Comune per vedere se aveva lasciato lì
il compito di Trasfigurazione per il lunedì seguente e lo
aveva trovato lì, sdraiato sul divanetto rosso a guardare il
fuoco, perso nei propri pensieri.
«Ehi, mi fai un po’ di spazio?» chiese gentilmente. James sussultò e sollevò lo sguardo. Lily sorrise gentilmente e James si rannicchiò per liberare parte del divanetto, subito occupato dalla Rossa.
«Cosa c’è che non va?» chiese
la ragazza.
«Niente di cui preoccuparsi» disse James,
rimettendosi a guardare il fuoco. Lily gli prese una mano, facendolo
voltare per la sorpresa.
«Però tu sei
preoccupato»
replicò Lily. James abbassò lo sguardo ma,
contemporaneamente, intrecciò le dita con quelle della
ragazza, che sorrise leggermente.
«Mi sembra sia stato troppo facile, ieri» disse
James. Lily lo guardò confusa. «La Mason ha
trecento anni di esperienza: come ha fatto a non capire che bastavi tu
per risvegliarmi?».
Lily si morse un labbro ma non disse nulla. Era la stessa cosa che
aveva pensato lei la sera precedente.
«E poi, so che sembra stupido, ma quando sono tornato in me,
non c’è stato nessun segno che fossi realmente
cambiato» proseguì il ragazzo, per poi puntare lo
sguardo su Lily. «E se non fosse finita? E se…
l’Altro fosse solo, non so,
“addormentato”?»
«Allora vorrà dire che, se tornerà,
faremo tutto il possibile per farlo andare via»
replicò Lily. «Non penserai mica che ti lasceremo
da solo, vero?»
«No». James sorrise e Lily si rasserenò
un po’. «Grazie. Di nuovo».
Lily ridacchiò.
«Quando vuoi, maritino
caro» scherzò
Lily. James sgranò gli occhi, stupito. «Cosa
c’è? Credevi non avessi capito che Harry sarebbe
il nostro futuro figlio?»
James prese un sorriso che doveva sembrare estasiato ma che ricordava
semplicemente Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll, quello
nell’arazzo accanto alla Stanza delle Necessità.
«Ma non credere che questo ti renda le cose più facili: siamo in un altro universo, qui le cose possono andare diversamente» lo rimproverò scherzosamente la
ragazza.
«È un modo carino per dirmi di prepararmi bene per
la prossima uscita a Hogsmeade» chiese James, ridendo.
«Forse» disse Lily. Poi si alzò e diede
un bacio sulla guancia a James, mormorando un «Buonanotte».
Lily si diresse su per i dormitori lanciando a James un ultimo sorriso rassicurante, lasciandolo sprofondare nel divano con sguardo leggermente ebete. Sospirò, per poi alzarsi, stiracchiandosi, e si diresse a letto anche lui, ora leggero come una piuma
Sala Comune di Tassoverde
Ed eccoci con il mio nuovo entusiasmante capitolo!
-
Entusiasmante? È
un accozzaglia di racconti messi senza alcun filo logico -
È solo che,
quando tu e Dora avete raccontato, eravate così presi dal
discorso che vi siete scordati di raccontare qualche dettaglio, che
tuttavia gli altri vi hanno chiesto u.u
- Ma non
è andata così! -
*Carica il fucile* Dicevi, Remus?
- Niente, niente.
Fa come se non esistessi... -
Bene così. A cuccia, lupetto u.u
E, in effetti, non esisti.
Quindi chi sei, essere che parli nella mia mente?
- Non lo so.
Forse sei come Deadpool: hai problemi mentali e senti le voci -
Mh. Almeno vuol dire che posso uccidere trecento persone in mezzo
petosecondo. (Capito, Nathalie? Nemmeno i vampirastri sono al sicuro :D)
Dicevo.
Questo capitolo mi è, evidentemente, riuscito da schifo.
Penso di essermi giocato la promessa con Nathalie "Fai 10 capitoli IC e
poi toglierai l'avvertimento di OOC"... credici Malandrina, credici xD
Non so quanto abbiate seguito il capitolo (dopotutto, è
facile saltare alcune parti quando si conosce già la storia)
ma spero che, quel poco che avete letto, non vi abbia fatto correre in
bagno per urgenti esigenze corporali. Non so se mi spiego...
Per chi non l'avesse capito, quello che Mary chiede prima della seconda ellisse (interruzione della storia) è chi dei presenti fosse ancora vivo quando Remus e Dora sono morti. In realtà non ho la più pallida idea di cosa sia successo a Emmeline, ma per farla più drammatica...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto (speranza vana, lo so) e
approfitto del momento per ringraziarvi tutti di cuore: le 8 persone
che hanno messo la storia fra le preferite, le 3 che l'hanno messa fra
le ricordate e le 27 persone che l'hanno messe fra le seguite (... Voi
siete pazzi... -
Hogwarts non è una scuola per pazzi - Chiudi il
becco, tu!) e tutti i lettori silenziosi (perché c'è un contatore, quindi so che ci siete u.u) ... Oddio... C'è veramente così tanta
gente che segue questa stronzata? O.O
No, sul serio, sono commosso. Potrei mettermi a frignare :')
Ringrazio soprattutto tutti coloro che hanno recensito e mi hanno dato
la loro opinione della storia (pazzi pure loro per poter seguire un
pazzo come me) e che mi spingono ad andare avanti ogni giorno :')
Grazie di cuore a tutti voi, piccoli/grandi recenssnfsnfon :)
Hufflerin il Commosso
P.S.: Come Gobra1095 mi ha fatto notare, un paio di cose potrebbero
essere
fraintendibili, così vi trascrivo ciò che ho
risposto a lei:
1)Come faceva Silente a sapere che anche Dora e Remus venivano dal suo
mondo? Lui aveva avuto la stessa crisi quando arrivò?
Non l'ho scritto perché volevo sottintenderlo ma
sì, Silente aveva avuto la stessa crisi. Madama Chips poi lo
ha avvisato quando Remus e Dora hanno avuto l'attacco e così
il preside ha saputo che anche i due hanno viaggiato.
2)Il razzismo è dovuto agli Ideali immessi?
Se intendi il razzismo di James, sì, mentre se intendi il
razzismo generale allora no, quello è dovuto al fatto che,
senza Voldemort che Kadavrizzasse chiunque passasse di lì
per caso, i Purosangue non sono riusciti a intuire quanto idiota sia il
loro ideale.
P.P.S.: Pensavo di fare una piccola One Shot in cui scrivevo l'articolo di giornale che parlava della morte dei genitori di Emmeline. Vi interesserebbe averla?
P.P.P.S.: Come al solito, vi sarei eternamente grato se mi segnalaste gli errori (che sicuramente ci sono) sfuggiti alla mia revisione. Grazie in anticipo :)
Prossimo aggiornamento domenica
01/09/'13 (è già settembre T.T), con il sesto capitolo:
"Appointment".
AVVISO: PURTROPPO, PER MOTIVI DI FORZA MAGGIORE (MALATTIA) IL CAPITOLO SLITTERA' ALLA SETTIMANA PROSSIMA. MI SPIACE MOLTO :(
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Capitolo 7 *** Chapter VI - Appointment ***
6. Appointment
Piove.
Da due settimane, ormai, la pioggia scende incessantemente sul
castello, creando un clima semi-invernale.
Se la cosa si fermasse alla pioggia, sarebbe tutto nella
normalità, peccato che ci si mettano anche lampi, tuoni,
saette e chi più ne ha più ne metta. Finora, solo
la grandine è mancata all’appello delle
perturbazioni, ma ho la sensazione che se cominciasse, i chicchi
sarebbero grandi quanto palle da golf.
La pioggia rende ormai quasi impossibile ogni uscita e le lezioni di
Erbologia e Cura delle Creature Magiche sono state sospese quando un
fulmine ha mancato di qualche metro un gruppetto di Corvonero che
tornavano nel castello dopo la lezione.
In molti sono stufi di rimanere chiusi qui e si sente spesso borbottare
imprecazioni sulla pioggia, Zeus e certi figli di Morgana che creano i
temporali apposta per dare fastidio agli studenti. Io, invece, mi beo
di questa impossibilità a uscire, dato che porta molta
più tranquillità del solito. L'ultima luna, sebbene già passata, ha lasciato il segno: con la Pozione Antilupo posso trasformarmi senza perdere coscienza di me stesso, ma per questo Ramoso e Felpato si sono fatti più audaci. Credo di avere l'impronta delle corna di Ramoso da qualche parte, sulla schiena, ma lui giura di no.
Proprio quei due, James e Sirius, non sono affatto del mio stesso parere per quanto riguarda la pioggia. Continuano a
programmare scherzi, ma si sentono così imprigionati che
tutti quelli che progettano finiscono per aver bisogno del parco per
essere attuati. Anche Frank e Peter sono più suscettibili
del solito. Il fatto che abbiano anche proibito gli allenamenti di
Quidditch non aiuta.
Almeno c’è Lily a farmi compagnia. Lei ama la
pioggia e che smetta o no, per Lily non fa differenza.
James sembra, comunque, il più irritato di tutti. Immagino
dipenda dal fatto che proprio oggi, primo ottobre, ci doveva essere
l’uscita a Hogsmeade. Inutile dire che è un foglio
è comparso in bacheca questa mattina per dire che era tutto
rimandato, posticipato al primo giorno in cui il tempo si sarebbe
rimesso. Questo, ovviamente, ha fatto cadere James nella disperazione
totale.
«Merda, merda, merda!»
esclama, passandosi le mani fra i capelli.
«Che vocabolario ampio» commento, mettendo sotto
scacco il re di Mary. James mi fulmina con lo sguardo mentre Mary e
Sirius ridacchiano.
«Remus, qui la situazione è disperata»
dichiara, sedendosi a gambe incrociate sul suo letto.
«E perché?» chiedo, inarcando un
sopracciglio.
«Perché ha detto che sarebbe venuta a Hogsmeade
nel primo fine-settimana in cui sarebbe stata l’uscita. E il
fine-settimana era questo!»
Sospiro.
«Lily non se ne uscirà con una scusa del genere
per non uscire con te la prossima volta, te lo garantisco»
replico. Mary mi mangia un alfiere ed io provvedo a eliminare
immediatamente un suo cavallo.
«Tu dici?» chiede, inclinando un po’ la
testa e passandosi una mano fra i capelli.
Sbuffo.
«No, James, in verità Lily non ti vorrà
più vedere perché l’hai delusa
profondamente e si sposerà con Piton» esclamo,
esasperato. Mary e Sirius scoppiano a ridere mentre James gira la testa
di lato, offeso.
«Sei perfido» borbotta. Sirius gli lancia un
cuscino al posto mio.
«E tu sei un rompipalle!» esclama il cane, ridendo.
James riemerge e si scaglia contro Sirius colpendo e rovesciando, con
la sua leggendaria leggiadria, la scacchiera. Intuendo cosa sta per
accadere, Mary si alza e si siede sul letto accanto mentre io, James e
Sirius abbiamo dato il via alla lotta.
Non so quanto mi siano mancate queste situazioni. Il bello è
che queste si ripetono più o meno ogni giorno, quindi me ne
stuferò di nuovo. Dopodiché le
rimpiangerò ancora, e così via.
Ahio.
Sirius mi ha mollato una gomitata in pancia. Se fossi in forma di lupo,
lo azzannerei, ora mi limito a schiacciarlo e a prenderlo a cuscinate.
Sono troppo magnanimo.
«Avete finito?» chiede Mary, divertita, quando ci
ritroviamo a riprendere fiato negli angoli del letto.
«Potevi anche partecipare, se volevi, zuccherino
mio» dice Sirius, girandosi a guardarla. Mary rabbrividisce.
«Chiamami ancora così e ti taglio la
coda» esclama la ragazza, facendo scoppiare Sirius nella sua
famosa risata.
Sorrido fra me. Sono felice che, qui, i Malandrini abbiano deciso di
rivelare alle ragazze la loro natura di Animagus. Semplifica di molto
le cose.
La porta si apre di colpo e Peter entra con tutta la
velocità concessa dalla sua mole.
«Ehi, Pet, dov’eri?» chiese Sirius,
preoccupato, mentre Coda cerca di riprendere fiato.
«Messaggio» ansima. «Da parte…
di Lily… per James».
«Che messaggio?» chiede subito James, drizzandosi
in piedi e passandosi una mano fra i capelli.
«Mi ha detto di ricordarti che stasera avete il turno come
Caposcuola» dice, sdraiandosi poi sul suo letto e
addormentandosi di colpo.
«Come se potessi scordarmelo» sbuffa James,
tornando a sedersi sul letto. «Almeno starò un
po’ con Lily, anche se ho dovuto rinunciare a
Hogsmeade».
Mi viene un’idea.
«Ehi, James, vorresti passare una bella serata con
Lily?» chiedo, sorridendo maliziosamente.
«Certo che sì!»
«Allora fai quello che ti dico…
*****
«Ehi, collega!» esclamò James scendendo
di corsa le scale del dormitorio. Lily, seduta su una poltroncina,
alzò lo sguardo. «Scusa il ritardo. Sirius mi
aveva nascosto la spilla».
«E dove l’aveva messa?» chiese la
ragazza, sorridendo e alzandosi. James fece una smorfia.
«Fidati, non vuoi saperlo». Il tono fece inarcare
un sopracciglio alla ragazza che decise saggiamente di seguire il
consiglio.
«Allora andiamo».
«Fai strada!» Lily sbuffò e precedette
James fuori dalla Sala Comune, mentre questo la seguiva, gongolando.
Estrassero le bacchette e iniziarono il loro solito giro di ronda.
James quasi saltellava, mentre cercava un modo per proporle il geniale
piano di Remus.
«Come mai sei così felice?» chiese Lily,
guardandolo e sorridendo a sua volta. Era sempre contenta di vedere che
era riuscito a superare il Trauma da Possessione –
così lo chiamava, poco delicatamente, Alice.
James rifletté un po’ prima di rispondere.
«Ho una proposta da farti». Lily
aggrottò le sopracciglia.
«Se sono cose sconce, non voglio neanche sentirla».
«Hai davvero una così bassa opinione di me. Okay,
d’accordo, magari alcune mie idee per conquistarti negli anni
scorsi non sono state proprio geniali».
«Meglio se non commento».
«Cooooomunque, sono sicuro che questa ti
piacerà». James le si parò davanti,
obbligandola a fermarsi. Lei inarcò un sopracciglio e
incrociò le braccia, ma non disse nulla.
«È qualcosa di romantico e bello e…
musicale. E so che a te piace il romanticismo. E la bellezza. E la
musica – anche se mi hai rotto la chitarra quando ho provato
a farti quella serenata, l’anno scorso».
«Sì alla prima, sì alla seconda,
sì alla terza ma dipende da che tipo – e ho rotto
quella chitarra solo perché non la stavi suonando, la stavi
torturando, e ho preferito darle un degno utilizzo cercando di romperti
la testa».
«Ci sei quasi riuscita. E comunque non la stavo
torturando!»
«È venuta la McGranitt perché pensava
stessi ammazzando qualcuno».
«Ah. Be’, quel che è fatto è
fatto. Torniamo alla mia proposta?» chiese James. Lily
annuì, sorridendo, anche se la sua mente stava ancora
rivivendo la sera in cui aveva provato a colpirlo con la chitarra,
quasi distruggendo, invece, la clessidra dei punti di Grifondoro.
Già, James aveva cantato la serenata proprio di fronte alla
Sala Grande. Uno dei momenti più imbarazzanti della vita
della ragazza. Almeno era intonato. «Appena abbiamo finito
qui, quindi verso… mezzanotte e mezza, invece di tornarcene
nella Sala Comune ad annoiarci, usciamo nel parco. So che
c’è un bel posto accanto al lago in cui si
può sentire questa… musica particolare».
Lily aveva incrociato le braccia a metà frase e aveva
aspettato che James finisse per rammentargli che
«lì fuori c’è il sacrosanto
Diluvio Universale! Uscire è una pazzia».
«Ma davvero?» fece James, ironico. «Lily,
così mi viene da pensare che non ti fidi delle mie
capacità organizzative!»
Mie.
Probabilmente, nella Sala Comune, a Remus fischiavano le orecchie.
«Non è che proprio non mi
fido…» cominciò Lily.
«Sì, okay, non importa» la interruppe
James. «Comunque so anche come attraversare il temporale
senza morire fulminati o annegati. Quindi: accetti?»
Lily tornò a guardare fuori dalla finestra per qualche
secondo, mordendosi il labbro inferiore, per poi dire:
«D’accordo, voglio fidarmi».
«Evvai!» esclamò James, alzando i pugni
in aria. Lily sorrise di quell’entusiasmo genuino e le
dispiacque un po’ dire: «Ma dopo la
ronda».
Lui annuì.
«Certo. E poi è necessario che sia tardi per
andarci» disse, riprendendo quindi a camminare. Lily lo
affiancò subito.
«E perché?» chiese, curiosa.
«Questa, carissima, è una delle cose che saprai
quando saremo lì».
«Ma non è giusto!»
«Vuoi che sia bello e romantico?»
«Sì».
«Allora non saprai nulla».
Lei sbuffò e guardò dall’altra parte,
ma non insistette. James la guardò e, dopo un po’,
scoppiò a ridere. Lily alzò un sopracciglio
– James adorava quando lo faceva – e chiese:
«Scusa se te lo chiedo, ma sei per caso impazzito?»
«No, ho solo notato che, in certi casi, sembri mia
madre» rispose lui, tranquillo. Lily lo osservò
per un attimo, credendo che scherzasse.
«E in cosa?»
«Anche lei odia i segreti e non vuole che le vengano nascoste
le cose. Quando non vuoi dirle qualcosa ma non può
costringerti a confessare, fa proprio come te»
spiegò.
Lily rimase un attimo interdetta e senza alcun motivo – a
detta di lei – arrossì.
«Sai vero che hai detto alla tua “futura
moglie” che assomiglia a tua madre, vero?» fece
lei, cercando di non farlo notare. Ovviamente era inutile, James
l’aveva notato eccome e gongolava dentro, ma non voleva
farglielo pesare.
«Già, ma sei arrossita comunque». No,
non voleva farglielo pesare, assolutamente.
«Non è vero!» protestò lei,
girandosi a guardarlo nonostante avesse ancora le guance rosse. Lui
mostrò un sorriso a trentadue denti.
«Ah, no?» fece lui, avvicinandosi al suo viso, cosa
che fece diventare ancora più rossa Lily.
«Forse» disse, non riuscendo a negare
l’evidenza. Cercava in tutti i modi di sfuggire allo sguardo
di James che si faceva sempre più vicino, senza successo.
Quando era a pochi millimetri da lei, Lily aveva le orecchie che
fischiavano e i draghi – altro che Ippogrifi! –
nello stomaco. Non riusciva a crederci: stava per baciare James! Anche
se avrebbe preferito qualcosa di più romantico, magari a
Hogsmeade sotto le foglie autunnali, o anche solo nel parco. In quel,
momento, tuttavia, non è che le importasse più di
tanto dell’ambiente. Anche perché non lo vedeva,
l’ambiente. Tutto il suo campo visivo era occupato da James,
dai suoi occhiali, dai suoi capelli scuri, dai suoi occhi nocciola
che… Oh, Merlino! Si stava sciogliendo.
E poi… che diamine era quello? Un occhiolino?
Perché James le faceva l’occhiolino?
Con un veloce scatto, James allungò la mano e
afferrò… l’aria, probabilmente. No, un
mantello. Anzi, il
Mantello. Ne aveva sentito parlare.
«‘Seeeera» disse Emmeline, sorridendo
forzatamente e facendo “ciao” con la mano. Mary li
guardava entrambi con un ghigno fra il soddisfatto e il malizioso,
mentre Alice cercava di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
«Bizzarro» disse James, osservandole e sorridendo.
«Credevo di aver detto a Sirius di portarmi il
mantello».
«Be’, si stava lamentando perché non
voleva andare a trovare i piccioncini, così ho fatto
un’opera di carità» rispose Mary,
sorridendo in modo angelico. Lily la fulminò con lo sguardo,
nonostante il rossore sulle guance la rendesse molto meno minacciosa.
«Ed io volevo vedere che vi baciavate» aggiunse
candidamente Alice. Lily lanciò un’occhiataccia
anche a lei.
«Quindi si è portata dietro me» concluse
Emmeline, innocente. Lily la abbracciò, declamando
stupidaggini sulle amiche vere che non ti pugnalano alle spalle.
«Grazie, cara, grazie. Certo, però, che potevate
anche baciarvi e dopo
toglierci il Mantello!»
«Emmeline!» esclamò Lily, allontanandosi
di scatto.
«Ha ragione» disse Mary, mentre Alice annuiva con
convinzione.
James osservava le ragazze discutere fra loro con il divertimento negli
occhi. Pensò che, senza saperlo, quelle quattro avevano
creato un gruppo affiatato quanto i Malandrini. In effetti, poteva
benissimo trovare somiglianze fra i due gruppi: c’era
l’intelligente – Lily e Remus –, il
cinico – Mary e Sirius –, il solare –
Alice e James – e la finta vittima – Emmeline e
Peter.
James quasi rise a quel pensiero.
«Comunque questo è tuo» disse Mary,
consegnandogli il Mantello. James ringraziò e le ragazze si
congedarono, non senza commenti e sguardi maliziosi ai due, facendo
diventare ancora più rossa Lily, che dovette minacciarle di
togliere punti a Grifondoro per mandarle via.
«Le odio, tutte e tre» esclamò Lily, non
appena se ne furono andate.
«Nah, non è vero» disse James,
riprendendo a camminare.
«In ogni caso, perché ti hanno portato il
Mantello?»
«Pensavi forse che ci saremo incamminati verso il parco e,
per pura fortuna, nessun professore ci avrebbe beccato?»
chiese James, ironico. Lily inarcò un sopracciglio, piccata,
ma non disse nulla, limitandosi, invece, a proseguire il giro di ronda
con la solita professionalità.
Mentre camminavano, parlarono del più e del meno ma non
andarono più a toccare l’uscita nel parco,
né faccende importanti che riguardassero il loro futuro.
L’ansia dei due cresceva mano a mano che si arrivava
all’orario di fine-ronda.
Lily era in ansia perché non sapeva cosa avrebbe trovato
né cosa avrebbe fatto James.
James era in ansia perché aveva paura che Remus gli avesse
detto una cavolata e perché lui stesso aveva paura di fare
cavolate con Lily.
Quando uscirono sotto la pioggia, coperti dal Mantello
dell’Invisibilità a sua volta protetto con un
Incantesimo Impervius, entrambi potevano quasi sentire il battito
accelerato dell’altro. La differenza era che James
manifestava un’espressione tranquilla e sicura, mentre Lily
sembrava accaldata e teneva le labbra strette in una linea sottile.
Percorsero quasi tutta la riva del lago, per fermarsi di
fronte a un grande salice, il più ampio che avessero mai
visto, situato al confine fra il lago, il parco e la Foresta Proibita.
James estrasse la bacchetta e la puntò contro
l’albero, inserendola in una cavità rotonda quasi
impossibile da vedere. Una forma prese vita fra le spaccature della
corteccia. Era una runa, Lily la riconobbe dai suoi studi. La forma
celtica che si dava alla “M”.
«Ma che cavolo…?» chiese la ragazza, a
bocca aperta, quando parte della corteccia svanì nel nulla.
James sorrise in modo enigmatico, ma era palese quanto anche lui fosse
stupefatto. Remus aveva fatto le cose per bene.
I due si tolsero il Mantello e James richiuse l’apertura,
così che entrambi potessero ammirare il lavoro svolto.
Se ci si guardava intorno, si vedeva l’interno
dell’albero, pieno di nodi e crepe, mentre osservando il
"soffitto", si poteva notare che era stato applicato lo stesso
incantesimo usato nella Sala Grande: sopra di loro, i rami della
Foresta Proibita s’intrecciavano e scendevano goccioline che
si dissolvevano nel nulla poco sopra le teste dei due ragazzi. A terra
era stato disteso un tappeto di muschio, asciutto e morbido, su cui
James e Lily si sedettero per guardare attraverso una fessura ovale
situata proprio davanti a loro, da cui si aveva una vista completa del
lago. All’interno, si sentiva solo il rumore attutito della
pioggia e, più forte e vicino, quello della risacca del lago
agitato.
«Questo posto è stupendo»
sussurrò Lily, accarezzando il muschio e portando la mano
alle narici, annusando il profumo dei boschi.
«Eh, già» fece James. «Remus
ha fatto proprio un bel lavoro».
«Remus» chiese subito la ragazza. James
arrossì vistosamente.
«Io» disse James. «Io ho fatto un bel
lavoro».
Lily rise piano.
«James, se è stato Remus a organizzare tutto, non
importa» disse Lily, poggiando una mano su quella del
ragazzo, che continuava a guardare davanti a sé, imbarazzato.
«Scusa» disse infine. «Avrei dovuto
dirtelo subito».
«Forse sì» replicò lei.
«Ma, come ho già detto, non importa. Ora: avevi
detto che sarebbe stato qualcosa di musicale ma…»
James controllò l’orologio.
«Dieci secondi» dichiarò, continuando a
guardare il lago. Lily seguì il suo sguardo e, dopo quel
breve lasso di tempo, al centro delle acque si creò una
luce, che emanò nell’aria il suo spettro, come se
la superficie tumultuosa fosse un prisma. Le gocce di pioggia che
cadevano sul lago s’illuminarono di colori diversi, rendendo
il cielo uno spettacolo quasi abbagliante, un arcobaleno sospeso nel
nulla. Si avvertì poi un canto, proveniente dalle
profondità del lago. Un canto ultraterreno che sembrava
entrare nella mente dei due ragazzi. Un canto che lavò tutte
le preoccupazioni e i pensieri che li agitavano, lasciando solo un
senso di pace e tranquillità. Un canto incomprensibile,
eppure che scaldava il cuore.
Non era difficile capire cosa stava accadendo: i Maridi che abitavano
il lago stavano cantando, forse pregando qualcosa che loro non potevano
immaginare. O così, almeno, pensava Lily.
«Cos’è tutto questo? Come lo hai
scoperto?» chiese Lily, meravigliata, ascoltando le note.
«Me lo ha detto Remus: i Maridi, durante le notti di pioggia
intensa, salgono quasi in superficie e fanno brillare un cristallo
particolare che produce queste luci. Dopodiché cantano al
dio delle acque perché faccia finire la pioggia, in modo che
il Sole possa illuminare le loro città»
spiegò James, ripetendo le parole del ragazzo. «Il
canto serve a placare la sua furia e a liberarlo dai pensieri
negativi».
«Un cristallo…» sussurrò
Lily, quasi temendo che se avesse parlato a voce troppo alta, il popolo
del lago avrebbe smesso di intonare quella melodia.
«Remus l’ha chiamato… oricalco, o
qualcosa del genere» disse il ragazzo, sorridendole.
«Oricalco?» il tono della rossa si alzò
di un paio di ottave. Fortunatamente, i Maridi non potevano sentirla in
alcun modo e la melodia non venne intaccata.
«Lo conosci?» chiese James, curioso e sorpreso.
«Certo!» esclamò Lily, trattenendosi
dall’impulso di alzarsi in piedi.
«L’oricalco era il famoso minerale di cui erano
ricoperte le mura di Atlantide, la mitica città descritta da
Platone!»
James inclinò la testa di lato.
«Non conosci Atlantide?»
«Potrei chiederti se sia qualcosa che si mangia, ma ho
l’impressione che non sarebbe una genialata»
rispose James, schietto. Lily rise.
«Un giorno, tu ed io faremo una luuuunga
chiacchierata» disse Lily. James sorrise in modo ebete.
«In Biblioteca». James si rabbuiò.
«Okay, decideremo il luogo sul momento».
Rimasero quindi in silenzio, ad ascoltare la musica rilassante dei
Maridi, assistendo allo spettacolo che in pochi, in tutto il mondo,
posso dire di aver visto.
James, a un certo punto, seguendo un impulso che si potrebbe definire
avventato, cinse le spalle della ragazza con un braccio e la strinse a
sé. All’inizio temette che Lily avrebbe potuto
indignarsi, invece lei fu ben contenta di quella posizione. James era
sicuro che la ragazza sentisse il suo battito accelerato.
«James, posso farti una domanda?» fece Lily dopo un
po’, rompendo il silenzio. James annuì, poi
ricordandosi che non poteva vederlo, disse semplicemente
«Sì».
«Quando eravamo nella ronda, poco prima che Mary ti desse il
Mantello, tu stavi per fare una cosa…» disse Lily,
un po’ titubante. James la incoraggiò a
continuare, seppur con il cuore in gola. «Ecco, se non ci
fossero state le ragazze, se quello non fosse stato un piano per
trovarle, tu avresti…?»
Perché le era così difficile parlare chiaramente?
Ogni volta che cercava di farlo, la lingua le si annodava, bloccandola.
«No» disse James, semplicemente. Lily
sentì la delusione avvolgerla. «Ma solo
perché voglio che sia tu a farlo. O perlomeno a chiedermi di
farlo» prima che la ragazza potesse dire qualsiasi cosa, lui
le posò due dita sulle labbra. «Perché,
in quel momento, avrò la certezza che è quello
che tu vuoi».
«Ed io come farei a sapere quando sarai tu a
volerlo?» chiese Lily.
«Semplice: io vorrei farlo sempre». La schiettezza
del ragazzo la colpì e la costrinse al mutismo, facendola
perdere nei suoi pensieri.
James, dal canto suo, temeva di essere stato troppo diretto e voleva
assolutamente sapere se la ragazza si fosse in qualche modo offesa.
Invece, alle sue orecchie arrivò un lieve e gradevole
russare, accompagnato dal corpo di Lily, scosso ritmicamente dal
respiro. James sorrise.
«Buonanotte, principessa» mormorò, poggiandole
le labbra sul capo. Lily sorrise nel sonno e James capì che,
per lui, non c’era cosa più bella che quella
visione.
Un raggio di sole penetrò fra le tende del baldacchino,
colpendola agli occhi e facendola svegliare dopo poco. Sbadigliando,
Lily si stiracchiò, ancora sotto le coperte e
ricordò con piacere gli eventi di quella notte. Era stata
contenta. James era davvero come lo descrivevano gli altri. Era gentile
e premuroso e aveva fatto molto per renderla felice.
Ricordò anche di aver fatto un sogno strano, su una
città immensa dalle mura fatte di prismi, da cui si ergeva
il canto surreale dei Maridi. Sorrise. Evidentemente, d’ora
in poi quella sarebbe stata la sua magnifica visione di Atlantide.
Doveva ricordarsi di cercare qualche libro sull’argomento.
Il suo stomaco brontolò e, quando andò
automaticamente a cercare il suo orologio da polso, si accorse di
essere ancora completamente vestita, seppur senza scarpe.
Effettivamente, doveva essere molto stanca quando era andata a letto:
non ricordava neppure come c’era arrivata! Anzi, ora che ci
rifletteva…
Si sbatté una mano sul volto. Non era possibile! Non poteva
essersi addormentata proprio in un momento del genere! Si maledisse
mentalmente e si appuntò di scusarsi con James.
Aprì le tende e si guardò intorno. Tutti i letti
erano vuoti. Le ragazze dovevano essere già a fare
colazione. Guardò di sfuggita il letto alla sua sinistra e,
inizialmente non ci vide nulla di strano. Poi strizzò gli
occhi e tornò a guardare, allibita.
«Buongiorno, raggio di sole» esclamò
Sirius. Aveva fra le mani una delle riviste di moda di Alice.
«Black!» urlò Lily, sorpresa.
«Come diamine hai fatto a entrare?»
«Dalla porta» rispose lui, come se fosse la cosa
più naturale del mondo. Poi sembrò comprendere
qualcosa. «Oh, ancora non hai capito? E dire che ti facevo
più intelligente, principessa».
Quel nomignolo risvegliò qualcosa nella mente di Lily,
poiché arrossì inconsapevolmente.
«Falla breve, randagio» ringhiò Lily.
Sirius scoppiò nella sua risata latrat-esca.
«Conta i letti» disse, ghignando. Lily lo
fulminò con lo sguardo, ma ubbidì. Uno,
due… cinque letti. Comprese.
«James?» chiese la ragazza. Sirius annuì.
«Dovrebbe essere qui fra poco con…»
proprio mentre lo diceva, la porta si aprì, facendo entrare
un ragazzo alto e con gli occhiali che portava un vassoio
d’argento pieno di cibo. «La colazione!»
Sirius provò ad avventarsi sul ragazzo, che lo
scacciò in malo modo.
«Levati di mezzo, pulcioso, questa roba è per la
principessa seduta lì» ringhiò. Lily
arrossì leggermente mentre le nasceva un sorrisetto
compiaciuto, che si affrettò a nascondere.
«Sei una palla da fidanzatino sdolcinato, Ramoso»
commentò Sirius, massaggiandosi il fondoschiena
precedentemente calciato dall’amico, per poi scappare e
chiudersi la porta dietro subito prima che un cuscino lo colpisse.
«Ma sentilo…» borbottò James,
andando quindi verso Lily con un sorriso radioso. «Perdonalo:
è un idiota».
Lily sbuffò.
«Perché, come pensi che sia Mary?»
chiese, inarcando le sopracciglia. James ridacchiò e
posò il vassoio sul letto, fra loro due. Lily decise di
passare ad altri argomenti. «Senti… mi dispiace
per essermi addormentata, ieri sera».
«Eri stanca e ti sei addormentata» disse James,
sorridendo e spalancando le braccia. «Non vedo cosa ci sia da
scusarsi».
«Già, ma avresti potuto svegliarmi, non serviva
che mi portassi qui… in braccio?» non era sicura
di come l’avesse scortata nella sua stanza, ma quel modo le
sembrava il più semplice.
«È vero, avrei potuto» fece James con
semplicità, prendendo poi una fetta di pane tostato. Lily
gli lanciò uno sguardo interrogativo.
«… Ma?» chiese. James inarcò
le sopracciglia, sorpreso.
«Come? Pensavo che la mia posizione nei tuoi confronti fosse
stata chiarita abbastanza nel cors0 di questi sette anni»
esclamò. In effetti, ripensandoci, tutte quelle
dichiarazioni d’amore assoluto dette con infantile arroganza
negli anni precedenti, unite a ciò che era riuscita a capire
negli ultimi tempi, non lasciavano spazio a una sola conclusione.
James l’amava. E seriamente, anche, non era una semplice
cotta. Insomma, in un’altra realtà avevano anche
avuto un figlio e sarebbero morti per lui! Non le servivano affatto
altre dimostrazioni di affetto – anche perché, a
lungo andare, sembravano farsi sempre più pericolose e James
rischiava seriamente di lasciarci la pelle.
«James, io…» cominciò Lily,
spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il
ragazzo le prese la mano, interrompendola.
«Ricordi cosa hai detto nella Stanza? Che mi avresti dato
un’occasione per farti innamorare di me – e detta
così suona proprio male. In ogni caso, non ho ancora giocato
tutte le mie carte» affermò, con un sorrisetto.
Lily immaginò che significasse qualcosa come “Lo
so cosa pensi, ma non preoccuparti, hai tempo” e questo la
tranquillizzò un po’.
«Ovvero?» chiese, curiosa.
«Sai che giorno è oggi?»
«Il giorno dopo ieri e prima di domani?»
«Ah, ah. Spiritosa. No, è domenica. E guarda il
tempo fuori».
«C’è il sole».
«E…?»
«E?»
«Ti do un indizio. Una parola. Che inizia con la
“H”…»
«Oh».
«Già. Sempre che tu voglia
ancora…»
«Certo che sì! Ho fatto una promessa!»
«Eccola qui, la splendida e orgogliosa Caposcuola di
Grifondoro!» Lily arrossì un po’.
«Ora, però, dovrei andare a vestirmi. Non credo
sia l’ideale uscire con la divisa ancora addosso»
disse in fretta, alzandosi dal letto e prendendosi un pasticcino alla
frutta – non sapeva come aveva fatto a procurarselo,
considerato che a colazione non si trovano cose del genere, ma era
davvero buono! – e allontanandosi verso la porta.
«Secondo me sei sexy con la divisa!»
esclamò James. Il cuscino rimasto a terra – dopo
essere stato lanciato contro la porta – lo colpì
dritto in faccia e fu per miracolo che non schiacciò il cibo.
«Dove andiamo?» chiese Lily, guardandosi intorno.
La pioggia se n’era andata da tempo, il cielo era limpido e
il sole abbastanza caldo da far evaporare quasi tutta l’acqua
rimasta; il sottile strato di foglie rosse, arancioni e marroni su cui
camminavano era quasi completamente asciutto. Tuttavia, il temporale
aveva lasciato dietro di sé aria fredda, che costringeva gli
studenti e gli abitanti di Hogsmeade a stringersi nei cappotti.
Per entrambi i ragazzi, era stato un vero colpo di fortuna che
smettesse di piovere proprio quel giorno. Cercando di evitare la
razionalità, Lily voleva credere che fossero stati i Maridi
a creare il bel tempo.
«Dove vorresti andare?» chiese di rimando James.
«In un posto che piace a te» fece lei. James ci
pensò su.
«Madama Pediburro?» chiese, per poi scoppiare a
ridere alla vista della faccia scandalizzata della ragazza.
«Spero che tu stia scherzando» disse fra i denti.
«Certo che sì! Volevo solo vedere la tua
reazione» fece lui, ancora ridendo. Poi rifletté
di nuovo. «Allora, tre alternative: Zonko, ovviamente,
Mielandia e I Tre Manici di Scopa».
«Tutti e tre?»
«Bene…. E da quale iniziamo?»
«Zonko, così ti diverti un
po’» decise Lily. La sera prima James
l’aveva portata in un posto fantastico e ora, molto
probabilmente, avrebbe cercato di farle avere un appuntamento perfetto.
A suo parere, era giusto che lui si svagasse un po’. James,
sorprendendola, sbuffò.
«Non mi serve Zonko per divertirmi, se ci sei anche
tu».
Argh. Fitta al cuore. Possibile che, ogni cosa che dicesse, provocasse
nella ragazza un estremo senso di colpa per tutto ciò che
gli aveva fatto passare in quei sei anni? Ora che ci rifletteva, come
aveva fatto a rifiutare un ragazzo che, solo parlando, la faceva
sentire come la regina dell’universo?
Probabilmente, Lily disse qualcosa di molto intelligente
(«Ah») poiché James ridacchiò
e s’incamminò verso il negozio come se non fosse
accaduto nulla. Lily si affrettò a seguirlo.
Lily dovette ammettere che Zonko non era così male come lo
immaginava. Aveva sempre creduto che fosse un brutto posto, rumoroso e
per gente fastidiosa – si veda sotto la voce
“Malandrini” – ma la visita con James le
fece cambiare idea. Il locare era sì affollato, ma Mielandia
era di sicuro molto peggio.
Sugli scaffali erano radunati oggetti curiosi di tutti i tipi.
C’erano palloncini che, se ti scoppiavano vicino, ti facevano
drizzare i capelli contro ogni legge della fisica; dolcetti che ti
facevano cambiare il colore della pelle e dei capelli – una
ragazza andava in giro con la pelle blu e i capelli verdi, strillando e
imprecando contro un’altra, evidentemente
l’artefice dello scherzo – e altri ancora che ti
facevano vedere il mondo capovolto – il sopra diventava il
sotto, la destra diventava sinistra, il dietro…
be’, era un bel casino orientarsi –; su un ripiano
si trovavano anche delle palline di creta che, almeno a vederle, non
sembravano nulla di particolare.
«Cosa sono quelle?» chiese Lily, indicandole. James
ne prese una e gliela mostrò.
«Creta Cangiante» disse. Dopodiché disse
semplicemente «corvo» e gettò a terra la
pallina. Non appena toccò terra, questa cominciò
a trasformarsi e, in un battito di ciglia, un piccolo corvo di creta
volò fuori dalla porta. Lily lanciò un fischio
ammirato e James ridacchiò. «Per animali
più complessi servono più palline»
spiegò. «Sono ottimi diversivi. Con la versione
Deluxe prendono anche il colore dell’animale».
«Forte» mormorò la ragazza, per poi
afferrare una mezza dozzina di palline di Creta. James
spalancò gli occhi.
«Evans, non immaginavo ti abbassassi a comprare questa
robaccia» la schernì. Lily sbuffò.
«Taci, questa roba è geniale»
borbottò. James sorrise e la accompagnò per tutto
il negozio, mostrandole gli articoli e citando scherzi nei quali erano
stati usati dai quattro amici.
«… E, per finire, questi sono Esplosivi
Evanescenti. Hai presente quando sono sparite tutte le pareti del
quarto piano?»
«Sì, mi ricordo: la McGranitt ci ha messo secoli
per capire come far riapparire i muri».
«Ecco, abbiamo usato questi».
«Come mai non li avete più sfruttati? Sono
grandiosi».
«Be’, la cara Minnie non era dello stesso parere:
dopo quello scherzo ci ha seguito come un segugio per settimane. Meno
male che noi abbiamo un segugio vero» aggiunse il ragazzo,
ammiccando. Lily ridacchiò.
Inutile dire che, quando uscirono, entrambi avevano fatto grandi
acquisti – in realtà, James aveva comprato mezzo
negozio, Lily si era limitata a pochi oggetti che riteneva davvero
geniali – e ci misero un po’ per farsi strada
all’interno di Mielandia. Dovettero fare in fretta,
poiché c’era veramente poco spazio, ma riuscirono
comunque a comprare tanto cioccolato e dolci vari da mandare in estasi
Remus per una settimana.
Entrare ne I Tre Manici di Scopa e sedersi a un tavolo davanti a due
Burrobirre fu un sollievo per entrambi.
«Ehi, guarda lì» disse Lily, indicando
un tavolo poco distante. James allungò il collo e vide
Evelyn e Dora parlare animatamente. «Credo che le stia
raccontando del loro passato».
«Dev’essere brutto» mormorò
James. «Avere una sorella che non si ricordi di te».
Non riusciva nemmeno a immaginarsi come sarebbe stato se Sirius non si
ricordasse più di lui.
«Già, ma anche avere una sorella e non ricordarsi
nulla di lei non è proprio il massimo»
replicò la ragazza. James annuì, pensieroso.
«Una volta ho sentito che parlavano della tecnologia babbana
del futuro. Credo che Eve abbia qualcosa in mente».
«Del tipo?» chiese James. Lily scrollò
le spalle.
«Non ne ho idea. Io nel futuro non ci sono stata»
rispose.
Rimasero per un po’ in silenzio a sorseggiare la Burrobirra,
immersi nei propri pensieri.
James fece vagare lo sguardo per il locale, pieno di persone che
parlavano a gran voce e bevevano alcolici e no. In quel momento,
entrò un uomo, avvolto in un mantello nero con il cappuccio.
Sembrava fuori posto in quel luogo allegro, uno dei tipici visitatori
de La Testa di Porco. L’uomo si girò e
incrociò il suo sguardo; James rabbrividì e fu
costretto a girarsi.
«Tutto a posto?» chiese Lily. James
annuì nervoso e la ragazza aggrottò le
sopracciglia. «Usciamo?»
«Forse è… meglio» disse
James. Non sapeva perché, ma non voleva assolutamente essere
nello stesso luogo con quell’uomo. I due ragazzi si alzarono,
presero i loro acquisti e uscirono velocemente.
Quando furono in una via laterale del villaggio – situata
accanto a un boschetto e tappezzata di foglie secche – Lily
parlò: «James, cos’è
successo».
«Io…» il ragazzo faticava a parlarne.
Non era sicuro di ciò che aveva percepito e credeva che Lily
lo avrebbe preso per pazzo. La rossa gli si parò davanti e
lo bloccò.
«James, cos’è successo?»
ripeté, con tono più dolce e con la
preoccupazione visibile negli occhi. James le lanciò uno
sguardo triste.
«Era entrato un uomo, nel pub» disse.
«E… appena l’ho visto, mi sono sentito
come quando… come dopo la punizione con la Mason».
Lily digrignò i denti. Dopo quel fatto, odiava la vampira
più che mai. Faticava a non ucciderla a ogni lezione e si
lamentava sempre del perché Silente non l’avesse
già sbattuta fuori.
“Non può perché non ha prove”
le aveva detto Remus, una volta. “Deve poterla licenziare
come insegnante, non come vampira. Se non lo facesse, tutta la
credibilità che ha andrebbe a farsi benedire e tutte le
coalizioni con creature magiche che ha creato verrebbero distrutte
all’istante”.
Capiva la posizione di Silente, ma questo non le impediva di volere la
Mason morta. Tuttavia, a ogni lezione era costretta a fare buon viso a
cattivo gioco.
«James, non devi preoccuparti; finché ci siamo
noi, tu non…»
«Io a volte lo sento» mormorò il
ragazzo. «Specialmente di notte. Mi entra nei sogni
e… diciamo che a volte preferirei non dormire
affatto».
Lily lo guardò, desolata. Non aveva idea di cosa fare.
James, inaspettatamente, sorrise.
«Non pensiamoci più, d’accordo?
È il nostro primo appuntamento ufficiale, dopotutto, e credo
che ci siamo depressi abbastanza» disse.
«James…» lo rimproverò Lily,
ma lo sguardo che le mandò il ragazzo le fece capire che era
meglio non insistere. Sospirò, abbassando lo sguardo.
«D’accordo».
Il ragazzo le accarezzò la guancia, facendole
alzare immediatamente gli occhi. Quando incontrò i suoi,
caldi e dolci, si sentì mancare qualche battito e
sentì il suo cervello tornare in modalità
“Dove sono? Cosa ci faccio qui? Come mi chiamo?”.
«È un’ingiustizia che tu sia
così carina quando sei preoccupata»
mormorò, peggiorando la situazione. Lily entrò in
modalità “…” – nel
senso che non avrebbe potuto dire una parola. Possibile che un ragazzo
le facesse quell’effetto? Un ragazzo che, effettivamente,
conosceva bene solo da un mesetto scarso e che aveva ignorato in sei
anni? Un ragazzo alto, bello, oggettivamente figo e… Oh,
perfetto, ora stava iperventilando.
«Tutto a posto?» questa volta era lui quello
preoccupato. Lily non si azzardò ad aprire bocca, per
evitare di dire cose come “sposami” e concetti
simili. Si sentì avvampare. «Lily, sul serio, stai
bene? Sembra che tu abbia la febbre».
«Tranquillo, sto bene» disse la ragazza. James le
lanciò un altro sguardo indagatore, ma non disse nulla.
«In ogni caso, credo sia meglio tornare: è quasi
ora di pranzo» disse James. Su quello, Lily non ebbe nulla da
replicare. Non appena ebbero fatto qualche passo, però, la
ragazza afferrò il polso di James, che si girò
all’istante. Lo sguardo di lei era fermo e deciso, nonostante
l’evidente rossore facesse a pezzi quella maschera di
serietà.
«James, voglio che tu mi prometta una cosa» disse.
Il ragazzo si fece più attento. «Se senti
che… l’Altro stia facendo qualcosa, o se solo temi che
possa accadere, non tenertelo per te. Non fare l’eroe che non
vuole affidare il suo peso agli altri. Ci sono io, ci sono i tuoi
amici. Non sei solo, quindi non sei costretto ad affrontare tutto senza
qualcuno che ti dia una mano».
James all’inizio rimase stupefatto, poi si aprì in
un sorriso dolce.
«Lily, sul serio, ti preoccupi troppo…»
«Promettimelo» disse Lily con fermezza. James
sospirò.
«D’accordo, lo prometto» fece lui, anche
se era chiaro a entrambi che non l’avrebbe fatto. Lily gli
lanciò uno sguardo triste. Lui le posò un bacio
sulla guancia, facendola rabbrividire leggermente.
«Sta’ tranquilla, non succederà
nulla».
Lei sbuffò.
«Fino a cinque secondi fa ero io che tranquillizzavo
te» borbottò. James rise.
«STA’ LONTANO DA LEI!» ruggì
una voce. I due si girarono di scatto, estraendo istintivamente le
bacchette.
Davanti a loro, bloccando la via, c’era una persona avvolta
in un mantello nero. Tuttavia, non era l’uomo nel pub,
bensì un ragazzo, poco più basso di James e
piuttosto gracile. Il cappuccio doveva essere incantato,
poiché non riuscivano a identificare i tratti del ragazzo e
non erano riusciti a captare con esattezza il suo tono di voce.
«Cosa vuoi?» chiese James. Per tutta risposta,
arrivò un rapido Incantesimo di Disarmo che, tuttavia,
riuscì a parare. In altri casi avrebbe sbeffeggiato il
ragazzo ma si rese conto che non sarebbe stata una buona idea. Da come
tremava e digrignava i denti, era chiaro quanto fosse furioso. Il suo
cervello registrò la cosa.
Un altro incantesimo venne lanciato e di nuovo parato.
«Ah!» James si girò in tempo per vedere
Lily cadere a terra, con i piedi e le mani legate da corde.
L’incantesimo serviva solo a coprire
l’Incarceramus. Altra connessione. Una persona intelligente
non male nel duello, furiosa contro di lui e che aveva legato Lily,
probabilmente per toglierla dallo scontro.
James si diresse immediatamente verso la ragazza e, prima che potesse
slegarla, un altro Incantesimo di Disarmo scaturì dalla
bacchetta dell’incappucciato e il ragazzo dovette gettarsi di lato per evitarlo.
Dopodiché arrivò il turno degli Schiantesimi, una
raffica violenta che costrinse James ad allontanarsi da Lily.
«Expelliarmus!»
La bacchetta di James mandò un lampo rosso che
mancò l’incappucciato di un soffio.
«Stupeficium!»
James evitò con facilità lo Schiantesimo. Lily
riuscì a liberarsi le mani.
«Non voglio combattere con te, Piton!»
esclamò il Grifondoro. Sia Lily che
l’incappucciato lo guardarono, stupefatti. «Non ne
ho motivo».
«Non la pensavi così negli ultimi sei anni,
vero?» ringhiò Piton, puntando poi la bacchetta
verso i piedi di James. «Confringo!»
La terra sotto al ragazzo esplose, accecandolo e facendolo
indietreggiare di molto. James cominciò a cercare di
togliersi la terra dagli occhi, ma sapeva che Piton aveva ideato
un’ottima strategia.
«Sectumsempra»
disse Piton, con la voce calma piena di malvagità. Per Lily,
che assisteva impotente, cercando di slegarsi i piedi, fu come vedere
James esplodere; sotto il suo sguardo pieno d’orrore, il
ragazzo cadde in ginocchio, sanguinando. Rimase immobilizzata, sotto
shock.
Okay, con un po’ di sforzo aveva potuto accettare che il suo
ex migliore amico e futuro salvatore di suo figlio cercasse di
ammazzarli. Tutto a posto, tanto poi si redimerà e compagnia
bella, no? Tuttavia, non si aspettava che Severus cercasse veramente di farli
fuori. E invece James era lì, pieno di ferite e sanguinate, che
cercava con tutte le sue forze di non cadere a terra.
Lily riuscì a reagire solo quando vide Piton dirigersi a
passo lento verso James. Cercò disperatamente di togliere i
lacci ma sembrava tutto inutile. Poco più in là,
vide la sua bacchetta, rotolata via quando era caduta. Cercò
di raggiungerla, strisciando sullo strato di foglie il più
velocemente possibile. Non riuscì, però, a
impedire a Piton di raggiungere il Grifondoro e colpirlo sul volto,
facendolo definitivamente crollare e rompendogli anche il naso.
James, a terra e senza potersi muovere, cercando di non emettere alcun
gemito di dolore, sembrava morto. Lily rabbrividì a quel
pensiero e questo la riscosse. Afferrò la bacchetta e con un
rapido gesto liberò i piedi, quindi scatto in avanti e
scagliò un raggio di luce verso Piton. Non sapeva neanche
che incantesimo avesse usato e neanche le importava: doveva solo
allontanarlo da James, a ogni costo.
Piton si girò all’ultimo istante e parò
l’incantesimo. Puntò la bacchetta a terra e,
seguendo un Incantesimo Non-Verbale, una radice spuntò dal
terreno e le legò i piedi. Di nuovo. Fortunatamente, questa
volta Lily riuscì a mantenere l’equilibrio e a non
perdere la bacchetta, con cui bruciò velocemente il legno
che la imprigionava.
Cominciò quindi a scagliare raffiche d’incantesimi
verso Piton, con l’intento di farlo indietreggiare. Idea
buona all’inizio, ma a lungo andare…
Piton si Smaterializzò, apparendo a pochi metri di distanza,
abbastanza da evitare gli incantesimi e Disarmare Lily, che vide la sua
bacchetta venirle strappata via.
«Sei caduta in basso, Lily» disse Piton fra i
denti. «Credevo fossi superiore a certa gente».
«Per te è “Evans”,
Piton» ringhiò la ragazza. Forse non era la cosa
più intelligente da dire, ma molto probabilmente riassumeva
rapidamente tutto ciò che ora provava verso di lui.
In ogni caso, Piton non la prese troppo bene, a meno che uno
Schiantesimo dritto sul volto non sia per voi un segno di affetto.
Lily cadde a terra, stordita. Il Serpeverde si era evidentemente
trattenuto, altrimenti la ragazza avrebbe già perso i sensi.
Tuttavia, nessuno avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo dopo.
James, sebbene con la vista oscurata dal dolore dalla perdita di
sangue, aveva visto tutto e ciò che temeva accadde.
Bastò la furia che gli si scatenò dentro per
liberare l’Altro, che prese immediatamente il controllo.
Le ferite si richiusero quasi all’istante, lasciando solo
pallide cicatrici che, probabilmente, non sarebbero più
andate via, e il ragazzo si alzò in piedi, così
silenziosamente che Piton non lo sentì. Però
quando il Serpeverde si chinò su Lily, per motivi a noi
sconosciuti, la voce gli arrivò più che chiara.
«Non ti azzardare a toccarla». La voce di James era
bassa e roca e, anche se Piton non l’avrebbe mai ammesso,
spaventosa. Quando si girò, si trovò davanti un
ragazzo coperto di sangue eppure senza alcuna ferita, con gli occhi
completamente neri – iride e tutto il resto –
così come quella specie di aura che partiva dalla bacchetta
e rifluiva per il braccio destro.
«Allontanati da lei». In altri casi, Piton lo
avrebbe schernito in qualche modo, ma capì che non stava
parlando con il normale James, anzi, forse non stava parlando affatto
con lui. Quindi ubbidì, spostandosi dalla ragazza e tenendo
sott’occhio la bacchetta dell’avversario.
Lily riuscì a riprendersi un po’ e
rischiò di svenire di nuovo quando vide l’aspetto
del Grifondoro.
«James» mormorò, terrorizzata, cercando
di rialzarsi. Il ragazzo si girò verso di lei. A Piton,
quegli occhi sembravano solo orribili, lo sguardo di un mostro. Lily ci
lesse dentro il terrore di se stesso che aveva visto sempre
più spesso, solo che, prima, James cercava sempre di sviare
ogni allusione, facendo intuire che non voleva parlarne.
Piton prese al balzo la situazione, dirigendo un altro Sectumsempra
contro il Grifondoro. Non si aspettava, tuttavia, che la maledizione
andasse a schiantarsi contro una barriera invisibile; non
poté fare a meno di chiedersi quando Potter
l’avesse evocata.
James si girò verso di lui, inchiodandolo con quello sguardo
demoniaco. Potter alzò la bacchetta.
«James!» esclamò ad alta voce la
ragazza, cercando di distrarlo di nuovo. Parte dell’aura
oscura che circondava il braccio del ragazzo si staccò dalla
punta della bacchetta, in una specie di proiettile di Magia Oscura,
veloce e impossibile da evitare. La maledizione colpì Piton
a una guancia, su cui cominciò ad ardere fuoco nero.
Il Serpeverde urlò di dolore e si Smaterializzò
all’istante. L’aura nera attorno al braccio di
James scomparve, ma gli occhi erano ancora d’inchiostro.
«James» ripeté ancora Lily, questa volta
prendendo la mano del ragazzo, che la guardò di nuovo. La
rossa dovette costringersi a non rabbrividire per quegli occhi
inquietanti e che non appartenevano al ragazzo con cui aveva passato la
mattinata – possibile che fosse accaduto tutto
così in fretta? «Torna indietro».
Il ragazzo la osservò ancora per un attimo e Lily
giurò di vedere il nero ritirarsi agli estremi dei suoi
occhi, ma il Grifondoro distolse rapidamente lo sguardo.
Lily poggiò una mano sulla sua guancia, ignorando il sangue
che lo ricopriva, e lo fece voltare nuovamente. Era arrivata alla
conclusione che, per poter riavere il vecchio James, poteva fare solo
una cosa.
Quindi si alzò in punta di piedi e lo baciò.
Non era il primo bacio leggendario in cui sperava, ma non le dispiacque
più di tanto. E poi, tecnicamente non è che
stesse baciando proprio
James, giusto?
Si separarono dopo qualche secondo ma fu abbastanza: il nero negli
occhi del ragazzo si ritirò verso l’interno della
pupilla, per farli tornare del consueto color nocciola. Fu strano.
Sembrava di vedere il video di un barattolo di vernice nera che veniva
rovesciato, solo che con la modalità reverse.
Rimasero immobili per qualche secondo, poi Lily vide le lacrime solcare
il viso del Grifondoro immediatamente prima che questo si accasciasse a
terra.
La ragazza gli fu subito accanto, terrorizzata. James era svenuto e, a
sentire dalla fronte, bruciava di febbre. Non avendo altra scelta, la
ragazza corse ad afferrare la sua bacchetta caduta e, dopo essersi
concentrata un po’, una massa d’argento lucente
uscì dalla sua bacchetta e si diresse a grande
velocità verso l’interno del castello. Direzione:
Remus.
*****
«Sei venuta, finalmente» disse
l’incappucciato. Era all’interno di un bosco
attiguo al villaggio, fermo in piedi. Davanti a lui, una donna dai
capelli neri e con indosso un elegante vestito dello stesso colore si fece avanti.
Aveva un sorriso furbo e maligno.
«Mi scusi, Maestro, ma sono rimasta a osservare alcuni
sviluppi che hanno portato avanti il nostro Piano A» disse la
Mason. Il Maestro sorrise.
«Il ragazzo?» chiese.
«Il Risveglio sta cominciando» rispose la
professoressa, piena di soddisfazione. «Ci vorrà
molto, ma poi potremo procedere con tutta
tranquillità».
«Lo tieni sotto controllo?»
«Ho estratto un po’ del suo sangue prima di
iniziare il Rituale» disse.
Il Maestro annuì.
«Tuttavia abbiamo alcuni problemi» ammise la
professoressa.
«Ovvero?»
«Oltre Silente, anche Lupin e Tonks sono tornati»
riferì la donna. Il Maestro, inaspettatamente, sorrise.
«Oh, di questo ero venuto a conoscenza» disse. Il
volto della Mason fece trasparire, per un attimo,
un’espressione incredula.
«E come, se posso chiederlo?»
«Grazie a loro». A un cenno della mano del Maestro,
altre due figure incappucciate comparvero dal nulla. Una era una donna,
con lunghi capelli neri e dal sorriso folle; accanto a lei
c’era un uomo dalla faccia storta e volgare.
«E loro sarebbero?» chiese la Mason, stupefatta.
«Chiamiamoli Piano B» disse il Maestro, ghignando
con malvagità.
«Sono Narratori?» chiese la donna. Il Maestro
annuì. «E anche…?»
«Esattamente». La Mason fece un sorriso soddisfatto.
«Vedrò di farli entrare nella scuola»
disse.
«Solo Antonin» disse il Maestro, per poi poggiare
una mano sulla spalla della donna. «Per lei ho altri
piani».
La Mason annuì.
«Quando?» chiese la donna.
«Entro Natale». La professoressa annuì
di nuovo, fece un breve inchino e si Smaterializzò.
«E così ebbe inizio l’Era Oscura del
Mondo Magico» mormorò il Maestro, osservando il
castello in lontananza. «L’Era di
Apophis».
Sala Comune di Tassoverde
Okay, ragazzi, e ora... sfogatevi! Su, forza, lanciate tutti i pomodori
e le uova marce che volete! Prometto che non farò alcun
tentativo di evitarle!
Onestamente, mi spiace di non aver potuto pubblicare, la settimana
scorsa, ma sono stato male per tre-quattro giorni e non ho potuto
scrivere. Ma il capitolo è bello lungo e quindi mi
perdonate, giusto?
- Uccidetelo! -
Piantala, Evans!
Comunque, tornando a noi. Come avrete notato (se lo avete letto, se non
lo avete fatto non vi biasimo ma è un capitolo importante
quindi... hop-hop, su a leggere!) il capitolo è leggermente Jily.
E voi direte "Ma non era una fan fiction su Dora e Remus?" e io vi
capisco, ma 'sti due prima o poi dovranno mettersi insieme! Prima loro,
poi le lotte all'ultimo sangue (anche se in questo capitolo ci sono
state entrambe, ma vabbé).
Allora, cosa ne pensate? Vi piace? Vi intriga? O lo prescrivereste a un
vostro amico costipato? No sul serio, siate franchi. A me, a parte
alcuni pezzetti, non piace. Credo di averci inserito troppi elementi
"nuovi" e assurdi. Se vi lamentate del fatto che "è tutto
incasinato", tuttavia, non preoccupatevi: come al solito, è
quello che voglio (muahahahah!).
Vorrei fare un piccolo chiarimento: l'oricalco dei Maridi e Atlantide
sono cose a parte (almeno per il momento), diciamo che sono una specie
di sottotrama sostanzialmente inutile, ma che fa scena (lo so, come
scrittore non dovrei dire certe cose, ma voglio essere onesto con voi).
Cosa ne pensate di Severus? Io ho sempre pensato che avesse reagito
molto male vedendo i due ragazzi uscire insieme. Ovviamente, qui ho
ingigantito la cosa (super-razzismo ossessivo, ricordate? La gente,
qui, è moooolto più oscura!).
Cosa ne pensate del Maestro/Apophis? Al momento non ci capite nulla,
vero? Bene! Comunque tranquillizzatevi: non appariranno enormi serpenti
del Caos pronti a distruggere il Maat, non preoccupatevi (almeno per il
momento...).
Credo di poterla finire qui... quindi passiamo ai ringraziamenti!!
Ringrazio immensamente le 9 persone che hanno messo la storia fra le
Preferite, le 3 che l'hanno messa fra le Ricordate e le 3... aspetta,
sto leggendo bene? Porca Morgana! 31 fra le Seguite? Ma... ma... io
così muoro!
No, sul serio, ragazzi... io vi amo! Ma chi siete, o esseri superiori
con cotale pazienza da stare a seguire i mei squilibri mentali e
fisici? Una statua a ciascuno, via!
Ovviamente, devo ringraziare in particolare tutti coloro che mi hanno
lasciato le loro bellissime e utilissime recensioni. A voi non posso
dire che vi amo: farei nomi e la cosa potrebbe diventare imbarazzante e
compromettente. Quindi accontentatevi di un abbraccio. Ecco.
Al prossimo capitolo!
Vi voglio bene,
Hufflerin
P.S.: Il prossimo sarà l'ultimo capitolo pubblicato
settimanalmente. Da dopo il prossimo, manterrò lo stesso
criterio di pubblicazione "venerdì-sabato-domenica", ma
l'aggiornamento sarà bisettimanale: con la scuola,
già prevedo un miliardo di cose da fare, sorry. Tuttavia, se
sarà possibile, il capitolo verrà pubblicato
settimanalmente (ma non ci contate troppo).
P.P.S.: Come al solito, vi sarei molto grato se mi segnalaste eventuali errori di ortografia e grammatica che sono sfuggiti alla mia revisione. Grazie in anticipo.
Prossimo aggiornamento domenica
15/09/'13, con il settimo capitolo: "Potters".
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Capitolo 8 *** Chapter VII - Potters (parte 1) ***
7. Potters (part 1)
“Siamo a Hogsmeade. James è ferito. Ho bisogno di
aiuto per portarlo in infermeria. Venite subito.”
