The Storytellers

di Luke_White
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 0 - Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter I - Reborn - Inizio prima parte ***
Capitolo 3: *** Chapter II - Stranges ***
Capitolo 4: *** Chapter III - Meets ***
Capitolo 5: *** Chapter IV - Ideals ***
Capitolo 6: *** Chapter V - FAQ ***
Capitolo 7: *** Chapter VI - Appointment ***
Capitolo 8: *** Chapter VII - Potters (parte 1) ***
Capitolo 9: *** Chapter VII - Potters (parte 2) ***
Capitolo 10: *** Chapter VIII - Choose ***
Capitolo 11: *** Chapter IX - When ***
Capitolo 12: *** Chapter X - Where ***
Capitolo 13: *** Chapter XI - Who (parte 1) ***
Capitolo 14: *** Chapter XI - Who (parte 2) ***



Capitolo 1
*** Chapter 0 - Prologue ***



0. Prologue


La frenesia della battaglia mi spinge ad andare sempre più avanti. I Mangiamorte sono ovunque, mantelli neri e maschere di bronzo che si muovono velocemente, scagliando mortali lampi verdi.
Kingsley ed io riusciamo a Schiantarne parecchi e, nel complesso, ce la stiamo cavando abbastanza bene. Alcuni studenti di Corvonero ci aiutano, pietrificando o legando.
«Stupeficium!» quando le sento urlare l’incanto, mi giro velocemente verso di lei, in tempo per vedere il Mangiamorte essere scagliato fuori dalla finestra, dritto nel parco. Mentre si volta, i capelli danzano come fiamme e gli occhi lanciano una luce dorata. Non c’è che dire, un ottima uniforme da combattimento.
Corro verso di lei, evitando per un soffio un paio di Maledizioni Mortali.
«Che ci fai qui?» le chiedo, fra il terrorizzato e il furioso.
«Faccio un pic-nic» risponde, sarcastica, lanciando un Incantesimo Elettro a un Mangiamorte dietro di me. Io le restituisco il favore colpendone un altro con una fattura. «Tu, invece?»
«Dora, non puoi stare qui! Pensa a Teddy!» Lei mi lancia un’occhiata determinata e so che qualunque cosa io dica non servirà a nulla.
«Se tu rimani, io rimango». Insieme Schiantiamo un Mangiamorte. La guardo negli occhi e quasi percepisco la sua decisione. È fin troppo testarda. Le poggio un bacio sulle labbra e, insieme, cominciamo a combattere. Intanto mi prometto mentalmente di non lasciare che un solo incantesimo la sfiori.

Va tutto bene fino a quando non arriva Dolohov.
«Ehi, lupetto, bella festa, non è vero?» fa lui, comparendomi dietro e lanciando una maledizione. Schivo l’incantesimo ma non riesco a evitare di sentire l’urlo di un ragazzo dietro di me. Bruciando di rabbia scaglio una fattura che gli provoca un taglio sul braccio sinistro. Avevo mirato più a destra.
«Fidati, Dolohov, sta per migliorare». Comincio a scagliare una serie d’incantesimi, uno dopo l’altro, cercando di mantenere un ritmo costante. Come previsto, il bastardo riesce a parare o schivare ogni incantesimo. Poi inserisco nella sequenza un incantesimo in più.
La maledizione gli fa a pezzi la maschera, scagliandolo poi contro la parete. Peccato. Con una mira migliore avrei potuto lanciarlo nel parco.
Mi avvicino a lui, con la bacchetta puntata, pronto a legarlo e spedirlo fra i prigionieri. E il muro esplode.
La mia visuale si fa quasi nulla e le orecchie rimbombano. La bacchetta è persa chissà dove e sulla mia gamba sento un peso opprimente. Non riesco a muovere un muscolo.
Strizzo più volte gli occhi, cercando di uscire da questa sottospecie di cecità. Vedo i contorni di una figura nera che si alza in piedi e viene da me. Sento la sua risata. Un urlo che proviene da lontano sembra rivolto a me. Dora.
«Avevi ragione, lupetto, la festa è decisamente migliorata» ride Dolohov. Lo mando all’inferno, sputando sulla sua faccia, che ha chinato per osservarmi meglio. Lui non sembra arrabbiato, anzi, ride ancora più rumorosamente.
Vedo la forma della sua mano che si alza e la bacchetta che mi viene puntata contro.
«È stato divertente giocare con te» dice. «Addio, lupetto».
Chiudo gli occhi. Non vorrei nemmeno sentire la formula, né vedere il lampo verde attraverso le palpebre. Non vorrei percepire l’incantesimo che colpisce Dolohov, a cui segue l’urlo di Dora.
Invece l’urlo di mia moglie mi accompagna nell’ultimo viaggio.



Okay, e questo è il prologo della mia prima - più o meno - fan fiction. Non c'è molto da dire. è tutto piuttosto chiaro. Devo dire che mi è dispiaciuto parecchio descrivere la morte di Remus, uno dei personaggi che preferisco e che più mi assomiglia. Togliendo, ovviamente, il Piccolo Problema Peloso.
Mi piacerebbe avere recensioni, sia positive che negative, per poter migliorare come scrittore o anche per sapere se la storia interessa e posso continuarla o se è meglio cestinarla seduta stante.
Cercherò di essere piuttosto regolare per i nuovi capitoli. Ancora non so se pubblicherò settimanalmente o bisettimanalmente (che strana e lunga parola... ignoratemi) ma credo che deciderò entro il secondo capitolo. In senso di "Capitolo 2", non del prossimo che pubblico.
Grazie per aver letto ed essere arrivati fino a qua giù.
Con molto affetto,
Hufflerin (o Tassoverde).

P.S.: sono maschio. Non si sa mai, meglio dirlo, giusto per sicurezza.



Prossimo aggiornamento venerdì 26/07/'13, con il primo capitolo: "Reborn"

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Capitolo 2
*** Chapter I - Reborn - Inizio prima parte ***


Prima Parte
New life, same memories, old friends

1. Reborn

Un ragazzo camminava nervosamente davanti alla porta dell’infermeria da ormai quasi un’ora, passandosi ripetutamente una mano fra i capelli corvini in un gesto di agitazione, scompigliandoli sempre di più.
Un altro era seduto lì vicino in posizione fetale e giocherellava con la bacchetta, che ogni tanto emanava qualche scintilla dorata.
Un terzo ragazzo, più rotondetto degli altri, stava invece mangiando qualcosa di non ben identificato, lanciando di tanto in tanto occhiate nervose alla porta.
«Ramoso, ti vuoi stare fermo: metti ancora più ansia» protestò il secondo. James si bloccò. Sembrava voler dare una rispostaccia a Sirius ma si limitò a sospirare, per poi sedersi con la schiena contro la parete.
Felpato alzò un sopracciglio, incuriosito dallo strano comportamento dell’amico, ma non disse nulla, attribuendolo agli eventi di poco prima.
Sirius rubò una parte del cibo di Peter – che stranamente non protestò – prima di rimmergersi nei ricordi dell’ora precedente, cercando di analizzarli.


Erano a Storia della Magia. Come ogni volta, veramente in pochi ascoltavano il professor Rüf mentre spiegava la Quinta Guerra dei Troll con la sua voce monotona e sonnolenta. Gli unici erano un paio di Corvonero a cui Sirius non dava importanza e Remus e Lily. O meglio, quel giorno solo Lily.
All’inizio si era sorpreso nel notare Remus che sonnecchiava sul banco piuttosto che prendere appunti, poi aveva immaginato che la stanchezza fosse dovuta alla luna piena della sera prima. Il ricordo gli fece portare istintivamente una mano sul fianco, dove si trovava un livido grande quanto la sua testa. Sirius sorrise. Si erano proprio divertiti. E lui avrebbe staccato le corna a Ramoso, prima o poi.
Da lì in poi i ricordi erano confusi. Ricordava di essersi assopito e di essere stato scosso da James qualche volta, poiché rischiava seriamente di mettersi a russare.
Poi era successo di colpo. Remus era caduto a terra, senza alcun motivo apparente. I ragazzi si erano fiondati su di lui. Sirius ricordava con orrore il corpo di uno dei suoi migliori amici, dei suoi fratelli, scosso da contrazioni involontarie, quasi come fosse preda di una crisi epilettica.
Senza nemmeno aspettare che il professore dicesse qualcosa, avevano portato Remus fuori di lì e lo avevano affidato alle cure di Madama Chips.


Niente, non c’era niente che ricordasse che gli potesse far capire cosa diamine era successo. E questo lo rendeva veramente frustrato. E il fatto che le cose peggiorarono dopo qualche secondo non aiutò.
Una dolce e simpatica voce risuonò nel corridoio.
«Potter, Black! Venite qui e datemi una mano!» Neanche mezzo istante e già lo stracotto James si era fiondato ad aiutare la Evans, che si dirigeva verso di loro, cercando di portare con sé una persona. Una ragazza. Priva di sensi.
Sirius riconobbe all’istante i capelli rosa shocking di sua cugina e impallidì. Si alzò in piedi e aspettò in silenzio che James e la Evans portassero dentro Dora, perché sapeva che se avesse provato a chiedere qualcosa la rossa l’avrebbe insultato e, alla fine, non avrebbe ottenuto nulla.
«Quindi?» chiese, quando entrambi i ragazzi furono fatti uscire da Madama Chips. «Cos’è successo?»
«Ero andata a chiamarla, per dirle di Remus, e mentre venivamo qui ha avuto lo stesso attacco» spiegò Lily, pratica, sedendosi poi a terra, aggiungendo: «Fra poco arriveranno anche gli altri. Stanno dando le spiegazioni ai professori per farci avere la giornata libera».
Sirius annuì, serio e triste, ritornando a sedersi. Anche James si sedette, vicino a Lily. Lei gli lanciò un’occhiataccia ma era inutile: James, in quel momento, era troppo occupato a osservare la reazione di suo fratello.
“Andrà tutto bene”, gli disse il ragazzo con lo sguardo. Sirius annuì, poco convinto. James sospirò, appoggiando la schiena alla parete e chiuse gli occhi, troppo turbato per notare che era vicino alla Evans da cinque minuti e ancora non aveva tentato di ucciderlo.
Sirius intanto rifletteva. Era strano, troppo strano. Due persone con “attacchi” simili a poco tempo di distanza l’uno dall’altra. Il fatto che fossero due persone che stavano molto a contatto – tanto che i ragazzi chiedevano spesso perché non si mettessero insieme e basta, piuttosto che continuare a dichiararsi amici all’infinito – voleva forse indicare una specie di strano virus?
Poi scosse la testa, per cercare di togliersi quei pensieri assurdi.
Passarono i minuti.
La porta dell’Infermeria si aprì immediatamente dopo che Mary, Emmeline, Marlene, Frank e Alice furono arrivati.
«Come stanno?» chiese subito James, guardando l’infermiera con apprensione. Mary si avvicinò a Sirius e gli strinse la mano. Un gesto che gli scaldò il cuore e gli fece trovare un po’ di serenità. Solo un po’, però.
«Adesso riposano» disse Madama Chips. Si senti una specie di sospiro di sollievo collettivo. «Ve lo dirò subito: non ho la più pallida idea di cosa sia successo. Ho fatto alcuni esami e fisicamente sono in perfetta forma.»
Le parole dell’infermiera lasciarono tutti di stucco.
«Se volete, potete entrare a vederli» gli sguardi dei ragazzi s’illuminarono e Madama Chips aggiunse precipitosamente: «Ma solo sei alla volta!»
Alcuni di loro quasi risero per la rigidezza dell’infermiera.
A entrare furono i tre Malandrini, più Lily, Mary e Marlene.
L’infermiera si rifugiò nel suo ufficio, per lasciargli un po’ d’intimità.
Mary continuava a tenere per mano Sirius, che sembrava pallidissimo.
Remus e Dora erano sdraiati su due letti vicini. Inconsapevolmente, nel sonno si erano voltati a guardarsi.
Sirius sentì il suo cuore perdere qualche battito e Mary probabilmente se ne accorse, perché gli strinse la mano un po’ più forte. Per Sirius, abituato a essere pessimista, era fin troppo facile immaginarli più che addormentati. Il solo pensiero rischiava di fargli perdere i sensi. E forse sarebbe anche successo, se lì vicino non ci fossero stati sia Mary che James, che intanto aveva cercato di fare qualche battuta idiota per risollevare il morale degli altri, ottenendo solo un occhiata di fuoco da Lily, che era chinata vicino a Remus. Anche se Sirius fu quasi certo di averci intravisto altro, oltre al fuoco.
Fu quando Sirius si mise accanto a sua cugina, osservandone i capelli che erano diventati di un rosa più pallido, che accadde.
Lily e Mary quasi strillarono per la sorpresa e Marlene fece involontariamente un passo indietro, mentre James, Peter e Sirius – troppo ansiosi per potersi sorprendere – sospirarono soltanto di sollievo. Tutti si strinsero, emozionati e contenti come non mai, intorno ai due ragazzi che avevano appena aperto gli occhi, contemporaneamente.


*****

Cosa diamine mi succede?
Ricordo con precisione ogni istante – con la precisione che mi consentivano i miei sensi sballati, ovvio – e sono quasi sicuro di essere morto. Eppure perché ho aperto gli occhi?
Mi sono girato verso l’alto e adesso vedo con chiarezza il soffitto di una struttura molto familiare, dato che ci ho passato gran parte della mia permanenza a Hogwarts. L’Infermeria è veramente strana, dopo tutto quel tempo. Ricordo con tristezza l’ultima volta che l’ho visitata.
Era circa due anni fa. Era morto Silente, quel giorno. O meglio: quella notte.
Stranamente, l’Infermeria mi sembra diversa, più alta di quando l’ho vista l’ultima volta.
Strizzo gli occhi, cercando di capirci qualcosa.
Forse non sono morto, penso con sollievo. Magari la Maledizione mi ha mancato e sono svenuto per colpa dell'esplosione. Ora la guerra è finita e sono sotto le cure della Santa Poppy Chips. Il mio primo pensiero corre allora a Dora. Pensiero interrotto da una voce che mi lascia spiazzato.
«Ma ti sembra questo il modo?» dice qualcuno. «Ci hai fatto morire di paura».
Una chioma nera entra nella mia visuale, insieme a un paio di occhiali tondi.
Per fortuna riesco a trattenere la prima parola che mi viene in mente, perché chiamare “Harry” la persona che ho davanti avrebbe incasinato ancora di più tutto quanto. Perché quello non è Harry, anche se l’alternativa è assurda.
Poi compare un'altra persona. E a quel punto non ci capisco veramente nulla. Alla fine devo chiederlo, con la voce rauca di chi si è appena svegliato.
«James? Sirius?»
Entrambi sorridono, poi James prende la parola.
«Bene, il primo passo è fatto. Ora dimmi: chi è James e chi è Sirius?» Idiozia allo stato puro. Sì, è James Potter. Ecco una delle cose che non ho raccontato a Harry: la stupidità di suo padre. Meno male che aveva il cervello di Lily – più o meno –, la stessa Lily che, accanto a me, mi guarda con gli occhi smeraldo accesi di preoccupazione.
Ed è anche strano che tutti dimostrino all’incirca diciassette anni. Il che vuol dire che siamo al settimo anno, all'incirca.
Sono quasi preso dal dubbio che vent’anni della mia vita siano solo un sogno di un ragazzo che è stato male. Quasi.
 «Come stai?» mi chiede Lily. Non so cosa rispondere.
Fisicamente? Be’, a parte qualche dolore sto una meraviglia. Al massimo ho un po’ di emicrania ma credo sia comprensibile.
Mentalmente? Qui la faccenda si fa complessa.
Sento alcune voci provenire dalla mia destra, delle ragazze e sembra si stiano rivolgendo a qualcuno. Quel qualcuno risponde, ed io mi sento gelare. E anche l’opzione “ho una fervida immaginazione quando dormo” va a farsi friggere.
Mi giro e vedo Dora.
Ha i capelli rosa pallido e, quando si gira verso di me, vedo gli occhi accesi di un celeste quasi innaturale. Ed è stupenda. E potrei guardarla per tutto il giorno. E non dovrebbe essere qui. Perché è qui?
Lei sembra pensare la stessa cosa, a giudicare dal suo sguardo sbalordito. Si riprende dopo pochi istanti e mi lancia un’occhiata terrorizzata. Guardo chi c’è intorno al suo letto. Marlene e Mary si sono precipitate da lei e la stanno tempestando di domande. Anzi, “stavano”. Ora ci guardano con un sorrisetto malizioso che possono aver imparato solo da James e Sirius.
«Ehi, Remus, tutto okay?» chiede James. Io sorrido quasi involontariamente.
«Sì». La voce mi esce così roca che probabilmente non capiscono nulla. «Sì, sto bene».
Lily fa un sospiro di sollievo e sorrido un po’ di più. Mi ero scordato la sua apprensione.
«Cos’è successo?» chiedo, cercando di mettermi a sedere, ignorando la testa che pulsa pericolosamente.
«Be’, eravamo a Storia della Magia e tu… ti sei mezzo addormentato» comincia Lily, come cercando le parole giuste.
«Poi sei caduto per terra e hai cominciato a muoverti in modo strano» interviene James. «Amico, sembrava che avessi una crisi epilettica!»
«Delicato, Potter» sussurra Lily a denti stretti. Sirius e Peter ridono mentre James arrossisce leggermente.
«SI PUÒ SAPERE COSA STATE FACENDO?» ruggisce Madama Chips, entrando di corsa nella stanza. Tutti i ragazzi impallidiscono di colpo ed io devo trattenere a forza una risata. «Vi rendete conto che questi ragazzi sono ancora sotto osservazione! Non dovete stancarli!»
Tutti indietreggiano, mentre la Chips mi costringe a rimettermi sdraiato. Quel gesto mi riporta alla mente tutte le lune piene che ho passato a scuola. Quanto tempo è passato? Trent’anni? O solo qualche settimana?
«Adesso uscite, potrete tornare domani» esclama e, ignorando le numerose proteste dei ragazzi, butta tutti fuori dall’infermeria. Dopodiché borbotta qualche imprecazione e, lanciandoci un’occhiataccia, ritorna nel suo ufficio.
Non appena si chiude la porta alle spalle, prendo la bacchetta che hanno messo sul mio comodino e lancio un incantesimo Muffliato.
«Ti prego, dimmi che hai una spiegazione razionale» dice subito Dora, guardandomi, preoccupata. Il suo sguardo mi fa venire voglia di andare da lei e abbracciarla, dicendole che va tutto bene. Peccato che il mio corpo abbia deciso che alzarsi costava troppa fatica e dolore. Avrebbe anche potuto farlo prima che mi mettessi seduto. Ora sdraiarmi mi distrugge. Mi sdraio.
«Magari ce l’avessi». La sola cosa che pensavo di sapere era di essere morto. Ora non sono più sicuro neanche di questo.
La considerazione mi fa venire in mente una domanda: «Qual è il tuo ultimo ricordo?»
Quando la guardo, vedo i suoi occhi pieni di lacrime. I capelli e gli occhi si fanno all’istante molto più scuri, mentre lei si gira, cercando di non farsi vedere.
Sento un groppo in gola, ma non riesco a chiederle nulla.
«Combattevo con Bellatrix» dice. Chiude gli occhi. «Ha vinto lei».
Faccio una rapida connessione.
Sono morto io.
Mi aspettavo una cosa del genere, ero sicuro che dopo quella notte non sarei sopravvissuto. Il fatto che avrei rincontrato James, Sirius, Lily e tutti gli altri mi faceva sentire meglio, ma, ovviamente, avevo il pensiero pressante di Dora e Teddy. Non potevo lasciarli soli.
È morta lei.
Quando l’avevo vista, mi sarei sacrificato per fare in modo che almeno lei tornasse da nostro figlio. E invece ho fallito. Vorrei uccidere Dolohov. Chissà, magari in questo “posto” c’è ancora. Mi piacerebbe andare a cercarlo. Bellatrix. Anche lei è sulla mia lista nera.
Teddy è solo.
Non riesco a trattenere le lacrime. Posso solo sperare che Andromeda e Harry lo curino il più possibile. Chiedo in silenzio che Harry sia un padrino per Teddy come Sirius lo era stato per lui.
Sirius.
James.
Lily.
Mary.
Qui sono tutti vivi. Non riesco neanche a pensare a qualche Magia Oscura ipnotizzante o qualcosa del genere, perché erano loro. Personaggi unici nel loro genere. Impossibili da imitare.
James e Sirius, i fratelli mancati, entrambi dai capelli neri e oggetto dell’attenzione di gran parte delle donne di Hogwarts – McGranitt compresa, secondo loro.
Lily, la strega in fiamme, come la chiamavano tutti coloro che vedevano la sua furia scatenarsi. Gentile e premurosa con chiunque - James e Sirius non contano - ma in grado di farsi valere quando serve.
Mary, l’unica che era mai riuscita a conquistare veramente Sirius, che adorava accarezzarle i capelli biondi mentre era sdraiata sul divano rosso della sala comune. Purtroppo era passata a miglior vita ancora prima di James e Lily, lasciando Sirius con un grande vuoto.
Dopo qualche istante arriva Madama Chips, che ci obbliga a bere una Pozione Soporifera e, in pochi istanti e senza poter dirci nulla, sia io che Dora cadiamo in un sonno profondo, mentre le nostre mani si cercano.



Sala Comune di Tassoverde

Salve a tutti. Come promesso, sono tornato puntuale con il nuovo capitolo. Come avrete notato, in questo momento nessuno ci capisce un tubo di quello che è successo.
E, nella mia sadicità, questo va benissimo.
Penso non ci sia molto da dire. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che recensiate. Ovviamente il meglio deve ancora venire e ho in mente un sacco di cosucce intriganti (e anche un po' di vuoti, ma me ne preoccuperò solo molto più avanti).
Aggiungo che probabilmente i primi capitoli saranno lunghi più o meno come questo. Più avanti li farò più lunghi (forse) ma, per il momento, vi tocca accontentarvi (muahahahah!).
A venerdì prossimo (forse),
Hufflerin.

P.S.: Nel prossimo capitolo potrei pubblicare anche gli attori che, nella mia mente, danno il volto ai personaggi (anche se Dora, Marlene, Frank ed Emmeline mi stanno dando qualche grattacapo). Voi che ne dite? Vi piacerebbe averli o non sapreste che farvene?



Prossimo aggiornamento venerdì 02/08/'13, con il secondo capitolo: "Stranges"

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Capitolo 3
*** Chapter II - Stranges ***


2. Stranges

«Pronta?» le chiedo, nervoso.
«Pronta» risponde, decisa.
E varchiamo la soglia della Sala Grande.
Già vedere il castello integro e maestoso come una volta è stato emozionante, ma vedere la Sala Grande ci fa veramente rischiare di svenire. È da troppo tempo che non la vediamo così: viva e splendida, com’è stata creata e come deve essere.
Le tavole sono piene di studenti che chiacchierano, scherzano e, nel caso dei Malandrini nei loro giorni migliori, fanno scherzi a tutti gli altri. Pochi professori sono seduti a gustarsi la colazione; la maggior parte probabilmente sta organizzando le lezioni che fra solo mezz’ora sarebbero iniziate.
Guardo Dora sistemarsi la cravatta di Tassorosso e non riesco a rimanere ancora più stupefatto della sua bellezza. Ora i suoi capelli sono una cascata d’oro racchiusa in una coda di cavallo - a scuola aveva i capelli più lunghi - e gli occhi sono viola.
Non so in che rapporti dovremo essere, per cui non mi arrischio a darle il bacio sulle labbra che desidero tanto, limitandomi a un lieve saluto e a un sorrisetto d’incoraggiamento.
Lei mi sorride a sua volta ma ha le sopracciglia aggrottate dalla preoccupazione. È strano vederla così. Di solito è allegra e solare e fa sorridere solo vederla. Spero che questa situazione iniziale passi presto.
Di malavoglia ci separiamo e raggiungiamo i rispettivi tavoli, in un rito che non ripetevo più da molto tempo e che mi fa sorgere un sorrisetto spontaneo.
Guardo con nervosismo Dora, che sembra non saper bene cosa fare. Poi viene chiamata da Marlene, che era seduta poco più avanti sul loro tavolo. Bene, e una cosa è fatta. Ci penserà Marlene a presentarle i suoi amici – sperando che Dora sia brava a recitare… ma che dico? È un Auror! Ha affrontato situazioni molto peggiori! Forse.
Io continuo a camminare e vedo James e Sirius seduti e che chiacchierano animatamente con Frank. Lily, Mary e Alice, invece, sembra stiano avendo un’accesa discussione. Ah, c’è anche Peter.
Meno male che abbiamo pensato anche a questo, altrimenti ora sarebbe già morto.
James mi vede e mi saluta con la mano, attirando l’attenzione di tutti gli altri, che mi sorridono. Giuro che potrei scoppiare a piangere.
Vado verso di loro e mi siedo, ricordando la conversazione avuta poco prima con Dora.

«D’accordo, credo che abbiamo solo una possibilità, almeno finché non capiamo che cavolo è successo» faccio io, pratico, camminando nel corridoio. Madama Chips ci ha appena rilasciati, sostenendo che non può fare nulla se non abbiamo nulla, anche se avrebbe voluto tenerci sotto osservazione per un altro mesetto.
«Ovvero?» chiede lei, socchiudendo gli occhi, come a prepararsi per un duro colpo.
«Vivere qui».
«Oh, pensavo peggio».
«Del tipo?»
«Non so. Forse che saremmo scappati dalla scuola per diventare killer su commissione, per poi smettere improvvisamente di lavorare perché non abbiamo il coraggio di uccidere un padre di famiglia, che tuttavia ci sparerà e cadremmo in mare. Quindi ci risveglieremmo su un peschereccio italiano senza sapere chi siamo e, seguendo il codice scritto su un proiettile che hanno prelevato dal nostro corpo, andremmo in Svizzera, per prelevare qualcosa dalla nostra cassetta di sicurezza. Solo che ci avrebbero scoperto tramite le telecamere e sarebbe iniziata una caccia all’uomo – e alla donna – su scala internazionale e che…»
«Hai letto The Bourne Identity
«Sì. Era fantastico!»
«Già». Cerco di riprendere il filo del discorso..  «Comunque, come stavo dicendo, non sappiamo cosa ha provocato questa specie di… strano viaggio nel tempo e, quindi, direi di fare finta di nulla. Continuiamo le nostre vite in questo posto e nel frattempo cerchiamo una spiegazione».
Dora annuisce. Io sospiro, passandomi una mano fra i capelli.
«Ma perché io sono qui?» chiede all’improvviso. La guardo, non capendo cosa intenda. «Se fosse un viaggio nel tempo, perché io sarei qui? Se tu sei al settimo anno allora io… ancora nemmeno dovrei essere a Hogwarts figuriamoci al…»
«Sesto anno» dico io. Sgrana gli occhi, sorpresa. «Be’, Marlene è al sesto anno e lei era vicino a te. Inoltre siete entrambe Tassorosso e… D’accordo, ho spiato i registri della Chips».
Lei ride.
«Marlene qual era?» mi chiede poi.
«La ragazza un po’ bassa con i capelli castano chiaro» rispondo.
«E la bionda?»
«Mary, la ragazza di Sirius». Spalanca gli occhi e mi osserva come se avessi bestemmiato.
«Sirius ha una ragazza?» chiede, quasi urlando. Poi sbuffa. «Dovevo immaginarlo: quell’aria da donnaiolo era solo una facciata».
«In effetti, Sirius non è mai stato un vero e proprio "donnaiolo", ma non si è mai interessato ad avere una relazione stabile con una ragazza. Poi a metà del sesto si è messo con Mary, non chiedermi come – è una storia lunga –, e lei è riuscita a fargli mettere la testa a posto… più o meno».
«Wow. Qualcuno che rende Sirius una persona normale. Non credevo fosse possibile» commenta, e ridiamo entrambi. «Ci sono altre persone di cui devo sapere l’esistenza?»
Ci penso un attimo.
«Be’, Lily, James e Sirius sono facili da riconoscere» lei annuisce. «Poi c’è Emmeline Vance, Grifondoro del mio anno, alta e con i capelli marroni. Ah, già, e anche Frank e Alice… sai, i genitori di Neville. E c’è anche Peter».
«So cosa stai pensando, ma è meglio non farlo» m’interrompe Dora, abbassando un po’ la voce. «Se questo è un viaggio nel tempo, allora ogni cosa che faremo avrà delle conseguenze. Se fai fuori Minus, Tu-Sai-Chi non verrà sconfitto da Harry e chissà cosa potrebbe provocare».
Io borbotto qualcosa che dovrebbe suonare come: «Tranquilla, non lo farò». Forse.
Dopo qualche secondo di silenzio, Dora aggiunge: «Secondo me dovremmo parlarne con Silente».
Io sbuffo.
«Non so quanto sia affidabile» replico, incrociando le braccia e guardando dritto davanti a me. La sento sospirare.
«So che ti ha deluso, Remus, ma…»
«Niente “ma”, Dora» dico io, stanco. «Non credo ci starebbe a sentire. Oppure lo farebbe e ci prenderebbe per pazzi. Neanch’io sono sicuro di essere sano di mente».
Dora ci pensa su, poi annuisce.
«Facciamo così: per una settimana cerchiamo di capirci qualcosa ma se non troviamo niente, ne parliamo col Preside».
Io annuisco, accettando il compromesso e poggiando delicatamente le labbra sulle sue.



*****

Remus si sedette vicino a James.
«Come stai?» chiese Lily, preoccupata.
«Ho come un déjà-vu» ridacchiò James, sottovoce. Lily lo fulminò con lo sguardo.
«Sto bene, davvero» rispose Remus, cercando di essere convincente, riuscendo solo a far capire a tutti gli altri che c’era qualcosa che non andava. James sorrise più apertamente.
«Qualche novità con Tonks?» chiese il ragazzo, con il suo tipico sorriso Malandrino e passandosi una mano fra i capelli corvini e già spettinati.
Remus arrossì di colpo.
«Che intendi con novità?» chiese, servendosi un po’ di cibo.
«Vi siete decisi a mettervi insieme?» chiese Sirius, con tono scocciato. «Sarebbe ora: è da secoli che ve lo diciamo, ma voi nooooo!»
Mary diede una gomitata nelle costole a Sirius.
«Che c’è? È vero!» protestò il ragazzo.
«Quindi?» s’intromise Lily. «Dai, sputa il rospo!»
Tutti la guardarono. Lily s’irritò.
«Be’? Non posso essere curiosa?» chiese, incrociando le braccia. Quasi tutti ridacchiarono, sapendo che lei non era solo “curiosa”. Praticamente ogni studente sapeva dei tentativi messi in atto dalla rossa per far mettere insieme Remus e Ninfadora, frequenti quasi quanto gli inviti di James per andare a Hogsmeade.
«Comunque non lo so» borbottò Remus, mangiucchiando il porridge.
«Non sai cosa? Se vi siete messi insieme?» chiese James, stupefatto. «Come fai a non sapere se state insieme?»
Lily gli lanciò un'occhiataccia. Di nuovo.
«Ecco… è complicato». Sbuffata collettiva.
«Certo, come no» fece Sirius, scettico.
«Merlino, continuate così e ci metterete una vita» commentò Mary, stavolta d’accordo con il ragazzo.
«No, non così tanto» replica James. «Solo vent’anni, circa».
«Non abbiamo lezione?» chiese Remus, quasi urlando per coprire le voci dei ragazzi, che ridacchiarono.
«D’accordo, ti lasciamo in pace» disse Lily, sorridendo, per poi puntargli contro un dito ammonitore. «Ma solo per stavolta».
«Si può sapere che problemi avete con la privacy di una persona?» chiese Remus, indignato.


*****

Si può dire che almeno la colazione è andata bene. Per lo meno sono riuscito a capire in che rapporti sono con Dora e che potremo facilmente dichiarare di esserci messi insieme. Cosa che sicuramente scatenerebbe immediati festeggiamenti che si riverserebbero in uno scherzo colossale o in una festa. Forse è più probabile la festa.
Intanto sono riuscito a capire che lezioni avremo, anche se sarò costretto a farmi condividere i libri con Lily – è stato difficile, ma sono riuscito a trovarmi posto accanto a lei: non avrei sopportato Peter – e questo potrebbe portare a qualche domanda.
Almeno, però, la prima parte critica è superata.
Adesso ci stiamo dirigendo verso i sotterranei, dove abbiamo Pozioni con Horace. Voglio dire: il professor Lumacorno. Dovrò riabituarmi a chiamare i professori di Hogwarts con il loro cognome. Penso che chiamare la McGranitt “Minerva” farebbe alzare più di un sopracciglio.
«Spero solo di aver avuto una A nell’ultimo compito» commentò Lily, un po’ cupa, mentre aspettavamo che Lumacorno aprisse la porta. Io la guardai stupito, per poi ridere.
«Scherzi, vero? Avrai una delle tue solite E!» esclamo. Lei mi guarda come se fossi pazzo e la mia risata si spegne. «Okay, scusa». Non so di cosa mi sto scusando, ma sempre meglio farlo. Dora me l’ha insegnato molto bene.
«Tranquillo» fa lei, con una smorfia. «Solo che il sarcasmo me lo aspettavo da Black o da Potter».
Sarcasmo?
È ufficiale: non ci capisco un tubo.
«Su, ragazzi, entrate!» ci esorta Lumacorno, aprendo la porta. Quando lo guardo, mi sembra di vedere qualcosa di diverso.
Ci metto tutto il tragitto al banco di Lily per capirlo ma poi ne sono sicuro: non è l’Horace scherzoso e bizzarro, pronto alla battuta e con uno strano senso del collezionismo. Solo a vederlo si capisce. Lo si intuisce nei movimenti più controllati, nello sguardo un po’ spento, nella massa piuttosto minore. Questo è un Horace più freddo e serio. E la cosa mi spaventa.
Entriamo e ci sediamo ai nostri posti, mentre Horace prende una scatola e comincia a dare a ogni studente una fialetta con un pezzetto di pergamena legato intorno. Ad alcuni dà solo la pergamena.
Quando arrivano le fialette a me e Lily capisco a cosa serva quella divisione: ogni studente con la sufficienza ha ricevuto la propria pozione, mentre quelle insufficienti sono state prese da Lumacorno. Strano. Non l’ha mai fatto prima.
Lily sospira di sollievo ed io mi allungo un po’ per vedere il voto che ha preso. Una A.
Spalanco gli occhi, perplesso, tornando a osservare la mia Bevanda della Pace che ha preso una O. Da quando in qua Lily Evans prende A in Pozioni? Che fine ha fatto la brillante pozionista sempre adulata dal professore?
Le cose si fanno più strane durante la lezione, tanto che fatico a stare dietro alla mia pozione e, ogni tanto, Lily deve fermarmi prima che faccia qualcosa di sbagliato.
Lei è sempre la stessa, brava e aggraziata, e ottiene sempre risultati perfetti da ogni passaggio.
È Lumacorno a essere cambiato. Quasi non la guarda più e, se lo fa, non dà alcun segno di apprezzamento, passando avanti senza commentare in alcun modo. E noto che fa così per molte altre persone, concentrandosi solo su un gruppo ristretto di ragazzi, fra cui James e Sirius.
Non ne capisco il perché. Poi connetto.
James. Sirius. Laggiù i fratelli Selwyn. Nott. Prewett. Paciock.
Tutte persone di cui Lumacorno si prende l’impegno di commentare il lavoro.
Tutti Purosangue.
Mentre tagliuzzo la lavanda, medito sul fatto che Lumacorno non era mai stato un razzista. Certo, a volte si stupiva che proprio Lily, una Nata Babbana, fosse una delle migliori del suo corso ma non andava più avanti di così. Anche perché, altrimenti, sarebbe scappato durante la battaglia.
Eppure, fra le stranezze di questo “Nuovo Mondo” – e non parlo dell’America – è inclusa anche questa, che va ad aggiungersi alla lista.
Almeno la McGranitt è rimasta uguale, come dimostra nell’ora seguente.
Anche se severa, tuttavia, sembra la professoressa più amata dagli studenti, il che mi fa pensare che Lumacorno non sia il solo razzista.
In ogni caso, gli sbuffi che si sentono quando la professoressa ci trattiene ancora un po’ dopo il suono della campana di fine ora arrivano, probabilmente, fino a Silente. Alla fine, un po’ per punizione, un po’ semplicemente per assegnare i compiti, dobbiamo pranzare in un quarto d’ora scarso, per poi catapultarci nella prossima lezione. Peccato che mi ero scordato degli insegnanti del settimo anno.
La professoressa Sarah Mason ci dà le spalle quando arriviamo nell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure e non si gira fino a quando non siamo tutti seduti e zitti.
«Sono stata lieta di aver potuto constatare che avete un’ampia conoscenza di questa materia» dice, girandosi. È una donna sulla trentina, con capelli neri e corti, sempre avvolta in un mantello nero che sembra più un normale cappotto Babbano. Gli occhi marroni hanno sempre una strana scintilla dentro, come se stesse perennemente immaginando il modo migliore per farti fuori. Ed è vero. La Mason fa un sospiro, prima di aggiungere, seppur con evidente malavoglia: «Anche i… meno dotati per natura».
Con queste parole scoccò un’occhiata particolarmente velenosa a Lily ed Emmeline, quest’ultima seduta davanti a noi. Se sono come me le ricordo, allora dovrebbero essere brave duellanti ed esperte nella Difesa, cosa non facilmente sopportabile da una razzista purosangue di trecentosessantasette anni. Ah, non l’ho detto? È un vampiro.
Credo di essere l’unico che lo sa, dato che l’avevo scoperto io nel… Vecchio Mondo. Forse anche quello contribuì al suo licenziamento.
Ora che ci penso, dovrei dirlo a Silente. Già, e come?
“Sai, dovresti licenziare questa tizia perché è un vampiro sanguinario. Ah, già, poi proverà a farti fuori, ma non preoccuparti, la ucciderai prima tu”.
Ho l’impressione che sbatterebbe me fuori dalla scuola.
All’improvviso mi viene nella mente un ricordo e mi preparo al colpo che sto per ricevere. Se non ricordo male, fu proprio oggi che…
«Tuttavia, noto che, nel terzo e nel quarto anno non avete studiato nulla di più pericoloso di un Kappa» dice la donna, sedendosi sulla cattedra con un sorrisetto che è a metà fra l’affascinante e il malvagio. «Mi dispiace dunque informarvi che nel mondo esistono creature ben più terrificanti di un demone acquatico che se s’inchina perde ogni potere. Ho intenzione, quindi, di iniziare l’anno con un essere di cui sicuramente avete molto sentito parlare: il Lupo Mannaro. O licantropo, come volete voi».
Mi ricordavo bene.
Lily mi lancia un’occhiata preoccupata ma io, di nascosto, le faccio un sorrisetto, che sembra più confonderla che rassicurarla.
E la lezione inizia.
Ovviamente, il parere di un vampiro non può essere neutrale nei confronti di un licantropo. Io stesso, probabilmente, durante la luna piena non vedrei l’ora di staccarle la testa. Per lei, invece, deve essere una specie di luna piena continua. Messa così, la Mason mi fa quasi pena. Quasi, però.
Ricevo bigliettini a dismisura dai Malandrini, che mi chiedono di non starla a sentire, che è tutto falso, che è una stronza – questo è vero – e che ci vendicheremo, ignorando completamente le mie risposte in cui dico di stare bene.
La verità? Buffo, ma è quella la verità.
Forse è perché conosco la sua vera natura, oppure perché ho ricevuto tanti di quegli insulti che mi basteranno per tutta la vita. Qualunque sia il motivo, quello che dice non mi fa né caldo né freddo. Anzi, sono quasi interessato nel sentire il mio essere visto da un vampiro. È un po’ come per i Nati Babbani che frequentano Babbanologia – si veda sotto la voce: Hermione Granger.
Tuttavia, fa infuriare abbastanza i Malandrini e James, in seguito a un paio di commenti sarcastici sulla spiegazione della professoressa, si ottiene una punizione per quel fine-settimana. E la cosa m’innervosisce abbastanza.
Non credo sia molto sicuro che James passi un’ora con una pazza omicida, vampiro o meno.
Dirò a Dora di accelerare la faccenda: fino a venerdì pomeriggio, non di più, oppure quella notte stessa saremmo andati da Silente.
Per fortuna è l’ultima lezione della giornata e la Mason ci congeda con “soli” cinquanta centimetri di pergamena su come avviene la trasformazione in lupo. Non appena le ragazze ci salutano – Lily ed Emmeline devono andare in biblioteca, Mary viene costretta a seguirle, Alice è andata a fare un giro nel parco con Frank – prendo James da parte, per parlargli.
«Senti, non m’importa quante punizioni prendi o quanti scherzi fai, quest’anno vi permetto tutto, ma evita, per favore, di prendere un’altra punizione dalla Mason» gli dico, quasi tutto d’un fiato. Mi guarda allibito, mentre Sirius e Peter sembrano piuttosto preoccupati. «Siamo intesi?»
«D’accordo» fa lui, deglutendo. «Ma… perché?».
Io mi mordo il labbro, pensieroso. Decido per dirgli una mezza verità.
«Te lo dirò, ma non adesso. Credo nasconda qualcosa, ma non ho ancora abbastanza prove e voglio esserne sicuro» rispondo. Anche a me sembra quasi una frase imparata a memoria. A quanto pare, con la mia “reincarnazione” è tornata anche la mia difficoltà a mentire. Credo che James se ne sia accorto, ma non dice nulla.
«Scusa se te l’ho chiesto così, ma volevo essere sicuro che mi ascoltassi» aggiungo, mentre il ragazzo continua a osservarmi da dietro gli occhiali. «Quando ti ci metti, ignoreresti persino Lily».
Il riferimento alla ragazza sembra rallegrarlo un po’ e riprendiamo a camminare quasi tranquillamente, anche se ho l’impressione di aver rovinato tutto.
«Ma… questo vuol dire che devo rinunciare anche allo scherzo-vendetta?» chiede, sfoderando la sua arma più letale: gli occhi da cerbiatto.
«Non attacca, Bambi. Rinuncerai anche allo scherzo-vendetta» replico io, sorridendo sadicamente.
Lui sporge in fuori il labbro.
«Ma… Ma… Non è giusto! Lei è cattiva!» esclama. Io e gli altri ridiamo. Sembra veramente un bambino. Se non sapessi com’è James Potter in realtà, potrei quasi credere che sia veramente così infantile.
«Su questo non posso darti torto» commento. «È come la versione femminile di Voldemort, solo con i capelli e un naso».
Loro mi guardano, confusi.
«E chi sarebbe Valdemart?» chiede Peter.
“Il tuo padrone, razza di stupido sorcio senz’anima. Carino. In breve: SSS”.
«Nessuno, solo il personaggio di… un romanzo babbano» replico in fretta.
“Sì, la saga di Harry Potter”, penso, ridacchiando in silenzio.
Gli altri, che non hanno idea di come possa essere un romanzo babbano - popolo sconosciuto, per loro -, decidono di darmela per buona e si ricomincia a chiacchierare allegramente sul prossimo scherzo. Un sprazzo di quasi-normalità in un mondo che ne ha ben poca.

«Io esco un attimo» dico, alzandomi dal mio letto con ancora il foglietto di pergamena in mano. Indosso velocemente una maglietta sotto lo sguardo stupito di tutti.
«Remus, sei un Prefetto! Non puoi uscire a quest’ora» mi rimprovera scherzosamente Sirius. Io ridacchio a mia volta.
«Dove vai? Sei diventato serio dopo che hai letto quel biglietto» fa James, ancora nell’atto di scagliare un cuscino contro Sirius.
«Secondo me è un incontro romantico» afferma Frank, scrutandomi con attenzione. Perché sto arrossendo?
«Quindi è così?» chiede James, contento. Io sospiro.
«Potrebbe darsi che io stia andando a incontrare Dora nella Guferia» commento.
«Allora divertitevi, ma con prudenza: sono troppo giovane per essere zio!» esclama Sirius. James, Frank e Peter scoppiano a ridere, mentre io cerco di non farmi vedere mentre ridacchio a mia volta. Probabilmente non lo dirò mai, ma il pulcioso mi è mancato.
«Io vado. Ci si vede dopo» esclamo, uscendo di corsa dalla stanza e dirigendomi velocemente verso il Settimo Piano. Spero solo che si siano diretti veramente alla Guferia.
«Ehi!» sento la sua voce che mi chiama e mi giro. La porta della Stanza delle Necessità è socchiusa e, dal piccolo spiraglio, si vede il suo occhio viola. Entro velocemente e ci richiudiamo la porta alle spalle. La Stanza è una replica perfetta della nostra piccola casa nel Surrey.
La bacio con passione, circondandole la vita con le braccia, mentre lei mi accarezza i capelli. Dopo qualche secondo ci separiamo, costretti dalla necessità di respirare.
Non sono riuscito a trattenermi. Anche se è stata solo una giornata, morivo dalla voglia di rivederla.
«Non si saluta neanche?» chiede, scherzosa.
«Ciao» faccio io, per poi riprendere a baciarla. Camminiamo lentamente fino al salotto, per poi sederci sul divano rosso che avevo Trasfigurato per renderlo identico a quello nella Sala Comune.
Vorrei che potessimo rimanere così per sempre, solo noi due e la nostra casa, ma, dato che non sono sicuro che la Stanza possa manipolare anche il tempo, ci costringiamo a smettere.
«Novità?» chiede Dora, un po’ titubante.
«Oh, sì!» esclamo io. «Ci sono cose abbastanza… come dire? Sconvolgenti».
Lei sbuffa.
«Io ne ho una shoccante» dice, sicura. «Ma ti prego, comincia tu».
È un po’ strana, ma ubbidisco.
«Ho scoperto che qui il razzismo è molto più diffuso che da dove veniamo, che la mia professoressa-vampiro è ancora qui e che sabato passerà un po’ di tempo con uno dei miei migliori amici e… Voldemort non esiste o, almeno, ancora non si è fatto vedere».
Avevo fatto anche altre allusioni sul Signore Oscuro durante la giornata, nelle vicinanze di studenti e professori, cercando di capire se qualcuno ne avesse mai sentito parlare, ma nessuno sapeva di chi stessi parlando.
«Tutto qui?» chiede. Io m’innervosisco un po’. Non è facile recepire informazioni e, allo stesso tempo, provare a far finta che nulla di tutto ciò ti sconvolga.
«Allora parla tu, scommetto che…»
«Ho una sorella. Si chiama Evelyn Tonks, è al quinto anno ed è una Corvonero».
Mi ha fregato. Penso ci vorrà un po’ per rimettere a posto la mia mascella slogata.



Sala Comune di Tassoverde

Ed eccoci giunti alla conclusione del secondo capitolo.
Non credo ci sia molto da spiegare. Non ci sono stati veramente eventi di rilievo, anche perché questo è solo un capitolo di passaggio, le cose importanti arriveranno fra un po'.
Cosa ne pensate della Mason? E' l'ultimo personaggio che ho creato. All'inizio non ero sicuro sul fatto del "vampiro" ma alla fine ho deciso di rendere questi esseri un po' più normali di quanto siamo abituati a vedere con Twilight, The Vampire Diaries e anche con il più classico Dracula.
Ho deciso, inoltre, di non dare un appuntamento settimanale stabile (ogni venerdì o cose simili) ma di dare una data approssimativa ogni volta che pubblicherò un capitolo. In questo caso, credo che dovrò pubblicare domenica 11, anche se cercherò di concludere il capitolo entro venerdì.
Penso di non aver altro da dire. Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete (e/o recensite, che fa sempre piacere).
Con affetto,
Hufflerin.

P.S.: Sono riuscito ad associare a ogni personaggio un attore. Ovviamente non dovete obbligatoriamente prenderli come modello se non volete!
N.B.: Le immagini sono state trovate casualmente su Google, non detengo i diritti di nessuna etc.

James Potter è Andrew Garfield;
Lily Evans è Rachel Hurd-Wood;
Sirius Black è Ben Barnes;
Remus Lupin è Chad Michael Murray (se trovate qualcuno di più adatto, ditemelo);
Peter Minus è il solito;
Ninfadora Tonks è Jennifer Lawrence (magari non è perfetta, ma credo sia fra le più adatte);
Mary MacDonald è Kristen Bell;
Emmeline Vance è Nina Dobrev;
Marlene McKinnon è Troian Bellisario;
Alice Prewett è Ashley Greene;
Frank Paciock è Russell Tovey;
La professoressa Sarah Mason è Lana Parrilla;
E, in anteprima, Evelyn Tonks è Willa Holland.



Prossimo aggiornamento domenica 11/08/'13, con il terzo capitolo: "Meets"




AVVISO: dal prossimo capitolo, la fan fiction cambierà il proprio nome in "The Storytellers"

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Capitolo 4
*** Chapter III - Meets ***


3. Meets

Venerdì pomeriggio

Evelyn Tonks, detta Eve, era una ragazza tranquilla. Amava leggere ed era molto intelligente, tendeva a starsene da sola ma non le dispiaceva passare del tempo con le amiche. Adorava sua sorella e grazie anche al suo aiuto era oggi conosciuta unicamente con il nome "Evelyn" che, proprio a voler essere pignoli, non era il suo vero nome di battesimo. Quale fosse in realtà è affare unicamente della scuola e del Ministero e, se anche uno solo di voi lo venisse a sapere, molto probabilmente verrei trucidato da questa splendida e dolcissima Corvonero con pratiche che prenderanno nome solo in seguito al ritrovamento del mio cadavere.
Inoltre, quasi tutti coloro che la conoscevano sapevano della sua natura curiosa. Quindi c’era da aspettarsi che, vedendo Lily Evans che trascinava James Potter in un corridoio piuttosto isolato, li avrebbe seguiti, temendo che la rossa avesse deciso di compiere la vendetta che desiderava tanto. E così fece, fino a un'aula vuota.
«Ehm… Lily cara…»
«Evans, Potter» lo corresse lei, con una specie di piccolo ringhio.
«D’accordo, Evans, potresti gentilmente dirmi perché mi hai trascinato qui? Nulla in contrario a stare cinque minuti da solo con te, sia chiaro, ma non mi dispiacerebbe qualche spiegazione».
«Ehi, tutto a posto?» chiese Eve, comparendo dallo stipite insieme alla sua massa di capelli castani e riccioluti. «Perché, scusami Lily, ma mi sentirei in dovere di fermarti, in caso tu stia cercando di far fuori James».
«Tranquilla, Eve, non sta cercando di uccidermi» replicò James, sorridendo. Poi divenne serio e guardò la Rossa, che aveva un’aria abbastanza scocciata. «Non vuoi uccidermi, vero?»
«Fortunatamente per te, non oggi» rispose la ragazza, per poi rivolgersi alla Corvonero. «Potresti entrare anche tu, per favore? Mi hai risparmiato la fatica di venirti a cercare».
Eve chiuse la porta dietro di sé, mentre Lily si sedeva su un banco con due gambe invisibili.
«Volevo parlarvi di Remus e Dora» disse, cominciando quello che sembrava un discorso imparato a memoria. «Non so se è capitato anche a voi, ma io ho notato dei comportamenti un po’… strani».
A quelle parole, a James ed Evelyn brillarono gli occhi.
«Sì, anch'io» rispose James, mentre Evelyn annuiva.
«Dora è sempre più strana» cominciò Eve. «A volte chiacchieriamo un po’ ma quando parlo di cose successe un po’ di tempo fa lei… sembra si sia scordata di tutto. A volte credo si sia dimenticata anche di me».
«Remus, invece, sembra cambiato» aggiunse James, incrociando le braccia. «Sta molto più in silenzio e a volte ci guarda in modo un po’… strano. Anche come reagisce con la Mason. Il Remus che conosco si sarebbe arrabbiato, ma sarebbe rimasto in silenzio, mentre lui…»
«È tranquillo» concluse Lily, annuendo. Era lo stesso che aveva notato lei. «Ci ho fatto caso anch’io, soprattutto con Remus ma un paio di volte ho visto anche Dora. Avete idea del perché si comportino così?»
Gli altri due scossero la testa.
«So solo che è cominciata quando hanno avuto la crisi, il sette» commentò James. Lily annuì di nuovo. Aveva capito anche questo. Alla fine parlare con loro non aveva rivelato nulla che già non sapesse. Eve era immersa nei suoi pensieri e si mordeva un labbro, mentre James si passava una mano tra i capelli senza accorgersene, in una specie di tic nervoso.
Lily sospirò.
«Be’, grazie comunque» disse, guardandoli entrambi e cercando di fare un sorrisetto d’incoraggiamento. «Se scoprite qualsiasi altra cosa…»
«Sarai la prima a saperlo». Eve sorrise, gentile, per poi uscire dall’aula, sentendosi congedata. James sembrava intenzionato a seguirla ma Lily, inaspettatamente, lo bloccò.
«Potter, mi stavo dimenticando una cosa» disse. James si bloccò, sorpreso. «La Mason non riusciva a trovarti e quindi lo ha detto a me: ha anticipato la punizione. Oggi, alle sei».
Ovvero, da lì a meno di un’ora.
James si rabbuiò sporse il labbro inferiore in una smorfia infantile. Poi sembrò ricordarsi qualcosa.
«Adesso che mi ci fai pensare, Remus sembrava parecchio agitato quando sono finito in punizione» esclamò il ragazzo. «Ha detto addirittura che avrei potuto fare qualsiasi scherzo, ma l’importante è che non mi mettevo nei casini con quella».
Lily rifletté un attimo.
«Allora è meglio che ci vediamo, subito dopo la punizione, al settimo piano». James la guardò, fra il confuso e l’estasiato. «Non farti strane idee: nonostante tutto, conosciamo Remus, non direbbe cose del genere a vanvera. Voglio solo sapere cosa ti farà, eventualmente».
James annuì, ma aveva ancora un sorrisetto impertinente sulle labbra. Tuttavia non disse nulla.
«Be’, a stasera» disse Lily, scendendo dal banco e uscendo dall’aula. Rifletté sulla conversazione appena avuta ed ebbe una sorta d’illuminazione: aveva appena avuto la sua prima conversazione civile con James Potter. E non gli aveva nemmeno urlato contro. Chissà, forse era vero, Potter era cambiato. Era diventato più maturo.
«EHI, EVANS, DIMENTICAVO: VUOI VENIRE A HOGSMEADE CON ME?»
O forse no.


*****

Non sono ancora del tutto convinto di ciò che stiamo facendo, ma credo sia la nostra unica possibilità di trovare qualcosa di vagamente sensato in tutta questa faccenda.
Dora continua a insistere con una teoria sulla reincarnazione, ignorando che, quando - e se - ci si reincarna, si rinasce da neonati, non come adolescenti. E, inoltre, non spiega l’“errore” della sua presenza.
Io, invece, malgrado ciò che pensavo all’inizio, sto cominciando a credere in un’illusione creata dai Mangiamorte.
Ho l’impressione che nessuno dei due abbia ragione. Speriamo solo che Silente ci dia qualche informazione.
Dopo qualche minuto perso a cercare la parola d’ordine («Non riesco a credere che Silente usi “piume di zucchero” come parola d’ordine». «Harry mi ha raccontato che, al suo secondo anno, era “sorbetto al limone”». «Ah») saliamo la scala a chiocciola e, lanciando uno sguardo nervoso a Dora, busso.
La voce del preside ci raggiunge all’istante.
«Avanti».
Apro la porta, per trovare un Albus Silente molto più giovane di quanto mi ricordassi. Quando ci vede, un sorrisetto spontaneo cresce sotto la folta barba bianca.
«Ah, Remus e Ninfadora» esclama. Poi, con un gesto della bacchetta, evoca un paio di poltroncine rosse. «Prego, sedetevi».
Ubbidiamo, un po’ nervosi.
«Devo dire che vi aspettavo prima» dice Silente. Colgo qualcosa nei suoi occhi. Senso di colpa? «Anche se, devo ammettere, avete avuto le vostre ragioni. Non vi ho mai raccontato tutto e voi, ovviamente, vi siete offesi. E avete ragione».
Dora ed io ci lanciamo uno sguardo confuso. Ma di che diamine…?
«Ora, immagino abbiate qualche domanda» continua. Poi prende un sacchetto e ce lo porge. «Calderotti?»
La testa mi sta per scoppiare.
Dora prende un dolcetto ed io sarei quasi tentato di rifiutare. Ma quello è cioccolato!
«Ehm, professore, noi non… Non so come spiegarglielo. Diciamo che… noi non siamo di qui» tento io. È difficile spiegare qualcosa che non si capisce. Lui mi lancia uno sguardo indagatore e sorride.
«Remus, pensavo di avervelo fatto capire: lo so» dice. All’inizio rimango esterrefatto. Poi m’indigno un po’.
Merlino, Morgana e Godric, poteva anche dirlo prima che cominciassi a parlare a vanvera come un demente!
Silente ridacchia. Dannata Legilimanzia.
«Allora… dove siamo?» chiede Dora, più svelta di me. Silente si passa una mano nella lunga barba.
«Questo posso solo supporlo» dice. «Sono qui da circa un anno…»
«Aspetti» lo blocco. «Vuole dirmi che da quando Piton l’ha…»
«Sì, sono qui da quando Severus mi ha ucciso» risponde, tranquillo. «In ogni caso, tornerei alla domanda della signorina Tonks: credo che una qualche, sconosciuta forza, ci abbia condotti in un universo parallelo in cui determinati eventi sono accaduti in modo diverso da come li conosciamo noi». Agita la bacchetta e una piccola pila di fogli di pergamena plana da uno scaffale, per poggiarsi sulla scrivania, davanti al professore. «Qui ho catalogato ogni evento che non coincide con il nostro mondo. Le Stranezze, se vogliamo definirle così».
Dora prende il primo foglio e comincia a leggere. Seguo il suo esempio.
In effetti, all’universo parallelo non ci avevamo pensato. Forse perché era troppo fantascientifico. Almeno il viaggio nel tempo era possibile, anche se non si può viaggiare per anni come abbiamo fatto noi.
In effetti, dopo tutto quello che è successo, l’ipotesi di Silente non mi turba. Anzi, è probabilmente una delle migliori notizie della settimana – oltre al fatto di non essere morti. Se si conosce il problema, è più facile affrontarlo*.
«Qui dice che… mia madre è rimasta incinta di me molto tempo prima del previsto» legge Dora. Poi mi guarda, con gli occhi spalancati. «Ecco perché mia madre ha avuto un’altra figlia. Fra questo e l’assenza della guerra ha avuto… più tempo, diciamo. Ed ecco perché io sono più… vecchia».
«Questo, però, vorrebbe dire che tua madre è rimasta incinta a… Be’, era piuttosto piccola» constato io. Silente fa segno a Dora di continuare a leggere.
«Ah. Era spiegato nella riga sotto. Anche mia madre è nata prima. In quest'universo, è lei la primogenita». Annuisco. E un mistero è risolto.
«Tom Riddle esiste, lavora a Magie Sinister e non è mai diventato Voldemort» leggo. Almeno qualcosa è andato per il verso giusto.
«Lo sto comunque tenendo sotto controllo» afferma Silente. «Non si può mai sapere cosa potrebbe fare una persona che non è in grado di amare».
Annuisco di nuovo.
«Ma perché questo razzismo» chiede Dora. «Certi professori disprezzano apertamente i Nati Babbani!»
Silente sospira tristemente.
«Sembrerebbe che la presenza di Lord Voldemort abbia avuto almeno un piccolo vantaggio per i Nati Babbani: da quando si era mostrato per quel che era, un mostro sadico e assassino, molto Purosangue hanno cambiato idea, capendo che i loro ideali erano sbagliati. Invece, qui, non avendo dimostrazioni eclatanti di questo genere, i Purosangue sono rimasti della loro idea» spiega. «A quanto pare, l’essere umano ha bisogno di situazioni drammatiche per mettere la testa a posto».
«Non tutto il male viene per nuocere» borbotta Dora. Silente annuisce, grave.
Ripongo il foglio sulla pila e cerco di riorganizzare le idee.
«Perché siamo qui» chiedo, infine. «Cos’è che ha spinto questa… forza a portarci in un altro universo».
«Anche su questo ho solo delle supposizioni, una più bizzarra dell’altra» risponde Silente. «Posso solo credere che qualcosa abbia spinto la forza a portarci qui in seguito alla nostra dipartita. O meglio, immagino che anche voi due siate stati…»
«Sì». Dora fa una smorfia.
«Mi dispiace» fa il professore, lanciandoci uno sguardo triste.
«Non importa» dico. Nonostante tutto, provo ancora un po’ di risentimento verso il professore. Silente sembra capirlo.
«Remus, capisco quello che provi, ed è giusto» dice. «Per questo, voglio dirvi tutto ciò che ho scoperto su Tom Riddle e quello che ho deciso di fare, in modo che scompaia per sempre. Mettetevi comodi, è una storia piuttosto lunga».


*****

«Avanti» disse la Mason, quasi nello stesso istante in cui lo diceva Silente, da tutt’altra parte nel castello.
James aprì la porta ed entrò. Si aspettava un ufficio buio e tetro, in pieno stile con la propria insegnante. Invece, rimase sorpreso.
Le pareti di pietra erano state ricoperte da listelli verticali di un legno chiaro mentre, sul pavimento, era stata poggiata un’ampia moquette verde, di una tonalità più chiara rispetto al colore usato sul soffitto; da lì pendeva un particolare lampadario, dalla struttura di legno intagliata a formare piccoli rami. James aveva l’impressione che, di notte e con la luce del lampadario accesa, gli sarebbe sembrato di trovarsi in un bosco.
La Mason lo aspettava, seduta su una poltrona color muschio davanti a una scrivania di mogano.
«Salve, signor Potter» disse la professoressa, con tono dolce. James avvertì come un segnale dentro la testa. Rosso, al neon e che sembrava urlare “PERICOLO: QUESTA TI VUOLE TAGLIARE LA TESTA”.
«Buonasera, professoressa» rispose James, cauto come non lo era mai stato di fronte a un insegnante. Qualcosa gli diceva che Remus non aveva tutti i torti a essere così apprensivo.
«Prego, si sieda». James ubbidì e si sedette su una delle due sedie di fronte alla scrivania.
«Allora, prima di tutto, vorrei offrirle qualcosa da bere» dicendo così, la Mason roteò la bacchetta, facendo apparire un paio di caraffe e due calici. «Tè? Succo di zucca?»
«Niente, grazie» disse il ragazzo, osservando le bevande con una certa preoccupazione.
«Insisto» replicò la donna, sorridendo. Il messaggio era chiaro: bevi. Ora. E non era solo quello. James si sentì come se qualcos’altro stesse rispondendo con la sua bocca.
«Succo, grazie». La Mason riempì un calice di liquido arancione e la porse al ragazzo, che lo portò immediatamente alle labbra.
Nella sua mente fece breccia la voce di un collega di suo padre, un Auror molto famoso. “Vigilanza costante”.
Cosa avrebbe detto il vecchio Alastor vedendolo accettare una bevanda da una strega – molto probabilmente – oscura?
Così avvicinò il bicchiere alla bocca, ma non aprì le labbra. Fece finta di bere un po’ e tenne il calice in mano, nascondendo alla professoressa la quantità di succo ancora presente.**
«Dunque, posso chiederti perché?» chiese la professoressa, prendendo un calice colmo di tè fumante.
«“Perché” cosa?» replicò James, confuso.
«Perché difendi i Lupi Mannari?» James scrollò le spalle.
«Perché non credo siano tanto diversi da noi» spiegò. «Sono solo persone che hanno avuto la sfortuna di… essere contagiati da una malattia».
James credette di vedere per un attimo un sorrisetto sulla bocca della professoressa.
«Beva, signor Potter. Beva». E James bevve un paio di sorsi. Non sapeva neanche lui cosa lo avesse spinto a farlo, eppure aveva ubbidito come un cagnolino ammaestrato. Cercò di mantenere un’espressione neutra ma, dentro di sé, già cercava di capire cosa la professoressa avesse potuto mettere nel liquido.
«Cosa stava dicendo sui licantropi?» chiese la donna.
James si stupì per quello che stava per dire e, fortunatamente, riuscì a tenere la bocca chiusa.
«Che sono semplicemente… persone con dei problemi» disse. La sua mente, tuttavia, era andata in direzioni ben diverse e ciò lo fece vergognare di se stesso.
«E, questo pensiero, non deriva forse dal fatto che uno dei suoi migliori amici è un Mannaro?» James quasi si strozzò. La Mason sapeva di Remus.
«Di cosa sta parlando?» chiese James, sfoderando la sua migliore faccia da poker. Peccato che perdesse sempre, a poker.
La Mason sospirò.
«James, forse non mi hai capito e devo essere un po’ più diretta». Il ragazzo deglutì. Aveva notato il passaggio al “tu” e non gli piaceva. «Bevi».
Quella volta riuscì a notarlo. Gli occhi marroni dell’insegnante erano diventati, per un istante, color cremisi.
La mano di James si mosse, portando il bicchiere alla bocca, che si aprì senza protestare, e bevve. Tuttavia, James non voleva fare quei movimenti.
Capì che era lei che lo muoveva, come fa un burattinaio. Capì che i fili erano collegati alla bocca e agli occhi della professoressa. Lo controllava solo con la voce e lo sguardo.
James si accasciò a terra, gemendo.
La bevanda bruciava nel suo stomaco come fosse acido, facendolo contorcere a terra. Stava per urlare ma si trattenne: non voleva dare alla Mason anche quella soddisfazione.
La Mason si alzò e girò intorno alla scrivania, per puntare gli occhi su James.
«Mi spiace, ma ho dovuto usare una concentrazione piuttosto alta» disse, osservandolo con attenzione. «Sei un ragazzo con grandi convinzioni. La maggior parte delle persone avrebbe ceduto già al primo sorso».
James strinse i denti e, fra uno spasmo e l’altro, riuscì a portare la mano alla bacchetta e a estrarla da sotto la veste. La Mason fece un semplice cenno con la mano, muovendo pigramente indice e medio. La bacchetta volò dalla mano di James.
«Non ribellarti, renderà tutto più doloroso». Il ragazzo continuò a dibattersi. La Mason portò il volto accanto al suo e, con un altro lampo rosso negli occhi, disse: «Dormi».
E James si addormentò.


*****

Sprofondo nella sedia, cercando di elaborare.
Sette Horcrux… Harry… La spada… Severus…
Non riesco a credere di aver sbagliato tutto. Avevo giudicato male due dei migliori maghi del mondo, uno dei quali è proprio davanti a me. Avevo cercato di estorcere il segreto a Harry, ignorando completamente a cosa mi avrebbe portato conoscerlo.
Ho fatto un casino.
Dora, se mi sentisse, probabilmente mi direbbe di smetterla di autoflagellarmi, che, per ciò di cui ero a conoscenza, ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque altro.
Odio quella frase. “Fare quello che farebbe chiunque altro”. Se fosse davvero così, allora vorrebbe dire che dovrei uccidere e mutilare, come ogni altro Lupo Mannaro. Aspetta un momento…
«Perché sono un Lupo Mannaro?» chiedo. La domanda sembra sorprendere Dora, che mi guarda inclinando leggermente la testa. Silente sospira. «Voglio dire: se qui Voldemort ancora non c’è, allora Greyback non aveva alcun motivo per mordermi».
«Sai perché sei stato morso?» chiede il preside. Annuisco.
C’era stata un’impennata di reclutamenti al Ministero. Avevano chiamato tutti coloro che avevano informazioni sulle creature Oscure, dato che Voldemort ne stava reclutando parecchie. Mio padre, Lyall, venne invitato a unirsi al Dipartimento per la Regolamentazione e il Controllo delle Creature Magiche. Lui era un esperto in Apparizioni di Spiriti Non-Umani – come Mollicci e Poltergeist.
Quando arrivò al Ministero, s'imbatté nell’arresto di Greyback, che era stato accusato dell’omicidio di due bambini babbani. Tuttavia, il bastardo aveva finto di essere un senzatetto babbano, continuando a sorprendersi per ogni elemento magico e chiedendo con stupore dove si trovasse.
Peccato che mio padre era abbastanza intelligente da riconoscere un Lupo Mannaro. Chiese che Greyback venisse trattenuto per ventiquattrore – da lì a poco ci sarebbe stata la luna piena. Al Ministero, però, non lo ascoltarono. Lyall, allora, partì in una descrizione dei licantropi che, adesso, non ripeterà mai. Aveva detto solo quello che i maghi, a quel tempo, pensavano. Non ottenne ascolto dal Ministero. Ma lo ebbe da Fenrir.
Avevo quasi cinque anni. Era entrato dalla finestra e mi aveva attaccato.***
«Sì, ma senza Voldemort, mio padre non avrebbe dovuto avere nessun motivo per andare al Ministero».
«Purtroppo, già da tempo al Ministero volevano offrirgli un posto di lavoro. Certo, più basso di quello che avrebbe avuto con Voldemort presente, ma pur sempre un posto» spiega Silente, pacato. «Credo che, dopotutto, la maggior parte degli eventi coincida con quelli che conosciamo noi. I tuoi amici sono Animagus, Remus, e tuttora ti accompagnano durante le notti di luna piena».
Sospiro e chiudo gli occhi, passandomi le mani davanti al volto. Alla fine, universo parallelo o no, la mia maledizione mi seguirà per sempre.
«Tuttavia, ho una buona notizia» aggiunge. «Sono riuscito a ricreare la ricetta della Pozione Antilupo, quindi potrai usufruirne ben prima che venga creata. Certo, non allevierà il dolore ma…»
Sospiro, di nuovo, questa volta un po’ sollevato.
«Grazie, professore, davvero». Tentenno un po’, ma poi aggiungo: «E mi dispiace, di non averla considerata come avrei dovuto».
Silente sorride, gentile.
«Non dispiacerti, in parte hai ragione» replica. Vorrei chiedergli spiegazioni ma credo che, per questa volta, lo abbia fatto parlare anche troppo.
«Cosa crede che dovremo fare?» chiede Dora, un po’ ansiosa. Silente sospira.
«Be’, ci ho riflettuto molto. Data la nostra dipartita nel nostro, chiamiamolo così, Universo di Origine, credo che sia impossibile tornare indietro» spiega. Dora si mette le mani davanti al volto. Le stringo una spalla. So che sta pensando a Teddy. «Pertanto, credo che dovremo prendere questa come un’opportunità. Potremo vivere qui e fare in modo che tutto ciò che è successo da noi non avvenga qui».
«E… le persone che sono rimaste nel nostro universo?» chiede Dora, facendosi forza e riuscendo a mantenere un’espressione quasi impassibile. Più tardi, sarà meglio andare un po’ nella Stanza delle Necessità.
Silente fa un piccolo sorrisetto. Un po’ indelicato, da parte sua.
«Qualche giorno fa, ho fatto un sogno. È successo precisamente la notte del giorno in cui siete tornati. Ho incontrato Harry. Sì, il nostro Harry. Segno che il mio piano è andato come doveva. A quest’ora, Voldemort dovrebbe essere già morto» spiega. Lo guardo, sorpreso. «Sono sicuro che Harry sarà un ottimo padrino per il piccolo Ted».
Anche Dora adesso sorride un po’. Almeno c’è ancora speranza.
Silente sospira di nuovo, questa volta con un tono più grave.
«Tuttavia, anche se vi sembrerò troppo cinico, devo chiedervi di non pensare alle persone che abbiamo lasciato e concentrarvi su quello che avete ritrovato ora» dice. È quello che credo anch’io. Purtroppo, sarà molto difficile. «Voi non siete morti, non dovete guardare dall’alto persone a cui volete bene con nostalgia. Qui siete vivi, e potete dare a quelle stesse persone un mondo migliore, potete dare a Harry e Ted una famiglia».
Sorrido.
«E lei, professore, cosa farà?» chiede Dora. «Ha sempre usato il “voi”, ma lei…»
«Io? Be’, io sarò quello che sono sempre stato: il bizzarro e indecifrabile preside di Hogwarts» dice, facendo un gesto strano con le mani. Dora ed io ridacchiamo. E bello riavere la sicurezza di un tempo, quando, con Silente al comando, sembrava non potesse accadere nulla di brutto.
Gli occhi di Silente cadono su un grande orologio a pendolo. «Per Merlino, guardate che ora si è fatta! Dovete scendere a cena, altrimenti i ragazzi potrebbero… farsi qualche domanda».
Aggiunge, alle ultime parole, uno sguardo silenzioso. Io arrossisco mentre Dora scoppia a ridere.
«Arrivederci, professore» diciamo, quasi contemporaneamente. Ci alziamo ed io apro la porta.
«Ah, ragazzi, un’ultima cosa: credo che possiate confidare questo piccolo segreto alle persone che avete più care. Credo abbiate capito».
Io annuisco, sorridendo. Tanto, anche se non lo dicessimo ai Malandrini e a Lily, loro lo intuirebbero entro un mesetto, o forse anche prima.
Dora esce dalla porta ed io la seguo, lanciando un ultimo sguardo all’anziano e sorridente preside. Mentre chiudo, mi sembra di notare una lacrima solitaria che sprofonda nella barba.


*****

Erano quasi le otto quando Emmeline trovò Lily.
L’aveva cercata a lungo. Si erano date appuntamento di fronte alla biblioteca, ma la rossa non era arrivata. All’inizio, la Vance aveva aperto un libro e si era messa pazientemente a leggere, ripassando Trasfigurazione per il giorno successivo.
Tuttavia, passato un quarto d’ora, si era cominciata a far prendere dalla rabbia. Non era mai in ritardo agli appuntamenti, Emmeline, e odiava quando lo erano gli altri. Cercò di convincersi che Lily aveva i suoi buoni motivi.
Quindici minuti più tardi, prese seriamente a preoccuparsi. D’accordo, Lily avrebbe potuto avere i suoi contrattempi, ma così…
Dopo altri cinque minuti, decise di andare a cercarla. Alla fine, si trovavano in un castello e, seppur enorme, i posti erano limitati.
Cominciò a chiedere a chiunque incontrasse se l’avesse vista, ma la maggior parte della gente le diceva semplicemente “Sarà in Sala Grande, a cenare”, per poi tornare sulla propria strada.
Stava per rinunciare e tornare lei stessa in Sala Grande pensando che, forse, si era semplicemente scordata dell’appuntamento. Poi la vide.
Era in un corridoio un po’ appartato del settimo piano eppure non molto lontano dal ritratto della Signora Grassa.
Corse verso di lei. Lily era seduta a terra, in posizione fetale e con le braccia che circondavano le gambe, immobile e con il viso rigato dalle lacrime.
«Lily!» esclamò Emmeline, precipitandosi accanto a lei. La ragazza si girò con lentezza quasi estenuante. «Che è successo?»
«James… mi ha chiamata “Sanguesporco”».
Solo molto più tardi Emmeline notò che la prima volta in cui Lily disse il nome di Potter coincise con la prima volta in cui lui le spezzò il cuore.

*Questa l’ho sentita in una puntata di Scrubs. Più o meno.
**E con questo, sono due le persone salvate indirettamente da Moody. Tale padre, tale figlio. (Harry Potter e l’Ordine della Fenice, quando la Umbridge vuole interrogare Harry. Ricordate?)
***Fonte: Pottermore.



Sala Comune di Tassoverde

Ammetetelo: non vi aspettavate che publicassi oggi il capitolo! Invece ce l'ho fatta, rimanendo nel limite di una settimana! Complimenti a me! Sì, sono patetico...
Sorpresi? Un Silente che sa tutto, una vampira manipolatrice e gente che dice cose strane! Questo e altro è The Storytellers!
Devo dire che questo capitolo non mi piace molto, specialmente la prima parte con Silente. Però non sapevo come cambiarla, quindi ho deciso che dovete adeguarvi u.u
E adesso... cosa è accaduto a James? Cosa faranno gli altri? Remus e Dora, quando diranno la verità? E come ci rimarrà la sorella di Tonks? (Che me la sono filata solo per un paio di righe, povera).
Credo di aver finito gli sproloqui.
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la fan fic fra le Preferite, le Ricordate e le Seguite e chiedo a tutti di lasciare una recensioncina (se avete tempo, per favore :D).
Spero che il cambiamento di titolo non vi renda difficile ritrovare la fan fic.
Alla prossima (che, per sicurezza, è sempre domenica),
Hufflerin.



Il prossimo aggiornamento domenica 18/08/'13, con il quarto capitolo: "Ideals".

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Capitolo 5
*** Chapter IV - Ideals ***


4. Ideals

Lily ripensò a quello che era successo poco prima, mentre Emmeline, Remus e Dora discutevano su cosa fare.

Quando l’aveva visto, era stato difficile non saltargli addosso e ammazzarlo seduta stante.
Lo aveva aspettato per quasi un’ora, preoccupata per l’avvertimento di Remus, e lui si era fatto vedere solo in quel momento, con una faccia da angioletto che non faceva altro che invogliarla a prenderlo a schiaffi.
All’inizio era solo scocciata e continuava a guardare l’orologio per paura di fare tardi all’incontro con Emmeline. Poi aveva cominciato a mordicchiarsi le unghie, cercando di ricordarsi che odiava James Potter e non doveva assolutamente sentirsi così preoccupata per lui.
Quando aveva sentito dei passi, si era immediatamente voltata. Potter stava attraversando il corridoio adiacente. Ma non andava da lei, bensì verso il ritratto della Signora Grassa, a poca distanza da lì. Evidentemente aveva preso un passaggio segreto per fare prima.
«Ehi!» esclamò Lily, dirigendosi a grandi passi verso di lui. Potter si girò verso di lei; sul suo volto c’era un misto di sorpresa e di qualcosa che al momento non seppe bene identificare. Solo più tardi capì che quello era disgusto. «Si può sapere dov’eri? È da un’ora che ti aspetto!»
Potter sbuffò, per poi continuare a dirigersi verso il ritratto.
Lily s’irritò ancora di più. Gli si diresse contro a grandi passi.
«Mi spieghi perché non sei venuto?» chiese, a denti stretti, parandosi contro il ragazzo.
«Ho i miei buoni motivi» replicò Potter. Fece un’espressione così fredda che Lily quasi sussultò, riuscendo comunque a mantenere un’espressione abbastanza furiosa. «Ora, se non ti dispiace, entro in Sala Comune a posare i libri e poi vado a cenare in santa pace».
Potter la aggirò. Lily, spazientita, gli afferrò un braccio, esclamando: «No, adesso mi spieghi…»
Lui si liberò con uno strattone che la fece indietreggiare di un paio di passi.
«Non toccarmi, lurida Sanguesporco» esclamò Potter fra i denti. Lily spalancò gli occhi e Potter, approfittando dell’effetto sorpresa, si diresse, ghignando, dentro la Sala Comune.

