Nothing but trouble

di ladyAmaryllis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Che la festa cominci ***
Capitolo 2: *** Difficile da credere ***
Capitolo 3: *** La verità (?) ***
Capitolo 4: *** Cambiare prospettiva ***
Capitolo 5: *** Solo tu puoi aiutarmi ***



Capitolo 1
*** Che la festa cominci ***


Per degli adolescenti prossimi al diploma, non c'è modo migliore di inaugurare l'ultimo anno di liceo se non con una bella festa a base di alcol e pessime decisioni. Questi erano i temi principali delle feste che Rachel Mass organizzava a casa sua, e quella sera volevo tuffarmici appieno.
Quando arrivai con Noemi, la mia migliore amica, la casa era già piena di gente, qualcuno era addirittura seduto in veranda. Entrando salutammo un paio di persone e Rachel che accoglieva tutti sulla porta. Una volta dentro mi guardai intorno: c'erano persone ovunque, sul divano a parlare, alcune in piedi che ballavano, altre sulle scale che pomiciavano.
«Cominciamo bene», dissi lanciando un occhiata a Noemi.
Lei continuava a guardarsi intorno, sapevo cosa stava cercando: lei e il suo ragazzo Logan, quarterback della squadra di football del nostro liceo, si erano lasciati da poco, e la capivo visto che anche la mia prima storia importante era finita da poco con Chris, altro giocatore di football. Solo che a differenza loro, io e Chris eravamo rimasti stranamente in buoni rapporti.
«Cerchi Logan?», le dissi.
«È più forte di me. Per quanto abbia paura di trovarlo avvinghiato alla prima che passa...», la interruppi subito, mi ero promessa di farla distrarre quella sera, e ci sarei riuscita.
«Senti, se anche dovesse venire, cosa che non è sicura, arriverebbe col suo branco del football, e mi ha detto Chris che loro verranno tra un po'. Quindi ora noi spegniamo i telefoni», dissi mentre tiravo fuori il mio e lo spegnevo senza controllare se ci fossero messaggi o chiamate, «spegniamo i cervelli, e ci andiamo a ubriacare».
Dopo aver preso un bicchiere di birra da un fustino in salotto ed averlo scolato in pochi minuti, decidemmo di andare a cercare qualcosa di più deciso della birra, così ci avviammo in cucina, e dopo aver un po' curiosato tra mensole e scaffali, trovammo una bottiglia aperta di Rum di cui nessuno sembrava sentire la mancanza.
«Non sarà la nostra amica Tequila, ma ci possiamo accontentare», disse lei.
Con un cenno di assenso tirai fuori due bicchierini da una credenza e buttammo giù il primo.
La sensazione era quella di un rampino infuocato che mi scorreva in gola e giù a scaldarmi lo stomaco, ma strinsi i denti e scoppiai a ridere quando vidi la stessa espressione disgustata sul volto di Noe.
Andammo avanti così per altri due o tre bicchieri, e quando la testa iniziava a sembrarci più leggera e le gambe più pesanti decidemmo che era il momento giusto di unirci alla vera festa.
A Noe serviva il bagno, così io decisi di prenderci altre due birre, ma a metà strada Chris mi si parò davanti impedendomi di continuare.
Osservandolo mi chiedevo cosa non era andato tra di noi. Era un bel ragazzo: capelli corti e biondi, occhi nocciola, un fisico palestrato, e decisamente un sorriso dolce, che mi stava rivolgendo in quel momento.
«Ehi bambolina!», mi salutò tutto contento. E mi venne in mente perché non aveva funzionato: gli volevo un gran bene, ma a volte era un vero cafone senza cervello, e ci provava con qualunque ragazza.
«Ehi, Chris, che bello vederti», dissi un po' imbarazzata.
«Senti c'ho pensato», urlò sopra la musica, «e ci tengo un sacco a te, anche se mi hai lasciato. Quindi visto che sei stata la mia prima ragazza, che pensi di essere la mia prima amica femmina?»
«Devo riconoscerlo, almeno sei diretto», dissi a metà tra l'imbarazzo e il divertimento, «ma sì, si può fare». Forse era l'alcol a parlare, ma in fondo perché no? Se non altro mi faceva divertire.
«Perfetto», disse con un sorriso a trentadue denti, e nell'abbracciarmi mi versò un po' di birra addosso. Sempre il solito, pensai.
«Allora che mi dici? Ti vedi con qualcuno ultimamente? Secondo me sì, è impossibile che una carina come te sia da sola». Diventai rossa dall'imbarazzo, non aveva nessun freno. Forse anche lui era ubriaco.
«Bé in realtà no, per ora sto bene così. E tu invece?»
«Naa», biascicò, «dopo di te non sono più riuscito a tenermi una ragazza per più di una settimana. Non è che mi hai lanciato il malocchio, eh?». In effetti quando tra noi era finita avevo sperato che patisse un po' prima di trovare un'altra, visto che mi aveva quasi tradita, ma era stato solo un pensiero passeggero.
«Ne dubito. Forse è perché spesso ragioni col cervello che hai tra le gambe invece di quello che hai nella testa», dissi con una sfacciataggine non mia. Scoppiò a ridere, almeno non si era offeso.
«Sei tremenda. E il bello è che forse hai ragione. Riesci sempre a capirmi»
«Non sei così difficile da capire sai», sorrisi. Lui mi prese per un fianco e mi avvicinò, cominciando a muoversi a tempo di musica. Con il volto un po' troppo vicino al mio disse:
«Mi ricordi perché ci siamo lasciati?», disse mentre con la punta del naso sfiorava il mio.
Per un attimo stavo per cedere, c'ero già cascata una volta da quando la nostra storia era finita, ma questa volta mi controllai.
«Per lo stesso motivo per cui non riesci a tenerti una ragazza per più di una settimana», dissi allontanandolo dolcemente. «Meglio di no Chris», continuai sperando di sembrare il più convinta possibile.
«Come vuoi baby, mi accontenterò dell'amicizia, per ora», e, dopo avermi dato un bacetto sul naso si allontanò facendomi l'occhiolino.
Sospirai tra me e me: nonostante tutto a volte era adorabile.
Mi ricordai cosa ero andata a fare in salotto: la birra! Mi resi conto di non essere del tutto lucida, così cercai Noemi tra la gente, ma non la vidi da nessuna parte, così intanto presi due bicchieri. Avevo appena finito di riempirli fino all'orlo, quando qualcuno alle mie spalle ne prese uno.
Mi voltai pensando che fosse Noemi, ma era un ragazzo che non avevo mai visto a scuola. Molto alto e con dei folti capelli neri un po' spettinati, mi sorrideva da sotto un paio di occhi verdi magnetici.
«Sei molto gentile ad avermelo riempito», disse con una voce un po' roca e profonda.
«E tu molto presuntuoso a pensare che fosse per te», risposi senza riflettere, e mi accorsi di essere stata troppo aggressiva.
«Puoi tenerlo se vuoi, ne farò un altro».
«Per il tuo ragazzo?»
Ecco, pensai, un'altro idiota che ci prova con tutto ciò che respira.
«No, Don Giovanni, per una mia amica».
«Che caratterino», disse lui scoppiando a ridere, «Stavo solo facendo conversazione. Sono nuovo in città, e non conosco praticamente nessuno. Dov'è questa amica? Ti faccio compagnia fino a che non la ritrovi».
Forse lo avevo giudicato male. Ero una ragazza socievole e lui sembrava simpatico, non c'era niente di male a fargli conoscere un po' di persone.
«Bé, grazie. Sono Emily», dissi tendendogli la mano.
«Matt», mi rispose sorridente, ma quando mi strinse la mano, nonostante la sua fosse molto calda, sentii un brivido lungo la schiena. Improvvisamente pensai alle foreste, alla notte, alla luna, ma subito quella strana sensazione passò. Forse devo rallentare con questa, pensai guardando la birra che tenevo in mano.
Ci avviammo verso la cucina dove pensavo di ritrovare Noemi, ma lei non c'era da nessuna parte, così ci ritrovammo io e lui da soli, ai lati di un'invitante bottiglia di Rum.
Neanche lo conoscevo, ma sentivo già di essere in sintonia con lui. Bastò uno scambio di sguardi, e in un sorso finimmo i nostri bicchieri di birra.
«Allora, di dove sei? Come ci sei finito quaggiù?», gli chiesi mentre mi sedevo e mi versavo un bicchiere.
«Mmh, che ne dici di rendere le cose interessanti?», disse mentre prendeva posto di fronte a me e prendeva la bottiglia, «Facciamo una domanda a testa, però se non vuoi rispondere devi bere. Vediamo quanto ci metti ad essere abbastanza ubriaca da raccontarmi la storia della tua vita», disse ammiccando.
«Se è una sfida, straniero, sappi che reggo l'alcol meglio di tutta la squadra di deficienti in salotto», risposi con un'audacia decisamente frutto dell'alcol che avevo già bevuto.
«Comincio io. Perché ti sei trasferito qui?», chiesi puntandogli addosso uno sguardo un po' appannato. Non potevo non guardarlo negli occhi, era come se fossero due calamite. Sorrise:
«Sto cercando una cosa», rispose pronto, anche lui con lo sguardo inchiodato al mio.
«Cosa?»
«Una domanda a testa, ricordi?», precisò. Sbuffai, facendogli cenno di continuare:
«La tua amica esiste davvero o era solo una scusa per restare da sola con me?».
Scoppiai a ridere:
«Esiste davvero, non fare lo sborone, con me non attacca», e invece un po' attaccava, quel ragazzo mi intrigava.
«Okay ci credo», rispose con un mezzo sorriso che sembrava sapesse qualcosa che io ignoravo.
«Allora, cosa cerchi in un'anonima città come Corvalis? L'amore della tua vita?», lo stuzzicai.
Si prese qualche secondo, in cui il mezzo sorriso non abbandonò il suo volto. Mi squadrò bene in volto, come se cercasse di capire se poteva fidarsi di me, poi buttò giù il bicchierino in un sorso senza battere ciglio.
«Lo sai che così facendo mi rendi solo più curiosa? Te lo continuerò a chiedere fino a che non sarai talmente pieno di Rum che potrai scegliere solo se dirmelo o vomitare».
«Sei molto sicura di te, eh?», disse ridendo.
«Solo quando sono ubriaca», così dicendo finii anch'io il mio bicchiere, non con la sua indifferenza però, la mia smorfia non passò inosservata.
Matt aprì la bocca per fare la sua domanda quando la porta della cucina si spalancò ed entrò Chris con una ragazza del terzo anno che lo abbracciava da dietro e ridacchiava. Quando ci videro si bloccarono, ma Chris non perse il suo sorriso e disse:
«Scusa piccola, non pensavo fosse occupata», mi fece l'occhiolino, poi prese la ragazza in spalla e uscirono ridendo.
Nonostante fosse finita tra noi e mi andasse bene così, vederlo con un'altra dopo dieci minuti che ci aveva provato con me non mi fece un bell'effetto.
Senza considerare Matt uscii e facendomi a fatica spazio tra la gente raggiunsi la porta sul retro, uscii e mi sedetti sugli scalini della veranda. L'aria pungente fu come uno schiaffo, ma mi fece riprendere. Inspirai profondamente e mi presi qualche secondo. Sentii la porta dietro di me che si apriva e sbuffai per non poter avere neanche un minuto di privacy, ma quando mi voltai vidi Matt con un messo sorriso stampato in faccia e la bottiglia di Rum in mano.
«Perché sei scappata così? Pensavo ci stessimo divertendo», disse sedendosi accanto a me.
«Quello che è entrato con quella gallina era il mio ex», dissi fissando il buio del giardino davanti a me.
Sentii che sorrideva anche se non lo stavo guardando.
«E che ci facevi tu con uno come lui?». Mi voltai a guardarlo, anche se ormai vedevo i contorni un po' sbiaditi, e mi sembrò sinceramente curioso.
«Non mi va di rispondere a questa domanda», dissi senza pensare, così gli tolsi la bottiglia dalle mani e buttai giù un sorso.
«Siamo ancora in gioco quindi»
«Sì, ma tu hai fatto due domande di fila quindi forza bevi»
«Sissignora», disse sempre con quel suo mezzo sorriso, e fece come avevo detto.
«Cosa c'è di diverso in te?», ormai le parole mi uscivano senza pensare.
«Diverso? Diverso da cosa?», disse inarcando le sopracciglia, anche se non mi sembrò reale sorpresa.
«Non lo so, diverso dagli altri, diverso da tutti. Ti conosco da dieci minuti ma ho sentito qualcosa...» non sapevo neanche io come spiegarlo.
Mi puntò addosso quel suo sguardo penetrante, era difficile mantenere il contatto visivo e allo stesso tempo non riuscivo a guardare altrove.
«Forse sei tu che hai qualcosa di diverso per avermi notato... o forse la cosa è molto più semplice»
«Cioè?», pendevo dalle sue labbra, c'era qualcosa di decisamente intrigante in lui.
«Non potrebbe essere perché semplicemente...sei attratta da me?».
Mi sentii arrossire ma non distolsi lo sguardo, sì certo che era un bel ragazzo ed ero attratta da lui, ma non era una banale cotta quella che sentivo, c'era di più...ma era difficile pensare, con l'alcol ad annebbiare la mente, e il suo corpo così vicino da sentirne il calore che emanava...
«Se non vuoi rispondere devi bere, lo sai».
«Ma sei proprio un prepotente!», dissi dandogli una gomitata, alla quale rispose ridendo, «Non mi va più di bere»
«Allora paghi pegno».
Lo guardai interrogativa: «Ah sì? Che devo fare, sentiamo».
Spostò il peso sul braccio vicino a me, così il suo volto era a pochi centimetri dal mio, e come in un soffio disse:
«Baciami».
Il mio cuore schizzò a mille e sentii che mi si stringeva lo stomaco. Era proprio un presuntuoso, ma allora perché avevo sperato che me lo dicesse?
Mentre con lo sguardo mi teneva inchiodata, il mio cervello andava a mille per decidere cosa fare, e lui non si muoveva di un millimetro. Decisi di lasciarmi andare, gli passai una mano tra i capelli fin sulla nuca, e la usai come leva per avvicinarmi lentamente, fino a che le nostre labbra furono talmente vicine da sfiorarsi, sentivo il suo respiro caldo e ogni cellula del mio corpo spingeva perché facessi quell'ultimo millimetro che ci separava, avevo già gli occhi chiusi quando lui si voltò di scatto e si alzò in piedi. Perso il mio punto di appoggio mi sbilanciai in avanti e per poco non finii a baciare il legno degli scalini.
Fu come se mi avesse dato uno schiaffo in pieno volto: tornai subito lucida e mi voltai a guardarlo pronta a fare una sfuriata ma lui neanche mi guardava, era perfettamente immobile e fissava un punto nel buio davanti a noi.
«Che sta succeden...» non feci in tempo a finire la frase che mi zittì con un gesto della mano. Abbassai la voce e mi misi accanto a lui cercando di vedere qualcosa, ma era facile mettere a fuoco, e in ogni caso era buio pesto, cosa mai poteva aver visto? Poi notai che muoveva lievemente le narici, stava annusando?!
«Mi spieghi cosa diavolo sta succedendo?», dissi in un sibilo.
«Ritorna in casa», disse secco, e in un secondo era sparito, lanciato tra gli alberi della foresta dietro casa di Rachel.
«"Ritorna in casa?" NON CI PENSO NEMMENO!» urlai senza sapere se mi avrebbe sentito, e mi lanciai dietro di lui cercando di seguire i rumori e i suoi di rami spezzati e foglie calpestate più che cercando di vedere, ma sembrava che stesse correndo. Mentre cercavo di stare al passo e sentivo il fiato farsi sempre più corto cominciai a domandarmi se fiondarmi nel bosco a quell'ora di notte, ubriaca, rincorrendo un ragazzo appena conosciuto non fosse effettivamente la migliore delle idee, ma quando avvicinandomi ad una radura da cui arrivava la fioca luce della luna vidi Matt quasi accovacciato tutti i dubbi svanirono: dovevo sapere cosa stava succedendo.
Lo persi di vista per pochi secondi per scavalcare un tronco piuttosto grosso, ma quando rialzai lo sguardo per poco non ebbi un infarto: nel centro della radura c'era una bestia completamente nera, sembrava un lupo dalla forma ma non poteva essere, era troppo grosso. Il mio cuore andò a mille e tutto sembrò fermarsi: trattenni il respiro e cercai di non fare nessun movimento, se quell'animale mi avesse per qualsiasi motivo attaccata sarei morta sicuramente.
Poi ebbi un lampo: Matt? Che fine aveva fatto? Mi guardai intorno, cercai al limitare di quel piccolo cerchio di alberi dove al centro si trovava quella bestia, ma niente. Cercai di sporgermi di lato per vedere meglio, fissando il dorso dell'animale che si alzava ed abbassava, pregando con tutta me stessa che non si accorgesse di me, ma col piede spezzai un rametto. Nel silenzio in cui mi trovavo, il rumore sembrò forte quanto uno sparo, poi fu tutto velocissimo: l'animale si voltò per un attimo e mi guardò dritto negli occhi, mentre io li chiusi in  un lampo e sentii un urlo acuto che capii dopo che proveniva da me, mentre mi abbassavo e cercavo di proteggermi al meglio con le braccia.
Avevo tutti i muscoli in tensione, i sensi al massimo pronta ad una qualsiasi offesa, ma non accadde niente.
Tremando mi costrinsi ad aprire gli occhi, ma la radura era vuota.
Rimasi ferma qualche secondo in quella posizione, poi mi azzardai ad andare a vedere: niente.
Presi fiato e mi sembrò di essere stata in apnea per ore. Non c'era niente, nessuno, né Matt né quel lupo terrificante. Ma cosa mi stava succedendo?
Presi fiato e cercai di tornare da dove ero venuta, sperando che fosse la direzione giusta, quando sentii delle voci. Emettevano dei suoni strani, ma erano molto basse, non riuscivo a distinguere le parole, così cercai di avvicinarmi alla direzione da cui proveniva, quando spostando un ramo basso vidi due persone per terra, che si muovevano lentamente, e capii che i suoni non erano parole, ma mugolii.
Mi voltai disgustata. Perfetto, ci mancava questa. Mi sentii improvvisamente a disagio, e molto stupida. Probabilmente non c'era nessun lupo gigante, Matt non stava inseguendo niente di misterioso, aveva sentito dei rumori e per qualche motivo si era preoccupato.
Senza rendermene conto ero tornata al giardino di Rachel, e improvvisamente mi sentii molto stanca, e decisamente delusa dalla serata.