Più che un messaggio sembra un telegramma, ma non credo sia
il momento di stare a sottilizzare.
La corsa attraverso il parco è veramente estenuante. In
altri giorni, mi meraviglio di quanto sia grande e imponente. In questo
momento, invece, trasfigurerei un sasso in un bulldozer e raderei al
suolo tutto. È strano vedere come la propria opinione cambi
a seconda della situazione.
Arrivati a Hogwarts, io, Sirius, Dora e Mary, ci rendiamo conto di una
cosa: non abbiamo la minima idea di dove siano i due. Se fosse accaduto immediatamente
dopo la luna piena, avrei potuto in qualche modo fiutarli –
più o meno – ma al momento sono piuttosto inutile. Fortunatamente abbiamo un annusatore di riserva.
«Sirius, ci serve Felpato» gli dico. Probabilmente
Dora e Mary non hanno capito subito ma Sirius annuisce, corre dietro un
boschetto e riemerge in forma di cane, cominciando ad annusare
l’aria.
Dopo pochi secondi, scodinzola e poi prende a correre, abbaiando.
Ci avviciniamo sempre di più al confine del villaggio e le
foglie dei boschi intorno tappezzano completamente le strade.
Sirius comincia a uggiolare e la cosa mi preoccupa. Forse ha perso la
traccia. O forse fiuta qualcosa di brutto.
Seguiamo il pulcioso per un altro paio di vie e, proprio quando
comincio a chiedermi perché non abbiamo inserito anche
Hogsmeade nella Mappa del Malandrino, li troviamo. Le cose sono peggio
di quanto pensassimo.
James è a terra, coperto di sangue e svenuto, e Lily
è accanto a lui, che cerca inutilmente di farlo rinvenire.
Sirius comincia a correre e si trasforma velocemente. In un attimo
è accanto a James. Lily alza gli occhi, sorpresa.
«Cos’è successo?» chiede
Felpato, preoccupato. Ci avviciniamo anche noi e vedo il volto della
ragazza coperto di lacrime. Mary va subito accanto a Sirius e si china
su James. È una fortuna avere una futura Medimaga fra noi.
«Abbiamo incontrato Piton» spiega Lily, fra i
singhiozzi. Dora le si fa vicino e le poggia una mano sulla spalla.
Nell’ultimo mese, le due sono diventate molto amiche.
«Era furioso e ci ha attaccato. Abbiamo provato a difenderci,
ma ha immobilizzato me e ha ferito James. Poi… è
tornato l’Altro».
«L’Altro?» chiedo, confuso. Lily annuisce.
«È così che lo chiamiamo…
l’altra parte di James, quella…»
«Creata dalla Mason» conclude Mary, esaminando le
ferite del ragazzo. «Piton deve aver usato una maledizione
molto potente. Molte ferite si sono cicatrizzate, ma le più
ampie non sono riuscite a chiudersi completamente».
«Poi ha colpito Piton con… qualche Magia Oscura,
non so di che tipo ma l’ha fatto scappare» continua
Lily. «Io ho provato a farlo tornare e quando ci sono
riuscita è svenuto e… adesso non si
sveglia».
«Lily, non preoccuparti» dice Mary, guardandola
negli occhi. «Ha perso molto sangue e, in qualche modo,
è come se fosse riuscito ad attingere alle proprie riserve
di magia. Adesso solo Madama Chips può fare
qualcosa».
Lily annuisce. Io, e anche gli altri, lanciamo uno sguardo confuso a
Mary che scuote la testa, in segno di “ve lo spiego
dopo”. Nessuno di noi capisce questa storia de “le
proprie riserve di magia”.
Faccio comparire una barella a mezz'aria e ci deposito sopra, con più delicatezza possibile, James con un Incantesimo di Levitazione. Ci incamminiamo senza dire una parola
Ricordo che anche nella nostra dimensione Severus non prese affatto
bene la relazione tra i due, ma non arrivò mai a usare il
Sectumsempra – perché è evidente che la
maledizione è quella - contro James. In realtà, i
due presero a litigare furiosamente e Lily dovette intervenire per
impedirgli di prendersi a cazzotti. Tuttavia, non ci furono altre
simili manifestazioni di “amicizia”.
A quanto pare, da questa parte non c’è solo un
razzismo più radicato, ma le persone stesse sono diventate
un po’ più… oscure, se così
si può dire.
Ci mettiamo un po’ per arrivare, considerato soprattutto che
la strada è in salita, e ogni passo è
un’agonia.
Quando Madama Chips lo vede, per poco non gli viene un infarto.
Poverina, la capisco.
«Cosa gli è successo?» chiede,
terrorizzata.
«Per farla breve» dico subito. «Gli hanno
lanciato una maledizione, si è curato in qualche modo ma non
ha fatto un buon lavoro e ha consumato parte della propria magia. Ora
è svenuto e non si sveglia».
Madama Chips sbatte un po’ le palpebre, cercando di capire
cosa fare. Poi, con il suo tono risoluto, ordina a Sirius di portarlo
dentro e distenderlo su un lettino. Dopo, ovviamente, ci caccia via.
«Okay» fa Dora, dopo un po’ di silenzio.
«Credo che staremo qui fuori per parecchio, quindi, Mary,
potresti spiegarci di cosa stavi parlando prima?»
«Che intendi?» fa Mary, confusa.
Dev’essere lo shock.
«Riguardo alle “riserve di
magia”…»
«Non lo sapete» chiede, sbalordita, guardandoci a
turno. «Oh, okay. Non me l’aspettavo. Dato che
venite dal futuro pensavo che… Be’, credevo
avessero inventato nuovi modi… Ma ovviamente per queste cose
ci vogliono secoli, per cui è normale
che…»
«Tesoro» la interrompe Sirius, sedendosi a terra.
«Non che non mi piaccia sentirti parlare,
assolutamente… Ma ti dispiacerebbe arrivare al
punto?»
«Giusto» fa Mary. «Allora, voi sapete
come funziona la magia, giusto?»
«Sì, ovviamente… Ma, per sicurezza,
diccelo pure» risponde Dora. Se non fosse un momento tanto
delicato, scoppierei a ridere.
«La magia è qualcosa d’invisibile che si
trova in ogni cosa che ci circonda. C’è sempre ed
è lì, pronta per essere richiamata tramite le
nostre formule. È la quintessenza
dell’universo» spiega. «Quando usiamo un
incantesimo, incanaliamo tramite le bacchette – e i nostri
poteri, ovviamente – l’energia magica intorno a noi
e la sprigioniamo nella forma che riteniamo più utile.
Capite bene che il modo di usare la magia, o Etere come la chiamava
Aristotele, è infinito e non ci sono regole precise. Al
massimo si potrebbero parlare di eccezioni, cose che l’Etere
non può fare».
«Ma scusa» s’intromette Sirius.
«Noi usiamo l’Etere o la magia?»
«Si può dire che l’Etere è la
fonte, mentre la magia è ciò che viene manipolato
da noi. Quindi, in sostanza, si può dire che usiamo
entrambi» risponde la ragazza.
«Tuttavia» dice Lily, osservando Mary con
attenzione. «C’è una seconda fonte di
Etere».
«Esatto. All’interno dei maghi esiste come un
centro magico. Si può dire che ognuno di noi ha una piccola
fonte di Etere al proprio interno».
«Wow, più che un mago ora mi sento uno
Jedi» commento. Okay, magari è un po’
fuori luogo, ma non ho saputo trattenermi.
«Un che?» chiede Sirius, inclinando la testa.
Quando lo fa, assomiglia in modo incredibile a un cane.
«Lascia stare, roba Babbana» dice Dora, in fretta.
«Come stavo dicendo» continua Mary.
«Ognuno di noi ha una fonte di Etere. Di solito,
però, è impossibile arrivare ad attingerci e per
questo i maghi possono lanciare magie in modo quasi infinito.
Però, in alcuni casi, è stato visto che in
situazioni di vita o di morte, alcuni maghi sono riusciti a sfruttare
in modo inconscio la loro riserva interna. In realtà, in
alcuni popoli dell’antichità la riserva interna
veniva usata comunemente, ma non è importante. Comunque, si
è potuto vedere che la potenza della riserva interna supera
quella esterna di cento volte».
Fischio sommesso di Sirius.
«E se fosse lì che si trova?» chiede
Lily. La osserviamo, confusi. «L’Altro, la
“parte oscura” di James. Se avesse trovato un modo
di rifugiarsi nella riserva interna di Etere…»
«Sarebbe cento volte più potente di
James» conclude Dora.
«Ma non ne abbiamo la certezza!» protesta Sirius.
«Perché, ultimamente abbiamo mai avuto la certezza
di qualcosa?» chiede Lily, mesta.
Qualche minuto di silenzio.
«Tu come lo sai tutto questo?» chiedo a Mary. Lei
arrossisce leggermente, ma scuote i capelli con aria noncurante.
«Mia madre è un’Indicibile e…
ho spiato gli appunti sulle sue ricerche» ammette.
«Ha la pessima abitudine di non chiudere la porta del suo
ufficio con la magia. Una forcina lì, una pressione
là e il gioco è fatto».
«Io amo questa ragazza» dice Sirius, guardandola a
occhi spalancati. Mary ride.
«Be’, tu sei evaso da Azkaban e lei è
una scassinatrice provetta. Siete decisamente la coppia
perfetta» scherza Lily. Ridacchiamo tutti e sono felice di
vederla sorridere un po’. Almeno l’attesa non
dovrebbe essere troppo dolorosa. Forse.
«Credo che dovrei andare a dirlo a Silente» dice
Dora.
«No» dice Sirius, alzandosi in piedi.
«Vado io da Silente. Quasi sicuramente chiamerà
Charlus e Dorea, quindi sarà meglio che io sia
lì».
Annuisco e, alla fine, anche le ragazze devono ammettere che sia una
buona idea e Sirius si dirige in fretta verso l’ufficio del
preside.
«E adesso?» chiede Lily. Mi siedo a terra,
appoggiando la schiena al muro.
«Adesso aspettiamo» rispondo. Le ragazze si
scambiano un paio di sguardi e m’imitano.
Ripenso a quello che mi ha raccontato Lily e lo collego alle
informazioni di Mary.
James non è mai stato potentissimo negli incantesimi
d’attacco, è un bravo duellante ma può
migliorare, è più portato per la Trasfigurazione;
so, tuttavia, che in poco tempo migliorerà incredibilmente,
ma deve ancora arrivare, quel tempo. Poi arriva l’altro e
BUM! Incantesimi Oscuri così potenti che Gandalf diventa
pericoloso quanto un chihuahua. Di certo, stava attingendo alla sua
riserva interna. L’idea che l’Altro si sia
“nascosto” al suo interno non mi sembra troppo
stramba. O forse, semplicemente, l’Altro ha
un’ampia conoscenza della magia, anche se dovrebbe
condividere il proprio sapere con James. Non so cosa pensare.
«Hai detto che alcuni popoli antichi usavano la riserva
interna. Chi erano?» chiede Lily all’improvviso.
Mary la guarda sorpresa, per poi rispondere.
«Gli Egizi, soprattutto. Erano abili maghi, conoscevano tutti
i modi per sfruttare la riserva. Grazie a questo tipo di magia sono
riusciti a dominare l’Egitto per tremila anni. Solo che
avevano un difetto: non sapevano usare le riserve esterne. Quando
arrivarono i Romani, i maghi delle due fazioni si scontrarono. Gli
Egizi avevano magie più forti, ma non potevano combattere
all’infinito. Vennero sconfitti perché la maggior
parte di loro usò tutta la propria riserva e…
Be’, presero fuoco. Letteralmente» spiega la
ragazza. Deglutisco. Non proprio la fine migliore.
«Wow» dice Dora, sbalordita. Credo che riassuma
tutto molto bene.
Mary si alza.
«Dove vai?» chiede Lily.
«Ad avvertire Emmeline, Marlene ed Evelyn, prima che si
preoccupino troppo» dice, semplicemente, e se ne va. E due
sono andati via. Si accettano scommesse su chi saranno i prossimi.
«Quindi non erano Ideali Immessi» dice Lily
all’improvviso. «Quelli usati dalla Mason,
intendo».
«Probabilmente no» ammetto. Sono un Grifondoro,
è dura ammettere di aver preso un granchio.
«O forse sono Ideali, ma modificati per fare…
Qualunque cosa stiano facendo a James» dice Dora. Inarco un
sopracciglio e lei scrolla le spalle in un “almeno ci ho
provato”.
«Se oggi non fossimo usciti, tutto questo non sarebbe
successo, vero?» chiede Lily. Ci giriamo a guardarla; si
è circondata le gambe con le braccia e ha appoggiato la
testa sulle ginocchia. Sembra stia parlando più a se stessa
che a noi. Dora le va accanto e le passa un braccio intorno alle spalle.
«No» dice, dolcemente. «Piton avrebbe
comunque trovato un pretesto per litigare, non potevate
impedirlo».
«Anzi» faccio io. «Siete stati fortunati:
eravate in un punto isolato. Chissà cosa sarebbe successo se
l’Altro fosse arrivato davanti a tutta la scuola».
Magari può suonare un po’ cinico – e
Dora sembra crederlo, dall’occhiataccia che mi ha lanciato
– ma credo sia la verità e, per mia esperienza
personale, in questi casi è meglio dirla nuda e cruda.
È stato così che mi hanno detto della mia
maledizione. All’inizio non mi piaceva che me
l’avessero detto in quel modo, ma poi ho capito che mi sarei
irritato molto se avessero provato a temporeggiare. Almeno, questo
è quello che credo.
«Be’, magari avrebbe fatto venire i capelli bianchi
a qualche Serpe» mugugna Lily, alzando un po’ la
testa.
«Allora menomale che Malfoy ha già finito la
scuola» fa Dora. «Altrimenti come sarebbero
diventati a lui? Trasparenti?»
Io e Lily ridacchiamo.
«No, probabilmente ha uno spesso strato di shampoo che li
protegge» scherza la rossa.
«Non so perché ma mi è appena venuta
nella mente l’immagine di Malfoy senza capelli»
dico. «E… sembra quasi contro natura».
In effetti, Lucius sembra nato con quella parrucca platinata in testa.
«E come hai fatto?» chiede Lily, stralunata.
«Io non ci riesco a immaginarlo calvo. Non so nemmeno se ha
una testa, lì sotto».
E, con strane frasi sull’impossibilità di un
Malfoy calvo, aspettiamo che Madama Chips ci dia il suo esito.
*****
«E questo è tutto» disse Sirius,
torturandosi le mani e guardando il professor Silente, che
aggrottò le sopracciglia in modo pensieroso.
«Capisco» disse soltanto. «Le cose sono
peggiori di quanto pensassi».
«Sapeva che l’Altro sarebbe tornato?»
chiese Sirius, con un accenno di accusa e irritazione. Almeno secondo
lui, stavano perdendo tempo: avrebbero dovuto subito contattare i
Potter.
«Supponevo che non sarebbe finita qui» rispose
l’uomo, pacato. «La Mason ha avuto molto tempo per
preparare questo piano, quindi ho immaginato che non si potesse
fermasse a ciò che è accaduto».
«E quindi?» chiese il ragazzo. «Adesso
cosa facciamo?»
«Onestamente, Sirius, non lo so» ammise Silente.
«Non so se sia una buona idea, al momento, avvertire i
genitori di James, ma prima o poi lo verranno a sapere
e…» gli occhi di Silente scintillarono di una
strana luce. «Sì, credo sia più saggio
avvertirli».
Sirius sorrise, capendo cosa intendeva il Preside: sicuramente, i
genitori di James si sarebbero infuriati con tutti loro una volta
saputo ciò che avevano provato a tacere.
«Professore… potrei avvertirli io?»
chiese, quasi senza pensarci. Credeva che fosse suo dovere: James era
suo fratello e Charlus e Dorea i suoi genitori. Era giusto che fosse
lui.
«Sei sicuro?» chiese di rimando il professore,
scrutandolo da dietro gli occhiali a mezzaluna.
«Sì».
«Molto bene» disse, sorridendo. «Non che
mi aspettassi altro, da Sirius Black».
Sirius strinse la mascella quando sentì il suo nome
completo. Lo odiava.
Silente sospirò.
«Sirius, non è un nome che fa di una persona quel
che è, così come non lo fanno le
malattie» disse. Il ragazzo annuì. Molte volte
Remus e James gli avevano fatto quel discorso ed è inutile
dire che non è mai stato a sentirli. Solo perché
lui era il preside che veniva dal futuro, non significava che gli
avrebbe dato corda.
Il professore si alzò e prese una piccola sfera di metallo,
completamente liscia e uniforme. Puntò la bacchetta contro
l’oggetto e borbottò «Portus»
per poi consegnarlo a Sirius.
Dopo la consueta, breve attesa, il ragazzo avvertì la presa
all’ombelico e venne trasportato dalla Passaporta. Cadendo a
terra. Di faccia. Cadendo a terra di faccia sul cemento.
Il ragazzo alzò gli occhi, massaggiandosi il naso. Era
atterrato dritto sul portico dei Potter, fuori dalla porta di casa.
Impreco abbastanza coloritamente, alzandosi in piedi. Guardò
per qualche secondo la sfera di metallo, decidendo poi di metterla
nella tasca della divisa.
Villa Potter non era di certo come il maniero di cui si vantava Malfoy,
ma aveva il suo fascino. Situata poco fuori Godric’s Hollow,
era una grande casa in mattoni rossi, costruita intorno al XII secolo,
che si ergeva su tre piani – soffitta esclusa. Sapeva per
certo che le pareti interne erano rosso fuoco, attraversate da
decorazioni d’oro in movimento; quando si guardano, sembrano
coperte di fiamme. All’inizio trovava un po’
irritante quel continuo movimento, ma poi ha cominciato ad apprezzarlo
e ad ammirarne l’effetto ipnotico.
Si avvicinò un po’ alla porta di casa, prese un
bel respiro e bussò. Dopo pochi secondi, la porta venne
aperta da Dorea Black in Potter, con il sorriso sul volto che si
congelò non appena lo vide.
Dorea aveva la tipica bellezza dei Black, con i suoi capelli neri e gli
occhi chiari. Fortunatamente, tuttavia, era una delle pecore bianche
della famiglia e non è stata tolta dall’albero
genealogico solo perché si è sposata con un
Purosangue.
«Sirius» disse, stupefatta. «Che
succede?»
Blocco.
“Pensa Sirius, pensa! Devi essere delicato e
sensibile… Sei fottuto, Felpato, lasciatelo dire. Okay,
comincia con calma, non essere diretto… Ecco, sì,
confondili un po’ con le parole! Con quello sei bravo!
Già, sei bravo, ma solo perché lo facevi con
Walburga e Orion… vuoi davvero fare così con i
Potter? Sì, Sirius, sei fottuto.”
«Ecco, dovrei parlarvi» fece lui, cauto, tentando
un sorrisetto. “Un ottimo inizio! Bravo! Non hai risolto
nulla, ma almeno guadagni tempo!”
«Silente sa che sei qui?» chiese la donna,
guardandosi intorno come se il vecchio mago potesse comparire dal nulla.
«Sì, Dorea, mi sono… offerto per
venirvi a dire alcune cose» disse. Capì che aveva
completamente sbagliato a parlare due secondi dopo aver finito la frase.
«Sirius, mi stai spaventando!» mormorò
la donna.
«No, sul serio, niente di cui preoccuparsi!»
esclamò il ragazzo, stupefatto da se stesso. Per lo meno,
che Madama Chips potesse curare James era una delle poche cose di cui
era certo.
«Ehi, tesoro, chi è?» la voce di Charlus
risuonò nell’ingresso e, dopo qualche istante,
comparve l’uomo.
Charlus era un uomo alto, dai capelli corvini e spettinati tipicamente
dei Potter – e, a quanto aveva sentito, anche Harry li
erediterà – e gli occhiali – idem.
«Sirius» esclamò, sorpreso di vederlo
quanto la moglie. «Cosa ci fai qui?»
«Silente l’ha mandato per dirci qualcosa»
disse Dorea, piuttosto pallida.
«Ma niente di cui preoccuparsi!» ripeté
il ragazzo, agitato. Se non fosse stato per il suo orgoglio, avrebbe
cominciato a saltellare da un piede all’altro.
«Ragazzo, sei davanti alla porta di casa mentre dovresti
essere Hogwarts, pallido come un cencio e con un tic
all’occhio» Sirius si portò una mano
all’occhio. «E vuoi farmi credere che non ci sia
niente da preoccuparsi?»
«Eh, ma detta così ogni cosa sembra
stupida» protestò Sirius.
«Be’, adesso entra e spiegaci tutto»
disse infine Dorea.
Dopo un paio di minuti si ritrovarono nel soggiorno della casa, seduti
sui comodi divanetti che ricordano tanto la Sala Comune di Grifondoro,
con in mano i tè preparati da Dorea con un semplice colpo di
bacchetta. Nell’aria aleggia ancora il profumo del pranzo
consumato da poco.
«Dai, sputa il rospo» disse Charlus.
«Cos’è successo a James?»
«Charlus!» esclamò Dorea.
«Oh, avanti, sai benissimo che Sirius non sarebbe venuto per
altro» replicò Potter. Dorea, dovendo accettare
l’evidenza, annuì con una smorfia triste.
«Ecco, vedete, oggi c’è stata
un’uscita a Hogsmeade e James è andato…
con Lily» sapeva con certezza che Charlus non aveva esultato
solo perché aspettava la parte peggiore. «Una
persona non ha preso troppo bene la cosa e… James
è rimasto ferito. Ma ora sta bene! Non
c’è da preoccuparsi! Madama Chips lo
rimetterà a posto!»
Charlus e Dora continuarono a guardarlo, leggermente inebetiti da
quella spiegazione frettolosa.
«Quindi ci stai dicendo che…»
«Che sono venuto qui per dirvelo, altrimenti vi sareste
incazzati da morire e avreste ucciso Silente, ma che comunque James sta
bene e non serve che interveniate» concluse Sirius.
«Non ci saremo...» cominciò Charlus, ma
un’occhiata scettica di Sirius lo fermò.
«Okay, d’accordo, forse, e dico forse, avrei
provato a far fuori Silente».
«Bene» esclamò il ragazzo, alzandosi in
piedi. «Ho fatto il mio dovere, vi ho avvertiti e ora me
ne…»
«Sirius». Dorea sospirò. Sirius si
sedette. «Se non fosse successo veramente nulla, Silente
avrebbe mandato un gufo».
Sirius tacque. In effetti, non sapeva cosa replicare: era la domanda
più naturale che si potesse fare, eppure lo metteva in
difficoltà.
Perché Silente lo aveva mandato lì?
Be’, lo aveva chiesto lui.
Già, ma Silente avrebbe potuto impedirglielo.
A Sirius sembrava sentire le voci che si accavallavano nella sua testa,
confondendolo sempre di più. All’inizio, quando
era andato a casa dei Potter, sembrava una cosa naturale e ovvia, ora
non riusciva a comprenderne il senso.
«Io non lo so» disse Sirius, sinceramente. Dorea lo
guardò, perplessa per quella risposta. «Non lo so
perché mi ha mandato qui. È vero che bastava solo
un gufo e… Sono io o sta facendo buio all’una del
pomeriggio?»
L’orologio parlava chiaro, ma il cielo sembrava aver altri
piani: l’oscurità era scesa sopra la casa e i
dintorni, un panno nero come la notte, che non faceva filtrare la
minima luce. I tre si videro – per modo di dire –
costretti ad accendere le bacchette.
«Che sta succedendo?» chiese Dorea, spaventata.
«Sirius se scopro che sei tu…»
«Davvero credi sia capace di questo?»
protestò Sirius. I Potter gli lanciarono
un’occhiata scettica e lui sbuffò. «Non
so se esserne lusingato o infastidito… forse
infastigato… o lusindito... Per Godric, sembro
James».
E poi arrivò il suono. Immaginate lo stridio delle unghie
sulla lavagna e imprimetevelo in mente. Fatto? Bene, ora moltiplicate
il suono per dieci e aggiungete in sottofondo un suono particolare,
simile a quello di una motosega. Quello fu, all’incirca, il
suono che si abbatté sulla casa. Non sembra
così spaventoso, vero? Ma la pioggia di vetri che
colpì coloro che si trovavano all’interno li
terrorizzò abbastanza.
Oscurità, suoni spettrali, vetri rotti…
cos’altro abbiamo? Ah, già, i colpi alla porta e
il fumo nero che cominciò a penetrare da ogni fessura.
Inquietante, vero?
Ovviamente, Sirius aveva il controllo della situazione.
«CHE CAZZO STA SUCCEDENDO?» O quasi.
Poi ci fu il rombo. Un grande botto che fece tremare la casa dalle
fondamenta e scardinò la porta.
«Ma questa casa non ha protezioni?»
protestò Sirius, puntando la bacchetta verso la porta.
«Dovrebbe» disse Charlus a denti stretti.
Poi cominciarono a sentirsi i passi, che rimbombavano
nell’ingresso come se a entrare fosse Hagrid – cosa
non da escludere ma altamente improbabile.
Non appena s’intravide la figura, una forma umana
incappucciata e con un lungo mantello nero, Charlus lanciò
uno Schiantesimo di altissima potenza. Peccato che, prima di anche solo
toccare l’uomo, l’incantesimo divenne una massa di
fumo nero e scomparve.
«Okay, piano B!» esclamò Charlus.
«Ovvero?» chiese Sirius.
«Trova un modo per scappare, e in fretta!»
spiegò Dorea, lanciando a sua volta un incantesimo verso la
figura, ottenendo il medesimo tentativo.
L’uomo alla porta agitò una mano e la casa,
partendo dagli stipiti della porta, cominciò a prendere
fuoco.
«Per il momento proporrei di andare di sopra»
suggerì Sirius, lanciando un getto d’acqua verso
le pareti ma non riuscendo a domare le fiamme che, invece, si
propagavano.
«Sono d’accordo» disse Charlus,
continuando a lanciare incantesimi e indietreggiando verso le scale,
preceduto da Dorea e Sirius.
«Forse non è una buona idea» disse la
signora Potter. Dalle scale, scendeva un'altra figura incappucciata,
questa volta con una silhouette visibilmente femminile, costringendo i
tre a tornare nel mezzo del salotto.
«Dorea, chiedo il diritto di imprecare» disse
Sirius, lanciando una fattura verso la donna, che la deviò
con un gesto della bacchetta. Sembrava osservarlo, e la cosa lo faceva
raggelare.
«Concesso» rispose Dorea, lanciando un
Incantesimo Incarcerante verso l’uomo alla porta.
«Siamo fottutamente morti».
«Concordo» disse Charlus.
«Oh, su, un po’ di ottimismo!»
replicò Dorea.
«Sarà una morte indolore» fece Sirius,
concludendo il siparietto. Intanto, le due figure nere e fumose
continuavano ad avanzare, mentre i tre cercavano una via di fuga.
Sirius quasi si vergognò di se stesso: cercava di scappare
come un topo di fronte al gatto, cosa che non aveva mai voluto fare.
Fin da piccolo, se c’era qualcuno che si metteva contro di
lui, non si ritirava mai dagli scontri. Certo, a volte le prendeva di
santa ragione, ma perlomeno non era scappato. Aveva sempre odiato la
codardia, e ora lui stesso era un codardo. Una vocina nella sua testa
gli diede dello stupido, dicendogli che lì non se la sarebbe
cavata solo con un occhio nero e una costola incrinata. Sirius decise
di starla a sentire e tornò a cercare febbrilmente un modo
per fuggire.
La risposta arrivò quando i tre furono costretti a
sistemarsi schiena contro schiena, bloccati ai due lati dalle figure
fumose. Proprio quando la donna estrasse la bacchetta e la
puntò contro di loro in un’agghiacciante risata
folle, Charlus colpì accidentalmente la Passaporta che era
ancora nella tasca di Sirius. La sfera di metallo cominciò a
brillare di una strana luce azzurrina.
Sirius la prese in mano e la osservò: da un punto, avevano
cominciato a delinearsi forme geometriche azzurre che in poco tempo
ricoprirono tutta la sfera.
«Prendetemi la mano» disse in fretta ai Potter che,
seppur guardandolo con curiosità, si fidarono e gli
strinsero la mano con la bacchetta proprio mentre la Passaporta si
attivava.
L’ultima cosa che Sirius vide, fu la donna che abbassava la
bacchetta e lo squadrava con occhi folli e malvagi – e
familiare – prima di scoppiare in un’altra risata
ad alto contenuto di follia.
*****
«Lo ha usato» disse Remus, con fredda calma che
nascondeva una grande ira.
«Remus…»
«Perché l’ha fatto? Mi aveva assicurato
che si sarebbe occupato di proteggerli, in caso la storia si ripetesse
nonostante le differenze» piano piano, mentre parlava, la sua
voce si alzava sempre di più. «Con questo non
credevo intendesse mandare un diciassettenne a bussare alla porta di
casa per vedere se qualche Mangiamorte risponde».
«Remus, ho dovuto farlo».
«No che non ha dovuto!» esclamò infine
il ragazzo, adirato. «Poteva mandare qualcun altro, poteva
far sorvegliare la casa da qualcuno, poteva avvertire i
Potter!»
«Remus, qui le mie risorse sono limitate: non ci sono membri
dell’Ordine a cui chiedere di pattugliare una zona. Inoltre,
non avevo modo di avvertire Charlus e Dorea, se non allontanandomi
dalla scuola cosa che, in questo periodo, non ritengo saggio
fare».
«Ci sono i gufi della scuola» sbuffò
Remus. «C’è Fanny».
«Purtroppo, Fanny ha appena avuto il suo Giorno del
Falò, e i Potter hanno imposto protezioni alla casa, in modo
tale che solo gufi autorizzati possano entrare».
«Però la sua Passaporta è passata
facilmente» ribatté Remus.
«Questo perché è stata usata da
qualcuno che ha passato molto tempo all’interno di quelle
protezioni».
«Le Passaporte non funzionano così!»
«Infatti quella non era una vera e propria Passaporta.
È difficile da spiegare ma…»
Ninfadora irruppe nell’ufficio del Preside.
«Mi spiace disturbarvi» disse. «Ma James
ha qualcosa che non va».
*****
James si guardò intorno.
Era in uno strano luogo, completamente bianco e, in apparenza, infinito.
“Sono morto?” si chiese il ragazzo, strizzando gli
occhi nella speranza di distinguere qualcosa in quel mare bianco.
“Forse le ferite erano troppo gravi e Madama Chips non ce
l’ha fatta?”
«Chi sei?» chiese una voce. James si
girò di scatto, incontrando un paio di occhi verdi. Occhi
verdi su un corpo identico al suo. Il nome gli venne alle labbra
all’istante.
«Harry» sussurrò, sconcertato. Il
ragazzo aggrottò le sopracciglia con sospetto.
«No, quello sarei io. Tu, invece, si può sapere
chi diamine sei?» chiese Harry.
L’unica cosa che James riuscì a dire fu:
«Porco Sirius».
*****
A Sirius fischiavano le orecchie.
«Cornuto, se parli male di me mentre stai morendo,
giuro che ti uccido» disse a denti stretti, attirando lo
sguardo stranito di Mary. Sirius scosse la testa e tornò a
guardare all’interno dell’Infermeria, mentre Madama
Chips cercava di tener fermo James che si dibatteva come un matto,
aiutata da Charlus e Dorea.
Sirius si sentì il cuore in gola.
Sala Comune di Tassoverde
Okay, lo so, mi volete morto e tutto il resto, soprattutto per avervi
dato un capitolo schifoso e nemmeno completo, ma c'è una
spiegazione (una spiegazione orribile e che non mi renderà
migliore ai vostri occhi, ma c'è): la scuola. Mi sono
ritrovato, in questa prima settimana e nel primo week-end (non questo,
quello precedente: ho cominciato giovedì12) a dover studiare
per tre verifiche e un'interrogazione che, secondo i professori, ci
sarebbero stati il giorno dopo (riferito al primo lunedì).
Bene. Ho studiato come un matto (ma dico: chi è che ha
inventato i compiti per le vacanze? Quelle non sono vacanze, diventano
straordinari!) e, ovviamente non c'è stato un tubo. Alla
fine, ho scoperto che l'interrogazione di storia era una cavolata
(anche perché siamo riusciti a fregare l'insegnante), la
verifica di italiano l'abbiamo fatta di giovedì, quella di
latino venerdì e la verifica di chimica si farà
quando avremo finito il capitolo che non ha spiegato... Inutile dire
che ho maledetto un po' tutti quando ho scoperto di aver rinunciato a
un week-end in cui avrei potuto scrivere qualcosa di decente per
studiare inutilmente. E, infine, ovviamente ho anche dovuto studiare
durante la settimana per italiano e latino. Che bello iniziare
così la scuola.
Ah, già, e ho anche iniziato a guardarmi Doctor Who, e quel
telefilm il tempo lo ruba. Ma è fantastico! Stima profonda
per David Tennant! (Devo ancora finire la seconda stagione, non
spoilerate nulla!)
Credo che questo abbia
decisamente segnato il passaggio dalla pubblicazione programmata a
quella "pubblico quando finisco un capitolo decente".
Ora immagino vi starete chiedendo perché abbia aggiornato
con un capitolo non finito. Be', non mi andava di lasciarvi ancora
un'altra settimana senza nulla e dovevo scrivere quanto sopra, per
farvi capire che l'aggiornamento programmato è cancellato.
Onestamente, mi dispiace per il capitolo: è senza capo
né coda, non si capisce un tubo, ci sono parti poco chiare
ed è incredibilmente corto. Spero solo che, con la prossima
parte (che forse, purtroppo, sarà breve quanto questa), le
cose migliorino.
Passo ai ringraziamenti.
Credevo, sinceramente, che qualcuno avrebbe deciso di abbandonare la
fic, ma invece non è stato così, anzi, siete
anche aumentati! Sono felicissmo di vedere le cifre!
Ringrazio i 10 che hanno messo la storia fra le preferite, i 4 che
l'hanno messa fra le ricordate e i 37 che l'hanno sistemata fra le
seguite! Inoltre, ringrazio per le 28 bellissime recensioni che mi
avete lasciato (e che v'invito ancora a scrivere senza indugio) e mi
piacerebbe dire anche un grazie a tutti i lettori silenziosi: ragazzi,
abbiamo un contatore, sappiamo che ci siete e apprezziamo che leggiate
(no, non è un plurale maiestatis
- e non mi ricordo nemmeno come si scrive, ma non fa nulla - ma credo
di parlare a nome di tutti gli autori). Inoltre, sappiate che mi
metteva molta tristezza vedere il contatore delle visite che aumentava
durante il ciclo "venerdì-sabato-domenica" e non poter far
nulla per darvi un capitolo (non ho il dono della scrittura immediata,
purtroppo). Sul serio, mi sentivo in colpa.
Credo di aver finito.
Grazie a tutti coloro che anocora sopportano e seguono le mie
stramberie, fra cui una nota d'autore che dura più di tutto
il capitolo.
Grazie ancora e alla prossima,
Hufflerin.
P.S.: Come al solito, vi sarei grato se... Be', ormai lo sapete.
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Capitolo 9 *** Chapter VII - Potters (parte 2) ***
7. Potters (part 2)
«Come scusa?»
chiese Harry, confuso.
L’esclamazione di James lo aveva abbastanza spiazzato.
«Ehm, lascia stare» disse il padre, cercando di
pensare a qualcosa d’intelligente per levarsi da quella
scomoda situazione.
«Ma tu hai detto “porco
Sirius”» ribatté il figlio.
«È… un modo di dire delle mie
parti».
«Che sarebbero?»
“Non dirgli la verità!”
«Marte».
“Ho detto ‘non dirgli la
verità’, non di sparare la prima cazzata che ti
viene in mente”.
«Marte?»
«Be’, in verità una luna di Marte. Sai
com’è: i prezzi sul pianeta sono aumentati negli
ultimi tempi e…»
«E immagino che quella non sia affatto una divisa di
Grifondoro, vero?» fece Harry, indicandola. James si
guardò. Per qualche strano motivo, indossava la divisa di
scuola, cosa che non aiutava.
«No, certo che no» replicò James.
«Il rosso e l’oro sono i colori nazionali di Marte.
Sai, per la terra rossa e per…»
Harry ridacchiò.
«Okay, papà, direi di farla finita»
disse. James fece una smorfia buffa, con un sorrisetto ebete e gli
occhi stralunati che gli conferivano l’aria di un folletto
che ha appena ricevuto una botta in testa.
“Papà”.
«Come l’hai capito?» chiese James, dopo
aver riacquisito un briciolo di dignità. Harry
sbuffò.
«Ti basti sapere che, ogni persona che incontravo, per prima
cosa mi diceva che ero identico a te, tranne che per gli occhi di
mamma» disse il ragazzo.
«Ah» fece James. In effetti era ovvio.
Però suo figlio –
“figlio”… gli faceva venire i brividi
accumunare quella parola al diciottenne che era davanti a lui
– era stato in gamba a recitare la sua parte e lo stesso non
poteva certo dirsi di lui.
«Volevo solo capire se eri una qualche illusione creata da un
Mago Oscuro nell’ennesimo tentativo di fracassarmi i
boccini» continuò Harry, schietto. James fece una
smorfia: certo che suo figlio aveva una bella vita, se considerava i
tentativi di omicidio di una routine. «Esame superato,
complimenti!»
«E come?»
«Semplice: se fosse stato un tentativo di farmi fuori avresti
avuto una scusa più credibile» spiegò.
«Mi dispiace dirtelo ma sei pessimo a recitare».
«Ma avrei anche potuto fingere per fare in modo che tu
abbassassi la guardia».
«In quel caso non avresti detto questo».
«Oh».
Ci fu qualche minuto di silenzio in cui James cercò di fare
un po’ di ordine nella sua testa.
«E non ti sembra strano vedere tuo padre
diciassettenne?» chiese, sinceramente sorpreso.
«Ne ho viste tante di cose strane» disse Harry.
«Fidati, dopo un po’ smetti di stupirti e passi
direttamente alla fase in cui ti chiedi perché certe
situazioni capitano sempre a te».
«Oh, quindi vuol dire che parli quotidianamente con la gente
morta?»
«No. Ma ho incontrato Silente, quindi…»
«Ah, già, è vero».
Ci fu un momento di silenzio, poi Harry si sedette a terra, seguito
poco dopo dal padre.
«Allora» fece il ragazzo.
«Perché sto parlando con l’incarnazione
da diciassettenne di mio padre?»
«Ecco, vedi… In realtà…
Okay, non so che dire…» James titubava. Non aveva
mai messo in conto un incontro con suo figlio e non sapeva quanto
sarebbe stato lecito dire sulla rinascita di Remus e Ninfadora in
un’altra dimensione.
«Comincia dal come sei finito qui» propose Harry.
James annuì lentamente, scegliendo le parole con cura.
«Ecco, ho avuto un piccolo diverbio con una vecchia
conoscenza, abbiamo combattuto…»
«Quindi era Piton».
«Già, ma avrei preferito non dire che Mocciosus mi
ha fatto il culo con la Magia Oscura».
«Sectumsempra?»
«Scusa, posso parlare io o devi continuare a
interrompermi?»
«D’accordo… Però era il
Sectumsempra, vero?»
«Sì. Ma adesso piantala!»
Harry fece finta di cucirsi la bocca. James lo fulminò con
gli occhi.
Sembrava la perfetta fusione fra lui e Lily: aveva la sua stessa
attitudine al – così lo definiva Remus –
rompiboccinismo e aveva lo spirito d’osservazione di Lily. In
realtà, la cosa lo inquietava abbastanza, ma forse era solo
perché lo vedeva da diciottenne.
Inoltre, il modo in cui parlava lo faceva sentire a disagio. Parlava
con naturalezza e in modo piuttosto schietto eppure, guardandolo negli
occhi, gli sembrava di vedere gli ingranaggi del suo cervello che si
muovevano, assimilando informazioni e facendo Merlino solo sa cosa. Era
lo stesso sguardo che aveva Silente, lo sguardo di una persona
intelligente e capace, di una persona che ha già imparato
cos’è la vita e l’ha affrontata nel modo
più brutale.
O forse James era diventato paranoico e stava pian piano scivolando
nella follia totale. Il ragazzo in questione non sapeva in cosa sperare.
«Come stavo dicendo» proseguì Potter
Senior. «Piton mi ha fatto il culo con il Sectumsempra. Poi
non so che diamine è successo, ma credo che la parte
malvagia di me sia emersa, mi abbia guarito male, abbia fatto a sua
volta il culo a Piton e poi Lily mi abbia svegliato baciandomi»
Pausa. «Lily mi ha baciato» Sorriso ebete da Troll
celebroleso.
«Aspetta… La parte malvagia di te?»
chiese Harry, sconvolto. James sbuffò.
«Sì, vedi: la mia professoressa di Difesa
nonché vampira di fiducia ha deciso di inserirmi una
personalità anti-Babbani e malvagia che esce in determinati
momenti» spiegò James. «Ma mi sembra che
qui stiamo perdendo il fulcro centrale della questione, ovvero che Lily
mi ha baciato, per farmi tornare in me mentre ero momentaneamente
assente, ma ha pur sempre baciato… il mio corpo –
e detta così suona veramente male».
Harry rabbrividì.
«E sei arrivato qui…?»
«Credo di essere in coma, o qualcosa del genere»
spiegò James. «Non ho idea di come ho fatto ad
arrivare».
Harry annuì.
«Mi dispiace dirtelo ma c’è un piccolo
particolare che non quadra con tutta la tua storia».
«Ovvero?»
«Sei morto».
«Ah, già, in effetti può essere un
problema… Mai sentito parlare di universi
paralleli?»
*****
«Che stai facendo?» chiese Dora. Remus si
voltò leggermente ma non smise di camminare.
«Vado dalla sanguisuga» disse, quasi con un
ringhio. «Voglio sapere che diamine sta succedendo».
Dora corse verso di lui e in pochi secondi gli fu accanto.
«E non ti è mai venuto in mente che vorrei venire
anch’io, vero?» chiese, sbuffando.
«Be’, se vuoi accodarti sei la benvenuta»
rispose Remus, accennando un sorrisetto che alla ragazza parve un
po’ folle.
«Stai bene?» chiese Dora, aggrottando le
sopracciglia con preoccupazione.
«Oh, be’, considerando che uno dei miei migliori
amici è a un passo dalla morte, che un altro ha rischiato di
morire e che la persona di cui dovrei fidarmi è un bastardo
manipolatore» guardò la ragazza con la stessa
pazzia negli occhi che, questa volta, nascondeva molto male la furia
che gli bruciava dentro. «Sto una meraviglia».
Poi cominciò a correre verso l’ufficio della
Mason. Dora stava per seguirlo, quando venne bloccata da una voce che
la chiamava.
«Dove state andando?» chiese Evelyn, che osservava
i due a occhi spalancati.
«Lui forse vuole uccidere la Mason, io lo seguo per bloccarlo
prima che possa fare qualcosa di troppo stupido!»
Evelyn inarcò un sopracciglio e, qualche secondo dopo che
Dora fu partita di corsa, decise di seguirli.
«Tanto si sa che tocca sempre a me controllare tutti e
due» borbottò.
*****
«Ricapitoliamo» disse Harry, reggendosi la testa
con una mano. «Remus, Tonks e Silente in realtà
non sono morti ma sono finiti in una dimensione parallela, che ha,
inoltre, una differenza temporale di circa vent’anni dalla
nostra».
«Esatto» fece James, annuendo.
«In questa dimensione, Tonks ha una sorella, Evelyn, e ha
solo un anno meno di Remus; inoltre, Voldemort è solo un
commesso e c’è tanto razzismo che Hitler al
confronto è un pacifista».
«Esatto… ma un po’ esagerato».
«E c’è una professoressa vampira che,
contro ogni aspettativa, ti ha fatto diventare una specie di Hulk, con
la tua parte cattiva che spunta fuori in certe occasioni e
l’unico modo per farti tornare in te è avere un
po’ d’attenzione da mamma».
«Tre su tre, complimentoni! Anche se la parte sulle
“attenzioni da Lily” è abbastanza
deprimente…»
«Quindi anche la Mason ha viaggiato» concluse
Harry. James inarcò un sopracciglio.
«Non ho detto questo».
«Già, ma se non fosse così, tutto
sarebbe dovuto andare come da noi» replicò Harry.
«Con la Mason che è solo una maniaca bastarda e
che voi sopporterete per tutto un anno».
James rifletté. In effetti, aveva senso.
La Mason l’aveva invitato nel suo ufficio e lo aveva
trasformato. Ma perché? Qual era il motivo? Cosa ci poteva
essere di diverso fra le Mason delle due dimensioni?
«Ci sono due possibilità» disse James.
«O la Mason, come dici tu, ha viaggiato fra le dimensioni,
oppure è successo qualcosa, nel suo passato, che ha
modificato la storia».
Harry annuì.
«Dovreste indagare sulla vita della Mason, allora»
suggerì.
«Già, la fai facile» sbottò
James. «Dovremo ricostruire seicento anni della vita di una
malata mentale».
«Ti suggerisco di cominciare dai libri sulle antiche casate
di famiglie purosangue» proseguì Harry.
«Se è razzista come dici, allora potrebbe
appartenere a una di quelle».
«Giusto» disse semplicemente James, un
po’ stupito.
Ci fu una pausa in cui i due ragazzi si persero completamente nei
propri pensieri.
«Non mi hai mai conosciuto, quindi?» chiese James,
anche se sembrava più un’affermazione. Harry gli
rivolse uno sguardo triste.
«Purtroppo no» disse. «Sirius e Remus
avevano provato a descrivermi i gloriosi giorni dei Malandrini, ma non
è facile racchiudere sette anni di avventure in pochi
discorsi».
James sbuffò.
«Allora vuol dire che non sai proprio nulla» disse.
«Sirius avrà sicuramente ingigantito le
cose…»
«Ha detto che avete fatto entrare un drago in Sala
Grande».
«Ecco, appunto. Remus, invece, avrà cercato di
togliere qualche dettaglio per sembrare il più innocente
possibile».
«Su questo non so che dire».
«Be’, fidati, probabilmente l’ha
fatto».
Seguì un’altra pausa di silenzio imbarazzato,
mentre i due si guardavano di sottecchi, indecisi su cosa dire.
«Posso chiederti…» prese la parola
James. «Com’è finita la
guerra?»
Harry scrollò le spalle e, per un paio di secondi, James
riuscì a intravedere il dolore mischiato a rabbia che erano
nascosti dietro a quell’aria di calma e
tranquillità, facendolo rabbrividire. Nessuno, a parer suo,
dovrebbe avere quello sguardo.
«Be’, Voldemort è morto e, per precauzione, hanno deciso di bruciare il corpo, tanto per evitare eventuali resurrezioni».
«Mi sembra anche giusto» convenne James, con un mezzo ghigno.
«Dopo ci sono stati prima due
settimane dedicate a coloro che sono morti in battaglia» lo
sguardo di Harry si fece molto più cupo. «Poi
altre due per i festeggiamenti» il ragazzo fece un
sorrisetto. «Certi hanno davvero esagerato: un paio di tizi,
in Irlanda hanno cominciato a volare ovunque e spargere giornali che
parlavano della morte di Voldemort. C’è voluto
parecchio lavoro per far dimenticare la cosa ai Babbani».
«Harry…»
«Poi siamo tornati alla normalità, più
o meno. Ci sono parecchie morti difficili da superare. Fred,
Colin… Be’, almeno adesso so che Remus e Tonks
hanno un’altra possibilità».
«Harry…»
«Chissà perché, poi. Voglio dire,
perché solo Silente e loro due sono arrivati da voi?
C’è un sacco di altra gente del vostro tempo che
qui è scomparsa…»
«Harry!»
«Che c’è?» sbottò
il ragazzo, esasperato. James indicò lentamente i piedi del
figlio.
«Stai… svanendo» disse. Harry si
guardò ma, non vedendo nulla di strano, tornò a
guardare il padre, per poi sgranare gli occhi. Delle scarpe di James
ormai s’intravedeva solo la forma e, pian piano, anche le
caviglie stavano perdendo colore.
«No sei tu che stai…» poi comprese.
«Oh. A quanto pare questi sono gli ultimi momenti che
abbiamo» disse, cupo.
Dopo qualche istante, anche James capì ciò di cui
stava parlando e si rabbuiò.
«Magari potremo rivederci» disse con poca
convinzione.
«Già, magari senza che tu finisca in coma,
okay?» fece l’altro, tentando un sorriso. James
ridacchiò.
«Sarebbe bello» disse. Ormai, vedeva Harry solo
dalla vita in su. Il ragazzo dagli occhi verdi si grattò la
nuca, prima di decidersi a parlare.
«C’è una cosa che devi sapere»
disse Harry all’improvviso.
«Cioè?» chiese James, confuso.
«Regulus. Da voi com’è?»
«Uno stronzo venduto a cui hanno inculcato idee
idiote».
«Bene. Dovete aiutarlo».
«Come, scusa?»
«Da noi, Regulus si era unito ai Mangiamorte ma, alla fine,
ha tradito Voldemort e ha tentato di distruggere un Horcrux, ma
è stato ucciso da lui prima di riuscirci»
spiegò Harry.
«Quindi vorresti dire che…»
«Che può essere salvato. Dovete cercare di dargli
una mano. Farebbe bene sia a lui che a Sirius».
James si rabbuiò leggermente.
«Non sono sicuro che possiamo riuscirci: ti ho raccontato
cosa ha fatto Piton» disse.
Harry annuì, cupo. Per qualche istante, i due si limitarono
a osservarsi, incerti, mentre sparivano nel nulla. Poi Harry
s’illuminò, come ricordandosi di qualcosa, e fece
un sorrisetto triste.
«Senti, potresti dire un paio di cose a Remus?»
«Certo». Il torace di Harry cominciava a sparire.
«Digli solo grazie, che sono felice per loro e» il
collo svaniva lentamente «che farò tutto il
possibile per Teddy».
«Teddy? Chi è, un orsetto di peluche?»
cominciò a sparire anche la testa.
«Ciao, papà… e grazie, a te e alla
mamma» disse infine Harry e, pochi istanti dopo,
svanì nel nulla, lasciando James allibito.
«Harry» sussurrò, piuttosto sconvolto da
quell’addio così rapido e con gli occhi lucidi.
Sentì qualcuno battere le mani dietro di sé, in
modo flemmatico e quasi derisorio, e si alzò di scatto.
Si ritrovò davanti alla sua esatta copia.
Di certo non era Harry: gli occhi erano nocciola e lo sguardo non era
affatto simile a quello del ragazzo.
Di certo non era James: non sarebbe mai riuscito a inserire tanta
malvagità in un ghigno e il portamento ricordava
più quello della parte oscura della famiglia Black
– ovvero quasi tutta.
Di certo era l’Altro.
«Oh, ma che addio commovente» disse, schernendolo.
«No, sul serio, eravate carinissimi! Avrei voluto farvi una
foto!»
James lo osservò meglio, indietreggiando di mezzo passo.
Invece della sua divisa scolastica, indossava un completo babbano e non
portava gli occhiali.
«Giacca e cravatta, eh? Non credo di essere il tipo che
indossa certa roba» disse James, mettendosi furtivamente una
mano in tasca, alla ricerca della bacchetta.
«Tu non lo sei, io sì. E in questo posto non ci
sono bacchette» fece l’Altro. James strinse i pugni
e lo osservò avvicinarsi lentamente. «Condividiamo
lo stesso corpo, le nostre menti sono in comunicazione. Solo che io so
come sfruttare la cosa, mentre tu rimani un idiota, come al
solito».
James strinse la mascella e non disse nulla. Sentiva una specie di
scossa elettrica su tutto il corpo e, se quella era provocata dalla
sola vicinanza con l’Altro, allora non voleva farlo irritare
in alcun modo.
«Mi piacerebbe che avessimo delle bacchette, però.
Sarebbe bello dimostrarti quanto sei debole e indifeso»
proseguì l’Altro. «Ma credo
dovrò accontentarmi di qualcos’altro».
«Di che stai parlando?» chiese James,
immediatamente prima che, in un fascio di luce, nella mano destra di
entrambi comparisse una spada. Una spada semplice, di ferro, pesante e
difficile da maneggiare. L’Altro fece roteare
l’arma con naturalezza.
«Spade?» chiese James, allibito e confuso da quello
che stava accadendo in pochi secondi. «Ma sei
matto?»
«Certo che lo sono!» esclamò
l’Altro, allargando le braccia con un sorriso folle stampato
in volto. «Tutti i migliori sono matti! E ora, vogliamo
vedere quanto sei cavalleresco, o nobile Grifondoro?»
*****
«Che gli ha fatto?» urlò Remus,
spalancando la porta dell’ufficio della Mason, che era seduta
alla sua scrivania e stava correggendo un compito. La professoressa
alzò un sopracciglio e posò la penna.
«Oh, prego, signor Lupin, si accomodi» disse,
ironica. «Gradisce del tè?»
«Divertente» disse Remus a denti stretti,
folgorando la donna con gli occhi. «Mi dica cosa sta
succedendo a James!»
«Non so di cosa sta parlando» replicò
innocentemente la donna. Remus sbuffò di rabbia e
cercò di trattenersi dal prenderla a pugni.
«Perché lo sta facendo?» chiese Remus
fra i denti, furioso.
«Facendo cosa?» replicò ancora la Mason.
«Lupin, io non la capisco».
«FALLA FINITA!» urlò il ragazzo. La
professa lo osservò con un sorrisetto maligno.
«Ora voglio che mi ascolti con attenzione» disse
Remus, sovrastandola attraverso la scrivania. «Libera James.
Qualunque cosa tu abbia fatto, annulla la maledizione, elimina la cosa
che gli hai messo dentro, fa quel che devi fare e lascialo in
pace».
«Ipotizzando che sappia di cosa sta parlando» fece
la Mason, sorridendo. Il suo tono si fece immediatamente più
minaccioso quando proseguì. «Cosa succederebbe se
non lo facessi? Non sai che non si lascia a metà una
minaccia?»
«Rinuncerei all’ipotesi di prendere in
considerazione l’idea di non ucciderti» concluse
Remus, sibilando. La Mason rise.
«Oh, ma sentitelo» esclamò, divertita e
malvagia. Remus si raddrizzò, guardandola con disprezzo.
«E, di grazia, come vorresti minacciarmi? Cos’hai
che potrebbe uccidermi?»
Prima che Remus potesse aprire bocca, Dora spalancò la porta
dell’ufficio.
«Questa» esclamò, puntando quella che
sembrava una piccola pistola verso la professoressa e premendo il
grilletto. Il proiettile eruttò dalla canna,
evitò di un paio di centimetri il volto allibito di Remus
e… venne bloccato a mezz’aria dalla mano della
Mason, che lo osservò con cura.
«Frassino» disse, poggiandolo sulla sua scrivania.
«Vi siete dati da fare. Non ne crescono a Hogwarts».
«Oh, c’è una Stanza in cui si
può trovare questo e altro» disse una voce. Evelyn
si fece strada da dietro Dora. «Giusto per puntualizzare:
questa» indicò la pistola in mano alla sorella
«l’ho inventata io, ma ammetto che ha bisogno di
delle migliorie, come, per esempio…». Poi prese un
blocchetto per gli appunti e una penna a sfera – che a
Hogwarts erano come oro puro, impossibili da trovare – e
scrisse, mentre leggeva ad alta voce: «Trovare un modo per
aumentare la velocità del proiettile
dell’Impalettatrice».
Dora la guardò, leggermente sconvolta.
«Più tardi lavoreremo sul nome». Evelyn
sbuffò.
«Sì, magari uno meno macabro» aggiunse
Remus, osservando l’arma. «Però
è un bel lavoro e…» poi
osservò meglio il volto di sua moglie, circondato dai soliti
capelli rosa shocking «che ti è
successo?»
«Oh, questo?» fece la ragazza, indicando il proprio
labbro spaccato e sanguinante ma tenendo comunque la pistola puntata
sulla professoressa. «Sono inciampata su
un’armatura, ed era anche piuttosto sgarbata».
«Be’, anche tu saresti stata sgarbata se qualcuno
ti fosse inciampato addosso» disse Remus, paziente.
«Ma da che parte stai?» protestò Dora.
«Scusate!» s’intromise la Mason,
osservandoli con un sopracciglio inarcato. «Sbaglio o qui
stiamo perdendo il filo del discorso?»
«Soffri di manie di protagonismo?» chiese Eve con
una smorfia ironica.
«Tu non hai alcun diritto di parlare» disse Remus,
riferendosi alla professoressa. «A meno che non voglia dirci
come liberare James; in quel caso sarò ben lieto di
ascoltarti».
«Te lo dirò quando l’Inferno
gelerà» disse la Mason, con aria annoiata. Remus
sbuffò.
«Non l’ho mai capito questo modo di dire»
disse, guardando le sorelle Tonks. «Secondo Dante,
nell’ultimo girone dell’Inferno
c’è un lago di ghiaccio, quindi
l’Inferno è già gelato!»
«Remus» lo ammonì Dora.
«Giusto, sto di nuovo perdendo il filo» si
girò di nuovo verso la donna. «Quindi? Cosa
intendi fare?»
«Be’, dato che al momento non mi sembra tu abbia
nulla con cui minacciarmi» disse la donna. «Vi
suggerisco di tornare quando sembrerete in qualche modo…
ecco… meno innocui».
«Innocua sarà tua madre» disse Evelyn.
La Mason fece un sorrisetto e agitò una mano nella loro
direzione. Come colpiti da una folata di vento, i tre ragazzi furono
sbalzati all’indietro, venendo catapultati fuori
dall’ufficio.
«Ah, e questo credo sia vostro» disse la Mason,
mostrando il proiettile di legno. Lo poggiò sul pollice e
gli diede una leggera schicchera con l’indice, facendolo
tuttavia partire a una velocità mostruosa e conficcandolo
nella spalla di Evelyn, che urlò di dolore.
«Eve!» esclamò Dora, chinandosi sulla
sorella.
«Buona giornata» fece la Mason e, con un leggero
movimento di dita, chiuse la porta.
«Brutta troia» Dora si alzò, impugnando
la bacchetta e cominciò a lanciare maledizioni sulla porta
che, tuttavia, sembrava non voler cedere. «Apri la porta,
bastarda!»
«Dora, dobbiamo pensarci più tardi!» la
rimproverò Remus. La ragazza, con i capelli rossi per la
furia, si girò verso il marito, chino su Eve mentre cercava
di curarle la ferita. Immediatamente, i capelli di Dora diventarono
grigio fumo.
«Puoi fare qualcosa?» chiese. Eve gemette di dolore
mentre Remus sussurrava piccoli incantesimi di guarigione. Fra i due
ragazzi del futuro, Remus aveva più conoscenze mediche,
complici soprattutto le trasformazioni in lupo che gli avevano per cui
aveva imparato come curare le ferite che si procurava.
«Molto poco» ammise. «Dobbiamo portarla
da Madama Chips».
«Santa donna» mormorò Eve.
«Dovrei farle una statua».
«Aspetta prima che ti abbia curato» disse Dora,
accennando un sorrisetto.
*****
«Un Grifondoro che non sa usare una spada» disse
l’Altro. «Ironico, vero?»
Con un movimento fluido, fece cozzare la sua arma contro quella di
James, che indietreggiò per l’urto. Il ragazzo era
ormai stanco e il peso della spada si faceva sentire sempre di
più.
«Che senso ha questo?» chiese, sfinito.
«Perché combattiamo?»
«Come, scusa?» fece l’Altro, mettendosi
una mano accanto all’orecchio, come per sentire meglio.
«Sono io che ho le allucinazioni o tu hai fatto la domanda
più stupida del secolo?»
James non disse nulla. Si limitò a guardare storto la sua
controparte, cercando di non mostrare il proprio respiro affannato.
L’Altro sospirò.
«Allora, come spiegarlo?» chiese a se stesso,
cominciando a camminare in circolo intorno a James che non
staccò per un attimo gli occhi da lui. «Vedi, io
sono il cattivo, la tua parte malvagia! Esprimo tutto ciò
che c’è di negativo in te e… non fare
il santarellino! In fondo, sei un grandissimo stronzo! E sai come
faccio a saperlo? Perché io sono così! E, come
ben sai, è compito della parte malvagia cercare di prendere
il controllo del corpo».
«E perché?»
«Come perché?» esclamò
l’Altro. «Insomma, è un copione
già scritto. Tu sei il tizio normale, io emergo
dall’ombra e lottiamo finché uno dei due non viene
sconfitto. Funziona così».
«Quindi vuoi dirmi che lo fai solo perché
è quello che accade in tutte le storie?» chiese
James. «Vuoi essere “vittima del
destino”?»
L’Altro sbuffò.
«Oh, piantala con queste ciance da psicologo barra filosofo
fallito» disse, roteando in aria la spada. «Non
attacca. Io lo faccio perché è
divertente… e perché, in caso riuscissi, potrei
fare quello che mi pare con il nostro corpo e, in caso fallissi,
ritornerei comunque a essere la tua parte malvagia nascosta in un
angolo della tua coscienza, pronta a farti fare cose che non puoi
neanche immaginare» spiegò. Poi fece una smorfia
scettica, guardando il ragazzo. «E poi non ci credi neanche
tu a questa stronzata della vittima del destino».
James scrollò le spalle.
«Almeno ci ho provato» disse, per poi impugnare la
spada e scaraventarsi contro il nemico, pensando di prenderlo di
sorpresa. L’Altro roteò su se stesso e
mollò un calcio al fianco di James, che perse la spada e
finì in ginocchio. Prima che potesse rialzarsi,
l’Altro poggiò la lama sulla sua spalla,
bloccandolo.
«Be’, credo proprio di aver vinto questo round. E anche molto facilmente, direi» disse da dietro James.
«Dovrai allenarti di più se vuoi
battermi». L’Altro si chinò, avvicinando
la sua bocca all’orecchio del ragazzo e cominciando a
sussurrare. «Ma vuoi davvero vincere? Cosa avresti in cambio
di una vita di bontà e altruismo?»
La mente di James evocò subito l’immagine di Lily
che gli rideva mentre si trovavano a Hogsmeade. Era strano pensare che
solo un’ora prima stesse tranquillamente passeggiando per il
villaggio con la ragazza che amava.
«Ah, giusto, la bella Evans» sussurrò
l’Altro. «La stessa ragazza affascinante che, per
ben sei anni, ti ha rifiutato e insultato continuamente, ogni singolo
giorno».
Come se qualcuno gli avesse dato un pugno, il ricordo di ogni tentativo
fallito con Lily entrò con prepotenza nella sua testa, in un
collage d’immagini dolorose.
«La stessa che, ora, ha paura di te».
Arrivò poi l’ultima immagine che aveva di Lily,
non appena lo aveva risvegliato dopo il duello con Piton. Terrorizzata.
Non c’era altro modo per descriverla.
«E chi altri avresti?» fece poi l’Altro.
«Sirius, per caso? Il tuo fratello acquisito?»
L’Altro evocò nella sua mente l’evento
accaduto l’anno scorso. La peggior litigata mai avvenuta con
Sirius, tutto per la sua idiozia e la voglia di spaccare la faccia a
Piton. Remus era stato male per settimane e non gli aveva rivolto la
parola per quasi un mese.
«Oppure Remus, il ragazzo proveniente dal futuro che,
tuttavia, sembra non fidarsi abbastanza di voi da dirvi tutto quanto,
come chi sia questo Teddy».
Ci fu una sequenza d’immagini frammentate. Sguardi sfuggenti
di Remus, scambi di occhiate tristi fra lui e Dora, singhiozzi
provenienti dal bagno durante la notte.
«E c’è anche Peter, ma sai benissimo che
di lui non puoi fidarti».
L’immagine di uno spiraglio di luce, da cui proveniva
abbastanza distintamente il suono di Remus che minacciava il topo.
Aveva saputo che era stato lui a condannarli a morte.
«Poi ci sono anche le altre ragazze, ma quanto sai veramente
di loro? Certo, Emmeline l’hai conosciuta molto…
“approfonditamente” ma non si è mai
aperta a te… Non in senso figurato, almeno».
L’Altro rise. «Chi altro c’è?
