Prickly Girl

di Chiiara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** 1 - Story of my life ***
Capitolo 3: *** 2 - Youth ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***




-PROLOGO-

 
"Avevo 13 anni la prima volta che finì nei guai: fumai roba pesante. All'epoca credevo fosse una stupidità che valeva la pena fare."

Silenzio.

"Anni dopo inizia ad entrare nelle discoteche grazie a delle conoscenze. Mi sembra che avessi 14 anni e mezzo la prima volta che mi ubriacai tanto da non reggermi in piedi. Ogni notte uscivo con i miei amici, eravamo tutti uniti. Ci sgolavamo bottiglie di Vodka. Noi eravamo così: Liberi, selvaggi."
Mi trovavo in una stanza buia, le mani ammanettate, con lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi rossi.
"Continua, per favore." 

Silenzio. Non avevo niente da dire.

"Savannah, eri in possesso di eroina, dimmi perché. Ti posso aiutare."
Alzai gli occhi e lo guardai dritto nei suoi. Poi li riabbassai.
"Noi siamo così; liberi, selvaggi."
Sospirò. "Ti prego, parla."
"Il mio ragazzo mi aveva chiesto di ritirarla. Dovevo portargliela. Non credo che gli farà piacere sapere che mi hanno scoperta."
"Qual è il suo nome?"
"John? Johnny? Jonathan? Non ricordo."
"E' la prima volta che finisci dentro, io ti posso far uscire se vuoi?"
"Perfetto, e poi?"
"E poi sta a te decidere cosa fare. Spero la scelta giusta."
L'avvocato Byron, così mi pare si chiamasse, uscì dalla stanza lasciandomi sola. Solo in quel momento mi accorsi della situazione in cui mi ero cacciata. Avevo bisogno di uscire fuori e prendere una boccata d'aria, e poi fumarmi una sigaretta innocua insieme ai miei amici, conosciuti grazie a Jimmy.
Avevo combinato un casino, Jimmy me l'avrebbe fatta pagare. Mi ero fatta beccare con l'eroina.

Il signor  Byron rientrò e mi fece segno di alzarmi, mentre una guardia mi liberava i polsi.
"Usciamo da qui, vieni."
I corridoi erano lunghi e silenziosi, a parte il rumore delle porte sbarrate che venivano chiuse a chiave. Fuori il sole era già sceso e non c'era anima viva per strada. Sbuffai. la giornata era ancora lunga per noi, ragazzi notturni, ed io non avevo nessuna voglia di affrontarla.
"Per qualsiasi cosa chiamami. Ho avuto modo di lasciare il mio numero ai tuoi. Buona fortuna." 
L'uomo, avvocato, sui quarant'anni, mi strinse la mano, per poi infilarsi nel suo Suv nero e sparire.
Mi incamminai verso casa, fumandomi la quotidiana sigaretta.

Quando entrai in casa non trovai nessuno. Anzi a dire la verità non trovai niente, tranne che la mia roba tutta ammassata in degli scatoloni. E' così che succede. Le persone se ne vanno. Ma non avrei mai immaginato loro. Aprii uno scatolone e la prima cosa che trovai fu una foto di famiglia. Io, loro e Allie, la mia sorellina di 5 anni. Le lacrime scesero, ma erano lacrime di odio, di rabbia tenuta repressa. Scaraventai contro una parete la foto. Il vetro si ruppe in mille pezzi,esattamente come mi sentivo io in quel momento: a frammenti, disintegrata. Con le lacrime agli occhi, uscì di casa sbattendo la porta con una potenza assurda facendo tremare le finestre. Mi avviai verso la casa di Jimmy, il mio ragazzo, per spiegargli la situazione. Da un po' di tempo aveva iniziato a farsi di roba più pesante. Lo trovai per strada, bello come sempre, con lo sguardo duro e la barba scura sotto al mento che cresceva. Era in sella alla sua moto ancora accesa. Finché non mi notò e la spense. Sorrisi, o almeno provai a fare qualcosa che assomigliava ad un sorriso, mentre lui si avvicinava a me. Mi prese per il polso e mi trascinò in un angolo.
"Sono giorni che aspetto, dov'è la roba?"
La sua presa stringeva talmente forte sul mio polso che gemetti di dolore.
"Allora, dove ti eri cacciata?"
Era in astinenza per colpa mia e fuori di se,  ed io mi sentivo fragile davanti a lui. Inizia a dire qualcosa con la voce che tremava, sperando che tutto andasse per il meglio.
"S-stavo venendo a cercati... Poi uno... sbirro"
"Cos'è successo Savannah?!" Premette più forte sul mio polso.
"Mi fai male!"
"Parla!"
"Mi hanno beccata con la roba, mi dispiace non volevo, scusa, non succederà più."
Uno schiaffo. Poi un altro. E un altro.
"Sei un'ingenua, vai a farti fottere."
E se ne andò lasciandomi lì, accovacciata sul marciapiede a piangere. 
Nel giro di pochi minuti iniziò un terribile acquazzone. Tornai a casa infreddolita e completamente bagnata, con la testa che pulsava. Vedevo sfuocato date le troppe lacrime buttate fuori. Mi appoggia al muro con la schiena e mi distesi a terra, abbracciando le gambe e tenendole vicino al petto. Ero a pezzi, e stavo gelando.
Mi chiamo Savannah Owen, ho 17 anni e sono sola, senza speranze.