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Capitolo 2
*** Difficile da credere ***


Nei giorni seguenti ripensai molto a quello che era successo, ma i ricordi erano un po' annebbiati. Eppure per quanto provassi a convincermi che era stato tutto frutto dell'immaginazione, sapevo che era successo qualcosa di molto strano quella notte. Primo: come aveva fatto Matt a sentire quei due a quella distanza? Secondo: perché andare nel bosco in piena notte solo perché ha sentito un rumore strano? E terzo: cosa mai poteva avermi scatenato un'allucinazione così vivida come quella che avevo avuto?
Avevo pensato di parlarne con Noemi, ma quando ci avevo provato era sembrata una cosa così assurda da dire ad alta voce che avevo desistito.
Però non riuscivo a togliermela dalla testa, così il lunedì decisi di trovare a tutti i costi Matt e costringerlo a darmi spiegazioni. Mi ero resa conto di non aver fatto caso a lui durante la prima settimana, magari avevamo qualche corso insieme.
Infatti durante l'ora di letteratura era lì, seduto in ultima fila con un ragazzo che non avevo mai visto, si passava una mano tra i capelli spettinandoseli tutti, e non potei fare a meno di notare che, nonostante il clima piuttosto freddo, indossava una maglietta a maniche corte. Cosa che mi portò a notare anche il bicipite che si gonfiava ogni volta che muoveva la mano, tirando il tessuto della manica al limite. Deglutii.
Di colpo mi sembrò così assurdo quello che era successo da Rachel -sia il quasi bacio che l'inseguimento nel bosco- che persi tutto il mio coraggio, mi sedetti nel banco di fronte al loro e presi il posto a Noemi.
La voce di Matt che mi accarezzava l'orecchio mi fece sussultare:
«Fai finta di non conoscermi ora?».
Mi voltai a guardarlo cercando di assumere un'aria di sufficienza, ma vedendo il suo mezzo sorriso persi di convinzione:
«Perché, ci conosciamo?», risposi alzando un sopracciglio. Per tutta risposta scoppiò a ridere e si passò la lingua sulle labbra:
«Non abbastanza, direi. Sicuramente possiamo rimediare», aggiunse con quel maledetto sorriso. «Intanto volevo presentarti Mark», disse indicando con la testa il ragazzo che gli stava a fianco, e lo osservai sul serio: era molto bello, portava i capelli biondi leggermente lunghi sugli occhi, che erano di un azzurro ghiaccio impenetrabile. Mark? Il Mark che Noemi aveva conosciuto alla festa di Rachel? Mi riscossi quando mi sorrise in maniera un po' strana, come se non lo facesse spesso. Sorrisi anch'io:
«Emily, molto piacere. Strano, la mia amica Noemi mi ha detto di averti conosciuto alla festa di Rachel, ma io non ti ho visto»
«La tua amica Noemi ti ha parlato di me?», disse con un sorriso ammiccante, e subito mi pentii di quel commento, Noemi mi avrebbe sicuramente ucciso. Cercai di salvarmi:
«Mi ha accennato di aver conosciuto un Mark», dissi con indifferenza sperando che ci cascasse, ma vidi Matt che sghignazzava con la coda dell'occhio. Continuai cercando di ignorarlo:
«Quindi anche tu ti sei trasferito qui quest'anno? Insieme a Matt? Non voglio essere indiscreta, ma sembrate una bella coppia», dissi rivolgendomi a Matt,  cercando una rivincita.
Si guadarono entrambi a disagio e vidi Matt cambiare posizione sulla sedia.
«No, per carità...»
«Ma figuriamoci...»
Scoppiai a ridere:
«Tranquilli ragazzi vi stavo solo prendendo in giro!», stavo per chiedergli da dove venissero, se si conoscevano da prima di trasferirsi, ma l'arrivo di Noemi mi distrasse, e vedendo l'occhiata fulminante che lanciò a Mark capii che il momento per socializzare era finito.
 
 
Passai le due ore successive guardando il professore senza ascoltarlo davvero, rimuginando ancora su quella notte, ma oscillavo continuamente tra la possibilità di essere impazzita e aver avuto un'allucinazione e la possibilità che Matt potesse trasformarsi per qualche strano motivo in un lupo gigante. Non sarei arrivata a nessuna conclusione continuando così. Per quanto potesse sembrare ridicolo, dovevo parlare con Matt.
Mi resi conto che seguivo diverse lezioni con lui, anche se non riuscii ad avere più alcuna possibilità di parlargli, fino a che, entrando nel laboratorio di scienze, lo vidi seduto in terza fila vicino alla finestra, nel banco in cui di solito mi sedevo io.
D'un tratto però, la possibilità di parlarci da sola non sembrava più così allettante. E se fosse davvero capace di trasformarsi in quella bestia? Di certo non è una cosa che si dice in giro, e se avesse scoperto che l'avevo visto cosa mi avrebbe fatto? Cercai di andare il più veloce possibile ad un altro banco, ma mi vide e mi salutò con un gran sorriso, facendomi segno di andare accanto a lui. Feci un bel respiro e lo raggiunsi:
«Che ci fai qui? Non ti ho mai visto a questa lezione», dissi sperando che fosse lì per caso.
«Ho avuto solo ora la certificazione dalla mia vecchia scuola per seguire questo livello, ecco perché prima non mi hai mai visto».
«Oh, capisco», dissi mentre prendevo posto alla sua sinistra, «Hai già scelto questa postazione? Perché io mi siedo qui dall'inizio e...», non mi diede tempo di finire, che disse:
«Bene possiamo essere compagni di laboratorio, andiamo già d'accordo no?», corredando il tutto di un sorriso smagliante.
«Beh di solito preferisco lavorare da sola...», ma questa volta fu l'entrata del professor Carlson ad interrompermi. Il brusio in classe si spense e tutti presero posto. Era fatta, ora era anche il mio compagno di laboratorio, ero rovinata.
«Salve a tutti, ragazzi. Spero che abbiate passato un buon fine settimana, senza troppo CH3-CH2-OH, sapete, alcol», disse sogghignando Carlson. Qualcuno rise a voce un po' troppo alta, i soliti che cercavano di mettersi in mostra per prendere voti migliori, io sorrisi per la tristezza della battuta.
Il professor Carlson era un uomo di mezza età, portava gli occhiali senza montatura e un bel paio di folti baffi castani di cui sembrava andasse particolarmente fiero. Era bravo con i suoi studenti ma a volte sembrava si sforzasse un po' troppo. Riprese:
«Vorrei dare il benvenuto ad un nuovo studente, Matthew Carroll», disse indicando Matt, che fece un gesto di saluto verso tutta la classe, «Vedo che sei seduto accanto a Parker. Molto bene, è in gamba, sicuramente ti aiuterà ad ambientarti. Bene, bando alle chiacchiere, cominciamo».
Tutto il resto della classe cominciò a darsi da fare tirando fuori libri e appunti mentre Carlson scriveva sulla lavagna una serie di formule, ma io non riuscivo a muovermi. Di colpo Matt di diede un colpetto col gomito che mi fece riscuotere:
«Mi dispiace che le cose tra noi siano rimaste...un po' in sospeso dall'altra sera», mi sussurrò guardandomi con un'espressione indecifrabile. Parlava del quasi bacio che ci eravamo dati? O del fatto che lo avevo seguito nel bosco?
«Senti, era solo uno stupido gioco alcolico, eravamo un po' ubriachi e ci siamo fatti trasportare, ma tranquillo non mi aspetto che tu mi chieda di uscire o altro, non sono così disperata eh», scoppiai in una risatina nervosa mentre cercavo di rimanere sull'argomento sperando che non nominasse quello che era successo dopo, «Poi ci conosciamo appena, non so che tipo di ragazza pensi che sia ma...».
Sorrise e scosse la testa:
«Emily rilassati, volevo solo dirti che sono dispiaciuto che le cose siano rimaste in sospeso. Ho sentito dei rumori venire dal giardino ed ho pensato che ci fosse qualcuno, per questo mi sono allontanato. Ma...», disse abbassando la voce, «Non mi dispiacerebbe riprendere da dove abbiamo lasciato».
Il cuore prese a battermi forte, di certo non era il tipo che girava intorno alle cose. Ma c'era qualcosa che mi sfuggiva di lui, che non riuscivo a capire, e che mi spaventava. Mi rilassai pensando che qualunque cosa avesse in mente di fare -che fosse baciarmi o tapparmi la bocca per sempre su quello che avevo visto- non l'avrebbe mai fatto in una classe piena di persone.
E mi venne un'idea: volevo davvero sapere cos'era successo quella notte, e gliel'avrei chiesto in un posto pubblico, come la mensa ad esempio, dove non avrebbe potuto farmi niente.
«Proposta allettante, ma sono contenta che alla fine non sia successo niente tra noi l'altra sera, non ti conosco e non so niente di te, mi sembra un po' affrettato da parte tua chiedermi una cosa del genere», dissi recuperando un po' di sicurezza. Sorrise e mi lanciò un'occhiata maliziosa:
«Mi sembra giusto. Allora cosa hai bisogno di sapere di me prima di non ritenere "affrettato" concedermi un bacio?»
«Ma la vuoi smettere?», dissi dandogli un colpetto sul braccio, «Più lo dici e più perde di significato, sembra che un bacio non abbia nessun valore per te».
«Magari non ce l'ha», mi stuzzicò.
«Magari allora non sono interessata a qualcuno che la pensa così», dissi alzando un sopracciglio.
Stava per ribattere quando Carlson iniziò a spiegare, e lo costrinsi a lasciarmi in pace almeno per il resto della lezione.
 