Silente, forse? Ma sai quello che ha detto Remus, di quanto
può essere manipolatore quel vecchio bastardo. Poi? I tuoi
genitori? Quelli che ormai vedi solo la mattina e la sera,
d’estate, perché sono troppo occupati a lavorare
per occuparsi del loro unico figlio?» La sua voce si fece
immediatamente più bassa e cupa. E malvagia. «Sei
solo, James».
Così dicendo, l’Altro si drizzò,
brandì la spada e, con un colpo deciso, colpì il
collo di James, paralizzato dai pensieri, e facendolo scomparire in una
voluta di fumo bianco. Senza di lui, la stanza prese istantaneamente il
suo altro aspetto: un infinito corridoio di mattoni rossi, illuminati
di tanto in tanto da torce che facevano ben poca luce; era praticamente
tutto immerso nell’oscurità.
«Alla prossima, quattrocchi» disse
l’Altro, prima di far sparire la spada con un gesto secco
della mano.
Quando James aprì gli occhi, alzandosi a sedere
boccheggiando, la scena che gli si presentò davanti fu
piuttosto strana.
Charlus, Dorea e Madama Chips, intorno a lui, lo osservavano allibiti,
così come Evelyn, seduta sul letto accanto al suo con una
benda sulla spalla destra, e sua sorella. Remus, Sirius, Peter e Lily,
accanto alla porta, sembravano terrorizzati. Mary, invece, appariva
semplicemente preoccupata e allo stesso tempo incuriosita.
«Be’… salve» disse James,
ostentando un sorriso. «Come andiamo?»
Sirius esplose nella sua risata simile a un latrato.
*****
Più tardi…
La sfera di metallo era poggiata al centro della scrivania e
l’anziano mago teneva le mani sopra di essa. La sfera era
attraversata da motivi geometrici ed emanava un tenue bagliore azzurro.
«Cos’è?» chiese Remus, seduto
sul davanzale in pietra della finestra che dava sul parco. Dopo aver
avuto la certezza dell’incolumità di James si era
decisamente rabbonito, ma ancora non si fidava di Silente. Perlomeno
non gli urlava contro.
«Adesso vedrai» disse il professore. La luce
intorno alla sfera s’intensificò, diventando
sempre più abbagliante. Il colore ebbe poi un brusco
cambiamento, passando dal consueto azzurro delle Passaporte a
un’inquietante nero pece. La sfera si scompose, seguendo le
linee che costituivano le figure che, ora, roteavano in aria, senza
alcun legame palpabile fra loro, in orbita intorno a una massa oscura
ed evanescente. Silente prese da un cassetto della scrivania una fiala
di vetro e, con la bacchetta, guidò la sfera nera al suo
interno che si adattò al recipiente, come fosse liquida o
gassosa.
Il professore tappò la fiala e la sfera di metallo si
ricompose, atterrando con leggerezza sulla scrivania.
«Cos’è?» ripeté
Remus, avvicinandosi al tavolo, spinto dalla curiosità. Era
sicuro che Dora si sarebbe infuriata con se stessa per non aver
assistito a un evento così strano, ma era voluta rimanere
con la sorella in Infermeria.
«Durante l’attacco a Villa Potter, a
Godric’s Hollow, immediatamente prima di riportare indietro
Sirius e i Potter, questa sfera ha assorbito la magia Oscura, ed
estranea, che lo circondava, fungendo da magazzino per un campione da
esaminare».
«Un… Estrattore d’Essenza»
constatò Remus, che ancora stava elaborando la cosa.
«Esattamente» disse Silente, osservando con
attenzione l’energia che vorticava nella fiala.
«Fortunatamente, ho ancora qualche amico
nell’ufficio Misteri che può studiare la cosa. Se
gliela consegno ora, entro martedì dovremmo avere dei
risultati».
Remus sbuffò, scuotendo la testa.
«Quindi non ha mandato Sirius a Villa Potter solo per vedere
se, per caso, qualcuno avrebbe attaccato la casa, proprio come da
noi» disse, con la rabbia che lentamente tornava a prendere
il sopravvento. «L’ha sfruttato per prendere un
campione da analizzare. Proprio come un cane da riporto, eh? Gli dai la
palla e lui te la riporta con una sorpresina dentro».
«Remus, io ho dovuto…»
«La prego, stia zitto» lo interruppe Remus con tono
stanco. Girò le spalle al Preside e andò verso la
porta, poggiando una mano sulla maniglia.
«Una volta, lei ha detto che bisogna scegliere fra
ciò che è giusto e ciò che
è facile, me l’ha raccontato Harry»
disse Remus, senza voltarsi. «Be’, mi sembra che
lei abbia deciso per il facile, questa volta».
Aprì la porta e girò leggermente la testa.
«Questo mondo è più oscuro del nostro.
Marcio, direi. Non si lasci contagiare».
E si congedò.
*****
James chiuse gli occhi e abbandonò la testa sul cuscino.
I suoi genitori, dopo molte proteste, erano stati mandati via, ora che
era chiaramente fuori pericolo. Remus, Sirius e Peter se
n’erano andati da un po’, tornando di malincuore
nella Sala Comune, cacciati dalla rigida Infermiera. Fino a quel
momento, era rimasto a parlare con Lily. Ogni volta che la guardava,
gli ritornava in mente la sua espressione terrorizzata che gli aveva
mostrato l’Altro. Era come una tortura: gli piaceva averla
accanto, lo tranquillizzava, eppure gli bastava guardarle il viso per
sentirsi afflitto dai sensi di colpa e dalla preoccupazione, che gli
serravano il petto e gli bloccavano il respiro.
Rimanere da solo era quasi un sollievo.
Si sentiva stupido per ciò che provava e si ripeteva che era
tutta un’illusione mentale generata dall’Altro, che
gli faceva diffidare delle persone che aveva vicino, tanto da non
desiderare più la loro presenza.
Eppure, non ne era del tutto sicuro.
Sala Comune di Tassoverde
Ma buonsalve a tutti!
Bentornati con questo nuovo capitolo di The Storytellers,
che altro non è che la seconda parte del capitolo
precedente, poiché l'autore era troppo pigro per finirlo
tutto prima di pubblicarlo! Yeeee...
Okay, a parte gli scherzi, passiamo al capitolo (che, ovviamente, per
voi è la cosa più interessante... credo). Allora,
ricapitoliamo.
James incontra Harry nello stesso negozio della Apple in cui era andato
Silente poco tempo prima e aveva incontrato sempre lo Sfregiato (che,
evidentemente, è un cliente fisso). La spiegazione (teorie,
in realtà) del perché di questi incontri ci
sarà più avanti.
Contemporaneamente, Remus, incazzato come una bestia e senza pensare
alle conseguenze, vuole pestare a sangue la nostra cara prof-vampira,
seguito a breve distanza da Dora (che inciampa una volta sì
e l'altra pure) ed Evelyn (che è l'unica sfigata a farsi
male; a quanto pare il mio sadismo colpisce maggiormente i
più piccoli, quindi aspettatevi questa quattordicenne morta a
fine storia). Quest'ultima comincia a mostrare il suo lato inventivo,
che sfrutterò all'ennesima potenza già dal
prossimo capitolo.
Intanto, James ed Harry parlano del più e del meno, come se
salvare o no Regulus, se la prof ha viaggiato nel tempo o quale modello
di iPhone ha il miglior rapporto qualità-prezzo. Poi
svaniscono nel nulla come i cupcakes che erano nel mio frigorifero
l'altroieri. A Harry (per una volta) non succede un tubero, mentre
James si ritrova a combattere un duello all'ultima nuvoletta contro
l'Altro. Ovviamente perde (ma non prima che il caro malvagio di turno
gli abbia detto qualche sensuale parolina all'orecchio in modo molto
ambiguo) e si risveglia sul suo letto, per poi sparare la sua
battuttina del cazzo giornaliera.
La scena torna a Remus che, un po' più tardi, parla con
Silente e lo manda bellamente a farsi fottere. Go, Remus, go!
Poi di nuovo si torna a James, tanto che si va a pensare che sia lui il
vero protagonista della storia (e forse è così,
considerando che non c'è neanche un POV di Rem-Rem), che si
fa le sue pippe mentali prima di andare a letto, con problemi
filosofici tali che Platone & co. si sentono semplici
apprendisti e Foscolo si chiede se, alla fine, James sia più
sfigato di lui.
E così si conclude il capitolo... otto? O lo consideriamo
sempre come numero sette, dato che è una "parte due"? Sono
questi i drammi esistenziali, altro che "perché pagare
quando prelevo col bancomat".
Credo di aver concluso i deliri e passo ai ringraziamenti.
Questi vanno alle 11 persone che hanno messo la storia fra le
preferite, le 5 che l'hanno messa fra le ricordate e le (O.O) 40 che
l'hanno sistemata fra le seguite. Inoltre, ringrazio di nuovo Hoon21,
che mi segue fin dall'inizio, e Ma_AiLing, che è arrivata
più tardi ma pare anche lei piuttosto affezionata alla
storia (correggimi si sto scrivendo una boiata).
Ora, credo di aver decisamente finito.
Come al solito, vi invito a recensire (non chiedo poemi, solo piccoli
pareri), ché le recensioni fanno sempre molto piacere, e a segnalarmi
gli eventuali errori che non ho notato durante la revisione.
Alla prossima,
Hufflerin
EDIT: Come mi è stato fatto notare, Harry è clamorosamente OOC in questo capitolo. In effetti, avrei dovuto dare le dovute spiegazioni, ma preferivo lasciarle al prossimo capitolo (in cui, vi anticipo, ci sarà una breve scena ambientata nell'Universo d'Origine). Tuttavia, avrei dovuto prevedere che sarebbe stata una cavolata, per cui mi accingo a spiegarvi il perché di un Harry così particolare (probabilmente la spiegazione che sto per scrivere è identica a quella che inserirò nel capitolo, quindi siete liberi di leggere ora o di scegliere di aspettare un po' e riceverla dalla mente di uno dei personaggi).
A mio parere, Harry è riuscito a superare le morti di tutti coloro a cui voleva bene (a partire da Cedric in poi) solo con la volontà di sconfiggere una volta per tutte l'Oscuro Signore. Tuttavia, una volta ucciso Voldemort, Harry si è trovato da solo a dover affrontare tutte le morti della guerra, senza nulla che lo spingesse ad andare avanti, solo contro le morti di Sirius, Malocchio, Fred, Dobby e molti altri.
Ovviamente, Harry non è veramente solo ma le circostanze lo costringono a chiudersi in se stesso, a far emergere un altro lato di sé (quello cinico, pungente e diretto che avete potuto vedere) perché, se avesse mostrato la sua vera faccia, probabilmente sarebbe stato distrutto dal dolore che, al momento, si costringe a far uscire solo quando si trova in solitudine.
Per me è stato normale pensare che qualcuno, dopo un trauma del genere e senza (momentaneamente) nulla a cui aggrapparsi sia caduto nel baratro. Ha amici e una moltitudine di persone che gli vogliono bene, ma non riesce a vivere credendo di essere stato il responsabile della morte di tante persone. Per cui, non riuscendo a liberarsi del dolore, si è creato una nuova faccia che, tuttavia, chiunque conosca bene sa attraversare.
A un certo punto, comunque, tutti tornano in sé qualche modo e quindi ho pensato, seguendo la (poca) logica della mia fan fiction, e se fosse la speranza a fungere da interruttore per il ragazzo? La speranza che tutti i morti della guerra siano tornati in vita in un qualche universo, con le loro memorie e con la possibilità di ricominciare (non posso confermare che il Viaggio funzioni così, c'è ancora parecchia storia da narrare per scoprirlo).
La speranza, dopotutto, è l'unica cosa più forte della paura.
Ah, e un'altra cosa: il triangoletto comico delle Tonks più Lupin. Immagino che quasi tutti vi siate chiesti perché, in una situazione del genere, si scherza e si fanno battute. Be', questa è stata una decisione mia: non volevo che il capitolo fosse in qualche modo deprimente o fin troppo serioso (un po' va bene, ma con l'esagerazione si può arrivare anche ad annoiare, o almeno io la vedo così) quindi ho pensato di bilanciare un po' la cosa. Se, tuttavia, pensate che i personaggi siano OOC o che sia qualcosa di sostanzialmente inutile e/o scialbo, ditemelo e provvederò a modificare.
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Capitolo 10 *** Chapter VIII - Choose ***
«You
are one of the
most powerful of all the people I know
and you can use this power to spread the light or stop the
darkness»
«What would
the difference be?»
«You
[…] You can decide between being a messenger
or a soldier»
«And if I
don’t want to be neither?»
«Then you
wouldn’t be James Potter»
8. Choose
Bussano alla porta.
Mi rigiro nel letto, cercando di credere che sia tutto un sogno e che
non ci sia davvero qualcuno che bussa a questa dannatissima porta alle
tre del mattino.
Bussano di nuovo.
Insistenti, eh?
Non vedo chi potrebbe essere.
Ron è accanto a me e, dato il rumore che emette,
è decisamente addormentato.
Ginny e Harry stanno dormendo… più o meno.
Be’, in ogni caso credo che quei due abbiano altro da fare.
George non c’è, ormai vive da solo sopra al
negozio e si fa vedere solo di tanto in tanto. Fortuna che Ron gli
dà una mano, altrimenti non so cosa avrebbe potuto fare dopo
che… Fred…
Bill, Charlie e Percy non sono a casa.
Quindi potrebbero essere solo i signori Weasley, anche se mi stupisce
che ci sveglino a quest’ora. Dev’essere importante.
Questo è l’unico pensiero che mi spinge ad alzarmi
e abbandonare il comodo materasso che, mentre sono alzata,
verrà interamente occupato dal mio fidanzato. Mi trascino
verso la porta a passo lento, cercando di non andare a sbattere contro
uno spigolo.
BANG.
Ecco, appunto. Dannato e inutile comodino. Povero mignolo indifeso.
Saltellando e imprecando a mezza voce – inutile dire che Ron
si è limitato a russare con più forza –
raggiungo la porta e apro.
A quanto pare mi ero sbagliata.
«Harry» sussurro, preoccupata. La botta mi ha
svegliata completamente e la sua apparizione alle tre di notte mi ha
messa in allerta.
«Ciao» fa lui, un po’ timidamente.
Timido… era da tanto che non manifestava emozioni o stati
d’animo del genere. Cominciavo a credere che avessimo perso
quell’Harry Potter. «Posso parlarti?»
«Sì, certo» dico, uscendo dalla stanza e
chiudendomi la porta alle spalle. «Ti serve una cosa? Stai
bene?»
… Sì, è vero, magari mi preoccupo
troppo facilmente ma vorrei vedere voi al mio posto!
«Adesso» dice, guardandomi negli occhi.
«Ho solo bisogno di un parere dalla persona più
intelligente che conosca».
Ormai non arrossisco più come prima, quando lui o Ron
esprimevano certe perle in modi abbastanza imbarazzanti, ma devo
ammettere che rimango ancora piuttosto lusingata.
Annuisco.
«Dimmi tutto».
Harry si schiarisce la voce.
Il profumo del tè caldo sembra aver tolto una parte della
tensione. Una piccola parte. Una minuscola parte. Okay, non serve a
niente, però è buono.
«Allora» comincia. «Ricordi di quando ti
ho raccontato il mio incontro con Silente, quando sono…
morto?»
Trattengo un brivido.
Certo che lo ricordo. All’inizio, ero piuttosto scettica di
quello che mi aveva detto, credevo che il suo cervello, in seguito allo
shock, avesse creato una specie di “finto ricordo”,
in modo da placare una delle sue ansie: Silente era davvero
l’uomo che credeva che fosse?
Non sapevo neanche se fosse possibile qualcosa del genere, eppure mi
sembrava una spiegazione ragionevole.
Poi ho cominciato a crederci. Capivo che Harry non mentiva e la sua
versione – o meglio: la versione di Silente –
combaciava perfettamente con le prove che aveva elencato la Skeeter
nella sua orribile biografia. E, come tutti sappiamo, ciò
che c’è più ignoto è quello
che accade dopo la morte. Quindi, perché no?
Perché Harry non avrebbe potuto avere
un’esperienza di premorte, incontrando così
persone già spirate?
«Sì, me lo ricordo» rispondo.
«Ma, per favore, cerca di trovare un altro modo per
dirlo».
Harry fa un mezzo sorriso. Un sorriso sincero: è da un
secolo che non lo vedevo farne uno. Non so cosa sia successo per
spingerlo a venirmi a svegliare a quest’ora, ma se
è questo il risultato, allora ne sono felice.
«D’accordo, lasciamo stare questa parte»
dice. Poi prende un bel respiro prima di continuare. «Ci sono
tornato, in quel posto. Stanotte, mentre dormivo».
Eh?
«Eh?»
Harry ridacchia. «Nel posto in cui sono stato con Silente,
quella specie di versione bianca di King’s Cross, ci sono
tornato stanotte, nel sonno».
Sospiro, dispiaciuta. «Oh,
Harry…»
«Aspetta, lo so cosa stai per dire»
m’interrompe. «Ma aspetta di sentire tutto,
okay?» Annuisco, sconsolata. Sto già cercando un
modo gentile per dirgli che è stato solo un sogno.
«Questa volta non ho incontrato Silente… ho visto
mio padre».
«Tuo padre» ripeto io, chiudendo gli occhi per un
paio di secondi. Lui annuisce, come se fosse tutto normale. Ricordate
quando dicevo del fatto “non m’importa cosa gli sia
successo ma sono contenta”? Ecco, cancellate quella frase.
«Già, mio padre. James Potter… versione
diciassettenne».
Gli sorrido, non riuscendo a connettere.
«Come, scusa?»
«Ho incontrato mio padre a diciassette anni»
spiega. «Mi ha detto alcune cose, riguardo alla
possibilità che Silente, Remus e Tonks non siano…
morti, ecco».
Sospiro di nuovo.
Avrei dovuto immaginare che sarebbe successo qualcosa del genere: Harry
non riesce più a sopportare la morte di tutti i caduti in
guerra, così si è creato una spiegazione
alternativa. Sapevo che quella maschera di freddezza, sarcasmo e
distacco che si era creato non avrebbe retto per molto, ma speravo che,
in quel caso, avrebbe semplicemente accettato la cosa e sarebbe andato
avanti. Ma così…
So che è orribile, ma devo eliminare questo pensiero.
Rischia di farsi davvero del male… Se solo Ron fosse con
noi, potrebbe aiutarmi a convincerlo – o forse si
schiererebbe dalla parte di Harry, complicando solo le cose.
«Harry, mi dispiace davvero, ma li hai visti» dico,
tenendomi verso di lui da sopra le tazze del tè. Mi lancia
uno sguardo paziente che mi fa piuttosto alterare. «Sono
morti» proseguo, con forse un po’ troppa durezza.
«Li abbiamo sepolti, abbiamo partecipato ai loro funerali! Se
ne sono andati!»
«Quanto ne sai di Universi Paralleli?» la domanda
mi spiazza. È come se non avesse sentito una parola e la
cosa m’irrita abbastanza, ma decido di seguire il suo
discorso.
«Poco» ammetto. «So quello che sanno
tutte le persone cresciute tra i Babbani. So che qualche scienziato o
filosofo ha ipotizzato che il futuro cambia sempre e, per ogni scelta
che facciamo, nasce un altro universo, in cui si prende una scelta
diversa e il futuro cambia. In qualche teoria, questi universi hanno in
comune qualcosa, dei… Punti Fissi, eventi che devono
accadere obbligatoriamente» poi sbuffo. «Ma,
appunto, sono solo teorie».
«James… mio padre mi ha detto che loro tre,
Silente, Remus e Tonks, sanno di essere morti in questo universo, ma si
sono risvegliati in un altro mondo, nel 1977, un mondo in cui Remus e
Tonks hanno solo un anno di differenza e lei ha una sorella chiamata
Evelyn» dice, guardandomi negli occhi. Basta guardarlo per
vedere che ne è veramente convinto e la cosa mi fa
tentennare. «In quel mondo, Voldemort è solo un
commesso, da Magie Sinister per giunta, e la guerra non è
mai cominciata, anche se c’è molto più
razzismo verso i Nati Babbani. Inoltre, una vampira malata è
professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure e ha fatto qualcosa a mio
padre, creando una specie di… parte oscura che di tanto in
tanto prende il sopravvento».
Ho già detto “eh?”?
Annuisco, comprensiva.
«Harry, io te l’avevo detto che non avresti dovuto
accettare di fare da cavia per i nuovi prodotti dei Tiri
Vispi!»
Sbuffa. Okay, magari la battuta era un tantino fuori luogo. Che ci
posso fare? Ron mi ha deviata.
«Scusa, non dovevo» ammetto. «Ma devi
ammettere che la cosa è… strana a dir
poco».
«Lo so» replica. «Però questo
non vuol dire che sia impossibile. Mio padre mi ha detto di essersi
scontrato con Piton e di… essere caduto in una specie di
coma, o qualcosa del genere. Magari, non lo so, esiste una specie di
passaggio fra il nostro mondo e l’altro che ancora non si
è chiuso e, in certi casi, le persone di questi due universi
possono comunicare».
Lo guardo, immobile, mentre cerco di metabolizzare.
«Okaaay…» faccio, piuttosto insicura.
«La spiegazione potrebbe essere plausibile, in qualche strano
modo contorto in cui bisogna ignorare almeno un paio di leggi della
magia» ammetto. Più mi ripeto ciò che
ha detto, più divento confusa: sogno o no, è
difficile inventare qualcosa del genere per cui, almeno in minima
parte, c’è della verità. «Ma
rimangono comunque molte domande. Perché solo quei tre
sarebbero passati in quell’universo? Perché ci
sono stati quei cambiamenti? Perché una dannatissima
professoressa pluricentenaria vorrebbe, da un giorno
all’altro, generare la parte malvagia di uno
studente?»
Harry sospira.
«Queste sono le stesse domande che si fanno loro. Mio padre
mi ha detto che Remus e Silente hanno qualche ipotesi ma nulla di
concreto» spiega. «Per la parte dei cambiamenti,
però, non credo ci sia un modo preciso per capirlo: come hai
detto tu, dovrebbe bastare una sola decisione diversa da una sola
persona migliaia di anni fa per generare un mondo completamente
diverso. Ah, già, e sono dell’idea che anche la
professoressa potrebbe aver viaggiato».
«Capisco». Batto più volte le palpebre,
cercando di concentrarmi.
Comincio a credergli sempre di più e la cosa mi…
spaventa, credo. Ma è anche piuttosto eccitante ipotizzare
su certe cose… e sarebbe un vero sollievo sapere che dopo la
morte…
«Prendendo per buona l’idea che, dopo la morte,
ognuno torni in vita in un altro universo, prendendo il controllo del
corpo del proprio doppione, perché Remus, Silente e Tonks si
sono ritrovati nello stesso universo? E perché non
c’è un centinaio di persone che hanno viaggiato,
qui da noi? E perché c’è un…
distacco temporale fra le dimensioni? Non dovrebbero viaggiare tutte
sullo stesso tempo?»
«Non lo so, non lo so e non lo so» ammette Harry,
sconsolato, chinando la testa. «Hermione, io so solo quello
che mi è stato detto da mio padre. Puoi non crederci, ma
è la verità».
Prendo un respiro profondo. Non riesco a credere a ciò che
sto per dire, ma potrebbe essere la verità.
«Io ti credo» dico. «Ti credo
perché, qualsiasi cosa tu abbia visto stanotte, sei
cambiato» prova a chiedere di cosa sto parlando, ma lo fermo
prima. «Sai cosa intendo, di come sei diventato dopo la
guerra. Non eri più tu, ti comportavi in modo strano, freddo
e, lasciamelo dire, molto stupido. Ora, invece, sei tornato in te. Sei
tornato a essere l’Harry Potter che tutti apprezziamo e
abbiamo imparato a voler bene» mi fa un sorrisetto.
«Certo, non senza fatica, ma ci siamo riusciti»
sbuffa, sghignazzando. Poi assume uno sguardo triste.
«Questo non mi ha impedito di trattar male mio
padre» dice, sconsolato. Faccio una smorfia, intuendo cosa
vuole dire.
«Ti sei comportato come hai fatto durante questo mese,
vero?» chiedo, conoscendo già la risposta. Lui
annuisce ed io sospiro.
«Credo di averlo anche un po’ spaventato»
confessa. «Avresti dovuto vedere come mi
guardava…»
Ci sono un paio di minuti di silenzio in cui ci limitiamo a sorseggiare
il tè. Lo guardo di sottecchi e lo vedo perso nei suoi
pensieri.
«Magari ha capito» dico, un po’ incerta.
Lui alza gli occhi e inarca un sopracciglio.
«C’è Remus lì, no? Il nostro
Remus. Probabilmente tuo padre riferirà la cosa e Remus
intuirà il perché».
Harry annuisce, insicuro.
«Probabile» dice. «Ma avrei preferito
che… Be’, è inutile ripensarci, il
danno è fatto».
«Magari potrai riparlarci».
«Già, basta aspettare che uno dei due finisca in
coma nel prossimo duello mortale» sbuffa, sarcastico. Io
inarco le sopracciglia e lui mi lancia un’occhiata colpevole.
«Scusa, non volevo».
«Posso farti una domanda?» chiedo. Sorride
leggermente e, prima che possa aprire bocca, lo blocco.
«Fammi il giochetto del “me l’hai appena
fatta” e giuro che ti uccido, Harry Potter».
Il suo sorriso si fa più largo e annuisce.
«Magari Remus potrà intuirlo, ma io no. Posso
capire il tuo comportamento verso di noi e il resto del mondo e hai
tutte le ragioni per attraversare un periodo decisamente
“no”…» Sbuffa, come a dire
“e meno male”. «Ma perché hai
fatto così anche con tuo padre?»
Harry tentenna un attimo.
«Non mi fidavo pienamente» spiega. «Non
appena ci siamo visti, avevo capito subito che era lui e ho voluto
provare a vedere se era un incantesimo di un Mangiamorte, ingannandolo
un po’. Magari non è stato proprio educato, ma ho
preferito controllare». Annuisco: ha pienamente ragione.
«Be’, dopo essermi assicurato che non lo era
io… Non lo so, ma non riuscivo ad accettare quello che
vedevo. Ho visto lo spettro di mio padre solo un mese fa e…
la sola idea che, anche in un altro universo, ci fosse la
possibilità che lui sia vivo… avevo paura che mi
avrebbe fatto crollare. L’ho creduto quasi fino alla
fine».
«E invece?» chiedo. Voglio che parli, che si
sfoghi, che smetta di tenersi tutto dentro come ha fatto per tutto
questo tempo. Si è logorato dentro per tutto il tempo e ha
lasciato libere le sue emozioni solo quando credeva che nessuno lo
vedesse.
Era riuscito ad andare avanti per tutto il tempo solo con il pensiero
fisso della sua vendetta contro Voldemort. Ora non ha nulla che gli
occupi la mente abbastanza e il dolore di tutte le perdite gli si
è riversato addosso. Questo non vuol dire che per noi sia
facile, ma Harry è sempre stato nella convinzione che tutte
le cose brutte accadano per colpa sua.
Spero, e credo, che questo incontro serva per permettergli di andare
avanti. Voglio fare in modo che sia così.
«Invece… L’ho accettato» dice
semplicemente. «È vero, da noi un sacco di gente
è morta, ma chi lo sa che, in realtà, magari era
tutto previsto, che la morte di ogni singola persona è
servita perché, in un altro universo, c’era
bisogno di quell’individuo con quei ricordi? È un
po’ come traslocare: magari all’inizio si soffre
per ciò che ci si è lasciati alle spalle, ma poi
si capisce che è necessario per se stessi».
Okay, ammetto che la spiegazione mi ha lasciata piuttosto spiazzata e
che… non ci ho capito un tubo. So solo che ci stiamo
avvicinando sempre più all’argomento
“religione” e temo che incapperemo in una
discussione sulla fede alle tre e mezza di mattina. Ahia.
No, non devo pensare a certe cose! Al momento, la priorità
è un’altra!
«Be’, Harry, una cosa è certa»
dico, prendendogli una mano. «È bello riaverti
indietro».
Sorride, ricambiando la stretta.
Harry si chiuse la porta dietro di sé senza fare il minimo
rumore e, in punta di piedi, si avvicinò al letto, dove
vedeva il profilo della sua ragazza alzarsi e abbassarsi ritmicamente.
S’infilò nel letto.
«Sei sveglia, vero?» mormorò. Ginny si
girò verso di lui, con gli occhi semichiusi dal sonno.
«Cos’è successo?» chiese,
preoccupata, sfiorandogli il viso con una mano. «Stai
bene?»
Harry sorrise e le prese la mano con delicatezza.
«Sì, sto benissimo» disse. «Mi
serviva solo un consiglio».
«Hermione, eh?» sussurra lei, per poi fare un
piccolo sorrisetto. «La Signora dei Consigli».
Harry ridacchiò.
«Una volta l’ho chiamata così e mi ha
picchiato». Ginny fece una smorfia.
«Dovrò farle un discorsetto, allora»
disse, con il tono di qualcuno che sta lentamente ricadendo nel sonno.
«Solo io posso picchiarti».
«Verissimo» approvò lui.
«Vuoi raccontarmi quello vi siete detti?» chiese la
ragazza, nonostante la voce impastata implorasse tutt’altro.
«Te lo dirò domani» rispose lui,
poggiando le labbra su quelle di Ginny. «Ora dormi, o mi
ucciderai perché ti ho fatto dormire poco».
«Giusto» disse lei, sorridendo leggermente.
«Sai di tè».
E, dopo quell’ultima frase sconclusionata, si
addormentò profondamente. Harry la strinse a sé e
Ginny gli si accoccolò contro.
Quel momento era il più felice che Harry avesse passato da
tanto tempo.
*****
James era sdraiato sul morbido
materasso del suo letto nella Sala
Comune, con una lama di luce del primo pomeriggio che, filtrata dalla
finestra, lo riscaldava.
Era riuscito a liberarsi dal controllo morboso di Madama Chips
– Sirius era convinto che avesse usato la Maledizione
Imperius e anche Remus sembrava piuttosto propenso a quella
spiegazione, mentre James e Peter continuavano a ripetere che
l’Infermiera era cotta di lui – a patto che
rimanesse nella sua stanza e uscisse solo per i pasti. A lui la
situazione stava più che bene.
In quel periodo, dopo l’Incidente di Hogsmeade, come lo
chiamavano gli altri, preferiva di gran lunga rimanere da solo. In
effetti, sarebbe stato più normale rimanere in Infermeria,
ma James trovava quel posto troppo soffocante.
Erano quasi le due quando Remus entrò di colpo nella stanza,
correndo al proprio letto.
«Cosa ti sei dimenticato?» chiese James pigramente.
Ormai quel rituale si ripeteva ogni giorno: uno dei ragazzi, a turno,
dimenticava volutamente un libro nel Dormitorio e lo andava a
riprendere in fretta e furia. In realtà, era ben chiaro che
era solo un modo per tenerlo d’occhio.
Cosa credevano? Che avrebbe approfittato del primo momento da solo per
suicidarsi?
«Babbanologia» disse Remus, con il fiatone per la
corsa fino al Dormitorio, mentre cercava dentro il baule. «E
sto facendo anche tardi! Ma dove cazzo…?»
«Ma come siamo volgari» disse James, ridacchiando.
Si allungò verso il suo comodino, afferro il tomo e lo
lanciò con precisione sulla testa di Remus. «Ce
l’avevo io: mi avete sempre detto di farmi una cultura sui
Babbani, no?»
Remus prese il libro e, massaggiandosi la testa, si drizzò
in piedi, guardando storto il ragazzo disteso sul letto.
«Grazie» disse soltanto, prima di uscire dalla
stanza, non senza avergli prima lanciato un’ultima occhiata
indagatoria.
«Non c’è di che» disse James
alla porta chiusa. Rimase immobile qualche secondo, prima di decidersi
ad alzarsi. Mentre si dirigeva, barcollando, verso la finestra, giusto
per avere una visuale un po’ diversa, una fitta al fianco lo
costrinse a fermarsi. Alzò la maglietta, mostrando per
qualche secondo le candide fasciature che gli avvolgevano gli
addominali; il braccio destro era quasi interamente coperto allo stesso
modo, solo la mano era riuscita a salvarsi completamente dalle ferite.
Arrivò alla finestra e appoggiò la fronte sul
vetro.
Il cielo era limpido e il parco completamente illuminato. Il lago,
calmo, mandava mille riflessi e la Foresta emanava una sorta di aria di
tranquillità. James si ritrovò a desiderare di
correre nella Foresta come Ramoso; si sentiva stretto in quella camera,
anche se la riteneva, al momento, il luogo migliore in cui stare.
Il suo sguardo vagò in lungo e in largo sul paesaggio,
bramoso di libertà, e, alla fine, incrociò il suo
stesso riflesso. Si guardò per un secondo negli occhi e la
mano passò istintivamente sul sopracciglio sinistro, diviso
da un taglio verticale invisibile sul resto del volto. Gli occhi
nocciola erano contornati da profonde occhiaie. Non dormiva bene da
giorni.
«Già, chissà
perché» disse una voce sarcastica. James si
voltò quasi pigramente. Sul letto accanto a lui, vestito con
un completo e comodamente sdraiato, l’Altro teneva un libro
aperto davanti a sé e lo sfogliava con poca attenzione.
«Bah, Shakespeare» disse, lanciando il libro da una
parte. Il tomo toccò terra e scomparve nel nulla.
«Perché conosciamo questo Babbano?»
«Me ne avrà parlato Remus» rispose
James, con voce stanca. «Oppure l’avrò
sentito nominare da Lily».
«Già, ma questo non spiega perché
sappia che fa schifo» replicò l’Altro.
«Perché sei un bastardo razzista»
cantilenò James, chiudendo gli occhi, stanco ed esasperato.
L’Altro si batté una mano sulla fronte, come se
capisse qualcosa all’improvviso.
«Ah, giusto, che scemo!» disse, per poi fare una
smorfia. «Be’, vengo da te, per cui il risultato
non poteva essere chissà quale genio».
«Ti stai insultando da solo, lo sai vero?»
«Appunto!» esclamò l’Altro,
rizzandosi a sedere. «Questo conferma la mia tesi!»
James scosse la testa, indeciso se ridacchiare, piangere o tirare un
pugno a quell’essere irritante – che poi lo avrebbe
semplicemente trapassato: era una semplice, più o meno,
proiezione mentale.
«Ah, e per quanto riguarda la Rossa»
disse all’improvviso l’Altro, alzando tre dita
della mano destra e cominciando ad abbassarne una per volta.
«Uno… due… tre…»
Toc toc.
James si girò di scatto verso la porta proprio mentre Lily
chiedeva «Si può?»
Il ragazzo, incredulo e piuttosto confuso, disse
«Avanti» senza pensarci, rimpiangendo la sua parola
subito dopo.
«Disturbo?» chiese la ragazza, socchiudendo la
porta e facendo capolino all’interno.
«No, no, entra» fece James, cominciando a
preoccuparsi.
«Sono venuta a vedere come stavi» disse Lily,
richiudendosi la porta alle spalle. James fece una smorfia.
«Guarda, non serviva: Remus era qui poco fa proprio per
questo» sbuffò il ragazzo.
«Lo so» replicò la ragazza.
«Come so anche che sei stato piuttosto strano,
ultimamente».
James inarcò un sopracciglio.
«Sirius o Remus?» chiese semplicemente.
«Entrambi. E Peter» rispose lei. L’Altro
sbuffò.
«Topo del cazzo» ringhiò.
«Come se gli importasse qualcosa».
A James non era ancora ben chiara la personalità di questa
proiezione. Sicuramente era molto diverso da lui, quindi doveva per
forza, essere l’Altro, ma non aveva la malvagità
della sua parte oscura. Era un rompiscatole, ma non sembrava cattivo. A
volte si preoccupava perfino per come James veniva trattato.
«Sono in pensiero per te» disse Lily, preoccupata.
«E lo sono anch’io. Sono giorni che non ti fai
vedere».
«Sono agli arresti domiciliari, no?» fece James,
ironico. Lily aggrottò le sopracciglia.
«Già, ma dovresti anche scendere a mangiare, ogni
tanto» disse. James scrollò le spalle.
Lily inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla. James la
guardò.
«Che c’è?» chiese stancamente.
«Mi sto solo chiedendo cosa sia che ti fa isolare
così, dato che tu hai promesso di non tenere per te le cose
sull’Altro» disse Lily.
«Uffa» fece l’Altro in questione.
«Quand’è che vi deciderete a trovarmi un
nuovo nome? Che ne dite di Jack? Jerry? Jeffrey? Oh, va
bene… tutti d’accordo su John? Potrei essere John
Smith! Bel nome, molto anonimo… Sì, potrebbe
andare… Okay, d’ora in poi mi chiamo John
Smith!»
James non lo ascoltava neppure.
«Ci sono cose che devo tenere per me, soprattutto se
riguardano l’Altro» ribatté.
«John Smith».
«Capisco che tu voglia avere dei segreti, ed è
giusto così, ma se rivelarli a qualcuno servisse ad
aiutarti…» ribatté Lily, per poi
interrompersi un attimo. «Ogni volta che l’Altro
(«John Smith!») ha preso il controllo io
c’ero, ho visto il tuo lato peggiore e ti ho aiutato a
sopraffarlo».
«E quindi?» fece James, cominciando a irritarsi.
«Quindi, se la mia presenza può
aiutarti» disse Lily, alterandosi a sua volta.
«Voglio starti accanto».
«Certo, è vero, il fatto che ci fossi mi ha
salvato la vita e quella di tutta la scuola» ammise il
ragazzo, ora leggermente più ragionevole. «Ma se
la prossima volta non andasse bene? Se l’Altro
(«Che problemi avete con il nome “John
Smith”?») diventasse più potente? Se
riuscisse a prendere il controllo totale del mio corpo? E se tu fossi,
di nuovo, la persona più vicina?»
Lily sgranò gli occhi, sbalordita, e James
approfittò di quella pausa per continuare.
«Il solo fatto di starmi vicina, in questo momento, ti rende
la persona più in pericolo di tutto il castello e, se
proprio vuoi saperlo, non ho proprio intenzione di rischiare di farti
del male» disse, prima di sorpassarla e uscire di corsa da
dormitorio e Sala Comune.
Si ritrovò a vagare per una scuola semi-deserta, con tutti
gli studenti rinchiusi nelle aule a sgobbare come pazzi per seguire la
nuova spiegazione della McGranitt o per risolvere il nuovo compito di
Lumacorno. Incontrò solo un po’ di ragazzi del
sesto e del settimo anno, probabilmente, come Lily, con
un’ora buca che potevano sfruttare a loro piacimento: chi per
giocare e svagarsi, chi per studiare e portarsi avanti, chi per andare
a trovare amici posseduti. O, a quanto pareva, c’era anche
chi andava in giro con strani aggeggi.
Era immerso nell’ennesimo tentativo d’ignorare John
– ormai era costretto a chiamarlo così per cause
di forza maggiore – e i suoi discorsi su quanto fosse stato
stupido anche solo far entrare Lily nella stanza e su quanto fosse
stato delicato («Non è che tu sia proprio pieno di
savoir faire!») nel comunicarle che era stata
“licenziata” («Sarà mia
moglie, non la mia segretaria! Anzi, ormai non sarà nessuna
delle due!»), il tutto con un tono allegro e felice che
mandava James in bestia, quando la videro.
«… E quindi devo dire che preferirei mangiare una
confezione intera di Caccabombe piuttosto che far arrabbiare di nuovo
la Evans! Ehi, ma quella non è la nostra cara Tonks che
viene verso di noi?»
James si voltò, sorpreso. Evelyn Tonks camminava nel bel
mezzo del corridoio, tutta presa a osservare un cilindro
d’argento, dal diametro di circa un centimetro. James non
sapeva cosa ci fosse di speciale ma la ragazza ne era completamente
assorta tanto che, quando gli stava per finire addosso, dovette fare un
balzo di lato per evitarla. Il Grifondoro le si avvicinò e
le schioccò le dita un paio di volte davanti agli occhi.
Evelyn alzò lo sguardo, sorpresa.
«James!» disse. Poi aggrottò le
sopracciglia. «Non… non ti avevo
visto…»
«Ho notato» replicò il ragazzo, con un
sorriso divertito. Adorava quella ragazzina. «Mi stavi per
investire».
«Scusa» fece lei, anche se la sua testa sembrava da
un'altra parte. «Tu non dovresti essere segregato nella tua
stanza?»
«E tu non dovresti essere a lezione?»
«La Sinistra sta male, ho l’ora libera»
ribatté la Corvonero, per poi fare una smorfia.
«C’entra Lily?»
«Come cavolo…?»
«Direi di parlarne con calma da un’altra
parte» lo interruppe velocemente la ragazza. «Ci
vediamo nella Stanza delle Necessità fra cinque minuti,
okay? Così avremo un po’ di privacy».
Prima che il ragazzo potesse ribattere, Eve mostrò un largo
bracciale di cuoio che aveva intorno al braccio sinistro e ci
passò un dito sopra. Evelyn Tonks scomparve nel nulla.
James rimase a guardare il punto in cui era sparita, interdetto, e
anche John, per una volta, era stato completamente zittito.
«Sbaglio, o Evelyn è appena…
sparita?» chiese James, insicuro delle sue stesse parole.
«Si sarà Smaterializzata»
ipotizzò John, con molta poca convinzione.
«Non ci si può Smaterializzare a
Hogwarts» fece notare il Grifondoro.
Ci fu qualche istante di silenzio prima che John battesse le mani e si
girasse, cominciando a camminare.
«Si può sapere dove stai andando?»
«A incontrare Evelyn nella Stanza delle
Necessità» fece John, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo. «Ma ho parecchie domande da
farle, per cui mi servirebbe un bel corpo con un cervello e,
soprattutto, un bocca».
«Sai, mi stupirei di quel “bel”, se non
fosse che abbiamo lo stesso aspetto e ti sei fatto un complimento da
solo» ribatté James, ancora un po’
stordito da quanto era successo in meno di un’ora.
James si domandò come avrebbe fatto a far comparire la
Stanza quando ci fu ormai davanti: la porta era già apparsa,
anche se non era sicuro di come, e gli bastò spingerla
leggermente per entrare. Il ragazzo sgranò gli occhi.
«Ma che…?» fece, senza riuscire a
concludere la domanda.
La Stanza era veramente molto strana e la maggior parte degli oggetti
presenti… Be’, non sapeva nemmeno descriverli,
figuriamoci dargli un nome.
«Benvenuto, signor Potter! Scusa se prima me ne sono andata
in fretta, ma la durata della proiezione stava per terminare»
disse Evelyn, comparendo all’improvviso da dietro
un… qualcosa. «Coooomunque, benvenuto nel mio
laboratorio segreto! Fa molto “scienziata pazza”,
vero?»
«“Pazza” cosa?» chiese James,
confuso più che mai. Evelyn sbuffò, scuotendo la
testa e mormorando qualcosa che assomigliava a
«Purosangue».
James fece un paio di passi e si guardò meglio intorno. La
Stanza, o il “laboratorio segreto”, aveva preso una
forma circolare, fatta da mattoni di pietra rossiccia. Una stanza molto
anonima, in quella scuola, se non fosse stato per gli stranissimi
macchinari all’interno.
Al centro c’era un grande bancone, sempre di pietra e molto
simile a una specie di strano altare, circolare dal diametro di circa
tre metri con, nel mezzo, un grande tubo di vetro che correva fino al
soffitto e sembrava estendersi anche oltre, anche se non sapeva di
preciso cosa fosse, quell’“oltre”; nel
tubo, minuscoli granelli di qualcosa scorrevano dall’alto
verso il basso, come se qualcosa li stesse risucchiando. Il vetro aveva
un bagliore strano, color oro, che era l’unica fonte di luce
della stanza, ma, stranamente, non dava affatto fastidio guardarla
direttamente e tutto il Laboratorio risultava ben illuminato.
Il tubo era poi circondato da vari oggetti particolari, sistemati
apparentemente senza un ordine logico, fatta eccezione per quelli che,
grazie al poco che sapeva di Babbanologia, poteva chiamare
“schermi”. C’era una specie di
“bozzo”, una piccola cupola di pietra che sporgeva
dal bancone, proprio sotto a uno degli schermi che coronavano il tubo,
con una dozzina di fessure circolari e, in quella centrale, era
inserito il cilindro di metallo che la ragazza stava osservando prima;
sopra, lo schermo mostrava una sequenza di immagini molto rapidamente,
tutte molto famigliari: prati, rocce, muri, statue e così
via, tutti elementi presenti in quella scuola.
James girò intorno al bancone per vedere il resto.
C’era, a un certo punto, una rientranza rettangolare con
sopra il profilo di due mani; più avanti, un leggio con un
libro dalla copertina bianca e, quando lo aprì,
scoprì con sorpresa che le pagine erano altrettanto intonse;
poco accanto, una sfera di metallo era sospesa in aria, circondata da
una luce blu scuro; da lì in poi, il bancone era costellato
da vari attrezzi, comprese un paio di bacchette, e oggetti particolari:
c’era lo strano bracciale di cuoio che Evelyn aveva usato per
sparire nel nulla e, accanto a una bacchetta, un altro bracciale
ancora, ma molto più elaborato. James lo prese e lo
esaminò.
«Mettilo» gli disse Evelyn con un sorrisetto. Il
Grifondoro ubbidì e il bracciale si adattò
istantaneamente all’avambraccio, fasciandolo quasi
completamente; sotto, dal polso fino alla metà
dell’arto, c’era una specie di cilindro cavo di
metallo, aperto sul davanti.
«Mettici la bacchetta» disse ancora la ragazza.
James prese la sua arma di mogano e la inserì nella
cavità. Il cilindro si adattò istantaneamente
alla lunghezza e al diametro della bacchetta.
«Ora fletti il polso» ordinò Eve.
«Come? Così?» Evelyn non dovette
rispondere, poiché il bracciale fece proprio ciò
per cui era stato progettato: la bacchetta venne istantaneamente
espulsa verso l’esterno, dov’era puntato il braccio
del ragazzo che, sorpreso, riuscì ad afferrarla per un
soffio grazie ai riflessi da giocatore di Quidditch.
«Wow» disse James, sospirando dal sollievo, per poi
osservare meglio il bracciale. «Quindi serve
per…»
«Estrarre velocemente la bacchetta» disse Evelyn,
soddisfatta, mentre il Grifondoro inseriva di nuovo la bacchetta e
riprovava il gesto. John, anche se Eve non poteva vederlo, osservava
con curiosità l’oggetto. «È
un… accessorio da battaglia».
«E perché l’hai creato?»
chiese James, mentre cercava il tempismo giusto per bloccare la
bacchetta. Evelyn fece una smorfia triste.
«Ho capito che, contro la Mason, il fattore più
importante è la velocità»
spiegò, portandosi istintivamente una mano verso la spalla
che era stata ferita dalla donna. Poi si allungò sul bancone
e prese un oggetto, per mostrarlo al ragazzo. «È
per questo che sto migliorando…»
«L’Impalettatrice» concluse James con un
sorrisetto, osservando con attenzione la piccola pistola, ora
incompleta e con pezzi mancanti. «Remus me ne ha
parlato».
«Quindi Remus ti parla, eh?» chiese Eve con
noncuranza, risistemando la pistola sul tavolo. «E come mai
tu non parli a Remus?»
«Cos’è questa roba?» chiese
James, ignorandola e ritornando a esaminare da vicino il bancone e i
suoi schermi.
«È il mio Laboratorio, te l’ho detto.
Questa è la zona di creazione, l’altra
è quella di ricerca e il tubo in mezzo è il
Cuore» spiegò velocemente la ragazza.
«Quindi non parli con Remus, hai litigato con
Lily… Cosa c’è che non va?»
«Discusso, non litigato» disse in fretta il
Grifondoro, esaminando ciò che la ragazza aveva chiamato
“Cuore”. «A che serve questo?»
«Il Cuore assorbe Etere dall’universo e lo converte
in una forma utilizzabile dai miei macchinari» rispose
Evelyn. «C’entra qualcosa
l’Altro?»
«Forse» disse semplicemente il ragazzo.
«E quest’altra roba?»
«Facciamo così» lo bloccò
Eve. «Io ti spiego a cosa serve questa
“roba” e tu mi dici cosa sta succedendo».
James ci rifletté un attimo. Non aveva voglia di parlare di
John e di quello che gli stava accadendo nel cervello, ma la
curiosità era molto forte e forse, data
l’intelligenza della ragazza, avrebbe anche potuto dargli una
mano. Quindi, alla fine, accettò.
«Allora, cominciamo dal reparto creazione, che è
più semplice: in sostanza, uso i poteri della Stanza di
darmi qualsiasi cosa e i dati che ricavo dal reparto ricerche per
costruire oggetti utili, come l’Impalettatrice o quel
bracciale che, a proposito, ti regalo».
«Grazie» fece James, sorpreso, passandosi una mano
sul polso.
«Non c’è di che. Quest’altro,
invece, quello che ho usato per scomparire nel nulla, serve per
proiettare un’immagine fisica di una persona in un altro
luogo. Tecnicamente, non mi sono mai spostata da qui, hai solo visto un
mio… avatar, e mi hai beccato quasi alla fine del tempo
disponibile» spiegò la ragazza, per poi girare
intorno al bancone. «Ora, la sezione di ricerca,
partirò dalle cose più semplici:
questo» indicò la zona rettangolare con il profilo
di mani sopra. «è un Computer Mentale. In questo
periodo, non è che i computer Babbani siano un
granché, ma mi sono fatta dire da Dora come si sono evoluti
e ho creato il mio. Basta poggiare una mano e il sistema si connette al
tuo cervello e puoi esplorare mentalmente l’Archivio o
proiettare immagini sullo schermo o… altre cose a cui non ho
ancora pensato».
«Archivio?» chiese James, in parte felice di
constatare che la parola “computer” non gli era
completamente sconosciuta. Intanto John osservava con
curiosità la sfera di metallo. Evelyn si avvicinò
alla cupola di pietra che usciva dal bancone ed estrasse il cilindro di
metallo.
«Questo è un Archivio Portatile, in breve
“AP*”, con cui posso esaminare oggetti e inserire
ogni loro caratteristica nell’Archivio generale semplicemente
connettendolo qui» spiegò, indicando infine la
piccola cupola. «Così l’Archivio si
aggiorna e tutti gli AP che creerò, perché ne
voglio fare uno per ognuno di voi, avranno le stesse informazioni.
È per questo che lo schermo mostra tutte queste immagini:
l’Archivio è in aggiornamento».
«Ma a che servono gli AP se abbiamo delle
bacchette?» chiese James, dopo essere riuscito a crearsi una
visione abbastanza chiara di come funzionava la cosa.
«Le bacchette sono strumenti stupendi, James, ma gli AP ti
permettono di sapere se, magari, la pietra che hai davanti è
di un materiale sconosciuto o se non è affatto una pietra.
Ci sono mille modi per utilizzare gli AP, con un po’ di
ragionamento» spiegò pazientemente la ragazza.
«Capisco» fece James, anche se non era molto sicuro
di aver capito. «Continua».
«Poi c’è questo: un libro universale.
Poggia la tua mano sulla copertina, pensa al libro che stai cercando e
questo conterrà le stesse esatte parole» disse.
Sprizzava soddisfazione da tutti i pori. John provò a posare
la mano sul Computer Mentale, per poi cominciare a maledire la sua
incorporeità. «Al momento, però, non ce
ne sono molti nell’Archivio ma ho spedito una minuscola sonda
invisibile a esaminare ogni singolo libro nella Biblioteca. Entro
domattina, avrò tutti i tomi di quella prigione polverosa,
compresi quelli del Reparto Proibito».
James fece un fischio d’ammirazione. «E la
sfera?»
«Serve a prendere campioni di magia»
spiegò Eve. «L’ha creata Silente e Remus
me l’ha descritta, io l’ho solo…
migliorata».
James fu tentato di prenderla e osservarla meglio, ma quel bagliore blu
gli fece ritenere che, probabilmente, non sarebbe stata una buona idea.
«Adesso tocca a me» fece Evelyn e James, seppur a
malincuore, annuì. La ragazza si concentrò un
attimo e una serie di divanetti azzurri si generò lungo le
pareti della stanza. Evelyn si sedette sopra uno a gambe incrociate e
James la seguì.
«Cosa vuoi sapere?» chiese lui. “Via il
dente, via il dolore”.
«Comincia da quando sei… entrato in coma, e non
escludere i particolari» disse.
James cominciò quindi a parlare di dove era finito e di come
avesse incontrato suo figlio. Gli raccontò di ciò
di cui avevano parlato e di come Harry gli era sembrato così
freddo e distante, facendolo arrivare a chiedersi se fosse davvero suo
figlio e se gli volesse bene, in qualche modo. La frase finale del
ragazzo con gli occhi verdi, prima di tornare nel suo mondo, era stata
una specie di ancora di salvezza.
Poi passò a raccontare del suo incontro con
l’Altro e del loro duello… e di ciò che
gli aveva detto. Gli disse che poi, come ora, aveva cominciato a
vederlo, una proiezione della sua mente invisibile agli altri, con un
carattere più irritante che malvagio e che voleva essere
chiamato John Smith, al momento.
«James» fece la ragazza, posandogli una mano sulla
spalla. «Remus, Sirius, Dora e gli altri mi hanno detto che
ti stai isolando. Perché?»
James sospirò.
«Perché John ha ragione» disse.
«No che non ha ragione!» esclamò la
ragazza, indignata. «Tu non sei solo, James!»
«So di non essere solo, ma non so di chi posso fidarmi e a
chi posso stare vicino senza metterla in pericolo»
replicò il ragazzo. Evelyn notò l’uso
del femminile.
«È di questo che hai parlato con Lily,
vero?» chiese. James annuì, abbassando gli occhi.
«Le ho detto che… è meglio se mi stia
lontana perché, la prossima volta che l’Altro
prenderà il sopravvento, potrei non riuscire a
fermarlo» disse. Evelyn sospiro, prima di alzarsi di scatto
ed estrarre l’AP dall’Archivio generale.
Puntò un’estremità verso il ragazzo e
si concentrò un po’. La punta
s’illuminò della stessa luce dorata
dell’Etere presente nel Cuore. Poi Eve rigirò
l’AP e dall’altra estremità si
sprigionò una specie di finestrella di luce blu;
all’interno, c’era il disegno del profilo di un
corpo umano, con l’interno colorato completamente di rosso.
«Questa è la tua potenza magica, James»
spiegò la ragazza. «I colori per identificare la
potenza di un mago vanno dal bianco al rosso in modo crescente. Penso
sia facile capire che più si avvicina al rosso e
più il mago è potente. Ci sono pochissime persone
nella scuola con questo livello e ancora di meno sono
professori».
James, seppur in parte compiaciuto, era di un’altra idea.
«La potenza sarà così alta
perché l’Altro aumenta di molto il
livello» ribatté.
«Sono riuscita a ottenere un campione di magia Oscura
– non chiedermi come, non vuoi saperlo – e
l’ho isolata dal tuo corpo. Questi sono i tuoi parametri
naturali».
James osservò il disegno, interdetto, prima di dire un
semplice: «Non fa differenza».
Evelyn aveva l’aria volergli staccare la testa a morsi.
«James, questo è uno scontro fra luce e
oscurità, il più antico e importante di tutti,
che accade sia all’esterno sia all’interno di una
persona. Ogni giorno, ogni secondo, queste due forze lottano fra loro,
cercando di sovrastarsi benché sappiano che, per non far
crollare l’universo, ci deve essere un equilibrio fra queste.
A meno che nel frattempo io non mi sia persa qualcosa, parteggiamo per
la luce, e sono sempre le persone con grande potenza e coraggio che
riescono a far avanzare l’una o l’altra
forza» spiegò la ragazza.
«L’oscurità si è presa un bel
vantaggio, e per questo abbiamo bisogno di queste persone potenti e
coraggiose».
«Bel discorso filosofico, ma non vedo
come…»
«Tu sei una delle persone più potenti che conosca
e puoi usare questo potere per diffondere la luce o fermare
l’oscurità».
«Dove sarebbe la differenza?»
«In te. Puoi decidere se provare un qualche modo pacifico e
cauto per far allontanare l’oscurità, un modo
sicuro ma molto lento, o combattere per ciò a cui tieni
davvero e mostrare di che pasta sei fatto» disse Eve.
«Puoi decidere se essere un messaggero o un
soldato».
«E se non volessi essere nessuno dei due?»
«Allora non saresti James Potter».
«Che intendi dire?» chiese, aggrottando le
sopracciglia e allontanandosi impercettibilmente dalla ragazza. Quelle
parole erano strane. Profonde, sì, ma molto strane.
«Che ti conosco da una vita» disse lei, accennando
un sorrisetto. «E so come sei fatto. Sei un idiota testardo e
orgoglioso, non scapperesti mai da un pericolo o da un nemico, lo
affronteresti senza pensarci un attimo».
«Quindi ti chiedi solo “come” lo
affronterò» concluse il ragazzo, cominciando
leggermente ad alterarsi. La giornata non sembrava essere molto rosea.
«È bello sapere che vieni considerato prevedibile
e stupido».
James scosse la testa e si alzò, diretto verso la porta, ed
Eve lo bloccò in fretta, prendendogli la mano e
costringendolo a voltarsi.
«Senti, mi dispiace, mi sono espressa nel modo
sbagliato» disse la Corvonero. «Volevo solo dire
che tu hai bisogno di noi, di qualcuno che ti stia accanto, e noi tutti
abbiamo bisogno di te».
Poi gli lasciò la mano. Dopo qualche istante James si
voltò nuovamente e, a passo lento, si diresse verso la
porta, la aprì e si fermò un attimo.
«Sarebbe bello se tutto tornasse com’era prima,
vero? Prima dell’Altro e prima della Mason» chiese,
un po’ malinconico.
«Sarebbe bello anche solo dimenticarlo»
ribatté tristemente Evelyn.
James se ne andò e la ragazza tornò a lavorare
sul modo migliore per uccidere un vampiro.
*****
Marlene rideva come una matta e Dora la seguiva a ruota.
Erano appena uscite dalla Sala Grande, dove Sirius e James, per
festeggiare la loro riappacificazione – veloce e repentina,
tanto che neanche le due sapevano che i Malandrini erano tornati
– avevano riempito alcuni palloncini di una sostanza di loro
invenzione per poi renderli trasparenti. Quando era stato il momento
opportuno, i palloncini erano esplosi sopra tutta la Casa di
Serpeverde, i cui studenti si erano ritrovati a subire gli effetti di
diverse fatture contemporaneamente, creando numerose combinazioni e
diversi effetti collaterali.
Ovviamente, i Malandrini non erano stati accusati di nulla –
e credevano che sotto ci fosse lo zampino di Silente – ma
tutti sapevano che erano stati loro. Era stato bello rivederli di nuovo
in attività e, soprattutto, insieme.
«Hai visto come faceva quell’idiota di
Harrison?» chiese Marlene fra le lacrime. Dora rise ancora,
annuendo con forza e facendo scoppiare a ridere anche l’altra
ragazza.
*****
«Ehi, James» disse la ragazza quando gli fu
accanto. «Per quello che è successo oggi, io
volevo dirti che…»
James le poso un dito sulle labbra, sorridendo.
«Non devi dire nulla» mormorò il
ragazzo, per poi stringerla a sé. «Ti
amo».
Sentì il battito di Lily interrompersi per un attimo.
«Anch’io» sussurrò lei.
«Allora spero mi capirai» fece di rimando James, la
voce rotta dalle lacrime. Prima che Lily potesse spostarsi, James
fletté il polso, impugnò la bacchetta e la punto
sulla tempia della Rossa.
Oblivion.
James le lasciò un bacio sulla testa prima di allontanarsi
da lei e schioccarle le dita davanti al volto, risvegliandola dal
leggero stato catatonico che si creava immediatamente dopo
l’Incantesimo della Memoria. James prese
all’istante il sorriso da Malandrino e fece scomparire le
lacrime, mentre Lily batteva le palpebre, confusa.
«Tutto a posto, Evans?» chiese il ragazzo,
sghignazzando.
«Che diamine è successo?» fece lei,
guardandolo storto.
«Non so, mi stavi sgridando su quanto orribile e ingiusto
fosse lo scherzo che, sottolineo, non ho fatto, quando hai deciso di
farti un sonnellino» spiegò il ragazzo.
«Ora: ti andrebbe di venire a Hogsmeade con me?»
Lily sospirò stancamente.
«Vaffanculo, Potter» disse, per poi voltarsi e
andarsene per la sua strada.
*****
Dora non si trattenne. Uscì dall’angolo in cui
erano nascoste lei e Marlene e si diresse verso James. Quando li
avevano visti parlare in quel modo si erano incuriosite e, anche per
non interrompere, erano rimaste ad ascoltare. Ad ascoltare tutto.
Batté una mano sulla spalla del ragazzo e aspettò
che si girasse per mollargli un cazzotto, facendolo indietreggiare di
un paio di passi.
Lui sgranò gli occhi, sorpreso.
«Sei un coglione» disse, per poi dirigersi verso la
Sala Comune di Grifondoro. Sperava di fare una specie di uscita di
scena trionfale, ma prese una storta e per poco non cadde. Questo,
più la rabbia per ciò che aveva appena visto,
tinse i suoi capelli di una tonalità molto accesa di rosso.
Marlene fu subito al suo fianco.
«Dove stai andando?» chiese, allibita da
ciò che era appena successo.
«Dagli altri» rispose l’Auror.
«Meglio spiegargli quello che è successo prima che
prendano Lily per pazza».
*****
«Dai, Sirius, piantala!» rise Mary, mentre il suo
ragazzo la conduceva, o meglio “trascinava”, lungo
la riva del lago. Ovviamente era tardi ed entrambi avrebbero dovuto
essere in Sala Comune, ma a nessuno dei due importava.
«C’è una cosa che voglio farti vedere e
non riuscirai a farmi cambiare idea!» disse lui, con la sua
risata caratteristica.
«E come pensi di convincermi a seguirti?» chiese la
ragazza, decisa. Sirius la prese per le mani e la fece avvicinare a se,
per poi stamparle un bacio sulle labbra. «No,
niente… Ma forse, con un altro bacio…»
Sirius rise e seguì il consiglio della fidanzata, che
cedette e si fece portare verso la Foresta Proibita.
«Dobbiamo entrare lì dentro?» chiese.
Non le era mai piaciuto molto, quel posto, così come i
Sotterranei; era leggermente claustrofobica.
Sirius fece spallucce.
«Solo per una dozzina di metri, nulla di che»
disse. Mary annuì e seguì il giovane Black nella
vegetazione. Si fermarono dopo pochi passi. «Ecco,
guarda».
Sirius si avvicinò a un particolare albero dal fusto molto
largo e avvicinò il dito alla corteccia. La mano venne
bloccata a circa mezzo centimetro dal legno, impossibilitato a toccarlo
da una specie di barriera invisibile.
Anche Mary si avvicinò e premette il palmo sulla barriera.
«Che strano» disse, osservando la sua mano separata
dal tronco solo dall’aria.
«Che forza!» fece invece Sirius, con un sorriso
malandrino sulla bocca che contagiò anche la ragazza.
«Secondo te cos’è?» chiese,
curiosa e divertita.
«Non lo so, ma voglio scoprirlo».
*****
Qualcuno bussò alla porta.
«Avanti» disse la professoressa.
Regulus Black entrò nella stanza.
«Hanno trovato il nascondiglio» disse, chiaro e
diretto.
La Mason inarcò un sopracciglio.
«E la cosa ti crea problemi?» chiese.
«Affatto, credo che invece renda tutto molto più
divertente» sul volto di Regulus si aprì un ghigno
molto poco alla Black.
La Mason sorrise a sua volta.
«Allora non preoccuparti, troverò un modo per non
permettere a Silente di fare alcunché» ordinò la
donna.
Regulus annuì e uscì dalla stanza.