Era rimasta così stupefatta che non era nemmeno riuscita ad arrabbiarsi. Era quasi scappata via di corsa, ma le lacrime erano sopraggiunte prima che riuscisse a rifugiarsi nell’aula vuota come sperava. Si era quindi abbandonata contro il muro, cercando di calmarsi. Emmeline era arrivata poco dopo e Remus e Dora erano comparsi dopo cinque minuti, apparentemente arrivando dal corridoio che portava all’ufficio del preside.
Era diverso da com’era stato con Severus. Con lui aveva avuto dei segni. Aveva cominciato a intuire che qualcosa era cambiato.
Con Potter no.
Che fosse contro il razzismo e la discriminazione era per lei una certezza, un’ancora che le faceva capire che, anche se insopportabile, era comunque migliore di molte altre persone in quella scuola d’idioti. Lui tentava sempre di parlarle, continuava a invitarla nei posti più improbabili – di solito a Hogsmeade, ma era arrivato anche a chiederle di incontrarsi in Guferia, nelle serre e nella Foresta Proibita – e, considerò solo in quel momento, riusciva a non farla deprimere.
Non era mai stata completamente triste per più di un paio di giorni consecutivi. Poi, immancabilmente, arrivava uno degli scherzi dei Malandrini; quel tipo di scherzi che lei apprezzava e la facevano ridere, non il genere di crudeltà che facevano a Severus e agli altri Serpeverde – che ormai, tuttavia, cominciava anche a sopportare, data la crudeltà crescente con cui la trattavano.
Si era resa conto solo in quel momento che James era uno dei pochi motivi per cui riusciva a stare a scuola senza doversi sentire inadeguata in ogni momento. E lei lo aveva sempre trattato malissimo.
Il fatto di averlo capito solo in quel momento le fece quasi ribrezzo, se ne vergognò. Conosceva così poco i sentimenti umani? Aveva proprio bisogno di certe scosse per capire?
Si chiese se fosse per quello. Era colpa sua quel repentino cambiamento? Lo aveva insultato e rifiutato tanto che lui, alla fine, aveva deciso di vendicarsi?
Poi capì che non poteva essere così. James avrebbe potuto benissimo odiare lei, e in quel caso avrebbe potuto anche accettarlo, ma dandole della “lurida Sanguesporco” aveva pienamente dimostrato tutto ciò che provava per ogni suo “simile”. Considerando che James ed Emmeline andavano d’amore e d’accordo – e che una volta erano anche stati insieme – questo non poteva dipendere solo dal comportamento scorretto della Rossa.
Ci penso su.
«Credi sia stata la Mason?» chiese a Remus, senza riuscire a trattenersi. Gli altri la guardarono, un po’ stupiti. «Potter mi ha riferito quello che gli hai detto alla fine della lezione di lunedì».
Remus ci pensò un attimo mentre Emmeline guardava a turno i due, perplessa. Dora le fece un sorrisetto che doveva risultare innocente.
«Penso di sì» disse infine il licantropo. «Anche se non sono sicuro di come abbia fatto».
«In ogni caso, credo sia meglio andare a prendere James e portarlo in un posto sicuro» commentò Dora, sbrigativa.
«Sono d’accordo. Voi?» fece Remus. Lily ed Emmeline annuirono, anche se quest’ultima pareva un po’ confusa. «Allora è meglio se io…»
«Tu ed io andiamo in Sala Comune a cercarlo» disse Lily. «Mentre Emmeline e Dora vanno in Sala Grande, in caso Potter sia ancora a cena».
La fissarono.
«Sempre che vi vada bene, ovvio» aggiunse la Rossa, anche se lo sguardo diceva ben altro. Alla fine, gli altri tre annuirono. «Bene».
Lily prese Remus per un braccio e lo trascinò via. Dora guardò Emmeline, sorpresa, che fece spallucce.
«Dovranno dirsi qualcosa» commentò Emmeline, per poi prendere la strada per la Sala Grande. Mentre Dora la seguiva, pensò che, molto probabilmente, riguardasse il loro segreto. Qualche giorno prima sarebbe stato un disastro mentre ora accelerava solo un po’ le cose.
Con nel cuore solo la preoccupazione verso James, le due ragazze si diressero verso il piano terra.


*****

Mary era, come suo solito, stesa sul letto di Sirius a sfogliare una rivista di Quidditch, controllando i prezzi e le caratteristiche delle nuove Nimbus e Tornado, mentre il suo ragazzo le accarezzava i capelli e discuteva animatamente con Potter su quando dovessero essere i primi allenamenti. Peter era in un angoletto a mangiare. Frank e Alice, molto probabilmente, erano ancora in Sala Comune a chiacchierare ma presto sarebbero saliti anche loro. Di solito accadeva sempre così, nel fine-settimana: tutti i Grifondoro del loro anno si radunavano nella piccola stanza dei maschi e passavano la sera a parlare, scherzare e affatturarsi.
Intanto, Potter continuava a proporre date e orari impossibili e Sirius combatteva strenuamente per avere allenamenti subito dopo le lezioni e a metà settimana, così da distrarsi («Ma chi è che si allena di domenica? E alle sette del mattino, per giunta!» «Noi, se vogliamo vincere la Coppa»). La ragazza, ogni tanto, interveniva pigramente, con considerazioni che cercavano di aiutare Sirius. Dopotutto, anche lei non aveva voglia di svegliarsi alle sei.
Alla fine, stanca e spossata dalla settimana che si stava concludendo, chiuse la rivista e si voltò verso Potter mentre il discorso veniva spostato ad altri argomenti.
«… Non ho visto Lunastorta a cena» stava commentando Sirius. «Però mancava anche Dora, quindi probabilmente saranno insieme in qualche angolo della scuola a fare Merlino-sa-cosa».
«In realtà, anche tu lo sai, e molto bene» disse Mary, con uno sguardo malizioso verso il suo ragazzo che, dopo un primo sbalordimento, le diede un leggero bacio sulla bocca.
«Be’, anche tu ne hai una certa conoscenza» commentò Sirius. Entrambi risero.
«Vi dispiacerebbe piantarla, piccioncini? Date il voltastomaco!» commentò Potter, ottenendo l’appoggio di Peter.
«Già, come se tu, con Lily, non faresti anche di peggio» replicò Mary, facendo ridere Sirius. «A proposito, qualcuno l’ha vista prima di venire a cena?»
Peter scosse la testa, in segno di diniego. Sirius fece una smorfia e seguì l’esempio di Peter.
«No» disse semplicemente Potter. «Avrà avuto da fare».
Sirius lo guardò, stranito, mentre Mary aggrottava la fronte.
«Come “avrà avuto da fare”? Chi sei tu e che ne hai fatto del James che vuole sapere ogni singolo spostamento della Evans?» chiese Sirius. Potter si limitò a ridere, scrollando le spalle. Sirius assottigliò lo sguardo. «Aspetta un po’… non è che per caso tu e la Evans state già insieme?»
James rise ancora di più, come se trovasse l’idea assurda.
Sirius era ancora poco convinto, ma forse decise che il suo migliore amico era diventato pazzo, quindi si astenne dal replicare, decidendo piuttosto di stendersi sul letto accanto a Mary che, dal canto suo, osservava ancora Potter, di nascosto.
Questo perché l’aveva visto chiaramente. Nell’esatto momento in cui Potter rispondeva “no”, i muscoli della mascella si erano leggermente irrigiditi e aveva guardato con troppa insistenza Sirius negli occhi. Segni. Dissimulati bene, ma che portavano a capire. Mary ne era sicura: Potter aveva mentito e aveva visto Lily.
All’inizio trovò sospetto che il ragazzo non avesse raccontato a tutti il suo incontro con la Rossa, disastroso che fosse.
Poi pensò che, forse, Sirius avesse ragione e, una volta tanto, Potter fosse riuscito a conquistare Lily, solo che lei gli aveva detto di non dirlo a nessuno. Pensando a questo, Mary quasi rise. Era praticamente impossibile. Eppure Potter aveva mentito…
Qualcuno bussò alla porta e, senza aspettare risposta, aprì. Entrò proprio Lily, seguita da un corrucciato Remus.
«Ehi, ragazzi! Parlavamo proprio di voi!» esclamò Sirius, alzando una mano in saluto. I due lo ignorarono completamente, lasciandolo spiazzato. «Sono anch’io felice di vedervi» borbottò, aggrottando le sopracciglia.
«James, ti dispiacerebbe alzarti e venire con noi?» chiese Remus, con un tono stranamente autoritario. Mary lo guardò, esaminando la sua espressione. C’era qualcosa che non andava.
«In realtà sì, mi seccherebbe un po’» replicò Potter, freddo e con un sorriso che emanava sarcasmo e cattiveria. «E poi, credo di avere meglio da fare che seguire un Mannaro e una Sanguesporco… per esempio… non lo so, anche semplicemente “dormire” sarebbe meglio».
Lily sussultò leggermente e fece un mezzo passetto indietro, ma cercò lo stesso di tornare a un’espressione quasi indifferente.
Sirius, Peter e Mary, d’altro canto, si girarono di scatto verso Potter, stupiti. Sirius aveva la bocca spalancata in modo alquanto ridicolo – Mary, in seguito, lo avrebbe preso in giro a vita – e Peter aveva addirittura lasciato da parte il cibo.
Mary, intanto, ancora sbalordita, osservava il volto di Potter nel minimo dettaglio. Lo sguardo era freddo e deciso e osservava Remus senza battere ciglio, noncurante di aver appena insultato “l’amore della sua vita” e di aver parlato ad alta voce del segreto di uno dei suoi migliori amici. Con un’alta dose di disprezzo, per giunta.
«James, alzati» ripeté Remus a denti stretti, questa volta come ordine. Potter scrollò le spalle.
«Be’, se lo dici con tanta gentilezza…» Potter si alzò e si diresse, mani in tasca ed espressione rilassata, verso il licantropo, che aveva già, per sicurezza, una mano sulla tasca della bacchetta.
Mary lo osservò attentamente mentre camminava – nel frattempo, Sirius continuava a fare domande che tutti ignoravano – e notò all’istante il braccio irrigidito e il lampo negli occhi del ragazzo.
«Attento, Remus!» L’avvertimento di Mary arrivò proprio mentre Potter estraeva la bacchetta e provava a lanciare una fattura a Remus che, preparato dall’avvertimento, evitò agilmente l’incantesimo e lanciò a sua volta un Incantesimo Elettro che, a distanza ravvicinata, funse da teaser, tramortendo Potter.
«Remus, ma che diamine…?» urlò infine Sirius, esasperato e scioccato.
«Non ora e, soprattutto, non qui» lo interruppe in fretta Remus, pratico. Lily guardava il corpo privo di sensi di Potter con occhi spalancati dalla sorpresa. «Dobbiamo portarlo in un posto sicuro».
Lily, alla fine, si riscosse e annuì. Remus prese il Mantello dell’Invisibilità e coprì Potter, per poi attuare un incantesimo di levitazione.
«Sbrighiamoci» disse Remus. Lily, Peter e Mary lo seguirono all’istante, quest’ultima trascinandosi dietro Sirius che, piagnucolante, diceva: «Qualcuno vuole spiegarmi cosa succede?»


*****

«Ehm, cara, quando parlavo di un posto in cui metterlo al sicuro non parlavo della sala interrogatori di un dipartimento di polizia».
«Oh, taci! È la prima cosa che mi è venuta in mente. Se non ti sta bene: arrangiati». Alzo le mani, in segno di resa. A volte non capisco mia moglie. Ma penso che sia così per tutti, quindi, dopo parecchio tempo, ho deciso di adeguarmi.
Io e Sirius – a cui, nel frattempo, abbiamo spiegato un po’ di cose… Lo so, dovevamo farlo dopo, ma aveva minacciato di mettersi a urlare e chiamare la McGranitt – facciamo sedere James su una sedia di plastica e chiudo le manette, fortuitamente già fissate sull’ampio tavolo bianco, intorno ai polsi del ragazzo. Insieme, poi, torniamo nell’altra stanza.
Devo dire che Dora ha fatto un ottimo lavoro con la Stanza delle Necessità. In effetti, forse è stata una buona idea, quella della sala interrogatori. Anche se devo ricordarmi di non dirglielo mai.
Osserviamo James ancora svenuto dallo specchio finto, indecisi su cosa fare.
«Vi dispiacerebbe darci qualche informazione in più?» chiede Mary all’improvviso. La guardo, sorpreso. «Mi sembra che voi due sappiate più di quanto ci avete detto. O sbaglio?»
Dora sta per replicare qualcosa ma io la anticipo.
«E quando mai hai sbagliato a giudicare una persona e il suo comportamento?» chiedo, sorridendo. Chissà, magari un po’ di sano arruffianamento mi fa guadagnare un po’ di tempo.
Mary sembra rimanere spiazzata, per poi scurirsi in volto.
«Non cercare di fregarmi» dice, secca.
«Remus, sapete qualcosa sì o no?» interviene Lily. Scambio un’occhiata con Dora e, insieme, annuiamo. «Quindi? Cosa sapete?»
«Al momento, nulla che c’entri con James o che ci possa aiutare a… curarlo» risponde Dora. In realtà, non è del tutto vero, ma non importa.
«Però qualcosa sapete» interviene Eve, decisa. La cara Evelyn è una sorpresina che si sono portate dietro Dora ed Emmeline quando sono andate in Sala Grande. Eve aveva capito che qualcosa non andava e aveva insistito finché le due non avevano ceduto, per poi dirigersi verso la Sala Comune e incontrarci a metà strada. «È per questo che vi comportate in modo strano, negli ultimi giorni?»
Oh. Allora l’avevano notato veramente.
«Sì, è per questo» risponde Dora. «Ma, dato che non è strettamente legato con quello che succede ora con James, credo sia meglio dirvelo più tardi».
Momento di silenzio.
«Per caso sei incinta?» chiede Sirius. Lo fissiamo tutti, allibiti. Poi gli sguardi tornano a noi, in una muta domanda.
«No, certo che no!» protesta Dora, quasi ridendo. «Ma come ti è venuto in mente?»
Sirius fa spallucce. «Era così per dire».
«In ogni caso: vi diremo tutto, d’accordo? Ma non ora, non con James così» dico subito. Dobbiamo concentrarci sul problema più grave. Gli altri annuiscono, Mary e Lily lo fanno di malavoglia. Emmeline si dondola sulle punte. Credo si senta un po’ un’intrusa. Probabilmente non sa che è una delle poche persone che permettono, in questo momento, a Lily di non cedere alle proprie emozioni.
«Bene». Emmeline prende la parola. «Allora… Qualcuno di voi sa che cosa possa essere?»
Osservo James mentre gli altri fanno lo stesso. Cosa potrebbe essergli accaduto? Qualcosa sembra apparire in un piccolo angolo della mia mente. Cerco di capire cosa sia.
«Di sicuro è stata la Mason».
Era sera. No. Era notte.
«E perché avrebbe dovuto farlo?»
Avevo una coperta addosso… anzi, no, un mantello.
«Non ne ho idea. Forse è solo pazza».
Ero in un sotterraneo. C’era un pavimento scuro. Un corridoio. Tante porte uguali.
«Non è solo pazza: è un vampiro di quasi trecentosettant’anni».
Due uomini che camminano. Hanno divise blu.
«E tu che ne sai?»
Parlano. Sono usciti da una delle porte. Studiano i pensieri, lì dentro. Ufficio Misteri.
«Ecco… me l’ha detto Remus. Fa parte delle cose che vi diremo più tardi».
Sono Indicibili. Si sussurrano a vicenda aggiornamenti sul loro lavoro. Di cosa parlano?
«Uffa, però così non è giusto: prima ci dite qualcosa e poi “continuerà prossimamente”. È una cattiveria!»
Ideali. Ecco di cosa parlano. Trasmettere i propri ideali in un'altra persona. Un modo per convertire al proprio lato eventuali prigionieri di un’eventuale guerra.
«Penso di sapere cosa sia successo» dico, ad alta voce.
Gli altri mi guardano. Osservandoli, capisco di essermi perso gran parte della conversazione, ma non fa nulla.
«Ovvero?» m’incalza Lily.
Rifletto un attimo.
«Meglio partire un po’ alla larga…» e comincio a spiegare. Ho notato che, lo strano comportamento di James, come si potrebbe facilmente pensare, non è riconducibile al Comando.
Il Comando è una particolare caratteristica dei vampiri che ha semplificato loro il modo in cui cibarsi: gli basta guardare negli occhi una persona, concentrarsi un pochino, e pronunciare il Comando. La persona in questione sarà costretta a obbedire al comando.
Tuttavia, il Comando non è qualcosa d’infinito e, di solito, dura poco tempo, il necessario perché un vampiro riesca a cibarsi e abbandonare il posto in cui si trova, lasciando solo un corpo esamine o, in casi eccessivi, un cadavere. Un’ora, quindi, massimo una e mezza. James è così da molto più tempo.
Inoltre, se non fosse nel fattore comportamento, era al pieno delle proprie capacità mentali, tanto da riuscire a usare il sarcasmo per insultare me e Lily. Una persona sotto Comando, invece, è tremendamente apatica e ottusa. Una marionetta, quindi, e basta.
Il fatto che fosse stato modificato qualcosa di più profondo nell’animo di James mi ha fatto tornare in mente una conversazione che avevo origliato qualche anno fa – o fra molti anni, scegliete voi – mentre facevo la guardia alla Sala delle Profezie. Ero sotto il mantello e avevo sentito ciò che si dicevano due Indicibili: parlavano di Ideali Immessi. In seguito, insieme ad altri membri dell’Ordine, riuscii a capire cosa avevano in mente quelli dell’Ufficio Misteri.
Il progetto del Ministero era semplice e, allo stesso tempo, folle e improbabile: estrarre da una persona i propri ideali, così come si faceva con i ricordi da inserire nel Pensatoio, e dargli una forma fisica, di solito come liquido, così da poterli Immettere all’interno di un individuo. Gli Ideali, però, erano stati modificati, rendendoli in grado di rimuovere la precedente coscienza di una persona e sostituirla completamente – precedenti prove di coesistenza  fra due coscienze avevano portato alla pazzia e al seguente suicidio di tre uomini e due donne.
Era partita come un’idea per poter “guarire” serial killer e psicopatici, peccato che poi il Ministero cominciò a finanziarlo come progetto militare: il loro scopo era di riuscire a sostituire la fedeltà dei soldati di fazioni nemiche, portandoli a combattere per la loro causa. Se da un lato questa possibilità costituiva una speranza, dall’altra era fonte di dubbi e terrore: cosa sarebbe accaduto in mani sbagliate? Tuttavia, l’ultima volta che avevamo controllato, erano in alto mare con le ricerche.
«Quindi potrebbe anche non essere questo, ma dato che parliamo di un essere molto più vecchio di quando sono cominciate le ricerche – nel 1987 – potrebbe anche essere riuscita a crearne un prototipo» concludo. Mi guardano tutti perplessi. Dora è pensierosa: probabilmente sta cercando di ricordare le riunioni dell’Ordine in cui ne avevamo parlato.
Eve è la prima a riscuotersi.
«Aspetta… il 1987 è fra dieci anni. E tu hai detto “sono cominciate”. Te ne rendi conto, vero?» annuisco, sorridendo. Lei spalanca gli occhi. «Ho paura a chiederlo ma… Venite dal futuro?»
Do un’occhiata a Dora, ma è ancora immersa nei suoi pensieri.
«Si può dire che più o meno è così… ma è un po’ più complicato» rispondo, sincero. Poi porto una mano a indicare James, che sta cominciando a risvegliarsi. «Prima i problemi più importanti».
Gli altri mi guardano, un po’diffidenti, ma sembrano d’accordo.
«Sempre che sia quello che dici tu, c’è un modo per liberare James da questi Ideali Emessi?» chiede Sirius, osservando con preoccupazione l’amico.
«Immessi» lo correggo. «Da quello che ho capito c’è qualcosa che ha sempre risvegliato… le “cavie”: un ricordo potente, qualcosa di veramente importante per lui ma che sia legato agli Ideali precedenti. In questo caso, per esempio, servirebbe qualcuno legato ai Nati Babbani o ai Lupi Mannari e che…»
«Frena!» m’interrompe Sirius, cercando di nascondere un prepotente sorrisetto sghembo. «Basterebbe solo un Nato Babbano?»
Rifletto un attimo.
«Sì, credo potrebbe funzionare: l’importante è che cominci a dubitare di quello in cui crede… come quando si cerca di convertire la religione di qualcuno: devi fargli credere che, forse, il suo Dio non è quello vero… o roba simile».
Dora mi fissa.
«Per caso mi hai nascosto un passato fra i Testimoni di Geova?» chiede, sbalordita. Vedo che cerca in tutti i modi di non ridere. Prima che io possa replicare, Sirius si apre nella sua fragorosa risata simile a un latrato che, dopo poco, contagia tutti, alleggerendo di molto la tensione.
Peccato che, a ricordarci dello spiacevole episodio, ci sia lo stesso James, che ha cominciato a urlare imprecazioni varie. Credo che Sirius se ne stia segnando mentalmente di quelle non-razziste, per usarle in seguito.
«In ogni caso, credo di avere la soluzione» dice il giovane Black, girandosi a guardare Lily, che inarca un sopracciglio. «Cara Evans, sei appena stata scelta per andare a risvegliare il tuo principe azzurro».
La risposta di Lily non tarda ad arrivare e, assomigliando in modo incredibile al ragazzo nell’altra stanza, comincia a pronunciare epiteti poco lusinghieri su Sirius. Mary ed Emmeline, fra una risata e l’altra, cercano di calmare l’amica.
«Sai, Felpato, penso di non avertelo mai detto» faccio io. «Ma credo che tu sia un genio».
Sirius fa un sorrisetto compiaciuto, mentre Lily si rassegna nell’avere il mio supporto.
Cosa ha fatto Peter nel frattempo? Non ne ho idea. Cerco di ignorarlo il più possibile.


*****

«Quindi cosa dovrei fare?» chiese Lily, ormai rassegnata.
«Be’, in teoria dovrebbe essere semplice» disse Remus, guardandosi attorno come alla ricerca di qualcosa. «In pratica, un po’ più complicato: vai lì dentro e ci parli, cercando di risvegliarlo».
«E perché dovrebbe funzionare?» chiese Lily, scettica. Remus la guardò come se avesse fatto una domanda idiota.
«Perché ti ama» rispose, semplicemente. Lily, che aveva già sentito parole del genere uscire dalla bocca di James o Sirius e aveva sempre pensato fossero solo idiozie per rimorchiarla, venne travolta dai ricordi e dai sensi di colpa. Era davvero così? James davvero la amava? E davvero lei era stata tanto stronza e idiota da non rendersene conto e trattarlo sempre peggio? Si sentiva come se il cuore fosse stretto in una morsa.
Remus continuava a guardarsi intorno.
«Cosa cerchi?» chiese Dora.
«Qualcosa per comunicare con Lily mentre è all’interno, ma sembra che siamo nella sala interrogatori più sfornita del mondo. E dire che basterebbe un semplice microfono…» disse Remus. «Certo che noi maghi avremmo un sacco di mezzi, ma i Babbani ci hanno battuto da tempo in fatto di comunicazioni».
«Be’, allora chiedi un microfono» replicò Dora. «La Stanza te lo fa apparire».
«Già, peccato che i surrogati Babbani della magia non funzionino, a Hogwarts».
«Però sono “surrogati”» s’intromise Eve anche se non capiva con precisione di cosa stessero parlando. «Questo vuol dire che qualunque cosa i Babbani possano creare, anche la magia può».
«Degna sorella» commentò Dora, soddisfatta. Eve cercò di nascondere un sorrisetto.
Remus annuì. Si concentrò un attimo e, sul tavolo posto di fronte allo specchio finto, comparvero due auricolari e quello che sembrava un piccolo bottoncino nero. Remus fece una smorfia soddisfatta. Prese il bottoncino e lo diede a Lily.
«Mettilo nell’orecchio» disse. Lily ubbidì, un po’ confusa, mentre Remus indossava un auricolare e porgeva l’altro a Mary sotto lo sguardo un po’ sbalordito di Dora. Remus gli fece l’occhiolino e Dora si rilassò, intuendo che c’era un motivo valido.
Era sempre stata un po’ gelosa e Remus lo sapeva. Di solito la prendeva in giro per questo ma, in un mondo in cui le persone come lui erano disprezzate, apprezzava quel genere di affetto.
Premette il pulsante sull’auricolare.
«Mi senti?» chiese a Lily nel microfono.
«Certo, è qui davanti a te» s’intromise Sirius, che non capiva nulla di aggeggi Babbani, e Remus lo fulminò con lo sguardo. Lily sorrise nervosamente e annuì.
«Cosa gli dovrei dire?» chiese la Rossa, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio.
Remus scambiò uno sguardo con Dora.
«Qualsiasi cosa» rispose la ragazza. «Le prime cose che ti vengono in mente di dirgli. Il resto verrà da sé».
Lily annuì, anche se non sembrava molto convinta. Prese un bel respiro e aprì la porta della sala interrogatori. Mentre la osservavano, dall’altra parte dello specchio, Remus sussurrò a Dora: «E tu come fai a sapere che funzionerà?»
Dora sorrise.
«Ti ricordi quel discorsetto, a luglio, l’anno scorso?» Remus annuì con un sorrisetto. Era il discorso che lo aveva convinto a mettersi con lei. «Be’, è quello che mi sono detta prima di cominciare a parlare. E ha funzionato, no?»
Remus rise piano.
«Penso che Teddy e la fede che ho portato per quasi un anno siano la risposta» commentò, dandole un leggero bacio, prima di riconcentrarsi su Lily, non senza aver lanciato un ultimo sorrisetto alla moglie. Eve, che era lì vicino, aveva ascoltato la conversazione sussurrata e osservava i due, sconvolta. Si riprese solo quando sentì la voce di Potter.
«Oh, bene, alla fine vi siete decisi a dare inizio alla tortura» disse, freddo e malevolo, non appena notò la ragazza. Lily lo ignorò e si sedette di fronte a lui. «Bene, ora cosa intendi fare? La Cruciatus va bene? Oppure siete stati più fantasiosi? Be', alla fine considero il parlare con una Sanguesporco già una bella tortura».
Mary vide la mascella di Lily irrigidirsi e non riuscì a trattenersi.
«Non lo ascoltare, Lily! Ricordati che quello non è James. Gli somiglia, ma non è lui. Ce la puoi fare. Concentrati» le disse attraverso il microfono. Lily respirò di nuovo e annuì quasi impercettibilmente. Dora cominciò a capire perché Remus avesse dato il secondo auricolare a Mary.
«Cosa sei?» chiese Lily. La domanda lasciò spiazzati perfino quelli nell’altra stanza.
«Un essere umano?» chiese a sua volta Potter, facendo spallucce. Lily sbuffò. «Be’, cara, se vuoi risposte sensate comincia col fare domande sensate».
«Cosa sei, realmente? So che non sei il vero James, anche se è ancora sepolto lì dentro» replicò Lily. Ora, più che agitata, sembrava realmente arrabbiata. Potter fece una faccia fintamente stupefatta.
«Oh, e così ora mi chiami James. Sono colpito» commentò il ragazzo, poggiandosi una mano sul petto con fare melodrammatico. «No, sul serio! Pensavo di dover aspettare il mio funerale per sentire il mio nome uscire dalle tue dolci labbra».
«Figlio di puttana» ringhiò Remus nel microfono, probabilmente non accorgendosi di aver premuto il pulsante.
«Ignoralo» disse invece Mary. «Cerca di concentrarti: cosa devi dirgli?»
«Invece no, non hai dovuto aspettare tanto» disse Lily, cercando di calmarsi. «Ti ho giudicato male, James, per tutto questo tempo io…»
«Per tutto questo tempo tu cosa?» replicò Potter. Aveva abbandonato la freddezza e il sarcasmo e ora si era lasciato andare alla furia. «Tu mi hai sempre trattato come se fossi l’essere peggiore su questa terra. Magari, per i primi cinque anni avrei anche potuto darti ragione, non ero proprio il miglior partito in quanto a comportamento. Ma dal sesto anno ho provato a cambiare. Sono cambiato per te, una lurida Sanguesporco che non merita neanche di essere considerata, e ho cercato di migliorare, di smetterla di trattare male i Serpeverde perché TU volevi così, di cercare di assillarti di meno, di diventare la persona che credevi meritassi al tuo fianco. E cosa hai fatto? Continuavi a guardarmi come se fossi un Vermicolo, un aborto di essere umano, continuando a idolatrare quel coglione di Mocciosus come se fosse l’uomo migliore del mondo». Potter rise, freddo. «Credo proprio che tu abbia leggermente invertito i ruoli: sarei dovuto essere io, il principe azzurro che conquista l’amore della bellissima principessa, mentre Piton sarebbe stato il malvagio che voleva rapirla». Rise di nuovo. «E pensare che, fino a poco tempo fa, avrei pagato per stare con te. Anzi, no, avrei creduto che “pagare” sarebbe stato un insulto, perché eri troppo per essere paragonata a qualcosa che può essere “comprato” o roba simile. Troppo bella, troppo intelligente. Troppo. E basta». Potter si chinò verso la ragazza, che nel frattempo, aveva sgranato gli occhi, ascoltando il discorso del ragazzo e sentendo che ogni offesa la trafiggeva come una coltellata al cuore. «Sai, non so cosa l’abbia provocato, questo cambiamento di idee. Forse è stata quella troia della Mason, forse Mocciosus per avere qualche chance. Ma non m’importa. Anzi, sarei quasi tentato di ringraziare il bastardo che l’ha fatto. Ora sono libero. Non me ne importa più nulla di te e non sono più costretto a starti a sentire come fa un genitore, pronto a soddisfare tutti i capricci di un poppante. Addio, Evans».
Dopo aver detto questo, Potter riprese la sua espressione indifferente e sarcastica e tornò a poggiarsi allo schienale della sedia, osservando le reazioni della ragazza, che aveva abbassato lo sguardo, nascondendo il volto dietro i capelli.
Nel frattempo, tutti nell’altra sala erano come stati colpiti da un Incantesimo della Pastoia Total-Body. Mary e Remus, al microfono, non riuscirono a spiccicare parola e gli altri osservavano Potter allibiti. Sirius, dal canto suo, che si era sempre chiesto perché James non reagisse e lasciasse perdere i tentativi di conquista mandando bellamente la ragazza a farsi benedire, si sentiva ora quasi in colpa, come se gli avesse suggerito lui in persona cosa dire.
«Che c’è, adesso piangi?» chiese Potter, malevolo, interrompendo quella cappa di silenzio. Lily alzò lo sguardo. Faticava visibilmente a trattenere le lacrime, ma aveva uno sguardo deciso.
«No, non piangerò» disse, calma. Mary strinse le labbra. Le sembrava che Lily stesse per cedere. «Non ho il diritto di piangere».
L’ultima frase sembrò toccare Potter, la cui maschera fredda si ruppe per un istante nello sbalordimento.
«È vero. Tutto quello che hai detto, è vero. Dalla prima all’ultima parola» continuò Lily, ignorando la reazione del ragazzo ma gioendo all’interno. «Sono stata egoista… stupida… stronza. Dicevo a gran voce che volevo ti togliessi dai piedi, dichiaravo di preferire chiunque a te, ti maledicevo in ogni momento possibile. Senza capire, che, ogni momento che passo a scuola, lo devo a te». Questa volta Potter non sembrò sentirla. Si stava controllando le unghie ed era concentrato su un neo sul polso destro.
«Continua, Lily, ti sta ascoltando» la voce di Mary le arrivò all’orecchio. «Non vuole darlo a vedere, ma è colpito e si sta facendo qualche domanda». Un piccolo verso di gioia. «Anche se molto poco, comincia a dubitare a quello che crede su di te. Credo si aspettasse rabbia, non una reazione così. Vai alla grande».
Lily non si chiese come Mary facesse a saperlo e non volle nemmeno farlo. Tuttavia quelle parole, le risvegliarono un po’ di speranza.
«Sei stato tu che, per tutto questo tempo, mi hai permesso di rimanere qui senza impazzire. Con i tuoi scherzi, con la tua finta idiozia – perché so che non sei un idiota, lo so da tempo – e i tuoi modi di fare. All’inizio pensavo che t’interessassi a me solo per rimorchiarmi, per portarmi a letto come facevi con quelle oche che vedevo, quando passavo le mie notti insonni, andarsene veloci dalla Sala Comune, indossando quasi nulla. Pensavo di provare rabbia perché mi dava semplicemente fastidio il tuo modo di fare. L’ho capito solo adesso. Anzi, l’ho capito quando mi hai chiamata Sanguesporco per la prima volta, quando sei cambiato, quando ho realizzato che mi sono sempre sbagliata: non volevo che smettessi di spuntare dai passaggi segreti solo per rivolgermi la parola; che provavo rabbia per quelle puttanelle (Emmeline fece una smorfia che, per tutti, indicò che quell’offesa non gliel’avrebbe fatta passare liscia) non perché non sopportassi te, ma perché ero gelosa; non volevo che smettessi di chiedermi di andare a Hogsmeade». Lily si asciugò una lacrima prima che scivolasse via. Potter, ora sembrava ascoltarla molto di più. Aveva smesso di concentrarsi su di sé e la guardava di sottecchi. «Perché non te l’ho detto prima? Be’, te l’ho già spiegato: perché sono una stronza egoista. Sai, credo che tu avresti dovuto lasciarmi perdere parecchio tempo fa, perché non sei tu quello che non merita di stare con me, ma è tutto il contrario. Tu sei sempre stato una delle persone migliori dentro questa scuola ed io, cretina come sono, non me ne sono resa conto, scambiando la tua bontà in idiozia e la tua disponibilità in arroganza. Sei sempre stato migliore di me e mi dispiace di non averti considerato come dovresti». Lily prese una delle mani bloccate di Potter, prendendola fra le sue. Il ragazzo le lanciò uno sguardo sbalordito. «Mi dispiace e credo ti toccherà sentire l’ennesima frase egoista: voglio che torni il ragazzo che sei sempre stato, voglio che ti liberi degli Ideali idioti che ti ha inculcato a forza la Mason, voglio che tu mi dia la possibilità di cambiare le cose. Magari non ci fidanzeremo seduta stante, ma di sicuro vorrò conoscerti meglio, darti la possibilità di innamorarmi di te come hai sempre voluto. So che non me lo merito e che non ho alcun diritto di chiedertelo ma lo faccio lo stesso perché io, come tutti quelli nell’altra stanza, sono disperata. Ti prego, James, ritorna».
«Io…» Il ragazzo abbassò lo sguardo, senza parole. Lily fu felice di vedere che il suo sguardo sembrava molto più puro, rispetto a quello sarcastico e freddo di prima.
«Be’, pensaci su, okay?» disse la Rossa, lasciando la mano del ragazzo e alzandosi in piedi. Non sapeva più come provare e sentiva che gli occhi le pizzicavano.
«Aspetta, Lily, cammina lentamente!» le disse Mary nel microfono. Lily rallentò il passo. «Ci siamo quasi, fra poco dovrebbe cedere. Ecco, ti sta guardando. Ora si guarda le manette… Ora di nuovo te e sta per…»
«Ehi, Evans, aspetta». La ragazza si girò, tentennando, con ancora la mano sulla maniglia. James sorrideva. Un sorriso sincero. «Vorresti venire a Hogsmeade con me?»
Lily si lasciò andare a una risata liberatoria, liberando le lacrime che lottavano per cadere, e corse ad abbracciare il ragazzo che cercò di ricambiare – cosa piuttosto difficile con le mani legate.
«Grazie» sussurrò James.
«No, grazie a te» replicò la ragazza, sottovoce, sorridendo. «Ti voglio bene… e sì, verrò a Hogsmeade con te».
Non riuscì nemmeno lontanamente a immaginare quanto fosse ridicolo il sorriso estasiato di James.


*****

Sarah Mason era seduta nel suo studio, china su un bacile d’argento posto al centro della scrivania. Era nella più completa oscurità e, se qualcuno fosse entrato, non sarebbe mai riuscito a vederla.
Il bacile era pieno fino all’orlo di un liquido rosso e denso che roteava, trasformandosi in un piccolo mulinello. Solo la Mason, in tutta la scuola, poteva veramente vedere cosa c’era in quel contenitore. Solo un vampiro anziano come lei, infatti, avrebbe potuto osservare non un vortice rosso, ma una stanza quadrata in cui una ragazza dai capelli rossi abbracciava con gioia quello che, probabilmente, era appena diventato uno dei suoi migliori amici.
La Mason fece un sorrisetto e bloccò il vortice, riponendo il bacile in un ampio armadio, che si affrettò a Disilludere. Poi uscì dall’ufficio e si diresse verso la camera da letto. Se qualcuno l’avesse vista, avrebbe potuto benissimo descriverla con un solo aggettivo: soddisfatta.



Sala Comune di Tassoverde

Buonsalve a tutti! Sono tornato con il nuovo e attesissimo (ma anche no) capitolo di The Storytellers! *fischi e applausi registrati*
Mi dispiace molto di avervi fatto aspettare così tanto! Giuro che non volevo! Ma, dato che vi ho consegnato un capitolo ben più lungo degli altri, mi perdonate. Vero? Vero? Massì, che è vero!
Allora... vi piace l'idea degli Ideali Immessi? Ammetto che mi è venuta mentre scrivevo il capitolo. Voi direte "E tutta 'sta stronzata è servita solo per far iniziare la storia Jily?" "Anche", rispondo io. Infatti, come potrete notare, la nostra carissima Mason è soddisfatta. Il che non promette sicuramente bene.
Mi dispiace per la storia della sala interrogatori, ma il mio lato amante dei polizzeschi non ha saputo resistere. Me lo perdonate, vero? :3
Il prossimo sarà un capitolo molto più tranquillo (e, quasi sicuramente, molto più breve) e quello che accadrà lo potrete facilmente intuire dal titolo che scriverò più sotto.
Alla fin fine, ho fatto pace (momentaneamente) con il mio cervello e ho deciso che darò come giorno d'aggiornamento le domeniche, ma pubblicherò sempre nell'arco di tempo venerdì-sabato-domenica. Per cui, occhi aperti ;)
Ringrazio le sei persone che hanno messo la storia fra le preferite, le due che l'hanno messa fra le ricordate e le diciannove (ragazzi, volete scherzare? Diciannove?) che l'hanno sistemata fra le seguite. Ringrazio in particolare angyp (che è stata la prima a recensire), Hoon21, Nymphy Lupin, MalandrinaFelpata e, la più recente, ArwenUndomiel! Ma, in generale, un grazie di cuore a tutti. Per Tosca, sto quasi per commuovermi :')
Un caloroso e affettuoso saluto a tutti/e,
Hufflerin

P.S.: Mi scuso per eventuali errori di ortografia: è tardi e faccio fatica a trovarli tutti. Se poteste segnalarmeli vi sarò grato in eterno.
P.P.S.: Se vi scappa un po' di tempo, recensite, ché fa sempre piacere ;)



Prossimo aggiornamento domenica 25/08/'13, con il quinto capitolo: "FAQ".

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Capitolo 6
*** Chapter V - FAQ ***


5. FAQ

Sono circa le dieci quando la porta della Stanza delle Necessità si apre per la prima volta in quella giornata.
Abbiamo rimandato le spiegazioni a oggi. Era necessario, data la stanchezza che provavamo un po’ tutti e il fatto che avessimo già oltrepassato la mezzanotte. Devo dire che non c’erano state grandi proteste e siamo andati in Sala Comune quasi barcollando dal sonno. Peccato che Dora ed io avessimo da fare.
Ci siamo svegliati prima di tutti gli altri per incontrarci qui, sistemare la Stanza e capire cosa sarebbe stato meglio dire o rimandare. Fortunatamente, riuscimmo a decidere tutto in un’oretta scarsa, prima che il sonno prendesse il sopravvento e sprofondassimo nel sonno.
Lily si guarda intorno, esaminando la stanza, mentre entrano anche le altre ragazze di Grifondoro.
Abbiamo ricreato la Stanza in modo da darle un’atmosfera abbastanza familiare, riproducendo quella creata da Neville durante il suo Settimo Anno, durante l’anno peggiore di Hogwarts.
Alice sembra la più spaesata del gruppo ma, dato che non si mette a fare domande, immagino che le altre ragazze le abbiano spiegato cosa era accaduto la notte precedente.
«Ciao» dice Lily, quasi timidamente.
«Che posto… strano» afferma Mary, che sembra un po’ più tranquilla delle altre.
«A me piace» replica Emmeline, esaminando l’arazzo di Grifondoro, per poi passare a quelli di Corvonero e Tassorosso. «Come mai avete scelto questa stanza?»
Sto per rispondere, quando sentiamo un improvviso rumore fuori dalla finestra, come di una mandria di bufali imbizzarrita, seguito da due urli femminili. La porta della Stanza si apre ed entrano, rotolando, James, Sirius e Frank, portando con loro anche Eve e Marlene. A chiudere il tutto, c’è Peter, con il fiatone.
«Potter, Black, toglietevi! Ora!» urlò Eve, quasi sommersa dai due ragazzi che, con braccia e gambe incastrate in modi improbabili, cercavano di alzarsi. Frank, intanto, dopo aver aiutato Marlene ed essere stato trucidato con lo sguardo, va a salutare Alice.
James e Sirius, ora districati, aiutano Evelyn a rialzarsi che, dopo aver mollato uno schiaffo a Sirius, si dirige verso la sorella.
«Ma perché hai colpito solo me?» chiede Sirius, tenendosi una mano sulla guancia. James ride.
«I vantaggi di essere stato posseduto, caro Felpato» risponde, aggiustandosi gli occhiali tondi. Sirius ride a sua volta ma credo sia piuttosto evidente quanto è forzata, quella risata.
«Ehm, ehm» fa Dora, in modo molto simile alla Umbridge – almeno da quanto ci hanno detto i ragazzi –, facendo voltare tutti verso di lei, che assume un sorriso angelico.
«Vogliamo cominciare?» chiede.
«Da come evitavate il discorso, ieri, credevo che preferiste non parlarne» dice Mary, prendendo posto su una delle poltroncine che abbiamo messo al centro della sala, formando un cerchio.
«Via il dente, via il dolore» replica Dora, sedendosi a sua volta. Sirius la guarda, spalancando gli occhi.
«Ma chi è il pazzo che si toglierebbe un dente?» chiede, rannicchiandosi sulla poltrona.
«Per Godric, è da idioti!» aggiunge James, sdraiandosi sui braccioli della sua.
«Al massimo “da Babbani”» replica Lily, con una smorfia. James non sembra aver capito di averla un po’ offesa.
«E perché i Babbani dovrebbero staccarsi i denti?» chiede, ingenuo e sconvolto. Lily, intuendo l’ignoranza del ragazzo, ridacchia.
«Hai presente quelle macchiette nere che vengono sui denti e che fanno malissimo?»
«So cosa sono le carie!» replica James, incrociando le braccia e guardando la Rossa. «Solo che non capisco perché bisogna togliersi il dente! Dopotutto basta solo un Inca… Oh».
Lily sorrise, trionfante, e James scivolò sulla poltrona, arrivando quasi a sedersi bene. Quasi.
Ridacchio, per poi schiarirmi la voce, riportando l’attenzione su me e Dora.
«Direi che è il momento di dare inizio alle spiegazioni» gli sguardi si fanno di colpo più attenti. Dovrò stare attento a Mary, anche se credo di poter contare sulla sua discrezione. «Ho… Abbiamo pensato parecchio a come cominciare e credo che il primo passo sia mostrarvi questa».
Mi concentro un po’ e, in aria e nel mezzo del cerchio, compare, dritta dalla mia memoria, una fotografia molto ingrandita del Primo Ordine della Fenice.
I ragazzi sussultano e cominciano a osservare l’immagine.
«Marlene… quella lì… sembri tu» commenta Evelyn, osservando l’immagine adulta della ragazza. Marlene si osserva, riconoscendo i suoi stessi tratti.
Mary indica un'altra figura.
«Sirius, quello invece sei tu». Felpato allunga il collo, cercando di vedersi meglio. Cerca di nascondere un sorrisetto compiaciuto ma capisco che è piuttosto soddisfatto della sua versione adulta.
«Lì dietro c’è Peter!» esclama James, indicando l'SSS.
«Ci siamo tutti» sussurrò Lily. Poi aggrottò le sopracciglia. «Ma Dora ed Eve…»
«Perché noi non ci siamo?» chiede la piccola Tonks. Dora si rigirò un po’ sulla poltroncina, cercando di capire come dirglielo.
«Be’, diciamo che, per come le sappiamo noi, le cose sono un po’ diverse» risponde, nervosa, e i suoi capelli prendono una delicata sfumatura viola.
«Quali cose?» chiese Evelyn, esasperata. «Ragazzi, sto cominciano a pensare che non siate chi dite di essere».
«In tal caso» replico io. «Credo sia meglio ricominciare con le presentazioni».
Sopracciglia alzate. Sopracciglia alzate ovunque.
«Mi chiamo Remus John Lupin» dico. «Ho trentott’anni, sono un Lupo Mannaro (alcuni trattengono il fiato; immagino che, come nel nostro universo, non abbia detto quasi a nessuno del mio status) e… sono morto».
Approfittando dello sbalordimento generale, Dora interviene prima che qualcuno possa fare domande.
«Mi chiamo Ninfadora Tonks, ho venticinque anni, sono una Metamorfomagus e… sono morta anch’io». Poi rivolge uno sguardo triste a Evelyn. «E sono… ero figlia unica».


*****


Quando arrivò il caos, James fu l’unico che non s’inserì nella sequela soffocante di domande che vennero rivolte ai due («M-morti?» «Ma di che diamine state parlando?» «Sei un Lupo Mannaro?» «Ora mi spieghi che cazzo vuol dire “ero figlia unica”!» «Cosa vi siete fumati?» e via discorrendo), dato che era troppo occupato a esaminare un certo dettaglio dell’immagine che Remus aveva evocato.
C’erano lui e Lily. E non erano neanche troppo lontani, considerata la mole del caro Coda che li separava. Osservò meglio le loro mani, la sua e quella di Lily, e, se la vista non gli giocava brutti scherzi, quelle che vedeva sulle loro dita erano proprio fedi. Fedi nuziali. Identiche.
Il cuore perse qualche battito ma a James non importò. Se quello rappresentava in qualche strano modo il futuro, allora si sarebbe sposato con Lily. Si voltò verso la rossa in questione e vide che stava osservando i due ragazzi come tutti gli altri.
Sposati.
Questa parola gli rimbombò nella mente.
Lui si sarebbe sposato con Lily Evans.
Qualcosa, però, una vocina nella sua mente, gli disse che non era sicuro. Certo, c’era quella foto… e quindi? Ciò non dimostrava che sarebbe veramente andata così. E se avesse cominciato a urlare “Lily ed io ci sposeremo!” molto probabilmente avrebbe mandato tutto a farsi friggere.
Decise quindi di stare in silenzio. Dopotutto, Lily gli aveva dato una possibilità e non poteva sprecarla in alcun modo.
Proprio le parole di questa lo risvegliarono dai suoi pensieri.
«Perché non ci spiegate tutto dall’inizio?» chiese, diplomatica. Un altro battito perso per James. Possibile che fosse così cotto da innamorarsi perfino del modo in cui parlava?
Remus annuì.
«D’accordo. Però siate pronti a tutto» rispose, con un sorrisetto. «Dora ed io siamo morti combattendo nel 1998, durante una battaglia a Hogwarts, e ci siamo risvegliati qui».
«Una battaglia a Hogwarts?» chiese Sirius, stupefatto. Dora annuì.
«Da dove veniamo noi, un potente mago Oscuro aveva cominciato una guerra contro i Nati Babbani» rispose.
«E da dove venite?» chiese Eve. La povera ragazza sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
«Da una specie di… universo parallelo, almeno secondo Silente».
«Silente lo sa?»
«Anche Silente è arrivato qui come noi» replicò Remus.
«Da quando?» chiese James.
«L’anno scorso. Quando è morto nel nostro mondo».
James rifletté. C’era stato un periodo in cui Silente non si era fatto vedere e secondo alcuni era molto malato.
«Silente morto» sussurrò Mary. «Sembra impossibile».
«Alt!» esclamò Sirius, alzando le mani. «Vi dispiacerebbe andare più piano, non ci sto capendo nulla!»
Remus annuì, sorridendo.
«In effetti, sarebbe meglio» disse. «Noi proveniamo da un universo parallelo in cui, proprio in questo periodo, un potente mago oscuro, Lord Voldemort, stava radunando dei seguaci per annientare i Nati Babbani, prendere il potere e ottenere un mondo in cui i maghi fossero i padroni. Sapeva il fatto suo: probabilmente Silente era l’unico che avrebbe potuto affrontarlo ad armi pari ed era arrivato al punto in cui la gente temeva addirittura di pronunciare il suo nome, riferendosi a lui come “Il Signore Oscuro” o “Voi-Sapete-Chi”. Proprio Silente, per fermarli, creò una società segreta, l’Ordine della Fenice. Quando finimmo la scuola, tutti noi entrammo a farne parte, tranne Dora ed Eve».
«E perché noi no?» chiese la ragazza. Sembrava leggermente irritata.
«Perché tu non eri nata ed io dovevo ancora cominciare ad andare a Hogwarts» rispose la sorella con semplicità.
«Ma com’è possibile?» replicò Eve. «Avete solo un anno di differenza e lo stesso io e te!»
«Già, ma nel nostro universo non è così. Io e Remus abbiamo ben tredici anni di differenza e…»
«Non me lo ricordare» mugugnò Remus, contrariato. «Mi fa sentire vecchio».
Dora scosse la testa, esasperata.
«E… Be’, in quel periodo c’era la guerra e nostra madre, nonostante fosse una Black, era sempre a rischio per aver sposato papà e quindi…»
«Quindi?»
«Lo so, è molto brutto detto così, ma tecnicamente si può dire che… non hanno avuto tempo» concluse Dora, faticando a trovare le parole giuste.
Eve si pronunciò in un semplice «Oh» prima di guardare a terra.
«Se può esserti di consolazione, ho sempre voluto una sorellina» aggiunse Dora, cercando di attutire un po’ il colpo. Eve fece un leggero sorrisetto, ma non aprì bocca.
«Quindi» s’intromise Frank, cercando di sorpassare quel momento imbarazzante. «C’era la guerra e tutti noi eravamo nell’Ordine».
«Esatto» disse Remus. «La guerra finì il trentuno ottobre del 1981 quando un bambino di un anno riuscì a sconfiggere Voldemort».
«Un bambino?» chiese Alice, sorpresa. «E come?»
«Grazie alla madre» intervenne Dora. Erano d’accordo perché raccontasse lei quella parte: Remus faticava ancora a parlarne apertamente. «Quella notte, il bambino perse entrambi i genitori. Il padre cercò di prendere un po’ di tempo per far scappare la moglie e il figlio ma non riuscì a fare molto, poiché aveva tentato di combatterlo senza bacchetta».
«Chi affronterebbe il più potente mago Oscuro del mondo senza usare la bacchetta?» chiese Sirius, stupito. James sospirò.
«Una persona disperata, Felpato» rispose, con voce seria e tetra che bloccò ogni tentativo di replica di Sirius, che tornò a guardare i due, lanciando occhiate preoccupate all’amico.
«Voldemort proseguì e arrivò di fronte alla madre» continuò Dora. «Seguendo il desiderio di uno dei suoi Mangiamorte, le chiese di farsi da parte. Lei non volle e venne uccisa».
«Mangiamorte?» chiese Emmeline. Remus annuì.
«È cosi che i suoi schiavetti personali si facevano chiamare» rispose.
«E chi era?» chiese Mary. «Il Mangiamorte che aveva chiesto a Voldemort di risparmiare la donna?»
Remus sospirò e lanciò un’occhiata a Dora, che annuì.
«Severus Piton».
«Quel figlio di Morgana!» esclamò Sirius, passandosi le mani fra i capelli. Anche altre persone si lanciarono in epiteti contro di lui. Lily si voltò verso James e vide che la stava osservando con aria preoccupata. Lei aggrottò le sopracciglia in una muta domanda. Lui scosse la testa.
Stava cominciando a collegare.
Piton era sempre stato interessato solo a una persona: Lily. Questo voleva dire che, molto probabilmente, era lei la donna che si era sacrificata per il proprio figlio. James sorrise tristemente. Aveva sempre saputo che quella ragazza era speciale.
«Senza saperlo, però, Voldemort aveva appena dato al bambino una via di salvezza» s’intromise Remus. «L’amore della madre aveva creato per lui una barriera che lo rendeva intoccabile nei confronti di Voldemort. Era un’antica e potente magia e Voldemort, incapace di provare amore, non l’aveva neppure presa in considerazione. Lanciò la Maledizione Mortale e questa rimbalzò contro di lui, lasciando sul bambino solo una cicatrice a forma di saetta sulla fronte. Quel giorno, il piccolo entrò nei libri di storia come Il Bambino-Che-È-Sopravvissuto».
Fece una pausa, aspettando che gli altri metabolizzassero la cosa.
«Come si può essere incapaci di provare amore?» chiese Eve, prendendo la parola dopo molto tempo.
«Silente ce lo ha spiegato: a quanto pare, Voldemort, o Tom Riddle, era stato concepito mentre il padre era sotto l’effetto di un Filtro d’Amore» rispose Dora, un po’ sollevata che la sorella almeno le parlasse..
«È disgustoso» mormorò Alice, stringendo la mano di Frank, che gliene carezzò il dorso.
«Sua madre era una strega, una degli ultimi discendenti di Salazar Serpeverde» disse Remus. «In sé, portava la follia provocata da tutte le, diciamo, combinazioni dei Purosangue che avevano mantenuto intatta la nobiltà della famiglia, spesso con matrimoni fra consanguinei. Devo dire che lei era probabilmente molto più sana del padre e del fratello. Era innamorata pazza di un ricco Babbano che abitava nei dintorni. Silente crede che gli offrì il filtro spacciandolo per un bicchiere d’acqua, quando Tom Riddle Senior passò davanti alla sua casa con la carrozza, cosa che faceva abitualmente».
Altra pausa.
«Tornando al bambino» disse. «Questo crebbe con i suoi zii da parte di madre. Erano Babbani e odiavano tutto ciò che avesse a che fare con la magia. Trattarono male il bambino e non gli dissero che era un mago, finché lo scoprì da solo, al suo undicesimo compleanno».
«Remus, posso chiederti… Qual era il nome del bambino?» chiese James, non riuscendo a trattenersi. Remus gli sorrise, triste.
«Harry» rispose. «Harry James Potter».
Silenzio di tomba.
Tutti si girarono a guardare James che tentò di rimanere impassibile.
«Mio figlio, quindi» disse. La voce gli tremò leggermente.
«Del James della nostra dimensione, sì» rispose triste.
«E perché è dovuto andare da gente che lo trattava male?» chiese, anche se la domanda che aveva in mente era ben altra. «C’è Sirius, c’è Peter, ci sei tu».
«Peter ed io non eravamo raggiungibili» disse Remus. Lui e Dora avevano concordato per quella versione della storia: meglio non dire che era stato Peter a tradire i Potter. Più tardi, in ogni caso, avrebbero dato l’ultimatum all’SSS. «Eravamo fuori per una missione dell’Ordine, siamo venuti a sapere di quanto era successo solo molto più tardi. Sirius, invece, era stato ingiustamente sbattuto ad Azkaban. Il Ministero credeva avesse avvertito Voldemort della vostra posizione».
«Cosa?» esclamò Sirius, perplesso. «Io non farei mai…»
«Infatti non sei stato tu, anche se tutti lo credevano» replicò Remus, pacato.
«Tutta questa storia è cominciata per colpa di una profezia» spiegò Dora. «Pronunciata durante un colloquio alla Testa di Porco, in cui alloggiava una donna che voleva insegnare Divinazione a Hogwarts. La profezia diceva che un ragazzo nato alla fine di luglio, nato da coloro che lo avevano affrontato per tre volte e gli erano sfuggiti altrettante, avrebbe segnato la fine del Signore Oscuro perché questo lo avrebbe considerato suo pari, senza sapere che aveva un potere a lui sconosciuto. Un Mangiamorte aveva sentito parte della profezia, solo quella riguardante l’identità del bambino, e l’aveva riferita a Voldemort. E quel bambino era Harry. Il Mangiamorte, preso dai sensi di colpa, avvertì Silente, che aiutò i Potter a nascondersi. Erano a Godric’s Hollow, sotto l’Incanto Fidelius. Il loro Custode Segreto doveva essere Sirius, che però decise all’ultimo momento di rifiutare, non sentendosi all’altezza. I Potter scelsero allora un altro Custode in segreto. Purtroppo, proprio quella persona era una spia di Voldemort, che li condannò, mandò Sirius ad Azkaban per un pluriomicidio che non aveva commesso e finse di essere stato ucciso in quell’occasione, tagliandosi un dito e lasciandolo lì come prova della sua morte. Dodici Babbani e un mago morti, secondo le fonti ufficiali».
«Cazzo» esclamò Sirius in un sussurro. James era molto pallido e gli altri non erano da meno.
«Tuttavia, sei la prima persona che è riuscita a scappare da Azkaban» disse Remus, sbalordendo il ragazzo. «Si tornato durante il terzo anno di Harry a Hogwarts, che nel frattempo aveva già impedito due volte a Voldemort di tornare».
«Si era impossessato del corpo di un professore durante il primo anno e aveva sfruttato un diario nel secondo, diario in cui aveva nascosto parte della propria anima quando aveva sedici anni» aggiunse Dora.
«Parte della propria anima?» chiese Marlene.
«Sì» confermò Dora. «Commettendo un omicidio è possibile usare una magia Oscura che permette al mago di strappare parte della propria anima e racchiuderla in un oggetto. È una magia orribile ma permette di non morire. Quando l’incantesimo è rimbalzato contro Voldemort, infatti, era rimasto più che morto che vivo e poteva mantenersi solo prendendo il controllo di animali o persone. Però c’era ancora. Quegli oggetti, che contengono l’anima di una persona, si chiamano Horcrux».
La maggior parte delle persone rabbrividì.
«Come stavo dicendo» proseguì Remus. «Sirius riuscì a scappare da Azkaban e andò a Hogwarts perché sapeva che la spia di Voldemort si nascondeva all’interno. Tuttavia, era un ricercato e molti credevano volesse uccidere Harry, lui compreso» sospirò. «Ammetto che anch’io ci avevo creduto».
«Sai, dovresti avere un po’ più di fiducia in me» replicò Sirius, piccato. La Stanza evocò un cuscino per Remus, che lo lanciò in faccia a Sirius con un: «Chiudi il becco, pulcioso».
«Mi sono già abbastanza sentito in colpa per parecchio tempo, non mettertici anche tu» disse. Sirius ghignò.
«Ma allora mi vuoi bene!» esclamò il giovane Black, saltando al collo dell’amico, che tentò di allontanarlo il più possibile.
«Sta lontano, pazzo omicida» urlò Remus, impegnato in un corpo a corpo con Sirius.
«Ma se ero innocente! L’hai detto anche tu!» scherzò l’altro.
«Scusate, io vorrei continuare a sentire la storia» disse Eve. Remus e Sirius si bloccarono e quest’ultimo rivolse un ghigno malefico alla ragazzina.
«Lo sai che hai appena detto di voler ascoltare la storia della morte di tua sorella?» chiese, malevolo. Eve arrossì.
«No, non è vero, io…»
«Tranquilla Eve» disse Dora, sorridendo, per poi fulminare il cugino con lo sguardo. «Vatti a sedere, Sirius. Sono un Auror e di Incantesimi per farti male ne conosco parecchi».
«Sissignora!» esclamò Sirius, correndo a sedersi dritto come un fuso.
Alcuni ridacchiarono.
«Dov’ero?» chiese Remus, sorridendo.
«Al pulcioso che va a Hogwarts» disse James. Il suo tono era piuttosto strano. Remus aggrottò le sopracciglia ma non disse nulla.
Remus cominciò quindi la lunga spiegazione, senza che nessuno lo interrompesse. Spiegò che Sirius aveva localizzato la spia e l’aveva portata in un posto sicuro per interrogarla, solo che era stato seguito da Harry e i suoi migliori amici, Ron ed Hermione, e da Remus stesso. Raccontò di come avevano sentito la spiegazione di Sirius e gli avevano creduto, di come Harry aveva salvato Sirius dai Dissennatori, prima al lago, producendo un Patronus a forma di cervo (qui James sorrise come un ebete), poi usando la Giratempo con Hermione.
Passò all’anno successivo, raccontando dei mondiali del Quidditch (Sirius volle sapere il risultato per future scommesse) e del Marchio Nero che era apparso. Parlò del Torneo Tremaghi e di come Harry fosse stato scelto a causa di un Mangiamorte che aveva preso le sembianze di Malocchio Moody, professore di Difesa Contro le Arti Oscure di quell’anno. Descrisse il ritorno di Voldemort e di come avesse abbattuto il confine che non gli permetteva di toccare il ragazzo (Lily sussultò). Raccontò del duello che c’era stato, di come i fantasmi dei suoi genitori lo avessero aiutato a scappare dal cimitero, di come, quando tornò, nessuno gli credette, a parte i suoi amici (Mary strinse le labbra in una linea sottile, imitando alla perfezione la McGranitt).
Toccò al quinto anno di Harry, con l’aggressione dei Dissennatori e l’udienza al Ministero («Udienza? Ma si è difeso!» aveva protestato Sirius). Parlò della Gazzetta del Profeta e del Ministero, che cercavano di far passare Harry per pazzo, mentre l’Ordine si era riunito e cercavano di raggruppare più persone possibili. Descrisse la Umbridge, il vecchio rospo rosa mandato dal Ministero che impediva agli studenti di praticare la magia e di come Harry e i suoi amici avessero fondato l’Esercito di Silente. Raccontò della cacciata di Silente e di come, tramite il legame empatico che Harry e Voldemort avevano dalla fatidica notte di quattordici anni prima, il Signore Oscuro avesse attratto sei ragazzi al Ministero, con lo scopo di prendere la copia originale della profezia. Parlò dello scontro, di come gli unici abbastanza illesi fossero Harry e Neville Paciock, uno dei suoi migliori amici (Frank strinse forte la mano di Alice, che aveva le lacrime agli occhi. Secondo Remus sarebbe stato inutile tralasciare quel dettaglio, ricordando che i due erano innamorati fin dal terzo anno e che il sapere che probabilmente avrebbero avuto un figlio non avrebbe fatto altro che rafforzare il legame)… Parlò della morte di Sirius.
Mary, non riuscendo a trattenersi, corse ad abbracciare il suo ragazzo, come se volesse assicurarsi che fosse ancora lì. James guardava il fratello acquisito con le lacrime agli occhi.
Remus non descrisse i particolari, di come Harry soffrì per quella perdita, ma raccontò del fatto che Voldemort, da quel giorno, non osò più entrare nella mente di Harry a causa dell’amore che ci trovò dentro.
Fu il turno del sesto anno. Non sapeva molto di quell’anno, a parte che Harry si era innamorato di Ginny, cosa che fece molto felice James (soprattutto perché la ragazza era una rossa). Raccontò dei sospetti che il ragazzo aveva su Draco e Piton, di come avesse scoperto che Voldemort aveva ordinato al ragazzo di uccidere Silente («E cosa ci si aspettava, da un Malfoy?» sussurrò Marlene fra i denti che, negli anni precedenti, aveva avuto alcuni scontri non molto piacevoli con Lucius, il padre di Draco). Parlò anche degli Horcrux di Voldemort e della grotta in cui c’era il Medaglione di Serpeverde. E raccontò dell’assassinio del preside per mano di Severus Piton.
Rimasero tutti di stucco e Lily arrivò quasi alle lacrime, mentre James poggiava una mano sulla sua spalla per confortarla un po’.
«Bastardo» mormorò Sirius, con i pugni ben serrati. Tutti gli altri fecero borbottii di assenso.
«Aspettate a giudicarlo» li rimproverò Dora, raccontando poi di come lui fosse sempre la spia di Silente, uccidendo il preside sotto suo ordine. Raccontò del piano che avevano e di come Harry e gli altri avessero viaggiato per tutta l’Inghilterra seguendo questo piano, distruggendo gli Horcrux dal primo all’ultimo.
«E poi c’è stata la battaglia finale» mormorò Remus. Eve guardò Dora nervosamente. «Non sappiamo con precisione cosa sia successo: io sono morto quasi subito» il ragazzo fece un mezzo sbuffo. «Colpito da un muro e finito da un lurido Mangiamorte chiamato Antonin Dolohov. Che fine di merda».
«Non esistono morti belle o brutte» replicò Emmeline, che aveva visto i propri genitori morire per mano di un killer psicopatico mentre questi si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. «Esiste la morte. E basta».
«Già, ma se avessi potuto scegliere, avrei preferito andarmene da vecchio. E magari, non lo so, alle Bahamas» replicò il ragazzo, per poi ridacchiare per le sue stesse parole. «Non penso ci sia molto da fare, adesso, no?».
«Io ho ucciso Dolohov» intervenne Dora. «Non sono riuscita ad arrivare in tempo per fermarlo».
Remus la guardò, sorpreso. Non avevano mai parlato di cosa era successo dopo che era morto lui. Faceva troppo male.
«Ho combattuto per un'altra mezz’ora, ma poi è arrivata quella pazza scatenata di Bellatrix a lanciare Maledizioni ovunque, colpendo studenti, membri dell’Ordine e Mangiamorte» continuò. Aveva lo sguardo vacuo, perso nei ricordi. «Pensavo di farcela, ma ero indebolita. Ha vinto facilmente».
Evelyn si alzò di scatto, in lacrime, e corse ad abbracciare la sorella, mentre Remus stringeva forte la mano a Dora.
«Abbiamo parlato con Silente, ieri» proseguì Remus, cercando di dare un po’ di tregua a Dora e alla sorella. «Ci ha raccontato di aver visto Harry in sogno, in una specie di mondo fra i due universi. Questo, secondo il professore, vuol dire che il piano è andato a buon fine e, molto probabilmente, Voldemort è già morto da un pezzo».
Ci fu un momento di silenzio, in cui tutti erano persi nei propri pensieri.
James si domandava del fato del figlio e si rattristava enormemente nel sapere che lui e Lily sarebbero morti a soli ventitré anni. La Rossa si chiedeva più o meno lo stesso.
Mary osservava Sirius, che aveva lo sguardo piuttosto spento, e continuava ad abbracciarlo. Lui si riscosse dopo un po’ e le sorrise tristemente.
Marlene si chiedeva cosa fosse accaduto agli altri, di cui né Remus né Dora avevano parlato.
Emmeline, invece, pensava a tutte le morti che, secondo i due, ci sarebbero state e, allo stesso tempo, ricordava con tristezza la morte dei genitori.
Frank e Alice si guardavano, chiedendosi come sarebbe stato il loro figlio così coraggioso.
Peter si mordicchiava le unghie, pensando a chi potesse essere la spia che aveva distrutto la vita dei suoi migliori amici.
Evelyn piangeva contro la sorella. Era sempre stata facilmente condizionabile ma questo era fin troppo. Non riusciva neanche a immaginare una vita senza la sorella, figuriamoci il solo pensarla morta!
Remus osservava sua moglie e pensava al piccolo Teddy, rimasto solo con il proprio padrino e la nonna. Un altro orfano di guerra, proprio come Harry.
Dora, invece, riusciva solo a pensare alla sua nuova sorellina. Con lei, credeva che tutto sarebbe stato più sopportabile.
«Remus» chiamò Mary. Il ragazzo si voltò verso di lei. «In questa sala, chi era…?»
«Nessuno».


*****


«Ehi, Peter» disse Remus, mentre tutti gli altri uscivano. Il ragazzo guardò Remus con gli occhietti acquosi pieni di curiosità. «Sai chi era la spia che condannò a morte James e sua moglie?»
Peter scosse la testa in segno di diniego. Remus neanche lo guardava, osservava la moglie uscire con Evelyn, pronta a recuperare tutti gli anni di cui Dora aveva perso la memoria.
Era stato felice, Remus, quando aveva visto che nessuno lo aveva disprezzato quando aveva confidato di essere un Lupo Mannaro. Non che avesse qualche dubbio, ma faceva sempre piacere sapere di essere accettato da una persona in più.
«Sei stato tu». La frase fu pronunciata con tale freddezza che Minus rabbrividì. «Sai, per Silente questa è una nuova possibilità per me, lui e Dora. Be’, a mio parere è una possibilità anche per te. Un solo passo falso e non avrò pietà».
Così dicendo, Remus uscì dalla Stanza, lasciandosi dietro l’ometto tremante, sapendo che Peter non avrebbe osato tradirli, almeno non tanto presto.
Il ragazzo si avvicinò a Sirius e James e li richiamò con dei colpetti sulle spalle. Loro lo guardarono, inarcando le sopracciglia in una muta domanda.
«Sentite, anche dopo quello che vi ho raccontato voglio solo…» le parole gli mancarono e James gli poggiò una mano sulla spalla, incoraggiandolo a parlare. «Io sono sempre lo stesso, okay? Non è cambiato nulla».
James e Sirius si scambiarono uno sguardo Malandrino e Remus li osservò sospettoso. I due annuirono contemporaneamente e si gettarono contro il Mannaro, cominciando a fargli il solletico.
«Già non è cambiato proprio nulla» disse James mentre il povero ragazzo rideva a crepapelle e cercava di staccarsi di dosso i due.
«Vero, soffre il solletico esattamente come quando non era un vecchietto noioso» disse Sirius, bloccando le gambe del ragazzo. «Ma che dico? È sempre stato un vecchietto noioso!»
«Basta!» esclamò Remus, con le lacrime agli occhi. «Pietà!»
«Solo se ci aiuti a programmare il prossimo scherzo!» disse James, ghignando.
«No, non lo farò… Sirius, che cazzo vuoi fare? No! NO! D’accordo, vi aiuterò! Ma ora BASTA!» i due si staccarono dall’amico e lo aiutarono a rialzarsi. Poi lo presero a braccetto e lo trascinarono di peso fino alla Sala Comune, sotto lo sguardo divertito degli altri.
James si girò per un momento e incrociò lo sguardo con Lily, che sussultò. Non ci vide l’allegria che aveva sempre notato in quel ragazzo così solare ma ben altro, che somigliava molto a paura. Fu solo per un lampo ma Lily capì che avrebbe dovuto parlare con lui. L’opportunità le venne data quella sera stessa.
Era tornata in Sala Comune per vedere se aveva lasciato lì il compito di Trasfigurazione per il lunedì seguente e lo aveva trovato lì, sdraiato sul divanetto rosso a guardare il fuoco, perso nei propri pensieri.
«Ehi, mi fai un po’ di spazio?» chiese gentilmente. James sussultò e sollevò lo sguardo. Lily sorrise gentilmente e James si rannicchiò per liberare parte del divanetto, subito occupato dalla Rossa.
«Cosa c’è che non va?» chiese la ragazza.
«Niente di cui preoccuparsi» disse James, rimettendosi a guardare il fuoco. Lily gli prese una mano, facendolo voltare per la sorpresa.
«Però tu sei preoccupato» replicò Lily. James abbassò lo sguardo ma, contemporaneamente, intrecciò le dita con quelle della ragazza, che sorrise leggermente.
«Mi sembra sia stato troppo facile, ieri» disse James. Lily lo guardò confusa. «La Mason ha trecento anni di esperienza: come ha fatto a non capire che bastavi tu per risvegliarmi?».
Lily si morse un labbro ma non disse nulla. Era la stessa cosa che aveva pensato lei la sera precedente.
«E poi, so che sembra stupido, ma quando sono tornato in me, non c’è stato nessun segno che fossi realmente cambiato» proseguì il ragazzo, per poi puntare lo sguardo su Lily. «E se non fosse finita? E se… l’Altro fosse solo, non so, “addormentato”?»
«Allora vorrà dire che, se tornerà, faremo tutto il possibile per farlo andare via» replicò Lily. «Non penserai mica che ti lasceremo da solo, vero?»
«No». James sorrise e Lily si rasserenò un po’. «Grazie. Di nuovo».
Lily ridacchiò.
«Quando vuoi, maritino caro» scherzò Lily. James sgranò gli occhi, stupito. «Cosa c’è? Credevi non avessi capito che Harry sarebbe il nostro futuro figlio?»
James prese un sorriso che doveva sembrare estasiato ma che ricordava semplicemente Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll, quello nell’arazzo accanto alla Stanza delle Necessità.
«Ma non credere che questo ti renda le cose più facili: siamo in un altro universo, qui le cose possono andare diversamente» lo rimproverò scherzosamente la ragazza.
«È un modo carino per dirmi di prepararmi bene per la prossima uscita a Hogsmeade» chiese James, ridendo.
«Forse» disse Lily. Poi si alzò e diede un bacio sulla guancia a James, mormorando un «Buonanotte».
Lily si diresse su per i dormitori lanciando a James un ultimo sorriso rassicurante, lasciandolo sprofondare nel divano con sguardo leggermente ebete. Sospirò, per poi alzarsi, stiracchiandosi, e si diresse a letto anche lui, ora leggero come una piuma



Sala Comune di Tassoverde

Ed eccoci con il mio nuovo entusiasmante capitolo!
- Entusiasmante? 
È un accozzaglia di racconti messi senza alcun filo logico -
È solo che, quando tu e Dora avete raccontato, eravate così presi dal discorso che vi siete scordati di raccontare qualche dettaglio, che tuttavia gli altri vi hanno chiesto u.u
- Ma non è andata così! -
*Carica il fucile* Dicevi, Remus?
- Niente, niente. Fa come se non esistessi... -
Bene così. A cuccia, lupetto u.u
E, in effetti, non esisti.
Quindi chi sei, essere che parli nella mia mente?
- Non lo so. Forse sei come Deadpool: hai problemi mentali e senti le voci -
Mh. Almeno vuol dire che posso uccidere trecento persone in mezzo petosecondo. (Capito, Nathalie? Nemmeno i vampirastri sono al sicuro :D)

Dicevo.
Questo capitolo mi è, evidentemente, riuscito da schifo. Penso di essermi giocato la promessa con Nathalie "Fai 10 capitoli IC e poi toglierai l'avvertimento di OOC"... credici Malandrina, credici xD
Non so quanto abbiate seguito il capitolo (dopotutto, è facile saltare alcune parti quando si conosce già la storia) ma spero che, quel poco che avete letto, non vi abbia fatto correre in bagno per urgenti esigenze corporali. Non so se mi spiego...
Per chi non l'avesse capito, quello che Mary chiede prima della seconda ellisse (interruzione della storia) è chi dei presenti fosse ancora vivo quando Remus e Dora sono morti. In realtà non ho la più pallida idea di cosa sia successo a Emmeline, ma per farla più drammatica...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto (speranza vana, lo so) e approfitto del momento per ringraziarvi tutti di cuore: le 8 persone che hanno messo la storia fra le preferite, le 3 che l'hanno messa fra le ricordate e le 27 persone che l'hanno messe fra le seguite (... Voi siete pazzi... - Hogwarts non è una scuola per pazzi - Chiudi il becco, tu!) e tutti i lettori silenziosi (perché c'è un contatore, quindi so che ci siete u.u) ... Oddio... C'è veramente così tanta gente che segue questa stronzata? O.O
No, sul serio, sono commosso. Potrei mettermi a frignare :')
Ringrazio soprattutto tutti coloro che hanno recensito e mi hanno dato la loro opinione della storia (pazzi pure loro per poter seguire un pazzo come me) e che mi spingono ad andare avanti ogni giorno :')
Grazie di cuore a tutti voi, piccoli/grandi recenssnfsnfon :)
Hufflerin il Commosso

P.S.: Come Gobra1095 mi ha fatto notare, un paio di cose potrebbero essere fraintendibili, così vi trascrivo ciò che ho risposto a lei:

1)Come faceva Silente a sapere che anche Dora e Remus venivano dal suo mondo? Lui aveva avuto la stessa crisi quando arrivò?
Non l'ho scritto perché volevo sottintenderlo ma sì, Silente aveva avuto la stessa crisi. Madama Chips poi lo ha avvisato quando Remus e Dora hanno avuto l'attacco e così il preside ha saputo che anche i due hanno viaggiato.

2)Il razzismo è dovuto agli Ideali immessi?
Se intendi il razzismo di James, sì, mentre se intendi il razzismo generale allora no, quello è dovuto al fatto che, senza Voldemort che Kadavrizzasse chiunque passasse di lì per caso, i Purosangue non sono riusciti a intuire quanto idiota sia il loro ideale.

P.P.S.: Pensavo di fare una piccola One Shot in cui scrivevo l'articolo di giornale che parlava della morte dei genitori di Emmeline. Vi interesserebbe averla?
P.P.P.S.: Come al solito, vi sarei eternamente grato se mi segnalaste gli errori (che sicuramente ci sono) sfuggiti alla mia revisione. Grazie in anticipo :)



Prossimo aggiornamento domenica 01/09/'13 (è già settembre T.T), con il sesto capitolo: "Appointment".