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Capitolo 2
*** 1 - Story of my life ***




Story of my life

"Written in these walls are
the stories that i can’t explain"


 
Mi sveglia con l'aprirsi del portone principale, ed aprii leggermente gli occhi. Trovai tre persone fissarmi insistentemente: un uomo di quarant'anni con un paio di chiavi in mano, probabilmente quelle che avevano aperto casa, e dietro di lui si trovava una coppia di giovani ragazzi. Realizzai tutto quando notai la pancia gonfia della ragazza: La casa era in vendita. Il loro sguardo passava da me al signore che aveva aperto la porta. Poi mi diedero un ultimo sguardo, pieno di disprezzo.
"Non credo che questa sia la nostra casa ideale." Ed uscirono. 

I miei abiti erano ancora umidi, e la testa mi girava. Ero pallidissima, probabilmente malata.
"Scusi, signorina? Tutto ok?"
Alzai lo sguardo e lo fissai per un po'. Poi lo spostai sulla casa e sui miei scatoloni, e di risposta mossi la testa in segno di no.
"Posso sapere che ci fa qui?"
Sospirai. un altro interrogatorio per caso? "Fino a qualche giorno fa ci vivevo."
Provai ad alzarmi aiutandomi con la parete, ma il tentativo fu inutile. Avevo le gambe molli, senza forza, e vedevo la stanza girarmi intorno. Lo sconosciuto si avvicinò, e premette la sua mano contro la mia fronte.
"Sei bollente. Non puoi restare qui" disse semplicemente.
Caricò nella sua auto i miei scatoloni e raccolse la foto e i vetri che erano ancora a terra riponendoli in uno degli scatoloni. Per ultima cosa mi prese in braccio ed io non potei opporre resistenza. Quando mise in moto svenni. 

Ero in un comodo letto, e di certo non sapevo come ci ero finita. La testa mi faceva ancora male e la gola mi bruciava. 
"Come sta?"
"Non si è ancora ripresa Bobby."
Il fatto che mio padre non si chiamasse Bobby e che quella non fosse la voce di mia madre mi fece fare una specie di grugnito mentre aprivo con prudenza gli occhi. A fianco a me c'era una signora con i capelli biondi che mi osservava con aria preoccupata.
"Ehi, ti ricordi di me? ti ho portato a casa mia per ora." Spostai lo sguardo verso il signore ringraziandolo con un debole sorriso. 
"Io sono Maura, vado a prepararti qualcosa da mangiare." Uscirono dalla stanza lasciandomi sola.