 
All'ora di pranzo non vedevo l'ora di andare a mensa per spettegolare un po' con Noemi e vedere Chris, Logan, e le altre ragazze e ragazzi con cui dividevamo di solito il tavolo a mensa.
Ogni tanto mi guardavo intorno sperando di scorgere Matt, ma niente. Non vidi neanche Mark, l'altro nuovo arrivato. Non riuscivo a farmi un'opinione neanche su di lui, entrambi mi davano una strana sensazione, come se nascondessero qualcosa. O forse stavo solo diventando paranoica, altro punto a favore del fatto che stessi diventando pazza.
 
 
Per il resto della giornata non riuscii più a incontrare Matt, così il mio piano di fare chiarezza andò in fumo, fortunatamente avevo deciso di passare il resto della giornata con Noemi, così dopo le lezioni andammo a casa mia, che sarebbe stata libera per i prossimi giorni visto che mio padre viaggiava spesso per lavoro.
Parcheggiammo di fronte al garage, aspettai che fosse scesa e poi le dissi:
«Prima di venire a scuola stamattina ho preso una cosetta», dissi con aria furtiva mentre infilavo una mano nella borsa: «Ta-Da!», esclamai mostrandole un pacchetto di Marlboro. Sul suo volto comparve un sorriso complice:
«A volte credo che tu mi legga nel pensiero»
«Lo sai che è così, baby», dissi facendole l'occhiolino mentre salivo i gradini della veranda cercando le chiavi nella borsa. In effetti mi era sempre risultato facile capire Noemi, capire cosa pensava, cosa la preoccupava, cosa le passava per la testa. Ma ero sempre stata molto perspicace più o meno con tutti.
«Ma che diavolo..!», non riuscivo a trovare le chiavi da nessuna parte. Ma le avevo prese la mattina? Cominciai a tirare fuori tutto, portafogli, fazzoletti, trucchi, una penna, vari scontrini, il pacchetto di sigarette, ma delle chiavi neanche l'ombra.
«Cazzo, Noe, siamo chiuse fuori!»
«Sei sicura che tuo padre abbia chiuso a chiave?», disse lei vagamente allarmata.
Corsi subito a controllare: girai il pomello, spinsi la porta con tutta me stessa ma niente.
«Provo ad andare sul retro e controllo anche quella, o guardo se ci sono delle finestre aperte, aspettami qui»
«Aspetta Emily, non senti anche tu quest'odore?», mi interruppe lei alzando il naso per aria tutta concentrata.
«Non c'è nessun odore Noe, ora fammi andare a controllare».
Correndo controllai ogni finestra, quelle della cucina sul lato destro, poi la porta sul retro, le finestre del salotto, niente, era tutto serrato. Tornai sul davanti e trovai Noemi con le mani a cerchio su una delle vetrate laterali alla porta, con il volto appiccicato al vetro, cercando di guardare dentro.
«Ma che fai?», al suono della mia voce sobbalzò e vedendomi sembrò tornare alla realtà.
«Emily hai lasciato una bistecca fuori dal frigo? Sento un odore fortissimo, forse tuo padre ha lasciato qualcosa nel forno?», mi guardava con gli occhi spalancati e inspirava molto forte dal naso.
«Io non sento nessun odore», dissi inspirando forte anch'io, cercando di sentire qualcosa, «Non ci sono bistecche né fuori né dentro il frigo. Che ti succede? Mica sarai incinta?», dissi sorpresa.
Mi diede uno spintone che per poco non mi fece rotolare per terra e si mise a ridere, ma aveva un'espressione strana in viso, molto concentrata, muoveva ancora leggermente le narici.
«Comunque è tutto chiuso al piano terra, forse camera mia è aperta, ma mi dovrò arrampicare», dissi avvicinandomi di nuovo alla porta per un ultimo tentativo.
Provai a spingere e girare il pomello insieme ma niente. Non avevo alcuna voglia di fare un salto di quasi un metro dall'albero che avevo in giardino fino alla tettoia di fronte a camera mia, sarei di certo caduta e mi sarei rotta una gamba. Avrei voluto solo poter entrare, rilassarmi con Noemi, magari fumare una sigaretta, una serata tranquilla, e invece mi toccava fare Tarzan.
Disperata tornai a girare il pomello e a spingere, sempre più forte, poi mi uscì:
«E APRITI, MALEDETTA!».
Sentii un sordo clang dentro la porta e si aprì cigolando leggermente.
Mi voltai di scatto verso Noemi con un sorriso a trentadue denti cercando la sua mano per darle il cinque, ma lei sfrecciò dentro superandomi con una spallata.
«Devo capire cos'è questo odore!», mi urlò da dentro.
La seguii fino in cucina e la trovai in piedi di fronte al tavolo. Mi guardò incuriosita indicando una cassetta di plastica bianca e blu con un manico spesso:
«Che diavolo è? È da qui che viene »
«Oh, è una specie di minifrigo di mio padre», dissi avvicinandomi e aprendo il coperchio, «Vedi ci sono varie provette per un progetto di ricerca che sta facendo su un nuovo farmaco, me l'ha spiegato ma non ci ho capito molto», ne presi una e la tirai fuori, il vetro della provetta era ghiacciato contro i miei polpastrelli, «Deve essersele scordate qui stamattina, ma...», mi interruppi, perché alzando lo sguardo su Noemi la vidi concentratissima sulla provetta che tenevo in mano. Schioccai le dita davanti al suo naso e scherzai:
«Ehi, i miei occhi sono qui», lei si riscosse, e io rimisi velocemente tutto a posto, chiudendo il coperchio con attenzione.
«Poi mi spieghi come hai fatto a sentirlo da fuori. Te lo dico, quando puoi fai un test di gravidanza»
La presi per mano e la guidai su per le scale verso camera mia. Entrammo, lei si mise sul letto e io sul piccolo davanzale sotto la finestra, la spalancai e appoggiai le gambe fuori sulla tettoia. Accesi una sigaretta e lei mi raggiunse subito dopo. Gliene passai una.
«E invece tu mi spieghi come hai fatto ad aprire una porta chiusa a chiave», disse tossicchiando leggermente dopo il primo tiro.
Io inspirai a fondo, mi trattenni dal tossire, ed espirai lentamente.
«Sicuramente era chiusa male, Robert non si accorge di niente di prima mattina, non avrebbe lasciato quelle provette in cucina altrimenti. Tu piuttosto, non lo sai che fumare fa male al bambino?»
Ridemmo insieme e lei mi diede una gomitata che fece più male di quello che volevo ammettere.
«Sei tu che me l'hai data quindi sei colpevole tanto quanto me. Sarai tu a spiegargli perché ha tre occhi invece di due come tutti gli altri bambini».
Risi talmente forte che rischiai di scivolare di sotto. Questa era la mia Noemi. Ma ultimamente veniva fuori sempre meno spesso. Sarà stata colpa di Logan, e per me di Chris, ma sentivo che non eravamo più quelle di una volta, quei momenti spensierati erano sempre più rari, così decisi di godermi appieno quello che stavo vivendo.
Scherzammo per tutto il resto del pomeriggio, ma una piccola parte di me stava ancora rimuginando su quella porta, e, ne ero certa, una piccola parte di Noemi stava ancora rimuginando su quelle provette.
 
Verso sera però mi resi conto di non essere riuscita a togliermi dalla testa i dubbi che mi assillavano su Matt, e così mi feci coraggio:
«Noe devo dirti una cosa, ma devi promettermi che non mi giudicherai male...», dissi scrutandola per vedere la sua espressione.
«Certo lo sai che puoi dirmi tutto!»
«L'altra sera, da Rachel, quando ero con Matt...»
Spalancò gli occhi:
«NO! Non dirmi che l'avete fatto!»
«NOEMI MCADAMS!», urlai dandole un colpetto, «No! Come ti viene in mente?! Dai fammi parlare...»
E così le spiegai di aver seguito Matt nel bosco, di quello che credevo di aver visto, e del suo comportamento a scuola.
Mi ascoltò in silenzio, e anche quando finii di parlare rimase a guardarmi per qualche secondo senza dire una parola, probabilmente cercando di capire se stessi scherzando o meno. Finalmente disse:
«Tu sei assolutamente certa di quello che hai visto?»
«Non lo so, insomma credo di sì. Certo avevo bevuto, ma mi ricordo quel lupo come se ce l'avessi di fronte adesso, e mi ricordo di essermela quasi fatta sotto dalla paura Noe, quella era vera, per un secondo ho pensato che fosse davvero finita, che mi avrebbe attaccato».
«Non so cosa dirti Emily. Certo non è facile immaginare che possano esserci certi animali, specialmente così in città, ma se dici di averlo visto...»
«Il fatto è, e ti prego non pensare che sia pazza, che credo che non fosse un animale selvatico, credo che fosse Matt». Mi guardò con gli occhi spalancati, e scosse la testa, ma non le diedi tempo di parlare:
«So quanto suona assurdo, per questo non te l'ho detto prima, ma credimi lui era lì, e un secondo dopo era sparito nel nulla e c'era quella cosa... Non so cosa pensare».
«Senti, ti credo sul fatto che abbia visto qualcosa quella sera, ma questo mi sembra davvero improbabile, non pensi che tutto quel rum e quella birra possano aver influenzato i tuoi sensi? Non cercare spiegazioni assurde a quello che hai visto».
«Sì, forse hai ragione... dai lasciamo perdere queste cose, probabilmente sono solo un po' stressata. Ordiniamo una pizza?», dissi tirandomi su e prendendo il telefono. Non volevo contagiare Noemi con le mie paranoie, ma ero ancora decisa a parlare con Matt.