AVVISO: PURTROPPO, PER MOTIVI DI FORZA MAGGIORE (MALATTIA) IL CAPITOLO SLITTERA' ALLA SETTIMANA PROSSIMA. MI SPIACE MOLTO :(

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Capitolo 7
*** Chapter VI - Appointment ***


6. Appointment

Piove.
Da due settimane, ormai, la pioggia scende incessantemente sul castello, creando un clima semi-invernale.
Se la cosa si fermasse alla pioggia, sarebbe tutto nella normalità, peccato che ci si mettano anche lampi, tuoni, saette e chi più ne ha più ne metta. Finora, solo la grandine è mancata all’appello delle perturbazioni, ma ho la sensazione che se cominciasse, i chicchi sarebbero grandi quanto palle da golf.
La pioggia rende ormai quasi impossibile ogni uscita e le lezioni di Erbologia e Cura delle Creature Magiche sono state sospese quando un fulmine ha mancato di qualche metro un gruppetto di Corvonero che tornavano nel castello dopo la lezione.
In molti sono stufi di rimanere chiusi qui e si sente spesso borbottare imprecazioni sulla pioggia, Zeus e certi figli di Morgana che creano i temporali apposta per dare fastidio agli studenti. Io, invece, mi beo di questa impossibilità a uscire, dato che porta molta più tranquillità del solito. L'ultima luna, sebbene già passata, ha lasciato il segno: con la Pozione Antilupo posso trasformarmi senza perdere coscienza di me stesso, ma per questo Ramoso e Felpato si sono fatti più audaci. Credo di avere l'impronta delle corna di Ramoso da qualche parte, sulla schiena, ma lui giura di no.
Proprio quei due, James e Sirius, non sono affatto del mio stesso parere per quanto riguarda la pioggia. Continuano a programmare scherzi, ma si sentono così imprigionati che tutti quelli che progettano finiscono per aver bisogno del parco per essere attuati. Anche Frank e Peter sono più suscettibili del solito. Il fatto che abbiano anche proibito gli allenamenti di Quidditch non aiuta.
Almeno c’è Lily a farmi compagnia. Lei ama la pioggia e che smetta o no, per Lily non fa differenza.
James sembra, comunque, il più irritato di tutti. Immagino dipenda dal fatto che proprio oggi, primo ottobre, ci doveva essere l’uscita a Hogsmeade. Inutile dire che è un foglio è comparso in bacheca questa mattina per dire che era tutto rimandato, posticipato al primo giorno in cui il tempo si sarebbe rimesso. Questo, ovviamente, ha fatto cadere James nella disperazione totale.
«Merda, merda, merda!» esclama, passandosi le mani fra i capelli.
«Che vocabolario ampio» commento, mettendo sotto scacco il re di Mary. James mi fulmina con lo sguardo mentre Mary e Sirius ridacchiano.
«Remus, qui la situazione è disperata» dichiara, sedendosi a gambe incrociate sul suo letto.
«E perché?» chiedo, inarcando un sopracciglio.
«Perché ha detto che sarebbe venuta a Hogsmeade nel primo fine-settimana in cui sarebbe stata l’uscita. E il fine-settimana era questo!»
Sospiro.
«Lily non se ne uscirà con una scusa del genere per non uscire con te la prossima volta, te lo garantisco» replico. Mary mi mangia un alfiere ed io provvedo a eliminare immediatamente un suo cavallo.
«Tu dici?» chiede, inclinando un po’ la testa e passandosi una mano fra i capelli.
Sbuffo.
«No, James, in verità Lily non ti vorrà più vedere perché l’hai delusa profondamente e si sposerà con Piton» esclamo, esasperato. Mary e Sirius scoppiano a ridere mentre James gira la testa di lato, offeso.
«Sei perfido» borbotta. Sirius gli lancia un cuscino al posto mio.
«E tu sei un rompipalle!» esclama il cane, ridendo. James riemerge e si scaglia contro Sirius colpendo e rovesciando, con la sua leggendaria leggiadria, la scacchiera. Intuendo cosa sta per accadere, Mary si alza e si siede sul letto accanto mentre io, James e Sirius abbiamo dato il via alla lotta.
Non so quanto mi siano mancate queste situazioni. Il bello è che queste si ripetono più o meno ogni giorno, quindi me ne stuferò di nuovo. Dopodiché le rimpiangerò ancora, e così via.
Ahio.
Sirius mi ha mollato una gomitata in pancia. Se fossi in forma di lupo, lo azzannerei, ora mi limito a schiacciarlo e a prenderlo a cuscinate. Sono troppo magnanimo.
«Avete finito?» chiede Mary, divertita, quando ci ritroviamo a riprendere fiato negli angoli del letto.
«Potevi anche partecipare, se volevi, zuccherino mio» dice Sirius, girandosi a guardarla. Mary rabbrividisce.
«Chiamami ancora così e ti taglio la coda» esclama la ragazza, facendo scoppiare Sirius nella sua famosa risata.
Sorrido fra me. Sono felice che, qui, i Malandrini abbiano deciso di rivelare alle ragazze la loro natura di Animagus. Semplifica di molto le cose.
La porta si apre di colpo e Peter entra con tutta la velocità concessa dalla sua mole.
«Ehi, Pet, dov’eri?» chiese Sirius, preoccupato, mentre Coda cerca di riprendere fiato.
«Messaggio» ansima. «Da parte… di Lily… per James».
«Che messaggio?» chiede subito James, drizzandosi in piedi e passandosi una mano fra i capelli.
«Mi ha detto di ricordarti che stasera avete il turno come Caposcuola» dice, sdraiandosi poi sul suo letto e addormentandosi di colpo.
«Come se potessi scordarmelo» sbuffa James, tornando a sedersi sul letto. «Almeno starò un po’ con Lily, anche se ho dovuto rinunciare a Hogsmeade».
Mi viene un’idea.
«Ehi, James, vorresti passare una bella serata con Lily?» chiedo, sorridendo maliziosamente.
«Certo che sì!»
«Allora fai quello che ti dico…


*****

«Ehi, collega!» esclamò James scendendo di corsa le scale del dormitorio. Lily, seduta su una poltroncina, alzò lo sguardo. «Scusa il ritardo. Sirius mi aveva nascosto la spilla».
«E dove l’aveva messa?» chiese la ragazza, sorridendo e alzandosi. James fece una smorfia.
«Fidati, non vuoi saperlo». Il tono fece inarcare un sopracciglio alla ragazza che decise saggiamente di seguire il consiglio.
«Allora andiamo».
«Fai strada!» Lily sbuffò e precedette James fuori dalla Sala Comune, mentre questo la seguiva, gongolando. Estrassero le bacchette e iniziarono il loro solito giro di ronda.
James quasi saltellava, mentre cercava un modo per proporle il geniale piano di Remus.
«Come mai sei così felice?» chiese Lily, guardandolo e sorridendo a sua volta. Era sempre contenta di vedere che era riuscito a superare il Trauma da Possessione – così lo chiamava, poco delicatamente, Alice.
James rifletté un po’ prima di rispondere.
«Ho una proposta da farti». Lily aggrottò le sopracciglia.
«Se sono cose sconce, non voglio neanche sentirla».
«Hai davvero una così bassa opinione di me. Okay, d’accordo, magari alcune mie idee per conquistarti negli anni scorsi non sono state proprio geniali».
«Meglio se non commento».
«Cooooomunque, sono sicuro che questa ti piacerà». James le si parò davanti, obbligandola a fermarsi. Lei inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia, ma non disse nulla. «È qualcosa di romantico e bello e… musicale. E so che a te piace il romanticismo. E la bellezza. E la musica – anche se mi hai rotto la chitarra quando ho provato a farti quella serenata, l’anno scorso».
«Sì alla prima, sì alla seconda, sì alla terza ma dipende da che tipo – e ho rotto quella chitarra solo perché non la stavi suonando, la stavi torturando, e ho preferito darle un degno utilizzo cercando di romperti la testa».
«Ci sei quasi riuscita. E comunque non la stavo torturando!»
«È venuta la McGranitt perché pensava stessi ammazzando qualcuno».
«Ah. Be’, quel che è fatto è fatto. Torniamo alla mia proposta?» chiese James. Lily annuì, sorridendo, anche se la sua mente stava ancora rivivendo la sera in cui aveva provato a colpirlo con la chitarra, quasi distruggendo, invece, la clessidra dei punti di Grifondoro. Già, James aveva cantato la serenata proprio di fronte alla Sala Grande. Uno dei momenti più imbarazzanti della vita della ragazza. Almeno era intonato. «Appena abbiamo finito qui, quindi verso… mezzanotte e mezza, invece di tornarcene nella Sala Comune ad annoiarci, usciamo nel parco. So che c’è un bel posto accanto al lago in cui si può sentire questa… musica particolare».
Lily aveva incrociato le braccia a metà frase e aveva aspettato che James finisse per rammentargli che «lì fuori c’è il sacrosanto Diluvio Universale! Uscire è una pazzia».
«Ma davvero?» fece James, ironico. «Lily, così mi viene da pensare che non ti fidi delle mie capacità organizzative!»
Mie.
Probabilmente, nella Sala Comune, a Remus fischiavano le orecchie.
«Non è che proprio non mi fido…» cominciò Lily.
«Sì, okay, non importa» la interruppe James. «Comunque so anche come attraversare il temporale senza morire fulminati o annegati. Quindi: accetti?»
Lily tornò a guardare fuori dalla finestra per qualche secondo, mordendosi il labbro inferiore, per poi dire: «D’accordo, voglio fidarmi».
«Evvai!» esclamò James, alzando i pugni in aria. Lily sorrise di quell’entusiasmo genuino e le dispiacque un po’ dire: «Ma dopo la ronda».
Lui annuì.
«Certo. E poi è necessario che sia tardi per andarci» disse, riprendendo quindi a camminare. Lily lo affiancò subito.
«E perché?» chiese, curiosa.
«Questa, carissima, è una delle cose che saprai quando saremo lì».
«Ma non è giusto!»
«Vuoi che sia bello e romantico?»
«Sì».
«Allora non saprai nulla».
Lei sbuffò e guardò dall’altra parte, ma non insistette. James la guardò e, dopo un po’, scoppiò a ridere. Lily alzò un sopracciglio – James adorava quando lo faceva – e chiese: «Scusa se te lo chiedo, ma sei per caso impazzito?»
«No, ho solo notato che, in certi casi, sembri mia madre» rispose lui, tranquillo. Lily lo osservò per un attimo, credendo che scherzasse.
«E in cosa?»
«Anche lei odia i segreti e non vuole che le vengano nascoste le cose. Quando non vuoi dirle qualcosa ma non può costringerti a confessare, fa proprio come te» spiegò.
Lily rimase un attimo interdetta e senza alcun motivo – a detta di lei – arrossì.
«Sai vero che hai detto alla tua “futura moglie” che assomiglia a tua madre, vero?» fece lei, cercando di non farlo notare. Ovviamente era inutile, James l’aveva notato eccome e gongolava dentro, ma non voleva farglielo pesare.
«Già, ma sei arrossita comunque». No, non voleva farglielo pesare, assolutamente.
«Non è vero!» protestò lei, girandosi a guardarlo nonostante avesse ancora le guance rosse. Lui mostrò un sorriso a trentadue denti.
«Ah, no?» fece lui, avvicinandosi al suo viso, cosa che fece diventare ancora più rossa Lily.
«Forse» disse, non riuscendo a negare l’evidenza. Cercava in tutti i modi di sfuggire allo sguardo di James che si faceva sempre più vicino, senza successo.
Quando era a pochi millimetri da lei, Lily aveva le orecchie che fischiavano e i draghi – altro che Ippogrifi! – nello stomaco. Non riusciva a crederci: stava per baciare James! Anche se avrebbe preferito qualcosa di più romantico, magari a Hogsmeade sotto le foglie autunnali, o anche solo nel parco. In quel, momento, tuttavia, non è che le importasse più di tanto dell’ambiente. Anche perché non lo vedeva, l’ambiente. Tutto il suo campo visivo era occupato da James, dai suoi occhiali, dai suoi capelli scuri, dai suoi occhi nocciola che… Oh, Merlino! Si stava sciogliendo.
E poi… che diamine era quello? Un occhiolino? Perché James le faceva l’occhiolino?
Con un veloce scatto, James allungò la mano e afferrò… l’aria, probabilmente. No, un mantello. Anzi, il Mantello. Ne aveva sentito parlare.
«‘Seeeera» disse Emmeline, sorridendo forzatamente e facendo “ciao” con la mano. Mary li guardava entrambi con un ghigno fra il soddisfatto e il malizioso, mentre Alice cercava di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
«Bizzarro» disse James, osservandole e sorridendo. «Credevo di aver detto a Sirius di portarmi il mantello».
«Be’, si stava lamentando perché non voleva andare a trovare i piccioncini, così ho fatto un’opera di carità» rispose Mary, sorridendo in modo angelico. Lily la fulminò con lo sguardo, nonostante il rossore sulle guance la rendesse molto meno minacciosa.
«Ed io volevo vedere che vi baciavate» aggiunse candidamente Alice. Lily lanciò un’occhiataccia anche a lei.
«Quindi si è portata dietro me» concluse Emmeline, innocente. Lily la abbracciò, declamando stupidaggini sulle amiche vere che non ti pugnalano alle spalle. «Grazie, cara, grazie. Certo, però, che potevate anche baciarvi e dopo toglierci il Mantello!»
«Emmeline!» esclamò Lily, allontanandosi di scatto.
«Ha ragione» disse Mary, mentre Alice annuiva con convinzione.
James osservava le ragazze discutere fra loro con il divertimento negli occhi. Pensò che, senza saperlo, quelle quattro avevano creato un gruppo affiatato quanto i Malandrini. In effetti, poteva benissimo trovare somiglianze fra i due gruppi: c’era l’intelligente – Lily e Remus –, il cinico – Mary e Sirius –, il solare – Alice e James – e la finta vittima – Emmeline e Peter.
James quasi rise a quel pensiero.
«Comunque questo è tuo» disse Mary, consegnandogli il Mantello. James ringraziò e le ragazze si congedarono, non senza commenti e sguardi maliziosi ai due, facendo diventare ancora più rossa Lily, che dovette minacciarle di togliere punti a Grifondoro per mandarle via.
«Le odio, tutte e tre» esclamò Lily, non appena se ne furono andate.
«Nah, non è vero» disse James, riprendendo a camminare.
«In ogni caso, perché ti hanno portato il Mantello?»
«Pensavi forse che ci saremo incamminati verso il parco e, per pura fortuna, nessun professore ci avrebbe beccato?» chiese James, ironico. Lily inarcò un sopracciglio, piccata, ma non disse nulla, limitandosi, invece, a proseguire il giro di ronda con la solita professionalità.
Mentre camminavano, parlarono del più e del meno ma non andarono più a toccare l’uscita nel parco, né faccende importanti che riguardassero il loro futuro.
L’ansia dei due cresceva mano a mano che si arrivava all’orario di fine-ronda.
Lily era in ansia perché non sapeva cosa avrebbe trovato né cosa avrebbe fatto James.
James era in ansia perché aveva paura che Remus gli avesse detto una cavolata e perché lui stesso aveva paura di fare cavolate con Lily.
Quando uscirono sotto la pioggia, coperti dal Mantello dell’Invisibilità a sua volta protetto con un Incantesimo Impervius, entrambi potevano quasi sentire il battito accelerato dell’altro. La differenza era che James manifestava un’espressione tranquilla e sicura, mentre Lily sembrava accaldata e teneva le labbra strette in una linea sottile.
 Percorsero quasi tutta la riva del lago, per fermarsi di fronte a un grande salice, il più ampio che avessero mai visto, situato al confine fra il lago, il parco e la Foresta Proibita. James estrasse la bacchetta e la puntò contro l’albero, inserendola in una cavità rotonda quasi impossibile da vedere. Una forma prese vita fra le spaccature della corteccia. Era una runa, Lily la riconobbe dai suoi studi. La forma celtica che si dava alla “M”.
«Ma che cavolo…?» chiese la ragazza, a bocca aperta, quando parte della corteccia svanì nel nulla. James sorrise in modo enigmatico, ma era palese quanto anche lui fosse stupefatto. Remus aveva fatto le cose per bene.
I due si tolsero il Mantello e James richiuse l’apertura, così che entrambi potessero ammirare il lavoro svolto.
Se ci si guardava intorno, si vedeva l’interno dell’albero, pieno di nodi e crepe, mentre osservando il "soffitto", si poteva notare che era stato applicato lo stesso incantesimo usato nella Sala Grande: sopra di loro, i rami della Foresta Proibita s’intrecciavano e scendevano goccioline che si dissolvevano nel nulla poco sopra le teste dei due ragazzi. A terra era stato disteso un tappeto di muschio, asciutto e morbido, su cui James e Lily si sedettero per guardare attraverso una fessura ovale situata proprio davanti a loro, da cui si aveva una vista completa del lago. All’interno, si sentiva solo il rumore attutito della pioggia e, più forte e vicino, quello della risacca del lago agitato.
«Questo posto è stupendo» sussurrò Lily, accarezzando il muschio e portando la mano alle narici, annusando il profumo dei boschi.
«Eh, già» fece James. «Remus ha fatto proprio un bel lavoro».
«Remus» chiese subito la ragazza. James arrossì vistosamente.
«Io» disse James. «Io ho fatto un bel lavoro».
Lily rise piano.
«James, se è stato Remus a organizzare tutto, non importa» disse Lily, poggiando una mano su quella del ragazzo, che continuava a guardare davanti a sé, imbarazzato.
«Scusa» disse infine. «Avrei dovuto dirtelo subito».
«Forse sì» replicò lei. «Ma, come ho già detto, non importa. Ora: avevi detto che sarebbe stato qualcosa di musicale ma…»
James controllò l’orologio.
«Dieci secondi» dichiarò, continuando a guardare il lago. Lily seguì il suo sguardo e, dopo quel breve lasso di tempo, al centro delle acque si creò una luce, che emanò nell’aria il suo spettro, come se la superficie tumultuosa fosse un prisma. Le gocce di pioggia che cadevano sul lago s’illuminarono di colori diversi, rendendo il cielo uno spettacolo quasi abbagliante, un arcobaleno sospeso nel nulla. Si avvertì poi un canto, proveniente dalle profondità del lago. Un canto ultraterreno che sembrava entrare nella mente dei due ragazzi. Un canto che lavò tutte le preoccupazioni e i pensieri che li agitavano, lasciando solo un senso di pace e tranquillità. Un canto incomprensibile, eppure che scaldava il cuore.
Non era difficile capire cosa stava accadendo: i Maridi che abitavano il lago stavano cantando, forse pregando qualcosa che loro non potevano immaginare. O così, almeno, pensava Lily.
«Cos’è tutto questo? Come lo hai scoperto?» chiese Lily, meravigliata, ascoltando le note.
«Me lo ha detto Remus: i Maridi, durante le notti di pioggia intensa, salgono quasi in superficie e fanno brillare un cristallo particolare che produce queste luci. Dopodiché cantano al dio delle acque perché faccia finire la pioggia, in modo che il Sole possa illuminare le loro città» spiegò James, ripetendo le parole del ragazzo. «Il canto serve a placare la sua furia e a liberarlo dai pensieri negativi».
«Un cristallo…» sussurrò Lily, quasi temendo che se avesse parlato a voce troppo alta, il popolo del lago avrebbe smesso di intonare quella melodia.
«Remus l’ha chiamato… oricalco, o qualcosa del genere» disse il ragazzo, sorridendole.
«Oricalco?» il tono della rossa si alzò di un paio di ottave. Fortunatamente, i Maridi non potevano sentirla in alcun modo e la melodia non venne intaccata.
«Lo conosci?» chiese James, curioso e sorpreso.
«Certo!» esclamò Lily, trattenendosi dall’impulso di alzarsi in piedi. «L’oricalco era il famoso minerale di cui erano ricoperte le mura di Atlantide, la mitica città descritta da Platone!»
James inclinò la testa di lato.
«Non conosci Atlantide?»
«Potrei chiederti se sia qualcosa che si mangia, ma ho l’impressione che non sarebbe una genialata» rispose James, schietto. Lily rise.
«Un giorno, tu ed io faremo una luuuunga chiacchierata» disse Lily. James sorrise in modo ebete. «In Biblioteca». James si rabbuiò. «Okay, decideremo il luogo sul momento».
Rimasero quindi in silenzio, ad ascoltare la musica rilassante dei Maridi, assistendo allo spettacolo che in pochi, in tutto il mondo, posso dire di aver visto.
James, a un certo punto, seguendo un impulso che si potrebbe definire avventato, cinse le spalle della ragazza con un braccio e la strinse a sé. All’inizio temette che Lily avrebbe potuto indignarsi, invece lei fu ben contenta di quella posizione. James era sicuro che la ragazza sentisse il suo battito accelerato.
«James, posso farti una domanda?» fece Lily dopo un po’, rompendo il silenzio. James annuì, poi ricordandosi che non poteva vederlo, disse semplicemente «Sì».
«Quando eravamo nella ronda, poco prima che Mary ti desse il Mantello, tu stavi per fare una cosa…» disse Lily, un po’ titubante. James la incoraggiò a continuare, seppur con il cuore in gola. «Ecco, se non ci fossero state le ragazze, se quello non fosse stato un piano per trovarle, tu avresti…?»
Perché le era così difficile parlare chiaramente? Ogni volta che cercava di farlo, la lingua le si annodava, bloccandola.
«No» disse James, semplicemente. Lily sentì la delusione avvolgerla. «Ma solo perché voglio che sia tu a farlo. O perlomeno a chiedermi di farlo» prima che la ragazza potesse dire qualsiasi cosa, lui le posò due dita sulle labbra. «Perché, in quel momento, avrò la certezza che è quello che tu vuoi».
«Ed io come farei a sapere quando sarai tu a volerlo?» chiese Lily.
«Semplice: io vorrei farlo sempre». La schiettezza del ragazzo la colpì e la costrinse al mutismo, facendola perdere nei suoi pensieri.
James, dal canto suo, temeva di essere stato troppo diretto e voleva assolutamente sapere se la ragazza si fosse in qualche modo offesa. Invece, alle sue orecchie arrivò un lieve e gradevole russare, accompagnato dal corpo di Lily, scosso ritmicamente dal respiro. James sorrise.
«Buonanotte, principessa» mormorò, poggiandole le labbra sul capo. Lily sorrise nel sonno e James capì che, per lui, non c’era cosa più bella che quella visione.

Un raggio di sole penetrò fra le tende del baldacchino, colpendola agli occhi e facendola svegliare dopo poco. Sbadigliando, Lily si stiracchiò, ancora sotto le coperte e ricordò con piacere gli eventi di quella notte. Era stata contenta. James era davvero come lo descrivevano gli altri. Era gentile e premuroso e aveva fatto molto per renderla felice.
Ricordò anche di aver fatto un sogno strano, su una città immensa dalle mura fatte di prismi, da cui si ergeva il canto surreale dei Maridi. Sorrise. Evidentemente, d’ora in poi quella sarebbe stata la sua magnifica visione di Atlantide. Doveva ricordarsi di cercare qualche libro sull’argomento.
Il suo stomaco brontolò e, quando andò automaticamente a cercare il suo orologio da polso, si accorse di essere ancora completamente vestita, seppur senza scarpe. Effettivamente, doveva essere molto stanca quando era andata a letto: non ricordava neppure come c’era arrivata! Anzi, ora che ci rifletteva…
Si sbatté una mano sul volto. Non era possibile! Non poteva essersi addormentata proprio in un momento del genere! Si maledisse mentalmente e si appuntò di scusarsi con James.
Aprì le tende e si guardò intorno. Tutti i letti erano vuoti. Le ragazze dovevano essere già a fare colazione. Guardò di sfuggita il letto alla sua sinistra e, inizialmente non ci vide nulla di strano. Poi strizzò gli occhi e tornò a guardare, allibita.
«Buongiorno, raggio di sole» esclamò Sirius. Aveva fra le mani una delle riviste di moda di Alice.
«Black!» urlò Lily, sorpresa. «Come diamine hai fatto a entrare?»
«Dalla porta» rispose lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Poi sembrò comprendere qualcosa. «Oh, ancora non hai capito? E dire che ti facevo più intelligente, principessa».
Quel nomignolo risvegliò qualcosa nella mente di Lily, poiché arrossì inconsapevolmente.
«Falla breve, randagio» ringhiò Lily. Sirius scoppiò nella sua risata latrat-esca.
«Conta i letti» disse, ghignando. Lily lo fulminò con lo sguardo, ma ubbidì. Uno, due… cinque letti. Comprese.
«James?» chiese la ragazza. Sirius annuì.
«Dovrebbe essere qui fra poco con…» proprio mentre lo diceva, la porta si aprì, facendo entrare un ragazzo alto e con gli occhiali che portava un vassoio d’argento pieno di cibo. «La colazione!»
Sirius provò ad avventarsi sul ragazzo, che lo scacciò in malo modo.
«Levati di mezzo, pulcioso, questa roba è per la principessa seduta lì» ringhiò. Lily arrossì leggermente mentre le nasceva un sorrisetto compiaciuto, che si affrettò a nascondere.
«Sei una palla da fidanzatino sdolcinato, Ramoso» commentò Sirius, massaggiandosi il fondoschiena precedentemente calciato dall’amico, per poi scappare e chiudersi la porta dietro subito prima che un cuscino lo colpisse.
«Ma sentilo…» borbottò James, andando quindi verso Lily con un sorriso radioso. «Perdonalo: è un idiota».
Lily sbuffò.
«Perché, come pensi che sia Mary?» chiese, inarcando le sopracciglia. James ridacchiò e posò il vassoio sul letto, fra loro due. Lily decise di passare ad altri argomenti. «Senti… mi dispiace per essermi addormentata, ieri sera».
«Eri stanca e ti sei addormentata» disse James, sorridendo e spalancando le braccia. «Non vedo cosa ci sia da scusarsi».
«Già, ma avresti potuto svegliarmi, non serviva che mi portassi qui… in braccio?» non era sicura di come l’avesse scortata nella sua stanza, ma quel modo le sembrava il più semplice.
«È vero, avrei potuto» fece James con semplicità, prendendo poi una fetta di pane tostato. Lily gli lanciò uno sguardo interrogativo.
«… Ma?» chiese. James inarcò le sopracciglia, sorpreso.
«Come? Pensavo che la mia posizione nei tuoi confronti fosse stata chiarita abbastanza nel cors0 di questi sette anni» esclamò. In effetti, ripensandoci, tutte quelle dichiarazioni d’amore assoluto dette con infantile arroganza negli anni precedenti, unite a ciò che era riuscita a capire negli ultimi tempi, non lasciavano spazio a una sola conclusione.
James l’amava. E seriamente, anche, non era una semplice cotta. Insomma, in un’altra realtà avevano anche avuto un figlio e sarebbero morti per lui! Non le servivano affatto altre dimostrazioni di affetto – anche perché, a lungo andare, sembravano farsi sempre più pericolose e James rischiava seriamente di lasciarci la pelle.
«James, io…» cominciò Lily, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il ragazzo le prese la mano, interrompendola.
«Ricordi cosa hai detto nella Stanza? Che mi avresti dato un’occasione per farti innamorare di me – e detta così suona proprio male. In ogni caso, non ho ancora giocato tutte le mie carte» affermò, con un sorrisetto. Lily immaginò che significasse qualcosa come “Lo so cosa pensi, ma non preoccuparti, hai tempo” e questo la tranquillizzò un po’.
«Ovvero?» chiese, curiosa.
«Sai che giorno è oggi?»
«Il giorno dopo ieri e prima di domani?»
«Ah, ah. Spiritosa. No, è domenica. E guarda il tempo fuori».
«C’è il sole».
«E…?»
«E?»
«Ti do un indizio. Una parola. Che inizia con la “H”…»
«Oh».
«Già. Sempre che tu voglia ancora…»
«Certo che sì! Ho fatto una promessa!»
«Eccola qui, la splendida e orgogliosa Caposcuola di Grifondoro!» Lily arrossì un po’.
«Ora, però, dovrei andare a vestirmi. Non credo sia l’ideale uscire con la divisa ancora addosso» disse in fretta, alzandosi dal letto e prendendosi un pasticcino alla frutta – non sapeva come aveva fatto a procurarselo, considerato che a colazione non si trovano cose del genere, ma era davvero buono! – e allontanandosi verso la porta.
«Secondo me sei sexy con la divisa!» esclamò James. Il cuscino rimasto a terra – dopo essere stato lanciato contro la porta – lo colpì dritto in faccia e fu per miracolo che non schiacciò il cibo.

«Dove andiamo?» chiese Lily, guardandosi intorno. La pioggia se n’era andata da tempo, il cielo era limpido e il sole abbastanza caldo da far evaporare quasi tutta l’acqua rimasta; il sottile strato di foglie rosse, arancioni e marroni su cui camminavano era quasi completamente asciutto. Tuttavia, il temporale aveva lasciato dietro di sé aria fredda, che costringeva gli studenti e gli abitanti di Hogsmeade a stringersi nei cappotti.
Per entrambi i ragazzi, era stato un vero colpo di fortuna che smettesse di piovere proprio quel giorno. Cercando di evitare la razionalità, Lily voleva credere che fossero stati i Maridi a creare il bel tempo.
«Dove vorresti andare?» chiese di rimando James.
«In un posto che piace a te» fece lei. James ci pensò su.
«Madama Pediburro?» chiese, per poi scoppiare a ridere alla vista della faccia scandalizzata della ragazza.
«Spero che tu stia scherzando» disse fra i denti.
«Certo che sì! Volevo solo vedere la tua reazione» fece lui, ancora ridendo. Poi rifletté di nuovo. «Allora, tre alternative: Zonko, ovviamente, Mielandia e I Tre Manici di Scopa».
«Tutti e tre?»
«Bene…. E da quale iniziamo?»
«Zonko, così ti diverti un po’» decise Lily. La sera prima James l’aveva portata in un posto fantastico e ora, molto probabilmente, avrebbe cercato di farle avere un appuntamento perfetto. A suo parere, era giusto che lui si svagasse un po’. James, sorprendendola, sbuffò.
«Non mi serve Zonko per divertirmi, se ci sei anche tu».
Argh. Fitta al cuore. Possibile che, ogni cosa che dicesse, provocasse nella ragazza un estremo senso di colpa per tutto ciò che gli aveva fatto passare in quei sei anni? Ora che ci rifletteva, come aveva fatto a rifiutare un ragazzo che, solo parlando, la faceva sentire come la regina dell’universo?
Probabilmente, Lily disse qualcosa di molto intelligente («Ah») poiché James ridacchiò e s’incamminò verso il negozio come se non fosse accaduto nulla. Lily si affrettò a seguirlo.
Lily dovette ammettere che Zonko non era così male come lo immaginava. Aveva sempre creduto che fosse un brutto posto, rumoroso e per gente fastidiosa – si veda sotto la voce “Malandrini” – ma la visita con James le fece cambiare idea. Il locare era sì affollato, ma Mielandia era di sicuro molto peggio.
Sugli scaffali erano radunati oggetti curiosi di tutti i tipi. C’erano palloncini che, se ti scoppiavano vicino, ti facevano drizzare i capelli contro ogni legge della fisica; dolcetti che ti facevano cambiare il colore della pelle e dei capelli – una ragazza andava in giro con la pelle blu e i capelli verdi, strillando e imprecando contro un’altra, evidentemente l’artefice dello scherzo – e altri ancora che ti facevano vedere il mondo capovolto – il sopra diventava il sotto, la destra diventava sinistra, il dietro… be’, era un bel casino orientarsi –; su un ripiano si trovavano anche delle palline di creta che, almeno a vederle, non sembravano nulla di particolare.
«Cosa sono quelle?» chiese Lily, indicandole. James ne prese una e gliela mostrò.
«Creta Cangiante» disse. Dopodiché disse semplicemente «corvo» e gettò a terra la pallina. Non appena toccò terra, questa cominciò a trasformarsi e, in un battito di ciglia, un piccolo corvo di creta volò fuori dalla porta. Lily lanciò un fischio ammirato e James ridacchiò. «Per animali più complessi servono più palline» spiegò. «Sono ottimi diversivi. Con la versione Deluxe prendono anche il colore dell’animale».
«Forte» mormorò la ragazza, per poi afferrare una mezza dozzina di palline di Creta. James spalancò gli occhi.
«Evans, non immaginavo ti abbassassi a comprare questa robaccia» la schernì. Lily sbuffò.
«Taci, questa roba è geniale» borbottò. James sorrise e la accompagnò per tutto il negozio, mostrandole gli articoli e citando scherzi nei quali erano stati usati dai quattro amici.
«… E, per finire, questi sono Esplosivi Evanescenti. Hai presente quando sono sparite tutte le pareti del quarto piano?»
«Sì, mi ricordo: la McGranitt ci ha messo secoli per capire come far riapparire i muri».
«Ecco, abbiamo usato questi».
«Come mai non li avete più sfruttati? Sono grandiosi».
«Be’, la cara Minnie non era dello stesso parere: dopo quello scherzo ci ha seguito come un segugio per settimane. Meno male che noi abbiamo un segugio vero» aggiunse il ragazzo, ammiccando. Lily ridacchiò.
Inutile dire che, quando uscirono, entrambi avevano fatto grandi acquisti – in realtà, James aveva comprato mezzo negozio, Lily si era limitata a pochi oggetti che riteneva davvero geniali – e ci misero un po’ per farsi strada all’interno di Mielandia. Dovettero fare in fretta, poiché c’era veramente poco spazio, ma riuscirono comunque a comprare tanto cioccolato e dolci vari da mandare in estasi Remus per una settimana.
Entrare ne I Tre Manici di Scopa e sedersi a un tavolo davanti a due Burrobirre fu un sollievo per entrambi.
«Ehi, guarda lì» disse Lily, indicando un tavolo poco distante. James allungò il collo e vide Evelyn e Dora parlare animatamente. «Credo che le stia raccontando del loro passato».
«Dev’essere brutto» mormorò James. «Avere una sorella che non si ricordi di te».
Non riusciva nemmeno a immaginarsi come sarebbe stato se Sirius non si ricordasse più di lui.
«Già, ma anche avere una sorella e non ricordarsi nulla di lei non è proprio il massimo» replicò la ragazza. James annuì, pensieroso. «Una volta ho sentito che parlavano della tecnologia babbana del futuro. Credo che Eve abbia qualcosa in mente».
«Del tipo?» chiese James. Lily scrollò le spalle.
«Non ne ho idea. Io nel futuro non ci sono stata» rispose.
Rimasero per un po’ in silenzio a sorseggiare la Burrobirra, immersi nei propri pensieri.
James fece vagare lo sguardo per il locale, pieno di persone che parlavano a gran voce e bevevano alcolici e no. In quel momento, entrò un uomo, avvolto in un mantello nero con il cappuccio. Sembrava fuori posto in quel luogo allegro, uno dei tipici visitatori de La Testa di Porco. L’uomo si girò e incrociò il suo sguardo; James rabbrividì e fu costretto a girarsi.
«Tutto a posto?» chiese Lily. James annuì nervoso e la ragazza aggrottò le sopracciglia. «Usciamo?»
«Forse è… meglio» disse James. Non sapeva perché, ma non voleva assolutamente essere nello stesso luogo con quell’uomo. I due ragazzi si alzarono, presero i loro acquisti e uscirono velocemente.
Quando furono in una via laterale del villaggio – situata accanto a un boschetto e tappezzata di foglie secche – Lily parlò: «James, cos’è successo».
«Io…» il ragazzo faticava a parlarne. Non era sicuro di ciò che aveva percepito e credeva che Lily lo avrebbe preso per pazzo. La rossa gli si parò davanti e lo bloccò.
«James, cos’è successo?» ripeté, con tono più dolce e con la preoccupazione visibile negli occhi. James le lanciò uno sguardo triste.
«Era entrato un uomo, nel pub» disse. «E… appena l’ho visto, mi sono sentito come quando… come dopo la punizione con la Mason».
Lily digrignò i denti. Dopo quel fatto, odiava la vampira più che mai. Faticava a non ucciderla a ogni lezione e si lamentava sempre del perché Silente non l’avesse già sbattuta fuori.
“Non può perché non ha prove” le aveva detto Remus, una volta. “Deve poterla licenziare come insegnante, non come vampira. Se non lo facesse, tutta la credibilità che ha andrebbe a farsi benedire e tutte le coalizioni con creature magiche che ha creato verrebbero distrutte all’istante”.
Capiva la posizione di Silente, ma questo non le impediva di volere la Mason morta. Tuttavia, a ogni lezione era costretta a fare buon viso a cattivo gioco.
«James, non devi preoccuparti; finché ci siamo noi, tu non…»
«Io a volte lo sento» mormorò il ragazzo. «Specialmente di notte. Mi entra nei sogni e… diciamo che a volte preferirei non dormire affatto».
Lily lo guardò, desolata. Non aveva idea di cosa fare. James, inaspettatamente, sorrise.
«Non pensiamoci più, d’accordo? È il nostro primo appuntamento ufficiale, dopotutto, e credo che ci siamo depressi abbastanza» disse.
«James…» lo rimproverò Lily, ma lo sguardo che le mandò il ragazzo le fece capire che era meglio non insistere. Sospirò, abbassando lo sguardo. «D’accordo».
 Il ragazzo le accarezzò la guancia, facendole alzare immediatamente gli occhi. Quando incontrò i suoi, caldi e dolci, si sentì mancare qualche battito e sentì il suo cervello tornare in modalità “Dove sono? Cosa ci faccio qui? Come mi chiamo?”.
«È un’ingiustizia che tu sia così carina quando sei preoccupata» mormorò, peggiorando la situazione. Lily entrò in modalità “…” – nel senso che non avrebbe potuto dire una parola. Possibile che un ragazzo le facesse quell’effetto? Un ragazzo che, effettivamente, conosceva bene solo da un mesetto scarso e che aveva ignorato in sei anni? Un ragazzo alto, bello, oggettivamente figo e… Oh, perfetto, ora stava iperventilando.
«Tutto a posto?» questa volta era lui quello preoccupato. Lily non si azzardò ad aprire bocca, per evitare di dire cose come “sposami” e concetti simili. Si sentì avvampare. «Lily, sul serio, stai bene? Sembra che tu abbia la febbre».
«Tranquillo, sto bene» disse la ragazza. James le lanciò un altro sguardo indagatore, ma non disse nulla.
«In ogni caso, credo sia meglio tornare: è quasi ora di pranzo» disse James. Su quello, Lily non ebbe nulla da replicare. Non appena ebbero fatto qualche passo, però, la ragazza afferrò il polso di James, che si girò all’istante. Lo sguardo di lei era fermo e deciso, nonostante l’evidente rossore facesse a pezzi quella maschera di serietà.
«James, voglio che tu mi prometta una cosa» disse. Il ragazzo si fece più attento. «Se senti che… l’Altro stia facendo qualcosa, o se solo temi che possa accadere, non tenertelo per te. Non fare l’eroe che non vuole affidare il suo peso agli altri. Ci sono io, ci sono i tuoi amici. Non sei solo, quindi non sei costretto ad affrontare tutto senza qualcuno che ti dia una mano».
James all’inizio rimase stupefatto, poi si aprì in un sorriso dolce.
«Lily, sul serio, ti preoccupi troppo…»
«Promettimelo» disse Lily con fermezza. James sospirò.
«D’accordo, lo prometto» fece lui, anche se era chiaro a entrambi che non l’avrebbe fatto. Lily gli lanciò uno sguardo triste. Lui le posò un bacio sulla guancia, facendola rabbrividire leggermente. «Sta’ tranquilla, non succederà nulla».
Lei sbuffò.
«Fino a cinque secondi fa ero io che tranquillizzavo te» borbottò. James rise.
«STA’ LONTANO DA LEI!» ruggì una voce. I due si girarono di scatto, estraendo istintivamente le bacchette.
Davanti a loro, bloccando la via, c’era una persona avvolta in un mantello nero. Tuttavia, non era l’uomo nel pub, bensì un ragazzo, poco più basso di James e piuttosto gracile. Il cappuccio doveva essere incantato, poiché non riuscivano a identificare i tratti del ragazzo e non erano riusciti a captare con esattezza il suo tono di voce.
«Cosa vuoi?» chiese James. Per tutta risposta, arrivò un rapido Incantesimo di Disarmo che, tuttavia, riuscì a parare. In altri casi avrebbe sbeffeggiato il ragazzo ma si rese conto che non sarebbe stata una buona idea. Da come tremava e digrignava i denti, era chiaro quanto fosse furioso. Il suo cervello registrò la cosa.
Un altro incantesimo venne lanciato e di nuovo parato.
«Ah!» James si girò in tempo per vedere Lily cadere a terra, con i piedi e le mani legate da corde. L’incantesimo serviva solo a coprire l’Incarceramus. Altra connessione. Una persona intelligente non male nel duello, furiosa contro di lui e che aveva legato Lily, probabilmente per toglierla dallo scontro.
James si diresse immediatamente verso la ragazza e, prima che potesse slegarla, un altro Incantesimo di Disarmo scaturì dalla bacchetta dell’incappucciato e il ragazzo dovette gettarsi di lato per evitarlo.
Dopodiché arrivò il turno degli Schiantesimi, una raffica violenta che costrinse James ad allontanarsi da Lily.
«Expelliarmus!» La bacchetta di James mandò un lampo rosso che mancò l’incappucciato di un soffio.
«Stupeficium!» James evitò con facilità lo Schiantesimo. Lily riuscì a liberarsi le mani.
«Non voglio combattere con te, Piton!» esclamò il Grifondoro. Sia Lily che l’incappucciato lo guardarono, stupefatti. «Non ne ho motivo».
«Non la pensavi così negli ultimi sei anni, vero?» ringhiò Piton, puntando poi la bacchetta verso i piedi di James. «Confringo
La terra sotto al ragazzo esplose, accecandolo e facendolo indietreggiare di molto. James cominciò a cercare di togliersi la terra dagli occhi, ma sapeva che Piton aveva ideato un’ottima strategia.
«Sectumsempra» disse Piton, con la voce calma piena di malvagità. Per Lily, che assisteva impotente, cercando di slegarsi i piedi, fu come vedere James esplodere; sotto il suo sguardo pieno d’orrore, il ragazzo cadde in ginocchio, sanguinando. Rimase immobilizzata, sotto shock.
Okay, con un po’ di sforzo aveva potuto accettare che il suo ex migliore amico e futuro salvatore di suo figlio cercasse di ammazzarli. Tutto a posto, tanto poi si redimerà e compagnia bella, no? Tuttavia, non si aspettava che Severus cercasse veramente di farli fuori. E invece James era lì, pieno di ferite e sanguinate, che cercava con tutte le sue forze di non cadere a terra.
Lily riuscì a reagire solo quando vide Piton dirigersi a passo lento verso James. Cercò disperatamente di togliere i lacci ma sembrava tutto inutile. Poco più in là, vide la sua bacchetta, rotolata via quando era caduta. Cercò di raggiungerla, strisciando sullo strato di foglie il più velocemente possibile. Non riuscì, però, a impedire a Piton di raggiungere il Grifondoro e colpirlo sul volto, facendolo definitivamente crollare e rompendogli anche il naso.
James, a terra e senza potersi muovere, cercando di non emettere alcun gemito di dolore, sembrava morto. Lily rabbrividì a quel pensiero e questo la riscosse. Afferrò la bacchetta e con un rapido gesto liberò i piedi, quindi scatto in avanti e scagliò un raggio di luce verso Piton. Non sapeva neanche che incantesimo avesse usato e neanche le importava: doveva solo allontanarlo da James, a ogni costo.
Piton si girò all’ultimo istante e parò l’incantesimo. Puntò la bacchetta a terra e, seguendo un Incantesimo Non-Verbale, una radice spuntò dal terreno e le legò i piedi. Di nuovo. Fortunatamente, questa volta Lily riuscì a mantenere l’equilibrio e a non perdere la bacchetta, con cui bruciò velocemente il legno che la imprigionava.
Cominciò quindi a scagliare raffiche d’incantesimi verso Piton, con l’intento di farlo indietreggiare. Idea buona all’inizio, ma a lungo andare…
Piton si Smaterializzò, apparendo a pochi metri di distanza, abbastanza da evitare gli incantesimi e Disarmare Lily, che vide la sua bacchetta venirle strappata via.
«Sei caduta in basso, Lily» disse Piton fra i denti. «Credevo fossi superiore a certa gente».
«Per te è “Evans”, Piton» ringhiò la ragazza. Forse non era la cosa più intelligente da dire, ma molto probabilmente riassumeva rapidamente tutto ciò che ora provava verso di lui.
In ogni caso, Piton non la prese troppo bene, a meno che uno Schiantesimo dritto sul volto non sia per voi un segno di affetto.
Lily cadde a terra, stordita. Il Serpeverde si era evidentemente trattenuto, altrimenti la ragazza avrebbe già perso i sensi.
Tuttavia, nessuno avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo dopo.
James, sebbene con la vista oscurata dal dolore dalla perdita di sangue, aveva visto tutto e ciò che temeva accadde. Bastò la furia che gli si scatenò dentro per liberare l’Altro, che prese immediatamente il controllo.
Le ferite si richiusero quasi all’istante, lasciando solo pallide cicatrici che, probabilmente, non sarebbero più andate via, e il ragazzo si alzò in piedi, così silenziosamente che Piton non lo sentì. Però quando il Serpeverde si chinò su Lily, per motivi a noi sconosciuti, la voce gli arrivò più che chiara.
«Non ti azzardare a toccarla». La voce di James era bassa e roca e, anche se Piton non l’avrebbe mai ammesso, spaventosa. Quando si girò, si trovò davanti un ragazzo coperto di sangue eppure senza alcuna ferita, con gli occhi completamente neri – iride e tutto il resto – così come quella specie di aura che partiva dalla bacchetta e rifluiva per il braccio destro.
«Allontanati da lei». In altri casi, Piton lo avrebbe schernito in qualche modo, ma capì che non stava parlando con il normale James, anzi, forse non stava parlando affatto con lui. Quindi ubbidì, spostandosi dalla ragazza e tenendo sott’occhio la bacchetta dell’avversario.
Lily riuscì a riprendersi un po’ e rischiò di svenire di nuovo quando vide l’aspetto del Grifondoro.
«James» mormorò, terrorizzata, cercando di rialzarsi. Il ragazzo si girò verso di lei. A Piton, quegli occhi sembravano solo orribili, lo sguardo di un mostro. Lily ci lesse dentro il terrore di se stesso che aveva visto sempre più spesso, solo che, prima, James cercava sempre di sviare ogni allusione, facendo intuire che non voleva parlarne.
Piton prese al balzo la situazione, dirigendo un altro Sectumsempra contro il Grifondoro. Non si aspettava, tuttavia, che la maledizione andasse a schiantarsi contro una barriera invisibile; non poté fare a meno di chiedersi quando Potter l’avesse evocata.
James si girò verso di lui, inchiodandolo con quello sguardo demoniaco. Potter alzò la bacchetta.
«James!» esclamò ad alta voce la ragazza, cercando di distrarlo di nuovo. Parte dell’aura oscura che circondava il braccio del ragazzo si staccò dalla punta della bacchetta, in una specie di proiettile di Magia Oscura, veloce e impossibile da evitare. La maledizione colpì Piton a una guancia, su cui cominciò ad ardere fuoco nero.
Il Serpeverde urlò di dolore e si Smaterializzò all’istante. L’aura nera attorno al braccio di James scomparve, ma gli occhi erano ancora d’inchiostro.
«James» ripeté ancora Lily, questa volta prendendo la mano del ragazzo, che la guardò di nuovo. La rossa dovette costringersi a non rabbrividire per quegli occhi inquietanti e che non appartenevano al ragazzo con cui aveva passato la mattinata – possibile che fosse accaduto tutto così in fretta? «Torna indietro».
Il ragazzo la osservò ancora per un attimo e Lily giurò di vedere il nero ritirarsi agli estremi dei suoi occhi, ma il Grifondoro distolse rapidamente lo sguardo.
Lily poggiò una mano sulla sua guancia, ignorando il sangue che lo ricopriva, e lo fece voltare nuovamente. Era arrivata alla conclusione che, per poter riavere il vecchio James, poteva fare solo una cosa.
Quindi si alzò in punta di piedi e lo baciò.
Non era il primo bacio leggendario in cui sperava, ma non le dispiacque più di tanto. E poi, tecnicamente non è che stesse baciando proprio James, giusto?
Si separarono dopo qualche secondo ma fu abbastanza: il nero negli occhi del ragazzo si ritirò verso l’interno della pupilla, per farli tornare del consueto color nocciola. Fu strano. Sembrava di vedere il video di un barattolo di vernice nera che veniva rovesciato, solo che con la modalità reverse.
Rimasero immobili per qualche secondo, poi Lily vide le lacrime solcare il viso del Grifondoro immediatamente prima che questo si accasciasse a terra.
La ragazza gli fu subito accanto, terrorizzata. James era svenuto e, a sentire dalla fronte, bruciava di febbre. Non avendo altra scelta, la ragazza corse ad afferrare la sua bacchetta caduta e, dopo essersi concentrata un po’, una massa d’argento lucente uscì dalla sua bacchetta e si diresse a grande velocità verso l’interno del castello. Direzione: Remus.

*****

«Sei venuta, finalmente» disse l’incappucciato. Era all’interno di un bosco attiguo al villaggio, fermo in piedi. Davanti a lui, una donna dai capelli neri e con indosso un elegante vestito dello stesso colore si fece avanti. Aveva un sorriso furbo e maligno.
«Mi scusi, Maestro, ma sono rimasta a osservare alcuni sviluppi che hanno portato avanti il nostro Piano A» disse la Mason. Il Maestro sorrise.
«Il ragazzo?» chiese.
«Il Risveglio sta cominciando» rispose la professoressa, piena di soddisfazione. «Ci vorrà molto, ma poi potremo procedere con tutta tranquillità».
«Lo tieni sotto controllo?»
«Ho estratto un po’ del suo sangue prima di iniziare il Rituale» disse.
Il Maestro annuì.
«Tuttavia abbiamo alcuni problemi» ammise la professoressa.
«Ovvero?»
«Oltre Silente, anche Lupin e Tonks sono tornati» riferì la donna. Il Maestro, inaspettatamente, sorrise.
«Oh, di questo ero venuto a conoscenza» disse. Il volto della Mason fece trasparire, per un attimo, un’espressione incredula.
«E come, se posso chiederlo?»
«Grazie a loro». A un cenno della mano del Maestro, altre due figure incappucciate comparvero dal nulla. Una era una donna, con lunghi capelli neri e dal sorriso folle; accanto a lei c’era un uomo dalla faccia storta e volgare.
«E loro sarebbero?» chiese la Mason, stupefatta.
«Chiamiamoli Piano B» disse il Maestro, ghignando con malvagità.
«Sono Narratori?» chiese la donna. Il Maestro annuì. «E anche…?»
«Esattamente». La Mason fece un sorriso soddisfatto.
«Vedrò di farli entrare nella scuola» disse.
«Solo Antonin» disse il Maestro, per poi poggiare una mano sulla spalla della donna. «Per lei ho altri piani».
La Mason annuì.
«Quando?» chiese la donna.
«Entro Natale». La professoressa annuì di nuovo, fece un breve inchino e si Smaterializzò.
«E così ebbe inizio l’Era Oscura del Mondo Magico» mormorò il Maestro, osservando il castello in lontananza. «L’Era di Apophis».



Sala Comune di Tassoverde

Okay, ragazzi, e ora... sfogatevi! Su, forza, lanciate tutti i pomodori e le uova marce che volete! Prometto che non farò alcun tentativo di evitarle!
Onestamente, mi spiace di non aver potuto pubblicare, la settimana scorsa, ma sono stato male per tre-quattro giorni e non ho potuto scrivere. Ma il capitolo è bello lungo e quindi mi perdonate, giusto?
- Uccidetelo! -
Piantala, Evans!
Comunque, tornando a noi. Come avrete notato (se lo avete letto, se non lo avete fatto non vi biasimo ma è un capitolo importante quindi... hop-hop, su a leggere!) il capitolo è leggermente Jily. E voi direte "Ma non era una fan fiction su Dora e Remus?" e io vi capisco, ma 'sti due prima o poi dovranno mettersi insieme! Prima loro, poi le lotte all'ultimo sangue (anche se in questo capitolo ci sono state entrambe, ma vabbé).
Allora, cosa ne pensate? Vi piace? Vi intriga? O lo prescrivereste a un vostro amico costipato? No sul serio, siate franchi. A me, a parte alcuni pezzetti, non piace. Credo di averci inserito troppi elementi "nuovi" e assurdi. Se vi lamentate del fatto che "è tutto incasinato", tuttavia, non preoccupatevi: come al solito, è quello che voglio (muahahahah!).
Vorrei fare un piccolo chiarimento: l'oricalco dei Maridi e Atlantide sono cose a parte (almeno per il momento), diciamo che sono una specie di sottotrama sostanzialmente inutile, ma che fa scena (lo so, come scrittore non dovrei dire certe cose, ma voglio essere onesto con voi).
Cosa ne pensate di Severus? Io ho sempre pensato che avesse reagito molto male vedendo i due ragazzi uscire insieme. Ovviamente, qui ho ingigantito la cosa (super-razzismo ossessivo, ricordate? La gente, qui, è moooolto più oscura!).
Cosa ne pensate del Maestro/Apophis? Al momento non ci capite nulla, vero? Bene! Comunque tranquillizzatevi: non appariranno enormi serpenti del Caos pronti a distruggere il Maat, non preoccupatevi (almeno per il momento...).
Credo di poterla finire qui... quindi passiamo ai ringraziamenti!!
Ringrazio immensamente le 9 persone che hanno messo la storia fra le Preferite, le 3 che l'hanno messa fra le Ricordate e le 3... aspetta, sto leggendo bene? Porca Morgana! 31 fra le Seguite? Ma... ma... io così muoro!
No, sul serio, ragazzi... io vi amo! Ma chi siete, o esseri superiori con cotale pazienza da stare a seguire i mei squilibri mentali e fisici? Una statua a ciascuno, via!
Ovviamente, devo ringraziare in particolare tutti coloro che mi hanno lasciato le loro bellissime e utilissime recensioni. A voi non posso dire che vi amo: farei nomi e la cosa potrebbe diventare imbarazzante e compromettente. Quindi accontentatevi di un abbraccio. Ecco.
Al prossimo capitolo!
Vi voglio bene,
Hufflerin

P.S.: Il prossimo sarà l'ultimo capitolo pubblicato settimanalmente. Da dopo il prossimo, manterrò lo stesso criterio di pubblicazione "venerdì-sabato-domenica", ma l'aggiornamento sarà bisettimanale: con la scuola, già prevedo un miliardo di cose da fare, sorry. Tuttavia, se sarà possibile, il capitolo verrà pubblicato settimanalmente (ma non ci contate troppo).
P.P.S.: Come al solito, vi sarei molto grato se mi segnalaste eventuali errori di ortografia e grammatica che sono sfuggiti alla mia revisione. Grazie in anticipo.



Prossimo aggiornamento domenica 15/09/'13, con il settimo capitolo: "Potters".

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Capitolo 8
*** Chapter VII - Potters (parte 1) ***


7. Potters (part 1)

“Siamo a Hogsmeade. James è ferito. Ho bisogno di aiuto per portarlo in infermeria. Venite subito.”
Più che un messaggio sembra un telegramma, ma non credo sia il momento di stare a sottilizzare.
La corsa attraverso il parco è veramente estenuante. In altri giorni, mi meraviglio di quanto sia grande e imponente. In questo momento, invece, trasfigurerei un sasso in un bulldozer e raderei al suolo tutto. È strano vedere come la propria opinione cambi a seconda della situazione.
Arrivati a Hogwarts, io, Sirius, Dora e Mary, ci rendiamo conto di una cosa: non abbiamo la minima idea di dove siano i due. Se fosse accaduto immediatamente dopo la luna piena, avrei potuto in qualche modo fiutarli – più o meno – ma al momento sono piuttosto inutile. Fortunatamente abbiamo un annusatore di riserva.
«Sirius, ci serve Felpato» gli dico. Probabilmente Dora e Mary non hanno capito subito ma Sirius annuisce, corre dietro un boschetto e riemerge in forma di cane, cominciando ad annusare l’aria.
Dopo pochi secondi, scodinzola e poi prende a correre, abbaiando.
Ci avviciniamo sempre di più al confine del villaggio e le foglie dei boschi intorno tappezzano completamente le strade.
Sirius comincia a uggiolare e la cosa mi preoccupa. Forse ha perso la traccia. O forse fiuta qualcosa di brutto.
Seguiamo il pulcioso per un altro paio di vie e, proprio quando comincio a chiedermi perché non abbiamo inserito anche Hogsmeade nella Mappa del Malandrino, li troviamo. Le cose sono peggio di quanto pensassimo.
James è a terra, coperto di sangue e svenuto, e Lily è accanto a lui, che cerca inutilmente di farlo rinvenire.
Sirius comincia a correre e si trasforma velocemente. In un attimo è accanto a James. Lily alza gli occhi, sorpresa.
«Cos’è successo?» chiede Felpato, preoccupato. Ci avviciniamo anche noi e vedo il volto della ragazza coperto di lacrime. Mary va subito accanto a Sirius e si china su James. È una fortuna avere una futura Medimaga fra noi.
«Abbiamo incontrato Piton» spiega Lily, fra i singhiozzi. Dora le si fa vicino e le poggia una mano sulla spalla. Nell’ultimo mese, le due sono diventate molto amiche. «Era furioso e ci ha attaccato. Abbiamo provato a difenderci, ma ha immobilizzato me e ha ferito James. Poi… è tornato l’Altro».
«L’Altro?» chiedo, confuso. Lily annuisce.
«È così che lo chiamiamo… l’altra parte di James, quella…»
«Creata dalla Mason» conclude Mary, esaminando le ferite del ragazzo. «Piton deve aver usato una maledizione molto potente. Molte ferite si sono cicatrizzate, ma le più ampie non sono riuscite a chiudersi completamente».
«Poi ha colpito Piton con… qualche Magia Oscura, non so di che tipo ma l’ha fatto scappare» continua Lily. «Io ho provato a farlo tornare e quando ci sono riuscita è svenuto e… adesso non si sveglia».
«Lily, non preoccuparti» dice Mary, guardandola negli occhi. «Ha perso molto sangue e, in qualche modo, è come se fosse riuscito ad attingere alle proprie riserve di magia. Adesso solo Madama Chips può fare qualcosa».
Lily annuisce. Io, e anche gli altri, lanciamo uno sguardo confuso a Mary che scuote la testa, in segno di “ve lo spiego dopo”. Nessuno di noi capisce questa storia de “le proprie riserve di magia”.
Faccio comparire una barella a mezz'aria e ci deposito sopra, con più delicatezza possibile, James con un Incantesimo di Levitazione. Ci incamminiamo senza dire una parola
Ricordo che anche nella nostra dimensione Severus non prese affatto bene la relazione tra i due, ma non arrivò mai a usare il Sectumsempra – perché è evidente che la maledizione è quella - contro James. In realtà, i due presero a litigare furiosamente e Lily dovette intervenire per impedirgli di prendersi a cazzotti. Tuttavia, non ci furono altre simili manifestazioni di “amicizia”.
A quanto pare, da questa parte non c’è solo un razzismo più radicato, ma le persone stesse sono diventate un po’ più… oscure, se così si può dire.
Ci mettiamo un po’ per arrivare, considerato soprattutto che la strada è in salita, e ogni passo è un’agonia.
Quando Madama Chips lo vede, per poco non gli viene un infarto. Poverina, la capisco.
«Cosa gli è successo?» chiede, terrorizzata.
«Per farla breve» dico subito. «Gli hanno lanciato una maledizione, si è curato in qualche modo ma non ha fatto un buon lavoro e ha consumato parte della propria magia. Ora è svenuto e non si sveglia».
Madama Chips sbatte un po’ le palpebre, cercando di capire cosa fare. Poi, con il suo tono risoluto, ordina a Sirius di portarlo dentro e distenderlo su un lettino. Dopo, ovviamente, ci caccia via.
«Okay» fa Dora, dopo un po’ di silenzio. «Credo che staremo qui fuori per parecchio, quindi, Mary, potresti spiegarci di cosa stavi parlando prima?»
«Che intendi?» fa Mary, confusa. Dev’essere lo shock.
«Riguardo alle “riserve di magia”…»
«Non lo sapete» chiede, sbalordita, guardandoci a turno. «Oh, okay. Non me l’aspettavo. Dato che venite dal futuro pensavo che… Be’, credevo avessero inventato nuovi modi… Ma ovviamente per queste cose ci vogliono secoli, per cui è normale che…»
«Tesoro» la interrompe Sirius, sedendosi a terra. «Non che non mi piaccia sentirti parlare, assolutamente… Ma ti dispiacerebbe arrivare al punto?»
«Giusto» fa Mary. «Allora, voi sapete come funziona la magia, giusto?»
«Sì, ovviamente… Ma, per sicurezza, diccelo pure» risponde Dora. Se non fosse un momento tanto delicato, scoppierei a ridere.
«La magia è qualcosa d’invisibile che si trova in ogni cosa che ci circonda. C’è sempre ed è lì, pronta per essere richiamata tramite le nostre formule. È la quintessenza dell’universo» spiega. «Quando usiamo un incantesimo, incanaliamo tramite le bacchette – e i nostri poteri, ovviamente – l’energia magica intorno a noi e la sprigioniamo nella forma che riteniamo più utile. Capite bene che il modo di usare la magia, o Etere come la chiamava Aristotele, è infinito e non ci sono regole precise. Al massimo si potrebbero parlare di eccezioni, cose che l’Etere non può fare».
«Ma scusa» s’intromette Sirius. «Noi usiamo l’Etere o la magia?»
«Si può dire che l’Etere è la fonte, mentre la magia è ciò che viene manipolato da noi. Quindi, in sostanza, si può dire che usiamo entrambi» risponde la ragazza.
«Tuttavia» dice Lily, osservando Mary con attenzione. «C’è una seconda fonte di Etere».
«Esatto. All’interno dei maghi esiste come un centro magico. Si può dire che ognuno di noi ha una piccola fonte di Etere al proprio interno».
«Wow, più che un mago ora mi sento uno Jedi» commento. Okay, magari è un po’ fuori luogo, ma non ho saputo trattenermi.
«Un che?» chiede Sirius, inclinando la testa. Quando lo fa, assomiglia in modo incredibile a un cane.
«Lascia stare, roba Babbana» dice Dora, in fretta.
«Come stavo dicendo» continua Mary. «Ognuno di noi ha una fonte di Etere. Di solito, però, è impossibile arrivare ad attingerci e per questo i maghi possono lanciare magie in modo quasi infinito. Però, in alcuni casi, è stato visto che in situazioni di vita o di morte, alcuni maghi sono riusciti a sfruttare in modo inconscio la loro riserva interna. In realtà, in alcuni popoli dell’antichità la riserva interna veniva usata comunemente, ma non è importante. Comunque, si è potuto vedere che la potenza della riserva interna supera quella esterna di cento volte».
Fischio sommesso di Sirius.
«E se fosse lì che si trova?» chiede Lily. La osserviamo, confusi. «L’Altro, la “parte oscura” di James. Se avesse trovato un modo di rifugiarsi nella riserva interna di Etere…»
«Sarebbe cento volte più potente di James» conclude Dora.
«Ma non ne abbiamo la certezza!» protesta Sirius.
«Perché, ultimamente abbiamo mai avuto la certezza di qualcosa?» chiede Lily, mesta.
Qualche minuto di silenzio.
«Tu come lo sai tutto questo?» chiedo a Mary. Lei arrossisce leggermente, ma scuote i capelli con aria noncurante.
«Mia madre è un’Indicibile e… ho spiato gli appunti sulle sue ricerche» ammette. «Ha la pessima abitudine di non chiudere la porta del suo ufficio con la magia. Una forcina lì, una pressione là e il gioco è fatto».
«Io amo questa ragazza» dice Sirius, guardandola a occhi spalancati. Mary ride.
«Be’, tu sei evaso da Azkaban e lei è una scassinatrice provetta. Siete decisamente la coppia perfetta» scherza Lily. Ridacchiamo tutti e sono felice di vederla sorridere un po’. Almeno l’attesa non dovrebbe essere troppo dolorosa. Forse.
«Credo che dovrei andare a dirlo a Silente» dice Dora.
«No» dice Sirius, alzandosi in piedi. «Vado io da Silente. Quasi sicuramente chiamerà Charlus e Dorea, quindi sarà meglio che io sia lì».
Annuisco e, alla fine, anche le ragazze devono ammettere che sia una buona idea e Sirius si dirige in fretta verso l’ufficio del preside.
«E adesso?» chiede Lily. Mi siedo a terra, appoggiando la schiena al muro.
«Adesso aspettiamo» rispondo. Le ragazze si scambiano un paio di sguardi e m’imitano.
Ripenso a quello che mi ha raccontato Lily e lo collego alle informazioni di Mary.
James non è mai stato potentissimo negli incantesimi d’attacco, è un bravo duellante ma può migliorare, è più portato per la Trasfigurazione; so, tuttavia, che in poco tempo migliorerà incredibilmente, ma deve ancora arrivare, quel tempo. Poi arriva l’altro e BUM! Incantesimi Oscuri così potenti che Gandalf diventa pericoloso quanto un chihuahua. Di certo, stava attingendo alla sua riserva interna. L’idea che l’Altro si sia “nascosto” al suo interno non mi sembra troppo stramba. O forse, semplicemente, l’Altro ha un’ampia conoscenza della magia, anche se dovrebbe condividere il proprio sapere con James. Non so cosa pensare.
«Hai detto che alcuni popoli antichi usavano la riserva interna. Chi erano?» chiede Lily all’improvviso. Mary la guarda sorpresa, per poi rispondere.
«Gli Egizi, soprattutto. Erano abili maghi, conoscevano tutti i modi per sfruttare la riserva. Grazie a questo tipo di magia sono riusciti a dominare l’Egitto per tremila anni. Solo che avevano un difetto: non sapevano usare le riserve esterne. Quando arrivarono i Romani, i maghi delle due fazioni si scontrarono. Gli Egizi avevano magie più forti, ma non potevano combattere all’infinito. Vennero sconfitti perché la maggior parte di loro usò tutta la propria riserva e… Be’, presero fuoco. Letteralmente» spiega la ragazza. Deglutisco. Non proprio la fine migliore.
«Wow» dice Dora, sbalordita. Credo che riassuma tutto molto bene.
Mary si alza.
«Dove vai?» chiede Lily.
«Ad avvertire Emmeline, Marlene ed Evelyn, prima che si preoccupino troppo» dice, semplicemente, e se ne va. E due sono andati via. Si accettano scommesse su chi saranno i prossimi.
«Quindi non erano Ideali Immessi» dice Lily all’improvviso. «Quelli usati dalla Mason, intendo».
«Probabilmente no» ammetto. Sono un Grifondoro, è dura ammettere di aver preso un granchio.
«O forse sono Ideali, ma modificati per fare… Qualunque cosa stiano facendo a James» dice Dora. Inarco un sopracciglio e lei scrolla le spalle in un “almeno ci ho provato”.
«Se oggi non fossimo usciti, tutto questo non sarebbe successo, vero?» chiede Lily. Ci giriamo a guardarla; si è circondata le gambe con le braccia e ha appoggiato la testa sulle ginocchia. Sembra stia parlando più a se stessa che a noi. Dora le va accanto e le passa un braccio intorno alle spalle.
«No» dice, dolcemente. «Piton avrebbe comunque trovato un pretesto per litigare, non potevate impedirlo».
«Anzi» faccio io. «Siete stati fortunati: eravate in un punto isolato. Chissà cosa sarebbe successo se l’Altro fosse arrivato davanti a tutta la scuola».
Magari può suonare un po’ cinico – e Dora sembra crederlo, dall’occhiataccia che mi ha lanciato – ma credo sia la verità e, per mia esperienza personale, in questi casi è meglio dirla nuda e cruda. È stato così che mi hanno detto della mia maledizione. All’inizio non mi piaceva che me l’avessero detto in quel modo, ma poi ho capito che mi sarei irritato molto se avessero provato a temporeggiare. Almeno, questo è quello che credo.
«Be’, magari avrebbe fatto venire i capelli bianchi a qualche Serpe» mugugna Lily, alzando un po’ la testa.
«Allora menomale che Malfoy ha già finito la scuola» fa Dora. «Altrimenti come sarebbero diventati a lui? Trasparenti?»
Io e Lily ridacchiamo.
«No, probabilmente ha uno spesso strato di shampoo che li protegge» scherza la rossa.
«Non so perché ma mi è appena venuta nella mente l’immagine di Malfoy senza capelli» dico. «E… sembra quasi contro natura».
In effetti, Lucius sembra nato con quella parrucca platinata in testa.
«E come hai fatto?» chiede Lily, stralunata. «Io non ci riesco a immaginarlo calvo. Non so nemmeno se ha una testa, lì sotto».
E, con strane frasi sull’impossibilità di un Malfoy calvo, aspettiamo che Madama Chips ci dia il suo esito.


*****

«E questo è tutto» disse Sirius, torturandosi le mani e guardando il professor Silente, che aggrottò le sopracciglia in modo pensieroso.
«Capisco» disse soltanto. «Le cose sono peggiori di quanto pensassi».
«Sapeva che l’Altro sarebbe tornato?» chiese Sirius, con un accenno di accusa e irritazione. Almeno secondo lui, stavano perdendo tempo: avrebbero dovuto subito contattare i Potter.
«Supponevo che non sarebbe finita qui» rispose l’uomo, pacato. «La Mason ha avuto molto tempo per preparare questo piano, quindi ho immaginato che non si potesse fermasse a ciò che è accaduto».
«E quindi?» chiese il ragazzo. «Adesso cosa facciamo?»
«Onestamente, Sirius, non lo so» ammise Silente. «Non so se sia una buona idea, al momento, avvertire i genitori di James, ma prima o poi lo verranno a sapere e…» gli occhi di Silente scintillarono di una strana luce. «Sì, credo sia più saggio avvertirli».
Sirius sorrise, capendo cosa intendeva il Preside: sicuramente, i genitori di James si sarebbero infuriati con tutti loro una volta saputo ciò che avevano provato a tacere.
«Professore… potrei avvertirli io?» chiese, quasi senza pensarci. Credeva che fosse suo dovere: James era suo fratello e Charlus e Dorea i suoi genitori. Era giusto che fosse lui.
«Sei sicuro?» chiese di rimando il professore, scrutandolo da dietro gli occhiali a mezzaluna.
«Sì».
«Molto bene» disse, sorridendo. «Non che mi aspettassi altro, da Sirius Black».
Sirius strinse la mascella quando sentì il suo nome completo. Lo odiava.
Silente sospirò.
«Sirius, non è un nome che fa di una persona quel che è, così come non lo fanno le malattie» disse. Il ragazzo annuì. Molte volte Remus e James gli avevano fatto quel discorso ed è inutile dire che non è mai stato a sentirli. Solo perché lui era il preside che veniva dal futuro, non significava che gli avrebbe dato corda.
Il professore si alzò e prese una piccola sfera di metallo, completamente liscia e uniforme. Puntò la bacchetta contro l’oggetto e borbottò «Portus» per poi consegnarlo a Sirius.
Dopo la consueta, breve attesa, il ragazzo avvertì la presa all’ombelico e venne trasportato dalla Passaporta. Cadendo a terra. Di faccia. Cadendo a terra di faccia sul cemento.
Il ragazzo alzò gli occhi, massaggiandosi il naso. Era atterrato dritto sul portico dei Potter, fuori dalla porta di casa.
Impreco abbastanza coloritamente, alzandosi in piedi. Guardò per qualche secondo la sfera di metallo, decidendo poi di metterla nella tasca della divisa.
Villa Potter non era di certo come il maniero di cui si vantava Malfoy, ma aveva il suo fascino. Situata poco fuori Godric’s Hollow, era una grande casa in mattoni rossi, costruita intorno al XII secolo, che si ergeva su tre piani – soffitta esclusa. Sapeva per certo che le pareti interne erano rosso fuoco, attraversate da decorazioni d’oro in movimento; quando si guardano, sembrano coperte di fiamme. All’inizio trovava un po’ irritante quel continuo movimento, ma poi ha cominciato ad apprezzarlo e ad ammirarne l’effetto ipnotico.
Si avvicinò un po’ alla porta di casa, prese un bel respiro e bussò. Dopo pochi secondi, la porta venne aperta da Dorea Black in Potter, con il sorriso sul volto che si congelò non appena lo vide.
Dorea aveva la tipica bellezza dei Black, con i suoi capelli neri e gli occhi chiari. Fortunatamente, tuttavia, era una delle pecore bianche della famiglia e non è stata tolta dall’albero genealogico solo perché si è sposata con un Purosangue.
«Sirius» disse, stupefatta. «Che succede?»
Blocco.
“Pensa Sirius, pensa! Devi essere delicato e sensibile… Sei fottuto, Felpato, lasciatelo dire. Okay, comincia con calma, non essere diretto… Ecco, sì, confondili un po’ con le parole! Con quello sei bravo! Già, sei bravo, ma solo perché lo facevi con Walburga e Orion… vuoi davvero fare così con i Potter? Sì, Sirius, sei fottuto.”
«Ecco, dovrei parlarvi» fece lui, cauto, tentando un sorrisetto. “Un ottimo inizio! Bravo! Non hai risolto nulla, ma almeno guadagni tempo!”
«Silente sa che sei qui?» chiese la donna, guardandosi intorno come se il vecchio mago potesse comparire dal nulla.
«Sì, Dorea, mi sono… offerto per venirvi a dire alcune cose» disse. Capì che aveva completamente sbagliato a parlare due secondi dopo aver finito la frase.
«Sirius, mi stai spaventando!» mormorò la donna.
«No, sul serio, niente di cui preoccuparsi!» esclamò il ragazzo, stupefatto da se stesso. Per lo meno, che Madama Chips potesse curare James era una delle poche cose di cui era certo.
«Ehi, tesoro, chi è?» la voce di Charlus risuonò nell’ingresso e, dopo qualche istante, comparve l’uomo.
Charlus era un uomo alto, dai capelli corvini e spettinati tipicamente dei Potter – e, a quanto aveva sentito, anche Harry li erediterà – e gli occhiali – idem.
«Sirius» esclamò, sorpreso di vederlo quanto la moglie. «Cosa ci fai qui?»
«Silente l’ha mandato per dirci qualcosa» disse Dorea, piuttosto pallida.
«Ma niente di cui preoccuparsi!» ripeté il ragazzo, agitato. Se non fosse stato per il suo orgoglio, avrebbe cominciato a saltellare da un piede all’altro.
«Ragazzo, sei davanti alla porta di casa mentre dovresti essere Hogwarts, pallido come un cencio e con un tic all’occhio» Sirius si portò una mano all’occhio. «E vuoi farmi credere che non ci sia niente da preoccuparsi?»
«Eh, ma detta così ogni cosa sembra stupida» protestò Sirius.
«Be’, adesso entra e spiegaci tutto» disse infine Dorea.
Dopo un paio di minuti si ritrovarono nel soggiorno della casa, seduti sui comodi divanetti che ricordano tanto la Sala Comune di Grifondoro, con in mano i tè preparati da Dorea con un semplice colpo di bacchetta. Nell’aria aleggia ancora il profumo del pranzo consumato da poco.
«Dai, sputa il rospo» disse Charlus. «Cos’è successo a James?»
«Charlus!» esclamò Dorea.
«Oh, avanti, sai benissimo che Sirius non sarebbe venuto per altro» replicò Potter. Dorea, dovendo accettare l’evidenza, annuì con una smorfia triste.
«Ecco, vedete, oggi c’è stata un’uscita a Hogsmeade e James è andato… con Lily» sapeva con certezza che Charlus non aveva esultato solo perché aspettava la parte peggiore. «Una persona non ha preso troppo bene la cosa e… James è rimasto ferito. Ma ora sta bene! Non c’è da preoccuparsi! Madama Chips lo rimetterà a posto!»
Charlus e Dora continuarono a guardarlo, leggermente inebetiti da quella spiegazione frettolosa.
«Quindi ci stai dicendo che…»
«Che sono venuto qui per dirvelo, altrimenti vi sareste incazzati da morire e avreste ucciso Silente, ma che comunque James sta bene e non serve che interveniate» concluse Sirius.
«Non ci saremo...» cominciò Charlus, ma un’occhiata scettica di Sirius lo fermò. «Okay, d’accordo, forse, e dico forse, avrei provato a far fuori Silente».
«Bene» esclamò il ragazzo, alzandosi in piedi. «Ho fatto il mio dovere, vi ho avvertiti e ora me ne…»
«Sirius». Dorea sospirò. Sirius si sedette. «Se non fosse successo veramente nulla, Silente avrebbe mandato un gufo».
Sirius tacque. In effetti, non sapeva cosa replicare: era la domanda più naturale che si potesse fare, eppure lo metteva in difficoltà.
Perché Silente lo aveva mandato lì?
Be’, lo aveva chiesto lui.
Già, ma Silente avrebbe potuto impedirglielo.
A Sirius sembrava sentire le voci che si accavallavano nella sua testa, confondendolo sempre di più. All’inizio, quando era andato a casa dei Potter, sembrava una cosa naturale e ovvia, ora non riusciva a comprenderne il senso.
«Io non lo so» disse Sirius, sinceramente. Dorea lo guardò, perplessa per quella risposta. «Non lo so perché mi ha mandato qui. È vero che bastava solo un gufo e… Sono io o sta facendo buio all’una del pomeriggio?»
L’orologio parlava chiaro, ma il cielo sembrava aver altri piani: l’oscurità era scesa sopra la casa e i dintorni, un panno nero come la notte, che non faceva filtrare la minima luce. I tre si videro – per modo di dire – costretti ad accendere le bacchette.
«Che sta succedendo?» chiese Dorea, spaventata. «Sirius se scopro che sei tu…»
«Davvero credi sia capace di questo?» protestò Sirius. I Potter gli lanciarono un’occhiata scettica e lui sbuffò. «Non so se esserne lusingato o infastidito… forse infastigato… o lusindito... Per Godric, sembro James».
E poi arrivò il suono. Immaginate lo stridio delle unghie sulla lavagna e imprimetevelo in mente. Fatto? Bene, ora moltiplicate il suono per dieci e aggiungete in sottofondo un suono particolare, simile a quello di una motosega. Quello fu, all’incirca, il suono che si abbatté sulla casa.  Non sembra così spaventoso, vero? Ma la pioggia di vetri che colpì coloro che si trovavano all’interno li terrorizzò abbastanza.
Oscurità, suoni spettrali, vetri rotti… cos’altro abbiamo? Ah, già, i colpi alla porta e il fumo nero che cominciò a penetrare da ogni fessura. Inquietante, vero?
Ovviamente, Sirius aveva il controllo della situazione.
«CHE CAZZO STA SUCCEDENDO?» O quasi.
Poi ci fu il rombo. Un grande botto che fece tremare la casa dalle fondamenta e scardinò la porta.
«Ma questa casa non ha protezioni?» protestò Sirius, puntando la bacchetta verso la porta.
«Dovrebbe» disse Charlus a denti stretti.
Poi cominciarono a sentirsi i passi, che rimbombavano nell’ingresso come se a entrare fosse Hagrid – cosa non da escludere ma altamente improbabile.
Non appena s’intravide la figura, una forma umana incappucciata e con un lungo mantello nero, Charlus lanciò uno Schiantesimo di altissima potenza. Peccato che, prima di anche solo toccare l’uomo, l’incantesimo divenne una massa di fumo nero e scomparve.
«Okay, piano B!» esclamò Charlus.
«Ovvero?» chiese Sirius.
«Trova un modo per scappare, e in fretta!» spiegò Dorea, lanciando a sua volta un incantesimo verso la figura, ottenendo il medesimo tentativo.
L’uomo alla porta agitò una mano e la casa, partendo dagli stipiti della porta, cominciò a prendere fuoco.
«Per il momento proporrei di andare di sopra» suggerì Sirius, lanciando un getto d’acqua verso le pareti ma non riuscendo a domare le fiamme che, invece, si propagavano.
«Sono d’accordo» disse Charlus, continuando a lanciare incantesimi e indietreggiando verso le scale, preceduto da Dorea e Sirius.
«Forse non è una buona idea» disse la signora Potter. Dalle scale, scendeva un'altra figura incappucciata, questa volta con una silhouette visibilmente femminile, costringendo i tre a tornare nel mezzo del salotto.
«Dorea, chiedo il diritto di imprecare» disse Sirius, lanciando una fattura verso la donna, che la deviò con un gesto della bacchetta. Sembrava osservarlo, e la cosa lo faceva raggelare.
«Concesso» rispose Dorea, lanciando un Incantesimo Incarcerante verso l’uomo alla porta.
«Siamo fottutamente morti».
«Concordo» disse Charlus.
«Oh, su, un po’ di ottimismo!» replicò Dorea.
«Sarà una morte indolore» fece Sirius, concludendo il siparietto. Intanto, le due figure nere e fumose continuavano ad avanzare, mentre i tre cercavano una via di fuga.
Sirius quasi si vergognò di se stesso: cercava di scappare come un topo di fronte al gatto, cosa che non aveva mai voluto fare. Fin da piccolo, se c’era qualcuno che si metteva contro di lui, non si ritirava mai dagli scontri. Certo, a volte le prendeva di santa ragione, ma perlomeno non era scappato. Aveva sempre odiato la codardia, e ora lui stesso era un codardo. Una vocina nella sua testa gli diede dello stupido, dicendogli che lì non se la sarebbe cavata solo con un occhio nero e una costola incrinata. Sirius decise di starla a sentire e tornò a cercare febbrilmente un modo per fuggire.
La risposta arrivò quando i tre furono costretti a sistemarsi schiena contro schiena, bloccati ai due lati dalle figure fumose. Proprio quando la donna estrasse la bacchetta e la puntò contro di loro in un’agghiacciante risata folle, Charlus colpì accidentalmente la Passaporta che era ancora nella tasca di Sirius. La sfera di metallo cominciò a brillare di una strana luce azzurrina.
Sirius la prese in mano e la osservò: da un punto, avevano cominciato a delinearsi forme geometriche azzurre che in poco tempo ricoprirono tutta la sfera.
«Prendetemi la mano» disse in fretta ai Potter che, seppur guardandolo con curiosità, si fidarono e gli strinsero la mano con la bacchetta proprio mentre la Passaporta si attivava.
L’ultima cosa che Sirius vide, fu la donna che abbassava la bacchetta e lo squadrava con occhi folli e malvagi – e familiare – prima di scoppiare in un’altra risata ad alto contenuto di follia.


*****

«Lo ha usato» disse Remus, con fredda calma che nascondeva una grande ira.
«Remus…»
«Perché l’ha fatto? Mi aveva assicurato che si sarebbe occupato di proteggerli, in caso la storia si ripetesse nonostante le differenze» piano piano, mentre parlava, la sua voce si alzava sempre di più. «Con questo non credevo intendesse mandare un diciassettenne a bussare alla porta di casa per vedere se qualche Mangiamorte risponde».
«Remus, ho dovuto farlo».
«No che non ha dovuto!» esclamò infine il ragazzo, adirato. «Poteva mandare qualcun altro, poteva far sorvegliare la casa da qualcuno, poteva avvertire i Potter!»
«Remus, qui le mie risorse sono limitate: non ci sono membri dell’Ordine a cui chiedere di pattugliare una zona. Inoltre, non avevo modo di avvertire Charlus e Dorea, se non allontanandomi dalla scuola cosa che, in questo periodo, non ritengo saggio fare».
«Ci sono i gufi della scuola» sbuffò Remus. «C’è Fanny».
«Purtroppo, Fanny ha appena avuto il suo Giorno del Falò, e i Potter hanno imposto protezioni alla casa, in modo tale che solo gufi autorizzati possano entrare».
«Però la sua Passaporta è passata facilmente» ribatté Remus.
«Questo perché è stata usata da qualcuno che ha passato molto tempo all’interno di quelle protezioni».
«Le Passaporte non funzionano così!»
«Infatti quella non era una vera e propria Passaporta. È difficile da spiegare ma…»
Ninfadora irruppe nell’ufficio del Preside.
«Mi spiace disturbarvi» disse. «Ma James ha qualcosa che non va».


*****

James si guardò intorno.
Era in uno strano luogo, completamente bianco e, in apparenza, infinito.
“Sono morto?” si chiese il ragazzo, strizzando gli occhi nella speranza di distinguere qualcosa in quel mare bianco. “Forse le ferite erano troppo gravi e Madama Chips non ce l’ha fatta?”
«Chi sei?» chiese una voce. James si girò di scatto, incontrando un paio di occhi verdi. Occhi verdi su un corpo identico al suo. Il nome gli venne alle labbra all’istante.
«Harry» sussurrò, sconcertato. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia con sospetto.
«No, quello sarei io. Tu, invece, si può sapere chi diamine sei?» chiese Harry.
L’unica cosa che James riuscì a dire fu: «Porco Sirius».