La Mason prese poi il suo bacile di pietra e osservò di
nuovo nel liquido rosso e denso. Al suo interno, James, nel suo
Dormitorio, che dormiva nel suo baldacchino.
«Povero James» disse. «Se solo sapessi
che la sofferenza che ti sei provocato è totalmente
inutile…»
Poi, seguendo un impulso improvviso, immerse un dito nel liquido e se
ne portò un po’ alle labbra, assaggiandolo.
Sorrise e risistemò il bacile al proprio posto.
Regulus camminava verso i Sotterranei con un sorriso soddisfatto. Da
una tasca interna della divisa estrasse una fiaschetta
d’argento e bevve qualche sorso. Poi guardò fuori
dalla finestra, verso la luna.
«Ci vediamo, lupetto».
*La pronuncia è, ovviamente, all’inglese.
Sala Comune di Tassoverde
... ... Si può? È permesso? O rischio il linciaggio?
Lo so, comparire dopo quasi un mese e con un capitolo così
breve e insulso è quasi un crimine penale. Credo di
rischiare il carcere. Ma voi siete buoni e carini ed eviterete di
denunciarmi alle autorità competenti (?), giusto?
Su, siate buoni e caritatevoli per un povero ragazzo che non ha potuto
aggiornare perché è stato male per quest'ultima
settimana!
Okay, direi di superare la parte del patetico e passare a
ciò che è veramente importante (sì,
nei miei sogni): il capitolo.
Con questo siamo arrivati a dieci tondi tondi. Dieci. Oddio mi sento
male. Allora, che dite, è ora di eliminare la scritta di
possibilità di OOC o mi sono giocato la chance?
Come avete visto, ho inserito la spiegazione dello strano comportamento
di Harry nel suo dialogo con Hermione e nei pensieri della suddetta
(è stato carino scrivere il suo POV, ma non credo si
ripeteranno scene nel "nostro" mondo) che, tuttavia, credo di aver
espresso meglio nella parte aggiunta alla fine delle Note del capitolo
precedente. Ho tentato di ricreare abbastanza fedelmente anche il
carattere della nostra secchiona preferita (intelligente e comprensiva,
ora diventata un po' più divertente per la sua relazione con
Ron e il suo carattere realista, dopo tutto ciò che ha
passato, è un po' più aperto - almeno io la
immagino così, una Hermione post-guerra). Secondo voi
è azzeccata?
James, poi, ho provato a mostrarvelo sotto una luce diversa: ora, con
la minaccia reale di un essere malvagio e orribile che altro non
è che se stesso che incombe sui suoi amici e su Lily, non
riesce più a essere l'allegro Malandrino, ottimista e
spensierato. Credo che si avvicinerà più a
sembrare l'Harry de L'Ordine
della Fenice - o almeno ho provato a renderlo
così, il verdetto è sempre vostro.
Evelyn, invece, è simpatica, allegra e intelligente, ma
anche molto saggia e profonda per i suoi quindici anni <-
Novità: per motivi di trama (che saprete solo fra
mooooooooolto tempo) ho promosso questa ragazza al Quinto Anno,
cercando di modificare, nei capitoli precedenti, ogni cenno alla sua
età... ma sono sicuro di aver tralasciato qualcosa.
Come avrete notato, molte cose apparse in questo capitolo sono ispirati a cose provenienti da altri universi (nel senso di storie): il Laboratorio è chiaramente ispirato al TARDIS, ma vi giuro che non viaggerà nel tempo e nello spazio, così come l'AP è ispirato al cacciavite sonico, entrambi presenti in Doctor Who; il bracciale per estrarre velocemente la bacchetta, è una vecchia idea ispirata alla Lama Celata degli Assassini in Assassin's Creed. Dopotutto, fa sempre comodo avere un'arma così a portata di mano, no?!
Per il resto, ovvero le battute finali... Be', vedrete al prossimo
capitolo (sì, purtroppo per voi ci sarà).
Ora, direi di passare ai ringraziamenti.
Ringrazio le 13 persone che hanno inserito la storia fra le preferite,
le 6 che l'hanno messa fra le ricordate e le 42 che l'hanno sistemata
fra le seguite. Vi ringrazio veramente tanto per non avermi abbandonato!
Ringrazio i lettori silenziosi che, wow, sono davvero tanti, e mi fa
piacere vedere quanta gente è interessata a questa stronzata.
Ringrazio, infine ma soprattutto, coloro che hanno scritto le 35
fantastiche recensioni di questa fan fiction, soprattutto Hoon21, che
non ne manca una, NewShadow, che ha recensito l'ultimo capitolo, e
Ma_AiLing, che nonostante non abbia potuto recensire mi ha comunque
dato un suo parere.
Detto questo, v'invito a recensire, o comunque a lasciarmi un vostro
parere, perché mi aiuta a migliorare e rendere la vostra
lettura più gradevole. Mi scuso ancora per aver scritto
così poco in così tanto tempo e spero di riuscire
a far di meglio con il prossimo capitolo.
Alla prossima,
Hufflerin
P.S.: Non so se avete notato, ma sia nel Prologo che nelle mie Bio
potete trovare il banner con il titolo della fan fiction (creato con
Word, in quanto non sono un grafico, anche perché il mio pc
photoshop non lo regge).
P.P.S.: Che dite, vi piace il piccolo dialogo all'inizio del capitolo?
Dovrei inserirlo anche negli altri o meglio lasciar perdere?
|
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Capitolo 11 *** Chapter IX - When ***
«Here lies the beauty of travel between Universes: you. You who have traveled are among the most powerful beings in the… Well, in the Universe. That’s what Mason wants, destroy all of you, sparking a war. The Storytellers’ War»
9. When
Il camino scoppietta allegramente, in barba all’atmosfera
cupa che si è creata in Sala Comune. È circa
mezzanotte, ormai quasi tutti sono andati a dormire dato che domani
c’è lezione, e noi Grifondoro del settimo anno
– esclusi James e Lily per ovvie ragioni –, in
compagnia di Dora, Marlene ed Evelyn – rimasta ignorando le
proteste della sorella –, siamo raccolti intorno al fuoco,
pensierosi e tristi.
Dora ha appena finito di raccontare ciò che ha visto e la
rabbia, evidente all’inizio, è lentamente sfumata,
sostituita dalla malinconia. Credo che tutti ci stiamo facendo la
stessa domanda: “E adesso?”.
Dire ogni cosa a Lily è fuori discussione: se non ci
crederà, ci prenderà per pazzi, se invece la
convinceremo, si trasformerà in una copia della Mason e
staccherò a morsi la testa di James. Benché per
alcuni la seconda ipotesi sembri abbastanza allettante, si è
capito che molto probabilmente a realizzarsi sarebbe la prima.
«Perché l’ha fatto?» chiede
Sirius, abbandonato su un divano accanto a Mary. Al ritorno della loro
“scampagnata serale” ci avevano trovato ad
aspettarli con espressioni quasi più tristi di quelle che
abbiamo adesso. Aveva subito esclamato un «io non ho fatto
niente» ma poi aveva capito che il
“colpevole”, questa volta, era il suo fratello
acquisito.
«Perché è un idiota» risponde
Emmeline con ferocia. In parte la capisco. È arrabbiata
perché, d’ora in poi, sarà costretta ad
avere segreti con la sua migliore amica e a dover misurare le parole
ogni volta che sarà a portata d’orecchio,
costretta a vedere Lily all’oscuro di tutto. Certo,
è quello che accadrà un po’ a tutti
noi, ma per Emmeline, per il suo “stato” e per come
vanno le cose in quest’universo, la questione è un
po’ più complessa.
In parte, però, capisco anche James, e mi viene quasi
naturale difenderlo.
«No, perché è disperato»
ribatto. Ricordo con tristezza il giorno in cui ero fuggito dopo aver
scoperto che Dora era incinta, terrorizzato dall’idea di aver
trasmesso a mio figlio la maledizione. Quello era il giorno in cui ero
diventato veramente in debito con Harry.
Fortunatamente, sembra che per Dora sia acqua passata ma io me ne
vergogno ancora.
«Questo non esclude che sia un idiota» replica mia
moglie, secca. Okay, magari non è proprio acqua passata.
Arrossendo leggermente, guardo le fiamme, cercando di pensare a
qualcosa che non sia la mia colossale codardia, magari a qualcosa di
utile. Attirato da un leggero movimento, poi, alzo un po’ lo
sguardo e i miei occhi s’incontrano con quelli di Evelyn che,
come a disagio, cercava di trovare una posizione più comoda
con cui sedersi. Lei distoglie quasi subito lo sguardo, ma faccio in
tempo a vedere quello che sembra senso di colpa. Qualsiasi cosa sia,
non sembra volerne parlare, per cui non faccio domande.
«Quindi che facciamo?» chiede infine Peter. Mi
trattengo dallo staccargli la testa, come ogni volta che apre bocca.
«Andiamo a letto, immagino» dice Sirius, alzandosi.
«Ma non abbiamo ancora deciso nulla!» protesta
Emmeline alzandosi a sua volta.
«Già, e continueremo a non decidere
nulla» replica Sirius, riuscendo a rimanere calmo.
Dev’essere un grande sforzo, per lui così
impulsivo, non rispondere a tono. «Non stasera, perlomeno.
Prima dovremo parlare con James e Lily, cercando di capire tutti i
dettagli e poi
potremo decidere qualcosa!»
«Già» fa lei. «Facile parlare
con loro, quando uno t’ignora da una settimana e con
l’altra devi stare attenta a non dire troppo, altrimenti
finisce che ti prende per pazza».
«Ehi, ehi!» esclama subito Sirius. «Non
ho detto nulla riguardo al “facile”, ma non mi
sembra che abbiamo altre possibilità
e…».
«Oh, falla finita Sirius» sbotta Emmeline,
esasperata e arrabbiata allo stesso tempo, uscendo in fretta dal buco
del ritratto.
Sembra che Sirius stia per dire qualcosa, ma Mary gli poggia una mano
sulla spalla.
«Non te la prendere e lascia fare a me» dice solo,
prima di seguire l’amica fuori dalla Sala Comune.
Sirius si gira, lanciandoci un’occhiata stralunata.
Molti di noi fanno spallucce, compreso io, confusi quanto lui, ma
è Alice che ci dice, semplicemente, che Emmeline ha
recentemente avuto «un bel po’ di casini per le
mani», rifiutandosi di spiegarsi meglio.
«So che sembra assurdo, ma penso che Sirius abbia
ragione» dice Frank, per poi sbadigliare. «E credo
che sia inutile continuare così, finiremo solo per
addormentarci qui sotto».
Molti, nella scuola, pensano che Frank sia, come dire,
“inutile”, il Grifondoro del settimo anno che non
è riuscito a entrare nel gruppo dei Malandrini. Invece non
è affatto così. Frank ha una grande
abilità nei discorsi: ha una voce calma e gentile e, quando
parla, qualunque cosa dica ti senti immediatamente d’accordo
con lui. Ora che ne ha parlato, infatti, mi sembra di essere travolto
improvvisamente dal sonno, tanto che comincio a sbadigliare. Anche gli
altri non sono rimasti immuni dalla “magia” del
ragazzo e alcuni si stropicciano gli occhi.
Nessuno di noi aveva dubbi che sarebbe diventato un diplomatico o che,
perlomeno, avrebbe lavorato al Wizengamot o in un posto simile. Invece
era diventato Auror e, in effetti, anche uno dei più bravi.
Ormai la pensiamo tutti come lui e cominciamo a salutarci. Poso un
bacio sulle labbra di Dora, prima che lei esca insieme a Marlene ed
Evelyn, che insiste a voler accompagnare fino in Sala Comune. Io,
Sirius, Peter e Frank andiamo in Dormitorio con gli occhi che ci si
chiudono.
Quando apriamo la porta, ci gettiamo quasi subito sui letti e solo la
nostra – al momento poca – forza di
volontà ci permette di metterci il pigiama. Quando sento uno
strano rumore, anche se molto leggero, provenire dal letto di James,
però, mi blocco all’improvviso.
Alzo lo sguardo verso le tende del baldacchino, ancora chiuse, e poi
verso i miei amici. Solo Sirius incontra i miei occhi, e aggrotta le
sopracciglia, preoccupato.
Scuoto la testa, facendogli segno di non intervenire.
Sirius assume un’espressione fra lo sconvolto e
l’irritato.
«Diamogli tempo»
dico, senza emettere alcun suono. Sirius sembra irritarsi di
più e sta per ribattere. «Domani»
aggiungo. Le sue labbra diventano linee sottili ma, alla fine, annuisce
e riprende a cambiarsi, un po’ più violentemente
di prima.
Probabilmente l’istinto di Sirius era di andare a parlare con
James, di consolarlo e capirlo. Ma, per esperienza, so bene che tutto
ciò che vuole James al momento è stare da solo a
pensare. Ed io intendo accontentarlo, per quanto sia stato stupido il
suo gesto. Per parlare c’è tempo.
*****
Mary aprì la porta dell’aula vuota e se la
richiuse alle spalle.
Era uno spazio piuttosto angusto, con i banchi e le sedie accatastate
un po’ ovunque. Tende scure e polverose impedivano alla
maggior parte della luce di entrare. La Luna entrava solo da una
finestra, illuminando un tavolo con due dita di polvere su cui, a gambe
incrociate, era seduta Emmeline, in mano una bottiglia di Whiskey
Incendiario.
«Dove l’hai presa quella?» chiese Mary,
avvicinandosi alla ragazza.
Emmeline bevve un sorso, prima di chinarsi e, da sotto il tavolo,
estrarre una cassa di legno che poso accanto a lei con
facilità, nonostante sembrasse pesare parecchio.
«È da anni che i Corvonero nascondono qui le loro
riserve» disse. Prese una bottiglia da una cassa e la
lanciò a Mary, che la afferrò al volo, la
aprì e bevve a sua volta. Non immaginava che quei Corvi
tanto perfettini nascondessero certi tesori, ma dovette convenire che
anche loro dovevano pur svagarsi, di tanto in tanto.*
Rimasero per un po’ in silenzio, sorseggiando di tanto in
tanto l’alcolico.
«Allora, qual è il problema?» chiese
infine la bionda. Emmeline scrollò le spalle.
«Dai, parla».
«Oggi è l’anniversario» disse
la ragazza, a testa china. Mary annuì. Sinceramente, aveva
creduto che sarebbe stato più difficile farla parlare, ma
l’alcol probabilmente aveva aiutato. «Lo sai
com’è oggi. Tutti gli anni, è sempre
così. Non riesco a reggerlo. E adesso ci si è
messo anche James con questa storia della memoria, e Sirius che si
mette a difenderlo e…».
«Non è solo questo» disse Mary,
osservandola attentamente. Chiunque l’avesse conosciuta per
così tanto tempo l’avrebbe capito, ma Mary captava
anche i piccoli segnali del corpo dell’amica. Uno sguardo
sfuggente, occhi umidi, dita che tamburellano nervosamente sulla
bottiglia, poggiata sul bordo delle labbra, o sul tavolo. Per molti,
cose come queste non significano niente. Come pezzi di un puzzle che
vengono ignorati quasi da tutti, ma che i più attenti
capiscono come incastrare fra loro. E Mary era brava, con i puzzle.
«Cos’altro c’è?».
Emmeline la guardò, sgranando gli occhi, poi abbassandoli
velocemente. Sembrava molto triste e, anche se Mary non riusciva a
capire il perché, anche un po’ imbarazzata.
«Ultimamente» disse Emmeline, prendendo poi un
altro sorso. «Ultimamente ho incontrato spesso il fratello di
Sirius».
«Regulus?» chiese Mary, aggrottando le sopracciglia
con sospetto e abbassando la bottiglia. «Che vuole?»
«Non lo so» rispose Emmeline con
sincerità. «Ogni volta che mi si avvicina mi dice
qualche frase strana. Mi passa accanto e dice qualcosa, per poi
andarsene subito come se niente fosse. All’inizio la cosa
m’incuriosiva e m’infastidiva. Adesso la cosa sta
diventando molto inquietante».
«Cosa ti dice?» chiese la bionda, drizzando la
schiena e le orecchie. Regulus era oscuro come la famiglia come lo
aveva cresciuto ed evitava ogni contatto con i Grifondoro o con suo
fratello. La cosa le puzzava.
«Dipende. Prima erano frasi brevi, insulti… Poi ha
cominciato a dire cose molto più…
oscure».
«Emmeline» fece Mary, posando la bottiglia,
prendendo con delicatezza i polsi dell’amica e costringendola
a guardarla. «Per favore, dimmi esattamente cosa ti ha
detto».
Emmeline la guardò, un po’ sorpresa, ma poi
dovette capire che era importante, perché la assecondo. O
forse pensava solo che fosse pazza. O ubriaca. O entrambe le cose.
«Le prime volte in cui l’ho incrociato ha detto
cose come “Sanguesporco” o
“intrusa”. O anche “tic tac”.
Ecco, sì, “tic tac” l’ha
ripetuto un po’ di volte» riferì la
ragazza.
«Poi?»
«Adesso è passato a frasi come “il
serpente è libero”, “il fuoco sta
divampando”, “avremo la nostra
guerra”… E oggi ho ricevuto questo».
Emmeline spostò una mano tremante nella tasca e ne estrasse
un piccolo biglietto rettangolare, che diede all’amica.
«Non ho prove che sia di Regulus,
però…»
Mary lesse, il contenuto scritto in una calligrafia bella e ordinata, e
rabbrividì…
Tic tac
Il Serpente apre gli
occhi e il suo volere si compie
Quando il sangue degli
intrusi la nera pietra bagna
Tic tac
I tentacoli del Caos
avanzano nelle tenebre
Quando il sangue degli
intrusi la nera pietra bagna
Tic tac
La scintilla si accende
e la Guerra dei Narratori inizia
Quando il sangue degli
intrusi la nera pietra bagna
Tic tac
Oggi
Il sangue degli intrusi
la nera pietra bagna
Tic tac
… quando capì che quella strana cantilena era un
messaggio a metà fra un avvertimento e una minaccia. Un
messaggio per Emmeline. Un messaggio per i Sanguesporco.
Eppure, per Mary c’era qualcosa di strano, che andava al di
là delle lettere scritte con inchiostro vermiglio.
«Non credo sia di Regulus» disse infine. Emmeline
alzò gli occhi, sorpresa. «Regulus, seppur un
bastardo, non è scemo. Non ha manie di protagonismo. Se
davvero volesse farti del male, non manderebbe di certo un biglietto
del genere. Qualcun altro deve averlo scritto».
«Non esserne così sicura» disse
Emmeline. «È una delle Serpi peggiori
e…»
«Emmeline, ne sono certa» replicò Mary.
«Regulus non scriverebbe una cosa del genere».
«Allora le bionde non sono così stupide come si
dice» esclamò una voce. Mary si girò
all’istante, con la bacchetta sguainata, mentre Emmeline
scendeva dal tavolo e si guardava intorno, preoccupata. Di chi avesse
parlato, non c’era traccia.
Poi, dall’ombra, emerse una figura. Era come se
l’oscurità fosse in realtà una specie
di strana nebbia, che allungava i suoi tentacoli contorti per formare
una figura umanoide prima abbozzata e poi completa. Regulus Black era
davanti a loro, con un ghigno che non faceva presagire nulla di buono.
«Da quanto tempo hai quest’aspetto?»
chiese Mary, cercando di mantenere la calma. Il ghigno del ragazzo si
allargò.
«Cinque giorni» rispose. «Non molto, a
dire il vero, ma Apophis ha trovato un modo per farmi entrare da poco.
E pensare che sarei dovuto arrivare poco prima di Natale, invece sono
già qui! Questo significa che posso divertirmi di
più! Ovviamente, voi mi farete compagnia».
Mary stava per ribattere ma le sembrò di vedere qualcosa con
la coda dell’occhio. Si girò lentamente, incerta
e, ora poteva benissimo ammetterlo, spaventata. Riuscì a
mala pena a vedere le ombre compattarsi in un essere, un essere dotato
di artigli, prima di venir colpita alla testa. Mary cadde a terra e,
prima di perdere i sensi, riuscì solo a sentire la voce
ilare del falso Regulus che ripeteva, come in una tetra cantilena,
“tic tac”.
*****
So di star sognando. Ne sono certo. L’ultima cosa che ricordo
è di essermi messo sotto le coperte e, pensando a quanto
successo e pieno di preoccupazione per la luna piena ormai vicina, sono
sprofondato nel sonno.
Eppure sono qui. In piedi, sulle rive del lago di Hogwarts, di notte.
Indosso una leggera camicia bianca e un paio di jeans, eppure non sento
freddo; altra prova per la tesi del sogno. Mi guardo intorno con
attenzione e capisco che, seppur simile, non è la stessa
riva che conosco io: la spiaggia è troppo sabbiosa e grandi
massi di pietra nera escono dal terreno, il castello si vede nel mezzo
di una leggera nebbia, ma è troppo lontano rispetto alla sua
vera posizione, così come per la Foresta Proibita.
«Dove sono?» sussurro. So che è strano
parlare da soli ad alta voce, ma, se questa è la mia testa,
non credo che qualcuno mi farà problemi.
«Nel Mondo di Mezzo» risponde qualcuno. Mi giro di
scatto, portando una mano nella tasca della bacchetta e scoprendo con
sollievo che ce l’ho. Davanti a me, a pochi metri di
distanza, trovo James che mi osserva, in piedi. O meglio,
all’inizio credo sia James, ma capisco all’istante
di essere in presenza dell’Altro. Giacca e cravatta, niente
occhiali… manca solo un bel ghigno malefico. Invece la sua
espressione è molto seria.
«Questo è un luogo situato fra i vari Universi, un
punto che impedisce ai mondi di entrare in contatto» spiega,
pacifico. In un paio di passi è accanto a me. Penso di
essere in pericolo ma non mi sembra che l’Altro abbia cattive
intenzioni. Guarda il lago, aggrottando le sopracciglia. «Il
suo aspetto varia a seconda di chi ci si trova all’interno.
Di solito, quando sono solo, diventa un labirinto di pietra infinito,
chiuso nell’oscurità. Con noi due insieme, invece,
l’oscurità rimane, ma il Mondo diventa
più ampio e triste, piuttosto che chiuso e
minaccioso». Sorride leggermente, come ricordando qualcosa.
«Invece, basta che anche James sia presente per rendere tutto
di un bianco accecante. Quel ragazzo è una forza».
«Pensavo odiassi James» replico, mentre la mia
mente cerca di elaborare la cosa. Il fatto che ci stia riuscendo mi
rende quasi più spaventato di quanto non lo fossi
nell’ignoranza. Devo averne passate parecchie, per riuscire a
capire anche queste cose.
L’Altro fa spallucce.
«Non posso odiare ciò che mi dà
potenza» spiega. «Se lui non esistesse, lo stesso
varrebbe per me. Ovviamente è valido anche il
contrario». Poi si gira verso di me e prende un tono
cospiratorio. «Però non dirgli che te
l’ho detto, potrebbe montarsi la testa!».
Sinceramente non ho capito un accidente di quello che ha detto,
però annuisco lo stesso, cercando di assecondare il matto.
Lui ridacchia, come se capisse cosa penso.
«E comunque chiamami John» dice. «John
Smith».
Inarco un sopracciglio.
«Okay, John» dico. «Immagino che
però tu non mi abbia portato qui per farmi incontrare
Pocahontas, giusto?».
Lui non sembra capire. Giusto, stesso cervello di James, stessa
conoscenza da Purosangue. Comunque decide di ignorare la cosa e andare
avanti.
«Ti ho portato qui perché voglio
aiutarvi» dice, guardandomi negli occhi. Le iridi nocciola
hanno una strana luce. «C’è in corso un
piano, un piano per uccidervi tutti. Lo stesso piano che mi ha creato e
che ora ha trovato un altro modo per generare la Guerra».
Faccio un passo indietro, stordito.
«Di che stai parlando?» chiedo.
«Vi siete chiesti perché la Mason è
qui, giusto? Perché si comporta in questo modo,
perché mi ha generato dall’oscurità di
James. Fa tutto parte di un piano, un piano fra lei e un'altra persona
che si fa chiamare Apophis, come il Serpente del Caos della mitologia
egizia» spiega. «Questo piano è molto
articolato e in corso da secoli. La Mason ci lavora da quasi tutta la
vita, da quando…»
«Da quando è tornata» concludo, come
folgorato. In effetti, l’idea mi era ronzata in testa, ma non
ero mai stato completamente sicuro. Ora, invece, John sembra suggerire
proprio questo.
Annuisce.
«Non mi hai chiesto cosa accadrebbe se i Mondi di Mezzo non
esistessero» dice. Non capisco il nesso, ma cerco di seguire
il suo discorso. «Gli Universi si toccherebbero e ci sarebbe
un passaggio fra questi. Potresti pensare che non è poi una
cosa tremenda, poter viaggiare in tutti gli Universi, ma sbaglieresti
di molto: gli Universi, prima o poi, tenderanno a sovrapporsi, a
cercare di sopprimere l’altro perché
l’esistenza di due versioni degli stessi eventi è
qualcosa di inconcepibile, che va contro il naturale ordine delle cose.
Tuttavia, ci sono momenti in cui i Mondi di Mezzo spariscono e, per un
breve periodo, tutti gli Universi si toccano. Questi momenti si
chiamano Punti Fissi, momenti che devono obbligatoriamente accadere nel
tempo, identici in ogni Universo. Certo, ovviamente esistono le
differenze: per esempio, in una guerra potrebbero esserci venti soldati
in un Universo e diciannove in un altro; queste piccole differenze
fanno sì che gli Universi non si fondano completamente.
Passato il Punto Fisso, gli Universi tornano a separarsi completamente.
Tuttavia, talvolta può accadere che qualcuno, di solito
persone che hanno perso la vita in questi Punti, rimangano intrappolati
nei Mondi di Mezzo che, non potendo contenere le loro entità
– puramente umane –, spediscono queste persone in
universi diversi da quello di origine – per evitare
paradossi. Di solito, se una persona è stata già
trasferita da un Universo all’altro, le persone dopo di lui
tendono a seguire la “scia” lasciata».
«Frena, frena, frena!» esclamo, disorientato e
sopraffatto dalle notizie. «Lasciami elaborare. Allora, Noi
– io, Silente, Dora e anche la Mason a quanto pare
– siamo qui perché siamo morti in uno di questi
Punti Fissi».
John annuisce.
«La Battaglia di Hogwarts e gli avvenimenti della Seconda
Guerra Magica sono Punti Fissi» conferma. «E ti
ricordi quando è morta la Mason?»
Ci penso, cercando di ricordare. Poi mi viene in mente.
La professoressa Sarah Mason, vampira e pazza assassina part-time, era
morta in duello contro Silente il 17 luglio 1980, durante la
cosiddetta..
«Durante la Strage di Edimburgo**» rispondo. Il
duello era stato violentissimo e si era svolto nel bel mezzo della
città. Silente aveva ovviamente cercato di proteggere i
cittadini, ma la Mason non risparmiava colpi. Trecentonovantaquattro
civili morti. La Mason distrutta dall’esplosione di una
piccola fabbrica tessile in cui Silente, in un gesto disperato al
limite dell’immorale, l’aveva rinchiusa con
centinaia di incantesimi di difesa e protezione; era stato
l’Ardemonio a mettere fine all’esistenza della
vampira. Silente, quel giorno, aveva dimostrato a tutti la sua potenza
e quanto poteva essere spietato contro i veri malvagi.
L’evento, tuttavia, sembrava dare troppo potere al mago,
così il Ministero aveva deciso di insabbiare tutto; solo in
pochi seppero cos’era successo. E i membri
dell’Ordine della Fenice – nuova e vecchia
– erano fra questi.
John annuisce.
«Un altro Punto Fisso» conferma.
Questo mi fa sorgere spontanea un’idea. Se i Punti Fissi
devono accadere obbligatoriamente in tutti gli Universi,
allora…
«Moriremo» dico. Credo che in questo caso dovrei
essere spaventato, ma mi sento soprattutto… deluso. Deluso,
sì. Perché credevo di poter avere una nuova vita.
Effettivamente, tutti questi problemi che sono sorti in poche settimane
dovevano farmi intuire qualcosa.
«Come scusa?» chiede lui, confuso. Non so
perché ma mi sento improvvisamente arrabbiato con lui.
«Moriremo» ripeto, stringendo una mano intorno a
una bacchetta. «Se i Punti Fissi devono avvenire in ogni
mondo, allora vorrà dire che la Mason morirà di
nuovo nel 1980, Silente nel 1997 ed io e Dora nel 1998».
John fa un piccolo ghigno.
«Qui sta il bello dei viaggi fra gli Universi: voi. Voi che
avete viaggiato siete fra gli esseri più potenti
del… Be’, dell’Universo» dice.
«È questo quello che vuole la Mason, eliminarvi
tutti, scatenando una guerra. La Guerra dei Narratori!».
«I Narratori?»
«È così che chiama le persone che hanno
viaggiato, persone che conoscono la propria Storia e che possono
riscriverla».
«Frena! Hai detto che i Punti Fissi devono accadere in modo
uguale in tutti gli Universi!».
John storce la bocca.
«Sì, be’, “uguale”
è un concetto piuttosto relativo in questa
realtà. La Strage di Edimburgo ci sarà,
così come la Seconda Guerra Magica, che in questo caso
immagino sarà la Prima, ma le cose potrebbero andare in modo
piuttosto diverso… Nel senso che potrebbero morire altre
persone piuttosto che alcune. Le vite, per l’Universo, sono
tutte uguali, una vale l’altra. Questa volta, per esempio,
potrebbe andarsene un Mangiamorte, al posto tuo, oppure potresti non
partecipare affatto ed essere sostituito da qualcun altro».
Okay, sono piuttosto confuso, ma cerco di venirci a capo.
La Guerra contro Voldemort ci sarà. Il combattimento con la
Mason anche. Tuttavia, le cose potrebbero cambiare.
Io potrei non morire. La stessa cosa per Dora. Ma qualcuno prenderebbe
di sicuro il nostro posto; buono o cattivo, questo non ci è
dato saperlo.
La Mason potrebbe non morire. E Silente potrebbe prendere il suo posto.
E di quelle trecentonovantaquattro vittime innocenti… Chi
saranno questa volta? Le stesse persone del nostro Universo? O altre?
Dato che la Mason sta creando tutto questo scompiglio, ci saranno altre
persone a combattere? La Strage di Edimburgo si trasformerà
nella Guerra dei Narratori?
Narratori…
Io, Dora, Silente e la Mason. È questo che siamo. Anomalie
nella natura, esseri che non dovrebbero esistere. Persone che conoscono
il loro futuro e che possono modificarlo a loro piacimento.
Ma perché noi?
Prima che riesca a chiederlo, John mi risponde. Credo proprio che mi
legga nel pensiero.
«Non so di preciso perché vengano scelte certe
persone per viaggiare, credo ci siano delle determinate condizioni che
nemmeno la Mason ha ancora compreso» spiega. Poi, ancora una
volta prima che riesca ad aprire bocca, continua: «Tuttavia,
la differenza temporale fra un Universo e l’altro, invece,
è facile da spiegare: dipende dal contatto fra gli Universi
durante i Punti Fissi. Più gli Universi sono uniti, minore
sarà la differenza di tempo fra la partenza e
l’arrivo di un viaggiatore. Siete stati fortunati: il
contatto durante la Seconda Guerra era piuttosto ampio, così
siete tornati indietro solo di una ventina d’anni. Se fosse
stato più stretto, avreste potuto attraversare anche mezzo
secolo e… Be’, non so cosa succeda in questo
caso».
Rabbrividisco.
Quindi è questa la spiegazione di tutto? Siamo morti e
risorti… per puro culo? Mi sembra quasi
incredibile… Ciò mi fa venire in mente qualcosa
che mi sarei dovuto chiedere molto prima.
«Perché dovrei fidarmi di te?» chiedo,
indietreggiando di mezzo passo. «Sei la parte malvagia di
James, giusto? Perché dovresti voler aiutarci?».
John sbuffa in modo esasperato.
«Allora, vedrò di spiegarlo in termini
semplici!». Sarebbe la prima volta. «Io sono il
piano A: estrarre la parte malvagia di James e…
Be’, onestamente, non conosco tutto il piano, ma so che
comprende anche questo. Tuttavia, hanno iniziato questo
piano B, in cui vogliono scatenare questa Guerra dei Narratori, fra voi
e… altra gente che ha trovato in quest’Universo,
non ho idea di chi siano. Adesso, però, sembra che il piano
B stia diventando quello A. Ergo: niente party per John!
Comprendi?».
In effetti, la spiegazione non fa una grinza.
Da quanto ho capito, quindi, dovremo affrontare battaglie contro dei
Narratori sconosciuti perché la Mason ha ordinato il nostro
sterminio. Se falliamo… Be’, sappiamo tutti come
finisce. Se vinciamo, i cattivi torneranno al piano A e ci dovremo
scontrare con John. Non so perché, ma credo che
dovrò rimandare le vacanze che avevo mentalmente programmato
per me e Dora.
«Tu come sai tutto questo?» chiedo infine. John si
batte l’indice sulla tempia.
«Ho una specie di contatto telepatico con la vecchia
stronza» dice. Poi batte le mani. «Ora, direi che
la conferenza è finita e ti ho detto tutto, quindi ti
rimando nel tuo mondo dolce e carino con l’augurio di fare il
culo a vampiri e a esseri d’ombra».
«A esseri di
che?» chiedo, sconvolto. Lui fa un sorriso a
trentadue denti.
«Vedi di non morire troppo presto, okay?» fa John,
per poi mollarmi un pugno in piena faccia.
Mi risveglio nel mio letto. È mattina e il sole filtra tra
le tende. Ho dormito a lungo, credo, ma mi sento stanchissimo lo
stesso. Credo che, per la prima volta in assoluto, Remus Lupin
salterà le lezioni per motivi non-a causa di forze maggiori.
L’unica cosa che riesco a fare è allargare le
braccia, chiudere gli occhi e mormorare: «Sei uno stronzo,
John».
Inaspettatamente, mi arriva una voce.
«Completamente d’accordo» dice James. Lo
localizzo dopo qualche istante: è sdraiato a terra, con la
faccia spiaccicata sul pavimento, con Sirius seduto sulla sua schiena.
Mi guardo intorno: Peter e Frank non ci sono.
«Idem» fa Sirius, con una smorfia amara. Ho come
l’impressione di non essere stato l’unico ad aver
sognato tizi in giacca e cravatta.
*****
Mary dovette battere più volte le palpebre prima di riuscire
a vedere bene. Provò ad alzarsi a sedere ma i capogiri le
fecero capire che non era una buona idea, quindi si limitò a
guardarsi intorno da supina.
Come aveva potuto capire anche dal duro pavimento, il luogo in cui si
trovava era completamente fatto di pietra. Una grotta. Probabilmente
sottoterra. Non appena ebbe formulato l’ultimo pensiero, a
Mary cominciarono a fischiare leggermente le orecchie e le si
accelerò il respiro. Dovette chiudere gli occhi per un
po’, concentrando i propri pensieri su
qualcos’altro, per rilassarsi.
Tentando nuovamente la sorte, provò a puntellarsi sui gomiti
per alzare leggermente la propria visuale. Fortunatamente, malgrado
l’aggiunta della claustrofobia, riuscì ad alzarsi
un po’. Si trovava sotto un fascio di luce che proveniva da
un buco sul soffitto, luce che sembrava venire direttamente
dall’esterno. La cosa la rasserenò un
po’, ma la sua parte realista prese il sopravvento: la luce
era quella di mezzogiorno e, nonostante fosse svenuta, sapeva benissimo
di non aver dormito tutto quel tempo. Probabilmente, era solo magia,
anche se lo scopo non le era ancora chiaro.
Dopo un paio di minuti, e molta fatica, Mary riuscì
finalmente ad alzarsi in piedi, sebbene fosse ancora piuttosto
barcollante. Nonostante il cono di luce le nascondesse gran parte della
visuale, rendendo tutto molto più buio
all’esterno, riuscì a intuire che la grotta la
circondava in una specie di semisfera, con un unico tunnel che
sprofondava nell’oscurità completa. Infine, un
leggero movimento percepito con la coda dell’occhio la
attirò. Era stato una specie di riflesso, qualcosa che si
muoveva e brillava leggermente per la luce, un liquido probabilmente.
Il solo pensiero di acqua le fece pizzicare la gola di una sete che
prima non credeva di avere, spingendola a dirigersi senza esitare verso
quella pozza che aveva notato per puro caso, in quel buio. Non appena
ebbe immerso la mano, però, si ritirò
all’istante sotto la luce, e non solo perché
quella non era acqua ma un liquido denso e nero che puzzava tremendamente,
ma anche per il freddo che l’aveva attaccata non appena era
uscita nell’oscurità. Era, per lei, come se fosse
stata pizzicata contemporaneamente e da tutte le direzioni da minuscoli
insetti. E, considerato lo stato dei suoi vestiti, forse non era
proprio un’idiozia.
Non aveva fatto caso al proprio abbigliamento, dato che aveva ben altro
a cui pensare, ed era sicura di avere addosso gli abiti della sera
precedente. Invece, la morbida felpa che indossava era sparita nel
nulla e maglietta e jeans erano coperti di strappi; alcuni, anche
considerando i graffi che aveva sulla pelle, erano probabilmente
provocati dallo sfregamento sulla roccia – segno che qualcuno
doveva averla portata lì facendola strisciare a terra
– ma altri sembravano proprio provocati da piccoli morsi.
«Fico» mormorò la ragazza, con ironia,
cercando di smorzare la tensione. «Sottoterra, al buio, con
il petrolio al posto dell’acqua, con minuscoli piranha
nell’aria e (si esaminò le tasche dei
jeans)… perfetto, anche senza bacchetta! Come potrebbe
andare peggio?».
La risposta le arrivò tramite un urlo di dolore che le fece
gelare il sangue nelle vene. Sapeva benissimo di chi era la voce, ma
soppresse l’istinto di urlare il suo nome, nella vana
speranza di essersi sbagliata. Qualcuno le aveva rapite per uno scopo
ben preciso e ora stava facendo del male a Emmeline per un qualche
malato motivo. Non era stupida, aveva capito che il far credere al
rapitore di essere ancora svenuta avrebbe aumentato abbastanza le
probabilità di sopravvivenza. Così si
limitò a mordersi la lingua e a ficcarsi le unghie nei palmi
fino a farli sanguinare, mentre il lamento di Emmeline continuava a
echeggiare nei tunnel. Sperava che quell’orrendo suono si
fermasse, ma qualcuno sembrava non essere d’accordo e
l’urlo le entrò nella testa e le
avvelenò la mente.
Lacrime amare cominciarono a sgorgare dai suoi occhi mentre cadeva in
ginocchio e si premeva le mani sulle orecchie, cercando di attenuare
l’urlo.
Poi sentì le pareti della grotta vibrare.
*****
Evelyn era fortunatamente ancora a colazione quando l’FPS si
attivò. Effettivamente, sarebbe stato difficile spiegare
quel suono, una specie di stridio ovattato ripetuto più e
più volte, durante la lezione. Certo, non che questo
alleggerisse la situazione, ma almeno era un punto a suo favore.
Sotto lo sguardo incuriosito del ragazzo che aveva davanti, Evelyn
frugò con violenza nella borsa per poi estrarre una piccola
lastra rettangolare, dai bordi smussati. Poteva sembrare uno
specchietto, ma la superficie argentata non rifletteva nulla, anzi,
c’era un piccolo puntino rosso e intermittente proprio al
centro. Evelyn aggrottò le sopracciglia, preoccupata, e
premette con il dito sul puntino, interrompendo il suono che, nel
frattempo, aveva fatto girare alcune teste fra i Corvonero e gli
studenti di passaggio.
Dallo specchietto si sprigionarono come delle finestrelle
semi-trasparenti dai bordi blu. Una mostrava una piccola sezione di
quella che era evidentemente una parte di una mappa di Hogwarts
(copiata illecitamente da quella dei Malandrini) con un punto rosso su
quella che la ragazza sapeva essere un’aula in disuso in cui
la sua Casa nascondeva il Whiskey Incendiario. Un’altra
ancora mostrava il volto di due ragazze, una bionda e una mora, con la
scritta in rosso ALERT. La terza e ultima fluttuava accanto alla
seconda e mostrava una certa quantità di dati che nessuno,
tranne Eve ovviamente, avrebbe potuto capire. O forse no?
«E così due Grifondoro sono sparite nel
nulla?» chiese il ragazzo, sbirciando da sopra lo
specchietto. Eve spalancò gli occhi, premette di nuovo
sull’aggeggio e fece scomparire le finestrelle. Il ragazzo la
osservò da dietro gli occhiali squadrati con sguardo curioso
e preoccupato allo stesso tempo.
«E tu che ne sai?» fece Eve, sbalordita. Aveva
perso un sacco di tempo per elaborare quel sistema che, tuttavia, anche
a lei risultava ancora leggermente criptico. Come faceva qualcuno che
non aveva mai visto l’FPS saperlo decifrare così
in fretta?
«C’era scritto lì» disse con
semplicità il Corvonero, facendo scendere di molto
l’autostima della ragazza. «Soggetti scomparsi
dalla mappa senza essere passati per passaggi conosciuti, tracce di
Magia Oscura in tutta la stanza… Insomma, più
chiaro di così si muore».
Sì, pensò Evelyn, effettivamente
sull’FPS era scritto questo… ma in FPS-ese! Era
tutto nascosto sotto una sequenza di numeri, percentuali e paroloni che
non sapeva neanche lei come si fossero inseriti nel programma!
«Serve una mano?» chiese il ragazzo, gentilmente.
Evelyn sgranò gli occhi.
«Scusa, David, ma qui è meglio che tu…
ne stia fuori, okay? Senza offesa» rispose lei. Non che
dubitasse della bontà del ragazzo, erano amici dal primo
giorno di scuola e ora conosceva più lui che sua sorella, ma
preferiva non mettere nessun altro a conoscenza della storia
viaggiatori-del-tempo-risorti-in-un’altra-dimensione, e
accettare il suo aiuto avrebbe poi richiesto in seguito una dovuta dose
di spiegazioni inopportune.
«D’accordo, nessun problema» fece David,
alzando le mani come a difendersi. Evelyn colse però uno
scintillio nei suoi occhi che le fece capire che per lui non era finita
lì. Prima che potesse dire qualcosa, però,
luì intervenne: «Certo, però, sei
proprio cattiva a lasciarmi andare a lezione con la McGranitt da
solo…».
«Oh, be’, sei un Crouch***, sopravvivrai»
ribatté Eve, piuttosto fredda. Aveva capito che delle
ragazze erano scomparse e lui si diceva che era cattiva ad andarsene?
Ma chi era il ragazzo che aveva conosciuto per cinque anni?
«… Come stavo dicendo, sei proprio cattiva a
lasciarmi da solo a lezione, ma immagino che, essendoti sentita male,
non avresti potuto fare altro che rimanere a letto» concluse
il ragazzo, inarcando le sopracciglia con fare allusivo.
Era quello, si disse, era quello il ragazzo che aveva conosciuto per
cinque anni.
«Scusa David!» esclamò Evelyn,
costernata.
«Sei perdonata, ma non farlo mai più!»
ribatté il giovane Crouch, sogghignando. «Ora vai
e salva vite, mia giovane Padawan!».
Evelyn ridacchiò. Adorava quel ragazzo. Seppur Purosangue,
non aveva battuto ciglio quando lo aveva costretto a vedere il primo
episodio di Star Wars,
uscito proprio quell’anno.
«Ai suoi ordini, Maestro»
disse Eve, alzandosi in piedi e afferrando la propria borsa. Quella
parola fece storcere la bocca al ragazzo.
«“Maestro”?» chiese,
più a se stesso che a lei. «Nah, non mi piace
proprio. Odio insegnare!».
Evelyn sbuffò, divertita.
«Ah, giusto, tu vuoi diventare Guaritore e curare la gente,
giusto?» chiese lei, ironica. «Come vuoi che ti
chiami allora? Dottore?».
«Dottore?» fece lui, come assaggiandone il suono.
«Sì, mi piace!»
«Okay, allora a dopo, Dottore, e vedi di pararmi il culo come
si deve oppure sono morta» replicò la ragazza,
ridacchiando. David fece una smorfia volontariamente esagerata.
«Suvvia, Evelyn, non essere volgare!» la
rimproverò scherzosamente, per poi diventare serio.
«Adesso però va’ e salva
tutti… Anche perché dopo voglio i
dettagli».
Evelyn sorrise dolcemente.
«Contaci, Crouch» rispose, determinata, per poi
incamminarsi verso la porta d’ingresso della Sala Grande
ripromettendosi che, una volta finita quella storia, avrebbe mostrato
il Laboratorio a quel genio di dottore.
Mentre Evelyn se ne andava di corsa ad avvertire gli altri –
non senza sentirsi un po’ in colpa per aver indugiato
così a lungo in compagnia del ragazzo –, David
prese da una tasca interna della divisa una specie di bottone d'ottone
dorato, decorato da un lato con centri concentrici sempre
più piccoli che terminavano in una minuscola sfera nera. Il
ragazzo passò il dito sul bottone e, dopo un istante, la
sfera al centro sussultò lievemente per poi illuminarsi di
una tenue luce dorata. David osservò la luce per qualche
secondo, prima di rimettere via il bottone e di alzarsi, con una chiara
idea in mente e la certezza che non sarebbe stato di certo lui a
spiegare alla McGranitt perché due studenti mancavano a una
sua lezione. Certo, sarebbero stati nei guai, però gli ci
volevano proprio, un po’ di problemi.
Si alzò e si mosse sulla scia dell’amica, pronto e
deciso ad agire.
Uscendo dalla Sala Grande, e dirigendosi verso i giardini di Hogwarts, fu sicuro di vedere Peter Minus che, solo soletto, camminava di soppiatto
verso i Sotterranei. La cosa gli fece digrignare i denti e assumere
un’espressione disgustata ma decise che aveva cose molto
più urgenti a cui pensare.
*****
Istinto.
Ecco cosa aveva Sirius. Remus era intelligente, James coraggioso e
altruista, Peter… Onestamente, non sapeva bene
cos'era Peter, ma perlomeno era un’ottima spia.
Lui, invece, aveva un grande istinto.
Era per questo che, quando aveva incontrato il gemello malvagio di
James in sogno – con tanto di giacca e cravatta in perfetto
stile “sono meglio di te” – aveva come
sentito un campanello d’allarme nella testa. Campanello che
aveva poco saggiamente deciso d’ignorare.
D'altronde, lo faceva praticamente tutti i giorni. Andare
contro il suo istinto era il suo hobby.
«Ehi, sacco di pulci!» aveva esclamato il gemello
malvagio del suo migliore amico.
«Fottiti» aveva candidamente risposto lui, con un
gran sorriso sulle labbra. Il ragazzo era scoppiato a ridere e Sirius
aveva provato l’improvviso impulso di spaccargli la faccia.
Dopotutto quel bastardo era attualmente la causa di parecchi problemi.
E così era cominciata una fantastica chiacchierata sul Mondo
di Mezzo (che con quei due dentro prendeva la forma di
un’infinita prateria desolata, immersa nel buio della notte e
con un’unica costellazione a illuminarla: Orione), sulle
parti malvagie delle persone, su complotti vari di vampiri con un tizio
megalomane che si faceva chiamare come un dio antico, concludendo poi con un paio di avvertimenti che, seppe poi, John Smith non aveva dato agli altri due.
«Ho quasi finito, solo un paio di cosette» aveva infatti
detto. «Intanto…» si schiarì
la gola e prese a usare un tono molto più serio e quasi
solenne (cosa che fece ridere Sirius, considerando che la voce era
quella di James). «Uno dei Narratori è attivo, ha
un piano che coinvolge le persone a te più vicine. Presto,
Sirius, dovrai combattere e, molto probabilmente, sarai da solo. Ma
fidati, troverai un modo per uscirne al meglio».
Okay. Doveva seriamente ammettere che quelle parole lo avevano
piuttosto turbato. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che
sfottere John, anche perché questo sembrava quasi apprezzare
gli insulti, ma adesso non riusciva a scherzare.
«E, infine, fidati di te stesso. So che hai capito che
c’è qualcosa che non va e so anche che ancora non
riesci a capire cosa. Ci arriverai e, quando succederà, non
perdere la speranza».
Questo, invece, gli aveva fatto sorgere dubbi
sull’orientamento di quel tizio. Forse era completamente
l’opposto di James.
Alla fine, si era congedato come aveva fatto con gli altri due: con un
cazzotto in faccia che Sirius si ripromise di restituire al mittente.
E poi, mentre si risvegliava, se n’era uscito con
quell’altra frase… com’era? Era qualcosa
del tipo: «Ah, sì, quasi dimenticavo: tieni
d’occhio tuo fratello».
Che immane e palese idiozia. “Tenere d’occhio suo
fratello”? Lo faceva sempre! O, almeno, cercava di farlo
sempre, dato che ultimamente gli stava dando parecchio filo da torcere.
Si voltò verso James. Era ovvio che l’avrebbe
tenuto d’occhio.
Il suo istinto si risvegliò un’altra volta,
sussurrandogli che, forse, stava sbagliando qualcosa. Lo
ignorò e tornò a guardarsi intorno.
Erano circa le otto di mattina e, a quell’ora, di solito
c’era la gara per il bagno fra lui e James per
l’enorme ritardo che, secondo Lunastorta, stavano facendo.
Invece adesso Peter e Frank non c’erano (Paciock era con
Alice, probabilmente, ma Coda? Che fine aveva fatto?) e lui, James e
Remus erano seduti immobili sui loro letti. Sirius vide che Remus
osservava con attenzione Ramoso, che era a capo chino.
James era già sveglio quando Sirius si era svegliato, di
soprassalto e con un sonoro sussulto. Anzi, a dirla tutta era
già quasi fuori dal Dormitorio. Era in piedi, infatti, con
la divisa indosso e le scarpe in mano, cercando di uscire dalla stanza
facendo meno rumore possibile. I due si erano guardati negli occhi per
qualche secondo, James sorpreso e spaventato e Sirius sconvolto e
confuso. Poi erano scattati.
James aveva cominciato a correre verso la porta, ora incurante del
rumore, e Sirius si era trasformato di scatto, saltando in forma di
cane nero addosso all’amico e atterrandolo. Poi era tornato
umano.
«Spiacente fratellino, ma oggi non mi scappi» aveva
detto, ghignando. James l’aveva fulminato con lo sguardo, per
quanto gli permettesse l’avere la faccia spiaccicata contro
la moquette rossa del Dormitorio (molto anni ’70).
«E cosa mi costringe a ubbidire?» chiese James,
anche se non aveva evidentemente alcuna intenzione di scappare.
«Perché sono più grande di
te» rispose Sirius. James sbuffò.
«Solo di un anno! Da come ne parli tu sembri essere il
fratello di Silente» replicò.
«No, certo che no! Non ho mai avuto rapporti inopportuni con
le capre, io!» esclamò Sirius. James lo
guardò, esterrefatto. Sirius sospirò: che
fratello ignorante che gli era capitato!
Poi Remus si era svegliato, trovandoli così.
Adesso si guardavano a turno, aspettando che qualcuno parlasse per
primo.
Sirius, intanto, cominciava a sentire uno strano pizzicore alla nuca.
Benché non sapesse di cosa si trattava, lo rendeva nervoso.
«Allora» fece Sirius, nel tentativo di spezzare
quel silenzio imbarazzante. «Incantesimo di Memoria,
eh?».
Remus lo fulminò con lo sguardo.
«È il modo migliore che ho trovato»
borbottò James. Sirius, annuì, fingendo di aver
capito.
«Già, il modo migliore… per fare una
cazzata e giocarti l’ultimo mese con lei»
replicò. James aggrottò le sopracciglia e si
ficcò le unghie nei palmi, con le nocche che diventavano
bianche. Remus si sdraiò sul letto, capendo che ormai il
danno era fatto e tirandosene fuori.
Sirius voleva far incazzare James, voleva far cominciare una rissa e
voleva che suo fratello si liberasse.
James s’incazzò.
«Per proteggerla» ringhiò. Sirius
inarcò le sopracciglia con fare scettico. Remus
trasfigurò una scatola vuota di Cioccorane in una pallina e
cominciò a palleggiare contro il muro.
«Ceeeerto… “proteggerla”!
Quale modo migliore di mettere al sicuro una persona se non facendole
dimenticare che è in pericolo?» replicò
Sirius, sarcastico. Remus si mise a palleggiare più
rumorosamente.
«Mi credi davvero così stupido?» chiese
James, sbalordito. Sirius rimase impassibile e Ramoso
sbuffò. «Ho modificato solo i ricordi
che… che ci riguardavano».
Sirius lo osservò, sorpreso, cercando di capire se dicesse
la verità. In effetti, quell’opzione non era
venuta fuori la sera prima. Be’, era anche vero che
c’era una buona ragione…
«Scusa se m’intrometto» Remus
bloccò la palla e guardò James, parlando con un
po’ di esitazione. «Ma l’ultima volta che
hai fatto un Incantesimo di Memoria così specifico... Non
è andata tanto bene».
«A dir poco!» rincarò Sirius, giusto per
irritare un po’ di più James, che si
limitò a incrociare le braccia. Felpato lo vide aggrottare
le sopracciglia per un istante e rilassarle subito dopo. Che il suo
migliore amico, nonché fratello acquisito nonché
Malandrino (ecc.), stesse impazzendo? Non che fosse così
strano, ma almeno voleva assicurarsene.
«Alla fine non è successo niente di grave. Voglio
dire, Johanna ha recuperato tutta la memoria. Quello che ci ha rimesso
sono io: tre costole rotte e una commozione cerebrale»
replicò James, offeso.
«Già, peccato che lei per due mesi non ricordava
più neanche il suo nome» commentò
Remus, riprendendo a giocare con la pallina.
«Dettagli, Lunastorta, dettagli». Bisogna dire che,
effettivamente, quando James rivelò di aver modificato solo
i ricordi più “privati”
l’atmosfera si alleggerì notevolmente. Una cosa in
meno di cui preoccuparsi: misurare le parole con Lily. Certo,
ovviamente Sirius pensava ancora che fosse stata una pessima idea, ma
rendeva le cose più semplici.
«Quando gliela farai tornare?» chiese Felpato.
«La memoria, intendo».
«Forse… quando tutto sarà
finito» rispose James, con un po’ di esitazione. Lo
vide poi scrollare la testa e fare una smorfia, come se non volesse
ascoltare qualcosa. Okay… forse, pensò Sirius,
stava davvero impazzendo.
«Intendi con la Mason e il suo capo morti insieme agli altri
due tizi oscuri e malevoli venuti da chissà dove e John
sparito per sempre?» chiese Sirius. James annuì.
«Una passeggiata».
Il pizzicore alla nuca s’intensificò, tanto da
spingerlo a guardarsi alle spalle. La parete del muro era immobile.
Forse non era solo James a essere pazzo.
«Credo i due Narratori “oscuri e
malevoli” vengano dal mio Universo»
commentò Remus, facendo roteare in aria la palla con la
bacchetta. «John ha detto che quando una persona viaggia fra
gli Universi, se altri si trovano nella stessa situazione, tendono a
seguirla».
«Quindi dobbiamo aspettarci altre visite
indesiderate?» chiese James. Remus aggrottò le
sopracciglia, pensieroso.
«Dato che Tom Riddle non ha ricominciato ad ammazzare gente a
caso, immagino che possiamo stare tranquilli, in quel senso».
«No, scusatemi!» sbottò Sirius,
interrompendoli. I due lo guardarono, allibiti. «Abbiamo
già passato il discorso su Lily?».
«Se non stessi con Mary, direi che sei innamorato di me,
Black». Lily aveva spalancato la porta della stanza ed era
entrata come se niente fosse, portando un libro-mattone sotto braccio.
Sirius pensò che, probabilmente, a forza di portarsi
appresso certa roba la Evans sarebbe diventata più forte dei
Battitori della loro squadra. Dietro di lei entrò Tonks,
strascicando i piedi per la stanchezza e gettandosi sul letto di Remus.
«E per te sono Evans, ricordalo».
«Come mai ancora qui, Evans? Le lezioni sono cominciate ben
venti minuti fa» fece James, assumendo un sorrisetto
strafottente dal suo repertorio. Era da circa un anno che Sirius non
gliene vedeva usare uno. No, per lui il discorso “sei un
idiota ad averle cancellato la memoria” non era assolutamente
finito. «Voglio dire, Dora è naturale che ogni
tanto salti qualche lezione, è nella sua natura
(«Vaffanculo, Potter, con tutto l’affetto del
mondo»)… anche a te, cara! Ma tu sei una sorpresa
continua!».
«È un modo stupido e complicato per chiedermi cosa
ci faccio qui?» chiese Lily, inarcando un sopracciglio.
Sirius sentiva che una Maledizione Senza Perdono era in arrivo.
«No. È un modo stupido e complicato per dirti che
non m’importa» rispose James, alzandosi e
dirigendosi verso il bagno. Nessuno lo fermò ma Sirius vide
il suo sguardo cambiare subito dopo essere passato accanto alla
ragazza. Black non aveva mai visto tanto dolore negli occhi del ragazzo.
«Oh, be’, allora dopo lo aggiornerete
voi» fece Lily, noncurante, sedendosi a gambe incrociate sul
letto di Peter, allontanando poi un calzino con aria disgustata.
«Quindi… perché siete qui?»
chiese Sirius. Voleva parlare con James il più presto
possibile.
«Perché sono un genio» disse Lily,
mentre Tonks, contemporaneamente, mugugnava un:
«Perché mi ci ha trascinato lei».
«Oh, vergogna Lily! Non si trascina una ragazza ingenua e
indifesa in una camera maschile! La gente potrebbe pensare
male» commentò Remus. Tonks, distesa accanto a
lui, gli mollò un calcio al fianco, facendolo cadere dal
letto. «Spero che questo non sia un presagio per la nostra
futura vita matrimoniale».
«Futura e passata, Rem, futura e passata»
ricordò Tonks, probabilmente la frase più
intelligente che potesse dire con mezzo cervello ancora addormentato. I capelli che aveva in
quel momento, grigio polvere, contribuivano a darle un’aria
stanca.
Adorava sua cugina, sul serio, ma sapeva che la mattina era un
po’ lenta.
«Scusate, possiamo tornare alla mia
genialità?» fece Lily. Remus e Sirius la
guardarono, sospettosi.
«Non è che James si è suicidato mentre
era in bagno e il suo spirito ora vive dentro di te?» chiese
Sirius. Tonks ridacchiò.
«No» rispose, sistemandosi meglio sul letto, senza
notare che Remus si era appostato lì accanto, pronto a un
agguato. «È solo che quando non dorme diventa
isterica ed egocentrica».
«Non sono egocentrica!» protestò lei.
«Però ammetti di essere isterica!».
«Non sono né isterica né
egocentrica!».
«Ovviamente. Continua a ripetertelo e forse –
AH!». Remus le era saltato sopra e aveva cominciato a farle
il solletico. Dopo nemmeno cinque secondi, le parti si erano invertite
e Tonks soffocava Remus con un cuscino.
Sirius sospirò. Non era mai stato la persona più
matura in una stanza ma in quel caso temeva proprio che il ruolo fosse
ricaduto su di lui. Tonks aveva avuto un brutto effetto su Remus.
«Dai, parlami della tua genialità» disse
infine a Lily, che lo guardò, sorpresa.
«Be’, tanto poi dovrei ripeterlo a James, quindi
tanto vale che lo faccia anche con loro due».
Lily annuì, stranita ma con una leggera smorfia di
soddisfazione.
«Allora, tanto per cominciare, sappi che stanotte ho avuto
un’ispirazione improvvisa e ho deciso di
andare…»
«In Biblioteca».
«E tu che ne sai?». Sirius fece un cenno verso il
libro e Lily arrossì leggermente. Forse Tonks non era
l’unica persona lenta la mattina. «Okay, come non
detto. Comunque, sono andata a cercare libri di genealogia
magica…».
«No, frena!» la interruppe Sirius, allibito.
«Tu ti sei alzata nel cuore della notte, per andare in
Biblioteca a cercare libri di genealogia magica?».
«Esatto».
«Sei pazza».
«Grazie, Black. Dicevo: ho cercato fra i libri e ho trovato
questo». Lily aprì il libro a una pagina segnata e
lo sporse verso Sirius. Mostrava un enorme albero genealogico che si
estendeva su entrambe le pagine, ricordando dolorosamente
l’arazzo dei Black. In cima, una ricca e decorata scritta in
oro dichiarava “Nobile Discendenza della Purissima Casata dei
Gaunt” e, subito sotto, “XV secolo”.
Lily indicò il punto in cui il nome di Isabelle Gaunt si
univa a quello di Joshua Mason, per poi scendere sul nome di…
«Oh, bene. Adesso sappiamo che la nostra vampirastra
preferita è una Gaunt» commentò
apaticamente il ragazzo. Lily sorrise, soddisfatta. Intanto Tonks
cercava di uccidere Remus con una specie di orsacchiotto peluche
(Sirius non voleva chiedersi da dove fosse apparso, quel coso).
«Ehm, senza offesa, ma non sono sicuro di riuscirne a
vedere… l’utilità, ecco».
Lily sbuffò.
«Sapere è potere, Black, te l’hanno mai
detto?» fece lei, stizzita.
«Sì, me lo dice sempre Remus quando cerca di farmi
studiare» ribatté Sirius, deciso.
«Inutile dire che non ho mai aperto un libro di scuola in
vita mia».
Lily gli mollò uno scappellotto.
«Ahi! E questo per cos’era?»
protestò il ragazzo, passandosi una mano sulla nuca.
«Perché mi irriti, Black» disse lei con
semplicità. «Tornando a colei che ti ricordo
è il nostro principale nemico: il cognome mi ricordava
qualcosa quindi ho chiesto a Dora e, a quanto pare, la Mason
è imparentata con Tom Riddle!».
«Oh, bene, quindi è probabile che sia potente
almeno quanto colui che è diventato il più
potente Mago Oscuro di tutti i tempi. Fantastico».
«E non è tutto! Da quanto ho scoperto da questo
libro» e così dicendo girò una trentina
di pagine insieme. «La famiglia Gaunt discende direttamente
da, udite udite, Salazar Serpeverde!».
«Oh, bene, potente, Purosangue e pure pazza. Potrebbe andare
meglio?» fece Sirius, ironico, passandosi una mano fra i
capelli. «E adesso torniamo alla domanda di prima: questo
come ci aiuta?».
«Ancora non lo so» ammise Lily, arrossendo
leggermente e chiudendo di scatto il libro. «Ma lo
scoprirò».
«Di’ la verità: ti sentivi depressa e
avevi bisogno di distrarti con qualcosa».
«Fottiti, Black».
E, sul tono di queste eleganti parole provenienti da
un’altrettanto elegante Grifondoro, due gufi entrarono
contemporaneamente dalla finestra. Solo più tardi Sirius si
rese conto che nessuno l’aveva aperta.
I gufi (di una specie che i ragazzi non avevano mai visto: dalle lisce
piume nere come quelle dei corvi e con gli occhi cremisi) fecero un
paio di giri al centro della stanza mentre gli studenti li osservavano,
pietrificati, per poi lasciare due grandi lettere sul grembo di Sirius
e Lily. I gufi volarono via e i due Grifondoro aprirono le buste,
confusi, mentre il pizzicore alla nuca di Sirius
s’intensificava, provocandogli un’orribile
sensazione.
All’interno c’era un semplice biglietto e una
bacchetta, e ciò spiegava le dimensioni della busta.
I due biglietti erano esattamente uguali: rettangoli di pergamena
anonimi.
Sopra c’era scritta una sola parola:
“Presa”.
Lily e Sirius si guardarono, confusi, mentre Remus e Tonks osservavano
i foglietti da sopra le loro spalle. Il lupo mannaro aveva estratto la
bacchetta e cominciato a mormorare alcuni Incantesimi di Analisi****
sul foglio.