 Sollevai la schiena dal materasso e mi strofinai gli occhi, tirandomi indietro alcune ciocche di capelli. Al fianco del letto si trovavano i miei scatoloni. Addosso non avevo più quegli odiosi indumenti bagnati, ma una tuta, probabilmente di Maura. Nel polso si trovava un visibile livido, come anche nella pancia e a metà braccio. Non mi facevano particolarmente male: la cosa che mi distruggeva era il fatto che me li aveva procurati Jimmy. Provai ad alzarmi debolmente, ed uscii dalla stanza reggendomi grazie alle pareti. Una volta trovato il bagno mi ci rifugiai dentro, e mi guardai allo specchio. Avevo il trucco ancora tutto colato e la faccia era bianca. Mi sentivo peggio di uno zombie. Ritornai a fatica nella stanza in cui prima mi trovavo e mi sedetti sul materasso. Da uno scatolone tirai fuori un carillon, dove dentro tenevo le cose a cui più tenevo: Una collanina regalatami da Jimmy, vari gioielli che mia nonna mi aveva lasciato in eredità prima di morire, una foto di me e Allie abbracciate. Piccoli oggetti, cartacce, e fogli scritti che per me rappresentavano tutto, e nella loro semplicità formavano il mio piccolo tesoro. 
L'unica cosa che non capivo era come i miei fossero riusciti a lasciarmi sola, a mettere tutte le mie cose personali in degli scatoloni ed andarsene senza lasciarmi un biglietto, a parte quello col numero dell'avvocato Byron. 
In quel momento mi sentii una nullità assoluta, ero sola, e grazie alla gentilezza di uno sconosciuto mi trovavo al caldo e al sicuro. Bobby, così evidentemente si chiamava, mi aveva trascinata in casa sua, permettendomi di avere le giuste attenzioni. Il più grande e grosso dubbio che ora avevo era cosa avrei fatto una volta guarita. Sarei finita in una casa famiglia? O per strada? E se devo essere sincera avevo una gran paura.

Maura mi portò in camera della zuppa calda e l'appoggiò sulla scrivania. 
"Non credevo riuscissi ad alzarti. Come ti senti?"
"Molto debole, grazie comunque." La voce mi usciva pianissimo e sottilissima.
"Qual è il tuo nome?"
"Savannah." Il mio nome era Savannah e basta, il cognome non mi apparteneva più ormai.
Maura annui. "Se hai bisogno di qualsiasi cosa dimmi."
Ci pensai un po' su. Poi chiesi: "Che ore sono?"
"Le otto e mezza. Immagino che vorrai farti un bagno caldo più tardi. Tieni questo asciugamano. Lo struccante lo trovi in bagno nel mobiletto a sinistra." Tirò fuori da un armadio un telo bianco e lo appoggiò sul letto.
"Grazie tantissimo, apprezzo quello che state facendo per me." 
Mi sorrise ed uscì dalla stanza. 
Mangiai a fatica la zuppa, non avevo molta fame. Presi dallo scatolone dove erano infilati i pochi vestiti che mi avevano lasciato la biancheria intima ed il telo che stava sul letto e mi andai a preparare un bagno caldo, quello che ci voleva. Mi immersi nella piccola vasca e mi rilassai un po', anche se, data la situazione in cui mi trovavo, rilassarsi risultava complicato. Tutto era complicato, e ancora faticavo a capire in che situazione di merda mi trovassi. In realtà non volevo pensarci. Avevo troppo dolore dentro.
Dopo un bel po' decisi di asciugarmi e tornare a dormire, sperando che il mal di testa che da due giorni mi stava torturando mi passasse.

"Savannah sei un'ingenua, guarda come ti sei ridotta.Mi fai schifo." Uno schiaffo di mia madre mi arrivò in piena faccia.
"Non permetteremo mai che tua sorella prenda esempio da te." Mio padre completò il lavoro di mia madre arrivandomi un pugno in pieno viso. Caddi a terra e con tutte le forze che mi restavano trattenni le lacrime: non potevo mostrarmi debole in quel momento. Rimasi muta. Uscirono di casa lasciandomi sola con Allie. Lei, mi guardava con i suoi dolci occhioni blu dal seggiolone e piano piano iniziò a piangere. Sgridandomi davanti a lei le avevano fatto paura. Chiusi gli occhi, mentre una lacrima mi rigava il volto. L'asciugai e guardai in alto per trovare conforto. Mi rialzai e presi in braccio Allie cercando di calmare le sue urla. La cullai tra le mie braccia e iniziai a cantarle un ninna nanna che avevo scritto. Quando si addormentò la posai sul mio letto e l'avvolsi in una coperta. Le scattai una foto con la Polaroid che mi ero comprata guadagnandomi dei soldi da sola. Lavoravo come cameriera in un bar tutte le mattine e il ricavato finiva sempre nelle mani dei miei. Quindi iniziai a fare altri lavori. Erano pochi i momenti in cui mi sentivo viva, e quando lo facevo scattavo foto, in modo che, nei momenti bui, le avrei potute guardare e ricordarmi di non mollare, soprattutto per Allie. 
Quando i miei genitori tornarono  erano come il solito ubriachi ed entrando in casa sbatterono la porta talmente forte che svegliarono Allie, e, in poco tempo, le sue grida diventarono forti e insopportabili alle loro orecchie.
"Savannah! Non sai proprio fare un cazzo, l'hai fatta piangere! Chiudile la bocca o altrimenti lo faremo noi alla nostra maniera!" Sgranai gli occhi. Ero in panico. "Ah, sbrigati io e tuo padre dobbiamo fare delle cose." Ora ero ancora più in panico. Li guardai disgustati mentre iniziarono a baciarsi violentemente e lui le tirava su il vestito.
Poi si staccò da lei e si avvicinò a me pericolosamente. "Che hai? Non hai sentito tua madre?" La mia schiena aderì al muro. Cazzo. Iniziò a palparmi ed io iniziai a piangere ed urlare fino a che non gli tirai uno schiaffo in pieno viso facendogli sanguinare il labbro. Avevo peggiorato ancora di più la situazione. Il suo sguardo era di ghiaccio, mi prese per i polsi appoggiandoli al muro ai lati della mia testa e con una ginocchiata mi arrivo in pieno stomaco. Il dolore fu talmente lancinante che mi piegai in due. Mi liberò dalla sua presa e mi accasciai a terra e, prima di chiudersi in camera con mia madre, mi diede un altro calcio in un polpaccio.'