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Capitolo 3
*** La verità (?) ***


Quando la mattina dopo parcheggiai la macchina nel parcheggio della scuola, decisi che dovevo farmi coraggio. Vidi Matt a poche macchine di distanza che si sistemava la tracolla sulla spalla e si avviava verso l'entrata e capii che era il momento giusto.
Scesi di corsa e lo raggiunsi:
«Ehi Matt»
«Ehi Emily. Quanto sei carina oggi»
Arrossii, cercando di non farmi distrarre. Intorno a noi una folla di studenti di ogni anno si dirigeva verso i vari edifici che componevano il nostro complesso, era il momento perfetto per parlare. Lo presi per un braccio e mi misi davanti a lui, appoggiandomi sul bagagliaio di una macchina parcheggiata.
«Senti non vorrei sembrarti ridicola ma...volevo parlarti dell'altra sera».
Si passò una mano tra i capelli scompigliandoseli un po' come lo avevo visto fare il giorno prima, e si appoggiò alla macchina accanto. Mi morsi il labbro per respingere l'imbarazzo che sentivo crescere nel pensare alla domanda che stavo per fargli:
«Quando sei corso nel bosco ti ho seguito, non so se te ne sei accorto. E, non prendermi per stupida, ma per caso hai visto una specie di...lupo...o un grosso animale...oddio solo dicendolo ad alta voce mi rendo conto di quanto sembri assurdo», risi imbarazzata, «ma continuo a chiedermi perché se scappato così nel bosco, cioè dopo ho visto due ragazzi che si davano da fare, e ho pensato che li avessi sentiti, ma insomma erano piuttosto lontani, come hai fatto a sentirli da quella distanza? E poi un secondo prima eri lì davanti a me e il secondo dopo eri sparito e c'era questo animale enorme e mi sono davvero spaventata e...» ormai ero un fiume di parole, mi rendevo conto di sembrare fuori di testa e non sapevo come spiegarmi senza sembrare pazza, e lui continuava a guardarmi con un'espressione mista tra il divertito e il curioso, aveva anche piegato la testa da un lato, e sembrava divertirsi a vedermi annaspare cercando le parole giuste. Dopo un po' scoppiò a ridere e mi fermò con un gesto della mano:
«Okay rallenta un secondo. Mi stai chiedendo se ho visto anch'io quel grosso animale o se ero io quel grosso animale?».
«Oh che imbarazzo...», mi misi le mani sulle guance e le sentii caldissime, dovevo essere rossa fino alla punta dei capelli, «scusami, solo ora mi rendo conto...senti lascia perdere, okay? Facciamo finta che questa conversazione non sia mai avvenuta», feci per alzarmi e correre in classe, ma lui mi prese per un polso e mi fermò, senza lasciarmi il braccio:
«E hai pensato di chiedermelo nel parcheggio della scuola perché...pensavi che ti avrei fatto qualcosa? Credi sul serio alla possibilità che fossi io quel lupo?», disse inarcando le sopracciglia, ma senza perdere il sorriso.
Mi guardai intorno: non mi sembrava che fosse passato più di qualche minuto da quando lo avevo salutato, ma il parcheggio si era svuotato, eravamo soli. Il cuore prese a battermi forte.
«Senti lascia perdere davvero, sono già tutti dentro non voglio fare tardi a lezione, quindi...», cercai di fargli mollare la presa sul mio braccio ma fu inutile. «Matt mi spaventi così...»
«Oh no, non è mia intenzione. Facciamo così, io ti dico il mio segreto, se tu mi dici il tuo».
Ora ero decisamente confusa:
«Che segreto pensi che abbia? Non ho segreti».
Mi puntò gli occhi addosso:
«Comincio io allora... sì, c'era un lupo nel bosco quella notte, e so che lo hai visto perché anche io ti ho visto...Emily, io sono un licantropo».
Rimasi a guardarlo per qualche secondo, col cervello a mille. Poi scoppiai a ridere.
Mi lasciò la mano confuso, e io mi piegai in due, avevo le lacrime agli occhi e non riuscivo a fermare le risate.
«Wow, uno si confida con qualcuno e questa è la risposta...puoi smettere di ridere?»
«Scusami», annaspai asciugando le lacrime, «Scusami, davvero, ti ho quasi creduto per un attimo, ma non è carino prendere in giro così le persone. Avanti andiamo in classe, bello scherzo però, sei stato molto convincente». Mi ero già rilassata e mi stavo girando per entrare a scuola quando mi prese per le spalle costringendomi a guardarlo, sentii un ringhio basso provenire da qualche parte in profondità nel suo petto che mi fece venire i brividi, puntò gli occhi nei miei e da verde brillante i suoi cambiarono improvvisamente colore diventando gialli e luminosi. Aveva un'espressione terrorizzante in volto, aveva scoperto i denti ed io ero pietrificata.
Poi, così come era cambiato, tornò ad essere il solito Matt, la sua espressione si rilassò e gli occhi tornarono verdi e densi, anche quel ringhio gutturale sparì, e lentamente mi rilasciò dalla sua presa.
Ma le mie gambe decisero di non collaborare, le sentivo molli come burro e per un secondo barcollai, fino a che non trovai appoggio su una macchina dietro di me.
Ero senza parole.
«Ti sembra ancora che stia scherzando?», disse un po' ansimante.
Scossi la testa, incapace di articolare le parole.
«Senti Emily, forse sto facendo un grosso errore a dirti cosa sono veramente, ma mi hai visto, e negare farebbe solo crescere la tua curiosità. Il fatto è che mi piaci, sai come persona, e voglio essere sincero con te. Scusami se ti ho spaventato, ma è l'unico modo che conosco per farmi prendere sul serio».
«Oh mio Dio», dissi alzandomi e cominciando a camminare. Non potevo stare ferma.
«Oh mio Dio, stavamo per baciarci», dissi aumentando il passo. Non vedevo dove stavo andando, dovevo solo muovermi. Mi raggiunse in un secondo e non faceva fatica a starmi accanto.
«Di tutto quello che potresti pensare, il fatto che stavi per baciarmi è la cosa che ti preoccupa di più? Guarda che non ho mica la peste, non è una malattia che si attacca»
«Lo so, cosa credi? Che non abbia mai visto un film in vita mia?»
Scoppiò a ridere:
«Non credere a tutto quello che vedi nei film. E guarda che mi sono offeso, ti facevo di mentalità più aperta di così»
«Beh scusami tanto, mi serve un attimo per metabolizzare okay? Non è come dire che sei del Texas, o che hai un cane, o che ne so io, è una cosa un po' grossa da digerire»
«Prenditi tutto il tempo che vuoi», disse mentre il suo volto di apriva in un sorriso.
Io ero fuori di me, mille domande mi vorticavano in testa. Mi fermai di scatto cercando di raccogliere i pensieri, e mi resi conto di aver camminato fino al cimitero che si trovata a separare la scuola da una piccola foresta.
Mi guardai intorno, fino a che con lo sguardo trovai la lapide che cercavo. Di marmo bianco, con un mazzo di fiori freschi da un lato. La raggiunsi e posai una mano sulla fredda pietra su cui era inciso "Elizabeth Susan Bell". Sentii la presenza di Matt alle mie spalle.
«Matt, ti presento mia madre. Mamma, ti presento un licantropo»
«Grazie tante. Guarda che sono una persona...aspetta, Elizabeth Bell
Mi voltai a guardarlo, stava scrutando il nome con un'espressione che non riuscii a decifrare.
«Che c'è, conosci questo nome?»
Scosse la testa:
«Perché me l'hai detto?»
Mi voltai a guardarlo:
«Beh tu mi hai detto la cosa più importante che c'è da sapere su di te, così ho deciso di dirti la più importante che c'è da sapere su di me»
«Mi dispiace...», disse allungando la mano verso il mio volto, ma mi allontanai e ripresi a camminare.
«Non pensare che questo vuol dire che non abbia problemi ad accettare quello che sei». Sbuffò:
«Non devi accettarlo, è quello che sono, che a te vada bene o no. Ma Emily...», mi fermò per guardarmi dritta negli occhi, «non puoi dirlo a nessuno, non puoi parlarne con nessuno, se hai qualsiasi domanda, dubbio, curiosità, bisogno di sfogarti, vieni da me, da me e basta. Sono stato chiaro?»
«Anche se andassi a dirlo in giro, chi vuoi che mi crederebbe?»
«Vedo che capisci, bene».
«Ma che cazzo Matt...», dissi liberandomi dalla sua presa e facendo qualche passo indietro, «Ti sembra il modo di dirlo? Facendo tutta quella scenata? Potevi prepararmi almeno, mi hai fatto quasi venire un colpo!»
«Scusa, pensavo che l'avessi già capito, insomma, so che da Rachel è per questo che mi hai notato...»
«Ma come facevo a immaginarmi una cosa del genere?! Cosa stai insinuando?».
Mi guardò per qualche secondo prima di rispondere, poi si sedette per terra appoggiando la schiena al tronco di un albero:
«Niente, lascia perdere».
Mi sedetti anch'io, anche se a dovuta distanza, ero ancora abbastanza spaventata, e decisi di chiarire qualche dubbio:
«Quindi sei un licantropo...come funziona? Qualche altro licantropo ti ha morso, o graffiato, o...»
Sorrise e mi guardò negli occhi:
«Ti ho detto di non credere a tutto quello che succede nei film. Non è come un virus che si può attaccare, ci nasci e basta, se uno o entrambi i tuoi genitori lo sono»
«Quindi chi è stato per te? Entrambi i genitori o uno solo?»
«Entrambi», disse accennando quel suo mezzo sorriso.
«E quando c'è la luna piena diventi un mostro peloso e ammazzi la gente?». Rise ancora:
«Certo che no. Ti sembravo un mostro peloso ieri?»
«Un po' sì», scherzai rilassandomi leggermente.
«Posso trasformarmi quando voglio, non mi serve la luna piena. Anche se, quando c'è la luna piena, non posso trattenermi, mi trasformo per forza. E sì, a volte quando succede perdo contatto con la mia parte umana, ma non ho mai ucciso nessuno. Per lo più corro col branco e ammazziamo qualche animale selvatico che ha la sfortuna di incontrarci, niente di che»
«B-branco?», balbettai, «In quanti siete?»
«Pensavo che avessi visto diversi film sull'argomento», mi stuzzicò, «Comunque è già abbastanza grave che ti abbia detto di me, non ti dirò niente sul mio branco, né quanti siamo, né chi ne fa parte».
«Perché?», chiesi preoccupata, «Potrebbe essere qualcuno che conosco?»
Fece segno di chiudersi la bocca come se fosse una zip e sorrise.
Mi alzai in piedi di scatto:
«Guarda che non è divertente, questa cosa mi spaventa a morte. Come faccio a sapere che non siete pericolosi?»
Si alzò in piedi anche lui, e notai quando era più alto di me. E più grosso di me.
«Senti, siamo persone esattamente come tutti gli altri. La maggior parte di noi sono persone tranquille, ovviamente c'è qualche esaltato, ma il mondo è bello perché è vario, no?», prese il telefono dalla tasca e guardò l'ora, «Ormai le prime ore di lezione sono andate. Andiamo da qualche parte?», disse sorridendo.
«Matt, ascolta, sono contenta che tu sia stato sincero con me, ma mi serve un po' di tempo per metabolizzare la cosa, okay? Tu fai quel che devi fare, vai ad ammazzare qualche coniglio o correre nudo nel bosco o qualunque cosa sia che facciate voi licantropi, io penso che andrò a casa».
Mi voltai e presi a camminare veloce verso la macchina. Guidai come una pazza fino a casa, corsi su per le scale fino a camera mia, chiusi a chiave la porta e mi buttai sul letto.
Wow, che diavolo è successo? Pensai tra me e me. Poi sentii la borsa che avevo lanciato a terra che vibrava. Presi il telefono: un messaggio di Noemi: "Come mai non sei a scuola? Stai bene?"
Bloccai la tastiera e lo misi da parte. Non ora Noe.
Ancora la vibrazione, questa volta era un numero sconosciuto: "Ciao bellezza, sono Matthew. Arrivata a casa sana e salva? ;)"
«E ora dove l'ha preso il mio numero?!». Bloccai di nuovo la tastiera e lo ributtai nella borsa.
Poi scesi in cucina, riempii una tazza di caffè, tornai in camera alla scrivania che avevo di fianco al letto, accesi il computer e scrissi "Licantropo". Feci un bel respiro e pigiai "invio". Una serie infinita di risultati apparve sullo schermo.
«Okay, si comincia».