Poi osservarono le bacchette. Erano particolari e, per loro, molto
conosciute. Sirius sentì una strana vicinanza a
quell’arma e la esaminò meglio: poco sopra
l’impugnatura, una leggerissima incisione mostrava la lettera
“S”. E allora capì tutto di quella
bacchetta: legno di cedro, cuore di crine d’unicorno, dieci
pollici e tre quarti, rigida. La conosceva a memoria, proprio come la
propria. La bacchetta che aveva poggiato sul comodino e che aveva,
nello stesso esatto punto, l’incisione della lettera
“M”. Si ricordava quanto gli era sembrato stupido,
al momento, accettare la proposta di Mary, ma ora credeva di non aver
mai fatto una decisione migliore.
Poi un suono sordo risuonò per la stanza, un suono che
sembrava provenire dai pezzetti di pergamena.
TOC.
Il messaggio sui biglietti cambiò:
“48:00:00”. Lo guardarono per un secondo, non
capendo, il giusto lasso di tempo per far mutare di nuovo la scritta:
“47:59:59”.
Un conto alla rovescia.
“Prese”.
Due bacchette.
Evelyn spalancò la porta del Dormitorio proprio mentre
Sirius arrivava a capire.
«Mary ed Emmeline sono sparite!».
*Giusto per essere chiari: nessuna voglia di offendere i Corvonero.
Questo è semplicemente lo stereotipo che si è
venuto a creare durante gli anni, come il fatto che noi Tassorosso
siamo solo un gruppo di inutili idioti, che viene ripreso dalla mente
di una delle Grifondoro più… vivaci, diciamo.
Spero abbiate capito cosa intendo.
**Tutto frutto della mia mente malata, tranquilli, non vi siete persi
momenti importanti nella storia dell’umanità.
***Bartemius David Crouch (Barty Crouch Jr.). Sono certo che il
perché del secondo nome sia chiaro alla maggior parte di voi
(non ho resistito).
****Categoria inventata da me. Ne fanno parte tutti gli Incantesimi
che, appunto, analizzano gli oggetti. Un esempio è
l’Incantesimo Aparecium,
che rivela le scritte che sono state nascoste con la magia.
Sala Comune di Tassoverde (ora piena di ragnatele)
Seeeeera...
Okay, potete cominciare con la valanga d'insulti (primo fra tutti:
"sera" 'n par de *bip*) . Me li merito tutti. Per il ritardo, per aver
pubblicato una nuova storia allungando i tempi per questa (se vi
interessa: History
is us), per... be', un po' per tutto, decidete voi quali
motivi usare.
Ammetto che il capitolo era pronto all'incirca a fine gennaio, tuttavia
non mi convinceva per niente e quindi ho deciso di chiedere consiglio a
una mia amica (quindi parte della colpa va anche a lei, eh!). Non mi
convince ancora, ma almeno è stato "approvato"...
Nel capitolo avete quindi avuto una prima e sommaria spiegazione del
viaggio fra gli Universi e l'accenno alla Guerra dei Narratori. Ergo:
si entra nella vera trama. E poi ci sono Lily e James, con cui non si
è risolto nulla, e Mary ed Emmeline, i cui problemi sono
appena iniziati.
Questo, all'inizio, doveva far parte di un unico capitolo chiamato Shadows che in
seguito ho deciso di dividere in tre parti: When, Where e Who. Credo che con Who si
concluderà la Prima Parte della FanFiction, ma non ne sono
sicuro, dovrò vedere.
Poi... che altro? Ah, già, il nome. Personalmente, ho
ritenuto che Hufflerin_Tassoverde (e in particolare "_Tassoverde")
fosse piuttosto.... Infantile? Be', non è proprio
l'aggettivo giusto ma ci si avvicina. Quindi, d'ora in poi,
sarò solo hufflerin, puro e semplice.
E... penso sia ora di passare ai ringraziamenti! Ringraziamenti che
vanno a coloro che, nonostante i tre mesi (e più) di assenza
mi sono rimasti accanto e non hanno tolto la storia dalle preferite,
dalle ricordate o dalle seguite. Grazie, grazie davvero!
Credo di aver concluso (o forse ho solo sonno e non sono sicuro di
quanto ho scritto). In caso vogliate chiarimenti, non esitate a
contattarmi.
Grazie (e scusa) ancora. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
A presto,
hufflerin
|
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Capitolo 12 *** Chapter X - Where ***
«You'd
better focus on your job, kids. You are weak and
helpless, no one will listen to you, let alone help you. But I like
playing. I will ensure that you arrive as close as possible, that
you’re happy of your success, that you see who have been
taken away… And I’ll kill you, slowly, leaving you
to rot in Fear»
10.
Where
Scomparsa
di Mary ed Emmeline: ore 00:00
Inizio conto alla rovescia: ore 8:00
circa
Durata conto alla rovescia: 48 ore
(due giorni)
Mary
si guardò intorno, spaesata e stupefatta. Una forte
brezza le scuoteva i capelli, mentre l’odore della salsedine
le inondava le narici. La scogliera cadeva a picco per una decina di
metri su uno spumeggiare di acqua nera. Alcuni schizzi riuscivano ad
arrivare fin lassù, rinfrescando leggermente la pelle della
ragazza. All’orizzonte, il sole al crepuscolo stava venendo
velocemente sormontato da nuvole di tempesta.
La ragazza provò ad
alzarsi, cercando in qualche modo di
reagire, ma il corpo non collaborava e, dopotutto, neanche la mente
sembrava proprio attiva. Ancora non riusciva a elaborare con precisione
cos’era successo, ma la fuga spericolata dentro la caverna la
ricordava bene. Abbassò un attimo gli occhi e si
esaminò mani e braccia, coperte di graffi e sanguinanti. La
maglietta era stata tagliata in più punti. Non sapeva se
tutto quello era dovuto alle nere pietre taglienti come rasoi o agli
insetti.
Si guardò indietro.
L’ingresso alla caverna era
bloccato da un cumulo di macerie; aveva fatto appena in tempo a uscire
prima che tutto crollasse definitivamente. La sua mente,
l’angolino che ancora riusciva a pensare con chiarezza,
cercava di comunicarle qualcosa, dirle che c’era qualcosa di
strano in tutto ciò. Ma Mary non riusciva a concentrarsi.
Sentiva solo il vento e il rumore delle onde.
Mi è sempre
piaciuto, il mare, pensò, quasi con
casualità, un pensiero come un altro. Ma fu abbastanza per
farle capire una cosa: non lago, ma mare. Si voltò di nuovo
verso l’acqua: di certo non l’aveva assaggiata, ma
era fin troppo chiaro che quella era acqua salata. Alzò
leggermente lo sguardo. Le nuvole nere ormai quasi coprivano
completamente il sole ed era rimasta ben poca luce, ma la distesa
marina sembrava infinita. Se avesse dovuto scommettere, Mary avrebbe
detto di essere in un’isoletta in mezzo all’oceano.
Scoppiò a ridere, una
risata isterica e folle che si
trasformò presto in un pianto di disperazione; per la prima
volta nella sua vita, non sapeva veramente cosa fare. Rimase immobile
per qualche secondo, calmandosi pian piano e cercando di pensare
razionalmente. Un tuono la riscosse. La tempesta si era avvicinata fin
troppo velocemente per essere naturale ma, in quel momento, Mary non ci
badò. Si puntellò sulle mani e, con calma,
riuscì a mettersi in piedi, le gambe ancora un po’
tremolanti.
Si girò e, strascicando
leggermente i piedi,
cominciò a camminare verso un sentiero ghiaioso che sembrava
l’unica via presente, muovendosi quasi per inerzia. Tutto
ciò che il suo cervello riusciva a elaborare era che doveva
mettersi al riparo.
Nello stesso momento,
però, la sua mente provava a
suggerirle qualcosa, evocando un nome.
E...
Camminò lungo il sentiero,
attenta a dove metteva i piedi.
Em…
La sua scarpa sfiorò un
sasso, che cadde nel vuoto. Si
accorse di star camminando proprio accanto allo strapiombo.
Emme…
Cadde all’indietro,
graffiandosi i gomiti e le mani. Si
rialzò e continuò a camminare. Il sentiero
sboccava in quello che le sembrava un bosco. Accanto a lei, delle
pareti di roccia fungevano da colonne d’Ercole.
Entrò nella vegetazione.
Emmeline.
Quando il nome le arrivò,
la mente si rifiutò di
continuare. Mary cadde a terra con un tonfo, priva di sensi. La pioggia
cominciò a cadere.
Emmeline brandiva il candelabro
acceso come se fosse una spada,
cercando di vedere e, allo stesso tempo, di tenere lontano. Non sapeva
esattamente cose le sembrava di aver visto, ma era sicura di volere che
non si avvicinasse. Non si era mai sentita così indifesa
come in quel momento, priva di bacchetta e di cognizione del tempo.
Poteva essere lì da ore come da giorni.
I muri scrostati e coperti di muffa
incombevano su di lei
minacciosamente, le assi di legno cigolavano a ogni singolo passo,
alzando pesanti sbuffi di polvere. L’aria era calda e
appiccicosa e sulle pareti si notavano grandi macchie di
umidità. La carta da parati verde smeraldo era sbiadita e
strappata in più punti, ricadendo su se stessa.
Emmeline ansimava per il caldo e la
paura. Non sapeva da quanto fosse
lì, ma non aveva mai chiuso occhio da quel momento e la
stanchezza cominciava a farsi sentire. A volte, era entrata in qualche
stanza che le sembrava poco minacciosa ma, quando provava ad
addormentarsi con il candelabro acceso accanto a lei, qualcosa la
disturbava, un rumore o uno spostamento nell’aria, facendola
cadere nel panico.
La ragazza continuò a
camminare, guardandosi intorno con
timorosa attenzione. Guardò per un secondo
l’oggetto che le illuminava la strada: una delle candele era
quasi completamente sciolta. Emmeline aggrottò le
sopracciglia con preoccupazione. Si era risvegliata con il candelabro
vicino a sé e già acceso: non voleva sapere se e
cosa sarebbe accaduto una volta spento.
La testa le doleva come se qualcuno
l’avesse colpita, ma non
riusciva a ricordare cosa fosse accaduto immediatamente prima di
svegliarsi in quel luogo. Sapeva di essere uscita dalla Sala Comune di
Grifondoro – e, adesso, a ripensarci se ne vergognava un
po’ – e di essersi diretta in quella fantastica
aula vuota, ma poi c’era il buio totale. Non sapeva come, ma
credeva che Mary avesse un qualche ruolo in tutta quella confusione.
All’improvviso, le
sembrò di vedere
un’ombra spostarsi dietro di lei ma, quando si
girò, non vide niente nel flebile fascio di luce delle
candele. Si voltò nuovamente, implorando mentalmente che
qualcuno la facesse uscire da lì – o che almeno
gli desse una torcia babbana, sicuramente più utile
–, e continuò a camminare. Se avesse fatto
più attenzione, avrebbe visto un’ampia scia nello
spesso strato di polvere che copriva il pavimento, come se qualcosa
venisse trascinato… o si trascinasse.
Più Emmeline avanzava,
più la casa sembrava
diventare calda. Poi, di colpo, accadde esattamente il contrario. La
ragazza si sorprese nel vedere il proprio fiato condensarsi in piccole
nuvolette bianche. Avvicinò il candelabro a sé,
cercando di scaldarsi un po’, ma riusciva a fare veramente
poco. In breve tempo, si ritrovò tremante dal freddo, con il
sudore che le si congelava addosso. Vide un riflesso provenire da una
parete e avvicinò la luce. Sbalordita, sfiorò con
una mano lo spesso strato di ghiaccio che la copriva.
Subito dopo andò nel
panico: il dito era incollato alla
parete ed Emmeline vide che, pian piano, il ghiaccio stava cominciando
a diffondersi sulla sua mano, sul suo braccio…
*****
Ore 10 circa - 46 ore rimanenti
Dora
si guarda intorno con nervosismo, scrutando ogni studente di
passaggio con un paio di occhi rossi da brividi. Tutti quelli che
incrociano il suo sguardo accelerano immediatamente, temendo di
poter essere colpiti da una Maledizione Senza Perdono seduta stante.
Ogni volta che sente un rumore troppo forte, si gira di scatto,
mulinando i capelli neri come la pece e portando la mano alla
bacchetta. In questo momento, sembra fin troppo la sorella
più giovane – e molto più carina
– della Mason.
Io, invece, cerco di evitare il
più possibile di attirare
l’attenzione, cosa già resa difficile dai dolori
pre-trasformazione, ma, con questa sottospecie di demone accanto, la
cosa diventa impossibile. Mi limito quindi a camminare più velocemente che posso per arrivare all’aula,
sperando che mia moglie non si faccia prendere da istinti assassini.
BANG.
All’improvviso, un
Serpeverde fa saltare un petardo magico
nel corridoio adiacente, facendo sobbalzare Dora vistosamente. Quando
vede che a fare quel baccano è stato un tizio qualunque,
assottiglia lo sguardo. Non ne sono sicuro, ma mi sembra di sentirla
ringhiare. Forse Sirius è nato per essere un cane e i suoi
geni sono in parte finiti anche in sua cugina. Meglio non dirlo ad alta
voce: potrei perdere la testa, per questo. In senso letterale.
«Dannati mocciosetti senza
cervello» borbotta,
allungando leggermente il passo per starmi dietro. Ho accelerato prima
che potesse tagliargli la gola a morsi, così è
stata costretta a seguirmi.
«Ha la tua stessa
età» commento,
cercando di sembrare ragionevole. Dora mi guarda un attimo.
«Veramente ho dieci anni
più di lui. Avevo dieci
anni più di lui…» dice, anche se non
sembra del tutto convinta. Fino a che non arriviamo all’aula
vuota non dice più nulla, anche se continua a comportarsi in
modo piuttosto paranoico.
Seguo mentalmente le indicazioni
precise che Eve ci ha dato per
arrivare all’aula, riuscendo a non sbagliare le numerose
svolte che portano nei pressi della torre di Corvonero. La porta
è abbastanza anonima, di un legno piuttosto chiaro che la
mimetizza fra i mattoni di pietra. A vederla così,
stranamente “innocente” – per quanto
possa essere innocente una porta –, il mio nervosismo sembra
quasi assurdo. Quasi.
Poggiando una mano sulla maniglia
lancio un attimo
un’occhiata a Dora, che ha smesso di guardarsi attorno per
concentrarsi sulla porta come me, e apro. Una stranezza si presenta
all’istante: non riesco ad aprire. O meglio, la maniglia si
abbassa e la porta ruota di un paio di gradi sui suoi cardini, ma da
lì si blocca, impedendomi di entrare o, almeno, di vedere
qualsiasi cosa ci sia lì dentro.
Riprovo un paio di volte, con
più forza, poggiando anche la
spalla contro la porta.
«È
bloccata» dichiaro, con una smorfia.
Dora sbuffa e mi scansa di lato in
malo modo. «Ah, lascia
fare agli esperti».
Io inarco un sopracciglio, non
capendo, ma, quando la vedo estrarre la
bacchetta tento di fermarla.
«Dora, non-».
«Reducto».
E la porta esplode in mille pezzi. Lei
rinfodera la bacchetta con un sorriso soddisfatto. «Visto?
Non era difficile!». Entra nella stanza e rischia subito di
cadere, inciampando sui detriti della porta. Continua a camminare come
se niente fosse, ma la vedo arrossire.
«La
cattiveria…» mormoro io,
ridacchiando, stando ben attento a non farmi sentire.
Ci guardiamo intorno per un istante e
l’atmosfera sembra
farsi improvvisamente gelida e pesante. All’interno della
stanza sembra essere arrivato un tornado: i tavoli sono tutti
rivoltati, privi di gambe o spaccati in due o più parti, il
pavimento è coperto da un liquido ambrato e da frammenti di
vetro, le librerie sono rovesciate a terra e gli scaffali sono stati
divelti e sparsi per l’aula. Ad aggiungersi al caos generale
ci sono i frammenti di legno della porta, porta che, a quanto pare, era
bloccata da una scrivania di legno scuro. La cosa mi fa aggrottare le
sopracciglia.
È evidente che
è successo qualcosa, qui dentro.
Mi guardo intorno insieme a Dora, che
ha assunto improvvisamente
un’aria quasi professionale, che le ho visto solo poche
volte, esaminando il disastro. Sento un tintinnio e, girandomi, vedo
Dora osservare una scatola di Whisky Incendiario, priva di alcune
bottiglie; ecco spiegati il liquido e i vetri.
Tuttavia, non riesco a ottenere
più di quello. Il caos nella
stanza sembra aver nascosto ogni tipo di prova e, solo osservando e
spostato qualche detrito, non ricavo nulla di utile. Eppure…
sento, so, che c’è qualcosa di evidente che mi
sfugge. Digrigno i denti per l’irritazione, notando che la
sensazione coincide perfettamente con ciò che abbiamo
scoperto. Ciò che hanno scoperto. Non
averlo notato mi fa
sentire stranamente inutile. Mi dico di piantarla.
Decido di usare quella che pensavo
sarebbe stata l’ultima
risorsa: dalla tasca interna della divisa prendo l’AP. Il
cilindro di metallo è stranamente leggero, sembra pesare
anche meno della bacchetta e mi chiedo come Eve lo abbia realizzato.
Provo a puntarlo verso una parete a
caso, giusto per provare come
funziona, e, mentre mi chiedo come si attivi, una luce dorata si
accende sull’estremità, insieme ad un leggero
ronzio ovattato. Prima che possa chiedermi come sapere i risultati
dell’analisi, una specie di “finestrella”
azzurrina compare davanti a me, in un angolo della mia visuale,
riportando tutto ciò che l’AP sta rilevando.
Voltandomi un secondo, noto con sorpresa che la finestrella si sposta
con il mio sguardo e mi chiedo se sia l’unico a vederla. Il
fatto che rimanga sempre nello stesso posto non è un male:
è abbastanza all’angolo da non oscurare la visuale
ma non troppo perché diventi illeggibile.
Leggo quindi i risultati, riuscendo a
comprendere quanto sia
sofisticato il macchinario creato da Evelyn. Seppur lo abbia puntato
casualmente, l’AP ha rilevato tracce di potente magia Oscura,
che diventano più o meno intense in diversi punti della
stanza. Vedo anche scie di una magia ben diversa che, non so come,
l’AP riesce a indentificare come quella di Mary ed Emmeline.
Riesco quindi a vedere dove si
trovavano, all’inizio,
più o meno accanto ad un tavolo in fondo alla stanza,
accanto alla scatola di Whisky, e dove si sono spostate, avvicinandosi
leggermente alla porta. Ma, alla fine, le tracce si confondono e non si
riesce più a distinguere nulla. Punto l’AP verso
la porta, cercando qualche altra scia, ma ciò che rilevo
è un esponenziale incremento della magia Oscura. Dopo poco
capisco di cosa si tratta.
«Remus?» mi
chiama Dora. Non mi giro, intento ad
esaminare l’entrata.
«Se la scrivania bloccava
la porta dall’interno,
come hanno fatto a uscire?» mi chiedo, ad alta voce,
sovrappensiero.
«Remus?» ripete
lei, con più urgenza. Mi
giro, preoccupato, e la vedo guardare il soffitto con il viso
tremendamente pallido. Preso com’ero dalla confusione sul
pavimento, non avevo guardato verso l’alto. Invece, Dora ha
trovato forse l’indizio più importante di tutti.
Al centro del soffitto, in caratteri
grandi e precisi, è
stata scritta solo una parola con quella che spero intensamente sia
vernice rossa: Fear.
*****
«Ha
lasciato la firmaaaa??????» chiese la
donna,
prima di scoppiare in una risata sguaiata. Stringeva in una mano un
calice di vino rosso mentre, con l’altra, lanciava piccoli
incantesimi a caso. «Mio Dio! È davvero un
idiotaaa!!!».
L’uomo incappucciato non
rispose, limitandosi a ghignare. La
Mason, invece, le lanciò uno sguardo disgustato.
«Per me è
peggiorata» disse, secca.
Apophis guardò per un secondo la donna contorcersi per gli
spasmi delle risate.
«Non
saprei…» rispose, per poi scrollare
le spalle. «Non è questo l’importante. A
che punto sono i ragazzi?».
«Hanno scoperto il trucco,
ma adesso sono concentrati su
altro».
Apophis sorrise.
«Eccellente. A parte l’idiozia,
che sta combinando Phobos?».
«Oh, non ne ho la minima
idea. Tutto ciò che fa
sembra non avere senso… onestamente, non so come ragioni
quell’uomo. Perlomeno, ancora non sospettano chi possa
essere» la Mason si passa una mano davanti al volto.
«Passando ad altro, in questo momento Loki dovrebbe aver
incontrato Ermes».
La donna sbuffò, poggiando
la testa sul tavolo e versando
lentamente il vino sulla superficie. «Un traditore e
un’idiota. Quindi due idioti. Perché non li
facciamo fuori? Eh, perché? Eh?? Eh???».
La Mason si alzò,
infastidita dal comportamento infantile
della donna, e si avviò verso l’uscita.
«Concentrati sui
Sanguesporco e lascia i subordinati a noi,
Lestrange…» si bloccò, voltandosi di
scatto. La donna si era alzata per poi bloccarle il braccio e ora la
osservava con uno sguardo decisamente folle.
«Ricordatelo, io non sono
Bellatrix»
sibilò la cugina più anziana
dell’Animagus Black. Batté le palpebre e i suoi
occhi diventarono d’inchiostro. «Non chiamarmi mai
più con quel nome».
La Mason si liberò dalla
stretta e uscì dalla
stanza in silenzio mentre Ate tornava a sedersi, intonando con voce
infantile una filastrocca di sua invenzione in cui un mostro uccideva
un cervo, un lupo e un cane.
*****
Ore 11 circa – 45 ore rimanenti
Sirius
continuava a girare per la stanza strascicando i piedi e
imprecando sottovoce, passandosi di tanto in tanto una mano fra i
capelli o ringhiando in modo molto canino. Non riusciva a stare calmo.
E come avrebbe potuto? La sua ragazza era stata rapita e
l’intera scuola era sotto una specie d’ipnosi. Cose
del genere poteva tranquillamente catalogarle come
“disgrazie”.
Come se non bastasse, quella
rompiscatole di sua cugina so-tutto gli
aveva ordinato di rimanere chiuso nella Stanza delle
Necessità (o Laboratorio, o quel che era), facendolo cadere
nella disperazione più totale dovuta alla sua
inutilità in quel momento. Insomma, era pronto a scattare da
un momento all’altro.
Evelyn lo aveva ignorato per tutto il
tempo, girando intorno al banco
al centro della sala, facendo ricerche, controllando monitor e creando
sul momento qualche oggetto dal dubbio utilizzo. Dopo quello che
probabilmente era stato il centesimo giro cominciava ad essere
infastidita.
«Sirius, se vuoi dare una
mano vatti a sedere e, per
Priscilla, non rompere!»
sbottò, senza neanche
guardare il cugino. Quello ubbidì, continuando a imprecare.
«Non capisco
perché devo essere l’unico
a non fare nulla! Persino Frank e Alice hanno un compito, mentre io
devo stare qui con la museruola!» esclamò il
ragazzo mentre si sedeva rabbiosamente e, nonostante tutto, senza
perdere la tipica grazia dei Black di cui le sorelle Tonks erano
sprovviste.
«Frank e Alice stanno
semplicemente trovando scuse con i
professori, cosa non molto difficile: si berrebbero qualsiasi cosa.
Remus mi ha chiesto di tenerli fuori il più possibile da
questa storia e sono d’accordo» rispose la ragazza,
poggiando una mano sul pannello dell’Archivio e cominciando a
scorrere una serie di dati. «Remus e Dora sono Auror e mi
servono per le investigazioni. E sai benissimo perché ho
messo in coppia Lily… e James… Uh, questo
è interessante».
Sirius ignorò
l’ultima osservazione della ragazza,
assorta da delle strane immagini che al Grifondoro non interessavano
minimamente. «Ma non capisco perché io
sono qui
senza far nulla! Insomma, posso essere utile! Potrei-».
Evelyn si girò verso di
lui, inferocita. «Chiudi
il becco! Qui tutti ci stiamo dando da fare per cercare
Emmeline e Mary
che, ti ricordo, non è solo la tua fidanzata ma anche nostra
amica! E, giusto perché te ne renda conto, non ti ho mandato
fuori perché ora come ora assaliresti chiunque ti guardasse
nel modo sbagliato e pensavo, nella mia idiozia, che magari mi saresti
stato più utile qui, a organizzare il recupero! Ma, a quanto
pare, mi sbagliavo perché non riesci a togliere te stesso
dai tuoi pensieri per concentrarti su qualcos’altro, quindi
puoi anche andartene se vuoi! Anzi, non m’importa se vuoi,
esci e basta. Va’ a chiamare Silente, già che ci
sei, magari saprà cosa fare!». Si voltò
di nuovo verso lo schermo. Tremava. «E vedi di non ammazzare
nessuno mentre te ne vai».
Sirius la guardò,
sgranando gli occhi. Evelyn aveva
scaricato contro di lui tutta la tensione che aveva accumulato, troppa
per una quindicenne che, nel frattempo, stava cercando di ricostruire
dall’inizio il rapporto con la propria sorella morta e
risorta. Il Grifondoro avrebbe voluto ribattere, dire che gli
dispiaceva o comunque fare qualcosa, ma le parole di Eve erano
chiaramente un ordine: lo voleva fuori dai piedi. Si alzò e,
tenendo la testa bassa, uscì dal Laboratorio. Si chiuse la
porta della Stanza alle spalle e si diresse verso l’ufficio
del professor Silente, non molto lontano da lì.
*****
Ore 10:30 circa – 45 ore e mezza rimanenti
James
camminava senza dire una parola, guardandosi intorno in cerca di
qualcosa che potesse rientrare nella sua idea di
“indizio”. Lily, dal canto suo, non sembrava
minimamente intenzionata a iniziare una conversazione, cosa che,
invece, non si poteva affatto dire di John, che continuava a fare
commenti maliziosi sui due. Ignorarlo diventava sempre più
facile e questo infastidiva abbastanza l’Altro.
I due (o tre) si trovavano in un
corridoio del Terzo Piano non molto
lontano dall’aula di Difesa contro le Arti Oscure, un
corridoio abbastanza isolato e poco frequentato… per un
ottimo motivo: era un vicolo cieco.
«Sei sicura che siamo nel
posto giusto?» chiese
James, fermandosi, sovrastando l’ennesima battutina del suo
alter-ego. Riteneva quel posto il più inutile di tutto il
castello: un vicolo cieco privo di un qualsivoglia passaggio segreto,
solo un corridoio vuoto e polveroso inadatto perfino per incontri poco
leciti, data la vicinanza eccessiva a un aula.
Lily sospirò.
«Sì, il luogo
è esatto. Anche l’AP rileva tracce di magia
Oscura».
James la osservò muoversi
con sicurezza verso la fine del
corridoio, puntando l’AP in punti apparentemente casuali. Eve
aveva offerto un AP anche a lui, ma aveva ritenuto che sarebbe bastata
Lily per quel tipo di “missione”.
Erano andati in quel posto
perché, poco dopo che Mary ed
Emmeline erano sparite, l’FPS (il Friends
Protection System,
aveva spiegato una riluttante e imbarazzatissima Evelyn) aveva rilevato
tracce della stessa magia in quell’esatto punto ma, almeno a
vedersi, sembrava non fosse accaduto nulla di particolare. Il corridoio
era vuoto, anonimo e noioso.
«Sembra non ci sia
nulla» commentò il
Grifondoro, passandosi una mano fra i capelli. Era una frase quasi
casuale ma significava: voglio andarmene via
perché un altro
po’ e crepo per la tensione.
«Forse» rispose
apaticamente la ragazza,
continuando a esaminare i dintorni.
«Uuuuh! Freddina la rossa,
eh?!»
ridacchiò John. «Dieci a uno che ci rimedi le
botte».
Le
“botte”? Quanti anni hai, cinque?,
pensò James.
«Se questa è la
tua maturità mentale,
non è colpa mia» replicò
l’Altro. La telepatia era stata scoperta da poco…
ed era snervante.
«Le ore passano, e le
vostre speranze svaniscono»
sibilò una voce. I due ragazzi si girarono verso
l’entrata del corridoio, ora bloccata. Un ragazzo si ergeva
di fronte a loro, circondato da un’aura oscura che sembrava
premere su tutto ciò che era intorno, compresi i due
Grifondoro che si sorpresero ad ansimare per la fatica di rimanere in
piedi. «Entro domani sera, le ragazze saranno morte e voi le
seguirete subito dopo».
«Chi sei?»
ringhiò James, pronto a
flettere il polso e afferrare la bacchetta. Lo sconosciuto indossava un
impermeabile nero con il cappuccio, il tutto incantato in modo che il
viso fosse nascosto dall’oscurità e impossibile da
distinguere «Cosa diamine vuoi?».
Lo sconosciuto rise tetramente.
«Fareste meglio a
concentrarvi sul vostro compito, ragazzini. Siete deboli e indifesi,
nessuno vi ascolterà né, tantomeno, vi
aiuterà. Ma mi piace giocare». Si
avvicinò di qualche passo a James che rimase immobile,
bloccato dalla Paura. Lily, poco distante, sussultò. Lo
sconosciuto si chinò su di lui. «Farò
in modo che arriviate il più vicino possibile, che gioiate
della vostra riuscita, che riabbracciate coloro che vi sono state
tolte.... E poi vi ucciderò, lentamente, lasciandovi marcire
nel Terrore».
Lily agì di scatto,
lanciando uno Schiantesimo contro lo
sconosciuto. Sotto i loro occhi, la fattura gli passò
attraverso come se fosse un fantasma. Lo sconosciuto rise.
«Ops, beccato!»
esclamò.
Portò il volto a pochi millimetri da quello di James per poi
sussurrare: «Se questo è il potere di una mia
proiezione, come farai a battermi?».
James lo guardò,
impietrito. Aveva capito perfettamente qual
era il “potere” di cui parlava. Lo sconosciuto
arretrò di qualche passo e svanì
nell’aria. James e Lily sentirono la pressione svanire di
colpo e si accasciarono a terra, sfiniti.
«Cos’era?»
chiese Lily, incredula.
James rimase in silenzio, tremante e
immobilizzato. Sentì
una pressione sulla propria spalla e si girò, aspettandosi
di incontrare lo sguardo di Lily. Accanto a lui, invece,
c’era John.
«Quello era mio
fratello» disse John, guardando con
un ghigno il punto in cui era sparito lo sconosciuto.
James sentì Lily
sussultare rumorosamente e la vide alzarsi,
puntando la bacchetta verso John. Non capiva, tuttavia, come fosse
possibile. L’Altro alzò a sua volta lo sguardo
sulla Grifondoro, lanciandole uno sguardo scettico.
«Mettila via,
principessa» disse pigramente,
inclinando leggermente la testa. «Non è un
giocattolo».
«Tu c-chi…?
C-come…?»
balbettò la ragazza. John ridacchiò.
«Scusa ma ho altro da fare
piuttosto che farmi balbettare
addosso» disse, facendo qualche passo lungo il corridoio. Un
vortice di nubi nere apparve apparentemente dal nulla e lo
circondò, per poi diradarsi subito dopo, senza aver lasciato
traccia dell’Altro.
James cominciò a sentirsi
la testa pesante.
Ore 11 circa – 45 ore rimanenti
John
ricomparve in uno stretto corridoio dei Sotterranei, nascosto
nell’ombra. Il suo immancabile completo babbano lo nascondeva
abbastanza bene.
James Potter odiava i Sotterranei. Li
trovava bui, deprimenti e freddi,
uno dei posti peggiori della scuola se non del mondo stesso. Ogni cosa
era fatta in pietra scura e i muri stessi sembravano essere nemici in
agguato.
John Smith, invece, amava quel posto.
Si beava di ciò che
quel posto conteneva, di come la sprigionava da ogni sua fessura.
Avrebbe voluto appartenere alla Casa che lì aveva dimora, i
più adatti alla sua via. Adorava
l’Oscurità di quel luogo.
Sentì dei passi e
guardò verso il corridoio alla
sua destra, leggermente più illuminato. Sotto una torcia
accesa, un ragazzo un po’ sovrappeso si guardava intorno,
mangiucchiandosi le unghie con nervosismo. John guardò
l'orologio da polso che Charlus aveva regalato a James l’anno
precedente. Peter Minus era arrivato in perfetto orario, nel suo enorme ritardo. Dietro il
ragazzo, un vortice di ombre fece apparire un’altra figura,
dai capelli neri e unti e un’ampia cicatrice sulla guancia
destra. Peter sussultò e fece un passo indietro, lasciando
che Piton avanzasse sotto la luce.
«Allora, piccolo
ratto» cominciò il
Serpeverde, beffardo. «Cosa mi hai portato?».
Tremando, Peter prese una piccola
fialetta da una tasca interna del
mantello e la porse al ragazzo. Piton esaminò il liquido
rosso contenuto all’interno.
«Sicuro che sia il
suo?» chiese. Peter
annuì. Il Serpeverde fece una smorfia soddisfatta e ripose
la fiala in tasca. «Perché chi hai messo
tanto?».
«N-non d-dovevo farmi
vedere» balbettò
Codaliscia. «Ho-ho dovuto a-aspettare che L-Lumacorno se ne
andasse. Te-teneva la porta dell’ufficio a-aperta e non
potevo tra-trasformarmi con quella con me: a-avrei po-potuto
romperla».
Piton annuì per poi
ghignare. «I tuoi servigi non
sono più richiesti».
Il Serpeverde schioccò le
dita e Peter, piagnucolando,
scomparve in un vortice di ombre. Mentre Piton si ritirava
nell’oscurità, John si fece avanti con passo
tranquillo, giusto per fare un’entrata in scena abbastanza
figa.
«Sai che è
morboso persino per te,
vero?» domandò, sarcastico. Piton si
voltò, ostentando un’espressione quasi annoiata.
«Cosa fai qui?»
chiese. «Non dovresti
torturare il tuo contenitore? Pensavo che fosse ciò che sai
fare meglio».
«Sono davvero
così sottovalutato?»
chiese John, fingendosi offeso. «Si vede che non vi ricordate
di Creta, eh!».
Piton sbuffò e
alzò gli occhi al cielo.
«Oh, no, ti prego! Non ancora quella storia!».
John lo ignorò.
«Se non mi fossi interessato a voi
ammazzando quel branco di Minotauri a quest’ora sareste
poltiglia e il vostro unico contenitore una creatura senza un briciolo
d’intelligenza! E se non avessi…».
«Piantala!» lo
bloccò Piton, esasperato.
«Dimmi cosa vuoi e falla finita».
«Informazioni».
«E se non volessi
dartele?».
«Allora sono sicuro che il
caro serpentone sarà
lieto di sapere che uno dei suoi aiutanti sta lavorando per proprio
conto» minacciò John, avvicinandosi di un passo.
«Mi basterà dirgli che hai voluto prelevare il suo
sangue e penserà che l’osmosi ti abbia di nuovo
fottuto il cervello. E poi: usare Ermes?! Hai tolto una delle sue spie
dal gruppo! E qual è l’altra? Oh, sono io, ma
guarda un po’! Una delle persone di cui si può
più fidare!». Si avvicinò ancora. Ora
c’era solo meno di una spanna (e un naso da cui voleva
tenersi a distanza) tra i due. «Mi crederà
sicuramente: dopotutto, non sei nuovo ai tradimenti, no?».
Piton sfoggiò la sua
espressione più infuriata e
digrignò i denti. Sapeva di non avere chance: anche se
avesse detto ad Apophis che anche John stava tradendo non gli avrebbe
mai creduto e lo avrebbe nuovamente privato di un contenitore.
«Phobos ha portato le
Sanguesporco alcuni tunnel sotterranei
nel parco di Hogwarts. Non so dove di preciso, non conosco quella zona.
Le tiene legate con Nightmare» disse
Piton.
«Inoltre ha rapito il Black piccolo e ne ha preso
l’aspetto, così può scorrazzare per
Hogwarts liberamente».
John soppesò le parole
dell’altro, cercando di
capire se stesse dicendo la verità ma, alla fine,
annuì, convinto. Sorrise. «Grazie per la
collaborazione».
Si voltò, dirigendosi a
grandi passi verso
l’uscita dei sotterranei, quando la voce di Piton lo
raggiunse.
«Sei proprio sicuro che
l’osmosi abbia fottuto il
mio, di cervello?» aveva detto, beffardo.
John si era
irrigidito ed era scomparso e riapparso di fronte al ragazzo nel
consueto vortice oscuro.
«Che vorresti
dire?» chiese, minaccioso. Piton rise.
«Oh, avanti!»
esclamò. «Non
dirmi che non te ne sei accorto?! Quand’è che hai
smesso di essere il dio della morte per diventare una-»
La mano di John, circondata da
un’aura nera, si chiuse
attorno alla gola del ragazzo, bloccandone la voce. «Attento,
Loki, un’altra parola sbagliata e giuro che ti faccio saltare
la testa».
Un lampo di energia azzurra
separò i due. John mantenne
l’aura sul suo braccio, osservando con rabbia Piton che,
massaggiandosi la gola, lo osservava con occhi neri come
l’inchiostro.
«Sei proprio
un’idiota» sibilò
Loki. «Ogni volta ci caschi sempre ma rifiuti la
verità!».
«E a te che
importa?» chiese l’altro,
osservandolo con disprezzo.
«Odio vedere un tale spreco
di potere»
spiegò. «Cerca di aprire gli occhi!
L’osmosi non è una maledizione! Potresti diventare
il daimon più potente di
sempre!».
John lo guardò.
«Spiacente, rifiuto e vado
avanti».
Un raggio di magia Oscura
partì dalla mano di John per
infrangersi su uno scudo invisibile tra i due.
«Te ne pentirai,
Mot» sentenziò Loki.
«Se non sarai tu ad ottenere quel potere allora lo
farò io. E non puoi nemmeno immaginare cosa potrei
farci…».
«Vai a morire
ammazzato» disse John con
semplicità, dissolvendosi nel nulla. Non come nubi
né come ombra, sparì e basta.
*****
Ore 12:30 circa – 44 ore e mezza rimanenti
Sirius
uscì dall’ufficio della McGranitt con aria
irritata. Era passato dall’ufficio di Silente circa
un’ora prima e, dopo aver perso parecchio tempo alla ricerca
della parola d’ordine (“soufflé al
cioccolato”) aveva bussato alla porta senza ricevere
risposta. Aveva provato a entrare, ma la porta era stata sigillata con
la magia e, dopo qualche tentativo, Sirius diede forfait.
Scese poi al
Primo Piano per chiedere spiegazioni alla vicepreside. Aveva quindi
scoperto che Silente era andato via per motivi privati, senza entrare
nel dettaglio, e che sarebbe tornato solo fra un paio di giorni. Come
si aspettava, la McGranitt non fece alcuna domanda sulla loro assenza a
ogni lezione di quella mattinata (compresa la propria). Sirius quasi
sperava di ricevere una sgridata.
Il Grifondoro aveva quindi cominciato
a camminare per la scuola, senza
meta. Non gli sembrava possibile che, proprio in quel momento
così importante, Silente si fosse volatilizzato. Era troppo
strano che il “viaggio privato” fosse giusto nel
periodo in cui Mary ed Emmeline erano sparite. Non sapeva se il
colpevole avesse aspettato proprio quel viaggio del preside o fosse
stato Silente stesso a essere condizionato dall’incantesimo
che avvolgeva Hogwarts. Gli venne in mente la conversazione che avevano
avuto qualche ora prima, nel Laboratorio, appena era iniziato tutto.
Era stato proprio lui a capire la
situazione in cui si trovavano, ma
ancora gli veniva difficile crederci. Tuttavia, ormai era innegabile:
Hogwarts era sotto l’effetto di un qualche sortilegio.
Da quant’era che non
svolgevano una lezione? Come mai
studenti e professori non gli rivolgevano la parola se non cominciavano
prima loro a parlare? Dov’era sparito Piton per tutto quel
tempo? Perché nessuno se n’era accorto?
Perché, nonostante andassero in giro per la scuola come e
quando volevano, nessuno gli diceva nulla? Perché Pix non
faceva più scherzi alle persone? Come mai la Mason
continuava a fare i suoi sporchi comodi ventiquattr’ore su
ventiquattro senza che nessuno si accorgesse che qualcosa non andava?
Da quanto caspita era che non facevano un allenamento o una partita di
Quidditch?
La risposta poteva essere una sola:
l’autore fa
schifo… ehm, no, cioè: anche. Volevo
dire… Ehm, torniamo a noi.
Su Hogwarts era stato gettato
innegabilmente qualche forma di
incantesimo che alterava le percezioni di ogni studente nella scuola,
studenti e professori. I ragazzi stessi non se ne erano resi conto e
solo il famoso Istinto di Sirius (perché ora era stato
promosso ad una “I” maiuscola da James) era
riuscito a captare qualche segnale. Una volta svelata la magia,
comunque, sembrava che tutti i ragazzi si fossero risvegliati e ora le
loro percezioni non erano alterate. Forse era proprio quello il difetto
dell’incantesimo: la “comprensione”.
Quando l’aveva spiegato
agli altri, Evelyn era arrivata
addirittura a definirlo un “genio”, guardandolo con
ammirazione. Ricordò tristemente il modo in cui
l’aveva cacciato. Non sapeva darle torto: era stato un
egocentrico idiota.
La verità era che senza
Mary si sentiva perso. Certo, non
l’avrebbe mai ammesso, ma era così.
Avvertiva l’estremo bisogno
di rivederla al più
presto, saperla sana e al sicuro, e rimanere fermo con le mani in mano,
aspettando che gli altri facessero il lavoro, lo faceva impazzire.
Sapeva che tutto ciò era un pensiero puramente egoistico, ma
a cos’altro avrebbe potuto pensare? Più volte
aveva estratto la bacchetta, osservando la “M”
incisa sopra, come cercando di stabilire un contatto con Mary, come se
in quel modo fosse lì vicino.
Così faceva in quel
momento. Camminava, ma il suo sguardo
era fisso sulla bacchetta di ebano, pensando alla ragazza prigioniera,
di cui teneva l’arma di nocciolo nella Sala Comune per non
correre il rischio di perderla o danneggiarla.
«Dovresti guardare dove
cammini» disse qualcuno con
voce arrogante e ben familiare. Sirius si voltò, incontrando
lo sguardo di sufficienza di suo fratello minore. Il Grifondoro
aggrottò le sopracciglia, sentendo il suo Istinto
suggerirgli qualcosa.
“Tieni d’occhio
tuo fratello” aveva detto
John. Sul momento, Sirius aveva pensato che si stesse riferendo a
James, che ormai era il suo unico e vero fratello, ma guardando Regulus
si ricredette. L’espressione, il portamento…
Nessun Black poteva essere così scialbo, lo aveva imparato a
sue spese.
«Dov’è
Regulus?» chiese il
ragazzo, stringendo la mano sulla bacchetta, pronto a lottare.
Il falso Regulus inarcò le
sopracciglia, leggermente
stupito, per poi assumere un ghigno malvagio.
«Al sicuro»
rispose, calmo.
«Così come le Sanguesporco».
Sirius irrigidì la
mascella e strinse i pugni, trattenendosi
dal saltargli addosso e colpirlo.
«Dove sono?»
chiese, in un tono che lo fece
sembrare un ordine.
Regulus sorrise più
apertamente.
«Nell’altro
mondo» disse. Sirius
ruggì dalla rabbia e gli si gettò contro,
brandendo la bacchetta come se fosse una sorta di pugnale. Regulus
sparì nel nulla un istante prima che i due entrassero in
contatto e riapparve dietro il Grifondoro, ridendo. Sirius
ringhiò, ricordando la sua forma canina. Aveva perso il
controllo e gli era saltato contro, ma sapeva che Mary ed Emmeline
erano ancora vive. E anche il vero Regulus. «Ammetto che
questo non va secondo i miei piani, ma sei uno spasso!».
«Dimmi. Dove.
SONO!» ruggì il ragazzo,
lanciando uno Schiantesimo contro Regulus, che lo schivò,
scoppiando in una risata volgare.
«Toh, ma guarda!»
esclamò allegramente
qualcuno dietro il falso Regulus. «Un altro psicopatico!
Cambiano gli universi, ma i pazzi sono sempre dello stesso
stampo!».
Dora teneva la bacchetta puntata
contro Regulus. Per tutto quel tempo,
Sirius aveva pensato che stesse mentendo quando diceva di essere
un’Auror, ma l’espressione che aveva lo fece
ricredere.
«Qualcosa mi dice che
questo lo conosciamo»
commentò Remus, armato come la fidanzata e schierato accanto
a lei, osservando con aria interessata il Serpeverde.
«Ciao, lupetto, come va la
morte?»
salutò quello, ammiccando. Remus inarcò un
sopracciglio.
«Ecco, appunto».
Dora, accanto a lui,
sospirò tristemente.
«Perché non te
ne vai, Dolohov?» chiese,
infastidita.
Quello fece spallucce, sbuffando.
«E va bene, ma solo
perché lo hai chiesto con
gentilezza». La nubi oscure cominciarono a circondarlo.
«Ricordatevi che avete una scadenza. Tic tac, tic
tac!».
Nella sua oscena risata, il corpo di
Regulus scomparve nel nulla.
Sirius digrignò i denti,
furioso.
«Avrei potuto farlo parlare
e dirci dove sono Mary ed
Emmeline!» ringhiò. E mio fratello,
aggiunse
mentalmente.
«Non serve» fece
Dora. «Forse sappiamo
dove si trovano».
Sirius sgranò gli occhi,
sorpreso.
«E…?».
«Dobbiamo vederci con gli
altri al Lab, lì sapremo
tutto» spiegò Remus.
*****
Ore 12:00 circa – 44 ore rimanenti
David
camminava ormai da diverse ore nell’immenso parco di
Hogwarts, tanto che stava cominciando a chiedersi se il suo congegno
fosse rotto. Provò a scuoterlo accanto al suo orecchio, come
se in quel modo potesse capire cosa ci fosse che non andava. La luce al
centro avrebbe dovuto farsi più intensa mano a mano che si
avvicinava al suo obbiettivo, ma dopo ben quattro ore di giri a vuoto
aveva capito di aver ottenuto una bidonata.
Tecnicamente, quello non era altro
che un rilevatore di concentrazioni
particolari Etere, sgraffignato dalla scrivania di suo padre mentre non
era attento (ovvero praticamente sempre: quando mai il grande Barty
Crouch Senior si dedicava al proprio figlio?). Il fatto che fosse del
Ministero gli aveva fatto pensare che avrebbe funzionato, ma a quanto
pareva non era così. E dire che tutto ciò che
voleva era aiutare Eve… Ehm, no, insomma, non che volesse
aiutare proprio lei ma c’erano delle persone in
difficoltà e quindi lui… Oh, ma santo Merlino,
come siete pettegoli!
Continuò a girare in
tondo, puntando il congegno verso vari
luoghi, ma la sfera nera sembrava voler rimanere di tale colore. E,
come se non bastasse, era appena suonata la campana
dell’ultima ora della mattinata, quindi alcuni studenti
sarebbero potuti entrare nel parco a loro piacimento.
La sfera pulsò
d’oro per un momento e David si
affrettò a ritrovare la direzione. Il bagliore era fisso ma
debole.
«Un’ultima
volta» sussurrò
David, rivolto al piccolo oggetto. «Se mi freghi ancora ti
mando a far compagnia alla piovra. Siamo intesi?».
Dopo quella sorta di ramanzina, il
Corvonero si diresse a grandi passi
nella direzione indicata dalla sfera, che diventava più
luminosa mano a mano che si avvicinava ai limiti della Foresta Proibita.
«Ecco, ora è
più plausibile»
convenne. Parlare da solo era una brutta abitudine che aveva preso a
casa propria.
Segui le indicazioni della sfera fino
a un grande albero dalla
corteccia leggermente più scura di quelli accanto. La sfera
brillava tanto da far male agli occhi e David la mise in tasca,
tornando poi a esaminare la pianta. Scoprì subito di non
poterla toccare, poiché la mano veniva bloccata da una
barriera invisibile.
«Carino…»
mormorò il ragazzo.
Prese la bacchetta e la puntò contro l’albero,
facendola scorrere su e giù lungo il fusto e scagliando
semplici Incantesimi d’Analisi. «Ma
inutile».
Mosse la bacchetta in un moto
circolare continuo e, pian piano, la
corteccia sembrò farsi prima più chiara,
diventando dello stesso colore della vegetazione attorno, poi
completamente trasparente. Sotto di lui si allargava un buco nella
terra con tanto di chilometrica scalinata verso
l’oscurità.
«Bingo». Dopo
aver acceso la bacchetta, David non
esitò a scendere, curioso ed eccitato. La fossa non era
così profonda come sembrava e dopo neanche un minuto David
si ritrovò in una piccola caverna circolare.
«Guarda chi abbiamo
qui» mormorò,
chinandosi sul corpo disteso a terra.
*****
Ore 13:00 circa – 43 ore rimanenti
Era
passata ormai un’ora e mezza, circa, da quando John era
tornato nel corpo di James. Il ragazzo lo aveva avvertito come lo
schiocco di un elastico che torna alla sua forma originaria. Le loro
menti erano tornate in collegamento e John gli aveva raccontato
cos’era successo (tralasciando dei dettagli che considerava
“insignificanti”).
Per tutto il tempo in cui fra i due
non c’era stato
collegamento, a James mancarono le forze e quasi svenne. Lily fu
costretta a rimanere con lui per tutto il tempo, con l’ansia
rimasta dall’incontro con colui che, secondo John, si faceva
chiamare “Phobos”, come il dio greco della paura.
Erano tornati in fretta al
Laboratorio per raccontare agli altri
ciò che aveva riferito John, che sembrava essersi messo a
dormire in un angolino della mente di James. In ciò che era
stato facilmente ribattezzato “Lab”, avevano
incontrato Remus e Dora, appena tornati dalla loro “indagine
sulla scena del crimine”. Evelyn disse ai due di cercare
Sirius, mentre James e Lily si riposavano. Tutto ciò che gli
avevano detto era stato «Sappiamo dove si trovano».
Tutti coloro che erano alla ricerca
di Emmeline e Mary erano quindi di
nuovo riuniti attorno al tavolo cilindrico del Lab.
Mi siedo sul lungo divano situato sul
perimetro della stanza mentre
Sirius sta raccontando agli altri ciò che è
successo. Poggio i gomiti sulle ginocchia e nascondo il viso fra le
mani, un po’ per stanchezza, un po’ per altro.
Sento i cuscini abbassarsi accanto a me e una mano delicata appoggiarsi
sulla mia spalla.
La anticipo. Non voglio iniziare
questa conversazione.
«Sto bene» dico
soltanto. Riesco quasi a sentire il
sopracciglio che s’inarca. «È solo la
Luna» aggiungo poi, come se spiegasse tutto. A dirla tutta, mi sembra strano che sia già passato un intero mese. Tutto è andato fin troppo di corsa.
«Già»
fa lei. «E dimmi, la tua
Luna si chiama per caso Dolohov?».
Mi volto a guardarlo. Fa un
sorrisetto strano.
«Piantala di fare il
cretino» dice. «Non
hai bisogno di fingere».
Serro i pugni.
«Sì,
invece». So che sta solo cercando
di darmi una mano, quindi vedo di fare un bel respiro e darmi una
calmata. Poi riesco a parlare in maniera civile. «Dora, la
persona che ha rapito le nostre amiche è colui che mi ha
ucciso. Per di più, ora ha ottenuto un qualche superpotere
oscuro che ti fa secco solo guardandoti male». Prendo un
altro respiro. «Quante possibilità ho di batterlo
ora?».
«Parecchie,
direi» commenta. Non capisco e penso mi
si legga in faccia. «Non so se te ne sei accorto, e lo vedo
difficile dato il casino che fa Sirius, ma non sei solo in questa
stanza. E credi veramente che ti lasceremo andare da solo ad affrontare
uno psicopatico che ha deciso di farsi chiamare come un dio?».
Sorrido e lo poso un bacio sulle
labbra.
«Devo prenderlo come un
no?» chiede, scherzosa.
Gliene do un altro, sorridendo ancora di più.
«Mmh, comincio a intuire un significato ma
forse…».
«Dai, Auror, abbiamo da
fare» dico, alzandomi. Lei
fa una faccia offesa ed io ridacchio, porgendole una mano per aiutarla
ad alzarsi. Mentre lo fa, ripenso a quanto io sia fortunato.
Quando torniamo a rivolgerci agli
altri è chiaro che non
stavano parlando di nulla di rilevante, ma volevano lasciarci la nostra
privacy. Li ringrazio mentalmente.
«Quindi?» chiede
Dora.
«Allora, riassumiamo il
tutto» Eve si stacca dagli
altri tre, prendendo la parola. «John, che al momento
è bello che andato quindi non possiamo chiedergli altro, ci
ha riferito che Phobos («Dolohov») –
anche se fosse Merlino non m’importerebbe, Remus,
è solo un bastardo rapitore barra assassino – ha
nascosto Mary, Emmeline e forse anche Regulus nei sotterranei del
parco. Al momento, ho inviato delle sonde magiche in vari punti sotto
il terreno, con la speranza che trovino i tunnel e ci diano
informazioni – se siamo fortunati, anche una mappa non
sarebbe male». Parla come uno di quei pezzi grossi che si
vedono nei film, quelli a capo di grandi organizzazioni super-segrete e
che nei briefing con le Nazioni Unite spiegano la
minaccia globale di turno. È forte, la piccola Tonks. Anche
se gesticola molto. «A quanto sembra, Phobos ha un potere
particolare che chiama “Nightmare”,
che intrappola
il soggetto in una sorta di sonno incantato stile La Bella
Addormentata
nel Bosco – Sir, James, lasciate perdere – e lo sta usando su di loro. Inoltre, pare
che abbia una bella dose
di Polisucco che usa per prendere il posto di Regulus e fare ancora
più danni. E sembra anche che sappia teletrasportarsi in una
sorta di fumo nero molto “io sono malvagio e si
vede”». Si sposta lungo il tavolo centrale fino
all’Archivio. Poggia una mano sulla sezione apposita e il
monitor si accende, mostrando vari dati che sembrano riferirsi a
qualcosa di organico (la sigla DNA parla chiaro).
«Usando le scansione
dell’AP che, fra parentesi,
userò solo io perché voi non siete capaci, ho
trovato tracce di un altro essere vivente nell’aula in cui
sono state rapite le ragazze. Ho avuto difficoltà a capire
cosa fosse, ma alla fine l’ho scoperto: signore e signori, il
maledetto figlio di buona donna si porta dietro una Chimera».
Il monitor mostra l’immagine dell’essere, una sorta
di accozzaglia di animali senza apparentemente alcuna logica. Il bello
è che so che sputa anche fuoco. E il serpente che funge da
coda è velenoso. È molto versatile, come animale,
ti può uccidere in almeno cinque modi diversi, a volte anche
contemporaneamente. Ma qualcosa non mi quadra…
«E tu come hai fatto a
trovare un campione di DNA di una
Chimera da confrontare con quello trovato» chiedo, perplesso.
«Tu non vuoi saperlo,
fidati». Lo sguardo che mi
lancia fa capire che è meglio darle retta. «In
ogni caso, non è una Chimera normale.
Non so in che modo ma
devono averla alterata, dandole dei poteri di pura magia Oscura. Ergo,
è almeno venti volte più pericolosa».
«Che culo»
mormora James. Completamente
d’accordo. Non bastava il dio della paura, no, ci voleva
anche il cane da guardia pompato.
«Domanda!»
esclama Sirius, alzando una mano verso
l’alto in un’evidente imitazione di Lily. Lei si
limita a guardarlo male.
«Dimmi» dice
Evelyn, sospirando.
«Come li
ammazziamo?».
Silenzio di tomba.
«Cos’è
che dicevi sulla forza del gruppo
e compagnia bella?» chiedo sottovoce a Dora. Lei mi
dà una gomitata nelle costole.
«Okay, su questo
c’è ancora da lavorare,
ma penso di poter esaminare il campione di magia Oscura e poterne
trovare un punto debole o qualcosa del genere. Spero»
commenta la piccola Tonks, un po’ titubante. Lo
“spero” non è affatto rassicurante ma ci
limitiamo ad annuire, cercando di apparire sicuri. Mai stato meno
sicuro in tutta la mia vita. No, non è vero: sono morto e
resuscitato in un’altra dimensione, in quel momento sono
stato meno sicuro che mai.
«E adesso?»
chiede Lily.
«Adesso è
l’una e quindi direi di andare
a mangiare» risponde velocemente Dora. Cibo. A quel pensiero
si sentono imbarazzanti rumori da quasi tutti i nostri stomaci.
«Non abbiamo neanche fatto colazione…».
«Ma… sicuri di
voler andare a mangiare?»
chiede Sirius, stupefatto. «Vi ricordate che ci sono due
persone scomparse…» il brontolio della sua pancia
gli impedisce di continuare. Arrossisce. «Come non detto:
prima il cibo, poi le indagini».
Mai stato più
d’accordo… No, non
è vero. Devo finirla di dire certe cose, tanto so che non
sono mai vere. Però lo stomaco brontola proprio come Zeus
comanda…
*****
Ore 14:30 circa – 42 ore e mezza rimanenti
Un’ora
e mezza. UN’ORA E MEZZA! Porco Salazar, una
dannatissima ora e mezza (che andava ad aggiungersi alle quattro
sprecate precedentemente) per tirare su quel Black e portarlo in
Infermeria. Non che pesasse, l’Incantesimo Locomotor rendeva
il trasporto una passeggiata, ma perché Regulus sembrava
proprio non voler essere portato in salvo!
All’inizio, aveva provato a
portarlo su per le scale, ma
quasi ogni gradino nascondeva una trappola (uno si rompeva sotto i tuoi
piedi, un altro ti paralizzava per quindici minuti e altre punizioni
idiote e noiose che non sto qui a descrivervi). Quarantacinque minuti
della propria vita persi per salire delle dannatissime scale! Poi
l’ingresso alla caverna si era chiuso, ma era bastato un
Incantesimo Reductor per mandare tutto a quel paese.
Per tutto il tempo in cui avevano
attraversato il castello Regulus
continuava ad impigliarsi, o addirittura aggrapparsi, a ogni singolo
mattone sporgente, a ogni quadro, allo stipite di ogni
porta… Ovviamente, neanche una singola persona era andata
lì a chiedergli “per caso ti serve una
mano” o, anche più semplicemente,
“Crouch perché ti porti dietro Black in quel
modo?”. Ma neanche a pagarli… Non vedeva
l’ora che l’incantesimo gettato sulla scuola
finisse (perché, per la miseria, era ovvio).
Era quindi arrivato in Infermeria
dopo un’ora e mezza con
Regulus che ormai aveva le mani tutte distrutte. Fortunatamente Madama
Chips era ancora impostata su “lavoro” e quindi si
prese cura del ragazzo nei suoi soliti modi. Poi fece qualcosa che
David non si aspettava proprio: lo cacciò fuori
dall’Infermeria e lo mandò a cercare Sirius, il
fratello dell’infortunato.
David rimase lì immobile.
Dove lo andava a trovare Sirius
Black in un momento come quello?
«E non ho neanche
pranzato» mugugnò il
ragazzo, dirigendosi verso i piani più alti del castello.
Con un po’ di fortuna, forse, lo avrebbe incontrato. O forse
no.
*****
Ore 15:00 circa – 42 ore rimanenti
E…
siamo di nuovo al Lab. Perlomeno ora abbiamo le pance
piene e i dispositivi di Eve sembrano aver trovato qualcosa sotto il
terreno. Almeno un paio di loro (quanti siano in totale non ci
è dato saperlo), si sono infatti ritrovati in una fitta rete
di tunnel sotterranei.
«Ci vorrà
qualche ora» mormora la
ragazza, mordendosi il labbro inferiore e osservando un monitor, che
mostrava l’inizio della formazione di
un’intricatissima mappa.
«Ore?» esclama
Sirius. «Non abbiamo
ore!».
«Sì, le
abbiamo» replica Dora, secca.
«C’è un punto
d’ingresso?».
«Ancora non l’ho
trovato» risponde la
sorella, poggiando poi le mani sul tavolo. Accanto alla mappa
cominciano a essere elencati dati incomprensibili e di vario genere.
Lily si avvicinò al
monitor e lo osservò,
sgranando gli occhi. «Incredibile che avessimo tutta questa
roba proprio sotto di noi».
«Se è per
questo, abbiamo anche un Basilisco
addormentato e un branco di Acromantule nella Foresta»
rispondo, ricordando certi episodi passati… e futuri.
«In ogni caso, i tunnel potrebbero anche essere stati scavati
dalla Mason».
«No» dice subito
Eve. «La costruzione del
passaggio è molto più antica, quasi quanto il
castello».
James alza la testa, aggrottando le
sopracciglia.
«“Quasi quanto il castello”, hai
detto?».
«Sì, e
allora?».
«E se fosse esattamente
vecchio come il castello?».
Io e Sirius capiamo all’istante ciò che gli viene
in mente. Dopotutto noi tre… anzi, noi quattro.
Porco
Salazar, come ho fatto a non rendermene conto? Non è il
momento di dirlo agli altri quindi faccio finta di nulla.
«Un passaggio
segreto!» esclama Sirius, stupito.
«Sul serio?»
chiede Lily, scettica.
«Perché i Fondatori avrebbero dovuto creare un
labirinto sotto la scuola?».
«E perché
qualcuno dovrebbe creare una camera
inaccessibile con un enorme serpente dentro?» replica Dora. A
Lily non rimane che concordare.
«Be’, non importa
se è il Labirinto dei
Segreti o che altro» dice James. «Sappiamo che un
ingresso deve esistere, e che è nella scuola».
«Quasi sicuramente nei
Sotterranei» continua Dora.
Faccio una leggera smorfia.
«Non è detto,
con un sistema di scivoli o scale
avrebbero potuto mettere il passaggio ovunque» ribatto.
«Be’, se
c’è un ingresso, lo
troverò» conclude Eve, staccandosi dal monitor.
«E adesso?»
chiede Sirius, nervoso.
«Adesso… si
aspetta» risponde la
ragazza, per poi vedere l’espressione di Sirius e aggiungere:
«Non possiamo fare altro, Sir. La mappa sarà
completa fra delle ore, probabilmente solo domani, ma avremo ancora un
bel po’ di tempo per trovare Mary ed Emmeline».
«E Regulus»
aggiunge lui. Eve annuisce, ma non
sembra troppo convinta.
«Forse dovremo…
non lo so, studiare un piano di
battaglia o cose del genere» propone Lily, sicuramente per
dare qualcosa da fare a Sirius. «Per quando dovremo
affrontare la Chimera e il tipo in nero».
«Phobos» borbotta
James.
«Non è un
dio» replica Lily, secca.
Oddio, ci risiamo. Da quando è successo il fattaccio (ma chi
lo dice più?) la tensione fra i due si taglia con un
coltello, e le discussioni sono sempre alquanto imbarazzanti.
«Va bene per il piano,
però direi di prenderci un
paio d’ore di riposo, d’accordo?» chiede
Eve, sicuramente per far finire lì la lite.
«O~okay…»
fa James. Tutti noi
concordiamo. Dopotutto, è da più di mezza
giornata che corriamo per sette piani di un castello con scale con
mente propria e la cosa è sfiancante.
James non era per niente sicuro di
ciò che stava per fare.
Ma sentiva di dover sapere. Era per questo che, quando tutti stavano
tornando in Sala Comune (Eve e Dora andavano in quella dei Grifondoro),
lui aveva bloccato Remus con una scusa ed erano andati a parlare in
privato. La pulce nell’orecchio gli era stata messa da tempo
e ora stava per andare ad affrontare una missione suicida e voleva
avere chiara la situazione. Di chi poteva veramente
fidarsi?
«Devo chiederti una
cosa» cominciò il
moro, passandosi nervosamente una mano fra i capelli. Remus
aggrottò le sopracciglia, confuso.
«Spara».
«Chi è
“Teddy”?»
aveva deciso di essere diretto, senza troppi giri di parole. Vide
immediatamente l’amico sbiancare.