Mi sveglia presa dal panico. Iniziai a respirare affannosamente, fino a che non mi resi conto che era uno stupido sogno, o per meglio dire un doloroso ricordo. Mi calmai e con prudenza andai in bagno e mi sciacquai il volto, ancora terrorizzata. Tremavo all'idea che mia sorella fosse con quei due irresponsabili che ci ritrovavamo come genitori. Finché ero con lei la potevo proteggere dalle loro ingiurie e dalle loro mani pesanti, ma poi sono scappati da me con lei. Non avendo nemmeno un telefono non avevo nessuna possibilità di contattarla e nessuna possibilità che lei contattasse me. Giurai che se avessi scoperto che le facevano del male non avrei risposto alle mie azioni. 
Scesi al piano terra e una volta trovata la cucina vidi sul tavolo un bigliettino per me. 

"Savannah siamo al lavoro, ci vediamo 
a mezzogiorno.
Ti ho preparato la colazione, spero che ti 
riprenda presto.
Bobby e Maura."

Mi sedetti al tavolo e in completa solitudine iniziai a mangiare ciò che mi avevano preparato con molta cura. C'era una pasta vuota e un bicchiere di latte appoggiati sul tavolo. Guastai tutto e mi resi conto che la situazione in qualche giorno sarebbe peggiorata. Sapevo che non era casa mia e che loro mi avevano ospitata solo per la situazione in cui mi trovavo. Erano le dieci di mattina e decisi di tornare al piano superiore. Notai che oltre alla stanza in cui dormivo e il bagno c'erano altre tre stanze. Aprì la prima porta e trovai un letto matrimoniale. Era perfettamente in ordine la stanza e la parete era colorata di azzurro chiarissimo. Si trovava un piccolo balconcino da cui si poteva intravedere la piccola città in cui mi trovavo. Mi resi conto di non conoscere il quartiere. In che città mi trovavo?
Uscì dalla stanza ancora col dubbio in testa ed entrai nella seconda camera. C'era un enorme letto e sopra ad esso erano state attaccate varie foto. Una che raffigurava la famiglia composta da Bobby, Maura e due ragazzi, una che raffigurava uno dei due ragazzi mentre lasciava un leggero bacio sulla guancia ad una ragazza bionda. Una di lui e il fratello ad una partita di calcio, una con degli altri ragazzi, presumo suoi amici. C'erano appese tante foto che ritraevano momenti di tranquillità di una vita normale. La foto che più mi colpì fu proprio quella della famiglia. Erano tutti sorridenti e abbracciati tra loro, nei loro occhi leggevi proprio la felicità di quel momento e l'affetto che ognuno provava per l'altro. Mi scese una lacrima. Io una foto in famiglia non l'avrei mai fatta, quell'affetto non l'avrei mai sentito, quel sorriso non l'avrei mai avuto. Rimpiangevo la normalità. Abbassai gli occhi ed asciugai le lacrime. Davanti a me c'era il letto del ragazzo. Vidi un piccolo cuscinetto raffigurante la foto di lui mentre si baciava con una ragazza. Nonostante le loro labbra erano attaccate su entrambi i volti si vedeva un lieve sorriso. In un'angolo del cuscino c'erano scritti due nomi "Greg & Denise". Appoggiai il cuscino al suo posto ed uscì dalla stanza. Sospirai; bastava fare un tour in una casa sconosciuta per notare quanto facesse schifo la mia vita. Se c'era qualcosa che desideravo era la normalità; e lo sappiamo tutti che non si desidera ciò che è facile da ottenere.