*****

A Sirius fischiavano le orecchie.
«Cornuto, se parli male di me mentre stai morendo, giuro che ti uccido» disse a denti stretti, attirando lo sguardo stranito di Mary. Sirius scosse la testa e tornò a guardare all’interno dell’Infermeria, mentre Madama Chips cercava di tener fermo James che si dibatteva come un matto, aiutata da Charlus e Dorea.
Sirius si sentì il cuore in gola.



Sala Comune di Tassoverde

Okay, lo so, mi volete morto e tutto il resto, soprattutto per avervi dato un capitolo schifoso e nemmeno completo, ma c'è una spiegazione (una spiegazione orribile e che non mi renderà migliore ai vostri occhi, ma c'è): la scuola. Mi sono ritrovato, in questa prima settimana e nel primo week-end (non questo, quello precedente: ho cominciato giovedì12) a dover studiare per tre verifiche e un'interrogazione che, secondo i professori, ci sarebbero stati il giorno dopo (riferito al primo lunedì). Bene. Ho studiato come un matto (ma dico: chi è che ha inventato i compiti per le vacanze? Quelle non sono vacanze, diventano straordinari!) e, ovviamente non c'è stato un tubo. Alla fine, ho scoperto che l'interrogazione di storia era una cavolata (anche perché siamo riusciti a fregare l'insegnante), la verifica di italiano l'abbiamo fatta di giovedì, quella di latino venerdì e la verifica di chimica si farà quando avremo finito il capitolo che non ha spiegato... Inutile dire che ho maledetto un po' tutti quando ho scoperto di aver rinunciato a un week-end in cui avrei potuto scrivere qualcosa di decente per studiare inutilmente. E, infine, ovviamente ho anche dovuto studiare durante la settimana per italiano e latino. Che bello iniziare così la scuola.
Ah, già, e ho anche iniziato a guardarmi Doctor Who, e quel telefilm il tempo lo ruba. Ma è fantastico! Stima profonda per David Tennant! (Devo ancora finire la seconda stagione, non spoilerate nulla!)
Credo che questo abbia decisamente segnato il passaggio dalla pubblicazione programmata a quella "pubblico quando finisco un capitolo decente".
Ora immagino vi starete chiedendo perché abbia aggiornato con un capitolo non finito. Be', non mi andava di lasciarvi ancora un'altra settimana senza nulla e dovevo scrivere quanto sopra, per farvi capire che l'aggiornamento programmato è cancellato.
Onestamente, mi dispiace per il capitolo: è senza capo né coda, non si capisce un tubo, ci sono parti poco chiare ed è incredibilmente corto. Spero solo che, con la prossima parte (che forse, purtroppo, sarà breve quanto questa), le cose migliorino.
Passo ai ringraziamenti.
Credevo, sinceramente, che qualcuno avrebbe deciso di abbandonare la fic, ma invece non è stato così, anzi, siete anche aumentati! Sono felicissmo di vedere le cifre!
Ringrazio i 10 che hanno messo la storia fra le preferite, i 4 che l'hanno messa fra le ricordate e i 37 che l'hanno sistemata fra le seguite! Inoltre, ringrazio per le 28 bellissime recensioni che mi avete lasciato (e che v'invito ancora a scrivere senza indugio) e mi piacerebbe dire anche un grazie a tutti i lettori silenziosi: ragazzi, abbiamo un contatore, sappiamo che ci siete e apprezziamo che leggiate (no, non è un plurale maiestatis - e non mi ricordo nemmeno come si scrive, ma non fa nulla - ma credo di parlare a nome di tutti gli autori). Inoltre, sappiate che mi metteva molta tristezza vedere il contatore delle visite che aumentava durante il ciclo "venerdì-sabato-domenica" e non poter far nulla per darvi un capitolo (non ho il dono della scrittura immediata, purtroppo). Sul serio, mi sentivo in colpa.
Credo di aver finito.
Grazie a tutti coloro che anocora sopportano e seguono le mie stramberie, fra cui una nota d'autore che dura più di tutto il capitolo.
Grazie ancora e alla prossima,
Hufflerin.

P.S.: Come al solito, vi sarei grato se... Be', ormai lo sapete.

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Capitolo 9
*** Chapter VII - Potters (parte 2) ***


7. Potters (part 2)

«Come scusa?» chiese Harry, confuso. L’esclamazione di James lo aveva abbastanza spiazzato.
«Ehm, lascia stare» disse il padre, cercando di pensare a qualcosa d’intelligente per levarsi da quella scomoda situazione.
«Ma tu hai detto “porco Sirius”» ribatté il figlio.
«È… un modo di dire delle mie parti».
«Che sarebbero?»
“Non dirgli la verità!”
«Marte».
“Ho detto ‘non dirgli la verità’, non di sparare la prima cazzata che ti viene in mente”.
«Marte?»
«Be’, in verità una luna di Marte. Sai com’è: i prezzi sul pianeta sono aumentati negli ultimi tempi e…»
«E immagino che quella non sia affatto una divisa di Grifondoro, vero?» fece Harry, indicandola. James si guardò. Per qualche strano motivo, indossava la divisa di scuola, cosa che non aiutava.
«No, certo che no» replicò James. «Il rosso e l’oro sono i colori nazionali di Marte. Sai, per la terra rossa e per…»
Harry ridacchiò.
«Okay, papà, direi di farla finita» disse. James fece una smorfia buffa, con un sorrisetto ebete e gli occhi stralunati che gli conferivano l’aria di un folletto che ha appena ricevuto una botta in testa.
“Papà”.
«Come l’hai capito?» chiese James, dopo aver riacquisito un briciolo di dignità. Harry sbuffò.
«Ti basti sapere che, ogni persona che incontravo, per prima cosa mi diceva che ero identico a te, tranne che per gli occhi di mamma» disse il ragazzo.
«Ah» fece James. In effetti era ovvio. Però suo figlio – “figlio”… gli faceva venire i brividi accumunare quella parola al diciottenne che era davanti a lui – era stato in gamba a recitare la sua parte e lo stesso non poteva certo dirsi di lui.
«Volevo solo capire se eri una qualche illusione creata da un Mago Oscuro nell’ennesimo tentativo di fracassarmi i boccini» continuò Harry, schietto. James fece una smorfia: certo che suo figlio aveva una bella vita, se considerava i tentativi di omicidio di una routine. «Esame superato, complimenti!»
«E come?»
«Semplice: se fosse stato un tentativo di farmi fuori avresti avuto una scusa più credibile» spiegò. «Mi dispiace dirtelo ma sei pessimo a recitare».
«Ma avrei anche potuto fingere per fare in modo che tu abbassassi la guardia».
«In quel caso non avresti detto questo».
«Oh».
Ci fu qualche minuto di silenzio in cui James cercò di fare un po’ di ordine nella sua testa.
«E non ti sembra strano vedere tuo padre diciassettenne?» chiese, sinceramente sorpreso.
«Ne ho viste tante di cose strane» disse Harry. «Fidati, dopo un po’ smetti di stupirti e passi direttamente alla fase in cui ti chiedi perché certe situazioni capitano sempre a te».
«Oh, quindi vuol dire che parli quotidianamente con la gente morta?»
«No. Ma ho incontrato Silente, quindi…»
«Ah, già, è vero».
Ci fu un momento di silenzio, poi Harry si sedette a terra, seguito poco dopo dal padre.
«Allora» fece il ragazzo. «Perché sto parlando con l’incarnazione da diciassettenne di mio padre?»
«Ecco, vedi… In realtà… Okay, non so che dire…» James titubava. Non aveva mai messo in conto un incontro con suo figlio e non sapeva quanto sarebbe stato lecito dire sulla rinascita di Remus e Ninfadora in un’altra dimensione.
«Comincia dal come sei finito qui» propose Harry. James annuì lentamente, scegliendo le parole con cura.
«Ecco, ho avuto un piccolo diverbio con una vecchia conoscenza, abbiamo combattuto…»
«Quindi era Piton».
«Già, ma avrei preferito non dire che Mocciosus mi ha fatto il culo con la Magia Oscura».
«Sectumsempra?»
«Scusa, posso parlare io o devi continuare a interrompermi?»
«D’accordo… Però era il Sectumsempra, vero?»
«Sì. Ma adesso piantala!»
Harry fece finta di cucirsi la bocca. James lo fulminò con gli occhi.
Sembrava la perfetta fusione fra lui e Lily: aveva la sua stessa attitudine al – così lo definiva Remus – rompiboccinismo e aveva lo spirito d’osservazione di Lily. In realtà, la cosa lo inquietava abbastanza, ma forse era solo perché lo vedeva da diciottenne.
Inoltre, il modo in cui parlava lo faceva sentire a disagio. Parlava con naturalezza e in modo piuttosto schietto eppure, guardandolo negli occhi, gli sembrava di vedere gli ingranaggi del suo cervello che si muovevano, assimilando informazioni e facendo Merlino solo sa cosa. Era lo stesso sguardo che aveva Silente, lo sguardo di una persona intelligente e capace, di una persona che ha già imparato cos’è la vita e l’ha affrontata nel modo più brutale.
O forse James era diventato paranoico e stava pian piano scivolando nella follia totale. Il ragazzo in questione non sapeva in cosa sperare.
«Come stavo dicendo» proseguì Potter Senior. «Piton mi ha fatto il culo con il Sectumsempra. Poi non so che diamine è successo, ma credo che la parte malvagia di me sia emersa, mi abbia guarito male, abbia fatto a sua volta il culo a Piton e poi Lily mi abbia svegliato baciandomi» Pausa. «Lily mi ha baciato» Sorriso ebete da Troll celebroleso.
«Aspetta… La parte malvagia di te?» chiese Harry, sconvolto. James sbuffò.
«Sì, vedi: la mia professoressa di Difesa nonché vampira di fiducia ha deciso di inserirmi una personalità anti-Babbani e malvagia che esce in determinati momenti» spiegò James. «Ma mi sembra che qui stiamo perdendo il fulcro centrale della questione, ovvero che Lily mi ha baciato, per farmi tornare in me mentre ero momentaneamente assente, ma ha pur sempre baciato… il mio corpo – e detta così suona veramente male».
Harry rabbrividì.
«E sei arrivato qui…?»
«Credo di essere in coma, o qualcosa del genere» spiegò James. «Non ho idea di come ho fatto ad arrivare».
Harry annuì.
«Mi dispiace dirtelo ma c’è un piccolo particolare che non quadra con tutta la tua storia».
«Ovvero?»
«Sei morto».
«Ah, già, in effetti può essere un problema… Mai sentito parlare di universi paralleli?»


*****

«Che stai facendo?» chiese Dora. Remus si voltò leggermente ma non smise di camminare.
«Vado dalla sanguisuga» disse, quasi con un ringhio. «Voglio sapere che diamine sta succedendo».
Dora corse verso di lui e in pochi secondi gli fu accanto.
«E non ti è mai venuto in mente che vorrei venire anch’io, vero?» chiese, sbuffando.
«Be’, se vuoi accodarti sei la benvenuta» rispose Remus, accennando un sorrisetto che alla ragazza parve un po’ folle.
«Stai bene?» chiese Dora, aggrottando le sopracciglia con preoccupazione.
«Oh, be’, considerando che uno dei miei migliori amici è a un passo dalla morte, che un altro ha rischiato di morire e che la persona di cui dovrei fidarmi è un bastardo manipolatore» guardò la ragazza con la stessa pazzia negli occhi che, questa volta, nascondeva molto male la furia che gli bruciava dentro. «Sto una meraviglia».
Poi cominciò a correre verso l’ufficio della Mason. Dora stava per seguirlo, quando venne bloccata da una voce che la chiamava.
«Dove state andando?» chiese Evelyn, che osservava i due a occhi spalancati.
«Lui forse vuole uccidere la Mason, io lo seguo per bloccarlo prima che possa fare qualcosa di troppo stupido!»
Evelyn inarcò un sopracciglio e, qualche secondo dopo che Dora fu partita di corsa, decise di seguirli.
«Tanto si sa che tocca sempre a me controllare tutti e due» borbottò.


*****

«Ricapitoliamo» disse Harry, reggendosi la testa con una mano. «Remus, Tonks e Silente in realtà non sono morti ma sono finiti in una dimensione parallela, che ha, inoltre, una differenza temporale di circa vent’anni dalla nostra».
«Esatto» fece James, annuendo.
«In questa dimensione, Tonks ha una sorella, Evelyn, e ha solo un anno meno di Remus; inoltre, Voldemort è solo un commesso e c’è tanto razzismo che Hitler al confronto è un pacifista».
«Esatto… ma un po’ esagerato».
«E c’è una professoressa vampira che, contro ogni aspettativa, ti ha fatto diventare una specie di Hulk, con la tua parte cattiva che spunta fuori in certe occasioni e l’unico modo per farti tornare in te è avere un po’ d’attenzione da mamma».
«Tre su tre, complimentoni! Anche se la parte sulle “attenzioni da Lily” è abbastanza deprimente…»
«Quindi anche la Mason ha viaggiato» concluse Harry. James inarcò un sopracciglio.
«Non ho detto questo».
«Già, ma se non fosse così, tutto sarebbe dovuto andare come da noi» replicò Harry. «Con la Mason che è solo una maniaca bastarda e che voi sopporterete per tutto un anno».
James rifletté. In effetti, aveva senso.
La Mason l’aveva invitato nel suo ufficio e lo aveva trasformato. Ma perché? Qual era il motivo? Cosa ci poteva essere di diverso fra le Mason delle due dimensioni?
«Ci sono due possibilità» disse James. «O la Mason, come dici tu, ha viaggiato fra le dimensioni, oppure è successo qualcosa, nel suo passato, che ha modificato la storia».
Harry annuì.
«Dovreste indagare sulla vita della Mason, allora» suggerì.
«Già, la fai facile» sbottò James. «Dovremo ricostruire seicento anni della vita di una malata mentale».
«Ti suggerisco di cominciare dai libri sulle antiche casate di famiglie purosangue» proseguì Harry. «Se è razzista come dici, allora potrebbe appartenere a una di quelle».
«Giusto» disse semplicemente James, un po’ stupito.
Ci fu una pausa in cui i due ragazzi si persero completamente nei propri pensieri.
«Non mi hai mai conosciuto, quindi?» chiese James, anche se sembrava più un’affermazione. Harry gli rivolse uno sguardo triste.
«Purtroppo no» disse. «Sirius e Remus avevano provato a descrivermi i gloriosi giorni dei Malandrini, ma non è facile racchiudere sette anni di avventure in pochi discorsi».
James sbuffò.
«Allora vuol dire che non sai proprio nulla» disse. «Sirius avrà sicuramente ingigantito le cose…»
«Ha detto che avete fatto entrare un drago in Sala Grande».
«Ecco, appunto. Remus, invece, avrà cercato di togliere qualche dettaglio per sembrare il più innocente possibile».
«Su questo non so che dire».
«Be’, fidati, probabilmente l’ha fatto».
Seguì un’altra pausa di silenzio imbarazzato, mentre i due si guardavano di sottecchi, indecisi su cosa dire.
«Posso chiederti…» prese la parola James. «Com’è finita la guerra?»
Harry scrollò le spalle e, per un paio di secondi, James riuscì a intravedere il dolore mischiato a rabbia che erano nascosti dietro a quell’aria di calma e tranquillità, facendolo rabbrividire. Nessuno, a parer suo, dovrebbe avere quello sguardo.
«Be’, Voldemort è morto e, per precauzione, hanno deciso di bruciare il corpo, tanto per evitare eventuali resurrezioni».
«Mi sembra anche giusto» convenne James, con un mezzo ghigno.
«Dopo ci sono stati prima due settimane dedicate a coloro che sono morti in battaglia» lo sguardo di Harry si fece molto più cupo. «Poi altre due per i festeggiamenti» il ragazzo fece un sorrisetto. «Certi hanno davvero esagerato: un paio di tizi, in Irlanda hanno cominciato a volare ovunque e spargere giornali che parlavano della morte di Voldemort. C’è voluto parecchio lavoro per far dimenticare la cosa ai Babbani».
«Harry…»
«Poi siamo tornati alla normalità, più o meno. Ci sono parecchie morti difficili da superare. Fred, Colin… Be’, almeno adesso so che Remus e Tonks hanno un’altra possibilità».
«Harry…»
«Chissà perché, poi. Voglio dire, perché solo Silente e loro due sono arrivati da voi? C’è un sacco di altra gente del vostro tempo che qui è scomparsa…»
«Harry!»
«Che c’è?» sbottò il ragazzo, esasperato. James indicò lentamente i piedi del figlio.
«Stai… svanendo» disse. Harry si guardò ma, non vedendo nulla di strano, tornò a guardare il padre, per poi sgranare gli occhi. Delle scarpe di James ormai s’intravedeva solo la forma e, pian piano, anche le caviglie stavano perdendo colore.
«No sei tu che stai…» poi comprese. «Oh. A quanto pare questi sono gli ultimi momenti che abbiamo» disse, cupo.
Dopo qualche istante, anche James capì ciò di cui stava parlando e si rabbuiò.
«Magari potremo rivederci» disse con poca convinzione.
«Già, magari senza che tu finisca in coma, okay?» fece l’altro, tentando un sorriso. James ridacchiò.
«Sarebbe bello» disse. Ormai, vedeva Harry solo dalla vita in su. Il ragazzo dagli occhi verdi si grattò la nuca, prima di decidersi a parlare.
«C’è una cosa che devi sapere» disse Harry all’improvviso.
«Cioè?» chiese James, confuso.
«Regulus. Da voi com’è?»
«Uno stronzo venduto a cui hanno inculcato idee idiote».
«Bene. Dovete aiutarlo».
«Come, scusa?»
«Da noi, Regulus si era unito ai Mangiamorte ma, alla fine, ha tradito Voldemort e ha tentato di distruggere un Horcrux, ma è stato ucciso da lui prima di riuscirci» spiegò Harry.
«Quindi vorresti dire che…»
«Che può essere salvato. Dovete cercare di dargli una mano. Farebbe bene sia a lui che a Sirius».
James si rabbuiò leggermente.
«Non sono sicuro che possiamo riuscirci: ti ho raccontato cosa ha fatto Piton» disse.
Harry annuì, cupo. Per qualche istante, i due si limitarono a osservarsi, incerti, mentre sparivano nel nulla. Poi Harry s’illuminò, come ricordandosi di qualcosa, e fece un sorrisetto triste.
«Senti, potresti dire un paio di cose a Remus?»
«Certo». Il torace di Harry cominciava a sparire.
«Digli solo grazie, che sono felice per loro e» il collo svaniva lentamente «che farò tutto il possibile per Teddy».
«Teddy? Chi è, un orsetto di peluche?» cominciò a sparire anche la testa.
«Ciao, papà… e grazie, a te e alla mamma» disse infine Harry e, pochi istanti dopo, svanì nel nulla, lasciando James allibito.
«Harry» sussurrò, piuttosto sconvolto da quell’addio così rapido e con gli occhi lucidi.
Sentì qualcuno battere le mani dietro di sé, in modo flemmatico e quasi derisorio, e si alzò di scatto.
Si ritrovò davanti alla sua esatta copia.
Di certo non era Harry: gli occhi erano nocciola e lo sguardo non era affatto simile a quello del ragazzo.
Di certo non era James: non sarebbe mai riuscito a inserire tanta malvagità in un ghigno e il portamento ricordava più quello della parte oscura della famiglia Black – ovvero quasi tutta.
Di certo era l’Altro.
«Oh, ma che addio commovente» disse, schernendolo. «No, sul serio, eravate carinissimi! Avrei voluto farvi una foto!»
James lo osservò meglio, indietreggiando di mezzo passo. Invece della sua divisa scolastica, indossava un completo babbano e non portava gli occhiali.
«Giacca e cravatta, eh? Non credo di essere il tipo che indossa certa roba» disse James, mettendosi furtivamente una mano in tasca, alla ricerca della bacchetta.
«Tu non lo sei, io sì. E in questo posto non ci sono bacchette» fece l’Altro. James strinse i pugni e lo osservò avvicinarsi lentamente. «Condividiamo lo stesso corpo, le nostre menti sono in comunicazione. Solo che io so come sfruttare la cosa, mentre tu rimani un idiota, come al solito».
James strinse la mascella e non disse nulla. Sentiva una specie di scossa elettrica su tutto il corpo e, se quella era provocata dalla sola vicinanza con l’Altro, allora non voleva farlo irritare in alcun modo.
«Mi piacerebbe che avessimo delle bacchette, però. Sarebbe bello dimostrarti quanto sei debole e indifeso» proseguì l’Altro. «Ma credo dovrò accontentarmi di qualcos’altro».
«Di che stai parlando?» chiese James, immediatamente prima che, in un fascio di luce, nella mano destra di entrambi comparisse una spada. Una spada semplice, di ferro, pesante e difficile da maneggiare. L’Altro fece roteare l’arma con naturalezza.
«Spade?» chiese James, allibito e confuso da quello che stava accadendo in pochi secondi. «Ma sei matto?»
«Certo che lo sono!» esclamò l’Altro, allargando le braccia con un sorriso folle stampato in volto. «Tutti i migliori sono matti! E ora, vogliamo vedere quanto sei cavalleresco, o nobile Grifondoro?»


*****

«Che gli ha fatto?» urlò Remus, spalancando la porta dell’ufficio della Mason, che era seduta alla sua scrivania e stava correggendo un compito. La professoressa alzò un sopracciglio e posò la penna.
«Oh, prego, signor Lupin, si accomodi» disse, ironica. «Gradisce del tè?»
«Divertente» disse Remus a denti stretti, folgorando la donna con gli occhi. «Mi dica cosa sta succedendo a James!»
«Non so di cosa sta parlando» replicò innocentemente la donna. Remus sbuffò di rabbia e cercò di trattenersi dal prenderla a pugni.
«Perché lo sta facendo?» chiese Remus fra i denti, furioso.
«Facendo cosa?» replicò ancora la Mason. «Lupin, io non la capisco».
«FALLA FINITA!» urlò il ragazzo. La professa lo osservò con un sorrisetto maligno. «Ora voglio che mi ascolti con attenzione» disse Remus, sovrastandola attraverso la scrivania. «Libera James. Qualunque cosa tu abbia fatto, annulla la maledizione, elimina la cosa che gli hai messo dentro, fa quel che devi fare e lascialo in pace».
«Ipotizzando che sappia di cosa sta parlando» fece la Mason, sorridendo. Il suo tono si fece immediatamente più minaccioso quando proseguì. «Cosa succederebbe se non lo facessi? Non sai che non si lascia a metà una minaccia?»
«Rinuncerei all’ipotesi di prendere in considerazione l’idea di non ucciderti» concluse Remus, sibilando. La Mason rise.
«Oh, ma sentitelo» esclamò, divertita e malvagia. Remus si raddrizzò, guardandola con disprezzo. «E, di grazia, come vorresti minacciarmi? Cos’hai che potrebbe uccidermi?»
Prima che Remus potesse aprire bocca, Dora spalancò la porta dell’ufficio.
«Questa» esclamò, puntando quella che sembrava una piccola pistola verso la professoressa e premendo il grilletto. Il proiettile eruttò dalla canna, evitò di un paio di centimetri il volto allibito di Remus e… venne bloccato a mezz’aria dalla mano della Mason, che lo osservò con cura.
«Frassino» disse, poggiandolo sulla sua scrivania. «Vi siete dati da fare. Non ne crescono a Hogwarts».
«Oh, c’è una Stanza in cui si può trovare questo e altro» disse una voce. Evelyn si fece strada da dietro Dora. «Giusto per puntualizzare: questa» indicò la pistola in mano alla sorella «l’ho inventata io, ma ammetto che ha bisogno di delle migliorie, come, per esempio…». Poi prese un blocchetto per gli appunti e una penna a sfera – che a Hogwarts erano come oro puro, impossibili da trovare – e scrisse, mentre leggeva ad alta voce: «Trovare un modo per aumentare la velocità del proiettile dell’Impalettatrice».
Dora la guardò, leggermente sconvolta. «Più tardi lavoreremo sul nome». Evelyn sbuffò.
«Sì, magari uno meno macabro» aggiunse Remus, osservando l’arma. «Però è un bel lavoro e…» poi osservò meglio il volto di sua moglie, circondato dai soliti capelli rosa shocking «che ti è successo?»
«Oh, questo?» fece la ragazza, indicando il proprio labbro spaccato e sanguinante ma tenendo comunque la pistola puntata sulla professoressa. «Sono inciampata su un’armatura, ed era anche piuttosto sgarbata».
«Be’, anche tu saresti stata sgarbata se qualcuno ti fosse inciampato addosso» disse Remus, paziente.
«Ma da che parte stai?» protestò Dora.
«Scusate!» s’intromise la Mason, osservandoli con un sopracciglio inarcato. «Sbaglio o qui stiamo perdendo il filo del discorso?»
«Soffri di manie di protagonismo?» chiese Eve con una smorfia ironica.
«Tu non hai alcun diritto di parlare» disse Remus, riferendosi alla professoressa. «A meno che non voglia dirci come liberare James; in quel caso sarò ben lieto di ascoltarti».
«Te lo dirò quando l’Inferno gelerà» disse la Mason, con aria annoiata. Remus sbuffò.
«Non l’ho mai capito questo modo di dire» disse, guardando le sorelle Tonks. «Secondo Dante, nell’ultimo girone dell’Inferno c’è un lago di ghiaccio, quindi l’Inferno è già gelato!»
«Remus» lo ammonì Dora.
«Giusto, sto di nuovo perdendo il filo» si girò di nuovo verso la donna. «Quindi? Cosa intendi fare?»
«Be’, dato che al momento non mi sembra tu abbia nulla con cui minacciarmi» disse la donna. «Vi suggerisco di tornare quando sembrerete in qualche modo… ecco… meno innocui».
«Innocua sarà tua madre» disse Evelyn. La Mason fece un sorrisetto e agitò una mano nella loro direzione. Come colpiti da una folata di vento, i tre ragazzi furono sbalzati all’indietro, venendo catapultati fuori dall’ufficio.
«Ah, e questo credo sia vostro» disse la Mason, mostrando il proiettile di legno. Lo poggiò sul pollice e gli diede una leggera schicchera con l’indice, facendolo tuttavia partire a una velocità mostruosa e conficcandolo nella spalla di Evelyn, che urlò di dolore.
«Eve!» esclamò Dora, chinandosi sulla sorella.
«Buona giornata» fece la Mason e, con un leggero movimento di dita, chiuse la porta.
«Brutta troia» Dora si alzò, impugnando la bacchetta e cominciò a lanciare maledizioni sulla porta che, tuttavia, sembrava non voler cedere. «Apri la porta, bastarda!»
«Dora, dobbiamo pensarci più tardi!» la rimproverò Remus. La ragazza, con i capelli rossi per la furia, si girò verso il marito, chino su Eve mentre cercava di curarle la ferita. Immediatamente, i capelli di Dora diventarono grigio fumo.
«Puoi fare qualcosa?» chiese. Eve gemette di dolore mentre Remus sussurrava piccoli incantesimi di guarigione. Fra i due ragazzi del futuro, Remus aveva più conoscenze mediche, complici soprattutto le trasformazioni in lupo che gli avevano per cui aveva imparato come curare le ferite che si procurava.
«Molto poco» ammise. «Dobbiamo portarla da Madama Chips».
«Santa donna» mormorò Eve. «Dovrei farle una statua».
«Aspetta prima che ti abbia curato» disse Dora, accennando un sorrisetto.


*****

«Un Grifondoro che non sa usare una spada» disse l’Altro. «Ironico, vero?»
Con un movimento fluido, fece cozzare la sua arma contro quella di James, che indietreggiò per l’urto. Il ragazzo era ormai stanco e il peso della spada si faceva sentire sempre di più.
«Che senso ha questo?» chiese, sfinito. «Perché combattiamo?»
«Come, scusa?» fece l’Altro, mettendosi una mano accanto all’orecchio, come per sentire meglio. «Sono io che ho le allucinazioni o tu hai fatto la domanda più stupida del secolo?»
James non disse nulla. Si limitò a guardare storto la sua controparte, cercando di non mostrare il proprio respiro affannato.
L’Altro sospirò.
«Allora, come spiegarlo?» chiese a se stesso, cominciando a camminare in circolo intorno a James che non staccò per un attimo gli occhi da lui. «Vedi, io sono il cattivo, la tua parte malvagia! Esprimo tutto ciò che c’è di negativo in te e… non fare il santarellino! In fondo, sei un grandissimo stronzo! E sai come faccio a saperlo? Perché io sono così! E, come ben sai, è compito della parte malvagia cercare di prendere il controllo del corpo».
«E perché?»
«Come perché?» esclamò l’Altro. «Insomma, è un copione già scritto. Tu sei il tizio normale, io emergo dall’ombra e lottiamo finché uno dei due non viene sconfitto. Funziona così».
«Quindi vuoi dirmi che lo fai solo perché è quello che accade in tutte le storie?» chiese James. «Vuoi essere “vittima del destino”?»
L’Altro sbuffò.
«Oh, piantala con queste ciance da psicologo barra filosofo fallito» disse, roteando in aria la spada. «Non attacca. Io lo faccio perché è divertente… e perché, in caso riuscissi, potrei fare quello che mi pare con il nostro corpo e, in caso fallissi, ritornerei comunque a essere la tua parte malvagia nascosta in un angolo della tua coscienza, pronta a farti fare cose che non puoi neanche immaginare» spiegò. Poi fece una smorfia scettica, guardando il ragazzo. «E poi non ci credi neanche tu a questa stronzata della vittima del destino».
James scrollò le spalle.
«Almeno ci ho provato» disse, per poi impugnare la spada e scaraventarsi contro il nemico, pensando di prenderlo di sorpresa. L’Altro roteò su se stesso e mollò un calcio al fianco di James, che perse la spada e finì in ginocchio. Prima che potesse rialzarsi, l’Altro poggiò la lama sulla sua spalla, bloccandolo.
«Be’, credo proprio di aver vinto questo round. E anche molto facilmente, direi» disse da dietro James. «Dovrai allenarti di più se vuoi battermi». L’Altro si chinò, avvicinando la sua bocca all’orecchio del ragazzo e cominciando a sussurrare. «Ma vuoi davvero vincere? Cosa avresti in cambio di una vita di bontà e altruismo?»
La mente di James evocò subito l’immagine di Lily che gli rideva mentre si trovavano a Hogsmeade. Era strano pensare che solo un’ora prima stesse tranquillamente passeggiando per il villaggio con la ragazza che amava.
«Ah, giusto, la bella Evans» sussurrò l’Altro. «La stessa ragazza affascinante che, per ben sei anni, ti ha rifiutato e insultato continuamente, ogni singolo giorno».
Come se qualcuno gli avesse dato un pugno, il ricordo di ogni tentativo fallito con Lily entrò con prepotenza nella sua testa, in un collage d’immagini dolorose.
«La stessa che, ora, ha paura di te».
Arrivò poi l’ultima immagine che aveva di Lily, non appena lo aveva risvegliato dopo il duello con Piton. Terrorizzata. Non c’era altro modo per descriverla.
«E chi altri avresti?» fece poi l’Altro. «Sirius, per caso? Il tuo fratello acquisito?»
L’Altro evocò nella sua mente l’evento accaduto l’anno scorso. La peggior litigata mai avvenuta con Sirius, tutto per la sua idiozia e la voglia di spaccare la faccia a Piton. Remus era stato male per settimane e non gli aveva rivolto la parola per quasi un mese.
«Oppure Remus, il ragazzo proveniente dal futuro che, tuttavia, sembra non fidarsi abbastanza di voi da dirvi tutto quanto, come chi sia questo Teddy».
Ci fu una sequenza d’immagini frammentate. Sguardi sfuggenti di Remus, scambi di occhiate tristi fra lui e Dora, singhiozzi provenienti dal bagno durante la notte.
«E c’è anche Peter, ma sai benissimo che di lui non puoi fidarti».
L’immagine di uno spiraglio di luce, da cui proveniva abbastanza distintamente il suono di Remus che minacciava il topo. Aveva saputo che era stato lui a condannarli a morte.
«Poi ci sono anche le altre ragazze, ma quanto sai veramente di loro? Certo, Emmeline l’hai conosciuta molto… “approfonditamente” ma non si è mai aperta a te… Non in senso figurato, almeno». L’Altro rise. «Chi altro c’è? Silente, forse? Ma sai quello che ha detto Remus,  di quanto può essere manipolatore quel vecchio bastardo. Poi? I tuoi genitori? Quelli che ormai vedi solo la mattina e la sera, d’estate, perché sono troppo occupati a lavorare per occuparsi del loro unico figlio?» La sua voce si fece immediatamente più bassa e cupa. E malvagia. «Sei solo, James».
Così dicendo, l’Altro si drizzò, brandì la spada e, con un colpo deciso, colpì il collo di James, paralizzato dai pensieri, e facendolo scomparire in una voluta di fumo bianco. Senza di lui, la stanza prese istantaneamente il suo altro aspetto: un infinito corridoio di mattoni rossi, illuminati di tanto in tanto da torce che facevano ben poca luce; era praticamente tutto immerso nell’oscurità.
«Alla prossima, quattrocchi» disse l’Altro, prima di far sparire la spada con un gesto secco della mano.

Quando James aprì gli occhi, alzandosi a sedere boccheggiando, la scena che gli si presentò davanti fu piuttosto strana.
Charlus, Dorea e Madama Chips, intorno a lui, lo osservavano allibiti, così come Evelyn, seduta sul letto accanto al suo con una benda sulla spalla destra, e sua sorella. Remus, Sirius, Peter e Lily, accanto alla porta, sembravano terrorizzati. Mary, invece, appariva semplicemente preoccupata e allo stesso tempo incuriosita.
«Be’… salve» disse James, ostentando un sorriso. «Come andiamo?»
Sirius esplose nella sua risata simile a un latrato.


*****

Più tardi…

La sfera di metallo era poggiata al centro della scrivania e l’anziano mago teneva le mani sopra di essa. La sfera era attraversata da motivi geometrici ed emanava un tenue bagliore azzurro.
«Cos’è?» chiese Remus, seduto sul davanzale in pietra della finestra che dava sul parco. Dopo aver avuto la certezza dell’incolumità di James si era decisamente rabbonito, ma ancora non si fidava di Silente. Perlomeno non gli urlava contro.
«Adesso vedrai» disse il professore. La luce intorno alla sfera s’intensificò, diventando sempre più abbagliante. Il colore ebbe poi un brusco cambiamento, passando dal consueto azzurro delle Passaporte a un’inquietante nero pece. La sfera si scompose, seguendo le linee che costituivano le figure che, ora, roteavano in aria, senza alcun legame palpabile fra loro, in orbita intorno a una massa oscura ed evanescente. Silente prese da un cassetto della scrivania una fiala di vetro e, con la bacchetta, guidò la sfera nera al suo interno che si adattò al recipiente, come fosse liquida o gassosa.
Il professore tappò la fiala e la sfera di metallo si ricompose, atterrando con leggerezza sulla scrivania.
«Cos’è?» ripeté Remus, avvicinandosi al tavolo, spinto dalla curiosità. Era sicuro che Dora si sarebbe infuriata con se stessa per non aver assistito a un evento così strano, ma era voluta rimanere con la sorella in Infermeria.
«Durante l’attacco a Villa Potter, a Godric’s Hollow, immediatamente prima di riportare indietro Sirius e i Potter, questa sfera ha assorbito la magia Oscura, ed estranea, che lo circondava, fungendo da magazzino per un campione da esaminare».
«Un… Estrattore d’Essenza» constatò Remus, che ancora stava elaborando la cosa.
«Esattamente» disse Silente, osservando con attenzione l’energia che vorticava nella fiala. «Fortunatamente, ho ancora qualche amico nell’ufficio Misteri che può studiare la cosa. Se gliela consegno ora, entro martedì dovremmo avere dei risultati».
Remus sbuffò, scuotendo la testa.
«Quindi non ha mandato Sirius a Villa Potter solo per vedere se, per caso, qualcuno avrebbe attaccato la casa, proprio come da noi» disse, con la rabbia che lentamente tornava a prendere il sopravvento. «L’ha sfruttato per prendere un campione da analizzare. Proprio come un cane da riporto, eh? Gli dai la palla e lui te la riporta con una sorpresina dentro».
«Remus, io ho dovuto…»
«La prego, stia zitto» lo interruppe Remus con tono stanco. Girò le spalle al Preside e andò verso la porta, poggiando una mano sulla maniglia.
«Una volta, lei ha detto che bisogna scegliere fra ciò che è giusto e ciò che è facile, me l’ha raccontato Harry» disse Remus, senza voltarsi. «Be’, mi sembra che lei abbia deciso per il facile, questa volta». Aprì la porta e girò leggermente la testa. «Questo mondo è più oscuro del nostro. Marcio, direi. Non si lasci contagiare».
E si congedò.


*****

James chiuse gli occhi e abbandonò la testa sul cuscino.
I suoi genitori, dopo molte proteste, erano stati mandati via, ora che era chiaramente fuori pericolo. Remus, Sirius e Peter se n’erano andati da un po’, tornando di malincuore nella Sala Comune, cacciati dalla rigida Infermiera. Fino a quel momento, era rimasto a parlare con Lily. Ogni volta che la guardava, gli ritornava in mente la sua espressione terrorizzata che gli aveva mostrato l’Altro. Era come una tortura: gli piaceva averla accanto, lo tranquillizzava, eppure gli bastava guardarle il viso per sentirsi afflitto dai sensi di colpa e dalla preoccupazione, che gli serravano il petto e gli bloccavano il respiro.
Rimanere da solo era quasi un sollievo.
Si sentiva stupido per ciò che provava e si ripeteva che era tutta un’illusione mentale generata dall’Altro, che gli faceva diffidare delle persone che aveva vicino, tanto da non desiderare più la loro presenza.
Eppure, non ne era del tutto sicuro.



Sala Comune di Tassoverde

Ma buonsalve a tutti!
Bentornati con questo nuovo capitolo di The Storytellers, che altro non è che la seconda parte del capitolo precedente, poiché l'autore era troppo pigro per finirlo tutto prima di pubblicarlo! Yeeee...
Okay, a parte gli scherzi, passiamo al capitolo (che, ovviamente, per voi è la cosa più interessante... credo). Allora, ricapitoliamo.
James incontra Harry nello stesso negozio della Apple in cui era andato Silente poco tempo prima e aveva incontrato sempre lo Sfregiato (che, evidentemente, è un cliente fisso). La spiegazione (teorie, in realtà) del perché di questi incontri ci sarà più avanti.
Contemporaneamente, Remus, incazzato come una bestia e senza pensare alle conseguenze, vuole pestare a sangue la nostra cara prof-vampira, seguito a breve distanza da Dora (che inciampa una volta sì e l'altra pure) ed Evelyn (che è l'unica sfigata a farsi male; a quanto pare il mio sadismo colpisce maggiormente i più piccoli, quindi aspettatevi questa quattordicenne morta a fine storia). Quest'ultima comincia a mostrare il suo lato inventivo, che sfrutterò all'ennesima potenza già dal prossimo capitolo.
Intanto, James ed Harry parlano del più e del meno, come se salvare o no Regulus, se la prof ha viaggiato nel tempo o quale modello di iPhone ha il miglior rapporto qualità-prezzo. Poi svaniscono nel nulla come i cupcakes che erano nel mio frigorifero l'altroieri. A Harry (per una volta) non succede un tubero, mentre James si ritrova a combattere un duello all'ultima nuvoletta contro l'Altro. Ovviamente perde (ma non prima che il caro malvagio di turno gli abbia detto qualche sensuale parolina all'orecchio in modo molto ambiguo) e si risveglia sul suo letto, per poi sparare la sua battuttina del cazzo giornaliera.
La scena torna a Remus che, un po' più tardi, parla con Silente e lo manda bellamente a farsi fottere. Go, Remus, go!
Poi di nuovo si torna a James, tanto che si va a pensare che sia lui il vero protagonista della storia (e forse è così, considerando che non c'è neanche un POV di Rem-Rem), che si fa le sue pippe mentali prima di andare a letto, con problemi filosofici tali che Platone & co. si sentono semplici apprendisti e Foscolo si chiede se, alla fine, James sia più sfigato di lui.
E così si conclude il capitolo... otto? O lo consideriamo sempre come numero sette, dato che è una "parte due"? Sono questi i drammi esistenziali, altro che "perché pagare quando prelevo col bancomat".
Credo di aver concluso i deliri e passo ai ringraziamenti.
Questi vanno alle 11 persone che hanno messo la storia fra le preferite, le 5 che l'hanno messa fra le ricordate e le (O.O) 40 che l'hanno sistemata fra le seguite. Inoltre, ringrazio di nuovo Hoon21, che mi segue fin dall'inizio, e Ma_AiLing, che è arrivata più tardi ma pare anche lei piuttosto affezionata alla storia (correggimi si sto scrivendo una boiata).
Ora, credo di aver decisamente finito.
Come al solito, vi invito a recensire (non chiedo poemi, solo piccoli pareri), ché le recensioni fanno sempre molto piacere, e a segnalarmi gli eventuali errori che non ho notato durante la revisione.
Alla prossima,
Hufflerin

EDIT: Come mi è stato fatto notare, Harry è clamorosamente OOC in questo capitolo. In effetti, avrei dovuto dare le dovute spiegazioni, ma preferivo lasciarle al prossimo capitolo (in cui, vi anticipo, ci sarà una breve scena ambientata nell'Universo d'Origine). Tuttavia, avrei dovuto prevedere che sarebbe stata una cavolata, per cui mi accingo a spiegarvi il perché di un Harry così particolare (probabilmente la spiegazione che sto per scrivere è identica a quella che inserirò nel capitolo, quindi siete liberi di leggere ora o di scegliere di aspettare un po' e riceverla dalla mente di uno dei personaggi).
A mio parere, Harry è riuscito a superare le morti di tutti coloro a cui voleva bene (a partire da Cedric in poi) solo con la volontà di sconfiggere una volta per tutte l'Oscuro Signore. Tuttavia, una volta ucciso Voldemort, Harry si è trovato da solo a dover affrontare tutte le morti della guerra, senza nulla che lo spingesse ad andare avanti, solo contro le morti di Sirius, Malocchio, Fred, Dobby e molti altri.
Ovviamente, Harry non è veramente solo ma le circostanze lo costringono a chiudersi in se stesso, a far emergere un altro lato di sé (quello cinico, pungente e diretto che avete potuto vedere) perché, se avesse mostrato la sua vera faccia, probabilmente sarebbe stato distrutto dal dolore che, al momento, si costringe a far uscire solo quando si trova in solitudine.
Per me è stato normale pensare che qualcuno, dopo un trauma del genere e senza (momentaneamente) nulla a cui aggrapparsi sia caduto nel baratro. Ha amici e una moltitudine di persone che gli vogliono bene, ma non riesce a vivere credendo di essere stato il responsabile della morte di tante persone. Per cui, non riuscendo a liberarsi del dolore, si è creato una nuova faccia che, tuttavia, chiunque conosca bene sa attraversare.
A un certo punto, comunque, tutti tornano in sé qualche modo e quindi ho pensato, seguendo la (poca) logica della mia fan fiction, e se fosse la speranza a fungere da interruttore per il ragazzo? La speranza che tutti i morti della guerra siano tornati in vita in un qualche universo, con le loro memorie e con la possibilità di ricominciare (non posso confermare che il Viaggio funzioni così, c'è ancora parecchia storia da narrare per scoprirlo).
La speranza, dopotutto, è l'unica cosa più forte della paura.

Ah, e un'altra cosa: il triangoletto comico delle Tonks più Lupin. Immagino che quasi tutti vi siate chiesti perché, in una situazione del genere, si scherza e si fanno battute. Be', questa è stata una decisione mia: non volevo che il capitolo fosse in qualche modo deprimente o fin troppo serioso (un po' va bene, ma con l'esagerazione si può arrivare anche ad annoiare, o almeno io la vedo così) quindi ho pensato di bilanciare un po' la cosa. Se, tuttavia, pensate che i personaggi siano OOC o che sia qualcosa di sostanzialmente inutile e/o scialbo, ditemelo e provvederò a modificare.

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Capitolo 10
*** Chapter VIII - Choose ***


«You are one of the most powerful of all the people I know and you can use this power to spread the light or stop the darkness»
«What would the difference be?»
«You […] You can decide between being a messenger or a soldier»
«And if I don’t want to be neither?»
«Then you wouldn’t be James Potter»

8. Choose

Bussano alla porta.
Mi rigiro nel letto, cercando di credere che sia tutto un sogno e che non ci sia davvero qualcuno che bussa a questa dannatissima porta alle tre del mattino.
Bussano di nuovo.
Insistenti, eh?
Non vedo chi potrebbe essere.
Ron è accanto a me e, dato il rumore che emette, è decisamente addormentato.
Ginny e Harry stanno dormendo… più o meno. Be’, in ogni caso credo che quei due abbiano altro da fare.
George non c’è, ormai vive da solo sopra al negozio e si fa vedere solo di tanto in tanto. Fortuna che Ron gli dà una mano, altrimenti non so cosa avrebbe potuto fare dopo che… Fred…
Bill, Charlie e Percy non sono a casa.
Quindi potrebbero essere solo i signori Weasley, anche se mi stupisce che ci sveglino a quest’ora. Dev’essere importante.
Questo è l’unico pensiero che mi spinge ad alzarmi e abbandonare il comodo materasso che, mentre sono alzata, verrà interamente occupato dal mio fidanzato. Mi trascino verso la porta a passo lento, cercando di non andare a sbattere contro uno spigolo.
BANG.
Ecco, appunto. Dannato e inutile comodino. Povero mignolo indifeso.
Saltellando e imprecando a mezza voce – inutile dire che Ron si è limitato a russare con più forza – raggiungo la porta e apro.
A quanto pare mi ero sbagliata.
«Harry» sussurro, preoccupata. La botta mi ha svegliata completamente e la sua apparizione alle tre di notte mi ha messa in allerta.
«Ciao» fa lui, un po’ timidamente. Timido… era da tanto che non manifestava emozioni o stati d’animo del genere. Cominciavo a credere che avessimo perso quell’Harry Potter. «Posso parlarti?»
«Sì, certo» dico, uscendo dalla stanza e chiudendomi la porta alle spalle. «Ti serve una cosa? Stai bene?»
… Sì, è vero, magari mi preoccupo troppo facilmente ma vorrei vedere voi al mio posto!
«Adesso» dice, guardandomi negli occhi. «Ho solo bisogno di un parere dalla persona più intelligente che conosca».
Ormai non arrossisco più come prima, quando lui o Ron esprimevano certe perle in modi abbastanza imbarazzanti, ma devo ammettere che rimango ancora piuttosto lusingata.
Annuisco.
«Dimmi tutto».

Harry si schiarisce la voce.
Il profumo del tè caldo sembra aver tolto una parte della tensione. Una piccola parte. Una minuscola parte. Okay, non serve a niente, però è buono.
«Allora» comincia. «Ricordi di quando ti ho raccontato il mio incontro con Silente, quando sono… morto?»
Trattengo un brivido.
Certo che lo ricordo. All’inizio, ero piuttosto scettica di quello che mi aveva detto, credevo che il suo cervello, in seguito allo shock, avesse creato una specie di “finto ricordo”, in modo da placare una delle sue ansie: Silente era davvero l’uomo che credeva che fosse?
Non sapevo neanche se fosse possibile qualcosa del genere, eppure mi sembrava una spiegazione ragionevole.
Poi ho cominciato a crederci. Capivo che Harry non mentiva e la sua versione – o meglio: la versione di Silente – combaciava perfettamente con le prove che aveva elencato la Skeeter nella sua orribile biografia. E, come tutti sappiamo, ciò che c’è più ignoto è quello che accade dopo la morte. Quindi, perché no? Perché Harry non avrebbe potuto avere un’esperienza di premorte, incontrando così persone già spirate?
«Sì, me lo ricordo» rispondo. «Ma, per favore, cerca di trovare un altro modo per dirlo».
Harry fa un mezzo sorriso. Un sorriso sincero: è da un secolo che non lo vedevo farne uno. Non so cosa sia successo per spingerlo a venirmi a svegliare a quest’ora, ma se è questo il risultato, allora ne sono felice.
«D’accordo, lasciamo stare questa parte» dice. Poi prende un bel respiro prima di continuare. «Ci sono tornato, in quel posto. Stanotte, mentre dormivo».
Eh?
«Eh?»
Harry ridacchia. «Nel posto in cui sono stato con Silente, quella specie di versione bianca di King’s Cross, ci sono tornato stanotte, nel sonno».
Sospiro, dispiaciuta. «Oh, Harry…»
«Aspetta, lo so cosa stai per dire» m’interrompe. «Ma aspetta di sentire tutto, okay?» Annuisco, sconsolata. Sto già cercando un modo gentile per dirgli che è stato solo un sogno. «Questa volta non ho incontrato Silente… ho visto mio padre».
«Tuo padre» ripeto io, chiudendo gli occhi per un paio di secondi. Lui annuisce, come se fosse tutto normale. Ricordate quando dicevo del fatto “non m’importa cosa gli sia successo ma sono contenta”? Ecco, cancellate quella frase.
«Già, mio padre. James Potter… versione diciassettenne».
Gli sorrido, non riuscendo a connettere.
«Come, scusa?»
«Ho incontrato mio padre a diciassette anni» spiega. «Mi ha detto alcune cose, riguardo alla possibilità che Silente, Remus e Tonks non siano… morti, ecco».
Sospiro di nuovo.
Avrei dovuto immaginare che sarebbe successo qualcosa del genere: Harry non riesce più a sopportare la morte di tutti i caduti in guerra, così si è creato una spiegazione alternativa. Sapevo che quella maschera di freddezza, sarcasmo e distacco che si era creato non avrebbe retto per molto, ma speravo che, in quel caso, avrebbe semplicemente accettato la cosa e sarebbe andato avanti. Ma così…
So che è orribile, ma devo eliminare questo pensiero. Rischia di farsi davvero del male… Se solo Ron fosse con noi, potrebbe aiutarmi a convincerlo – o forse si schiererebbe dalla parte di Harry, complicando solo le cose.
«Harry, mi dispiace davvero, ma li hai visti» dico, tenendomi verso di lui da sopra le tazze del tè. Mi lancia uno sguardo paziente che mi fa piuttosto alterare. «Sono morti» proseguo, con forse un po’ troppa durezza. «Li abbiamo sepolti, abbiamo partecipato ai loro funerali! Se ne sono andati!»
«Quanto ne sai di Universi Paralleli?» la domanda mi spiazza. È come se non avesse sentito una parola e la cosa m’irrita abbastanza, ma decido di seguire il suo discorso.
«Poco» ammetto. «So quello che sanno tutte le persone cresciute tra i Babbani. So che qualche scienziato o filosofo ha ipotizzato che il futuro cambia sempre e, per ogni scelta che facciamo, nasce un altro universo, in cui si prende una scelta diversa e il futuro cambia. In qualche teoria, questi universi hanno in comune qualcosa, dei… Punti Fissi, eventi che devono accadere obbligatoriamente» poi sbuffo. «Ma, appunto, sono solo teorie».
«James… mio padre mi ha detto che loro tre, Silente, Remus e Tonks, sanno di essere morti in questo universo, ma si sono risvegliati in un altro mondo, nel 1977, un mondo in cui Remus e Tonks hanno solo un anno di differenza e lei ha una sorella chiamata Evelyn» dice, guardandomi negli occhi. Basta guardarlo per vedere che ne è veramente convinto e la cosa mi fa tentennare. «In quel mondo, Voldemort è solo un commesso, da Magie Sinister per giunta, e la guerra non è mai cominciata, anche se c’è molto più razzismo verso i Nati Babbani. Inoltre, una vampira malata è professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure e ha fatto qualcosa a mio padre, creando una specie di… parte oscura che di tanto in tanto prende il sopravvento».
Ho già detto “eh?”?
Annuisco, comprensiva.
«Harry, io te l’avevo detto che non avresti dovuto accettare di fare da cavia per i nuovi prodotti dei Tiri Vispi!»
Sbuffa. Okay, magari la battuta era un tantino fuori luogo. Che ci posso fare? Ron mi ha deviata.
«Scusa, non dovevo» ammetto. «Ma devi ammettere che la cosa è… strana a dir poco».
«Lo so» replica. «Però questo non vuol dire che sia impossibile. Mio padre mi ha detto di essersi scontrato con Piton e di… essere caduto in una specie di coma, o qualcosa del genere. Magari, non lo so, esiste una specie di passaggio fra il nostro mondo e l’altro che ancora non si è chiuso e, in certi casi, le persone di questi due universi possono comunicare».
Lo guardo, immobile, mentre cerco di metabolizzare.
«Okaaay…» faccio, piuttosto insicura. «La spiegazione potrebbe essere plausibile, in qualche strano modo contorto in cui bisogna ignorare almeno un paio di leggi della magia» ammetto. Più mi ripeto ciò che ha detto, più divento confusa: sogno o no, è difficile inventare qualcosa del genere per cui, almeno in minima parte, c’è della verità. «Ma rimangono comunque molte domande. Perché solo quei tre sarebbero passati in quell’universo? Perché ci sono stati quei cambiamenti? Perché una dannatissima professoressa pluricentenaria vorrebbe, da un giorno all’altro, generare la parte malvagia di uno studente?»
Harry sospira.
«Queste sono le stesse domande che si fanno loro. Mio padre mi ha detto che Remus e Silente hanno qualche ipotesi ma nulla di concreto» spiega. «Per la parte dei cambiamenti, però, non credo ci sia un modo preciso per capirlo: come hai detto tu, dovrebbe bastare una sola decisione diversa da una sola persona migliaia di anni fa per generare un mondo completamente diverso. Ah, già, e sono dell’idea che anche la professoressa potrebbe aver viaggiato».
«Capisco». Batto più volte le palpebre, cercando di concentrarmi.
Comincio a credergli sempre di più e la cosa mi… spaventa, credo. Ma è anche piuttosto eccitante ipotizzare su certe cose… e sarebbe un vero sollievo sapere che dopo la morte…
«Prendendo per buona l’idea che, dopo la morte, ognuno torni in vita in un altro universo, prendendo il controllo del corpo del proprio doppione, perché Remus, Silente e Tonks si sono ritrovati nello stesso universo? E perché non c’è un centinaio di persone che hanno viaggiato, qui da noi? E perché c’è un… distacco temporale fra le dimensioni? Non dovrebbero viaggiare tutte sullo stesso tempo?»
«Non lo so, non lo so e non lo so» ammette Harry, sconsolato, chinando la testa. «Hermione, io so solo quello che mi è stato detto da mio padre. Puoi non crederci, ma è la verità».
Prendo un respiro profondo. Non riesco a credere a ciò che sto per dire, ma potrebbe essere la verità.
«Io ti credo» dico. «Ti credo perché, qualsiasi cosa tu abbia visto stanotte, sei cambiato» prova a chiedere di cosa sto parlando, ma lo fermo prima. «Sai cosa intendo, di come sei diventato dopo la guerra. Non eri più tu, ti comportavi in modo strano, freddo e, lasciamelo dire, molto stupido. Ora, invece, sei tornato in te. Sei tornato a essere l’Harry Potter che tutti apprezziamo e abbiamo imparato a voler bene» mi fa un sorrisetto. «Certo, non senza fatica, ma ci siamo riusciti» sbuffa, sghignazzando. Poi assume uno sguardo triste.
«Questo non mi ha impedito di trattar male mio padre» dice, sconsolato. Faccio una smorfia, intuendo cosa vuole dire.
«Ti sei comportato come hai fatto durante questo mese, vero?» chiedo, conoscendo già la risposta. Lui annuisce ed io sospiro.
«Credo di averlo anche un po’ spaventato» confessa. «Avresti dovuto vedere come mi guardava…»
Ci sono un paio di minuti di silenzio in cui ci limitiamo a sorseggiare il tè. Lo guardo di sottecchi e lo vedo perso nei suoi pensieri.
«Magari ha capito» dico, un po’ incerta. Lui alza gli occhi e inarca un sopracciglio. «C’è Remus lì, no? Il nostro Remus. Probabilmente tuo padre riferirà la cosa e Remus intuirà il perché».
Harry annuisce, insicuro.
«Probabile» dice. «Ma avrei preferito che… Be’, è inutile ripensarci, il danno è fatto».
«Magari potrai riparlarci».
«Già, basta aspettare che uno dei due finisca in coma nel prossimo duello mortale» sbuffa, sarcastico. Io inarco le sopracciglia e lui mi lancia un’occhiata colpevole. «Scusa, non volevo».
«Posso farti una domanda?» chiedo. Sorride leggermente e, prima che possa aprire bocca, lo blocco. «Fammi il giochetto del “me l’hai appena fatta” e giuro che ti uccido, Harry Potter».
Il suo sorriso si fa più largo e annuisce.
«Magari Remus potrà intuirlo, ma io no. Posso capire il tuo comportamento verso di noi e il resto del mondo e hai tutte le ragioni per attraversare un periodo decisamente “no”…» Sbuffa, come a dire “e meno male”. «Ma perché hai fatto così anche con tuo padre?»
Harry tentenna un attimo.
«Non mi fidavo pienamente» spiega. «Non appena ci siamo visti, avevo capito subito che era lui e ho voluto provare a vedere se era un incantesimo di un Mangiamorte, ingannandolo un po’. Magari non è stato proprio educato, ma ho preferito controllare». Annuisco: ha pienamente ragione. «Be’, dopo essermi assicurato che non lo era io… Non lo so, ma non riuscivo ad accettare quello che vedevo. Ho visto lo spettro di mio padre solo un mese fa e… la sola idea che, anche in un altro universo, ci fosse la possibilità che lui sia vivo… avevo paura che mi avrebbe fatto crollare. L’ho creduto quasi fino alla fine».
«E invece?» chiedo. Voglio che parli, che si sfoghi, che smetta di tenersi tutto dentro come ha fatto per tutto questo tempo. Si è logorato dentro per tutto il tempo e ha lasciato libere le sue emozioni solo quando credeva che nessuno lo vedesse.
Era riuscito ad andare avanti per tutto il tempo solo con il pensiero fisso della sua vendetta contro Voldemort. Ora non ha nulla che gli occupi la mente abbastanza e il dolore di tutte le perdite gli si è riversato addosso. Questo non vuol dire che per noi sia facile, ma Harry è sempre stato nella convinzione che tutte le cose brutte accadano per colpa sua.
Spero, e credo, che questo incontro serva per permettergli di andare avanti. Voglio fare in modo che sia così.
«Invece… L’ho accettato» dice semplicemente. «È vero, da noi un sacco di gente è morta, ma chi lo sa che, in realtà, magari era tutto previsto, che la morte di ogni singola persona è servita perché, in un altro universo, c’era bisogno di quell’individuo con quei ricordi? È un po’ come traslocare: magari all’inizio si soffre per ciò che ci si è lasciati alle spalle, ma poi si capisce che è necessario per se stessi».
Okay, ammetto che la spiegazione mi ha lasciata piuttosto spiazzata e che… non ci ho capito un tubo. So solo che ci stiamo avvicinando sempre più all’argomento “religione” e temo che incapperemo in una discussione sulla fede alle tre e mezza di mattina. Ahia.
No, non devo pensare a certe cose! Al momento, la priorità è un’altra!
«Be’, Harry, una cosa è certa» dico, prendendogli una mano. «È bello riaverti indietro».
Sorride, ricambiando la stretta.

Harry si chiuse la porta dietro di sé senza fare il minimo rumore e, in punta di piedi, si avvicinò al letto, dove vedeva il profilo della sua ragazza alzarsi e abbassarsi ritmicamente. S’infilò nel letto.
«Sei sveglia, vero?» mormorò. Ginny si girò verso di lui, con gli occhi semichiusi dal sonno.
«Cos’è successo?» chiese, preoccupata, sfiorandogli il viso con una mano. «Stai bene?»
Harry sorrise e le prese la mano con delicatezza.
«Sì, sto benissimo» disse. «Mi serviva solo un consiglio».
«Hermione, eh?» sussurra lei, per poi fare un piccolo sorrisetto. «La Signora dei Consigli».
Harry ridacchiò.
«Una volta l’ho chiamata così e mi ha picchiato». Ginny fece una smorfia.
«Dovrò farle un discorsetto, allora» disse, con il tono di qualcuno che sta lentamente ricadendo nel sonno. «Solo io posso picchiarti».
«Verissimo» approvò lui.
«Vuoi raccontarmi quello vi siete detti?» chiese la ragazza, nonostante la voce impastata implorasse tutt’altro.
«Te lo dirò domani» rispose lui, poggiando le labbra su quelle di Ginny. «Ora dormi, o mi ucciderai perché ti ho fatto dormire poco».
«Giusto» disse lei, sorridendo leggermente. «Sai di tè».
E, dopo quell’ultima frase sconclusionata, si addormentò profondamente. Harry la strinse a sé e Ginny gli si accoccolò contro.
Quel momento era il più felice che Harry avesse passato da tanto tempo.


*****

James era sdraiato sul morbido materasso del suo letto nella Sala Comune, con una lama di luce del primo pomeriggio che, filtrata dalla finestra, lo riscaldava.
Era riuscito a liberarsi dal controllo morboso di Madama Chips – Sirius era convinto che avesse usato la Maledizione Imperius e anche Remus sembrava piuttosto propenso a quella spiegazione, mentre James e Peter continuavano a ripetere che l’Infermiera era cotta di lui – a patto che rimanesse nella sua stanza e uscisse solo per i pasti. A lui la situazione stava più che bene.
In quel periodo, dopo l’Incidente di Hogsmeade, come lo chiamavano gli altri, preferiva di gran lunga rimanere da solo. In effetti, sarebbe stato più normale rimanere in Infermeria, ma James trovava quel posto troppo soffocante.
Erano quasi le due quando Remus entrò di colpo nella stanza, correndo al proprio letto.
«Cosa ti sei dimenticato?» chiese James pigramente. Ormai quel rituale si ripeteva ogni giorno: uno dei ragazzi, a turno, dimenticava volutamente un libro nel Dormitorio e lo andava a riprendere in fretta e furia. In realtà, era ben chiaro che era solo un modo per tenerlo d’occhio.
Cosa credevano? Che avrebbe approfittato del primo momento da solo per suicidarsi?
«Babbanologia» disse Remus, con il fiatone per la corsa fino al Dormitorio, mentre cercava dentro il baule. «E sto facendo anche tardi! Ma dove cazzo…?»
«Ma come siamo volgari» disse James, ridacchiando. Si allungò verso il suo comodino, afferro il tomo e lo lanciò con precisione sulla testa di Remus. «Ce l’avevo io: mi avete sempre detto di farmi una cultura sui Babbani, no?»
Remus prese il libro e, massaggiandosi la testa, si drizzò in piedi, guardando storto il ragazzo disteso sul letto.
«Grazie» disse soltanto, prima di uscire dalla stanza, non senza avergli prima lanciato un’ultima occhiata indagatoria.
«Non c’è di che» disse James alla porta chiusa. Rimase immobile qualche secondo, prima di decidersi ad alzarsi. Mentre si dirigeva, barcollando, verso la finestra, giusto per avere una visuale un po’ diversa, una fitta al fianco lo costrinse a fermarsi. Alzò la maglietta, mostrando per qualche secondo le candide fasciature che gli avvolgevano gli addominali; il braccio destro era quasi interamente coperto allo stesso modo, solo la mano era riuscita a salvarsi completamente dalle ferite.
Arrivò alla finestra e appoggiò la fronte sul vetro.
Il cielo era limpido e il parco completamente illuminato. Il lago, calmo, mandava mille riflessi e la Foresta emanava una sorta di aria di tranquillità. James si ritrovò a desiderare di correre nella Foresta come Ramoso; si sentiva stretto in quella camera, anche se la riteneva, al momento, il luogo migliore in cui stare.
Il suo sguardo vagò in lungo e in largo sul paesaggio, bramoso di libertà, e, alla fine, incrociò il suo stesso riflesso. Si guardò per un secondo negli occhi e la mano passò istintivamente sul sopracciglio sinistro, diviso da un taglio verticale invisibile sul resto del volto. Gli occhi nocciola erano contornati da profonde occhiaie. Non dormiva bene da giorni.
«Già, chissà perché» disse una voce sarcastica. James si voltò quasi pigramente. Sul letto accanto a lui, vestito con un completo e comodamente sdraiato, l’Altro teneva un libro aperto davanti a sé e lo sfogliava con poca attenzione. «Bah, Shakespeare» disse, lanciando il libro da una parte. Il tomo toccò terra e scomparve nel nulla. «Perché conosciamo questo Babbano?»
«Me ne avrà parlato Remus» rispose James, con voce stanca. «Oppure l’avrò sentito nominare da Lily».
«Già, ma questo non spiega perché sappia che fa schifo» replicò l’Altro.
«Perché sei un bastardo razzista» cantilenò James, chiudendo gli occhi, stanco ed esasperato. L’Altro si batté una mano sulla fronte, come se capisse qualcosa all’improvviso.
«Ah, giusto, che scemo!» disse, per poi fare una smorfia. «Be’, vengo da te, per cui il risultato non poteva essere chissà quale genio».
«Ti stai insultando da solo, lo sai vero?»
«Appunto!» esclamò l’Altro, rizzandosi a sedere. «Questo conferma la mia tesi!»
James scosse la testa, indeciso se ridacchiare, piangere o tirare un pugno a quell’essere irritante – che poi lo avrebbe semplicemente trapassato: era una semplice, più o meno, proiezione mentale.
 «Ah, e per quanto riguarda la Rossa» disse all’improvviso l’Altro, alzando tre dita della mano destra e cominciando ad abbassarne una per volta. «Uno… due… tre…»
Toc toc.
James si girò di scatto verso la porta proprio mentre Lily chiedeva «Si può?»
Il ragazzo, incredulo e piuttosto confuso, disse «Avanti» senza pensarci, rimpiangendo la sua parola subito dopo.
«Disturbo?» chiese la ragazza, socchiudendo la porta e facendo capolino all’interno.
«No, no, entra» fece James, cominciando a preoccuparsi.
«Sono venuta a vedere come stavi» disse Lily, richiudendosi la porta alle spalle. James fece una smorfia.
«Guarda, non serviva: Remus era qui poco fa proprio per questo» sbuffò il ragazzo.
«Lo so» replicò la ragazza. «Come so anche che sei stato piuttosto strano, ultimamente».
James inarcò un sopracciglio.
«Sirius o Remus?» chiese semplicemente.
«Entrambi. E Peter» rispose lei. L’Altro sbuffò.
«Topo del cazzo» ringhiò. «Come se gli importasse qualcosa».
A James non era ancora ben chiara la personalità di questa proiezione. Sicuramente era molto diverso da lui, quindi doveva per forza, essere l’Altro, ma non aveva la malvagità della sua parte oscura. Era un rompiscatole, ma non sembrava cattivo. A volte si preoccupava perfino per come James veniva trattato.
«Sono in pensiero per te» disse Lily, preoccupata. «E lo sono anch’io. Sono giorni che non ti fai vedere».
«Sono agli arresti domiciliari, no?» fece James, ironico. Lily aggrottò le sopracciglia.
«Già, ma dovresti anche scendere a mangiare, ogni tanto» disse. James scrollò le spalle.
Lily inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla. James la guardò.
«Che c’è?» chiese stancamente.
«Mi sto solo chiedendo cosa sia che ti fa isolare così, dato che tu hai promesso di non tenere per te le cose sull’Altro» disse Lily.
«Uffa» fece l’Altro in questione. «Quand’è che vi deciderete a trovarmi un nuovo nome? Che ne dite di Jack? Jerry? Jeffrey? Oh, va bene… tutti d’accordo su John? Potrei essere John Smith! Bel nome, molto anonimo… Sì, potrebbe andare… Okay, d’ora in poi mi chiamo John Smith!»
James non lo ascoltava neppure.
«Ci sono cose che devo tenere per me, soprattutto se riguardano l’Altro» ribatté.
«John Smith».
«Capisco che tu voglia avere dei segreti, ed è giusto così, ma se rivelarli a qualcuno servisse ad aiutarti…» ribatté Lily, per poi interrompersi un attimo. «Ogni volta che l’Altro («John Smith!») ha preso il controllo io c’ero, ho visto il tuo lato peggiore e ti ho aiutato a sopraffarlo».
«E quindi?» fece James, cominciando a irritarsi.
«Quindi, se la mia presenza può aiutarti» disse Lily, alterandosi a sua volta. «Voglio starti accanto».
«Certo, è vero, il fatto che ci fossi mi ha salvato la vita e quella di tutta la scuola» ammise il ragazzo, ora leggermente più ragionevole. «Ma se la prossima volta non andasse bene? Se l’Altro («Che problemi avete con il nome “John Smith”?») diventasse più potente? Se riuscisse a prendere il controllo totale del mio corpo? E se tu fossi, di nuovo, la persona più vicina?»
Lily sgranò gli occhi, sbalordita, e James approfittò di quella pausa per continuare.
«Il solo fatto di starmi vicina, in questo momento, ti rende la persona più in pericolo di tutto il castello e, se proprio vuoi saperlo, non ho proprio intenzione di rischiare di farti del male» disse, prima di sorpassarla e uscire di corsa da dormitorio e Sala Comune.
Si ritrovò a vagare per una scuola semi-deserta, con tutti gli studenti rinchiusi nelle aule a sgobbare come pazzi per seguire la nuova spiegazione della McGranitt o per risolvere il nuovo compito di Lumacorno. Incontrò solo un po’ di ragazzi del sesto e del settimo anno, probabilmente, come Lily, con un’ora buca che potevano sfruttare a loro piacimento: chi per giocare e svagarsi, chi per studiare e portarsi avanti, chi per andare a trovare amici posseduti. O, a quanto pareva, c’era anche chi andava in giro con strani aggeggi.
Era immerso nell’ennesimo tentativo d’ignorare John – ormai era costretto a chiamarlo così per cause di forza maggiore – e i suoi discorsi su quanto fosse stato stupido anche solo far entrare Lily nella stanza e su quanto fosse stato delicato («Non è che tu sia proprio pieno di savoir faire!») nel comunicarle che era stata “licenziata” («Sarà mia moglie, non la mia segretaria! Anzi, ormai non sarà nessuna delle due!»), il tutto con un tono allegro e felice che mandava James in bestia, quando la videro.
«… E quindi devo dire che preferirei mangiare una confezione intera di Caccabombe piuttosto che far arrabbiare di nuovo la Evans! Ehi, ma quella non è la nostra cara Tonks che viene verso di noi?»
James si voltò, sorpreso. Evelyn Tonks camminava nel bel mezzo del corridoio, tutta presa a osservare un cilindro d’argento, dal diametro di circa un centimetro. James non sapeva cosa ci fosse di speciale ma la ragazza ne era completamente assorta tanto che, quando gli stava per finire addosso, dovette fare un balzo di lato per evitarla. Il Grifondoro le si avvicinò e le schioccò le dita un paio di volte davanti agli occhi. Evelyn alzò lo sguardo, sorpresa.
«James!» disse. Poi aggrottò le sopracciglia. «Non… non ti avevo visto…»
«Ho notato» replicò il ragazzo, con un sorriso divertito. Adorava quella ragazzina. «Mi stavi per investire».
«Scusa» fece lei, anche se la sua testa sembrava da un'altra parte. «Tu non dovresti essere segregato nella tua stanza?»
«E tu non dovresti essere a lezione?»
«La Sinistra sta male, ho l’ora libera» ribatté la Corvonero, per poi fare una smorfia. «C’entra Lily?»
«Come cavolo…?»
«Direi di parlarne con calma da un’altra parte» lo interruppe velocemente la ragazza. «Ci vediamo nella Stanza delle Necessità fra cinque minuti, okay? Così avremo un po’ di privacy».
Prima che il ragazzo potesse ribattere, Eve mostrò un largo bracciale di cuoio che aveva intorno al braccio sinistro e ci passò un dito sopra. Evelyn Tonks scomparve nel nulla.
James rimase a guardare il punto in cui era sparita, interdetto, e anche John, per una volta, era stato completamente zittito.
«Sbaglio, o Evelyn è appena… sparita?» chiese James, insicuro delle sue stesse parole.
«Si sarà Smaterializzata» ipotizzò John, con molta poca convinzione.
«Non ci si può Smaterializzare a Hogwarts» fece notare il Grifondoro.
Ci fu qualche istante di silenzio prima che John battesse le mani e si girasse, cominciando a camminare.
«Si può sapere dove stai andando?»
«A incontrare Evelyn nella Stanza delle Necessità» fece John, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Ma ho parecchie domande da farle, per cui mi servirebbe un bel corpo con un cervello e, soprattutto, un bocca».
«Sai, mi stupirei di quel “bel”, se non fosse che abbiamo lo stesso aspetto e ti sei fatto un complimento da solo» ribatté James, ancora un po’ stordito da quanto era successo in meno di un’ora.