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Capitolo 4
*** Cambiare prospettiva ***


Mio padre tornò quella sera, ma ero talmente concentrata a leggere tutte quelle informazioni che avevo trovato su internet che neanche sentii la porta d'ingresso che si apriva e chiudeva. Quando bussò alla porta di camera mia sobbalzai:
«Emy? Sono tornato! Sei lì dentro?». Spensi tutto, misi quello che avevo stampato in un cassetto della scrivania e corsi ad abbracciarlo.
«Scusa non ti ho sentito, ero concentrata su...ehm...una ricerca per letteratura». Chiusi la porta dietro di me e lo seguii giù in cucina.
Mentre lui si metteva il suo grembiule (la cucina era una delle sue passioni) mi sedetti e mi presi un momento per osservarlo: mi aveva sempre stupito quanto poco gli assomigliassi, lui era alto e ben piazzato, i capelli che una volta erano stati castano chiaro ora erano brizzolati, aveva gli occhi scuri e intensi, mi sorrise mettendo in luce qualche timida ruga agli angoli della bocca e intorno agli occhi. Mi aveva sempre detto che ero la copia sputata di mia madre, anche se i miei ricordi di lei erano vaghi.
«Come stai, piccola? Ti vedo sovrappensiero». Mi riscossi:
«Bene, davvero, tutto normale», dissi cercando di fare un'espressione tranquilla. Tutto a posto, papà, ho solo scoperto dell'esistenza di una razza sovrannaturale. Scacciai quel pensiero dalla mia testa, quando sentii il telefono vibrarmi in tasca. Erano una chiamata di Noemi. Oddio mi sono scordata di risponderle al messaggio!
«Pronto Noe?», mi spostai in salotto.
"Emily ma che cazzo! Non ti sei presentata a scuola, non mi rispondi per tutto il giorno, pensavo ti fosse successo qualcosa!"
«No, scusa, non mi sono sentita bene e...», ma non mi faceva parlare, quando si arrabbiava era un fiume di parole, solo che sapevo che aveva ragione.
"Prima mi dici che pensi di aver visto quel Matt trasformarsi in Dio sa cosa e che sei spaventata, poi sparisci per tutto il giorno, guarda Emily se lo rifai...", questa volta fui io ad interromperla:
«Noe non l'avrai mica detto a nessuno? Di quello che ho visto alla festa?»
"No, no, figurati, ma mi hai fatto preoccupare..."
«Perfetto. Non farlo. Non dirlo mai a nessuno, anzi perché da ora in poi evitiamo di parlarne? Ormai sono sicura di essermi immaginata tutto, quindi dimentica quello che ti ho detto, okay? Ora devo andare, è tornato mio padre, scusami se ti ho fatto preoccupare, ci vediamo domani».
Chiusi la chiamata e strinsi il telefono al petto. Mi sentivo così male a mentirle, ma Matt era stato chiarissimo sul non dirlo a nessuno. Come avrei fatto a nasconderle una cosa del genere?
Poi il telefono vibrò di nuovo. Un altro messaggio di Matt: "Mi devo preoccupare?" e una faccina di un lupo. Volevo essere arrabbiata, ma mi scappò un sorriso. Almeno ci scherzava su. Digitai: "Tutto ok. Ho fatto qualche ricerca, ho delle domande. E come cavolo hai trovato il mio numero?!".
Rispose quasi subito: "Un uomo deve pur avere dei segreti. Passo da te e ti chiarisco qualche dubbio?".
Risposi: "Perché ora sai anche dove abito? Lascia stare, non voglio saperlo. Non importa, chiarirai a scuola. Buonanotte", spensi in telefono e decisi di godermi una serata tranquilla con mio padre.
 
 
Sono nel bosco, nella foresta dietro casa mia. Non so come ci sono arrivata. È buio, quindi deve essere notte, ma riesco a vedere gli alberi intorno a me. Alzo gli occhi al cielo: c'è la luna piena. Il cuore comincia a battermi forte. Non è un buon segno, non dovrei essere nel bosco da sola con la luna piena. Mi guardo intorno cercando di trovare la strada di casa, quando lo vedo: una sagoma nera che si avvicina lentamente, senta fare rumore. Sembra che il cuore voglia uscirmi dal petto, guardo in quegli occhi verdi, familiari eppure sconosciuti, cercando di capire se vuole farmi del male, ma quando sento un ringhio basso e primitivo provenire da quella creatura, mi rendo conto che non ho scampo. Come in automatico mi volto e comincio a correre, ma i miei movimenti sono rallentati, è come se mille elastici mi stessero trattenendo, inoltre sono scalza, sento che i miei piedi si riempiono di infiniti piccoli graffi, ma non posso fermarmi, quella bestia è dietro di me, sempre più vicina, posso sentire il suo respiro quasi sfiorarmi la nuca, quando improvvisamente inciampo, e mi ritrovo sdraiata a faccia in giù. Mi volto giusto in tempo per vedere un ombra scura che piomba su di me. Matt, NO!
 
C'era qualcosa che non andava, qualcosa di sbagliato. Sentivo la luce del mattino attraverso le palpebre chiuse, ma proprio non volevo aprire gli occhi. Quel sogno assurdo mi aveva sfinito, era come se avessi dormito su un letto di spine, non mi ero riposata affatto.
Però sentivo freddo, forse avevo lasciato la finestra aperta? Tastai con la mano di fianco a me per cercare le coperte, ma quello che sentii non era il mio materasso, ma cos'era? Foglie?!
Spalancai gli occhi e mi tirai su di colpo, e non potevo credere a quello che vedevo. Mi ero appena svegliata in mezzo al bosco. La calma che sentivo intorno a me, gli alberi immobili, il cinguettare di un uccellino solitario, quasi mi mettevano rabbia. Come ero finita lì? Mi tirai su cercando di calmarmi ma ero terrorizzata, che diavolo era successo? Indossavo ancora il pigiama, possibile che fossi finita lì in un attacco di sonnambulismo? E poi dov'era "lì", dove mi trovavo?
Sentii il respiro accelerare, come se un macigno mi fosse appena caduto sul petto, il cuore batteva a mille e sentivo il panico crescere. Oh no, no, no, non adesso. Mi devo calmare.
Mi accovacciai per terra e misi la testa tra le ginocchia, cercando di fare respiri lenti e lunghi, immaginando un posto sicuro, mi concentrai su mio padre, e dopo qualche minuto riacquistai la calma.
Non sapevo dov'ero, né che ore fossero. Dovevo essere razionale, per prima cosa dovevo cercare una strada, una casa, o qualunque segno di presenza umana.
In lontananza il rumore di una macchina mi fece sobbalzare, mi misi a correre in quella direzione, ignorando il dolore ai piedi scalzi già coperti di graffi. Finalmente tra gli alberi intravidi la strada, la macchina veniva da destra. Senza pensare mi lanciai in mezzo alla corsia agitando le braccia.
Il pick-up nero che mi veniva incontro suonò il clacson e rallentò fino a fermarsi di fianco a me.
«Emily?!», esclamò Chris guardandomi come se avesse appena visto un fantasma.
«Oh, Chris, grazie a Dio sei tu», dissi quasi senza fiato. Corsi dal lato passeggeri e salii in macchina sbattendo la portiera.
«Ma che diavolo ci fai in mezzo alla strada a quest'ora? È successo qualcosa a casa?», disse preoccupato.
«No, no, tutto a posto, davvero. Senti portami a casa e ti spiego, okay?»
«Certo, certo. Mi hai fatto venire un colpo spuntando così dal nulla».
Mi voltai a guardarlo ringraziando il cielo che stesse passando proprio di lì, quando mi resi conto che non indossava la maglietta. Guardai l'ora sul display della radio: le 5 e 37.
«Scusa e tu invece che ci fai in giro a quest'ora? Senza maglietta poi!». Lo vidi arrossire leggermente, toccarsi una lieve traccia di barba sul mento.
«Ero...ehm...da un'amica...». sorrisi tra me e me.
«Tranquillo ho capito, non devi spiegarmi niente».
«Bé tu invece devi spiegarmi un po' di cose, signorina»
«Sì hai ragione, il punto è che non so nemmeno io cosa sia successo. Aspetta no, non portarmi a casa mia, non voglio far preoccupare mio padre, gli manderò un messaggio e mi inventerò una scusa. Possiamo andare da te?»
«Sì forse è meglio», così dicendo fece inversione e ci dirigemmo verso la parte sud della città.
 
Mi era sempre piaciuta casa di Chris: sembrava una vecchia casa di campagna, ed era di una particolare tonalità di blu, completamente in legno, con una bella veranda e un grosso giardino. E mi era sempre piaciuta anche la famiglia di Chris: lui e la sorella minore vivevano con la nonna, anche se non mi aveva mai voluto raccontare la storia dei suoi genitori, ma sapevo che erano morti in un incidente quando era piccolo.
Mentre entravamo cercando di non fare rumore dalla porta sul retro, incrociai le dita sperando che nessuno fosse sveglio, e così fu: salimmo fino alla sua camera al piano di sopra e una volta chiusa la porta mi rilassai.
«Posso usare il bagno? Penso di aver dormito nel bosco, vorrei darmi una ripulita»
«Certo fai pure, sai dov'è l'interruttore della luce. E tieni», mi disse passandomi una delle sue magliette del football, «Mettiti questa, e butta via quel pigiama, è tutto strappato».
Lo ringraziai e procedetti nel bagnetto privato che fortunatamente aveva in camera sua. Mi spogliai e mi infilai nella vasca chiudendo la tenda.
Lo sentii aprire la porta del bagno e alzai gli occhi al cielo:
«Chris che diavolo fai? Non mi sembra il caso!»
«Tranquilla, non guardo, volevo solo chiederti che ti è successo. Emily, va tutto bene?»
Mi rilassai. In fondo eravamo stati in intimità non molto tempo prima.
«Te l'ho detto, non so cosa sia successo. Sono andata a letto ieri sera, tutto normale. Poi ho fatto un sogno stranissimo su...ehm...niente, un sogno molto strano e inquietante in cui correvo nel bosco», dissi insaponandomi i capelli, «E poi mi sono svegliata poco lontano da dove mi hai trovata. Non ho idea come ci sia finita. Forse sono sonnambula», dissi alzando le spalle, anche se non poteva vedermi.
Lo sentii sospirare:
«Emily, baby, è davvero strano. Io ero appena uscito da casa di Rachel quando ti ho trovato, e casa sua è a qualche chilometro dalla tua. Come hai fatto a fare tutta quella strada dormendo
In effetti era inquietante, e ci avrei pensato a tempo debito, ma non volevo coinvolgere Chris.
«E così è Rachel la tua "amica"?», mi misi a ridacchiare, avevo sempre saputo che aveva una cotta per lui, ma era stata abbastanza corretta da tenerselo per sé quando io e Chris stavamo insieme. Spensi l'acqua e allungai una mano fuori dalla doccia per prendere un asciugamano. Sentii Chris tossicchiare e uscire dal bagno, socchiudendo la porta. Lo sentii dire:
«Senti Emily, questa cosa tra me e Rachel...non è proprio di dominio pubblico. E non è neanche niente di serio. So che voleva parlartene lei prima di dirlo a chiunque altro, per correttezza sai...»
Mi vestii in fretta con la maglietta che mi aveva dato e uscii dal bagno strofinandomi i capelli.
Chris mi aspettava seduto sul bordo del letto, guardandosi le mani. Sembrava un cucciolo che qualcuno aveva appena sgridato.
Mi sedetti accanto a lui e sorrisi per tranquillizzarlo:
«Nessun problema, davvero. Sono contenta che io e te siamo ancora amici, ma tra noi è finita da un po'. La cosa non mi da fastidio».
Gli diedi un leggero bacio sulla guancia e lo vidi sorridere.
«Ora», aggiunsi tirandomi su, «Mi serve qualcosa da mettere per andare a scuola».
 