Entrai nell'ultima stanza e la prima cosa che notai fu una chitarra appoggiata al muro. La stanza era leggermente disordinata. La scrivania era piena di fogli e sul letto era appoggiato un pc. Si trovava anche qualche foglio accartocciato a terra e involontariamente sorrisi. Non so il motivo, forse semplicemente perché quando scrivevo qualcosa, e mi accorgevo di aver sbagliato accartocciavo il foglio e lo lasciavo cadere sul pavimento. Lo raccolsi e trovai un foglio da spartito. Probabilmente stava scrivendo una musica. Lo riaccartocciai e lo lasciai nel punto in cui l'avevo trovato; non volevo sembrare una che non si sapeva fare i cavoli suoi, perché in realtà così non era. Volevo semplicemente vedere cosa si faceva in una vita diversa dalla mia, in una famiglia responsabile. La stanza era piccola, ma confortevole. Anche qui al muro era appesa una foto di famiglia però di qualche anno prima, notando i due ragazzi ancora bambini. Uscì e me ne tornai in camera mia. Avevo bisogno di fumarmi una sigaretta. Aprì la finestra della camera in cui dormivo e ci salì sopra. Forse poteva sembrare una cosa strana, ma casa mia lo facevo sempre: mi sedevo fuori dalla finestra tenendo le gambe al petto e la schiena appoggiata al muro e mi fumavo una sigaretta guardando fuori. Il fumo era tutto ciò che mi potevo concedere per rilassare i muscoli e prendere del tempo solo per me. Indossavo ancora la tuta di Maura così decisi di cambiarmi e mettermi qualcosa di mio. Ripiegai i panni e li infilai in un bidone per gli abiti sporchi. 

Erano le 11:30 e in una mezz'ora sarebbero tornati a casa Maura e Bobby così decisi di sparecchiare tavola e spazzare la cucina come minimo. Quando riposi la scopa nel posto in cui l'avevo trovata sentì la porta di casa sbattere violentemente. Tremai. Il rumore così violento non poté che farmi tornare in mente mio padre. Impallidì e rimasi immobile, senza muovere un muscolo. Vidi un ragazzo dai capelli biondi passare davanti alla cucina senza accorgersi di me. O almeno così speravo. Tornò sui suoi passi e si affacciò alla cucina e trovò una persona, sconosciuta in casa sua. Strabuzzò gli occhi.

"Chi cazzo sei?"

*************************

Salve a tutti! 
Ho deciso di pubblicare il prologo ed il primo capitolo tutti in una volta per dare alla storia un po' più di senso.
Che dire della storia. La scrissi molti mesi fa, forse un anno fa. Purtroppo la lasciai a metà e me ne dimenticai.
Qualche ora fa l'ho ritrovata, modificata un po' e così ho deciso di pubblicarla. Lo so partiamo già con una tristezza assoluta,
ma se non ve ne siete accorti il genere è drammatico.
Spero che in qualche modo questa introduzione vi abbia un po' intrigati. 
Vi do un piccolo anticipo del nuovo capitolo :)
 "Chi è?" 
"Chi lo sa. Forse una ladra. O una serial killer." Mi sorrise con sfida.
"Devo ricordarti che sei tu quello che mi ha puntato un coltello contro."  
Bacii,
la vostra Chiiara.

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Capitolo 3
*** 2 - Youth ***




Youth

 
"We are the reckless,
We are the wild youth
Chasing visions of our futures"

"Chi cazzo sei?"