James si domandò come avrebbe fatto a far comparire la Stanza quando ci fu ormai davanti: la porta era già apparsa, anche se non era sicuro di come, e gli bastò spingerla leggermente per entrare. Il ragazzo sgranò gli occhi.
«Ma che…?» fece, senza riuscire a concludere la domanda.
La Stanza era veramente molto strana e la maggior parte degli oggetti presenti… Be’, non sapeva nemmeno descriverli, figuriamoci dargli un nome.
«Benvenuto, signor Potter! Scusa se prima me ne sono andata in fretta, ma la durata della proiezione stava per terminare» disse Evelyn, comparendo all’improvviso da dietro un… qualcosa. «Coooomunque, benvenuto nel mio laboratorio segreto! Fa molto “scienziata pazza”, vero?»
«“Pazza” cosa?» chiese James, confuso più che mai. Evelyn sbuffò, scuotendo la testa e mormorando qualcosa che assomigliava a «Purosangue».
James fece un paio di passi e si guardò meglio intorno. La Stanza, o il “laboratorio segreto”, aveva preso una forma circolare, fatta da mattoni di pietra rossiccia. Una stanza molto anonima, in quella scuola, se non fosse stato per gli stranissimi macchinari all’interno.
Al centro c’era un grande bancone, sempre di pietra e molto simile a una specie di strano altare, circolare dal diametro di circa tre metri con, nel mezzo, un grande tubo di vetro che correva fino al soffitto e sembrava estendersi anche oltre, anche se non sapeva di preciso cosa fosse, quell’“oltre”; nel tubo, minuscoli granelli di qualcosa scorrevano dall’alto verso il basso, come se qualcosa li stesse risucchiando. Il vetro aveva un bagliore strano, color oro, che era l’unica fonte di luce della stanza, ma, stranamente, non dava affatto fastidio guardarla direttamente e tutto il Laboratorio risultava ben illuminato.
Il tubo era poi circondato da vari oggetti particolari, sistemati apparentemente senza un ordine logico, fatta eccezione per quelli che, grazie al poco che sapeva di Babbanologia, poteva chiamare “schermi”. C’era una specie di “bozzo”, una piccola cupola di pietra che sporgeva dal bancone, proprio sotto a uno degli schermi che coronavano il tubo, con una dozzina di fessure circolari e, in quella centrale, era inserito il cilindro di metallo che la ragazza stava osservando prima; sopra, lo schermo mostrava una sequenza di immagini molto rapidamente, tutte molto famigliari: prati, rocce, muri, statue e così via, tutti elementi presenti in quella scuola.
James girò intorno al bancone per vedere il resto. C’era, a un certo punto, una rientranza rettangolare con sopra il profilo di due mani; più avanti, un leggio con un libro dalla copertina bianca e, quando lo aprì, scoprì con sorpresa che le pagine erano altrettanto intonse; poco accanto, una sfera di metallo era sospesa in aria, circondata da una luce blu scuro; da lì in poi, il bancone era costellato da vari attrezzi, comprese un paio di bacchette, e oggetti particolari: c’era lo strano bracciale di cuoio che Evelyn aveva usato per sparire nel nulla e, accanto a una bacchetta, un altro bracciale ancora, ma molto più elaborato. James lo prese e lo esaminò.
«Mettilo» gli disse Evelyn con un sorrisetto. Il Grifondoro ubbidì e il bracciale si adattò istantaneamente all’avambraccio, fasciandolo quasi completamente; sotto, dal polso fino alla metà dell’arto, c’era una specie di cilindro cavo di metallo, aperto sul davanti.
«Mettici la bacchetta» disse ancora la ragazza. James prese la sua arma di mogano e la inserì nella cavità. Il cilindro si adattò istantaneamente alla lunghezza e al diametro della bacchetta.
«Ora fletti il polso» ordinò Eve.
«Come? Così?» Evelyn non dovette rispondere, poiché il bracciale fece proprio ciò per cui era stato progettato: la bacchetta venne istantaneamente espulsa verso l’esterno, dov’era puntato il braccio del ragazzo che, sorpreso, riuscì ad afferrarla per un soffio grazie ai riflessi da giocatore di Quidditch.
«Wow» disse James, sospirando dal sollievo, per poi osservare meglio il bracciale. «Quindi serve per…»
«Estrarre velocemente la bacchetta» disse Evelyn, soddisfatta, mentre il Grifondoro inseriva di nuovo la bacchetta e riprovava il gesto. John, anche se Eve non poteva vederlo, osservava con curiosità l’oggetto. «È un… accessorio da battaglia».
«E perché l’hai creato?» chiese James, mentre cercava il tempismo giusto per bloccare la bacchetta. Evelyn fece una smorfia triste.
«Ho capito che, contro la Mason, il fattore più importante è la velocità» spiegò, portandosi istintivamente una mano verso la spalla che era stata ferita dalla donna. Poi si allungò sul bancone e prese un oggetto, per mostrarlo al ragazzo. «È per questo che sto migliorando…»
«L’Impalettatrice» concluse James con un sorrisetto, osservando con attenzione la piccola pistola, ora incompleta e con pezzi mancanti. «Remus me ne ha parlato».
«Quindi Remus ti parla, eh?» chiese Eve con noncuranza, risistemando la pistola sul tavolo. «E come mai tu non parli a Remus?»
«Cos’è questa roba?» chiese James, ignorandola e ritornando a esaminare da vicino il bancone e i suoi schermi.
«È il mio Laboratorio, te l’ho detto. Questa è la zona di creazione, l’altra è quella di ricerca e il tubo in mezzo è il Cuore» spiegò velocemente la ragazza. «Quindi non parli con Remus, hai litigato con Lily… Cosa c’è che non va?»
«Discusso, non litigato» disse in fretta il Grifondoro, esaminando ciò che la ragazza aveva chiamato “Cuore”. «A che serve questo?»
«Il Cuore assorbe Etere dall’universo e lo converte in una forma utilizzabile dai miei macchinari» rispose Evelyn. «C’entra qualcosa l’Altro?»
«Forse» disse semplicemente il ragazzo. «E quest’altra roba?»
«Facciamo così» lo bloccò Eve. «Io ti spiego a cosa serve questa “roba” e tu mi dici cosa sta succedendo».
James ci rifletté un attimo. Non aveva voglia di parlare di John e di quello che gli stava accadendo nel cervello, ma la curiosità era molto forte e forse, data l’intelligenza della ragazza, avrebbe anche potuto dargli una mano. Quindi, alla fine, accettò.
«Allora, cominciamo dal reparto creazione, che è più semplice: in sostanza, uso i poteri della Stanza di darmi qualsiasi cosa e i dati che ricavo dal reparto ricerche per costruire oggetti utili, come l’Impalettatrice o quel bracciale che, a proposito, ti regalo».
«Grazie» fece James, sorpreso, passandosi una mano sul polso.
«Non c’è di che. Quest’altro, invece, quello che ho usato per scomparire nel nulla, serve per proiettare un’immagine fisica di una persona in un altro luogo. Tecnicamente, non mi sono mai spostata da qui, hai solo visto un mio… avatar, e mi hai beccato quasi alla fine del tempo disponibile» spiegò la ragazza, per poi girare intorno al bancone. «Ora, la sezione di ricerca, partirò dalle cose più semplici: questo» indicò la zona rettangolare con il profilo di mani sopra. «è un Computer Mentale. In questo periodo, non è che i computer Babbani siano un granché, ma mi sono fatta dire da Dora come si sono evoluti e ho creato il mio. Basta poggiare una mano e il sistema si connette al tuo cervello e puoi esplorare mentalmente l’Archivio o proiettare immagini sullo schermo o… altre cose a cui non ho ancora pensato».
«Archivio?» chiese James, in parte felice di constatare che la parola “computer” non gli era completamente sconosciuta. Intanto John osservava con curiosità la sfera di metallo. Evelyn si avvicinò alla cupola di pietra che usciva dal bancone ed estrasse il cilindro di metallo.
«Questo è un Archivio Portatile, in breve “AP*”, con cui posso esaminare oggetti e inserire ogni loro caratteristica nell’Archivio generale semplicemente connettendolo qui» spiegò, indicando infine la piccola cupola. «Così l’Archivio si aggiorna e tutti gli AP che creerò, perché ne voglio fare uno per ognuno di voi, avranno le stesse informazioni. È per questo che lo schermo mostra tutte queste immagini: l’Archivio è in aggiornamento».
«Ma a che servono gli AP se abbiamo delle bacchette?» chiese James, dopo essere riuscito a crearsi una visione abbastanza chiara di come funzionava la cosa.
«Le bacchette sono strumenti stupendi, James, ma gli AP ti permettono di sapere se, magari, la pietra che hai davanti è di un materiale sconosciuto o se non è affatto una pietra. Ci sono mille modi per utilizzare gli AP, con un po’ di ragionamento» spiegò pazientemente la ragazza.
«Capisco» fece James, anche se non era molto sicuro di aver capito. «Continua».
«Poi c’è questo: un libro universale. Poggia la tua mano sulla copertina, pensa al libro che stai cercando e questo conterrà le stesse esatte parole» disse. Sprizzava soddisfazione da tutti i pori. John provò a posare la mano sul Computer Mentale, per poi cominciare a maledire la sua incorporeità. «Al momento, però, non ce ne sono molti nell’Archivio ma ho spedito una minuscola sonda invisibile a esaminare ogni singolo libro nella Biblioteca. Entro domattina, avrò tutti i tomi di quella prigione polverosa, compresi quelli del Reparto Proibito».
James fece un fischio d’ammirazione. «E la sfera?»
«Serve a prendere campioni di magia» spiegò Eve. «L’ha creata Silente e Remus me l’ha descritta, io l’ho solo… migliorata».
James fu tentato di prenderla e osservarla meglio, ma quel bagliore blu gli fece ritenere che, probabilmente, non sarebbe stata una buona idea.
«Adesso tocca a me» fece Evelyn e James, seppur a malincuore, annuì. La ragazza si concentrò un attimo e una serie di divanetti azzurri si generò lungo le pareti della stanza. Evelyn si sedette sopra uno a gambe incrociate e James la seguì.
«Cosa vuoi sapere?» chiese lui. “Via il dente, via il dolore”.
«Comincia da quando sei… entrato in coma, e non escludere i particolari» disse.
James cominciò quindi a parlare di dove era finito e di come avesse incontrato suo figlio. Gli raccontò di ciò di cui avevano parlato e di come Harry gli era sembrato così freddo e distante, facendolo arrivare a chiedersi se fosse davvero suo figlio e se gli volesse bene, in qualche modo. La frase finale del ragazzo con gli occhi verdi, prima di tornare nel suo mondo, era stata una specie di ancora di salvezza.
Poi passò a raccontare del suo incontro con l’Altro e del loro duello… e di ciò che gli aveva detto. Gli disse che poi, come ora, aveva cominciato a vederlo, una proiezione della sua mente invisibile agli altri, con un carattere più irritante che malvagio e che voleva essere chiamato John Smith, al momento.
«James» fece la ragazza, posandogli una mano sulla spalla. «Remus, Sirius, Dora e gli altri mi hanno detto che ti stai isolando. Perché?»
James sospirò.
«Perché John ha ragione» disse.
«No che non ha ragione!» esclamò la ragazza, indignata. «Tu non sei solo, James!»
«So di non essere solo, ma non so di chi posso fidarmi e a chi posso stare vicino senza metterla in pericolo» replicò il ragazzo. Evelyn notò l’uso del femminile.
«È di questo che hai parlato con Lily, vero?» chiese. James annuì, abbassando gli occhi.
«Le ho detto che… è meglio se mi stia lontana perché, la prossima volta che l’Altro prenderà il sopravvento, potrei non riuscire a fermarlo» disse. Evelyn sospiro, prima di alzarsi di scatto ed estrarre l’AP dall’Archivio generale.
Puntò un’estremità verso il ragazzo e si concentrò un po’. La punta s’illuminò della stessa luce dorata dell’Etere presente nel Cuore. Poi Eve rigirò l’AP e dall’altra estremità si sprigionò una specie di finestrella di luce blu; all’interno, c’era il disegno del profilo di un corpo umano, con l’interno colorato completamente di rosso.
«Questa è la tua potenza magica, James» spiegò la ragazza. «I colori per identificare la potenza di un mago vanno dal bianco al rosso in modo crescente. Penso sia facile capire che più si avvicina al rosso e più il mago è potente. Ci sono pochissime persone nella scuola con questo livello e ancora di meno sono professori».
James, seppur in parte compiaciuto, era di un’altra idea.
«La potenza sarà così alta perché l’Altro aumenta di molto il livello» ribatté.
«Sono riuscita a ottenere un campione di magia Oscura – non chiedermi come, non vuoi saperlo – e l’ho isolata dal tuo corpo. Questi sono i tuoi parametri naturali».
James osservò il disegno, interdetto, prima di dire un semplice: «Non fa differenza».
Evelyn aveva l’aria volergli staccare la testa a morsi.
«James, questo è uno scontro fra luce e oscurità, il più antico e importante di tutti, che accade sia all’esterno sia all’interno di una persona. Ogni giorno, ogni secondo, queste due forze lottano fra loro, cercando di sovrastarsi benché sappiano che, per non far crollare l’universo, ci deve essere un equilibrio fra queste. A meno che nel frattempo io non mi sia persa qualcosa, parteggiamo per la luce, e sono sempre le persone con grande potenza e coraggio che riescono a far avanzare l’una o l’altra forza» spiegò la ragazza. «L’oscurità si è presa un bel vantaggio, e per questo abbiamo bisogno di queste persone potenti e coraggiose».
«Bel discorso filosofico, ma non vedo come…»
«Tu sei una delle persone più potenti che conosca e puoi usare questo potere per diffondere la luce o fermare l’oscurità».
«Dove sarebbe la differenza?»
«In te. Puoi decidere se provare un qualche modo pacifico e cauto per far allontanare l’oscurità, un modo sicuro ma molto lento, o combattere per ciò a cui tieni davvero e mostrare di che pasta sei fatto» disse Eve. «Puoi decidere se essere un messaggero o un soldato».
«E se non volessi essere nessuno dei due?»
«Allora non saresti James Potter».
«Che intendi dire?» chiese, aggrottando le sopracciglia e allontanandosi impercettibilmente dalla ragazza. Quelle parole erano strane. Profonde, sì, ma molto strane.
«Che ti conosco da una vita» disse lei, accennando un sorrisetto. «E so come sei fatto. Sei un idiota testardo e orgoglioso, non scapperesti mai da un pericolo o da un nemico, lo affronteresti senza pensarci un attimo».
«Quindi ti chiedi solo “come” lo affronterò» concluse il ragazzo, cominciando leggermente ad alterarsi. La giornata non sembrava essere molto rosea. «È bello sapere che vieni considerato prevedibile e stupido».
James scosse la testa e si alzò, diretto verso la porta, ed Eve lo bloccò in fretta, prendendogli la mano e costringendolo a voltarsi.
«Senti, mi dispiace, mi sono espressa nel modo sbagliato» disse la Corvonero. «Volevo solo dire che tu hai bisogno di noi, di qualcuno che ti stia accanto, e noi tutti abbiamo bisogno di te».
Poi gli lasciò la mano. Dopo qualche istante James si voltò nuovamente e, a passo lento, si diresse verso la porta, la aprì e si fermò un attimo.
«Sarebbe bello se tutto tornasse com’era prima, vero? Prima dell’Altro e prima della Mason» chiese, un po’ malinconico.
«Sarebbe bello anche solo dimenticarlo» ribatté tristemente Evelyn.
James se ne andò e la ragazza tornò a lavorare sul modo migliore per uccidere un vampiro.


*****

Marlene rideva come una matta e Dora la seguiva a ruota.
Erano appena uscite dalla Sala Grande, dove Sirius e James, per festeggiare la loro riappacificazione – veloce e repentina, tanto che neanche le due sapevano che i Malandrini erano tornati – avevano riempito alcuni palloncini di una sostanza di loro invenzione per poi renderli trasparenti. Quando era stato il momento opportuno, i palloncini erano esplosi sopra tutta la Casa di Serpeverde, i cui studenti si erano ritrovati a subire gli effetti di diverse fatture contemporaneamente, creando numerose combinazioni e diversi effetti collaterali.
Ovviamente, i Malandrini non erano stati accusati di nulla – e credevano che sotto ci fosse lo zampino di Silente – ma tutti sapevano che erano stati loro. Era stato bello rivederli di nuovo in attività e, soprattutto, insieme.
«Hai visto come faceva quell’idiota di Harrison?» chiese Marlene fra le lacrime. Dora rise ancora, annuendo con forza e facendo scoppiare a ridere anche l’altra ragazza.


*****

«Ehi, James» disse la ragazza quando gli fu accanto. «Per quello che è successo oggi, io volevo dirti che…»
James le poso un dito sulle labbra, sorridendo.
«Non devi dire nulla» mormorò il ragazzo, per poi stringerla a sé. «Ti amo».
Sentì il battito di Lily interrompersi per un attimo.
«Anch’io» sussurrò lei.
«Allora spero mi capirai» fece di rimando James, la voce rotta dalle lacrime. Prima che Lily potesse spostarsi, James fletté il polso, impugnò la bacchetta e la punto sulla tempia della Rossa.
Oblivion.
James le lasciò un bacio sulla testa prima di allontanarsi da lei e schioccarle le dita davanti al volto, risvegliandola dal leggero stato catatonico che si creava immediatamente dopo l’Incantesimo della Memoria. James prese all’istante il sorriso da Malandrino e fece scomparire le lacrime, mentre Lily batteva le palpebre, confusa.
«Tutto a posto, Evans?» chiese il ragazzo, sghignazzando.
«Che diamine è successo?» fece lei, guardandolo storto.
«Non so, mi stavi sgridando su quanto orribile e ingiusto fosse lo scherzo che, sottolineo, non ho fatto, quando hai deciso di farti un sonnellino» spiegò il ragazzo. «Ora: ti andrebbe di venire a Hogsmeade con me?»
Lily sospirò stancamente.
«Vaffanculo, Potter» disse, per poi voltarsi e andarsene per la sua strada.


*****

Dora non si trattenne. Uscì dall’angolo in cui erano nascoste lei e Marlene e si diresse verso James. Quando li avevano visti parlare in quel modo si erano incuriosite e, anche per non interrompere, erano rimaste ad ascoltare. Ad ascoltare tutto.
Batté una mano sulla spalla del ragazzo e aspettò che si girasse per mollargli un cazzotto, facendolo indietreggiare di un paio di passi.
Lui sgranò gli occhi, sorpreso.
«Sei un coglione» disse, per poi dirigersi verso la Sala Comune di Grifondoro. Sperava di fare una specie di uscita di scena trionfale, ma prese una storta e per poco non cadde. Questo, più la rabbia per ciò che aveva appena visto, tinse i suoi capelli di una tonalità molto accesa di rosso.
Marlene fu subito al suo fianco.
«Dove stai andando?» chiese, allibita da ciò che era appena successo.
«Dagli altri» rispose l’Auror. «Meglio spiegargli quello che è successo prima che prendano Lily per pazza».


*****

«Dai, Sirius, piantala!» rise Mary, mentre il suo ragazzo la conduceva, o meglio “trascinava”, lungo la riva del lago. Ovviamente era tardi ed entrambi avrebbero dovuto essere in Sala Comune, ma a nessuno dei due importava.
«C’è una cosa che voglio farti vedere e non riuscirai a farmi cambiare idea!» disse lui, con la sua risata caratteristica.
«E come pensi di convincermi a seguirti?» chiese la ragazza, decisa. Sirius la prese per le mani e la fece avvicinare a se, per poi stamparle un bacio sulle labbra. «No, niente… Ma forse, con un altro bacio…»
Sirius rise e seguì il consiglio della fidanzata, che cedette e si fece portare verso la Foresta Proibita.
«Dobbiamo entrare lì dentro?» chiese. Non le era mai piaciuto molto, quel posto, così come i Sotterranei; era leggermente claustrofobica.
Sirius fece spallucce.
«Solo per una dozzina di metri, nulla di che» disse. Mary annuì e seguì il giovane Black nella vegetazione. Si fermarono dopo pochi passi. «Ecco, guarda».
Sirius si avvicinò a un particolare albero dal fusto molto largo e avvicinò il dito alla corteccia. La mano venne bloccata a circa mezzo centimetro dal legno, impossibilitato a toccarlo da una specie di barriera invisibile.
Anche Mary si avvicinò e premette il palmo sulla barriera.
«Che strano» disse, osservando la sua mano separata dal tronco solo dall’aria.
«Che forza!» fece invece Sirius, con un sorriso malandrino sulla bocca che contagiò anche la ragazza.
«Secondo te cos’è?» chiese, curiosa e divertita.
«Non lo so, ma voglio scoprirlo».


*****


Qualcuno bussò alla porta.
«Avanti» disse la professoressa.
Regulus Black entrò nella stanza.
«Hanno trovato il nascondiglio» disse, chiaro e diretto.
La Mason inarcò un sopracciglio.
«E la cosa ti crea problemi?» chiese.
«Affatto, credo che invece renda tutto molto più divertente» sul volto di Regulus si aprì un ghigno molto poco alla Black.
La Mason sorrise a sua volta.
«Allora non preoccuparti, troverò un modo per non permettere a Silente di fare alcunché» ordinò la donna.
Regulus annuì e uscì dalla stanza.
La Mason prese poi il suo bacile di pietra e osservò di nuovo nel liquido rosso e denso. Al suo interno, James, nel suo Dormitorio, che dormiva nel suo baldacchino.
«Povero James» disse. «Se solo sapessi che la sofferenza che ti sei provocato è totalmente inutile…»
Poi, seguendo un impulso improvviso, immerse un dito nel liquido e se ne portò un po’ alle labbra, assaggiandolo.
Sorrise e risistemò il bacile al proprio posto.
 
Regulus camminava verso i Sotterranei con un sorriso soddisfatto. Da una tasca interna della divisa estrasse una fiaschetta d’argento e bevve qualche sorso. Poi guardò fuori dalla finestra, verso la luna.
«Ci vediamo, lupetto».



*La pronuncia è, ovviamente, all’inglese.



Sala Comune di Tassoverde

... ... Si può? 
È permesso? O rischio il linciaggio?
Lo so, comparire dopo quasi un mese e con un capitolo così breve e insulso è quasi un crimine penale. Credo di rischiare il carcere. Ma voi siete buoni e carini ed eviterete di denunciarmi  alle autorità competenti (?), giusto? Su, siate buoni e caritatevoli per un povero ragazzo che non ha potuto aggiornare perché è stato male per quest'ultima settimana!
Okay, direi di superare la parte del patetico e passare a ciò che è veramente importante (sì, nei miei sogni): il capitolo.
Con questo siamo arrivati a dieci tondi tondi. Dieci. Oddio mi sento male. Allora, che dite, è ora di eliminare la scritta di possibilità di OOC o mi sono giocato la chance?
Come avete visto, ho inserito la spiegazione dello strano comportamento di Harry nel suo dialogo con Hermione e nei pensieri della suddetta (è stato carino scrivere il suo POV, ma non credo si ripeteranno scene nel "nostro" mondo) che, tuttavia, credo di aver espresso meglio nella parte aggiunta alla fine delle Note del capitolo precedente. Ho tentato di ricreare abbastanza fedelmente anche il carattere della nostra secchiona preferita (intelligente e comprensiva, ora diventata un po' più divertente per la sua relazione con Ron e il suo carattere realista, dopo tutto ciò che ha passato, è un po' più aperto - almeno io la immagino così, una Hermione post-guerra). Secondo voi è azzeccata?
James, poi, ho provato a mostrarvelo sotto una luce diversa: ora, con la minaccia reale di un essere malvagio e orribile che altro non è che se stesso che incombe sui suoi amici e su Lily, non riesce più a essere l'allegro Malandrino, ottimista e spensierato. Credo che si avvicinerà più a sembrare l'Harry de L'Ordine della Fenice - o almeno ho provato a renderlo così, il verdetto è sempre vostro.
Evelyn, invece, è simpatica, allegra e intelligente, ma anche molto saggia e profonda per i suoi quindici anni <- Novità: per motivi di trama (che saprete solo fra mooooooooolto tempo) ho promosso questa ragazza al Quinto Anno, cercando di modificare, nei capitoli precedenti, ogni cenno alla sua età... ma sono sicuro di aver tralasciato qualcosa.
Come avrete notato, molte cose apparse in questo capitolo sono ispirati a cose provenienti da altri universi (nel senso di storie): il Laboratorio è chiaramente ispirato al TARDIS, ma vi giuro che non viaggerà nel tempo e nello spazio, così come l'AP è ispirato al cacciavite sonico, entrambi presenti in Doctor Who; il bracciale per estrarre velocemente la bacchetta, è una vecchia idea ispirata alla Lama Celata degli Assassini in Assassin's Creed. Dopotutto, fa sempre comodo avere un'arma così a portata di mano, no?!
Per il resto, ovvero le battute finali... Be', vedrete al prossimo capitolo (sì, purtroppo per voi ci sarà).
Ora, direi di passare ai ringraziamenti.
Ringrazio le 13 persone che hanno inserito la storia fra le preferite, le 6 che l'hanno messa fra le ricordate e le 42 che l'hanno sistemata fra le seguite. Vi ringrazio veramente tanto per non avermi abbandonato!
Ringrazio i lettori silenziosi che, wow, sono davvero tanti, e mi fa piacere vedere quanta gente è interessata a questa stronzata.
Ringrazio, infine ma soprattutto, coloro che hanno scritto le 35 fantastiche recensioni di questa fan fiction, soprattutto Hoon21, che non ne manca una, NewShadow, che ha recensito l'ultimo capitolo, e Ma_AiLing, che nonostante non abbia potuto recensire mi ha comunque dato un suo parere.
Detto questo, v'invito a recensire, o comunque a lasciarmi un vostro parere, perché mi aiuta a migliorare e rendere la vostra lettura più gradevole. Mi scuso ancora per aver scritto così poco in così tanto tempo e spero di riuscire a far di meglio con il prossimo capitolo.
Alla prossima,
Hufflerin

P.S.: Non so se avete notato, ma sia nel Prologo che nelle mie Bio potete trovare il banner con il titolo della fan fiction (creato con Word, in quanto non sono un grafico, anche perché il mio pc photoshop non lo regge).
P.P.S.: Che dite, vi piace il piccolo dialogo all'inizio del capitolo? Dovrei inserirlo anche negli altri o meglio lasciar perdere?

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Capitolo 11
*** Chapter IX - When ***


«Here lies the beauty of travel between Universes: you. You who have traveled are among the most powerful beings in the… Well, in the Universe. That’s what Mason wants, destroy all of you, sparking a war. The Storytellers’ War»

9. When

Il camino scoppietta allegramente, in barba all’atmosfera cupa che si è creata in Sala Comune. È circa mezzanotte, ormai quasi tutti sono andati a dormire dato che domani c’è lezione, e noi Grifondoro del settimo anno – esclusi James e Lily per ovvie ragioni –, in compagnia di Dora, Marlene ed Evelyn – rimasta ignorando le proteste della sorella –, siamo raccolti intorno al fuoco, pensierosi e tristi.
Dora ha appena finito di raccontare ciò che ha visto e la rabbia, evidente all’inizio, è lentamente sfumata, sostituita dalla malinconia. Credo che tutti ci stiamo facendo la stessa domanda: “E adesso?”.
Dire ogni cosa a Lily è fuori discussione: se non ci crederà, ci prenderà per pazzi, se invece la convinceremo, si trasformerà in una copia della Mason e staccherò a morsi la testa di James. Benché per alcuni la seconda ipotesi sembri abbastanza allettante, si è capito che molto probabilmente a realizzarsi sarebbe la prima.
«Perché l’ha fatto?» chiede Sirius, abbandonato su un divano accanto a Mary. Al ritorno della loro “scampagnata serale” ci avevano trovato ad aspettarli con espressioni quasi più tristi di quelle che abbiamo adesso. Aveva subito esclamato un «io non ho fatto niente» ma poi aveva capito che il “colpevole”, questa volta, era il suo fratello acquisito.
«Perché è un idiota» risponde Emmeline con ferocia. In parte la capisco. È arrabbiata perché, d’ora in poi, sarà costretta ad avere segreti con la sua migliore amica e a dover misurare le parole ogni volta che sarà a portata d’orecchio, costretta a vedere Lily all’oscuro di tutto. Certo, è quello che accadrà un po’ a tutti noi, ma per Emmeline, per il suo “stato” e per come vanno le cose in quest’universo, la questione è un po’ più complessa.
In parte, però, capisco anche James, e mi viene quasi naturale difenderlo.
«No, perché è disperato» ribatto. Ricordo con tristezza il giorno in cui ero fuggito dopo aver scoperto che Dora era incinta, terrorizzato dall’idea di aver trasmesso a mio figlio la maledizione. Quello era il giorno in cui ero diventato veramente in debito con Harry.
Fortunatamente, sembra che per Dora sia acqua passata ma io me ne vergogno ancora.
«Questo non esclude che sia un idiota» replica mia moglie, secca. Okay, magari non è proprio acqua passata.
Arrossendo leggermente, guardo le fiamme, cercando di pensare a qualcosa che non sia la mia colossale codardia, magari a qualcosa di utile. Attirato da un leggero movimento, poi, alzo un po’ lo sguardo e i miei occhi s’incontrano con quelli di Evelyn che, come a disagio, cercava di trovare una posizione più comoda con cui sedersi. Lei distoglie quasi subito lo sguardo, ma faccio in tempo a vedere quello che sembra senso di colpa. Qualsiasi cosa sia, non sembra volerne parlare, per cui non faccio domande.
«Quindi che facciamo?» chiede infine Peter. Mi trattengo dallo staccargli la testa, come ogni volta che apre bocca.
«Andiamo a letto, immagino» dice Sirius, alzandosi.
«Ma non abbiamo ancora deciso nulla!» protesta Emmeline alzandosi a sua volta.
«Già, e continueremo a non decidere nulla» replica Sirius, riuscendo a rimanere calmo. Dev’essere un grande sforzo, per lui così impulsivo, non rispondere a tono. «Non stasera, perlomeno. Prima dovremo parlare con James e Lily, cercando di capire tutti i dettagli e poi potremo decidere qualcosa!»
«Già» fa lei. «Facile parlare con loro, quando uno t’ignora da una settimana e con l’altra devi stare attenta a non dire troppo, altrimenti finisce che ti prende per pazza».
«Ehi, ehi!» esclama subito Sirius. «Non ho detto nulla riguardo al “facile”, ma non mi sembra che abbiamo altre possibilità e…».
«Oh, falla finita Sirius» sbotta Emmeline, esasperata e arrabbiata allo stesso tempo, uscendo in fretta dal buco del ritratto.
Sembra che Sirius stia per dire qualcosa, ma Mary gli poggia una mano sulla spalla.
«Non te la prendere e lascia fare a me» dice solo, prima di seguire l’amica fuori dalla Sala Comune.
Sirius si gira, lanciandoci un’occhiata stralunata.
Molti di noi fanno spallucce, compreso io, confusi quanto lui, ma è Alice che ci dice, semplicemente, che Emmeline ha recentemente avuto «un bel po’ di casini per le mani», rifiutandosi di spiegarsi meglio.
«So che sembra assurdo, ma penso che Sirius abbia ragione» dice Frank, per poi sbadigliare. «E credo che sia inutile continuare così, finiremo solo per addormentarci qui sotto».
Molti, nella scuola, pensano che Frank sia, come dire, “inutile”, il Grifondoro del settimo anno che non è riuscito a entrare nel gruppo dei Malandrini. Invece non è affatto così. Frank ha una grande abilità nei discorsi: ha una voce calma e gentile e, quando parla, qualunque cosa dica ti senti immediatamente d’accordo con lui. Ora che ne ha parlato, infatti, mi sembra di essere travolto improvvisamente dal sonno, tanto che comincio a sbadigliare. Anche gli altri non sono rimasti immuni dalla “magia” del ragazzo e alcuni si stropicciano gli occhi.
Nessuno di noi aveva dubbi che sarebbe diventato un diplomatico o che, perlomeno, avrebbe lavorato al Wizengamot o in un posto simile. Invece era diventato Auror e, in effetti, anche uno dei più bravi.
Ormai la pensiamo tutti come lui e cominciamo a salutarci. Poso un bacio sulle labbra di Dora, prima che lei esca insieme a Marlene ed Evelyn, che insiste a voler accompagnare fino in Sala Comune. Io, Sirius, Peter e Frank andiamo in Dormitorio con gli occhi che ci si chiudono.
Quando apriamo la porta, ci gettiamo quasi subito sui letti e solo la nostra – al momento poca – forza di volontà ci permette di metterci il pigiama. Quando sento uno strano rumore, anche se molto leggero, provenire dal letto di James, però, mi blocco all’improvviso.
Alzo lo sguardo verso le tende del baldacchino, ancora chiuse, e poi verso i miei amici. Solo Sirius incontra i miei occhi, e aggrotta le sopracciglia, preoccupato.
Scuoto la testa, facendogli segno di non intervenire.
Sirius assume un’espressione fra lo sconvolto e l’irritato.
«Diamogli tempo» dico, senza emettere alcun suono. Sirius sembra irritarsi di più e sta per ribattere. «Domani» aggiungo. Le sue labbra diventano linee sottili ma, alla fine, annuisce e riprende a cambiarsi, un po’ più violentemente di prima.
Probabilmente l’istinto di Sirius era di andare a parlare con James, di consolarlo e capirlo. Ma, per esperienza, so bene che tutto ciò che vuole James al momento è stare da solo a pensare. Ed io intendo accontentarlo, per quanto sia stato stupido il suo gesto. Per parlare c’è tempo.


*****

Mary aprì la porta dell’aula vuota e se la richiuse alle spalle.
Era uno spazio piuttosto angusto, con i banchi e le sedie accatastate un po’ ovunque. Tende scure e polverose impedivano alla maggior parte della luce di entrare. La Luna entrava solo da una finestra, illuminando un tavolo con due dita di polvere su cui, a gambe incrociate, era seduta Emmeline, in mano una bottiglia di Whiskey Incendiario.
«Dove l’hai presa quella?» chiese Mary, avvicinandosi alla ragazza.
Emmeline bevve un sorso, prima di chinarsi e, da sotto il tavolo, estrarre una cassa di legno che poso accanto a lei con facilità, nonostante sembrasse pesare parecchio.
«È da anni che i Corvonero nascondono qui le loro riserve» disse. Prese una bottiglia da una cassa e la lanciò a Mary, che la afferrò al volo, la aprì e bevve a sua volta. Non immaginava che quei Corvi tanto perfettini nascondessero certi tesori, ma dovette convenire che anche loro dovevano pur svagarsi, di tanto in tanto.*
Rimasero per un po’ in silenzio, sorseggiando di tanto in tanto l’alcolico.
«Allora, qual è il problema?» chiese infine la bionda. Emmeline scrollò le spalle. «Dai, parla».
«Oggi è l’anniversario» disse la ragazza, a testa china. Mary annuì. Sinceramente, aveva creduto che sarebbe stato più difficile farla parlare, ma l’alcol probabilmente aveva aiutato. «Lo sai com’è oggi. Tutti gli anni, è sempre così. Non riesco a reggerlo. E adesso ci si è messo anche James con questa storia della memoria, e Sirius che si mette a difenderlo e…».
«Non è solo questo» disse Mary, osservandola attentamente. Chiunque l’avesse conosciuta per così tanto tempo l’avrebbe capito, ma Mary captava anche i piccoli segnali del corpo dell’amica. Uno sguardo sfuggente, occhi umidi, dita che tamburellano nervosamente sulla bottiglia, poggiata sul bordo delle labbra, o sul tavolo. Per molti, cose come queste non significano niente. Come pezzi di un puzzle che vengono ignorati quasi da tutti, ma che i più attenti capiscono come incastrare fra loro. E Mary era brava, con i puzzle. «Cos’altro c’è?».
Emmeline la guardò, sgranando gli occhi, poi abbassandoli velocemente. Sembrava molto triste e, anche se Mary non riusciva a capire il perché, anche un po’ imbarazzata.
«Ultimamente» disse Emmeline, prendendo poi un altro sorso. «Ultimamente ho incontrato spesso il fratello di Sirius».
«Regulus?» chiese Mary, aggrottando le sopracciglia con sospetto e abbassando la bottiglia. «Che vuole?»
«Non lo so» rispose Emmeline con sincerità. «Ogni volta che mi si avvicina mi dice qualche frase strana. Mi passa accanto e dice qualcosa, per poi andarsene subito come se niente fosse. All’inizio la cosa m’incuriosiva e m’infastidiva. Adesso la cosa sta diventando molto inquietante».
«Cosa ti dice?» chiese la bionda, drizzando la schiena e le orecchie. Regulus era oscuro come la famiglia come lo aveva cresciuto ed evitava ogni contatto con i Grifondoro o con suo fratello. La cosa le puzzava.
«Dipende. Prima erano frasi brevi, insulti… Poi ha cominciato a dire cose molto più… oscure».
«Emmeline» fece Mary, posando la bottiglia, prendendo con delicatezza i polsi dell’amica e costringendola a guardarla. «Per favore, dimmi esattamente cosa ti ha detto».
Emmeline la guardò, un po’ sorpresa, ma poi dovette capire che era importante, perché la assecondo. O forse pensava solo che fosse pazza. O ubriaca. O entrambe le cose.
«Le prime volte in cui l’ho incrociato ha detto cose come “Sanguesporco” o “intrusa”. O anche “tic tac”. Ecco, sì, “tic tac” l’ha ripetuto un po’ di volte» riferì la ragazza.
«Poi?»
«Adesso è passato a frasi come “il serpente è libero”, “il fuoco sta divampando”, “avremo la nostra guerra”… E oggi ho ricevuto questo». Emmeline spostò una mano tremante nella tasca e ne estrasse un piccolo biglietto rettangolare, che diede all’amica. «Non ho prove che sia di Regulus, però…»
Mary lesse, il contenuto scritto in una calligrafia bella e ordinata, e rabbrividì…


Tic tac
Il Serpente apre gli occhi e il suo volere si compie
Quando il sangue degli intrusi la nera pietra bagna
Tic tac
I tentacoli del Caos avanzano nelle tenebre
Quando il sangue degli intrusi la nera pietra bagna
Tic tac
La scintilla si accende e la Guerra dei Narratori inizia
Quando il sangue degli intrusi la nera pietra bagna
Tic tac
Oggi
Il sangue degli intrusi la nera pietra bagna
Tic tac

… quando capì che quella strana cantilena era un messaggio a metà fra un avvertimento e una minaccia. Un messaggio per Emmeline. Un messaggio per i Sanguesporco.
Eppure, per Mary c’era qualcosa di strano, che andava al di là delle lettere scritte con inchiostro vermiglio.
«Non credo sia di Regulus» disse infine. Emmeline alzò gli occhi, sorpresa. «Regulus, seppur un bastardo, non è scemo. Non ha manie di protagonismo. Se davvero volesse farti del male, non manderebbe di certo un biglietto del genere. Qualcun altro deve averlo scritto».
«Non esserne così sicura» disse Emmeline. «È una delle Serpi peggiori e…»
«Emmeline, ne sono certa» replicò Mary. «Regulus non scriverebbe una cosa del genere».
«Allora le bionde non sono così stupide come si dice» esclamò una voce. Mary si girò all’istante, con la bacchetta sguainata, mentre Emmeline scendeva dal tavolo e si guardava intorno, preoccupata. Di chi avesse parlato, non c’era traccia.
Poi, dall’ombra, emerse una figura. Era come se l’oscurità fosse in realtà una specie di strana nebbia, che allungava i suoi tentacoli contorti per formare una figura umanoide prima abbozzata e poi completa. Regulus Black era davanti a loro, con un ghigno che non faceva presagire nulla di buono.
«Da quanto tempo hai quest’aspetto?» chiese Mary, cercando di mantenere la calma. Il ghigno del ragazzo si allargò.
«Cinque giorni» rispose. «Non molto, a dire il vero, ma Apophis ha trovato un modo per farmi entrare da poco. E pensare che sarei dovuto arrivare poco prima di Natale, invece sono già qui! Questo significa che posso divertirmi di più! Ovviamente, voi mi farete compagnia».
Mary stava per ribattere ma le sembrò di vedere qualcosa con la coda dell’occhio. Si girò lentamente, incerta e, ora poteva benissimo ammetterlo, spaventata. Riuscì a mala pena a vedere le ombre compattarsi in un essere, un essere dotato di artigli, prima di venir colpita alla testa. Mary cadde a terra e, prima di perdere i sensi, riuscì solo a sentire la voce ilare del falso Regulus che ripeteva, come in una tetra cantilena, “tic tac”.


*****

So di star sognando. Ne sono certo. L’ultima cosa che ricordo è di essermi messo sotto le coperte e, pensando a quanto successo e pieno di preoccupazione per la luna piena ormai vicina, sono sprofondato nel sonno.
Eppure sono qui. In piedi, sulle rive del lago di Hogwarts, di notte. Indosso una leggera camicia bianca e un paio di jeans, eppure non sento freddo; altra prova per la tesi del sogno. Mi guardo intorno con attenzione e capisco che, seppur simile, non è la stessa riva che conosco io: la spiaggia è troppo sabbiosa e grandi massi di pietra nera escono dal terreno, il castello si vede nel mezzo di una leggera nebbia, ma è troppo lontano rispetto alla sua vera posizione, così come per la Foresta Proibita.
«Dove sono?» sussurro. So che è strano parlare da soli ad alta voce, ma, se questa è la mia testa, non credo che qualcuno mi farà problemi.
«Nel Mondo di Mezzo» risponde qualcuno. Mi giro di scatto, portando una mano nella tasca della bacchetta e scoprendo con sollievo che ce l’ho. Davanti a me, a pochi metri di distanza, trovo James che mi osserva, in piedi. O meglio, all’inizio credo sia James, ma capisco all’istante di essere in presenza dell’Altro. Giacca e cravatta, niente occhiali… manca solo un bel ghigno malefico. Invece la sua espressione è molto seria.
«Questo è un luogo situato fra i vari Universi, un punto che impedisce ai mondi di entrare in contatto» spiega, pacifico. In un paio di passi è accanto a me. Penso di essere in pericolo ma non mi sembra che l’Altro abbia cattive intenzioni. Guarda il lago, aggrottando le sopracciglia. «Il suo aspetto varia a seconda di chi ci si trova all’interno. Di solito, quando sono solo, diventa un labirinto di pietra infinito, chiuso nell’oscurità. Con noi due insieme, invece, l’oscurità rimane, ma il Mondo diventa più ampio e triste, piuttosto che chiuso e minaccioso». Sorride leggermente, come ricordando qualcosa. «Invece, basta che anche James sia presente per rendere tutto di un bianco accecante. Quel ragazzo è una forza».
«Pensavo odiassi James» replico, mentre la mia mente cerca di elaborare la cosa. Il fatto che ci stia riuscendo mi rende quasi più spaventato di quanto non lo fossi nell’ignoranza. Devo averne passate parecchie, per riuscire a capire anche queste cose.
L’Altro fa spallucce.
«Non posso odiare ciò che mi dà potenza» spiega. «Se lui non esistesse, lo stesso varrebbe per me. Ovviamente è valido anche il contrario». Poi si gira verso di me e prende un tono cospiratorio. «Però non dirgli che te l’ho detto, potrebbe montarsi la testa!».
Sinceramente non ho capito un accidente di quello che ha detto, però annuisco lo stesso, cercando di assecondare il matto. Lui ridacchia, come se capisse cosa penso.
«E comunque chiamami John» dice. «John Smith».
Inarco un sopracciglio.
«Okay, John» dico. «Immagino che però tu non mi abbia portato qui per farmi incontrare Pocahontas, giusto?».
Lui non sembra capire. Giusto, stesso cervello di James, stessa conoscenza da Purosangue. Comunque decide di ignorare la cosa e andare avanti.
«Ti ho portato qui perché voglio aiutarvi» dice, guardandomi negli occhi. Le iridi nocciola hanno una strana luce. «C’è in corso un piano, un piano per uccidervi tutti. Lo stesso piano che mi ha creato e che ora ha trovato un altro modo per generare la Guerra».
Faccio un passo indietro, stordito.
«Di che stai parlando?» chiedo.
«Vi siete chiesti perché la Mason è qui, giusto? Perché si comporta in questo modo, perché mi ha generato dall’oscurità di James. Fa tutto parte di un piano, un piano fra lei e un'altra persona che si fa chiamare Apophis, come il Serpente del Caos della mitologia egizia» spiega. «Questo piano è molto articolato e in corso da secoli. La Mason ci lavora da quasi tutta la vita, da quando…»
«Da quando è tornata» concludo, come folgorato. In effetti, l’idea mi era ronzata in testa, ma non ero mai stato completamente sicuro. Ora, invece, John sembra suggerire proprio questo.
Annuisce.
«Non mi hai chiesto cosa accadrebbe se i Mondi di Mezzo non esistessero» dice. Non capisco il nesso, ma cerco di seguire il suo discorso. «Gli Universi si toccherebbero e ci sarebbe un passaggio fra questi. Potresti pensare che non è poi una cosa tremenda, poter viaggiare in tutti gli Universi, ma sbaglieresti di molto: gli Universi, prima o poi, tenderanno a sovrapporsi, a cercare di sopprimere l’altro perché l’esistenza di due versioni degli stessi eventi è qualcosa di inconcepibile, che va contro il naturale ordine delle cose. Tuttavia, ci sono momenti in cui i Mondi di Mezzo spariscono e, per un breve periodo, tutti gli Universi si toccano. Questi momenti si chiamano Punti Fissi, momenti che devono obbligatoriamente accadere nel tempo, identici in ogni Universo. Certo, ovviamente esistono le differenze: per esempio, in una guerra potrebbero esserci venti soldati in un Universo e diciannove in un altro; queste piccole differenze fanno sì che gli Universi non si fondano completamente. Passato il Punto Fisso, gli Universi tornano a separarsi completamente. Tuttavia, talvolta può accadere che qualcuno, di solito persone che hanno perso la vita in questi Punti, rimangano intrappolati nei Mondi di Mezzo che, non potendo contenere le loro entità – puramente umane –, spediscono queste persone in universi diversi da quello di origine – per evitare paradossi. Di solito, se una persona è stata già trasferita da un Universo all’altro, le persone dopo di lui tendono a seguire la “scia” lasciata».
«Frena, frena, frena!» esclamo, disorientato e sopraffatto dalle notizie. «Lasciami elaborare. Allora, Noi – io, Silente, Dora e anche la Mason a quanto pare – siamo qui perché siamo morti in uno di questi Punti Fissi».
John annuisce.
«La Battaglia di Hogwarts e gli avvenimenti della Seconda Guerra Magica sono Punti Fissi» conferma. «E ti ricordi quando è morta la Mason?»
Ci penso, cercando di ricordare. Poi mi viene in mente.
La professoressa Sarah Mason, vampira e pazza assassina part-time, era morta in duello contro Silente il 17 luglio 1980, durante la cosiddetta..
«Durante la Strage di Edimburgo**» rispondo. Il duello era stato violentissimo e si era svolto nel bel mezzo della città. Silente aveva ovviamente cercato di proteggere i cittadini, ma la Mason non risparmiava colpi. Trecentonovantaquattro civili morti. La Mason distrutta dall’esplosione di una piccola fabbrica tessile in cui Silente, in un gesto disperato al limite dell’immorale, l’aveva rinchiusa con centinaia di incantesimi di difesa e protezione; era stato l’Ardemonio a mettere fine all’esistenza della vampira. Silente, quel giorno, aveva dimostrato a tutti la sua potenza e quanto poteva essere spietato contro i veri malvagi. L’evento, tuttavia, sembrava dare troppo potere al mago, così il Ministero aveva deciso di insabbiare tutto; solo in pochi seppero cos’era successo. E i membri dell’Ordine della Fenice – nuova e vecchia – erano fra questi.
John annuisce.
«Un altro Punto Fisso» conferma.
Questo mi fa sorgere spontanea un’idea. Se i Punti Fissi devono accadere obbligatoriamente in tutti gli Universi, allora…
«Moriremo» dico. Credo che in questo caso dovrei essere spaventato, ma mi sento soprattutto… deluso. Deluso, sì. Perché credevo di poter avere una nuova vita. Effettivamente, tutti questi problemi che sono sorti in poche settimane dovevano farmi intuire qualcosa.
«Come scusa?» chiede lui, confuso. Non so perché ma mi sento improvvisamente arrabbiato con lui.
«Moriremo» ripeto, stringendo una mano intorno a una bacchetta. «Se i Punti Fissi devono avvenire in ogni mondo, allora vorrà dire che la Mason morirà di nuovo nel 1980, Silente nel 1997 ed io e Dora nel 1998».
John fa un piccolo ghigno.
«Qui sta il bello dei viaggi fra gli Universi: voi. Voi che avete viaggiato siete fra gli esseri più potenti del… Be’, dell’Universo» dice. «È questo quello che vuole la Mason, eliminarvi tutti, scatenando una guerra. La Guerra dei Narratori!».
«I Narratori?»
«È così che chiama le persone che hanno viaggiato, persone che conoscono la propria Storia e che possono riscriverla».
«Frena! Hai detto che i Punti Fissi devono accadere in modo uguale in tutti gli Universi!».
John storce la bocca.
«Sì, be’, “uguale” è un concetto piuttosto relativo in questa realtà. La Strage di Edimburgo ci sarà, così come la Seconda Guerra Magica, che in questo caso immagino sarà la Prima, ma le cose potrebbero andare in modo piuttosto diverso… Nel senso che potrebbero morire altre persone piuttosto che alcune. Le vite, per l’Universo, sono tutte uguali, una vale l’altra. Questa volta, per esempio, potrebbe andarsene un Mangiamorte, al posto tuo, oppure potresti non partecipare affatto ed essere sostituito da qualcun altro».
Okay, sono piuttosto confuso, ma cerco di venirci a capo.
La Guerra contro Voldemort ci sarà. Il combattimento con la Mason anche. Tuttavia, le cose potrebbero cambiare.
Io potrei non morire. La stessa cosa per Dora. Ma qualcuno prenderebbe di sicuro il nostro posto; buono o cattivo, questo non ci è dato saperlo.
La Mason potrebbe non morire. E Silente potrebbe prendere il suo posto. E di quelle trecentonovantaquattro vittime innocenti… Chi saranno questa volta? Le stesse persone del nostro Universo? O altre? Dato che la Mason sta creando tutto questo scompiglio, ci saranno altre persone a combattere? La Strage di Edimburgo si trasformerà nella Guerra dei Narratori?
Narratori…
Io, Dora, Silente e la Mason. È questo che siamo. Anomalie nella natura, esseri che non dovrebbero esistere. Persone che conoscono il loro futuro e che possono modificarlo a loro piacimento.
Ma perché noi?
Prima che riesca a chiederlo, John mi risponde. Credo proprio che mi legga nel pensiero.
«Non so di preciso perché vengano scelte certe persone per viaggiare, credo ci siano delle determinate condizioni che nemmeno la Mason ha ancora compreso» spiega. Poi, ancora una volta prima che riesca ad aprire bocca, continua: «Tuttavia, la differenza temporale fra un Universo e l’altro, invece, è facile da spiegare: dipende dal contatto fra gli Universi durante i Punti Fissi. Più gli Universi sono uniti, minore sarà la differenza di tempo fra la partenza e l’arrivo di un viaggiatore. Siete stati fortunati: il contatto durante la Seconda Guerra era piuttosto ampio, così siete tornati indietro solo di una ventina d’anni. Se fosse stato più stretto, avreste potuto attraversare anche mezzo secolo e… Be’, non so cosa succeda in questo caso».
Rabbrividisco.
Quindi è questa la spiegazione di tutto? Siamo morti e risorti… per puro culo? Mi sembra quasi incredibile… Ciò mi fa venire in mente qualcosa che mi sarei dovuto chiedere molto prima.
«Perché dovrei fidarmi di te?» chiedo, indietreggiando di mezzo passo. «Sei la parte malvagia di James, giusto? Perché dovresti voler aiutarci?».
John sbuffa in modo esasperato.
«Allora, vedrò di spiegarlo in termini semplici!». Sarebbe la prima volta. «Io sono il piano A: estrarre la parte malvagia di James e… Be’, onestamente, non conosco tutto il piano, ma so che comprende anche questo. Tuttavia, hanno iniziato questo piano B, in cui vogliono scatenare questa Guerra dei Narratori, fra voi e… altra gente che ha trovato in quest’Universo, non ho idea di chi siano. Adesso, però, sembra che il piano B stia diventando quello A. Ergo: niente party per John! Comprendi?».
In effetti, la spiegazione non fa una grinza.
Da quanto ho capito, quindi, dovremo affrontare battaglie contro dei Narratori sconosciuti perché la Mason ha ordinato il nostro sterminio. Se falliamo… Be’, sappiamo tutti come finisce. Se vinciamo, i cattivi torneranno al piano A e ci dovremo scontrare con John. Non so perché, ma credo che dovrò rimandare le vacanze che avevo mentalmente programmato per me e Dora.
«Tu come sai tutto questo?» chiedo infine. John si batte l’indice sulla tempia.
«Ho una specie di contatto telepatico con la vecchia stronza» dice. Poi batte le mani. «Ora, direi che la conferenza è finita e ti ho detto tutto, quindi ti rimando nel tuo mondo dolce e carino con l’augurio di fare il culo a vampiri e a esseri d’ombra».
«A esseri di che?» chiedo, sconvolto. Lui fa un sorriso a trentadue denti.
«Vedi di non morire troppo presto, okay?» fa John, per poi mollarmi un pugno in piena faccia.

Mi risveglio nel mio letto. È mattina e il sole filtra tra le tende. Ho dormito a lungo, credo, ma mi sento stanchissimo lo stesso. Credo che, per la prima volta in assoluto, Remus Lupin salterà le lezioni per motivi non-a causa di forze maggiori.
L’unica cosa che riesco a fare è allargare le braccia, chiudere gli occhi e mormorare: «Sei uno stronzo, John».
Inaspettatamente, mi arriva una voce.
«Completamente d’accordo» dice James. Lo localizzo dopo qualche istante: è sdraiato a terra, con la faccia spiaccicata sul pavimento, con Sirius seduto sulla sua schiena. Mi guardo intorno: Peter e Frank non ci sono.
«Idem» fa Sirius, con una smorfia amara. Ho come l’impressione di non essere stato l’unico ad aver sognato tizi in giacca e cravatta.


*****

Mary dovette battere più volte le palpebre prima di riuscire a vedere bene. Provò ad alzarsi a sedere ma i capogiri le fecero capire che non era una buona idea, quindi si limitò a guardarsi intorno da supina.
Come aveva potuto capire anche dal duro pavimento, il luogo in cui si trovava era completamente fatto di pietra. Una grotta. Probabilmente sottoterra. Non appena ebbe formulato l’ultimo pensiero, a Mary cominciarono a fischiare leggermente le orecchie e le si accelerò il respiro. Dovette chiudere gli occhi per un po’, concentrando i propri pensieri su qualcos’altro, per rilassarsi.
Tentando nuovamente la sorte, provò a puntellarsi sui gomiti per alzare leggermente la propria visuale. Fortunatamente, malgrado l’aggiunta della claustrofobia, riuscì ad alzarsi un po’. Si trovava sotto un fascio di luce che proveniva da un buco sul soffitto, luce che sembrava venire direttamente dall’esterno. La cosa la rasserenò un po’, ma la sua parte realista prese il sopravvento: la luce era quella di mezzogiorno e, nonostante fosse svenuta, sapeva benissimo di non aver dormito tutto quel tempo. Probabilmente, era solo magia, anche se lo scopo non le era ancora chiaro.
Dopo un paio di minuti, e molta fatica, Mary riuscì finalmente ad alzarsi in piedi, sebbene fosse ancora piuttosto barcollante. Nonostante il cono di luce le nascondesse gran parte della visuale, rendendo tutto molto più buio all’esterno, riuscì a intuire che la grotta la circondava in una specie di semisfera, con un unico tunnel che sprofondava nell’oscurità completa. Infine, un leggero movimento percepito con la coda dell’occhio la attirò. Era stato una specie di riflesso, qualcosa che si muoveva e brillava leggermente per la luce, un liquido probabilmente.
Il solo pensiero di acqua le fece pizzicare la gola di una sete che prima non credeva di avere, spingendola a dirigersi senza esitare verso quella pozza che aveva notato per puro caso, in quel buio. Non appena ebbe immerso la mano, però, si ritirò all’istante sotto la luce, e non solo perché quella non era acqua ma un liquido denso e nero che puzzava tremendamente, ma anche per il freddo che l’aveva attaccata non appena era uscita nell’oscurità. Era, per lei, come se fosse stata pizzicata contemporaneamente e da tutte le direzioni da minuscoli insetti. E, considerato lo stato dei suoi vestiti, forse non era proprio un’idiozia.
Non aveva fatto caso al proprio abbigliamento, dato che aveva ben altro a cui pensare, ed era sicura di avere addosso gli abiti della sera precedente. Invece, la morbida felpa che indossava era sparita nel nulla e maglietta e jeans erano coperti di strappi; alcuni, anche considerando i graffi che aveva sulla pelle, erano probabilmente provocati dallo sfregamento sulla roccia – segno che qualcuno doveva averla portata lì facendola strisciare a terra – ma altri sembravano proprio provocati da piccoli morsi.
«Fico» mormorò la ragazza, con ironia, cercando di smorzare la tensione. «Sottoterra, al buio, con il petrolio al posto dell’acqua, con minuscoli piranha nell’aria e (si esaminò le tasche dei jeans)… perfetto, anche senza bacchetta! Come potrebbe andare peggio?».
La risposta le arrivò tramite un urlo di dolore che le fece gelare il sangue nelle vene. Sapeva benissimo di chi era la voce, ma soppresse l’istinto di urlare il suo nome, nella vana speranza di essersi sbagliata. Qualcuno le aveva rapite per uno scopo ben preciso e ora stava facendo del male a Emmeline per un qualche malato motivo. Non era stupida, aveva capito che il far credere al rapitore di essere ancora svenuta avrebbe aumentato abbastanza le probabilità di sopravvivenza. Così si limitò a mordersi la lingua e a ficcarsi le unghie nei palmi fino a farli sanguinare, mentre il lamento di Emmeline continuava a echeggiare nei tunnel. Sperava che quell’orrendo suono si fermasse, ma qualcuno sembrava non essere d’accordo e l’urlo le entrò nella testa e le avvelenò la mente.
Lacrime amare cominciarono a sgorgare dai suoi occhi mentre cadeva in ginocchio e si premeva le mani sulle orecchie, cercando di attenuare l’urlo.
Poi sentì le pareti della grotta vibrare.


*****

Evelyn era fortunatamente ancora a colazione quando l’FPS si attivò. Effettivamente, sarebbe stato difficile spiegare quel suono, una specie di stridio ovattato ripetuto più e più volte, durante la lezione. Certo, non che questo alleggerisse la situazione, ma almeno era un punto a suo favore.
Sotto lo sguardo incuriosito del ragazzo che aveva davanti, Evelyn frugò con violenza nella borsa per poi estrarre una piccola lastra rettangolare, dai bordi smussati. Poteva sembrare uno specchietto, ma la superficie argentata non rifletteva nulla, anzi, c’era un piccolo puntino rosso e intermittente proprio al centro. Evelyn aggrottò le sopracciglia, preoccupata, e premette con il dito sul puntino, interrompendo il suono che, nel frattempo, aveva fatto girare alcune teste fra i Corvonero e gli studenti di passaggio.
Dallo specchietto si sprigionarono come delle finestrelle semi-trasparenti dai bordi blu. Una mostrava una piccola sezione di quella che era evidentemente una parte di una mappa di Hogwarts (copiata illecitamente da quella dei Malandrini) con un punto rosso su quella che la ragazza sapeva essere un’aula in disuso in cui la sua Casa nascondeva il Whiskey Incendiario. Un’altra ancora mostrava il volto di due ragazze, una bionda e una mora, con la scritta in rosso ALERT. La terza e ultima fluttuava accanto alla seconda e mostrava una certa quantità di dati che nessuno, tranne Eve ovviamente, avrebbe potuto capire. O forse no?
«E così due Grifondoro sono sparite nel nulla?» chiese il ragazzo, sbirciando da sopra lo specchietto. Eve spalancò gli occhi, premette di nuovo sull’aggeggio e fece scomparire le finestrelle. Il ragazzo la osservò da dietro gli occhiali squadrati con sguardo curioso e preoccupato allo stesso tempo.
«E tu che ne sai?» fece Eve, sbalordita. Aveva perso un sacco di tempo per elaborare quel sistema che, tuttavia, anche a lei risultava ancora leggermente criptico. Come faceva qualcuno che non aveva mai visto l’FPS saperlo decifrare così in fretta?
«C’era scritto lì» disse con semplicità il Corvonero, facendo scendere di molto l’autostima della ragazza. «Soggetti scomparsi dalla mappa senza essere passati per passaggi conosciuti, tracce di Magia Oscura in tutta la stanza… Insomma, più chiaro di così si muore».
Sì, pensò Evelyn, effettivamente sull’FPS era scritto questo… ma in FPS-ese! Era tutto nascosto sotto una sequenza di numeri, percentuali e paroloni che non sapeva neanche lei come si fossero inseriti nel programma!
«Serve una mano?» chiese il ragazzo, gentilmente. Evelyn sgranò gli occhi.
«Scusa, David, ma qui è meglio che tu… ne stia fuori, okay? Senza offesa» rispose lei. Non che dubitasse della bontà del ragazzo, erano amici dal primo giorno di scuola e ora conosceva più lui che sua sorella, ma preferiva non mettere nessun altro a conoscenza della storia viaggiatori-del-tempo-risorti-in-un’altra-dimensione, e accettare il suo aiuto avrebbe poi richiesto in seguito una dovuta dose di spiegazioni inopportune.
«D’accordo, nessun problema» fece David, alzando le mani come a difendersi. Evelyn colse però uno scintillio nei suoi occhi che le fece capire che per lui non era finita lì. Prima che potesse dire qualcosa, però, luì intervenne: «Certo, però, sei proprio cattiva a lasciarmi andare a lezione con la McGranitt da solo…».
«Oh, be’, sei un Crouch***, sopravvivrai» ribatté Eve, piuttosto fredda. Aveva capito che delle ragazze erano scomparse e lui si diceva che era cattiva ad andarsene? Ma chi era il ragazzo che aveva conosciuto per cinque anni?
«… Come stavo dicendo, sei proprio cattiva a lasciarmi da solo a lezione, ma immagino che, essendoti sentita male, non avresti potuto fare altro che rimanere a letto» concluse il ragazzo, inarcando le sopracciglia con fare allusivo.
Era quello, si disse, era quello il ragazzo che aveva conosciuto per cinque anni.
«Scusa David!» esclamò Evelyn, costernata.
«Sei perdonata, ma non farlo mai più!» ribatté il giovane Crouch, sogghignando. «Ora vai e salva vite, mia giovane Padawan!».
Evelyn ridacchiò. Adorava quel ragazzo. Seppur Purosangue, non aveva battuto ciglio quando lo aveva costretto a vedere il primo episodio di Star Wars, uscito proprio quell’anno.
«Ai suoi ordini, Maestro» disse Eve, alzandosi in piedi e afferrando la propria borsa. Quella parola fece storcere la bocca al ragazzo.
«“Maestro”?» chiese, più a se stesso che a lei. «Nah, non mi piace proprio. Odio insegnare!».
Evelyn sbuffò, divertita.
«Ah, giusto, tu vuoi diventare Guaritore e curare la gente, giusto?» chiese lei, ironica. «Come vuoi che ti chiami allora? Dottore?».
«Dottore?» fece lui, come assaggiandone il suono. «Sì, mi piace!»
«Okay, allora a dopo, Dottore, e vedi di pararmi il culo come si deve oppure sono morta» replicò la ragazza, ridacchiando. David fece una smorfia volontariamente esagerata.
«Suvvia, Evelyn, non essere volgare!» la rimproverò scherzosamente, per poi diventare serio. «Adesso però va’ e salva tutti… Anche perché dopo voglio i dettagli».
Evelyn sorrise dolcemente.
«Contaci, Crouch» rispose, determinata, per poi incamminarsi verso la porta d’ingresso della Sala Grande ripromettendosi che, una volta finita quella storia, avrebbe mostrato il Laboratorio a quel genio di dottore.

Mentre Evelyn se ne andava di corsa ad avvertire gli altri – non senza sentirsi un po’ in colpa per aver indugiato così a lungo in compagnia del ragazzo –, David prese da una tasca interna della divisa una specie di bottone d'ottone dorato, decorato da un lato con centri concentrici sempre più piccoli che terminavano in una minuscola sfera nera. Il ragazzo passò il dito sul bottone e, dopo un istante, la sfera al centro sussultò lievemente per poi illuminarsi di una tenue luce dorata. David osservò la luce per qualche secondo, prima di rimettere via il bottone e di alzarsi, con una chiara idea in mente e la certezza che non sarebbe stato di certo lui a spiegare alla McGranitt perché due studenti mancavano a una sua lezione. Certo, sarebbero stati nei guai, però gli ci volevano proprio, un po’ di problemi.
Si alzò e si mosse sulla scia dell’amica, pronto e deciso ad agire.
Uscendo dalla Sala Grande, e dirigendosi verso i giardini di Hogwarts, fu sicuro di vedere Peter Minus che, solo soletto, camminava di soppiatto verso i Sotterranei. La cosa gli fece digrignare i denti e assumere un’espressione disgustata ma decise che aveva cose molto più urgenti a cui pensare.


*****

Istinto.
Ecco cosa aveva Sirius. Remus era intelligente, James coraggioso e altruista, Peter… Onestamente, non sapeva bene cos'era Peter, ma perlomeno era un’ottima spia. Lui, invece, aveva un grande istinto.
Era per questo che, quando aveva incontrato il gemello malvagio di James in sogno – con tanto di giacca e cravatta in perfetto stile “sono meglio di te” – aveva come sentito un campanello d’allarme nella testa. Campanello che aveva poco saggiamente deciso d’ignorare. D'altronde, lo faceva praticamente tutti i giorni. Andare contro il suo istinto era il suo hobby.
«Ehi, sacco di pulci!» aveva esclamato il gemello malvagio del suo migliore amico.
«Fottiti» aveva candidamente risposto lui, con un gran sorriso sulle labbra. Il ragazzo era scoppiato a ridere e Sirius aveva provato l’improvviso impulso di spaccargli la faccia. Dopotutto quel bastardo era attualmente la causa di parecchi problemi.
E così era cominciata una fantastica chiacchierata sul Mondo di Mezzo (che con quei due dentro prendeva la forma di un’infinita prateria desolata, immersa nel buio della notte e con un’unica costellazione a illuminarla: Orione), sulle parti malvagie delle persone, su complotti vari di vampiri con un tizio megalomane che si faceva chiamare come un dio antico, concludendo poi con un paio di avvertimenti che, seppe poi, John Smith non aveva dato agli altri due.
«Ho quasi finito, solo un paio di cosette» aveva infatti detto. «Intanto…» si schiarì la gola e prese a usare un tono molto più serio e quasi solenne (cosa che fece ridere Sirius, considerando che la voce era quella di James). «Uno dei Narratori è attivo, ha un piano che coinvolge le persone a te più vicine. Presto, Sirius, dovrai combattere e, molto probabilmente, sarai da solo. Ma fidati, troverai un modo per uscirne al meglio».
Okay. Doveva seriamente ammettere che quelle parole lo avevano piuttosto turbato. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che sfottere John, anche perché questo sembrava quasi apprezzare gli insulti, ma adesso non riusciva a scherzare.
«E, infine, fidati di te stesso. So che hai capito che c’è qualcosa che non va e so anche che ancora non riesci a capire cosa. Ci arriverai e, quando succederà, non perdere la speranza».
Questo, invece, gli aveva fatto sorgere dubbi sull’orientamento di quel tizio. Forse era completamente l’opposto di James.
Alla fine, si era congedato come aveva fatto con gli altri due: con un cazzotto in faccia che Sirius si ripromise di restituire al mittente.
E poi, mentre si risvegliava, se n’era uscito con quell’altra frase… com’era? Era qualcosa del tipo: «Ah, sì, quasi dimenticavo: tieni d’occhio tuo fratello».
Che immane e palese idiozia. “Tenere d’occhio suo fratello”? Lo faceva sempre! O, almeno, cercava di farlo sempre, dato che ultimamente gli stava dando parecchio filo da torcere. Si voltò verso James. Era ovvio che l’avrebbe tenuto d’occhio.
Il suo istinto si risvegliò un’altra volta, sussurrandogli che, forse, stava sbagliando qualcosa. Lo ignorò e tornò a guardarsi intorno.
Erano circa le otto di mattina e, a quell’ora, di solito c’era la gara per il bagno fra lui e James per l’enorme ritardo che, secondo Lunastorta, stavano facendo. Invece adesso Peter e Frank non c’erano (Paciock era con Alice, probabilmente, ma Coda? Che fine aveva fatto?) e lui, James e Remus erano seduti immobili sui loro letti. Sirius vide che Remus osservava con attenzione Ramoso, che era a capo chino.
James era già sveglio quando Sirius si era svegliato, di soprassalto e con un sonoro sussulto. Anzi, a dirla tutta era già quasi fuori dal Dormitorio. Era in piedi, infatti, con la divisa indosso e le scarpe in mano, cercando di uscire dalla stanza facendo meno rumore possibile. I due si erano guardati negli occhi per qualche secondo, James sorpreso e spaventato e Sirius sconvolto e confuso. Poi erano scattati.
James aveva cominciato a correre verso la porta, ora incurante del rumore, e Sirius si era trasformato di scatto, saltando in forma di cane nero addosso all’amico e atterrandolo. Poi era tornato umano.
«Spiacente fratellino, ma oggi non mi scappi» aveva detto, ghignando. James l’aveva fulminato con lo sguardo, per quanto gli permettesse l’avere la faccia spiaccicata contro la moquette rossa del Dormitorio (molto anni ’70).
«E cosa mi costringe a ubbidire?» chiese James, anche se non aveva evidentemente alcuna intenzione di scappare.
«Perché sono più grande di te» rispose Sirius. James sbuffò.
«Solo di un anno! Da come ne parli tu sembri essere il fratello di Silente» replicò.
«No, certo che no! Non ho mai avuto rapporti inopportuni con le capre, io!» esclamò Sirius. James lo guardò, esterrefatto. Sirius sospirò: che fratello ignorante che gli era capitato!
Poi Remus si era svegliato, trovandoli così.
Adesso si guardavano a turno, aspettando che qualcuno parlasse per primo.
Sirius, intanto, cominciava a sentire uno strano pizzicore alla nuca. Benché non sapesse di cosa si trattava, lo rendeva nervoso.
«Allora» fece Sirius, nel tentativo di spezzare quel silenzio imbarazzante. «Incantesimo di Memoria, eh?».
Remus lo fulminò con lo sguardo.
«È il modo migliore che ho trovato» borbottò James. Sirius, annuì, fingendo di aver capito.
«Già, il modo migliore… per fare una cazzata e giocarti l’ultimo mese con lei» replicò. James aggrottò le sopracciglia e si ficcò le unghie nei palmi, con le nocche che diventavano bianche. Remus si sdraiò sul letto, capendo che ormai il danno era fatto e tirandosene fuori.
Sirius voleva far incazzare James, voleva far cominciare una rissa e voleva che suo fratello si liberasse.
James s’incazzò.
«Per proteggerla» ringhiò. Sirius inarcò le sopracciglia con fare scettico. Remus trasfigurò una scatola vuota di Cioccorane in una pallina e cominciò a palleggiare contro il muro.
«Ceeeerto… “proteggerla”! Quale modo migliore di mettere al sicuro una persona se non facendole dimenticare che è in pericolo?» replicò Sirius, sarcastico. Remus si mise a palleggiare più rumorosamente.
«Mi credi davvero così stupido?» chiese James, sbalordito. Sirius rimase impassibile e Ramoso sbuffò. «Ho modificato solo i ricordi che… che ci riguardavano».
Sirius lo osservò, sorpreso, cercando di capire se dicesse la verità. In effetti, quell’opzione non era venuta fuori la sera prima. Be’, era anche vero che c’era una buona ragione…
«Scusa se m’intrometto» Remus bloccò la palla e guardò James, parlando con un po’ di esitazione. «Ma l’ultima volta che hai fatto un Incantesimo di Memoria così specifico... Non è andata tanto bene».
«A dir poco!» rincarò Sirius, giusto per irritare un po’ di più James, che si limitò a incrociare le braccia. Felpato lo vide aggrottare le sopracciglia per un istante e rilassarle subito dopo. Che il suo migliore amico, nonché fratello acquisito nonché Malandrino (ecc.), stesse impazzendo? Non che fosse così strano, ma almeno voleva assicurarsene.
«Alla fine non è successo niente di grave. Voglio dire, Johanna ha recuperato tutta la memoria. Quello che ci ha rimesso sono io: tre costole rotte e una commozione cerebrale» replicò James, offeso.
«Già, peccato che lei per due mesi non ricordava più neanche il suo nome» commentò Remus, riprendendo a giocare con la pallina.
«Dettagli, Lunastorta, dettagli». Bisogna dire che, effettivamente, quando James rivelò di aver modificato solo i ricordi più “privati” l’atmosfera si alleggerì notevolmente. Una cosa in meno di cui preoccuparsi: misurare le parole con Lily. Certo, ovviamente Sirius pensava ancora che fosse stata una pessima idea, ma rendeva le cose più semplici.
«Quando gliela farai tornare?» chiese Felpato. «La memoria, intendo».
«Forse… quando tutto sarà finito» rispose James, con un po’ di esitazione. Lo vide poi scrollare la testa e fare una smorfia, come se non volesse ascoltare qualcosa. Okay… forse, pensò Sirius, stava davvero impazzendo.
«Intendi con la Mason e il suo capo morti insieme agli altri due tizi oscuri e malevoli venuti da chissà dove e John sparito per sempre?» chiese Sirius. James annuì. «Una passeggiata».
Il pizzicore alla nuca s’intensificò, tanto da spingerlo a guardarsi alle spalle. La parete del muro era immobile. Forse non era solo James a essere pazzo.
«Credo i due Narratori “oscuri e malevoli” vengano dal mio Universo» commentò Remus, facendo roteare in aria la palla con la bacchetta. «John ha detto che quando una persona viaggia fra gli Universi, se altri si trovano nella stessa situazione, tendono a seguirla».
«Quindi dobbiamo aspettarci altre visite indesiderate?» chiese James. Remus aggrottò le sopracciglia, pensieroso.
«Dato che Tom Riddle non ha ricominciato ad ammazzare gente a caso, immagino che possiamo stare tranquilli, in quel senso».
«No, scusatemi!» sbottò Sirius, interrompendoli. I due lo guardarono, allibiti. «Abbiamo già passato il discorso su Lily?».
«Se non stessi con Mary, direi che sei innamorato di me, Black». Lily aveva spalancato la porta della stanza ed era entrata come se niente fosse, portando un libro-mattone sotto braccio. Sirius pensò che, probabilmente, a forza di portarsi appresso certa roba la Evans sarebbe diventata più forte dei Battitori della loro squadra. Dietro di lei entrò Tonks, strascicando i piedi per la stanchezza e gettandosi sul letto di Remus. «E per te sono Evans, ricordalo».
«Come mai ancora qui, Evans? Le lezioni sono cominciate ben venti minuti fa» fece James, assumendo un sorrisetto strafottente dal suo repertorio. Era da circa un anno che Sirius non gliene vedeva usare uno. No, per lui il discorso “sei un idiota ad averle cancellato la memoria” non era assolutamente finito. «Voglio dire, Dora è naturale che ogni tanto salti qualche lezione, è nella sua natura («Vaffanculo, Potter, con tutto l’affetto del mondo»)… anche a te, cara! Ma tu sei una sorpresa continua!».
«È un modo stupido e complicato per chiedermi cosa ci faccio qui?» chiese Lily, inarcando un sopracciglio. Sirius sentiva che una Maledizione Senza Perdono era in arrivo.
«No. È un modo stupido e complicato per dirti che non m’importa» rispose James, alzandosi e dirigendosi verso il bagno. Nessuno lo fermò ma Sirius vide il suo sguardo cambiare subito dopo essere passato accanto alla ragazza. Black non aveva mai visto tanto dolore negli occhi del ragazzo.
«Oh, be’, allora dopo lo aggiornerete voi» fece Lily, noncurante, sedendosi a gambe incrociate sul letto di Peter, allontanando poi un calzino con aria disgustata.
«Quindi… perché siete qui?» chiese Sirius. Voleva parlare con James il più presto possibile.
«Perché sono un genio» disse Lily, mentre Tonks, contemporaneamente, mugugnava un: «Perché mi ci ha trascinato lei».
«Oh, vergogna Lily! Non si trascina una ragazza ingenua e indifesa in una camera maschile! La gente potrebbe pensare male» commentò Remus. Tonks, distesa accanto a lui, gli mollò un calcio al fianco, facendolo cadere dal letto. «Spero che questo non sia un presagio per la nostra futura vita matrimoniale».
«Futura e passata, Rem, futura e passata» ricordò Tonks, probabilmente la frase più intelligente che potesse dire con mezzo cervello ancora addormentato. I capelli che aveva in quel momento, grigio polvere, contribuivano a darle un’aria stanca.
Adorava sua cugina, sul serio, ma sapeva che la mattina era un po’ lenta.
«Scusate, possiamo tornare alla mia genialità?» fece Lily. Remus e Sirius la guardarono, sospettosi.
«Non è che James si è suicidato mentre era in bagno e il suo spirito ora vive dentro di te?» chiese Sirius. Tonks ridacchiò.
«No» rispose, sistemandosi meglio sul letto, senza notare che Remus si era appostato lì accanto, pronto a un agguato. «È solo che quando non dorme diventa isterica ed egocentrica».
«Non sono egocentrica!» protestò lei.
«Però ammetti di essere isterica!».
«Non sono né isterica né egocentrica!».
«Ovviamente. Continua a ripetertelo e forse – AH!». Remus le era saltato sopra e aveva cominciato a farle il solletico. Dopo nemmeno cinque secondi, le parti si erano invertite e Tonks soffocava Remus con un cuscino.
Sirius sospirò. Non era mai stato la persona più matura in una stanza ma in quel caso temeva proprio che il ruolo fosse ricaduto su di lui. Tonks aveva avuto un brutto effetto su Remus.
«Dai, parlami della tua genialità» disse infine a Lily, che lo guardò, sorpresa. «Be’, tanto poi dovrei ripeterlo a James, quindi tanto vale che lo faccia anche con loro due».
Lily annuì, stranita ma con una leggera smorfia di soddisfazione.
«Allora, tanto per cominciare, sappi che stanotte ho avuto un’ispirazione improvvisa e ho deciso di andare…»
«In Biblioteca».
«E tu che ne sai?». Sirius fece un cenno verso il libro e Lily arrossì leggermente. Forse Tonks non era l’unica persona lenta la mattina. «Okay, come non detto. Comunque, sono andata a cercare libri di genealogia magica…».
«No, frena!» la interruppe Sirius, allibito. «Tu ti sei alzata nel cuore della notte, per andare in Biblioteca a cercare libri di genealogia magica?».
«Esatto».
«Sei pazza».
«Grazie, Black. Dicevo: ho cercato fra i libri e ho trovato questo». Lily aprì il libro a una pagina segnata e lo sporse verso Sirius. Mostrava un enorme albero genealogico che si estendeva su entrambe le pagine, ricordando dolorosamente l’arazzo dei Black. In cima, una ricca e decorata scritta in oro dichiarava “Nobile Discendenza della Purissima Casata dei Gaunt” e, subito sotto, “XV secolo”.
Lily indicò il punto in cui il nome di Isabelle Gaunt si univa a quello di Joshua Mason, per poi scendere sul nome di…
«Oh, bene. Adesso sappiamo che la nostra vampirastra preferita è una Gaunt» commentò apaticamente il ragazzo. Lily sorrise, soddisfatta. Intanto Tonks cercava di uccidere Remus con una specie di orsacchiotto peluche (Sirius non voleva chiedersi da dove fosse apparso, quel coso). «Ehm, senza offesa, ma non sono sicuro di riuscirne a vedere… l’utilità, ecco».
Lily sbuffò.
«Sapere è potere, Black, te l’hanno mai detto?» fece lei, stizzita.
«Sì, me lo dice sempre Remus quando cerca di farmi studiare» ribatté Sirius, deciso. «Inutile dire che non ho mai aperto un libro di scuola in vita mia».
Lily gli mollò uno scappellotto.
«Ahi! E questo per cos’era?» protestò il ragazzo, passandosi una mano sulla nuca.
«Perché mi irriti, Black» disse lei con semplicità. «Tornando a colei che ti ricordo è il nostro principale nemico: il cognome mi ricordava qualcosa quindi ho chiesto a Dora e, a quanto pare, la Mason è imparentata con Tom Riddle!».
«Oh, bene, quindi è probabile che sia potente almeno quanto colui che è diventato il più potente Mago Oscuro di tutti i tempi. Fantastico».
«E non è tutto! Da quanto ho scoperto da questo libro» e così dicendo girò una trentina di pagine insieme. «La famiglia Gaunt discende direttamente da, udite udite, Salazar Serpeverde!».
«Oh, bene, potente, Purosangue e pure pazza. Potrebbe andare meglio?» fece Sirius, ironico, passandosi una mano fra i capelli. «E adesso torniamo alla domanda di prima: questo come ci aiuta?».
«Ancora non lo so» ammise Lily, arrossendo leggermente e chiudendo di scatto il libro. «Ma lo scoprirò».
«Di’ la verità: ti sentivi depressa e avevi bisogno di distrarti con qualcosa».
«Fottiti, Black».
E, sul tono di queste eleganti parole provenienti da un’altrettanto elegante Grifondoro, due gufi entrarono contemporaneamente dalla finestra. Solo più tardi Sirius si rese conto che nessuno l’aveva aperta.
I gufi (di una specie che i ragazzi non avevano mai visto: dalle lisce piume nere come quelle dei corvi e con gli occhi cremisi) fecero un paio di giri al centro della stanza mentre gli studenti li osservavano, pietrificati, per poi lasciare due grandi lettere sul grembo di Sirius e Lily. I gufi volarono via e i due Grifondoro aprirono le buste, confusi, mentre il pizzicore alla nuca di Sirius s’intensificava, provocandogli un’orribile sensazione.
All’interno c’era un semplice biglietto e una bacchetta, e ciò spiegava le dimensioni della busta.
I due biglietti erano esattamente uguali: rettangoli di pergamena anonimi.
Sopra c’era scritta una sola parola: “Presa”.
Lily e Sirius si guardarono, confusi, mentre Remus e Tonks osservavano i foglietti da sopra le loro spalle. Il lupo mannaro aveva estratto la bacchetta e cominciato a mormorare alcuni Incantesimi di Analisi**** sul foglio.
Poi osservarono le bacchette. Erano particolari e, per loro, molto conosciute. Sirius sentì una strana vicinanza a quell’arma e la esaminò meglio: poco sopra l’impugnatura, una leggerissima incisione mostrava la lettera “S”. E allora capì tutto di quella bacchetta: legno di cedro, cuore di crine d’unicorno, dieci pollici e tre quarti, rigida. La conosceva a memoria, proprio come la propria. La bacchetta che aveva poggiato sul comodino e che aveva, nello stesso esatto punto, l’incisione della lettera “M”. Si ricordava quanto gli era sembrato stupido, al momento, accettare la proposta di Mary, ma ora credeva di non aver mai fatto una decisione migliore.
Poi un suono sordo risuonò per la stanza, un suono che sembrava provenire dai pezzetti di pergamena.
TOC.
Il messaggio sui biglietti cambiò: “48:00:00”. Lo guardarono per un secondo, non capendo, il giusto lasso di tempo per far mutare di nuovo la scritta: “47:59:59”.
Un conto alla rovescia.
“Prese”.
Due bacchette.
Evelyn spalancò la porta del Dormitorio proprio mentre Sirius arrivava a capire.
«Mary ed Emmeline sono sparite!».


*Giusto per essere chiari: nessuna voglia di offendere i Corvonero. Questo è semplicemente lo stereotipo che si è venuto a creare durante gli anni, come il fatto che noi Tassorosso siamo solo un gruppo di inutili idioti, che viene ripreso dalla mente di una delle Grifondoro più… vivaci, diciamo. Spero abbiate capito cosa intendo.
**Tutto frutto della mia mente malata, tranquilli, non vi siete persi momenti importanti nella storia dell’umanità.
***Bartemius David Crouch (Barty Crouch Jr.). Sono certo che il perché del secondo nome sia chiaro alla maggior parte di voi (non ho resistito).
****Categoria inventata da me. Ne fanno parte tutti gli Incantesimi che, appunto, analizzano gli oggetti. Un esempio è l’Incantesimo Aparecium, che rivela le scritte che sono state nascoste con la magia.