 
Dopo aver svegliato la sorella di Chris e averle chiesto aiuto per i vestiti, ero riuscita ad entrare in un paio di suoi vecchi jeans strappati sul davanti (non avrei mai capito la moda che seguiva quella ragazza) e Chris mi aveva prestato una sua felpa che a lui non stava più, anche se io avevo dovuto tirare su le maniche per non sembrare una bambina nella felpa di suo padre.
Arrivammo insieme a scuola dato che non avevo avuto modo di passare da casa, e per prima cosa incontrai Noemi, che non appena mi vide mi corse incontro lanciando un'occhiataccia a Chris, che ci salutò velocemente e corse alla sua lezione.
«C'è qualcosa che mi devi dire, Emily?», disse Noemi puntami addosso il suo sguardo inquisitore, «Non ci sarai cascata un'altra volta?»
«No, figurati», le risposi prendendola sotto braccio e dirigendomi verso l'aula di letteratura, «Stanotte mi è successa una cosa assurda...», le raccontai del sogno, tralasciando che quella cosa che mi aveva attaccato era Matt, del risveglio nel bosco, di Chris e tutto il resto, e senza rendermene conto eravamo entrate in aula e ci eravamo sedute al nostro solito posto.
Lei mi guardava con la bocca spalancata:
«Emily ma è assurdo!»
«Non so cosa mi sta succedendo, Noe, forse sto impazzendo»
«Oh, tesoro...», disse abbracciandomi. Mi presi un momento per sentire il suo profumo così familiare, e tutto sembrò andare a posto per un secondo. Poi sentii la voce di Matt alle mie spalle:
«Scelta di abbigliamento curiosa, miss Parker», disse con quel suo mezzo sorriso. Volevo dirgli di lasciarmi in pace ma l'entrata del professore mi interruppe, così mi voltai e non gli rivolsi l'attenzione per tutto il resto dell'ora.
E così andò anche il resto della mattina, cercavo di evitarlo parlando con altri o correndo da una classe all'altra al cambio dell'ora, ma arrivata all'ora di scienze non potevo più scappare.
«Allooora», disse sedendosi accanto a me, «Che succede? Mi stai evitando di proposito?».
In effetti era proprio quello che stavo facendo. Quel sogno era sembrato così reale, come una specie di avvertimento, come se il mio istinto stesse cercando di mettermi in guardia da lui. E di solito ascoltavo il mio istinto.
Anche quella volta l'entrata del professor Carlson mi salvò. Mi concentrai su di lui per tutto il tempo, mentre cercavo di eseguire alla perfezione una serie di reazioni. Ma la mia mente girava come una trottola, chiedendomi perché mi succedevano tutte quelle cose strane. Insomma nel corso degli anni ne erano successe un po', come vedere piccole cose che avevo desiderato diventare realtà, o come quella volta che dei parassiti avevano distrutto l'orticello che mia madre teneva in giardino e mi era bastato smuovere un po' la terra per veder rifiorire tutto, ma quella della sera prima era veramente troppo, cosa dovevo aspettarmi per il futuro? Chi poteva sapere cosa mi stava succedendo?
Ma il corso dei miei pensieri fu interrotto dalla mano di Matt sul braccio, che mi fece sobbalzare: di nuovo sentii un brivido come la sera che l'avevo conosciuto e mi aveva stretto la mano, e dallo spavento lasciai cadere la provetta che tenevo in mano, ma non appena toccò terra, mentre si rompeva in mille pezzi, prese improvvisamente fuoco.
Feci un balzo all'indietro e Carlson accorse subito a spegnere quel piccolo incendio, dicendo a tutti di calmarsi e che non era successo niente, ma mentre l'attenzione di tutti era concentrata su di lui, io guardai Matt, e vidi che anche lui mi fissava con uno sguardo indecifrabile. Ma che diavolo sta succedendo?!
 
 
Per tutto il resto della giornata tirai avanti col solo pensiero di poter andare a casa e rilassarmi un po'. Rifiutai l'invito di Noemi ad andare con lei e altri ragazzi al pub dove ci incontravamo di solito, e presi l'autobus per tornare a casa.
Una volta dentro vidi mio padre sul divano che leggeva un libro. Sentendo chiudersi la porta si voltò a guardarmi e mi sorrise:
«Ehi piccola. Quella non è una vecchia felpa di Chris?», disse facendomi l'occhiolino.
«No, cioè sì, la felpa è sua, ma me l'ha solo prestata, non c'è niente tra di noi», dissi sorridendo e avviandomi su per le scale.
«Bé non ci sarebbe niente di male. Lo sai che mi è sempre piaciuto quel ragazzo»
«Sì, lo so. Senti ho avuto una giornata pesante, non cucinare anche per me okay? Penso che andrò a letto presto»
«Come vuoi tesoro», così dicendo rimise gli occhiali e si rituffò nella lettura.
Decisi che rimuginare su quello che era successo non mi avrebbe portato a niente, magari era davvero sonnambulismo, non dovevo fasciarmi la testa cercando spiegazioni assurde. Così cercai di mettermi in pari con i compiti: erano quelle le cose importanti, la scuola era importante, ero all'ultimo anno, e dovevo dare il massimo se volevo entrare in una buona università.
Passai il resto del pomeriggio concentrata sulle reazioni che Carlson ci aveva dato da studiare, ma verso sera la voce di mio padre dal piano di sotto mi interruppe:
«Emily? Puoi scendere un momento?»
«Andiamo pa', ti avevo detto che non volevo cenare...» dissi tra me e me mentre scendevo le scale con passo pesante, ma una volta arrivata in fondo mi bloccai: Mio padre mi sorrideva accanto alla porta di casa, spalancata su un altrettanto sorridente Matt sulla porta. Indossava una semplicissima felpa grigia e dei jeans scuri, eppure riusciva a rendere attraente anche quell'abbigliamento. Lo guardai con aria interrogativa.
«Ciao Emily», disse entrando, «Sono venuto a portarti quella relazione che mi avevi prestato. Robert, è stato un piacere conoscerla», disse rivolgendosi poi a mio padre.
«Il piacere è mio, Matthew. Vi lascio soli, se mi vuoi sono nel mio studio, tesoro», disse superandomi sulle scale. Quando sentii la porta del suo studio che si chiudeva corsi giù quei pochi gradini rimasti e diedi un colpo a Matt:
«Ma che ci fai qui?!»
Lui non perse il sorriso, e iniziò a guardarsi intorno:
«Mi piace casa tua, molto raffinata. Camera tua è di qua giusto?» disse avviandosi su per le scale. Lo seguii correndo, ma si era già infilato in camera e quando entrai era seduto sul letto, completamente a suo agio.
Chiusi la porta dietro di me e mi voltai a guardarlo:
«Non puoi presentarti qui e fare come se fossi il padrone del mondo! E se non volessi vederti?»
Si alzò in piedi e mi venne incontro, facendomi indietreggiare fino a che mi ritrovai con le spalle al muro.
«Emily scusa se te lo dico, ma sei stata un po' insensibile con me»
«Ma di che stai parlando?!»
«Bé io vengo a rivelarti il più grosso segreto che qualcuno possa dirti, una cosa che solo poche altre persone al di fuori del mio branco sanno, ti dico la verità su chi sono, e la reazione che ricevo è di essere evitato? Non ti mentirò, mi hai ferito»
«Te l'avevo detto che avevo bisogno di tempo per metabolizzare la cosa»
«Si ma poi mi hai detto che hai fatto delle ricerche e avevi delle domande da farmi»
Sospirai, e andai a sedermi sul letto. Lui fece lo stesso. Mi morsi il labbro come facevo quando mi sentivo a disagio. Non sapevo se potevo fidarmi di lui, quel sogno mi aveva davvero condizionato, ma in effetti fino a quel momento si era dimostrato un ragazzo come altri, anzi più speciale di molti altri, non mi aveva dato nessun motivo di avere paura di lui. I timori che avevo erano dovuti a pregiudizi miei, ed io non ero mai stata una che cedeva facilmente ai pregiudizi.
Mi feci coraggio e gli raccontai del sogno. Mi ascoltò attentamente, e una volta che ebbi finito mi prese la mano in un gesto così spontaneo che non mi sembrò il caso di fare resistenza. In effetti aveva le mani molto calde, ed era piacevole quel tocco, mi infondeva tranquillità.
«Mi dispiace che questo sogno assurdo ti abbia condizionato, ma, Emily, davvero mi hai evitato tutto il giorno per un sogno? Come puoi pensare che potresti mai ritrovarti in una situazione del genere? Anche se dovessi mai trasformarmi di fronte a te, non potrei mai farti del male», aggiunse fissandomi dritta negli occhi, «Potevi parlarmene subito e avresti evitato di stare in ansia tutto il giorno».
«Lo so hai ragione, mi sono comportata da stupida, ma c'è di più...il fatto è che stamattina...mi sono svegliata davvero nel bosco, a chilometri da qui, e sono andata un po' fuori di testa. Cerca di capirmi»
Corrugò la fronte in un'espressione confusa:
«Bé questo è strano davvero. Ma magari c'è una spiegazione, magari hai solo camminato nel sonno. Saresti sorpresa di vedere cosa riesce a fare la gente mentre dorme».
«Sì hai ragione, non c'è motivo di preoccuparsi, non ci sono altre spiegazioni, no?», chiesi cercando conforto. Volevo solo sentirmi dire che era tutto a posto.
Mi sorrise, e mi bastò. Ritirai la mano e mi andai a sedere sotto il davanzale della finestra:
«Comunque in ogni caso non è carino invadere la casa delle persone senza aver almeno telefonato prima», scherzai. Rise anche lui e si passò una mano nei capelli.
«Hai ragione, forse ho esagerato. Ma prima non stavo scherzando, c'ero rimasto davvero male che mi avessi evitato tutto il giorno. Avevo anche pensato...», disse mordendosi il labbro, cosa che fece accelerare un po' i miei battiti, «visto che sei arrivata a scuola con Williams, indossando la sua felpa...ho pensato che foste tornati insieme, e per questo cercassi di starmi lontana». Mi osservava studiando la mia reazione. Alzai le spalle:
«E se anche fosse? Non vedo come la cosa potrebbe interessarti», lo stuzzicai.
«Oh invece mi interessa, eccome», disse abbassando la voce, e venendosi a sedere accanto a me, «Abbiamo una questione in sospeso, io e te, ricordi?», sussurrò portandosi sempre più vicino.
«Oh...», sospirai col fiato corto, «Ricordo...ma...», balbettai cercando una scusa per non cedere.
«Sì?...», mi esortò lui, sfiorando il mio naso col suo, studiando il mio volto così vicino.
Chiusi gli occhi e appoggiai la fronte alla sua, prendendomi qualche secondo per raccogliere l'autocontrollo necessario. Poi mi allontanai quel poco che bastava per guardarlo negli occhi:
«Senti Matt...», assaporai quel nome, «Stanno succedendo un sacco di cose tutte insieme, e ho avuto una giornata piuttosto di merda. Non vorrei complicare ancora di più le cose, almeno per ora...»
Sorrise e si leccò le labbra, cosa che mi fece pentire per un secondo di quello che avevo appena detto.
«Nessun problema, lo capisco».
Si alzò lentamente e andò a sdraiarsi sul letto, tirando su un braccio dietro la testa e accavallando le gambe.
«Allora, avevi delle cose da chiedermi?»
Mi riscossi e andai alla scrivania a prendere tutti i fogli che avevo stampato il giorno prima, poi mi sedetti a debita distanza e cominciai a bombardarlo di domande.
Passò tutta la sera a chiarire ogni mio dubbio. Mi spiegò che a quanto ne sapeva i licantropi erano sempre esistiti. In passato erano molto più attaccati alla loro identità e molto più crudeli e non curanti di essere scoperti, mentre col tempo si erano adattati alla vita "umana" e tramandavano le tradizioni discretamente. A seconda del territorio si dividevano in branchi, anche se c'era sempre qualche individuo che preferiva trascorrere la vita per conto proprio. Lui proveniva da una lunga stirpe di licantropi, quasi tutta la sua famiglia lo era, tranne qualche lontano zio o cugino che si erano innamorati di umani e avevano deciso di ridurre al minimo i contatti con la famiglia e col branco. Scoprii che in ogni branco c'era un alpha, un capo assoluto che non veniva eletto ma si prendeva la posizione con una lotta o dimostrazione di forza, ma in ogni caso c'era solidarietà tra tutti loro, anche tra branchi diversi, era difficile che si scatenassero lotte interne.
Mi rivelò che la trasformazione era dolorosa, come se ogni osso e muscolo e cellula del corpo si scomponesse per ricomporsi in una nuova forma, e che da lupo ragionava diversamente da quando non era trasformato, più istintivo, ma rimaneva sempre sé stesso. Tranne quando c'era luna piena ovviamente.
Per tutto il tempo rispose pazientemente ad ogni mia domanda, fino a che entrambi cominciammo a sentirci stanchi. Ma io volevo saperne sempre di più:
«Quindi i tuoi sensi sono iper-sviluppati anche quando non sei trasformato?»
«Non esagerare, non sono "iper" sviluppati», disse mimando le virgolette, «però riconosco molto bene gli odori, direi che l'olfatto è il mio senso dominante. Una volta che ho annusato qualcosa mi si imprime nella memoria come una foto, e posso riconoscerla ovunque. Poi come avrai notato la mia temperatura corporea è più alta del normale»
«Sì, l'ho notato», dissi arrossendo un po', «Ma senti, come ho fatto a capire subito che c'era qualcosa di diverso in te?»
«Non ne ho idea. Magari sei solo molto perspicace», disse strizzandomi l'occhio.
Poi si alzò in piedi e si stiracchiò:
«Emily sono molto contento che tu l'abbia presa bene e sia così curiosa nei miei confronti, ma sono veramente distrutto. Alla prossima puntata?», disse aprendosi in un sorriso.
«Un'ultima cosa, per favore. Ripensavo al fatto di non dire niente a nessuno...»
«Sì, non si discute su quello»
«No, certo, lo so. Ma pensavo, se lo dicessi solo ad un'altra persona? Una persona di cui so di potermi fidare ciecamente, e che...», ma non mi fece finire. La sua espressione rilassata e un po' assonnata si fece improvvisamente vigile, e mi inchiodò con lo sguardo:
«No, assolutamente no. Ti ho detto quanto siamo riservati, nessun altro deve saperlo. Ti ho dato tutta la mia disponibilità, sono qui per qualsiasi tuo dubbio, ma nessun altro deve saperlo»
Annuii rassegnata. Avrei dovuto trovare il modo di tenerlo nascosto a Noemi.
Lo accompagnai giù fino alla porta di casa:
«È stato un vero piacere passare la serata con lei, signorina. Spero che riconsideri la mia proposta di riaprire le questioni in sospeso tra noi due»
«Ci penserò», dissi sorridendo. Mi fece l'occhiolino si avviò verso la sua macchina.
Per tutto il tempo che era stato con me, non avevo più pensato a tutte le cose strane che mi stavano succedendo, era come essere stata in una bolla a un metro da terra, lontana da tutto il resto. Forse potevo davvero riconsiderare la sua proposta. 