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"Savannah.." Mi guardai in torno non sapendo cosa dire. 'Sai a tuo padre è venuta la buona idea di portare a casa una ragazza sconosciuta e che è appena stata abbandonata dai suoi genitori e dal suo ragazzo. Ah ed è appena uscita di prigione per possesso di eroina.'
No; decisamente non potevo dire questo. anche perché nessuno della famiglia sapeva che ero appena uscita di prigione.
Il ragazzo era spaventato, ma non quanto me: se avesse chiamato la polizia non sarei uscita così facilmente.
Lo vidi fissare il telefono di casa, per poi rispostare lo sguardo su di me e di nuovo guardare il telefono. Con un salto lo prese, ed io nel panico mi avventai su di lui gridando "No!"
Provai a strappargli il telefono di mano, e cercai in un modo o nell'altro di spiegare la situazione. "Mi ha portata qui tuo padre!"
"Lasciami il telefono!"
Mi diede uno spintone e caddi a terra. Oh merda, no no no. 
"Fermati! Ti prego non farlo." 
Non so a cosa stesse pensando, ma non schiacciò nessun numero e ripose il telefono.
Sospirai, finché non prese un coltello.
"Non avvicinarti" mi avverti. Ero nel panico più totale. 
"Mettilo giù, ti assicuro che è come ti ho detto!" 
Lui era in crisi, non sapeva se fidarsi di me e di certo nessuno l'avrebbe fatto. Sentì la porta di casa sbattere. Lui si sporse dalla cucina per vedere chi fosse. "Oh Niall sei tornato prima del previsto, credevo tornassi stasera. Vieni ti devo presentare.." Maura si interruppe quando entrò in cucina e notò me in fondo alla stanza e lui con un coltello in mano rivolto verso di me. Strabuzzò gli occhi e mormorò titubante "Vedo che vi siete già conosciuti."
Appoggiò le due buste della spesa sul tavolo. Lui, ovvero Niall aveva ancora più dubbi di prima. La madre rispose al suo sguardo insistente con "Perché non metti via quel coltello e mi aiuti a mettere via la roba?"
"Chi è lei?" disse insicuro, ma rivolgendomi uno sguardo non molto piacevole da ricevere.
"Stai tranquillo tesoro non è un'aliena. Si chiama Savannah. Resterà qui per un po'".
Non rispose, anzi se ne andò proprio via dalla stanza.
"Oh piccola tutto ok? Mi dispiace sia successo tutto questo, lo avrei avvertito il pomeriggio della tua presenza."
"Non si preoccupi io sto bene, chiunque avrebbe reagito come lui, mi dispiace che se la sia presa."
"Credimi gli passera, tu invece.." prima di finire la frase appoggiò le sue labbra nella mia fronte e poi continuò "sei ancora un po' calda."
Stavo per aiutarla quando mi fermò. "Non preoccuparti va pure in camera, non voglio che ti sforzi." La ringraziai ed entrai nella "mia" stanza. Iniziai a svuotare uno scatolone. Volevo vedere se almeno c'erano le cose a cui più tenevo oltre al carillon. C'era la mia Polaroid, un oggetto che tra tutte le mie cose pensavo di non rivedere mai più. La strinsi al petto, faceva parte dei miei tesori lei. infondo alla scatolone era riposto il mio quaderno, altro pezzo importante per me. Quegli oggetti mi rappresentavano. Soprattutto il mio quaderno. Rappresentava la mia passione: l'arte. Avrei voluto intraprendere una scuola per specializzarmi, ma la mancanza di soldi in famiglia non mi aveva concesso una scuola superiore. Non che amassi la scuola: prima dei quattordici anni odiavo lo studio e di certo non ero una cima, ma con il passare degli anni la mancanza della scuola si era fatta sentire. Non andare a scuola mi mancava, mi mancava imparare cose nuove. Tutto ciò che avevo imparato negli ultimi anni era dovuto ai libri che prendevo dalla biblioteca della mia città. Era il mio posto. Si perché di notte diventavo l'altra me, quella menefreghista, quella che fa casini e si diverte, mentre di giorno ero la ragazza che aveva bisogno di credere in qualcosa. Oltretutto, dovevo molto al proprietario della biblioteca: tutte le volte che potevo lo aiutavo e grazie a lui ero riuscita a guadagnarmi dei soldi per me e non per la famiglia. Uscì di camera ancora nei miei pensieri quando sentii Niall e Maura parlare di una faccenda in sospeso: io.
"Senti Niall aveva bisogno di aiuto e noi l'abbiamo ospitata, non capisco perché te la prendi così tanto."
"Poteva derubarci, mica la conosci." Il mio cuore prese a battere all'impazzita, mentre pregavo ai miei occhi di non farmi brutti scherzi. Non potevo piangere, non per così poco. L'idea che si era fatto Niall di me però mi distruggeva.
"Nessuna ragazza nelle condizioni in cui era avrebbe potuto farlo. Se tuo padre non l'avesse aiutata avrebbe rischiato di finire all'ospedale."
Maura però mi difese e la cosa mi riempì il cuore. In un giorno era stata più protettiva di mia madre durante sedici anni.
"Ma ora sta bene" confermò lui del tutto incazzato.
Era vero, stavo molto meglio rispetto ieri e aveva ragione: dovevo andarmene. 
"Niall, non la conosci nemmeno" provò lei.
"Nemmeno tu." Sentii che stava salendo le scale e decisi di rinchiudermi in camera. Non potevo farmi vedere che origliavo. Mi appoggiai con la schiena alla porta e mi sedetti a terra. Le lacrime iniziarono a scorrere e questa volta non riuscì a fermarle. Piansi, piansi perché era tutto una merda, piansi perché presto me ne sarei andata di lì e sarei finita chissà dove. Piansi perché la prima impressione che avevo dato ad uno sconosciuto era di essere una criminale. E se solo avesse scoperto della prigione avrebbe potuto provarlo. 