Sala Comune di Tassoverde (ora piena di ragnatele)

Seeeeera...
Okay, potete cominciare con la valanga d'insulti (primo fra tutti: "sera" 'n par de *bip*) . Me li merito tutti. Per il ritardo, per aver pubblicato una nuova storia allungando i tempi per questa (se vi interessa: History is us), per... be', un po' per tutto, decidete voi quali motivi usare.
Ammetto che il capitolo era pronto all'incirca a fine gennaio, tuttavia non mi convinceva per niente e quindi ho deciso di chiedere consiglio a una mia amica (quindi parte della colpa va anche a lei, eh!). Non mi convince ancora, ma almeno è stato "approvato"...
Nel capitolo avete quindi avuto una prima e sommaria spiegazione del viaggio fra gli Universi e l'accenno alla Guerra dei Narratori. Ergo: si entra nella vera trama. E poi ci sono Lily e James, con cui non si è risolto nulla, e Mary ed Emmeline, i cui problemi sono appena iniziati.
Questo, all'inizio, doveva far parte di un unico capitolo chiamato Shadows che in seguito ho deciso di dividere in tre parti: When, Where e Who. Credo che con Who si concluderà la Prima Parte della FanFiction, ma non ne sono sicuro, dovrò vedere.
Poi... che altro? Ah, già, il nome. Personalmente, ho ritenuto che Hufflerin_Tassoverde (e in particolare "_Tassoverde") fosse piuttosto.... Infantile? Be', non è proprio l'aggettivo giusto ma ci si avvicina. Quindi, d'ora in poi, sarò solo hufflerin, puro e semplice.
E... penso sia ora di passare ai ringraziamenti! Ringraziamenti che vanno a coloro che, nonostante i tre mesi (e più) di assenza mi sono rimasti accanto e non hanno tolto la storia dalle preferite, dalle ricordate o dalle seguite. Grazie, grazie davvero!
Credo di aver concluso (o forse ho solo sonno e non sono sicuro di quanto ho scritto). In caso vogliate chiarimenti, non esitate a contattarmi.
Grazie (e scusa) ancora. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
A presto,
hufflerin

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Capitolo 12
*** Chapter X - Where ***


«You'd better focus on your job, kids. You are weak and helpless, no one will listen to you, let alone help you. But I like playing. I will ensure that you arrive as close as possible, that you’re happy of your success, that you see who have been taken away… And I’ll kill you, slowly, leaving you to rot in Fear»

10. Where

Scomparsa di Mary ed Emmeline: ore 00:00
Inizio conto alla rovescia: ore 8:00 circa
Durata conto alla rovescia: 48 ore (due giorni)


Mary si guardò intorno, spaesata e stupefatta. Una forte brezza le scuoteva i capelli, mentre l’odore della salsedine le inondava le narici. La scogliera cadeva a picco per una decina di metri su uno spumeggiare di acqua nera. Alcuni schizzi riuscivano ad arrivare fin lassù, rinfrescando leggermente la pelle della ragazza. All’orizzonte, il sole al crepuscolo stava venendo velocemente sormontato da nuvole di tempesta.
La ragazza provò ad alzarsi, cercando in qualche modo di reagire, ma il corpo non collaborava e, dopotutto, neanche la mente sembrava proprio attiva. Ancora non riusciva a elaborare con precisione cos’era successo, ma la fuga spericolata dentro la caverna la ricordava bene. Abbassò un attimo gli occhi e si esaminò mani e braccia, coperte di graffi e sanguinanti. La maglietta era stata tagliata in più punti. Non sapeva se tutto quello era dovuto alle nere pietre taglienti come rasoi o agli insetti.
Si guardò indietro. L’ingresso alla caverna era bloccato da un cumulo di macerie; aveva fatto appena in tempo a uscire prima che tutto crollasse definitivamente.  La sua mente, l’angolino che ancora riusciva a pensare con chiarezza, cercava di comunicarle qualcosa, dirle che c’era qualcosa di strano in tutto ciò. Ma Mary non riusciva a concentrarsi. Sentiva solo il vento e il rumore delle onde.
Mi è sempre piaciuto, il mare, pensò, quasi con casualità, un pensiero come un altro. Ma fu abbastanza per farle capire una cosa: non lago, ma mare. Si voltò di nuovo verso l’acqua: di certo non l’aveva assaggiata, ma era fin troppo chiaro che quella era acqua salata. Alzò leggermente lo sguardo. Le nuvole nere ormai quasi coprivano completamente il sole ed era rimasta ben poca luce, ma la distesa marina sembrava infinita. Se avesse dovuto scommettere, Mary avrebbe detto di essere in un’isoletta in mezzo all’oceano.
Scoppiò a ridere, una risata isterica e folle che si trasformò presto in un pianto di disperazione; per la prima volta nella sua vita, non sapeva veramente cosa fare. Rimase immobile per qualche secondo, calmandosi pian piano e cercando di pensare razionalmente. Un tuono la riscosse. La tempesta si era avvicinata fin troppo velocemente per essere naturale ma, in quel momento, Mary non ci badò. Si puntellò sulle mani e, con calma, riuscì a mettersi in piedi, le gambe ancora un po’ tremolanti.
Si girò e, strascicando leggermente i piedi, cominciò a camminare verso un sentiero ghiaioso che sembrava l’unica via presente, muovendosi quasi per inerzia. Tutto ciò che il suo cervello riusciva a elaborare era che doveva mettersi al riparo.
Nello stesso momento, però, la sua mente provava a suggerirle qualcosa, evocando un nome.
E...
Camminò lungo il sentiero, attenta a dove metteva i piedi.
Em…
La sua scarpa sfiorò un sasso, che cadde nel vuoto. Si accorse di star camminando proprio accanto allo strapiombo.
Emme…
Cadde all’indietro, graffiandosi i gomiti e le mani. Si rialzò e continuò a camminare. Il sentiero sboccava in quello che le sembrava un bosco. Accanto a lei, delle pareti di roccia fungevano da colonne d’Ercole. Entrò nella vegetazione.
Emmeline.
Quando il nome le arrivò, la mente si rifiutò di continuare. Mary cadde a terra con un tonfo, priva di sensi. La pioggia cominciò a cadere.

Emmeline brandiva il candelabro acceso come se fosse una spada, cercando di vedere e, allo stesso tempo, di tenere lontano. Non sapeva esattamente cose le sembrava di aver visto, ma era sicura di volere che non si avvicinasse. Non si era mai sentita così indifesa come in quel momento, priva di bacchetta e di cognizione del tempo. Poteva essere lì da ore come da giorni.
I muri scrostati e coperti di muffa incombevano su di lei minacciosamente, le assi di legno cigolavano a ogni singolo passo, alzando pesanti sbuffi di polvere. L’aria era calda e appiccicosa e sulle pareti si notavano grandi macchie di umidità. La carta da parati verde smeraldo era sbiadita e strappata in più punti, ricadendo su se stessa.
Emmeline ansimava per il caldo e la paura. Non sapeva da quanto fosse lì, ma non aveva mai chiuso occhio da quel momento e la stanchezza cominciava a farsi sentire. A volte, era entrata in qualche stanza che le sembrava poco minacciosa ma, quando provava ad addormentarsi con il candelabro acceso accanto a lei, qualcosa la disturbava, un rumore o uno spostamento nell’aria, facendola cadere nel panico.
La ragazza continuò a camminare, guardandosi intorno con timorosa attenzione. Guardò per un secondo l’oggetto che le illuminava la strada: una delle candele era quasi completamente sciolta. Emmeline aggrottò le sopracciglia con preoccupazione. Si era risvegliata con il candelabro vicino a sé e già acceso: non voleva sapere se e cosa sarebbe accaduto una volta spento.
La testa le doleva come se qualcuno l’avesse colpita, ma non riusciva a ricordare cosa fosse accaduto immediatamente prima di svegliarsi in quel luogo. Sapeva di essere uscita dalla Sala Comune di Grifondoro – e, adesso, a ripensarci se ne vergognava un po’ – e di essersi diretta in quella fantastica aula vuota, ma poi c’era il buio totale. Non sapeva come, ma credeva che Mary avesse un qualche ruolo in tutta quella confusione.
All’improvviso, le sembrò di vedere un’ombra spostarsi dietro di lei ma, quando si girò, non vide niente nel flebile fascio di luce delle candele. Si voltò nuovamente, implorando mentalmente che qualcuno la facesse uscire da lì – o che almeno gli desse una torcia babbana, sicuramente più utile –, e continuò a camminare. Se avesse fatto più attenzione, avrebbe visto un’ampia scia nello spesso strato di polvere che copriva il pavimento, come se qualcosa venisse trascinato… o si trascinasse.
Più Emmeline avanzava, più la casa sembrava diventare calda. Poi, di colpo, accadde esattamente il contrario. La ragazza si sorprese nel vedere il proprio fiato condensarsi in piccole nuvolette bianche. Avvicinò il candelabro a sé, cercando di scaldarsi un po’, ma riusciva a fare veramente poco. In breve tempo, si ritrovò tremante dal freddo, con il sudore che le si congelava addosso. Vide un riflesso provenire da una parete e avvicinò la luce. Sbalordita, sfiorò con una mano lo spesso strato di ghiaccio che la copriva.
Subito dopo andò nel panico: il dito era incollato alla parete ed Emmeline vide che, pian piano, il ghiaccio stava cominciando a diffondersi sulla sua mano, sul suo braccio…

*****

Ore 10 circa - 46 ore rimanenti

Dora si guarda intorno con nervosismo, scrutando ogni studente di passaggio con un paio di occhi rossi da brividi. Tutti quelli che incrociano il suo sguardo accelerano immediatamente, temendo di poter essere colpiti da una Maledizione Senza Perdono seduta stante. Ogni volta che sente un rumore troppo forte, si gira di scatto, mulinando i capelli neri come la pece e portando la mano alla bacchetta. In questo momento, sembra fin troppo la sorella più giovane – e molto più carina – della Mason.
Io, invece, cerco di evitare il più possibile di attirare l’attenzione, cosa già resa difficile dai dolori pre-trasformazione, ma, con questa sottospecie di demone accanto, la cosa diventa impossibile. Mi limito quindi a camminare più velocemente che posso per arrivare all’aula, sperando che mia moglie non si faccia prendere da istinti assassini.
BANG.
All’improvviso, un Serpeverde fa saltare un petardo magico nel corridoio adiacente, facendo sobbalzare Dora vistosamente. Quando vede che a fare quel baccano è stato un tizio qualunque, assottiglia lo sguardo. Non ne sono sicuro, ma mi sembra di sentirla ringhiare. Forse Sirius è nato per essere un cane e i suoi geni sono in parte finiti anche in sua cugina. Meglio non dirlo ad alta voce: potrei perdere la testa, per questo. In senso letterale.
«Dannati mocciosetti senza cervello» borbotta, allungando leggermente il passo per starmi dietro. Ho accelerato prima che potesse tagliargli la gola a morsi, così è stata costretta a seguirmi.
«Ha la tua stessa età» commento, cercando di sembrare ragionevole. Dora mi guarda un attimo.
«Veramente ho dieci anni più di lui. Avevo dieci anni più di lui…» dice, anche se non sembra del tutto convinta. Fino a che non arriviamo all’aula vuota non dice più nulla, anche se continua a comportarsi in modo piuttosto paranoico.
Seguo mentalmente le indicazioni precise che Eve ci ha dato per arrivare all’aula, riuscendo a non sbagliare le numerose svolte che portano nei pressi della torre di Corvonero. La porta è abbastanza anonima, di un legno piuttosto chiaro che la mimetizza fra i mattoni di pietra. A vederla così, stranamente “innocente” – per quanto possa essere innocente una porta –, il mio nervosismo sembra quasi assurdo. Quasi.
Poggiando una mano sulla maniglia lancio un attimo un’occhiata a Dora, che ha smesso di guardarsi attorno per concentrarsi sulla porta come me, e apro. Una stranezza si presenta all’istante: non riesco ad aprire. O meglio, la maniglia si abbassa e la porta ruota di un paio di gradi sui suoi cardini, ma da lì si blocca, impedendomi di entrare o, almeno, di vedere qualsiasi cosa ci sia lì dentro.
Riprovo un paio di volte, con più forza, poggiando anche la spalla contro la porta.
«È bloccata» dichiaro, con una smorfia.
Dora sbuffa e mi scansa di lato in malo modo. «Ah, lascia fare agli esperti».
Io inarco un sopracciglio, non capendo, ma, quando la vedo estrarre la bacchetta tento di fermarla.
«Dora, non-».
«Reducto». E la porta esplode in mille pezzi. Lei rinfodera la bacchetta con un sorriso soddisfatto. «Visto? Non era difficile!». Entra nella stanza e rischia subito di cadere, inciampando sui detriti della porta. Continua a camminare come se niente fosse, ma la vedo arrossire.
«La cattiveria…» mormoro io, ridacchiando, stando ben attento a non farmi sentire.
Ci guardiamo intorno per un istante e l’atmosfera sembra farsi improvvisamente gelida e pesante. All’interno della stanza sembra essere arrivato un tornado: i tavoli sono tutti rivoltati, privi di gambe o spaccati in due o più parti, il pavimento è coperto da un liquido ambrato e da frammenti di vetro, le librerie sono rovesciate a terra e gli scaffali sono stati divelti e sparsi per l’aula. Ad aggiungersi al caos generale ci sono i frammenti di legno della porta, porta che, a quanto pare, era bloccata da una scrivania di legno scuro. La cosa mi fa aggrottare le sopracciglia.
È evidente che è successo qualcosa, qui dentro.
Mi guardo intorno insieme a Dora, che ha assunto improvvisamente un’aria quasi professionale, che le ho visto solo poche volte, esaminando il disastro. Sento un tintinnio e, girandomi, vedo Dora osservare una scatola di Whisky Incendiario, priva di alcune bottiglie; ecco spiegati il liquido e i vetri.
Tuttavia, non riesco a ottenere più di quello. Il caos nella stanza sembra aver nascosto ogni tipo di prova e, solo osservando e spostato qualche detrito, non ricavo nulla di utile. Eppure… sento, so, che c’è qualcosa di evidente che mi sfugge. Digrigno i denti per l’irritazione, notando che la sensazione coincide perfettamente con ciò che abbiamo scoperto. Ciò che hanno scoperto. Non averlo notato mi fa sentire stranamente inutile. Mi dico di piantarla.
Decido di usare quella che pensavo sarebbe stata l’ultima risorsa: dalla tasca interna della divisa prendo l’AP. Il cilindro di metallo è stranamente leggero, sembra pesare anche meno della bacchetta e mi chiedo come Eve lo abbia realizzato.
Provo a puntarlo verso una parete a caso, giusto per provare come funziona, e, mentre mi chiedo come si attivi, una luce dorata si accende sull’estremità, insieme ad un leggero ronzio ovattato. Prima che possa chiedermi come sapere i risultati dell’analisi, una specie di “finestrella” azzurrina compare davanti a me, in un angolo della mia visuale, riportando tutto ciò che l’AP sta rilevando. Voltandomi un secondo, noto con sorpresa che la finestrella si sposta con il mio sguardo e mi chiedo se sia l’unico a vederla. Il fatto che rimanga sempre nello stesso posto non è un male: è abbastanza all’angolo da non oscurare la visuale ma non troppo perché diventi illeggibile.
Leggo quindi i risultati, riuscendo a comprendere quanto sia sofisticato il macchinario creato da Evelyn. Seppur lo abbia puntato casualmente, l’AP ha rilevato tracce di potente magia Oscura, che diventano più o meno intense in diversi punti della stanza. Vedo anche scie di una magia ben diversa che, non so come, l’AP riesce a indentificare come quella di Mary ed Emmeline.
Riesco quindi a vedere dove si trovavano, all’inizio, più o meno accanto ad un tavolo in fondo alla stanza, accanto alla scatola di Whisky, e dove si sono spostate, avvicinandosi leggermente alla porta. Ma, alla fine, le tracce si confondono e non si riesce più a distinguere nulla. Punto l’AP verso la porta, cercando qualche altra scia, ma ciò che rilevo è un esponenziale incremento della magia Oscura. Dopo poco capisco di cosa si tratta.
«Remus?» mi chiama Dora. Non mi giro, intento ad esaminare l’entrata.
«Se la scrivania bloccava la porta dall’interno, come hanno fatto a uscire?» mi chiedo, ad alta voce, sovrappensiero.
«Remus?» ripete lei, con più urgenza. Mi giro, preoccupato, e la vedo guardare il soffitto con il viso tremendamente pallido. Preso com’ero dalla confusione sul pavimento, non avevo guardato verso l’alto. Invece, Dora ha trovato forse l’indizio più importante di tutti.
Al centro del soffitto, in caratteri grandi e precisi, è stata scritta solo una parola con quella che spero intensamente sia vernice rossa: Fear.

*****

«Ha lasciato la firmaaaa??????» chiese la donna, prima di scoppiare in una risata sguaiata. Stringeva in una mano un calice di vino rosso mentre, con l’altra, lanciava piccoli incantesimi a caso. «Mio Dio! È davvero un idiotaaa!!!».
L’uomo incappucciato non rispose, limitandosi a ghignare. La Mason, invece, le lanciò uno sguardo disgustato.
«Per me è peggiorata» disse, secca. Apophis guardò per un secondo la donna contorcersi per gli spasmi delle risate.
«Non saprei…» rispose, per poi scrollare le spalle. «Non è questo l’importante. A che punto sono i ragazzi?».
«Hanno scoperto il trucco, ma adesso sono concentrati su altro».
Apophis sorrise. «Eccellente. A parte l’idiozia, che sta combinando Phobos?».
«Oh, non ne ho la minima idea. Tutto ciò che fa sembra non avere senso… onestamente, non so come ragioni quell’uomo. Perlomeno, ancora non sospettano chi possa essere» la Mason si passa una mano davanti al volto. «Passando ad altro, in questo momento Loki dovrebbe aver incontrato Ermes».
La donna sbuffò, poggiando la testa sul tavolo e versando lentamente il vino sulla superficie. «Un traditore e un’idiota. Quindi due idioti. Perché non li facciamo fuori? Eh, perché? Eh?? Eh???».
La Mason si alzò, infastidita dal comportamento infantile della donna, e si avviò verso l’uscita.
«Concentrati sui Sanguesporco e lascia i subordinati a noi, Lestrange…» si bloccò, voltandosi di scatto. La donna si era alzata per poi bloccarle il braccio e ora la osservava con uno sguardo decisamente folle.
«Ricordatelo, io non sono Bellatrix» sibilò la cugina più anziana dell’Animagus Black. Batté le palpebre e i suoi occhi diventarono d’inchiostro. «Non chiamarmi mai più con quel nome».
La Mason si liberò dalla stretta e uscì dalla stanza in silenzio mentre Ate tornava a sedersi, intonando con voce infantile una filastrocca di sua invenzione in cui un mostro uccideva un cervo, un lupo e un cane.

*****

Ore 11 circa – 45 ore rimanenti
Sirius continuava a girare per la stanza strascicando i piedi e imprecando sottovoce, passandosi di tanto in tanto una mano fra i capelli o ringhiando in modo molto canino. Non riusciva a stare calmo. E come avrebbe potuto? La sua ragazza era stata rapita e l’intera scuola era sotto una specie d’ipnosi. Cose del genere poteva tranquillamente catalogarle come “disgrazie”.
Come se non bastasse, quella rompiscatole di sua cugina so-tutto gli aveva ordinato di rimanere chiuso nella Stanza delle Necessità (o Laboratorio, o quel che era), facendolo cadere nella disperazione più totale dovuta alla sua inutilità in quel momento. Insomma, era pronto a scattare da un momento all’altro.
Evelyn lo aveva ignorato per tutto il tempo, girando intorno al banco al centro della sala, facendo ricerche, controllando monitor e creando sul momento qualche oggetto dal dubbio utilizzo. Dopo quello che probabilmente era stato il centesimo giro cominciava ad essere infastidita.
«Sirius, se vuoi dare una mano vatti a sedere e, per Priscilla, non rompere!» sbottò, senza neanche guardare il cugino. Quello ubbidì, continuando a imprecare.
«Non capisco perché devo essere l’unico a non fare nulla! Persino Frank e Alice hanno un compito, mentre io devo stare qui con la museruola!» esclamò il ragazzo mentre si sedeva rabbiosamente e, nonostante tutto, senza perdere la tipica grazia dei Black di cui le sorelle Tonks erano sprovviste.
«Frank e Alice stanno semplicemente trovando scuse con i professori, cosa non molto difficile: si berrebbero qualsiasi cosa. Remus mi ha chiesto di tenerli fuori il più possibile da questa storia e sono d’accordo» rispose la ragazza, poggiando una mano sul pannello dell’Archivio e cominciando a scorrere una serie di dati. «Remus e Dora sono Auror e mi servono per le investigazioni. E sai benissimo perché ho messo in coppia Lily… e James… Uh, questo è interessante».
Sirius ignorò l’ultima osservazione della ragazza, assorta da delle strane immagini che al Grifondoro non interessavano minimamente. «Ma non capisco perché io sono qui senza far nulla! Insomma, posso essere utile! Potrei-».
Evelyn si girò verso di lui, inferocita. «Chiudi il becco! Qui tutti ci stiamo dando da fare per cercare Emmeline e Mary che, ti ricordo, non è solo la tua fidanzata ma anche nostra amica! E, giusto perché te ne renda conto, non ti ho mandato fuori perché ora come ora assaliresti chiunque ti guardasse nel modo sbagliato e pensavo, nella mia idiozia, che magari mi saresti stato più utile qui, a organizzare il recupero! Ma, a quanto pare, mi sbagliavo perché non riesci a togliere te stesso dai tuoi pensieri per concentrarti su qualcos’altro, quindi puoi anche andartene se vuoi! Anzi, non m’importa se vuoi, esci e basta. Va’ a chiamare Silente, già che ci sei, magari saprà cosa fare!». Si voltò di nuovo verso lo schermo. Tremava. «E vedi di non ammazzare nessuno mentre te ne vai».
Sirius la guardò, sgranando gli occhi. Evelyn aveva scaricato contro di lui tutta la tensione che aveva accumulato, troppa per una quindicenne che, nel frattempo, stava cercando di ricostruire dall’inizio il rapporto con la propria sorella morta e risorta. Il Grifondoro avrebbe voluto ribattere, dire che gli dispiaceva o comunque fare qualcosa, ma le parole di Eve erano chiaramente un ordine: lo voleva fuori dai piedi. Si alzò e, tenendo la testa bassa, uscì dal Laboratorio. Si chiuse la porta della Stanza alle spalle e si diresse verso l’ufficio del professor Silente, non molto lontano da lì.

*****

Ore 10:30 circa – 45 ore e mezza rimanenti
James camminava senza dire una parola, guardandosi intorno in cerca di qualcosa che potesse rientrare nella sua idea di “indizio”. Lily, dal canto suo, non sembrava minimamente intenzionata a iniziare una conversazione, cosa che, invece, non si poteva affatto dire di John, che continuava a fare commenti maliziosi sui due. Ignorarlo diventava sempre più facile e questo infastidiva abbastanza l’Altro.
I due (o tre) si trovavano in un corridoio del Terzo Piano non molto lontano dall’aula di Difesa contro le Arti Oscure, un corridoio abbastanza isolato e poco frequentato… per un ottimo motivo: era un vicolo cieco.
«Sei sicura che siamo nel posto giusto?» chiese James, fermandosi, sovrastando l’ennesima battutina del suo alter-ego. Riteneva quel posto il più inutile di tutto il castello: un vicolo cieco privo di un qualsivoglia passaggio segreto, solo un corridoio vuoto e polveroso inadatto perfino per incontri poco leciti, data la vicinanza eccessiva a un aula.
Lily sospirò. «Sì, il luogo è esatto. Anche l’AP rileva tracce di magia Oscura».
James la osservò muoversi con sicurezza verso la fine del corridoio, puntando l’AP in punti apparentemente casuali. Eve aveva offerto un AP anche a lui, ma aveva ritenuto che sarebbe bastata Lily per quel tipo di “missione”.
Erano andati in quel posto perché, poco dopo che Mary ed Emmeline erano sparite, l’FPS (il Friends Protection System, aveva spiegato una riluttante e imbarazzatissima Evelyn) aveva rilevato tracce della stessa magia in quell’esatto punto ma, almeno a vedersi, sembrava non fosse accaduto nulla di particolare. Il corridoio era vuoto, anonimo e noioso.
«Sembra non ci sia nulla» commentò il Grifondoro, passandosi una mano fra i capelli. Era una frase quasi casuale ma significava: voglio andarmene via perché un altro po’ e crepo per la tensione.
«Forse» rispose apaticamente la ragazza, continuando a esaminare i dintorni.
«Uuuuh! Freddina la rossa, eh?!» ridacchiò John. «Dieci a uno che ci rimedi le botte».
Le “botte”? Quanti anni hai, cinque?, pensò James.
«Se questa è la tua maturità mentale, non è colpa mia» replicò l’Altro. La telepatia era stata scoperta da poco… ed era snervante.
«Le ore passano, e le vostre speranze svaniscono» sibilò una voce. I due ragazzi si girarono verso l’entrata del corridoio, ora bloccata. Un ragazzo si ergeva di fronte a loro, circondato da un’aura oscura che sembrava premere su tutto ciò che era intorno, compresi i due Grifondoro che si sorpresero ad ansimare per la fatica di rimanere in piedi. «Entro domani sera, le ragazze saranno morte e voi le seguirete subito dopo».
«Chi sei?» ringhiò James, pronto a flettere il polso e afferrare la bacchetta. Lo sconosciuto indossava un impermeabile nero con il cappuccio, il tutto incantato in modo che il viso fosse nascosto dall’oscurità e impossibile da distinguere «Cosa diamine vuoi?».
Lo sconosciuto rise tetramente. «Fareste meglio a concentrarvi sul vostro compito, ragazzini. Siete deboli e indifesi, nessuno vi ascolterà né, tantomeno, vi aiuterà. Ma mi piace giocare». Si avvicinò di qualche passo a James che rimase immobile, bloccato dalla Paura. Lily, poco distante, sussultò. Lo sconosciuto si chinò su di lui. «Farò in modo che arriviate il più vicino possibile, che gioiate della vostra riuscita, che riabbracciate coloro che vi sono state tolte.... E poi vi ucciderò, lentamente, lasciandovi marcire nel Terrore».
Lily agì di scatto, lanciando uno Schiantesimo contro lo sconosciuto. Sotto i loro occhi, la fattura gli passò attraverso come se fosse un fantasma. Lo sconosciuto rise.
«Ops, beccato!» esclamò. Portò il volto a pochi millimetri da quello di James per poi sussurrare: «Se questo è il potere di una mia proiezione, come farai a battermi?».
James lo guardò, impietrito. Aveva capito perfettamente qual era il “potere” di cui parlava. Lo sconosciuto arretrò di qualche passo e svanì nell’aria. James e Lily sentirono la pressione svanire di colpo e si accasciarono a terra, sfiniti.
«Cos’era?» chiese Lily, incredula.
James rimase in silenzio, tremante e immobilizzato. Sentì una pressione sulla propria spalla e si girò, aspettandosi di incontrare lo sguardo di Lily. Accanto a lui, invece, c’era John.
«Quello era mio fratello» disse John, guardando con un ghigno il punto in cui era sparito lo sconosciuto.
James sentì Lily sussultare rumorosamente e la vide alzarsi, puntando la bacchetta verso John. Non capiva, tuttavia, come fosse possibile. L’Altro alzò a sua volta lo sguardo sulla Grifondoro, lanciandole uno sguardo scettico.
«Mettila via, principessa» disse pigramente, inclinando leggermente la testa. «Non è un giocattolo».
«Tu c-chi…? C-come…?» balbettò la ragazza. John ridacchiò.
«Scusa ma ho altro da fare piuttosto che farmi balbettare addosso» disse, facendo qualche passo lungo il corridoio. Un vortice di nubi nere apparve apparentemente dal nulla e lo circondò, per poi diradarsi subito dopo, senza aver lasciato traccia dell’Altro.
James cominciò a sentirsi la testa pesante.

Ore 11 circa – 45 ore rimanenti

John ricomparve in uno stretto corridoio dei Sotterranei, nascosto nell’ombra. Il suo immancabile completo babbano lo nascondeva abbastanza bene.
James Potter odiava i Sotterranei. Li trovava bui, deprimenti e freddi, uno dei posti peggiori della scuola se non del mondo stesso. Ogni cosa era fatta in pietra scura e i muri stessi sembravano essere nemici in agguato.
John Smith, invece, amava quel posto. Si beava di ciò che quel posto conteneva, di come la sprigionava da ogni sua fessura. Avrebbe voluto appartenere alla Casa che lì aveva dimora, i più adatti alla sua via. Adorava l’Oscurità di quel luogo.
Sentì dei passi e guardò verso il corridoio alla sua destra, leggermente più illuminato. Sotto una torcia accesa, un ragazzo un po’ sovrappeso si guardava intorno, mangiucchiandosi le unghie con nervosismo. John guardò l'orologio da polso che Charlus aveva regalato a James l’anno precedente. Peter Minus era arrivato in perfetto orario, nel suo enorme ritardo. Dietro il ragazzo, un vortice di ombre fece apparire un’altra figura, dai capelli neri e unti e un’ampia cicatrice sulla guancia destra. Peter sussultò e fece un passo indietro, lasciando che Piton avanzasse sotto la luce.
«Allora, piccolo ratto» cominciò il Serpeverde, beffardo. «Cosa mi hai portato?».
Tremando, Peter prese una piccola fialetta da una tasca interna del mantello e la porse al ragazzo. Piton esaminò il liquido rosso contenuto all’interno.
«Sicuro che sia il suo?» chiese. Peter annuì. Il Serpeverde fece una smorfia soddisfatta e ripose la fiala in tasca. «Perché chi hai messo tanto?».
«N-non d-dovevo farmi vedere» balbettò Codaliscia. «Ho-ho dovuto a-aspettare che L-Lumacorno se ne andasse. Te-teneva la porta dell’ufficio a-aperta e non potevo tra-trasformarmi con quella con me: a-avrei po-potuto romperla».
Piton annuì per poi ghignare. «I tuoi servigi non sono più richiesti».
Il Serpeverde schioccò le dita e Peter, piagnucolando, scomparve in un vortice di ombre. Mentre Piton si ritirava nell’oscurità, John si fece avanti con passo tranquillo, giusto per fare un’entrata in scena abbastanza figa.
«Sai che è morboso persino per te, vero?» domandò, sarcastico. Piton si voltò, ostentando un’espressione quasi annoiata.
«Cosa fai qui?» chiese. «Non dovresti torturare il tuo contenitore? Pensavo che fosse ciò che sai fare meglio».
«Sono davvero così sottovalutato?» chiese John, fingendosi offeso. «Si vede che non vi ricordate di Creta, eh!».
Piton sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Oh, no, ti prego! Non ancora quella storia!».
John lo ignorò. «Se non mi fossi interessato a voi ammazzando quel branco di Minotauri a quest’ora sareste poltiglia e il vostro unico contenitore una creatura senza un briciolo d’intelligenza! E se non avessi…».
«Piantala!» lo bloccò Piton, esasperato. «Dimmi cosa vuoi e falla finita».
«Informazioni».
«E se non volessi dartele?».
«Allora sono sicuro che il caro serpentone sarà lieto di sapere che uno dei suoi aiutanti sta lavorando per proprio conto» minacciò John, avvicinandosi di un passo. «Mi basterà dirgli che hai voluto prelevare il suo sangue e penserà che l’osmosi ti abbia di nuovo fottuto il cervello. E poi: usare Ermes?! Hai tolto una delle sue spie dal gruppo! E qual è l’altra? Oh, sono io, ma guarda un po’! Una delle persone di cui si può più fidare!». Si avvicinò ancora. Ora c’era solo meno di una spanna (e un naso da cui voleva tenersi a distanza) tra i due. «Mi crederà sicuramente: dopotutto, non sei nuovo ai tradimenti, no?».
Piton sfoggiò la sua espressione più infuriata e digrignò i denti. Sapeva di non avere chance: anche se avesse detto ad Apophis che anche John stava tradendo non gli avrebbe mai creduto e lo avrebbe nuovamente privato di un contenitore.
«Phobos ha portato le Sanguesporco alcuni tunnel sotterranei nel parco di Hogwarts. Non so dove di preciso, non conosco quella zona. Le tiene legate con Nightmare» disse Piton. «Inoltre ha rapito il Black piccolo e ne ha preso l’aspetto, così può scorrazzare per Hogwarts liberamente».
John soppesò le parole dell’altro, cercando di capire se stesse dicendo la verità ma, alla fine, annuì, convinto. Sorrise. «Grazie per la collaborazione».
Si voltò, dirigendosi a grandi passi verso l’uscita dei sotterranei, quando la voce di Piton lo raggiunse.
«Sei proprio sicuro che l’osmosi abbia fottuto il mio, di cervello?» aveva detto, beffardo. John si era irrigidito ed era scomparso e riapparso di fronte al ragazzo nel consueto vortice oscuro.
«Che vorresti dire?» chiese, minaccioso. Piton rise.
«Oh, avanti!» esclamò. «Non dirmi che non te ne sei accorto?! Quand’è che hai smesso di essere il dio della morte per diventare una-»
La mano di John, circondata da un’aura nera, si chiuse attorno alla gola del ragazzo, bloccandone la voce. «Attento, Loki, un’altra parola sbagliata e giuro che ti faccio saltare la testa».
Un lampo di energia azzurra separò i due. John mantenne l’aura sul suo braccio, osservando con rabbia Piton che, massaggiandosi la gola, lo osservava con occhi neri come l’inchiostro.
«Sei proprio un’idiota» sibilò Loki. «Ogni volta ci caschi sempre ma rifiuti la verità!».
«E a te che importa?» chiese l’altro, osservandolo con disprezzo.
«Odio vedere un tale spreco di potere» spiegò. «Cerca di aprire gli occhi! L’osmosi non è una maledizione! Potresti diventare il daimon più potente di sempre!».
John lo guardò. «Spiacente, rifiuto e vado avanti».
Un raggio di magia Oscura partì dalla mano di John per infrangersi su uno scudo invisibile tra i due.
«Te ne pentirai, Mot» sentenziò Loki. «Se non sarai tu ad ottenere quel potere allora lo farò io. E non puoi nemmeno immaginare cosa potrei farci…».
«Vai a morire ammazzato» disse John con semplicità, dissolvendosi nel nulla. Non come nubi né come ombra, sparì e basta.

*****

Ore 12:30 circa – 44 ore e mezza rimanenti

Sirius uscì dall’ufficio della McGranitt con aria irritata. Era passato dall’ufficio di Silente circa un’ora prima e, dopo aver perso parecchio tempo alla ricerca della parola d’ordine (“soufflé al cioccolato”) aveva bussato alla porta senza ricevere risposta. Aveva provato a entrare, ma la porta era stata sigillata con la magia e, dopo qualche tentativo, Sirius diede forfait. Scese poi al Primo Piano per chiedere spiegazioni alla vicepreside. Aveva quindi scoperto che Silente era andato via per motivi privati, senza entrare nel dettaglio, e che sarebbe tornato solo fra un paio di giorni. Come si aspettava, la McGranitt non fece alcuna domanda sulla loro assenza a ogni lezione di quella mattinata (compresa la propria). Sirius quasi sperava di ricevere una sgridata.
Il Grifondoro aveva quindi cominciato a camminare per la scuola, senza meta. Non gli sembrava possibile che, proprio in quel momento così importante, Silente si fosse volatilizzato. Era troppo strano che il “viaggio privato” fosse giusto nel periodo in cui Mary ed Emmeline erano sparite. Non sapeva se il colpevole avesse aspettato proprio quel viaggio del preside o fosse stato Silente stesso a essere condizionato dall’incantesimo che avvolgeva Hogwarts. Gli venne in mente la conversazione che avevano avuto qualche ora prima, nel Laboratorio, appena era iniziato tutto.
Era stato proprio lui a capire la situazione in cui si trovavano, ma ancora gli veniva difficile crederci. Tuttavia, ormai era innegabile: Hogwarts era sotto l’effetto di un qualche sortilegio.
Da quant’era che non svolgevano una lezione? Come mai studenti e professori non gli rivolgevano la parola se non cominciavano prima loro a parlare? Dov’era sparito Piton per tutto quel tempo? Perché nessuno se n’era accorto? Perché, nonostante andassero in giro per la scuola come e quando volevano, nessuno gli diceva nulla? Perché Pix non faceva più scherzi alle persone? Come mai la Mason continuava a fare i suoi sporchi comodi ventiquattr’ore su ventiquattro senza che nessuno si accorgesse che qualcosa non andava? Da quanto caspita era che non facevano un allenamento o una partita di Quidditch?
La risposta poteva essere una sola: l’autore fa schifo… ehm, no, cioè: anche. Volevo dire… Ehm, torniamo a noi.
Su Hogwarts era stato gettato innegabilmente qualche forma di incantesimo che alterava le percezioni di ogni studente nella scuola, studenti e professori. I ragazzi stessi non se ne erano resi conto e solo il famoso Istinto di Sirius (perché ora era stato promosso ad una “I” maiuscola da James) era riuscito a captare qualche segnale. Una volta svelata la magia, comunque, sembrava che tutti i ragazzi si fossero risvegliati e ora le loro percezioni non erano alterate. Forse era proprio quello il difetto dell’incantesimo: la “comprensione”.
Quando l’aveva spiegato agli altri, Evelyn era arrivata addirittura a definirlo un “genio”, guardandolo con ammirazione. Ricordò tristemente il modo in cui l’aveva cacciato. Non sapeva darle torto: era stato un egocentrico idiota.
La verità era che senza Mary si sentiva perso. Certo, non l’avrebbe mai ammesso, ma era così.
Avvertiva l’estremo bisogno di rivederla al più presto, saperla sana e al sicuro, e rimanere fermo con le mani in mano, aspettando che gli altri facessero il lavoro, lo faceva impazzire. Sapeva che tutto ciò era un pensiero puramente egoistico, ma a cos’altro avrebbe potuto pensare? Più volte aveva estratto la bacchetta, osservando la “M” incisa sopra, come cercando di stabilire un contatto con Mary, come se in quel modo fosse lì vicino.
Così faceva in quel momento. Camminava, ma il suo sguardo era fisso sulla bacchetta di ebano, pensando alla ragazza prigioniera, di cui teneva l’arma di nocciolo nella Sala Comune per non correre il rischio di perderla o danneggiarla.
«Dovresti guardare dove cammini» disse qualcuno con voce arrogante e ben familiare. Sirius si voltò, incontrando lo sguardo di sufficienza di suo fratello minore. Il Grifondoro aggrottò le sopracciglia, sentendo il suo Istinto suggerirgli qualcosa.
“Tieni d’occhio tuo fratello” aveva detto John. Sul momento, Sirius aveva pensato che si stesse riferendo a James, che ormai era il suo unico e vero fratello, ma guardando Regulus si ricredette. L’espressione, il portamento… Nessun Black poteva essere così scialbo, lo aveva imparato a sue spese.
«Dov’è Regulus?» chiese il ragazzo, stringendo la mano sulla bacchetta, pronto a lottare.
Il falso Regulus inarcò le sopracciglia, leggermente stupito, per poi assumere un ghigno malvagio.
«Al sicuro» rispose, calmo. «Così come le Sanguesporco».
Sirius irrigidì la mascella e strinse i pugni, trattenendosi dal saltargli addosso e colpirlo.
«Dove sono?» chiese, in un tono che lo fece sembrare un ordine.
Regulus sorrise più apertamente.
«Nell’altro mondo» disse. Sirius ruggì dalla rabbia e gli si gettò contro, brandendo la bacchetta come se fosse una sorta di pugnale. Regulus sparì nel nulla un istante prima che i due entrassero in contatto e riapparve dietro il Grifondoro, ridendo. Sirius ringhiò, ricordando la sua forma canina. Aveva perso il controllo e gli era saltato contro, ma sapeva che Mary ed Emmeline erano ancora vive. E anche il vero Regulus. «Ammetto che questo non va secondo i miei piani, ma sei uno spasso!».
«Dimmi. Dove. SONO!» ruggì il ragazzo, lanciando uno Schiantesimo contro Regulus, che lo schivò, scoppiando in una risata volgare.
«Toh, ma guarda!» esclamò allegramente qualcuno dietro il falso Regulus. «Un altro psicopatico! Cambiano gli universi, ma i pazzi sono sempre dello stesso stampo!».
Dora teneva la bacchetta puntata contro Regulus. Per tutto quel tempo, Sirius aveva pensato che stesse mentendo quando diceva di essere un’Auror, ma l’espressione che aveva lo fece ricredere.
«Qualcosa mi dice che questo lo conosciamo» commentò Remus, armato come la fidanzata e schierato accanto a lei, osservando con aria interessata il Serpeverde.
«Ciao, lupetto, come va la morte?» salutò quello, ammiccando. Remus inarcò un sopracciglio.
«Ecco, appunto».
Dora, accanto a lui, sospirò tristemente.
«Perché non te ne vai, Dolohov?» chiese, infastidita.
Quello fece spallucce, sbuffando.
«E va bene, ma solo perché lo hai chiesto con gentilezza». La nubi oscure cominciarono a circondarlo. «Ricordatevi che avete una scadenza. Tic tac, tic tac!».
Nella sua oscena risata, il corpo di Regulus scomparve nel nulla.
Sirius digrignò i denti, furioso.
«Avrei potuto farlo parlare e dirci dove sono Mary ed Emmeline!» ringhiò. E mio fratello, aggiunse mentalmente.
«Non serve» fece Dora. «Forse sappiamo dove si trovano».
Sirius sgranò gli occhi, sorpreso. «E…?».
«Dobbiamo vederci con gli altri al Lab, lì sapremo tutto» spiegò Remus.

*****

Ore 12:00 circa – 44 ore rimanenti
David camminava ormai da diverse ore nell’immenso parco di Hogwarts, tanto che stava cominciando a chiedersi se il suo congegno fosse rotto. Provò a scuoterlo accanto al suo orecchio, come se in quel modo potesse capire cosa ci fosse che non andava. La luce al centro avrebbe dovuto farsi più intensa mano a mano che si avvicinava al suo obbiettivo, ma dopo ben quattro ore di giri a vuoto aveva capito di aver ottenuto una bidonata.
Tecnicamente, quello non era altro che un rilevatore di concentrazioni particolari Etere, sgraffignato dalla scrivania di suo padre mentre non era attento (ovvero praticamente sempre: quando mai il grande Barty Crouch Senior si dedicava al proprio figlio?). Il fatto che fosse del Ministero gli aveva fatto pensare che avrebbe funzionato, ma a quanto pareva non era così. E dire che tutto ciò che voleva era aiutare Eve… Ehm, no, insomma, non che volesse aiutare proprio lei ma c’erano delle persone in difficoltà e quindi lui… Oh, ma santo Merlino, come siete pettegoli!
Continuò a girare in tondo, puntando il congegno verso vari luoghi, ma la sfera nera sembrava voler rimanere di tale colore. E, come se non bastasse, era appena suonata la campana dell’ultima ora della mattinata, quindi alcuni studenti sarebbero potuti entrare nel parco a loro piacimento.
La sfera pulsò d’oro per un momento e David si affrettò a ritrovare la direzione. Il bagliore era fisso ma debole.
«Un’ultima volta» sussurrò David, rivolto al piccolo oggetto. «Se mi freghi ancora ti mando a far compagnia alla piovra. Siamo intesi?».
Dopo quella sorta di ramanzina, il Corvonero si diresse a grandi passi nella direzione indicata dalla sfera, che diventava più luminosa mano a mano che si avvicinava ai limiti della Foresta Proibita.
«Ecco, ora è più plausibile» convenne. Parlare da solo era una brutta abitudine che aveva preso a casa propria.
Segui le indicazioni della sfera fino a un grande albero dalla corteccia leggermente più scura di quelli accanto. La sfera brillava tanto da far male agli occhi e David la mise in tasca, tornando poi a esaminare la pianta. Scoprì subito di non poterla toccare, poiché la mano veniva bloccata da una barriera invisibile.
«Carino…» mormorò il ragazzo. Prese la bacchetta e la puntò contro l’albero, facendola scorrere su e giù lungo il fusto e scagliando semplici Incantesimi d’Analisi. «Ma inutile».
Mosse la bacchetta in un moto circolare continuo e, pian piano, la corteccia sembrò farsi prima più chiara, diventando dello stesso colore della vegetazione attorno, poi completamente trasparente. Sotto di lui si allargava un buco nella terra con tanto di chilometrica scalinata verso l’oscurità.
«Bingo». Dopo aver acceso la bacchetta, David non esitò a scendere, curioso ed eccitato. La fossa non era così profonda come sembrava e dopo neanche un minuto David si ritrovò in una piccola caverna circolare.
«Guarda chi abbiamo qui» mormorò, chinandosi sul corpo disteso a terra.

*****

Ore 13:00 circa – 43 ore rimanenti
Era passata ormai un’ora e mezza, circa, da quando John era tornato nel corpo di James. Il ragazzo lo aveva avvertito come lo schiocco di un elastico che torna alla sua forma originaria. Le loro menti erano tornate in collegamento e John gli aveva raccontato cos’era successo (tralasciando dei dettagli che considerava “insignificanti”).
Per tutto il tempo in cui fra i due non c’era stato collegamento, a James mancarono le forze e quasi svenne. Lily fu costretta a rimanere con lui per tutto il tempo, con l’ansia rimasta dall’incontro con colui che, secondo John, si faceva chiamare “Phobos”, come il dio greco della paura.
Erano tornati in fretta al Laboratorio per raccontare agli altri ciò che aveva riferito John, che sembrava essersi messo a dormire in un angolino della mente di James. In ciò che era stato facilmente ribattezzato “Lab”, avevano incontrato Remus e Dora, appena tornati dalla loro “indagine sulla scena del crimine”. Evelyn disse ai due di cercare Sirius, mentre James e Lily si riposavano. Tutto ciò che gli avevano detto era stato «Sappiamo dove si trovano».
Tutti coloro che erano alla ricerca di Emmeline e Mary erano quindi di nuovo riuniti attorno al tavolo cilindrico del Lab.

Mi siedo sul lungo divano situato sul perimetro della stanza mentre Sirius sta raccontando agli altri ciò che è successo. Poggio i gomiti sulle ginocchia e nascondo il viso fra le mani, un po’ per stanchezza, un po’ per altro. Sento i cuscini abbassarsi accanto a me e una mano delicata appoggiarsi sulla mia spalla.
La anticipo. Non voglio iniziare questa conversazione.
«Sto bene» dico soltanto. Riesco quasi a sentire il sopracciglio che s’inarca. «È solo la Luna» aggiungo poi, come se spiegasse tutto. A dirla tutta, mi sembra strano che sia già passato un intero mese. Tutto è andato fin troppo di corsa.
«Già» fa lei. «E dimmi, la tua Luna si chiama per caso Dolohov?».
Mi volto a guardarlo. Fa un sorrisetto strano.
«Piantala di fare il cretino» dice. «Non hai bisogno di fingere».
Serro i pugni.
«Sì, invece». So che sta solo cercando di darmi una mano, quindi vedo di fare un bel respiro e darmi una calmata. Poi riesco a parlare in maniera civile. «Dora, la persona che ha rapito le nostre amiche è colui che mi ha ucciso. Per di più, ora ha ottenuto un qualche superpotere oscuro che ti fa secco solo guardandoti male». Prendo un altro respiro. «Quante possibilità ho di batterlo ora?».
«Parecchie, direi» commenta. Non capisco e penso mi si legga in faccia. «Non so se te ne sei accorto, e lo vedo difficile dato il casino che fa Sirius, ma non sei solo in questa stanza. E credi veramente che ti lasceremo andare da solo ad affrontare uno psicopatico che ha deciso di farsi chiamare come un dio?».
Sorrido e lo poso un bacio sulle labbra.
«Devo prenderlo come un no?» chiede, scherzosa. Gliene do un altro, sorridendo ancora di più. «Mmh, comincio a intuire un significato ma forse…».
«Dai, Auror, abbiamo da fare» dico, alzandomi. Lei fa una faccia offesa ed io ridacchio, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Mentre lo fa, ripenso a quanto io sia fortunato.
Quando torniamo a rivolgerci agli altri è chiaro che non stavano parlando di nulla di rilevante, ma volevano lasciarci la nostra privacy. Li ringrazio mentalmente.
«Quindi?» chiede Dora.
«Allora, riassumiamo il tutto» Eve si stacca dagli altri tre, prendendo la parola. «John, che al momento è bello che andato quindi non possiamo chiedergli altro, ci ha riferito che Phobos («Dolohov») – anche se fosse Merlino non m’importerebbe, Remus, è solo un bastardo rapitore barra assassino – ha nascosto Mary, Emmeline e forse anche Regulus nei sotterranei del parco. Al momento, ho inviato delle sonde magiche in vari punti sotto il terreno, con la speranza che trovino i tunnel e ci diano informazioni – se siamo fortunati, anche una mappa non sarebbe male». Parla come uno di quei pezzi grossi che si vedono nei film, quelli a capo di grandi organizzazioni super-segrete e che nei briefing con le Nazioni Unite spiegano la minaccia globale di turno. È forte, la piccola Tonks. Anche se gesticola molto. «A quanto sembra, Phobos ha un potere particolare che chiama “Nightmare”, che intrappola il soggetto in una sorta di sonno incantato stile La Bella Addormentata nel Bosco  Sir, James, lasciate perdere  e lo sta usando su di loro. Inoltre, pare che abbia una bella dose di Polisucco che usa per prendere il posto di Regulus e fare ancora più danni. E sembra anche che sappia teletrasportarsi in una sorta di fumo nero molto “io sono malvagio e si vede”». Si sposta lungo il tavolo centrale fino all’Archivio. Poggia una mano sulla sezione apposita e il monitor si accende, mostrando vari dati che sembrano riferirsi a qualcosa di organico (la sigla DNA parla chiaro).
«Usando le scansione dell’AP che, fra parentesi, userò solo io perché voi non siete capaci, ho trovato tracce di un altro essere vivente nell’aula in cui sono state rapite le ragazze. Ho avuto difficoltà a capire cosa fosse, ma alla fine l’ho scoperto: signore e signori, il maledetto figlio di buona donna si porta dietro una Chimera». Il monitor mostra l’immagine dell’essere, una sorta di accozzaglia di animali senza apparentemente alcuna logica. Il bello è che so che sputa anche fuoco. E il serpente che funge da coda è velenoso. È molto versatile, come animale, ti può uccidere in almeno cinque modi diversi, a volte anche contemporaneamente. Ma qualcosa non mi quadra…
«E tu come hai fatto a trovare un campione di DNA di una Chimera da confrontare con quello trovato» chiedo, perplesso.
«Tu non vuoi saperlo, fidati». Lo sguardo che mi lancia fa capire che è meglio darle retta. «In ogni caso, non è una Chimera normale. Non so in che modo ma devono averla alterata, dandole dei poteri di pura magia Oscura. Ergo, è almeno venti volte più pericolosa».
«Che culo» mormora James. Completamente d’accordo. Non bastava il dio della paura, no, ci voleva anche il cane da guardia pompato.
«Domanda!» esclama Sirius, alzando una mano verso l’alto in un’evidente imitazione di Lily. Lei si limita a guardarlo male.
«Dimmi» dice Evelyn, sospirando.
«Come li ammazziamo?».
Silenzio di tomba.
«Cos’è che dicevi sulla forza del gruppo e compagnia bella?» chiedo sottovoce a Dora. Lei mi dà una gomitata nelle costole.
«Okay, su questo c’è ancora da lavorare, ma penso di poter esaminare il campione di magia Oscura e poterne trovare un punto debole o qualcosa del genere. Spero» commenta la piccola Tonks, un po’ titubante. Lo “spero” non è affatto rassicurante ma ci limitiamo ad annuire, cercando di apparire sicuri. Mai stato meno sicuro in tutta la mia vita. No, non è vero: sono morto e resuscitato in un’altra dimensione, in quel momento sono stato meno sicuro che mai.
«E adesso?» chiede Lily.
«Adesso è l’una e quindi direi di andare a mangiare» risponde velocemente Dora. Cibo. A quel pensiero si sentono imbarazzanti rumori da quasi tutti i nostri stomaci. «Non abbiamo neanche fatto colazione…».
«Ma… sicuri di voler andare a mangiare?» chiede Sirius, stupefatto. «Vi ricordate che ci sono due persone scomparse…» il brontolio della sua pancia gli impedisce di continuare. Arrossisce. «Come non detto: prima il cibo, poi le indagini».
Mai stato più d’accordo… No, non è vero. Devo finirla di dire certe cose, tanto so che non sono mai vere. Però lo stomaco brontola proprio come Zeus comanda…

*****

Ore 14:30 circa – 42 ore e mezza rimanenti
Un’ora e mezza. UN’ORA E MEZZA! Porco Salazar, una dannatissima ora e mezza (che andava ad aggiungersi alle quattro sprecate precedentemente) per tirare su quel Black e portarlo in Infermeria. Non che pesasse, l’Incantesimo Locomotor rendeva il trasporto una passeggiata, ma perché Regulus sembrava proprio non voler essere portato in salvo!
All’inizio, aveva provato a portarlo su per le scale, ma quasi ogni gradino nascondeva una trappola (uno si rompeva sotto i tuoi piedi, un altro ti paralizzava per quindici minuti e altre punizioni idiote e noiose che non sto qui a descrivervi). Quarantacinque minuti della propria vita persi per salire delle dannatissime scale! Poi l’ingresso alla caverna si era chiuso, ma era bastato un Incantesimo Reductor per mandare tutto a quel paese.
Per tutto il tempo in cui avevano attraversato il castello Regulus continuava ad impigliarsi, o addirittura aggrapparsi, a ogni singolo mattone sporgente, a ogni quadro, allo stipite di ogni porta… Ovviamente, neanche una singola persona era andata lì a chiedergli “per caso ti serve una mano” o, anche più semplicemente, “Crouch perché ti porti dietro Black in quel modo?”. Ma neanche a pagarli… Non vedeva l’ora che l’incantesimo gettato sulla scuola finisse (perché, per la miseria, era ovvio).
Era quindi arrivato in Infermeria dopo un’ora e mezza con Regulus che ormai aveva le mani tutte distrutte. Fortunatamente Madama Chips era ancora impostata su “lavoro” e quindi si prese cura del ragazzo nei suoi soliti modi. Poi fece qualcosa che David non si aspettava proprio: lo cacciò fuori dall’Infermeria e lo mandò a cercare Sirius, il fratello dell’infortunato.
David rimase lì immobile. Dove lo andava a trovare Sirius Black in un momento come quello?
«E non ho neanche pranzato» mugugnò il ragazzo, dirigendosi verso i piani più alti del castello. Con un po’ di fortuna, forse, lo avrebbe incontrato. O forse no.

*****

Ore 15:00 circa – 42 ore rimanenti
E… siamo di nuovo al Lab. Perlomeno ora abbiamo le pance piene e i dispositivi di Eve sembrano aver trovato qualcosa sotto il terreno. Almeno un paio di loro (quanti siano in totale non ci è dato saperlo), si sono infatti ritrovati in una fitta rete di tunnel sotterranei.
«Ci vorrà qualche ora» mormora la ragazza, mordendosi il labbro inferiore e osservando un monitor, che mostrava l’inizio della formazione di un’intricatissima mappa.
«Ore?» esclama Sirius. «Non abbiamo ore!».
«Sì, le abbiamo» replica Dora, secca. «C’è un punto d’ingresso?».
«Ancora non l’ho trovato» risponde la sorella, poggiando poi le mani sul tavolo. Accanto alla mappa cominciano a essere elencati dati incomprensibili e di vario genere.
Lily si avvicinò al monitor e lo osservò, sgranando gli occhi. «Incredibile che avessimo tutta questa roba proprio sotto di noi».
«Se è per questo, abbiamo anche un Basilisco addormentato e un branco di Acromantule nella Foresta» rispondo, ricordando certi episodi passati… e futuri. «In ogni caso, i tunnel potrebbero anche essere stati scavati dalla Mason».
«No» dice subito Eve. «La costruzione del passaggio è molto più antica, quasi quanto il castello».
James alza la testa, aggrottando le sopracciglia. «“Quasi quanto il castello”, hai detto?».
«Sì, e allora?».
«E se fosse esattamente vecchio come il castello?». Io e Sirius capiamo all’istante ciò che gli viene in mente. Dopotutto noi tre… anzi, noi quattro. Porco Salazar, come ho fatto a non rendermene conto? Non è il momento di dirlo agli altri quindi faccio finta di nulla.
«Un passaggio segreto!» esclama Sirius, stupito.
«Sul serio?» chiede Lily, scettica. «Perché i Fondatori avrebbero dovuto creare un labirinto sotto la scuola?».
«E perché qualcuno dovrebbe creare una camera inaccessibile con un enorme serpente dentro?» replica Dora. A Lily non rimane che concordare.
«Be’, non importa se è il Labirinto dei Segreti o che altro» dice James. «Sappiamo che un ingresso deve esistere, e che è nella scuola».
«Quasi sicuramente nei Sotterranei» continua Dora. Faccio una leggera smorfia.
«Non è detto, con un sistema di scivoli o scale avrebbero potuto mettere il passaggio ovunque» ribatto.
«Be’, se c’è un ingresso, lo troverò» conclude Eve, staccandosi dal monitor.
«E adesso?» chiede Sirius, nervoso.
«Adesso… si aspetta» risponde la ragazza, per poi vedere l’espressione di Sirius e aggiungere: «Non possiamo fare altro, Sir. La mappa sarà completa fra delle ore, probabilmente solo domani, ma avremo ancora un bel po’ di tempo per trovare Mary ed Emmeline».
«E Regulus» aggiunge lui. Eve annuisce, ma non sembra troppo convinta.
«Forse dovremo… non lo so, studiare un piano di battaglia o cose del genere» propone Lily, sicuramente per dare qualcosa da fare a Sirius. «Per quando dovremo affrontare la Chimera e il tipo in nero».
«Phobos» borbotta James.
«Non è un dio» replica Lily, secca. Oddio, ci risiamo. Da quando è successo il fattaccio (ma chi lo dice più?) la tensione fra i due si taglia con un coltello, e le discussioni sono sempre alquanto imbarazzanti.
«Va bene per il piano, però direi di prenderci un paio d’ore di riposo, d’accordo?» chiede Eve, sicuramente per far finire lì la lite.
«O~okay…» fa James. Tutti noi concordiamo. Dopotutto, è da più di mezza giornata che corriamo per sette piani di un castello con scale con mente propria e la cosa è sfiancante.

James non era per niente sicuro di ciò che stava per fare. Ma sentiva di dover sapere. Era per questo che, quando tutti stavano tornando in Sala Comune (Eve e Dora andavano in quella dei Grifondoro), lui aveva bloccato Remus con una scusa ed erano andati a parlare in privato. La pulce nell’orecchio gli era stata messa da tempo e ora stava per andare ad affrontare una missione suicida e voleva avere chiara la situazione. Di chi poteva veramente fidarsi?
«Devo chiederti una cosa» cominciò il moro, passandosi nervosamente una mano fra i capelli. Remus aggrottò le sopracciglia, confuso.
«Spara».
«Chi è “Teddy”?» aveva deciso di essere diretto, senza troppi giri di parole. Vide immediatamente l’amico sbiancare.
«Come sai quel nome?» chiese. Sembrava star male.
«Non importa. Dimmi chi è». Era velocemente passato dalle domande agli ordini e se ne rendeva conto. La cosa non gli piaceva. Sentiva di essere cambiato… e in peggio. «Per favore, Remus, dimmi chi è».
Il ragazzo prese un profondo respiro. «Mio figlio» disse. «Mio e di Dora».
James dovette ammettere che non se l’aspettava affatto.
«T-tu hai un figlio?» chiese, rincuorato e anche piuttosto sbalordito. «Perché non ce l’hai detto».
«Abbiamo lasciato un figlio a crescere orfano in un’altra dimensione. Credimi: io e Dora cerchiamo di pensarci il meno possibile» rispose, con la mascella serrata. Ora a James dispiaceva veramente aver iniziato la conversazione. «Ora dimmi come hai saputo di Ted».
«Ho incontrato Harry» ammise James.
«Eh?».

Nessuno dei due sapeva che, proprio dietro l’angolo, una figura ascoltava la conversazione, le mani serrate sulla bocca per non far uscire alcun suono. Una figura circondata da capelli rossi.

«Wow» fece Remus, una volta finito il racconto.
«Già…» commentò James.
«Fico» disse Sirius, che evidentemente aveva ascoltato tutta la conversazione, apparendo come dal nulla. I due ragazzi si girarono verso di lui. «Perché non l’hai detto prima?».
«E tu come mai sei qui?» esclamò James, stupefatto.
«Sono offeso, sai» disse Sirius, ignorandolo. «Nei hai parlato prima al lupastro che a me! Tuo fratello!».
«Volevo dirtelo, ma…».
«Niente ma! Chiedo l’annullamento!».
«L’annullamento di cosa?».
«Della nostra fratellanza».
«Non è qualcosa che puoi annullare!».
«Scommettiamo?».
Remus scoppiò a ridere. I due lo guardarono.
«Visto, hai rotto Lunastorta!» protestò Sirius, in un tono fintamente bambinesco.
«Io? Tu l’hai rotto, Felpato!» replicò James.
«Scusatemi ragazzi» fece Remus, asciugandosi le lacrime e continuando a ridacchiare. «È solo che mi mancavano queste cose».
James e Sirius sorrisero.
«I Malandrini colpiscono ancora!» esclamarono in coro. Il sorriso di Remus si gelò.
«Che succede Rem?» chiese James, subito preoccupato.
«C’è che siamo ancora sotto l’incantesimo» rispose il ragazzo, ricordando ciò a cui aveva pensato poco prima. Sirius sbuffò.
«Nah, non è vero!».
«Sir… i Malandrini sono quattro».
«… Io quella pantegana l’ammazzo!».

*****

Erano ore che Emmeline era imprigionata in quella che sembrava essere un’enorme magione. Non sapeva di preciso come, ma era riuscita a liberarsi dal ghiaccio ed era scappata in fretta, senza badare al rumore e perdendo anche due delle tre luci del candelabro che stringeva a sé. Si era quindi ritrovata in una vecchia stanza da letto a riprendere fiato.
Si guardò intorno, ansimando. Lo stile sembrava come quello che aveva trovato un po’ ovunque (ovvero vecchio-e-logoro) ma quella stanza sembrava essere stata colpita da un terremoto. I mobili erano riversi a terra e frammenti di specchi erano su tutto il pavimento. Il letto, dal baldacchino distrutto e impolverato, era stato sventrato e le piume d’oca erano sparse un po’ ovunque. La testiera, di legno scuro e finemente intarsiata, era ora completamente deformata. Solo l’armadio era ancora in piedi, forse troppo grande da poter cadere. Forse.
Quando riprese fiato, Emmeline si voltò per uscire dalla stanza. La maniglia girò a vuoto. Continuò a provare e riprovare ma la porta sembrava non volersi smuovere, senza pensare che, in realtà, lei non aveva mai chiuso quella porta.
Avvertì il suo sguardo sulla nuca. Strabuzzò gli occhi e provò nuovamente ad aprire la porta, questa volta con più violenza, provando anche ad abbatterla. Maledisse il fatto di non avere la bacchetta e chiuse gli occhi, capendo ciò che, inevitabilmente, avrebbe dovuto fare.
Si girò di scatto, puntando la luce verso il centro della stanza. Nel bel mezzo del caos, un manichino era in piedi, di quelli che fungono da modelli anatomici per gli artisti. Era evidentemente rivolto verso di lei, benché non avesse un volto. Gli avevano sempre fatto un po’ impressione, quei cosi, ma le poche volte in cui li aveva visti erano sempre di piccole dimensioni: questo era alto come un uomo adulto.
La ragazza spostò un attimo lo sguardo e vide che le ante dell’armadio erano ora aperte. Riportò lo sguardo sul manichino e lo vide nel tentativo di fare un passo avanti.
«Merda» mormorò. Riprovò ad aprire la porta, dando così le spalle al manichino.
Percepì il fiato sul collo e il sussurro di un essere senza bocca.
«Temi tu la morte?».*
"Dalla padella nella brace" aveva assunto un significato tutto nuovo per lei.


Ore 17:00 circa – 40 ore rimanenti

Camminava a passi lenti nel corridoio oscuro. Come plasmato dalle ombre stesse, l’uomo in nero si muoveva agilmente nell’intricato dedalo di corridoi. La struttura era scavata nel terreno, ma le pareti erano state rivestite da marmo nero e illuminate, raramente, da fiaccole che bruciavano in fiamme cerulee. Trovare la camera centrale fu semplice per lui. Il suo “servo”, mandatogli poco prima da Loki, lo accolse con gioia. Per gli dei, come lo disgustava quell’essere. Ermes aveva ottenuto un contenitore davvero ripugnante.
Concentrò il suo sguardo sulle due ragazze. La bionda era immobile, probabilmente in un momento di incoscienza. L’altra si dibatteva debolmente, vittima in quello stesso istante del suo potere venefico. La sua Paura era come una tossina, entrava nel corpo della vittima e colpiva dall’interno, scatenando la sua attività cerebrale. Non esisteva qualcuno che non provasse paura.
Nightmare era definitivo. Impossibile risvegliarsi, l’incubo continuava a flagellare la vittima, trasportandola in un infinito tunnel di terrore.
«Sorvegliale bene» sussurrò a Ermes. Quello annuì più volte, riverente. Phobos fece un'altra smorfia disgustata e tornò nei corridoi.
Mentre camminava, vide davanti a se una piccola macchiolina argentea che galleggiava nell’aria e si spostava velocemente. Phobos fu tentato di afferrarla e farla a pezzi ma si trattenne.
«Sì… vieni da me, lupetto» mormorò, lasciando la strada libera per la sonda. «Ci divertiremo, domani notte».

*****

Mary si risvegliò con la testa che le pulsava dolorosamente. Sentiva ancora il dolore dei graffi che le coprivano buona parte del corpo, ma ormai sembrava che il peggio fosse passato. La fame e la sete, invece, erano molto acute. Si mise a sedere, cercando di fare mente locale e guardandosi intorno. Era al centro di quelle che sembrava il cortile di un castello ormai in rovina; una volta doveva essere alto e imponente, ma ora era smembrato, con le torri spaccate a metà e muri crollati.
Mary non capiva. Era sicura che, quando era svenuta, si trovasse in una foresta. Ricordava con precisione il sentiero che l’aveva portata lì dalla scogliera. La scogliera da cui era arrivata dalla caverna. La caverna in cui…
La mente sembrò esploderle: la cosa non aveva senso. Com’era possibile?
Era stata rapita e rinchiusa in una caverna, aveva sentito le urla di Emmeline che veniva torturata, era scappata dopo che tutto era crollato… Eppure, il sentiero che l’aveva portata fuori era uno solo, senza bivi o diramazioni. E la luce del sole che filtrava nella grotta era completamente diversa da quella che c’era sulla scogliera. Infine quell’improvviso passaggio di ambiente…
Si alzò in piedi, osservando le macerie che la circondavano. Il suo sguardo s’incontrò poi con il riflesso della luce del sole su un lago. Osservò la figura delle colline che si stagliavano all’orizzonte, circondando il grande lago immobile e luminoso.
Fu quando un enorme tentacolo ruppe per un secondo la superficie dell’acqua che capì dove si trovava. All’improvviso riconobbe il cortile in cui si era risvegliata. Si voltò da un lato, aspettandosi di vedere un lungo ponte in pietra che avrebbe dovuto connetterla a un’altra sezione del castello, ma di questo vide solo gli estremi spezzati.
Si trovava appena fuori il Settimo Piano, pensò, poco lontana dall’aula di Rune Antiche, in un punto che avrebbe dovuto portarla nella Torre di Astronomia. Quello era un punto di accesso molto più rapido rispetto a quello che passava dall’interno, ma anche più pericoloso. Molte volte non era possibile passare a causa del forte vento.
Mary si avvicinò al bordo del ponte e guardò in passo. Doveva essere ad almeno una quarantina di metri da terra e, sotto di lei, c’erano solo rocce appuntite e taglienti.
«Hai per caso deciso di farla finita?» chiese una voce dietro di lei. Mary si voltò di scatto. «Perché se vuoi ti do una mano!».
Seduta sulle macerie del Settimo Piano, alcuni metri più in alto di lei, una ragazza dai capelli biondi la osservava con un sorrisetto divertito, che indossava una giacca di pelle rossa, jeans neri e stivali dello stesso colore. Mary sussultò e sperò intensamente di avere una sorella gemella, perché le alternative che le venivano in mente non le piacevano affatto.
«Chi sei?» chiese quindi, anche se non era sicura di volere una risposta. La ragazza sbuffò.
«Sono te, ovviamente» rispose. «Non che ci volesse un genio per capirlo».
Mary annuì, benché non avesse capito proprio nulla. «E dove siamo? Perché Hogwarts non può essere stata distrutta in un solo giorno».
«Sai che scoperta!» sbottò Mary… Due? «Pensavo ci fossi già arrivata». Mary inarcò un sopracciglio in una muta domanda e Mary Due inclinò la testa indietro e lanciò un gemito di disperazione. «Non posso credere che tu… che io sia così idiota!».
Mary Due scivolò dal bordo delle macerie e cadde in piedi con un’eleganza che Mary non aveva mai visto in se stessa.
«Una volta eri una figa!» esclamò… l’Altra Sé? La ragazza allargò le braccia, come per farsi osservare. «Guarda come ti vestivi, come ti muovevi! E adesso? Sei una decerebrata che non riesce a fare nulla senza Siriu-ccino accanto!».
Le sue parole colpirono Mary – quella vera – come coltelli. Era vero: da quando si era messa con Sirius, aveva cominciato a fare sempre più affidamento su di lui e, ora che si trovava sola, non sapeva più che pesci prendere. La testa cominciò a sembrarle pesante e i ricordi le si accavallavano nella mente, ricordi sia precedenti che successivi al suo fidanzamento con Sirius, come a dire “ecco, guarda come ti sei ridotta!”.
«Sin da quando sei arrivata qui sei andata nel pallone» continuò Mary Due, camminando attorno a quella originale. «Nella caverna hai cominciato addirittura a urlare per la disperazione, sulla scogliera avevi la testa vuota e non riuscivi quasi a muoverti. E arrivata al castello non hai fatto altro che girare intorno alla soluzione più ovvia».
«Qui» mormorò Mary.
«Come, scusa?» chiese l’altra, mostrandosi quasi offesa per l’interruzione. Mary la guardò con aria decisa.
«Tu hai detto “qui” ma parlavi della caverna, della scogliera e di Hogwarts» disse. «Perché è lo stesso posto! Io non mi sono mai mossa, è stato il mondo a cambiarmi intorno! Cos’è, una specie di viaggio mentale?».
Mary Due fece una smorfia di disappunto e le si avvicino.
«Alla fine, non sei stupida come sembri» disse. E la spinse indietro, giù dal ponte crollato. Mary riuscì per pura fortuna a rimanere aggrappata con una mano a un pezzo di roccia sporgente. Guardò verso l’alto e vide l’Altra Sé che si avvicinava e le poggiava un piede con delicatezza sulla mano. «Decidi in fretta, dolcezza: Sirius o la libertà?».
Mary Due le pestò con forza la mano e Mary mollò la presa e cadde nel baratro.

Ore 1:00 circa – 31 ore rimanenti
Intorno a lei, tutto era buio tranne che per una piccola torcia attaccata a un muro scrostato e ammuffito, con le assi di legno che sporgevano verso l’interno, rotte e appuntite. Mary si alzò a sedere con la testa che pulsava sonoramente. Sentì un gemito e si voltò: accanto a lei, Emmeline sembrava sprofondata in un sonno profondo e agitato. Prima che potesse fare qualcosa, Mary avvertì un movimento nell’ombra e si voltò nuovamente, alla ricerca della fonte. Nella penombra, gli sembrò vedere un paio di occhietti acquosi.
«Peter?» chiese, in un misto di sospetto e speranza. Il ragazzo s’immobilizzò, forse impaurito o sorpreso. Dopo qualche istante, Mary lo vide muoversi, come se cercasse qualcosa. Peter puntò poi la bacchetta verso di lei. «Cosa…?».
«Crucio» sibilò il ragazzo. Mary urlò, il corpo inarcato e scosso da ondate di un dolore che non aveva mai provato prima. Era mille volte peggio delle braccia rotte dai Bolidi a Quidditch, mille volte peggio di quando, al Primo Anno, era quasi affogata nel lago di Hogwarts. Non l’aveva mai provato e mai l’avrebbe più voluto provare. Fortunatamente perse i sensi dopo poco tempo.


*Dai, avanti, questa dovete riconoscerla!



Sala Comune di Tassoverde

Ho deciso di dividere queste note d'autore in tre parti: la prima parlerà del capitolo, la seconda di spiegazioni e roba che forse non vi piacerà. Siate pronti a tutto (ma non al peggio). Alla fine i ringraziamenti (più che dovuti).

I parte: il nuovo (e orrendo) capitolo.
Allora, cominciamo a parlare del capitolo. In sé è una merda. Sì, state tranquilli, potete dirlo. Per chi di voi non avesse capito il perché eccovene la spiegazione.
Come sapete, il capitolo ha impiegato mesi ad arrivare, la fanfic ha addirittura compiuto un anno nel frattempo.
Perchè ho tardato? Ve lo spiego dopo.
Perché fa cagare? Ve lo spiego subito.
Il capitolo è il frutto di mille giornate di lavoro sparse in circa sei mesi (Mado'...). Il risultato è stata una sorta di coperta patchwork con le cuciture tutte sfilacciate. Insomma: un'accozzaglia di roba semi-sconnessa che i più potrebbero trovare anche fastidiosa da leggere (forse anche per questi salti temporali, ma quella è una schifezza voluta). Ci sono cose che probabilmente ho dimenticato degli altri capitoli e che quindi ho inserito nuovamente per errore, ci sono parti di questo stesso capitolo che ho dimenticato nel tempo.
Perché ho deciso di pubblicarlo? Perché ho capito che non sarei riuscito a migliorarlo più di così. Spero il prossimo capitolo venga un po' meglio, ma non ci contate troppo. Speriamo nell'effetto ispiratrice della noia scolastica.
Passando poi al capitolo in generale notate che viene data una spiegazione anche alla più grande lacuna di questa storia: la completa libertà di movimento dei personaggi in una scuola anche abbastanza severa. Inoltre, possiamo notare come Sirius cambia da decerebrato alla persona istintiva e un po' irascibile che conosciamo in meno di cinque minuti: ricordate, effetto patchwork (come minimo avrò sbagliato a scrivere questa parola ogni singola volta).
Poi abbiamo le ulime battute, che mi convincono ancora di meno ma che ho deciso di lasciare così nel rischio di peggiorare di più la storia. Come avete notato, comunque, gli incubi di Mary sono ben diversi da quelli di Emmeline. Una spiegazione c'è e verrà data in seguito.
L'unica cosa che credo mi sia riuscita decentemente sia il ritorno della Remus/Dora nella quasi assenza di James/Lily. Almeno qualcosa di buono...
La storia dei daimon, ovviamente, non ve la spiego.

II parte: spiegazioni e decisioni un po' drastiche (ma non troppo).
Quindi passiamo alla domanda lasciata in sospeso: il motivo del ritardo.
Semplicemente, da un po' di tempo (i sei mesi di cui parlavo) ho trovato quasi difficile tornare su questa fanfiction. Scriverla mi è sembrato molto complicato e anche faticoso. Tutto ciò che ho scritto in ogni singolo capitolo mi sembra la più grande stronzata che sia mai stata fatta.
Per questo sento il bisogno di allontanarmi temporaneamente da questa fanfic.
Quindi lo dichiaro: questa fanfiction è in pausa e in revisione.
Ciò non vuol dire che l'abbandonerò, sia chiaro, ma preferisco a dedicarmi ad altro, nel frattempo. Magari, lavorando su altri argomenti poi riuscirò a scrivere meglio questa fanfiction. Inoltre ho deciso di revisionarla per curare tutti i numerosi errori presenti (come questa luna piena che non si sa bene quando deve arrivare).
I prossimi due capitoli usciranno non so quando. In contemporanea a un'altra storia (di cui vi parlo fra poco) che sto scrivendo cercherò quindi anche di curare The Storytellers, cercando di rendere un po' migliore la qualità di questa storia.
Mentre The Storytellers è in pausa (ogni tanto potrebbe uscire qualche capitolo selvatico, ma non contateci troppo), pubblicherò un'altra fanfiction: Lily's Adventures in Wonderland, un parto della mia mente malata a cui cercherò di dare toni più misteriosi e, in parte, anche sovrannaturali (anche se, effettivamente, anche The Storytellers sta diventando un po' sovrannaturale e misteriosa).
Be', spero che capiate questa decisione e, se vi va, fate poi anche un salto su LAW (abbreviata) quando uscirà (il prologo verrà pubblicato la settimana prossima per darvi un'idea di come sarà).

III parte: ringraziamenti.
Che dire... vi devo tutto. A voi devo veramente tutto. A voi che, con i vostri commenti, m'incoraggiate (o, forse, incoraggiavate) ad andare avanti in una storia che, apparentemente, non ha né capo né coda. A voi, che vedo i vostri numeri rimanere stabili anche mentre non pubblico assolutamente nulla, senza abbandonarmi. Grazie, davvero, grazie.
Più di tutti devo ringraziare Ma_AiLing, che ha fin troppa pazienza con me. A tal proposito: se vi va, passate a dare un'occhiata alla sua storia Tra parolacce e incantesimi, una commedia molto carina ai tempi dei Malandrini, in cui si racconta la creazione dell'Incantesimo Waddiwasi, presentato dal sior Lupin agli inizi del Terzo Libro. è davvero simpatica e vale la pena leggerla (e dovrei anche recensire gli ultimi due capitoli... Prometto che lo faccio, Ail, lo prometto davanti a tutti i miei lettori! Lo giuro!)
Queste note sono durate fin troppo e direi di darci un taglio.
Grazie ancora a tutti quanti per il vostro sostegno veramente impagabile. Mi piacerebbe che lasciaste una recensioncina, anche breve, per dirmi cosa ne pensate di questa pausa o dell'ultimo capitolo.
Non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza.
Un abbraccio affettuoso,
hufflerin

EDIT: Se vi interessa, questo è il link della nuova fanfiction, Lily's Adventures in Wonderland

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Capitolo 13
*** Chapter XI - Who (parte 1) ***


Who (parte 1)
Poiché mi è stato richiesto, pubblico qui, prima dell’inizio del capitolo, un piccolo schemino dei villain (chiamarli così fa più figo) e del loro daimon corrispondente. Ovviamente, inserisco solo quelli conosciuti!
La tabella segue questo schema: “nome vero – nome daimon”.
??? – Apophis
Mason – ???
Bellatrix – Ate
Dolohov – Phobos
Minus – Ermes
Piton – Loki
James – John/Mot

Vorrei fare, inoltre, una piccola premessa: questo capitolo, da un certo punto, può essere letto in due modi. Potete semplicemente leggere i “pezzetti” come sono stati inseriti o, altrimenti, leggere prima solo una “categoria” di “pezzetti” e poi le altre due. Capirete meglio leggendo.





«So we have… how many survival probability?»
«I don’t know. And I hate not knowing»

«Why don’t you trust me?»
«You know, J, I don’t see how I can trust you when I don’t understand who you are!»