«Come sai quel
nome?» chiese. Sembrava star male.
«Non importa. Dimmi chi
è». Era
velocemente passato dalle domande agli ordini e se ne rendeva conto. La
cosa non gli piaceva. Sentiva di essere cambiato… e in
peggio. «Per favore, Remus, dimmi chi è».
Il ragazzo prese un profondo respiro.
«Mio figlio»
disse. «Mio e di Dora».
James dovette ammettere che non se
l’aspettava affatto.
«T-tu hai un
figlio?» chiese, rincuorato e anche
piuttosto sbalordito. «Perché non ce
l’hai detto».
«Abbiamo lasciato un figlio
a crescere orfano in
un’altra dimensione. Credimi: io e Dora cerchiamo di pensarci
il meno possibile» rispose, con la mascella serrata. Ora a
James dispiaceva veramente aver iniziato la conversazione.
«Ora dimmi come hai saputo di Ted».
«Ho incontrato
Harry» ammise James.
«Eh?».
Nessuno dei due sapeva che, proprio
dietro l’angolo, una
figura ascoltava la conversazione, le mani serrate sulla bocca per non
far uscire alcun suono. Una figura circondata da capelli rossi.
«Wow» fece Remus,
una volta finito il racconto.
«Già…»
commentò
James.
«Fico» disse
Sirius, che evidentemente aveva
ascoltato tutta la conversazione, apparendo come dal nulla. I due
ragazzi si girarono verso di lui. «Perché non
l’hai detto prima?».
«E tu come mai sei
qui?» esclamò James,
stupefatto.
«Sono offeso,
sai» disse Sirius, ignorandolo.
«Nei hai parlato prima al lupastro che a me! Tuo
fratello!».
«Volevo dirtelo,
ma…».
«Niente ma!
Chiedo l’annullamento!».
«L’annullamento
di cosa?».
«Della nostra
fratellanza».
«Non è qualcosa
che puoi annullare!».
«Scommettiamo?».
Remus scoppiò a ridere. I
due lo guardarono.
«Visto, hai rotto
Lunastorta!» protestò
Sirius, in un tono fintamente bambinesco.
«Io? Tu l’hai
rotto, Felpato!»
replicò James.
«Scusatemi
ragazzi» fece Remus, asciugandosi le
lacrime e continuando a ridacchiare. «È solo che
mi mancavano queste cose».
James e Sirius sorrisero.
«I Malandrini colpiscono
ancora!» esclamarono in
coro. Il sorriso di Remus si gelò.
«Che succede
Rem?» chiese James, subito preoccupato.
«C’è
che siamo ancora sotto
l’incantesimo» rispose il ragazzo, ricordando
ciò a cui aveva pensato poco prima. Sirius sbuffò.
«Nah, non è
vero!».
«Sir… i
Malandrini sono quattro».
«… Io quella
pantegana
l’ammazzo!».
*****
Erano
ore che Emmeline era imprigionata in quella che sembrava essere
un’enorme magione. Non sapeva di preciso come, ma era
riuscita a liberarsi dal ghiaccio ed era scappata in fretta, senza
badare al rumore e perdendo anche due delle tre luci del candelabro che
stringeva a sé. Si era quindi ritrovata in una vecchia
stanza da letto a riprendere fiato.
Si guardò intorno,
ansimando. Lo stile sembrava come quello
che aveva trovato un po’ ovunque (ovvero vecchio-e-logoro) ma
quella stanza sembrava essere stata colpita da un terremoto. I mobili
erano riversi a terra e frammenti di specchi erano su tutto il
pavimento. Il letto, dal baldacchino distrutto e impolverato, era stato
sventrato e le piume d’oca erano sparse un po’
ovunque. La testiera, di legno scuro e finemente intarsiata, era ora
completamente deformata. Solo l’armadio era ancora in piedi,
forse troppo grande da poter cadere. Forse.
Quando riprese fiato, Emmeline si
voltò per uscire dalla
stanza. La maniglia girò a vuoto. Continuò a
provare e riprovare ma la porta sembrava non volersi smuovere, senza
pensare che, in realtà, lei non aveva mai chiuso quella
porta.
Avvertì il suo sguardo
sulla nuca. Strabuzzò gli
occhi e provò nuovamente ad aprire la porta, questa volta
con più violenza, provando anche ad abbatterla. Maledisse il
fatto di non avere la bacchetta e chiuse gli occhi, capendo
ciò che, inevitabilmente, avrebbe dovuto fare.
Si girò di scatto,
puntando la luce verso il centro della
stanza. Nel bel mezzo del caos, un manichino era in piedi, di quelli
che fungono da modelli anatomici per gli artisti. Era evidentemente
rivolto verso di lei, benché non avesse un volto. Gli
avevano sempre fatto un po’ impressione, quei cosi, ma le
poche volte in cui li aveva visti erano sempre di piccole dimensioni:
questo era alto come un uomo adulto.
La ragazza spostò un
attimo lo sguardo e vide che le ante
dell’armadio erano ora aperte. Riportò lo sguardo
sul manichino e lo vide nel tentativo di fare un passo avanti.
«Merda»
mormorò. Riprovò ad
aprire la porta, dando così le spalle al manichino.
Percepì il fiato sul collo e il sussurro di un essere senza
bocca.
«Temi
tu la morte?».*
"Dalla padella nella brace" aveva
assunto un significato tutto nuovo per lei.
Ore 17:00 circa – 40 ore rimanenti
Camminava
a passi lenti nel corridoio oscuro. Come plasmato dalle ombre
stesse, l’uomo in nero si muoveva agilmente
nell’intricato dedalo di corridoi. La struttura era scavata
nel terreno, ma le pareti erano state rivestite da marmo nero e
illuminate, raramente, da fiaccole che bruciavano in fiamme cerulee.
Trovare la camera centrale fu semplice per lui. Il suo
“servo”, mandatogli poco prima da Loki, lo accolse
con gioia. Per gli dei, come lo disgustava quell’essere.
Ermes aveva ottenuto un contenitore davvero ripugnante.
Concentrò il suo sguardo
sulle due ragazze. La bionda era
immobile, probabilmente in un momento di incoscienza. L’altra
si dibatteva debolmente, vittima in quello stesso istante del suo
potere venefico. La sua Paura era come una tossina, entrava nel corpo
della vittima e colpiva dall’interno, scatenando la sua
attività cerebrale. Non esisteva qualcuno che non provasse
paura.
Nightmare era
definitivo. Impossibile risvegliarsi, l’incubo
continuava a flagellare la vittima, trasportandola in un infinito
tunnel di terrore.
«Sorvegliale
bene» sussurrò a Ermes.
Quello annuì più volte, riverente. Phobos fece
un'altra smorfia disgustata e tornò nei corridoi.
Mentre camminava, vide davanti a se
una piccola macchiolina argentea
che galleggiava nell’aria e si spostava velocemente. Phobos
fu tentato di afferrarla e farla a pezzi ma si trattenne.
«Sì…
vieni da me, lupetto»
mormorò, lasciando la strada libera per la sonda.
«Ci divertiremo, domani notte».
*****
Mary
si risvegliò con la testa che le pulsava dolorosamente.
Sentiva ancora il dolore dei graffi che le coprivano buona parte del
corpo, ma ormai sembrava che il peggio fosse passato. La fame e la
sete, invece, erano molto acute. Si mise a sedere, cercando di fare
mente locale e guardandosi intorno. Era al centro di quelle che
sembrava il cortile di un castello ormai in rovina; una volta doveva
essere alto e imponente, ma ora era smembrato, con le torri spaccate a
metà e muri crollati.
Mary non capiva. Era sicura che,
quando era svenuta, si trovasse in una
foresta. Ricordava con precisione il sentiero che l’aveva
portata lì dalla scogliera. La scogliera da cui era arrivata
dalla caverna. La caverna in cui…
La mente sembrò
esploderle: la cosa non aveva senso.
Com’era possibile?
Era stata rapita e rinchiusa in una
caverna, aveva sentito le urla di
Emmeline che veniva torturata, era scappata dopo che tutto era
crollato… Eppure, il sentiero che l’aveva portata
fuori era uno solo, senza bivi o diramazioni. E la luce del sole che
filtrava nella grotta era completamente diversa da quella che
c’era sulla scogliera. Infine quell’improvviso
passaggio di ambiente…
Si alzò in piedi,
osservando le macerie che la circondavano.
Il suo sguardo s’incontrò poi con il riflesso
della luce del sole su un lago. Osservò la figura delle
colline che si stagliavano all’orizzonte, circondando il
grande lago immobile e luminoso.
Fu quando un enorme tentacolo ruppe
per un secondo la superficie
dell’acqua che capì dove si trovava.
All’improvviso riconobbe il cortile in cui si era
risvegliata. Si voltò da un lato, aspettandosi di vedere un
lungo ponte in pietra che avrebbe dovuto connetterla a
un’altra sezione del castello, ma di questo vide solo gli
estremi spezzati.
Si trovava appena fuori il Settimo
Piano, pensò, poco
lontana dall’aula di Rune Antiche, in un punto che avrebbe
dovuto portarla nella Torre di Astronomia. Quello era un punto di
accesso molto più rapido rispetto a quello che passava
dall’interno, ma anche più pericoloso. Molte volte
non era possibile passare a causa del forte vento.
Mary si avvicinò al bordo
del ponte e guardò in
passo. Doveva essere ad almeno una quarantina di metri da terra e,
sotto di lei, c’erano solo rocce appuntite e taglienti.
«Hai per caso deciso di
farla finita?» chiese una
voce dietro di lei. Mary si voltò di scatto.
«Perché se vuoi ti do una mano!».
Seduta sulle macerie del Settimo
Piano, alcuni metri più in
alto di lei, una ragazza dai capelli biondi la osservava con un
sorrisetto divertito, che indossava una giacca di pelle rossa, jeans
neri e stivali dello stesso colore. Mary sussultò e
sperò intensamente di avere una sorella gemella,
perché le alternative che le venivano in mente non le
piacevano affatto.
«Chi sei?» chiese
quindi, anche se non era sicura
di volere una risposta. La ragazza sbuffò.
«Sono te,
ovviamente» rispose. «Non che
ci volesse un genio per capirlo».
Mary annuì,
benché non avesse capito proprio
nulla. «E dove siamo? Perché Hogwarts non
può essere stata distrutta in un solo giorno».
«Sai che
scoperta!» sbottò
Mary… Due? «Pensavo ci fossi già
arrivata». Mary inarcò un sopracciglio in una muta
domanda e Mary Due inclinò la testa indietro e
lanciò un gemito di disperazione. «Non posso
credere che tu… che io sia così
idiota!».
Mary Due scivolò dal bordo
delle macerie e cadde in piedi
con un’eleganza che Mary non aveva mai visto in se stessa.
«Una volta eri una
figa!»
esclamò… l’Altra Sé? La
ragazza allargò le braccia, come per farsi osservare.
«Guarda come ti vestivi, come ti muovevi!
E adesso? Sei una
decerebrata che non riesce a fare nulla senza Siriu-ccino
accanto!».
Le sue parole colpirono Mary
– quella vera – come
coltelli. Era vero: da quando si era messa con Sirius, aveva cominciato
a fare sempre più affidamento su di lui e, ora che si
trovava sola, non sapeva più che pesci prendere. La testa
cominciò a sembrarle pesante e i ricordi le si accavallavano
nella mente, ricordi sia precedenti che successivi al suo fidanzamento
con Sirius, come a dire “ecco, guarda come ti sei
ridotta!”.
«Sin da quando sei arrivata
qui sei andata nel
pallone» continuò Mary Due, camminando attorno a
quella originale. «Nella caverna hai cominciato addirittura a
urlare per la disperazione, sulla scogliera avevi la testa vuota e non
riuscivi quasi a muoverti. E arrivata al castello non hai fatto altro
che girare intorno alla soluzione più ovvia».
«Qui»
mormorò Mary.
«Come, scusa?»
chiese l’altra,
mostrandosi quasi offesa per l’interruzione. Mary la
guardò con aria decisa.
«Tu hai detto
“qui” ma parlavi della
caverna, della scogliera e di Hogwarts» disse.
«Perché è lo stesso posto! Io non mi
sono mai mossa, è stato il mondo a cambiarmi intorno!
Cos’è, una specie di viaggio mentale?».
Mary Due fece una smorfia di
disappunto e le si avvicino.
«Alla fine, non sei stupida
come sembri» disse. E
la spinse indietro, giù dal ponte crollato. Mary
riuscì per pura fortuna a rimanere aggrappata con una mano a
un pezzo di roccia sporgente. Guardò verso l’alto
e vide l’Altra Sé che si avvicinava e le poggiava
un piede con delicatezza sulla mano. «Decidi in fretta,
dolcezza: Sirius o la libertà?».
Mary Due le pestò con
forza la mano e Mary mollò
la presa e cadde nel baratro.
Ore 1:00 circa – 31 ore rimanenti
Intorno
a lei, tutto era buio tranne che per una piccola torcia
attaccata a un muro scrostato e ammuffito, con le assi di legno che
sporgevano verso l’interno, rotte e appuntite. Mary si
alzò a sedere con la testa che pulsava sonoramente.
Sentì un gemito e si voltò: accanto a lei,
Emmeline sembrava sprofondata in un sonno profondo e agitato. Prima che
potesse fare qualcosa, Mary avvertì un movimento
nell’ombra e si voltò nuovamente, alla ricerca
della fonte. Nella penombra, gli sembrò vedere un paio di
occhietti acquosi.
«Peter?» chiese,
in un misto di sospetto e
speranza. Il ragazzo s’immobilizzò, forse
impaurito o sorpreso. Dopo qualche istante, Mary lo vide muoversi, come
se cercasse qualcosa. Peter puntò poi la bacchetta verso di
lei. «Cosa…?».
«Crucio»
sibilò il ragazzo. Mary
urlò, il corpo inarcato e scosso da ondate di un dolore che
non aveva mai provato prima. Era mille volte peggio delle braccia rotte
dai Bolidi a Quidditch, mille volte peggio di quando, al Primo Anno,
era quasi affogata nel lago di Hogwarts. Non l’aveva mai
provato e mai l’avrebbe più voluto provare.
Fortunatamente perse i sensi dopo poco tempo.
*Dai, avanti, questa dovete riconoscerla!
Sala Comune di Tassoverde
Ho deciso di dividere queste note d'autore in tre parti: la prima
parlerà del capitolo, la seconda di spiegazioni e roba che
forse non vi piacerà. Siate pronti a tutto (ma non al
peggio). Alla fine i ringraziamenti (più che dovuti).
I parte: il nuovo (e orrendo) capitolo.
Allora, cominciamo a parlare del capitolo. In sé
è una merda. Sì, state tranquilli, potete dirlo.
Per chi di voi non avesse capito il perché eccovene la
spiegazione.
Come sapete, il capitolo ha impiegato mesi ad
arrivare, la fanfic ha addirittura compiuto un anno nel frattempo.
Perchè ho tardato? Ve lo spiego dopo.
Perché fa cagare? Ve lo spiego subito.
Il capitolo è il frutto di mille giornate di lavoro sparse
in circa sei mesi (Mado'...). Il risultato è stata una sorta
di coperta patchwork con le cuciture tutte sfilacciate. Insomma:
un'accozzaglia di roba semi-sconnessa che i più potrebbero
trovare anche fastidiosa da leggere (forse anche per questi salti
temporali, ma quella è una schifezza voluta). Ci sono cose
che probabilmente ho dimenticato degli altri capitoli e che quindi ho
inserito nuovamente per errore, ci sono parti di questo
stesso capitolo che ho dimenticato nel tempo.
Perché ho deciso di pubblicarlo? Perché ho capito
che non sarei riuscito a migliorarlo più di così.
Spero il prossimo capitolo venga un po' meglio, ma non ci contate
troppo. Speriamo nell'effetto ispiratrice della noia scolastica.
Passando poi al capitolo in generale notate che viene data una spiegazione
anche alla più grande lacuna di questa storia: la completa
libertà di movimento dei personaggi in una scuola anche
abbastanza severa. Inoltre, possiamo notare come Sirius cambia da
decerebrato alla persona istintiva e un po' irascibile che conosciamo
in meno di cinque minuti: ricordate, effetto patchwork
(come minimo avrò sbagliato a scrivere questa parola ogni
singola volta).
Poi abbiamo le ulime battute, che mi convincono ancora di meno ma che
ho deciso di lasciare così nel rischio di peggiorare di
più la storia. Come avete notato, comunque, gli incubi di Mary sono ben diversi da quelli di Emmeline. Una spiegazione c'è e verrà data in seguito.
L'unica cosa che credo mi sia riuscita decentemente sia il ritorno
della Remus/Dora nella quasi assenza di James/Lily. Almeno qualcosa di
buono...
La storia dei daimon, ovviamente, non ve la spiego.
II parte: spiegazioni e decisioni un po' drastiche (ma non troppo).
Quindi passiamo alla domanda lasciata in sospeso: il motivo del ritardo.
Semplicemente, da un po' di tempo (i sei mesi di cui parlavo) ho
trovato quasi difficile tornare su questa
fanfiction. Scriverla mi è sembrato molto complicato e anche
faticoso. Tutto ciò che ho scritto in ogni singolo capitolo
mi sembra la più grande stronzata che sia mai stata fatta.
Per questo sento il bisogno di allontanarmi temporaneamente da questa
fanfic.
Quindi lo dichiaro: questa fanfiction è in
pausa e in revisione.
Ciò non vuol dire che l'abbandonerò, sia chiaro,
ma preferisco a dedicarmi ad altro, nel frattempo. Magari, lavorando su
altri argomenti poi riuscirò a scrivere meglio questa
fanfiction. Inoltre ho deciso di revisionarla per curare tutti i
numerosi errori presenti (come questa luna piena che non si sa bene
quando deve arrivare).
I prossimi due capitoli usciranno non so quando. In contemporanea a
un'altra storia (di cui vi parlo fra poco) che sto scrivendo
cercherò quindi anche di curare The Storytellers,
cercando di rendere un po' migliore la qualità di questa
storia.
Mentre The Storytellers è in pausa (ogni
tanto potrebbe uscire qualche capitolo selvatico, ma non contateci
troppo), pubblicherò un'altra fanfiction: Lily's
Adventures in Wonderland, un parto della mia mente malata a
cui cercherò di dare toni più misteriosi e, in
parte, anche sovrannaturali (anche se, effettivamente, anche The
Storytellers sta diventando un po' sovrannaturale e
misteriosa).
Be', spero che capiate questa decisione e, se vi va, fate poi anche un
salto su LAW (abbreviata) quando uscirà (il prologo
verrà pubblicato la settimana prossima per darvi un'idea di
come sarà).
III parte: ringraziamenti.
Che dire... vi devo tutto. A voi devo veramente tutto. A voi che, con i
vostri commenti, m'incoraggiate (o, forse, incoraggiavate)
ad andare avanti in una storia che, apparentemente, non ha
né capo né coda. A voi, che vedo i vostri numeri
rimanere stabili anche mentre non pubblico assolutamente nulla, senza
abbandonarmi. Grazie, davvero, grazie.
Più di tutti devo ringraziare Ma_AiLing, che ha fin troppa
pazienza con me. A tal proposito: se vi va, passate a dare un'occhiata
alla sua storia Tra
parolacce e incantesimi, una commedia molto carina
ai tempi dei Malandrini, in cui si racconta la creazione
dell'Incantesimo Waddiwasi, presentato dal sior
Lupin agli inizi del Terzo Libro. è davvero simpatica e vale
la pena leggerla (e dovrei anche recensire gli ultimi due capitoli...
Prometto che lo faccio, Ail, lo prometto davanti a tutti i miei
lettori! Lo giuro!)
Queste note sono durate fin troppo e direi di darci un taglio.
Grazie ancora a tutti quanti per il vostro sostegno veramente
impagabile. Mi piacerebbe che lasciaste una recensioncina, anche breve,
per dirmi cosa ne pensate di questa pausa o dell'ultimo capitolo.
Non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza.
Un abbraccio affettuoso,
hufflerin
EDIT: Se vi interessa, questo è il link della nuova fanfiction, Lily's Adventures in Wonderland
|
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Capitolo 13 *** Chapter XI - Who (parte 1) ***
Who (parte 1)
Poiché
mi è stato richiesto, pubblico qui, prima
dell’inizio del capitolo, un piccolo schemino dei villain
(chiamarli così fa più figo) e del loro daimon
corrispondente. Ovviamente, inserisco solo quelli conosciuti!
La tabella segue questo schema: “nome vero – nome
daimon”.
??? – Apophis
Mason – ???
Bellatrix – Ate
Dolohov – Phobos
Minus – Ermes
Piton – Loki
James – John/Mot
Vorrei fare, inoltre, una piccola premessa: questo capitolo, da un
certo punto, può essere letto in due modi. Potete
semplicemente leggere i “pezzetti” come sono stati
inseriti o, altrimenti, leggere prima solo una
“categoria” di “pezzetti” e poi
le altre due. Capirete meglio leggendo.
«So
we have… how many survival probability?»
«I don’t know. And I hate not knowing»
«Why don’t you trust me?»
«You know, J, I don’t see how I can trust you when
I don’t understand who you are!»
«What do you want, Loki?»
«In exchange for your salvation, I want you to kill a person
for me»
11.
Who (part 1)
«Dio mio, che
puzza!» esclamò Sirius,
coprendosi il naso con la manica della divisa. Il tanfo che arrivava
dal dedalo era veramente nauseante: l’odore di aria stantia
era misto a ciò che sembrava resina bruciata e, era orribile
anche solo pensarlo, sangue. Sicuramente c’erano luoghi molto
più accoglienti di quello.
«Potrebbe
essere peggio» constatò James,
una smorfia di disgusto dipinta sul volto.
«E
come?» chiese l’altro.
«Potresti
essere in forma di cane». Sirius
annuì, con la stessa smorfia dell’amico, concorde.
Con l’olfatto amplificato della sua trasformazione da
Animagus, un odore come quello sarebbe potuto essere letale.
«Siamo
sicuri che sia qui?» chiese Lily, sbirciando
nell’oscurità. In lontananza, nel corridoio in
fondo alle scale di pietra, s’intravedeva un bagliore
verde-azzurro.
«Purtroppo»
fece Dora.
«E cercare
un altro modo è fuori
discussione» continuò Remus. Nessuno aveva voglia
di infilarsi in quel tunnel maleodorante.
«Ovviamente»
ribatté Sirius, un
po’ alterato. Mancava, a suo parere, troppo poco tempo allo
scadere delle quarantott’ore.
«Allora…»
mormorò Remus,
sospirando. «Geronimo».
Mentre scendeva le
scale per primo, gli altri si scambiarono occhiate
sconcertate e scrollate di spalle. Non erano sicuri di voler capire.
Gli scalini erano
stretti, alti e deformati dal tempo e dal calpestio.
Era evidente che il luogo fosse stato piuttosto frequentato, prima di
essere sigillato. Da chi, tuttavia, era forse impossibile da sapere, ma
quasi sicuramente non era gente molto cordiale, considerato che si
trovavano in un minaccioso dedalo il cui ingresso era situato nel
corridoio più remoto dei Sotterranei. E anche il fatto che
per aprire l’ingresso servisse una goccia di sangue non
prometteva affatto bene.
«Siete
dentro?» la voce di Evelyn arrivò
dalla tasca della divisa di Dora, che estrasse uno specchio in cui si
rifletteva l’immagine della sorella.
«Siamo alla
fine delle sca-leee!»
esclamò la ragazza, scivolando sull’ultimo gradino
e quasi cadendo a terra. Remus la sorresse con aria paziente. Evelyn
sbuffò mentre gli altri raggiungevano i due.
Il corridoio era
abbastanza grande da far entrare quattro di loro in
fila e il soffitto era alto almeno cinque metri. Sembrava un
po’ troppo ampio per essere un claustrofobico labirinto.
«Da qui in
avanti dovete fare attenzione» disse
Evelyn.
«Non
l’avrei mai detto»
borbottò Sirius a bassa voce.
«Ti ho
sentito».
«Scusa».
Eve si
schiarì la voce. «Ricordate che non posso
vedere quello che vedete voi, quindi, se serve, dovrete descrivermi le
cose a voce o puntarci contro lo specchio, intesi?».
James si sporse,
entrando nella visuale della ragazza.
«Evelyn,
questo specchio è mio. È da
anni che lo usiamo per fregare Lily e i professori – scusa,
principessa – quindi fidati se ti diciamo che sappiamo come
funziona» disse. Evelyn gli lanciò
un’occhiataccia.
«Avete
dodici ore. Usatele bene» disse la ragazza,
per poi sparire la visuale, quasi sicuramente per armeggiare con i vari
meccanismi del Laboratorio. Dora sistemò lo specchio in
tasca e, insieme agli altri, guardò
nell’oscurità del labirinto. A distanza regolare
l’una dall’altra, fiaccole erano appese alle pareti
con ganci metallici e bruciavano di un fuoco azzurro e innaturale.
L’odore di resina proveniva indubbiamente da lì.
«Andiamo»
disse, accendendo la punta della
bacchetta e andando per prima. Come stabilito, si sistemarono in fila
indiana: lei, Sirius, Lily, James e Remus. Lily era al centro
perché era stata riconosciuta come combattivamente
più scarsa del gruppo, cosa che non le aveva fatto piacere
ma che era stata costretta ad ammettere.
Con i passi che
rimbombavano nel silenzio assoluto, il gruppo si
accorse ben presto che le cose non sarebbero andate come previsto.
«Eve, sei
sicura che questo sia un labirinto?»
chiese Sirius, aggrottando le sopracciglia.
«Se non
fosse un labirinto, non avrei perso tempo con le
sonde e vi avrei mandato qui ieri, non credi?»
replicò lei, dalla tasca della sorella.
Sirius
grugnì, infastidito. «Ehi, calmati! Volevo
solo dire che questo posto sembra un po’ troppo…
rettilineo, tutto qua».
«Sirius ha
ragione» disse Lily, aggrottando le
sopracciglia. «Il corridoio sembra infinito».
«E se Sirius
e Lily sono
d’accordo
» disse Remus, dal fondo del
gruppo. Dallo specchio si sentì un po’ di
confusione.
«Strano…
sulla mappa avreste dovuto svoltare a
destra dopo poco tempo» borbottò la ragazza.
«Qualcosa mi
dice che il piano sta per andare a farsi
benedire» disse Dora, con tono leggermente lamentoso.
«Perché?»
fece la sorella, attraverso lo
specchio.
«Perché
siamo in trappola» rispose
Remus, guardandosi intorno, così come tutti gli altri. Dal
pavimento aveva cominciato ad alzarsi una fitta nebbia lattiginosa che
già gli arrivava alle caviglie.
«Che si
fa?» chiese Lily, estraendo la bacchetta.
«Potremmo
correre» propose James, incerto.
«Oppure
potreste dire all’analista cosa diamine sta
succedendo, no?» sbottò Evelyn, irritata. Dora
estrasse lo specchio dalla tasca e lo puntò verso il
terreno. Eve imprecò sonoramente.
«Mi pare di
aver capito che siamo fottuti» concluse
James, con un finto sorrisetto.
«Non
è detto» fece Evelyn, spostandosi
nuovamente dall’inquadratura.
«Sul
serio?» chiese Sirius. «Dalle tue
gentili parole…
(«Falla finita: sei dieci volte
peggio di lei») chiudi il becco, lupo del cavolo. Comunque
sembrava che fossimo già morti».
«Non so se
la nebbia sia mortale o no»
replicò Eve. «Mi vengono in mente almeno un centinaio di ipotesi, e nessuna che prometta bene»
«Quindi
abbiamo… quante probabilità di
sopravvivenza?» chiese Remus.
«Non lo
so» disse Eve a denti stretti. «E
odio non sapere».
«Ragazzi?»
chiamò Lily che, mentre gli
altri parlavano era andata un po’ più avanti nel
corridoio. Davanti a loro, si era formata una parete. Al centro
svettava una maestosa porta di legno scuro, finemente lavorata e con
smeraldi incastonati a formare simboli apparentemente astratti.
Gli altri osservarono
la porta in silenzio, mentre la nebbia saliva
sempre di più. Dora diresse lo specchio verso la porta, ma
Eve sembrava non aver nulla da dire.
La Caposcuola si
avvicinò piano e provò a toccare
la porta. Qualcosa scattò in James nell’istante in
cui le dita di lei sfioravano il legno. Il ragazzo si diresse
velocemente verso Lily e la tirò via dalla porta mentre
questa si apriva di scatto. Da oltre la soglia, nubi nere mosse da un
vento impetuoso si riversarono nel passaggio, investendo i ragazzi e
scacciando la nebbia bianca che ora arrivava a circa metà
coscia di Sirius, il più alto.
Presto le nubi nere si
avvolsero attorno agli studenti. Lily, la
più vicina, venne velocemente inghiottita dalle tenebre
insieme a James, che la teneva stretta a sé nel tentativo di
ripararla dal vento. Allo stesso modo, Dora e Sirius vennero
afferrati insieme, poiché la Tassorosso era caduta sul
cugino per la violenza dello spostamento d’aria. Remus,
invece, venne ingoiato nella completa solitudine.
Per qualche istante, i
ragazzi furono privati di ogni senso. Vista,
udito e olfatto non esistevano più. Per quattro di loro,
tuttavia, il tatto gli portava ancora una sorta di sicurezza. Uno,
invece, dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non
cadere nella disperazione. Poi, alla fine, le nubi si diradarono.
*****
La
magione
«Dove
siamo?» chiese Dora, guardandosi attorno,
ancora intontita.
«Ehm…
cugina cara, faresti vedere anche a
me?» borbottò Sirius. La ragazza capì
di trovarsi sopra al suo stomaco solo in quel momento. Si
alzò in fretta e porse una mano al Grifondoro, aiutandolo ad
alzarsi.
Il luogo in cui si
trovavano era fin troppo buio e i due furono
costretti a illuminare le bacchette, cosa che avrebbero voluto evitare.
«Sembra…
una casa?» mormorò
Dora, per paura di rompere l’opprimente silenzio di quel
luogo.
«Una
magione, direi» replicò Sirius,
mantenendo lo stesso timbro di voce.
«Ovvero?»
chiese la Tassorosso, incuriosita.
«Non ne ho
idea. Ma questa ha l’aria di essere una
magione» rispose l’altro, con una sicurezza
disarmante.
Lei si
limitò a un “Ah” incerto, prima
di estrarre lo specchio dalla tasca.
«Eve»
chiamò, in un sussurro. Il volto
allarmato della sorella apparve nello specchio.
«Che sta
succedendo?» esclamò, a voce
alta. «Un attimo prima ci siete, poi le interferenze
e…».
I due ragazzi si
sbrigarono a zittirla. Eve li guardò, un
po’ offesa.
«Siamo
in… una magione (Sirius annuì,
soddisfatto). Non sappiamo di preciso dove né…
quando, e gli altri potrebbero essere qui in giro o da
un’altra parte, ma c’è un gran silenzio,
quindi meglio evitare di fare troppo rumore»
spiegò Dora. Eve annuì, concorde.
«Cercherò
di aiutarvi, ma non posso fare
più di tanto se non so dove siete» disse lei. Dora
annuì e ripose lo specchio in tasca.
«“Quando”?»
le chiese Sirius,
confuso. Dora scrollò le spalle.
«Non si sa
mai» spiegò. «Che
dici, ci facciamo un giro nella
“magione”?».
Sirius
sbuffò ma annuì. «Speriamo solo
di non pentircene».
Una piccola esplosione
risuonò nell’aria immobile.
Il
labirinto
Quando James
aprì gli occhi (non si era neanche reso conto
di averli chiusi) si separò in fretta da Lily, con
espressione fredda e un piccolo ghigno. Lei lo guardò, un
po’ ferita, ma poi, evidentemente, decise di lasciar correre.
Si trovavano
esattamente nello stesso corridoio di prima, ma la parete
con la porta era sparita e, al suo posto, c’era un passaggio
che curvava a destra. Dietro di loro, invece, un solido muro di roccia
nera mandava un messaggio ben chiaro: “Non si torna
indietro”.
«Dove sono
gli altri?» chiese Lily, facendo qualche
passo verso il passaggio chiuso.
«Forse in
giro, forse altrove» rispose lui,
incerto. “Altrove”? La Caposcuola
aggrottò le sopracciglia ma non disse nulla.
«Be’,
direi che ci siamo, no?» fece
James, tentando un sorrisetto. Lily lo guardò, ancora un
po’ intontita.
«Che vuoi
dire?» chiese.
«Nel
labirinto» concluse lui, indicando la svolta.
Lily fece una smorfia e annuì. La cosa non le piaceva
affatto. Non le piacevano i luoghi stretti e non le piaceva stare con
James, in quel momento.
Rimasero per qualche
secondo in silenzio, raccogliendo fiato e idee e
preparandosi all’impresa.
«Come facevi
a saperlo?» chiese Lily, guardando il
ragazzo negli occhi. Lui inarcò un sopracciglio, confuso.
«Che la porta si sarebbe aperta e sarebbe
successo… questo».
«Non lo
sapevo» rispose lui, tranquillamente.
«Ho solo seguito l’istinto».
Lily gli
lanciò uno sguardo esasperato, ma lui si
limitò a scrollare le spalle e a incamminarsi lungo il
corridoio. Sbirciò oltre l’angolo e
tornò indietro di un paio di passi.
«Credo sia
meglio sbrigarci: ho la sensazione che ci
vorrà un bel po’ di tempo» disse. Lily
annuì, ancora un po’ confusa ma con il vago
sentore che qualcosa non andasse.
La
foresta
Cosa
diamine…, pensò Remus, guardandosi
attorno.
Grandi e robusti
alberi crescevano in ogni direzione, con le radici che
uscivano dal terreno, intrecciandosi fra loro e creando scalini
naturali. Il terreno era ricoperto da muschio e foglie secche e, di
tanto in tanto, qualche piccolo insetto passava accanto ai suoi piedi,
per nulla infastidito.
Un’illusione?,
si chiese, tenendo a mente le particolari
abilità del loro avversario. Tuttavia, non aveva idea dei
reali poteri di coloro che stavano affrontando e non sapeva se Dolohov
avrebbe potuto fisicamente trasportarlo in un altro luogo in un istante.
Nell’oscurità
della foresta, Remus estrasse la
bacchetta e, con un gesto secco, ne accese
l’estremità. Si avvicinò a un albero e
provò a toccarlo: almeno al tatto, quello sembrava proprio
vero.
Tuttavia, non poteva
affidarsi troppo ai sensi. Oltre
all’illusione, c’era anche la
possibilità del sogno e, in quel caso, avrebbe dovuto
trovare il modo di svegliarsi al più presto.
Una piccola vocina
nella sua testa, però, gli
ricordò che quelli di Phobos non erano semplicemente
“sogni”, bensì
“incubi”. Innervosito da questo pensiero, Remus
osservò la boscaglia, cercando eventuali pericoli. Poi
posò la bacchetta sul palmo della mano.
«Guidami»
sussurrò, e la bacchetta
cominciò a girare vorticosamente fino a puntare verso il
Grifondoro. Remus guardò davanti a sé. Sapeva che
il labirinto si estendeva verso sud, quindi
“dritto” doveva essere la soluzione giusta.
Chiedendosi dove
potessero essere gli altri e sperando di poter
rivedere presto Dora, Remus s’’incamminò
quasi alla cieca, girando attorno ad alberi e scavalcando radici nodose
e arbusti dalle spine acuminate, ignaro che, nell’ombra, una
presenza in mantello nero lo osservava con interesse.
La
magione
Dora e Sirius
impiegarono qualche minuto per trovare la stanza da cui
era arrivato il suono. Fortunatamente, i latenti sensi canini del
giovane Black li aiutarono, spingendoli a dirigersi verso
l’ala ovest del piano terra della magione.
Avevano prima
attraversato una grande sala da pranzo, poi si erano
trovati in un lungo corridoio. Facendosi luce con le bacchette, avevano
guardato in tutte le stanze che avevano incontrato, senza trovare
niente di utile, solo altissime dosi di polvere, muffa, ragnatele e
inquietudine.
Il posto non era
sicuramente accogliente e più di una volta
i due erano sobbalzati per rumori provocati dall’altro.
Sirius all’inizio ci aveva preso gusto a spaventare la
cugina, ma dopo che aveva rischiato di farsi cadere un quadro addosso
aveva smesso, per grande soddisfazione di Dora. Di tanto in tanto, Eve
chiedeva novità e sapere di essere ancora collegati al mondo
“normale” era un gran sollievo per i due.
«Non
è che ce la siamo immaginata?»
borbottò Sirius a un certo punto.
«Me lo
chiedo anch’io» rispose Dora,
abbattuta. Dopotutto, in un posto del genere non le sembrava affatto
strano immaginarsi rumori. Aprì la porta successiva, che
dava su un piccolo ufficio, attese per qualche secondo ed
entrò sospirando, seguita da Sirius, sorpreso.
«Che
succede?» chiese il ragazzo, osservando la
cugina dirigersi verso alcune mensole cadute a terra, rovesciando
ciò che era sopra sul pavimento di moquette argentata (o
forse era la polvere?).
«Guarda»
disse, indicando gli oggetti a terra.
«Qui è tutto ricoperto da almeno due pollici di
polvere ma tutta questa roba è semplicemente un
po’ sporca».
«Che
significa?» fece nuovamente il ragazzo, un
po’ irritato perché non riusciva a seguirla.
«Significa
che quello che abbiamo sentito non erano altro che
le mensole che cedevano per il tempo» concluse lei,
tristemente. «Se c’è qualcuno nella
magione, non c’entra nulla con questo».
«Be’,
non è detto»
tentò il Grifondoro. «Qualcuno avrebbe potuto far
cadere le mensole per sbaglio, essersi spaventato per poi scappare.
Qualcuno sbadato come te, insomma».
Dora non
reagì alla presa in giro, limitandosi a guardare le
mensole con occhi assenti, come se stesse pensando ad altro.
«Forse» disse, infine.
«Oppure…».
«Oppure
cosa?» chiese Sirius, un po’
esasperato.
«Oppure non
è stato qualcosa di umano a farlo.
Qualcosa di non molto intelligente e forse un po’
ingombrante» concluse Evelyn dalla tasca. I pensieri di tutti
andarono direttamente alla Chimera che Eve aveva identificato.
Più tardi avrebbero capito che la porta era fin troppo
piccola per far passare un essere di quelle dimensioni, ma in quel
momento la minaccia sembrava più che reale.
«Meglio fare
più attenzione, d’ora in
poi» disse Dora, preoccupata. «A ogni singolo
rumore».
«Non potrei
essere più
d’accordo» fece Sirius, annuendo più
volte.
Dora si
guardò intorno un’ultima volta.
«Meglio
controllare il resto della magione»
propose. Il Grifondoro annuì, serio come poche volte era stato.
Quando i due furono di
nuovo nel corridoio, alla sola luce delle
bacchette, Sirius mormorò: «Ci stai prendendo
gusto a dire “magione”, ammettilo».
Dora non seppe se
ridere o prenderlo a sberle.
Il
labirinto
«Perfetto,
non aspettavo altro» borbottò
James, guardandosi attorno. Lily fece altrettanto, non prima di aver
segnato il corridoio da cui provenivano con una croce di fiamme sul
pavimento. «Delicata, come decorazione».
Lily
sbuffò, senza replicare e lasciando James un
po’ spiazzato: in genere la ragazza era sempre pronta a
ribattere.
«Allora,
quattro corridoi. Quale prendiamo?»
chiese, piuttosto, osservando con sospetto ognuna delle aperture. James
si passò una mano fra i capelli, riflettendo.
«Lì»
disse, infine, puntando il dito sul
secondo percorso da destra in quel pentagono di roccia nera. Lily
inarcò un sopracciglio.
«E
perché?» chiese. James
sembrò parecchio confuso.
«Perché…
due più due non fa
tre? Sul serio, Evans, vuoi che ti dia una spiegazione
logica?» fece il ragazzo, incredulo. Lily annuì,
decisa. Lui sbuffò. «Ma che vuoi che ti dica, ho
buttato a caso!».
«Oh»
esclamò lei con noncuranza.
«Quindi se, per esempio, andassi, diciamo… da
quella parte, a te andrebbe bene lo stesso, no?».
«Ovvio!»
ribatté James, allargando le
braccia, esasperato. «Se ci fai proseguire, mi va
benissimo!».
«Bene!»
esclamò Lily, impettita.
«Bene!»
ripeté James.
Lily
s’incamminò a testa alta verso il corridoio
che aveva scelto, seguita, dopo un breve urlo isterico trattenuto, da
James.
Non parlarono per
altri minuti e fu Lily a condurre
l’“impresa”, scegliendo corridoi senza
esitazione e non battendo ciglio quando questi si rivelavano vicoli
ciechi. James le si trascinava dietro senza molta voglia, borbottando
parole a casaccio che la ragazza non riusciva a capire ma che faceva
tutto il possibile per ignorare. Arrivati all’ennesimo
incrocio (e dopo che Lily ebbe tracciato un’altra X
fiammeggiante), James decise di metter fine a quella pagliacciata.
«Okay,
piantiamola» disse, afferrando la spalla
della ragazza e spingendola a voltarsi. Gli occhi di lei erano
infuocati come l’incantesimo che aveva usato. «Che
sta succedendo?».
«Di cosa
stai parlando?» chiese lei, innocentemente.
«Perché
non ti fidi di me?»
ribatté lui. «Non mi sembra sia così
grave cercare di trovare un modo per uscire da qui o, perlomeno,
prendere a calci nei denti Phobos».
«Sai, J, io
non vedo proprio come posso fidarmi di te se non capisco
nemmeno chi sei» replicò Lily.
«Ma di che
stai parlando? E poi… J?»
fece il Grifondoro.
«Sai
com’è, nel dubbio»
sibilò la ragazza. James capì a cosa si stava
riferendo e sospirò, battendosi una mano sulla fronte.
«Oh, porco
Salazar, non ci voglio credere» disse,
incredulo e anche un po’ deluso. «Davvero pensi che
sia… l’Altro? Dico, ti sembro uno
psicopatico?».
«Vuoi
davvero che ti risponda?» replicò
Lily, fredda. James la guardò, ferito.
«Okay,
allora, ti prego,
dimmi cosa ti fa pensare che sia
John!» esclamò lui, alzando sempre di
più il tono per l’esasperazione.
«Come facevi
a sapere che, toccando la porta, sarebbe
successo quel casino?» chiese la ragazza, digrignando i denti
per l’irritazione.
«Non lo
sapevo! Avevo solo una sensazione. Se questa sia
arrivata da John, non ne ho idea, ma se magari è servito per
aiutarti, ben venga!» rispose James.
«Una
sensazione, sul serio?».
«E, dimmi,
perché tu hai toccato la
porta?».
Lily si morse un
labbro, imprecando mentalmente. «Mentre
scendevamo qui, mi hai chiamato “principessa”. Solo
John l’ha fatto».
«Non
è vero! Ti ho chiamato anch’io
così, qualche volta» replicò il
ragazzo, sconcertato che lei si attaccasse a questi futili dettagli.
«Davvero?
Quando?». Per fortuna di Lily, James non
notò l’accenno di vera curiosità nella
sua voce.
«Quando ti
sei addormentata, la sera che abbiamo visto i
Maridi cantare! E il giorno dopo, quando ti ho portato… la
colazione… a letto… Porca Morgana»
James sgranò gli occhi ancora prima di aver finito la frase,
recependo con un po’ di ritardo ciò che aveva
detto.
Lily
spalancò gli occhi a sua volta e aprì e
richiuse la bocca più volte.
«Lo
sapevo!» disse infine, trionfante. James non
poté rimanere incredulo per troppo tempo: i rumori si erano
fatti fin troppo vicini.
La
foresta
Remus
cominciò a perdere le speranze dopo poco tempo.
Guardava gli alberi e gli sembravano tutti uguali. Le radici che
emergevano sembravano comporre sempre gli stessi disegni nel terreno.
Le bacche che crescevano sporadiche sugli arbusti erano tutte dello
stesso blu notte. Persino il terreno aveva come uniche salite quelle
provocate dalla vegetazione, per il resto era tutto piatto.
Nulla indicava che
stesse in qualche modo procedendo. Era tutto
talmente omogeneo che il Grifondoro era costretto a usare
l’Incanto Quattro-Punti ogni venti metri circa, dopo aver
constatato di aver sbagliato direzione dopo circa due minuti dal primo
controllo.
Il ragazzo aveva il
fiato corto e ansimava, aprendo qualche bottone
della propria camicia bianca, ora zuppa di sudore; aveva gettato il
mantello nero a terra pochi minuti prima. A prima vista non gli era
parso che fosse così, ma in quella foresta faceva veramente
molto caldo e l’aria era satura
d’umidità. A ogni passo gli sembrava che qualcuno
lo prendesse a pugni, togliendogli tutta l’aria dal corpo.
Sentiva l’impellente bisogno di ossigeno e, magari, anche di
un bel calice di succo di zucca ghiacciato.
Cadde a sedere dopo
qualche metro, appoggiando la schiena al tronco
muschioso di un albero, per riprendere fiato. Alzò lo
sguardo verso il cielo. I suoi occhi incontrarono solo le alte fronde
degli alberi che s’incastravano fra loro, oscurando il sole.
Il sole… A dirla tutta, gli sembrava strano che neanche un
raggio di luce filtrasse tra le foglie, lasciando tutto nella completa
oscurità, tanto da farlo sembrare un paesaggio notturno. E
poi, se il sole non passava, com’era possibile che sentisse
tutto quel caldo?
Guardò il
terreno sotto i suoi piedi e provò a
poggiare una mano: le foglie marce che tappezzavano il terreno erano
calde al tatto. Smosse la vegetazione morta e trovò la
soffice terra. Remus ritrasse la mano: era bollente. Il ragazzo
aggrottò le sopracciglia, comprendendo. Tuttavia era
sbalordito, com’era possibile che la terra fosse
così calda in un luogo come quello.
«Fossi in
te, non starei fermo troppo a lungo».
Remus si alzò di scatto, puntando la bacchetta verso un
punto lontano alla sua destra, da cui gli sembrava aver sentito
arrivare la voce. Quella voce familiare… «Ha
mandato il suo cagnolino a cercarti, ti conviene scappare».
«Chi
sei?» chiese il ragazzo, avvicinandosi di
qualche passo con circospezione. Sentì uno sbuffare ma poi,
da dietro un albero, comparve una figura nera incappucciata. Piton
abbassò il cappuccio, sorridendogli dietro gli occhi
completamente blu, brillanti come zaffiri. Istintivamente, Remus
lanciò uno Schiantesimo, che andò a infrangersi
contro uno scudo invisibile che non aveva visto evocare dal Serpeverde.
«Non sei
molto gentile, considerando che sto cercando di
aiutarti» disse, ghignando in modo strano. Sembrava
quasi… sensuale,
cosa che, con il volto di Piton, riusciva
malissimo.
«Ripeto la
domanda: chi sei?»
esclamò il
ragazzo, in tono di minaccia, tenendo puntata la bacchetta verso il
petto della figura.
«Il mio
nome» fece un profondo inchino con tanto di
svolazzi con la mano «è Loki» disse, a
capo chino. Il gesto innervosì il Grifondoro: evidentemente
si sentiva abbastanza sicuro da distogliere lo sguardo. Remus fece una
veloce connessione mentale, riconoscendo uno dei pochi nomi di
divinità che conosceva, e sicuramente non per la sua buona
fama.
«E,
sentiamo, perché dovrei stare a sentire
qualcuno che si fa chiamare come il dio degli inganni?»
chiese il ragazzo.
Loki inarcò
un sopracciglio, mantenendo il ghigno
disturbante. «Magari perché vuoi rimanere in vita.
Non mi sembra una così brutta prospettiva, o
sbaglio?».
«E tu che ci
guadagni?» fece Remus, ben sapendo
che, con tutte le probabilità, il presunto dio voleva
fregarlo per bene.
«La
coscienza pulita per aver fatto un bel gesto! Voglio
mantenere positivo il mio karma, se permetti» rispose lui,
mettendosi platealmente una mano sul petto e facendo un mezzo inchino.
Un gesto che Remus avrebbe visto più su James o Sirius che
non su Piton.
«Non me la
bevo» disse il Grifondoro, avanzando di
un passo. «Che cosa vuoi, Loki?».
Piton esplose in una
breve risata isterica, poi, con sguardo ceruleo e
ghigno crudele, gli disse con tutta la semplicità del mondo:
«In cambio della vostra salvezza, voglio che tu uccida una
persona per me».
«Oh,
davvero?» fece Remus, imprimendo nella propria
voce tutto il sarcasmo di cui era capace. «E chi sarebbe, di
grazia?».
Il ghigno gli si
allargò di molto. «Si chiama
Ermes, ma forse ti è più noto come Peter
Minus».
La
magione
Avevano da poco
terminato di visitare l’ala ovest e si erano
da poco spostati in quella est, quando videro i primi segni che
c’era qualcosa di profondamente sbagliato, in quel
posto
oltre, ovviamente, alla posizione sconosciuta sul
pianeta Terra, alla possibilità che ci fosse qualche
creatura oscura in circolazione che bramava il loro sangue e il fatto
che forse (ma solo forse, eh!) tutto quello che stavano vivendo non era
altro se non un incubo generato dal cattivo di turno. Oh, insomma,
intendo dire che s’imbatterono nel primo segno importante,
perché, infatti, tutti gli altri erano cosucce da nulla!
Quisquilie! Eh, proprio…
«Okay,
questo è inquietante» disse
Sirius, entrando per primo.
Dora lo
seguì, incuriosita, guardandosi attorno e avendo ben
cura di chiudere la porta dietro di lei per evitare brutte sorprese. La
stanza sembrava essere quella di un bambino… ma del secolo
scorso. Il letto a baldacchino, addossato alla parete, aveva le tende
semi-trasparenti ingrigite e appesantite da strati di polvere e
sembravano esser tenute su da spesse ragnatele. L’armadio,
situato nell’angolo della parete opposta, aveva le ante
divelte e i vestiti uscivano dall’interno come in una specie
di cascata grigia. Un piccolo scrittoio era situato sotto a una
finestra chiusa da pesanti assi di legno e una piccola lampada giaceva,
rotta, ai piedi della sedia, insieme ad alcuni fogli che ritraevano
disegni fatti da mani infantili.
Dora pensò
che, a forza di rimanere nella magione, sarebbe diventata allergica alla polvere. Non
sapeva neanche se una cosa del genere fosse possibile, ma non lo
riteneva affatto improbabile.
La cosa che, entrambi,
ritenevano disturbante era l’enorme
quantità di peluche, per la maggior parte a forma di
coniglio ma c’erano anche i classici orsetti e perfino un
koala, e la presenza di un paio di bambole di porcellana sedute sul
cuscino, tutto coperto da uno spesso strato di polvere.
L’aspetto dei peluche, tuttavia, era comprensibile solo dai
pezzi più grandi. Già, pezzi. Arti, teste
e corpi
di stoffa giacevano in modo disordinato in tutta la stanza, riversando
all’infuori il loro soffice contenuto. Ad alcuni erano stati
tolti anche i bottoni che avevano per occhi, altri pezzi erano
così piccoli che sarebbe stato impossibile capire a quale
animale appartenessero.
I due ragazzi girarono
per la stanza, osservando quel macello di
animali di pezza, sentendosi a disagio: le due bambole sembravano
seguirli in ogni movimento e spesso Sirius e Dora si erano sorpresi ad
osservarle, di sottecchi, con nervosismo. Sirius si mise a rovistare
fra i vestiti, nella speranza di trovare qualcosa di utile, ma
riuscì solo a sollevare un mucchio di polvere, starnutendo.
Dora si
chinò e raccolse alcuni disegni, poggiandoli sul
ripiano dello scrittoio. Prima di rialzarsi, il fascio di luce della
bacchetta brillò contro qualcosa che era caduto sotto la
scrivania. La ragazza allungò una mano e le sue dita si
chiusero su quelle che riconobbe come un paio di forbici
d’argento dall’impugnatura molto elaborata. Lo
sguardo della ragazza fu poi attirato dai disegni. Su uno si vedeva una
casa in fiamme, su un altro c’era quella che sembrava una
ragazza dal sorriso tremendamente distorto e, sull’ultimo, un
manichino di legno era raffigurato davanti a una porta chiusa, rivolto
verso lo spettatore. Dora non ci mise poi molto a collegare le forbici
ai peluche fatti a pezzi.
«Psicopatica,
la bimba, eh?» disse, mostrando
disegni e forbici al cugino, che aggrottò le sopracciglia
con una smorfia, Li gettò sul letto, alzando una nuvoletta
di polvere, e prese dal mucchio di vestiti quello che sembrava un
grembiule blu con tanto di fiocco, probabilmente un’uniforme
scolastica.
«Il bimbo,
vorrai dire» fece, rigettando poi i
vestiti nel mucchio. «Andiamocene».
Dora annuì,
poggiando un’ultima volta la mano
sulle assi di legno della finestra, ben sapendo che la magia non
sarebbe servita a nulla: avevano già provato fin troppe
volte.
Andarono entrambi a
incamminarsi verso la porta quando, senza nessun
preavviso, lo videro.
«Quando
è entrato?» sibilò
Dora, spaventata, puntando la bacchetta verso l’intruso. Il
manichino senza volto sostava di fronte alla porta, come nel disegno
del bambino.
«Non ne ho
idea» disse Sirius fra i denti. Entrambi
sobbalzarono vistosamente, poi, quando le bambole cominciarono la loro
cantilena. “Tic
tac, tic tac” ripetevano, come in
una qualche filastrocca non molto originale.
Sirius
tornò con lo sguardo sul manichino e lo vide avanzato
di qualche passo, una mano di legno tesa in avanti verso di loro.
«Porca...!»
imprecò il ragazzo,
spaventato, indietreggiando leggermente. «Dora…
guarda».
Non appena la ragazza
notò lo spostamento sbiancò
di colpo, tanto che anche i capelli diventarono di un biondo
chiarissimo, poi, senza distogliere lo sguardo, cercò
velocemente lo specchio nella tasca e lo estrasse.
«Eve…
guarda» disse. La ragazza si
affacciò sullo specchio e, all’inizio, rimase in
silenzio.
«Se me
l’avete fatto vedere, immagino che prima non
ci fosse» fece la Corvonero. «E…
cos’è questa musichetta? È
inquietante…».
«Dora,
continua a fissarlo, io vado a farle
smettere» disse Sirius. La cugina annuì.
«“Fissarlo”?
Perché dovresti
fissarlo?» chiese Evelyn, dallo specchio.
«Be’,
a quanto sembra si muove quando non lo
guardiamo» spiegò la ragazza, tremando
leggermente. Aveva avuto una carriera da Auror piuttosto breve, ma si
era scontrata con tanti pericoli che anche molti dei veterani del campo
impallidivano al confronto, ma cose del genere non le aveva mai viste.
Si sentì
una piccola esplosione ma la ragazza non si
voltò. La filastrocca continuò a risuonare
nell’aria.
«Almeno
sappiamo che non sono le gemelline
malefiche» disse il ragazzo, tornando al suo posto accanto
alla cugina. «Ed è stata una bella soddisfazione
farle saltare in aria».
«Cosa
facciamo con il manichino?».
«Quello
è un Manikin». Evelyn
sussultò, voltandosi di scatto. David entrò nel
Laboratorio senza curarsi di nulla e si sistemò di fronte
all’Archivio, poggiando le mani sulla consolle.
«Come
diavolo sei entrato?» fece la ragazza,
osservandolo a occhi sgranati.
«Chi
c’è, Eve?» chiese Dora,
allarmata.
«Ehilà!»
salutò David, con un
gran sorriso. «Sono Barty Crouch ma vi prego di chiamarmi
David. Sono entrato nel Laboratorio perché sono un genio e
penso di potervi aiutare. Tutto chiaro?».
«Per
niente» disse Evelyn, secca. «Ma
direi che questo non è il momento adatto, giusto?».
«Più
che giusto» fece David, in un
sorriso che Eve non riuscì a non ricambiare. Poi il ragazzo
puntò nuovamente lo sguardo sul monitor, dove immagini e
informazioni continuavano ad apparire in maniera piuttosto
confusionaria.
«I Manikin
sono creature oscure della peggior
specie» spiegò David, mentre Dora e Sirius
tenevano gli occhi incollati sull’essere. La Tassorosso non
se la sentiva molto di fidarsi di una persona che, nella loro
dimensione, era stato uno dei Mangiamorte più crudeli, ma
sua sorella sembrava avere un legame piuttosto profondo con lui, quindi
si sarebbe adattata.
«Ovvero? Di
quale specie?» chiese Sirius. Dora
inarcò un sopracciglio ma non commentò.
«Quella
immortale».
Sirius
mormorò fra i denti un rabbioso
«Fantastico…».
«Sono un
po’ come i Mollicci e i Dissennatori, ma
molto meno famosi… penso possiate immaginare il
perché» spiegò il ragazzo.
«Non possono essere uccisi, ma solo scacciati per un
po’».
«Sarebbe
già un gran miglioramento»
disse Dora.
«Non
è semplice» disse David.
«Sembra un semplice pezzo di legno, ma lo è solo
mentre lo guardate. Appena distogliete lo sguardo, assume la sua vera
forma che… be’, non è mai stata
scoperta».
«Potremo
farlo a pezzetti e passare oltre» disse
Sirius con convinzione.
«È
immune alla magia mentre è in questo
stato» replicò il ragazzo. «Penso che
inconsciamente l’abbiate capito, altrimenti avreste
già provato ad attaccarlo».
«Senti,
perché non dici come fare, così
magari riusciamo a salvarci il culo?» esclamò
Dora, infastidita. Sentì una leggera risatina da parte di
Eve e arrossì leggermente.
«Temo
dobbiate girarle attorno. Tenete gli occhi fissi su di
lui e uscite dalla stanza senza smettere di guardarlo. Sicuramente non
lo fermerà, ma vi darà più tempo per
scappare mentre io ed Eve pensiamo a una soluzione»
spiegò David, rimanendo calmo. I due annuirono, ricordandosi
solo dopo che non potevano essere visti dal modo in cui lo specchio era
posizionato.
«Okay»
fece Dora.
I due passarono quindi
attorno al Manikin, senza smettere di fissarlo e
battendo le ciglia a turno.
«Sai una
cosa?» disse Sirius, mentre aprivano la
porta e attraversavano la soglia della stanza all’indietro.
«Dimmi».
«Avrei
preferito la Chimera». Dora
sbuffò, chiuse la porta con un gesto della bacchetta e
cominciò a correre insieme al cugino. Un orrendo stridio
provenne dalla stanza ma i ragazzi stavano già correndo
verso l’ingresso e la scala principale, diretti al primo
piano.
Il
labirinto
I Grifondoro non
ebbero il tempo di continuare a parlare né,
tantomeno di chiedersi cosa stesse accadendo. James si
limitò semplicemente a fare ciò che gli venne
d’istinto: afferrare il braccio di Lily e trascinarla in una
corsa spericolata. Prese i corridoi semplicemente a casaccio, pensando
solo a potersi salvare. Temeva di ritrovarsi da un momento
all’altro in un vicolo cieco ma la fortuna sembrava voler
essere dalla sua parte, quel giorno. O, almeno, voleva esserlo in quel
caso.
Un paio di volte James
si voltò ma quando i suoi occhi
incontravano quel fiume di esseri neri che si avvicinavano a gran
velocità, sentiva un’enorme paura che gli
stringeva il cuore, spingendolo a girarsi nuovamente e a correre
più velocemente. Ogni tanto gettava occhiate nervose a Lily
senza che fossero ricambiate: sembrava troppo occupata a essere
terrorizzata e a scappare.
James non sapeva con
certezza quando fosse successo, ma la sua
mano, dal braccio della ragazza, era scivolata in quella di Lily e ora
correvano tenendosi a vicenda, senza ostacolarsi ma, al contrario,
dandosi supporto in quella fuga sfrenata e priva di logica.
Tutto ciò
che facevano era affidato al caso e James
cominciò a insospettirsi quando vide che sembrava stesse
prendendo tutti i corridoi giusti. Era impossibile che andasse
così, si disse, non potevano essere così
fortunati. O John li stava aiutando, ma così non credeva
poiché non avvertiva la sensazione che aveva avuto alla
porta, oppure qualcuno voleva che corressero all’infinito.
James si voltò nuovamente, ignorando il proprio istinto che
gli urlava a gran voce di non farlo, e studiò gli
inseguitori.
Erano una sorta di
piccoli animaletti simili a insetti, con antenne e
composti da testa, corpo e arti, questi ultimi terminavano in acuminati
artigli. Correvano a quattro zampe e si avvicinavano in modi scomposti,
salendo uno sopra all’altro in un’onda nera. Tutti
insieme erano terrificanti, una sorta di sciame assassino, ma nel
singolo non sembravano poi molto potenti.
E se creassero loro
tutto questo?, si chiese. In caso fosse stato vero,
significava che avrebbero corso all’infinito
finché, sfiniti, avrebbero dovuto affrontarli, venendo
sopraffatti quasi sicuramente. Se, invece, erano deboli come
sembravano… In ogni caso, tanto valeva provare. Tanto voleva
morire per difenderla, e non scappando come un codardo.
Lasciò di
colpo la mano di Lily e si voltò verso
gli esseri, a testa alta e con il muscolo del braccio in tensione.
Sentì la ragazza fermarsi a pochi passi dietro di lui.
«Continua a
correre!» ruggì, senza
voltarsi. «Io li trattengo, tu vattene!».
Mentre il fiume di
creature si avvicinava sempre di più,
James chiuse gli occhi per un secondo e inspirò
profondamente, preparandosi. Quando li riaprì, vede una
fiamma rossa accanto a lui. Si sentì gelare il sangue nelle
vene.
«Lily, che
cazzo stai…?»
cominciò, tremante. Lei lo fulminò con lo
sguardo. «Ti ho detto di scappare, non voglio che rischi la
vita solo per… una sensazione». Solo dicendolo
comprese ciò che veramente era quella che aveva sentito. Non
un’idea, né un’illuminazione. Una
sensazione. Come quella di fronte alla porta.
«Non in
quest’universo, Potter» fece lei,
a denti stretti, estraendo la bacchetta. Le parole colpirono il
ragazzo. Ecco cosa lei “sapeva”. James
sbuffò e chinò per un istante il capo.
«Non
c’è modo di farti ragionare,
vero?» chiese, divertito, esibendo il ghigno da Malandrino di
cui tanto andava fiero. Guardò gli esseri che, a dirla
tutta, ci stavano mettendo più di quanto pensasse ad
arrivare. Evidentemente, la prospettiva giocava brutti scherzi. Oppure
era uno dei poteri di quei mostriciattoli, sembrare più
vicini per farti correre più velocemente.
«Assolutamente
no» rispose lei, ghignando a sua
volta e piena d’orgoglio. Lui sbuffò nuovamente e
la osservò, tornando serio per un istante.
«Allora devi
sapere che…».
«Oh, non
provare neanche a finire quella maledettissima
frase» sbottò lei, interrompendolo.
«Prima facciamo fuori quella roba, poi potrai dirmi quello
che vuoi, ma dopo».
«Prima il
dovere, eh?» rise il ragazzo.
«Come sempre, Caposcuola Evans!».
Lei rise a sua volta e
James sorrise come non faceva da molto tempo.
Fletté il polso e la bacchetta gli balenò fra le
dita.
La
foresta
Remus aveva abbassato
la bacchetta senza rendersene conto. Aveva
dubitato di Minus fin dal primo istante. Da quando aveva iniziato
questa sua “nuova vita”, Remus aveva sempre saputo
di non potersi fidare. Colui che pretendeva di essere il quarto
Malandrino non era affatto diverso in carattere rispetto
all’universo da cui era arrivato e Remus aveva capito cosa
doveva aspettarsi. Quando si erano accorti che il ratto era scomparso,
aveva dovuto ammettere di non essere neanche troppo sorpreso.
Eppure… E se Peter non avesse avuto colpe, se fosse
semplicemente stato controllato, come James a Hogsmeade o Piton in quel
momento?