Nel pomeriggio rimasi chiusa in camera, la noia mi portò a disegnare, anche perché non volevo uscire da quella stanza: Niall era a casa e dopo quello che aveva detto non potevo fare a meno di evitarlo. Dopo qualche ora finì il mio disegno: erano una coppia di ragazzi che ballava. Altra mia passione: il ballo a coppia, non che io sappia ballare, ma sono sempre riuscita ad intrufolarmi per vedere qualche esibizione di ballo. Mi affascinava tutto di quel mondo. Credo che l'arte sia in tutto, ma l'arte del ballo a coppia è sorprendente davanti ai miei occhi. Ho sempre immaginato di indossare uno di quei fantastici abiti colorati e soprattutto costosissimi. Una volta riuscii a scambiare qualche parola con una ballerina con un vestito straordinario e mi confessò il costo del vestito: 2000 euro. Rimasi sconvolta quando lo seppi, ma immaginai che per una ballerina sia importante avere un abito appariscente, soprattutto se si parla di ballerini a livello agonistico.
Mi stiracchiai compiaciuta del mio lavoro e decisi di uscire di camera e andare a bere un bicchiere d'acqua. Avevo la gola secca e avevo bisogno di sgranchire le gambe e la schiena dopo tutto il tempo che avevo passato per finire il disegno.
Entrai in cucina dove trovai Niall e un suo amico, il quale mi fissò in modo insistente. Vuoi un autografo?
"Chi è?" chiese a Niall, che invece mi fissava come per dire 'levati dai coglioni'.
"Chi lo sa. Forse una ladra. O una serial killer." Mi sorrise con sfida.
"Devo ricordarti che sei tu quello che mi ha puntato un coltello contro."
Scosse la testa ancora più scocciato di prima. Presi un bicchiere e lo riempì d'acqua.
"Allora Serial Killer, qual è il tuo nome?" chiese quello.
Appoggia il bicchiere nell'acquaio.
"Savannah." 
"Io sono Mark." Gli sorrisi, mentre vidi Niall con la coda dell'occhio alzare gli occhi al cielo.
Uscì di lì e ritornai in camera. Aprii la finestra e mi sedetti sopra come la mattina e mi fumai una delle mie sigarette.
Ero lì, sulla finestra a rilassarmi, quando di botto la porta si aprì, facendomi prendere un colpo.
"Sei impazzito, Dio mi sono spaventata!" Urlai.
"Senti tu, avrai conquistato i miei facendogli pena, ma stanne certa che non conquisterai me con la storiella che sei svenuta. E nemmeno i miei amici."
"Hai finito?" Ma cazzo vuole questo? Neanche ha bussato sto scemo.
"Stronza." 
Non risposi, ma invece che sputare il fumo fuori glielo buttai in faccia e lui iniziò a tossire. Buttai la sigaretta e scesi chiudendo la finestra.
"Se non fossi una donna ti avrei presa a pugni." Mi girai di scatto, come si permetteva.
"Provaci." Lo sfidai, di sberle in faccia ne avevo prese talmente tante che non mi faceva affatto paura.
Uscì dalla stanza e sbatte la porta. Un brivido. Quel rumore mi terrorizzava. Probabilmente se fosse stato mio padre a quest'ora avrei potuto avere una costola rotta. 
Sono stata una stupida. Invece di essere riconoscente gli ho sputato il fumo addosso.