«What do you want, Loki?»
«In exchange for your salvation, I want you to kill a person for me»


11. Who (part 1)

«Dio mio, che puzza!» esclamò Sirius, coprendosi il naso con la manica della divisa. Il tanfo che arrivava dal dedalo era veramente nauseante: l’odore di aria stantia era misto a ciò che sembrava resina bruciata e, era orribile anche solo pensarlo, sangue. Sicuramente c’erano luoghi molto più accoglienti di quello.
«Potrebbe essere peggio» constatò James, una smorfia di disgusto dipinta sul volto.
«E come?» chiese l’altro.
«Potresti essere in forma di cane». Sirius annuì, con la stessa smorfia dell’amico, concorde. Con l’olfatto amplificato della sua trasformazione da Animagus, un odore come quello sarebbe potuto essere letale.
«Siamo sicuri che sia qui?» chiese Lily, sbirciando nell’oscurità. In lontananza, nel corridoio in fondo alle scale di pietra, s’intravedeva un bagliore verde-azzurro.
«Purtroppo» fece Dora.
«E cercare un altro modo è fuori discussione» continuò Remus. Nessuno aveva voglia di infilarsi in quel tunnel maleodorante.
«Ovviamente» ribatté Sirius, un po’ alterato. Mancava, a suo parere, troppo poco tempo allo scadere delle quarantott’ore.
«Allora…» mormorò Remus, sospirando. «Geronimo».
Mentre scendeva le scale per primo, gli altri si scambiarono occhiate sconcertate e scrollate di spalle. Non erano sicuri di voler capire.
Gli scalini erano stretti, alti e deformati dal tempo e dal calpestio. Era evidente che il luogo fosse stato piuttosto frequentato, prima di essere sigillato. Da chi, tuttavia, era forse impossibile da sapere, ma quasi sicuramente non era gente molto cordiale, considerato che si trovavano in un minaccioso dedalo il cui ingresso era situato nel corridoio più remoto dei Sotterranei. E anche il fatto che per aprire l’ingresso servisse una goccia di sangue non prometteva affatto bene.
«Siete dentro?» la voce di Evelyn arrivò dalla tasca della divisa di Dora, che estrasse uno specchio in cui si rifletteva l’immagine della sorella.
«Siamo alla fine delle sca-leee!» esclamò la ragazza, scivolando sull’ultimo gradino e quasi cadendo a terra. Remus la sorresse con aria paziente. Evelyn sbuffò mentre gli altri raggiungevano i due.
Il corridoio era abbastanza grande da far entrare quattro di loro in fila e il soffitto era alto almeno cinque metri. Sembrava un po’ troppo ampio per essere un claustrofobico labirinto.
«Da qui in avanti dovete fare attenzione» disse Evelyn.
«Non l’avrei mai detto» borbottò Sirius a bassa voce.
«Ti ho sentito».
«Scusa».
Eve si schiarì la voce. «Ricordate che non posso vedere quello che vedete voi, quindi, se serve, dovrete descrivermi le cose a voce o puntarci contro lo specchio, intesi?».
James si sporse, entrando nella visuale della ragazza.
«Evelyn, questo specchio è mio. È da anni che lo usiamo per fregare Lily e i professori – scusa, principessa – quindi fidati se ti diciamo che sappiamo come funziona» disse. Evelyn gli lanciò un’occhiataccia.
«Avete dodici ore. Usatele bene» disse la ragazza, per poi sparire la visuale, quasi sicuramente per armeggiare con i vari meccanismi del Laboratorio. Dora sistemò lo specchio in tasca e, insieme agli altri, guardò nell’oscurità del labirinto. A distanza regolare l’una dall’altra, fiaccole erano appese alle pareti con ganci metallici e bruciavano di un fuoco azzurro e innaturale. L’odore di resina proveniva indubbiamente da lì.
«Andiamo» disse, accendendo la punta della bacchetta e andando per prima. Come stabilito, si sistemarono in fila indiana: lei, Sirius, Lily, James e Remus. Lily era al centro perché era stata riconosciuta come combattivamente più scarsa del gruppo, cosa che non le aveva fatto piacere ma che era stata costretta ad ammettere.
Con i passi che rimbombavano nel silenzio assoluto, il gruppo si accorse ben presto che le cose non sarebbero andate come previsto.
«Eve, sei sicura che questo sia un labirinto?» chiese Sirius, aggrottando le sopracciglia.
«Se non fosse un labirinto, non avrei perso tempo con le sonde e vi avrei mandato qui ieri, non credi?» replicò lei, dalla tasca della sorella.
Sirius grugnì, infastidito. «Ehi, calmati! Volevo solo dire che questo posto sembra un po’ troppo… rettilineo, tutto qua».
«Sirius ha ragione» disse Lily, aggrottando le sopracciglia. «Il corridoio sembra infinito».
«E se Sirius e Lily sono d’accordo…» disse Remus, dal fondo del gruppo. Dallo specchio si sentì un po’ di confusione.
«Strano… sulla mappa avreste dovuto svoltare a destra dopo poco tempo» borbottò la ragazza.
«Qualcosa mi dice che il piano sta per andare a farsi benedire» disse Dora, con tono leggermente lamentoso.
«Perché?» fece la sorella, attraverso lo specchio.
«Perché siamo in trappola» rispose Remus, guardandosi intorno, così come tutti gli altri. Dal pavimento aveva cominciato ad alzarsi una fitta nebbia lattiginosa che già gli arrivava alle caviglie.
«Che si fa?» chiese Lily, estraendo la bacchetta.
«Potremmo correre» propose James, incerto.
«Oppure potreste dire all’analista cosa diamine sta succedendo, no?» sbottò Evelyn, irritata. Dora estrasse lo specchio dalla tasca e lo puntò verso il terreno. Eve imprecò sonoramente.
«Mi pare di aver capito che siamo fottuti» concluse James, con un finto sorrisetto.
«Non è detto» fece Evelyn, spostandosi nuovamente dall’inquadratura.
«Sul serio?» chiese Sirius. «Dalle tue gentili parole… («Falla finita: sei dieci volte peggio di lei») chiudi il becco, lupo del cavolo. Comunque sembrava che fossimo già morti».
«Non so se la nebbia sia mortale o no» replicò Eve. «Mi vengono in mente almeno un centinaio di ipotesi, e nessuna che prometta bene»
«Quindi abbiamo… quante probabilità di sopravvivenza?» chiese Remus.
«Non lo so» disse Eve a denti stretti. «E odio non sapere».
«Ragazzi?» chiamò Lily che, mentre gli altri parlavano era andata un po’ più avanti nel corridoio. Davanti a loro, si era formata una parete. Al centro svettava una maestosa porta di legno scuro, finemente lavorata e con smeraldi incastonati a formare simboli apparentemente astratti.
Gli altri osservarono la porta in silenzio, mentre la nebbia saliva sempre di più. Dora diresse lo specchio verso la porta, ma Eve sembrava non aver nulla da dire.
La Caposcuola si avvicinò piano e provò a toccare la porta. Qualcosa scattò in James nell’istante in cui le dita di lei sfioravano il legno. Il ragazzo si diresse velocemente verso Lily e la tirò via dalla porta mentre questa si apriva di scatto. Da oltre la soglia, nubi nere mosse da un vento impetuoso si riversarono nel passaggio, investendo i ragazzi e scacciando la nebbia bianca che ora arrivava a circa metà coscia di Sirius, il più alto.
Presto le nubi nere si avvolsero attorno agli studenti. Lily, la più vicina, venne velocemente inghiottita dalle tenebre insieme a James, che la teneva stretta a sé nel tentativo di ripararla dal vento. Allo stesso modo, Dora e Sirius vennero afferrati insieme, poiché la Tassorosso era caduta sul cugino per la violenza dello spostamento d’aria. Remus, invece, venne ingoiato nella completa solitudine.
Per qualche istante, i ragazzi furono privati di ogni senso. Vista, udito e olfatto non esistevano più. Per quattro di loro, tuttavia, il tatto gli portava ancora una sorta di sicurezza. Uno, invece, dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non cadere nella disperazione. Poi, alla fine, le nubi si diradarono.

*****

La magione
«Dove siamo?» chiese Dora, guardandosi attorno, ancora intontita.
«Ehm… cugina cara, faresti vedere anche a me?» borbottò Sirius. La ragazza capì di trovarsi sopra al suo stomaco solo in quel momento. Si alzò in fretta e porse una mano al Grifondoro, aiutandolo ad alzarsi.
Il luogo in cui si trovavano era fin troppo buio e i due furono costretti a illuminare le bacchette, cosa che avrebbero voluto evitare.
«Sembra… una casa?» mormorò Dora, per paura di rompere l’opprimente silenzio di quel luogo.
«Una magione, direi» replicò Sirius, mantenendo lo stesso timbro di voce.
«Ovvero?» chiese la Tassorosso, incuriosita.
«Non ne ho idea. Ma questa ha l’aria di essere una magione» rispose l’altro, con una sicurezza disarmante.
Lei si limitò a un “Ah” incerto, prima di estrarre lo specchio dalla tasca.
«Eve» chiamò, in un sussurro. Il volto allarmato della sorella apparve nello specchio.
«Che sta succedendo?» esclamò, a voce alta. «Un attimo prima ci siete, poi le interferenze e…».
I due ragazzi si sbrigarono a zittirla. Eve li guardò, un po’ offesa.
«Siamo in… una magione (Sirius annuì, soddisfatto). Non sappiamo di preciso dove né… quando, e gli altri potrebbero essere qui in giro o da un’altra parte, ma c’è un gran silenzio, quindi meglio evitare di fare troppo rumore» spiegò Dora. Eve annuì, concorde.
«Cercherò di aiutarvi, ma non posso fare più di tanto se non so dove siete» disse lei. Dora annuì e ripose lo specchio in tasca.
«“Quando”?» le chiese Sirius, confuso. Dora scrollò le spalle.
«Non si sa mai» spiegò. «Che dici, ci facciamo un giro nella “magione”?».
Sirius sbuffò ma annuì. «Speriamo solo di non pentircene».
Una piccola esplosione risuonò nell’aria immobile.

Il labirinto
Quando James aprì gli occhi (non si era neanche reso conto di averli chiusi) si separò in fretta da Lily, con espressione fredda e un piccolo ghigno. Lei lo guardò, un po’ ferita, ma poi, evidentemente, decise di lasciar correre.
Si trovavano esattamente nello stesso corridoio di prima, ma la parete con la porta era sparita e, al suo posto, c’era un passaggio che curvava a destra. Dietro di loro, invece, un solido muro di roccia nera mandava un messaggio ben chiaro: “Non si torna indietro”.
«Dove sono gli altri?» chiese Lily, facendo qualche passo verso il passaggio chiuso.
«Forse in giro, forse altrove» rispose lui, incerto. “Altrove”? La Caposcuola aggrottò le sopracciglia ma non disse nulla.
«Be’, direi che ci siamo, no?» fece James, tentando un sorrisetto. Lily lo guardò, ancora un po’ intontita.
«Che vuoi dire?» chiese.
«Nel labirinto» concluse lui, indicando la svolta. Lily fece una smorfia e annuì. La cosa non le piaceva affatto. Non le piacevano i luoghi stretti e non le piaceva stare con James, in quel momento.
Rimasero per qualche secondo in silenzio, raccogliendo fiato e idee e preparandosi all’impresa.
«Come facevi a saperlo?» chiese Lily, guardando il ragazzo negli occhi. Lui inarcò un sopracciglio, confuso. «Che la porta si sarebbe aperta e sarebbe successo… questo».
«Non lo sapevo» rispose lui, tranquillamente. «Ho solo seguito l’istinto».
Lily gli lanciò uno sguardo esasperato, ma lui si limitò a scrollare le spalle e a incamminarsi lungo il corridoio. Sbirciò oltre l’angolo e tornò indietro di un paio di passi.
«Credo sia meglio sbrigarci: ho la sensazione che ci vorrà un bel po’ di tempo» disse. Lily annuì, ancora un po’ confusa ma con il vago sentore che qualcosa non andasse.

La foresta
Cosa diamine…, pensò Remus, guardandosi attorno.
Grandi e robusti alberi crescevano in ogni direzione, con le radici che uscivano dal terreno, intrecciandosi fra loro e creando scalini naturali. Il terreno era ricoperto da muschio e foglie secche e, di tanto in tanto, qualche piccolo insetto passava accanto ai suoi piedi, per nulla infastidito.
Un’illusione?, si chiese, tenendo a mente le particolari abilità del loro avversario. Tuttavia, non aveva idea dei reali poteri di coloro che stavano affrontando e non sapeva se Dolohov avrebbe potuto fisicamente trasportarlo in un altro luogo in un istante.
Nell’oscurità della foresta, Remus estrasse la bacchetta e, con un gesto secco, ne accese l’estremità. Si avvicinò a un albero e provò a toccarlo: almeno al tatto, quello sembrava proprio vero.
Tuttavia, non poteva affidarsi troppo ai sensi. Oltre all’illusione, c’era anche la possibilità del sogno e, in quel caso, avrebbe dovuto trovare il modo di svegliarsi al più presto.
Una piccola vocina nella sua testa, però, gli ricordò che quelli di Phobos non erano semplicemente “sogni”, bensì “incubi”. Innervosito da questo pensiero, Remus osservò la boscaglia, cercando eventuali pericoli. Poi posò la bacchetta sul palmo della mano.
«Guidami» sussurrò, e la bacchetta cominciò a girare vorticosamente fino a puntare verso il Grifondoro. Remus guardò davanti a sé. Sapeva che il labirinto si estendeva verso sud, quindi “dritto” doveva essere la soluzione giusta.
Chiedendosi dove potessero essere gli altri e sperando di poter rivedere presto Dora, Remus s’’incamminò quasi alla cieca, girando attorno ad alberi e scavalcando radici nodose e arbusti dalle spine acuminate, ignaro che, nell’ombra, una presenza in mantello nero lo osservava con interesse.

La magione
Dora e Sirius impiegarono qualche minuto per trovare la stanza da cui era arrivato il suono. Fortunatamente, i latenti sensi canini del giovane Black li aiutarono, spingendoli a dirigersi verso l’ala ovest del piano terra della magione.
Avevano prima attraversato una grande sala da pranzo, poi si erano trovati in un lungo corridoio. Facendosi luce con le bacchette, avevano guardato in tutte le stanze che avevano incontrato, senza trovare niente di utile, solo altissime dosi di polvere, muffa, ragnatele e inquietudine.
Il posto non era sicuramente accogliente e più di una volta i due erano sobbalzati per rumori provocati dall’altro. Sirius all’inizio ci aveva preso gusto a spaventare la cugina, ma dopo che aveva rischiato di farsi cadere un quadro addosso aveva smesso, per grande soddisfazione di Dora. Di tanto in tanto, Eve chiedeva novità e sapere di essere ancora collegati al mondo “normale” era un gran sollievo per i due.
«Non è che ce la siamo immaginata?» borbottò Sirius a un certo punto.
«Me lo chiedo anch’io» rispose Dora, abbattuta. Dopotutto, in un posto del genere non le sembrava affatto strano immaginarsi rumori. Aprì la porta successiva, che dava su un piccolo ufficio, attese per qualche secondo ed entrò sospirando, seguita da Sirius, sorpreso.
«Che succede?» chiese il ragazzo, osservando la cugina dirigersi verso alcune mensole cadute a terra, rovesciando ciò che era sopra sul pavimento di moquette argentata (o forse era la polvere?).
«Guarda» disse, indicando gli oggetti a terra. «Qui è tutto ricoperto da almeno due pollici di polvere ma tutta questa roba è semplicemente un po’ sporca».
«Che significa?» fece nuovamente il ragazzo, un po’ irritato perché non riusciva a seguirla.
«Significa che quello che abbiamo sentito non erano altro che le mensole che cedevano per il tempo» concluse lei, tristemente. «Se c’è qualcuno nella magione, non c’entra nulla con questo».
«Be’, non è detto» tentò il Grifondoro. «Qualcuno avrebbe potuto far cadere le mensole per sbaglio, essersi spaventato per poi scappare. Qualcuno sbadato come te, insomma».
Dora non reagì alla presa in giro, limitandosi a guardare le mensole con occhi assenti, come se stesse pensando ad altro. «Forse» disse, infine. «Oppure…».
«Oppure cosa?» chiese Sirius, un po’ esasperato.
«Oppure non è stato qualcosa di umano a farlo. Qualcosa di non molto intelligente e forse un po’ ingombrante» concluse Evelyn dalla tasca. I pensieri di tutti andarono direttamente alla Chimera che Eve aveva identificato. Più tardi avrebbero capito che la porta era fin troppo piccola per far passare un essere di quelle dimensioni, ma in quel momento la minaccia sembrava più che reale.
«Meglio fare più attenzione, d’ora in poi» disse Dora, preoccupata. «A ogni singolo rumore».
«Non potrei essere più d’accordo» fece Sirius, annuendo più volte.
Dora si guardò intorno un’ultima volta.
«Meglio controllare il resto della magione» propose. Il Grifondoro annuì, serio come poche volte era stato.
Quando i due furono di nuovo nel corridoio, alla sola luce delle bacchette, Sirius mormorò: «Ci stai prendendo gusto a dire “magione”, ammettilo».
Dora non seppe se ridere o prenderlo a sberle.

Il labirinto
«Perfetto, non aspettavo altro» borbottò James, guardandosi attorno. Lily fece altrettanto, non prima di aver segnato il corridoio da cui provenivano con una croce di fiamme sul pavimento. «Delicata, come decorazione».
Lily sbuffò, senza replicare e lasciando James un po’ spiazzato: in genere la ragazza era sempre pronta a ribattere.
«Allora, quattro corridoi. Quale prendiamo?» chiese, piuttosto, osservando con sospetto ognuna delle aperture. James si passò una mano fra i capelli, riflettendo.
«Lì» disse, infine, puntando il dito sul secondo percorso da destra in quel pentagono di roccia nera. Lily inarcò un sopracciglio.
«E perché?» chiese. James sembrò parecchio confuso.
«Perché… due più due non fa tre? Sul serio, Evans, vuoi che ti dia una spiegazione logica?» fece il ragazzo, incredulo. Lily annuì, decisa. Lui sbuffò. «Ma che vuoi che ti dica, ho buttato a caso!».
«Oh» esclamò lei con noncuranza. «Quindi se, per esempio, andassi, diciamo… da quella parte, a te andrebbe bene lo stesso, no?».
«Ovvio!» ribatté James, allargando le braccia, esasperato. «Se ci fai proseguire, mi va benissimo!».
«Bene!» esclamò Lily, impettita.
«Bene!» ripeté James.
Lily s’incamminò a testa alta verso il corridoio che aveva scelto, seguita, dopo un breve urlo isterico trattenuto, da James.
Non parlarono per altri minuti e fu Lily a condurre l’“impresa”, scegliendo corridoi senza esitazione e non battendo ciglio quando questi si rivelavano vicoli ciechi. James le si trascinava dietro senza molta voglia, borbottando parole a casaccio che la ragazza non riusciva a capire ma che faceva tutto il possibile per ignorare. Arrivati all’ennesimo incrocio (e dopo che Lily ebbe tracciato un’altra X fiammeggiante), James decise di metter fine a quella pagliacciata.
«Okay, piantiamola» disse, afferrando la spalla della ragazza e spingendola a voltarsi. Gli occhi di lei erano infuocati come l’incantesimo che aveva usato. «Che sta succedendo?».
«Di cosa stai parlando?» chiese lei, innocentemente.
«Perché non ti fidi di me?» ribatté lui. «Non mi sembra sia così grave cercare di trovare un modo per uscire da qui o, perlomeno, prendere a calci nei denti Phobos».
«Sai, J, io non vedo proprio come posso fidarmi di te se non capisco nemmeno chi sei» replicò Lily.
«Ma di che stai parlando? E poi… J?» fece il Grifondoro.
«Sai com’è, nel dubbio» sibilò la ragazza. James capì a cosa si stava riferendo e sospirò, battendosi una mano sulla fronte.
«Oh, porco Salazar, non ci voglio credere» disse, incredulo e anche un po’ deluso. «Davvero pensi che sia… l’Altro? Dico, ti sembro uno psicopatico?».
«Vuoi davvero che ti risponda?» replicò Lily, fredda. James la guardò, ferito.
«Okay, allora, ti prego, dimmi cosa ti fa pensare che sia John!» esclamò lui, alzando sempre di più il tono per l’esasperazione.
«Come facevi a sapere che, toccando la porta, sarebbe successo quel casino?» chiese la ragazza, digrignando i denti per l’irritazione.
«Non lo sapevo! Avevo solo una sensazione. Se questa sia arrivata da John, non ne ho idea, ma se magari è servito per aiutarti, ben venga!» rispose James.
«Una sensazione, sul serio?».
«E, dimmi, perché tu hai toccato la porta?».
Lily si morse un labbro, imprecando mentalmente. «Mentre scendevamo qui, mi hai chiamato “principessa”. Solo John l’ha fatto».
«Non è vero! Ti ho chiamato anch’io così, qualche volta» replicò il ragazzo, sconcertato che lei si attaccasse a questi futili dettagli.
«Davvero? Quando?». Per fortuna di Lily, James non notò l’accenno di vera curiosità nella sua voce.
«Quando ti sei addormentata, la sera che abbiamo visto i Maridi cantare! E il giorno dopo, quando ti ho portato… la colazione… a letto… Porca Morgana» James sgranò gli occhi ancora prima di aver finito la frase, recependo con un po’ di ritardo ciò che aveva detto.
Lily spalancò gli occhi a sua volta e aprì e richiuse la bocca più volte.
«Lo sapevo!» disse infine, trionfante. James non poté rimanere incredulo per troppo tempo: i rumori si erano fatti fin troppo vicini.

La foresta
Remus cominciò a perdere le speranze dopo poco tempo. Guardava gli alberi e gli sembravano tutti uguali. Le radici che emergevano sembravano comporre sempre gli stessi disegni nel terreno. Le bacche che crescevano sporadiche sugli arbusti erano tutte dello stesso blu notte. Persino il terreno aveva come uniche salite quelle provocate dalla vegetazione, per il resto era tutto piatto.
Nulla indicava che stesse in qualche modo procedendo. Era tutto talmente omogeneo che il Grifondoro era costretto a usare l’Incanto Quattro-Punti ogni venti metri circa, dopo aver constatato di aver sbagliato direzione dopo circa due minuti dal primo controllo.
Il ragazzo aveva il fiato corto e ansimava, aprendo qualche bottone della propria camicia bianca, ora zuppa di sudore; aveva gettato il mantello nero a terra pochi minuti prima. A prima vista non gli era parso che fosse così, ma in quella foresta faceva veramente molto caldo e l’aria era satura d’umidità. A ogni passo gli sembrava che qualcuno lo prendesse a pugni, togliendogli tutta l’aria dal corpo. Sentiva l’impellente bisogno di ossigeno e, magari, anche di un bel calice di succo di zucca ghiacciato.
Cadde a sedere dopo qualche metro, appoggiando la schiena al tronco muschioso di un albero, per riprendere fiato. Alzò lo sguardo verso il cielo. I suoi occhi incontrarono solo le alte fronde degli alberi che s’incastravano fra loro, oscurando il sole. Il sole… A dirla tutta, gli sembrava strano che neanche un raggio di luce filtrasse tra le foglie, lasciando tutto nella completa oscurità, tanto da farlo sembrare un paesaggio notturno. E poi, se il sole non passava, com’era possibile che sentisse tutto quel caldo?
Guardò il terreno sotto i suoi piedi e provò a poggiare una mano: le foglie marce che tappezzavano il terreno erano calde al tatto. Smosse la vegetazione morta e trovò la soffice terra. Remus ritrasse la mano: era bollente. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, comprendendo. Tuttavia era sbalordito, com’era possibile che la terra fosse così calda in un luogo come quello.
«Fossi in te, non starei fermo troppo a lungo». Remus si alzò di scatto, puntando la bacchetta verso un punto lontano alla sua destra, da cui gli sembrava aver sentito arrivare la voce. Quella voce familiare… «Ha mandato il suo cagnolino a cercarti, ti conviene scappare».
«Chi sei?» chiese il ragazzo, avvicinandosi di qualche passo con circospezione. Sentì uno sbuffare ma poi, da dietro un albero, comparve una figura nera incappucciata. Piton abbassò il cappuccio, sorridendogli dietro gli occhi completamente blu, brillanti come zaffiri. Istintivamente, Remus lanciò uno Schiantesimo, che andò a infrangersi contro uno scudo invisibile che non aveva visto evocare dal Serpeverde.
«Non sei molto gentile, considerando che sto cercando di aiutarti» disse, ghignando in modo strano. Sembrava quasi… sensuale, cosa che, con il volto di Piton, riusciva malissimo.
«Ripeto la domanda: chi sei?» esclamò il ragazzo, in tono di minaccia, tenendo puntata la bacchetta verso il petto della figura.
«Il mio nome» fece un profondo inchino con tanto di svolazzi con la mano «è Loki» disse, a capo chino. Il gesto innervosì il Grifondoro: evidentemente si sentiva abbastanza sicuro da distogliere lo sguardo. Remus fece una veloce connessione mentale, riconoscendo uno dei pochi nomi di divinità che conosceva, e sicuramente non per la sua buona fama.
«E, sentiamo, perché dovrei stare a sentire qualcuno che si fa chiamare come il dio degli inganni?» chiese il ragazzo.
Loki inarcò un sopracciglio, mantenendo il ghigno disturbante. «Magari perché vuoi rimanere in vita. Non mi sembra una così brutta prospettiva, o sbaglio?».
«E tu che ci guadagni?» fece Remus, ben sapendo che, con tutte le probabilità, il presunto dio voleva fregarlo per bene.
«La coscienza pulita per aver fatto un bel gesto! Voglio mantenere positivo il mio karma, se permetti» rispose lui, mettendosi platealmente una mano sul petto e facendo un mezzo inchino. Un gesto che Remus avrebbe visto più su James o Sirius che non su Piton.
«Non me la bevo» disse il Grifondoro, avanzando di un passo. «Che cosa vuoi, Loki?».
Piton esplose in una breve risata isterica, poi, con sguardo ceruleo e ghigno crudele, gli disse con tutta la semplicità del mondo: «In cambio della vostra salvezza, voglio che tu uccida una persona per me».
«Oh, davvero?» fece Remus, imprimendo nella propria voce tutto il sarcasmo di cui era capace. «E chi sarebbe, di grazia?».
Il ghigno gli si allargò di molto. «Si chiama Ermes, ma forse ti è più noto come Peter Minus».

La magione
Avevano da poco terminato di visitare l’ala ovest e si erano da poco spostati in quella est, quando videro i primi segni che c’era qualcosa di profondamente sbagliato, in quel posto… oltre, ovviamente, alla posizione sconosciuta sul pianeta Terra, alla possibilità che ci fosse qualche creatura oscura in circolazione che bramava il loro sangue e il fatto che forse (ma solo forse, eh!) tutto quello che stavano vivendo non era altro se non un incubo generato dal cattivo di turno. Oh, insomma, intendo dire che s’imbatterono nel primo segno importante, perché, infatti, tutti gli altri erano cosucce da nulla! Quisquilie! Eh, proprio…
«Okay, questo è inquietante» disse Sirius, entrando per primo.
Dora lo seguì, incuriosita, guardandosi attorno e avendo ben cura di chiudere la porta dietro di lei per evitare brutte sorprese. La stanza sembrava essere quella di un bambino… ma del secolo scorso. Il letto a baldacchino, addossato alla parete, aveva le tende semi-trasparenti ingrigite e appesantite da strati di polvere e sembravano esser tenute su da spesse ragnatele. L’armadio, situato nell’angolo della parete opposta, aveva le ante divelte e i vestiti uscivano dall’interno come in una specie di cascata grigia. Un piccolo scrittoio era situato sotto a una finestra chiusa da pesanti assi di legno e una piccola lampada giaceva, rotta, ai piedi della sedia, insieme ad alcuni fogli che ritraevano disegni fatti da mani infantili.
Dora pensò che, a forza di rimanere nella magione, sarebbe diventata allergica alla polvere. Non sapeva neanche se una cosa del genere fosse possibile, ma non lo riteneva affatto improbabile.
La cosa che, entrambi, ritenevano disturbante era l’enorme quantità di peluche, per la maggior parte a forma di coniglio ma c’erano anche i classici orsetti e perfino un koala, e la presenza di un paio di bambole di porcellana sedute sul cuscino, tutto coperto da uno spesso strato di polvere. L’aspetto dei peluche, tuttavia, era comprensibile solo dai pezzi più grandi. Già, pezzi. Arti, teste e corpi di stoffa giacevano in modo disordinato in tutta la stanza, riversando all’infuori il loro soffice contenuto. Ad alcuni erano stati tolti anche i bottoni che avevano per occhi, altri pezzi erano così piccoli che sarebbe stato impossibile capire a quale animale appartenessero.
I due ragazzi girarono per la stanza, osservando quel macello di animali di pezza, sentendosi a disagio: le due bambole sembravano seguirli in ogni movimento e spesso Sirius e Dora si erano sorpresi ad osservarle, di sottecchi, con nervosismo. Sirius si mise a rovistare fra i vestiti, nella speranza di trovare qualcosa di utile, ma riuscì solo a sollevare un mucchio di polvere, starnutendo.
Dora si chinò e raccolse alcuni disegni, poggiandoli sul ripiano dello scrittoio. Prima di rialzarsi, il fascio di luce della bacchetta brillò contro qualcosa che era caduto sotto la scrivania. La ragazza allungò una mano e le sue dita si chiusero su quelle che riconobbe come un paio di forbici d’argento dall’impugnatura molto elaborata. Lo sguardo della ragazza fu poi attirato dai disegni. Su uno si vedeva una casa in fiamme, su un altro c’era quella che sembrava una ragazza dal sorriso tremendamente distorto e, sull’ultimo, un manichino di legno era raffigurato davanti a una porta chiusa, rivolto verso lo spettatore. Dora non ci mise poi molto a collegare le forbici ai peluche fatti a pezzi.
«Psicopatica, la bimba, eh?» disse, mostrando disegni e forbici al cugino, che aggrottò le sopracciglia con una smorfia, Li gettò sul letto, alzando una nuvoletta di polvere, e prese dal mucchio di vestiti quello che sembrava un grembiule blu con tanto di fiocco, probabilmente un’uniforme scolastica.
«Il bimbo, vorrai dire» fece, rigettando poi i vestiti nel mucchio. «Andiamocene».
Dora annuì, poggiando un’ultima volta la mano sulle assi di legno della finestra, ben sapendo che la magia non sarebbe servita a nulla: avevano già provato fin troppe volte.
Andarono entrambi a incamminarsi verso la porta quando, senza nessun preavviso, lo videro.
«Quando è entrato?» sibilò Dora, spaventata, puntando la bacchetta verso l’intruso. Il manichino senza volto sostava di fronte alla porta, come nel disegno del bambino.
«Non ne ho idea» disse Sirius fra i denti. Entrambi sobbalzarono vistosamente, poi, quando le bambole cominciarono la loro cantilena. “Tic tac, tic tac” ripetevano, come in una qualche filastrocca non molto originale.
Sirius tornò con lo sguardo sul manichino e lo vide avanzato di qualche passo, una mano di legno tesa in avanti verso di loro.
«Porca...!» imprecò il ragazzo, spaventato, indietreggiando leggermente. «Dora… guarda».
Non appena la ragazza notò lo spostamento sbiancò di colpo, tanto che anche i capelli diventarono di un biondo chiarissimo, poi, senza distogliere lo sguardo, cercò velocemente lo specchio nella tasca e lo estrasse.
«Eve… guarda» disse. La ragazza si affacciò sullo specchio e, all’inizio, rimase in silenzio.
«Se me l’avete fatto vedere, immagino che prima non ci fosse» fece la Corvonero. «E… cos’è questa musichetta? È inquietante…».
«Dora, continua a fissarlo, io vado a farle smettere» disse Sirius. La cugina annuì.
«“Fissarlo”? Perché dovresti fissarlo?» chiese Evelyn, dallo specchio.
«Be’, a quanto sembra si muove quando non lo guardiamo» spiegò la ragazza, tremando leggermente. Aveva avuto una carriera da Auror piuttosto breve, ma si era scontrata con tanti pericoli che anche molti dei veterani del campo impallidivano al confronto, ma cose del genere non le aveva mai viste.
Si sentì una piccola esplosione ma la ragazza non si voltò. La filastrocca continuò a risuonare nell’aria.
«Almeno sappiamo che non sono le gemelline malefiche» disse il ragazzo, tornando al suo posto accanto alla cugina. «Ed è stata una bella soddisfazione farle saltare in aria».
«Cosa facciamo con il manichino?».

«Quello è un Manikin». Evelyn sussultò, voltandosi di scatto. David entrò nel Laboratorio senza curarsi di nulla e si sistemò di fronte all’Archivio, poggiando le mani sulla consolle.
«Come diavolo sei entrato?» fece la ragazza, osservandolo a occhi sgranati.
«Chi c’è, Eve?» chiese Dora, allarmata.
«Ehilà!» salutò David, con un gran sorriso. «Sono Barty Crouch ma vi prego di chiamarmi David. Sono entrato nel Laboratorio perché sono un genio e penso di potervi aiutare. Tutto chiaro?».
«Per niente» disse Evelyn, secca. «Ma direi che questo non è il momento adatto, giusto?».
«Più che giusto» fece David, in un sorriso che Eve non riuscì a non ricambiare. Poi il ragazzo puntò nuovamente lo sguardo sul monitor, dove immagini e informazioni continuavano ad apparire in maniera piuttosto confusionaria.

«I Manikin sono creature oscure della peggior specie» spiegò David, mentre Dora e Sirius tenevano gli occhi incollati sull’essere. La Tassorosso non se la sentiva molto di fidarsi di una persona che, nella loro dimensione, era stato uno dei Mangiamorte più crudeli, ma sua sorella sembrava avere un legame piuttosto profondo con lui, quindi si sarebbe adattata.
«Ovvero? Di quale specie?» chiese Sirius. Dora inarcò un sopracciglio ma non commentò.
«Quella immortale».
Sirius mormorò fra i denti un rabbioso «Fantastico…».
«Sono un po’ come i Mollicci e i Dissennatori, ma molto meno famosi… penso possiate immaginare il perché» spiegò il ragazzo. «Non possono essere uccisi, ma solo scacciati per un po’».
«Sarebbe già un gran miglioramento» disse Dora.
«Non è semplice» disse David. «Sembra un semplice pezzo di legno, ma lo è solo mentre lo guardate. Appena distogliete lo sguardo, assume la sua vera forma che… be’, non è mai stata scoperta».
«Potremo farlo a pezzetti e passare oltre» disse Sirius con convinzione.
«È immune alla magia mentre è in questo stato» replicò il ragazzo. «Penso che inconsciamente l’abbiate capito, altrimenti avreste già provato ad attaccarlo».
«Senti, perché non dici come fare, così magari riusciamo a salvarci il culo?» esclamò Dora, infastidita. Sentì una leggera risatina da parte di Eve e arrossì leggermente.
«Temo dobbiate girarle attorno. Tenete gli occhi fissi su di lui e uscite dalla stanza senza smettere di guardarlo. Sicuramente non lo fermerà, ma vi darà più tempo per scappare mentre io ed Eve pensiamo a una soluzione» spiegò David, rimanendo calmo. I due annuirono, ricordandosi solo dopo che non potevano essere visti dal modo in cui lo specchio era posizionato.
«Okay» fece Dora.
I due passarono quindi attorno al Manikin, senza smettere di fissarlo e battendo le ciglia a turno.
«Sai una cosa?» disse Sirius, mentre aprivano la porta e attraversavano la soglia della stanza all’indietro.
«Dimmi».
«Avrei preferito la Chimera». Dora sbuffò, chiuse la porta con un gesto della bacchetta e cominciò a correre insieme al cugino. Un orrendo stridio provenne dalla stanza ma i ragazzi stavano già correndo verso l’ingresso e la scala principale, diretti al primo piano.

Il labirinto
I Grifondoro non ebbero il tempo di continuare a parlare né, tantomeno di chiedersi cosa stesse accadendo. James si limitò semplicemente a fare ciò che gli venne d’istinto: afferrare il braccio di Lily e trascinarla in una corsa spericolata. Prese i corridoi semplicemente a casaccio, pensando solo a potersi salvare. Temeva di ritrovarsi da un momento all’altro in un vicolo cieco ma la fortuna sembrava voler essere dalla sua parte, quel giorno. O, almeno, voleva esserlo in quel caso.
Un paio di volte James si voltò ma quando i suoi occhi incontravano quel fiume di esseri neri che si avvicinavano a gran velocità, sentiva un’enorme paura che gli stringeva il cuore, spingendolo a girarsi nuovamente e a correre più velocemente. Ogni tanto gettava occhiate nervose a Lily senza che fossero ricambiate: sembrava troppo occupata a essere terrorizzata e a scappare.
James non sapeva con certezza quando fosse successo, ma la sua mano, dal braccio della ragazza, era scivolata in quella di Lily e ora correvano tenendosi a vicenda, senza ostacolarsi ma, al contrario, dandosi supporto in quella fuga sfrenata e priva di logica.
Tutto ciò che facevano era affidato al caso e James cominciò a insospettirsi quando vide che sembrava stesse prendendo tutti i corridoi giusti. Era impossibile che andasse così, si disse, non potevano essere così fortunati. O John li stava aiutando, ma così non credeva poiché non avvertiva la sensazione che aveva avuto alla porta, oppure qualcuno voleva che corressero all’infinito. James si voltò nuovamente, ignorando il proprio istinto che gli urlava a gran voce di non farlo, e studiò gli inseguitori.
Erano una sorta di piccoli animaletti simili a insetti, con antenne e composti da testa, corpo e arti, questi ultimi terminavano in acuminati artigli. Correvano a quattro zampe e si avvicinavano in modi scomposti, salendo uno sopra all’altro in un’onda nera. Tutti insieme erano terrificanti, una sorta di sciame assassino, ma nel singolo non sembravano poi molto potenti.
E se creassero loro tutto questo?, si chiese. In caso fosse stato vero, significava che avrebbero corso all’infinito finché, sfiniti, avrebbero dovuto affrontarli, venendo sopraffatti quasi sicuramente. Se, invece, erano deboli come sembravano… In ogni caso, tanto valeva provare. Tanto voleva morire per difenderla, e non scappando come un codardo.
Lasciò di colpo la mano di Lily e si voltò verso gli esseri, a testa alta e con il muscolo del braccio in tensione. Sentì la ragazza fermarsi a pochi passi dietro di lui.
«Continua a correre!» ruggì, senza voltarsi. «Io li trattengo, tu vattene!».
Mentre il fiume di creature si avvicinava sempre di più, James chiuse gli occhi per un secondo e inspirò profondamente, preparandosi. Quando li riaprì, vede una fiamma rossa accanto a lui. Si sentì gelare il sangue nelle vene.
«Lily, che cazzo stai…?» cominciò, tremante. Lei lo fulminò con lo sguardo. «Ti ho detto di scappare, non voglio che rischi la vita solo per… una sensazione». Solo dicendolo comprese ciò che veramente era quella che aveva sentito. Non un’idea, né un’illuminazione. Una sensazione. Come quella di fronte alla porta.
«Non in quest’universo, Potter» fece lei, a denti stretti, estraendo la bacchetta. Le parole colpirono il ragazzo. Ecco cosa lei “sapeva”. James sbuffò e chinò per un istante il capo.
«Non c’è modo di farti ragionare, vero?» chiese, divertito, esibendo il ghigno da Malandrino di cui tanto andava fiero. Guardò gli esseri che, a dirla tutta, ci stavano mettendo più di quanto pensasse ad arrivare. Evidentemente, la prospettiva giocava brutti scherzi. Oppure era uno dei poteri di quei mostriciattoli, sembrare più vicini per farti correre più velocemente.
«Assolutamente no» rispose lei, ghignando a sua volta e piena d’orgoglio. Lui sbuffò nuovamente e la osservò, tornando serio per un istante.
«Allora devi sapere che…».
«Oh, non provare neanche a finire quella maledettissima frase» sbottò lei, interrompendolo. «Prima facciamo fuori quella roba, poi potrai dirmi quello che vuoi, ma dopo».
«Prima il dovere, eh?» rise il ragazzo. «Come sempre, Caposcuola Evans!».
Lei rise a sua volta e James sorrise come non faceva da molto tempo. Fletté il polso e la bacchetta gli balenò fra le dita.

La foresta
Remus aveva abbassato la bacchetta senza rendersene conto. Aveva dubitato di Minus fin dal primo istante. Da quando aveva iniziato questa sua “nuova vita”, Remus aveva sempre saputo di non potersi fidare. Colui che pretendeva di essere il quarto Malandrino non era affatto diverso in carattere rispetto all’universo da cui era arrivato e Remus aveva capito cosa doveva aspettarsi. Quando si erano accorti che il ratto era scomparso, aveva dovuto ammettere di non essere neanche troppo sorpreso. Eppure… E se Peter non avesse avuto colpe, se fosse semplicemente stato controllato, come James a Hogsmeade o Piton in quel momento?
«Cosa siete?» ringhiò Remus, osservando Loki con occhi pieni di disprezzo. «Come vi permettete di entrare nei corpi delle persone e manipolarci in questo modo?».
«Oh, santo cielo» sbuffò Loki. «Allora Mot non vi ha detto nulla su di noi… Ammetto che non me lo aspettavo».
«Si può sapere di che stai parlando?» sbottò il Grifondoro.
«Noi, mio ingenuo mortale, siamo coloro che per natura dovreste servire» sibilò Loki. «Noi siamo i primi esseri magici mai nati, i daimon. Controlliamo l’Etere a nostro piacimento perché siamo nati da esso. Noi siamo onnipotenti. Noi siamo dei».
«Voi siete parassiti» replicò il ragazzo, ricordando con disgusto ciò che James gli aveva raccontato, di come la Mason gli aveva inserito nel corpo ciò che all’epoca erano sembrati Ideali Immessi. «Entrate nei corpi degli umani e ci controllate. Se foste onnipotenti come dici, allora non ne avreste bisogno, non credi?».
«Lo ammetto» fece Loki, inaspettatamente. «Al momento non siamo più com’eravamo una volta. Gli umani hanno trovato il modo per indebolirci e ora siamo costretti a spostarci in questo modo. A me, ormai, neanche dà più fastidio. Lo trovo, anzi, vantaggioso, mentre i miei fratelli ancora dichiarano di aver bisogno di un corpo loro, nonostante apprezzino certi vantaggi di questa… sistemazione. Anche Mot, sebbene si sia affezionato a quello stupido ragazzino».
Non fu difficile capire che si stava riferendo a James. «E a cosa ti servo io? Non so come si uccide… uno di voi, e se questo Ermes è forte all’incirca come voi, che speranza ho?».
Loki sorrise. «Non sottovalutarti. Puoi ucciderlo, e senza neanche particolari problemi».
«Come puoi esserne sicuro?» chiese Remus, assottigliando lo sguardo.
«Lo scoprirai quando incontrerai Phobos» disse Loki. «Allora, ti va bene? Salvezza per deicidio?».
«Pensi davvero che ucciderei un amico?» fece Remus, sbuffando. «E poi “salvezza” da cosa?».
«Non fare tanto il santarellino: vogliamo entrambi che Minus ci lasci la pellaccia, solo che non sei abbastanza coraggioso da ammetterlo ad alta voce» rispose il “dio”. «E la salvezza è da quest’incubo. E di tutti voi, ovviamente».
«Quindi siamo in un incubo, eh? Allora… mi basta svegliarmi, giusto?» chiese il Grifondoro, con un sorrisetto.
«Non è così facile liberarsi di Nightmare. Le nostre Abilità sono difficili da spezzare. Forse sì, potresti uscirne, in qualche modo, ma sta sicuro che non saresti più te stesso. Quella tua amica, quella bionda… be’, l’ha provato sulla sua pelle».
«Cos’è successo a Mary?» ringhiò Remus.
«Santo Me, cambi umore così in fretta che… be’, in effetti fra qualche ora avrai le tue cose, no? Quindi penso sia normale… oppure no? A dire il vero non mi sono mai preoccupato della psicologia dei Lupi Mannari…» borbottò Loki. Remus chiuse gli occhi e prese un gran respiro, cercando di calmarsi. «Se vuoi scoprire cosa le è successo, comunque, non puoi fare altro che svegliarti e incontrarla da te».
«Io… non posso uccidere Minus» disse, infine, il Grifondoro, abbassando lo sguardo. Probabilmente avrebbe dovuto mentire, ma sentiva che il dio dell’inganno se ne sarebbe accorto fin troppo facilmente. «Nell’altro universo sarebbe stato diverso, ma qui… ci ha tradito solo perché è stato costretto da voi».
«Ah, sul serio?» fece il dio, inarcando le sopracciglia e ripresentando l’orrido sorriso. «E cambieresti idea se ti dicessi che ha ricevuto Ermes volontariamente?».
«Che cosa…?» mormorò Remus, sgranando gli occhi. Non poteva crederci. Non voleva crederci. I suoi pensieri furono distratti da un ruggito che scosse l’intera foresta.
«Mi spiace ma credo che il tuo tempo per decidere stia per scadere». Loki ghignò, malvagio, e alzò un dito in aria, a mimare il movimento del pendolo di un orologio. «Il tempo scorre e la sopravvivenza tua e delle persone che ti sono più care dipende da te. Al tuo posto, mi sbrigherei. Tic tac, tic tac…».

La magione
Anche senza alcuna spiegazione di David, Dora sapeva che i Manikin, nonostante la loro forma quando legnetti, avevano un aspetto animalesco, questo perché nessun essere umanoide avrebbe potuto creare quegli orrendi suoni. Era come se qualcuno facesse continuamente stridere una dozzina di gessetti su una lavagna, mentre qualche incapace tentava di suonare un violino rotto e scordato. Il risultato faceva accapponare la pelle (ma forse erano solo i brividi per l’effetto “gesso su lavagna”) e disorientava completamente. Più volte, nella loro corsa verso l’ingresso, Dora si era ritrovata a correre in un'altra direzione da quella di Sirius. Fortunatamente, se ne accorgeva in fretta, perché non avrebbe mai sentito la voce del cugino che la chiamava, incapace di sovrastare quello strillo acuto.
Avevano salito le scale tre gradini alla volta e si erano diretti verso una porta a caso, ritrovando la fitta rete di corridoi e stanze che avevano imparato a odiare nel piano inferiore. Continuavano a correre, senza quasi fermarsi, di tanto in tanto voltandosi e trovandolo sempre là, un braccio e una gamba avanti, fermo in un istante del suo movimento.
«Aspetta» fece Sirius, prendendo la ragazza per un braccio. Quando lei si voltò, il Grifondoro stava già fissando il Manikin per non farlo muovere. Gli si dovette avvicinare, per comprendere le sue parole sopra quel rumore. «Non serve a niente correre così, finché rimane a distanza e lo guardiamo».
Lei, con il fiatone, rimase in silenzio per qualche secondo, intuendo che c’era una falla nel ragionamento di Sirius ma non capendo bene quale. Se solo quel dannato rumore fosse cessato, probabilmente sarebbe riuscita a pensare meglio. Si diede una pacca sulla fronte, dandosi dell’idiota per quanto era stata lenta. Tirò fuori lo specchio.
«David, Eve, dobbiamo sbrigarci, c’è n’è più di uno» disse. Sirius si voltò a guardarla, confuso, e lei gli diede velocemente il cambio per fissare la creatura, che riuscì a spostarsi a malapena.
«Come lo sai?» chiese il ragazzo, sgranando gli occhi.
«Questo qui è fermo, ma il rumore c’è ancora» spiegò, battendo prima una palpebra e poi l’altra nel tentativo di non chiudere entrambe. Sirius, dal canto suo, si passò una mano sul volto, dandosi ad alta voce dell’imbecille.
«Se sono più di uno, allora conviene che vi troviate un posto sicuro in cui chiudervi» propose David. «Imprigionarli sarebbe troppo complicato».
«Già, e poi che facciamo? Rimaniamo fra quattro mura a vita?» fece Dora.
«Almeno fino a quando non arriveremo noi» s’intromise Eve. «David ha un congegno per rilevare Etere, datemi cinque minuti e riuscirò a trovarvi!».
«Ehi, ma quando l’hai preso?» esclamò David. Eve, dall’altra parte dello specchio, fece una pernacchia.
«Non per rovinarvi la festa, ma quel coso è entrato in una stanza chiusa, non credo si farebbe tanti problemi se mettessimo una sedia davanti alla porta» disse Sirius.
«In una stanza… chiusa?» chiese David, dopo qualche istante di silenzio.
«Sirius? Tonks?» fece una voce dietro di loro. Dora voltò il capo così velocemente da farsi male al collo.
«Em?» mormorò Dora, fissando la ragazza con occhi sgranati. La ragazza, uscita da dietro la svolta del corridoio, guardava dietro di lei, probabilmente impedendo al Manikin di muoversi, e aveva un’aria stravolta: i capelli scuri erano sparati in tutte le direzioni e i vestiti erano strappati in più punti. In mezzo ad alcune ciocche, Dora notò quelli che sembravano frammenti di ghiaccio e aveva un livido nero grande come un pugno sul braccio sinistro. In mano reggeva un lungo pezzo di metallo dorato.
«Emmeline!» esclamò Sirius, correndole incontro e abbracciandola. La Grifondoro parve sorpresa e ricambiò l’abbraccio dopo qualche secondo. Dora continuava a osservarla come lei guardava il Manikin, il cervello che continuava a elaborare la stessa informazione, rifiutandosi, in un tentativo disperato, di accettare le proprie conclusioni.
«Che bello vederti!» esclamò Sirius, felice come qualcuno non minacciato da una creatura immortale pronta a farlo fuori.
«Mi stavate cercando?» chiese lei, spaesata, interrompendo il contatto visivo con il Manikin che Dora si sbrigò a recuperare. L’essere aveva fatto alcuni passi avanti e, dietro di lui, ne era comparso un altro. Il verso continuava a echeggiare nell’aria. Dora imprecò fra i denti.
«Certo! Tu e Mary eravate state rapite e…».
«E dove siamo? Come siamo arrivati qui? Come siete arrivati qui?» fece lei, con tono che Dora ritenne leggermente isterico.
«Be’… non lo sappiamo» ammise Sirius. «Eravamo andati a cercarvi in un posto, poi sono successe… delle cose ed io e Tonks ci siamo trovati qui».
«Non è vero» la voce di David arrivò, sicura, dallo specchio che Dora reggeva ancora in mano, facendo sobbalzare Emmeline. «Black, pensaci, sai benissimo dove ti trovi. Ninfadora ci è già arrivata».
«Non chiamarmi Ninfadora» scandì lei, digrignando i denti, mentre i capelli le diventavano color carota, lo sguardo ancora fisso sui Manikin.
«Di che stai parlando?» chiese Sirius, perplesso.
«Sirius, ragiona» ringhiò Eve, in un tentativo di fargli capire che era meglio non parlarne ad alta voce. Lui rimase in silenzio per qualche secondo.
«Mi volete spiegare cosa sta succedendo?» implorò Emmeline che, dalla voce, sembrava sull’orlo delle lacrime. Dora si dispiacque per lei ma non disse nulla, troppo occupata a cercare una soluzione, nonostante cominciasse a diventare sempre più disperata.
«Non può essere…» mormorò Sirius, evidentemente arrivando alla stessa conclusione.
«Cosa non può essere?» esclamò Emmeline, strattonando con forza il ragazzo. «Spiegatemi!».
«Siamo fottuti, Em, ecco cosa succede» rispose Dora, leggermente esasperata, voltandosi di scatto. Spalancando gli occhi, afferrò la mano di Emmeline e il braccio di Sirius e li portò vicino a sé: altri tre Manikin erano usciti dal nulla ed erano bloccati nell’atto di avvinghiare i due. Sentì Sirius voltarsi dall’altra parte.
«Sono diventati tre» mormorò il ragazzo, visibilmente spaventato. Il cervello allenato della Tassorosso fece un rapido riassunto della questione: sei esseri immortali e immuni alla magia bloccavano ogni lato del corridoio e, dove si trovavano, non c’erano altre stanze. Loro erano solo in tre ed Emmeline sembrava aver qualcosa che non andava. Non avevano speranze. Dora sentì i propri occhi lacrimare e non era sicura che fosse solo per lo sforzo di tenerli aperti.
«Dovete andarvene» esclamò Eve, sbirciando la situazione attraverso la mano della sorella.
«Non possiamo» replicò Sirius, tenendo Emmeline dietro di sé che cercava invano di capire cosa stesse accadendo. «Siamo circondati».
«Passategli in mezzo» suggerì la Corvonero.
«Troppo poco spazio fra uno e l’altro» rispose Dora, che aveva già fatto i dovuti calcoli. «E non sappiamo se gli altri siano dietro l’angolo, né quanti siano in tutto».
Sirius ringhiò in modo molto canino. I due si stavano adattando, non era ben chiaro se per fortuna o no, al verso di quelle bestie ed era stato facile dimenticarsene per il Grifondoro.
«Ragazzi» fece David, dall’altra parte dello specchio. «Non so davvero come aiutarvi. Mi dispiace». Dora, nel proprio universo, non avrebbe mai pensato di provare pena per l’uomo che aveva fatto risorgere Lord Voldemort, eppure stava accadendo, nonostante fosse lei quella in pericolo.
«Che facciamo?» chiese Sirius, cercando di rimanere impassibile. Dora osservò le tre creature che, immobili, si protendevano verso di loro. Sapeva benissimo di non poter tenere gli occhi spalancati ancora a lungo e sapeva anche che, molto probabilmente, un solo battito di ciglia sarebbe bastato a farli prendere dai Manikin. Doveva inventarsi qualcosa in pochi secondi.
Le lacrime continuarono a formarsi e a sgorgare sempre di più, mentre lei cercava di trattenersi. Lo sforzo per mantenere aperti gli occhi e la disperazione che la stava cogliendo stavano facendo il loro lavoro e ben presto la vista della ragazza fu quasi totalmente appannata. Eppure, sapeva di non potersi asciugare, perché avrebbe significato coprirsi gli occhi per qualche istante.
Più continuava a pensare più si sentiva idiota, idiota come la morte che avrebbe avuto. Come sarebbe stata catalogata? “Morte da battito di ciglia”? Oppure più qualcosa tipo “morte da incubo”, come, in effetti, sarebbe stato più giusto?
La cosa, rifletté, non le stava affatto bene. Almeno nel proprio universo era morta in battaglia; uccisa dalla propria zia psicopatica, certo, ma almeno aveva combattuto per ciò in cui credeva. In quest’altro, invece, sarebbe dovuta morire nel sonno creato da un montato che si credeva una divinità insieme a suo cugino e a una ragazza sfinita e disorientata che lei conosceva da soli tre mesi… e lontana da Remus che, molto probabilmente, stava cercando di sopravvivere così come lei.
Penso a lui e alla sua reazione in caso non fosse mai tornata, poi immaginò la propria al suo posto.
Poi prese una decisione e attuò il suo piano senza neanche avvertire gli altri.
«Reducto!» urlò, e il pavimento cedette. Non sapeva neanche dove sarebbe caduta, né se sarebbe sopravvissuta. Tuttavia, preferiva lottare e morire, piuttosto che abbandonarsi a quelle orride creature e al destino che uno stupido Mangiamorte aveva deciso per lei.
Geronimo, pensò, divertita, cadendo ad occhi chiusi molto più a lungo di quanto aveva immaginato. Fin troppo a lungo.

La foresta
«Come posso essere sicuro che ci tirerai fuori di qui e che, dopo aver ucciso Ermes, ci lascerai in vita?» chiese Remus, mentre il rumore delle zampe della bestia sul tappeto erboso si faceva sempre più vicino.
«Perché non ho ragione di farlo» fece Loki, sorridendo. «Tecnicamente, per me sareste molto più utili da vivi. Io non ho voglia di immischiarmi con il piano del Primo e non mi dispiacerebbe affatto sei voi riuscite a cavarvela, ma Ermes potrebbe causarmi problemi, quindi ho bisogno di qualcuno che è già schierato contro di loro è che è disponibile a farlo secco».
Remus rimase per qualche secondo a fissare il Serpeverde, organizzando le proprie idee. Proprio quando sembrava stesse per cedere, chiese: «Perché dovrei fidarmi della tua parola?».
Loki sbuffò, facendo segno di “no” con il dito. «Ah, Remus, Remus, il tempo scorre e i tuoi amici stanno per morire. Fossi in te mi sbrigherei».
Un nuovo ruggito riecheggiò nella foresta, gelando il sangue nelle vene del Grifondoro.

Il labirinto
Il muro di fuoco del Grifondoro svanì in fretta, portando con sé una decina di quelle strane creature. Lily, tuttavia, si era già preparata e, con un aggraziato movimento della bacchetta, un fascio di luce falciò gli esseri più vicini, che diedero l’impressione di essere evaporati, a giudicare dalla nebbiolina nera che lasciavano per un istante.
Un gruppo degli esseri si arrampicò sul soffitto del corridoio, con l’evidente intenzione di saltare addosso ai ragazzi. James si premurò di congelarli e a farli a pezzi, facendo cadere gli spuntoni che si erano venuti a creare sulle creature sottostanti.
Lily sparò una nuova raffica di Incantesimi Esplosivi e James pietrificò alcune creature, ostacolandone altre. Alcuni esseri si scagliarono in aria, cercando di colpirli in volo, ma si dissolsero sulla barriera che i Caposcuola avevano generato in contemporanea.
Lily gemette quando vide nuove ondate delle creature nere svoltare nel loro corridoio e avvicinarsi sempre più velocemente. Quei cosi erano deboli, ma erano troppi.
«Non possiamo farcela» disse la ragazza, lanciando altri Incantesimi per rallentarli ma con molta meno potenza rispetto a prima.
«Scappa, io li trattengo!» esclamò, di nuovo, James, generando fiamme dalla punta della bacchetta.
«Quante volte te lo devo dire? Io rimango!» replicò la ragazza. «E stavolta non puoi neanche Obliviarmi, quindi vedi di adattarti!».
James sembrò voler dire qualcosa, ma si trattenne e continuò a scagliare Incantesimi, disintegrando gli esseri. Lily fece uscire un vigoroso getto d’acqua dalla bacchetta, che si riversò sulle creature, spingendole indietro e schiacciandole una sull’altra.
«Attenta!» l’urlo di James le arrivò troppo tardi. Una delle creature era riuscita a evitare l’Incantesimo della ragazza ed era passata sotto i suoi compagni, avventandosi poi su una coscia di Lily, affondando gli artigli nel muscolo. Lei urlò di dolore e perse l’equilibrio, cadendo a terra. Disintegrò la creatura con un Incantesimo ma, da come si teneva la gamba, era evidente che era andato già parecchio a fondo e quella nebbia nera che usciva dalla ferita non prometteva nulla di buono.
James avrebbe voluto andarle vicino e aiutarla ma era costretto alla sua posizione, lavorando il doppio ora che Lily riusciva a lanciare solo alcuni degli Incantesimi più semplici e solo grazie alla sua grande forza di volontà, che le permetteva d’ignorare il dolore. Tuttavia, il rivolo di sangue che le usciva dalle labbra non sfuggì al ragazzo, che non seppe se si stesse mordendo da sola per non perdere i sensi o se la creatura avesse fatto danni ben peggiori con la magia Oscura di cui era impregnata. A giudicare dal pallore che Lily stava assumendo, immaginò, con una stretta al cuore, che fosse il secondo caso.
«Merda…» imprecò James fra i denti, continuando a scagliare Incantesimi, cercando di non far passare nessuno di quegli esseri. Tuttavia, sentiva che la vista cominciava ad appannarsi per lo sforzo e, lo sapeva, a breve non sarebbe riuscito a sostenere quel continuo assalto.
«Meno male che Evelyn aveva detto che hai un’enorme quantità di magia» disse John, apparendo dal nulla. Era semplicemente lì, appoggiato con tranquillità al muro, il completo babbano perfettamente curato.
«Sta’ zitto» sibilò James, rabbioso, facendo a pezzi una dozzina di creature contemporaneamente. Si rese conto solo dopo di averlo detto ad alta voce e, molto probabilmente, Lily lo stava credendo pazzo, ma non gli interessava. Ora non ce la faceva proprio a sostenere John.
«Vuoi un aiutino?» chiese l’Altro. James si trattenne dal tirare un Incantesimo anche a lui.
«Sparisci, bastardo!» ruggì. «Ho meglio da fare che ascoltare le tue stronzate!».
«No, sto dicendo sul serio!» disse John, alzando le mani e sgranando gli occhi, come cercando di sembrare il più sincero possibile. «Ti do il cambio, salviamo Lily e usciamo fuori da questo casino. Non male, no?».
«Sì, certo» fece James, sarcastico, Schiantando altre creature. «E poi magari ti fai un bel giretto per il mondo con il mio corpo e ammazzi chi ti pare, giusto? Be’, no, grazie, non ci tengo!».
John sospirò platealmente. «Non rifiutarmi, James! Sono la tua unica speranza di uscire da qui vivo! Probabilmente il tuo amico lupacchiotto sta per farvi uscire tutti, ma temo ci vorrà un po’ di tempo e… mi spiace dirlo, ma tu sarai bello che andato… e la principessa, qui, probabilmente starà messa anche peggio» si avvicinò di qualche passo a James. «Fidati di me, posso farvi uscire da qui incolumi e potrete continuare a vivere la vostra piccola favoletta da diabete».
«Puoi scordartelo» disse James, nascondendo l’insicurezza nella propria voce. Il pensiero di Lily, in uno stato ancora peggiore della morte, lo aveva fatto tentennare.
John si avvicinò ancora di più, a passo lento e rilassato.
«Non pensavo odiassi Lily fino a questo punto» mormorò, quando gli fu abbastanza vicino. James si scostò di lato, tenendo la mascella serrata e continuando a scagliare Incantesimi. «Oh, andiamo, non fare il santarellino! Tu la odi, si vede benissimo. Tu, nonostante tutto, la vorresti morta, non è così?».
«Non ti azzardare a provare a dire, o a pensare, mai più una cosa del genere» fece James, disgustato, voltandosi per un secondo verso l’Altro. «Sei stato nella mia testa e sai che questa è la cosa più vicina a una bestemmia che potresti dire a me. Tu sai cosa provo e sai che le tue sono solo cazzate».
«Se è c’è del vero in quello che dici, perché la stai condannando a questo fato?» chiese John, in una serietà che James non aveva mai visto. Il Grifondoro non riuscì a rispondere, forse troppo disorientato dall’utilizzo di quello che sembrava un linguaggio del Trecento (o giù di lì, all’incirca…). «Lasciamela salvare».
James scagliò altri Incantesimi c0ntro le fila di creature, rimanendo in silenzio. Cuore e mente non sapevano decidersi, entrambi spaccati in due.
«Va bene» disse, infine, senza guardare l’altro. Lo sentì appoggiargli una mano sulla spalla per un secondo, poi la mente cominciò ad annebbiarsi, i pensieri a perdere forma e ciò che sembrava un nuovo sangue gli fluiva nel corpo.
«Ora» fece John, con un ghigno. «Dobbiamo solo sperare che il lupacchiotto decida per il meglio».

La foresta
Il tempo, come Loki ricordava, continuava a scorrere, e Remus ancora non riusciva a decidersi. Non aveva idea di cosa fare. Credeva che Loki avrebbe rispettato il proprio patto, ma non era sicuro di voler lui stesso tenergli fede. Se anche fosse uscito di lì, dopo Dolohov avrebbe anche dovuto uccidere Peter Minus e, seppure lo odiasse con tutto se stesso, non riusciva a vedercisi. Uccidere Codaliscia, il quarto Malandrino… gli sembrava una delle cose più ripugnanti che avrebbe potuto fare. Eppure… Riascoltò nella mente le parole di colui che si proclamava dio: “i tuoi amici stanno per morire”. Sapeva che non stava mentendo. La sua mente evocò immediatamente un’immagine, chiaramente fittizia, di Ninfadora in pericolo e tanto bastò per fargli prendere una decisione immediatamente.
«Allora?» chiese Loki, come se avesse intuito i pensieri del licantropo.
«Accetto» rispose lui, con sguardo deciso.
«Bene!» esclamò il dio, avvicinandosi a grandi passi verso Remus e tendendogli una mano. Seppur con diffidenza. Sentì i passi della Chimera avvicinarsi. «E sappi che se cercherai di fregarmi, io lo saprò, e mi vendicherò».
Remus mantenne gli occhi verdi saldamente puntati verso il volto del ragazzo e lasciò che la minaccia gli scivolasse addosso, mentre il mondo si dissolveva e lui riprendeva coscienza di sé.

*****

 «Salve, professor Silente» disse la Mason, alzandosi in piedi per stringere la mano all’anziano Preside e risedendosi dietro la propria scrivania con aria tranquilla. «È tornato da poco?».
«È così» rispose il professore, con aria benevola, sedendosi dove l’insegnante gli indicava. «A dirla tutta mi stavo annoiando, giù al Ministero, e ho ritenuto che i miei servigi fossero più necessari qui».
«E cosa posso fare io per lei?» chiese la donna, intrecciando le dita e osservandolo con curiosità. «Perché immagino non sia venuto solo per una visita di cortesia, anche se l’avrei molto apprezzata».
«Purtroppo no, signora» fece Silente, con uno scintillio divertito negli occhi. «Porto delle informazioni dal sud e ho ritenuto che fosse il caso condividerle con lei. Quel che verrà dopo le sarà poi chiaro come l’aria».
Lei sorrise placidamente e annuì. «Dica pure».
«Sapeva che una delle stanze dell’Ufficio Misteri contiene la seconda biblioteca più grande del mondo?» chiese il professore.
«Adesso sì».
«Be’, mi ci sono casualmente ritrovato e mi sono detto “perché no?” e ho deciso di sfruttare l’occasione per assumere un altro po’ di cultura, dato che, anche alla mia età, non fa mai male. Casualmente, ho trovato alcuni testi antichi che trattavano le più disparate materie, dall’Alchimia e la Trasmutazione alle pratiche magiche che ormai sono scomparse, tra cui quelle mentali, di cui ci rimangono gli Incantesimi di Memoria, la Legilimanzia, l’Occlumanzia e la Maledizione Imperius» spiegò il Preside, studiando l’espressione di educato interesse della professoressa. «L’argomento mi ha incuriosito e, sempre casualmente, ho trovato degli accenni a ciò che veniva chiamata Psicomanzia, ovvero l’arte del controllo mentale in un modo piuttosto diverso rispetto a quello della Maledizione Senza Perdono, concentrato sulle capacità di illusionismo».
«Sta parlando di quei Babbani che credono di poter imitare la magia truffando i loro simili?» chiese la Mason, inarcando un sopracciglio.
«Oh, no, assolutamente» rispose Silente, ignorando con molta fatica il tono di disprezzo della sua insegnante. «Qui si parla di magia che permette al suo utilizzatore di mostrare ciò che vuole a chi vuole. Venne molto usata, nell’antichità, durante le guerre, permettendo di rivoltare interi eserciti contro i propri generali, portando alla gloria uomini facendo passare le loro gesta come “miracoli”, facendo sì che interi imperi nascessero con il minimo sforzo».
«Interessante» commentò la professoressa. «Così come è interessante che tutto questo sapere le sia arrivato per caso».
«Le scoperte più importanti sono state fatte per caso, mia cara» disse il professore, ridacchiando. «Ho voluto risalire, per puro interesse, alla nascita di questi Incantesimi. È stata piuttosto dura, ma sono riuscito a trovare nel nord dell’India la loro fonte, dove si dice che una dea avesse il potere di rendere reali le proprie idee. Questa dea insegnò la sua arte a pochi sacerdoti che, alla sua scomparsa inaspettata e inspiegabile, portarono la Psicomanzia in Europa e nel resto dell’Oriente. Solo pochi si diressero in Africa, dove l’arte illusoria scomparve in breve tempo».
«Molto poetico» fece la Mason, sorridendo con innocenza. «Ma sono solo leggende, professore, immagino non ci creda sul serio».
«Oh, non pretendo di poter dividere ciò che è leggenda da ciò che è realtà, non dopo più di cinquemila anni di storia, professoressa» rispose lui, pacato come sempre. «Tutto ciò che desidero è farle una domanda: intende sciogliere la sua ipnosi prima o dopo essersi allontanata per sempre da questa scuola, Maya?».
Il sorriso si paralizzò sul volto della professoressa. «Come, scusi?».
«La prego, non finga con me» le disse Silente, con un sorrisetto divertito. «Ho letto molto su questa dea, o Deva, da cui prenderà poi il nome la dottrina creata dai suoi sacerdoti e poi inserita nei testi sacri della religione babbana nota come “Induismo”, in cui non c’è più alcun cenno alla dea stessa. Tuttavia, nei testi sulla Psicomanzia nel Ministero ci sono molti riferimenti a lei e alla sue magie rosso cremisi, dello stesso colore dei suoi occhi». Il professore guardò intensamente la donna. «Molto comodo, con il corpo di un vampiro, non crede?».
«Non male, in effetti» disse la donna, cambiando immediatamente tono e assumendo uno sguardo freddo. Si alzò dalla propria sedia e, camminando con delicatezza sulla moquette verde, andò alla finestra, tuffando lo sguardo nel parco di Hogwarts. «Si può facilmente usare la propria magia e dire: “Ops, mi spiace, ho perso il controllo per un secondo”. Questo branco d’idioti sa dei vampiri anche meno che dei licantropi, credono a qualsiasi cosa gli si dica su di noi».
«“Noi?”» chiese Silente, inarcando le sopracciglia. La donna si voltò nuovamente verso di lui.
«Sì, noi. Ho attuato l’osmosi con successo e ora sono Sarah Mason e Maya» confermò, alzando leggermente il mento con tono orgoglioso.
«Osmosi?» chiese ancora l’insegnante, incuriosito.
«È un processo a cui i daimon possono scegliere se andare incontro o no» spiegò pazientemente Maya. «La nostra identità si mescola con quella del nostro contenitore, cercando di far aderire una all’altra, tentando di soggiogarla e creare un legame indissolubile. Se riesce, per il contenitore è praticamente impossibile rigettarci e il potere del corpo viene decuplicato».
«Ma?» incalzò Silente.
«A volte possono esserci dei ribaltamenti: se il contenitore possiede un’identità troppo forte, potrebbe finire per sopraffare il daimon, assumendone i poteri ma rimanendo in sé: sono scoppiate molte guerre perché uomini potenti e avidi avevano ottenuto impropriamente le nostre abilità. A volte capitava anche che i daimon stessi impazzissero, incapaci di distinguere la propria mente da quella del contenitore, obbedendo ai desideri dell’uomo, piuttosto che a quelli del dio».
«Non mi sembra che lei faccia molta differenza, se posso permettermi» s’intromise il professore. «Considera, in quanto daimon, l’intera umanità come feccia, eppure difende anche i vampiri, considerandoli la sua stessa specie».
«Sì e no» disse Maya. «Ciò che ha detto è vero, ma è anche vero che io stessa ne sono al corrente. Questo perché la perfetta osmosi fa coincidere pensieri, desideri e convinzioni del daimon e dell’ospite: Sarah Mason ritiene che tutto ciò che non sia vampiro sia disgustoso, così come Maya ritiene per tutto ciò che non sia daimon. Per far coincidere queste due idee, si arriva alla conclusione che ha esposto».
«Quindi l’osmosi è una sorta di contratto fra le due linee di pensiero in cambio di un potere enorme?».
«All’incirca, sì» rispose Maya, annuendo. Il professore si lisciò la lunga barba bianca, pensieroso.
«E immagino sia troppo chiederle perché avete bisogno di contenitori per mantenere i vostri poteri» propose. Maya incurvò leggermente le labbra. Le sue espressioni stridevano molto da quelle di Sarah Mason.
«Ci sono cose che non sono disposta a rivelarle, professore. Consideri le informazioni che le ho dato come un piccolo premio di consolazione» rispose lei. Il Preside inarcò le sopracciglia e assunse un’espressione di pacata sorpresa.
«“Consolazione”? Per cosa?» chiese.
«Crede davvero che me ne andrò così?» fece lei, fra l’ironica e l’incredula. «Mi spiace professor Silente, ma intendo tenere il mio posto finché mi farà comodo».
«Oh, non credo proprio» replicò pacatamente il professore, alzandosi in piedi e guardandola con severità. «Lei lascerà questa scuola entro un’ora e non varcherà mai più i nostri cancelli, altrimenti sarò costretto a prendere provvedimenti».
«Vuote minacce» disse il daimon. «Pensa sul serio di potermi convincere ad andarmene?».
«Mia cara signora, nonostante la potenza che lei vanta, sono certo che non vorrebbe affrontare da sola il corpo insegnanti e, molto probabilmente, quello studentesco al completo da sola. Questa scuola è casa per tutti coloro che si trovano al suo interno e nessuno di noi gradisce le intrusioni indesiderate, così come stanno certamente dimostrando i miei migliori studenti contro il suo amico nella Foresta» disse il professore, emanando inconsapevolmente l’imponente aura magica che possedeva da tempo e che si era intensificata dopo la sconfitta dell’ex-amico Grindelwald. «Mi creda se le dico che la mia offerta è per lei un’ancora di salvezza».
«Allora perché non combatte qui e ora, se è così sicuro del proprio successo?» sibilò lei, alterandosi.
«Ho l’impressione che una battaglia arrecherebbe molti danni a Hogwarts. E questa è una scuola, signora, e ci sono moltissimi studenti al suo interno. Non voglio far nulla che possa ledere loro in un qualsiasi modo» spiegò Silente. «Ma se costretto, farò tutto ciò che è nel mio potere che, modestia a parte, non è affatto indifferente».
Maya assottigliò gli occhi ma fece un mezzo sorriso. «Allora credo che accetterò la sua “ancora di salvezza”, professore. L’illusione sparirà non appena lascerò i confini della scuola. Mi consideri pure dimessa dal mio incarico».
«Oh, no» fece il Preside, dirigendosi verso l’uscita. «Si consideri licenziata».
E si chiuse la porta alle spalle.




Sala Comune di Tassoverde

E lo so cosa state pensando! "Questo scompare per mesi (tanto per cambiare) e, invece di darci tutto un capitolo, ce ne dà una parte, perché non riesce a finire un ciufolo"! E, invece, carissimi lettori che, spero, siate arrivati fin qua giù, questa "Parte 1" è ben diversa da quella di Potters: se lì ho diviso per questioni di tempo, qui, invece, ho fatto tutto per lo spazio! Mentre scrivevo quello che ora sarà il capitolo successivo, ho infatti capito che stava venendo fin troppo lungo (intorno alle 32 pagine...) e leggerlo tutto insieme sarebbe stato estenuante: ho quindi deciso di separare le prime 16 pagine e pubblicare le restanti successivamente, entro un paio di settimane (giusto il tempo di rifinire e correggere). In questo modo potrete leggere con più tranquillità e senza dover aspettare decenni per il seguito, lasciandovi comunque con un po' di suspance! Quanto sono braFo, eh?!
Per quanto riguarda l'ultima parte, con il daimon Maya: non sono affatto un esperto dell'Induismo, anzi, conosco poco e niente. Ho cercato tuttavia di addentrarmi poco nella dottrina attuale e nella storia stessa dell'India, attingendo da poche fonti online e cercando di rimanere nel "possibile". In caso abbia sbagliato qualcosa chiedo venia e... siamo in universo parallelo, no? Vorrei inoltre segnalare che la parte sulla magione è piena di riferimenti. Trovateli tutti e vincerete millanta pokédollari (convertibili in gettoni d'oro nel duemilaecredici).
Ora, passando a cose un po' più tecniche... be', non ci passeremo. Giusto per sovraccaricare un po' la seconda parte di Who (a cui sono indeciso se dare un nome diverso, giusto perché "part 1" e "part 2" è un po' tanto antiestetico... ora che ci penso, potrei fare la stessa cosa con Potters... uhm... questo significherebbe cambiare tutte le numerazioni... ci rifletterò su), scriverò in quelle note le modifiche finora apportate ai precedenti capitoli (mi sono fatto una piccola lista apposta) e altre cosine interessanti (ovvero: che adesso non mi vengono in mente). Per la piccola tabella iniziale ringraziate la carissima Ma_AiLing, a cui va tutta la mia gratitudine...
Per il resto, ringrazio tutti voi lettori, sia i silenziosi sia, in particolar modo, le cinque persone (vi amo, sapevatelo) che hanno recensito il precedente capitolo. Mi è venuta la lacrimuccia, giuro. So di essere ripetitivo, ma voglio davvero ringraziare voi tutti che, nonostante gli infiniti tempi di aggiornamento, continuate a non abbandonarmi... grazie mille, davvero.
Credo quindi di terminare qui le note (penso non siano mai state così brevi...), lasciandovi un piccolo invito a recensire anche questo Chapter (perché "capitolo" è mainstream!), in cui, magari, mi piacerebbe anche sapere con quale metodo avete deciso di leggere il capitolo, e a continuare a essere così fantastici, con la speranza che questa storia così sconclusionata non vi stia venendo a noia.
Un bacio a voi tutti,
hufflerin

P.S.: Notare il nuovo banner della storia che si può trovare nel Chapter 0, ridotto per essere visibile tranquillamente anche da mobile. Bellino, eh? (Non è vero mai). Anche questo l'ho fatto con Power Point.


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«There's nothing to fear... except the Fear itself»

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Capitolo 14
*** Chapter XI - Who (parte 2) ***


Who (parte 2)
PREVIOUSLY ON THE STORYTELLERS

«What are you, really? I know you are not the true James, even if he's still buried inside there»
«Oh, so you call me James now. I'm amazed»

«My name is Remus Lupin, I'm thirty-eight, a Werewolf and... I'm dead»
«I'm Ninfadora Tonks, I'm twenty-five, a Metamorphmagus and I'm dead too... And I'm... I was an only child»

«James, what's going on?»
«There was a man, in the pub and... when I did see it, I felt like when... like after Mason's punsihment»

«However, there is a second Aether's source»
«Exactly. Inside wizards exists something like a magic core. You can say that all of us have a little Aether's source within ourselves»

«Remus, I had...»
«Please, shut up... Once, you said that we need to choose between waht's right and what's easy, Harry told me. I think you have choosed what's easy, this time»

«It would be nice if everything was like before, wouldn't it? Before the Other and before Mason...»
«It would be nice just forget that»

«The Storytellers?»
«Yeah, that's how she calls people who have travelled, people who know their History and who can rewrite it»

«Oh, come on! Don't say that you haven't noticed that?! When did you stop to be the god of dark to become a...»
«Be careful, Loki, another wrong word and I swear I'll blow up your head!»

«That's a nightmare, isn't it? So... I just need to wake up, right?»
«It isn't so easy to get rid from Nightmare. Our Abilities are difficoult to break. Maybe yes, you can excape from it, somehow, but you can be sure that you won't be the same. Your friend, the blond one... Well, she proved that on herself»


NOW



11. Who (part 2)

Dora si risvegliò di soprassalto, scattando a sedere, ansimando rumorosamente e guardandosi intorno a occhi sgranati.
«Calma, è tutto okay» le sussurrò Remus, mettendole le mani sulle spalle. Lei lo fissò per qualche secondo, cercando di elaborare ciò che stava accadendo. Fino a cinque secondi prima, si aspettava di cadere all’infinito nel buio. Era stato un suo incubo ricorrente, quand’era bambina, ma la consapevolezza di essere in un mondo totalmente fittizio e che alle spalle si lasciava mali ben peggiori l’aveva tranquillizzata. Poi il buio aveva cominciato a sgretolarsi, facendo spazio a un bianco accecante; era in quel momento che la Tassorosso aveva cominciato ad andare nel panico.
«Dove siamo?» chiese Dora, distogliendo con un po’ di fatica lo sguardo dal volto di Remus.
«Nel labirinto… quello vero, stavolta» rispose un’altra voce. James era appoggiato con la schiena al muro e giocherellava con la bacchetta con sguardo assente. Solo in quel momento Tonks notò gli altri e vide che Lily stava parlando a bassa voce con Emmeline, che aveva gli occhi sgranati e fissava il vuoto, e Sirius si guardava intorno, digrignando i denti e assumendo un’espressione sempre più di disperata. «È molto poco labirintico, ma molto più concreto».
Dora ci mise qualche secondo per capire che quello che stava parlando doveva essere John. Incrociò di nuovo lo sguardo di Remus e lui scosse leggermente la testa, facendole capire che non era il momento adatto. La Tassorosso non si sentiva affatto d’accordo ma decise di fare come diceva e si guardò intorno.
Erano in una caverna circolare di pietra nera all’apparenza naturale, al contrario dei mattoni ben definiti che componevano il “falso” labirinto, e la luce proveniva da tre torce dalla fiamma azzurrina e, dalla parte opposta a cui si trovava, un corridoio conduceva a un’altra sezione del dedalo.
«Dai, ti aiuto ad alzarti» le disse Remus, con un mezzo sorriso, porgendole una mano. Lei la prese e si puntellò sui talloni. Anche dopo che si fu alzata (e che fu quasi caduta dalla parte opposta), il ragazzo non accennò a lasciarla. Dora gli strinse la mano con dolcezza, cercando di comunicargli un po’ del suo supporto.
Sirius, intanto, si faceva sempre più irrequieto.
«Dov’è Mary?» chiese, alla fine, passandosi una mano sui capelli. «Perché non è qui con noi?».
«Mary si è già svegliata» disse Remus. Sirius aggrottò all’istante le sopracciglia e lo guardò fisso, chiedendogli spiegazioni senza aprire bocca. «Ho incontrato Piton… anzi, Loki» guardò John per qualche secondo ma quello si limitò a esaminarsi le unghie con noncuranza. «Mi ha riferito che Mary è riuscita a spezzare Nightmare ma ha anche detto che, testuali parole, ora “non è più la stessa” … o una cosa del genere».
«Quindi che significa?» chiese Sirius, confuso.
«Che quasi sicuramente se l’è presa Phobos per preparare una trappola per noi» spiegò John. Sirius digrignò i denti e aprì la bocca come per insultarlo, ma quello lo fermò con un gesto della mano. «Sta’ tranquillo, sicuramente è viva. Non posso essere sicuro che sia incolume, ma è senza dubbio viva».
«E perché dovrebbe? Non sarebbe più facile ucciderla subito?» chiese Emmeline, in un sussurro udibile solo grazie alla leggera eco della camera. Dora si voltò nuovamente a guardarla: la ragazza tremava ancora terribilmente ed era seduta a terra ma lo sguardo era diventato più sveglio. Non sapeva cosa avesse affrontato nella magione, prima che lei e Sirius arrivassero, ma avrebbe voluto davvero aiutarla; la conosceva così poco, tuttavia, che non si mosse, temendo di peggiorare la situazione.
«Perché altrimenti non sarebbe una trappola» rispose una voce risoluta, proveniente dalla tasca della Tassorosso che, frettolosamente, prese lo specchio.
«Un punto per la Tonks in miniatura» esclamò John. Dora, Evelyn e Lily lo fulminarono con lo sguardo contemporaneamente, ma il ragazzo le ignorò.
«Ma che senso ha tutto questo?» chiese Emmeline, mentre delle lacrime cominciavano a formarsi agli angoli dei suoi occhi. «Prima era Regulus, poi Mary ha detto che non era lui, è comparso e ci ha addormentate con… quella cosa. E adesso mi dite che questo tizio ha una cosa dentro di sé come James («Ehi, vacci piano con le parole! Non sono una cosa!» borbottò John, offeso) e che ha tipo i superpoteri e che… Cosa cazzo sta succedendo?».
Dora lasciò la mano di Remus e si chinò accanto alla Grifondoro, «Em, anche noi non capiamo quasi nulla di tutto questo casino: molte poche cose sono chiare e la maggior parte ci vengono tenute nascoste. Quello di cui posso essere sicura, però, è che quello che dobbiamo affrontare è solo un altro ennesimo figlio di puttana comparso da chissà dove solo per renderci le vite un inferno. E, credimi, una vita mi è bastata e non ho la minima intenzione di ripetere di nuovo l’esperienza né farla vivere a voi. Tutti noi, in questi pochi giorni, abbiamo visto cose che dovrebbero essere impossibili e ci stiamo facendo migliaia di domande, ma adesso non abbiamo tempo per rispondere. Quindi tutto ciò che possiamo fare è pazientare un po’ e concentrarci sull’unica certezza che abbiamo… prendendo a calci in culo quel bastardo».
Emmeline la guardò per qualche secondo, poi fece un mezzo sorriso e annuì. Dora fece un gran sorriso e le strinse una mano. Vide Lily ringraziarla con lo sguardo mentre si alzava.
«Quindi che si fa ora?» chiese la ragazza.
«Direi di seguire il suggerimento di Ninfadora» disse Remus, lanciandole un’occhiata veloce. «Facciamo fuori Dolohov… per la seconda volta».
«E la battaglia finale ebbe inizio» fece John, solenne.
«E con lui?» chiese Sirius, scrutandolo con attenzione.
«Potrebbe servirci» disse Lily. «Per il momento è dalla nostra parte e il suo potere ci farebbe comodo».
«Sei sicura che possiamo fidarci?» le chiese Remus, indeciso.
«Mi ha salvato la vita» rispose lei, con sicurezza. I due si guardarono per qualche secondo e Dora avvertì una leggera punta di gelosia, che ignorò facilmente. Alla fine, Remus annuì.
«Evvai! Avevo proprio voglia di battermi un po’» esclamò quello, tutto contento.
«Una volta finito tutto, però, non azzardarti a sparire» ordinò Remus. «Ci hai nascosto molte cose e mentito su altrettante: Dora ha completamente ragione, ora non abbiamo tempo, ma più tardi risponderai a parecchie domande».
«Sissignore!» fece John, mettendosi sull’attenti e facendo il saluto.
«E James?» chiese Sirius, preoccupato.
«Tranquillo, lui è sveglio e vede tutto quanto. Ha deciso lui di farsi dare il cambio, quindi l’ho sistemato in tribuna d’onore» rispose John, con un sorriso a trentadue denti fastidiosamente simile a quello di Allock. Lily, a quelle parole, chinò leggermente la testa e guardò a terra, come vergognandosi di qualcosa.
«Ragazzi, non vorrei fare la guastafeste ma…» cominciò Eve.
«Ma?» chiese Dora.
«Ma avete solo tre ore, quindi dovete sbrigarvi» concluse David, comparendo a un lato dello specchio. Gli altri ragazzi, escluso Remus, lo riconobbero e lo salutarono con sorpresa.
«Abbiamo dormito per nove ore?» chiese Sirius, stupefatto.
«Già» rispose Eve. «E la cosa più strana è che anche io sono stata colpita dall’incantesimo».
«La cosa più strana è che sono stato colpito anch’io, che sono entrato mentre era già in atto e non mi sono reso conto di niente» replicò l’altro.
«Ragazzi!» li riprese Lily, facendoli zittire. «Domande e risposte: dopo. Smaciullamento del bastardo: ora. Chiaro?».
«“Smaciullamento”?» chiese Eve, trattenendo una risatina.
«Sta’ zitta, tu!» esclamò quella, piccata, arrossendo leggermente sulle orecchie.