«Cosa
siete?» ringhiò Remus, osservando
Loki con occhi pieni di disprezzo. «Come vi permettete di
entrare nei corpi delle persone e manipolarci in questo
modo?».
«Oh, santo
cielo» sbuffò Loki.
«Allora Mot non vi ha detto nulla su di noi…
Ammetto che non me lo aspettavo».
«Si
può sapere di che stai parlando?»
sbottò il Grifondoro.
«Noi, mio
ingenuo mortale, siamo coloro che per natura
dovreste servire» sibilò Loki. «Noi
siamo i primi esseri magici mai nati, i daimon.
Controlliamo
l’Etere a nostro piacimento perché siamo nati da
esso. Noi siamo onnipotenti. Noi siamo dei».
«Voi siete
parassiti»
replicò il
ragazzo, ricordando con disgusto ciò che James gli aveva
raccontato, di come la Mason gli aveva inserito nel corpo
ciò che all’epoca erano sembrati Ideali Immessi.
«Entrate nei corpi degli umani e ci controllate. Se foste
onnipotenti
come dici, allora non ne avreste bisogno, non
credi?».
«Lo
ammetto» fece Loki, inaspettatamente.
«Al momento non siamo più com’eravamo
una volta. Gli umani hanno trovato il modo per indebolirci e ora siamo
costretti a spostarci in questo modo. A me, ormai, neanche
dà più fastidio. Lo trovo, anzi, vantaggioso,
mentre i miei fratelli ancora dichiarano di aver bisogno di un corpo
loro, nonostante apprezzino certi vantaggi di questa…
sistemazione. Anche Mot, sebbene si sia affezionato a quello stupido
ragazzino».
Non fu difficile
capire che si stava riferendo a James. «E a
cosa ti servo io? Non so come si uccide… uno di voi, e se
questo Ermes
è forte all’incirca come voi, che
speranza ho?».
Loki sorrise.
«Non sottovalutarti. Puoi ucciderlo, e senza
neanche particolari problemi».
«Come puoi
esserne sicuro?» chiese Remus,
assottigliando lo sguardo.
«Lo
scoprirai quando incontrerai Phobos» disse
Loki. «Allora, ti va bene? Salvezza per deicidio?».
«Pensi
davvero che ucciderei un amico?» fece Remus,
sbuffando. «E poi “salvezza” da
cosa?».
«Non fare
tanto il santarellino: vogliamo entrambi che Minus
ci lasci la pellaccia, solo che non sei abbastanza coraggioso da
ammetterlo ad alta voce» rispose il
“dio”. «E la salvezza è da
quest’incubo. E di tutti voi, ovviamente».
«Quindi
siamo in un incubo, eh? Allora… mi basta
svegliarmi, giusto?» chiese il Grifondoro, con un sorrisetto.
«Non
è così facile liberarsi di
Nightmare.
Le nostre Abilità sono difficili da spezzare.
Forse sì, potresti uscirne, in qualche modo, ma sta sicuro
che non saresti più te stesso. Quella tua amica, quella
bionda… be’, l’ha provato sulla sua
pelle».
«Cos’è
successo a Mary?»
ringhiò Remus.
«Santo Me,
cambi umore così in fretta
che… be’, in effetti fra qualche ora avrai le tue
cose, no? Quindi penso sia normale… oppure no?
A dire il
vero non mi sono mai preoccupato della psicologia dei Lupi
Mannari…» borbottò Loki. Remus chiuse
gli occhi e prese un gran respiro, cercando di calmarsi. «Se
vuoi scoprire cosa le è successo, comunque, non puoi fare
altro che svegliarti e incontrarla da te».
«Io…
non posso uccidere Minus» disse,
infine, il Grifondoro, abbassando lo sguardo. Probabilmente avrebbe
dovuto mentire, ma sentiva che il dio dell’inganno se ne
sarebbe accorto fin troppo facilmente. «Nell’altro
universo sarebbe stato diverso, ma qui… ci ha tradito solo
perché è stato costretto da voi».
«Ah, sul
serio?» fece il dio, inarcando le
sopracciglia e ripresentando l’orrido sorriso. «E
cambieresti idea se ti dicessi che ha ricevuto Ermes
volontariamente?».
«Che
cosa…?» mormorò Remus,
sgranando gli occhi. Non poteva crederci. Non voleva crederci. I suoi
pensieri furono distratti da un ruggito che scosse l’intera
foresta.
«Mi spiace
ma credo che il tuo tempo per decidere stia per
scadere». Loki ghignò, malvagio, e alzò
un dito in aria, a mimare il movimento del pendolo di un orologio.
«Il tempo scorre e la sopravvivenza tua e delle persone che
ti sono più care dipende da te. Al tuo posto, mi sbrigherei.
Tic tac, tic tac…».
La
magione
Anche senza alcuna
spiegazione di David, Dora sapeva che i Manikin,
nonostante la loro forma quando legnetti, avevano un aspetto
animalesco, questo perché nessun essere umanoide avrebbe
potuto creare quegli orrendi suoni. Era come se qualcuno facesse
continuamente stridere una dozzina di gessetti su una lavagna, mentre
qualche incapace tentava di suonare un violino rotto e scordato. Il
risultato faceva accapponare la pelle (ma forse erano solo i brividi
per l’effetto “gesso su lavagna”) e
disorientava completamente. Più volte, nella loro corsa
verso l’ingresso, Dora si era ritrovata a correre in un'altra
direzione da quella di Sirius. Fortunatamente, se ne accorgeva in
fretta, perché non avrebbe mai sentito la voce del cugino
che la chiamava, incapace di sovrastare quello strillo acuto.
Avevano salito le
scale tre gradini alla volta e si erano diretti verso
una porta a caso, ritrovando la fitta rete di corridoi e stanze che
avevano imparato a odiare nel piano inferiore. Continuavano a correre,
senza quasi fermarsi, di tanto in tanto voltandosi e trovandolo sempre
là, un braccio e una gamba avanti, fermo in un istante del
suo movimento.
«Aspetta»
fece Sirius, prendendo la ragazza per un
braccio. Quando lei si voltò, il Grifondoro stava
già fissando il Manikin per non farlo muovere. Gli si
dovette avvicinare, per comprendere le sue parole sopra quel rumore.
«Non serve a niente correre così,
finché rimane a distanza e lo guardiamo».
Lei, con il fiatone,
rimase in silenzio per qualche secondo, intuendo
che c’era una falla nel ragionamento di Sirius ma non capendo
bene quale. Se solo quel dannato rumore fosse cessato, probabilmente
sarebbe riuscita a pensare meglio. Si diede una pacca sulla fronte,
dandosi dell’idiota per quanto era stata lenta.
Tirò fuori lo specchio.
«David, Eve,
dobbiamo sbrigarci, c’è
n’è più di uno» disse. Sirius
si voltò a guardarla, confuso, e lei gli diede velocemente
il cambio per fissare la creatura, che riuscì a spostarsi a
malapena.
«Come lo
sai?» chiese il ragazzo, sgranando gli
occhi.
«Questo qui
è fermo, ma il rumore
c’è ancora» spiegò, battendo
prima una palpebra e poi l’altra nel tentativo di non
chiudere entrambe. Sirius, dal canto suo, si passò una mano
sul volto, dandosi ad alta voce dell’imbecille.
«Se sono
più di uno, allora conviene che vi
troviate un posto sicuro in cui chiudervi» propose David.
«Imprigionarli sarebbe troppo complicato».
«Già,
e poi che facciamo? Rimaniamo fra quattro
mura a vita?» fece Dora.
«Almeno fino
a quando non arriveremo noi»
s’intromise Eve. «David ha un congegno per rilevare
Etere, datemi cinque minuti e riuscirò a
trovarvi!».
«Ehi, ma
quando l’hai preso?»
esclamò David. Eve, dall’altra parte dello
specchio, fece una pernacchia.
«Non per
rovinarvi la festa, ma quel coso è
entrato in una stanza chiusa, non credo si farebbe tanti problemi se
mettessimo una sedia davanti alla porta» disse Sirius.
«In una
stanza… chiusa?» chiese David,
dopo qualche istante di silenzio.
«Sirius?
Tonks?» fece una voce dietro di loro. Dora
voltò il capo così velocemente da farsi male al
collo.
«Em?»
mormorò Dora, fissando la ragazza
con occhi sgranati. La ragazza, uscita da dietro la svolta del
corridoio, guardava dietro di lei, probabilmente impedendo al Manikin
di muoversi, e aveva un’aria stravolta: i capelli scuri erano
sparati in tutte le direzioni e i vestiti erano strappati in
più punti. In mezzo ad alcune ciocche, Dora notò
quelli che sembravano frammenti di ghiaccio e aveva un livido nero
grande come un pugno sul braccio sinistro. In mano reggeva un lungo
pezzo di metallo dorato.
«Emmeline!»
esclamò Sirius, correndole
incontro e abbracciandola. La Grifondoro parve sorpresa e
ricambiò l’abbraccio dopo qualche secondo. Dora
continuava a osservarla come lei guardava il Manikin, il cervello che
continuava a elaborare la stessa informazione, rifiutandosi, in un
tentativo disperato, di accettare le proprie conclusioni.
«Che bello
vederti!» esclamò Sirius,
felice come qualcuno non minacciato da una creatura immortale pronta a
farlo fuori.
«Mi stavate
cercando?» chiese lei, spaesata,
interrompendo il contatto visivo con il Manikin che Dora si
sbrigò a recuperare. L’essere aveva fatto alcuni
passi avanti e, dietro di lui, ne era comparso un altro. Il verso
continuava a echeggiare nell’aria. Dora imprecò
fra i denti.
«Certo! Tu e
Mary eravate state rapite
e…».
«E dove
siamo? Come siamo arrivati qui? Come siete arrivati
qui?» fece lei, con tono che Dora ritenne leggermente
isterico.
«Be’…
non lo sappiamo» ammise
Sirius. «Eravamo andati a cercarvi in un posto, poi sono
successe… delle cose ed io e Tonks ci siamo trovati
qui».
«Non
è vero» la voce di David
arrivò, sicura, dallo specchio che Dora reggeva ancora in
mano, facendo sobbalzare Emmeline. «Black, pensaci, sai
benissimo dove ti trovi. Ninfadora ci è già
arrivata».
«Non
chiamarmi Ninfadora» scandì lei,
digrignando i denti, mentre i capelli le diventavano color carota, lo
sguardo ancora fisso sui Manikin.
«Di che stai
parlando?» chiese Sirius, perplesso.
«Sirius,
ragiona»
ringhiò Eve, in un
tentativo di fargli capire che era meglio non parlarne ad alta voce.
Lui rimase in silenzio per qualche secondo.
«Mi volete
spiegare cosa sta succedendo?»
implorò Emmeline che, dalla voce, sembrava
sull’orlo delle lacrime. Dora si dispiacque per lei ma non
disse nulla, troppo occupata a cercare una soluzione, nonostante
cominciasse a diventare sempre più disperata.
«Non
può essere…»
mormorò Sirius, evidentemente arrivando alla stessa
conclusione.
«Cosa non
può essere?»
esclamò Emmeline, strattonando con forza il ragazzo.
«Spiegatemi!».
«Siamo
fottuti, Em, ecco cosa succede» rispose
Dora, leggermente esasperata, voltandosi di scatto. Spalancando gli
occhi, afferrò la mano di Emmeline e il braccio di Sirius e
li portò vicino a sé: altri tre Manikin erano
usciti dal nulla ed erano bloccati nell’atto di avvinghiare i
due. Sentì Sirius voltarsi dall’altra parte.
«Sono
diventati tre» mormorò il ragazzo,
visibilmente spaventato. Il cervello allenato della Tassorosso fece un
rapido riassunto della questione: sei esseri immortali e immuni alla
magia bloccavano ogni lato del corridoio e, dove si trovavano, non
c’erano altre stanze. Loro erano solo in tre ed Emmeline
sembrava aver qualcosa che non andava. Non avevano speranze. Dora
sentì i propri occhi lacrimare e non era sicura che fosse
solo per lo sforzo di tenerli aperti.
«Dovete
andarvene» esclamò Eve,
sbirciando la situazione attraverso la mano della sorella.
«Non
possiamo» replicò Sirius, tenendo
Emmeline dietro di sé che cercava invano di capire cosa
stesse accadendo. «Siamo circondati».
«Passategli
in mezzo» suggerì la
Corvonero.
«Troppo poco
spazio fra uno e l’altro»
rispose Dora, che aveva già fatto i dovuti calcoli.
«E non sappiamo se gli altri siano dietro l’angolo,
né quanti siano in tutto».
Sirius
ringhiò in modo molto canino. I due si stavano adattando, non
era ben chiaro se per fortuna o no, al verso di quelle bestie ed era
stato facile dimenticarsene per il Grifondoro.
«Ragazzi»
fece David, dall’altra parte
dello specchio. «Non so davvero come aiutarvi. Mi
dispiace». Dora, nel proprio universo, non avrebbe mai
pensato di provare pena per l’uomo che aveva fatto risorgere
Lord Voldemort, eppure stava accadendo, nonostante fosse lei quella in
pericolo.
«Che
facciamo?» chiese Sirius, cercando di rimanere
impassibile. Dora osservò le tre creature che, immobili, si
protendevano verso di loro. Sapeva benissimo di non poter tenere gli
occhi spalancati ancora a lungo e sapeva anche che, molto
probabilmente, un solo battito di ciglia sarebbe bastato a farli
prendere dai Manikin. Doveva inventarsi qualcosa in pochi secondi.
Le lacrime
continuarono a formarsi e a sgorgare sempre di
più, mentre lei cercava di trattenersi. Lo sforzo per
mantenere aperti gli occhi e la disperazione che la stava cogliendo
stavano facendo il loro lavoro e ben presto la vista della ragazza fu
quasi totalmente appannata. Eppure, sapeva di non potersi asciugare,
perché avrebbe significato coprirsi gli occhi per qualche
istante.
Più
continuava a pensare più si sentiva idiota,
idiota come la morte che avrebbe avuto. Come sarebbe stata catalogata?
“Morte da battito di ciglia”? Oppure più
qualcosa tipo “morte da incubo”, come, in effetti,
sarebbe stato più giusto?
La cosa,
rifletté, non le stava affatto bene. Almeno nel
proprio universo era morta in battaglia; uccisa dalla propria zia
psicopatica, certo, ma almeno aveva combattuto per ciò in
cui credeva. In quest’altro, invece, sarebbe dovuta morire
nel sonno creato da un montato che si credeva una divinità
insieme a suo cugino e a una ragazza sfinita e disorientata che lei
conosceva da soli tre mesi… e lontana da Remus che, molto
probabilmente, stava cercando di sopravvivere così come lei.
Penso a lui e alla sua
reazione in caso non fosse mai tornata, poi
immaginò la propria al suo posto.
Poi prese una
decisione e attuò il suo piano senza neanche
avvertire gli altri.
«Reducto!»
urlò, e il pavimento cedette.
Non sapeva neanche dove sarebbe caduta, né se sarebbe
sopravvissuta. Tuttavia, preferiva lottare e morire, piuttosto che
abbandonarsi a quelle orride creature e al destino che uno stupido
Mangiamorte aveva deciso per lei.
Geronimo,
pensò, divertita, cadendo ad occhi chiusi molto
più a lungo di quanto aveva immaginato. Fin troppo a lungo.
La
foresta
«Come posso
essere sicuro che ci tirerai fuori di qui e che,
dopo aver ucciso Ermes, ci lascerai in vita?» chiese Remus,
mentre il rumore delle zampe della bestia sul tappeto erboso si faceva
sempre più vicino.
«Perché
non ho ragione di farlo» fece
Loki, sorridendo. «Tecnicamente, per me sareste molto
più utili da vivi. Io non ho voglia di immischiarmi con il
piano del Primo e non mi dispiacerebbe affatto sei voi riuscite a
cavarvela, ma Ermes potrebbe causarmi problemi, quindi ho bisogno di
qualcuno che è già schierato contro di loro
è che è disponibile a farlo secco».
Remus rimase per
qualche secondo a fissare il Serpeverde, organizzando
le proprie idee. Proprio quando sembrava stesse per cedere, chiese:
«Perché dovrei fidarmi della tua
parola?».
Loki
sbuffò, facendo segno di “no” con
il dito. «Ah, Remus, Remus, il tempo scorre e i tuoi amici
stanno per morire. Fossi in te mi sbrigherei».
Un nuovo ruggito
riecheggiò nella foresta, gelando il sangue
nelle vene del Grifondoro.
Il
labirinto
Il muro di fuoco del
Grifondoro svanì in fretta, portando
con sé una decina di quelle strane creature. Lily, tuttavia,
si era già preparata e, con un aggraziato movimento della
bacchetta, un fascio di luce falciò gli esseri
più vicini, che diedero l’impressione di essere
evaporati, a giudicare dalla nebbiolina nera che lasciavano per un
istante.
Un gruppo degli esseri
si arrampicò sul soffitto del
corridoio, con l’evidente intenzione di saltare addosso ai
ragazzi. James si premurò di congelarli e a farli a pezzi,
facendo cadere gli spuntoni che si erano venuti a creare sulle creature
sottostanti.
Lily sparò
una nuova raffica di Incantesimi Esplosivi e
James pietrificò alcune creature, ostacolandone altre.
Alcuni esseri si scagliarono in aria, cercando di colpirli in volo, ma
si dissolsero sulla barriera che i Caposcuola avevano generato in
contemporanea.
Lily gemette quando
vide nuove ondate delle creature nere svoltare nel
loro corridoio e avvicinarsi sempre più velocemente. Quei
cosi erano deboli, ma erano troppi.
«Non
possiamo farcela» disse la ragazza, lanciando
altri Incantesimi per rallentarli ma con molta meno potenza rispetto a
prima.
«Scappa, io
li trattengo!» esclamò, di
nuovo, James, generando fiamme dalla punta della bacchetta.
«Quante
volte te lo devo dire? Io rimango!»
replicò la ragazza. «E stavolta non puoi neanche
Obliviarmi, quindi vedi di adattarti!».
James
sembrò voler dire qualcosa, ma si trattenne e
continuò a scagliare Incantesimi, disintegrando gli esseri.
Lily fece uscire un vigoroso getto d’acqua dalla bacchetta,
che si riversò sulle creature, spingendole indietro e
schiacciandole una sull’altra.
«Attenta!»
l’urlo di James le
arrivò troppo tardi. Una delle creature era riuscita a
evitare l’Incantesimo della ragazza ed era passata sotto i
suoi compagni, avventandosi poi su una coscia di Lily, affondando gli
artigli nel muscolo. Lei urlò di dolore e perse
l’equilibrio, cadendo a terra. Disintegrò la
creatura con un Incantesimo ma, da come si teneva la gamba, era
evidente che era andato già parecchio a fondo e quella
nebbia nera che usciva dalla ferita non prometteva nulla di buono.
James avrebbe voluto
andarle vicino e aiutarla ma era costretto alla
sua posizione, lavorando il doppio ora che Lily riusciva a lanciare
solo alcuni degli Incantesimi più semplici e solo grazie
alla sua grande forza di volontà, che le permetteva
d’ignorare il dolore. Tuttavia, il rivolo di sangue che le
usciva dalle labbra non sfuggì al ragazzo, che non seppe se
si stesse mordendo da sola per non perdere i sensi o se la creatura
avesse fatto danni ben peggiori con la magia Oscura di cui era
impregnata. A giudicare dal pallore che Lily stava assumendo,
immaginò, con una stretta al cuore, che fosse il secondo
caso.
«Merda…»
imprecò James fra i
denti, continuando a scagliare Incantesimi, cercando di non far passare
nessuno di quegli esseri. Tuttavia, sentiva che la vista cominciava ad
appannarsi per lo sforzo e, lo sapeva, a breve non sarebbe riuscito a
sostenere quel continuo assalto.
«Meno male
che Evelyn aveva detto che hai un’enorme
quantità di magia» disse John, apparendo dal
nulla. Era semplicemente lì, appoggiato con
tranquillità al muro, il completo babbano perfettamente
curato.
«Sta’
zitto» sibilò James,
rabbioso, facendo a pezzi una dozzina di creature contemporaneamente.
Si rese conto solo dopo di averlo detto ad alta voce e, molto
probabilmente, Lily lo stava credendo pazzo, ma non gli interessava.
Ora non ce la faceva proprio a sostenere John.
«Vuoi un
aiutino?» chiese l’Altro. James
si trattenne dal tirare un Incantesimo anche a lui.
«Sparisci,
bastardo!» ruggì.
«Ho meglio da fare che ascoltare le tue stronzate!».
«No, sto
dicendo sul serio!» disse John, alzando le
mani e sgranando gli occhi, come cercando di sembrare il più
sincero possibile. «Ti do il cambio, salviamo Lily e usciamo
fuori da questo casino. Non male, no?».
«Sì,
certo» fece James, sarcastico,
Schiantando altre creature. «E poi magari ti fai un bel
giretto per il mondo con il mio corpo e ammazzi chi ti pare, giusto?
Be’, no, grazie, non ci tengo!».
John
sospirò platealmente. «Non rifiutarmi, James!
Sono la tua unica speranza di uscire da qui vivo! Probabilmente il tuo
amico lupacchiotto sta per farvi uscire tutti, ma temo ci
vorrà un po’ di tempo e… mi spiace
dirlo, ma tu sarai bello che andato… e la principessa, qui,
probabilmente starà messa anche peggio» si
avvicinò di qualche passo a James. «Fidati di me,
posso farvi uscire da qui incolumi e potrete continuare a vivere la
vostra piccola favoletta da diabete».
«Puoi
scordartelo» disse James, nascondendo
l’insicurezza nella propria voce. Il pensiero di Lily, in uno
stato ancora peggiore della morte, lo aveva fatto tentennare.
John si
avvicinò ancora di più, a passo lento e
rilassato.
«Non pensavo
odiassi Lily fino a questo punto»
mormorò, quando gli fu abbastanza vicino. James si
scostò di lato, tenendo la mascella serrata e continuando a
scagliare Incantesimi. «Oh, andiamo, non fare il
santarellino! Tu la odi, si vede benissimo. Tu, nonostante tutto, la
vorresti morta, non è così?».
«Non ti
azzardare a provare a dire, o
a pensare, mai
più una cosa del genere» fece James, disgustato,
voltandosi per un secondo verso l’Altro. «Sei stato
nella mia testa e sai che questa è la cosa più
vicina a una bestemmia che potresti dire a me. Tu sai cosa provo e sai
che le tue sono solo cazzate».
«Se
è c’è del vero in quello
che dici, perché la stai condannando a questo
fato?» chiese John, in una serietà che James non
aveva mai visto. Il Grifondoro non riuscì a rispondere,
forse troppo disorientato dall’utilizzo di quello che
sembrava un linguaggio del Trecento (o giù di lì,
all’incirca…). «Lasciamela
salvare».
James
scagliò altri Incantesimi c0ntro le fila di creature,
rimanendo in silenzio. Cuore e mente non sapevano decidersi, entrambi
spaccati in due.
«Va
bene» disse, infine, senza guardare
l’altro. Lo sentì appoggiargli una mano sulla
spalla per un secondo, poi la mente cominciò ad annebbiarsi,
i pensieri a perdere forma e ciò che sembrava un nuovo
sangue gli fluiva nel corpo.
«Ora»
fece John, con un ghigno. «Dobbiamo
solo sperare che il lupacchiotto decida per il meglio».
La
foresta
Il tempo, come Loki
ricordava, continuava a scorrere, e Remus ancora
non riusciva a decidersi. Non aveva idea di cosa fare. Credeva che Loki
avrebbe rispettato il proprio patto, ma non era sicuro di voler lui
stesso tenergli fede. Se anche fosse uscito di lì, dopo
Dolohov avrebbe anche dovuto uccidere Peter Minus e, seppure lo odiasse
con tutto se stesso, non riusciva a vedercisi. Uccidere Codaliscia, il
quarto Malandrino… gli sembrava una delle cose
più ripugnanti che avrebbe potuto fare. Eppure…
Riascoltò nella mente le parole di colui che si proclamava
dio: “i tuoi amici stanno per morire”. Sapeva che
non stava mentendo. La sua mente evocò immediatamente
un’immagine, chiaramente fittizia, di Ninfadora in pericolo e
tanto bastò per fargli prendere una decisione immediatamente.
«Allora?»
chiese Loki, come se avesse intuito i
pensieri del licantropo.
«Accetto»
rispose lui, con sguardo deciso.
«Bene!»
esclamò il dio, avvicinandosi a
grandi passi verso Remus e tendendogli una mano. Seppur con diffidenza.
Sentì i passi della Chimera avvicinarsi. «E sappi
che se cercherai di fregarmi, io lo saprò, e mi
vendicherò».
Remus mantenne gli
occhi verdi saldamente puntati verso il volto del
ragazzo e lasciò che la minaccia gli scivolasse addosso,
mentre il mondo si dissolveva e lui riprendeva coscienza di
sé.
«Salve,
professor Silente» disse la Mason, alzandosi in piedi per
stringere la mano all’anziano Preside e risedendosi dietro la
propria scrivania con aria tranquilla. «È tornato
da poco?».
«È
così» rispose il professore, con aria benevola,
sedendosi dove l’insegnante gli indicava. «A dirla
tutta mi stavo annoiando, giù al Ministero, e ho ritenuto
che i miei servigi fossero più necessari qui».
«E cosa
posso fare io per lei?» chiese la donna, intrecciando le dita
e osservandolo con curiosità. «Perché
immagino non sia venuto solo per una visita di cortesia, anche se
l’avrei molto apprezzata».
«Purtroppo
no, signora» fece Silente, con uno scintillio divertito negli
occhi. «Porto delle informazioni dal sud e ho ritenuto che
fosse il caso condividerle con lei. Quel che verrà dopo le
sarà poi chiaro come l’aria».
Lei sorrise
placidamente e annuì. «Dica pure».
«Sapeva che
una delle stanze dell’Ufficio Misteri contiene la seconda
biblioteca più grande del mondo?» chiese il
professore.
«Adesso
sì».
«Be’,
mi ci sono casualmente
ritrovato e mi sono detto “perché no?” e
ho deciso di sfruttare l’occasione per assumere un altro
po’ di cultura, dato che, anche alla mia età, non
fa mai male. Casualmente, ho trovato alcuni testi antichi che
trattavano le più disparate materie, dall’Alchimia
e la Trasmutazione alle pratiche magiche che ormai sono scomparse, tra
cui quelle mentali, di cui ci rimangono gli Incantesimi di Memoria, la
Legilimanzia, l’Occlumanzia e la Maledizione
Imperius» spiegò il Preside, studiando
l’espressione di educato interesse della professoressa.
«L’argomento mi ha incuriosito e, sempre
casualmente, ho trovato degli accenni a ciò che veniva
chiamata Psicomanzia, ovvero l’arte del controllo mentale in
un modo piuttosto diverso rispetto a quello della Maledizione Senza
Perdono, concentrato sulle capacità di
illusionismo».
«Sta
parlando di quei Babbani che credono di poter imitare la magia
truffando i loro simili?» chiese la Mason, inarcando un
sopracciglio.
«Oh, no,
assolutamente» rispose Silente, ignorando con molta fatica il
tono di disprezzo della sua insegnante. «Qui si parla di
magia che permette al suo utilizzatore di mostrare ciò che
vuole a chi vuole. Venne molto usata,
nell’antichità, durante le guerre, permettendo di
rivoltare interi eserciti contro i propri generali, portando alla
gloria uomini facendo passare le loro gesta come
“miracoli”, facendo sì che interi imperi
nascessero con il minimo sforzo».
«Interessante»
commentò la professoressa. «Così come
è interessante che tutto questo sapere le sia arrivato per caso».
«Le scoperte
più importanti sono state fatte per caso, mia
cara» disse il professore, ridacchiando. «Ho voluto
risalire, per puro interesse, alla nascita di questi Incantesimi.
È stata piuttosto dura, ma sono riuscito a trovare nel nord
dell’India la loro fonte, dove si dice che una dea avesse il
potere di rendere reali le proprie idee. Questa dea insegnò
la sua arte a pochi sacerdoti che, alla sua scomparsa inaspettata e
inspiegabile, portarono la Psicomanzia in Europa e nel resto
dell’Oriente. Solo pochi si diressero in Africa, dove
l’arte illusoria scomparve in breve tempo».
«Molto
poetico» fece la Mason, sorridendo con innocenza.
«Ma sono solo leggende, professore, immagino non ci creda sul
serio».
«Oh, non
pretendo di poter dividere ciò che è leggenda da
ciò che è realtà, non dopo
più di cinquemila anni di storia, professoressa»
rispose lui, pacato come sempre. «Tutto ciò che
desidero è farle una domanda: intende sciogliere la sua
ipnosi prima o dopo essersi allontanata per sempre da questa scuola, Maya?».
Il sorriso si
paralizzò sul volto della professoressa. «Come,
scusi?».
«La prego,
non finga con me» le disse Silente, con un sorrisetto
divertito. «Ho letto molto su questa dea, o Deva, da cui
prenderà poi il nome la dottrina creata dai suoi sacerdoti e
poi inserita nei testi sacri della religione babbana nota come
“Induismo”, in cui non c’è
più alcun cenno alla dea stessa. Tuttavia, nei testi sulla
Psicomanzia nel Ministero ci sono molti riferimenti a lei e alla sue
magie rosso cremisi,
dello stesso colore dei suoi occhi». Il professore
guardò intensamente la donna. «Molto comodo, con
il corpo di un vampiro, non crede?».
«Non male,
in effetti» disse la donna, cambiando immediatamente tono e
assumendo uno sguardo freddo. Si alzò dalla propria sedia e,
camminando con delicatezza sulla moquette verde, andò alla
finestra, tuffando lo sguardo nel parco di Hogwarts. «Si
può facilmente usare la propria magia e dire:
“Ops, mi spiace, ho perso il controllo per un
secondo”. Questo branco d’idioti sa dei vampiri
anche meno che dei licantropi, credono a qualsiasi cosa gli si dica su
di noi».
«“Noi?”»
chiese Silente, inarcando le sopracciglia. La donna si voltò
nuovamente verso di lui.
«Sì,
noi. Ho
attuato l’osmosi con successo e ora sono Sarah Mason e
Maya» confermò, alzando leggermente il mento con
tono orgoglioso.
«Osmosi?»
chiese ancora l’insegnante, incuriosito.
«È
un processo a cui i daimon
possono scegliere se andare incontro o no» spiegò
pazientemente Maya. «La nostra identità si mescola
con quella del nostro contenitore, cercando di far aderire una
all’altra, tentando di soggiogarla e creare un legame
indissolubile. Se riesce, per il contenitore è praticamente
impossibile rigettarci e il potere del corpo viene
decuplicato».
«Ma?»
incalzò Silente.
«A volte
possono esserci dei ribaltamenti: se il contenitore possiede
un’identità troppo forte, potrebbe finire per
sopraffare il daimon,
assumendone i poteri ma rimanendo in sé: sono scoppiate
molte guerre perché uomini potenti e avidi avevano ottenuto
impropriamente le nostre abilità. A volte capitava anche che
i daimon
stessi impazzissero, incapaci di distinguere la propria mente da quella
del contenitore, obbedendo ai desideri dell’uomo, piuttosto
che a quelli del dio».
«Non mi
sembra che lei faccia molta differenza, se posso permettermi»
s’intromise il professore. «Considera, in quanto daimon,
l’intera umanità come feccia, eppure difende anche
i vampiri, considerandoli la sua stessa specie».
«Sì
e no» disse Maya. «Ciò che ha detto
è vero, ma è anche vero che io stessa ne sono al
corrente. Questo perché la perfetta osmosi fa coincidere
pensieri, desideri e convinzioni del daimon e dell’ospite:
Sarah Mason ritiene che tutto ciò che non sia vampiro sia
disgustoso, così come Maya ritiene per tutto ciò
che non sia daimon.
Per far coincidere queste due idee, si arriva alla conclusione che ha
esposto».
«Quindi
l’osmosi è una sorta di contratto fra le due linee
di pensiero in cambio di un potere enorme?».
«All’incirca,
sì» rispose Maya, annuendo. Il professore si
lisciò la lunga barba bianca, pensieroso.
«E immagino
sia troppo chiederle perché avete bisogno di contenitori per
mantenere i vostri poteri» propose. Maya incurvò
leggermente le labbra. Le sue espressioni stridevano molto da quelle di
Sarah Mason.
«Ci sono
cose che non sono disposta a rivelarle, professore. Consideri le
informazioni che le ho dato come un piccolo premio di
consolazione» rispose lei. Il Preside inarcò le
sopracciglia e assunse un’espressione di pacata sorpresa.
«“Consolazione”?
Per cosa?» chiese.
«Crede
davvero che me ne andrò così?» fece
lei, fra l’ironica e l’incredula. «Mi
spiace professor Silente, ma intendo tenere il mio posto
finché mi farà comodo».
«Oh, non
credo proprio» replicò pacatamente il professore,
alzandosi in piedi e guardandola con severità.
«Lei lascerà questa scuola entro un’ora
e non varcherà mai più i nostri cancelli,
altrimenti sarò costretto a prendere
provvedimenti».
«Vuote
minacce» disse il daimon.
«Pensa sul serio di potermi convincere ad
andarmene?».
«Mia cara
signora, nonostante la potenza che lei vanta, sono certo che non
vorrebbe affrontare da sola il corpo insegnanti e, molto probabilmente,
quello studentesco al completo da
sola. Questa scuola è casa per tutti coloro che
si trovano al suo interno e nessuno di noi gradisce le intrusioni
indesiderate, così come stanno certamente dimostrando i miei
migliori studenti contro il suo amico nella Foresta» disse il
professore, emanando inconsapevolmente l’imponente aura
magica che possedeva da tempo e che si era intensificata dopo la
sconfitta dell’ex-amico Grindelwald. «Mi creda se
le dico che la mia offerta è per lei un’ancora di
salvezza».
«Allora
perché non combatte qui e ora, se è
così sicuro del proprio successo?»
sibilò lei, alterandosi.
«Ho
l’impressione che una battaglia arrecherebbe molti danni a
Hogwarts. E questa è una scuola, signora, e ci sono
moltissimi studenti al suo interno. Non voglio far nulla che possa
ledere loro in un qualsiasi modo» spiegò Silente.
«Ma se costretto, farò tutto ciò che
è nel mio potere che, modestia a parte, non è
affatto indifferente».
Maya
assottigliò gli occhi ma fece un mezzo sorriso.
«Allora credo che accetterò la sua “ancora di salvezza”,
professore. L’illusione sparirà non appena
lascerò i confini della scuola. Mi consideri pure dimessa
dal mio incarico».
«Oh,
no» fece il Preside, dirigendosi verso l’uscita.
«Si consideri licenziata».
E si chiuse la porta
alle spalle.
Sala
Comune di Tassoverde
E lo so cosa state pensando! "Questo scompare per mesi (tanto per
cambiare) e, invece di darci tutto un capitolo, ce ne dà una
parte, perché non riesce a finire un ciufolo"! E, invece,
carissimi lettori che, spero, siate arrivati fin qua giù,
questa "Parte 1" è ben diversa da quella di Potters: se
lì ho diviso per questioni di tempo, qui, invece, ho fatto
tutto per lo spazio! Mentre scrivevo quello che ora sarà il
capitolo successivo, ho infatti capito che stava venendo fin troppo
lungo (intorno alle 32 pagine...) e leggerlo tutto insieme sarebbe
stato estenuante: ho quindi deciso di separare le prime 16 pagine e
pubblicare le restanti successivamente, entro un paio di settimane
(giusto il tempo di rifinire e correggere). In questo modo potrete
leggere con più tranquillità e senza dover
aspettare decenni per il seguito, lasciandovi comunque con un po' di
suspance! Quanto sono braFo, eh?!
Per quanto riguarda l'ultima parte, con il daimon Maya: non
sono affatto un esperto dell'Induismo, anzi, conosco poco e niente. Ho
cercato tuttavia di addentrarmi poco nella dottrina attuale e nella
storia stessa dell'India, attingendo da poche fonti online e cercando
di rimanere nel "possibile". In caso abbia sbagliato qualcosa chiedo
venia e... siamo in universo parallelo, no? Vorrei inoltre segnalare che la parte sulla magione è piena di riferimenti. Trovateli tutti e vincerete millanta pokédollari (convertibili in gettoni d'oro nel duemilaecredici).
Ora, passando a cose un po' più tecniche... be', non ci passeremo. Giusto per
sovraccaricare un po' la seconda parte di Who (a
cui sono indeciso se dare un nome diverso, giusto perché
"part
1" e "part 2" è un po' tanto antiestetico... ora che ci
penso,
potrei fare la stessa cosa con Potters...
uhm... questo significherebbe cambiare tutte le numerazioni... ci
rifletterò su),
scriverò in quelle note le modifiche finora apportate ai
precedenti capitoli (mi sono fatto una piccola lista apposta) e altre
cosine interessanti (ovvero: che adesso non mi vengono in mente). Per
la piccola tabella iniziale ringraziate la carissima Ma_AiLing, a
cui va tutta la mia gratitudine...
Per il resto, ringrazio tutti voi lettori, sia i silenziosi sia, in
particolar modo, le cinque persone (vi amo, sapevatelo) che hanno
recensito il precedente capitolo. Mi è venuta la
lacrimuccia, giuro. So di essere ripetitivo, ma voglio davvero
ringraziare voi tutti che, nonostante gli infiniti tempi di
aggiornamento, continuate a non abbandonarmi... grazie mille, davvero.
Credo quindi di terminare qui le note (penso non siano mai state
così brevi...), lasciandovi un piccolo invito a recensire
anche questo Chapter (perché "capitolo" è
mainstream!), in cui, magari, mi piacerebbe anche sapere con quale
metodo avete deciso di leggere il capitolo, e a continuare a essere
così fantastici, con la
speranza che questa storia così sconclusionata non vi stia
venendo a noia.
Un bacio a voi tutti,
hufflerin
P.S.: Notare il nuovo banner della storia che si può trovare
nel
Chapter 0, ridotto per essere visibile tranquillamente anche da mobile.
Bellino, eh? (Non è vero mai). Anche questo l'ho fatto con
Power
Point.
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«There's nothing to fear... except the Fear itself»
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Capitolo 14 *** Chapter XI - Who (parte 2) ***
Who (parte 2)
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«What
are you, really? I know you are not the true James, even if he's still
buried inside there»
«Oh,
so you call me James now. I'm amazed»
«My
name is Remus Lupin, I'm thirty-eight, a Werewolf and... I'm
dead»
«I'm
Ninfadora Tonks, I'm twenty-five, a Metamorphmagus and I'm
dead too... And I'm... I was an only child»
«James,
what's going on?»
«There
was a man, in the pub and... when I did see it, I felt like when...
like after Mason's punsihment»
«However,
there is a second Aether's source»
«Exactly.
Inside wizards exists something like a magic core. You can say that all
of us
have a little Aether's source within ourselves»
«Remus,
I had...»
«Please,
shut up... Once, you said that we need to choose between waht's right
and what's easy, Harry told me. I think you have choosed what's easy,
this time»
«It
would be nice if everything was like before, wouldn't it? Before the
Other and before Mason...»
«It
would be nice just forget that»
«The
Storytellers?»
«Yeah,
that's how she calls people who have travelled, people who know their
History and who can rewrite it»
«Oh,
come on! Don't say that you haven't noticed that?! When did you stop to
be the god of dark to become a...»
«Be
careful, Loki, another wrong word and I swear I'll blow up your
head!»
«That's
a nightmare, isn't it? So... I just need to wake up, right?»
«It
isn't so easy to get rid from Nightmare. Our Abilities are difficoult
to break. Maybe yes, you can excape from it, somehow, but you can be
sure that you won't be the same. Your friend, the blond one... Well,
she proved that on herself»
NOW
11. Who (part 2)
Dora si risvegliò di soprassalto, scattando a sedere,
ansimando rumorosamente e guardandosi intorno a occhi sgranati.
«Calma, è tutto okay» le
sussurrò Remus, mettendole le mani sulle spalle. Lei lo
fissò per qualche secondo, cercando di elaborare
ciò che stava accadendo. Fino a cinque secondi prima, si
aspettava di cadere all’infinito nel buio. Era stato un suo
incubo ricorrente, quand’era bambina, ma la consapevolezza di
essere in un mondo totalmente fittizio e che alle spalle si lasciava
mali ben peggiori l’aveva tranquillizzata. Poi il buio aveva
cominciato a sgretolarsi, facendo spazio a un bianco accecante; era in
quel momento che la Tassorosso aveva cominciato ad andare nel panico.
«Dove siamo?» chiese Dora, distogliendo con un
po’ di fatica lo sguardo dal volto di Remus.
«Nel labirinto… quello vero, stavolta»
rispose un’altra voce. James era appoggiato con la schiena al
muro e giocherellava con la bacchetta con sguardo assente. Solo in quel
momento Tonks notò gli altri e vide che Lily stava parlando
a bassa voce con Emmeline, che aveva gli occhi sgranati e fissava il
vuoto, e Sirius si guardava intorno, digrignando i denti e assumendo
un’espressione sempre più di disperata.
«È molto poco labirintico, ma molto più
concreto».
Dora ci mise qualche secondo per capire che quello che stava parlando
doveva essere John. Incrociò di nuovo lo sguardo di Remus e
lui scosse leggermente la testa, facendole capire che non era il
momento adatto. La Tassorosso non si sentiva affatto
d’accordo ma decise di fare come diceva e si
guardò intorno.
Erano in una caverna circolare di pietra nera all’apparenza
naturale, al contrario dei mattoni ben definiti che componevano il
“falso” labirinto, e la luce proveniva da tre torce
dalla fiamma azzurrina e, dalla parte opposta a cui si trovava, un
corridoio conduceva a un’altra sezione del dedalo.
«Dai, ti aiuto ad alzarti» le disse Remus, con un
mezzo sorriso, porgendole una mano. Lei la prese e si
puntellò sui talloni. Anche dopo che si fu alzata (e che fu
quasi caduta dalla parte opposta), il ragazzo non accennò a
lasciarla. Dora gli strinse la mano con dolcezza, cercando di
comunicargli un po’ del suo supporto.
Sirius, intanto, si faceva sempre più irrequieto.
«Dov’è Mary?» chiese, alla
fine, passandosi una mano sui capelli. «Perché non
è qui con noi?».
«Mary si è già svegliata»
disse Remus. Sirius aggrottò all’istante le
sopracciglia e lo guardò fisso, chiedendogli spiegazioni
senza aprire bocca. «Ho incontrato Piton… anzi, Loki»
guardò John per qualche secondo ma quello si
limitò a esaminarsi le unghie con noncuranza. «Mi
ha riferito che Mary è riuscita a spezzare Nightmare ma ha
anche detto che, testuali parole, ora “non è
più la stessa” … o una cosa del
genere».
«Quindi che significa?» chiese Sirius, confuso.
«Che quasi sicuramente se l’è presa
Phobos per preparare una trappola per noi» spiegò
John. Sirius digrignò i denti e aprì la bocca
come per insultarlo, ma quello lo fermò con un gesto della
mano. «Sta’ tranquillo, sicuramente è
viva. Non posso essere sicuro che sia incolume, ma è senza
dubbio viva».
«E perché dovrebbe? Non sarebbe più
facile ucciderla subito?» chiese Emmeline, in un sussurro
udibile solo grazie alla leggera eco della camera. Dora si
voltò nuovamente a guardarla: la ragazza tremava ancora
terribilmente ed era seduta a terra ma lo sguardo era diventato
più sveglio. Non sapeva cosa avesse affrontato nella
magione, prima che lei e Sirius arrivassero, ma avrebbe voluto davvero
aiutarla; la conosceva così poco, tuttavia, che non si
mosse, temendo di peggiorare la situazione.
«Perché altrimenti non sarebbe una
trappola» rispose una voce risoluta, proveniente dalla tasca
della Tassorosso che, frettolosamente, prese lo specchio.
«Un punto per la Tonks in miniatura»
esclamò John. Dora, Evelyn e Lily lo fulminarono con lo
sguardo contemporaneamente, ma il ragazzo le ignorò.
«Ma che senso ha tutto questo?» chiese Emmeline,
mentre delle lacrime cominciavano a formarsi agli angoli dei suoi
occhi. «Prima era Regulus, poi Mary ha detto che non era lui,
è comparso e ci ha addormentate con… quella cosa. E
adesso mi dite che questo tizio ha una cosa dentro di
sé come James («Ehi, vacci piano con le parole!
Non sono una cosa!»
borbottò John, offeso) e che ha tipo i superpoteri e
che… Cosa cazzo
sta succedendo?».
Dora lasciò la mano di Remus e si chinò accanto
alla Grifondoro, «Em, anche noi non capiamo quasi nulla di
tutto questo casino: molte poche cose sono chiare e la maggior parte ci
vengono tenute nascoste. Quello di cui posso essere sicura,
però, è che quello che dobbiamo affrontare
è solo un altro ennesimo figlio di puttana comparso da
chissà dove solo per renderci le vite un inferno. E,
credimi, una vita mi è bastata e non ho la minima intenzione
di ripetere di nuovo l’esperienza né farla vivere
a voi. Tutti noi, in questi pochi giorni, abbiamo visto cose che
dovrebbero essere impossibili e ci stiamo facendo migliaia di domande,
ma adesso non abbiamo tempo per rispondere. Quindi tutto ciò
che possiamo fare è pazientare un po’ e
concentrarci sull’unica certezza che abbiamo…
prendendo a calci in culo quel bastardo».
Emmeline la guardò per qualche secondo, poi fece un mezzo
sorriso e annuì. Dora fece un gran sorriso e le strinse una
mano. Vide Lily ringraziarla con lo sguardo mentre si alzava.
«Quindi che si fa ora?» chiese la ragazza.
«Direi di seguire il suggerimento di Ninfadora»
disse Remus, lanciandole un’occhiata veloce.
«Facciamo fuori Dolohov… per la seconda
volta».
«E la battaglia finale ebbe inizio» fece John,
solenne.
«E con lui?» chiese Sirius, scrutandolo con
attenzione.
«Potrebbe servirci» disse Lily. «Per il
momento è dalla nostra parte e il suo potere ci farebbe
comodo».
«Sei sicura che possiamo fidarci?» le chiese Remus,
indeciso.
«Mi ha salvato la vita» rispose lei, con sicurezza.
I due si guardarono per qualche secondo e Dora avvertì una
leggera punta di gelosia, che ignorò facilmente. Alla fine,
Remus annuì.
«Evvai! Avevo proprio voglia di battermi un
po’» esclamò quello, tutto contento.
«Una volta finito tutto, però, non azzardarti a
sparire» ordinò Remus. «Ci hai nascosto
molte cose e mentito su altrettante: Dora ha completamente ragione, ora
non abbiamo tempo, ma più tardi risponderai a parecchie
domande».
«Sissignore!» fece John, mettendosi
sull’attenti e facendo il saluto.
«E James?» chiese Sirius, preoccupato.
«Tranquillo, lui è sveglio e vede tutto quanto. Ha
deciso lui di farsi dare il cambio, quindi l’ho sistemato in
tribuna d’onore» rispose John, con un sorriso a
trentadue denti fastidiosamente simile a quello di Allock. Lily, a
quelle parole, chinò leggermente la testa e
guardò a terra, come vergognandosi di qualcosa.
«Ragazzi, non vorrei fare la guastafeste
ma…» cominciò Eve.
«Ma?» chiese Dora.
«Ma avete solo tre ore, quindi dovete sbrigarvi»
concluse David, comparendo a un lato dello specchio. Gli altri ragazzi,
escluso Remus, lo riconobbero e lo salutarono con sorpresa.
«Abbiamo dormito per nove ore?» chiese Sirius,
stupefatto.
«Già» rispose Eve. «E la cosa
più strana è che anche io sono stata colpita
dall’incantesimo».
«La cosa più strana è che sono stato
colpito anch’ io,
che sono entrato mentre era già in atto e non mi sono reso
conto di niente» replicò l’altro.
«Ragazzi!» li riprese Lily, facendoli zittire.
«Domande e risposte: dopo. Smaciullamento del bastardo: ora.
Chiaro?».
«“Smaciullamento”?» chiese Eve,
trattenendo una risatina.
«Sta’ zitta, tu!» esclamò
quella, piccata, arrossendo leggermente sulle orecchie.
«Ehi, aspetta un secondo» mormorò Remus,
prendendole la mano. Dopo una mezz’oretta di riposo, in cui
il ragazzo si era fatto sempre più dolorante a causa della
vicinissima luna piena (la Pozione Antilupo non stava affatto attenuando i
dolori della malattia), tutta la truppa si stava dirigendo nel
corridoio adiacente, pronti a combattere e con un piccolo piano in
mente che alla Tassorosso non piaceva assolutamente.
«Che c’è?» chiese lei,
preoccupata che qualcosa non andasse.
«Niente… è solo
che…».
«Dimmi» lo incoraggiò.
«Quando mi trasformerò, prendi tutti quelli che
puoi e andatevene… per favore» disse Remus, quasi
supplicandola con lo sguardo. «Non voglio che mi
vediate… che tu mi veda fare… certe
cose».
Lei lo guardò qualche istante, poi gli prese il volto fra le
mani e lo baciò. Lui rimase interdetto per qualche istante,
poi rispose mettendole le mani attorno alla vita e avvicinandola a
sé.
«Immagino di aver perso» mormorò lui
dopo qualche secondo. Lei lo fissò negli occhi verdi che di
lì a poco sarebbero diventati dorati.
«Abbiamo cominciato questa cosa tutti insieme. La finiremo
allo stesso modo» dichiarò. Lui la
baciò nuovamente.
Avrebbero potuto andare avanti forse all’infinito, se John
non avesse esclamato: «Ehi, stiamo per andare in battaglia!
Se non volete venire con noi, perlomeno andate a prendervi una camera a
Hogsmeade: farlo qua dentro sarebbe davvero squallido!».
I due si separarono e si osservarono per qualche istante.
«Lo ammazzo quando finiamo con Dolohov»
dichiarò Dora.
«Ti do una mano» concluse lui, incamminandosi con
le sopracciglia aggrottate.
Il corridoio terminava una decina di metri più avanti in una
grande camera circolare, monocromatica come il resto. Le fiaccole ne
illuminavano tutto il perimetro privo di altre uscite; per il resto, la
stanza era completamente vuota. I ragazzi entrarono, guardandosi
intorno con circospezione e sguainando le bacchette.
«Solo a me preoccupa il fatto che non ci sia
nessuno?» chiese Sirius, setacciando più volte la
sala con lo sguardo. Remus aggrottò le sopracciglia ma non
disse nulla, pensando a quante volte l’Istinto di Felpato si
fosse rivelato esatto: era quasi sicuro che questa volta lo sarebbe
stato altrettanto.
«Non ne sarei così sicuro» risponde
John, guardandosi intorno anche lui. Aveva un’aria molto
più rilassata degli altri, con le mani affondate nelle
tasche dei pantaloni del completo e l’immancabile ghigno
malizioso. Tuttavia, aveva lo sguardo assottigliato e, a osservarlo
bene, la mascella gli tremava leggermente. Remus non sapeva se fosse
per paura o per l’eccitazione per lo scontro.
«Phobos è furbo e tiene segrete parecchie delle
sue abilità. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere
già qui».
«Rassicurante» replicò Lily a denti
stretti, lanciando un’occhiata a Emmeline accanto a lei che,
probabilmente ancora per poco, manteneva saldi lo sguardo e la
bacchetta.
«Vuoi essere rassicurata?» fece il daimon, fingendo
innocenza. «Oh, be’, allora non preoccuparti! Non
c’è nessun essere magico pronto a ucciderci tutti,
assolutamente no! Non c’è niente di cui aver
paura!».
Una Fattura Tagliente gli passò accanto
all’orecchio, facendolo voltare di scatto. Dora lo stava
squadrando con gli occhi che riservava solo ai peggiori criminali
quando era in procinto di arrestarli. John si limitò a
sorridere con fare strafottente.
«Comunque» proseguì.
«L’ultima frase può essere anche un buon
consiglio».
«Sul serio?» fece Sirius, voltandosi verso di lui
con aria scettica. «Fingere che non stia accadendo nulla
sarebbe la nostra chiave per la vittoria?».
«Fossi in te non mi girerei così velocemente,
rischi che il cervello ti esca dall’orecchio» disse
John. Remus trattenne Sirius per una spalla, facendogli cenno di
lasciarlo fare. Quello non era momento né luogo adatto per
una lite fra alleati. «Il potere di Phobos si basa sulle
paure che già si hanno, amplificandole. Se non si ha paura,
Phobos non ha potere. Quindi sì, cucciolo, il mio consiglio
è “ non
c’è niente di cui aver paura”».
«Tranne che della Paura stessa» concluse Emmeline,
in tono tetro.
«Dovresti far poesia, sai? Sei molto portata»
commentò John, con il suo solito sorrisetto. Lily gli fu
davanti all’istante, la bacchetta puntata sotto il mento del
ragazzo mentre sembrava cercare di bruciarlo con lo sguardo.
«Adesso basta» sibilò. «Non
un’altra parola».
John sembrò voler dire qualcosa, ma si limitò ad
alzare le mani, sorridendo, e a mormorare: «Come desideri,
principessa». Lily si staccò da lui rapidamente,
continuando a fulminarlo con gli occhi.
«David?» chiamò Remus. «Come
sta procedendo?».
«Abbastanza bene» rispose la voce del Corvonero
dalla tasca di Dora. «Mi sto aggrappando alla scia di etere
che collega i due specchi: sono abbastanza sicuro di riuscire a
trovarvi entro una decina di minuti».
«Bene, quando ci riesci faccelo sapere» disse il
ragazzo.
«Ehi…» chiamò Evelyn.
«Sì?» chiese Dora, con dolcezza,
estraendo lo specchio dalla tasca e guardando il volto preoccupato
della sorella che evitava i suoi occhi. Eve si morse un labbro,
guardando verso gli schermi del Laboratorio, titubante.
«Niente» disse, infine. «Non
importa…».
«Va bene…» fece la Tassorosso, un
po’ perplessa. «Torneremo presto, okay?».
«Okay» rispose Evelyn, a occhi bassi, spegnendo poi
lo schermo. Dora lanciò un’occhiata preoccupata a
Remus, che fece una smorfia triste ma non disse nulla.
«Meglio dare un’occhiata in giro, magari troviamo
qualcosa» suggerì Lily, facendo qualche passo
avanti. Gli altri, alcuni annuendo, cominciarono a guardarsi intorno,
avvicinandosi alle pareti di pietra solida e controllando pavimento e
soffitto.
«Potrebbe essersene andato» disse Emmeline,
insicura.
«Non credo» rispose John, inaspettatamente serio.
«Ci ha attirati qui per un motivo, e sicuramente non
è quello di farci perdere tempo».
«Perché no?» replicò invece
Sirius, come se avesse appena ricevuto l’illuminazione del
secolo. «Dopotutto noi siamo gli unici nella scuola che sanno
che ci sono loro:
toglierci di mezzo per un po’ significherebbe attaccare una
scuola indifesa!».
«Adesso però non ti mettere a scodinzolare,
eh» lo rimproverò John, guadagnandosi un ringhio
dal giovane Black.
«No, non può essere così»
disse Remus, amaramente. Continuò prima che Sirius potesse
aprire bocca, notando la sua faccia offesa. «Ai daimon non
interessa la scuola, il loro obbiettivo… siamo io e Dora,
probabilmente. Da quanto ho capito, vogliono farci fuori». Si
voltò verso Emmeline con occhi tristi. «Avrei
dovuto dirlo prima ma… mi dispiace che tu e Mary siate
finite in mezzo a questa storia. Non potevo immaginare che sarebbe
accaduto qualcosa del genere».
John sembrò voler dire qualcosa, ma chiuse la bocca a
un’occhiataccia di Lily. Emmeline, invece, sembrava non aver
nemmeno ascoltato l’ultima frase, sembrava, piuttosto,
pensierosa.
«Invece non penso sia solo contro di voi»
ribatté, stupendo il ragazzo. «Regulus…
scusa, Sirius, intendevo Dolohov, mi ha messo un biglietto in tasca,
parlando di “sangue degli intrusi sparso sulla pietra
nera” o qualcosa del genere. Credo ce l’abbia anche
con i Nati Babbani».
«Oppure» s’intromise Dora.
«Intendeva un altro genere di “intrusi”
…».
«E allora perché venire a prendere me e Mary?
Avrebbe potuto rapire voi due, piuttosto, senza tante
scenate» replicò la Grifondoro, fermamente
convinta… sebbene molto inquietata dalla situazione.
«Le “scenate” probabilmente fanno parte
del suo modo di agire» suggerì Sirius.
«Dopotutto è il “dio della
paura”, o almeno si fa chiamare così. Magari
cercava solo di spaventare il più possibile».
«E perché farlo? Spaventare significa farci capire
che c’è qualcosa che non va» disse Lily,
riflettendo anche lei sulla strana situazione.
«O magari, tutto questo è stato fatto per
attirarvi tutti insieme
qui per spargere il vostro sangue in questa sala
sacra». Tutti si voltarono all’istante verso
l’entrata. Abbassando il cappuccio del suo soprabito nero,
Dolohov, detto Phobos (ma anche “Scassaboccini” per
Sirius era piuttosto adeguato), li guardava con un sorriso volgare
dipinto sul volto storto e sadicamente divertito. In meno di un
secondo, i ragazzi si riunirono, quasi al centro della stanza, per
fronteggiarlo.
«In ogni caso» proseguì, «si
può dire che il mio piano sia riuscito alla
perfezione».
«Riunirci tutti insieme per una sorta di “battaglia
finale” sarebbe il tuo grande piano?» chiese
Sirius, scettico. «Morgana, neanche io sono così
stupido!».
Gli altri si trattennero dal guardarlo, tenendo gli occhi sul nemico,
ma un sorrisetto fra lo stupito e il divertito comparve su quasi tutti
loro.
«Esatto, cane, il mio piano era portarvi qui. Tutti insieme:
Narratori, Sanguesporco e traditori del proprio sangue, riuniti e
lontani da ogni aiuto, pronti a essere sacrificati» disse
Dolohov, calmo, e Sirius impallidì leggermente: non
l’aveva vista sotto quell’ottica.
«Apophis pensava di dover arrivare alla Guerra… ma
così è molto più semplice, non
trovate?».
«Sì, sì, come ti pare» fece
John, all’apparenza tremendamente annoiato. «Adesso
dacci Mary e Regulus, così ti ammazziamo e andiamo tutti a
farci una bella dormita».
«Regulus? Ormai lui non è più con
me…» disse l’altro, osservandolo con
occhi socchiusi.
«Cosa gli hai fatto?» ringhiò Sirius,
preparando la bacchetta.
«Oh, sai com’è, non serviva
più e quindi…»
«Stronzate» lo interruppe una voce proveniente
dalla tasca di Dora. «Ho trovato Regulus qualche ora fa e
l’ho portato in Infermeria. Scusa, mi sono dimenticato di
dirtelo prima».
«Ne parliamo dopo…» sibilò
Sirius, ancora arrabbiato e preoccupato, ma con un peso in meno.
«Okay, è vero, Regulus è
salvo» ammise Dolohov, scrollando le spalle. «E, a
voler essere sinceri, anche lei lo è».
Così dicendo, il daimon
agitò una mano e, in un rapido vortice di nubi, Mary
apparve, svenuta a un lato della stanza, proprio di fianco a Sirius,
che corse istintivamente accanto a lei mentre i suoi compagni
continuavano a osservare il nemico. Chino sulla Grifondoro, il ragazzo
studiò con rabbia i vestiti strappati e i numerosi graffi ed
escoriazioni che la ricoprivano.
«Sì, ci siamo divertiti molto con
lei…» disse l’uomo, osservando i due con
un ghigno. Sirius si voltò a guardarlo solo dopo aver
constatato che Mary respirava. Si alzò in piedi, voltandosi
a guardare l’ex-Mangiamorte. «E credo proprio che
lei si divertirà altrettanto, con te».
«Sirius, attento!» l’urlo di Remus gli
arrivò leggermente in ritardo e Sirius venne colpito
dall’incantesimo della ragazza a un fianco.
Mentre Sirius si girava, stupefatto, a osservare la ragazza che,
tenendo in alto la bacchetta, si alzava, guardandolo negli occhi con
aria selvaggia, e gli altri rimanevano impietriti a osservarli, Dolohov
scoppiò. Letteralmente. Una cortina di fumo grigio
cominciò a sprigionarsi da dove si trovava, avvolgendo tutta
la sala. In breve tempo, la visuale di tutti venne di molto ridotta.
Intanto, Sirius continuava a indietreggiare, tenendosi il lato colpito
e sanguinante, mentre la sua ragazza gli puntava la sua arma verso il
volto. Cercò con gli occhi l’aiuto dei suoi amici,
sentendosi tremendamente impotente in quella situazione, ma senza
trovarli. Quel fumo, molto probabilmente, li aveva separati tutti.
Puntò gli occhi su Mary, che continuava a camminare
ostentando una fredda decisione che non le vedeva da circa un
anno…
«Mary…» tentò, timoroso. La
ragazza fece un rapido gesto con la bacchetta e Sirius
riuscì per un soffio a schivare il lampo rosso che ne
seguì, sentendolo infrangersi a pochi metri da lui.
Una voce senza corpo gli arrivò all’orecchio.
«Soteriofobia» disse, sibilando. «La
paura di dipendere dagli altri. Lascia che la tua amata affronti le
proprie paure…».
Sirius sgranò gli occhi. Sicuramente quella era la voce di
Phobos e sapeva per certo che era meglio non fidarsi, ma chi meglio del
dio della paura sapeva riconoscerle e sfruttarle a proprio vantaggio? E
poi, “paura di dipendere dagli altri” …
e quella freddezza che il ragazzo non vedeva da tempo…
Più precisamente, da quando lui e Mary avevano cominciato a
uscire insieme seriamente.
In genere, le altre persone (e fino a qualche tempo prima anche i suoi
stessi amici), a pelle, lo giudicavano come un po’
“lento”. Brillante e affascinante, eh! Ma un
po’ lento nel comprendere le situazioni. E lui non aveva mai
potuto dargli torto. Con Mary, invece, il discorso era ben
diverso… ed era anche vero che l’indizio
lasciatogli dal daimon
era difficilmente fraintendibile. Se la paura di Mary era veramente
quella descritta, era evidente che aveva paura di dipendere troppo da
lui… Dopotutto, era sempre stata molto indipendente, prima
della loro relazione.
Mentre Mary continuava a scrutarlo con la bacchetta puntata, come in
attesa di qualcosa, Sirius cominciò a sentire urla e scoppi
provenire dal denso fumo che li circondava e, di tanto in tanto, lampi
colorati passavano a poca distanza dai due, dissolvendosi nelle
vicinanze. Un ruggito scosse l’intera sala. Evidentemente,
Phobos aveva sguinzagliato la sua Chimera da compagnia giusto in tempo
per la pappa.
Sirius tornò a studiare con attenzione la ragazza, cercando
di non andare nel panico e provando a pensare razionalmente…
Non che fosse facile, in quel momento, ma una voce nella sua testa
(stranamente simile a quella di Remus) gli sembrava consigliargli di
riflettere e non lasciarsi trasportare dalle emozioni come suo solito.
Non trovando soluzioni sul momento, però, Sirius
tentò di nuovo un approccio calmo, cercando di far parlare
la ragazza.
«Mary…» provò nuovamente. Non
riuscì nemmeno a compiere una frase di senso compiuto che la
ragazza fece roteare la bacchetta come una frusta. Il ragazzo non aveva
idea di che incantesimo si trattasse, ma gli bastò il gesto
per convincerlo a scattare di lato, evitando la scia della bacchetta
che rapidamente si abbassava. Sul pavimento comparve una lunga crepa
nera nella roccia. Sirius sgranò gli occhi.
Quell’incantesimo era fatto per uccidere, decisamente.
« Dolohoferio»
sussurrò nuovamente la voce di Phobos. «Un piccolo
incantesimo che ha inventato l’altro me…
ovviamente con qualche miglioria».