La sera aiutai Maura a preparare la cena e una volta pronta mi ritrovai in una situazione abbastanza imbarazzante. Niall mi continuava a guardare in modo spregevole.
Bobby informò la famiglia che Greg sarebbe passato più tardi. A quanto pare aveva degli impegni di lavoro.
"Allora Savannah, come ti senti?" mi chiese Bobby.
"Molto meglio grazie, spero di togliere il disturbo il più presto possibile."
Non era vero. Non avevo un'alloggio, ma di certo non potevo far finta di nulla.
"Insomma avrai bisogno di un passaggio per tornare a casa. Credo che non te lo abbiamo detto, ma viviamo a Mullingar."
"No, non lo sapevo infatti." Sorrisi. Ma era evidente che non era un sorriso sincero.
"Allora, come mai ti trovavi in quella casa? Me l'ha venduta una famiglia ad un prezzo conveniente. Rivendendola ci guadagnerei molto. Purtroppo la famiglia che la voleva comprare, vedendoti, credo che si sia spaventata e abbia cambiato idea."
"Mi dispiace tanto. Mi tolga una curiosità, sa niente della famiglia che ci abitava?"
"Non molto, so che doveva trasferirsi velocemente, non ne so il motivo, erano in 3 comunque."
Alzai lo sguardo dal piatto.
"In tre?!"
"Si, una coppia con una figlia di 5 anni credo."
Silenzio. Era tutto programmato, per loro non esistevo proprio.
"Ho detto qualcosa di sbagliato?" La mia reazione non era stata certo delle migliori: il mio sguardo si era incupito e avevo ripreso a guardare il piatto. Niall mi guardava senza fiatare.
"No, niente. Solo che come le ho detto la prima volta che ci siamo incontrati io vivevo in quella casa."
"Credevo parlassi a vanvera." Era più che ovvio che avessero capito che mi avevano abbandonata, e di certo sapere di essere soli al mondo non è piacevole.
Bobby deglutì e fissò la moglie incredulo delle mie parole.
"Dove credi di andare?"
Scossi le spalle. Le possibilità non erano mica tante. O sotto un ponte o in una casa famiglia. E solo il pensiero mi disgustava.
Non riuscii a mangiare più niente purtroppo.
Fortunatamente l'attenzione fu spostata da me grazie al suonare del campanello. Bobby andò ad aprire mentre Maura sparecchiava. Niall mi fissava ancora. Probabilmente pensava che avessi risposto così solo per fare più pena ai suoi genitori. Che stupida, non dovevo raccontargli quelle cose. 
"Greg!" Maura corse ad abbracciarlo. Non ero abituata a vedere l'affetto in famiglia. Abbassai ancora lo sguardo, sempre con l'aria triste.
"Vieni ti presento una persona."
Lui si avvicino e mi porse la mano.
"Greg."
"Savannah" e gliela strinsi.
"Resterà con noi per qualche giorno."
"Benvenuta in famiglia."
Sorrisi, sorrisi davvero. Era strano pensare alla famiglia come qualcosa di positivo. D'altronde si sa; la mia era un disastro.
Dopo aver conosciuto Greg decisi di andare a riposare. Avevo bisogno di dormire, e di rilassarmi. Una volta che avrei lasciato quella casa, non potevo sapere quanto tempo avrei dovuto aspettare prima di riavere l'occasione di dormire in un letto.

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Buonasera a tutti belli e brutti!
Finalmente sono riuscita a pubblicare un nuovo capitolo! 
Ultimamente la scuola e gli allenamenti di ballo mi stanno tenendo impegnatissima.
Giuro non ho più le forze! Voi come state? 
Se siete arrivati fino a quì forse un pochino la mia storia vi sta incuriosendo? 
Lo spero proprio perchè il prossimo capitolo è gia pronto! 
METTETE TRA I PREFERITI/SEGUITI O RECENSITE! :)

Non sapevo come ero finita lì fino a che non mi trovai davanti un viso familiare.
Era Jimmy.

 
Love always,
Chiiara.

 

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