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Capitolo 5
*** Solo tu puoi aiutarmi ***


Nei giorni successivi le cose si calmarono un po', e potei godermi questa nuova amicizia con Matt, che in effetti era un ragazzo fantastico: era divertente, spensierato, a volte anche dolce, e mi resi conto che eravamo davvero in sintonia, a volte ci bastava uno sguardo per capirci.
Sia lui che Mark si erano inseriti piuttosto bene nel nostro gruppo, e quel venerdì, come ogni venerdì, decidemmo di passare la serata allo Scarecrow, un pub in cui andavamo sempre a passare le serate nel fine settimana. A dire la verità, mezza scuola ci andava: faceva da ristorante, bar, aveva le freccette, il biliardo, era perfetto.
Arrivai come al solito con Noemi, che cominciò ad entrare a cercare un tavolo mentre io parcheggiavo sul retro. Scesi dalla macchina ed inspirai l'aria di settembre che cominciava a sapere sempre di più di autunno. Stavo per entrare quando una macchina parcheggiò a fianco a me e mi sentii chiamare: era Rachel.
Una volta scesa dalla macchina si sistemò tirando un po' giù il vestito e passandosi una mano tra i capelli. Mi trovavo bene con Rachel, ma era una di quelle ragazze che dovevano essere sempre perfette: i capelli neri sempre raccolti in qualche treccia o acconciatura elaborata, il trucco sempre perfetto, a volte la trovavo esagerata.
«Emily, tesoro, posso parlarti?», disse sbattendo le lunghe ciglia appesantite dal mascara.
«Certo dimmi pure»
«Sai è da un po' che cerco di dirtelo, visto che ci conosciamo da una vita e tutto il resto, sai solidarietà femminile e cose del genere», precisò con una risatina acuta, «Cooomunque, mi sono detta che quando le cose fossero diventate serie avrei trovato il modo di dirtelo. Poi l'altro giorno sei arrivata a scuola con Chris...»
Oh, ecco di che si tratta, pensai.
«Sì ma mi ha solo dato un passaggio, non c'è niente...», ma non mi fece finire.
«E così ho pensato che visto che hai deciso di darti da fare con chi ti pare quando ti pare...»
«Ehi, aspetta un attimo...», cercai di ribattere, mentre sentivo montare il nervosismo, ma era come se non mi sentisse nemmeno:
«...avrei potuto saltare la parte in cui facevo la persona corretta, e dirti direttamente che mi scopo quel gran fico del tuo ex ragazzo, e che non ho intenzione di smettere, per quanti disperati tentativi tu possa fare di riprendertelo. È finita tra voi, tesoro, fattene una ragione», così dicendo mi sorriso, si voltò ed entrò senza aggiungere una parola.
Ma come si permetteva di insinuare certe cose, come se non fosse stata la prima a farsi mezza squadra di football. Non aveva nessun diritto di dirmi certe cose!
«Brutta stronza egocentrica!!», urlai alla porta ormai chiusa del locale. Mentre mi rimbombava in testa la sua vocina che ripeteva "fattene una ragione, tesoro" pensavo che per quanto Chris potesse essere un coglione a volte, si era davvero superato a frequentare una come lei.
Sbattei i pugni sul cofano della sua macchina e impressi in quel gesto tutta la tensione accumulata durante la settimana, mentre me la immaginavo che sbandava e finiva fuori strada.
Ma all'improvviso tornai in me, e mi spaventai di me stessa. Come avevo potuto pensare una cosa del genere, quella non ero io. Chiesi perdono mentalmente, feci un bel respiro ed entrai.
Vidi subito Noemi insieme ad un gruppo di altri ragazzi che parlavano intorno ad un tavolo, ma tra loro c'era anche Rachel, così mi guardai intorno e vidi Matt vicino al tavolo da biliardo.
Mi vide ancora prima che lo salutassi, e mi accolse con un sorriso:
«Guarda chi c'è», disse passando lo sguardo su tutto il mio corpo, cosa che mi fece arrossire.
«Ehi...», risposi ancora un po' agitata. Mentre si concentrava a tirare mi appoggiai al tavolo da biliardo. Volevo sfogarmi con qualcuno:
«Matt, secondo te c'è qualche licantropo nella mia famiglia? Pensi che potrei avere anch'io quel gene?»
Si guardò intorno, stava giocando con altri due ragazzi che non conoscevo, ma non ci avevano sentito, stavo parlando piano e la musica del locale copriva bene le voci.
Appoggiò l'estremità larga della stecca per terra e si voltò a guardarmi:
«Ne dubito, lo sentirei dal tuo odore penso. Perché me lo chiedi?»
«Non lo so, con tutte le cose strane che mi stanno succedendo ultimamente...» improvvisamente mi vergognai ad ammettere di aver perso la pazienza per così poco solo qualche minuto prima.
«Emily, rilassati, non sei un licantropo», disse ridendo.
«Bé magari sono qualcos'altro! Magari sono un vampiro!», dissi in preda all'esasperazione.
«Ne dubito, non mi sembra di averti mai visto friggere se colpita dalla luce del sole», rispose completamente serio.
Per un attimo il cuore saltò un battito:
«Oh mio Dio io stavo scherzando!!»
«Okay calmati», mi sussurrò lasciando la stecca da una parte e prendendomi per le spalle, «Scusa, ero convinto di averti detto che esistono anche i vampiri»
Io ero sempre più scioccata.
«E...E...Oddio...ne conosci qualcuno? Io ne conosco qualcuno?»
Scoppiò a ridere:
«Non che io sappia, no. È molto difficile che tu ne conosca qualcuno della tua età e che vada ancora a scuola, considerato che di giorno non posso uscire».
«Oh...bé meglio così, credo. Sono pericolosi? Sono davvero immortali?»
«Sì, sono "immortali", nel senso che se non li ammazzi vivono per sempre, e non ci sono molti modi per ammazzarli. E si nutrono di sangue umano, quindi direi che sono un po' più pericolosi della media», disse storcendo il naso.
«Non ti piacciono i vampiri?», risposi abbassando la voce sull'ultima parola.
«Diciamo che l'antipatia è reciproca. Ma preferirei non parlarne».
«Oh, okay...», dissi un po' delusa. Volevo sapere tutto! Eppure non capivo perché fossi così curiosa sul mondo del sovrannaturale. Una persona normale si sarebbe spaventata di fronte a queste rivelazioni, mentre io per qualche strano motivo ne ero affascinata.
Matt sospirò, ma sembrava più divertito che arrabbiato per la mia insistenza.
«Senti, Emily, sono sicuro che tu sia speciale», disse puntandomi negli occhi quel suo sguardo magnetico, «Basta guardarti per capirlo, e chi lo sa, magari hai qualcosa di soprannaturale anche tu, magari sei una fata!»
Spalancai gli occhi:
«Ora non mi dirai che esistono anche le fate!», scoppiò a ridere:
«No, stavo solo scherzando. Ma almeno per stasera possiamo dimenticarci di tutte queste cose ed essere dei ragazzi normali che si divertono?»
Annuii. Però una cosa che aveva detto prima mi era rimasta in testa:
«L'ultima cosa, poi giuro che la smetto!»
«Matthew sta a te!», disse uno dei due ragazzi dall'altra parte del tavolo. Matt portò la sua attenzione sul gioco, ma sapevo che mi stava ancora ascoltando.
«Prima hai detto che l'avresti sentito dal mio odore se fossi un...tu sai cosa», a quelle parole sorrise, «Ma ora sono curiosa: che odore ho?»
Mentre scoccava un tiro quasi perfetto lo vidi leccarsi le labbra, poi si tirò su, e molto lentamente disse:
«Tu sai di tutto ciò che considero bello e speciale al mondo, sai di fiori in primavera, di rugiada fresca la mattina, del sole caldo sulla pelle, e di tante altre cose. Non saprei dirti che odore hai, ma so a cosa penso quando lo sento».
«Questa potrebbe essere la cosa più dolce e strana che qualcuno mi abbia mai detto, Matthew Carroll».
Sorrise e abbassò lo sguardo.
«Se vuoi posso dirti un sacco di altre cose dolci e strane, ma dovrai aspettare che finisca la partita perché se ci penso mi distraggo», disse puntandomi addosso uno sguardo che mi fece chiudere lo stomaco.
«O-okay, ti lascio al tuo gioco, vado a prendere qualcosa da bere».
Mentre mi avvicinavo al bancone vidi che da una parte c'era Mark, l'altro ragazzo nuovo. Noemi mi aveva parlato di lui, ed ero curiosa.
Mi avvicinai, chiesi una birra a Josh, il barista che ormai conoscevo bene, e mentre aspettavo mi voltai ad osservare Mark: aveva sempre un'aria così controllata e irraggiungibile, chissà cosa potevano avere in comune lui e Matt da averli fatti diventare così amici.
Lo toccai su un braccio per salutarlo, e un brivido mi percorse la schiena. Ma non era la stessa cosa che avevo sentito quando avevo conosciuto Matt, c'era qualcosa di diverso.
Quando mi guardò con quegli impenetrabili occhi azzurri mi riscossi:
«Ehi, sono Emily! Non so se ti ricordi di me...»
«Sì certo, ci ha presentati Matt»
«Sì esatto. Come ti sei trovato in questa città finora? Vedo che ti stai integrando bene a scuola»
Sorrise:
«Finora tutto bene. Trovo interessante soprattutto la tua amica Noemi», disse alzando un angolo della bocca in un sorriso malizioso.
«Lo è. Ma vedi di non approfittare della sua gentilezza», dissi puntandogli un dito contro.
Alzò le mani in segno di resa:
«Come potrei quando ha una così fedele amica a difenderla»
«Ecco vedo che hai capito», dissi scoppiando a ridere, come se una come me potesse mai rappresentare una vera minaccia per uno come lui. Ma era stato carino a stare al gioco.
Dalle casse del locale partì una canzone dei Mouserats, un gruppo emergente a cui mi ero appassionata, notai che Mark sapeva tutte le parole. Ci lanciammo in una discussione sulla musica alternativa che andò avanti fino a che entrambi non tornammo al tavolo dove c'erano Noemi, Rachel, Chris, Logan e un po' di altri ragazzi. Sembrava che Mark fosse un vero appassionato ma ne sapeva un sacco su tutta la musica del presente e del passato. Cominciava a piacermi.
Raggiunsi Noemi, e le sussurrai all'orecchio:
«Non so come stiano le cose tra te e Mark ultimamente, ma sappi che approvo»
Si voltò a guardarmi e scoppiò a ridere:
«E se non ci fosse niente?»
«Mmh, credo che qualcosa ci sia», le dissi strizzandole l'occhio.
 