Sirius si morse le labbra per non mandare a quel paese l’uomo
e dirgli di stare zitto: doveva concentrarsi su Mary. Era ovvio che i
poteri di Phobos, incentrati sulla Paura, avessero un ruolo chiave in
quella storia, ma doveva capire fino a che punto. La Grifondoro non
smetteva di guardarlo con una terrorizzante calma fredda… terrorizzante.
Ecco, era quello il punto! Ovviamente, Phobos stava sfruttando la Paura
di Mary, ma in questo modo cercava di instaurarla anche
all’interno di lui! Maledisse mentalmente il daimon quando
capì il suo piano. Metterli
uno contro l’altro.
Se Phobos aveva il potere, come aveva detto John, di accrescere la
Paura di una persona e usarla per manipolarlo, bastava far nascere in
due persone la paura dell’altro, in modo da farle ammazzare
fra loro senza sporcarsi le mani.
È disgustoso,
pensò Sirius, arricciando le labbra. Ora aveva compreso
ciò che stava accadendo, mancava solo un passo: capire come
risolvere il problema. Sirius digrignò i denti e si
guardò intorno, come in cerca di un appiglio nelle nubi di
Phobos. Che, ovviamente, non trovò.
Sapeva, comunque, che era meglio non fare nulla finché non
avesse trovato un sistema sicuro, altrimenti quella sorta di ipnosi
(era ancora Nightmare?
O forse qualcos’altro di molto peggiore?) avrebbe indotto
Mary ad attaccarlo. Probabilmente anche questo faceva parte del piano
di Phobos: associare un suo tentativo di aiutare Mary con un attacco da
parte sua. C’era anche un termine psicologico per questo, ma
in quel momento non lo ricordava (Remus aveva detto, anni prima, che
poteva usarlo per educarlo e fargli fare i compiti…
fallì miseramente, ma questa è un’altra
storia). In ogni caso, per quanto ne sapeva ci voleva molto tempo
perché quest’associazione facesse effetto, ma
magari i poteri di Phobos accorciavano i tempi. O magari stava pensando
troppo… strano a dirsi per Sirius, ma in quel momento il suo
cervello era a mille.
Una nuova esplosione, molto più forte delle precedenti, e un
ruggito rabbioso riportarono i suoi pensieri sull’azione.
Guardò negli occhi Mary, cercando di capire cosa fare.
L’idea gli venne all’improvviso: non c’è
nulla di cui aver paura, tranne la Paura stessa. Allora,
forse, un modo c’era! Se Phobos controllava Mary tramite la
sua paura, allora poteva aiutarla rimuovendola. Ora, ciò che
Mary temeva era, in un certo senso, lui e, considerando che il suicidio
sarebbe stata l’ultimissima opzione, doveva trovare un modo
per non farsi vedere come una minaccia.
Rinfoderò, quindi, la bacchetta, e guardò la
ragazza negli occhi. Quella sembrò accorgersi di qualcosa,
perché assottigliò lo sguardo e
rinforzò la presa sulla sua arma. Sirius non sapeva bene
come muoversi né cosa fare di preciso, quindi fece
ciò che faceva di solito: spense il cervello. Assunse il suo
solito sorriso strafottente e continuò a studiare Mary che,
stranamente, sembrava leggermente a disagio, continuando a non emettere
un fiato.
Quando Sirius fece un passo avanti, la ragazza sussultò e ne
fece uno indietro. Il Grifondoro non si fermò e
continuò a proseguire verso di lei che, piuttosto che
tentare di scagliargli contro un incantesimo, come aveva temuto,
sembrava particolarmente confusa. Mary indietreggiò fino a
poggiare la schiena sul muro circolare. Sirius continuò ad
avanzare, ignorando la bacchetta che continuava a venir puntata contro
il suo petto. Fece scivolare con nonchalance
il braccio teso sopra la propria spalla e si avvicinò
ancora. Mary sgranava gli occhi, sorpresa e confusa. Evidentemente,
Phobos non si aspettava che avrebbe osato avvicinarsi.
Quell’essere conosceva veramente poco gli umani, nonostante
lo fosse stato, in passato.
Sirius continuò ad avvicinarsi, lentamente, e, fermo di
fronte a lei, le passò una mano fra i lunghi capelli biondi,
arrivando a carezzarle il viso. Poi, senza che nessuno dei due dicesse
nulla e con la battaglia che infuriava sempre più violenta
nella nebbia alle sue spalle, Sirius si chinò su di lei e la
baciò.
Quasi immediatamente, calde lacrime cominciarono a sgorgare dal volto
di Mary, bagnando anche quello del ragazzo, che non se ne
curò, mentre il suo cuore trionfava doppiamente: una volta
per aver salvato Mary, la seconda per averla riavuta con sé.
Perché sì, ne era sicuro, la ragazza che ora
ricambiava appassionatamente il suo bacio era sicuramente Mary
MacDonald, la Grifondoro dal cuore d’oro che aveva rapito il
suo.
«Mi dispiace» mormorò la ragazza,
separandosi leggermente da lui per guardarlo in volto. Sirius
gioì nuovamente nel vedere di nuovo quegli occhi accesi di
vita, nonostante le lacrime che continuavano a sgorgare.
«Non importa» rispose Sirius. «Tu non hai
fatto nulla».
E la baciò nuovamente. Non sapeva, esattamente, quanto
sarebbero andati avanti se Remus e gli altri non avessero sconfitto la
Chimera. Capì ciò che era successo
dall’ultimo ruggito straziante della creatura, che
risuonò nella stanza, e dall’urlo di rabbia e
sofferenza che apparteneva a Dolohov. Evidentemente non gli stava
piacendo la piega che stava prendendo la situazione. Due a zero per
Hogwarts!
E poi il terremoto scosse tutta la stanza.
Il fatto che l’animaletto di Phobos non fosse una Chimera era
stato chiaro a tutti non appena questa aveva fatto la sua comparsa.
Dopotutto, le Chimere, seppur selvagge, pericolose e magiche, erano pur
sempre animali, e soprattutto non avevano il pelo color
dell’inchiostro e gli occhi cremisi. E voi avete mai sentito
parlare di un animale che emergeva da una pozza di sangue nero
ribollente nel bel mezzo di una stanza costruita con solidissima
pietra? Be’, i presenti erano abbastanza informati da sapere
che no, non era affatto normale.
Sommergendoli di scuse durante il combattimento, Evelyn aveva
continuato a cercare informazioni sulla creatura insieme a David con
controlli incrociati e Merlino solo sa cosa. I ragazzi avevano
facilmente ignorato i suoi balbettii costernati e frenetici, impegnati
com’erano a non farsi scuoiare con una zampata della belva. A
sorpresa, fu proprio la voce di Phobos, nelle loro teste, a spiegargli
cos’era quell’essere (evidentemente, i daimon erano
tremendamente esibizionisti).
«Vi piace?» aveva chiesto la voce, quasi
ironicamente. Probabilmente erano volati molti insulti mentali, in quel
momento. «Questo è ciò che potrei
definire mio figlio: l’Atromorfo. È uno dei primi
Mutaforma della storia, sapete? È in grado di trasformarsi
in qualsiasi cosa il suo padrone desideri ,in ogni momento, assumendone
tutte le caratteristiche, genoma compreso. Interessante, non
trovate?».
Probabilmente, le uniche a trovarlo interessante erano state Lily, che
con un incantesimo cercava di far cadere la creatura insieme a
Emmeline, e Evelyn, che sicuramente non aveva sentito la spiegazione da
documentario, considerando che ancora si stava affannando nelle
ricerche.
I ragazzi capirono poco dopo cosa volesse dire “in qualsiasi
cosa, in qualunque momento”: mentre l’Atromorfo
alzava una zampa in un tentativo di colpirli, quella assunse le
sembianze (e gli artigli) di quella di un drago, allungando non di poco
il suo raggio e rischiando di mozzare la testa a Dora, che
fortunatamente decise di inciampare proprio in quel momento. Remus
rispose con una lunga serie di incantesimi mischiate a colorite
imprecazioni che tennero occupata la bestia per qualche minuto,
mentre gli altri recuperavano le forze e cercavano di elaborare un
piano.
John, mentre gli altri combattevano, sembrava studiare la creatura,
lanciando di tanto in tanto qualche incantesimo con il solo ausilio
delle mani. I suoi colpi erano molto potenti, poco più di
quelli di Remus, ma la lenta cadenza con cui li scagliava permetteva
all’Atromorfo di rimanere stabile e continuare con i suoi
mutevoli (in tutti i sensi) attacchi. Alla fine, fu proprio lui a
trovare una soluzione… all’incirca.
«Lily, Emmeline» ordinò, con voce
chiara, in modo che lo sentissero anche sopra ai ruggiti
dell’Atromorfo. «Mettetevi alle sue spalle e
cercate di bloccargli le zampe posteriori, e attente alla coda. Remus,
Tonks, voi pensate alle anteriori e al muso. Al resto ci penso
io».
Non che fosse, poi, un gran piano. Anzi, a dirla tutta sembrava quasi
li stesse prendendo in giro. Ma il suo volto era così serio
e la sua voce così autoritaria da indurli a fidarsi.
Più che John, in quel momento sembrava un James estremamente
serio.
Lily ed Emmeline, quindi, cominciarono a scagliare incantesimi contro
le zampe, cercando di evitare i colpi della coda, che cambiava forma in
continuazione, mentre Remus e Dora si diedero da fare con la testa,
colpendola con i più potenti incantesimi di cui erano a
conoscenza (fra cui, inutilmente, anche le Maledizioni Senza Perdono).
John, invece, si tramutò in una cortina di fumo nero,
mischiandosi alle nubi che li avvolgevano, e volò sopra la
schiena dell’Atromorfo. Gli altri non seppero mai cosa
accadde lì in alto ma, nella nebbia, sentirono chiaramente
numerose esplosioni e Lily giurò di aver visto delle catene
uscire dal terreno e conficcarsi nei fianchi della creatura. La
violenza di quegli attacchi era tale che la bestia non
riuscì a riformare le parti colpite e, pian piano, con un
ultima, violenta esplosione, quella si dissolse nel nulla con un
ruggito straziante, seguito a breve da un urlo rabbioso di Dolohov.
«Grazie» disse Remus, con il fiatone, a John,
quando questo gli si Materializzò accanto.
«Non è ancora finita» disse lui, cupo.
Il terremoto venne immediatamente dopo.
Frammenti di pietra caddero dal soffitto, graffiando volti e braccia
dei ragazzi. Remus sentì, nel trambusto, Dora chiedere a
David quanto tempo mancasse e la risposta non gli piacque affatto.
«Molto bene, allora» ringhiò Phobos,
nell’aria. «Siete arrivati fin qui e avete deciso
di sfidare il dio. Ora avrete la vostra punizione».
Altre pozze nere comparvero sul pavimento, ognuna di fronte a una
persona; in un ribollio inquietante, da queste uscirono persone che, in
un istante, assunsero l’aspetto dei ragazzi, che si
allontanarono dalle copie con le bacchette sguainate.
«Prodofobia» disse la voce. «La paura del
tradimento. Ora, avrete il coraggio di puntare la bacchetta verso il
nemico senza sapere se lo sia veramente?».
All’inizio sembrava piuttosto semplice affrontare i propri
doppioni, specie quando apparivano proprio di fronte a sé,
ma, dopo che i primi incantesimi furono scagliati da entrambe le parti
(misteriosamente, Dolohov era riuscito a replicare anche le loro
bacchette), tutti si dispersero nella nebbia, che si era fatta
più fitta.
Lily teneva la bacchetta alzata e si guardava intorno, mentre si
muoveva alla cieca a piccoli passi, cauta, cercando di avvertire ogni
minimo rumore. Ogni tanto, uno scoppio e un lampo colorato nel grigio
le facevano capire che qualcuno aveva incontrato una copia…
o forse era una copia ad aver incontrato uno di loro. Preferiva non
pensare a quell’eventualità.
Quando si scontrò, di schiena, contro qualcuno,
sobbalzò vistosamente e, voltandosi di scatto, gli
puntò la bacchetta al volto. Lei e Tonks rimasero a
osservarsi, immobili, studiandosi a vicenda e cercando di capire se
fossero copie o no. Camminarono in circolo, continuando a puntarsi la
bacchetta contro, aspettando il minimo segno per colpire. Lily
cominciò a innervosirsi quando capì quanto fosse
assurda la cosa: se erano entrambi gli originali, avrebbero potuto
continuare così all’infinito senza risolvere
alcunché. Con un ringhio di stizza si allontanò
da Dora, abbassando la bacchetta. Quella la guardò, sorpresa.
«Tutto questo è assurdo!»
esclamò Lily, furibonda. «Questa storia non
finirà mai! Come faccio a capire se sei una copia o
no?».
La Tassorosso la guardò, inclinando leggermente la testa con
un sorrisetto divertito. Poi sgranò leggermente gli occhi e
urlò «Giù!».
Lily ubbidì e l’incantesimo lanciato
dall’Auror volò oltre la propria spalla e a quello
seguì un tonfo. La Grifondoro si voltò, giusto in
tempo per vedere una seconda Ninfadora tenersi una ferita sul braccio
da cui sgorgava sangue nero.
«Oh» fece Lily, inarcando un sopracciglio.
«Ecco come».
E Schiantò la copia, colpendola in pieno volto.
«Bel colpo, principessa!» esclamò John,
apparendo dalla nebbia. Entrambe le ragazze si voltarono a guardarlo,
puntandogli e bacchette contro il petto. Quello alzò le
mani, assumendo un’espressione di finta sorpresa, e
indietreggiò di un passo. «Tranquille, sono il
solo e unico».
«Be’, non possiamo esserne certi senza fare una
piccola prova, no?» fece Lily, sorridendo amabilmente e senza
celare una certa punta di sadismo nella voce. Dora la guardò
con un ghigno divertito: non sapeva cosa fosse accaduto di preciso tra
i due, ma sembrava proprio che la ragazza stesse cercando una piccola
vendetta… e non sarebbe certo stata lei a fermarla.
«Ehm… no, non credo proprio»
replicò lui.
«Oh, dai, solo un piccolo taglietto che male può
fare?» ribatté lei, avvicinandosi minacciosamente.
Nonostante tutto, era sicura che stesse dicendo la verità.
«Piantatela, tutti e due» disse Remus. Comparire
dalla nebbia cominciava a sembrare un hobby. «Non
è il momento… e lui è a posto,
l’odore è quello giusto».
«Odore?» chiesero Lily e John in coro, con la
differenza che lui assunse un ghigno compiaciuto mentre la ragazza lo
trucidava con lo sguardo.
«Sono troppo vicino alla luna piena»
spiegò il Grifondoro, grattandosi il naso. «Fra
non molto mi trasformerò… dobbiamo sperare che i
calcoli siano giusti».
«Comunque Dolohov non mi sembra poi così
pericoloso» intervenne Dora, passandosi una mano fra i
capelli (diventati di un violento arancione) e guardandosi attorno
nella nebbia. «I suoi poteri non sono un
granché…».
«Credo abbia toppato» disse John.
«Dovrebbe essere molto più potente di
così, ma sembra che qualcosa lo trattenga. Probabilmente, le
cose non stanno andando come avrebbe voluto».
Remus fece una piccola smorfia, arricciando il naso. «Anche a
me aveva dato l’impressione di un piano creato sul
momento…».
«Pensiamoci dopo» fece Lily, seria.
«Meglio trovare Emmeline e i piccioncini».
«Chi è che stava flirtando col demone, cinque
secondi fa?» borbottò Remus, un po’
risentito, seguendo la Grifondoro che si addentrava nella nebbia. Dora,
l’unica sentirlo, ridacchiò dandogli una scherzosa
pacca sulla spalla. Lui le sorrise di rimando.
Camminarono nella nebbia senza una meta visibile e tenendo le bacchette
spente per paura di essere trovati dalle copie mancanti. Non ci volle
molto, tuttavia, a capire che la nebbia stava cambiando la loro
percezione dello spazio: la stanza era sì grande, ma non
tanto da camminare per minuti interi senza trovare la parete opposta!
«Qualcosa mi dice che non sarà poi così
facile trovarli» commentò Lily, con aria
sconsolata. «Potremmo anche star girando in tondo senza
saperlo…».
«Purtroppo la nebbia blocca gli odori troppo
distanti» disse Remus. «Non riesco a sentirli da
nessuna parte».
«E, stranamente, anche io sono bloccato» aggiunse
John, infastidito. «Non percepisco niente a parte
voi».
«Allora credo ci sia una sola cosa che si può
fare» disse Dora, con espressione saggia. Remus
aggrottò le sopracciglia, improvvisamente molto preoccupato.
«Di che stai parlando?» chiese, cauto.
«Be’, i superpoteri non si possono usare, la
visibilità è poca, la stanza è tutta
incasinata, quindi non rimane che…» prese un bel
respiro e poi, a pieni polmoni, urlò: «Emmeline!
Sirius! Mary! Dove siete?».
Gli altri tre la guardarono a occhi spalancati. John fece un gesto di
stizza con le braccia.
«Bene, tanti saluti allo stealth.
Adesso ci ritroveremo tutte le copie addosso»
commentò.
«E quindi?» replicò lei con un sorriso
innocente. «Non riuscite a percepirli a distanza, ma se sono
vicini potete capire se sono loro o no».
Remus la guardò per qualche istante, prima di posarle le
mani sulle spalle e guardarla fissa negli occhi. «Sei un
genio» disse, serio, prima di baciarla.
«Forse dovremmo imitarli, sai?» fece John,
guardando Lily con aria maliziosa. «Giusto per mimetizzarci
eccetera».
Lei inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia.
«Con te? Non accadrà mai».
«Dai, alla fine sono James, no?» replicò
lui, quasi supplicante. Il sopracciglio di Lily si alzò
ancora di più.
«No, tu sei John» rispose, ferma.
«È lo stesso!».
«Non è vero!».
« Confringo!»
esclamò Remus. Il raggio dell’Incantesimo
Esplosivo passò accanto ai due, andando a colpire in pieno
petto un secondo Remus. Una voragine di sangue nero si aprì
in seguito alla violenta esplosione e il corpo cadde a terra. In un
breve istante, quello si tramutò in cenere.
«Meno due» fece il Grifondoro, abbassando la
bacchetta. Lily lo guardò, stupefatta dalla violenza
dell’incantesimo appena usato, mentre John sembrava
più interessato al mucchietto di cenere che stava sopra.
«Penso siano altri Atromorfi… che
strano…» commentò.
«Perché “strano”?»
chiese Remus, avvicinandosi di poco a lui.
«Perché per quanto ne sapevo, Phobos non aveva
bisogno di creature per concretizzare le paure»
spiegò. Rimase in silenzio per qualche secondo, per poi
aprirsi in un sorriso raggiante. «Forse ho capito…
e se è così, siamo davvero molto
fortunati!».
Non fece quasi in tempo a finire di parlare che un lampo di luce verde
gli passò accanto al viso, mancandolo di un soffio. John si
girò ringhiando verso l’assalitore. James
(perché quello era decisamente James) lo stava fissando con
la bacchetta puntata e un sorriso strafottente.
«Figlio di un bolide!» esclamò John,
guardandolo. L’Atromorfo mosse la bacchetta e un secondo
Anatema ne fuoriuscì. Il daimon non si dette
nemmeno la pena di schivarlo. La sua mano si coprì di un
velo di oscurità e, in un rapido movimento,
afferrò la maledizione in volo appena prima che lo colpisse.
Tenne in mano per un istante quella che sembrava una fiamma smeraldina,
per poi chiuderla nel pugno. L’Anatema si dissolse in
scintille verdi.
Con la stessa mano, John indicò la copia con
l’indice, tenendo alzato il pollice nel classico segno di
pistola. Una pistola che, tuttavia, sparò davvero. In un
breve istante, il velo di oscurità corse lungo il dito e ne
fuoriuscì in una minuscola pallottola nera, rompendo una
lente dei finti occhiali dell’Atromorfo, che si dissolse
ancora prima di toccare terra.
«Fuori tre. Ne restano quattro» disse John, con
tranquillità. Poi si volto a guardare i compagni.
«Non fissatemi così, potrei arrossire!».
Proprio in quel momento, Sirius ed Emmeline avevano ingaggiato una
violenta battaglia contro i propri doppioni e quello di Mary, che,
troppo debole per combattere, se ne stava dietro di loro, fornendo un
poco di supporto tramite deboli incantesimi difensivi.
Nonostante l’innata bravura di Sirius nei duelli, i tre
Atromorfi erano decisamente più potenti ed Emmeline non era
poi molto abile: alla fine, era lei che più aveva bisogno
degli incantesimi di Mary.
Sirius mosse la bacchetta in un moto circolare e un raggio arancione
andò a colpire la gamba del suo doppione, che cadde a terra.
La copia di Mary gli si pose immediatamente davanti, bloccando il suo
tentativo di finirlo. Nonostante fosse quasi doloroso combattere contro
qualcuno con le sembianze della sua ragazza, la presenza dietro di lui
riusciva a mantenergli la mente lucida, quindi non fu troppo difficile
contrastare l’offensiva della creatura.
Emmeline, invece, rischiava sempre di fare un passo falso. Combatteva
meglio che poteva, ma aveva così tante aperture che, senza
Mary, l’Atromorfo l’avrebbe già uccisa.
Provò a scagliare uno Schiantesimo contro la copia, ma
quella parò il colpo senza problemi, ricambiando con un
Incantesimo Elettro, prontamente parato da Mary, che ormai aveva
cominciato a duellare più attivamente insieme alla compagna.
In pochi secondi, le due Grifondoro riuscirono a ribaltare la
situazione. Mary tentò di lanciare una semplice Fattura
Orcovolante che, naturalmente, l’Atromorfo-Emmeline
riuscì a parare senza alcun problema. Prima che la creatura
potesse fare qualcosa, Emmeline scagliò un Incantesimo di
Ostacolo, superando con successo la sua guardia. Approfittando
dell’improvvisa paralisi del nemico, Mary mosse la bacchetta
come una frusta. L’Incantesimo di Dolohov squarciò
l’Atromorfo, riducendolo in cenere.
Mary non si sentiva affatto felice di aver usato una maledizione
così oscura e appresa in un modo tanto orrendo, ma non
vedeva cosa ci fosse di male nell’usare gli incantesimi del
creatore di quelle creature per distruggerle. In altri momenti,
probabilmente avrebbe urlato qualcosa sul genere: «questo
è karma, stronzo!». Tuttavia, non le sembrava il
caso di far infuriare ancora di più il nemico.
Sirius era ormai impegnato in un rapidissimo testa a testa con la copia
di Mary, che duellava ancora meglio della ragazza. Gli incantesimi che
non venivano bloccati da uno difensivo si scontravano a
mezz’aria con un altro dell’avversario,
sprigionando lampi dai mille colori che illuminavano la nebbia attorno
a loro. La copia di Sirius, stava ancora a terra, tenendosi la ferita
da cui sgorgava sangue nero. Quando Mary lo vide riprendere la
bacchetta e puntarla contro Sirius, gli lanciò un rapido
Incantesimo di Confusione. L’Atromorfo-Mary si
tramutò in cenere, colpita dall’Anatema del
compagno, che lo seguì dopo un istante grazie a una
maledizione di Sirius.
«Grazie» disse Sirius, con il fiatone, sorridendo
alla ragazza. Lei fece un sorrisetto, compiaciuta, prima di mettersi a
sedere per terra. I due Grifondoro le furono immediatamente accanto ma
lei li tranquillizzò con un gesto della mano.
«È finita l’adrenalina, tutto
qua» spiegò, affaticata. «Penso di
essere fuori gioco, mi dispiace».
«Non ti preoccupare» disse Sirius, dandole un
bacio. «Sei stata grandiosa».
«Ragazzi! Vi ho trovato!» esclamò una
voce dietro di loro. Si voltarono giusto in tempo per vedere Lily, i
capelli rossi in disordine e arruffati, venire verso di loro correndo
piano con aria sfinita.
«Lily!» esclamò Emmeline, correndole
incontro per abbracciarla. Le due rimasero per qualche secondo in
quella posizione, poi Lily si liberò
dall’abbraccio e, con un altro sorriso all’amica,
si diresse verso Mary, ancora a terra.
«Merlino, Mary! Tutto okay?» chiese,
preoccupatissima. Mary la guardò, inarcando le sopracciglia.
«Potrei stare meglio» disse, osservandola con
attenzione. Lily sembrò non curarsene ma Sirius se ne
accorse, guardando la ragazza con una muta domanda negli occhi.
«Vi ho sentito combattere e sono corsa qui»
spiegò la rossa, affannata.
«Hai incontrato qualcuno qui in giro?» chiese Mary,
in tono neutro. Ancora una volta, Lily non diede segno di essersene
accorta.
«No, nessuno, purtroppo… Solo la mia
copia» rispose, con occhi tristi.
«E dov’è la copia, ora?»
chiese ancora Mary, gli occhi che si affilavano sempre di
più e un sorrisetto scaltro che nasceva a un angolo della
bocca.
«Morta. Non darà più
fastidio» disse con fredda sicurezza.
«Eh, già, sono sicurissima che non darai
più alcun fastidio» disse Mary, con un sorriso
amabile. Lily la guardò, confusa, ed Emmeline le diede un
colpetto sulla spalla per farla voltare. Lily ubbidì,
trovandosi faccia a faccia con un gruppetto capitanato da…
Lily, che aveva la bacchetta puntata contro di lei.
L’Atromorfo saltò in piedi, estraendo la bacchetta
e cercando di scattare verso l’originale che, tuttavia, fu
più veloce.
« Glaciellus»
mormorò quella. Un proiettile di ghiaccio trafisse la spalla
dell’Atromorfo, facendone sgorgare sangue nero.
L’essere venne sbilanciato e cadde in ginocchio. Lily,
guardandola con rabbia, abbasso rapidamente la bacchetta in un gesto
verticale. « Propagat».
Assecondando l’ordine della ragazza, dalla ferita
cominciò a diffondersi ghiaccio su tutto il corpo della
creatura e, in pochi secondi, nei quali si lamentava in lacrime per il
freddo, venne completamente congelata.
John fischiò il suo apprezzamento.
«Figo».
«Se fanno una copia di me ci posso anche stare. Che sia
più potente di me anche. Che sia una creatura oscura un
po’ meno. Ma una Lily Evans che inganna le mie amiche deve
solo morire» disse, piena di fredda rabbia, osservando il
ghiaccio entrare sempre più in profondità, fino a
tramutare l’intero cadavere in acqua gelata con le sue
sofferenti sembianze.
«Come state?» chiese Dora, facendo qualche passo
verso i tre Grifondoro, che ancora osservavano l’amica con
occhi sgranati.
«Io e Sirius stiamo bene, ma Mary…»
cominciò Emmeline. La bionda le lanciò
un’occhiataccia.
«Mary sta bene, è solo molto stanca»
concluse, con una smorfia infastidita.
«E adesso…?» chiese Sirius.
«Cosa facciamo?».
«Adesso si concluderanno i giochi»
sibilò Phobos nelle loro orecchie. I ragazzi non si diedero
neanche la pena di guardarsi attorno, sicuri che era la nebbia stessa a
trasmettergli i pensieri del daimon.
«Come vi avevo promesso, avete riabbracciato i vostri cari
perduti e, adesso, è giunta l’ora di morire. Tutti».
«Credici» commentò John, annoiato.
«Sei solo un patetico codardo che si nasconde dietro i suoi
pupazzetti. Non sei degno di portare il nome di daimon».
«Come osi?» ruggì la voce.
«Proprio tu parli in questo modo? Sei tu che hai tradito la
tua stessa specie, alleandoti con questi intrusi».
«Tecnicamente, siete voi gli intrusi»
replicò tranquillamente l’altro, cominciando a
camminare nella nebbia, come se non riuscisse a rimanere fermo.
«Hogwarts appartiene ai suoi studenti, voi vi siete inseriti
e ora volete uccidere i suoi stesso abitanti».
«Anche tu sei un intruso, allora» disse Phobos.
Remus, più di tutti, riuscì a vedere
distintamente che la nebbia stava calando di poco in poco,
raggruppandosi in una massa in quello che doveva essere il centro della
stanza, proprio dove John era diretto. «Come noi, hai cercato
di uccidere questi umani a cui ora tieni tanto».
«Lo ero» rispose con tranquillità.
«Per le prime ore in cui sono stato in questo corpo. Poi mi
sono state fatte capire parecchie cose su questi umani… a
suon d’insulti, a dirla tutta».
Phobos sbuffò, diventando sempre più consistente.
«Lo avevo detto che era uno sbaglio mandare te. Sei stato
troppo tempo senza un ospite, era normale che l’osmosi ti
facesse impazzire».
John rise. «Impazzire? Mio disgustoso fratello, sono sempre
stato pazzo! Solo adesso, però, ho capito che il tipo di
pazzia che voglio è
proprio questa!».
«Ti consumerai, Mot» disse l’altro daimon.
«Sai cosa accadrà se continuerai in questo modo.
Dovresti stare dalla parte giusta, ottenere ciò che ti
spetta di diritto. Invece tu e Loki continuate a mandare tutto a
puttane. Per cosa, poi? Per questa insulsa feccia!».
«Sai una cosa?» chiese John, fermandosi a un passo
da Phobos. «Se dovessi scommettere su questa Guerra,
scommetterei sulla feccia».
Così dicendo, mosse in un lampo la mano destra, poggiandola
sul petto ancora non pienamente formato del dio della Paura. Come se
fosse una mina, la mano, avvolta dal velo di oscurità,
sprigionò uno scoppio di luce nera, facendo volar via Phobos
che, a terra, riassorbì tutta la nebbia presente nella
stanza, riassumendo la forma umana.
John corse verso i compagni che lo osservavano, sorpresi dal suo
comportamento. Tutti tranne Remus, che aveva capito perfettamente cosa
Mot gli aveva appena offerto: una finestra.
«David, hai fatto?» esclamò il
Grifondoro. La voce gli giunse dalla tasca di Dora.
«Ancora pochi secondi…» rispose.
«Non ce li abbiamo pochi secondi, è la nostra
unica occasione» ringhiò Remus.
«Aspetta un secondo!» esclamò a sua
volta il Corvonero. «Aspetta… aspetta…
Okay! Ci sono! Siete fuori dalla Foresta, a poca distanza da Hogsmeade.
Se i calcoli sono giusti, dovreste essere accanto al cimitero del
paese!».
« Se?
David, devi essere sicuro, non possiamo contare sui
“se”!» esclamò il ragazzo.
«Fatelo!» urlò il Dottore.
L’esplosione scosse tutta Hogsmeade.
Mancavano circa dieci minuti alla mezzanotte e una candida luna piena
cercava di affacciarsi sul paese. Era in sere come quelle che anche i
più incalliti bevitori cercavano di rientrare in casa
relativamente presto dai vari pub, mentre, magari, i fratelli maggiori
si divertivano a raccontare storie sui Lupi Mannari della Foresta
Proibita ai più piccoli. In verità, quasi nessuno
credeva che ci fossero veramente dei Lupi, ma in quel Mondo Magico non
si era mai troppo sicuri.
Quando ci fu l’esplosione, tutte le finestre si accesero
quasi contemporaneamente e gli abitanti cominciarono ad affacciarsi o a
uscire in strada, chi con la bacchetta illuminata, chi con lanterne
accese, per cercare di capire cosa avesse provocato quel baccano. I
più attenti notarono quasi subito il fumo che proveniva
dalla periferia della città, in direzione
dell’antico cimitero di Hogsmeade, ormai abbandonato.
Più che un luogo di culto, era ritenuto dai paesani un posto
da evitare, soprattutto per la possibilità
d’incontrare qualche creatura Oscura. I corpi sepolti erano
lì da così tanto tempo da essere ormai ridotti in
cenere e i loro nomi erano scomparsi da decenni dalle lapidi di marmo,
incrostate dalla vegetazione che aveva preso il sopravvento sul luogo.
Vedendo quei segni e interpretandoli come cattivi presagi, alcuni fra i
più anziani abitanti del luogo si diedero a gesti
scaramantici e, gli ex-Corvonero in primis, a una rapida lista di tutti
gli incantesimi che conoscevano. Non ci volle molto prima che un gruppo
di adulti si radunasse per andare a controllare, inconsapevoli e
terrorizzati da ciò che avrebbero potuto vedere.
I calcoli di David, effettivamente, non erano perfetti. I sette
ragazzi, infatti, erano ora in piedi esattamente dove sorgeva
l’antico cimitero del paese.
Lo scudo creato da John, Remus e Dora aveva tenuti tutti in salvo e ora
erano circondati da macerie di pietra nera, lapidi spezzate e cenere,
mentre un’enorme nuvola di polvere si levava verso il cielo.
Per Remus, era stato stranamente semplice far saltare in aria la sala
nera: si era aspettato una qualche resistenza magica, ma evidentemente
Phobos aveva creduto che a nessuno sarebbe saltato in mente di far
crollare tutto quanto. Che illuso…
I ragazzi si guardarono intorno, assaporando l’aria fresca
sulla pelle e respirando più ossigeno possibile: come se
fossero stati sott’acqua per tutto il tempo, erano affamati
d’aria fresca. Remus sentì il vento pungente
rinvigorirlo e i dolori dovuti alla vicinissima trasformazione si
fecero sempre più blandi, forse grazie anche alla Pozione
Antilupo che cominciava ad agire, leggermente in ritardo.
Lo sguardo di tutti si spostò poi sulla devastazione che
avevano causato. Muovendo qualche passo, calpestarono antiche macerie,
vedendo che tutto quanto, nel raggio di una trentina di metri, era
crollato su se stesso, facendo a pezzi quello che fino a pochi secondi
prima era stato un terreno lasciato alla natura. Tutto intorno al
grigio delle lapidi, mischiato al marrone della terra e al nero della
pietra sottostante, il cimitero, nel suo verde abbandono, continuava
per un’altra decina di metri, fino a un alto recinto di
roccia, sormontato da punte di metallo dorato che, sotto la luce della
luna, rilucevano come fiaccole. Qua e là, lungo il
perimetro, c’erano lanterne magiche accese su alti pali di
metallo e, a quanto sembrava dai resti, ce ne dovevano essere alcune
anche all’interno del cimitero. La zona in cui si trovavano
era, invece, illuminata solo dal satellite.
«È morto?» chiese Lily, speranzosa,
osservando la parte che corrispondeva al centro della sala, scalando
insieme agli altri le macerie per portarsi al livello del terreno.
«Non credo proprio» disse amaramente John,
togliendosi la polvere dal completo. Una volta che tutti riuscirono a
salire (Mary dovette essere aiutata da Sirius e Dora), il daimon mosse la
bacchetta e delle macerie andarono a chiudere la fessura da cui erano
saliti, rendendo la voragine più o meno uniforme.
«Per non caderci dentro» spiegò agli
altri, che lo guardavano incuriositi.
«E adesso?» chiese Mary, guardandosi intorno ma,
soprattutto, verso il cancello nero che portava al villaggio. Le
sarebbe davvero piaciuto andarsene di lì, tornare a Hogwarts
e sdraiarsi sotto le coperte del suo letto a baldacchino.
«Adesso vediamo cosa succede» rispose Remus.
«Sperando che accada in fretta».
«Quanto tempo manca?» chiese dolcemente Dora,
avvicinandosi a lui.
«Pochi minuti, dobbiamo sperare di fare in tempo»
le disse, preoccupato.
«E anche di riuscire a farlo fuori prima che arrivino i
cittadini» commentò John. «Phobos
potrebbe benissimo prenderli tutti come ostaggi o mandarli contro di
noi.
«Ottima idea» disse Phobos, emergendo dalle macerie
solo con qualche graffio sulla faccia volgare.
«Perché non aspettarli e vedere che riesco a fare
con loro, no?».
«Sai» commentò Sirius, guardandolo con
disprezzo. «La tua abitudine di apparire con queste frasi a
effetto di merda mi ha davvero rotto».
E, prima che Phobos potesse uscirsene con un’altra di quelle
sue “frasi a effetto”, Sirius lanciò il
primo incantesimo, che il daimon
evitò facilmente. Phobos allargò le braccia e un
forte vento cominciò a soffiare nel cimitero.
«Hai ragione, Black, perché aspettare?»
fece, battendo le palpebre. Gli occhi diventarono color cenere,
esattamente come quella che veniva trasportata dal vento per tutta la
zona. «Morirete tutti, qui e ora».
All’istante, dalle macerie cominciarono a fuoriuscire spessi
rovi grigiastri, crescendo rapidamente e allungandosi verso il gruppo.
Subito, Remus e Lily lanciarono Incantesimi di Fuoco, cercando
inutilmente di bruciarli. Alla fine, il gruppo dovette separarsi per
evitare l’assalto di ciò che era,
indiscutibilmente, pietra. Phobos mosse le mani in complicati gesti e,
sul terreno intorno a lui, cominciarono a crearsi pozze nere da cui
fuoriuscirono ciò nuovi Atromorfi, questa volta dalle
sembianze di rettile, che si avventarono contro i ragazzi senza curarsi
dei rovi che gli passavano accanto.
Sirius cominciò una sorta di strana danza, passando
velocemente dalla forma Animagus per evitare più facilmente
i rovi a quella umana per lanciare violenti Incantesimi Esplosivi
contro le creature. Mary ed Emmeline, allo stesso modo, cercavano di
proteggersi a vicenda dalle pietre, colpendo gli Atromorfi da dietro
gli scudi indeboliti della prima. Similmente facevano Remus, Dora e
Lily, mentre la Caposcuola cercava di raggiungere le amiche per
aiutarle.
John, invece, stava andando direttamente alla fonte, rompendo i rovi
con colpi delle mani intrise di oscurità, evitandone
agilmente la maggior parte e tramutandosi in ombra per schivare colpi
diretti verso di lui. Quando fu abbastanza vicino per sferrare un
attacco diretto, Phobos scomparve come cenere, riformandosi giusto
dietro di lui. Fortunatamente, i rovi avevano fermato la loro avanzata
e, proprio com’era previsto, il daimon non era in
grado di mantenere la sua forma alternativa per molto tempo. Se tutto
stava andando come previsto, allora avevano tolto anche un'altra carta
a Dolohov…
Mot riuscì a schivare per un soffio l’assalto di
Phobos e cominciarono a duellare a una velocità inumana.
Colpi d’oscurità e di quella che sembrava cenere
cominciarono a scontrarsi a mezz’aria, con potenza e
dimensioni differenti, in una danza mortale generata da due
divinità oscure.
Gli altri, ora liberi dal peso dei rovi, cominciarono a distruggere i
vari Atromorfi.
Remus e Dora, più di tutti, riuscivano egregiamente a fare a
pezzi le creature Oscure, senza battere ciglio e con
un’eleganza e potenza che solo loro avrebbero potuto avere.
Per Remus fu una passeggiata ignorare i dolori della trasformazione che
sarebbe avvenuta a breve, agitando la bacchetta a formare simboli vari
e complicati, sfruttando la potenza di incantesimi che neanche
ricordava di aver mai conosciuto. Tonks, invece, dava prova del suo
compito di Auror, lanciando incanti e maledizioni che gli studenti
presenti in quel momento a Hogwarts avrebbero solo potuto sognare,
enunciando formule complicate e ricorrendo a tutti gli insegnamenti di
Malocchio.
Proprio quando Remus e Dora riuscirono a liberarsi
dall’assalto delle creature, videro Mot volare in aria,
tramutarsi in oscurità e riatterrare con un lungo taglio
sulla guancia. Phobos si avvicinò a lui, galleggiando a
pochi centimetri da terra, i piedi e la parte inferiore del soprabito
tramutati in cenere.
Remus si morse il labbro, chiedendosi se andare ad aiutare il daimon o i suoi
amici, ancora alle prese con gli Atromorfi.
«Vai da John» gli urlò Dora, sovrastando
il rumore della tempesta di polvere. «Devi essere il
più vicino possibile quando sarà il
momento».
Lui annuì, serio, e, dandole un bacio, le disse:
«Solo se mi prometti che passeremo le vacanze di Natale
insieme».
Lei lo guardò un secondo, stupefatta. Poi sorrise, con aria
furba, mentre i capelli le tornavano del consueto rosa acceso. Aveva
capito cosa intendeva Remus. «Puoi contarci».
Lo Schiantesimo di Remus colpì Phobos su una spalla,
sbilanciandolo all’indietro per qualche istante mentre il
ragazzo arrivava accanto a Mot, che si rialzò rapidamente.
In un ruggito di rabbia, Phobos alzò una mano in aria e la
tempesta di cenere accelerò. Scariche elettriche
cominciarono a formarsi nel vento, colpendo il terreno casualmente.
Remus ne dovette schivare uno che stava per bruciargli il petto.
«Astrafobia» ruggì il daimon.
«Paura di tuoni e fulmini!».
«Merda» imprecò Remus a mezza voce.
Evidentemente i poteri di Phobos erano molto più grandi di
quanto pensasse, se era in grado di materializzare ogni paura
esistente, anche senza che appartenessero a qualcuno dei presenti.
Insieme a Mot, cominciò a scagliare gli incantesimi
più potenti che conosceva verso il daimon che,
tuttavia, riuscì a pararli con attacchi di uguale potere
magico. Muovendo le braccia, Phobos era sia in grado di muovere la sua
tempesta che direzionare i fulmini provenienti da essa, creando piccoli
crateri fumanti ogni volta che uno si abbatteva sulle macerie. Alcuni
fulmini globulari di tanto in tanto cominciarono ad attraversare la
tempesta, rischiando di colpire Remus più e più
volte, tanto che fu costretto a Smaterializzarsi per riapparire dietro
a Dolohov, cercando di colpirlo con una nuova e violenta raffica di
maledizioni. John dovette cominciare a imitare la stessa tattica,
trasformandosi in nubi nere per poter aggirare le Paure e lanciare
nuovi proiettili di oscurità.
Dopo poco, tuttavia, entrambi cominciarono a capire che la battaglia
non stava andando per il verso giusto e loro erano sempre
più stanchi mentre i dolori di Remus cominciarono a
riapparire, più prepotenti che mai. Nessuno dei due era in
grado di capire come facesse Phobos ad annullare i loro attacchi, ma,
in qualche modo, sembrava gli bastasse muovere una mano per far sparire
nel nulla gli incantesimi. In un impeto di rabbia, Remus
pensò che, se non poteva attaccare il daimon con la
magia, allora ne avrebbe fatto a meno.
Con un lungo gesto della bacchetta, come una stoccata, macerie e lapidi
spezzate si alzarono da terra, andando a schiantarsi verso Phobos che,
tuttavia, riuscì a scomparire e a riapparire poco
più in là. Remus sorrise, trionfante. Dopotutto,
rifletté, quella era la Paura: era in grado di annichilire
il pensiero, bloccare le azioni controllando il sistema nervoso, quindi
che riuscisse a fermare le arti magiche non era poi così
innaturale; ma contro ciò che è strettamente
fisico, la Paura può fare ben poco. Certo, ciò
non significava che alla Paura si dovesse obbligatoriamente ribattere
con la forza ma… bah, cosa importava? Non erano
lì per fare filosofia, ma per uccidere quel bastardo. E ora
avevano tutti i mezzi per farlo.
«John, colpisci forte» esclamò il
Grifondoro, incrociando lo sguardo del daimon. Quello lo
guardò con un sorriso a trentadue denti e, dopo aver
ricoperto i propri arti di oscurità, si lanciò
verso Phobos, evitando i fulmini che lo stavano evidentemente mirando.
John provò a sferrare un pugno, ma Dolohov riuscì
a schivarlo, diventando cenere in un istante. Non riuscì a
evitare, tuttavia, la lapide che lo colpì a un fianco,
facendolo cadere a terra; Remus fece un gesto di vittoria. Mot corse
verso Phobos e, mentre era ancora a terra, lo calciò sul
volto. Il colpo, rivestito d’oscurità, fece volare
in aria il daimon,
che riatterrò mezza dozzina di metri più avanti.
La tempesta si calmò un poco e i fulmini smisero di cadere,
nonostante l’aria fosse ancora piena di
elettricità statica.
Mot corse di nuovo verso di lui, desideroso d’infliggergli il
colpo finale. Un nuovo rovo nacque da terra, a poca distanza dalla mano
di Dolohov, e trafisse la spalla di Mot, bloccando la sua avanzata e
facendolo urlare di dolore. Mentre Phobos si alzava in piedi, la pietra
portò John sempre più in alto, aumentando anche
le sue urla strazianti. Una sottile scia di sangue gli macchiava il
completo, ma Remus sapeva che, quando il rovo fosse sparito James
sarebbe potuto morire dissanguato in pochi minuti.
Remus stesso stava guardando, inorridito e immobile, mentre Phobos, con
il volto coperto di sangue, osservava, ridendo, Mot che si dimenava,
bloccato anch’esso dal dolore.
« Diffindo!»
urlò Lily. L’incantesimo recise il rovo, lasciando
cadere a terra John in un tonfo, a cui seguì un nuovo urlo
di dolore. Dora, Emmeline e Sirius cominciarono a bersagliare Phobos
con una raffica d’incantesimi, prontamente assorbiti, mentre
Lily trascinava via il daimon
ferito.
Remus volle approfittare dell’apertura che i suoi compagni
gli stavano fornendo, ma sapeva benissimo che gli sarebbe servito molto
più potere magico di quanto disponeva al momento. Tuttavia,
non poteva buttare al vento quell’opportunità:
Phobos era lì, girato di spalle a una dozzina di metri da
lui. Non poteva non tentare. Quindi decise di provarlo.
Quell'incantesimo. Quello a cui non osava più pensare da
tantissimo tempo.
La gravità è uno degli elementi primordiali,
ciò che ha permesso di portare vita nell’universo,
raggruppando gli altri elementi e fondendoli insieme. Tutto, nel cosmo,
possiede un campo gravitazionale, anche i corpi più piccoli;
questo campo è in genere, tuttavia, troppo debole da poter
essere percepito, se non in particolari, soggettive e molto obiettabili
condizioni. E so dell’esistenza di questo incantesimo. Non so
se sia effettivamente proibito, come le Maledizioni Senza Perdono, o se
ne è perso l’uso perché praticamente
impossibile da gestire.
Ne sono venuto a conoscenza durante uno dei tanti lavori da cui sono
stato licenziato. Per la mia passione, spesso sono riuscito a farmi
assumere in librerie e biblioteche, spesso entrando in contatto con
volumi magici di cui gli stessi proprietari non conoscevano a pieno il
valore. Mi capitava, quindi, durante le poche pause, di leggere alcuni
dei libri che avrei dovuto sistemare. La cosa che più mi
aveva colpito di quell’incantesimo era che si trovava in un
semplicissimo volume di Astronomia. Piuttosto antico, certo, ma non
c’era altro a indicare cosa potesse nascondersi al suo
interne.
L’ho provato, un paio di volte, nell’altra
dimensione, ma ho sempre fallito, rischiando anche di farmi parecchio
male. Ma direi che questo è il momento giusto per vincere
questa mia piccola sfida.
Stringo il polso destro con l’altra mano, facendo da sostegno
alla destra, mentre alzo il braccio e mi concentro più che
posso. È un incantesimo estremamente difficile, lo
so… ma so anche di poterlo gestire.
Allectum,
penso. Cerco di concentrarmi sull’effetto che dovrei ottenere.
Visualizzo, nella mia mente, le macerie che mi circondano, limitandomi
a quelle attorno e dietro di me, per non attirare
l’attenzione di Dolohov. Immagino, quindi, il minuscolo campo
che circonda ogni singolo pezzo di lapide, ogni zolla di terra smossa,
ogni pezzo di ferro o frammento di ossa; lo vedo come una sfera dorata
crepitante d’energia.
Comincio a sudare per lo sforzo.
Con il solo aiuto della mia mente, collego ogni singolo campo sopra
alla punta della mia bacchetta, alzata verso il cielo, in unico punto
di raduno.
Sento la testa che comincia a martellare.
Pian piano, percepisco gli oggetti alzarsi e seguire la traiettoria che
gli ho imposto, raccogliendosi sopra la mia testa. Passo, quindi, allo
strato successivo di detriti. So già che solo questo non
basterà. Il mio obiettivo è annientare, non
ferire.
Sento gli occhi pizzicarmi sotto le palpebre chiuse.
La sfera di macerie comincia a prendere forma. Ora grande come un
pugno, continua a ingrandirsi, raggiungendo prima il diametro di un
pallone da calcio, poi quello di una Pluffa.
Sento un rivolo caldo e denso scendermi sopra le labbra.
Continuo ad attingere da tutto ciò che il terreno ha da
offrirmi. Amplifico il campo gravitazione di ogni cosa trovino i miei
sensi, acuiti dalla trasformazione, ormai veramente troppo vicina. La
sfera comincia ad assumere le dimensioni che desidero. Un diametro di
mezzo metro… un metro intero.
No.
Lo sento. La sto perdendo. M’impongo di rimanere concentrato,
di pensare a ciò che voglio ottenere, al mio obiettivo
finale, a ciò che Dolohov ha fatto ai miei cari e il mio
desiderio di ripagarlo con una moneta ben più pesante.
Tuttavia, sento di star cedendo. Mi dico che devo farcela, che posso
farcela. Il mio corpo, tuttavia, comincia a incurvarsi sotto quel peso.
Sotto quella gravità.
Maledico il mio pensiero, il mio tentativo. Avrei dovuto attaccare
Dolohov come potevo, piuttosto che cercare di usare una magia
più grande di me. E ora rimarrò schiacciato dal
mio stesso incantesimo.
Maledico me stesso per la mia impotenza. È tutto qui quello
che posso fare? È tutta qui la mia forza? Sono morto e
resuscitato per questo, per morire un’altra volta contro lo
stesso nemico? A cosa serve essere un Narratore se non si
può far sì che il futuro cambi?
Non so cosa sia stato, ma lo sento cambiare. È come un fiume
in piena. Non so di preciso né quando né da dove
sia arrivato. Ma so cos’è. L’Etere
percorre il mio corpo. Percepisco questa sorta di particelle di pura
magia scorrermi dentro come un secondo sangue, arrivando a diffondersi
in ogni muscolo, in ogni organo, rinvigorendomi dall’interno.
Sento l’energia magica scorrermi dentro. E mi sento in grado
di smuovere le montagne a mani nude.
Apro gli occhi e guardo verso l’alto.
La sfera di detriti ha raggiunto le dimensioni di una piccola meteora.
I miei occhi si spostano poi sulle mie stesse braccia.
Brillo,
penso, divertito, osservando la luce dorata che mi circonda. Etere,
come quello incanalato del Laboratorio. Mi circonda, senza essere
vincolato a me. Aiutandomi, come se avesse una volontà
propria. Come se avesse deciso da che parte stare.
Sento gli incantesimi continuare a essere bloccati da Dolohov.
Evidentemente, o i miei amici non mi hanno visto, oppure stanno
ignorando tutto questo per potermi aiutare. E non posso deluderli.
Fisso Dolohov, che ancora mi dà le spalle. Mi viene
istintivo chiamarlo, farlo voltare e colpirlo in pieno volto. Ma poi,
penso, l’aiuto degli altri sarebbe stato inutile. E,
dopotutto, non vedo quale cortesia dovrei fare a quel figlio di puttana.
Tuttavia, la formula finale la pronuncio ad alta voce.
La sfera si alza più in alto, come percependo in anticipo
cosa sto per dire.
« Bolis Corruit».
A dirla tutta, la formula e i gesti sono molto semplici. Ciò
che è più difficile dell’Incanto
Meteora è la concentrazione e l’enorme potere
magico necessario. Ma con l’Etere dalla mia parte, so per
certo di non poter fallire. Abbasso quindi la bacchetta.
Un istante prima che Phobos si volti, la meteora fatta in casa si
abbatte su di lui, distruggendosi a contatto con il terreno e
sommergendo il daimon
di macerie.
Gli altri si bloccano a osservarmi a distanza. Ho il fiatone a causa
dell’incantesimo, ma l’aura dorata ancora mi
circonda, come se avessi tante piccole lucciole attaccate alla pelle.
Cado in ginocchio, sfinito.
«È finita» sussurro, sentendo un peso
che vola via dal mio stomaco. «È finita».
Penso di essere stato poche volte così felice nella mia vita.
Alcuni metri più in là, vedo che è
Dora la prima a rompere la sua immobilità. La vedo
avvicinarsi a me con passo tramante. Aggrotto le sopracciglia,
preoccupato, vedendo un profondo taglio sulla gamba. Sposto lo sguardo
anche sugli altri. A parte John, anche gli altri mostrano ferite
più o meno gravi. Sento come una mano che mi stringe il
cuore. Mentre io mi preoccupavo dell’Etere e del rispettare
un po’ di cordialità, loro venivano feriti a quel
modo. Quanto posso essere ipocrita?
Mi alzo in piedi e comincio ad andare incontro a Dora. Poi, dal centro
del cratere, Phobos riemerge, allontanando la maggior parte delle
macerie che lo circondano in uno scoppio di magia.
Lo osservo, tremando dallo stupore. È coperto di sangue da
testa a piedi, eppure è ancora lì, in vita,
ringhiando la sua furia e guardandomi negli occhi con l’odio
più profondo che sia possibile provare.
«Tu» sputa sangue. «Tu osi ferire me? Un essere
così disgustoso che cerca di ribellarsi a chi gli
è superiore per natura? Con quale diritto? Come osi?».
Alla domanda segue un nuovo lampo di magia. Riesco a rimanere in piedi
solo grazie all’Etere che mi sostiene. Una nuova scarica
magica mi tiene in forze, permettendomi di essere più lucido
che mai, di affrontare il pericolo a testa alta e usare tutti i miei
sensi fino al limite umano. Sento, tuttavia, che qualcosa inizia a
cambiare, in me.
«Feccia! Vuoi provare a uccidermi nel tentativo di sentirti
più grande di ciò che sei, nel tentativo di
uccidere la tua Paura! Non puoi liberarti della Paura, lupetto: il
coraggio non è che un’illusione di coloro che sono
troppo spaventati dalla Paura per accettarla!» ringhia il daimon.
«Sai, Phobos, anche se sei vecchio di millenni posso dire con
certezza di aver vissuto più di te» rispondo,
sentendo che il momento sta arrivando. Comincio a tremare, solo in
parte per l’emozione. «Mi sono serviti una trentina
d’anni, ma ho capito che il coraggio non è
l’assenza di Paura, ma il trionfo su essa. E, fidati, tu che
sei la Paura, hai scelto il gruppo peggiore contro cui
combattere».
Non so come sia possibile, ma Dora e Sirius sanno esattamente cosa fare
nel momento esatto, mentre io subisco la trasformazione più
breve che abbia mai avuto. Non sento neanche dolore, e per questo penso
che sia stato l’Etere ad aiutarmi.
In un paio di brevi secondi mi ritrovo a quattro zampe, fissando il daimon
dall’altezza del Lupo. Sento ancora l’Etere
scorrere in me e, difatti, riesco ad avere un controllo perfetto della mia forma animalesca, anche superiore a quello concessomi dalla Pozione.
Dolohov mi guarda e per un istante lo vedo trionfante. Temo che
qualcosa stia andando storto, che tutto facesse parte del suo piano fin
dall’inizio, compresa la mia trasformazione. Alza le braccia
nuovamente, circondandosi di un’aura grigia, preparandosi a
un qualche incantesimo. Preparo i miei muscoli a scattare fuori dalla
sua portata ma non ce n’è bisogno. Le corde legano
all’istante i suoi polsi, interrompendo il suo incantesimo.
Dolohov ringhia, frustrato e sorpreso, mentre Dora e Sirius tendono le
corde, sprigionate dalle punte delle loro bacchette. Non essendo una
vera e propria magia, Dolohov non ha potuto bloccarle. E so di dover
approfittare di questo momento. Mi basta guardarlo per capire che
è troppo debole per Smaterializzarsi o fare altro.
Lui sembra capire i miei pensieri. Si volta verso di me. Fisso i miei
occhi nei suoi. Ciò che vedo è Paura.
Un’espressione pienamente degna, devo ammetterlo.
Fletto i muscoli delle zampe, preparandomi. Corro. Salto. Mordo. Il
corpo di Phobos cade a terra, senza vita e senza mente.
E il sangue degli
intrusi la nera pietra bagna. E anche un po' di terriccio,
a dirla tutta.
Non sono soddisfatto né fiero. Ma neanche dispiaciuto.
Quello che ora è a terra è l’uomo che
ha ucciso me e migliaia di altri innocenti di un’altra
dimensione. Quello è l’uomo che ha rapito due
delle persone che mi sono più vicine, cercando di uccidere
tutte loro per una stupida ideologia in una storia già
sentita. Non sono soddisfatto né fiero, ma sento di aver
fatto ciò che dovevo.
Non vorrei essere al posto dei poveri abitanti di Hogsmeade, piuttosto,
che osservano questo stravagante gruppo. Sei ragazzi feriti (di cui una
dai capelli rosa semi-luminescenti) e un Lupo Mannaro dalla bocca
sporca di sangue che rimangono a fissarli dopo aver distrutto il loro
cimitero. Perché ho l’impressione che qualcuno si
procurerà torce e forconi?
*****
«Quindi?»
chiese Apophis, sulla sua poltrona di velluto. Perché le
poltrone di velluto rosso sono le preferite dai cattivi, si sa. E,
ovviamente, ha in mano un calice di cristallo pieno di vino rosso.
Perché il rosso, poi? Se l’era chiesto spesso, ma
non capiva perché gli umani lo trovassero elegante. Eppure un
certo fascino lo aveva, o non avrebbe comprato
quell’arredamento.
«Phobos è andato e io sono fuori dalla
scuola» commentò Maya, abbandonandosi su una sedia
del tavolo di mogano dietro di lui. Poggiò la testa su una
mano e chiuse gli occhi, stanca. «Tutto va come
previsto».
«E l’Etere?» fece il daimon.
«Una volta terminato l’effetto della Luna,
inizierà la trasfusione» spiegò la
donna. Apophis sospirò, soddisfatto.
«Loki e Mot sono ancora dentro?» chiese
l’uomo, bevendo un sorso.
«Mot è ancora nel gruppo dei Narratori, mentre
Loki fa di testa sua, come al solito» disse lei,
tamburellando sulla superficie di legno con le dita.
«Oh, Loki!» esclamò Apophis,
ridacchiando. «Sarebbe tutto così noioso senza di
lui… E chi ci rimane?».
«Ermes» sibilò l’altra,
pronunciando il nome con disgusto. «Ancora non so
perché ce lo portiamo dietro. Quanto potere potrebbe
dare?».
«Oh, a chi importa? Il “segretissimo”
piano di Loki gli si ritorcerà contro e i Narratori saranno
divisi dall’interno» replicò Apophis,
ridacchiando. «Sì, sarà
divertente».
«Come vuole che procediamo?» chiese Maya,
leggermente annoiata. Probabilmente voleva solo andare a letto.
«Lasciamo che le acque si tranquillizzino. Ate si
darà da fare dopo le vacanze di Natale, per il momento
possiamo prenderci tutti un periodo di riposo» disse
l’uomo, sorridendo amabilmente.
Maya sembrò piuttosto soddisfatta. «Sono
completamente d’accordo» disse.
«C’è altro?».
«Oh, vorrei solo un consiglio».
Maya drizzò improvvisamente la testa, attenta. Apophis che
voleva un consiglio? Era come avere sole a Glasgow in pieno gennaio.
«Mi dica».
«Secondo te, e voglio la tua più sincera
opinione… dovrei comprare un gatto bianco? Sai, da
accarezzare minacciosamente mentre sono sulla poltrona
rossa…».
Maya rimase in silenzio per qualche istante.
«Buonanotte».
Apophis sbuffò mentre la donna si chiudeva la porta alle
spalle. «Non si può neanche scherzare, in questo
covo».
Sala Comune di Tassoverde
E quindi ci siamo. Who,
di cui, come avete visto, ho mantenuto inalterato il nome in entrambe
le parti, è stato il capitolo più lungo e
faticoso che abbia mai scritto e, onestamente, trovo molti (moltissimi)
difetti che, tuttavia, non saprei bene come poter aggiustare. In ogni
caso, Who
non è, come previsto inizialmente, il capitolo finale della
Prima Parte della fanfiction: tale capitolo sarà infatti il
prossimo, After,
che dovrebbe dare qualche spiegazione a ciò che è
accaduto, specie a questo strano e fin troppo debole Phobos che avete
visto in questo capitolo... e, piccolo spoiler, anche su
Dolohov stesso. Poi, sicuro al 100%, fra un paio di giorni
uscirà un inedito su Pottermore che manderà a
farsi friggere tutto ciò che ho immaginato su di lui, ma
vabbe', sarà destino. Onestamente, il combattimento finale
non mi è piaciuto granché come l'ho scritto
(credo di non essere portato per certe scene) e gradirei una vostra
opione in particolare su quella parte, se non vi dispiace.
Prima del piccolo elenco di modifiche di cui vi avevo parlato nelle
note dello scorso capitolo, vorrei passare a ringraziarvi. Ringraziare
voi, fedeli lettori/lettrici/meta-umani/inumani e quant'altro, grazie
per essere rimasti nonostante il precedente capitolo non fosse
granché (anzi, lasciava abbastanza a desiderare), grazie per
essere rimasti con me e vorrei, inoltre, ringraziare in particolar modo
tony_tropcold e flavia1008, che mi hanno lasciato due graditissime
recensioni, operazione che mi vorrei invitare a fare tutti voi che mi
seguite, nella speranza di fare meno errori possibile e far
sì che la fanfiction non vi deluda. Grazie, davvero grazie
mille.
Passo, quindi, all'elenco:
-La prima modifica si trova nel Chapter III, proprio nel paragrafo
iniziale: da quando ho cambiato l'età di Evelyn (15), lei e
Dora hanno solo un anno di differenza, e io avevo scritto che la
maggiore aveva combattuto strenuamente per dare alla più
piccola un nome decente... ma a un anno mi sembra un po' difficile. Ho
quindi fatto una piccola modifica, che v'inviterei ad andare a leggere.
-Poi passiamo al Chapter V: avete presente la parte finale di Jily, in
cui loro si trovano seduti sul divano di fronte al camino? No? Be', non
importa: la modifica è molto leggera, ho solo migliorato (a
parer mio) il dialogo fra i due, senza inserire o togliere alcuna
informazione rilevante, quindi potete star tranquilli.
-Chapter VII: nel famigerato incontro fra Harry e James, c'era una
parte che non mi aveva mai convinto, portandomi, infatti, a modificarla
più e più volte: la sepoltura di Voldemort. Avevo
inventato una storia assurda e contorta sul fuoco ecc... Be', ho
eliminato quella parte: lo zio Voldy è stato cremato.
Perché avessi inventato quell'assurda storia mi è
oscuro ancora adesso.
-Per finire, nei vari capitoli della fanfiction ho fatto molti accenni
alle varie fasi lunari, giusto per far capire che il tempo stesse
passando. Be', a quel tempo ancora non avevo in mente di porre la luna
piena proprio in Who
(spiegazioni in After,
don't worry), quindi non coincideva un ciufolo. Adesso dovrei aver
sistemato tutto, dando una parvenza di realisticità al tutto
(spero).
Direi, quindi, di poter terminare qui le mie note. Se avete qualche
dubbio, chiedetemi pure e provvederò a togliervelo! Nel
frattempo, grazie ancora per essere arrivati fin qua giù,
sopportando il parto della mia mente malata.
Al prossimo capitolo,
hufflerin
P.S.: A chi può interessare, ho scritto una piccola "linea
del tempo", se così la si vuole chiamare, della storia,
molto semplice a dire il vero.
Chapter 0-V: Settembre
Chapter VI-VIII: Ottobre
Chapter IX-XII: Novembre (forse anche Dicembre, se deciderò
d'inserire qualcosa in After
o se farò una sorta di Speciale di Natale a cavallo fra le
due parti)
P.P.S.: Le citazioni iniziali provengono dai capitoli da Ideals in poi,
ovvero da quando entrano in gioco i daimon.
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