«Ehi, aspetta un secondo» mormorò Remus, prendendole la mano. Dopo una mezz’oretta di riposo, in cui il ragazzo si era fatto sempre più dolorante a causa della vicinissima luna piena (la Pozione Antilupo non stava affatto attenuando i dolori della malattia), tutta la truppa si stava dirigendo nel corridoio adiacente, pronti a combattere e con un piccolo piano in mente che alla Tassorosso non piaceva assolutamente.
«Che c’è?» chiese lei, preoccupata che qualcosa non andasse.
«Niente… è solo che…».
«Dimmi» lo incoraggiò.
«Quando mi trasformerò, prendi tutti quelli che puoi e andatevene… per favore» disse Remus, quasi supplicandola con lo sguardo. «Non voglio che mi vediate… che tu mi veda fare… certe cose».
Lei lo guardò qualche istante, poi gli prese il volto fra le mani e lo baciò. Lui rimase interdetto per qualche istante, poi rispose mettendole le mani attorno alla vita e avvicinandola a sé.
«Immagino di aver perso» mormorò lui dopo qualche secondo. Lei lo fissò negli occhi verdi che di lì a poco sarebbero diventati dorati.
«Abbiamo cominciato questa cosa tutti insieme. La finiremo allo stesso modo» dichiarò. Lui la baciò nuovamente.
Avrebbero potuto andare avanti forse all’infinito, se John non avesse esclamato: «Ehi, stiamo per andare in battaglia! Se non volete venire con noi, perlomeno andate a prendervi una camera a Hogsmeade: farlo qua dentro sarebbe davvero squallido!».
I due si separarono e si osservarono per qualche istante.
«Lo ammazzo quando finiamo con Dolohov» dichiarò Dora.
«Ti do una mano» concluse lui, incamminandosi con le sopracciglia aggrottate.

Il corridoio terminava una decina di metri più avanti in una grande camera circolare, monocromatica come il resto. Le fiaccole ne illuminavano tutto il perimetro privo di altre uscite; per il resto, la stanza era completamente vuota. I ragazzi entrarono, guardandosi intorno con circospezione e sguainando le bacchette.
«Solo a me preoccupa il fatto che non ci sia nessuno?» chiese Sirius, setacciando più volte la sala con lo sguardo. Remus aggrottò le sopracciglia ma non disse nulla, pensando a quante volte l’Istinto di Felpato si fosse rivelato esatto: era quasi sicuro che questa volta lo sarebbe stato altrettanto.
«Non ne sarei così sicuro» risponde John, guardandosi intorno anche lui. Aveva un’aria molto più rilassata degli altri, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni del completo e l’immancabile ghigno malizioso. Tuttavia, aveva lo sguardo assottigliato e, a osservarlo bene, la mascella gli tremava leggermente. Remus non sapeva se fosse per paura o per l’eccitazione per lo scontro. «Phobos è furbo e tiene segrete parecchie delle sue abilità. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere già qui».
«Rassicurante» replicò Lily a denti stretti, lanciando un’occhiata a Emmeline accanto a lei che, probabilmente ancora per poco, manteneva saldi lo sguardo e la bacchetta.
«Vuoi essere rassicurata?» fece il daimon, fingendo innocenza. «Oh, be’, allora non preoccuparti! Non c’è nessun essere magico pronto a ucciderci tutti, assolutamente no! Non c’è niente di cui aver paura!».
Una Fattura Tagliente gli passò accanto all’orecchio, facendolo voltare di scatto. Dora lo stava squadrando con gli occhi che riservava solo ai peggiori criminali quando era in procinto di arrestarli. John si limitò a sorridere con fare strafottente.
«Comunque» proseguì. «L’ultima frase può essere anche un buon consiglio».
«Sul serio?» fece Sirius, voltandosi verso di lui con aria scettica. «Fingere che non stia accadendo nulla sarebbe la nostra chiave per la vittoria?».
«Fossi in te non mi girerei così velocemente, rischi che il cervello ti esca dall’orecchio» disse John. Remus trattenne Sirius per una spalla, facendogli cenno di lasciarlo fare. Quello non era momento né luogo adatto per una lite fra alleati. «Il potere di Phobos si basa sulle paure che già si hanno, amplificandole. Se non si ha paura, Phobos non ha potere. Quindi sì, cucciolo, il mio consiglio è “non c’è niente di cui aver paura”».
«Tranne che della Paura stessa» concluse Emmeline, in tono tetro.
«Dovresti far poesia, sai? Sei molto portata» commentò John, con il suo solito sorrisetto. Lily gli fu davanti all’istante, la bacchetta puntata sotto il mento del ragazzo mentre sembrava cercare di bruciarlo con lo sguardo.
«Adesso basta» sibilò. «Non un’altra parola».
John sembrò voler dire qualcosa, ma si limitò ad alzare le mani, sorridendo, e a mormorare: «Come desideri, principessa». Lily si staccò da lui rapidamente, continuando a fulminarlo con gli occhi.
«David?» chiamò Remus. «Come sta procedendo?».
«Abbastanza bene» rispose la voce del Corvonero dalla tasca di Dora. «Mi sto aggrappando alla scia di etere che collega i due specchi: sono abbastanza sicuro di riuscire a trovarvi entro una decina di minuti».
«Bene, quando ci riesci faccelo sapere» disse il ragazzo.
«Ehi…» chiamò Evelyn.
«Sì?» chiese Dora, con dolcezza, estraendo lo specchio dalla tasca e guardando il volto preoccupato della sorella che evitava i suoi occhi. Eve si morse un labbro, guardando verso gli schermi del Laboratorio, titubante.
«Niente» disse, infine. «Non importa…».
«Va bene…» fece la Tassorosso, un po’ perplessa. «Torneremo presto, okay?».
«Okay» rispose Evelyn, a occhi bassi, spegnendo poi lo schermo. Dora lanciò un’occhiata preoccupata a Remus, che fece una smorfia triste ma non disse nulla.
«Meglio dare un’occhiata in giro, magari troviamo qualcosa» suggerì Lily, facendo qualche passo avanti. Gli altri, alcuni annuendo, cominciarono a guardarsi intorno, avvicinandosi alle pareti di pietra solida e controllando pavimento e soffitto.
«Potrebbe essersene andato» disse Emmeline, insicura.
«Non credo» rispose John, inaspettatamente serio. «Ci ha attirati qui per un motivo, e sicuramente non è quello di farci perdere tempo».
«Perché no?» replicò invece Sirius, come se avesse appena ricevuto l’illuminazione del secolo. «Dopotutto noi siamo gli unici nella scuola che sanno che ci sono loro: toglierci di mezzo per un po’ significherebbe attaccare una scuola indifesa!».
«Adesso però non ti mettere a scodinzolare, eh» lo rimproverò John, guadagnandosi un ringhio dal giovane Black.
«No, non può essere così» disse Remus, amaramente. Continuò prima che Sirius potesse aprire bocca, notando la sua faccia offesa. «Ai daimon non interessa la scuola, il loro obbiettivo… siamo io e Dora, probabilmente. Da quanto ho capito, vogliono farci fuori». Si voltò verso Emmeline con occhi tristi. «Avrei dovuto dirlo prima ma… mi dispiace che tu e Mary siate finite in mezzo a questa storia. Non potevo immaginare che sarebbe accaduto qualcosa del genere».
John sembrò voler dire qualcosa, ma chiuse la bocca a un’occhiataccia di Lily. Emmeline, invece, sembrava non aver nemmeno ascoltato l’ultima frase, sembrava, piuttosto, pensierosa.
«Invece non penso sia solo contro di voi» ribatté, stupendo il ragazzo. «Regulus… scusa, Sirius, intendevo Dolohov, mi ha messo un biglietto in tasca, parlando di “sangue degli intrusi sparso sulla pietra nera” o qualcosa del genere. Credo ce l’abbia anche con i Nati Babbani».
«Oppure» s’intromise Dora. «Intendeva un altro genere di “intrusi” …».
«E allora perché venire a prendere me e Mary? Avrebbe potuto rapire voi due, piuttosto, senza tante scenate» replicò la Grifondoro, fermamente convinta… sebbene molto inquietata dalla situazione.
«Le “scenate” probabilmente fanno parte del suo modo di agire» suggerì Sirius. «Dopotutto è il “dio della paura”, o almeno si fa chiamare così. Magari cercava solo di spaventare il più possibile».
«E perché farlo? Spaventare significa farci capire che c’è qualcosa che non va» disse Lily, riflettendo anche lei sulla strana situazione.
«O magari, tutto questo è stato fatto per attirarvi tutti insieme qui per spargere il vostro sangue in questa sala sacra». Tutti si voltarono all’istante verso l’entrata. Abbassando il cappuccio del suo soprabito nero, Dolohov, detto Phobos (ma anche “Scassaboccini” per Sirius era piuttosto adeguato), li guardava con un sorriso volgare dipinto sul volto storto e sadicamente divertito. In meno di un secondo, i ragazzi si riunirono, quasi al centro della stanza, per fronteggiarlo.
«In ogni caso» proseguì, «si può dire che il mio piano sia riuscito alla perfezione».
«Riunirci tutti insieme per una sorta di “battaglia finale” sarebbe il tuo grande piano?» chiese Sirius, scettico. «Morgana, neanche io sono così stupido!».
Gli altri si trattennero dal guardarlo, tenendo gli occhi sul nemico, ma un sorrisetto fra lo stupito e il divertito comparve su quasi tutti loro.
«Esatto, cane, il mio piano era portarvi qui. Tutti insieme: Narratori, Sanguesporco e traditori del proprio sangue, riuniti e lontani da ogni aiuto, pronti a essere sacrificati» disse Dolohov, calmo, e Sirius impallidì leggermente: non l’aveva vista sotto quell’ottica. «Apophis pensava di dover arrivare alla Guerra… ma così è molto più semplice, non trovate?».
«Sì, sì, come ti pare» fece John, all’apparenza tremendamente annoiato. «Adesso dacci Mary e Regulus, così ti ammazziamo e andiamo tutti a farci una bella dormita».
«Regulus? Ormai lui non è più con me…» disse l’altro, osservandolo con occhi socchiusi.
«Cosa gli hai fatto?» ringhiò Sirius, preparando la bacchetta.
«Oh, sai com’è, non serviva più e quindi…»
«Stronzate» lo interruppe una voce proveniente dalla tasca di Dora. «Ho trovato Regulus qualche ora fa e l’ho portato in Infermeria. Scusa, mi sono dimenticato di dirtelo prima».
«Ne parliamo dopo…» sibilò Sirius, ancora arrabbiato e preoccupato, ma con un peso in meno.
«Okay, è vero, Regulus è salvo» ammise Dolohov, scrollando le spalle. «E, a voler essere sinceri, anche lei lo è». Così dicendo, il daimon agitò una mano e, in un rapido vortice di nubi, Mary apparve, svenuta a un lato della stanza, proprio di fianco a Sirius, che corse istintivamente accanto a lei mentre i suoi compagni continuavano a osservare il nemico. Chino sulla Grifondoro, il ragazzo studiò con rabbia i vestiti strappati e i numerosi graffi ed escoriazioni che la ricoprivano.
«Sì, ci siamo divertiti molto con lei…» disse l’uomo, osservando i due con un ghigno. Sirius si voltò a guardarlo solo dopo aver constatato che Mary respirava. Si alzò in piedi, voltandosi a guardare l’ex-Mangiamorte. «E credo proprio che lei si divertirà altrettanto, con te».
«Sirius, attento!» l’urlo di Remus gli arrivò leggermente in ritardo e Sirius venne colpito dall’incantesimo della ragazza a un fianco.
Mentre Sirius si girava, stupefatto, a osservare la ragazza che, tenendo in alto la bacchetta, si alzava, guardandolo negli occhi con aria selvaggia, e gli altri rimanevano impietriti a osservarli, Dolohov scoppiò. Letteralmente. Una cortina di fumo grigio cominciò a sprigionarsi da dove si trovava, avvolgendo tutta la sala. In breve tempo, la visuale di tutti venne di molto ridotta.

Intanto, Sirius continuava a indietreggiare, tenendosi il lato colpito e sanguinante, mentre la sua ragazza gli puntava la sua arma verso il volto. Cercò con gli occhi l’aiuto dei suoi amici, sentendosi tremendamente impotente in quella situazione, ma senza trovarli. Quel fumo, molto probabilmente, li aveva separati tutti. Puntò gli occhi su Mary, che continuava a camminare ostentando una fredda decisione che non le vedeva da circa un anno…
«Mary…» tentò, timoroso. La ragazza fece un rapido gesto con la bacchetta e Sirius riuscì per un soffio a schivare il lampo rosso che ne seguì, sentendolo infrangersi a pochi metri da lui.
Una voce senza corpo gli arrivò all’orecchio.
«Soteriofobia» disse, sibilando. «La paura di dipendere dagli altri. Lascia che la tua amata affronti le proprie paure…».
Sirius sgranò gli occhi. Sicuramente quella era la voce di Phobos e sapeva per certo che era meglio non fidarsi, ma chi meglio del dio della paura sapeva riconoscerle e sfruttarle a proprio vantaggio? E poi, “paura di dipendere dagli altri” … e quella freddezza che il ragazzo non vedeva da tempo… Più precisamente, da quando lui e Mary avevano cominciato a uscire insieme seriamente.
In genere, le altre persone (e fino a qualche tempo prima anche i suoi stessi amici), a pelle, lo giudicavano come un po’ “lento”. Brillante e affascinante, eh! Ma un po’ lento nel comprendere le situazioni. E lui non aveva mai potuto dargli torto. Con Mary, invece, il discorso era ben diverso… ed era anche vero che l’indizio lasciatogli dal daimon era difficilmente fraintendibile. Se la paura di Mary era veramente quella descritta, era evidente che aveva paura di dipendere troppo da lui… Dopotutto, era sempre stata molto indipendente, prima della loro relazione.
Mentre Mary continuava a scrutarlo con la bacchetta puntata, come in attesa di qualcosa, Sirius cominciò a sentire urla e scoppi provenire dal denso fumo che li circondava e, di tanto in tanto, lampi colorati passavano a poca distanza dai due, dissolvendosi nelle vicinanze. Un ruggito scosse l’intera sala. Evidentemente, Phobos aveva sguinzagliato la sua Chimera da compagnia giusto in tempo per la pappa.
Sirius tornò a studiare con attenzione la ragazza, cercando di non andare nel panico e provando a pensare razionalmente… Non che fosse facile, in quel momento, ma una voce nella sua testa (stranamente simile a quella di Remus) gli sembrava consigliargli di riflettere e non lasciarsi trasportare dalle emozioni come suo solito. Non trovando soluzioni sul momento, però, Sirius tentò di nuovo un approccio calmo, cercando di far parlare la ragazza.
«Mary…» provò nuovamente. Non riuscì nemmeno a compiere una frase di senso compiuto che la ragazza fece roteare la bacchetta come una frusta. Il ragazzo non aveva idea di che incantesimo si trattasse, ma gli bastò il gesto per convincerlo a scattare di lato, evitando la scia della bacchetta che rapidamente si abbassava. Sul pavimento comparve una lunga crepa nera nella roccia. Sirius sgranò gli occhi. Quell’incantesimo era fatto per uccidere, decisamente.
«Dolohoferio» sussurrò nuovamente la voce di Phobos. «Un piccolo incantesimo che ha inventato l’altro me… ovviamente con qualche miglioria».
Sirius si morse le labbra per non mandare a quel paese l’uomo e dirgli di stare zitto: doveva concentrarsi su Mary. Era ovvio che i poteri di Phobos, incentrati sulla Paura, avessero un ruolo chiave in quella storia, ma doveva capire fino a che punto. La Grifondoro non smetteva di guardarlo con una terrorizzante calma fredda… terrorizzante. Ecco, era quello il punto! Ovviamente, Phobos stava sfruttando la Paura di Mary, ma in questo modo cercava di instaurarla anche all’interno di lui! Maledisse mentalmente il daimon quando capì il suo piano. Metterli uno contro l’altro.
Se Phobos aveva il potere, come aveva detto John, di accrescere la Paura di una persona e usarla per manipolarlo, bastava far nascere in due persone la paura dell’altro, in modo da farle ammazzare fra loro senza sporcarsi le mani.
È disgustoso, pensò Sirius, arricciando le labbra. Ora aveva compreso ciò che stava accadendo, mancava solo un passo: capire come risolvere il problema. Sirius digrignò i denti e si guardò intorno, come in cerca di un appiglio nelle nubi di Phobos. Che, ovviamente, non trovò.
Sapeva, comunque, che era meglio non fare nulla finché non avesse trovato un sistema sicuro, altrimenti quella sorta di ipnosi (era ancora Nightmare? O forse qualcos’altro di molto peggiore?) avrebbe indotto Mary ad attaccarlo. Probabilmente anche questo faceva parte del piano di Phobos: associare un suo tentativo di aiutare Mary con un attacco da parte sua. C’era anche un termine psicologico per questo, ma in quel momento non lo ricordava (Remus aveva detto, anni prima, che poteva usarlo per educarlo e fargli fare i compiti… fallì miseramente, ma questa è un’altra storia). In ogni caso, per quanto ne sapeva ci voleva molto tempo perché quest’associazione facesse effetto, ma magari i poteri di Phobos accorciavano i tempi. O magari stava pensando troppo… strano a dirsi per Sirius, ma in quel momento il suo cervello era a mille.
Una nuova esplosione, molto più forte delle precedenti, e un ruggito rabbioso riportarono i suoi pensieri sull’azione. Guardò negli occhi Mary, cercando di capire cosa fare. L’idea gli venne all’improvviso: non c’è nulla di cui aver paura, tranne la Paura stessa. Allora, forse, un modo c’era! Se Phobos controllava Mary tramite la sua paura, allora poteva aiutarla rimuovendola. Ora, ciò che Mary temeva era, in un certo senso, lui e, considerando che il suicidio sarebbe stata l’ultimissima opzione, doveva trovare un modo per non farsi vedere come una minaccia.
Rinfoderò, quindi, la bacchetta, e guardò la ragazza negli occhi. Quella sembrò accorgersi di qualcosa, perché assottigliò lo sguardo e rinforzò la presa sulla sua arma. Sirius non sapeva bene come muoversi né cosa fare di preciso, quindi fece ciò che faceva di solito: spense il cervello. Assunse il suo solito sorriso strafottente e continuò a studiare Mary che, stranamente, sembrava leggermente a disagio, continuando a non emettere un fiato.
Quando Sirius fece un passo avanti, la ragazza sussultò e ne fece uno indietro. Il Grifondoro non si fermò e continuò a proseguire verso di lei che, piuttosto che tentare di scagliargli contro un incantesimo, come aveva temuto, sembrava particolarmente confusa. Mary indietreggiò fino a poggiare la schiena sul muro circolare. Sirius continuò ad avanzare, ignorando la bacchetta che continuava a venir puntata contro il suo petto. Fece scivolare con nonchalance il braccio teso sopra la propria spalla e si avvicinò ancora. Mary sgranava gli occhi, sorpresa e confusa. Evidentemente, Phobos non si aspettava che avrebbe osato avvicinarsi. Quell’essere conosceva veramente poco gli umani, nonostante lo fosse stato, in passato.
Sirius continuò ad avvicinarsi, lentamente, e, fermo di fronte a lei, le passò una mano fra i lunghi capelli biondi, arrivando a carezzarle il viso. Poi, senza che nessuno dei due dicesse nulla e con la battaglia che infuriava sempre più violenta nella nebbia alle sue spalle, Sirius si chinò su di lei e la baciò.
Quasi immediatamente, calde lacrime cominciarono a sgorgare dal volto di Mary, bagnando anche quello del ragazzo, che non se ne curò, mentre il suo cuore trionfava doppiamente: una volta per aver salvato Mary, la seconda per averla riavuta con sé. Perché sì, ne era sicuro, la ragazza che ora ricambiava appassionatamente il suo bacio era sicuramente Mary MacDonald, la Grifondoro dal cuore d’oro che aveva rapito il suo.
«Mi dispiace» mormorò la ragazza, separandosi leggermente da lui per guardarlo in volto. Sirius gioì nuovamente nel vedere di nuovo quegli occhi accesi di vita, nonostante le lacrime che continuavano a sgorgare.
«Non importa» rispose Sirius. «Tu non hai fatto nulla».
E la baciò nuovamente. Non sapeva, esattamente, quanto sarebbero andati avanti se Remus e gli altri non avessero sconfitto la Chimera. Capì ciò che era successo dall’ultimo ruggito straziante della creatura, che risuonò nella stanza, e dall’urlo di rabbia e sofferenza che apparteneva a Dolohov. Evidentemente non gli stava piacendo la piega che stava prendendo la situazione. Due a zero per Hogwarts!
E poi il terremoto scosse tutta la stanza.

Il fatto che l’animaletto di Phobos non fosse una Chimera era stato chiaro a tutti non appena questa aveva fatto la sua comparsa. Dopotutto, le Chimere, seppur selvagge, pericolose e magiche, erano pur sempre animali, e soprattutto non avevano il pelo color dell’inchiostro e gli occhi cremisi. E voi avete mai sentito parlare di un animale che emergeva da una pozza di sangue nero ribollente nel bel mezzo di una stanza costruita con solidissima pietra? Be’, i presenti erano abbastanza informati da sapere che no, non era affatto normale.
Sommergendoli di scuse durante il combattimento, Evelyn aveva continuato a cercare informazioni sulla creatura insieme a David con controlli incrociati e Merlino solo sa cosa. I ragazzi avevano facilmente ignorato i suoi balbettii costernati e frenetici, impegnati com’erano a non farsi scuoiare con una zampata della belva. A sorpresa, fu proprio la voce di Phobos, nelle loro teste, a spiegargli cos’era quell’essere (evidentemente, i daimon erano tremendamente esibizionisti).
«Vi piace?» aveva chiesto la voce, quasi ironicamente. Probabilmente erano volati molti insulti mentali, in quel momento. «Questo è ciò che potrei definire mio figlio: l’Atromorfo. È uno dei primi Mutaforma della storia, sapete? È in grado di trasformarsi in qualsiasi cosa il suo padrone desideri ,in ogni momento, assumendone tutte le caratteristiche, genoma compreso. Interessante, non trovate?».
Probabilmente, le uniche a trovarlo interessante erano state Lily, che con un incantesimo cercava di far cadere la creatura insieme a Emmeline, e Evelyn, che sicuramente non aveva sentito la spiegazione da documentario, considerando che ancora si stava affannando nelle ricerche.
I ragazzi capirono poco dopo cosa volesse dire “in qualsiasi cosa, in qualunque momento”: mentre l’Atromorfo alzava una zampa in un tentativo di colpirli, quella assunse le sembianze (e gli artigli) di quella di un drago, allungando non di poco il suo raggio e rischiando di mozzare la testa a Dora, che fortunatamente decise di inciampare proprio in quel momento. Remus rispose con una lunga serie di incantesimi mischiate a colorite imprecazioni che tennero occupata la bestia per qualche minuto, mentre gli altri recuperavano le forze e cercavano di elaborare un piano.
John, mentre gli altri combattevano, sembrava studiare la creatura, lanciando di tanto in tanto qualche incantesimo con il solo ausilio delle mani. I suoi colpi erano molto potenti, poco più di quelli di Remus, ma la lenta cadenza con cui li scagliava permetteva all’Atromorfo di rimanere stabile e continuare con i suoi mutevoli (in tutti i sensi) attacchi. Alla fine, fu proprio lui a trovare una soluzione… all’incirca.
«Lily, Emmeline» ordinò, con voce chiara, in modo che lo sentissero anche sopra ai ruggiti dell’Atromorfo. «Mettetevi alle sue spalle e cercate di bloccargli le zampe posteriori, e attente alla coda. Remus, Tonks, voi pensate alle anteriori e al muso. Al resto ci penso io».
Non che fosse, poi, un gran piano. Anzi, a dirla tutta sembrava quasi li stesse prendendo in giro. Ma il suo volto era così serio e la sua voce così autoritaria da indurli a fidarsi. Più che John, in quel momento sembrava un James estremamente serio.
Lily ed Emmeline, quindi, cominciarono a scagliare incantesimi contro le zampe, cercando di evitare i colpi della coda, che cambiava forma in continuazione, mentre Remus e Dora si diedero da fare con la testa, colpendola con i più potenti incantesimi di cui erano a conoscenza (fra cui, inutilmente, anche le Maledizioni Senza Perdono). John, invece, si tramutò in una cortina di fumo nero, mischiandosi alle nubi che li avvolgevano, e volò sopra la schiena dell’Atromorfo. Gli altri non seppero mai cosa accadde lì in alto ma, nella nebbia, sentirono chiaramente numerose esplosioni e Lily giurò di aver visto delle catene uscire dal terreno e conficcarsi nei fianchi della creatura. La violenza di quegli attacchi era tale che la bestia non riuscì a riformare le parti colpite e, pian piano, con un ultima, violenta esplosione, quella si dissolse nel nulla con un ruggito straziante, seguito a breve da un urlo rabbioso di Dolohov.
«Grazie» disse Remus, con il fiatone, a John, quando questo gli si Materializzò accanto.
«Non è ancora finita» disse lui, cupo. Il terremoto venne immediatamente dopo.
Frammenti di pietra caddero dal soffitto, graffiando volti e braccia dei ragazzi. Remus sentì, nel trambusto, Dora chiedere a David quanto tempo mancasse e la risposta non gli piacque affatto.
«Molto bene, allora» ringhiò Phobos, nell’aria. «Siete arrivati fin qui e avete deciso di sfidare il dio. Ora avrete la vostra punizione».
Altre pozze nere comparvero sul pavimento, ognuna di fronte a una persona; in un ribollio inquietante, da queste uscirono persone che, in un istante, assunsero l’aspetto dei ragazzi, che si allontanarono dalle copie con le bacchette sguainate.
«Prodofobia» disse la voce. «La paura del tradimento. Ora, avrete il coraggio di puntare la bacchetta verso il nemico senza sapere se lo sia veramente?».

All’inizio sembrava piuttosto semplice affrontare i propri doppioni, specie quando apparivano proprio di fronte a sé, ma, dopo che i primi incantesimi furono scagliati da entrambe le parti (misteriosamente, Dolohov era riuscito a replicare anche le loro bacchette), tutti si dispersero nella nebbia, che si era fatta più fitta.
Lily teneva la bacchetta alzata e si guardava intorno, mentre si muoveva alla cieca a piccoli passi, cauta, cercando di avvertire ogni minimo rumore. Ogni tanto, uno scoppio e un lampo colorato nel grigio le facevano capire che qualcuno aveva incontrato una copia… o forse era una copia ad aver incontrato uno di loro. Preferiva non pensare a quell’eventualità.
Quando si scontrò, di schiena, contro qualcuno, sobbalzò vistosamente e, voltandosi di scatto, gli puntò la bacchetta al volto. Lei e Tonks rimasero a osservarsi, immobili, studiandosi a vicenda e cercando di capire se fossero copie o no. Camminarono in circolo, continuando a puntarsi la bacchetta contro, aspettando il minimo segno per colpire. Lily cominciò a innervosirsi quando capì quanto fosse assurda la cosa: se erano entrambi gli originali, avrebbero potuto continuare così all’infinito senza risolvere alcunché. Con un ringhio di stizza si allontanò da Dora, abbassando la bacchetta. Quella la guardò, sorpresa.
«Tutto questo è assurdo!» esclamò Lily, furibonda. «Questa storia non finirà mai! Come faccio a capire se sei una copia o no?».
La Tassorosso la guardò, inclinando leggermente la testa con un sorrisetto divertito. Poi sgranò leggermente gli occhi e urlò «Giù!».
Lily ubbidì e l’incantesimo lanciato dall’Auror volò oltre la propria spalla e a quello seguì un tonfo. La Grifondoro si voltò, giusto in tempo per vedere una seconda Ninfadora tenersi una ferita sul braccio da cui sgorgava sangue nero.
«Oh» fece Lily, inarcando un sopracciglio. «Ecco come».
E Schiantò la copia, colpendola in pieno volto.
«Bel colpo, principessa!» esclamò John, apparendo dalla nebbia. Entrambe le ragazze si voltarono a guardarlo, puntandogli e bacchette contro il petto. Quello alzò le mani, assumendo un’espressione di finta sorpresa, e indietreggiò di un passo. «Tranquille, sono il solo e unico».
«Be’, non possiamo esserne certi senza fare una piccola prova, no?» fece Lily, sorridendo amabilmente e senza celare una certa punta di sadismo nella voce. Dora la guardò con un ghigno divertito: non sapeva cosa fosse accaduto di preciso tra i due, ma sembrava proprio che la ragazza stesse cercando una piccola vendetta… e non sarebbe certo stata lei a fermarla.
«Ehm… no, non credo proprio» replicò lui.
«Oh, dai, solo un piccolo taglietto che male può fare?» ribatté lei, avvicinandosi minacciosamente. Nonostante tutto, era sicura che stesse dicendo la verità.
«Piantatela, tutti e due» disse Remus. Comparire dalla nebbia cominciava a sembrare un hobby. «Non è il momento… e lui è a posto, l’odore è quello giusto».
«Odore?» chiesero Lily e John in coro, con la differenza che lui assunse un ghigno compiaciuto mentre la ragazza lo trucidava con lo sguardo.
«Sono troppo vicino alla luna piena» spiegò il Grifondoro, grattandosi il naso. «Fra non molto mi trasformerò… dobbiamo sperare che i calcoli siano giusti».
«Comunque Dolohov non mi sembra poi così pericoloso» intervenne Dora, passandosi una mano fra i capelli (diventati di un violento arancione) e guardandosi attorno nella nebbia. «I suoi poteri non sono un granché…».
«Credo abbia toppato» disse John. «Dovrebbe essere molto più potente di così, ma sembra che qualcosa lo trattenga. Probabilmente, le cose non stanno andando come avrebbe voluto».
Remus fece una piccola smorfia, arricciando il naso. «Anche a me aveva dato l’impressione di un piano creato sul momento…».
«Pensiamoci dopo» fece Lily, seria. «Meglio trovare Emmeline e i piccioncini».
«Chi è che stava flirtando col demone, cinque secondi fa?» borbottò Remus, un po’ risentito, seguendo la Grifondoro che si addentrava nella nebbia. Dora, l’unica sentirlo, ridacchiò dandogli una scherzosa pacca sulla spalla. Lui le sorrise di rimando.
Camminarono nella nebbia senza una meta visibile e tenendo le bacchette spente per paura di essere trovati dalle copie mancanti. Non ci volle molto, tuttavia, a capire che la nebbia stava cambiando la loro percezione dello spazio: la stanza era sì grande, ma non tanto da camminare per minuti interi senza trovare la parete opposta!
«Qualcosa mi dice che non sarà poi così facile trovarli» commentò Lily, con aria sconsolata. «Potremmo anche star girando in tondo senza saperlo…».
«Purtroppo la nebbia blocca gli odori troppo distanti» disse Remus. «Non riesco a sentirli da nessuna parte».
«E, stranamente, anche io sono bloccato» aggiunse John, infastidito. «Non percepisco niente a parte voi».
«Allora credo ci sia una sola cosa che si può fare» disse Dora, con espressione saggia. Remus aggrottò le sopracciglia, improvvisamente molto preoccupato.
«Di che stai parlando?» chiese, cauto.
«Be’, i superpoteri non si possono usare, la visibilità è poca, la stanza è tutta incasinata, quindi non rimane che…» prese un bel respiro e poi, a pieni polmoni, urlò: «Emmeline! Sirius! Mary! Dove siete?».
Gli altri tre la guardarono a occhi spalancati. John fece un gesto di stizza con le braccia.
«Bene, tanti saluti allo stealth. Adesso ci ritroveremo tutte le copie addosso» commentò.
«E quindi?» replicò lei con un sorriso innocente. «Non riuscite a percepirli a distanza, ma se sono vicini potete capire se sono loro o no».
Remus la guardò per qualche istante, prima di posarle le mani sulle spalle e guardarla fissa negli occhi. «Sei un genio» disse, serio, prima di baciarla.
«Forse dovremmo imitarli, sai?» fece John, guardando Lily con aria maliziosa. «Giusto per mimetizzarci eccetera».
Lei inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia. «Con te? Non accadrà mai».
«Dai, alla fine sono James, no?» replicò lui, quasi supplicante. Il sopracciglio di Lily si alzò ancora di più.
«No, tu sei John» rispose, ferma.
«È lo stesso!».
«Non è vero!».
«Confringo!» esclamò Remus. Il raggio dell’Incantesimo Esplosivo passò accanto ai due, andando a colpire in pieno petto un secondo Remus. Una voragine di sangue nero si aprì in seguito alla violenta esplosione e il corpo cadde a terra. In un breve istante, quello si tramutò in cenere.
«Meno due» fece il Grifondoro, abbassando la bacchetta. Lily lo guardò, stupefatta dalla violenza dell’incantesimo appena usato, mentre John sembrava più interessato al mucchietto di cenere che stava sopra.
«Penso siano altri Atromorfi… che strano…» commentò.
«Perché “strano”?» chiese Remus, avvicinandosi di poco a lui.
«Perché per quanto ne sapevo, Phobos non aveva bisogno di creature per concretizzare le paure» spiegò. Rimase in silenzio per qualche secondo, per poi aprirsi in un sorriso raggiante. «Forse ho capito… e se è così, siamo davvero molto fortunati!».
Non fece quasi in tempo a finire di parlare che un lampo di luce verde gli passò accanto al viso, mancandolo di un soffio. John si girò ringhiando verso l’assalitore. James (perché quello era decisamente James) lo stava fissando con la bacchetta puntata e un sorriso strafottente.
«Figlio di un bolide!» esclamò John, guardandolo. L’Atromorfo mosse la bacchetta e un secondo Anatema ne fuoriuscì. Il daimon non si dette nemmeno la pena di schivarlo. La sua mano si coprì di un velo di oscurità e, in un rapido movimento, afferrò la maledizione in volo appena prima che lo colpisse. Tenne in mano per un istante quella che sembrava una fiamma smeraldina, per poi chiuderla nel pugno. L’Anatema si dissolse in scintille verdi.
Con la stessa mano, John indicò la copia con l’indice, tenendo alzato il pollice nel classico segno di pistola. Una pistola che, tuttavia, sparò davvero. In un breve istante, il velo di oscurità corse lungo il dito e ne fuoriuscì in una minuscola pallottola nera, rompendo una lente dei finti occhiali dell’Atromorfo, che si dissolse ancora prima di toccare terra.
«Fuori tre. Ne restano quattro» disse John, con tranquillità. Poi si volto a guardare i compagni. «Non fissatemi così, potrei arrossire!».

Proprio in quel momento, Sirius ed Emmeline avevano ingaggiato una violenta battaglia contro i propri doppioni e quello di Mary, che, troppo debole per combattere, se ne stava dietro di loro, fornendo un poco di supporto tramite deboli incantesimi difensivi.
Nonostante l’innata bravura di Sirius nei duelli, i tre Atromorfi erano decisamente più potenti ed Emmeline non era poi molto abile: alla fine, era lei che più aveva bisogno degli incantesimi di Mary.
Sirius mosse la bacchetta in un moto circolare e un raggio arancione andò a colpire la gamba del suo doppione, che cadde a terra. La copia di Mary gli si pose immediatamente davanti, bloccando il suo tentativo di finirlo. Nonostante fosse quasi doloroso combattere contro qualcuno con le sembianze della sua ragazza, la presenza dietro di lui riusciva a mantenergli la mente lucida, quindi non fu troppo difficile contrastare l’offensiva della creatura.
Emmeline, invece, rischiava sempre di fare un passo falso. Combatteva meglio che poteva, ma aveva così tante aperture che, senza Mary, l’Atromorfo l’avrebbe già uccisa. Provò a scagliare uno Schiantesimo contro la copia, ma quella parò il colpo senza problemi, ricambiando con un Incantesimo Elettro, prontamente parato da Mary, che ormai aveva cominciato a duellare più attivamente insieme alla compagna.
In pochi secondi, le due Grifondoro riuscirono a ribaltare la situazione. Mary tentò di lanciare una semplice Fattura Orcovolante che, naturalmente, l’Atromorfo-Emmeline riuscì a parare senza alcun problema. Prima che la creatura potesse fare qualcosa, Emmeline scagliò un Incantesimo di Ostacolo, superando con successo la sua guardia. Approfittando dell’improvvisa paralisi del nemico, Mary mosse la bacchetta come una frusta. L’Incantesimo di Dolohov squarciò l’Atromorfo, riducendolo in cenere.
Mary non si sentiva affatto felice di aver usato una maledizione così oscura e appresa in un modo tanto orrendo, ma non vedeva cosa ci fosse di male nell’usare gli incantesimi del creatore di quelle creature per distruggerle. In altri momenti, probabilmente avrebbe urlato qualcosa sul genere: «questo è karma, stronzo!». Tuttavia, non le sembrava il caso di far infuriare ancora di più il nemico.
Sirius era ormai impegnato in un rapidissimo testa a testa con la copia di Mary, che duellava ancora meglio della ragazza. Gli incantesimi che non venivano bloccati da uno difensivo si scontravano a mezz’aria con un altro dell’avversario, sprigionando lampi dai mille colori che illuminavano la nebbia attorno a loro. La copia di Sirius, stava ancora a terra, tenendosi la ferita da cui sgorgava sangue nero. Quando Mary lo vide riprendere la bacchetta e puntarla contro Sirius, gli lanciò un rapido Incantesimo di Confusione. L’Atromorfo-Mary si tramutò in cenere, colpita dall’Anatema del compagno, che lo seguì dopo un istante grazie a una maledizione di Sirius.
«Grazie» disse Sirius, con il fiatone, sorridendo alla ragazza. Lei fece un sorrisetto, compiaciuta, prima di mettersi a sedere per terra. I due Grifondoro le furono immediatamente accanto ma lei li tranquillizzò con un gesto della mano.
«È finita l’adrenalina, tutto qua» spiegò, affaticata. «Penso di essere fuori gioco, mi dispiace».
«Non ti preoccupare» disse Sirius, dandole un bacio. «Sei stata grandiosa».
«Ragazzi! Vi ho trovato!» esclamò una voce dietro di loro. Si voltarono giusto in tempo per vedere Lily, i capelli rossi in disordine e arruffati, venire verso di loro correndo piano con aria sfinita.
«Lily!» esclamò Emmeline, correndole incontro per abbracciarla. Le due rimasero per qualche secondo in quella posizione, poi Lily si liberò dall’abbraccio e, con un altro sorriso all’amica, si diresse verso Mary, ancora a terra.
«Merlino, Mary! Tutto okay?» chiese, preoccupatissima. Mary la guardò, inarcando le sopracciglia.
«Potrei stare meglio» disse, osservandola con attenzione. Lily sembrò non curarsene ma Sirius se ne accorse, guardando la ragazza con una muta domanda negli occhi.
«Vi ho sentito combattere e sono corsa qui» spiegò la rossa, affannata.
«Hai incontrato qualcuno qui in giro?» chiese Mary, in tono neutro. Ancora una volta, Lily non diede segno di essersene accorta.
«No, nessuno, purtroppo… Solo la mia copia» rispose, con occhi tristi.
«E dov’è la copia, ora?» chiese ancora Mary, gli occhi che si affilavano sempre di più e un sorrisetto scaltro che nasceva a un angolo della bocca.
«Morta. Non darà più fastidio» disse con fredda sicurezza.
«Eh, già, sono sicurissima che non darai più alcun fastidio» disse Mary, con un sorriso amabile. Lily la guardò, confusa, ed Emmeline le diede un colpetto sulla spalla per farla voltare. Lily ubbidì, trovandosi faccia a faccia con un gruppetto capitanato da… Lily, che aveva la bacchetta puntata contro di lei.
L’Atromorfo saltò in piedi, estraendo la bacchetta e cercando di scattare verso l’originale che, tuttavia, fu più veloce.
«Glaciellus» mormorò quella. Un proiettile di ghiaccio trafisse la spalla dell’Atromorfo, facendone sgorgare sangue nero. L’essere venne sbilanciato e cadde in ginocchio. Lily, guardandola con rabbia, abbasso rapidamente la bacchetta in un gesto verticale. «Propagat».
Assecondando l’ordine della ragazza, dalla ferita cominciò a diffondersi ghiaccio su tutto il corpo della creatura e, in pochi secondi, nei quali si lamentava in lacrime per il freddo, venne completamente congelata.
John fischiò il suo apprezzamento. «Figo».
«Se fanno una copia di me ci posso anche stare. Che sia più potente di me anche. Che sia una creatura oscura un po’ meno. Ma una Lily Evans che inganna le mie amiche deve solo morire» disse, piena di fredda rabbia, osservando il ghiaccio entrare sempre più in profondità, fino a tramutare l’intero cadavere in acqua gelata con le sue sofferenti sembianze.
«Come state?» chiese Dora, facendo qualche passo verso i tre Grifondoro, che ancora osservavano l’amica con occhi sgranati.
«Io e Sirius stiamo bene, ma Mary…» cominciò Emmeline. La bionda le lanciò un’occhiataccia.
«Mary sta bene, è solo molto stanca» concluse, con una smorfia infastidita.
«E adesso…?» chiese Sirius. «Cosa facciamo?».
«Adesso si concluderanno i giochi» sibilò Phobos nelle loro orecchie. I ragazzi non si diedero neanche la pena di guardarsi attorno, sicuri che era la nebbia stessa a trasmettergli i pensieri del daimon. «Come vi avevo promesso, avete riabbracciato i vostri cari perduti e, adesso, è giunta l’ora di morire. Tutti».
«Credici» commentò John, annoiato. «Sei solo un patetico codardo che si nasconde dietro i suoi pupazzetti. Non sei degno di portare il nome di daimon».
«Come osi?» ruggì la voce. «Proprio tu parli in questo modo? Sei tu che hai tradito la tua stessa specie, alleandoti con questi intrusi».
«Tecnicamente, siete voi gli intrusi» replicò tranquillamente l’altro, cominciando a camminare nella nebbia, come se non riuscisse a rimanere fermo. «Hogwarts appartiene ai suoi studenti, voi vi siete inseriti e ora volete uccidere i suoi stesso abitanti».
«Anche tu sei un intruso, allora» disse Phobos. Remus, più di tutti, riuscì a vedere distintamente che la nebbia stava calando di poco in poco, raggruppandosi in una massa in quello che doveva essere il centro della stanza, proprio dove John era diretto. «Come noi, hai cercato di uccidere questi umani a cui ora tieni tanto».
«Lo ero» rispose con tranquillità. «Per le prime ore in cui sono stato in questo corpo. Poi mi sono state fatte capire parecchie cose su questi umani… a suon d’insulti, a dirla tutta».
Phobos sbuffò, diventando sempre più consistente. «Lo avevo detto che era uno sbaglio mandare te. Sei stato troppo tempo senza un ospite, era normale che l’osmosi ti facesse impazzire».
John rise. «Impazzire? Mio disgustoso fratello, sono sempre stato pazzo! Solo adesso, però, ho capito che il tipo di pazzia che voglio è proprio questa!».
«Ti consumerai, Mot» disse l’altro daimon. «Sai cosa accadrà se continuerai in questo modo. Dovresti stare dalla parte giusta, ottenere ciò che ti spetta di diritto. Invece tu e Loki continuate a mandare tutto a puttane. Per cosa, poi? Per questa insulsa feccia!».
«Sai una cosa?» chiese John, fermandosi a un passo da Phobos. «Se dovessi scommettere su questa Guerra, scommetterei sulla feccia».
Così dicendo, mosse in un lampo la mano destra, poggiandola sul petto ancora non pienamente formato del dio della Paura. Come se fosse una mina, la mano, avvolta dal velo di oscurità, sprigionò uno scoppio di luce nera, facendo volar via Phobos che, a terra, riassorbì tutta la nebbia presente nella stanza, riassumendo la forma umana.
John corse verso i compagni che lo osservavano, sorpresi dal suo comportamento. Tutti tranne Remus, che aveva capito perfettamente cosa Mot gli aveva appena offerto: una finestra.
«David, hai fatto?» esclamò il Grifondoro. La voce gli giunse dalla tasca di Dora.
«Ancora pochi secondi…» rispose.
«Non ce li abbiamo pochi secondi, è la nostra unica occasione» ringhiò Remus.
«Aspetta un secondo!» esclamò a sua volta il Corvonero. «Aspetta… aspetta… Okay! Ci sono! Siete fuori dalla Foresta, a poca distanza da Hogsmeade. Se i calcoli sono giusti, dovreste essere accanto al cimitero del paese!».
«Se? David, devi essere sicuro, non possiamo contare sui “se”!» esclamò il ragazzo.
«Fatelo!» urlò il Dottore.

L’esplosione scosse tutta Hogsmeade.
Mancavano circa dieci minuti alla mezzanotte e una candida luna piena cercava di affacciarsi sul paese. Era in sere come quelle che anche i più incalliti bevitori cercavano di rientrare in casa relativamente presto dai vari pub, mentre, magari, i fratelli maggiori si divertivano a raccontare storie sui Lupi Mannari della Foresta Proibita ai più piccoli. In verità, quasi nessuno credeva che ci fossero veramente dei Lupi, ma in quel Mondo Magico non si era mai troppo sicuri.
Quando ci fu l’esplosione, tutte le finestre si accesero quasi contemporaneamente e gli abitanti cominciarono ad affacciarsi o a uscire in strada, chi con la bacchetta illuminata, chi con lanterne accese, per cercare di capire cosa avesse provocato quel baccano. I più attenti notarono quasi subito il fumo che proveniva dalla periferia della città, in direzione dell’antico cimitero di Hogsmeade, ormai abbandonato. Più che un luogo di culto, era ritenuto dai paesani un posto da evitare, soprattutto per la possibilità d’incontrare qualche creatura Oscura. I corpi sepolti erano lì da così tanto tempo da essere ormai ridotti in cenere e i loro nomi erano scomparsi da decenni dalle lapidi di marmo, incrostate dalla vegetazione che aveva preso il sopravvento sul luogo.
Vedendo quei segni e interpretandoli come cattivi presagi, alcuni fra i più anziani abitanti del luogo si diedero a gesti scaramantici e, gli ex-Corvonero in primis, a una rapida lista di tutti gli incantesimi che conoscevano. Non ci volle molto prima che un gruppo di adulti si radunasse per andare a controllare, inconsapevoli e terrorizzati da ciò che avrebbero potuto vedere.

I calcoli di David, effettivamente, non erano perfetti. I sette ragazzi, infatti, erano ora in piedi esattamente dove sorgeva l’antico cimitero del paese.
Lo scudo creato da John, Remus e Dora aveva tenuti tutti in salvo e ora erano circondati da macerie di pietra nera, lapidi spezzate e cenere, mentre un’enorme nuvola di polvere si levava verso il cielo. Per Remus, era stato stranamente semplice far saltare in aria la sala nera: si era aspettato una qualche resistenza magica, ma evidentemente Phobos aveva creduto che a nessuno sarebbe saltato in mente di far crollare tutto quanto. Che illuso…
I ragazzi si guardarono intorno, assaporando l’aria fresca sulla pelle e respirando più ossigeno possibile: come se fossero stati sott’acqua per tutto il tempo, erano affamati d’aria fresca. Remus sentì il vento pungente rinvigorirlo e i dolori dovuti alla vicinissima trasformazione si fecero sempre più blandi, forse grazie anche alla Pozione Antilupo che cominciava ad agire, leggermente in ritardo.
Lo sguardo di tutti si spostò poi sulla devastazione che avevano causato. Muovendo qualche passo, calpestarono antiche macerie, vedendo che tutto quanto, nel raggio di una trentina di metri, era crollato su se stesso, facendo a pezzi quello che fino a pochi secondi prima era stato un terreno lasciato alla natura. Tutto intorno al grigio delle lapidi, mischiato al marrone della terra e al nero della pietra sottostante, il cimitero, nel suo verde abbandono, continuava per un’altra decina di metri, fino a un alto recinto di roccia, sormontato da punte di metallo dorato che, sotto la luce della luna, rilucevano come fiaccole. Qua e là, lungo il perimetro, c’erano lanterne magiche accese su alti pali di metallo e, a quanto sembrava dai resti, ce ne dovevano essere alcune anche all’interno del cimitero. La zona in cui si trovavano era, invece, illuminata solo dal satellite.
«È morto?» chiese Lily, speranzosa, osservando la parte che corrispondeva al centro della sala, scalando insieme agli altri le macerie per portarsi al livello del terreno.
«Non credo proprio» disse amaramente John, togliendosi la polvere dal completo. Una volta che tutti riuscirono a salire (Mary dovette essere aiutata da Sirius e Dora), il daimon mosse la bacchetta e delle macerie andarono a chiudere la fessura da cui erano saliti, rendendo la voragine più o meno uniforme. «Per non caderci dentro» spiegò agli altri, che lo guardavano incuriositi.
«E adesso?» chiese Mary, guardandosi intorno ma, soprattutto, verso il cancello nero che portava al villaggio. Le sarebbe davvero piaciuto andarsene di lì, tornare a Hogwarts e sdraiarsi sotto le coperte del suo letto a baldacchino.
«Adesso vediamo cosa succede» rispose Remus. «Sperando che accada in fretta».
«Quanto tempo manca?» chiese dolcemente Dora, avvicinandosi a lui.
«Pochi minuti, dobbiamo sperare di fare in tempo» le disse, preoccupato.
«E anche di riuscire a farlo fuori prima che arrivino i cittadini» commentò John. «Phobos potrebbe benissimo prenderli tutti come ostaggi o mandarli contro di noi.
«Ottima idea» disse Phobos, emergendo dalle macerie solo con qualche graffio sulla faccia volgare. «Perché non aspettarli e vedere che riesco a fare con loro, no?».
«Sai» commentò Sirius, guardandolo con disprezzo. «La tua abitudine di apparire con queste frasi a effetto di merda mi ha davvero rotto».
E, prima che Phobos potesse uscirsene con un’altra di quelle sue “frasi a effetto”, Sirius lanciò il primo incantesimo, che il daimon evitò facilmente. Phobos allargò le braccia e un forte vento cominciò a soffiare nel cimitero.
«Hai ragione, Black, perché aspettare?» fece, battendo le palpebre. Gli occhi diventarono color cenere, esattamente come quella che veniva trasportata dal vento per tutta la zona. «Morirete tutti, qui e ora».
All’istante, dalle macerie cominciarono a fuoriuscire spessi rovi grigiastri, crescendo rapidamente e allungandosi verso il gruppo. Subito, Remus e Lily lanciarono Incantesimi di Fuoco, cercando inutilmente di bruciarli. Alla fine, il gruppo dovette separarsi per evitare l’assalto di ciò che era, indiscutibilmente, pietra. Phobos mosse le mani in complicati gesti e, sul terreno intorno a lui, cominciarono a crearsi pozze nere da cui fuoriuscirono ciò nuovi Atromorfi, questa volta dalle sembianze di rettile, che si avventarono contro i ragazzi senza curarsi dei rovi che gli passavano accanto.
Sirius cominciò una sorta di strana danza, passando velocemente dalla forma Animagus per evitare più facilmente i rovi a quella umana per lanciare violenti Incantesimi Esplosivi contro le creature. Mary ed Emmeline, allo stesso modo, cercavano di proteggersi a vicenda dalle pietre, colpendo gli Atromorfi da dietro gli scudi indeboliti della prima. Similmente facevano Remus, Dora e Lily, mentre la Caposcuola cercava di raggiungere le amiche per aiutarle.
John, invece, stava andando direttamente alla fonte, rompendo i rovi con colpi delle mani intrise di oscurità, evitandone agilmente la maggior parte e tramutandosi in ombra per schivare colpi diretti verso di lui. Quando fu abbastanza vicino per sferrare un attacco diretto, Phobos scomparve come cenere, riformandosi giusto dietro di lui. Fortunatamente, i rovi avevano fermato la loro avanzata e, proprio com’era previsto, il daimon non era in grado di mantenere la sua forma alternativa per molto tempo. Se tutto stava andando come previsto, allora avevano tolto anche un'altra carta a Dolohov…
Mot riuscì a schivare per un soffio l’assalto di Phobos e cominciarono a duellare a una velocità inumana. Colpi d’oscurità e di quella che sembrava cenere cominciarono a scontrarsi a mezz’aria, con potenza e dimensioni differenti, in una danza mortale generata da due divinità oscure.
Gli altri, ora liberi dal peso dei rovi, cominciarono a distruggere i vari Atromorfi.
Remus e Dora, più di tutti, riuscivano egregiamente a fare a pezzi le creature Oscure, senza battere ciglio e con un’eleganza e potenza che solo loro avrebbero potuto avere. Per Remus fu una passeggiata ignorare i dolori della trasformazione che sarebbe avvenuta a breve, agitando la bacchetta a formare simboli vari e complicati, sfruttando la potenza di incantesimi che neanche ricordava di aver mai conosciuto. Tonks, invece, dava prova del suo compito di Auror, lanciando incanti e maledizioni che gli studenti presenti in quel momento a Hogwarts avrebbero solo potuto sognare, enunciando formule complicate e ricorrendo a tutti gli insegnamenti di Malocchio.
Proprio quando Remus e Dora riuscirono a liberarsi dall’assalto delle creature, videro Mot volare in aria, tramutarsi in oscurità e riatterrare con un lungo taglio sulla guancia. Phobos si avvicinò a lui, galleggiando a pochi centimetri da terra, i piedi e la parte inferiore del soprabito tramutati in cenere.
Remus si morse il labbro, chiedendosi se andare ad aiutare il daimon o i suoi amici, ancora alle prese con gli Atromorfi.
«Vai da John» gli urlò Dora, sovrastando il rumore della tempesta di polvere. «Devi essere il più vicino possibile quando sarà il momento».
Lui annuì, serio, e, dandole un bacio, le disse: «Solo se mi prometti che passeremo le vacanze di Natale insieme».
Lei lo guardò un secondo, stupefatta. Poi sorrise, con aria furba, mentre i capelli le tornavano del consueto rosa acceso. Aveva capito cosa intendeva Remus. «Puoi contarci».

Lo Schiantesimo di Remus colpì Phobos su una spalla, sbilanciandolo all’indietro per qualche istante mentre il ragazzo arrivava accanto a Mot, che si rialzò rapidamente.
In un ruggito di rabbia, Phobos alzò una mano in aria e la tempesta di cenere accelerò. Scariche elettriche cominciarono a formarsi nel vento, colpendo il terreno casualmente. Remus ne dovette schivare uno che stava per bruciargli il petto.
«Astrafobia» ruggì il daimon. «Paura di tuoni e fulmini!».
«Merda» imprecò Remus a mezza voce. Evidentemente i poteri di Phobos erano molto più grandi di quanto pensasse, se era in grado di materializzare ogni paura esistente, anche senza che appartenessero a qualcuno dei presenti.
Insieme a Mot, cominciò a scagliare gli incantesimi più potenti che conosceva verso il daimon che, tuttavia, riuscì a pararli con attacchi di uguale potere magico. Muovendo le braccia, Phobos era sia in grado di muovere la sua tempesta che direzionare i fulmini provenienti da essa, creando piccoli crateri fumanti ogni volta che uno si abbatteva sulle macerie. Alcuni fulmini globulari di tanto in tanto cominciarono ad attraversare la tempesta, rischiando di colpire Remus più e più volte, tanto che fu costretto a Smaterializzarsi per riapparire dietro a Dolohov, cercando di colpirlo con una nuova e violenta raffica di maledizioni. John dovette cominciare a imitare la stessa tattica, trasformandosi in nubi nere per poter aggirare le Paure e lanciare nuovi proiettili di oscurità.
Dopo poco, tuttavia, entrambi cominciarono a capire che la battaglia non stava andando per il verso giusto e loro erano sempre più stanchi mentre i dolori di Remus cominciarono a riapparire, più prepotenti che mai. Nessuno dei due era in grado di capire come facesse Phobos ad annullare i loro attacchi, ma, in qualche modo, sembrava gli bastasse muovere una mano per far sparire nel nulla gli incantesimi. In un impeto di rabbia, Remus pensò che, se non poteva attaccare il daimon con la magia, allora ne avrebbe fatto a meno.
Con un lungo gesto della bacchetta, come una stoccata, macerie e lapidi spezzate si alzarono da terra, andando a schiantarsi verso Phobos che, tuttavia, riuscì a scomparire e a riapparire poco più in là. Remus sorrise, trionfante. Dopotutto, rifletté, quella era la Paura: era in grado di annichilire il pensiero, bloccare le azioni controllando il sistema nervoso, quindi che riuscisse a fermare le arti magiche non era poi così innaturale; ma contro ciò che è strettamente fisico, la Paura può fare ben poco. Certo, ciò non significava che alla Paura si dovesse obbligatoriamente ribattere con la forza ma… bah, cosa importava? Non erano lì per fare filosofia, ma per uccidere quel bastardo. E ora avevano tutti i mezzi per farlo.
«John, colpisci forte» esclamò il Grifondoro, incrociando lo sguardo del daimon. Quello lo guardò con un sorriso a trentadue denti e, dopo aver ricoperto i propri arti di oscurità, si lanciò verso Phobos, evitando i fulmini che lo stavano evidentemente mirando. John provò a sferrare un pugno, ma Dolohov riuscì a schivarlo, diventando cenere in un istante. Non riuscì a evitare, tuttavia, la lapide che lo colpì a un fianco, facendolo cadere a terra; Remus fece un gesto di vittoria. Mot corse verso Phobos e, mentre era ancora a terra, lo calciò sul volto. Il colpo, rivestito d’oscurità, fece volare in aria il daimon, che riatterrò mezza dozzina di metri più avanti. La tempesta si calmò un poco e i fulmini smisero di cadere, nonostante l’aria fosse ancora piena di elettricità statica.
Mot corse di nuovo verso di lui, desideroso d’infliggergli il colpo finale. Un nuovo rovo nacque da terra, a poca distanza dalla mano di Dolohov, e trafisse la spalla di Mot, bloccando la sua avanzata e facendolo urlare di dolore. Mentre Phobos si alzava in piedi, la pietra portò John sempre più in alto, aumentando anche le sue urla strazianti. Una sottile scia di sangue gli macchiava il completo, ma Remus sapeva che, quando il rovo fosse sparito James sarebbe potuto morire dissanguato in pochi minuti.
Remus stesso stava guardando, inorridito e immobile, mentre Phobos, con il volto coperto di sangue, osservava, ridendo, Mot che si dimenava, bloccato anch’esso dal dolore.
«Diffindo!» urlò Lily. L’incantesimo recise il rovo, lasciando cadere a terra John in un tonfo, a cui seguì un nuovo urlo di dolore. Dora, Emmeline e Sirius cominciarono a bersagliare Phobos con una raffica d’incantesimi, prontamente assorbiti, mentre Lily trascinava via il daimon ferito.
Remus volle approfittare dell’apertura che i suoi compagni gli stavano fornendo, ma sapeva benissimo che gli sarebbe servito molto più potere magico di quanto disponeva al momento. Tuttavia, non poteva buttare al vento quell’opportunità: Phobos era lì, girato di spalle a una dozzina di metri da lui. Non poteva non tentare. Quindi decise di provarlo. Quell'incantesimo. Quello a cui non osava più pensare da tantissimo tempo.


La gravità è uno degli elementi primordiali, ciò che ha permesso di portare vita nell’universo, raggruppando gli altri elementi e fondendoli insieme. Tutto, nel cosmo, possiede un campo gravitazionale, anche i corpi più piccoli; questo campo è in genere, tuttavia, troppo debole da poter essere percepito, se non in particolari, soggettive e molto obiettabili condizioni. E so dell’esistenza di questo incantesimo. Non so se sia effettivamente proibito, come le Maledizioni Senza Perdono, o se ne è perso l’uso perché praticamente impossibile da gestire.
Ne sono venuto a conoscenza durante uno dei tanti lavori da cui sono stato licenziato. Per la mia passione, spesso sono riuscito a farmi assumere in librerie e biblioteche, spesso entrando in contatto con volumi magici di cui gli stessi proprietari non conoscevano a pieno il valore. Mi capitava, quindi, durante le poche pause, di leggere alcuni dei libri che avrei dovuto sistemare. La cosa che più mi aveva colpito di quell’incantesimo era che si trovava in un semplicissimo volume di Astronomia. Piuttosto antico, certo, ma non c’era altro a indicare cosa potesse nascondersi al suo interne.
L’ho provato, un paio di volte, nell’altra dimensione, ma ho sempre fallito, rischiando anche di farmi parecchio male. Ma direi che questo è il momento giusto per vincere questa mia piccola sfida.
Stringo il polso destro con l’altra mano, facendo da sostegno alla destra, mentre alzo il braccio e mi concentro più che posso. È un incantesimo estremamente difficile, lo so… ma so anche di poterlo gestire.
Allectum, penso. Cerco di concentrarmi sull’effetto che dovrei ottenere.
Visualizzo, nella mia mente, le macerie che mi circondano, limitandomi a quelle attorno e dietro di me, per non attirare l’attenzione di Dolohov. Immagino, quindi, il minuscolo campo che circonda ogni singolo pezzo di lapide, ogni zolla di terra smossa, ogni pezzo di ferro o frammento di ossa; lo vedo come una sfera dorata crepitante d’energia.
Comincio a sudare per lo sforzo.
Con il solo aiuto della mia mente, collego ogni singolo campo sopra alla punta della mia bacchetta, alzata verso il cielo, in unico punto di raduno.
Sento la testa che comincia a martellare.
Pian piano, percepisco gli oggetti alzarsi e seguire la traiettoria che gli ho imposto, raccogliendosi sopra la mia testa. Passo, quindi, allo strato successivo di detriti. So già che solo questo non basterà. Il mio obiettivo è annientare, non ferire.
Sento gli occhi pizzicarmi sotto le palpebre chiuse.
La sfera di macerie comincia a prendere forma. Ora grande come un pugno, continua a ingrandirsi, raggiungendo prima il diametro di un pallone da calcio, poi quello di una Pluffa.
Sento un rivolo caldo e denso scendermi sopra le labbra.
Continuo ad attingere da tutto ciò che il terreno ha da offrirmi. Amplifico il campo gravitazione di ogni cosa trovino i miei sensi, acuiti dalla trasformazione, ormai veramente troppo vicina. La sfera comincia ad assumere le dimensioni che desidero. Un diametro di mezzo metro… un metro intero.
No.
Lo sento. La sto perdendo. M’impongo di rimanere concentrato, di pensare a ciò che voglio ottenere, al mio obiettivo finale, a ciò che Dolohov ha fatto ai miei cari e il mio desiderio di ripagarlo con una moneta ben più pesante.
Tuttavia, sento di star cedendo. Mi dico che devo farcela, che posso farcela. Il mio corpo, tuttavia, comincia a incurvarsi sotto quel peso. Sotto quella gravità.
Maledico il mio pensiero, il mio tentativo. Avrei dovuto attaccare Dolohov come potevo, piuttosto che cercare di usare una magia più grande di me. E ora rimarrò schiacciato dal mio stesso incantesimo.
Maledico me stesso per la mia impotenza. È tutto qui quello che posso fare? È tutta qui la mia forza? Sono morto e resuscitato per questo, per morire un’altra volta contro lo stesso nemico? A cosa serve essere un Narratore se non si può far sì che il futuro cambi?
Non so cosa sia stato, ma lo sento cambiare. È come un fiume in piena. Non so di preciso né quando né da dove sia arrivato. Ma so cos’è. L’Etere percorre il mio corpo. Percepisco questa sorta di particelle di pura magia scorrermi dentro come un secondo sangue, arrivando a diffondersi in ogni muscolo, in ogni organo, rinvigorendomi dall’interno. Sento l’energia magica scorrermi dentro. E mi sento in grado di smuovere le montagne a mani nude.
Apro gli occhi e guardo verso l’alto.
La sfera di detriti ha raggiunto le dimensioni di una piccola meteora. I miei occhi si spostano poi sulle mie stesse braccia.
Brillo, penso, divertito, osservando la luce dorata che mi circonda. Etere, come quello incanalato del Laboratorio. Mi circonda, senza essere vincolato a me. Aiutandomi, come se avesse una volontà propria. Come se avesse deciso da che parte stare.
Sento gli incantesimi continuare a essere bloccati da Dolohov. Evidentemente, o i miei amici non mi hanno visto, oppure stanno ignorando tutto questo per potermi aiutare. E non posso deluderli.
Fisso Dolohov, che ancora mi dà le spalle. Mi viene istintivo chiamarlo, farlo voltare e colpirlo in pieno volto. Ma poi, penso, l’aiuto degli altri sarebbe stato inutile. E, dopotutto, non vedo quale cortesia dovrei fare a quel figlio di puttana.
Tuttavia, la formula finale la pronuncio ad alta voce.
La sfera si alza più in alto, come percependo in anticipo cosa sto per dire.
«Bolis Corruit». A dirla tutta, la formula e i gesti sono molto semplici. Ciò che è più difficile dell’Incanto Meteora è la concentrazione e l’enorme potere magico necessario. Ma con l’Etere dalla mia parte, so per certo di non poter fallire. Abbasso quindi la bacchetta.
Un istante prima che Phobos si volti, la meteora fatta in casa si abbatte su di lui, distruggendosi a contatto con il terreno e sommergendo il daimon di macerie.
Gli altri si bloccano a osservarmi a distanza. Ho il fiatone a causa dell’incantesimo, ma l’aura dorata ancora mi circonda, come se avessi tante piccole lucciole attaccate alla pelle.
Cado in ginocchio, sfinito.
«È finita» sussurro, sentendo un peso che vola via dal mio stomaco. «È finita».
Penso di essere stato poche volte così felice nella mia vita.
Alcuni metri più in là, vedo che è Dora la prima a rompere la sua immobilità. La vedo avvicinarsi a me con passo tramante. Aggrotto le sopracciglia, preoccupato, vedendo un profondo taglio sulla gamba. Sposto lo sguardo anche sugli altri. A parte John, anche gli altri mostrano ferite più o meno gravi. Sento come una mano che mi stringe il cuore. Mentre io mi preoccupavo dell’Etere e del rispettare un po’ di cordialità, loro venivano feriti a quel modo. Quanto posso essere ipocrita?
Mi alzo in piedi e comincio ad andare incontro a Dora. Poi, dal centro del cratere, Phobos riemerge, allontanando la maggior parte delle macerie che lo circondano in uno scoppio di magia.
Lo osservo, tremando dallo stupore. È coperto di sangue da testa a piedi, eppure è ancora lì, in vita, ringhiando la sua furia e guardandomi negli occhi con l’odio più profondo che sia possibile provare.
«Tu» sputa sangue. «Tu osi ferire me? Un essere così disgustoso che cerca di ribellarsi a chi gli è superiore per natura? Con quale diritto? Come osi?».
Alla domanda segue un nuovo lampo di magia. Riesco a rimanere in piedi solo grazie all’Etere che mi sostiene. Una nuova scarica magica mi tiene in forze, permettendomi di essere più lucido che mai, di affrontare il pericolo a testa alta e usare tutti i miei sensi fino al limite umano. Sento, tuttavia, che qualcosa inizia a cambiare, in me.
«Feccia! Vuoi provare a uccidermi nel tentativo di sentirti più grande di ciò che sei, nel tentativo di uccidere la tua Paura! Non puoi liberarti della Paura, lupetto: il coraggio non è che un’illusione di coloro che sono troppo spaventati dalla Paura per accettarla!» ringhia il daimon.
«Sai, Phobos, anche se sei vecchio di millenni posso dire con certezza di aver vissuto più di te» rispondo, sentendo che il momento sta arrivando. Comincio a tremare, solo in parte per l’emozione. «Mi sono serviti una trentina d’anni, ma ho capito che il coraggio non è l’assenza di Paura, ma il trionfo su essa. E, fidati, tu che sei la Paura, hai scelto il gruppo peggiore contro cui combattere».
Non so come sia possibile, ma Dora e Sirius sanno esattamente cosa fare nel momento esatto, mentre io subisco la trasformazione più breve che abbia mai avuto. Non sento neanche dolore, e per questo penso che sia stato l’Etere ad aiutarmi.
In un paio di brevi secondi mi ritrovo a quattro zampe, fissando il daimon dall’altezza del Lupo. Sento ancora l’Etere scorrere in me e, difatti, riesco ad avere un controllo perfetto della mia forma animalesca, anche superiore a quello concessomi dalla Pozione.
Dolohov mi guarda e per un istante lo vedo trionfante. Temo che qualcosa stia andando storto, che tutto facesse parte del suo piano fin dall’inizio, compresa la mia trasformazione. Alza le braccia nuovamente, circondandosi di un’aura grigia, preparandosi a un qualche incantesimo. Preparo i miei muscoli a scattare fuori dalla sua portata ma non ce n’è bisogno. Le corde legano all’istante i suoi polsi, interrompendo il suo incantesimo.
Dolohov ringhia, frustrato e sorpreso, mentre Dora e Sirius tendono le corde, sprigionate dalle punte delle loro bacchette. Non essendo una vera e propria magia, Dolohov non ha potuto bloccarle. E so di dover approfittare di questo momento. Mi basta guardarlo per capire che è troppo debole per Smaterializzarsi o fare altro.
Lui sembra capire i miei pensieri. Si volta verso di me. Fisso i miei occhi nei suoi. Ciò che vedo è Paura. Un’espressione pienamente degna, devo ammetterlo.
Fletto i muscoli delle zampe, preparandomi. Corro. Salto. Mordo. Il corpo di Phobos cade a terra, senza vita e senza mente.
E il sangue degli intrusi la nera pietra bagna. E anche un po' di terriccio, a dirla tutta.

Non sono soddisfatto né fiero. Ma neanche dispiaciuto. Quello che ora è a terra è l’uomo che ha ucciso me e migliaia di altri innocenti di un’altra dimensione. Quello è l’uomo che ha rapito due delle persone che mi sono più vicine, cercando di uccidere tutte loro per una stupida ideologia in una storia già sentita. Non sono soddisfatto né fiero, ma sento di aver fatto ciò che dovevo.

Non vorrei essere al posto dei poveri abitanti di Hogsmeade, piuttosto, che osservano questo stravagante gruppo. Sei ragazzi feriti (di cui una dai capelli rosa semi-luminescenti) e un Lupo Mannaro dalla bocca sporca di sangue che rimangono a fissarli dopo aver distrutto il loro cimitero. Perché ho l’impressione che qualcuno si procurerà torce e forconi?

*****

«Quindi?» chiese Apophis, sulla sua poltrona di velluto. Perché le poltrone di velluto rosso sono le preferite dai cattivi, si sa. E, ovviamente, ha in mano un calice di cristallo pieno di vino rosso. Perché il rosso, poi? Se l’era chiesto spesso, ma non capiva perché gli umani lo trovassero elegante. Eppure un certo fascino lo aveva, o non avrebbe comprato quell’arredamento.
«Phobos è andato e io sono fuori dalla scuola» commentò Maya, abbandonandosi su una sedia del tavolo di mogano dietro di lui. Poggiò la testa su una mano e chiuse gli occhi, stanca. «Tutto va come previsto».
«E l’Etere?» fece il daimon.
«Una volta terminato l’effetto della Luna, inizierà la trasfusione» spiegò la donna. Apophis sospirò, soddisfatto.
«Loki e Mot sono ancora dentro?» chiese l’uomo, bevendo un sorso.
«Mot è ancora nel gruppo dei Narratori, mentre Loki fa di testa sua, come al solito» disse lei, tamburellando sulla superficie di legno con le dita.
«Oh, Loki!» esclamò Apophis, ridacchiando. «Sarebbe tutto così noioso senza di lui… E chi ci rimane?».
«Ermes» sibilò l’altra, pronunciando il nome con disgusto. «Ancora non so perché ce lo portiamo dietro. Quanto potere potrebbe dare?».
«Oh, a chi importa? Il “segretissimo” piano di Loki gli si ritorcerà contro e i Narratori saranno divisi dall’interno» replicò Apophis, ridacchiando. «Sì, sarà divertente».
«Come vuole che procediamo?» chiese Maya, leggermente annoiata. Probabilmente voleva solo andare a letto.
«Lasciamo che le acque si tranquillizzino. Ate si darà da fare dopo le vacanze di Natale, per il momento possiamo prenderci tutti un periodo di riposo» disse l’uomo, sorridendo amabilmente.
Maya sembrò piuttosto soddisfatta. «Sono completamente d’accordo» disse. «C’è altro?».
«Oh, vorrei solo un consiglio».
Maya drizzò improvvisamente la testa, attenta. Apophis che voleva un consiglio? Era come avere sole a Glasgow in pieno gennaio.
«Mi dica».
«Secondo te, e voglio la tua più sincera opinione… dovrei comprare un gatto bianco? Sai, da accarezzare minacciosamente mentre sono sulla poltrona rossa…».
Maya rimase in silenzio per qualche istante. «Buonanotte».
Apophis sbuffò mentre la donna si chiudeva la porta alle spalle. «Non si può neanche scherzare, in questo covo».



Sala Comune di Tassoverde

E quindi ci siamo. Who, di cui, come avete visto, ho mantenuto inalterato il nome in entrambe le parti, è stato il capitolo più lungo e faticoso che abbia mai scritto e, onestamente, trovo molti (moltissimi) difetti che, tuttavia, non saprei bene come poter aggiustare. In ogni caso, Who non è, come previsto inizialmente, il capitolo finale della Prima Parte della fanfiction: tale capitolo sarà infatti il prossimo, After, che dovrebbe dare qualche spiegazione a ciò che è accaduto, specie a questo strano e fin troppo debole Phobos che avete visto in questo capitolo... e, piccolo spoiler, anche su Dolohov stesso. Poi, sicuro al 100%, fra un paio di giorni uscirà un inedito su Pottermore che manderà a farsi friggere tutto ciò che ho immaginato su di lui, ma vabbe', sarà destino. Onestamente, il combattimento finale non mi è piaciuto granché come l'ho scritto (credo di non essere portato per certe scene) e gradirei una vostra opione in particolare su quella parte, se non vi dispiace.
Prima del piccolo elenco di modifiche di cui vi avevo parlato nelle note dello scorso capitolo, vorrei passare a ringraziarvi. Ringraziare voi, fedeli lettori/lettrici/meta-umani/inumani e quant'altro, grazie per essere rimasti nonostante il precedente capitolo non fosse granché (anzi, lasciava abbastanza a desiderare), grazie per essere rimasti con me e vorrei, inoltre, ringraziare in particolar modo tony_tropcold e flavia1008, che mi hanno lasciato due graditissime recensioni, operazione che mi vorrei invitare a fare tutti voi che mi seguite, nella speranza di fare meno errori possibile e far sì che la fanfiction non vi deluda. Grazie, davvero grazie mille.
Passo, quindi, all'elenco:
-La prima modifica si trova nel Chapter III, proprio nel paragrafo iniziale: da quando ho cambiato l'età di Evelyn (15), lei e Dora hanno solo un anno di differenza, e io avevo scritto che la maggiore aveva combattuto strenuamente per dare alla più piccola un nome decente... ma a un anno mi sembra un po' difficile. Ho quindi fatto una piccola modifica, che v'inviterei ad andare a leggere.
-Poi passiamo al Chapter V: avete presente la parte finale di Jily, in cui loro si trovano seduti sul divano di fronte al camino? No? Be', non importa: la modifica è molto leggera, ho solo migliorato (a parer mio) il dialogo fra i due, senza inserire o togliere alcuna informazione rilevante, quindi potete star tranquilli.
-Chapter VII: nel famigerato incontro fra Harry e James, c'era una parte che non mi aveva mai convinto, portandomi, infatti, a modificarla più e più volte: la sepoltura di Voldemort. Avevo inventato una storia assurda e contorta sul fuoco ecc... Be', ho eliminato quella parte: lo zio Voldy è stato cremato. Perché avessi inventato quell'assurda storia mi è oscuro ancora adesso.
-Per finire, nei vari capitoli della fanfiction ho fatto molti accenni alle varie fasi lunari, giusto per far capire che il tempo stesse passando. Be', a quel tempo ancora non avevo in mente di porre la luna piena proprio in Who (spiegazioni in After, don't worry), quindi non coincideva un ciufolo. Adesso dovrei aver sistemato tutto, dando una parvenza di realisticità al tutto (spero).
Direi, quindi, di poter terminare qui le mie note. Se avete qualche dubbio, chiedetemi pure e provvederò a togliervelo! Nel frattempo, grazie ancora per essere arrivati fin qua giù, sopportando il parto della mia mente malata.
Al prossimo capitolo,
hufflerin



P.S.: A chi può interessare, ho scritto una piccola "linea del tempo", se così la si vuole chiamare, della storia, molto semplice a dire il vero.
Chapter 0-V: Settembre
Chapter VI-VIII: Ottobre
Chapter IX-XII: Novembre (forse anche Dicembre, se deciderò d'inserire qualcosa in After o se farò una sorta di Speciale di Natale a cavallo fra le due parti)
P.P.S.: Le citazioni iniziali provengono dai capitoli da Ideals in poi, ovvero da quando entrano in gioco i daimon.

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