 
La mattina dopo non avevo messo la sveglia visto che finalmente era arrivato il fine settimana, quando verso le undici il mio telefono cominciò a vibrare insistentemente.
Ancora mezza addormentata allungai una mano sul comodino per prenderlo e lessi il display: era mio padre. Che voleva?
«Pronto?»
"Tesoro scusami se ti ho svegliato, ma sono passato per caso dal reparto dei ricoveri, e ho visto che c'è una ragazza di nome Rachel Mass. Non è quella tua amica di scuola?"
A quelle parole saltai come se avessero messo fuoco al letto.
«Sì, sì, la conosco! Che è successo? Sta bene?»
"Sì niente di grave, ha una caviglia slogata ma la tengono in osservazione per paura di una commozione cerebrale, ma non dovrebbe essere niente di preoccupante. Pensavo solo che volessi saperlo"
Il cuore mi andava a mille, pensando alla domanda che stavo per fare:
«Cosa le è successo?»
"Dicono che ha avuto un incidente ieri sera mentre tornava a casa in macchina, qualcosa su un guasto ai freni, è finita fuori strada ma fortunatamente stava andando piano"
A quelle parole il cuore mi si fermò di colpo. Rivedevo chiarissima l'immagine che avevo avuto di lei che sbandava con la macchina in quel momento di rabbia la sera prima. Possibile che fosse una coincidenza?
«Okay papà, grazie per avermelo detto».
Stavo cominciando a sentirmi male. Non era possibile che fossi stata io a causare l'incidente, ma era una coincidenza troppo grossa. E solo al pensiero di aver causato una cosa così brutta...stava cominciando a girarmi la testa.
In pochi minuti mi preparai e uscii di casa, diretta al Corvalis General Hospital.
Trovai facilmente il reparto in cui era ricoverata Rachel, dato che mio padre lavorava in quell'ospedale c'ero andata tante volte. Fuori dalla sua stanza trovai Hilary, la sua migliore amica, una bionda tutta ricci decisamente più simpatica di Rachel, e Logan. Quando mi videro si avvicinarono.
«Ehi, Emily, che carino da parte tua venire a trovarla», disse Hilary rivolgendomi un gran sorriso, «Solo che ora sta dormendo. Le dirò che sei passata».
«Grazie Hilary. Logan», aggiunsi salutandolo con un cenno.
Lui mi fece l'occhiolino e mi rivolse un gran sorriso.
Mi diressi verso l'uscita immersa nei miei pensieri. Non avevo avuto modo di togliermi un po' di sensi di colpa cercando di parlare con Rachel visto che dormiva, e non sapevo cos'altro fare.
Mi resi conto di essere andata fino all'ospedale a piedi, visto che non era molto distante da casa mia, ma non volevo tornare a casa e rimanere da sola con i miei pensieri.
Quasi inconsciamente digitai un numero sul telefono e attesi contando gli squilli. Poi finalmente la sua voce:
"Emily?"
«Ciao Matt. Spero di non disturbarti. Ti volevo chiedere se potevamo vederci»
Sentii dal suo tono di voce che stava sorridendo:
"Non riesci proprio a starmi lontana eh?"
«A dire la verità è una cosa seria, potremmo vederci ora?»
"Ma sì, certo. Dove sei? Ti vengo a prendere"
«Al Corvalis General Hospital»
"Arrivo"
Cinque minuti dopo un fuoristrada bianco parcheggiò di fronte al marciapiede dove stavo aspettando. Matt mi salutava da dietro il finestrino.
Raggiunsi il posto del passeggero e salii.
«Che ci facevi in ospedale? Stai bene?», chiese evidentemente preoccupato.
«Sì, ero qui per Rachel, ieri sera ha avuto un incidente», così gli spiegai cosa mi aveva detto mio padre, e poi gli raccontai della discussione della sera prima con Rachel, e della macchina e dei pensieri brutti che avevo avuto. Sentii salirmi le lacrime agli occhi:
«Matt non posso essere stata io, e se le fosse successo qualcosa di peggio? E se fosse morta
Mi guardò dritta negli occhi:
«Cerca di calmarti, fai un bel respiro, ora scendiamo e ne parliamo».
Mi guardai intorno, non riconoscevo il quartiere. Chissà dove mi stava portando. Lentamente accostammo di fronte ad una bella casa: era a due piani, più si capiva che c'era una soffitta, pochi scalini di fronte alla porta principale, ed una tettoia su cui si reggeva il primo piano, e la stanza che affacciava sul giardino di fronte aveva le pareti coperte da enormi finestre.
«Questa è casa tua?», esclamai dimenticando momentaneamente il motivo per cui lo avevo chiamato.
«Già, benvenuta»
A metà strada sul vialetto che portava all'ingresso però mi bloccai:
«Ma non ci saranno mica i tuoi? Sto per incontrare la famiglia Licantropi al completo?»
Scoppiò a ridere:
«No, tranquilla. I miei sono raramente a casa, e oggi non dovrebbe esserci neanche mio fratello»
«Non mi avevi detto che hai un fratello!», gli diedi un pugno sul braccio che fece più male a me che a lui, «Non mi dici mai niente!»
«Direi che ti ho detto abbastanza», rispose con un sorriso complice.
«Hai sempre la risposta a tutto, eh?» lo stuzzicai.
Lo seguii dentro, e notai che l'interno reggeva il confronto con l'esterno: di fronte alla porta d'ingresso c'erano delle grosse scale che portavano al piano di sopra, a destra e a sinistra si aprivano la cucina e il salotto. Lo seguii su per le scale ed entrammo nella stanza che si vedeva da fuori con quelle grosse finestre.
«Mi piace un sacco casa tua!», esclamai cominciando a curiosare per la stanza.
C'era un grosso letto al centro, le pareti erano piene di foto di Matt a varie età. Vedere un piccolo Matthew con le guance piene di torta e un cappellino in testa, con quegli occhioni verdi rimasti uguali fino a quel momento mi fece una gran tenerezza.
«Ma guarda com'eri cariiino!»
Distolse lo sguardo e per la prima volta lo vidi arrossire leggermente.
«Non mi hai chiamato perché eri preoccupata?», così dicendo mi riportò subito alla realtà.
«Hai ragione. Senti non ho idea di che genere di creature ci siano là fuori, ma tu che ne sai molto più di me, pensi che in qualche modo possa avere a che fare con quello che è successo a Rachel?»
Sospirò e si mise a sedere sul letto.
«Ad essere onesto, non lo so. Non ho mai sentito di nessuna creatura che potrebbe fare una cosa del genere»
Tirai un sospiro di sollievo.
«Quindi potrebbe essere stato un caso?»
«Direi che è l'ipotesi più probabile. Ma anche se fossi stata tu a causare in qualche modo l'incidente, non devi fartene una colpa»
«E come potrei? Mi sento malissimo solo al pensiero che potrei davvero...», non riuscii a finire, era assurdo anche solo dirlo ad alta voce.
«No, ascolta...», di scatto si alzò in piedi e mi prese le mani, ancora una volta il suo tocco mi dava conforto, «Magari per qualche ragione hai il potere di aver causato l'incidente, ma non eri in te e di certo non l'hai fatto apposta, basta guardare quanto stai soffrendo adesso. Il fatto che tu abbia la potenzialità di fare del male non ti rende cattiva. Anch'io sarei capace di fare del male, e anche facilmente, ma questo non mi rende cattivo, perché non è mia intenzione farlo. Guardati, appena hai saputo cos'era successo ti sei precipitata a vedere come stava Rachel. Questo ti rende una persona premurosa e sensibile ma soprattutto buona».
Senza neanche rendermene conto calde lacrime presero a scendermi sulle guance.
Matt mi sorrise dolcemente, e mi strinse in un abbraccio. Fu una sensazione inaspettata, ma era come se il posto a cui appartenevo era quello, tra le sue braccia.
Un po' contro voglia mi districai da quell'abbraccio.
«Grazie, ne avevo bisogno»
«Lo so, non preoccuparti. Va meglio?»
«Sì», dissi tirando un po' su col naso. «Ti rendi conto che mi hai appena detto delle cose bellissime?»
«Oh, sì», sussurrò mentre mi spostava una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Era proprio bello, tutto concentrato a fissare qualcosa nei miei occhi. Aveva ancora quel mezzo sorriso, con l'angolo destro della bocca un po' sollevato. E quelle labbra, chissà che sapore avevano. Socchiusi la bocca. Eravamo ancora molto vicini, troppo vicini.
«Senti...ehm...grazie per...esserci ogni volta che ho una crisi...»
«È un piacere aiutarti con le crisi...vorrei poter fare di più...», disse lentamente, mentre il mio cuore faceva una capriola. Deglutii.
«Mi prometti che ci penserai? Ad una spiegazione per quello che mi sta succedendo?»
«Ma certo. Qualsiasi cosa per te»
Sorrisi nervosa.
«Sono ancora convinta che la cosa giusta sia...non complicare le cose tra noi due...»
«Ma a volte è così bello quando si complicano le cose», rispose prendendomi il volto tra le mani.
Ci sarebbero state così tante ragioni per trattenersi: lo conoscevo da pochissimo tempo, non sapevo se potermi fidare di lui, inoltre la mia vita era ogni giorno più incasinata, mi stava succedendo qualcosa che non riuscivo a comprendere e...
Toc toc toc! Tre colpetti sulla porta ci riscossero come una secchiata di acqua fredda.
«Matt posso entrare? Sei vestito? Mi serve una camicia pulita...», disse una voce profonda da dietro la porta che lentamente si apriva.
Istintivamente mi allontanai da lui e presi a sistemarmi i capelli dietro l'orecchio, mentre fissavo quella copia sputata di Matt che entrava in camera sua.
«Oh, hai ospiti», disse aprendosi in un sorriso perfetto. Era impressionante la sua somiglianza con Matt, se non fosse stato per la barba incolta che aveva sulle guance e un taglio di capelli più impostato non avrei saputo distinguerli.
«Sono Tony», disse porgendomi la mano, «Il fratello maggiore di Matt. Molto piacere!»
Mi riscossi da quello shock iniziale e sorrisi anch'io:
«Emily. Wow, vi assomigliate un sacco!», dissi passando lo sguardo dall'uno all'altro. Tony scoppiò a ridere:
«Non dirlo troppo in giro», disse facendomi l'occhiolino. Quando mi strinse la mano sentii quel brivido ormai familiare scorrermi lungo la schiena, ma questa volta ero preparata: Matt mi aveva rivelato che tutti nella sua famiglia erano licantropi. Mi sorpresi a chiedermi se anche da lupi lui e Tony erano identici.
Ignorando completamente la mia presenza Tony si rivolse a Matt:
«Allora cerco un po' nel tuo armadio okay?», disse andando verso la parete a sinistra del letto che era quasi completamente occupata da un grosso armadio a muro. Ma la cosa che mi fece arrossire fu che si tolse tranquillamente la maglietta e la gettò per terra, mostrando di avere un fisico decisamente sviluppato e atletico. Mi voltai verso Matt un po' a disagio, e lo vidi alzare gli occhi al cielo mentre mi faceva segno di andare al piano di sotto.
Non me lo feci ripetere, presi la borsa e la giacca che avevo appoggiato sul letto e corsi giù per le scale prima che Tony si togliesse qualche altro indumento.
Dopo pochi minuti mi raggiunse anche Matt:
«Perdona mio fratello, è un po' troppo estroverso a volte». Sorrisi per tranquillizzarlo:
«Nessun problema, sembra simpatico»
«Oh, è un amore», disse sarcastico, «ti accompagno a casa?»
«Se non è un problema, sì, grazie».
Durante il viaggio di ritorno Matt era pensieroso, guardava la strada ma sembrava che non la vedesse davvero. Quando ci fermammo ad un semaforo rosso sembrò risvegliarsi e mi guardò per qualche secondo prima di dire:
«Emily penso che tu abbia dei poteri. Tutte queste cose strane che ti succedono, penso che tu abbia qualche capacità al di sopra degli esseri umani comuni. Non saprei dirti cosa sei, ma non credo che tu sia completamente umana»
Il cuore prese a battermi forte:
«Andiamo Matt, non ti sembra di esagerare? Sì questi ultimi giorni sono stati fuori di testa, ma non pensi che se avessi qualche strano potere me ne sarei accorta?», dissi più che altro per convincere me stessa che lui.
Scattò il verde e la macchina riprese a muoversi.
«Non necessariamente. ma potrei sbagliarmi, sto solo facendo delle ipotesi», poi di colpo tornò allegro, «Metto un po' di musica?», così dicendo accese la radio e partì una canzone dei Mouserats. Lo guardai piacevolmente sorpresa, e lanciandomi un'occhiata veloce disse:
«Mark mi ha detto che ti piace questa band, così ho ascoltato qualche canzone. Non sono male»
«Ti stai informando su cosa mi piace per fare colpo su di me?», lo stuzzicai.
«Forse», disse facendomi l'occhiolino.
Ma quello che aveva detto poco prima, sull'avere dei poteri, mi aveva colpito. Mi guardai le mani, come se da un momento all'altro dovesse uscirmi un raggio laser dalla punta delle dita. Quando non successe niente sentii quasi una punta di delusione.
Scacciai quei pensieri e mi concentrai sulle parole della canzone mentre guardavo Matt concentrato alla guida. Ancora una volta eravamo stati interrotti sul punto di baciarci. O almeno, io ero stata decisamente sul punto di farlo. Chissà forse qualcuno stava cercando di dirci che quella non era la strada da prendere. Eppure in alcuni momenti sembrava che davanti a me non ci fossero altre strade se non quella che conduceva dritta a lui. Rievocai la sensazione di poco prima quando l'avevo sentito così vicino. Aveva un odore così buono, di forza e sicurezza e puro istinto primordiale. Inconsciamente presi a mordicchiarmi il labbro. Matt mi vide e tirò fuori quel suo mezzo sorriso:
«A che stai pensando?», disse con un tono che suggeriva che sapeva benissimo a cosa stavo pensando.
«Niente, guarda la strada invece che guardare me», risposi voltandomi a guardare fuori dal finestrino e canticchiando la canzone che era appena iniziata.
Mi manderai al manicomio, Matthew Carroll, pensai tra me e me.

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